Full text of "Atti"
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ATTI
DELLA
SOCIETÀ T0SC4NA
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SCIENZE NATURALI
RESIDENTE IN PISA
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Voi- VII.
PXS
TIPOGRAFIA T. NISTRI R C.
1886
i
DOTI. JACOPO DANIELLi
OSSERVAZIONI
SU CERTI ORGANI
DELLA
GUNNERA SCABRA RUIZ ET PAV.
CON note:
SULLA LETTERATURA DEI NETTARI ESTRAFLORALI
Nella primavera dell' anno 1882 vegetavano nelle serre
deir Orto botanico fiorentino, dei giovani individui di Gunnera
scabra, nati neir anno stesso da semi avuti dalla pianta che
fiorì nel suddetto orto, e che fu presentata fiorita ad una con-
ferenza della Società toscana d'orticoltura il 19 giugno 1881.
L' illustre naturalista e viaggiatore Odoardo Beccari, da quel-
r acuto osservatore che egli è, vide che quelle pianticelle pre-
sentavano nel loro stipite dei corpiciattoli speciali, degli '' organi
buffi „ com' esso li chiamò, e mi invitò ad osservarli.
Il loro aspetto mi riuscì affatto nuovo, e spinto dal desiderio
di sapere che fossero volli studiarli. Avuto il permesso dal chia-
rissimo mio maestro prof. Teodoro Carnei, di sacrificare alcuni
di quelli individui, mi accinsi air opera della quale presento
adesso, qualunque essi sieno, i resultati, i quali almeno oso
sperare sieno nuovi, poiché nelle mie ricerche bibliografiche non
ho trovato niente che dicesse di questi organi. Forse se avessi
seguitato a esaminare e avessi tardato a mostrare i miei studi
in proposito, avrei potuto io stesso dire qualche cosa di più e
di meglio su questi strani corpiciattoli; ma T interesse scientifico
Se Nat, Voi VII, fase. l.<» * 1
2 J. DANlfeLLl
reclamando la maggior prontezza nel!' interpetrazìone dei fatti,
senza occuparsi di chi li addita, pongo nel dominio del pubblico
questi primi resultati de' miei studi, onde altri più abili, e con
materiali migliori^ si unisca a me per dare più presto una com-
pleta spiegazione di questi organi, dei quali, fra le altre, non
ho potuto dare il signijGcato morfologico.
Se, contrariamente air esito delle mie indagini bibliografiche
e a ciò che mi hanno detto alcuni distinti botanici, fossi stato
preceduto nelle mie osservazioni, la presente comunicazione saiit
utile a confermare fatti già noti o a farli meglio conoscere.
La Guntwa scabra Ruiz et Pavon — G. chilensis Lam.,
Panke Anapodophylli folio Feuillée, Panke iindoria Molina —
non è diflScile ad assere osservata, poiché è abbastanza colti-
vata nei nostri giardini come pianta ornamentale a causa delle
sue foglie colossali e rugose; ma però da noi non sembra di
facile coltura giacché, come disse nella già rammentata confe-
renza del 19 giugno 1881 il sig. Bastianini, capo giardiniere del-
rOrto botanico fiorentino, essendone stata tentata, da esso e
da altri, negli anni antecedenti al 1881, la coltura, non si riuscì
ad ottenere una pianta piuttosto robusta. A me poi, più sfortu-
nato di loro, che mi premeva di studiare gli organi in questione,
fino dalla loro origine, non è voluta nascere (<).
Nei propri paesi. Chili e Perù, abita luoghi umidi, stagni,
sorgenti, paduli; fiorisce nel settembre e ottobre ; è detta Panke
e Pangue, e serve a molti usi. Così si prende la decozione delle
foglie per rinfrescarsi, si mangiano i piccioli crudi scortecciati,
i tintori si servono delle sue radici, miste con una certa terra,
per tingere in scuro, i conciatori si servono del rizoma, ricco
di acido gallico, per conciare e tingere le pelli ; il decotto delle
radici arresta la diarrea e T emorragie; e ' Mucilago plantae
tenerae dorso et renibus applicitus, febrium ardores compescit (*) j,.
(0 Mi ò stato detto che il cattivo successo della cultura di cui parlò il Bastiti-
nini, può esser dipeso dal considerare la (Junnera come pianta da serra, dovendo
invece esser tenuta come una pianta nostrale abitante i luoghi umidi.
(') RuiZf FI. et Pavon, J., Sy stema vegetabilium Florae peruvianae et chilensis^
I., p. 367, s. 1. 1748.
OSSEBVAZIOMI SU CERTI ORGAKl DELLA GtJNNERA SCABRA ECC.
Le giovanissime piante da me studiate (Tav. IV, fig. 1) avevano
un piccolo fusto rigonfiato, che poi avrebbe formato il rizoma,
di circa 10 o 15 mm. di diametro, alto 20 o 30 mm., tutto co-
sparso, fino nella parte più inferiore, degli organi in discorso.
Oltre le foglie si vedono su di essi delle radici avventizie più
0 meno grosse, anche nella parte più alta del fusto; le quali
nascono spessissimo vicinissime e al disotto degli organi. Negli
interstizi il fusto è coperto da peli di vario genere. Alcuni di
questi organi sono nascosti da stipole ascellari o linguette.
Essi sono rotondi o un po' ellittici, lobati in modo da pren-
dere una forma stellata più o meno marcata, con un bel mu-
crone nel centro (Tav. IV., fig. 1 a). Gli ellittici spesso hanno due
od anche tre mucroni, forse resultanti dall' unione di più organi.
1 lobi in generale sono 7 od 8. Questi organi nel loro pieno
sviluppo sono di colore giallo. La loro superficie è ricoperta da
una sostanza mucilagginosa. Il diametro massimo a cui possono
arrivare è di 8 o 9 mm.
Nei più giovani eh' io ho potuto osservare, le diverse parti
erano meglio distinte; specialmente i mucroni sono più svilup-
pati. Col crescere della pianta gli organi si fanno più numerosi
e ingrossano, ma arrivata alle dimensioni nelle quali li abbiamo
superiormente descritti, dopo un po' di tempo, la pianta conti-
nuando a crescere, i mucroni spariscono (Tav. IV., fig. 1 6), gli
organi perdono la forma più o meno stellata, si fanno roton-
deggianti, di colore scuro, non son più mucilagginosi e danno
al fusto, o estremità superiore del rizoma, un aspetto tuber-
coloso.
Però all' ascella delle foglie che più si avvicinano al centro,
fra le stipole, troviamo ancora degli organi giovani, mucilag-
ginosi; i quali non ho veduto più nelle piante ancora maggior-
mente adulte.
In sezione verticale questi corpiciattoli (Tav. IV., fig. 2) ram-
mentano, lontanamente, la forma della parte superiore del giglio
fiorentino. Si vedono i lobi curvarsi esternamente, a guisa di
voluta, e la parte dell' organo, che sorge in mezzo ad essi, va
ingrandendo dal basso all' alto fino al punto in cui si separa
dai lobi; dal qual punto comincia a ristringersi e prende la
4 J. DAÉìMÌÀÀ
forma di un mucrone. Queste cose le vediamo maggiormente
marcate in organi non tanto sviluppati.
Le linee principali di una sezione orizzontale, fatta alle base,
cioè nel luogo in cui i lobi e la parte centrale si differenziano,
ci mostrano invece una figura formata nel centro da un poliedro
spesso ottagonale (Tav. IV., fig. 3), contornato da tanti coni troncati,
in sezione longitudinale, quanti sono i lati del poliedro centrale.
Però, come ben vedesi dalla figura 3, i contomi di queste diverse
parti non sono formati da linee rette come le figure geometriche
a cui ho paragonato questa sezione, ma sibbene da linee più
o meno curve che li rendono frastagliati.
n taglio trasversale del mucrone fatto nella sua parte li-
bera (Tav. IV., fig. 4) mostra come in essa il contorno del mu-
crone, in sezione; sia ancora maggiormente frastagliato.
La massa di questi organi è formata da cellule poliedriche,
delle volte allungate, più grandi nei punti mediani delle diverse
parti deir organo. Sono più piccole di quelle che entrano a co-
stituire il fusto o rizoma. In mezzo a loro, in ogni lobo e nel
mucrone si getta un bel fascio che parte da quelli che si tro-
vano nel fusto.
I fasci sono concentrici, libero-legnpsi, aventi il legno costi-
tuito da vasi spirali situati nel centro del fascio.
Tutto Tergano, cioè tanto i lobi che la parte centrale, è
coperto da un^ epidermide formata da uno strato di cellule a
contomo regolare, scure, con grosso nucleo e nucleolo.
Ho costatato nelle cellule degli organi in discorso e in quelle
del fusto, la presenza del glucosio e del saccarosio, mediante il
saggio dello zucchero di Trommer e il reattivo di Fehling. Vi
si trova ancora del tannino e della fecola, la quale è in mag-
giore quantitài nel fusto, nelle cellule del quale si presenta in
granelli anche molto grossi, mentre negli organi che studiamo
i granelli sono piccolissimi.
A primo aspetto questi organi potevano sembrare peli glan-
dulosi alla base, o vere e proprie glandolo, ma adesso che ab-
biamo osservato la loro costituzione anatomica, siamo certi che
OSSERVAZIONI SU CERTI ORGANI DELLA QUNNERA SCABRA ECC. 5
non si tratta né delle une né degli altri poiché hanno T epider-
mide e in essi si distribuiscono dei fasci fìbro-vascolari. Quello
che sono però non sarà difficile a dirsi se ci ricordiamo che con-
tengono degli zuccheri e che in conseguenza il liquido che esce
da essi è un vero e proprio nettare.
Perciò non mi perito a dire che sono nettarii estraflorali, o,
come direbbe Delpino, nettarii estranuziali {^).
Se non è difficile il dire che cosa sono questi organi, non è
lo stesso in quanto al dire a che cosa servono. Lo scopo, o, per
meglio dire, la funzione dei nettarii estraflorali è intesa molto
diversamente dai botanici; e gli organi studiati da me, forse
non portano nuova luce su questo problema.
Senza occuparci degli antichi botanici, le cui idee in propo-
sito si trovano svolte o riepilogate nei lavori moderni, vediamo
che cosa dicono quelli che più si sono occupati della funzione
dei nettarii estraflorali, per poi cercare di spiegare Fuso di quelli
della Gunnera. ,
Delpino (*;, dopo avere affermato che resta eterno il princi-
pio : „ ove esiste un nettario, ivi esiste una funzione di relazione
tra la pianta nebtarifera e tra determinati animalcoli melito-
fagi 9 , e aver definito i nettarii : „ pars mellifera plantarum
angtospermamm propria „ — definizione erronea perchè si trovan
nettarii anche nelle felci e nelle conifere — divide questi in me-
sogamici o nuziali e in estranuziali. Parla della posizione di
questi ultimi, e dopo aver citati alcuni esempi di simili nettarii,
alla domanda: „ quaFè dunque la funzione dei nettarii estra-
nuziali, sia che sì trovino nelle foglie cauline, nelle brattee o
calice „ risponde che non esita „ ad enunciare che siffatti net-
tarii hanno per funzione principale di costituire nelle formiche,
nelle vespe, nei Polisies altrettante vigili sentinelle e guardiani
per impedire che le parti tenere delle piante siano divorate dai
(0 Delpino F. — Ulteriori asservcuioni sulla dicogamia vegeUUe. Parte 3eeQnda,
fascicolo U, p. S6. Milano 1S75.
f) Delpino F. 1. e p. 85.
6 J. DANIELU
brachi j, Q). Aggiunge che un altra funzione (ma in via subalter-
nissima) può talvolta essere esercitata dai suddetti nettarli, con-
sistente neir impedire Y accesso delle formiche ai nettarii nuziali,
trattenendole sui nettarii estranuziali.
Lo stesso autore in un altro suo lavoro intitolato : Rapporto
tra insetti e tra nettarii estranunziali in alcune piante (*), trattando
più diffusamente lo stesso tema dà un elenco di piante fornite
di nettarii estranuziali, e dalle osservazioni che fa su alcune di
esse deduce che i nettarii in discorso, almeno nei nostri paesi,
sono in correlazione con insetti formicari o vespiari.
Dice di aver visto nettarii estraQorali in un'ottantina di specie
distribuiti in una ventina di generi appartenenti a tredici fami-
glie di dicotiledoni (^), e che crede che ulteriori ricerche potreb-
bero decuplare tal numero.
Di queste piante però dà, solo il nome specifico di poco più
di venti, fra cui ce ne sono alcune delle quali non ha veduto
che esemplari secchi, per cui non può stabilire con certezza che
esse abbiano nettarii.
Vide un „ vero esercito di piccole formiche „ sulle brattee
nettarifere del Clerodendron fragrans; cita le Myrmecodia, VHyd-
nophytum come piante che danno domicilio alle formiche ; crede
possibile che un certo Clerodendron che ha gl'internodi rigonfi
presso r apice, cavi nel centro, con un foro da una parte dal
quale entrano ed escono formiche, sia affine al fragrans e che
le formiche vi abbiano fatto lo scavo per usufruire con più co-
modo i nettarii, cóme lui ha visto seguire nella Cynara Cardun-
culus con punto o con poco danno della pianta e con grande
vantaggio delle formiche (*); ha visto individui di Polistes gallica
su diverse specie di Cassia^ uno o due per ogni pianta, attratti
dal miele delle glandolo picciolari, i quali gli ricordavano coi
loro andirivieni ^ il diportarsi delle sentinelle dinanzi ai posti
di guardia „; vi vide anche delle formiche ma non gli sembrano
adattate.
Osservò che i nettarii picciolari del Ricinus sono visitati, al-
(») Delpino F., L e. p. 90.
(«) Bull. Soc, Ent, ital. Firenze-Roma 1875, Anno VII, p. 69.
Q) Delpino F., 1. e. p. 73.
(^) Il Beccari mi ha detto che i fusti della Cynara non sono scavati dalle for-
miche ma dalle larve di un rincofozo.
OSSEBVAZIONI SU CBKTI OROANl DELTA GUNNERÀ SCABRA ECO. Y
meno nel nostro paese, dalla Polistes gallica; sopra i bocci della
Paeonia offidnalis vide sopra ognuno da una a tre formiche,
che suggevano il nettare emanante dai sepali ' avvicinando qua-
lunque oggetto a dette boccie, le formiche si allarmavano, assu-
mevano un' attitudine minacciosa e lo mordevano furiosamente,
spiegando così il carattere d' intrepidi e accaniti difensori delle
boccio medesime »(*). Sopra una specie d' Ifeteropteris vide formiche
leccare il nettare dei nettarli picciolari. Per tre o quattro giorni
prima deir antesi, e uno o due dopo, vide su quasi tutte le ca-
latidi deìl^, Centaurea montana una o due formiche; in seguito
le brattee esterne dell' involucro calatideo non danno più nettare
e i difensori se ne vanno; vide formiche lambire il nettare delle
stipole della Vida sepium e di specie affini; osservò qualche
formica leccare le glandolo picciolari del Prunus avium con
gemme sbocciate da qualche giorno; nel Sambuais racemosa os-
servò lo stesso fatto, ma melliflue erano le stipole; in ogni indi-
viduo giovane di Sambucus £6u/u5 costatò per solito la presenza
di alquante formiche che leccavano i nettarli di ciascuna foglia.
Esposto poi il principio: „ Quando un fenomeno appare iso-
lato e singolo nella specie sua, può essere e quasi sempre è
una mera casualità, destituita affatto da ogni significazione di
fine 0 di scopo. Ma quando uno stesso fenomeno si ripete e si
riproduce in esseri di affinità remote e quando si perpetua nella
serie colà dove si è manifestato, allora doventa un segno indu-
bitabile della costanza e deli' importanza delle cause che lo hanno
perpetuato, presuppone una funzione, uno scopo, ben definito „.
Considerando che quello di questi nettarii è un fenomeno che si
riproduce in una quantità non piccola di piante, appartenenti
alle famiglie le più svariate, e che perciò debbono avere uno scopo,
una funzione, che esclusivamente si riferisca ai servigi che essi
insetti prestano alle piante, si mette a ricercare questo scopo
9 mediante un processo rigorosamente logico di esclusione ;;,.
Esclude che il nettare sia una naturale escrezione di umori
superfiui, e perciò egli dice che non rimane che credere che i
nettarii estrafiorali abbiano una funzione adescativa e, sempre
per esclusione, ammette che non resta possibile altra tesi che
quella che le formiche e le vespe siano i principali nemici dei
(«) Delpino F., 1. e. p. 75,
8 J. DANIELU
principali nemici di certe piante. Dice ciò confermato dal fatto
di essere fra i principali nemici delle piante le larve, special-
mente dei lepidotteri, e fra i principali nemici di dette larve le
formiche.
In poche parole, certe piante a somiglianza degli afidi, coc-
ciniglie ec. porgerebbero un tributo di sostanza zuccherina ai
loro difensori. Le Myrmecodia, gli Hydnophytumy le Tococa, Ma-
jeta, Cynara Cardunculus ec. offrirebbero < vere caserme e corpi
di guardia alle formiche „ (0* La facilità di spiegare certi feno-
meni e questo modi di esprimersi non devono meravigliarci, pen-
sando che il chiaro autore tra le « cause efficienti e precedenti
che hanno determinato un dato organismo in tutti i suoi carat-
teri intrinseci ed estrinseci da esso posseduti » è convinto che
figuri in prima linea un principio intelligente e previdente infuso
in ogni organismo (*).
Parla dell' utiUtà delle formiche per distruggere gl'insetti
che infestano i boschi. In prova di ciò riporta degli esempi e
scrive che spessissimo le formiche adottando a stazione l'albero
a cui son vicine salvano V albero stesso per quell'annata da ogni
danno di bruchi (^).
Dice che osservazioni di pratici confermano 1' utilità dei ser-
vizi che devon rendere le formiche alle piante, V uffizio impor-
tantissimo, sopra ogni altro insetto, addossato alle formiche, di
mantenere V equilibrio nelle classi degli insetti fitofagi, massime
dei lepidotteri. GÌ' icneumonìdi, i veri nemici delle uova^dei bruchi,
delle crisalidi, delle farfalle, essendo totalmente vincolati alla
vita dei bruchi, non possono ostacolare la moltiplicazione dei
bruchi di anno in anno crescente.
Alla pag. 87 fa questo ragionamento : dei carnivori, naturali
equilibratori e limitatori dei fitofagi, i monofagi e gii aligofagi han-
no poca importanza ed efficacia ' perchè sta vero che diminuiscono
gli individui delle specie di cui si nutrono, ma diminuendoli dimi-
nuiscono le proprie risorse, in una parola diminuiscono se stessi.
Invece gli animali pantofagi hanno ben altra efficacia. In un
anno si ciberanno della specie A straordinariamente moltiplica-
tasi; neir altra annata, poiché la specie À sarà ridotta al quinto
(«; Delpino F^ 1. e. p. 82.
(*) Delpino F., 1. e. p. 81.
(3) Delpino F.« l. e p. 86.
OSSERVAZIONI SU CEBTI ORGANI DELLA QUNNEBA SCABRA ECC. 9
numero d^ndividui, aggrediranno poniamo la specie B che a
sao turno si saiÀ eccessivamente moltiplicata, e così via discor-
rendo, ogni anno faranno sentire la loro azione equilibratrice
su quelle specie che, moltiplicandosi soverchiamente, tendono a
rompere l'equilibrio preesistente. Ma è chiaro che per potere
esercitare quest' ufficio, non bisogna essere, quanto al cibo, vin-
colati a ninna specie. Quindi è che i veri equilibratori sono gli
animali pantofagi ; laddove gli oligofagi e per più forti ragioni
i monofagi non sono che equilibratori apparenti „. Applicando
ciò agli insetti, considerando che le formiche son pantofagi, a
differenza degli icneumonidi, conclude che V azione delle formiche
alla distruzione delle farfalle deve esser maggiore di quella degli
icneumonidi. Cita alcune osservazioni pratiche a conferma di ciò
e fa altre considerazioni per dimostrare la maggior efficacia delle
formiche.
Dice che i ragionamenti e fatti esposti vengono in appoggio
air „ importante verità, che le formiche sono i principali equili-
bratori e moderatori degli insetti fitofagi; « e che „ resta nello
stesso tempo giustificato il concetto da cui pigliammo il nostro
punto di partenza, cioè che la natura provvide ad attirare
sopra non poche piante le formiche, medianti nettarii apposi-
tamente fabbricati, nello scopo di assicurare le piante stesse
dalle invasioni dei bruchi „. Aggiunge che in qualche località
della terra può credersi che Y ufficio di equilibratore sia confe-
rito anche alle vespe, se si considerano i nettarii estranuziali dei
generi esotici Ricinus e Cassia; ma ci manca ogni elemento di
osservazione reale per poter confirmare o infirmare siffatta con-
gettura „ (*). Termina dicendo che non gli par vera la teoria
di Darwin per spiegare T origine dei nettarii fiorali mediante
la selezione naturale, perchè parte dall' idea che il miele trasu-
dato dai nettarii estranuziali sia un escremento e dall' idea che
la visita di questi nettarii per parte d' insetti, tomi inutile alle
piante.
Belt (0 ha studiato una specie d' Acacia di cui certe formiche
distruggono tutte le foglie, non per mangiarle, ma per farne,
secondo lui, dei letti sopra i quali esse coltivano dei funghi.
(<) Delpino F., 1. e. p. 89.
(>) Lubbock — Les insectes et les fieurs sauvages. Traduit par E. Barbier. Pa-
ri» 1879. p. 7.
10 J. DANIELLI
Questa pianta porta delle spine scavate, e ciascuna fogliolina di-
stilla del nettare in una glandola in forma di cratere, situata
alla base della foglia, e porta air estremità uua piccola appen-
dice zuccherina in forma di pera(').
Quest' Acacia è abitata da miriadi di piccole formiche (^Pseu-
domyrma bicolor) che si pongono nelle spine scavate e che tro-
vano così su quest' albero, V alloggio e il nutrimento. Queste
formiche circolano incessantemente Inolia pianta; costituiscono
per la pianta dei difensori sempre svegli che cacciano e met-
tono in fuga le formiche di cui V abitudine è di danneggiare le
foglie; oltreché, secondo Belt, esse comunicano alle foglie un
certo odore che le difende contro gli attacchi dei mammiferi
erbivori.
Mailer C') ha osservato fatti analoghi, a Sainte-Catherine.
Darwin (•^) riportando le idee di Delpino, scrive che non ha
mai avuto ragione di credere che segua quello che afferma il
botanico genovese nelle tre specie da lui osservate: Prunus
LaurocerasuSf Vida saliva e Vida Faba; che nessuna pianta è
più debolmente attaccata da dei nemici della Pteris aquilinay
la quale non ostante alla base delle fronde ha delle grosse
glandolo che segregano, nella loro giovinezza soltanto, un liquido
zuccherino abbondante, avidamente succhiato da formiche ap-
partenenti specialmente al genere Myrmica, le quali non servono
a protegger la pianta contro qualche nemico.
Non crede buono V argomento portato da Delpino per di-
mostrare che queste glandolo non possono essere considerate
come escretori (0, ma ammette che in qualche caso la secrezione
serva a attirare degli insetti per difendere la pianta, ed ag-
giunge che non vi è da dubitare [minimamente che essa sia
stata sviluppata in alto grado a questo fine speciale, dopo le
osservazioni di Delpino e specialmente dopo quelle di Belt sulla
Acada sphaerocephala e sopra i fiori di passione.
Bonnier (^) ha osservato nelle stipole nettarifere della Vida
(^) La scoperta delle glandole ali* estremità delle foglioline dell' Acacia corni-
gera Willd., attribuita da F. Darwin a Belt è invece dovuta a Savi e a Meneghini
(v. Beccari 0., Malesia, li, p. 58.
(«) Mùller ■— Nature, Voi. X, p. 103. — Lubbock., 1. e. p. 7.
(3) Darwin C. — Des effets de la fécondation croisé. Paris, 1877, p. 41'^
(*) Darwin C, 1. e. p. 143.
(*) Bonnier — Les nectaires. Ann. Se. nat 6.« Sèrie, tom. Vili, p. 65, Paria 1879.
OSSBBYAZIONI SU CERTI ORGANI DELLA 6UNNERA SCABRA ECC. 1 1
i seguenti imenotteri, che raccoglievano abbondantemente il net-
tare: Apis mellifica abbondantissimamente; Polistes gallica j Sphe*
codes gibbuSy un po' meno; diversi Andrena, diversi Helidus e
molto più raramente i Bombus agrorum, B. pratorum, B. hirto-
runtj B. terrestris. Aggiunge che si possono anche osservare gli
imenotteri sopra le stipole di Vida Faba abbondantemente; sopra
quelle della Vida sepium e della Vida lathyroidesj meno frequen-
temente. Ha pure osservato, nei dintorni di Parigi, le api visitare
i nettariidei piccioli di Prunus avium e di Prunus Mahaleb; una
volta vide il Bombus terrestris e spessissimo numerosi ditteri
sopra ai nettarii delle giovani foglie di Crataegus Oxyacantha. A
Huez (Oisans) osservò le api raccogliere il nettare sopra i pe-
duncoli della Eruca saliva. Ha visto la miellata senza pucerons^
nelle quali raccoglievano il miele, in Francia e in Norvegia, i
seguenti imenotteri: Bombus terrestris, B. hortorum, B.pratorum^
B. agrarum, B. articus, B. alpinus, B. nivalis, B. consobrinus,
Apis mellifica, Osmia rufa, 0. nana^ Andrena fulvicrus^ A. dor-
sala, Halictus dlindricus, H. tridndus.
Fa rimarcare che anche le api, oltre le formiche, secondo
Belt, visitano i nettarii estraflorali delF Acada sphaerocephala^ e
non sa in che esse possano servire da guardie.
Egli seguita scrivendo: • Inutile è insistere più lunga-
mente su questa parte supposta (quella attribuita da Delpino) ;
non si possono discutere simili ipotesi fatte senza osservazioni,
senza esperienze e di cui V immaginazione fa tutte le spese «.
Dice che la maggior parte dei nettarii estraflorali non emet-
tono al di fuori che un volume relativamente debole di nettare
e sovente non emettono alcun liquido. Il massimo di volume
emesso si verifica sempre avanti che V organo presso il quale
si trova r accumulazione dello zucchero abbia raggiunto il suo
sviluppo.
A misura che quest'organo si sviluppa completamente l'emis-
sione del liquido diminuisce, poi cessa. Questo l' ha costatato
fra gli altri nei nettarii delle foglie del Prunus avium. Ricini^
communis, Crataegus Oxyacantha. Si è assicurato che p. es. nei
nettarii situati su i denti delle foglie del Ricino, del Crataegus,
degli Anethum e dei Sambucì^s, perdono a poco a poco i loro
zuccheri a misura che appassiscono o che spariscono confonden-
dosi col parenchima vicino. Cionclude dalle sue osservazioni che
12 J. DANIKLLI
per i nettari! estraflorali quando gli zuccheri spariscono dal tessuto
nettarifero, essi vanno a contribuire alla nutrizione delF organo
vicino in via di sviluppo.
Nei tessuti nettariferi estraflorali (*), quando V emissione del
liquido è massima, la proporzione del saccarosio è massima nel
tessuto. L'emissione dipende dai fenomeni della traspirazione
e si trova in relazione diretta con le circostanze esteme.
*^ Lo sviluppo essendo continuo, Taccumulazione dello zucchero
è costantemente impiegata. I periodi di formazione e di distru-
zione si confondono per lungo tempo. La riserva cessa di fun-
zionare quasi completamente, ed anche qualche volta sparisce,
quando V organo vicino raggiunge il suo sviluppo quasi completo.
Molte di queste accumulazioni zuccherine non producono alcun
liquido estemo „.
I periodi di distrazione delle riserve zuccherine sono distinti
nelle gemme.
Da tutto il suo lavoro, Bonnier tira la seguente conclusione
generale: "* I tessuti nettariferi, siano florali o estraflorali, emet-
tano o no un liquido al di fuori, costituiscono delle riserve nu-
tritizie speciali, in relazione diretta con la vita della pianta „•
E per quelli che vogliono spiegare teleologicamente queste
accumulazioni zuccherine, riporta un pezzo delle legotis sur les
phénomènes de la vie di C. Bernard, che termina così: * la legge
della finalità fisiologica è in ciascun essere in particolare, e non
fuori di lui : V organismo vivente è fatto per sé stesso, egli ha
le sue leggi proprie, intrinseche. Lavora per sé e non per gli
altri „.
Van Tieghem (*), dividendo le idee di Bonnier, scrive che la
parte fisiologica é la stessa in tutti i nettari!, che cioè sono
sempre una riserva zuccherina destinata ad alimentare V accre-
scimento degli organi vicini. Il nettare esce dalle piante come
il liquido ordinario; la sua formazione é un semplice caso par-
ticolare del fenomeno generale deir emissione dei liquidi per
traspirazione rallentata, e per la naturale proporzione di zuc-
chero di canna, accompagnato da glucosio e da qualche sale che
contiene, é ricercato avidamente dagli insetti che ne sono ghiot-
(*) Bonnier, 1. e p. 205.
Ò Van Tieghem, Ph. — Traité de botani^ue, Paris 18S4, p. 203.
OSSERVAZIONI SU CEHTI ORGANI DELLA GUNNERA SCABRA ECC. 1 S
tissimiy i quali perciò, potendo la pianta riassorbire il nettare
emesso, causano alle piante stesse, portandole via una parte
della riserva zuccherina per lo sviluppo degli organi vicini, un
reale danno, il quale però delle volte è compensato. *^ Ma quanto
sovente -egli osserva- questa compensazione non ha luogo?».
Il Beccari (*) crede, a diflFerenza di Darwin, che nella Pteris
aquilina^ meglio che in qualunque altra, sia giustificata la sup-
posizione dì un uffizio di difesa per parte delle formiche, appunto
perchè le glandolo non secretono nettare altro che quando sono
giovanissime (*). Osserva che la Pteris aquilina può avere attrat-
tive per gli insetti in altre parti del mondo, se non V ha nelle
nostre, perchè è cosmopolita. Per provare che le felci anche da
noi non sono immuni dagli attacchi degli insetti, cita il fatto
di un Cyrtoniium falcatum che ha avuto quest' anno tutte le
fronde, mano a mano che si svolgevano, spuntate da una larva
verde dì lepidottero, e quelle di giovanissime piante di Pteris
aquilina^ che erano non molto distantì dal Cyrtomium^ ridotte
in pezzetti. Non ha visto insetti sulla Pteris^ ma ritiene che il
danno debba attribuirsi a larve simili a quelle del Cyrtomium.
Lo stesso autore scrive che forse anche le Korthalsia fra le
palme offrono nettari estranuziali sul piccolo picciolo dei sin-
goli segmenti delle foglie; che sono bellissimi quelli perifillici
del margine della Rosa Banksiaej e che attraggono gran numero
di grosse formiche nere fCampanatus pubescens)^ le quali la ren-
dono quasi immune dalle larve della Hylotoma rosae. Delle larve
si trovano talvolta sui germogli stentati e secondari, nei quali
la secrezione zuccherina è quasi nulla, per cui non vengono vi-
sitati dalle formiche. In questo caso è evidente, esso dice, che
la produzione dei nettarli è necessaria per attirare le formiche,
e che queste quando sono presenti proteggono i germogli dagli
attacchi delle larve.
Crede invece che realmente in alcune piante, p. es. nel Pesco,
non sia provato se il vantaggio che le formiche vi recano,''sia
maggiore del danno. Dimanda se tali piante non potendo libe-
rarsi da ospiti importuni, han trovato più conveniente e meno
svantaggioso localizzarli dove il danno è minore.
(A) Beccari 0. — Malesia^ toL U, p. 41. Genova 18S4.
O Questa ragione si potrebbe portare anche in appoggio alle idee di Bonnier.
* •
ìi 3. DANIRLLI
Insiste, dopo aver detto che le foglie del Clerodendron fistu-
losum Becc. han delle glandolo presso la costola della pagina
inferiore, che nelle piante ospitatrici si trovano spesso glandolo
che secretono umori graditi, a quanto sembra, alle formiche.
Perchè Bonnier dice che non sa spiegarsi la visita delle api
air Acacia cornigera^ Beccari scrive m nota : *" Si direbbe che
Bonnier non è mai stato punto da un^ ape, altrimenti gli sa-
rebbe subito venuto in mente che una pianta molto frequentata
dalle api difficilmente può essere attaccata da animali erbivori.
A ragione quindi H. Mailer (Journ. Micr. Soc. 1881 p. 626) ac-
cusa Bonnier di aver cercato colle armi di un ragazzo di rove-
sciare una delle teorie più larghe e meglio stabilite „ (')• Que-
sto apprezzamento mi sembra che faccia il paio con quello di
Bonnier su le osservazioni di Delpino.
Delpino dice dunque di aver visto nettari! estraflorali in un'ot-
tantina di specie, dà però il nome specifico di solo una ventina,
delle quali ha visto alcune soltanto secche, e quindi confessa di
non poter stabilire certamente se abbiano nettarli, ed ha osser-
vato formiche soltanto sui nettarli di circa nove specie, e Polistes
in più specie di Cassia (*) e nel Ricinus. Nessun' altra osserva-
zione diretta, cioè su piante con nettarli, ha egli fatto. Il restante
sono ragionamenti più o meno filosofici che saranno più o meno
giusti; ma certo 11 voler cercare lo scopo di un organo e volerlo
trovare con un processo d' esclusione, qualunque sieno le nostre
cognizioni, mi sembra poco scientifico, poco positivo. È proprio
vero che non rimanga che credere altro che 1 nettarli estraflorali
abbiano una funzione adescativa, e che non resti possibile di
credere altro che questa venga esercitata per le formiche e le
vespe, essendo questi animali 1 principali nemici dei principali
nemici di certe piante?
Non sarebbe razionale dopo quello che abbiamo visto, il
supporre, senza generalizzare tanto, che come la natura ap-
profitta di mezzi diversi per raggiungere lo stesso fine, il me-
(') Il Beccari crede che i nettarii estraflorali potrebbero aver avuto origine da
lesioni momentanee prodotte dagli insetti e divenute poi ereditarie per la costanza
delle cause produttrici, gli stimoli continuati e per Tutilità della produzione (1. e. p. 60).
(<) Sulla Cassia vide anche delle formiche ma gli sembrano poco adattate.
OSSÈBY AZIONI SU CLBn ÒRGANI bELLA GUNNBKA SCABRA ECC. là
desimo organo nelle diverse piante adempia funzioni diflEerenti
o magari le accumuli in una medesima specie? Nei pochi vegetali
in cui è stata osservata la presenza di nettarii con i detti in-
setti, è provato la necessità o la grande utilità di questi? Non
vediamo piante con nettarii, senza formiche o vespe, e non ostante
non invase dai bruchi, e piante simili a queste, senza nettarii?
Intanto, come abbiamo gik detto, Darwin dietro osservazioni
proprie nega V utilità delle formiche, ammettendo la funzione
adescativa, per difesa, nella Acacia sphaerocephala e sopra i fiori
di passione dietro quello però che di esse han detto Delpino e
Belt. E Bonnier fa osservare che sui nettarii vi si trovano spesso
imenotteri, come pure le api e numerosi ditteri, e che neW Acacia
sphaerocephala^ oltre le formiche, vi si trovan le api. Che bene
alla pianta farebbero questi insetti?
S'è visto che Beccari fa notare che le api tengono lontani
gli animali erbivori; ma quante piante a cui accorrono le api
sono danneggiate dagli erbivori! E la Pteris aquilina , per la
quale si compiace di riportare da Bonnier Q) che fu vista esser
visitata da un Halictus^ non è mangiata dagli erbivori?
L'osservazione di Belt prova ancora che vi sono delle formiche
dannose alle piante. Beccari stesso crede che alcune volte non
sia provato che V utile non sia maggiore del danno. E Macchiati (^)
afferma il danno delle formiche a certe piante, avendo visto che
le formiche tengono lontane le mosche che contribuiscono alla
fecondazione incrociata dello Aster chinensis.
Potrebbero certi nettarii su cui non vi sono insetti essere
stati utili, per attirare i difensori, in altri tempi o in altri
luoghi, ma quali sono le osservazioni che ce lo dimostrano?
Anche V ipotesi che alcune volte le piante pongono V esca
in un luogo perchè gV insetti non si cibino in un altro , non è
perfettamente gratuita? È vero che la natura si serve delle volte
di mezzi diversi per raggiungere uno scopo identico, ma questa,
ripeto, è un' ipotesi gratuita, mentre Macchiati (^) ha osservato
che r Aster chinensis per tenere lontani insetti dannosi, e questi
sarebbero appunto formiche, emettono sostanza gommosa di odore
(*) Beccari 0., 1. e. p. 41.
(*) Macchiati L. — Catalogo dei pronubi delle piante. Nuovo giorn. bot ita-
liano, p. 355, Firenze 1884.
C) Macchiati L., 1. e.
16 i. DANIELLt
disgustoso. È bella la teorìa, è brillante, ma avanti di crederci
aspettiamo che sia sostenuta da un numero ben maggiore di os-
servazioni. LMpotesi che sostiene Bonnier e VanTieghem sembra
maggiormente basata sopra T osservazione. Bonnier cita male a
proposito le Legons di Bernard, poiché anche secondo le idee di
Delpino, la pianta, benché utile agli altri, in ultima analisi lavo-
rerebbe per sé.
Van Tieghem , come abbiam veduto , crede che gli insetti
prendendo il nettare causino un male alla pianta, che però
qualche volta può esser compensato.
lo non ho controllato le osservazioni pubblicate nei lavori
che ho largamente riassunti, né ho osservazioni mie particolari
da contrapporre a quelle degli autori suddetti; perciò anzi ho
tracciato queste note sugli scritti di Delpino, Darwin, Bonnier,
Van Tieghem, Beccari, ecc. Così il lettore potrà farsi un concetto
giusto delle cognizioni che si hanno intorno a questo argomento,
e applicare quelle che più gli piacciono air interpetrazìone della
funzione, o, come altri direbbe, dello scopo degli organi che ora
studiamo della Gunnera scabra.
Mi permetterò soltanto di far rilevare come gV individui da
me studiati vivevano in una serra a Firenze, mentre la pianta
é americana, per la qual cosa il non trovarsi insetti sui nettari!,
nel caso mio, non proverebbe niente contro [Delpino, poiché po-
trebbe darsi benissimo che vivessero in America animali ghiotti
dei tessuti della Gunnera scabraj e insetti difensori adescati dalla
medesima, e non importati, né parassiti né difensori, in Italia,
a Firenze, e perciò da me non visti. Non ho potuto studiare,
analizzare, nei differenti tempi, il contenuto dei nettarli, degli
organi a loro vicini e del fusto per vedere se le trasformazioni
del loro contenuto giustificavano o no la interpetrazione di
Bonnier. Mi preme però di rammentare come il fusto, che é
rigonfiato, su cui s' inseriscono i nettarli, le radici, le foglie, ecc.,
sia ricchissimo di materiali di riserva.
Io son fra coloro i quali credono che la scienza vera debba essere
fondata su osservazioni numerose, serie, fatte con serenità, pe-
sate e vagliate da una critica spassionata servente solo la causa
del vero, che sia tarda a concludere e a sintetizzare; e che i
naturalisti, lasciando le intuizioni, le divinazioni ad altri, - o non
le confondano colla scienza - diano le cose certe come certe, le
088KBV AZIONI SU CERTI ORGANI DILLA GUNNERA SCABRA ECC. 1 7
dubbie corno dubbio, O; quando n'è il caso, confessino la loro
ignoranza: altrimenti per quanto si facciano chiamare positivisti,
saranno sempre dei metafisici. Perciò convinto della bontà di
queste idee, dopo avere studiato gli autori che si sono occupati
dei nettarli estraflorali ed esaminato, come ho potuto, i medesimi
nettarli nella Gunnera scabra, a chi mi domandasse a che questi
servano nella Gunnera, risponderei candidamente: non ne so
niente: nihil quicquam.
Sic A'.il. Voi VII, fuse. 1.0
SULLE SCORIE
PROVENIENTI DA ANTICHE FUSIONI METALLICHE
CHE SI TROVAIO IELLA TEIOTA DI CA8TAGIBT0
RICERCHE
DI S'i^ITSTO SE»Tim
Nella tenata di Castagneto, appartenente alla Nobil Casa
della Gherardesca, dalla parte che confina col Campigliese, qnasi
alla base del Monte Calvi, in Inogo detto comunemente gli
Schiumajj sMncontrano diversi depositi di scorie di antica ori-
gine, disposti poco men che simmetricamente, al di qua e al di
Ut del botro del Sambuco, i quali si crede risalgano ai tempi
degli Etruschi. Secondo il sig. Simonin ( Exploit, min. et metall.
en Toscane pendant V antiquité et le moyen-dge. — Annal. des
Mlnes Ser. 6, T. XIV. p. 557 ), queste scorie avrebbero presso a
poco la stessa composizione di quelle di Fucinaja (Campiglia),
soltanto sarebbero più povere di rame e non conteiTebbero che
traccio di zinco.
Io ebbi occasione di visitare gli Schiumaj nella primavera del-
l'anno passato, e di raccogliere i campioni di quelle scorie, delle
quali ho creduto bene istituire accurata analisi chimica. Ognuno
di quei depositi è esteso per molti metri quadrati e segue la
pendenza del terreno su cui poggia: la scoria è bruna o quasi
nera; in molti depositi, specialmente in quelli più alti, è affatto
inalterata anche alla superficie, in altri cumuli quella delle parti
superficiali è ricoperta da materia terrosa nera, commista a
terriccio trasportatovi dalle acque che scendono dai boschi so-
prastanti. Non è raro incontrare pezzi di scoria a superficie ver-
micolare, lucente ed anche iridescente, come se fosse uscita ieri
à
SULLE SGORIB DI ANTICHE FUSIONI CHE SI TROVANO EC. 19
dal forno fusorio, — tanta è la resistenza che offre agli agenti
esterni, ai quali è esposta da secoli. La scoria è costituita da
una massa ben fusa per lo più, molto omogenea in generale;
in qualche punto apparisce semigranulare ed offre bolle prodotte
dai gaz rimasti inclusi, che la rendono in molti luoghi più o
meno spugnosa. In due cumuli che occupano la parte di mezzo
dello spazio rettangolare che delimita gli Schiumaj, la scoria
presenta piccole vene di color verde, alcuni cristallini verdastri
o celesti nelle cavità, e qualche rifioritura o efflorescenza dello
stesso colore, dovuti a composti ramici formatisi per Fazione
deir acqua. La frequenza di questi composti idrati di rame nelle
scorie di alcuni dei cumuli potrebbe far credere, piuttosto che
avanzi di antiche fusioni fatte per estrar ferro, fossero il capo-
morto della estrazione di altri metalli, com'è ormai accertato
per le scorie del Campigliese, che più spesso derivano da mine-
rali di rame, di piombo e di stagno che da quelli di ferro.
Con una grossa zappa fu facile riconoscere che quegli avanzi
deir antica industria metellurgica sono veramente enormi, e se
il luogo ed il tempo lo avessero conceduto sarebbe stato utile
prendere qualche misura per stabilire quanto ci sia di vero nel-
r opinione di coloro che credono raggiungano tutte quelle scorie
il peso approssimativo di oltre quindici mila tonnellate. Giova
intanto avvertire che la loro escavazione è facilissima^ essendo
i frantumi affatto incoerenti, piuttosto di piccol volume, e
quelli di grossa mole cadendo in pezzi ai primi colpi delle
mazze ferrate. Se si aggiunge che sono a cielo scoperto e sul de-
clive di valle non troppo ripida, si comprende di leggeri quanta
facilità si offra a chi voglia trarre profitto di quelle materie
minerali per tanti secoli restate in assoluto abbandono.
Il Sig. Simonin noa avendo ritrovato gli affioramenti certi
del giacimento che gli antichi esplorarono agli òchiumaj della
Gherardesca, non sa decidere se esse scorie provengano da fu-
sione di minerale di rame o di piombo. A 150 metri più in
basso degli ultimi cumuli fui condotto a vedere dalle persone
del luogo due escavazioni praticate verticalmente nella roccia
calcarea alla destra del botro. Queste buche sono irregolari, co-
minciano con pozzi entro i quali l'occhio non scorge nulla di
notevole; sono escavate con arte affatto primitiva, sicché im-
possibile senza tutto l'occorrente sarebbe stato lo scendervi.
io F. SESTINi
Al di fuori sul declive del monte si trovano pezzi di caicareo
ceroide e frantumi di calcareo a quanto pare fossilifero, stac-
cato probabilmente dalla roccia nella quale furono aperte quelle
buche. Soltanto a quando a quando mi accadde di rinvenire
qualche piccolo frantume di minerale limonitico, che raccolsi
insieme con due campioni di roccia traversata da vene colorite
dì verde dalla buratitey o idrocarbonato di zinco e di rame.
Questo per me era un segno quasi certo che in quei luoghi, o
in altri prossimi dovevano e forse debbono trovarsi ancora mi-
nerali di ferro accompagnati da composti di zinco e di rame,
come avviene dalla parte opposta del Monte Calvi ed in molte
parti del Campigliese; ma qui presso gli Schiumaj della 6he-
rardesca al certo con minore frequenza e minore abbondanza.
Indi passai a visitare le buche del ferro, poste a nord di Monte
Calvi sul Poggio Cornato; al di là, cioè, del botro dell'Acqua
viva- Ivi i paesani ritengono esista un filone (?) metallico, ma i
pochi segni di minerali di ferro da me veduti alla superficie del
suolo, per la massima parte epigenici, e la qualità della roccia
calcarea predominante in quelle buche, che sono scavate oriz-
zontalmente e poco profonde mi fanno ritenere òhe possa appli-
carsi a questa località l'opinione emessa e validamente sostenuta
dal chiarissimo Prof. Ant. D'Achiardi ( Vedasi l'opera — I me-
talli, loro minerali e miniere — Milano 1883) sull'origine della
miniera di ferro -manganifero del Monte Argentario; che, cioè,
questi giacimenti di ferro sieno l'effetto di acque marziali, le
quali avendo penetrato o attraversato quelle roccie calcaree ab-
biano impregnato le roccie stesse, ove più, ove meno, di ossido
di ferro e di altri metalli, ed abbiano dato per tal modo ori-
gine a quegli ammassi irregolari di minerale, che si trovano
saltuariamente nelle roccie calcaree delloMudicate località.
Probabilmente gli antichi scavatori dopo avere raccolto quanto
più poterono a cielo scoperto, aprirono le buche che ancora in
quei luoghi sì vedono, o ingrandirono grotte naturali ivi esi-
stenti, cercando minerali da trattare. Debbono certamente aver
tratto profitto di tutto quanto si conteneva negli affioramenti;
di fatto attualmente segni di notabili depositi metallici super-
ficiali non appariscono presso gli Schiumaj di Castagneto, e so-
lamente con accurati e non poco dispendiosi lavori potrebbesi
mettere in luce la esistenza degli ammassi di minerale conte-
nuti nell'interno della roccia calcarea.
SULLB SCORIE DI ANTICHE FUSIONI CHE SI TROVANO ECC. 21
Le scorie raccolte dai diversi depositi dapprima apparivano
nn poco diflferenti tra loro : alcune erano ben conservate, altre
per Fazione degli agenti atmosferici sembravano un poco alte-
rate. Ma ben presto dovei riconoscere che anche queste seconde
erano lievemente scomposte alla superficie, e toltane con T acqua
la polvere nera che le ricopriva, e che conteneva molta materia
umica, rimaneva scoperta la sostanza scorificata quasi intatta.
Sottoposta air analisi qualiquantitativa, nella quale fui valida-
mente coadiuvato dal Sig. Dott. Livio Sostegni, Ajuto alla Cat-
tedra di Chimica Agraria nella R. Università di Pisa, la scoria
si riconobbe formata principalmente di silicato ferroso -calcico
con allumina, magnesia, manganese ed ossidi di zinco, di piombo,
e di rame. Di cobalto e di nichelio non fu possibile trovare
traccio operando sopra le quantità, non grandi che pel solito si
prendono in simili casi. Forse sottoponendo ad esperimento mag-
giori quantità di scoria si sarebbe potuto aver reazioni sufficienti
per accertarsi della presenza di questi metalli, ma tali reazioni
del resto non hanno un valore pratico se non indicano notevoli
quantità dell* uno o dell'altro dei due metalli in discorso.
La ricerca dell' argento ha sempre molta importanza, e pel
caso nostro avea speciale interesse, giacché agli Schiumaj trovasi
accumulata una grandissima quantità di scoria, e quindi anche
se fosse stata piccola la quantità dell' argento, la convenienza
di trattare la scoria per cavarne il metallo prezioso potrebbe pur
esserci stata sempre. La ricerca fu eseguita con cura e su quan-
tità di materia non piccola, giacché si operò su 100 gr. alla
volta, ma non si potè rinvenire apprezzabile quantità di argento.
La composizione centesimale della scoria è rappresentata dalle
seguenti cifre:
Su 100,0 parti
Acqua svaporata a 105* C.^ » 2,3
A. Silicica (Si 0,) > 29,8
Ossido ferroso (FeO) > 39, 3
— di allaminio (AljOs) » 3, 1
— di manganese (Mn^O,) .... » 0» 6
— di zinco (ZnO) > 6,3
— di piombo (PbO) > 1,8
— di rame (CuO) > 0,6
— di calcio (CaO) > 8,7
— di magnesio (MgO) » 0,8
Acqua combinata - Materia umica - Perdite » 6, 7
100,0
22 F. SESTINI
Qual conix) possa farsi di queste scorie come materia da
trattarsi per estrarre un qualche metallo dei molti che contiene
non è difficile prevedere, ma non spetta a me dichiarare in questo
luogo. Piuttosto mi piace esporre come, a mio credere, le scorie
di Castagneto potrebbero trovare un utile impiego adoperandole
come ingrediente per la fabbricazione del vetro da bottiglie;
essendo esse sostanzialmente costituite da una pasta vetrificata
o almeno semivetrificata dì silicato ferroso calcico, h da rite-
nersi con sicurezza che con V aggiunta di ossidi alcalini e terrosi
in dose opportuna si potrebbe avere una materia vetrosa iden-
tica a quella che si richiede per le bottiglie nere.
Il vetro da bottiglie comprende in sé, come è noto in media:
Silice 58 a 60 7o
Calce 18 a 20 »
Ossido di Ferro. ... 7 a 9 »
Allumina 3 a 4 »
Alcali 5 a 7 »
Basterebl)0 mescolare a 120 parti di scoria di Castagneto
30 p. di'argilla, 250 p. di sabbia silicea, 80. di calce, 6 p. di
solfato sodico e 24 p. di cenere di legno per avere una compo-
sizione adatta alla formazione delle bottiglie da vino.
In prova di questa mia opinione riporterò una delle formule
secondo le quali si fabbricano bottiglie da vino in Champagne:
Sabbia 100 parti
Feldispato 200 »
Calce 20 » ^ per 460 parti di pasta vetrosa
Sale marino 15 »
Scorie di forni fusorie . . 125 »
Noi importiamo ogni anno una grande quantità di bottiglie
e di damigiane fabbricate nelle fabbriche estere. Lasciando a parte
quelle che si acquistano con i vini imbottigliati la statistica
del 1882 ci addita che in quell'anno si importarono dall'estero
75,414 centinaia di bottiglie comuni e quintali 3350 di dami-
giano. Press) S. Vincenzo potrebbe, quindi, sorgere una fabbrica
di bottiglie da vino impiegando le scorie di Castagneto e traendo
profitto della facilità, che vi si offrirebbe per la compera di com-
bustibile e per spedire per via di terra e di mare le bottiglie
fabbricate.
SULI>B SOOKIK DI ANTICHE FUSIONI EOO. 28
La nostra industria enologica h in notabile aumento, come
lo assicura T incremento della nostra esportazione; ed alcuno ha
trovato modi di spedire con qualche vantaggio anche i vini da
pasto in damigiane di forma speciale e con ingegnoso rivesti-
mento. La fabbricazione economica dei recipienti di vetro può
assicurare l'avvenire della nuova maniera di spedir fuori d'Italia
i nostri migliori vini che ormai sono noti per le loro buone
qualità y ma non possono sostenere la concorrenza dei prodotti
consimili degli altri paesi vinicoli che da tanto tempo vanno su
i mercati stranieri, se non allettano i trafficanti ed i consuma-
tori con il buon prezzo congiunto alle intrinseche qualità in essi
conservate mercè ottimi, sicuri ed economici recipienti.
D. PAMTANELLl
UNA APPLICàZIONE
DELLE
RICERCHE DI MICROPETROGRAFIA
ALL'ARTE EDILIZIA
Un esame delle roccie ridotte in lamelle trasparenti può in
moltissimi casi fornire utilissimi indizi sulla loro maggiore o
minore resistenza come materiali da costruzione^ per quanto io
creda che il miglior criterio sulla scelta di detti materiali sarà
sempre dato dall' esperienza del tempo e dall' osservazione delle
vecchie costruzioni, congiunte se vuoisi al valore della loro re-
sistenza allo schiacciamento; però il grande sviluppo stradale
moderno non permette che raramente di usufruire materiali di
cave conosciute da antica data, dovendosi sovente per ragioni
economiche prendere i materiali dove sono più comodi alle di-
verse opere d' arte; in questi casi frequentissimi, il criterio
che precede alla scelta è prettamente empirico e spesso si ri-
fiutano buoni materiali per altri di migliore apparenza e dei
quali solo il tempo dimostra la cattiva qualità; il suono, il
modo di frattura, la stessa resistenza allo schiacciamento sono
insufficienti, potendo la roccia includere nel suo impasto mate-
riali facilmente alterabili dagli agenti amosferici, o guadagnare
in quest'azione. La distinzione che fanno tutti i coloni del
Chianti d' Alberese e Galestro, dando il primo nome ad un cal-
care resistente e durevole ed il secondo ad un calcare simile
appena uscito di cava ma che in breve tempo si sfalda minu-
tamente, è un esempio esagerato sì, ma calzante delle illusioni
alle quali il solo esame esterno può condurre.
RICERCHE DI MICROPETROGRAFIA ÀLL^ ARTE BDIUZU 25
Nei sette anni circa che mi occupo più o meno di petrografia
ho potuto casualmente esaminare una discreta serie di roccìe
usate nelle costruzioni e limitando per ora il mio esame ai cal-
cari e alle arenarie, sarei giunto a raccogliere le seguenti os-
servazioni.
Calcari. — I calcari possono essere cristallini o amorfi e
possono contenere quantità, variabili d'impurità,; i calcari cri-
stallini se sono puri o anche inquinati per poco di materiali
estranei sono altresì resistenti e in generale buoni materiali da
costruzione quando corrispondono alle qualità più elementari
richieste al fine al quale sono destinati : i calcari amorfi possono
fornire buoni materiali da costruzione a patto che non conten-
gano anche in miscuglio intimo forti proporzioni di materiali
argillosi, intendendo con questa parola un po' vaga, quella mi-
scela indefinita dì silicati d' allumina, di ferro, d' allumina più
o meno pura, di silice amorfa, d' ossido di ferro idrato che me-
scolati a quantità, variabile di carbonato di calce costituiscono
le argille comuni.
Arenarie. — In queste roccie va distinta la natura del
cemento e quella dei loro elementi ; il cemento può essere silìceo,
calcare e argilloso; se il cemento è siliceo avremo delle j[][uarziti
e i caratteri esterni i più grossolani permetteranno di ricono-
noscerle né credo che valga la pena di occuparsene; se il ce-
mento è calcare occorrere distinguere se è cristallino o amorfo,
nel primo caso fornirà buone pietre da costruzione nel secondo
mediocri; se poi è prevalentemente argilloso in molti casi la
stessa incoerenza loro servirà, ad escluderle senz'altro; l'esame
microscopico del cemento si residua quindi a riconoscere se
questo essendo calcare è cristallino o amorfo e nel secondo caso
se vi è frammista dell'argilla: riconosciuta la natura del cemento,
dovrà porsi mente alla natura dei loro elementi; questi possono
essere in generale frammenti di roccie diverse, quarzi, calcari,
e silicati vari; rammentando la origine di esse è ovvio osservare,
che i frammenti delle roccie da cui derivano se erano facilmente
alterabili, si saranno distrutti prima del loro deposito; per contro
i frammenti quarzosi e quelli di calcare se appartenevano a
calcari cristallini o a calcari compatti saranno inalterati; lo stesso
non può dirsi di molti tra i silicati, questi possono trovarsi in
uno stato d'incipiente decomposizione che è poi facilmente ri-
i
26 D. PANTANRLU
conoscibile tra i più comuni di essi cioè tra i feldispati; un
altro silicato che è comune alle arenarie h la mica, facilmente
riconoscibile al microscopio è di poca importanza nel problema
che io considero, perchè se in piccola quantità, non altera sen-
sibilmente la resistenza della roccia, se in quantità rilevante
rende la roccia schistosa; un'altro elemento e del quale non
so ancora valutare l'importanza è la clorito; probabilmente per
la sua natura e per analogia con i feldispati con i quali ha in
comune gli ultimi prodotti della decomposizione non è favore-
vole alla resistenza delle roccie, ma non ho osservazioni in pro-
posito per venire ad una conclusione.
Come si vede mi resterebbe a parlare di molti altri materiali
usati nelle costruzioni, cioè di tutti quelli che hanno anche media-
tamente un origine endogene; per molti di essi le osservazioni
petrografiche credo superflue (graniti, serpentini, porfidi, tra-
chiti etc. ), altri (tufi vulcanici, breccie serpentinose, etc.) potreb-
bero invece rientrare nelle arenarie, ma preferisco riservarli ad
ulteriori ricerche mancandomi osservazioni in proposito.
Ritornando alle arenarie rammenterò la maggiore resistenza
del macigno di Grillo (Siena) in confronto di quello della Gon-
folina (Firenze) e non esito ad attribuirla al cemento calcareo
più decisamente cristallino del primo e alla scarsezza di fram-
menti feldispatici, che già in parte alterati, riattivano la loro
decomposizione sotto V azione degli agenti amosferici; Y arenaria
di Fiumalbo deve la sua ottima qualità, come pietra da taglio
al suo cemento di calcite e probabilmente all' assenza del feld-
spato, e r arenaria di Torretta nella quale questi caratteri non
si verificano è alla prima inferiore; nello stesso modo certi cal-
cari grossolani dell' Apennino settentrionale, che poi in fondo
sono vere e proprie arenarie, essendo il colore biancastro quello
che ha servito alla loro denominazione e non i componenti,
forniscono buoni materiali da costruzione, quando il loro cemento
è di calcite che nel caso speciale è fornito dai gusci delle fora-
minifere, sono invece pessimi se è amorfo o argilloso, né è facile
riconoscerli all'ispezione esterna; per le stesse ragioni le arenarie
nummulitiche danno sempre buoni materiali per l'arte edilizia.
TI cosidetto rosso di Maremma o di Montieri ha una resi-
stenza variabilissima ed oggi che specialmente viene scavato in
quantità, per riparare antiche basiliche della Toscana non so
KIGKRGHE DI MICR0PETK06BAFIA ALL* ARTE EDILIZIA 27
come reggerà air azione del tempo; infatti la proporzione dei
materiali argillosi in questa roccia è egualmente variabile senza
che possa riconoscersi ai caratteri empirici.
Sul modo di riconoscere i materiali precedenti non starò a
fermarmi, il quarzo, il calcedonio, la calcite, V aragonite, il feldi-
spato, la mica si riconoscono facilmente; Io stesso non può dirsi
per il materiale argilloso specialmente nei calcari amorfi; con
la luce polarizzata non si risolvono utilmente, in questi casi e
credo sieno gli unici, vale meglio servirsi della colorazione arti-
ficiale per mezzo di una soluzione di fucsina; essi più o meno
si colorano e con questo mezzo ho potuto riconoscere ad esempio
in alcune sezioni d* alberese o di calcare litografico, la presenza
di materiali estranei al carbonato di calce; essi si presentarono
sotto la forma di minute strie colorate e mentre non si sarebbe
potuto senza questo mezzo distinguere una sezione in un calcare
amorfo puro da quello di un calcare litografico, la colorazione
artificiale mi ha fornito le differenze succitate che poi sono
state confermate dalla diversa entità del residuo lasciato dai
medesimi disciolti che furono in una soluzione d* acido cloridrico.
Per rendermi ragione del diverso potere assorbente dei colori
ho sottoposto ad una soluzione di fucsina nell'alcool e quindi
a ripetuti lavaggi sostanze diverse, cioè carbonato di calce, di
magnesia, silice amorfa, allumina pura, caolino, idrato ferrico,
argilla, polvere basaltica, tri poli a diatomèe, radiolarie recenti e
fossili, feldspato etc, alcuni di questi corpi provenivano dalla
polverizzazione di roccie altri erano preparati artificialmente; il
potere assorbente è massimo per la silice amorfa, in ordine de-
crescente viene Y allumina e il carbonato di calce ottenuto per
precipitazione; la polvere di marmo e il carbonato di magnesia
non si colorano; si colora il caolino, una soluzione di fucsina è
scolorata sensibilmente dair idrato ferrico, il feldispato e il ba-
salto non si colorano; le diatomèe e le radiolarie si colorano
soltanto nelle parti ove il loro guscio è alterato, se sono fresche
0 inalterate non si colorano affatto, così nei tripoli spogliati del
carbonato di calce si colorano i residui indeterminabili silicei che
accompagnano la massa delle diatomèe e delle radiolarie mentre
queste ultime rimangono scolorate; la silice ottenuta"per calci-
nazione dalla silice gelatinosa si colora vivamente anche in una
soluzione allungatissima né è più possibile con ripetuti lavaggi
28 D. PANTANELLI
neir alcool fargli perdere il colore acquistato; si potrebbe in-
diflFerentemente impiegare qualunque altro colore d' anilina, credo
però preferibile la fucsina, non presentandosi questo colore na-
turalmente.
Terminerò questa nota ricordando un osservazione che sono
stato incapace d' interpretare. E noto che la decomposizione
superficiale dei materiali da costruzione è accompagnata e anche
ajutata da una vegetazione speciale di licheni; T esame dei mo-
numenti della Toscana nei quali il marmo di Carrara è il ma-
teriale più comune, ha dimostrato che gli ornati, i bassorilievi
e le statue esposti air aria libera perdono in quattro secoli non
solo la loro freschezza e la vivacità, del taglio, ma anche V as-
sieme delicato delle curve delle loro masse; così probabilmente
molti capi d^ arte antichi dei quali nei musei oggi ammiriamo
la freschezza, non sarebbero giunti a noi se non fossero stati
seppelliti nelle macerie. Orbene vi sono materiali da costruzione
su i quali i licheni non allignano; alcuni marmi in vecchie co-
struzioni colpiscono per la loro bianchezza; i travertini del-
l'abbadia di 8. Galgano fabbricata nel 1300 e della quale non
restano oggi che le pareti, avendo il cardinale Ferroni ultimo
proprietario nel secolo passato venduto il piombo del tetto, sono
ancora bianchi; nei paesi ove il rosso ammonitìfero è la prin-
cipale pietra da costruzione (Montieri, Spoleto) non è raro vedere
alternarsi pietre scure per licheni con altre tuttora rosse fiam-
manti; quale relazione passa tra questa refrattarietà alla vege-
tazione dei licheni tanto favorevole alla durata delle pietre da
costruzione e la loro composizione?.
b. pantaNelli
lòOCOIE IDI ^SS-A.B
Il Dott. Vincenzo Ragazzi unitamente alle copiose raccolte
zoologiche inviate all' Università di Modena dalla baja di Assab,
rimise alcuni campioni di roccie indicando essere le sole varietà
litologiche dei dintorni; sono in tutto dieci esemplari, quattro
calcari, una lava basaltica e cinque esemplari di scorie con
traccio di vetrificazione.
n basalto porta questa indicazione: * forma il sustrato alla
lava e rimane allo scoperto presso il mare ». Ha V aspetto degli
usuali basalti compatti a minuti elementi, pressoché nero, di
massa uniforme e appena interrotta da qualche cavità e da rari
cristallini di peridoto; la sua densità è 2, 96; in lamelle presenta
un impasto uniforme di plagioclasio, augite, peridoto, magnetite
e qualche rara traccia d' apatite; la frequenza di detti minerali
corrisponde all'ordine secondo il quale li ho numerati; le la-
melle trattate coir acido cloridrico perdono il peridoto; la pol-
vere dalla quale può separarsi una parte di minerale magnetico,
levigato con la soluzione di borotungstato di cadmio (deus. 3, 1 )
si separa lentamente in due parti distinte, una è un miscuglio
di magnetite e peridoto, l'altra, la più leggiera, di feldispato e
augite; i cristalli sono sempre piccolissimi; i cristalli di peridoto
eccetto i pochi visibili ad occhio nudo, sono piccolissimi appena
0, 2 di millimetro e queste dimensioni non sono oltrepassate da
quelli di plagioclasio.
La polvere rosso-scura levigata coir acqua che ne separa le
diverse grossezze senza alterare sensibilmente le proporzioni dei
componenti, trattata con acido cloridrico non perde che il pe-
ridoto e l'ossido di ferro; calcinata non cambia colore né perde
sensibilmente di peso; la percentuale della silice è 50,2; non è
stata continuata l' analisi quantitativa ma avendo fatto oltre
alla disassociazione col carbonato di soda e potassa quella col-
r acido fluoridrico, ho constatato la presenza della calce, della
àÓ D. ^ANTAMKtiLl — ROCCIK DI AS8AB
soda e di tracce di potassa; potrebbe oltre alla magnetite con-
tenere deir oligisto presentandosi alcune volte in sezioni da non
potersi riferire a forme monometriche; il feldispato oflFre i caratteri
ottici della labradorite; i cristallini geminati secondo la legge
deir albite si estinguono per un angolo massimo di 20/ da 0,10.
Le sezioni condotte nelle scorie basaltiche per le molte cavità
male possono ottenersi sottili a sufficienza; sono opache amorfe
con pochi cristallini aciculari, trasparenti, nei quali è vivo assai
tra i prismi incrociati il pleocroismo lamellare; provengono dal
monte Ganga e dai contorni di Assab; per il loro speciale gia-
cimento non posso che riferire la nota che le accompagna;
^ scorie frequenti in grandi masse tra i lapilli „.
Gli esemplari di calcare appartengono al cordone litorale
post-pliocenico già segnalato da tutti coloro che hanno scritto
del Mar Bosso (per maggiori dettagli vedasi Issel, Malacologia
del Mar Bosso pag. 17 e seg.); sono costituiti da un impasto
incoerente di piccole ghiaje, foraminifere, frammenti d'alghe in-
crostanti, corallari etc.; è notevole l'estrema rarità, almeno
negli esemplari ricevuti, di avanzi di molluschi, contengono in-
vece frammenti di lava e sono quindi posteriori alle lave stesse.
Il Dott. Ragazzi aveva spedito contemporaneamente alle sue
raccolte una copia del suo giornale; questo si è perduto e solo
al ritorno dalla sua missione a Let-Marefia nello Scioa, potrò
con più pi*ecìsione' riferire della posiziono recìproca di queste
roccie, nella quale occasione spero anche trattare di quelle che
ha già raccolte e che raccoglierà durante il suo soggiorno in
quelle regioni.
>«o
ANTONIO D'ACHIARDI
DELLA
TRACHITE E DEL PORFIDO QUARZIFERI
DI
DONORATICO PRESSO CASTAGNETO
NELLA PROVINCIA DI PISA
(Nota presentala nelP adunanza del 14 decembre 1884).
Delle rocce trachitiche e porfiriche del territorio campigliese
(prov. di Pisa) han fatto menzione fra i primi o le hanno anche,
ma solo macroscopicamente, descritte il Targioni, il Savi, il Pilla,
il Burat, il Meneghini e il Coqnand. Altri, e fra questi il vom
Rath e il Vogelsang, ne studiarono più di recente, e segnata-
mente quest* ultimo per la trachite, anche la struttura micro-
scopica; e poiché questo mio studio s'aggira quasi esclusivamente
nel campo della microscopia, ritornerò ancora a parlare di essi,
quando ne sarà il caso. Il Lotti finalmente ha intrapreso in
questi ultimi tempi lo studio geologico di queste medesime roc-
ce, da lui riassunto in una memoria presentata alla Società To-
scana di Scienze Naturali in questa stessa straordinaria e solenne
seduta, in cui si celebra il 60.'' anniversario d* insegnamento del
nostro comune maestro, il prof. Meneghini; e dal Lotti stesso
ho ricevuto gli esemplari, che formano il materia,1e di questo
lavoro e le seguenti indicazioni, che letteralmente trascrivo.
^ Trachite quarzifera — Questa roccia forma quasi per
intiero le colline littoranee fra Castagneto e il Botro dei Marmi
3à A. D^ACHIARDI
presso Campiglìa Marittima, essendo soltanto ricoperte qua e là
da lembi di roccie sedimentarie eoceniche, le quali per il loro
ir regolar ivssirao andamento stratigrafico manifestano ad evidenza
di essere state sconvolte dalla roccia eruttiva. Però non mostrano
al suo contatto alterazione di sorta. La roccia tiachitica non
presenta varietà spiccate, e solo qua e là lascia vedere delle
inclusioni più o meno arrotondate ordinariamente piccole di una
roccia di struttura e composizione mineralogica molto diversa.
Presso San Vincenzo si presenta in pseudostrati di 15 a 20 cm.
di grossezza e regolarissimì. Gli esemplari raccolti per lo studio
petrografico provengono da Donoratico „.
"Piloni porflrici — Nel botro di Santa Maria presso
Donoratico su quel di Castagneto un filone porfirico attraversa
gli scisti varicolori del lias superiore, avendo uno spessore di 4
metri circa. Si espande quindi in una piccola massa della stessa
roccia, che però in parte diviene pumicosa. Questo filone trovasi
separato dalla trachite delle colline da un tratto di non più di 400
metri, occupato intieramente da roccie sedimentarie eoceniche ».
** Altri filoni regolarissimì della stessa roccia porfirica attra-
versano i marmi del lias inferiore presso San Silvestro in quel
di Cam piglia; e questi sono quelli descritti dal vom Rath
Ciò premesso passo alla descrizione delle due rocce.
» •
TRACHITE QUARZIFERA
G. vom Rath nel 1866 (') descrivendo la roccia, che forma
alcune delle più basse colline del Campigliese presso al mare, la
qualifica come trachite, che dice resultare da Sanidina con Oli-
goclasio, Quarzo in foggia di diesaedri arrotondati, Mica di scuro
colore e Cordierite violetto-azzurra, pleocroitica, in cristalli im-
mersi nella massa fondamentale e costituiti dalle forme 110, 310,
100, 010, 001. Né Augite, né Orneblenda dice di avervi veduto;
sì un poco di Magnetite, che attrasse dalla roccia polverizzata
mercè del nxagnete.
Dà finalmente il peso specifico di questa roccia, che trovò
(<) Fragmente aus Italien I. Theil ^ ZeUzsch. d. deut, geoL Ge$el 1866. 639.
TRACHITK E PORFIDO QUAtóIi?'ERI DI DONORATICO 33
essere 2, 478 a 20* C, e i resultati dell' analisi fattane, da me
più sotto allegati.
H. Vogelsang (*) poco dopo, e cioè nel 1867, descriveva questa
stessa roccia, anzi gli stessi esemplari avutine dal Vom Rath,
riproducendone su di una tavola Y immagine di una sottile se-
zione osservata al microscopio a luce ordinaria e polarizzata.
Ci dice egli essere la roccia costituita da una massa fondamen-
tale vetrosa limpida, con cui fanno contrasto le frequenti lamine
di mica bruna, e in cui Y osservazione microscopica gli avrebbe
pur rivelata la presenza di sanidina, meionite, quarzo, dicroite.
forse di augite, non di oligoclasìo. Descrive ed effigia le inclu-
sioni vetrose e gassose, e accenna finalmente alla struttura Sni-
dale. Considera la roccia come un conglomerato vulcanico, che
qualifica di trachite quarzifera.
Lo stesso G. vom Rath (^) Y anno dopo tornando a parlare
e con maggior diflFusione del territorio campigliase dice che le
rocce eruttive dei dintorni di Campiglia son distinte in porfidi
quarziferi e porfidi augitici, e Y una e Y altra sorta descrive, alla
prima delle due riferendo quella, che da lui stesso studiata e
analizzata aveva già qualificato come una trachite conformemente
al giudizio fattone prima dal Pilla, indi per l'esame microscopico
dal Vogelsang. È il Vom Rath dubbioso se si tratti di trachite;
per lo meno ammette, se vi abbiano vere rocce trachitiche,
un' intima connessione fra esse e i porfidi quarziferi dei (filoni
tanto che non si possano separare nella Valle delle Rocchetto,
ove ne fece lo studio. Conclude con esprimere una sua convin-
zione che se non trovinsi rocce vulcaniche recenti (trachiti) né] nella
conca di Campiglia, né nella strada da Rocca San Silvestro alla
parte superiore della Valle delle Bocchette, né nella valle stessa fino
a San Vincenzo, non resta però esclusa la possibilità che nelle
colline di Castagneto esista una vera e propria trachite.
Da ciò emerge chiara l' importanza di un nuovo studio pe-
trografie© di queste rocce, che il Vom Rath fu incerto nel definire,
che il Meneghini e il Savi per le correlazioni loro riunirono sotto
l'unico nome di rocce riacolitiche e che io stesso nella Mineralogia
della Toscana ritenni come collegate da stretti vincoli di^parentela.
(*) Philosophie der Geologie und mikroskopische Gesteinsstudien. Boan. 1867.
(*) Geogn. minor. Fragra, aus Italien. Th. II. — Die Berge von Campiglia in der
Toskanischen Maremme. Zeitschr. d. Deut. geoL Gesellsch. Berlin. 1868. Bd. 20. S, 307.
So. NaL Voi. VII, fase, l.» 8
84 A. D^ACHIABDI
E lo studio di questa trachite tanto più appare importante in
quantochè la sia stata appunto raccolta là dove il Vom Rath
stesso faceva presentire la possibilità che vera e propria trachite
esistesse, e la sia senza dubbio la stessa cosa di quella descritta
ed e£Qgiata dal Vogelsang.
Caratteri macroscopici — La roccia ha struttura ap-
parentemente granosa e la particolare ruvidezza delle trachiti.
I grani cristallini non hanno per il solito grandi dimensioni;
ma di tutte le principali specie, feldispato, mica, cordierite ec,
veggonsi anche a occhio nudo qua e là cristalli della grossezza di
più millimetri; raramente, ma non ne mancano e in special modo
del feldispato, se ne osservano anche di più di un centimetro.
II colore abituale della roccia è grigio, più o meno scuro secondo
la quantità della mica e del magma fondamentale vetroso,
che appare grigiastro veduto in massa, e alla cui abbondanza,
non che alla porosità della roccia, deve attribuirsi la densità mi-
nore che nelle ordinarie trachiti. Il Vom Rath ha trovato 2,478;
io pure 2,4 in varie pesate fatte di molti grammi di roccia.
È un peso specifico che si avvicina assai a quello di alcune os-
sidiane, e ne rende ragione la copia del magma vetroso, che se
non apparisce a occhio nudo, lo si vede abbondare nelle sezioni
osservate al microscopio a nicol incrociati.
Di tanto in tanto si veggono nella roccia nidi di colore più
scuro per sovrabbondanza della mica assai nettamente limitati
dal resto della massa; e in questi nidi o concentramenti micacei
si osservano anche, e talvolta molto frequenti, cristalli di un
pirosseno verdastro-scuro, taluno dei quali ho pur potuto misu-
rare al goniometro a riflessione, rilevandone, benché solo appros-
simativamente, i valori angolari delle facce 110, 010 e 100 (Tav. II,
fig. 9). Gli angoli delle facce prismatiche della zona [001] presi
a due a due mi hanno dato infatti dei valori di circa IS?"* e
133% che si approssimano assai ai valori di 136*, 27', 30" e
133%32',30" degli angoli 110:010 e 110:100. Anche a occhio
nudo si scorge che un buon numero di questi cristalli sono ge-
minati in croce; ma il modo se ne determina meglio al micro-
scopio per la piccolezza dei cristalli e poca lucentezza loro.
La durezza ne è di circa 6. Al cannello ferruminatorio si fon-
dono in un vetro verde-sporco, non però senza qualche difficoltà.
tRÀGHITE B PORFIDO QUARZIFERI DI DONORATICO 85
Caratteri microscopici — Osservata al microscopio
una sezione sottile di questa roccia appare quasi nella sua to-
talità o meglio per la sua maggiore estensione trasparente e
senza colore; solo di tanto in tanto granuli violacei di cordie-
rite e più frequenti e non di rado fitte liste o laminette di mica
di color tabacco ne turbano la limpidezza. A nicol incrociati si
distinguono subito parti diverse nella massa di stessa apparenza;
ed ecco quali sono le distinzioni da farsi.
Magma o massa fondamentale — In alcune parti scarso,
in altre abbondante, a luce ordinaria appare come un vetro
quasi limpido e scolorito o leggermente tinto qua e Ih di un
colore caffè-latte sbiadito. (Tav. I, fig. 1). La struttura fluidale
è più 0 meno evidente secondo i punti.
A nicol incrociati la massa fondamentale resta completa-
mente estinta in ogni posizione; soltanto vi si vedono finissimi,
inconmensurabili peli o aghetti lucenti. Di tanto in tanto si
scorgono pure sferule o globuli raggrinziti, che pajono pur essi
di vetro (Tav. I, fig. 3). I seguenti minerali vi stanno immersi.
Sanidina — È il più abbondante fra i minerali di questa
roccia, superato solo talvolta dalla mica. Limpida e senza colore
a luce ordinaria non sempre se ne scorgono entro al magma di
analoga apparenza nettamente i cristalli, che però si delineano
chiaramente nella luce polarizzata a nicol incrociati. Non per-
tanto se ne possono anche a luce ordinaria rilevarne le sezioni
in foggia di quadrati, rettangoli, esagoni, spesso allungate (Tav. II,
fig. 1-6), quali sono ordinariamente offerte dalla sanidina, con
linee di sfaldatura basale e con queir apparenza di rotture pro-
prie di questa varietà di ortose. Ho pur veduto sezioni otta-
gonali e cristalli che vi conducono (Tav. II, fig. 7), e delle sezioni
maggiori abitualmente in figura d' esagono ho pur misurato
non pochi angoli, che corrispondono agli angoli dell' ortose fra
le facce 100, 010, 001, 021, 403, 101. (Tav. II, fig. 4, 5, 6). Talune
sezioni mostrano segni di geminazione, e pare secondo la legge
di Carlsbad.
A nicol incrociati si palesano colori d'interferenza vivaci,
come già furono notati dal Vogelsang.
Oligoclasio? — G. vom Rath dice essere V oligoclasio
quasi altrettanto abbondante quanto la sanidina nella trachite
di Campiglia; Vogelsang invece non ve ne avrebbe trovato segno
36 a/d^ aghubdi
nelle sezioni da lui preparate. Certo non è in copia come dice il
Vom Rath; ma non vi manca; è però scarsissimo e raramente ne
ho vedute le sezioni (Tav. I, fig. 3) in mezzo alle numerosissime
di sanidina, risconoscibilì da queste per la loro struttura po-
lisintetica.
Quarzo — Visibile anche a occhio nudo', se ne scorgono
i cristalli nelle sezioni osservate al microscopio in foggia di
grani dotati di un notevole rilievo, quale non è comune in
questa specie. Non può per altro cader dubbio che non si tratti
di quarzo, essendoché nei grani sia spesso riconoscibile la forma
di diesaedro con e senza prisma, quest'ultimo sempre estrema-
mente raccorciato. Le direzioni di estinzione confermano pure
la determinazione specifica.
A diflferenza di quelli del porfido sotto descritto questi grani
di quarzo sono piccoli e scarsi; raramente superano nel loro
diametro maggiore i due o tre decimi di miUimetro, eccezionali
sono quelli di qualche millimetro che si vedono ad occhio nudo;
mentre se ne danno non pochi di minor dimensione. Baro è che
nel campo del microscopio con ingrandimento di 127 diametri
ne appaiano più d'uno; il più spesso non se ne veggono.
A differenza pure dei cristalli del porfido questi grani non
offrono segno di geminazione; sempre semplici ed isolati o solo
per eccezione uniti in due T uno sul!' altro in posizione parallela
ne differiscono pure per il loro modo d'arrotondamento senza
segno di corrosione, per il loro aspetto particolare; per la man-
canza d'intrusione in essi del magma; onde ben a ragione il
Vogelsang fu incerto nell' attribuire il loro stato, più esatta-
mente l'arrotondamento loro, o a incompleto sviluppo o a fu-
sione degli individui cristallini. Quest' ultima ipotesi potrebbe
trovare appoggio nel fatto citato anche da Silvestri del ritro-
vamento di quarzo fuso fra i materiali vulcanici.
Senza colore, perfettamente trasparenti questi cristalli sono
forniti di poche inclusioni. Vi se ne osservano però talune ve-
trose di forma irregolare; e altre un poco più frequenti, benché
rare esse pure e per il solito una o poche più per grano visibili
nello stesso piano di fuoco della preparazione, le quali ripetono
la forma stessa e l' orientazione del cristallo, che le include, e
sono abitualmente fornite di una bolla gassosa. Il loro contorno
esilissimo esclude che sieno cavità regolari piene di liquido con
TRACHITE K PORFIDO QUARZIFERI DI DONORàTICO 37
livella; lo che viene pure escluso dal fatto di aversi talvolta,
benché eccezionalmente, più dì una bolla gassosa per inclusione.
Oltre a ciò vi si scorLjono pure inclusioni bacillari limpide e
senza colore dotate talvolta esse medesime di bolle gassose.
A nicol incrociati si presentano colori d'interferenza vivaci
(Tav. I, fig. 2, 3) con tendenza a distribuirsi circolarmente.
Mica. — La mica appare frequente nelle sezioni osservate
al microscopio, così come la si scorge anche a occhio nudo.
Di colore bruno-tabacco, listiforme o in tavolette esagonali se-
condo il taglio, pochissimo trasparente, anzi appena tralucida,
è con ogni verosimiglianza bjotite. Osservata la polvere dei
nidi micaceo-pirossenici si veggono numerosissime ed esili lami-
nette di mica, che in tal modo apparisce più o meno traspa-
rente, di color tabacco chiaro e a nicol incrociati mostra colori
d' interferenza dal verde-bruno al verde-giallastro-bruno.
Gordierite — Oltreché a occhio nudo e di dimensioni di
più millimetri, ma in tal caso scarsi, si veggono nella massa
fondamentale della roccia sotto al microscopio piccoli e nume-
rosi cristalletti e grani a contorno spesso irregolare e talvolta
anche corroso di un minerale di color di spigo, violetto o rosso-
vinato; quest' ultimo colore apparendo di rado e preferibilmente
verso la periferia, ove i grani cristallini appaiono come alterati
per un principio di corrosione sofferta. I cristalli, in buona parte
riconoscibili nelle loro forme, ci appaiono sezionati ora paralle-
lamente, ora normalmente, ora obliquamente air asse verticale.
Le sezioni parallele all' asse z (e) sono per il solito in foggia
di rettangoli (Tav. II, fig. 13); e nella grossezza stessa della pre-
parazione ci é dato pur talvolta di travedere più facce fra loro
inclinate della zona dei prismi verticali (Tav. II, fig. 14-16), con
ogni verosimiglianza e direi quasi certezza le 100, 010, 110, 310,
che poi si riconoscono per misure nelle sezioìii a queste nor-
mali (Tav. II, fig. 22-23), Rarissimamente si osservano facce pi-
ramidali, essendo abitualmente terminati i cristalli dalla base:
soltanto in una sezione di cristallo ne ho osservato due, che
dalla misura dell' angolo che fanno fra loro sembrano riferibili
alle 101 (Tav. II, fig. 17).
Le sezioni normali o quasi all' asse verticale appaiono esa-
gonali 0 a maggior numero di lati (Tav. II, fig. 18, 23 ec), e
sono spesso rotondeggianti per corrosione sofferta, di cui pur si
38 A. d' achiardi
veggono i segni nelle porzioni periferiche. Mentre nelle sezioni
parallele alleasse verticale i cristalli ci appaiono semplici, in
queste anche a luce ordinaria, meglio a luce polarizzata e meglio
ancora a nicol incrociati e anche con la lamina di quarzo, ci
si appalesa con tutta evidenza la geminazione caratteristica
della cordierìte, quale fu osservata da A. von Lasaulx (*) e da
Hussak (^) nei rigetti trachitici del lago di Leach, e dal secondo
anche in quelli bianco-azzurrastri deir Asama-Yama (Giappone).
Le figure 21-24 della tav. II mostrano taluna di queste sezioni;
le frecce indicano una delle due direzioni di estinzione; i sim-
boli sono stati applicati alle respettive facce per V indicazione
fornitamene dal pleocroismo.
Nella fig. 21 si vedono sei settori spettanti a più cristalli
uniti per le facce del prisma 110, cinque nello stesso modo, il
sesto diversamente, estinguendosi contemporaneamente due set-
tori adiacenti, che non è perciò a credersi spettino a un mede-
simo cristallo, essendo nettamente V uno dall' altro distinti per
la linea di giunzione.
Nella fig. 23 è rappresentato un altro gemello a contorno
meno regolare e in cui ognuno dei sei settori ha la stessa di-
rezione di estinzione del suo opposto. I piani di unione fra i
vari settori non sono più gli stessi che nel caso precedente, o
corrispondono per ambedue i cristalli contigui a un piano 310
0 per uno di essi a un piano 110 e per V altro al pinacoide 010.
1 valori angolari:
010 : 110
=
119», 10'
010 : 110
»
149% 35'
110:310
150», 0'
110 : 100
120% 25'
100 : 310
150», 25'
310 : 3r0
59», 10'
quali son dati da Des-Cloizeaux, e che sono tutti con molta ap-
prossimazione multipli di 30°, spiegano questi vari modi di ge-
(^) Ueb. Cordieritzwillinge in einem AuswurAing dea Laacher See. Zeit. Kr, u.
Min. d. Groth 1883. 8. 77.
(*) Ueb. den Cordierit in vulkanischen Auswarilingea. SUz. h. Ah. Wiss. (Mata.
Noi. CI.). Wiea 1883. 87, 4-5, 332.
TRACHITB E PORFIDO QUARZIFERI DI UONORATICO 39
minazione secondo i piani suddetti. Le direzioni di estinzione,
che per i due settori superiori e per i due inferiori sono paral-
lele ai piani di contatto di questi quattro settori con i due set-
tori laterali, e per questi due ad angolo di circa 30* con quelle
prime ci facilitano l' interpetrazione di sì fatte geminazioni.
Nella fig, 23 è rappresentato un grano rotondeggiante co-
stituito da due individui e nella 24 altro gemello a seconda del
piano 110 con notevole differenza di sviluppo negli individui
riuniti e corrosione periferica, che pur si osserva nella fig. 25.
Con il solo analizzatore il minerale si mostra decisamente
pleocroico. Le sezioni parallele air asse verticale appaiono di
colore violetto-spigo assai intenso quando Tasse verticale del cri-
stallo sia normale alla sezione principale del nicol; appaiono
invece bianco-giallastre, e in qualche raro caso anche rossastre,
se sia ad essa parallela. Nelle sezioni normali air asse verticale
si hanno invece due tinte entrambe violette, ma V una di in-
tenso colore di spigo, V altra violetta pallida; sono le due tinte
degli assi orizzontali. La tinta più pallida si ha quando il ma-
croasse, 0 in altri termini il piano degli assi ottici, sia paral-
lelo alla sezione principale del nicol; onde
a (asse y) violetto-scuro
b (asse x) violetto-chiaro
e (asse z) bianco-giallastro
In altre cordieriti è detto aversi diverso contegno come notò
gih. Hussak; ma qui si ha proprio perfetta corrispondenza con
la cordierite summentovata dei rigetti vulcanici trachitici tanto
del lago di Leach, quanto del vulcano d' Asama-Tama nel
Giappone.
A nicol incrociati si manifestano vivaci colori di polarizza-
zione (Tav. I, fig. 1 e 3); e i cristalli si estinguono parallelamente
e normalmente all' asse dei prismi verticali.
Questa nostra cordierite è assai più ricca d' inclusioni del
quarzo della stessa trachite; e parte sono cristalline, parte no.
Fra le prime si hanno esilissimi cristallini bacillari senza colore
analoghi a quelli del quarzo, e che a lor volta qui pure con-
tengono inclusioni gassose (Tav. II, fig. 20). La grossezza di
queste bacchettine raggiunge raramente mm. 0,010; il più spesso
40 A. D^ ACHIARDI
è al di sotto di mm. 0,005. La lunghezza ne è varia e molto
maggiore. In una sezione di cristallo (Tav. II, fig. 16) ho pur
veduto un' inclusione di color tabacco in foggia di esagono.
Vi hanno oltre a ciò inclusioni vetrose limpide, senza colore,
nelle quali si accolgono bolle di aria in vario numero (Tav. II,
fig. 14 e 25); nella massima parte però di esse inclusioni si ha
soltanto una bolla gassosa. Riscaldando la lastrolina al di sopra
di 60^ le bolle gassose restano immobili ed immutate. I pori a
gas spesso sono allineati, e nel gemello rappresentato nella fig. 21
si osservano disposti in linee parallele ora alle facce del prisma
ora al macroasse (Tav. I, fig. 1). Ei sembra da ciò che debbano
essersi formati nel cristallo entro a fenditure più facili in certe
direzioni che in altre.
Meionite? — È citata da Vogelsang (mem. cit.), non dal
Yom Bath. Si vedono è vero sezioni quadratiche e anche, benché
raramente, ottagonali; si vedono prismi allungati che air appa-
renza si giudicherebbero per dimetrici; ma tanto a luce ordinaria
che a nicol incrociati presentano gli stessi caratteri delle se-
zioni evidentemente spettanti alla sanidina, la quale come di-
mostra con descrizione e figure anche il Rosenbusch (*) offre
spesso apparenze, che possono farla scambiare con sostanze di-
metriche. Gli angoli di 115* a 118^ misurati dal Vogelsang e
da lui riferiti alla meionite, le facce del cui rorabottaedro fon-
damentale sono fra loro inclinate di 116^ 18', ho riscontrato
io pure in sezioni analoghe a quelle dal Vogelsang stesso effi-
giate, ma è pur V angolo che nell' ortose fanno fra loro le facce
001 e 403 (116^32). Per tanto trattandosi di altri esemplari,
mentre non posso escludere che realmente Vogelsang abbia avuto
sottocchio la meionite, non ne posso né meno confermare la
determinazione; sono anzi propenso ad escludere la presenza di
questa specie nella tracliite di Castagneto, tanto più che nes-
suna delle sezioni quadratiche od ottagonali, che in parte almeno
dovrebbero riferirvisi, si mantiene costantemente estinta col gi-
rare della lastrolina.
Pirosseno — Vogelsang (*) cita con dubbio riferendoli all'augì-
te alcuni grani e pezzetti di color verde da lui raramente osser-
vati nella massa della trachite. Il Vora Rath (^) dice di non avervi
(*) Mikrosk. Phy. ec. 1873. 1. 319.
(V) Mem. cit 1866.
TRAGHITE E PORFIDO QUARZIFERI DI DONORATICO 41
scorto segnò di questa specie, e io pure nella massa comune
della roccia, almeno nelle sezioni da me osservate, nulla di certo
son riuscito a vedere che vi si possa riferire; soltanto può restare
il dubbio per alcune plaghe verdognole, spiegandoci con T altera-
zione sofferta la mancanza dei vivaci colori d' interferenza propri
di questa specie. Ma se non nella massa comune, il pirosseno
vi esiste e abbondante in alcuni nidi ricchi anche di mica, e
che per il loro colore più scuro risaltano all' occhio sul fondo
più chiaro della roccia.
Sono cristalli piccoli, non misurando i maggiori che 1 a 2 mm.
di larghezza per 2-4 di altezza. Per il solito molto minori, pre-
sentano tutti le forme 110, 100, 010; ne si può dire se tutte
anche le 111, essendoché polverizzata la roccia per isolarli, si
presentino spesso rotti all' estremità, (Tav. II, fig. 8-12), Malgrado
la loro piccolezza ho potuto d' alcuni misurare gli angoli della
zona dei prismi verticali al goniometro a riflessione, e già. dissi
di aver trovato valori di circa 137' e 133'' per ogni quattro degli
otto angoli, valori che corrispondono con approssimazione, che
non poteva ottenersi maggiore per lU poca lucentezza delle facce,
agli angoli di 136^27', 30" e 133", 32^30" fatti nel pirosseno
da 110: 010 e 110: 100.
Non pochi di questi cristalletti sono geminati per compene-
trazione a similitudine della staurolite, nel modo stesso che ho
pur riscontrato in moltissimi cristalli della nera angìte vesu-
viana, nei quali vengono a giacere nel medesimo piano ora le
facce 010 e 010, ora le 100 e 100, ora le 100 e 010, ora le
100 e no, ora altre della stessa zona appartenenti respetti va-
mente ai due cristalli compenetrantisi. Alcuni di questi casi ho
senza dubbio riscontrato sia per ossorvazione diretta con la lente
o al microscopio per luce riflessa, sia nelle sezioni fattene e ri-
dotte sottili nel balsamo del Canada..
I due cristalli gemelli fanno fra loro angoli di circa 80" e
100* 0 di 120'^ e 60% misurati al microscopio con larghissima ap-
prossimazione, come pure si vede nell' augite vasuviana. Le dire-
zioni di estinzione, qui pure indicate dalle frecce nelle figure,
aiutano a studiare qnoste geminazioni.
Nella fig. 8 h rappresentato un gemello, in cui nell' uno
dei due cristalli la linea di estinzione è parallela all' asse
verticale o spigolo 100 : 01 0^ mentre nell' altro vi fa angolo
42 A. D^ACHIARDI
fra 38* e 40": ò ciò che avviene per i due piani rispettivamente
paralleli alle facce 100 e 010, che qui vengono a corrispondersi
per i due individui nel medesimo piano.
Nella fig, 10 è eflSgiato un gruppo nel quale un individuo
si estingue al solito parallelamente air asse verticale, ma Y altro
non più come per il caso precedente ad angolo di e/ 38% 44'
con esso, ma sì bene di circa 20% che con molta approssima-
zione corrisponde air estinzione sulla faccia 110. Invece nel gruppo
rappresentato nella fig. 11, mentre in uno degli individui V estin-
zione si fa pure con angolo di circa 20% nell'altro si fa con
angolo, di poco più di 38% onde conviene ammettere che ven-
gano a corrispondersi nel piano della preparazione i piani cri-
stallini 010 e 110.
Nel gruppo finalmente rappresentato dalla figura 12 sono
le due facce 010 e OlO di due cristalli che vengono a corrispon-
dersi nello stesso piano. Le linee di estinzione fanno in ambe-
due i cristalli angolo di e' 38"* con l'asse dei prismi verticali;
i due cristalli fanno fra di loro angoli che misurati al micro-
scopio dettero valori vicfni a 8P e 99^; è la geminazione 101
già. descritta ed effigiata anche da Naumann.
Colore del pirosseno verde-sudicio nei cristalli osservati a
occhio nudo o con la lente; verde-giallastro nelle sezioni esa-
minate al microscopio. Manca affatto il pleocroismo con un sol
nicol. A nicol incrociati appaiono i colori d' interferenza propri
del pirosseno.
Magnetite — G. vom Rath fa menzione anche di magnetite;
io non ne ho veduta nella massa della roccia, ma non ne esclu-
derei la presenza nei nidi micaceo-pirossenici senza per altro
poter affermare di più.
A parte questi nidi ricchi di pirosseno, che costituiscono una
peculiarità di alcuni punti della massa, la trachite di Castagneto
si ravvicina molto a quella dell' Asama-Yama, recentemente de-
scritta dall' Hussak ('), che ben a ragione ne notava pure la
rassomiglianza ponendone a confronto le analisi.
(*) Mem. cit.
TRACHITE E PORFIDO QUARZffBRl DI DONORATIOO 43
Asama-Tama Campii^lla
SiO, 74, 65 70, 64
AUOj 15,32 14,11
FeA 2, 34 2, 86
MnO 0,26
CaO 1, 96 2, 02
MgO 0, 79 0, 72
K,0 1, 42 2, 95
Na,0 4,11 4,67
Perdita per j ^ 3^
arroventamento )
101, 30 100, 27
Non vi ha dubbio per me che non si tratti di trachite
quarzifera, malgrado il suo tenore in silice più basso che nelle
comuni trachiti del gruppo delle quarzifere, per le quali Zirkel
d^ un minimo di 72,26. La sua scarsità in grani di quarzo,
da me già notata, ci rende ragione della sua relativa povertà
in SiOj, che rimane pur sempre assai al di sopra che nelle tra-
chiti non quarzifere, tanto se sanidìno-oligoclasiche, quanto, e
a più forte ragione, se soltanto sanidiniche.
L' abbondanza della massa vetrosa, 1' estensione e il contegno
della roccia, tutto porta a concludere che questa non siasi len-
tamente e profondamente consolidata sotterra a più o meno
grande pressione in dighe, filoni ec, ma sì bene raffreddatasi
rapidamente alla superfìcie o presso di essa, sia colando ester-
namente, sia rapprendendosi in cu pule ec. Né la presenza del
quarzo deve fare ostacolo nell' ammetter ciò, che se Zirkel (*)
ci dice mancare nelle forme laviche, raramente sì, ma in talune
lave trachitiche è stato pure riscontrato.
PORFIDO QUARZIFERO
G. vom Rath nella seconda delle due sopra citate memorie (*)
già dissi come ondeggiasse nel dubbio se alla trachite o al
C) Lehrb. d. Petrogr. 1866. 2. 166.
(<} Di« Berge von Campiglia — Zeit d. Deut. geoL Gesel. Berlin. 1868. ZO» 307.
44 A. D^ACHIABDI
porfido dovesse riferire certe rocce di San Vincenzo e dintorni
nel territorio campigliese, e come propendesse per ritenere quale
un porfido quarzifero la roccia che prima aveva qualificata come
una trachite, e che come tale conferma lo studio microscopico
fattone da Vogelsang e ora pure da me. Si rimane quindi un
po' incerti se eflFettivamente quando parla di porfido quarzifero
descriva o no ciò che prima aveva fatto conoscere sott' altro
nome. Per altro, indipendentemente da una qualche confusione
che vi può esser nata, egli è certo che là ove parla del porfido
dei filoni non è il caso della trachite descritta da Vogelsang
e da me, ma si della roccia di cui imprendo ora la descrizione
sotto il nome di porfido quarzifero, o almeno di qualche cosa
di molto analogo; tanto più che fra i minerali che lo compongono
non più ricorda la violetta cordierite, ma i cristalletti piccolis-
simi della varietà pinite.
Caratteri macroscopici. — Gli esemplari da me esa-
minati del porfido quarzifero di Donoratico raccolti dal Lotti
ci mostrano una roccia più compatta e tenace che non sia la
trachite precedentemente descritta. Invece di un fondo di color
grigio come in quella si ha una massa biancastra, che appare
in parte costituita da elementi feldispatici, forse qui parzial-
mente caolinizzati, e nella quale veggonsi numerosi cristalli o
grani di quarzo grigiastri e brevi prismi di un minerale grigio-
verdolino, che air apparenza si giudica per pinite, e |qua e là
scarsissimi cristalletti neri come di tormalina. Mica nera, sì
fi'equente nella trachite, qui manca; solo in connessione con i
cristalletti che paiono di pinite veggonsi delle lamìnette bianche
lucenti, che ne sembrano derivare e si prenderebbero per talco
o per mica bianca. Cristalli di feldispato di notevoli dimensioni
sembrano trovarvisi di tanto in tanto, e quelli che il Lotti mi
ha mostrato da lui stesso raccolti in posto sono di ortose con
apparenza vetrosa come nella varietà sanidina.
Caratteri microscopici. — La massa fondamentale
appare in massima parte costituita da un minuto miscuglio di
parti cristalline senza colore o con apparenza nebulosa a luce
ordinaria. Io credo si tratti di un magma felsitico a elementi fel-
dispatici e silicei, giucandone almeno alla loro apparenza a nicol
incrociati. Questi materiali del magma mostrano spesso una strut-
tura sferolitica e colori d' interferenza a nicol incrociati senza
tRACHITE E PORFIDO QUARZIFERI DI DONORATIGO 4&
mai estinguersi completamente per la orientazione loro in
tutte le direzioni. Oltre a ciò si osservano pure sferuliti a croce
nera, E il magma caratteristico dei così detti porfidi petrosel-
ciosi, che rivela pure un' apparenza calcedoniosa-opalìna, un in-
sieme che è dovuto a qualche cosa d' intermedio fra lo stato
di perfetta cristallizzazione e il vetroso e il colloide. Qua e là
nel magma, ma preferibilmente intorno ai grani di quarzo, si
osserva una sostanza informe di colore grigio-sporco, che produce
r apparenza nebulosa sopra menzionata e ha contegno di silice
calcedoniosa fra i nicol incrociati; si direbbe prodotta dalla
corrosione stessa del quarzo, e forse anche di qualche altro mi-
nerale (Tav. I, fig. 4, 5, 6).
Studiando per paragone altre e consimili rocce di giaciture
diverse da questa, ma pur sempre nel territorio campigliese, ne
ho pur osservate alcune in cui la struttura felsitica è anche
più evidente, e la massa fondamentale costituisce in massima
parte la roccia, che può pertanto ritenersi una vera e propria
felsite.
Qnarzo — Convien distinguere il quarzo di prima dal
quarzo di seconda consolidazione.
Il quarzo di prima consolidazione si presenta in grani di
dimensioni variabilissime, ordinariamente riconoscibili anche a
occhio nudo. La massima parte però di quelli osservati nelle
sezioni al microscopio raramente raggiungono o sorpassano un
millimetro di diametro; per il solito ne differiscono in meno
e d' assai •
Le sezioni nella preparazione non appalesano alcun colore a
luce ordinaria; limpide, fresche, senza rilievo, com'è carattere
del quarzo, soltanto verso la periferia sempre, non di rado an-
che neir interno, mostrano segni di sofferta corrosione (Tav. II,
fig. 26-32). Irregolarmente esagonali e non di rado anche a
maggior numero di lati, tali appaiono per la sofferta corrosione,
che ne ha attaccato diversamente le varie parti e fra esse in
special modo 1' estremità dei cristalli, ivi producendo un falso
lato, facilmente però riconoscibile per le tracce manifestissime
del suo modo di origine. Quando la corrosione sia molto pro-
gredita invece di sezioni poligonali si hanno sezioni di grani
più o meno rotondeggianti e spesso anche irregolari nel loro
contorno con insenature, solchi ec.
46 A. D^ACHIARDt
Le sezioni poligonali ci mostrano chiaramente i caratteri
del quarzo. Alcune poche esagonali rimangono sempre estinte
a nicol incrociati; sono sezioni normali all'asse di simmetria;
altre e sono le più stanno ad esso asse più o meno oblique ed
anche parallele; né rare sono quest'ultime o che per lo meno
vi si approssimano, e per le quali oltre alle direzioni di estin-
zione pur le misure degli angoli di circa 142*» e 76'-77* giovano
alla determinazione della cristallizzazione (Tav, li, fig. 26),
Le facce del prisma sono ordinariamente molto ridotte, tal-
volta anche mancano, ma si danno pure cristalli in cui pren-
dono notevole sviluppo, lo che non ho mai riscontrato nei cri-
stalli della trachite.
E mentre in questa i grani di quarzo sono scarsi e abitual-
mente isolati, qui invece sono spesso uno a canto dell' altro:
taluni pochi in posizione parallela, talvolta però per distacco
avvenuto di parti di un unico cristallo (Tav, TI, flg. 32), altri
e più in posizione diversa, onde a nicol incrociati diversi pure
i loro colori e i momenti d'estinzione (Tav. I, fig. 4 e 6). Per
la maggior parte questi grani o cristalli ci appaiono riuniti
l)arallelamente a una faccia di romboedro <Tav. II, fig. 27); ma
dalle sole sezioni e per l'approssimazione un po' larga nella
misura degli angoli, che variano secondo che il taglio cada in
un verso o nell' altro, riesce un po' difficile stabilire se si abbia
a che fare con gemelli secondo 100, e quali apparrebbero dalla
succitata figura 27, o non piuttosto secondo il piano 251, come
porterebbero per alcuni casi a credere angoli misurati di circa
85"" fra i due cristalli, e il piccolo angolo che in essi fanno le
direzioni di estinzione.
Ho pur veduti cristalli riuniti altramente (Tav. Il, fig. 28),
per una faccia di romboedro l'uno e di prisma l'altro; ma
qualunque sia il modo di unione, non mai si compenetrano fra
di loro, e ogni sezione di cristallo appare semplice anche per i
colori d' interferenza.
Le figure 30, 31 e 32 della tav. II e le 5 e 6 della tav. I,
oltre la corrosione periferica dei cristalli, mostrano anche la in-
trusione più o meno profonda del magma entro le loro sinuositò.,
anfrattuosita ec. prodotte dalla corrosione stessa, così come è
carattere del quarzo di prima consolidazione. In queste sinuosità
insieme al magma si vedono penetrare anche i cristallettì di
tRAOHITR E PORFIDO QUARZIFERI DI DONORATIOO 47
pinìte, spesso aderenti ai cristalli stessi di quarzo, prova della
loro origine più serotina (Tav. II, fig. 29, 30, 31 e 33), se non sia
piuttosto deir avere essi jBuitato nel magma e dell' essere dal
medesimo stati trasportati.
Oltreché per la compenetrazione in essi della massa fonda-
mentale e altre apparenze sopra descritte, differiscono i cristalli
di quarzo del porfido da quelli della trachite anche per la copia
delle inclusioni.
Fra le inclusioni cristalline si hanno qui pure le solite esili
bacchettine senza colore o leggerissimamente verdognole a estre-
mità per il solito rotondeggianti, che a quarzo estinto appaiono
luminose nel quarzo stesso, e che sono a lor volta non di rado
dotate di inclusioni gassose. Misuratene alcune trovai aver lun-
ghezza massima di mm. 0,195 e larghezza massima di mm. 0,012,
per la maggior parte essendo molto al di sotto di tali dimen-
sioni (Tav. II, fig. 27, 28, 29, 30^. Questi microliti sono perfetta-
mente analoghi a quelli effigiati da Cohen (^) e da lui riferiti
air apatite.
Analoghi a questi nella forma e nelle dimensioni altri mi-
croliti di colore giallo-arancio pur si veggono nel quarzo (Tav. I,
fig. 4i. Io sospetto che sieno di zircone, ma non escludo che possano
anche essere di altra specie. Quasi dello stesso colore, meno che un
po' più gìallastro-brune, si osservano pure delle globuliti, talora
anche in numero considerevole (Tav. IT, fig. 33), e di forma ge-
neralmente ellittica.
Oltre a queste si hanno e in gran numero inclusioni vetrose
e gassose (Tav. II, fig. 26 a 33). In alcune sezioni di cristalli ho
osservate inclusioni assai voluminose di un vetro giallognolo
(Tav. II, fig. 32) con più bolle di gasse; ma in generale queste
inclusioni sono senza colore, limpide; talune sembrano accennare
a un contorno regolare, che quasi ripete la forma del quarzo
includente; ora, apparentemente almeno, distribuite senza re-
gola alcuna, ora allineate in gran numero; ma sono pur queste
di vetro? La presenza di una sola bolla di aria in quasi tutte
potrebbe far sospettare che per la massima parte fossero in-
clusioni liquide con livella; ma le bollicine gassose non si spo-
(*) Samml v. Mikr. z. ver. d. mikr. Stract. v. Minor, u. Gesteinen. Stuttgart
18S3. Tav. LXXVU, ùg, 3^.
48 A. D* ACHIARDt
stano affatto, né meno a una temperatura superiore ai 60%
quindi, mentre non escludo la possibilità che vi abbiano anche
inclusioni liquide, in generale e per lo meno per quelle a con-
torno esilissimo, che sono molte, ritengo che sieno vetrose.
Le bollicine gassose sono per il solito assai grandi; e credo
vi abbiano anche cavità, esclusivamente ripiene di gasse, quelle
per esempio che con ombra considerevole ripetono nel loro con-
torno la forma del quarzo includente, e con esse altre anche ir-
regolari nella loro figura.
Del quarzo di seconda formazione già. dissi parlando della
massa fondamentale; aggiungerò oro che lo si osserva pure
nelle sezioni del feldispato, come epigenico sui cristalli più o
meno altemti di questo minerale. Ci appare pure ivi in foggia
di piccolissime, fitte sferuliti a fibre irraggianti, che non si estin-
guono a nicol incrociati e danno colori assai vivaci d' interferenza
(Tav. I, fig. 4 a). Così pure si osserva nella pinite.
Silice. — Con apparenza granulare e di calcedonio la si
osserva nella massa fondamentale della roccia, e pur anco nelle
sezioni dei cristalli piti o meno alterati di feldispato e di pinite.
Ortose. — Cristalli di dimensione svariatissima mostrano
r abito particolare dell' ortose, e non è difficile misurarvi angoli
che conducono alle forme 001, 100, 010, 110, 101, 201 (Tav. Il,
fig. 40 e 41). Essi sembrano costituire una buona porzione della
roccia, prendendo parte anche in confuso alla costituzione della
massa fondamentale. In generale paiono semplici; ve ne hanno
però anche dei geminati, ma rarissimi.
A luce ordinaria si appalesano senza colore o meglio bianco-
sporchi, soltanto tralucidi e tutti sagrinati. A nicol incrociati
rari sono i cristalli che ci presentino le tinte comuni dell'or-
tose, per lo più si ha V apparenza di un' alterazione sofferta, e
soltanto come macchie qua e là, in generale appariscono nella
sezione in figura di ortose le tinte grigio-morate a testimonianza
di parti non completamente alterate. Ei sembra di vedervi pure
il caolino in foggia di nubecole bianco-sudicie opache, e ne è
la presenza resa verosimile anche dall' apparire a occhio nudo
più 0 meno caolinizzati i cristalli di feldispato; e dell' altera-
zione da essi sofferta è pure da ritenersi effetto la presenza
dell' abbondante silice in foggia di scagUette e sferuliti a cri-
stallini irraggianti, di cui già dissi trattando del quarzo, e che
TRACHITS K FOBFIDO QUARZIFERI DI DONORATICO 49
occupano tanta parte della massa feldispatica. (Tav. I, fig. 4-6).
L' alterazione sofferta rende spesso difficile, se non anche impos-
sibile, decidere se si tratti di ortose o di oligoclasio, e se di
ortose di quale delie sue varietà. L'esame macroscopico di al-
cuni cristalli farebbe credere si avesse a che fare qui pure con
sanidina ; certo Y aspetto loro è ora ben diverso sotto al micro-
scopio da quello dei cristalli di sanidina della trachite.
Debbo avvertire che gli esemplari furono raccolti alla super-
ficie, quindi rimane il dubbio se in profondità, conservi il feldi-
spato lo stesso aspetto.
Oligoclasio — La struttura polisintetica di alcuni cristalli,
non cancellata dair alterazione, ne fa certi della presenza di un
plagioclasio, che per la natura della roccia stessa sarà verosimil-
mente r oligoclasio (Tav. I, fig. 4 a).
Ciò che fu detto per V ortose vale anche per questa specie
circa air alterazione sofferta e ai suoi prodotti.
Tormalina — Nella maggior parte delle sezioni fatte non
vedesi nulla che vi si possa riferire; ma in due si scorgono, chia-
ramente sezioni di cristalletti aggruppati, e parte anche irrag-
gianti, che ritengo sieno di tormalina, specie non comune in sì
fatte rocce (Tav. I, fig.4(i). Questi cristalletti parte appaiono
sezionati lungo V asse, parte obliquamente e parte normalmente
ad esso o quasi. Le prime sezioni son tutte più o meno allun-
gate, la lunghezza massima da me riscontrata raggiungendo i
mm. 0,2127 per una massima larghezzza di mm. 0,08325; ma
molti cristalletti sono più piccoli assai e specialmente sottili, mi-
surando in lunghezza mm.0,18-0,21 e in larghezza mm. 0,018-0,037.
Queste sezioni parallele alleasse ci si appalesano abitualmente
rotte air estremità o indecifrabili nella loro terminazione: solo
alcune poche mostrano facce, che per la misura degli angoli
si possono riferire alle 100, 111 concorrenti alla base (Tav. II,
fig. 84). Vi si scorgono irregolari e poche fenditure, che sembrano
accennare a non facile sfaldatura. Le sezioni normali o quasi
normali alFasse sembrano laminette di mica esagonali con angoli
misurati di 120\
A luce ordinaria si ha una bella tinta celeste come di cianite
in varie delle sezioni parallele air asse, in altre di queste e nelle
esagonali cilestro-verdastro più o meno pallido e talvolta più o
meno sudicio.
So, Nat Voi. VII, fase. l.« 4
50 A. D^ACHIABDI
Con il solo polarizzatore si ha forte dicroismo: mentre
le sezioni esagonali o basali si mostrano costantemente della
stessa apparenza, cioè dotate di colore bruno-azzurrognolo o di
poco cambiano alcune (verosimilmente quelle fra esse tagliate
non del tutto normali air asse), le altre più o meno allungate
cambiano da una tinta azzurra scura tendente air azzurro-violetto
a un celeste-verdognolo con grande differenza di assorbimento
di luce a seconda della posizione della lamina cristallina. Quando
Tasse di simmetria del cristallo è normale alla sezione princi-
pale del polarizzatore si ha il massimo di assorbimento con la
tinta azzurra molto scura; quando invece è parallelo si ha il
minimo con le tinte chiare giallo-verdastio-celestognole.
A nicol incrociati le sezioni esagonali restano costantemente
estinte o quasi; le altre presentano colori d' interferenza più o
meno vivaci ad anelli concentrici. Poche o punte inclusioni. La
presenza del boro svelata dall' analisi fatta della roccia dal Gaz-
zarrini conferma la determinazione di questa specie.
Finite — Vom Rath parlando dei porfidi quarziferi del
Botro air Ortaccio, dice che entro a una pasta apparentemente
compatta bianco-giallastra stanno moltissime cordieriti della gros-
sezza di una linea, convertite in piniti.
Negli esemplari da me osservati del porfido quarzifero di
Donoratico presso Castagneto ho pur veduto a occhio nudo e
meglio con la lente numerosissime e piccole colonnette d' appa-
renza quasi steatitosa, di colore grigio-verdolino pallido, talvolta
lucenti come talco specialmente nelle fratture; e simili a queste
ne ho pur riscontrato in altri esemplari provenienti d'altre
parti del territorio campigliese e nell'apparenza loro corrispon-
denti a quelli descritti dal Vom Bath. I caratteri al microscopio
si corrispondono del pari.
Questo minerale nelle sezioni osservate al microscopio ci ap-
pare in foggia di prismi o bacchette allungate, la cui larghezza
ordinariamente oscilla intorno a mm. 0,02 a 0,03, e la lunghezza
da mm. 0,11 a 0,19; ma se ne danno pure di quelle fra queste
sezioni prismatiche che appena raggiungono mm. 0, 009 di lar-
ghezza e altre che superano qualche millimetro tanto per tra-
verso che per lungo; tali quelle dei cristalli che veggonsi bene
a occhio nudo.
Queste sezioni allungate appaiono rotte all' estremità o ter-
TBACHITK B POBFIDO QUARZIFERI DI DONORATICO 51
minate dalla base e solo per eccezione da facce oblique. Nella
grossezza della preparazione si travedono talora più facce di
prismi; e poiché nelle sezioni normali air asse si hanno figure di
esagoni, d' ottagoni e di dodecagoni, conviene quindi ritenere che
vi abbiano le facce dei pìnacoidi 001, 100, 010 e di due prismi
verticali (Tav. I fig. 4-6, Tav. II, fig. 36-39). Il contorno di alcune
sezioni è anche irregolare; ma Y abito prismatico non vi è per
questo cancellato.
L* interna struttura appare alquanto diversa secondo gV in-
dividui, forse in grazia della più o meno progredita alterazione
loro. Ordinariamente le sezioni longitudinali ci appaiono costi-
tuite come da fasci di fibre, che di tanto in tanto lasciano ma-
glie occupate da sostanza omogenea, e procedono sinuosamente
nella direzione deir asse verticale. In qualche parte invece di
fibre così procedenti si hanno sferuliti di fibre irraggianti da
tanti centri distinti, così come è poi caso abituale delle sezioni
normali air asse. Qrani o lamelle come di sostanza eterogenea
s' intromettono fra queste fibre (Tav. II fig. 36-39).
A luce ordinaria si ha un colore giallo- verdolino più o meno
chiaro, che tanto più sbiadisce quanto più sottile sia la sezione
fino quasi a diventare appena sensibile. L* intensità della tinta
varia anche in ragione delle varie parti del cristallo, che ci ap-
paiono diversamente colorite. Lungo dair aversi una tinta uni- ,
forme si hanno porzioni del tutto senza colore e limpide, altre
giallo-verdoline e lamelle o grani di color verde intenso, che sem-
brano come indipendenti e sospese entro la massa del cristallo
che le include. Le porzioni fibrose e sferulitiche sogliono apparire
verdastre; le maglie, che vi si comprendono, senza colore e limpide.
Con un sol nicol non pochi cristalletti danno segno di pleo-
croismo nelle loro sezioni longitudinali apparendo una tinta più
pallida quando sono disposte normalmente alla sezione principale
del polarizzatore, più intensa e verde quando sieno invece a
questa parallele. Si ha quindi l\opposto che nella cordìerite della
trachite, per la quale nelle pezioni longitudinali la tinta più
chiara si aveva parallelamente alla sezione principale del polariz-
zatore, e ciò mi aveva messo in sospetto potesse trattarsi di
qualche cosa di diverso. Ma intanto anche Hussak(^) ha riscontrato
{*) Ueb. den Cordìerit in volkanischen Ausworflingen. Sia. k, k, Ak. Wiss,
Wien. 1883. 87. 4-5. 831
52 A. D^ACHIABDI
diverso contegno in varie cordieriti; e la cristallizzazione, la strut-
tura minutamente fibrosa e lamellosa, il colore e vedremo anche
la polarizzazione di aggregato fanno ritenere che si tratti di
pinite.
A nicol incrociati si presentano i fenomeni stessi descritti
da Fouqué e Levy (*) per questa specie; si vede cioè che tanto
la parte colorata che senza colore risultano, parzialmente 'almeno,
di sferuliti a croce nera (Tav. I, fig. 4 e), con questa differenza
che le giallo-verdi presentano le tinte morate dell'opale e del
calcedonio, le scolorite colori di polarizzazione cromatica vivaci
precisamente come nelle stesse sferuliti osservate nelle sezioni
dei feldispati. Le sferuliti a croce nera veggonsi meglio e più
frequentemente nelle sezioni normali che nelle parallele air asse
verticale. Ove invece di sferuliti si hanno soltanto fasci di fibre,
queste presentano deboli colori d' interferenza, che talvolta pur
mancano.
Le laminette o grani di color verde cupo inclusi o facenti
parte della massa stessa della pinite mostrano colori d'interfe-
renza più o meno sensibili; sembrano quasi di mica.
L' estinzioni nelle sezioni non costituite o solo parzialmente
costituite di sferuliti si fanno sempre parallelamente e normal-
mente air asse dei prismi verticali.
I cristalli di pinite si veggono spesso aderenti ai cristalli
di quarzo, talvolta trasportati dal magma stesso entro alle
sinuosità di corrosione, che in questi si osservano ripiene dalla
massa fondamentale (Tav. II, fig. 30) .
Mica — Non vi ha certo mica nera come nella trachite,
in cui vedemmo abbondantissima la biotite; può sospettarsi che
a una mica appartengano certe laminette, che si veggono nella
pinite.
Apatite — Vi ho in parte riferito le esili inclusioni bacillari
senza colore, che si rinvengono nel quarzo e altri materiali di
questa roccia (Tav. II, fig. 27, 28, 30, 31).
La presenza del fosforo svelato dall' analisi conferma questa
determinazione.
Zircone? — Sono incerto se a questa o ad altra specie
debbano riferirsi i mìcroliti bacillari di colore giallo-arancio, os-
servati in diversi cristalli di quarzo (Tav. II, fig. i h).
(') Minér. Microgr. — Roches. érupt franQaises. Paris 1870, 314.
TRACHITE E POBFIDO QUARZIFERI DI DONORATICO 63
Ematite? — Incerta; forse sono.da riferirsi ad essa alcune
esili laminette di color giallo-arancio.
Pirite — In cubi con tinta giallastra all' intorno dovuta
a limonite. In parecchie sezioni non ne ho veduto indizio, dunque
la deve esser rara, almeno negli esemplari da me esaminati di
Donoratico e di questa varietà, che in altri di San Silvestro
(Campiglia) e di struttura più omogenea e compatta ho trovato
essere molto più frequente, cosa importante a notarsi per la
connessione di queste rocce eruttive coi giacimenti metalliferi.
Tali sono la trachite e il porfido quarzifero di Castagneto,
due rocce che senza dubbio presentano fra loro una notevole
differenza. Quella, quasi un vetrofiro, è roccia che deve aver
colato alla superficie o essersi rappresa molto presso di essa.
Il magma si è rapidamente raffreddato, si è quindi costituito in
massa vetrosa, né vi fu tempo perchè corrodesse lentamente il
quarzo e lo com penetrasse, come è avvenuto invece nel porfido,
che anche nel suo modo di presentarsi in dighe o filoni esclude
il trabocco. 11 raffreddamento e consolidamento di questa seconda
roccia dovette farsi quindi più lentamente sotterra; V abbon-
dante e uniforme massa vetrosa non si formò mancato il rapido
rapprendersi della roccia; i cristalli di quarzo, formativisi da
prima in molto maggior numero, per la loro lunga dimora nel
magma più o meno fluido furono da questo più o meno profon-
damente corrosi e compenetrati, prima che si consolidasse; e
r allineamento o meglio accumulamento delle innumerevoli in-
clusioni in certe direzioni piuttosto che in altre ci accenna forse
la via per la quale si fecero strada.
L' aspetto del feldispato, la qualità e V a])ito della cordierite
convertita in pinite nel porfido, queste e tante altre diversità
che vi hanno, che differenza vi ha quasi in tutto, fanno senza
dubbio, lo ripeto, delle due rocce due cose ben distinte. Ma non
vi può dunque essere alcun legame fra loro? La comunanza della
massima parte delle specie minerali quantunque con proprietà
fisiche diverse, la corrispondenza di composizione elementare
dataci dall'analisi chimica, riferendoci a quella fatta di altri
porfidi vicini e analoghi, le condizioni geologiche del giaci-
mento, quale viene descritto dal Lotti, tutto ci porta a sospet-
54 A. D^ ACHIARDI
tare un legame di provenienza fra queste due rocce, entrambi
spettanti al gruppo delle rocce a struttura trachitoide, e ve-
rosimilmente per nuir altro oggi diverse se non perchè Y una
sì rapprese rapidamente alla superficie o presso di essa, V altra
s'intruse in filoni in mezzo a quelle stesse rocce, che la prima
traboccando forse ricopriva per lunga estensione. Tocca ora al
geologo indagare se ne sia corrispondente V età, e se le si pos-
sano e debbano considerare come effetto di una stessa fase
vulcanica nelle sue diverse manifestazioni ipogea ed epigea.
Pisa, 14 decembre 1884.
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Taf. 1.
1. Sezione della trachite di Donoratico veduta a luce ordinaria.
2. La medesima a luce polarizzata e a nicol incrociati.
3. Altra sezione della stessa roccia veduta pure a nicol incrociati.
4. Sezioni del porfido quarzifero di Donoratico: a porzione di roccia con ortose
e plagioclasio veduta a nicol incrociati; h Id. con quarzo, feldispato,
zircone? pinite ec. ; e. Id. con pinite costituita di sferuliti a croce nera;
d, Id. con ortose e tormaline veduta a luce ordinaria.
5. Sezione dello stesso porfido a luce ordinaria.
6. Id. a nicol incrociati.
Tar. II.
1-7. Cristalli di sanidina. — Ingrandimento di circa 50 diametri.
8-12. Cristalli di pirosseno geminati in croce meno il N.® 0, che è semplice.
Ingrandimento di 15 a 20 diametri.
13. Sezione di cristallo di cordierite a superfìcie sagrinata.
14. Cristallo di cordierite (100,010,001, 110) con inclusioni vitreo-gassose. —
Ingrandimento di 50 diam.
15. Altro cristallo di cordiente (001, 100, 110) con le stesse inclusioni. In-
grandimento di 40 diam.
16. Id. (100, 010, 001, 110, 310) con inclusioni cristalline e vetrose. Ingran-
dimento di 75 diam.
17. Sezione di cristallo di cordierite terminato da facce piramidali, forse le 101.
18. Sezione normale all'asse di cristallo di cordierite con principio di corro-
sione periferica, che però nen ha cancellato la forma poligonale.
56 A. d' ACHIABDI — TRACHITE E PORFIDO QUARZIFERI EC.
19-20. Sezioni pure Dormali alleasse, ma arrotondate per maggiore corrosione
sofferta. Nella fig. 20 vedesi un' inclusione cristallina bacillare conte-
nente tre bollicine gassose. Ingrandimento di circa 60 diametri.
21. Gemello di cordierite. Ingrandimento di 85 diametri.
22. Id. con ingrandimento di 21 diam.
23. Id. con ingrandimento di 50 diam.
24. Id. con segni di molto progredita corrosione.
25. Granulo di cordierite corrosa e con inclusioni vetrose e gassose.
26. Sezione parallela all'asse di un cristallo di quarzo con inclusioni gassose
numerosissime,
27. Cristalli di quarzo, riuniti parallelamente a una faccia di romboedro 100,
a estremità corrose, con numerose inclusioni. Ingrandimento di 40 diam.
28. Id. riuniti per una faccia di prisma 1' uno, di romboedro l' altro, a estre-
mità corrose.
29. Cristallo di quarzo corroso, con le solite inclusioni e con pinite aderente.
30. Cristallo di quarzo corroso e con intrusione del magma e numerose inclu-
sioni. Ingrandimento 37 diametri.
31. Idem con ingrandimento di 17 diam.
32. Id. con intrusione del magma da parte a parte. Le solite inclusioni nu-
merosissime. I due pezzi isolati appartengono al medesimo cristallo.
33. Cristalli di quarzo con globuliti e longoliti. — Pinite aderente al quarzo.
34. Sezione verticale di cristallo di tormalina. Ingrandimento di 250 diam.
35. Id. con ingrandimento di 250 diam.
36-38. Cristalli di pinite. Ingrandimento di 55. diam.
39. Sezione normale ali* asse esagonale l' una, ottagonale Y altra di cristalli di
pinite con struttura interna sferulitica.
40. Sezione di cristallo di ortose parallela a 100.
41. Id. parallela a 010.
UNA OSSERVAZIONE
DI TERZO CONDILO OCCIPITALE NELL'HOMO
CONSIDE3RAZIONI RELATIVE
NOTA
DEL DOTI. GUGLIELMO ROMITI
Professore di Anatomia in Siena
(con una TaTola)
Che neirosso occipitale dell'uomo possano occorrere processi
a mo' di condili, oltre i due normalmente destinati ad articolarsi
coir atlante, è cosa nota agli Anatomici : né è solamente per
illustrare un nuovo caso di questa rara varietà anatomica, la
quale ho di recente raccolta per il mio Museo, che io ho creduto
pubblicare questa Nota; ma piuttosto mi piace prendere occa-
sione da questa illustrazione, per esprimermi su qualche punto
relativo al modo di spiegazione degli abnormi condili occipitali
umani, sul quale verte tuttora qualche discrepanza, o qualche
errata interpretazione.
G. F. Meckéli}) per il primo notò la presenza di insoliti
processi nella faccia inferiore della porzione basilare dell'osso
occipitale ed in quella condiloìdea. Parlando delle apofisi inso-
lite dirette dair alto al basso, e di una lunghezza spesso molto
considerevole che vedonsi quasi sempre presso al foro occipitale,
(*) G. F. Meckel — Manuale d^ Anatomia Generale descrittiva e patologica,
Tradnz. Gaimi. Milano, 1825. Tomo II, pag. 84.
68 0. ROMITI
sia da una parte sola, sia da ambedue insieme, o che sono più
0 meno solidamente articolati con la apofisi trasverse dalla prima
vertebra cervicale (e qui accenna chiaramente al processo para
occipitale), continua: ** egli è molto più raro il trovare queste
y, apofisi dinanzi al foro occipitale, fra le estremità anteriore
,, dei due condili „. Di simili casi egli aveva già descrìtti esempi (*).
La spiegazione che ne dava era quella della mostruosa duplicità:
immaginò che normalmente T embrione venga formato da due
metà laterali, le quali prima si uniscono nel dorso, poi nel piano
anteriore (*)•
Dopo Meckel i trattatisti ricordarono questa varietà, ed alcuni
osservatori ne fecero oggetto di studio speciale. Ricordarono i
condili occipitali Hyrtl (^) che li disse anomalia assai rara, e li
considerò analoghi a tutto il condilo unico degli uccelli e degli
anfibi squamosi. Henle{^) menziona le altrui osservazioni, Krause (*)
li ricorda pure: li dice abbastanza rari (5 7o) ® pì^ frequente-
mente verificati nel maschio che nella femmina. Poco o nulla
dicono tutti gli altri autori che ho potuto aver tra mano.
Di Anatomici che fecero oggetto di speciali ricerche o di
Monografie gli abnormi condili dalFosso occipitale umano, è primo
da citare il Dieterich (^), il quale descrivendo alcune abnormità
del cranio umano, illustra ancora degli esemplari di condili oc-
cipitali abnormi. Gruber (') poi sulle sue * Anomalie nuove »
che egli raccolse in un sol volume, tratta assai estesamente e
colla sua ben nota dottrina, V argomento degli abnormi condili
dell'occipite. Non ho potuto avere occasione di consultare il
libro originale dell' Anatomico di Pietroburgo, e perciò non ne
(}) In: De duplicitate monstrosa. Hallae 1815. pag. 2i. e: Deutches Archiv fùr
die Physiologie, Bd. 1. H. 4. Tav. VI, pag. 64i.
(*) Cesare Taruflfi ^ Dottrine sulla formazione dai mostri doppi. (Bollettino delle
Scienze Mediche di Bologna. Serie VI, Voi. 2.o 1878, pag. 55 dell* Estr. e: /Storta
della Teratologia, Bologna. 1881-1884. sparsim.
0 Giuseppe Hyrtl — Istituzione di Anatomia dell* Uomo, Trad. Antonelli. Na-
poli. 1871. pag. 180.
(*) Henle — Eandbuch der systematischen Anatomie des Menschen, I, pag. 107.
Braunschweig. 1871.
(^) Krause — Anatomie, Hannover. 1880. T. Ili, pag. 63.
(«) Citato da Henle.
C) Ibid.
UNA OSSERVAZIONE DI TERZO CONDILO OCCIPITALE NELL^ UOMO 59
posso, come vorrei, portarne un sunto ed un giudizio: nemmeno
ho trovato il lavoro di Alien, menzionato da Ilenlei}).
Canestrini e Moschen (^) descrivendo ed interpretando assai
giustamente alcune abnormità, trovate in Crani del [Trentino,
illustrano ancora specialmente tre casi di condilo occipitale, ri-
cordando in una Nota come ne posseggano un altro esemplare
nel Cranio di un Veneto. I due casi descritti nella Memoria
sono: uno di condilo abnorme che nasce dal condilo normale
destro e si porta in basso e all' interno nella linea mediana
(fig, 1 della Memoria di C. e M.), un altro di condilo abnorme
esattamente mediano (fig. 2), un terzo (fig. 4) doppio. A proposito
del condilo esattamente mediano, lu^go 8 millimetri e articolan-
tesi coir Atlante, gli Autori della Memoria accertano come sia
forse da collegare l'abnorme tubercolo umano col tubercolo
unico degli uccelli e dei rettili, seguendo così il modo di inter-
pretazione accennato da Hijrtl.
Io descrissi (•^) un terzo condilo occipitale trovato nel teschio
d* un maschio di 60 anni, senese, e distinsi i veri condili dalle
abnormi faccette articolari nella periferia del gran foro occipitale.
Notai in quella circostanza come la varietà sembrava rarissima:
1 : 800. n cranio in discorso era brachiocefalo, il condilo ab-
norme, figurato nella fig. JY della Memoria, era situato nel
mezzo dello spazio intercondilaideo anteriore, ma con una larga
base che ampiamente si impiantava verso destra: la baso del
condilo abnorme era di 12 millimetri trasversalmente, il condilo,
incrostato di cartilagine nella punta sua, misura 8 mill. di lun-
ghezza. Seguii allora la dottrina che il condilo abnorme umano
' fosse analogo al condilo unico dei sauropsidi di Huxley, o rettili
ed uccelli. Lo stesso caso riportai nel Catalogo del mio Museo (*).
Q) Alien — Citato da Henle. ibid.
Ò) G. Caaestriai ed L. Moschea — Anomalie del Cranio trentino (Atti della
Società Veneto-Trentina di Scienze Naturali, Padova. Voi. VII. fase. 1. ISSO, con una
Tavola. Profitto di questa citazione por dichiararo che non conoscevo questo lavoro
quando Bcrissi la Memoria sullo sviluppo e varietà dell* occipitale, ed è per questo
che non vi si trova menzionata. Non era a mia disposizione il periodico che lo con-
teneva, ed ebbi poi lo scritto 'ialla cortesia degli Autori.
(*) Guglielmo Romiti — L(f sviluppo e la varietà dell* osso occipitale nelV uomo,
(Atti della Accademia dei Fisiocritici. Siena. 1881. Serie III. Voi. IIL fase. I. pag. 86.
(*) G. Romiti e Pilade Lachi ^ Catalogo ragionato del Museo Anatomico, Siena.
1883. I. pag. 56.
60 0. BOMin
Con questo che ora descrivo, due soli sono i casi di terzo con-
dilo che ho trovato tra circa 700 crani di senesi che io ho pa-
zientemente raccolti e studiati dacché dirigo la Scuola Anatomica
Senese. E da tenere nota che io intendo parlare di veri e propri
condili ben sviluppati, e non prendo in considerazione le ab-
normi faccette articolari attorno il gran foro occipitale e nem-
meno i piccoli rudimenti di condili basilari, così facilmente con-
fondibili coi tubercoli faringei i quali hanno ben altro significato.
Infine il Prof. Francesco Legge {^) studiando diligentemente
780 crani di Camerino, ed illustrando sommariamente le diverse
varietà che presentavano, notò, a proposito di condili occipitali
come questi gli si presentassero assai meno frequenti nei suoi
crani, di quanto non lo furono ad altri e specialmente a| me.
Infatti in 780 cnani trovò soli due esemplari di condilo occipitale
abnorme: uno dei quali era di condilo semplice o laterale, V altro
di doppio: in questo è da notarsi il fatto che il condilo sopran-
numerario di destra è in diretta comunicazione col condilo nor-
male, dal quale è separato per un solco superficiale.
Per quanto riguarda il modo di spiegazione o di interpreta-
zione della varietà della quale ora tengo parola. Legge non
ammette, o per lo meno pone fortemente in dubbio, che il terzo
condilo occipitale neir uomo sia analogo al condilo unico dei
sauropsidi. Che esso non impugni la comune spiegazione in modo
assoluto, dicono le parole colle quali egli esprime il proprio
pensamento (pag. 33-34:): ** a me non pare, egli scrive, che il
j, condilo occipitale anormale dell' uomo* possa ritenersi analogo
» air unico degli uccelli, ed anco ammettendolo non saprei come
„ spiegare che i condili laterali lungi dall' essere atrofici come
, in tal caso dovrebbero essere, sono invece sviluppati più che
j, d' ordinario „.
La ragione precipua per la quale il ricordato diligente ana-
tomico pone fortemente in dubbio la comune spiegazione, è
principalmente nel fatto del credere come il condilo abnorme
occupi una posizione laterale, essendo impiantato o a destra
(caso mio) o a sinistra (caso suo); inoltre in un suo caso notò
come avanti dal condilo fosse una produzione rivestita di carti-
Q) Francesco Legge — Intorno ad alcune anomalie dell* articolazione occipitO'
Atlantoidea osservata nei crani camerinesù Velie tri 1883. opusc. pag. 28 e seg.
• . .
UNA OSSERY AZIONE DI TERZO CONDILO OCCIPITALE NBLL^ UOMO 61
lagine la quale ritiene ** un vero terzo condilo in via di indivi-
, dualizzarsi , : crede perciò che il terzo condilo sia dovuto ad
una specie di * gemmazione dei condili normali », ed a prova
di ciò ricorda anche come rimanga talvolta traccia della pri-
mitiva riunione sua col condilo normale in un piccolo istmo
osseo che li ricongiunge indietro. Aggiunge poi come il modo
di considerare o di formarsi i condili abnormi occipitali sia
uguale a quello dei tubercoli basilari (faringei). Talun caso di
straordinario sviluppo dei condili normali in avanti richiama
alla mente i due condili normali del cavallo che tanto si spin-
gono innanzi.
Questo modo di spiegare la genesi dei condili abnormi del-
l' occipitale, se è ingegnoso e studiato, credo possa essere seria-
mente discusso: ciò io mi proverò di fare, dopo aver descritto
il nuovo caso che intendo illustrare, e che appunto mi dà, ar-
gomento alla presente Nota: che io per verità, anche dopo le
osservazioni di Legge, sono sempre per la antica spiegazione, un
po' meglio interpretata, sul significato degli abnormi condili
occipitali.
Cranio N.* 371, anno 1883, del Museo Craniologico dell'Istituto
Anatomico di Siena. È di un maschio. Senese, di anni 70.
n Cranio è largo ed ha le seguenti misure:
Diametro antero-posteriore massimo. . . 176 mra.
> trasverso massimo 151 »
> verticale 132 »
Indice cefalico . . . . = 85, 79
Cranio grande, ortognato, glabella sporgente: ossa nasali piccole
e fossa temporale profonda con lievi creste o asperità ossee
nella parte anteriore della linea temporale. Orbite ampie, obli-
que, fossa canina poco sviluppata, setto nasale a sinistra, volta
del palato assai profonda, con creste longitudinali: mandibola
piccola, angolo giusto, mento sporgente.
Leggera traccia di sutura metopica in basso: suture normali
persistenti, solamente la sagittale è saldata corrispondentemente
all'obelion. Ampio wormiano pterico a sinistra: ninna traccia
di sutura incisiva: denti normali e ben conservati.
Nella porzione condiloidea sono due piccoli condili abnormi
dei quali, meglio che per la descrizione, si può avere chiara idea
62 6. ROMITI
per la esatta figura fatta di grandezza naturale dal Dott. Valenti
(V. la Tavola Fig. I).
I due condili abnormi sono perfettamente simmetrici Y un
l'altro, e sono nettamente distinti e separati dai condili normali,
per mezzo d' uno spazio o solco, tanto che non vi è traccia di
rapporto alcuno tra essi ed i condili normali. I due condili
abnormi misurano ambedue 6 millimetri in altezza, e 4 milli-
metri in larghezza alla loro punta sulla quale apparisce in ambo
i condili una faccetta articolare. Essi convergono col loro estremo
un verso V altro e distano quivi V un dair altro per 3 mm., così
pure alla base mentre nel mezzo sono allontanati per 5 mm.,
e rimane perciò tra loro 'una specie di ampio foro aperto in
alto. È da notarsi il modo di impianto e di origine dei due
condili abnormi dall' osso, poiché essi nascono direttamente da
questo né accennano a fondersi nel loro impianto verso i con-
dili normali, i quali sono ben confermati.
Descritto questo nuovo caso, guardiamo adesso se possa o
no sostenersi per la spiegazione degli abnormi condili occipitali
r antica interpretazione, o se debba modificarsi, e incominceremo
collo stabilire il valore della diflBcoltà, che alla ammissione di
essa ha affaciate l'egregio Prof. Legge.
Io devo prima di tutto dichiarare che, ove si eccettuino
alcune abnormi disposizioni delle parti del corpo umano dovute
ad alterazioni patologiche e nondimeno comprese tra la varietà,
es. la fusione dell' atlante con l' occipitale, eccetto questi casi,
le vere e proprie varietà anatomiche nell' uomo devono sempre
riferirsi ad una analogia coi bruti. Veramente le eccezioni alle
quali ho sopra fatto allusione non sarebbero veramente di perti-
nenza dei nostri studi, sibbene meglio di quelli dei patologhi;
ma è invalso l'uso comprenderla tra la varietà, ed io stesso
in varie circostanze 1' ho fatto, ed ora accenno a questo errore.
Che ogni vera varietà umana corrisponda ad analogia coi bruti
e conseguentemente, per le noti leggi ontogenetiche, ad uno
stadio 0 periodo embrionale è cosa adesso sufficientemente as-
sodata alla scienza, ed io pure ho contribuito con varie pub-
blicazioni a stabilire questo fatto (*). Ora, siccome gli abnormi
0) Vedi, tra le altre, il mio lavoro: // Darwinismo e la Embriogenià. (Rivista
di filosofia scientifica. Torino-Milano. 1883. V. } .
UNA OSSERYAZIONE DI TERZO CONDILO OCCIPITALE NELL^ UOMO 63
condili occipitali non hanno certamente origine da un processo
patologico, devono rappresentare una omologia, per quella legge
di necessità, che governa la Biologia in genere, e là Morfologia
in specie.
Secondo Legge i condili abnormi (terzo condilo) dell' occipitale
sono da paragonarsi ai tubercoli basilari (faringei) e da spie-
garsi con lo stesso meccanismo: ma che i due fatti sieno un
po' differenti mostra la semplice rij&essione che i tubercoli fa-
ringei trovano ragioni e dipendenza nell' impianto della apone-
vrosi faringea che, per i muscoli i quali vi si inseriscono, è una
potenza attiva, e perciò i tubercoli faringei hanno significato
d' impianto muscolare, né può certamente averlo V abnorme
condilo occipitale. Aggiungasi poi che Legge stesso ed altri hanno
descritto per tubercoli faringei, dai condili occipitali abnormi
0 rudimentali: e tali sono appunto quelli vicini alla periferia
del forame magno.
I condili occipitali nel cavallo sono, come ognun sa, assai
sporgenti in avanti, tanto che tra i loro estremi anteriori in-
tercede piccolo spazio. Paragonati con i condili abnormi occi-
pitali dell' uomo, non vi ha dubbio che questi estremi loro riav-
vicinati somigliano assai questi, e specialmente quelli come lo
illustrato da me in questa Nota. Ma questa simiglianza di con-
formazione non da diritto né ragione di cercare per i condili
del cavallo un'altra interpretazione morfologica che non sia
quella comparativa ed evolutiva. I condili occipitali del cavallo,
ravvicinati in avanti mercè una specie di espansione, rappresen-
tano appunto un gradino, una formazione intermedia, una forma-
zione ravvicinantesi al condilo unico, e perciò, pur trovando
giusta la grossolana comparazione tra i condili del cavallo e certi
casi di abnormi condili occipitali nell'uomo, trovo ancora che
una forma non può venire a spiegare l' altra, essendo tutti e due
suscettibili d' una spiegazione comune. La fossetta occipitale m^-
àm. (Lombroso) o vermiana fAlbrechUChiarugiJ che abnormemente
può trovarsi nelF occipitale umano è uguale di aspetto a quella
che normalmente si trova in molte scimmie: ma ambedue le
formazioni, 1' anormala umana e la normala simiana non sono
che una forma di passaggio o relativamente rudimentaria della
grande fossa che contiene il verme negli uccelli. Lo stesso rap-
64 G. BOMITI
porto di spiegazione intercede tra i condili abnormi umani ^ i
normali del cavallo ed il condilo unico dei sauropsidi.
Un argomento inoltre che, a tutta prima, parrebbe possedere
un certo valore per impugnare la omologia tra V unico condilo
dei sauropsidi ed il terzo condilo umano, sarebbe quello tolto
dal vedersi che la variata disposizione coincide con i condili
normali. Ma ove si rifletta sopra a questo fatto, ben facilmente
ci si convincie come non presenta nulla di strano. Infatti che
nel corpo umano possa coesistere la disposizione normale e quella
variata d' una istessa parte, che possa cioè coesistere la dispo-
sizione umana e quella brutale, è cosa che non tanto di rado
si verifica, e, tra gli altri, citerò solamente nello stesso occipitale
la esistenza del processo paraocci pitale. Quando la formazione
ossea rappresentata dai condili normali dell' occipite è la fusione
di tre distinti produzioni ossee, come or ora accennerò, si in-
tende bene come la mancata fusione di queste tre parti fa ri-
manere la traccia od il vestigio della primitiva triplice indi-
vidualità.
Per studiare colla massima esattezza il modo di formazione
del condilo occipitale unico nei sauropsidi, V esemplare migliore
è quello dei Cheloni, d' una ordinaria testuggine: e ne ho fatto
disegnare dal DotL Mibelli la faccia posteriore del cranio, nella
Fig. IL Si osserva in questa come V unico condilo risulta da tre
formazioni, da tre condili ben distinti e separati da un solco
profondo, ma riavvicinati e stretti V un V altro per formarne
apparentemente uno (^). La porzione inferiore appartenente al
basiocci pitale presenta un condilo o un processo articolare di-
stinto basilare: le due porzioni laterali appartenenti air occipitale
laterale hanno esse pure un condilo o un processo articolare
laterale. Queste tre pf)rzioni nella testuggine sono divise, ed i
tre condili appariscono così distinti che esaminando il terzo con-
dilo umano il paragone tra i tre condili del Chelonio e della
triplice abnorme formazione umana apparisce chiarissimo. Negli
uccelli e negli ofidi le tre porzioni dei condili si fondono inti-
mamente ed il condilo apparisce veramente unico. Mi parrebbe
(') Trovo singolare che Sappey dica «nelle tartarughe di mare, F unico tuber-
€ colo che rimpiazza i due condili presenta un solco nella linea mediana, che è un
€ primo vestigio d' una tendenza verso la dualità » . Anatomia Descrittiva. Trad. ital.
Napoli 1S78, Voi. 1, pag. 547-48) . Avrebbe dovuto parlare di due solchi e di triplicità.
tTNi OSSERVAZIONE Di TKBZO CONDILO OCCIPITALB NELL^ tJOMO 65
adesso inutile il ricordare e le condizioni embrionali dell' occi-
pitale nei vertebrati superiori, ed i vari stadi per i quali nei
vari vertebrati il condilo unico viene successivamente a formare
i due condili distinti, individualizzandosi così i due condili laterali^
a formare ì quali concorre nei vertebrati superiori porzione del-
l'occipitale basilare, cioè la sua porzione laterale anteriore: ciò
vedesi bene esaminando la base del cranio di un neonato. Se
però la porzione articolare del basioccipitale rimane distinto si
ha appunto nell' uomo il terzo condilo abnorme, unico o doppio
secondo si sviluppa o no un estremo di quello.
Quanto alla forma ed al numero degli abnormi condili oc-
cipitale umani, lo studio dei condili nella testuggine ce ne da
ragione. Il condilo basilare della testuggine, come vedesi bene
nella figura, è conico, assai largo alla sua base, e nel mezzo
è lievemente incavato nella direzione antero-posteriore: se lo
immaginiamo diviso. in due metà laterali, queste hanno V aspetto
come se nascessero con direzione obliqua in dentro: a questo
modo si intende la varia forma degli abnormi condili umani.
Infine quel solco che in certe osservazioni si descrive, e che
partisce il condilo abnorme del condilo normale è appunto il
rappresentante di quel profondo solco che, nella testuggine» di-
vide i condili laterali da quello basilare, e che nel neonato umano
accenna alla porzione del condilo normale che spetta al basioc-
cipitale.
È per tutte queste considerazioni che io sono più che mai
t)ersuaso che il terzo condilo occipitale neir uomo ò omologo al
condilo basilare della testuggine e perciò alla porzione mediana
del condilo degli uccelli e dei coccodrilli. È perciò errore il con-
siderare la omologia tra il condilo abnorme umano e tutto il
condilo unico degli uccelli, come fanno gli Antropotomi. Anche
gli abnormi condili occipitali umani stanno perciò a rappresentare
una normale disposizione dei vertebrati inferiori.
So. Nat, Voi. VII, fase. !.<>
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Fig. l.
Osso occipitale di maschio adulto: visto per la faccia inferiore —
Grandezza naturale.
I. - Inion.
C. C. — Condili normali.
C Terzo condilo.
Vìg. II.
Cranio di Testuggine di mare, visto pur di dietro - Grandezza
naturale.
I. — Cresta occipitale.
L. L. — Occipitali laterali.
B. — Occipitale basilare.
Li CiRllUGlIE BELLA PIEGA
ED IL PELLICCIAIO NEL NEGRO
^^rfMW^^A#4«^
NOTA ANATOMICA
DEL DOTT. GUGLIELMO ROMITI
Pbofbssobe di Anatoboa in Sona.
Morì, non è molto, nel nostro Manicomio, una Negra demente:
la Direzione dello stabilimento, tanto benemerita nella Scuola
Anatomica, non potè concedere per private ragioni, lo studio
deir intero cadavere, come sarebbe stato mio vivissimo desiderio.
Dovendovi però, preparare il cranio ed il cervello per conser-
varli, io ebbi gentile concessione dal sig. D. A. Lachi di poter
studiare le parti molli della, testa. Allora la mia attensione si
rivolse a ricercare più specialmente la esistenza, la forma e la
struttura della cartilagine della piega semilunare, seguendo
Giacominiy il quale espresse la speranza che altri Anatomici si
occupassero di questo argomento. Capitatami la occasione, ob-
bedisco al dovere del ricercatore e al desiderio del Collega.
La donna era una Egiziana di una sessantina di anni, affetta
da demenza consecutiva, e cieca per atrofia del bulbo da tise
bulbare, da ambedue gli occhi. Cagione della morte fu un grave
vizio cardiaco.
Delle cose ricercate nella testa, io ricorderò solamente che
chiarissimo esisteva un rudimento dell'organo di Jacobson, nel
68 G. ROMITI
modo e nella forma che in altre circostanze descrissi ('). Notai
inoltre come il muscolo pellicciaio si prolungava un poco più in
alto ed in dentro sulla faccia, certamente più in alto che nel
Bianco, nel quale arriva fin verso il limite dei denti inferiori. Ciò
coincideva con quanto videro Turner (-) e in parte ChudzinsH (^):
Giacomini (*) trovò il muscolo pellicciaio sviluppato maggior
mente una volta, un' altra impiccolito, nelle altre 7 normale.
Hartmann (^), nella figura che egli dà, della musculatura del
corpo d'un negro Monjalo, il pellicciaio in alto si vede un po' più
sviluppato che nel Bianco. Non vi ha dubbio che dalla maggior
parte delle osservazioni, nel pellicciaio dei Negri si nota una
estensione maggiore o un maggior sviluppo del muscolo sotto-
cutaneo del collo, il qual fatto segna un passaggio allo sviluppo
grandissimo che lo stesso muscolo assume nel Chimpanzé, fino
a giungere all' arcata zigomatica ( Turner lo vide appunto di
questa estensione in un negro); laddove nel Gibbone e nelle
altre scimmie antropomorfe esso muscolo ha lo stesso sviluppo
che nel Bianco (Hartmann) {^).
Ma il fatto che più interessava nella testa della nostra Negra
era appunto la esistenza della cartilagine nella piega jsemilu-
nare, cartilagine che Oiacomini non trovò costante nelle sue
IX osservazioni su cadaveri di negri. Risolvetti allora, se ne
verificavo la esistenza, prepararla da un lato in sito, e dall'altro
toglierlo e studiarlo nella sua minuta struttura.
(*) 6. Romiti — Rudimento di organo di Jacobson nelV uomo adulto ( BoUett
Soc. Cult. Se. Med. in Siena. 1884. 6. e Gazz. degli Ospitali N.o73).
Q) W. Turner — Notes on the dissection of a negro (Journal of the anat and
Phisyologie 1879, pag. 382).
(') Chudtìnski in: Revue d* Antropologie III, pag. 25. 1874.
(^) C. Oiacomini *- Annotaiioai sopra V anatomia del Negro. 2.* Mem.^ pag. 28.
Torino 1882. III. Memoria. 1884. pag. 5.
(*) Hartmann — Die menschenàhnlichen Affen, Leipzig. 1883. pag. 144. V. la
trad. ital. Milano 1884, pag. 163. È singolare che nei bellissimo libro di Testut.
€ Les anomalies muscùlaires chez V homme. Paris » pag. 206 e seg. non si parli della
disposizione del pellicciaio nel Negro.
(^) Poco tempo fa, trovai nella stanza del taglio un bellissimo esempio di enorme
pellicciaio in un maschio della nostra razza, e tale che certamente non avevo visto
r uguale, e non ricordo ugualmente descritto. In un uomo di 55 anni, alto metri 1, 80,
a masse muscolari assai bene sviluppate, esisteva a destra un pellicciaio spesso e
ben cornuto, il quale in basso aveva inserzioni normali, ed in alto si estendeva in
tutta r arcata zigomatica, confondendo le sue inserzioni con quelle di zigomatici.
A sinistra il fatto era in minori proporzioni.
i
LA CARTILAGINE DELLA PIEGA SBMILUNABE ED IL PELLICCIAIO DEL NEGRO 69
Esporrò prima brevemente quanto si conosce sulla cartila-
gine della terza palpebra nel Negro.
Si sapeva solamente dagli Anatomici come nel Negro la
piega semilunare fosse più sviluppata che nel Bianco ( Soem-
tnering), e si conosceva in questa disposizione un rudimento più
sviluppato della terza palpebra dei bruti, e si dava a questo
fatto un valore puramente antropologico, considerandolo come
un carattere di animalità, (Vogt). Il Giacomini, ricercando nel
1878 gli occhi di negri, trovò che nella piega semilunare di essi
esisteva una piccola cartilagine, resto o rappresentante della
cartilagine della terza palpebra dei bruti. Ricercò allora la piega
semilunare delle scimmie, e vi trovò pure la cartilagine: la
studiò ancora nel Bianco, e quivi purjp, come rara eccezione,
ne potè trovare un rudimento (M. Nel- mentre trovò costante,
ma più o meno svilppata, la cartilagine polla piega ^semilunare
nel Negro, vide che nel Bianco maschio era in porporzione del-
l' 1 : 78, 5 dei casi, nella donna bianca 1 : 85.
Dopo le ricerche di Giacomini^ .\>Qr quanto io mi sappia, nes-
suno ripetè le osservazioni. Anzi Hartmann (1. e. pag, 196 del-
l'ediz. tedesca, e 209 della traduz. italiana), asserisce che lo
studio suir occhio degli Antropoidi gli lascia concludere per u^a
grande somiglianza coll'occhio. Nel suo recente libro Gegenbaur (*),
tanto diligente nel ricordare tutto quanto è rudiraentario nel-
r uomo, non ricorda la cartilagine della terza palpebra; argo-
mento questo assai prezioso in' un trattato di Antropotomia,
intesa ed indirizzata come giustamente ha fatto il chiaro ana-
tomico.
Nella donna Negra, che forma soggetto della* mia osserva-
zione, la piega semilunare, o terza palpebra rudimentaria, era
grandemente sviluppata, e, sentita fra i polpastrelli, appariva
assai consistente. Ruotato fortemente in fuori il bulbo oculare,
notevolmente atrofizzato, uniti delicatamente la congiuntiva alla
base della piega, e, dissecatela convenientemente, isolai una
bella placca cartilaginea, di figura triangolare, colla base in
avanti, e, misurante 6 millimetri verticalmente e 5 millimetri
trasversalmente. Il muscolo retto interno presentava la stessa
(*) e. Giacomini — Annotazioni sopra V Anatomia del Negro. I. Mera. Torino 1878,
IL Mera. 1882. IH. Mem. 1884. — G. Romiti - Istologia speciale, Siena 1882, pag. 160.
(*) Gegenbaur — Lehrbuch der Anatomie des Menschen, Leipzig. 1883. pag. 930.
70 0* BOMITI
disposizione descritta da Giacomini a pag. 22 della sua 1 / Me-
moria: si dirigeva in tre fasci dirigentisi- nno alla sclerotica,
uno alla terza palpebra, il terzo alla carnncola.
La cartilagine della terza palpebra dell' altro lato, dopo es-
sere stata isolata ed indurata in alcool ordinario, venne sottil-
mente sezionata e^'colorita con carminio di Grenacher. Essa mo-
strò avere i caratteri spiccati di cartilagine fibrosa.
Ck)n questa Notizia ho cercato di utilizzare, nel miglior modo
che mi è stato possibile, un materiale di studio assai raro ad
incontrarsi nella nostra Scuola, e tanto che ritengo sommamente
difficile trovarmi nella stessa circostanza una seconda volta.
LFAIO S!
, SOLFATO ST
-A
ED ALCUNI LORO AMMON-DERIVATI
DI
ANTONIO LONGI
Molto ristrette sono le cognizioni che si hanno sul solfato
stannoso e, poiché sembra che nemmeno ne sia stata mai fatta
r analisi, molti trattatisti si sono astenuti dall' assegnargli una
formula.
Nella speranza che il solfato stannoso od un solfato stannoso
alcalino presentassero una stabilità maggiore del cloruro e che la
loro soluzione potesse quindi con vantaggio sostituirsi a quella
di cloruro stannoso per le molteplici operazioni analitiche nelle
quali quest' ultinia viene impiegata, io ho preparato e studiato
il solfato stannoso ed un solfato stannoso- ammonico.
Vari sono i metodi per i quali può ottenersi il solfato stan-
noso, ma ho dovuto convincermi che il migliore fra tutti è quello
per il quale lo si ottiene dalla reazione delF acido solforico sul-
r ossido stannoso.
Riempii di anidride carbonica un pallone della capacità di
quattro litri circa e vi versai una soluzione recentissima di
cloruro stannoso proveniente da 300 gr. di buono stagno puri-
ficato per filtrazione (*). A questo pallone adattai tosto, per
mezzo di un tappo di gomma a tre fori, un tubo a rubinetto
munito di imbuto, un sifone il cui braccio interno scendeva fino
(«) Metodo di Curter (Dingl. polyt. Journ t CCXV. 469).
72 A, LONGI
al fondo del pallone ed un corto tubo piegato ad angolo retto.
Air estremità^ esterna del sifone era adattato un tubo di guiuma
chiuso con una pinzetta; il corto tubo piegato ad angolo retto
poneva il pallone in comunicazione con un apparecchio Kipp
ad anidride carbonica.
Dopo avere immerso il pallone in un bagno di acqua bollente,
per mezzo dell' imbuto a rubinetto aggiunsi a poco a poco am-
moniaca fino a leggero eccesso e terminai di riempire il pallone
con acqua distillata bollita. L' idrato stannoso formatosi si tra-
sforma in questo modo in ossido il quale cade ben presto al
fondo del pallone. Mercè V apparecchio adoperato, si può, senza
far venire V ossido stannoso in contatto dell' aria, separare il
liquido e sostituirlo con anidride carbonica e continuare così a
lavare con acqua distillata bollente fino a che il liquido decan-
tato si mantenga perfettamente limpido coir aggiunta di nitrato
di argento.
L' ossido . stannoso ottenuto è grigio cupo in forma di sca-
gliette lucenti di aspetto grafi tolde; esso fu. trattato con una
quantità di acido solforico (gr. 240) di poco inferiore alla teorica
(gr. 249), il risultante solfato fu disciolto; in acqua bollente e
la soluzione filtrata. La soluzione, di reazione acida, fu evaporata
a b. m. fino a metà del suo volume.
Durante l'evaporazione si formavano alla superficie del liquido
delle croste di minuti cristalli strettamente intrecciati le quali
mano mano cadevano al fondo.
Questi cristalli A. furono separati e dalle acque madri, per
ulteriore evaporazione, si ottennero nuovi cristalli B.
Fu ripetuta la preparazione del solfato stannoso disciogliendo
però l'ossido stannoso in un eccesso di acido solforico (300 gr.)
ed ottenni analogamente dei cristalli A', e dalle acque madri
di essi altre croste cristalline B'.
I quattro prodotti furono spremuti bene fra carta e quindi
asciugati nel vuoto su pomice imbevuta di acido solforico.
II corpo ottenuto si presenta in forma di piccolissimi cristalli
bianchi traslucidi alcuni dei quali esaminati al microscospio
mostrarono abito prismatico; essi poiché presentarono il feno-
meno dell'estinzione furono ritenuti come appartenenti al sistema
trimetrico. In altri cristalli fu osservato che alle facce prisma-
tiche si associavano facce laterali di pinacoidi e che spesso a
SOLFATO STANNOSO, SOLFATO STANNOSO-AMMONICO KC. 73
queste si univano i domi. Per la loro piccolezza riuscì però im*
possibile qualunque altra determinazione cristallografica (')•
Esso sì discioglie in poca acqua dando un liquido limpido il
quale, per V aggiunta ulteriore di acqua, si intorbida per la for-
mazione dì solfati basici insolubili: poche gocce di acido cloroi-
drìco , rendono di nuovo il liquido limpido. Tal soluzione precipita
in bianco col cloruro baritico, e trattata col solfuro idrico, cogli
alcali, coi solfuri alcalini, col cloruro mercurico e col cloruro di
bismuto (previa aggiunta dì idrato potassico in eccesso) dà le
reazioni proprie dei sali stannosi: essa non dh precipitato quando
sia bollita con soluzione concentrata di nitrato ammojiipo.
Riscaldato a 100% in tubi nei quali si fece passare una cor-
rente di idrogeno secco, subì delle diminuzioni di peso del tutto
insignificanti.
Riscaldato ad elevata temperatura facilmente si scompone
emettendo anidride solforosa.
ANALISI QUANTITATIVA
Le^ determinazioni fatte sui quattro prodotti A, B, A' e B
asciugati a 100" in corrente di idrogeno furono:
a) Determinazione dello stagno — Questa determinazione fu
fatta con vari metodi: da soluzioni titolate del prodotto in acqua
acìdulata con acido. cloroidrico fu precipitato lo stagno con ni-
trato ammonico previa sopraossidazione con acido nitrico, op-
pure fu precipitato con solfuro idrico ed il resultante solfuro fu
per arrostimento convertito in ossido stannico; od altrimenti
in soluzioni titolate ìu acqua fortemente acìdulata con acido
solforico fu determinato lo stagno con soluzione ^ di perman-
ganato potassico.
b) Determinazione del residuo SO^ allo stato di BaSO* dopo
aver separato lo stagno allo stato dì SnO- o dì Sn*S-.
A .
Da 0,925 gr. dì sostanza si ottennero 0,6574; 0,6577 gr. di
SnO^ corrispondenti a 0,51716; 0,51746 gr. di Sn = 55,90;
65,94 7o Media 55, 92 o/, .
(*) Qaeste notizie mi vennero gentilmente comanicate dal sig. Dott. Luigi Busatti.
74
A. IX>NOI
Per 0,3962 gr. di sostanza si richiesero 37,1; 36,9; 36,8 ce.
di K«Mn»0»i^ corrispoudenti a 0,21889; 0,21771; 0,21712 gr. di
Sn— 55,24; 54,94; 54,80 «/o- Media 54,87»/..
Da 0,925 gr. di sostanza si ottennero 0,9895 ; 0,9855 gr. di
BaSO» corrispondenti a 0,40776; 0,40606 gr. di SO» =44,07;
43,90 7o. Media 43,98 V,.
B
Per 0,2954 gr. di sostanza sì richiesero 27,7; 27,5; 27,5 ce.
di K'Mn^O'j^ corrispondenti a 0,16343; 0,16225; 0,16225 gr. di
Sn=55,32; 54,93; 54,93 «/o- Media 55,06 «/o-
A'
Da 0,8174 gr. di sostanza si ottennero 0,5720; 0,5734 gr. di
SnO* corrispondenti a 0,45000; 0,45122 gr. di Sn = 55,05;
55,20 Vo- Media 55,12 7,.
Per 0,3652 gr. di sostanza si richiesero 34,1; 33,9; 34,0 ce.
diK«Mn«0»iB corrispondenti a 0,20119; 20001; 20060 gr. di
Sn = 55,07; 54,23; 54,75 7,. Media 64,580/".
B'
Per 0,3421 gr. di sostanza si richiesero 31,5; 31,0; 31,2 ce.
di K«Mn«0« ì^ corrispondenti a 0,18585; 0,18290; 0,18408 gr. di
Sn=54,23; 53,46; 53,81 7o. Media 53,83 »/„.
I resultati di queste analisi sulla composizione dei quattro
prodotti, fatte le medie complessive, così si riassumono:
A
B
A'
B'
Sn
55,45
55,06
54,85
53,83
SO*
43,98
44,85
Ascrivendo al solfato stannoso la formula Sn SO* o meglio
Sn* (SO*)* la sua composizione centesimale sarebbe:
Sn = 55,14
SO* = 44,86
SOLFTAO STANNOSO, SOLFATO STANNOSO-AMMONICO EC. 75
n solfato stannoso lasciato alV aria molto energicamente ne
assorbe V ossigeno per trasformarsi in ossido e solfato stannico.
La sua soluzione pure abbandonata a se molto prontamente
depone dell'ossido stannico ed il liquido limpido, per T ebollizione
con nitrato ammonico, precipita ossido stannico.
Il solfato stannoso, come reattivo, non può dunque sostituirsi
con vantaggio al cloruro perchè la sua soluzione è troppo facil-
mente alterabile; nonostante ciò io ne determinai il coefficente di
solìibilità e per tale ricerca io mi valsi della porzione A' siccome
quella che all' analisi dette i numeri più prossimi a quelli teorici.
Il solfato stannoso ridotto in polvere fu posto in una bottiglia
a tappo smerigliato, fu aggiunta una quantità di acqua relativa-
mente molto piccola, fu sostituita l'aria con idrogeno, fu agitato fre-
quentemente per due giorni e quindi filtrata la risultante soluzione.
La quantità di solfato stannoso disciolto fu determinata da
quella di SnO* e di BaSO^ che tal soluzione forniva, nel qual
modo fu possibile verificare che le- quantità di Sn e SO^ si
erano mantenute fra loro nel rapporto ^, la qual cosa era in-
dispensabile per decidere se il liquido esaminato fosse la vera so-
luzione del solfato stannoso opi)ure di un prodotto della sua
scomposizione coli' acqua.
Temperatura del liquido all' atto della filtrazione 12^
1. — 6,1396 gr. di soluzione dettero 1,195 gr. di SuO- e
1,866 gr. di BaSO^
IL — 8,712 gr. di Soluzione dettero 1,682 gr. di SnO* e
2,6246 gr. di BaSO*.
Coefficente di solubilità del solfato stannoso a M^
calcolato dell* SnO*
Calcolato dal BaS0«
L
2,632
2,582
•
II.
2,630
2,620
Media
2, 616 (») .
(') C. Marignac nella sua memoria ^Recherches sur les formes cristallines et
la composition chimique de divers sels » (Annales dee Mines, 5.® Serie, Xll, p. 54) ri-
ferendo molto laconicamente sulla solubilità del solfato stannoso dà, come .coefficente
di solubilità di questo corpo a 19", 5 V3 numero molto discosto da quello da me trovato.
76 A. LONQI
Dumas, nel suo Traile de Chimie appliquée aux arts ('), par-
lando della difficoltà che presentano allo studio i solfati stannico
e atannoso, accennò alla probabilità che questi due sali potessero
formare coi solfati alcalini composti più facilmente studiabili.
Però nonostante che tali combinazioni non siano state mai da
alcuno né studraternè ottenute, se si eccettuano le (K*SO*-f~SnSO*)
e (K-SO*-|-(SnSO^)*) che Marignac ha appena accennate (*), pure
in alcuni trattati trovasi scritto che il solfato stannoso dà coi
solfati alcalini dei solfati doppi meno facilmente ossidabili pel
contatto deir aria.
10 ho voluto tentare la preparazione di; combinazioni del
solfato stannoso con quello ammonico.
Convertii 300 gr. di stagno in ossido stannoso il quale fu
trattato con 300 gr. di acido solforico e subito dopo con una
soluzione contenente 335 gr. di puro solfato ammonico. Riscaldai
la mescolanza a b. m. aggiungendo ad essa tant' acqua bollente
fino a che il formatosi solfato stapnoso non si fu completamente
disciolto. Per la evaporazione si formarono delle croste bianche
formate da aggregati di minutissimi cristalli À.; esse furono
separate dalle acque madri, dalle quali, per evaporazione ulte-
riore si ottenne un altro prodotto B. di aspetto simile al primo.
In un altra preparazione la soluzione risultante dalla me-
scolanza dei solfati stannoso ed ammonico fu evaporata per Vs
circa, fu rigettata T acqua madre ed il residuo ridisciolto nella
minor quantità possibile di acqua distillata bollente. Per la eva-
porazione di questa soluzione si ottennero pure due frazioni A',
e B', le quali apparentemente differivano dalle prime solo per
una leggerissima colorazione giallognola.
I quattro prodotti furono come, i quattro precedenti di
solfato stannoso, spremuti fra carta e posti ad a sciugare nel
vuoto suir acido solforico.
11 corpo ottenuto si presenta in forma di aggregati di cri-
stalli bianchi, traslucidi, minutissimi sui quali non fu possibile
fare alcuna determinazione cristallografica. Analogamente al
solfato stannoso, dà una soluzione che viene intorbidata per
r aggiunta ulteriore di acqua. Sottoposto air analisi dette le
O T. in, p. 173. Paris 1831.
(^) V. Memoria citata.
SOLFATO STANNOSO, SOLFATO 8T ANNOSO- AHUONICO EC. 77
reazioni proprie dei soIfati,^ dei sali stannosi e di quelli amtnonici.
Riscaldato a 100* in corrente di idrogeno non subì sensibili di-
minuzioni di peso. Riscaldato a temperatura elevata facilmente
si scompone.
ANALISI QUANTITATIVA
Le determinazioni furono fatte sui quattro prodotti A, B, A'
e B' asciugati a 100* in corrente di idrogeno.
A
Da 1,0888 gr. di sostanza si ottennero 0,5702; 0,5711 gr. di
SnO* cwrispondenti a 0,44865; 0,44928 gr. di Sn ==» 41,19;
42,10»/,. Media 41,64 •/„.
1,954 gr. di sostanza sottoposti alla distillazione con soda
fornirono una quantitài di ammoniaca equivalente a 69,9 ce. di
NaOH'/.o corrispondenti a 0,12582 gr. di NH*^6,43 7o.
Da 1,0888 gr. di sostanza si ottennero 1,3572; 1,3557 gr. di
BaSO» corrispondenti a 0,55917; 0,55859 gr. di SO' = 51,35;
51,30 7o. Media 51,32 0/,.
B
Per 0,3199 gr. di sostanze si richiesero 22; 22,6; 22,2 ce.
di K»Mn«0« '1,00 corrispondenti a 0,1298; 0,13334; 0,13098 gr. di
Sn=40,57; 41,99; 40,94 V,- Media 41,16 V,.
A'
Per 0,513 gr. di sostanze si richiesero 36,9; 36,6; 36,5; ce.
di K*Mn«0«7,oo corrispondenti a 0,21771; 0,21594; 0,21535 gr.
di Sn — 42,43; 42,09; 41,97 o/,. Media 42,16 0/0.
Da 1,7862 gì*, di sostanza, da cui fu separato lo stagno col
solfuro idrico, si ottennero 0,6232 ; 0,627 gr. dì Pt corrispon-
denti a 0,11366; 0,11437 gr. di NH* = 6,36; 6,40 V,- Me-
dia 6,38 7, •
B'
Per 0,5695 gr. di sostanza si richiesero 40, 6; 40, 5; 40, 5 ce.
di K*Mn«0« '/.oo corrispondenti a 0,23954; 0,23895; 0,23895 gr.
di Sn =42,06; 41,95; 41,95 «/o- Media 41,99.
78
A
A. tOilCii
B
• A'
B'
Sn
41,64
41,15
42,16
41,99
NH*
6,43
—
6,38
—
S0«
51,32
—
»
—
Per questi risaltati si viene a concludere essersi ottenuto il
sola composto corrispondente alla formula Sn-(SO*)*+ (NH*;*SO*,
nonostante che si fosse aggiunta al solfato stannoso una quan-
tità di solfato ammonico di modo che i loro pesi stassero nel
rapporto di ^^i^,.
La composizione centesimale teorica del Sn*(SO*)*+(NH*)'SO*
sarebbe:
Sn = 42,14
NH* = 6,42
SO* — 51,42
11 solfato stannoso-ammonico si soprossida molto prontamente
a contatto dell' aria. La sua soluzione, abbandonata a se, tanto
presto quanto quella del semplice solfato stannoso, abbandona
ossido stannico ed il liquido soprastante precipita pure ossido
stannico per V ebollizione con nitrato ammonico.
Determinai il coef¢e dì solubilità del solfato stannoso-
ammonico in modo analogo a quello tenuto per la fissazione
del coefficente del solfato stannoso.
Temperatura del liquido all'atto della filtrazione 11^5.
I. — 12,8525 gr. di soluzione dettero 1,968 gr. di SnO^ e
4,483 gr. di BaSO^.
II. — 12,843 gr. di soluzione dettero 1,971 gr. di SnO^ e
4,4035 di BaSO*.
III. 12,849 gr. di soluzione sottoposti alla distillazione con
soda fornirono una quantità di ammoniaca equivalente a 63 ce.
di NaOH 75 corrispondenti a 0,2268 gr. di NH*.
IV. — 12,8505 gr. di soluzione sottoposti alla distillazione
con soda fornirono una quantità di ammoniaca equivalente a
63,5 ce. di NaOH "/a corrispondenti a 0,2286 gr. di NH*.
SOtFATO 3TANN0S0, SOLFATO STANNOSO-AMMONICO EC.
79
Coefflcente di tolubilità del solfato stannoto-ammonlco a 11<>,6
calcolato dall' SnO<
calcolato dal BaSO<
n.
calcolato dalf NH«
2,498
2,ff78
3,490
2,640
III.
IV-
2,642
2,613
Media 2,577
L* ammoniaca è capace di formare delle combinazioni con
vari composti dello stagno. Fra le combinazioni ammon-stanniche
si possono citare
Sn CH, 2 NH3 di Rose
Sn CIS 4 NH^ di Qouvelle e Persoz
Sn Br*, 2 NH^ di Ragman e Preis
Sn P, 8 NH-' di Rammelsberg;
però di combinazioni ammon-stannose non è a mia cognizione
che la Sn CP, NH^ di Persoz.
Neir intento di venire in conoscenza di naove combinazioni
ammon-stannose io sottoposi air azione deir ammoniaca T ossido
stannoso, il solfato stannoso ed il solfato stannoso-ammonico.
Questi composti, ridotti in tenuissima polvere, furono asciugati
in corrente di idrogeno in tubi riscaldanti a 100% furono pesati
e fu fatta passare su di essi ammoniaca perfettamente secca.
L* ossido stannoso non si combina coir ammoniaca né ad
una temperatura di vari gradi sotto 0% né a 25''-30'' né a 100*
né a 200».
11 solfato stannoso assorbe ammoniaca tanto alla temperatura
ordinaria che a lOO"" trasformandosi in un composto colorato
intensamente in giallo; questa combinazione però si effettua
molto lentamente e sono necessari molti giorni avanti che i
tubi cessino di aumentare di peso.
80 A, tONGl
I. 5,168 gr, di solfato stannoso assorbirono 1,639 gr. di
ammonìaca;
IL 7,243 gr. di solfato stannoso assorbirono 2,281 gr. di
ammoniaca;
per cui si deduce che il composto giallo contiene 24,07[;|23,94 Vo
di ammoniaca e che gli si può ascrivere una delle due formule
Sn SO*, 4NH'* ; Sn« (SO*)S 8NH^
che richiedono 24,11 7o ^' ammoniaca.
Esso si scompone colla massima facilità per V azione del-
l' acqua. Abbandonato all' aria ne assorbe V umidità: emette am-
moniaca e si trasforma in una polvere bianca risultante da
«
solfato ammonico ed ossido stannoso.
11 solfato stannoso assorbe pure ammoniaca quando sia ri-
scaldato alla temperatura di 180*-200^; in queste condizioni
I. 8,140 gr. ne assorbirono 0,305 gr.;
II. 9,252 gr. ne assorbirono 0,359 gr.
U composto che ne risulta è colorato in giallo pallido e con-
tiene 3,61; 3,73 7o ^^ ammoniaca. Ad esso si può assegnare la
formula
Sn* (SOOS Nff
che richiede 3, 82 Vo ^i ammoniaca (').
Per r azione dell'acqua esso si scompone in solfato ed ossido
stannoso e solfato ammonico.
Il solfato stannoso ammonico assorbe pure ammoniaca alla
temperatura ordinaria acquistando una bella colorazione gialla.
I. 2,6925 gr. ne assorbirono 0,3050 gr.;
II. 3,3655 gr. ne assorbirono 0,4000 gr.
(*) Il solfato stannoBO ridotto in tenuissima polvere e sospeso nel cloroforme anidro
assorbe pure V ammoniaca secca trasformandosi in un composto colorato in giallo-
pallido. Sul prodotto, asciugato in una corrente di idrogeno secco, fu determinato
r SO^ e per media di due determinazioni concordanti si ottenne per rapporto cente-
simale 41,02; però, per un caso fortuito essendosi guastalo il prodotto, non potei più
*fare le determinazioni dello stagno e deir ammoniaca la quale ultima specialmente
era necessario, in questo caso, determinare; perciò per il solo dato ottenuto io non
posso decidere se alla combinazione formatasi sia da assegnarsi la formula SnSO^, NIP
(o meglio Sn« (SO*)*, 2NH3 ) per cui si richiede 41,57% ài SO* oppure V altra
Sn« (S0*)«, 3NH» la quale richiederebbe 40,91 % di SO*.
SOLFATO STANNOSOy S0t#À90 8TANNO0O-AMMONICO IC 81
II risaltante composto contiene, dunque, 10,19; 10,62 7o eli
ammoniaca e corrisponde alla formula
Sn« (NHT (SO0^ 4NH3
per la quale si richiedono 10,82 ^/q di ammoniaca.
Coir acqua esso si scinde in ossido stannoso e solfato am-
monico.
È questione non ancor definita se le combinazioni stannose
contengano un atomo di stagno funzionante da bivalente, op-
pure due atomi tetravaleuti di questo elemento i quali per es-
sersi reciprocamente uniti per due unità di saturazione vengano
a formare un aggruppamento tetrav alente.
Lo studio delle combinazioni stannose presenta delle notevoli
difficoltà per causa della loro estrema tendenza a trasformarsi
in derivati stannìci e da ciò deriva se su molte di esse si hanno
solamente cognizioni molto incomplete. Il composto meglio stu-
diato è certamente il cloruro; e le ricerche fatte su questo corpo
ci permettono di fare alcune considerazioni sulla costituzione
delle combinazioni stannose. Per due determinazioni della densità
di vapore del cloruro stannoso, fatte da Rieth e delle quali egli
si limitò esclusivamente a comunicare i risultati (*), si potrebbe
dedurre che ciascuna molecola di esso contiene un solo atomo
di stagno; però più recentemente V. e C. Meyer avendo fatta la
stessa determinazione O trovarono per la densità di vapore i
valori
12,85 alla temperatura di 619®
e 13,08 , , , 697*
i quali li condussero a stabilire che Sn* Cl^ esprimeva la gran-
dezza molecolare del cloruro stannoso.
Th. Carnelly O si oppose alle conclusioni dedotte pei risultati
ottenuti'dai due Meyer, perchè le loro determinazioni erano state
fatte a temperatura troppo vicina al punto di ebollizione del
cloruro stannoso (^). In seguito a ciò V. Meyer ed H. Zùblin
0) Berliner Berichte HI, 66S.
O ivi XII, 1197-1198.
(3) BerUaer Berichte XII, 1836.
(^) Lo stesso Carnelly iasieme eoa Carleton Williams hanno trovato che esso
bolle fra 617o e 628. (Berliner Berichte XII, 1370).
A. Noi. VoL VII, fisioio. 2.0 6
82 A. LONOI
ripeterono le esperienze alla temperatura di 800* e 970* e tro-
varono (') che in queste condizioni il cloruro stami oso (non de-
componendosi affatto con liberazione di cloro) forniva un volume
doppio di quello ritrovato alla temperatura di 619^ e 697'; per
cui essi stabilirono che il cloruro stannoso allo stato di vapore
esiste in due stati distinti a seconda della temperatura: quello
di Sn* CI* a temperatura più bassa e quello di Sn CI* a tempe-
ratura più elevata.
À me sembra però che per tali ricerche si possa quasi sicura-
mente decidere sulla esistenza dell' aggruppamento =Sn=Sn=',
poiché il valore 13,08 tanto vicino al teorico 13,06 fu deter-
minato ad una temperatura (697°) di circa 75* superiore a quella
di ebollizione del cloruro stannoso, per cui non si può du))itare
che esso non si trovasse allo stato di vapore perfetto.
Ogni dubbio però sarebbe del tutto rimosso quando si po-
tessero produrre ancora argomenti di ordine chimico in favore
dell'aggruppamento =Sn— Sn=,
Per analogia col carbonio e col silicio, nonostantechè non
si sia potuto ancora determinare direttamente la grandezza ^mo-
lecolare del protocloruro di silicio ottenuto da Troost e Haute- '
feuille (*), si dovrebbe ottenere per lo stagno un cloruro Sn* CI*
intermedio fra quello stannico e lo stannoso : A. Ladenburg (^)
tentò infatti di ottenere un prodotto di alogenazione intermedio
facendo agire il bromo sul cloruro' stannoso, ma la grande
energia dell' alogeno e la poca stabilità dei legami per ì quali
stanno uniti fra di loro gli atomi di stagno, gli impedirono di
arrestare la reazione alla formazione di un prodotto del tipo
Sn*(X')*; egli giunse però a dimostrare la esistenza di un pro-
dotto di questo tipo studiando le combinazioni dello stagno coi
residui alcoolici.
Frankland (*) e Lóvig (^) scoprirono che per V azione della
lega di stagno e sodio suU' ioduro etilico si formano diversi etil-
derivati dello stagno: lo stagno- tetraetile, -trietilioduro, -trietile
e -dietile. Se lo stagno-dietile avesse potuto volatilizzarsi senza
Q) Berlinep Berichte XIII, 811-815.
(*) Comptes rendus, 1871, LXXIII, 567.
(^) Ann. d. chem. u. Pharm. Vili Supplementband 60-^3.
(*) ivi LXXXV, 329.
W ivi LXXXIV, 308.
SOLFATO StÀl^OSOy SOLFATO STANNOSO-AMMONIOO EC. 8o
decomposizione, la questione della esistenza deir aggruppamento
=Sn="Sn^ sarebbe ornai già, stata definita, ma disgraziata-
mente egli si decompone in stagno e stagno-tetraetile : d'altra
parte poi il processo di preparazione non è tale da poter portare
alcun lume sulla sua costituzione.
Lo stagno-trietilioduro può paragonarsi ad un ioduro alcoolico,
quindi, analogamente, per azione del sodio i due residui — Sn(C*H*)'
monovalenti si dovrebbero unire per formare il composto Sn*(C*H'0*
identico allo stagno-trìetile di Frankland e LOvig. Questa sintesi
fu infatti realizzata da Ladenburg(*) e la formula Sn*(C'H^)*
che per essa fu condotto ad assegnare al prodotto ottenuto
venne in tutto confermata per le determinazioni della densità
di vapore (*).
L' esistenza di un corpo della formula molecolare (Sn*)" (X')*
è un argomento validissimo in favore della formula (Su*)*' (X)*
da assegnarsi alle combinazioni stahnose; poiché se è possibile
e provata V esistenza dell' aggruppamento ^Sa— Sn^ nessuna
ragione si oppone a che si ammetta con quasi ugual certezza
quella dell'altro aggruppamento =Sn=Sn=, nonostante che
fino ad ora non si sia riusciti ad acquistarne prove dirette.
Per queste considerazioni io assegno al solfato stannoso la
formula SO*=Sn=-Sn=SO* alla quale vengo pure condotto per
un fatto di ordine puramente chimico: Io ho precedentemente
mostrato come il solfato stannoso riscaldato fra ISO*" e 200^ as-
sorba una quantità di ammoniaca tale da formare un corpo la
cui formula più semplice è Sn«(SO*)- NH^ Ora, in considerazione,
specialmente, del bel lavoro di V. Meyer ed M. Lecco sulla co-
stituzione dei composti ammonici (^), è necessario ammettere che
r azoto si unisca direttamente ai due atomi di stagno e che la
formula di costituzione dell' ammon-derivato, che io chiamerò
solfato di ammon-stannoso, sia quindi
S0*=Snl2!.?^Sn=S0*.
Per analoghe considerazioni si devono pure ritenere' quali
combinazioni atomiche gli altri due derivati ammonici e devono
chiamarsi : solfato di octoammon-stannoso(Sn*(NH5)®) (SO^)* quello
(') Ann. d. Chem. u. Pharm. Vili Supplementband p. 64-70.
C) Ivi.
0 Berliner Berichte Vili (1875), p. 233.
84 !• lAVai — SC^JATO STANNOSO, SOIiFÀTO BC.
ottenuto dal solfato stannoso, e solfato di tetraamtnon-stannoso
ammonico (Sn«(Nff)* (NH*)^(SO*)=' quello ottenuto dal solfato
stannoso ammonico, al quale ultimo dorpo non si può a meno
di assegnare la formula
QO*-qn-q«/S0*-NH*
SO -^n-Snv^gQ4_jjg4
poiché infatti se le parti costituenti del solfato ammonico non
si fossero unite direttamente a quelle del solfato stannoso, per
un nuovo reparto delle valenze proprie a ciascuno dei cinque
elementi, il risultante corpo si sarebbe razionalmente compor-
tato, per V azione delP ammoniaca, quale una mescolanza di sol-
fato stannoso e solfato ammonico e ne sarebbe risultato un
tutto con una composizione corrispondente ad un solfato di
octoammon-stannoso ammonico, mentre che, come ho mostrato,
io ottenni in questo caso un tetraammon-derivato.
Questo studio mi ha offerto dunque di pronunciarmi in favore
del tipo (Sn')"(X')* al quale necessariamente vengo condotto
dair ottenuto solfato di ammon-stannoso. Nuovi e più importanti
fatti di ordine chimico si richiedono però per poter giungere
a stabilire definitivamente la costituzione delle combinazioni
stannose, per cui io ho in animo di continuarne lo studio in
questa direzione.
Pisa^ dal laboratorio di Chimica generale della
R. Università - Novembre i8^4.
h
B. LOTTI
CORRELAZIONE DI GIACITURA
FRA
IL PORfli iiRZlFlO E LA TRiCIlTE diARZlFÈRA
NBI DINTORNI
DI CAMPIGLIA MARITTIMA E DI CASTAGNETO
IN PKOVINCIA DI PISA
In altra occasione (*}, trattando dei graniti toscani, feci notare
che nei monti di Cam pigli a e di Castagneto si veriUca un fatto
eloquentissinio in appoggio della tesi di una stretta relazione
genetica fra i graniti e le trachiti. Dissi che da una massa di
liparite o trachite quarzifera cordieritica ben caratterizzata, che
ha interessato gli strati eocenici, dipartonsi filoni di porfido
quarzifero, i quali nei pressi eli Castagneto penetrano negli scisti
varicolori a Posidonomya Bronni del lias superiore e nei dintorni
di Campiglia attraversano i calcari del lias inferiore. Il fatto
aveva troppa importanza perchè non meritasse di essere studiato
accuratamente, e soprattutto interessava di mettere in chiaro
la vera natura di quelle roccie sulle quali, tranne alcune ricerche
del vom Rath(*) e del Vogelsang (^), non esisteva uno studio
micropetrografico completo. Tale lacuna è stata ora colmata dal
(') Lotti — Considerazioni sulla età e sulla origine dei graniti toscani. (Boll,
geol. 3 e 4 18S4;.
O G. vom Rath — Quarzpihrender Trachit von •Campiglia Marittima (Zeits.
et XVni 1866, pag. 639).
O H. Vogelsang— Philosophie der Geologie etc Berlin 1867.
86 B. LOTTI
prof. D'Achiardi e sappiamo ormai cosa pensare sulla costitu-
zione mineralogica di queste due roccie, le quali, sebbene tanto
diverse nel modo d'aggregazione e nell' aspetto esterno, pei fatti
che andremo esponendo sono da ritenersi unicamente quali mo-
dalità di uno stesso magma eruttivo dovute alle condizioni dif-
ferenti in cui avvenne il suo consolidamento.
Dai geologi toscani Savi, Pilla, Meneghini e da altri le roccie
feldspatiche di Campiglia furono sempre denominate riacoliti
o tcachiti quarzifere. Il vom Rath, cui son dovuti tanti eruditi
lavori sulle roccie eruttive del nostro suolo, analizzò e descrisse (')
una roccia eruttiva del Campigliese, che per la presenza di una
pasta amorfa di feldspato sanidinìco e per V intiero suo abito
credè di poter classificare fra le trachiti. Gli rimase però qual-
che dubbio essendoché la roccia conteneva un buon numero di
diesaedri di quarzo e la cordierite, cosa insolita nelle roccie vul-
caniche; ad avvalorare questo dubbio aggiungevasi che nei din-
torni era stata osservata pure una roccia porfirica in filoni,
non lungi dalla massa ritenuta di trachite. Per togliere ogni
dubbio r Autore volle nuovamente visitare il Campigliese (-) e
percorrendo la valle delle Rocchetto, che taglia in traverso le
colline eruttive di S. Vincenzo, si convinse che esse erano vera-
mente formate di trachite. Il confronto poi della roccia eruttiva
delle colline con quella granitico-porfirica dei filoni, la loro non
dubbia connessione, la presenza in ambedue della cordierite fe-
cero certo r Autore della impossibilità di tener distinta la roccia
supposta trachitica della massa da quella porfirica dei filoni e
non potendo ritenere quest' ultima *quale trachite finì per con-
cludere che la roccia della massa non era da classificarsi fra le
trachiti. La instabilità nella opinione di questo profondo osser-
vatore a riguardo delle roccie feldspatiche del. Campigliese di-
pendeva manifestamente dal fatto che la struttura della roccia
in filoni è tutt' altro che trachitica, ad onta che la sua connes-
sione con quella veramente trachitica della massa apparisca in-
contestabile.
Le ricerche micropetrografiche del D' Achiardi, i risultati
delle quali son resi di pubblica ragione in questo stesso volume
(») G. vom Rath — Zeies. ,XVm, pag. 639.
(*) G. vom Rath — Dte Berge vom Campiglia etc. — (Zeits. etc XX, 1868,
pag. 326-327) .
OOBBELAZIONE DI GIAOITURÀ FRA IL PORFIDO E LA TRAGHITE QUARZIFERA 87
degli Atti della Società toscana di Scienze naturali, hanno pie-
namente dimostrato che la roccia costituente la quasi totalità
della massa eruttiva nelle colline fra S. Vincenzo e Castagneto
è non solo una vera e propria trachite quarzìfera, ma una tra-'
chite a pasta fondamentale vetrosa, e che la roccia la quale
comparisce in filoni in prossimità della massa trachitica è por-
fido quarzifero che appena dififerisce da altri porfidi quarziferi
per avere i grossi cristalli isolati di feldspato somiglianti più
alla sanidina che air ortose.
Dopo ciò interessava vivamente di constatare i rapporti
geologici fra la roC'Cia trachitica e il porfido quarzifero, rapporti
soltanto intraveduti dal vom Bath e dagli antichi geologi to-
scani, i quali, con questo esempio del Campigliese e coir altro
deirElba, non seppero mai trovar differenza per la genesi e
per r età fra i graniti e le trachiti. A questo scopo mi proposi
ed eseguii colla massima cura il rilevamento geologico della re-
gione compresa fra Castagneto e Campiglia, sulla carta alla
scala di Vsoooo ^®^ nostro istituto geografico, ed ora ne vado
esponendo brevemente i risultati, mentre la unita cartina geolo-
gica mi dispensa dal descrivere la conformazione della località
e la distribuzione topografica delle roccie.
La massa trachitica delle colline littoranee le quali, con
un'altezza media sul mare di circa 150 metri, stendonsi fra il
Botro ai Marmi presso Campiglia e quello di S. Maria presso
Castagneto, non presenta notevoli varietà, e quella di Donoratico,
studiata dal D' Achiardi, si può considerare come il tipo di
questa formazione. Quasi dappertutto ritrovaosi in essa quelle
inclusioni micaceo-pirosseniche, con cristalli piramidali di quarzo,
descritte dallo stesso Autore. Una varietà nera di trachite, che
apparisce in zone alternanti con quella biancastra o grigia or-
dinaria, contiene, come le inclusioni, gruppi cristallini di piros-
seno verdecupo. Presso S. Vincenzo ed anche altrove la trachite
presenta una pseudostratificazione marcatissima di cui approfit-
tano i cavatori in quella località per farne lastre da pavimenti,
gradini etc. Sulla sinistra del Botro delle Rozze o delle Bocchette
la roccia eruttiva diviene parzialmente pumicosa e può notarsi
che la vetrificazione ha interessato soltanto la massa fondamen-
tale; il quarzo, i cristalli più grossi di sanidina e la biotite sono
rimasti impigliati nelle sfilacciature pumicee. Questa parziale
88 B. LOTTI
vetrificazione si ritrova poi frequentemente al contatto cogli
strati calcareo-argillosi eocenici, che appariscono qua e là in
lembi, quali residui d* un mantello che ricuopriva un tempo la
massa eruttiva. Presso questo contatto, sempre sulla sinistra
del Botro delle Bozze, apparisce una breccia di aspetto resinitico
che ricorda quelle brecciole calcaree a nummuliti non rare nei
terreni eocenici; vi si osservano infatti frammenti angolosi di
varie dimensioni, grìgiochiari, grigiocupi, giallastri, neri, senza
dubbio in origine calcarei, che furon poi convertiti in silice re-
sinoide per sostituzione chimica. Certo è che gli elementi di
questa roccia non furono cementati posteriormente alla loro
silicizzazione, ma essa si operò sulla roccia aggregata. La tra-
chite poi ravvolge qui alcuni frammenti del calcare eocenico di
contatto perfettamente inalterato ed a luoghi è convertita in
retinite, talora gialla, talora colorata in rosso vivo da sesquios-
sido di ferro.
Risalendo le valli delle Bocchette e di Bufalareccia osservasi
che la massa eruttiva delle colline viene a contatto coi terreni
liassici costituenti la parte montuosa della regione; ma in tal
caso la roccia eruttiva non è più trachite, come a Donoratico
e a S. Vincenzo ove è a contatto cogli strati eocenici, ma por-
fido quarzifero identico a quello dei filoni. Al Poggio Lombardo
la roccia porfirica sta in contatto cogli scisti varicolori a Posi-
donomya Bronni del lias superiore e poco appresso, al Poggio
delle Ginepraje, tale contatto verificasi coi calcari bianchi del
lias inferiore, i quali non presentano! alterazione di sorta, né
sono cristallini come nella conca di Campiglìa, ma soltanto ce-
roidi e fossiliferi, come gli analoghi del M. Pisano, delle Alpi
Apuane e deir Elba. Girando intomo al Poggio delle Ginepraje
la massa eruttiva ritorna in contatto cogli scisti del lias su-
periore, pur mantenendosi porfirica; e poi, più a Sud, coi sedi-
menti eocenici divenendo nuovamense trachitica. L'ampiezza
della zona porfirica di contatto è un pò* indeterminata, ma può
raggiungere air incirca 500 metri.
Nel letto del Botro di S. Maria presso Donoratico, in quel
di Castagneto, vedesi il porfido quarzifero penetrare negli scisti
del lias superiore a guisa di filone, con 5 o 6 metri di spessore,
che espandesi poi più sopra, sulla sinistra del fosso, in una pic-
cola massa cupolare circoscritta dagli scisti stessi. La roccia,
CORRELAZIONE DI GIACITURA FRA IL PORFIDO E LA TRACHITB QUARZIFERA 89
che è appunto quella studiata dal D^ Achiardì, presenta grossi
cristalli di feldspato alquanto vetroso, nel quale sta diffusa
molta biotite e qualche prisma di pini te. Nella pai'te più su-
perficiale deir afiSoramento essa diviene pumicosa, come vedemmo
accadere per la trachite, e fra la porzione vetrificata e quella
cristallina vi è un passagi^io graduato che può osservarsi in uno
stesso campione. In accordo con quanto vedemmo verificarsi
per la trachite, anche nella porzione pumicosa del porfido è
soltanto la pasta feldspatica che si h vetrificata, mentre i grossi
cristalli di feldspato, il quarzo e qualche lamina di mica ap-
parentemente decolorata, vi sono impigliati.
Due filoni perfettamente paralleli di porfido quarzifero, aventi
uno spessore medio di 4 o 5 metri e diretti da N. N. 0. a S. S. E.
attraversano 1 calcari del lias inferiore, tanto ceroidi che sac-
caroidi, della conca di Campiglia e lungo il loro percorso, per
più che due chilometri, sono scortati dai celebri giacimenti pi-
rossenico-metalliferì tanto bene descritti dal Savi (') e dal vom
Rath (*). In un punto del filone più occidentale, presso il Pozzo
Coquand, il porfido quarzifero è tanto intimamente collegato ai
silicati ferrocalciferi (pirosseno, epidoto e ilvaite) che esso pure
è in parte divenuto pirossenico ed epidotifero. Poco più sopra
osservasi nello stesso filone che la roccia eruttiva diviene felsi-
tica od euritica al contatto coi calcari, i quali del resto non
soffersero alterazioni di sorta. I cristalli di feldspato, porfirica-
mente diffusi nella roccia di questi filoni, sono per lo più alquanto
trasparenti, forse però non come quelli di vera sanidina ed in
qualche punto, come ad esempio presso la Cava del Piombo nel
filone orientale, hanno più V aspetto dell' ortose che quello della
sanidina.
Una massa eruttiva isolata, in forma di cupola, riapparisce
nella valle del Botro ai Marmi, verso Campiglia, al disotto dei
calcari grigi saccaroidi (bardigli) a couzeranite, che costituiscono
il terreno più antico della serie geologica di questi dintorni e
son forse riferibili allkinfralias, se pure non debbono riunirsi al
lias inferiore coi marmi bianchi sovrapposti. La roccia eruttiva
è qui anche meno somigliante alla trachite di quello che non
(>) Savi Paolo — Oss. geoL sul Campigliese (N. Oiorn. Lett XVUI, Pisa 1829).
(*) G. vom Rath — Die Berge von Campiglia ec^ (Zeita. etc XX, 1868).
90 B. LOTTI
lo sia il porfido quarzifero preso finora in considerazione, dal
quale diffarisce per una più manifesta granulazione della massa,
per la mancanza di plnite e per la scarsità della mica e dei
grossi cristalli di feldspato; la sua struttura rammenta quella
di certi graniti porfirici dell'Elba, abbenchè il feldspato ortotomo
abbia pur sempre un po' d' apparenza vetrosa.
Riassumendo noteremo adunque ì seguenti fatti principali:
L Nei dintorni di Campiglia e di Castagneto le roccie
eruttive feldspatiche compariscono o in una massa cupolare
ricoperta qua e là da lembi di roccie sedimentarie eoceniche,
o in filoni negli scisti del lias superiore e. nei calcari ceroidi o
saccaroidi del lias inferiore.
2. La massa eruttiva cupolare è formata di trachite quar-
zìfera, ad eccezione di quella sua parte che viene a contatto
coi terreni Massici la quale è di porfido quarzifero, come dì por-
fido quarzifero sono pure i filoni racchiusi nelle roccie liassiche.
3. La roccia eruttiva della massa cupolare a contatto cogli
strati eocenici rimane trachite e presenta anzi a luoghi fenomeni
di vetrificazione in so stessa e dì silicizzazione nelle roccie eoce-
niche di cui racchiude qualche frammento.
4. Nessun fenomeno di contatto presenta il porfido sugli
scisti e sui calcari liassici, né tale è da riguardarsi la saccariz-
zazione dei calcari nella conca di Campiglia, poiché si osserva
che i filoni eruttivi attraversano indifferentemente i calcari ce-
roidi fossiliferi e quelli saccaroidi.
5. La roccia eruttiva che apparisce di sotto ai bardigli
del M. Bombolo, costituenti la formazione più profonda della
serie in questi dintorni, ha una struttura granitica più marcata
di quella della roccia porfirica dei filoni.
6. 1 giacimenti pirossenico-ilvaìtici, cui si associano i mi-
nerali di ferro, piombo, zinco rame e stagno^ sono strettamente
collegati ed in manifesta relazione genetica colle roccie eruttive.
Da quanto è stato esposto risulta adunque chiaramente di-
mostrato che i due tipi principali di roccie eruttive, trachite o
porfido, non rappresentano altro che modalità, di consolidamento
di uno stesso magma dipendenti da condizioni diverse in cui
esso consolidamento si verificò. Tali condizioni devono riferirsi
specialmente a differenze di profondità, potendosi così soltanto
spiegare perchè la massa eruttiva mantiensi trachitica a contatto
I
GORRRLAZIONR DI GIACITURA FRA IL PORFIDO K LA TRACHITE QUARZIFERA 91
colle roccie sedimentarie eoceniche, superficiali e di esiguo spes-
sore, mentre diviene granitico-porfirica a contatto con quelle
più profonde liassiche. La struttura granitoide della massa erut-
tiva del M. Rombolo, da riguardarsi come la più profonda, e
la saccarizzazione dei calcari liassici nelTarea metallifera di
Campiglia lascerebbero pur anco sospettare la esistenza, sotto
queir area, di una roccia decisamente granitica alla quale, come
altrove, sarebbero dovuti e i fenomeni metalliferi e il metamor-
fismo del calcare liassico.
Quanto all' età di queste roccie erdttive solo può asserirsi che
esse sono posteriori all'eocene; che se volessimo trovare un le-
game genetico fra queste e le roccie granitiche e porfiriche del-
l' Elba, del Giglio, di Montecristo e di Gavorrano, perchè esse
pure posteoceniche e in relazione con silicati ferrocalciferi e con
giacimenti metalliferi e perchè hanno a comune vari minerali
accessori, quali la tormalina e la coi'dierite o pinite, dovremmo
fissarne l'età fra la fine dell'eocene e il miocene superiore (*).
È a notarsi in proposito che, alla stessa guisa come all' Elba,
manca nel Campigliese tutta la serie miocenica e pliocenica,
che pure è ben sviluppata a poca distanza nelle valli della
Cecina e della Gornia.
Quand'anche del resto siano a tenersi distinte in rapporto
alla età le roccie eruttive del Campigliese dalle altre dell' arci-
pelago toscano, non viene con ciò menomamente diminuita l'im-
portanza del fatto che tra il granito tipico terziario dell'Elba
e la trachite quarzifera, pure terziaria, del Campigliese abbiamo
tutti i passaggi per mezzo dei graniti porfirici, dei porfidi quar-
ziferi a ortose e dei porfidi quarziferi a sanidina, tantoché i
nostri antichi geologi Savi, Pilla, Pareto, Meneghini ed altri
più recenti, fra i quali il Cocchi (*) e il D'Achiardi (*), riconob-
bero sempre uno stretto legame fra le roccie granitiche e tra-
chitiche della Toscana; legame che non era sfuggito al vom
Bath, il quale pur non divideva intieramente le idee dei geologi
Q) Lotti — Consid. sulla età e sulla origine dei graniti toscani, f Boll. geoL
3 e 4. 1884,
(•) I. Cocchi — Descr. geoL delV Isola d* Elba. ( Mem. Comit. geol. d' Italia,
I, 1871).
(^) A. D'Achiardi — Oordierite nel granito dell* Elba^ (Atti Soc. tose. se. nat.
II, 1876).
92 B. U)TTI — G0RBELA210NE DI GIACITURA FRA IL PORFIDO KG.
toscani, allorquando esclamava (*) „ Solite es in Toscana in der
That nicht móglich sein, was aller Orten so leicht ist, trachy-
tische und granitishe Gesteine zu unterscheiden ) « ed è infatti
proprio così.
(^) 6 vom Rath — Die Berge vom Campiglia. (Zeits, etc. XX» pag. 326).
Vedi tav. VII.
^
D. PANTANELLI
VERTEBRATI POSSILI
DELLE
LIGNITI DI SPOLETO
Pochi anni indietro furono scoperti nelle vicinanze di Spoleto
banchi rilevanti di lignite, che oggi concessi in esplorazione a
diverse società promettono un ricco avvenire a quella regione,
anche poi per la vicinanza di Terni centro importante d^ indu-
strie svariate.
Maggiori dettagli circa queste ligniti possono aversi da una
pubblicazione del prof. Ricci (La lignite di S. Angelo in Mercoley
Spoleto 1881); in questa interessante memoria mi si è voluto
fare V onore di pubblicare a mia insaputa uno abbozzo inedito
di carta geologica dello Spoletino da me fatta prima del 1873
e lasciata al mio ottimo amico Conte F. Toni: in questa oggi
avrei molto a ridire; fortunatamente la riproduzione litografica
è così infelicemente riuscita che mi dispensa da qualunque pos-
sibile correzione.
II banco di lignite a N. 0. di Spoleto nei pressi di S. An-
gelo in Mercole e S. Croce è compreso in una argilla d* origine
lacustre; inclina variamente ad Est con pendenza sufficientemente
regolare salvo qualche rottura locale dipendente da strisciamenti
verso r asse della valle; la sua potenza oltrepassa in qualche
località i 15 metri e sottostà alle marne lacustri di Castel Bi-
taldi dalle quali trassi in altri tempi le specie d'acqua dolce
seguenti : Bana sp. Belgrandia prototypica Brus., Neumayria la-
94 D. PANTANELLI
biata Neum., Emmericia umbra De Stef., Melanopsis Esperi Ferr.,
M. flammulata De Stef., Valvata piscinalis Mail., Neritina Patita-
nella De Stef., Pisidium Lawleyanum De Stef., Lymnaea subpa-
lustris Thom., TJnio sp. le quali, meno le due ultime furono
illustrate da De Stefani nel suo lavoro sopra i molluschi plioce-
nici continentali e sul loro ordinamento; per quanto abbia cer-
cato non mi è stato possìbile di ritrovare presso la lignite
avanzi riconoscibili di molluschi; se però questi sono mancanti,
lo stesso non può dirsi dei vertebrati e le poche specie raccolte
servono a sufficienza per determinare con precisione il piano di
queste ligniti.
Fino dal 1879 il Capellini presentò all' Accademia di Bologna
dei molarr di Mastodon di questa località; che poi nel 1881
disse appartenere al il/, arvernensis; mtanto il Conte Toni intel-
ligente e passionato raccoglitore delle ricchezze geologiche del
suo paese, andava raccogliendo quello che il caso portava alla
luce negli scavi della lignite e al precedente si aggiunse il M.
Borsoni e il Tapirtés arvernensis.
L' anno decorso essendomi recato a Spoleto anche per sod-
disfare alla mia pungente curiosità per avere io in altri tempi
percorso varie e ripetute volte la regione lignitifera senza ac-
corgermi della lignite, potendosi dove avviene, per seguire l' af-
fioramento della medesima tener dietro ad uno strato d^ argilla
cotta dalla combustione superficiale della lignite, visitai nuova-
mente dette località e pregai il Conte Toni di affidarmi ì fossili
delle ligniti per esaminarli e confrontarli comodamente con altri
già conosciuti; aderendo a questa mia preghiera tanto il Muni-
cipio di Spoleto proprietario di detti fossili quanto il sig. Toni
depositario dei medesimi, della qual concessione oggi pubblica-
mente ringrazio, vengo ora a render conto dei medesimi, pre-
sentando allo stesso tempo i modelli dei più importanti tra essi.
Uastodon aryamensis Cr. et Job.
I frammenti appartenenti a questa specie sono tre molari,
e una porzione dell' estremità della mascella superiore con parte
deir incisivo ; dei molari uno solo è completo e due di essi per
la curvatura sono i 3^ (6)^ molari della mascella superiore ; tra
questi il sinistro è completo, il destro manca della fila ante-
YEBTEBBATI FOSSIU DELLE LIGNITI DI SPOLETO 95
riore di tubercoli (colline); il sinistro è maggiore deir altro e
la mancanza d' erosione in ambedue della superficie tubercolare
mostra che air individuo o individui ai quali hanno appartenuto,
non erano ancora emersi alla superficie esterna della mascella:
le dimensioni dei due molari sono le seguenti:
Lunghezza non tenendo conto della curvatura
mol. sinistro Cm. 25 moL destro ultima fila esclusa Cm. 18.
Larghezza massima
moL sinistro Cm. 10 mol. destro Cm. 8.
Distanze delle sommità dei successivi tubercoli a partire dalla fila po-
steriore cioè tallone escluso in mm.
fila interna fila esterna
mol. sinistro 21, 27, 53. 34, 42; — 23, 32, 48, 41, 39
moL destro 25, 27, 28, 33, ...; — 28, 30, 31, 33, ....
Distanza delle sommità tubercolari estreme di una stessa fila, a partire
dalla fila posteriore.
moL sinistro 16, 23, 27, 30, 32, 40
moL destro 16, 18, 22, 24, 28, ....
Abbiano o no i due molari appartenuto allo stesso individuo,
il destro non tanto per le sue dimensioni minori, quanto per
lo stato della superficie era in uno stadio di sviluppo meno
avanzato del sinistro.
È notevole che ambedue offrono oltre il tallone sei serie al-
ternate di tubercoli; questo numero sembra eccezionale e Lortet
et Chantre (Reches. Sur les Mastod. Archi v. mus. hist. nat.
Lyon. Tom. II, pag. 299, 300) lo citano solo per il Mastodon
longirostris; si verifica però anche nel M. arvernensis; infatti
avendo pregato il mio ottimo amico De-Stefani di riscontrare
questo fatto nelle ricche collezioni del museo di Firenze, ha
trovato che sopra dodici esemplari di ultimi molari di detta
specie, quattro soli presentavano sei file di tubercoli ('); tra
diversi molari del museo di Siena nessuno offre questa partico-
larità; r altro molare incompleto e sufScientemente eroso rap-
presenta la parte anteriore del 2.*' (5.*^) molare.
Il frammento di mascella superiore presenta una parte del-
l' incisivo destro rotto a livello della sua inserzione, il diametro
del medesimo ò Cm. 8.
(*) È da notare che mentre Lartet et Chantre^ (loc. cit ) indicano cinque file di
tabercoli per il M. arvernensis, nelle tavole di Jourdan unite alla stessa memoria
sono figurati (Tav. IV, fig. 6, 6\ Tav. V, fig. 6, 6^) due ultimi molari con sei file
di tobercoli oltre il tallone.
gg D. PINTANELLI
Questi resti come quelli seguenti provengono dalle cave di
lignite di S. Croce.
Mastodon Borsoni Hays.
Questa specie è rappresentata da due molari uno dei quali
completo e da vari frammenti dei medesimi. Il molare completo
è il S."" (G"") molare superiore sinistro, le sue dimensioni sono
le seguenti:
Lunghezza Cm. 19.
Larghezza massitna alla penultima fila anteriore Cm. 10.
Distanze delle successive quattro file e del tallone a partire da questo;
Mm. 36, 44, 45, 45.
Larghezza delle quattro file tubercolari alla sommità e a partire dalla
posteriore
Mm. 50, 50, 55, 55.
r altro molare è parte del 2"" (5^) molare destro della mascella
inferiore, manca di parte della fila posteriore ed è profondamente
eroso nelle parte centrale ed estema.
Oltre a questi vi sono due frammenti d' ultimo molare e in
ambedue la prima serie anteriore di tubercoli.
Ho detto più sopra che sono stati raccolti vari frammenti
d^ incisivi; alcuni di essi sono assegnabili a quella parte solo per
la evidente struttura reticolata delP avorio; un frammento solo
raggiunge le seguenti dimensioni:
Lungh. Cm. 96 Diam. mass. Cm. 7,5 Diam. min. Cm. 2,7.
Tapirns arreriLeiisis Gr. et Job.
Questa specie è rappresentata dalla mascella inferiore sinistra
incompleta; a forza di pazienza e di cera ho potuto riavvicinare
quattro frammenti e tenere insieme i molari dal 3 m. al 3 pm.;
un 1* p m. che probabilmente appartiene alla stessa mascella
non è stato potuto collocare al suo posto; erano però uniti il
3 p m. e il P m., come pure il 3 m. e il 2 m., quindi la rico-
struzione ha consistito nel ricollocare il V m., che era staccato
e rotto alla base della corona e nel riavvicinamento dei due
frammenti ad ognuno dei quali era unita porzione della mascella;
il terzo molare era sempre neir alveolo e la sua superficie su-
YEBTSBRATI FOSSIU DELLE LIGNITI DI SPOLETO 97
periore è inclinata colla parte anteriore più bassa rispetto alla
superficie superiore della serie dentaria, si trova inoltre distante
dal secondo molare ed avrebbe dovuto percorrere un arco di
cerchio col centro sul prolungamento posteriore della mascella
per raggiungere il suo posto.
I diversi molari presentano una finissima striatura parallela
alleasse della mascella nella sommità lineare dei tubercoli.
Oltre ai denti avvi una falange, un frammento di meta-
tarso? un frammento d' astragalo, e rottami d' ossa piatte ; ho
riferito i denti specialmente al T. arvernensis Cr. et Job. perchè
diversi da quelli dei due Tapiri di Casino e Sarzanello; sono
invece simili ad alcuni molari del Val d'Arno dove questa specie
è citata, posseduti dal Museo dì Siena.
Diverse misure dentarie in millimetri
1 pm.
3®pm.
40 pm.
1 m.
2m.
3m.
A
19,4
19,8
20,3
21,2
23,4
25
B
6.4
8,1
8,2
7,2
8,8
10,2
»
9
8,3
8,6
9.7
10
10,6
»
4,8
3,4
3,5
4,3
4,6
4,7
C
»
13,4
15,1
16,4
17,9
18,1
c
»
15,2 10
15,5
15,3
16,5
D
»
9,1
9,9
13,3
11,4
13,3
D'
»
6,3
11,2
12,4
10,3
11,5
A Lunghezza — B „ „ Distanze successive a partire dalla
estremità anteriore del dente alle sommità tubercolari sull' asse
della mascella — C C Larghezze misurate alla base della co-
rona nelle due parti anteriore e posteriore di ogni dente escluso
il 1*" p. m. — C parte anteriore C parte posteriore — D
D' Larghezze misurate sulle sommità tubercolari come sopra;
D parte anteriore, D' parte posteriore.
Da queste misure si rileva che nei tre molari la parte an-
iSb. Nat. YoL VII, faioic. 2.« 7
98 T). PiNTANKLLI
teriore del dente è più larga della posteriore, V inverso avviene
nei premolari.
Tra i fossili inviatimi trovasi un piccolo frammento di corno
di cervo.
Finalmente nelle marne di Castel Ritaldi con i molluschi
citati di sopra, raccolsi V osso dell' avambraccio di una rana?
Che ora trovasi presso il Museo di geologia della Università
di Roma.
La presenza del Mastodon arvernensis determina la posizione
stratigrafica di queste ligniti; cioè le assegna al pliocene; quella
del M. Borsoni stabilisce particolarmente il livello delle medesime
nella serie pliocenica. Il M. Borsoni è stato trovato in Val
d' Arno e in Piemonte; nella valle del Rodano segna i piani
più bassi del pliocene ed in Toscana, eh' io sappia, non è stato
trovato negli strati pliocenici superiori; si può quindi anche se
non si vuole accettare come io credo che le ligniti di Spoleto
rappresentino un piano inferiore del pliocene, ritenerle decisa-
mente coeve agli strati classici del Val d' Arno.
Risultano poi appartenere questi strati alla parte inferiore
del pliocene da un' altra serie di considerazioni; ho detto più
sopra che questi strati sottostanno alle marne lacustri di Castel
Ritaldi; queste a loro volta sono sottoposte alla potente for-
mazione sabbiosa di Montefalco nella quale come in quella ana-
loga della vicina Bevagna, sono stati a più riprese trovati molari
d' Elephas meridionalis e il sig. Toni stesso mi ha mandato con
i fossili delle ligniti un frammento di molare di detta specie
trovato a Mercatello (Castel Ritaldi) alla base della collina di
Montefalco; la pendenza poi degli strati a lignite di S. Croce
e S. Angelo non si conserva negli strati superiori di Montefalco
i quali sono pressoché orizzontali.
Ho sottoposto all' analisi microscopica un calcare biancastro
friabile che in molti punti è direttamente sovrapposto agli strati
a lignite; contiene circa il cinquanta per cento di carbonato di
calce ed il residuo dopo eliminazione di quest' ultimo contiene
moltissime spicule di spongille e diatomee.
TEBTKBBATI F033IU DELLE LISKIII DI SPOLETO 99
Avendo pregato il aig. F. Castracane di esaminare dette
dìatomee, devo alla gentilezza di questo la seguente nota:
, Epithemia Uyndmanii Sm.; E. zebra Kz.; E, ocellata Kz,;
, E. proposcidea Kz.
„ Cocconeis placentula E.
a Otjclotella Panfanelliana Cstr.
,n. sp.; E. maximis; a latere rectan-
„ gula, a fronte plana; tertia radii
„ parte circtim radiala; area centi-ali
, rariusctdis margnrìlis suhregulariter
„ radiata, nonnuUis punclidis ìnterpo-
, latis.
„ È vicina alla Ck. comUt (E. Kz.)
» var. radiosa die Giniuow lia figurato ''■ ''-'""■«'«"'in Cstr. •"%
, nella Siuopai di Van Nemk dalla quale \n\h sempre differi-
„ reblie e per T irregolari tfi delle linee radianti dell' area e più
, per la presenza di minutiasimi puntini sparsi fra mezzo.
„CymbeUa cuspidata liz.; C. obtiisiuscida Kz.; C. gastroides
„ Kz. ; C, {Corconema) ctstula E.
„ Pinnularia acuta Sm.; P. radiosa Sm.
, Navicula ovalis Sm.
, Gomphonema vibrio E.
„ Fragilaria (Odontidium) Narrisonii E.
, Gompììonema? curvatum Kz.
, Meloaira arenaria Moore „ .
Rimettendo il residuo siliceo di detto calcare al sig. Castra-
cane mi ero limitato ad indicare la località, ed il piano geolo-
gico, e il sig. Castracane aggiungeva alla nota precedente le
seguenti considerazioni:
„ Secondo me il materiale non è semplicemente lacustre
n in Iato senso, ma mi indica una vegetazione che ebbe luogo
,ÌD un ampio lago, 1' assenza di qualunque Ennofia mi fa pen-
ttSare ad una non forte altezza sul livello del niaren.
Le considerazioni stratigratiche verificano rigorosamente le
precedenti ioduzioni del sig. Castracane.
Modena Decembro 1884.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
1. Mascella inferiore sinistra di Tapirns veduta dal lato interno
con 3 m, 2 m, 1 m, 4 pm, 3 pm.
2. La stessa dal lato esterno.
3. Superficie superiore dei denti 3 pm, 4 pm, l m, 2 m, 3 m.
• •• » •
• • • •
• • • . •
• • • •.
OSSA ACCESSOKIE
m mmn m mm i
LL
DEI RIMANENTI MAMMIFERI
DAL
DOTT. FICAL.BI EUGENIO
Aiuto alla Cattedra di Anatomia coup, x Zoologia dblla R. UnitxrsitJL di Pisa
Leggendo libri di Anatomia, antichi e moderni, che trattino
dello scheletro cefalico dei Mammiferi e specialmente deirUomo,
avviene ad ognuno non di rado di trovar rammentate ossa in-
terpanetali, ossa epadali, ossa soprannumerarie^ ossa intercalari,
ossa wormiane; avviene anche facilmente di vedere come molti
Autori si siano studiati fare di queste ossa enumerazioni, no-
minarne; descriverne e poi è facile vedere come non è mancato
chi di esse ha trattato, specialmente riferendosi all'Uomo, in
modo, dirò così, magistrale. Ma quello che mai, o quasi mai,
si trova è qualche studio comparativo, che riguardi la cosa in
com[)lesso nei Mammiferi, qualche lavoro di interpretazione mor-
fologica, che abbracci, se non tutte, il che reputo impossibile,
almeno una parte delle menzionate ossa. Questa mancanza di
uno studio comparativo suir accennato argomento dimostra che
esso, per quanto giìi analiticamente trattato, è tuttavia, almeno
a mio credere, sempre coltivabile con buon frutto, quando non
ci si limiti a sterili enumerazioni e descrizioni, nel qual caso,
come dice Calori^ non si farebbe che portar acqua all' Oceano,
ma quando si cerchi collegare. tra loro con vedute di Anatomia
comparata le cose.
102 E. FICALBI
Nel presente scritto faccio un tentativo neir accennato senso
comparativo. Mi propongo trattare non nella sola specie umana,
ma nel complesso dei Mammiferi delle ossa dette in oggi dai
più in ter parietali e di molte di quelle altre che sono tutte in-
giustamente raccolte in un fascio col nome collettivo di wor-
miane.
Non ho trascurato diligenza nelle osservazioni; mi sono spe-
cialmente valso del materiale zootomico che è raccolto nel ricco
Museo di Anatomia comparata di questa Università, pisana, e
mi sono gio,vato anche del materiale, che il mio maestro Prof.
Romiti della Università, di Siena ha sempre messo, unitamente
al suo consiglio, a mia disposizione, nelle non infrequenti visite,
che sono andato facendo a quella scuola di Anatomia umana,
della quale il Romiti stesso è Direttore.
É a notizia di ognuno che le ossa che compongono lo scheletro
cefalico, 0 il cranio, dei Vertebrati sono, considerandole sotto
l'aspetto del loro sito di origine, di due maniere (*): alcune si
formano là ov' è cartilagine e ne prendono il posto, si sostitui-
scono, insomma alle varie parti del condrocramOj e diconsi ossa
di origine cartilaginea o, per abbreviazione, cartilaginee; altre
invece si formano in seno a semplice tessuto connettivo, non
prendono il posto prima occupato da cartilagine, e diconsi ossa
di origine membranacea o membranacee. — In tutti i Vertebrati
a scheletro più o meno ossificato si ha questo fatto: che quella
porzione dello scheletro cefalico o del cranio, che costituisce
propriamente la scatola che racchiude V encefalo (porzione detta
dagli Inglesi brain-case), mentre alla base ed anche nelle sue
(*) Una distinzione un poco più netta delle varie ossa, secondo il loro posto di
origine, per quanto il processo istologico di ossificazione non sia recisamente diverso
nei varii casi, è la seguente: 1.^ So le ossa formansi nel connettivo del dorma diconsi
ossificazioni dermosteiche o dermostosi. 2P Se le ossa formansi nel tessuto connettivo
sottocutaneo o sottomuccoso, o immediatamente fuori del pericondrio di una cai*tila-
gine 0, per dirlo in termine generale, in un ambiente connettivale, diconsi ossifica^
zioni parosteiche o parostosi; esse sono le vere ossa membranacee. 3.® Se le ossa for-
mansi immediatamente al di dentro del pericondrio, non invadendo da prima che le
cellule superficiali della cartilagine, diconsi ossificazioni ectosteiche o ectostosi; collo
sviluppo tutta la cartilagine può essere invasa da fuori in dentro 4.^ Se le ossa for-
mansi dentro la sostanza cartilaginea dicoiìBÌ osstficazioni endosteiche o endostosi; sono
le vere encondrosi.
OSSA ACCESSORIE 108
parti periferiche può aver cartilagine od ossa cartilaginee, in
sopra possiede sempre a ricuoprirla diverse ossa, che sono di
origine membranacea: in altre parole buona parte del tegmen
crann{^) {cranial roof degli Anatomici inglesi) e tutto in certi
Vertebrati, risulta di ossa membranacee. — Le più caratteristiche
ossa membranacee del tegmen cranii sono i parietali e i frontali^
che nei Mammiferi si può dire lo costituiscono da sole. In di-
versi Vertebrati inferiori (Pesci teleostei. Serpenti) nel tegmen
cranii può vedersi più o meno compreso anche un osso di origine
cartilaginea, il sopraoccipitale ; di lato poi ai parietali trovasi nei
Vertebrati un aitro osso membranaceo, lo squamoso, che, se non
entra nel tegmen cranii, entra almeno talvolta (Uccelli, Mam-
miferi) e sovente in modo rimarchevole, a costituire della sca-
tola encefalica buona parte delle pareti laterali. — Esaminiamo,
per renderci conto meglio di ciò che ho detto, le cose in un
cranio di un feto di Mammifero: dico di un feto, o di un embrione,
perchè nell' individuo adulto molte delle unità, osteologiche cra-
niche quasi sempre saldansi più o meno tra loro e non sono
più discernibili. Prendo ad esempio il cranio di un embrione di
Maiale (fig. 1 e fig. 8, tav. X). Procedendo dal di dietro in avanti,
troveremo subito il sopraoccipitale, s o; esso è un osso di origine
cartilaginea e nel Maiale non fa parte propriamente del tegmen
cranii, sibbene della parete |3eriferica postero! nferiore della sca-
tola encefalica; circoscrive in alto il grande forame occipitale,
fo, e confina col suo margine superoanteriore coi due parietali;
neir animale adulto o quasi, come accade nell' Uomo, saldandosi
il sopraoccipitale col hasioccipitale, bo, e cogli esoccipitali, eo,
costituisce Tosso occipitale nel suo complesso. I parietali, p a,
seguono al sopraoccipitale: sono, come già si sa, ossa membra-
nacee caratteristiche del tegmen cranii: confinando essi posteroin-
feriormente col sopraoccipitale, tra essi stessi e quest' ultimo si
viene a costituire una linea articolare o una sutura occipitopa-
0) Si suol dividere in Anatomia uraana Io scheletro cefalico in cranio e faccia:
questa divisione, considerando lo cose anatomocomparativamente e embriogenicamente,
non r«gge, e da alcuno, come dal Prof. Romiti^ è già stata abbandonata. Io non in-
tendo qui fare una divisione più n men buon*; dirò solo che avendo adottate le espres-
sioni di scatola encefalica e specialmcnt'^ quella di tegmeyi cranii^ non ho con questi
appellativi inteso altro che indicare una od un* altra regione dello scheletro cefalico,
una od un* altra sua porzione, la quale passa senza limite netto di demarcazione, spe-
cialmente considerando le cose nella serie vertebrata, nelle altre regioni o porzioni.
104 E. FIGALBI
vietale, che dicesi per la sua apparenza, anche sutura lambdoidea,
i due parietali poi, toccandosi col loro margine interno, veugono
a costituire tra loro una linea articolare, la quale, partendo
dair apice dell' angolo lanibdoideo, si dirige in avanti, occupando
il mezzo del tegmen cranii, e prende il nome di sutura biparietale,
od anche di porzione parietale della sutura sagittale, che, come
vedremo, si estende anche tra i due frontali. Lateroinferiormeate
ai parietali trovansi gli squamosi, s q, (nell' adulto sono la pars
squamosa ossis temporis)^ coi quali i parietali stessi costituiscono
la sutura squamoperietale ; ciascuna sutura squamoparietale parte
dai limiti estremi delle branche divergenti della sutura lambdoidea
e si dirige in avanti. Anteriormente i parietali confinano coi
frontali; questi, fr, sono due grandi ossi che si dirigono in
avanti: sulla linea mediana del tegmen cranii costituiscono un
tratto articolare, che dicesi sutura hifrontale o porzione frontale
della sutura sagittale: frontali poi e parietali costituiscono una
linea articolare trasversa, che dicesi sutura frontoparietale ; non
sto a ricordare che nell' Uomo adulto i frontali si fondono in
un sol pezzo, scomparendo così la porzione frontale della sutura
sagittale. Non sto a parlare delle altre ossa che, air intorno
delle enumerate, si trovano a costituire il resto del cranio. Mi
intratterrò invece in altre particolarità che si riscontrano nel
tegmen cranii embrionarie. Una cosa subito è da far notare a
proposito di sutura sagittale e frontoparietale: nel punto ove
esse a vicenda si tagliano (fig. 1 e fig. 8, /r), costituendo tra loro
come una croce, ossia in corrispondenza dei quattro angoli in-
terni dei due frontali e dei due parietali, le linee articolari delle
ossa in discorso si allargano e vengono cosi a far risultare uno
spazio membranoso quadrangolare, che dicesi fontanella fronto-
parietale. Un fatto simile può osservarsi più indietro del descritto:
se noi esaminiamo il cranio di un embrione di Maiale meno
avanzato in sviluppo di quello che ci ha fornito le fig. 1 e 8,
o meglio di qualche altro Mammifero, compreso V Uomo, trove-
remo che nel punto di unione delle suture sagittale e lambdoidea,
ossia dove Y una comincia e V altra presenta il vertice del suo
angolo, esiste, per il fatto dell'essere un po' discosti gli apici
delle ossa, uno spazio membranaceo analogo alla fontanella
frontoparietale, di apparenza triangolare, spazio che dicesi fon-
tanella ocdpitoparietale o occipitale. L' esistenza di queste due
OSSA ACCESSORIE 105
fontanelle è interessante e non deve esser dimenticata. — Rias-
sumendo ora le cose accennate pel tipico cranio del Maiale, può
dirsi: che posteriormente nel cranio abbiamo un osso cartilagineo,
circoscrivente in sopra il gran forame occipitale e che dicesi
osso sopraoccipitale; che al davanti di esso sono due ossa mem-
brai^acee, proprie a quella porzione dello scheletro cefalico che
abbiam chiamato tegmen cranii, ossa dette parietali, costituenti
tra loro una sutura biparietale, e col sopraoccipitale una sutura
lambdoidea; che nel punto di unione della sutura biparietale
(suo estremo posteriore) e della lambdoidea (suo vertice) può
esistere uno spazio membranaceo o una fontanella occipitoparie-
tale; che lateralmente ai parietali esistono due ossa membra-
nacee dette squamosi; che in avanti ne esistono due altre pur
membranacee, che sono i frontali, i quali tra loro costituiscono
una sutura bifrontale (che con la biparietale costituisce V intiera
sutura sagittale), e coi parietali una sutura t ras versa o fronto-
parietale; che nel punto in cui sutura sagittale e frontoparietale
si incontrano esiste uno spazio membranaceo o una fontanella
frontoparietale. Non è stato per scrivere cose risapute che ho
detto tutto ciò, ma per fermar bene V attenzione sul modo come
è conformato il tegmen cranii del Maiale, il quale, lo dico fin
d' ora, ha molto del tipico sotto questo punto di vista. Aggiun-
gerò ora che divenendo adulto il Maiale, le singole ossa che
circoscrivono le fontanelle, si avvicinano, si mettono in contatto
e le fontanelle stesse (come già, si vede esser avvenuto nella
fig. 1 e 8 per la occipitale), si chiudono, senza che nessuna os-
sificazione speciale sia in esse comparsa.
Lo ripeto: il tegmen cranii del Maiale è, sotto il punto di
vista dell' argomento che ho preso a trattare, tipico. Ciò inteso,
diamo uno sguardo preliminare alle differenze che il tegmen cranii
di altri Mammiferi può presentare, confrontato con quello del
Maiale; lo sguardo preliminare stesso reputo utile per stabilire
subito un programma, una guida al mio lavoro.
Se, adunque, ci facciamo ad osservare ora un cranio, per esem-
pio, di un feto di Cane presso alla nascita, o quello di un gio-
vane Cane (^), troveremo, sì, nel tegmen cranii le ossa istesse
Q) Ho preso per esempio il Cane perchè, secondo Meckel e secondo Baraldi^ in
questo animale T intorparietale si sviluppa per un solo centro ed è quindi sempre
unico. Meckel dice : L* interparietale stretto del Cane non si svilttppa mai per più
106 E. FICALBI
che già conosciamo e vedremo che hanno i noti rapporti tra
loro; ma tosto anche ci colpirà la presenza in più di un osso,
che nel Maiale non esisteva affatto ; quest' osso vedremo posto
precisamente nella situazione di quello spazio membranaceo,
che abbiam chiamato fontanella occipitoparietale. La [fig. 9,
tolta dallo scheletro cefalico di un giovane Cane, ce ne dà chiara
idea. In essa figura vedesi in ^ o il sopraoccipìtale, in /> a i pa-
rietali, \x\ fr \ frontali; in int poi, che è il posto della fon-
tanella occipitale, vedesi un osso triangoliforme, situato tra so-
praoccipitale e parietali, e che dicesi, per la posizione sua, in-
terparietale.
Ecco dunque che passando dal Maiale al Cane abbiam visto
crescersi il numero delle ossa membranacee del tegmen cranii,
per raggiunta di un Inter parietale. Continuiamo il nostro
sguardo preliminare.
Se dal cranio di un feto o da quello di un giovane individuo
canino, noi p^issiamo al cranio, per esempio, di un embrione di
Pecora, vedremo crescersi ancora dijuno i pezzi del tegmen cranii.
Neir embrione pecorino troveremo non più uno, come nel Cane,
ma due interparietali; e la fig. 10, che rappresenta la parte
posteriore di porzione del cranio di un feto di Pecora, ce ne
dà chiara idea. In essa vedesi in 5 o il sopraoccipitale, in pa i
parietali, \n fr i frontali, in k la fontanella f rontoparietale ;
in int poi, situazione della primitiva fontanella occipitale, ve-
donsi due ossa triangoliformi, situate tra sopraoccipitale e pa-
rietali, e che sono i due interparietali.
Così dal Cane alla Pecora, lo ripeto, sono nuovamente cre-
sciuti i pezzi del tegmen cranii, perchè V interparietale da unico
e mediano, si è fatto doppio e bilaterale.
Se dal cranio di un embrione di Pecora passiamo a quello
di un embrione, anche assai avanzato di Cavallo, vedremo que-
sto fatto: che si hanno ancora due ossa di più; quattro di più
in confronto del Maiale. Troveremo, dunque, neir embrione del
Cavallo il sopraoccipitale, i due parietali, gli interparietali, che
d* un punto di ossificazione. Per debito di verità, io debbo dire che in un giovanis-
simo embrione di Cane ho veduto doppio V interparietale. In altri ciò non vidi. Sono
inclinato a credere che si possa nelle varie razze o nei varii individui di Cane ve-
rificare r uno e r altro fatto; forse prevale quello ammesso da Meckel^ dello sviluppo
per un unico centro.
OSSA ACCESSORIE 107
possono essersi fusi in un sol pezzo, ì frontali, gli squamosi; ma
altre, come ho detto, ne troveremo nel tegmen craniì oltre queste:
troveremo, cioè, che sempre nel luogo di situazione della fon-
tanella occipite parietale, al davanti dei due interparietali, i quali
si fondono in un sol pezzo, esistono due altre ossa speciali, trian-
goliformi, quasi due altri più piccoli interparietali; do loro il
nome di ossa interparietali accessorie ('). Nella fig. 13 vedonsi le
cose accennate: ipò T interparietale (fusione dei due primitivi),
ipa sono gli interparietali accessorii. — Così, lo ripeto, nel
tegmen cranii altre ossa membranacee souosi aggiunte, due in
più che per la Pecora, quattro in più che pel tipico Maiale:
due interparietali, due interparietali accessorii, tutte della fon-
tanella occipitoparietale e di origine membranacea.
I fatti rammentati sono normali. Ma altri ne esistono, si-
mili a questi, che solo ne diflFeriscono per essere più rari, i quali
ci dimostrano come altre ossa membranacee, oltre le suaccen-
nate, possano prender posto nel tegmen cranii dei Mammiferi,
Esaminando infatti le collezioni di cranii, per esempio di Scim-
mia, non raramente capita di vedere che il posto della fonta-
nella fronte parietale può essere invaso da uno speciale osso,
che ne ha precisamente la forma, e che riguardo ad essa, ri-
corda i rapporti degli interparietali per la fontanella occipitale;
do a quest' osso il nome di osso frontoparielale (-j, e lo rappre-
sento nella fig. 16, e nella fig. 17 in fp. Ed ecco che un ele-
mento di più, oltre i già noti, può nel tegmen cranii dei Mam-
miferi prender posto.
Altre ossa, sebbene più rare ed accidentali, posson prender
posto nel tegmen cì\inii dei Mammiferi. Posson trovarsi nella
sutura lambdoidea, nella biparietale, nella i^quamoparietale, per
tacere di altro. Riserbo a queste il nome di ossa normiane.
Come si è visto, così, in questa specie di programma che ho
tratteggiato, è ben singolare il tegmen cranii, considerato in una
serie di Mammiferi. I suoi pezzi possono variare di numero da
un Mammifero all' altro, e noi li abbiam visti progressivamente
aumentare.
Quale è il valore di queste ossa che, prendendo a tipo il
(') Vedi per esteso le cose più avanti.
(*) V. più ayanti.
108 R. FICALBI
Maiale, trovansì in più in altri Mammiferi? Sono esse tra loro
produzioni affini? Sono gli anelli di una stessa catena? Ecco il
quesito a cui risponderò nelle conclusioni di questo mio scritto.
Frattanto, per poter giungere alle conclusioni stesse, è necessario
che mi estenda alquanto in descrizioni analìtiche; e farò ciò
cominciando dai Vertebrati inferiori ai Mammiferi.
Tutto ciò che ho sommariamente detto fin qui (e vi ritornerò
poi più estesamente), si riferisce, lo si sa e lo ripeto, allo sche-
letro cefalico dei Mammiferi. Ma è ora tempo di dimandarci:
Come si comporta, per riguardo ai suoi pezzi ossei, il tegmen
cranii degli altri Vertebrati? Vi si nota il già cognito potere
accrescitivo nel numero dei pezzi stessi? Possono esistere, cioè,
nei Vertebrati, a scheletro cefalico ossificato, inferiori ai Mam-
miferi, e le ossa interparietali, e le interparietali accessorie, e
l'osso frontoparietale, e le ossa wormiane? Questo importante
quesito alla breve cercherò risolvere, cominciando dalla classe
degli Uccelli e scendendo ai Pesci. Esauriti questi, tornerò sui
Mammiferi.
Nel tegmen cranii degli Uccelli abbiamo evidentissime le ossa,
che già conosciamo: due parietali, due frontali, due squamosi;
indietro dei parietali abbiamo il solito sopraoccipitale d' origine
cartilaginea, che circoscrive in alto il forame magno. Negli Uc-
celli ca rinati per rendersi conto di ciò, come di molte altre par-
ticolarità osteologiche inerenti al loro scheletro cefalico, è ne-
cessario esaminare giovani individui, sovente non ancor schiusi
dall'uovo: e ciò, in causa della fusione precoce che (come in
diversi Mammiferi, e più che in essi) avviene di molte delle ossa
craniche tra loro, siano di origine membranacea o cartilaginea.
Negli Uccelli struzionidi h più facile veder le cose anche nel-
r individuo adulto. Io mi varrò di una figura tratta dallo sche-
letro cefalico di una Numida, non ancor uscita dall' uovo. Esa-
miniamo, dunque, la fig. 2: in essa fo rappresenta il forame
occipitale, ed intorno a questo veggonsi ì varii elementi osteolo-
gici del segmento occipitale del cranio: vedesi, cioè, il basiocci-
pitale, b 0, <?li esocipitali, e o, il sopraoccipitale, s o; quest' ultimo
segna il limite superiore del gran foro e col suo margine an-
teriore incurvato confina in parte coi due parietali, p a; essi
non giungono ancora nel giovine Uccello che ci serve di esempio,
a toccarsi tra loro in una sutura sagittale; confinano, tuttavia,
OSSA ACCESSORIE 109
anteriormente ciascuno col frontale del proprio lato, fr, col
quale costituiscono una sutura frontoparietale; i frontali poi
tra loro costituiscono una sutura bifrontale. Non toccandosi
r un V altro, come si h visto, i due parietali, al sommo della
testa del nostro Uccello notasi uno spazio membranoso, z, che
è la fusione delle due fontanelle occipitale e frontoparietale tra
loro, e che può dirsi fontanella occi|)itoparietofrontale. Come si
vede, in essa non si trova nessun elemento osseo che ricordi gli
interparietali o tanto meno gli interparietali accessori!, V inter-
frontale, i wormiani dei Mammiferi, che abbiamo superficialmente
più addietro esaminato. Divenendo adulto V Uccello, la accen-
nata fontanella mano mano scomparirà per T accostarsi tra loro
sulla linea mediana, dei parietali e dei frontali dell' un lato con
quelli dell' altro lato, e poi per il saldarsi del sopraoccipitale e
dei parietali per un * conto, dei parietali e dei frontali per un
altro. Dal fin qui detto chiaro risulta che si ha nell' Uccello un
caso analogo a ciò che vedemmo per il Maiale. Mai, cioè, nel
tegmen cranii degli Uccelli sviluppansi le ossa interparietali e
tanto meno le altre, che già. conosciamo. Invero Et. Geoffroy
St. Hilaire (*) aveva creduto vedere ne^li Uccelli due interparie-
tali; egli considerava come interparietali quelli che in oggi di-
consi, e che io ho accennato, parietali, e considerava a lor volta
parietali quelli che chiamansi, e che io pure ho chiamato, squa-
mosi. Ma questo suo erroneo modo di considerar le cose fu ret-
tificato per primo da Oken (1818), e nessuno poi ha più soste-
nuto e diviso le idee di Stefano Geoffroy St. Hilaire.
Nei Rettili la porzione dello scheletro cefalico, che appellasi
tegmeti cranii, può essere variamente costituita, specie per il fog-
giarsi diverso delle ossa d' indole parietale e frontale, a seconda
che si considerano i varii gruppi dei Rettili, i Crocodiliani, gli
Ofidiani, i Lacertiliani e i Cheloniani ( per tacere dei Rettili
estinti). Questo è certo: che nel loro tegmeìi cranii non notasi
mai alcun elemento interparietale o di natura affine. Vi fu, è
vero, chi in quei peculiari Rettili che sono gli Ofidiani, credè
notare un osso interparietale; ma dirò tra poco quanto tale
veduta sia erronea; frattanto farò noto che in molti Lacerti-
Q) Qeoffroy Saint-Hilaire Et. — - Considerations sur les piéces de la tète osseuse
des animauv vértéhrés et particuhìrement sur celles du crdne des Oiseaux, In:
Ann. da Musóam d'hist. nat Tom. X, 1807.
110 E. FICALBt
liani è ovvio persuadersi come gli elementi interparietali od
aflBni non siano aflFatto presenti: infatti in varii tra essi fra il
sopraoccipitale e i parietali esiste uno spazio membranaceo, una
vera fontanella occipito parietale, che persiste tutta la vita, senza
che mai ossificazione alcuna vi si stabilisca. Nella fig. 3 ho rap-
presentato la parte superiore di porzione del cranio di un Geko:
come è facile vedere,, tra il sopraoccipitale, 5 O; e il margine
posteriore dei parietali, p a, esiste una fontanella, z z; or bene,
in essa, che sarebbe la sede degli interparietali, non scorgesi
mai ossificazione alcuna. Anche negli Ofidiani o Serpenti non
esiste nessun osso interparietale: quello che può venir fatto di
credere un interparietale non è che il sopraoccipitale: la ragione
che, superficialmente osservando le cose, può portare a ritenere
come un interparietale ciò che realmente nei Serpenti e il so-
praoccipitale, è questa, che vengo a dire: come mostra la fig. 5
(rappresentante la parte superiore di porzione del cranio di un
Serpente), i due esoccipitali, eo, nei Serpenti circondano com-
pletamente di lato e in sopra il gran forame e vengono, in alto
al forame stesso, tra loro a riunirsi in una sutura: risulta da
ciò, che il sopraoccipitale, s 0, ha indietro a sé la parte più
superiore dei due esoccipitali, che circondano il gran foro, e tro-
vasi incastrato (a far parte del fegmm cranii, il che non accade
nei Mammiferi) tra questa parte più superiore degli esoccipitali
e il parietale, p a (che è unico), ricordando presso a poco T in-
terparietale di varii Mammiferi. Ecco spiegato perchè alcuno lo
chiamò interparietale, appellativo, del resto, che da qualche
vecchio anatomico (Agassiz) fu dato in generale all' osso so-
praoccipitale di molti Vertebrati. Il Cuvier (*), circa al sopraoc-
cipitale degli Ofidiani, dice appunto «{uello che sopra ho esposto:
dice, cioè, che per il fatto che gli esoccipitali, o, come egli li
chiamava, gli occipitali laterali, si toccano V un V altro al di
sopra del foro occipitale, come nei Coccodrilli, (ed in questi pure
Et Geoffroy St. Hilaire chiamò interparietale il sopraoccipitale),
il sopraoccipitale 0, come egli diceva, V occipitale superiore è
spinto in avanti e presso che ridotto all' ufficio di interparie-
tale. — Che ciò non sia non sto a ripetere: il sopraoccipitale
(*) Cuvier G. — Le^ons d'Anatomie comparée, Pubi, par DumériL HI Ed. Bruxel-
les» 1836. T. I, Pag. 362.
OSSA ACCESSORIE 111
dei Serpenti è osso prettamente cartilagineo, e, come in oggi
da tutti si ammette, non ha alcuna relazione con Y interparie-
tale, E lo stesso Cuvier iSn dai suoi tempi asseriva che né Ret-
tili, né Uccelli (ossia i Sauropsidi dei moderni Anatomici) pos-
siedono ossa di tale natura.
Come nessun interparietale od osso affine trovasi nel tegmen
cranii dei Sauropsidi, così non trovasi in quello degli Amfibii, a
qualunque gruppo essi appartengano. Negli Amtibii viventi manca
nello scheletro cefalico, non solo il basioccipitale, ma anche il
sopraoccipitale; sono gli esoccipitali che ciscoscrivono in alto il
grande forame e tra essi ed i parietali (che posson esser, come
nelle Rane, fusi in un sol pezzo coi frontali) non scorgasi mai
alcun elemento osseo, che ricordi uno o due interparietali. Nei
Labirintodonti, che sono Amfibii fossili, il posto del sopraoccipi-
tale era occupato da due ossa, come dice Huxley, ma tra esse,,
e i parietali non trovavasi intercalato osso alcuno. Nella fig. 5
e nella fig. 6 rappresento porzione di cranio amfibiano: delle
due figure, la prima si riferisce a un Gimnofione, la seconda ad
un Ancoro, alla Rana comune. In ambedue eo sono gli esocci-
pitali, forniti ciascuno di un condilo, e o, per T articolazione del
cranio alla colonna vertebrale; nella fig. 5, p a sono i parietali,
fr i frontali: come si vede in essa figura, tra esoccipitali, che
circoscrivono completamente fino in sopra, il gran foro, e i pa-
rietali non esiste alcuna ossificazione intercalare; nella fig. 6, fp
é r osso frontopavietale ; proìl prootico destro : come la figura
dimostra, tra gli osocci pitali, che circoscrivono il gran foro, e
r osso frontoparietale, rimane un piccolo spazio non ossificato,
z, ma in esso mai sviluppasi alcuna ossificazione. Così che, lo
ripeto, negli Amfibii non si ha mai traccia di interparietali od
ossa affini.
Passiamo ai Pesci con scheletro cefalico più o meno ossifi-
cato. Nei Ganoidi le ossificazioni cefaliche cartilaginee sono scar-
sissime, permanendo un assai sviluppato condrocranio; invece
le ossificazioni membranacee sono più abbondanti e la massima
parte di esse sono ossa di origine cutanea, situate in buon nu-
mero sopra alla regione del tegmen cranii. E per questo che se
noi ci facciamo ad esaminare per di sopra il cranio, per esem-
pio, di un Polypterus, troveremo in corrispondenza della regione
112 E. FICA.LBI
sopraoccipitale un numero assai grande dì placchettine ossee,
in avanti a queste ne troveremo due che arieggiano due parie-
tali ed innanzi pure a quest' ultime due altre, che ricordano i
frontali. E taccio di altre. Queste ossa cutanee del cranio dei
Ganoidi ( in cui Gegenbaur vede il primo annunzio delle ossa
membranacee del tegmen cranii dei Vertebrati ai Ganoidi su-
periori, cui per eredità, sarebbero trasmesse), a ciò ch'io mi
propongo studiare e dimostrare, cioè che nei Vertebrati infe-
riori ai Mammiferi non esistono ossa interparietali o di natura
aflSne, non portano, per l'indole loro cutanea, contributo alcuno. —
Nei Pesci dipnoi, come per esempio nel Lepidosiren, nel tegmen
cranii si ha un grande osso unico membranaceo, il quale dalla
regione sopraoccipitnle si estende fino alla etmoidale: dicesi
quest' osso frontoparietale ed al di dietro di esso non sorgesi
ossificazione alcuna, che ricordi ossa di indole interparietale od
affine.
Veniamo ai Pesci teleostei. In questi pure, non v' è dubbio,
si può escludere ogni interparietale od affine ossificazione. I
vecchi Anatomici, a dir vero, non la pensarono sempre così:
ed io voglio intrattenermi un po' sulla loro opinione, perchè
questa credo non sia da prendersi a gabbo : io, lo dico per in-
cidenza, ho sempre coltivato con buon frutto i vecchi Maestri
di Anatomia al pari dei moderni; anche in questo scritto ho
la soddisfazione di aver tolto dalla polvere varie verità anato-
miche, che i moderni sembrano aver dimenticato. A proposito
dello scheletro cefalico dei Pesci teleostei, dunque, si parla di
osso interparietale da tutti o da quasi tutti i vecchi Anatomici,
quali possono essere Et. Geoffray St. Hilairej G. Cuvier, Agassiz
ed in certo modo anche Meckel; da questi insigni osservatori
si chiama, in tutto o in parte, interparietale quell' osso che più
raodernemente venne detto, anche pei Pesci, sopraoccipitale. Per
accennare tosto la posizione di questo sopraoccipitale degli Autori
moderni nei Pesci teleostei, dirò eh' esso sta sopra al forame
magno e che può avere coi parietali disposizioni speciali, secondo
le varie maniere di Pesci: può darsi, cioè, che i due parietali
seguano il sopraoccipitale e al davanti di esso si tocchino col
loro margine interno, in modo da costituire una sutura sagit-
tale; o può darsi che il sopraoccipitale spingasi tra essi in
OSSA AOGESSORIB 113
modo da giungere a toccare il frontale, tenendo, per conse-
guenza r uno dall' altro separati tra loro i due parietali, che
tra loro non formano sutura sagittale. Nella fig. 7 rappresento
una veduta superiore di porzione della metà, posteriore del cranio
di un Luccio: fr sono i frontali; e p gli epiotici; pa ì parietali,
che non formano sutura sagittale; so \\ sopraocci pitale, che se-
para i parietali e si articola in avanti coi frontali. — Tornando
ai vecchi Anatomici, Cuvier a proposito dell'osso, che chiamiamo
oggi sopraoccipitale fa osservare che non solo separa talvolta
completamente V uno dall' altro i due parietali, come io già, ho
detto poco fa, (a similitudine di ciò che può accadere per V in-
terparietale di qualche Mammifero, come i Cetacei), ma che,
spesso si avanza tra i frontali abbandonandosi in dietro in certi
Pesci gli esoccipitali e di più, ad esempio nei Siluridi, può ar-
rivare perfino a fondersi in un sol pezzo coi parietali (come fa
r interparietale in diversi Mammiferi). Per suo conto, Mechel (') è
dubbioso sul significato dell'osso, che modernamente chiamiamo
sopraoccipitale nei Pesci: egli dice che quest' osso non gli sem-
bra appartenere agli occipitali e trova giustificato l' appella-
tivo usato da Cuvier di interparietale; lo chiama anche por-
zione squamosa delV occipitale e riserba alla sua parte anteriore
l'appellativo di. interparietale. Ad onta delle opinioni e delle
ragioni dei vecchi Anatomici, devesi ritenere che 1' osso chia-
mato modernamente sopraoccipitale ha realmente nei Pesci te-
leostei tale natura: infatti è di origine cartilaginea. Nei Pesci
teleostei, così, non esiste interparietale. Mi sono esteso alquanto,
prima di venire a questa conclusione, perchè qualcuno anche
modernamente ha pensato che nel sopraoccipitale dei Teleostei
siano insiti elementi interparietali; il che non ritengo per di-
verse considerazioni e principalmente per la ragione che que-
st'osso ci si presenta, lo ripeto, di origine cartilaginea.
Da tutto ciò che ho fin qui esposto si può concludere che
nei Vertebrati inferiori ai Mammiferi non esiste mai nessun
elemento osseo interparietale o, tanto meno, interparietale ac-
cessorio, frontoparietale, wormiano. Mi si potrebbe rimproverare,
perchè mi sono trattenuto soverchiamente a dimostrare una
(*) Meckel J. F. — Tratte general d'Anatomie comparée^ Trad. de rallom. par
Riester et Sansoo. Paris 1829, T. IL
So. Noi. YoL VII, fascic. 2 8
114 E. FICALBI
cosa, che i moderDi Anatomici non negano: infatti nessuno dei
libri recenti di Anatomia parla di interparietali od ossa aflSni
nei Sauropsidi e negli Ictiopsidi. Ma, ad onta di ciò, sono con-
vinto che le mie parole non siano state del tutto vane, special-
mente per ciò che si è riferito ai Pesci, ed in omaggio alle idee
dei vecchi Maestri di Anatomia.
Torno ora ai Mammiferi e prima di tutto ricordo che per
veder bene la disposizione dì molti dei loro pezzi cranici è ne-
cessario il più delle volte far ricorso agli embrioni o ai giovani n
individui, perchè neir adulto molte ossa perdono, per reciproca
fusione, la loro individualità.
Il Maiale, lo sappiamo già, ci offre esempio di scheletro ce-
falico, che è, per riguardo alle particolarità che mi interessano,
tipico. In esso infatti (fig. 8) a circoscrivere in alto il grande
forame e a far da parete posteriore alla scatola encefalica tro-
viamo il sopraoccipitale, osso completamente di origine [cartila-
ginea, il quale mai acquista elementi membranacei nella sua
composizione. In sopra e al davanti del sopraoccipitale si tro-
vano i due parietali, che col sopraoccipitale stesso formano una
sutura lambdoidea e tra loro una biparietale (porzione biparie-
tale della sutura sagittale); tra sopraoccipitale e parietali po-
chissimo tempo rimane una fontanella che, anche in embrioni
assai giovani, si chiude per jl vicendevole accostarsi di queste
tre ossa. Di lato ai parietali sono gli squamosi, e in avanti i
frontali, che tra loro formano una sutura bifrontale (parte fron-
tale della sagittale) e coi parietali una frontoparietale. Una
fontanella, del resto non mai relativamente ampia, trovasi nel
cranio embrionale tra frontali e parietali, lungo il decorso della
sutura sagittale: questa fontanella col crescere dell'animale
sparisce, per Y accostarsi reciproco in quel punto dei frontali
e dei parietali. Ninna altra ossificazione, oltre le accennate,
rinviensi a cose normali nel tegmen cranii del Maiale a qualunque
epoca lo si esamini. Mancano in esso, dunque, e interparietali
e altre ossificazioni, che possano stabilirsi nella fontanella oc-
cipitale e frontoparietale. Che il Maiale in ogni epoca dello svi-
luppo e della vita estrauterina non presentasse mai ossa inter-
parietali aveva già detto Meckel (*) in quella inesauribile mi-
(*) Meckel J. — Tratte general etc, cit - Tom. IV. pag. 252.
ossi ACCBSSOBIE 115
nieradi verità zootomiche, che è la sua Anatomia comparata: egli
dice che invano lo ha cercato anche nelle prime età, fetali; e
tutto ciò una volta di più mostra quale acuto osservatore fosse
Meckel e quanti fatti anatomici egli sia riuscito a raccogliere
e constatare. Anche Baraldi con una bella serie di embrioni di
Maiale convenientemente preparati (esistente nel nostro Museo)
ci ha esplicato V asserto di Meckel, della non esistenza assoluta
d' interparietali nello scheletro cefalico del Maiale. Flower (*) ed
anche Parker (^) ed Huxley ( ), per quanto mostrino di non
ignorare questo fatto, non vi si intrattengono, quasi non ne
apprezzassero V importanza.
Visto che il Maiale è privo di interparietali e che in esso
la fontanella occipitale si chiude ben presto per V accostarsi
reciproco del sopraoccipitale coi parietali, dirò che altri Mam-
miferi, nei quali non esiste, sembra, interparietale alcuno, sono
quelli deir ordine infimo, gli Ornitodelfi o Monotremi, cioè. E
questo fatto è importante, non solo perchè rappresenta un
punto di più di ravvicinamento tra gli Ornitodelfi e i Vertebrati
sottostanti, ma perchè anche ci fa vedere come, oltre i Snidi,
altri Mammiferi ci diano esempio di mancanza di interparietali.
Esaminiamo ora, già che abbiam visto quelli che ne sono
privi, i Mammiferi forniti di ossa interparietali, facendo di queste
ossa una rivista rapida si, ma, per sommi capi completa: dopo,
su esse, riassumeremo qualche considerazione.
Gli interparietali, che, non mi stancherò di dirlo, sono spe-
ciali ossificazioni della fontanella occipitoparietale, furono per
la prima volta accennati da Ruini (*) (1598) nel feto del Ca-
vallo, E siccome fondonsi in questo animale (come negli altri)
con r età in uno solo, di forma presso a poco quadrata, Ruini
stesso lo chiamò osso quadrato. Dipoi Meyer (^) (1800) lo nominò
nei Rosicanti (in cui è sovente sviluppatissimo) osso trasverso.
(7M2;^r lo disse, da prima, parietale impari; finalmente Et. Geoffroy
(*) Flower W. H. — An xntroduction to the osteology of the Mammalia. Lon-
don 1S76.
C) Parker and Bettany — T?ie morphology of tìie Shull. London, 1877.
O Huxley T. H. — Lectures on the Elements of comparative anatomy. London 1804.
» » Manuale dell* Anatomia degli animali vertebrati ( Trad da
Oiglioli). Firenze 1874.
(^) Ruini C. — Anatomia del Cavallo, Bologna 1598.
(*) Meyer N. — Prodromus anat, Murium. Jena 1880.
l
116 E. FIOALBI
Saint Hilaire (*) (1807) gli dette il nome di. osso interparietale,
o di ossa inter parietali y se la fusione in unico pezzo non è av-
venuta. Questa denominazione, adottata da Cuvier stesso e da
Meckel, è giunta fino a noi e deve esser conservata. — Vediamo
come, nei Mammiferi, suole svilupparsi quest' osso, o queste ossa
interparietali, e come comportarsi, divenendo adulto l'animale.
Come ben dimostrò Baraldi {^)y possono aversi tre modi di svi-
luppo. 1.* 1 centri di ossificazione sono due, situati lateralmente
nella fontanella occipitale, e assai distanti dalla linea mediana;
in questo caso avremo, come nei Cervi, due ossa interparietali
ben distinte, anche per vario tempo dopo la nascita; — 2.^ I
centri di ossificazione sono pur due, ma vicinii alla linea me-
diana, ossia tra loro; in questo caso, come nella Pecora, nel
Bove, si hanno bensì due ossa interparietali, ma che rimangono
poco tempo separate, fondendosi tra loro in un sol pezzo du-
rante la stessa vita fetale; — 3.^ Il centro di ossificazione è
unico, situato sulla linea mediana, o, se sono due, sono tanto
vicini da fondersi tosto che appariscono insieme, in un unico
centro di irradiazione della sostanza ossea; in questo caso si ha
un solo osso interparietale seuipre, come nel Cane. — Dal modo
come accade lo sviluppo, si possono avere, adunque, nel feto
un solo interparietale impari e mediano (Cane), o due interpa-
rietal', bilaterali, toccantisi reciprocamente per un loro margine
(Cervo, Pecora). Per quanto, però, molti Mammiferi abbiano allo
stato embrionale due interparietali, allo stato adulto o ne hanno
un solOy 0 non ne hanno alcuno. Ciò, per due cagioni: la prima
è, che gli interparietali coli' accrescimento si saldano tra loro
in un sol pezzo, e se questo permane tutta la vita (Castoro,
Irace), il Mammifero è fornito di un interparietale; la seconda
cagione porta a questo: che il rammentato interparietale, più
o meno precocemente, in molti Mammiferi si salda con le ossa
circostanti e perde la sua individualità; così questi Mammiferi
allo stato adulto sono privi di interparietale (Cane, Pecora, Uomo).
L' interparietale, in quei Mammiferi nei quali scompare, può
perdere la sua individualitèt in due modi : nel primo modo, si
(') V. in: Ann. du Meséum d' hisi. nat. Tom. X, pag. 249 e 342. (An. 1807).
(^) Baraldi G. — Alcune osservazioni sulla origine del cranio umano e degli
altri Mammiferi^ ossia craniogenesi det Mammiferi. Giornale della R. Acc. di Me-
dicina, Torino 1873.
OSSA ACCESSORIE 117
salda al sopraoccipitale: e questo caso è frequentissimo (Cane,
Uomo, Scimmie); nel secondo modo, sì salda con i parietali, e
di ciò si hanno esempi tra i Roditori, tra gli Arziodattili rumi-
nanti, tra i Solipedi. — .11 fatto del fondersi molto precocemente
da prima tra loro (se sono due) e poi con le circostanti, nei
varii Mammiferi, le ossa interparietali, e il non trovarsi, per
ciò, di interparietali traccia né nell' individuo adulto, né, in certi
casi, neppure neir individuo alla nascita o non molto prima di
essa, ha fatto sorgere la domanda se realmente tutti i Mam-
miferi abbiano interparietali. Rispondo a questo quesito, indicando
anche qualcuno dei principali Mammìferi in cui allo stato adulto
permane V interparietale (').
Nel Maiale, abbiam visto, sì può esser certi che nessun in-
terparietale esiste, e ciò è un fatto inoppugnabile. Così è per i
Monotremi. Potrebbe darsi che il fatto del Maiale si verificasse
anche in qualche altro Mammìfero. Tuttavìa deve dirsi che in
Mammiferi di tutti gli ordini (non parlo dei Monotremi) si sono
trovati, esaminandoli nelle convenienti età, od epoche di sviluppo,
due interparietali od uno. — Per V Uomo, fino dai tempi di
Meckel e di Cuvier si discusse se avesse o no interparietale.
Mecheli^) chiaramente lo ammette; dice: "Presso TUomo la
porzione squamosa dell' occipitale si forma di due metà situate
una sopra T altra, delle quali la metà superiore corrisponde al-
l' interparietale, almeno a quello del Topo e del Castoro, che
hanno quest' osso sviluppatissimo „. Cuvier C^^) pure riconosce la
traccia degli interparietali nella parte superiore della squama
occipitis, osservata nel feto umano delle prime settimane. In
questi ultimi anni alquanti Anatomici, e tra noi Baraldi{}) e
Romiti (^) rimisero in evidenza la cosa. L' Uomo dunque ha pri-
mitivamente due interparietali; ma essi si saldano precocemente
(nelle prime settimane di sviluppo ontogenico) al sopraoccipitale
e tra loro; costituiscono così \d^ porzione squamosa vera e propria
Q) V. Gruber W. — Abhandl. aus der menschlichen und vergleichenden Anat
St. Petersburg, 1852. — Otto A. G. -- De rarioribus quibusdam sceleti humani
cum animalium scéleto analofjiis; Vratislaviae 1839.
(«) Meckel J. F. — Traité general etc. cit - T. IV, pag. 252.
(5) Cuvier G. — Legons d*An, etc. cit - Pag. 412.
(*) Baraldi G. — Alcune osservazioni etc» cit.
Q) Romiti G, ^ Lo sviluppo e le varietà delV osso occipitale nelV Uomo . Atti
della R. Acc. Fisioc. Siena 1881.
118 E. nCALBI
dell' occipitale adulto, porzione che, per ciò che abbiam detto,
è di origine membranacea: nell'osso dell'adulto potrebbe dirsi
porzione interparietale dell' occipitale. Certe volte gli interparie-
tali neir Uomo non seguono, durante lo sviluppo, la regola: può
darsi cioè che non si uniscano all' occipitale che tardissimo o
mai. In questo caso si hanno nel cranio umano tra Occipitale
e parietali uno o due ossa staccate, che sono gli interparietali,
e questa loro persistenza come ossa distinte ci rappresenta un
ritorno atavico. Se teoricamente consideriamo le cose, si vede
che la presenza degli interparietali liberi nell'Uomo può rispon-
dere ad uno di questi tre casi: 1.* Tra occipitale e parietali può
esistere un unico grande osso triangolare {^) : esso rappresenta i
due interparietali primitivi anchilosatì tra loro, ma non col sopra-
occipitale, come mostra la fig. 11: (caso omologo, per esempio, al
Castoro adulto). Tra occipitale e parietali possono esistere due
ossa grandi triangolari: sono i due interparietali, rimasti liberi
tra loro e con le ossa circonvicine (caso omologo, p. es., al gio-
vane Cervo); Tra sopraocci pitale e parietali può aversi un solo
osso, triangoliforme, ma non mediano, sibbene unilaterale, come
mostra la fig. 12; esso è un solo dei due interparietali primitivi
che è rimasto indipendente da ogni altro osso, compreso il suo
omonimo, mentre quest' ultimo è saldato al sopraoccipitale.
Esaminiamo brevemente questi tre casi. Dirò subito che comun-
que si siano presentati gli interparieteli nell'Uomo, gli Antro-
potomi vi hanno assai scritto e discusso intorno, non scarseg-
giando di denominazinoni difformi per questo fatto, di natura
sua sempre uguale. Quando, come nel primo caso da me enu-
merato, un solo interparietale si notava nel cranio umano (fig. 11),
ad esso si dette il nome di wormiano vero, ìcormiano triangolare,
OS triquetrum; fu da Fischer {^) detto osso epattale^ altri lo chiamò
epattale vero; Tschudi gli dette il nome, non giusto, di os incae
(osso dei cranii peruviani antichi); il nostro venerando Colorii^)
gli ha dato anche 1' appellativo di loormiano occipitale. Tutte
queste denominazioni devono esser sostituite, come giustamente
insiste il Prof. Romiti^ con quella di interparietale. Tra i vecchi
(*) V. Romiti G. ~~ Lo sviluppo etc. cit. - V. anche Calori citato più avanti.
(*) Fischer G. — De osse epactali sive Góthiano. Moscoviae 1811.
(?) Calori L. — De' wormiani occipitali ed interparietali posteriori^ etc. In: Mem.
deirAcc. 4elle Se. deirist. di Bologna, 1868. Tom. VII, fase. Z,
OSSA ACCESSORIE 119
anatomici, Cuvier non volle riconoscere nell' osso ora descritto
un interparietale omologo a quello di molti Mammiferi; altri
Anatomici, tra cui è da porre Van Doeveren{}) e Meckel^ pen-
sarono che realmente fosse V interparietale. Jacquart y^) in que-
st' osso volle vedere una distintiva di razza antropologica: ma
sicuramente a torto, al pari di Tschudi. — Nel secondo caso
da me enumerato, nel sito della fontanella occipitale possono
trovarsi non uno, ma due interparietali; non mi intrattengo di
più su questa cosa: ma mi preme far tosto una dichiarazione.
Potrà, darsi, trovando due grandi ossa tra occipitale e parietali,
che esse siano i due veri interparietali non fusi in un unico
pezzo, ma il più sovente, a mio credere, queste due ossa non sono
i veri interparietali, sibbene gli interparietali accessorii, che descri-
vero; essendo, in tal caso, il vero interparietale anchilosato col
sopraoccipitale come squama occipitis, che può essere un poco
più piccola. Si tenga a mente questo fatto, su cui tornerò con
la dovuta estensione. — Nel terzo caso da me enumerato (^),
si ha un solo interparietale, unilaterale (tig. 12). — Lungo la
sutura lambdoidea del cranio umano, lo dico ora per incidenza
e vi tornerò sopra, possono sovente trovarsi delle ossificazioni
senza valore, che non sono né gli interparietali, né gli interparie-
tali accessorii, e che devono mettersi nel numero dei wormiani.
Nelle Scimmie gli interparietali sì comportano precisamente
come neir Uomo, saldandosi di buonissima ora al sopraoccipi-
tale e costituendone la porzione squamosa; quindi nell'adulto
non solo, ma neanche alla nascita si ha un osso interparietale
indipendente, se non per puro caso. Ritengo (;he la presenza di
interparietale indipendente nelle Scimmie debba esser fatto ben
raro: così, per esempio, in oltre 80 cranii da me osservati di
Scimmie di diversa specie ed età, mai V ho potuto notare. —
Quello che ho detto per le Scimmie valga "per i Lemuri. —
Nel giovane Qaleopiteco trovasi un interparietale, che è scom-
parso neir adulto. — Trovasi semplice o doppio nei giovani
(') Van Doeveren — Specimen observationwn academicarum, Groningae etLugduni
Batavorum 1765.
(-) Jacr^uart — Bela valeur de V os epactal comme caractère de race en anthro-
pologie. In : Journ. d*Anat. 1865. T. I.
(^) Nel Museo di Anatomia umana di Siena esistono due cranii, nei quali ò ben
visibile questa particolarità, avendosi ben distinto in ambedue il solo interparietale
destro.
120 B. nckLBi
Chiropteri. — È rarissimo negli Insettivori adulti. — I Rosi-
canti ci danno i più belli eserapii della permanenza dell' osso
inter parietale nell'adulto: sviluppatissimo lo ha il Castoro, e
più o meno tutti gli altri Rosicanti. — Nei Carnivori adulti
non si trova o raramente. — Nemmeno nell' Elefante adulto. —
Trovasi nell'lrace adulto. — Sviluppatissimo è nei Cetacei, an-
che adulti, per quanto possa anche in questi animali coli' età,
fondersi col sopraocci pitale; nei Cetacei l' interparietale si esten-
de dal sopraocci pitale al frontale: impedisce, così per tutta la
vita che i due parietali si uniscano tra loro in una sutura. —
Negli Arziodattili ruminanti adulti l' interparietale perde gene-
ralmente la sua individualità,; i Cervi giovani lo presentano
evidente. Sappiamo già, che i Snidi ne difettano. — Nei Peris-
sodattili adulti sovente manca l' interparietale, per quanto lo
si trovi evidente nei giovani e talvolta doppio anche del tempo
dopo la nascita; si vede nel Rinoceronte. — Negli Sdentati (*)
e nei Marsupiali giovani si trova e qualche volta anche negli
adulti 0 semiadulti.
Così ho licapitolato tutto ciò che si riferisce all'Anatomia
comparata delle ossa interparietali. Si è visto che mancano in
tutti i Vertebrati inferiori ai Mammiferi, nei più bassi di questi
(Monotremi) e nei Snidi. Esistono negli altri, in cui possono ridursi
ad uno e perdere la loro individualità, spessissimo nell' adulto.
Facciamo ora qualche considerazione su queste ossa. Dal momento
che esse non trovansi né nei Vertebrati inferiori, né nei Mammi-
feri monotremi, si deve ritenere che la loro presenza indica in
certo qual modo superiorità,. Ciò è indubitato : tuttavia per quanto
sieno ossificazioni proprie ai Vertebrati superiori, esse non sono
essenziali: e ciò ci vien dimostrato, non solo dal poco sviluppo
che prendono in alcuni e dal fatto che perdono in altri prestis-
simo la loro individualità,, ma specialmente dal fatto che man-
cano del tutto in certi Mammiferi, quali i Snidi. Quest' ultimo
fatto della loro assenza nei Snidi, che non sono Mammiferi dei
più bassi, costringe, lo ripeto, a non considerarli essenziali;
infatti se noi esaminiamo la serie dei Mammiferi mai troveremo
che questo o quell' altro osso possa mancare in una per ricompa-
rire in un'altra specie, e, di più, neanche mai troviamo nel cranio
(') Meckel — An, comp, etc»
OSSA ACCISSOBIB 121
dei Mammìferi, fuori degli interparietali, essa che mai abbiano
dato traccia di loro nei Vertebrati inferiori. Fa solo eccezione
alla prima di questo due regole un osso de) cranio dei Pango-
lini (ManisJ, nei quali manca (almeno così sembra) lo zigoma-
tico (*); ma ciò si può spiegare per la forma un po' inusitata
del cranio di questi animali: e vi è anche da riflettere che lo
zigomatico o giugale trovasi rappresentato in molti dei Verte-
brati sottostanti ai Mammiferi, il che basta per farcelo ritenere
elemento cranico non dirò dei più essenziali, ma certo impor-
tante. Per rafforzare sempre più la mia tesi, che le ossa inter-
parietali non sono essenziali, ma che rappresentano elementi
che sonosi aggiunti nel tegmen cranii dei più dei Mammiferi,
ricorderò anche il loro luogo di origine: la fontanella occipite-
parietale; sono dunque ossa di fontanella. Ora, dunque, concludo
dicendo: che le ossa inter parietali sono ossificazioni proprie dei
Vertebrati superiori (Mammiferi), ma non essenziali; per il posto
ove nascono posson considerarsi ossa di fontanella, di sopra a
più nel tegmen cranii. — Né si creda esagerata questa mia as-
serzione: un sommo Anatomico, Riccardo Owen, è andato più
in là,: egli ha scritto C): „ LMnterpari^tale non è un elemento
cranico costante, e non è neppure uno smembramento di un
solo e medesimo osso della testa; esso è tutto al più il più
grande e il più comune delle ossa loormiane intercalate » . Questo
certo è troppo, perchè il carattere delle ossa wormiane è di non
esser costanti, e nei più dei Mammiferi T inter parietale invece
lo è. Io dunque non lascio la opinione che ho emesso.
Gli interparietali, pur non essendo veri wormiani, sono, ho
detto, un di più che si è aggiunto nel tegmen cranii. Ma nel
tegmen cranii stesso possono aggiungersi altri elementi, i quali
non hanno, confrontati con gli interparietali, altra diflFerenza
che questa: di essere, prendendo in complesso i Mammiferi, meno
frequenti: gli interparietali mancavano nei Monotremi e nei
Snidi ed erano cosa di regola negli altri Mammiferi; gli elementi
dei quali parlerò ora sono di regola in pochi Mammiferi (Equidi),
e più rari o mancanti negli altri; ecco la diflFerenza. — Ho già,
{}) Ho detto almeno co^ sembra perchè altra volta si ritenne mancare in molti
altri Mammiferi lo zigomatico, il quale poi invece si trovò esistere nei feti e anchi-
losarsi prestissimo con altre ossa.
(*) Owen R. — Principes d* Oitéologie comparée eie. Paris 1855, pag. 35.
122 K. FICALBI
detto indietro in questo' scritto, che se noi ci facciamo ad os-
servare il cranio di un feto di Cavallo, sovente anche al mo-
mento e dopo la nascita, potremo osservare questo fatto: che
il Cavallo stesso ha non solo al davanti del sopraoccipitale due
interparietali, (che riunendosi poi in un sol pezzo costituiranno
r osso quadralo del vecchio liuini)^ ma al dinanzi dei due inter-
parietali, 0 dell'unico, se gik fusi, troveremo di regola due altre
ossa più piccole, triangolari, che si toccano in una sutura an-
teroposteriore. Queste essa, lo ripeto, sono cosa di regola nei
Solipedi, ed è per ciò che devono fermare l'attenzione dell' Ana-
tomico. Le chiamo, per la posizione loro, ossa interparietali ac-
cessorie (fig. 13). Gli Anatomici moderni, a quanto sembra,
ignorano la presenza di queste ossa, se si deve giudicarne dai
loro libri. Io stesso, col Prof. Baraldi, che le ha preparate in
diversi cranii, e che mi ha favorito la fig. 13, le credei da prima
una novità,; ma poi vidi che a Meckel {}) non erano per nulla
sfuggite. Egli dice che sono usuali presso qualche Mammifero
e di questo numero sono sopra a tutto i Solipedi: sembrerebbe
quindi, che come cosa normale o quasi le avesse trovate in altri
Mammiferi, e sono di fatto frequentissime, e trovansi in varie
specie. Meckel non le nomina, né ne indaga il significato. Io
ripeterò che sono evidentissime nel feto equino: saldausi con
l'otk prima tra loro, poi con l' in terpari etale, che loro sta in
dietro, in seguito saldansi anche in avanti coi parietali. — Ve-
diamo ora se le ossa interparietali accessorie esistono negli altri
Mammìferi. Dirò subito, a guisa di preannunzio, che esistono
frequentemente e che a torto furon sempre considerate come
ossificazioni accidentali, senza importanza: ossa wormiane, ecco
la elastica parola che tutto doveva spiegare. Io mi sono dato
a ricercare, sia nella letteratura anatomica, sia nei Musei la
presenza di queste ossa e 1' ho trovata relativamente frequente
e comune a molte specie di Mammiferi, come vengo a dire.
Neil' Uomo la presenza di cosi dette ossa wormiane nella
sutura lam})doidea è un fatto frequente assai: Sappey ed altri
Antropotomisti dicono che quivi trovansi di preferenza i wor-
miani. Il fatto è che molti di questi pretesi wormiani (a sé i
piccoli nuclei ossei senza importanza reale; sono non di rado
(«) Meckel — Tratte gen. ete. cit. - T. IV, pag. 251.
OSSA ACCESSORIE 123
le ossa interparietali accessorie, che in casi tipici, come io ho
veduto, tra la porzione squamosa dell' occipitale (derivata dalla
unione ad esso degli interparietali veri) trovansi in numero o
di due, analoghe a quelle dei Solipedi, e ne ho figurato un caso,
0 in numero di un sol pezzo, risultante veris milmente dalla
fusione delle due, come avviene nel Solipede con lo sviluppo.
Il caso che ho rappresentato colla fig. 11 mi sembra tipico: la
figura è presa dal cranio di un feto umano alla nascita (*); in
essa eo sono gli esoccipitali, 60 il basiocci pitale, 50 il sopraoc-
cipitale, ip la porzione squamosa 0 gli interparietali fusi col
sopraocci pitale ed all' intorno dei quali riman sempre qualche
segno della primitiva indipendenza e doppiezza; ipa sono gli
interparietali accessorii; è evidente la rassomiglianza che hanno
con quelli del Cavallo. Qualche volta le due ossa interparietali
accessorie sono fuse in un sol pezzo, intercalato tra porzione
squamosa dell' occipitale, la quale può essere un po' meno svi-
luppata per fargli posto, e parietali. Li ogni modo, mai gli
Antropotomisti eransi dati a riflettere sulla natura delle descritte
ossificazioni: come i piii di essi furono ostinati nel chiamare
epattale o w^ormiano vero l' interparietale, quando presentavasi
indipendente, così pure le ossa interparietali accessorie furon
da essi sempre chiamate wormiani. Ma che questa veduta non
sempre sia giusta mi pare lo dimostri il caso tipico da me ac-
cennato. Riconosco anch' io, sì, che nella sutura lambdoidea
posson prender luogo veri wormiani accidentali e insignificanti
morfologicamente, ma non posso a meno di fare avvertire e di
ripetere che molte delle ossa dette wormiani occipitali, e regi-
strate dagli Autori sono in realtà gli interparietali accessorii, di
cui ci dà» classico esempio il Cavallo. Ed anche qualcuna di quelle
ossa che come tcormiani occipitali figura e descrive, per esempio.
Calori, devono forse, a mio debole giudizio, lo ripeto, esser con-
siderate ossa interparietali accessorie 0 rimaste indipendenti tra
loro, come nell' esempio che ho figurato, 0 fus« in un sol pezzo
come avviene con 1' età, anche nei Solipedi. Né mi si obietti che
le ossa interparietali accessorie dei Solipedi sono ivormiani per-
manenti, poiché questa espressione permanenti esclude appunto
il significato che deve darsi all' altra di wormiano. Sono, bensì,
Q) Ebbi questo cranio dal Museo anatomico di Siena.
124 K. FICALBI
gli interparietali, gli interparietali accessorii, il frontoparietale,
i wormiani, come dirò in seguito, tutte ossa che passano a gradi
le une nelle altre; ma diflFerenze di grado esistono tra esse, e
gli interparietali accessorii non sono wormiani nel senso vol-
gare — Essi quando sono presenti nell' Uomo ci rappresentano
un fatto accidentale in esso, ma normale in certi Mammiferi
inferiori, ci rappresentano, in altre parole un caso di un più o
men diretto atavismo.
Così ho accennato alla presenza delle ossa interparietali ac-
cessorie neir Uomo. Vediamo ora come esistono in altri Mam-
miferi. Premetterò che si trovano spesso e già, Mechel scrisse di
avere in varii animali veduto sovente uno o più ossa molto con-
siderevoli situate al davanti dell' interparietale. — Possono tro-
varsi nelle Scimmie ed io ne ho visto un caso nel cranio di un
non adulto individuo di Simia satyrus L. — Non ne ho trovato
traccia in pochi cranii di Lemuri da me esaminati. — Nei Ro-
sicanti possono gli interparietali accessori trovarsi, fusi tra loro
in un sol pezzo, che è situato innanzi al vero interparietale: ce
ne dà, esempio assai comune il Castoro. — Anche tra i Carni-
vori spesso trovasi un osso interparietale accessorio, come ce ne
danno esempio i Gatti, i Cani; in questi ultimi anzi si ha questo
fatto singolare: che, come per un solo centro sviluppasi V in-
terparietale vero, COSI per un centro solo sembra svilupparsi
r interparietale accessorio; nella fig. 15 rappresento porzione
del cranio di un Cane, in cui V interparietale accessorio vedesi
con tutta chiarezza {i a) . — In un Irace adulto al davanti del-
l' interparietale ho visto nel cranio due interparietali accessorii
sempre liberi e indipendenti, come nel feto del cavallo. — Nei
Cetacei può esistere uno sviluppatissimo interparietale accessorio,
risultante verisimilmente dalla fusione in un sol pezzo dei due
centri primitivi; il Prof. Richiardi {^) descrisse fin dal 1877
questo terzo interparietale nel cranio di un feto di Orca: di-
mostrò che in esso cranio ^ esistono tre interparietali; due pari,
al davanti del margine superiore del sopraoccipitale, separato
r uno dair altro sulla linea mediana da una piccola placca os-
sea, ed un terzo impari assai più ampio, che sta al davanti dei
(') In : Processo verbale dell'adunanza del 14 gennaio 1877 della Società Toscana
di Se. Naturali, residente in Pisa.
OSSA AGCESSOBIE 125
margini superiori dei precedenti e dei parietali e giunge fino ai
frontali » ; disse anche che ^ dal saldarsi dei detti interparietali
tra loro e col sopraoccipitale ne risulta quella porzione lam-
bdoidea dell' occipitale così ampia negli individui adulti, da par-
tecipare col suo margine anteriore alla formazione del vertice
della testa ». Questo è davvero un bel caso. — Nel cranio di
uno Sdentato (Myrmecophaga tamandua Desm.) ho visto ben svi-
luppato r interparietale accessorio, di forma losangica, situato
tra parietali e squama occipitis. - Nei Marsupiali può trovarsi
r interparietale accessorio, come ce ne danno frequente esempio
la Sariga, il Wombato.
Ho parlato, così, dì ciò che si riferisce agli interparietali
accessorii, considerati negli ordini dei Mammiferi. Si è visto che
il loro posto di origine è la fontanella occipitale: sono dunque
ossa di fontanella. Mancano, come è ovvio a intendersi, nei
Vertebrati inferiori ai Mammiferi e nei Monotremi, possono
trovarsi nei Mammiferi degli altri ordini: anzi in taluni Mam-
miferi sono cosa di regola (Equidi). Queste ossa sono anche
meno essenziali degli interparietali veri, per quanto però veri
wormiani non siano, trovandosi costanti in qualche specie. Vo-
lendo ora, per riassumere, definire gli interparietali accessorii,
può dirsi: che sono ossificazioni proprie dei Mammiferi al di
sopra dei Monotremi, ma che non sono essenziali ed anche meno
essenziali degli interparietali; sono ossa di fontanella anch'essi
come gli interparietali veri e al pari di essi sono ossificazioni
di sopra a più nel tegmen cranii.
Abbiam visto, così, che quali elementi di sopra a più nel
tegmen cranii dei Mammiferi possono trovarsi gli interparietali
e gli interparietali accessorii. Può, oltre questi, riscontrarsi in
un altro osso di fontanella, che segna propriamente il tratto
di unione tra le ossificazioni surramraentate e i wormiani. L'osso
al quale alludo risiede nel posto della fontanella frontoparietale
e non è raro vedere che si insinua alquanto tra i frontali an-
teriormente e i parietali posteriormente. Lo chiamo osso fronto-
parietale per la sua situazione : potrebbe dirsi anche osso inter-
frontale (^). Perchè, mi si potrebbe tosto chiedere, non deve esser
(') Non ho adottato rappeUativo di inter frontale (usato, se non erro, per T Uomo
da Boianus) perchè quando i due frontali, come quasi sempre avviene, saldansi in
un sol pezzo, non sembra più che quest' osso sia tra V uno e V altro, ed anche non
126 lE. FIGALBi
messo r osso frontoparietale addirittura tra i wormiani od
esclusone affatto? Tra i wormiani non può a buon dritto met-
tersi per una ragione non del tutto trascurabile; perchè, cioè,
esso sebbene non sia propriamente di regola in alcun Mam-
mifero, pur tuttavia è quasi di regola nelle Scimmie platirrine
appartenenti alla famiglia dei Cebidi e specialmente nelle specie
dei generi Cebus e Ateles. Se noi ci facciamo ad esaminare un
certo numero di cranii di Cebi o di Ateli con tutta facilità tro-
veremo che il posto della fontanella frontoparietale è occupato
da un osso che, specialmente negli Ateli, ha forma romboidale
e che con un estremo si insinua tra i due frontali o in un' in-
taccatura del frontale, se i due sonosi fusi in un sol pezzo, con
l'altro estremo si insinua un po' tra i due parietali (fig- 16).
Escluderlo poi affatto dai wormiani non si può tanto facilmente,
perchè costante non è veramente in alcun Mammifero. Credo,
quindi, di non esser lontano dal vero dicendo che 1' osso fron-
toparietale segna il passaggio dalle altre ossa di sopra a più
del tegmen cranii dei Mammiferi ai veri wormiani. Credo anche
di non esser lontano dal vero ammettendo che, fermo ciò che
ho espresso, esso abbia un po' maggiore dignità dei wormiani,
e questo perchè la sua presenza non è un fatto così acciden-
tale come quella dei wormiani, essendo 1' osso istesso comunis-
simo nei cranii delle Scimmie, che più sopra ho rammentato. —
Do un cenno di qualche altro Mammifero, in cui può trovarsi
r osso frontoparietale (^).
Nell'Uomo può trovarsi l'osso frontoparietale: è però piut-
tosto raro, specie ben sviluppato. Lo conoscevano già gli Autori
antichi e sovente lo si trova accennato sotto 1' appellativo di
osso antiepilettico, perchè fu creduto eroico rimedio nella epilessia.
In oggi va generalmente col nome di wormiano della fontanella
anteriore e frontale, od anche col nome di frontatale. — Nelle
Scimmie ho già detto che può trovarsi frequentemente 1' osso
in quistione e ce ne danno esempio quasi costante i Cebidi.
Nella fig. 16 ho rappresentato l'osso frontoparietale di un Ateles;
l'osso stesso vedesi in fp: ha forma romboidale e si insinua
r ho adottato perchè in certe Scimmie (Cebus) sembra rappresentare T apice jìoste-
riore staccato del frontale, che è in questi animali molto prolungato in dietro a guisa
di cuneo, che si insinua tra i due parietali.
0) V. Leuckart — ZooL Bruchstuche, II; Stuttgardt, ISil.
OSSA ACCESSORIE 127
in avanti in una intaccatura del frontale fr^ intaccatura che
era primitivamente tra i due frontali dell'individuo giovane,
dietro si insinua alquanto trai due parietali, p a. Anche in Scimmie
di altre famiglie può trovarsi Tosso frontoparietale: in 75 cranii
esaminati, di Scimmie che non fossero Cebidi, ho trovato due
volte la presenza del surrammentato osso: una volta nel cranio
di un Cercopithecus cynosurus Geoflfr., una seconda volta nel cranio
di un Inutis ecandatus Geoffr. Tutte e due le volte era benissimo
sviluppato e di forma romboidale, avente insomma apparenza
e rapporti, come quello della fig. 16. — In altri Mammiferi può
trovarsi V osso frontoparietale e talvolta bene sviluppato. Nella
fig. 17 ho disegnato V osso stesso come si trova nel cranio di
uno Sciacallo (^): in essa fr sono i frontali; pa i parietali; fp
è l'osso frontoparietale, il quale come T interparietale e l'in-
terparietale accessorio nei Cani, è di forma quadrilatera ed al-
lungato. — Per citare (jualche altro Mammifero, dirò che Ca-
lori (-) descrisse e figurò pel cranio del Pedetes caffer Illig. un
ben sviluppato osso frontoparietale, eh' egli chiamò wormiano
della fontanella anteriore. Anch' io ho esaminato diversi cranii di
Rosicante ed un caso di osso frontoparietale ben sviluppato ho
riscontrato in un' Istrice. Un caso ne ho visto in un Marsupiale,
e taccio di altro (^).
Oltre gli interparietali, gli interparietali accessorii e 1' osso
frontoparietale, possono nel cranio dei Mammiferi e specialmente
in quello dell' Uomo, rinvenirsi delle piccole ossificazioni di sopra
a più, che non hanno la minima costanza né nel modo di ap-
parire, né nel numero loro. A questi ossetti accessori si diede
il nome di wormiani attribuendone la scoperta all' Anatomico
danese Olao WormiuSy che credette nel 1611 averli descritti pel
primo, mentre già li conoscevano gli antichi e Bartolemeo Eusta-
chio nel secolo precedente a Wormius ne avea tenuto parola. —
Dobbiamo intendere per wormiani quelle ossificazioni che non
hanno né regola, né costanza alcuna nella apparizione loro, ma
che sono prettamente accidentali. Il luogo di apparizione degli
ossetti wormiani sono di preferenza le fontanelle e le suture
(') Sa 25 cranii esaminati, appartenenti ad individui del genere Canis, ho trovato
una sola volta V osso frontoparietale.
(«) Calori L. — /n : Mem. delVAcc, d. Se. delV IstiL di Bologna^ T. V, An. 1854.
O Non ho riscontrato mai Tobso frontoparietale in 15 cranii di gatti.
128 S. FICALBI
del tegmen cranii: così compaiono sia nel sito della fontanella
occipitale, e della frontoparietale, sia nel decorso delle suture
larabdoidea (•), biparietale, frontoparietale. Possono per di più
osservarsi frequentemente wormiani fuori del tegmen cranii in
altre articolazioni o suture, anche di ossa cartilaginee con mem-
branacee; vedonsene spesso nella sutura tempore parietale, nella
sfenoparietale, nella sfenofrontale: x^osì un wormiano sovente
assai sviluppato si ha nella sutura temporoparietale (squamopa-
rietale) ora detta, e gli si dà, il nome di crotatale; uno (o più)
può aversi nel sito della fontanella temporooccipitoparistale; non
tra r angolo anteroinferiore del parietale e la grande ala dello
sfenoide, e gli si può dare, con Floioer, il nome di wormiano
epipterico. Perfino dentro l'orbita si è visto la presenza di un
wormiano, nel punto ove si incontrano tra loro frontale, etmoide,
sfenoide. Tra le ossa della così detta faccia dell'Anatomia umana
sono rarissimi i wormiani. Tutto ciò, esclusivamente, o quasi,
per r uomo. Sovente i wormiani sono laminette ossee, le quali
non corrispondono che o al solo tavolato interno o al solo ta-
volato esterno delle ossa craniche. In conclusione i wormiani
sono ossificazioni usualmente piccole, che ci stanno a rappre-
sentare punti di ossificazione insoliti e dispersi senza regola.
I wormiani sono specialmente ritrovabili nella specie umana.
Anche le Scimmie possono presentarli: in 80 cranii scimmieschi,
tre ho visto presentare qualche wormiano. Negli altri Mammi-
feri possono esistere, ma rari.
Quale è la cagione del prodursi dei wormiani ? In certi casi
non si può scorgere causa alcuna apprezzabile e bisogna consi-
derare la presenza loro come una mera accidentalità. In altri
casi, reperibili nella specie umana, è possibile spiegare la for-
mazione e la presenza di queste ossificazioni: così, in generale
si è visto che quando il contenuto cranico è molto abbondante,
si ha la formazione di wormiani, quasi che essi fossero nuovi
pezzi che si aggiungono agli altri, per aumentare la capacità
craniense; nei crani degli individui idrocefalici notasi il maggior
numero dei wormiani. In certi casi di accrescimento grande del
(^) Nel Museo di Siena esiste un cranio di una pazza nel quale, oltre ad altri
wormiani, ne esistono al di sopra dell* angolo superiore delP occipitale quattro, con
una disposizione curiosa : di essi uno è centrale, triangoliforme, gli altri tre gli stanno
attorno, situati uno per ogni lato del primo.
ÒS8A AOCESSORIB 129
cranio il numero dei wormiani sì fa grandissimo (in modo da
avvicinarsi alla cinquantina) per divisione in pezzi delle singole
ossa di ricii opri mento: così Portai {^) dice che negli sfiancaraeuti
del cranio prodotti da soverchio contenuto le ossa piatte del
tegmen cranii, specie i parietali, si dividono in molti frammenti
o wormiani, quasi che il cranio fosse formato da una congerie
di queste ossa.
Da tutto quello che sono venuto dicendo, chiaro si vede
come nel cranio dei Mammiferi confrontato con quello dei Ver-
tebrati inferiori, si vengono aggiungendo delle nuove ossa di
ricuopri mento. Di queste nuove ossa, alcune sono costanti in
tutti i Mammiferi, eccetto poche eccezioni: sono gli interparie-
tali. Altre sono costanti in un piccol numero e frequenti, ma
non costanti, nei più: sono gli interparietali accessorii. Altro
osso non è costante mai, ma quasi costante in un certo numero
di Mammiferi, e assai frequente in altri : è V osso frontoparietale.
Altre ossificazioni infine sono prettamente e sempre accidentali,
per numero, per modo, e per sito di apposizione: sono le ossa
wormiane, ritrovabili prevalentemente nella specie umana. —
Certo ognuno non potrà a meno di riconoscere che esiste una
certa aflSnità. tra le quattro maniere di ossa, che ho enumerato;
han tutte questo di comune: che sono accessorie; tuttavia grande
differenza di grado e di importanza tra le prime e le ultime esiste.
Peccherebbe ugualmente, a mio credere, colui che volesse porre
tra le ossa essenziali del cranio gli interparietali, come colui che
gli interparietali stessi considerasse wormiani: e Tuua e T altra
di queste pecche furoh dagli Anatomici commesse.
Si potrebbe ora chiedere quale possa essere la cagione che,
nei Mammiferi e precisamente in quelli al dì sopra degli Orni-
todelfi, ha portato alla formazione delle ossa accessorie. Quanto
ai wormiani, abbiam visto che può contribuire al loro prodursi
r aumentato contenuto cranico. Questo fatto potrebbe dar luce
a spiegare la formazione delle altre ossa accessorie. Fermandoci
agli interparietali, che sonò le ossa accessorie più importanti
e costanti, sarebbe errore il credere che fossersi formati (e poi
ereditariamente trasmessi) nel cranio dei Mammiferi per V au-
mentato volume dell' encefalo, in confronto di quelle degli altri
Vertebrati 1
(») Portai — Court d* Anat. méd. T. I. Paris, 1803.
Se. Nat. Voi. U. faic. !.<> 9
ISO B. FICALBI
Facendo ora termine, riassumo per comodità le cose princi-
pali, che sono venuto dimostrando in questo mio scritto.
L — Nei Vertebrati sottostanti ai Mammiferi non si ha
traccia né di interparietali, né di altra ossificazione affine (ossa
accessorie). Le ossa accessorie sono proprie alla classe dei Mam-
miferi, senza che, però, si ritrovino in tutti.
2. — Gli interparietali ( o T interparietale ) , per quanto
siano ossa quasi costanti nei Mammiferi, mancano tuttavia nei
Monotremi (1) e nei Snidi: ora questo fatto della loro mancanza
in alcuni Mammiferi ci fa vedere come gli interparietali stessi
siano ossificazioni non essenziali. Infatti nessun altro osso del
cranio (esclusa forse una eccezione per lo zigomatico, che del
resto si trova non solo nei Mammiferi, ma nella grande massa
dei Vertebrati) può mancare, come ho detto avvenire per gì' in-
terparietali nei Snidi (taccio della loro mancanza nei Monotremi
e in tutti gli altri Vertebrati); nessun altro osso del cranio poi
perde così facilmente e presto la propria individualità, come so-
vente fanno gli interparietali. Per concludere, dunque, e senza
andare all' estremo di Owen, che li considerò addirittura wor-
miani, può dirsi che gli interparietali sono ossificazioni di fon-
tanella, ritrovabili in quasi tutti i gruppi dei Mammiferi, ma
non in tutti: sono, cioè, frequentissime, ma non essenziali; e
riflettendo che non esistono nella grande massa dei Vertebrati,
siamo costretti a riguardarli come ossa di sopra a più nel teg-
men cranii.
8. — Negli Equidi abbiamo lo sviluppo, nella fontanella
occipitoparietale, in via normale o costante, di due ossificazioni
in più, oltre i due parietali: abbiamo, cioè, gli interpanefali ac-
cessorii. Questi possono frequentemente trovarsi in molti altri
Mammiferi, fusi o no in un sol pezzo. Gli interparietali accessorii
non devono esser messi nel novero delle ossa wormiane, perchè
sono normali e costanti negli Equidi e il fatto della costanza
esclude appunto la natura vera e propria di wormiano. Può
dirsi che gli interparietali accessorii sono ossificazioni di fonta-
nella molto meno frequenti, considerando la serie intiera dei
Mammiferi, degli interparietali e come essi e più d' essi sono
ossificazioni di sopra a più nel tegmen cranii.
4. — Nella specie umana trovansi talvolta tra squama
occipitis (la quale rappresenta i veri interparietali fusi tra loro
ossi AOGISSOBÌE 131
e col sopraoccipitale) e parietali, nella situazione della parte più
anteriore della fontanella occipitoparietale, due ossa, od un osso
solo, presentanti un certo sviluppo e regolarità: i cultori di
Anatomia umana non hanno di queste ossificazioni interpretata
mai la vera natura, limitandosi a denominarli wormiani. E ra-
gionevole invece ritenere che rappresentino gli interparietali
accessoria Sì ha, così, in occasione della loro presenza, la ri-
petizione accidentale neirUomo dì un fatto normale in certi
Mammiferi ad esso inferiori, si ha, cioè, un caso di atavismo.
6. — Nelle Scimmie dei generi Ateles e Cebus è un fatto
non dirò costante, ma frequentissimo la presenza, nel sito della
fontanella anteriore, di un osso di forma presso che romboidale,
che è posto tra i due frontali (o tra il frontale) e i parietali:
lo dico osso frontoparietale. Esso può trovarsi nel cranio di di-
versi altri Mammiferi, compreso V Uomo. È un osso di fonta-
nella, che ci sta a indicare il passaggio vero tra interparietali
e interparietali accessori con le ossa wormiane. Sta un po' al
di sopra delle ossa wormiane, perchè quasi di regola negli Ateli
e nei Cebi, ma d' altra parte ricorda affatto queste ossa, perchè
è del tutto accidentale negli altri Mammiferi compreso V Uomo.
Non v'è bisogno che dica che l'osso frontoparietale anche in
misura maggiore degli interparietali e degli interparietali ac-
cessorii, è un osso di sopra a più nel tegmen cranii.
6. — Le ossa wormiane sono ossificazioni affatto acciden-
tali, fuori di ogni cagione ereditaria. Possono nascere in tutti
i punti del cranio: prevalgono nel tegmen. Confrontando i vari
Mammiferi tra loro, si vede che è l' Uomo quello che prevalente
mente presenta wormiani: possono presentarne anche le Scimmie
(io ho visto 3 casi su 80 cranii ), e raramente altri Mammiferi.
7. — Dagli interparietali ai wormiani, come abbian visto,
si va per gradì: gli interparietali sono comuni a moltissimi
Mammìferi, sebbene non a tutti ; gli interparietali accessorii sono
cosa di regola soltanto in pochi, per quanto possano apparire
in altri ; l' osso frontoparietale non è veramente costante in nes-
suna specie, per quanto sia quasi costante nei Cebidi; i wor-
miani infine sono sempre accidentali per sede per numero e per
modo di apparizione.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
TaT. X.
Fig. 1. (metà del naturale). Veduta superiore del cranio di un embrione di
SU3 scrofa L. (alcune ossa che dovrebbero vedersi alquanto di lato,
come gli squamosi età, sono state trascurate), n a nasali ; fr fron-
tali, tra i quali è compresa la sutura bifrontale; p a parietali, tra
i quali è compresa la sutura biparietale; k fontanella frontoparietale ;
8 0 sopraoccipitale.
> 2. (2 volte e '/t ingrandita). Veduta posteriore del cranio di un embrione
di Numida meleagris L. nell'ultima settimana di incubazione, bo
basiocoipitale ; eo esoccipitali; so sopraoccipitale; fo grande fo-
rame occipitale; sq squamosi; p a parietali; fr frontali; z fonta-
nella occipitoparietofrontale.
» 3. (2 V. ingr.). Veduta superiore di parte del cranio di un Platydactylus
mauriianicus Gmel. fr frontale; p «/* post frontale ; pa parietali;
s 0 sopraoccipitale; eo esoccipitali; s q squamosi; b o basioccipitale ;
zM fontanella occipitoparietale.
» 4. (V4 di volta ingr.). Veduta superiore di parte del cranio di un !ZVopt-
donotus natrioo Wagler. pa parietale ; p «/* postfron tale; prò pro-
otico ; e 0 esoccipitali ; s 0 sopraoccipitale.
> 5. (4 V. ingr.). Veduta superiore di parte del cranio di un Siphonops in-
siinctus Wagl. fr frontali ; p a parietali ; e 0 esoccipitali, di cui cia-
scuno mostra un condilo articolare, co,
> 6. (2 V. mgr.) Veduta superiore di parte del cranio di una Rana esculenta
L. fp osso frontoparietale; prò il prootico destro; eo esoccipitali,
col condilo e 0; fo foro occipitale, z spazio non ossifìcato al di dietro
del frontoparietale.
> 7. (metà del vero). Veduta superiore di porzione del cranio di un Ssox
Lucios L. fr frontali; p a parietali; ep epiotici; so sopraoccipitale.
> 8. (quasi al vero). Veduta posteriore del cranio di un embrione di Sus
scrofa L. fr frontali ; p a parietali; h fontanella frontoparietale ; s q
I
I
133
squamoso; p periotico shiistro; eo esoccipitale col condilo co; ho
basioccipitale ; fo forame occipitale; so sopraoccipìtale ; x tessuto
non ossificato tra sopraoccipìtale e parte superiore del gran foro.
Fig. 9. (metÀ del vero). Veduta superiore della parte posteriore del cranio di
un giovane Cane (gli squamosi sono stati trascurati), fr frontali;
p a parietali ; t o sopraoccipitale ]int interparietale.
» 10. (grand, naturale). Veduta posteriore del cranio di un embrione di pe-
cora lungo, dalla fronte all'origine della coda, centm. 18 (non sono
stati disegnati gli squamosi e i periotici). fr frontali ; p a parietali ;
k fontanella frontoparietale ; so sopraoccipitale; inti due interpa-
rietali; eo esoccipitali coi condili, co; ho basioccipitale; fo foro
occipitale; x tessuto non ossificato tra sopraoccipitale e parte supe-
riore del gran foro.
> 11. (V^ del vero). Veduta posteriore di un cranio umano, p a parietali; te
temporali; oc occipitale; ini interparietale.
> 12 (^ del vero). Veduta posteriore di un cranio umano, p a parietali; te
temporali; oc occipitale; t n ^ T interparietale dèstro, che solo è ri-
masto distinto, essendosi il sinistro fuso col sopraoccipitale.
> 13. Interparietale ed interparietali accessorii di un embrione di Cavallo
lungo dalla fronte ali* origine della coda centm. 46 circa (grand, na-
turale), so limite superiore del sopraoccipitale; pa limite intemo
dei parietali; ip osso interparietale, in cui si vede sempre T accenno
della primitiva doppiezza; tp a interparietali accessorii.
> 1 4. Occipitale di un feto umano a termine, con gli interparietali accessorii
(% del naturale), bo basioccipitale; eo esoccipitali; « o sopraoccipi-
tale; tp interparietali, fusi già in parte tra loro e col sopraoccipi-
tale; ipa interparietali accessorii.
» 15. (Va del vero). Veduta superiore della parte posteriore del cranio di un
Cane (gli squamosi sono stati trascurati). /*r frontali ; p a parietali ;
so sopraoccipitale; tp interparietale; ia interparietale accessorio.
> 16. (grand, nat.) Osso frontoparietale in un Ateles variegaius Natterer.
fr frontale; p a parietali; sfp sutura frontoparietale; sp sutura bi-
parìetale ; fp osso frontoparietale.
> 17. (grand, nat.) Os^o frontoparietale in un Canis mesomelas Scbreb. fr
frontali; pa parietali; «/* sutura bìfrontale; sp sutura biparietale;
sfp satura frontoparietale; fp osso frontoparietale.
SULLE DIVERSE FORME
OHI
S IH PABTIOOLAB MODO
SULLE FORME CHE ASSUMONO IL GHLVCGIO E I SALI
NELL'ACQUA, I CORPI ATTACCATI DAL LIQUIDO
CHE LI CIRCONDA E GLI ELETTRODI POSITIVI DI
METALLO OPPUR DI CARBONE
S fULLA NOTRTOLB
INFLUENZA DKLL^OSSIGENO DELL^ARIA IN QUESTE ULTIME AZIONI
MEMORIA
DI A. BARTOLI E G. PAPASOGLI
L — Ogni volta che abbiamo elettrolizzato oei nostri
precedenti studi, dei liquidi acidi, alcalini e neutri usando ])er
elettrodo positivo della grafite, o del carbon di storta o d' altia
specie osservammo che V elettrodo prendeva delle forme diverse
secondo la natura deir elettrolite in cui stava immerso.
Ci occupammo di un tal fatto in una nota assai dettagliata
pubblicata nel 1883 col titolo: * Nuova Contribuzione alla istoria
del Carbonio „ negli atti della società toscana di Scienze Naturali
ed alla qual nota aggiungemmo due tavole per maggior chia-
rezza (*).
Torniamo oggi sullo stesso argomento, cioè sulla forma che
vari corpi solidi assumono nello sciogliersi in liquidi di varia
natura tanto che essi corpi siano semplicemente immersi in li-
quidi attivi 0 no quanto che vengano percorsi da corrente elettrica.
(0 Così fpure una tavola con le figure del carbone che ha servito da elettrodo
positivo la inserimmo nella Gazzetta Chimica e nel Nuovo Cimento anni 1881-82.
SULLB DIVERSE FORME CHE PRENDONO I CORPI NEL DISGIOOIJERSI EC. 185
Con queste ricerche abbiamo voluto spiegare quel fenomeno
che continuamente si ripete quando un corpo solido stando im-
merso in un liquido in quiete, è maggiormente consumato, nella
pluralità dei casi, nel punto d^ affioramento che nella parte im-
mersa.
n. — Sperimentammo in primo luogo col ghiaccio, come
il caso il più semplice, nel quale un corpo solido si scioglie in
un liquido della medesima natura. Procurammo che la tempe-
ratura della massa liquida non fosse variata sensibilmente dal
ghiaccio, che vi si fondeva, adoperammo perciò una massa
d' acqua molto maggiore relativamente a quella del ghiaccio che
vi si immergeva. Il liquido era tenuto nella massima quiete ed
in una grandissima vasca di vetro.
Quando un cilindro di ghiaccio dell' altezza di 16 o 20 cm.^
e del diametro di circa 6 cm. tenuto fermo alla parte superiore
viene immerso per metà in una grande massa d^ acqua portata
alla temperatura di OO^'C, in pochi minuti la parte immersa
si fonde, come pure si fonde una piccola parte di quella emersa
in modo che quest' ultima resta sollevata dalla superficie del-
l' acqua mantenendo la base quasi piana. F. I.
Se la temperatura dell' acqua s' abbassa aumenta per con-
seguenza il tempo necessario perchè la parte immersa si fonda
ed il cilindro acquista la figura di due coni saldati fra loro ai
vertici, ed intanto che T inferiore va sollecitamente distruggen-
dosi il superiore si fa sempre più marcato. F. II.
La causa per cui la parte emersa prende la forma di un
cono rovesciato dipende dai vapori acquei che s' inalzano dalla
superficie del liquido, come la sua forma più o meno acuminata
dipende dal tempo maggiore o minore che vi sta in contatto.
Quando poi la temperatura dell' acqua scende fra i 60*— 20*C
allora la forma della parte emersa del ghiaccio appena si mo-
difica, e Y immersa si fonde mantenendo sempre la forma cilin-
drica e la fusione progredisce uniformemente sì in basso come
lateralmente F. III.
Abbassando sempre più la temperatura 20* — 10" C, la forma
cambia ed il cilindro di ghiaccio immerso assume quella di una
goccia più 0 meno grossa secondo il grado di temperatura del-
l'acqua, e nel punto di affioramento avviene il maggior con-
sumo, di maniera che la parte immersa si stacca dalla emersa.
1 86 A. BABTOLI E G. PAPAS06LI
Pia bassa che è la temperatura dell' acqua, non inferiore però
ai &"* C, più grosso è il pezzo che si separa, ma questa separa-
zione avviene più lentamente. Così mentre un cilindro del dia-
metro di 7 cm. immerso neir acqua a 20' C è diviso nel punto
di affioramento in 15 minuti, quando la tempreratura si abbassa
a 10* C il tempo cresce fino a 40 minuti, P. IV.
Nei casi precedenti la forma che prende il cilindro immerso
dipende dal prodursi, nell'acqua intorno alla superficie di contatto,
una corrente fredda discendente a causa della maggiore densità,
acquistata dall' acqua che lo circonda e che ne trattiene la fu-
sione, mentre a distanza formasi uno corrente calda ascendente,
che investendo il ghiaccio nel punto di affioramento ne accelera
in quel punto stesso la liquefazione e produce la strozzatura:
formansi cioè nel liquido dei moti convettivi.
Se in luogo di un cilindro si sperimenta con un cubo di
ghiaccio facendo in modo che questo stia completamente im-
merso nel centro di una massa considerevole d' acqua, si osserva
che se la temperatura è superiore ai 4^ C la figura che va ac-
quistando è quella di una mezza sfera con la curvatura in alto
se poi è inferiore ai 4* C il ghiaccio acquista la stessa forma
ma rovesciata F. V.
Sperimentando in seguito con acqua alla temperatura di 4* C,
cioè nel caso della sua massima densità, il cilindro di ghiaccio
si fonde in basso, per cui nel fondersi genera dell' acqua meno
densa e più fredda (la temperatura oscillava fra 1** — 2° C), la
quale nel salire in alto lambendo la superficie del ghiaccio ri-
chiama dietro a sé quella più densa e più calda, ciò che deter-
mina una fusione maggiore in basso che in alto. F. VI.
Ripetendo le medesime esperienze con acqua nella quale era
stato sciolto tanto cloruro di sodio da renderla presso che della
densità dell' acqua di mare (36—40 gr. ®7oo) osservammo che
il ghiaccio immei*so acquista la forma rappresentata con la F. VI,
perchè V acqua prodotta dalla sua fusione è sempre meno densa
dell' acqua in cui sta immerso, e conseguentemente produce una
corrente ascendente intorno al ghiaccio immerso. Però se la
temperatura dell' acqua salata era sotto 4** C allora l' acqua della
corrente ascendente arrivata alla superficie si gelava di nuovo
formando un largo collare rilevato intorno al cilindro di ghiac-
cio, F. vn^
SUCLS DIYEBSE FORME CHE PRENDONO I CORPI NBL DISCIOLIERSI EC. 187
Questo fatto spiega il meccanismo con cui i massi di ghiaccio
galleggianti in mare si saldano fra di loro con tanta facilità,
e prova ne sia che posti due cilindri fra di loro distanti 1 cm.
bentosto formarono un sol pezzo.
ni. — Il cloruro ammonico foggiato in cilindri, il sai
gemma, il carbonato sodico, V idrato potassico, quello sodico
come pure i grossi cristalli di solfato di rame quando sono in
parte immersi neir acqua distillata assumono una sola forma
più o meno marcata secondo il tempo che stanno immersi e la
temperatura deir acqua; formasi cioè una strozzatura nel punto
d* affioramento che aumenta rapidamente tanto da separare la
parte emersa dalla immersa.
La strozzatura avviene perchè appena s' immerge nàir acqua
un corpo solubile in essa una certa quantità del corpo solido
si scioglie neir acqua che lo circonda e queste aumentando di
densità scende in basso lungo il corpo stesso difendendolo dal-
r acqua meno densa circostante che viene allontanata e spinta
in alto. Questa a sua volta venendo in contatto all'affioramento
col corpo, ne scioglie una certa quantità e scende essa pure in
basso lambendo il corpo: ripetendosi più e più volte questo
fatto si produce la strozzatura: la causa poi della forma conica
che assume la parte immersa facilmente si capisce riflettendo
che r acqua che circonda il corpo solubile essendo meno satura
in alto che in basso scioglierà neir unità di tempo, maggior
quantità del corpo nella parte superiore immersa che nella in-
feriore, oltreché vi saranno le correnti discendenti ec.
Se poi 8* immerge nel centro di una grande vasca d' acqua
un cubo di sai gemma, o di allume, o di solfato di rame o di
cloruro ammonico, in modo che la sua base sia orizzontale so-
spendendolo per un filo, dopo breve tiompo il cubo si consuma,
prendendo una forma che si avvicina a quella di una semisfera,
con le convessità in alto. Invece se si adopera un cubo di ghiac-
cio, in una soluzione salina, il dado prende ancora la forma di
semisfera ma con la convessità rivolta in basso. F. V.
Impiegando poi dei cilindri fusibili, come di cera, di stearina,
di spermaceti, di paraffina, di sego e dei dadi delle stesse so-
stanze immerse in una vasca piena d' acqua calda, si otteneva
un consumo simile a quello del ghiaccio nelle soluzioni di acqua
salata F. VII, dacché appunto il liquido proveniente dalla fusione
i
138 A. BABTOLI E 6. PAPÀSOGLI
di quelle sostanze saliva in alto. Invece un cilindro di paraf-
fina, o un dado di paraflana, negli olii leggieri del petrolio si
discioglie prendendo le forme dei sali neir acqua, a causa della
mag^iiore densità, della paraflBna. F. Ili e IV.
Ciò che abbiamo detto sin qui si riferisce al caso delle sem-
plici soluzioni, nel caso poi di solidj, che reagiscono chimica-
mente con i liquidi nei quali vengono immersi facemmo le se-
guenti osservazioni.
IV. — Consumo di un cilindro attaccato da un liquido. — Im-
mergendo un cilindro di carbonato di calcio in una soluzione
diluita di acido cloridrico il cilindro prende una forma simile a
quella rappresentata dalla figura (F. Vili) che varia però se la
soluzione acida è un po' concentrata. Se lo sviluppo è debole si
forma nel punto d' aflaoraraento una strozzatura marcata e la
parte immersa prende la forma conica a motivo delle correnti
ascendenti e discendenti che si formano, se poi lo sviluppo
è vivace allora si osserva un solco profondo circolare nel punto
d' aflaoramento e la parte immersa prende la forma di un cono
rovesciato. F. IX. In questo caso dunque il massimo consumo
avviene in alto ed al basso mentre nel centro è assai minore.
Ciò dipende dallo sviluppo gassoso che determina una cor-
rente ascendenle che incontra la discendente determinata dalla
maggiore densità acquistata dalla soluzione acida per il cloruro
calcico disciolto: formasi dunque nel centro uno strato di un
liquido più denso che agli estremi, e la parte del cilindro im-
merso prende la forma di due coni saldati fra loro per la base.
Lo stesso avviene per lo zinco, il ferro e tutti quei metalli
attaccati dalle soluzioni nelle quali s' immergono, il loro con-
sumo è maggiore nel punto d' aflaoramento.
V. — Azione dell' aria. — In questo caso però un' altra
causa concorre a far sì che all' aflBoramento avvenga la stroz-
zatura e quindi la separazione della parte emersa dalla immersa.
Di sovente s'osserva che alcuni metalli (specialmente il rame)
immersi in parte in un liquido inattivo, col tempo vengon cor-
rosi nel punto in cui toccano la superficie del liquido. La causa
di questo fenomeno dipende dall'ossigeno atmosferico.
Per provare ciò eseguimmo le seguenti esperienze S' immerse
in parte nell' acido solforico diluito un cilindro di rame del dia-
metro di 5 mm., (a freddo l'acido solforico diluito non attacca il
i
SULLE DIYSBSE FORME CHE PRENDONO I CORPI NEL DISCIOOUERSI EC. 1 39
rame), e per prova di confronto mettemmo un egual cilindro di
rame nelle stesse identiche condizioni del primo con la diffe-
renza che al liquido acido sovrapponemmo uno strato di pe-
trolio rettificato alto 3 cm.
Passò un mese senza che si potesse osservare alcun fenomeno
nei due saggi; in seguito osservammo che il liquido del primo
saggio aveva preso un leggero colore bluastro mentre quello
del secondo saggio era incoloro. Passato il secondo mese si for-
marono dei minuti cristalli di solfato di rame sul cilindro del
primo saggio, che stavano attaccati pochi millimetri sopra alla
linea d^ affioramento; quei cristalli col tempo aumentarono di
numero e di grossezza tanto da ricuoprire tutta la parte emersa
del cilindro di rame, mentre che il cilindro di rame del secondo
saggio rimase terso e di grossezza uniforme come vi fu messo.
Alla fine del quarto mese il rame del primo saggio mentre man-
teneva la sua forma cilindrica, nella linea d^ affioramento pre-
sentava un profondo solco circolare F. X. Gli stessi risultati si
ottennero con cilindri di piombo entro soluzioni diluite di acido
acetico, si trovò dopo varii mesi attaccato il piombo nella boc-
cia dove avevd. accesso Taria; mentre neir altra boccia nella
cui parte superiore avevamo prodotto una atmosfera di gas il-
luminante, 0 dove si era messo uno strato di petrolio, il piombo
non si trovò affatto attaccato.
La causa di questi fenomeni è evidentemente dovuta al-
r azione dell' ossigeno atmosferico.
VI. — Consumo di un elettrodo cilindrico. — Un cilindro
verticale di rame impiegato come elettrodo positivo entro una
larga vasca contenente una soluzione satura di solfato di rame,
mentre V altro elettrodo è una larga lamina di rame che forma
la superficie di un cilindro di un decimetro e più di raggio, di
cui il primo cilindro è V asse, non si consuma regolarmente,
ma prende dopo un certo tempo la forma della fig. XI, e final-
mente dopo un tempo più o meno lungo, dipendente dalla in-
tensità della corrente e dalla superficie (dell' elettrodo positivo
esso si stacca completamente nel punto dove il cilindro era
toccato dalla superficie della soluzione di solfato di rame.
L'esperienza fu ripetuta diverse volte con cilindri di varie gros-
sezze, e correnti di diversa forza, sempre i cilindri si trovarono
spezzati lungo la linea che separa il liquido dall'aria sovrastante.
140 A. BARTOLl I 6. PÀPAS06LI
Se invece sì toglie il cilindro qualche tempo prima che si
spezzi, si osserva Inngo la linea in cui affiora neir acqua, un
profondo solco, indizio di un forte consumo in quel punto: men-
tre nelle parti immerse nel liquido il consumo è rimasto rego-
lare ed il pezzo serba la forma di cilindro.
Gli stessi resultati abbiamo ottenuti con cilindri di piombo
elettrodi positivi in una soluzione di acetato di piombo, e con
cilindri di ferro in una soluzione di solfato ferroso: col ferro
però il consumo è meno regolare ed il solco profondo ma meno
circolare.
Quale è la causa dì tale singolare fenomeno?
Molte esperienze ci provarono che il fenomeno è dovuto al-
l' aria che sovrasta al liquido; V aria interviene coir ossidazione
sulV elettrodo, in quelle parti che sono in vicinanza del liquido
e perciò sempre un po' bagnate da questo.
Infatti coi metalli poco ossidabili, come un cilindro d'ar-
gento chimicamente puro, impiegato come elettrodo positivo in
una soluzione di nitrato d' argento non dà luogo allo stesso
fenomeno; invece l'argento si consuma quasi regolarmente nella
parte immersa, vedi fig.* XII. Questa esperienza coli' argento è
stata da noi ripetuta le centinaia di volte, nell' occasione di de-
terminare la costante di una bussola o di un galvanometro.
Come r argento si comporta pure il platino, ecc.
Abbiamo poi ripetute 1' esperienze precedenti con cilindri di
rame, avendo cura di versare lentamente suU' elettrolite appena
cominciata l' elettrolisi, uno strato di petrolio alto 5 a 10 mil-
limetri: in tal caso il cilindro di rame si consumò regolarissi-
mamente nella parte immersa per modo che arrestata l'elettro-
lisi ad un certo punto, 1' elettrodo di rame aveva la forma di
diverso diametro, aventi l'asse a comune: il cilindro più pic-
colo s' intende, corrispondeva alla parte immersa: nemmeno con
una lente potemmo scorgere ver un solco lungo la linea di se-
parazione dell' elettrolite dal petrolio.
Abbiamo eseguite anche le esperienze seguenti: il cilindro
di rame elettrodo positivo penetra verticalmente traverso un
tappo entro una campana tubulata e rovesciata piena di una
soluzione satura di solfato di rame; 1' elettrodo negativo essendo
al solito una lamina di rame aderente alle pareti laterali della
campana: anche in questo caso il cilindro di rame tutto im*
morso nel liquido, si consumò regolarmente.
k
SULLE DimSE FORME CHE PRENDONO I CORFI NEL PISCIOOLIERSI BC* 141
Non vi è dunque dubbio che il fenomeno del consumo del
rame, etc. lungo la linea d' immersione, non sia dovuto che
air azione dell' aria e propriamente dell' ossigeno dell' aria
atmosferica {^).
Vii. — Consumo degli elettrodi positivi di carbone. — L' azione
dell' aria spiega anche ì fatti che seguono, i quali sono collegati
coi precedenti.
Le soluzioni acquose concentrate dei cloruri molto solubili,
come il cloruro di calcio, di sodio ecc., elettrolizzate danno al
polo positivo del cloro senza ossigeno : se l' elettrolisi si fa con
un elettrodo positivo di carbone, il quale sia tutto immerso
nella soluzione dello elettrolite (come avviene nei voltametri
Hoffmann) allora 1' elettrodo può servire indefinitamente allo
sviluppo del cloro, senza che esso mai si alteri. Ma se invece
r elettrodo, sia grafite, carbon di storta, o carbon di legno, pesca
nel liquido per una certa porzione mentre l'altra emerge nel-
l'aria atmosferica sovrastante, allora abbiamo sempre osservato
che in capo a pochi dì il carbone sì consuma lungo la linea che
separa l' aria dal liquido. È questo fatto che abbiamo sempre
osservato non solo nell' elettrolisi delle soluzioni concentrate dei
cloruri, ma eziandio dei bromuri e degli ioduri, e il fatto fu da
noi accennato nella nostra memoria sulle Elettrolisi delle solu-
zioni dei cloruri, bromuri, ioduri pubblicata nel Nuovo Cimento
di Pisa, e nella Gazzetta Chimica di Palermo nel 1882.
La causa del fenomeno è chiaramente dovuta all' ossìgeno
atmosferico, sebbene per ora non sia facile interpretare chiara-
mente il meccanismo delle reazioni per le quali 1' ossigeno fa
consumare il carbone: ed infatti un grosso strato di petrolio
sovrapposto al liquido basta ad impedire il consumo dell' elet-
trodo di carbone, e così pure basta a impedirlo la disposizione
sopra descritta nella quale l' elettrodo penetra dal basso all' alto
per mezzo di un tappo di gomma entro una campana tubulata
e rovesciata, piena dell' elettrolite (*).
Notiamo infine che alla stessa causa si deve se nell' elettrolisi
delle soluzioni acide e saline in generale il carbone elettrodo
(*) Varie di queste esperienze elettrolitiche farono per incarico nostro fatte quat-
tro anni or sono deir egregio dottore Paolo Guasti, che qui pubblicamente ringraziamo.
(*) È facile comprendere, che per tali esperienze andarono chilogrammi di ciò*
rari, bromuri, ioduri, ecc.
142 A. BABTOLI 8 G. PAPASOOU — SUU<E DlYKBSB FORMI BC.
positivo si consuma il più delle volte, lungo la linea che separa
r elettrolite dall' aria. È un fatto questo che noi abbiamo os-
servato spesso: ma in tal caso il fenomeno si complica a causa
del movimento delle bolle di gas, che si svolgono più o meno
rapidamente dal carbone elettrodo positivo. È con questi movi-
menti gassosi e coi movimenti prodotti dalle soluzioni di acido
mellico discendenti nell'acqua e sollevantesi nelle soluzioni alca-
line che si spiegano le diverse forme che prendono gli elettrodi
positivi entro quei diversi elettroliti.
Vin. — Non possiamo qui riassumere le pagine precedenti,
perchè la nostra memoria è scritta così laconicamente che non
ci pare se ne possa levare un periodo, senza oscurare la chia-
rezza di qualche fatto importante, e senza rompere la connes-
sione fra i fenomeni che vi abbiamo descritti.
Dal Oabinetto di Fisica dell' Istituto
Tecnico di Firenze
2 Gennaio 1885.
DOTI. GIUSEPPE RISTORI
CONTRIBOTO ALLA PLORA FOSSILE
DEL
VALDARNO SUPERIORE
La Flora fossile del pliocene lacustre del Valdarno superiore
era fino ad ora conosciuta per ì pregevolissimi studi di Carlo
(Jaudin, i quali servirono ad illustrare le flore fossili dei depositi
pliocenici ed anche post-pliocenici di molte fra le località to-
scane ove sì possono raccogliere impronte di filli ti fossili e resti
di vegetali fossilizzati.
Il dotto Paleofitologo studiò, in special modo le raccolte del
March. Carlo Strozzi, le quali erano per la maggior parte co-
stituite di finiti provenienti dalle così dette argille arse che nel
superiore Valdarno, involgono i noti depositi di Piligno dei din-
torni di Castelnuovo e di Gaville.
Alcuni studi fatti per mia particolare istruzione, sulle for-
mazioni lacustri di quel bacino pliocenico, fecero sì, che io mi
imbattesse in nuovi depositi argillosi contenenti abbondanti
resti di vegetali fossilizzati e impronte di foglie. Le nuove località,
nelle quali potei raccogliere un numero ragguardevole di esem-
plari di finiti fossili, sono quelle della Foresta e del Chiuso am-
bedue poco distanti dalla terra di Figline al contrario assai
lontane da Castelnuovo e da Gaville da dove trasse lo Strozzi
le sue pregevoli raccolte. Ebbi poi occasione di avere fra mano
144 e. BiSTOBi
la collezione di fili iti appartenente al Museo Geologico e Pa-
leontologico di Firenze, e quella del Museo dell' Accademia del
Poggio residente in Montevarchi i numerosi esemplari, delle quali
in parte provengono da Gaville in parte da Castelnuovo (Zona delle
Ligniti) ma i più sono di una località poco distante da S. Giovanni
valdarno denominata il Fratello. Da tutto questo insieme di
materiali potei facilmente accorgermi, come una parte di quelli
esemplari appartenessero a specie di piante, che il Gaudin non
aveva indicate come rinvenute nel Valdarno superiore; mentre
un' altra, e questa era la più ragguardevole, confermava V esi-
stenza, anche nelle nuove località suindicate del Valdarno, delle
specie descritte e figurate dal prelodato Paleofitologo. Questo fatto
mi invogliò ad imprendere lo studio tanto degli esemplari del Mu-
seo fiorentino, che furono dal Prof. Cesare D'Ancona gentilmente
posti a mìa disposizione, quanto di quelli da me stesso raccolti
e dei non pochi posseduti dal Museo di Montevarchi. Postomi
all'opera non senza conoscere le diflBcoltk di un simile studio e
r incertezza, che sempre regna nelle generiche e specifiche deter-
minazioni, e che tutti i Paleofitologi hanno dovuto confessare,
per esser quelle spesso fondate su una sola impronta di foglia,
su di un frammento di essa, oppure sul solo frutto o su altro
esiguo resto della pianta; ben presto mi accorsi del mio non
facile compito. Ad onta di ciò studiai colla massima diligenza
e dopo del tempo potei convincermi di non avere errato nel mio
primo giudizio; giacché constatai l'esistenza di ben 22 specie di
piante dal Gaudin non indicate, come appartenenti alla flora
fossile del Valdarno superiore e di 9 non ancora descritte da nes-
sun Paleofitologo.
Ho creduto quindi non affatto inutile pubblicare >i resultati
di questi miei modesti studi tanto più, che a questo proposito
fui incoraggiato dall'egregio Prof. Carlo De Stefani, che insieme
al Prof. Cesare D' Ancona mi furono in questo povero lavoro
prodighi di consigli e suggerimenti.
Dall' esposir.ione del quadro sinottico comparativo posto a
compimento di questo studio, può vedersi a colpo d'occhio, che
la flora fossile del Valdarno superiore ha dei riscontri più o
meno importanti con le flore fossili mioceniche, plioceniche, e
post-plioceniche di alcune fra le più note località italiane, che
fino ad ora hanno dato resti ed impronte di vegetali fossili. Tali
CONTRIBUTO ALL.V FLOKA FOSSILE DEL VALDARNO SUPERIORE [15
raffronti ci perirono propizia occasione a fare alcune considera-
zioni sul vero carattere di quella flora fossile.
Gli studi del Gaudla ci posero davanti un numero ragguar-
devole, di specie, che il Valdarno ha in comune non solo con
alcuni depositi miocenici italiani; ma eziandio con altri stranieri:
infatti il nostro deposito, secondo gli studi del Gaudin, contiene
non meno di 37 specie comuni alla flora fossile di (Eningen
(Svizzera) e 21 a quella artica ambedue illustrate dall' lleer.
Ha poi un numero più o meno grande di specie comuni a flore
fossili di molte altre località come p. es. Sotzka, Kumi, Haering,
liadoboj. Il numero di queste specie comuni alle flore fossili
italiane e straniere mioceniche viene oggi aumentato dietro
questi miei studi, fatti come contributo alla flora fossile del
Valdarno superiore. Questo fatto non è assolutamenle privo
d'importanza; poiché, mentre da una i)arte arricchisce il numero
delle specie fossili del Valdarno supcriore, dall'altra imprime
un carattere forse più spiccato a quella flora avvicinandola
ancor più a quelle mioceniche e specialmente a quelle dei paesi
settentrionali. Con questo però siamo lungi dal dimostrare, che
la Flora fossile del Valdarno appartenga ad un periodo più an-
tico del pliocene; poiché tenuto conto del piccol numero di specie,
che finora conosciamo, quelle comuni alle flore mioceniche sono
abbastanza ristrette di numero e non tali da imprimere alla
flora valdarnese un carattere spiccato di maggiore antichità:
infatti osservando attentamente, con quali località mioceniche
più specialmente essa flora, abbia specie in comune, ci pos-
siamo di leggeri accorgere, che la comunanza maggioro è con
quei depositi miocenici tanto italiani, che esteri, i quali sono
rispetto al Valdarno posti in località |)ià settentrionali. 1j' unica
eccezione V abbiamo per i depositi del senigalliese, i quali con-
* tane ben 29 specie in comune con quelli del Valdarno. Del resto
mi piace insìstere ancora un poco su questa comunanza di specie,
che la flora fossile qui presa in esame ha con le^ mioceniche di
località più settentrionali; poiché ciò importa per una conclu-
sione abbastanza universale, alla quale si può sempre giungere
osservando e studiando, tanto le formo fossili animali, quanto
e[ vegetali incluse in depositi appartenenti al medesimo piano
geologico; ma situati 1' uno più a Nord dell' altro. La conclu-
sione si è che i tipi propri di specie più antiche si conservano
Se, Nat. Voi. U. fase. 1.» 10
146 G. RISTORI
e passano più facilmente da perìodo a periodo geologico nei
paesi più meridionali di quello, che non facciano in quelli più
a settentrione; e ciò accade in modo più deciso per le flore,
che per le faune; poiché alle piante mancano i mezzi di diffcsa,
che gli animali e speciahnente quelli superiori per organizza-
zione posseggono. Credo ora che quella conclusione si possa e
si debba applicare al caso della nostra flora fossile valdarnese
e spiegare quindi la comunanza che ha di alcune specie colle
flore mioceniche, ricorrendo alle idee sostenute dal Darwin nel
suo libro suir origine delle specie, intorno alle immigrazioni,
alle dispersioni e alla permanenza più o meno lunga di alcune
forme vegetali. L' eccezione, che potrebbe presentarsi riguardo
alla flora miocenica senigalliese, credo si possa in qualche modo
distruggere o almeno scemarne grandemente il valore, rammen-
tandosi, come i vegetali più lungamente degli animali conser-
vino le identiche forme specifiche e come necessaria conseguenza
di ciò sia la minor variabilità delle flore nel passaggio da un
periodo geologico all' altro di fronte alle faune, che si presen-
tano variabilissime. A questo si devono aggiungere le peculiari
circostanze di luogo, le quali possono influire grandemente sul
carattere di una flora, come quella, che molto risente delle mu-
tate condizioni di vita e specialmente di quelle, che si riferi-
scono alla climatologia e alle molte altre influenze atmosferiche.
Dando il giusto valore a queste riflessioni si può anche rendersi
ragione del carattere alquanto miocenico della flora fossile del
Valdarno, senza, che ci faccia senso V esistenza ormai costatata
di 56 specie comuni col miocene di varie località italiane su 113,
che fino ad ora si conoscono di quella flora.
A questo punto credo giunto il momento opportuno di venire
a considerazioni più particolari e mi piace quindi notare fin
d' ora, come la flora fossile, dei depositi miocenici del Casino *
presso Siena illustrata dal Dott. Peruzzi pi-esenti sopra 28 specie
fin ora descritte 14 comuni con quella del Valdarno ossia la
metà. Questa proporzione abbastanza considerevole per località
tant ) vicine ed il rinvenimento fatto da me stesso d' impronte di
foglie riferibili alla Q. Etymodì^s Ung. che il Dott. Pantanelli (')
(') Pantanelli — - Sugli strati miocenici del Casino (Siena) e considerazioni sul
miocene superiore. Memorie delU Reale accademia dei Lincei. Vili, Serie 3.^
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSHìE DEL YALDABNO SUPERIORE Ìi7
afferma non essere fino ad ora insieme alle specie Sabal major
Ung. Fagus dentata TJng. Castanea Kuhinyi Kov. Salix anglista
Braun, rinvenute in depositi pliocenici, mi pare degno di nota;
perchè dietro questo fatto s' indebolisce un poco uno degli ar-
gomenti, su cui si sono appoggiati per riferire i depositi d'acqua
dolce, della suindicata località del Casino al miocene superiore.
Del resto non voglio con questo trarre argomento contradittorio
alle conclusioni del Pantanelli basate principalmente sulla fauna
e più particolarmente sul rinvenimento in quella località di
resti d' Hipparion di Dremotherium e del Tapirus priscus Kaup.
di Eppelsheim, solamente farò osservare, che è molto pericoloso
trarre argomenti stratigrafici basandosi sulle flore fossili, le
quali si assomigliano molto tanche se appartengono a periodi
geologici distantì fra loro. La flora pliocenica poi in particolare,
ha troppe specie in comune colla miocenica per potere servire
di base a considerazioni stratigrafiche.
Passando ora a fare il confronto della nostra flora fossile
con le plioceniche italiane si scorge, che il numero di specie
comuni non è quale si potrebbe immaginare. Pochi raff'ronti si
notano nellfe località toscane di Bozzone presso Siena e di Mon-
tajone in Val D' Era, ne offrono invece un numero un poco
rajiggiore le località plioceniche] lombarde di Folla à/ Induno;
Nese, e Valle di Tornago, queste in complesso, almeno secondo
gli studi del Bordelli, hanno 16 specie comuni colla flora del
Valdarno. Riflettendo un poco su questo fatto si scorge fa-
cilmente, come fino dal pliocene esistevano flore proprie di
ciascun paese e manca, a dìfierenza dell' antecedente epoca mio-
cenica, quella uniformità e quasi universalità. Questo logica-
mente porta il suo contributo di prova per ritenere, che or-
mai le condizioni climatologiche durante il pliocene non erano
più uniformi; ma invece variabili anche fra paesi vicini; e ciò
in causa dei sollevamenti che avevano già fatto prendere in
quell'epoca alle catene di montagne una disposizione molto
simile air attuale ed avevano raggiunto già notevoli altezze.
Porrò per ultimo in rilievo come la flora fossile valdarnese per
me decisamente pliocenica (0 conti un piccol numero di specie
(^) Ritengo pliocenica questa flora 1.® perchè dietro gli studi del Major e dopo
il rinvenimento di resti di Mammiferi fossili appartenenti alle medesime specie, fatto
tanto nelle sabbie, quanto nelle argille, le quali includono i resti dei vegetali fossili,
148 G. RISTORI
cornimi a quelle finora rinvenute in depositi post-pliocenici: in-
fatti colla flora delle argille del Castro (Arezzo) non ha in connine
elio due sole specie VAlnus Kefersfeinii Goepp: VAcer Ponziauituf
Gd. coi Travertini toscani pure riferibili al post-pliocene la
Planerà TJngeri Ett. la Persea speciosa Heer VAcer Sismondae Gd.
il Fagus sylvatica L., la Uetida prisca Ett. e il Quercus llex. L. «J .
Questo dimostra quanto la nostra flora si discosti dalle post-
plioceniche; perchè il piccolo numero di specie, che ha in comune,
tenuto conto dell' incertezza, che sempre regna nella determina-
zione, è di poca e ninna importanza. La comunanza però, che
per le due specie Acer integrilobum Ow. e Juglans tephrodes Ung. la
flora fossile valdarnese ha acquistato con quella post-pliocenica
del bacino di Leffe illustratji dal Bordelli non può restare privo
d'interesse; perchè oggi alla comunanza della fauna mammologica
dei due bacini si aggiungerebbe anche quella di due specie di
piante fossili. Ciò potrebbe prendersi in seria considerazione e
tenersi in conto di nuovo fatto comprovante la pliocenicitk della
non è più possibile, basandosi sulla tanna, fare, come per T addietro, la distinzione
nel Valdarno superiore di due orizzonti geologici, Tuno Miocenico, Taltro Pliocenico,
al primo dei quali secondo lo Stòhr (Intorno ai depositi di lignite che esistono in
Valdarno. Ann, della Soc. dei Nat. An. V. e lo Strozzi e Gaudin (Feuill. foss de la
Tose, M. I e 11^ parte geologica) apparterrebbero i depositi di Piligno e conseguen-
temente le argille, che gli includono; :2.^^perchd io stesso ho potuto raccogliere nelle
Sabbie^ nei Sansini od in altri rlepositi, non corrispondenti al piano delle cosi dotte
Argille arse e quindi secondo lo Strozzi e Gaudin piii recenti di esse Argille o
contenenti un* altra flora ed un altra fauna, un buon numero d* impronte di foglie
e di resti vegetali fossilizzati appartenenti alle medesime specie di quelli, che si
rinvengono nel piano deWArg'lle arse^ insieme ad altre impronte, che sempre se-
condo gli autori succitati, apparterrebbero ad una flora più recente, propria solo dei
Sansini e delle Sabbie e da non confondersi con quella delle Argille, Tutto ciò per
chi volesse ancora vedere nel Valdarno superiore un piano geologico riferibile al
miocene superiore.
C) Riferibile a questa specie ne esiste un solo esemplare posseduto dal Museo
di Montevarchi; esso proviene da Gaville e precisamente dagli strati delle argille
cenerognole. (Zona delle Ligniti) ossia da queir orizzonte creduto il più antico del
Pliocene del Valdarno superiore. Questo fatto potrebbe aggiungere un altro argo-
mento sulla inopportunità della distinzione in quella località di due flore una più an-
tica delle argille, una più moderna dei sansini e delle sabbie; giacche si vede ormai
abbastanza bene, che le poche ^pecie comuni alla flora quaternaria e magari alla
vivente si trovano tanto nelle formazioni argillose, quanto nelle subbiose e ghiaiose
(Sansino) al pari di quelle comuni alla flora miocenica dei depositi italiani ed esteri:
per cui non so vedere, su quali fatti paleontologici ci si possa basare per sostenere
ancora la distinzione di un pliocene inferiore (per alcuni miocene superiore) ed un
pliocene superiore nei depositi in questione.
"fi
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL YALDARNO SUPERIORE 149
flora fossile di Leflfe, se non si potesse fare osservare, che due sole
.specie comuni al pliocene di fronte ad un numero considerevole
di specie decisamente post- plioceniche, anzi per la più parte
tuttora viventi, che il Bordelli ci ha descritte ed indicate come
proprie di quel Bacino, non possono servire come base di nes-
suna conclusione attendibile; molto più, che V Aceì' integrilolnm
Ow. è stato rinvenuto in altre località post-|)lioceniche e del-
l' Inglans tephrodes Ung. che io mi sappia, non abbiamo prove-
nienti da Leflfe, che frutti isolati, i quali può supporsi, che siano
stati colìi trascinati per il denudamento di altre località plioce-
niche, che gli contenessero.
l resultati ottenuti nel proseguimento dello studio della flora
fossile del Valdarno superiore e le considerazioni, che si sono potute
fare paragonando la suindicata flora con quella inclusa da i depo-
siti miocenici, pliocenici e post-pliocenici di altre località italiane
ed estere, ci danno la possibilità di fare dei rilievi più esatti
intorno alla temperatura, che nell'età pliocenica regnava nel
Valdarno; perchè se da una parte si può dimostrare, che quella
flora non è punto a riferirsi al miocene superiore, come si cre-
deva dallo Strozzi, dal Major e dal Pantanelli, dall' altra si può
intuire, stante il carattere suo miocenico, a condizioni climato-
logiche, tali da spiegare 1' esistenza e la prosperità dei grandi
mammiferi pliocenici, che vissero nei dintorni di quel bacino:
infatti per quanto l'insieme dei generi di piante fossili fin' ora
rinvenute in quella località, non sia, fatte poche eccezioni, pro-
prio di una flora tropicale; ma invece di una assai temperata;
nondimeno l'esistenza di numerose impronte di foglie riferibili
a diverse specie di Cirtnamomum di Carya di Pterocarya dì Persea
di Laurus, di Cassia, di Sassafras non che di altre meno numerose
di Mafinolia, e di Liquidambar frutto in gran parte di questi
miei ultimi studi, imprime certamente a questa flora un carat-
tere alquanto diflferente da quello, che aveva per i soli studi
del Gaudin; giacche ne accresce il numero dei generi proprii delle
calde regioni.
150 G. RISTORI
DESCRIZIONE DELLE PIANTE FOSSILI
Conlfere
Fallì. Abieteae
Pina»
rinns Haldingeri Ung.
P. sfcrobilis magnis, ovato-oblongis, squamarimi apopbysi magna, plano-
convexa rhombeo-trapezoìdea, carina trasversali producta; umbone
mediano elevato Gaud, Feudi, foss. de la Tose, p, 27, M, /, PI. 11^
fig, 4. Unger Chloris profog, p, 73^ Taf, IX^ fig, .9, Ì0, 11. Schimper
Tr, Pai, veg. II, p, 262.
Syn. Pitys Haidingeri Ung, Chloris protogea. p. 73, Taf. IX.
Osserv. — I due strobili di Pino, che io riferisco alla specie
suindicata di Ung. dififeriscono un poco fra di loro, V uno con-
corda coir esemplare figurato dal Gaudin, V altro invece si ac-
costa più a quello dell' Unger. Infatti il prirao strobilo è meno
allungato del secondo ed in ciò si avvicinerebbe a quello del
Pìnus uncinoides Gaud.; ne differisce però per le apofisi delle
squame, per V umbone, che nel mio si presenta ricurvo, di più
le apofisi delle squame dall' alto al l>asso vengono ricoperte
in parte dalle successive e non sì veggono finire ad angolo,
cosa questa, che si riscontra anche nell' esemplare figurato
dal Gaudin. All' incontro il mio secondo esemplare è più allun-
gato e nello stesso tempo più ridotto nel diametro trasversale
e le apofisi delle squame, alcune finiscono ad angolo, come nello
strobilo figurato dall' Unger, altre ripetono il modo del primo
esemplare. Tolte queste piccole differenze nel resto ambedue gli
esemplari da me studiati concordano coi caratteri specifici del
P, Haidingeri e quindi credo ben fatto riferirgli a quella specie;
molto più, che il Gaudin (*) stesso ci fa notare esistere un pas-
(>) Feuill. foss. de la Tose P. i7, M. I.
CONTRIBUTO ALU FLORA FOSSILE DEL YALDARNO SUPERIORE 151
saggio graduato fra la forma degli strobili del P. Ilaidingeri e
quella degli strobili riferiti al P. vncinoides; per cui io credo
essermi imbattuto in un esemplare che si accosta ancor più di
quello studiato dal Gaudin alla specie P. wtcinoides, ed in uno,
che invece è intermediario per la forma fra quello studiato dal
Gaudiu e quello studiato e figurato dall' Uuger, però ambedue
riferiti alla specie P. Ilaidingeri.
Il Sordelli (*) indica questa specie come rinvenuta nel Val-
darno superiore dall' ing. E. Spreaflco, certo è che il Gaudin
non la descrive né figura come proveniente da quella località,
ma sibbene da C/neri in Piemonte. Altro esemplare proveniente
da Castelnuovo di Massa pure nel Valdarno superiore è citato
dal Sordelli stesso, come facente parte delia collezione paleon-
tologica del nob. G. Curioni insieme ad un secondo strobilo della
stessa località, che riferisce al P, Massalongi Sis., invece che al-
P. Ilaidingeri TJng , a cui ritiene appartenere il primo.
Locai. — Zona delle Ligniti Castelnuovo Gaville. (Coli, del
Museo Geologico e Paleont. di Firenze:.
Distr. geogr. — [jigniti plioceniche di Seegrahen presso
Leoben nella Stiria superiore^ Chieri Piemonte, Folla d* Induno
{Lombardia).
Pinus Saturni Ung.
A conferma dell'esistenza di questa specie nella Flora plioce-
nica del Valdarno superiore noterò come abbia avuto occasione
di studiare due strobili esistenti nel Museo fiorentino perfetta-
mente conservati e indubbiamente riferibili alla suindicata specie.
Ambedue provenivano dalla zona delle ligniti ( Castelnuovo
Gaville ) .
Pinus vexatorla? Gaud.
La cattiva conservazione di uno Strobilo di Pino, che del
resto presenta ragguardevoli dimensioni, mi impedisce di po-
terlo coscienziosamente determinare, pure non trovo superfluo
( ') F. Bordelli — Descrizione di alcuni avanzi vegetali delle Argille plioceniche
lombarde, pag. 2^. — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali. Voi. XVI,
Fase. III.
152 6. RISTORI
il notare come da alcune poche squame malamente conservate
e deformate dalla compressione non che dall' apoflsi e dall' um-
bone, che ancora lasciano vedere la loro forma sebbene alte-
rata dallo schiacciamento sofferto, si possa, con qualche proba-
bilità di essere nel vero, ravvicinare il suindicato strobilo, a
quelli propri della specie P. venatoria Gaud. Fenili, foss. de la
Tose. p. 33, M. II, PI. J, fig. 3.
Del resto non i)uò prendersi la responsabilità di aggiungere
anche questa specie di Pinus alla flora del Valdarno superiore:
vedremo se la raccolta di filliti fossili delle argille valdarnesi,
che continuamente si sta facendo per parte del Museo Geolo-
gico e Paleontologico di Firenze, potrà oflFrirci in seguito esem-
plari meglio conservati, i quali confermino l'esistenza anche di
questa specie nel Valdarno superiore.
PinuB De-Stefanii nov. sp.
Tav. Vili, fig. 1, 2, 3.
P. strobilis oblongis gracilibus fere acuminatis centim. 5 circa longis
infra medium 2 crassis apophysibus basilaribus rhombeis, aliis tran-
sverse rhombeis superne rotundatis et ab umbone striatis, carina
trasversali acuta, umbone trasversim spinato.
Des. e Osserv. — Gli strobili di questa nuova specie di
Pino sono oltremodo frequenti nelle argille di Gaville e di Ca-
stelnuovo, che involgono i banchi di lignite; e vi si rinvengono
in tanta quantità, che io ne ho avuti fra mano un numero
grande di esemplari e mi ha maravigliato che il Gaudin non
abbia potuto osservarne nessuno. Gli strobili di questa nuova
specie rammentano la forma di quelli giovanissimi del nostro
P. pineaL. e sono lunghi dai 4,50 ai 6 centimetri ed hanno un
diametro laterale di 2 a 2,50; perciò si mostrano allungati e sot-
tili. Le apofisi delle squame sono alla base dello strobilo di forma
romboidale, procedendo verso l'apice vanno modificandosi e dopo
due 0 tre serie si mantengono romboidali alla parte inferiore e
divengono arrotondate superiormente; solamente le apofisi basi-
lari finiscono inferiormente ad angolo acuto, le altre, che sono
arrotondate nella parte superiore, si ricoprono in piccola parte
a vicenda, per cui non finiscono più ad angolo come le prime.
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL VALDARNO SUPERIORE 153
Le apofisi stesse sono striate e le strie irradiano dall' ambone.
La carena è acuta e disegnata da un solco non tanto profondo
e poco marcato.
I molti strobili da me esaminati, che stante le poche e pic-
cole differenze esistenti, ho riferito tutti quanti alla suindicata
naova specie, si possono dividere in tre tipi di forme, che forse
corrispondono a tre diversi stadi di sviluppo. Una prima rap-
presentata dalla fig. 1 più larga alla base più acuminata e avente
forma quasi perfettamente piramidale. Una seconda rappresentata
dalla fig. 2 di forma meno piramidale e più cilindrica e con
apofisi ed ambone più marcato. Una terza rappresentata dalla
fig. 3 quasi cilindrica e meno acuminata con apofisi più svilup-
pate e tali da farci credere, che quello strobilo abbia quasi rag-
giunto il suo completo sviluppo.
Questa specie succintamente descritta presenta analogie di
qualche importanza col /\ Ilampeana Heer FI. ieri. Jlelv. I,
p. 56, Taf. XX, fig. 4 Ung. Foss. FI. v. Kumi p. 21, t. II, fig. 13-15
Ung. Chloris prot. 76, Taf. XX, fig. 1-3 e col P. (TaedaJ resurgens
Sap. Schimper; Tr. Pai. veget. II, p. 281, Taf. LXXVI, fig. 7,
La prima ha simile colla mia specie la forma generale dello
strobilo e le dimensioni, non che la forma delle apofisi, le quali
però nella specie ungeriana, si mostrano più uniformi e più
profondamente striate e con ambone molto più rilevato e quasi
mancante di spina trasversale. La seconda non presenta di simile
altro, che la forma generale dello strobilo e le dimensioni.
Locai. — Zona delle Ligniti Casielnuovo, Gaville, Fratello (Coli,
del Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Fam. Cupressaceae
Calibrile»
Callitrites Brongnlarti Endl.
Tav. Vili, fig. 4.
C. Strobilis subglobosis e squamis lignescentibus, basi intrusis , fere ad
basim quadrivalvibus, valvis aequalibus acutìs, dorso convexo, verru-
154 G. RISTORI
cosis Endl. Syn. Conif. p. 274^ Vng. Syllorje p, 66^ Taf, XX, fig. 8*9.
Schimper^ Tr. de PL veg.^ 11^ p. 337.
Syn. Thuytes calia ri na Ung. Chloris protog, p. 22 , Taf. 1% fig, 1-8,
Taf. VII, fig. 1-10. per le altre sinonimie vedi Schimper opera citata.
Osserv. — La detenni nazione di questa specie T ho dovuto
necessariamente fare solo sugli strobili; giacché mi mancava
ogni altro resto fossile appartenente o a foglia o a porzione di
ramo, ne ho avuto neppure la fortuna di imbattermi in frutti
fossilizzati dentro agli strobili medesimi. Ad onta di ciò nei
molti strobili, che ho esaminati ho ritrovati costanti i caratteri
esposti e rappresentati nella descrizione e figure date dall' Unger
e dair Ett. per la suindicata specie C. Brongniarti e poco credo
possa dubitarsi sulla giustezza della determinazione. Gli strobili
della specie qui descritta h-ìnno analogie con quelli della Cai-
litris quadrivalvis, se ne discostano però per essere il dorso delle
valve di quest'ultimi quasi liscio; mentre quelli della specie fos-
sile presentano verrucosità molto evidenti e caratteristiche. Frk
le specie fossili plioceniche si può ravvicinare alla Thuya Saviana
Gaud.; ma questa specie, come nota l'autore stesso, ha uno stro-
bilo non già costituito di valve, come la qui esaminata; ma sib-
bene di squame verticillate. Di più le verrucosità delle squame
nella specie del Gaud sono molto meno sviluppate di quello che
non siano sul dorso delle valve della specie fossile qui esaminata.
Locai. — Sabbie gialle limonitiche di Gaville e Fratello presso
S. Giovanni Valdarno. (Coli, del Museo Geologico e Paleontolo-
gico di Firenze).
Distr. geogr. — Formazioni terziarie di Hilring. — Radohoj
in Croazia. — Mont-Rouge presso Parigi. — Armissa presso Nar-
bona. — Colline di Torino.
Potameae
Funi. Naiadeae
l^olaiiioKeloii
Fotnmogeton Àiiconai nov. sp.
Tav. Vili, fig. 5, 6. 7, 8.
P. foliis ovalibus circa 3 cent, longis, 1, 80 latis, nervis curvatis nume-
rosissimis basim apicemque versus convergentibus, uervulis pariter
CONTRIBUTO 4LLA FLORA FOSSILE DEL YALDÀRNO SUPBRIORK 155
numerosissimis trasversim coniuntis et ex primis egredientibus sab
angulo fere recto. Fructibus (*) in medio ex uno latere incavatis ex
altero convexis, eirciter mill. 5 longis et 3 latis.
Des. e Osserv. — Ho io stesso raccolto in una località, detta
la Foresta^ presso Figline Valdarno, un argilla quasi di colore
cinereo simile a quella, che involge una buona parte dei banchi
di lignite presso Castelnuovo e Gaville, ricca di impronte indub-
biamente appartenenti a foglie di Potamogeton. Queste foglie pre-
sentano i seguenti caratteri: Forma ovale leggermente allun-
gata, diametro longitudinale cen. 3 a 3, 50 diametro trasversale
cen. 1, 80. Le nervature sono convergenti ai due estremi del
diametro longitudinale e quindi sono a mano a mano, che si ac-
costano ai bordi esterni della foglia maggiormente arcuate. Il
numero di queste nervature, compresa la mediana costituita da
una nervatura più marcata e diritta, e circa 18. Gli spazi fra
nervatura e nervatura sono più o meno curvati a seconda della
distanza loro del bordo della lamina follare e sono presso a
poco di eguale superficie e vengono attraversati da nervetti sot-
tili, che vanno da nervatura a nervatura; e fanno con queste
quasi un angolo retto ad eccezione di quelli, che partono dalla
nervatura mediana retta; poiché essi fanno colla medesima un
angolo assai acuto e vengono a disporsi obliquaaiente come i
lati di un triangolo equilatero avente il vertice su di essa ner-
vatura mediana. Il frutto, che ho potuto esaminare su di un
solo esemplare è di forma ovale lungo m. 5 largo 3, da una
parte presenta bordi smarginati ed un incavo in forma di vul-
va con un solco mediano; dall'altra è di forma leggermente
convessa ed assottigliato nella parte superiore dove i bordi si
prolungano in una piccolissima appendice, che finisce in punta,
rigonfio invece nel!' inferiore.
La specie fossile, che più si avvicina alla qui sopra descritta
è il Potamogeton multinervis Brongt.; ma quest' ultimo ha le
foglie di forma ovale si; ma con diametro trasversale propor-
zionalmente più lungo, e quindi esse si avvicinano più alla forma
tondeggiante; di più le nervature hanno andamento più irre-
(^) Più modèrnamente, quello che io ho chiamato fratto, allo scopo di mantenere
la nomenclatura dei Paleofìtologi e per essere più facilmonte inteso da tutti, sarebbe
un Carpidio; poiché il vero e proprio frutto nei Potaniogeton è Y insieme di 4 Car-
pidi corrispondenti ai 4 pistilli del fiore giunti a maturazione.
166 0. RISTORI*
gelare, sono in magfi^ior numero, essendo anche la lamina foliare
di maggior superficie. La specie vjildarnese ha invece maggiori
analogie colla vivente P. natans L. differisce solo da questa ultima
per maggior riduzione della lamina foliare e per la disposizione
più uniforme dello nervature; le quali nella suindicata specie vi-
vente si presentano alternativamente più o meno marcate; per
modo che V area limitata da due nervature più marcate è attra-
versata da una terza nervatura meno marcata, di più i nervetti
trasversali sono relativamente meno numerosi e limitano aree
quadrangolari di maggior superficie, che nella specie fossile sopra
descritta.
Nella qui annessa tavola non ho mancato di figurare, oltre
alle foglie, alcuni frammenti di stipule per far vedere la loro
nervatura longitudinale, che si presenta del resto abbastanza
uniforme.
Locai — Argille refrattarie della Foresta nei pressi di Fi-
gline Valdarno. (Raccolte da me stesso e donate al Museo Geo-
logico e Paleontologico di Firenze).
Amentlfere
Fam. Cupuliferae
Carpi lì II M
Garpinus grandis. Ung.
Tav. Vili, fig. 15.
C. foliis petiolatis, subcordatis, ovato-oblongis, acuminatis, duplicato-
serratis penninerviis, nervis secundariis simplicibiis, rectis, parallelis
Ung. Icon. pi foss. Taf. XX, fi'j. 4. Heer FI. tert Helv. II, p. iO, Taf.
LXXII, fig. 2-24 e Taf. LXXIII, fig. 2-4. Ung. SyUoge plantanim
foss. p. 67, Taf XXI, fig. Ul'ì. Mass, e Scarb. Flora foss. Senig.
p. 208, Tav. XXIV, fig. 5. Heer FI. foss. artica, p. 103, Taf. XLIX,
fig. 9. Slsmonda Matér pour servir, a la Pai. da Pìem. p. 39, PI.
XII, fig. 7-8. Sf^himper Tr. Pai. veg. p. 589. II.
Osserr. — I due esemplari, che ho esaminati provengono da
due diverae località., uno dalle argille cenerognole di Fratello
presso S. Giovanni Valdarno, V altro dalle argille e sabbie gialle
CONTRIBUTO ALLA FLOKA FOSSILE DEL VALDARNO SUPERIORE 157
della Foresta presso Figline Valliamo, Oli ho riferiti ambedue
alla specie C. grandis; giacché fra le ligure molteplici, che dà
r Heer tutle riferibili alla medesima specie ne ho trovale alcune,
che concordano perfettamente coir impronta proveniente dalla
Foresta; altre invece, che concordano con quella rinvenuta a
Fratello. Lo stato di conservazione di queste due filliti non per-
mette r esclusione di ogni dubbio sulla loro determinazione spe-
cialmente se si tiene in debito conto, la facile confusione, che
può succedere fra le foglie di Betula, Cnrpinus, Corj/liis, JJlmus
come giustamente nota il Massalongo. Ad onta di ciò, la forma
della lamina foliare, la sua acutezza, la forma delle dentature
dei bordi laminari e la nervatura secondaria, concordano per-
fettamente colle figure e descrizioni date dai diversi Paleofitologi
perii 0. grandis. In ultimo noterò come uno degli esemplari da
me esaminati, presenti qualche analogia colla specie C. pyrami-
dalis Goepp.; però non corrisponde il numero delle nervature,
che è alquanto maggiore in quest' ultima specie, la quale ha
anche l'apice della lamina foliare più acuto; l'altro esemplare
corrispondente alla Fig. 15 Tav. Vili, ha invece molte analogie
colla specie C. orientalis Lam.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni Valdarno, Foresta presso
Figline Valdarno (Coli, del Museo Geologico e Paleontologico
di Firenze.
Distr. geogr. — Sobrussan e Luschiz f Boemia) , Torino,
Koflach. fStiria) Bacino di Vienna, Sinigaglia, Atanekerdluk
(Groelandia) .
FasuM
Fagus incerta Mass.
Tav. Vili, fig. 9, 10, 11.
F. follia oblougis, eliiptico-sublanceolatis, apice subattenuato-acuraina-
tis, basì, subcordato-rotundatis, peDninerviis, margine iiitegriusculis,
uodulatis, denticulatisve, costa valida, nervis secundariis sub angulo
acubo orientibus, paralieiis simplicibus aiternis, rete venoso fere
obsoleto. (Schimper^ Tr, Pai, ve.g pag, 607, li) — Mass, FI, Foss.
Senig, p, 205. Tav. XXX, fig, S),
Syn. Alnites incerta Mass, Prod. FI, foss. Senig, p, 13. Viviani
in Soc, Oed, Fran, Tav. IX, f. 1-2, Mass. Fi. Foss. Senig. p. 205,
158 G. RISTORI
Tav, XXX, f. 3. Fagus ambigua Mass, Ft. Foss, Senig. p. 204,
Tav. XXXri, f. 1.
Osserv. — Un numero ragguardevole di esemplari che più
o meno perfettamente corrispondono alla descrizione e figura,
che il Massalongo dà. per la specie F. incerta, sono stati da me
riferiti alla suindicata specie: non senza osservare attentamente
la variabilità delle torme successiva e graduale; per cui può
dirsi, che esista una scala non interrotta di forme, che va dal
F. incerta, al F. ambigua al F, betulaefolia, e quindi credo do-
versi ridurre a certezza il dubbio del Massalongo stesso, sul-
r opportunità di riunire in una sola le tre specie suindicate:
infatti mentre sarebbero per lo stosso autore caratteri differen-
ziali, della specie F. incerta, apice attenuato e margine dentellato, i
quali esagerati costituirebbero, invece, quelli propri della terza
F. betulaefolia, si riscontra poi, nei miei esemplari, una succes-
sione non interrotta, che va dal margine semplicemente ondulato
al margine evidentemente dentellato di più tanto l'apice quanto
la base delle lamine foliari si presentano con acutezze diverse.
In una parola la numerosa serie di fìlliti che mi sta davanti
confonde affatto questi caratteri di distinzione per modo, che alle
due estremità, stanno esemplari, che dovrebbero riferirsi V uno
al F. ambigua V altro al F. betulaefolia, mentre fra. questi due,
rie esiste una serie abbastanza numerosa con caratteri interme-
diari, tali da porci davanti tutti i possibili termini di passaggio
fra la prima ed ultima forma. Dietro di ciò mi prendo senz'altro
la licenza, che del resto mi dà, il Massalongo stesso, autore delle
tre specie succitate, e riferisco tutti quanti gli esemplari da me
esaminati alla specie F. incerta. A giustificazione di ciò figuro
neir annessa tavola 3 esemplari; l'uno dei quali fig. 9 possiede
tutti i caratteri del F. incerta, un secondo qui non figurato se
ne discosta un poco avvicinandosi invece cil F. ambigua, il terzo
(fig. 10) poi potrebbe riferirsi a quest' ultima specie, mentre l'ulti-
mo (fig. 11) ci potrebbe rappresentare il F. betulaefolia. Per ciò, che
concerne le rassomiglianze, che le qui studiate filliti possono avere
con filliti fossili di altra specie vedi Mass. FI. foss. Senig. p. 204-205.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni valdarno, Gaville e
Castelnuovo (Zona delle Ligniti), (Coli, del Museo Geologico e
Paleontologico di Firenze.
Distr. geogr. — Sinigaglia.
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL VALDAHNO SUPERIORE 159
Fagus Gaudini nov. sp.
Tav. Vili, fig. 1;<^, 13.
F. foliìs petiolatis ovatis oblongis acuminiitis, basi rotundata, costa
mediana recta ac valida, nervis secundariis sub angulo acuto egre-
dientibus, rectis, apud basiin leniter arcuatis, oppositìs vel alternatis,
parallelis, margine profande ondulato ac lobato, nervulis tenuÌ3simis
perpendicularibus inter se conjuntis.
Des. Osserv. — Non può certamente mettersi in dubbio,
che le due impronte di filliti rappresentate dalle Fig. 12, 13
Tav. Vili, appartengano al genere lagus; però non corrispon-
dono a nessuna delle specie fossili fino ad ora descritte né ad un
gran numero delle viventi, con cui ho avuto agio di confron-
tarle, da ciò la ragione di averle distinte con un nuovo nome
specifi[co eccone T esatta descrizione. Lamina follare, ovata, allun-
gata con bordo distintamente lobato, apice acuto e base arroton-
data. La base della lamina è regolare nelle giovani foglie, come
quella rappresentata dalla Fig. 13 Tav. Vili, diviene invece un
poco irregolare nelle adulte, come si vede alla Fig. 12, Tav. Vili,
cioè esse presentano una porzione della lamina foliare un poco
più sviluppata longitudinalmente ed anche nel senso della lar-
ghezza, per cui la lamina stessa non viene tagliata per metà
della costola mediana; ma una porzione è maggiore dell'altra.
La costola mediana è robusta, si allunga in un picciuolo anch'esso
di considerevole sviluppo ed è leggermente ondulata in corri-
spondenza dei punti di origino delle nervature secondarie, le
quali sono parallele e diritte, solamente le due più prossime alla
base laminare si presentano leggermente arcuate, per cui non
si mantengono parallele alle altre. Tutte quante le nervature
secondane vanno a finire neir angolo di insenatura dei lobi, che
sono arrotondati e formano come una smerlatura lungo il bordo
laminare, detti lobi incominciano fino dalla nervatura secondaria
più prossima alla base e a mano a mano, che si avvicinano, al
punto di massima larghezza della lamina, si fanno più marcati
e arrotondati, per poi tornare verso l'apice, a diminuire nuova-
mente. Lo spazio compreso fra nervatura secondaria e nervatura
secondaria è dì m. 7 nelle foglie giunte a completo sviluppo
160 G. UlSTnHI
ni. 4 Vi nelle giovan-. L'angiolo, che le nervature secondarie fanno
colla costola mediana, è di J5", 2'. il rete venoso è poco distinto;
nasce però dalle nervature .secondarie sotto un angol(» quasi retto
e limita piccole areole di forma quasi rettangolare.
Questa nuova specie di Faggio si può ravvicinare al
F. cast anece folta Ung. ma in questa ultima specie abbiamo un
numero maggiore di nervature secondarie ed il bordo lami-
nare dentato. Col F. ambigua Mass. ha in comune l'acutezza
dell'apice laminare ed i lobi, che però sono molto più profondi
nella mia nuova specie, la quale ha anche la base della lamina
molto meno attenuta e minore anche il numero delle nervature
secondarie. Col F. Feronf ce Ett. , presenta analogie nella forma
della lamina e del picciuolo; però quest' ultima specie è irrego-
larmente dentata e lobata ed ha V apice più ottuso. Fra le specie
viventi il solo F. sylvalica gli assomiglia un poco e presenta
in qualche sua varietà lobi lungo il bordo laminare, ma essi sono
sempre molto più piccoli che nella mia nuova specie.
LocaL — Pratello presso *S. Giovanni Valdarno ( Coli, d^l
Museo Geologico e Paleontologico di Firenze;.
Fagus (*) pseudo-cordifolia nov. sp.
Tav. VIIL fig. 14.
F. foliis petiolutis cordatis, apice acuminato, basi rotundata, dentatis,
nervis secundariis angulo acuto egredientibus, craspedodromis, paral-
lelis; sed basiin versus leniter arcuatis, utriuque 10.
Des. Osserv. — Foglia lunga centim. 5 larga cent. 2,80
lungamente picciolata, cordiforme con base arrotondata e apice
abbastanza acuto, con bordo laminare dentato, denti acuti e
uscenti dal bordo stesso sotto angolo acutissimo. Costola mediana
abbastanza sviluppata e leggermente sinuosa. I nervi secondari
sono retti craspedodromi ad eccezione dei tre più prossimi alla
(^) Ho riferito quesf impronta al ^'enerc Fagus; uia non posso a mono di far pa-
lese r incertezza, che ancora mi rimane; poiché ha delle analogie non indifferenti
colle foglie di Betula e potrebbe appartenere anche a quel genere. I molti raffronti
che ho fatto della mia impronta con foglie fossili e viventi di Faggio e di Betula
mi hanno fatto propendere a crederla appartenente al primo, piuttosto che al se-
condo genere.
CONTRIBUTO ILLA FLORA FOSSILE DEL VALDARNO SUPERIORE l6I
base laminare, che si presentano leggermente arcuati e non si
mantengono agli altri paralleli, il penultimo nervo secondaria
poi manda qualche piccola diramazione verso la base. Il rete
venoso è appena visibile, costituito da nervetti uscenti quasi ad
angolo retto dai nervi secondari e limitanti aree di forma ret-
tangolare con margini alquanto frastagliati.
Se si confronta questa succinta descrizione con quella data
del Heer Flora ardica Voi. VII p. 83 per il suo F. cordifoUa
è facile accorgersi, come esistano dei raffronti e delle somi-
glianze non indifferenti fra la mia nuova specie e quella del
Heer; pur nondimeno, tenendo in debito conto le poche; ma
importanti differenze, che si possono riscontrare, come per es. la
presenza di dentature evidentissime nei miei esemplari, V arena-
zione dei nervi secondari specialmente di quelli più prossimi alla
base laminare, il loro angolo d' emergenza dalla costola mediana
e la maggiore acutezza delV apice laminare, mi pare giustifi-
cata abbastanza la distinsione che ne ho fatta dalla specie figu-
rata e descritta dall' Heer e dalle altre fossili e viventi.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni Valdarno, Gaville (Coli,
del Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Qnereiiii
Qaercus neriifolia Al. Br.
Q. foliis longe peiiolatis subcoriaceis elongato-lanceolatis, apice acumi-
oatis, basi attenuatis subdecnrrentibus, nervis secundariis sub angulo
subrecto e costa exorientibus oppositis, alternisve parallelis, margi-
nem versus inter se coniuntis, parum curvatis arcuatisve, venia obli-
quis irregularibus tenuissimis inter se coniuntis, retem minutissimum
irregulariter pentagonum includentibus. JJng. Gen. sp. pag. 403 —
Gaudin FeuilL Fesa, de la Tose. M. VI, p. 12, PI. Il, fig, 1. Heer FI.
Helv, II pag. 45-46, Taf. LXXIV, fig. 1-6. Taf. LXXV, fig. 2.
Mass. Leti, a Scarabelli, pag, 18, JST/ 17, EU. FI. v. Bilin pag. 54.
Saporia Éttid. Il, p. 256, Schimper Tr. pai veg. p. 621. II. Mass.
FI. foss. Senig. p. 188 Tav. XXXI, fig. 6.
Syn. Quercus Itgnitum Al Br. in Stizenb. Verzeichn pag. 77, Heer.
Uebers d. Tert. II., pag. -^3. Quercus commutata Heer II. tert.
Helv J, pag. 14, 21.
Osserr. — La fiUite da me esaminata somiglia perfettamente
alla Fig; 2 e 6, Taf. LXXIV dell' Heer FI. Helv. come pure alla
S9. Noi. VoL II. faio. l.o li
162 G. RISTORI
fig. 6, Tav. XXXI, Mass. FI. Senig. e non si può menomamente
dubitare dell' esatezza di questa determinazione. !1 mio esem-
jilare però, proveniente dal Fratello presso S. Giovanni Val-
damo, non mi sembra, che rassomigli troppo alla figura, che
dk il Gaudin Feuitt. foss. de la Tos. M. VI, PI. II, fig. 1 di un
esemplare riferito da lui alla stessa specie e proveniente da
Bozzone; infatti quest' ultimo presenta la lamina foliare mag-
giormente attenuata, tanto all' apice, che alla base e una lar-
ghezza della lamina melesima molto maggiore e nervi secon-
dari uscenti dal mediano con angolo molto acuto. Tali caratteri
non si riscontrano in nessuna delle tante figure che THeer ed
il Massalongo danno perla Q. neriifolia; di più l'acutezza del-
l'angolo, che lo nervature secondarie fanno colla costola mediana,
non è neppure consentaneo ai caratteri distintivi che gli autori
sopracitati danno per la specie di Querc^is suindicata; per cui
mi sarà permesso di esprimere qualche dubbio sulla esattezza
della determinazione fatta dal Gaudin almeno per l'esemplare,
che ha figurato a PI. II, fig. 1, Feuill. fo^^s. de la Tose. M. VI.
Locai. — Gaville. Valdarno superiore (Coli, del Museo Geolo-
gico e Paleont. di Firenze).
Distr. G-eogr. — (Eningen^ Sobrussan (^Boemia) SinigagUuj
Bozzoney (ToscanaJ.
Quereus Sci liana G aud .
1 numerosi esemplari esistenti nel Museo Geologico e Pa-
leontologico di Firenze riferibili alla specie Q. Scillana manten-
gono costantemente i caratteri, che il Gaudin ritiene esclusivi
della sua specie ed atti a distinguerla e separarla dalla Castanea
atavia Ung. per cui ho creduto necessario fare questa semplice
nota, allo scopo di confermare la nuova specie del Gaudin, fino
ad oggi esclusiva della flora fossile del Valdarno superiore.
Quereus sp. ind.
Tav. vili, fig. 17.
Osserr. — Figuro nella Tav. Vili, a fig. 17 un esemplare
di finite proveniente dal Pratello presso S. Giovanni Valdarno
probabilmente riferibile al genere Qnercus; stante però i bordi
%
CONTRIBUTO kUA FLORA FOSSILE b&L YALDARNO SUPERIORE l63
laminari mal conservati, che tutti gli esemplari da me esaminati
presentano, non si possono riferire alla specie di Quercus, a cui
per altri caratteri della lamina foliare potrebbero appartenere.
Infatti essi esemplari presentano, tanto per la nervatura, qua nto
per r apice e la base laminare, analogie col Q. Scillana Gaud. e
col Q. Gaudini Les. e specialmente con quest'ultima specie hanno
in comune la validità della costola mediana e dei nervi secondari
non che la rotondità della base laminare. Però attentamente e
ripetutamente esaminando detti esemplari si vede che non esi-
stono affatto né dentature ne lobature lungo il bordo laminare,
per cui non apparterrebbero a nessuna delle due specie suindi-
cate, che presentano evidenti dentature. Da ciò la probabilità,
di essere davanti ad una nuova specie di Quercus simile alla
Q, Gaudini e solo distinta da quella per l'assoluta mancanza di
dentature e lobature lungo il bordo laminare.
Quercus Daniellii nov. sp.
Tav. Vili, fig. 18.
Q. foliis ovato-oblongis, longe petiolatis, basi fere rotnndatis , apice
acuto, lateribus utrinque lobatis, lobis acute dentatis, nervo mediano
valido, nervis secundariis sub ungulo minime acuto egredienti-
bus, craspedodromìs, parallelis et basim versus arcuati», rete venoso
vix coiispicuo /
Des. Osserv. — Foglia ovata allungata con base quasi
arrotondata e angolosa all' inserzione del picciuolo, il quale si
presenta allungato e sottile, bordi laminari quasi paralleli e solo
convergenti presso V apice e la baso, lobati assai distintamente,
i lobi sono dentati, ed i denti acutissimi. Costola mediana sot-
tilissima e angolosa specialmente in corrispondenza del punto
d'emergenza dei nervi secondari, i quali nascono sotto un'an-
golo abbastanza grande cioè di 58"* gradi e sono, quelli presso
alla base laminare, arcuati come pure i due più prossimi al-
l'apice, retti quelli al centro della lamina foliare, tutti quanti
sono craspedodromi. Il rete venoso è appena visibile.
Dietro questa descrizione è facile accorgersi come il mio
esemplare presenti poche rassomiglianze colle specie fossili fino
ad ora descritte e figurate, per quanto esse siano numerosis-
164 (3. RISTORI
si me; solo una lontana analogia la possiamo trovare in qual-
cuna delle tante foglie riferite alla Q. Drymeja Ung. Le maggiori
analogie però le ha colla specie tuttora vivente Q. Psmdo-suher
Santi; infatti troviamo nell'esemplare fossile da me esaminato
corrispondenza nella forma dei lobi e delle dentature dei mede-
simi ed anche le nervature secondarie sono egualmente disposte.
Altra rassomiglianza, poi l'abbiamo nella forma ed acutezza
dell' apice laminare, il quale in ambedue queste specie la fossile
e la vivente presenta lateralmente due dentature acutissime, le
quali fan sì, che l'apice medesimo prenda 1' aspetto tricuspidale.
La mia nuova specie fossile però non concorda colla vivente per
la forma della lamina, che nella prima si presenta ph^ allun-
gata più ridotta in larghezza; per modo, che i bordi laterali,
della medesima si mantengono per lungo tratto paralleli e solo
presso la base e 1' apice cominciano a convergere; mentre nella
specie vivente presentano una più o meno leggiera curvatura
e danno alla lamina foliare una forma più ellìttica ed avente un
diametro trasversale relativamente maggiore. Di più la specie
fossile, conta un numero maggiore di nervature secondarie cioè
7 a 8 per lato e la costola mediana ed il picciuolo sono multo
meno sviluppati, di più le nervature secondarie fanno colla co-
stola medesima un angolo più ottuso.
Locai. — Foresta presso Figline Valdarno (Coli, del Museo
Geologico e Paleontologico di Firenze) rinvenuta da me nelle
argille cenerognole (Zona delle Ligniti).
Qaerciu Etymodrys Ung.
Q. foliis longe petiolatis, oblongo-ellipfciciS; regulariter sinuato-dentatis,
dentibus obtusis, basi attenuatis, apice obtiisiusculis, peuninerviis,
nervis secundariis rectis; altemis vel oppositis, venis perpendicu-
laribus, retem laxum tetragonum plerumque efformantibns. Ung FI,
i\ GleL p. 174. Taf. III. fig. S, Mass. FI. foss. Senig. p. 178, Tav.
XXII'XXIII, fig. 10, 11, 12. Tav. XLII, fig. 12, Gaudin. Fenili,
foss. de la Tose. M. VI. p. 13. PI. Ili, fig. 11. Schimper Tr. Pai.
veg. p. 650, II.
Osserv. — Gli esemplari riferibili a questa specie sono in
gi-an uumero stati da me raccolti presso una località detta la
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL VALDARNO SUPERIORE 165
Foresta distante due chilometri dalla terra di Figline. L'im-
l^ronte sono per lo più in un argilla cenerognola refrattaria ed
nuche se ne trovano in uno strato argilloso, di color nero e
bituminoso, che alterna con quello cenerognolo. Esse vi si rin-
vengono numerosissime e si veggono sopramettersi le une alle
altre; per modo che è difficile poterle isolare ed averne una
completa. Ad onta di ciò si riscontrano con facilità, in quei nu-
merosi esemplari succitati i caratteri delle foglie appartenenti
alla Qitercus Et;jmodrifs, anzi alcuni di essi sono riferibili alla va-
l'ietèt entelea del Massalongo (FI. foss. Senig. p. 179 Tav. XXIL
XXIII fig. 10-12J, altri alla varietà microdonfa rappresentata
e descritta nella medesima opera del Massalongo Tav. XXII-XXIII
tig. 5 p. 180. Da ciò si può ,con maggior probabilità di non
avere errato, ritenere V esistenza assoluta anche nel Valdarno
superiore di questa specie fino ad ora creduta da molti esclu-
siva della flora del Miocene superiore.
Locai. — Foresta presso Figline Valdarno (da me raccolta
e donata al Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. G^ogr. — Marne di S. Anna |j rosso Gleichenberg. Si-
nigagliay Puzzolente^ Montemasso, Casino presso Siena.
Qaercus Ilex L.
Fra gli esemplari di fìlliti, che si conservano nel Museo
della Accademia del Poggio residente in Montevarchi, ne ho
potuto osservare uno, che appartiene alla specie Quercus Ilex,
giacché concorda perfettamente colla descrizione e figure che il
Gaudin dà a p. P, M. V, PI. HI, fig. 7-11 Cont. a la FI. foss.
ital. Gli esemplari del Gaudin provengono tutti quanti dai Tufi
vulcanici delle Lipari, quindi questa specie che oggi trovo nel
Valdarno superiore è comune anche alla Flora quaternaria non
che alla vivente. L'impronta da me esaminata proviene proprio
dal piano delle Argille arse, da cui, lo Strozzi, il Pantanelli ed
il Major ('), hanno voluto vedere rappresentato il Miocene su-
periore o il Pliocene inferiore in una parola l'orizzonte più antico
(V Major — Sul livello geologico del terreno^ in cui fu trovato il così detto
Cranio delV Olmo, Arch. per l'Antropologia e la Etnologia. Voi. VII, p. 344. (1877).
166 6. RISTORI
dei depositi pliocenici del Valdarno, che secondo il Major sarel)-
bero contemporanei a quelli del Casino presso Siena.
Locai. — Gaville e Castelnuovo (Zona delle Ligniti) Coli, del
Museo della Acc. valdarnese del Poggio residente in Montevarchi.
Distr. geogr. — Isole Lipari.
Qnercus flsniinensis nov. sp.
Tav. Vili, fig. 16
Q. foliis oblongis, longe petiolatis, basi apiceque attenuati», strictis,
margine regulariter sinuato-dentato, dentibus obtusis, penninerviis,
nervo mediano valido, secundariis rectis alternatisve, nervulis ab ae-
cundariis sub angulo fere recto egredientibus, rete venoso vix conspicuo.
Des. Osserv. — Foglie allungatissime acuminate, attenuate
alla base, lobate, lobi dentati, denti piccoli e poco acuti, pic-
ciuolo lungo e valido, nervatura mediana valida e alquanto
sinuosa specialmente presso V apice laminare, nervature secon-
darie in numero di 8 per lato ed uscenti ad angolo acuto dalla
costola mediana, con andamento leggermente incurvato al centro
della lamina, più sentitamente presso T apice e presso la base.
Le nervature terziarie escono dalle secondarie sotto un angolo
vicinissimo al retto e si confondono col rete venoso, il quale
limita aree rettangolari con lati sinuosi ed alquanto irregolari.
Gli esemplari qui descritti furono raccolti da me stesso nella
solita argilla cenerognola della Foresta (Zona delle ligniti). Questi,
come si vede dalla descrizione, si presentano assai caratteristici
e non hanno somiglianza perfetta con nessuna delle specie fos-
sili; solamente qualche analogìa con le giovani foglie di Q. Ett/-
modrys; ma ne diflferiscono per molti cai'atteri specialmente per
lo lobature molto meno profonde in questa nuova specie ed
anche per la forma della lamina, che si presenta tanto più al-
lungata e stretta, e finalmente per la quasi costante arenazione
più o meno evidente dei nervi secondari. Fra le specie viventi
somiglia un poco al Q. cenns e al Q. robur.; ma quest' ultime
specie hanno i lobi del bordo laminare, che vanno a finire in
dentature molto più acute, hanno il picciuolo molto più corto
e le nervature meno marcate.
Locai. — Foresta presso Figline valdarno (Raccolte da me
e donate al Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
(TONTKIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL VALDAUNO SUI'ERIOKK 167
Fani. Saliciiieae
Sallx integra Goepp.
S. Foliis lanceolatis, basi attenuatis, acutis, nervis secundarìis angulo
acuto egredientibns. Gtcpp, foss. Flora v. Schossnitz. §. x;?,5, Taf, XIX,
fig. 1-16. Heer Flora foss. Helv, li, p. H2, Taf LXVIII, fig, 20-22.
Gawlin Feuilll. foss. de la Tose. p. 30, M. 7, PI. Ili, fig. 6.
Syn. Salix attenuata AL Br. Stizenh. 79, Salix paucinervis AL
Hr, in Stizenb 79,
Osserr. — L' esemplare di fillite, che io riferisco alla specie
suindicata, concorda perfettamente colla descrizione e figura del
(landin Feuill. foss. de la Tose. M. 7, p. 30^ PI. Ili, fig. 6, e
del Heer FI. foss. Ilelv. p,32, Taf. LXVIII, fig, 22. Solamente
r esemplare, da me esaminato presenta dimensioni minori di
fronte a quello figurato, dal Gaudin; mentre concorda anche per
«inesto con alcuni degli esemplari figurati dall' Heer.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni Valdarno (Coli, del Museo
(Jeologico Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — CEningen. Montaione {in Toscana).
Salix decurrens nov. sp.
Tav. Vili, fig. 19.
S. foliis laiiceolatis in petiolum attenuatis atque decurrentibus, basi api-
ceqiie valde attenuatis, costa media valida, nervis secundariis validis
vi Miib angulo acutissimo egredientibns, arcuatis, in margine laminari
decurrentibus.
Des. Osserr. — Foglia lanceolata con lamina molto atte-
jKiata alla base e decorrente nel picciuolo, il quale si mostra di
circa 5 millimetri lungo, grosso e perfettamente cilindrico. Il
l)ordo laminare è integro, l'apice attenuato e alquanto arroton-
dato, la costola mediana assai grossa, le nervature secondarie
poco evidenti, arcuate decorrenti lungo il bordo laminare ed
uscenti con angolo acutissimo dalla costola mediana. Le nervature
secondarie si anastoraizzano con le terziarie, specialmente nei
i
168 G. BISTOBI
pressi del bordo laminare. La lunghezza della foglia compreso
il picciuolo è di cent. 8, la massima larghezza cent. 1,03^ presa
alla distanza di due terzi dall'estremità; del picciuolo.
Non con troppa facilità ho potuto capire se V esemplare qui
preso in esame e gli altri ad esso simili appartenessero ad un
Sali*^, piuttosto che ad un Laurus: infatti se esaminiamo atten-
tamente la figura e descrizione che il Massalongo dà per il Laurus
iteopltylla Mass. FL foss. Senig. p. 258, Tav. XLF, fìg. 18. e quella
di Ett. per il L. phoeboides EU. Foss. FL v. Vien. Taf. Ill^ fig. 3.
visi possono trovare analogie abbastanza numerose ed importanti
colla mia nuova specie di Salix; però quando si tenga conto nella
mia specie della forma caratteristica della lamina, del suo ro-
busto e corto picciuolo e dell'acutissimo angolo, che le nervature
secondarie fanno colla mediana non che della loro pronunziata
curvatura e decorrenza lungo il bordo della lamina medesima;
credo, che si abbia abbastanza, per potere riferire la mia im-
pronta ad un Salix piuttosto che ad un Laurus, e descriverla
come specie nuova. Fra le specie viventi che più si avssomiglino
alla qui fossile descritta sta per primo il Salix babilonica Jj.
quest'ultima però differisce per la base laminare meno attenuata,
la lamina molto più sviluppata e più allungata e ridotta invece
in larghezza; secondo viene il Salic candida Mi. il quale però
ha il bordo laminare crenato e V apice acuto. Noteremo in ul-
timo come la decorrenza della lamina nel picciuolo, proprietà
caratteristica nella mia nuova specie, non sia cosa frequente nei
Salix: infatti fra i fossili abbiamo il solo Salùc nimpharum Gaud.
fra le specie viventi abbiamo il Salix alba L., S. silesica, S. an-
gusti folta, S. arbuscula, S. daphnoides, S. sacuti f olia y S. viminalis,
e poche altre.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni Valdarno (Coli, del
Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Popnliitt
Populu8 mutabilis v. oblonga Heer.
Tavr. Vili, tìg. 29.
P. foliis oblongo-ovatis et sublanceolatis, basi integris, superne dentatis
vel serratis. Heer FL tert. Hdv. II, p. 19. IIL p. 173, Taf. LX,
OONTBIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL YALDARNO SUPERIORE 1 69
fig. 6, 7, 9, 10, 13, 15, Mass. FI. foss. Senig. p. 243. Ett. Foss.
FI. V. Bilin p. 85, Taf. XXII, fig. 11, XXVIII. fig. 8, Schimper Tr.
Pai. veg. p. 694. IL
Syn. Populus oblonga Al. Br. in Stizenh. p. 80.
Osserv. — All' esemplare da me studiato e rifei'ito alla specie
P. mtÀtabilis v. oblonga fra le tante e varie forme della lamina
foliare figurate dall' Heer, una sola corrisponde perfettamente ed
è quella della Fig. 16, Taf. LX, le altre se ne discostano più
o menOy ripetendo però e mantenendo i principali caratteri,
quali sarebbero, la forma della lamina, e la disposizione delle
nervature secondarie. L'esemplare però da me esaminato presenta
il picciuolo alquanto mal conservato e quindi è impossibile potere
riscontrare se anche la lunghezza e grossezza di esso corrisponda
agli esemplari figurati dall' Heer; quello che si può ancora ve-
dere nel mio esemplare è il modo d' inserzione del picciuolo alla
lamina e anche questo corrisponde perfettamente alle rappre-
sentazioni dell' Heer.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni Valdarno (Coli, del
Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — O'Jningen, Stettfurf, a Schrotzburg, Sotzka,
Radoboj, Ligniti di Bonn Miocene del Mississipi, Puzzolente,
Montemasso f Toscana), Sinigaglia.
Fam. Balsamifluae
l^iquidainbar
Liqnidainbar Enropaeum A. Braun.
L. foliis loDge petiolatis, palmatilobis 3-5 lobis, lobis argute serratis
apice cuspidatis, lobo medio indiviso rarius lobato, (fractibus in stro-
bilum globosum eoalitis, capsulis lanceolatis longe coruutis, pedun-
culo strobili elongato crassiusculo stricto. Al Br. in Buckl. Gedog. I,
p. 115; in Stizenb. Verzeichn p. 76, Ung. Cìilor. prof. p. 120, Taf.
XXX. fig. 1, 5. m. foss. FI. v. Vien. p. 15, Taf II, f 19-22, Goepp.
Tert. FI. v. Schossnitz p. 22, Taf XII, f 6-7. Heer FI. tert. Helv. II,
p. 6, Taf. LI-LIj, fig. 1-8. E. Sismo»KÌa Matér. pour serv. a la pai.
du Pieni, p. 30, PI. IX, fig. 7, Gaud. et Strozzi Fenili, foss. de la
170 G. RISTORI
Tose. p. SO, PI. V. 1-3. Mass. FI. foss. Seniy. p. 237, Tav. XII, f. 4.
Tav. Xn\ fig. 6. Schhnper^ Tv. de Pai. veg. 11^ p. 710.
Syn. Acer parschluijianum. Vng. Chlor. prot.p. 132^ Taf. XLIIL
f' 5, L. acerifolium Ung. Iconogr. Taf. XX^ f. 28. Oen. et spec.
p. Ò15.
Osserv. — Un solo esemplare e non conipleto proveniente
da Gaville rappresenta questa specie nella Flora fossile del
Valdarno superiore. L' impronta è indubbiamente riferibile al
genere Liquidomhar, somiglia molto alla specie Europaeum; ma
stante i lobi un poco più ottusi presentati dal mio esemplare
(stando a co, che dice il Massalongo FI. foss. Senig. p. 239 a
proposito della sua nuova specie L. Vincianum Mass.) potrebbe
anche a questa riferirsi; per quanto abbia i lobi molto più ottusi
del mio esemplare, il quale per le dimensioni la forma e Tacu-
minatezza dei lobi, concorda perfettamente colla fig. 3 PI. V,
M. 1 Gaudin Feuill. foss. de la 7 ose, che ci rappresenta il L. Fai-
ropaeum. Dietro poi T incertezza espressa dal Massalongo stesso,
riguardo alla vera e propria distinzione della sua nuova specie,
riferisco senz' altro il mio esemplare a quella del Braun L.
Europaeum.
Locai. — • Fratello presso S. Giovanni Valdarno superiore.
Coli, del Museo della Società, Vaklaruese del Poggio residente in
Montevarchi.
Distr. geogr. — Sotzka^ (Eningen, Radobojj Montetnasso,
(Toscana), Puzzolente, Sinigaglia.
Urtieinèe
Fani. Ulinaccae
l^lanera
Planerà linieri Ett.
P. follia breviter petiolatis rarius sessi libns magnitudine maxime varian-
tibus, ovato-acuminatis, vel ovato-lanceolatis, basi plerumque insequali-
bus aequaliter et sempliciter serratis vel crenatis, dentibus plerumque
maguis, nervìs secutidariis 7-14 sub angulo acuto egredientibus.
Ett. foss. FI. V. Hàring Taf. X, fig. 4-5. Ileer FI. tert. Uelv. Ily
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL YALDARNO SUPERIORE 171
p. 60, Taf. LXXX. Uvg. foss. FI, i\ Kumi p. 24, Taf. IV, fig. 10-16.
Heer FI. foss. arci. p. 110, Taf. IX, fi(j. 8. Sismonda Matèr. poiir
serv. a la pai. dii Fieni., p. 48. PI. XVII I, fig. 2, 4. Ludw. Palceon-
togr. Vili, p. 106, Tab. XXXVllI, fig. 9-11, XXXIX. fig. 1, 10.
LX, 3, 3 A 3 h, — Scliimper Tr. de Pai. veg. p. 714, II, At.
LXXXIX, Gandhi, FeuiU. foss. de la Tose. M. I, p. 34, PI. II, fig.
10. M. IV, p. 21, PI. I fig, 15 17.
OBsery. — Mi sembra cosa inutile trascrivere qui la lunga
sinoninoia, di questa specie e per essa rimando senz'altro al Trat-
tato di paleofitologia dello Schiniper p. 714 Voi. IL Come pure
per le osservazioni sulla incerta classazione delle forme di filliti
riferite a questa specie, richiamo le osservazioni fatte dal Mass.
FI. Foss. Senig. p. 216 sul genere Zelkova sinonimo di Planerà.
Ho riferito a questa specie, un impronta di foglia da me stesso
raccolta alla Foresta presso Figline valdarno, e cre<lo la mia
determinazione bastantemente ben fondata; giacche queir im-
pronta presenta tutti i caratteri propri della specie suindicata
e concorda colle figure che ne danno THeer, V Ett., ed il Gaud.
stesso. Farò poi notare come anche il Gaudin sospettasse l'esi-
stenza di questa specie nella flora fossile del ValJarno supe-
riore, per avere potuto esaminare molti frammenti di filliti pro-
venienti da quella località, i quali a suo dire appartenevano con
molta probabilità ad essa specie; ma il non avere o.ijjli potuto
esaminare esemplari di foglie sufficentemente ben conservati e
completi, gli impedì di ascrivere anche quella specie fra le com-
ponenti la flora fossile sum mentovata.
Locai. — Foresta presso Figline Valdarno superiore (donata
da me al Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — Svizzera, Alemagna, Croazia, Grecia, Francia,
Italia nei terreni miocenici. Il Gaudin l'indica nel quaternario
di Prata, Monsummano e Poggio Montone, ( Toscana) e nel pliocene
di Montajone Val D'Era.
Ulmus quercifolia Ung.
Tav. VIIL fig. 20.
U. foliis petiolatis, ovato-acuminatis basi attenuatis, argute dentatis
penninerviis, nervis secuiidariis subsimplicibus craspedodromis Ung.
172 G. RISTORI
Chlor, prot, p. .%', Taf. XXV, fig. J, Gen. sp. pi. foss. p, ili, Hyl-
loge pi. foss. /, p. 13. Taf. I\\ fig. 7-13. Scìiimper Tr. pai. veg. 11^
p. 721.
Osserv. — La fillite, che io ho riferito alla suindicata specie
dell'Unger presenta una perfetta somiglianza colla fig. 5 Taf.
XXV, Ung. Chlor prot. e ne concorda anche la descrizione, quindi
credo, che non si possa dubitare sulla vera esistenza di questa
specie nella flora fossile del Vnldarno superiore. Aggiunjjerò poi
che ad onta della facile confusione che i)uò succedere frk le fo-
glie appartenenti ai generi: Ulmus, Corglus, Betula, Alnus, tanto
fra loro rassomiglianti, specialmente per la nervatura il mio
esemplare presenta dei caratteri così evidenti da escludere quasi
ogni dubbio di appartenere a specie diversa e molto meno a
genere diverso da quello a cui V ho riferito.
Locai. — Zona delle Ligniti (Gaville Castelnuovo) (Coli, del
Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Dlstr. gd3jr. — Formazioni mioceniche superiori della
Sfiria, Parschlug e Obdachj Wiesenau (Carinzia).
liaurlnèe
Fani. Lanraceae
Permea
Per8ea speciosa Heer.
P. foliis coriaceis, longe petiolatis, ellipticis, nervo mediano vjilido, secun-
dariis utrinque 8-10, sub angulo acuto ogredientibus Heer FI. ieri.
Helv. II, p. 81, Taf. XC, fig. 11-12. e Taf. C\ fig. 18. ///, p. 185,
Taf. CLIIl fig. 9-10. Gand'ln, Few II. fo.ss. de la Tose. M. 7, p. 37,
PI. X, fig. 3. PI. VII, fig. 7 11 Kit. fo.ss. FI. v. Bilin. p. 197. Taf.
XXXII, fig. 15-16. Srhimper, Tr. Pai veg. p. 829, II.
Osserv. - Mi sono imbattuto in diversi esemplari di fiUiti
appartenenti alla specie dell' Heer Persea speciosa; essi infatti
concordano perfettamente colle figure e descrizioni date dall' Heer
e dal Gaudin, Degli esemplari da me esaminati alcuni vsomi-
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL YALDARNO SUPERIORE ' 173
gliano alla fìg. 7, PI. VII, M. I, Gaiid. Feuill. foss. dt^ la Tose, altri
alla fig. 3 PI. X, id. memoria. Dubito del resto, che anche il
Gaudio abbia prima di me potuto esaminare e riferire alla specie
suindicata un' impronta di fillite avuta dallo Strozzi; la quale
probabilmente proveniva dal Valdarno superiore. Neil' incertezza
però ho voluto qui far menzione delle molto filliti che ho avuto
agio di esiiminare se non altro a conferma della certa es stenza
di questa specie nella flora fossile del Valdarno superiore.
Locai. — Fratello {^) presso S, Otovanni Valdarno (Coli, del
Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — Molassa d' acqua dolce nella Svizzera; Schro-
fzburg presso (Eningcn argille di Priesen. Travertini di A'. Vi-
Valdo, Jano (Toscana). (Appartiene al gruppo della Persea indica).
Hskmnafran
Sassafras Ferrettianuni Mass.
11 Gaudia ha determinata questa specie su di un esemplare
abbastanza mal conservato e che presentava intero solo un lobo
laterale della lamina foliare; essendomi io imbattuto in un im-
pronta perfettamente conservata ed intiera trovo ben fatto no-
tare ciò a conferma della certa esistenza della suindicata specie
fossile, nel valdarno superiore.
Cinnamoniiiiii
Ginnaiiiomum lanceolatnm (Ung.) Heer.
Tàv. Vili, fig. 22, 23,
C. fohis petiolatis, laiiceolatis basi apiceque acuminafcis triplinerviis
lateralibus margine approxiraatis, acrodromis apicera non attingen-
(*) Di questa specie ne esistono nuoierosissirai esemplari nel Museo deH* Acca-
demia valdarnege del Foggio residente in Montevarchi, provenienti da Gaville. Fra
questi esemplari vi si trovano tutte quante le forme di foglie figurate dai diversi
autori e riferite alla suindicata «specie; per cui non si può più dubitare della sua
esistenza nella flora fossile del Valdarno superiore.
174 * G. RISTORI
tibus Heer. ti tert. Helv, />. SO, Taf. XCIII, fig. 6-11. Mass. FI.
foss. Senig. p. 265, Tav. Vili, fig. 2, 3, 4. e Tav. XXXIII, fig. 9.
Sisinonda Matér pour serv. a la Pai. du Piem. p. 52, PI. XXIV,
fig. 5-6 e PI. XVI, fig. 7. Ung. foss. FI. v. Kwni p. 30, Taf. VII,
Schimper Tr. Pai. veg. p. 842, II.
Syo. PhyUUes cinnamomeus Ross. Versi. Taf. /, fig. 2 , Daphno-
gene lanceolata Ung. FI. v. Sotzk. Taf. XVI, fig. l''6. Web. Pa-
loBontogr. II p. 183, Taf XX, fig. 8. EU. FI. M. Prom. Taf. VII,
fig. 3-7. Ceanothus lanceolatus (et polymorphus ?) Veb. loc. cit. Taf. VI,
fig. 4, 5.
Osserv. — Il Massalongo nella sua flora fossile Senigallie^^e,
a proposito della specie Cinnamoinum hinceolatum , osserva che
alcune forme possono facilmente confondersi colla Daphogene
Ungevi Heer e col Cinnamomwn Rossmàssleri Heer stante le
piccole differenze dei caratteri diagnostici. Io però per i miei
esemplari, credo proprio essermi imbattuto in due delle forme
più caratteristiche del C. lanceo^atum: infatti i caratteri che io
riscontro sulle filliti esaminate corrispondono perfettamente
alle descrizioni e figure date e dall' Heer e dal Sismonda a pro-
posito della suindicata specie. Abbiamo poi che uno dei due
esemplaai somigl a alla perfezione colle fig. 6, 7, 10 Taf. XCIIl
dell' Heer FI. tert. Helv e con hi fig. 7 PI. XXVI del Sismonda
Matér. patir se>*v. a la pai. du Pieni, l'altro invece che è anche
più perfettamente conservato si avvicina alle fig. 8, 9, Taf.
XCIII dell' Heer opera stessa.
Loeal. — Gaville Fratello presso S. Giovanni Valdarno (Coli,
del Museo Geologico e Paleontologico di Firenze.
Distr. geogr. — Svizzera nella molassa d' acqua dolce Sotz.
Rodobojj Hoering, ligniti di Bon. Sinigaglia, Torino, schisti di
Asson Rixhòft, Kumi.
Clonamomuin TarglonlI nov. sp.
Tav. Vili, tig. 24.
G. foliis amplis, ovalibus, basi obfcusa, nervo mediano validissimo, nervis
lateralibus e basi egredienfcibus validis ac margini parallelis efc fere
apicem attingentibus ; nervis tertiariis parifcer e basi orienfcibas,
arcubus curvatis efc margini fere parallelis, nervulis transversis ex
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL YALDAKNO SUPERIORE 175
lateribus egredienfcibus sub angulo fere recto, rete venoso interpo-
sito polygono.
Dea. e Osserv. — La fili ite, che qui descrivo sotto il nome
nuovo di Cinnainoinuiii Targionii proviene dal Fratello presso S.
Giovanni Valdarno è benissimo conservata, e manca solo del-
l'apice laminare. Essa piesenta anche a prima vista dei caratteri,
che la fanno subito distinguere da tutte le specie fossili e vi-
venti di Cinnìmomum, eccone la descrizione. Foglia perfettamente
ovale e di dimensioni considerevoli. La base laminare è rotonda
e nel bel mezzo di essa si inserisce il picciuolo, che dall' im-
pronta lasciata al punto di inserzione, si giudica robustissimo
come è il nervo mediano diretta continuazione del picciuolo
medesimo. I due nervi laterali sono arcuati paralleh al bordo
laminare anch' essi robusti e raggiungono quasi l' apice della
lamina. Oltre a questi due nervi ne abbiamo altri due pure
uscenti dal punto d' inserzione del picciuolo, i quali meno ro-
busti del primo paio si dispongono fra questi e il bordo lami-
nare e vengono come costituiti da tanti piccoli archi, all'estre-
mità poi di ciascuno di essi archi sorge un nervetto di quarto
ordine, che uscendo ad angolo quasi retto attraversa nel senso
della larghezza 1' area limitata dal nervo laterale primario e da
quello secondario; per modo che essa area viene divisa in tanti
quadrilateri aventi, dei due lati più corti, l'uno più prossimo
al bordo laminare con convessità volta all' infuori, l'altro, più
prossimo al nervo mediano e costituito quindi da una porzione
di uno dei nervi laterali primari, con convessità meno pronunziata
e volta pure verso il l)ordo laminare più prossimo. I suddetti
nervetti trasversali poi si anastomizzano e contribuiscono a for-
mare il rete venoso poligonare. L' area compresa fra i due nervi
laterali primari è pure conspersa di rete venoso poligonare; ma
costituito dalle diramazioni ed anastomosi di nervetti, che hanno
origine dalla costola mediana.
La nuova specie di Cinnamofnum, (*) qui descritta e figurata,
ha qualche analogia col C. spectahile Heer; quest' ultima però ha
una maggiore tenuità della base laminare, nervature meno mar-
caie e decisamente soprabasilari ed è mancante della terza serie
(') Le specie viventi, che mostrano maggiori soiniglianze coUa fossile qui deetritta
sono queste: Cinnamomum zeylanicum Brey. Laurus cinnamomum And. Smilcun ca-
narienaù Willd. Smilax Walteri Furch.
176 0. ftisToìu
di nervature uscenti dal punto di inserzione del picciuolo ed
aventi andamento parallelo ai bordi.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni ValJarno superiore
(Coli, del Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Glanamomum polymorphum Heer (A. Br.)
Tav. Vili, fìg. 21.
Cito questa specie e figuro neir annessa tavola uno degli
esemplari da me esaminati, il quale al pari di tutti gli altri
proviene da Fratello presso S. Giovanni valdarno; perchè il
Gaudi n nelle sue Memorie Sur. quel Gis. de FeuilL foss. de la
Tose, mentre cita nel quadro sinottico comparativo la suin-
dicata specie, omette poi di farne la descrizione e di figurare
nelle tavole qualcuno degli esemplari meglio conservati.
Del resto gli esemplari da me esaminati non presentano
nulla di notevole ed hanno visibili e benissimo conservati i
caratteri della specie, a cui gli ho riferiti e a cui indubbiamente
appartengono.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni. Gaville Valdarno su-
periore. (Coli, del Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — Sotzka. Monte Fromina, Torino, Sinigaglia^
Svizzera, F uzzolente, Montemasso, Bozzone (Toscana).
Brielnee
Fam. Ericaceae
Andromeda
Andromeda protogaea Ung.
A. foliis, coriaceis, utrinque attenuatis, integerrimis, costa valida, iiervis
secandariis alternis camptodromis iuaequidisfcantibus, nervulis flexuosis
percurrentibus in retem minutum exculptum solufcis Ett. FI. foss.
Haering. p. 64, Taf. XXII, fig, 1-8, Heer FI. tert. Helv. Ili, p. 8,
Taf. CI, fig. 26 e, d, e, f. Mass. Piani, foss. del Vicentino, p, 153.
Mass. FI. foss. Senig. p. 297, Tav. XXXIV, fig. 3-6, Tav. XLIII,
CONTBIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DSL VALDARNO SUPERIORE l77
fig. 4. Oaud. Fenili, foss, de la Tose. M. i, p. 39. PI. X, fig. 10.
Schimper Tr. pai. veg. III^ p. 4.
Byti. Leucothoe protogaea Ung. foss. FI. v. Solzka Taf. XXIII,
f. 2, 5, 5, 9. Sf'himper Tr. pai. veg. III^ p. 4. Andromeda tristis Ung.
SylL ILI, p. 36, Taf. XII, fig. 12. Andromeda reticulaia Ett. Fi.
V. Haring. p. 65, Taf XXII, fig. 9-10.
Ossery. — L' esemplare da me esaminato non consiste che
in un frammento della porzione inferiore, di una lamina foliare,
ad onta di ciò vi si possono riscontrare tutti quanti i caratteri
necessari per una determinazione specifica: infatti si vede bene
che esso concorda perfettamente colla descrizione e figura del-
l' Heer FI. tert. Helv. Hip. 8 Taf. CI fig. 26 e con quella MVEtt.
FI. Haring p. 64 Taf. XXII fig. 1-8 non che con quella del Gaudin
Fenili, foss. de la Tos. M. Ip. 39 PI. X fig. 10. 11 lungo e grosso
picciuolo, r attenuazione pronunziatissima della lamina alla base,
la disposizione delle nervature secondarie, ed il rete venoso quasi
costantemente rettangolare, sono caratteri abbastanza importanti
e così evidenti nel frammento di fili ite da me studiato, da non
lasciare nessun dubbio sulla giustezza di questa determinazione.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni Valdarno superiore
(Coli, del Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — Sotzka, Haring, M. Promina, Stiria. Nella
molassa d'acqua dolce nella Svizzera, Rumi, Sarzanello {Piemonte),
Sinigaglia, Puzzolente {Toscana).
Polycarpee
Fam. Magiioliaceae
Magnolia
Magnolia fraterna Sap.
Tav. Vili, fig. «6.
M* foliis corìaceis, elliptico-oblongis^ lanceolatìs, integerrìmis, subtus ut
▼idetur, pubescentibus, penniuerviis, nervo primario valido, subtus
prominente, secundariis sub angulo plus minusve aperfco emissis obli-
quisve secus marginem curvatis, anastomosautibus, nervulis transver-
sim oblique decurrenfcibus flexuosis tenuifcer refciculatis, pagina su-
S: Noi. Voi. U. ftic. 1.0 12
178 0. BISTOBI
periori impre^sis Sap, FI. foss. de Meximieux p. 267; PI, XXXII^
fig. 2-4. Schimper Tr, pai. veg, III^ p, 76,
Ossery. — Gli esemplari da me esaminati sono abbastanza
ben conservati ed a prima giunta si scorge, che indubbiamente
essi appartengono al genere Magnolia. Essi però si discostano
effettivamente dalle specie di Magnolie fossili fin ora descritte,
e si avvicinano grandemente alla vivente M. grandiflora. Fra le
specie fossili però esiste a Meximieux una specie di Magnolia e
precisamente la fraterna di Sap., le di cui impronte sono per-
fettamente simili a quelle da me esaminate, tanto, che ho do-
vuto a quest' ultima specie riferire i miei esemplari. Però con-
viene che io faccia notare come non abbia saputo vedere diffe-
renze apprezzabili fra i miei esemplari, la specie figurata e de-
scritta dal Saporta e le foglie della vivente Magnolia grandiflora;
poiché la maggiore tenuità della lamina alla base e la minor
grandezza della lamina foliare non mi sembrano caratteri troppo
costanti per servire di base ad una distinzione specìfica: infatti
quando si osservino bene i miei esemplari si scorge anche in
essi come pure nelle foglie della Magnolia grandiflora, e negli
esemplari figurati dal Saporta per la sua specie fossile, l' inco-
stanza dei caratteri suaccennati. Un solo carattere, che si trova
costante nelle foglie della suindicata specie vivente, manca invece
tanto nei miei esemplari fossili, quanto in quelli figurati dal
Saporta; e questo si è la breve decorrenza della lamina foliare
lungo il picciuolo.
Locai. — Foresta presso Figline Valdarno. Gaville. (Coli, del
Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — Meximieux, depositi pliocenici.
Acerlnee
Fam. Aceraceae
Acer
Acer integrilobum OW.
Tav. Vili, fig. 26
Ossery. — Figuro nella annessa tavola l'unico esemplare di
Acer integrilobum, che ho potuto osservare nella collezione del
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL VALDARNO SUPERIORE 17d
Museo Geologico e Paleontologico di Firenze, e ciò per far rite-
nere come certa V esistenza di questa specie nella flora fossile
del Valdarno superiore; perchè fra le molte filliti appartenenti
ad Acer figurate dal Gaudin FeuilL foss. de la Tose. AL VI PI.
IV non ne scorgo alcuna, che veramente possa dirsi appartenere
alla specie, a cui ho riferito il mìo esemplare: infatti anche il
Gaudin stesso a pagina 19 M. VI dell' opera suindicata, nota
come la prima e la terza figura della tavola IV assomiglino al-
quanto al A. integrilohum ; ma non in modo da escludere ogni
dubbio su di una simile determinazione che ne venisse fatta.
Di più egli stesso enumera le differenze, che esistono fra i suoi
esemplari e le descrizioni e figure date dall' Ileer FI. teì-t. Ilélv.
Ili, p. 58 Taf. ex VI fig. 11 e dal Massalongo p. 332 Tav. XV-
XVI fig. 6 per la vera specie A. integrilohum. 11 mio esemplare
invece ripete precisamente la forma di quelli figurati dall' Heer
e dal Massalongo e corrisponde perfettamente alle descrizioni
della specie.
Locai. — Gaville Valdarno superiore (Coli, del Museo Geo-
logico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — (Eningen. Puzzoleìite {Toscana).
Acer sp. ind.
Tav. Vili, fig. 31.
Figuro nella annessa tavola l'impronta di una Samara^) di Acero
proveniente da Fratello presso S. Giovanni e questo perchè essa
mi pare, che differisca da tutte quelle figurate dal Gaudin come
trovate nel Valdarno superiore. Il mio esemplare invece presenta
delle somiglianze colle Samare proprie dell' Acer crassinervium
Ett. FI. foss. V. Bilin. Ili p. 22 Taf. XLVfig. 8-16 e con quelle
dell' A. narbonense Sap.
(') Per Samara si intende PAchenio alato.
aso
0. RISTORI
Frangullnee
Fam. Iliceae
Ilex
Ilex Massalongi nor. sp.
Tav. Vili, fig. 27.
I. foliis ovato-elUpticis, coriaceis, basi rotandàta, apice acuminato spi-
noso, margine spinoso, costa mediana validissima, nervis secundariis
ramosis, validis ac alteruis nervulis ac venis patentissimis.
Des. Osserv. — Questa fillite appartiene indubbiamente
al genere Ilex; giacché possiede tutti quanti i caratteri, che il
Massalongo e THeer pongono in rilievo, come distintivi di questo
genere. Per ciò che riguarda la specie a cui può appartenere
questo mio esemplare, si può affermare recisamente, che differisca
tanto dalle specie fossili quanto dalle viventi fino ad ora cono-
sciute; da ciò la ragione , di averne fatta una nuova specie e di
darne una dettagliata descrizione. Foglia ovale con base arro-
tondata ed apice, che finisce in una punta spinosa, lunghezza
della lamina cen. 9, picciuolo lungo e robusto, costola mediana
validissima, nervi secondari pure molto robusti ed uscenti dal
mediano sotto un angolo di 54* e 6'; queste nervature secondarie
sono in numero di 8 o 9 per lato e disposte con alternanza,
alcune di esse attraversano le spine e finiscono nella punta
acuminata delle medesime, mentre le altre si ripiegano ad arco
in prossimità del bordo laminare ed ivi si anastomizzano colle
diramazioni delle altre e formano nell'insieme un rete venoso
evidentissimo e a larghe maglie. Il bordo laminare è provvisto
nella porzione sinistra della lamina follare di una sola spina, nella
porzione destra invece di due, corrispondenti a due nervature
secondarie alternanti non successive. I nervetti terziari nascono
dai secondari spesso sotto un angolo vicino al retto si diramano
alla lor volta e si anastomizzano fra di loro e con le loro dira-
mazioni, limitando così aree assai grandi e di varia forma.
La mia nuova specie mostra delle analogie coir Uex Sluderi
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE PEL VALDARNO SUPERIORE 181
De la Ilarpe figurato e descritto dair Ileer FI. tert. JJelv. Voi. Ili
p. 72 Taf. CXXII fig. 11^ e col L Ruminiana Hecr FI. tert. Ilelv.
Ili p. 72 Taf. CXXIF fifj. 23 : infatti col primo lui comune la
forma triangolare ed appuntata delle spine e la disposizione delle
nervature secondarie; non concorda però per il numero delle
dentature spinose, per il rete venoso e per i nervi di 2.* e 3.°
grado, che nella specie dell' Heer sono molto meno robusti; col
secondo invece concorda per la validitii delle nervature; ma
discorda per il numero delle dentature spinose, che sono nella
mia nuova specie molto meno numerose; ma più grandi. Fra
le specie viventi il solo Ilex aquìfolium può darcene una lontana
idea; però quest' ultimo ha le nervature meno valide, il numero
delle dentature spinose maggiore, e le spine si presentano più
acuminate e la nervatura secondaria è più regolare.
Locai. — Gaville Valdarno superiore (^Coll. del Museo Geo-
logico e Paleontologico di Firenze).
Fam. liiiamiieae
K h a in 11 u li
Rhaninns sp. iud.
Riferisco a questo genere un'im|)ronta, che molto difficilmente
si può verificare se appartenga al genere RamniiSj oppure al
genere Cassia. Per la disposizione delle nervature secondarie si
avvicina ai Rhamnus; per la piccolezza della lamina foliare in-
vece alle Cassie. Ad onta di ciò essa impronta, presenta qualche
analogia, specialmente per la disposizione delle nervature secon-
darie, col R. Caudini Heer, ne differisce j^erò per l'angolo d'emer-
genza dplle medesime più acuto nel mio esemplare e per la base
laminare più attenuata. Del resto, non saprei a quale altra specie
avvicinarlo né trovo conveniente farne una specie nuova, man-
candomi esemplari bene conservati.
182 G. RISTORI
Tereblnthlnee
Fam. Jnglandeae
Juglann
Jnglans tephrodes Ung.
Provenienti dal Tasso presso Terranuova Bracciolini ho avuti
molti frutti indubbiamente appartenenti alla specie /. tephrodes
Ung. Questo noto perchè il Gaudin non fa neppure menzione
di sì numerosi resti fossili; solo il Pilla nel suo Trattato di
Geologia p. 176 V. Il ne descrive e figura due frutti come rin-
venuti nelle argille plioceniche del Valdarno superiore. Questa
specie di Juglans è stata anche rinvenuta nelle formiizioni la-
custri del Bacino di Leflfe; ed anche nel Museo di Firenze esistono
alcuni esemplari di frutti appartenenti indubbiamente a quella
specie e provenienti da quest' ultima località. Nelle brevi con-
siderazioni da me fatte a principio di questo studio sulla Flora
fossile del Valdarno superiore non ho mancato di notare questo
fatto e quindi rimando a quelle per le osservazioni in proposito.
Inquanto alla descrizione della specie e alla figurazione degli
esemplari rimando all' opera del Pilla pag. e voi. citato e al
lavoro deir Unger: Sj/lloge pi. foss. pL 38 Taf. XIX fig. 13-15 .
Locai. — Tasso presso Terranuova Bracciolini (Coli, del Mu-
seo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — Feistritz in llliria, Castel-Arquato formazione
subappennina Bergamo ligniti, Leffe ligniti).
Carya elaenoides Ung. (Heer).
Tav. Vili, fìg. 1^8, 28 a.
C. folioHs ovato-lanceolatis, subfalcatis, serratis, basi valde inaequalibus,
petiolatis, lamina in petiolum decurrente, nervis secundariis parallelis
arcuatis camptodromis rete venoso conspicuo. Fructibus ovato obloa-
gis angulatis siibpedunculatis. Heer FI. ieri. Ilelv. HI, p, 92, Taf.
CXXXI^ fig. 1-4. Schimper Tr. pai, veg. p, 256^ III.
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL VALDARNO SUPERIORE 183
Syn. Juf/lans elaenoides Ung. foss. FI. v. SofzJca Taf. XXXII,
fy. 1-4, Mass, FI Senig. p. H97, Tao. IX, fig. 11, Tav, XLIT, fig. 14.
Osserv. — Sono sicuro della determinazione di questa specie
perchè r ho potuta basare non solo su esemplari di foglioline
assai ben conservate; ma anche su di un esemplare del frutto, del
quale credo bene di darne il disegno nella annessa tavola. Tanto
il frutto quanto le foglioline si accordano in tutto e per tutto
colle descrizioni e figure date dall' Ileer. Le foglioline però non
sono troppo simili a quelle figurate dal Massalongo sotto il si-
nonimo di J. elaenoides. D' altra parte non ho potuto confron-
tare i miei esemplari con quelli figurati del Ung. autore di questa
specie giacché non mi è stato possibile avere la Foss. FI. v. Sotzka
ove r illustre paleofitologo descrive e figura questa specie. Del
resto ripeto anche una volta, che gli esemplari da me esaminati
concordano tanto perfettamente colle descrizioni e rappresenta-
zioni che Heer dà per la specie Canja elaenoides Ileer ^ che non
è possibile dubitare della identità, specifica dei miei esemplari
con quegli figurati dall' Heer stesso. In ogni modo la non corri-
spondenza della mia impronta con quelle figurate dal Massalongo
sotto il nome di Juglans elcenoides, mi fk nascere il ^dubbio, che
non esista sinonimia fra Carga, e Juglans elaenoides, e che siano
invece due specie distinte. Farò per ultimo osservare come
r esemplare figurato dal Massalongo abbia grandi analogie colla
Pterocarya Massalongi Gaud. Fenili, foss. de la Tose. M. 2, p. 40,
PI. VIII^ fig. 1, PL IX, fig. 2, mentre all' incontro i miei esem-
plari se ne discostano molto sia per il numero e V acutezza delle
dentature dei bordi laminari, sia per la disposizione delle nerva-
ture secondarie e per l'acutezza dell'angolo d'emergenza di esse
dalla costola mediana, ed anche per altri caratteri di minore
importanza.
Locai. Gaville Valdarno superiore (Coli, del Museo Geologico
e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — Sinigaglia? Sotzka? Losanna, Aarwangen,
Ligniti di Roti.
184 G. RISTORI
Roslfloree
Fam. Amygdaleae
Prunu»
Prnnns nanodes Ung.
Cito questa specie, perchè il Gaudin nella sua memoria Feuill.
fo88. de la Tose. M. II, non si mostra punto sicuro di una im-
pronta riferita alla specie suindicata, e quindi resta in dubbio
se veramente la specie esista nella flora fossile del Valdarno su-
periore. Un' impronta però proveniente dal Fratello presso S.
Giovanni da me esaminata concorda con ogni suo carattere colla
fig. 1, Taf. C XXXII, Heer, FL tert. Helv, III. per modo che non
lascia nessun dubbio sulla sua identità specifica e quindi anche
Buir esistenza di questa specie nella Flora fossile del Valdarno.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni Valdarno superiore,
Gaville. (Coli, del Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
Distr. geogr. — (Eningen, Gleichenberg .
lieguitilnosae incertae sedls
Lesaminofilte»
Legnminosites sp. ind.
Tav.VIII, fig. 30.
Sono stato molto incerto se riferivo V impronta figurata a
Tav. VITI, fig. 30 ad una Cassia o ad una Cesalpinia; dopo però
molti confronti fatti su figure di foglie fossili e su varie specie
di Cassie e di Cesalpinie viventi mi sono dovuto convincere, che
non si poteva, stanto la cattiva conservazione del mio esem-
plare, affermare nulla di certo, ed allora mi sono deciso di fi-
gurare nella Tavola quest' impronta distinguendola col nome
generico Leguminosites e dando alla terminazione {ites) tutto il
suo valore d' incertezza. — La mia impronta però ha qualche
analogia colla specie Legnminosites Fyladis Gaud. ed anche colla
Cassia ambigua Ung: ma molto probabilmente non appartiene a
nessuna delle due specie.
Locai. — Fratello presso S. Giovanni Valdarno (Coli, del
Museo Geologico e Paleontologico di Firenze).
QUADRO SINOTTICO COMPARATIVO (')
Delle Piante Fossili del Pliocene lacustre del Valdarno Superiore
N.
Specie
1
2
8
4
5
6
7
8
9
10
11
12
18
U
15
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SphMria italica Gaad. . . .
> annalus Gaud. . . .
Osmonda Strozzi! Gaod. . . .
Pinos HaidÌDgeri Ung. . . .
Strozzii Gaad
Satarni Ung
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hepios Ung
Tozatoria Gaud. . . ,
palttostrobus Ett. . . .
ancinoTdes Gaud. . .
De-St«faDÌi dot. sp. .
Sequoia Langsdorfi Brog.
Taxodium dubium Stbg. . . ,
Taxodites Stroxziae (iaud. . .
GlTptottrobus eoropaeas Brog.
CalUtrites BroDgniarti Endl. ,
Poacites piimaevas Gaod. . ,
Cyperitee elegans Gaud. . . .
Smilaz Targlouii Gaud. . . .
Potamogeton Anconai dot. sp. .
Myrica italica Gaud. . . . .
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Pliocene
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(*) P«r U turr«ftioui' di'i gearri drltr piante futtili, lauto iu qu«*ito i|iiadro tinottiro, quanto nel regio def lavoro, ho te-
|tuita la cla8>aiioae adottata dallo Schiuiper nel suo trattato di Paleofit logia.
CONTRIBUTO ALLA FLORA FOSSILE DEL VALDABNO SUPERIORE
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50 > media Al. Br
51 > integra Gcep
52 > decorrens dot. sp
53 PopuluB Heliadam Ung
54 > matabilis Heer
55 Platanns aceroides Gwp
56 Liqoidambar europaeam AI. Br. . .
57 Planerà Ungeri Ett
58 Ulmos Bronnil Ung
59 > quercifolia Ung
60 FÌC08 gaTillana Gaod
61 > tili»folia AI. Br
62 Fenoonia tasca Gaod
68 Laorus princeps Heer
64 > Gastaldi! Gaud
65 > Gaiscardii Gaud
66 > gracilis Gaod
67 > ocoteaefolia £tt.? . . . .
68 Persea speciosa ileer
69 Sassafras Ferrettianom Mass. . . .
70 Cinnamomom polymorphum Al. Br. .
71 > Bnchii Heer
72 > laaoeolatnm Heer. . .
78 > Targionii noT. sp. . .
74 • Scheuchzeri Heer. . .
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SPIEGAZIONE DELLE FIGURE DELLA TAV. Vili.
Fig.
l, 2, 3.
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4.
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5, 6, 7, 8.
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9, 10, 11.
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12, 13.
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24.
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26.
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27.
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28-28 a.
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29.
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30.
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31.
Pinu.s De-Stefanii nov. sp. Ristori.
Callitrites Brongniarti Endl.
Potarnogeton Anconai nov. sp. Ristori la fig. 8 rappre-
senta alcuni frutti o carpidi.
Fagus incerta Mass.
Fagus Oaudìni nov. sp. Ristori la fìg. 13 rappresenta una
foglia giovane.
Fagu-s pseudo-cordifolia nov. sp. Ristori.
Carpinus grandis Ung.
Quercus figulinensis nov. «.p. Ristori.
Qu'^rcus sp. ind.
Quercus Daniellii nov. sp. Ristori.
Salix decurrens nov. sp. Ristori.
Ulmus quercifolia Ung.
Cinnamomum polymorphum Heer (Al. Br.).
Cinnamomum lanceolatum Ung.
Cinnamomum Targionii nov. sp. Ristori.
Magnolia fraterna Sap.
Acer integri lobum O. W.
Ilex Massalongi nov. sp. Ristori.
Carya ehenoides Ung. (Heer).
Populus mutabilis v. oblonga Heer.
Leguminosites sp. ind.
Acer sp. ind.
LUIGI BUSATTI
MA SU il AlCil iilAll TOSCi!i
BARITINA DI CAPRILLONE
PRI':8S0 MONTKCATIXI IN" VaL DI CkcINA
In cavità geodiche, tra le vene calcitiche attraversanti la
paddinga ed il calcare marnoso miocenico di Caprillone, furono
dair ing. Lotti (*) rinvenuti dei belli e grossi cristalli di Baritina.
Neir esemplare, che favorì al Museo di Pisa, i cristalli di questa
specie sono impiantati fra minuti cristalli romboedrici di cal-
cite, sopra i quali giganteggiano per la loro dimensione. Oltre
la grossezza fu il particolar modo col quale si presentano che
maggiormente vi richiamò la mia attenzione. Bianco di porcel-
lana è il contorno di questi cristalli, colore che verso il centro
svanisce per dar luogo ad una colorazione gìallo-rossigna e
giallo-chiara. Per lo spazio ove domina questo colore, i cristalli
sono translucidi; nelle parti periferiche ove domina il bianco,
invece sono affatto opachi. Pochi sono i cristalli bianchi e opa-
chi in tutte le loro parti : questo avviene solo nei più piccoli,
ed alcuni spezzati lasciarono nell' interno scorgere delle por-
zioni incolore, limpidissime.
L' aspetto come corroso, che hanno questi cristalli di bari-
tina, le screpolature che portano farebbero sospettare, contro
air inalterabilità della specie minerale cui appartengono, che
abbiano subito esteriormente un' alterazione o meglio una tra-
sformazione in combinazione idrata. È da questo punto di vista
che specialmente fui mosso ad istituirne un' analisi completa.
(•) Boll, d, Comit geoìog, d' Italia, N.» 11-12, 1884. pag. 367.
192 L. BU8ATT1
Ma sì la parte interna, che mi appariva la più pura ed inalte-
rata, quanto la esterna mi dettero sempre resultati concordanti
nelle ricerche chimiche.
La sostanza prima di assoggettarla alle prove quantitative,
fu disseccata a 100', quindi a 200^ in tubo essiccatore in bagno
ad olio, ma la perdita non sorpassò gr. 0,0035 per gr. 1,0705 di
sostanza presa. Non contento di ciò scaldai la sostanza in un
crogiuolo di platino fino al calor rosso, ma anche con questa
prova la perdita non aumentò sensibilmente, e si dovè conclu-
dere che la baritina, malgrado le sue apparenze, non conteneva
che acqua igroscopica^ e da trascurarsi nell' analisi quantitativa,
per il resultato della quale do i seguenti numeri:
Ba 57,817
Ca 0,241
SO4 41,094
99,152 (»)
Avverto che la calce, atteso il poco precipitato che ne otteneva
nei saggi qualitativi, è stata calcolata per l'eccesso di acido sol-
forico, che rimaneva dopo la completa salificazione del bario.
Le forme bene accertate presentate da questa baritina, se-
condo l'orientazione adottata dal Miller, sono (HO, 012, 101, 001);
a cui corrispondono secondo Naumann e Dufrénoy, respettiva-
mente i simboli (00 P, Vj P 00, P 00, 0 P), (m, a*, e*, p). Porse
si potrebbe aggiungere alle sopra riferite forme qualche altro
prisma orizzontale, ma non fu possibile accertarlo con misure.
Avverto che non potei far uso che del goniometro a mano, col
quale del resto potei assicurarmi dei seguenti valori angolari:
110 : no =- iOlo
no : 012 =« 1190
012 : 012 = 78«
012 : 001 » 1410
012 : 101 — 1200
101 : lOr — 1050
101 : 001 « 1270
(^) Quest* analisi V ho eseguita nel Laboratorio di Chimica generale dell' Univer-
sità, diretto dal cav. prof. P. Tassinari. Colgo quindi quest' occasione per ringraziare
il detto Professore del gentile permesso concessomi di frequentare in qualunque mia
occorrenza il suo Laboratorio; come anche di mostrarmi grato al dott. U. Antony,
del detto Laboratorio, per V aiuto prestatomi nelle varie ricerche chimiche ivi fatte.
NOTA SU DI ALCUNI MINERALI TOSCANI .193
I cristalli sono allungati molto nel senso dall' asse y, essendo
il prisma orizzontale 101 molto sviluppato. Poco estese sono le
faccio del prisma verticale 110, ed in tutto V insieme la baritina
di Caprillone per T abito di cristallizzazione si ravvicina molto
ai cristalli di celestina.
La sfaldatura si può ottenere facilissimamente in piani per-
fetti secondo 001 : il suo peso specifico 4,38 si scosta di poco
da quello dato per le tipiche baritine.
GEMIiNATO DI EMATITE
DI Rio (Isola d' Elba)
Fra le belle cristallizzazioni di ematite dell' isola d' Elba non
s'incontrano molto frequentemente dei geminati. L'Hessemberg
descrisse e disegnò nelle sue Mineralogische notizen (*) dei bellis-
simi cristalli di ematite elbana con geminazione secondo R (100)
e secondo OO R (211) ed il D' Achiardi (-) dipoi ne osservava
anche con geminazione parallela alla base (111). Di questi ultimi
geminati se ne possono vedere alcuni nella ricca collezione to-
scana che il detto professore di Pisa con tanta cura e maestre-
volmente ha saputo radunare.
Il geminato che ora descrivo fa parte di un aggruppamento
cristallino d' un bellissimo esemplare di ematite che fu donato
dal dott. Badanelli al Museo di Pisa, e che egli raccolse a Rio.
Vi sono presenti le faccio 100 (R), 211 (V^R), 332 (—VsR),
611 (Vs R 3), 3ir (Va P 2). Le isosceloedriche 31 f e le romboe-
driche 100, 211 sono faccio bellissime e molto sviluppate nel
cristallo geminato, che fra gli altri del gruppo cristallino at-
trasse la mia attenzione. Le 211 sono anche profondamente ri«
gate nel verso dello spigolo 211 : 100 e le 332 sono alcune levigate
più lucenti delle altre ed un pochette gibbute.
if) Abhand. d. Senchenberg. Naturf, Qesel. in Frankfurt a M. Bd. VII, S. 1,
ff. e Bd. VII, S. 257 ff.
O Mineralog. d, Toicana, Pisa 1872.
39. Ndi. Voi. U. fate. 1.0 13
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Ì94 L. BUSATtl
La geraiuazione nel cristallo in discorso avviene per giustap-
posizione. È asse di geminazione la perpendicolare ad una faccia
del prisma 211. I geminati di ematite con la enunciata legge,
quali sono quelli dell' Elba e disegnati dair Hessemberg (*), come
anche quelli di Traversella effigiati dallo Strùver (*), hanno
sempre questo carattere a comune: abito tabulare e parallelli-
smo delle faccio 311 e 111 dei due gemelli: cioè a dire che la
faccia basale ed isosceloedrica di un cristallo è in perfetta con-
tinuazione con le corrispondenti faccio dell' altro. Jl nostro esem-
plare si allontana da questi inquanto che vi ha solo parallel-
lismo delle faccio isosceloedriche, mancandovi la base. È appunto
per la presenza in esso dei romboedri 332 e 211 che si ha in-
vece un angolo rientrante all' estremo dell' esilissima e tortuosa
linea^ la quale lasciano appunto scorgere le faccio isosceloedriche
dei due gemelli, là* dove si uniscono per fondersi in un mede-
simo piano.
CLORITE DELLA MINIERA DEL BOTTINO
(Alpi Apuane) (•)
La clorito di questa miniera si presenta in masse ed in
piccoli concentramenti tra le belle cristallizzazioni dei solfuri
metallici della ricordata ed abbandonata miniera del Bottino,
presso Serravezza.
L' aspetto è scaglioso, il suo colore verde pomo : è luccicante
e minutamente cristallina. La sua polvere esaminata al micro-
scopio si risolve in tante e minute scaglie o lamelle cristalline
verdoline e 1' una all' altra addossate, sovrapposte a somiglianza
d' una pila che si attorcigli lungo una linea spirale. Le larainette
cristalline a contorno generalmente rotondo si mostrano spesso
in una forma di esagono regolare perfetto. Quando si possono
(0 V. Op. cit.
(•) Std. cristall ematite di Traversella. At. d. R. Ac. delle Se. di Torino, Voi. VII.
(^) Dello studio di questo minerale resi già conto, in unione al prof. A. Funaro,
in una seduta della Soc. Toscana (V. voi. lU, dei proc. verb. p. 281). Oggi desidero
riunirlo agli altri minerali di recente studiati, anche perchè cosi verranno corretti
gli errori numerici che il proto allora inseriva nello specchietto dell' analisi.
NOTA 8U DI ALCUNI MINERALI TOSCANI 195
esaminare di una certa sottigliezza appariscono trasparentissime
e debolissimamente dicroiche con un nicol, e mostranti leggeri
colori d' interferenza con i due nicol.
La sua durezza è = 1,5 circa; il pes. spec. = 2,8 — 2,9.
I caratteri chimici di questa clorito sono i seguenti. Col
borace dà una perla giallo-rossastra a caldo, che raffreddandosi
passa al verde-chiaro per divenire gialla a freddo. Riscaldata
nel tubo chiuso prende colore bruno e svolge acqua. Anche se
riscaldata a rosso su lastra di platino mantiene il colore bruno.
L^ acido cloridrico concentrato T attacca, svolgendo da principio
un poco di anidride carbonica. Per prolungata ebollizione si
decompone totalmente con deposito di silice gelatinosa.
L'analisi qualitativa eseguita su varii pezzi del medesimo
minerale ha costantemente rivelato la fissenza di basi alcaline,
e la presenza di tracce di calce soltanto in alcuni pezzi. Preva-
lenti si riconobbero agevolmente il ferro allo stato ferroso, la
allumina, la silice e la magnesia.
Per l'analisi quantitativa fu scelto un campione scevro di
calce. I resultati ottenuti sono i seguenti, che metto a confronto
con quelli dati da altri analizzatori per cloriti delle due sot-
toindicate località:
1. Bottino. Anal. Funaro. 2. Muttershausen in
Nassau. Anal.
Erlenmeyer (*).
3. Dillenburg. Anal. NieBs(*).
1
2
3
Anidride silicica (SiO,) . .
■
. 23,69
25,72
23,67
Ossido aUuminico (Al^Oj) . .
. 21,63
20,69
24, i6
» ferrico (Fe^Oa) ....
. 4,27
4,01
8,17
» ferroso (FeO) . . .
. 31,53
27, 79
29,41
» magnesico (MgO) . . .
4,82
11,70
1,75
» calcico (CaO) ....
—
—
1,-28
Acqua (H^O)
7,00
10,05
8,83
Anidride carbonica (COj) . . .
4,12
100,06
—
1,01
99,96
98,38
Il prof. D' Achiardi nella sua Mineralogia della Toscana fa
menzione di questa clorito, che per i caratteri esteriori (^) am-
mette doversi ritenere come Eipidolite, e più specialmente come
appartenente alla sua varietà Afrosiderite.
(<) Jahresh. 1860, 77a
O Jalirb. Miner. 1873, 320.
(') Mineralog. <L Toscana, II, pag. 231.
196 6. BUSATTI
L' analisi di cui ho ora ripartiti i resultati conferma quanto
fino da allora aveva pensato V egregio mineralogista, in quanto
che i resultati ottenuti concordano assai con quelli di campioni
di afrosiderite di altra provenienza, come quelli le cui analisi ho
posto a confronto con quella eseguita dal Funaro.
La presenza di acido carbonico costante in questa afroside-
rite fa credere che essa sia già alterata dalla sua composizione
normale; giacché questo corpo non può starvi altrimenti che
combinato al ferro o alla magnesia, e senza entrare nella mo-
lecola clorìtica. Per questa cagione ci siamo astenuti dal tirar
fuori una formula, che non avrebbe fatto maggior luce certa-
mente sulla complessa costituzione dei minerali cloritici.
UUARZO, GESSO, PIROLUSITE
dell' isola del Giglio
Questi minerali provengono dai giacimenti metalliferi dell' Isola
e più particolarmente da quello della Cala dell'Allume il quarzo
ed il gesso, ivi associati ai minerali già noti di questa località (V):
la pirolusite invece dal giacimento di minerali manganesiferi
del Campese (-).
Quarzo. — In generale cristalli della semplice combinazione
(211, 100, 22T), ora limpidi ora nebulosi, e che hanno molta
somiglianza con quelli provenienti dalle masse ferree dell' isola
d' Elba.
In un cristallino una faccia sola tiene luogo della bipiramide,
ed è così poco inclinata sull' asse del cristallo da far credere a
prima vista che occupi il posto della base. I valori angolari che
ebbi misurando l' inclinazione di questa faccia con la prismatica
oscillarono da 85% 11' a 85% 40% (media 85% 21'). Il cristalletto,
regolare per le faccio prismatiche, che sono striate orizzontal-
mente, porta sulla faccia eccezionale una incavatura centrale
triangolare.
(«) Busatti — Fluorite delV is. d. Giglio. At. d. Soc Tos. d. Se. Nat Voi. VI,
fase. 1.0
(*) Lotti — Appunti d. osser. geolog. nel promontorio Argentario, nelVis. del
Giglio e di Gorgona. Bollet d. Comit. Oeolog. d* Italia. N. 5-6, 1883.
MOTA SU DI ALCUNI MINERALI TOSCANI 197
In altro cristalletto questa faccia, per così dire pseudobasale,
si è come ripetuta per più volte sovra sé stessa in piani pa-
rallelii succedentisi V uno di seguito air altro verosimilmente
colla medesima inclinazione.
In un terzo cristalletto portante la solita faccia, nel centro
di questa si erge di nuovo la bi piramide. Altri cristalli, per il
sovrapporsi e decréscere di questa faccia, hanno preso una forma
quasi decisamente fusata. Questa forma poi apparisce al sommo
grado in alcuni grossi cristalli, che divennero tali solo per V as-
sociarsi ed il decrescere in unione parallela di altri individui
cristallini minori. Altre particolarità si potrebbero notare nelle
faccie romboedriche di questi quarzi: così alcune se ne hanno
concave e conservanti per tutta la loro estensione levigatezza
come nelle piane. Altre poi sono tutte striate, ed ora più ora
meno profondamente, ma sempre in modo da darci V idea come
esse risultassero da decrescenti gradini. In questo ultimo caso
però i contemporanei riflessi al goniometro dimostrano chiara-
mente come si abbia sempre a che fare col medesimo rom-
boedro.
La presenza di faccie più o meno inclinate suU' asse del
cristallo e simulanti la base non è nuova nel quarzo, e basti
ricordare fra gli esempi nostrani i quarzi di Palombaia illustrati
dal prof. Bombicci prima ed in seguito da altri mineralogisti.
Tuttavia ho creduto non affatto disutile il ricordarle anche di
questa località, perchè possono avere un certo valore riguardo
al modo, ancora discusso, col quale esse faccie possono essersi
prodotte.
È fuori di dubbio che nel nostro caso esse non hanno avuto
origine come nei così detti bahel-quarz, in cui le faccie si pro-
dussero in uno spazio ristretto da non potersi liberamente
estendere, vuoi per il contatto di altra faccia cristallina, vuoi
per una superficie levigata contro la quale si trovarono impe-
gnati per una delle sommità, in modo che ne fu impedito il
regolare accrescimento. I cristalli che qui ricordiamo si erge-
vano liberissimi tra piccoli cristalli romboedrici di calcite e che
formavano insieme a questi una piccola geode rinvenuta spez-
zando un ammasso di pirite. Per i nostri cristalli è lecito anche
non ammettere che queste sue forme, devianti dalle ordinarie,
sieno divenute tali 'per corrosioni , o sieno state acquisite per
198 L. BTSATTl
caase ulteriori intervenute a modificare i cristalli di quarzo dopo
essersi formati.
Ci sembra in fine, che per i cristalli che abbiamo sotto occhio,
nei quali riscontriamo un graduato passaggio dalla faccia unica
ed inclinata sul prisma fino alla forma fusata dei cristalli di
questo stesso giacimento, sia più ragionevole ammettere, seguendo
r idea di molti mineralogisti, che le forme descritte debbano
ripetere la loro orìgine da cause perturbatrici, influenzanti più
o meno direttamente la cristallizzazione fino dal primo deporsi
delle molecole formatrici dei cristalli.
Ctesso. — Ne ho incontrati dei cristalli di grandezza va-
riabile, alcuni raggiungono perfino sei centimetri di altezza* Le
forme che presentano si hanno associate nella combinazione (111,
110,010;. Le faccie 111 lucenti presentano delle gibbosità che
rendono ineguali la loro superficie; le 110 più o meno lucenti
a seconda dei cristalli portano strie per lo lungo; le 010 sono
molto estese e presentano in alcuni cristalli una lucentezza se-
ricea dovuta ad esilissime fibre fra loro parallele, attraversanti
le faccie per tutta la loro estensione: sono anche scanalate nel
verso dello spigolo di combinazione col prisma. Alle sopra rife-
rite forme, comuni per le cristallizzazioni del gesso, se ne uni-
scono altre in alcuni cristalli; esse si presentano come faccette
di modificazione allo spigolo HO : 010. Sono strette e lucenti:
di due ho potuto misurare la inclinazione sul prisma,* ed ho
ottenuto dei riflessi colla 110 che si scostano di poco da 164*
per la più vicina al prisma, e per la più lontana di circa 154*.
Questi valori si possono ritenere come molto vicini a quelli
riportati dal Dos Cloizeaux (*) per le forme di questa specie
g ^Vs, g Vi (13 23 0, 250). Infatti egli da:
m : g «/s l^)4^ -2\ 57"
migVa 1540, 44M0''
Tra alcuni cristalli di gesso si nascondono delle piccole mas-
sarolle giallognole di solfo, ed essi più che gli altri esemplari
dimostrano chiaramente come |)ossa essersi prodotto il solfato
di calce nel filone della Cala dell' Allume; cioè per V alterazione
dei solfuri e più specialmente per quelli di ferro, ivi abbon-
dantissimi.
(0 An. de Chimie et de Physique, 3.« Sér., T. X. pag. 53.
NOTA SLf DI ALCUNI MINERALI TOSCANI 109
Pirolasite. — Di questa specie è prevalentemente costi-
tuito il giacimento manganesifero del Cam pese. E inclusa in
ammassi nel calcare cavernoso infraliassico o lo impregna ad-
dirittura; come avviene nella giacitura del vicino Monte Argen-
tario, ove il minerale ferro-raanganesifero compenetra profonda-
mente il calcare cavernoso. — 11 colore è bruno, i cristalli hanno
splendore metallico: sono aciculari e si riuniscono in forme
fibrose e raggiate. Danno polvere nera e sono solubili comple-
tamente nell'acido cloridrico concentrato. È difficile però che
si abbia a che fare con pirolusite pura, si ha sempre più o
meno deposito di silice nella soluzione, nella quale i saggi chi-
mici vi svelano copia di ferro e carbonato di calce.
MAGNETITE ED EPIDOTO
DEL Romito ( Monti Livornesi )
Rinvenni questi due minerali in vicinanza del Romito sulla
via a sinistra di chi vi si conduce, dietro Y indicazione datami
dair ing. Lotti, in un concentramento di eufotide inglobato in
un ammasso della stessa roccia, ma che presentavasi all' intorno
tutta alterata. La mai^netite vi è abbondante e disseminata fra
il feldispato in masserelle di color grigio scuro completamente
opache. L'epidoto vi si trova più raro: è cristallizzato, di color
giallo verdastro e spesso i cristallini si riuniscono fra loro in
forma radiata.
IL
J
NELLA
PROVINCIA DI PISA, ED I SUOI FOSSILI
MONOGRAFIA
DEL DOTI. GIOVANNI AUGUSTO DE AMICIS
Tutto quel complesso dì colline note col nonoe di — Colline
Pisane — , studiate anche dal lato geologico fino da tempi ab-
bastanza lontani, è costituito quasi esclusivamente di terreni
terziari. Ho detto quasi esclusivamente, volendo con questa re-
strizione accennare a quei piccoli lembi di terreni cretacei, giu-
rassici, liassici ed infraliassici scoperti non è molto (*) presso i
Bagni di Casciana nella località detta Sammuro e nelle vicine
di Macchione, Casina, e Colle Montanino. '
In quasi tutte quelle colline si ha un carattere commune
e pressoché costante, la disposizione concentrica, direi quasi zo-
nata, dei terreni terziari, cominciando in basso dall' eocenico e
venendo al miocenico e quindi al pliocenico.
L' eocene vi è rappresentato dai calcari alberesi in massima
parte, da schisti galestrini, arenarie, argille schistose, calcari
siliciferi, ftaniti e diaspri gremiti di scheletri di radiolarii; il
miocene presenta in prevalenza i gessi e le marne gessoso-solfifere,
calcari marnosi, ligniti, conglomerati ad elementi calcareo-ser-
pentinosi, calcari grossolani, marne a cerizii, e tripoli; il pliocene
{}) Lotti B. — Un piccolo lembo di rocce antiche in mezzo al pliocene pretto
i Bagni di Casciana, Proc. verb. Soc. Tose, di Scienz. Nat. Voi. IV, 13 gennaio 1884.
IL CALCARE AD AMPHISTEGINA NKLLA PROVINCIA DI PISA EC. 201
è rappresentato da conglomerati, sabbie, argille turchine, sabbie
marnose compatte, marne a foraminiferi, calcari ad Amphistegina.
È appunto, come Io accenna il titolo di questo lavoro, dei
calcari ad Amphistegina che intendo qui occuparmi, e dei nu-
merosi fossili che in essi si contengono.
Prima di entrare a parlare della posizione stratigrafica di
detti calcari e della loro fauna e flora fossile, credo cosa utile,
anzi necessaria, far precedere un breve cenno degli studi che
precedentemente a questo riguardo furono fatti, e delle diverse
opinioni dei vari geologi per riguardo al posto da assegnarsi a
questi calcari nella serie geocronologica.
Questi calcari pel bizzarro loro modo di , presentarsi, per
r apparenza loro simile ad enormi cumuli di lenticchie pietrifì-
cate riunite da un cemento a formare a volte intiere colline,
da gran tempo attirarono V attenzione degli osservatori e dei
curiosi delle cose naturali e dettero luogo ad una infinità di
supposizioni e peregrine spiegazioni più o meno lontane dal vero.
Il primo che di tali calcari si occupò fu il celebre natura-
lista Targioni-Tozzetti (*). Egli riconobbe a Casciana, Parlascio
e San Frediano, che tale deposito constava di innumerevoli
corpi marini uniti insieme da glutine lapideo; e che fra questi
corpi marini quelli che più degli altri tutti abbondavano erano
le Lenticoliti o Numismali. Dà pure una abbastanza esatta
posizione degli strati di tali calcari, dicendo che essi sono quasi
tutti inclinati da mezzogiorno a tramontana con grossezza di-
versa che può giungere fino alle 6 braccia, e che riposano su
quei calcari che egli chiama col nome di Spugnoni. Nota pure
le differenze che si incontrano nei vari strati sì per la compat-
tezza, si per le dimensioni delle Lenti, sì pure pel colore del
cemento che le lega. Combatte V opinione del Bourguet che ri-
teneva essere tali Lenticoliti o Triticiti o Nummi nulT altro
che * coperchi di chiocciole „. Dà inoltre notizie sui fossili rac-
chiusi nei calcari lenticolari e cita un brano interessantissimo
di una lettera dell' inglese Strange, ricca di molte osservazioni
paleontologiche relative a molti fossili da esso trovati a Parlascio,
Da ultimo nota per incidenza che la stessa pietra abbonda in
altri luoghi della Toscana, senza per altro citare altre località.
(*) Targioni-Tozzetti G. — - Relazione di alcuni viaggi fatti in dinerte parti
della Toscana. Firenze 1768-79. Voi. I, p. zlQ.
202 6. A. DE ÀMICIS
Il Soldaiii (^') nel suo — Saggio orittografico — , pubblicato
nel 1780, opera assai meravigliosa per verità e dottrina, avuto
riguardo al tempo in cui fu scritta, parla della straordinaria
abbondanza di piccoli Ammoniti e Nautili striati minutissimi in
molti luoghi del Volterrano e del Pisano, specialmente nel Monte
dì Parlascio, Casciana, etc. Dice che tali corpicciuoli sono fra
loro uniti da un „ leggerissimo glutine quasi di torba calcarea
bianca „ e che formano concrezioni uniformi. Nelle appendici poi
XXV, XXVI, XXVII, LXXXII, CXXXV, CXLIV, parla delle di-
verse varietà, di leuticole da lui trovate e di altri fossili nel
calcare lenticolare rinvenuti. Inoltre, da quel minuzioso ed ac-
curato osservatQi'e che era, volle pure avere una idea appros-
simativa del numero di lenticole che si contengono in un dato
peso di roccia, e trovò che 40 grani dì quel calcare contenevano
1380 nautili.
Il Giuli (*) parlando dei terreni che si riscontrano nelle lo-
calità presso Ceppato e le cave di San Frediano, non si perita di
chiamare il calcare ad Amphistegina — calce carbonata oolitica
gialliccia — , errore madornale in cui certo non sarebbe caduto
se avesse conosciuto ciò che di tale calcare avevano, mezzo se-
colo prima di lui, scritto il Targioni ed il Soldani.
Dopo di lui il Pilla (') nel suo trattato di geologia, scrive:
** Un altro deposito dello stesso periodo (miocene) occorre nelle
vicinanze di Casciana nelle colline di Pisa, e presenta una riu-
nione di caratteri dì tale importanza che crediamo conveniente
dì farlo conoscere con alquanto di precisione „. E dopo avere
descritta la roccia, resa famosa già, dalla descrizione del Targioni,
nota come i luoghi principali in cui essa si osserva siano San
Frediano e Parlascio. Dà. pure una figura delle cave di San
Frediano. Per altro dalla asterna apparenza di questo calcare,
dal suo modo di presentarsi in balze scoscese e dirupate ed an-
nerite esternamente dalle intemperie, ritiene tale calcare di età.
assai più antica dei circostanti depositi, e dice che esso forma
come un' isola in mezzo ai depositi subapennini che gli stanno
d' attorno. E da queste vedute stratigrafiche passando allo stu-
(*) Soldani A. — Saggio orittografico, Siena 1870, pag. 48 e seg.
C) Giuli G. — Saggio statistico di mineralogia utile della Toscana. Bologna
1842-43. pag. 86.
C) Pilla L. — Trattato di geologia Pisa 1847-51. pag. 205.
IL CALCARE AD AMPniSTEGINA NELLA PROVINCIA DI PISA £C. 203
dio dei fossili trova anche in questi caratteri tali da fare ascri-
vere quei calcari ad un periodo anteriore al subapenninico; così
nota come le Ostreae che vi si riscontrano mostrino sulle valve
grandi pieghe, carattere che, esso dice, non è proprio delle
ostriche del terreno subapenninico; inoltre cita come non appar-
tenenti al terreno subapenninico parecchie specie di TerehrattUoe,
un piccolo Pecten, ed alcune piccole Ostreae.
Nota poi, e qui è perfettamente nel vero, come si trovino
in quella roccia piccoli echini, molti brachiopodi fra cui due
piccole specie di terebratule nuove che descrive e figura, mil-
lepore, denti di pesce ec.
Lo stesso geologo trattando della pietra lenticolare di Ca-
sciana nel giornale - Il Cimento (*) — , in una nota esprime
il dubbio che Tetà geologica della pietra summentovata anziché
riferirsi al periodo pliocenico debba considerarsi più antica e sia
forse da noverarsi fra i terreni miocenici.
Da ultimo in alcune osservazioni sull'età della pietra lenti-
colare di Casciana {% dà. tutte le ragioni per cui crede non
potersi tale roccia riferire al terreno sabapennino. Una delle
ragioni è pel Pilla V aver rinvenuto nelle cave di San Frediano
fusticini di piccoli coralli che non aveva mai trovati nei terreni
pliocenici, e con essi piccoli corpicciuoli orbicolari di alveoliti
simili a quelli che aveva rinvenuto nella panchina di Pomarance
che esso riteneva per miocenica. Inoltre anche l' apparenza
esterna del colle di Parlaselo, la posizione de;^li strati, la rela-
zione colle rocce circostanti, erano per lui altrettante prove
della non pliocenici tà. di quel deposito. Da ultimo dà, un cata-
logo di fossili trovati a San Frediano, Parlascio, Usigliano e
Casciana, distinguendo colla lettera S quelle forme che sono
identiche alle subapennine, colla lettera M quelle che ne diffe-
riscono. Ecco la nota: Coralli (}Sl)\ Lenticoliti QA); frammenti ed
aculei di Echini (M); Balani (S); due specie di piccole Terehratule
(M); Ostrea hippopus (S); piccolo Pecten (M); denti e palati di
pesci (M); Terehratula ampulla{S); una Terebratiila corta, larga
e compressa (M); Terebratula bipartita (M); Pecten varius (S);
(*) Pilla L. — Della pietra lenticolare di Casciana nelle Colline Pisane. Gior-
nale - n Cimento — Pisa, ottobre 1847.
C) Pilla L. ~ Osservazioni sulV età della pietra lenticolare di Casciana.
Roma, 1848.
204 G. A. DE AMICIS
Pecten flabelli f ormis (S); altro piccolo Pect€n(M). — Come con-
clusione della sua memoria dice; ** Per tutti i caratteri disopra
discorsi non può cadere alcun dubbio che la pietra lenticolare
di Cascìana non appartiene alla formazione subapennina. Ella
deve riferirsi a quella divisione dei terreni terziari che sono
dimandati miocenici „.
Dopo il Pilla si occupò del calcare lenticolare di Casciana
il Passerini (') nelle sue — Memorie sui Bagni d'Aqui — .Ivi
in una lettera al dott. Prospero Chiari relativamente alla geo-
logia del Bagno d'Aqui, comunemente detto di Casciana, dice
che il calcare lenticolare di Parlascio forma una specie di isola
in mezzo ai terreni subapenninici, rappresentando asso in questa
località il terreno miocenico, — Come si vede, il Passerini non
fa che riportare le parole stesse del Pilla, e le stesse sue ragioni
adopera a prova dell' asserto, ciofe Y apparenza esterna del Monte
di Parlascio ed i fossili in quel calcare contenuti che gli paiono
in parte da riferirsi al terreno subapennino, in maggior parte
invece al miocene.
Anche nel — Quadro generale della geologia della To-
scana (*j — , posto in fondo alla traduzione della memoria del
Murchison — Sulla struttura geologica delle Alpi, degli Apen-
nini e dei Carpazii — , il calcare ad Amphisteyina di Parlascio
figura tra i piani miocenici, ed è posto contemporaneo del cal-
care di Rosignano e di quello delle Parrane, nonché della pan-
china di Pomaranco e di San Dalmazio.
Nella memoria del prof. Capellini — Sulla formazione ges-
sosa di Castellina Marittina (^) — , è detto che » forse da accu-
rate ricerche stratigrafiche si giungerebbe alla conclusione che
mentre in determinate aree si costituivano strati di. calcare
nummulitico colla Xummulites Targionii Mgh. (pietra lenticolare
di Parlascio), altrove si depositavano i calcari grossolani e mar-
nosi di Rosignano e delle Parrane, ovvero si continuava la for-
mazione di banchi di Ostreae come qweiW di Santo al Poggio»,
Q) Passerini F. — Cenni mineralogici e geologici sul Bagno d* Aqui e sue
adiacenze. Pisa 1853.
(*) Murchison R. I. — Sulla struttura geologica delle Alpi, Apennini e Car-
pazii, Traduzione dei prof/^ Savi e Meneghini. Firenze 1851.
f ) Capellini G, — La formazione gessosa di Castellina Marittima ed i suoi
fossili. Bologna 1874.
IL CALCARK AD AMPHISTEQINA NELLA PROVINCIA DI PISA EC. 205
Come si vede con queste parole il prof. Capellini stabilisce una
contemporaneità, fra il calcare ad Amphistegina ed il calcare
grossolano delle Parrane e di Rosìgnano ed i banchi ad Ostreae
di Santo al Poggio, che nel quadro di classificazione dei terreni
unito a quella memoria sono posti nella porzione superiore del
miocene medio, corrispondente secondo i suoi studi air Elveziano
ed al 2/ Piano Mediterraneo.
E dello stesso anno una nota del prof. D' Achiardi(*) sulla
geologia del bagno d' A qui o di Casciana. In questa nota V egre-
gio geologo fondandosi su quanto era stato scritto dal Pilla e
da nessuno contraddetto ascrive egli pure al miocene il calcare
ad Amphistegina, su*l quale, egli aggiunge, si adagiano i sedi-
menti pliocenici, e quindi più recenti, delle più basse colline;
nota inoltre che se al Bagno d' Aqui non è evidente tale sovrap-
posizione nascondendola il travertino, essa si vede però chiara-
mente al di là di San Frediano fra le cave ed Usigliano ove
gli strati della calcaria lenticolare si tuffano sotto ai terreni
subapenninici.
Come si rileva facilmente da quanto sono venuto fin qui
esponendo, tutti i sopra nominati geologi trovavansi. tutti d' ac-
cordo perfettamente nel riferire il calcare ad Amphistegina al
periodo miocenico anziché al pliocenico o subapenninico.
Fu primo il Manzoni (-; a porre in dubbio quanto gli altri
prima di lui avevano detto, fondandosi sopra suoi studi detta-
gliati stratigrafici e specialmente suir esame delle specie fossili.
In talune sue considerazioni, dopo aver rilevato V errore com-
messo dagli altri attribuendo al miocene il calcare di San Fre-
diano e Parlascio, e fatta notare la non contemporaneità, di
esso calcare con quello di Rosignano, ripetutamente asserita dal
Capellini, conchiude che la pretesa Nummulites Targioni Mgh.
non è una nummulite, che tutta la formazione che fa corona
alle colline di Casciana, San Frediano, Parlascio ed Usigliano
non è miocenica, e che i fossili raccolti, distinguibili in Mollu-
schi, Briozoi, Echinodermi e Foraminifere provano air evidenza
che si tratta di una vera e propria formazione litorale pliocenica
(*) D' Achiardi A. — La geologia del Bagno d' Aqui o di Casciana, Boll. d. R.
Comit Geolog. Ital. 1874.
O Manzoni K.— Note e considerazioni alla --Relazione di un viaggio in Italia
del Dott, Fuchs. Boll, del R. Còmit Geolog. Ital. 1S74.
206 Q. A. DE AMIGIS
immediatamente addossata e sovrapposta alle marne turchine
plioceniche conosciute col nome di mattajoni o argille turchine.
Pochi giorni dopo a queste osservazioni del Manzoni com-
pariva, pure sullo stesso argomento, un lavoro del Seguenza (').
In esso r autore dice che il Manzoni con quanto aveva scritto
sul calcare ad Amphistegina, aveva prevenuto talune applicazioni
dei suoi studi del pliocene dell' Italia meridionale alle rocce della
Toscana. Volendo conciliare le osservazioni del dott. Manzoni
con quelle surriferite del prof. D' Achiardi, dice che ritenendo
veri i fatti stratigrafici dai due geologi oppostamente sostenuti
cioè r essere il calcare sovrapposto al mattajone, e V essere sot-
toposto alle marne plioceniche, cerca in questi due f^tti opposti
la conferma di una importante verità, cioè che il calcare lenti-
colare toscano giace fra due zone di marne plioceniche, che per
poco attento esame si confusero in una sola; il che trova con-
ferma in ciò che avviene nella Italia meridionale. Prosegue fa-
cendo un paragone fra la Toscana e V Italia meridionale, pel
pliocene della quale fece la distinzione netta del pliocene recente
dall'antico; dice che il Fuchs errò nel riguardare la pietra len-
ticolare di Parlascio siccome il nostro più recente pliocene; che
tale calcaria non è esclusiva della Toscana come si era prima
creduto; ne descrive i diversi giacimenti dell' Italia meridionale;
dice che la pretesa Nummulites Targionii Mgh. è invece I9. Am-
phistegina vulgaris d' Orb., e conclude dicendo che così nel!' Italia
meridionale che in Toscana la roccia lenticolare forma un ot-
timo orizzonte al limite superiore della più antica zona del
pliocene. Termina la sua nota con un elenco di fossili avuti dal
Lawley, provenienti da San Frediano e Parlascio, fossili da ri-
ferirsi, secondo le sue vedute, tutti alla parte superiore del più
antico pliocene.
Nei fascicoli 11.* e 12.° del Bollettino del R. Comitato Geo-
logico dello stesso anno replicava il prof. D' Achiardi (*) a quanto
aveva detto il Seguenza. Non nega che nelF Italia meridionale
il calcare lenticolare riposi fra due zone di marne plioceniche,
ma dice che a San Frediano le cose procedono diversamente.
Q) Seguenza 6 — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia del Dott,
Th. Fuchs, Boll, del R. Comit. Geolog. Ital. 1874. pag. 294.
(*) D' Achiardi A. — Sulle calcarle grossolana e lenticolare della Toscana*
Boll, del R. Comit. Geol. Ital. 1874. fascicoli 11 e 12.
IL CALCARE AD AMPHISTEOINA NELLA PROVINCIA DI PISA EC. 207
Nò sostenne con calore, come aveva detto il Seguenza, V etk
miocenica di tale roccia, ma tale la ritenne dietro gli studi
degli altri. Dà una esatta e minuziosa descrizione topografico-
stratigrafica dei depositi di San Frediano, ed a meglio spiegare
la cosa unisce una sezione mostrante la posizione delle sabbie
gialle per rispetto alla calcaria lenticolare. Concorda colle osser-
vazioni del Manzoni e ritiene esso pure che tali depositi siano
pliocenici anziché miocenici, e termina riferendo una nota di
fossili di San Frediano e Parhiscio conservati nel Museo di Pisa
e determinati dal De-Stefani. Dalla determinazione delle specie
arguisce il prof. De-Stefani che non solo non si tratti di mio-
cene, ma neppure di pliocene antico, non avendovi trovate
traccio di Pleurotomae o di altre specie proprie del tipico pliocene;
per altro non istabilisce a quale piano del pliocene esso calcare
debba riferirsi.
Dopo che il Manzoni ebbe notato non essere miocenici i
calcari lenticolari, e che tale fatto fu confermato dal Seguenza,
dal D' Achiardi e dal De Stefani, anche gli altri geologi, avendo
occasione di trattare di tali rocce, non le posero più nel miocene,
ma bensì nel pliocene. — Così il Capellini in una sua nota (M,
dopo avere annunciato il rinvenimento del calcare ad Amphiste-
gina presso la stazione di Orciano, ed avere notato che ivi tale
calcare riposa sopra una collina costituita interamente di ar-
gille turchine plioceniche, e concluso quindi che tale roccia è
pliocenica ed occupa il posto delle ordinarie sabbie gialle, dice
che se avesse visitato il deposito di Orciano prima della pub-
blicazione della sua memoria sui gessi della Castellina, avrebbe
fin d' allora collocata la pietra lenticolare al suo vero posto,
cioè nel pliocene.
n Capellini stesso nella memoria sui terreni terziari di una
parte del versante settentrionale deirApennino (*), nel quadro
comparativo di una parte della formazione terziaria e recente
del Bolognese e Forlivese colle corrispondenti della Toscana,
Francia e Bacino di Vienna, pone il calcare ad Amphistegina
nel Messiniano superiore al disotto cioè delle sabbie gialle ed
(M Capellini G. — Calcare ad Amphistegina^ Strati a Congeria e calcare di
Leitha nei Monti Livornesi, Estr. Rendìc. Accad. d. Se. delPIstit di Bologna 1874.
(*) Capellini G. — Sui terreni terziari di una parte del versante settentrionale
deir Apennino. Bologna 1876.
208 0. A. DE AIOCIS
argille turchine del pliocene superiore, coevo cioè delle sabbie
marine di Montpellier ed alla porzione superiore degli strati di
Belvedere. Nel corso poi di questa moraoria dice che le sabbie
gialle del Sasso, Mongardino, Monte Mario e Riosto, coetanee
delle sabbie di Belvedere corrispondono in parte al calcare a
Nulliporae ed Amphisteginae di Parlaselo e di altri luoghi della
Toscana, di Castrocaro Forlivese e delle colline Romane. Divide
inoltre sia per gli studi suoi che per le ricerche del dott. Foresti
le marne e sabbie plioceniche in due orizzonti ben separati,
ossia due depositi litorali sabbiosi uno più antico e V altro più
recente cui corrispondono due depositi argillosi o marnosi sub-
marini 0 di mare profondo. Il calcare ad Atnphistegina lo pone
appunto (dietro gli studi del Seguenza) fra questi due diversi
orizzonti.
Il De Stefani nella Memoria sui Molluschi continentali dei
terreni pliocenici e suir ordinamento di questi ultimi (*), dice: * Vi
era l' abitudine di escludere dal pliocene e considerare come
mioceniche tutte quelle rocce terziarie recenti le quali non fos-
sero argille né sabbie, quindi le Panchine per la massima parte,
i conglomerati oflolitici, i calcari ad Amphisteginae (altre volte
Nummulites) I calcari ad Amphistegina di Parlascio e
San Frediano, i cui fossili erano meglio conservati, pei primi
per opera del Manzoni furono riconosciuti pliocenici. Le specie
più notevoli contenute in essi sono: Peden latissimus Brc, Pecten
flabelliformis Brc, Pecten Alessi Phil., Neaera crispata Scacchi,
Vennetus intortus L., Cypraea Brocchi Dsh. „.
Il De Stefani stesso in altra parte della medesima memoria
scrive queste parole: *^ Rimangono pliocenici gli altri terreni
che già avevo nominati, cioè le panchine ed i calcari di Monte-
rufoli, Monte Massi, Sassoforte, Pomarance, San Dalmazio
Altri autori già prima di me avevano manifestata V opinione
che alcune di queste panchine fossero plioceniche. Il Savi (*)
aveva creduto fossero plioceniche le panchine dei dintorni di
(') De Stefani C. — Molluschi continentali dei terreni pliocenici italiani ed or^
dinamento di questi ultimi. Memorie della Soc. Tose. d. Scienz. Natar. Voi. II, fase 2.^
Voi. IH, fase. 2.0 Pisa 1876-77.
(•) Savi P. — Sopra i carboni fossili dei terreni miocenici delle Maremme To-
scane. PiM 1848.
/
IL CALCARE AD AMPHISTEGINA NELLA PROVINCIA DI PISA EC. 209
San Dalmazio, cosa convenuta più tardi anche dal Lotti [*).
Giova però ricordare che a proposito della panchina di Ponia-
runce e San Dalmazio il Coqnaud (■) a caj^ione della natura li-
tologica e per avervi trovato il Clyppasler alias Lk. che si ri-
teneva caratteristico del miocene, le credette mioceniche pur
riconoscendole superiori alle marne salmastre gessifere apparte-
nenti, secondo quel che ho detto, al miocene superiore e certo
non più antiche. In questa opinione fu seguito più tardi dal
Meneghini e dal Savi stesso ( ). Ma appunto perchè sono più
recenti delle marne gessifere e contengono fossili pliocenici, bi-
sogna tornare all'antica opinione del Savi e porle nel pliocene:
il Clffpeaster altus, come già ha dimostrato il Seguenza (*), in
Italia non è punto caratteristico del miocene, ed in Toscana,
oltreché a Pomarance, si trova in parecchi altri luoghi schiet-
tamente pliocenici „.
Lo stesso geologo nel — Quadro comprensivo dei terreni
deir Apennino settentrionale p) — , scrive: "* Gli ammassi calcarei
ad Ampbistegina Ilauerina d' Orb., cosi communi verso il Tirreno
ad Orciano, Cetona, Parlaselo, San Dalmazio, Civitavecchia, e
di cui è noto pure qualche lembo verso Y Adriatico a Castrocaro
(Firenze), stanno nella parte superiore dei terreni veramente
pliocenici, fatto del quale devesi tenere conto perchè in molti
scritti è ammessa inesattamente V opinione contraria 9.
Riassumendo quanto sono venuto dal principio fin qui espo-
nendo, da tutti i fatti dai vari geologi osservati, mi pare ormai
fuori di dubbio doversi i calcari ad Amphistegina porre nel
pliocene anziché nel miocene. Né con ciò finisce la discussione
circa il posto da assegnarsi a tali calcari nella serie geologica,
giacché di quei geologi che li pongono nel pliocene, alcuni li
(') Lotti B. — Sul giacimento ofiolitico di Rocca Sillana. BoU. d. R. Comit.
Geol. It 1S76. p. 2S9.
C) Coquand H. — Sur les terrains tertiaires de la Toscane, Soc. Geol. de
France. S. II, T. l.<» pag. 421. 1844.
(^) Savi P. e Meaeghini G. — Considerazioni sulla geologia della Toscana
(Appendice). Firenze 1851.
(*} Seguenza G. — Intorno alla posizione stratigrafica del Clypeaster altus Lk.
Atti della Soc. lUl. di Scienze Nat Voi. XIL fase. 3.° Milano ls()9.
(*; De Stefani C. — Quadro comprensivo dei terreni dell* Apennino settentrionale.
Atti della Soc. Toec. d. Scienze Nat. 1881. pag. 2i3.
S: Noi. Voi. U. rate, l.o 14
210 G. A. DE AMICIS
considerano come pliocenici recenti o superiori, altri invece come
del pliocene antico. Soltanto collo studio paziente e coir accurato
esame dei fossili e coi dati stratigrafici potremo sperare di ri-
solvere la quistione e porre detti calcari nel posto che nella
serie geologica dei terreni loro compete,
E prima di tutto converrà, vedere se tali calcari ad Amphi-
stegina siano esclusivi delle celebri località di San Frediano,
Parlascio e Oasciana, o se si trovino anche in altri posti. — Gik
nel 1875 il Capellini accennava ad un lembo di calcare ad
Amphisteginaj identico a quello delle citate località, presso la
stazione di Orciano sotto alla villa del cav. Perugia, detta la
Casa Nuova; notava altresì come a Boccacciano presso Sarteano
nei monti di Cetona avesse fino dal 1873 trovato detto calcare.
Anche il Targioiii Tozzetti fino dal 1768 aveva fatto capire
come conoscesse oltre i giacimenti di San Frediano, Parlascio,
e Casciana anche altri depositi di calcare ad Amphistegina; in-
fatti, senza per altro nominare località, dice: ** Questa panchina
(il calcare lenticolare) serve pei lavori grossi dì mura come
succede in molti altri luoghi della Toscana ove la stessa pietra
abbonda „•
Il De Stefani cita pure un calcare pliocenico a Pomarance,
Monterufoli, Monte Massi, Sassoforte, ma senza dire se esso
possa riferirsi al tipo stesso del calcare ad Amphistegina, e se
contenga tali foraminiferi. Cita poi come calcari ad Amphiste-
gina i calcari di Orciano, già citati prima dal Capellini, di Ce-
tona, di San Dalmazio e di Civitavecchia.
Air infuori del Targioni, del Capellini e del De Stefani, nes-
suno di tutti gli altri autori che si occuparono dei calcari plio-
cenici ad Amphistegina, ne fece mai conoscere, per quante ricerche
ne abbia accuratamente fatte sui libri e memorie loro, in altre
località della Toscana. E questo fatto tanto maggiore meraviglia
mi destò dopo che ebbi compiute numerose escursioni per la
provincia di Pisa, inquantochè trovai il calcare ad Amphistegina
abbondantissimo in quasi tutte le località ove si ha il pliocene.
Cosi ebbi occasione di rinvenire il calcare ad Amphistegina oltre
che negli omaì notissimi luoghi di San Frediano, Parlascio e
Casciana, e di riscontrarlo, giusta le osservazioni del De Stefani,
a San Dalmazio, anche a Sogliole, Pozzuolo, Belvedere, Nugola,
Volterra, Rocca di Sillano, Monte Castelli. Riconobbi pure che
IL CALCARE AD AMPHISTEGINA NELLA PROVINCIA DI PISA EC. 211
i calcari o panchine di Pomarance, Mtjnterufoli, Monte MasM e
Sassoforte, altro non sono che calciri ad Amphistf^gina. Visitai
anche il deposito citato dal Capellini presso la stazione di Or-
ciano e così dal lato strat grafico come per V estensione sua
potei rilevare parecchie differenze da quanto egli ne aveva
scritto .
In conclusione ecco le località della provincia di Pisa in
cui fino ad ora ho trovato ben distinto il calcare ad Amphiste-
ghia: San Frediano, Parlascio, Casciana, Madonna dei Monti
(presso San Frediano), Nugola, Pozzuolo, Casino, Nugola vec-
chia, Belvedere, Sogliole (presso Nugola), Volterra, San Giusto,
S. Dalmazio, Pomarance, presso Rocca di Sillano, presso Monte
Ciistelli, Mont^rufolì, Monte M issi, Sissof»rte, Orciano presso la
Villa Perugia, Pozzavilla, e presso la villa Cubber.
Ritengo inoltre trattarsi pure di veri calcari ad Amphiste-
gina pliocenici nei Monti di Cetona, giusta le osservazioni del
Capellini e del De Stefani, e secondo ciò che ne è detto dal
Capitano Verri f') nella sua nota sulla Val di Chiana, Anzi, da
quanto dice il Verri, sulla loro pliocenicità non può cadere
dubbio stando essi sovrapposti a circa 1 20 m. di marne che
contengono quali fossili caratteristici il Triton apenninicum, il
Thyphis fishth.^us, il Capulus htingaricm, la Terehratula Regnolii,
ed il Ceratotrochus duodecimcostafuSy e per conseguenza sono in-
dubbiamente plioceniche.
Non parlerò qui dei calcari di Cetona non avendo potuto
recarmi là a farne uno studio dettagliato; né mi occuperò di
quelli di Sassoforte, Monterufoli, Monte Massi, e delle vicinanze
di Rocca di Sillano e Monte Castelli, non avendovi potuto fare
suflSciente raccolta di fossili; parlerò invece parti tamente di
tutti gli altri, del loro modo di presentarsi e dei fossili che vi
si trovano e che vi ho raccolti e studiati.
Da ultimo mi sento in dovere di rendere grazie all'egregio
sig. dott. Busatti, che, avendo rinvenuto il calcare ad Amphi-
siegìna a Magliano di Toscana (Maremma Toscana), me ne fa-
voriva esemplari per uno studio comparativo con quelli delle
colline Pisane, ed al tempo stesso mi forniva dati stratigrafici
per porre al suo posto nella sarie dei terreni anche questo calcare.
(*) Verri A. — Sulla cronologia dei vulcani Tirreni ed idrografia della Val di
Chiana. Rendic. del R. Istit Lomb. di Scienz. Lett. ed Arti. Milano 1878. • •
213 0. A. DK AMICIS
Elsamìnando i calcari di tutte le località cbe sono venuto
enumerando, si potrebbero riscontrare parecchie differenze fra
r uno e l'altro esemplare di posti differenti, così per T aspetto
litologico come per la prevalenza o mancanza di taluni fossili.
Mi si potrebbe così accusare di avere compreso col nome di
calcari ad Amphistegina dei calcari ove V Amphistegina è raris-
sima, e dove invece abbondano litotamnii, briozoi, bracbiopodì,
ec. e che meglio quindi con altri nomi si designerebbero. Ma
non imponderatamente ho fatto ciò. Esaminando tutto il plio-
cene di quasi tutta la provincia di Pisa, come ultimo rappre-
sentante superiore di questo periodo ho spessissimo trovata una
forma calcarea; questa a volte è ricchissima di Amphisteginde
tanto da esserne quasi esclusivamente costituita, taP altra in-
vece ne è priva o quasi priva, ma la posizione sua è sempre
invariabilmente superiore alle sabbie gialle che in ìstrati più o
meno potenti vi si sottopongono; a volte anche queste sabbie
possono mancare od essere ridotte a lembi di pochi centimetri
di spessore, come è il caso di San Frediano e di Orciano, ed
allora il calcare può per condizioni affatto locali sovrapporsi
più o meno immediatamente alle argille turchine. Né alla pro-
vìncia di Pisa sì limita questo fatto; che anzi quasi in tutta
Italia come termine superiore del pliocene non si hanno le sab-
bie gialle, ma una forma calcarea o arenacea più o meno gros-
solana, ovvero conglomerati con fossili esclusivamente litorali
e spesso con Ampfnsleginae. Per questo fatto credo potersi sta-
bilire come limite superiore della porzione più recente del plio-
cene una zona di calcari, sabbie grossolane cementate e con-
glomerati; per questa zona propongo, almeno per la Toscana,
il nome di zona dei calcari ad Amphistegina, a ciò indotto dal
fatto cbe nella massima parte dei casi da me presi in conside-
razione V Amphistegina si trova quasi sempre, e perchè nei luoghi
ove meglio si osserva la sovrapposizione sua alle sabbie gialle
plioceniche, come a Pomarance, a San Dalmazio ed a Belvedere,
là si presenta appunto ricco di Amphisteginae quasi tanto quanto
quello di San Frediano.
Perciò eviterò d'ora innanzi di adoperare la denominazione
di calcare lenticolare per non implicare idee sulla sua forma
litologica, o riserverò tale nome alle varietà che realmente per
r abbondanza delle Amphisteginae possono dirsi - sensu stricto -
IL CALCARE AD AMPHISTEGINA NELLi PROVINCIA DI PISA EC. 213
lenticolari; invece in uu modo generale adopererò il nome di
calcare ad Amphistegina, comprendendo in una sola zona così
denominata tutti i calcari soprastanti alle sabbie gialle del
pliocene superiore.
Nella zona del calcare ad Amphistegina credo pure potersi
comprendere tutti quei conglomerati ad elementi più o meno
fini, quei banchi ad Oslreae e Balunij quei lemlji di sabbie gros-
solane cementate e contenenti fossili, sovrapposti alle sabbie
gialle, depositi tutti che sono in grande relazione col vero cal-
care ad Amphistegina sia per i fossili che contengono, sia per
la posizione loro stratigrafica per rispetto ai sottostanti piani
del pliocene batimetricamente inferiori quantunque geologica-
mente affatto contemporanei, sia infine, e questa mi pare la
ragione più saliente per riunire in una sola zona tutti questi
diversi sedimenti, sia, dico, perchè rappresentano tutti una for-
mazione prettamente litorale, come dai fossili è dimostrato.
Terminato così con questi brevi cenni riassuntivi lo studio
della letteratura geologica, relativa al calcare ad Amphistegina,
ed avvertita la maggiore estensione che intendevo dai'e a tale
denominazione dirò ora del modo suo di presentarsi nelle varie
località in cui si rinviene, dei diversi suoi aspetti e della sua
posizione stratigrafica.
Oltremodo vario è V aspetto suo sìa per la compattezza, sia
per le dimensioni delle Amphisleginae, sia pel colore, sia infine
pei fossili che contiene. Di quasto vario modo di presentarsi fece
pure menzione il Targioni-Tozzetti nei suoi — Viaggi in To-
scana (*) — . A Parlaselo ed a San Frediano dove si riscontra
il tipico calcare lenticolare, da una varietà facilmente disgrega-
bile che si trova alla superficie, si passa per infinite gradazioni
ad una varietà così compatta e resi^stente da poter assumere
levigatura ed anche discreto polimento, varietà di cui fannosi
anche belle tavole ed è là conosciuta dai cavatori col nome di
lumachella.
À Nugola r aspetto del calcare è identico a quello degli
strati inferiori di San Frediano: esso vi è compatto, vi sono
meno visibili le Amphisteginae ed in alcuni punti si potrebbe
piuttosto dire un vero calcare a Lithothai union.
(1) Targioni-Tozzetti G. — V. Op. cit. pag. -^76 e seg.
214 G. A. DE AMICIS
A Pozzuolo cosi come al Casino, poco lungi da Nugola, il
calcare è compatto assai, e contiene, oltre alle Amphisteginoe,
molti altri generi di foraminiferi, e Litotamni, nonché in alcune
sue parti molte Cladocore.
A Belvedere sono distintissime le Amphisteginae ed il calcare
può dirsi veramente lenticolare; vi abbondano le Cellepore ed
i Litotamnii.
A Sogliole, presso Nugola, i brachiopodi prendono un tale
sopravvento sugli altri fossili che il calcare ad Amphistegina
dovrebbe la chiamarsi calcare a brachiopodi.
In tutte le altre località più sopra citate, in cui ho riscon-
trato il vero calcare lenticolare, tranne poche e ristrettissime
eccezioni, esso si presenta presso a poco come a Parlaselo e
San Frediano, cioè varietà disgregabili alla superficie, di mano
in mano più compatte discendendo verso gli strati interiori.
Anche a Magliano, per quello che posso rilevare dagli esem-
plari avuti dal dott. Busatti, le cuse procedono nello stesso
modo, e mentre alla parte superiore si ha un calcare giallastro,
friabile, ricchissimo di Amphisteginae, alle parti inferiori invece
si ha un calcare analogo a quello di Nugola, compattissimo e
con abbondanti Lithothamtài.
Se pei fossili che contiene, per le belle varietà, e per essere
stato da più antico tempo studiato ed escavato, il calcare di
Parlascio e San Frediano può prendersi a tipo dei calcari ad
Amphistegina^ non è certo però in tali località che si è nelle
più adatte condizioni per vedere la sua posizione stratigrafica.
A San Frediano si potrebbe a prima giunta credere che il calcare
lenticolare fosse realmente inferiore alle sabbie gialle plioceniche.
Ed esso è difatto inferiore a delle sabbie gialle; ma queste sia pei
fossili caratteristici che contengono, sia puro per V aspetto loro
non sono analoghe a tutte le altre sabbie gialle plioceniche, bensì
alle sabbie di Vallebiaja, che paiono per gli studi già fatti ('i
da ritenersi di quelle più recenti. Questo fatto del resto era
già stato notato dall' egregio prof. D' Achiardi, che aveva nelle
sabbie sovrastanti al calcare lenticolare rinvenuta la stessa
(*) De Stefani C. — Della nomenclatura geologica. Lettera ad E. Bey ridi.
Estratto Voi. I, Ser. IV, Atti d. R. Istituto Veneto. 188:i.
TL CALCARE AD AMPHISTHOINA NELLA PROVINCIA DI PISA KC. 215
Cladocora che è così commune nelle sabbie di Vallebiaja (')•
In questa opinione, che cioè tali sabl)ie siano da ritenere più
recenti delle altre solite sabbie pialle, mi conforta il fatto che,
discendendo la collina di San Frediano dalla parte opposta a
quella ove sono le cave principali, andando cioè verso Us gliano,
ho potuto rinvenire al disotto del calcare, fra questo e le ar-
gille turchine indubbiamente plioceniche per le specie fossili
caratteristiche che contengono, uno strato di pochi centimetri
di spessore, ma nettamente visibile, di sabbie perfettamente
identiche alle ordinarie sabbie gialle plioceniche.
Meglio che a San Frediano ed a Parlascio si può vedere la
sovrapposizione del calcare alle sabbie gialle plioceniche a Bel-
vedere, Pozzuolo e Sogliole (presso Nugola) e meglio ancora
presso Volterra alle balze di San Giusto, a San Dalmazio e Po-
marance. A Belvedere, Pozzuolo e Sogliole si ha un passaggio
graduato senza ombra di discordanza dalle inferiori argille tur-
chine (V, Tav. XI, fig. Ai a sabbie gialle compatte con pochi
fossili, quindi a sabbie gialle meno compatte ricche di fossili
fra cui r Ostrea lamellosa^ il Peden varius, il Perten opercularis,
la Terebratnla ampulloy e sopra a queste si rinvengono potenti
strati di calcare ad Amphislegina ricchissimi di fossili. Analoga
disposizione potei osservare presso Volterra, ove, fattomi calare
giù per le balze di San Giusto, potei osservare, di mano in
mano che colle funi mi scendevano al basso, calcare ad Amphi-
slegina che nella parte sua inferiore si cambiava a poco a poco
in istrati dì sabbie grossolane cementate, quindi sabbie gialle
plioceniche, da ultimo al di sotto di tutto le argille turchine
potentissime.
Disposizione di cose perfettamente analoga si ha a San
Dalmazio, ove gli strati di calcare, tanto ricchi di brachiopodi
da potersi col nome di calcare a brachiopodi designare, sovrap-
posti alle solite sabbie gialle concordan temente con esse, sono
inclinati di circa 20*" a S. 0., e poi dopo un certo tratto, sa-
lendo la via che conduce alla Rocca di Sillano, si riscontrano
quasi perfettamente orizzontali e tali perdurano finché scom-
paiono per lasciare allo scoperto le masse ofiolitico-serpentinose
(*) D'Achiardi A. — Sulla calcaria lenticolare e grossolana della Toscana.
BolL d. R. Comit GeoL Ital. 1874. pag. 362 e seg.
216 0. A. DE AHICIS
sottostanti della Bocca di Sillano, sulle quali in quel punto
essi direttamente essi poggiano. Calcari analoghi per fossili e per
r aspetto loro sono quelli su cui è fondata Pomarance; ivi pure
giacciono sopra le sabbie gialle plioceniche, inclinati verso 0. N. 0.
ma di ben poco (V. Tav. XI, fig. Bj.
I lembi di Parlaselo, Casciana e della Madonna dei Monti
si presentano con tali caratteri da potersi con ogni ragione
dire che rappresentino altrettanti piccoli lembi staccati dal de-
posito di San Frediano.
Ad Orciano poco lungi dalla villa Perugia e dalla Casina
del sig. Cubber, il calcare lenticolare si presenta col carattere
locale di contenere molti altri fossili, sopratutto molte specie
di Peclen. — 11 prof. Capellini annunziandone la scoperta i')
aveva detto che esso costituisce là un banco lungo circa 30 m.,
alto 7 ad 8, composto di strati che inclinano verso la valle
della Pme: che esso riposa sulle argille turchine plioceniche e
che per conseguenza occupa il posto delle sabbie gialle ])lioce-
niche superiori. — Osservando attentamente verso il contatto
fra il calcare e le argille potei rinvenire anche qui, come a
San Frediano un sottile lembo di vere sabbie gialle interposte;
e rigirando la collina, presso Pozzavilla trovai ben più potente
tale strato di sabbie gialle superiori, onde potei concludere che
anche per Orciano, come per tutti gli altri pOiti, il calcare non
occupa già il posto delle sabbie gialle, ma è ad esse superiore.
Anche a Magliano di Toscana, secondo ciò che me ne diceva
il dott. Busatti, il calcare lenticolare riposa sulle sabbie gialle
plioceniche.
In conclusione si ha adunque estesissima in Toscana una
zona speciale limite superiore del pliocene; ad essa do il nome
di xona del calcare ad Amphistegina per esserne questo calcare
il tipo predominante, senza però escludere che al suo posto si
possano trovare, come di tatto si trovano, altre rocce diverse
come conglomerati, sabbie grossolane fossilifere cementate,
banchi ad Ostreae, etc. Di questa zona troviamo pure lembi
nella Maremma, ed anche nelT Italia meridionale, come ad es.
presso Catanzaro ove mi fu segnalato dal mio buon amico dott.
Neviani, professore nel Liceo di quella città.
(*) Capellini G. — Calcare ad Amphistegina, strali a Congerw e calcare di
Leitha nei Monti Livornesi. Estratto. ReUdic. accad. Se. Istit di Bologna. 1S75.
IL OALCÀRR AD AMPHISTEGINA NELLA PROVINCIA 1)1 PISA KC. 217
Tutta questa zona, beiicbè superiore alle sabbie gialle plio-
ceniche, pure è affatto ad esse contemporanea, e solo rappre-
senta una formazione diversa per batimetria, precisamente come
avviene per le argille turchine che mentre sono coeve delle
sabbie gialle, pure sono ad esse inferiori perchè deposte in acque
più profonde. La zona del calcare ad Amphistegina rappresenta
adunque bati metricamente la parte più litorale del pliocene, e
stratigraficamente il più alto termine di tale sistema.
Annetto molta importanza ad estendere lo studio di questa
zona a tutto il resto dell' Italia, giacché per tal modo si po-
trebbe facilmente ricostrurre tutta V antica spiaggia del mare
pliocenico sulla nostra penisola. Sarebbe pure interessante ve-
dere se si trovino lembi di formazioni riferibili a tale zona
anche nelle isole del Mediterraneo.
Ed ora ecco il catalogo sistematico dei fossili che nei depositi
«il tale zona si rinvengono. Con tali fossili, raccolti nelle mie varie
escursioni, distìnti per località e collocati in serie nell'ordine zoo-
logico, ho potuto mettere insieme una discreta collezione che ho
donata al Museo della R. Università, di Pisa. Parecchi fossili, e
specialmente liriozoi, di Parlascio e San Frediano esistevamo già
nelle collezioni di questo Museo ed erano stati studiati dal prof.
Meneghini; ed anche di questi (che ho distinti colla lettera M)
mi sono valso acciò questo catalogo riuscisse meno incompleto.
VERTEBRATA
PISCES
Gen. C'hrj^Mophriii.
Chrysophris Asassizii 8ism.
Di questa bella specie, vicinissima alla vivente Chrysophris
aurata^ ho raccolto 18 denti a San Frediano. Un solo esemplare
piccolissimo riferibile dubitativamente alla sp. Agassizii ho tro-
vato a !N ugola.
Gen. CapitodiiM Milnst.
Capitodns snbtrancatns Munsi.
Un grosso e ben conservato dente ed uno i)iù piccolo tron-
cato alla parte inferiore, trovati a San Frediano. — I denti di
218 0. A. DE AMICIS
questa forma, riferiti dal Mùuster al gen. Capitodus, genere che
comprende perfino da una [)arte dei Dentea:, dall'altra dei
Leuciscus, sono probabilmente riferibili al gen. Sargus.
(ìen. Uiiibriiia Cuv.
Uiubrina sp.
Un solo dente specificamente indeterminabile, mancante della
porzione inferiore, proviene dalle cave di San Frediano.
Gen. Liaiiiiia Cuv.
Lamna Hopei Ag.
Quattro esemplari, di cui due i^^olati e c:on pieghe longitu-
dinali ben marcate, furono da me trovati a San Prediano.
(jfen. Il^yrhiiia L.
Oxyrhina minata Ag.
Un dente di questa specie fu raccolto a San Frediano e »tu-
Hiato e determinato dal Lawley. (M).
(ìen. Mphyrua Kaf.
Sphyrna prisca Ag.
Di questa specie 7 bei denti triangolari, non molto grandi,
«loterminati essi pure dal Lawley furono raccolti a San Fre-
diano. (M).
MOLLUSCO! I)R A
BRACHIOPODA
(len. Iliiyiieoiiell» Fischer
Itliyconella bipartita Brc.
Provengono di questa specie tre esemplari dalle cave di San
Frediano; di essi due mostrano la forma tipica, l'altro ha l'in-
senatura della grande valva più marcata di quello che non sia
IL CALCARE AD AMPHISTEGINA NELLA PROVINCIA DI PISA KC. 219
nelle forme tipiche. Uno dei due esemplari tipici potei aprirlo
per prepararvi V apparecchio apofìsario. Nove esemplari di cui
alcuni rotti e male conservati, provengono da Parlaselo e fanno
parte delle collezioni del Museo geologico di Pisa. — Quattro
altri esemplari bellissimi e così conservati da mostrare per tra-
sparenza V apparecchio apofìsario, li ho raccolti a San Dalmazio.
(leu. Thecidiam Sow.
Thecidinm inediterranenm Res.
Vn solo esemplare di forma alquanto più allungata della
tipica, proviene da Parlascio. (M).
Gen. .'%i*sÌope Deslongch.
Argiope decollata Chemn
Questa specie è comune assai nel calcare ad Amphistegina
(li talune località. Moltissimi esemplari ne ho raccolti a San
Frediano corrispondenti perfettamente alla figura datane dal
Davidson; solo alcune presentano le pieghe sullo due valve vi-
sibìli distintamente su tutta la superficie delle valve anziché
solo sulla fronte della conchiglia.
Il Museo di Pisa ne possiexle pure moltissime provenienti da
Parlascio e di forme regolarissime.
Gen. Terebratiiliiia d'Orb.
Terebratuliua capnt-serpentis Limi.
Di questa specie citata come comune a Parlascio e San Fre-
diano, non ho potuto trovare resti in tali località; né il Museo
di Pisa ne possiede.
Sette esemplari abbastanza bene conservati li trovai a San
Dalmazio. Fra questi uno conserva tutte due le valve e si mostra
eguale alla figura datane dal Davidson; solamente le pieghe che
ornano tale elegantissima conchiglietta giunte presso la fronte
nella regione mediana così della grande che della piccola valva
si biforcano.
220 G. A. DE AMICIS
Oen. Terehralnla (Llwyd) Klein.
Terebratnla ampolla Brc.
Questa specie e assai comune nei calcari ad Amphistegina e
subisce diverse piccole modificazioni nella forma. Nelle collezioni
del Museo di Pisa moltissime se ne hanno di forma tipica pro-
venienti da Farlascio; altre pure della stessa località furono
per r aspetto loro distinte ne.le collezioni dal prof. Meneghini
col nome di T. ampulla var. depressa.
Io ne ho potuto raccogliere sei esemplari a Sogliole, tre bel-
lissimi a San Frediano, uuo a Nugola.
Terebratnia grandis Biumb.
Un solo esemplare e non completo mi è occorso di trovare
di questa specie, perfettamente corrispondente alla figura datane
dal Davidson. L' esemplare proviene da Sogliole.
Terebratnia siunosa Brc.
Questa bella specie è in alcune località assai più comune
ed abbondante della T. ampulla. Due esemplari sono della col-
lezione del Museo; un esemplare lo raccolsi a Soy:liole, e ben
diciannove in poca estensione di terreno a San Dalmazio.
Terebratula Itegiiolii Mgh.
Di questa specie vicina alla T. ampulla ma più allargata e
con forame più stretto si conservano nel Museo di Pisa otto
esemplari di cui uno mostrante l'apparecchio upofisario, prove-
nienti da Parlaselo e che servirono al prof. Meneghini a sepa-
rare la specie. Quattro esemplari ne ho potuto raccogliere a
Sogliole.
Gen. lle^erlea Davidson
Megerlea orbicularis Mgh.
Due bellissimi esemplari di questa specie a valve leggermente
striate longitudinalmente ed area nettamente visibile nella grande
valva, li raccolsi a San Dalmazio. L' uno misura circa 2 cm. nel
senso trasversale, V altro è circa la metà del primo.
IL CALCABE AD AMPHISTE0INA NELLA PROVINCIA DI FISA EC. 221
BRJOZOA
Geo. nereiiicea Lamx.
Berenieea congesta Reuss
Di questo elegante briozoo un solo esemplare proviene da
Parlaselo. (M).
Berenieea echinulata Reuss
Un esemplare proveniente da Parlascio (M).
Gen. Kutalophora Lamx.
Entalophora anomala Reuss
Abbastanza frequente a Parlascio. Molti esemplari ne ha il
il Museo di Pisa.
Gen. Filinparsa d* Orb.
Filisparsa biloba Reuss
Un solo esemplare ben conservato proviene da Parlascio (M).
Gen. Plethopora Hagw.
Plethopora Ibex sp. n. Mgh.
Sopra un bellissimo esemplare proveniente da Parlascio e
che appartiene al Museo di Pisa, il prof. Meneghini istituì la
nuova specie Ibex. La descrizione e figura non furono ancora
pubblicate.
Gen. Faiicieiilarla M. Edw.
Fascicnlaria andeonlinm M. Edw.
Di questa specie che fu studiata dal Manzoni nei calcari
lenticolari di San Frediano e Parlascio, non mi è riuscito tro-
vare esemplari; né il Museo di Pisa ne possiede alcuno.
Gen. Repllmiiitiea^a d'Orb.
ReptmnUicava cavernosa Micht.
Questa specie è assai comune e spesso in esemplari di rag-
guardevoli dimensioni. Il Museo di Pisa ne possiede molti prò-
222 G. A. DE AMICIS
venienti da Parlascio. Due esemplari ne ho raccolti ad Orciano,
uno bellissimo a Belvedere, e molti a San Frediano.
Reptimnlticava simplex Micht.
Di questa specie poco diversa dalla precedente ma assai più
rara, quattro soli esem[ljiri provengono da San Frediano, (M).
Gen. €'erioeava d' Orb.
Ceriocava megalopoea Reuss
Due soli esemplari ma benissimo conservati e corrispon-
denti alla descrizione datane dal Reuss per questa specie pro-
vengono da Parlascio. fM).
Ceriocava Arbascnlnm Reuss
Specie di dimensioni più piccole della precedente ed anche
più comune. Parecchi esemplari con caratteri ben distinti sono
di Parlascio. (M).
Gen. Ileteroiìorella Busk
Hcteropella radiala Busk
Parecchi esemplari di Parlascio e San Frediano furono stu-
diati e determinati dal Manzoni.
Gen. ;%elea Lamx.
Aetea sica Co.
Alcuni esemplari di Parlascio raccolti e determinati dal
Gen. llenibraiiipora Blv.
Membranipora nobilis Reuss.
Un beir esemplare di una colonia di questo briozoo incro-
stante su di una Cellepora, proviene da Parlascio. (M).
Membranipora minima sp. n. Mgh.
Un bellissimo esemplare di questo briozoo incrostante su di
un' Eschara poljjommaj proviene da Parlascio, si conserva nel
IL CALCABE AD AMPHISTEQINA NELLA PROVINCIA DI PISA EC. 22S
Museo di Pisa e servì al prof. Meneghini a distinguere tale
specie nuova non ancora per altro pubblicata.
Menibranipora excaTata sp. n. Mgh.
Anche questa specie di cui si conserva nel Museo di Pisa
un esemplare proveniente da Parlascio, fu distinta e separata
dal prof. Meneghini, ma non ancora descritta né figurata.
Membranipora squamata sp. n. Mgh.
Forma assai elegante à grandi cellule, comune abbastanza
a Parlascio; specie essa pure distinta dal prof. Meneghini ma
non pubblicata.
Membranlpora angulosa Reuss
Esemplari ne furono raccolti a San Frediano e Parlascio dal
dott. Manzoni.
Membranlpora ealpensis Bk.
Anche di questa specie indicata come comune a Parlascio
dal dott. Manzoni, non mi è riuscito trovare esemplari.
Membranlpora Rosselli! And.
Parecchi esemplari furono raccolti a San Frediano e Par-
lascio; e. s.
Membranlpora reticnlnm Michel.
Pochi esemplari di San Frediano furono studiati dal dott.
Manzoni.
Gen. Lepralia Johnston
Lepralla innominata Cod.
Alcuni esemplari delle cave di San Frediano furono deter-
minati dal Manzoni.
Lepralla rarlcostata Reuss
Qli esemplari provengono da Parlascio; e. s.
224 0. ▲. UE ÀMicis
Lepralia sqnamoidea Reuss
Anche questa specie fu studiata dal Manzoni. Gli esemplari
sono di San Frediano.
Lepralia Hnneri Reuss
Non molto comune a San Frediano, più comune a Parlascio.
Lepralia decorata Reuss
Trovata a San Frediano.
Lepralia pertnsa Tohast.
Di questa elegantissima specie due forme furono distinte
dal Manzoni a San Frediano e Parlascio; 1' una è la forma
tipica, r altra è imperforata.
Lepralia ciliata Pallas
Anche di questa specie, come della precedente, il Manzoni
distinse due foime, V una tipica, V altra con cellule inermi e
levigate. Provengono gli esemplari da San Frediano.
Gen. Kmehara Busk
Esehara varians Reuss
Parecchi esemplari raccolti a Parlascio fanno parte delle
collezioni del Museo.
Esehara papillosa Reuss
Specie elegantissima, non molto frequente. Nove esemplari
provengono da Parlascio. (M).
Esehara conferta Reuss
Un solo esemplare fu trovato a Parlascio. (M),
Esehara sp.
Molti altri esemplari riferibili al gen. Esehara e provenienti
così da Parlascio come da San Frediano non sono specificamente
determinabili.
' IL CALCAHE AP AMPHISTEOJNA NEUJL PROVINCIA DI PISA £C. 225
6eD. Kiirhariiia d' Orb.
Escarina gradlis d'Orb.
Un esemplare proveniente da Parlaselo. (M).
Gen. Kseharineila d'Orb.
Escharinella elegans sp. n. Mgh.
Questa bellissima specie di cui un solo esemplare si conserva
nel Museo di Pisa è una speci'» nuova non ancora pubblicata
del prof. Meneghini.
Gen. Porina d' Orb.
Porina scrobicnlata Reuss
Bellissima specie. Tre piccoli esemplari provengono da Par-
lascio. (M).
Porina Renssi n. sp. Mgh.
Di questa nuova specie dal prof. Meneghini dedicata al
valente naturalista Reuss, parecchi esemplari i)rovenienti da
Parlascio si conservano nel Museo di Pisa. La specie, ancora
inedita^ è molto vicina alla P. diplostoma Reuss, ma pure ne è
Dettamente distinta.
Gen. Retepora Imperato
Betepora eclilnulata Blain.
Di questa elegantissima specie a larghe maglie e cellule
piccole numerosissime, due soli esemplari furono raccolti a
Parlascio.
Gen. SeiiiifliMlrella d'Orb.
Semiflustrella limarloides sp. n. Mgh.
Bella specie con cellule aperte tutte sopra una sola faccia
delle colonie che sono ramose, a sezione elittica, e piccole.
Questa specie stabilita pur essa dal prof. Meneghini sopra
esemplari di Parlascio, h anche essa, come le precedenti, inedita.
So. Nat. Voi. II. fase. !.<> 15
226 0. A, DE AMIGIS
Gen. Cellepora Fabricius emend. Busk
Gellepora tnblgera Busk
Questa specie è comune assai; il dott. Manzoni ne determinò
fra i briozoi di Parlaselo e San Frediano; io ne ho raccolti
esemplari oltreché a San Frediano, ove abbonda, anche a Bel-
vedere e ad Orciano.
Gen. Ileploeelleporaria d'Orb.
Replocelleporaria globularis Bru.
Specie comune a Parlascio. (M).
Reptocelleporaria sp.
Riferisco a questo genere un esemplare raccolto ad Orciano
e specificamente non determinabile.
Gen. Wlueularla Dfr.
Yincalarla sabmarginata d' Orb.
Bella specie formante esili colonie poco ramificate, abbastanza
frequente a Parlascio. (M).
Gen. Myriozoiiiii Donati
Myriozonm truneatum Donati
Questa specie è citata dal Manzoni nel calcare di Parlascio;
r ho raccolto in grande abbondanza a San Frediano.
Myriozoum punctatnm Phil.
Comunissimo ed in forme tipiche ed in forme alquanto mo-
dificate. Abbonda a Parlascio e San Frediano; l'ho pure rac-
colto ad Orciano.
Myriozoam clavatnm sp. n. Mgh.
Colonie più piccole delle precedenti e con cellule pure più
piccole. Meno comune degli altri Myriozoum. Tre esemplari delle
collezioni del Museo provengono da Parlascio. La specie del
prof. Meneghini è ancora inedita.
IL CALCARE AD AMPHlSTEGINA NELLA PROVINCIA DI PISA EC. 227
MOLLUSCA
GASTEROPODA
Gen. Turbo Lam.
Turbo rugosa» Lino.
Nel calcare ad Amphislegina di Nugola trovansi con bastante
frequenza i modelli interni di questo fossile; ma non ho mai
potuto averne esemplari col guscio conservato. Nella collezione
dei fossili di Nugola un solo esemplare ne esiste ed in abba-
tanza cattivo stato di conserv ^ zione.
Gen. Troehns Linn.
Trochns sp.
•
Riferibili a questo genere ma. senza speranza di determina-
zione speci6ca sono molti modelli interni communi nel calcare
ad Amphislegina, Nella collezione da me fatta due esemplari
provengono da Belvedere, uno da San Prediano, e tre da Nugola,
Gen. Turrltella Lam.
Tnrritella subangulata Bre.
Un esemplare allo stato di modello da me raccolto a Nugola,
mostra tutti i caratteri di conchiglia turricolata ad anfratti
superiormente più piccoli, carena unica assai acuta, apertura
quadrangolare, per potere essere ascritto a questa specie.
Turritella sp.
Altri modelli indubbiamente riferibili a questo genero ma
per le specie non determinabili, li raccolsi a Sogliole, ed a
Belvedere.
Gen. WeriiietiiM Adans.
Yermetus intortus Lam.
Un piccolo ma bellissimo esemplare formato da una agglo-
merazione, direi quasi da un nodo, di innumerevoli tubi di Ver-
228 »'. A. PE AMICIS
meti, r ho rnccolto lul Orciiino. Presenta «listintissimi tutti i
caratteri della specie ÌHlortus secondo la diagnosi datane dal-
l' Iloornes.
(ien. l'at^fMiiìi Flem.
Caeeiim trachea Montv.
Di questo piccolo ed elegante gasteropode ini è occorso di
trovare un solo esj».Mnplare a San Frediano; esso è lungo circa
12 min.; il suo dianietr«» interno non rau^Lriunge 1 mni. La su-
perficie esterna ò ornata di numerose e sottili rughe che danno
alla conchiglia tuhulare un lì^^petto traclieifbrme.
<ien. 1%'allctì Adanson
Natica niillepuiictata Lam.
Ho ascritto w questa specie un modello raccidto a San
Dalmazio, di forma subglobulare, spira poco proniinente ed oc-
cupante circa un quarto del diametro maggiore della conchiglia.
Xatìca sp.
Altro i)icrnlo fsompljire specificamente indeterminabile e da
ascriversi a que>sto grnore fa parto della collezione del Museo
di Pisa e proviene da San Fiediano.
(Sen. Orhliiiiiii Brug.
Coritliiuin Taricosuiii Uro.
è
un modello estorno, l'altro un mollilo esterno con unito il
m<Ml(dlo interno. J{.il(»val:, vow cera, da modellatore, i modelli
djillo impronto (\slerne, vi trovni tutti i caratteri per ascrivere
qursti duo begli esemplari al (\ niricosum.
Coritliiuin Taricosuiii Uro.
Duo bellissimi eseniplari ne ho raccolto a Nugola; l'uno ì
modello estorno, l'altro mi mollilo esterno con unito ii
(jen. ft>|»raea Linn.
<'.vpraea Krocchii Desìi.
Un modello int(Miio di (pu'sta s|ìecio distinguibile per T aper-
tura Jingusta. ed arr.u:il:i non mediana e labl)ro con numerosi
df'nli bnwi, provicno da l\irlascio. K lungo circa 4 ^-^ cm.
largo ;{ '/^. I M).
IL CALCARE AD AMPHISTEGINA NKLLA THOVINCIA DI PISA EC. 229
Geii. Doliniii Lani.
Doliiim denticnlatnm Desh.
Di questa bellissima specie ho avuto la fortuna di trovare
a San Frediano un cosi bel modello interno da permettermene
lu. determinazione. L'esemplare è di cm. 6 '/^xl.
Gen. Triloiiiaiiii Link.
Tritoiiium olearium L.
Un unico frammento comprendente due anfratti incompleti,
ma pure senza dubbio alcuno determinabile, ho potuto rinvenire
ad Orciano. Sono uniti allo stesso esemplare anche taluni piccoli
Vennetus intorttis Lam.
Gen. MiireiL Lam.
Murex coiiglobatus Mich.
Un modello cosi [>erfetto da potere essere specìficamente
determinalo T ho trovato a San Frediano. Lungo circa 8 cm.
è quasi completo non mancadogli che il solo primo anfratto.
Murex brandaris Limi.
Appartiene certamente a questa specie per tutti i caratteri
che presenta, per le tracce di ornamenti, e per T andamento
della spirale, un'altro modello di dimensioni alquanto minori
del precedente, raccolto pure o^so da me nelle cave di San
Frediano.
Gen. Coiiuni Ij.
Conus sp.
Nelle cave di San Frediano ho raccolto un modello di un
piccolo cono che non misura più di 6 a 7 mm. di lunghezza, è
a spirale molto depressa e superiormente allargato. Non mi è
riuscito conguagliarlo ad alcun' altra delle specie note.
230 G. A. DE AMICIS
SCAPHOPODA
Gen. Dentaliiim L.
Dentalinm tetragoiium Brocchi
Uu bellissimo esemplare lungo circa 1 cm. perfettamente
corrispondente alla figura e descrizione datane dall' Hoerues,
proviene da Parlascio e si conserva nel Museo dì Pisa.
Dentaiinm entalis Linn.
Due piccoli frammenti appartenenti a questa specie li ho
raccolti a San Prediano.
PELECIPODA
Gen. 4l!»lrea Lam.
Ostrea cochlear Poli
Di questa specie ho rinvenuto una sola valva inferiore al-
quanto rotta al margine ed all' urabone di circa 45 mm. per
27, assai convessa e con aspetto poco lamellare, impressione
ligamentare di poco depressa, e di forma pressoché triangolare
e striata; impressione muscolare poco distinta.
L' esemplare proviene da Orciano.
Ostrea lamellosa Brocchi
Questa specie è estremamente comune e forma spesso a
San Frediano o Parlascio, così come a Belvedere, Orciano, Po-
marance e San Dalmazio veri banchi. È invece piuttosto rara
a Nugola.
Ostrea ednlis L.
Questa specie è abbastanza comune ad Orciano dove ho
raccolto una valva inferiore di cm. 5 Va per 4 con impressione
muscolare subcentrale nettamente distinta e fossa ligamentare
triangolare striata longitudinalmente, ed una piccola valva su-
periore sottilissima di circa 19 mm. per 24.
IL CALCARE AD AMPUISTEGINA NELLA PROVINCIA DI PISA KG. 231
Ostrea pusilla Brc.
Tre esemplari di questa piccola e bella specie fanno parte
delle collezioni del Museo e provengono da Parlaselo.
Ostrea sp.
Non sono specificamente determinabili una valva di mm. 46
per 57 simile alla lamellosa ma troppo consumata per essere
determinabile; così pure parecchie piccolissime valve di non più
di 2 mm. di diametro maggioro esilissime e ricurve assai, fre-
quenti esse pure a Parlascio. (M).
Gen. itnomia L.
Anomia ephippium Brc.
Di questa specie ho rinvenuto due valve a Belvedere; di esse
runa misura cm. 7x5, l'altra 4x27^. La più piccola è assai
bene conservata e presenta tre impressioni muscolari onde può
dirsi sia la valva dastra. Anche quella più grande può per la
sua notevole convessità, ritenersi come valva destra.
Anemia sp.
Sono specificamente indeterminabili tre piccole valve da me
raccolte a San Frediano.
Gen. fUpondylufii L.
Spondylns sp.
Non ho potuto determinare la specie di un frammento tro-
vato a San Frediano comprendente tutta la regione cardinale
di una valva destra con grande area ligamentare triangolare.
E assai meno concavo dello Sp. crassicosla Lam. come pure
dello Spondylus subcostatus d' Orb. da cui si distingue per V am-
piezza deir area ligamentare triangolare.
Riferisco pure ma dubitativamente al gen. ^^pondylus un
modello interno assai inequilaterale ed inequivalve mostrante le
tracce di una impressione laterale, ma reso ancora più difficil-
mente decifrabile per V essere contorto e in parte logorato.
Esso mi fu favorito dal sig. Domenico Tardi di San Frediano
proprietario di quelle cave.
2a2 fi. A. l'E AiilClS
m
Geo. Lfiua Brug.
Lima infiala Chemnitz
Un esemplare mal conservato ma pure djstmguibile per
essere obliquamente inequilaterale, a coste longitudinali tenui,
numerose, e pressoché fra loro eguali, Y ho potuto raccogliere
ad Orciano.
Ken, ■•eclcii Mailer
Pecten latisslmas Brocc.
Questa grande specie è abbastanza comune nel calcare ad
Amphistegina. Un beli' esemplare di IS cm. per 16 proveniente
da San Frediano si conserva nel iluseo di Pisa. Altri esemplari
trovansi nel piccolo Museo della citta di Volterra e provengono
dii Volterra, da San Dalmazio e da Pomarance.
Pecten Jacobaeus L. (Vola Jacobaea L.)
Specie più frequente della precedente, comunissima poi ad
Orciano. Ne ho raccolto una grande valva superiore a Sogliole,
una pure superiore a San Frediano, un frammento a Nugola e
molti ad Orciano, fra cui una piccola valva superiore benissimo
conservata.
Pecten flabelliformis Brc. (Janira flabelliformi^ Bre.)
Tre begli esemplari di 11 cm. per 9, circa, e dei quali uno
conserva entrambe le valve, provengono da Orciano ove ho tro-
vata tale specie comunissima.
Pecten opercolaris L.
Specie comune di cui ho raccolto un esemplare a Belvedere,
cinque a San Frediano (di cui quattro piccolissimi), quattro a
Nugola, dei quali due rotti al margine, e due altri interi; uno
di questi di cm. 5 per 4 '/a è conservato benissimo, mostra in-
tere lo due alette e ben distinte tutte le rughe che ornano le
numerose coste. Altri due begli esemplari ben conservati, più
piccoli del precedente li ho raccolti ad Orciano; ed infine altri
IL CALCARE AD AMPHlSTEtìlNA NKLLA PROVINCIA DI PISA EC. 2S]3
dubbii, un poco rotti, e di poca buona conservazione li ho tro-
vati a San Dalmazio. Nelle collezioni del Museo se ne conser-
vano parecchi di Pomarance e Volterra.
Pecten Fusto L.
Anche questa specie non è rara; ne ho raccolto un esem-
plare non troppo l)ello a Sogliole, uno piccolo ma benissimo
conservato e di forma tipica a San Prediano, un frammento
pure assai caratteristico a Nugola e due altri frammenti, di cui
uno conserva le alette, a San Dalmazio.
Fecten dubins Brc
Communissimo. Ne ho trovato un esemplare, ma senza le
alette, a Belvedere, sei esemplari tipici e ben conservati a San
Frediano, dieci piccoli esemplari tutti belli ed in buono stato
ad Orciano e due bellissimi colle alette affatto intere a San
Dalmazio.
Pecteii varius L.
Anche questa specie è assai comun e diffusa. Molti esem-
plari ne esistevano già nel Museo di Pisa: due ben conservati
riuniti sopra un solo pezzo di calcare ad Ampliistegina li ho
raccolti a Belvedere, cinque di diverse dimensioni a Nu^^ola,
duo bellissimi cogli ornamenti tutti assai bene conservati e
alette pressoché complete ad Orciano.
Pecten flexuosus Poh
Per la forma affatto caratteristica delle coste, ho riferito
senza titubanza a questa bella specie due |)iccoli frammenti,
unici rappresentanti, purtroppo, che io abbia trovati ad Orciano.
Pecteu inflexus Poli
Di que.sta elegantissima specie, una fra le più belle di quelle
appartenenti al gen. Pec/en, ed assai vicina alla Pes-felis, ho
trovato un solo frammento mancante della porzione nmbouale
ma però con tutti gli altri caratteri ben marcati. Più fortunato
fui a San Dalmazio ove potei rinvenire due esemplari completi
234 <T. A. I)K AMicrs
di tale specie, V uno valva destra, V altro valva sinistra, ed in
uno stato di conservazione veramente magnifico.
Pecten sp.
Alcuni esemplari specificamente non determinabili proven-
gono da Pozzuolo.
Gen. llociiiiia Lam.
IWodiola barbata L.
Due soli frammenti da riferirsi però senza alcun dubbio pei
caratteri loro a questa specie, ne ho rinvenuto a Nugola. È
una delle specie meno comuni nel calcare ad Amphistegina.
Gen. Pinna L.
Pinna nobilis L.
Uno stupendo esemplare di questa specie, lungo oltre 25
centimetri j^erfettamente conservato, è posseduto dal sig. Do-
menico Tardi, proprietario delle cave di San Frediano, ove esso
fu rinvenuto.
Riferisco pure, ma dubitativamente per riguardo alla specie,
al gen. Pinna un frammento di modello interno con avanzi di
guscio a struttura laminare o squamosa, rinvenuto ad Orciano.
Gen. iÌLrca Linn.
Arca diluTii Lam.
Un solo e-emplare bellissimo, con entrambe le valve cosi
bene conservate che si direbbe [iiuttosto essere stato racchiuso
in argille che in calcari, ne ho trovato nel calcare ad Amphi-
stegina di Orciano.
Sottogcn . B y M M <» tt r e M
Byssoarca Noae Linn.
Questa specie è abbastanza commune in modelli interni a
San Frediano; per altro neppure un esemplare ne ho trovato
col guscio conservato. Singolarissimo è il modo con cui sono
IL CALCARE AD AMPHISTKGINA NELLA PROVINCIA DI PISA EC. 235
disposti tali modelli nel calcare lenticolare. 1 cavapietre di San
Frediano trovano spesso delle cavita più o meno sferiche riem-
pite da corpi allungati ovalari disposti T uno accanto all'altro
in guisa da irradiare tutti a rosa da nn centro. Questi corpi
di forma singolarissima non sono altro che modelli di Arca None
come si rileva dall'essere oblunghi, inequilaterali, con grandi
umboni allontanati assai V uno dall' altro, granile area cardinale
concava e due impressioni mnscolan T una grande l'altra pic-
cola, caratteri tutti di questa specie. Per ispiegare la strana
disposizione loro 1' uno accanto all' altro colla parte piii allun-
gata rivolta verso il centro, conviene ammettere che tale specie
vivesse in comunità, in tale guisa formate, unite per mezzo del
bisso; onde è giustificato il nome di Bìjssoarca dato al sotto-
genere cui appartiene 1' Arca Noae.
Gen. PecliineuliiM Lam.
Pectuncalus flabelliformis DoJerl.
Ho trovato ad Orciano nn solo esemplare abbastanza bene
conservato di questa piccola specie che è, del resto, rarissima
nel calcare ad Amphistegina.
Pectuuculus 9p.
Un numero straordinario di modelli interni riferibili al gen*
Pedunculus per le due profonde impressioni muscolari che presen-
tano ai lati, si rinvengono a Belvedere, a San Frediano, a Parla-
scio, ad Orciano e sopratutto poi a Nugola, ove sono comunissimi.
Gerì, .\iieiiia Lam.
Riferisco al gen. Nuciila senza cercare di dire nulla della
specie, due piccoli modelli interni provenienti da San Frediano.
Nelle collezioni del Museo di Pisa ve ne è un' altro proveniente
da Parlaselo esso pure specificamente indeterminabile.
Gen. C'ardila Desh.
Cardila radista Lam.
Di questa elegante spec e ho raccolto due valve ben conser-
vate con caratteri nettissimi ad Orciano. Esse sono tumide.
230 G. A. UE AM1(•I^
inequilaterali, con 17 coste rotondate e oblique, uuiboni molto
ricurvi, un solo dente cardinale nella valva destra, due nella
sinistra.
Cardila rlioniboidea Brc.
Una sola valva ed in |)oco buono stato ho pututo raccogliere
ad Orciano; è la valva destra.
Gen. liiaiiia Linn.
Chama sp.
Riferisco, ina dubitativamente, a questo genere un piccolo
modello interno un |)oco incurvato a spiralo raccolto a Sogliole.
<jen. 8^ii€*iiia Dc>sliaves
Luciua spuria Desìi.
Di questa bella specie sei esemplari merjivigliosamente con-
servati, colle valve ornate di numerose e sottilissime pieghe
longitudinali, |)n)vengono da Parlaselo e fanno [)arte delle col-
lezioni del Museo.
Lucina sp.
Un modello interno trovato a l^irlascio e conservato nel
Museo non è s|)eciHcamonte determinabile.
Gen. Eliiilofloiiia Bromi.
Uiplodonta rotundata Mng.
Di questa specie il Museo di Pisa possiede quattro modelli
interni provenienti da Casciana.
Gen. Cardiuiii Linn.
Dardium hians Brc.
Tre bei modelli mostranti nettamente la parte post-eriore
beante, le coste radiali oblique fra cui altri minori se ne frap-
pongono, ne ho rinvenuto a Sogliole.
IL CALCARK AD AMPHISTEGINA NELLA PROVINCIA PI PISA KC. 237
Cnrdiuni erlule Linn.
Un esemplare ben conservato con una delle valve ed il mo-
dello interno completo, fu da me trovato nelle cave di San
Frediano.
Riferisco pure a questa specie, del resto punto commune,
un' impronta esterna trovata a Nugola.
Cardiutn cfr. lubercolatnm L.
Non sono ben certo di potere riferire a questa specie un
modello interno di notevoli dimensioni con non meno di 30' coste
radiali oblique, raccolto pure esso a San Frediano,
Cardium sp.
Sono specificamente indeterminabili due modelli interni pro-
venienti r uno da Casciana, V altro da Parlascio. (M).
Gen. Weniis Linn.
Yenus umbonaria Lara.
A Nugola ho trovato con notevole frequenza i modelli in-
terni di questa specie assai tumida ed inequi laterale, a seno
paleale grande e profondo che si osserva pure nei modelli.
Yenus laevis d'Orb.
Tre bellissimi modelli riferibili a questa specie provenienti
da Parlascio fanno parte delle collezioni del Museo di Pisa.
Yenus sp.
Molti altri modelli interni del gen. Venus ma non determi-
nabili specificamente provengono da Nugola, da San Frediano
e Parlascio.
Gen. itreo|iaj|t;ia d'Orb.
Arcopagia sp.
Due modelli interni di questo genere molto vicino alle Tel-
linae provengono da Parlascio e fanno parte delle collezioni
del Museo.
238 G. A. DE AMICIS
Gen. Panopaea Ménard
Panopaea Faujasii Ménard
Un grosso modello interno di questa specie aperta a tutte
due le parti, mi fu favorito dal sig. Tardi di San Frediano,
nelle cui cave fu rinvenuto.
Gen. Tcredo Linn.
Un modello interno proviene da San Dalmazio, due fram-
menti- in njigliore stato li ho raccolti a Nugola.
ARTHROPODA
CRUSTACEA
Gen. nalaniif$ auct.
Balanas balanoides Ray.
Un solo esemplare alto circa 2 cm. proviene da Parlaselo. (M),
Balanas perforatns Brug.
Ho raccolto a San Frediano un piccolo esemplare alto circa
7 mm. di questa specie. La forma sua è tubolosa piuttosto che
conica e con apertura ristretta e di forma ovata.
Balauus tulipiformls Ellis.
Un individuo alto 30 mni. colla base del diametro di 28 mm.
l'ho raccolto ad Orciano. Esso sta sopra una valva di Ostrea
lanieUosa. Vi si vedono abbastanza distintamente le perforazioni
delle pareti e dei radii, ma nulla rimane dell' opercolo.
Balanas concavas Darw.
Ho trovato ad Orciano due esemplari di questa specie ; uno
di essi è assai bene conservato e mostra una forma conica,
un' apertura di media grandezza con un dente molto sporgente
dalla parte della carena, e linee radiali distinte sugli scudi,
carattere distintivo di questa specie. Il colore ne è roseo. Le
pareti sono perforate, non così i radii.
IL CALCARE AD AMPBISTEGINA NELLI PROVINCIA DI PISA EC. 239
VERMES
CHETOPODA
Gen. SSerpula Lìdu.
Serpnla sp.
Un piccolo esemplare di un tubo a sezione più o meno
quadrato e ravvolto a spirale con una depressione o solco lon-
gitudinale che divide la parte superiore del tubo in due lobi
rilevati, proviene da Parlascio. (M).
Un altro tubo diritto, lungo 17 mra., e del diametro di 3 mm.
con accenno manifestissimo della divisione in successivi anelli,
r ho raccolto a San Frediano.
ECHINODERMATA
ECHINOIDEA
Gen. Cidarfn Lam.
Cidarls tessurata Mgfa.
Di questa elegantissima forma si trovano a San Frediano
numerosissimi radioli. Piti raramente si rinvengono poi anche
delle placche; due ne ho trovate a San Frediano; parecchie di
Parlascio appartengono al Museo di Pisa che possiede pure un
bellissimo benché piccolo esemplare intero di questa specie;
questo esemplare proviene da Parlascio e misura 9 mm. di
diametro per 5 di altezza. Sono benissimo distinguibili tutte
le piccole placche e tutti i 1 ubercoli, come pure le aree ambu-
lacrali ed interambulacrali. Anche ad Orciano ne ho raccolto
un radiolo.
Cidaris Mttnsteri Sism.
Unici rappresentanti di questa specie sono cinque radioli
trovati ad Orciano; uno di essi presenta ben conservata la fac-
cetta articolare, gli altri sono spezzati.
240 G. A. DB AMICIS
Geu. Kchiiiiin Lìnn.
Echinus Laiuarcki d' Orb.
Un solo esemplare di questa specie appartenente al Museo
dì Pisa e proveniente da Parlascio fu spedito al prof. Taramelli
per studio, onde non potei vederlo.
Echìuus sp.
Un esemplare di 65 mm. di diametro e 36 di altezza, tro-
vato alle cave di San Frediano e gentilmente cedutomi dal sig.
Tardi, è disgraziatamente così eroso alla superficie, che, pure
essendo un beli' esemplare e mostrando nettamente la distinzione
fra le aree ambulacrali e le interambulacrali, tuttavia non è
specificamente determinabile.
Gen. P^i^ainiiiechiiiiifii Ag.
Psammechinns Spadae Dr.
Anche V unico esemplare di tale specie che possedeva il
Museo di Pisa e che proveniva da Parlascio fu mandato al
prof. Taramelli.
Gen. Kehinoe.TaiiiuM van Phelsum.
Echinocyamas pasillas Ag.
Provengono dalle cave di San Frediano i cinque esemplari
che ho raccolti di questa bella e piccola specie. Sono ben con-
servati e con caratteri ben manifesti.
Echlnocyamus tarentinns Lk.
Di questa specie dalla precedente di ben poco diversa, ma
più depressa e più ovata, provengono da San Frediano quattro
begli esemplari. (M).
Echinocyamas ovatug Ag.
Un unico esemplale ma bellissimo con tutti i tubercoletti
conservati e apertura anale e boccale assai ravvicinate, proviene
da Parlascio e fa parte delle collezioni del Museo.
IL CALCABB AD 1MPH1STE6INA NELLA PROVINCIA DI PISA SC. 241
Gen. Clypeasfer Lk.
Clypeaster pliocenicas Seg.
Un bellissimo esemplare appartenente al Museo, di dimen-
sioni assai ragguardevoli, proviene da Pomarance.
Glypeaster sp.
Riferisco al gen. Glypeaster per la forma caratteristica dei
tubercoli, una unica placca rinvenuta a San Dalmazio.
Gen. Spafaiigus Elein.
Spatangns sp.
Sono da riferire al gen. Spatangus sei piccoli frammenti di
placche provenienti da Parlaselo e appartenenti al Museo di
Pisa; così pure cinque grandi frammenti di guscio (di cui tre
pi'esentano assai bene distinte le aree ambulacrali) che raccolsi
a San Dalmazio. Un altro frammento pure di Spatango com-
prendente due porzioni di aree ambulacrali ed una intermedia
interambulacrale V ho raccolto a Belvedere.
COELENTERATA
ANTHOZOA
Gen. Cladocora Ehrenbg.
Gladocora sp.
I calcari ad Amphistegina sono in molti punti ricchi di
Gladocore, ma queste mancando quasi sempre della muraglia non
riescono che molto dubitativamente determinabili per riguardo
alla specie. Esemplari numerosi ne ho raccolto a Pezzuole ove
le Cladocorae sono i fossili predominanti, a Belvedere, a San
Frediano, a Pomarance ed a San Dalmazio.
Gen. Ceratolrochus Edw. et H.
Geratotrochns dnodecim-coBtatns È.
Un esemplare meravigliosamente conservato colle dodici
coste rilevate e ben visibili ornate di finissime spine e con setti
numerosi, proviene da Parlascio (M).
So. Nat. Voi. VII, fABC. l.o 16
r
242 (j. A. r»K AMiois
Qen. Flabellam Lesson
Flabellum sp.
Questo genere è comuDissìmo ma disgraziatamente è sempre
privo della muraglia, per cui non riescono gli esemplari speci-
ficamente determinabili. Molti ne ho raccolti a Nugola, a San
Dalmazio, Pozzuolo, Belvedere, San Prediano e Parlascio.
PROTOZOA
FORAMINIFERA
Importantissima parte prendono alla costituzione dei calcari
ad Amphistegina questi organismi minuscoli. Molti generi, mol-
tissime specie di foraminiferi si rinvengono in questi calcari.
Senza occuparmi in questo lavoro dello studio particolareggiato
dei foraminiferi, studio che sarà oggetto di un' altra nota che
già. sto preparando, dirò soltanto che i generi più frequenti che
si trovano nei calcari ad Amphistegina, sono, come potei rilevare
sia da molte sezioni microscopiche fatte, sia dall' esame micro-
scopico dei detriti di tale roccia, i seguenti; Polystomella (e fra
esse è frequentissima la P. crispa), Globigerina, Rotalia, Rosa-
linay. Triloculina, TextulariUy Pulvinula. Sopra ogni altro poi ab-
bonda il gen. Amphistegina che per la grande prevalenza sua
dà il nome a tale calcare, Di questo genere conviene che mi
intrattenga qui alquanto.
Questo foraminifero fu dall' Aldrovandi (*) distinto colle de-
nominazioni di Triticites e Congeries pedis humani; il Targionì-
Tozzetti (*) di poi lo chiamò Lente o Lenticola, denominazione che
gli fu dal Pilla (') più tardi mantenuta. Il Soldani {*) dice che tale
fossile appartiene agli Ammoniti o Nautili striati minutissimi.
Fu solo più tardi il prof. Meneghini (^) che, studiando tale fos-
(0 Aldrovandi (J. — Musaeum Metallicum. Bononiae 1648.
(') Targioni-Tozzetti G. — Relazione di alcuni viaggi fatti in div0r»e parti
della Toscana. Firenze 1768-79.
(^) Pilla L. — Osservazioni sulV età della pietra lenticolare di Casdana neUe
colline pisane, Roma 1848.
(*) Soldani A. — Saggio crittografico. Siena 1780.
(*) V. collezioni del R, Maseo Geologico di Pisa.
IL CILOABE AD AMPHISTE6INA NELLA PROVINCIA DI PISA KC. 243
8ile raccolto a San Frediano e Parlascio, lo ascrisse al genere
NummuliteSj e vi trovò tali caratteri da formarne una specie
nuova, la N. Targionii.
Il prof. Meneghini studiando i fossili della Sardegna (*) nel-
r istituire per una nummulite dei terreni neogenici Sardi la
nuova specie ^. Lamarmorae, dice che questa è assai vicina alla
N. striata, ma molto più alla iV. Targionii di Parlascio e San
Frediano, quantunque i setti della N. Targionii siano molto pifi
obliqui di quelli della N. Lamarmorae. Nota pure che la forma
ne è variabile ma sempre lenticolare, a bordi taglienti e con
ombilico prominente. Dice anche che tale specie è da Fichtel e
Mohl descritta col nome di Nautilas mammilla.
Nel 1874 il dott. Manzoni (^) affermava in alcuni suoi studi
sulla posizione stratigrafica del calcare lenticolare, che la pretesa
Nummulites Targionii Mgh. non è una Nummulite. Nello stesso
anno vedeva la luce un lavoro del Seguenza {^) in cui si diceva
doversi la Nummulites Targionii Mgh. rapportare al genere ^m/^Ai-
stegina e che probabilmente era V Amphistegina vulgaris d' Orb.
Successivamente nel 1880 il dott. Manzoni in una memoria pub-
blicata dalla Società, Toscana di Scienze Naturali (/) diceva che
r Amphistegina del calcare lenticolare di Parlascio e San Fre-
diano è r Amphistegina Ilauerina d' Orb.
Il genere Amphistegina fu dal d' Orbigny (^) fondato sopra
esemplari fossili del bacino di Vienna e su taluni esemplari vi-
venti; come caratteri principali distintivi del genere egli diede
i seguenti: Conchiglia lenticolare, inegualmente rigonfia con un
corpo a foggia di bottone saliente al centro delle due facce,
formata dall'avvolgimento spirale di due specie di logge (cellules)
che alternano insieme, di cui le une occupano tutta una faccia
opposta della conchiglia, le altre riempiono gli spazi che riman-
gono della seconda faccia, presentando così da un lato setti
(*) La Marmerà A. — Voyage en Sardaxgne* Turin. 1857. Tome II, pag. 6iS.
(') Manzoni A. — Note ad un viaggio in Italia del doti. Th. Fuchs, Bull. d. R.
Comitato Geologico Italiano, 187.i.
(') Seguenza S. — Sulla relazione di un viaggio in Italia del dott. Th. Fuchs.
Bull. R. Comit. Geol. Italiano, 1874.
(^) Manzoni A. — Echinodermi fossili pliocenici. Memorie, Soc. Tose, Se. Nat.
Voi. IV, fase. 2.0 1880.
O D' Orbigny A.— Foraminifères de Vienne. 1825.
244 (i. A, DK AMICIS
semplici radiali, dall' altro setti biforcati. Lo Zittel (*) a questi
caratteri dati dal d' Orbigny aggiunge i seguenti: Loggia ini-
ziale centrale grande (grosse centrale Embryonalkammerjy circon-
data da 4 a 7 giri spirali divisi da setti in molte logge; logge
comunicanti fra loro per una fessura lunga e stretta posta al
bordo settale interno della faccia inferiore; conchiglia perforata
dappertutto da fini canalicoli tranne nella parte centrale a bot-
tone, nella parte mediana coramune dei giri (cordone dorsale)
e nelle pareti dei setti ove è compatta; setti composti di due
foglietti saldati che di rado lasciano spazio visibile fra di loro;
assenza di un sistema canalifero che le avvicina di più alle
Rotoline che alle Nummtditi. Per vedere la bifidità dei setti con-
siglia di consumarne accuratamente con un acido la superficie.
Si trattava adunque di vedere se il fossile del calcare len-
ticolare presentava tutti questi caratteri per potersi ascrivere
al genere Amphistegina.
Cominciando dai caratteri che si possono rilevare col sem-
plice esame esterno della conchiglia, riscontransi bensì nel fos-
sile di Parlaselo (V, Tav, XI, fig. 1, 1 «), la forma lenticolare, e
r ineguale rigonfiamento centrale sulle due faccio, ma per quante
ricerche accurate abbia fatte sopra oltre 300 esemplari non ho
potuto mai riscontrare né setti bifidi né logge alternanti. Senza
stare qui a parlare partitamente dei vari sistemi che ho seguito
per potere vedere i setti, che senza artifici sono difficilmente
osservabili, sistemi di cui già ho parlato in una mia breve nota
precedente (*), mi limiterò a dire che nessuno dei setti mi .com-
parve mai bifido; inoltre il loro andamento era affatto diverso da
quelli della vera Amphistegina Haueri; giacché in questa, sopra
la faccia meno convessa, i setti giunti circa a due terzi dal
bottone centrale si incurvano bruscamente per poi biforcarsi,
invece negli esemplari da me esaminati i setti si presentano
costantemente di poco incurvati ed uniformemente in tutta la
loro lunghezza. Nella Amphistegina Haueri inoltre sull'altra
faccia i setti non sono più bifidi, ma fra V uno e V altro di essi
vi é un accenno di un piccolo setto secondario. Invece nella
(') Zittel A. — Handbuch der Paleontologie. Mùnchen 1876.
(*) De Amicis G. A. — L* Amphistegina del calcare lenticolare di Parlasdo*
Froc. verb. Soc. Tose. Scienz. Nat. 20 maggio 1885.
IL CALCARE AD AMPHIST£QINA NELLA PROVINCIA DI PISA EC. 245
mia di Parlascio tutte e due le facce sono perfettamente eguali
senza accenno alcuno a setti secondari.
Né si può il fossile in esame riferire aìV Amphistegina vulgaris
d' Orb,, come vorrebbe il Seguenza, giacché anche questa, come
si vede chiaramente dalla figura ricavata dal modello in gesso
N.^ 40 della collezione del d'Orbigny (V. Tav. XI, fig. 2, 2a, 2i),
presenta setti bifidi per quanto sia dì forma ben diversa dal-
V Amphistegina Haueri, ed i setti suoi così dell'una che dell'altra
faccia abbiano andamento diversissimo.
Per questi caratteri cominciai a dubitare che il fossile del
calcare lenticolare non fosse una Amphistegina. Intanto nel
consultare diverse opere mi occorse di leggere una memoria
del De la Harpe (') ove in una nota parla di Ampkisteginae e
dice che osservando al microscopio Y Amphistegina del bacino di
Vienna vi si riscontrano senza difficoltà i caratteri che il d'Or-
bigny attribuisce a tal genere; mentre V Amphistegina Targionii
(Nummulites Targionii Mgh,) della pietra lenticolare di Toscana
si mostra tutto affatto diversa. Ivi i setti non si biforcano, e
la sezione longitudinale così come le due facce della conchiglia
sono simili a quelle di una piccola Xummulite a lati leggermente
ineguali ed a setti lunghi ed arcuati. La conoscenza di questa
nota di un così accurato osservatore e perfetto conoscitore di
tali esseri, veniva sempre più a confermarmi nell' idea che non
si trattasse di una Amphistegina. Dietro T osservazione del De
la Harpe della somiglianza esterna del fossile in esame colle
Nummuliti mi venne desiderio di vedere se alle Nummuliti real-
mente poteva riferirsi. Con ispeciali artifizi di cui già nella
succitata mia nota tenni parola, ottenni le sezioni della Amphi-
stegina Targionii; esaminandole di poi al microscopio e confron-
tandole con sezioni di vere Nummuliti tolte alle collezioni del
Museo di Pisa trovai molte differenze così nelle sezioni longitu-
dinali come nelle trasversali. Nelle mie sezioni longitudinali
il numero dei giri risulta comparativamente minore che nella
maggior parte delle Nummuliti delle stesse dimensioni; il
sistema canalifero in molti casi non é distinguibile; i setti ap-
paiono più ricurvi ed allungati e non giungono a toccare la
parete del giro precedente più interno : le logge sono più grandi.
(') De la Harpe Ph. — Étude des Nummulites de la Suisse. Genève ISSI.
246 G. A. DE AMICIS
Così pure nelle sezioni trasverse, V Amphistegina Targionii pre-
senta un numero minore di giri e quindi questi sono più al-
lontanati; di più sono maggiormente inequilaterali.
Un' altra cosa potei osservare tanto nelle- sezioni mie tra-
sversali come nelle longitudinali; l'esistenza costante in tutti
gli esemplari di una loggia centrale perfettamente sferica di
ragguardevoli dimensioni che pare non coordinarsi affatto alla
forma ed allo svolgimento successivo della spira (V. Tav. XI,
fig. 3, 3a 36). Nelle Nummuliti si ha bensì in una metà circa
delle forme la presenza di una loggia centrale, ma essa si
presenta sempre come principio della spira, ed è costantemente
di dimensioni minori che negli esemplari [di Parlascio e San
Frediano.
Un ultima e più notevole differenza ho potuto osservare
confrontando le sezioni trasversali AeW Amphistegina Haueri con
quelle della Targionii. In quella (V. Tav. XI, fig. 4), si osserva
che le lamine costituenti i giri si presentano traversate da in-
numerevoli e sottilissimi tubetti assai ravvicinati, e che spesso
nella direzione dell' asse maggiore dalle lamine stesse si staccano
da una parte delle più piccole lamelle aventi pure esse la stessa
struttura tutta cribrata da tubi e che formano unendosi all'altro
lato della lamina stessa delle cavità di varia forma.
Invece osservando la Amph. Targioni essa appare ben di-
versa. In luogo di aversi le lamine traversate dai canalicoli, esse
appaiono costituite da altrettante finissime e numerose lamelle
parallele alla superficie esterna; di tali lamelle riuscii a contare
fino a 25 a costituire le lamine spirali principali. Questa partico-
larità si può osservare nelle annesse figure (V. Tav. XI, fig. 3, 3 a, 6)
di sezioni trasverse ricavate al microscopio le une con un in-
grandimento di circa 350 diametri, V altra con un ingrandimento
di poco più di 600 diametri. Altra cosa ancora si può osservare
nella sezione trasversa, cosa essa pure espressa nella annessa
figura (V. Tav. XI, fig. 6\ l'esistenza cioè di canali veri e propri,
giacché come tubi si comportano al microscopio, che partono
dalla camera centrale irradiando ma non in tutte le direzioni;
essi sono popò numerosi, abbastanza lontani 1' uno dall' altro e
diretti solo secondo 1' asse minore della conchiglia, mentre non
se ne trovano nella direzione dell' asse maggiore; inoltre non
raggiungono mai la superficie esterna, ma giunti alla metà circa
IL CAU)iRE AD AMPHISTEGINA NELLA PROTINCIA DI PISA IC. 247
dello spessore della terza lamina interna, si perdono d' occhio,
né più si riscontrano nei giri più esterni.
Altra particolarità, pur degna di nota si è che osservando
a più forte ingrandimento, 600 diametri circa, una sezione
trasversa della Amphistegina Targioni, si vedono dalle lamine
spirali staccarsi delle lamine più sottili che si ripiegano arcuan-
dosi e raggiungono le lamine vicine cui si appongono per ren-
derle più grosse (V. Tav. XI, fig. 7).
inoltre una sottilissima sezione del guscio deir ^mpAt^^é^tna
Haueri condotta parallelamente alla superficie esterna, mi ha
mostrato (V. Tav. XI, fig. 5) con un ingrandimento di circa 600
diametri un numero grandissimo di piccoli fori rotondi; mentre
un analoga sezione della Targionii osservata prima collo stesso
ingrandimento, e poi perfino anche con un obbiettivo ad im-
mersione che dava un ingrandimento di 1060 diametri, non mi
ha mostrato perforazioni di sorta.
Adunque V Amphistegina Targionii diflferisce dalle vere Num-
muliti come pure dalle vere Amphisteginasy prendendo a tipo di
queste V Amph. Haueri; però si avvicina molto più a queste
che a quelle. Si sarebbe potuto per questo fossile fare un genere
nuovo, ma non avendolo fatto il compianto e chiarissimo
De la Harpe, per consiglio anche del mio maestro prof. Meneghini,
mi astengo dal proporlo; invece si potrà ampliare la frase ca-
ratteristica del gen. Amphistegina per comprendervi anche il
fossile di Parlaselo e San Frediano.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
FiG. A. Spaccato geologico condotto da Poggio ai Frati alle Panzane.
^ B. , , „ da Pomarance alla Rocca di Sillano.
^ 1. Àmphistegina Targionii Mgh. (Ingraadim. 30 diam.)*
„ la. „ „ (veduta di profilo) (ingrand. 30 diam.).
y, 2. 2 a. 26. Amphistegiua vulgaris dM)rb.
„ 3. 3 a. 36. Àmphistegina Targionii Mgh. (Sezioni trasverse e lon-
gitudinale).
, 4. Àmphistegina Haueri d'Orb. (Sezione trasversa; ingr. 350 diam.).
, 5. ;, y, (Sezione del guscio parallela alla super-
ficie esterna. Ingrandira. 600 diam.).
„ 6. Àmphistegina Targionii Mgli. (Sezione trasversa. Ingr. 350 diam.).
„ 7. „ y, (Sezione trasversa. Ingr. diam. 600j.
GIUSEPPE RISTORI
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE
SUL
VALDARNO SUPERIORE, SUI DINTORNI D'AREZZO
E SULLA
VAL DI CHIANA
Fin dall' inverno del 1884 impresi, dietro consiglio del Prof.
Carlo De-S tofani a fare delle escursioni nel Valdarno superiore
e nei dintorni della città, d' Arezzo, indi nella Val d' Ambra e
ultimamente nella Val di Chiana, allo scopo non solo di rendermi
più esatto conto di quelle località, riguardate sotto l'aspetto
geologico; ma anche p^r raccogliervi fossili ,e più specialmente
conchiglie lacustri, della cui ricerca mi aveva espressamente in-
caricato il Prof. Cesare D' Ancona. In tutte queste escursioni,
che si succedettero a brevi intervalli, non mancai di fare molte
osservazioni geologiche e di notare nel mio taccuino quelle che
mi parvero maggiormente importanti; tanto che oggi, rileggendo
tutte quelle note ed esaminando accuratamente le raccolte da
me fatte, stimai non del tutto inutile coordinare quei miei poveri
studi, a fine di poterne trarre le necessarie conseguenze e ri-
chiamare su di essi l'attenzione dei geologi: poiché da quello
che potei leggere nei libri ed ascoltare nelle lezioni e nelle con-
versazioni scienti tìche, mi è sembrato che non tutti sieno d'ac-
cordo sulle vicende geologiche, a cui andarono soggetti quei paesi.
Le conclusioni, che fin d' ora prometto di trarre da ciò, che
potei osservare, saranno la necessaria e più logica conseguenza
250 G. RISTORI
di fatti, i quali si possono sempre da chiunque constatare; poiché
scevro da ogni preconcetto, esaminai e raccolsi materiali e no-
tizie al solo scopo di fare uno studio coscenzioso. Non saprei,
però, chiudere queste poche righe d' introduzione senza ricordare
nuovamente gli egregi protessori Cesare D'Ancona e Carlo De-
Stefani, che con consigli ed aiuti mi incoraggiarono a questi
studi, e tanto contribuirono accicchè riuscissero il meno peggio
possibile.
CRETA ED EOCENE
I terreni più antichi, che si incontrano nelle regioni qui
prese in esame, si devono in piccola parte riferire al Cretaceo
superiore, per la massima ai diversi piani dell' Eocene. Questi
terreni costituiscono quasi esclusivamente i monti e le catene
montuose, che limitano il Valdarno superiore, i dintorni della
città di Arezzo, e parte anche della Val dì Chiana specialmente
dalla parte di Sud-Ovest.
Delle due catene montuose, che limitano T una a Nord-Est
l'altra a Sud-Ovest e Nord-Ovest il bacino del Valdarno supe-
riore, presenta maggiore interesse per il geologo quest'ultima;
poiché nella prima sono talmente sviluppate le arenarie, che non
lasciano, altro che in minima proporziojae, accessibili le forma-
zioni degli alberesi, dei galestri e del calcare nummulitico, e se
sì eccettuano gli affioramenti della pietra forte che si veggono
comparire fra il torrente Vicano e il torrente Marnia, ed i cal-
cari alberesi e nummolitici che compariscono nella porzione più
a Sud-Ovest della Sieve poco o nulla é da dirsi intorno alla sua
costituzione geologica, la quale si presenta assai uniforme.
Infatti tanto alla base di quella catena, quanto nelle più alte
vette, non si scorgono che arenarie in stratificazioni assai re-
golari e con un inclinazione dai 12 ai 15 gradi, diretta da
Nord-Est a Sud-Ovest. Le arenarie, come generalmente accade,
non presentano fossili all' infuori di qualche, impronta di Chon-
drites e di residui vegetali carbonizzati, a cui si dà il nome di
Stipite. Tale uniformità viene interrotta alla Croce dei Fossi presso
monte Drago, ove sono state da una profonda frana, messi allo
G. RISTORI — CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL VALDARNO SUPERIORE EC. 251
scoperto i galestri, le argille scagliose e gli alberesi e più a Sud
alla Querce, al Nibbio, al Cocollo, e finalmente a Poggio di Loro,
ove emergono i calcari alberesi schistosi (sasso coltellino). Que-
st' ultime formazioni al pari delle arenarie sono prive di fossili,
e solo i calcari alberesi ci presentano qualche impronta di fu-
coide. Gli strati sono alquanto piii inclinati di quelli delle are-
narie, hanno una quasi identica direzione, e non è dato scorgere
in nessun punto le formazioni ad essi sottostanti. È probabile
però che riposino sul calcare nunimulitico o alternino con esso,
come si vede neir opposta jcatena montuosa del Chianti, la quale
ci presenta una costituzione geologica molto simile. Una prova
di ciò la possiamo avere portando il nostro esame nella porzione
dei suddetti monti di Pratomagno, la quale si volge a Nord e
si congiunge coir Appennino del Mugello. Essa mostra i suoi
fianchi profondamente erosi dal fiume Sieve e dai suoi affluenti
di sinistra, ed è quindi facile vedere la successione delle forma-
zioni nel modo suesposto, ed il calcare nummulitico vi si rinviene
in posto giacente sulla pietra forte, la quale contenendo im-
pronte di Inocerami di Ammoniti ed altri fossili è stata giusta-
mente riferita al Cretaceo superiore, oppure sui calcari alberesi
o con essi alternante. Queste condizioni geologiche si ripetono,
come è detto, nella catena del Chianti e nelle sue propaggini, che
limitano il Valdarno superiore a Nord-Ovest, ed è qui che si
può vedere non interrotta la successione degli strnti dalle are-
narie al calcare nummulitico, e misurarne le direzioni ed inclina-
zioni. I luoghi, che mi hanno specialmente off'erta tale possibilità
sono i seguenti: Cavriglia, Monte Murlo, Lucolena, Monte Lisoni
e a Nord-Ovest Monte Scalari: quivi ho anche raccolti numerosi
saggi di calcare nummulitico fossilifero, in cui si veggono oltre
le Nummuliti, alcuni resti di Cidaris difficilmente determinabili.
A Cavriglia poi nel nummulitico non è raro rinvenire denti di
Squalo, i quali sono pure frequenti in quello stesso terreno a
Pontassieve, ed io stesso ne ho raccolti anche in altre località,
di cui avremo luogo di parlare.
L' inclinazione degli strati costituenti le suindicate forma-
zioni va crescendo dalle arenarie (*) ai calcari alberesi, e special-
(') L'inclinazione deUc arenarie raggiunge un'angolo di 12 gradi eia direzione
è Nord-Est, Sud-Ovest
252 G. RISTORI
mente a quelli sottostanti al nummulitico, i quali spesso si
mostrano quasi raddrizzati. Essa inclinazione anitamente alla
direzione della medesima, che costantemente si mantiene, mostra
air evidenza, che desse formazioni con quelle simili della catena
di Pratomagno costituiscono un sinclinale, su cui si adagiarono
le argille e le sabbie plioceniche del Yaldarno superiore.
Le condizioni stratigrafiche suindicate si ripetono anche nei
monti che cingono da ogni parte la pianura aretina, e qui pure
le arenarie, i galestri e i calcari costituiscono il sottosuolo, sa
cui si veggono riposare le ghiaie e le ^bbie quaternarie di quella
località. Anche qui sono prevalenti le arenarie eoceniche, che
riposano o sui calcari alberesi o sui galesti o sul calcare num-
mulitico, il quale si mostra sviluppatissimo presso il Castello di
Capolana, e si estende dal torrente Bregine a S. Martino sulla
destra deirArno, Gli strati considerevoli per spessore affiorano
in più luoghi ed io raccolsi numerosi saggi di quel calcare ove
si vedono in gran numero le Nummuliti, e potei anche consta-
tare la serie stratigrafica delle diverse rocce e formazioni, messa
allo scoperto dalle profonde erosioni operate dal torrente Fal-
toniano. Eccone la successione: Arenarie a cemento calcareo (pietra
forte (^) con impronte di Nemertiliti, Alberese compatto e Calcare
nummulitico con strati inclinati dai 28 ai 30 gradi ^ Arenaria
macigno con la solita inclinazion di 12 a 15 gradi e la solita di-
rezione Nord-Est, Sud-Ovest. In questo calcare nummulitico, oltre
alle Nummuliti, si rinvengono anche denti di Squalo apparte-
nenti per lo più ai generi Oxyrhina e Lamna, come la maggior
parte di quelli, che si raccolgono abbondanti nel nummulitico a
Pontassieve e a Cavriglia.
Lo stesso posso dire di tutti gli altri monti, che cingono
air intorno la pianura aretina non che dei piccoli rilievi, che
sorgono qua e la ad interromperla: essi infatti hanno un identica
costituzione geologica cioè arenarie, galestri, alberese, nummu-
litico, e quindi si può giustamente ritenere che si tratti di una
sola e continua formazione, la quale costituisce il sottosuolo di
essa pianura e i monti che la limitano. Che quei rilievi con-
tradistinti nella carta topografica coi nomi Campolucci, Patri-
(') E molto probabile che questa pietra forte appartenga al Cretaceo saperiore;
giacche vi si scorgono Nemertiliti e altre impronte di organismi assai problematici,
in tutto simili a quelli della pietra forte di Monteripaldi e di Pontassieve.
CONSIDKBAZIONI GEOLOGlCflK SUL VALDARNO SUPERIORE KC. 253
gnone, S. Cecilia, Mohtioni, Pratantico, S. Maria, Maccagnolo,
Puglia, ed il colle stesso ove è fabbricata la città, siano la conti-
nuazione materiale dei monti che quasi da ogni parte cingono la
pianura suindicata, non solo lo provano la identità, mineralogica
delle rocce e la loro successione stratigrafica; ma anche la di-
rezione e inclinazione degli strati.
Le condizioni geologiche, che abbiamo riscontrate nei mon-
ti limitanti il Valiamo superiore e la pianura aretina si ripe-
tono con varianti di poca importanza, dovute allo sviluppo
maggiore o minore dell' una o dell' altra formazione, anche per
i monti di Chiani, Poggiale, Civitella, Ciggiano, Monte S. Savino,
Calcione fino a Rigomagno, i quali cingono a Nord-Ovest e Sud-
Ovest e limitano le formazioni plioceniche, che alla lor volta
includono le quaternarie costituenti la pianura della Chiana.
Lo stesso si dica per i monti che pifi ravvicinati includono le
sabbie e le argille plioceniche della Val d'Ambra: infatti i monti
di Galatrona, di S. Leolino, di Duddova, di Monte Benichi sulla
sinistra del fiume Ambra; di Rapale, di Sogna, di Calcinaja, di
Capannole e S. Pancrazio sulla destra, presentano uno sviluppo
prevalente delle arenarie con inclinazione e direzione di strati
eguali a quelle fin ora trovate nella catena del Chianti sul ver-
sante dell'Arno, della quale sono essi monti una più o meno
diretta continuazione. Le arenarie al solito riposano sui galestri,
sugli alberesi, sul calcare nunlmulitico, il quale si vede svilup-
patissimo a Pogi. Il calcare alberese che in questa regione sot-
tostà costantemente al nummulitico, presenta i suoi strati for-
temente inclinati. Essendo poi esso calcare inquinato da sostanze
ferruginose ha un colore rosso ruggine dovuto forse all'azione
delle acque meteoriche, che hanno ridotto i sali di ferro in esso
contenuti allo stato di idrati, o alle emanazioni di acque mine-
rali ferruginose, che tutt' ora si incontrano assai frequenti in
quella località. In questo calcare alberese non mancano le so-
lite impronte di Chondntes ed altre fucoidi ed io ne ho raccolti
esemplari bellissimi a Poggiana ed a Pogi.
MIOCENE
Anche il terreno miocenico ha i suoi rappresentanti nei
paesi, di cui qui ci occupiamo, e il rinvenimento da me fatto
254 U. KISTORI
di fossili riferibili a quel periodo geologico ne afferma l'esi-
stenza. Prima d'ora i dintorni del Valdarno superiore, della
città, d'Arezzo e della Val di Chiana toscana, non avevano dato
altri fossili, i quali si potessero riferire al miocene, all' infuori
d'una porzione di tronco sicilizzato appartenente alla Raumeria
Cocchiana Caruel., che fu rinvenuta in un torrente presso la
villa di S. Mezzano, ove 1' avevano certamente trascinata le
acque, che scendono dalla catena di Pratomaguo e più precisa-
mente dalla porzione di essa che si estende da Vallombrosa al
Varco di Reggello. Quel fossile fu studiato dal prof. Teodoro
Caruel, e attualmente fa parte della collezione paleontologica
del Museo fiorentino: fu però allora riferito al Cretaceo; ma da
che simili fossili si ritrovarono anche nei terreni miocenici, non
è qui fuori di luogo pensare che anche questo nostro appar-
tenga a quel periodo geologico. Oltre a ciò è probabile che sia
miocenico anche un pezzetto di calcare contenente un modello
interno di Murex ed un Peden trovato nelle argille plioceniche
di Renacci, presso S. Giovanni valdarno, dal sig. Giov, Batta.
Oiantini, e donato al museo dell'Accademia del Poggio residente
in Montevarchi. Quei due resti fossili quando furono raccolti non
erano certamente in posto e questo ce lo prova il rotolamento
da essi sofferto e la natura della roccia, a cui aderiscono e da
cui sono compenetrati. Essi unitamente al pezzo di roccia cal-
care furono a mio credere trascinati nel lago valdarnese, e
coinvolti nei suoi depositi, dai torrenti dopo avergli strappati
ai monti vicini. La natura di quel calcare poi concorre ad ac-
crescere la probabilità che quei fossili appartengano al Miocene;
giacché una roccia simile non si trova che nel monte della Verna
a rappresentarci per l'appunto il terreno miocenico; mentre
gli altri piani geologici, che in esso monte si incontrano, si
mostrano costituiti da formazioni identiche a quelle della ca-
tena di Pratomagno ed aventi eguali inclinazioni e direzioni di
strati. A questo si aggiunge ora il rinvenimento fatto, durante
le mie escursioni nei dintorni della città, d'Arezzo e nella Val
d'Ambra di ciottoli costituiti da un calcare gialliccio cristallino,
che mi colpì per la sua quasi perfetta rassomiglianza con quello
a Briozoi del Monte della Vena, ultimamente illustrato dal dott.
Vittorio Simonelli ('). Le località, ove io raccolsi quei ciottoli
(}) Simonelli — U monte della Verna e ì suoi fossili. Bull. soc. geol. ital.
Voi. II» anno 1883, fase. 3.o
CONSIDERAZIONI GÈOLOlilCHE SUL VALDARNO SUPERIORE EC. 255
costituiti da un vero e proprio calcare a Briozoi, furono nei
dintorni d'Arezzo il Torrente Faltoniano ed i Colli di Capolona
e nella Val d' Ambra Pogi ove si mostrano tanto sviluppati i
calcari alberesi e il nummulitico, di cui ho già parlato. Queste
due località distano assai l'una dall' altra e appartengono a due
sistemi di monti diversi; giacché la prima località si rannoda
colle propaggini più a Sud della catena di Pratomagno e coi monti
del Casentino; mentre la seconda è in continuazione diretta colla
catena chiantigiana. Quei ciottoli, che così ho chiamato per la
loro forma rotondeggiante, ma che esaminati attentamente non
son altro che pezzi di roccia di poco distaccati dallo strato, e
solo un poco corrosi nei loro angoli per un non lungo rotola-
mento, e forse più per V azione delle acque meteoriche, proven-
gono probabilmente dai monti circonvicini; poiché le località
ove io gli ritrovai sono così solitarie e distanti da vie facil-
mente accessibili, da non potersi in verun modo ammettere che
r uomo ve gli abbia trasportati da formazioni lontane. Non
nego del resto come non abbia potuto trovare la roccia in
posto: forse la causa che rese infruttuose le mie più diligenti
ricerche, deve attribuirsi alla vegetazione- boschiva folta e non
interrotta, che cuopre ambedue quei luoghi.
Dissi che questo calcare era in tutto simile a quello a Briozoi
della Verna ritrovato in posto dal dott. Vittorio Sinionelli e da
esso riferito al Miocene superiore (piano Tortoniano). Questa mia
affermazione è ampiamente giustificata dai fossili inclusi in quei
due calcari di località così discoste fra loro, ma appartenenti
a piani geologici fra loro corrispondenti . Infatti essi fossili sono
quasi identici, come si può vedere dai due seguenti elenchi:
Fossili del calcare a Briozoi Fossili del calcare a Briozoi
dei Monte della Verna Q) di Capolona e di Pogl
1. Cellepora sp. ind. 1. Cellepora{^) sp, ind.
2. Cidaris caryophylla Sini. 2. Cidaris (^) sp. ind.
3. Conocrinus sp. iiid. 3. Conocrinus sp. ind.
4. Ostrea sp. ind. L' Ostrea sp. ind.
5. Pecten sp. ind.
(') Simonelli — Il Monte della Verna e i suoi fossili (Estr. dal Boll, della Soc.
geologica italiana. Voi. II, anno 1883, fase. 3^
(^) Le Cellepore presentano grande rossomiglianza con quelle che si veggono nel
calcare della Verna, tanto che si può ritenere, che appartengano a specie forse identiche.
(^) Credo che anche il solo radiolo di Cidaris che si vede su uno dei pezzi del
25 G • (i. KISTORI
I fossili però che maggiormente contribuiscono a farci rite-
nere questi due calcari appartenenti ad una formazione contem-
poranea, sono i numerosi resti di Crinoidi, appartenenti al genere
Cofwcrinus, i quali se si tolgono le Cellepore, e qualche raro
frammento di Ostrea e di Peden e di Cidaris, gli riempiono
quasi totalmente.
Del resto, come si vede dall' elenco, questi fossili sono scarsi
e in uno stato di conservazione tale da non permettere di
farne un esatta determinazione specifica ; tuttavia non mancano
certamente d' importanza; poiché bastano a fornirci argomenti
giusti e positivi per dimostrare V unità e la connessione, che i
terreni miocenici delle località qui prese in esame, hanno con
quelli della Verna e più generalmente con quelli dell' appennino
toscano, di cui orograficamente e geologicamente parlando i
monti limitanti il Valdarno superiore e la Val di Chiana, sono
immediate propaggini, che come già dissi subirono i medesimi
mutamenti e vicissitudini geologiche, le quali valsero a fargli
identici nelle loro formazioni, e a farceli oggi riconoscere tutti
quanti appartenenti ai diversi piani geologici, che dal Cretaceo
vanno fino al Miocene superiore^ trovandosi in essi più o meno
sviluppate molte delle formazioni riferibili a quella serie strati-
grafica di terreni non interrotta.
PLIOCENE
II considerevole sviluppo dei terreni appartenenti al periodo
pliocenico e i numerosi fossili in essi contenuti hanno per i
geologi reso classico il Valdarno superiore e la Val di Chiana.
Tanto il geologo quanto il paleontologo hanno colà trovato
campo agli studi, e molti di essi hanno largamente contribuito
air illustrazione di quei terreni. Il tornare per parte mia su quel-
r argomento, tanto studiato, potrebbe sembrare, se non audace
almeno inopportuno; quando non si ponesse mente alle tante
controversie che esistono ancora fra i geologi, e al tanto mate-
mio calcare a Briozoi, raccolti a Pogi, si possa ravvicinare alla specie del Simonelli
C. caryophylla : infatti per quanto mal conservato, ne presenta le notevoli dimensioni
e ne rammenta un poco anche la forma. Del resto lo stato di conservazione del mio
esemplare non permette di potere affermare nulla di positivo» da ciò la ragione di
averlo lasciato neir elenco coir indicazione Cidaris sp. ind.
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL VALDARNO SUPERIORE £C. 257
riale paleontologico, che resta a studiarsi. Nella rassegna quindi
di quelle formazioni plioceniche, cercherò di chiarire alcune delle
controversie, e di porre nei giusti termini le questioni sulla più
o meno probabile comunicazione col mare dei laghi, che du-
rante il pliocene occuparono quelle località. So che su questo
argomento hanno scritto valenti geologi, e per la Val di Chiana
abbiamo parecchie memorie del Verri, in cui il dotto capitano
cerca di spiegare, ricorrendo anche troppo spesso ai sollevamenti,
alle depressioni, alle spaccature e a molti altri mutamenti della
crosta terrestre, le deposizioni del pliocene lacustre a diretto
contatto di quelle del pliocene marino. Le accurate escursioni
fatte da me in quei luoghi ed i fossili che vi ho potuto racco-
gliere, credo mi abbiano messo in grado di potere esprimere la
mia opinione in proposito. Però, per procedere con ordine e a
maggiore intelligenza di tutti, comincerò dal Valdarno superiore.
È ormai a tutti noto come i depositi argillosi e sabbiosi
che oggi formano le colline del Valdarno superiore, siano stati
deposti da un vasto lago, che occupava nel periodo pliocenico
quella regione. La fauna e la flora tossile di quei depositi hanno
dimostrato che essi appartengono al Pliocene. Alcuni geologi
però hanno voluto distinguervi due orizzonti geologici, V uno
dei quali, da alcuni è riferito al Pliocene inferiore o al Miocene
superiore, l'altro, che corrisponderebbe alla spigale formazione
dei sansini e delle sabbie gialle, al Pliocene medio e superiore.
Questa distinzione fu specialmente fondata sul rinvenimento di
resti di Mastodon ed anche sopra il carattere della flora delle
così dette argille arse, le quali includono i banchi di piligno.
Infatti collo studio della flora, che constatò la somiglianza di
essa con quella miocenica di (Eningen, sussistente per un numero
non indifferente di specie comuni, e coir avere poi riferiti erro-
neamenti i resti di Mastodon, rinvenuti insieme con altri di Ta-
pirtis nel piano delle argille arse, alla specie angustidens propria
del miocene, si credè avere prove incontestabili per distinguere
nel Valdarno superiore un orizzonte miocenico. Di questo parere
furono Strozzi e Gaudin (') non che lo StOhr (*), il quale illustrando
(M Strozzi e Gaudin — Feull, foss. de la Tose. Mena. I e IL
(^) Stòhr — Infamo ai depositi di Lignite che si trovano nel Valdarno supe^
riore, ed intorno alla loro posizione geologica, Estr. dell' Ann. della Soc. dei Natu-
ralisti. Anno V.
Se, Nat. Voi. VU, faie. !.<> 17
258 6. RISTORI
con una brevissima nota i banchi di piligno (o lignite) dei dintorni
di Castelnuovo e di Gaville, gli riferì per le suesposte ragioni al
piano (Eningeniano, mentre ritenne i sansini e le sabbie gialle,
che secondo lui contenevano esclusivamente la maggior paiate
dei resti della ifauna mammologica, appartenenti al piano Asti-
giano, o Pliocene medio. Tale opinione andò perdendo terreno
via via che progredirono gli studi geologici e paleontologici di
quella regione: infatti il Major studiando la fauna mammologica
riconobbe, che le. specie di mammiferi fossili fin ora conosciute
nel Valdarno erano tutte plioceniche ed i resti di Mastodon (*)
appartenevano tutti alla specie arvernensis Croiz. et Gob. propria
del pliocene e il Tapiro non era quello rinvenuto nei depositi
del Casino presso Siena insieme ai resti d' Hipparion ; ma fu dal
Major riferito invece alla specie arvernensis. Resta il carattere
solo della flora a sostegno della suesposta opinione e più che il
carattere generale di essa, il singolare di. due flore distinte; cioè
di una, secondo lo Strozzi e Gaudin, miocenica esclusiva delle'
argille, e di una pliocenica propria dei sansini e delle sabbie
gialle. Questa distinzione di due flore atte a segnare due distinti
orizzonti geologici poteva essere giusta, a patto solo che V una
fosse esclusiva delle argille arse, V altra dei sansini e delle
sabbie; ma pur troppo non è così! Chiunque abbia fatto rac-
colta nel Valdarno superiore di filliti fossili, ed abbia attenta-
mente esaminati gli strati, che le contengono, ed i giacimenti
ove più abbondano certe specie, o cert' altre, avrà dovuto accor-
gersi, che spesso quelle medesime specie, che indussero il Gaudin
a credere la flora (Ielle argille miocenica, abbondano al pari
delle altre aventi un carattere più moderno, nei sansini e nelle
sabbie; mentre all'incontro molte specie come p. es. Fagus syU
valica, Quercus llex od altre proprie del pliocene e di terreni
anche più recenti, si rinvengono abbondantissime anche. nel piano
delle argille arse. In una parola non è possibile distinguere due
flore una più antica una più recente; poiché le specie che con-
corrono a comporlo si trovano sparse ed egualmente abbondanti
in tutti quanti gli strati, sieno essi argillosi, sieno sabbiosi: da
ciò la necessità, di ritenere affatto arbitraria quella distinzione.
Q) Una sola eccezione ci viene offerta da un dente molare .posseduto dal Museo
di Montevarchi, il quale apparterrebbe alla specie Mastodon Borsoni Hay; però è
dubbio se sia stato ritrovato in Valdarno.
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL YALpARNO|sUPXRIORK EG. 269
Non insisto di più su questo argomento, del quale ho più dif-
fusamente e più opportunamente parlato in un mio antecedente
lavoro sulle filliti fossili del Valdarno superiore: ivi il lettore
potrà meglio convincersi della giustezza di quanto ho qui af-
fermato, e potrà anche una volta constatare come sia instabile
argomento, il carattere di una flora, per servire di base a con-
clusioni stratigrafiche.
Premesse queste considerazioni, mi pare che non resti altro,
che rigettare queir opinione ormai contradetta dai fatti, e pren-
derne in esame un'altra espressa dal prof. Igino Cocchi nella
sua memoria (1! Uomo fossile nelV Italia centrale). Egli crede che
nel Valdarno superiore debbasi distinguere due piani geologici
l'uno riferibile al Pliocene medio Astigiano, e quindi caratterizzato
dalla maggior parte delle specie componenti la fauna mammo-
logica fossile, fra cui sta 1' Elephas meridionalis Nes., 1' atro al
Post-pliocene distinto dal primo e caratterizzato dall' ^é^Ao^
untiquus Falc. il quale, secondo il precitato autore si troverebbe
nei dintorni di Laterina ossia in depositi relativamente più re-
centi di quelli a Nord-Ovest; una volta che si ammetta con lui,
che le acque del detto lago fluissero da Nord a Sud o più pre-
cisamente da Nord-Ovest a Est-Sud-Est e che quindi i depositi
più recenti si trovassero in quest'ultima parte (*).
Mi asterrò dal discutere questa opinione e dal prendere in
esame 1' importanza dei dati geologici e paleontologici, su cui
è fondata, dirò solo che i resti di Elephas antiquus non sono
stati rinvenuti soltanto a Laterina, ma anche al Bucine e nei
prassi di Montevarchi. Esiste poi nel Museo di Firenze un cranio
di Elephas antiquus probabilmente rinvenuto nei pressi di Fi-
gline, perchè acquistato dal noto raccoglitore Francesco Pieralli.
Tutto questo mi pare che contribuisca, a modificare un poco
l'opinione del Cocchi, e ad ammettere, che l'orizzonte geologico
più recente, e caratterizzato dall' E. antiquus, sia molto più
esteso nel Valdarno superiore di quello che non credesse il di-
stinto geologo, il quale lo limitava ai dintorni di Laterina e di
Malafrasca; quasiché queste località, essendo le più prossime
alle formazioni dei dintorni d'Arezzo costituissero come un anello
('} Ck)cchi — U uomo fossile nelV Italia centrale. Memorie della Società italiana
di scienze naturli. Tom. II, n.^ 7, Milano 1867.
260 G. RISTORI
di congiunzione fra i depositi pliocenici del Valdarno e quelli
quaternari della pianura aretina (*). All' infuori di quest' osser-
vazione^ V opinione del Cocchi è abbastanza attendibile; poiché
la fauna del Post-pliocene è caraterìzzata dair Elephas antiquus
anche in molte altre località italiane ed estere: infatti^ questo
fossile si ritrova anche all'Ardenza, e appartiene pure a quella
specie una zanna ultimamente trovata a Livorno nel Cantiere
dei fratèlli Orlando, e attualmente posseduta dal Museo di Pisa;
ora questi terreni appartengono indubbiamente al Post-pliocene
e la fauna fossile, che contengono, lo dimostra all' evidenza.
Dopo queste considerazioni vediamo quale fosse la estensione
del lago pliocenico valdarnese: a Nord-Est e Sud-Ovest erano
le catene eoceniche di Pratomagno e del Chianti, che lo limiti-
vano a Nord-Ovest, i monti di S. Donato e Bisticci ad Est-Sud-
Est poi le formazioni plioceniche seguitano evidentemente non
interrotte fino a confondersi con quelle quaternarie della pianura
aretina. Queste limitazioni però non sono così assolute come«
potrebbe sembrare a chi esaminasse le cose superficialmente;
poiché é molto probabile che anche dalla parte di Nord-Ovest
il lago valdarnese comunicasse col sottostante bacino ove oggi
sorge la città, di Firenze: infatti procedendo da S. Ellero ^erso
Firenze, tenendo per guida il corso dell'Amo si veggono qua e
là, formazioni argillose e sabbiose, giacenti sui calcari alberesi e
sui galestri. Le località ove io le ho ritrovate sono quelle di
Girone, Pontanico, Bagazzano presso Compiobbi, di Erchi, S. Mar-
tino, e Torricella presso le Sieci. In tutti questi luoghi esse
formazioni hanno poca potenza e sono spesso confuse coi galestri
e coir argilla scagliosa, tanto che non appariscono molto evi-
denti: del resto si vede bene, che l'opera della denudazione vi
ha agito grandemente, per essere state deposte sulle erte pen-
dici di quei colli eocenici. Pur nondimeno la loro certa esistenza
(*) L* opinione del Cocchi, cosi modificata, non serve più come punto d* appoggio
per credere con lui, che anche durante il pliocene le acque del lago valdarnese
fluissero da Nord-Ovest a Est-Sud-Est ; trovandosi però i terreni del Post-pliocene più
sviluppati in spessore verso quest'ultima parte ciò potrebbe benissimo dimostrarci, che
quei terreni si fossero formati in corrispondenza e durante il vuotamento del Lago,
che avvenne per V abbassamento sofferto in quel tempo dalle montuosità costituenti i
dintorni d'Arezzo, e per essersi allora determinato da quella parte il flusso delle acque.
Del resto avremo in seguito occasione di tornare su quest'argomento, per ora basti
averlo accennato.
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL TALDABNO SUPERIORE EC. 261
^ dimostra che la deposizione fu operata dalle acque, che dal
lago valdarnese si insinuavano in quella gola; poiché anche
l'altezza considerevole raggiunta dalle medesime formazioni
plioceniche presso S. Ellero sulla sinistra del torrente Vlcano (*)
è di valido appoggio a questa mia credenza.
Oltre a ciò credo assai giusta V idea espressa anche da altri,
che il bacino del Valdarno superiore ricevesse le acque di quello
contemporaneo del Mugello, il quale ultimo non poteva avere
altro scolo naturale air infuori di quello attuale per la Valle
della Sieve; anzi potrebbe anche ritenersi che per essa Valle co-
municassero fra loro quei due bacini. Non conosco però troppo
bene il Mugello e la Val di Sieve per non credere azzardata una
simile affermazione: posso però dire che poco oltre la RuSna
si cominciano a vedere le formazioni argillose e sabbiose che
poi si allargano nel bacino mugellese. Quindi V interruzione che
corre fra le formazioni lacustri del Valdarno e quelle del Mu-
gello sarebbe segnata da una serie di colline costituite di are-
narie e di calcari alberesi, che si stende fra il torrente Vicano
e Pogginolo a Sud della Rufina. Queste colline raggiungono una
altezza assai limitata, e tale da non escludere la comunicazione
dei due sunnominati laghi pliocenici, da quella parte (-). Comunque
sia di queste molteplici comunicazioni del lago valdarnese, con-
viene per ora abbandonare V argomento ed imprendere invece
la discussione di un altro assai più importante cioè quello di
una più 0 meno possibile comunicazione che per la Val d'Ambra
il lago medesimo poteva avere col mare pliocenico contemporaneo,
che occupava i dintorni di Siena e la Valle dell' Ombrone. L'ar-
gomento non è nuovo; ne disse qualche cosa il prof. Carlo De-
Stefani in un suo pregevolissimo lavoro: I Molluschi continentali
pliocenici^ pubblicato negli Aiti della Soc. tose, di Se. Nat. voi. II,
III, V; nò tralasciò di parlarne ultimamente il prof. Igino Cocchi
in una sua comunicazione alla Società» medesima, intitolata:
(*) Il Colle a cui io mi riferisco supera in altezza una gran parte delle forma-
zioni cretacee, che avrebbero dovuto impedire alle acque del lago valdarnese di in-
sinuarsi per quella gola e di comunicare col Bacino di Firenze.
(*) A proposito dello scolo delle acque del lago del Mugello vedi Cocchi (L'uomo
fòssile nelV Italia Centrale^ estr. dal V. Ili, Memorie della società ital. di scienze
Nat p. 37-38 e note.
262 G. RISTORI
Nuovi fossili del Vingone e della Val di Chiana (*). Però V idee
esposte dai due distinti geologi sono in perfetta contradizioae
ed è per questo che oggi mi permetto di portare il contributo
di accarate mie osservazioni fatte in quelle località, a fine di
mettere nei veri termini la cosa.
Neir intento di fare un^ accurata escui*sione nella Val d'Ambra
e di rendermi esatto conto delle formazioni plioceniche, che oc-
cupano quella valle e dei rapporti che potevano avere con
quelle della Val d'Ombrone, tenni come direttrice della mìa
escursione la strada che mette in comunicazione le due vallate
dell' Arno e dell' Ombrone procedendo in direzione Nord-Sud e
percorrendo lungo le rive dell'Ambra per poi, abbandonate queste,
tenere quelle del Torrentello Coggia che si getta nell' Ombrone
a Borghi. Le mie ricerche cominciarono nei pressi del Bucine
fino al paesello di Ambra. In questo primo tratto di terreno si
mostrano abbastanza sviluppate le formazioni sabbiose e ar-
gillose, le quali hanno dato resti di mammiferi pliocenici, ap-
partenenti alle medesime specie di quelli che si ritrovano nel
Valdarno. Le località più fossilifere sono i dintorni del Bucine
ove oltre alle ossa dei mammiferi, esiste un deposito argilloso
ricco di finiti fossili delle specie caratteristiche della flora fossile
del resto del Valdarno superiore, ed i dintorni del paesello di
Ambra ove si rinvennero resti di Rinoceros etruscus Falc. che
si conservano nel museo di Montevarchi. Queste sabbie ed argille
evidentemente plioceniche, mentre si mostrano sviluppatissime e
di considerevole potenza a Nord del Bucine, assottigliano note-
volmente nelle vicinanze di quel paesello e vanno sempre più
rìducendosi in estensione e in potenza a mano a mano che si
procede verso Sud risalendo il fiume Ambra. Ciò io credo abbia
sua causa nel considerevole sviluppo e nelle altezze raggiunte
dai terreni eocenici, di cui già tenemmo parola: infatti questi
terreni mentre da una parte tendono a limitare la larghezza
della valle, dall'altra ne inalzano il livello, per modo che le
acque del lago valdarnese, le quali in essa valle si insinuavano
dovevano necessariamente avere una profondità che andava di-
minuendo a mano a mano che si procedeva verso Sud.
Le mie più accurate ricerche fatte in questa località non
(*) Atti della Soc. Tose, di Scien. nat, (Processi verbali) Voi. IV, Adunanza
4 maggio 1884 .
CONSIDERAZIONI GEOLOOIOHE SUL YALDIRNO SUPERIORE EC. 263
riuscirono a scoprire nessun fossile all' infuori di qualche'
resto di ossa di mammiferi, e dovei mio malgrado constatare
l'assenza di resti di molluschi e di piante fossili. Accortomi
che le ricerche ad onta della mia insistenza riuscivano affatto
inutili, impresi a rivolgere domande in proposito a quei del
luogo. Tutti mi accertavano il rinvenimento, più volte fatto, di
ossa di. mammiferi, e di più, con mia sorpresa, mi mostrarono
numerosi denti di Squalo, un esemplare di Strombus/coronatus
Dfr. ed un modello interno di Cardila, aggiungendo di avergli
trovati in quei luoghi. A prima giunta non nego che credei ri-
soluta ogni controversia, insistei però presso quella gente a
fine, che mi conducessero nelle località precise, ove dicevano di
avere rinvenuto quei fossili marini : vi fui condotto ; e non solo
non potei raccogliervi nulla di simile; ma dovei anche convin-
cermi deir assenza assoluta di ogni benché minimo indizio della
presenza del mare in quella località ; poiché dove si diceva di aver
raccolto quel denti di Squalo dovevano trovarsi tanti altri resti
di organismi marini da non lasciare nessun dubbio in proposito.
Dopo questo tornai ripetutamente in quei luoghi, girai intorno
ad essi, nulla lasciando intentato, portai meco dei saggi di ar-
gilla per vedere se vi era qualche Poraminifera; ma tutto fu
inutile. Non mi restava, che esplorare la parte più a Sud della
Val d'Ambra cioè quel tratto che sta fra il paesello di Ambra
e Bricocolo: ciò feci con massima cura, ma i resultati furono
presso a poco gli stessi. Molti contadini possedevano denti di
Squalo ed uno di essi, quello che abita la- cascina denominata
Pian di Rapale, affermava di avere trovato uij dente di Squalo (*)
mentre scavava una buca allo scopo di atterrare un albero;
ma al solito, nulla potei vedere e raccogliere che giustificasse
il rinvenimento di simili fossili; per la qual cosa dovei finire
per convincermi che essi, od erano stati da qualcuno smarriti,
o i contadini del luogo gli possedevano per avergli raccolti nelle
non lontane crete senesi, ove spesso si recano per i loro com-
merci ed anche per trovarvi lavoro.
(') Quei del luogo (come la maggior parte dei contadini) chiamano i denti di
Squalo saette, come pure chiamano cosi le frecce dell* epoca neolitica abbondantissime
nella Val d*Ambra; però dalla descrizione che me ne faceva qael colono e dalle ri-
sposte date alle mie domande, potei assicurarmi, che si trattava proprio del dente
di uno Squalo.
264 6. RISTORI
Da tatto ciò dovei concladere, che il mare non era pene-
trato nella Val d'Ambra e molto meno vi era rimasto per lungo
tempo: anzi mi aspettavo che oltre Biricocolo avrei trovato
qualche ostacolo naturale, costituito dalle solite roccie eoceniche
tanto sviluppate in quei luoghi, il quale desse ragione del non
ingresso del mare in quella valle; ma con mia meraviglia ri-
scontrai, che le formazioni argillose e sabbiose seguitavano non
interrotte e a Giglio raggiungevano un altezza tale da superare
di parecchi metri il culmine di Biricocolo costituito di arenarie.
Solamente dopo essere disceso per un buon tratto nel despluvio
deir Ombrone ed avere raggiunto un livello molto inferiore alle
formazioni argillose e sabbiose di Giglio e al C!olle di Biricocolo,
a Maesto, lungo il torrente Coggia, trovai la via provinciale
ed il torrente stesso incassate nella roccia eocenica per una lun-
ghezza di 20 metri ; ma subito dopo a queste roccie si appoggia
una formazione di ghiaie grossolane di ciottoli, alternante con
sabbie ed argille, che raggiunge un notevole spessore e supera
r altezza delle formazioni eoceniche, per modo che la breve in-
terruzione dei depositi pliocenici incontrata a Maesto è più ap-
parente che reale; poiché tanto le argille e sabbie plioceniche
suindicate, quanto quelle di Giglio e dei dintorni di Campo-
vecchio e di Biricocolo, superano il livello delle roccie eoceniche,
che costituiscono V interruzione su m mentovata.
Stando così le cose, delle due una, o il livello delle acque del
lago del Valdarno, che si prolungava in un braccio per la Val
d'Ambra, era superiore a quello delle acque del mare pliocenico,
che occupava la Val d' Ombrone, per modo, che il rifiuto del
lago fluiva nel mare, o le formazioni di ghiaie, ciottoli, sabbie
ed argille alternanti che si trovano nei dintorni di Ombrone e di
Maesto ci rappresentano un cordone litorale, il quale impediva
che durante V alta marea le acque marine entrassero nel lago
a mescolarsi colle acque dolci. Ad avvalorare la seconda ipotesi,
che mi pare la più logica e la più naturale, credo opportuno
indicare la natura e la successione stratigrafica delle formazioni
ghiaiose e sabbiose, che s' incontrano presso Maesto ed Ombrone,
le quali essendo state in quelle due località erose dal torrente
Coggia, mostrano al nudo la loro costituzione, successione ed
alternanza di strati che è la seguente:
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL YALDARNO SUPERIORE EC. 265
Successione degli strati come si osserva presso Maesto
1. Sabbia con ciottoli Spessore Met. 2,80
^. Argilla turchina con grossi ciottoli .... » » 1, 70
3. Sabbia gialla » > 2, 00
4. Argilla turchina con grossi ciottoli .... » » 3, 60
Successione* i egli strati come si osserva presso Ombrone
1. Sabbia gialla Spessore Met. 2, 80
2. Argilla turchina con grossi ciottoli .... » » 3, 00
3. Sabbia coft ciottoli » » I, 60
4. Argilla turchina con grossi ciottoli .... » » ?
Da ciò si può benissimo argomentare che quelle formazioni ciot-
tolose, e sabbiose non ci rappresentino altro che depositi di
spiaggia; poiché anche le forme dei ciottoli sono quelle proprie
delle ghiaie marine. L' assenza assoluta di fossili in queste for-
mazioni, di fronte alla ricchezza di quelle che loro stanno a con-
• tatto immediato serve come di altra prova per dimostrarci che
quei materiali furono elaborati dalle onde, per cui furono to-
talmente distrutti i resti organici che potevano contenere. Ri-
tengo poi i suindicati depositi di origine marina; perchè essi si
trovano a contatto immediato con le sabbie ed argille ricchis-
sime di conchiglie marine fossilizzate: anzi a maggior prova
aggiungerò, che presso Maesto sulla sinistra del Coggia raccolsi
una valva di Cardium, e molti altri frammenti di conchiglie
appartenenti al medesimo genere: di più, negli strati sabbiosi
che alternano con quegli argillosi e ciottolosi, rinvenni un fram-
mento probabilmente appartenente alla cerniera di una bivalve
marina.
A rendere però così scarse di fossili marini quelle formazioni,
che come già dissi dobbiamo ritenere littorali, credo che oltre la
elaborazione meccanica dei materiali rocciosi, operata dalla furia
delle onde marine, si debba aggiungere la più o men grande
azione meccanica delle acque dolci del braccio del lago val-
darnese, il quale insinuandosi per tutta la Val d'Ambra si tro-
vava come già accennammo ad immediato contatto di quel cor-
done littorale, e forse concorse in piccola parte a formarlo.
266
0. ELTTORI
Questo braccio del la^o valdarnese, il quale occupava Fat-
tuale Val 'V Ambra, er^i li n^Aà insenatura di qualche impor-
tanza che interromiieva la line^ qua-si retta del suo littorale.
Infatti oltrepassata queìT insenatura le sponde del lago proce-
devano poco frasta'^lia':e fino a Laterina: oltre questa località,
venivano a stringersi e ad accostarsi notavo! mente fra loro, e
ciò in ragione dello sviluppo che prendono le rocce eoceniche
(arenarie; a Special uccio ed a Rondine; per cui fra Castiglion
ribocchi e Rondine abbiamo una notevole riduzione delle for-
mazioni lacustri. La linea inima;rinaria poi, che con direzione
Sud-Nord potrebbe riunire le due ultime località ricordate, de-
limiterebbe press' a poco le formazioni arj^jillose e sabbiose . ai)-
partenenti al pliocene, e quindi anche T estensione del lago dalla
(larte di Est-Nord-Est; poiché oltre i piuiti toccati da essa linea
immaginaria non si trovano più depositi i quali possano rife-
rirsi al pliocene, ma invece cominciano a sviluppar.sì le ghiaie
e le sabbie con quella successione ed alternanza di strati propria
del sottosuolo dellalpianura aretina appartenente al post-pliocene.
A propositi però di quest' ultima porzione dei depositi plioce-
nici del lago valdarnese, conviene che io faccia menzione di alcuni
fossili marini consistenti in due denti di squalo delle specie
Carcharodon sulcidens Agass. e Oj-ijrhina liastalis Agass. che il
Museo d'Arezzo possiede come provenienti da Palazzone, località
poco lontana dalla stazione ferroviaria di Ponticino. Però dalle
ricerche che feci in quella località dovei venire alle medesime
conclusioni, a cui mi condussero quelle eseguite in Val d'Ambra
allo stesso scopo e per la stessa ragione.
Questo è quanto poteva dirsi intorno al Valdarno superiore
0 alla Val d'Ambra da un osservatore diligente e spassionato,
all' uopo di mettere nei veri termini le controversie ultimamente
sorte sulle condizioni di quelle località nel periodo pliocenico.
Se il rinvenimento di altri fossili o 1' osservazione più sapiente
di fatti non venga a modificare V idee da me succintamente
esposte, è certo, che oggi non possiamo avere un opinione più
confacento a spiegare tutti i fatti che sono alla nostra conoscenza
per lo che basti per ora quello, che abbiamo detto del Valdarno
e veniamo alla Val di Chiana..
Ij' argomento che incominciamo a svolgere è stato studiato
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL YALDARNO SUPERIORE EC. 267
dal Verri (*), il quale in diverse note ne ha diflFusamente trat-
tato: esso però si è più specialmente occupato della Val di
Chiana romana e dell' antica deltazione del Tevere, che della
Val di Chiana toscana. Nondimeno incidentalmente ha parlato
anche di quest' ultima località», anzi in una sua nota ultima (^)
uscita ha modificate e corrette alcune idee antecedentemente
espresse, intorno al piano del pliocene, acni dovevano riferirsi
i depositi lacustri di Marciano, Foiano, Pozzuolo fino al lago
di Chiusi. Da ciò Y opportunità di tornare un poco suU' argo-
mento.
Oltrepassata la stretta di Capo di Monte e Chiani^ occupata
dalle formazioni quaternarie, che uniscono quelle dei dintorni
d'Arezzo con quelle della pianura della Chiana, percorrendo la
via che da Chiani conduce alla Badia al Pino si può vedere
come fino a Vicomaggio le formazioni quaternarie incise nel bel
mezzo del canale maestro della Chiana, riposino decisamente sui
terreni eocenici, che costituiscono la punta più avanzata Nord-Est,
dei monti che determinano il displuvio e lo sparti-acque della
Chiana dell'Ambra e dell' Ombrone. Da Chiani a Vicomaggio, la
strada segna il confine fra i terreni quaternari e le arenarie
eoceniche, die a sinistra della medesima prendo&o un grande
sviluppo; però lungo il torrente Lota le arenarie su m mentovate
vengono ricoperte in piccola parte da una formazione di sabbie
gialle della potenza appena di 4 metri: (juesta si allarga a mano
a mano, che si procede verso Sud e a Tuori ha già. acquistato
un considerevole sviluppo. Oltre quest' ultima località la vediamo
interrompersi più qua e più là per V affioramento delle arenarie;
ma il suo sviluppo è divenuto sempre maggiore; giacché passa
anche ad occupare una parte della valle del Leprone e del Riola.
A Montagnano questa formazione si allarga ancora di più ed
acquista veramente una considerevole potenza, formando delle
colline di 100 a 120 di altezza sul livello delle formazioni qua-
ternarie costituenti la pianura solcata dal canal grande della
(*) Verri Antonio— Sui movimenti sismici della Val' di Chiana. Rendiconti del
R. ht. lombardo Voi. X. — Id: Avvenimenti nelV interno del bacino del Tevere du-
rante e dopo il Pliocene. Atti Soc. it. di Scienz. nat Voi. XXI, p. 149. — Id. Sulla
Cronologia dei Vulcani tirreni e sulla idragrafia della Val di Chiana anteriormente
al pliocene, Rend. del R. Ist. Lomb. Serie II, Voi. XI, fase. III.
(•) Verri — Seguito alle note sui terreni terziari e quaternari del bacino del
Tevere,
268 G. RISTORI
Chiana, e prosegue non interrotta fino a congì ungersi con quelle
plioceniche marine di Chianciano e di Chiusi a Sud Ovest e con
quelle lacustri di Città della Pieve a Sud. I fossili che vi si pos-
sono raccogliere mostrano, che appartengono al pliocene lacustre.
La valle deir Esse quella dell' Infernaccio fino alla pianura della
Chiana sono tutte circondate da colline plioceniche. A Marciano
nei dintorni di Lucignano e di Monte S. Savino a Foiano a Farneta
a Valiano a Pozzuolo a Giojella, ed in molte altre località, si
possono raccogliere fossili appartenenti a diverse classi di ani-
mali di specie evidentemente plioceniche. Infatti il Museo geo-
logico di Bologna possiede resti di Elephas meridionalis rinvenuti
a Farneta, ove io stesso ho raccolto una porzione di scapola ap-
partenente a quella stessa specie. A Lucignano e nella valle
della Foenna furono qualche tempo fa rinvenuti resti di Mastodon
e di Elephas y e probabilmente anch^ essi dovevano appartenere
alle specie arverensis e meridionalis. I fossili però più caratteri-
stici, e che servono meglio a determinare V epoca precisa a cui
appartengono quelle formazioni, e le condizioni di quelle località
nel periodo pliocenico, sono le conchiglie lacustri, che si trovano
abbondantissime in molti luoghi, come presso Marciano in una
località detta Ponti prossima al fiume Esse a Foiano presso la
Madonna della Querce, a Farneta poco sotto la Villa a Valiano
presso la Cascina del Fuoco, a Pozzuolo, a Giojella nel botro del
Fossatone e a Casa Maggiore. In tutti questi luoghi ho io stesso
raccolti magnifici esemplari di conchiglie lacustri, che ora pos-
siede il Museo di Firenze e di cui credo bene darne la nota, che
debbo alla gentilezza del prof. Cesare D'Ancona, che sta stu-
diando quei fossili.
1. Anodonta sp. (an. A. Bronnii D'Anc?)
Fossatone presso Giojella.
2. Unio Pillce De Stef.
Ponti presso Marciano.
3. Dreissena Plébeja Dub.
Marciano.
4. Corhicula sp.
Marciano
5. Neritina sp.
Marciano.
6. ValvcUa interposUa De Stef.
Marciano.
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL YALDARNO SUPERIORE EC. 269
7. Mélanopsis fiammulata De Stef.
Marciano.
8. Vivipara Esperi Fer.
Giojella.
9. „ Belluccii De Stef.
• Marciano Farneta.
10. BUhynia sp.
Marciano.
A Marciano ho raccolto anche qualche dente di Tinca e di
Leìiciscus.
Per completare questa rapida rassegna delle formazioni la-
custri plioceniche della Val di Chiana e a maggiore intelligenza
del lettore, indicherò la successione naturale degli strati come
si trova in una delle località, più fossilifere. Scelgo a questo
proposito i dintorni di Marciano, come quelli che potei più mi-
nutamente esaminare e dove raccolsi il maggior numero di fossili
ed eccone la successione dall' alto al basso :
1.** Argille non 'fossilifere, e terreno vegetale;
2.' Argille ferruginose con Paludine, Valvate, Neritine,
Anodonte ec.
3.' Strati con Dreissene e tufi calcari ove in gran numero
sono riunite le Dreissene e dove si trovano i denti di Tinca e
di Leudscus.
4.** Sabbie con Unia, Anodonte, Dreissene, Valvate, Paludine,
Mélanopsis, Cyrene.
Come si vede dallo spaccato, gli strati fossiliferi sono alter-
nanti. Questa condizione di alternanza di sabbie e di argille
fossilifere la vediamo mantenersi più o meno esattamente nel
resto della Val di Chiana. I fossili che si raccolgono in quelle
formazioni mostrano che esse si deposero in seno ad un lago di
acque dolci o meglio leggermente salmastre; poiché V abbon-
danza delle Dreissene ci indica che le acque di esso lago non
erano perfettamente dolci e non lo potevano essere; inquantochè
le comunicazioni coi mari contemporanei, che lo cingevano da
Sud e da Ovest dovevano essere numerose. Una prima di queste
comunicazioni credo col Verri (*) che fosse per la Val di Foenna
(*) A. Verri — Seguito alle Note sui terreni terziari e quaL del Bacino del
Tevere. Atti della Soc. it. di Scienz. nat Voi. XXIII, fase. 3.^*
270 G. RISTORI
ed anche a Sud di essa: infatti percorrendo detta valle si incon-
trano le formazioni plioceniche lacustri fino ad Osteria presso la
stazione ferroviaria di Lucignano : quivi però vengono interrotte
dalle arenarie eoceniche di Rigomagno, le quali raggiungono
un' altezza di poco superiore alle formazioni del pliocene marino,
che sì trovano assai sviluppate a Casalta (*), e che seguitano
non interrotte anche nella Valle del Sentine fino a congiungersi
colle formazioni plioceniche marine dei dintorni di Rapolano e
della Val d' Ombrone. Inquanto alla Valle del Sentine e a quella
della Foenna dirò che mostrano evidenti prove della permanenza
del mare; poiché qua e la si veggono argille e sabbie Qontenenti
numerosi resti di conchiglie marine plioceniche, riposare sui ga-
lestri manganesiferi tanto sviluppati nella Valle del Sentine a
S. Martino ed a Selva. Il pliocene marino incomincia a Casalta
di la si allarga nella Valle del Sentine congiungendosi a Nord-
Ovest con quello della Val d' Ombrone e a Sud con quello dei
dintorni di Sinalunga e di Torrita.
A chi volesse dare poi una grande importanza allo sviluppo
che le arenarie eoceniche prendono nei pressi di Rigomagno, e
volesse vedere in corrispondenza di quella località uno sbarra-
mento fra il mare della vai di Sentine ed il lago pliocenico
della Chiana, farò osservare che V attuale scolo del Sentine e
della Foenna nella Chiana invece che nell' Ombrone, mostra evi-
dentemente che i terreni secondari, che costituiscono presso
Boninsegna, Romitorio e Camerino lo spartiacque fra il Sentine
e r Ombrone, superano in altezza le arenarie di Rigomagno;
quindi se il mare pliocenico che occupava la Val di Sentine,
comunicava, come è facile verificare, con quello della Val d' Om-
brone, superando col suo livello l'altezza raggiunta dalle for-
mazioni secondarie nelle summentovate località; tanto più do-
veva superare V altezza evidentemente minore, raggiunta dalle
arenarie nei dintorni di Rigomagno o più precisamente a Pa-
lazzuolo e alle Folci. In ogni modo, anche facendola meno della
Val di Foenna come braccio di comunicazione fra il lago plioce-
(*) Nella Carta geologica annessa ad un opuscolo del Verri intitolato: Alcune
linee sulla Val di Chiana e Ittoghi adiacenti nella storia della Terra; la valle della
Foenna a Ovest di Rigomagno e la Val di Sentine, sono segnate col colore convenuto
per il pliocene lacustre; invece io ho riscontrato^ che vi esistono formazioni plioce-
niche si, ma plioceniche marine.
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL YALDABNO SUPERIORE EC. 271
nico della Chiana ed il mare coiitemporaneo senese, basta vol-
gersi un poco a Sud per constatare, che le formazioni lacustri,
che seguono per piccolo tratto il corso della Foenna a Sud
d' Osteria, sono continuate dalle argille e dalle sabbie marine
di Sinalunga e di Torrita, le quali alla lor volta sono in di-
retta continuazione con quelle di Montepulciano, Chianciano e
Chiusi, che limitano ad Ovest -Sud -Ovest, anche secondo il
Verri (*) la massima parte delle formazioni plioceniche lacustri
della Val di Chiana e sono a queste contemporanee.
La vasta comunicazione però che il lago, in seno al quale
si deposero le formazioni plioceniche della Chiana, sembra avere
avuto dalla parte di Ovest-Sud-Ovest, ed anche di Sud (se si
giudica dair estesa continuità delle formazioni lacustri con quelle
marine) col mare pliocenico, che in allora occupava i dintorni
di Montepulciano, Chianciano, Chiusi, Sarteano, Cetona, contradice
la condizione di leggera salsedine delle sue acque, la quale ci
viene evidentemente dimostrata dai fossili, che oggi si possono
raccogliere nei suoi depositi. Infatti quei fossili ad eccezione
delle Dreissene, appartengono tutti a generi e specie di molluschi
proprie delle acque dolci, e quindi disadatti a vivere in acque molto
salmastre. Tali condizioni non possono mettersi in relazione coi
fatti che oggi si osservano, a meno che non si supponga una
più o meno continua barriera, che limitasse alnfieno in parte
una tanto vasta comunicazione, che non poteva misurare meno
di 30 chilometri. Le formazioni costituenti questa barriera, che
doveva essere anteriore alle deposizioni del lago e del mare
pliocenico, oggi non esiste, e sarebbe quindi per noi cosa affatto
gratuita il supporne Y esistenza anche in quelle remote età, da
ciò la necessità di ricorrere, per ispiegare il fatto, ad una più
logica supposizione, cioè all'esistenza, ammessa pure dal Verri (*),
di un cordone litorale, che doveva necessariamente interrompere
in gran parte, la comunicazione del lago col mare da quella
parte.
Tali, è logico supporre che fossero le condizioni della Chiana
toscana e di parte di quella romana nel periodo pliocenico. Le
estese formazioni di ghiaie, sabbie ed argille, che come dicemmo,
(*) A. Verri — Seguito delle note sui terreni terziari e quaternari del bacino
del Tevere, Soc. ital di Scienz. nat. VoL XXIIl, fase. 3P
(«) Id. - Id. Soc. it ec. Voi. XXIII, pag. 287.
272 6. RISTORI
contengono numerosi avanzi fossili di una fauna decisamente
pliocenica, e simile in parte a quella del Valdamo superiore, si
devono riferire al piano geologico, a cui appartengono quelle
di quest^ ultima località, e si devono senz' altro ritenere contem-
poranee e quindi argomentarne la coesistenza di quei due vasti
laghiy i quali però, come si può anche dimostrare basandosi
sulla differenza, che evidente emerge dal confronto delle due
faune malacologiche, non si trovavano nelle medesime condizioni
né erano fra loro in comunicazione, come potrebbesi, e forse
come si h da qualche geologo creduto. Ma poiché quest' argo-
mento è in diretta relazione colle condizioni in cui si trovavano
nel periodo pliocenico i dintorni della città d' Arezzo ora rico-
perti dalle potenti deposizioni di un lago quaternario, il quale
superata la stretta di Capo di Monte, si estendeva anche ad una
gran parte deir attuale Chiana toscana, e ne formava il sotto-
suolo della pianura. Da ciò la ragione di cominciare subito a
trattare dei dintorni della città d'Arezzo e conseguentemente
dei terreni post-pliocenici.
POST'-PLIOCENE
Sarà inutile che io torni a ripet>ere, come i dintorni della
città d' Arezzo non presentino, air occhio deir osservatore, che
una formazione di considerevole potenza costituita di ghiaie,
sabbie ed argille che riposano unitamente ad alcuni strati di
lignite di non grande spessore su di una argilla turchina con-
tenente resti di conchiglie fluviatili tutte, appartenenti a specie
già conosciute e decisamente quaternarie o tuttora viventi.
Negli strati stessi di lignite, che qua e la si mostrano di spessore
variabile ed appariscono nei profondi tagli della pianura operati
dal torrente Castro e dal torrente Vingone non che dalla por-
zione più a Nord del fiume Chiana e più specialmente nei pressi
di Quarata, si possono raccogliere abbondanti i resti e le im-
pronte di Paludine, di Anodonte, di UniOj di Planorbis, di Limnee, di
Valvate, di Pisidium e di Cyclas, tutte appartenenti a specie già
indicate dal prof. Igino Cocchi, in una sua ultima nota intitolata
(Nuavi fossili del Vingone e della Chiana. Non starò qui a ripetere
il nome di quelle specie determinate dal prof. Cesare d'Ancona:
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL YALDABNO SUPERIORE EC. 27S
dirò solo che apparteagona tutte a specie quaternarie o viventi,
e servono benissimo, unitamente alla fauna mammologica e alla
flora fossile, a determinare V orizzonte geologico a cui debbono
riferirsi quei depositi ('), i quali si veggono riposare direttamente
sulle arenarie eoceniche o sui calcari alberesi, o sulle argille
scagliose e schisti argillosi, di cui è costituito il sottosuolo della
pianura aretina al pari dei monti che la limitano, e dei bassi
colli di Patrignone, di Ciciliano, di Puglia, di Montioni e di
S. Maria, che la interrompono.
ÀI di sotto di queste formazioni quaternarie, per la fauna e
per la flora fossile che in se racchiudono, era logicamente pre-
supponibile che si sarabbero trovate delle formazioni plioceniche
come diretta continuazione di quelle del Valdarno superiore o
della Val di Chiana; ma per quanto accurate e diligenti sieno
state le mie ricerche a questo proposito, non mi fu possibile
d' incontrare il ben che minimo rappresentante dei terreni plio-
cenici e tanto meno rinvenni dei fossili riferibili a quel periodo.
Avevo visti accennati, in uno scritto del prof. Carlo De-Stefani (*)
alcuni fossili marini pliocenici che egli, sotto l'autorità, del Verri,
cita come trovati lungo le rive del torrente Vingone e del
torrente Castro e conservati nel Museo d' Arezzo insieme colla
mandibula di una Balena rinvenuta a Montioni nel 1663; mi
recai a quel Museo, e fattane diligente ricerca, potei vedere quei
fossili, che si trovavano nella collezione di conchiglie marine
plioceniche senza essere determinati, e quello che è peggio senza
neppure portare scritta V indicazione della località, dai cataloghi
solo potei constatare che erano stati portati a- quel Museo come
raccolti presso il torrente Vingone; mentre alcune altre con-
chiglie marine, che trovai in una cassa, che giaceva abbando-
nata nel magazzino, erano accompagnate da un vecchio cartel-
lino, in cui erano scritte queste precise parole: 21 Conchiglie
fossili trovate nel Castro sopra ad Arezzo. Questi fatti crebbero
la speranza e il fervore nelle mie ricerche; ma mio malgrado,
dovei pienamente convincermi che nei dintorni d'Arezzo non
solo non esistevano fossili marini pliocenici, ma neppure terreni,
(*) Cocchi — U uomo fossile nell'Italia centrale, Estr. dal Voi. Ili, delle me-
morie della società ital. di Scienz. nat. pag. 5.
(*) De Stefani — Molluschi continentali plioc. (Atti della Soc. tose, di scienz.
nat. Voi. V, anno 1881.
Se. Nat. Voi. II fftscic. 2. 18
274 fi. RISTORI
che gli potessero cooteaere. Tutte le frane, tatte le incisioDi
operate dai torrenti che solcano in vari sensi quella pianura»
tutte le pendici scoscese, che mostrano a nudo gli strati, furono
da me diligentemente visitate e vi furono fatte le più accurate
e minuziose ricerche; ma da per tutto non rinvenni altro che
depositi lacustri e lacustri quaternari sempre disposti nel modo
anzidetto, colla solita successione di strati (*), con una orìzon*
talità quasi perfetta e contenente fossili lacustri post-pliocenici,
nessun indizio di terreni più antichi e di fossili pliocenici.
D' altra parte, tornando ad esaminare più accuratamente le
conchiglie marine conservate nel Museo d' Arezzo, come prove-
nienti dai dintorni della città, le quali volli anche determinare
e darne qui la nota {% mi accorsi che esse erano state raccolte
parte nelle sabbie, parte nelP argille, parte staccate da calcari
forse miocenici, e mostravano caratteri così diflFerenti di fossiliz-
zazione da escludere assolutamente la provenienza loro da una
medesima località. Queste osserva/ioni messe a contributo colle
mie infruttuose ricerche e colla confusione che esiste e nei ca-
taloghi e nelle collezioni del Museo d' Arezzo, ove quello che è
meno curato si è appunto l'indicazione precisa della provenienza
dei fossili, che vi si conservano, è naturale che destino il mas-
simo sospetto sulla provenienza attribuita a quelle conchiglie
marine, ed inclino quindi a credere che sieno state raccolte nelle
crete senesi o nei dintorni dì SinaUinga e di Torrita; tanto
più che la cassetta contenente le conchiglie distinte col cartellino
di cui trascrissi più sopra la precisa dicitura, era ripiena di
altre conchiglie marine fossili disposte colla più grande confu-
sione, e che indubbiamente provenivano da Chiusi e da Cetona;
(*) Per la successione dei depositi lacustri costituenti la pianura aretina ve^i i
ta^li fatti e riportati dal Cocchi nella sua memoria L* uomo fossile nelV luUia cen^
frale, pag. 45-46.
(*) Con indicazione di provenienza Con indicazione di provenienza
dal Vingone dai Castro
Murex Pecchiolanus D'Anc. Cardium hians Broc. (2 modelli interni)
Cerithium vulgatum Brug, Pectunculus pilosus Lin. (4 valve)
Ostrea sp. ind. Spondylus goederopus Lin. (4 valve)
Cardium multtcostatum Brocc. Pecten opercularis Lin. (i valve sup.)
Arca mytiloìdes Brocc. Cytherea sp. ind. (2 modelli interni)
Lucina sp. ind. (3 modelli interni)
Ostrea edulis L. Om. (3 valve)
Cardila sp. ind. (1 modello intemo)
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SOL YÀLDABNO SUPERIORE £C. 276
giacché questo ripetutamente affertuava il sig. Angiolo De-Giudici
interrogato da me in proposito.
Nulla aggiungerò sul valore paleontologico della mandibola
di Balena trovata a Montioni per questo rimando alla nota (^)
ultimamente fatta dal prof. Igino Cocchi e comunicata alla So-
cietà toscana di scienze naturali residente in Pisa; e solo dirò,
che a Montioni non esistono terreni che possano contenere si-
mili fossili, e le Argille turchine ricche di resti di conchiglie flu-
viatili quaternarie, che sono messe allo scoperto, presso quella
località causa le profonde erosioni del torrente Castro e del
torrente Maspino, si veggono direttamente riposare sulle are-
narie eoceniche che aflFacciansi frequentemente lungo V alveo e
neir alveo stesso del torrente, primo rammentato. A questo si
aggiunga, che la mandibola di Balena è molto discutibile se sia
veramente fossile, e per esperienze da me fatte su di un fram-
mento che ne staccai, non dubito punto di credere che quel
resto organico appartenga a specie tuttora vivente, e sia stato
colà portato ed inumato dall' Uomo: certo è che non appartiene
ad un animale che visse nell' acque stesse, che operarono le
deposizioni, da cui era ricoperto.
Ad ogni modo credo potere affermare colla certezza di non
essere smentito, che non esistono nei dintorni d'Arezzo terreni
pliocenici e tanto meno terreni pliocenici marini: solamente le
formazioni quaternarie ivi acquistano grande sviluppo e succe-
dono immediatamente ai terreni eocenici senz'alcun intermediario.
A quest' ultima affermazione però si. oppongono le conclusioni
del Forsyth Major^ il quale in una sua nota intitolata: Sul li--
vello geologico del terreno in cui fu trovato il così detto Cranio
dell' Olmo ( ), afferma che sulle rive della Chiana presso la sua
confluenza nell'Arno, quindi poco lungi da Ruballa, nell'argilla
sottostante alle ghiaie e sabbie quaternarie fu scavato nel 1869
un molare di Elephas meridionalis Nesti; e di più che il Museo
d'Arezzo, possiede numerosi resti di una fauna mammologica
decisamente pliocenica, però senza indicazione di località!
Inquanto ai resti di mammiferi pliocenici conservati nel
Museo d' Arezzo, non potendosi sapere, anche secondo il Major
(*) Cocchi — Nuovi fossili del Vingone e della Chiana. Atti della Società tose,
di Scieaz. nat. Voi. IV, processi verbali, 4 maggio 1884.
(•) Bull, della Soc. Ital. di Antropologia. Adunanza 20 aprile 1876.
276 6. RISTORI
]a località da dove provengono^ non possono essi servire di
nessuna prova attendibile; tanto più che dai cataloghi di quel
MuseOy per quanto sieno in grande disordine, io stesso ho potuto
riscontrare, che parecchie delle ossa di mammiferi ivi conservate
provengono dal Valdarno superiore e. dalle colline plioceniche
della Val di Chiana toscana. Il dente molare sopra citato però
sarebbe di grande valore, quando non si potessero fare molte
osservazioni ed esporre i seguenti fatti: 1." II rinvenimento di
resti di Elephas primigenius , di Cervus eurycet^os, di Boa pri"
migenius e di altre specie di mammiferi quaternari, non che
di conchiglie lacustri pure quaternarie, fatto in quel medesimo
strato argilloso ed in quella medesima località ove il Major affer-
ma essere stato scavato il dente molare in questione. 2.* Nel
Museo d' Arezzo non esistono denti molari di Elephas merìdionalis
coir indicazione di essere stati ritrovati a Quarana, a Ruballa, a
Ponte a Buriano, o in altre località presso alla confluenza della
Chiana nell' Arno. 3." Nei denti molari di E. meridionalis pos-
seduti dal detto Museo è manifesta la fossilizzazione caratteri-
stica delle ossa fossili del. Valdarno superiore. 4.* 11 sig. Major
non dice di essere stato |)resente all' escavazione del fossile,
quindi dovè fidarsi dell' indicazione di persone estranee alla
scienza, che tanto facilmente sogliono ingannare. 5.® La fauna
mammologica fin' ora rinvenuta nei dintorni di Quarata e sulle
rive del fiume Chiana è decisamente quaternaria (').
Dimostrata cosi 1' assoluta mancanza dei terreni pliocenici
nei dintorni della città d' Arezzo, resta a cercarsi il perchè di
quest' assenza, mentre come vedemmo fino da Vicomaggio in
Val di Chiana e da Rondine in Valdarno sì incominciano a tro-
vare terreni pliocenici. Ora come è che i laghi pliocenici che
occupavano il Valdarno da una parte la Val di Chiana dalF altra,
non invasero anche ì dintorni d' Arezzo e non operarono in essi
le loro deposizioni? Per trovare una spiegazione a questo fatto,
conviene rintracciare le condizioni in cui si trovavano nel perìodo
pliocenico i dintorni della città d'Arezzo; poiché esse sole de-
vono e possono darcene la ragione. Le deposizioni quaternarie
(0 In qaei luoghi nello strato argilloso che affiora sulla sinistra della Chiana
alla sua confluenza neirArno, io stesso ho raccolto conchiglie lacustri appartenenti
alle seguenti specie quaternarie: Bithynia tentaculaia L. Valvata piscinalis MiilL,
Planorbis spiralis L.
CONSIDERAZIONI GEOLOGICHE SUL YALDARNO SUPERIORE EC. 277
della località, che ci occupiamo, raggiungono uno spessore con-
siderevole, e come dicemmo, liposano sulle arenarie, sui calcari
alberesi e sui galestri, le quali rocce assorgono in moltissimi
punti nel mezzo della pianura a dimostrarci come sia costituito
il sottosuolo più profondo. A chi osserva attentameate quei
colli, che interrompono qua e ih la pianura suddetta, si affaccia
subito alla mente T idea che le formazioni eoceniche di cui sono
costituiti abbiano subito un abbassamento ('), per il quale quella
località fu invasa dalle acqile, che vi deposero le ghiaie le sabbie
e le argille, ricoprendo così le più antiche formazioni che oggi
sporgono più qua e più là dalle deposizioni quaternarie inva-
denti, al modo stesso che sporsero quali isole durante il sog-
giorno del lago in quella uiedesima località.
Il non trovarsi, negli strati più bassi costituenti il riempi-
mento ed il ripianamento di quella depressione, né terreni né
fossili pliocenici, mentre questi e quelli esistono a piccola di-
stanza, dimostra chiarameinte che quella regione doveva nel
periodo pliocenico essere sollevata e quindi neir impossibilità
e in tal condizione da non si effettare nuove deposizioni sulle pre-
esistenti eoceniche; giacché i nuovi terreni si formano solamente
quando una data regione si trovi depressa: altrimenti la denu-
dazione operata dagli agenti atmosferici, invece di ^creare di-
struggerà parte delle formazioni preesistenti. L' opinione che
durante il pliocene si trovassero sollevati e fuori del dominio
delle acque i dintorni d'Arezzo, fu prima che da me manifestata
dal Verri (^-), il quale però estendeva questo sollevamento anche
a tutta quanta la Chiana toscana. Dopo ulteriori studi V autore
succitato modificò un poco le sue idee(^), mantenendo sempre
la credenza che le acque del lago pliocenico della Chiana e
anche quelle del suo lago quaternario, che V uno dopo V altro
l'occuparono, fluissero nel Tevere e non già come oggi neWArno.
Quest' ultima idea é oggi universalmente acccettata e tutti siamo
d' accordo a ritenere che le acque del lago pliocenico e quindi
(*) Verri — Avvenimenti neW interno del bacino del Tevere antico. Atti deUa
soc. itaL di scienze naturali. Voi. XXI, an. 1878, pag. 176.
(*) Verri — Sulla Cronologia dei Vulcani terreni e sulle orografia della Val di
Chiana anteriormente al pliocene. Rendiconti del R. ist. lomb. Ser. II, Voi. XI, fascili.
(■*) Verri — Seguito alle note sui terreni terziari e quaternari del bacino del
Tevere, Atti Soc. ital. di Scienz. nat. Voi. XXIII.
278 G. RISTORI
quelle del lago quaternario della Chiana e del contemporaneo
dei dintorni d'Arezzo fluissero verso Sud. Però da molti si crede
che il flusso delle acque verso Sud si debba generalizzare anche
al lago pliocenico del Valdarno superiore. Ora mentre nulla si
può opporre alla prima idea, i fatti da me esposti riguardo le
condizioni, in cui si trovavano i dintorni d' Arezzo nel periodo
pliocenico, contradicendo la seconda ci costringono a combat-
terla, perchè se le acque di quel lago pliocenico' si fossero
scaricate nella Val di Chiana e conseguentemente i due laghi
contemporanei e pliocenici della Chiana e delTArno si fossero
trovati in diretta comunicazione, non potevano mancare nei
dintorni d'Arezzo ne fossili né terreni propri di quel periodo
geologico. L' assenza di questi che si riscontra per tutta quanta
la pianura aretina, mostra come dissi e qui mi piace ripetere,
che i dintorni di essa città si trovavano allora sollevati ed impe-
divano quindi il flusso da quella parte alle acque del Valdarno
superiore ( ;. Ma non basta l'Arno scendendo dal Casentino e tro-
vando quei terreni sollevati non poteva dirigersi a Sud, come
poi per circostanze mutate fece nell'epoca quaternaria; quindi
doveva come oggi volgere verso il lago del Valdarno superiore
e scaricarsi in esso^*;, contribuendo così in gran parte a col-
marlo e a fornirgli le acque necessarie a mantenerne la vastità.
Quest' ultima opinione scuoterà alquanto l' idea ormai da un
pezzo professata dai geologi che 1' Arno fino dal pliocene fosse
tributario del lago della Chiana; ma quando si ammetta Ccome
mi sono sforzato di dimostrare) il sollevamento della regione,
oggi occupata dalla pianura aretina, durante il pliocene, il fiume
non poteva fluire da quella parte, a meno che non si facesse
strada attraverso ai monti, fino ad incidere quelli che esiste-
vano fra Poggiale e Capo di Monto e costituire il taglio e la
stretta oggi esistente fra le due località summentovate. Con-
viene però osservare che quella stretta oggi è solo occupata da
(') Il Cocchi dopo aA'ere ammesso che le ac({ue dell'Arno e quelle del lago val-
darnese fluissero verso Arezzo, non sapendo più da quali acque fosse mantenuto il vasto
lago valdarnese, ricorse alT ipotesi che esso lago ne ricevesse dalla parte di Nord-
Ovest. (Cocchi - V Uomo fossile nelC Italia centrale, p. '^H,
(*) Era più naturale che l'Arno si volgesse da quella parte, da che le formazioni
plioceniche che s'incontrano fino da Rondine mostrano, che il fiume aveva minor quan-
tità di roccia da erodere da ({uella parte per raggiungere la bassura del Valdarno di
quello che non avesse da Sud per incontrare a Vicomaggio quella della Chiana.
CONSIDERAZIONI GBOLOQIOfl£ SUL VALDARNO SUPERIORE SC. 279
formazioni quaternarie, e quindi è logico far rimontare a quel-
r epoca la sua origine e non ad una anteriore; tanto più che
in questo modo si trova che la sua formazione è in corrispon-
denza del generale abbassamento dei dintorni d'Arezzo, il quale
diede luogo al Iago quaternario e alla deltazione operata dal-
l'Arno in esso lago e nel successivo della Val di Chiana comu-
nicante col primo per la suindicata stretta di Capo di Monte.
Per ciò che riguarda il vuotamento del lago del Valdarno,
questo non poteva succedere altro che per la potenza raggiunta
dai depositi operativi dall' acque da una parte, e dall' altra per
r abbassamento subito dai dintorni della città d'Arezzo sul finire
del periodo pliocenico; per il quale abbassamento, come dicemmo,
si formò il lago quaternario che comunicava con quello con-
temporaneo della Val di Chiana, e l'Arno cessò di essere tribu-
tario del lago pliocenico valdarnese, e trovò il suo naturale scolo
verso la depressione dei dintorni d'Arezzo e la colmò operandovi
quella deltazione che si e^stese anche a buon tratto della pianura
della Chiana dopo avere superata la stretta dì Capo di Monte.
Le idee qui esposte mi vennero in mente or fa un anno
allorché intrapresi un ascursione nei dintorni d'Arezzo allo scopo
di ricercare ivi il pliocene marino, di cui sospettavo l'esistenza
dopo la lettura dei lavori del prof. Carlo De-Stefani.
Chiuderò questa nota geologica colla speranza di aver fatto
per parte mia, qualche cosa che concorra, almeno per i fatti e
le osservazioni esposte, a fare un poco di luce sull' argomento.
M. CANAVARI
POSSILI DEL LIAS INFERIORE
DEL
GRAN SASSO D'ITALIA
RACCOLTI
DAL PROF. A. ORSINI SELL'ASìiO 1840
Adunanza siraordinaria del di 14 decambrt 1884
Una preziosa raccolta di fossili della più elevata montagna
dell'Appennino si trovava nel museo geologico di Pisa, celata
agli occhi del pubblico in uno dei molteplici cassetti nei quali,
per ristrettezza di spazio delle collezioni esposte, sono racchiusi
tanti e tanti tesori scientifici. Ricercando in quei cassetti fu per
me una somma fortuna di rinvenire tale raccolta e leggere nelle
etichette di essa e sugli esemplari stessi delle roccie la data 1840.
Verso questo tempo V infaticabile prof. A. Orsini, per ricerche
botaniche e geologiche, e in quest' ultime valevolmente coadiu-
vato dal conte A. Spada Lavini, aveva già percorso e ripercorso
tutto quel tratto di Appennino che, dalle Alpi della Luna al
Nord, si estende a mezzogiorno sino alle grandi catene del
Monte Corno e della Maiella. Di quasi tutti gli e>eraplari è in-
dicata la provenienza, e su alcuni si legge, di scrittura del-
l' Orsini medesimo : Coni alti del Piccolo Corno, Coni ultimi del
Piccolo Corno, o finalmente Vetta del Corno Piccolo; ciò che fa
arguire eh' egli raggiungesse le sommità, di questa parte del
Gran Sasso, ritenuta generalmente impraticabile anche sino a
[6] FOSSILI DEL LIAS INFERIORE DEL GRAN SASSO d' ITALIA ECC. 281
questi ultimi tempi. Noi avemmo gik occasione di dire: „ Ora
la montagna (Gran Sasso d' Italia) è riconosciuta non difficil-
mente accessibile quasi da ogni lato e viene percorsa e ascesa
di frequente da studiosi e da escursionisti. Solo la vetta del
Piccolo Corno, che, veduta dal Teramano, si presenta come il
Dente del Gigante, non è stata ancora raj^giunta; ma ciò
non deve sorprendere quando si pensi che qua mancano le guide
esperte e coraggiose che si trovano nelle regioni alpine „ (*).
Chi ebbe la ventura di conoscere V Orsini, o di sentire la
fama eh' egli ha lasciato di se nei montanari deirAppennlno,
che più e più volte lo videro cimentare la vita in alpestri bur-
roni per cogliere una pianta rara o estrarre dalla roccia un
pietrefatto, non si meraviglierà al certo nel sapere eh' egli, dopo
aver esplorato buona parte dell' Appennino, si avventurasse
eziandio, con esito felice, di raggiungere e scrutare il punto più
aspro e più difficile di tutta la catena. La memoria di una si-
mile escursione non ci fu tramandata da nessuna pubblicazione,
e sono lieto di poter ora ricordare un fatto sconosciuto, non
tanto in riguardo alle difficoltà superate, quanto per le raccolte
paleontologiche fatte in queir eccelso picco dell' Appennino
abruzzese.
Sulla vetta del Corno Piccolo prevale un calcare grigio-ch aro,
talora con selce, identico litologicamente a quel lembo che si
trova alla Conca degli Invalidi e che rapportammo al Lias
medio (-). Risulta qua^i completamente costituito di frammenti
di steli di crinoidi {Miller ter inus sp., Pentacrinus cfr. basalliformis
Mttnst.) e di radioli di echinodermi. Fra questi sono rimarchevoli
alcuni esemplari, tre dei quali qui figurati (tav. VI, tìg. 14-16),
e indicati come Cidaris sp. ind. Essi hanno qualche analogia con
i radioli della Cidaris fiorigemma Phill., specie frequentissima
nel Giura. L'esemplare indicato con la fig. 16 è quello che si
avvicina di più a questa specie per la regolare disposizione lon-
gitudinale dei granuli spiniformi; tutti però se ne allontanano
*per non avere i granuli riuniti mercè un sottile filetto, ciò che
si osserva costantemente nella C. fiorigemma Phill. Si aggiunga
(*) La regione centrale del Gran Sasso d* Italia, Osservazioni geologiche di
L. Baldacci e M. Canavari (con tavola di Rezioiii). Bollettino d. R. Com. geol.
Voi XV, pag. 347. Roma, 1884.
n i. e.
t^^i %. CASIVIRI 'T
infine che la forma del Gran Sasso sì trova associata ad altri
foj^ili %\fh\X'AX\W ;ì] Lias meglio. Cosi ne^Ii esemplari di roccie
della sommità del Piccolo Corno abbiamo notato V impronta di
una ammonite mal definita, ma che pur tuttavia sembra essere
dì Sfiecie appartenente al gruppo del Harpoceras algorianum Opp.,
eri una l/ellìssima Ijepfaena V), la quale corrisponde perfettamente
alla Ijefdaena fornicala Canav.; specie entrambi del Lias medio,
e la seanida rinvenuta già alla Conca degli Invalidi {*). Havvi
quindi anche corrisponden/a paleontologica tra i calcari della
vetta del Corno V\cca)\o e quelli della Conca degli Invalidi, ciò
che viene a convalidare V interpretazione stratigrafica che il
Baldacci ed io avevamo data della tettrmica del Gran Sasso
nella se/ione 8.-N. intersecante il Corno Grande e il Corno
l'iccolo, dopo avei* percorso tutto il primo picco ed esserci li-
mitati ad osservazioni nelle pendici occidentali e settentrionali
del secondo, senza toccarne la sommità ().
Sì deve però anche dire che un esemplare in cui è scritto
(Joni alti del Piccolo Corno, 1840, risulta di un calcare bianco,
crÌHtallino, farinoso, identico a quello della maggiore vetta del
Gran Sasso, e spettante al Lias inferiore. Da questo frammento
di roccia Iio potuto estrarre un fossile benissimo conservato,
elio corrÌ8|)onde alla (Jhemnitzia (Oonia) iurgidula Gemm., specie
del liias inferiore. Non ò improbabile che questo pezzo di roccia
sia stato tolto dai coni più orientali, nei quali, oltre il Lias
inferiore, dove succedere anche il Trias; ma in ogni modo tale
fatto fa supporre che qualche lieve complicazione stratigrafica,
dal lialdacci e da me non potuta rilevare, implichi le sommità
del Piccolo Corno.
Oltre ai sopra citati fossili del Lias medio T Orsini ne rac-
colse altri nella vetta del Gran Sasso, alcuni dei quali portano
r indicazione: Punta a Levante del Corno Grande. Per la maggior
parto sono ossi minuti gasteropodi con qualche raro lamelli-
■
(M QilOHta ologaiito conolìi^j^liu fu Rtudiuta dal Meneghini, che, riconoscendola'
nuova, la ohiauiò Lrpiat*na Orsinii, Non ini era noto 1* esemplare in parola quando
io iloncrin»! itlontion »pocio col nomtMiì L , fornicata {Contribuì. Ili alla conosc, d.
nmch. </. Str II 7*. Aspasia Muh. eoe. Atti Soc, tose, d. Se. nat. Voi. VI, Pisa,
I8S3) |)oiolu^ alirìmonti avriM con^torvato quel nome in segno di rispetto e di vene-
ratione al M.i<^«(rtì « a ricordo M prof. A. Orsini.
{^) La i*^ioii(» i*entr. d, (h-ttn Sasso ecc.. pag. 1^53.
v^) /. i\ Tav. vn, tÌK. a.
[8] FOSSILI DEL LIAS INFERIOBE PEL GBAN SASSO D^ ITALIA ECC. 283
branco, pregievolissimì per rara conservazione, sijwili a quelli
che già vi rinvenimmo (*), riferibili al Lias inferiore e corrispon-
denti a quelli del calcare cristallino di Sicilia, interposto tra
gli strati a T. Aspasia Mgh. e il Retico (*).
L* oggetto principale della presente nota h la descrizione di
questi eleganti fossili, nelle cui superficie si sono potuti rilevare
i più particolareggiati caratteri della conchiglia, ciò che forse
varrà a scusare i soverchi nomi nuovi usati anche per esemplari
conservati solo in frammenti. Ho colto poi V occasione per figu-
rare e descrivere anche un crinoide (tav. VI, fig. 17) rinvenuto
dal . Baldacci e da me, insieme ad altri fossili, nel Lias inferiore
esteso al vallone della Grotta dell'Oro (^).
DESCRIZIONE DELLE SPECIE
MOLLUSCA
CI. 6ASTR0P0DA
Gen. Searrlopsls Gemm.
Scnrriopsis (?) Orsinìi n. f.
Tav. VI, ùg. 12.
•
Altezza nam. 5,5
Diametro antero-posteriore > 9
» laterale » 9
Conchiglia spessa, subconica, a base quasi circolare, convessa
posteriormente e anteriormente alquanto concava. L' apice è un
poco spostato verso la parte anteriore e termina con punta
mammillare. La superficie è ornata da numerose e sottili co-
stole radiali che vanno diminuendo in grandezza dalla base verso
(*) La regione centr. d. Gran Sasso ecc., pag. 351 .
(*) G. Gbmmellaro, Sopra ale. faune giur, e lias. di Sicilia ecc. Palermo,
1872-82.
(3) La regione centr, ^d. Gran Sasso ecc. pag. 351. ^
284 M. CANAVARI [9]
la regione apiciale. Con una semplice lente di ingrandimento
sono inoltre visibili delle sottilissime linee o rughe concentriche.
I caratteri interni, relativi alle impressioni muscolari, sono
sconosciuti.
Per la ornamentazione questa forma si rapporta al genere
Scurriopsis come fu definito dal Gemmellaro ('), ma se ne
allontana per la conformazione dell'apice terminante in punta
mammillare, carattere che la farebbe invece riunire al genere
Scurria. Nelle specie però di questo genere si rileva quasi co-
sta ntemente la mancanza delle costicine radiali.
La Scurriopsis (ì) Orsinii u.f. porgli ornamenti esteriori ricorda
le specie del Lias inferiore Se. Neumdyri Gemm., Se. Sarloriusi
Gemm., Se. Blakei Gemm. (*) ravvicinandosi però maggiormente
a quest' ultima. Da tutte poi facilmente si distingue per la forma
del contorno della base, che è quasi circolare e non ovale o
ellittico, e per le indicate concavità e convessità rispetti vament;e
posteriore ed anteriore.
Gen. Lilotla Gray.
Lietta circamcostata Ganav. *8p.
1879. Straparollus circumcostatus Canavari, Sui foss. d. Lias inf.
nelVApp. Centr. Att. d. Soc.
tose, di Se. nat. Voi. IV, pag.
147, tav. XI, fig. 3.
1872-82. Liotia circumcostata (Canay. sp.) Gemmellaro, Sopra ale.
faune giur. e lias. di Sicilia. In
nota, pag. 340.
1880. „ ^ Cànàyabi, La montagna del Suavieino, .
Boll. .d. R. Com. geol. Voi. XI.
pag. 61.
•
Un piccolo frammento di anfratto, in parte racchiuso nella
roccia, corrisponde completamente agli esemplari raccolti nel
Lias inferiore di altre località dell'Appennino centrale (San vicino,
Grotte di S. Eustachio). Esso misura mm. 6 di lunghezza ed è
ornato da tre costole trasversali con piccole prominenze o tu-
(*) Sopra ale, faune giur, ecc,, pag. 379.
(«) /. e.
[10] F038IU DEL LIAS INFEUfORC DEL ORÀN S\SSO U^ ITALU EC. 285
berceli nei margini interno ed esterno. Questi tubercoli sono
appaiati nel margine ombilicale, però non tutti hanno eguale
grandezza, e quelli che si trovano nella parete interna sono i
più piccoli. Le strie longitudinali sottilissime, poco numerose,
passano anche sopra le costole e sui tubercoli: se ne contano
circa 7 nella metà visibile di un anfratto, che ha il diametro
di mm. 3. Esse sono meno numerose di qn^le che si riscontra-
rono neir esemplare originale. La bocca non h conservata e la
sezione dell' anfratto, quando non corrisponde alle costole, è
pressoché circolare, quando vi corrisponde si osservano piccole
sporgenze relative ai tubercoli delle costole stesse.
Questa specie, che rapportai al genere StraparcHlm, deve
ascriversi alle Ldatioe, come fece osservare giustamente il Qem-
mellaro. Si noti poi che le forme più antiche dì Liotiae erano
titoniane.
Per gli ornamenti degli anfratti, consistente in costole tra-
sversali variciformi e in istrie longitudinali, la descritta specie
ricorda assai una specie frequentissima in Hierlatz e nelle Alpi
di Gratz (*) che appartiene a tutt' altro genere, e cioè la Neritepsis
elegantissima HOrnes. L' "accrescimento degli anfratti , la depres-
sione della spira cosi pronunciata da dare alla conchiglia la
forma quasi discoidale, e T ampio ombilico, stabiliscono subito
nella specie ddir Appennino diversità generica (J).
(*) F. Stoligzka — Ueb, d, Qastrop, ti. Aceph. d. Hierlati~Schichten. Sitzungsb.
d. k. Ak. d. Wi8s. XLIII B., pag. 179, Wien, 1861.
(*) La Liotia circumcostata Ganav. del Lias inferiore sarebbe stata sino ad ora
la specie più antica del genere. Ma sembra invece che il genere Liotia abbia rappre-
sentanti in terreni ancora più antichi, e precisamente nel Trias. L* ing. Zaccagna
avrebbe di recente infatti trovato nella formazione marmifera delle Alpi Apuane, in
un piano non certo dei più superiori, una località sommamente interessante con
qualche ammonite e numerosissimi e piccoli gasteropodi, tra i quali sono frequenti
esemplari di piccole Liotiae. Queste corrispondono per la maggior parte dei carat-
teri alla specie appenninica del Lias inferiore, e la sola differenza che vi si riscontra
è relativa alle minori dimensioni. Ammettendo come probabile, senza tuttavia ora
asserirlo, che la Liotia dei marmi sia la medesima specie di quella dell'Appennino,
questo fetto non potrebbe nulla influire intorno air età triasica dei marmi medesimi,
ormai riconosciuta ed accertata da molteplici ed accurate osservazionL È noto in-
fatti che i gasteropodi hanno generalmente un* ampia distribuzione nel t^mpo» e
per non citare molti esempi ricorderemo che parecchi gasteropodi del Trias alpino
(Hauptdolomit^ trovano specie identiche o analoghe in formazioni liasicbe (▼. Am-
MON, Die Gastrop. d, Hauptd. Abhandl. d. zooL -minerai. Ver. zu Ragensborg. Mùn-
chen, 1878).
286 M. CANAVAKI [11]
Gen. Trochas Linn.
Troehas Signorinii n. f.
Tav. VI, fig. 9.
Lunghezza della conchiglia mm. 6
Larghezza dell' ultimo giro » 4, 5
Angolo spirale 50<*
Conchiglia piccola, coniforme, composta di 8-9 giri piani o
leggermente depressi, molto bassi e crescenti sotto un angolo
rettilineo; la loro altezza sta alla larghezza circa come 1 : 4,
essi sono riuniti mercè suture profonde e distintissime. Alla
base o parte anteriore di ogni giro scorre un cingolo arroton-
dato alquanto sporgente a guisa di carena, che dà una forma
tutta speciale alla conchiglia, ogni giro della quale è ornato
poi da tre sottilissime strie longitudinali, visibili solo con una
lente d' ingrandimento. La base depressa è un poco concava,
angolosa alF esterno e non ombilicata, appare del tutto liscia;
apertura più larga che alta, molto depressa nella parte interna
e quasi subromboidale.
Questa specie per la conformazione della base e deir intiero
ultimo giro ha molta analogici con il Trochus VoUai Gemm. (*),
da cui però si distingue per tutti gli altri ornamenti e in ispecìal
modo per la presenza della carena nella parte anteriore degli
anfratti e per il minor angolo spirale. Per questi ultimi carat-
teri la forma del Gran Sasso trova delle notevoli rassomiglianze
nel D'ochus torosus Stol. (^) delle Alpi di Gratz. Ma in tale
specie oltreché aversi un maggior numero di strie longitudinali
(5 invece di 3), la posteriore di queste è sporgente a guisa di
cingolo, onde la sutura dei giri si trova tra due sporgenze, ciò
che dà. alla specie tutt' altra forma.
Al nuovo e interessante esemplare assodante caratteri di
due specie ben diverse, diamo il nome del R. prof. Signorini,
intelligente e appassionato ricercatore di fossili della provincia
aquilana.
(') Sopra ale. faune giur. ecc., pag. 3jl, tav. XXVII, fig. 35-38.
(«) Ueber d. Gastr. u. Aceph ecc., pag. 170, Taf. I, fig. 18.
[12] FOSSILI DRL LI AB 1NFEBI0RS NEL GHiN SASSO D^ITALU ECC. 287
Gen. Merlllna Lara.
Neritina sp. ind. cfr. N. Cornaliae Gemm.
Tav. VI, fig. 10.
1872-82. Neritina Cornaliae Gemmellàro (cfr.), Sopra ale. faune
n n giur, e lias, di Sicilia^ pag. 318,
tav. XXIV, fig. 62-64.
Lunghezza della conchiglia ram. 7
Larghezza dell* ultimo giro ...... > 7
Questa piccola conchiglia obliquamente ovata corrisponde
per la maggior parte dei caratteri alla specie cui fu paragonata.
Non si è potuto tuttavia assicurarne la corrispondenza perfetta
a cagione dell'incompleta conservazione dell'esemplare, nel quale
mancano quasi tutto il labbro interno ed i caratteristici denticuli
nel lato coluraellare indicati dal Gemmellàro.
Gen. Birrontla Dosh.
Bifrontia eonjuncta n. f.
Tav. VI, fig. 11.
Porzione degli ultimi due anfratti di una conchiglia destrorsa
discoidale, posteriormente piana e anieriormente carenata. La
spira si accresce rapidamente e 1' ultimo anfratto ha un diametro
doppio (mm. 4) del precedente (mm. 2); essa è pochissimo in-
voluta, r ombilico risulta perciò ampio e profondo. La parete
ombilicale è leggermente concava ed è ornata da spesse costoline
o pieghe trasversali (5 in 4 mm.), che aumentano verso il lato
superiore rendendolo crenulato; indi continuano, diminuendo in
grossezza, sulla parete anteriore appena concava e inclinata
verso r esterno sino in una specie di cingolo spirale oltre il
quale si dilatono e svaniscono (fig. 11 e). Succedono dipoi altri
due cingoli i quali comprendono una sottile fascia depressa,
alla quale fa seguito, neir ultimo anfratto e nella parte esterna,
una carena molto sporgente. Le pieghe fanno un angolo ante-
riore appena pronunciato sul margine crenulato. Sulla faccia
288 M. CANAVARI [13]
orabilicale si hanno inoltre delle strie longitudinali visibili solo
con lente d'ingrandimento (fig. 11 e). La faccia apiciale ha le
suture degli anfratti molto evidenti e sembra del tutto liscia,
né si è potuto in essa riscontrare quelle strie d'accrescimento
così caratteristiche per la loro direzione nella determinazione
del genere ('). L' apertura della conchiglia anziché ripetere la
forma triangolare o subtriangolare dell'anfratto, è irregolarmente
ovulare, poiché le angolosità esteriori provengono dal diverso
spessore del guscio e non implicano la parete interna; la qual
cosa é evidente nell' esemplare descritto, che ha la particolarità
di avere la conchiglia in uno stato di buona conservazione.
Nella figura 116, che dà la sezione della bocca, non é indicata
la carena esterna, perché nell' esemplare essa era in quel punto
mancante, come si rileva dalla tìg. Ila.
Il genere Bifrontia, limitato ai terreni eocenici, fu fatto co-
noscere dal Gemmellaro (*) anche nel Lias inferiore, e la specie
eh' egli descrisse con il nome di Bifrontia Scacchiij si avvicina
immensamente alla forma del Gran Sasso. Le differenze che vi
ho notato relative agli ornamenti esteriori di pieghe evidenti
anche nell' ultimo giro, di cingoli e strie spirali, che non furono
indicati nella specie di Sicilia, e la conformazione dell' apertura
mi hanno indotto a distinguerla con un nome nuovo.
6en. Cllmaelna Gemm.
Cliniacina Mariae Gemm.
Tav. VI, fig. 0.
1872-82. Climacina Mariae Gemmellaro, Sopra ale, faune giiir. e
lias. di Sicilia, pag. 245, tav. XXII,
fig. 30-35.
1884. „ „ (Gemm.) Baldàcci e Canàvari, La regione
rentr, d. Gran Sasso d'Italia, Boll.
d. R. Com. geol. Voi. XV, pag. 351.
Un bello esemplare corrisponde perfettamente per la forma
e sviluppo dei giri a gradinata con la specie di Sicilia, e pre-
(*) Sopra ale. faune giur, ecc., pag. 363.
C) L e, tav. XXVn, fig. 55-59, tav. XXVHI, fig. 5, 6.
t
[14] FOSSILI t)BL LIAS ItfìTBRIOBK DEL GRAN SASSO D^ ITALIA ECC. 289
cìsamente con la forma giovanile indicata dal Gemmellaro con
le figure 30-33. Aqche per gli ornamenti esteriori, che consistono
in sottilissimi cìngoletti longitudinali, è analoga alla specie cui
è stata riferita.
Un altro esemplare appartenente alla medesima specie rac-
cogliemmo il Baldacci ed io sulla vetta del Gran Sasso: quest'ul-
timo è conservato nelle collezioni del B. Comitato geologico
in Roma.
Gen. ChemiiKzIa d*Orb.
Sabgen. Oonla Gemm.
Oonia tnrgidala Gemm.
1872-82. Chemnitzia (Oonia) turgidula Gemm ellabo , Sopra ale. faune
giur, e liete, di Sicilia^ pag. 273,
tav. XXII^ fig. 12, 13. .
Conchiglia liscia, lunga circa mm. 12, crescente sotto un
angolo spirale di 40% composta di 6-7 giri involuti, l'ultimo
. dei quali ventricoso alto mm. 7 e largo del pari 7 millimetri.
Un poco più piccolo quindi dell' esemplare figurato dal Gemmel-
laro, corrisponde ad esso per le proporzioni e per tutti i carat-
teri relativi all' accrescimento della spira e alla conformazione
della bocca.
Il citato esemplare è di somma importanza in quanto che
è r unico fossile spettante al Lias inferiore raccolto sulle cime
del Corno Piccolo, e, come è stato gih, indicato (pag. 282 [7]), nel
pezzo stesso del calcare da cui fu estratto è l' indicazione :
Coni alti del Piccolo Corno, 1840.
Gen. Cerlthlam Adans.
Cerithlnm Orsiaii n. f.
Tav. VI, fig. 1.
Lungkesza della conchiglia. ' mm. 13
Larghezza dell* ultimo giro » 7
Angolo spirale 37<^
Conchiglia piccola, di forma conica, crescente sotto un angolo
a lati un poco convessi, composta da numerosi e bassi giri,
S9, Nat. Voi. II fascic. 2. 19
290 II. CANAYARI [15]
riuniti da suture rettilinee non molto marcate. Ogni giro è
ornato da 8 sottili strie longitudinali ondulate e da una doppia
serie di granuli o tubercoli, T una anteriore di 12 tubercoli ar-
rotondati, r altra posteriore di un numero doppio di elementi,
alquanto minori in grandezza e sporgenza. Non sembra che le
strie attraversino questi tubercoli. L' ultimo giro è incompleta-
mente conservato; nella base si notano tre marcate strie con-
centriche verso la parte esterna (fig. 1 6), che è un poco care-
nata. Traccia molto mal definita della columella.
Questa specie è affine al C. Pironai Geram. (*) del Lìas in-
feriore di Sicilia, da cui si distingue facilmente per V angolo
spirale più aperto e per il numero maggiore delle serie dei
tubercoli nella parte posteriore del giro. Ha anche qnalche ana-
logia per la forma della conchiglia con il C Ilerbichi Gemm. (*),
ma se ne allontana per la disposizione e numero dei noduli e
per la forma della sutura dei giri.
Geritliium apenninicnm n. f.
Tav. VI, fig. 2.
Lunghezza approssimativa della conchiglia mm. 10
Larghezza dell* ultimo giro » 6,5
Angolo spirale 41^
Conchiglia piccola, di forma conica tendente alla pupoide,
composta di giri molto bassi, rilevati nel mezzo e uniti da
suture rettilinee ben distinte. Nella parte centrale di ogni giro
si trovano 9 tubercoli arrotondati, piuttosto grandi, e 4 cingoli
longitudinali, dei quali 3 anteriori ai tubercoli e uno tra i tu-
bercoli medesimi. I tubercoli di un giro non corrispondono pre-
cisamente a quelli del giro precedente, ma tendono ad essere
alternanti. La base dell' ultimo giro e i caratteri relativi alla
bocca non sono conservati nell' esemplare esaminato.
La semplice serie di noduli e la disposizione delle strie tra-
sversali, danno un carattere tutto speciale alla forma descritta,
da non farla assomigliare o riferire a nessuna delle specie liasiche
di Cerithii sino ad ora conosciute.
(') Sopra ale. faune giur. ecc,^ pag. 293, tav. XXllI, fig. 45, 46.
(«j /. e. pag. 294, tav. XXIIl, fig. 47, 4<.
. » • • •
[16} FOSSILi DEL UAS INFSBIOBR DEL QBAN SASSO d' ITALIA ECC. 291
Gerithinm Spadai n. f.
Tav. VI, fig. 4.
Lunghezza approssimativa della conchiglia . . . mm. 25
Larghezza dell'ultimo giro conservato » 4,5
Angolo spirale calcolato 16^
Conchiglia conico-allungata e quasi cilindrica, a giri piuttosto
alti, piani nella parte centrale e carenati in quella posteriore,
riuniti da suture poco manifeste. Ogni giro è ornato da tre
serie di granuli, quella posteriore posta sulla carena è composta
di 11 marcatissimi granuli arrotondati e molto sporgenti; le
altre due anteriori risultano di granuli più piccoli, che sembrano
essere riuniti da cingoli longitudinali; oltre di ciò si hanno,
numerose e sottilissime strie longitudinali visibili solo con una
lento d' ingrandimento.
Anche in questo esemplare si deve lamentare Y insufficienza
della conservazione per una completa descrizione; d' altro canto
i distintissimi caratteri esteriori così interessanti nei Cerithii e
in generale in tutti i gasteropodi, vorranno scusare il nome
nuovo. La triplice serie di noduli riscontrata nel Cerithium
Spadai n. f., e la sua forma conico-allungata, la separano net-
tamente dalle altre specie note del genere.
Cerithium sp. ind. efr. C. Strueverl Gemm.
Tav. VI, fig. 3.
1872-82. Cerithium Sfrueveri Gemììellabo (efr.), Sopra ale. faune
giur. e Mas, di Sicilia^ pag. 297,
tav. XXV, fig. 29, 30.
Porzione di spira della lunghezza di mm. 6, di una conchiglia
mancante dei primi e degli ultimi giri, di forma conica e al-
quanto pupoide, carattere non bene espresso neir ingrandimento
(fig. 3J). I giri sono riuniti da suture profonde e inarcate, ed
ornati da 8 pieghe molto sporgenti intersecate da sottili cingoli
e strie longitudinali come nel Cerithium Sfrueveri Gemm. Le
pieghe 0 costole trasversali havino, tanto nella parte anteriore
del giro, quanto in quello posteriore, una piccola prominenza
292 U. CANAVARl [il]
a guisa di nodulo, sul quale passa un cingolo longitudinale di
maggior rilievo degli altri; cosicché in ogni giro si avrebbero
due cingoli più evidenti degli altri invece di tre, come nella
specie di Sicilia. Ver questa lieve differenza, per la conforma-
zione delle costoline trasversali, e sopratutto a causa deir im-
perfezione dell'esemplare esaminato, non mi è sembrato poterne
accertare l'identità con la specie illustrata dal Qemmellaro, con
la quale certamente ha a comune moltissimi caratteri.
Gen. Cerlthliiella Gemm.
Gerithinella flscellenseO n. f.
Tav. VI, fig. 7.
Lunghezza della conchìglia. . • . . . mm. H
Larghezza dell' ultimo giro » 4
Angolo spirale 14^
Conchiglia conico-allungata, a giri bassi, leggermente concavi
nel mezzo, sporgenti in una piccola carena anteriore sulla quale
si trova una serie di 12 granuli arrotondati o ovali molto
marcati, inoltre ogni giro è ornato da numerose e sottilissime
costicine o cingoli (da 14 a 16) ondulati e di apparenza gra-
nulosa, ciò che dipende, secondo il Gem mollare (-), dall'incontro
di esse con le strie trasversali di accrescimento. Nella parte
posteriore degli ultimi due giri conservati si ha poi una seconda
serie di minutissimi granuli distinguibili ad occhio nudo sola-
mente sotto una conveniente incidenza di luce. La linea sutu-
rale, che cade tra le due serie di granuli, è appena marcata.
La bocca e tutti i caratteri relativi all' ultimo giro, come anche
le strie di accrescimento sono sconosciuti.
11 descritto esemplare è strettamente affine per la sua forma
con la Ceritìdnella elegnns Gemm. () del Lias inferiore di Sicilia.
I caratteri differenziali riscontratevi sono relativi al maggior
numero dei cingoli longitudinali e sopratutto al numero e di-
•(' ) Dair aatico nome moìxs Fiscellus con cui s'indicava probabilmente tutta la
cntcna montuosa compresa tra i fiumi Tronto e Atorno, il punto culminante della quale
ò il Gran Sa^.-^o.
C^) Sopra ale. faune (/tur. ecc.^ pag. 2^».
(=») /. e, i.ag. 285, tav. XXIII, fìjf. 3-1-37, tav. XXV, fig. 23.
[18] FOSSILI DKL LIAS IXFEK.ORE DEL GRAN SASSO I»' ITALIA ECC. 293
Bposizione della serie dei piccolissimi granuli nella parte poste*
riore degli anfratti. Nella specie di Sicilia infatti la seconda
serie è composta di un numero di granuli pressoché eguale alla
prima, mentre in quella del Gran Sasso il numero ne è doppio,
ed i granuli sono anche molto più piccoli. NelT ingrandimento
di un giro figurato dal Qemmellaro (*) la serie di granuli po-
steriore dà luogo, come V anteriore, ad una carena sporgente,
la quale manca completamente nella Cerithinella apenninica n. f.
Tale carattere assai rilevante dà, a quest' ultima una forma
tutta speciale, come si rileva dall' ingrandimento rappresentato
con la fig. 76; nella quale però è da osservare che la serie po-
steriore dei granuli non è indicata, perchè V ingrandimento h
tratto dal terz' ultimo giro, ove non si è riscontrata la suddetta
granulazione. Essa sembra che vadi svanendo nella parte apiciale
delia spira, verso cui va diminuendo ancora la serie dei granuli
della parte anteriore dei giri. Per i citati ornamenti esteriori
la C apenninica n. f. è invece molto più aflSne alla C. italica
Gtemm. (*), dalla quale però diversifica per la conformazione
della spira conico-allungata e non quasi cilindrica, come in
quest' ultima specie. La C. apenninica n. f. rappresenterebbe
quindi una forma intermedia alle due C. elegans Gemm. e C.
italica Gemm.
Cerithinella miliare d. f.
Tav. VI, fig. 8.
Langhezza approssimativa della conchiglia . . . mm. 20
Larghezza dell* altimo giro conservato » 4
• Angolo spirale 12^
Conchiglia piccola, conico-allungata, a giri bassi, piani o
leggermente depressi nel mezzo, uniti da suture non descerni-
bili, ornati da sottilissime e numerose costoline longitudinali,
simili a quelle della specie precedente e a quelle delle diverse
forme di CerUhinellae descritte e figurate dal Qemmellaro {%
Nella parte posteriore di ogni giro si trova un' unica serie di
12 leggerissimi granuli, che dà, luogo ad una specie di ca-
(*) Sopra ale, faune giur, ecc,, tav. XXIII, fig. 37.
(«) /. e, pag. 284, tav. XXIII, fig 30-33, tav. XXV, fig. 20-22.
(3) /. e.
294 M. CANAYIBI [19]
rena pochissimo marcata quando si osservi la conchiglia late-
ralmente (fig. 8). Le costoline longitudinali attraversano anche
questa granulazione.
La definizione di questa specie non si può completare a
cagione dell' imperfezione degli esemplari fragmentarì esaminati.
La determinazione generica viene giustificata dalla grande ras-
somiglianza che la specie in parola ha con la Cerithinella Sche-
rma Gemm. ('), dalla quale diversifica solo per la presenza della
minuta granulazione. Per quest' ultimo carattere ricorda la C.
Manzonii Gemm. (^); ma anche da questa specie è facilmente
separabile perchè la serie della granulazione si trova nella parte
posteriore del giro anziché in quella anteriore, per il minor
sviluppo dei granuli e inoltre per la conformazione delle suture,
le quali sono larghe ed impresse nella specie di Sicilia, mentre
sottilissime e quasi indistinte nella forma del Gran Sasso. Questi
caratteri dell' ornamentazione della conchiglia sono molto inte-
ressanti nel genere, e si considerano come buoni elementi per
la delimitazione di una forma nuova, per quanto incompleta
essa possa essere nella sua spira.
Cerithinella flmbriatA n. f.
Tav. VI, fig. 5.
Frammento composto di cinque giri della lunghezza di mm. 12
e della massima larghezza di mm. 3, appartenente ad una con-
chiglia piccola, di forma conico-allungata tendente alla cilindrica
con un angolo spirale di soli 7.** I giri sono alquanto convessi
ed hanno una specie di carena nella parte posteriore, dopo la
quale si deprimono verso la sutura indicata da una linea ben
distinta. Ogni giro è ornato da 5 sottilissimi cingoli diminuenti
in grandezza dalla parte anteriore alla posteriore e di forma
ondulata a cagione di numerose linee di accrescimento. Queste,
con un fr)rte ingrandimento, nella parte posteriore appaiono
oblique, ciò che non è stato espresso nella fig. 56, in cui sono
indecisamente rappresentate per V insufiScienza dell' ingrandi-
mento. Tale carattere relativo alle strie di accrescimento ci ha
(^) Sopra ale, faune giur, ecc., pag. 289, tav. XXHI, fig. 25, 26.
(*) L e, pag. 286, Uv. XXUI, fig. 18, i9. tav. XXV, fig. 25.
[20] FOSSIU DEL LUS INFEBIOBE DEL GRAN SASSO d' ITALIA ECC. 295
fornito r elemento generico più importante, fatto già rilevare
dal Gemmellaro (*) nella definizione delle Cerithinellae.
La semplicitài degli ornamenti deir esemplare esaminato, la
forma della spira e dei giri d' apparenza carenati, individualiz-
zano molto bene la specie e la separano da tutte le altre af-
fini descritte e figurate.
CI. LAMELLIBRANCHIAPA
Gen. Haerodon Lyc.
Macrodon (?) Oiolii n. f.
Tav. VI, ^^. 13.
Lunghezza mm. 15
Altezza .• • • » 11
Conchiglia allungata, inequilaterale, margine palleale retti-
lineo o appena convesso, anteriormente rotondata e posterior-
mente troncata. DalF apice parte una carena molto marcata che
va a limitare il corsaletto. Apice ricurvo, molto sporgente come
in tutte le Arcidae, delimitando un' area ligamentare sviluppa-
tissima e lunga quasi quanto tutta la conchiglia; margine car-
dinale rettiliùeo, non completamente conservato, né possibile di
.preparazione a cagione della cristallizzazione del calcare che ha
implicato il guscio e il modello. La conformazione della cerniera
è quindi sconosciuta, né si può per mancanza di caratteri es-
senziali, quali sono quelli relativi ai denti, stabilire con certezza
il genere cui la specie appartiene.
La valva figurata é la sinistra; essa in gran parte é in mo-
dello interno e non ha conservati che due piccoli frammenti di
guscio, Tuno nel margine palleale e T altro in quello apiciale.
In tali frammenti si osservano sottili e numerose costoliue ra-
diali (circa 4 in ogni millimetro) che dal margine palleale arri-
vano quasi sino all' estremità, dell' apice, intersecate da alcune
rughe concentriche. Nel modello del corsaletto si osservano
anche 4 pieghe radiali abbastanza pronunciate che vanno sva-
nendo alla regione apiciale, le quali rappresentano le impronte
di corrispondenti depressioòi che dovevano trovarsi sulla super-
(*) Sopra ale, faune giur, ecc,^ pag. 282.
296 M. GANAVÀKI [21]
ficie interna della conchiglia. Oltre a ciò è indicata V impronta
palleale integra, e la traccia del solo muscolo anteriore, la
quale si trova in vicinanza della porzione del guscio apiciale,
mentre non è conservata quella del posteriore.
Un altro frammento allo stato pure di modello interno e
mancante della regione apiciale, rappresenta la valva destra;
vi si nota una lieve diiSerenza con la valva sinistra figurata,
in quanto che la carena che va a limitare il corsaletto è un
poco più marcata.
La forma descritta presenta le maggiori analogie con il
genere Macrodon, e veramente con le due specie M. Spallanzanìi
Gemm. e M. (?) Pasinii Qemm. del Lias inferiore di Sicilia (')•
Dalla prima specie si distìngue facilmente il M. (?) Giolii n. f.
per la minore lunghezza della conchiglia, per la mancanza della
sinuosità, nel margine palleale e per la presenza delle pieghe
radiali nel corsaletto, e anche per uno sviluppo alquanto mag-
giore delle costoline radiali. Dal M. (1) Pasinii Qemm., a cui
la specie del Gran Sasso è maggiormente afiSne per la con-
formazione della 'conchiglia, si allontana per gli ornamenti
esterni. Il M. (?) Pasinii Gemm. infatti ha costoline marcate nel
corsaletto, ma nel modello il corsaletto è del tutto liscio (*), ciò
che stabilisce una diversità, al certo molto interessante.
Il Macrodon che il Baldacci ed io(^) indicammo come M.
cfr. Spallanzanii Gemm., va riferito alla specie descritta.
ECHINODERMATA
CI. CRINOIDEA
Gen. illllerlerlnafi Linn.
Millericrinus sp. nov.?
Tav. VI, fig. 17.
Entroco cilindrico di mm. 15 di diametro e mm. 20 di lun-
ghezza, composto di numerosissimi trochiti equidistanti, e ognuno
(') G. Gemmellaro, Sopra ale faune giur. ecc,^ pag. 384-385, tav. XXIX, fig.
7-8, 9-10.
(*) /. e, tav. XXIX, fig. 10.
(3) La reg. cenir. d. Gran Sasso eoe., pag. 351.
[22] FOSSILI DEL UAS INFERIORE DEL GRAN SASSO D^ ITALIA ECC. 297
alto circa mezzo millimetro contandosene 9 in mm. 5. Le arti-
colazioni pochissimo profonde danno luog9 sulla superficie esterna
a piccoli solchi, i quali con una lente d' ingrandimento appaiono
indistintamente denticulatì. Le facce articolari si sono ottenute
mercè la frattura deir esemplare in più pezzi. 11 minore di
questi misura V altezza di un millimetro, presenta le due facce
articolari e risulta di due trocbiti, a giudicare dal solco esterno
che vi si riscontra. Faccia articolare piana, raggiata; canale
centrale riempito di carbonato di calce che non partecipa alla
sfaldatura dello spato di cui è costituito V intero entroco, ciò
che lo rende ben distinto; è di forma circolare e negli articoli
superiori tendente a quella pentagonale ad angoli pochissimo
sporgenti; il suo diametro raggiunge circa mm. 2. Le costoline
molto sottili irradiano dal limite del canale alla periferia, aumen-
tando gradatamente in grossezza e in numero por irregolare
dicotomia e talora anche per interposizione; in un quadrante
ne abbiamo contate 25. Con una lente d' ingrandimento si os-
servano sottilissime costoline concentriche, le quali intersecando
le radiali danno a queste, apparenza granulare. In una sezione
sottile perpendicolare all' asse e corrispondente precisamente ad
una faccia articolare, le costoline radiali e le concentriche sono
molto manifeste e con un debole ingrandimento si ha un' ap-
parenza reticolare.
C!on i crinoidi liasici la specie descritta per alcuni caratteri
della superficie articolare, quali sono quelli relativi alla dico-
tomia delle costoline radiali, ricorda gli esemplari di Millericrinus
raccolti alla Bicicola e riferiti dal Meneghini (') al M. cfr.
Adnethicus Quenst. Ma se ne allontana, oltreché per il maggiore
diametro, anche per le costoline radiali grauuliformi e special-
mente per la sottigliezza dei trochiti. Un' afiSnità ancora mag-
giore la trova invece con una specie molto recente, ó cioè con
il Millericrinus Munstetnanus d'Orb., del Giura superiore e pro-
priamente della zona a Hemicidaris cremilaris. E cosa poi molto
diflBcile asserire che la forma del Gran Sasso appartiene eflfet-^
tivamente al genere Millericrinus, al quale per analogia V ab-
biamo avvicinata. Essa ricorda anche i trochiti del genere
(^) Monogr, d. foss, appari, au cale, rouge ammanitique de Lombardie «ce,
pag. 182, pi. XXX, fìg. 20-25.
298 ÌL CANATABI [23]
ApiocrinuSy e il carattere della granulazione delle costoline ra-
diali è stato citato anche nelle superficie dei trocbiti AoiVApio-
erinus Mariani Desor (*), del Sequaniano superiore.
L' elegante esemplare, troppo incompleto per indicarlo con
un nome nuovo, fu raccolto nel Lias inferiore nella gola inter-
posta tra i due Corni e il monte Intermesole, e precisamente
nel vallone della Grotta dell' Oro. Esso è conservato nelle col-
lezioni del R. Comitato geologico in Roma.
(') P. DB LoRioL, Monogr. des Crin, foss, de la Suiue. Mém. de la Soc paL
^oiMe. Tomo IV, pag. 2i. Genève, J8T7-79.
■■»^>o^oo»-
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI
Fossili del Lias inferiore
Fig. 1 a. Cerithium Orsinii n. t. pag. 289 [Uj.
9 . 1 6. , , Ingrandito e visto dalla base.
1 0. 9 9 Ingrandimento di due anfratti.
2 a. Cerithium apenninicum n. f. pag. 290 [13].
2b. „ y, Ingrandimento di due anfratti.
Sa. Cerithium sp. ìnd. cfr. C. Strueveri Gemm. pag. 291 [16 1.
3ò. Lo stesso ingrandito.
4 a. Cerithium Spadai n. f. pag. 291 [16].
ib. j, , Ingradimento di un anfratto.
5 a. Cerithinella fimbriata n. f. pag. 294 [19].
5ò. , „ Ingrandimento di un anfratto.
6 a. Climacina Mariae Qpmm. pag. 288 [13 1.
66. „ „ Ingrandimento di un anfratto.
la. Cerithinella fiscellense n. f. pag. 292 |17|.
„ 7b. „ „ Ingrandimento del terz' ultimo anfratto,
in cui manca la serie dei piccoli gra-
nuli nella parte posteriore.
, 8. Cerithinella miliare n. f. pag. 293 [18|. Ingrandimento di due
anfratti e mezzo.
9 9. Trochus Signorinii n. f. pag. 28B [11]. Ingrandito.
, 10. Neritina sp. ind. cfr. N. Cornaliae Gemm. pag. 256 [12]. Ingrandita.
, Ila. Bifroniia conjuncta n. f. pag. 287 [12|.
, 11*6. * „ j, Veduta dal lato della bocca senza essere
indicata la carena sporgente nel labbro
esterno perchè rotta.
, Ile. Ingrandimento di una porzione di anfratto della specie precedente.
, 12 a. Scurriopsìs (?) Orsini! n. f. pag. 283 [8]. Ingrandita e vista
dalla parte superiore.
300 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA [25]
Fig. 126. Lo stesso esemplare visto di lato, ingrandito.
. 13. Macrodon (?) Giolii o. f. pag. 295 [20] .
, 17. Millericrinus sp. n.? pag. 296 [21]. «L* originale si trova nelle
collezioni del R. Comitato geologico in Roma
e fu raccolto nel vallone della Grotta dell* Oro,
mentre tutti i precedenti, conservati nel R. mu-
seo geologico di Pisa, provengono dalla vetta
del Corno Grande.
Fossile del Lias medio
9 14-16. Cidaris sp. ind. pag. 281 [6]. Tre esemplari diversi per for-
ma e numero dei granuli ornamentali raccolti nella
sommità del Piccolo Corno.
INIORi AD ÌA Ailli Disposili
DELLB
VENE DEL COLLO NELL'UOMO
NOTA
DEL DOTT. PILADE LAGHI
PROFESSORE DI ANATOMIA UMANA NELL UNIVERSITÀ DI CAMERINO
Aveva appunto letto T accurato lavoro del dott. Ficalbi su
certe disposizioni venose reperibili nel collo delle Scimmie (*),
quando mi è occorso di osservare in un cadavere umano una
speciale distribuzione delle vene del collo, che mi sembrò con-
fermare appieno le vedute dal Ficalbi stesso enunciate. Mi prendo
ora appunto la cura di far noto il caso occorsomi, prima perchè
lo credo avvenimento non tanto frequente, poi per contribuire
a confermare ancora una volta la dottrina della discendenza,
al quale oggetto le varietà anatomiche reperibili neir Uomo
molto bene si prestano. E tanto più volentieri mi assumo questo
compito, in quanto il dott. Ficalbi invitava giustamente a fare
delle ricerche suir argomento.
L^ individuo nel quale fti riscontrata la varietà, in discorso
era un giovane di 23 anni dei pressi di Camerino. Avendo io
dovuto fare una iniezione venosa per i bisogni della scuola, fui
sorpreso prima di tutto di sentire e vedere un cordone bleuastro
fra la cute e la clavicola destra, che era certamente dovuto ad
•
(*) Ficalbi E. — Di una particolare disposizione di alcuni vasi venosi del collo
nelle Scimme e della possbìlità di spiegare con essa alcune anomalie venose re-
peribili ne W Uomo. Atti d. Soc. Tose, di Se. Nat. Voi IV, Fase. 3.o Pisa 1885.
302 P. LAGHI
una vena iniettata, e che m' invitò a rendermi ragione della saa
presenza. Espongo adunque la disposizione venosa del collo di
questo individuo che si vede riprodotta fedelmente nell' annessa
figura (Tav. XIII) che io debbo all' abile matita del gentile mio
amico e collega Prof. Reali.
Il tronco della vena giugulare esterna g e alla cui costituzione
prendeva parte la vena temporale superficiale t s era ampiamente
anastomizzato colla vena faciale /" per mezzo di un grosso tronco z
e per conseguenza indirettamente con la giugulare interna g i.
Più in basso poi comunicava con la giugulare anteriore g a per
mezzo di un tronco trasversale tr ed anche piii in basso per
mezzo di un' altro tronco trasversale t i più specialmente in cor-
rispondenza del triangolo omoclavicolare, quando cioè la vena
giugulare esterna sta per attraversare l' aponevrosi cervicale
media. A questo stesso punto della vena medesima facevano
capo vari tronchi venosi a modo di raggi fra cui la vena cer-
vicale trasversa e la soprascapolare, non che un tronco speciale
che dirò fin da ora essere il tronco giugulo-cefalico g f. Era pure
a questo livello che la giugulare esterna si approfondava, si
faceva più anteriore e sboccava nella succlavia dappresso alla
giugulare interna. La vena cefalica e del corrispondente arto
superiore si conduceva per il solito interstizio deltoideo-pettorale,
ma giunta al livello del triangolo clavi-pettorale si divideva in
due rami, di cui uno profondo rappresentante la contindazione
normale che andava a sboccare nella vena ascellare, 1' altro su-
perficiale che passava al davanti della clavicola per riunirsi colla
vena giugulare esterna, tronco anastomostico giugtdo-cefalico g f.
In tal maniera si veniva ad avere un anello venoso che abbrac-
ciava la clavicola e il muscolo succlavio, costituito da parte
della giugulare esterna, da porzione della vena succlavia ed
ascellare, dalla terminazione della vena cefalica e dal ramo ve-
noso giugulO'Cef alleo ,
A sinistra poi si avevano ad osservare le seguenti particola-
rità. La vena cefalica giunta al triangolo davi pettorale forma-
va, dividendosi e riunendosi successivamente, un anello venoso o,
come mostra la figura, per sboccare quindi nella vena ascellare.
Era pure notevole che nel triangolo sopraclavicolare, il muscolo
omoioideo non esisteva, ma era invece sostituito da una espan-
\
ANOMALA DISPOSIZIONE DELLE VENE DEL COLLO NBLL^UOMO 303
sione carnosa, la quale si estendeva dalFosso ioide alla clavi-
cola, sul cui margine posteriore prendeva inserzione per una
estensione di circa 4 centimetri, in modo che il muscolo assu-
meva così la forma triangolare a base in basso e* che le sue
fibre più esterne andavano a confondersi con quelle del muscolo
trapezio.
Dal sopra detto si rileva come nel collo del soggetto in
esame si avassero disposizioni speciali che meritano veramente
di essere prese in considerazione.
Il primo fatto e che mi sembra sopra gli altri dovere essere
studiati» è la disposizione venosa del lato destro, che si può rias-
sumere dicendo che ivi esisteva il ramo ghigulo-cefalico, ossia
un ramo anastomatico fra vena cefalica e giugulare esterna. E
certo che fra vena giugulare esterna e vena cefalica esiste come
condizione embrionale una comunicazione e questa può assumere
0 no un certo sviluppo dando luogo a ciò che Sappey chiama
anomalie per inversione di volume. Se non che non bisogna fer-
marsi a questa semplice spiegazione embriologica, ma studiarne
ancora la significazione, per quanto le varietà venose così facili
a verificarsi non permettano sempre questo studio
Ora può stabilirsi prima di tutto che primitivamente la vena
giugulare esterna e la cefalica si trovano fra loro in rapporto
di comunicazione, e questa che è costante e bene sviluppata
negli animali inferiori e più precisamente nelle scimmie studiate
da Ficalbi, si va facendo sempre meno evidente neir uomo fino
a ridursi a un sottilissimo ramo, e solo per ritorno atavico può
prendere un ragguardevole sviluppo.
Questo fatto in genere, dell' esistenza di questo tronco giu-
gulo-cefalico, è ciò che ravvicina V uomo alla scimmia; le sue
modalità sono invece condizioni perfezionate. Può dirsi frattanto
tipica la esistenza di un' anastamosi fra la giugulare esterna e
la cefalica; ma può questa disposizione presentarsi in una ma-
niera più o meno perfetta e ridursi anche ad un semplice conato.
Per esempio può la vena giugulare esterna nel suo estremo in-
feriore dividersi in due rami di cui V uno va nella vena suc-
clavia come di norma, V altro invece discende più o meno per
sboccare in un altra vena del collo (Gruber) o anche nella stessa
succlavia (Gruber) e per conseguenza senza raggiungere la vena
304 P. UGHI
cefalica. Può mancare il primo di questi rami ed esistere invece
r altro, il quale benché non raggiunga la cefalica può però di-
scendere in basso al davanti della clavicola formare un ansa
attorno ad essa e al muscolo succlavio per poi sboccare nella
vena succlavia (Gruber). Lo stesso ramo, che Ficalbi chiama
anteriore nelle scimmie, può discendere anche più in basso e
riunirsi con la vena cefalica (Krause, Hallette, Nuhn). In tutti
questi casi il conato alla tipica condizione ora ora accennata è
fatto dalla vena giugulare esterna. Ma può invece questo es-
sere effettuato dalla vena cefalica, ed allora si possono presen-
tare gradazioni varie avanti di giungere alla disposizione che
sopra. Può infatti la vena cefalica salire in alto per raggiun-
gere la giugulare esterna e sboccare in essa (Quain). Oppure la
stessa vena può passare al davanti della clavicola per comuni-
care con la vena succlavia. E finalmente può giungersi alla con-
dizione più perfetta, vale a dire della esistenza del ramo ana-
stomatico giugulo cefalico, e per conseguenza di un anello ve-
noso che abbraccia la clavicola quale appunto è il caso di Nuhn
e quello che mi ha dato occasione di scrìvere queste poche con-
siderazioni e che è rappresentato nella annessa figura.
Il caso nostro merita perciò di essere reso di pubblica ra-
gione sia perchè ci sta a rappresentare una condizione atavica
quanto anche per la sua rarità. Dìfatto di casi di tal genere
si ricorda come notevole quello di Nuhn, e Gegenbaur stesso
nel suo trattato dì Anatomia Umana ricorda come rare le pos-
sibilità di casi congeneri. Havvì però una certa differenza fra
il caso nostro e la condizione normale delle Scimmie come ha
descritta e rappresentata Ficalbi. Difatto V anello circumclavi-
colare in esse è costituito da una divisione e successiva riunione
della vena giugulare esterna nel suo estremo inferiore. La vena
cefalica sembra sboccare nel ramo anteriore di questa divisione
ossia in quello che abbiamo ricordato per ramo giugulo-cefalìco.
Però nulla si oppone a che venga considerato, come corrispon-
dente alla normale umana terminazione della vena cefalica, quel
tratto di ramo anteriore che intercede fra lo sbocco della cefa-
lica nel tronco giugulo-cefalico e la sua riunione con il ramo
posteriore. Per cui, se invece dì aversi questa riunione, si ha
lo sbocco di questa ultima porzione in modo isolato, più in basso
ANOMALA DISFOSIZIONR DELLB VENE DEL COLLO NELL^ UOMO 305
e Uno anche nella ascellare (come è appunto lo sbocco della
vena cefalica normalmente), si intende jn modo assai perfetto
r analogia che corre fra il caso nostro e quello delle scimmie,
e come tutte le varietà sopraccitate non siano che modalità di
una stessa disposizione.
In questo modo considerati i vari casi possibili, troviamo
pure modo di intendere la speciale disposizioni venosa che ab-
biamo trovato a sinistra dello stesso individuo. La vena cefa-
lica come mostra la figura presenta un anello nella sua por-
zione più alta e presso allo sbocco suo. Se il segmento esterno
dì questo anello si fosse maggiormente sviluppato, fosse passato
davanti alla clavicola e avesse raggiunto la giugulare esterna
si avrebbe avuta la stessa disposizione del lato sinistro. Per cui
è da ritenersi che in questo caso non si ha che una gradazione
per giungere alla esistenza del tronco giugulo-cefalico come è
nelle scimmie.
Ammesso dunque come primitiva e tipica la esistenza del
ramo giugulo cefalico, quale si trova nelle scimmie ne viene
come corollario che il caso di Nuhn e il nastro del lato destro
rappresentano una condizione atavica abbastanza perfetta, gli
altri casi surricordati di avviamento a questa disposizione sia
per parte della vena giugulare esterna sia per parte della vena
cefalica (come è appunto nel lato sinistro del nostro individuo)
rappresentano invece un avviamento alla forma più elevata
quale si presenta normalmente neir uomo.
In modo incidentale mi piace di far rilevare la coesistenza
di queste disposizioni venose con quella del muscolo omoioideo
del nostro soggetto, quale si rappresenta in ci i nella annessa
figura. Fra i muscoli del collo V omoioideo offre assai di frequente
delle varietà, come lo attestano Theile nella sua Miologia, Ge-
genbaur e Henle neir Anatomia Umana. Anzi fra le disposizioni
che frequentemente prende il muscolo omoioideo nel suo ventre
posteriore si ha quella di una duplice inserzione clavicolare e
scapolare o di sola clavicolare; il secondo caso è il più frequente
e il fatto è anche più facile ad osservarsi nella razza negra come
appunto è avvenuta a Giacomini, il quale ne riporta vari casi
nella sua 2.* e 3.* memoria di annotazioni sopra V anatomia
del Negro. Tanto Giacomini come Gegenbaur hanno assegnato
So. Nat, Voi. n, fascic. 2. 20
306 P. LAGHI — ANOMALA. DISPOSIZIONE DKLLE VENI EC.
il nome di muscolo cleido-ioideo alla disposizione analoga a quella
da noi osservata. Questa varietà muscolare è da associarsi alle
molte altre e frequenti riscontrale da vari osservatori nel collo,
come per es. ultimamente da Bianchi (riferita nello Sperimenlale,
febbraio 1885), le quali tutti stanno ad indicarci una tendenza
a riempire il triangolo sopraclavicolare con un setto muscolare
completo comesi osserva in mammiferi inferiori all'uomo. Per-
ciò sia per la sua frequenza molto maggiore nel Negro che nel
Bianco, sia per la sua speciale disposizione laminare, la varietà
muscolare da noi osservata può essere giustamente ritenuta come
un ritorno atavico e tanto più se si metta in accordo con le
sopra descritte varietà venose.
SPIEGAZIONE DELLA FIGURA
TaT. XIII.
ts. Vena temporale superficiale.
/*. » &ciale.
ge-ge. » Giugulare esterna.
ga-ga, » » anteriore.
gi-gi. » > interna.
tr-tì. Anastomosi fra vena giugulare esterna e giugulare anteriore.
e. Vena cefalica.
gr* Tronco venoso-giugulo-cefalico.
e. 8, Cava superiore.
a. Aorta.
o. Occhiello formato dalla vena cefalica.
cLi, Muscolo cleido-ioideo.
às. Vena ascellare.
IRA IL CAEE CMlMMGEfl IL' I!
E
SOPRA LA TASCA IPOFISARIA 0 TASCA DI RATCHKE
RICERCHE
DEL DOTI. GUGLIELMO ROMITI
PROFESSORE DI ANATOMIA IN SIENA
(con una Tavola)
Essendo caduto sotto la mia osservazione per la prima volta
un caso di canale cranio faringeo nel teschio d' una bambina
di 5 anni, credo opportuno illustrarlo convenientemente; non
tanto per la sua nuovitk, quanto per le importantissime coti-
siderazioni alle quali conduce il suo studio morfologico-corapa-
rativo e genetico. Con questa osservazione io cerco di aumentare
il materiale di studio della umana osteologia, condotto con quel
metodo di esame che tende alla ragione dei risultati anatomici.
D' altro lato io porto convincimento che anche questa sorta di
raccolta di fatti che sorge dalla continua ed ingloriosa osserva-
zione del cadavere umano, debba trovare dei cultori tra gli Ana-
tomici; i quali, se anche potranno errare nelle loro spiegazioni,
lasciano sempre un elemento di studio ad altri più felici ed
acuti nello interpretare.
Landzoi (') chiamò: canale cranio-faringeo una apertura da
esso trovata esclusivamente nei neonati (10:7o)>^3. quale si par-
(') Th. Landzcrt — Ueber den canalis cranio-phari/ngeus am Schddel des
Neugehorncn (Petersburger med. Zeitschrift. Bd. XIV. H. 3. 1868. S. 133).
SOPRA IL CANALE CRANIO-FARINGEO NELL^UOMO E 80PR4 LA TASCA EC. 309
tiva dalla sella turcica, traversava il corpo sfenoidale giungendo
sino alla volta faringea: il cajiale conteneva un prolungamento
cavo a cui di sacco della dura madre con dei vasi, e non era
altro che il resto del tragitto del prolungamento o diverticolo
ipofisario il quale dalla faringe va a costituire il lobo anteriore
della gianduia pituitaria. Per quanto conosco, nessun Anatomico
ha ricercato questo canale al di là del feto e del neonato: i
Trattati riportano solamente le osservazioni di Landzert.
Descrizione del preparato. — Cranio N.* 761 della mia rac-
colta, e Preparato N.° 267 del Museo di Siena. Bambina di 6
anni, senese, morta nello Spedale il Giugno scorso. Il cranio è
assai bene sviluppato, è di forme squisitamente armoniche ed è
a tipo brachicefalo spiccato. Di altre particolarità, oltre il ca-
nale in parola, presenta un grande wormiano pterico a destra
ed una marcata sutura incisiva, la quale raggiunge il margine
alveolare (V. la fig. I).
Nel mezzo della taccia inferiore della base del cranio, e la
figura aiuta molto la descrizione, ed esattamente in corrispon-
denza della parte più anteriore del basipostsfenoide, a 6 milli-
metri dalla sincondrosi sfeno-occip itale, a 3 dall' estremo superiore
del vomere, lievemente a destra della linea mediana, esiste un
foro (fig. I, a) di circa 1 millimetro di diametro. Esso traversa
tutto il corpo dello sfenoide in una direzione lievemente obliqua
in avanti ed allo esterno, finche sbocca esattamente nel fondo
della sella turcica a destra a 2 Vs millimetri dalla linea mediana.
11 suo lume è uguale per tutto il suo tragitto rettilineo, e la
sua lunghezza misura 8 millimetri.
Frequenza. — Per quanto riguarda la frequenza del canale
cranio-faringeo, bisogna naturalmente fare una grande distin-
zione tra il suo incontrarsi nel feto e nel neonato e nelle epoche
della vita posteriori a queste. Neil' embrione umano e nei piccoli
feti è sempre costante trattandosi; come vedremo, di disposizione
necessaria, qualunque sia il fatto embriologico che lo origina.
310 6. ROMITI
Dico questo perchè sono stati affacciati dei dubbi sopra la ra-
gione del comunicare la faringe col cranio nel periodo embrionale.
LfO mie ricerche personali sopra questa comunicazione nello em-
brione e nel feto umano non mi porterebbero che a confermare
le altrui, sia per la costanza nel primo, come per la frequenza
nel secondo, avendo pressappoco incontrato il rapporto di fre-
quenza dichiarato da Landzert. Nel fanciullo e neir adulto la
cosa è altrimenti, poiché, come ho accennato, gli Anatomici non
ricordano in essi questa abnorme disposizione. Essa è certamente
rarissima, e nello stabilirne la proporzione è necessario por mente
ad una disposizione che talvolta può incontrarsi e che potrebbe
trarre in inganno. Voglio diro che possono ritrovarsi nel basisfe-
noide, come nelle altre ossa della base del cranio, esili forellini
ì quali, come il canale basilare delV osso occipitale, hanno ra-
gione vascolare. Essi sono assai più fini del nostro in discorso,
non traversano verticalmente T osso e sono situati alle parti più
periferiche.
Fatta questa considerazione posso dichiarare che esaminati
circa 800 Crani che ho raccolti per il Museo, alcuni dei quali
preparati per il nostro Manicomio non ho trovato il canale in
parola.
Esaminando ancora una dozzina di crani di bambini della
prima età, nemmeno in questi ho visto il canale, solamente in
alcuno esiste tuttora una piccola traccia d' una fossetta nella
sella turcica, resto deir obliterato canale. Perciò anche nei bam-
bini non deve essere facile il verificare la persistenza d' un ca-
nale cranio-faringeo; e nello insieme, anche tenendo calcolo
della regola proposta da Krause(*) circa lo stabilire la più o
meno relativa frequenza delle varietà umane, noi possiamo con-
siderare questa importante varietà ossea umana ora descritta
come straordinariamente rara.
Significato morfologico-comparativo. — Ricercando il cranio di
altri mammiferi inferiori air uomo ho trovato solamente una
(') \V. KrauRe — Handbuch der menschlichen Anatomie Hannover ISSO. T, III,
pag. 51-57.
S
SOPRA IL CANALE CRANIO-FABINGEO NELL^^OMO E SOPK.V LA TASCA EC. 311
omologa disposizione nel Lepus cuniculus e nel timidus. Pei'ò,
non potendo avere copioso materiale anatomo-com parati vo, ho
estese le mie ricerche a poche classi di mammiferi, e chi vorrà
interessarsi di questo studio potrà estenderlo in questo indirizzo
di ricerca. Cercai direttamente il coniglio, poiché àapevo dalla let-
tura dell' eccellente libro di Parker e Bettany (*) che in questo
roditore la fossa pituitaria è permanentemente sprovvista di un
fondo o pavimento osseo, e che perciò neir adulto rimane nel
mezzo di essa uno spazio perforato.
Esaminando infatti lo sfenoide di un vecchio coniglio, come
è quello che ho figurato, visto dalla faccia inferiore o prossimale,
nella fig. II. si vede che la sella turcica o fossa pituitaria è
ampia ed anche a pareti oblique che le danno figura ad imbuto.
Nel fondo è un foro ovale (a), lungo 2 millimetri nel grande
asse. Talvolta V ho trovato doppio, e i due posti longitudinal-
mente. Tornerò su questa disposizione del coniglio ;dicendo delle
parti contenutevi. Nella base del cranio della lepre ordinaria
esiste una disposizione identica a quella del coniglio: il foro
sembra più ampio. Infatti in una lepre adulta il foro, ovale
come nel coniglio ha un massimo diametro di 2 Ys millimetri.
Nelle altre specie di Roditori esaminati non ho trovato uguale
disposizione: il basisfenoide è tutto solido nfe è perforato. Così
trovasi in vari Mus, uélV Hystrix, nella Cavia. Cercando altri ordini
di Mammiferi ho veduto in un giovane Felis catus un sottilissimo
canale cranio-faringeo, che appena permetteva il passaggio ad
una finissima setola. Ma è più specialmente studiando vertebrati
inferiori che si trova costante la normale comunicazione tra la
sella turcica e la faringe. E specialmente nei pesci più inferiori,
nei Mixinoidi, che questa comunicazione persiste, e toglie nome di
canale palato-nasale. Questa comparazione fu per il primo asserita
da Huxley (9, il quale dedusse questa spiegazione dal considerare
il canale palato-nasale dei Mixinoidi come lo spazio tra le tra-
becole del cranio, e giustamente lo paragonò a quella apertura
che nello embrione dei vertebrati superiori fa comunicare la
faringe col cranio. Ed anzi trasse da questa asserzione una forte
Q) Parker e Bettany — Die Morphologie des Schddels, (Trad. tedesca dalla
opera inglese). Stuttgart. 1879. pag. 296.
(^) Th. H. Huxley — Manuale della Anatomia degli animali vertebrati. Trad.
ital. Firenze 1874. pag. 68.
1
312 6. BOMITI
prova del valore delle trabecole del cranio e dei processi palato-
mascellari quali archi viscerali preorali: Miklucho- Maday {^) os-
servò la stessa comunicazione negli Squali. Rimane cosa sin-
golare che, tra i mammiferi, soltanto il coniglio presenti una
costante apertura nell'adulto.
Il canale cranio-faringeo descritto nella bambina è perciò
omologo al canale o foro pituitario della base del cranio nel
coniglio e nella lepre, ed al canale palato-nasale dei pesci Mi-
xinoidi.
Spiegazione o ragione embriologica. — Riconosciuta ormai la
necessità di dover rintracciare le ragioni d' ogni varietà umana
sullo sviluppo dell'organo che la presenta, noi dovremo ricercare,
nel caso nostro, se in qualche periodo della vita embrionale la
base del cranio è attraversata da un canale. Ed è infatti così
per la formazione del lobo anteriore della gianduia pituitaria.
La gianduia pituitaria situata nella sella turcica è composta
di due lobi uno anteriore, V altro posteriore, lobi che, come è
noto, si sviluppano in modo ben differente: V anteriore dalla
primitiva cavità faringea, il posteriore dal cervello intermedio.
E ormai da tutti riconosciuto che il lobo anteriore si produce
da un diverticolo dalla cavità faringea primitiva cioè dal foglietto
esterno od ectoderma, diverticolo detto tasca ipofisaria, tasca o
borsa di Rathke dal nome dello anatomico che la trovò. La tasca
ipofisaria per giungere nello interno del cranio, nella futura
sella .turcica, traversa da principio la primitiva base del cranio
tra il pilastro medio e quella parte della base che corrisponde
al cervello intermedio: procedendo lo sviluppo la tacsa va
strozzandosi sempre più alla sua base che si allunga a sottile
picciuolo, si stacca ed il picciuolo si trova corrispondere allora
presso a poco tra il basipresfenoide ed il basipostsfenoide. Il
percoso del peduncolo della tasca ipofisaria o tasca di Ratchke
si osserva chiaramente in embrioni umani nei primi mesi e spesso
anche in feti di 4 o 5 mesi, come non di rado me ne sono con-
(*) Miklucho-Maclay — Beitrdge zur vergleichenden Neurologie der Wirbelthiere.
Leipzig. 1870. pag. 31) e seg.
SOPRA IL CANALE CRANIO-FARINGEO NELL^UOMO E SOPRA LA TASCA EC. 313
vinto. II canale, che non è che il canale crànio-faringeo, si oblitera
assai presto, tanto che nei feti a termine non se ne trova che il
10 Vo> come sopra ho accennato, e in età, più inoltrata non se
ne trovano tracce, ed il caso mio della bambina di 5 anni mostra
la eccessiva rarità sua. Negli ultimi mesi della vita intra-uterina
rimane distinta nel fondo della sella turcica una profonda ed
ovale infossatura (fig. Ili, a) : ed è appunto quello il resto della
estremità superiore della comunicazione.
Il canale cranio-faringeo descritto adesso nella bambina, non
è che il resto della primitiva comunicazione tra la cavità del
cranio e la faringe, per il formarsi del lobo anteriore della
gianduia pituitaria (^).
Esaminando il contenuto del canale cranio-faringeo nel feto
fresco, si nota come esso contenga un piccolo prolungamento
della dura madre, alcuni vasellini specialmente venosi e del lasso
connettivo. Così pure esaminando la cosa nel coniglio e nella
lepre ho visto che la ampia fossa contiene un prolungamento
della dura madre, ed allo esterno un po' di connettivo assai
lasso separa questa dalla superficie ossea. Vi sono molti e sot-
tilissimi vasi, per la massima parte venosi: qualche ramificazione
traversa il foro e si sperde per la volta faringea.
Giacché il caso che ho illustrato mi ha condotto a parlare
della tasca ipofisaria o tasca di Ratchke^ io debbo profittare della
circostanza per togliere in esame alcuni lavori suir argomento,
noti dopoché io avevo già pubblicato il mio libro di Embrio-
genià, e lo studio dei quali naturalmente può riattaccarsi a
quello del canale cranio-faringeo. Sono questi relativi alla esi-
stenza della tasca di Rathke, ed al significato ontogenetico della
gianduia pituitaria.
E solamente del primo punto che intendo occuparmi, che
per r altro rimando ai noti lavori di Dohrn, di Owen^ di Baraldi
e di Balfour.
Fino da quando Rathke (*) nel 1838 scuoprì la tasca ipofisaria,
(^) Per quanto riguarda la letteratura sulla formazione della tasca ipofisaria e
dalla gianduia pituitaria, rimando ai Trattati di Embriologia di Kólliher^ 2.^ edìz.,
di Balfour, alle mie Lezioni di Embriogenià, II, pag. 31, ed alla eccellente Mono-
grafia di Mihalhovics. Entw. des Gehims; Leipzig. 1877. pag. 83 e seg.
(') Ratchke — Ueber die Entstehung der gianduia pituitaria. (MuUer 's Archiv.
1838. pag. 482).
314 G. ROMITI
Reichert (') ne impugnò la esistenza, facendola derivare da pro-
duzione delle meningi. Ma la esistenza della tasca di Ratchhe o
tasca ipofisaria; benché per singolare contradizione fosse poi ne-
gata dallo stesso suo scuopritore (^), fu nuovamente confermata
dagli osservatori e fu ritenuta origine del lobo anteriore della
ipofisi. C'jsì, per ricordare alcuno, Kolliher fin nella l.* Edizione
della sua Entmchelungsgeschichte (Leipzig. 1861, pag. 242) con-
fermò il fatto nel pollo e nell' uomo ('): Luschka Q) pure la os-
servò neir embrione umano di 8-10 settimane, Miklucho-Maclay (^)
neir embrione di squalo, /)/^r.9y (®) completò il concetto di Ratchhe
mostrando la doppia origine dei due lobi della ipofisi: la tasca
di Ratchhe, prodotta dallo intestino anteriore, produceva l'ante-
riore, il posteriore nasceva dallo infondibulo. Fu merito di
Gotte f ) correggere il modo di origine della tasca di Ratchke o
tasca ipofisaria, poiché mostrò che essa non nasceva dallo inte-
stino anteriore e perciò dallo entoderma, ma sibbene dalla ca-
vità boccale primitiva, e perciò dallo ectoderma. Questa capitale
dimostrazione fu tosto confermata ed accettata da Mihalkovics (^),
Balfour C'), Kolliker {''), da me("), e da Rabl-RucUard {'^): nel-
r uomo é anche ricordata da Froriep {'% il quale dà anche eccel-
lenti figure del canale cranio-faringeo nell' embrione umano. Ad
onta di questa concordia di opinioni tra gli Anatomici, non è
multo, nel 1884, che Paul Albrecht, autore del resto di buoni
ed originali lavori di osteologia comparata, ha volato sostenere
(*) Reichert — Dos Entvoicklungslehen im Wirbelthierreiche. Berlin 1840 p. 179.
(*) in: Entwichelung der Schìldkrnte. Braunschweig. 1848. pag. 29.
(3) Kólliker — Entw. 1.^ Auf Leipzig. 1861.
(^ Luschka — Der Hirnanhanr/. etc. Berlin. IS60. pag. 31-
f») Mikliicho Maclay — Beitrdge zur vergleichenden Neurologie der Wirbel-
thiere. Leipzig. 1870. pag. 39.
(°) Dursy — Beitrdge zur Entmckelungsgeschichte des Hirnanhanges. ( Med.
Centralblatt Berlin. 1858. 8.) e: Zur Entio des Kop/es des Menschen. Tùbingen 1869.
(^) Gòtle — Entw, der Unhe. Leipzig. IH75. pag. 'llS,
(^) Mihalkovics — Specialmente in: Etw. des Gehirns. Leipzig. 1877. pag. 83.
(^) Balfour — A preliminar account of the development of the elasmobranch
fishes. (Quart. Journal of the micro.s. Science. Oct. 1875).
(«0) Kólliker - Entw. -2.* ediz. Leipzig. 1879. pag. 302.
Q^) Romiti — Lezoni di Embriogenià. II. Siena 1882. pag. 31.
('*) Rabl-Ruchk'»nl — D.e gegenseitigen Verhdltnlss der Chorda^ Hypophysis,
etc. (Morph. Jihrb. VI. 1880).
Q^) A. Froriep — Kopftheil der Chorda dorsalis bei menschlichen Embryonen.
(Hcnlo's Fe-itgabe. Bonn. 1882. pag. 2(5)
SO?BA IL CANALE CRANIO-FARINGEO NELL^UOMO E SOPRA LA TASCA EC. 315
che la tasca di Ratchke non esiste. L' importanza massima della
questione, giustifica se io riporto sommariamente le conclusioni
che nella sua Memoria ('), riguardano il nostro soggetto.
* La tasca di Ratchke non esiste : esiste, è vero il canale cranio-
faringeo neir embrione, ma è ripieno solamente dai vasi retro-
faringei, che non hanno comunicazione né colla faringe, né
colla cavità ovale primitiva, l'organo contenuto nel canale
e considerato come tasca di Ratchke non fe che uno di questi
vasi (^) : non vi ha ragione embriologica per distinguere due lobi
nella ipofisi. Il così detto lobo posteriore non origina dall' in-
fundibolo. Tutta r ipofisi è completamente indipendente dal cer-
vello e dalla faringe: gli epiteli dell' ipofisi sono endoteli: tutta
r ipofisi è una gianduia vascolare sanguigna, omologa a tutta
l'ipofisi dei pesci: il sacco vascoloso di questi è rudimentario
nei vertebrati superiori. L' infundibolo è un filo terminale cra-
niale: esiste perciò nel midollo due code di cavallo, una craniale,
l'altra caudale ».
Queste le conclusioni, le quali, ognun vede, quanto e quanto
profondamente dovrebbero modificare le nostre cognizioni ed i
i nostri modi di considerare, non solo la ipofisi del cervello,
ma ancora il sistema nervoso centrale in genere. Ma dovendomi
soltanto per adesso occupare di quanto è relativo alla tasca di
Ratchlie, noterò prima di tutto come Alhrecht descriva un ** pro-
longement grèle du cràniopharyux „, che non divorrebbe altro
che la volta faringea dell'adulto, il quale prolungamento rag-
giunge, non traversa mai il cranio, né produce porzione di ipo-
fisi. Ma la sua asserzione, che cioè il lobo ipofisario sia indipen-
dente dalla faringe, egli non dimostra con ricerche nello em-
brione, almeno scorrendo molti dei suoi lavori che devo alla sua
(*) Paul Albrecht — Sur les $pondylo centres èpituitaires du crdne^ la non exi-
stence de la poche de Ratchke et la présence de la chorde dorsale et de spondylo^
centres dans la cartilage de la cloison du nez des vertébrés. Communication fa ite
a la Soc. d'Anat path. Bruxelles 1884. Manceaux Edit.
(') In questo punto vi ha una nota, che testualmente riporto:
« En un mot, il y a deux erreurs différentes, qu* on a commises: on a regardé
«le prolongement gréle du cràniopharynx (voir v. Kolliker Entw. t.^ fig. 325A)
« ou un vaisseaux rétrophariugien (voir v. Kolliker 1. e. fig. 326 ce) pour la poche
« de Ratchke. Le prolongement gréle du cràniopharynx existe certainement, mais
«jamais il ne percv la base du orane, jamais il ne se détache du cràniopharynx,
«jamais il ne devient le lobe antérieur de Thypophyse».
8 6. ROMITI
316 G. ROMITI
squisita cortesia, si contenta di asserirlo assolutamente, e dedu-
ceudolo da preparati tolti da feti e da adulti : e ciò è singolare
poiché nei suoi lavori di osteolo^^ia comparata la dimostrazione
segue sempre V enunciato o V asserzione. Insisto intanto su
questo lato potente della critica; del non confermare cioè l'as-
serzione con preparati embriologici.
Bisogna che ricordi come Albrecht nello stesso lavoro abbia
ammesso che la corda dorsale non termini, come universalmente
si ritiene, nel dorso della sella turcica, ma si continui nel setto
delle narici, ove si troverebbero degli spondilocontri epituitari;
donde cadrebbe completamente la nota teorìa di Gegembaur della
divisione del cranio in vertebrale e provertebrale, e della divi-
sione in: cordale e precordale di Kòlliker.
E più specialmente con queste dimostrazioni che Albrecht
impugna la derivazione del lobo ipofisario della faringe. Infatti
egli ritiene poter dimostrare che la corda dorsale percorra tutta
la lamina quadrilatera dello sfenoide o il dorso della sella, tra-
passi per la lamina perpendicolare dell' etmoide e quindi nel
setto cartilagineo. Possiede egli un cranio di feto umano ove
dal dorso della sella sono continue ossificazioni sino all'etmoide,
ricorda una figura di Rambaud e Renault nella quale si vedono
7 nuclei di ossificazione distinti nel setto nasale cartilagineo
d' un bambino di un anno, ed infine descrive un teschio di vi-
tello adulto, nel setto nasale del quale sono 7 nuclei o centri
vertebrali. Perciò la ipofisi dovrebbe essere organo ipocordale
e non epicordale ( ).
La comunicazione di Albrecht destò una certa commozione
tra gli Anatomici, e Alberto Kollikerij) si oppose recisamente
(}) Avevo già preparato questo lavoro quando io ebbi occasione vedere in Roma
il mio ottimo amico Prof* Albrecht, nel novembre scorso. Io ammirai la sua pre-
ziosa collezione osteologica che egli cortesemente mi dimostrò; e mentre rimasi pe^
rettamente persuaso su quanto riguarda il basiotico, la fossetta vermiana, la duplicità
originaria dall'osso incisivo, le paracostoidi e r indipendenza delle coste cervicali
dalla radice anteriore delTapofisi trasversa (fatto questo del quale avevo io pure data
diniostazione), e altri fatti osteologici, vidi, è vero, anche i preparati mezionati nel
testo relativi alla continuazione di ossificazioni parziali al di là del dorso del clivo.
Quanto a questi per il momento non potrei pronunciarmi sul merito della questione
se 0 no la corda passi nel setto: circa però la genesi del lobo anteriore dalla ipo-
fisi dalla faringe, io credo che quei preparati non possono distruggere quanto è dato
di osservare nello embrione.
Q) A. KòUiker — Grundrisse der Entvoik. 2.* Ediz. Leipzig. 188i. pag. 24o.
^
SOPRA IL CANALE CRANIO-FARINGEO NE Ll' UOMO E SOPRA LA TASCA EC. 317
ed in maniera assoluta al modo di formazione della ipofisi secondo
Albrecht, tanto più che questi dava ancora grande valore per
la sua tesi ad una figura, la 308 della 2.' edizione della ^ Em-
briologia y, dello stesso Kolliker, giacché egli considerava la por-
zione compresa tra ms e h della stessa figura come la porzione
sfeno-etmoidale del cranio, cosa che realmente non era, perchè
la porzione sfeno-etmoidale è formazione successiva. Riconosco
però giusto V appunto che Albrecht fa sull' interpretazione di h
in quella figura: h non può essere certamente la tasca di Ratchke
che allora la ipofisi sarebbe ipocordale: è più probabile che la
tasca sia T infossamento situato subito sotto eh.
Nei lavori successivi Kólliker{^) ed Albrecht (*) limitarono più
specialmente la loro discussione sul ritenere o no che la corda
dorsale si prolunghi nel setto nasale, e perciò se devesi o no con-
cludere, come vorrebbe Albreeht, che tutto intero il cranio debba
considerarsi come vertebrale e cordale, in opposizione alle note
divisioni in vertebrale e prevertebrale fGegembaur), cordale e
precordale (Kolliker ). Per quanto riguarda la nostra questione,
la formazione del lobo anteriore della ipofisi dalla tasca di
Ratchke^ Albreeht ricorda come Ratehke stesso abbia rinnegato
quanto egli aveva avanti ammesso circa V origine del lobo della
ipofisi dalla tasca ipofisaria, ed insìste sopra la spiegazione dif-
ferente che dà, ad alcune figure di Kolliker, Di osservazioni
anche qui non porta proprie ricerche su embrioni e descrive
solamente, come ho accennato, un singolare setto delle narici
d' un vitello, nel quale sono 7 rigonfiamenti ossei da esso con-
siderati quali centri vertebrali o spondilocentri. Né è certamente
adesso che voglio discutere questa capitale questione della dot-
trina del cranio, che mi porterebbe troppo lontano dal presente
ai^gomento.
Tornando dunque alla tasca di Ratchke o tasca ipofisaria,
benché io fossi più che mai persuaso e dalla sua esistenza, e
(*) A. Kolliker — Ein$ Antwort an E. Albrecht in Sachen der Enistehung
der Hypophysis und des spheno-ethmoidales Theiles des Schàdels, (Biolog. Cen-
tralblatt. 1 marzo 1885). — Zitzber der Wùrzburg Phys. med. Gesellesch agosco 1885).
(*) P. Albrecht — Ueber Existenz oder Nichtexistenz des Ratchke *schen Tasche.
(Biolog. Centralblatt. 1 febbraio 1885. —Ueber die Chorda dorsalis und 7 knocherne
Wirbelzentren in knorpligen Nasenseptum eines erwachsenen Rindes, Biolog.
Cblatt. 1 maggio 1885. 15 maggio 1885 e 15 giugno 1885).
318 0. BOMITl
dalla derivazione del lobo anteriore dalla ipofisi da essa, aven-
dola sempre trovata, pure ho voluto sottoporre nuovi erabrioni
di vari vertebrati e di vario grado di sviluppo, ad un completo
e minutissimo esame, praticando sezioni della intera loro testa
esattamente verticali, parallele al piano mediano antero-poste-
riore, per mezzo del microtomo di Thoma, e montando le se-
zioni in serie. Così a me parve forse, meglio che in qualunque
altro modo, da risolversi la questione, che nelle cose naturali
una esatta osservazione o verificazione d' un fatto è argomento
perentorio più delle migliori e più sottili deduzioni. Di più
usando soverchiamente di queste ci si avvicina, anco involon-
tariamente, a quel teleologismo che è sorgente di tanti e tanto
colossali errori nella scienza nostra.
Meglio d' ogni minuta descrizione, io darò, tra le tante se-
zioni praticate, le figure (fig. IV e V) della sezione verticale,
ed esattamente della centrale della serie, d^ una testa di em-
brione di pulcino verso il 7.'> giorno di covatura fatta nella
stufa di Arsonval. L' embrione colorito e rinchiuso nella paraf-
fina, fu sezionato col microtomo di Jung. Ho a bella posta pre-
ferito il disegno e lo studio d' una preparazione tolta dal pulcino,
perchè Kolliker e Mihalkovics hanno più specialmente studiata
e figurata la cosa in questo stadio nei mammiferi.
Il disegno si limita a quella parte della preparazione che com-
prende il fondo della bocca primitiva (a), la base del cranio nel
pilastro medio di Ratchke, futura sella turcica (b. e), il cervello
intermedio (i), e, al davanti, un grosso vaso (e) . Dalla parte
più alta del fondo della bocca o della volta faringea, parte un
sottile prolungamento epiteliale, largo 25 micromillimetrì, questo
ha un cammino lievemente tortuoso, traversa la base del cranio
primitivo tra due formazioni cellulari (f) che costituiranno il
basisfenoide e sbocca in una ampia infossatura che è la fossa
pituitaria o futura sella turcica. È da notare che nel suo tra-
gitto passa al davanti d' un grosso vaso (e) involto in delicato
tessuto fibrillare. La presenza di questo vaso in questa località,
ed in un periodo sì primitivo ci da ragione del trovarvisene
anche neir adulto: donde i molteplici forellini vascolari che esi-
stono spesso nel basisfenoide completo, forellini che, come ho
sopra detto, non devono essere confusi col canale cranio-faringeo.
Arrivato il prolungamento in parola, che non è altro che
80PBA IL CANALE CRANIO-FA KINQEO NBLlVoMO E SOPRA LA TASCA EC. 319
la primitiva tasca ipofisaria, entro il cranio, esso è schiacciato
d'avanti in dietro, e sì continua direttamente in una massa
glandulare a molteplici gemmazioni od ^cini, claviforme nel suo
insieme (g), e che si porta in dietro ed in alto verso la base
del cervello intermedio (A). L'epitelio di questa massa è cilin-
drico corto, è alto 8 micromillimetri : e la massa stessa rappre-
senta una serie di gemmazioni da un tubo epiteliale o glandu-
lare, esattamente come si ha nella produzione delle comuni
glandule del corpo umano: esso non è altro che il lobo anteriore
della ipofisi, ed h inutile spendere ulteriori parole per asserire
che esso non può essere che la continuazione o il prodotto del
prolungamento dell' epitelio faringeo o della tasca di Batchke.
Nel preparato si nota ancora che il prolungamento faringeo è
tuttora cavo (fig. V) presentando un lume di 9 micromillimetri:
così pure sono i tubi glandulari del lobo anteriore della ipofisi.
Benché non direttamente collegato col nostro argomento,
pure io voglio notare un fatto palese nella preparazione e nella
figura che fedelmente ritiae: Albrecht, tra le sue conclusioni,
asserì ancora che tutta la apofisi h indipendente dal sistema
nervoso centrale; sicché, per esso lui, il lobo posteriore di questa
non doveva nascere dal cervello intermedio. Ma appunto nella
figura si vede in (i) come un diverticolo del pavimento del cer-
vello intermediario si porta in basso ed in dietro cella fossa
ptnitaria, ed è quello che, come mostra lo studio del successivo
sviluppo, va a costituire il lobo posteriore della ipofisi.
Da questa preparazione resta meglio confermato e dimo-
strato come anche nel pulcino il lobo anteriore della ipofisi si
formi da gemmazioni o diverticoli che nascano dalle due pareti
della tasca di Ratchke, l' estremo della quale nelle sezioni tra-
sverse, apparisce schiacciato ed ha aspetto di fessura, come è
figurato, ma nello embrione di troia, nella fig. 329 della 2." ediz.
della Embriologia di Kolliker. Nei mammiferi invece le gemma-
zioni epiteliali che producono il lobo anteriore della ipofisi sor-
gono solamente dalla faccia anteriore della tasca. Nello stadio
che io ho descritto adesso nel pulcino si vede come alcuni dei
diverticoli sieno già isolati dallo estremo della tasca faringea
che li originò.
Dal sin qui detto e dimostrato, chiaro apparisce come la
nuova veduta di Alhrechtj benché sostenuta da un ricercatore sì
320 Q. ROMITI — SOPRA Ih CANALE CRANlO-PARmOBO EC.
competente in morfologia comparata, non è che una semplice
asserzione.
Che nello embrione il canale cranio-faringeo, del quale ve-
ramente Albrecht riconosce la esistenza, contenga dei vasi retro-
faringei, è fatto che anche le mie preparazioni confermano, e
nella fig. IV ne fe appunto disegnato uno, ma che V organo de-
scritto per tasca di Ratchhe sia uno di questi vasi non può
certamente sostenersi e per la sua natura schiettamente epite-
liale e per il continuarsi col lobo della ipofisi.
Che in questo canale sieno anche vasi, non cade dubbio, e
uno si vede id (e) nella fìg. IV: tali si trovano, e abbondanti
traversare il canale nel coniglio e nella lepre adulti, ed assai
probabilmente sulla nostra bambina era ancora un vasellino che
traversale Y abnorme apertura del basisfenoide. Ma non si può
prendere per esistito permanente quanto si trova solo neir adulto,
che allora bisognerebbe negare molte altre comunicazioni o pro-
lungamenti transitori che si trovano nello embrione e dei quali
può talvolta restar traccia nel!' adulto, e dei quali sarebbe qui
ozioso tener ricordo. La tasca di Ralchke sparisce agli odierni
vertebrati perchè nuovi adattamenti non ne hanno giustificata
la permanenza e la ragione; rimangono i vasi perchè possono
avere speciale ufficio ('), sia per nutrire delle parti, sia per co-
stituire vie emissarie specialmente venose.
Dallo insieme di questa mia Memoria son venuto concludendo:
Esiste, come rarissima varietà nelPuomo, il canale cranio-
faringeo, anche al di là della vita fetale.
Esso è omologo a quanto si trova normalmente nel coniglio
e nella lepre.
Sta a rappresentare il resto o la traccia del passaggio at-
traverso la base del cranio della tasca di Ratch\e.
Ha perciò lo stesso significato morfologico-comparativo e
genetico delle altre varietà, umane: è carattere reversivo.
La tasca di Ratchke esiste realmente e dà realmente origine
al lobo anteriore della ipofisi.
(9 Canale abnorme ed esclusivamente vascolare è il cosi detto € Canale basilare
mediano dell* occipitale » dal quale ne sono stati illustrati esemplari da Gruher e
da me.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Fijr. I.
Porzione dì base di cranio dì una bambina di 5 anni,
a. Canale cranio-faringeo traversato da una setola.
Figr. II,
■A
Base del cranio (meno la parte anteriore) d* un coniglio adulto. '
a. Canale o foro cranio-faringeo.
Fig. HI.
Faccia superiore d' uno sfenoide di feto umano ali* 8.^ mese.
a. Fossetta pituitaria o resto del canale cranio-faringeo.
Fig, IV.
Porzione di sezione verticale della base del cranio di un embrione di pollo
al 7.^ giorno di covatura. Induramento nel liquido di Kleinemberg e alcool:
colorazione in massa nel carminio alluminico: inclusione in paraffina e sezioni
verticali in serie col microtomo Jung. La preparazione è una delle centrali.
Hartnack 3-2. Tubo corto. Camera di Milne-Edwards e Doyere.
a. Cavità boccale e faringea primitiva.
h. e. Base del cranio-Pilastro medio di Ratchke.
d. Cervello intermedio.
e. Vaso basilare.
/! Prolungamento faringeo (tasca di Ratchke).
g. Lobo anteriore della ipofisi.
K Base del cervello intermedio,
i. Lobo posteriore della ipofisi.
Fig. Y.
e.f.g. della fig. IV maggiormente ingranditi. Hartnack 3-5 t. e.
*'^^^^^^y^^^^^^^^^^^^'^^^^^0^^^0»^
i:
I N D I e
DELLE
MATERIE CONTENUTE NEL SETTIMO VOLUME
J. Daniblli. — Osservazioni su certi organi della Gunnera scabra . Pag. l
F. Sestinl — Sulle scorie provenienti da antiche fusioni metalliche
che si trovano nella tenuta di Castagneto * . . . > 18
D. Pantanelll — Una applicazione delle ricerche di micropetro-
grafia all'arte edilizia > 24
D. Pantanelll — Roccie di Assab » 29
A. D'AcHiARDi. — Delia trachite e del porfido quarziferi di Dono-
ratico presso Castr.gneto nella prov. di Pisa > 31
G. Romiti — Una osservazione di terzo condilo occipitale nell'uomo
e considerazioni relative > 57
G. KoMiTL -— La cartilagine della piega semilunare ed il pellicciaio
nel negro > 67
À. LoNGi. — Solfato stannoso, solfato stannoso-ammonico ed alcuni
loro ammonderivati > 71
B. Lotti. — Correlazione di giacitura fra il porfido quai-zifero e la
trachite quarzifera nei dintorni di Campiglia marittima e di
Castagneto in prov. di Pisa > 85
I). Pantanelll — Vertebrati fossili delle ligniti di Spoleto. . . » 93
E. P^icalbl — Ossa accessorie comparativamente studiate nel cranio
dell* uomo e dei rimanenti mammiferi » 101
A. Bartoli k G. Papasogll — Sulle diverse forme che prendono i
corpi nel disciogliersi entro un liquido indefinito > 134
G. Ristorl - Contributo alla flora fossile del Valdarno superiore. > 143
L. Busattl — Nota su di alcuni minerali toscani > 191
324
G. A. Db Amicis. — Il calcare ad ainphistegiaa nella provincia di
Pisa, ed i suoi fossili Pag. 200
G. Ristori. — Consideriizioni geologiche sul Valdarno superiore ecc. » 249
M. Canavari. — Fossili del Lias inferiore del Gran Sasso d'Italia » 280
P. Laghi. — Intorno ad una anomala disposizione delle vene del
collo neiruomo . » 301
G. Romiti. — Sopra il canale cranio-faringeo nell'uomo e sopra la
tasca ipofisaria » 308
ERRATA
Pag. l iO lin. 29. V elettrodo di rame aveva
la forma di diverso dia-
metro
154 Potameae
155 » 3. mill. 5 logis et 3 latis
155 € 25. lungo m. 5 largo 3
170 Urtlelnèe
172 liaurlnèe
188 N. 75. Oreodaphe Heerii
196 » 1. ripartiti
CORRIGE
r elettrodo di rame aveva la fórma di
due cilindri di diverso
mill. 3 longis 2 latis
lango mill. 3 largo 2
Urflelnee
liattrlnee
Oreodaphne Heerii
riportati
^•J^rVV^vV»^
AtUSocTos.Sc.Nat.Vol.VII Tavl.
D'Achiapdi.Trachile e porfìdo
i SocTosc. Sc.Nal.Vol.V11.Tav.il.
D'Achiardi Trochite e poi-fido
../*V;.
Atti S0C.T08C Se Na t Vol.VII. Tav. Ili
Remili Condilo occipitale.
*\
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i —
• • <* •
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Cnstofani lit.
Mibelli dis.
Lit.Gozani Pi£a,
Atti Soc.To8c.Sc.Nal.Vol.VnTavY
G.Papasogli e A. Bartoli
t. >i ■ » ■ ,^^m
6
8
8
10
12
GPapasogli dis.
Chstofani Ut.
Lit.GQi^^\^\^^
Atti Soc Tose. Se Nat Voi VII Tav.VI Canavari_Foss d Lias inf
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E-Crislafari dis.e III. Lit^A.Paiis,Fjrejize.Rniiia
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B. Lotti-Carta qeol.de] Campigljese
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Atti Soc.Tosc. ScNal VoLVU Tav.IX
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Atti Soc.To6.ScNBt.Vol, VII Tav.XI
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I
ATTI
DELLA
SOCIETÀ TOSGilNA
DI
SCIENZE NATURALI
RESIDENTE IN PISA
j^d: s ìko: o XI. X £2
Voi. Vili,
TIPOGRAFIA T. NISTRI b C
1887
à-IUSBPFS: MBNESÒ-HIKI
GONIODISCUS FERRAZZII Mgh.
NUOVA STELLERtDE TERZIARIA DEL VICENTINO
(Nota pr«i«atata nell'adooanza del di 10 gtnnaio 1886)
Tav. X.
Diana e.» 200.""
r. 87.
R 110.
Corpo pentagonale a lati leggermente incurvati e ad angoli
bracchiali attondati. Si contano 22 a 24 piastre marginali e dor-
sali per ogni arco interbracchiale, 11 a 12 quindi per lato di
ciascun braccio. Superficie delle piastre marginali uniformemente
papillosa. Piastrelle adambulacrali cuneate, oltre 20 paia.
L'esemplare può invero figurare quale splendido oggetto
paleontologico, per la conservazione di quasi tutte le sue parti
mantenute nella reciproca posizione loro organica; mentre le
piastre di consimili dermatoscheletri d'ordinario si trovano
isolate, senza quindi poter neppure formarsi una esatta idea
della forma generale del corpo, che qui invece si presenta pres-
so che intera. Con tanto bella apparenza peraltro, l'oggetto
lascia infinitamente a desiderare al paleontologo, il quale in-
damo vi ricerca quei minuti caratteri che le piastre isolate tal-
volta conservano, e che valgono a determinare il genere e la
specie più assai che la generale forma esteriore. Tutta la su-
perficie esposta, eh' è evidentemente la ventrale, è profonda-
mente logorata, come fosse stata assoggettata a prolungato
sfregamento, così appunto come era avvenuto del Crenaster
Montalionis conservato in una lastra di pietra, che faceva parte
del pavimento nella piazza del paese, al cui nome la specie fti
Se, Nat, Voi. Vm, fase. 1." 1
2 G. MENEOHna
intitolata (Nuovi fossili Tose, in App. alle Consid. sulla geologia
Tose. 1853, p. 24). Nel caso presente manca ogni notizia sulle
condizioni del ritrovamento.
La bella stella di mare sporge irregolarmente di uno a due
centimetri dalla superficie pure irregolare di una lastra di cal-
carla compatta arenacea, con evidenti caratteri di logorazione
per lungo tempo sofferta e risultata più efficace sulla roccia,
in confronto al fossile, le cui piastre spatizzate vi hanno offerto
maggiore resistenza, essendone non pertanto scomparse tutte
le particolarità esteriori. Le piastre marginali sono più laiche
che lunghe nelle parti medie dei lati interbracchiali, diminuen-
dosene proporzionatamente la larghezza in prossimità agli an-
goli ; ma in nessuno di essi angoli sono ben conservate le ter-
minali, rimanendone anche incerto il numero. Le piastrelle
adambulacrali conservano prevalentemente forma cuneata, che
induce a supporre alterne ad esse le piccole aree triangolari
porifere. Parallelamente alla doppia serie delle venti piastrelle
adambulacrali succedono, in ciascuno degli spazi interambula-
crali, cinque serie di piastre, che dai due lati convergono al-
l'angolo del peristoma, rappresentato da un vuoto irregolar-
mente rotondo, di circa due centimetri di diametro. L'angolo
di congiunzione di esse serie di piastre Inter ambulacrali, sem-
pre più ottuso dal centro alla periferia, termina per conver-
tirsi nel lieve incavo del lato interbracchiale. Le piastre inte-
rambulacrali devono essere state esagone e contigue jfra loro,
ma per effetto della corrosione, commisurata alla struttura
cristallina, risultarono più o meno profondamente stellate a
sei raggi.
Essendo cancellati dalla corrosione gl'importanti caratteri
della superficie sulla faccia estema, si dovette tentare di rile-
varli sulla opposta o dorsale. Denudata, a tale oggetto, una
porzione del lato interbracchiale sinistro dalla roccia che vi
copriva le estremità delle piastre marginali dorsali, riuscì poi
staccare dalla roccia sottostante tutta la doppia serie di piastre
marginali. Il frammento staccato (fig. a) mostra il notevole spes-
sore delle piastre dorsali in confronto a quello rimasto alle
corrose piastre ventrali. Le maggiori hanno 15 millimetri di
larghezza, e* 7 di lunghezza ed altrettanto di spessore : lunghezza
e spessore subiscono leggera diminuzione in precedenza alla
GONIODISCUS FEBRAZZn Moh, 3
estremità, distale, fino alla quale si mantiene la lunghezza così
leggermente diminuita, ma nuovamente si aumenta lo spessore,
al quale aumento immediatamente succede Y attondamento della
estremità. Anche la estremità intema è attondata, come lo è
pur quella della successiva piastra interambulacrale, alla quale
ciascuna delle marginali si connette. I fianchi delle piastre mar-
ginali sono piani, e fra quelli delle piastre contigue penetra sot-
tile strato di sostanza calcareo-arenacea, mentre invece le op-
poste faccio delle piastre ventrali e dorsali aderiscono diretta-
mente, ad esclusione di materia estranea interposta. Solo alcune
delle piastre dorsali conservano in parte lo straterello superfi-
ciale papilloso, che per lo più rimane aderente alla roccia. Le
papille coniche vi sono uniformemente distribuite, ma di varia-
bile grandezza, varietà che apparisce anche maggiore di quello
che dovesse essere originariamente, atteso lo smussamento più
profondo che sembrano aver subito quelle che occupano la parte
mediana della faccia leggermente convessa, mentre si conser-
vano appuntite quelle che scendono sui lati. Sembra per tali
caratteri giustificata la determinazione del genere, quale fii de-
finito e limitato da Mùller e Troschel (System der Asteriden,
Braunschweig 1 842) . La facile sfaldatura dimostra normale alla
superficie V asse di simmetria cristallina. Le sezioni sottili non
isvelaroho al microscopio traccia alcuna dell' originario reticolo
scheletrico, che nelle piastre delle analoghe specie viventi mo-
stra maglie piccolissime ( ved. A. Gaudry. Mérn, sur les pièces
solides des SteUérides, Paris, 1852, PI. 12, fig. 2, 3.),
La specie differisce grandemente da tutte le congeneri cre-
tacee, che sono a quattro, a sei, a otto, a dodici piastre mar-
ginali intermedie (Ed. Forbes. On the Asteriadae foiind fossil in
British Sfrata, Mem. of the Geolog. Surv. II. 2. 1848. p. 471, sg.
— Parkinson. Organ. Reinahis, London. HI, 1811, p. 3, PI. 1,
fig. 1, 3); nonché da quella del calcare di Leitha, descritta dal
Dr. C. Heller: Goniaster Mulleri (Ueber neue fossile Stelleriderij
Wien, 1858, p. 9, Taf. Il, Fg. 3-7p; presenta invece maggiori
somigUanze con talune delle specie viventi ed in particolare
col G. ploLcenta M. et T. e col G. Sebae M. et T. (M. T. Dujardin
et M. H. Hupé. Histoire naturelle des zoophytes Èchinodermes -
Suite à Buffon. Paris 1862. p. 401 sg.), e colle specie adriatiche,
G, placentaeformis e G, acutiis (C. Heller. Untersiichung. ueber
4 G. MENEGHINI
die Littoralfauna des Adriatisch. Meeres. Sitzungsb . rf. k. /.*. Ak.
d. W. xLvi, 1862, p. 419. — Zoophijt. und Echinod. d. Adriat.
M. 1868. p. 54), del cui valore specifico quistionano E. v. Ma-
renzeller ( Bevis. adriatisch. Seesterne. Z. B. Ges. xxv, 1875) e
F. Gasco. (Descriz. di alcuni Echinodeìtni nuovi o per la prima
volta trovati nel Mediterr. - B. Ac. d, s. fis. e mai. Nap. Bendic.
1876. p. 40).
Molto scarsa e verosimilmente molto incompleta è finora la
serie delle Stelleridi conosciute nei terreni terziarii d' Italia, ed
essa dovrà al certo essere anche sottoposta a critica revisione
allorché se ne abbiano più copiosi e perfetti materiali. Si ri-
ducono per ora alle specie seguenti:
Gonìaster senensis
Astrogonium senense Mgh. (Studi sugli Echinodermi fossili
neogenici di Toscana. Descriz. di Siena. 1862. p. 1, tav. 1, fig. 1).
Sabbie gialle plioceniche dei contomi di Siena.
Gonìaster Lawleyi
Piastre marginali più lunghe (6."") che laiche (5."") ,
leggermente cuneate, a superficie granulosa, granuli minuti
(12 in un millim. q.), disposti in serie irregolarmente irra^anti.
Argille turchine di Orciano.
Astropecten Soldanii
Crenaster Soldanii Mgh. (Stud. etc. p. 5).
Argille turchine plioceniche del Senese, ed in quelle
tortoniane di Benestare, secondo il Seguenza.
Astropecten omatus
Crenaster omatus Mgh. (Stud. etc. p. 7).
Argille turchine di Malintoppo ed in quelle di Benestare.
Astropecten foveolatus
Crenaster foveolatus Mgh. (Stud. etc. p. 8).
Col precedente.
Astropecten crenulatus
Crenaster crenulatus Michlt. in litt. Seguenza, (Le for-
maz. terz. n. pr. di Reggio. Roma 1880, p. 133).
Tortoniano di Benestare.
„ Placche somiglianti a quelle dell' A. ornatus, ma a su-
perficie convessa come squamosa, con alcuni tubercoli ad una
estremità. „ (Seguenza) .
GONIODISGUS FERRÀZZn Moh. 5
Astropecten Montalionis
Crefmster Montalionis Mgh. (Nuovi fossili toscani. 1853.
p. 49. — Stud. etc. p. 81).
Panchina pliocenica inferiore dei contomi di Mon-
tajone (^).
Astropecten laevis
Crenaster laevis Michelt. in litt.
non Asterias laevis Desm. (Cat. des Stellérides viv. et
foss. in Act. de la Soc. Linn. de Bordeaux, V, 1832, 4, p. 15,
pi. 2, fig. 2) .
Piastre marginali più larghe (5.""") che lunghe (4.™) ed
alte (2,5.°""), attondate all'esterno, ad angolo ottuso all'interno,
superficie regolarmente foveolata, fossette rotonde (e* 15 in un
millim. q.); faccie laterali incorniciate da rilievo marginale e
liscie.
Collina di Torino.
Astropecten foveolatus ?
Crenaster Desmoulinsii Michelt. in Utt.
(^) Alla imperfetta descrizione datane nelle due precedenti occasioni, devonsì
aggiungere le osservazioni seguenti.
L* esemplare è fossilizzato in idrossido di ferro, spicca quindi cospicuamente
sulla tinta giallastro-sudicia della roccia eh* è quella panchina calcareo-arenosa
che nei contorni di Montajone sta sotto alle argille turchine, ma altrove chiara
mente ricopre la formazione gessosa-solfìfera . La logorazione interessa profon-
damente la superficie della roccia, e quella pure del fossile che appena ne sporge
in qualche parte di uno o due millimetri. Giace colla faccia ventrale adesa alla
pietra, e la faccia esposta dovrebbe quindi essere la dorsale, ma la logorazione è cosi
profonda eh* è invece la superfìcie interna delle placche ventrali che prevalentemente
si palesa. Il disco ha circa 50.""" di diametro; le braccia sono molto disuguali; il
maggiore ha circa 115.™"* di lunghezza dal margine del disco, MO.""" dal centro di
figura. A partire dalP angolo interbracchiale. le piastre visibili su ciascuno dei due
lati del braccio di media lunghezza sono e* 30. Appariscono quadrate di c> 3."*"* di
lato, 0 leggermente romboidali, con progressiva diminuzione di dimensioni verso le
estremità, ma nei seni interbracchiali si allargano nel senso dei raggi e proporzio-
natamente si accorciano nel senso parallelo al margine. In molte parti la forma n* ò
oscurata dai residui delle sovrapposte placche dorsali. Non sono punto contigue, di-
stando fra loro di fino 2.*"*", con interposizione della sostanza pietrosa. È da esse plac-
che ventrali che si dipartono gli aculei di 8 a Q."*" di lunghezza, divergenti o forte-
mente inclinati verso le estremità delle braccia. — Molto varie di forma appariscono
le placchette ambulacrali nelle colonne mediane delle braccia, precisamente come nel-
r Astropecten Forbesi Hell. (C. Heller. Ueber neue fossile Stelleriden^ Sitzungsb. d.
k. Akad. d. W. xxviii, 2., p. 158, Taf. I, 1858), alla quale specie la nostra somiglia
molto, dilferendone specialmente pel numero assai minore delle placche marginali.
6 6. MENEGHINI
Piastre marginali trigone più larghe (7.™) che lunghe
ed alte (4.""), ad angolo intemo ottuso, superficie foveolata a
fossette rade (4 o 5 in un millim. q.), regolarmente disposte a
quinconce; faccie laterali divise da cordone sporgente in una
zona esteriore e un piccolo triangolo intemo.
Collina di Torino.
Benché abbia maggiori dimensioni e più rade le fos-
sette della superficie, sembra non differire dalla specie plioce-
nica sumentovata.
Una piastra si distingue dalle altre per la forma cu-
neata, che termina a spigolo acuto, ma conserva i caratteri
essenziali delle altre. Primeggia fra questi il cingolo spoi^ente,
come nel Astropecten ? Colei, Forb. (Monogr. of the Echinod. of
the BrUish Tert. Lond. 1852, p. 30, PI. IV, fig. 3).
Goniaster deperditus
Uraster deperditus Michelt. Etudes sur le Mioc. infér. de
r Italie sept. Harlem. 1861, p. 27, pi. i, fig. 17, 18). — Astroga-
nium deperditum (Mi eh. sp. ) Mgh. (Stud. etc. p. 51).
Valdagno. Miocene inferiore scd. Michelotti.
Goniodiscus Ferrazzii Mgh.
Calcaria arenacea di Lavarda?
Astropecten sp. cfr. A. laevis Desm. sp.
Tongriano, zona E. Antonimina (Seguenza).
Astropecten Petrobonae
Asferias Petroboìiae Zign. in litt.
Piastre marginali trigone ; faccia superiore-esterna molto
curvata, rettangolare (9."™ e 4.™), liscia; taccio laterali trian-
golari; ampia e rilevata cornice al lato superiore-esterno con-
vesso, molto più sottile ed acuta al lato inferiore concavo; sot-
tile pure ma rilevata in lobo convesso la cornice del lato in-
temo. Faccia inferiore concava rilevata all' angolo che la unisce
alla intema in grosso tubercolo, che rimane fiancheggiato dai
due lobi sporgenti della cornice dei lati intemi, fra i quali anche
la faccia intema porta un tubercolo sporgente.
Altre piastre meno larghe e più lunghe (8.™ e 5.™) e
di minore altezza (4.°") , colle stesse comici alle facce laterali;
sulla faccia interna, invece del tubercolo isolato, uno spigolo
GONIODISCUS FERRAZZn Moh. 7
trasversale che unisce i due lobi sporgenti delle relative comici.
Marna grigia. Zona della Serpula spirulaea. Priabona,
sotto la chiesa.
Il beir esemplare, che ha dato argomento a questa nota, faceva
parte di una disordinata congerie di fossili lasciata in meschina
eredità alla famiglia da un indotto raccoglitore abitante a San
Giacomo di Lusiana. L'onorevole Cavalier Andrea Secco, che
aveva la bontà di accompagnarmi nella ispezione di detti fos-
sili, mi spiegava come, in quella località, compresa nel celebre
rovesciamento del margine meridionale dei Sette Comuni, si
abbiano, in serie discendente, il Neocomiano ed il Senoniano,
il qual' ultimo termina in Lavarda a contatto degli strati del
piano di Priabona. I terreni di Lavarda sono i terreni ter-
ziarii più prossimi a San Giovanni di Lusiana, ed evidente-
mente da essi provenivano, almeno, per la massima parte, i fos-
sili di quella informe collezione. Ma il carattere litologico del
nostro esemplare lo potrebbe far piuttosto riferire ad un piano
più antico anche di quello di Koncà e che a Lavarda non com-
parisce, quello cioè a Cancer ed a Nummulites cotnplaìiata, che
si trova invece a Pradifoldo a levante di Lavarda. Supponeva
quindi V onorevole Secco che il raccoglitore estendesse anche a
quella località le sue ricerche. Considerando però, da una parte
le affinità zoologiche del nostro fossile colle specie viventi, e
dall'altra la conosciuta presenza del carattere litologico di
Flysch anche negli strati di Lavarda (^ (7 est de cette sotis-di-
vision que se dévehppe le Flysch. „ Suess) , rimane più verosimile
che sia esso pure da quelli provenuto.
Per trovare un qualche acquirente, ed a benefizio quindi
della povera famiglia, il chiarissimo Ab. Prof. Comm. Giuseppe
Terrazzi aveva generosamente consentito che queir ammasso di
fossili fosse esposto in una stanza della sua casa in Bassano.
L'autore della Enciclopedia Dantesca e delle biografie dei ce-
lebri Bassanesi acquistava cosi un nuovo titolo di benemerenza
anche nella Geologia, ed è a sperare che non isdegnerà il mo-
desto tributo di riconoscenza che la scienza gli offre, intitolando
al suo nome illustre questa antica stella di un mare scomparso.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
(rf/iiifAisicHSk Ftrrazzii IUtIl aiieso colla &ccia dorsale alla roccia che U ctr
ratiere litologico di Fly^k lascia incerto se provenga dagli strati di
Lavarda o da altro piano inferiore. La superficie ventrale esposta d
profondamente loi^orata.
Sai lato intf-rbraechiale sinistro il marsine fd artificialmente denu-
dato dalla roccia, e se ne potè cosi staccare tutta la doppia serie di sette
piastre marinali.
11 frammento è figurato a parte (ai. in grandezza naturale ed in
iscorcio per p^>rre in evidenza le estremità distali delle piastre dorsali
\jà. estremità di una ia*) di esse piastre è rappresentata in gran-
dezza doppia del vero (fig. b). per mostrare lo strato superficiale papil-
loso che in parte vi è conservato.
Esse papille, quali si vedono colla lente su metà della lunghezza tra-
sversale della detta piastra, sono rappresentate, con ingrandimento li-
neare di nove volte (fig. e): profondamente logorate quelle della parte
mediana, appuntite invece le laterali.
CARLO DE STEFANI
LIAS INFERIORE AD ARIETI
deli; APPENNINO SETTENTRIONALE
PARTE PRIMA
Cenni storici
Non istarò ad esporre come in antico tutti* i terreni del-
l' A pennino, salvo quelli subapennini, fossero ritenuti come pri-
mari e poi come di transizione, quantunque giti fossero conosciuti
i comi d'Ammone di San Francesco di Paola (Creta) presso
Firenze, e del Monte di Cetona ( Lias ) nel Senese, e forse d'al-
trove. Fu la scoperta delle Ammoniti fatta nel 1827 dal Gruidoni
nel più antico Lias inferiore della Spezia che diede la maggiore
spinta a modificare grandemente le opinioni sulla geologia Apen-
ninica. Quei terreni della Spezia (Infralias, Lias, Giura, Creta,
Eocene) furono allora ritenuti dal Guidoni come intermediti^).
V anno di poi il De la Béche riguardava gli strati ammonitiferi
della Spezia come appartenenti al Lias ed all' Oolite C) e cosi
distingueva un Lias nei nostri terreni.
(*) 0. Guidoni — Osservazioni geognostiche e mineralogiche sopra i monti che
circondano il golfo della Spezia. Giornale ligustico di scienze^ lettere ed arti. An-
no II, Genova 18'^.
(^ H. De la Béche — Note sur les différences soit primitives^ soit postérieures
au dérangement des couches qu* on peut observer dans les roches stratifiées, parti-
culièrement dans celles qui sont superposées au grès rouge, Annales des Sciences
naturelles. Tome XVII. Paris 1829.
Se, Nat, Voi. Vm, fase, l.*» • 2
10 e. DE STEPJlNÌ
In questo tempo, con gì* importantissimi £aitti geologici no-
tati nei monti della Spezia e nelle Alpi Apuane, venivano sta-
biliti nelle medesime regioni due dati stratigrafici fondamentali
pello studio del Lias. e pella geologia delKApennino settentrio-
nale, il cui sconoscimento fu causa in seguito di gravi errori,
fino a che non vennero di nuovo confermati molti anni dopo
dal Capellini e dal Cocchi. Nel Promontorio occidentale della
Spezia Guidoni e Pareto stabilivano il fatto {% confermato ed
illustrato poi ampiamente dal Pilla ('), di un rovesciamento pel
quale la serie de' terreni e la posizione stratigrafica del Lias
era invertita. D' altra parte De la Béche stabiliva che i calcari
fossiliferi delle Alpi Apuane simili e coetanei a quelli delia Spezia
si trovavano sopra una serie di schisti in mezzo ai quali era
compresa tutta la zona mannorea, la quale perciò era più an-
tica di quei calcari fossiliferi (^). Solo nel 1862 il Capellini con-
fermò il primo fatto, mentre nel 1864 il Cocchi confermò il
secondo, ed ambedue questi geologi ne trassero partito per mo-
dificare ed illustrare l'ordinamento dei terreni toscani.
Il Savi intanto trovava fossili nel calcare marmoreo di S.
Giuliano nel M. Pisano (parte inferiore del Lias inferiore) e
stabiliva la denominazione di Lias apenninico per quello e pei
terreni sottostanti ( Triassici e paleozoici ), ponendo nella parte
superiore del Secondario col nome di Macigno ì terreni supe-
riori (*).
L'Hoffmann e TEmmerich esaminando di nuovo i terreni
■ ed i fossili della Spezia vi distinguevano per primi delle specie
appartenenti al Lias inferiore C'^).
0) G. Guidoni e L. Pareto — Stdle montagne del golfo della Spezia e sopra
le Alpi Apuane: lettera geognostica ai direttori della Biblioteca italiana. Tomo
XLVII, Milano 1832
C) L. F^illa — Saggio comparativo dei terreni che compongono il suolo d^ Italia,
Annali delle Università toscane, T. l. Pisa 1845. — Note sur le calcaire rouge
ammonitifcre de V Italie, Dulletin de la Società gèologique de France. T. IV.
Paris 1«47.
{^) 11. De La Hcche — Sur les environs de la Spezia, Mém. d, la Soc. gèol.
de Frnnce, T. 1. Paris.
{*) P. Savi — Osservazioni geognostiche sui terreni antichi toscani^ concementi
specialmente i Monti Pisani^ le Alpi Apuane e la Lunigiana, Nuovo Giornale dei
letteraH, Tomo XXIV, Pisa, 1832.
(^) F. HotTmann — Geognostische Deohachtungen gesammeltauf einer Reise
durch Italien und Sicilien. Karsten*s Archiv. Band XIII. Berlin 1839.
MAS INFERIORE 11
Sarebbe fuori del mio compito soggiungere come nel 1845
il Pilla ed il Pareto attribuissero al Trias gli schisti semi-cri-
stallini, distinti col nome di Verrucano, dal Savi uniti al Lias
apenninico, opinione che io confermavo paleontologicamente
nel 1874; come nel 1845 il Coquand distinguesse gli schisti a
Posidonomyae, e nel 1847 il De Vecchi stabilisse paleontologi-
camente resistenza del Lias superiore; come nel 1851 il Me-
neghini distinguesse altri terreni da attribuirsi al carbonifero ;
come nel 1853 Heer, sopra fossili raccolti da Hoffmann ed
Escher von der Linth nel 1822 nel Carrarese stabilisse l'esi-
stenza di rocce infraliassiche nella serie del Lias apenninico.
Fella storia del Lias inferiore occorrerà, invece ricordare
che nel 1845 il Coquand, discorrendo appunto dei calcari am-
monitiferi rossi dei quali ora mi occuperò e che egli avea notati
a Campiglia ed in altre parti di Toscana, con fondamenti pa-
leontologici li pose nel Lias inferiore (*) e ne stabili così la vera
età diniegata per vario tempo dal Savi e dal Pilla che li at-
tribuirono al Lias superiore. Nel 1847, fondandosi parimente
sui fossili, il D'Orbigny, confermando l'opinione di Emmerich
ed Hoffmann, ammetteva come appartenenti unicamente al Lias
inferiore o Sinemuriano i calcari scuri costituenti il piano più
antico del Lias della Spezia, opinione, pur questa, accettata
definitivamente solo in tempi assai recenti (').
Nel 1851 il Meneghini pubblicava una lista di Ammoniti
raccolti nei Monti della Spezia, nella Montagnola senese, nei
Monti oltre Serchio, a Caldana, a Grerfalco, a Sassorosso (col
nome improprio di Castelnuovo di Garfagnana ). Da questi nomi
dei quali ^ il maggior numero è dei proprii al Lias inferiore ed
il numero minore al Lias superiore „ il Savi deduceva che " il
posto da assegnarsi nella serie geologica ai detti calcari si è
nella parte inferiore del sistema Cliurese, vale a dire nel pe-
riodo Liassico, come il prof. Coquand sostenne „ 00. Nel 1853
il Meneghini indicava nuove Ammoniti de' calcari rossi e di-
(*) H. Coquand — Sur les terrains stratifiés de la Toscane, Bull, Soc. géol,
de France. Sèrie II, Tome II, 1845. — Note sur un gisement de gypse au promon-
taire Argentario en Toscane, Bull. Soc, géol de France, Sèrie II, Tome III. Paris 1846.
O A. D'Ordigny — Paleontologie francaise. Terrains jurassiques. 1842.
O P. Savi e 0. Meneghini — Considerazioni sulla geologia stratigrafica della
Toscana. Firenjse 1851, P. 324, 325.
12 e. DE STEFANI
stingueva nell' insieme "11 specie del liasse superiore o toar-
ciano, 14 del liasse propriamente detto o medio, 22 del piano
inferiore del liasse o sinemuriano „ : fatte varie considerazioni
sopra questa in gran parte non esatta riunione di specie, no-
tando anche la costante prevalenza numerica degV individui
appartenenti a specie sinemurinìie, il Meneghini concludeva;
" senza osar decidere la questione, non esitiamo di asserire con-
fermato da questi studii che il nostro calcare rosso ammoniti-
fero non si può conguagliare a quello dell' Apennnino centrale
e delle Alpi lombarde, il quale è decisamente liassico supe-
riore » (*). In allora col calcare rosso ( zona ad Arieti) era unito
in uno stesso piano geologico anche il calcare bianco o ceruleo
sottostante (zona ad Angulati) ed il calcare con selce sovra-
stante (Lias medio).
Nel 1864 il Savi, in mio de' suoi ultimi scritti, accennando
ai fossili pubblicati dal Meneghini, asseriva che *^ la nostra cal-
carla rossa ammonitifera è da essi caratterizzata nel taodo il
più certo come appartenente all' epoca del Lias inferiore „ O
e lo stesso ripeteva nel 1865 il Meneghini (-). Questi però, nel
1868, in una lettera al Rath, parlando in modo speciale dei
fossili del calcare rosso di Campiglia, ricordava parecchie specie
appartenenti al Lias medio, onde quel calcare era al Lias
medio attribuito (*).
Nel 1869 intanto lo Zittel visitando il Museo di Pisa, tra
le Ammoniti liassiche della Toscana avea osservato XAmmonites
Algoinùnus specie tra le più caratteristiche del Lias medio, pro-
veniente da strati sovrastanti al calcare rosso, e di questa os-
servazione mi prevalevo poi come dirò or ora.
Una prima buona suddivisione del Lias inferiore fonda-
ta sulla paleontologia compariva nel 1875 per opera del
Coquand che attribuiva i calcari scuri della Spezia alle zone
(*) G. Meneghini — Nuòci fossili toscani. Annali delle Un. toscane. Pisa 1853,
P. 12, 17.
(') P. Savi — Sulla costituzione geologica delle elissoidi della Catena metalli-
fera. Nuovo Cimento. Voi. XVIII. Fisa 1864, P. 11, 12.
(3) G. Meneghini — Descrizione della carta geologica della Provincia di Chro»-
seto. 1865, P. 392.
(*) G. vom Rath — Die Berge con Campiglia in der Toskanischen Maremme.
Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaften. Bd. 1868.
LIAS INFERIORE 13
ad Ammonites angulatns e ad A. planorhis ( secondo me quest' ul-
tima zona finora è sconosciuta) ed i calcari rossi toscani alla
zona ad Ammonites bisidcatus, cioè ad Arietites Bucklandi (*):
•se non che il Coquand poneva le divisioni accettando tutte
le denominazioni fatte in addietro dal Meneghini e dal Coc-
chi, distribuendole ne' varii suoi piani, talché varie sue di-
stinzioni (Lias superiore, Lias medio. Trias), sono fondate
sopra una fortuita combinazione di nomi di specie indicate ine-
sattamente. Contemporaneamente con altri fondamenti pa-
leontologici e stratigrafici io pure schiarivo queste distinzioni.
Il calcare bianco ceroide di Toscana appartenente alla zona ad
Angtdati e già, messo nel Lias dal Savi nel 1832, era poi dal
Savi stesso riguardato nel 1864 come possibilmente infraliassico,
mentre poco dopo lo Stoppani, il Meneghini, il Cocchi, lo ri-
guardavano come certamente triassico ed il Coquand come più
antico: ma nel 1875 io dicevo che " per la sua posizione stra-
tigrafica tra r Infralias ( da me distinto estendendo gli studi del
Capellini), e la parte più recente del Lias inferiore, e per la
natura dei fossili, non può essere ascritto se non al Lias infe-
riore medesimo „ e lo ponevo nella sua zona più antica (*). Poco
di poi, studiandone i fossili, deducevo che quei calcari "" anco
senza conoscerne le precise relazioni stratigrafiche si porrebbero
senza incertezza nel Lias. Considerando poi la prevalenza di
specie del Lias inferiore, h naturale che dessi vengano riposti
più particolarmente nel Lias inferiore: siccome p^r^ in quei
fossili si trova una stretta relazione coli' epoca liassica media,
mentre non si scopre alcun simile rapporto coli' infralias, mi
pare si possano porre in un piano intermedio del Lias inferiore,
mentre il calcare rosso sta nel piano superiore „ O, conclusione
pienamente confermata di poi, come si vedrà,. Nello stesso
anno 1875, dopo avere stabilita la posizione costante, anche
nei Monti della Spezia, (cui prima, per un resto del discono-
(}) H. Coquand — Histoire des terrains stratifiés de V Italie centrale se réfe-
rant aux périodes primaire^ paléozoique^ triasique^ rhétienne et jurassique. Bull. d.
Soc. gèol. de France, S. 3, T. Ili, 1875, P. 30.
(*) C. De Stefani — Considerazioni stratigrafiche sopra le rocce più antiche
delle Alpi Apuane e del Monte Pisano. {Bollettino del R. Comitato geologico 1874-75.
P. 66, 67.
(3) C. Do Stefani ~^ DelV epoca geologica dei marmi dell' Italia centrale (Boll.
R. Com. geol. 1875, n." 7 ed 8), P. 9, 10.
14 e. DE STEFANI
•
. scinto rovesciamento non erasi posto mente ) del calcare rosso
ammonitifero sotto il calcare ceruleo con selce, osservavo che
" quando si badi al tipo degli Arieti, il quale è particolarmente
caratteristico del periodo liassico inferiore e quando per V aititi
parte si noti il piccolo numero di quelle specie che si trovano
nel vero lias medio, risulterà dai dati paleontologici la conve-
nienza di lasciare il calcare rosso nel Lias inferiore e precisa-
mente neUa parte più recente di esso „ ('). Del calcare con selce
dicevo '^ la presenza délV Amìnonites Algoviamìis e la posizione
stratigrafica, sembra lo facciano riferire con maggiore proba- ^
bilità al Lias medio „ (*). Fin d'allora, dopo aver distinto Tln-
fralias ed il Lias medio, distinzione che aflfermavo vie più
nel 1876, stabilivo così stratigraficamente e paleontologica-
mente la distinzione dei due piani del Lias inferiore ('*).
Nel 1877, non conoscendo precisa rispondenza di questi due
piani al Lias inferiore d'altre parti d'Europa introducevo la
denominazione di Piano A pel più antico e di Piano B pel più
recente {*).
Una ulteriore ma secondaria divisione stabilii nel 1879,
distinguendo nel Piano A la lumachella del M. Pisano come al-
quanto più recente de' calcari ceroidi del resto della Toscana
e de' calcari cerulei della Spezia, distinzione che ha però solo
un certo fondamento paleontologico, e tenendo i calcari a cri-
noidi del Piano B come alquanto più antichi, come in realtà
sono sempre stratigraficamente, de' calcari rossi ammonitiferi (*). '
Più tardi nel 1881, affermavo la mancanza della zona ad Ae-
goceras 2)hnorhLs o a Psyhnoti nel nostro Apennino, equiparavo
il piano A alla zona estra alpina ad Angtdati, e del piano B
ritenevo ** che ninna delle zone conosciute altrove nel Lias
medio più antico vi corrisponde; però notando gli stretti rap-
porti stratigrafici nei quali si trova col successivo Lias medio
si può dire che rappresenta una divisione delle più recenti del
Lias inferiore ed un passaggio al Lias medio : questa zona aa-
(») e. De Stefani — Cons strat. Alpi Apuane P. 74.
O Loc. cit. P. 74.
(') Loc. cit P. 83.
(*) C. Do Stefani — Geologia del Mante Pisano. Memorie del R. Camitaio
geologico. Voi. Ili 1877. P. 37 e 124.
(*) C. De Stefani — La Montagnola senese. (Boll. R. Qom. geol. 1879). P. 87.
LIAS INFERIORE 15
rebbe intermedia fra quella délV Artetites raricostabus e quella
à^lX Aegoceras Jamesoni dell'Europa centrale „ ('): quest'ultima
conclusione peraltro, come dirò, sarà leggermente modificata.
H Canavari poi studiando i numerosi fossili ne' calcari ce-
rulei della Spezia ripeteva che vi manca la zona a Psylonoti e
che essi rappresentano la zona ad Angulati (^).
■
Osservazioni litologiche
H calcare, i cui fossili descriverò, indicato per solito dai
geologi toscani col nome di calcare rosso ammonitifero, carattere
che esso però ha a comune con altri calcari, è compatto, a
grana finissima o leggermente ceroide per incipiente cristalliz-
zazione, di rado biancastro o grigio, o verdolino, quasi sempre
colorato con varie tinte di rosso, or carnicino, or vagamente
roseo, or rosso vinaccia od anche giallo aureo. Nel bianco, nel
roseo, o nel giallo sono frequenti venature di calcite bianchiccia
le quali mancano per lo più nei calcari rossi più accesi; ma
questi sono traversati sovente da vene e sfumature di colore
rosso più acceso che fanno apparire Ila roccia brecciata. Talora
trattasi di una vera breccia nella quale il calcare fii screpolato
per effetto di pressioni avvenute in posto, e gì' interstizii fu-
rono riempiti da una pasta calcareo-ferruginosa distribuita dalle
acque. A Monsummano, a Sassorosso di Garfagnana ed in qual-
che altro luogo si trovano nel calcare dei noduletti di selce
rosea, cornea, o cerulea che del resto non mancano nella zona
ad Angulati e sono molto più frequenti nel Lìas medio. La
roccia è quasi sempre costituita da strati regolari la cui di-
stinzione è resa spesso maggiore da strati di schisto calcareo
rosso, verdognolo, di rado ceruleo. Talora il calcare è compatto,
bianco, e semicristallino, onde certi pezzi si piglierebbero per
marmo bianco. Quando esso è compatto serve mirabilmente
per usi edilizii e decorativi, per tavole e impiallacciature di
monumenti, di rado per colonnini giacche non è molto tenace
ed uniforme; quasi dovunque se ne potrebbero cavare delle ta-
{}) e. De Stefani — Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono V Apen~
nino settentrionale (Atti dèlia Soc. Toscana di se, nat ISSI). P. 17.
{*) M. Canavari — Beitràge zur Fauna des unteren Lias von Spezia, Pa^
laeentographica. Bd. 29. 1882.
16 ' e. DB STEFANI
Yole le cui tinte ed il cui tono rosso o giallo con qualche ve-
natura varierebbero singolarmente da un lu<^ all^ altro. Son
noti i marmi rossi di Sassorosso di Garfagnana che servirono
pel Duomo di Firenze, i rossi della Gherardesca in Maremma,
la breccia di Caldana, il roseo di Matanna, il roseo venato di
bianco di Trassilico, lo stupendo marmo color giallo aureo o
giallo miele della Montagnola senese conosciuto col nome di
giallo di Siena, per tacere del broccatello di Montarrenti pure
nella Montagnola, del marmo giallo pallido di Santa Maria del
Giudice nel Monte Pisano, etc.
Quasi in ogni luogo abbondano considerevolmente i CeMb-
podi fossili e sarebbe più facile indicare i luoghi nei quali man-
cano che quelli nei quali si trovano. L'avere fatto scavi in un
luogo piuttosto che in mi altro' per levare i marmi ha fatto
scoprire maggior numero di specie in certi punti che in altri.
Alcune sezioni da me fatte a Pisa, altre del Pantanelli(') hanno
constatato che quando la roccia e meno cristallina è interamente
costituita da foraminifere {Glohigeripine, Polymorphitiae etc.):
questi fatti provano che la roccia si depositò in mari profondi.
Gasteropodi e Lamellibranchi se ne trovano in varii luoghi, a
Massicciano, a Roggio, a Campiglia; ma sono talmente saldati
nella roccia che riesce difficile scoprirli e pe^io estrarli.
E notevole che questa specie di roccia denotante zone marine
profonde, la quale per la prima volta si presenta ne' sedimenti
italiani, si ripete poi con eguali caratteri nel Lias superiore ed
in varie parti del Giura.
Osservazioni stratigrafiche e topografiche
L'altezza della roccia è assai limitata e va da 1 metro a
circa 20 o poco più in casi eccezionali. Ordinariamente, coli' in-
termezzo di calcari a crinoidi rosei, riposa sopra calcari cerulei
d' aspetto interamente diverso o sopra calcari ceroidi bianchi
appartenenti alla zona ad Angulati del Lias inferiore; ma talora,
o perche la mancanza dei fossili impedisce una esatta distin-
zione, perchè la presenza di ripetute pieghe ha fatto sgusciare
(*) D. Pantanelli — ^oU Microlitologiche sopra i calcari. (AttilLAcc. Lincei)
1882, P. 9.
LIAS INFERIOBE 17
e scomparire gli strati intermedii, o perchè questi realmente
mancano, essa riposa direttamente suirinfralias: non mi son
noti luoghi nei quali il calcare rosso riposi sopra rocce più an-
tiche deir Infralias. Sopra il medesimo succede il calcare ceruleo
chiaro con selce del Lias medio, il quale riproduce con grande
estensione una forma litologica nota già, in qualche strato del
precedente Lias inferiore, come talora in esso esistono alcuni
strati rosei simili a quelli del calcare sottostante: la concor-
danza fra le due zone è poi perfetta. Questi rapporti stratigrafici
rispondono ai rapporti paleontologici i quali uniscono il calcare
rosso più al Lias medio che all' antecedente zona ad Angulati.
Di rado il Lias medio è ridotto a pochissima estensione ed in
questo caso al calcare rosso succede una delle zone schistose
che rappresentano i successivi piani giurassici e cretacei in ri-
spondenza delle quali facilmente accaddero movimenti che, a
cagione della diversa natura delle rocce contigue, produssero
stacchi e discordanze non sempre naturali né originarie.
H calcare rosso non fu trovato fin qui se non nel versante
Tirreno dell' Appennino settentrionale : le rocce che io ritenevo
appartenenti a quel piano nella Provincia di Reggio Emilia,
dietro alcuni fossili trovativi furono da me riconosciute cretacee;
le ammoniti che uno del Cerreto mi mostrava come provenienti
dai monti del Comune di Ligonchio, non sono di quei luoghi,
giacche nel 1882 vi feci espressamente delle minute ricerche e
non trovai rocce liassiche. Comincerò la descrizione dei luoghi
rifacendomi da settentrione: premetto però che non intendo
fare, essendo ciò inutile, una bibliografia ne una rassegna critica
delle pubblicazioni mie o di altri sulla distribuzione topografica
delle rocce.
Provincia di Genova
Nei Monti della Spezia, secondo le indicazioni del Cocchi e
del Capellini (0, tanto nel Promontorio orientale dal Telare verso
la Serra di Fiascarino, quanto lungo il promontorio occidentale,
trovasi il calcare rosso fra la zona ^à Angulati ed il Lias medio che
si può incontrare in vari punti. Il Savi ed il Meneghini indicarono
(}) I. Cocchi ^ Lezioni sulla geologia dell" Italia centrale. 1864.
G. Capellini — Carta qcologica dei dintorni del Golfo della Sp'nia e Val
di Magra inferiore. Bologna 180'^.
Se, Nat, Voi. Vm, fase. 1.* 3
18 e. DE STEFANI
per primi un Ammonite a Parodi (') e più altri ne trovò e ne in-
dicò poi nel Promontorio occidentale e nel canale di Fiascarìno
il Cocchi, il quale fu pure il primo a trovarvi fossili nel Lias
medio (*). Il Savi riconobbe per tutto altrove la sovrapposizione
del calcare con selce ( Lias medio ) al calcare rosso ; ma ne'
monti della Spezia non riconoscendo il rovesciamento ammesso
dal Pilla dovette ritenere che il primo sottostasse al secondo.
Anche da ultimo il Capellini ed il Cocchi ammisero quelle due
rocce e la zona ad Angulati come rappresentanti collettivamente
il Lias inferiore e medio. Io più tardi distinsi il calcare scoro
sottostante e lo attribuii alla zona ad Anguhti, mentre attribuii
al Lias medio il calcare con selce (^); avevo già, vedute nel
Museo di Pisa alcune delle Ammoniti raccoltevi dal Cocchi ed
una venne da me indicata col nome errato di Amìnonites
Partschi (*).
FroTincia di Massa
In mezzo alVApennino di Garfagnana e Lunigiana sorgono
parecchi lembi di antiche rocce, nel Monte Malpasso, a Sassalbo,
Mommio, al Colle Forame, a Soraggio, Corfino. Le parti più
inteme sono quasi sempre formate dal V Infralias ben distinto
pe' suoi fossili ; succede la zona ad Angulati rappresentata per
lo più da calcari cerulei a Pentacrini ed a Brachiopodi, dei
quali si può far buona raccolta nei Monti di Corfino e Mommio,
rare volte da calcari bianchi ceroidi con ammoniti identiche a
quelle della Spezia come nel Monte di Sassorosso. Intorno in-
tomo, poi, quasi sempre con qualche interruzione, trovasi il
calcare rosso ammonitifero alto da 2 a 3 metri, fino a circa 20
o 30 nel Monte di Sassorosso, coperto sempre dal Lias medio
concordante, ovvero con discordanza dal Giura, dalla Creta, dal-
l'Eocene. Tutti questi luoghi sono ben forniti di fossili.
Intorno all' Infralias ed alla zona ad Angulati dell'Alpe di
Mommio, il calcare rosso forma una cintura piuttosto continua
(*) P. Savi e G. Meneghini — Cons. strat. Toscana, 1954, P. 348.
(*) I. Cocchi - Description des roches ignèes et sédimentaires de la Toscane
dnns leur succession géologique Bull, Soc, gèoL de France. S. 2. Tome XllL Pa-
ii« 1856.
(*) C. De Stefani — Cons. straL Alpi Apuane, P. 75.
(*) C. De Stefani - Geol. M. Pis. F. 41.
LIAS INFERIORE 19
ed elevata, ed il Cocchi vi trovò fossili a Restì ed a Massicciano
nel fondo del vallone (^).
Nel Monte di Soraggio il calcare rosso trovasi in piccoli
lembi alla Costa e nelle vicinanze sulla destra del Serchio ed
in serie continua da Vicagliola, in Corte, al Monte di Ripa, fino
al Canale Gelato tutto intorno alla zona ad Angolati: trovansi
fossili presso la Costa ed in varii luoghi sotto Corte verso il
Rimonio; il Cocchi ne trovò nel 1863 alla Parecchiola nel Co-
mignolo di mezzo e questi li descriverò.
Nel Monte di Corfino la copertura del calcare rosso è piut-
tosto continua sulla sinistra del torrente omonimo detto anche
Mozzanella, dalla ripa di esso sopra il Pollone di Canigiano fino
a Sassorosso, che da esso appunto prende il nome, ed alla Buca
della Guerra. Alla Rocca sopra Sassorosso fu scavato parecchie
volte, ma le cave sono ora abbandonate: bellissime tavole di
quel calcare si vedono in quasi tutte le migliori case di Gar-
fagnana, e quasi in tutte si osservano belle sezioni di Belemnites,
Atradites ed Ammoniti. In questo luogo abbondano i fossili dei
quali fece pella prima volta collezione il Dini; il Savi li indicò
nel 1830 (^) e poi ne raccolse egli stesso circa nel 1833 (^). Sulla
destra della Mozzanella il calcare rosso forma solo lembi iso-
lati: uno più ragguardevole è sotto Canigiano a confine con
rocce cretacee o più recenti; altro lembo isolato sulla zona ad
Angidati è alla Tana grande in quel di Corfino a mezza costa
del monte, e ne provengono fossili molto belli. Altri lembi pic-
coli ed isolati sotto V Eocene, sono salendo sopra Corfino verso
Corte e a settentrione del Monte ed altri, finalmente, formano
la sommità, più alta del Monte e quella della cima più orien-
tale di esso.
Nelle Alpi Apuane trovasi il calcare rosso per grande esten-
sione, come può rilevarsi dalla carta in grande scala che io
donai nel 1881 al Ministero d'Agricoltura e Commercio per uso
del Comitato geologico e che ora trovasi nell' Archivio del Mi-
(*) I. Coochi — Sulla geologia dell* Alta Valle di Magra. (Mem, Soc» it, se.
nat). 1866, P. 5.
(*) P. Savi — Catalogo ragionato d'una Collezione geognostica della Toscana.
Nuovo Giorn d. Lett. T. XX Pisa 1830, Parte I.
(') P. Savi — Tagli geologici delle Alpi Apuane e del Monte Pisano N. Giorn.
dei Lett. T. XX VII, Pisa, 1833, P. 36.
20 e. DB STEFANI
nistero d' Istruzione pubblica. Nella regione orientale troviamo
isolati lembi di calcare rosso in un ultimo sperone del Colle
del Castello di Montignoso, verso il Baccatoio e la pianura, poi
sopra il Colle della Foce tra Massa e Carrara ove però non
deve confondersi coi calcari della Foce, più recenti, alla Fornace
dei Peschini presso Carrara, indi con estensione maggiore nel
monte di Gragnana, e di nuovo in piccole masse a levante di
Castelpoggio, sulle crine provenienti dalla Pizza e sulle pendici
settentrionali e meridionali di questa. Esso sta suir Infralias,
oppure, dal Ponte Storto alla Pizza, sopra il calcare ceruleo
con ammoniti piritizzate della zona ad Angulati; nel monte di
Gragnana ed ai Peschini è coperto dal Lias medio di cui vedesi
qualche traccia anche nel Colle di Montignoso; ma per lo più
sta sotto il giura. Vi ho trovato tracce di crinoidi in pezzi
erratici nel monte della Foce verso Carrara, ed una sezione
d' Ammonite in Trivola presso Castel- poggio . H Cocchi indicò
Ammoniti nel Monte di Gragnana. Ai Peschini, quantunque la
massa sia delle meno adattate, pure, perchè vicina alla città,
se ne scavarono bozze di colore roseo per uso edilizio e special-
mente per r ospedale di Carrara, e già in alcuno dei più antichi
autori troviamo ricordate queste cave.
Qualche raro lembo pare ne sia nel Monte di Tenerano sopra
rinfralias e sotto il Giura, giacché là secondo il Savi, alla
" Grotta di Tenerano „ fii trovata un Ammonite, circa nel 1833,
non so se dal Guidoni o da altri, entro un calcare biancastro
granulare (^). Questo fossile che è uno de' più antichi trovati
nelle Alpi Apuane, V unico indicato dal Savi nel Lias di quelle
montagne eccettuati i colli di Vecchiano e X unico per ora pro-
veniente da quei luoghi, si conserva tuttora nel Museo di Pisa.
Se fin d'allora tosse stata conosciuta la posizione di quel fossile
si sarebbe ben presto schiarita la geologia delle Alpi Apuane
e di gran parte della Toscana. Il calcare rosso della Maestà
della Villa indicato talora per intero come appartenente al
Lias inferiore, è in gran parte più recente perchè sta sopra lo
schisto a Posidonomyae.
Qualche lembo di calcare rosso trovasi ancora intorno al-
l'Infralias nella parte più alta della valle della Pesciola fra
Pulica, il Monte Grugola ed il Pizzaguto.
(*) P. Savi - Tagli geoL Alp. Apuane 1833. P. 36.
LUS INFERIORE 21
Dal Monte di Tenerano a quello di Reggio non ho trovatx)
traccia di questo piano del Lias inferiore se non in pezzi er-
ratici verso il Canale Ricavoli sotto Ugliancaldo; i calcari rossi
di una delle Maestà d'Ugliano ad esso attribuiti li credo più
recenti. Nella regione orientale delle Alpi Apuane esso prende
però nuovo incremento.
Nel Monte Corona presso Roggio (Comune di Vagli) trovasene
un lembo piuttosto alto fra la zona ad Angulati ed il Lias
medio od altre rocce giurassico-cretacee, ed il luogo detto in
Bieta va segnalato fra quelli nei quali si possono raccogliere in
breve ora centinaia d'esemplari, specialmente delV Arietites Co-
nybeari Sow., ma piccoli. H luogo fii scoperto la prima volta,
credo, dal Dini nella cui collezione è qualche specie di là; ma
fii pubblicato dal Cocchi. H calcare vi è spesso roseo con mac-
chie verdi.
Se ne ritrova fra la zona ad Angulati ed il Lias medio nel
Monte Torre in quel di Careggine, quasi sul vertice fra il Ca-
nale di Vagli e la Tòrrite secca.
Nella Valle della Torrite secca il calcare rosso si estende
molto sur ambedue le parti, specialmente sulla destra tutto in-
torno air Alpe di S. Antonio fin sotto Sassi, ed alla Villa Ber-
tagni presso Torrita, e dalla cima della Pania .fin sotto V Uomo
morto ed alla base della Paniella; altrettanto si estende ma
con minore altezza nei dintorni di Porciglia, dal Canale dell' In-
ferno fin quasi al Mulino del Riccio e sotto Rontano fino al
Fessone delle Capannelle ; ma, salvo alcune lastre alle Comper-
tóse e nell'Alpe di S. Antonio, non se ne trasse partito. Vi si
trovano crinoidi nell'Alpe di S. Antonio e presso Torrita, e
mal conservate Ammoniti presso il Riccio e nel Canale di Ron-
tano: a Deccio, e non lungi dal Mulino del Riccio, su ambedue
le rive della Torrita, è sotto ad esso il calcare ceruleo della zona
zA Angulati; nella Pania vi sta un calcare ceroide di questa zona ;
altrove per lo più direttamente l' Infralias. Il calcare con selce
sta quasi continuamente al di sopra, salvo presso Porciglia, in-
torno al Canale dell' Inferno, ed alcune altre piccole interruzioni
ne' monti di Rontano, Deccio e S. Antonio dove sopra sta il
giura.
Lungo la Torrite di Gallicano, sulla sinistra, il calcare rosso
scende dalla cima della Rocchetta, che è mi' ultima propaggine
22 e. DE STEFANI
della Pania, fino ai dintorni di Vergemoli dove rimane scoperto
per gran tratto e fino alla Torrite dove passa sulla destra sotto
Chieva, al Colle di Matteo sotte Trassilico. Sta ordinariamento
sopra r Infralias e sotto il Lias medio. Lembi isolati di esso,
sopra r Infralias o presi in mezzo al medesimo e con esso al-
ternati in strati verticali per effetto di pieghe, trovansi sotto
Calomini e lungo la valle poco più giù dell'Eremita.
Al Colle di Matteo si scavarono colonnini e tavole; quivi
e presso l'Eremita ho trovato tracce di crinoidi.
ProTincia di Lacca
Nel lato orientale delle Alpi Apuane alla Valle della Tor-
rita di Gallicano succede verso Sud quella della Torrite Cava
appartenente nella parte più alta alla Provincia di Lucca. Nel
suo lato sinistro il calcare rosso comincia sotto il Monte Croce
e traversando la valle poco sopra Palagnana seguita per Pian
d' Orsoli fino in cima al M. Matanna e poi su tutta la crina che
sta verso la valle del Lombricese dalla parte di Camaiore fino
sopra Metato e Monte Riglione . E alto discretamente a Pala-
gnana e Pian d' Orsoli fino al Matanna; è in più tenui strati
di poi e sta sempre fra V Infralias ed il Lias medio. Per lo più
lo distingue un vago colore roseo e nel Monte Matanna fu ten-
tata qualche cava bella ma scomoda per la lontananza. Ammo-
niti ne trovò il Simi presso la cima di M. Matanna e li indicò
al Cocchi che primo li pubblicò (^): ne trovò pure il Simi alla
Grotta all'Onda e ne raccogliemmo insieme: credo ne siano
tuttora nella sua collezione: del resto si trovano Ammoniti b
crinoidi in tutta quella crina verso il Lombricese, come pure
a Palagnana ed alle Scale sotto il Monte Croce. Un ultimo pic-
colo lembo isolato trovasi sotto il Giura al piede del Monte
La Torre verso Camaiore. Fra il Lombricese ed il Crocione il
calcare rosso e quello roseo a crinoidi alternano apparentemente
in mezzo all' Lifralis per effetto di strette pieghe di cui si può
benissimo verificare la curva salendo la valle o la foce del
Crocione dal fondo ai punti più alti. Altri strati, alti da 5 a 20 m.
formano una cintura continua sotto il Lias medio tutto intomo
alla piccola massa infraliassica delle Capanne del Pascoso ed
(«) I. Cocchi — Sulla geologia dell' Italia centrale, 1864 P. 25.
LIAS INFERIOBE 28
all' altra dei Riccioni. Questa regione dell' alta Torrite Cava e
dei dintorni di M. Matanna è di quelle nelle quali il calcare
rosso occupa un'estensione più continua ed uniforme.
Altri lembi trovansi attorno all' Infralias dai monti di Villa-
buona sulla Pescagliora fino alla Valle del Pascoso che è imo
dei rami più alti della Torrite cava, e compaiono, sotto il Lias
medio, in fondo ai torrenti, sotto il poggio di Groppa presso il
Colletto dove contengono tracce di fossili e sopra l' Infralias
presso Pescaglia e Sassorosso dove hanno una discreta altezza.
Lo stesso fatto si verifica intomo all' Infralias che occupa
la parte alta delle Valli della Pedogna, del Rio delle Campore
e del Lucese; quivi il calcare rosso apparisce interrottamente
sotto piccoli strati di Lias medio sotto il Monte Piglione, sotto
il Miralbello e la Casa bianca sulla Pedogna, sotto il Monte
Pedone lungo l' alveo della parte più alta del torrente Lucese,
lungo il Rio delle Campore presso la sua foce nella Pedogna e
a dritta di questo sotto il M. Valimona.
Ad occidente delle Alpi Apuane, tal quale come nella Pro-
vincia Massose, trovansi limitatissimi rimasugli di calcare roseo
intimamente legati col calcare ceroide o coli' Infralias, conte-
nenti sempre qualche traccia di crinoidi, a Monte Preti, alle
Piane di Capriglia, e a Palatina. A Montepreti è qualche traccia
del sovrastante calcare del Lias medio.
Nella parte del Monte Pisano che appartiene a Lucca il cal-
care di questo orizzonte forma una cintura continua dal Monte
Rotondo al piano sopra i calcari ceroidi a gasteropodi della zona
ad Angulafi e sotto il Lias medio ; è rossastro o d' un color
giallo sbiadito con qualche venatura e presso Santa Maria del
Giudice ne levano dei massi per ridurli in tavole che hanno
qualche apparenza del giallo di Siena.
Finalmente nella pendice S. 0. del Colle di Monsummano,
circa da sopra Monsummano basso fino alla Grotta, il calcare
roseo, o ceruleo chiaro, o verdognolo con un poco di selce, sta
sotto il Lias medio e sopra il calcare ceruleo della zona ad
Angulati che ivi pure contiene un poco di selce. Il Marchese
Carlo Strozzi vi trovò delle Ammoniti circa nel 1852 (^); vene
(•) G. Meneghini — Nìmvì fossili, 1853.
24 e. DE STEFANI
trovarono pure il Pecchioli nel 1858 ed il Cocchi nel 1863 e
le loro raccolte trovansi ora nel Museo di Firenze (^) .
ProTineia di Pisa
Neir ultimo sperone meridionale delle Alpi Apuane apparte-
nente al Comune di Vecchiano il calcare rosso forma strati poco
alti ma continui tra il calcare roseo a gasteropodi della zona
ad Aìigulati ed il Lias medio, dalla Foce di Radicata alla val-
lecola de' Sassigrossi, e di qua intorno al M. Bastione fino al
piano di Vecchiano. Sulla destra della Valletta in certe cave
sopra i Pantani furono raccolte e portate al Savi e al Meneghini
le seguenti specie esistenti nel Museo di Pisa e così nominate
dal Meneghini: Amnwnites Pecchioni Mgh., A, hisulcatiis Brug.,
A. Conybeari Sow., A. Boucauìtianus D'Orb. Nel Monte Pisano
pochi strati e mal distinti si trovano dal Monte Rotondo al
Monte delle Fate fin sotto i Bagni della Duchessa, sotto il Lias
medio, e talora, verso quest' ultima parte, a diretto contatto
coir Infralias o con tenuissimi rappresentanti della zona ad An-
guìati. Formano talora una breccia rossastra con cristalli d'Albite
e fuori de'crinoidi non vi si trovarono fossili; sotto al Lias
medio alle cave de' marmi di S. Giuliano ne apparisce qualche
lembo isolato formato da calcare schistoso giallo o verdastro.
Pochi strati di " calcare rosso con qualche crinoide „ fanno
seguito air Infralias presso Samure nell'estremità settentrionale
dei Monti della Castellina C^).
Uno dei sedimenti più importanti per la quantità, dei fossili
che il sig. Tito Nardi ne ha ricavato e che trovansi ne' varii
Musei h quello dei Monti di Campiglia. Il calcare rosso si estende
sopra il marmo bianco della zona ad Angidati da presso la Cal-
dana al piede meridionale del Monte Valerio verso il M. Calvi
e fino alla Pieve vei-so Sassetta, indi presso Castagneto : esso è
alto sempre pochi metri e ricchissimo di Ammoniti e di Atracti-
(*) I calcari rossastri ammoriitiferi più profondi dei Monti di Vico'e Lucchio
in Val di Lima non apparteugono al Lias inferiore come talora fu ritenuto ma pro-
babilmente al Titoniano; un* Ammonite raccoltavi dal Carina alla Tana a Termini
sembra appartenere al genere Simoceras.
(2; B. Lotti — Terreni secondari nei dintorni dei Bagni di C{isciana in pro-
vincia di Pisa. Processi verbali d. Soc. toac. di se. nat. IO gennaio 1886.
LIAS INFERIORE 25
tes, di cui ha parlato più volte il Meneghini, e di crinoidi che
THofifmann pel primo trovava nella valle di Fucinaia. Presso
Castagneto son delle cave che danno il così detto broccatello o
mischio della Gherardesca.
Profineia di Siena
Nella Montagnola senese il nostro piano acquista peculiari
caratteri. Esso sta ognora tra il marmo bianco della zona ad
Angulatij ed una zona di schisti lucenti estesa tra Gelsa, Luciano,
Cetinale, Pernina, Caiano che io credetti riunire allo stesso Lias
inferiore ma che forse in parte superiormente equivale agli schisti
giurassici ; rare sono le tracce di calcare ceruleo del Lias medio.
Esso si estende ad occidente della Montagnola ne' colli di Mon-
tarrenti sulla sinistra della Rosia e verso Sud fino a Spannoc-
chia, ed ivi rimane a scoperto in strati di circa 20 o più metri ;
si estende poi nell'alto della Montagnola ed anco ad oriente
fira Molli e le Reniere, indi in tutte le pendici occidentali at-
torno al Botro di mezzo e nelle crine settentrionali fra Pernina,
Lucerena, Marmoraia, Quegna, La Sanese, Pietralata e la Su-
ghera. Nei colli di Montarrenti predomina il calcare ceroide
giallo d' oro o giallo miele, marmoreo, con venature per lo più
violacee di vaghissimo aspetto: lo chiamano gialh di Sietia e
ne sono parecchie cave lavorate di tanto in tanto. Di colore
assai più sbiadito se ne trova a Lucerena. Talora il calcare è
molto schistoso, o sostituito da veri schisti con lembi di cal-
care schistoso gialliccio, con cipollino verdognolo o biancastro
o giallo e con vene di selce o quarzo. In una tavola di marmo
giallo di Siena esistente nel Palazzo Pitti il Meneghini notò
una sezione di Ammonite che ritenne essere VA. margaritaUus
Montf. (^); altre piccole egli ne vide in una tavola a Padova
ed altre ne aveva notate il Padre Angeloni; una sezione tra-
sversale la vidi in una impiallacciatura nella chiesa dell'An-
nunziata in Firenze presso l' entrata maggiore, ed il Pantanelli
trovò in posto un frammento con 4 o 5 sezioni che io presentai
alla Società toscana. Crinoidi ne furono già notati da Pantanelli
e Lotti nel fosso delle Vignacce, se ne trovano abbondantemente
in posto a Montarrenti, a Lucerena e altrove, come pure se
(*) P. Savi e G. Meneghini — Cons. geol Toscana. 1851, P. 382.
26 e. DE. STEFANI
ne possono vedere alcune sezioni ne' tavolini del Caffè del Greco
e nelle colonne delle chiese in Siena.
Neil' estremo Sud nel lato orientale del Monte di Catena so-
pra Camporsevoli e verso S. Casciano dei Bagni, la roccia più
profonda del monte è un calcare rosso o biancastro nel quale
si trovano Arietites ceratitoides Quenst., A. spiraiissimus Qaeiist.|
A. stellaris Sow. Non v' ha dubbio che vi sia qualche lembo
coetaneo agli altri già, descritti e ne avrei buon numero di fos-
sili ; ma non sono ben sicuro sui limiti degli strati e delle specie,
giacché verso S. Casciano ho trovato poco sopra ad uno strato
con Arietites j in una roccia litologicamente identica, un Aegoceras
sp. n., vicino assai a forme del Lias medio e poco sopra d^Ii
Harpoceras. Certo vi sono poi varii piani del Lias medio e su-
periore rappresentati dalle specie piti caratteristiche; ma io qui
per non far cosa soggetta a qualche incertezza non mi tratterrò
a lungo a discorrere del Monte di Cotona.
Provincia di Grosseto.
Sulla cima N. 0. della Cornata di Gerfalco e sul contìguo
Poggio Mutti il calcare rosso forma dei lembi ora isolati ora
molto estesi sopra il calcare bianco marmoreo della zona ad
Angulati. Quivi si trova '^ la maggior parte degli abbondantis-
simi ma mal conservati esemplari di Ammoniti allo stato di
frammenti erratici „ (0. Di tali fossili parlò più volte il Mene-
ghini (^). Lo stesso calcare in strati abbastanza alti, di colore
rosso o grigio chiaro si manifesta poco lungi e sopra il solito
calcare bianco *" nel versante occidentale del Montalto o Pog-
gione presso Prata in un piccolo lembo „ (^).
Finalmente nella parte meridionale del Monte Calvo presso
Gravorrano dalla parte di Ravi fino alla Caldana trovasi lo stesso
calcare, sovrastante al solito alla zona del marmo bianco ad
Aìufulati: h alto circa 10 metri, per solito rosso, e presso Cal-
dana è costituito da una breccia nota ai marmisti col nome
di Breccia di Caldana; questa è composta da * frammenti an-
C) G. Meneghini — Desc. cart. geol, Grosseto 1865, P. 391.
(') Meneghini e Savi — Cons. geol, 1851, P. 387. — Meneghini - Ntwv, fast.
1853, P. 9. - Meneghini - Desc, geoL Grosseto 1865, P 391.
(^) B. Lotti — Cenno sulla costituzione geologica della Comunità di Massa
marittima, Boll. R, Com, geol. Voi. V, 187 i, P. 292.
LIAS INFERIORE 27
golosi di vario colore, ma specialmente rossi e giallastri cemen-
tati da calcite cristallizzata per lo più bianca, talvolta inquinata
da una sostanza bruna : in alcuni punti il calcare non è brec-
ciforme ma soltanto pezzato di macchie di colore più intenso
di quello del fondo „ (^). H Meneghini indicò a Caldana di Ravi
VAniìnonites Conyheari Sow. (^).
Considerazioni sui fossili.
I fossili da me studiati in questo lavoro si trovano presso
che tutti nel Museo di geologia dell' Istituto superiore di Firenze
dove ho potuto studiarli per gentile concessione del Direttore
Prof. Cav. C. D'Ancona. Essi provengono da Restì, Massicciano,
Soraggio, Sassorosso, e Roggio nella Provincia di Massa, Mon-
summano nella Provincia di Lucca, Campiglia in quella di Pisa,
Gerfalco in quella di Grosseto e Cetona in quella di Siena. A
Restì e Massicciano e Soraggio furono raccolti dal Cocchi, a
Sassorosso dal Dini, dal Cocchi e da me, a Roggio dal Cocchi
e da me, a Monsummano dal Pecchioli e dal Cocchi, a Cam-
piglia dal Nardi, a Gerfalco dal Nardi e dal Pecchioli (^), a
Cetona dal Manciati, dal Quadri e da me.
(* )B. Lotti — Sulla geologia del gruppo di Gavorrano, Bull, Com. geol. 1877 P. 58.
(») Savi e Meneghini - Cons. geol. 1851. P. 391.
(') I fossili di quasi tutti questi luoghi furono già più volte indicati dal Mene-
ghini. A Gerfalco molte specie vennero indicate nel 1851 {Cons. geol. Toscana P. 382):
nell'elenco rifatto nel 1853 {Nuoo, foss. P. 9) venne lasciato fuori V Ammonites co-
mensis; nel 1860 {Cari. geol. Grosseto)^ furono lasciati VA. complanatus^ VA, bifrons^
conae determinazioni assolutamente erronee, V A. aff. rart'costaio^ V A, aff, Bonnardii^
A. bisuUatus, A. spinalus, A. heterophyllus : io lascerò fuori perche non li ho trovati o
perchè si debbono almeno in parte escludere A, tardecrescenst A. Normanianus^ A. an-
gulatus^ A. fimbria tus, A.margaritotus^ A. mimatense, oltre b\V A. Hungaricus, A.
NodotianuSt A. multicostatus Sow., A. Buchlandi già indicati come incerti. DelP A.
Montii Meneghini sp. ined. citata da me nel 1877 (Geol, M. Pis. P. 38) sono stato
dispiacente di non potere tener conto non avendola vista tra i miei esemplari. Ri-
mangono indicati in modo sicuro o veduti anche da me Arietites Conybeari Sow.,
A. stellaris Sow., A. ceras Gieb o ceratitoides Quenst, Phylloceras cylndricum
Sow., Aegoceras Peccchiolii Mgh. Nel 1851 (Cons, geol. P. 396) e nel 1853 (Nuov.
foss, P. 11) il Meneghini citò a Sassorosso 33 specie, che io riportai nel 1877 (Geol,
M. Pis. P. 38) escludendo Ammonites tortilis'ì A. liasicus^ A. hridion, A. ophioidesf^
A. caprotinusf^ A Levesquei'h A. RaquinianuSy A, insignis^ A, aalensis^ A. sternalis,
A. Bonnardiiff specie indicate con dubbio o proprie del Lias superiore o della zona
ad Angulati, e V A, plurtcosta Mgh., perchè esaminando la roccia donde questo pro-
veniva osservai che si trattava del calcare ceruleo con selce, quindi probabilmente del
28 e. DE STEFANI
Oltre a ciò ho studiato i fossili del Lias inferiore del Monte
di Cetona esistenti nei Musei geologici di Milano e di Monaco,
e la bellissima collezione di Ammoniti di Sassorosso fatta dal
defunto Prof. Cav. Olinto Dini e conservata con gelosa cura in
Castelnuo vo Grarfagnana dal figlio Emiliano , il quale gentilmente
mi concesse di studiarla e di figurarne alcuni esemplari. Sarebbe
desiderabile che questa raccolta fosse custodita in un pubblico
Museo dove tornasse piii facile agU scienziati V esaminarla. In
questa collezione ho veduto pure alcuni fossili di Soraggio, di
Pie di Latra presso Corfino e di Roggio, i quali polla prima
volta erano stati scoperti dal medesimo Dini.
or individui che io descriverò sono per lo più di conserva-
zione discreta, assai di rado ottima; i lobi degli Anunoniti si
vedono negl'individui provenienti da luoghi dove il calcare è
più ai^illoso, come da Massicciano, Restì, Sassorosso, ed un poco
Lias medio. Mentre non nominavo queste specie ne aggiungevo 7 altro secondo le
indicazioni segnate dal Mene^'hini nel Museo di Pisa. Delle 22 specie cosi risuItaQti
lascerò fuori ora A. Nodotianus, À iardecrescens^ A', ffartmanni. A, geometrieus^
A, Charmasseiy A. cfr. crassust A.muticus, A. subarmaius, A. hybridus^ A. armatus^
A. BoucaufeiamiSt A. fimbriatus^ A. complanatus^ A. heferophyllus, A. mimaieme
perchè non trovate da me o perchè debbono portare altri nomi, come pure Y A. mul-
ticostatus Suw , VA, hifrons Brug. che secondo me proviene dal calcare rosso sovra-
stante al Lias medio, ed un Harpoceras indicato col nome di Ammonites rcuUans che
ritengo proveniente dal Lias medio. Ho conservato cosi le seguenti specie indicate
dal Menei^hini Arietìtes Conybeari Sow., A ceratitoides Qucnst. o ceras Gieb», A.
s Celiar is Sow., A spiratissimus Quenst., A, bisulcatiis Brug., A. obtusus Sow., JETar-
poceras Aclaeon D'Orb., Atractìtes orthoceropsis Mgh. e V A. Cordieri Mgh. indi-
cato dal suo autore in lavori più recenti. A Campiglia furono indicate varie spacie
nel 1853 (Xuov. foss. P. 9): nel 1868 (Rath, Die Berrje von Camp.) furono omessi
Ammonites BoucauUianus, A. spinatus, A heterophyllus, A. Bonnardii, A. Davoei^
A. Valdani; V A, striatocostatus Mgh. fu fatto sinonimo delf A, Partschi^ dell* A.
Loscombi fu fatto VA. tenuistriatus Mgh., dell' A. abevispina si fece VA.ffebwti,
Nel presente lavoro lascierò V A. spiratissimus, V A. tardecrescens, oltre all' A. mor-
garitatus ed all'A. Buvignieri di cui faccio specie nuove; VA. Heberti cui sostituisco
il nome di A. Bìrchii^ VA. mimatensis^ VA. Nodotiantts, A. armatus, A. zetes, A.
Normanianus che non ho trovato o in parte si debbono attribuire ad altre specie, e
Atractìtes alpinus, Orthoceras liasicus, Belemnites longissimusì che debbono portare
altri nomi. Tra le specie indicate dal Meneghini riporto qui Arietites Conybeari Soyf.^
A. ceratitoides Quenst. (o ceras Gieb.), A. bisulcatus Brug , Phylloceras Partschi
Stur, P. tenuistriatum Mgh., P, Nardii Mgh., Atractìtes orthoceropsis Mgh., A.
Quenstedù Mgh., A. Cordieri Mgh., le quali due ultime specie però non furono
vedute da me.
Nel Museo di Pisa sono indicate pure le seguenti specie provenienti dal monte
dei Sassigrossi nel Comune di Vecchiano, che io non ho visto: Ammonites Pée~
chiolii Mgh., A. bisulcatus Brug., A. Conybeari Sow., A. Boucaultianus D*Orb«
UAS INFERIORE 29
meno da Roggio; non si vedono, salvo rarissime eccezioni, dove
il calcare è più compatto come a Monsummano, Gerfalco e
Campiglia. In questo caso però, p. es. in tutti gl'individui di
Campiglia, i lobi si possono scoprire artificialmente corrrodendo
con acidi la superficie dell' Ammonite o meglio lustrandola al-
quanto con carta smerigliata e passando sopra la superficie resa
lucente una mano di coppale; così i lobi spiccano come linee
rosso-cupe su fondo più chiaro e si possono meglio determinare
alcune specie. Però i lobi in tal modo scoperti non si possono
prendere a tipo delle descrizioni giacche la superficie viene sco-
perta per lo più in maniera irregolare e le linee compariscono
alterate.
È singolare il piccolissimo numero di specie fra le centinaia
d'individui osservati e il predominio straordinario di alcune
specie in uno od in altro luogo. In tutto sono 1168 individui e
36 specie, di cui 13 rappresentate da non più di 2 individui,
e le rimanenti 23, da 1153. V Arietites Conyheari è comunis-
simo a Campiglia, Sassorosso, Massicciano, Roggio e in certi
luoghi se ne potrebbero raccogliere centinaia d'esemplari; ma
r Oxynoticeras perilambanon frequentissimo a Campiglia donde
ne vidi 50 individui, manca altrove, fuorché, appena, a Sasso-
rosso. Sopra 71 esemplari di Gerfalco, 65, e 135 sopra 201 di
Cetona appartengono aìV Arietites ceratitoides che manca od è
rarissimo altrove; così dicasi à^W! Arietites spiratissimus abbon-
dante a Massicciano donde ne osservai 63 individui.
Altra osservazione già fatta dal Meneghini è quella della
prevalenza nel numero delle specie appartenenti a certi generi
di fronte a certi altri (Nuov. foss. 1853, P. 10). Per esempio
le 8 specie di Arietiti proprie del Lias inferiore sono rappre-
sentate da 566 esemplari, mentre le 2 specie di Aegoceras o
Harpoceras, secondo Haug, precorritrici del Lias medio, lo sono
da soli 3 esemplari.
Ma sopra tutto è importante ripetere col Meneghini che
tutte le specie descritte vissero contemporaneamente e si tro-
vano ne' medesimi strati alti pochi decimetri: in parecchi pezzi
de' Musei si possono vedere esemplari di varie specie stretta-
mente ammassati, p. es. Phylloceras Partschi e Arietites Cany-
beari di Roggio, A. Conyheari e Phylloceras Nardii di Sassoros-
so, Atractites orthoceropsi.s e A» con^picilliim; A. orthoceropsis e
30 e. DE STEFANI
Nautilus sp.; A. Conybeari, Oxynoticeras perilambanon e Phyìl.
yardii; Ox. perilambanon, PhylL Xardii, Aegoceras Birchii; a
Campiglia, etc. Non vi può esser dubbio dunque sulla perfetta
coetaneità delle specie qui ricordate.
Presenterò qui la nota delle specie descritte e de' piani di
cui si ritengono proprie; noterò che le specie le quali erano in
addietro state indicate dal Meneghini come proprie del Lias
superiore debbono essere tutte soppresse, e quelle indicate come
proprie del Lias medio si riducono ad assai poche e meno certe.
i
1
1
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Zone daU' Arte-
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Nomi deUe specie
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Terebratnla incisira Stop.
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Massicciano, Resti, Sassorosso
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Ayicnla iiuteqniralris Sow.
Plenrotomaria campiliensis sp. n.
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Campiglia
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Germania, Fnui-
oia, Inghilterra
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Spezia
Atracdtes orthoceropsis Mgh.
Massicciano, Resti, Sassorosso, Campiglia
L.I
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n Qnenstedti Mgh.
Gerfalco, Campiglia
Bpezia
n Ck)rdieri Mgh.
n conspicillam sp. n.
Belemmtes sp.
Phylloceras oonvexam sp. n.
„ anoylonotos sp. n.
Sassorosso, Campiglia
Campiglia
Sassorosso
Massicciano, Resti, Gerfalco
Resti, Sassorosso
L.a
aff. Ph. oooi-
doale Spezia
M tenuistrìatum Mgh.
Campiglia
8pezia;9icilia
» Partschi Star
» Sayii sp. n.
Massicciano, Resti, Sassorosso, Roggio,
Campiglia, Gerfalco, Cotona
Campiglia
Zona ad Jr.
obiu9U9, Franda
L.m
Oinra
n liberinm Gemm.
Massicciano, Resti, Soraggio, Sassoros-
so. Roggio, Campiglia, Gerfalco, Spe-
zia, Cetona
L.B
L.n
NardU Mgh.
Massicciano, Campiglia.
f» Innense sp. n.
Massicciano
» Coqnandi sp. n.
Campiglia, Sassorosso
Oxynoticeras perilambanon sp. n.
Ca piglia, Sassorosso
«
Lytooeras secemendom sp. n.
• tuba sp. n.
Campiglia
Massicciano, Sassorosso
UÀS INFERIORB
31
4UttÌ
Nomi delle speoie
Luoghi dell' Appennino
Zone dair Arie-
tUes Buekìandi
all' Aegoceras
raricosiaium
Lias medio
e
superiore
zia
)ZU
tzia
ArìetitoB Conybearì Sow.
OonybearoideB Reynès
spiratissimas Quenst
bisoloatas Bnig.
oeratitoides Quenst.
stellarìs 8ow.
obtosus Sow.
„ pseudoharpoceras sp. n.
Aegooeras Peoohiolii Mgh.
, Birohii Sow.
Harpoceras Maugenesti D'Orb.
n cfr. Actaeon D'Orb.
BalannB sp.
Massicciano, Sassorosso, Roggio, Sassi-
grossi , Monstimmano , Campiglia ,
Gerfalco, Caldana
Massicciano
Massicciano, Resti, Sassorosso, Cetona
Massicciano, Sassorosso, Oampiglia
Massicciano, Sassorosso, Monsmnmano,
Campiglia, Qerfalco, Cetona
Sassorosso, Cetona
Massicciano, Resti, Sassorosso, Campiglia
Massicciano
Massicciano, Sassorosso, Corflno, Sassi-
grossi, Qerfalco, Campiglia
Massicciano, Resti, Soraggio, Sassoros'
so, Campiglia
Gerfalco
Roggio, Sassorosso
Campiglia
Pooriac , Caren-
no, Erto. Zona
ad A. Buchlati'
di, comunissimo
Zon. A^Bueklandi
Colombart. Zone
ad A. Bucklandi
e A, ohttisus
Carenno. Zona ad
A, Bueklandi
Pouriac. Germa-
nia
Erto. Zona ad A.
Messinese, Erto.
Zona ad A, Bue-
klandif A, obiu-
8US, dx* oxynO'
tU8
Pouriac, Erto. Zo-
na ad A. obiu9U3
Nell'insieme si hanno
Specie nuove 11.
Specie aflBni ad altre della zona ad Angulati, 2 (Phyllo-
ceras tenuistriatum, P. convexum).
Specie comuni alla zona ad Angulati ed al Lias medio 5
delle meno caratteristiche, (Terébratula Aspasia, Avicola inacqui"
valvis, Atradites orthoceropsis, A. Cordieri, Phylloceras Partschi) .
Specie peculiari al Lias medio e superiore, 6 (Terehratula
incisiva o erhaensis, Phylloceras libertum Gemm., Nardii Mgh.,
Harpoceras Maugenesti , H. cfr. Actaeon).
Specie peculiari al Lias inferiore dalla zona ad Arietites
Bucklandi a quella dell' A. raricostatus, 8 (Aegoceras Bircìiii,
Arietites Conybeari, A. Conybearoides, A. bistdcatus, A. ceratitoi-
des, A, spiratissimus, A. stellaris, A. obtusus): tutte esistono
nella zona ad A. Bucklandi, le ultime tre in quella dell'^. obtu-
L.med.
L. med.
32 e. DE STKFAKl
sus, V ultima in quella dell' Oxynoticeras oxynotus. Aggiungendo
VAtradites Quenstedti del Lias di Lyme Regis le specie di-
ventano 9.
Specie affini a quelle delle zone or nominate, 1 (ArietUes
pseudo harpoceras) .
Totale delle specie che si trovano in altri luoghi nel Lias infe-
riore 14, di quelle che si trovarono nel Lias medio 10. Comuni ai
due piani 5 : speciali al Lias inferiore 9 : speciali al Lias medio 5,
E ad osservarsi che degli 8 Arietiti i quali parrebbero pro-
prii della zona ad ArietUes Biicklandi, 3 se ne trovano, con molti
altri mancanti al nostro calcare rosso, negli strati ad Angulati
del Lias inferiore della Spezia, i quali è probabile rispondano
insieme alle zone ad A. Buckandi e ad Aegoceras angulatum del-
l' Europa centrale e settentrionale. Perciò il nostro calcare rosso,
il quale, insieme agli Arietiti, fra cui sono alcuni dei più ca-
ratteristici della Zona ad ArietUes obtmus, contiene Aegoceras,
Harpoceras e Phylloceras proprii o vivini assai alla zona ad Aego-
ceras Jamesoni, cioè alla parte inferiore del Lias medio, pos-
siamo ritenere comprenda le varie zone ad ArietUes obtusus,
Oxynoticeras oxyìwtus ed Aegoceras raricostatum^ cioè glilArieten-
srhichten e il piano ad Ammonites planicosta di Von Seebach, le
zone deir A. planicosta^ A, geometricus, A. Biicklandi di Schloen-
bach, le zone dell' A, bifer. A, planicosta, A. geametrictis di
Emerson della Germania del Nord.
La scarsità o la mancanza a dirittura d' interi generi o sotto-
generi e di specie che caratterizzano la parte più antica del
Lias inferiore, mentre vi sono alcune poche specie proprie al-
trove del Lias medio o molto vicine a questo potrebbe mostrare
che il nostro calcare rosso è più collegato al Lias medio che
alla parte antica del Lias inferiore; la stratigrafia ed in parte
la litologia, come altrove si è detto, avvalorerebbero questa
supposizione, mentre il Lias inferiore più antico è alla sua volta
strettamente collegato pella stratigrafia e pelle analogie lito-
logiche cogli strati sottostanti ad Aìncula contorta. Tutti questi
terreni hanno dunque la massima analogia con quelli della
Francia, ed in essi potrebbero trovare appoggio 'quei geologi
deir Europa occidentale i quali vorrebbero unire nel piano Re-
tico gli strati ad Avicula contorta con quelli ad Aegoceras pia-
norbis finora sconosciuti in Italia e con quellli ad Aegoceras an-
UAS INFERIÓRE 33
gulatum, lasciando nel Lias inferiore Sinemuriano gli strati so-
vrastanti ad Arietiti.
Ad ogni modo nel nostro calcare rosso e negli strati ad
Angulati della Spezia e d' altrove non si può fare alcuna di
quelle distinzioni precise che altri fece in Germania, in Francia
e in Inghilterra, ed il solo ordinamento possibile pel nostro Lias
inferiore è quello fatto da me d' un piano A, comprendente la
zona ad Angulati e d' un piano B che comprenda il calcare
rosso con Arietiti. Non potremmo chiamare il piano A zona ad
Angulati j sebbene in realtà sia l'unica zona in cui simili Am-
moniti dominano, perchè esso non risponde solo alla zona ad
Angulati del rimanente d' Europa, ma vi abbondano insieme gli
Arietiti d'un piano successivo e perchè più che una plaga ad
Ammoniti risponde al medesimo una plaga a gasteropodi; né
molto meno potremmo chiamare piano ad Arietiti il piano B,
perchè tali Cefalopodi s'incontrano anche più abbondanti nel
piano anteriore e perchè solo ad una parte di esso rispondono
gli strati ad Arietiti d'altre parti d'Europa. Nomi diversi da
quelli che io ho proposto avrebbero dunque pure l' incoveniente
d'indurre idee preconcette non esatte.
E singolare a notarsi nel Piano B la coesistenza di Arietiti
caratteristici altrove di strati non recenti del Lias inferiore,
con talune specie vicinissime a quelle del Lias medio: questo
fatto porterebbe a due conclusioni fra loro contradittorie. H
Reynés notò come nel Lias della Francia talune specie com-
paiano prima che nell'Europa centrale, applicando osservazioni
già fatte nel 1853 dal Meneghini, il quale avea ritenuto come
assai probabile che varie specie credute esclusivamente toar-
ciane e liassiche-medie cominciassero ad esistere in Italia fino
dal Lias inferiore (Nuov. foss, P. 16). Questa opinione è accet-
tata dal Canavari pel Lias inferiore A della Spezia e lo è co-
munemente da alfcri palaeontologi.
Paragone con gli altri terreni del Lias
inferiore d'Italia.
Coetanei ai nostri calcari rossi panni siano parte di quelli
di Erto nel Veneto descritti dal Taramelli, e ciò si può dedurre
8c, Nat. Voi. Vni, fase. l.« 4
34 e. DE STEFANI
dai fossili indicati colà, sebbene la posizione non sia stata chia-
rita da studii stratigrafici. Ivi trovansi Arietites Conijheari Sow.,
A. óbtusus Sow., A. stellar is Sow. (^).
Similmente in Lombardia ad Arzx) e Saltrio ed in altri luc^hi
sono calcari con Arietiti (^) ancora poco studiati.
In Piemonte nella Provincia di Cmieo furono trovati varie
volte, nel vallone di Colombart, Ammoniti che lo Zittel attribuì
dM^ Arietites spiratissimus Quenst., (^) e molte più specie vi ha
raccolto il Sacco al Colle di Pouriac (^), come Griphaea obliqua
Sow., Amaltlieus Coynmii D'Orb., Arietites Bucklandi Sow., A.
Conyheari Sow., A, cloricus Sav., A. ceratitoides Quenst. ( ceras
Gieb.), A.Sauzeanus D'Orb., Aegoceras Birchii Sow., Belemniies
acidus Wils.
Neir isola d' Elba pure, alla Cala del Telegrafo, trovansi
calcari gialli e rossi con Arietites (^); e calcari rossi con Atradi-
tes, crinoidi e molluschi sono nel lato orientale dell' isolotto <ìi
CerboU (^) presso Piombino.
In SiciUa sono rappresentanti di questo piano per lo meno
nella regione orientale della provincia di Messina, dove il Se-
guenza indica alle Punte Mole un Arietites obtusus, ed a Mola
Phylloceras e Oxymticeras C). Non sarei però sicuro che alla
stessa zona appartenessero tutti gU strati a Brachiopodi e mol-
luschi della medesima regione di cui molte specie sono vicine
al Lìas medio.
L'estensione del piano più antico del Lias inferiore non è
ancora ben conosciuta nelle Alpi; per ora vi si possono sicu-
(^) T . Taramelli Monografia stratigrafica e paleontologica del Lias nelle pro~
vincie Venete 1880.
C) 0. Curioni — Geologìa applicata della Provincia lombarda. Milano,
Hoepli. 1877.
C) 0. Gastaldi — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi durante
la campagna del i877 (Atti R. Acc. Lincei Voi. 2, S. 3.» 1878) P. 6.
(^) F. Sacco — Studio geo-paleontologico sul Lias dell' alta valle della Stura
di Cuneo (Boll. R. Com. geoL XVII. 188G, P. 6).
(^) Brevi cenni relativi alla Carta geologica dell* Isola d* Elba (Pubblicazione
della Carta geologica d* Italia. Roma), 1885 P. 7.
(') P. Fossen — Sulla costituzione geologica dell* isola di CerboU (Bollettino
del R. Com. geol. Voi. XVI. Roma, 1885. P. 14.
Q) G. Seguenza ^ Intorno al sistema giurassico nel territorio di Taormina
(Il Naturalista Siciliano, 1885). — G. Seguenza. // Lias inferiore nella provincia
di Messina (Rendiconto della R. Accademia delle se fis. e mat. di Napoli, fase. 9.o 1882).
LIAS INFERIOBE 35
ramente attribuire solo i calcari scuri, selciosi, di Carenno in
Val d'Erve.
La presenza di alcuni Aegoceras (Schio theimia) ne rende ve-
rosimile l'esistenza anche al Colle di Pouriac in Piemonte.
Esso è invece esteso neirApennino ed in Sicilia: ma vi sem-
bra ignota la zona più antica a Psilonoti.
Alla Spezia sotto il piano B e sopra la zona ad Avimla con-
torta trovansi calcari con una fauna ricchissima di Cefalopodi,
con alcuni Brachiopodi e Gasteropodi {})] senza stare a ripetere
ogni volta i nomi delle specie più caratteristiche e comuni con
altri giacimenti ne indicherò solo il numero, riserbandomi a ri-
cordare i nomi in fondo. Alla Spezia dunque vi sono 6 specie
comuni con le Alpi Apuane, 1 con TApennino di Restì, 1 con
Sassorosso, 1 con Gerfalco, 1 con Campiglia e con Cesi, 5 con
la Sicilia, 10 con Carenno in Lombardia, 21 con varii luoghi del
Lias inferiore delle zone ad Aegoceras aìigulatum ed Arietites
Bucklandi di varie parti d' Europa, 1 col Lias medio e superiore.
Nelle Alpi Apuane in due luoghi vennero da tempo raccolti
e indicati da me (^) fossili di questo piano nel calcare ceruleo
posto fra il Ketico ricco di fossili ed il calcare rosso del Lias
interiore piano A, cioè presso Deccio sulla Torrite secca, e nel
Canale Ricavoli in più luoghi sotto TJgliancaldo. Visitando il
Museo di Firenze vidi che il Cocchi aveva raccolto fossili in
quest'ultimo luogo fin dal 1866 cioè molti anni prima di me.
Si devono pure aggiungere le Ammoniti piritizzate del calcare
grigio schistoso sovrastante all' Infralias alla Pizza. Ho studiato
attentamente i fossili raccolti dal Cocchi e da me e quantunque
non li abbia finora pubblicati ne riporterò 6 comuni con la Spezia,
e 1 comune con Restì, 1 con Carenno, 4 col Lias inferiore d'altre
parti d'Europa.
Lo stesso dicasi dei fossili raccolti pure dal Cocchi a Restì
in Val di Magra, nell' Apennino, nella medesima posizione stra-
tigrafica: ivi è una specie comune con la Spezia, 1 con le Alpi
Apuane e col Lias inferiore d' altre parti d' Europa. Una specie
comune con Carenno, colla Spezia, colla Sicilia, col Lias ìnfe-
(*) M. Canavari — Beit, Z, Fauna d, uni, Lias von Spesia 1882.
(') C. De Stefani — Ordinamento cronologico dei terreni delle Alpi Apuane
Proc. verb. Soc. tose, se nat 14 novembre 18S0. P. 122.
36 e. DE STEFAXI
riore di fiiori d' Italia fe a Sassorosso nel calcare ceroide bianco
sottostante al rosso.
Nel Monte Pisano fra il Lias inferiore B ed il Retico fos-
silifero è un calcare bianco pieno di fossili, che furono da me
descritti O, benché non figurati. Vi sono 2 specie comuni con
Campiglia, 1 con Cesi, 5 col Lias inferiore d' altre parti d'Eu-
ropa, 1 coir Infralias e col Lias medio, 1 col Giura. Si potrebbe
aggiungere che a Vecchiano nelV estremità meridionale delle
Alpi Apuane trovasi nella medesima posizione stratigrafica una
identica lumachella, e vi ho raccolto qualche fossile simile a
quelli del M. Pisano, ma non darò indicazioni perchè sarebbero
insufficienti e troppo incomplete appetto al gran numero di
fossili che vi si trovano.
A Campiglia parimente sotto il Lias inferiore B e sopra
rocce equivalenti al Retico, nello quali però ancora non furono
trovati fossili, esiste un calcare bianco marmoreo i cui fossili
vennero studiati e figurati dal Sig. Simonelli (^). Vi sono 1 specie
comune con la Spezia, 2 col Monte Pisano, 2 con Gerfalco, 1
con Montieri, Furio, Monticelli, 4 con Cesi, 3 con la Sicilia, 3
col Lias inferiore d' altre parti d' Europa.
A Gerfalco ripetesi quel calcare nella medesima posizione:
ne studiai alcuni fossili anni addietro (^) e fra essi sono 1 spe-
cie comune con la Spezia, 2 comuni con Campiglia, con Mon-
tieri, Cesi, Furio, Monticelli.
Lo stesso calcare fu trovato a Montieri nell' intemo del
monte, con una specie comune a Campiglia, Gerfalco, al Furio,
a Cesi, a Monticelli. Nella Montagnola senese quel calcare tro-
vasi tra il Lias inferiore B ed il Trias superiore ma non vi
sono conosciuti fossili ben distinti.
A Carenno in Lombardia sono 10 specie comuni colla Spe-
zia, 1 con Sassorosso, 1 colle Alpi Apuane, 1 colla Sicilia, 5 col
Lias inferiore d'altri luoghi (^).
(») e. Do Stefani — Geol. M. Pis, 1877, P. 32.
(•) V. Simonelli — Fossili del Lias inferiore di Campiglia martUitna (Proc
verb. Soc. Tote. bc. nat Voi. HI. 2 luglio 1882, P. 166. — Faunula del calcare
ceroide di Campiglia marittima (Atti Soc. tose. ec. nat. Voi. VI), 1884.
(») C. De Stefani — Geol. M. Pis. P. 37.
i*) C. F; Parona — Sopra alcuni fossili del lias inferiore di Carenno^ Nese
ed Adrara nelle prealpi bergamasche (Atti Soc. it. se. nat. Voi. XXVII, 1884).
LIAS mFERIORE 37
Neil' Apennino centrale calcari bianchi quasi marmorei od
colitici, spesso identici a quelli della Toscana, si trovano in molti
luoghi sotto il Lias medio e sopra rocce pur fossilifere ma d'età
ancora incerta. Non v' ha dubbio che studii ulteriori ne preci-
seranno anco meglio la posizione stratigrafica; ma intanto sono
ben chiari i loro rapporti paleontologici.
Al Monte Nerone è una specie già nota altrove nel Lias in-
feriore e medio; al Furio ne è una comune con Campiglia, Ger-
falco, Montieri, Cesi e Monticelli; alle Grotte di S. Eustachio
ne è una comune con Cesi, 1 col Gran Sasso, 2 con la Sicilia
ed una che si trova nel Lias inferiore fuori d' Italia ; a Monti-
celli nel Lazio è la solita specie comune con Campiglia, Ger-
falco, Montieri, Cesi, Furio 0). A Cesi nell' Umbria (^) è una
specie comune con la Spezia, una con Gerfalco, Montieri, Furio,
Monticelli, una col Monte Pisano, 3 con Campiglia, 1 con S.
Eustachio, 10 con la Sicilia, 1 col Lias inferiore d'altre parti
d'Europa; al Piccolo Corno, al Corno Grande, a Campo Peri-
coli ed alla Grotta dell' Oro nel Gran Sasso (^) trovansi 5 specie
comuni colla Sicilia, 1 colle Grotte di S. Eustachio.
Finalmente in Sicilia nella montagna del Casale e nella
montagna di Bellampo fra il Retico ed il Lias medio trovasi
un' abbondante fauna, per lo più con gasteropodi, che fu già
studiata e figurata dal Gemmellaro (^); vi sono 5 specie comuni
con la Spezia, 5 col Gran Sasso, 3 con Campiglia, 2 con S. Eusta-
chio, 10 con Cesi, 3 col Lias inferiore o medio d'altre parti
d' Europa.
Segue r elenco delle varie specie più caratteristiche comuni
a differenti luoghi. Ho lasciato però alcune specie di luoghi la
(^) M. Canavari — Sui fossili del Lias inferiore nelV Appennino centrale (Atti
Soc. tose. se. nat. Voi. IV, 1880.
(-) C. F. Parona — Sopra due piani fossiliferi del Lias nelV Umbria (Ilend,
R. Ist. Lomb. V 5 maggio 1882. — M. Canavari, loe. cit. — Parona- Contributo allo
studio della fauna liassica dell* Appennino centrale, in Verri Studio geologico sulle
conche di Terni e di Rieti (Mem. R. Acc. Lincei Voi. XV) 1883.
(2) L. Baldacci e M. Canavari — La regione centrale del Gran Sasso d* Italia
(Boll. R. Cora. geol. 1884, n. 11 e 12) P. 11. — M. Canavari- Fossili del Lias in-
feriore del Gran Sasso d* Italia raccolti dal Prof» A. Orsini fAtti Soc. tose. se.
nat. Voi. VII, 1885).
(*) Gemmellaro -^ Sopra i fossili del calcare cristallino delle montagne del
Casale e di Bellampo nella Provincia di Palermo, 1878.
38 e. DE STEFANI
cui fauna non venne ancora distesamente illustrata, come quelle
che potrebbero essere incerte.
Pentacrinus scalaris Goldf.
P. subsulcatìis Miinst.
Eugenìocrinus compressiis Miinst.
T. punctata Sow.
T, Aspasia Mgh.
BhynconeUa variàbUis »Sclilt.
R. triplicata juvenis Qaenst.
B. subtriquetra Can.
Pecten acutiradiatus Miinst.
„ Agathis Gremm.
P. disparUis Quenst
Lima punctatci Sow.
Avicula Deshayesi Terq.
A, inaequivalvis Sow.
Diotis Janus Mgh.
Astarte psilonoti Qaenst.
Emargimda Meneghiniana Can. — E.
Lepsiusi Gemm.
Chemnitzia pseudotumida De St.
C. {Pseudomelania) Raphis Gemm.
0. (Pseudomdania) Falconeri Gemm.
C. Nardii Mgh.
C procera Desi.
Climacina Marine Gemm.
Palaeoniso pupoides Gemm.
P ìiana Gemm.
P. apenninica Gemm.
Phasianella Morencyana Flette.
Pachystyliis conicus Gemm.
CerithineUa turritelloides Gemm.
Alarla Guiscardii Gemm.
Neritina oceanica Gemm,
NeritopsìS Sophrosine Gemm.
N. Passerina Mgh.
Natica Savii Can.
Amberleya Deslongschampsi Gemm.
Liotia circuincostata Can.
Turbo Palmicrii Gemm.
Solarium Lorioli Gemm.
Cryptaenia roteUaeformis Dunk.
Oonia turgidula Gemm.
FUurotomaria praecatoria Desi.
Monte Pisano (Lias ìnf. e medio).
Monte Pisano (Lias inf. ad. A, Bucklandi).
Monte Pisano.
Alpi Apuane (Lias inf. e medio).
Spezia, Gerfalco (Lias inf. e medio).
M. Nerone (Lias inf. e medio).
Alpi Apuane Resti (Lias inf.).
Spezia, Resti.
Monte Pisano (Lias inf. e medio).
Gran Sasso, Sicilia.
Campiglia (Lias inf. ad AnguìaH),
Campiglia (Lias inf.).
Campiglia (Lias inf.).
Monte Pisano (Lias inf. e medio).
Campiglia, Montieri, Gerfalco, Farlo, Ce-
si, Monticelli.
Cesi (Lias inf.).
S. Eustachio, Cesi, Sicilia.
M. Pisano, Campiglia, Cesi.
Gran Sasso, Sicilia.
Gran Sasso, Sicilia.
Campiglia, Gerfalco.
Monte Pisano (Baiociano).
Gran Sasso, Sicilia.
Spezia, Campiglia, Cesi, Sicilia.
Campiglia, Cesi, Sicilia.
Campiglia, Sicilia.
S. Eustachio (Lias inf.).
Cesi, Sicilia.
Cesi, Sicilia.
Cesi, Sicilia.
Cesi, Sicilia.
Cesi, Sicilia.
M. Pisano, Campiglia.
Spezia, Sicilia.
Cesi, Sicilia.
S. Eustachio, Gran Sasso.
Cesi, Sicilia.
S. Eustachio, Sicilia.
Sicilia (Lias inf.).
Gran Sasso, Sicilia.
Monte Pisano (Infralias, Lias medio).
UAS niFERIOBE
39
P. Capdlinii De St.
Atractites orthoceropsis Mgh.
A. Cordieri Mgh.
A, Guidonii Mgh.
Phylloceras zetes D' Orb.
P. s^c^ Sow.
P. Partschi Star.
P. cylindricum Sow.
Lytoceras PhiUipsi Sow.
L. biforme Sow.
L. (Pleuracanthites) artictdatum Sow.
L. (») subbiforme Can.
L. (») Meneghina E. Sism.
Aegoceras raricostatum Ziet.
^. euptychum Wahn.
ii. ddetum Can.
-4. Guidonii Sow.
ii. pleuronotum Cocc.
^. Coregonense Sow.
A. comptum Sow.
X catenatum Sow.
-4. ventricosum Sow.
A. Carwsense D' Orb.
^. Listeri Sow.
Arietites sp. n. — -4. multicostatus H,,
et Chap. (non Sow.).
il. doncws Mgh.
^. Sinemuriensis D'Orb.
^. rotiformis Sow.
-4. spiratissimus Quenst.
^. Conybeari Sow.
^. bisìdcatus Brag.
il. Grunovi H.
Tropites tdircUiasicus Can.
Spezia, Sicilia.
Spezia (Lias inf. e medio).
Spezia (Lias inf. e medio).
Spezia (Lias sap.).
Spezia (Lias inf. e medio).
Spezia, Alpi Apuane, Carenno, (Lias inf.).
Spezia, Sicilia (Lias inf., Lias medio,
Lias sap.).
Sassorosso, Spezia, Carenno, Sicilia (Lias
inf.) ,
Spezia, Alpi Apuane.
Spezia (Lias inf.).
Spezia, Carenno.
Spezia, Alpi Apuane.
Spezia, Alpi Apuane.
Spezia (Lias inf.).
Spezia (Lias inf.).
Spezia, Colle di Pouriac (Lias inf.).
Spezia (Lias inf.).
Spezia (Lias inf.).
Spezia, Colle di Pouriac.
Spezia, Carenno.
Spezia, Alpi Apuane, Colle di Pouriac.
Spezia, Carenno.
Spezia, Alpi Apuane (Lias inf.).
Spezia, Carenno.
Spezia (Lias inf.).
Spezia (Lias inf.).
Spezia (Lias inf.).
Spezia, Carenno (Lias inf.).
Spezia (Lias inf.).
Spezia, Carenno (Lias inf.).
Spezia, Carenno (Lias inf.).
Spezia (Lias inf.).
Spezia, Carenno.
L'esistenza di questi fossili comuni a tanti luoghi diversi
prova che i terreni i quali li racchiudono sono contemporanei,
ed anche in quei casi nei quali non è precisata la loro posi-
zione stratigrafica tra la zona ad Avimla contorta o piano Re-
tico ed il Piano B del Lias inferiore, si può ritenere che essi-
appartengano al Piano A del Lias inferiore.
40 e. MB STEFANI
Possiamo dunque concludere relativamente al nostro Lias
inferiore come:
dai rapporti esistenti fra le diverse faune sopra indicate
risulti esser le medesime strettamente collegate fi^ loro e ri-
spondenti alla parte più antica del Lias inferiore d'altri paesi.
La loro zona è stratigraficamente inferiore al piano B, cioè
alle zone comprese fra quella dell' Aegoceras raricostatum e quella
del Peniacrinus tuberculatus inclusive.
Non sono conosciuti rappresentanti della zona ad Aegoceras
planarbis o a Psilonoti:
perciò le faune suddette rispondono insieme alle zone ad
Aegoceras angidatum o ad Angulati e ad Arietites Buddandi del-
l' Europa centrale e settentrionale.
Tenuta ferma pel piano suddetto la denominazione di piano
A, soggiungerò che questo è rappresentato da due plaghe lito-
logicamente diverse; cioè da un calcare ceruleo cupo schistoso,
il cui limite meridionale sembra essere nel Monsummano, e da
un calcare bianco cristallino che dalle Alpi Apuane si estende
fino in Sicilia.
Dal punto di vista dei fossili vi si debbono distinguere tre
plaghe, cioè a Cefalopodi, a Brachiopodi, a Grasteropodi; questi
vari fossili si trovano però talora promiscuamente sebbene gli
uni o gli altri predominino qua, o là.
La plaga a Gasteropodi e LameUibranchi è ricchissima di
specie e presenta un tipo del Lias inferiore quasi sconosciuto
finora altrove.
Queste diflferenti plaghe accennano a diflferenti profondi^
marine. Secondo me X abbondanza di Gasteropodi e Lamelli-
branchi prova V esistenza di mari limitati e non lontani dai
litorali, supposizione che sarebbe confermata dalla presenza di
frustoli vegetali terrestri negli strati del calcare ceruleo schi-
stoso delle Alpi Apuane.
H successivo piano B rappresenta invece uno stadio di mare
più profondo e più uniforme, stadio che seguitò nelle nostre re-
gioni nel Lias medio e nel superiore e per varie età di poi.
Nel seguente quadro rappresenterò la distribuzione dei ter-
reni del Lias inferiore d' Italia.
Uà 8 INFBHIORE
41
Zone del Lias
inferiore
leU'Earopa
ceitrale e
setteitrioiale
in
Italia
3
II
•g
•^ 2
•-4
* 25
^ S
II
3
I 5^
3 «
3 <^
I 8
I I
te J*
d
o
Lias medio
Plaga a Cefalopodi
Plaga a Brachiopodi
Plaga a Qasteropodi
e Lamellibranohi
m
o
a
Calcari grigi del Vallone di
Colombari e del Colle di
Pouriac in Piemonte.
Calcari di Àrzo, Salirlo eie.
in Lombardia.
Calcari di Erio nel Yeneio.
Calcari rossi e gialli del-
r isolotto di Cerboli e
della Cala del Telegrafo
aU' Elba.
Calcari rossi della Spezia,
delle Alpi Apuane, Loni-
giana, Garlagnana, Mon-
èiummano, Monte Pisano,
CampigUa, Gerfaloo, Pra-
ia , Montagnola senese ,
Ceiona, Caldana di Bayi
nell'Apennino settentrio-
nale.
Calcari di Mola e Punte Mo-
le nel messinese.
Calcari a crinoidi dell'Apen-
nino settentrionale.
Calcari di Longi, Mola, Pun-
te Mole, Monte Galfa nel
Messinese ?
S
8
8 I
II
k
o «
a
o
o
a
.2
Pi
Calcari cerulei o ceroidi del-
la Spezia, dell'Alpe di
Corfino e delle Alpi A-
puane nell'Apennino set-
tentrionale.
Calcari ad Angulati del col-
le di Pouriac, di Caren-
no in Val d' Erve in Lom-
bardia.
Calcari cerulei delle Alpi
Apuane e della Lunigia-
na nell'Apennino setten-
trionale.
Calcari ceroidi ^inferiori del
Monte Pisano.
Calcari bianchi, cristallini,
oolitici, delle Alpi Apua-
ne, Monte Pisano, Cam-
piglia, Gcrfalco, Montieri,
Montagnola senese (A-
pennino settentrionale) ;
dell' Apennino centrale
nelle Marche, nell'Um-
bria e nel Lazio al M.
Nerone, al Farlo, a S.
Eustachio, Sanyicino, Ce-
si, Monticelli Gran Sasso;
delle Montagne del Ca-
sale e di Bellampo in
Sioilia.
Strati ad Avieula contorta.
42 e. DE STEFANI
Adunque :
Nel nostro Lias non si possono distinguere sotto-zone equi-
valenti a quelle d' altre parti d' Europa.
Unica distinzione possibile per ora è quella di due piani,
che in tutta Italia paiono materialmente distinti.
Il piano inferiore è collegato colla zona ad Avictda contorta.
H piano superiore h più collegato col Lias medio, dal quale
però è paleontologicamente ben distinto.
Nel nostro Lias inferiore troviamo insieme specie superstiti,
altrove note solo in piani antecedenti, e specie che altrove ap-
pariranno solo più tardi ; forse queste combinazioni ci appaiono
solo per imperfezione delle cognizioni odierne.
Prima di finire debbo vivamente ringraziare il von Sutner
che, per intromissione dello Zittel, si compiacque di esaminare
le tavole e il manoscritto di questo lavoro e corredarlo di al-
cune per me utilissime osservazioni.
PARTE SECONDA
(Nota) I numeri aggiunti fra parentesi alle loculità indicano il numero
degli esemplari da me veduti; quando non vi è altra indicazione vuol
dire che sono del Museo di geologìa dell Istituto superiore in Firenze:
ho aggiunto un D per indicare quelli della collezione Dini
Terebratula (Pygope) incisiva Stoppani.
Tav. I, fig. 1-5.
Terebratula diphya? var. Suess, Sikaungsberichte der K. Akademien der
Wissenschafteii. Wieii, Vili, 1852, P. 557, Taf. 31, Fig. 18, 19.
Terebratula diphya^ Terebratula lanipas (non Sow.) Spada e Orsini,
Qiiclques observations géologiques sur les Apennins de T Italie cen-
trale, Bull, d Soc. géol. de France. 2.^ Ser. T. XII, 1855, P. 1205, 1207.
Terebratula mtitica (non Catullo, ex parte), Terebratula digona (non
Sowerby) , Terebratula incisiva, Terebratula Villae, Terebratula lon-
gicóllis, Terebratula circumvallata Stoppani, Studii geologici e pa-
leontologici sulla Lombardia, 1857, P. 229, 402, 403.
LUS INFERIORE 43
Terebratula erbaensis Suess, Note sur les gisements des Térebratules du
groupe de la diphya dans l'Empire d^Antriche: in Pictet, Mélanges
paléonfcologiques P. III. 1861, P. 184, PI. 33, fig. 8. — Zitte!, Geol)-
giscbe Beobachtungen aus dea Central-Apenninen. Geognostisch-
paiaeontologische Beitrage von Benecke. Bd. II. 1869, P. 47, Taf. 15,
Fig. 5-10. — Meneghini, Monographie des fossiles du calcaire roiige
ammonitifère (Lias supérieur) de Lombardie et de PApennin cen-
trai, in Paleontologie lombarde 1879. P. 165, Pi. XXIX, fig. 6-8. -
Ganavari, I brachiopodi degli strati a Terebratula Aspasia Mgh. nel-
r Appennino centrale (Mem. R. Acc. Lincei V. Vili, 1880) P. 15. —
Parona, Contributo allo studio della fauna liassica deir Apennino
centrale (Mem. R Acc. Lincei VoL XV, S. 3.') 1883, P. 100, Tav. Ili,
fig. 24.
Massicciano (6). Resti (1).
La specie fu già indicata in Italia ad Erba in Lombardia
nel Lias superiore: alla Marconessa, al Catria, nel Sanvicino,
alla Grotta del Miele nella Valle del Penna, nel M. Pietralata
nell' Apennino centrale nel Lias medio.
Non vi ha alcmia differenza fra gì' individui nostri e quelli del
Lias superiore. Un individuo giovane somiglia alle figure 7 del
Meneghini, 7 d' un individuo di Breitenberg dello Zittel ; altri alle
figure 4 e 8 del Meneghini e 9, pure di Breitenberg, dello Zittel.
E la prima volta che la specie s' incontra nel Lias inferiore.
Fu costume fino ad ora dare la precedenza a nomi più an-
tichi di specie, quantunque non accompagnati da figura e non
troppo bene illustrati, sopra nomi più recenti cui la figura sia
aggiunta; nel caso della presente specie a preferenza del nome
di T. erbaemis ho accettato uno dei nomi più antichi dello
Stoppani, dei quali v'era abbondanza.
Terebratula (Pygope) Aspasia Meneghini.
Tav. I, fig. 6-9.
Terebratula Aspasia Meneghini, Nuovi fossili toscani. (Annali delle Uni-
versità toscane T. Ili) 1853, P. 13. — Zittel, Geol. Beob. aus. Cent.
Ap. 1869, P. 38, Tif. XIV, Fig. 1-3. — Gemmellaro, Sopra i fos-
sili della zona con Terebratula Aspasia Menegh. della provincia di
Palermo e di Trapani (Giornale di Scienze naturali ed economiche
Voi. X) 1874, P. 63, Tav. XI, fig. 1-3. — Meneghini, Mou. du cai.
44 e. DE STEFANI
rouge 1879, P. 168, PI. XXXI, fig. 8-9. — Uhlig, Ueber die lìassi-
sche Brachiopoden -Fauna von Sospirolo bei Belluno, Sitzungsberichte
d. K. Akad. d. Wiss. raath.-naturw. CI. Bd. LXXX, Abth. 1, 1879,
P. 16. — Cauavari, Brach. Ap. cent. 1880, P. 10, Tav. I. — Cana-
vari, Beitràge zur Fauna des untereii Lias von Spezia. Palaeonto-
graphica Bd. 29, Lief. Ili, 1882, P. 129, Taf. 1, Fig. 1, 2. —
Parona, Coni, fauna liass. Ap. cent. 1883, P. 97. — Haas, Beitràge
zur Eenntniss der liasischen Brachiopoden-fauna von Sudtyrol und
Venetien, Kiel 1884, P. 21.
Terebratula Backeriae (non Davidson) Stoppani, Stud. geol. 1857, P. 228.
Terebratula diphya (non Colonna) Ponzi, Sopra i diversi periodi eruttivi
determinati uelP Italia centrale. Atti delP Accademia pontificia dei
Nuovi Lincei. Voi. XVII, 1864, P. 27.
Pygope Aspasia Gemmellaro, Sopra taluni Harpoceratidi del Lias supe-
riore dei dintorni di Taormina, Palermo 1885, P. 4. — Segaenza,
Intorno al sistema giurassico nel territorio di Taormina (Il Natu-
ralista Siciliano) 1885, P. 6. — - Oemmellaro, Monografia sui fossili
del Lias superiore delle provincie di Palermo e di Messina (Bollet-
tino della Soc. it. di se. nat. ed ec. di Palermo) 1885, P. 9.
Massicciano (2). Trovata del Cocchi il 9 Settembre 1864.
In Italia è indicata presso Taormina e Bellampo in Sicilia
e in Lombardia nel Lias superiore; a Sospirolo presso Belluno,
alla Marconessa, al Catria, a Cagli, alla Grotta del Miele, a Val
d' Urbia, a Pietralata, a M. Gemmo, alle Grotte dì S. Eustachio,
nel Sanvicino, a Monticelli nell'Apennino centralo, nelle mon-
tagne del Nord di Sicilia fino ai dintorni di Sciacca nel Lias
medio ; a Castel Tesino nel Canal del Brenta, Gerfalco ed alla
Castellana presso Spezia nel Lias inferiore ad AnguMi. Nel
Lias inferiore cogli Arietiti non era però ancora stata trovata.
Non starò a ripeterne una descrizione particolareggiata: varrà,
meglio la figura. Il lobo ed il seno son molto marcati. Piut-
tosto che alla forma del Lias inferiore ad Aìigidati essa risponde
a quella del Lias medio.
Àvìcula inaequivalvis Sowerby.
Tav. I, fig. 16.
Avicula inaequivalvis (Sow.) Gemmellaro, Foss. Ter. Alp. 1874, P. 90. —
De Stefani, Geologia del Monte Pisano (Memorie del R. Gomitato
LlAS INFERIORE 45
geologico. Voi. Ili, Parte I) 1877, P. 33. — Seguenza, Int . sist.
giur. Taormina p. 5.
Campiglia (1).
È indicata nei dintorni di Chiusa Sclafani e presso Taormina
in Sicilia nel Lias medio ; nel Monte Pisano nel Lias inferiore ad
Angidati. Fuori d' Italia si trova in molti luoghi del Lias infe-
riore (Nord Germania, Francia, Còte d' or, Lincolnshire, Tork-
shire, Lyme Regis) e del Lias medio (Hood 's Bay ed altri luo-
ghi d'Inghilterra).
È una valva destra, piuttosto depressa, mediocremente obli-
qua, col margine palleare discretamente convesso. Larghezza e
Lunghezza 15'". L'orecchietta posteriore e la parte anteriore
della valva sembrano liscie; la parte posteriore è ornata di
coste longitudinali alquanto rilevate, un poco flessuose, ad in-
tervalli non sempre eguali fra loro, alternate da una o due
coste secondarie minori.
Da Massicciano proviene un frammento di Pecten sp.
Fleurotomaria Campiliensis sp. n.
Tav. I, fìg. 12, 13.
Campiglia (2 esemplari coperti dalla roccia).
Conchiglia formata di 5 o 6 giri regolarmente crescenti, con-
vessi, a sutura mediocremente profonda, striati per lungo e per
traverso. L'ultimo giro è assai convesso. Le strie trasversali sono
oblique verso la parte opposta all' apertura, ben rilevate e ben
distinte, sottilissime, assai ravvicinate tanto che se ne contano
5 o 6 per millimetro : nell' ultimo giro sono talora leggermente
flessuose e vanno scomparendo dalla metà in giù verso la base.
In tutti i giri, a partire da un terzo dalla sutura superiore, si
notano alcune strie trasversali impresse o rilevate, sottili quanto
quelle trasversali ma distanti; in un millimetro se ne contano 3,
ma talora sono un poco più ravvicinate; nella metà inferiore
dell' ultimo giro alcune alquanto più marcate sembrano di tanto
in tanto alternare colle altre. La fascia del seno si vede a mala
pena, quantunque sia piuttosto ampia, alquanto sotto la mas-
sima convessità, dell'ultimo giro, e si distingue un poco pel
colore meno cupo dal resto della conchiglia la cui roccia è rossa.
46 e. DE STEFANI
ìje strìe longitudinali che vanno quasi sparendo nella parte
superiore del giro poco prìma della fascia, sembrano segni-
tare a traverso la medesima senza deviare, e ciò mi lasciava
incerto sulla determinazione del genere: però alcune strie di
accrescimento si vedono assai distintamente curvarsi sopra la
medesima.
Altezza circa 21".
Xatifilus sp.
Sassorosso (1 esemplare raccolto dal Cocchi il 6 giugno 1869).
Conchiglia rigonfia, a dorso laigo ampiamente convesso, con
fianchi pianeggianti, che si uniscono al dorso con angolo poco
lontano dal retto. Diametro 1 1 0" ; laighezza 60". Non si vede
l'ombelico ne la struttura della superficie.
Si avvicina al S. intermedius Sow. ; ma i fianchi formano col
dorso un angolo meno ottuso. Il Cocchi lo aveva indicato come
.V. inornatus D' Orb., ma appetto a questo i fianchi si uniscono
al dorso con angolo più ottuso.
yautilus sp.
Campiglia (2j.
Conchiglia con ombelico ampio, col dorso fortemente con-
vesso e riunito ai fianchi poco pianeggianti con curva piuttosto
regolare. La superficie è tutta solcata trasversalmente da sottili
linee flessuose. Diametro 110". Si avvicina al X. semistriotus
D'Orb.; ma i fianchi meno convessi e il dorso meno pianeg-
giante sembrano allontanamelo. La cattiva conservazione non
permette una determinazione più precisa.
Àtractites Quenstedti (Meneghini).
Aulacoceras Quenstedti Meneghini, Mon. du cale, rouge. 1867-1881.
P. 137, 140.
Campiglia
Il Meneghini ha riunito a questa sua specie una forma del
Lias inferiore di Lyme Itegis indicata come Belemnites? sp. ind.
dal Quenstedt (Cephalopoden, 18-46. P. 475. Taf. 31, fig. 1). Non
conoscendo la specie mi limiterò a riportare la descrizione del
UAS INFERIORE 47
Meneghini. Parlando di un esemplare di questo Atractites egli
dice che " si allontana da tutti gli altri. Tronco di fragmocono;
circa 35'^ dell'estremità, anteriore irregolarmente rotta in ri-
spondenza al setto scoperto dell' ultima camera posteriore ; se-
zione trasversale circolare. Una sezione longitudinale mostra
7 camere complete; l'altezza dell'ultima camera anteriore nella
quale si verifica la rottura è sconosciuta: 27"^ di lunghezza sulla
linea mediana dal primo all'ottavo setto: diametro anteriore 20 ",
posteriore 15'": altezza delle camere minore della quarta parte
del diametro: angolo conico IP. Un altro esemplare mostra la
terminazione del fragmocono e la parte anteriore del rostro che
lo racchiude. La frattura anteriore ha 1 3" di diametro e lo strato
spatico bianco rostrale che circonda il fragmocono di calcare
rosso non ha che Y" di grossezza. Una frattura degli strati del
rostro lascia vedere sur una faccia il nucleo di 7 camere sur
una lunghezza di 12'": la sezione mostra la continuazione del
fragmocono nell' intemo del rostro per l' altezza di 45'" senza
raggiungere la punta. Presso la punta del fragmocono la gros-
sezza degli strati rostrali raggiunge 4'" e la rottura del rostro
al di là della punta ha 1 0'" di diametro „ .
Atractites Cordieri (Meneghini).
Belemnites hastatus (non Blainv.) Savi e Meneghini, Considerazioni sulla
geologia stratigrafica della Toscana. 1851, P. 85.
Aulacoceras Cordieri Meneghini, Mon. dn cale rouge 1867 1881, P. 185,
140.
Atractites Cordieri (Mgh.) Canavari, Beit. z. Fauna unfc. Lias. 1882,
P. 138, Taf XV, fig. 20-22.
Sassorosso (D.) Campiglia.
È indicato pure nel Lias medio a Cetona e nel Lias infe-
riore ad Angulati alla Spezia. Per questa specie mi rimetto
alle descrizioni del Meneghini e del Canavari.
Atractites orthoceropsis (Meneghini).
Bacidites vertebralis (non Lamarck) Guidoni, Lettera al Savi sui fossili
recentemente scoperti alla Spezia. P. 12, n. 7.
48 e. DE STEFANI
Belemnitessp. Emmerich, in Hoffruann, Geogaostische Beobachfcungen gè-
sammelt auf einer Reise durch Italiea una. Sicilien. Earsien^s Ar-
chiv Bd. XIII, 1839, P. 292, n. 1. — Meneghini, in Rath, Die Berge
Yon Campiglia in der Toskanischen Maremme. Zeit schrif der deutschen
geologischen Gesellsch. V. XX, 1868. n. 20.
Belemnites orthoceropsis Meneghini, iti Savi e Meneghini, Cons. geol.
Tose. 1851, P. 380, 401. — Meneghini, In Rath, Die Berge von
Campiglia 1868, n. 9. — Meneghini, in De Stefani, Geol. M. Pi-
sano, 1877, P. 38.
Aulacoceras orthoceropsis Meneghini, Mon. du cale, rouge, 1867-81,
P. 134-139. — Canavari, La Montagna del Suavicino. Boll. Com.
geol. 1880. P. 62.
Atractites orthoceropsis (Mgh.) Canavari, Beit. z. Fauna unt. Lia.<?, 1882,
P. 137, Taf. XV, fig. 15-19. — Paroua, Cont. f. lias, Ap. cent.
1883, P. 108.
Massicciano (1 fragtnocoao), Rssbl (1 fragmocono), Sassorosso
(3 fragmoconi) (27 fragmoconi D.), Campiglia (36 rostri, 19 frag-
moconi) (1 D.) Gerfalco (2 fragmoconi).
In Italia la specie è nota nel Lias medio di Papigno, di
presso Cesi, del Sanvicino, del M. di Cetona e di Repole presso
Pisa, e nel Lias inferiore ad Angulati di Coregna presso Spezia.
Dopo le osservazioni del Meneghini e del Mojsisovics credo
inutile diffondermi a parlare di questo genere e della specie
che è pure sufficientemente conosciuta.
Non ho trovato fragmoconi attaccati ai rostri ; ma, seguendo
il Meneghini, riunisco alla specie i rostri fusiformi, o semplice-
mente conici, che terminano con una breve punta affilata, or-
nati talora per traverso da sottili linee rilevate e da rugosità,
a sezione sempre ellittica; ne ho frammenti lunghi anco 120"
e col diametro anteriore di 40 ". Come i fragmoconi, i cui rap-
porti furono già notati dal Meneghini, anche i rostri somigliano
a quelli dell'^. indmieìise Stoppani del Lias superiore di Lom-
bardia, ma sono più cilindrici e la sezione nella parte anteriore
è meno ovale. Non vi ho trovato traccia di solco longitudinale.
Atractites ? conspicillum sp. n.
Tav. I, fi^, 15.
Belemnites longissimus? (non Mill.) Meneghini, in Rath^ Die Berge von
LIAS INFERIORB 4Ò
Campiglia 1868, P. 322. n. 19. —Meneghini, io De Stefani, Geol.
M. Pi8. 1877, R 38.
AtractUes sp. Meneghini, Mon. du cale, rouge 1867-81, P. 138.
Campiglia (8).
Mi pare non si possano attribuire ad alcun' altra delle forme
conosciute quei rostri che il Meneghini descrive come * molto
più sottili di quelli attribuiti all'^. orthoceropsis (diametro 6"
o 8") e allungati (certi frammenti fino a 150") che la strut-
tura spatica allontana dai rostri del Behmnites longissimus coi
quali hanno la più grande somiglianza „ (Mon. du cale, rouge).
Sono quasi cilindrici, o leggermente ovali; T imperfetta conser-
vazione e la brevità dei franMnenti non permette di dire se
siano uniformi in tutta la loro lunghezza, oppure fusiformi, e
come terminino. In alcuni frammenti, lungo tutto uno dei fian-
chi, si vede un solco ristretto ma ben distinto simile a quello
dei Belemnites. In altri si vede un alveolo senza concamerazioni,
imbutiforme, molto acuto, assai ampio proporzionatamente alle
pareti, la cui ragguardevole lunghezza non si può precisare.
Come la mancanza di struttura radiata li allontana dai
BélemniteSy così può darsi siano pure diversi dai veri AtractUes.
Belemnites sp.
Sassorosso.
Vari esemplari di vere Belemnites ho osservati in alcune
lastre di marmo provenienti, da quel luogo nella collezione Dini
ed in altre case di Gkurfagnana.
Phylloceras convezum sp. n.
Tav. I, fig. 14, Tav. Il, fig. 16.
Ammonites cylindricus (non Sowerby) Meneghini, Descrizione della carta
geologica della Provincia di Grosseto. Statistica della Provincia di
Grosseto 1865, P. 392. — Meneghini, in De Stefani, Geol. M. Pisa-
no, 1877, P. 87.
? Massicciano (1 franmaento). Restì (1).
Meneghini (Descr. cari. geol. Grosseto) lo indica pure nel
Se, Nat, Voi. Vm, fase. !.• 6
60 e. DE STEFANI
• calcare rosso di Gerfalco, col nome di Aììi. cylindricum * in di-
mensioni enormemente maggiori delle consuete alla Spezia ed
a Hierlatz „.
In Italia il P. cylindricum Sow. fti notato nella zona ad An-
gulati del Lias inferiore, a Parodi, Castellana e Campiglia presso
Spezia, nel calcare spatico di Campiglia e di Gerfalco in To-
scana, nella Montagna del Casale e di Bellampo in Sicilia, ed io
r ho trovato assai comune nel calcare ceroide ceruleo dell'Alpe
di Corfino presso Sassorosso nelVApennino settentrionale sotto
al calcare rosso ad Arieti, dove prima assai di me V aveva tro-
vato il Cocchi, come risulta da esemplari esistenti nel Museo di
Firenze. Questi ultimi individui sono identici a quelli della Spezia.
La presente forma è diversa pelle maggiori dimensioni, che
sono le seguenti;
Diametro 44*^ ; altezza dell' ultimo giro 25*^ circa.
La regione dorsale, quasi piana, è riunita presso che con
angolo retto ai fianchi i quali non sono del tutto pianeggianti
come nel tipo della Spezia, ma leggermente convessi, perciò al-
quanto più larghi verso V ombelico. Nel Lias medio di Cotona
questa specie è sostituita dal P. Bielzi Herb.
I lobi rispondono a quelli del P. cylindricum.
Phylloceras ancylonotos sp. n.
Tav. II, flg. 15.
Restì (1), Sassorosso (1 D.).
Diam. 33"', altezza dell' ultimo giro 18'".
Per r andamento dei giri e per la forma ovale dell' ultimo
il cui maggior diametro è ad un terzo dell' altezza, si avvicina
al P. Hehertinum del Medolo di Meneghini {Pai. lomb. Fossiles
du Médolo 1867-81, P. 30, PI. HI, fig. 6) che pare alquanto di-
verso dal tipo del Reynés: però da quello diversifica peli' ultimo
giro più alto e la regione dorsale più convessa. Si vedono tracce
dei lobi specialmente dì parte della sella laterale e di una delle
selle esteriori, che si accostano alla figura del Meneghini.
Forme affini a questa si trovano anche altrove, secondo
von Sutner, nel Lias inferiore.
LIAS INFERIOKE * 6Ì
Fhylloceras tenuistriatum (Meneghini).
Tav. m, fig. 7, 8, 9.
Ammonites Loscombi (non Sow.) Meneghini, Nuov. foss. 1853, P. 10.
Ammonites tenuistriaius Meneghini, in Rath, D. Berge von Camp. 1868,
n. 10 — Meneghini, in De Stefani, Geol. M. Pis. 1877,T. 88. — .Rey-
nés, Monographie des Ammonites, 1867, p. 6; 1879 Tav. XLIV,fig. 16.
Campiglia (15). Secondo von Sutner si trova a BBerlaz.
La specie non fu descritta, ma semplicemente paragonata
con VAmaltheus Loscambi Sow. e* poi figurata dal Reynés.
Il P. occiduale Can., specie vicina a questa, si trova nel Lias
inferiore ad Angulati di Coregna presso la Spezia.
La specie ha conchiglia depressa; la spira molto involuta
lascia vedete un ombelico piuttosto ristretto e sufficientemente
profondo che per lo più è coperto dalla roccia : il dorso è stret-
tamente convresso; i fianchi, quasi piani, scendono all'ombelico
rapidamente convessi laenza angolo marcato. La sezione dei giri
forma un'ovale molto allungata. La superficie è tutta ornata
di sottilissime coste ottuse, diritte, o regolarmente ma legger-
mente concave dalla parte dell' apertura, colla maggior conca-
vità, nel mezzo dei fianchi, talora anche leggermente flessuose.
Le coste cominciano per lo più solo sulla metà dei fianchi e
si vanno facendo più marcate verso il dorso a traverso al quale
continuano ; più grosse e più distanti presso l' apertura si vanno
facendo più fitte e più minute verso l'interno, sicché mentre
all'apertura se ne contano p. e. 5 ogni 5", verso la metà del-
l'ultimo giro se ne contano 7. Il diametro comune è dì 33 a
60'"; la proporzione dell'ultimo giro è di 50 a 55 p. 100; l'om-
belico di 0,08 a 0,13; la grossezza da 0,22 a 0,30. Un individuo
liscio e superficialmente corroso, nel quale, lustrandolo, scopersi
dei lobi, ha diametro di 162'"; altezza dell'ultimo giro 87"'; lar-
ghezza dell'ombelico 25"'; grossezza 42"'. Le dimensioni e la
forma sono come nel P. occiduale della Spezia, ma in questo le
costole sono assai più fine.
Sopra nessuna superficie naturale ho potuto vedere i lobi ; li
ho veduti corrodendo con acidi e lustrando più o meno profonda-
mente gli esemplari, mezzo però che mai àk un concetto perfet-
tamente esatto di essi. Paiono 6 lobi o 7 per ogni fianco; lobo
52 e. DE STEFANI
antisifonale sconosciuto ; il primo lobo laterale termina trifido
e similmente il secondo laterale il quale è più lungo dei lobi
aasiliarii; la prima sella laterale è trifogliata ed è pia alta
della sella estema: la sella estema, la seconda sella laterale,
la prima e la seconda delle selle ausiliari paiono bifogliate,
forse anche pella profondita della superfìcie lustrata; le altre
selle ausiliari non si vedono bene. Anche nei lobi l'analogia
c^À P. occiduale è grandissima e forse le differenze appaiono
almeno in parte solo per la profondita cui è giunta la sezione e
per le ineguaglianze di questa. Le differenze apparenti sarebbero
queste, che i due lobi laterali sono piii lunghi degli ausiliarii;
la seconda sella laterale non è semplice ma bifogliata: la grande
foglia interposta al ramo terminale mediano ed al ramo termi-
nale intemo del primo lobo laterale sarebbe più lunga, come e
più lunga la grande foglia posta fra il ramo terminale mediano
ed il ramo terminale estemo del secondo lobo: parimente la
prima sella laterale nella base sarebbe più stretta.
Phylloceras Partschi (Stur).
Tav. L a^. 10, 11.
Ammonites sfriatocostafus Meneghini, Niiov. foas. 1853, P. 9, 28.
Ammoniles Partschi (St.) von Hauer, Ueber die Cephalopoden aus dem
Lias der Nord-ostlichen Alpen. Denkschrift. d. K. Akad. d. Wis-
senschafken, Wien 1856, P. 57. — von Hauer, Ueber die Ammo-
niten aus dem sogenannten Medolo der Berge Domaro. SitznDgsbe-
rìchte der K. Ak. d. Wiss 1861, P. 405. — Meneghini, in Kath,
D. Berge von Camp. 1868, P. 321, n. 9. — Seguenza, Sull'età geo-
logica delle rocce secondarie di Taormina. Nuove effemeridi siciliane
Voi. II, 1871, P. 2.— Meneghini, in De Stefani Geol. M. Pis. 1877,
P. 37, 38.
Ammonites torulosus (non Schlt.), Ammonites Lamberti (non Sow.), Stop-
pani, Stud. geol. s. Lombardia 1857, P. 223, 225.
? Phylloceras isomorphum Gemmellaro, Sopra alcune faune giuresi e liasi-
che della Sicilia 1872, P. 6, Tav. I, fig. 1.
Phylloceras Partschi (St.) Meneghini, Mon. du cale, rouge P. 83; Foss.
du Medolo, 1867-81, P. 26, PI. Ili, fig. 3-5. — Gemmellaro, Sopra
i Fossili del calcare cristallino delle montagne del Casale e di Bei-
lampo nella Provincia di Palermo. Giorn. di Scienze nat. ed ec.
Voi. XllI, 1878, P. 236. — Parona, Contribuzione allo studio
della fauna liasica di Lombardia. Rend. R. Ist. Lombardo S. II,
UAS INFERIORE 53
Voi. XII. 1870, P. 9. ~ Canavari, Beit. z. Fauna unt. Lias. 1882,
P, 146. — Gemmellaro, Sui fossili degli strati a Terobratula Aspasia
della contrada Rocche rosse presso Galati, I&84, P. 7, Tav. II,
fig. 9, 10. — Segnenza. I minerali della provincia di Messina, Par-
te I. 1885, P. 51, 71. — Gemmellaro, Sopra tal. Harp. Lias sup.
1885, P. 4. — Segnenza, Int. sist. giur. Taormina, 1885, P. 5, 8. —
Gemmellaro, Mon. foss. Lias sup. Bull. d. Soc. di se. nat. ed ec.
di Palermo. 1885, P. 1.
Massicciano (5 mal conservati), Restì (11), Sassorosso (2 mal
conservati) (3 D.), Roggio (5 impronte e individui con lobi),
Campiglia, a M. Calvi e Sassetta. (32), tìerfalco (1) Cetona (20).
Si conosce in Italia nel Lias superiore di Bicicola, Clivio,
Boroncello, Medolo, Pilzone, Val Cuvia in Lombardia, di Taor-
mina e di Bellampo in Sicilia, nel Lias medio presso Galati pure
in Sicilia: nel Lias inferiore ad Angulati di Coregna presso la
Spezia, della Montagna del Casale in Sicilia.
Stur indicò la sua specie nella zona ad Arietites obtusus Sow.
che h quella stessa donde provengono i nostri esemplari.
I fossili di Campiglia furono già esaminati dall' Hauer che
li ebbe col nome di Ammonites striatocostatus Mgh.; egli dice
{Ueb, die Ceph. P. 57) che *" rispondono quasi completamente
air^. Partschi „ sinonimìa che fu poi ammessa interamente dal
Meneghini, e soggiunge che hanno V ombelico molto stretto ed
i fianchi alquanto più pianeggianti, come realmente per solito
si verifica, Il Meneghini, parlando degl'individui di Campiglia
che sono appunto il tipo del suo P. striatocostatus (Mon. cale,
rouge P. 85) dice che '^ gli esemplari giungono fino a 110'" di
diametro e le proporzioni danno in media, altezza dell' ultimo
giro 0,57; grossezza 0,24; larghezza dell'ombelico 0,9; ricopri-
mento della spira 0,25. Le coste vengono meno sui fianchi,
mentre le pieghe e le strie salienti si partono dal margine
dell'ombelico, molto obliquamente all' innanzi nella parte in-
tema del giro e rivoltate nella direzione radiale delle coste
nella parte esterna. Le strie sono tre sopra ciascuna costa e
due in ciascun solco interposto. Le coste vanno rapidamente
crescendo in larghezza ed in altezza dall' indietro all' innanzi*
e le sette ultime del grande esemplare di 110"' di diametro
occupano 30'" di lunghezza „. I solchi trasversali per lo più
mancano, ma in qualche individuo senza guscio se ne vedono
54 e. DE. STEFANI
fino a 5 nell' ultimo giro. Alcuni esemplari di Campiglia aHatto
lisci rispondono alle flg. 4 e 5 del Medòlo (Meneghini, Foss. d.
Medoh). Si vedono lobi in un individuo di Gerfalco ed in altri
di Roggio ; ma sono specialmente conservati in quelli di Restì e
presentano tutti i caratteri della specie. NegV individui di. Cam-
piglia si scoprono i lobi solo con artifizio.
Gli esemplari senza guscio esteriore di questa specie di Cam-
piglia sono stati presi qualche volta pel P. zetes D' Orb. (Mene-
ghini, in Rath, Berg. von Camp., n. 6, in De Stefani, GeoL M.
Pis. P. 38) ; come esemplari lisci del P. Nardii Mgh. potrebbero
prendersi pel P. stella Sow. L' esame dei lobi, quand' altro non
bastasse, chiarisce la specie.
Phylloceras Savii sp. n.
Tav. Ili, fig. 10. ;
Campiglia (1).
Come il P. tenuistriatum risponde al P. Partschi colle coste
senza strie, così questa forma risponde al P. Partschi fornito
di strie ma senza coste.
Phylloceras (RhacophylUtes) Nardii (Meneghini).
Ammonites mimatensìs (D'Orb.) Meneghini, in Rath, D. Berge von Camp.
1868, P. 320, n. 8. — De Stefani, Geol. M. Pis. 1877, P. 37.
var. Nardii Meneghini, in Rath, D. Berge von Camp. 1868, P. 320. n. 8. —
Meneghini, Mon. du cale, rouge 1867-81, P. 83.
Ammonites Nardii Meneghini, Nuov. foss. 1853, P. 9, 27. — Meneghini,
in De Stefani, Geol. M. Pis. 1877, P. 38. — Reynés prò parte,
Monographie des Aram. 1879, P. 6, (non PI. XXXIX, fig. 12-16).
Phylloceras diopsis Qenmiellaro, Foss. d. strati a Ter, Asp. 1884, P. 6,
Tav. II. fig. 6-8, Tav. VI, fig. 1, 2.
Rha^ophi/llites diopsis Seguenza, Min. prov. d. Messina, Parte I, 1885,
P. 50.
Massicciano (6), Campiglia (172 comunissima) (3D.).
In Sicilia questa specie trovossi nel Lias medio alle Rocche
rosse presso Galati.
Conchiglia compressa, a largo ombelico, con 4 o 5 giri ra-
pidamente crescenti: regione dorsale strettamente convessa;
LIAS INFERIORE 55
fianchi piuttosto pianeggianti^ con angolo ombelicale acuto, tanto
che nell'ombelico i giri si seguono a gradinate ben distinte.
Il giro esterno negli ultimi tre quarti è fornito di 25 a 34 coste,
quasi a modo di creste, salienti, continue a traverso il dorso,
che vanno diventando sempre più marcate verso l'apertura,
concave verso l' apertura stessa, molto rilevate sul dorso e ta-
lora quasi improvvisamente mancanti nel mezzo dei fianchi,
quasi embriciate cioè più declivi da una parte e per lo più da
quella dell'apertura, anzi talora quasi canalicolate: verso T in-
temo si fanno mano mano più depresse e più fitte. Talora si
contano fino a 41 coste in mezzo giro. A volte alcune coste sono
dicotome e si riuniscono sulla metà dei fianchi; talora 1 o 2
strie secondarie poco impresse si trovano sulla parte più sa-
liente che par quasi doppia.
Questi sono i caratteri comuni presentati da 38 individui
di Campiglia.
In 29 individui dello stesso luogo, è rimasta la conchiglia
senza il guscio.
Le proporzioni dell' ultimo giro variano assai. Il diametro
varia da 40 a 60": l'altezza dell'ultimo giro è di 0,38 a 0,44;
la larghezza dell'ombelico da 0,29 a 0,39. Un individuo per
rapporto al diametro che è di 48'", ha altezza dell' ultimo giro
di 0,45, ombelico e grossezza dell' ultimo giro di 0,25.
Un colossale individuo di Campiglia di cui rimase un firam-
mento dovea avere almeno 320'" di diametro, ed ultimo giro*
alto circa 110'".
Il Meneghini costituendo il P. Nardii a specie distinta disse
che era diverso dal P. mimatense per la mancanza dei solchi
trasversali e per l'ampiezza maggiore dell'ombelico (N. foss.
P. 38). Più tardi però (Rath, D. Berge von Campiglia, P. 320)
scrisse che ** gli esemplari di Adneth che Hauer determinò come
Ammonites mimatensis lo spinsero a riguardare VA, Nardii come
una semplice varietà, „ ; soggiungeva {Mon. du cale, rouge P. 38)
che questa differisce solo " par les còtes prolongóes jusque> au
partour orabilical, souvent fasciculées deux k deux et mème en
plus grand nombre, et par la surface du test finement strióe ».
Prescindendo dalle differenze prodotte dalla diversa lun-
ghezza delle coste e dalla mancanza dei solchi, tutti gl'indi-
vidui del nostro Lias inferiore diversificano dal P. mimatense
56 e. DE STEFANI
D' Orb., per V angolo acuto ombelicale dei giri, talché sono vi-
cini al P. stella Sow. della zona ad Angulati Essi costituiscono
perciò una specie a se, cui deve serbarsi come più antico il nome
dato dal Meneghini. Il P. Nardii (non Mgh.) del Reynés (ifon.
Aìnm. 1879 6. 6. PI. XXXIX, fig. 12, 16) non presenta quel ca-
rattere dell'angolo acuto ombelicale ed inoltre è fornito di
solchi, per cui deve trattarsi d' una forma diversa : anche i lobi
sono un poco diversi dai nostri.
Fhylloceras (RhacophylUtes) libertum Gemmellaro.
AmmonUes mitnatensis (D^Orb.) Savi e Meneghini, Gons. geol. Toschi 851,
P. 400. — Meneghini, Nuov. foss. 1853. — von Haner, Ueb. Am.
aus d. Medolo 1861, P. 406. •- ?Gocohi, Sulla Geologia dell' Italia
centrale, 1864, P. 15. — Meneghini, Deac. geol. Grosseto 1865,
P. 392. — Zittel, Geog. Beob. cent. Ap. 1869, P. 134.
Philloceras mitnatensis Meneghini, Mon. du cale, rouge, Foss. du Me-
dolo 1867-81, P. 26, PI. IV, fig. 2. — Tarainelli, Monografia stra-
tigrafica e paleontologica del Lias nelle Provincie venete. Atti del-
l'Istituto veneto. Appendice al T. V, s. V. 1880, P. 73, Tav. Ili,
fig. 2. — Canavari, Mont. del Suav. 1880, P. 67. — Meneghini, in
Tiiccimei, Sulla struttura e i terreni che compongono la Qatena di
Fara in Sabina, Boll. soc. geol. it. 1883, P. IO.
Phijlloceras libertum Gemraellaro, Foss. str. Ter. Asp. 1884, P. 4, Tav. II,
fig. 1-5.
BhacophyllUes libertum Seguenza, Min. prov. Mess. Parte I^ 1885, P. 50,
71. — Seguenza, Int. sist. giur. 1885, P. 5. — Geinmellaro, Mon.
foss. Lias. sup. 1885, P. 2. ' ^
Massicciano (2), Restì (3), Soraggio a Parecchìola (1), Sas-
sorosso (3) (17 D.), Roggio (3), Campiglia (15), Gerfalco, (2, rara),
Cetona (30). Il Cocchi (Sulla geol. P. 15) lo indica alla Serra
presso Spezia.
In Italia questa specie trovossi nel Lias superiore del Mes-
sinese, nel Lias medio ai Campi dell'Acqua, a Fara Sabina, alla
Marconessa, a Cagli nell' Apennino centrale, a Cetona in To-
cana, presso Galati, nella Montagnola di S. Elia e nei dintorni
di Giuliana in Sicilia, probabilmente nella zona ad ArietUi del
Lias inferiore ad Erto nel Veneto, e finalmente a quanto pare
nella zona ad Angulati dello stesso Lias inferiore a Gerfalco
in Toscana.
LUS INFERIORE 57
I solchi trasversali, che vanno dall' ombelico al dorso, sono
ora sigmoidali ora semplicemente curvi come le coste : sovente
non si vedono se non quando manca il guscio: ne ho contati
4 0 5 neir ultima metà del giro estemo.
H Gemmellaro unisce a questa specie il P. mimatense del
Meneghini del Lias superiore di Lombardia Mon. du cale, rotige.
P. 81, PI. XVn, fìg. 4; ma questa forma, stando alla figura, è
diversa perchè V ultimo giro è più convesso ed il margine om-
belicale è rotondo.
Phylloceras (BhacophylUtes) lunense sp. n.
Tav. m, fig. 1, 2.
Restì (3), Massicciano? (1).
Questa forma va distinta per V ultimo giro molto alto , for-
nito di solchi e di coste rilevate poco appariscenti, col contomo
ombelicale assai angoloso.
. Essa e le due antecedenti sono forme eterotopiche del P. mi-
matense D' Orb.
In un individuo che ho figurato, vedesi in parte ben conser-
vata l'apertura; essa termina superiormente con una espansione
a guisa di tetto ; presso la parte inferiore è una aletta, ad ogni
lato, che termina con una ottusa curva e si unisce obliquamente
all' ombelico : una profonda sinuosità, separa le aletta dall' espan-
sione superiore; su questa espansione seguitano le coste trasver-
sali: uno dei solchi profondi segna il confine dell'aletta dal
resto della conchiglia.
H lobo antisifonale coi due enormi lobi laterali, il primo lobo
accessorio e gli altri caratteri si avvicinano molto a quelli del
Phylloceras mimatense D'Orbigny.
Phylloceras (BhacophylUtes ?) Ooquandi sp. n.
Tav. n, 13, 14.
Ammonites Buvignieri (non D' Orb.) Meneghini, Nuov. foss. 1853, P. 10. —
Meneghini, in Rath, D. Berge von Camp. 1868, n. 5. — Meneghini,
in De Stefani, Geol. M. Pis. 1877, P. 38.
Campiglia (2 esemplari malconci) (1 D.), Sassorosso (1 D.).
Conchiglia molto depressa, ottusamente carenata, a spira
58 e. DE STEFANI
quasi abbracciante, con ombelico mediocre, ultimo giro debol-
mente convesso avente quasi alla meta la massima grossezza ;
dorso declive da ciascim lato, appena rotondato, con solco pro-
fondo nel mezzo. La superficie è ornata da strettissime costole
filiformi le quali s' intemano profondamente nel guscio e sepa-
rano intervalli appena concavi larghi circa 1 mill. : esse vanno
dall' ombelico al dorso e quivi rimangono per breve tratto in-
terrotte da un largo solco mediano alla carena : poco prima di
giungere all'ombelico si riuniscono poi sempre a coppie. Esse
sono oblique o leggermente flessuose: partendo dall'ombelico
fanno una leggerissima curva convessa verso l'interno della
spira e passata la metà del fianco ne fanno un' altra leggera
convessa pur verso la medesima parte, indi si dirigono molto
obliquamente al dorso; attesa questa obliquità su ambedue i
fianchi i solchi accennerebbero a riunirsi lungo il sifone quasi
ad angolo retto. Il solco sulla metà del dorso è piuttosto pro-
fondo e largo.
I lobi, scoperti artificialmente, perciò in modo meno perfetto,
sono 5 per fianco oltre al lobo antisifonale. Il lobo sifonale è
più profondo del primo lobo laterale ed è largo quasi quanto
questo cioè non molto; ha 6 rami da ciascun lato, e special-
mente i 3 inferiori fomiti da numerose digitazioni. H primo
lobo laterale è piuttosto stretto con 4: rami; il secondo lobo
laterale è di metà più corto. Della sella sifonale si vede solo
una piccola parte suddivisa in molte foglioline; la sella estema,
piuttosto stretta, poco più alta della sifonale, termina con 3
foglioline maggiori di cui la più intema è la più alta e la più
larga; prima sella laterale più bassa, più stretta, bifida; selle
ausiliari sempre più basse e più semplici.
Proporzione dell'ultimo giro al diametro 0,51; ombelico e
grossezza 0,21.
Un Individuo giunge al diametro di 1 decimetro; secondo
il Meneghini ne sono anche di 2 decm.
La specie è apparentemente assai vicina all' AmaUheus Bu-
vignieri D'Orb. cui fu attribuita dal Meneghini; ma a giudi-
care da que' miei individui l' ombelico è più largo, la sezione
dei giri più regolarmente convessa, i solchi della superficie sono
più marcati e più profondi e con andamento meno flessuoso:
le proporzioni delle varie parti al diametro sono diverse, la sella
LIAS INFERIORE 59
esterna è superiormente divisa in due, i rami del lobo àntisifo-
nale sono 6 per ciascun lato invece di 5, le selle ausiliari sono
più strette: v'è insomma differenza non solo di specie ma di
genere.
n Canavari che aveva visto questa specie la ritenne una
Schlotheimia; von Sutner Tha giudicata un Phylloceras, proba-
bilmente del gruppo Rìiacophyllites, analogo al P. atdonotum e
ad altra forma di Zlambach. I lobi, quantunque assai mal con-
servati, non contrarierebbero questa opinione.
Oxynoticeras perilambanon sp. n.
Tav. ir, fig. 1-4.
•
Amìnonites margaritatus (non Montf.) Meneghini, in Savi e Meneghini, Gons.
geol. Tose. 1851, P. 382. — Meneghini, Nuov. foss. 1853, P. 10. —
Meneghini, Desc. geol. Grosseto 1865, P. 392. — Meneghini, in Rath,
Die Berge von Camp. 1868, P. 320, n. 1. — Meneghini, in De Ste-
fani, Geol. M. Pis. 1877, P. 37, 38.
Ammonites Guibali (nonD'Orb.) Reynés, Mon Aiuni., 1879, P. 6.
Sassorosso (5 D.) Campiglia (50).
Il Meneghini lo indicava pure a Gerfalco (Desc. geol. Gross.)
e lo ravvisava in alcune sezioni d' una tavola di marmo giallo
della Montagnola senese (Cons. geol. Tose. P. 382).
Non avendo potuto studiare bene gì' individui di Sassorosso,
tipo di questa mia specie sono quelli di Campiglia.
Conchiglia compressa, acutamente carenata con ultimo giro
amplissimo comprendente quasi l'intera conchiglia, quindi con
r ombelico piccolissimo ridotto talora ad una semplice perfora-
zione. Apertura ellittico-lanceolata, per più di un terzo intac-
cata dal penultimo giro. Numerose coste sigmoidali vanno dal-
l' ombelico fino al dorso fermandosi all' incontro della carena e
presso questa sono molto oblique ; sono poco rilevate, e più de-
presse verso la carena, angolose ma molto ottuse, con pendìo
il più delle volte meno ripido dalla parte dell' apertura : si vanno
facendo più rilevate tra la metà dell'ultimo giro e 1' apertura,
mentre verso l'interno diventano talora quasi filiformi; sono
separate da intervalli ordinariamente più larghi e tanto inag-
giori quanto più si allontanano dall' apertura; gì' intervalli sono
60 e. DE STEFANI
percorsi da sottilissime e fitte strie rilevate visibili anche ad
occhio nudo, aventi il medesimo andamento delle coste: non
vi e però traccia di scultura longitudinale. Qual^Aie rara volta
dalla meta più estema dell' ultimo giro verso la carena partono
delle coste intermedie. Variano secondo gV individui la grossezza
ed il numero delle coste : nell' ultimo giro presso la carena ne
ho viste da 80 a 56 ; talora sono appena marcate. La carena
è molto rilevata e distinta e affatto liscia od appena segnata
dalle strie sottilissime che ornano tutta la superficie : negl' in-
dividui più grandi viene qualche volta a mancare.
I più piccoli individui hanno diametro di 28'*; altri di lìQ"^;
ma r ombelico vi si mantiene quasi ridotto a semplice perfo-
razione.
Un individuo che ha V ombelico relativamente un poco più
ampio, ha le seguenti dimensioni: Diametro 105"'; altezza del-
l'ultimo giro 55"; ombelico 10*^; grossezza VA'^.
Un frammento di grosso individuo presenta un guscio spa-
tico ben distinto il quale, scoperto, lascia vedere parte dei lobi,
cosa rarissima negl'individui di Campiglia. E lobo sifonale che
si vede solo in piccola parte e mal conservato sembra più largo
ed è più corto del primo lobo laterale; quest'ultimo, molto
lungo e stretto, ha due rami terminali e due rami laterali, è
riccamente frastagliato; il secondo lobo laterale solo in parte
conservato sembra altrettanto stretto quanto il primo e sud-
diviso in modo consimile, ma è meno profondo; essendo la su-
perficie profondamente corrosa si vedono insufficienti tracce dei
lobi ausiliari e delle relative selle. La sella esterna si vede solo
nel lato intemo e termina in duo o probabilmente tre foglioline
lobate di cui la più interna e di nuovo divisa in tre; la sella
laterale e più alta, divisa in due grossi rami, di cui l'esterno
lungo e frastagliato da foglioline semphci, l' interno suddiviso
in quattro foglioline frastagliate : la prima sella (ausiliare sembra
assai più bassa di quella laterale, ma lo è quasi quanto l' estema.
Questa specie si distingue dall' Anmltheus niargaritatus Montf.
cui fii riunita, perchè non è così multiforme, pella carena semplice
non nodulosa, per le coste più numerose e più oblique verso
la carena, peli' ombelico costantemente più piccolo e pei lobi;
il primo lobo laterale è troppo più stretto e la sella laterale
è più alta di quella estema.
LUS INFEKIOBE 61
•
Per la forma somiglia più all'O. Guibalianus W Orh., cui fu
riunita dal Reynés ponendovi come sinonimo VA. margaritatus
Meneghini di Campiglia, ed all' 0. Lymemis Wright: dal primo
diversifica perchè in generale più depressa, coi giri più invo-
luti, essendo l'ombelico mancante o piccolissimo, la carena quasi
sempre acutissima e ben distinta, le coste alquanto più sigmoidali
e più oblique presso la carena, ordinariamente meno rilevate:
i lobi e le selle sono più stretti e suddivisi maggiormente con
altra disposizione.
Le specie del gruppo délV Oxynoticeras Giitbalianus sono pro-
prie del Lias inferiore e medio.
La mancanza deìV AmaUhaetis margaritatus nella parte supe-
riore del nostro Lias inferiore fa ritenere che gì' individui citati
con quel nome dal Canavari nella parte più antica del predetto
Lias alla Spezia, appartengano invece al Lias medio.
Lytoceras secernendum sp. n.
Tiiv. Ili, fig. 3-6.
Ammonites fimbriatm (non Sow.) Meneghini, Nuav. foss. 1853, P. 10. —
Meneghini, in Rath, Die Berge von Camp. 1868, n. 2. — Meneghini,
in De Stefani, Geol. M. Pis. 1877, P. 38.
Lytoceras fimbriatum (non Sow.) Meneghini, Mon. du cil. rouge 1867-
81, P. 101.
Campiglia (20) (1 D.).
Conchiglia a mediocre accrescimento, con 4 o 5 giri, di cui
l'ultimo assai grande è molto convesso nel dorso ma non nei
fianchi, ed i rimanenti sono approfondati come in un largo
ombelico: la superficie è ornata di numerose e sottili coste
trasversali, continue anche sul dorso, uniformi ed uguali fra
loto, seghettate con scanalature verticali, leggermente flessuose
con la convessità poco sotto la metà dei fianchi verso l'om-
belico, e talora presso questo alquanto sigmoidali: per lo più
verso r ombelico si appaiano due a due. In alcuni degl' individui
giovani ogni 2 o 4 coste ne è una più rilevata. Negl' individui
giovani sono pur sempre 8 o 9 lame trasversali taglienti assai
rilevate che abbracciano tutto il giro, mentre negli adulti vanno
a scomparire e mancano affatto. Nel nucleo intemo a queste
62 e. DE STEFIXI
lame rispondono dei solchi e di questi rimane qnalche traccia
anche n^l' individui adulti.
Diametro da 45* a 14:0*; altezza dell'ultimo giro in rap-
porto al diametro 0,33 a 0,40; grossezza 0,29 a 0,35; ombe-
lico 0,37 a 0,42. L' altezza e la sproporzione dell' ultimo giro
aumentano coli' età.
Sopra alcune superfici lustrate vedonsi dei lobi ; non però il
lobo sifonale e la sella ausiliare : i due lobi laterali hanno quasi
uguale profondità, la prima sella laterale è divisa superiormente
in due grandi rami di quasi uguale altezza. Neil' insieme i lobi
somigliano a quelli del L. fimbriatum Sow. e del L. VUlae Mgh.
La nostra specie diversifica dal L. fitnbriatum Sow. per la
maggiore altezza proporzionale dell'ultimo giro, per le coste
piii numerose, più uniformi, più flessuose ed accoppiate due a
due, pelle quali somiglia ma^ormente al L. Villae Mgh. del
Lias superiore. -
Lytoceras tuba sp. n.
Tav. I, fìg. 17, 18.
Massicciano (1), Sassorosso (1 D.).
Non so se debba unirsi a questa, all' antecedente o ad altra
specie il L. fimbriatum Sow. indicato dal Meneghini a Sassorosso
(Nuov. Fo88. P. 11), e quello di Gerfalco (Descriz. geol. Grosseto
P. 392).
Conchigligi ad accrescimento molto veloce, a giri assai con-
vessi, di cui r estemo presso l' apertura equivale quasi alla metà
del diametro ; esso è quasi rotondo e solo leggermente depresso '
sui fianchi: la superficie è ornata di coste trasversali, continue
anche sul dorso, molto piccole, separate da larghi intervalli,
diritte o leggermente oblique a partire dall'ombelico ed al-
quanto convesse verso Y apertura nella parte più prossima al-
l'ombelico stesso. Coste maggiori alternano con altre minori;
le maggiori partono direttamente dall' ombelico e fra ognuna
di esse ne sono 3 o 1 ma per lo più 2 più piccole che partono
dalla metà dei fianchi. Nell'ultimo giro sono traccio palesi di
3 o 4 lamine rilevate.
Non si vedono lobi, ma la specie è del gruppo del L. firn-
briatum Sow., quantunque certamente distinta dalle altre, anche
LIAS INFEEIORE 63
dal L. secernendum, per la grande sproporzione in altezza e
grossezza dell'ultimo giro.
Diametro 150"'; altezza dell' ultimo giro 62'"; grossezza 52'";
ombelico 55"'.
Fino ad ora erano sconosciute nel Lias inferiore forme di
Lytoceras fimbriati come questa e l' antecedente ; però, secondo
von Sutner nelle Alpi non furono ancora distinti con accura-
tezza gli orizzonti nei quali trovansi i primi grandi fimbriati.
Arietites Oonybeari (Sowerby).
Tav. IV, flg. 12, 13.
Ammonites Oonybeari (Sow.) Meneghini, in Savi e Meneghini, Cons. geol.
Tose. 1851, P. 387, 301,? 397. — Meneghini, Nuov. foss. 1853, P. 9,
IO. — Meneghini, Desc. geol. Grosseto 1865, P. 392. — Meneghini,
in Rath, Die Berge von Camp. 1868, n. 13. — De Stefani, Conside-
razioni stratigrafiche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane
e del Monte Pisano. Bollettino del R. Comitato geologico Voi. V,
P.69.-. Meneghini, in De Stefani, Geol. M. Pis. 1877, P. 37-38.
Ammonites tardecrescens (non Hauer), Ammonites spiratissimus? (non
Quenst.) Meneghini, in Rath, Die Berge von Camp. 1868, n. 14,
15. — Meneghini, in De Stefani, Geol. M. Pis. 1877, P. 38.
Arietites Oonybeari (Sow ) Tararaelli, Mon. strat. del Lias 1880, P. 78,
Tav. 8, fig. 1,2.— Canavari, Beit. z. Fauna unt. Lias 1882, P. 178/
Taf. VI, fig. 6. — Parona, Sopra alcuni fossili del Lias inferiore di
Carenno, Nese e Adrara nelle prealpi bergamasche. (Atti Soc. it. se.
nat. Voi. XXVII, 1885, P. 360. — Sacco, Studio geo-paleontolo-
gico sul Lias delUalta valle della Stura di Cuneo. Boll. d. R. Com.
geol, S. II, Voi. VII, 1886, P. 15, 22, 25.
Massicciano (54), Sassorosso, (14) (22 D), Roggio (4), Sassi-
grossi nel Pisano (1), Monsummano (2), Campiglia, (126) (2 D).
n Meneghini {Nuov. Foss. P. 9) lo cita anche a Gerfalco, a
Caldana di Ravi {Con. geol. P. 391). Ho veduto questa specie
nelle collezioni per lo più coi nomi di Ammonites Bucklandi?,
Bonnardi, liasicus e specialmente .di bisulcatus e probabilmente
le si riferiscono varii degli esemplari così indicati dal Mene-
ghini {Cons. geol. Tose. P. 396, 397, Nuov. Foss. P. 7,9, 11).
In Italia si trova nel Lias inferiore, zona ad Arietiti^ di
Erto nel Veneto, e del colle di Pouriac in Piemonte, e nella
64 e. DE STEFANI
zona ad Angidati di Parodi presso Spezia e di Carenno in Val
d'Erve nel Bergamasco.
Considero come tipiche di questa specie le forme di Sower-
by, D'Orbigny e Wright, avendo qualche dubbio per quelle
del von Hauer e del Chapuis giacché non vi è intera corri-
spondenza nel carattere dei lobi e potrebbe esservi qualche
differenza morfologica maggiore di quello che la forma esteriore
non dimostri.
Vi è grande variabilità nel numero dei giri e nel numero
delle coste per ogni giro; i giri sono 4 nei più giovani, sino
a 7 negli adulti, la qual cosa non deve fare specie quando si
ponga mente al gran numero dei giri ed al lento accrescimento
dell' individuo figurato dal Wright. Le coste coli' età vanno di-
ventando più fitte; con un diametro di 40'" ne sono 32-40 nel-
l'ultimo giro, con un diametro di 60'" ne sono 40 a 60, con
un diametro di 80'" ne sono 50-70. Cotali coste quando giun-
gono al dorso si deprimono e si curvano leggermente verso la
parte anteriore fino a raggiungere la carena laterale. Negl'in-
dividui meno adulti, fra una carena e 1' altra si vedono delle
sottili linee rilevate. Le tre carene coi 2 profondi solchi laterali
alla carena mediana sono sempre ben marcate come nel tipo.
Solo in un caso lustrando dei giri intemi ho veduto tracce
di lobi che potrebbero corrispondere al tipo, sebbene i minuti
frastagliamenti non si palesino: il secondo lobo laterale è
meno profondo del primo, le 3 selle decrescono regolarmente
in larghezza e altezza. La camera di abitazione occupa quasi
tutto r ultimo giro.
Arietites Conybearoides (Reynés).
Tav. IV, fig. 19, 20.
Massicciano (3).
Il Reynés ha figurato e brevemente descritto questa specie
{Mon. Amm. P. 4, PI. XV, fig. 26, 31) come diversa dall'-A. Co-
nyheari ^ par tours bien plus étroits et une taille infiniment
plus petite k peine 8 centimétres ».
Essa ha 5 o 6 giri poco convessi nei lati e più sul dorso,
con 33 a 38 coste ben distinte ma non molto rilevate, quasi
diritte, ed appena curve poco prima di giungere al dorso, separate
LIAS INFERIORE 65
da intervalli spaziosi e leggermente convessi, talora striati da sot-
tilissime linee radianti. La carena è acuta ma poco rilevata ed
accompagnata ai due lati da solchi non larghi né molto profondi.
n migliore esemplare ha di diametro 85'" ; altezza dell' ultimo
giro 12"; ombelico 53'"; grossezza 10'".
È diverso étlVA. Conybeari Sow. pei giri più stretti e più
lentamente crescenti ; le coste più diritte, separate da intervalli
più larghi, meno numerose: la carena meno marcata, coi solchi
laterali meno profondi.
I lobi figurati dal Reynés, giacché nei nostri individui non
si vedono, sono molto vicini a quelli dell' J.. Conybeari, ma sono
tutti più larghi, la sella laterale è più alta, l'ausiliare è più
larga e più alta.
Arietites spiratissimus (Quenstedt).
Tav. IV, fig. 17, 18.
Ammonites spiratissimus (Quenst.) Meneghini, in De Stefani, Qeol. M.
Pis. 1877, P. 38. — Gastaldi, Sui rilevamenti geologici fatti nelle
Alpi Piemontesi durante la campagna del 1877. Atti della R. Ac-
cademia dei Lincei S. 8.* Voi. 2.» 1878, P. 6.
Arietites spiratissimus (Quenst) Canavari, Beit, z. Fauna unt. Lias, 1882
P. 177, Taf. VI, fig. 2.
•
Massicciano (63 raccolti dal Cocchi il 27 Settembre 1864),
Restì (5), Sassorosso (18 D.), Cetona (5).
In Italia essa fii raccolta nei calcari del Vallone di Colom-
bart in Piemonte, nella zona ad Aìigiilati del Lias inferiore di
Campiglia presso Spezia.
Somiglia al tipo stesso del Quenstedt, ed alla forma del
Canavari che mi pare non distinguibile dal tipo, più che all' in-
dividuo figurato dal von Hauer.
Conchiglia compressa, un poco infundibuliforme, a 6 o 6
giri assai lentamente crescenti; ultimo giro quasi uniformemente
convesso da ogni parte, con dorso ampiamente curvo, coi fianchi
solo un poco ripianati. Tutti i giri sono ornati da coste ottuse,
di cui 4i a 50 sono nelV ultimo ; esse sono separate da inter-
valli assai più larghi, diritte, o leggermente e quasi regolar-
mente curve con la concavità rivolta all' apertura: nell' ultimo
giro vanno a svanire sul dorso che :è diviso nel mezzo da .un?»
Se, Nat. Voi. Vm, fase, l.» 6
66 e. DE STEFANI
carena bassa e ottusa^ a tetto, piuttosto stretta, accompagnata
a ciascun lato da una piccola concavità sulla quale vanno a
perdersi le coste. Lobi non se ne vedono.
Diametro 18*^ a 46'*; rapporto dell'ultimo giro al diametro
0,14 a 0,22; ombelico 0,56 a 0,63; grossezza 0,14 a 0,17.
Arietites bisulcatus (Bruguière).
Ammonites bisulcatus (Brug.) Meneghini, in Savi e Meneghini, Cons. geol.
Tose. 1851, P. 348, 396? — Meneghini, Nuov. Foss. 18{i3, P. 9. —
Von Hauer, Deb. Ceph. aus d. Lias 1856, P. 14. — De Stefani,
Geol. M. Pi8. 1877, P. 37, 38.
Ammonites bisulcatus? Meneghini, in Rath, Die Berge von Camp. 1868,
u. 17.
Arietites bisulcatus (Brug.) Cauavari, Beit. z. Fauna unt. Lias 1882,
p. iHO. — Parona, S. ale. foss. d. Lias 1885, P. 360.
Massicciano (1), Campiglia (9), Sassorosso (5 D.).
Il Meneghini lo ha indicato ne' primi suoi lavori nel calcare
rosso di Parodi presso Spezia, a Sassorosso (Cons. geol. P. 348, 396)
ed in parecchi altri luoghi, ma si deve intendere per lo più VA.
Conybeari od altra specie, tanto più che V indicazione non fu
ripetuta in lavori recenti, e che V A. bisulcatus, per quanto so
io, è molto raro.
Esso trovasi nel Lias inferiore ad Attguhti a Parodi e Co-
regna presso Spezia ed a Carenno in Lombardia.
Quantunque i miei esemplari per lo più non siano ben con-
servati, non li trovo diversi, pella proporzione dei giri, polla
forma della carena, pel numero e peli' andamento delle coste
dalla forma figurata dal Wright (The Lia^ Am. Tav. 3, fig. 1).
Alcuni hanno il diametro di HO'*'. VA. multicostatm Sowerby,
come è noto, è sinonimo di questa specie; non lo* sono però r-4.
muUicostatus (non Sow.) von Hauer, Chapuis, Canavari, né VA.
muUicostatua (non Sow.) Rejmés.
Arietites oeratitoides (Quenstedt).
Tav. IV, fig. 6, 7.
et var. densicosta Quenstedt Tav. IV, fig. 8, 9.
Ammonites ceras (Gieb.) Meneghini, Desc. geol. Grosseto, 1865. P. 392. —
LIAS INFERIORE 67
Meneghini, in Rath, Die Berge von Camp. 1868, n. 18. — Mene-
ghini, in De Stefani, Geol. M. Pia. 1877, P. 38.
Arietites ceras Sacco, Stud. geo-pai. 1886, P. 16, 22, 25.
Massicciano (4), Sassorosso (1 raccolto dal Cocchi il 6 giu-
gno 1863), Monsummano (1, raccolto dal Cocchi il marzo 1863),
Canapiglia (1), Gerfalco (65), Cetona(135).
Nelle collezioni V ho visto per lo più col nome di A. bisul-
catus e credo che con tal nome siano stati da primo indicati
gV individui di Gerfalco dal Meneghini ( Cons. geol. P. 387, e
Nuov. Foss. P. 9). •
Alcuni individui rispondono benissimo nella forma estema
ad un individuo tipico di Adneth, della collezione Pecchioli; i
più sono identici alla var. densicosta, altri al tipo (Quenstedt.
Die Ammoniten des schwàbischen Jura P. 99, Tab. 13, fig. 7)
ed hanno per lo più dimensioni minori (Diam. 70"'), minor nu-
mero di coste, per lo più da 40 a 50, che perciò sono più rade :
Forse alcuno di questi individui a coste più rade fii riunito dal
Meneghini all' A, geometricus Oppel, cioè A, seììiicostatus Toung
et Bird, (De Stefani, GeoL M. Pis. P. 38), che è specie secondo
molti sinonima, se non che i solchi laterali alla carena del dorso
sono in quello sempre meno profondi che nel nostro. In alcuni
si vedono i lobi col loro tipo particolare e distinto, la sella
laterale più stretta e più alta della sella estema, le foglioline
■semplicissime, etc.
Negli ixidividui di Gerfalco, esposti lungamente alle intem-
perie e sempre assai corrosi, mai si vedono lobi; hanno sempre
piccole dimensioni (35"' a 50"*); ma uno giunge a 90"^.
Il Reynés unisce VA. ceras all' J.. geometricus Phillips {Mon.
Amm. P. 6, PI. XIV, fig. 1, 12) che però secondo il Wright
{The Lias ammonites P. 286) è una varietà délV Amalthetis spi-
natiis: ma certamente il Reynés voleva riferirsi all'-4. geome-
tricus Opp.
Arietites stellaris (Sowerby).
Tav. IV, fig. 1-5.
Ammonites stellaris (Sow.) Meneghini, in Savi e Meneghini, Cons. geol.
Tose. 1851, P. 396. — Meneghini, Nuov. foss. 1853, P. 9. — Me-
neghini, in De Stefani, Geol. M. Pis. P. 38.
68 e. DE STEFANI
ArietUes stellaris (Sow.) Tarameli!, Mon. strat. del Lias 1880, P. 79,
Tav. Vili, fig. 3, 4.
Sassorosso (3) , Cetona (4) .
H Meneghini lo indicò pure nei Monti oltre Serchio e a
Gerfelco: e dal Taramelli è indicato ad Erto dove si troverìi
nella zona ad Arieti del Lias inferiore.
Negl'individui che ho visto la prominenza della carena e
la superficialità dei due solchi laterali mi avrebbero tentato a
distinguere questa forma dal tipo; ma in un individuo si ve-
dono il primo lobo laterale, la sella estema e la sella laterale
identiche al tipo. Tutta la superficie è talora ornata da sotti-
lissime strie radiali, come nella fig. 3, Tav. XXII del Wright
{Lias Amm. P. 295), le quali traversano là regione sifonale e
la carena, rendendola leggermente nodulosa come se si trat-
tasse di un Aìnalthetis; non ho osservato però le linee spirali
quali furono notate altrove.
Arietites obtiisiis (Sowerby).
Tav. IV, ^g. 10, 11.
Ammanites obtusus (Sow.) Meneghini, in Savi e Meneghini, ConB. geol.
Tose. 1851, P. 396. — Meneghini, in De Stefani. Geol. M. Pis. 1877,
P. 38.
Arietites obtusus (Sow.) Taramelli, Mon strat. del Lias 1880, P. 79,
Tav. Vili, fig. 5 e 6. — Seguenza, Il Lias inferiore nella provincia
di Messina. Rend. della R. Àcc. delle se. fis. e mat. di Napoli, fa-
se 9.0, 1882, P. 6.
Massicciano? (1), Restì (4): Sassorosso (2) (3D), Campiglìa
(1 compresso e sformato).
Lo ho veduto spesso nelle collezioni col nome di Ammanites
stellaris.
È indicato nella zona ad Arieti del Lias inferiore di Erto
nel Veneto e di Punte Mole nel Messinese.
■
H numero delle coste varia da 17 a 22. I lobi, talora ben
conservati, rispondono interamente al tipo.
LIAS INFEBIOIUB 69
Arìetites pseudoharpoceraa sp. n.
Tav- IV, fig. 14-16.
Massicciano (1).
Conchiglia depressa, con ultimo giro piuttosto ampio; sul
mezzo della regione dorsale scorre una ottusa carena convessa,
accompagnata ai due lati da tenue concavità, oltre la quale
principiano i fianchi; questi sono assai debolmente convessi e
con improvvisa curva, quasi ad angolo retto, scendono alF om-
belico. Essi sono ornati da coste (circa 30 nell' ultimo giro) che
vanno dall'ombelico al principiare del dorso, semplici, ottuse
e depresse, separate da intervalli leggermente concavi più larghi
delle medesime, alquanto oblique e leggermente sigmoidali: a
mezzo del fianco hanno la convessità rivolta all'apertura, e
verso questa parte hanno una concavità assai minore presso
r ombelico.
Diametro 43*^; altezza dell'ultimo giro 18"; ombelico IdT;
grossezza 8"*.
I lobi sono 3 per lato. Lobo sifonale quasi altrettanto lungo
che largo, più lungo d'un terzo e più largo assai del lobo la-
terale, con due rami frastagliati; primo lobo laterale allun-
gato , più lungo che largo, inferiormente bifido, ornato a ciascun
lato da 4 foglioline; secondo lobo laterale altrettanto lungo
quanto il primo, inferiormente bifido, col lato intemo quasi di
metà più lungo dell'altro; lobo ausiliare quasi uguale al secondo
lobo laterale. Sella sifonale sconosciuta; sella estema molto
larga, irregolarmente frastagliata; sella laterale più alta della
sella estema, ovale, allungata, frastagliata con semplicità; prima
sella ausiliare conica e di metà più bassa di quella laterale.
Per le coste somiglia ad un Harpoceras p. es. all' H. boscensis
Reynès, pella forma del dorso ha grande analogia cóìTArietUes
obtusus Sow. , cui somiglia pure pei lobi ; però i lobi laterale e
ausiliare sono molto più stretti e profondi e sono inferiormente
bifidi, la sella laterale e la prima ausiliare sono più allungate e
inoltre la sella laterale è assai più stretta; le foglioline delle selle
sono più regolari. Dall' J^. stellaris Sow. diversifica per fianchi più
depressi, coste fiessuose, più numerose, meno marcate, lobi più
stretti, piuttosto triangolari che oblunghi, selle meno frasta-
gliate, sella estema più larga.
70 e. DE STEFANI
Aegoceras Pecchiolii (Meneghini).
Tav. Il, fig. 8-10. -^
AmmonUes Pecchiolii Meneghini, Deec. geol. Grosseto, 1865, P. 392 in
nota. — De Stefani, Cons. strat. Alpi Apuane e Monte Pisano. P. 69.
— Meneghini, in De Stefani, Geol. M. Pis. 1877, P. 38.
Aìnmanites Serapis Reynès, Mon. Amm. 1879, P. 5, PI. XXXIV, fig. 23, 24.
Massicciano (1), Pie di Latra presso Corfino (1 D.), Sasso-
rosso (1 D.), Gerfialco (1), Campiglia(]). Nel Museo di Pisa ne
sono pure individui de' Sassigrossi nel Comune di Vecchiano.
Conchiglia discoidale, compressa, con almeno 5 giri convessi
lentamente crescenti, con ombelico un poco infundibuliforme ;
r ultimo giro è convesso da ogni lato ma un poco più depresso
sul dorso ed a sezione ovale. La superficie è ornata da coste
trasversali che principiano sull' ombelico, ottuse, diritte, con-
tinue, sempre più ravvicinate verso V intemo e presso 1' aper-
tura separate da intervalli più larghi di esse : nell' ultimo mezzo
giro se ne contano 25. Per solito ad ogni ^3 o ^5 di giro si
esservano 3 o 4 coste più o meno separate da intervalli mag-
giori ed alquanto più rilevate.
Diametro 135*^; Altezza dell' ultimo giro 17"; Grossezza IT^ ;
Larghezza dell' ombelico 43*^.
I lobi sono 4 per lato; lobo si fonale sconosciuto di cui si
vede solo un ramo inferiore: primo lobo laterale irregolare,
che pare assai più profondo del sifonale, inferiormente in ap-
parenza bifido a cagione del piccolo sviluppo del ramo intemo
coi due rami inferiori pur essi alla loro volta bifidi; esso è
diviso in 3 foglioline nel lato intemo. Secondo lobo laterale e
lobo ausiliare molto stretti, piccoli e assai obliqui. Della sella
estema si vede solo una grossa foglia inferiore; prima sella
laterale divisa superiormente in due foglioline di cui l' intema
e più grande. Una linea che parta dall' estremità del lobo dor-
sale taglia r estremità inferiore del primo lobo laterale, passa
sotto il secondo lobo laterale e taglia il lobo ausiliare.
Mentre pella forma estema somiglierebbe a certi Angulati
del Lias inferiore più antico, all'^. Listeri Sow., all'^. Jamesoni
Sow., od anche al Coeloceras crassum Phil., ed al C.pettos Quenst.,
pure pei lobi appartiene ad un tipo interamente diverso cioè
UAS INFERIORE 71
b]V Aegoceras BécheiSow.j all' -4. muticus D' Orb., e specialmente
air A. Heberti Opp.
n Reynés figura e descrive brevemente V Ammonites Serapis
di Campiglia dicendo che si avvicina all' A. Ragazzonii H. * dont
elle se distingue par des flancs plus comprimés ». Io l' ho riu-
nito all' A. Pecchioni sebbene nella figura sia poco palese il no-
tevole carattere degl' intervalli fra le» coste alternativamente
più lai^hi e piti stretti.
Aegoceras (Microderoceras) Birchii (Sowerby).
Tav. II, fig. 5-7.
•
Amtnonites brevi»pina (D*Orb.DouSow.)Meueghim, Nuov.Poss. 1853, P. 10.
Ammonites Heberti (Op.) Meneghini, in Rath, Die Berge von Camp. 1868.
n. 3. — Meneghini, in De Stefani, Qeol. M. Pis. 1877, P. 38.
Aegoceras (Microderoceras) Birchii Sacco, Stud, geo-pai, 1886, P. 16,22, 26.
Massicciano (2), Restì (1), Parecchiola presso Soraggio (1 e-
semplare raccolto dal Cocchi il 12 settembre 1866) (1 D.), Sas-
sorosso (5) (8 D.) , Campiglia (25) .
Fu trovato pure al colle di Pouriac.
Non ho citato nella sinonimia V Aegoceras Birchii Taramelli
(Man. strat. del Lias P. 75, Tav. VI, fig. 1) perchè non sono si-
curo della corrispondenza.
Ritengo che a questa specie si debbano attribuire almeno
per la massima parte gli esemplari di Sassorosso e Campiglia
indicati coi nomi di Ammonites subartnatus, mutictis, hybriduSf
(Savi e Meneghini, Cons. geoL 1851, P. 399.- De Stefani Greol.
M. Pis. P. 38), Davoei? Meneghini, Nuov. foss. P. 10), armaius
(Meneghini, Cons. geol. P. 399, Ntuyo. foss. P. 10, in Rath Die
Berge von Camp. n. 4, De Stefani Geol. M. Pis. P. 38) , e la spe-
cie indicata come vicina all'^. Birchii Sow., di Gterfalco, dal
Meneghini (Desc. geol. Grosseto P. 392). In Italia è stata tro-
vata pure ad Erto nel Veneto.
Fuori d' Italia il tipo della specie è proprio della zona ad Arie-
tites oUtcsus a Lyme Regis e trovasi pure in Francia e in Germania.
Questa forma non è certo 1'^. brevispina Sow. rappresentato,
come nota il Wright (Monograph on the Lias Ammonites of the
British Islands. Palaeontographica 1878. P. 361) dalla figura 1,
Tav. 556 del Sowerby (Minerai Conchology Voi. VI, P. 106) in-
72 e. DE STEFANI
vece che dalla fìg. 2, che rappresenta YA.Iatecosta Sow., e cui
solo per iscambio è neir opera del Sowerby riferito Y A. bre-
vispina. Questa specie è diversa dalla nostra perchè ha i tu-
bercoli meno marcati, i giri molto più depressi, le coste mag-
giori ben rilevate, piuttosto uniformi, continue e manifeste
sulla regione sifonale. I nostri individui nella forma si possono
dire identici a quelli tipici dell'^. Birchii figurati di nuovo dal
Wright (Loc. cit. P. 332, Tav. XXIH; Tav. XXXH, fig. 5-8),
assai più che a quello di grandi dimensioni figurato dal Reyn^
{Mon. Atnm. Voi. XXXVHI, fig. 9) perchè dessi, a parità di gran-
dezza, hanno le coste assai più piccole. Hanno pure analogia con
r^. Birchii delle fig. 6 e 7 del Reynés, con quello del D'Or-
bigny (Paleontologie frangaise, Terraifis jurassiques, 1842; PI. 86),
e con VA. brevispUia var. (non Sow.) Hauer (Ueher die Cepìia-
lopoden atcs dem Lias der Nordostlichen Alpen, Wien 1856, Taf. 17,
fig. 10) che già il Meneghini aveva riferito air^. Ileherti Opp.
e che il Réynes (Loc. cit. P. 6) con quest' ultima forma riunì
air A. Birchii; però nei nostri individui le coste maggiori sulla
regione sifonale sono del tutto o quasi mancanti. Son pure molto
grandi le somiglianze con V A. brevispifui D' Orb. (Loc. cit. PI. 79)
già ravvicinato dal Meneghini e da altri all'^. Heberti Opp., e
certo pella forma, se non pei lobi che sembrano notevolmente
diversi, attribuibile all' A. Birchii j invece che all' A. brevispina
Sow., come inesattamente fa il Wright.
Le due serie di tubercoli si conservano talora in individui"
del diametro di 185*^ e tracce ne sono perfino in quelli di 300'^:
in questi però restano solo le coste grosse fomite dei tubercoli
mentre vanno ùiano mano scomparendo le sottili coste inter-
medie come nella var. gigas Quenstedt ( Aìnm. d. schtc. Jura
Tab. 18, fig. 13). Non si verifica però mai quello che il D'Orbigny
dice del suo A. brevispina y che cioè la superficie diventi affatto
liscia, e solo fornita di coste sottili, senza quelle più grosse.
Negl'individui giovani le coste sono circa 26; negli adulti
esse vanno diventando più numerose e più fitte. Meritano con-
siderazione alcuni grossi individui che avrei creduto dovessero
costituire una forma a se, qualora non avessi veduto i passaggi,
esaminato i lobi ed il Quenstedt stesso non li avesse designati
come semplice varietà enodis (Loc. cit. fig. 9): li descriverò.
Conchiglia depressa con 5 o 6 giri lentamente crescenti, poco
più alti che larghi; dorso convesso; fianchi J)iutto8to depressi;
Uh» INFERIORE 73
coste numerose trasversali, alternativamente maggiori e mi-
nori, senza tubercoli e spine, che partono dall' ombelico. Le coste
maggiori che sono fino a 41 e 46 si fermano al principiare del
dorso, sono rilevate, ottuse, separate da intervalli più larghi
ottusamente concavi ; gì' intervalli si vanno facendo più larghi
e le coste più grossolane verso l' apertura. Delle costicine mi-
nori, ottuse, rilevate, quasi uguali agi' intervalli, ornano ancora
la superficie, per modo . che una risponde al vertice delle coste
maggiori e due agli spazii intermedii fra queste: esse conti-
nuano sul dorso. In rapporto al diametro l' altezza dell' ultimo
giro è 0,28, la grossezza 0, 17. Un individuo giunge al diametro
di 31 centim. Solo in un individuo giovane di Sassorosso del
diametro^ di 42'" si vedono naturalmente i lobi, i quali, salvo
la maggior semplicità derivante dall'età, rispondono a quelli
figurati dall' Hauer pell'^. brevispina Sow. var. Negli esemplari
di Campiglia i lobi si scojfrono solo artificialmente;. ne ho os-
servati in 4 o 5 individui: combinando gli uni cogli altri si vede
che potrebbero rispondere tutti all'^. brevispina D' Orb. non Sow.,
piuttosto che a quelli dell' ^. Birchii ^erQ\i(d sono più larghi e
meno frastagliati; ad ogni modo escludono con certezza 1'^. ar-
matus e le specie affini.
Harpoceras (Ctjdoceras) Maugenesti (D'Orbigny).
Tav. n, fig. 31.
Gerfalco (1 raccolto dal Pecchioli il 15 agosto 1858 e da
lui già determinato).
Fuori d' Italia è specie del Lias medio.
Conchiglia compressa, discoidale, con 5 o 6 giri non veloce-
mente crescenti, col dorso alquanto carenato, ornata per tra-
verso da coste semplici, diritte, che principiano a poca distanza
dall' ombelico e terminano bruscamente al cominciare del dorso
alquanto lungi dalla carena in tubercolo molto depresso. Nel-
l'ultimo giro le coste sono 29. Non si vedono lobi; ma la forma
risponde assai bene alla figura del D'Orbigny. Diametro 37'";
altezza dell'ultimo giro 10; ombelico 20'".
Il sottogenere Cycloceras, a cagione délV Aptyctis è dal Haug
riunito agli Harpoceras {Beitrage zu einer Monographie der Am-
moniten-gattung Harpoceras. N. Jahrb. f. Min. GeoL und Pai.
Beil. B. m, 1884. P. 585).
74 e. DE STEFANI
Harpoceras (Cychceras) cfr. Actaeon (D' Orbigny) .
Tav. n, fig. 12.
Amnianites Actaeon (D* Orb.) Meneghini, in Savi e Meneghini, Gons. geol.
Tose.' 1851, P. 399.
Sassorosso (1 D. così nominato dal Meneghini), Roggio (1)
insieme con tutte le altre specie qui ricordate.
Fuori d' Italici è proprio del Lias medio.
Somiglia più al tipo del D' Orbigny che alla forma descritta
dall' Hauer, La conchiglia è compressa, con Sol giri ornati
da coste trasversali, con dorso alquanto più ottuso che nella fi-
gura del D' Orbigny, ma non carenato né fornito di cresta come
gl'individui dell' Hauer; l'ultimo giro ha circa 28 coste sottili,
ottuse, semplici, leggermente flessuose ; a partire dall' ombelico
fanno una leggerissima curva convessa verso l' apertura, poi vanno
diritte fin verso il dorso, si fanno più curve e concave verso
l'apertura: si deprimono poi e svaniscono prima di giungere alla
metà del dorso. Le coste vanno facendosi alquanto più fitte
andando dall' apertura verso l' intemo. Diametro 20^^ ; altezza
dell'ultimo giro 6'; ombelico 9'^; larghezza dell'ultimo giro 4".
Nella parte più interna dell'ultimo giro si vedono 3 lobi
che non presentano le frastagliature del tipo atteso che l'in-
dividuo non è adulto. Il primo lobo laterale è più profondo del
secondo; la prima sella laterale è alquanto più alta della se-
conda ed anche, per quel poco che si vede, della sella estema.
Questa specie e l'antecedente possono trovarsi anche al-
trove al confine tra il Lias inferiore e medio.
Balanus sp.
Tav. I, flg. 19. e Tav. Ili, fig. 6.
Aderenti ad alcuni Ammoniti di Campiglia si vedono dei
coipi che riterrei potessero essere Balani o simili Cirripedi. Ne
ho veduto due forme, una che si vede sul Lytoceras secerfiendum,
Tav. Ili, fig. 6, è del tipo del Balanus cowmnis Bronn.; l'altra,
Tav. I, fig. 19, di quello p. e. del B. stellaris Brocchi.
n genere Balanus non è conosciuto finora in terreni più
antichi dell'Oligocene.
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Gli originali esistono fiel Museo di Firenze salvo quelli
della collezione Dini.
Tar. I.
Fio. 1-5. Tereòralula incisiva Stopparli =» T. erbaensis Sues3, Massicciane
» 6-9. T. Aspasia Meneghini, Massicciano.
» 10, 11. Phylloceras Parlschi Siui\ Oampiglia.
» 12, 13. Pleurotomaria campiliensis sp. n. Carapiglia.
» 14. Phylloceras convexum sp. n. Resi).
0
» 15. Atractites conspicillum sp. n. Crtm piglia.
» 16. Avicula inaequivalvis Sowerby, Campiglia.
» 17, 18. Lytoceras tuba sp. n. Massicciano.
» 19. Balanus sp. Campiglio.
Tar. II.
Fio. 1 , 2, 3. Oxynoticeras perilambanon sp. n. Campiglia.
> 4. Lobi di un grande individuo. Primo lobo laterale e parte dei lobi
sifonale e secondo laterale. Campiglia^
> 5, 6. Aegoceras Birchii (Sow.) Campiglia.
> 7. Lobi di un individuo giovane. Sassorosso.
» 8, 9. Aegoceras Pecchioni (Mgh.) Massicciano.
> 10. Lobi del medesimo individuo.
> 11. * Harpoceras Maugenesti (D'Orb.) Gerfalco.
» 12. Harpoceras Actaeon (D*Orb.) junior, Roggio.
» 13, 14. Phylloceras Coquandi sp. n. Sassorosso (Coli. Dini).
» 15. »* ancylonotos sp. n. Restì.
> 16. Phylloceras convexum sp. n. Resti.
76 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Tat. III.
Fx'>. 1. PhyU'jceras (vnense sp. d. Resti.
> 2. Lobi dell' ukima concamerazione del medesimo iodirìduo.
> 3, 4, 5, 6. Lyl*jcerat tecernendum sp. n. Ca'opiglia.
» 7,8. PhyUorerm tenuistrintun (Mgh.) Campiglia.
> 9. L/>bì scoperti artificialmaote.
> ' 10. PhylioceraM Savii sp. n. Campiglia.
Tat. IT.
Arieliles stellarU (Sow.) Sassorosso.
> > > » (Coli. Dini).
Lobi del medesimo individuo.
Arietiies ceraiitoides (Quensc) Cetooa.
Lobi d* altro individuo,
var. densicosta Queost. Cetoaa.
Arieiites ohtusus (Sow.), Restì.
Arietites Conybeari (5ow.), Campijrlia.
Arietitei pseuUoharpoceras sp. o. Massicciaoo.
Lobi del medesimo individuo
Arietites sp'ratissimus (Quenst) Sassorosso (Coli. Dini).
Arietites Conybearoides (Kcyn.) Massicciano.
Fio.
3, 4.
>
1,2.
>
5.
>
6.
»
7.
>
8,9.
»
10, 11.
>
12, 13.
>
14, 15.
>
16.
»
17, 18.
»
10, 20.
FAUSTO SSSTTNl
DEI SINGOLARI MERITI
DI
GIUSEPPE GAZZERI
NELL' AVANZAMENTO DELLA CHIMICA
MASSIME DELLA CHIMICA APPLICATA ALL'AGRICOLTURA
I.
Tra i cultori nostrani degli studi chimici corrono due opi'-
nioni ben diverse: alcuni pensano che prima di Raffaele Pina
(1840) nissuno in Italia acquistasse giusti titoli per trasmettere
il proprio nome negli annali della scienza, eccettuato Amedeo
Avogadro(1812); i meriti del quale peraltro non si cominciarono
ad apprezzare giustamente che dopo il 1857: altri ritengono che
gli studii chimica abbiano soggiaciuto al destino comune delle
cose italiane : che, cioè parecchie tra le belle ed utili scoperte
spettassero a noi, ma che poi divenute cose straniere, solo
allora furono tenute universalmente in pregio. Di questa se-
conda opinione è Giovanni Bizio, il quale nel proemio di un
opera che aveva in animo di pubblicare per ritogliere agli
stranieri (^) * quanto spetta agli italiani nella chimica scienza »
prima rivendicò in modo certo e sicuro la scoperta della liquefe,r
zione dei gaz a Liberato Baccelli, che nel' 1812 (cioè undici anni
prima del Faraday) a Bologna condensò, mercè la pressione,
una sostanza aerea (gaz ammoniaco), e predisse la liquefazione
di altri gaz (^); poi dimostrò che la natura dell' acido solforico
(') Saggio letto air Ateneo di Venezia nella tornata del 10 maggio 1880.
(<) Vedasi anche Trattato del oalorxoo (pag. 199) del Prof^ Zantedeaehi.
78 P. SESTINI
di Sassonia fii avanti che dal Bussy determinata da Marco
Carburi, fondatore del primo insegnamento di chimica speri-
mentale neir Ateneo di Padova, alla fine del secolo passato.
Opinione somigliante a quella di Griovanni Bizio manifestò Giu-
seppe Missaghi ; il quale in una dissertazione letta nel novem-
bre del 1868 per la solenne riapertura degli studii universitari
in Cagliari, provò con i documenti alla mano, come Lodovico
Barbieri d' Imola, che fiorì nella seconda metà, del secolo de-
cimosettimo e fii vanto della Università, di Bologna, abbia con-
validato con esperienze proprie la dottrina professata allora
allora (1669) da Mayow in Inghilterra e che consisteva nello
stabilire che solo una parte dell' aria interviene nella calcinazio-
ne, nella combustione e nella respirazione {spiritus nitro-aereus\
e che r altra parte è impropria a sì elevati uflBcii. Lo stesso
Missaghi osservava come il Barbieri con ingegnose esperienze,
chiaramente descritte nella sua opera edita a Bologna nel 1680,
col titolo ** Spiritus nitro-aerei operationes in Microscopio „ abbia
tentato di sciogliere questioni fisiologiche allora affatto oscure
circa r azione dello spirito-nitro aereo (che fii poi detto ossigeno
da Ant. Lorenzo Lavoisier) nella germinazione del seme, nella
incubazione dell' uovo ed in altri fenomeni vitali di non mi-
nore importanza ; inclusive nella digestione e nella termogenesi,
rispetto alla quale ^ opinò che il calore animale h prodotto da
„ lenta combustione ;, (^).
Ai lodevoli tentativi dei Prof.* G. Bizio e G. Missaghi tenne
dietro quello con più vasto disegno concepito da Francesco
Selmi; il quale all' Eìiciclopedia Chimica Italiana volle a^unto
un compendio storico in cui dovevano essere menzionati i Chi-
mici Italiani che hanno dato opera all' incremento della scienza
e all' utile applicazione degli studii chimici alle industrie e che
purtroppo furono dimenticati affatto, o quasi affatto nelle opere
straniere.
** Forse avremmo conseguito (scrivea V illustre F. Selmi nel
„ 1878 a pag. 674 del Voi. 11.^ della sua opera, il nostro intento
» meglio di quello a cui siamo riusciti se avessimo posseduto
(') G. Missaghi — SulV insegnamento della Chimica Generale nelle Scttole
universitarie del Regno. Firenze, Tip. ital. di N. Fabrini 1870. pag. 18.
AVANZAMEMTO DELLA CHIMICA MASSIME APPLICATA ALl' AQRICOLTUBA 79
„ tempo, mezzi e salute per un pellegrinaggio nelle diverse
„ città, d' Italia a consultare i volumi contenuti nelle singole
„ biblioteche, almeno nelle principali; ma sarebbe stata fatica
„ lunga e dispendiosa, alla quale per le nostre condizioni non
ry potevamo sobbarcarci „. E fii una vera sciagura che Egli non
potesse compiere quel faticoso pellegrinaggio; giacché nissuno
meglio di lui avrebbe potuto tradurre in atto il patriottico di-
segno, e per giunta il suo compendio storico, pregevole sempre
per tutto quello che riguarda la storia della Chimica e dei suoi
grandi fondatori, ribn avrebbe presentato alcune lacune rispetto
agli Italiani, i quali pure hanno contribuito ad accrescere il
patrimonio della scienza, e per cause diverse, soprattutto per
quel fatale destino, a cui sopra si accennava, per la loro sover-
chia modestia, e per la poca o nessuna diflPiisione delle pub-
blicazioni nostre all' estero, hanno poi veduto darne il merito
ad altri.
Una di tali lacune vorrei in qualche modo colmare con
questa memoria, con la quale mi sono accinto di buon pro-
posito, e non senza titubanza, a ricordare quanto di meglio
Giuseppe Gazzeri potè operare coltivando le scienze fisiche, e
specialmente applicando le cognizioni della Chimica e V eletto
ingegno che sortì da natura, alla fisiologia vegetale, all' agricol-
tura e air industria con molto lustro e vantaggio reale deila
patria nostra. Io avrò ragione di essere pago della mia debole
opera, se convincerò qualcuno degli esordienti cultori delle
scienze, che non è bella, non è giusta, non h saggia cosa met-
tere in non cale quanto hanno fatto alcuni nostri connazionali
che, sebbene per coltivare gli studi scientifici dovessero lottare
con difficoltà, di cui oggi non si ha alcuna idea, pur nonostante
seppero lasciare ammaestramenti nobili ed utili, fecero progre-
dire la scienza e si resero benemeriti della umanità..
n.
Giuseppe Gazzeri nacque in Firenze V anno 1771 di Vincenzio
e Annunziata, appartenenti ambedue ad onesta e civile famiglia.
Incominciati gli studi classici nelle Scuole Pie, per continuarli
ebbe a vestire V abito di chierico presso i Padri della Missione;
ma non sentendo vocazione per la vita claustrale lo dimisei poi
80 p. SEsron
si portò al pubblico studio di Pisa, ove si laureò in Giuri-
sprudenza a 24 anni di età. Tornato in Firenze era per darsi
all'esercizio della professione, quando la notizia dei mirabili
progressi che specialmente per opera d.i Ant. Lorenzo Lavoisier
la Chimica aveva fatto in Francia, suscitarono nel giovane
avvocato il desiderio di apprendere qualche cosa delle nuove
dottrine; e. non tosto ebbe assaporato i primi ftiitti della nuova
scienza, ne fu preso talmente che si decise ad abbandonare il
fòro ; ove certamente avrebbe trovato, a cagione del suo pronto
e beir eloquio, sorte assai lieta.
Sul cadere del secolo decimottavo chi voleva studiare chi-
mica in Firenze non aveva da rivolgersi che al Prof. Ottaviano
Targioni-Tozzetti, che dettava private lezioni, e chi avesse vo-
luto esercitarsi nelle manipolazioni chimiche non poteva ricor-
rere che a Tommaso Gabbrielli, il quale nel proprio laboratorio
istruiva praticamente gli studenti. Non si sa quanto il Gazzeri
profittasse di questi aiuti; ma egli è certo che molto fece da
per sé spinto dair ardente amore allo studio, e sorretto da
fermo volere e da acuta intelligenza nell'operare. A lui, ormai
tutto assorto nelle discipline chimiche, offrì occasione di dare
pubblico saggio del suo valore V Accademia dei Georgofilì, che
nel marzo del 1798 pose a concorso T esame del metodo comune
per imbiancare le tele (con Y esposizione alternativa alla guazza
e al sole) in confronto con quello proposto da Berthollet e basato
suir applicazione dell' acido muriatico ossigenato ( cloro ), che
era stato scoperto poco prima da Scheele. Tre mesi dc^ il
Gazzeri pubblicava una memoria bene elaborata, in cui dava
ogni desiderabile ragguaglio intomo al nuovo processo indu-
striale che rapidamente si era diffuso nei paesi settentrionali,
e metteva in evidenza i vantaggi che applicati a dovere pre-.
sentava sul metodo usato da noi. In quel tomo i tempi corr
revano molto difficili; il secolo 18.^ finiva tra lo scoppio delle
artiglierie, e i grandi preparativi guerreschi facevano male presa-
gire del secolo che sorgeva. Innamorato sempre più dello studio
della Chimica il Gazzeri si ritrasse, per non essere frastornato
dai rivolgimenti militari e politici, in una casa di campagna,
nella quale insieme con V amico Puliti si die a ripetere le sco-
perte fatte di recente all' estero e a tentare delle nuove ricerche
cominciando da produrre V acido solforico in piccole camere di
AVANZAMENTO DELLA CHIMICA MASSIME APPLICATA ALl' AGRICOLTURA 81
piombo, conle si diceva che cominciavasi a fare oltre monte e
come ancora nisstmo aveva cercato di fare in Italia.
Convinto della utilità, somma degli studi chimici e dei grandi
vantaggi che V applicazione delle nuove cognizioni potevano arr
recare alle arti, alle industrie, e all' arte salutare, con una dotta
ed elegante orazione pronunziata davanti ai Gteorgofili (1802)
cercò di trasmettere le proprie convinzioni negli altri, ed ap-
poggiandosi all'esempio dei fortunosi avvenimenti che si com-
pievano al di là. delle alpi messe in evidenza non solo che la
prosperità, delle nazioni progredisce di pari passo con le scienze,
ma istantemente dimostrò come le cognizioni chimiche di pochi
possano grandemente accrescere in caso di bisogno i mezzi per
la difesa di un grande paese, che voglia essere e conservarsi
libero ed indipendente.
L'abilità oratoria e l'ingegno penetrante del giovane chi-
mico fecero chiaro in poco d'ora il suo nome anche fuori della
piccola Toscana: di fatti nel 1804, venne richiesta l'opera sua
per migliorare la fabbricazione dell' allume della Tolfa poco
lungi da Civitavecchia, che a quei tempi era per ragion poli-
tica e per difficoltà, di comunicazione considerata come paese
quasi straniero. Quando poi (1807) Maria Luisa, Regina di
Etruria, istituì nel R. Museo di Fisica e Storia Naturale di Fi-
renze insieme con altre quattro cattedre, quella di Chimica
teorico-sperimentale, venne questa al Gazzeri affidata, e le lezioni
sue meravigliarono i molti uditori per l'ordine, la chiarezza
delle idee, la concisione e la lingua purgata (molto diversa
dalle ofTtbtli favelle che pronunziano i chimici italiani oggi dalle
cattedre); per la qual cosa dotti e letterati accorrevano ad ascol-
tarlo, come ne fa fede anche Augusto Pictet in due corrispon-
denze pubblicate nello. Bibliotéqtie univer selle di Genève, T. 1 6 e T. 1 9.
Il tramonto dell' astro napoleonico avendo ricondotto i Lo-
renesi in Toscana (1814) l'insegnamento della Chimica fu tolto
al R. Museo di Storia Naturale, e solamente dopo un anno il
Gazzeri fii chiamato a dettare lezioni di Chimica nella scuola
pei farmacisti del grande Spedale di Santa Maria Nuova ; dove
lesse pubblicamente per trent'anni di seguito, e compose nel
1819 quell'aureo testo che anche oggi potrebbe essere letto
con piacere e non senza profitto da molti, e che ebbe poi varie
edizioni col titolo di Compendio di un trattato elementare di Chi'
mica (Voi. I e n, Tip. Piatti).
8e. Nat, Voi. Vm, fase l.<* V
82 F. SESTINI
La scoperta dell' Oersted condusse il Gazzeri ad occuparsi
di ricerche elettro-magnetiche, che fruttarono la conoscenza di
nuovi fatti; tra i quali il seguente che trovasi descritto nella
Bibliotèque marerselle de Genere. T. lo, pag. 280; nella quale com-
parve pure una serie di esperimenti da lui istituiti in Firenze
in collaborazione a due suoi colleghi. Detenninando le circo-
stanze sotto le quali Tacciajo riceve la calamitazione con la
elettricità ordinaria, osservò che „ alcuni aghi di acciajo situati
„ al di fuori di una spirale di rame, sulla quale si faceva pas-
„ sare la scarica di una bottiglia di Leida, si calamitavano in
senso inverso di quelli situati al di dentro „: fatto che venne
poi confermato da Van Beek, a cui dapprima parea poco ve-
risimile. Il nostro Gazzeri insieme ai suoi illustri colleghi, cav.
Antinori e conte Bardi di Firenze, costruì una potente pila,
immaginò un voltaimetro assai ingegnoso, che permetteva di
operare assai in grande, e faceva le differenze nel volume dei
gaz svolti dall'acqua assai piii manifeste di quello che non
fosse stato possibile fin allora ed in oltre nei suoi rapporti
còlla durata dell'esperienza poteva far giudicare dell'attività
relativa secondo le circostanze 0).
Devesi al Gazzeri la scoperta di fatti magnetici assai note-
voli, dei quali ci accontenteremo di citare il seguente: » se si
dirige un ago da bussola esattamente nel piano meridiano ma-
gnetico, fonandone il polo nord al sud, e viceversa, esso ri-
mane fisso in questa posizione e non riprende la sua situazione
naturale che allorquando si fa un poco deviare il suo asse da
un lato o dall'altro del meridiano ». — L'esperienza, che Picfcet
volle . ripetere, fu dal Fisico Ginevrino giudicata allora un fatto
da spiegarsi con tutte le teorie C^).
Il Gazzeri tu collaboratore del predetto sig. Pictet in alcune
ricerche su certi mutamenti calorifici del voltaimetro; collaborò
con Onofrio Davy nelle esperienze da lui fatte in Firenze sul
diamante, ed ebbe attivo commercio epistolare con molti dei
più valorosi scienziati del suo tempo.
Non avendo in animo di fare un elogio del Gazzeri, a clii
piacesse conoscere tutte le circostanze nelle quali Ei si fece
(') Atti dei Gergo/ili T. XXVI.
(<) Bibliothèque de Genève, IS p. Si.
AVANZAMEMTO DELLA CHIMICA MASSIME APPLICATA ALl' AGRICOLTURA 83
conoscere vantaggiosamente in patria e fuori, indicherò il discorso
che sulla vita di lui lesse all' Accademia dei Georgofili il Prof.
Andrea Cozzi nell'anno 1848, e dal quale sono attinte non poche
notizie qui riferite, Troppo lungo sarebbe citare tutte le disser-
tazioni e tutti i lavori di questo attivo quanto ingegnoso scien-
ziato: a me preme fermarmi sopra ciò che di veramente ori-
ginale egli operò, e sopratutto vo' dire dei suoi studi sopra i
concimi. Con questi Egli faceva conoscere ai Georgofili i risul-
tamenti delle proprie ricerche sopra le proprietà, del concio di
stalla e delle diverse materie che entrano nella sua composizio-
ne, illustrando i nuovi fatti raccolti con la consueta sua lucidità
e con nuove e belle considerazioni; di guisa che questa parte
degli studii suoi servì a dare un indirizzo del tutto nuovo alla
teoria della concimazione, e lo condusse ad un importante sco-
perta, che gli ha giustamente meritato l'onore di essere, dopo
molti anni di negligente oblio (come più avanti vedremo) ri-
cordato tra l'eletta di quei chimici cui si deve la istituzione
della Chimica Agraria. L'importanza di questi studii poco o
punti curati oggi dalla più parte degli scienziati nostri, che tro-
vano più comodo seguire e studiare le còse straniere, e non
darsi cura di andare in cerca di ciò che dai predecessori è stato
fatto di utile in casa nostra, mi impone l' obbligo di riassumerli
nel miglior modo possibile.
Attratto dalle meraviglie che ad ogni passo s'incontrano
nella sublime contemplazione delle cose naturali di buon'ora
il Gazzeri volse la mente ad indagare il modo onde i vegetabili
si nutriscono, e valendosi delle cognizioni di cui la scienza con-
temporanea erasi arricchita, specialmente per opera di Teodoro
De Saussure, reputò utile e lodevole divisamento, prendere a
rischiarare la somma utilità degli ingrassi o concimi, in ogni
tempo riconosciuta presso tutte le nazioni agricole; intomo alla
quale, pertanto, si avevano allora (1818) idee teoriche molto
discordanti non solo, ma ancora correvano diverse opinioni sul
modo di applicarla al diretto scopo dell'agricoltura, che è quello
di ottenere il massimo e miglior prodotto con la minore spesa
relativa.
•Onofrio Davy nella sua Chimica Agraria, che fu tradotta
in italiano (a Firenze nel 1815) dal Prof. Antonio Targioni-
Tozzetti, accennava alla necessità di prevenire la fermentazione
4k
84 P. SESTDil
dei concimi e deir utilità di spargerli nei campi, per quanto è
possibile, nello stato di loro integrità. L' opinione dell' illustre
inglese, che urtava con Y uso inveterato di tutti i paesi, era
pertanto assai conforme alla dottrina che il nostro Autore nu-
triva da tempo, e che da lui era stata esposta all'Accademia
dei Georgofili pochi mesi avanti; e non potendo allora da sé
stesso istituire esperimenti, procurò che V Accademia predetta
nel programma annuale stabilisse il premio maggiore a chi
* premessa una chiara teoria degli ingrassi e della loro in-
„ fluenza sulla vegetazione, determinasse le principali differenze
„ tra quelli che sono più in uso, e quindi V opportunità della
, loro applicazione nei vari casi e fissasse coir appc^gio del
„ raziocinio e dell' esperienza se ed in quali casi si possa con
« appropriato sistema impiegarli nel loro stato d' integrità, o
„ se la previa fermentazione o decomposizione di essi più o
, meno avanzata, per cui si perde una porzione della loro so-
9 stanza, sia una condizione indispensabile all' uso loro, come
„ alcuni pretendono „. — Per tal modo cercò che altri facesse
ciò che Ei non avea agio di fare, e spregiudicamente racco-
gliesse argomenti per stabilire alcuni dati certi e sicuri, ai quali
potesse ragionevolmente e con fiducia appoggiarsi il pratico
agricoltore. L' esito del concorso non fu punto felice; e non
essendo stato possibile conferire il premio, fii riproposto nel-
r anno successivo con doppia ricompensa. Nissimo di coloro
che si presentarono la seconda volta parve, pertanto, favore-
vole air opinione del Clazzeri. Allora Egli, fermo nei suoi prin-
cipii, fece di tutto per porli al cimento dell' esperienza, ed in-
traprese una bella serie di pruove, delle quali soltanto brevi
cenni si trovano in qualche libro straniero, mentre quasi nis-
suna parola se ne fa nei nostri; sebbene Pictet, Boussingault,
Gasparin e Pierre nelle loro opere, che sono state saccheggiate
dai trattatisti italiani di agrologia e di chimica agraria, ricor-
dino con qualche lode questi studi del Gazzeri. Inoltre si deve
notare, che quei pochissimi libri italiani che citarono le ricer-
che sui concimi del Gazzeri, riferirono le cifre e i dati erronei
che trovansi nel Corso di Agricoltura del conte Gasparin !
E pur troppo vero che la più parte dei neochimici d'Italia,
guardano molto al presente, poco o punto al passato, e, tutti
attenti alla loro ombra, lasciano dimenticate molte buone cose
AVANZAMENTO DELLA CHIMICA BfASSIME APPUCATA ALl' AORIGOLTURA 85
ottenute presso di noi, con nissuna gratitudine delle fatiche dai
nostri vecchi maestri durate, poco curando V onore della patria
nostra, che per insegnamenti chimici si vuol quasi affatto tri-
butaria della scienza straniera!
Prendiamo la prima memoria che il Guzzeri pubblicò nel
1819 in Firenze col titolo ** DegV ingrassi e del più tUile e più
ragionevole impiego di essi nelV agricoltura „ , fermiamoci sulle
pagine nelle quali descrive gli esperimenti suoi, e vedremo se,
in relazione con le cognizioni di quel tempo, egli compiesse
opera di poco momento.
Ripetuto con ingegnoso mutamento neir apparato Y esperi-
mento allora nuovo del Davy, col quale venne dimostrato che
gli effluvii che emanano dalla spontanea scomposizione delle
sostanze organiche contribuiscono notabilmente ad eccitare la
vegetazione delle piante, le radici delle quali sieno investite da
quelli effluvii, fece il Gazzeri vegetare piante di leguminose
(fave), che avevano germogliato neir acqua, in 4: vasi ripieni di
un misto di terra argillosa e sabbia di fiume privata di materia
organica, e secondo il diverso trattamento ebbe risultamenti
differnti. La prima pianta non ricevè per le radici che acqua
pura ; attinse quindi, quanto potè di acido carbonico dall' atmo-
sfera, e fruttificò scarsamente. La seconda, che anch' essa non
trovò che acqua pura nel terreno, avendo pure essa vissuto
coir apparato foliaceo in un atmosfera carica di effluvii di so-
stanze organiche in scomposizione (sterco di cavallo sorretto da
un coperchio di piombo che lo isolava dalla terra del vaso) pro-
dusse più abbondantemente della prima. La terza venne innaf-
fiata con leggerissima soluzione di zucchero (un grano = 0'',049
al giorno nelle prime due settimane ; un grano e mezzo = 0*',074
dopo il 1 4.® giorno) dette il massimo prodotto di semi. Una quarta
pianta innaffiata con soluzione leggerissima di zucchero, ma che
fu tenuta con le sue parti verdi sotto campana contenente calce
viva, perì non avendo potuto profittare né delle emanazioni delle
sostanze organiche, né dell' acido carbonico dell' aria, Un altra
pianta poi che viveva con le radici in recipiente pieno di sabbia,
in cui erano condotte le emanazioni dello sterco di cavallo,
abboni molti frutti; ma dopo 36 giorni di esperimento inco-
minciò a deperire, indi morì.
„ Sebbene queste esperienze, ne deduceva l'Autore, non ri-
86 F. SESTINI
„ solvano la questione se le emanazioni aeriformi delle materie
y, organiche in decomposizione siano assorbite dalle piante vi-
y, venti per le sole radici, ovvero per le sole foglie, o per le
„ une e per le altre, pure concorrono a provare che, in qualun-
„ que modo ciò avvenga, esse giovano alla vegetazione, e si
„ convertono in nutrimento delle piante „ .
Avanti di esporre le esperienze veramente originali istituite
per dedurre la teoria degli ingrassi il Gazzeri con molta bre-
vità ed incomparabile chiarezza riassume le cognizioni che in
quel tempo si avevano sulla nutrizione delle piante. Segnata-
mente ricorda che se la più gran parte del carbonio che si
accumula nelle piante proviene dalla scomposizione dell'acido
carbonico (De Saussure), se l'acqua, l'ossigeno, e l'acido car-
bonico sotto l'azione alterna della luce e dell'oscurità, bastano
alle piante per vivere, o piuttosto per non morire, affinchè prospe-
ramente vegetino le piante abbisognano di altri ajuti, che non
possono ricevere che dal terreno, il quale componesi di varie
terre, ed alcuni centesimi di materie saline e metalliche e quan-
tità più o meno grande di avanzi di esseri organizzati; senza
dei quali la vegetazione languisce anzi che prosperare. L'ufficio
della parte terrosa sta nel sostenere la pianta, scrive il Gaz-
zeri a pag. 33 della sua 1.* memoria „ trattenere l'umidità e
„ sonmiinistrarla opportunamente ed a fornir loro alcuni atomi
„ di sé stessa che vi s' insinuano e vi si fissano „ . L' ufficio dei
concimi è, secondo lui, duplice, meccanico e chimico- fisiologico:
meccanicamente migliorano la costituzione fisica del terreno:
chifnicamente mediante la lenta scomposizione della materia
organica, rendono solubili parte dei loro componenti, e li di-
spongono ad essere assorbiti, e per tal modo preparano alle
piante opportuno nutrimento; sviluppano poi molto gaz acido
carbonico ed effluvii utili alle piante stesse che li assorbono;
infine risvegliano e mantengono un dolce ed utile calore per
la vegetazione. Queste parole non ti sembrano scritte nel 1819;
ma piuttosto tu le crederesti di poco anteriori al 1 840 ! Io in-
vito a leggerle e rileggerle coloro che dicono e sostengono che
la Chimica Agraria è pretta creazione di Liebig, e. che in Italia
nissuno si h occupato mai seriamente di simili studii. Piuttosto
oggi, lo ripeterò fino a sazietà, pochi e ben poco si occupano con
amore delle cose nostre ! Chi ha ancora un poco di affetto per la
AVANZAMENTO DELLA CHIMICA MASSIME APPLICATA ALl' AGRICOLTURA 87
scienza italiana e vuol conoscere se anche prima del 1840 si
è coltivata presso di noi la Chimica applicata all'agricoltura,
cerchi e studi i lavori di Bandaio, Corradori, Fabroni, Giobert,
Targioni-Tozzetti, Gazzeri, Taddei ed altri ancora, tutti italiani
e prettamente italiani!
Passiamo ora alla, parte sperimentale e veramente originale
delle ricerche del Gazzeri su i concimi, ed occupiamocene di
proposito, imperocché in questa il pregio è così evidente, che
anche gli stranieri, in specie i Francesi, sempre parchi di ri-
guardo per noi, hanno tributato elogi al Gazzeri. Boussingault
ne fece un cenno con belle parole ; Gasparin ne riferì im poco
più per esteso a pag. 593 del 1.^ volume del suo grande trattato;
ma nel ridurre i pesi toscani a pesi metrici e nel descrivere le
esperienze incorse in molti errori ; e Is. Pierre ed il nostro Ant.
Selmi 0) ricopiarono le cifre sbagliate dell'Agronomo francese.
Il Gazzeri per avere cognizione precisa delle perdite che
provano i letami freschi quando si lasciano putrefare prima di
interrarli, il 21 marzo 1819 empì una caldaja di rame per^/a
circa con sterco fresco di cavallo, collocò la caldaja sotto un
loggiato, e la coprì con due stoje di paglia per mantenerla a
temperatura quasi costante, per avere lenta fermentazione e
poca perdita di materie volatili. Al principio della prova pesò il
concio e lo sottopose ad un assaggio fisico-chimico, come potevasi
fare a quei tempi; e al termine di ogni periodo in cui divise
resperimento ripetè il peso e l'assaggio del concio che rimaneva.
Nella tavola qui unita riproduco le cifre stesse date dal Gaz-
zeri in pesi toscani, ed a lato inscrivo le cifre metriche, ac-
ciocché se io pure in qualche errore di calcolo fossi caduto
convertendo le une nelle altre, il lettore possa correggere i
miei errori.
A proposito dell'esperienze in discorso, il Conte De Gaspa-
rin nel predetto suo Cours dJ Agricolture a pag. 594 osservava
che il Gazzeri " n a pa^ fait t analyse des^ gaz „ ma in esperienze
come quelle del nostro Autore, massime a quei tempi era
forse agevol cosa, potrei anche dire, era possibile fare l' analisi
dei gaz assorbiti e di quelli dispersi da una notabile quantità,
di concio nel tempo della sua scomposizione? Antonio Selmi
(') Dei Concimi di stalla; di Ani, Selmi, Torino 18d3, pag. 87.
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AVANZAMENTO DELLA CHIMICA MASSIME APPLICATA ALL* AGRICOLTURA 89
poi a pag. 88 del suo libro Dei Concimi di Stalla; Torino 1863,
traduce, o meglio parafrasa V appunto del Conte Gasparin di-
cendo, che Gazzeri non aveva determinato la perdita dell'azoto.
Ma, domando io: si può dimenticare che nel 1819 V analisi ele-
mentare non era ancora a tal punto di perfezione da potersi
eseguire con facilità e con precisione la valutazione dell' azoto,
massime in sostanze complesse come i conci freschi?
Se, come resulta dai narrati esperimenti, in soli quattro
mesi lo sterco cavallino tanta perdita subisce della propria
sostanza, e di mano in mano diminuisce e finiscono poi col di-
struggersi quasi completamente la materia mucosa, biliare e
le sostanze solubili degli escrementi, si può ben concludere " che
„ la fermentazione distruggendo oltre la metà delle sostanze
„ dei letami, fa specialmente perdere ciò che è in essi di più
y, pregevole e di più atto a nutrire le piante „.
Questo ottimo avviamento dato agli studii sopra i mutamenti
chimici che avvengono* nei concimi per la loro scomposizione,
fii è vero, proseguito ed esteso dai varii chimici, da Taddei,
da Payen, da Koerte, eppoi da Voelcker e da altri ; ma V ar-
gomento mai fii abbandonato dal Gazzeri che dopo la prima
memoria che è la più notabile, quasi direi classica, dette alle
stampe varie altre scritture, con le quali sempre meglio rischiarò
r argomento.
Air esperienza fondamentale ora riferita seguì una serie di
prove tra loro ben connesse, alcune delle quali furono eseguite
non più con una sola materia escrementizia, ma con letame
molto complesso formato ad arte, oppure tolto da un ordinaria
concimaia; e tra i resultati ottenuti per brevità noteremo
questo: che la quantità delle materie scomposte nello sterco
vaccino puro fu minore che in quello misto a paglia, e la ma-
teria stercoracea (bile, muco etc.) si scomponeva più sollecita-
mente della fibra vegetabile, la quale più tardi perde pur essa
la propria struttura, e si converte in una materia che per metà
risulta di terra e per V altra metà di un composto con eccesso
di carbonio e difficile a scomporsi. E dagli esperimenti speciali
fatti con letame di concimaia molto complesso, il Gazzeri fii
tratto a concludere ** che il disperdimento di materia nutritiva
non debba essere minore di quello osservato nelle varie specie
di escrementi puri „. Considerando, d' siltra parte, V aiuto che
90 F, SESTINI
r orina dà alla scomposizione delle paglie, egli deduceva che il
solo risultarnento finale della fermentazione dei letami com-
plessi debba essere come in quella dei conci semplici *" la ma-
„ cerazione e V alterazione di una parte della fibra più grosso-
„ lana; risultamento ottenuto al caro prezzo della distruzione
„ totale, o quasi totale della sostanza stercoracea ed animaliz-
„ zata e della parte più tenue della fibra stessa, di cui si ac-
„ cumulano bensì nel residuo le parti terrose ed inerti ».
Colpito il nostro Autore da sì grande distruzione di materia,
come efficacemente egli dice, " da una perdita sì vera, e sì lacri-
mevole sfuggita all'osservazione degli agricoltori „ prese a com-
battere come erroneo tutto ciò che si pensava generalmente
intorno all' attitudine degli ingrassi a sciogliersi nell'acqua,
all' effettiva loro soluzione, e all' assorbimento delle materie per
tal modo disciolte.
Con sottili argomentazioni tenta il nostro Autore di dimo-
strare che la fermentazione o macerazione degli ingrassi diretta
a renderli solubili è un operazione non solo inutile, ma irragio-
nevole e dannosa. Se ciò è vero per gli escrementi puri, come
resultò dagli esperimenti suoi, lo stesso non potrebbe dirsi per
le paglie, per i lettimi e per le materie vegetabili più o meno
risecchite che si mescolano nel concio. Ma di questo ultimo
fatto egli non conveniva gran cosa; e trasportato dall'importanza
della sua scoperta ne allargò un pò" troppo il significatocelo
esagerò certamente, come più avanti vedremo; quindi aggiunse
che tale fermentazione si propone in ogni caso un oggetto non
necessario e che non ottiene questo scopo, sebbene *" si sacri-
„ fichi alla lusinga di conseguirlo almeno la metà della preziosa
„ materia degl' ingrassi, oltre molte fatiche, tempo e spese per
„ i locali e per le operazioni relative „ .
Giudicava, in primo luogo, che si proponesse un oggetto non
necessario, giacche il contatto degli organi assorbenti delle
piante vale da se stesso a determinare una pronta riduzione
nelle materie nutrienti non solubili nello stato opportuno al-
l'assorbimento; ed ecco la dimostrazione sperimentale che ne
dava. In due vasi contenenti terra priva di materia organica
(4 Libbre = Kil 1,358) pose grammi 113 di unghia di cavallo
in pezzetti, in uno dei quali seminò due semi di fave; in-
naffiò ambedue i vasi e prolungò l'esperienza insino a completa
AVANZAMENTO DELLA CHIMICA MASSIME APPLICATA ALl' AGRICOLTURA 91
maturazione delle piante: trattò poi la terra del vaso ove le
piante erano cresciute con acqua, e la fece passare per sottile
staccio, sul quale non restò alcun vestigio dei ritagli • dell' un-
ghia. La terra, del vaso che non aveva portato alcuna pianta,
invece, lasciò sullo stesso staccio pezzetti di unghia molto ram-
molliti, che disseccati pesarono. 27 gi-ammi. Cosicché di due quan-
tità eguali di unghia poste nelle stesse condizioni, fii scomposta
in parte quella che non ebbe contatto con gli organi assorbenti
di alcuna pianta, mentre venne interamente trasformata in ma-
teria solubile l'altra che soggiacque all' influenza di quelli organi.
Istituì il Gazzeri esperienze a queste .ultime consimili con
cera e resina, e ne risultò che 1' una come 1' altra materia non
soffrono che piccola e forse accidentale diminuzione allorché
assai divise sono incorporate nel terreno ed esposte all' azione
combinata dell' aria e dell' acqua; ma all' opposto ne provano
una notabilissima quando a quella degli agenti suddetti si ag-
giunge r anione delle radici di qualche vegetabile in piena ve-
getazione. .
Lo studio dei cambiamenti che subiscono le materie cornee
nella putrefazione iniziato tanto bene dal Gazzeri 67 anni or sono
è stato ripreso e con altri intendimenti approfondito nel 1880
(vedasi Landw. Versuchs-Stationen B. 26, s. 51), da un chimico
tedesco (sig. Morghen), che non pare abbia avuto hIziva sentore
delle cose di cui discorriamo, sebbene la memoria del chimico
fiorentino fosse tradotta in tedesco (a Lipsia) nel 1823.
Il Gazzeri giunse alla conclusione seguente: " se la cera e
„ le resine, sostanze delle più insolubili e refrattarie all' azione
„ dell' acqua, poste a contatto delle radici delle piante diven-
„ gono in qualche modo solubili, e vi si introducono, potrà
„ egli dubitarsi che tra le altre forze o potenze della vita or-
„ ganica tutte meravigliose, esista anche quella da me indicata,
„ e per cui la sostanza degli ingrassi benché non dotata di so-
„ lubilità effettiva ed attuale trovandosi a contatto degli organi
„ dei vegetabili viventi venga di fatto soluta ed assorbita? „ (pa-
gina 74).
Cadono pertanto in acconcio le osservazioni che l'Autore fa-
ceva . intorno le quantità di materia che assorbono le piante an-
nuali avanti e in prossimità della maturazione, quando il terreno
serba poca acqua in sé, mentre più piccola é la quantità di nutri-
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92 F. BESTINI
mento che prendono nei vari periodi della loro vita che di molto
precedono la maturanza, sebbene nel terreno esista allora la
totalità dei concimi amministrati e copiosa sia V acqna. Ricorda
che le soluzioni un poco concentrate di gomma e di zucchero, se
contengono più di ^;:ìoo o di ^ -200 di materia disciolta, uccidono le
radici delle piante, e da tutte queste cose deduce: ^ che non solo
„ non è provato essere indispensabile all'efficacia dei concimi la
„ loro attuale e vera solubilità, ma che vi sono valide ragioni
„ e fatti evidenti che fanno credere l'opposto „. — Conforta, in-
fine, queste conclusioni col fatto notorio del prezzo elevato al
quale i pratici acquistano ingrassi non fermentati e non solu-
bili (corno, penne, lana, crini, unghie) proporzionatamente agli
effetti che ne ottengono; ed allega anche altri fatti, come
r uso del lupino cotto, la pratica del sovescio e della stabbia-
tura delle pecore, che sarebbero operazioni men che utili se
la fermentazione fosse indispensabile per estrinsecare V azione
dei concimi.
Per riconoscere, d' altra parte, se veramente i conci fermen-
tati danneggino i vegetabili, come i sostenitori della fermen-
tazione degli ingnissi opinavano, il Gazzeri fece due ordini di
esperienze di concimazione, alcune delle quali meriterebbero di
essere pubblicate di nuovo ed estese, e alcun poco variate po-
trebbero servire di punto di partenza per qualche nuovo ed
interessante studio. L' importanza di queste particolari esperienze
del Gazzeri non sfuggì alla sagacia del sig. Boussingault, il quale
così ne parla nella sua opera Economie Rurale T. 2, p, 63 " Pour
„ lever tous les doutes que T on pouvait encore conserver sur
„ r effet nuisible des engrais non fermentés, M. Gazzeri a fait
„ venir du blé dans une terre qui avait re^u une dose extraor-
„ dinaire de colombine, qui passe pour un des engrais lés plus
„ actits. Du erottili de cheval, pris au moment où il venait
„ d' étre rendu, mèle à la terre dans la proportion d' un quart
„ en volume, 11' a cause aucun obstacle à la végetation des
» cérèales „.
Il Gazzeri in verità riconosceva che non è impossibile che
r uso dei letami freschi qualche volta produca danno alle piante,
ma solamente in tali circostanze che non mai si verificano nelle
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operazioni agricole; e lo provò con molte esperienze (quelle ap-
pena accennate da Boussingault) sulle quali gioverà intratte-
AVANZAMENTO BELLA CHIMICA MASSIME Al»PLICATA ALl' AGEICOLTURA 93
nersi un poco. Egli pose alcuni semi in terra mescolata con
materie diverse, ora sole, ora diverse unite insieme; ora in pro-
porzione maggiore, ora in proporzione minore, per riconosceife se
alcune isolatamente, o più di loro insieme unite esercitassero
malefica azione sul nuovo germoglio, o sulle tenere pianticelle. Le
materie sperimentate furono non meno di trenta (vallonea, se-
gatura, carta tritata, lana, concio fresco di cavallo, crusca, fa-
rina di grano, corno raspato, feci umane, colombina, orina, pol-
lina, etc); ogni mescolanza fa posta in vaso separato, ed in
ogni vaso vennero collocati 5 semi. Sette sole di tali materie
miste alla terra di orto impedirono la germogliazione ; e furono
r orina, la pollina, le feci umane, la farina, la crusca, le ossa
ed il corno raspato, miste nella proporzione da 1 su 5 a 1 su 20
di terra; mentre in tutte le altre, non escluso il concio
fresco di cavallo, non misto con terra, i semi germogliarono
regolarmente. — In un altra serie di esperienze cercò di sta-
bilire quanta terra convenisse di mescolare con le sette materie
suddette perchè i semi germogliassero; ed osservò che basta-
vano 5 parti di terra per ogni parte di ossa in polvere e di
corno tritato; ne occorrevano 15 verso 1 di pollina e di co-
lombina per una vigorosa vegetazione delle piante del grano
e delle fave. E da tutti i resultati fu portato alla conclusione
seguente: ^ non sussiste in fatto che gV ingrassi amministrati
„ nelle proporzioni e nel modo che si usano nella cultura dei
„ campi impediscano o contrarino la vegetazione delle piante
„ utili, quando queste possono vivere e . fruttificare in qualche
„ specie d' escremento puro e non mescolato in proporzione
„ alcuna al terreno; (pag. 96) „.
Rispetto, adunque, ai conci o ingrassi formati di materie
escrementizie sole, la dimostrazione del Gazzeri è evidente; in
breve tempo con la fermentazione perdono metà della loro ma-
teria, e buona parte delle loro sostanze fertilizzanti inutilmente
si spreca; i conci freschi usati nel modo comune, all'opposto, non
cagionano alcun danno e possono spiegare tutta la loro effica-
cia verso le piante coltivate. — Se il Gazzeri non avesse fatto
altro basterebbe già tutto questo per renderlo benemerito delle
Scienze Agrarie, e ben sarebbe stato che Ei si fosse attenuto al
lato chimico-fisiologico del soggetto : ma egli volle andare anche
più avanti e forse passò i confini assegnati al chimico. Per
tl4 F. SE.STINI
esempio, niello male eripe e dello svilupr»fi degli insetti, di cui
si addobbitaiio i <:oiici freschi non credè giusto fame quel conto,
che iie facevano altri che approvavano caldamente Y uso dei
conci maturi. Eppoi con troppa franchezza estese ai conci com-
plessi, formati di materie escrementizie e lettiere i resultati
da lui ottenuti per i conci, per mò di dire, puri. — Non è che
Egli si dissimulasse che escludendo la fermentazione o matura-
zione dei conci complessi si andava incontro a gravi difficoltà;
no davvero. Egli vedeva tra le altre cose V ingombro che avreb-
bero prr)dotto le materie fibrose delle lettiere. Che cosa fare
di quantità grandissime di materie vegetabili fibrose, dure, ( si
domandava ) indocili per difetto di macerazione: come incor-
pf^rarle nel terreno ? <.*ome impedire la fermentazione sì pronta
a stabilirsi nei letami freschi ? Ma pago di avere acquistato
cognizioni utilissime per la scienza come per la pratica, egli si
lusingò "^ che gli agricoltori, resi dal proprio interesse ingegnosi
a trovan» es[>edienti per superare e fare scomparire ogni diffi-
colta, avrebbeio saputo provvedere più col fatto che con le pa-
role al lorc) maggiore interesse, e alla loro maggiore comodità „ .
E qui veramente non colse nf?l s.»gno; imperocché sia per le
difficoltà relative all' uso di conci contenenti tante materie pa-
gliose e dure restìe a scomporsi quando son sole, e che sono mag-
giori di (luello che Ei le supponeva, sia per forza della tradi-
zione ereditaria, che sì bene stigmatizzò, sia per questi motivi
insieme e [)er altri che ora non gioverebbe mettere innanzi, gli
agricoltori restarono ferini nell' antica pratica, e lieti e contenti
seguitarono (e seguiteranno) ad operare come prima operavano.
Ma che la difficoltii <li far macerare tutte le materie fibrose
dei lettimi sia grande se non si mescolano nel monte del le-
tame con gli escrementi freschi degli animali, ne dà una prova
la confessione del Marchese Cosimo Ridolfi, amico e compagno
di studii e di lavoro del (irazzeri: il quale per molto tempo
accettò senza riserva anche quest' ultima parte della dottrina
del nostro Autore, ma più tardi ebbe a ricredersi, e rettamente
insegnò ( come può vedersi dalle impareggiabili Lezioni di
Agraria; voi. I, pag. 157 ) che per usare le materie coriacee e
pagliose dei lettimi orrorrr farle macerare tìeile concimme nei
modi ]ilì( acronel \)Qr impedire il piii possibile le perdite messe
tanto bene in luce dal Gazzeri.
ATANZAHENTO DELLA CHIMICA MASSIME AFFOCATA ALL* AQRICOLTUBA 95
m.
Dopo il 1845 tre chimici inglesi, sigg. Huxtable, Thompson
e Way, e qualche anno più tardi Giusto Liebig, si posero a
studiare le proprietà assorbenti del terreno^ cercando di mettere
in chiaro i fatti più importanti che ad esse proprietà si rife-
rivano ; e in poco d' ora venne universalmente riconosciuto
quanto importante fosse questa proprietà nuovamente ricono-
sciuta della terra coltivabile. La cosa, per tanto, era tutt' altro
che nuova, e la sua scoperta apparteneva al nostro Gazzeri.
Difatti Egli a pag. 79 della sua prima memoria sui concimi,
tante volte avanti ricordata, scriveva*. . ^ mm posso aste-
„ nermi da fare avvertire un altro fatto importante e degno
„ di osservazione. — Se in un acqua di letame fortemente co-
„ lorita e contenente quella maggiore quantità di materia nu-
^ tritiva che può contenere, si ponga e vi si agiti una porzione
„ di allumina o di terra argillosa, il liquore è prontamente
„ scolorito, e la terra si appropria la sostanza che vi era di-
„ sciolta, formando con essa una combinazione che sebbene in-
„ solubile neir acqua è scomposta dall' azione assorbente delle
„ piante, che vi prosperano sii^olarmente, come ho verificato
„ con V esperienza „.
Di questo fatto che doveva essere stato già osservato ed
in qualche modo annunziato dai filosofi antichi e moderni,
giacché pare che anche Aristotile, Bacone, Hales e Berzelius,
ne facessero parola, non erasi compresa la notabile importanza
per la vita delle piante, ed è merito del Gazzeri se ciò avvenne.
In fatti Egli proseguiva: ** questo fatto (l' assorbimento delle
„ materie solubili per opera del terreno) cospirando coi molti
„ già allegati a provare non essere necessaria per la nutrizione
r, delle piante la solubilità attuale della materia degli ingrassi,
„ spiega nel tempo stesso un altra tanto più mirabile e più
„ benefica quanto più semplice disposizione della natura, per
„ cui viene amministrato il nutrimento alle piante nel modo
„ che loro conviene e che lo stesso bisogno loro determina „ . In
tal modo per la prima volta veniva stabilito che il potere
assorbente ha l'ufficio di moderare la somministrazione delle
materie nutritive che possono avere bisogno di prendere le
96 p. SEsnxi
piante dal terreno e dai concimi in esso incorporati; concetto
affatto nuovo e che sorge limpido dalle parole stesse del nostro
Autore. Egli evidentemente precede di molto coloro, che spe-
cialmente si sono occupati di fisiologia vegetabile dopo il ISSO,
e che hanno trovato utile di distinmiere varii £rradi di assimila-
bilità in cui possono trovarsi nel terreno le sostanze nutritive,
desumendoli dalla maggiore o minore facilità del terreno a
nutrire bene le piante coltivate. Per il Gazzeri prima di ogni
altra cosa prevale il bisogno delle piante, differente secondo i
periodi della vegetazione, e date le circostanze favorevoli nna
volta che alla pianta occorre nutrimento, se da un lato essa ne
assume dall' atmosfera coli' apparato foliaceo. dair altra con le
radici può attingere dal terreno più o meno di quelle sostanze
nutritive che le abbisognano, purché queste sostanze si trovino
in stato di sohihilità vhinale; cioè non importa che esse sieno
in stato di solubilità attuale, basta che possano divenire solu-
bili, sia pure per opera degli agenti estemi facqua« calore, os-
sigeno), sia per X azione scomponente degli organi assorbenti
delle piante tanto bene dal Gazzeri già messa in evidenza con
l>en ordinate esperienze.
Di quanto il nostro Chimico sopravanzi in tutti gli ali-
menti di fisiologia e di chimica vegetabile i suoi contemporanei
ed anche alcuni dei moderni, risulta chiaramente da quanto è
stato ora brevemente discorso.
Altro agronomo italiano nel 1830, Raffaello Lambmschini,
prese a trattare davanti ai Geoi^oflli di Firenze di questa pro-
prietà assorbente, che qualificò come incorporamento^ ed esplicando
il concetto fondamentale del Gazzeri così si pronunciò: * Pos-
„ siamo (^) ben riconoscere una particolare affinità e una com-
„ binazione sui generis fra i sughi alimentari delle piante, e le
„ particelle del terreno convenientemente costituito e conve-
„ nientemente disposto. Combinazione non tanto debole da per-
„ mettere una facile disperdizione dei sughi nutritivi, o nn troppo
„ abbondante succhiamento di essi per parte delle piante, e
„ combinazione insieme non tanto forte, da non essere vinta
„ ognor più dall' azione ognora crescente della forza vitale dei
„ vegetabili „.
(») Atti dei Georgofili, T. IX, p. 330.
i
ÀYANZAMENTO DELLA CHIMICA MASSIME APPLICATA ALL^AGBICOLTURA 97
Le osservazioni del Gazzeri e del Lambruschini sulle pro-
prietà assorbenti del terreno non fiirono né dimenticate, né
trascurate in Toscana; non così avvenne altrove. Soltanto quelle
del Gazzeri furono conosciute in Germania nel 1823, per la
traduzione della predetta memoria sui concimi, e sopra di esse
richiamò V attenzione degli studiosi del proprio paese V alemanno
Bronner che nel 1836 in un libro stampato a Heidelberg (Der
Weinbau in Sud-Deutsclad s. 44) si dette cura di provare quanto
grande importanza quella proprietà abbia per la pratica agraria.
Per queste ragioni io di gran cuore accetto, (peraltro con
una ben lieve ma non oziosa rettificazione) il giudicio dell' egre-
gio prof. Italo Giglioli, che così si esprime a pag. 38 del suo
libro - Chimica Agraria e Silvana. Napoli 1 884. • * La Chimica
„ Agraria è una scienza finora molto poco italiana. Di gran
„ lunga il numero maggiore delle ricerche furono fatte e si fanno
„ fuori d' Italia. Una sola grande scoperta in questa scienza ò
„ italiana; quella del potere assorbente del terreno: ma fu ne-
„ cessano che Inglesi e Tedeschi rifacessero la scoperta, perchè
„ si divulgasse in Italia, e gV Italiani rammentassero le osser-
y, vazioni del Gazzeri „ .
Per gli stranieri si, è verissimo, fu necessario che si rifacesse
la scoperta, come è stato necessario che si rifacesse la enun-
ciazione della legge di Avogadro (^), come sarebbe necessario
rifare quasi tutto ciò che si pubblica in lingua italiana; ma per
gr italiani, almeno per quelli che non hanno solamente vaghezza
di cose straniere, non doveva essere né punto, né pòco necessario.
Ad onore del vero deve dichiararsi che air estero sono stati
gli autori tedeschi i primi, per V autorevole consiglio del Prof.
A. Orth di Berlino (^, a riconoscere che la scoperta del po-
tere assorbente del terreno spetta a uno scienziato italiano;
mentre anche in un recentissimo libro di Chimica Agraria stam-
pato a Parigi pochi mesi or sono, se ne attribuisce il merito
a Thompson e a Huxtable.
Cotalchè allieta assai T animo nostro vedere dopo tanti anni
di negligenza a Giuseppe Gazzeri attribuito almeno uno dei
molti meriti che gli spettano.
(*) Sunto di un Corso di Filosofia Chimica del Prof. F. Canniizaro (Nuovo
Cimento. Pisa 1858, VoL VU).
(*) Landvoirhttchaftlicher Versuchs-Stationen B XVI, p. 56.
Se. Nat, Voi. VHI, ÙMO. 1.* 8
98 F. SESTINI
IV.
L'acido borico che era stato scoperto nel 1778 da Hoeflfer
nei lagoni di Monte Rotondo e di Castelnuovo, e poco dopo da
Paolo Mascagni negli altri lagoni del Volterrano e del Senese,
era ancora oggetto di semplice curiosità scientifica, quando G. Graz-
zeri nel 1 808 cominciò i suoi tentativi per trarre di là V acido
borico e fabbricare il borace, identico a quello che vernaci di
fiiori. — Non scoraggito dalle difficoltà senza numero incontrate,
tornò successivamente ad occuparsi anche con maggior lena
nel 1816 del modo di dar vita all'estrazione industriale del-
l' acido borico, e fii in quel tempo che concepì il felice pensiero
di perforare i terreni boraciferi della Marenuna toscana per
ottenere artificialmente mediante lo sprigionamento e la con-
seguente eruzione del cocente vapore rinchiuso nella terra, sof-
fioni simili a quelli che naturalmente erompono, ove le scre-
polature del suolo lasciano libera uscita ai vapori sotterranei.
Siffatta ed ottima idea non potè essere da lui portata ad atto
a causa degli ostacoli che allora si presentavano, in specie per la
deficienza di meccanismi occorrenti alla pratica esecuzione e dei
capitali sufficienti all' intrapresa : ma fii più tardi utilmente ap-
plicata da altri con incremento della industria, e promette di
essere feconda in avvenire di altre e vantaggiose conseguenze;
giacché con la trivella ora si attinge acqua boracifera calda,
ora vapore secco, come si dice dai tecnici, ora soffioni più o
meno carichi di sali ammoniacali.
H Gazzeri ha contribuito, adunque, in modo diretto colla
mente e coli' opera sua personale, alla fondazione dell'unica
grande industria chimica essenzialmente italiana; quella voglio
dire dell'acido borico. Paolo Mascagni consigliò l'uso del ca-
lore naturale dei soffioni per l' evaporazione delle acque bora-
cifere; l' infelice Ing.'* G. Ciaschi operò la saturazione delle
acque riunite intomo l' apertura, o piccolo cratere dei soffioni :
il Gazzeri stimolò con l'esempio i proprii compaesani a darsi
a quell'industria, e additò al modo di avere soffioni boraciferi
artificiali, e per tal guisa insegnò ad accrescere sempre più le
sorgenti dell'acido borico.
AVANZAMENTO DELLA CHIHICA KASSDIE APFUCATA ALL*AOBICOLTDBA 99
V.
Per quanto ci siamo proposti di prendere a considerare sol-
tanto alcuni dei più importanti studii e lavori, ai quali Giu-
seppe Gazzeri nella sua laboriosa vita dette opera, pure non
possiamo fare a meno di ricordare brevissimamente, come a
causa del blocco continentale, che fu imo dei più grandi errori
economici del primo impero napoleonico, Egli volgesse per varii
anni la sua intelligente operosità ad allestire da per sé e a favo-
rire chi volesse impiantare in Toscana una qualche industria chi-
mica. Tra queste preferì : 1 ."* la fabbricazione del sale ammonico
col metodo di Baumè; 2."* V imbianchimento delle tele col cloro;
3.^ la fabbricazione della carta bianca con la paglia; 4.® la
lavorazione della gomma elastica; 5."^ V estrazione della potassa
dalle ceneri di Maremma con metodo economico e produttivo;
6."* r estrazione dello zucchero dalle castagne; oltre di che sug-
gerì importanti miglioramenti nelle ferriere dell' Elba. Ma poche
di queste industrie, che Egli illustrò con dotti scritti, e alcune
delle quali iniziò a proprie spese, altre diresse per conto d' altri,
tolto il blocco napoleonico, non essendo sorrette da sufficienti
capitali, poterono poi sopravvivere per la concorrenza della fab-
bricazione straniera. E quasi che questo fosse poco, mentre cioè,
impiantava fabbriche industriali d' indole sì diflferenti, coope-
rava alla direzione della celebrata Antologia del Yieusseux senza
venir meno al proprio ufficio di pubblico lettore, istituiva ricerche
di chimica patologica, e di frequente dava alla luce dissertazioni
per ogni rispetto pregevoli sopra argomenti di chimica applicata
alla fisiologia e alFagricoltura. Tra queste sia concesso di fare al-
meno la enumerazione di alcune che non sarebbe inutile rian-
dare di proposito se il tempo e lo spazio noi contrastassero:
le quali hanno per titolo : 1 ."* sulla maturazione dei frutti, ricerche
ed osservazionij; 2."* su gli olii e su i corpi grassi; 3.^ sulla malaria,
ricerche importanti assai pel tempo in cui ftirono pubblicate;
4.^ sull' analisi delle acque; non che diverse memorie sopra i
concimi e sulle rotazioni agrarie.
Di tutta questa mole grandissima di lavori e di studi, a
cui piaccia, si può prendere notizia rovistando gli Atti della
Accademia dei Georgofìli di Firenze, in grembo della quale la
100 F. SSSTINI
Chimica era ben coltivata da diversi ed abili Scienziati avanti che
sorgesse la nuova èra che data dal 1 840; èra che allargò, estese
grandemente il campo degli studi, ma in molte cose non fece
che aumentare la superficie dei domimi della Chimica applicata
air agricoltura, di poco approfondando le nostre cognizioni sul-
r essenza dei mutamenti chimici relativi alla produzione agraria.
VI.
In conclusione, a parte la grande operosità scientifica, a
parte anche le vaste cognizioni e la bella cultura, rimane sem-
pre a Giuseppe Gazzeri il merito 1 .** di avere sin dal principio
del secolo nostro utilmente coltivato, ed insegnato in ItaUa a
coltivare la Chimica sperimentale ; 2.® di avere iniziato con buon
metodo una serie di esperimenti chimici sopra la fermentazione ^
dei concimi e di avere con logiche deduzioni rivelato varie
e molto importanti conclusioni intomo la concimazione delle
piante coltivate, ed altre pure assai interessanti per la fisio-
logia e la chimica vegetabile; 3.® di avere rilevata l'importanza
del potere assorbente del terreno e di avere additato V ufficio
che per mezzo di questa proprietà adempie il suolo rispetto alla
vegetazione; 3.^ di avere concepito l'idea dei soffioni artificiali
per accrescere la produzione dell'acido borico; concetto più
tardi tradotto in pratica con vantaggio dell' industria nazionale.
Questi sono titoli tali di benemerenza che neppure il tempo
cancellerà dalla memoria degli italiani: tali che renderanno
sempre venerato il nome del Gazzeri presso tutti coloro cui sta
a cuore la scienza e la civiltà ; tali, infine, che impongono fin
d' ora r obbligo di noverarlo tra i fondatori della Chimica ap-
plicata all'agricoltura e alle industrie affini.
SBLLi mmmm delio %wm mk
BEI
PESCI MURENOIDI ITALIANI
melili mwm w. dott. figalbi Eugenio
Aiuto alla oattedra di Akat. ookp. e Zool. pxlla R. UinyEiuiiTX di Pisa
Lo studio analitico della conformazione dello scheletro
cefalico in questo e quel Vertebrato, che presenti qualche
peculiarità, è, a mio credere, argomento da non dispregiarsi
dagli Anatomici, in oggi che la morfologia del cranio, conside-
rato sotto l'aspetto generale, ha fatto già, per opera special-
mente degli Osservatori inglesi, dei passi decisivi: dico che lo
studio analitico delle varie forme non è da dispregiarsi, in
primo luogo perchè più numerose sono le osservazioni sulle
singole specie e meglio può approfittarne con le sue vedute ge-
nerali la Morfologia, in secondo luogo perchè la conoscenza delle
modificazioni secondarie del cranio, che possono riscontrarsi in
questo e quel Vertebrato o gruppo di Vertebrati craniati, può
essere utile, non solo come conoscenza in sé, ma anche come
mezzo per stabilire aflSnità o non affinità tra le varie specie e
i gruppi di esse.
E per queste ragioni che mi son dato a studiare descritti-
vamente lo scheletro cefalico, o, come anche comunemente di-
cesi, il cranio di quegli importanti Pesci, che sono i così detti
MuRENoiDi; le mie osservazioni si aggirano sui Murenoidi della
nostra Fauna, quali la Anguilla, il Grongo, V Ofisuro, la Murena.
Non nego che diversi Anatomici, specie tra i vecchi, mo-
strarono già di non ignorare che questi Pesci hanno delle pecu-
102 E. nCALBI
Ilarità craniche, in confronto di altri; così Meckel^ Olivier ^ Stannius
e qualche altro menzionarono questa e quella disposizione^ che a
loro sembrò particolare; ma fecero ciò sempre incidentalmente,
e sovente in modo tutt' altro che tale da appagare la curiosità
dell'Anatomico, oltre che ftiron ben lungi dal citare tutte le
particolarità, o citarle con esattezza; anche 0. G. Costa, per ri-
cordare un italiano, nella sua Famia del Regìio di. Napoli (})
accenna qualche cosa sul cranio dei Murenoidi, e dà una figura
di quello dell' Ofisuro e della Murena, ma al Costa non inte-
ressava di dare che qualche nozione principale, e quindi tanto
le figure che le descrizioni sono ben lungi dal potersi dichia-
rare complete. Per dimostrare che anche tra i moderni non
molto si è fatto sulV argomento che intendo trattare, mi basti
citare ciò che, riguardo ai Murenoidi, si trova nell'eccellente
libro di Parker e Bettany sul cranio (Lotidon, 1877), libro che,
per quanto d'indole generale, pur tuttavia contiene qua e là
qualche sunto analitico, su questo o quel cranio; circa ai Mu-
renoidi dice quanto segue: ** Nei Murenoidi le trabecole si ri-
ducono a strette bandellette di cartilagine nella regione orbi-
tale, curvate in avanti e in su, sopra il parasfenoide. Anterior-
mente si trova un osso etmoide mediano verticalmente crestato,
con un solco al di sotto per ricevere una cresta sporgente dal
vomere fornito di denti. Su l' uno e Y altro lato di questa cresta
vi è una semplice e distinta bacchetta trabecolare. I nervi olfat-
tivi, nel passare nei sacchi nasali, sono avviluppati da un paio
di grosse e distinte cartilagini ectoetmoidali; sopra la capsula
olfattiva trovasi un piccolo osso nasale. Non esistono premascel-
lari; il vomere, fornito di denti, giunge fino alla estremità del
muso; i mascellari sono grandi e portano denti. L' iomandibo-
lare è molto ampio, con due teste articolari distinte e separate;
il suo estremo distale è diretto in basso e in avanti; il sim-
plettico è distinto. Tra queste due ossa è attaccato il resto del-
l' arco ioideo per un ligamento interiale. Gli epiali e i ceratoiali
sono quasi uguali in grandezza ; non vi e ipoiale. L' apice della
parte sospensoriale dell' arco mandibolare non è ossificata
Vi è un piccolo quadrato, e in avanti di questo un minuto pro-
(1) OroQzio Gabriele Costa — Fauna del Regno di Napoli^ Pesci, Parte I, Or-
dine dei Malaoopterig^i apodi. Napoli 1S50,
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MUBENOIDI EC. 103
•
cesso cartilagineo di forma triangolare, che rappresenta tutto
ciò che esiste della cartilagine pterigoidea; al di sopra vi è un
osso palatopterigoideo stiliforme. La mascella inferiore possiede,
oltre un dentario e un articolare, un piccolo coronoide nella
sua faccia interna, incastrato tra le due ossa più grandi „ .
Come si vede, ciò non è molto, e lascia aperto largo adito
ad una legìttima curiosità scientifica, e di più farò osservare
come vi sia qualche inesattezza, come, per esempio, là ove si
parla del vomere, là ove si dice che esiste un simplettico di-
stinto, che invece manca in tutti Murenoidi.
Tutto ciò che ho accennato dimostra che non è chiuso il
campo a nuove e dettagliate ricerche, ed io ho la convinzione
di non fare opera vana occupandomi della cosa. Potrebbe essere
forse utile un giorno conoscer bene analiticamente i crani dei
Pesci per tentare la creazione di gruppi, come già praticò
Huxley per gli uccelli.
Dell'argomento poi che ho scelto mi occupo volentieri, in
quanto sembrami scorgere che in Italia siano pochi i cultori
dell'Anatomia, che prendano a tema delle loro ricerche il cranio
e il restante dello scheletro dei Vertebrati, specie degli infe-
riori, argomento questo tra i più interessanti, ciascun lo sa,
deir Anatomia comparata e che, per quanto sia stato dei più
esplorati, presenta pur sempre tanto di nuovo. Non io ho la
pretesa, si capisce, di colmare la accennata lacuna; mi baste-
rebbe di aver dato un po' di buon esempio.
Nel presente scritto prima descriverò analiticamente lo sche-
letro cefalico dei Murenoidi nostrali, che sopra ho accennato;
poi in ultimo, a guisa di riassunto, riepilogherò le uniformità
e difformità che si vedono esistere^sia confrontati i suddetti
Murenoidi tra loro, sia con qualche altro Teleosteo.
Mi valgo nella nomenclatura dei pezzi del cranio, delle de-
nominazioni usate da Parker^ come quelle di cui reputo utile
la diffusione e che stimo le più appropriate.
1. — Scheletro cefalico della Anguilla
Inizio il mio studio sulla conformazione dello scheletro
cefalico 0, come anche si dice, del cranio dei Pesci murenoidi,
cominciando da quello della Anguilla comune (Anguilla vulgatiSj
104 B. ncÀLBi
Fieni) (^); avvertirò tosto che nella descrizione scialitica del
cranio della Anguilla stessa come degli altri Murenoidi, non
sto a distinguere di questo varie porzioni o regioni, ma, co-
minciando dalla parte sua occipitale, procedo in avanti, ri-
serbandomi di parlar per ultimo della porzione ioido-bran-
chiale.
Osservando la £Eiccia posteriore del cranio di una Anguilla,
&ccia abbastanza ampia e tagliata a picco relativamente alla
direzione posteroanteriore del tegmen e della basis craniij ei
vedono, come mostra la Fig. 1, diverse ossa, delle quali due
sole sono impari, mediane e simmetriche, essendo le altre pari,
bilaterali, asimmetriche per la loro forma. Tra queste ossa,
posteriormente ben visibili, quattro ne spiccano di cui tre cir-
coscrivono il forame occipitale, una è più elevata del forame
medesimo. Sono le quattro ben note ossa del così detto se-
mento occipitale del cranio, sono, cioè, il hasioccipitale^ gli e«or-
dpUaliy il sopraoccipitalc. Descriviamole brevissimamente.
L' osso basioccipitale ( Fig. 1 , 3, 5, b o) è sulla continuazione
della colonna vertebrale, ha forma alquanto schiacciata dall^alto
in basso e a un dipresso triangolare : in dietro ove corrispon-
derebbe il vertice del triangolo, vertice che e tronco, presenta
una superficie articolare rotonda, concava; per mezzo di essa
è in contatto con la prima vertebra; la sua faccia inferiore o
ventrale è ricoperta, nel cranio integro, in parte dal parasfe-
noide (Fig. Sj p sf), il quale, rivestendo tutta la base del cra-
nio, giunge in dietro con due apofisi fin quasi all^ articolazione
cranio-vertebrale; in avanti il basioccipitale, si articola con i
due prootici, lateralmente poi articolasi con gli esoccipitali
( Fig. 1 e 3, e 0 ). — Le d\m ossa esocdpitali ( Fig. 1, 2, 3, 5 e o )
irregolari per forma sono costituite, come ben dice Meckel pei
Pesci in generale, di tre branche, confluenti in una massa cen-
trale: delle tre branche una è diretta esternamente, una su-
periormente, una anteriormente; nel cranio gli esoccipitali si
impiantano uno per lato sul basioccipitale con la loro massa;
la branca esterna di ciascuno, giunge fin sotto la sporgenza
pterotica del cranio, che poi conosceremo ; con la propria, branca
superiore gli esoccipitali vengono V un V altro a riunirsi al di
Q) Muraena anguilla^ Linneo.
OONFOMAZIONB DELLO SCHELETBO CSFAUCO DEI PESCI MUBENOIDI BC. 106
sopra del forame occipitale (come mostra la Fig. 1), il quale è
così da queste ossa quasi in tutta la sua periferia circoscritto :
ho detto qtmsi in tutta . la sua periferia, infatti in basso il fo-
rame stesso è circoscritto un pocolino anche dal basioccipitale ;
ciaschedun esoccipitale si articola in alto con V epiotico della
propria parte, cui fa da base di impianto ( Vedi la Fig. Ij ep);
lateralmente si articola con la porzione posteriore dello pte-
rotico (Fig. 1, pto)y e anteriormente, mercè il suo processo
o branca anteriore, si articola, per un piccolo tratto, col prootico
del proprio lato ( Fig. Sj prò). — L' osso sopraoccipitale (^) è
esile, allungato anteroposteriormente, presso che squamiforme
anteriormente ( Fig. 1, 2, e 5, ^ o ). Esso, nel cranio integro, non
solo non circoscrive in nessuna misura il forame occipitale, ma
neppm-e è in contatto con gli esoccipitali, dai quali lo divide
uno spazio non ossificato, in cui permane tessuto cartilagineo,
spazio rappresentato in k nella Fig. 1 . Questa disposizione del
sopraoccipitale fece sì che molti vecchi Anatomici gli dessero
in generale nei Pesci il nome di inter parietale ^ nome che per
nulla compete a quest' osso di origine cartilaginea. Lateralmente
il sopraoccipitale si articola con gli epiotici ( Fig. 1 e 2, ^ p ) ,
che lo abbracciano intimamente; in sopra è per buon tratto
ricoperto dai parietali (Fig. 2, jpa), in modo che non riman
libero e visibile che il suo estremo posteriore, quale è rappre-
sentato appunto nelle Fig. 1 e 2 in 5 o.
Ho tenuto così brevemente parola di quattro delle ossa,
che ci si presentano osservando la faccia posteriore del cranio
dell'Anguilla, ho, cioè, parlato del così detto segmento cranico
occipitale ; vengo ora alle altre ossa visibili nella già, accennata
faccia posteriore del cranio. Esse sono in numero di quattro,
ossia, due a due, pari, bilaterali, asimmetriche, e dette epiotici
e pterotici.
Gli epioticij od ossa epiotiche, (Fig. 1, 2, 4 e 5, ejp ), irrego-
lari per forma, mandano ciascuno in alto e in dietro un pro-
cesso, che, nello scheletro cefalico integro può chiamarsi prò-
cesso epiotico del cranio. Gli epiotici fiiron detti occipitali esterni
da Cuviery paroccipitali da Owen; da Hxley fu loro dato il nome
(^) Meckeh a torto, scrisse potere, almeno qualche volta, mancare nella Àn-
gailla Tosso sopraoccipitale, eh* egli chiama porzione squamosa dell* occipitale. V. la
sua An. camp. Tomo 2, pag. 480. Paris 18^.
106 E. nCALBI
che ho usato, e che deve esser conservato, per la ragione che
queste ossa, lungi dall' essere elementi occipitali, entrano a co-
stituire parete alla cavità labirintica uditiva. Sono situati gli
epiotici, uno per ciascun lato, al di sopra degli esòccipitali e
ai lati del sopraoccipitale. Ciascuno epiotico, che forma parte
della parete posteriore della cavità encefalica, si articola in
basso coir esoccipitale del proprio lato (V. la Fig. 1 e 2), inter-
namente» col sopraoccipitale, in alto e anteriormente col parie-
tale, esternamente col pterotico del proprio lato. — Gli pfe-
roHci ( Fig. 1,2, 3, 4e5p<(?) sono due ossa molto allungate,
che dalla porzione posteriore del cranio si estendono in avanti,
uno per parte, fino, si può dire, a raggiungere il cerchio osseo
periorbitario : un canale muccoso, in comunicazione con quello
che scorre nelle ossa periorbitari e, percorre, molto superficial-
mente, tutto lo pterotico da cima a fondo. GU pterotici sono
ossa delle pareti laterali del cranio; costituiscono inviluppo a
porzione della cavità labmntica uditiva, che per un certo tratto
li invade. Si articola ciaschedun pterotico internamente, ossia
verso la faccia superiore del cranio, coli' epiotico, col parietale,
col frontale del proprio lato, in dietro e in basso coli' esocci-
pitale, ventralmente poi si articola, procedendo di dietro in
avanti, prima col prootico, poi con V alisfenoide del proprio
lato; esternamente, e piuttosto in avanti, tra lo pterotico e il
prootico, si impianta lo sfenotico ( Fig. 2, 3 e 4, 5/*o ). In dietro
e di lato ciascun pterotico si estende in un processo assai
sviluppato posterionnente, che dicesi sporgenza pterotica del
cranio. — Nel cranio dell'Anguilla non v' e opistotico distinto.
Con lo pterotico ho iniziato lo studio delle pareti laterali
del cranio. Continuo ora ad accennare quali elementi ossei tro-
vansi in queste pareti della cassa encefalica; poi gradatamente
parlerò prima della basis e del tegmen cranii, quindi della estre-
mità anteriore del cranio, o del muso con le varie ossa che vi
si trovano, quindi infine dell'apparecchio sospensore e mascel-
lare inferiore, e di quello ioido-branchiale.
Nelle pareti encefaliche laterali oltre i già noti pterotici,
trovansi i prootici, gli alisfenoidi, gli sfenotici, ossa bilaterali,
asimmetriche, di origine cartilaginea.
I prootici ( Fig. 3, 4: e ò prò) sono due osssa assai svilup-
pato, ^'regolari per forma, i quali, situati uno per parte, vengon
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI inTRENOIDI EC. 1 07
subito innanzi all' esoccipitale. Sono le principali tra le ossa che
costituiscono parete alla cavità labirintica uditiva e sul loro
significato errarono quasi tutti i vecchi Anatomici ; così Cuvier
ed Oicen li crederono parte dello sfenoide: devesi ad Huxley il
nome che ora hanno e che ne precisa il significato anatomico.
Ciascun prootico trovasi, nel cranio integro, (V. Fig. 3 e 4) com-
preso tra lo pterotico, col quale si articola in sopra, tra V esoc-
cipitale e il basioccipitale, coi quali si articola indietro, tra il
parasfenoide, col quale articolasi in basso, e tra Talisfenoide
e lo sfenotico, dei quali col primo si articola anteriormente, in
sopra ed esternamente col secondo. Di più ciascun prootico
manda dalla sua parte intema o intracranica un processo che
va a raggiungere la faccia inferiore del parietale del proprio
lato, col quale si articola. — Gli alisfenoidi ( Fig. 3,4e5a/5)
sono ossa piuttosto piccole, che vengon subito innanzi ai prootici.
In basso si impianta ciascun alisfenoide sulla branca del pro-
prio lato del basisfenoide, che tra poco accennerò; anterior-
mente si articola con una apofisi discendente del frontale della
propria parte, posteriormente col prootico; in sopra è coperto
dalla porzione anteriore dello pterotico, col quale si articola;
tocca anche lo sfenotico. Tra alisfenoide e prootico, nel punto
ove si articolano è compresa una lacuna assai ampia, un grosso
foro, passaggio di nervi. — Gli sf enotici (Fig. 2, d, 4: e b sfo)
sono due ossa di forma presso a poco piramidale o triangolare,
che, uno per parte, sporgono ai lati del cranio, in modo che
come in dietro abbiam visto una sporgenza pterotica data dal-
l'estremo posteroestemo del pterotico, così più in avanti viene
a costituirsi (V. Fig. 2 e 4 ) una sporgenza sfenotica, triangolare,
data da ciascun sfenotico, che si proietta in fuori. Ciaschedun
sfenotico ha forma piramidale, come ho detto, col vertice di-
retto esternamente; l'impianto dello sfenotico si la principal-
mente nel prootico, in una sporgenza di questo, che gli fa da
base; si articola poi anche ciascun sfenotico con l' alisfenoide e
con lo pterotico del proprio lato. Fu dato allo sfenotico dai
vecchi Anatomici il nome di frontale posteriore e da diversi mo-
derni di postfronlaU: è bene appellar quest' osso, di origine car-
tilaginea, addirittura, come io ho usato, sfenotico, lasciando il
nome di postfrontale ad altra ossificazione riscontrabile nel
cranio vertebrato, e che non è qui il luogo di rammentare.
108 E. nCALBI
Vengo ora alle ossa della base della cavità encefalica. Primo
osso della base è il basioccipitale, che già conosciamo. Da questo
procedendo in avanti im solo osso basilare di origine cartila-
ginea si trova: il basisfenoide; vi e poi lungo tutta la basis
cranii un altro grande osso che quasi dalla estremità del muso
si estende fino al basioccipitale, situato sotto al basisfenoide
e in parte sotto al basioccipitale rammentato, osso che si chia-
ma il parasfenoide e che è di origine connettivale. Brevemente
parlo di queste due ossificazioni basilari accennate, ambo im-
pari, mediane e simmetriche. — L' osso basisfenoide ( Fig. 3, 4
e ò, bsf )f è, come ho già detto, il secondo ed ultimo osso
cartilagineo della base della cavità encefalica. Esso nel cranio
integro non si articola minimamente in dietro col basioccipi-
tale, quindi tra questo e quello rimane uno spazio, in cui per
un certo tratto si insinuano con la loro parte inferiore i pro-
otici; non arrivando, però, i due prootici stessi a toccarsi re-
ciprocamente, ne deriva che lo spazio stesso viene chiuso in
basso direttamente dal sottostante parasfenoide, in modo che
in questo punto la cavità encefalica non ha base di osso car-
tilagineo, 11 basisfenoide, (detto, nei Pesci teleostei in generale,
j)resfenoide da diversi Anatomici, tra cui, per esempio, anche
Meckel) {}) risulta di una base, e di due branche divergenti, di-
rette in alto. Con la base riposa sul parastenoide, senza che
la base stessa si articoli in dietro con osso alcuno, non giun-
gendo a toccare i prootici, e nemmeno si articoli con qualche
osso in avanti ; per mezzo delle sue branche divergenti si arti-
cola il basisfenoide con le apofisi discendenti che vedremo nei
frontali, e con gli alisfenoidi. — Non riscontransi nel cranio
della Anguilla ossificazioni presfenoidee od orbitosfenoidee. — Al
davanti della regione del basisfenoide trovasi un grande spazio
non ossificato, che può chiamarsi spazio non ossificato interorbi-
tario (Fig. 3 e 4, 2:): si stende fin molto in avanti nel muso;
il suo contomo è formato in basso, ossia nella sua base, dalla
metà anteriore del parasfenoide, che giace sulla branca infe-
riore dell'osso premassillo-etmo-vomerino, in alto dai frontali,
il suo angolo anteriore è costituito dair angolo che formano,
Q) Io non intendo far qui la discussione se quest* osso debba considerarsi pre-
sfenoide o basisfenoide.
4
CONFORMAZIONE BELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI IfUBENOIDI EC. 109
riunendosi tra loro, le branche superiore e inferiore dell'osso
premassillo-etmo-vomerino, il suo limite posteriore è costituito
dal punto di incontro dei frontali col basisfenoide, e dal para-
sfenoide. — Il parasfenoide ( Fig. 3, 4e5, jp5/*)èun lunghissimo
osso, il quale, mentre nella sua metà, posteriore, ossia in quella
che corrisponde alla base della vera cavità encefaUca, è alquanto
slargato e conformato a doccia, per abbracciare le ossa carti-
laginee, che costituiscono le parti più declivi del cavo encefa-
lico, nella sua metà, anteriore, che giunge fin quasi all'estremo
del muso, è stretto e lineare. È disposto, come si capisce, an-
teroposteriormente e segna precisamente^ la base del cranio.
Si articola, per mezzo della sua metà, posteriore slargata, col
basioccipitale, che in parte ricuopre, coi due prootici, col basi-
sfenoide, ossa da esso rivestite inferiormente; per mezzo della
sua porzione anteriore si articola con Tosso premassillo-etmo-
vomerino, che poi conosceremo ; vi è questa differenza, però, tra
la sua porzione posteriore e la sua anteriore, che mentre la
prima ricuopre le ossa craniche della base, la seconda è rico-
perta dalla branca inferiore, orizzontale, dell'osso premassillo-
etmo-vomerino, branca sopra alla quale riposa.
Venendo al tegmen craniiy dirò che le ossa che vi si riscon-
trano sono i due parietali e i due frontali^ bilaterali, asimme-
trici, gli uni e gli altri, come si sa, di origine membranacea:
essi, ' dal sopraoccipitale e dagli epiotici in avanti, cuoprono
tutta la cavità encefalica. — I parietali ( Fig. 2, 4 e 5, ^ a ) sono
due ossa piuttosto piccole, allungate più nel senso anteropo-
steriore che nel trasversale; si ha questo di particolare a pro-
posito dei parietali, che sovente quello dell' un lato è un po-
colino più allungato di quello del lato opposto; ciascheduno
di questi ossi si articola in dietro coli' epiotico della propria
parte : tra 1' uno e 1' altro poi è compreso in massima parte il
sopraoccipitale, che per una certa estensione ne viene coperto ;
di lato ciascun parietale si articola collo pterotico, in avanti
col frontale, e tra l' uno e l' altro dei due frontali i parietali
si insinuano alquanto col loro estremo anteriore assottigliato;
una sutura biparietale (sagittale) trovasi tra l' un parietale e
r altro. — I frordali ( Fig. 2, 3, 4 e 5, /*r ) han forma allungata;
sono alquanto slargati a squama posteriormente, anteriormente
terminano in punta : è soltanto la parte slargata che fa parte
Ilo £• FICALBÌ
del tegmen della vera e propria cavità encefalica, la parte al-
lungata facendo parte del così detto muso dell' animale; ciascun
frontale verso il terzo suo posteriore manda, dalla faccia infe-
riore, in basso un processo, che può dirsi apofisi discendente
del frontale, la quale va a raggiungere una delle branche del
basisfenoide ; un po' anteriormente al punto ove sorge la apofisi
discendente, si proietta in fuori una piccola eminenza irrego-
lare, verso la quale si attaccano gli ossetti periorbitari. Cia-
schedun frontale si articola in avanti alle facce laterali della
branca superiore dell'osso premassillo-etmo-vomerino, incastran-
dosi con la sua estremità anteriore nella parte inferiore della
branca stessa, che si insinua in dietro tra 1' uno e 1' altro fron-
tale ; in basso ciascun osso frontale si articola, per mezzo della
sua apofisi discendente, alla branca corrispondente del basisfe-
noide, e al corrispondente alisfenoide, il quale giunge a toccare
anche la faccia inferiore del frontale del suo lato ; esternamente,
con tutto il margine estemo della sua metà posteriore, ciascun
frontale articolasi col corrispondente pterotico; in dietro arti-
colasi col corrispondente pterotico ; in dietro articolasi col pa-
rietale, in dentro 1' un frontale con 1' altro, costituendo ima
sutura bifrontale, che, a dir vero, non è molto lunga, essendo
in avanti separati per buon tratto i frontali dalla branca su-
periore dell' osso premassillo-etmo-voinerino, in dietro dai due
parietali, che tra essi alquanto si insinuano.
Il parasfenoide e i frontali mi hanno condotto fino all' estre-
mità del muso, ed ora io mi occupo delle ossa che lo compon-
gono, cioè dell' osso premassillo-etmo-vonieritw, dei mascellari in-
feriori, degli pterigoideiy dei nasali e dei periorbitarii.
L'osso premassillO'etmO'Vùmerhio (Fig. 2, 3, 4 e 5 /) r v), come
indica il nome che gli ho dato, è di natura composta. Per ac-
cennarne prima d' ogni altra cosa la forma, dirò che esso si
compone di due branche, ambedue anteroposteriori, le quali si
riuniscono ad angolo acuto tra loro anteriormente, ove l' osso
è un pochino slargato : delle due branche la inferiore sottile e
terminante a punta, è perfettamente orizzontale, la superiore
più grossa e che per essa termina assottigliandosi, è un pò*
obliqua in alto e indietro. Accennata la forma, dirò che delle
due branche la inferiore si articola col parasfenoide, come già
a proposito di quest' osso fd detto, il quale vi riposa sopra con
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFAUCO DEI PESCI KURENOIDI EC. Ili
la sua metà anteriore, giungendo fino alV angolo di congiunzione
delle due rammentate branche tra loro, la branca superiore si
articola coi due frontali, che V uno dall' altro per un certo tratto
separa; verso V estremità, dell'osso premassillo-etmo-vomerino,
ossia presso il punto di congiungimento delle due branche, si
attaccano i mascellari superiori, Y osso poi sorregge anche, per
mezzo di ligamenti, le ossa nasali. Vista la forma e i rapporti
di quest' osso, vediamone la natura. Fu essa variamente inter-
pretata da CuvieVj da Meckel, da Oicen, Per chiarirne il signifi-
cato, ricordo prima di tutto quali ossa tipicamente possono
riscontrarsi alla estremità del cranio di certi pesci, di un Gadtis
ad esempio : osservando un Gadus troveremo nel suo muso : un
mesetmoidei})^ due esetmoidi (^), tutti e tre ossificazioni della
cartilagine etmoidale; quindi troveremo due premascellari, ed
in sotto un vomere (taccio dei due nasali). Ora ci possiamo di-
mandare. Quali di queste ossa nella Anguilla sono presenti
come pezzi ben distinti ? Di queste ossa, come pezzo ben di-
stinto e isolato, non ne è presente alcuna: trovasi invece al
loro posto il già noto osso premassillo-etmo-vomerino. Si deve
dimandare quindi: Comprende esso anchilosate in una sola
massa tutte le unità osteologiche suddette? Rispondo che esso
comprende in sfe le seguenti ossa, che si sono saldate insieme:
il mesetmoide, i due premascellari, il vomere. Gli esetmoidi
non vi sono compresi; essi non si ossificano nella Anguilla e
rimangono rappresentati da due caHilagini (una per lato),
che si vedono attaccate ai lati della porzione posteriore della
branca superiore dell'osso premassillo-etmo-vomerino e che
(situate in avanti della regione oculare e in dietro delle ca-
vità nasali) si dirigono in fuori e un po' in avanti verso
i mascellari superiori ; a ciascuna di queste cartilagini può
darsi il nome di cartilagine esetmoidea. In giovani Murenoidi è
possibile dividere in quattro pezzi l'osso premassillo-etmo-vo-
merino, due dei quali pezzi sono mediani, il mesetmoide e il
vomere, due bilaterali, ossia i premascellari; ciò ci fa vedere
che a quest' osso non è improprio il nome che ha usato ; la sua
branca inferiore può dirsi branca vomerina: essa porta denti;
(^) Il cosi detto etmoide^ od etmoide medio.
(') Sono i cosi detti etmoidi laterali o frontali anteriori o prefrontali» Parker
li chiama ectetmoidù
112 E. nCALBI
la superiore può dirsi ìnesetmoidea e rappresenta il mesótmoide ;
il suo estremo alquanto slargato può dirsi estremità premasceU
lare, che pure porta dei denti numerosi. Le vedute che sono
venuto esponendo furono sostenute da Meckeli}), il quale tut-
tavia dubitò a torto che anche i nasali potessero esser compresi
neir osso premassillo-etmo-vomerino. Cuvier ed Owen la pensa-
rono diversamente. Nel 1867 JacobyiJ) rimise in evidenza le
vedute di Meckel, e concluse come io più sopra ho indicato e
ho riassunto coli' appellativo di osso premassillo-etmo-vome-
rino (^). — Le ossa ìnasceUari superiori ( Fig. 2, 4 e 5, m s) han
forma allungata: al loro estremo posteriore, un poco ritorto,
terminano assottigliandosi; al loro estremo anteriore presen-
tano un processo a cresta diretto in alto, una apofisi montante;
sono fomiti di numerosi e piccoli denti nel loro margine infe-
riore. Ciascun mascellare superiore si articola in avanti, per
mezzo del suo processo montante, alla estremità, anteriore del-
l' osso premassillo-etmo-vomerino; in dietro, mercè ligamenti
fibrosi, si attacca col suo estremo assottigliato, alla parte
posteriore del dentale, del proprio lato, uno dei pezzi della
mandibola, verso il punto ove il dentale si unisce coli' artico-
lare. — Dalla parte inferiore della estremità del muso all' ap-
parecchio sospensore ioido-mandibolare trovasi nel cranio del-
TAnguilla, che sto studiando, un osso dell' apparenza di una
verghetta, obliquo un po', anteroposteriormente, d' alto in basso
e di dentro in fuori (Fig. i e b, ptg); quale significato osteo-
logico deve darsi a quest'osso? Per rispondere a questa di-
manda è utile aver presenti gli elementi che si trovano tra il
vomere, ossia tra la parte inferiore della estremità del muso,
e r osso quadrato tipicamente nei Pesci teleostei: se ci fero-
ci amo ad esaminare per esempio un cranio di Perca troveremo,
bilateralmente, tra vomere e osso quadrato, una specie di ca-
tena ossea costituita: 1.® d'un palatino; 2.® d'un pterigoide {^);
(') Meckel J. F. — Traité general d'Anatomie comparée, Trad. de rAllemand
par Riester et Sanson. Paris, 18^. T. II, pag. 503.
(') Jacoby L. — Ueber den Knoc?ienbau der Oberkmnlade bei den Aaien
(Muraenoidei), Inaugural^chrift. Halle, 1867.
(^) Vedi più avanti ciò che dico, parlando dell' osso premassillo-etmo-vomerino
del Grongo, di ana asserzione di ClauSt la quale, per quel Pesce, sarebbe in eon-
tradizione con le vedute suesposte.
(^) Eetopterigoide di Huxley, pterigoideo estemo di Stannius, tropfeno di Cavi«r.
CONFOBMÀZIONE BELLO SCHELETRO CEFÀLICO DEI PESCI MXTRENOIDI EC. 113
3.® d'un mesopterigoide {})) 4.® d'un metapterigoide C). Ciò sta-
bilito, si potrebbe credere che la accennata verghetta ossea
del cranio dell'Anguilla rappresentasse un solo di questi ossi,
0 più d' uno fusi insieme : e vi fu chi pensò 1' una cosa o l'altra:
Meckel fu piuttosto inclinato a credere un palatino la verghetta,
Cuvier pensò che rappresentasse, se non mi inganno, tutte le
ossa surramentate ; Parker dà a quest' osso il nome di palato-
pterigoide. Io lo chiamerei e lo considererei addirittura pteri-
goide, escludendo la sua natura mista di palatino e di pterigoide;
e a questo modo di pensare credo diano conferma diverse ra-
gioni : in primo luogo 1' osso stesso non tocca mai i mascellari
superiori ed ancbe con la branca vomerina dell' osso premas-
sillo-etmo-vomerino si articola un po' a distanza, non giungen-
dovi in contatto, ma essendovi unito per mezzo di ligamenti
fibrosi : X osso palatino invece oltre al toccare il vomere, tocca
generalmente anche il mascellare superiore, e fa 6iò anche nei
Teleostei, in cui il mascellare superiore è assai spostato; in
secondo luogo in altri Murenoidi, che non sono le Anguille o
i Gronghi, nei quali si comporta come nelle Anguille, ossia,
come dirò, nelle Murene, 1' osso in quistione è ridotto ai mi-
nimi termini e mentre tocca l' iomandibolare e il quadrato non
giunge affatto uè al mascellare superiore, né alla porzione vo-
merina del premassillo-etmo-vomerino : ora se in quest' osso
fosse compreso anche il palatino tal fatto non si dovrebbe
avere, poiché il palatino, lo ripeto, è in rapporto col mascellare
superiore e col vomere. Io lo chiamo dunque pterigoide e dico
che nell'Anguilla la catena ossea palato-pterigoidea è rappre-
sentata dal solo elemento ora descritto, che si estende dall'osso
quadrato, o più precisamente dal punto di articolazione del
quadrato e dell' iomandibolare tra loro fino presso alla branca
vomerina del premassillo-etmo-vomerino, cui si articola mercè
ligamenti fibrosi. Non è la sola Anguilla, o meglio non sono i
soli Murenoidi i pesci in cui può ridursi la catena ossea palato-
pterigoidea, altri ve ne sono e citerò i Siluridi, gli Eritrinini.
Ma certo sono i Murenoidi che ne danno il più beli' esempio,
come dirò in seguito per la Murena comune.
«
Q) Entopterigoide di Owen e Huxley, pterigoideo intemo di Cuvier.
O Timpanale di Cuvier; Huxley lo chiama, come io ho usato, metapterigoide, —
In tutte le suesposte denominazioni ho seguito Parker.
8e. Nat. VoL Villi ÙMO, 1.* 9
114 E. FICALBI
Deve dirsi qualche cosa ora delle ossa ìmsaìi e degli assetti
periorbitali; tutti questi elementi ossei ci presentano una par-
ticolarità singolare: sono cavi e nella loro cavità scorre un
canale muccoso, o, in altre parole, i così detti canali muccosi
della testa sono in intimo rapporto con queste ossa. Questa
particolarità propria delle suaccennate ossa nei Teleostei, fino
dai vecchi Anatomici fecero sollevare la quistione se le ossa
stesse dovessero piuttosto considerarsi come ossa accessorie,
che come facenti realmente parte dello scheletro cefalico vero
e proprio; toccherò poi questa questione: frattanto in due pa-
role descrivo quelle che per la loro posizione si è indotti a
dover chiamare le ossa nasali; e descrivo poi tutti gli altri os-
setti, che trovar si possono nel muso della Anguilla e che,
senza dare importanza al nome, chiamerò osseti l periorbitnli . —
Le ossa nasali nell'Anguilla sono allungate, gracili, tubulose, con
passaggio di canale muccoso (Fig. 2, 4 e 5 wa). È situato cia-
scun nasale ai lati della branca superiore dell' osso premassillo-
etmo-vomerino, e si estende quanto questa branca, cui è at-
taccato per tessuto connettivo ; in dietro per tessuto connettivo
e ciascun nasale connesso anche con la eminenza aspra che si
proietta in fuori in ogimno dei frontali. — Dopo i nasali debbo
parlare degli ossefti periorbitali: ripeto quello che ho detto
sopra, che, cioè, senza dare importanza preconcetta al nome,
chiamo cosi quella serie bilaterale di piccoli ossicini, tutti sot-
tili e tubolosi, che nella Anguilla cominciando dalla eminenza
aspra del frontale e andando avanti fino alla estremità del
muso, si trovano, e che circuiscono in basso le aperture nasali
e le orbite ( Fig. 2, 4 e 5, a, b, e, d,e,f.g). Nei Teleostei in ge-
nerale queste ossificazioni, o almeno alcune corrispondenti a
queste, sono state dette ossa inf r aorbitali y sottorhitalij ec. ; in
altri Teleostei poi, che non l'Anguilla, si parla anche di osso
lacrimale: dirò poi cosa penso di quest'osso; frattanto veniamo
prima di far delle considerazioni, alla descrizione degli ossetti
periorbitali nella x^nguilla. Dirò, dunque, che in un perimetro
che si trova tutt' all'intorno degli occhi e delle aperture na-
^sali si ha una serie di ossicini (^), che, con i nasali, coi quali
{}) Nei cranii dei Musei in generale non sono presenti questi ossicini, perchò
fìicilmente van perduti, per la loro debole unione e piccolezza, nel preparare i cra-
nii stesti.
.' f
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 115
si connettono, formano una catena, un anello allungato non
interrotto (Fig. 2, e 4) , il quale tutto h percorso da canali muc-
cosi; cominciando dall' indietro, verso, cioè, l'estremità, poste-
riore del nasale e la eminenza laterale, aspra di ciascun fron-
tale si ha, per ogni lato, che gli ossicini suddetti formano una
catena composta di sette di essi (Fig. 2, 4, 5 a, è, e, d, e,f, g)y
catena che si dirige prima esternamente e un po' inferiormente,
poi in avanti e termina verso l'estremo anteriore del nasale;
di questi ossicini, tutti corti e tubulati, i primi tre (a,b,c)
sono diretti in fuori e un po' in basso, e dal frontale costitui-
scono un tratto che giunge alla parte posteriore- del mascellare
superiore: quivi si connettono con altri tre ossetti più allun-
gati, che sono situati un dopo l'altro sopra al bordo del ma-
scellare superiore e che giungono, su quest'osso, fino all'estre-
mità del muso; alla estremità stessa poi è situato con ossicino
a virgola, gr, in direzione trasversale, che connette l'estremità,
anteriore dell' ultimo degli ossetti suddetti, o della catena pe-
riorbitaria, con l'estremità, anteriore del nasale. Così, lo ripeto,
per la contiguità, del nasale e dei periorbitari tra loro viene a
costituirsi un anello allungato, che circoscrive lo spazio in cui
si trovano occhio e apertura nasale. Nella Anguilla ossa nasali
e periorbitarie hanno tra loro estrema rassomiglianza, tutte
sono tra loro collegate da canali muccosi. Ed eccoci ora al pro-
blema che più sopra ho accennato. Hanno tutte queste ossa
lo stesso valore morfologico? Sono accessorie nel cranio? È
questa una quistione che già, i vecchi Anatomici, più dei mo-
derni, che non sembrano darle l' importanza che merita, dibat-
terono : di essa già, trattò magistralmente lo Stannius. Per lui
le ossa nasali e le periorbitali dei Pesci teleostei, queste ossa
a canali muccosi, appartengono al sistema dei canali muccosi
stessi e non realmente al resto del cranio: diverse ragioni
apporta a sostegno della sua tesi; così, per citarne due sole,
egli dimostra che in altre parti del corpo nei Pesci possono
aversi delle ossa a canali muccosi simili alle surricordate ed
anche con queste connesse, dimostra che le surricordate ossa
mancano in quei Pesci che non hanno apparecchio muciparo
nella testa. Io non voglio entrare nel merito della quistione, e
non ne sarebbe questo il luogo: farò notare solo che davvero
nell'Anguilla tanto i nasali, quanto tutti gli altri ossetti tubolosi
116 E. FICàLBI
reperibili nel muso hanno grandissima somigUanza tra loro e,
di più, con ossetti analoghi, che si trovano in altre parti, per
esempio con quelli ossetti a canale muccoso, che sono in con-
nessione con i preopercoli ( V. Fig. 5, pop, x ). Io non metto in
dubbio che nella Anguilla, V ossetto, per esempio, g della catena
( Fig. 2, 4, 5 ) sia un vero e proprio elemento di sostegno di
un canale muccoso; ma quale differenza esiste tra esso e gli
altri, sia pure quelli segnati a, b, e, che sono i più lontani, con-
nessi col frontale, e, nei Teleosti, da tutti gli autori chiamati
gli infraorbitali o periorbitarii? Nessuna differenza trovo nella
Anguilla, tanto che non posso mettere in due diverse categorie
questi ossetti; ed anche i nasali, che così nomino solo per la
loro situazione, non mi presentano nella Anguilla carattere
alcuno che dagli altri ossetti li differenzi. Adunque le idee
di Stannius sembrerebbero davvero trovare ampia base di ap-
poggio nella Anguilla, come quel Teleosteo in cui tanto i na-
sali, quanto i periorbitari sono della maggiore semplicità, ri-
dotti a semplici tubi ossef, percorsi da canali muccosi, e del
tutto simili ad altre ossificazioni, le quali, non vi è dubbio,
appartengono al sistema muccoso. In molti Teleostei si parla
di un vero e proprio osso lacrimale, considerato da molti Ana-
tomici come una differenziazione di uno dei comuni ossetti pe-
riorbitarii ; nella Anguilla un osso cui si possa dar questo nome
non esiste, poiché, lo ripeto, tutti gli ossetti che ritrovansi nel
muso sono uniti tra loro, eccetto la varia lunghezza.
Vengo air apparecchio sospensore ioido-opercolo-mandibo-
lare. — Ad ambo i lati della scatola encefalica ossia sulle pareti
laterali del cranio, e precisamente tra la sporgenza pterotica
e la sfenotica si attacca un osso detto iomandibolare, che con
un altro, che gli è inferiore per posizione, detto il quadrato^*
costituisce r apparecchio sospensore ioido-opercolo-mandibolare,
così chiamato per le ossa a cui dà attacco. L' osso iomandibo-
lare, ( Fig. 4 e 5, y ;/0 ^ alquanto schiacciato e di figura presso
a poco trapezoide; è col suo margine e coi suoi angoli supe-
riori che si unisce alle pareti del cranio: si attacca allo pte-
rotico in tutta quella porzione di quest' osso che si trova com-
presa tra la parte posteriore del cranio e lo sfenotico : col suo
angolo poi superoanteriore, angolo provvisto di una eminenza
articolare, V osso iomandibolare stesso si insinua sotto lo sfa-
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 117
notico, ove questo si impianta sul prootico, e quivi pure, nel
punto di unione di queste due ossa si articola. L' articolazione
di ciaschedun osso iomandibolare sia collo pterotico sia collo
. sfenotico, nel punto ove questo tocca il prootico, si fa sempre
mercè ligamenti, non per sutura, né squamosa, né addentellata.
Ciascun iomandibolare, articolatosi così al lato del cranio che
gli corrisponde, si dirige in basso, inclinando molto in avanti,
e col suo margine inferiore si articola per sutura squamosa
coir osso quadrato. L' iomandibolare non solo si articola al
quadrato, ma col suo margine posteriore dà, attacco altresì
alle ossa opercolari e all' apparecchio ioideo : ed anzi appunto
perchè sorregge ioide e mandibola, a sé gli opercolari, fii detto
iomandibolare. Tornerò sulle ossa opercolari e sulle ioidee tra
poco. Ora passo al quadrato e alla mandibola. — L' osso qua-
drato ( Fig. 4 e 5, 0 g ) fa seguito all' iomandibolare, colla parte
inferiore del quale si incastra per sporgenze ed angoli rientranti
reciproci. Nel punto ove il margine anteriore dell' iomandibo-
lare e del quadrato si uniscono, viene ad attaccarsi coli' estremo
suo posteriore il pterigoide già. noto. L' osso quadrato è di
forma, dirò così, trapezoide ed al suo estremo inferiore presenta
una troclea articolare, alla quale si articola uno dei pezzi della
mandibola, 1' articolare. — Tra osso iomandibolare e quadrato
non riscontrasi nell'Anguilla il simplettico, il quale è presente
nel cranio degli altri Teleostei.
La mandibola o mascella inferiore consta di due branche,
una destra, una sinistra, e queste a lor volta di tre pezzi cia-
scuna: essi cominciando da dietro, sono 1' articolare j il coronoide,
il dentale. Li accenno un per uno. — L' osso articolare ( Fig. 4
e b, art) è di forma triangolare, presenta una superficie di
articolazione per la troclea del quadrato: è di origine cartila-
ginea, come si sa; si articola al dentale, che lo ricuopre per
buona parte esternamente con la porzione sua posteriore. —
Nella mandibola dell'Anguilla non v' è distinto osso angolare
come in altri Teleostei. — L' osso coronoide ( Fig. 5, o A: ) è pic-
colissimo, di forma presso che triangolare ; è situato nella faccia
intema di ciascuna branca mandibolare, tra articolare e den-
tale. E seguendo Parker che chiamo quest' osso coronoide; il
Cuvier lo chiamò opercolare in altri Teleostei. — L' osso dentale
è il più grande tra i componenti la mandibola: è allungato,
118 E, nCALBI
cavo, porta piccoli e numerosi denti ( Fig. i e òy det);e. come
si sa, di origine membranacea. Xella sua cavità è contenuta
la cartilagine di Meckeì, che si immedesima indietro con V ar-
ticolare. H dentale di un lato si articola, al suo estremo an-
teriore, con quello dell' altro lato per mezzo di tessuto fibroso,
costituendo la sinfisi maìidibolare; in dietro poi si articola con
r articolare e con il coronoide. — Così abbiam preso nozione
deir apparecchio mascellare inferiore o mandibolare, ed abbiam
visto eh' esso non si attacca direttamente al cranio, ma fa ciò
con l'intermezzo dell' iomandibolare ; questo modo di attacco
porta il nome di disposizione iostilica.
All'apparecchio sospensoriale ioidomandibolare sono con-
nesse per ogni lato quattro ossa speciali, ossia le così dette
ossa opercolari, piatte e piuttosto sottili: le descrivo. — Delle
ossa opercolari, il pezzo superiore dicesi V opercolo (Fig. 4 e 5, op):
è laminare, presso a poco ellittico, disposto orizzontalmente:
al suo estremo anteriore presenta una faccetta articolare, che
combacia e si attacca con una faccetta corrispondente posta
sopra una piccola apofisi del margine posteriore dell' iomandi-
bolare. — H mainine inferiore dell' opercolo dà attacco al se-
condo osso opercolare: è questo un osso falciforme, stretto e
allungato, che segue esattamente il margine inferiore suddetto
dell'opercolo da dietro in avanti per tutta la sua estensione:
dicesi il sottopercolo o il subopercolo ( Fig. i e o, sop). — Al
davanti e un po' più in sotto del punto di attacco dell' oper-
colo si trova il terzo pezzo: e un osso presso a poco triango-
lare, che ricuopre alquanto la prima porzione del subopercolo
e si attacca con la sua faccia intema all' ioide, col suo angolo
inferiore per ligamenti all' angolo posteriore dell' osso articolale
della mandibola : dicesi l' interopercolo ( Fig. 4 e 5, « o p ) . — An-
teriormente all' interopercolo si ha il quarto pezzo che ricuopre
alquanto l' interopercolo stesso in modo imbricato: è un osso
quasi a mezzaluna, che al suo estremo superiore presenta un
processo sottile, a punta: dicesi il preopercolo (Fig. 4 e 5, pò/)),
il quale, mentre superiormente col suo processo a punta, si
attacca all' iomandibolare, inferiormente per ligamento si con-
nette all'angolo posteriore della mandibola. Faccio qui noto
che alla base del processo a punta del preopercolo si inserisce
un tubulo osseo, armatura di sostegno di un canale muccoso
(Vedi Fig. 6, pop, x).
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 119
Vengo air apparecchio ioideo. — Al margine posteriore di
ciascuno dei due iomandibolari si attacca per ligamenti il così
detto ioide, e dicendo ioide non si intende di parlare di un
unico pezzo, ma di diverse ossa tra loro riunite; l'ioide, in
altre parole, che meglio deve dirsi apparecchio ioideo, risulta,
di due branche o archi ossei (uno per lato, e composto ciascuno
di due pezzi, come dirò) diretti in basso e in avanti, che ven-
gono a riunirsi tra loro inferiormente sulla linea mediana, ove
danno attacco a due pezzi mediani, ventrali, che dell'apparec-
chio ioideo sono parte integrante: su ciascun arco o branca
ioidea poi si attaccano una serie di raggi ossei, che vedremo
chiamarsi raggi branchiostegali. Descrivo brevissimamente que-
ste varie parti, così accennate. — Ciaschedun arco ioideo o cia-
scheduna branca dell'ioide, (destra e sinistra), risulta di due
pezzi: uno superiore, che e quello che mercè ligamenti si at-
tacca all' iomandibolare e che dicesi epiale (Fig. 5, ey), esso è
il più piccolo; uno inferiore, che dicesi ceratoiale (Fig, 4 e 5, e i/),
che è più grande e che sulla linea mediana inferiore si unisce
alle ossa o pezzi ventrali, che lo legano a quello dell' altro lato ;
i due descritti pezzi di ciascuna branca dell'ioide si articolano
tra loro, dirò così, per sutura squamosa: infatti l'inferiore ha
dei prolungamenti sottili, che si estendono sul superiore e vi
si uniscono. Ho accennato poco fa che ciascuna branca del-
l'ioide, o meglio il pezzo superiore, o epiale, di ciascuna di esse
si unisce all' iomandibolare per ligamenti : ora dirò che, a dif-
ferenza di ciò che ho così descritto per l'Anguilla, nel cranio
di altri Teleostei ( che portansi a tipo di descrizione, quali
r Esox, il GaduSj la Perca) tra ciascuna branca dell' ioide e il
corrispondente iomandibolare trovasi intercalato un piccolo
pezzo osseo, che dicesi osso interiale o stiloiale: adunque, per
ripeterlo, nel cranio dell'Anguilla manca l' osso interiale o sti-
loiale. — Le branche dell' ioide dirette come sono in basso,
anteriormente e indentro, si incontrano l' una con l' altra ven-
tralmente sulla linea mediana : in questo loro punto di unione
si attaccano con dei pezzi ioidei mediani, che sono in numero
di due, e, naturalmente, impari e simmetrici: sono uno supe-
riore all'altro; il superiore dei due, lungo e piuttosto affilato,
è disposto in senso poster oanterior e: è lo scheletro della lingua
e dicesi osso glossoiale o eìvtoglossale, o entoglosso ( Fig. 4 e 5, jf y),
120 E. nCALBI
è il bdsiaU di Parker; si articola, con la sua parte posteriore,
rigonfiata alquanto ; con la estremità anteroinferiore delle bran-
che ioidee; il pezzo inferiore è tozzo, corto, e trovasi situato
sotto la estremità anteroinferiore delle due branche ioidee, alle
quali si attacca: è diretto da avanti in dietro, con la sua estre-
mità posteriore, cioè, che è più sottile, guarda posteriormente:
dicesi osso uroiale (basibranchiostegale di Parker) e si vede nella
Fig. 4 e 5, uy. Così ho descritto i due pezzi ioidei mediani : ve-
dremo poi che alla estremità posteriore dell' entoglossale si
attacca il primo dei pezzi ventrali dell' apparecchio branchiale.
Ora prima di procedere, devo far notare una cosa: da quello
che ho descritto poco sopra risulta che le branche ioidee, o
meglio il pezzo inferiore di ciascuna di esse, o il ceratoiale, si
attacca direttamente all' entoglosso e all' uroiale, senza l'inter-
mezzo di nessun altro pezzo osseo : ma in altri Teleostei le cose
non stan così: in essi tra il ceratoiale e i pezzi ventrali me-
diani trovansi due ossetti per lato, che sembrano terminare
inferiormente il ceratoiale, e che diconsi ossetti ipoiaìi: sono
stati detti anche baciali, ma siccome alcuno (Parker) dà l'ap-
pellativo di bastale all' osso glossoiale, così io credo che il nome
di ipoiali sia il più conveniente: nel cranio dell'Anguilla, per
concludere, mancano gli ossetti ipoiali. — Ciascheduna delle
due branche dell' ioide o ciascedun arco ioideo, dà attacco ad
una serie di ossa singolari, sottili, simili a tanti stiletti lunghi
e ricurvi; diconsi raggi branchiostegali (Fig. 4 e 5, r ór); sono
in numero di 1 2 per parte ; ho detto che si attaccano (per li-
gamenti) alle branche dell'ioide, ma a quale dei pezzi di cia-
scuna branca, all' epiale o al cerotoiale? Rispondo tosto che si
attaccano tutti al pezzo superiore o all' epiale : in altri Teleostei
ciò non avviene, perchè i raggi branchiostegali si attaccano d
al ceratoiale, o a questo e all' epiale. Per dimensione non sono
i raggi branchiostegali nell'Anguilla tutti uguali: i primi, co-
minciando di basso, sono corti e poco arcuati ; mano, mano poi
che si sale in alto vanno facendosi allungatissimi e ritòrti a
semicerchio in alto: sono tanto ricurvi che la loro estremità
libera, sottile e filiforme, guarda in avanti ; l' ultimo dei raggi
branchiostegali, e il superiore a tutti, ritorto completamente a
semicerchio, invece di essere filiforme, è laminare, conformato
a guisa di falce.
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 121
Per terminare V enumerazione delle ossa dello scheletro
cefalico della Anguilla, non mi resta che parlare dell' apparec-
chio branchiale. Questo, come in generale nei Pesci teleostei,
è composto di cinque paia di archi branchiali, paia disposte
neir Anguilla come tanti V uno dietro l'altro: le branche di
ciascun paio risultano, secondo che sono più o meno anteriori,
di un numero diverso di articoli o pezzi, come dirò; le due
branche degli archi branchiali più perfetti ( 1 .® e 2,^ ) sono col
loro estremo anteroinferointemo, che costituisce il vertice del V,
connesse con ossificazioni ventrali mediane (ossa basibran-
chiali ), mentre dei pezzi ossei superiori, in numero pari, ossia
bilaterali ( ossa faringobranchiali ) rilegano tra loro ( lato per
lato, cioè tutte le dèstre tra loro, le sinistre tra loro, e non
destre con sinistre ) le estremità superiori delle branche delle
prime quattro paia degli archi. Vediamo meglio queste parti,
cominciando dal primo paio degli archi e venendo in dietro:
la descrizione del primo paio ci farà vedere come deve esser
costituito un arco branchiale perfetto. — Subito al di dietro
dell' entoglossale e situato sulla medesima direzione, trovasi
un pezzo osseo, cilindroide, lungo un po' meno della metà del-
l' entoglossale ( Fig. 4: eò, l.^bb); questo osso mediano col suo
estremo anteriore si attacca all' estremità posteriore dell' ento-
glossale, col suo estremo posteriore dà attacco alla estremità
anteroinferointerna, o ventrale, delle due branche del primo
paio d' archi branchiali: in altri termini, quest' osso è il pezzo
ventrale mediano del primo paio di archi branchiali: è il primo
di quelle che chiamansi ossa basibranchiali, alle quali Cuvier dava
il nome di captile branchiali. Vediamo ora il primo paio di ar-
chi ( Fig. 5 ) : come ho detto più sopra, i due archi del primo
paio (come gli altri) formano tra loro una specie di V, del
quale ciascuna branca. rappresenta appunto un arco ; ora, ognuna
delle branche del primo paio di archi consta di tre pezzi od
articoli : uno inferiore corto, che forma, unendosi a quello del-
l' altro lato il vertice del V, è, cioè, il pezzo anteriore e dicesi
osso ipobranchiah ( Fig. 5, 1.^ ip ); uno medio, che è il più lungo
di tutti e forma la massima parte dell' arco : dicesi osso cerato-
branchiale ( Fig. 5, 1."^ ce); uno superiore, piccolo, schiacciato,
di forma presso a poco triangolare, e che dicesi osso epibran-
ckiale (Fig. 5, l."" epb). Vedutane I21, costituzione; guardiamo come
I22 E. nCALBI
è disposto il primo paio di archi : può dirsi che nel cranio in-
tegro il pezzo ceratoiale e ipoiale, Y uno in seguiòo all' altro,
sono situati orizzontalmente, o quasi, sul piano inferiore del
faringe, e da fuori in dentro i due pezzi di un lato, conver-
gono sulla linea mediana con quelli dell' altro lato, incontran-
dosi per costituire il vertice del V subito dietro al primo ba-
sibranchiale ; il pezzo epibranchiale e piegato in alto, in modo
da circoscrivere di lato e verso V alto il faringe; cosi è costi-
tuito il primo paio di archi, nel quale, ripetendo, si trova un
basibranchiale, due ipobranchiali, due ceratobranchiali, due epi-
branchiali ( dirò poi dei faringobranchiali ). — H secondo paio
di archi branchiali e costituito e disposto in modo perfetta-
mente simile al primo, onde non ne sto a descrivere ad uno
ad uno i pezzi ; v' e soltanto una certa differenza relativa-
mente al pezzo osseo mediano ventrale, o al secondo osso ha-
sihranchiale ( Fig. h, 2,"" bb): mentre abbiamo visto che gli archi
del primo paio con la loro estremità, anteriore si connettono
air estremo posteriore del primo basibranchiale, quelli del se-
condo paio non sono connessi direttamente al secondo basi-
branchiale, ma, coi loro estremi, che costituiscono il vertice
del V, si uniscono al suddetto secondo basibranchiale per un
tratto ligamentoso: il secondo basil^rauchiale, quindi, oltre ad
essere molto più gracile del primo non è in contatto imme-
diato con gli archi suoi corrispondenti, ma si attacca solo alla
parte posteriore dell' estremità di quelli del primo paio, costi-
tuendo così la prima parte di un tratto osseo-fibroso, che riu-
nisce primo e secondo paio di archi branchiali. Vedremo che
non esiste un terzo basibranchiale : quindi nell'Anguilla dall' en-
toglossale venendo in dietro, presto vanno scomparendo i pezzi
mediani ventrali dell' apparecchio branchiale, — H terzo paio
di archi branchiali ci presenta una riduzione dei pezzi costi-
tuenti; ciascheduno di essi non consta che di un ceratobranchmle
( Fig. 5, 5.^ r é? ) e di un epibranchiale (3.'' epb), manca il pezzo
ipobrayicìiialey che resta rappresentato da cartilagine: in altri
Teleostei anche il terzo arco consta dei tre soliti articoli. In
corrispondenza del terzo paio di archi che descrivo, manca ogni
basibranchiale (come più sopra ho accennato), in modo che
secondo e terzo paio di archi ventralmente sono semplicemente
connessi da un tratto fibrosocartilàgineo ; l'Anguilla così, a dif-
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. l23
ferenza di altri Teleostei ha due soli basibranchiali. — H quarto
paio di archi branchiali è costituito come il terzo. -^ H quinto
paio di archi è più ridotto di tutti e inerita speciale conside-
razione. Ciascun arco di questo paio, propriamente parlando,
non consta che di un solo pezzo, del ceratobranchiale, (Fig. 5,
Ó,"* ce)y che si presenta molto più sottile che non nei prece-
denti archi; questo ceratobranchiale costituente il quinto arco, è
connesso quasi per tutta la sua lunghezza al ceratobranchiale
del quarto arco, al margine posterointerno del quale aderisce,
specie con la sua metà anteriore. I due ceratobranchiali, costi-
tuenti da soli tutto il quinto paio di archi, vengono detti sovente
ossa ipofaringee: sono le ossa faringee inferiori di Cuvier; i due ce-
ratobranchiali stessi sostengono, ossia danno attacco, e in ciò
sta la loro particolarità, ciascuno ad una placca ossea, sottile, di
forma triangolare allungatissima, irta di numerosi e minutissimi
denti: queste due ossa in quistione (una per lato) nel cranio de-
composto ( V. Fig. ò, z z) sembrano rappresentare un sesto paio
di archi branchiali; ma sono esse realmente archi branchiali? No:
Esse sono phicche ossee dentigere, di origine membranacea; non
in tutti i Pesci teleostei esse, come nell' Anguilla che descrivo,
trovansi esistenti: in molti sono saldate intimamente, fino ab
initio, ai due ultimi ceratobranchiali, ossia alle così dette ossa
ipofaringee, che appaiono irte di denti ; questa isolabilità dalle
ossa contigue delle placche dentigere della Anguilla h un fatto
morfologico interessante (^). — Devo ora parlare di quei pezzi
ossei superiori agli archi branchiali e con essi connessi, che
neir un lato e nell' altro, ritrovansi e che già dissi chiamarsi
ossa faringobranchiali. Esse, lo voglio accennar subito, sono anche
chiamate ossa epifaringee o ossa faringee superiori. Se noi de-
componiamo nei suoi pezzi V apparecchio branchiale di una
Anguilla, troveremo connesse con le estremità di ambedue i
lati delle arcate branchiali quattro ossa per parte, come mostra
la Fig. 5 ; vediamo in due parole la disposizione di queste ossa
neir apparecchio branchiale integro e dimandiamoci poi quale
significato ha ciascuna. Il primo ossetto dei quattro (si intende
che io mi riferisco ad un lato solo) è il più minuto, (Fig. 5,
(') Non mi estendo di più a dire del significato morfologico importante che,
nella filogenesi dolio scheletro cefalico, si dà alle placche dentigere.
124 E. FICALBI
1.^ fa) è piuttosto allungato, e disposto anteroposteriormente :
connette tra loro le estremità superiori dei due primi archi
branchiali, ossia connette il primo e secondo osso epibranchiale :
questo ossetto è indubbiamente un vero e proprio faringobran-
chiale ; in altri Pesci teleostei serve all' attacco dell' apparec-
chio branchiale allo scheletro assile; non fa ciò nell'Anguilla,
nella quale 1' apparecchio branchiale, come dirò, aderisce al
resto dello scheletro soltanto per mezzo del primo basibran-
chiale. H secondo ossetto (Fig. 5, 2."" fa), sempre di forma allun-
gata ed un pocolino triangolare, è un po' più grosso del primo,
ha la stessa direzione anteroposteriore e serve a connettere
tra loro le estremità superiori del secondo arco branchiale e
del terzo : la estremità superiore del quarto si addossa al terzo,
e quella del quinto è libera. Anche il secondo ossetto ora de-
scritto è un vero e proprio faringobranchiale. Vediamo il terzo
e quarto ossetto (Fig. 5, k k) : sono ambedue piatti, sottili, irti
di minutissimi denti; tra loro sono intimamente connessi, in
modo che sembrano costituire un'unica placca ossea, la quale
è attaccata al di sotto della estremità superiore del terzo e
quarto arco (terzo e quarto epibranchiale) e fa parte della
vòlta della cavità faringobranchiale; quale significato hanno
questi due pezzi ossei, tra loro riuniti a costituire la rammentata
più volte placchetta ossea (bilaterale), irta di denti? Essi non
devono considerarsi quali ossa faringobranchiah : sono placclie
ossee denfigere, di origine membranacea, analoghe alle placche
ossee dentigere, che già ho detto aderire al quinto paio di archi
branchiali. Così che nella Anguilla i veri ossi faringobranchiali
sono soltanto due per lato. In molti altri Teleostei (si esamini,
per esempio, la Sciaena umbra), le ossa faringobranchiali, o epi-
faringee, sono realmente quattro per lato, delle quali le due
ultime fomite di denti; ma non hanno l' apparenza delle placche
dentigere della Anguilla; sibbene ci rappresentano ossificazioni
cartilaginee, alle quali, fino ab initio, sonosi saldate intimamente
le placche ossee dentigere. — Così ho descritto, esaminandolo
nei suoi singoli pezzi, l'apparecchio branchiale dell'Anguilla.
Diamogli ora uno sguardo in generale, ossia complessivo. In
primo luogo, in uno sguardo all'apparecchio branchiale dell'An-
guilla, si nota eh' esso ha i suoi archi disposti quasi orizzon-
talmente da dietro in avanti, situati, cioè, quasi per intiero,
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOEDI EC. l25
ossia col loro pezzo più lungo o ceratobranchiale, sul piano in-
feriore o ventrale della cavità faringobranchiale ; si nota anche
che gli archi branchiali non circoscrivono per nulla completa-
mente in sopra il faringe, poiché i pezzi di un lato non toc-
cano minimamente quelli dell'altro. In secondo luogo, altra
cosa importante che si nota è questa: che l'apparecchio bran-
chiale della Anguilla quasi per intiero ò situato assai indietro,
ossia quasi del tutto in fuori del cranio; guardando, in altre
parole, di sopra perpendicolarmente il cranio di una Anguilla,
si nota che quasi tutto l'apparecchio branchiale rimane sco-
perto e indietro di una perpendicolare abbassata dal basiocci-
pitale, di tutto ciò .può farcisi un' idea, guardando la semische-
matica Fig. 1 2. Per quale mezzo è attaccato al resto dello sche-
letro cefalico l'apparecchio branchiale della Anguilla? Esso non
si attacca al resto del cranio che per mezzo del primo basi-
branchiale, il quale tiene rilegato all' entoglossale e alle branche
ioidee l'apparecchio branchiale stesso: nell'Anguilla dunque, a
diflFerenza di altri Teleostei, che hanno un mezzo di attacco
dorsale, esiste il solo attacco ventrale accennato.
Con quello che sono venuto fino ad ora dicendo, ho anali-
ticamente dato idea della costituzione dello scheletro cefalico
dell'Anguilla, ho, cioè, enumerato i pezzi costituenti, e, come
il lettore, spero, avrà potuto notare, non è stata questa mia
fatica inutile, perchè diverse peculiarità, in confronto del cranio
di altri Pesci teleostei, ho potuto mettere in rilievo. Per com-
pletare ora la descrizione dello scheletro cefalico della Anguilla,
è necessario dare ad esso uno sguardo complessivo o d'insieme.
Se noi ci facciamo a riguardare la forma complessiva del
cranio di una Anguilla, tosto potremo notare eh' essa forma
alquanto si discosta da quella, che ci presenta il cranio di molti
altri Pesci teleostei (per esempio, Perca, Serranm gigas, ec);
infatti nell'Anguilla abbiamo un cranio, dirò così, raccolto, senza
quei mascellari superiori liberi in dietro, slargati, sporgenti,
senza quello sproporzionato tratto palatopterigoideo, composto
di molteplici pezzi, senza le enormi ossa opercolari, come può
vedersi in molti Teleostei, nei quali il cranio presenta il noto
aspetto poco elegante e scomposto. Per il fatto dell' essere ben
raccolte tra loro le varie ossa, dell'esser proporzionati e for-
niti di denti i mascellari superiori, per il fatto dell' esser V io-
126 E. FICALBl
mandibolare e Tosso quadrato strettamente articolati in rai
tutto immobile, per il fatto della presenza di un solo osso pte-
rigoide, che dalle parti anteriori del muso giunge al quadrato,
ed anche per la sagoma generale del cranio, specie se spogliato
dell'apparecchio opercolare e ioidobranchiale, il cranio stesso
dell'Anguilla ad una occhiata superficiale ricorda certi tratti
del cranio di molti Rettili (per esempio, il cranio ofidiano; anche
quello dello Psnmmosaurus) : si capisce facilmente che questa
rassomiglianza è in molte cose superficiale, perchè nella sua
costituzione fondamentale il cranio della Anguilla rientra del
tutto nelle regole generali del cranio dei Pesci: tuttavia la
suddetta rassomiglianza non è da prendersi in ridìcolo, e, per
esempio, specialmente la disposizione dello pterigoide non è so-
lita nei Pesci, e fa risovvenire, lo ripeto, il cranio rettiliano.
Queste parziali rassomiglianze, che sono venuto accennando,
•non erano passate inosservate a Meclel {^) , che le notò in
generale per tutti i Pesci murenoidi; egli, però, si spinse un
po' troppo nelle sue conclusioni; disse, infatti, che la suaccen-
nata organizzazione riattaccava i nanmottati Pesci ai Rettili;
disse anche, riferendosi alla disposizione che sopra ho accen-
nato dell' unico pterigoide, che ciò " stabilisce evidentemente
un ravvicinamento rimarchevole tra l'organizzazione dei sud-
detti Pesci e quella dei Rettili, sopra a tutto delle Salaìnatidre
e degli Ofidiani „ . — Tutto ciò che ho detto ora e tutte quelle
peculiarità., che sono sempre andato esponendo nella descrizioìie
analitica, ci dimostra che lo scheletro cefalico della Anguilla
ha realmente delle differenze importanti a conoscersi confron-
tato con quello di altri Teleostei, e ci dimostra altresì che
opera inutile non ho fatto, prendendolo ad argomento di studio.
2. — Scheletro cefalico del Grongo comune
La descrizione dello scheletro cefalico del Grongo comune
{Conger valga ris, Cuv.) (-) è grandemente facilitata da tutto quello
che ho detto a proposito del cranio dell'Anguilla: anzi per non
mettermi al caso di ripetere cose già scritte, non rifarò da
(») Meckel -- Tratte gen, d*A«. comp,, Paris 1829. Tome li, pag. 484 et 483.
(^) Muraena conger, Linneo.
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 127
capo la descrizione analitica del cranio del Grongo, ma, pas-
sando sopra con poche parole al già cognito, mi limiterò solo
a ricordare quelle particolarità nelle quali esso differisce da
quello dell'Anguilla comune.
Il basioccipitale, gli esoccipitali hanno la stessa disposizione
che nella Anguilla; il sopraoccipitale pure è piccolo e non entra
per nulla a circoscrivere il grande forame. V è, però a proposito
del basioccipitale e del sopraoccipitale del Grongo da avvertire
qualche particolarità: il basioccipitale ha, a differenza di quello
dell'Anguilla, un prolungamento squamiforme anteriore, col quale
giunge a toccare, sulla base della cavità encefalica, i prootici ;
questi poi essendo ravvicinati tra loro, ne deriva che nel Grongo
non esiste, o è minima queir area della base della cavità en-
cefalica priva di osso cartilagineo, e solo costituita dal para-
sfenoide, area che, come ebbi già a dire, nella Anguilla trovasi
tra limite anteriore del basioccipitale, posteriore del basisfenoide,
interno e inferiore dei due prootici. Il sopraoccipitale è nel
Grongo relativamente più lungo nel senso anteroposteriore di
ciò che non sia nella Anguilla, e si insinua di più sotto e tra
i parietali. — Gli epiotici, gli pterotici sono situati come nella
Anguilla e, come in essa, non vi soìio. opistotici distinti, I proo-
tici^ gli alisfenoidij gli sfenotici sono disposti come nella An-
guilla. Vi è un bamsfenoide, e v' è un parasfenoide lunghissimo ;
non esiste, a similitudine della Anguilla, nessuna ossificazione
presfenoidea od orbitosfenoidea. Lo spazio non ossificato inte-
rorbitario è ampio e limitato dalle stesse ossa come nella An-
guilla. I parietali sono quasi simili, e similmente disposti come
nella Anguilla. — I frontali sono rappresentati, almeno in Gron-
ghi adulti 0 presso che adulti, da un unico pezzo; si ha, cioè,
un frontale unico, impari, mediano, simmetrico. — L' osso pre-
^nassillo-etmO'Vomerino, le cartilagini esetmoidee, i mascellari su-
periori sono come nella Anguilla (^). Gli pterigoidei sono, com'è
neir Anguilla, in numero di un solo per lato ; però, posteri or-
(') Neir eccellente Trattato di Zoologia di Claus {Tratte de Zool. par C. Claus^
traci, par G. Moquin Tandon, Paris, 1884; pag. 124i), nel punto ove si parla del
Conger, tra le altre cose, si trova eh* esso possiede < Ossa intermascellari sprovviste
di denti, libere nella pelle molle del musoT^, Questa asserzione senza dubbio non
sta bene: il Conger^ come gii altri Murenoidi, ha le ossa premasce Ilari o interma-
scellari saldate col vomere e col meselmoide a costituire un osso prcmassillo-étmo-
vomerino. Quelle che il Claus (fjrse ad imitazione di altri) chiama gli in torma-
128 E. FICALBl
mente, là, ove si articolano per incastro coli' iomandibolare
e col quadrato sono più slargati, ed anteriormente più da vi-
cino che non nella Anguilla toccano V osso premassillo-etmo-
vomerino.
Le ossa nasali e le periorbitali presentano nel Grongo delle
differenze importanti confrontate con le ossa omonime nella
Anguilla. Vediamo quello che si osserva nel Grongo. — Le due
ossa nasali sono (Fig. 6, n a) allungate, applicate per tutta la
lunghezza del loro margine interno ai lati della branca supe-
riore dell' osso premassillo-etmo-vomerino, danno passaggio a
canale muccoso, ma sono più slargate, più piatte che non nella
Anguilla, hanno il margine estemo loro alquanto ondulato. —
Gli ossetti periorbitarii sono disposti come mostra la Fig. 6;
descriviamoli ( da un lato ) cominciando dal di dietro o dalla
eminenza del frontale. In primo luogo si hanno tre ossetti
(Fig. 6, a, hj e) che formano un tratto tra i lati della estremitìi
anteriore del frontale e la posteriore del mascellare superiore;
questi tre ossetti sono disposti precisamente come i tre corri-
spondenti del cranio della Anguilla, e sono loro omologhi. Con-
nesso con questi ossetti, cui fa seguito in avanti, trovasene uno
lungo, piuttosto sottile, cilindrico, tuboloso (rf): è situato sul
mascellare superiore ; in dietro si attacca al periorbitario e , già
noto, in avanti non si connette direttamente con alcun osso,
ma ha 1' estremo libero. Poco in avanti, però, di questo estremo
trovasi un osso ampio, piatto, anfrattuoso, di forma triango-
lare {e)j il quale altro non può esser considerato, che il così
detto osso lacrimale ( come è in molti altri Teleostei ) {}) ; nella
Aìiguilla non esiste nessun osso così fatto, e ciò costituisce diffeì'enza
rimarchevole; né un osso simile esiste in alcun altro Murenoide;
nella Anguilla e negli altri Murenoidi gli ossetti periorbitali
rimangono presso a poco tutti uguali; cosa dimostra ciò? Di-
•
Bcellari, privi di denti e liberi nella pelle del muso, altro non sono da considerarsi
che i lacrimali (Fig. 6, fr). di cui parlerò tra poco; e che le ossa suddette nulla
abbiano di comune coi premascellari, che sarebbero davvero ben strani e lontaai
dalla disposizione murenoide, lo prova, tra altro, e la loro posizione e Tesser con-
nessi e traversati dai canali muccosi stessi, che sono in rapporto con le altro ossa
periorbitali e che sono i medesimi che negli altri Murenoidi attraversano le ossa
periorbitali non differenziate, che occupano il posto tenuto nel Cofiger dai lacrimali.
(1) È queir osso che più indieti'o dissi esser impropriamente considerato dal
Claus il premascellare.
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 129
mostra che il lacrimale del Grongo (e dei Teleostei in generale)
altro non è che uno dei veri e proprii ossetti periorbitarii, il
quale è grandemente accresciuto; se noi dovessimo prendere
come tipo l'Anguilla, si potrebbe dire : I Pesci teleostei hanno
un cerchio di ossicini, per ciascun lato del muso, che comprende
nel suo perimetro V orbita e V apertura nasale : di questi ossicini
uno (per ciascun lato) crescendo e diflPerenziandosi , diviene il
nasale, un altro, pur crescendo e differenziandosi alquanto, di-
viene il così detto lacrimale: e queste idee concorderebbero,
presso a poco, con quelle già emesse da Stannius. In avanti
del lacrimale vero e proprio ora descritto trovasi nel Grongo
un ossicino piccolissimo, tubulato (/*): esso è, veramente, troppo
distante dall'orbita per esser chiamato a ragione periorbitario,
e poi, per ripetere ciò che dissi dell' ossetto simile che si trova
nella Anguilla (segnato g), non v' è dubbio che altro non è che
un vero e proprio elemento di sostegno di un canale muccoso;
ma d' altra parte ha tante analogie, fuor che nelle dimensioni,
con gli altri ossetti periorbitarii, che ho creduto bene di ram-
mentarlo qui. Così, per concludere, nel Grongo abbiamo nel
muso sette ossetti a canali muccosi per ogni lato, tra i quali il
nasale e un po' slargato e lungo, ed uno dei periorbitali è pur
slargato, triangolare, essendosi trasformato in un vero lacrimale.
L' apparecchio sospensore ioido-opercolo-mandibolare è com-
posto (per ciascun lato) di un iomandibolare e di un quadrato
articolati tra loro e disposti, relativamente alle ossa circonvi-
cine, come nella Anguilla; tra iomandibolare e quadrato non
riscontrasi, a similitudine dell' Anguilla, il simplettico. — In
ciascuna branca della mandibola trovasi un articolare, un coro-
noide, un dentale, come nella Anguilla; ed anche nel Grongo
manca l'angolare. Le ossa opercolari sono nello stesso numero
che nella Anguilla e nei Pesci teleostei in generale: sono, cioè,
V opercolo,, il suhopercolo, V inter opercolo , e il preopercolo; di
questi ossi, quello detto opercolo differisce un po' tra Grongo
e Anguilla, essendo nel primo di forma presso che semilunare,
con l'estremo posteriore, cioè, rivolto in alto e il margine su-
periore concavo, a differenza della Anguilla che ha quest'osso
presso a poco ellittico, con margini • per nulla ritorti a semi-
luna. — Ciaschedun arco ioideo, a similitudine della Anguilla,
consta nel Grongo di un epiale e di un ceratoiale; come in essa,
Se, Nat. Voi Vm, fase. 1.'* IO
130 E. nCALBI
manca V interiale o stiloiale. Vi è un glossoiale come nella An-
guilla. — \jOsso uroiale o hasihranchiostegale esiste, ma, mentre
nella Anguilla è tozzo e corto, nel Grongo è allungatisslmo:
l'estremo anteriore suo è slargato e con esso si attacca alle
branche ioidee; il resto dell'osso è stili forme, e col suo estremo
posteriore giunge fino alla base dell' ultima -arcata branchiale,
mentre nell'Anguilla neppure è in corrispondenza con la prima. —
Mancano, a proposito dell'apparecchio ioideo, nel Grongo come
nella Anguilla, gli ossetti ipoiali. — 1 raggi hranchiostegali nel
Grongo sono in numero di 8 per parte; sono molto più robusti
che non nella Anguilla (che ne ha 12) e relativamente più corti:
in luogo di terminare con estremitìi assottigliatissima, i tre su-
periori di ogni lato sono un poco slargati ; come nella Anguilla,
i raggi hranchiostegali sono molto ricurvi in alto, ma, oltre
che in alto, i più lunghi sono un po' diretti anche in dentro;
sono attaccati tutti all' epiale.
Veniamo all'apparecchio branchiale. Esso è composto, al
t solito, di cinque paia di archi, come quello dell'Anguilla, dal
quale pochissimo diflferisce per la sua costituzione analitica, mol-
tissimo circa al suo insieme generale. Dal punto di vista della
costituzione analitica, accennerò le seguenti differenze, essendo
il resto uguale; nel Grongo le ossa basihranchiali sono in nu-
mero di trsy invece che di due come nella Anguilla, in altre
parole le prime tre paia di archi ne sono fornite. Gli archi sono
costituiti nel Grongo degli articoli stessi che i corrispondenti
nella Anguilla; il quinto paio di archi, come nella Anguilla,
possiede due placcìie ossee dentigere allungate, una per ogni
lato. Le ossa faringobrancìdaU sono come nella Anguilla, e,
come in essa, nella linea delle faringobranchiali sono situati
( per ogni lato ) due ossetti piatti, sottili, irti di denti e tra
loro intimamente connessi, in maniera che sembrano costi-
tuire un' unica placca ossea, attaccata al di sotto della estre-
mità superiore del terzo e quarto arco (terzo e quarto epi-
branchiale); sono questi, al solito, placche ossee dentigere della
volta faringea. — Vediamo ora le differenze che da uno
sguardo complessivo dell' apparecchio branchiale del Grongo
comparato con quello della Anguilla emanano. Si nota prima
di tutto che mentre nella Anguilla gli archi branchiali sono
situati quasi orizzontalmente da dietro in avanti, nel Gron-
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 131
go essi sono molto più sollevati, e rimarchevole ò a questo
riguardo la differenza. Nemmeno nel Grongo, ugualmente a ciò
che accade nella Anguilla, gli archi branchiali circoscrivono
completamente in sópra il faringe, non toccandosi i pezzi di
un lato con quelli dell'altro. Veniamo ad una differenza note-
volissima: dissi che nella Anguilla l'apparecchio branchiale è
quasi per intiero situato assai indietro, ossia quasi del tutto
in fuori del cranio; nulla di tutto ciò nel Grongo: in esso in-
vece si nota che l'apparecchio branchiale è situato nel suo com-
plesso sotto il cranio (Fig. 13). Come si attacca al resto dello
scheletro cefalico l' apparecchio branchiale del Grongo? Per
quanto gli epibranchiali e i faringobranchiali siano in contatto
con la base del cranio (ciò cTie non è nella Anguilla), pur tut-
tavia l'attacco reale delio apparecchio branchiale al restante
dello scheletro cefalico si fa nel Grongo, come per l'Anguilla, per
mezzo del primo basibranchiale, il quale tiene rilegato all' ento-
glossale e alle branche ioidee l'apparecchio branchiale stesso.
In uno sguardo complessivo o d' insieme del cranio del
Grongo notansi molte delle particolarità, che io accennai per
quello della Anguilla; esso cranio, oltre ad esser raccolto nei
suoi pezzi, come quello della Anguilla, ha, anch' esso, fomiti di
denti i mascellari superiori, ha l' iomandibolare e 1' osso qua-
drato strettamente articolati in un tutto immobile, ha un solo
pterigoide per lato, che dalle parti anteriori del muso giunge
al quadrato, ha una sagoma generale, specialmente se spogliato
dell'apparecchio opercolare e ipidobranchiale, così fatta, che essa
e tutti gli altri caratteri fanno sì che siano ricordati, ad una
occhiata superficiale, come ammetteva anche Meckely certi tratti
di molti cranii rettiliani. — In uno sguardo complessivo, esiste
qualche differenza tra cranio della Anguilla e cranio del Grongo?
Sì. In primo luogo dà in occhio l' importante fatto già notato,
della disposizione diversa dell'apparecchio branchiale, che è nella
Anguilla situato in dietro e fuori della base del cranio, nel
Grongo sotto la base stessa; poi, se si divarichino tra loro un
poco le mascelle nei due cranii, si vede come nella Anguilla
la inferiore sia molto sporgente sulla superiore, mentre nel
Grongo ciò non avviene, o in insensibile grado ; vi è poi un' altra
differenza importante tra i due cranii: nella Anguilla la faccia
posteriore del cranio è tagliata a picco (Fig. 12), anzi qualche
132 E. FICALBI
volta i bordi del forame occipitale e V osso basioccipitale con la
sua faccia posteriore articolare sporgono un poco: nel Grongo, in-
vece, la faccia posteriore del cranio è sempre a tettoia ( Fig. 1 3),
la di cui parte sporgente è il margine superiore, che cuopre del
tutto il forame occipitale e la parte articolare dell'osso basi-
occipitale: ciò aveva notato anche Cutter {^).
Così ho brevemente detto dello scheletro cefalico del Grongo,
e delle differenze, che tra esso scheletro cefalico e quello della
Anguilla si notano.
3. — Scheletro cefalico dell' Ofisuro
Sullo scheletro cefalico dell' Ofisuro o Serpente di mare
{Ophisuru^ serpeìiSj Lacép.) (^) non v' ^ bisogno che mi intrat-
tenga più che tanto, dopo ciò che ho detto di quello della
Anguilla e del Grongo ; mi limiterò semplicemente ad accennare
le particolarità più importanti, che esso presenta paragonato
a quello dei suddetti Pesci. Dirò subito che V Ofisuro circa alla
conformazione del cranio, sebbene sotto qualche puuto di vista
stia tra mezzo all'Anguilla e al Grongo da una parte e alla
Murena dall' altra, pur tuttavia possiede una disposizione cra-
nica che concorda più che altro coli' Anguilla e col Grongo, salvo,
si intende, certe differenze secondarie. Una veduta d' insieme
del cranio dell' Ofisuro (privo dell' apparecchio branchiale) si ha
nella Fig. 7.
Senza fare enumerazioni di ossa, comincerò per dire che
osservando il cranio dell' Ofisuro dalla sua faccia posteriore ( o,
come anche dicono, nucale) si vede che essa faccia, tagliata a
picco, per la sua figura generale' e per la disposizione delle ossa
somigUa molto più a quella della Murena, che descriverò, che
non a quello dell'Anguilla, e tanto meno del Grongo, che ha
questa faccia nucale formata a tettoia sporgente in dietro.
(•) Cuvier G. Lcq, d*Anae. comp. Troisième édit. Bruxelles, 1836. pag. 393. —
11 Costa nella sua Fauna eie. scrisse: « L* anguilla ugualmente che il grongo, come
già lo avvertiva Cuvier^ ha la faccia occipitale piatta e declinante in dietro, meno
però nelfanguìila che nel grongo». Ora, non è esatto, come già ho avuto laogo di
dire (e Tho figurato, Fig. 12) che anche Panguilla abbia la faccia occipitale decli-
nante in dietro: essa T ha tagliata a picco ; ed anche Cuvier non parla di faccia oc-
cipitale declinante indietro che per il grongo.
(*} Muraena serpens, Lin.
CONFORBfAZIONE 'DELLO SCHELBTRO CEFÀLICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 133
Anche le pareti laterali della cavità encefalica, che relativa-
mente al resto del cranio è molto più allungata anteroposte-
riormente che nella Anguilla e nel Grongo, somigliano, e per
questa maggiore lunghezza e per la disposizione delle ossa (gli
pterotici, i prootici, gli alisfenoidi, il basisfenoide) più a ciò
che si ha nella Murena, che non a ciò che si trova nella An-
guilla e nel Grongo suddetti (confronta tra loro le Fig. 4, 7 e 9) .
Lo sfenotico, e quindi la sporgenza sfenotica del cranio, è molto
piccolo (Fig. 7 sfó)y non curvato in avanti a guisa di uncino
(come è nella Anguilla e nel Grongo), ma piuttosto simile a
ciò che vedremo nella Murena. I frontali si saldano, almeno
negli individui adulti, in un unico pezzo come nel Grongo (a
diflFerenza della Anguilla e della Murena. L'osso premassillo-
etmo-vomerino dell' Ofisuro (Fig. 1, prv) è allungatissimo, ap-
puntato, e ciò per V enorme allungamento del musò, che questo
Pesce presenta in confronto agli altri Murenoidi nostrani. Non
esisto neir Ofisuro nessun osso esetmoide, a similitudine del-
l'Anguilla e del Grongo: vedremo invece che la Mureàia ha un
piccolo osso esetmoide ad ognuno dei due lati della branca
superiore del premassillo-etmo-vomerino.
Le ossa pterigoidi dell' Ofisuro sono molto laminari, larghe
in dietro, appuntate in avanti (Fig. 7, pt g); in dietro*si attac-
cano al punto di articolazione tra iomandibolare e quadrato;
di ' qui si dirigono in avanti e vanno sempre più assottigliandosi,
per tenninare a punta ; 1' estremo anteriore afflato di ciascun
pterigoide si termina attaccandosi per connettivo alla faccia
interna del mascellare superiore del proprio lato. Scrisse il
Costa che nell' Ofisuro lo pterigoide e estremamente delicato e
non raggiunge il vomere: infatti la sua punta non giunge pro-
priamente a toccare la branca vomerina delf osso premassillo-
etmo-vomerino, per quanto gli sia molto vicina; tuttavia è
sempre connessa con le ossa della volta boccale, in modo che
la disposizione di questo pterigoide si avvicina molto di più a
ciò che si ha nella Anguilla e nel Grongo, che non ha ciò che
vedremo nella Murena, nella quale lo pterigoide è rudimentale,
e con il suo estremo anteriore rimane sempre lontano e dalla
branca vomerina dell' osso premassillo-etmo-vomerino, e dal
mascellare superiore (confronta tra loro le Fig. 4, 7 e 9).
Le ossa nasali dell' Ofisuro sono sottiU, allungate e situate
134 E. FICALBI
ciascuna al lato della branca superiore dell' osso premassiUo-
etmo-vomerino (Fig. 7, n a). Le ossa periorbitarie sono in nu-
mero, se non mi inganno, di sei per lato ; le tre posteriori (a, b, e)
sono situate tra frontale e mascellare superiore e sono le più
grosse, le altre tre (d, e, f) sono (li una sottigliezza estrema e
riposano sul lato esterno del mascellare superiore, dirigendosi
in avanti verso V osso premassilloetmovomerino. Non vi è nel-
r Ofisuro nessun osso lacrimale vero e proprio, ed in ciò questo
Pesce concorda con l'Anguilla e con la Murena e discorda
dal Grongo.
La placca ossea costituita dall' iomandibolare e dal qua-
drato ( Fig. 7j ym, oq) è molto ampia, e per la conformazione
e disposizione sua ricorda molto di piii ciò che vedremo veri-
ficarsi nella Murena, che non ciò che è nella Anguilla e nel
Grongo: infatti essa placca è diretta presso che perpendicolar-
mente in basso, quasi come vedremo nella Murena, mentre nel-
l'Anguilla e nel Grongo è fortemente inclinata, col suo estremo
inferoanteriore, in avanti. Come negli altri Murenoidi, non pre-
senta r Ofisuro il simplettico.
La mandibola è allungatissima, come allungatissimo è il
muso, ma non sorpassa in lunghezza, il che fa invece nella
Anguilla* r estremità dell'osso premassillo-etmo-vomerino. Con-
sta dei soliti tre pezzi, dei quali il più ragguardevole è il den-
tale. — Le ossa opercolari hanno, relativamente al resto del
cranio, uno sviluppo simile a quello che presentano nella An-
guilla e nel Grongo, sono quindi molto più sviluppate di quello
che vedremo poi nella Murena, che le ha ridotte assai: sono,
al solito, in numero di quattro per lato, e l' apparecchio oper-
colare osseo da esse costituito non ha rapporti, a similitudine
degli altri Murenoidi, con le aperture branchiali.
L'apparecchio ioideo è ridotto assai, per quanto consti dei
pezzi stessi, che nella Anguilla e nel Grongo; possiede, cioè, in
ciaschedun arco, un epiale (Fig. 7, ey), un ceratoiale (cj/), e
come ossa mediane, impari, un glossoiale (gy), e un uroiale
(uy); tutti questi pezzi, però, sono sottili e gracili ; e l' uroiale
è allungatissimo, stiliforme; l'apparecchio ioideo dell' Ofisuro
ricorda quello della Anguilla e del Grongo in quanto consta
di tutti i pezzi di cui consta in questi Pesci, ricorda poi quello
della Murena, che lo ha ridottissimo, in quanto le branche ioideo
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI .MTJRENOIDI EC. 1 35
(costituite dagli epiali e dai ceratoiali) sono molto sottili. —
I raggi branchiostegali dell' Ofisuro sono sottilissimi, numerosi,
in numero di 18 o 20 per lato (Fig. 7, rbr); sono ricurvi, e
i superiori, col loro estremo libero, guardano la nuca; si at-
taccano air epiale; nel cranio integro i primi sette od otto raggi
branchiostegali dell' un Iato', ossia i più bassi, si incrociano con
quelli dell'altro lato, costituendo un graticciato sottofaringeo.
Veniamo all'apparecchio osseo branchiale. Questo nell' Ofi-
suro è composto, circa alla sua costituzione analitica, perfet-
tamente come nella Anguilla (ed anche nel Grongo) , vi si ri-
scontrano, cioè, gli stessi pezzi, ad eccezione, se non mi inganno,
dei basibranchiali, che nell' Ofisuro mi sembrano essere nel nu-
mero di un solo, mentre nella Anguilla sono due. Tolta questa
inezia, l'apparecchio branchiale dell' Ofisuro nella sua compo-
sizione è noto, quando sia noto quello dell'Anguilla. H primo
e secondo paio di archi constano, infatti, per ciascuna metà la-
terale o branca, nell' Ofisuro di tre pezzi ciascuno ( un ipobran-
chiale, un ceratobranchiale, un epibranchiale) . Il terzo e quarto
paio di due pezzi (un ceratobranchiale, un epibranchiale). Il
quinto paio di un solo pezzo (ceratobranchiale): questo quinto
paio di archi, o quinto paio di ceratobranchiali, è ridottissimo,
e i ceratobranchiali stessi, che lo costituiscono, sono attaccati,
ma più o meno separabili, alle placche ossee dentigere della
base del faringe, placche che or ora accennerò. Esistono nel-
r Ofisuro due ossa faringobranchiali per parte, come nella An-
guilla : ed esistono delle placche ossee dentigerCy due, cioè, sulla
base del faringe, connesse coli' estremità inferiore dei cerato-
branchiali del quarto paio di archi, e specialmente coi cerato-
branchiali ridottissimi costituenti il quinto paio : queste placche
sono corrispondenti a quelle della Anguilla, segnate z nella
Fig. 5 ; due altre placche dentigere sono superiormente al fa-
ringe, una per lato, e non mi sembrano divisibili in due metà,
ciascuna, come lo sono le corrispondenti della Anguilla; sono
connesse con le ossa epibranchiali del secondo, terzo e quarto
arco. Circa a uno sguardo d'insieme dell'apparecchio branchiale
dell' Ofisuro, può dirsi eh' esso fe un qualche cosa di mezzo tra
quello dell'Anguilla e quello del Grongo : infatti non è sotto il
cranio (Fig. 14), come è nel Grongo, e non è così lontano dalla
base del cranio stesso, come nella Anguilla; gli archi non sono
136 E. FICALBI
COSÌ inclinati, come nella Anguilla, ma simiglianti a ciò che si
ha nel Grongo; come negli altri Murenoidi, l'apparecchio osseo
branchiale dell' Ofisuro non h attaccato in sopra al resto del
cranio per ossa speciali, ma si può considerare quasi da esso
indipendente ed è il faringe e i tessuti circostanti che lo ten-
gono in sito.
In uno sguardo complessivo (Fig. 7) lo scheletro cefalico del-
l' Ofisuro, per quanto presenti un muso enormemente allimgato
in avanti, non discorda dalle particolarità, che già, accennai per
i Murenoidi precedentemente descritti, cioè per V Anguilla ed
il Grongo: è raccolto nei suoi pezzi; ha i mascellari superiori
fomiti di denti e formanti il contorno laterosuperiore della
bocca; ha una placca iomandibolare quadrata ben rigida, so-
migliante lontanamente al quadrato di certi cranii rettiliani;
ha un solo pterigoide per parte ed ha una sagoma generale che
può ricordare alcuni cranii di Rettili; tutto ciò, come già notai
negli altri Murenoidi descritti. — Volendo poi riassumere le
differenze principali che in uno sguardo complessivo notansi tra
il cranio dell' Ofisuro e quello dei precedenti Murenoidi, ripe-
terò che consistono nelle seguenti: il cranio dell' Ofisuro è al-
lungatissimo in modo da costituire un muso sottile, quasi fog-
giato a rostro, mentre così allungato non è nell'Anguilla e nel
Grongo; la mascella inferiore non sporge in avanti della supe-
riore, come sporge nella Anguilla ; la placca iomandibolare-qua-
drata è diretta perpendicolarmente in basso, invece che in basso
e in avanti, come nella Anguilla e nel Grongo ; lo sfenotico e
la sporgenza sfenotica non sono ricurvi in avanti ad uncino e
sono poco sviluppati; le ossa del tegmen cranii e delle pareti
laterali della cavità encefalica hanno una disposizione un po' di-
versa da ciò che è nel Grongo e nella Anguilla ; l' apparecchio
ioideo è gracile, i raggi branchiostegali sottilissimi e più nu-
merosi che non nella Anguilla e nel Grongo.
4. — Scheletro cefalico della Murena comune
Veniamo ora a parlare del cranio della Murena comune
(Muraena helena, Lin.) (^), cranio che è interessantissimo e sul
(^) Muraenophis helena, Lac.
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 137
quale davvero è prezzo dell' opera intrattenersi. — Tengo il
medesimo ordine descrittivo, che ho seguito per lo studio dello
scheletro cefalico della Anguilla, cominciando dalle parti occi-
pitali del cranio e passando al resto.
La faccia posteriore del cranio della Murena (detta da al-
cuno anche faccia nucale) è tagliata a picco non meno di quella
della Anguilla e dell' Ofisuro, e ci lascia scorgere, come mostra
la Fig. 8, il grande forame occipitale, la coppa articolare del
basioccipitale, ed otto ossa in tutto, delle quali sei appaiate,
due impari e mediane. Di tutte queste le ossa che per le prime
ci devono interessare sono le quattro del così detto segmento
occipitale, che passo ad accennare. L' osso basioccipitale è piut-
tosto stretto ed allungato, ed anteriormente termina in punta,
mentre posteriormente presenta la coppa articolare che coi suoi
margini combacia coi margini di quella della prima vertebra;
differisce quello della Murena dal basioccipitale della Anguilla,
perchè è più stretto e perchè ha 1' estremità sua anteriore ap-
puntata, mentre quello dell'Anguilla 1' ha slargata assai. Il ba- ,
sioccipitale della Murena articolasi con le ossa stesse, che nella
Anguilla e negli altri Murenoidi descritti, col parasfenoide, cioè,
che entra con la sua estremità posteriore affilatissima in un
incastro che si trova nella faccia inferiore o ventrale del ba-
sioccipitale, coi due prootici, con gli esoccipitali. — Le due ossa
esoccipitali, al solito irregolari per forma, sono quelle che cir-
coscrivono per la massima parte il foro occipitale: infatti questo
foro, eccetto che in basso o alla sua base, ove è per un certo
tratto limitato dal basioccipitale, poi il resto è circoscritto dagli
esoccipitali, che si incontrano reciprocamente in una articola-
zione all' apice di esso (Fig. 8, e o). Ciascun esoccipitale, poi,
come nella Anguilla, si articola con l' epiotico, con lo pterotico,
col prootico del proprio lato. — Il sopraoccipitah è un piccolo
ossettincf incastrato principalmente tra la porzione superiore
dei due epiotici; non è per nulla in rapporto col foro occipitale
(Fig. 8, so)\ si articola lateralmente cogli epiotici, anteriormente
coi parietali ; posteriormente e in basso tocca i due esoccipitali :
nella Anguilla questo fatto non avviene, cioè il sopraoccipitale
non tocca gli esoccipitali, i quali ne sono separati da uno spazio
non ossificato, che non esiste nella Murena, come non esiste
nel Grongo e nell' Ofisuro,
138 E. nCALBI
Le altre ossa che si scorgono, osservando dalla sua così
detta faccia nucale, o posteriore, il cranio (Fig. 8), sono gli
epiotici, e gli pteroticiy ossa bilaterali, asimmetriche, che hanno
la stessa disposizione e si articolano con le "stesse ossa, come
nella Anguilla, e sui quali, quindi, non importa mi intrattenga
ulteriormente. Nel cranio della Murena, come in quello della
Anguilla, del Grongo, dell' Ofisuro, non vi è opistotico distinto.
Sui prootici della Murena posso rispamiiarmi ogni descri-
zione, perchè, eccetto qualche diflFerenza di forma, per rapporti
e disposizione sono come nella Anguilla. — Gli alisfenoidi (Fig. 9,
a l s) sono piuttosto laminari, allungati assai nel senso antero-
posteriore; fanno da parete laterale a un discreto tratto di
cavità encefalica, a tutto quel tratto, cioè, che corre tra il
prootico e il basisfenoide ; sono molto diversi da quelli della
Anguilla, che li ha piccoli e tutt' altro che così piatti e si as-
somigliano a quelli dell' Ofisuro ; si articola, come nella Anguilla,
ciascun alisfenoide col prootico, coli' epiotico, con lo pterotico,
►col frontale del proprio lato e col basisfenoide. — Circa agli
sf enotici (Fig. Q^sfo) devo far notare che sono molto piccoli,
e quindi le sporgenze sfenotiche del cranio sono di conseguenza
nella Murena molto più piccole che non nella Anguilla e nel
Grongo mentre somigliano a ciò che si ha nell' Ofisuro ; sono
anche nella Murena, invece che in avanti a guisa di uncino,
come nella Anguilla e nel Grongo suddetti, dirette in dietro e
in basso come nell' Ofisuro; queste ditfereiize sono degne di
nota. Gli sfenotici della Murena si articolano con le ossa stesse,
come nella Anguilla e negli altri Murenoidi.
La cavità encefalica della Murena è, cominciando dal di
dietro, limitata in basso o nel suo pavimento, prima, subito
dopo il bordo del gran forame, dai due esoccipitali, poi un poco
dal corpo del basioccipitale, quindi dai due prootici : al davanti
di questi esiste \m grande spazio, sul pavimento di essa cavità,
non formato di ossa di origine cartilaginea, ma invece da un
osso di origine membranacea, il parasfenoide ; in avanti di
questo spazio per un piccolo tratto la cavità encefalica sud-
detta torna ad esser limitata in basso da osso cartilagineo, dal
basisfenoide, cioè. L' osso bcisisfcnoide ( Fig. 9, h s f) ha nella
Murena le stesse disposizioni come nella Anguilla e negli altri
Murenoidi descritti, se non che somiglia più a quello dell'Ofisuro,
CONFORBCAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI BCURENOIDI EC. 1 39
che a quello dell' Anguilla e del Grongo. Non h esatto quello
che asserisce Meckel, che nella Murena, cioè, il basisfenoide
sia composto di due metà, separabili. — Al davanti della re-
gione del. basisfenoide esiste lo spazio non ossificato interorhitario
(Fig. 9, z\ limitato nel suo contomo dalle stesse ossa, che nella
Anguilla, nel Grongo, nell' Ofisuro. — Il parasfenoide h lunghis-
simo, come nella Anguilla; è molto più affilato che in questa,
specie al suo estremo posteriore, ed ha gli stessi rapporti con
le ossa circostanti.
I parietali vedonsi nel tegmen cranii subito al davanti degli
epiotici (Fig. 9, p a) e del sopraoccipitale ; sono piccoli e ciasche-
duno di essi si articola coli' epiotico, collo pterotico, col fron-
tale del proprio lato e col sopraoccipitale. — I frontali, che
sono due ben separabili (Fig. 9, fr), hanno, come nella Anguilla,
forma allungata e presentano, come in essa, una eminenza
esterna ; hanno gli stessi rapporti che nella Anguilla, -quindi non
ne parlo ulteriormente.
Veniamo alle ossa che compongono il così detto muso. —
L' osso premassillo'etmO'Vomerino si compone nella Murena, come
nella Anguilla, e negli altri Murenoidi descritti, di due bran-
che; .ma nel suo complesso è di diverso aspetto nel primo e
nel secondo di questi pesci (Cfr. Fig. b prv, e Fig. 10); nella
Murena la branca inferiore, orizzontale, nella metà anteriore
sua è molto slargata e termina all' apice del muso con un estre-
mo arrotondato; nella metà anteriore slargata ora detta, sulla
superfìcie ventrale, notansi tre file di denti, caniniformi, ben
sviluppati, due file marginali, che si incontrano all' apice, una
fila centrale, e questa fila si continua anche in tutta la metk
posteriore, ristretta della branca inferiore dell' osso premassillo-
etmo-vomerino in discorso; dalla porzione anteriore, slargata
della branca inferiore si eleva come una cresta la branca su-
periore (Fig. 10, a), che ben presto si dirige in dietro; la estre-
mità del muso nella Murena, come più sopra ho accennato, è
formato dalla porzione slargata, con estremo anteriore arroton-
dato del suo osso premassillo-etmo-vomerino ; i mascellari su-
periori si articolano con questo osso molto più indietro che
nella Anguilla e nel Grongo ; a differenza poi della Anguilla, e
del Grongo, come meglio dirò più avanti, quest' osso non è per
nulla in rapporto con gli pterigoidi ; ha gli stessi rapporti che
140 E. FICÀLBI
nella Anguilla circa ai frontali; delle sue attinenze coi nasali
e con i periorbitali dirò più in avanti. — Ora bisogna tener
parola di due ossa, bilaterali, asimmetriche, che non si trovano
né nella Anguilla, né nel Grongo, né nell'Ofisuro, voglio dire
degli esetmoidi, presenti nella Murena ; parlando dello scheletro
cefalico della Anguilla, là ove mi intrattenni sull'osso premas-
sillo-etmo-vomerino, dissi che in certi Teleosti (e presi per
esempio un Gadus) possono trovarsi nel muso tre ossa di na-
tura etmoidale, uno mediano, impari, due laterali o pari, il
mesetmoidey cioè, e gli esetnwidi (^) ; dissi che nella Anguilla (e
nel Grongo) il mesetmoide é rappresentato dalla branca su-
periore dell'osso premassillo-etmo-vomerino, mentre gli eset-
moidi sono rappresentati dalle due cartilagini esetmoidee, che,
una per parte, si attaccano ai lati della branca superiore del-
l' osso premassillo-etmo-vomerino suddetto : in altre parole, gli
esetmoidi non si ossificano nella Anguilla e nel Grongo. Ora
invece nella Murena le ossa esetmoidi si trovano presenti (Fi-
gura. 9, e h) e hanno la situazione che nella Anguilla e nel
Grongo hanno le cartilagini esetmoidali, ciascun esetmoide della
Murena, cioè, é situato in modo trasversale, tra la parte late-
rale inferiore del terzo posteriore della branca mesetmoidale
(o superiore) dell'osso premassillo-etmo-vomerino, e il punto
ove la estremità anteriore del mascellare superiore e la parte
slargata del premassillo-etmo-vomerino reciprocamente si arti-
colano. Circa alla sua forma, ciascun esetmoide della Murena
e un ossetto non molto sviluppato, ricurvo, ingrossato più nel
suo mezzo che non alle estremità: é composto come di due
metà, riunite tra loro ad angolo ; di queste metà, la posteriore
tocca col suo estremo la branca superiore del premassillo-etmo-
vomerino nel sito che ho detto più sopra ; la parte media del-
l' osso riposa sul punto di unione del mascellare superiore col
premassillo-etmo-vomerino suddetto; la metà anteriore é ada-
giata sui margini della parte slargata di questo osso, e presenta
una particolarità interessante, cioè, (come mostra la Fig. 9, eh)
mentre tutto il resto dell'osso è compatto, questa estremitìi
si allunga in una porzione ossea a canale muccoso e presen-
tante delle frange laterali sottili e laminari, come il nasale, e
(^) Detti per Io più etmoidi lateraliy prefrontali, e da Parker ectethmoidal boHe$,
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETBO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI «C. 141
che con questo contribuiscono a far da tetto alle cavità olfat-
tive ; bisogna ammettere che un ossetto a canale muccoso siasi
quivi anchilosato con V estremità anteriore dell' esetmoide C). —
Le due ossa mascellari superiori (Fig. 9, m s) sono nella Murena'
allungate e portano denti ben sviluppati ; si articolano col loro
estremo anteriore al premassillo-etmo-vomerino, in dietro su-
bito della sua porzione anteriore, slargata, orizzontale; e per
la ampiezza di questa, il punto di articolazione è assai più di-
stante dalla estremità del muso che non nella Anguilla e nel
Grongo; posteriormente si connette ciascun mascellare superiore
per ligamenti fibrosi alla parte posteriore del dentale 'del pro-
prio lato.
Viene ora il momento di tener parola delle ossa pterigoidi
della Murena; esse sono ridotte ai minimi termini; sono rap-
presentate, per ciaschedun lato, da uno stiletto osseo ricurvo,
che quasi per tutta la sua lunghezza aderisce alla faccia intema
del margine anteriore di ciascun osso iomandibolare, giungendo
a toccare col suo estremo inferiore anche il sottostante osso
quadrato; soltanto col suo estremo anterosuperiore ciascun
pterigoide sporge un poco liberamente in avanti (Fig. 9, pf gr).
Questo rudimentale pterigoide è ben lungi dal raggiungere Tosso
premassillo-etmo-vomerino; e ciò costituisce una notevole dif-
ferenza tra la disposizione della Anguilla e del Grongo ed anche
deir Ofisuro e questa della Murena. Ripeterò qui ciò che dissi
parlando dello scheletro cefalico della Anguilla, che, cioè i Pesci
murenoidi tutti presentano ridotta al solo pterigoide la catena
ossea palatopterigoidea, e fra questi le Murene sono quelli in
cui la riduzione è maggiore.
Veniamo alle ossa nasali e agli assetti periorbitali. Anche
nella Murena, come nella Anguilla questi elementi ossei sono
gracili, tubulosi, e danno passaggio a canali muccosi; ossa na-
sali e periorbitarie anche nella Murena hanno grande rassomi-
glianza tra loro. — I nasali sono situati ai lati della branca
superiore dell' osso premassillo-etmo-vomerino e giungono quasi
dall'estremità del muso fino alla eminenza laterale di ciascun
frontale. Sono tubolosi e i loro due terzi anteriori presentano
(<) La interpetrazione che ho dato dell* osso, che nella Murena ho chiamato e
considerato esetmoide, mi sembra la più propria e razionale; non nego, però, che
sarebbe bene esaminare Murene giovanisBime per confermare le cose.
142 • £• ficaxbì
lungo il margine estemo una espansione ossea laminare, fran-
giata ( Fig. 9, na). — Dopo i nasali, devono esser descritti gli
assetti periorbitarii: do questo nome a queir insieme di piccoli
elementi ossei che, in numero di sei per ogni lato, trovansi nel
muso, situati dall' eminenza del frontale in avanti ; questi os-
setti, lo dico subito, sono indubbiamente gli omologhi degli os-
setti che ho chiamato anche nella Anguilla periorbitali. Esami-
niamoli brevemente. Come ho detto, cominciando dal di dietro,
presso r eminenza laterale di ciascun frontale, comincia la ca-
tena degli ossetti, che sono in numero di sei per parte; essa
catena parte dalla eminenza suddetta e prima si dirige in basso
( Fig. 9, a,b,c,d,e,f), in modo da venire a raggiungere il bordo
superiore del mascellare inferiore, poi, seguendo quest'osso, si
porta in avanti fino alla estremità, quasi, del muso. Di questa
catena, i primi tre pezzi od ossetti (Fig. 9, a,b,c) sono brevi e
costituiscono un tratto che dall'eminenza del frontale giunge
al mascellare superiore, circa al principio del suo terzo ante-
riore ; il quarto ossetto (d) è situato quasi orizzontalmente e si
dirige in avanti: esso pure h breve; il quinto (e) è sottile e
allungato, è situato sul margine e nella- faccia estema del ma-
scellare superiore, e si porta con esso in avanti; il sesto (f)
è allungato, un po' ricurvo e come composto di due pezzi: è
situato sul margine esterno della parte slargata dell' osso pre-
massillo-etmo-vomerino e giunge fin quasi all'estremità ante-
riore di questo; tutti e sei questi ossetti sono traversati da ca-
nali muccosi. Nella Murena, come nella Anguilla, non si può.
parlare di un lacrimale, come si trova in altri Teleostei. E le
considerazioni che feci per gli ossetti periorbitarii della An-
guilla valgano per questi ora descritti della Murena.
L' osso iomandibolare ( Fig. 9, y m ) nella Murena è ampio,
piuttosto sottile,, ossia laminare, ed ha, grossolanamente consi-
derato, una figura triangolare, con vertice in basso e base in
alto; si attacca al resto del cranio con quella che sarebbe la
base del triangolo, ossia col suo margine superiore; prende ar-
ticolazione ciascun iomandibolare in tutto quel tratto laterale
del cranio che corre tra l'estremo posteriore dello pterotico
fino all' alisfenoide, si articola, cioè, con lo pterotico, in quella
sua porzione che dicesi sporgenza pterotica del cranio, si arti-
cola con lo sfenotico, sotto al quale passa ( sotto la così detta
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFÀLICO DEI PESCI BCURENOIDI EC. 1 4d
sporgenza sfenotica del cranio), e^si articola anche con Tali-
sfenoide; l'articolazione tra pterotico e iomandibolare ed anche
un po' tra questo e alisfenoide si fa per una specie di sutura
dentellata, come già aveva notato Meckel, in modo tale che
resta molto difficile ogni movimento dell' iomandibolare nelle
pareti laterali del cranio. L'osso iomandibolare dà attacco al
quadrato, alle ossa opercolari, alle ossa ioidee, ed anche, come
già ebbi a dire, allo pterigoide. — Vesso quadrato h connesso
con l'estremo inferiore o col vertice (tronco) dell' iomandibo-
lare (Fig. 9 oq); queste due ossa si uniscono in immobile ar-
ticolazione mercè incastro di punte e schegge con incisure cor-
rispondenti; l'osso quadrato è piccolo, di forma irregolare, e
presenta una troclea articolare per l' osso articolare della man-
dibola. Osso iomandibolare e quadrato nella Murena formano
un tutto rigido, una specie di ampio osso, apparentemente in-
diviso, che grandemente ricorda per il suo aspetto e la sua po-
sizione, come già avvertiva Meckel, la disposizione dei Sauropsidi,
che hanno un unico osso, il quadrato, interposto tra la man-
dibola e le pareti craniche. Nella Murena la piastra ossea ora
detta, costituita da iomandibolare e quadrato è diretta quasi
perpendicolarmente in basso, ed un pocolino anche in dietro:
nella Anguilla e nel Grongo, invece, la piastra ossea costituita
dai suddetti elementi è diretta in basso e fortemente in avanti;
neir Ofisuro si avvicina alla disposizione della Murena. — Nella
Murena, come nella Anguilla, nel Grongo, nell' Ofisuro, non ri-
scontrasi il simplettico.
La mandibola o mascella inferiore consta nella Murena al
solito di due branche, destra e sinistra, composte ciascheduna
di un articolare, di un, coronoide, di un dentale. — L'arti-
colare è relativamente piccolo, più che nella Anguilla, il co-
ronoide piccolissimo, squamiforme; assai grande h il dentale,
che porta denti acuti e ben sviluppati: ciascun dentale forma,
si può dire, tutta una branca della mandibola, poiché è sol-
tanto r estremo posteriore di essa branca che è costituito dal-
l'articolar e ; ciascheduna branca della mandibola poi è, relati-
vamente alla lunghezza del cranio, molto più sviluppata nella
Murena che non nella Anguilla e nel Grongo per il fatto del-
l' essere perpendicolare ed anzi un po' diretto in dietro il pezzo
sospensore costituito dall'iomandibolare e dal quadrato.
Ì44 E. nCALBI
Diciamo qualche cosa delle ossa opercolarL A ciascun ioman-
dibolare, ossia ad ambo i lati del cranio, trovansi appese quat-
tro ossa, che formano l'apparecchio opercolare, ridottissimo
nella Murena, ossa che si chiamano V opercolo, il subopercolOy e
il preopercolo. Di queste, V opercolo è il più ampio (Fig. 9, op),
è laminare ed ha forma all' incirca triangolare; col suo vertice
che è diretto in avanti e un po' in alto si attacca ad una apo-
fisi articolare, situata nell' iomandibolare presso il margine po-
steriore di quest' osso ; l' opercolo, lo ripeto, è il più ampio degli
ossi opercolari, per quanto, relativalnente alle dimensioni del
cranio della Murena sia piccolissimo. Il subopercolo o sottooper-
colo ( Fig. 9, sop) si attacca al margine anteriore dell' oper-
colo; è laminare e piccolo, per dimensione vien dopo all'oper-
colo. V inferopercolo (Fig. 9, i) è il più piccolo dei quattro; è
un ossicino incastrato tra subopercolo e preopercolo è può con-
siderarsi rudimentale. Il preopercolo ( Fig. 9 p ) è esso pure di
piccole dimensioni ; consiste in un ossetto alhmgato, sottile, di-
retto d'alto in basso, che col suo estremo superiore prende at-
tacco nel punto di articolazione tra iomandibolare e quadrato,
colla sua metà inferiore si connette sia all' interopercolo, sia
anche un po' al subopercolo. Dalla unione delle accennate quat-
tro ossa ne risulta un apparecchio opercolare rudimentale o
quasi, anche più di quello già ridotto dell' Anguilla, del Grongo,
dell' Ofisuro, apparecchio opercolare che non ha nessuna rela-
zione con le aperture branchiali.
Venendo all' apparecchio ioideOy dirò subito che questo pre-
senta una riduzione grandissima, confrontato con quello della
Anguilla, del Grongo e di altri Teleostei. Consta (Fig. 9) di
due branche sottili, destra e sinistra, grandemente ridotte, a
guisa di verghette ossee; ciascuna branca h composta di due
pezzi ossei, uno anteriore, 1' altro posteriore, ambedue sottili,
stiliformi, che 1' uno con 1' altro si articolano sovrapponendosi
per un certo tratto, come mostra la Fig. 9, ed essendo riuniti da
tessuto connettivo : di questi due pezzi 1' anteriore è il cera-
totale (e y), il posteriore 1' eplale (e y) ; ciascuna branca ioidea
così costituita è situata al di dentro e parallelamente quasi
alle branche della mandibola. Posteriormente le branche ioidee
non giungofw a toccare 1' iomandibolare, ma 1' epiale con la sua
estremità posteriore si ripiega un poco, e, situatosi al di dentro
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 145
del punto di articolazione del quadrato con l'articolare, a queste
ossa è connesso per tessuto connettivo molle e cedevole. An-
terioiTQente le branche ioidee si toccano reciprocamente: gli
apici, cioè, dei due ceratoiali si articolano tra loro mercè con-
nettivo. Non si trova nella Murena né il glossoiale o entoglosso,
(che tutto al più può darsi sia rappresentato da una piccola
cartilagine) né V uroiale, come già avevano notato Rathke e
Stanniu^: in questo pesce, lo ripeto, a costituire l'ioide non si
trovano che due elementi, i due epiali e i due ceratoiali, per
quanto Meckel dica che gli elementi sono al numero di tre.
Come si vede nella Murena V apparecchio ioideo, ridotto come
è a due semplici branche stiliformi, può considerarsi davvero
quasi rudimentale, e non può disconoscersi eh' esso grandemente
ricorda quello dei serpenti, nei quali pure si hanno due branche
stiliformi, situate una per lato. Nelhi Anguilla, nel Grongo l' ap-
parecchio ioideo è ben sviluppato, come si vide, e ciò costi-
tuisce differenza in confronto alla Murena. — Se nella Murena
è grandemente ridotto 1' apparecchio opercolaro e lo ioideo,
non meno lo sono i raggi hranchiostegali (Fig. 9, rbr); di questi
trovansene 8 o 10 per parte; e sono sottili filamenti ossei assai
lunghi, che nascono dalla regione ove mandibola e osso qua-
drato si articolano e si dirigono prima in dietro, poi si ricur-
vano in alto e in avanti verso la nuca. Nella Anguilla, nel
Grongo, nell'Ofisuro, nei Teleostei in genere i raggi hranchio-
stegali attaccansi alle branche ioidee; ìiella Murena ciò non fanno:
col loro estremo anteriore convergono tutti verso la regione
articolare della mandibola, e là, il loro estremo termina libe-
ramente in quel connettivo, in cui termina pure V epiale di
ciascheduna branca ioidea, connettivo che tiene unite queste
parti (estremità dello epiale, estremità dei raggi hranchiostegali)
al punto di articolazione tra articolare e quadrato.
Veniamo all' apparecchio branchiale della Murena. — La
prima quistione che si presenterebbe, sarebbe questa: quante
paia di archi branchiali ha la Murena? Vedremo che se ne sono
ammesse da molti quattro, da qualcuno cinque paia: di queste
le prime tre paia sono fuori di discussione, la quistione stessa,
come dirò or ora, può sorgere a proposito del quarto e quinto
paio, lliserbandomi, adunque a toccare un poco più avanti questa
quistione, dirò ora subito che l'apparecchio branchiale della
Se. Nat. Voi. Vm, fase. 1.*» 11
146 E. nCALBI
Murena manca di ogni osso basibranchiale, e di ogni ipohranchiaJe,
e che le ossa faringohranchiali sono ridotte ad un solo pezzo
per lato. Ma per prender meglio cognizione delle cose, vediamo
come sono costituiti gli archi singoli. Il primo, secondo e terzo
paio di archi branchiali sono simili tra loro e costituiti nel
medesimo modo: ciascuna loro branca, cioè consta di due pezzi,
un ceratohra/nchiale in basso, un epihraìichiale in alto, che V uno
con r altro si articolano ad angolo ; così a costituire le tre prime
paia di archi si hanno tre ceratobranchiaU e tre epibranchiali
per lato, e tutti sono ossetti sottili, quasi stiliformi, e i cerato-
branchiali sono un po' più grossi e più lunghi quasi del doppio
dei respettivi epibranchiali. Le prime tre paia di archi non sono
connesse inferiormente con nessun basi branchiale, difettano di
ipobrauchiali, e superiormente non hanno rapporto con nessun
faringobranchiale ; V estremo inferiore di ogni ceratobranchiale
termina liberamente sotto la muccosa della base del faringe,
r estremo superiore di ogni epibranchiale termina liberamente
sotto la muccosa delle parti laterali e superiori del faringe istesso.
Dopo i tre primi archi branchiali, sottili, gracili, si ha nella
Murena la presenza di una riunione di ossa, che molti consi-
derano complessivamente costituire il quarto paio di archi,
mentre ritengono il quinto mancante: queste ossa, che sono
tutte ben sviluppate, sembrano infatti costituire con la loro
riunione un paio di archi grossi e robusti, che hanno fomiti di
denti ben sviluppati alcuni dei loro pezzi, in modo da avere
apparenza di vere e proprie mascelle faringee. Questo paio di
mascelle faringee, però non rappresentano il solo quarto paio
di archi, tra i loro pezzi si riscontrano anche i rudimenti di un
quinto paio; per rendersi ora ragione delle cose sarà, bene os-
servare ad uno ad uno, per indagarne il significato, i pezzi suac-
cennati, che le mascelle faringee costituiscono. Esse così dette
mascelle costituiscono due archi, uno a destra e uno a sinistra,
i quali, mentre con il loro pezzo superiore e inferiore, ossia coi
loro estremi, sono in contatto, con la parte mediana, piegata
ad angolo, sono discosti V uno dall' altro. Nella Fig. 11 si ha
rappresentato uno di questi archi, il destro. Studiamone i vari
pezzi. In primo luogo si vede che i pezzi più ragguardevoli sono
due, riuniti ad angolo e segnati uno e ph, V altro e e : cosa rap-
presentano essi ? Non v' è dubbio che rappresentano il superiore
CONFORMAZIONE DELLO SCHEI.ETRO CEFALICO DEI PESCI MtJRENOIDI EC. 147
un epibranckiale, T inferiore un ceratobranchiale: sono essi, infatti,
r epibranchiale e il ceratobranchiale del quarto arco, enorme-
mente sviluppati in confronto delle ossa omonime dei tre archi
precedenti. Veniamo al terzo pezzo : V osso epibranchiale è con-
nesso superiormente con un osso speciale, fornito di denti se-
gnato fa nella Fig. 11 : qual significato ha questo pezzo? La sua
posizione tosto ci fa vedere che è un faringohranchiale : e il pa-
ragone, che può essere istituito con ciò che si ha in altri Te-
leostei, conferma questa asserzione: se noi infatti osserviamo
r apparecchio branchiale di molti Teleostei, come, per esempio,
di una Sciaena, vedremo che esistono quattro ossa faringobran-
chiali o, come anche le dicono, faringee superiori, per lato: di
queste V ultimo pezzo è connesso coli' estremità superiore del
quarto arco, ossia col quarto epibranchiale, e porta denti ; ora
appunto r osso in quistione della Murena è connesso colla estre-
mità superiore del quarto arco (quarto epibranchiale) ed è den-
tigero: ecco così spiegata la natura dell'osso fa della Murena,
e, per riassumere le cose, può dirsi: nella Murena le ossa fa-
ringobranchiali (faringee superiori) sono ridotte ad on sol pezzo
per lato, a quello, cioè, che è comunemente nei Teleostei in
rapporto col quarto arco branchiale ; la presenza di questo fa-
ringobranchiale dentigero fa correre molto divario tra la d^'-
sposizione delle cose nella Murena in confronto di ciò che si
ha nella Anguilla, nel Grongo, nell' Ofisuro ; infatti cosa si può
osservare in questi Pesci? In essi si hanno due faringobran-
chiali per lato, privi di denti e in connessione con questi tro-
vansi, per ciascun lato, due placche ossee dentigere (una per lato
neir Ofisuro) di origine membranacea, le quali hanno anche rap-
porto col quarto arco; la differenza, quindi, che corre tra i ci-
tati Pesci e la Murena, per concludere, è questa: nella Murena
non esistono placche dentigere indipendenti, ma sonosi fiise
con il faringohranchiale esistente, appunto come si fondono coi
faringobranchiali contigui nella maggioranza dei Teleostei, men-
tre nella Anguilla, nel Grongo, nelV Ofisuro questa fusione non
avviene. — Veniamo ora ad indagare la natura del quarto
pezzo segnato 5^ e nella Fig. 1 1 ; questo quarto pezzo è indub-
biamente il rappresentante del quinto arco branchiale; è il quinto
ceratobranchiale : in altre parole, esso e il suo corrispondente
deir altro lato, col quale si tocca, stanno a rappresentare quelle
14S I. Hi ILI
che =?i dicono le o^*^/ frtrin^ej: i*'rf'r*ori «iei Telec»f?tei. che
appunto il quinto j'aio •]! archi. :■■ ^^■j:n:o paio «ii ceratobi
chiali. Una ^lifferenza e*;-rt^ tra .io '.-be veìemmo nella AjD211ì112l
nel Grongo e nell'^tìsuro e qu-^v.à -iisr-o^izioDe ora acoeimata
'Iella Murena: nei sudàett: MureLoidi. inratt:. -ii^si che il quinto
paio di archi era rappre^entat-^» lai r^Ai ceratobranchiali. a
ciaijcuno dei quali aderiva, r^enza esservi saìlata. una placca
^j^jfe^i d^fmiigera: nella Marena queste placche ossee dentigere
non f?i trovano, i denti faringei s^jno impiantati ad'iirittnra sui
ceratobranchiali rappresentanti il quinto arco: é questo il fatto
che si verifica nella maggioranza dei Teleostei, nei quali il
quinto paio di archi è rappresenta^:» dai due soli ceratobran-
chiali dentigeri. che prendono il n«jme già ricordato «li ^#*.<^i fa-
nny^ff iifpt'ior'. : ed e-co jn" aìtra difierenzn tra ]a Murena e
gli altri Murenoidi precedentemente descritti.
Cosj \jftr riassumere pr»>siamo dire: nella Murena si hanno
cinque paia di archi branHjiali: le prime tre paia constano dei
soli ceratobranchiali e degli ej»il»ranchiali sottili e assai gracili.
mancando in essi f»gni traccia di if^^jbranchiali. di basibran-
chiali. Il quarto paio consta di svilupatissimi ceratobranchiali
e epibranchiali, ed è connesso con due faringoVjranchiali ( uno
per lato ) dentigeri. Il quinto paio coasta dei soli ceratobran-
chiali. che sono dentigeri. e strettamente connessi coi cerato-
branchiali del quarto arco, in modo che seml^rano far parte di
esso, e qualche anatomico parla infatti per la Murena di quat-
tro paia sole di archi branchiali. Per il fatto del grande svi-
luppo dei ceratobranchiali e epibranchiali del quarto paio di
archi, per il fatto che questi superiormente sono connessi con
un paio di ossa faringobranchiali dentigere. e inferiormente lo
sono con i ceratobranchiali dentigeri del quinto paio (ossa fa-
ringee inferiori) si viene ad avere nella Murena la esistenza di
un vero e proprio paio di sviluppate mascelle faringee. — Circa
a uno sguardo d'insieme dell'apparecchio branchiale della Mu-
rena, deve dirsi che per prima cosa danno in occhio le robuste
mascelle faringee, le quali sporgono molto indietro coli' angolo
di riunione dei pezzi superiori e inferiori loro; i ceratobran-
chiali di tutti gli archi sono molto inclinati, quasi orizzontal-
mente disposti nelle pareti lateroinferiori del faringe. In quanto
ai suoi rapporti col resto del cranio T apparecchio branchiale
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MURENOIDI EC. 149
della Murena è un qualche cosa di mezzo, quasi come quello
dell' Ofisuro, tra ciò che si ha nella Anguilla e ciò che si ha
nel Grongo: infatti (Fig. 15) la estremità superiore delle arcate
branchiali e la estremità, inferiore sono sotto il cranio, gli an-
goli di riunione dei pezzi superiori cogli inferiori di ciascun arco
sono sporgenti indietro e fuori del cranio ; in ogni modi i rap-
porti col resto del cranio sono di gran lunga maggiori nella
Murena (e nel Grongo e nell' Ofisuro) che non nella Anguilla.
Circa a uno sguardo complessivo dello scheletro cefalico della
Murena, dirò che esso scheletro cefalico, se si eccettua il corto
pterigoide, che non giunge in avanti a toccar le ossa del muso,
non discorda da ciò che dissi a proposito degli altri Murenoidi;
e posso quindi riferirmi alle cose già scritte.
5. — Conclusioni riassuntive
Con quello della Murena, ho terminato di descrivere gli
scheletri cefalici, dei nostri comuni Pesci murenoidi. Mi sono
studiato, mano mano che descrivevo, di mettere in rilievo le
differenze che questi Pesci mostrano tra loro, e mostrano con-
frontati con altri Teleostei; ora vengo, per comodità di chi
legge, a riassumere qualche cosa e in questo riassunto riepilo-
glierò prima quali sono i caratteri cranici comuni principali, che
legano tra loro i Murenoidi e li fanno diversificare da altri Te-
leostei (e prenderò a paragone i Teleostei più comunemente
addotti ad esempio nei Trattati, cioè la Perca, il Gadiis, il Salmo,
VEsox), poi riepilogherò le conformità e difformità che i quattro
Murenoidi che ho studiato presentano tra loro, circa alla strut-
tura del loro scheletro cefalico. Potrei anche accennare quali
altri Teleostei ai Murenoidi dimostransi craniologicamente più
vicini, ma andrei troppo per le lunghe; e, se mai, potrebbe
esser questo un argomento di altro scritto.
Ecco molti caratteri comuni ai Murenoidi, caratteri che
costituiscono differenze craniologiche tra i Murenoidi e altri
Teleostei. — Nei Murenoidi V osso sopr aoccipitale è piccolissimo,
non presenta mai cresta alcuna superiormente, è lontanissimo
dai frontali, non separa V uno dall' altro i due parietali, eccetto
che per im insensibile tratto posteriore, e i parietali sono in
suo paragone assai grandi. In altri moltissimi Teleostei (per
1 h^} E. FICILEI
es. il Gmrfif^. la P^rco } il T?r»prà*>:o;pitale è grande, fornito di
creata -Tif-eriorrnente: giunge ai frontali separando i parietali
(v:, j^r ciò. 'ìr^yj da alcuno ì'^^rri^iri-^i^ì i quali sono piccoli
in hMO confronto. — I Murenoidi non hanno os.s«j opistotico^ che
è predente in rrTjion nomerò di Telei>stei 'G^vJ^t.^p, — Xei Mnre-
noidi non rtì incontra orbi*o<f^f'^'{^h. come in altri pochi Teleostei
Ci^ilmoj. — La riunione dei due premascellari, del vomere, del
meaetmoide in un unico osso prerno-^srilìo-^^mO'^'on^enHO è un fatto
assai caratteristico dei Murenoidi Hj: mentre nei Teleostei in
generale <^es. Gadns, Perca. Salmo. R*ox) queste ossa sono ben
distinte e separabili tra loro. — Gli ^setmoidi o non si ossifi-
cano nei Murenoidi ^Anguilla, Conger. OphÌ9uni.y e sono allora
rappresentati da cartilagine, o ^Muraf-naj sono piccole ossa ;
mentre in altri Teleostei iGadus, Sai ma ^ Perca, etc.) sono ossa
V>en ft-viluppate. alle quali si dette il nome di prefronfali. — Le
ossa mascellari stqperiori sono ì:»enissimo sviluppate nei Murenoidi,
sempre fomite di denti, e costituiscono i margini superolaterali
della bocca; in dietro non sono fluttuanti, ma sempre fissate
da robusti ligamenti all' estremità posteriore delle branche della
mandinola. In altri Teleostei (Esox, Gndns, P^r^/i, etc.) sono sprov-
viste di denti, fluttuanti in dietro più o meno, come perdute
nello spessore delle pareti buccali laterosuperiori, tanto che per
questi caratteri da diversi .anatomici non fiiron considerati i
veri mascellari superiori e ftiron detti ossa labiali. — Il tratto
palatopterigoideo è nei Murenoidi rappresentato da un solo osso
sfittile, lo pterigoide. che certe volte fMuraena) neppur giunge
in avanti a toccare le ossa della volta buccale; anche questo
è un tratto assai caratteristico dei Murenoidi. Nella ma^o-
ranza dei Teleostei (Salmo, Perca, Gadus, Rsox, etc.) il tratto
palatopterigoideo è molto sviluppato, sovente con scapito della
eleganza del cranio, e costituito, per ciascun lato, di un pa-
latino, uno pterigoide, un mesopterigoide , un metapteri-
goide. — I ìuisali e gli ossetti periorbitali nei Murenoidi sono,
c^jme di solito, cavi per passaggio di canali muccosi e ridottis-
simi, al punto che non si può dire quale differenza esista tra
essi e le comuni ossa tubulose dei canali muccosi, anche situati
(^) Vedi ciò che ho detto indietro della errata confusione, che qualche Zoologo
(Claus) ha fatto nel Grongo tra premasc^llare e lacrimale.
CONFX)RMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MUREKOIDI EC. 151
in altre regioni (^); il solo Conger ha un lacrimale distinto. In
altri Teleostei i nasali e i lacrimali sono più o meno differen-
ziati dagli altri ossetti a canali muccosi (Gadus), — Tra osso
iomandibolare e quadrato non riscontrasi nei Murenoidi il sim-
plettico; mentre esso è comune agli altri Teleostei (Salmo, Gadìis,
etc). — Manca nella mandibola dei Murenoidi V angolare; che
si trova in altri Teleostei (Salmo, Gadns, etc.) . — Le ossa oper-
colari nei Murenoidi costituiscono un opercolo sempre poco svi-
luppato, quasi rudimentale nella Muraena, che non ha rapporti
con le aperture branchiali; mentre nella maggioranza dei Te-
leostei l'apparecchio opercolare è bene sviluppato ed ha rap-
porto con le aperture branchiali (Perca, Salmo, Gadus, Esox). —
Nell'apparecchio ioideo dei Murenoidi manca V osso interiah o
stiloiale, mancano gli ossetti ipoiali; nella Muraena poi manca
anche il glossoiale e Vuroiale. Tutto ciò a differenza di altri
Teleostei, nei quali le suaccennate ossa sono presenti (Esox,
Gadus, Perca, Salmo). — All' apparecchio branchiale dei Mure-
noidi posson esser connesse (Anguilla, Conger, Ophisurus) delle
placcìie ossee dentigere di origine membranacea, ben distinte dalle
ossa cartilaginee contigue; mentre nella generalità dei Teleostei
(es. Perca) queste placche dentigere si uniscono fino ab initio
con le ossa cartilaginee contigue (ceratobranchiali, faringobran-
chiali), costituendo con esse un tutto, mai divisibile. La pre-
senza di queste placche ossee dentigere dei Murenoidi ben iso-
late è un fatto morfologico non privo di importanza. — L'ap-
parecchio branchiale osseo dei Murenoidi non ha propriamente
attacchi ossei al restante dello scheletro (allo scheletro assile)
dal lato dorsale suo; a differenza di altri Teleostei (es. Perca),
nei quali un paio di faringobranchiali servono a questo scopo .
— L'apparecchio branchiale di certi Murenoidi (Anguilla) è
situato del tutto fuori del cranio; a differenza della maggio-
ranza dei Teleostei (es. Perca), che lo hanno sotto il cranio o
presso che sotto. — Circa alla sua figura ed apparenza este-
riore il cranio dei Murenoidi si discosta da quello di molti altri
Teleostei (Gadus, Perca, Salmo, Esox, etc); infatti, come in-
dietro insistei, i Murenoidi hanno un cranio raccolto nei suoi
(*) Vedi più indietro ciò che ho accennato sulla importanza che ha questo fatto
per chiarire (come già teotò S tannius) la morfologia delle ossa nasali e lacrimali,
almeno nei Pesci.
152 E. FICALBI
pezzi, ben composto, con mascellari superiori dentigeri e for-
manti margine alla bocca, con la placca ossea iomandibolare-
quadrata ben rigida, che sembra apparentemente costituire un
osso solo, con apparecchio opercolare piccolo: tutti caratteri
questi, che rendono il cranio dei Murenoidi molto più elegant-e
di quello di altri Teleostei, nei quali i mascellari superiori li-
beri indietro, slargati, sporgenti, lo sproporzionato tratto pa-
latopterigoideo, composto dei molteplici pezzi, le enormi ossa
opercolari, lo rendono poco elegante e scomposto; prendendo,
per esempio, a tipo il teschio della Perca y non può negarsi che
quello dei Murenoidi, per la sua sagoma generale e per gli altri
caratteri or ora detti sembra discostarsi dal pesce ; e davvero
il cranio murenoide, specie se spogliato dell'apparecchio oper-
colare e ioidobranchiale, che del resto sono non mai esagerati,
per la sua-sagoma generale, per la disposizione suddescritta dei
mascellari superiori e degli pterigoidi, per l'aspetto e disposi-
zione della placca ioidomandibolare-quadrata, ricorda alla lon-
tana certi cranii rettiliani, più che non ricordi il cranio comune
dei Teleostei. E gik il gran Meckel aveva espresso questa opinione,
sulla quale tuttavia mi sembra eccedesse, il che non si deve.
Riassunti così molti dei caratteri comuni ai Murenoidi, ca-
ratteri che rappresentano le differenze craniche, che corrono tra
i Murenoidi stessi e la maggioranza dei Teleostei, riassumo i
caratteri secondarli pei quali i Murenoidi possono tra. loro di-
scordare o concordare, al confronto dei loro singoli cranii.
Prendendo come punto di partenza la Anguilla, si vede che,
per riguardo alle conformità e difformità craniche, i Murenoidi
italiani devono esser posti in questo ordine: Anguilla, Conger,
Ophisurus, Muraena; le affinità craniche maggiori si hanno tra
Auguillu e Conger, viene poi V Ophisurus, e quindi la Muraeìmy
che ha con tutti e tre disuguaglianze importanti, sempre, però
s'intende, rimanendo nei limiti del cranio murenoide.
La Muraena dagli altri Murenoidi differisce per i fatti se-
guenti : in essa lo pterigoide è ridotissimo e non giunge per nulla
in avanti a toccare le ossa della volta buccale, mentre negU altri
Murenoidi lo pterigoide più (Anguilla, Conger) o meno (Ophi-
surus) vi giunge sempre. Nella Muraena esistono le ossa esetmoidi,
che mancano negli altri Murenoidi. Nella Muraena V apparecchio
opercolare presenta, in paragone del resto del cranio, una ri-
CONFORMAZIONE DELLO SCHELETRO CEFALICO DEI PESCI MTJRENOIDI EC. 153
duzione maggiore che in qualunque altro Murenoide. La Mu-
raena presenta V apparecchio ioideo ridottissimo, costituito, cioè,
dei soli e stiliformi epiali e ceratoiali, mentre negli altri Mu-
renoidi esiste anche un uroiale e un glossoiale, e di più i ce-
ratoiali, e gli epiali non sono mai così stiliformi. La Muraena
ha l'apparecchio branchiale conformato un po' diversamente
dagli altri Murenoidi: in essa, infatti, le prime tre paia di archi
branchiali sono sottili, costituite, per ciascuna branca, di due
soh pezzi, (mentre negli altri Murenoidi le prime tre paia d'archi
non sono così sottili, e le prime due sono costituite, per cia-
scuna branca di tre pezzi); il quarto paio di archi, composto
per ciascheduna branca di due articoli, è robustissimo, confor-
mato a guisa di un paio di mascelle faringee, e connesso in
sopra con un faringobranchiale dentigero, ( mentre negli altri
Murenoidi il quarto paio di archi non è più grosso degli altri
e non conformato a mascelle faringee) ; infine il quinto paio di
archi della Muraena, da alcuno negato, e rappresentato da un
paio di ossa dentigere, poste nella base del faringe e connesse
col quarto paio di archi, e di più nell'apparecchio branchiale
della Muraena non vi sono placche ossee dentigere isolate, (men-
tre negli altri Murenoidi il quinto paio di archi è rappresen-
tato da un paio di ceratoiali non dentigeri, ma connessi con
placche ossee dentigere ben isolabili, e di più altre placche os-
see dentigere isolate esistono superiormente al faringe in rap-
porto con gli epibranchiali e coi faringobranchiali) .
L' Ophisurm, che, per la maggioranza dei suoi caratteri cra-
nici, si accosta al Conger e aXVAìiguUla, ne differisce ( oltre a
quelli che gli sono proprii) per i seguenti fatti, che lo acco-
stano invece alla Muraena: in esso la faccia nucale del cranio,
il tegmen craniiy e le pareti laterali della cavità encefalica per
la conformazione e disposizione delle ossa, differiscono un po' da
ciò che si ha nel Conger e nella Anguilla, e si avvicinano più
alla Muraena) WQÌV Ophisurus \o sfenotico e la sporgenza sfeno-
tica del cranio sono piccoli, non ricurvi in avanti ad uncino, e
ciò a differenza di ciò che si ha nel Conger e nella Anguilla,
e a similitudine invece della Miiraeìia; nélV Ophisnrus la placca
ossea iomandibolare-quadrata è diretta perpendicolarmente in
basso, a differenza del Conger e della Anguilla, che 1' hanno di-
retta in basso e in avanti, e a similitudine della Muraena,
154 E. ncÀLBi
n Conger e V Anguilla, per quanto siano i Murenoidi più afi&ni,
differiscono tra loro per le seguenti particolarità: V Anguilla
ha due frontali, il Conger un unico frontale impari, per la
saldatura dei due ; nélV Anguilla ossa periorbitali e nasali sono
tutte molto simili tra loro e non vi è lacrimale differenziato,
nel Conger esiste un lacrimale ben differenziato che fti preso da
alcuno per il premascellare ; V osso uroiale nella Anguilla è corto
e tozzo, nel Conger è allungato, in modo da giungere fino a
livello della base dell' ultima arcata branchiale; nella Anguillu
la mascella inferiore sporge in avanti della superiore, nel Conger
le due mascelle sono presso che della lunghezza stessa; nella
Aìiguilln la faccia posteriore del cranio, o nucale, è tagliata a
picco, nel Conger la faccia posteriore del cranio è focata a
tettoia sporgente in dietro ; nella Anguilla V apparecchio bran-
chiale ha gli archi molto inclinati, è situato fuori del cranio,
ed ha due soli basibranchiali, nel Conger V apparecchio bran-
chiale ha gli archi molto più eretti, è situato sotto il cranio,
ha tre basibranchiali.
Così ho riassunto le peculiarità craniche dei Pesci murenoidi
italiani, confrontati con la maggioranza dei Teleostei e con-
frontati tra loro. Altre considerazioni potrebbero farsi, specie
per accennare quali Teleostei sono ai Murenoidi più affini, e
per stabilire qualche dato sul modo di classificare o suddividere
questo gruppo di Pesci; ma mi astengo da tutto ciò, conside-
rando eseguite per ora su troppo poche specie le mie ricerche
craniologiche.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Tar. XI.
Fig. 1. — Teschio di AnguiUa vtdgaris visto di dietro, ossia dalla sna faccia
occipitale (circa in grandezza naturale) . b o basioccipitale, sopra
al quale si vede il grande forame occipitale, cordiforme; eo esoc-
cipitale; so sopraoccipitale; k spazio non ossificato tra il sopra-
occipitale, i due epiotici, i due esoccipìtali e il grande forame;
ep epiotico; pto pterotico.
Fig. 2. — Teschio di Anguilla visto di sopra e un pocolino di dietro (circa in
gr. nat.). eo esoccipitale; ep epiotico; pto pterotico; so sopra-
occipitale; pa parietale; sfo sfenotico; fr frontale; prv osso
premassillo-etmo-vomerino; na nasale; ms mascellare superiore;
ajbyC,dje,/jg la catena degli ossetti periorbitali. (Le cartilagini
esetmoidi non sono figurate).
Fig. 3. — Teschio di Anguilla visto di lato e in sotto (circa in grand, nat).
b 0 basioccipitale; e o esoccipitale; pto pterotico; ^ $ / parasfenoide;
prò prootico; sfo sfenotico; 6s/ basisfenoide; als alisfenoide;
fr frontale; prv osso premassillo-etmo-vomerino; z spazio non
ossificato interorbitario.
Fig. 4. - Scheletro cefalico di Anguilla, meno V apparecchio branchiale, visto
di lato (circa in grand, nat); ep epiotico, che sporgendo in alto
nasconde il sopraoccipitale; pa parietale; pto pterotico; sfo sfe-
notico; prò prootico; als alisfenoide; bsf basisfenoide; psf p^
rasfenoide; fr frontale; prv osso premassillo-etmo-vomerino;
n a nasale; m s mascellare superiore, a, b, e, d, e^f, g la catena degli
ossetti periorbitali; ptg pterigoide; ym iomandibolare; oq osso
quadrato; art osso articolare; dei dentale; op opercolo; sop
156 E. FICJLLBI
subopercolo o sottoopercolo; i o y; interopercolo ; pop preopercolo;
cy ceratoiale o pezzo inferiore dell'ioide; uy aroiale o basibran-
chiostegale; yy glossoiale o entoglossale; rbr raggi branchioste-
gali; z spazio non ossificato interorbitario.
Fig. o. — Scheletro cefalico completo di Anguilla^ decomposto nei suoi singoli
pezzi; i singoli pezzi per lo più sono visti di sopra; si capisce che
i rapporti loro reciproci non possono essere conservati nella figura;
(circa in grand, nat.). ho basioccipitale , eo esoccipitale; so so-
praoccipitale; ej) epiotico; bsf basisfenoide; pa parietale; prò
prootico; pio pterotico; psf parasfenoide; fr frontale; als ali-
sfenoide ; sfo sfenotico ; prv premassillo-etmo-vomerino ; n a na-
sale ; a, b, e, d, e, f, g la catena degli ossetti periorbitarii ; m 8 ma-
scellare superiore \ pt g pterigoide ; y m iomandibolare ; o q osso
quadrato; art articolare; ok osso coronoide; det dentale; op oper-
colo; sop subopercolo o sottoopercolo; top interopercolo ; poj? pre-
opercolo; X tubulo osseo di un canale muccoso (disegnato solo a
destra); ey epiale o pezzo superiore dell'ioide; cy ceratoiale o
pezzo inferiore dell'ioide; ^y glossoiale o entoglossale; uyjiToìale
0 basibrancbiostegale ; rbr raggi branchiostegali; l.^bb il primo
basibranchiale ; 2.^ bb il secondo basibrancbiale ; L^ ip il primo
ipobrancliiale o appartenente al primo arco branchiale; 2,^ ip il
secondo ipobranchiale; \,^ce il primo ceratobi'anchiale o apparte-
nente ili primo arco branchiale ; 2.^ e e, H,^ e e, i.® e e, 5, e e gli altri
ceratobranchiali; Jf.» epb il primo epibranchiale; 2.^epb, 3,^ ^phj
4.^epb gli alti-i epibranchiali (il 5® arco branchiale ne è privo);
l.^fa primo faringobranchiale; 2.^ fa secondo faringobranchiale ;
kj y placche ossee dentigere faringobranchiali ; z, z placche ossee
dentigere connesse col 5.<^ paio di ceratobranchiali ossia col quinto
paio di archi branchiali.
Fig. G. - Estremità anteriore del teschio di un Grongo (il cosi detto muso)
visto di sopra ( circa metà del naturale ) . prv osso premassillo-
etmo-vomerino ( sua branca superiore o mesetmoidea ) ; frV estre-
mità anteriore del frontale; ms mascellare superiore; / ossetto a
canale muccoso delle estremità del muso; e il lacrimale; d, c^bj a os-
setti periorbitari; na nasale; es la cartilagine esetmoide di si-
nistra: quella di destra non è figurata.
Fig. 7. — Scheletro cefalico di Ophlsurus serpens, meno l' apparecchio branchiale,
visto di lato (circa in grand, naturale); lettere come nella Fig. 4;
se non che : 6' o sopraoccipitale ; il prootico non si vede, perchè co-
perto dall' iomandibolare; i interopercolo; ey epiale.
SPIEGAZIONE DELLE nOURE 157
Fig. 8. — Teschio di Muraena helena visto di dietro, ossia della sua faccia occi-
pitale 0 nucale (circa in grand, naturale); lettere come nella Fig. 1.
Fig. 9. — Scheletro cefalico di Murena, meno V apparecchio branchiale, visto di
lato (alquanto ingrandito); lettere come nella Fig. 4; se non che:
s 0 sopraoccipitale ; il prootico non si vede, perchè coperto dair io-
mandibolare; eh osso esetmoide; i ìnteropercolo ; p preopercolo;
ey epiale.
Fig. 10. — Osso premassillo-etmo-vomerino di Murena visto di sopra (grand, nat.);
a branca superiore o mesetmoidale; h estremo posteriore della
branca inferiore o vomerina.
Fig. 11. —Le cosi dette mascelle faringee della Murena (lato destro; grand,
nat), le quali risultano dei seguenti pezzi: epb epibranchiale ;
ce ceratobranchiale: queste due ossa costituiscono il quarto arco
branchiale; fa è T unico faringobranchiale esistente nella Murena
ed è intimamente connesso con le ossa del quarto arco branchiale,
è dentigero; 5.^0 quinto ceratobranchiale, che da solo rappresenta
tutto il quinto arco: è detto comunemente nei Teleostei osso fa-
ringeo inferiore: è dentigero.
Fig. 12 (schematica), — Disposizione dello scheletro branchiale relativamente al
resto del cranio nella Anguilla. Dello scheletro branchiale è sche-
maticamente rappresentata la metà destra, meno le ossa f aringo-
branchiali: si vede come le arcate branchiali siano molto inclinate
e quasi completamente situate fuori del resto cranico. Il cranio
stesso è rappresentato in quella parte sua e che forma parete alla
cavità encefalica e che forma la parte mediana del muso: è visto
in sezione longitudinale mediana, 2: è lo spazio non ossificato in-
terorbi tarlo; si vede che la faccia nucale del cranio è tagliata a
picco. I, n, m, IV, V sono le arcate branchiali; col V arco si
vede connessa la placca ossea dentigera.
Fig. 1 3 (scheìnaficu), — Disposizione dello scheletro branchiale relativamente al
resto del cranio nel Grongo. Dello scheletro branchiale è schema-
ticamente rappresentata la metà destra, meno gli epibranchioli e
le ossa faringobrayichiali; si vede come le arcate branchiali siano
assai erette, e lo scheletro brancliiale situato sotto il cranio. Cranio
rappresentato e sezionato come nella Anguilla; si vede che la fac-
cia nucale è a tettoia sporgente in dietro; 2; è lo spazio non ossi-
ficato interorbitario; I, II, III, IV, V le arcate branchiali.
Fig. U (schematica), — Disposizione dello scheletro branchiale relativamente al
resto del cranio neir Ofisuro. Dello scheletro branchiale è schema-
ticamente rappresentata la metà destra meno le ossa faringobran-
1 58 E. nCÀLBI — SPIEGAZIONE DELLE FIQVBÉ
chiali ( si vede però una placca ossea dentigera (?) ) . La figura
dimostra che le arcate branchiali sono meno erette che nel Grongo,
e che lo scheletro branchiale sebbene non sia tutto sotto il cranio,
come nel Grongo, non v' è cosi lontano, come nella Àngailla. Cra-
nio rappresentato e sezionato come nella Anguilla; si vede che la
faccia nucale è tagliata a picco; 2f è lo spazio non ossificato in-
terorbitario ; I, II, III, IV, V le arcate branchiali.
Fig. 15 (schematica), — Disposizione dello scheletro branchiale relatÌTamente al
resto del cranio nella Murena. Dello scheletro branchiale è sche-
maticamente rappresentata la metà destra. Si vede che le arcate
branchiali sono assai inclinate e che mentre i loro estremi, specie
gli inferiori, sono sotto al cranio, gli angoli di riunione dei pezzi
superiori e inferiori ( epibranchiali coi ceratobranchiali) sporgono
fuori del cranio in dietro. Cranio rappresentato e sezionato come
nella Anguilla. Si vede che la fa. eia nucale è tagliata a picco;
z è lo spazio non ossificato interorbitario ; I, II, III, IV, V sono
le arcate branchiali.
A. BOTTINI
-191
RICERCHE MlOIMlEMll'lSOU D'UBA
CON UNA NOTA
sul FISSIDENS SERRULATUS Bridel
RICERCHE BRIOLOGICHE
Fra i molti e molti naturalisti che con diverso scopo hanno
visitato e dottamente illustrato V Isola d' Elba, nessuno che io
sappia, tranne il dottor Emilio Marcucci, si è mai occupato dei
muschi. Ciò m' indusse V anno decorso ad intraprendervi due
escursioni, la prima sul cominciare di Febbrajo, la seconda verso
la fine di Marzo, tempo il più adattato per le ricerche briolo-
giche in quella località meridionale. In una quindicina di giorni
potei percorrere, pur troppo un po' alla lesta, V Isola intera,
ed ora presento il catalogo dei miei muschi ,e di quelli in gran
parte tuttora indeterminati del dottor Marcucci, da me per
suo favore esaminati nelV erbario di lui a Firenze. Prima però
mi è duopo rammentare V aspetto e la natura del paese, di
volo s' intende e solo quanto interessa il mio tema, per non
ripetere oziosamente ciò che nei varii lavori e soprattutto in
quello attuale importantissimo dell' ingegnere Lotti trovasi in-
dicato (^).
L' Isola d' Elba, la maggiore dell' Arcipelago toscano, lunga
da est ad ovest 25 chilometri, occupante un' area di 236 chi-
(*) Lolti B. Descrizione geologica dell'Isola d* Elba (Memorie descrittive della
carta geologica d'Italia, Voi. IL 1886). — Vedi pure le stupende carte geologiche
deir Isola stessa airVssiooo (1884) ed ali* Vso'ooo (1885), rilevate dal Lotti per conto
del Comitato geologico.
160 A. ijo'mxi
lometri quadrati, è distinta in tre gruppi di alture allineati da
oriento ad occidente e divisi nella direzione del meridiano da
due depressioni, cui corrispondono profonde insenature della
costa.
Nel gruppo orientale, la cui elevazione massima e di circa
500 metri, comparisce intera la serie delle roccie dell' Isola.
La panchina quaternaria esistente in più punti, trovasi portata
sul Monte Calamita presso Capoliveri ad un'altezza di quasi
200 metri. Mancano qui ed in tutta Y Isola i terreni terziarii
superiori. L' eocene vi è rappresentato da varie calcarle, da
schisti, arenarie, diaspri, ftaniti e vi si collega intimamente un
gruppo di roccie ofioliticho, cioè serpentine, eufotidi e diabasi.
Susseguono scisti varicolori del lias superiore e calcane del lias
inferiore e dell' infralias ; poi scisti e puddinghe quarzose per-
miane; scisti carboniosi ed ardesiaci siluriani; serpentine, cai-
carie, micascisti e scisti gnoissiformi presiluriani. Anche i tanto
noti giacimenti ferriferi sono in questa parte orientale del-
l' Isola.
Il gruppo medio presenta ad oriente la intera serie dei
terreni fin qui nominati, con gran sviluppo della diabase; mentre
ad occidente consta di una cupola di porfido quarzifero, mio-
cenico (^), dell' altezza massima di 370 metri.
Finalmente il gruppo occidentale che raggiunge al Monte
Capanne i 1019 metri, è tutto una cupola di granito mioce-
nico, rivestita alla periferia da lembi isolati di roccie sedimen-
tarie, ofiolitiche e» porfiriche.
I corsi d' acqua dell' Isola, numerosi ma di poca entità, sono
in generale asciutti in estate; scarsissime le sorgenti perenni
nelle porzioni centrale ed orientale ove non compariscano roccie
ofiolitiche; copiose al contrario nella Valle di Marciana, a set-
tentrione del Monte Capanne.
H clima dell'Elba è dolce: la temperatura media invernale
h di + 8°: la media estiva + 22^: l'annuale + 15^. La massima
dell' estate raramente oltrepassa i 30^, e il maggior freddo ri-
cordato non giunse a più di 6" sotto zero (-). Frequenti le varia-
zioni atmosferiche, in correlazione coi venti.
La quantità di pioggia h piccola, di fronte a quella della
(') Lotti B. I. e. pa^. 138 e soguenti.
(') Tulle G. Monojrafia agraria del Circondario dell* Isola d' Elba. pag. 13(1879).
RICERCHE BRIOLOGICHB NELL ISOLA D ELBA 161
costa toscana. La media annuale di Portoferrajo per gli ultimi
17 anni ci da solo "™599,3, con predominio in Ottobre (^). A
questa scarsità suppliscono in estate abbondanti rugiade; cosic-
ché r aria si mantiene costantemente umida, particolarmente
nella stagione calda e quando spirano gli scirocchi. I mesi più
asciutti sono il Gennajo ed il Marzo (^).
Bei boschi di castagni si osservano sul versante nord del
Monte Capanne; altrove boschetti sempre verdi, o terreni nudi,
o vigneti. Piccolissime le pianure e interamente coltivate. La
costa frastagli atissim a e tranne angustissimi tratti, tutta rupestre.
La più bella vegetazione briologica si ha nelle fresche valli
di Marciana sul granito, in quella di S. Martino sul porfido e
lungo il Fosso di Rialbano sulle puddinghe quarzose. La piccola
spiaggia renosa di Campo e le pianure oflErono qualche buona
specie. Le calcarle e le roccie ofiolitiche sono in generale po-
vere di muschi; poverissimi gli schisti presiluriani del Monte
Calamita e tutti i terreni fortemente mineralizzati. La friabilità
di alcune roccie, la loro secchezza o la esposizione troppo asso-
lata, ci spiegano la scarsità dei muschi in più luoghi dell' Isola.
Delle 105 specie di questo catalogo, 5 sono state trovate
dal dottor Marcucci, 66 da me, e 34 da ambedue (^); delle quali 73
spettano s^gli Acrocarpi e 32 ai Pleurocarpi. 11 loro insieme ci
palesa il carattere più spiccato della vegetazione briologica me-
diterranea, molte forme essendo identiche a quelle dell'Algeria.
Fra le più caratteristiche citerò: Fissidens taxifolius var. Bon~
valeti (che ritengo nuovo per V Europa), Fissidens serrulatus, Ce-
ratodon corsicus, Pottia Starkei^ Webera Tozeri, Bryum atropurpu-
reum dolioloides, Bryum Donii, Homalia lusitanicay Camptothedum
aureuniy Rhynchostegium megapolitanum var. mediterraneum e Ra-
phidostegium Welwitschii nuovo per l'Italia; tra le specie rare:
Cosdnodon cribrosus e Brachytliecium albicans var. alpinum.
Sono rimasto sorpreso di non aver trovato una quantità di
muschi che supponevo non poter mancare nell' Elba; è però
(^) Lotti. L e. pa^. 4.
(«) Pullò. 1. e.
(^) Le specie delP erbario Marcucci ascendono ad una cinquantina; io però mi
sono trovato costretto a citarne solo trentanove, non tenendo conto di quelle che
nella breve mia corsa a Firenze mi fu impossibile identificare con rigore. Sono tut-
tavolta quasi sicuro che tra le omesse non ve ne ha nessuna che manchi alla pre-
sente enumerazione.
Se. Noi, Voi. Vm, fase. !.• 12
162 A. BomNi
vero che per rendersi conto esatto della vegetazione briologica
di quest' Isola^ sarebbe necessaria una esplorazione ripetuta per
parecchi anni di seguito: essendo che le piccole specie spora-
diche delle quali abbonda la Flora mediterranea, sfuggono &cil-
mente all' occhio del raccoglitore, e per la variabile azione d^li
agenti atmosferici, molti muschi annui spariscono e ricompa-
riscono a periodi in una medesima località.
Pisa, Luglio 1SS6.
CATALOGO
MUSCHI I^:EIaIjr BlIa:BJL
Acrocarpi
Gen. 1 — Archidium Brid.
1. A. alternifolium (Dicks.) Schimp.
Alle falde del Monte Orello {}), lungo la via per Lon-
gone, sulla serpentina: (e. fr.).
Gen. 2 — Phascum Linn.
2. Ph. cuspidatum Schreb.
Longone e pianura di Portoferrajo, sulla terra: (e. fr.).
Gli esemplari di Longone hanno la cuffia molto grande,
biloba, scendente quasi fino alla base della cassula; quelli
del piano di Portoferrajo sono estremamente piccoli, bul-
biformi, e dovrebbero riferirsi alla varietà piliferum Br.
eur., se non vi ostasse il carattere delle foglie semplice-
mente cuspidate.
Gen. 3 — Pleuridium Brid.
3. P. subiilattim (Huds.) Br. eur.
Valli di Pomonte e di Marciana, sul terréno grani-
tico: (e. fr.).
(*) Monte Orello od anche Monte Lorello.
RICERCHE BRIOLOOICHE NELL^ ISOLA D* ELBA 163
4. P. alternifolium (KAulf.) Br. eur.
Pianura di Portoferrajo : (e. fr.).
Gen. 4 — Systegium Schimp.
5. S. crispum (Hedw.) Schimp.
Longone, lungo la via per la Madonna di Monser-
rato : (e. fr.) .
Gen. 5 — Eucladium Br. eur.
6. E. verticillatum (Linn.) Br. eur.
Valle d'Ortano, sulla serpentina: (sterile); boschi della
Valle di S. Martino, sul porfido: (pi. ?); castagneti di
Marciana, sul granito porfirico: (sterile).
E sempre incrostato di carbonato calcico.
Gen. 6 — Weisia Hedw.
7. W. viridula (Linn.) Brid.
Comune sui terreni silicei di tutta l'Isola: (e. fr.). La
var. stenocarpa Br. germ., nella Vaile di S, Martino, sul
porfido.
Gen. 7 — Dicranella Schimp.
8. D. rubra (Huds.) Lindb. — 2). varia Hedw.
Comune sui terreni silicei, argillosi e marnosi dell'Isola,
ed al Giove presso Rio Marina, sulla terra impregnata di
minerali di ferro: (e. fr.).
Gen. 8 — Dicranum Hedw.
9. D. scoparium (Linn.) Hedw.
Castagneti di Marciana e S. Gerbone (Marcucci!): Monte
Capanne (Marcucci! ed io) sul granito: (e. fr.).
Sopra Marciana Castello ho raccolto una forma sterile
vicinissima alla var. spadiceum Boulay, Muscin, de la
France, pag. 484.
Gen. 9 — Leucobryum Hampe.
10. L. glauciim (Linn.) Schimp.
Castagneti di Marciana sul terreno granitico: (sterile),
Gen. 10 — Fissidens Hedw.
11. i^. incurvus Schwaegr; Braithw. Brit. Moss-Flora (1881;)
164 A. BOTTINI
Mitten, The Joum. of the Linn. Soc. Botany, VoL XXI,
pag. 550 (1886).
Valle dei Molini, le Trane, nei coltivati: Capoliveri,
nei pascoli inagri : boschi sempre verdi sopra S. Giovanni
presso Portoferrajo, sulla diabase; (e. fr.).
Nei cespi delle Trane (come in quelli di Pisa) si os-
servano tutte le possibili gradazioni fra gli esemplari tipici
con cassula irregolare, inarcata, cemua, e quelli spettanti
al F. vitndulus Braithw. Brit. Moss-Flora, pag. 70, con cas-
sula perfettamente simmetrica ed eretta. Le foglie disposte
in 4 o 6 paja, sono identiche in ambedue le forme, da 3 ^jt
a 5 volte più lunghe che larghe, con margine lai^o alla
base, sottile in alto, evanescente come la nervatura alla
sommità. L' apice è più o meno acuminato od apicolato.
Insisto su questo fatto, il quale dimostra come da noi non
esista nessuna netta demarcazione fra il F. inairvus 8ch-
waegr., ed il F. viridultis Braithwaite. Secondo il signor
Mitten (1. e.) il vero F. viriduliés (Sw.) sarebbe altra specie
che avrebbe per sinonimi F. Sardagnai Vent. Rev. Bryol.
pag. 93 (1S83): F. introUmhatiis Ruthe, Hedwigia, pag. 177
(1870): FsubimmarginatHsFhilìh. Rev. Bryol. pag. 57 (1884).
12. F. taxifolius (Limi.) Hedw.
var. p Bonvaleti (Sch. et Par.) Bescher. Catal. d. Mouss.
d'Algerie, pag. 7 (1882). — Fissidens Bonvaleti ^ch. et. Par,
in exsicc. Bryoth. Europ. Rabenh. fase. XIX, n.* 945 (1867).
Il tipo lungo il Fosso di Rialbano su terreno quarzoso,
ed al Giove presso Rio Marina sopra la terra impregnata di
minerali di ferro: (e. fr.). La var. p nei boschi sempre verdi
a S. Giovanni presso Portoferrajo, sulla diabase: (e. fr.).
Le varietà Bonvaleti non mi era nota dell' Europa ; la
conoscevo solo dell'Algeria.
13. F. Majtus Mitten, The Journ. of the Linn. Soc. Botany, Voi.
XXI, pag. 550 (188(5). — /'. adiantoides Br. eur. et ree. Auct.
Presso le Rimesse sulla via per Procchio, sopra la terra:
(piante sterili, ed altre con fiori '/e ? ascellari).
14. F. adiantoides Hedw. Muse, frond. III. t. XXVI (dioicus!);
Mitten, The Journ. of the Linn. Soc. Botany, Voi. XXI,
pag. 550 (1886). — F. decipiens De Not. Epil.; Braithw.
Brit. Moss-Flora, t. XI. D.
RICERCHE BRIOLOOICHE NELL ISOLA D ELBA 165
Alla Madonna di Monserrato, sulla diabase: (piante
sterili miste ad altr(5 con numerosi fiori ? ascellari verso
la metà degli steli; non ho trovato fiori ^).
Secondo il sig. Mitten (1. e.) le forme dioiche spettano
al F. adiantoides Hedw., o F. decipiens De Not. ; le forme
monoiche al F. majus. Egli asserisce pure che in quest' ul-
timo le cellule delle foglie sono il doppio più grandi che
nel primo. Tutti i miei esemplari per altro, tanto i monoici
che i dioici appartengono al tipo a cellule piccole. D' altra
parte i professori Philibert(^) e Boulay(^) hanno osser-
vato che i fiori maschi possono svilupparsi come gemme
avventizie sulle vecchie foglie delle piante fenùnee del
F. decipiens. È quindi probabile che una distinzione spe-
cifica &a F. majus e F. adiantoides^ non sia a bastanza
giustificata.
15. F. serrtdatus (Bridel).
S. Cerbone, sul granito (Marcucci!); lungo il Fosso di
Rialbano su terreno quarzoso nei siti ombrosi ed umidi,
e nei castagneti ombrosi ed umidi di Marciana sul gra-
nito porfirico: (piante sterili; piante d*^ con fiori terminali
ed ascellari; piante ^ con fiori terminali; ima pianta por-
tante all'estremità del fusto un vecchio pedicello).
(xen. 1 1 — Blindia Br. eur.
16. B, acuta (Huds.) Br. eur.
Raccolta dal dott. Marcucci a S. Cerbone, su terreno
granitico: (sterile)-
Foglie lunghe fino a 3 V*2 millimetri, ma di forma e
struttura normale.
Gen. 1 2 — Ceratodon Brid.
17. (7. corsicus Br. eur.
Raccolto dal dottor Marcucci nella Valle di Patresi
presso Marciana sul granito : (e. fr.) .
Gen. 13 — Pottia Ehrh.
18. P. truncata (Linn.) Br. eur.
Valle di S. Martino, su terreno porfirico: (e. fr.).
(») Philibeit. Rev, Bryol, pag. 65 (1883).
(•) Boulay. Musnin. de la France pag. 522 (I88i).
166 A. BOTTINI
19. P. iìiteinnedin (Turn.) FQrn; DeNot. Epil.; Juratz. Laubmoosfl.
V. Oesterr.-Ung. pag. 93.
Longone, Valle dei Molini, le Trane, nei coltivati : Valle
di S. Martino su terreno porfirico : (e. fr.).
20. P. Starkei (Hedw.) C. Milli.; Venturi, Rev. Bryol. pag. 61,
(1885).
Monte Calamita, sugli schisti gneissiformi : salita di Ca-
poliveri, spiaggia di Mola, pianura di Portoferrajo, nei
pascoli magri e nei coltivati: Valle di S. Martino, sul por-
fido: (e. fr.).
Gli esemplari elbani hanno i denti del peristoma im-
perfetti come nella var. brachyoda Lindb. Trichost. Eur.;
le spore molto grandi (fino ""0,030) e fomite alla super-
ficie dei soliti grossi e radi bitorzoli caratteristici; la cuf-
fia tutta papillosa, meno però alla base che all'apice.
Non ho potuto rinvenire gli anteridii. Cuffie papillose, seb-
bene in grado minore, ne ho rinvenute eziandio in esem-
plari francesi a peristoma perfetto del sig. Du Buisson,
ed in altri algeriani della var. brachyoda, mandatimi dal
sig. Bescherelle. Anche la Poffia Wilsonii (Hook.) Br. eur.,
ha la cuffia papillosa; ma oltre alla differente forma delle
foglie, della cassula e dell'opercolo, se ne distingue per
le spore non bitorzoluto, ma ricoperte di fitte e minutis-
sime granulazioni, come ho riscontrato in esemplari au-
tentici di Wilson e di Wood, favoritimi dal sig. Geheeb.
Gen. 14 — Didymodon Hedw.
21. D. lundtis Homsch.
Longone, sulla terra: Valle d'Ortano, sul calcare ca-
vernoso: (e. ft\).
22. D. tophaceus (Brid.) Juratz.
Le due forme hrevicauli^ e acutifolia, al Giove presso Rio
Marina, sulla terra impregnata di minerali di ferro: (e. fr.).
Gen. 15 — Trichostomum Hedw.
23. T. imitabile Bruch, mst.; Br. eur.
Comune nella parte orientalo e centralo dell'Isola, sulla
terra e nelle fessure delle roccie silicee, come porfido, schisti
gneissoidi, serpentina, diabase : (fruttifica scarsamente) ,
RICERCHE BRIOLOGICHE NELl' ISOLA d' ELBA 167
Nelle fessure delle rupi ombreggiate, si trova quella
forma sterile simulante la Barbuta tortuosa^ notata in
Francia dal professore Boulay ( Muscin. de la France,
pag. 448, 1884),
24. T. crispulum Bruch.
Tra Longone e la Madonna di Monserrato, e presso le
Rimesse lungo la via di Proccbio, sulla terra: (e. fr.).
25. T, flavavirens Bruchi.
Marina di Ortano, nelle fessure degli schisti silicei:
(sterile); presso Longone: boschi di S. Giovanni, sulla dia-
base: Marina di Campo, sull'arena sotto i lecci: (e. fr.).
Su di una stessa pianta, le foglie sono rapidamente con-
tratte air apice ed apiculate, oppure gradatamente ristrette
ed acuminate. Gli esemplari di S. Giovanni sul Golfo di
Portoferrajo rappresentano una forma di passaggio al T.
viridiflavum De Not.; Juratz., del quale hanno tutti i ca-
ratteri, eccettuate le foglie, che non differiscono punto da
quelle del T. flavovirens.
Gen. 16 — Barbula Hedw.
26. i?. aloides (Koch) Br. eur.
Boschi di S. Martino sul terreno porfirico: (e. fr.). Una
forma intermedia fra questa specie è la Barbula ambigua,
presso le Rimesse lungo la via per Procchio, sopra la
terra: (e. fr.).
27. B. atrovirens (Sm.) Schimp.
Salita di Capoliveri, Golfo di Portoferrajo alle Trane,
nei pascoli magri e nei coltivati: fra Campo e Pomonte,
sul granito: (e. fr.). La var. edentula Schimp., presso la
cima del Monte Capanne, sul granito.
28. B. cuneifolia (Dicks.) Br. eur.
Presso Longone, Golfo di Portoferrajo alle Trane e a
S. Giovanni, nei coltivati : boschi di S. Martino, su terreno
porfirico: (e. fr.). La forma spathulaefolia De Not., presso
Longone insieme al tipo.
29. B. canescens Bruch.
Monte Fabbrello (Marcucci!): Golfo di Portoferrajo alle
Trane, nei coltivati: Valle di Pomonte, sul granito: (e. fr.).
30. 5. muralis (Linn.) Timm.
168 A. BOTTINI
Comune in tutta Y Isola sui muri e le rupi tanto silicee
che calcaree : (e. fr.). Esiste anche neir erbario Marcucd.
La var. aestiva Brid., nella Valle di Marciana. La rar.
incatia Br. eur., tra Campo e Pomonte.
31. B. unguiculata (Huds.) Hedw.
Salita di Capoliveri, Golfo di Portoferrajo ' nella Valle
dei Molini ed alle Trane, nei pascoli magri e nei cultivati:
castagneti di Marciana^ su terreno granitico: (e. fr.).
32. B. gracilis Schwaegr. ; Boulay, Muscin. de la Franca, pag.
428 (1884).
Presso Capoliveri, alle Trane, e presso le Rimesse, nei
pascoli magri e sulla terra in parte calcarea : (e. fr .). Una
forma molto vicina alla var. viridi^ Br. eur., tra Rio e
Longone.
Fra gli esemplari tipici se ne trovano sovente altri colla
cassula subcilindrica come nella B. fallax, o col tessuto
delle foglie caratteristico della B. rineaìis.
33. B. cotivoluta Hedw.
Boschi di S. Giovanni sul Golfo di Portoferrajo, sopra
la diabase: castagneti di Marciana sul terreno granitico:
(e. fr. ).
34. B. toriiiosa (Linn.) Web. et Mohr.; Boulay, Muscin. de la
Franco, pag. 420 (1884).
La forma a fypica Boulay, nei castagneti di Marciana,
sul granito porfirico: (e. fr.). Una forma ambigua ftu la
var. f rag ili f olia Juratzka e la var. rigida Boulay, lungo il
Fosso di Rialbano su terreno quarzoso: (e. fr.).
"^B. nitida (Lindb.) Renauld, Kev. Bryol. pag. 90 (1882). —
Trichostomum nitidnm Lindb.; Boulay, Muscin. de la Franco,
pag. 444 (1884).
La var. ìnedin Boulay, nella Valle di Marciana sul gra-
nito porfirico: (sterile). La var. ohtiisa Boulay, lungo il Rio
di Ortano, sul calcare cavernoso: (sterile).
Intorno a questo musco problematico, le cui forme to-
scane si raggirjino fra la 7i. toHuosa e la mclitmta, con-
sultare: Venturi e Bottini, Enumeraz. critica dei muschi
italiani, pag. 50 (1884); Boulay, 1. e; Venturi, Nuovo Giorn.
Bot. Ital., Voi. XVIII, N." 2, pag. 70 (1S86),
* B. inclinata Schwaegr.
RICERCHE BRIOLOGICHE NELl' ISOLA d'eLBA 169
Presso Longone, sulla terra sassosa: castagneti di Mar-
ciana, sul granito porfirico: (e. fi-.),
35. B, squarrosa Brid.
In tutta r Isola, sulla terra e le rupi calcaree e silicee :
(sterile).
36. B. subulata (Linn.) Pai. Beauv.; Boulay, Muscin. de la Fran-
ce, pag. 410 (1884).
La var. integrifolia Boulay, in varii luoghi della Valle
di Marciana, su terreno granitico: (e. fr.).
37. -B. ruralis (Linn.) Hedw.
Marina di Campo, sull' arena sotto i lecci: (sterile).
Gen. 1 7 — Grimmìa Ehrh.
38. G. apocarpa (Linn.) Hedw.
Boschi della Valle di S. Martino, sui muri: (e. fr.).
39. G. piilvinata (Lina.) Smith; Boulay, Muscin. de la Franco,
pag. 385 (1884).
In tutta r Isola, sui muri e le rupi specialmente silicee:
(e. fr.). Esiste anche nell' erbario Marcucci. La forma lon-
gicapsula Bescherelle, Boulay, nelle Valli di S. Martino e
di Marciana, sui muri e sul granito.
40. G. decipiens (Schultz) Lindb. — (?. Schultzii (Brid.) Wils.
S. Gerbone (Marcucci !) e presso la cima del Monte Ca-
panne, sul granito: (e. fr.).
41. G. trichophylla Grev. et Auct. ree.
var. Lisae (De Not. Epil.).
forma lusitanica (Schimp.); Boulay, Muscin de la Franco,
pag. 379 (1884). — Grimmia ancistrodes Solms.-Laub.
forma submtdica (Boulay, 1. e. pag. 379),
var. Sardoa (De Not. Epil.).
D tipo non lo conosco dell' Elba, ne d' altre parti della
provincia mediterranea. La var. Liscie^ raccolta ancora dal
Dottor Marcucci, è comune nell'Isola sul granito, il por-
fido e la diabase: (e. fr.) ; le sue forme lusitanica e submutica
nei castagneti di Marciana, sul granito porfirico: (e. fr.).
La var. Sardoa a S. Piero in Campo sul granito (Marcucci!)
e nei boschi di S. Giovanni ed alle Panche sul Golfo di
Portoferrajo, sopra la diabase : (e. fr.).
170 A. BOTTIXI
Due anni or sono il prof. Boulay C) ed io (^) notammo
che certe forme di Grimmia di cui abbonda la provincia
mediterranea, rendono malagevole una distinzione speci-
fica fra le Grimmie tì-ichophyUaj Lisae, Sardoa e Mutden"
bechi i. 11 copioso materiale raccolto nell'Isola d' Elba, mi
dimostra ora la necessità di riunirle definitivamente in
una sola specie. Caratteri della var. Lisae sono: foglie più
larghe alla base e spore tutte o in parte maggiori di quelle
del tipo. iSovente, ma non sempre, ha pure foglie più brevi
e cassule più rigonfie. Tutti gli altri caratteri distintivi
esaminati ad uno ad uno, non mi hanno offerto alcon va-
lore; basti citare fra quelli ritenuti i più costanti, la di-
rezione delle foglie bagnate che credevasi inarcata all' in-
fuori e che invece è oltremodo variabile anche in mio
stesso cespo. La var. Sardoa ha foglie strette come la
G. trichophylla ma più corte, cassula molle, piccola, gonfia,
spore grosse, pelo delle foglie variabile; si distingue dalla
G. Miìhlenheckii pei cespi più radi e tenui, pei fosti ordi-
nariamente lunghi, come strozzati ad ogni successiva in-
novazione, in grazia del subito succedere di foglie piccole
ad altre più grandi. In certi esemplari tali differenze di-
minuiscono, ed allora la somiglianza con quest'ultima
specie doventa grandissima. Alla G. Miììdenbeckii tipica,
mancante nella provincia mediterranea, ma molto diflPusa
nell' Europa media e del nord, ove conservasi ben distinta
dalla G. trichopìnjVa, può accordarsi il valore di sottospecie.
42. G. lencophaea Grev.
Monte Calamita, sugli schisti gneissiformi: Rio Alto
(Marcucci!): in tutta la cupola granitica della r^^one
occidentale: (e. fr.).
Gen. 1 8 — Racomitrium Brid.
43. li. aciculare (Linn.) Brid.
Presso la cima del Monte Capanne, sul granito : (e. fr.).
44. B. ìanuginosum (Dill.; Hedw.) Brid.
S. Cer])one (Marcucci!) e presso la cima del Monte Ca-
panne, sul granito: (sterile).
(«) Boulay Muscin de la Frnnce. pag. 378-380 (1884).
(') Venturi 0 Bottini. Enumeraz. critica dei muschi ilalianù pag. 65-66(1884^.
RICERCHE BRIOLOGICHE NELl' ISOLA d' ELBA 171
Ho raccolto ancora delle formo di passaggio al R. ca-
nescens.
Gen. 1 9 — Hedwigia Ehrh.
45. H. ciliata (Dicks.) Hedw.
Presso la cima del Monte Capanne, sul granito: (e. fr.),
Gen. 20 — Coscinodon Spreng.
46. (7. cribrostùs (Hedw.) Spruce.
Alla Madonna di Monserrato, sulla diabase: (e. fr.).
Gen. 21 — Zygodon Hook, et Tayl.
47. Z. viridissimtcs (Dicks.) Brid.
Marina di Campo, alla base dei lecci: (e. fr.).
Gen. 22 — Orthotrichum Hedw.
48. 0. rupestre Schleich.
Raccolto dal dott. Marcucci alla cima del Monte Orello,
sulle rupi : (e. fr.).
Le foglie constano di due strati di cellule nella parte
loro superiore: le cassule sono debolmente striate e i
denti del peristoma non papillosi : mancano i cigli. E una
forma prossima alla var. Sturmii (H. et H.) Venturi, Enum.
critic. d. muschi ital. pag. 28, dalla quale differisce per le
cassule oblunghe, gradatamente ristrette fino al pedicello,
anziché ovato ed a collo corto. Corrisponde all'O. Stuìmii
Boulay, Muscin. de la Franco, pag. 327 (1884).
Gen. 23 — Entosthodon Schwaegr.
49. E, ericetorum (Bals. et De Not.) Schimp.
Tanto il tipo quanto la var. Notarisii Schimper, alle
Rimesse lungo la via per Procchio, sulla terra: (e. fr.).
Una forma intermedia alle precedenti, nei castagneti di
Marciana, sul granito : (e: fr.).
50. E. Templetoni (Hook.) Schwaegr.
Boschi di S. Giovanni, sulla diabase : alle falde del Monte
Orello, sulla serpentina: presso le Rimesse lungo la via
di Procchio, sul porfido; S. Cerbone (Marcucci!) sul gra-
nito : (e. fr.).
172 A. BOTTINI
(Jen. 21 — Funaria Schreb.
51. I\ fascicularis (Dicks.) Schimp.
Presso Longone sulla terra e nella Valle di S. Martino
sul suolo porfìrico: (e. fi:.).
52. F. calcarea Wahlenb.
La forma nied iter rama Lindb., alla Madonna di Mon-
serrato, sulla diabase: (e. fr.). La forma patuln Br. eur.,
nei castagneti di Marciana, sul terreno granitico : (e. fr.).
53- F. convexa R. Spruce.
Longone, sui muri terrosi : Golfo di Portoferrajo (Mar-
cucci!) alle Panche: (e. fr.).
54. F. hygroììietì^a (Linn.) Sibth.
Qua e \h in tutta V Isola (Marcucci ! ed io), particolar-
mente sui terreni silicei : (e. fr.).
Gen. 25 — Leptobrytim Schimp.
55. L. pyriforme (Linn.) Schimp.
Raccolto dal dott. Marcucci a Pomonto : (e. fr.).
(}en. 26 — Webera Hedw.
56. W. carfiea (Linn.) Schimp.
Fosso di Rialbano, su terreno quarzoso: al Giove presso
Rio Marina, sulla terra impregnata di minerali di ferro:
Valle dei Molini sul Golfo di Poi-toferrajo, nei coltivati:
(e. fr.).
57. W. Toz^ri (Grev.) Schimp.
Pianura di PortofeiTajo sulla via per Procchio: casta-
gneti di Marciana su terreno granitico: (e. fr.).
Gen. 27 — Bryum Dillen.
58. B. torqueficens Br. eur.; Bottini, Contribuz. alla Fior, briol.
della Calabria, pag. 8; Boulay, Muscin de la Fi^ance, pag. 269.
Comune in tutta l'Isola, nei boschetti, sulla terra,
l'arena, fra i sassi, sopra tutti i terreni: (e. fr.).
La infiorescenza di questa specie (0 è decisamente pò-
ligama. Negli esemplari elbani, tutti i fiori fertili ed altri
giovanissimi che proba))ilraente sarebbero stati fecondati,
RICERCHE BRIOLOinCHE NELL^ ISOLA D* ELBA 173
sono esclusivamente feminei : tutti i fiori sterili bene svi-
luppati sono ermafroditi.
59. B. murale Wils.
S. Martino (Marcucci!): S. Giovanni presso Portoferrajo,
sui muri : (e. fr.).
60. B. atropurpureum Web. et Mohr.
Comune in tutta l'Isola nei luoghi sabbiosi, ghiajosi,
raramente sui muri, alla penombra dei boschetti : (e. fr.).
Più frequente della forma tipica è la forma dolioloides
Solm.-Laub. Tentam. Bryo-geogr. Algar. pag. 37. Esiste
anche nell'erbario Marcucci.
Tra le piante normali, se ne trovano talune con pedi-
celli lunghissimi.
61. 5. alpimim Huds.; Linn.
forma « typica Linn.; Boulay, Muscin de la France,
pag. 252.
forma p meridionalis Schimp. Syn. ed. Il, pag. 441. —
forma angustifolia Boulay, 1. e.
forma y mediterranea Boulay, 1. e.
forma 8 gemmipara (De Not.) Boulay, 1. e. — B. gem-
miparum De Not. Epil. pag. 406.
La forma a lungo il Rio di Bagnaja (Marcucci!) e sopra
Pomonte e nei castagneti di Marciana, sul granito: (e. fr.).
La forma p lungo i Fossi di Fosco e del Pentimento nel
Monte Calamita, sugli schisti gneissiformi: (sterile). La
forma t qua e Ih in tutta l' Isola, sui terreni silicei : (sterile).
La forma 8 a Rio (Marcucci !) alle miniere di ferro: (sterile).
Come giustamente osserva il Boulay, le innumerevoli
gradazioni esistenti fra queste varie forme, ci obbligano
a considerare il B. gemmiparum come uno stato partico-
lare del B. alpinum. La vera forma gemmipara (De Not.
1. e.) che ha ^ folla patula, flaccida, ovata, parabolice ad
apicem angustata, vix acuta, concava, ....;, è piuttosto
rara, e secondo Schimper {}) e Juratzka (^) vivrebbe sui
terreni calcarei, a diflferenza della forma a che è decisa-
mente silicicola. Io r ho sempre rinvenuta in Toscana sui
(0 Schimper. Syn, ed. II, pag. 443.
(*) Juratzka. Laubmoosfl, v, Oesterr-Ung. pag. 277.
174 A. Bori'iNi
terreni silicei, però non del tutto privi di calcare, come
ini sono assicurato saggiando la terra che imbrattava i
cespi. Sarebbe forse V azione chimica del calcare, od an-
che quella meccanica delle materie incrostanti, sempre
abbondantissime, che determina lo sviluppo della forma
gemmipara ? Gli esemplari da me pubblicati nell' Erbario
Crittogamico Italiano, Serie II, N.*' 1309 spettano parte
alla forma 7, parte alla forma 8, ambedue bulbillifere.
62.-6. caespiticium Linn.
Lungo il Rio di Ortano, sul calcare cavernoso: (sterile),
63. B. capillare Linn.; Boulay, Muscin de la France, pag. 262.
La var. vidgare Boulay, a Rialbano ed al Campo della
Valle, su terreno quarzoso e la diabase : Rimercajo (Mar-
cucci!): Valle di Marciana, alla base dei castagni: (e. &.)•
Una bella forma avente il sistema vegetativo della var.
flaccidum Schimp.. e le cassule del B. torquescens, nella
Valle di Marciana, sul terreno granitico: (e. fr. etpl. ?).
64. B. Donii Grev.
Monte Calamita, sugli schisti gneissoidi: Longone, sulla
terra: Valle di Marciana, sul granito: (e. fr.).
Le spore non somministrano un buon carattere per di-
stinguere questa specie dal B. capillare, poiché in que-
st'ultimo non sempre sono punteggiate, ma alle volte si
presentano liscie alla superficie come nel B. Donii.
65. B. pseudotriqmtrum (Hedw.) Schwaegr.
Madonna di Monserrato, sulla diabase: Valle di Fatresi
(Marcucci!) su terreno granitico: (p. ^).
Gen. 28 — Mnium Linn.
66. M. undidatimi Linn.
Qua e là sulla terra e le pietre particolarmente silicee
ed ombreggiate in tutta l'Isola: (e. fr.).
67. M. punctatum (Linn.) Hedw.
S. Cerbone (Marcucci!) su terreno granitico: (e, fr.).
Gen. 29 — Bartramia Hedw.
68. B. stricta Brid.
Comune sui terreni silicei, anche mineralizzati, di tutta
r Isola: (e. fr.). Esiste pure nell' erbario Marcucci.
69. B. pomiformis (Linn.) Hedw.
s
RICERCHE BRIOLOOICHE NELL^ ISOLA D^ ELBA 1 76
Presso le Rimesse lungo la via per Procchio : Valle di
Pomonte, sul granito: (e. fr.).
Gen. 30 — Philonotis Brid.
70. Ph. fontana (Linn.) Brid.
var. gracilescens Schimp. in Husnot, Muso. Gali, n.*' 530;
Rev. Bryol. pag. 21 (1875); Boulay, Muscin. de la France,
pag. 215.
forma major Boulay, 1. e.
forma minor Boulay, 1. e.
H tipo a S. Gerbone (Marcucci!) sul granito: (e. fr.). Una
forma di passaggio alla var. gracilescens sugli schisti gneis-
soidi del Monte Calamita: (sterile). La forma major lungo
il Fosso di Rialbano e nella Valle di Pomonte, su terreno
quarzoso e granitico: la forma minor presso le Rimesse
lungo la via di Procchio: (pi. f/).
Gen. 31 — Pogonatum Pai. Beauv.
71. P. aloides (Hedw.) Pai. Beauv.
Castagneti di Marciana, su terreno granitico: (e. fr.).
Gen. 32 — Polytrichum Dillen.
72. P. piliferum Schreb.
Monte Capanne, tanto dal lato di Pomonte quanto da
quello di Marciana, sul granito: (e. fr.).
73. P, juniperinum Wild.
Valle di Marciana (Marcucci! ed io) sul granito: (e. fr.).
Pleurocarpi
Gen. 33 — Fontinalis Dillen.
74. F. antipyretica Linn,
Lungo le acque correnti sul granito, nei castagneti di
Marciana: (sterile).
Gen. 34 — Leptodon Mohr.
75. L, Smitìiii (Dicks.) Mohr.
Castagneti di Marciana, sul granito: (sterile).
176 !• Bórmn
Gen. 35 — Homalia Brid.
76. //. lusitanica Schiinp.
Siti umidi ed ombreggiati. Lungo il Fosso di Rìalbano,
sulle puddinghe quarzose: Valle di S. Martino, sul j)orfido:
Valle di Marciana sulla volta murata di un molino spruz-
zata dalle acque: (sterile, ma abbondante e stupendamente
sviluppata) .
Gen. 36 — Leucodon Schwaegr.
77. L, sciìiroides (Limi.) Schwaegr.
La forma morensi^ (Schleich.) De Not., nella Valle di
Marciana sui castagni: (e. ir. incipienti).
Gen. 37 — Pterogonium Swartz.
78. 1\ gracile Swartz.
Comune sulle roccie silicee in tutta V Isola: (e. fr.); al
Giove presso Rio Marina sulla terra impregnata di mi-
nerali di ferro: Valle di Ortano sul calcare cavernoso:
(sterile). Esiste anche nell' erbario Marcucci.
Varia molto per la compattezza dei cespi, la direzione
e grandezza dei rami e le dimensioni delle foglie. Come
casi estremi citerò due forme, una simulante il Pterigy-
nandrum fiUfornie e l'altra lo SderopodiHm Ulecebrum, È
pure da notare come in tutti gli esemplari elbani, V an-
golo superiore della parete di parecchie cellule foliari,
presenta una rimarchevole sporgenza sul piano della lar
mina, a modo di papilla.
Gen. 38 — Antitrichia Brid.
79. A. curtipendìda (Limi.) Brid.; Schimp. S>ii. ed. Il, pag. 576.
S. Gerbone (Marcucci !) : presso la cima del Monte Ca-
panne sul gl'ani to: (pi. ? e sterili).
Dei miei esemplari alcuni convengono colla descrizione
data da Schimper per la var. gigantea SuU. et Lesq. ; gli
altri spettano ad una forma anomala, con foglie strette
e lungamente acuminate, nmnite in alto di denti robu-
stissimi, uncinati.
Gen. 39 — Isothecium Brid.
80. 1. myiinim (Pollich.) Brid.
RICERCHE BRIOLOOICHE NELL* ISOLA D^ ELBl 177
La forma tìpica nei castagneti di Marciana^ su terreno
granitico: (sterile).
Gen. 40 — |Homalothecium Br. eur.
81. H. sericeum (Linn.) Br. eur.
Valli di Pomonte e di , Marciana, sul granito e sui ca-
stagni: (e. fr.).
Le cassule sono leggermente inarcate.
Gen. 41 — Camptothecium Schimp.
82. C. aureum (Lag.) Schimp.
Rio Alto e le Trane, sulla terra: presso la cima del
Monte Capanne sul granito : (pi. ? e sterili).
Gen. 42 — Brachythecium Br. eur.
83. B. albicans (Neck.) Br. eur.; De Not. Epil. pag. 116.
La var. alpinum De Not., presso la cima del Monte
Capanne, sul granito: (sterile).
84. J5. rutabulum (Linn.) Br. eur.; Vent. et Bott. Enum. critic.
dei muschi italiani, pag. 8.
Comune nella parte orientale e centrale dell' Isola, sulla
terra specialmente silicea: (e. fr.). La var. opwanwm Bot-
tini, 1. e, è pure comune: (e. fr.).
85. B. rivulare (Bruch) Br. eur.
Valle di S. Martino sul porfido e Valle di Marciana sul
granito, lungo le acque: (e. fr.).
Gen. 43 — Scleropodium Schimp.
86. S. illecebrum (Schwaegr.) Br. eur.
Molto comune sui terreni prevalentemente silicei anche
mineralizzati di tutta l'Isola: (e. fr.). Esiste pure nell'er-
bario Marcucci.
Variabile oltremodo nelle dimensioni dei fiisti, nella
disposizione, lunghezza e direzione dei rami, ed anche
nella forma e direzione delle foglie. Talvolta simula lo Scle-
ropodium caespitosum, tal altra V Eurhynchium meridionale.
Gen. 44 — Eurliyncliium Schimp.
87. E. myosuroides (Linn.) Schimp.
Presso Rio (Marcucci !): Fosso di Rialbano, sul terreno
8e. Nat. Voi Vm, £aao. l.« 18
178 A. BOTTINI
quarzoso : boschi di S. ^jio vanni, sulla diabase : sopra Mar-
ciana Castello^ sul granito: (e. ir.).
88. E. circiììatum (Bridj Br. eur.
Comune sulla terra e le rupi specialmente silicee di
tutta risola: (e. fr.j. Esiste anche nell' erbario ^larcaccL
Varia molto per le dimensioni e compattezza dei ce^i,
nonché per la grandezza e la direzione dei rami. Ho rac-
colto una curiosa forma attenuata, simulante a prima
vista le varietà più minute della Philonotis fontana.
89. E. meridioìujle De Xot. in Picc.
Fosso di Rialbano, sul terreno quarzoso: (sterile).
90. E. crassinervium (Tayl.) Shimp.
Valle di Marciana, sul granito: (sterile).
91. £. praelongum Schimp.
«Sulla terra e le rupi silicee ombrellate in tutta V Isola
(Marcucci! ed ioj, ma di rado fertile. Comune specialmente
la var. SuaìiziUTum.) Auct.. La forma hians (Hypmtm
hians Hedw.; Lindb. Muse. Scand. pag. 34, n."* 73), lungo
il Fosso di Kialbano : (sterile). Due forme anomale non
descritte nelle Flore, alle Rimesse sulla via di Procchio,
e nella Valle di Marciana: (sterili).
92. E. Stokesii (Tum.) Br. eur.
Sulla terra e le rupi silicee nei boschi di quasi tutta
r Isola : (e. fr.j. Una forma flaccida, attenuata, nei casta-
gneti di ^larciana, su terreno granitico.
Gen. 45 — Raphidostegium De Not.
93. i?. WeUcitschìi Schimp. S™. ed. II, pag. 679 {Rhynchostegium).
Boschi sempre verdi di S. Giovanni presso Portoferrajo,
sugli alberi : (e. fr.j.
I miei esemplari sono stati esaminati dall' amico Renauld.
Questa bella specie era nota in Europa solo del Porto-
gallo. Trovasi anche a Madera, a Teneriffa ed in Algeria.
Gen. 46 — Rliynchostegium Schimp.
94. R. teneUum (Dicks.) Br. eur.; Bescherelle, Catal. des mousses
ol)serv. en Algerie, pag. 38.
La forma tipica nella Valle di S. Martino, sul porfido:
(e. fr.). La forma meridionale Boulay, Bescher. 1. e, nei ca-
RICERCHE BRIOLOQICHE NELL^ ISOLA D^ELBl 17d
stagneti di Marciana, sul granito : ( e. fr. ). A Mangani
(Mar cucci!).
95. E. curvisetum (Brid.) fichimp.
Comune sulle pietre e le rupi silicee particolarmente
air ombra dei boschi, in quasi tutta V Isola : (e. fi:.).
Varia per la colorazione dal verde cupo al verde chiaro
giallastro, generalmente appannato, ma per eccezione lu-
cente come nel E. tenellum.
96. E. confertum (Dicks.) Br. eur.; Schimp. Syn. ed. Il, pag. 684.
Fosso di Rialbano, Piano di Portoferrajo, Marina di
• Campo, Valle di Marciana, sulle pietre silicee, V arena ed
i muri: (e. fi:.). La forma minutula Schimp. 1. e, nella Valle
di S. Martino, sulle pietre : (e. fi:.).
Sovente i pedicelli sono torti a destra (di chi guarda)
di cima in fondo ; oppure torti in alto e diritti o flessuosi
in basso.
•97. E. tnegapolitanum (Bland.) Br. eur.; Boulay, Muscin de la
Franco, pag. 95.
La var. meridionale Schunp. , Boulay, 1. e, molto comune
sulla terra sabbiosa prevalentemente silicea, nei pascoli
magri, sotto gli alberi: (e. fi:, abbondanti). Rara la forma
detta impropriamente tipica e quelle di passaggio.
Si trovano dei pedicelli della lunghezza di 4 centimetri.
98. E. riisciforme (Neck.) Br. eur.
Comune sui sassi e le rupi silicee anche mineralizzate
lungo i ruscelli dell'Isola: (e. fi:, scarsi). La var. inundatum
Br. eur., lungo il Fosso di Rialbano. La var. prolixum
Br. eur., nella Valle di S. Martino. Esiste anche nell' er-
bario Marcucci.
Gen. 47 — Thamnium Br. eur.
99. T. alopecurtim (Linn.) Br. eur.
Qua e Ik in tutta l'Isola, sulle pietre silicee ombreg-
giate, lungo le acque : (sterile). Esiste anche nell' erbario
Marcucci.
Gen. 48 — Hypnum Dillen
100. H. chrysophyllum Brid; Schimp. Syn. ed. Il, pag. 724.
La var. tenellum Schimp., 1. e, alle Trane sul Gk)lfo di
Portoferrajo, sopra il margine dei campi: (sterile).
ISO A. Bomn
101. H. rupre^nform^ Linn.
Comune da per tutto, su tutti i terreni: le. fr.l. La
uncinahdioii Br. eur.. nelle Valli di Pomonte e di Marciana.
La var. ^rir^orum Br. eur.. alle Rimesse lungo la Tia di
Proc<;hio e sopra Marciana Cartello. La var. elatum Br. eor.,
nella Valle di Pomonte. Elsiste anche nell'erbario MarcaocL
102. lì. cwfpidatum Linn.
Lungo il Fosro di Kialbano sul terreno quarzoso e 5<^ia
8. Giovanni presso Portot'errajo su terreno diabasico umi-
do: rsterilei.
1 03. //. purum Linn.
In quasi tutta l'Isola, nei boschi, nei luoghi ombreg-
giati, srjpra ogni terreno: (sterile t. Esiste anche nell^ er-
bario Marcucci.
Gen. 19 — Hylocomium Schimp.
104. //. triquetrum CLinn.) Br. eur.
8. Cerlx/ne TMarcucci!) e sopra Marciana Castello, sol
granito: (sterile).
105. //. loreum (Linn.) Br. eur.
S. Cerl^Kine (Marcucci!) e sopra Marciana Castello, sol
granito: (sterile).
Il FISSIDENS SERRULATIJS Bridel
LE SUE FORME E LA SUA DIFFUSIONE
PAETE PRIMA
Le foiint del FissideM serririatus
Scoperto il Fissidens serridatm nelV Isola di Teneriffa(^),
questo bel musco venne swccessiraimente^ ^legnalato anche' in
varie parti di Europa e come tató desc^ritto in diverse Flore (^) ;
se non che intomo ai caratteri della specie ha regnato e regna
tuttora fra i briologi il più gràtó disparere. Ed infatti il Fis-
sidens polyphyllus creato da Wilson (^) e da lui in seguito ab-
bandonato (^), quindi nuovamente adottato dalla generalità, degli
autori anche i più recenti (^), viene ora ritenuto dal prof.
Boulay (^) come varietà boreale del Fissidens serrulatus, la quale
si collegherebbe al tipo, mediante quella pianta dei Pirenei che
egli chiama Fissidens serrtdatus forma pyr&naica. H Fissidens
Langei di De Notaris C) , che in tutte le opere posteriori al-
l' „ Epilogo „ figura fra i sinonimi del Fissidens serrulatus, ha
trovato testé un sostenitore àutoi'evole nel sig. Mitten (^), il
quale asserisce che il vero fissidens sèrndcdus Brideì, non è
stato rinvenuto fuori delle Isole Atlantóché, e che tutto ciò che
(1) Bridel. Spedes Muscorum I, pag*. 170 (1S06); Menu, Muse pag. 190(1819)
et Bryol. untv. Il, pag. 704 (1827).
(*) Schimper. Brt/oL eur. VI, Suppl. T. 3 (1851);- St/nopsis, pag. 107 C1860);
Si/n. ed, II, pag. 117 (1876). — Braithwaite. Èritish Moss-Flora, pag. 75 (1881). —
Boulay. Muscinées de la France (Mòusses), pag. 523 (1884).
(3) Wilson. In Ut, Bnuch et Schimp. Brya. eur. VI, Mon. Suppl. T. Ili, (1851).
O Wilson. Bryologia Britannica, pag. 306, t. 53 (1855).
(^) Schimper. Syn. pag. 109 (1860); Syn. ed. II, pag. 121 (1876). —Braithwaite.
1. e. pag. 79. — Boulay. l. e. pag. 522.
(®) Boulay. Revue Bryologique^ 12.* année, pag. 50 (1885).
f) De Notaris. Epilogo della Briologia Italiana, pag. 479 (1869).
(*) Mitten W. Notes on the European and North-American Spedes of Mosses
of the Genus Fissidens. (Read 19 th Pébruary, 1885. — The loum, of the Linn^
Soc.-Botanif, Voi. XXI, pag. 550-560, 1886).
182 A. BOTTINI
in Europa vien preso per tale, spetta invece al Fissidens Lan-
gei De Notaris, per lui specificamente distinto. Il Fissidens
Welmtschii Schimper (^), non è ammesso dal sig. Braithwaite (*)
che lo riunisce al Fissideìis polyphylltis. Finalmente una varietà
„ africanus „ del Fissidens serruluttis è stata descritta dal «ig.
Bescherelle (^).
Se poi ci facciamo a esaminare nei varii autori le descri-
zioni del Fissidens serrulatus, troviamo (lasciata da parte quella
di Bridel, perchè troppo incompleta) le seguenti divergenze:
De Notaris (^) dice che ha foglie marginate e liscie e che per
quest' ultimo carattere si distingue dal suo Fissidens Langei che
ha foglie fortemente papillose. Anche per Schimper (^) \p foglie
sono marginate, ma la superficie loro anziché liscia è « leniter
submammillosa „ . D sig. Mitten (^) delle papille non parla, però
ci fa sapere che le foglie sono sprovviste di margine, e che
quelle del Fissidens Langei hanno dovunque un margine colo-
rato distinto.
In tanta varietà, di asserzioni, mi è parso utile prendere a
studiare questo soggetto, approfittando a tale uopo del mio fer
vorevole soggiorno in Pisa, cioè in prossimità, di quei luoghi
ove il Fissideyis serrtdaUis cresce in quantità, e bellezza vera-
mente prodigiosa. E alla base di tutto il Monte Pisano, delle
Alpi Apuane e nell'Isola d'Elba che ho raccolto un copiosis-
simo materiale per questo studio. 11 prof. Pirotta ha gentil-
mente messo a mia disposizione gli esemplari dell' erbario De
Notaris, consistenti in tre campioni autentici di Fissidens Langei
di Toscana e della Liguria, e tre di Fissidens sen-ulnttis delle
Canarie. Oltre a ciò ho fatto tesoro di una importante colle-
zione del mio erbario, dovuta alla liberalità, dei miei corrispon-
denti, composta di campioni di Fissidens serrulatus di TenerifFa
e di Portogallo: di Fissidens serrulatus verus (sec. Mitten) di
Teneriffa: di Fissidens serrulatus var. africanus di Algeria: di
Fissidens serrulatus forma pyrenaica dei Pirenei Baschi: di Fis-
(») Schimper. Syn, ed. II, pag. 120 (1876;.
(«) Braithwaite. British Moss'-Flora, pag. 79 (1881).
(3) Bescherelle. Catalogne des Mousses observées efi Algerie, pag. 7 (1882).
(«} De Notaris. 1. e. pag. 479.
(*) Schimper. St/n. ed. II, pag. 118 (187fi) .
(®; Mitten. 1. e. pag. 559.
NOTA SUL FISSIDKNS SERRULATUS 183
sidens polyphyllus del Dipartimento di* Finistère e della Como-
vaglia: di Fissidens Wehcitschii di Fanzerez presso Oporto.
Sarebbe superfluo riportare ad una ad una tutte le detta-
gliate e minute osservazioni da me fatte sopra un numero molto
grande di esemplari ; esporrò soltanto i risultati generali, inco-
minciando dalle piante nostrali, che mi hanno joflferto più vasto
campo di studio.
Fissidens serrulatus. — Monte Pisano, Alpi Apuane,
Isola d'Elba.
Cespi mediocri, più spesso grandi o grandissimi, più o meno
compatti o radi. Fusti semplici o poco ramosi, raramente bene
ramificati, innovanti sotto V apice o più in basso, generalmente
robusti, ma varianti in altezza da 1 a 10 centimetri, comprese
le innovazioni successive. Foglie di un bel verde chiaro, pas-
sante alle volte al verde oliva scuro, esattamente distese in un
sol piano come le barbe di una penna, o più o meno falcate
ed incurvate, sia tutte da un lato, sia rispettivamente verso
r asse che le porta: generalmente grandi, però molto variabili
per le dimensioni da pianta a pianta e su di uno stesso fusto,
ove s' interpolano non di rado foglie di mm. 7 o 6,5 di lunghezza
per mm. 1,25 di larghezza, con altre di mm. 3 per mm. 0,7:
variabile pure non poco il rapporto della lunghezza alla lar-
ghezza, combinandosi in differenti maniere i valori estremi sopra
indicati: talvolta più uniformi. Margine foliare ben distinto,
costituito dalle 4 o 6 serie di cellule più esteme, poco differenti
di forma dalle inteme, ma alquanto più grandi e con pareti
due o tre volte più grosse, che col loro forte potere refrangente,
danno al contorno del lembo una chiarezza ed una lucentezza
speciale; raramente il margine è colorato in giallastro; d'or-
dinario scarseggia o manca di pigmenti, anche di clorofilla.
Negli esemplari elbani ho osservato alcune foglie con margine
poco distinto. Per la consistenza possono le foglie essere molli
e flessibili, o rigide sicché si spezzano anziché lasciarsi piegare.
La loro superficie è fortemente papillosa per la sporgenza co-
nica molto elevata delle cellule sopra il piano del lembo. Per
vedere le papille distintamente, bisogna piegare la foglia; allora
sulla piegatura si rendono visibilissime al microscopio; sulle
foglie stese non si possono apprezzare. Come eccezione si ri-
184 A. Boirixi
scontrano esemplari con foglie meno ed anche quasi nalla par
pillose. Il lembo è assai bruscamente contratto alla sominità
e terminato da un acume corto, fortemente ed ìnegaalmente
dentato x) inciso-dentato: qualche volta Ja dentatura è meno
robusta, ed allora il -lembo si attenua a poco a poco fino al-
l' apice^ o per lo meno finisce in un acume più lungo e grada-
tamente assottigliato. La lamina dorsale (lamina inferiore di
Lindberg) presenta due forme differenti, rarissimo essendo il
caso che in tutte le foglie di una pianta termini subitamente
in una orecchietta arrotondata: quasi sempre in molte foglie
si assottiglia a poco a poco, per terminare in punta alla* base.
Fiori d^ su piante distinte, molto rari (^), ascellari e terminali,
quest' ultimi più grandi. Foglie involucrali 2-3-t, le esteme ge-
neralmente simili alle foglie ordinarie, ma con lamina dorsale
sempre attenuata in punta alla base e alquanto più corta: le
inteme a lamina vaginante grande, aperta, ampiamente con-
cava, sormontata da ima lamina verticale lanceolata, più o
-meno lunga, che a volte decorre sul dorso della lamina vagi-
nante: contenenti nel loro intemo dei grossi anteridii oblungo-
cilindrici, scarsi nei piccoli fiori ascellari, numerosi (fino a 35)
nei grossi fiori terminali. Parafisi poclie, lineari. Fiori 9 molto
numerosi, terminali del fusto, più di rado anche terminali dei
grossi rami, subterminali e laterali, cioè situati all'apice di
brevissimi rametti radicanti posti nelle ascelle delle foglie. (Con-
viene notare che non ostante tale variabilità di collocamento,
i fiori terminali sono di gran lunga i più numerosi e che non
ho mai trovate^ un sol caso di piante ?, in cui fra i varii fiori,
mancasse quello terminale del fusto. A volte alla sommità di
questo, entro alle foglie apicali, si rinvengono due fiori ? ben
distinti per foglie involucrali proprie e per avere uno di essi
un peduncoletto speciale. Foglie involucrali poche : talora 2 sole,
talora fino a 5, le esterne e le inteme simili alle corrispon-
denti dei fiori </ . Archegonii poclii o molti. Parafisi pochissime,
situate spesso all' esterno delle foglio involucrali intime. Frut-
tificazione terminale: raramente laterale, nel qual caso mi è
stato facile scoprire sempre all' apice del fusto una vecchia va-
(<) Schimper (Syn, ed. II, pag. 117) dice che i fiori r/ sono numerosissimi. —
Dell'Inghilterra si conoscono solo piante ifterili o maschili (Braithwaite. Brit, Mos»~
Floray pag. 76).
NOTA SUL nSSroENS SERRULATUS 185
ginula o per lo meno un fiore ?. Le piante fruttifere non sono
mai delle più grandi. Perichezio costituito da 2 a 6 foglie, si-
mili alle foglie involucrali. Pedicelli solitarii (raramente due
ad egual grado di sviluppo entro alle medesime foglie periche-
ziali) lunghi da 7 a 12nun., rosso cupi o rossicci, solidi, rara-
mente diritti, sovente flessuosi, a collo di cigno b curvati ad
arco alla sonunità. Cassule solide, rosso cupe, fulvo brune, fulve,
quasi erette o più spesso patenti, orizzontali ed anche pendenti,
simmetriche (cilindriche, cilindrico-obconiche, fusiformi-ovali (^),
ristrette o no sotto l'apertura) od asimmetriche leggermente
inarcate. Opercolo con rostro retto, lesiniforme, a volte lungo
quanto Turna, ma generalmente più breve. Cuffia conica (^),
simmetrica, regolarmente divisa alla base da quattro o cinque
fenditure, non discendente al disotto dell'opercolo. Denti del
peristoma grandi, solidi, rosso vivaci, passanti ad un colore più
pallido verso V apice, divisi fino presso ed oltre la metà in due
e talvolta in tre rami più o meno eguali molto appuntati e
nodulosi; in tali rami, i più sviluppati dei quali constano ezian-
dio di 42 articoli sovrapposti, sono sempre distintissime le strie
verticali notate dal prof. Philibert (^) : sono anzi prominenti a
foggia di deboli costole, alternate da leggiere solcature, ove la
sostanza amorfa che le costituisce è oltremodo sottile e tra-
sparente. Nella porzione inferiore indivisa dei denti, lo strato
interno è costituito da articoli trapezoidali, robusti, inegual-
mente larghi ma egualmente alti, disposti in due od in tre serie
verticali parallele (*), Lo strato esterno consta di placche sot-
tili, rettangolari, alte solo la metà degli articoli intemi, larghe
quanto tutto il dente, quindi formanti una sola serie verticale,
costituita nei denti robusti fino da 32 placche sovrapposte : tali
placche sono ricoperte da papille irregolarmente disposte, con
rare tracce di strie: raramente queste ultime rimpiazzano le
papille. Lo strato estemo è più largo delV intemo, sul quale
sopravanza lateralmente con un margine che dal colore arancio
(') Come nella figura del sig. Braithwaite. 1. cit. Tav. XI, Fig. C.
(*) Schimper ijivece (Syn ed. II, pag. 1 17) ha trovato cuffie a cappuccio «calyptra
cuculiata». Io ne ho vedute solo tre, tutte della forma sopra indicata.
(3) Philibert. De Cimportance du péristome pour les afpnités naturelles des
mousses. !2.® Artide (Revue Bryologique, année~1884, pag. 65 et suivantes).
{*) L'e8<^re tre anziché due le serie degli articoli, sembra un latto raro, notato
per altro dal prof. Philibert (1. <f) bel ()eristoma coqsimile del genere Dicrenum.
186 A. BOTTINI
passa subito al rosso vivace. Spore di ""0,009 a ""0,01 2, lisce,
contenenti molte gocciolette oleose.
Parlato a lungo di questi, basterà per gli altri esemplari
notare le differenze e le particolarità importanti.
Fissidens Langei. — Asciano, Pegli, Capo Panaggi
(Erbario De Xotaris).
Non differisce dal precedente. Foglie bene marginate e pa-
pillose: acume e dentatura normale: lamina dorsale delle due
differenti forme. Xegli esemplari di Asciano esistono foglie quasi
intere, gradatamente ristrette fino alla sommità. Fiori ^ ter-
minali e laterali.
n sig. Mitten pone il Fissidens Langei nel gruppo delle specie
a frutti laterali, ed a riguardo di esso così si esprime a pag. 559
della sua più volte citata nota: *" Size, habit, and appearance
j, exactly that of F. serndutus Brid., found in the Atlantic islands;
„ but with leaves everj'^where having a distinct coloured border,
„ of which there is no vestige in the true F. serrulatu-s. De
„ Xotaris says the perichaetia are lateral. The areolation of the
„ leaves is also different. — S. W. England; Portugal; Italy »•
Ho già notato in parte e proseguirò a notare come e quanto
possa variare la colorazione e la forma del margine delle foglie.
L' assei-zione che il sig. Mitten attribuisce a De Notaris della
posizione laterale dei perichezii è inesatta: De Notaris non
parla affatto di perichezii laterali, anzi dice per ben due volte:
fnictificatio ignota » (^). Solo per non conoscere che piante
sterili, egli pone la specie tra quelle a peduncolo laterale, ac-
canto al Fissidens adiantoides col quale ha non poca analogia.
A De Notaris sembra sfuggissero i fiori ^ da me riscontrati
sulle piante di Pegli. Quanto poi al sig. Mitten il quale consi-
dera come Fissidens Langei ciò che in Europa è stato preso
per FÌJisidens serridatus, non so capire come voglia attribuii^li
fruttificazione laterale, mentre la scoperta di esemplari fiiitti-
feri da me fatta nel Monte Pisano (Guamo, Vomo, Asciano) e
pubblicamente conosciuta {^) , stia a provare che il caso nor-
male e più frequente quello è della fnittificazione terminale,
(*) De Notaris. Epiiotjo. pag. 476 e 479.
(') Venturi o Bottini. Enumerazione critica dei muschi italiani, pag. 42, in nota
(.\tti della Società Crittogamoiogica Italiana, Vol.*lII, disp. 3.*, 1SS4).
NOTA SUL nSSIDENS SERRULATUS 187
e che solo per eccezione si associa ad essa la fruttificazione
laterale.
Pissidens serrulatus, — Serra de Cintra.
Identico agli esemplari normali precedenti. Un fiore ? ter-
minale.
Pissidens serrulatus, — Foresta di Agua Garda a Te-
neriffa (Erbario mio).
Non differisce dalle piante tipiche di Toscana che per le
papille delle foglie un poco meno rilevate, per quanto coniche
anche queste e perfettamente distinte.
Pissidens serrulatus. — Un' esemplare di Teneriffa e
due portanti la indicazione generica di Canarie (Erbario Der
Notaris) .
Hanno tutti foglie prive affatto di papille : nel resto taluni
sono identici alla forma normale di Toscana, altri presentano
sullo stesso fusto foglie tipiche e foglie con mai^ne quasi nullo
o nullo : in questo caso sono pure quasi intere e alle volte gra-
datamente ristrette fino all'apice. H margine (quando esiste)
è colorato in giallastro o semplicemente lucido. La lamina dor-
sale termina nei due differenti modi più volte indicati. Pian-
te ^ con fiori terminali ed ascellari. Pianta ? con residui di
fruttificazione terminale del fusto e delle grandi innovazioni.
Pissidens serrulatus verus (sec. Mitten). — Teneriffa.
Foglie grandi, con acume e dentatura tipica, pochissimo o
nulla papillose, senza margine. Non mancano però foglie quasi
intere, altre con rudimento di margine ed anche talune colle
cellule del contomo a pareti quasi grosse quanto nella forma
normale di Toscana. Pianta sterile e pianta c^ con fiori ascellari.
Il sig. Mitten, alla cui gentilezza debbo gli esemplari ora
nominati, mi scrive i}) che questa forma di Teneriffa a foglie
non marginate datagli da Montagne, è stata da lui assunta come
caratteristica del vero Fissidens serrulatus. Non bisogna dimen-
ticare però come a Teneriffa sia pure molto e forse più comune
la forma con foglie benissimo marginate, né vi manchino forme
(<) In data 12 Maggio 1886.
5».77_r
rfi-^-— T c..r
fÌASÌdens senuL^iiis v^r. Africanns. —
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tr: -r I»rr 1-r Ì'AL±r: "Zìi, J»»^ pOT
Fiftsìdens sermlattis :•
pTrenaica. — Valle drifai
'il T^/n;;*-^. r. .r. Truarr-r.;*:^ o y^n ir: r>iÌ2i'E«kió di margiike co-
'•r'.\.rjj ^Isfc ':'=:]^-.l-r ?i j-sr-rtì à:.p-i:z.i jiu ^.•ììie «ii quelle delle
*.h.\\.h ^:h:rr*x.\'. \ir.r:rK •> '»r. ^Ijo::: rari e det:<^ denti alla
-y>:r-r;i>>4- ^H'i/itarri-rr-'.^ r^rr^rre 5r-o all' api-re che e acuto: ki-
rr-;.'*a 'ior-ìA^r *r:.Tr..rji:i*>: ::: or^pioiiiettà arroton-iata : p<ipille fo-
ii;ari q iA^i rr^ll^ «Trrll-^lr arroV/L'iare app-Erca -^p-^reeDrii. Uà fiore ?
V:rTriir;aie 'iel ::ì.=:V/. con a'.rro laterale prossimo. Foglie involu-
cral: 2-'{. a.r.-.a: ^-irriili alle oriiiiarle. con lamina dorsale pia
corta ^A atten--:ii*a in punta.
Fissidens polyphyllus. — Dipartimento di Finistère e
CofT;ova^IIa.
Ftóti alti da 2 a 13 centimetri, f-jco ramificatL Foglie pia
unii'orrni e relativamente un p^/ più -strette di quelle delle piante
di ToT^rana, non arrivanti alle dimensioni massime di queste:
rprovvi^te di marjrine. con pareti cellulari tutte di eguale spes-
r/^re: (gradatamente ri-jtrette nella porzione superiore fino al-
l' api':e ch^ é acuto o mutico, intero o de):iolmente dentellato.
Lamina dor-,ale Trulle foglie dello stesso stelo > ora attenuata in
ptjnta alla ba^se, ora terminante bniscamente in orecchietta ar-
rotondata. Superficie foliare non papillosa He cellule sono ap-
I^ena rilevate o non lo s^jno affatto j.
Risulta dalle varie Flore, che il fusto può raggiungere la
lunghe/^^ di IS centimetri: che i fiori sono dioici e laterali, i ?
.situati H\ì^trs^) verso X apice delle innovazioni : e che le pochis-
8ime cassule rinvenute (*), non differiscono da quelle del iTi«-
(UuH Hemdafus di Toscana.
(M Uraitliwaite brit, 5Ioss-Flora, pag. 79 e TaT. XII, Fig. C.
NOTA SUL FISSIDENS SERRULATUS 189
Pissidens Welwitschii. — Fanzerez presso Oporto.
Foglie conformate come nel Fissidens polyphyllics, ma più
piccole e più strette, con lamina dorsale molto angusta, sempre
attenuata in punta alla base. Non di rado la nervatura giunge
esattamente all' apice, ed il tessuto follare consta di cellule più
minute. I miei esemplari sono sterili, ma Schimper(^) ci fa
sapere che i fiori ? (i soli conosciuti) sono ascellari, o situati
su di un breve rametto laterale.
Ciò che ho detto fin qui si riferisce al Fissidens Welwitschii
che possiamo chiamare tipico. Recentemente ho ricevuto dal
sig. Newton esemplari di una forma molto comune a Fanzerez,
con caratteri perfettamente intermedii fra il Fissidens Welwitschii
ed il polyphyllics. Sulle foglie di questa forma si osservano a
volte qua e là, dei tratti di margine colorato o lucido come
nel Fissidens serrulatus.
Ricordato per ultimo come Schimper attribuisca al Fissidens
serrulatiis foglie leggermente subpapillose, da quanto precede
mi sembra apparire nel modo più chiaro la convenienza di rife-
rire le molte forme qui enumerate ad un' unico tipo specifico,
tipo certamente non poco variabile, la cui diffusione è probabile
si effettuasse in epoca molto remota, come or ora vedremo.
A chi non piacesse riconoscere nel Fissidens serrulatus una sola
varietà e parecchie forine^ sarà ovvio innalzare la prima al grado
di sottospecie e le seconde al grado di varietà. È una questione
nella quale ha cosi larga parte V apprezzamento individuale, da
non potersi pretendere che tutti la risolvano ad un modo.
Fissidens serrulatus (Bridel) — Dioicus !
Flores $ terminales, rarius etiam laterales
Forma « Foliis abrupto et breviter acuminatis, apice bene
serratis, marginatis, papillosis. — F, Langei De Not.
Epil. pag. 479!
Elba, Corsica?, Monte Pisano (e. fr.), Alpi Apuane,
Capo Panaggi e Pegli : Italia. — Estérel : Francia. —
Serra de Cintra, Moncique, Vallongo, Valladarez:
(1) Schimper Syn, ed. II, pag. 102.
190 A. BOTTINI
Portogallo. — Foresta di Agua Garcìa (e. fr.) : Tkxe-
BiFFA — Ribero Frio: Madera. — Presso Penzance:
Inghilterra.
Fonna ? Foliià ut in a sed haud papillosis. — F. sermlafas De
Xot. Epil. pag. 479!
TenerifEa (e. fr.), Isole Canarie (dove ?) .
Fonna Y Foliis ut in ? sed hau3 mai^iuatis. — F. serruìatus
Mitten, Notes on the Europ. and N.-Amer. Spec.
of Moss. of the Gen. Fissidens^ pag. 559! (The
Joum. of the Linn. Soc.-Botany, Voi. XXI, 18S6).
Teueriffa.
Formi 0 Foliis ut iu a sed latiorìbus; caule sat bene ramoso. —
F. serr Hiatus var. africamis Bescherelle, Catalogae
des Mousses observées en Algerie, pag. 7!
Djebel Edough, Stora: Algerl\.
Fonna s Foliis ut in C sed latiorìbus. — F. serrulatiis forma pyre-
naica Boulay, Revue Bryologique, année 1885 pag. 50!
Gambo: Bassi Pirenei. — Valle della Bidassoa:
Pirenei Baschi.
yar. polypbyllu» (Wils.) Boulay, Reyue Bryologiqae,
année 1885, pag. 50!
Flores $ laterales et subterminales
Forma C Foliìs quoad longitudinem minus latis quam in a, in
parte superiori pauUatim angustatis, apice int^ris
vel minute crenulatis, haud marginatisi laevibus
vel fere laevibus. — F. polyphyllus Wils. in lit. et
Auct. recent!
Fanzerez presso Oporto : Portogallo. — Finistère
(e. fr.): Francu. — Glengariff: Irlanda. — Paese di
Galles, Corno vaglia: Inghilterra.
Forma r^ Foliis ut in C sed minoribus, angustioribus, lamina
dorsali ad basim semper attenuata, perangusta;
plantis numquam procerrimis. — F. Wehcitschii
Schimp. Syn. ed. II, pag. 120!
Caldas de Gerez, Fanzerez presso Oporto: Portogallo.
Abbiamo veduto sopra, come più d'una di queste forme possa per
eccezione riscontrarsi simultaneamente sopra uno stesso individuo.
NOTI SUL FISSIDENS SERRULATUS 1 9ì
m
PARTE SECONDA
La diffasione del Fìssidens serrulatus
*
Delle differenti cause dalle quali dipende la distribuzione
dei muschi alla superficie del globo, alcune sono attuali, altre
anteriori Le attuali si suddividono in cause esterne compren-
denti il suhstratum e il clima, ed in cause interne che si con-
fondono colla intima natura e coi modi particolari di propaga-
zione di ciascuna specie. Le anteriori si suddividono in cause
prime a noi inaccessibili, ed in cause geologiche. Queste ultime,
più oscure e più diflBlcili a rintracciare delle cause attuali, non
sono mai state prese in considerazione, che io sappia, nei la-
.vori di brio-geografia.
Applichiamo ora queste considerazioni al caso del Fissidens
serrulatus.
Cause attuali
Cause esterne
Del substratuxn
Dobbiamo considerare la età, geologica (0, i caratteri mine-
ralogici e petrografia, la natura chimica e le proprietà, fisiche.
Della età geologica e dei caratteri mineralogici e
petrografici del substratum. — H Fissidens serrulatus vive
a Teneriflfa (^) sul terreno vegetale ricoprente le roccie vulca-
(') Le considerazioni di ordine geologico non sarebbero al loro posto qui nello
studio delle cause attuali : dovrebbero invece essere svolte allorché ci occuperemo delle
cause anteriori. Non mancherò di tornarvi sopra e di insistervi in quella circostanza;
ma intanto la chiarezza della esposizione mi foraa assolutamente a dame un cenno
dal bel principio.
(^} Non ho dati per potere afifermare che si rinvenga anche nelle altre isole
vicine; giacché la indicazione vaga di «Canarie» usata dagli autori, non denota
quale ne sia la esatta provenienza. Anche il sig. Oeheeb non lo conosce di altre lo-
calità di queir Arcipaiago; ed il sig. Husnot, che ha visitato le Canarie, mi scriveva
il 4 Decembre 188^, che il Fissidens serrulatus esiste in abbondanza e ben frutti-
ficato nella foresta di «Agua Garcia» nell'Isola di Teneriffa, ove cresce nei siti
ombrosi e freschi, sul terreno vegetale ricoprente le roccie vulcaniche; che però
non r ha ritrovato in altre località nò di Teneriffa, nò della Gran Canaria, nò della
Palma, da lui percorse per più mesi.
192 A. BOTTCn
niche f^): esiste pure a Madera e in Algeria. Chi poi si facda a
studiarne la distribuzione sul continente europeo, rimane colpito
dal fatto della costante sua connessione coi terreni antichi, per
quanto differenti fra loro per caratteri mineralogici e petro-
grafici. Da noi in Italia cresce in quantità prodigiosa nelle parti
basse delle due opposte pendici del Monte Pisano snlle pud-
dinghe quarzose e quarziti del Verrucano (permiano) e sul ter-
reno che ne risulta; al piede delle Alpi Apuane sugli schìsti
gneissoidi, schisti carboniosi e micascisti riferiti fin qui al si-
luriano, ed ora dall' ingegnere Zaccagna i'-) ritenuti permiani;
nell' Isola d' Elba sulle roccie quarzose del Verrucano e sul gra-
nito normale e porfirico miocenico (^), quest' ultimo V unico caso
a me noto di abitazione della specie sovra una roccia relatiTa-
mente recente; a Pegli ed al Capo Panaggi in Liguria, sugli
schisti grigi talcosi del trias inferiore f*). In Francia trovasi
neir Estérel sul granito antico f^). Alla base dei Pirenei Baschi
sul " grès bigarré „ del trias (**'). In Portogallo nella Serra de
Moncique sopra la Foyaite (sorta di sienite antica) o sugli schisti
attribuiti al periodo carbonifero ("); nella Serra de Cintra sul
granito cretaceo i"^) ; presso Oporto a Vallongo sugli schisti ar-
gilloso-micacei siluriani, ed a Valladarez o sul granito antico,
o sul gneiss, o gli schisti metamorfici (^). In Inghilterra presso
Penzance sul Killas devoniano (^^).
(*) Sulla geologia delle Canarie vedi: Grisebach. La végétationdu Giobe; tnuL
par Tchihatchef, Voi. II, pag. 811 (1878).
(*; Comunicazione epistolare delFing. D. Zaccagna in data 9 >faggìo 1888.
(') Posteriore al sollevamento eocenico, ed anteriore al miocene superiore eha
ne contiene i ciottoli pre.«8o Gavorrano nella prossima terra ferma. — Vedi: Lotti &
Descrizione geologica dell'Isola d' Elba. pag. 138 e seguenti (1886).
(^) Comunicazioni epistolari delKing. L. Mazzuoli in data 4 e7 Gennajo 1886l —
Ho yerifìcato che gli esemplari di Fistidens serrulatus (Langei) dell* erbario DeN»-
taris raccolti colà, sono imbrattati da materiali talcosi.
(•*) Comunicazione epistolarct del prof. L. Philibert in data 27 Novembre 1885.—
11 prof. Boulay dice che le montagne deirEstérel sono costituite da porfido quarzì-
fero. Vedi: Boulay. Etudes sur la distribution géographique des mousses en Franee^
pag. 84 (1877;.
(^) Comunicazioni epistolari dclfamico capitano Renauld in data 9 aprile 1880,
e del prof Trémols in data ^7 Maggio 1886.
(~) Comunicazione epistolare dei prof. P. Choffat in data 14 Gennajo 188d^
(^) Comunicazione epistolare del dott E. Levier in data 21 Gennajo 1886.
O Comunicazione epistolare del sig. I. Newton in data 30 Aprile 1886w
(<0) Comunicazione epistolare del sig. R. Braithwaite in data 2 Febbn^o 1888.
NOTA SUL hSSlDENS SERRULATUS 19^
La varietà polyphyllus vive nel paese di Galles sulle roccia
cambriane (^), in Cornovaglia sugli schisti (^), ed a Fanzerez
presso Oporto con la forma Welwitschii sul gneiss o gli schisti
argilloso-micacei siluriani ('^). Sopra quali terreni si trovi nelle
altre poche località non posso precisarlo, essendomi mancate le
relative indicazioni che avevo premurosamente richieste; ma
considerando i caratteri delle formazioni che vi predominano vi
è ragione di ritenere che anche là viva sulle roccie silicee
antiche .
Della natura chimica del substratum. — L' influenza
della natura chimica del substratum sul Fissidens serrulattis è
evidente: esso è decisamente silicicolo. Che tale influenza sia
un fatto generale, estendentesi ad un numero stragrande di
muschi è ormai riconosciuto da tutti i briologi, né giova insi-
stervi ulteriormente (^); qui mi preme solo ricordare che le nostre
attuali cognizioni ci permettono bensì distinguere i muschi in
silicicoli, calcifughi (?), calcicoli, ìnetallicoliy umicoli e così via : che
possiamo stabilire categorie di specie esclusive, preferenti, e in-
differenti per rapporto ai diversi elementi: ma che riguardo al
modo in cui questi agiscono, poco o nulla sappiamo. Fino a che
punto i tali e tali elementi debbono dirsi indispensabili o nocivi
al regolare sviluppo delle varie specie di muschi? L' argomento
(*) Comunicazione epistolare del sig. R. Braithwaite in data 14 Maggio 1886.
{}) ComuDicazione epistolare del sig. W. Mitten in data 12 Maggio 1886.
(?) Comunicazione epistolare del sig. I. Newton in data 30 Aprile 1886.
{^) Ecco qui l'elenco di alcune opere che trattano Targomento dal nostro punto
di vista speciale, o da quello più vasto di tutte le piante e le cui deduzioni sono
applicabili ancora ai muschi.
Saint Lager. Sur Vinfluence chimiqiAe du sol sur les plantes (1876).
Boulay. Etudes sur la distrihution géographiqi^e des mousses en France. pag.
11-32, et pag. 254 (1877). — Vi si trova la indicazione di molti lavori ante-
riori. — Muscinées de la France (Mousses). pag. LXXVIII (1884).
Contejean. Géographie Botanique; influence du terrain sur la végétatUm, (1881).
Fitz Gerald e Bottini. Prodromo della Briologia dei bacini del Serchio e della
Magra, pag. :ì9 (Nuovo Giornale Botanico Italiano, Voi. Xlll, N.® 2, 1881).
Brotherus. Etudes sur la dstribution des mousses au Caucaso, pag. 35 (1884).
Jeanbernat et Renauld. Bri/o- Géographie des Pgréìiées. pag. 16M(34 (Mem. de la
Soc. Nation. des Selene. Natur. et Mathem. de Cherbourg. T. XXV, 1885).
Questo catalogo potrebbe venire aumentato.
Se. Nat. Voi. Vm, fase. 1.» 14
194 A. Bf/msi
dal campo della brio-geografia pa.ssa in quello della fisiologia e
della chimica; le ripetute analisi delle ceneri e i tentativi dì
cultura artificiale, massime delle specie aquatiche, potrebbero
nei sìngoli casi contribuire a rischiarare questo lato importante
deir argomento.
Delle proprietà fisiche del substratum. ~ Rigoardo
ad esse la nostra specie non si mostra molto esigente, vivendo sa
roccie dure e compatte, schistose e friabili, e spesso sul terreno
che ne risulta. La umidità del suolo che bisogna distinguere,
come giustamente osserva il prof. Boulay, dalla umidità atmo-
sferica, esercita una influenza potente suir abitazione del Fis-
nidem serndatuSj e concorre a determinarne la stazione: esso tro-
vasi abitualmente sul terreno umidiccio, o agli stillicidii, o presso
i piccoli corsi d' ac^jua. Al difetto di umidità del terreno può
supplire però, come vedremo ben tosto, l'abbondante umidità
deir aria.
I3el clima
Si comprendono sotto questo nome tutte le influenze meteo-
rologiche, fra le quali esamineremo la luce, il calore, la umi-
dità deir aria ed il regime pluviale.
Della luce. — La nostra specie fìigge costantemente i
raggi solari diretti : essa vive all' ombra ordinaria dei boschi
e delle rupi, o più spesso pone sua stanza nelle fessure quasi
buje e nelle insenature del terreno mascherate dalla folta ve-
getazione di altre piante.
Del calore. — Onde meglio apprezzare V azione di questo
elemento, pongo sott' occhio un prospetto delle temperature di
varii luoghi prossimi a quelli ove vive la specie.
NOTA SUL nSSIDENS SERRULATUS
195
Temperatura
S. Cruz di Teneriffia (*) *. .
Laguna di Teneriffa (') . .
Lisbona (*)
Portoferrajo (Isola d'Elba) (*)
Pisa \
Lucca ' (*)
Genova )
Brest («)
Penzance O
Anni di
osservazione
INedia annua
1877-1885
1882-1883
1881-1883
1880-1883
1866-1874
1860-1885
210, 7
160,9
160,3
150
140, 45
130, 87
150,2
110,7
Ilo, 03
INinima
+30,2
-6o(raiiiiiio)
40,37
lo, 67
70, 4(rarl8i.)
20, 03
INassima
400,7
30o
350
33«,7
310,7
220, 96
Rileviamo da questa tavola che il Fissidens serrulatus sop-
porta condizioni di temperatura molto diverse, che può resistere
per breve tempo a parecchi gradi sotto zero, ma che fugge i
climi eccessivamente caldi ed i freddi. Così a S. Cruz di TeneriflFa
non ostante la media annua elevata, la temperatura media del
mese più caldo, l'Agosto, non è che di 26^; ed a Brest la cui
media dell' anno è relativamente bassa, si gode un clima co-
stantemente tiepido, la media estiva essendo di 17^,1 e la media
invernale di 6^,8. Anche a Penzance ed a Plimouth (®) le medie
del Gennajo si mantengono a 6%53 ed a 6^,8. Meritano consi-
(<) Grisebach. La YégétaHon du Globe: trad. par Tcbihatchef, Tome deuxième,
pag. 825 (1878).
(') Comunicazione epistolare della Direzione dell* Osservatorio astronomico di
Madrid, in data 26 Giugno 1886.
(') Dove. Temperaturtaf.
{*) Pullè. Monografia agraria del Circond. dell'Isola delf Elba. pag. 13 (1879).
^) Annali dell* Ufficio centrale di Meteorologia Italiana. Roma,
(^) Boulay. Études sur la distribution géographique des Mousses en France,
pag. 107-108 (1877).
O Hosken Richards, W. Abstract of the weather at Penzance and neighbou-
rhood, for the year i879y together with Meteorological registers^ front 1860 io 1879,
both inclusive: - 20 yenrs; and: Abstract of the weather at Penzance and ndghbou-
rhood^ for the year 1885, together toith Meteorological records for $ix years^ from
1880 to 1885, bùth inclusive.
(*) Grisebach. 1. e. Voi. I, pag. 330 (1875).
196
A. BfJTTINI
derazione le medie di S. Cruz e di Laguna, poiché la prima ci
da la temperatura della parte meridionale di Teneritfa al li-
vello del mare, e le seconde ci forni secano approssimativamente
quelle del limite superiore altitudinale a cui vive e fruttifica
il Fissidem serridatus. Infatti V osservatorio di Laguna Oatitu-
dine nord 28*. 12) è posto a 50G metri di elevazione, ed il
Fissidens raggiunge nella foresta di Erica arborea di Agua Garcia
r altezza di quattro a seicento metri (^). Ora è notevole che
mentre a TeneriflFa la specie fruttifica abbondantemente, in
Europa invece ove vive solo nelle regioni basse, non produce
mai o quasi mai cassule. Solo alcuni esemplari fruttiferi di
Fissidens serridatus forma « sono stati rinvenuti da me alla
base del Monte Pisano in Toscana, ed alcuni altri della varietà
polyphyllus dal sig. Camus nel Dipartimento di Finistère in
Francia .
Della umidità dell'aria e del regime pluviale. — Ecco
il prospetto delle medie annue della pioggia e della umidità
atmosferica di varie stazioni sopra ricordate.
Pioggia ed umidità
Lagnruidi Teneriffa (*)
Portoferrajo ( Isola
d'Elba (')....
Pita
Lncca | (*) ...
Genova /
Brest (»)
Penzanoe (*)
Anni di icQQa caduta Umidità
ossemuone in mm. relativa
Tensione
del yapore
I Inaerò dei
irirmi pioTosi;
nell'amo
1877-1885 ' 535
76
12,2
nltimi 17
anni
1882-1883
1881-1883
599,3
895
1300, 23
1880-1883 ; 1278,67
1866-1874 ,
1860-1885 '
737.5
1125
Abbondan- ti mgiado
estive
69, 50 9, 6
69 ' 8, 97
62,25 8,77
Umidità ab- bendante
I
lai U PiOKEil
wmìm
91
105
128
114
185
Ottobre
Marzo, Settembre
; Marzo, Sett."", Ottobre
! Aprile, Sett~NoT."
Gennajo
Deoembre
(') Comunicazione cpÌBlolaro del sig. T. Husnot, in data 4 Luglio 1886.
(^) Comunicazione epistolare della Direzione dell* Osservatorio astronomico Ji
Madrid, in daU 26 Giugno 1886.
(^) Lotti. Descrizione geologica dell* Isola (V Elba pag. 3-4 (1886).
(*) Annali dell* Ufficio centrale di Meteorologia Italiana, Roma.
0) Boulay. 1. e. pag. 108
(*) Hosken Richards, W. 1 e.
NOTA SUL PISSIDENS SERRULATUS 197
H regime pluviale esercita una influenza non indifferente
sulla distribuzione della specie; tuttavolta alla scarsità del-
l' acqua caduta durante Y anno, può supplire come a Laguna, a
Portoferrajo ed a Brest, V abbondante umidità dell' aria. I si-
gnori Jeanbemat e Renauld in un loro recente pregevolissimo
lavoro (^), comparando la Flora Briologica dei Pirenei con quella
di Toscana, notata V analogia fra il regime pluviale nostro e
quello del bacino dell' Adour, spiegano la presenza del Fissidens
serrulatus in Toscana mediante la gran quantità di pioggia ca-
duta durante l' anno e 1' abbondante umidità dell' aria. E che
ciò influisca potentemente a mantenerlo nei siti ove esiste, non
v' ha nessun dubbio ; ma condizioni identiche, anzi più propizie,
si verificano da noi a breve distanza anche sui terreni recenti
e lo stesso deve accadere altrove; quindi la sua rigorosa cir-
coscrizione ai terreni antichi rimane inesplicata.
Cause interne
La propagazione della specie si può effettuare per via
vegetativa o per spore.
Riguardo alla prima maniera non abbiamo qui quei mezzi
speciali e variati di propagazione di cui in generale abbondano
i muschi. Le ordinarie innovazioni servono ad ingrandire i cespi,
non a diffondere la specie a distanza ; a quest' ultimo effetto
possono contribuire in piccolissima parte (quando esistono) certi
ramuscoli laterali portanti i fiori ?, radicanti alla base ed alle
volte decidui; però i mezzi accennati sono affatto insufficienti
a renderci conto dell' area vastissima e disgiunta della specie,
non che della sua estrema diffusione ed abbondanza presso di noi.
La propagazione per spore è pure scarsissima nell' attualità,
essendo limitata nelle Isole di Teneriffa e di Madera. La quasi
assoluta mancanza di fruttificazione in Europa da noi già av-
vertita, è legata molto verosimilmente all' allontanamento dei
sessi ; infatti qui in Italia sono molto comuni le piante ?, scarse
quelle c?^; in Inghilterra invece non sono state trovate che
piante sterili e c^.
H professor Boulay (^) vede nell' isolamento dei sessi e nel-
(*) Jeanbemat et Renauld, Bryo-Géographie des Pi/rénées. pag. 145-147 (1885).
C) Boulay. Études sur la distribuHon géographique des mousse^ en France,
pag. 9 (1877).
198 A. BOTTINI
la conseguente sterilita di molte specie dioiche di muschi, ima
conseguenza della dispersione delle spore a grande distanza.
** Vers les limites de V aire de dispersion des spores (cosi ^U),
„ a cause du développement des surfaces, la réunion des deux
„ sexes devient très accidentelle et incertaine „. Ed altrove
aggiunge (^): ** Les Hypnum rugosum et abietinum qui n^ont
» pas encore été rencontrés munis de capsules en Franco, sont
„ des mousses communes dans presque tons nos départements.
„ Ces deux espèces n' émettent pas de stolons ni de granulations
„ qui puissent favoriser leur propagation. Faut-il rattacher leur
» présence, dans ces localités sans nombre oii nous les rencon-
» trons, à une période géologique antérieure plus favorable à
y, leur complet développement? Je ne le pense pas. H est plus
„ naturel d'admettre qu' elles proviennent de la germìnatioD
» des spores emportées par le vent dans toutes les directions.
j, Ce qui le prouve, e' est leur présence très frequente et leur
„ abondance dans les ruines des chàteaux abandonnés depuis
» moins d'un siede; e' est aussi la viguer de leur végétation, qui
„ éloigne Tidée d' espèces en souflFrance, tendant k disparaltre ,.
La opinione del prof. Boulay è plausibilissima in questi ed
in molti altri casi e ci rende sufficiente conto della dispersione
di una (luantità di muschi , ma non sarebbe al certo applicabile
al caso nostro. Se dalle Canarie fosse avvenuto nel!' attualità
un irraggiamento di spore verso T Europa, come mai ne sareb-
bero rimasti invasi solo i terreni antichi e mai i più recenti,
spesso frammisti e confusi con quelli? Come spiegare che in
Liguria la specie siasi arrestata su di un piccolo lembo di schisti
triassici e non sui vicini terreni terziarii? Come conciliare la
sua estrema abbondanza sul versante del Monte Pisano prospi-
ciente l'Appennino lucchese colla completa mancanza sugli spe-
roni di questo, dai quali resta divisa mediante poche miglia di
pianura? Invano se ne cercherebbe la spiegazione nel clima e
nelle proprietà del substratum, giacché nelle parti basse dei
nostri monti le condizioni tutte le sarebbero oltremodo fiivo-
revoli, compresa la qualità delle roccie, il macigno e gli schisti
argillosi eocenici sui quali la Flora silicicola del Monte Pisano
si ritrova colà perfettamente sviluppata.
(*) Boalay. 1. e. pag. 7.
NOTA SUL FISSIDENS SEJORULATUS 1 99
Canne anteriori
Da quanto precede sembrami risultare che per rendersi conto
della presenza e della diflFiisione della specie in Europa, con-
venga risalire ad un periodo anteriore più favorevole al pro-
porzionato sviluppo e ravvicinamento dei sessi e conseguente
fruttificazione. E qui conviene notare che la scarsità dei fiori c^
del Fissidens in Toscana, non prova che questo sia stato costan-
temente sterile presso di noi in ogni tempo; poiché le piante </
potrebbero essere andate successivamente diminuendo e quelle
più numerose di tutte che non portano alcuna sorta di fiori,
potevano sotto altre condizioni produrre dei fiori maschili. Lo
stesso dicasi riguardo alle altre località europee. Ora se rifletto
che il Fissidens serrulatus sporifica abbondantemente nell' Isola
di TeneriflFa, non trovo in-agionevole supporre che altrettanto
si avverasse da noi durante un periodo in cui le condizioni della
Europa occidentale fossero presso a poco quelle attuali delle
Canarie.
Disgraziatamente il dettaglio di queste condizioni ci sfugge;
ma mi piace rammentare che a S. Cruz di TeneriflFa la tempe-
ratura media annua attuale è di 2P,7: la media del Gennajo
17^6: quella dell' Agosto 26^ (^). Ora durante il miocene, la media
annuale dell'Europa nord-ovest verso il 50^ di latitudine è stata
valutata approssimativamente a 20° (^); quella della Svizzera per
lo stesso periodo, è ritenuta dall' Heer di 22° (^); in Provenza
ha la medesima elevazione e non sembra aumentare in modo
apprezzabile coli' avanzarsi più al sud fino alla Grecia ed al-
l'Asia Minore (^). Il prof. Heer rassomiglia il clima locale di
Oeningen a quello odierno di Madera e gli assegna una tem-
peratura media annua di 18° a 19° (^). Intanto &io dall'oligo-
cene si cominciano a rinvenire fossili a Ronzon nell'Alta Loira
e ad Armissan presso Narbona le prime specie di fanerogame
(^) Grisebach. 1. e. pag. 825. Vedi pure nell'opera stessa T interessante articolo
sulla vegetazione delle Canarie, pag. 761.
(*) Saporta. Le Monde des Plantes. pag. 132 (1879).
(3) Saporta. 1. e.
(*) Saporta 1. e.
Q) Saporta. 1. e. pag. 314.
200 ▲. BOTTlNi
rimaste indigene neir Europa meridionale (^). Quanto ai
il Phascum cuspidatum ora comunissimo in tutta Y Europa e
cinque specie di Dicraniun attualmente viventi, sono state rin-
venute neir ambra ('^).
Scendendo al pliocene, i tufi di Meximieux (^> ci dimostrano
come in quel periodo esistesse nei dintorni di Lione una ricca
vegetazione, della quale facevano parte specie attualmente vi-
venti in Europa, miste ad altre ora caratteristiche dell'Ame-
rica del Nord, dell'Asia e molte proprie oggidì delle Canarie.
Fra queste ultime sono da rammentare due felci: YAdiantum
reniforme Linn., che non sorpassa più al presente T Arcipelago
delle Canarie nella direzione del nord, e la Woodicardia radicans
Cav., egualmente canariense, che si avanza sporadicamente fino
alle Asturie, ed in Italia sull' Etna, ad Ischia, a Sorrento e fino
(secondo taluni autori) presso Bologna (^) e presso Ferrara (*).
La media annua del lionese in pieno periodo pliocenico doveva
essere di 17^ o IS^ (^j, temperatura estremamente prossima a
quella attuale di Laguna di Teneriflfa.
La flora del pliocene lacustre del Valdamo Superiore, re-
centemente illustrata dal dottor Giuseppe Ristori (\ su 133
specie, ne presenta 56 comuni col miocene di varie località
italiane e molte pure comuni colla flora fossile di Oeningen;
al contrario vi sono scarsissime le specie attualmente viventi;
essa attesta un clima caldo, non però tropicale. Riflettendo poi
alla poca comunanza di specie passante fra questa e le diverse
altre flore plioceniche italiane, si rileva facilmente come fino
d' allora esistessero flore proprie di ciascun paese e che le con-
(') Come la Pistacia lentisctts ecc. Vedi Saporta. 1. e. pag. 265.
C) Schimper. Tratte de Paleontologie Vegetale. I, pag. 240 (1869). — Van
Tieghem. Tratte de Botanique. pag. 1235 (1884).
(3) Saporta. 1. e. pag. 332.
(^) Saporta. Le Monde des Plantes, pag. 337 (1879). — Non la trovo registrata
però nella recente Flora della Provincia di Bologna del prof. G. Cocconi (1883); e
nemmeno nelle recentissime Aggiunte alla Flora Bolognese del sig. G. E. MatteL
(Giugno 1886).
(5) Hooker, W. F. Species Filicum. Voi III, pag. 67 (1860). — Peraltro questa
località non ò menzionata neir opera di Nyman, C. F. Conspectus Florae Europaeae.
Supplem. I, pag. 86xi (1883-1884).
(<*) Saporta. 1. e pag. 123.
C) liistori. Contributo alla Flora fossile del Valdamo Superiore (Atti della
Società ToAcana di Scienze Naturali resid. in Pisa. Voi. VII, pag. 143, 1886) —
£ da questo lavoro che ho attinto le presenti notizie.
NOTA SUL nSSIDENS SERRULATUS 201
dizioni climatologiche non fossero più uniformi, ma invece va-
riate anche in siti vicini.
Richiamiamoci ora alla mente che il Fissidens serrulatus
possiede un' area disgiunta, le varie parti della quale si schie-
rano attorno alla porzione occidentale del bacino mediterraneo,
di cui la specie è caratteristica nell' attualità,: che si avanza
ancora in pochi siti umidi e temperati della Francia nord-ovest
e della Inghilterra : che abita costantemente le regioni costiere,
nel nostro continente poco elevate sul mare; e da quanto sono
andato esponendo mi sembra poter concludere non essere im-
probabile che r attuale sua distribuzione in Europa, rappresenti
un residuo di quella che avrebbe posseduto fino dal pliocene e
dal miocene. La specie si sarebbe salvata sui terreni antichi
rimasti da queir epoca in condizioni tali da consentirne la con-
servazione fino a noi; mentre i terreni silicei terziarii (sui quali
non può negarsi che si diflPondesse, quando si rifletta al caso
del granito miocenico dell' Elba) , ci è permesso supporre che
in grazia delle molteplici vicende di cui sono stati spesso il
teatro fino nell' epoca quaternaria, abbiano più profondamente
modificato la loro Flora e perduto la specie di cui ci occu-
piamo {}).
Questa asserzione richiederebbe di esser convalidata dalla
storia geologica dei singoli luoghi ove si trova la specie; ma
un tale compito non può venire assunto da una sola persona,
per cui lo raccomando ai varii botanici e geologi che conoscono
a fondo il proprio paese, dovendo io limitarmi ad alcune con-
siderazioni sulla Toscana.
Ammesso che la diflfusione del Fissidens serrulatus cessasse
col pliocene, si capisce come all' Elba non si trovi su terreni
più recenti del granito miocenico {% poiché di formazioni po-
Q) Vedi: Engler, Ad. Versuch einer Entwichlungsgeschichte der Pflanzenwell^
insbesondere der Florengebiete seit der Tertidrperiode. 1 u. II. Leipzig ( 1879 e 1882).-
Van Tieghem. Traité de Botanique, pag. 1609 (1884). — Saporta et Marion. L* Èva-
lutìon du règne végétaly Tome second, Chapitre IX, (1885).
(^) Riguardo alla età delle roccie granitiche e porfìriche dell* Elba, cosi si esprime
il Lotti a pag. 180 del suo lavoro più volte citato : « Possiamo adunque stabilire che
« queste roccie si formarono in un' epoca compresa tra Y eocene e il miocene Bupe-
« riore e precisamente in quel periodo di tempo in cui avveniva il più imponente dei
« sollevamenti, quello cioè che formava per intero l'Appennino e innaUaya le Alpi,
«squarciando, rovesciando e increspando bizzarramente gli strati eocenici».
Se. Nat. Voi. VIIT, fase, l.» 15
202 A. liOTTIXI
steriori non vi esistono che le quaternarie, sulle quali non po-
teva propagarsi, (guanto al nostro Appennino, i lembi del pliocene
portati in alcuni punti qua.si a 1000 metri di altezza presso
Kadicofaniy ci autorizzano ad ammettere essere avvenuto in esso
un sollevamento postpliocenico molto forte. Le stesse colline
lucchesi, sebbene meno sollevate, ci mostrano il pliocene a circa
240 metri nelle Pizzorne sotto Tofori e S. Gennaro (^). La specie
che non veireta in Europa fuori dei siti bassi, si trovò collo-
cata ad una elovazione alla quale non poteva, più vivere, mas-
sime nella sussi.'guento epoca glaciale, che se non da per tutto
fu epoca di gran fred<lo I -), ne^>suno i)iìi vorrà asserire che fosse
epoca di caldo: non poteva discendere in basso, mancando ormai
di mezzi di diffusione: essa dunque ha dovuto scomparire dal
macigno e dagli schisti ai'gillosi eocenici del nostro Appennino
e dei colli lucrhf.\si. Pel Monto Pisano e le Alpi Apuane invece,
la poca elevazione del pliocene nelle circostanti colline ("*), ci
porta a supporre un' innalzamento postpliocenico assai minore,
che permise alla specie di conservarsi. E da notare poi che dopo
r epoca glaciale, così il Monte Pisano come le Alpi Apuane hanno
partecipato ad un movimento di sommersione, diretto verso
r ovest nel primo e verso il sud nelle seconde, il quale lasciando
emersi i terreni aiitichi, ebbe por effetto di seppellire sotto il
mare le formazioni terziarie sovraincombenti, verosimilmente
assai estese sulle penditi di quei monti (^), ed ora rappresentate
da pochi residui isolati. Non farii quindi meraviglia che il Ms-
sidens serrulatus lo abbiamo ritrovato colà solo sui terreni silicei
paleozoici, tanto più che gli scai-si lembi di macigno eocenico
rimanenti, non sono ancora per quanto riguarda la nostra specie,
sufficientemente esplorati.
(') Comunicazione epistolare del prof. C. De Stefani, in data 25 Maggio ISSd.
(') A chi dubitasse che il nostro Fissidens^ proprio dei paesi subtropicali a
temperati , avesse potuto traversare 1* epoca glaciale, sì potrebbe semplicementa fare
osservare che ciò è avvenuto di fatto per altre piante. Ma olti*6 a ciò, che la esten-
sione dei ghiacciaj sia conciliabile colla presenza in siti vicini di una vegetazione
di aspetto siibtropicalc collegata ad un clima mite, ce ne offre esempio attualmente
la Nuova Zelanda.
P) Verso Parrana nei colli livornesi, il pliocene raggiunge una elevazione mas-
sima di circa 100 metri. Nelle colline pisane ed in quelle che fiancheggiano TAmo
nel suo tratto inferiore, elevasi a Cangila a 100 metri, a Lari 129 metri, a Monto*
j)oli 119 metri e nelle vicinanze di Pontodera 50 metri.
(*) Lotti. Descrizione geolojica de W Isola d' Elba, pag. 240-246 (1886).
kOTA SUL FISSIDENS SERRULATUS 20B
La mia ipotesi si accorda perfettamente con quella proposta
dal dottor Major a spiegare V origine della Flora fanerogamica
caratteristica dei terreni antichi dell' area mediterranea occi-
dentale. Egli a pagina 90 del suo importante lavoro (^), dopo
aver dato un catalogo di ben centosedici fanerogame ed una
felce, caratteristiche come egli dice della Tirrenide, così si
esprime: " Es ist bezeichnend, dass sich die endemischen Pflan-
„ zenformen fast ausschliesslich an altere Formationen halten
„ (einige Ausnahmen, d. h. endemische Pflanzen der Apuanisehen
» Alpen, die auch auf den benachbarten eocanen Apennin ùber-
„ greifen, werden spater zur Sprache kommen), und zwar sind
» sie meist sehr localisirt: auf das Gap Noli ( Liguri en ), den
j, toscanischen Archipel, die Apuanisehen Alpen, den Monte Calvi
„ (zur Catena Metallifera in der toscanischen Maremme gehórig),
» das Cap Palinuro. Einzelne Arten sind auch von Corsica, oder
„ von Corsica und Sardinien nach dem toscanischen Inselarchipel
„ und selbst bis auf die Westkùste der Halbinsel verbreitet.
„ Die Pflanzen, welche won Sfldfrankreich bis Nordafrika
„ reichen, haben dann in den meisten Fallen auch eine weitere
„ Verbreitung nach Westen und Osten; die grosse Mehrzahl der
„ Pflanzen des vorstehenden Verzeichnisses ist in diesem Fall.
„ Sie sind es, welche dem Grebiet ein subtropisches Geprage
„ verleihen; wir betrachten sie demnach als letzte, in dieser
„ Region zum Theil dem Verschwinden nahe Ueberreste aus
„ einer Zeit, in welcher die Flora der Mittelmeerregion ùberhaupt
„ einen subtropischen Charakter batte. Und darum erscheinen
„ zugleich die beute grossentheils getrennten, theilweise nur
„ als Bruchstùcke vorhandenen Wohnorte derselben — wie
„ gewisse Striche des westlichen und Ostlichen Liguriens, die
„ Apup,nis'chen Alpen, die Inseln, die Catena Metallifera Savi 's,
„ der Monte Argentario, der Monte Circeo etc. — als die noch
„ ùber das Meer emporragenden Ueberreste eines in frùhem
„ Zeiten zusammenhangenden Gebietes „.
(*) Forsyth Major, C. J. Die Tyrrhenii. Studien ùber geographische Verbreitung
von Thieren und Pflanzen im westlichen Miitelmeergebiet ( Kosmos VII, Bil. XIII,
18S3). — Vedi pure: Major. Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Pro-
cessi Verbali: adunanze 8 Gennajo 18S2, pag. 36-42: li Marzo ISS/, pag. U3-133:
I.^ Novembre 1882, pag. 192: Il Novembre 18S3, pug. 13-21.
204 A.BOTTIXI — NOTA SUL nSSEDENS SERRtJLATCS
A.wertenze finali
Sono portato a credere che parecchie altre specie di muschi
rari e ad area disgiunta deblìano avere una età ed una storia
non dissimile da quella del Fissidens serrulatus; ma non posse-
dendo su di osse studii sufficienti, mi astengo eziandio dal no-
minarle.
Sono io il primo a confessare di aver lasciato delle indi-
cazioni vaghe da precisare, delle lacune da colmare, dei dubbi
da risolvere, senza parlare delle nuove scoperte le quali po-
trebbero rovesciare la ipotesi proposta. Ma sarò pago di aver
richiamata V attenzione dei briologi sulla opportunità di non
limitare gli studii di brio-geografia al solo presente, ma di in-
dirizzarli per quanto è possibile, sia pure a forza di ipotesi,
anche alla ricerca del passato.
aiOVi\JTNI BAJlAIiDI
APPARATO FEMMINILE
BELLA
GENERAZIONE NEI NILGAU
(PORTAX PIOTA FALL.)
ED UN CENNO SULLA LORO PLACENTA
L' apparato femminile della generazione dei Nilgau diflFerisce
da quello degli altri ruminanti per avere due cavità incubatrici
o uteri indipendenti Y uno dall' altro, e quindi non comunicanti
fra loro per mezzo di quella porzione che vien chiamata corpo
dell' utero. DiflFerisce pure da quello dei Monotremi, dei Marsu-
piali, dei Conigli, delle Lepri etc. perchè in questi animali
non solo vi sono due uteri, ma vi sono anche due colli che
separatamente sboccano nella vagina, mentre nei Nilgau i due
colli si fondono in uno solo alla sua parte posteriore. Questa di-
sposizione perciò segna un vero passaggio fra gli apparati della
generazione ad utero semplice, e gli apparati ad utero doppio,
che finora si conoscevano.
Nel preparare gli organi genitali di una femmina di Nilgau
gravida, dai quali avevo estratto il feto, restai sorpreso accor-
gendomi che ciò che credevo il corno destro era un utero di-
stinto. Non vi era comunicazione fra la parte destra e la- si-
nistra, e il feto non invadeva coi suoi involucri tutt' e due le
coma come avviene negli altri ruminanti. Mancava quindi quella
porzione che abbiamo detto chiamarsi corpo. Ogni cavità incu-
206 G. BARALDI
batrice aveva un collo suo proprio, ed i due colli, ad una certa
distanza, fondevansi insieme formando iiu unico canale che a
somiglianza di ciò che accade negli altri ruminanti, andava ad
aprirsi nella vagina.
Ma prima di andar oltre a parlare dell' utero dei Xilgau,
credo necessario richiamare alla memoria Y enorme differenza
di struttura e di funzione che vi è fra la imita iiìcuhatriee del
dotto di MùUer e quella parte che viene chiamata collo o yx?r-
zìOììe cervicale delV utero, affinchè risulti evidentemente che i
Nilgau sono animali a doppio utero, e nei quali durante lo svi-
luppo la fusione dei dotti Mulleriani si è arrestata nella por-
zione cervicale. Per ciò fare, diremo che i dotti Mulleriani, i
quali non subiscono grandi mutamenti morfologici nei vertebrati
inferiori, nei mammiferi invece si possono dividere in diverse
regioni che sono il dotto Faloppiano, la cavita incubatrice, il
collo, e la vagina : parti tutte che hanno struttura e funzione
differente.
Il (lotto di Faloppio è uno stretto tubo, molto lungo e ge-
neralmente flessuoso, con due aperture, una addominale allar-
gata in forma di padiglione, X altra uterina. È costituito da
tre membrane, la peritoneale, la muscolare e la mucosa. La
muscolare ha due strati, uno superficiale a fibre longitudinali,
r altro profondo a fibre circolari. La mucosa sprovvista di glan-
dule forma delle ripiegature longitudinali ed è rivestita da im
epitelio vibratile. Il ciotto serve col suo padiglione a raccogliere
r uovo sfuggito dalla vescichetta di Graaf. e col tubo, per mezzo
della vibrazione delle ciglia vibratili, a trasportare Tovo stesso
nella matrice.
La cavità incubatrice, o utero, è una larga cavità più o meno
lunga, in molti animali rivolta a spira a somiglianza delle coma
d'ariete; costituita, come il dotto di Faloppio, dalle stesse tre
membrane, colla differenza che la muscolare è formata da tre
strati di fibre, le quali s' intrecciano in tutte le direzioni ; e la
mucosa è di un bianco rossastro, ricca di una quantità di glan-
<lule, rimarchevoli pei cambiamenti che subiscono durante la
gestazione e l'epoca delle regole nella domia. Fino dai primi
momenti della gestazione la mucosa dell'utero s'ingrossa mol-
tissimo, e dà luogo alla decidua vera ed alla riflessa alla cui
produzione prende parte in tutti i punti. La mucosa è tappez-
/
APPARATO FEMMINILE DELLA GENERAZIONE NEI NILGAU 207
zata di un solo strato di cellule vibratili, le di cui vibrazioni
agiscono in senso inverso di quello della tromba Faloppiana.
L' utero solo è destinato a mettersi in rapporto col prodotto
del concepimento.
11 collo o porzione cervicale dell'utero è un tubo che fa se-
guito air utero, più o meno lungo nei differenti animali, il quale
ha lo strato muscolare più spesso di quello della matrice e
forma dei grossi fasci circolari di fibre muscolari da rassomi-
ghare a degli sfinteri : in moltissimi animali lo strato musco-
lare protubera nell'interno con dei rialzi che chiudono quasi
perfettamente per alcuni punti il lume del tubo : per la dispo-
sizione particolare che questi rialzi assumono nel collo uterino
della donna, vennero chiamati albero della vita. Negli animali
sono detti sfinteri od anche musi di tinca. La mucosa del collo
differisce completamente e per la sua struttura e per la sua
funzione da quella dell' utero, come Robin (^) lo ha perfetta-
mente dimostrato nella donna. Essa è più spessa di quella del-
l' utero con glandule a tubo semplice e a tubo composto e mol-
tissime di queste sono rimpiazzate dalle così dette uova del
Naboth. La mucosa dopo di aver tappezzata la cavità del collo,
ricopre l' orifizio e le labbra del muso di tinca : in quest' ultima
porzione, Cornil (*^), dice che nella donna presenta delle dif-
ferenze sì grandi dalla prima, che si devono considerare due
porzioni; 1' una uterina, l'altra vaginah o del muso di tinca.
La porzione uterina è ricoperta di un solo strato di cellule di
un epitelio vibratile, e la vaginale da un epitelio pavimentoso
stratificato. Questa mucosa non prende parte alla formazione
della decidua vera ed alla riflessa durante la gestazione. H collo
dell'utero nella dorma, secondo Oomil, ha delle papille simili
a quelle della cute. La funzione del collo è quella d'inibire
il passaggio di anche una minimissima parte del prodotto del
concepimento, per mezzo specialmente di quel liquido vischioso
trasparente di color bianco o d'ambra, di cui in tutte le età,
il collo è pieno e le cui proprietà si esagerano durante la gra-
vidanza, formando il così detto tampone gelatinoso.
La vagiìia è un larghissimo tubo che fa seguito al collo del-
(') V. Corail, liecherches sur la structure de la Muqueuse du col utérin a
l' éiat normal. Robin, Joura. d* Anatomie et de Physiologie, anno 1864, pag. 386.
O Op. cit.
208 G. BARALDI
r utero. La sua mucosa è sprovvista di glandule 0) e tappezzata
(la un epitelio pavimentoso. La vagina serve a ricevere l'or-
gano maschile nel momento del coito.
Non tengo nota del vestibulo genito-urinario non avendo
importanza per gli apparati che stiamo per descrivere. Dirò
solo che è unico, e che la funzione è uguale in tutti i mam-
miferi.
Data questa rapida e necessaria occhiata alla differente
struttura delle diverse regioni dei dotti Mulleriani, passiamo
alla descrizione degli uteri di Nilgau.
Sono 4 apparati femminili della generazione che ho a mia
disposizione, due di femmine gravide e due di femmine dell' età
circa di un anno e mezzo.
Dei due primi apparati uno conteneva un feto solo e Y altro
due. Gli altri due naturalmente erano vuoti.
Incominceremo dalla descrizione dei vuoti.
Uno di essi fig. I, visto all' esterno mostrava dei legamenti
larghi assai sviluppati ; le trombe D f, apparivano lunghe e poco
flessuose e col padiglione piuttosto stretto. Le porzioni incuba-
trici Pi, Pi', nella loro forma si avvicinavano di più a quella
della pecora che a quella della vacca, perchè le spire a corno
d' ariete sono appena due e mezzo, mentre nella pecora sono
tre o più di tre : misuravano, nel massimo della loro lunghezza,
m. 0,105, ed il suo diametro maggiore era di m. 0,018: queste
porzioni che corrispondono alle coma uterine degli altri rumi-
nanti presentano una gi'ande cavitk, nelle di cui pareti inteme
si notano una quantità, di rilievi che molto probabilmente rap-
presentano le regioni dei cotiledoni materni: sono tappezzate
da una membrana mucosa color carnicino ricoperta da uno
strato di cellule epiteliali.
Ognuna delle cavità incubatrici comunica con uno stretto
tubo a pareti grossissime che rappresenta la porzione del collo
uterino C, a, a'. Il tubo sinistro a, è lungo m. 0,014, il tubo
destro a, e lungo m. 0,012: nell'interno dei tubi si notano di-
versi rialzi formati da un numero maggiore di fibre muscolari
(') Come sta la faccenda'/ MìIda Edwars— Le^on sur la Physiologie efAna"
tomie eomparée Tom. IX, pag. 68 — asscrifice clic in molti mammiferi la vagina è
provvista di glandule, le quali sono molto sviluppato nei Ruminanti. Laydic e raolti
altri moderni istologi le negano.
APPARATO PEBfMINILE DELLA GENERAZIONE NEI NILGAU 209
circolari, a guisa di tanti sfinteri, i quali visti neir intemo si
possono rassomigliare a tanti musi di tinca s, s'. Fra un muso
di tinca e V altro vi è una specie di cavità piena di un muco
denso biancastro. La mucosa che tappezza i tubi é ricca di glan-
dule, e forma un numero grandissimo di piccole ripiegature lon-
gitudinali nella parete di ogni cavità,, e al margine libero di
ogni muso di tinca si osservano moltissime papille.
Dei rilievi a muso di tinca e respettive cavità se ne osser-
vano tre per ogni collo, in un Nilgau; e tre nel collo uterino
destro, e due nel sinistro in un altro individuo. La figura 1 .* rap-
presenta gli organi della generazione del primo individuo.
A questo punto la porzione cervicale dell'utero sinistro a,
si fonde con quella di destra a', formando qui un grande muso
di tinca s', con due aperture alla parte anteriore. Alla parte
posteriore di questo grande muso di tinca s', si forma una ca-
vità cervicale simile ad una di quelle descritte nelle porzioni
anteriori del collo : poi un altro muso di tinca, indi altra cavità
fino al numero 3: finalmente un ultimo muso di tinca, che
sbocca nella vagina v, nel modo stesso che si osserva nella
vacca. Anche questa porzione b, del collo comune ai due uteri,
è rivestita della medesima mucosa colle stesse particolarità che
abbiamo notate per le porzioni anteriori.
Dalla descrizione che ho data dei colli uterini mi pare aver
dimostrato che formano un Y, le di cui braccia, o porzioni ute-
rine a a', comunicano con una cavità incubatrice o utero, e
colla coda o porzione vaginale b, colla vagina.
Le diverse cavità che abbiamo riscontrate nei colli delle
porzioni uterine e vaginali sono piene di un muco denso, bian-
chiccio e filamentoso.
Non mi perdo a descrivere la vagina non presentando questa
nella forma generale diflTerenze notabili da quella della vacca,
per venire a discorrere degli organi della generazione gravidi
dei due Nilgau più sopra indicati (^).
Li uno degli uteri gravidi Fig. 2.*, ho trovato un feto solo,
lungo m. 0,24, il quale era rinchiuso nella cavità incubatrice
destra Pi'; l'altra cavità P i, naturalmente era vuota.
(*) Oli organi della generazione dei due Nilgau di un anno 9 mezzo si conser-
vano ne) Museo di An&tpn^U comparata di Pisa sotto il N*^ d\ Catalogo 6383-6384.
210 G. lUKALDI
Le dimensioni delle Ct^vità incubatrici e rispettivi colli preso
in un preparato a secco sono queste:
Lunghezza media della cavita incubatrice destra m. 1, 190
Circonferenza massima idem „ 0, 580
Lunghezza del collo (porzione uterina) .... „ 0, 0-45
Diametro idem ^0, 014
Lunghezza dell' utero sinistro ^0, 350
Circonferenza massima idem j, 0, 190
Lunghezza del collo (porz. uterina) . „ 0, 050
Diametro idem ,0, l-iO
Lunghezza del collo (porz. vaginale) ,0, 060
Diametro idem „ 0, 025
Lunghezza dèlia vagina „ 0, 2-1:0
Circonferenza massima ,.,0, 230
Neir altra Nilgau ho trovati due feti lunghi m. 0, 105 Tuno,
m. 0, 104 r altro, rinchiusi uno per ciascuna cavità incubatrice.
Le misure di queste cavità e rispettivi colli, prese in un pre-
parato fresco, sono le seguenti :
Utero destro lunghezza media m. 0, 480
Diametro massimo del medesimo „ 0, 1 1 0
Lunghezza del collo (porzione uterina) .... „ 0, 036
Lunghezza media dell'utero sinistro ,0, 470
Diametro massimo del medesimo ,, 0, 115
Lunghezza del collo (porzione uterina) .... „ 0, 035
Lunghezza del collo comune ai due uteri o por-
zione vaginale ^ 0,071
Lunghezza della vagina „ 0, 220
In questi uteri gravidi ho osservato che la mucosa, nel-
r orificio di ciascun collo uterino, fa una ripiegatura semilunare
da rassomigliare ad una valvola. Inoltre ho visto che il mar-
gine di tutti quei rialzi che ho indicati neir interno dei colli
col nome di musi di tinca, sono guerniti di lunghissime papille;
che nelle diverso cavità, fra un rialzo e X altro, si notano an-
cora quelle ripiegature longitudinali della mucosa, le quali si
osservano anche negli uteri vuoti: e che le cavità del collo
tanto delle porzioni uterine che della porzione vaginale, sono
piene di un muco densissimo, il quale fa le veci di tanti tam-
poni uterini. Il numero dello cavità del collo variano da tre
APPARATO FEMMINILE DELLA GENERAZIONE NEI NILGAU 211
a quattro nelle porzioni uterine aa, e da tre a quattro nella
porzione vaginale b.
Questa particolarità, adunque, degli organi della generazione
femminile dei Nilgau non si riscontra affatto, almeno per quanto
io so, non solo nei ruminanti domestici, ma neanche in altri
come ad esempio nella Daina, nella Cerva etc. In tutti questi
animali le corna uterine comunicano fra loro per mezzo del
corpo. Anche V utero della Dromedaria e simile a quello degli
altri ruminanti, sebbene il corpo sia diviso quasi in totalità da
un tramezzo risultante da un esagerato addossamento delle due
coma, ( Chauveau pag. 970 (^)). Il collo uterino di tutti questi
animali è sempre unico e mai biforcato ad y come quello da
noi descritto: è più o meno lungo e presenta un numero varia-
bile (da 4 a 6) di sfinteri o musi di tinca più o meno completi.
Ora considerando che in tutti i mammiferi la cavità incu-
batrice differisce nella struttura, nella capacità e nella funzione
dal collo uterino, noi non esitiamo a classificare i Nilgau fra
gli animali a doppio utero.
Con questa differenza; che mentre nei Nilgau la fusione
dei dotti Mulleriani si fa in parte nelle porzioni cervicali per
cui si hanno due orifizi uterini ed uno vaginale; invece in tutti
i mammiferi conosciuti fino ad ora con doppio utero la con-
fluenza o la fusione dei dotti Mulleriani, che restano comple-
tamente separati l'uno dall' altro in tutti i vertebrati inferiori,
in alcuni di questi sboccano separati nel vestibulo genito uri-
nario come per esempio nei monotremi. Nei marsupiali si ha
la fusione in parte della vagina; nei conigli e nelle lepri si fa
in tutta la vagina stessa, restando separate le due porzioni
cervicali. Per il passato si riteneva che dalla fusione vaginale
dei dotti Mulleriani si passasse immediatamente alla fusione
delle camere incubatrici. Inoltre in un gran numero di animali
come per esempio nei bovi, nelle pecore e nei maiali ec. la fu-
sione dei dotti Mulleriani arriva fino alla estremità posteriore
delle cavità incubatrici, ed in altri si fondano anche tutte lo
porzioni incubatrici come avviene per esempio nell' uomo, nella
scimmia ec.
(*) Tratte d* Anatomie comparée des A'^imaux domestiques. Paris, Troisi^me
ed ilio n.
212 G. BÀBÀLDI
Quindi volendo classificare gli organi della generazione fem-
minile nei mammiferi, nel modo che generalmente viene adot-
tato, diremo:
Utero semplice: quando troveremo due dotti Faloppiaiii, un
utero, un collo ed una vagina, come nella doima e nelle scimmie.
Utero bicorne: quando troveremo due dotti Faloppiani, due
coma o porzioni incubatrici, un così detto corpo uterino ed una
vagina, come nei bovi, nelle pecore, nei cavalli ec.
Utero (loppio con collo ad Y: quando troveremo due dotti
Faloppiani, due uteri, due colli fusi all' estremità posteriore ed
una vagina, come nei Nilgau.
Utero e collo doppio: quando troveremo due dotti Faloppiani,
due uteri, due colli ed una vagina, come nei conigli, nelle lepri,
in alcuni mus ( ^) ec.
Utero e collo e parte della vagina doppia: quando si trovano
due dotti Faloppiani, due uteri, due colli e porzione della va-
gina fusa, come nei marsupiali.
Dotti Mulleriani non fusi: quando troveremo due dotti Fa-
loppiani, due uteri, due colli e due vagine, come nei monotremi.
Ho creduto utile di comunicare questa particolarità, degli
organi femminili della generazione dei Nilgau, perchè ha una
certa importanza embriologica, fisiologica e teratologica. Em-
briologica, perchè rappresentano un grado speciale di trasfor-
mazione nella fusione dei dotti Mulleriani: fisiologica, perchè
in questi animali potrà avvenire con tutta facilità la superfe-
tazione, che così facilmente non può avvenire negli altri ru-
minanti, per la ragione che in questi V uovo o meglio le mem-
brane fetali, dopo brevissimo tempo dalla concezione percludono
Tunica apertura uterina del collo e gli spermatozoidi trovano
un ostacolo a passare nel corno vuoto. E finalmente teratolo-
gica, perchè alcune anomalie di uteri doppi che si riscontrano
talvolta in animali che normalmente hanno l'utero semplice,
possono ritrovare il loro riscontro negli uteri doppi dei Nilgau,
meglio che negli uteri di coniglio e di lepre come si è fatto
fin qui dagli anatomici e come mi pare sarebbe il caso de-
(0 Non ho avuta occasione che di avere \\n i^lo individuo di Mus decumanus
e mi pare di avere ri-^contrata la stessa particolarità che si ha nel Nilgaa. Altre
osservazioni metteranno in chiaro questo fatto-
APPARATO FBMMINILE DELLA QENEtlAZIONE NEI NILGAU ^13
gV uteri doppi di donna descritti da Cuvier (^), da Martin (^) e
specialmente il caso descritto da Romiti (^) in cui ha riscon-
trato un utero doppio, uno molto sviluppato e V altro rudi-
mentario, i quali si fondevano insieme " nel punto che presso
a poco corrisponderebbe alla fine della cavità cervicale » : ed
il caso di utero doppio con un unico collo, descritto da Gru-
veilhier, trovato in una donna morta sei settimane dopo il
parto ; in cui V utero destro molto più sviluppato, conteneva il
feto (vedi Fig. 252 di Ch. Debierre (^) ) .
Affinchè non cada alcun dubbio che il doppio utero dei
Nilgau sia un anomalia, dirò che esaminati questi organi in
quattro femmine li ho trovati sempre colla stessa identica con-
formazione, ciò che non avviene quando si tratta di anomalie.
Placenta. Alla singolare particolarità, degli organi della ge-
nerazione nelle femmine dei Nilgau se ne aggiunge un altra
non meno particolare, e che è forse inerente alla prima, ed è
che la distribuzione dei vasi della placenta fetale e molto dif-
ferente da quella di tutti gli altri ruminanti, come pure sono
diflPerenti i cotiledoni.
I vasi placentali invece di dividersi in due vasi principali
che scorrono dall' avanti air indietro sulla allontaide, dando
rami secondari dall' uno e dall' altro lato, come si osserva ad
esempio nella placenta fetale della pecora (^) e della Vacca,
nei Nilgau, questi stessi vasi nel punto in cui termina il cor-
done ombelicale si suddividono immediatamente in 10 o 12 ra-
mi, circa del medesimo calibro, che si distribuiscono in tutte
le direzioni sull' allontoide che è anche più corta, relativamente
di quella degli altri ruminanti.
(*) Le^n d* Anatomie, Tom. IH, pag. 628. Caso di matrice doppia, bicorpo e
bicorne, in una femmina umana.
(*) Martin ha dimostrato come i dotti moUeriani possono restare completamento
divisi in unjneonato umano. Journal de l* Anatomie e de la Physiologie de Robin
e Pouchety Anno IV. (Gennaio o Febbraio).
(3) Notizie Anatomiche. Di alcuni casi di mala conformazione degli organi ge-
nitali femminili. Estratto dal Bollctt della Soc. tra i Cult, delle Se. Med. in Siena.
Anno III, Siena 1885.
(^) Manuel d* Embryologie humaine et comparée. Paris 1886.
(^) Vedi la Figura 394 data da Chauveau — Traité d* Anatomie comparée des
AnimauiV domestiques. Paris 1878.
214 G. BARALDI
La distribuzione dei vasi placentali dei Nilgau, rassomiglia
molto alla distribuzione dei vasi placentali della Cavalla.
I cotiledoni che sono circa in numero di 68 nella Pecora
e nella Capra, di 14 nella Daina, e di 72 nella Vacca; nella
Nilgau invece sono quaranta. Oltre a ciò i cotiledoni di questo
animale, che sono concavi come quelli della Pecora e della Capra,
sono però più espansi e più larghi quasi da toccarsi Y uno col-
r altro, ciò che non si riscontra in nessun altro ruminante.
La placenta di Nilgau si conserva nel Museo di Anatomia
comparata di Pisa sotto il N.° 6102 di catalogo. Si conservano
puro nello stesso Museo le placente di Pecora (N.'^GOIQ), di
Daina (N.« 6122), di Vacca (X.'> 6910), etc.
SPIEilAZIONE DELLE FIGURE
Organi della generazione Femniinile
Fig. 1.* Uteri di Poptax piota (Nilgau) di un anno e mo/.zo circa, visto
dalla faccia superiore.
Df. Tromba di Faiuppio senza il Padiglione.
Pi. Cavità incubatrice sinistra o porzione incubatrice dei dotti
Mulleriani, aperta.
Pi'. Utero destro ecc.
C. Collo degli uteri, aperto.
a. Porzione uterina del collo dell'utero sinistro.
2l', Porzione uterina del collo dell' uu^ro destro.
b. Porzione vaginale del collo degli uteri,
s. Sfinteri del collo uterino.
s'. Sfinteri del collo vaginale.
V. Vagina aperta.
— Tolta da una preparazione fresca.
Fig. 2.» Uteri di Nilgau di cui il destro era gravido, visto dalla faccia
inferiore.
Le lettere valgano quello della Fig. 1.»
— Tolta da una preparazione a secco, che si conserva
nel Museo di Anatomia comparala di Pisa sotto il N.® di
Catalogo G689.
&)>PA&iTO FEHUINILE DELLA aEKERAZIONE NEI NILOAU àl5
Il
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1
mi i i iPOSIIO DI RilTOl I DI CARIIMI
SULLA VETTA DI MONTE PELLEGRINO
CON UNO SCHIZZO 8INCRON0GRAFICO
DKL CALCARE POSTPLIOCiiNICO DELLA VALLATA DI PALERIO
PEL
HARCHBSe ANTONIO DB GREGORIO
DOTTOBB nr SCXBNZS MATT7BALI
H deposito ossifero, il cui studio è soggetto di questo lavoro,
presenta in vero una grande importanza: sì perchè nulla di
simile si è rinvenuto finora in Sicilia, si perchè la scoverta di
vertebrati fossili può dare molto lume intorno alla storia delle
ultime vicissitudini geologiche della nostra isola, sì perchè (anche
indipendentemente di ogni altra considerazione) X esame dei
loro caratteri anatomici svela molte paculiarità, interessanti.
Nessun deposito di piccoli mammiferi finora è stato trovato
in Sicilia, neppure dagli ingegneri delle miniere, che per eseguire
il rilievo geologico, la hanno recentemente traversata da un
capo air altro. Nelle grotte che contengono gli avanzi esostorici
degli antichi abitatori, si è forse potuto rinvenire qualche ossi-
cino di piccolo mammifero; ma si è trattato sempre di fram-
menti indeterminabili o di poca entità, difficilissimi a distinguersi
e a classificarsi, avuto anche riguardo alla promiscuità come si
trovano. — Dicevo che tale scoperta poteva esser molto utile
per chiarire molte lacune della storia geologica moderna del-
l' isola nostra; ed è superfluo dimostrarlo. Dirò solo che lo studio
comparativo, sia anatomico che tassonomico, di esseri di classi
superiori come quelli da noi studiati, può offrire molti e valevoli
8c, Nat. Voi. Vm. 16
218 A. DE GREGORIO
criteri per la ricostruzione degli antichi continenti, per investi-
garne il clima e anche in certo modo la vegetazione e la oro-
grafia. Tanto più poi che lo studio delle emigrazioni e delle
immigrazioni degli animali è oggi, e a ragione, molto in onore,
come quello che ha condotto a importanti scoperte, spiegando
molti fenomeni e molti fatti altrimenti misteriosi. — Infine, non
parlando del carnivoro di seguito descritto, certo i roditori e
principalmente quello più grande, presentano dei caratteri peco-
liarissimi nel sistema dentario, che hanno poche analogie fra
i congeneri sia viventi che fossili.
Premesse queste considerazioni non mi sembra fuor di luogo
dare un cenno della posizione della località fossilifera: e ciò
tanto per formarsi un' idea delle condizioni di vita di allora,
tanto per lo studio di sincroni/azione, il quale per la mancanza
di suflBcienti criteri riesce un po' difficile e incerto.
Tutto il fondo della grande vallata, sul quale sorge la città
di Palermo, è formato di un calcare conchiglifero ix)stpliocenico
che si distende in tutti i sensi sino a lambire le falde dei monti
circonvicini. Tal calcare è regolarmente stratificato e ha una
grande potenza: ho esaminato infatti dei pozzi profondi 25 metri
incavati in esso e ho avuto fra mani il materiale estratto dal
fondo del porto, appartenente senza dubbio alla stessa forma-
zione. In talune contrade ( come per esempio a Ficarazzi ) la
roccia postpliocenica passa alle sabbie, alle marne, alle argille.
Queste ultime sono in taluni siti, come a Ficarazzelli, ricchissime
di fossili; vi primeggiano la Cyprhia islandica e il Fusus (Brongus)
conb'arius. Però in generale la roccia predominante è un cal-
care detritico conchigliare che fornisce un' ottima pietra per
costruzione, poiché è molto facile a lavorarsi, mentre nello stesso
tempo h resistente agli agenti atmosferici. Il calcare delle Falde
di Monte Pellegrino, della Vergine Maria e dell' Arenella è bianco
e contiene grande quantità di conchiglie, coralli, briozoi, nulli-
dore. Quello dei pressi di Aspra (Capo di Zafferana) è giallastro,
alquanto più tenace e più fitto e formato interamente di con-
chiglie minutamente frantumate. Sino a pochi anni addietro
quasi tutte le case di Palermo si costruivano col calcare delle
Falde di Monte Pellegrino, ora si preferisce quello di Aspra.
In generale gli strati sono su per giù orizzontali, ma non
di rado pendono alquanto in una o in un' altra direzione, per
INTORNO A UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 219
lo più per pochi gradi. Qualche volta s' inclinano più marcata-
mente, ma ciò per lo più avviene in tratti non molto estesi.
Tale roccia contiene una fauna assai ricca e molto carat-
teristica, che parmi abbia grandissima affinità con quella del
Crag d' Inghilterra. Buona parte delle specie vivono ancora nel
Mediterraneo, alcune nei mari glaciali, altre sono estinte. È un
orizzonte assolutamente distinto dal pliocene, il quale e assai
sviluppato nei dintorni d'Altavilla, ove sfoggia tutte le sue specie
tipiche fra cui primeggia lo Strovibus coronatiis. — 11 póstpliocene
di Palermo è molto più recente di esso, però non credo si possa
del tutto conguagliarlo al quaternario ossifero delle grotte,
il quale è ancora più recente. Invero questo alla sua volta pare
vada distinto in due sotto-zone, V una che comprende i depositi
a Hippopotamus Pentlandij Ekphas antiquus, Bos primigenius e
troehocenus, Cervus elaphus etc. i quali si rinvengono tanto nelle
grotte, che nei terreni di alluvione (recentemente ne ho sco-
perto un deposito lungo il letto del fiume Anapo), V altra che
comprende i depositi esostorici delle grotte con armi di selce
più o meno grezza. Io non ho ancora avuto tempo di studiare
l'epoca relativa di queste due zone (che potrebbero anche es-
sere coeve come è molto probabile), né tampoco le relazioni
fra il quaternario ossifero propriamente detto e il postplioce-
cene tipo; però parmi che gli 'argomenti militino per la mag-
giore antichità di quest'ultimo, anzi credo si possa asserirlo
senza timore di essere smentiti. È però probabile che l'ultima
fase postpliocenica sia contemporanea alla formazione del detto
quaternario ossifero. Vo' qui solo menzionare due fatti: Nella
spiaggia di Sferracavallo ho osservato che lo stesso calcare con-
tiene una fauna un pochino differente di quella del póstpliocene
tipo: è ricca di grandi conus e di grandi patelle, che sono assai
rari in quello, e di una interessantissima nuova specie di Strombus
che ho descritto nel mio lavoro ** Studi su talune conchiglie
mediterranee „ ; vi abbondano inoltre la Columbella rusticula e
altre specie .che sono pure assai rare nel póstpliocene. A prima
vista tal calcare parrebbe di doversi ascrivere ad un' epoca più
antica ; infatti la presenza del genere Strombus, il grande svi-
luppo del genere conus, farebbero sospettare di un orizzonte
pliocenico. Però l'insieme della fauna che racchiude, mi pare
abbia maggiore analogia con quella tuttora vivente che con
220 A. DE GREGORIO
quella del terziario superiore. Si tratta quindi sènza fallo di on
livello un po' superiore al postpliocene tipo e con tutta proba-
bilità contemporaneo al quaternario ossifero, — L' altra osser-
vazione e questa: che fra gli avanzi esost orici delle grotte si
trova una quantità di grandi patelle (P, ferruginea), e di grandi
trochus (Fr. fragarioides) che servivano di alimento agli antichi
abitatori, le quali specie sono rare nel postpliocene e abbondano
invece nel banco di calcare di Sferracavallo sopra menzionato.
Da tutto ciò che ho detto si rileva agevolmente, che vi è
uno stacco seasibilissimo fra il nostro postpliocene (zona fredda)
e il quaternario e siccome tali nomi da molti autori sì confon-
dono riferendosi alla stessa epoca, il Prof Doderlein ha pro-
posto per esso il nome di „ piano siciliano „ il quale titolo è
stato adottato dal Prof Seguenza nel suo gran lavoro sul ter-
ziario di Reggio. — La fauna malacologica del nostro postplio-
cene fu molto bene studiata dal rimpianto Philippi; il marchese
di Monterosato ne pubblicò un ricco catalogo. Il sig. Grwyn
Jeffreys V avea studiato con molta attenzione come si detegge
dalle citazioni nella Brittish Conchology. Il prof Giuseppe Se-
guenza ha publicato interessantissimi cataloghi di faune coeve,
e recentemente ha dato alla luce un importantissimo lavoro
sugli ostracadi di Rizzolo, la cui formazione geologica è coeva
a quella delle argille di Ficarazzi (dei dintorni di Palermo) , le
quali contengono infatti le stesse specie.
Il nostro postpliocene io credo corrisponda al sottorizzonte
Cronierino del prof Mayer (sous étage cromerin) cioè air^niu-
siano inferiore dello stesso autore (Mers amples) . Però tal nome
fu proposto nel 1884 cioè posteriormente a quello del prof. Do-
derlein. Del resto io credo che la divisione fatta dal lodato
prof di Zurigo dei terreni di sedimento è imperfetta riguardo
ai terreni di formazione recente. La divisione suddetta è la
seguente :
^ , . ( Epoque actuelle
Sahanen | ^cheulin
( Dumtenin
Amusien ì ^
^ Cromenn
( Andonin
Astien , Tablianin
INTORNO A UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 221
Io stimo che il nostro postpliocene corrisponda al pliocene
superiore di vari autori (fra cui forse lo stesso prof. Fuchs) e
che esso sia presso a poco contemporaneo al Crag di Norwich,
air orizzonte scaldisiano di Nist e dei geologi belgi, ai grandi
ghiacciai dell' Alta Italia, all' invasione del Sahara. Forse il crag
d'Inghilterra potrebbe essere un po' più antico, perocché seb-
bene racchiuda una fauna molto simile, non è improbabile che
essa sia immigrata in Sicilia in tempi un po' posteriori. Ad ogni
modo io ritengo che non è punto utile adottare tanti smem-
bramenti e che vai meglio ritenerli come sotto-orizzonti o facies
locali. Non h una questione che io ho studiato profondamente,
però tutto m' induce a credere che si debba modificare il senso
di postpliocene e designare con esso tutto il periodo che córse
fra il pliocene (Astiano) e il quaternario propriamente detto.
Siccome ormai ciascuno autore dà, un senso e un' estensione
diflTerente al postpliocene (o pleistocene), io non sarei lontapo
dal proporre il nome di piano Frigidiano. I nomi di Scaldisiano
e di Siciliano non hanno che un carattere locale; quelli di
Sahariano e Arnusiano non mi paiono ben definiti anzi pro-
pendo a credere che rappresentino lo stesso periodo. I nomi di
Casterliano e Diestiano non credo differiscano molto dallo Scal-
disiano (^), ma non ho studiato le faune rispettive per formar-
mene un' idea. Col nome di Frigidiano io intenderei denotare
tutto il complesso degli strati interposti fra Valluvium e il
pliocene propriamente detto.
La successione dei terreni sarebbe secondo me la seguente :
Contemporaneo.
Quaternario ( AUuvium ibrecce ossifere, travertini, stazioni
lacustri, etc.) .
Frigidiano (Diluvium: postpliocene ossia pleistocene, crag
di Norwich, postpliocene del Piemonte, Scaldisiano,
(<) Il 8ig. E. Vaa Den Broeck (Annales de la Soeiété Roy, Mal, Belg.) nel suo
studio « sulle sabbie plioceniche diestiane » dice che gli strati a Isocardia cor sono
più antichi di quelli a Ftdstts contrarius Ciò potrebbe forse accadere nel Belgio; in
Sicilia invece queste due specie sono sempre consociate: anzi dirò che sono poche
le specie che vanno cosi di conserva. Nel nostro postpliocene formano un orizzonte
particolare, sicché ove si trova Tuna si è quasi sicuri di trovare F altra. Nel nostro
pliocene tipo non si trova mai il fusus contrarius; a me non è mai neppure acca-
duto di ritrovare Visocordia cor; però essa è menzionata dal mio illustre amico il
prof. Seguenza, nel suo grande lavoro sul terziario di Reggio.
222 A. TiE OKEGOBIO
grandi ghiacciai, invasione del Sahara, calcareo di Pa-
lermo, argiik* di Ficarazzi, quaternario di Rizzolo etc)
Ho avuto taluni fossili d^'Uis^jla Barbadoes delle An-
tille, che io credo appartengono allo stesso periodo;
però ancora non li ho bene .studiati..
Astiano (pliocene propriamente detto).
La enonne differenza della fauna post pliocenica e pliocenica
(almeno in Sicilia), salta all'occhio anche del paleontologo più
inesperto; lo che è in contradizione con quanto si asserisce nel
rapprjrto del sig. Renevier ( Unifiration Proced. graph. Congrès
géoL, Bologne p. 572) cioè che il pliocene e il quaternario for-
mano unico periodo. Così non posso che deplorare che sulla
carta geologica della Sicilia, pubblicata per cura del Ciomitato
geologico, sia indicato con unico colore il quaternario e il post-
pliocene, e con altro il pliocene.
La stratigrafia degli strati intennedi fra il pliocene e il
postpliocene non è ancora del tutto studiata, ne tampoco la
fauna die essi racchiudono. Io credo che utili osservazioni e
fruttuose ricerche potrebljero eseguirsi lungo lo spaccato della
ferrovia tra Santa Flavia e Altavilla. Forse a tutta prima sem-
brerebbe che le rocce che lo costituiscono contengano specie
ajmuni air uno e all' altro periodo, ma nessuna di quelle ca-
ratteristiche dell'uno e dell'altro; però T esame microscopico
delle specie piccole e sopratutto quello degli ostracodi pjtrà
apprestare utili schiarimenti.
Vo far conoscere infine un' interessante scoverta: avendo
mio padre fatto eseguire taluni pozzi per scavi di acqua in un
nostro fondo in contrada Pietrazzi, ho osservato che sotto al
calcare postpliocene, alla profondita di circa 15 metri si distende
un enorme banco di sabbia. Avendo io ordinato vari scavi oriz-
zontali e vari scandagli nella mentovata località come pure nei
pozzi vicini, son venuto a conoscere che tale sabbia ha una
potenza e uno sviluppo considerevole. E bianca, fine, dolomitica;
vi si trova qualche ciottolo e qualche grande ostrica (forse la
0. panormensis De Greg.). Per lo più è disgregata e polverulenta,
in alcuni brevi tratti acquista una grande coesione e passa a
strati di fitta arenaria. E in tale località e precisamente presso
le case del fondo inteso ** Catania „ di nostra proprietà che
rinvenni alcune ossa di enorme dimensione, appartenenti senza
INTORNO A UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 223
fallo a qualche balena, colà naufragata. In mezzo alla sabbia
ho scoperto qualche straterello (di 10"" a 20"" di spessore) di
argilla torbosa con planorbi, paludine etc.
Si tratta evidentemente di un antica spiaggia. Accade in-
fatti sovente che per accidentalità, il mare si ritiri di qualche
metro per un rialzo subitaneo della sabbia deposta dalle onde,
e che gli scoli dell' acqua piovana restino carcerati e vi depon-
gano r argilla. Quando, occasionalmente per una tempesta, o
anche per le stesse maree, il mare, sbarazzatosi dell' ostacolo,
toma quindi ad avanzarsi nell'antico suo dominio. Avuto anche
riguardo alia natura della sabbia, che è simile a quella dei monti
sovrastanti, io credo che acque fluviali o forse torrenziali scen-
dessero giù dal monte Cuccio e da Bellolampo e dagli altri monti
vicini verso la detta spiaggia.
Da tale osservazione ne consegue evidentemente che il mare
postpliocenico da principio non arrivava punto a lambire i monti,
ma restava al di qua, poi andò avanzandosi sino a percuotere
i fianchi dei monti e occupare quasi tutta la Conca d' oro, cin-
gendo Monte Pellegrino e Monte Gallo come due isolotti; quindi
cominciò a ritirarsi sino all' alveo attuale. Per ispiegare il qual
fatto fe necessario ammettere che nel primo periodo del post-
pliocene il livello della Sicilia era un po' più basso dell'attuale,
quindi andò abbassandosi maggiormente forse di un centinaio
di metri, finché cominciò a rialzarsi di nuovo fino a raggiungere
r attuale livello. — Un' altra prova di ciò si ha in questo fatto :
che facendo eseguire mio padre un lungo tunnel per scavi d'acqua
in Barzellino (altro nostro fondo situato in una posizione più
elevata di quello di Pietrazzi e vicino alla detta contrada), esa-
minando il materiale escavato rinvenni un frammento di roccia
tutto quanto traforato dalle foladi (^).
In quanto ai monti della vallata di Palermo dirò che sono
di formazione secondaria (giurese e triasica). Sono costituiti di
un calcare compatto grigiastro molto fitto che in taluni siti
passa alla dolomite, in altri a un calcare subcristallino, in altri
(>) Devo osservare un fatto curioso, che talune elici ( credo la MazzuUi e la
candidissima) forano il calcare dei nostri monti precisamente nella stessa guisa che
le foladi, sicché si può rimanere talvolta ingannati ; però io ho estratto anche le
stesse conchiglie perforanti.
224 ' A. DE GREGORIO
a un calcare sublìtografico. Si adopera per lastricare le strade,
come pietra da calce, etc.
Di depositi ossiferi di piccoli mammiferi non ne ho scoperto
ancora alcmio malgrado accm^ate ricerche, tranne quello di
Monte Pellegrino, che è tema di questo lavoro, e un piccolo
lembo isolato sul Monte di Bellolampo. Ho da osservare che
la roccia di entrambi i depositi è molto simile; però quella di
quest' ultima località è assai meno fitta e meno tenace.
Forse taluno riputerà fuor di luogo le precedenti osserva-
zioni e eh' io mi sia dilungato troppo dal soggetto. Io stimo
però che di molto interesse sieno tali considerazioni; poiché se
le relazioni di geografia geologica locale sono di poca impor-
tanza quando si tratta di terreni molto antichi (che atteso le
lunghe e varie vicissitudini della terra si trovano per lo più
caoticamente disposti), possono invece essere di molto vantalo
allineando il geologo nello studio di sincronizzazione, quando si
tratti di terreni recenti, del terziario superiore e precipuamente
del postpliocene e del quaternario.
Sorge Monte Pellegrino a Nord della città di Palermo; a
guisa di enorme scoglio, dalle forme fantastiche e bizzarre si
scoscende ai fianchi quasi a picco. Vi si sale però comodamente
per una magnifica strada a zig-zag che conduce al santuario di
S. Rosalia, per cui i Palermitani hanno un culto speciale. La roccia
è quasi brulla e rupestre; le pendici sono adorne di fronzute mac-
chie di Euforbie, che sporgono vagamente sui ciglioni dei precipizi
come tanti nidi di verzura; gli altipiani sono anch'essi poveris-
simi di terra vegetale però ammantati qua e là di gai fiorellini:
sono i crocus, le calendule, le scabiose, le nigelle, i garofani di
montagna, i ranuncoli che fanno a gara a sfoggiare i piti gai
colori. H Pellegrino si eleva ad una considerevole altezza
(quasi 600.°), che sembra anche maggiore perocché le sue falde
sono bagnate dal mare. Esso occupa un' area considerevole; in-
fatti la sua estensione credo raggiunga circa 2500 ettari. Da
un fianco limita col mare, del resto è circondato dalla forma-
zione postpliocenica, che come ho detto di sopra forma tutto
il suolo della vallata di Palermo (eccettuata la contrada al di
là di Passo di Rigano ove affiora l'eocene con le argille sca-
gliose e col calcare nummulitico). Lungo la spiaggia che si
distende a Nord di Monte Pellegrino affiora il secondario, o,
INTORNO À UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 225
per meglio dire, si scoprono le testate degli strati che si sono
sprofondati. Quivi si può seguire quasi l'intera serie dal trias
air eocene come saviamente fii osservato dal Prof. Gemmel-
laro. — Tali testate occupano però una ben ristretta zona e
e non si elevano mai sul livello del mare e spariscono nella
spiaggia di Mondello sotto la sabbia. In tempi remoti certo
Monte Pellegrino era unito a Monte Gallo ; credo però che tale
epoca rimonti all' antico terziario, anzi probabilmente non sia
punto posteriore all' oligocene.
Durante il postpliocene certo entrambi non costituivano che
due isolotti come attualmente Mozia (Isola delle femmine). Anzi
dalle osservazioni precedentemente esposte si arguisce che du-
rante il postpliocene si andarono dapprima abbassando e im-
mergendo sino a una certa altezza; quindi cominciarono a sol-
levarsi per raggiungere V elevazione che attualmente si hanno.
Durante il quaternario io credo che il livello della Sicilia era
solo di pochi metri più basso che Y attuale; il mare s' insenava
nella valle di Palermo tanto dal lato di Mondello che dall' at-
tuale porto, e Montepellegrino era probabilmente una penisola.
Mi pare di avere anche rammentato che lungo il fianco del detto
monte che guarda il mare, si aprono alcune grotte (di l'Ad-
dauro = dell'Alloro), ove si sono rinvenuti resti di antiche abi-
tazioni esostoriche. Ultimamente scoversi anche un antico fo-
colare con ossami di grande interesse. Or è molto probabile,
ripeto, che durante il quaternario Monte Pellegrino non fosse
un' isola, se no dovrebbe necessariamente ammettersi che gli
abitanti si servissero di qualche piroga, lo che anche potrebbe
darsi, ma lo credo non molto verosimile. E strano osservare
che nelle grotte del lato Sud e Ovest dello stesso monte (eh' io
sappia) non si rinvengono avanzi quaternari : le grotte ossifere
sono dal lato Est e guardano il mare. Io credo che a tale
scelta sieno stati spinti gli antichi abitatori non solo dal tro-
varsi più a riparo dei venti, ma più ancora dall' essere in quei
tempi tali grotte meno accessibili alle fiere atteso la configura-
zione orografica del littorale diversa dell' attuale.
Il deposito quaternario ossifero di Bellolampo è poco elevato:
non credo arrivi un centinaio di metri. Nelle pendici dello stesso
monte, che si continuano sino alla ** Montagnola di S. Elia „ ,
si nota qua e là nelle screpulature della roccia qualche lembo
quaternario, costituito di una spècie di breccia argillosa rossastra
Se. Nat. Voi. Vm. 17
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£ lab
i^^EXV
Ttiv^^i- i aes
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^fttfe AJ %
Intorno a un deposito di eoditori è di Cirnivori sulla vetta bc. ÌÌÌ
De Gregorio. — L' altezza segnata dal mio aneroide , se
ben rammento era di 550 metri sul mare, mentre quelle del
pizzo del telegrafo è di circa 600. Quindi la località, fossili-
fera è circa 50 metri più in giù della vetta e ne dista orizzon-
talmente di un centinaio. Un altro mezzo di ritrovarla e di
orientarsi ce lo fornisce una grande grotta la cui bocca si apre
un pochino più in basso, circa un ottanta metri a destra. Si
badi però che la detta grotta (^), avendo l'imboccatura molto
bassa, non si lascia scorgere se non quando le si è molto vi-
cino. Parranno forse superflui tanti dettagli, ma chi volesse
ricercare il deposito fossilifero, non li riputerebbe certo tali,
essendo assai difficile, anzi quasi impossibile, raccapezzarsi senza
simili avvertimenti.
Lo strato fossilifero ha una piccola estensione e un picco-
lissimo spessore; si manifesta da principio a guisa di una semplice
incrostazione, quindi si va ispessendo sino a raggiungere la po-
tenza di quasi un metro; non si distende in tutto che lungo
un otto o dieci metri. Esso non è rincassato in una fenditura
del calcare secondario , come potrebbe credersi a tutta prima,
ma non è che aderente al detto calcare; solo nella parte, ove
lo strato acquista maggiore sviluppo, si può dire che esso giaccia
in una insaccatura, o per meglio dire in una depressione della
roccia. Devo aggiungere che esso aderisce così solidamente al
calcare che riesce impossibile distaccamelo senza rompere parte
della roccia sottostante. Io credo non sia inverosimile che tale
deposito non costituisse anticamente che il suolo di una piccola
grotta ossia di una tana, il cui tetto e le cui pareti sieno crol-
lati e stati portati via dalle acque.
Sul principio, come ho detto, il rammentato deposito si ma-
nifesta a guisa di una semplice incrostazione e non contiene
alcun fossile, altro che qualche frammento di ossa indetermi-
nabili; un po' in avanti acquista però un certo spessore e di-
venta ricchissimo di fossili. Sono la maggior parte frammenti
di ossa, e vi si trova anche qualche conchiglia. La roccia è una
specie di breccia rossa, argillosa cretiforme, più o meno calca-
rifera, traversata da vene di spato calcare. Essa ha una tenacità
(*) Ho fatto eseguire in essa delle ricerche non solo di depositi ossiferi di pic-
coli mammiferi, ma anche di resti esostorici. Però sfortunatamente non ho finora rin-
venuto nulla, sia perchè il suolo è stato molto rimestato, sia perchè probabilmente
non ne contenea. -- Per accertarsene gioverebbe però eseguire ulteriori scavL
228 ▲. DB OREGOBIO
grandissima e quale assolutamente non si aspetta. Le ossa in-
vece sono immensamente fragili e calcinate, sicché riesce infi-
nitamente difficile r estrarle intere. Le conchiglie poi presentano
un fenomeno curioso: il guscio è quasi sempre distrutto, ne si
può formarsi un' idea precisa del suo modello sia intemo che
esterno, poiché il posto del guscio resta vuoto e la parete estema
del modello e sovente anche V intema sono erose e coverte di
incrostazioni e di cristalli di carbonato di calce. Come racca-
pezzarcisi? Eppure ne 'Sono venuto a capo. Più di tre mesi il
mio collettore Vittorio Meneguzzo ha lavorato a portar giù
blocchi di roccia a frantumarli e a estrame con la maggior
cura possibile i resti fossili. Lo strato e stato quasi consumato
e poca parte ne resta in sito. Così ho potuto avere i fossili in
questo lavoro illustrati e molti altri posteriormente alla inci-
sione delle tavole.
Ho fatto eseguire ed eseguito io medesimo molte ricerche
sullo stesso monte sperando di ritrovare altri depositi simili.
Non sono stato punto fortunato, ho trovato però in vari punti
una roccia rossastra identica a quella del deposito ossifero, ora
allo stato di semplice incrostazione della roccia secondaria, ora
nascosta in qualche sua fenditura o insaccatura. Però nessun
resto organico vi ho mai rinvenuto. Lungo la spiaggia dietro
il monte, proprio a lambire il mare, ho osservato anche una
breccia quaternaria, che mi è parsa della stessa epoca, ma priva
di fossili.
Paragonando la qualità della roccia ossifera di Montepelle-
grino con quella di Castellana che ho sopra menzionato, si resta
sorpresi della grande somiglianza che presentano. Se non che
quella di quest' ultima località, come ho già detto, è general-
mente molto meno tenace, sebbene però in qualche tratto di-
venti anch' essa quasi ugualmente resistente. Parmi sia di somma
utilità enumerare le specie di Castellana (Bellolampo) per for-
marsi un' idea della loro relazione cronologica con quella di
Monte Pellegrino.
A Castellana ho dunque ritrovato 8 specie, delle quali tre
roditori e 5 gasteropodi. Un roditore è piuttosto grosso ed è
una specie affatto diversa di quelle di Monte Pellegrino, un
secondo roditore pare un mus analogo a quello di Monte Pel-
legrino e probabilmente identico, il terzo roditore è estrema-
mente piccolo è forse un sarex e non ha riscontro fira le
INTORNO A UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 229
Helix Mazzulli (Jan) Phil.
» platychela Meiike (form. sphaeroddea Phil.)
„ septila Ziegler
Clatmlia nohilis Pfeiffer
Cyclostoma aulcatum Drapamaud.
Intorno sX[' Helix Mazzulli devo osservare che primieramente
fii descritta da Costa sotto il nome di crispatory ignorando che
tal nome era stato precedentemente proposto da Ferrussac per
un' altra elice. Ho unito all' iniziale di Jan quella di Philippi,
perchè questi fii quegli che fé meglio conoscere la specie, dan-
done una buona figura. L' egregio sig. Benoit mio amico ha
proposto per la stessa specie il nome di CostaCj ma non so per-
chè debbasi metter da parte il nome antico di Mazzulli.
li helix sphaeroidea Phil., proposta per un esemplare post-
pliocenico, la ho trovata anche vivente e mi pare s' identifichi
con la platychela var. Rosaliae Benoit (lUustr, test. Sicilia p. 77,
tav. 11, p. 12).
L' Helix septila Ziegler vive ora sulle Madonie e sull' Etna.
E dessa aflBne alla planospira Lamk. {lefeburiana Ferruss.)|ed è
considerata dalla Marchesa Paolucci come una varietà della
macrostoma. Io non ho studiato tale questione, però panni che
abbia dei caratteri abbastanza distinti (specialmente negli esem-
plari fossili), . sicché la considero specie a parte come anche
opina il mio amico Benoit (Illustr. Test. Estramar. Sicilia p. 93
tav. 4 f. 21 — Nuovo Catalogo Conch. terrestr. e fiuviotil. Si-
cilia p. 53).
Parmi ad ogni modo molto interessante osservare che nel
calcare postpliocenico di Palermo ho trovato qualche esemplare
della stessa specie.
Come ho già detto, le conchiglie del deposito ossifero di
Monte Pellegrino sono assai alterate ed è oltremodo difficile
trame degli esemplari determinabili. Però io con grandissimi
stenti sono arrivato infine ad avere le seguenti :
Helix platychela Ziegler. Esemplari identici di quelli di
Castellana (Bellolampo) .
Helix Mazzulli (Jan.) Phil. Frammenti molto dubbi, fra
cui il pezzo figurato (tav. VITE, fig. 25).
Clausilia nohilis Pfeiffer. Non ne ho trovato che un esem-
plare anteriormente rotto; esso però pare assolatamente
identico a quelli dì Bellolampo.
230 A. DE GREGORIO
specie di Monte Pellegrino. — Le conchiglie sono le specie
seguenti :
Cyclosioma sul<xitum Drapam. Pochi esemplari ma di si-
cura determinazione; uno di essi è figurato (tav. Vili,
fig- 23) ; generalmente hanno le coste spirali molto gros-
si e gli interstizi piccolissimi, come in talune varietà che
vivono in Sicilia.
In Monte Pellegrino non ho trovato alcuna mascella riferi-
bile al grande roditore di Castellana, alludo sempre a Bello-
lampo, ciò a scanso di equivoco, perocché alle falde di Monte
Pellegrino esiste pure una vasta contrada con lo stesso nome
(che anzi è più conosciuta di quella) ed è per questa ragione
che mi sono deciso a illustrare i resti fossili di colà in un la-
voro a parte.
Esaminando accuratamente tutte quante le ossa del depo-
sito ossifero della cima di Monte Pellegrino mi pare si possano
riferire a quattro specie: cioè tre roditori e un carnivoro. Pre-
dominano le ossa del carnivoro, che h un mustelide, e di un ro-
ditore piuttosto grosso, che giudico debba ascriversi a un ge-
nere nuovo.
La prima questione che sorge è questa : tali ossa si trovano
in situj ovvero vi sono state trasportate dalle acque % In quest' ul-
tima ipotesi, dovrebbero essere rotolate, mentre non lo sono.
Del resto non è supponibile che la cima del monte sia stata
allora molto più alta che adesso non lo è. Ma io escludo af-
fatto anche che sieno state trasportate dalle acque per un pic-
colo tratto: vero è che la maggior parte di loro si trovano
sconnesse e frammiste ; ma ve ne ha taluno, rimasto nella posi-
zione naturale, come quando era coverto di tendini e di muscoli:
prova ne siano il femore e il bacino (tav. V, fig. 1), riprodotti iden-
ticamente come si trovano nella roccia. — Con più ragione si
potrebbe sospettare che il nostro deposito fosse stato una tana
del carnivoro, il quale solesse andare in preda di roditori ; che se
le ossa di questi non sono stritolate, sarebbe da attribuirsi ciò
alla natura eminentemente feroce del carnivoro il quale, come
molti mustelidi viventi, amasse pascersi del sangue piuttosto
che della carne delle sue vittime uccidendole più per gì' istinti
voraci che per la fame. Ma in tal caso sarebbe strano e ini-
spiegabile per quale istinto il carnivoro trasportasse le sue prede
lassù in quel sito; per nutrire i figli? Ho poche cognizioni dei
mrOBNO A UN DEPOSITO DI RODUOBI E DI CABNIYOBI SULLA VETTA EC. 231
costumi dì tali animali per giudicarne. Certo^ ripeto, non solo
le ossa non mostrano tracce di stritolamento ma talune di esse
non sono state rimosse fin dalla morte deir animale cui appar-
teneano. Ed è curioso anzi osservare che mentre la maggior
parte sono disposte caoticamente e si trovano fratturate (non
già però che sieno punto rotolate) altre poche invece accennano
evidentemente che non sono state rimosse dallo stesso sito:
alludo non solo al pezzo figurato (tav. V, f. 1), di cui ho detto
di sopra, ma anche ad altri pezzi che ho ritrovato posterior-
mente alla incisione delle tavole, fra i quali, vari frammenti di
spina dorsale in cui le vertebre aderiscono una all^ altra. Del
resto lo studio del sistema dentario del carnivoro mostra evi-
dentemente che esso apparteneva ad uno dei generi più feroci
che si conoscano e non panni verosimile che vivesse in società
con piccoli esseri inoffensivi quali i roditori, tanto più che oltre
al grande roditore figurato, ne ho rinvenuto anche uno assai
più piccolo non rappresentato nelle tavole.
Dalle considerazioni sopra esposte, dall'esame delle conchi-
glie, appartenenti a specie tuttora viventi in Sicilia, dalle re-
lazioni che presenta il deposito ossifero di Monte Pellegrino con
quello di Castellana (Bellolampo) io vengo alla conclusione che
r epoca della loro formazione non è punto più antica del Fri-
gidiano (postpliocene); che anzi io credo sia coeva all'ultima
fase di questo periodo, quando già le faune schiettamente qua-
ternarie cominciavano a popolare l'isola e il cUma a tempe-
rarsi. Infatti alla fine del Frigidiano avvenne in Sicilia un bru-
sco cambiamento di temperatura : enormi bande di ippopotami
e di elefanti si avanzarono dall'Africa (con cui allora l'isola
era unita) e vennero ad abitarla. La Mustela arzilla e la Pel-
legrinia Panormensis sarebbero in certo modo anche un argo-
mento a favore della mia ipotesi; mentre che la prima ha gran-
dissima afiQiiità con la M. zibellina ed altre specie analoghe, che
accennano ad un clima assai freddo e rigido, la seconda invece
ha analogie con specie di climi caldi. Non è difficile che la Mu-
stela già fosse indigena di Sicilia durante il Frigidiano e che
si fosse adattata a vivere anche nei primordi del quaternario
in società a nuovi invasori di Sicilia fra cui la Pellegrinia, ma
che poi non reggendo al diverso clima sia estinta.
n sig. D. Forsyth Major, cui mi onorai partecipare la mia
232 Ju DB ISEOOID
soorerta mi soUerò dei dabbi rignardo all'epoca del d^iorafai,
che egli dubiterebbe fosse piìi antica cbe io non creda. Spiaeeinì
pero che le cousÌderazioDÌ sopra esposte e qoelle cni accramerò
dì seguito Cquando parlerò con specialità della Pelle^rìnia P»-
nonnensìsj m' indncano a discordarne.
In ischìarìraento di tutto quanto ho precedentemente esposto
non mi pare fiiorì di Inogo, anzi molto utile dare mio schizzo
della conformazione geolc^ca dei dintorni di Palermo e della
posizione del deposito ossifero.
m Montale
X Depoiito ouifero sulla vetU di Monta Pellegrino.
y Deposito oiaifero alla base di Monte Bellolampo presso le cave Castellank.
F Prìgidiano (postpliocene) occupante tutto il fondo della valle di Palemui
(Conca d'Oro),
I Scandagli sotto il calcare pos (plioceni co (antica spiaggia ai Pietrazu).
E Lembi eocenici.
Q Depoiito quatarnario littorale.
Q Depoiito quatarnario di acoua dolce, travertini ecc.
Q Grotta con depoiiti esostonci alle falda di M.* Pellagriiio e di H.* Gallo
V Grotta di S. Ciro con Hippopotamaa Pentlandi ecc.
INTORNO A UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 233
Pria di passare in rivista i resti fossili figurati nelle mie
tavole, io premetterei mi' avvertenza che è per me mia scusante :
Io non sono molto familiare con gli animali di classi superiori,
né tampoco dispongo di una libreria molto vasta. Riguardo poi
a roditori, oltre alle memorie inscritte nel Bullettino della so-
cietà geologica di Francia, nel Quarterly Journal della società
geologica di Londra e negli Annali della società paleontologica
Sviz zera, non dispongo che di taluni lavori molto interessanti
di Newton e di Filhol (il più grande specialista di codesta classe),
é di tutto ciò che si trova qua e là sparso nei lavori d' interesse
generale come in quelli di Gaudry, di Quenstedt, di Cuvier, di
Owen, di Klaus etc. Posseggo però la stupenda osteografia di
Blainville, opera veramente monumentalo, e il magnifico trat-
tato di Schlosser (Nager des europaischer Tertiars 1884 con 8
tavole). Si aggiunga a ciò, che trovandomi attualmente impe-
gnato in molteplici altri lavori, non posso consacrare a questo
che un tempo relativamente molto limitato. Le quali conside-
razioni poi avranno più peso quando si rifietta che le ossa si
trovano frammiste, che le specie cui apparteneano erano ab-
bastanza piccole, e talune di taglia non molto differente, sicché
molto difficile , e talora forse impossibile ne riesce la separa-
zione. — Devo infine confessare che io non complete nozioni
delle specie tuttora viventi, sparse pel mondo, appartenenti
alle classi dei carnivori e roditori. Così io spero che sarò scu-
sato se vi fosse qualcosa a ridire intorno al le mie deduzioni
e i miei giudizi, sebbene io abbia fatto il possibile perchè fos-
sero esatti: la Palaeontologia ha ormai occupato un campo così
immensamente vasto, che è impossibile che esso sia abbracciato
per intero da un solo geologo.
Le tavole sono state eseguite dall' incisore Carlo Perna, sotto
la mia diretta sorveglianza; in esse, come ho già avuto occa-
sione di menzionare, non sono rappresentati taluni pezzi inte-
teressanti Che ho avuto posteriormente.
234 JL DEL GKEOOKIO
Pellegrina Panormensis De Grog.
Tav. V, fig. 1, 2, 3, 5. 6. 7, a 9, 10?, 14, 15, 16, 17, 19, 20, 21, 28-30?, 31, 3SL
Tav. VI, fig, 1, 4-7?, 10, 13, 16, 17, 31-34.
Tav. VII, fig. 24-34.
Tav. VIU, fig. 1-9, 10, 121 3, 14, 24,
Cranio — E desso bislungo^ schiacciato^ somigliante a quello
della Cavia capybara (Hydrochoerus capyhara h.) però assai
più piccolo. La larghezza massima, che coincide presso il
foro occipitale, è di 35*". Anteriormente il cranio è molto
compresso tanto dal lato di sopra che di iBanco, sicché di-
venta subquadrangolare, anzi le pareti laterali s* inflettono
in dentro restrìngendosi verso le mascelle. Le due ma-
scelle superiori sono immensamente ravvicinate V una al-
l' altra, anzi parallele e aderenti. Le apofisi zigomatiche
sono esili, curve, divaricate. Non ho visto un arco intero
da loro formato, perchè è sempre rotto sui nostri esem-
plari, però si può giudicare della sua forma dall^ inizio
delle apofisi. I molari distano circa 20."'^ dagli incisivi.
Le due protuberatize timpaniche sono assai sviluppate pro-
porzionatamente alla dimensione dell' animale, sicché io
credo che egli abbia dovuto avere l'udito molto svilup-
pato, ed era cosi che si potea schermire fuggendo all' av-
vicinarsi della mustela; esse hanno la forma di piccole
uova, alla parte anteriore hanno una piccola prominenza
a forma di picciuolo, posteriormente ( dal lato estemo )
sono alquanto impresse e ripi^ate in dentro. La figura
1 0 (tav. Yni) rappresenta una di queste casse timpaniche.
Le mascelle inferiori sono piuttosto corte, anteriormente
carenate, munite di un' apofisi posteriormente in basso,
come lo mostrano le fig. 25 (tav. VII) e 3 (tav. VJLU). La
distanza tra i molari e gì' incisivi è di 11", sicché questi
restano molto indietro di quelli della mascella superiore.
Tra r incisivo e i molari vi è un avvallamento, e la ma-
scella si volge alquanto in fuori formando una specie di
arco. Lo figure 30, 31, 32, 33 (tav. VII), e la figura 7
(tav. Vili) rappresentano mascelle superiori. Le figure 1
INTORNO A UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 235
(tav. VI), 25, 26, 29, 34 (tav. VH), 1, 3, 12, 13, (tav. Vin)
rappresentano delle mascelle inferiori.
Denti — GÌ' incisivi sono quattro uno a mascella cioè due nelle
due mascelle superiori e due nelle due mascelle inferiori,
come del resto avviene nei congeneri.
GÌ' incisivi superiori più arcuati e più larghi di quelli
inferiori ; hanno un diametro maggiore e sono lateralmente
più compressi; però sono più fragili, perocché si trovano
air interno piene di roccia ; la loro estremità è volta in
dentro, ma generalmente è fratturata. La superficie è le-
vigata, ma quella intema ha qualche lieve solco. La su-
perficie estema è convessa, quella intema lo è molto meno
e quasi piana. La figura 24 (tav. VII) rappresenta un in-
cisivo superiore visto da due lati; e le figure 18, 24,
(tav. Vin) rappresentano due incisivi superiori con fram-
menti delle rispettive mascelle.
GÌ' incisivi inferiori hanno un diametro più piccolo dei
superiori, sono meno arcuati e più cilindrici; sono pro-
fondamente impiantati nella mascella inferiore; all' estre-
mità coronale sono tagliati a sghembo; lungo il fianco
intemo sono compressi e appianati, segno che doveano
essere molto ravvicinati fra loro. Lo smalto è molto
sviluppato nella parete estema anteriore. Lungo il detto
fianco, come pure lungo il fianco intemo, evvi ujia lievis-
sima scanellatura. Il numero degli incisivi inferiori è di
due, cioè uno a mascella come di consueto. — Le mie fi-
gure 27, 28 (tav. VII) ne rappresentano due esemplari. La
fig. 25 mostra una mascella inferiore, nella quale l'estre-
mità, superiore dell'incisivo è rotta; però è interessante
perchè mostra l'impianto del dente incisivo nella base
della mascella. Anche la ma scella 26 (tav. VE) è munita
di un incisivo superiormente un po' rotto. Lo stesso si ve-
rifica nelle mascelle 1, 3 (tav. VIE). La fig. 2 (tav. Vili)
rappresenta un incisivo intero attaccato alla mascella e
guardato dalla parte di sopra.
I molari sono 1 2 in tutto, cioè 3 a mascella. Essi sono
bifidi quasicchè fossero formati da due denti appaiati e
uniti; ciò avviene per la particolarissima disposizione dello
236 A. DE GREGORIO
smalto, il quale ai fianchi s'inflette in dentro in modo
che lo strato di smalto di un lato va a toccare quello
deir altro, lato producendo una strangolazione o per meglio
dire una grande e profonda scanellatura a ciascun lato,
sicché r avorio resta circoscritto fra due ellissi. Però av-
viene che il detto avorio si forma anche lungo la scanel-
latura, di cui ho detto di sopra e in parte la riempie a
seconda dell'età, dell'individuo. Tale carattere si distin-
gue benissimo nelle nostre figure, principalmente nei due
denti ingranditi fig. 14 (Tav. VUI). Ho ritrovato delle pic-
cole mascelle con molari, in cui tale strato di avorio so-
vrapposto alle scanellature manca affatto, sicché simulano
r aspetto di specie diverse, però io ritengo da ciò si debba
attribuire all' età, giovine. Del resto ciò avviene ben di
rado, perocché quasi tutti gl'individui che ho ritrovato
hanno la stessa dimensione e la stessa età,. Un fatto ana-
logo devo notare riguardo alla forma delle corone: esse
hanno sempre presso a poco la stessa forma rappresentata
delle due figure 14 (VITI) con poche diversità. Però av-
viene in qualche caso, che le due parti che costituiscono
il dente, non sieno fra loro simetriche, di che é un esem-
pio la nostra figura 4 ( tav. Vili ) e lo si osserva nella
corona: ciò succede nell'ultimo molare cioè nel poste-
riore il quale, naturalmente essendo l'ultimo formato,
é il meno eroso. 1 molari sono impiantati obliquamente,
ma le corone sono perfettamente piane e levigate; è
difficile distinguere l'età, dall'erosione delle corone, per-
ché i denti hanno presso a poco lo stesso diametro per
tutta la lunghezza ; però ho rinvenuto qualche raro esem-
plare, in cui la corona e un po' più angusta ( proporzio-
natamente al resto del dente) e i due spazi dell'avorio
circoscritti dallo smalto più piccoli ; io credo che ciò debba
attribuirsi evidentemente all' età. ovvero a una madore
resistenza nel dente stesso, per la quale non si era an-
cora consumata la parte superiore del dente. I molari
della mascella superiore sono inclinati obliquamente verso
la parte posteriore ossia la occipitale. I molari della ma-
scella inferiore sono invece inclinati in senso inverso, cioè
verso la parte anteriore ossia verso gl'incisivi. I molari
INTOENO A UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 237
della mascella superiore sono un pochino più corti e più
arcuati : il dente posteriore è quello più arcuato, le nostre
figure 4, 8 (tav. Vili) credo rappresentino questo dente.
I molari della mascella inferiore sono un pochino più lun-
ghi e meno arcuati, quello posteriore è quasi dritto come
la figura 9 (tav. VIII) ed è il più lungo.
Ho detto che i denti molari sono 3 a mascella, devo
però aggiungere che nella mascella inferiore si trova in
qualche esemplare un quarto dente, che è anteriore, un
po' più piccolo e con la scanellatura laterale non decor-
rente dall'infimo della radice sino alla corona, ma un
po' più in su della radice. Si tratta evidentemente di un
dente di latte, deciduo. Tale fatto però è rarissimo ad
osservarsi, perocché quasi tutti i miei numerosissimi esem-
plari sono piuniti di soli 3 molari; non ne posseggo che
quattro esemplari con 4 molari due dei quali sono rap-
presentati nella mia tavola (fig. 25, 29, tav. tav. VII).
Omoplata — È un osso molto tenue e fragile, ovoidale, piuttosto
esteso, è lungo 40.™, largo 20. La cavità glenoidale è ellit-
tica subtrapezoidale.
Omero — È un osso corto ed elegante. V estremità scapolare è
robusta. Il corpo ha una specie di cresta che si distende
dalla estremità, superiore sino circa a metà, di esso; quindi
si assottiglia e si fa cilindrico per quindi slargarsi e atte-
nuarsi per formare Y estremità posteriore che è abbastanza
larga e fragile. La lunghezza totale dell'omero è di 60.™
Le nostre figure 14-16 (tav. V) rappresentano frammenti
di omero dalla parte inferiore ; la fig. 17 (tav. V) rappre-
senta l'estremità superiore.
Ulna — È un osso molto tenue e fragile, lateralmente assai
compresso; da un fianco ha una profonda scanellatura.
Si trova sempre in frammenti, sopratutto è Y estremità
olecranica che si rinviene, mentre Y estremità anteriore ò
sempre rotta e mancante atteso la grande fragilità. La
cavità in cui s'ingrana il femore è profonda ed è fian-
cheggiata da una specie di cresta saliente. Le fig. 4, IO
238 A. DE GREGORIO
(tav. VI) rappresentano due frammenti riferibili con prò
babilità a mi' ulna della stessa specie. Ne posse^o però
migliori esemplari, non figurati.
Radio — Vi riferisco l'esemplare (tav. V, fig. 32) la cui estre-
mità ha due avvallamenti e una protuberanza lingue-
forme sul bordo.
Vertebre — Siccome si trovano frammischiate fra loro e fra
quelle di altre specie, riesce molto difficile distinguere non
solo a quale regione appartengano (cervicale, dorsale, cau-
dale ecc.), ma anche a quale specie debbano riferirsi. Io
ritengo però che quelle che ho fatto figurare (fig. 31-34,
tav. VI) appartengano alla specie in questione. Posseggo
un interessante frammento di osso appartenente, io credo,
al sacro^ esso è largo 16.™, ma i suoi lembi sono frat-
turati.
Pelvi — E un osso abbastanza sviluppato, molto bislungo, lami-
nare-triangolare, munito di una carena saliente, che presso
la cavità cotilaidea si termina in una piccola protuberanza.
La cavità cotiloidea è orbicolare profonda. Atteso la
grande fragilità h molto difficile anzi quasi impossibile
avere degli esemplari interi; le estremità posteriori spe-
cialmente sono sempre rotte; pare si terminino in una
espansione laminare arcuata. Un frammento di bacino è
figurato sulla tav. V (fig. 1); esso lascia vedere anco T ar-
ticolazione col femore. La lunghezza delle pelvi io credo
debba essere di circa di 65.™ — Un altro frammento di
pelvis della stessa specie è figurato nella stessa tavola
(fig. 7), il quale mostra la cavità cotiloidea; altri fram-
menti son rappresentati dalle figure 10 (Tav. V), 16, 17,
(Tav. VI). La figura 1 8 pare un' estremità dello stesso
osso.
Femore — È T osso più robusto dello scheletro della Pell^rinia.
Il capo è abbastanza sviluppato, i due troncateti medio-
cremente, il grande troncatere h però relativamente robusto,
eretto e fiancheggiato alla parte superiore da una cavità
INTOBNO A UN DEPOSITO DI RODlTOUl E Di CARNIVOKI SULLA VETTA EC. 239
abbastanza profonda. Dal grande troncatere si prolunga
per V^ <i®l corpo una espansione carineforme non però
molto larga. L' estremità posteriore del femore è abbastanza
grossa, e tanto i due condili che la cavità poplitea sono
rimarchevoli. La lunghezza totale e di 62.™. La mia fig. 1
(tav. V) ne rappresenta uno intero articolato con le pelvi;
le figure 2, 3, 5, 6 (tav. V), fig. 8 (tav. VI) rappresentano
dei firanunenti di femore della stessa specie che ne mo-
strano le varie parti.
Tibia — È un osso molto elegante, bislungo, estremamente
fragile, perchè vuoto internamente e di forma triangolare.
L' estremità, superiore è molto sviluppata; io non la de-
scrivo perchè disegnata da tre lati nella nostra tavola V
(fig. 1 9-20). Come si vede, da essa si diparte una profonda
scanellatura, che poi si va perdendo lungo il corpo. Questo
superiormente è triangolare, come lo mostrano le nostre
figure 8, 9 (tav. V), inferiormente si assottiglia e si fa ci-
lindroide; air estremità, inferiore si slarga un po' a sghembo
triangolarmente, formando la cavità, di articolazione col
piede. — È eccessivamente difficile aver degli esemplari
interi di quest'osso; ordinariamente non se ne rinviene
che la sola testa. — La fig. 1 1 (tav. VI) rappresenta un
altro pezzo di tibia della stessa specie.
Perone — Atteso la gracilità di quest' osso riesce impossibile
averne dei pezzi determinabili, io vi ascrivo con qualche
dubbio r osso figurato a tav. V, fig. 21.
Calcaneum — È un osso bislungo cilindrico rappresentato dalla
nostra figura 31 (tav. V).
Carpo, metacarpo, tarso, metatarso, falangi — Tali ossa, essendo pic-
cole e per lo più fratturate, ed essendo frammiste fra
loro e fra quelli delle altre specie, riesce assai difficile
determinarle e tanto più descriverle, come per esempio
quelle figurate (tav. V, fig. 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30), le
quali in massima parte mi paiono falangi. Io però posseggo
240 A. DE GREGORIO
inoltre un piccolo ossetto che ho ascritto ad osso uncinato
del carpOy e una falange del pollice, che non son figurati.
Analogie — La prima idea che viene, si è di ravvicinare la
nostra specie a quella figurata da Cuvier (Les ossements
fossiles Voi. 5, p. 12 tav. I, f. 16) riferita da lui dìXì' Orydères
ossia " Rats taupes „ del Capo (= bathyergus 111.); infatti
vi è molta somiglianza nella forma dei denti di tutte e
due le specie, se non che nella nostra le scanellature dei
denti e le ripiegature dello smalto sono assai più regolari.
Il cranio somiglia molto a quello di talune Caina e
soprattutto alla C. capyhara {Hydrochaerus capybara L.),
ma è assai più piccolo e ha i denti molari dissii^ili. Però
invece per la forma di quest'ultimi si rassomiglia abba-
stanza alla Cavia aperea (Anacma aperea Cuvier) che è un
porcellino d' India che vive selvaggio nel Brasile, ma la
cui dimensione è assai più piccola di quella del nostro.
La forma del cranio è anche molto simile a quella del
Capronis Fournieri.
La dimensione credo sia presso a poco uguale a quella
del Kerodon moca Cuvier del Brasile.
Più lontana analogia ha con il Theridomys Gaudini Pict.
Humbert (Annal. Soc. Pai. Suiss. 1869).
La speciosa configurazione della corona dei denti rasso-
miglia molto a quella di taluni denti figurati da Quenstedt
(Handbruch Petrefaktenkunole 1886 pi. 3, f. 20, 22) rife-
riti da lui al Castor Jaegeri della molassa di Hundorf ; se
non che questi ultimi hanno una ripiegatura mediana dello
smalto, la quale manca nei nostri. Io non so come lo stesso
autore riferisca alla medesima specie altri denti di tut-
t' altra configurazione. Avrà, certo ragione di farlo, ma ciò
sorprende. Del resto la nostra specie h tutt' altro che
un castor.
Avendo inviato le mie quattro tavole litografiche e
taluni denti e ossa di questa specie all' illustre amico si-
gnor Dott. C. Forsith Major, egli mi ha risposto gentil-
mente che approvava pienamente le mie idee intomo alla
novità, della specie e alla determinazione; mi sollevò però
INTO&KO A UN DEPOSITO DI RODITORI E DI CARNIVORI SULLA VETTA BC. 241
dei dubbi intomo all' epoca del deposito che a lui par-
rebbe forse miocena e analoga a quella di Pikermi. Spia-
cemi in ciò discordare dalla sua autorevole opinione;
perocché, oltre a molte altre ragioni, V esame delle poche
conchiglie intercluse nel deposito m' induce a considerarlo
come assai più recente, mentre non solo conservano lo
stesso tipo ma anche l'aspetto delle viventi; prova ne
sieno le rugosità, del guscio dell' Helix Mazzulli. La posi-
zione e la configurazione stessa del deposito hanno pure
un' aspetto più quaternario che decisamente terziario.
Farmi sia di molta utilità ch'io trascriva un brano
della dotta lettera del prelodato autore:
^ Vi sono per la conformazione dei molari, analogie con
» Roditori Africani oltre col Ctenoda, Aylus, anche col
„ Pedinator e col Heterocephalus glaber dello Scioa; nonché
„ coi Bhathyergits e Georychus dell'Africa Meridionale. —
9 Maggiori ancora mi sembrano le analogie con un pic-
„ colo gruppo di Roditori dell'America Meridionale (Chili,
„ Perù, Bolivia): Octodon Brovgesi Wal. e Sphalacopus
„ Paeppigii Wag.. Ma bisogna notare che tutti e tre i
„ nominati generi hanno 4 molari sopra e sotto ed è
„ l'ultimo molare che è il più piccolo mentre nel fossile
» è il primo (ciò che però non è di grande importanza
„ come vien dimostrato p. es. da due generi molto affini,
„ Bathyergus e Oeorychtjts; nel primo i molari anteriori
» sono i più piccoli, nel secondo, quelli posteriori) .
^ Insomma io ritengo trattarsi d'un genere estinto e
n nuovo ».
Mustela arzilla De Grog.
Cranio — È assai simile a quello della M. zibellina; un fram-
mento è rappresentato dalla figura 11 (tav. VII), però
spiacemi che solo molto tempo dopo che le tavole fos-
sero litografate, ne potei avere due belli esemplari.
Varco zigomatico è in tutti i miei esemplari rotto; a
giudicare però dal suo inizio dovea essere sottile e volto
in su. La forma del cranio è bislunga; strangolata in
mezzo e munita posteriormente di una cresta non molto
8e. Nat, VoL VOI, fiwc. l.« 18
242
A. DE OBEOORIO
eretta. — La lunghezza del cranio è di 100."", la mas-
sima larghezza di 40."^ e coincide nell'osso parietale, la
massima strettezza è di 10.™ e coincide dietro le ossa
palatine dalla parte basilare. 11 foro occipitale ha un dia-
metro di IL"™. Le protuberanze timpaniche sono sempre
rotte; le nostre figure (tav. VHI, fig. 10 bis, 16, 19) de-
vono ascriversi a loro frammenti.
Dbnti — Nella mascella inferiore vi sono 6 incisivi^ cilindroidi,
un pochino irregolari; in un esemplare il primo incisivo
di destra è assai più sviluppato degli altri e simula V aspet-
to di un un piccolo canino; quasiché fosse un canino di
latte, il quale cadendo desse posto a un incisivo; tale
spiegazione però pare molto strana; tanto più che T indi-
viduo cui appartiene non sembra giovine; è quindi vero*
simile che con Tetà. abbia acquistato un maggiore svi-
luppo che gli altri. 11 qual fenomeno si osserva pure in
altro mio esemplare, ma meno marcatamente. Lo stesso
credo accada nel Gulo luscus. GÌ' incisivi inferiori dovreb-
bero essere simetrici, ma non ho potuto osservarli essendo
tutte le mascelle inferiori, che possiedo, fratturate.
I denti canini sono 4, naturalmente uno a mascella,
cioè due superiori e due inferiori. Sono cilindro-conici,
eretti, robustissimi, profondamente impiantati. Seguono
due falsi molari a ciascuna mascella cioè 8 in tutto . Però
oltre di essi, nella mascella inferiore ve ne è un altro più
piccolo dietro il canino, che simula V aspetto di un falso
molare di latte; però lo ho osservato in molte mascelle
inferiori. I detti falsi molari sono triangolari-conoidei.
H dente fierino (dens sectorius, dent carnassière) è bi-
slungo trapezoidale; nel mezzo è triangolare conoideo, po-
steriormente ha una depressione e una sinuosità., e in
ultimo un' altra piccola protuberanza.
Segue il dente molare vero ( cioè il molare tubercolato )
che sulla mascella superiore è affatto rettangolare e si-
tuato perpendicolarmente alla fila degli altri denti cioè
volto in dentro. La parte del detto dente che guarda
l'esterno è protuberante, quella che guarda T intemo 6
depressa, bordata di un rilievo e munita di una lievis-
INTORNO A UN DEPOSITO DI AOBITOEI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 243
sima protuberanza, quasicchè fosse pizzicato. Invece il mo-
lare vero della mascella inferiore è molto piccolo, orbi-
colare, depresso in mezzo, ai bordi un po' onduloso. Quindi
i molari veri (dentes molares tritores) sono in tutto 4, due
superiori e due inferiori.
Mascella inferiore — La mascella inferiore è semplice, dritta,
molto somigliante a quella della Mustela foina. Posterior-
mente, e in basso (non però sotto) è munita di un condilo
conoideo, abbastanza protuberante verso la parte intema.
Le nostre figure 12, 13, 14 (tav. VII) rappresentano
frammenti di mascelle inferiori in cui si vedono i due
falsi molari e il dente ferino, il quale è anco rappresen-
tato dalla figura 16 (tav. VII) e dalla figura 17 (tav. VH),
in questa ultima si notano le radici dei denti prossimi.
La figura 15 (tav. VII) rappresenta un falso molare. La
.fig. 18 un incisivo. La fig. 19 un frammento di mascella
visto da due lati; essa è sformata in modo che gl'inci-
sivi son disposti in massa, ciò evidentemente per la fos-
silizzazione. Nelle figure 14, 15 si notano inoltre due
frammenti di ossa bislunghi, che forse sono falangi della
mustela. Le figure 20, 21, 22 rappresentano tre denti ca-
nini visti da vari lati. La fig. 23 un molare vero inferiore,
la cui posizione è evidentemente dietro il grande dente
ferino.
Omoplata — E un osso molto tenue, della forma delle pinne di
taluni pesci. Alla cavità glenoidale s' ispessisce un poco ;
questa coincide proprio all' estremità. La lunghezza di
quest' osso è di 65.™, la larghezza è di 40."** È eccessiva-
mente raro averne qualche esemplare; io non ne ho che
uno quasi intero.
Omero — Quest' osso si trova sempre in frammenti, perchè, seb-
bene le estremità sono abbastanza robuste, il corpo nella
parte media è angusto. Il caput humeri è molto sviluppato,
la sua grande prominenza non è però abbastanza isolata
come in quella della Pellegrinia Panormensis. La parte
distaile ossia V estremità inferiore dell' omero è molto
244 A. De GREGORIO
compressa e larga, è rappresentata dalle nostre figu-
re 11, 12, 13 (tav. Y). La lunghezza totale credo che sia
presso a poco di 80.'
mm
Ulna — È un osso assai compresso e fragile, verso Y estremità
posteriore è abbastanza largo e stretto, anteriormente sì
assottiglia e tende a divenir subcilindrico. La cavità di
articolazione con V omero è assai profonda, occupando
metà della larghezza totale. Di fianco vi è una depressione
bislunga non però così marcata come nella Pellegrinia
Panormensis. Tutti gli esemplari che posseggo sono rotti,
quindi non posso assegnarne la lunghezza. La nostra fi-
gura 1 5 (tav. VI) rappresenta V estreìnità posteriore cioè la
parte dietro della cavità di articolazione o per meglio
dire la porzione olecranica.
Radio — Riferisco a tale osso taluni frammenti cilindrici la cui
estremità superiore è piuttsto grossa e irregolarmente tra
pezoidale, V altra ha due piccole depressioni in mezzo, e
un lato eretto, lingueforme. Quest' osso è analogo a quello
figurato (tav. V, f. 32) il quale però è un po' più piccolo
e parmi riferibile alla Pellegrinia Panormensis.
Vertebre — Mi riferisco a ciò che ho detto a proposito delle
vertebre della Pellegrinia Pamrmensis. Però riguardo a
quelle della mustela è facile orientarsi, perchè raggiun-
gono la più grande dimensione. E così che io riferisco ad
esse quelle figurate nella nostra tavola VI (fig. 20-30). Ri-
guardo alle vertebre caudali è facilissimo incorrere in
equivoci, perchè essendo di piccola dimensione si confon-
dono con quelle delle altre specie di minore dimensione.
Sacro — È un osso piatto largo compresso abbastanza robusto.
Non ne ho che un frammento, analogo a quello della
Pellegrinia ma più grande.
Pelvi — È un osso abbastanza compresso, ma solido e assai
sviluppato. La cavità cotiloidea è piuttosto larga e profonda.
L'estremità posteriore è bifida: frammenti di pelvi sono
figurati a tav. VI, fig. 12, 18, 19.
INTOENO A UN DEPOSnX) DI EODITOEI E DI CARNIVORI SULLA VETTA EC. 246
Femore — È un osso molto robusto e bislungo. La estremità
superiore è quasi sempre rotta. Il capo e rotondeggiante,
prominente, non molto sviluppato. I troncateri sono rotti,
ma credo che non sono neppure molto sviluppati. Il corpo
è semplice, subcilindrico. L' estremità inferiore è molto ro-
busta, i due condili abbastanza prominenti. La lunghezza
totale è di circa 88.™. La nostra figura 1 7 (tav. Vili) rap-
presenta r estremità superiore come anche la figura 1 8
(tav. V); invece le figure 20, 27 (tav. Vili) due pezzi con
r estremità inferiore.
Tibia — L' estremità superiore (ginocchio) è molto sviluppata,
triangolare, superiormente compressa. Il corpo è affatto
cilindroide. L' estremità inferiore h trapezoide, tagliata un
po' a sghembo e irregolarmente scavata. Dalla parte
esterna presso la parte più prominente evvi una pic-
colissima apofisi. — Un pezzo di tibia è rappresentato
dalla nostra figura 22 (tav. VHI). La lunghezza totale della
tibia giudico sia stata di 85.'
mm
Perone — Riferisco a tale osso vari frammenti cilindro-compressi
con sezione ellittica. Un' estremità è ellittica simetrica
scavata, 1' altra ha presso a poco l' is tessa forma, però è
meno compressa.
Calcaneo — È breve, robusto, contorto, munito di varie apofisi.
Un frammento di calcaneo è rappresentato dalla nostra
figura 38 (tav. V).
Carpo, metacarpo, tarso, metatarso e falangi — Mi rapporto a ciò
che ho detto superiormente a proposito di queste ossa
parlando della Pellegrinia Panormensis. Ho ritrovato però
talune ossa, che mi pare si possano ascrivere con molta
probabilità alla Mustela arzilla. Io ho creduto raffigurarci
le ossa scafoidi del carpo e del tarso, V osso uncinato del
carpo, un metatarso e varie falangi. Li ho riferiti alla
Mustela piuttosto che alla Pellegrinia atteso la loro di-
mensione. Falangi della Mustela io credo sieno pure quelle
246 A. DE GREGORIO
rappresentate dalle figure 23-26 della tavola V. — La
figura (tav. Y, f. 33) rappresenta probabilmente un metatarso.
Analogie — Mi sembra fuor di dubbio che si tratti di una specie
immensamente affine alla Musteh zibellinUj della quale
Blainyille riproduce il cranio nella sua grande osteografia
(tav. 7, 13) sopra un individuo morto a Parigi verso il 1840
secondo si rileva dal volume di testo (tomo 2, pag. 78). —
Io ritengo, anzi, che i nostri individui si possano forse
considerare come una varietà della detta specie ; ma non
conosco bene lo scheletro della vivente, non dandone
Blainville sufficienti ragguagli. Trovo però che i falsi molari
della mascella superiore sono 6 nella zibellina, cioè tre a
mascella mentre nei miei esemplari sono sempre 4 cioè
due a mascella. Nella mascella inferiore però, come ho
già detto, si ritrova un terzo dente dietro il canino. —
La posizione del molare vero della mascella superiore dei
nostri esemplari corrisponde presso a poco a quello della
Mustela zibellinaj lo che è di molta importanza, essendo
che per tal carattere questa si distingue dalla M. faina.
Lepus n. sp.
Sebbene io possegga una quantità enorme di materiale os-
sifero di Monte Pellegrino, atteso V immensa rarità di questa
specie, non ho a mia disposizione che due frammenti di ma-
scella superiore e un ristrettissimo numero di denti isolati. Le
due mascellette pare appartengano allo stesso individuo; quan-
tunque non son sicuro di ciò, le ho incollate alla meglio. Esse
sono somigliantissime a quelle del Lepus timidus, specie notis-
sima vivente; se non che pare manchino assolutamente del
seno sottorbitale, il quale nella specie vivente è poco svilup-
pato, ma esiste. I denti della fossile sono identici a quelli di
questa, sembrano solamente un po' meno larghi. Il loro numero
è incerto: le due mascellette portano ciascuna quattro molari
bene sviluppati, anteriormente un quinto molare, il quale nei
nostri esemplari è caduto, e che, a giudicarne dall' alveolo (il
quale è grosso e rotondo), dovea avere una forma diversa dagli
altri molari. Tal fatto si verifica anco negli individui viventi,
INTORNO A UN DEPOSITO DI RODITORI E CARNIVORI SULLA VETTA EC. 247
però in essi Y alveolo è più piccolo che nei fossili. Si tratta
torse di un molare di latte, ma non di un dente deciduo: è
per caso che manca nel nostro esemplare. — Dietro il quinto
dente è probabile che debba trovarsene almeno un altro, a giu-
dicarne almeno dall'andatura della mascella; però questa es-
sendo rotta, non può asserirsi nulla su ciò.
Non è improbabile che debba riferirsi la nostra specie al
Lepiis varibilis Fall., il quale vive sulle alte Montagne dell' Eu-
ropa settentrionale e specialmente della Russia, ovvero al Lepus
diluvianus Cuvier delle caverne esostoriche del Belgio (molti
considerano questa specie come identica al L. timidus, lo stesso
Quenstedt esprime tal dubbio ^ Handbuch pi. 3, fr. ; „ io però
non ne sono convinto).
Riguardo ad altre analogie meno intime potrei notare il Mya-
Ingus sardoHS Henz, del quale il sig. Forsyth Major mi donò vari
esemplari di Sardegna. La nostra però ha una dimensione più
grande. Esaminando i denti si vede che essi sono molto più
lunghi di quella, però hamjo la stessa forma. Se non che, osser-
vandoli più attentamente, si osserva una diversità, importante:
ogni dente costa pure come in quella di due denti appaiati, però
nella nostra specie la parete interna di ciascuno non è così indi-
vidualizzata come in quella. Addippiù esaminandone la sezione
con la lente si osserva una linea molto sinuosa dello smalto, la
quale s' interna dal di fuori al di dentro lungo la parete intema
di separazione fra i due semidenti e prima di arrivare al lato
opposto si ripiega su di se passando sulla parete del semidente
prossimo e ritoma allo stesso lato d' onde s' introdusse, il quale
carattere si riscontra benissimo nel Lepus timidiis. — I denti
incisivi sono assai simili a quelli della Pellegrinia Panormensis ma
assai più robusti.
Nelle mie tavole non vi è figurato che un dente molare
(tav. Vili fig. 11), che inferiormente è in parte rotto.
Mus piletus De Greg.
E una piccola elegante specie che ho ritrovato anche nel
deposito di contrada Castellana, come ho già detto, e che mi
riservo a descrivere in altro lavoro. Nella tavola V son figurati
due femori (fig. 4, 22) e un frammento di femore (fig. 34).
248 G. DE GREGORIO — LVTORXij A L X HEPOSITO DI RODITORI EC.
Xella tavola Vii son figurate talune vertebre (fig. 3-7J. De-
vono probabilmente riferirsi alla stessa specie le vertebre e il
sacro (tav. MI, fig. l). La piccola vertebra rappresentata dalla
fig. 3 (tav. VII) è poi riprodotta ingrandita nella tav. Vm. f. 26.
Molti pezzi interessanti che ho ritrovato dopo che le tavole
erano state già eseguite, saranno illustrati in una monografia
speciale.
SPIEGAZIONE] DEFJ.K FIGURK
Taf. Y.
Fig. 1. Femore o Pelei della Pellegrinia Panormensis; sono entrambi
incastrati nella roccia, precisamente nella posizione nella quale
sono disegnate. Il capo del femore è ancora aderente alla ca-
rità cotiloidea.
» 2, 3. Due pezzi anteriori dì femore della stessa specie, mostranti
oltre il capo, anche il grande e il piccolo troncatere.
» 4. Femore del Mu8 piletua De Greg.
» 5, 6. Estremità posteriore di due pezzi di femore della Pellegrinia
Panormensis mostranti i due condili o la caoiià popUtea.
> 7. Frammento di pelois dello stesso roditore, mostrante la cavità
cotiloidea,
» 8, 9. Frammenti di tibia dello stesso roditore, uno dei quali è di-
segnato anche in sezione.
» 10. Potrebbe e^isere un framm-^nto di pelois dello stesso roditore.
» 11, 12, 13. Frammenti di omero (estremità posteriore) della Mustela
arzilla.
» 14, 15, 16. Frammenti di omero della Pellegrinia Panormensis De
Greg. La figura 14 mostra un frammento consistente in parte
del corpo e deW estremità posteriore, la figura accanto mostra
la sozione del corpo. La figura 15 rappresenta un aUro fram-
mento visto di faccia e anche di dietro. Nella fig. 16 è rotta
l'estremità posteriore e manca l'anteriore che ccrrisponde in
basso al nostro disegno.
» 17. Estremità scapolare dell* omero della Pellegrinia Panormensis
Do Greg. Lo stesso esemplare è disegnato da due lati e dalla
sezione del corpo.
» 18. Femore della Mustela arzilla De Greg. La parte anteriore ( in
basso del nostro disegno) è rotta, quello anteriore^ è erosa.
250 A. DE GREGORIO
Fig. 19, 20. Tibia della Pellegrinia Panormenèis De Greg. Due estre-
mità anteriori di tibia della stessa specie, viste ciascuna da
tre lati.
> 21. Farmi un perone della stessa specie; non ne sono però del tutto
sicuro.
22. Femore di un piccolo roditore {Mas piletua De Greg.).
23-26, 28-30. Sembrano falangi ; forse gli esemplari 23-^ appar-
tengono alla Mustela arzillay gli esemplari 28-30 alla PelU^
grinia Panormensis ; ma non sarebbe che una supposizione.
31. Io credo sia un calcaneo della Pellegrinia Panormensis De Greg:
32. Io considero l'esemplare figurato come un radio della etessa
specie.
33. Metatarso della Mustela arzilla,
34-35. Frammenti di femore del Mas piletus De Greg.
36. Piccoli ossicini incastrati in un pezzetto di roccia; io dubito si
tratti di coste del Mas piletus De Greg., però mi riesce assai
difficile il determinarli.
37. Questo esemplare mi è indecifrabile.
38. Frammento di calcaneo della Mustela arzilla.
TsT. YI.
Fig. 1. Pezzo di roccia con un frammento di mascella inferiore della
Pellegrinia Panormensis, con quattro ossicini ( forse falangi
della Mustela arzilla) .
» 2, 3. Credo sìeno falangi della Mustela arzilla. Nell'esemplare fig. 2
è un pò* rotta V estremità a sinistra, ove dovea esservi una
protuberanza simetrica a quella di destra.
9 4. È probabilmente un frammento di ulna della Pellegrinia Pa-
normensis.
» 5. Probabilmente è un frammento di costa della stessa specie.
» 6. Un osso rotto forse appartenente a un cranio della stessa specie.
» 7. Forse una costa rotta della stessa specie.
» 8. Frammento di femore della stessa specie.
» 9. Frammento di omoplata con la cavità glenoidale visto da due
lati. Appartiene probabilmente alla Mustela arzilla.
» 10. Sembra un frammento di ulna della Pellegrinia Panormensis.
» 11. Frammento di tibia della stessa specie.
» 12. Cavità cotiloidea della Mustela arzilla,
» 13. Pare un frammento Aq\ corpo del femore deWa, Pellegrinia Pa-
normensis, e precisamente la parte anteriore.
» 14. Quest'osso non so a che specie e a che parte corrisponda.
» 15. Ulna della Mustela arzilla. È lo stesso esemplare figurato da
due lati e precisamente l'estremità superiore cioè V olecranica.
\\ nostro pezzo superiormente è intero, inferiormente è rotto
SPIEGAZIONE DELLE naUSE 251
precisamente ove si dovea restringere per dar luogo alla ca-
vità sigmoidea.
Fig. 16, 17. Frammenti di pelois della Pellegrinia Panormensis dise-
gnati dal lato opposto della cavità cotiloidea e uno di essi in
sezione.
9 18, 19. Frammenti dì pelois; il frammento 19 pare appartenga alla
stessa specie, il frammento 18 pare che sia 1* estremità di quello
della Mustela arzilla.
» 20-30. Vertebre variamente figurate, credo appartenenti alla Mu-
stela arzilla.
• 31-34. Vertebre credo appartenenti alla Pellegrinia Panormensis.
Tav. TU.
Fig. I . Sacro credo appartenente al Mus piletus De Greg.
» 2. Frammento di omero della Mustela arzilla De Greg.
» 3-7. Vertebre del Mus piletus De Greg.
» 8-9. Pelvis della Mustela arzilla, frammenti mostranti la cavità
cotiloidea.
» 10. Frammento di osso che non so decifrare; ha una cresta assai
curiosa.
» 11. Frammento di cranio della flfu^^e/a arzilla; nella parte opposta
a quella figurata si vede qualche impronta di dente.
» 12-14. Mustela arzilla De Greg. Mascella inferiore che mostra due
falsi molari e il dente ferino, e dietro a questo la radichetta
del molare cero, che però non si vede nella nostra figura. Il
dente canino e il molare vero sono rotti e mancano, la estre-
mità anteriore corrisponde a sinistra della nostra figura, lo che
si verifica anche nelle figure 13, 14; i denti sono un pò* rotti.
Meglio conservaci sono quelli delle figure 13, 14. Nella roccia,
ove è incastrato l'esemplare 14, vi era anche un ossicino, che
per equivoco fu anche disegnato dal litografo.
» 16-23. Denti della Mustela arzilla De Greg. La fig. 15 mostra un
pezzo di roccia in cui è incastrato un premolare, che lascia
vedere le due sue radici; nella stessa roccia è incastrato un
ossicino che non so a che appartenga. — Fig. 16 un dente fe-
rino. — Fig. 17 un pezzo di mascella inferiore guardato di
lato e di sopra; esso contiene un dente ferino e le radichette
dei falsi molari. Nella parte di dietro lateralmente si nota una
radichetta forse appartenente al molare cero, le quale per com-
pressione sul fossilizzarsi venne a spostarsi. — Fig. 18 un in-
cisino. — Fig. 19 lo stesso esemplare visto di fianco è in se-
zione; è desso un frammento della parte anteriore di una ma-
scella inferiore, che porta attaccati un canino e tre incisici;
il canino è un po' rotto superiormente; gl'incisivi perla com-
pressione e sformamento della mascella nel fossilizzarsi cam-
252 1. DB GREGORIO
biarono s*. rana m'unte di posizione come lo mostra la s*?z:one. —
Fig. 20-22 fpe dpini can ni visti da tre lati. — Fig. 23 molare
Vrffo d'illa rnisc-^iln inf*:TÌor*f visto di fianco e di sopra.
Fig. 24-34. Pellegridia Panormen^is D»Greg. F-.g:. 24 incidivi della ma-
scella inferior*^ — Fig. 25 mascella inferiore, la qual«^ contiene
quattro molari conservando il molare di latte cioè i*anceriorep
lo che si verifica anche nel l'esemplare fig 29. — Fig. 26 ma-
scella inferiore. — Fig. 27-28 due incidivi inferiori disegnati da
due lati. — Fig. 29 mascella inferiore munita di quattro mo-
lari dì cui uno di latte — Fig. 30 parte del cranio raostrania
il palato con le due mascelle superiori in parte rotte; nello
stesso pezzo di roccia si vedono lateralmente i denti di un* al-
tro esemplare. — Fig. 31 idem, altro esemplare visto di Cic-
cia e di fianco. — Fig. 32, 33 le due mascelle inferiori ( con
Vapofisi zigomatica?). — Fig 34 frammento di mascella in-
feriore visto di sopra.
TaT. Vili.
Fig. 1-9. Pellegrinia Panormensis, Fig. 1. mascella inferiore. — Fig. 2.
frammento di mascella inferiore eh*? lascia vf^dere 1* incisivo
anche nella parte impiantata nell'osso. — Fig. 3 mascella in-
feriore, il più grande esemplare che posseggo; l'incisivo è
rutto, così pure il molare anteriore, che non si vede nel nostro
disegno. — Fig. 4-6 vari denti molnri visti da varie parti. —
Fig. 7 mascelle superiori formanti la hase del erano. ~ Fig. 8,
9 due molari.
» 10. Frammento di cranio, cassa timpanica della Pellegrinia Fa-
normensin.
• 10 bis. Frammento di cranio^ probabilmente la cassa timpanica della
Pellegrinia Panormensis.
9 11. Lepus n. sp. Molare di cui una parte è rotta.
• 12-13. Due mascelle inferiori della Pellegrinia Panormensis situate
presso a poco nella loro forma naturale e guardale di sopra;
gì* incìsivi sono in entrambi rotti, nell'esemplare 12 è rotto
anche un molare. La figura 13 riproduce lo stesso esemplare
rappresentato dalla fig. 1 delU stes<%a tavola. La fig. 13 rap-
presenta lo stesso esemplare figurato nella tavola VII. fig. 24.
» 14. Due molari della Pellegrinia Panormensis ingranditi dalla parte
della corona.
» 15. Frammento di bic'no della Mustela arzilla De Greg.
9 16. Frammento di crnnio, una cas^a timpanica fratturata d«>lla Mu-
stela arzilla.
» 17. Frammento di femore della Mustela arzilla^ costituito del caj^^
d'.d collOy di parte del corpo colle apofìsi rotte.
St^IEOAZIONB DELLE nGUSB 253
Fìg. 18. Pezzetto di roccia, ove è incastrato un piccolo elice, forse
V Helix aeptila, e un pezzetto di mascella superiore con 1* in-
cisivo.
19. Frammento di cassa timpanica della Mustela arzilla.
20. Femore della Mustela arzilla, estremità inferiore.
21. Pare un frammento di pelois della stessa specie.
22. Tibia della Mustela arzilla, parte superiore con la testa al-
quanto erosa.
23. Frammento di Cyclostoma sulcatum.
24. Frammento di mascella superiore della Pellegrinia Panormen-
sÌ8, con r incisivo incastrato in un pezzetto di roccia.
25. Frammento di guscio deW Helix Mazzulli (Jan) Phil.
26. Piccola vertebra del Mus piletus De Greg. Lo stesso esemplare
già figurato (tav. VII, fig. 3) in grandezza naturale e ingrandito.
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PIANTA DELLA FAMIGLIA DELLE EUFORBIAGEE
Le nuove ricerche sul bossolo, cui, e nel passato e nel pre-
sente anno, ebbi occasione di istituire, mi condussero a risultati
i quali, comecché di poca importanza, rendo tuttavia noti, nella
fiducia di fare cosa grata ai cultori di fitochimica.
Per maggiore brevità e chiarezza dividerò codesti risultati
I. In quelli riguardanti il procedimento non tanto di estra-
zione quanto di separazione degli alcaloidi già noti sotto i nomi
di Bussina, Parahussina e Bussinidina.
IT. In quelli che indizierebbero nel bossolo V esistenza di
due altri alcaloidi, che vorrei chiamare Parabussinidina l'uno
e Bussinamina l'altro.
in. In quelli riguardanti le materie coloranti o pigmenti,
i quali, nel complesso dei loro caratteri fisico-chimici, sarebbero
affatto differenti da quelli segnalati anni sono dal chimico te-
desco il dott. G. F. Walz (^).
rV. Finalmente in quelli che si riferiscono alla cera, onde
la pagina superiore delle foglie del bossolo è abbondantemente
ricoperta, e sulla quale, crediamo, non ha ancora nessuno isti-
tuite chimiche sperienze.
(>) N, Jahrbuch fiir Pharmacie XII, (1859), 303.
Se. Nat. Voi. Vm, fase. 2.* 19
256 G. A. barbaolìa
I.
Separazione degli Alcaloidi
n processo riposa principalmente:
1 .® Sulla proprietà che ha Y acqua, resa acida con corrente
di anidride carbonica, di sciogliere tutti gli alcaloidi, lasciando
invece insolubili la maggior parte di quelle altre sostanze che,
a differenza degli alcaloidi, non posseggono la funzione chimica
convenzionalmente appellata basica (^);
2.^ Sulla facile dissociazione molecolare della combinazione
dell'acido carbonico cogli alcaloidi pel calore, quando cioè, la
soluzione acquosa carbonica venga mantenuta per un certo
tempo alla ebollizione, nel qual caso, mentre la Bussina (^) pre-
cipita, rimangono totalmente in soluzione gli altri alcaloidi;
3.*^ In fine sul diverso grado di solubilità che questi' ul-
timi, sia allo stato di libertà che a quello di combinazione sa-
lina, presentano rispetto e all' alcoole e all' acqua e all' etere.
In che consista il medesimo processo lo descriveremo bre-
vemente rimandando per maggiori schiarimenti alle note già
pubblicate.
La massa catramosa (che rimane dalla distillazione del so-
luto alcoolico del precipitato ottenuto versando latte di calce
(<) Rendiconti del Reale Istituto Lombardo IV, (1871) fase. Vili
(') li vocabolo Buxine venne introdotto nella chimica nel 1830 da un valente
fitrmacologo francese di Bordeaux il Yd^wrè {Examen chimique de V écorce du buis ;
Buxus sempervirens L - Journal de Pharmacie, XVI, (1830), 428. — TromsdorflT
Neues Journal, XXIII, 219. — Berzelius Jahresbericht, XI, (183i), 345) per designare
il principio alcaloideo in genere esistente nel Bossolo e da lui per la prima volta se-
gnalatovi, principio il quale, mentre ritenevasi consistere di una sola ed unica specie
chimica la Bussina, dal rimpianto Baldassare Pavia, farmacista di Locate Triulzi
(Lombardia) venne riconosciuta mescolanza di due: la Bussina e la Parabussina {Sulla
Parabussina - Novello alcaloide del Biixus Sempervirens L. Bollettino farmaceutico.
Vili, (1868), 68. — Principali caratteri fisico^himici differenziali fra i due alcaloidi
Bobsina e Parabossina, Ibìd. X, (1871), 113); e da me, in questi ultimi anni, mesco-
lanza ancora più complessa, per lo meno di cinque alcaloidi: la Bussina, la Para-
bassina, la Bussinidina, la Parabussinidina e la Bussinamina, siccome ebbi occasione
di dimostrare in parecchie note. (Gazzetta chimica italiana XIII, (1883), 249. - Pro-
cessi verbali della Società Toscana di Scienze Naturali, Adunanze 14 marzo 1883 -
14 marzo ISSI e 15 novembre 1885. Berichte d, deutschen chemischen Qesellschaft
XVII, (1884), 2055).
OONTtllBtJZIONE ALtX) STtTDIO t)EL BtJ^US SEMPEBVIRENS L. EC. 25?
fino a forte reazione alcalina nel decotto solforico delle foglie
e dei ramoscelli di Bossolo) versisi in acqua piovana nella
quale sta gorgogliando anidride carbonica ben lavata. Dopo
parecchie ore di azione di codesto gas, portisi V intiera massa
su filtro, raccogliendone a parte il liquido e trattando con nuova
acqua piovana e nell' istesso modo la parte solida rimasta sul
filtro. Tre o quattro trattamenti al più bastano per depauperare
completamente la parte insolubile dal principio alcaloideo.
I filtrati riuniti assieme compongono un liquido rosso-bruno,
trasparente, il quale, anche abbandonato semplicemente all' aria
alla temperatura ordinaria, per isprigionamento spontaneo di
anidride carbonica, fassi torbido; scaldandolo spumeggia, diventa
lattiginoso e difficilmente chiarificabile colla filtrazione, e già
ad una temperatura vicina a quella a cui V acqua bolle, chia-
rificasi, diventando in pari tempo di colore giallognolo sbiadito
e filtrabilissimo. 11 precipitato, aggregatosi in seguito alla fii-
sione a mo' di fiocchi mollicci e brunastri, col riposo appiccicasi
alle pareti del pallone e consecutivamente, col raflfreddamento,
si solidifica in massa rosso-brunastra,' semi-trasparente avente
tutto V aspetto di resina. Nel fatto però non si tratta di
sola resina, ma di una sua mescolanza col principio alcaloi-
deo. Laonde, separata dal liquido, lavata con acqua distillata,
quindi sciolta in acqua resa debolmente acida con acido os-
salico, ottiensi un liquido rosso-brunastro il quale, filtrato,
scaldato verso i 50.** e per ultimo accuratamente neutralizzato
con ammoniaca (sia pure commerciale) per modo da evitame
r eccesso, vi s'ingenerano fiocchi di una materia nerastra appic-
caticcia, la quale, col riposo, raccogliesi sul fondo del vaso e col
raffreddamento concretasi in uno strato omogeneo, vetroso
trasparente, di colore rosso-rubino il quale si descriverà am-
piamente più avanti ai pigmenti. Ora, versando nel sovrastan-
te liquido fattosi pagliarino, previamente filtrato e scaldato
verso i 50.'', una soluzione concentrata di carbonato di sodio,
ottiensi un precipitato fiocco-caseoso il quale, filtrato, lavato
ed essiccato spontaneamente al sole, presentasi di colore giallo
sbiadito; è friabilissimo, facilmente fusibile e suscettibile di
bruciare con fiamma molto fuligginosa ; contiene inoltre azoto
e presenta in grado elevatissimo la funzione basica. Ora a co-
desto corpo conserveremo il nome Bussina fino a che ulteriori
25d 0. A. BARBAGUA
studj (che intendo di eseguire presto, non appena salute e tempo
mei permetteranno) non si saranno pronunziati meglio intomo
alla sua natura chimica.
Il liquido di colore rosso-bruno (che, come vedemmo, portato
e mantenuto per un certo tempo alla ebollizione divenne di co-
lore giallognolo sbiadito e da cui venne separata la Bussina, non
che la resina di colore rosso-rubino) trattato anch' esso con una
soluzione concentrata di carbonato di sodio, dà un precipitato
fiocco-caseoso bianco o leggermente tinto in gialliccio, che consta
degli altri quattro alcaloidi. Come nel caso della precipitazione
della bussina, allo scopo di dare a codesto corpo maggiore coe-
sione e conseguentemente di facilitare la sua filtrazione, giova
di scaldare prima il liquido almeno fino verso i 50.**
Codesto processo, che diremo deW acido carbonico ^ parmi, sia
sotto il punto di vista analitico che sotto quello industriale, pre-
feribile air altro delV acido solforico proposto dal Pavia fino dal
1868(0 6 al mio che proposi più tardi e che diremo delV acido
ossalico (^). E lo dichiaro tanto maggiormente in quanto con
una sola operazione o, per meglio dire, con un solo agente,
r acido carbonico, che, come ognun sa, costa pochissimo ed è
di facilissima preparazione, viensi contemporaneamente non
solo a sceverare la massa alcaloidea dalla quasi totalità delle
sostanze solubili nell' alcool e destituite di funzione basica, ma
ben anco a separare dalla prima completamente la bussina.
Quanto poi alla separazione nei singoli alcaloidi della massa
alcaloidea già privata dalla bussina, ciò ottiensi facilmente
operando nel seguente modo: — Sciolgasi essa nella minore
quantità possibile di alcoole a 90** centesimali, il soluto filtrato
si neutralizzi con cura (procurando di evitame V eccesso) me-
diante una soluzione alcoolica concent;ratissima di acido ossalico,
agitando di quando in quando ed abbandonando il tutto a sé
medesimo per alcune ore, quindi lo si filtri, concentrando poscia
il filtrato, distillandone V alcoole e filtrandolo di nuovo, perchè
durante codesta operazione nuova quantità di precipitato si
forma, che dev' esser riunita al primo, per esser lavato assieme
a freddo con alcoole a 90.® e ripetutamente fino a che questo
(}) Bollettino farmaceutico, 1868, pag. 68.
(«) Gazzetta chimica it. 1883, pag. 250.
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEI< BUXUS SElfPERYIBENS L. EC. 259
non passi più colorito. Ora i quattro alcaloidi, trasformati per
tal modo in ossalato ed in uno stato di conveniente purezza
chimica, si trovano intimamente mescolati e per separare l'uno
dair altro tacciasi bollire il precipitato con acqua distillata, se-
parandone il soluto colla filtrazione ed operando sulla parte
insolubile neir istesso modo e con nuova acqua tre o quattro
volte di seguito. E, mentre i soluti acquosi riuniti ed intiepiditi
assieme vengono trattati con carbonato di sodio, nel qual caso
danno un precipitato voluminoso e d'aspetto della gelatina o
colla di pesce rigonfiata nell'acqua, precipitato che costituisce
la Parabmsina, la parte insolubile nell' acqua semplice sciolgasi
nell'acqua resa acida con acido ossalico. Il soluto risultante
pongasi in separatore di vetro e, previa agitazione con poco
etere, si precipiti con carbonato di sodio, procurando di aggiun-
gerlo fino a forte reazione alcalina ed agitando poscia il tutto
nuovamente e con violonza. H soluto etereo, che è sempre in
tal caso più o meno tinto in giallognolo, separato dall'acquoso,
filtrato ed evaporato, lascia per residuo la Bussinamina. H pre-
cipitato, ovverosia la parte insolubile di esso, riunita di nuovo
nel separatore, si agiti con novello etere, il quale questa volta
dev' essere usato in larghissimo eccesso ; il nuovo soluto etereo,
separato dall'acquoso, filtrato e distillato, lascia un residuo
bianco, cristallino, il quale non è altro che la Parabmsinidina.
Il precipitato amorfo, affatto insolubile nell' etere costituisce la
Biissinidina. Ora fa duopo avvertire che la purezza chimica dei
quattro corpi non puossi conseguire che a questa sola condi-
zione, di sottoporre ciascuno e separatamente agli stessi trat-
tamenti due o tre volte.
Sulla Parabussina pubblicarono, come già fecemmo notare,
il Pavia nel 1868 e nel 1871 Q) ed il Pavesi nel 1874 («); sulla
Bussinidina pubblicai io stesso nel 1883 (^) e mentre rimandiamo
alle note relative coloro ai quali interessasse di prenderne mag-
giore conoscenza, ci occuperemo di descrivere sommariamente le
proprietà dei due nuovi alcaloidi, le quali, a parer nostro, sono
sufficienti per istabilire tra essi e tra gli altri già descritti un
diagnostico differenziale.
(») Bollettino farmaceutico - Vili, 68 e X, 113.
(') Relazione dei lavori eseguiti nel Laboratorio chimico della sianone di
prova presso la R. Scuola superiore d* Agricoltura m Milano, pag. 40.
(3) Gazzetta chimica it. XIII, (1883), 25K
260 G. A. BARBAGLIA
II.
Parabussinidina e
Sono i due alcaloidi i quali, se precipitati dalle loro solu-
zioni saline col carbonato di sodio nelle condizioni dianzi ac-
cennate, sono solubili nell' etere. L' uno dall' altro però separasi
approfittando, come si disse, del loro diverso grado di solubilità
nel medesimo solvente, tantoché, se precipitati assieme, baste-
rebbe di trattare la mescolanza dapprima con pochissimo etere,
nel qual caso la Bussinamina, per essere straordinariamente
solubile vi si scioglie nella sua totalità, mentre la Parabussini-
dina, che vi è debolmente solubile, rimane indietro in gran
parte. Ripetendo il trattamento due o tre volte di seguito si
riesce ad ima completa separazione.
Relativamente alle altre proprietà differenziali la Parabus-
sinidina è cristallizzabile {}) e dal soluto etereo separasi cristal-
lizzata in bei prismi, microscopici trasparenti, incolori, affatto
insolubili nelV acqua, per lo contrario solubili alquanto nell'etere
e, senza confronto, più solubili nell' alcoole; le soluzioni arros-
sano intensamente la cartolina reattiva di curcuma.
La soluzione alcoolica poi dà con una soluzione del pari
alcoolica di acido ossalico, un precipitato cristallizzato in ma-
gnifiche tavole romboidali trasparentissime, e fragilissime, pre-
cipitato il quale, formasi, com' è naturale , prontamente se le
soluzioni sono concentrate, laddove formasi lentamente se sono
diluite. Nel primo caso i cristalli sono microscopici e la mag-
gior parte aggregati gli uni cogli altri per gli spigoli ed attorno
ad un centro comune per modo da dare origine a forme radiate
regolarissime, nel secondo invece sono isolati e siffattamente svi-
luppati da essere visibili anche ad occhio nudo. In ogni caso
la precipitazione, per completarsi richiede tempo, e viene
eziandio grandemente sollecitata colla agitazione.
(*) Pretesero due chimici d* avere estratto dal Bossolo alcaloidi cristallizzati, e
poiché ne fecer soggetto di pubblicazione, cosi ci sentiamo in dovere di dichiarare
aver preso per alcaloide T uno il bìsolfato di calcio e T altro Tossalato di ammonio.
Taciamo sui nomi per delicatezza, pronti del resto a declinarli quando ne fossimo
richiesti, essendo i due chimici, come di leggieri ognuno può rilevarlo, cadati in
uno de* più grossolani errori.
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL BUXUS SEMPERVIRENS L. EC. 261
L' ossalato di Parabussinidina, oltreché diflferire da quello
di Bussina per essere affatto insolubile nell' alcool, diflferirebbe
eziandio da quello di Parabussina per essere pochissimo o insensi-
bilmente solubile nell'acqua e dalla Bussinidina pel motivo che
quest' ultimo, sciolto nell' acqua, resa acida con acido ossalico
e quindi reso alcalino col carbonato di sodio, dà, un precipitato
affatto insolubile nelV etere.
La Bussinamina è corpo amorfo di. colore giallognolo sbia-
dito (^), affatto insolubile nell'acqua, solubilissimo per lo con-
trario neir alcoole e la soluzione, messa a evaporare a bagno
maria in capsula di vetro (procurando di quando in quando
di farla scorrere con arte sulla sua superficie ) a completa es-
siccazione e raffredamento vi aderisce tenacemente come ver-
nice formando uno strato vetroso, duro, omogeneo, di colore
giallognolo e senza presentare la menoma ombra di cristalliz-
zazione; in breve, per codesti ed altri caratteri, la si direbbe
resina coppale. Dalla vera resina differirebbe per altro princi-
palmente in ciò che è solubilissima nell' etere e presenta in modo
spiccatissimo la funzione basica. Infatti le soluzioni, sieno alcoo-
liche sieno eteree, arrossano intensamente la cartolina reattiva
di curcuma e neutralizzano gli acidi forti per dare origine a veri
sali. Neutralizzando la soluzione alcoolica concentrata con so-
luzione, del pari alcoolica e concentrata, di acido ossalico essa
fornisce un precipitato bianco che, esaminato al microscopio, è
amorfo, si presenta, cioè, sotto forma di semplici granulazioni
tutte di eguale grandezza, il che e' indurrebbe a credere che
trattisi di una sola specie chimica.
Dal fin qui detto ci pare non esservi dubbio veruno in-
tomo alla loro natura chimica, cioè a dire, essere entrambi i
due corpi veri alcaloidi non solo, ma ben anche due specie chi-
miche differentissime e tra di loro e dalle altre già descritte.
Alle obbjezioni già rivolteci verbalmente ed a quelle che forse
potrebbonsi fare per le stampe, di non avere cioè nella identi-
ficazione de' cinque alcaloidi ricorso al criterio diagnostico im-
portantissimo che viene desunto dai risultati dell' analisi elemen-
(0 Facciamo osservare che fino ad ora ogni tentativo diretto allo scopo di ren-
dere la Bussinamina bianca rimase senza frutto; però colla nostra dichiarazione
non intendiamo di escladere la possibilità che un giorno si possa averla bianca come
gli altri alcaloidi.
262 G. A. BARBAGUA
tare, crediamo dì potere rispondere che, in tesi generale, por ri-
conoscendo neir analisi elementare tatti pregi ammessi dai nostri
oppositori, essa, per decidere intomo alla natura e moltiplicità.
delle specie chimiche alcaloidee in questione, è insufficiente, e
tanto maggiormente lo dichiariamo in quanto potrebbesi trattare
di isomerie od anche di polimerie; bastino gli alcaloidi della
corteccia di china che, con quelli del bossolo, hanno non poca
rassomiglianza. E poiché gli alcaloidi solidi (ed i nostri non ne
£Etnno eccezione) gaseificando col calore decompongonsi e la loro
molecola è assai complessa, così, come criterio diagnostico, a
nulla ponno giovare neppure i resultati così della densità di va-
pore come delle calorie di temperatura. In codeste contingenze,
r analisi elementare perdendo maggiormente d'importanza, la
diagnosi non può farsi che alla stregua delle reazioni chimiche.
Ora a queste abbiamo ricorso ; se sieno poche, se limitata nel nu-
mero, non vogliamo discuterlo, a parer nostro sono però sufficienti
per legittimare T ammissione delle cinque chimiche individua-
lità, cui air analisi elementare 8ottx)porremo, non appena avremo
la certezza di possederle chimicamente pure. E, mentre ciò di-
chiariamo per prevenire la critica di avere creato specie chimiche
nuove senza averle prima elementarmente analizzate, colla no-
stra dichiarazione intendiamo di rendere noto il nostro pro-
gramma di studio, cui fin d'ora promettiamo di eseguire colla
maggiore sollecitudine.
m.
Pigmenti
H problema dei pigmenti esistenti nei vegetali e principal-
mente quello riguardante la clorofilla è in oggi ancora uno dei
più intricati della chimica organica.
Fino ad oggi neasuno s' è occupato della, estrazione e quanto
meno dello studio dei pigmenti del Bossolo, se si eccettui un
chimico tedesco per nome Walz (^) il quale, fin dal 1859, ac-
cintosi ad estrarre la Bussina su lar^a scala, s' imbattè in una
polvere bianco-giallastra, soffice ed insolubile negli acidi diluiti,
cui chiamò Buxoflavina. Se codesta sostanza sia un vero pigmento,
(•) N. Jahrbuch fùr Pharmacis XII, 307.
CONTBIBUZIONE AIXO STUDIO DEL BUXUS SEMPERVIRENS L. EC. 263
e, volendolo pure ammettere, se essa realmente preesista nella
pianta, è problema ancora molto discutibile. Tal si dica del-
l' altra sostanza colorante a cui lo stesso autore non diede nome,
sebbene l'abbia descritta come polvere brunastra e solubile negli
acidi diluiti. Ora fa meraviglia il vedere come il Walz, saga-
cissimo neir arte di esperimentare e che ha trattato parecchi
quintali di bossolo, non sia riuscito ad estrarre allo stato di
purezza due materie coloranti di cui l'una è verde è l' altra rossa,
materie che, preformate, si contengono in larga copia e nelle
foglie e nelle altre parti verdi del vegetale e che, giudicandole
anche dai soli caratteri esteriori, non ponno né debbono andar
conftise colle due, ch'egli descrisse tanto incompletamente.
Che nelle foglie e nei ramoscelli verdi contengansi prefor-
mati due e forse più pigmenti distinti, facilmente ce ne accor-
giamo ispezionando semplicemente il precipitato che si forma
versando, sia nel macerato che nel decotto solforico od ossalico,
carbonato di sodio a caldo od ammoniaca a freddo, precipitato
che è costantemente di colore ardesiaco e dal quale ponno aversi
i due pigmenti allo stato di purezza esaurendolo, previa com-
pleta essiccazione, sia a freddo che a caldo in apparecchio a
spostamento, con alcoole a 96.^ — 97.**, meglio ancora se questo è
assoluto, filtrando poscia il liquido a freddo, quindi distillandolo
per riaverne l' alcoole e trattandone l'estratto, che è nero e pe-
cioso, coir acqua, cui procurar devesi di acidificare e mantenere
in continua agitazione con una corrente di anidride carbonica
bene lavata. Così operando, mentre tutti gli alcaloidi passano
in soluzione, insieme ad essi vi passa una quantità piuttosto
rilevante di pigmento rosso, della cui estrazione allo stato di
purezza si disse gik, lungamente più sopra alla separazione degli
alcaloidi medesimi. Fra le sostanze insolubili nell' acqua carbo-
bica annoverasi il pigmento verde che vi si contiene nella sua
totalità, non che una certa quantità di pigmento rosso, quella
parte, cioè, di esso che venne rispettata dall' anidride carbonica
per mancanza di acqua. — Grada codesta mescolanza facil-
mente separasi tutto il pigmento verde polverizzandola minu-
tamente, esaurendola poscia con etere, quindi filtrando il soRito,
distillandolo ed evaporandolo per ultimo a secchezza.
Dicemmo che nelle foglie e nei ramoscelli verdi contengonsi
preformati due e forse più pigmenti, ora un terzo pigmento de-
264 G. jl. babbaoua
vesi ammettere, quantmique, per verità, non siasi ancora riu-
scito ad isolarlo in conveniente stato di purezza quale si ri-
chiede per poterne identificare la natura chimica. Lo troviamo
sempre ed allo stato di soluzione in tutti i liquidi che riman-
gono dopo la precipitazione dei diversi alcaloidi (sia cogli alcali
che coi carbonati alcalini e cogl' idrossidi alcalino-terrosi) dai
macerati e dai decotti di bossolo preparati, vuoi con acqua
semplice, vuoi con acqua acidificata coir acido solforico o col-
r acido ossalico. Codesto terzo pigmento è di colore giallo ca-
nario finché il liquido è acido o neutro, fassi invece di colore
rosso-aranciato non appena diventa alcalino ; quantunque solu-
bilissimo neir acqua, dall' acqua facilmente precipita non appena
vi si determini, sia cogli alcali che coi carbonati corrispondenti,
qualsiasi genere di precipitazione, coli' idrossido d' alluminio for-
ma, ad esempio, ima lacca resistente; laonde, sebbene in parte,
anche cogli alcaloidi precipita impartendo loro il proprio colore,
in altre parole, esso accompagna gli alcaloidi, almeno in parte, in
tutti quei trattamenti che vengono messi in giuoco per estrarli
e purificarli; il che avrebbe fatto credere a taluno all'esistenza
simultanea nel bossolo di alcaloide giallo, aranciato e bianco.
Come gli altri due pigmenti, il terzo esiste in tutte le parti
verdi del vegetale, a differenza, però dei medesimi, vi esiste
in maggiore quantità nelle parti più giovani . Laonde, ne sono
incomparabilmente più ricchi i decotti dei ramoscelli di un mese,
di quelli dei rami di un anno, nei quali invece è in grande
aumento il pigmento rosso-rubino ; tantoché saremmo quasi ten-
tati di affermare che, col progredire della vegetazione, in que-
st' ultimo il primo pigmento finisca per trasformarsi. Descrive-
remo sommariamente le proprietà dei tre pigmenti, non in-
tendendo con ciò di avere esaurito un argomento, che è vasto
e ben più difficile che non dai più sia ritenuto.
Affine di poterci intendere , parmi utile, se non necessario,
di dare loro nome, chiamando il pigmento verde Buxoviridinunij
quello rosso Buxoruhinum ed il giallo Btixocrocinum (0, serbando
la desinenza ina per i nomi degli alcaloidi.
Il Buxùviridinum è di un bel verde smeraldo, amorfo, mol-
(') In luogo di Buxoflavinum e Buxoxanthinum^ sostantivo, quest* ultimo, che
avrebbe derivazione mista, parte latina e parte greca.
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL BUXUS SEMPERVIRENS L. EC. 265
liccio d' estate, fonde nell' acqua bollente portandosele a galla,
è affatto insolubile nell'acqua, solubilissimo invece nell' al coole
concentratissimo e, meglio ancora, se assoluto. Nel debole, ad
esempio in quello a 70.*^ centesimali, è insolubile; è debol-
mente solubile nell'alcool metilico è, per converso, solu-
bilissimo nell'alcoole amilico e quasi in tutte le proporzioni
nell'etere, nel solfuro di carbonio, nel cloroformio, nella ben-
zina, negli eteri di petrolio ed in molti altri liquidi idrocar-
burati, i quali tutti assumono un magnifico colore verde. Tutte
codeste soluzioni sono peìfettametUe neutre ai reattivi colorati.
Versando nell'acqua la soluzione nell'alcoole etilico il pi-
gmento precipita sotto forma di fiocchi di colore verde cupo,
i quali, raccolti su filtro, vi si appiccicano insaldandolo per
modo da non potemeli staccare.
Scaldando lo stesso pigmento sulla lamina di platino esso
fonde con estrema facilità, si rigonfia e poscia s'accende e
brucia con fiamma assai fiiligginosa, lasciando un residuo fisso
tenuissimo rossastro il quale, sciolto nell'acido cloridrico e trat-
tato col solfocianuro potassico, colorasi in rosso sanguigno.
Scaldandolo in tubo d' assaggio con soluzione di potassa caustica
sviluppa ammoniaca riconoscibile e alla cartolina reattiva di
curcuma, cui arrossa, ed ai vapori di acido cloridrico coi quali
producesi nebbia di cloruro ammonico. — Nel Ruxoviridinum
si contiene adunque e ferro ed azoto.
È stabile a freddo sia cogli acidi, purché non ossidanti ener-
gici, che cogli alcali, nei quali sciogliesi se sono in soluzione
acquosa. L' acqua soprasatura di acido carbonico non lo scioglie
affatto, né v'induce cambiamento. Per altro alla luce diretta
del sole coli' andar del tempo le soluzioni finiscono per ingial-
lire e quindi per iscolorirsi completamente; lo stesso avviene
delle soluzioni nell'etere, nel cloroformio, nel solfiiro di car-
bonio e nella benzina. Alla luce diffusa lo scolorimento delle
medesime soluzioni avviene in un tempo incomparabilmente
più lungo. Il pigmento secco non iscolorasi punto. .
Dal complesso di codeste reazioni saremmo tratti a con-
cludere essere il Buxoviridinum clorofilla o pigmento ad essa
molto somigliante. Nel qual caso alle varietà già dimostrate
se n' aggiungerebbe una nuova che crediamo interessantissima.
Il Buxorubinum è pigmento solido, duro, friabile, trasparente
266 0. A. BARBAOLIA
come vetro, a superficie liscia ed a frattura concoide. È amorfo
ed estremamente solubile nell'alcoole anche a 70.*^ centesi-
mali, la soluzione è di colore rosso-rubino e completamente
neutra ai reattivi colorati. — Evaporando questa a B. M. in
capsula di vetro lascia un residuo scorrevole che, col raffred-
damento, aderisce alle pareti, ricoprendole equabilmente come
di uno strato vitreo, omogeneo, di colore rosso-rubino, traspa-
rentissimo e senz'ombra di cristallizzazione. Se non che col
tempo si rendono appariscentissime innumerevoli linee irregolari
e splendenti sì da far credere che il corpo siasi cristallizzato.
Cristalli però non vi esistono neppure per ombra e di leggieri
possiamo persuadercene ispezionandolo con lente a forte ingran-
dimento. — Trattasi di fenditure accidentali, tantoché basta di
scuoter la capsula che, in corrispondenza di esse, lo strato vitreo
si suddivide, cadendo in pezzi minuti ed irregolari.
Altra differenza notabilissima del Buxomhinum è quella ri-
guardante la sua insolubilità completa e neir etere e nel clo-
roformio e nel solfuro di carbonio e nella benzina e negli altri
liquidi idrocarburati. — L' acqua nella quale gorgoglia gas acido
carbonico ne scioglie discreta copia colorandosi in rosso, essa
ne scioglie maggiormente aggiungendovi il pigmento in solu-
zione alcoolica. E solubile negli acidi anche diluitissimi.
Neir alcoole amilico il Buxorubinum a freddo è parzialmente
solubile, lo che ci farebbe pensare ad una mescolanza, cioè a
dire, alla coesistenza nel bossolo di due pigmenti rossi.
Scaldato sulla lamina di platino fonde senza rigonfiarsi, poscia
s'accende e brucia con fiamma estremamente fuligginosa, la-
sciando im residuo nerastro di carbone che, a più forte riscal-
damento, brucia anch'esso senza lasciare traccia di cenere.
Bollito con soluzione di potassa caustica non isviluppa ammo-
niaca. A differenza del pigmento verde il rosso adunque non
contiene ne ferro né azoto.
Ora, dal complesso di codesti caratteri fisico-chimici, saremmo
autorizzati a classificare il Buxorubinum fra le resine e tanto
maggiormente l'ammettiamo nel bossolo preformato, quantun-
que altri, che pure l'ebbe isolato, lo niegasse recisamente, con-
fondendolo cogli alcaloidi, chiamandolo persino parabussina e
dimostrando con ciò d'ignorare completamente gli importanti
lavori del nostro Bald^ssare Pavig,,
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL BUXUS SEMPEiiVIBENS L. EC. 267
H Buxocrocinum estraemmo dalle acque da cui vennero pre-
cipitati gli alcaloidi, evaporandole prima a B. M. a secchezza,
esaurendone poscia il residuo t con alcoole concentratissimo ed
evaporandone per ultimo il soluto pure a secchezza.
E corpo giallo-rossigiio alquanto solubile nell' acqua e mag-
giormente se essa viene resa debolmente vuoi acida vuoi al-
calina. E solubilissimo nelV alcoole e la soluzione non arrossa la
cartolina reattiva di curcuma, né dà precipitato filtratile quando
venga diluita coli' acqua distillata e bollente. Tale soluzione dà
un precipitato giallo sbiadito aggiungendo ad essa allume, quindi
carbonato di sodio (lacca). Qualche cosa di simile avviene, se
in luogo deir allume, nella soluzione trovasi alcaloide salificato,
alcaloide, che a guisa dell' allumina, precipita, trascinando seco
il pigmento.
E alquanto solubile anche nell' etere, in altre parole agi-
tando in separatore di vetro la sua soluzione acquosa esso co-
lorasi debolmente in giallo, conservandosi neutro ai reattivi
colorati.
IV.
Cera
Come dicemmo fin dal principio nessimo s' è ancora occu-
pato dello studio chimico della cera del bossolo e noi ci siamo
entrati così incidentalmente mentre stavasi estraendo e dalle
foglie e dai ramoscelli gli alcaloidi che vi si contengono. Non
intendiamo quindi di dame un analisi completa. Tutt' altro !
Essendoci invece limitati a quella dell' alcoole che, notoriamente,
nelle cere esiste sempre allo stato di etere composto, essendone
il principio immediato preponderante e, ad im tempo, forman-
done, a parer nostro, la caratteristica principale. Per quanto
incomplete sieno però tali analisi esse dimostrerebbero sempre
con sufficiente attendibilità essere la cera del bossolo simile, se
non identica, a quella animale, verbigrazia la cera delle api.
Fino dal 1878 C) facemmo noto come, bollendo per 24 e
più ore col latte di calce il precipitato che si ottiene trattando
(') Società Toscana di Scienze Naturali, Voi. IV, £mc I, pag. 67.
^68 Ó. A. BARBAOLiA
col carbonato di sodio fino a forte reazione alcalina il decotto
solforico bollente delle foglie e dei ramoscelli di bossolo (ope-
razione che per maggiore brevità, b' è chiamata saponificazmie) ,
filtrando poscia il precipitato medesimo, e, previa essiccazione,
esaurendolo coli' alcoole a %"" centesimali, si ottenga un so-
luto di colore rosso sporco con riflesso verdognolo che, ancora
caldo, filtrato e lasciato spontaneamente raflfreddare si rappren-
de come in un megma cristallino, il quale, messo a sgocciolare
sopra filtro e poscia compresso fra carta bibula ed essiccato,
fornisce un corpo di colore verdognolo risultante dall' aggrega-
zione di cristalli aciculari, fusibili a 85® C. In appoggio a codesti
caratteri opinammo subito doversi trattare di alcoole miricilico,
anzi facemmo la dichiarazione promettendone presto uno studio
più circostanziato.
Ora, avendo esaurito coli' alcoole il precipitato ottenuto nel-
r istesso modo ma non saponificato, s'ottenne un soluto il quale,
sebbene avesse l' istesso colore, col raffreddamento non fece il
benché menomo deposito cristallino. Ed avendo il precedente
precipitato {gìk completamente esaurito coli' alcool fino a che
questo passò scolorito) saponificato nel modo anzidetto e quindi,
previa filtrazione ed essiccazione, di nuovo trattato con alcoole
bollente ed ancora bollente filtrato, forni un soluto debolmente
colorito in giallognolo, che, col raffreddamento, si rapprese in
megma cristallino, il quale in questo caso non era più verdo-
gnolo sibbene bianco. Sottoposto alla filtrazione, compresso fra
carta e ricristallizzato nell' alcoole, fornì, allo stato di chimica
purezza, un corpo risultante dall' aggregato di cristalli aciculari
splendenti, fusibile a 85^ insolubile completamente nell' acqua,
pressoché insolubile nell' alcoole freddo e solubilissimo quasi in
tutte le proporzioni nel bollente. È solubile del pari molto più
a caldo che a freddo nell'etere, nel cloroformio, nella benzina
e nei liquidi idrocarburati e tutti codesti soluti sono perfetta-
mente neutri ai reattivi colorati ; coli' alcoole amilico compor-
tasi precisamente come coli' etilico. Non contiene per ultimo
azoto.
Ora tuttociò e' indusse a credere, se non a ritenere per certo,
che si trattasse indubbiamente di alcoole miricilico, appellato
anche alcoole melissilico o miricico e che esso alcoole ripetesse la
sua origine dal palmitato e dallo stearato di miricilo, eteri com-
CONTRIBUZIONE ALLO STÙDIO DEL BIJXUS SEMPERVIEENS L. EC. 269
posti che, come già ebbe a dimostrare il Brodie (^) esistono co-
stantemente nella cera delle nostre api ed i quali, a differenza
degli altri principj immediati, sono pressoché insolubili nello
spirito di vino, così a caldo come a freddo. Parveci per altro
che il vero carattere diagnostico non si potesse desumere che
dai resultati dell'analisi elementare; ne male ci apponemmo,
inquantochè fu l'analisi appunto quella che valse a decider la
questione.
In fatti fornirono:
0,318 g. di sostanza 0,4065 g. di H2O e 0, 950 g. di CO2
0,3253g, ^ 0,419 g. „ 0, 9750 g.
0,418 g. , 0,520 g. , l,2163g. ,
Ora queste cifre conducono evidentemente alla formola
brutta Oso H62 0. che viene dedotta dalla composizione cen-
tesimale :
Teoretica
Sperimentale
l.'' Analisi
2.0 AnalUI
3.* Anali*!
C. - 82,19
H. - 14, 16
0. = 3,65
81,47
14,20
1
81,74
14, 30
81,30
14,16
100,00
1
1
e che è appunto quella dell' alcoole miricilico.
Se non che ci si potrebbe objettare che in 100 p. di alcoole
cerilico (C27 H66 0), derivante dal cerotinato di cerilo per iden-
tico trattamento, contenendosi 81, 81 p. di carbonio e 14, 15 p.
di idrogeno, potrebbe trattarsi invece di codesto corpo, tanto
più che esso costituisce una delle caratteristiche della cera ve-
getale di Carnauba che, come ognun sa, si estrae dalle foglie
della palma carnauba 0 Copernicia Cerifera M. del Brasile e di
altra impropriamente detta vegetale, che proviene dalla China
(») Annal. Chem. u, Pharm 67-108.
^70 Q. A. ÈABBAGUA — CONTKIBUZIOKE ALLO SlUDIO EC.
ed è prodotta da un iuaetto il Coccus Ceriferus; ma T objezione
cade da sé quando si pensa che questo alcoole si fonde a 79.^ C.
Cosi pure cadono di subito anche le altre possibili objezioni,
che il corpo analizzato possa essere invece cerotinato di cerilo^
(òiHiodOi) principio immediato caratteristico della stessa cera
vegetale che fonde a 82.^ C. o palmitato di miricilo (Cis H92 O2)
principio immediato caratteristico della cera delle nostre api
che fonde a 84,^ 5 quantunque si contengano in 1 00 p. del primo
corpo 82, 24 p. di carbonio e 13, 71 p. d'idrogeno, ed in 100 p.
del secondo 81, 66 di carbonio e 13, 61 di idrogeno, perchè en-
trambi due eteri composti sono saponificabili e pressoché inso-
lubili nello spirito di vino così a caldo come a freddo. Ozioso
parveci adunque di andare in cerca dell' acido palmitico, poten-
dosi già fin d'ora, in appoggio e ai caratteri fisico-chimici ed
ai risultati dell' analisi, con fondamento ritenere che non possa
trattarsi d' altro che di alcoole miricilico. E ciò anche prendendo
in seria considerazione gli importanti risultati analitici pubbli-
cati non è molto dallo Stftrcke sulla cera di Carnaùba {}). Ci
piace per ultimo di rendere noti codesti risultati anche per
coloro i quali ancora credono di potere stabilire im diagnostico
differenziale fra la cera vegetale e la cera animale, basandolo
unicamente sulla composizione chimica.
(») Liebig V AnnaUn, B. 2>3.
Pisa, novembre 1886.
Dallo Stabilimeuto di chimica medi'^a^ farmaceutica e
tossicologica della R. Università.
G-. G-RA.TTì^ROIjA.
FORMA CRISTALLINA E CARATTERI OTTICI
DELLA
ASPARAGINA DESTROGIRA DI PIUTTI
n II /xrii ì /CO NH2
C2H3(NH2)^(.Q0jj
H Prof. Dr. Arnaldo Piutfci mi ha favorito un notevole numero
di bei cristalli di asparagina dolce, la cui soluzione acquosa
egli aveva ricoflosciuto dotata del potere rotatorio destrogiro
per la luce polarizzata. Egli aveva nello stesso tempo osservato
che le faccette emiedriche indicate da Pasteur sui cristalli di
asparagina a soluzione levogira, senza sapore dolce, come colle-
gate, per la loro posizione sul cristallo, col verso della rotatività,
erano ne' suoi cristalli in posizione alternata con quella indicata
da Pasteur per quelli da lui studiati, e quindi in correlazione
col potere rotatorio proprio dei nuovi cristalli. H Prof. Piatti
ha creduto, con ragione, che valesse la pena di uno studio
accurato del nuovo materiale da lui ottenuto e ben volentieri
me ne sono occupato non essendo frequente trovarne una serie
così bella e numerosa.
Si possono leggere le comunicazioni del Prof. Piutti nelle
seguenti pubblicazioni: Orosi,JX, p. 198, — Gazz. Chini. Ital.
XVI, 275. — Compi. Rend. Cm, 1341 — Berichte d. d. Chem.
Gesell. XIX, 1991.
La bibliografia che io ho potuto consultare sulla fisica cristal-
lografica di questa sostanza si riduce alla memoria del Pasteur
negli Annales de Chimie et de Physique anno 1851, pag. 70; alla
notizia inserita da Rammelsberg nella sua ^ Krystallographisch"
Physikalischen Chemie „ 2.* ediz. p. 187; e alla memoria di Paul
Groth nei " Poggendoìf Ammlen „ 1868, p. 651, e alla breve notizia
data pure da Groth nella ** Physikalische Krystallographie „ 2.* ediz.
St. Nat. VoL ym, fase. 2.* 20
272 G. GRATTAROLA
p. 469. — Le memorie citate dal Kammelsberg, cioè di v. Lang,
nelle '^ SUzungsherichte des Wien. etc. XXX, 116; di Schrauf,
ibid.j XLII, 140; dì Des Cloizeaux ** Nouvelles Recherches sur les
praprietés opttqties etc. „ , Paris 1867, p. 37; di Kopp, " Einleit in d.
Krystallog, „ 1, Auf., p. 312; di Bamhardi, " Ann. Phannacie „
12, 58, non potei consultarie nelle pubblicazioni originali, e mi
dovetti limitare a quanto ne riportano gli scritti consultati.
Dell' esistenza di un tetraedro positivo su cristalli di aspa-
ragina, Pasteur prevede (loco citato) la possibilità (^) ; e Ram-
melsberg ( loco citato ) dice che V ottaedro o comparisce come
tetraedro destro oppure sinistro. Anzi la figura da lui inserita
nel trattato è precisamente di un cristallo colla modificazione
di destra. Non avendo a disposizione tutta la bibliografia, non
saprei dire se questa affr» inazione Rammelsberg deduca da sue
proprie o da altrui osservazioni ; e resta quindi intera la con-
venienza di uno studio apposito.
I cristalli che ho a disposizione possono essere riferiti al
sistema trimetrico (rombico), poiché le deviazioni stanno dentro
ai limiti generalmente consentiti. Per calcolare le costanti, imi-
formandomi air orientazione del Miller per la levoasparagina,
ritenni il prisma verticale come primario; il brachidoma più
esteso come 021, e la forma emiedrica negativa come x 111.
Le facce non sono perfettamente piane e danno immagini mul-
tiple, a cui per la limpidezza estrema dei cristalli si aggiungono
immagini provenienti da rifrazione e da riflessione intema, le
quali ultime però si possono facilmente riconoscere e scartare.
Coir esplorazione microscopica delle facce si può giudicare della
condizione di poliedricità, delle facce e stabilire quale, fra le
immagini presenti nel campo visivo del cannocchiale, convenga
scegliere, preferendo naturalmente la più limpida e proveniente
dalla porzione di faccia più estesa. La distanza angolare fra
le immagini estreme di una stessa faccia varia notevolmente.
Nella più parte dei casi non sorpassa P; ma talvolta arriva
fino quasi a 4*. — Delle 4 facce del prisma 110, tre erano di-
scretamente in zona, la quarta ne deviava leggermente, però
fatta la lettura del suo angolo colle contigue, dopo aver impo-
(}) Il ne serait pas impossible qn* on decoovrit un jour une substance qui aurait
la forme cristalline symétrique de la forme de Tasparagine actueliement connue; il
y aurait, entre les deus éspecès d' asparagi ne, la méme relation qu* eatre les deux
acidcs tartriques, droit et gauche.
FORMA CniSTALLINA E CARATTERI OniCI ECC. 273
stato il relativo spigolo, si ebbe bensì una certa differenza da
quella fatta coli' impostazione dell'asse intemo ideale della zona,
ma non tale da sorpassare i limiti anzidetti. L' angolo (delle
normali) dello spigolo ottuso di 1 10, media delle medie delle ripe-
tute letture sugli spigoli omologhi dello stesso cristallo, e su tre
cristalli, è di 50*. 47'. 7 '. L' angolo dello spigolo acuto (media
analoga) è 129^ 23'. 17". Gli estremi più lontani da queste
medie sono rispettivamente: 50^ 27'-50^56'. V2,el29«.2 -129^ 32'.
(La non corrispondenza della somma 50^ 47'. 7 -f 129. 23'
17" con 180*, dipende, come è chiaro, dall'incertezza e dalla
variabilità dell' impostazione ).
Groth otteneva un angolo dil29^ 17'. 5" — 129^ 24'; Miller
129^ 18; Pasteur 129\ 37 e Uammelsberg 129^ 40.
Tenuto però conto della poliedricità delle facce e dell' in-
decisione delle letture non v' è alcun motivo di mutare il va-
lore fondamentale scelto da Miller per il calcolo dei parametri
e questo valore si riterrà dunque anche qui di 129*. 18'.
Per r inclinazione di o sulla faccia contigua del prisma si
ottenne (solita media delle medie per 3 cristalli) 25"*. 49 . Per
quest'angolo su cristalli sinistrorsi ottennero: Miller 27*. 13';
Rammelsberg 27* (calcolato); Barnhardi 27*. 49' (misurato). Per
cui la differenza fra il valore dato da Miller e quello ora ot-
tenuto è di 1*. 24 ; che pure è lecito attribuire alla solita mol-
teplicità delle immagini, quantunque per due cristalli le letture
fatte sieno molto attendibili.
n brachidoma 021 ha dato colla solita media il valore:
per l'angolo ottuso (sopra il macroasse) 62*. 2'; di fronte ai
valori 61*. 58 di Miller; 62*. 42 di Rammelsberg; 63*. 10' di
Barnhardi. Per le dette ragioni si può dunque assegnare a questa
forma il simbolo già ammesso 021. Si possono quindi tenere
anche per la presente destroaspara^na i rapporti parametrali
(assiali) a : b : e = 0,4737 : 1 : 0,8327.
Le facce sin qui osservate per la levoasparagina sono:
Il brachipinacoìde Oli e la base 001; il prisma 110, il bra-
chidoma primario Oli e il brachidoma 021 e lo sfenoidexlH.
Le combinazioni descritte sono Oli, HO, 021, %111, (Groth,
Physik. Krystallog. H Ediz. p. 469 ); e poi quelle di tutte le facce
trovate (Rammelsberg, loco citato p. 187).
Fig.a
274 0. GRATTAROLA
Lo studio dei nuovi cristalli di destroasparagina ha fatto
conoscere oltre alle forme già citate, il
3.** pinacoide (macropinacoide) 100, al-
tri due brachidomi e il macrodoma 101.
La faccia 100, trovata sopra un solo
cristallo, fa colle contigue di 1 1 0, un
angolo variabile da 25^ 24'. 30* , a 25%
^•«•1 11 30''(fig.l).
La posizione della faccia 01 1 (brachidoma primario) (fìg. 2 e 3)
resulta dall'angolo Oli A 021 che varia da 18^ 24^ 2 a 19^ 38'
con una media di 18^ 27 . 7"; mentre
Miller darebbe 19M4'e Rammelsberg
19^ 40'.
Le immagini su questa faccia Oli
sono sempre assai confiise e per alcune
di esse facce è stato conveniente fare
la lettura adoperando il canocchiale
come microscopio e leggendo sul mas-
simo d'intensità, di illuminazione.
Altro brachidoma 065 (fig. 3). La sua posizione è determi-
nata dalla distanza angolare da 021 di 15^ 20' V2 — 14^ 51' ^'2
(trovato su un solo cristallo), con me-
dia di 15^ 6 ; dal calcolo si avrebbe
un angolo di 14^ 0'. 34".
L' altro brachidoma 095 (fig. 3) fa
un angolo di 3**. 6' con 021; dal calcolo
si ricava come simbolo approssima-
tivo 095; cui veramente corrisponde
un angolo di 2**. 42 . 39" con una diffe-
renza di 0^ 13' V3.
' La faccetta indicata come 101 (fig. 2)
si trova sulla zona (001 : 100) e fa con 001 un angolo (media
di 6 letture) di 60^ 30'. 10". Si trova pure sulla zona 110 : Oll;
e quindi deve appartenere al macrodoma primario 101. H calcolo
darebbe per l'angolo 101 : 001 un valore di 60^ 21'. 56"; e quindi
si ha coir angolo trovato, tenuto conto della imperfezione delle
facce, una grande corrispondenza.
Vario è 1' abito dei cristalli. Alcuni, e sono la maggior parte
Pig.8
\
Fig4.
FORMA CRISTALLINA E CARATTERI On'lCI ECC. 275
hanno assai sviluppajba una faccia della base,- la quale però e
formata da una tramoggia, o imbuto a gradinate, esagona
(v. fig. 4), e rappresenta la ]faccia
su cui il cristallo poggiava sul fondo
dei vaso; la base opposta, più stretta
e irregolare. Le quattro facce di 021
sono estese nel senso del brachiasse;
le due superiori, cioè quelle conti-
gue alla tramoggia, sono più strette;
le altre due molto più larghe; co-
sicché in complesso il cristallo prende la forma di un' urna
(fig. 5). Delle 4 facce dello sfenoide, le due superiori sono pic-
cole, e talvolta rappresentate da una
sottile riga lucente, e talvolta anche
non sono percettibili affatto ; le altre
due, inferiori, contigue alla base non
tramoggi ata, sono molto più estese
e talvolta sono addirittura preponde-
ranti. Il prisma 110 segue natural-
mente le vicende dello sfenoide. Le fac-
ce degli altri brachidomi sono sovente
invisibili e solo di rado si presentano
con estensione sufficiente per la misurazione goniometrica.
Quasi tutti gli altri cristalli hanno V abito rappresentato
dalla fig. 6. Preponderano le facce delle due forme 110, 021, e
sono piccolissime, e talvolta invisi-
bili tutte o parte delle facce delle
altre forme. In questo caso la faccia
tramoggiata è una delle facce del
prisma 110 o del brachidoma 02 1 . E qui
adunque la disposizione del primo
nucleo cristallino sul fondo o sulle
pareti del vaso che ha determinato
l'abito definitivo del cristallo.
E difficile il dividere in combi-
nazioni i cristalli, stante la grande
variabilità, della estensione delle facce,
le quali talvolta impiccoliscono tal-
mente da rendersi impercettibili, o
Fig. a
Fig. 5
percettibili soltanto e dubbiosamente, a forti iiigraiifli menti. Cosi
dal brachidoma Oli non compariscono spesso che due sole facce;
e così dello sfenoide x 111; e del pìnacoide 010 una sola taccia
fe percettibile, benché il cristallo sia imito da tutte le parti.
N'on saprei decidere se si tratti qui di un caso di emunorfia.
Rari i cristalli multipli; più rari e dubbii i geminati, e solo
io un caso un geminato ben netto. Esso è rappresentato nella
fìg. 4 ed è la geminazione di an cri-
stallo di destroasparagina (il supe-
riore) con uno di levoasparagiua
0' interiore) in posizione parallela,
ed è cioè un geminato di coinple-
•* ■• mento.
La correlazione zonale apparisce
dalla fig. 7 che è la proiezione ste-
reografica di tutte le torme osser-
vat-e nella destroasparagina.
r,g. 7 Caratteri ottic! — La conveniente
inclinazione delle facce del prisma
110 e del brachidoma 021 penuettono la determinazione del-
l' indice di rifrazione senza ricorrere a facce artificialmente pro-
curate; solo per ottenere maggiore nitidezza si sono ricoperte
le faccie con vetricini coprioggetti tenuti aderenti con olio.
Pel prisma 110 l'angolo del prisma resulta 51*. 19. 30'; e
r angolo di minima deviazione riuscì nel ra^io giallo del sodio
(Riga D)
*i = 34». 57'. 10'
Ì2 = ZT'. 36'. 10"
d'onde: indice? = 1,4800
, 7 = 1,6175
Pel brachidoma 021 (adoprato come il prisma 110) si ebbe:
per spigolo del prisma 63". 8',
e per le due deviazioni $' = 4ó°. 17'. 30''
r = 53'. 9'. 20"
da cui:
« = I, 5496
y = 1, 6225
FORMA CRISTALLINA E CARATTERI OmCI ECC. 277
e quindi prendendo la madia dei due y\
« = 1, 5496 \
/^ = 1 , 5S00 I per la luce dei sodio
y= 1, G200 )
cui fanno riscontro i corrispondenti valori ottenuti per la levo-
asparagina da varii esperimentatori (loc. cit.)
pel rosso:
pel giallo:
pel verde:
pel blu:
y = 1, 616;
^= 1,577;
« = 1, 546;
y = 1,619;
jS = 1, 581;
a = 1, 549;
7 = 1, 6238; 1, 6296
/5= 1, 5845; 1,6342
« = 1,5513; 1, 5516
y = 1, 6372; 1, 6384
^ = 1, 5943
1,6139
1, 5752
1, 5438
1,6190
1, 5800
1, 5476
1,6176; 1,6194
1, 5778
1, 5458
1,6251; 1,6277
1, 5829
1, 5489
1, 6342
a = 1, 5542
È abbastanza facile approfittando delle facce del pinacoide 001
ottenere una lamina per osservare le figure di interferenza.
Neir aria non si hanno le emergenze degli assi, essendo
troppo grande X angolo assiale.
Neir olio non si possono osservare contemporaneamente tedi
emergenze, essendo insufficiente T ampiezza del campo visivo
dell' apparecchio polarizzante adoprato. (ET apparecchio pola-
rizzante NOrremberg, a due nicols, facente parte dell' " Uni-
versalapparat ^ di Groth.) Si vedono però quando si disponga
lo strumento per la misurazione dell' angolo degli assi ottici.
Così si prova che anche per la destroasparagina il piano degli
assi ottici è parallelo a 010, e la 1.* mediana è l'asse delle
z (verticale).
Le curve delle lemniscate sono molto fitte a causa della
forte birifrazione della sostanza ; però si può vedere abbastanza
distintamente l'orlatura delle iperboli, rossa dalla parte estema,
e azzurra nella parte intema, d' onde p < '^>.
Impostando dapprima suU' estrema zona azzurra, e ritenendo
r angolo trovato come quello corrispondente al raggio rosso si
ebbe:
2 il. = 94^ 54'.
278 G. GBITTAROLA
Impostando successivamente sul rosso estremo e ritenendo
r angolo letto come quello corrispondente all' azzurro estremo,
si ebbe:
2 H. = 95^ 18'
e per angolo di un colore intermedio il valore OS"*. 6'.
Più difficile è procurarsi una lamina perpendicolare alla 2.'
mediana, cioè parallela al piano 1 00 allo scopo di misurare 2 IL .
La strettezza dei cristalli, la loro fragilità, la loro solubilità,
nelV acqua, la loro decomponibilità ad un calore un po' forte,
sono le difficoltà che bisogna vincere per avere una lamina
abbastanza sottile e lustra dalle due facce. Quella che ho po-
tuto ottenere lascia poco chiaramente scorgere la colorazione
sugli orli delle iperboli; per cui la misurazione fu fatta, cen-
trando successivamente la parte mediana della stretta zona
che costituisce V apice delle iperboli. Il valore ottenuto fu :
2 Ho = 102*. 9'.
Deducendo dai valori di IL e H. colla nota formula:
, ^ sen H.
tang V = ^
° sen H.
il valore dell' angolo vero degli assi ottici ( 2 V ) si ottiene
(per un raggio medio)
2 V = 86^ 58'. 56'
I valori dati dai varii autori per cristalli di levoasparagina
sono: pel rosso 86^ 8 ; e 86^ 30'. 5"; pel giallo 86^ 28' e 8&\
40'; pel blu 86^ 42' e 86^ 36. b\
Deducendo il valore di V dalla formula:
cos V =
0^2 ^2
tenendo per «, /3, y i valori da me trovati, cioè, 1,5496; 1,5800;
1,6200, si trova:
2 V = 82^ 23';
FORMA OUSTALUKA B CAKAtTS&I OTTICI BOC. 279
che differisce di 8*. V^ circa dal valore ottenuto colla for-
mula:
. ^ sen H.
Ben Ho
questo deriva probabilmente dal valore non esattissimo di
^f^tf poiché si sa che bastano anche leggiere variazioni in
questi valori per indurre notevoli diflferenze nel valore di V.
Lo stesso calcolo ha dato coi valori «x, jS, y trovati da altri
per la levoasparagina i valori :
pel rosso: 85^ 20 ; 85^ 5'; 85^ 55 (Riga B)
pel giallo: 86^ 58; 86^ 15\ 5; 86^ 38' (Riga D)
pel verde: 87^ 8' (Riga E)
pel blu: 89^ 51'.
8$. Kai. VoL Vm, fkso. 2.* il
a. A.RCA.Na-E:Xii
SULLA FIORITURA DELL'EURYALB
FEROX SAL.
Gli Autori, che sino ad ora si sono occupati deir Euryale
ferox Sai,, non trovansi d' accordo relativamente alle partico-
larità, della sua fioritura, come può agevolmente rilevare da
quanto è registrato nelle loro opere.
Le prime osservazioni sulla fioritura dell' Euryale, per quanto
è a mia notizia, sono quelle riportate dal Salisbury (^), il quale
riferisce che un giardiniere addetto all' ambasciata brittannica
in China asseriva la fioritura avvenire sotto acqua. ** Florescentia,
„ egli dice, secundum hortulanum, qui nostram legationem in
„ Chinam comitatus est, sub aqua peragitur, quod vix credam » .
L' Andrew pure non si mostra troppo disposto ad accettare
che r Euryale fiorisca sotto acqua. Però, dopo avere asserito
averla egli stesso veduta fiorita fuor d' acqua, riporta essergli
stato riferito aver essa fiorito sott'acqua ** The story, egli dice,
„ of the Anneslea 's (1' Euryale) fiowering under water, may bave
„ probably arisen from the very short time the blossom re-
„ main above; as like those of the Nymphaea, they only rise
„ to expand, and again gradually sink to ripe their seeds etc. „:
e più in basso ** That it certenly flowers above water, we can
„ assert from our own observation, but we are informed at
(1) Salisbury — Deseription of naturai order of Nymphaeaceoé^ in Konig
and Sima Ann. bot 2, p. 73-74.
282 G. ABCANGELl
j, White Knights ( where drawing was taken last september )
» that it had flowerd there below: which might bave been
„ owing to its artificial treatement ( we bave seen tbe Nym-
„ pbaea rubra flowering at the very bottoni of the water, in the
j, same aquarium) and cannot be its naturai state, unless we can
j, bring ourselves to believe that nature bave endowed it with the
„ power of propagating itself in both elements „. Nella tavola
eh' è unita a questa descrizione sono rappresentate due foglie
ed alcuni fiori, uno sbocciato a fior d' acqua ed altro sezionato
longitudinalmente. Veramente le figure di questa tavola mo-
strano qualche leggera differenza dai caratteri della pianta che
si coltiva iu Europa, ciò che potrebbe far credere trattarsi di
una varietà, od anche di una specie diversa, tanto più che
l'Autore, dopo aver riferito che il nome di Anmslea le fu dato
da Roxburgh in onore del cav. Giorgio Annesley, che scuoprì
la pianta nel fiume Gagra in Onde e presso Cittagong nel-
r India, aggiunge che il frutto distingue ad esuberanza questo
genere ddlV Euryale di Salisbury: però gli autori tutti concor-
dano nel ritenere che la pianta di Andrew sia nient' altro
che VE. ferox Sai,
Nel Botanical Magazhie (^) non sono dati ragguagli impor-
tanti relativamente alla fioritura dell' jEwrya/^; però, nelle tavole
annesse alla descrizione della pianta, è rappresentato un fiore
sbocciato. Lo stesso pure è da dirsi per la Flore des serres et
Jardin de Paris, ove ritrovasi riprodotta la medesima tavola.
Il Roxburgh (^) nella sua celebre opera Plants of the coast of
Coromandel, parlando dei fiori dell' Euryale e dei peduncoli che
li sostengono, così si esprime ^ if the water is shallow,
„ they are generally so long as to elevate the flower above its
„ surface; but if deep, they blossom under water „. Relativa-
mente al fruttOj egli dice essere esso della grandezza di un uovo
d' oca, irregolarmente ovato, con divisioni inteme oscure ed
irregolari, e con circa venti semi rotondi della grossezza di una
piccola ciliegia. Alla descrizione fa corredo una tavola, nella
quale sono rappresentate due foglie, un fiore sbocciato, insieme
alle sue sezioni verticale e trasversale, come pure le sezioni
0) Curtis W. — Botanical Magazine 35 (1812), tav. 1447.
(«) Roxburgh W. — PlanU of the coast of Coromandel. LoadoQ 1819. v. UI,
p. 39, Uv. 244.
>
SULLA FIORITUKà DEIX^EUBTALE 283
del frutto, ed il seme coperto del suo arillo, nonché spogliato
e sezionato. E però da notare che, nella figura del fiore aperto,
i sepali sono poco discosti ed ascendenti, ed i petali conniventi:
solo nella sezione le parti del perianzio sono rappresentate più
divaricate.
H prof. Planchon (^) ha pure trattato dell' EurycUe ferox
nella Flore des serres e nel suo lavoro sulle Ninfeacee. Nella
diagnosi eh' egli ne dà, riferendosi ai fiori, così si esprime : *^ per
„ dies duas aperti, nocte intermedia clausì, nunc rarius, fide
„ Roxb., sub aquis altis nuptias foecundas clandestine peragentes,
„ fructibus semper sub unda post anthesim maturatis „ . Estema
poi in una nota il sospetto che, sotto lo stesso nome di Euryaie
ferox, si sieno confuse due specie differenti, una delle quali de-
scritta da Salisbury sugli esemplari dell'erbario di Banks sa-
rebbe nativa della China, e fornita di frutti della grossezza di
un ananasso, con 80 a 100 semi, l'altra nativa della India e
descritta da Roxburgh, con finitto della grossezza di un uovo
di dindo, contenente da 10 a 20 semi. Aggiunge inoltre che
nélVEuryak la fioritura dura due giorni, comprendendo due
sbocciamenti successivi, separati da un periodo di chiusura:
giacché il fiore, apertosi due ore avanti giorno, si richiude verso
mezzodì, e dopo esser rimasto chiuso fino al mattino seguente,
si riapre avanti giorno, per richiudersi poi una seconda ed
ultima volta come da prima. " Rarement, continua l'Autore,
„ V expansion des fleurs de l' Euryaie s' opere au degré voulu
„ sans que un peu d'artifice vienne seconder les efforts de la
„ nature. Il s' agit de dégager avec les doigts les pointes des
„ pièces calycinales forcément liées entre elles par le pli con-
„ traete dans le bouton. Cette adhérence rompue, tout le rest
„ suit de lui mème, le corolle apparait avec ses belles nuances
„ violettes, mais elle n' arrive jamais a 1' état d' expansion ho-
„ rizontale, loin de se réfléchir, comme fait au second soir celle
„ de la Victoria regia » . Nella tavola unita a questo lavoro,
oltre gli organi di vegetazione, sono pure rappresentati un
fiore in boccio, im fiore completamente aperto, un frutto ed
un seme. Conviene pure avvertire che, secondo i sigg. Hooker
(>) Planchon J. E. « Euryaie ferox (indica) ^ in Fiore des serres ete. VIH,
1852, p. 79-84 ed Ann. d«8 Se. Nat 3.< Mr. XIX p. 28 e 29.
284 G. ABCANGEU
e Thomson, il sospetto del PlanchoD, che cioè la pianta descritta
da Salisbur y sia specificamente differente da quella di Boxburgh,
non è suflBcientemente giustificato : poiché è per un errore che
fu assegnato al suo frutto un numero di semi da 80 a 100,
mentre in realtà non sono più di 8-10, com' essi hanno potuto
riscontrare nei saggi dai quali fu tolta la descrizione. Però,
nella diagnosi data dai signori Hooker e Thomson (^), è citato
un carattere che non e riportato ne dal Salisbury ne dal Ro-
xburgh, r odore cioè dei fiori, essendoché in quella diagnosi si
legge ....*' floribt^s purptireo-violaceis suaveolentibus „.
Il prof. Caspary (^) trattò pure della fioritura délVEuryale nel
suo lavoro sulle Ninfeacee, inserito negli annali del Museo di
Leida. Nella descrizione che dà déìV Euryale egli così si esprime:
. . . . '^ Flores, prò stirpis mole, parvi, petalis purpureo-violaceis,
„ luce solis Clara haud aperti, plerumque ne supra aquam qui-
„ dem emergentes, luce solis esclusa (v. g. nubibus) supra aquam
„ emersi, et per tres dies a 9 h. a. m., ad 6 h. p. m., fere aperti „ ,
ammettendo quindi con ciò che, quantunque i fiori di questa
pianta per lo più non emergano al di fiiori dell' acqua, in al-
cuni casi, allorché cioè sia tolta la luce diretta del sole, come
quando il ciclo è nuvoloso, possano emergere e per tre giorni
consecutivi mostrarsi, dalle nove del mattino alle 6 pomeridiane,
quasi aperti: se pure quel fere non va riferito al tempo dello
sbocciamento, ciò che ci sembra poco verosimile. Sembrerebbe
poi da questa descrizione che V oscurità della notte non avesse
attitudine a promuovere lo sbocciamento.
Due anni dopo alla pubblicazione del lavoro di Caspary, il
sig. Ypert, in im articolo sulla cultura della Victoria regiu(^)y
pubblicato nella Revt^ Horticoley senza far parola delle osserva-
zioni di Caspary, dopo aver riferito che i fiori della Victorin si
aprono verso le 5 o 6 ore di sera, per chiudersi alle 8 od alle 9
del mattino, dice che quelli dell' Euryale, al contrario, si aprono
di giorno, nel momento in cui la temperatura è più elevata.
Neir interessante pubblicazione del prof. Baillon (^) sulle Nin-
feacee, r Autore non ammette differenze di notevole importanza
(«) Hooker fil. et Jhomson — Flora indica 1855, p. 244.
(•) Caspary — Nymphaeaceae in Ann. Mus. Lug. - Bat. Voi. Il, :253 1866.
(') Ypert - Cultura della Victoria, in Revue Horticole 1868, p. 75-76.
(^) Baillon H. — Moaofjraphie des Nymphaeacées. Paris 1871, p. 103
SULLA FIORITURA DELL^ EURTALE 285
fra il contegno della Victoria e dell' Euryale nella fioritura.
Egli dice infatti, riferendosi ad ambedue le specie : ^ Les fleurs
» sons solitaires, longement pédonculés : elles viennent s' épan-
;, ouir au-dessus de V eau, et sont d' un blanc plus ou moin rosé
„ dans r espèce américaine, et d' un pourpre violacé dans la
» piante asiatique »; onde egli ammette senz' altro che i fiori
dell' Euryale sboccino al di fuori dell' acqua, come quelli della
VictoHa.
Il prof. Delpino nei suoi lavori sulla dicogamia {}) cita pure
r Euryale. Egli ne fa menzione, insieme alla Victoria, fra le piante
a fiori straordinariamente grandi. La cita poi dopo aver trat-
tato dei fiori della Victoria, regia, eh' egli considera come ap-
parecchi zoidiofili a ricovero e di tipo magnoliaceo, dicendo
come egli ritiene quelli dell' Euryale della stessa natura. *Ag-
giunge pure come i fiori di questa pianta sono fragrantissimi.
Quindi, siccome egli ritiene la Victoria quale regina delle piante
cantarofile, di quelle cioè i cui fiori sono apparecchi designati a
Cetonie, Trichii, Glafiri, Donacie etc, l' Euryale, secondo il suo
parere, va pure ascritta allo stesso gruppo.
Dell' Euryale ferox trovasi pure fatta menzione nella pre-
gevolissima opera di C. Darwin: Tìie effects of Cross-and Self-fer-
tilisation. L' Autore include la specie nell' elenco delle piante
che protette dagl' insetti sono, o completamente fertili, o for-
niscono più della metà, del numero dei semi, che producono
allorché 1' appulso non è vietato. Egli riporta come il prof.
Caspary gli abbia comunicato, essere questa pianta in alto grado
autogama, quando gì' insetti ne sieno esclusi ; produrre essa un
solo fiore alla volta, ed essendo la specie annuale, essersi do-
vuta fecondare da se stessa nelle ultime cinquantasei genera-
zioni. Aggiunge che il prof. Hooker lo assicura che, a sua co-
noscenza, questa specie è stata ripetutamente introdotta, e che
a Kew la stessa pianta, tanto d' Euryale che di Victoria, pro-
duce più fiori nello stesso tempo. Quindi anche il Darwin ri-
tiene che i fiori della nostra pianta sboccino nell' aria.
Più recentemente ancora del lavoro del Darwin e comparsa
nella Revue horticole una lettera di M. Ermens, direttore delle
culture di Sua Altezza il Manarajah del Kashmyr e Jummao,
(*) Delpino F. — Ulteriori osservazioni e considerazioni stilla dicogamia etc.
Milano 1875, p. 236.
286 Q^àMCàmmu
neUd quale si annniìiia V ìnTio dei semi di nna ninfea, che egli
ritieoe per una nnovìtà capace di gareggiare con la Vietaria,
ma che fiorisce e fruttifica sott'acqua. Lo scriTente così si
esprìme; ' Cette piante flearit et fructifie soos V eao, sa flear
9 n' est jamai apparente et reste, je crois, presqae a Y état de
9 bonton (est-ce poor assorer la fécondation I). Les sepaies da
« calice offirent une grande résistence et semblent soadés les
y nns aux antres, poor empécher Y introdnction de Y ean à iSn
9 de &yorÌ8er le fructificatìon . . . . „ Da tutto ciò adunqae si è
concluso O che la pianta in questione era nient' altro che Y Eu-
ryale ferax, la quale è stata perciò ritenuta come fornita di
fiori dimorfi, alcuni cioè capaci di sbocdare nell' aria, ed altri
permanenti costantemente sotto acqua, ma pur tuttavia fecondi.
n prof. Van Tieghem, nel suo trattato di Botanica, non am-
mette che i fiori sommersi dell' Euryale sieno da ritenersi come
▼eri fiori cleistogamici: ed in&tti a pag. 437 di quel trattato
cosi si esprime: '^ Dans certaines plantes aquatiques ( Ranun-
„ culìis aquatiliSy Alisma natans, Menyanthes, Euryale etc.), toutes
„ les fleurs situées dans Tair s'ouvrent comme ò, Tordinaire;
^ mais celles qui se trouvent submergées demeurent closes,
9 sans doute pour prot^er leur parties intemes contre le
9 conctat de Teau. Ce ne sont pas là des vrais fleurs cléisto-
„ games. De méme, chez certaines plantes, les fleurs qui sont
9 ou trop précoces, ou trop tardives, s' épanouissent mal ou
„ demeurent closes, sans pour cela revètir l'ensemble des ca-
9 ractères des vrais fleurs cléistogames „.
Il Prof. Duchartre non segue l'opinione del Van Tieghem,
ma ritiene invece che V Euryale sia realmente una pianta a
fiori dimorfi; giacché a pag. 730 del suo trattato di Botanica
si legge: *^ Une grande Nymphéacée de l'Inde, qui est à peu
yf près Y Euryale feroXy possedè ò, la fois des fleurs submei^ées
y, qui ne s^ouvrent pas et des fleurs aériennes qui s^ouvrent.
y, Les premières qui ne peuvent se féconder qu' elles-mèmes
y, donneut des fruits comme les demières „ .
L^ esposizione fatta fin qui in sé riassume tutto quanto al
presente si conosce sulla fioritura della nostra pianta. Vediamo
adesso quali sono le osservazioni inedite e più recenti che ho
Q) Gardeners 'Cronicle ISSO, p. 7 il.
SULLA FIOBITITIU DELL^EUBTALE 287
potuto raccogliere, e quali sono quelle che io stesso ho potuto
fare sopra questo argomento.
Nel Giardino botanico di Roma V Euryale fu coltivata varie
volte. Nel 1870 e nello anno attuale, secondo quanto mi vien
riferito dal prof. Pirotta, i fiori resultarono tutti cleistogamici.
Nelle collezioni di quell'Istituto esiste però un fiore colto nel 1878,
che presenta i suoi sepali alquanto discosti o divaricati in alto,
tanto da poter dire il fiore semiaperto.
Secondo quanto mi riferisce il sig. G. Bucce, Giardiniere
Capo nel R. Giardino botanico di Genova, V Euryale è stata
coltivata per più anni in quell'Istituto. Egli mi asserisce poi
che, tra il luglio e l'agosto sotto il clima di Genova all'aria
aperta, ha veduto sempre svilupparsi dei bottoni sopra l' acqua,
ma non gli è mai riuscito di sorprenderli aperti, quantunque
trovasse immancabilmente maturi i semi nel fondo dell' acqua.
Le prime culture dell' Euryale in Firenze rimontano a parecchi
anni fa. Infatti il sig. L. Ajuti, addetto a quello Istituto in qualità
di Giardiniere botanico, mi asserisce che in detto giardino la
nostra pianta fii coltivata negli anni 1855-60-69-78, da semi rice-
vuti dai giardini di Amsterdam, di Monaco e di Carlsrhue, che se
ne conservano foglie e fiori nelle collezioni, eh' è sicuro che i fiori
possono sorgere un poco al di sopra dell' acqua e mostrarsi coi
sepali un po' discosti in alto e come socchiusi, e elio la pianta
ha fruttificato più e più volte copiosamente producendo semi
fecondi. Io stesso potei più volte osservare la pianta che fu
coltivata nel 1878, allorquando io pure aveva 1' onore di ap-
partenere a queir Istituto, e ben mi ricordo che non mi riuscì
mai di vedere fiori sbocciati al di fuori dell' acqua. A quel-
r epoca però non potei istituire delle ricerche accurate, perchè
distratto da altre occupazioni: ma il sospetto che in questa
pianta si verificasse qualche fatto singolare, tenne in me vivo
il desiderio di coltivarla e studiarla, allorquando mi fossi tro-
vato in condizioni migliori.
In seguito alle domande di semi d' Euryale rivolte a varii
istituti botanici, solo in questo anno finalmente ho potuto ef-
fettuare con buon' esito la cultura di questa bellissima pianta,
e ciò mediante semi ottenuti dal Giardino botanico di Strasburgo.
Questi semi furono posti a germogliare in una vaschetta con-
venientemente riscaldata, in una delle nostre serre calde. Di essi,
288 G. ABCANOEU
in numero di due, uno solo germogliò, circa quindici giorni dopo
la seminagione, e si sviluppò in una pianticella assai robusta
che aveva le sue prime foglie molto somiglianti a quelle delle
comuni ninfee, ma però notevolmente più piccole. Allorquando
la pianta ebbe raggiunto un conveniente grado di sviluppo, e
la stagione lo permise, ciò che fu ai primi di maggio, venne
trapiantata in una delle vaschette del nostro aquario, all'aria
aperta, in una località delle più calde del Giardino, perchè in-
vestita per buona parte del giorno dai raggi solari diretti, e
suflBcientemente riparata dai venti di settentrione.
In queste condizioni la nostra pianta vegetò vigorosamente
per buona parte della primavera e dell'estate, fino circa ai
primi di settembre, epoca in cui mostrava di aver già risentito
del raflfrescamento dovuto all' avvicinarsi dello autunno. Essa
produsse foglie mano mano più grandi, che giunsero ad avere
una lamina di circa 0",60 di diametro, con un picciolo lungo
più di un metro e del diametro di circa 1 5"". Essa incominciò
a fiorire sollecitamente, cioè verso i primi di giugno: ai fiori
che pei primi si produssero e eh' erano piccoletti, altri ne suc-
cessero mano mano più grandi, i quali tutti però si decompo-
nevano dopo qualche tempo senza fruttificare. Altri fiori con-
tinuarono a prodursi nei mesi di luglio, agosto e settembre
successivi : ma fu solo nel mese di agosto che comparvero frutti
fecondi. Tre di questi frutti si aprirono dagli -ultimi di agosto
ai primi di settembre, somministrando in tutto venti semi per-
fetti, cioè cinque il primo, sei il secondo e nove il terzo. Nel-
r ultima parte del mese di settembre si aprirono altri due frutti,
uno il 24 ed uno il 30. In quello che si aprì il 24 si contarono
quarantasette semi, dei quali diciannove erano perfettamente
sviluppati, e ventotto molto piccoli ed imperfetti. In quello che
si aprì il 30, 9 semi si mostrarono bene sviluppati e 37 molto
imperfetti. Altro frutto si apri la mattina del 1.* di ottobre,
e ne uscirono 52 semi a differenti gradi di sviluppo, ma tutti
molto imperfetti. Altro simile si aprì il 7 di ottobre, mettendo
in libertà molti semi, dei quali undici soli perfetti, ed altro pure
il 26, ma con semi tutti imperfetti. A questi frutti se ne deb-
bono aggiunger due, che furono colti per studio il 1 9 settembre,
i quali contenevano semi prossimi al completo sviluppo e per-
fetti, uno in numero di quattro, l' altro di sette. Siccome pertanto
SULLA. FIOBITURA DELL^ EURTALE 289
in seguito agli ultimi frutti apertisi nell'ottobre, altri non se
ne sono mostrati, e si può ritenere che con quelli sia compito
il ciclo riproduttivo, si può concludere che la nostra pianta ha
in tutto prodotto sessantanove semi perfetti, numero da rite-
nersi più che sufficiente per la conservazione della specie. Da
quanto poi siam venuti esponendo, resulta manifesta un intima
relazione fra il progresso della temperatura nell' estate e le
funzioni di fecondazione e maturazione ; essendo appunto sotto
r influenza della massima temperatura che si è sviluppato il
frutto col massimo numero di semi fecondi. Da ciò si può quindi
ragionevolmente concludere che, sebbene in alcuni dei frutti
ottenuti il numero dei semi sia prossimo a quello che la pianta
produce nelle condizioni normali, nei climi caldi dei paesi ove
questa pianta è spontanea, pure in seguito a fecondazione af-
fatto autogoma, si possano produrre dei frutti che contengano
un numero di semi maggi»»re del massimo ottenuto nel nostro
Giardino.
Devesi inoltre avvertire che, di tutti quanti i fiori che si
produssero fino ai primi di ottobre, nessuno si portò al di sopra
dell' acqua, quantunque la profondità di questa toccasse appena
i 0°*,30, e tutti rimasero immersi a distanza maggiore o minore
dalla superficie del liquido. Ciò posso recisamente asserire; poi-
ché la pianta fu continuamente sorvegliata, ed osservata. L' os-
servazione prolungata mi ha fatto pure conoscere come quei fiori
da primo prendevano una direzione ascendente prossima assai
alla verticale, sollevandosi un poco per V allungamento del pe-
duncolo: ma poi, via via che crescevano, il peduncolo loro s'in-
fletteva lateralmente, dopo avvenuta la fecondazione, fino a ri-
dursi prostrato sul fondo della vaschetta. Mentre poi si effet-
tuava la maturazione, la parte inferiore del fiore inturgidiva e
si piegava sul peduncolo ad angolo, per prendere una posizione
ascendente, in modo, cioè, che l' apice del calice fosse rivolto
alla superficie dell'acqua.
Esaminando dei fiori a differenti gradi di sviluppo circa alla
metà di settembre, ho potuto constatare che in un fiore della
lunghezza di 0",026, misurato dalla base dell' ovario all' apice
del calice, questo appariva con i suoi quattro pezzi strettamente
applicati a formare un astuccio conico chiuso, rinforzato inter-
namente dalla corolla. Al di dentro di questo astuccio era una
290 G. IBGAKWU
camerella ripiena d' aria, il cui fondo era formato dal disco
stimmatico incavato a coppa, al di sopra del quale erano gli
stami incurvati e conviventi con le antere già in sviluppo note-
volmente inoltrato, mostrando esse i granelli pollinici già pros-
simi al completo sviluppo. In altro fiore di 0",032 di lunghezza,
il calice si presentava come nel precedente chiuso al pari della
corolla: i pezzi però di questa si mostravano tinti di un bel color
violaceo, e gli stami avevano raggiunto il loro completo svi-
luppo, presentando le antere già aperte ed in parte vuotate del
loro polline, che si vedeva caduto sopra la sottoposta coppa
stimmatica. In un terzo fiore della lunghezza di 0°,077, si os-
servavano gli stami in via di decomposizione di color bianchiccio
livido, e la camera d'aria, esistente al di dentro degli invogli,
completamente ripiena d' acqua. Neil' ovario di questo fiore
erano diversi semi molto sviluppati e forniti di embrione. Non
può adunque restare alcun dubbio che in questi fiori la feconda-
zione avvenga allorquando essi sono in boccio, e chiusi nel seno
deir acqua, e che quindi sieno da ascriversi ai cleistogamici.
Allo scopo di riscontrare se fosse possibile di ottenere che
questi fiori si aprissero nell' aria, feci togliere dalla vasca, ove
trovavasi la pianta, una buona parte dell' acqua che vi si con-
teneva, in modo che tre fiori restassero al disopra dell' acqua
immersi nell' aria. Effettuata questa operazione, ciò che fu alle
4 circa pomeridiane, alle 8 antimeridiane del giorno successivo
i loro peduncoli si erano talmente curvati da nascondere di
nuovo tutti i tre fiori nell' acqua sottostante.
Di non lieve interesse è pure il contegno dei frutti della
nostra pianta all' epoca della maturazione. L' aprirsi del frutto
infatti si effettua in un modo abbastanza costante, quantunque
si dica in generale che il loro pericarpio si rompe irregolar-
mente. La rottura del pericarpio avviene al disotto della base
del calice, presso al margine della coppa stimmatica, ed in
modo che il frutto si divide in due parti, una superiore costi-
tuita dal perianzio, dall' androceo e dalla coppa stimmatica, ed
una inferiore costituita dall' ovario, la quale poi si fende late-
ralmente e si apre per mettere in libertà il suo contenuto. La
parte superiore, come pure i semi contenuti nell' inferiore, ap-
pena avvenuta la rottura del fìnitto, si portano alla superficie
dell' acqua, ove galleggiano e sono così trasportati lungi dalla
SULLA FIOBrrURÀ DELL^EUBTALE 291
pianta che lì produsse. Il galleggiamento dei semi ha luogo in
grazia di un grosso arillo molle, che li riveste e che contiene
aria fra le sue cellule, alcune delle quali riunite in gruppi rac-
chiudono un umore rosso, che rende screziato il tessuto, e che
in contatto dell' aria cambia il suo colore in azzun'o. Dopoché
i semi hanno galleggiato per qualche tempo, sia perchè si svi-
luppano quelle boUicelle d' aria interposte fra le cellule delicate
dell'arino, sia perchè questo si decompone, i semi cadono a
fondo, e così ha luogo la disseminazione. Non va trascurato di
registrare il fatto che, allorquando la parte superiore del frutto,
fluitata dall'acqua, giunge in un luogo asciutto e percosso dai
raggi solari, spesso nel prosciugarsi si apre, discostando i pezzi
del calice e della corolla a forma di rosetta, e simulando un
perianzio che da poco tempo si sia staccato dal fiore.
Verso il primo di ottobre, quantunque la temperatura si
fosse conservata abbastanza elevata, le massime dimensioni,
cui giungevano le foglie della nostra pianta, erano notevol-
mente diminuite : appariva però eh' esse, quasi per compensare
le loro minori dimensioni, si producessero in maggior numero.
Verso il 12 di detto mese alcuni fiori incominciarono a mostrarsi
con r apice fuori d' acqua, ed uno di essi incominciò a divaricare
in alto i suoi sepali, tanto da lasciar vedere il colore della
parte superiore della corolla. Però, in tutti quanti i fiori che si
sono sviluppati, non s' è potuto mai riscontrare un vero sboc-
ciamento, e quantunque la pianta fosse osservata la ser^ e la
mattina di buon ora, nessun' indizio si ebbe che potesse accen-
nare ad un fenomeno di tal fatta, che si fosse compito nel corso
della notte. ,
Successivamente avendo osservato che la energia di vege-
tazione della pianta andava ancor diminuendo, e desiderando
di tentare se fosse possibile farne sbocciare i fiori, feci chiudere
la vasca al di sopra con una vetrata, e vi feci adattare un pic-
colo calorifero per riscaldarne 1' acqua a volontà. Mediante tale
apparecchio, il primo di novembre, essendo la temperatura del-
l' ambiente discesa al disotto dei 20® e, s' incominciò a riscal-
dare r acqua della vasca, in modo che nella notte si conser-
vasse a circa 25®, e nel giorno salisse fino ai 32-33 e. nell' ore
pomeridiane. In queste condizioni alcuni fiori hanno continuato
a mostrarsi al di sopra della superficie dell* acqua^ ed i pezzi
292 0. ARCANGELI
del calice loro si sono un poco disgiunti nelV apice, tanto da
far vedere i colori della corolla che stava al di sotto. Questi
fiori però non sono mai sbocciati, ne la corolla loro mai è ri-
masta libera dall'inviluppo calicinale, ne mai si è aperta. Avendo
allora colti alcuni di questi fiori per esaminarne V intemo, ho
potuto riscontrare che i loro stami erano in minor numero e
non sviluppati in modo normale, con le sacche polliniche già
aperte, contenenti pochi grani di polline, dei quali diversi riuniti
tuttora in tetradi e vizzi. In questi fiori il polline, a cagione
della sua scarsezza e della sua imperfetta costituzione, non po-
teva uscire dalle sacche polliniche. Altri fiori pure colti fra
quelli più giovani e tuttora sommersi, presentavano condizioni
simili: onde veniva con ciò dimostrato che tutti questi fiori,
che così si producevano nel periodo autunnale di vegetazione,
quantunque si trovassero in un ambiento assai riscaldato, in
realtà non sbocciavano, ed erano di più affatto inotti alla ri-
produzione. La pianta ha continuato poi a produrre foglie, che
si mostravano però sempre più piccole e si coloravano debol-
mente in verde, con alcuni fiori che non progredivano nel loro
sviluppo, fino a che alla fine di novembre il suo vigore si è
mostrato in gran parte esaurito, e la pianta ha cessato di vi-
vere il sette di decembre tuttora con varii fiori in boccio,
quantunque si fossero usate tutte le precauzioni per prolun-
garne l'esistenza. Non v'è dunque alcun dubbio che la pianta
non fr perenne, come fii ritenuta dal De CandoUe e Steudel,
ma bensì annua com' è stata riconosciuta dal Caspary.
Le notizie, che ho potuto raccogliere da alcuni Giardini bo-
tanici all'estero, sono abbastanza concordi con i resultati da
me ottenuti.
Il prof. De Bary infatti m'informa che, nelle serre del
Giardino botanico di Strasburgo, 1' Eiinjaìe è coltivata come
pianta annuale e seminata in primavera entra in fioritura nel
mese di luglio prima della Victoria regia seminata contempo-
raneamente, che i fiori non si aprono che pochissimo e per
breve tempo, e si ricorda di aver veduto alcuni di questi fiori
a livello dell' acqua ed anche un po' al di sopra.
n prof. Oliver di Londra mi ha dal canto suo favorito un breve
scritto del Capo Giardiniere del Giardino botanico di Kew, dal
quale resulta che questi non ha veduto giammai un fiore aperto,
SULLA FIORITURA DELL* EURTALE 293
quantunque le piante coltivate in quel giardino ne abbiano pro-
dotti a centinaja; che se la pianta trovasi presso la superficie
deir acqua i fiori talora s' inalzano sopra Y acqua, ma la regola
è che i fiori maturano sott' acqua e giammai sbocciano, pro-
ducendo però dei semi perfetti; che i petali purpurei possono
osservarsi sotto i lobi del calice nei fiori maturi, ma d' ordinario
essi sono strettamente applicati gli uni agli altri.
Altre notizie interessanti ho pure ricevuto dal prof. Maxi-
mowicz di Pietroburgo. Egli mi riferisce come V Euryale nelle
serre di Pietroburgo si comporta affatto come pianta annua,
che nella Manciuria essa è stata trovata lungo il fiume Ussuri,
all'imboccatura del confluente Jmasous a 46^ di lat. Sett., e
presso il lago Kanka sotto la lat. Sett. di 45^, ov' essa sembra
fiorire dopo il Nelumbium, insieme al quale cresce, sebbene di
esso molto più rara; che nelle serre di Pietroburgo le foglie
delV Euryale sono per lo più molto più grandi di quelle del
NelumbitiMj mentre in Manciuria ha luogo il contrario : che in
Manciuria la pianta è stata raccolta il 30 settembre con frutti
maturi ed a vegetazione compita, vale a dire col contegno di
pianta annua; che sebbene lungo l' Ussuri l'autunno sia lungo
e bello, i geli vi cominciano verso la fine di settembre, e V in-
verno è nevoso e freddo di tal fatta che egli stesso vi ha tro-
vato alla fine di marzo una temperatura di 20^ a 25° R. sotto
zero, e viaggiava in slitta tirata da cavalli sul ghiaccio del
fiume: che i semi àoiV Euryale evidentemente restano difesi
dal freddo al fondo delle acque, e quando germogliano la loro
vegetazione è favorita da un' estate calda, la quale fa sì che
le acque sollecitamente divengono tiepide. Aggiunge inoltre che,
quanto alla pianta della China e del Giappone, lo sbocciamento
non oltrepassa un piccolo scostamento dei petali nei fiori fiior
d'acqua, e che il prof. Regel pure ritiene che il fiore non possa
gerirsi di più.
Vediamo adesso quali conseguenze si possono dedurre da
quanto è stato superiormente esposto.
L' opinione di Andrews, che la brevità del tempo in cui si
effettua la fioritura sia stata la causa che ha fatto credere che
V Euryale fiorisca sott' acqua, non può certamente ammettersi,
dopo quanto asserisce il Salisbury, eh' è stato riconosciuto da
tanti altri posteriormente e persino recentemente nel suo paese
294 a. ARCANGBU
natale, e pure confermato dalle mie osservazioni. Vero è eh* agli
dice di aver visto la pianta fiorire sopra V acqua, ma nel suo
scritto non è detto esplicitamente se ha realmente veduto i
fiori aperti.
Quanto al Roxburgh, che asserisce che, se l'acqua è bassa i
peduncoli sono tanto lunghi da sollevare i fiori al di sopra di
essa, ma che la fioritura avviene sotto l'acqua se questa è
profonda, pare ch'egli abbia voluto ammettere che i fiori si
aprono anche nell'aria, ma in realtà non lo dice. Del resto
r asserzione non è giusta, perchè anche quando l'acqua è assai
bassa, come appunto allorché non oltrepassa i 0",3 di profon-
dità, i fiori si mantengono per lo pid sommersi, e se pure giun-
gono a sorgere al di sopra, come avvenne per la mia cultura
nell'ottobre, ciò avviene nell'ultimo periodo di vegetazione,
però solo appena divaricando la parte superiore dei loro sepali,
od al più solo eccezionalmente aprendosi a tal punto, come nel
fiore che conservasi a Itoma, da potersi dire sbocciati.
In quanto alle osservazioni del Planchon e del Caspary, esse
lasciano campo a considerazioni di non poco valore. Infatti
quantunque non resti alcun dubbio che essi si sono occupati
della medesima pianta, eh' è quella stessa descritta da Salisbury
e da Roxburgh e quella pure coltivata da me, essi si mostrano
relativamente alla fioritura di essa in gran parte discordi. Così,
mentre l'uno afferma che i fiori si aprono due ore avanti giorno,
e si chiudono verso mezzogiorno per due giorni di seguito, che
lo sbocciamento raramente si effettua senza che l' artifizio ven-
ga a secondare gli sforzi della natura, e che giammai la co-
rolla arriva allo stato di espansione orizzontale che si osswva
nella Victoria: l'altro dice che i fiori per lo piìi si mantengono
sott'acqua, e che solo allorquando la luce del sole manchi, si
mostrano quasi aperti per tre giorni successivi dalle 9 del mat-
tino alle 6 della sera, asserzioni che certamente non possono
conciliarsi, e dalle quali si rileva una concordanza notevole sol-
tanto neir ammettere che i fiori molto raramente ed imper-
fettamente sbocciano, ciò che appunto viene in appoggio dei
resultati da me ottenuti.
Riguardo all'opinione del prof. Raillon, che considera i fiori
délV Eury ale y alla pari di quelli della Victoria, capaci di sboc-
ciare fuori d'acqua; a me sembra non potersi accettare: come
SULLA FIORITUBA DELl'eURYALE 295
pure trovo molto difficile che possa accettarsi quanto è stato
detto sull'odore dei fiori à^Euryale dai sigg. Hooker e Thom-
son: imperocché, non solo questo carattere non è notato dagli
altri, ma oltre a ciò a me non è riuscito avvertire traccia al-
cuna di odore, neppure in quei fiori autunnali che avevano
accennato, come ho detto di sopra, ad un primo conato di sboc-
ciamento. Forse si tratta di qualche equivoco verificatosi con
i fiori di qualche altra ninfeacea, o di qualche altra specie
prossima.
Che VEuryale sia una pianta a fiori di tipo magnoliaceo e
cantarofila, come appunto ritiene il prof. Delpino, mi sembra
molto difficile, se in essi la fecondazione avviene sott' acqua, se
il loro sbocciamento neir aria non si effettua che molto rara-
mente, e se in quei fiori, che più o meno si mostrano disposti a
sbocciare, gli stami si presentano con le antere anormalmente
sviluppate. Più giusta è certamente T opinione del Darwin, che
pone VEuryale fra le piante che protette dall' azione degli in-
setti, o sono perfettamente fertili, o forniscono più della metà
dei semi che producono, allorché 1' appulso degl' insetti non è
vietato. Del resto a me sembra più ragionevole l'ammettere
che r Euryale maturi i suoi semi senza il concorso degl' insetti,
e che il numero dei semi del frutto dipenda, più che dall' ap-
pulso dei pronubi, dal calore di cui la pianta può disporre.
Siecome, per quanto è stato esposto di sopra, non può più
restare alcun dubbio che l' Euryale produca fiori cleistogamici,
fra le opinioni del Van Tieghem e del Duchartre, è solo la
seconda che si mostra più conforme alla verità.
Le osservazioni che trovansi più in accordo con i resultati
delle mie ricerche sono quelle del giardiniere citato da Salisbury,
e quelle dell' Ermens, le quali tutte furon fatte sulla pianta
vivente nel suo paese natale, in condizioni perfettamente nor-
mali, con le quali pure concordano quelle fatte in varii altri
Giardini botanici. Tutte queste osservazioni concordano nel
dimostrare essere 1' Euryale una pianta a fiori cleistogamici.
Dalle mie osservazioni poi resulta che, mentre i fiori che si
sviluppano nel luglio e nell' agosto, sotto il nostro clima ci danno
uno dei più belli esempj di fecondazione autogamica a porte
chiuse, cioè sott' acqua, nella camera nuziale che resulta for*'
mata dal perianzio e dalla coppa stimmatica; quelli che si svi-
8$. Nmi, Voi. Vm, fktc. 2* 92
296 <J. AKCAXGÉU
luppano successivamente presentano antere sviluppate anor-
malmente, tanto che in essi la fecondazione e la fruttificazione
non possono aver luogo. Senza dubbio, in questo caso, i fiori
che si sviluppano successivamente differiscono un poco per la
loro struttura e si contengono in modi differenti: imperocché
come abbiamo detto nel primo periodo di vegetazione si hanno
dei fiori sterili, si hanno poi fiori fecondi nel periodo estivo e
finalmente nel periodo autunnale fiori sterili, nei quali si ri-
scontra una tendenza alla casmogamia. Quindi nélV Euryakj
anziché verificarsi un vero e proprio dimorfismo, stando a quanto
è stato detto di sopra, si avrebbe una pianta a fecondazione
affatto autogama con un residuo di dimorfismo, che si manifesta
nella tendenza che hanno alcuni fiori a portarsi fuor d' acqua
ed aprirsi. In appoggio di siffatta opinione si può giustamente
osservare che, quantunque la fecondazione eterodina sia dimo-
strata per moltissimo piante, essa non può ritenersi come con-
dizione necessaria per la conservazione della specie, potendosi
citare, non solo una lunga serie di piante nelle quali si verifica
la fecondazione omoclina e la eterodina ad un tempo, ma pure
di quelle come la Leersìa onjzokleSy la Voaìulzeia e molte piante
del genere Stipdy nelle quali la fecondazione omoclina è la sola a
verificarsi, e talora con soli fiori cleistogamici. Supponiamo, per
meglio comprendere le cose, che i progenitori A^WEunjale sì sieno
trovati nel passato a lottare contro nemici viventi nell' aria, che
ne distruggevano i fiori via via che questi si presentavano al di
sopra dell' acqua, è facile il comprendere, come in tal caso le
successive generazioni di essa pianta possano avere acquistata
la tendenza a conservare i loro fiori sott' acqua, e che in questi
il processo di fecondazione si sia poco a poco modificato, fino a
resultarne una specie con soli fiori subaquei e cleistogamici.
Certamente in tali condizioni valeva meglio sacrificare i van-
taggi della eterogamia a quelli dell' esistenza, od altrimenti,
conveniva più sacrificare qualcosa che perder tutto. Ma sì potrà
forse obiettare su tal proposito, non potersi escludere il caso
che in qualche parte di quella vasta regione, nella quale la
nostra pianta è spontanea, verificandosi condizioni eccezionali
e più favorevoli al suo sviluppo, essa possa schiudere i suoi
fiori neir aria e vantaggiarsi del benefizio della fecondazione
eterodina favorita dall' appulso degl'insetti: oppure che nelle
SDLLA FIORITURA DELL^ EURYALE 297
successive generazioni, con alternanza più o men regolare, pos-
sono apparire individui dotati della facoltà di produrre fiori
casmogami a fecondazione eterodina, tanto più che in varie
opere essa è stata rappresentata con fiori perfettamente sboc-
ciati. Io non nego che queste obiezioni abbiano un certo valore:
però a me sembra che i fatti che ho potuto raccogliere sieno
per la massima parte ad esse contrarli. Il riscontrare i fiori
figurati aperti nelle opere di varii autori, come in quelle di
Andrews, di Roxburgh, di Curtis, di Planchon, non è un fatto
cui si possa attribuire un gran valore: imperocché in tempi, nei
quali gli studj biologici sulla fioritura e sulla fecondazione erano
tanto meno avanzati, si era poco avvezzi ad ammettere che
una pianta potesse fiorire sqtt' acqua, e non è quindi difficile
che abbia avuto luogo qualche errore. Specialmente poi nel
caso della jB/e^rt^a^, che produce fiori subaquei, i quali secondo
r epoca in cui si esaminano hanno V apparenza, sia di fiori in
boccio prossimi a schiudersi, sia di fiori che dopo lo sboccia-
mento si sieno richiusi da qualche tempo, e tanto differiscono
dagli ordinarli cleistogamici pel fatto singolare della corolla, che
si presenta assai sviluppata e colorata in violetto anche assai
dopo la fecondazione, può essere avvenuto che non pochi di
coloro che studiarono la pianta credessero che i fiori che ave-
vano fra mano fossero capaci di sbocciare, come in generale
suole avvenire, senza pensare alla cleistogamia, e supplissero con
r immaginazione a quanto mancava negli esemplari che ave-
vano fra mano. Del resto ammettiamo pure che un tale er-
rore non si sia verificato e che la nostra pianta sia capace di
aprire alcuni dei suoi fiori: certamente Y argomento merita di
essere ancora seriamente studiato, poiché nessuno fin ad ora ha
dimostrato esser quei fiori fecondi, ed in vero non si può am-
mettere che VEuryale produca fiori cosmogami e fecondi fino
a che ciò non sia realmente dimostrato.
Tutto quanto é stato superiormente esposto ha pure una
certa importanza dal punto di vista della sistematica: impe-
rocché offre un argomento di più in favore di coloro che in
seguito al Lindley, ritengono il genere Victoria distinto dal ge-
nere Euryale. Sebbene infatti i caratteri, sui quali si basa la
distinzione di questi due generi, quali quelli desunti dalla con-
formazione della corolla, dalla conformazione dell' androceo,
2d8 G. ARCAKGEU
dal nuocerò delle caselle del gineceo e dalla conformazione
dello stimma, sieno già. suficienki a costituire due generi di-
stinti, si può avvertire che il processo della fioritura, tanto
differente in quelle due piante, viene a convalidare tale di-
stinzione.
Nel porre termine a questo scritto credo opportuno il fare
avvertire che, quantunque VEuryale sia nativa principalmente
delle regioni calde e temperate dell'Asia austro-orientale, essa
si adatta pure a vivere in climi assai freddi, come resulta dalle
notizie favoritemi dal prof. Maximowicz che ho sopra riportate.
Quindi trattandosi di una pianta che per la bellezza del suo
fogliame sta al di sopra^ della maggior parte delle altre nin-
feacee, e quasi gareggia con la Kictoria regia, non v' è dubbio
eh' essa è destinata a figurare fra i più belli ornamenti pei
nostri laghetti artificiali, e che probabilmente fra non molto
prenderà posto fra le piante spontanee che popolano i nostri
laghi e paduli.
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V^
r>OTT. a. G-ioiii
LA LUCINA POMUM, DUJ.
■^
Già da del tempo alcuni geologi hanno citato come carat-
teristica di dati piani miocenici la Lucina pomum Dod., altri,
per gli stessi piani, la Lucina globulosa, Desh., altri la Lucina
appenninica, Dod., altri la Lucina miocenica, Mich., altri la Lu-
cina Delbosi, May., altri infine la Lueiìia (Cyprina) Dicomani, Mgh.
Ora da questa lunga serie di nomi specifici, come del resto
era facile a prevedersi, è sorta la questione se si abbia che fare
con una sola forma specifica, o con due, o con tre, oppure con
altre e tante quanti sono i nomi proposti.
Nel 1876 il Manzoni in una sua memoria intitolata ^ Della
posizione stratigrafica del calcare a Lucina pomum (^) „ dopo
avere accennato come questo calcare non sia che una fase ini-
ziale della formazione gessifera e come si trovi saltuariamente
alla base di questa nelle colline di Brisighella e di Bologna,
dice che la Lucina pomum é stata da lui trovata in colonie.
In seguito a questa memoria il Coppi pubblicò nel 1877 una
nota ** Sul calcare a Lucina pomum (^) „ in cui emette V opi-
nione che il collocamento stratigrafico del detto calcare asse-
gnato dal Manzoni non è esatto ed indica questo fossile con
due nomi, cioè Lucina pomum Dod. e Lucina Delbosi May.
Tre anni appresso troviamo che lo Scarabelli nella sua
*" Geologia della provincia di Forlì (^) „ cita la Lucina appen-
(1) Boll, del R. Comit. geolog. d* Italia. N.« 5-6. Anno 1876.
(«) Boll, del R. Comit geolog. d* Italia. N.* 1-2. Anno 1877.
(3) Scarabelli — Geologia della provincia di Forlì. Forlì 1880, pag. 53 e 54.
302 G. GIOU
ninica come caratteristica del piano Langhiano. Più oltre in
una nota a pagina 53 (libr. cit.) egli dice: "" La L. appenninica
(L. pomum) è caratteristica dell' Elveziano del Mayer ecc. ... e
si trova in moltissimi luoghi entro rocce collocate dal Doderlein
nel miocene medio „ .
Nello stesso anno il Cafici in una nota .' Sulla determina-
zione del calcare a selce piromaca, del calcare compatto e mar-
noso (forte e franco), ad Echinidi e modelli di grandi Bivalvi
nella regione S. E. della Sicilia (^) „ diceva che la Lucina pomum
si ritiene per la forma più importante dell' Elveziano. Fra i fos-
sili del detto calcare forte e franco l' autore cita infatti la Zrw-
cìnq pomum, Dod. come molto comune e forse la Lucina Del'
bosi, May., talché sembra le ritenga per due forme distinte.
Anche il De Stefani in una nota che ha per titolo " I fos-
sili di Dicomano in Toscana e della Torretta nel Bolognese (*) ^
ritiene che a Dicomano si tratti del piano Elveziano equiva-
lente agli strati di Grand, citando tra i fossili caratteristici di
questa località la Lucina Diconiani, Mgh. (Cyprina, Mich.) che
trovasi pure alla Torretta aggiungendo queste parole : * Ritenni
altra volta che la Lucina pomum o Lucina appenninica, Dod.
potesse essere sinonima di questa specie „.
Contemporaneamente il De Bosniaski presentando alla So-
cietà Toscana di Scienze Naturali il suo lavoro su * La for-
mazione gessoso-solfifera e il secondo piano mediterraneo in
Italia (^) „ affermava che il Macigno di Torretta è caratteriz-
zato dalla Lucina ghbulosa, Desh., così determinatagli dal Fuchs,
secondo il quale sarebbe identica alla Lucina Dicomanif ÌILgh.
Un anno appresso il Manzoni nella memoria ** Della mioce-
nicità del Macigno e dell'unità dei terreni miocenici del Bolo-
gnese (*) „ fa osservare che nelle varie località, nelle quali si
rinvenne e si studiò il macigno, si è trovata sempre la solita
Lucina, per cui, egli dice (pag. 50): "" Mi sono dato la pena di
verificare se veramente questa presentasse delle differenze spe-
cifiche tali da giustificare i diversi nomi che sono stati appli-
ca) Boll, del R. ComiL geolog. d'Italia. N.o 11 e 12, anno 1880.
(•) Atti della Soc. Tose di Scienze Nat. Processi verb. Adun.» 14 Novem-
bre 1880. V. XII.
(3) Atti della Soc. Tose, di Scienze Nat Process. verb. Ad. 14 novembre 1880.
Voi. XII, pag. 90.
(*) Boll del R Comit. geolog. d'Italia, N» 12. Anno 1881.
A LUCINA rOMUM, DUJ. 803
cati a questa conchiglia, come L. Dicomani, L. appenninica,
L. Delbosi, L. pamum. Interrogato su tale proposito il Fuchs,
rispose che per tutti si tratta sempre della Lucina (Loripes)
globtdosa, Desh. „.
Nello stesso anno il Capellini pubblicò due memorie riguar-
danti i terreni miocenici, nella prima delle quali (I calcari a
Bivalvi di Monte Cavallo, Stagno e Casola nell' Appennino bo-
lognese (^) ) cita la Lucina globulosa, Desh. rinvenuta in una
roccia calcare ; nell' altra ( Il macigno di Torretta e le rocce
a Globigerine dell'Appennino bolognese (^) ) cita lo stesso fos-
sile come frequente nel macigno di Torretta identificato, egli
dice, da alcuni alla L. pomum, Desm., L. appenninica, Dod. o
Cypr. Dicomani Mgh. Secondo il Capellini anche certe forme di
Tapes gregaria del Sarmatiano dei Monti livornesi sarebbero
pure una varietà della L. globulosa o Dicomani.
Finalmente il Cafici nel 1883 toma di nuovo a parlar di
questa specie nel suo lavoro sulla ^ Formazione miocenica del
territorio di Licodia-Eubea (provincia di Catania) (^) „ , in cui ri-
ferisce una lettera del Fuchs che insiste ad identificare fra loro
la L. pomum, Desm., la L. appenninica, Dod. e la L. Dicomani, Mgh.
Nel Museo paleontologico di Pisa trovansi bellissimi esem-
plari di Lamellibranchi provenienti da Dicomano in Mugello
(Toscana) già studiati dal Prof. Meneghini e indicati da lui col
nome di Cyprina Dicomani, Mgh. e più tardi dal De Stefani
con quello di Lucina Dicomani, Mgh. Oltre a questi vi sono
altri numerosi esemplari di Lucine raccolti dallo Scarabelli nel
terreno miocenico di Rovereti di Val di Pondo presso S.** Sofia
e Mortano; altri raccolti nel miocene del Paretaio della Col-
lina presso Palazzuolo, a Cavai Magra nel popolo di Salicecchio,
presso Poggio di Monte maggioro (comune di Salicecchio) e lungo
la nuova linea ferroviaria Firenze-Faenza dal Dott. M. Cana-
vari. Altri provengono dall' Imolese ed altri infine da Sintria
presso Brisighella.
Già il Cafici nella memoria di sopra citata aveva fatto os-
servare che gli esemplari siciliani di L. pomum si possono ri-
durre a due tipi ben distinti: orbi colare l'uno, trasversalmente
oblungo r altro. Ora negli esemplari che fanno parte della nostra
(0 Bollett. del R. Comit. geolog. d* Italia. Anno 1881. Voi. XI.
O Bologna Tip. Gamberini e Parmeggiani 1881.
Ò n. Accad. dei Lincei. Anno CCLXXX. 1882-83. Roma Tip. Salviocci 1883.
304 0. GIGLI
collezione si riscontra che i tipi ai quali essi si possono riferire
sono tre anziché due: cioè l'uno orbicolare Tav. XIV, fig. 1, tra-
sversalmente oblungo l'altro Tav. XIV, fig. 7, e a lato boccale
espanso in alto il terzo Tav. XIV, fig. 8. Questi tipi ci sembra
rappresentino piuttosto varietà della medesima specie, anziché
specie distinte, poiché per la somma di tutti gli altri caratteri
queste tre forme coincidono perfettamente. E siccome di esse
sembra prevalere per numero di individui quella del tipo orbi-
colare, così mi limiterò a descrivere soltanto questa.
Lucina pomum, Duj.
Tar. XIV, fig. 1; la. 16.
L. pofHum, Dod. — L. pomum, Desm. — L. pomum, May.
L. appenninica, Dod.
Dimensioni di alcuni esemplari
Lunghezza Larghezza Spessore
Esemplari di ViU di Pondo - Tipo i m. in. fiO
orbicolare ( 60
54
\
Tipo trasversalmente oblunuro . . J
Tipo a lato boccale espanso . . \
I
EsempUiri di Cavai Magra - Tipo \
orbicolare '
Tipo trasversalmente oblungo . .
, Tipo a lato boccale espanso . . ^
56
/ /
53
21
25
41
38
34
31
63
58
58
65
50
20
21
45
40
29
27
Esemplari del Paretaio della Collina -
Tipo orbicolare
Tipo trasversalmente allungato .
Tipo a lato boccale espanso . .
38
36
30
34
46
30
9
6
20
29
14
12
I
-1
•I
■ I
LÀ LUCINA POMUM, DUJ. 305
Località. Rovereti di Val di Pondo presso S.** Sofia e
Mortano.
Conchiglia suborbicolare, equi valve inequilaterale assai tur-
gida, ma meno della Lucina Dicomani, Mgh., con la maggior
convessità circa ad V^ superiore delle valve. Lunula molto pro-
fonda anteriormente limitata dal lato boccale che si rialza in
modo da formare una specie di rostro ottusissimo, posterior-
mente dagli umboni che sono assai grandi, ravvicinati ed un
pochino inclinati in avanti, e lateralmente da due spigoli ottusi
ma assai netti, i quali si prolungano fino agii apici degli um-
boni stessi. H profilo del margine cardinale anteriore risulta
profondamente concavo, mentre che quello del margine cardi-
nale posteriore è leggermente convesso ; inoltre il primo è qual-
che millimetro meno lungo della metà di questo, essendo V an-
teriore di mm. 15, il posteriore di mm. 35. Nel margine cardinale
posteriore si osserva un corsaletto allungato limitato da ninfe
pochissimo sporgenti e non formanti un rilievo così acuto come
nella L. Dicomani, Mgh. . H rimanente contorno delle valve può
dirsi addirittura semicircolare, se non che nella parte posteriore
notasi una insenatura dovuta alla convergenza in quel punto
di due solchi radiali assai più profondi che nella L. Dicomani Mgh.,
i quali scendono dagli apici degli umboni limitando così uno
spazio lanceolato, che sembra vada accrescendosi coli' età del-
l' individuo.
La superficie estema delle valve apparisce fittamente striata
e le strie sono più piccole e più fitte nella regione più vecchia
della conchiglia, mentre in basso si osservano disposte con meno
regolarità e più o meno inarcate ad indicare i successivi gradi
di accrescimento. Di queste strio se ne contano 5 nello spazio
di un millimetro in vicinanza dell' apice dell' umbone ed appena 2
verso la metà od il margine ventrale delle valve.
Veduta dall' alto al basso (tav. XIV, fig. 1 , è) la conchiglia ri-
sulta notevolmente inequilaterale e la sua massima convessità
si trova verso la parte posteriore, giacché essa è in corrispon-
denza della metà della valva nel senso longitudinale della con-
chiglia .
Lo spessore del guscio, aljcontrario che nella L. Dicomani, Mgh.,
che r ha sottilissimo, è considerevole raggiungendo i 2 o 2 ^/2 mm.
306 0. G!OU
In questo esemplare nalla si vede della strattara della cer-
niera, ne delle impressioni dei muscoli adduttori delle due vmlve,
ne di quella del mantello. Tali impressioni però sì osservano
bene in un altro esemplare che indubbiamente si può riferire
alla medesima specie, presentandosi cogli stessi identici carat-
teri esteriori che ho sopra descritto.
Esso è rappresentato per la massima parte dal suo modello
intemo costituito da roccia calcare, non rimanendo del suo goscio
che circa i ^s della parte posteriore della valva destra e la
regione apicale della sinistra in modo tale da restame allo
scoperto le impronte dei muscoli adduttori anteriore e poste-
riore della valva sinistra e quella dell' anteriore della valva
destra, non che Y impronta palleale. Ora Y impressione dell^ ad-
duttore anteriore è allungata, la posteriore ovale e la linea
palleale è integra e parallela al margine delle valve, il quale
presenta delle strie radialmente disposte, come mostra la
fig. 2, tav. XIV.
Fra questi esemplari di Val di Pondo è notevole per le sue
dimensioni il modello interno di una grossa conchiglia che mi-
sura in lunghezza mm. 125 in larghezza 116 e in ispessore 79.
A giudicare dalle dimensioni sembra che si tratti di un indi-
viduo molto più vecchio dei precedenti, ma tuttavia apparte-
nente alla medesima specie, poiché se si eccettua Y apparenza
debolmente lanceolata del suo corsaletto e il leggerissimo ri-
gonfiamento delle sue ninfe che lo ravvicinerebbero un po' alla
L. Diromani Mgh., evidentemente in esso si riscontrano tutti i
caratteri degli altri due esemplari descritti e soprattutto quello
del solco radiale molto profondo nella parte posteriore delle
due valve.
Riguardo alla cerniera di questa specie, siccome lo stato di
conservazione di queste conchiglie è tale che Y intemo delle
valve e generalmente vuoto, ho voluto tentare di scoprirne la
forma nel modo seguente.
Ho messo un esemplare nel carbone acceso e ve Y ho la-
sciato scaldare fino al calor rosso, Y ho quindi immerso repen-
tinamente in un bagno d' acqua fredda e sono riuscito così ad
aprirlo con un solo colpo di martello. Il resultato è stato ab-
bastanza soddisfacente, poiché sebbene la calcite che riveste
con belle foime cristalline tutte le pareti inteme delle valve
LA LUCINA POMUM, DUJ. 307
di questa conchiglia sia penetrata anche nelle fossette che ri-
cettano i denti mascherando così in parte la struttura del
cardine; pure sono riuscito a vedere (tav. XIV, fig. 3) assai net-
tamente uno dei denti cardinali, una fossetta che gli sta dietro
in direzione obliqua, la fossetta mediana terminata superior-
mente ad angolo acuto ed una parte del dente cardinale po-
steriore della valva sinistra. Della valva destra (tav. I, fig. 3 a),
di cui ho potuto ottenere isolata soltanto la parte della regione
apicale che corrisponde a quella descritta della valva sinistra
ho rinvenuto la fossetta che corrisponde al dente cardinale
citato della valva sinistra ed un debole accenno della linea che
limitava il dente cardinale che si incastrava nella fossetta me-
diana il quale nella frattura evidentemente si è rotto. Nel lato
posteriore di questo frammento di conchiglia si osserva inoltre
una parte della doccia che racchiudeva il ligamento esterno,
della quale si riscontra il lato opposto nella valva sinistra.
Prima però di asserire la presenza dei denti così bene svi-
luppati nel cardine di questa Lucina, per il qual fatto si do-
vrebbe separarla dalla Lucina globulosa Desh. e dalla Lucinu
Dicomani Mgh. che non ne hanno, non solo, ma anche dalla
Lucina miocenica Mich. che, se li ha, sono rudimentali, ho voluto
accertarmene sperimentando sopra altri individui e usando un
artifizio diverso.
Ho preso pertanto un' altra di queste conchiglie e mediante
sfregamento, operato colla macchina che serve a fare le sezioni
microscopiche delle rocce, sono riuscito ad asportare tutta la
regione apicale della conchiglia occupata dagli umboni arri-
vando così a mettere allo scoperto la linea di chiusura della
cerniera (tav. XIV, fig. 4).
Le due valve mi si sono mostrate disgiunte dalla calcite
che le riveste internamente e la cerniera mi si è presentata
come costituita da due denti cardinali brevi, un po' divergenti
nella valva sinistra e da un rilievo bifido nella valva destra,
che poi vedremo andrà a formare due altri denti distinti. Preso
esatto disegno della cosa ho proseguito lo sfregamento (tav. XIV,
fig. 4, a) e i due denti della valva sinistra sono apparsi più
sviluppati, specialmente il posteriore, e la fossetta che sta in
mezzo a loro si vede notevolmente approfondita. A questo punto
quelli della valva destra si mantengono ancora rudimentali.
30S G. tiiou
Nel lato cardinale posteriore però di ambedue le valve inco-
mincia a vedersi una debole traccia di rigonfiamento. Più pro-
fondamente ancora (tav. XIV, fig. 4, b) le cose si mostrano con
maggior chiarezza : nella valva sinistra non si nota che un de-
bole assottigliamento sul dente cardinale posteriore; ma nella
destra si trovano ormai già bene sviluppati i due denti car-
dinali separati da una fossetta come nell' altra valva.
Posteriormente si osservano i soliti rigonfiamenti quasi allo
stesso stadio di sviluppo. Seguitando ancora a portar via collo
sfregamento si giunge finalmente a vedere una cerniera come
ci mostra la tav. XIV, fig. 4, e. composta di due denti cardinali
e due fossette corrispondenti non che di un dente laterale po-
steriore obliquo ed analoga fossetta per ciascuna valva.
Tutto questo si osserva in esemplari riferibili al tipo pre-
valente orbicolare. Riguardo poi a quelli di tipi oblungo e a
lato boccale anteriore espanso (Tav. XIV, fig. 8 e 9) analoghi
esperimenti ci inducono ad identificarli con quello, come del
resto è facile convincercene dai graduati passaggi che esistono
tra queste forme.
Un esemplare del tutto identico alla forma descritta pro-
veniente dal miocene medio di Montebaranzone mi è stato
gentilmente inviato dal Prof. Dante Pantanelli accompagnan-
dolo con una quantità di disegni, i quali rappresentano le suc-
cessive sezioni verticali praticate colla sega nel senso antero-
posteriore della conchiglia di un altro individuo. Evidentemente
da quelle figure risulta anche in questa conchiglia la presenza
di denti cardinali e laterali posteriori, ma quantunque con questo
sistema si abbia il vantaggio di conservare le sezioni pure una
buona parte della conchiglia stessa viene asportata dalla sega;
inconveniente che si evita usando quello dello sfregamento.
Le altre Lucine raccolte dal Canavari nel macigno delle
vicinanze di Palazzuolo hanno prevalentemente dimensioni pic-
cole o mediocri, se ne eccettuiamo una molto deformata dalla
pressione che raggiunge la lunghezza massima di 90 mm. e lo
spessore del guscio di mm. 3. Però il guscio trovasi quasi in
tutte incompletamente conservato, essendone stato per lo più
asportato dalla corrosione lo strato estemo prismatico, che
quando si ha la fortuna di poter riscontrare ci presenta del
LA LUCINA POMUM, DUJ. 309
resto gli stessi caratteri di striatura della forma precedente-
mente descritta. Anche queste Lucine si possono comodamente
riferire alle tre forme tipiche come quelle di Val di Pondo
(tav. XV, fig. 2, 3, 4). Inoltre sono caratterizzate dal solco radiale
posteriore molto profondo e da una cerniera che, messa allo
scoperto col solito artifizio dello sfregamento (tav. XIV, fig. 6),
risulta costituita da due denti cardinali e da uno laterale poste-
riore per ciascuna valva. Finalmente i caratteri della lunula e
del corsaletto, in quegli esemplari nei quali si possono studiare,
coincidono esattamente colla specie descritta:
Parimeute alla medesima specie sembra si debbano riferire
anche quelle malissimo conservate di Poggio di Monte Maggiore.
Fra queste è notevole il modello di una conchiglia assai grande
lunga mm. 96, larga 70 e spessa 62 riferibile al tipo trasver-
salmente oblungo. Questo carattere però evidentemente è reso
esagerato da una depressione considerevole subita dalla con-
chiglia nel processo di fossilizzazione.
L' analogia infine induce ad ascrivere pure alla medesima
specie anche gli esemplari che provengono dall' Imolese, dei
quali uno è rappresentato dalla fig. 6, tav. XV, per la massima
parte conservati in modelli di roccia calcarea sovente colorata
in giallo da sostanze ocracee, non che quelli provenienti da
Sintria presso Brisighella e finalmente quelli che il Canavari
raccolse nel 1883 lungo la nuova linea ferroviaria Firenze-
Faenza allora in costruzione.
Rapporti e differenze. — Ho già di sopra accennato come
questa specie sì'scosti notevolmente dalla Luciìia Dicoìnani, Mgh.
(tav. XV, fig. 1 ) sia per la maggior profondità del solco radiale
nel lato posteriore delle valve, sia per la minore sporgenza
delle ninfe, sia per la minor turgidezza delle valve, sia per il
maggiore spessore del guscio. In riguardo poi alla struttura
del cardine, per quante precauzioni abbia usate nello sfrega-
mento, a causa della sottigliezza del guscio, non sono riuscito
a rinvenir traccia di denti ne cardinali né laterali in due
dei più tipici esemplari di L. Dicoma7ii, Mgh. (tav. XIV, fig. 5 e
tav. XV, fig. 5). Questo fatto insieme agli altri caratteri disopra
accennati mentre evidentemente mi costringe a disgiungerla
dalla specie or ora descritta, mi indurrebbe invece a ravvici-
310 ti. ftiou
narla MaL.globuIosa Desìi., come pen.sii il Fuchs e che rH6me8(*)
così descrive: ** Testa grandi, orbiculata, cordiformi, subsphaerìca,
tenui, fragili, tenuiter striata, cardine edentulo; intus margi-
nibus radiatim substriatis „. La qual descrizione poi non è altro
che quella che già era stata data dal Deshayes (^). Che poi nel
caso della L. Dicomani si tratti realmente di una Lucina e non
di una Cyprina non è alcun dubbio. Poiché se V osservazione
microscopica di parecchie sezioni da me condotte attraverso il
guscio di Lucine, sia fossili, che viventi e attraverso quello della
Cyprina islandica, L. non mi ha offerto dati sufficienti per sta-
bilire fra questi due generi una divisione netta per invocarla
nel caso nostro, però un' esemplare dei più tipici di L. Dico-
mani Mgh. (tav. XV, fig. 5), in cui la meta anteriore del guscio
della valva destra è stato corroso nel processo della fossiliz-
zazione, ci offre occasione di veder nettamente la figura nastri-
forme del muscolo adduttore anteriore, tipica del genere Lucina,
carattere questo sommamente importante poiché la presenza o
la mancanza dei denti sulla cerniera non ha nessun valore per
la determinazione di questo genere (^).
Escluso intanto che la Lucina ijoìnum, Duj. si possa identi-
ficare alla L. Dicomani, Mgh. e alla L. globnlosa, Desh. dobbiamo
vedere se si potesse riferire alla L. miocenica^ Mich..
Orbene se limitandoci a considerarne solo i caratteri este-
riori potrebbe nascere il dubbio che si trattasse della medesima
cosa, un esame della struttura della cerniera ci mostra che
nella L. miocenica, Mich. i denti o non raggiungono mai lo svi-
luppo che hanno nella L. pomum, Duj. o sono più frequentemente
nascosti come si rileva dalla seguente descrizione che THómes (*)
da di questa specie: ** Testa suborbi colari, obliqua, latore postico
abbreviato, obscure sinuato, striis minutis concentricis plus mi-
nusve obsoletis; dentibus obsoletibus; vix perspicuis; impres-
sione muscolari antica longa, postica ovali „.
(') M. Hoernes — Die fosstlen Mollugken der Tertiàr^Bech&ns van
(Wìen 1870) pag. 223. Tav. XXXII, fig l a-b,
(*) Deshayes — Enciclopedie methodique. VoL II, Vera. Hist. oat XII. Pa-
ris 1830, pag. :m.
(') Vedi M Hoernes. M. — Die fosstlen Mollusken der Tertidr^Beckens von
Wien. (Wien 1870) pag. ^ii'J.
(*) M. Hoernes — Die fossilen Mollusken der Tertidr-Beckent wm Wien.
(Wien 1870) pag. 228. Tav. XXXIU. ^^. 3 a-c.
La Lucina fOMiTM; duj. 311
Rimane ora il dubbio se si debba riferire alla Lucina Del-
basi, May., o alla Lucina poìnum, May., oppure alla Lucina ap-
penninica, Dod. . Interrogato su tale proposito il Mayer per mezzo
del Prof. Pantanelli, al quale debbo qui render pubblicamente
grazie per la gentilezza che ha avuto in mio favore inviando
al Mayer stesso un esemplare di Lucina proveniente da Monte-
baranzone identico a quello che già aveva mandato a me, ha
risposto che egli non ha mai conosciuto la Lucina Delbosi come
pure non ha mai descritto la Lucina pomum, ma che questa
specie è del Dujardin alla quale riferisce l'esemplare inviatogli (^).
Quanto alla Lucina appenninica, Dod. è pur chiarito che il
Doderlein la chiamò cosi per averla trovata nell'Appennino,
non intendendo con questo di farne una specie nuova; che anzi
ben presto si accorse esser perfettamente identica alla Lucina
pomum da lui precedentemente raccolta in Piemonte (^).
Ora per quanto accuratamente io abbia ricercato la esatta
descrizione della Lucina pomum, Duj., non sono riuscito a ritro-
varla. Ad ogni modo confidando sull'autorità del Mayer credo
di essere autorizzato a concludere che per la specie descritta
trattasi della Lucina pomum, Duj. sinonima della Lucina appen-
ninica, Dod.; ma estremamente diversa dalla Lucina Dicomani,
Mgh., come sopra ho dimostrato, dalla Lucina globulosa, Desh.
e dalla Lucina miocenica, Mich.
Quanto alla ^ località in cui tale specie si è rinvenuta ho
già detto sopra. Quanto alla posizione stratigrafica trattasi del
Miocene medio e le località in cui rinvengonsi gli esemplari
che possiede il prof. Pantanelli del Reggiano e del Modenese
sono quelle indicate dal Doderlein nelle sue " Note illustrative
della carta geologica del Modenese e del Reggiano (Modena
1870) pag. 12 „; se non che il Pantanelli stesso crede che il
piano che racchiude la Lucina pomum Duj. non debba riferirsi
all' Elveziano di Mayer, ma a un piano più basso, cioè alla parte
inferiore del Langhiano di Mayer. Invece nelle Sabbie Elveziane
o Superiane di Superga trovasi la Lucina globulosa, Desh. (^).
(*) Mayer — In litteris,
(•) Doderlein — In litteris.
(«) PanUnelH D. — In litteris.
8€, Nat. Voi. Vm, fase. 2.« 33
312 li. fiiuu
Per rendere meno incompleto questo mio lavoro sarebbe stato
molto interessante stabilir confronti fra la Lucina pomum, Daj.
di sopra descritta e le Bivalvi del macigno di Porretta, ai^o-
mento sul quale tanto si è discusso. Esaminata a tale scopo la
collezione di quei fossili che trovasi nel nostro Museo e quella
ancor più numerosa del Museo di Firenze non sono riuscito a
scorgere in nessun esemplare ne traccia di cardine, né di im-
pressioni muscolari, ne di linea palleale essendo tutti in cat-
tivissimo stato di conservazione. Se non che a giudicare dal-
r insieme della conchiglia e dalla convessità delle valve come
pure dal solco radiale posteriore sembrerebbe che alcmie si
potessero dubbiosamente riferire al genere Lucina verificandosi
anche in queste Bivalvi la particolarità di appartenere certe
al tipo orbicolare ed altre al tipo trasversalmente allungato.
Paragonati questi esemplari colle figure di fossili analoghi
date dal Capellini nella sua memoria intitolata: " Il macigno
di Porretta e le rocce a Globigerine dell'Appennino bolognese „(^)
sembrerebbe trattarsi di cose molto vicine e fors' anche iden-
tiche. Ora il Capellini riferisce alcune di quelle Bivalvi alla
Lucina corbarica, Leym. varietns vulgaris, altre al genere Cypri-
cardia altre infine alla Lucina pomum, Desm., la quale figura a
tav. XV. fig. 3.
Senza osare di aggiunger nulla su questo argomento rimane
adunque accertato che la Lucina pomum, Duj. si riscontra anche
in queir importantissimo giacimento.
(') Memorie delVAcead, delle Scienze delVhtit, di Bologna, Serie IV, Tomo II,
Anao 1881, Fase. 1.».
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Tar. XIV.
Fio. 1. Lucina pomum, Duj. del tipo orbicolare dei Rovereti di Val
di Pondo.
j, 1, a. La stessa veduta dalla faccia anteriore.
„ 1, 6. La stessa veduta dalValto al basso.
„ 2. La stessa L. pofnum, Duj. allo stato di modello intemo mo-
strante la forma e disposizione dei muscoli adduttori e della
linea palleale.
„ 3. Valva sinistra della stessa L. pomum, Duj. mostrante la di-
sposizione dei denti nella cerniera.
„ 3, a. Frammento della valva destra della medesima.
„ 4. 4, a, 4, 6. 4, e. Sezioni successive del cardine della L. pomum, Duj.
di Val di Pondo ottenute col mezzo dello sfregamento.
„ 5. Sezione del cardine della Lucina Dicomani, Mgh. di Dicomano.
» 6. Sezione del cardine della L. potnum, Duj. di Palazzuolo (Co-
mune di Salicecchio).
„ 7. Lucina pomum, Duj. del tipo trasversalmente oblungo dei Ro-
vereti di Val di Pondo.
, 8. Lucina pomum, Duj. del tipo a lato boccale espanso in alto
della medesima località.
*
*
314 G. GIOU — r LA LUCINA POMUM, DUI.
Taf. XT.
FiG. 1. Lucina Dlcotuani, Mgh. di Dicomano.
2. Lucina pomuM, Duj. del tipo orbicolare di Palazzuolo.
3. L. pomum, Duj. del tipo trasversalmente oblungo della stessa
località.
4. L. pomum, Duj. del tipo a lato boccale espanso in alto della
medesima località.
5. Lucina Dicomani, Mgh. mostrante l'impronta del muscolo ad-
duttore anteriore nastriforme e la sezione del cardine senza
denti.
6. Lucina j>omum, Duj. proveniente dall' Imolese.
EO ti ilIM A 1 Ili
E
SOPRA ALCUNI IFOMiGETI
■
NOTA
DI G. OASPSBIHZ
La malattia soggetto della presente nota, non sembra nuòva
nel pisano; ma siccome le indicazioni in proposito ricevute da
alcuni proprietari e giardinieri non sono troppo rassicuranti;
la considereremo solo nel luogo dove ha mostrato gli effetti
suoi incontestabilmente più dannosi, nel giardino cioè del sig.
Bartolommeo Buonafalce. Prima di tutto conviene osservare
che i cenni riguardanti le condizioni cosmo-telluriche nelle quali
una data micosi, o è comparsa per la prima volta, od ha de-
terminato le più temibili epidemie, assumono importanza tanto
maggiore, quanto più sono le dette condizioni costanteitiente
in rapporto con il loro apparire od estendersi. E ciò è tanto
vero che si è per il passato attribuito, eccedendo nell' impor-
tanza, solo allo stato meteroologico dell' atmosfera ed ai grandi
agenti della natura, che hanno influenza notevole sulla vege-
tazione, la causa diretta di morbi, la cui esistenza ed attitu-
dine ad espandersi avrebbe dovuto più che altro collegarsi con
la vita di speciali parassiti. In oggi il progresso nei me^zi e
nei metodi di indagine lo dimostra chiaramente. Noi però, seb-
bene si cerchi guardarci dall' eccesso opposto, dal considerare
cioè la fito-patologia come uno studio esclusivo dei parassiti,
non potendo estenderci sui fatti reputati in relazione con V esi-
\
316 G. GASPEBINI
ziale micosi di cui ci occupiamo^ e non sapendo definire U grado
di influenza neppure di quei pochi che andiamo ad accennare,
si prenderà occasione da questo morbo per estenderci un poco
nella parte micologica, e contribuire così alla conoscenza d* al-
cuni Gingilli agrumicoli.
Il detto giardino Buonafalce, attiguo al Museo di Storia
naturale, consta di terreno alluvionale assai sciolto e ricco dì
humus, perchè di frequente concimato, e, sebbene cinto da fab-
bricati, riceve abbastanza luce dalla parte di Sud. Vi si coltiva
alcune piante di limoni delle quali parte sono tenute a spal-
liera, parte a boschetto; solo negli anni decorsi ve ne erano
alcune in grossi vasi. Le piante a boschetto sono abbastanza
vicine fra di loro, ed è necessario saper fin d'ora che il piano
ove esse vivono, oltre ad essere circondato da mura, e anche
sprovvisto di una fognatura opportuna che impedisce il rista-
gnarvi dell'acqua. Quelle a spalliera sono assai meglio espo-
ste ai raggi solari ed hanno le radici al di sopra del piano
del giardino, mantenutevi da una panchina pochissimo distante
dai limoni a boschetto, e quindi esse radici non vanno solette
a risentire dell' eccessiva umidità. Secondo quello che ho po-
tuto rilevare dal gentilissimo sig. F. Rossi, al quale e affidato
il giardino Buonafalce, la malattia sui frutti del Citrus Limonum
avrebbe richiamato la sua attenzione fin dal 1879, nel quale
anno le vicissitudini atmosferiche furono fra le peggiori, sia per
la pioggia copiosa e continua, sia per i temporali, sia per l'an-
damento meteorico del mese di Maggio, piovoso anch' esso, nel
quale la ritardata vegetazione non solo non potè avvantaggiarsi
per r insufficiente temperatura, ma ebbe a ricevere danni ec-
cezionali {}), Noto specialmente il mese di Maggio, perchè è in
questo, o verso i primi di Giugno che suol presentarsi la morìa
dei frutti. Negli anni successivi, e di primavera e di autunno,
se la stagione è stata umida, si è avuto qualche frutto colto
dal male, senza però che le piante a spalliera od in vaso ne
abbiano mostrato il minimo vestigio. Finalmente la perdita dei
frutti, aumentata 1' anno decorso C^), è divenuta in quest' anno
considerevole, tanto che noi abbiamo creduto opportuno istituire
delle ricerche in proposito.
(*) E. Meucci — BuUettino della R. Soc. di Orticoltura, Anno. IV, N.» 5. Firenie.
(«) E. Meucci — loc. cit anno XJ, N.<> 2. p. 54-53.
SOPRA UN NUOVO MORBO CHE ATTACCA. I LIMONI ECC. 317
Sebbene questa malattia a primo aspetto somigli la nebbu
DEGLI ESPERIDI (^), essentlo parò tali i suoi caratteri da non po-
tersi di certo con questa confondere, e V aver potuto stabilire
che alcuni dei fungilli, sempre rinvenuti su ciascuno dei frutti
affetti, rappresentano specie nuove, ci inducono a riferirne come
di un morbo, probabilmente per i danni insignificanti arrecati
per r addietro, sfuggito ai fitopatologi.
In quest' anno la malattia, che aveva fatto capo nel Maggio,
infierì col sopraggiungere del fresco e piovoso Giugno, durante
il quale 1' atmosfera fu gravemente perturbata, ed appunto in
quel tempo in cui maggiormente si sviluppò la Peronospora
della Vite. Le piante che ebbero a rimanere quasi spogliate
de' loro frutti furono, come negli anni precedenti, le sole a bo-
schetto, mentre le vicinissime a spalliera non subirono alcuna
perdita. Però tanto le une che le altre non hanno generalmente
mostrato di aver sofferto, né per il freddo, durante V inverno,
ne per altre cause che possono riferirsi alla concimazione, po-
tatura, etc, mostrandosi air aspetto in stato di salute. Sì nelle
une che nelle altre la produzione dei frutti fu abbondante.
Poiché la caduta dei frutti avveniva per lo più durante la
notte, non pochi dei medesimi, sia maturi che piccoli ed acerbi
od appena voltati alla maturazione, sia delle parti più alte che
più basse della pianta, ogni mattina venivano trovati sul suolo,
mutati di colore e leggermente di consistenza. Dal colore ap-
punto, un x)Cchio un poco esercitato, poteva benissimo ricono-
scere non solo quelli prossimi a cadere, ma sibbene quelli presi
dal male nei loro primi stadi, quando cioè vi si incominciava
a scorgere delle piccole macchiette livide irregolarmente distri-
buite. Queste diventavano in poco tempo sempre più grandi,
confluivano e raggiungevano costantemente Y estensione neces-
saria per far perdere ai frutti l'aspetto normale. Dette macchie,
con piccola superficie circolare centrale livido-cupa, si mostra-
vano un po' diverse a seconda che si consideravano sopra frutta,
che avevano o no raggiunta la maturazione.
Nei limoni ancora acerbi 1' area livida centrale molto cupa
era circondata da una zona scura più o meno estesa, che spic-
(*) Achille Cattaneo — La nebbia degli Esperidi Archivio del Laboratorio
Crittogamico Garo vaglio. Voi. IV, 183*3.
318 6. GISPERIM
cava sul fondo verde. Nei frutti maturi la macula livida, o pas-
sava per leggere sfumature ad uu giallo citrino sporco sempre
più chiaro, fino a confondersi col colore proprio dei limoni sani,
od aveva all' intorno, e ciò più di rado, delle zone concentriche
di un colore poco dissimile, le quali divenivano più sbiadite e
per ciò meno evidenti quanto più ci si allontanava dal centro
d' infezione. Al mutato colore ho già accennato che si riscon-
trava corrispondere una modificazione variamente sensibile per
ciò che spetta alla consistenza. Un frutto ben maturo veniva
ridotto molle e facilmente spappolabile ; quelli ancora addietro
nello sviluppo conservavano alla compressione una resistenza
normale od un poco aumentata.
Dirò subito come, nei tentativi fatti per rendere sperimen-
tale la malattia, introducendo cioè con un ago sterilizzato le
spore degli ifomiceti che descriveremo nel parenchima <li frutti
sani, si sieno ottenute talora delle macchie circolari livido-cupe,
qualche altra volta citrino-chiare. Nelle prime ho potuto veri-
ficare un graduato aumento di consistenza dal centro alla peri-
feria; nelle seconde invece, mollissime in tutta la loro estensione,
vi era un passaggio brusco alla consistenza dei frutti sani. L'epi-
carpio, a seconda che aveva il sottostante parenchima più o
meno molle, presentava variamente spiccate le piccole depressioni
che si trovano alla sua superficie in corrispondenza delle glan-
dule a olio essenziale. Xei luoghi poi in cui il detto parenchima
per r azione del micelio in esso sviluppatosi era al tatto cede-
vole, come si trattasse di sostanza semifluida ricoperta da un
sottile strato epiteliale, Y epicarpio presentava una superficie
liscia, ed i vestigi delle dette depressioni cominciavano ad ap-
pa rire ed a rendersi sempre più spiccati a misura che ci si awi-
c inava al termine dell' area infetta.
In nessun caso però sono riuscito a riprodurre le macchie
precisamente come si può riscontrare negli esemplari che ebbi
in esame; e sia che tenessi i limoni infetti artificialmente in
camere umide od all'asciutto, alla oscurità od alla luce, non mi
si è mai presentato quel che si riscontra costante in quelli am-
malati naturalmente, il predominio cioè nel!' intemo o all'esterno
di un micelio senza setti.
Fra le cose che meritano di essere segnalate è la velocità
con cui il male progrediva. In circa 60 ore un frutto com-
SOPRA UN NUOVO MOBfiO CHE ATTACCA I LIMONI ECC. 819
pletamente sano, colto dal male, veniva alterato del tutto e
cadeva.
I limoni caduti, oltre che per le caratteristiche accennate,
si lasciavano riconoscere per V odore fortemente nauseante:
odore specialissimo di queste frutta in grazia alle 'alterazioni
cui sono andate soggette.
Se si prende un frammento dei frutti completamente alterati,
o si praticano delle sezioni in corrispondenza dell'aree circolari
caratteristiche del male, anche con un obbiettiva di mediocre
ingrandimento, specialmente se si impiegano delle materie colo-
ranti come r Eosina, la Vesuvina etc, si vede che il parenchima
del frutto stesso è percorso da un numero considerevole di fila-
menti micelici. Dai limoni che esaminai verso i primi di Luglio,
dopo che questi erano rimasti per una diecina di giorni in la-
boratorio, senza neppure essere coperti da una campana, poco
potei rinvenire, presentandomisi nel loro interno tal copia e di-
versità di ife sterili da farmi perdere sulle prime Ja speranza
di poter giungere a determinare se esse appartenevano ad una
o a più specie di fungilli. La comparsa delle successive frutti-
ficazioni del Penic. digitatum, Aspergillus niger, e délV Asp. vio-
laceO'ftcscU'S, per dire delle prime a presentarsi, mi dette ragione
della presenza di alcuni dei filamenti sterili suddotci. Di quei
filamenti, che erano i più abbondanti in ciascun frutto ed i
meglio riconoscibili per la loro refrangibilità, non potei in nessun
modo vederne le fruttificazioni, sebbene per molti giorni li abbia
ottenuti non inquinati da germi di iforniceti estranei. Essi erano
in tutto il loro decorso, ora rettilineo, ora molto tortuoso, co-
stantemente sprovvisti, a differenza di tutti gli altri, di sopi-
menti cellulari, e presentavano in alcuni tratti delle varicosità
o tuberosità più o meno brusche, che alle volte si dividevano
in due o più rami di diametro minore. Il protoplasma di questa
rete miceliale è molto denso, granuloso e refrangente alla luce,
talora come Y endosporio dei conidi in generale. Nelle parti più
vecchie vi si osserva un tenue cilindro protoplasmatico staccato
dalle pareti dei filamenti. Tali pareti sono molto sottili, ialine,
e si modellano sul protoplasma seguendone le protuberanze,
gli agglomeramene e le ramificazioni.
n dubbio che questo micelio non rappresenti una specie
320 0. 6ÀSPERINI
distinta è per noi di poco valore, tenuto conto delle anastomosi
delle sue ife fra di loro e mai con le altre settate, avendo in
proprio degli esperimenti fatti con cura, dai quali risalta che
gli ifi appartenenti a specie diverse (Asp. niger, elegans, davatus,
glaticuSj Penic, digitatum, Alternaria tennis) non si anastomizzano
fra di loro, mentre ciò avviene di quelli che appartengono ad
una medesima specie.
Verso il 10 di Novembre capitandomi di esaminare altri
frutti a diversi gradi di sviluppo, staccati dalla pianta perchè
appena appena attaccati dal male, come non avevo potuto os-
servarli nel Luglio, alcuni li posi in camere umide alla tempe-
ratura ambiente, altri in una stufa a IS'* C.*, riserbandomene 5
per Tesarne delle macule patognomoniche. Di queste se ne trova
per lo più 2-3 per ogni frutto e distribuite senza regola. Se si os-
servano attentamente si nota che esse occupano una superficie,
dove al mutato colore si è aggiunta la scomparsa degli incavi
epiglandulari, simulando una tumescenza. Se queste macchiette
si osservano al microscopio in sezioni normali alla loro super-
ficie estema, in esse si vedono delle piccole protuberanze, che
occupano il posto delle depressioni epiglandulari normali sopra
ricordate, le quali sono determinate dal distacco dell' epicarpio
dal parenchima sottostante, in modo da formare delle cavità
presso a poco lenticolari, e senza comunicazione, sia coli' esterno,
sia con la glandule sottoposte, le quali potrebbero esser note
anche sotto il nome di glandule di Malpighii^).
Esaminando con ingrandimento sufficiente quelle singolari ca-
vita vi si può agevolmente osservare un micelio, senza sopimenti
cellulari, con ife del diametro di 3-4 fj.., le quali serpeggiano lungo
le pareti e nelf interno delle dette cavità .ed hanno manifesta
attitudine ad accrescersi centrifugamente rispetto alle medesime.
Avendo ciò riscontrato egualmente in ciascuna delle macchie
esaminate nei primi stadi, sono d'opinione che il giovane micelio
parassita, nutrendosi a spese della lamella media delle cellule
(*) 11 granfie anatomico bolognese (Op. omn., t. I, p 32. Lendini, 1686) fu il
primo a fare delle osservazioni d'un-i certa importanza su^'li organi di secrezione
delle piante Segnalò le glandule di un buon numero di Esperidee, e quelle del
Bictantnus; riconobbe la esistenza e la funzione dei nettari nella Corona imperiaUs,
nel Lilium persicum e nel Ranunculus^ non che l'ufficio dei peli (plandulart) del-
l' Urtica e Cucurbitaj sebbene qualificati da Grew {The Anatomy of Plants^ p. 148,
London 1682) per organi protettori.
SOPRA UN NUOVO MORBO CHE ATTACCA I LIMONI ECC. 321
dell' epicarpio, sia penetrato nell' interno dei frutti in corrispon-
denza degli incavi epiglandulari, che possono avere offerto alle
spore stesse le condizioni migliori per arrestarvisi.
Così la presenza del micelio parassita facendo diminuire il
turgore delle cellule del parenchima sottostante all' epicarpio e
determinandone la retrazione, lo strato epicarpico, il quale ha
meno risentita 1' azione dei filamenti micelici, in grazia pure
della propria tenacità, e resistenza per lo spessore delle pareti
cellulari, si incurva all' infuori, determinandosi il suo distacco
dargli strati sottoposti. Può anche darsi che i gas sviluppatisi
in seguito alla attivissima nutrizione di quei filamenti vi influi-
scano. In tal guisa vengono formate le cavità di cui si è fatto
cenno, le quali haimo il diametro di circa V^ mm. alla loro base,
e della altezza massima di 150 [i.
Se ci facciamo a dare uno sguardo ai frutti attaccati dal
male, e dopo qualche giorno dalla loro caduta, se i medesimi
sono stati posti sollecitamente in camere umide e all'oscurità,
il micelio senza setti si fa estemo, e, allungandosi molto, li ri-
cuopre di un lasso feltro biancastro, senza però mostrare alcuna
fruttificazione. Se invece sono stati tenuti nell' ambiente ordi-
nario presentano qua e là delle croste o macchiette candide
costituite da un fìtto intreccio miceliale assai depresso, con
margini più o meno frastagliati, di forma sferica od ellittica,
e col centro che si fa glauco, mentre si estendono con assai
rapidità. A questo rivestimento, che devesi al Pente, digitatum,
^ ne tiene dietro un altro, che si fa pure precedere da un fetro
bianco, che in seguito doventa di un color caffè chiaro che va
fino al tabacco cupo. Se i frutti si tengono in un luogo asciutto
prende il predominio il rivestimouto glauco; se in camere umide
tutti i limoni vengono ricoperti dalle fruttificazioni dell' ^^p.
niger o Sterigmatocystis nigra v. Tiegh. . Altre piccole aree ven-
gono occupate da ifomiceti di vario colore come violaceo-cupo,
ochraceo, roseo etc, ed altri fungilli si sovrappongono ai primi,
ma di ciò in altra occjisione, poiché conviene procedere alla
descrizione specialmente di quelle specie, che non sono cono-
sciute come a^umicole.
322 0. GASPBRm
Non appena sottoposto air osservazione microscopica qH^
rivestimento color caflFe cupo, ci accorgemmo trattarsi di «Ut
assai diffusa Sterigmatocystis. Questo genere fu istituito da Gramet
nel 1859 per un fungo che il medesimo trovò nel condotto au-
ditivo di un sordo, fìmgo da lui medesimo appellato 8t. unta-
custica. Fresenius, nel 1863 aggiunse a questa specie la Si. sut-
phureaj rinvenuta negli escrementi del Lucherino {FringUla
spinus Linn.), e nel 1877 Ph. V. Tieghem vi portò un latino con»-
tributo di nuove specie, cominciando dall' avvertire che il suo
Asp. niger aveva le basidi ramificate ( sterigmi ), particolarità
forse sfìiggita allo stesso De Bary, il quale, seguendo il prc^rìo
metodo di denominazione, chiamò il suddetto Asp. niger, Eu^
rotium nigrum.
È appunto a questa specie che abbiamo creduto dover riferire
il Gingillo in esame, nonostante alcune interessanti particolarità
che ci hanno indotto a modificarne le diagnosi e a dame una
nuova descrizione.
Appoggiando le opinioni di alcuni valenti micologi crediamo,
per le ragioni che saranno esposte, non doversi accettare il
genere istituito da Cramer.
Aspergillus niger, V. Tieghem.
(Ann. d. se. nat. V. Sér. pag. 240, 1867. e t. Vili, fig. 3. 1869).
A. Wilhelm (Beitr. zur Kenntn. der Pilzgattung Asp. 1877). Winter
(Krjptogamen-flora. Filze. 14 Lief. 1884).
Syijon.: Sferi/jmatoct/stis nigni V. Tiegh. (Bull. soc. Bot. d. Frane. 1877).
Bain.: (Bull. soe. Bot. Fr. t. I, pag. 30, fig. 4). Saec. SjU. fung. Voi. IV,
pag. 75, 1886).
Sterigmatocystis autacustica Cramer (in Vierteljahi'ssehrift d. naturf. Ges.
zu Ztlrieh, 1859 u. 1860).
Etirotium nigrum de Bary (Beitrage III, pag. 21, 1870).
? Monilia puUa Pers. (Synops. pag. 692) .
Exsieee.: Rabh. Fungi europ. 685, 2136, 2363, Thumen. Mycoth. 1178.
Hyphis fertilibus ereetis, ^/2-4 mm. longis, 10-16 \3. diam., erasse tuni-
eatis, simplieibus, hyalinis, apice vesieuloso inflatis ; yesieula sphae-
roidea, undique basidiophora ; basidiis radiantibus, eonfertis, decolo-
ribus V. fuseis, omnino teetis, 14-50 [x longis, 2-6 (j. crassis; apice 2-d
sterigmata, sed piurimum tria gerentibus, obclavata, 8 [i.. long. 3 |i.
cr.; conidiis initio hyalinis, levibus, p»>rfecte sphaericis, 2-3 jjl diam.,
àOPKk UN NUOVO MORBO CHE ATTACCA I LIMONI feCC. 3à3
yeirruculosis y. cnstatis, louge catenulatis, non contiguis sed pedicellis
tenuissimis connexìs.
liabiM in fructibus Citri Limonum et in firuct. putrescentibus auran-
tiarum; in dilutìs gallis, in solutione tannica, saccharina, citrica, tar-
trica etc; in pane udo, in urina acida, in foliis deiectis in Gallia et
Germania, in seminibus coctis Zeae Maydis, Phaseoli vulgaris, Solani
tuberosi etc.
Sclerotia, sec. Wilhelm, diametro vario, globosa v. tuberosa, v. cylindrica,
pterunque hic inde rimis instructa, pallida, in fuscum v. rufum vergentia.
\ e<Hiidi di queata specie, di cui Jules Raulin (^) dà inesatta
%]ar9(, soao descritti da V.Tiegheni, Wilhelm, Saccardo e Bainier
Q(HKke verruculosis; non mi resulta che alcuno faccia menzione
se si^no o no contigui.
Osservando attentamente le lunghe coroncine dei conidi, si
vede che sono tenute insieme da sottili pedicelli, ialini, nelle
parti più giovani, foschi, se si trovano fra quei conidi che hanno
già rai^iunta la completa maturazione. Questi tenuissimi pe-
diceUJL sono, cilindrici e della lunghezza di 1 a 2 |i.. . I conidi
adulti sono eguali fra di loro e presentano la forma di una
sferai con V equatore normale al pedicello. Quanto all' episporio,
mentre lo si trova fornito di rilievi sparsi od isolati, normal-
mente invece le punte o verruche fiise V una con V altra, o
riunite molto da vicino in modo da scomparirne il limite e di-
sposte in serie, mi hanno presentato l'aspetto di creste a mar-
gine libero assai regolare e con le estremità convergenti . alle
inserzioni dei pedicelli. Tali rilievi longitudinali vengono bene
distinti, e per essere più fortemente colorati in bruno, e per
r aspetto che prende una spora isolata, che mostri di faccia il
punto di attacco con le contigue. Queste particolarità devono
il loro interesse al grado di importanza che hannOri conidi nella
determinazione degli ifomiceti in generale. Perciò che spetta
al gen. Aspergilhis. e Sterigmatocystis (Cramer) si è visto variare
in uà buon numero di specie, a seconda degli agenti fisici e
chimici, e più specialmente per V umidità e pel calore, la lun-
ghezza delle ife fertili, V ampiezza del loro rigonfiamento apicale,
19. lunghezza delle basidi, il numero degli sterimmi, ed im poco
(*) Raulin — Éttides ckimiques sur la veffeiaticn, Ann dea se nat 5.® lérie,
Bot 1869, t. 7, fig. 3» f.
324 0. GASPEBINI
anche le loro dimensioni, senza però che i conidi di una data
specie abbiano subito siffatte modificazioni da non essere rico-
noscibili; e ciò anche nei casi in cui V aspetto delle singole
specie era variato molto notevolmente. E come è difficile rin-
venire in una cultura due ife fertili bene sviluppate eguali fi^
di loro in tutte le loro parti, altrettanto è assai costante la
uguaglianza dei conidi maturati sia per le dimensioni che per
le particolarità dell' esosporio. Esaminiamo intanto lo sviluppò
di quelli appartenenti all'^. niger.
Prendendo delle spore da una cultura che conti almeno 4
o 5 giorni e collocandole in camere umide su porta oggetti ap-
positamente preparati, che offrano cioè substrati di varia natura,
come gelatina, acqua zuccherata etc, con precedente steriliz-
zazione, germinano dopo 8 a 10 ore. Il loro protoplasma, au-
mentando in volume per V assorbimento dell' acqua, fa sì che
r esosporio, sebbene assai ispessito, si fenda irregolarmente in
un punto qualunque della sua superficie per dare adito all' eso-
sporio di emettere i tubetti cilindrici, incolori, a parete molto
sottile, ripieni da un protoplasma molto finamente granuloso,
i quali costituiscono il promicelio. I filamenti anfigeni, da prima
semplici, cominciano ben presto a mandare delle gemme laterali
a distanza piuttosto breve, le quali, successivamente accrescen-
dosi, si ramificano e si intersecano ad angoli molto acuti, in
modo che sulla gelatina ci appariscono ad occhio nudo delle
impronte circolari.
I setti propri di questo micelio compariscono un po' tardi
e con irregolarità. Dopo 24 ore dai filamenti orizzontali descritti
si vede sorgere dei rami verticali od ife fertili assai più grosse
dei primi. Esse hanno pareti da prima sottili, protoplasma gra-
nuloso ed abbondante, e una forma leggermente clavata. A mi-
sura che aumentano in lunghezza le pareti ispessiscono e si
fanno più rigide; si mantengono per tutta la loro vita semplici,
ed incominciano a rigonfiarsi all' apice dove il protoplasma si
addensa. Quando il rigonfiamento ha raggiunto presso a poco
la forma sferica, protrudono alla sua superficie convessa delle
cellule ialine ed a parete sottilissima, che si accrescono con
molta rapidità. Esse non sono contigue ed irraggiano. Manten-
gono fisso il diametro alla loro origine, mentre in alto si slar-
gano e pel mutuo contatto si comprimono un poco, specialmente
SOPRA UN NUOVO MORBO CHE AtTACCA I LIMONI ECC. 325
se appartenenti ad una cultura rigogliosa giunta a completo
sviluppo. Air apice di queste cellule, che sono le basidi, compare
assai precocemente un sottile e breve peduncolo, che vien tosto
accompagnato da altri laterali, alla cui sommità si presenta un
piccolo rigonfiamento che va a costituire la prima spora. I conidi
adunque possono comparire prima che gli sterimmi abbiano rag-
giunto lo sviluppo loro proprio, come si può vedere in altri
Aspergini, eppure essere visibilmente distinguibili dagli sterimmi
stessi che si attenuano bruscamente al di sotto del rigonfia-
mento apicale delle sporule. A proposito del luogo di origine
delle basidi è duopo non lasciar passare una particolarità, che
è più o meno manifesta in tutti gli Aspergini. Se si denuda
un rigonfiamento delle ife fertili già adulte in modo che rimanga
privo delle basidi che lo ricuopronp, vi si scorgo una diversa
refrangenza la quale ci fa avvertire una scultura assai elegante.
Si vedono cioè degli anelli chiari, risultanti da un ispessimento
della membrana esterna della vessicula, dal centro d' ognuno dei
quali sorgono le basidi. Quando queste hanno cessato di accre-
scersi, è allora che succede la massima produzione dei conidi.
Questi si dispongono in lunghe corone irraggianti, le quali, o
sono riunite fra di loro in piccoli mazzetti, ed allora il capitulo
si presenta sferico, o costituiscono due o più fascetti conidiali
di tali dimensioni da potersi scorgere appena ad occhio nudo,
ed i capituli in questo caso prendono un aspetto stellato.
Quanto alle proprietà di questo fimgillo e così noto il fatto
che esso sdoppia il tannino in acido gallico e glucosio (^), che sa-
rebbe inutile passare in rivista le nostre ricerche che lo confer-
mano. Della sua. azione patogena o meno sugli animali ne sarà
tenuta parola in un' altra occasione. Secondo U. Gayon (^) inter-
vertisce lo zucchero di canna allo stesso modo del Penicillium
crustaceum. Alle belle ricerche instituite da J. Raulin (^) sulla
vegetazione di questo ifomiceta sarebbe stato opportuno aggiun-
gerne altre conscementi V acido citrico ; ma avendo dovuto ef-
fettuarle con mezzi non troppo adatti, mi limito ad accennare
(0 Ph. V. Tieghem — Sur la fermentation gallique - Ckxnptes rendus, 1867,
T. LXV.
(*) U. Oayon — De la fermentation alcoolique du sucre^ de canne par les
ìuoisissures. Compi, rend. de PAc. d. Sciea. T. 86, 1878. p. 52-54.
(•) ioc. cit.
326 0. GASPERINI
che esso acido, aggiunto in piccole proporzioni (2 per 100) ai
vari substrati, ne agevola lo sviluppo e si ottengono culture
rigogliose. Le mie indagini sono imperfette anche relativamente
alle fruttificazioni, non essendomi per ora caduta sott' occhio
che la forma conidiale.
Del resto la forma ascofora h nota; e le descrizioni avute
non lasciano dubbi suU' affinità del gen. Sterigmatocystis Cram.
col gen. Aspergillus. Allo stesso dott. F. Morini * parrebbe più
opportuno ritenere un unico genere, che rappresenti per una
parte un unità di tipo nella forma gonidiale, per V altra un' unità
di tipo nella forma ascofora „ (^). A questo proposito sono da
prendersi in molta considerazione le opinioni di V. Tieghem,
cui spetta il merito di avere per primo riconosciuto quanto fos-
sero vicini i suddetti generi, che in realtà, come vedremo anche
in seguito, non possono considerarsi separatamente.
Aspergillus violaceo-fuscus, sp. nov.
Efifusus ; hyphis sterilibus ramosis, septatis ; fertilibus erectis, simplicibus,
continuis, cylindraceis, hyalinis 12-18 \i., diam.; circa 2 mm. altis,
apice vesiculoso-inflatis: vesicula sphaerica 42-51 \l. d. ; basidiis ra-
diantibus, cilindrico-conoideis 6-8 |i. long, apice 3 ji. cr.; sterigma-
tibus simplicibus, cilindricis v. piriformibus 2-4 tx. long.; conidiìs
ovoideis 3.26 — 5 = 5 — 6.5, primo hyalinis, dein violaceo-fiiscis, ver-
ruculosis: capitalo integro usque 95 \i., diam. Sclerotia ignota.
Hab, in fìructibus Hesperidearmn, in dilutis gallis, in solutis tannino,
saccharo, acido citrico; in seminibus coctis Zeae maydis aliisque sub-
stantiis yegetalibus.
Questa specie, che ho ripetutamente seminato e coltivato in
substrati di varia natura, e principalmente sul riso cotto e sulle
miscele nutritizie proposte da Pasteur e Koch, mostra proprietà
fisiologiche poco dissimili da quelle della precedente. Determina
la fermentazione gallica, resiste in liquidi ove si trovino leggiere
tracce di solfito sodico, acido ossalico; vegeta rigogliosamente
sugli aranci e sui limoni posti a frammenti in camere umide;
negli infilai di noce di galla variamente concentrati; presenta
(') P. Morini. — Ricerche sopra una specie di Aspergillus. (Tav. II). Mal-
pighia. Anno I, fase, l.o p. ^4-31.
SOPRA UN NUOVO MORBO CHE ATTACCA I LIMONI ECC. 327
insomma una notevole adattabilità alle diverse condizioni di
vita cui è stata sottoposta, mantenendo i suoi caratteri abba^
stanza fissi. Lo sviluppo dell^ sue spore non presenta nulla che
meriti speciale descrizione effettuandosi come nel caso della St.
nigra. Il suo micelio è settato. Le ife fertili erette, sprovviste
sempre di setti, leggermente ricurve alla base, con pareti ispes-
site, si presentano ialine nelle prime fasi di sviluppo. In seguito,
quando cioè comincia a cessare V attiva produzione dei conidi,
e neir intemo de' filamenti fertili si vede ridursi di volume e
perdere la refrangenza il cilindro protoplasmatico, già, interrotto
spesso in vari punti, questo cilindro e le pareti stesse si fanno a
poco a poco di un giallo verdastro cupo. H loro rigonfiamento api-
cale prende una forma assai regolarmente sferica ed è tutto rico-
perto dalle basidi, che sono semplici, incolore, raggianti, stipate,
cilindriche da prima, quindi cilindrico-coniche o davate. Quelle
che si trovano sullo stesso rigonfiamento sono per lo piti, tutte
eguali; e nei casi di vegetazione rigogliosa si comprimono un pò* fra
di loro nella parte più espansa. Superiormente la loro parete si
inspessisce un poco e si continua con quella del sottile sterimma,
alla cui sommità si generano le spore. La lunghezza e la forma
dello sterimma variano a seconda dello stadio in cui si sorprende
le spore in formazione, poiché queste non hanno alcun limite che
possa morfologicamente distinguerle dagli sterimmi stessi in tal
caso rudimentali. In questa specie, come nelle altre, accade os-
servare i diversi gradi di sviluppo od i termini di passaggio fra
lo sterimma appena visibile, per essere confuso con le spore
giovanissime, e quello bene distinto dal conidio già formato;
ed è in questa specie che le basidi, in condizioni di vita molto
favorevoli, accennano alla pluralità de' propri sterimmi. Il nostro
microfita, da non potersi riferire a nessuno di quelli descritti fra
gli Erotium sec. V. Tiegh. (^) ha i conidi contigui e disposti a
catenella. Essi sono come nell'J.. niger, ialini, lisci, da prima;
quindi il loro episporio comincia a rivestirsi di verrucosità, di-
sposte irregolarmente e colorite in bruno-violaceo. È per questo
colore che si distingue dalle altre, e che si riconosce a colpo
d' occhio se essa vegeti, si estenda o no in un dato mezzo nu-
Q) Ph. V. Tieghem — Sur le développem&nt de quelques ascomi/ceies. Bull,
la 80C. bot de France. T. XXIV, p. 203. 1877.
8e, Noi. Voi. Vm, fase. 2.° 24
328 0. GASPERINI
tritivo : però in qualche caso c^ è da confonderla con V Asp.
descritto. Il suo mutar di colore, da più cupo a più chiaro, mi
è risultato collegarsi con le condizioni di vegetazione.
Trattandosi di Asp. ^ fuscescentes „ e di St. ^ nigricantes „ col-
tivati in substrati poco propizi ed in un' ambiente poco umido,
hanno presentato colori più chiari e smorti. Nelle culture ri-
gogliose i colori si sono fatti più vivi e cupi. Mentre Y Asp.
niger colora V alcool in giallo bruno e resiste molto nella lotta
per l'esistenza, trovandosi al contatto di vari ifomiceti {Perde,
digitatum, Trichothecium roseum, T. candidum, Asp. davatuSf
A. glaucus) e più specialmente del Penicillium parasiticum che
però r uccide, la presente specie non si scolora nell' alcool ed
oppone molto minore resistenza singolarmente al parassitismo
del suddetto Pente., che descriveremo quanto prima.
Mi è nota soltanto la fruttificazione conidiale.
Aspergillus elegans, sp. n.?
Synon.? Aspergillus ochraceus Wilhelm (Beitr. zur Kenntn. Aspei^illus.
pag. 66. — Kryptogamen Flora-Pilze von Dr. G. Winter. pag. 63-1884).
? Aspergillus ochrdeucus Haller (Enum. method. pag. 6). ?M(milia
ochrdeuca Gmelin (in Linné, Syst. nat. II, 2. pag. 1487). ? Monilia
sulphurea Pers. (Synops. pag. 691) . ? Sterigmatocystis sulphurea Fre-
senius (Beitràge pag. 83). ? S. lutea v. Tieghem (Bull. Soc. Bot.
Frane. 1877, pag. 103). ? S. lutea Bainier (Bull. Soc. Bot. Frane.
1880, pag. 30).
Exsce.: Rabh., Fungi europ. 784?, 2361,
Myeelio albo, repente; hyphis fertilibus erectis, continuis, simplieibus,
primum hyalinis demum dilute oehraceis atque tenuissime epiguttu-
latis 1-6 mm. longis, 5-10-12 |x. diam., in vesieulam sphaericam usque
ad 70 (JL. diam. dilatatis; basìdiis radiantibus, eonfertis, elavulatis,
omnino vesicae superficiem tegentibus, 4-26 |x. longis; sterigmatibus 2-6,
sed plerunque tria 7-14 |x. longis 1-2 |x. erassis; eonidiis e sterigma-
tum apiee, varie protracto, oriundis, inferioribus ovoideis v. sphaeroi-
deis, hyalinis, caeteris perfeete sphaericis 3-3. 5 (i. diam. numerosis,
episporio tenuissime verruculoso, aequalibus, eontiguis, oehraceis;
eapitulo integro 20-130 (i. diam., ochraceo. Sclerotia ignota.
Habitat in fruetibus putrescentibus Citri Limonum, in pane udo, in se-
minibus coctis Zeae maydis L., Phaseoli vulgaris, Solani tuberosi et
in solutis yariis.
SOPRA UN NUOVO MOftBO OHE AtTACCA I LIMONI ECC. 329
An diflfert ab hac S. lutea v. Tiegh. * conidiis ochraceo-flavis » , S. lutea
Bain. * conidiis levibus 6-5 |x. diam. , , Asp. ochraceus K. A. Wilhelm
** conidia globosa, raro ovalia (diam. 3. 5-5 (jl.), episporio tenuissime
verrucoloso, decolore v. flavescente » ?
Per ciò che riguarda la St lutea V. Tiegh., non vi sono dati
diagnostici per potere stabilire in ciò che realmente differisca
dalla nostra ; ed è per questo che V illustre micologo Saccardo
(^ la identica domanda, in che cosa cioè differisca da quella di
V. Tieghem la St lutea Bain., di cui riporta la diagnosi (^): ed
è forse per la medesima ragiono che Wilhelm mette in dubbio
che YAsp. ochraceus da luì descritto, e successivamente ram-
mentato da V. Tieghem e Cornu come St. ochracea (^), sia una
specie nuova.
E manifesto però che, se le specie sopra enumerate non si
possono distinguere dair^. elegans per il colore o per qualche
altro carattere, come questo di poca importanza per la sua va-
riabilità, specialmente in alcune, i conidi della nostra, sempre
eguali fra di loro, ne differiscono per le dimensioni. Perciò ritengo
che forse nessuna delle specie dai micologi descritte, o nel gen.
Aspergillus Michel, o nel gen. Sterigmatocystis (Cramer) possano
essere confuse con la presente. Ma non nascondo la convinzione
che, mentre a stabilire una specie nuova sono provvisoriamente
sufficienti i caratteri della sola forma conidiale, è però neces-
saria la conoscenza delle altre forme di finittificazione, le quali
ridurranno nei giusti limiti il numero dei funghi, come questo,
incompletamente conosciuti.
Il nostro microfita, forse il più bello ed elegante fra gli
Aspergini, forma dei rivestimenti continui che dal color bianco
vanno fino all' ochraceo spiccante, passando per tutte le grada-
(*) Sylloge fung. cit. p. 73.
(«) Wilhelm — (Inaugurai Dissertetioa Strassburg - Bot. Jahresb. 1877) del
genere Asp. fa due sezioni: Sectio 1. € Stipites conidiferi sterigmatibus simplicibus » ,
ed in questa pone V Asp. flavus Brefeld, e Y Asp, clavatus Desmaziéres. Sectio li:
€ Stipites conidiferi sterigmatibus ramosis, vesica terminali globosa», ed in questa
seconda sezione descrive V Asp. nifier V. Tieghem; Y Asp. ochraceus n. sp. (?), e
Y A, albus. È quindi naturale che V. Tieghem {Remarques sur les genres asperp :
e ster, à propos d* un récent memoire de M. Wilhem. Bull, de la soc, Bot Frane.
T. XX IV. p. 208 cit.) ponga nella sua classif. la sp. suddetta come St. ochracea.
Cornu (loc. sup. cit. p 210) dice averla rinvenuta su certe piante imballate prima
di disseccare, che gli furono inviate dalla Corsica. Parrebbe una specie assai difTusa.
330 0. OISPERÌKI
adoni intermedie col traacorre del tempo. Lo rinvenni per la
prima volta sui limoni ammalati già in parte ricoperti dal
Pente, cmstaceum, dal Trichothecium roseum Link e dalle altre
muffe descritte. Tenendo dietro al suo sviluppo in uno dei mol-
tissimi substrati, dove ne ho eseguite le culture (circa 40), cioè
sulla gelatina pura o commista a zucchero etc., si vede le sue
spore gonfiarsi, fendersi, come di solito avviene, ed emettere
un promicelio con decorso anfigeno. Dopo 20 o 24 ore dalla
sementa dei conidi, la superficie della gelatìna mostra degli
avvallamenti circolari, confluenti, isolati o comunicanti ira di
loro, a seconda del metodo seguito per la sementa stessa. Ha
r aspetto cioè di una superficie piana plastica sulla quale sieno
state fatte delle impressioni a varia distanza con un corpo ro-
tondo. Osservando, con V aiuto di una semplice lente d' ingran-
dimento, queste depressioni circolari del diametro di 2 a 4 mm.
circa, dal centro delle medesime si vede sorgere un ciuffetto
di ife fertili; ed alla loro base irraggiarsi un numero conside-
revole di filamenti sterili, essendo questi i punti dove le spore
son cadute ed hanno germogliato. Dopo 48 ore circa le de-
pressioni circolari non si rinvengono più, e la superficie della
gelatina è invece ricoperta da un numero grandissimo di ife
fertili quasi verticali, che, se seminate in un sol punto, costi-
tuiscono una rosetta di colore ocraceo nel centro, il qual colore
è dovuto ai capituli conidiofori adulti. All' intomo, mentre questi
vanno sempre diminuendo di volume perchè vi si trovano i più
giovani, dal colore paglierino si passa insensibilmente al bianco
delle ife nei primi stadi di sviluppo. Se queste si studiano al
microscopio, specialmente valendoci delle rigogliose culture quali
si ottengono sul riso cotto in camere umide, si nota manifesto
che il loro modo di comportarsi nelle prime fasi non differisce
in nulla da quello proprio agli Aspergini in genere.
Il filamento fertile, ricco di protoplasma granuloso, si ac-
cresce con molta rapidità, ed il suo rigonfiamento apicale, for-
matosi a grado a grado, perde sempre più la forma clavata
per avvicinarsi alla sferica. Allora la superficie della vessicola
incomincia a rivestirsi di cellule ialine, cilindriche, dette basidi.
Queste, prima di raggiungere il completo sviluppo, emettono
alla loro estremità libera, nel maggior numero dei casi, un* unica
gemmetta ialina^ la quale si accresce e termina, colla inter-
SOPBA UN NUOVO UGRUO '<ÌHÈ ATTACCA I LIMONI ECC. 381
posizione di un tenue tratto (sterìmma), in un rigonfiaménto
con Spiccata refrangenza, il quale costituisce la prima spora.
Incotaincia in tal caso la produzione dei conidi prima che le
basidi si sieno ramificate; ma ciò va soggetto a numerose ec-
cezioni, riscontrandosi delle basidi con 3 gemme ben distinte,
&;enza che alcuna abbia incominciato a mostrare il suo potere
sporigeno.
Prevalentemente però mentre il primo sterìmma genera la
prima spora, ai suoi lati si trovano gli sterimmi laterali in nu-
mero per lo più di due. Questi presentano forme diverse a se-
conda dello stadio in cui si sorprendono i conidi giovanissimi.
Il riscontrare in alcune basidi da 2 sterimmi (^) fino a 6
e 7, mentre da un lato deve riferirsi all' età, va attribuito più
che altro alle condizioni di vita e di nutrizione. A queste devesi
pure la incostanza e spesso la notevole differenza nelle dimen-
sioni delle ife fertili, del rigonfiamento terminale, delle basìdi
e degli sterimmi, non che la maggiore o minore attività spo-
rigena di quest' ultimi. Le ife fertili, da prima ialine, nel rag-
giungere il completo sviluppo si colorano, presentano una parete
assai inspessita, ed alla loro superficie esterna, mentre il cilindro
protoplasmatico intemo è ridotto di volume o scomparso, sì ri-
vestono di gocciolette piccolissime di sostanza oleosa, le quali
disposte regolarmente ed uniformemente, sembrano a prima
vista tenui verrucosità. Anche in questa specie, coltivata in
condizioni favorevoli, si ha la disposizione delle lunghe catenelle
conidiali in grandi fasci, i quali o si distribuiscono elegante-
mente a verticillo, o costituiscono un bel capolino sferico con
qualche fenditura, fino a misurare ^/a e più di mm.* di diametro.
Mentre non si adatta a vegetare su tanta varietà di substrati
come r^. niger, è però più di questa specie capace di vivere
lungamente, per la durata della produzione delle spore e per
la notevole persistenza in queste del potere germinativo. E se
ci facciamo ad osservare delle culture, anche lasciate all' am-
biente per più di tre mesi, non si vede che altri fimgìllì sieno
sopraggiunti ad inquinarle; e per di più vi si riscontra che al-
(*) Si noti che nel gen. Sterxgmatocystis Cram. si da il nome di sterìmma non
solo a quella parte aBsottigliata che sostiene direttamente i conidi ma anche alla
porzione inferiore slargata che negli Aspergini CSectio I Wilhelm) si considera come
baside.
*- Ti
*:m#* ^.••* il*? *;io»r.iiì .nT^^-iuan *rja annnare in ma* Edae
j^li/^r^yulr, .ti v>»;i":.z;i'>»:i ii iiniiii'iA, -a.': H» ò^rr'l 4 toiÌì^iii> ri-
p^/*r* .n >u*'V.tó A :i;rr*a ie- ««'/r7:*:.j»rAnj:f* !asimlij- sa in ae-
'V^n ^jM.(t\ V'Xa'. v/*TA.rr.iir'.f:rrr: ^npìii!;. ■? -HHiza. -ine vadano
AiipergilItLS cUvatns L>e^m.
''Artn. -i. ^. r.*n. r*^..' '»t*r.»^. T. IL p. 71. -. [L ijr. +. I'*-^' Wilheti&
7 r,n^*ri;A; r.Tph..'? -vr...v;.^ -t^ptArL-. hTAlir.is: r-rnilibos :&ssiznz«Ltì)>us.
<?>r*fl^^i;^>sU. f-/ixX.:,.\\h, iAj^-y.'vL'*. «■;4r.'i:'i> t. -».-.ri:'Ì»* ilhb«, osque ^ mm.
\f*x\^,. riWxAr^k't^i^ 'f-.V» -j. i.^rr... *:ir-.;m :r*nA:«— ÌatìcL*: baàidiis densis.
<'t^//^lor{N *.-'. a^i 10 ;;, l'ir.ir,: -r^r! amar ih-i- f>rF-TÌr>-i.s: macr«>c»>iii«liL5 sphae-
\oui(t'<. ff^*' hyaliriÌH. 'rpwp'jrio laevi. interioribas contigui*, longe cate-
riitUti.4. \u r;ipifuliim ^:l;i7Ìfonrje roller:ti.s. .sphaerict t. .stellatìm dispo-
«it.i.Jt. r'?ipitiii;i conl'Iiopjrn gUu.ve?»oentia v. cinerea. Sclerotia ignota.
ÌMf. in fruiti hijM pijtnfH^:entiW»j.H Hesperidearum. in reminibus coctis Zeae
WfiytlìH fi/,, in pari^; lulo. st^rcore anijerino. gallinaceo, ecjuino. aliisque
(:or\HtnhììSi piitnrH';. in Gallia. Belgio. Italia. America Bor.
Qij^!Hia Hpocje, produttrice di un numero considerevole di ife
f^?rtili Hu moltJHHimo sostanze organiche putrescenti, forma dei
riv^^MtirrHuiti da prima candidi eppoi di U'i bel colore celeste
pallialo col rriaiuran; delle spore. Se le culture si eseguiscono
HpocialrrH$nif) in mozzi, noi quali i principi zuccherini si trovino
in KninHo abbondanza, alcune aree irregolari occupate da questo
lutiKillo si vodranno mantenere, per tutto il loro ciclo vitale,
un coloro liianco-spon^o o cenerognolo. Così Desraazieres stesso,
nnlla sua brovo doscrizione di ((uesto elegantissimo fimgillo,
diro dm " formo do potitos touffes cendrées ou glauques „ ed
aKKÌiiitK<^ <'ho ** doit otre placéo h còte de V Aspergillus glauciis,
doni, olio HO «listinguo porfaitomont par la réunion de ses spo-
SOPRA UV NUOVO MORBO CHE ATTACCA I LIMONI ECC. 333
ridies en tètes allongées ou claviformes ». Per conto nostro la
differenza essenziale fra VA. clavatus e 1'^, glaucus consiste più
che altro nella diversità dei conidi, nel primo molto piccoli e
lisci, nel secondo del diametro trasversale di 6-10 p-., longitudi-
nale di 8-14.5 i^., e per essere quelli adulti forniti di episporio
verrucoso e inspessito. Aggiungasi che 1'^. glaucus può avere le
ife fertili settate e ramificate, e, senza qui tener conto delle
diverse attitudini fisiologiche che sono proprie del clavatus e non
del glaucuSy si avrà che queste due specie diversificano fra di
loro né piti né meno come dovrebbe sempre riscontrarsi fra
due buone specie di uno stesso genere. Le ife fertili del clavatuSj
tanto quelle con fruttificazione glauca che cenerognola, sorgono
dal micelio settato e ialino, presentandosi tortuose nel loro
tratto inferiore. Hanno normalmente il diametro di 25-40 [i. ed
una membrana non molto inspessita. Il loro rigonfiamento ba-
sidifero in speciali circostanze di denutrizione può mostrarsi
sferico, e ricoperto di basidi solo alla sommità. Esse basidi
normalmente cominciano ad apparire nel punto dove le ife fertili
cominciano a slargarsi, dop) aver mantenuto un diametro quasi
costante per un tratto che varia a seconda della loro lunghezza.
Le cellule madri (basidi) vanno mano mano aumentando in lun-
ghezza a misura che ci si avvicina alla sommità del rigonfia-
mento, dove si osservano le più lunghe e le più attive rispetto
alla produzione delle spore. Queste cellule madri in qualche
raro caso non costituiscono un rivestimento continuo, avendole
viste formare come una specie di manicotto nella parte media
o dove incomincia lo slargamento dell' ifo fertile, e, coli' inter-
posizione di uno spazio anulare, senza vestigio di basidi, ricom-
parire air apice dell' ifo medesimo. La superficie esterna donde
sorgono le cellule madri, osservata con un forte ingrandimento
ci mostra gli stessi anelli refrangenti degli altri Aspergini, qui
però molto piccoli e ravvicinati. Se il copri-oggetti esercita su
questi una compressione anche leggera, ci apparisce per nor-
male disposizione ciò che non è, prendendo in questo caso essi
anelli circolari un aspetto regolarmente poligonale.
Una quantità variabile delle spore più giovani rimangono
aderenti e formano come un tutto con le stesse basidi, con le
quali hanno a comune la grande facilità di colorirsi con V eosina,
vesuvina etc. . L' ampiezza del rigonfiamento basidifero, il dia-
384 0. OASPERINI
metro dell' ife fertili e la loro lunghezza variano entro limiti
molto estesi a seconda del substratum e delle condizioni fisiche.
Poiché questi fungilli hanno da essere conosciuti meglio che
si può in servigio di fatti che hanno il loro interesse biologico,
darò un cenno dell' azione della temperatura sullo sviluppo di
questa specie. A 0** C. le sue spore non germinano, come pure
al di sopra di 40^ C. Il suo micelio si sviluppa fra 5^ C* e 38* CA
ìjAsp. glaucus sopporta la temperatura minima di un grado e
mezzo C.*, come il Penic, glanc.y e queste due specie sono quindi
più resistenti del clavafus. Come avviene in generale, le spore
più resistenti sono quelle che provengono dalle culture effettuate
nelle condizioni di vita più sfavorevoli, ed e appunto in queste
condizioni che vengono formate quelle spore sferiche, il doppio
più grandi delle nonnali ellittiche, con episporio più sottile e
scolorato, spore che abbiamo dette macroconidi. Il massimo
della attività sporigena delle ife fertili si ha fra i 18* e i 22* C*.
Abbassando o alzando la temperatura diminuisce la resistenza
che questa specie oppone al Penicillium para^siticum, col quale,
se, in buone condizioni, anche relativamente al substrato, so-
stiene una lunga lotta.
La luce pure spiega un' azione sul microflta in parola, quale
non ho potuto verificare nei precedenti.
Ho esperimentato con superfici piane di cultura piuttosto
estese, bene sterilizzate, in un sol punto delle quali ho poste
le spore del clavafus. Tali culture le ho collocate in una piccola
camera oscura, che funzioni anche da camera umida, munita
di un orifizio che lasci passare liberamente all' intemo i raggi
della luce, e facendo in modo che questi cadano in una linea
che incontri il punto di sementa delle spore. Tenendo conto
di questo punto, se dopo 3 o 4 giorni si esaminano le culture,
si trova che la superficie del substratum è ricoperta da un bel-
lissimo tappeto ceruleo, che si estende soltanto in direzione
della sorgente luminosa. Il micelio e le conseguenti fruttifica-
zioni di questa specie progrediscono soltanto verso V orifizio
della camera oscura, mostrando in tal guisa un marcato elio-
tropismo positivo, a differenza di alcuni miceli che rifiiggono,
per così dire, dalla luce, circostanza questa da tenersi in molto
conto, specialmente quando si abbiano a fare delle ricerche,
della natura di quella di cui riferisco. Basare una distinzione
SOPBA UN NUOVO MORBO CHB ATTACCA I LIMONI ECC. 886
fra le varie specie, senza mai trascurare le loro diverse atti-
tudini fisiologiche, mi sembra che sarebbe un buon metodo
da seguirsi.
Aspergillus variabilis. sp. nov.
Hjrphis erectis, continuis v. varie reptatis ac rare ramosis, V»-^ mm. al-
tis 5-16 |x. diam. apice vesiculoso inflatis; vesicula varia 10-60 (i.
diam. vel apice tantum basidiophora, basidiis radiantibus, 6-18 (i. long,
simplicibus vel ramosis et usque ad tres sterigmata gerentibus 3-5 (t.
long. ; conidiis primum laevibus, hyalinis, 3 |x. diam. , dein viridu-
lis 5-6.52 {JL. diam. sphaericis v. ovoideis, laevibus v. tenue verruculosis.
Capitulo integro 9-115 |jl. diam., virens.
Hab, in fruct. putrescentibus Herperidearun.
An differt ab hac sp. St. var. Bainier? (Bull. d. la Soc. Bot. Fr. T. XXVII,
pag. 30. 1880).
Se il fare una diagnosi esatta delle altre specie è cosa un
po' malagevole, di questa poi è diflBcilissima. Sono così molteplici
le forme che presentano le sue fruttificazioni couidiali, le sole
a me note, che è pressoché impossibile in una diagnosi com-
prenderle tutte.
Siccome ora conviene porre un limite al già, troppo lungo
esame dei fiingilli comparsi sui frutti alterati dal mìcolio pri-
mitivo descritto, benché il presente Asp. sia la miglior con-
ferma ( relativa alle fruttificazioni conidiali ) per dimostrare
r insussistenza delle Sterigmastocystis come un genere a parte
dagli aspergini, stando il medesimo a rappresentare uno di quei
termini di passaggio, che non sono diffìcili fra due generi, di-
stinti solo per comodità di studio, ne esporremo la descrizione
minuta in luogo più opportuno. Dallo studio delle sue forme,
ottenute per mezzo della mancata od esagerata influenza di quei
fattori, che più modificano, come si è detto, lo sviluppo di tali
microfiti, si hanno pure dei criteri abbastanza esatti circa il
valore dei caratteri delle specie appartenenti al gen. Aspergillus
(Michel). Rimetto pure ad altra nota la descrizione di una lunga
serie di fiingilli, e tuttirinvenuti sui limoni ammalati più o meno
putrescenti, fra i quali interessa il Penic. parassiticimi più volte
citato [micelio sottilissimo, settato solo in prossimità delle frut-
tificazioni. Sporule ovali od ovato ellittiche 1,5 = 2,26]: il Penic.
^^^ Ti- rJ
;f^:jjt>^ro 'vv:-y:^ *ri->*:?, jj-iJ:!. = 4-fó': I P-pwir,
V-y-i^ff.-t' :a j^frry^h ó:T*rrs- « alcEii dei q^iaii n^fs^Esecìaiiti specie
AliSà, i>f;j>rr:k-fr de; ]liaoiJ asmnalari- ^be ^«ODero in camere
u/wid*:. iio irhf^u^nXfffnffrr.e rirooiitrato ima sf-eoe del gen. Sar-
rfi/jir^/myr^Jif «Mfrven> e cfa«r app-e-lero Sao^. CifW, o(m celiale othIì,
ellittk'h/: o cilindriche, 'i^.5= 1-2 ?i unite in colonie con Tane
ramifi';azioriJ. Cellule «^p^irìfere i^jlate 1.3 ^x>re minotisBinie.
Si c/iltiva l>erje «-ul «ago di limone sterilizzato e dihiito.
f ^'/fXi avere diffusamente decritto ed enumerato una qoantità
wruiiderevole di ifomiceti. e tutti rinvenuti sui frutti ammalati,
iUfU\u*Aì dire della parte che e-ssi hanno avuto nella genesi della
malattia in dis^^irs^i, compito tanto importante quanto difficile.
Per ciò che Hpetta alla natura del morbo, prescindendo dagli
organinmi fin* ora studiati e solo tenendo conto del suo modo
di darjprr fitti, mi sembra poter dedurre che esso ripete una causa
paniHHiiaria. Se infatti volessimo attribuire la moria dei fìiitti
solo ari una alterazione avvenuta nelle piante affette, sia per
dirMÌriuitx; valore alimentare del terreno, sia per qualche spo-
HiariHjnio nell' sissimilazione dei materiali nutritizi, o per qual-
che altra causa a noi ignota e, se si vuole, tale da non poter
essere neppure investigata dai mezzi di cui oggi dispone la
scienza, ma che però non esca dall' ordine dell' alterazioni nu-
tritizio; se noi infine volessimo ricercarne la causa solo nella
anormale composizione chimica dei frutti (ricerca di notevole
intc^n^HHO (^ du) ci duolo non aver potuto effettuare), giunge-
remmo soltanto a dar ragione di un fatto, del perchè cioè i li-
moni a boschetto vengano sempre attaccati dal male, mentre
({iielli a spalliera ne rimangono costantemente immuni; ed a
siabilircì il grado dell' alterazione che precede il descritto mi-
colio parassita.
Ma non sapremmo certo come renderci ragione dell'arresto
(It^l morbo al cominciare delle belle giornate, al cessare delle
nobbio, 0 del suo ricomparire col ritorno del tempo cattivo ed
\
SOPBA UN NUOVO MORBO CHE ATTACCA I LIMONI ECC. 337
umido. Non sapremmo comprendere come avvenga che in una
stessa pianta sieno presi dal male tanto i frutti ancor verdi e
piccoli, come quelli che han già raggiuntala maturazione: che
quelli più nascosti alla luce muoiano con maggiore facilità e
frequenza; e che i superstiti maturino e sieno trattenuti dalla
pianta presso a poco come avviene nei casi normali. Se tutti
i frutti di tutte le piante, sulle quali la malattia si è svilup-
pata, fossero caduti ; o se le piante stesse ci apparissero patite
per il mutato colore o per la caduta delle foglie; se. qualche
frutto si fosse visto abortire ; se insomma ci fossimo potuti accor-
gere che le piante si trovavano in uno stato di languore, di
sofferenza, non avremmo esitato ad ammettere che il micelio
primitivo, non che i fungilli probabilmente partecipi all' eziolo-
gia, non devono altro riguardarsi che come accidentali conco-
mitanze. Ma il micelio, che sempre accompagna le macule com-
parse d' allora, non sopraggiungendo, con le decomposizioni cui
dà luogo nel parenchima che percorre, ad accelerare la necrosi
di frutti gravemente alterati, o nei quali i poteri fisiologici sieno
quasi spenti, poiché li attacca mentre potrebbero crescere, rag-
giungere la maturità e rimanere sulla pianta, comò presso a
poco di solito avviene in individui del tutto sani, mi sembra
doversi concludere che il detto micelio esercita un' azione de-
cisamente parassitaria. Ammesso così che la malattia debba
ascriversi al parassitismo di un micelio fungino, in seguito ad
un complesso di condizioni, prima fra le quali il diminuito po-
tere fisiologico delle piante a boschetto, rimane da sapersi come
il micelio stesso penetri nell' intemo dei frutti, e quale il suo
modo di conservazione d' anno in anno.
Quanto alla via per la quale il micelio si fa strada attra-
verso r epicarpio, alla cui superficie mai ho rinvenuto la più
piccola soluzione di continuità, ho già esposta la mia opinione.
Essa è avvalorata da molti fatti, fra i quali dal non avere mai
visto alcun insetto posarsi sui frutti, e sta in armonia con le
cognizioni che abbiamo circa le proprietà di alcuni microfiti.
Quanto al modo di conservazione di cui si è accennato, sa-
rebbe necessario conoscere V intiero ciclo di sviluppo del micelio
parassita. Pur troppo però tutti i tentativi fatti per studiarne
le fruttificazioni hanno sortito un esito negativo.
Ho praticata la inoculazione dei vari microfiti descritti in
338 G.
flutti sani e procarati in varie località, come ho acoeoDato in
principio, istituendo a questo proposito due serie di esperimenti.
La prima su dei limoni tutt'ora sulla pianta; la seconda serie
su frutta staccate e poste in camere umide a varia tempera-
tura. I resultati in generale sono stati molto diversi. Senza star
qui a riferire le numerose prove, del resto non prive di quei
difetti che a parer nostro le rendono attendibili entro certi
limiti (per non aver mai ottenuta Y infezione disseminando la
superficie dei frutti sani con le spore dei vari Aspergini il cui
sviluppo era agevolato dall' umidità e dal calore, nonché per
essere stato qualche volta necessario fare una bucatura relati-
vamente ampia, allo scopo di vedere V intemo dei frutti stessi
invaso dal micelio), dirò solo che le infezioni artificiali, che più
abbiano rassomigliato la malattia naturale, nei primi stadi, si
sono ottenute con le spore deW Aspergici us niger.. Per la co-
stante presenza ed abbondanza di questo fingilo in ciascuno
dei limoni affetti avuti in esame, anche se isolati con ogni cautela,
e per V ultimo fatto accennato, però di poco valore, è da so-
spettarsi che esso fungi Ilo complichi il processo morboso quando
questo fe di già avanzato. Anche tutte le altre specie sarebbero
da riguardarsi, sebbene non sia cosa tanto facile il definirlo
con certezza, come saprofitiche, poiché compariscono quando le
frutta hanno raggiunto tal grado di alterazione da offrirsi come
substrato idoneo al maggior numero degli ifomiceti conosciuti.
Quanto poi alla questione del doversi oppur no ammettere
che un micelio resultante dalla germogliazione di spore appar-
tenenti ad un' unica specie, possa, in date circostanze, dare
origine a fruttificazioni, ben diverse fra loro, converrà stabilire
i limiti di tali differenze, e ciò va fatto istituendo delle ricerche
secondo i metodi delle moderne indagini bacteriologiche. Per
ora sappiamo dagli studi accurati di Tulasne, Hoffmann, De Bary,
Brefeld, V. Tieghem e Le Mounier e da molti altri, in qual conto
debba tenersi il poliformismo sostenuto daHallier, Camoy, IQein,
Cocardas etc. ; ma su ciò non è stata detta l'ultima parola.
Noi, per ciò che spetta al micelio parassita, non dubitiamo
punto che provenga da spore appartenenti ad una specie di-
stinta. Anzi abbiamo la piena convinzione di poterlo dimostrare,
se il materiale non ci farà difetto, procurando, con tutte le
cautele di cui saremo capaci^ che i limoni affetti, tenuti in ca-
SOPRA UN NUOVO MORBO CHE ATTACCA 1 LIMONI ECC. 339
mere oscure ed umide, rimangano, per un tempo maggiore di
quel che si è ottenuto fin' ora, senza essere inquinati dalle
spore di organismi estranei.
In fine, conviene aggiungere qualche cosa concernente i mezzi
preservativi, quali ci vengono suggeriti dallo studio eziologico
del morbo descritto, poiché nella patologia vegetale del pari che
nelV animale^ come ben disse il compianto prof. S. Garovaglio,
una giusta diagnosi deve essere il fondamento d^ ogni razionale
terapia .
Quanto alle cause predisponenti da riferirsi alle vicissitudini
atmosferiche, V uomo ha ben poco da fare ; è quindi giusto che
si rivolga laprincipale attenzione a rimovere la causa eflBciente,
che per noi è rappresentata dai germi del micelio parassita.
A ciò si può giungere nel caso nostro per due vie: o col di-
fendere con qualche espendiente i frutti dai germi micidiali, o
col rendere i frutti stessi resistenti all' azione di essi germi, in
modo da non temerne i tristi effetti. Le diflBcoltà di applica-
zione e la povertà di quei mezzi di cui oggi disponiamo per
difendere un dato organismo dalle spore di un fungo patogeno,
sono tali dal dispensarmi di parlarne.
Sembra adunque che le precauzioni migliori sieno quelle di
mettere in opera tutto ciò che conferisce al mantenimento delle
piante nelle condizioni più floride di salute; e qui non mi trat-
tengo, che non mi spetta, sui metodi di una conveniente fo-
gnatura, concimazione etc. . Perchè il male non si diffonda è
sempre bene distruggere le frutta affette. Oltre a ciò è neces-
sario che non si lascino sul terreno i limoni caduti anche per
una cauaa qualunque, poiché si ricuoprono facilmente di funghi,
alcuni dei quali possono, per certe date circostanze, produrre
un'inaspettata micosi devastatrice; ed è pure di grande utilità,
non foss' altro per mitigare e circoscrivere il piti possibile gli
effetti dannosi dei parassiti in generale, che ciascuno metta in
opera tutti quei precetti igienici razionali, dai quali devonsi
attendere i benefizi maggiori.
Dal Gabinetto di Botanica della R. Università di Pisa,
il 20 Decembre 1886.
340 0. (ìasperini
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d. baraIjI^ì
■^n9i<
ALCUNE RICERCHE
CONTRIBUENTI ALLA. CONOSCENZA
DELLA
TAVOLA TRITURANTE 0 MACINANTE
DEI
DENTI MASCELLARfC) NEGLI EQXTIDI
I. Scopo e divisione del lavoro.
Nonostante il numero straordinario di lavori di eminenti
anatomici, che sono stati stampati intorno ai denti degli Equidi,
a mio credere non è stata detta ancora V ultima parola. Molte
cose altresì sono da mettersi in chiaro, e più di una difficoltà
da risolvere.
Il posto assegnato a questi denti nella classificazione del
Cuvier, e riportata dal Milne Edwards, è veramente quello che
convenga tanto ai mascellari superiori dei solipedi, quanto ai ma-
scellari inferiori?
Quello che è stato detto fin qui intomo al modo con cui
sono distribuite le tre sostanze, che costituiscono il dente, guar-
dato nella tavola triturante, è sufficiente per determinare se
un dente mascellare appartiene piuttosto ad una data specie di
Equus, che ad un altra? E sufficiente per determinare se un
(*) Adopero il nome di denti mascellari e non quello di denti molari come ge-
neralmente viene usato dagli autori, perchè per denti mascellari si devono ritenere
tutti i denti che sono impiantati nelle mascelle, e per denti molari solamente quelli
che trovansi al didietro dei premolari: più avanti darò maggiori dettagli sulla no-
menclatura di tutti i denti che si sviluppano nelle mascelle
8$. NoL Voi. ym, fato. 2.* 25
344 G. BAKALDI
dente mascellare di un dato equide sia deciduo o permanente^
sia premolare o molare, sia primo, secondo, terzo, etc,? Io,
stando ai lavori di cui posso disporre, non lo crederei.
Infatti se venisse presentato ad alcuno un dente di equide
e gli si domandasse: Qual dente è questo, ed a quale specie di
equide appartiene ? Sapete cosa potrebbe, al più al più, rispon-
dere ! che quel dente appartiene al genere equus piuttosto che ad
un altro genere, che è superiore, che non è ne terzo premolare
né terzo molare vero: ma a quale specie di equus appartenga
o a quale razza, se premolare o non, se primo o secondo molare,
a questo certamente col solo aiuto dei libri non riuscirebbe a
rispondere.
Ora con questo mio scritto, non intendo di risolvere tutte
le difficoltà, che presenta la tavola triturante dei denti mascel-
lari negli Equidi, mi studio soltanto:
1.^ Di mettere in chiaro che i denti mascellari superiori
dei solipedi non possono essere classificati coi mascellari in-
feriori ;
2.* Di fare una nomenclatura per le diverse parti che pre-
senta la disposizione dell' avorio nella tavola triturante;
3.* Di dimostrare le modificazioni che si riscontrano nella
figura presentata dall'avorio, nei diversi mascellari di uno stesso
cavallo e di uno stesso asino;
4.® Di accennare le importanti modificazioni che si riscon-
trano fra i denti mascellari di cavallo e di asino giovane, e gli
stessi denti di cavallo e di asino vecchio;
5.® Di far rilevare le differenze che esistono fra i denti
mascellari di cavallo con quelli dell' asino;
6.® Finalmente, con riserva, di far risaltare la differenza
che mostra la figura della tavola triturante dei mascellari in
due cavalli pressoché della medesima età, ma di razza differente.
Tutte queste cose, mi pare che dagli anatomici non siano
state prese in bastevole considerazione.
E ben vero che il descrivere le differenze che si riscontrano
nella tavola triturante dei denti mascellari, per distinguerli l'uno
dall' altro in una data razza e in specie e razze differenti, può
sembrare superfluo, potendo procurarsi con molta facilità un
esemplare ; ma è anche vero, a mio parere, che vi può essere
risparmio di tempo e maggior sicurezza nella determinazione
bENTI MASCELLARI DEGÙ EgUIDÌ 345
di un dente (quando non se ne abbia che un solo per fare il
confronto) a trovare riunite tutte le differenze in un solo lavoro.
AflBnchè questo scritto riescisse veramente completo, biso-
gnerebbe che potessi dare le figure dei denti di giovani, di adulti
e di vecchi equidi della medesima specie e razza, e non come
ho dovuto contentarmi io di pochi esemplari. Per altro, nono-
stante il limitato materiale di cui ho potuto disporre, io spero
che anche le poche osservazioni che farò risaltare, potranno
essere utili agli studiosi.
Gli Equidi in generale, senza tener nota delle dentizioni
anormali, possono dare origine a 72 denti, i quali sono così
divisi :
Incisivi decidui 12
Incisivi permanenti 12
Canini decidui 4
Canini permanenti 4
Premolari decidui 16
Premolari permanenti 12
Molari 12
Totale 72
Se la maggior parte degli autori sono d'accordo nell' indicare
per abbreviazione i diversi denti con lettere, come / d per in-
tendere incisivi caduchi, / incisivi permanenti, ed canini caduchi,
e canini permanenti, m d mascellari decidui, p premolari ed m
molari; non sono però d' accordo nel metodo da adottarsi nella
enumerazione, specialmente dei mascellari. Il metodo che io
seguirò è quello dato da Rùtimeyer, che V ha preso da Hensel,
secondo cui il premolare posteriore è indicato col nome di primo
premolare e non di quarto premolare come ad esempio nel me-
todo di Owen. Quindi la formola dentale dei denti mascellari
di un cavallo sarebbe questa:
( dm 4? — dm 3— dm 2 — dm 1 _
Giovane ^ ^m 4?? -dm 3 — dm 2 — dm 1
(dm4?— p3 — p2 — pi— mi— m2 — m3
^^^'*^ fdm4??— p3— p2— pi— m 1— m2 — m3
E da notarsi che il dm 4 superiore, alcune volte persiste
per tutta la vita del cavallo ed altre volte cade, per non es-
346 G. BAHALDI
sere più sostituito, coli' escire del p 3. U dm 4 inferiore s' in-
contra rare volte nei nostri equidi domestici giovani e raris-
simamente nei cavalli adulti. Io Y ho trovato due sole volte
in crani di cavallo inglese che stanno al Museo anatomico della
R. Scuola Zooiatrica di Pisa.
n (Ime quando s* incontra negli Equidi adulti viene più
generalmente indicato dagli Odontologisti col nome di premo-
lare quarto, e quindi segnato colla lettera p 4. Sebbene io ri-
conosca che ciò non sia esatto, pure seguirò l'andazzo degli
altri, per non portare novità che potrebbero essere a danno
della chiarezza di chi non ha 1* abitudine di pensare all' origine
dei denti.
Mi fermo a parlare solo sui denti mascellari, essendo gli
altri stati studiati largamente da molti zootecnici ; e ben poco
quindi e forse nulla vi sarebbe da osservare in essi di nuovo.
Più di qualunque altra parte dei denti mascellari, è la ta-
vola triturante che ci da principalmente i caratteri per poterli
classificare e distinguerli fra loro e fra le diverse specie di Equidi:
perciò le mie osservazioni sono limitate a questa parte.
Onde risolvere i problemi che mi sono proposto con queste
osservazioni credo utile, per essere meno oscuro che sia possibile,
di studiare:
1.* La formazione della tavola triturante per rilevarne i
caratteri nelle diflFerenti epoche del suo svolgimento;
2.® La descrizione delle diverse parti della tavola tritu-
rante, non ritenendo sufficiente quella data dai diversi Odontologi;
3.^ La classificazione desunta dalla distinzione della tavola
triturante dei denti snperiori e degli inferiori;
4.* Le differenze della tavola triturante fra i denti decidui
e i permanenti;
5.^ Le differenze fra i premolari ed i molari;
6.* Le differenze fra la tavola triturante dei denti giovani
e dei denti vecchi.
Messi, che io abbia, in rilievo i principali caratteri della
tavola triturante che fanno distinguere i diversi denti mascellari
di un medesimo individuo a qualunque razza o specie appar-
tenga, passerò a parlare dei caratteri differenziali che si rilevano
nella tavola triturante:
1.^ Fra il genere Anchitherium e il genere Hipparion;
DENTI MASCELLAKI DEGLI EQUIDI 347
2.^ Fra il genere Hipparion e Y Equus Stenonis;
3.* Fra TE. Stenonis e TE. intermedius;
4.* Fra V E. caballus del terreno quadernario e gli Equidi
viventi;
5.* Fra il Cavallo e V Asino;
6.^ E finalmente fra due razze almeno del cavallo domestico.
II. Formazione della tavola triturante e della corona
dei denti mascellari.
Non fa d' uopo che io dica che per tavola triturante o ma-
cinante intendo dire della faccia del dente che guarda la ca-
vità boccale, e che serve a sminuzzare il cibo, essendo così
chiamata dal maggior numero degli Odontologisti.
Per intendere come si formi la tavola triturante e la co-
rona dei denti mascellari degli Equidi bisogna che ricordiamo
lo sviluppo dei denti stessi.
E per ciò fare, diremo che i fenomeni di evoluzione dei fol-
licoli che danno origine ai denti mascellari dei solipedi sono
uguali a quelli che avvengono in qualunque dentizione. La sola
differenza che si osserva con alcuni altri animali consiste nel
punto esatto dell' origine del cordone epiteliale, e sulla durata
che mettono ad eftettuarsi in seno delle mascelle, le fasi suc-
cessive dell'evoluzione. *
H primo rudimento dei folliculi dentari è rappresentato da
un cordone che proviene dallo strato epiteliale della mucosa
gengivale. Il cordone che da origine ai folliculi della prima
dentizione nasce direttamente da prolungamento dell'epitelio
della bocca. Il cordone dei denti permanenti, secondo Legros
e Magi tot (^), che si sostituiscono ai precedenti, è un diverti-
colo del cordone primitivo (^) . Quanto ai follicoli dei denti per-
(}) Sur r origine et la formation du foUicule dentaire, Robin. Journ. de Tanat.
et de la phys. 1873.
C) Io non ho avuta T opportunità di osservare questo diverticolo del follicolo
dei denti mascellari lattaioli, dal quale diverticolo poi hanno origine i denti per-
manenti che li sostituiscono: ma mi piace di avvertire che se ciò succede per i denti
mascellari, non è cosi pei denti incisivi. 1 denti incisivi permanenti del cavallo na-
scono direttamente da un prolungamento speciale dell'epitelio. E ciò è tanto vero
che se voi osservate T arcata incisiva di giovane individuo voi vedete al margine
intorno dell* arcata stessa i cordoni follicolari dei denti permanenti, passare attra-
verso, ciascuno, ad un foro scavato nel marine intemo di ogni arcata incisiva.
348 G. BAKALDI
manenti, non preceduti da temporari corrispondenti, naacono
dai cordoni che provengono direttamente da epitelio. II guòer-
naculum dentis o Vinter dentis, come Girard (^) chiama il cor-
done follicolare dei denti di ogni molare vero, entra per una
piccola fessura che esiste già alla nascita del puledro, nella
parete boccale del solco alveolare delle mascelle.
Il cordone è invariabilmente epiteliale: esso si compone al-
l'estemo di elementi epiteliali prismatici dello strato di Mal-
pighi, e nel centro di cellule epiteliali poliedriche. L' estremila
del cordone che prende presto la forma di una clava, e che
più tardi si modella sul bulbo, costituisce Y organo dello smalto
del foUiculo futuro.
n bulbo dentario o organo dell'avorio (fig. 4, i. tav. IX) ha
un' origine completamente differente da quella dell'olino delio
smalto. Nel tessuto embrionarie del mascellare, ad una piccola
profondità, al di sotto della superficie, in un punto corrispon-
dente all'accumulazione delle cellule epiteliali di cui T accre-
scimento ulteriore deve formare T organo dello smalto, appa-
risce la prima traccia del germe dell'avorio. Da principio è
solamente un punto opaco nel tessuto embrionarie, senza che
si possa osservare alcun cangiamento di struttura; e questo
punto è situato nella cavità dell' organo dello smalto ben defi-
nito. Secondo Dursy, dicono Legros e Magitot, la zona opaca,
che diviene più tardi il bulbo dell'avorio, forma una benda
continua in tutta la lunghezza del mascellare, e più tardi nei
punti corrispondenti al germe dello smalto si formano delle
masse globose che non sono altro che i bulbi dentari.
La massa globosa che costituisce il germe del dente fiituro
è formata da nuclei di tessuto connettivo e di capillari san-
guigni. La sua forma prende presto il carattere del dente futuro.
H germe dentario dei mascellari superiori del cavallo assume
la figura di un B gotico (fig. 2), nel quale 1' asta (a, a) è for-
mata da due linee curve (b, b) presso che uguali di lunghezza
colla convessità in dentro; e i due ventri (r, v) hanno ciascuno
un appendice che sporge a due terzi posteriori della loro curva:
quella del ventre posteriore (a p) è piccola e forma un solo lobo,
quella del ventre anteriore (a p) è più grande e presenta la
Q) Jppodantolofjia, tradotta da Cros. Milano, PerelU e Mariani editori.
DENTI MASCELLARI DEGLI EAUIDI 349
forma di una classidra. In ogni ventre si osserva pure una ca-
vità (e Vy e v).
11 germe dentario dei mascellari inferiori assume invece la
figura di un S (fig. 3), nei di cui ventri (v, v) sporgono due ap-
pendici una alla parte posteriore del ventre posteriore (a p ), ed
una a forma di classidra che fa seguito al punto d' unione dei
due ventri (a p). Si osservano anche due cavità {e v, e v) non
chiuse però, come lo sono quelle dei mascellari superiori.
Air intorno del germe dell' avorio e dell' organo dello smalto
si produce una specie di capsula, che risulta da una emanazione
diretta degli elementi del bulbo ; dalla base del quale si distacca
per elevarsi ai lati fino alla sommità del follicolo stesso, ove
si riunisce in se stesso, per costituire quello che si chiama sacco
follicolare (fig. 4, 9). Questo sacco, che più tardi dà origine al
cemento, si modella anch' esso sopra V organo dello smalto (7)
rivestendo, come secondo strato, tutte le scannellature e cavità
che presenta la forma del dente.
Per ricapitolare in poche parole i fatti che sono al presente
ben stabiliti e fuori di ogni contestazione, diremo che il germe
dei denti di cavallo come quello di ogni altro mammifero (fig. 4
[pecora] ) si compone dapprima di tre parti : la prima, V organo
dello smalto (7), che deriva dall' epitelio della superficie della
bocca : le due altre, l' organo dell' avorio (1) e il sacco dentario (9)
prendono origine nel mezzo del tessuto embrionario compatto
e lontano dalla superficie.
Ora passiamo a parlare della evoluzione dei denti mascellari
del cavallo e della calcificazione delle tre sostanze, avorio, smalto
e cemento, che costituiscono i denti stessi.
Evoluzione e Calcinificazione dei denti mascellari. — Fin dal
principio della vita entro uterina, al secondo mese, se si esa-
minano con cura le arcate alveolari, si riscontrano gran numero
di follicoli dentari alloggiati nella scannellatura che rappresenta
gli -alveoli in questa età. Questi follicoli sono molto piccoli e
ricoperti dalla lamina la più profonda del tessuto della gengiva.
La loro forma è globosa; superiormente aderiscono alla gengiva,
profondamente alla scannellatura alveolare ed ai tronchi dei
vasi e dei nervi che la percorrono ; sono continui lateralmente
ai follicoli vicini. Dietro l' opinione di Serres, partendo dal quarto
350 G. BÀBÀLDI
mese, si sviluppalo tra i follicoli dei tramezzi fibrosi, che dopo
si ossificano e cambiano i rapporti dei germi fra loro (Girard (0).
Quando il bulbo dentario è arrivato ad un certo sviluppo,
che nel cavallo corrisponde a tutta la parte superiore della co-
rona, allora incomincia la calcificazione dello smalto e dell' avorio
e si ha quindi la formazione dei denti.
Dapprima si calcinifica uno strato di cellule dello smalto al
disopra degli odontoblasti (tav. IX, fig. 4, 3, (^)) che sono alla su-
perficie ed ai punti più elevati del bulbo, poi si forma un sottile
strato d'avorio, che jma volta calcificato non può più accrescersi
esteriormente, ed il suo accrescimento non si può fieure che dal
di fuori al di dentro. L'avorio non è altro che una trasformazione
diretta delle cellule odontoblastiche (Tomes, pag. 165 (^)) asso-
lutamente come lo smalto risulta dalla trasformazione delle
cellule dello smalto.
La formazione nuova d' avorio dovrà, necessariamente pren-
der posto all' interno del capuccio di dentina precedentemente
formato.
Nei mascellari superiori del cavallo compaiono in primo luogo,
due capucci di dentina ricoperti dallo smalto, alla sommità di
due specie di papille che si elevano dal bulbo, e precisamente in
corrispondenza delle due linee curve che forma l'asta {a a fig. 3,
tav. IX) del B, e che abbiamo detto essere la figura che presenta
il bulbo dei molari superiori; in secondo luogo, dopo pochi giorni,
altri due capucci si osservano in due altre specie di papille, che
si elevano nello stesso modo di quelle dell' asta sopra i due
ventri {vv) del B, interzo luogo, un'altro capuccio avviene sopra
un' altra papilla che si eleva dall' appendice {ap) del ventre an-
teriore del B . Cosi che, se si mettesse in macerazione un germe
di mascellare superiore di cavallo in questo periodo, noi ne
avremmo 5 capucci di dentina ricoperti dal loro rispettivo smalto,
simili a quelli che presenta la fig. 4, tav. IX, nei numeri 2 e 3. I
cinque capucci corrispondono alle cinque eminenze segnate con e
nella fig. 7, tav. IX.
(•) Loc. cit
(*) Mi servo della figura data da Waldeyer il quale V ha jpr^ta da qd dente
mascellare di pecora: perchè i fenomeni di calcinificazione sono precisamente simili
a quelli che avvengano nei denti mascellari del cavallo.
(•) TraUé d* Anatomie dentaire Bumaine et oomparée. Trad. par Cniet. Pa-
JÌ8 1880,
DENTI MAaCELLÀRI DEGLI EQUIDI 351
Per l'aggiunta di nuovi strati interni di dentina quelle cinque
specie di cupole si ingrossano e s' ingrandiscono alla base, fino
al punto di fondersi tutte fra di loro (fig. 6, tav. IX). Quando
è avvenuta questa fusione, e si è quindi completata la super-
ficie gengivale della corona, il dente — facendo astrazione dallo
strato di cemento che si svilupperà più tardi — non cresce più
ne in larghezza né in grossezza, ma solamente in lunghezza.
Nei mascellari inferiori riguardo alla formazione dello smalto
e della dentina abbiamo lo stesso processo evolutivo indicato
pei denti superiori. Se non che si osservano prima tre piccoli
capucci che si sviluppano sopra tre specie di papille che si ele-
vano dal bulbo; due sopra l'appendice a forma di classidra
(fig. 3, a pX e una sopra la papilla basata suir apice posteriore
del 3 che costituisce il bulbo stesso: dopo due altri capucci si
sviluppano sulle papille dei ventri (vv) del 3. Pure, anche per
questi, vale quello che abbiamo detto dei denti mascellari su-
periori; una volta calcificata tutta la superficie gengivale del
bulbo, questi denti non crescono più, né in larghezza, né in
grossezza; ma crescono solo in lunghezza.
L' accrescimento del dente in lunghezza si fa per V aggiunta
di nuovi strati interni di dentina, ricoperti sempre nel loro
esterno dallo smalto; e questo accrescimento seguita fino a
tanto che il bulbo dentario seguita ad allungarsi : ed una volta
che questo ha cessato di crescere comincia subito la formazione
delle radici, delle quali se ne formano tre per ogni mascellare
superiore e due per ogni mascellare inferiore.
A quale lunghezza circa possa arrivare la corona dei diversi
mascellari dirò più avanti. Intanto seguiterò a parlare dello
sviluppo dei denti in discorso, notando ciò che da altri e da
me è stato riscontrato, intomo allo stato dei molari, nelle di-
verse età di feti e di giovani cavalli.
In un feto di cavallo di giorni 1 00, Legros e Magitot (^) hanno
constatato che il bulbo è comparso per tutti i follicoli della
prima dentizione, come pure il primo vestigio delle pareti fol-
licolari. In un altro feto il follicolo del primo mascellare tem-
porario è chiuso, mentre quello del secondo mascellare di so-
stituzione è allo stato di apparizione dell' organo dello smalto,
(') Loc. eit
352
0. BAKALDI
e del terzo non vi è alcuna traccia. In un terzo feto di 200
giorni circa lo stato di sviluppo dei mascellari di sostituzione
è presso che come i follicoli dei temporari, i quali son chiosi
e ben costituiti; ma senza traccia di capuccio di dentina appa-
rente. Si vede manifestamente V organo del cemento coronano
nascente. Non vi è traccia dell' organo del cemento radicolare.
In un quarto feto di 220 giorni si vedono i follicoli dei denti
temporari molto voluminosi, provvisti di un capuccio conside-
revole di dentina. Gli organi del cemento coronario e radico-
lare, sono in posto e tutt' affatto sviluppati.
Io ho osservato che in un feto di 265 giorni i mascellari
decidui sono molto avanzati nello sviluppo: non solo le cinque
cupoline di dentina, che si osservano in tutte le specie di ma-
scellari in diverse epoche, si sono fuse fra di loro; ma si è for-
mata anche gran parte della corona. Per cui a questa età la
corona dei mascellari decidui è alta in media, misurata dalla
base air estremità libera:
Nel dm 3.^ sup,
)
O 0
l.<
v
Nel dm 3.* inf.
2/
estemo
e.
1.8
interno
»
1,4
estemo
»
2,3
intemo
»
1,9
estemo
n
2,0
interno
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1,7
estemo
rt
1,7
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rt
1,8
estemo
r)
1,9
interno
V
2,2
estemo
»
1,6
intemo
»
1,9
1" ■
Da queste misure risulta che il secondo deciduo tanto supe-
riormente quanto inferiormente è il più sviluppato.
Osservando i denti di questa età, quando hanno subita una
lunga macerazione neir acqua, si vedono, nella loro superficie,
delle eleganti striature longitudinali, le quali corrispondono ai
prolungamenti, sotto forma di papille o meglio di villosità che
Tomes, pag. 148 (^), ha visto infossarsi nell'epitelio esterno del-
l'organo dello smalto.
(^) Loc. cit.
DENTI MASCELLARI DEOU EQUIPI 353
lu un cavallo neonato i mascellari decidui hanno già for-
mato le loro radici. Tutta la corona è coperta dal cemento ed
e lunga:
Nel dm 3.^ sup.
2/
1 •
Nel dm 3." inf.
2/
1/
(
estemo
e.
2,6
interno
»
2,3
esterno
n
3,1
interno
»
2,4
esterno
»
3,0
interno
»
2,3
esterno
»
2,3
interno
79
2,5
esterno
ft
2,8
intemo
n
2,6
esterno
V
3,0
interno
7»
3,2
A questa epoca sono formate le cupolino dei primi molari
superiori ed inferiori. Le du cupole esteme sono più avanzate
delle interne nei denti superiori e negli inferiori sono più svi-
luppate le interne.
Tutti i mascellari decidui sporgono dall' ^alveolo per circa
mezzo centimetro.
Eruziom dei denti. — Durante la formazione della corona
i denti escono dall' alveolo ; spingono in su la gengiva, la quale
a poco a poco si distrugge, ed in questa guisa una porzione
della corona dei mascellari resta libera nella cavità della bocca.
Questo lavorio fisiologico conosciuto col nome di eruzione dei
denti, nel cavallo si ha a diflFerenti epoche secondo la specie
del dente.
Prima che avvenga l'eruzione del dente, dalla superficie
interna del sacco follicolare si seceme il cemento: il quale ri-
copre perfettamente tutta la superficie dello smalto, non escluso
quello che riveste la cavità lasciata dall' introflessione dello
smalto stesso, conosciuta, questa introflessione, col nome di
mi di sacco o cornetto dei mascellari superiori, e che corrisponde
per noi alle cavità di ogni ventre del B formate dal bulbo
dentario (flg. 2cvcv'). Per farsi una giusta idea del come si
formino e come siano i cul-di-8Q.cco o concetti, si oa»ervi la
354 0. BÀKALDI
introflessione che avviene nel dente di pecora (fig. 4), e le due
cavità piene di cemento della fig. 5, yy, zz, che rappresenta
una sezione verticale antero posteriore di dente mascellare su-
periore di cavallo. Il cemento, specialmente in quella porzione
della corona che sporge al difuori dell' alveolo e della gengiva
(oltre allo strato che si osserva rivestire tutto il dente), riempie
tutte le diverse scanellature, infossature e tutte le cavità la-
sciate dai rialzi che sono alla superficie triturante.
Giacché parlo di cemento, mi piace qui fare una parentesi,
per esporre la mia meraviglia, cioè, che Chauveau (^) nel suo
stupendo trattato di Anatomia comparata degli animali dome-
stici a pag. 401, abbia asserito che " a Tétat physiologique,
le cement ne ranferme pas de canaux de Havers „ . Io già dissi
altra volta (^) come il cemento dei denti di cavallo sia prov-
visto di una quantità di canali di Havers; ed ora posso ag-
giungere che questi canali non solo esistono in quantità straor-
dinaria, ma che formano delle eleganti ramificazioni osservabili,
nelle sezioni trasversali, sempre uguali nelle stesse parti in
differenti denti. Se poi mi si dicesse che il cemento da me esa-
minato non era allo stato fisiologico, allora risponderei che
bisognerebbe ritenere il cemento stesso non essere altro che
una produzione patologica, avendo costantemente riscontrato i
canali di Havers in tutti gli stadi del suo sviluppo: sia in denti
in via di formazione, sia in denti quasi in totalità consumati.
Ritorno alla eruzione.
H meccanismo col quale i denti all' epoca dell' eruzione sono
cacciati al di fuori dell' alveolo e vengono ad occupare il loro
posto, è lontano dall' essere perfettamente spiegato. Da alcuni
si ritiene che essi si elevano in seguito del deposito d'avorio
che si aggiunge continuamente alla loro base ed all'allunga-
mento delle loro radici: ma questa teoria se può essere giusta
per i denti di alcuni animali, non si può accettare per l'eru-
zione dei mascelari del cavallo, i quali sono già al loro posto
prima che si formino le radici. E se anche si volesse ammet-
(*) Tratte d* Anatomie comparée des animatile domestiques. 3* Ed., Paris, 1878.
(*) Baraldi — // cemento dei denti negli animali domestici. Processi verbali
della Società Toscana di Se. Nat Adunanza del di 15 marzo 1880.
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 355
tere che è per V allungamento della corona (^) non si potrebbe
accettare, in quanto che non troverebbe poi la spiegazione un
altro fatto della stessa natura, che è la ecsita continua del
dente, mano mano che alla superficie macinante si consuma.
Quale possa essere la natura di questa impulsione ? È un pro-
blema non ancora risoluto, dice Tomes - pag. 1 95 C^) -, poiché le
spiegazioni che sono date fino al giorno d' oggi sono meno sod-
disfacenti che la confessione della nostra ignoranza.
Lasciamo da parte la natura dell' impulsione dei mascellari,
e diciamo con qual ordine avvenga l'eruzione di questi denti,
nel cavallo.
TI cavallo nasce con tutti i denti di latte che sporgono al
difuori dell'alveolo ricoperti dalla gengiva. In pochi giorni la
gengiva si distrugge sulla tavola triturante, ed in parte ai lati
della corona; in guisa che, (ancora per l'allungamento dei denti)
una porzione della corona resta libera nella cavità della bocca.
Questa porzione della corona h ricoperta da un grossissimo
strato di cemento dello spessore di circa mm. 1. A otto giorni
circa sono giunti a questo periodo i decidui secondo e terzo
(md 2 - md 3, fig. 1 , tav. IX) di ogni lato di mascella ; e a 20
giorni i primi (md 1). A 11 mesi osceno i primi molari veri,
o molari posteriori, od anche senplicemente molari, come da
molti vengono chiamati (mi); da 20 a 22 mesi i secondi mo-
lari (m 2) , e da 4 a 6 anni i terzi molari (m 3) .
Da 30 a 32 mesi i terzi molari da latte cadono per essere
immediatamente sostituiti dai terzi premolari permanenti; gli
altri premolari possono, alcune volte, ritardare a uscire fino
al terzo anno. La fig. 1 dà un beli' esempio di questa età nella
quale figura scorgiamo che il md 3 superiore sinistro è già ca-
duto naturalmente.
I premolari sopra numerari o quarti decidui (md 4) spun-
tano fra i cinque e i sei mesi, e vengono cacciati dall' aveolo,
generalmente colla uscita del terzo premolare.
L' ordine di successione adunque col quale avviene 1' eru-
zione, è questo: a 8 giorni i dm 2 e dm 3 — a 20 giorni i
{^) Chiamo corona tutta quella porzione di denti mascellari degli eqaidi che
dair estremità libera va fino al punto in cui incominciano le radici. Alcuni anatomici
(Chauveau ec.) chiamano corona solamente quella porzione che sporge al di fuori della
gengiva. Non faccio comenti, essendo superflui per chi conosce i denti degli Bqaidi.
356 u. uakaldI
dm 1 — da 5 a 6 mesi il dm 4 — ali mesi imi — a 20
mesi i m 2 — da 30 a 32 mesi i p 3 — a 3 anni i p 2 e p 1 —
e da 4 a 6 anni gli m 3.
Da questa regola generale risulta, come fa giustamente os-
servare Huxley (^), che il primo molare (mi) appare ed occupa
il suo posto, e viene adoperato ben avanti che i molari decidui
cadano e vengano rimpiazzati dai premolari. Onde quando il
primo premolare viene a posto fresco e non logoro, il primo
molare, che gli è vicino è assai logorato. Questa disparità nel
logorio è mantenuta per lungo tempo e fornisce caratteri pre-
ziosi per poter distinguere V ultimo premolare dal primo molare
neir adulto, specialmente quando come nel cavallo, i premolari
ed i molari sono molto simili.
La successione con cui si presentano i mascellari ci dà, un
altro prezioso carattere, che serve a scoprire una frode che
usano i cozzoni (sensali da cavalli) quando sono interessati, che
i loro cavalli sembrino più vicini all' età nella quale il loro
valore è più considerabile, e possono per conseguenza sperare
trarne maggior profitto. Se i cavalli gpno troppo giovani cer-
cano d' invecchiarli strappando loro i denti incisivi per far uscire
prematuramente i permanenti : cosi ad esempio strappano i pie-
cozzi lattaioli ad un cavallo di 3 anni che abbia delle forme
ed una taglia ben sviluppata per far credere che Y animale ha 4
anni. Questa frode è molto facile a scoprirsi se la nostra os-
servazione si porta sulla tavola triturante del terzo premolare.
Se la tavola è quella del terzo molare deciduo, e non quella
del terzo premolare di sostituzione ( che nell' età di tre -anni
questo dente è già al suo posto ) diremo che il cavallo non ha
compiuti i tre anni, nonostante che i denti incisivi ne segnino 4.
Quando i denti mascellari, di qualunque specie siano, trovansi
al loro posto, la tavola triturante presenta dei caratteri comuni
a tutti, di cui io vado qui a parlarne.
Tavola triturante. — Se si esamina la tavola triturante
dei denti dichiarati subito dopo messi allo scoperto dalla gen-
giva e non ancora usati, la si vede tutta coperta da cemento
e costituita, nei superiori, da cinque sporgenze o cuspide ta-
(0 Manuale dell* Anatomia degli Animali vertebrati, pag. 33i. — Trad. da
GigliolL Firenze 1874.
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 357
glienti (fig. 7 e 8, tav. ÌXe e, e e\ e" (riunita fra di loro da la-
mine trasversali che circoscrivono V entrata di due cavità co-
nosciute col nome di cornetti dentari, o introflessioni. Queste
cavità terminano per un cul-di-sacco, che discende nello spes-
sore del dente fino alle radici (fig. 5, z z). Due delle sporgenze
sono esterne e corrispondono alle papille delle curve dell' asta
del B che abbiamo detto rappresentare il bulbo (vedi pag. 348);
due sono medie, corrispondono alle papille dei ventri del B
stesso, ed una interna che corrisponde alla papilla dell' appen-
dice del ventre anteriore. Quéste cinque eminenze, le quali sono
naturalmente formate di dentina e di smalto, che fa seguito a
quello del resto della corona, sono ricoperte dal cemento, il
quale alla loro base forma uno strato tanto grosso che riempie
tutte le sinuosità e quasi in totalità le due cavità indicate.
Queste due cavità (fig. ò, yy) restano fra le due sporgenze
esterne e le due medie ; tali cavità sono conosciute dagli ana-
tomici col nome di cornetti o introflessioni dello smalto, e che
io chiamo cavità dei ventri del B formato dal bulbo dentario.
Ho detto che il cemento riempie quasi le introflessioni, perchè
nel centro di queste si osservano uno o due tubi vuoti (fig. 3,
25 e 13, tav. XUI) che arrivano fino al fondo delle iYitroflessioni,
e che rappresentano il resto della cavità della papilla del sacco
follicolare.
Nei mascellari inferiori, alla medesima epoca, si scorgono pure
cinque eminenze e le stesse particolarità indicate pei denti supe-
riori : meno le introflessioni a cui di sacco che qui non esistono
affatto affatto. Due eminenze sono esterne e corrispondono alle
papille dei ventri del 3 elevantisi dal bulbo (vedi pag. 349), e
tre sono inteme, una per ogni lobo dell' appendice a forma di
classidra ed una per 1' apice del ventre posteriore.
Questa apparenza della tavola triturante dura poco tempo,
perchè, ogni singolo dente appena giunto al posto, per 1' attrito
che porta con se la masticazione, corrode tutta la superficie
esposta di queste parti ; cosicché a lungo andare rimane scoperta
una superficie di dentina nel mezzo di ciascuna sporgenza, cir-
condata da una striscia di smalto, e lo smalto da una striscia
più o meno grossa di cemento, che abbiamo già detto, ricopre
tutto il dente. Nonostante che i denti colla masticazione si con-
sumino, tuttavia la porzione della corona che sta al di fiiori
:>58 <'. HAKALDI
(\e\Y alveolo si mantiene sempre alla medesima lunghezza per
un carattere comune molto rimarchevole che si riscontra in
questi denti ed in denti di altri animali erbivori. Essi sono cac-
ciati fuori dall'alveolo mano mano che si consumano; in ma-
niera che tutta la porzione della corona che sta entro Y alveolo
viene spinta fuori. E provato peraltro che la uscita continua
del dente non dipende dal consumo che soffre nella masticazione :
perchè se un dente opposto viene a mancare, quello che resta,
sopravanza di molto i vicini (/). Bisogna intanto ben guardarsi,
fa osservare Blandin C^), dal prendere come per un vero accre-
scimento lo sporgere continuo dei denti mascellari, inquantochè
questo accrescimento non è che apparente e a conti fatti quando
si misura la lunghezza della corona, è tanto più corta quanto
più vecchio è V animale.
III. Descrizione della tavola triturante
La tavola triturante dei denti, che non hanno ancora inco-
minciato il lavorìo della triturazione degli alimenti, si mostra
costituita tanto nei denti superiori quanto nei denti inferiori,
di cinque eminenze, delle quali abbiamo già detto a pag. 16.
Se noi teniamo dietro ai diversi gradi di consumo, che av-
vengono nei denti, noi vedremo cambiarsi in una maniera stra-
ordinaria la figura, che rappresenta Y avorio nella tavola tritu-
rante. Questo cambiamento è tanto più rimarchevole nel periodo
di tempo che impiegano i denti a consumare in totalità, le cinque
sporgenze o eminenze e portare quindi al pareggiamento la ta-
vola triturante, di quello che si osserva dal pareggistmento fino
al consumo di tutta la corona.
In causa dello stropicciamento, i denti soffrono i seguenti
cambiamenti.
(<) Tenori (vedi Girard, loc cit. pag. 81) ha calcolato che <i molari del cavallo
potrebbero acquist-nre la lunghc/.za di circa sei pollici, se nulla perdessero per con-
fri''ain3nto. In una to^ti -li cavalla sacrificati pei lavori anatomici, e che segnava
da sei a sette anni, i denti molari superiori destri non erano logorati che alla loro
faccia laterale interna, e si erano conservati intatti alla faccia opposta, la fila infe-
riore, che passava in dentro, aveva perforata la volta palatina; i molari superiori
avevano acquistato una lunghezza straordinaria; uno di questi denti misurato dal-
l'estremità dello radice airestremilà della tavola, marcava cinque pollici, e la diffe-
renza in meno non era che alcune linee per gli altri molari».
(•) Anatomie du sy$tème dentaire dans V Home et les animaux, pag. 115.
Bmxelles, 1837.
DENTI MASCELLARI DEGLI EQEIDI 359
La tavola totalmente intatta dei denti superiori, perde nel
corso di pochi mesi gli orli taglienti delle cinque eminenze (fig. 7,
ee e e e\ tav. IX) e mostra cinque isole d'avorio contornato
da smalto e cemento due delle quali sono esterne, due sono medie,
ed una è interna; dopo pcchi altri mesi alcune di queste isole
si sono unite fra di loro; e dopo un anno, od al più un anno
e mezzo tutte le isole indicate sono continuative e racchiudono
nel loro centro due cavità, {cv cv\ fig. 10 a 17, tav. IX) piene
di cemento contoniato da smalto.
L' ordine col quale le isole si uniscono fra loro è general-
mente questo: prima si fondono insieme le due esterne e le due
medie; poi V interna colle medie, e queste, dal lato posteriore
colle esterne, indi le medie si uniscono dal lato anteriore colle
esterne, e finalmente le medie, nel loro centro, vanno a con-
giungersi colle esterne.
Nei denti mascellari inferiori si mostrano pure, dopo pochi
mesi, cinque isole, le quali si uniscono presto fra loro con questo
ordine: prima le due interne anteriori, poi la posteriore interna
colla posteriore esterna e subito dopo formano un solo conti-
nente, riunendosi tutte tra loro.
Tutte queste apparenze della tavola triturante variano nella
medesima epoca nei differenti denti di una serie, guardati in
un medesimo individuo, essendo esse in perfetta correlazione
colla eruzione dei denti stessi: così ad esempio, quando il m 1
presenterà, cinque isole il m 2 non sarà ancora usato, quando
il m 1 sarà pareggiato il m 2 non avrà ancora tutte le isole
fuse fra lorg etc. etc.
Allorché la faccia di sfregamento di tutti i denti mascellari
è pareggiata (tav. IX, fig. 10 a 15), cioè tutte le isole si sono
riunite e le cavità e le anfrattuosita sembrano riempite e li-
vellate, cambiasi in una tavola di forma triangolare nel pre-
molare terzo superiore (fig. IO, p3); nel molare terzo invece
la forma è presso che trapezoide (fig. 15, m 3) e negli altri è
quadrilatera (fig. Il a 14).
La direzione della tavola è in tutti leggermente obliqua
dall' infuori all' indentro. Riguardo a ciò, nei denti inferiori
è solo da notare che il molare terzo, invece di avere la ta-
vola di forma trapezoide come l' ha il molare terzo superiore,
r ha triangolare ( vedi tutti i m 3 nella tav, XtlT ) ; e la dire-
Se, Nat. VoL YIIJ, fàso. 2.° 26
f
i
360 <}. BÀKALDI '
zioae della tavola è dall' indentro all' infuori (vedi m 1- m 2\
fig. 1, tav.IX).
La superficie della tavola è guarnita d' eminenze e di de-
pressioni trasversali, disposte regolarmente nel senso secondo
il quale i denti mascellari collidono gli uni cogli altri. Le de-
pressioni corrispondono, per lo più, una nel mezzo del dente e
due ai lati, anteriore e posteriore, ove lo strato dello smalto
è meno spesso (fig. l, m ì, et e m 2, e t).
Da questo periodo in avanti lo studio della tavola tritu-
rante è del massimo interesse. Essa ci fa conoscere se un dente
è superiore od inferiore, se premolare primo, secondo o terzo,
se molare primo, secondo o terzo ; se di un individuo giovane
o di un vecchio, e se è di una specie o di un altra; almeno,
e credo di poterlo <limostraro, per gli equus viventi domestici.
Per la tal cosa ritengo necessario far precedere alla deter-
minazione dei denti una succinta descrizione anatomica intorno
alla figura che presenta V avorio nella tavola triturante stessa:
ritenendo non sufficienti al nostro scopo, quelle date fin qui
dagli autori. Ed oltre poi al non essere sufficenti le descrizioni,
le parti della tavola stessa sono, dai diversi Odontologia chia-
mate in differente modo.
Bracy-Clark (^) osserva che la superficie di sfregamento dei
mascellari superiori imita assai bene un B gotico rivolto verso
la parte interna della bocca, offrendo nella porzione la più av-
vicinata alla apertura boccale una piccola appendice.
I mascellari superiori, dice Cuvier C^), presentano all' occhio,
in tutto il suo contorno, un' orlatura di smalto che fa due pieghe
principali, una alla loro faccia interna assai grande, e 1' altra
alla loro faccia esterna, più piccola; si vede inoltre nel suo mezzo
due mezze lune (croissant) contornate di smalto, o delineato da
esse, e poste sulla medesima linea nel senso della lunghezza del
dente. I mascellari inferiori hanno lo smalto che delinea su
ciascuno di essi i medesimi contorni, e questi contomi sono
tali, che è molto più facile di rappresentarsi che di descriversi.
Io per brevità non voglio riportare la lunga, ma esatfB descr-
izione, che dà questo autore, della tavola triturante dei mascel-
(<) On the Knousbdge of the age of the horse by his teeth^ etc LondoOt 188<(.
O Des Dents des Mammiféres. pag. 226. Paris, 1825.
DENTI MASCELLARI DEGÙ EQUIDI 361
lari inferiori, bastandomi d' indicare più avanti, in un quadro,
la nomenclatura che egli dà. alle diverse parti di questi denti.
*" I denti di sopra » ( parlando dei mascellari ) Girard dice,
pag. 226 (^), *" hanno nella superficie delle basi loro per il largo,
quasi nel mezzo un cavo quasi rilevato dai lati; e per il lungo
di essi vi sono incavati molti seni piccoli ineguali curvi, e quasi
semicircolari, fatti con mirabile artificio di natura affine di
meglio macinare il cibo. I mascellari inferiori, sono nel lato
di sopra ineguali, ruvidi, e tutti pieni per il lungo della super-
ficie del corpo loro di seni poco profondi ora corti ora curvi,
ed ora quasi rotondi nei lati di fuori „.
Haxley(^) asserisce che nei denti mascellari superiori *^ il
disegno generale della superficie corrosa può essere descritto
cosi: esternamente due mezze lune longitudinali una dietro
r altra colle loro concavità, volte air infuori, le quali si formano
per la corrosione delle pareti; internamente, a queste, due altre
mezze lune in parte trasversali le cui estremità anteriori sono
in contatto colla parete, le quali si formano per la corrosione
delle lamine ; ed attaccate alla superficie interna di queste due
superficie a forma di classidra fermate dalla corrosione delle
due colonne solcate „. Nella mascella inferiore dice: ^ il risultato
della corrosione qui è di due mezze lune le cui concavità sono
voltate in dentro: al punto di unione delle due mezze lune
anteriore e posteriore si osserva una superficie profondamente
biforcata „ : un altra superficie si mostra in connessione col-
r estremità posteriore della mezza luna posteriore.
Tomes (^), dice, che il dente molare superiore usato di ca-
vallo presenta sopra un campo generale di avorio, due isole di
cemento, limitate da una linea tortuosa di smalto, e alla parte
intema, una specie di promontorio d' avorio limitato dallo
smalto .
Potrei seguitare a trascrivere quello che hanno detto intorno
alla tavola triturante dei denti mascellari negli equidi molti
distintissimi naturalisti quali Cuvier, Owen, Rùtimeyer, Mayor,
etc. ma, se anche lo facessi non si riuscirebbe, mi pare, a di-
(*) Loc. cit.
(*) Manuale dell'Anatomia degli Auimali vertebrati, Trad. da Giglioli, pag. 35i.
Firenze, )874.
(•) Loc. cit. pag. 298.
:^62 (i. BAKALDI
stinguere se un dente mascellare isolato è, ad esempio, di un
asino 0 di un cavallo.
Perciò io credo di non fare cosa inutile il descrivere più
minutamente la figura presentata dalle tre sostanze che com-
pongono i denti e principalmente V avorio, essendo esso che da
la forma ai denti stessi. Siccome abbiamo visto che V avorio
va a sostituire il bulbo, di cui abbiamo parlato nello sviluppo
dei denti, così ne viene per conseguenza che V avorio in se-
zione presenterà la stessa figura presentaci dal bulbo. Quindi
r avorio dei denti mascellari superiori figurerà un B gotico,
come hanno anche asserito Bracv-Clark e Chauveaux, ed i ma-
scellari inferiori, secondo me, un 3. Il B, come ognun sa, consta
di un asta con duo apici uno anteriore ed uno posteriore, e
due ventri (boucles dei francesi), uno anteriore ed uno poste-
riore. 11 3 consta di due ventri con tre apici uno dei quali
anteriore, uno medio ed uno posteriore.
Per descrivere la tavola triturante dei mascellari superiori
ed inferiori prendo per tipo, tanto per gli uni quanto per gli
altri il primo premolare di un asino.
Se si guarda adunque alla superficie triturante di un ma-
scellare superiore di asino (fig. 9, tav. IX e fig. 3, tav. XllI —
premolare primo superiore sinistro di asino, ingrandito ^"^ 23 (^) — )
non si dura molta fatica a scorgere che V avorio (A) presenta
un B gotico orlato, tanto all' esterno che all' intemo, di un
nastro di smalto (s); nel quale B si può considerare un asta
{a a), due ventri {e v ) con due appendici {a jj-ap), due cavità
dei ventri (e v-c r'), delle sinuosità e delle anfrattuosita all' in-
tomo del B stesso (2).
L' asta (a a) h formata da due linee curve, una anteriore (&),
e una posteriore (6'), colla convessità rivolta all' esterno; esse
linee curve si uniscono circa nel mezzo dell' asta, per modo che
neir asta stessa riscontriamo tre apici uno anteriore (1), uno
medio (7), ed uno posteriore (10).
I ventri sono uno anteriore ( r) ed uno posteriore (v ), questo
ultimo ha una piega (15) al margine intero-posteriore, la quale
(*) La fig. 3, tav. XllI, rappresenta disegnato solamente Io smalto della fig. 9,
tav. IX.
(') La medesima figura la presentano anche i mascellari superiori di tutti gli
altri equus»
DENTI MASCELLÀKI DEGLI EQUIDI 363
può essere più o meno grande. L' appendice del ventre ante-
riore (ap) sì stacca posteriormente dal margine interno; assume
la forma di uno classidra, nella quale si può considerare un
peduncolo (22), un lobo anteriore (23) ed un lobo posteriore (19).
L' appendice del ventre posteriore (a p) si stacca dalla metà del
margine interno del ventre posteriore, e mostra una estremità,
arrotondata rivolta all' indietro (17).
L' asta, i due ventri con le sue appendici sono formate, lo
ripeto, da dentina (A) contornata da smalto (S) e questo con-
tornato da cemento (C).
Le due cavità dei ventri sono, una aCnteriore {e v) ed una
posteriore (e i? ), entrambi riempite dal cemento (C), che contorna
lo smalto di questa cavità: nel loro centro si osserva qualche
volta uno e qualche volta due fori (25 e 13) lasciati dal resto
della papilla del sacco follicolare, la quale papilla ha dato ori-
gine al cemento che le riempie.
La cavità anteriore {e v) oflFre a considerare due estremità,
una anteriore (2), una posteriore (6); due pieghe una ante-
riore (26) una posteriore (3), e una sporgenza intero posteriore (5).
La cavità posteriore (e v) offre pure a considerare due estre-
mità, una anteriore (8) una posteriore (11); e due pieghe, una
anteriore (14) e una posteriore (12).
Le sinuosità sono in numero di tre, una esterna anteriore (4)
formata dalla concavità della linea curva anteriore ; una esterna
posteriore (9) formata dalla concavità della linea curva poste-
riore, ed una interna (21) formata dall'appendice a forma di
classidra.
Le anfrattuosita sono tre, una anteriore* interna (24) situata
fra la convessità del ventre anteriore e la sua appendice ; una
media interna (18) situata fra i due ventri, ed una posteriore
interna (16) situata fra la piega e Y appendice del ventre po-
steriore. L' anfrattuosita media interna mostra nel suo fondo,
specialmente nei cavalli, uha sporgenza (20) (vedi, per esempio,
il numero 20 nella fig. 4, p 1 , tav. XII) : nelV iisino, tale spor-
genza, quando vi è, è pochissimo sviluppata.
Tanto le sinuosità che le anfrattuosita sono piene di ce-
mento (C).
Andiamo ai mascellari inferiori.
So si guarda alla tavola triturante dei mascellari inferiori
364 G. BAKALDI
Doi scorgiamo immediatamente che Y avorio contornato da
smalto rappresenta un 3 (fig. 2, tav. XIII — premolare primo
inferiore sinistro di asino — ). nel quale si può considerare, a
somiglianza dei mascellari superiori, due ventri (r r ) tre apici
(1-2-3), due appendici f<i/> ^p). due cavità dei ventri icrcr)^
una sinuosità e delle anfrattuosita all' intomo del 3 (^) .
I due ventri, sono uno anteriore ('), che forma alla parte
anteriore un angolo retto (i), ed un ventre posteriore (r ).
Dei tre apici, uno è anteriore H) molto appuntato; uno
medio (2). al quale fa seguito V appendice a forma di classidra,
e uno posteriore (3) molto arrotondato.
Delle due appendici, una è media iapì ed ha origine nel
punto di fusione dei due api<;i dei ventri, nella quale si può
rilevare un peduncolo (2) o apice di fusione e due lobi, uno an-
teriore f 13) ed uno posteriore (14): e un' altra appendice è poste-
riore ((/;/), nella quale si notano due angoli, uno esterno (7)
ed uno interno fS).
Delle due cavità dei ventri, una è anteriore (e vi ed ha una
estremità anteriore ( 5 ) ed una posteriore (6): una cavità è po-
steriore (r / ) e mostra pure due estremità, una anteriore (9)
ed una posteriore (10); oltre a ciò in questa cavità si osser-
vano due pieghe, una posta (juasi all'estremità anteriore (11)
e l'altra circa nel mezzo (12).
La sinuosità è queir insenatura che si vede all' interno, fra
un lobo e 1' altro dell' appendice a classidra, e la chiamo per-
ciò sinuosità interna dell'appendice a classidra (21).
Le anfrattuosita sono diverse: dò il nome di anfrattuosita
media esterna (15) allo spazio esterno compreso fra i due ventri
e chiamo piega di questa anfrattuosita (16) una sporgenza che
si osserva alla parte anteriore esterna del ventre posteriore.
Dò poi il nome di anfrattuosita posteriore (17) allo spazio che
vi è fra r angolo esterno dell' appendice posteriore e il ventre
posteriore; di anfrattuosita anteriore interna (IS) allo spazio
compreso fra il lobo anteriore dell' appendice a classidra e
r apice del ventre anteriore ( questa anfrattuosita è continua
colla cavità del ventre anteriore ) ; di anfrattuosita media in-
(*) La mede^'ima fìunira presentano anche i Dia^cellari inferiori di tutti gli
altri equus.
DENTI MASCELLARI DEGÙ EQUIBI 365
tema (19) allo spazio che si trova fra il lobo posteriore del-
l' appendice a classidra e Y apice posteriore ( pure essa, è in
continuità colla cavità del ventre posteriore ); finalmente chiamo
anfrattuosita posteriore interna (20) lo spazio compreso fra l'an-
golo interno dell' appendice posteriore ed il ventre posteriore.
Prima di lasciare di parlare delle particolarità della tavola
triturante tanto dei mascellari superiori che dei mascellari in-
feriori, dirò che il cemento che riempie le sinuosità ed anfrat-
tuosita del B e del 3, costituisce uno strato grossissimo, che
sorpassa in molti punti le massime sporgenze dello smalto; in
modo che la tavola triturante assume una forma grossolana-
mente triangolare nei terzi premolari superiori ed inferiori,
triangolare pure nei molari terzi inferiori, trapezoide nei molari
terzi superiori, e quadrangolare in tutti gli altri.
E ben inteso per altro che il cemento, il quale riempie le
anfrattuosita e le sinuosità esterne dei mascellari superiori, non
e in continuazione, come abbiamo già visto, col cemento che
riempie le cavità dei ventri del B, mentre nei mascellari in-
feriori, ha luogo il contrario.
Qui credo necessario di esporre un quadro, il quale mostri
come da alcuni autori siano diversamente chiamate talune
parti della tavola triturante dei denti mascellari, affine di po-
tere confrontare a colpo d' occhio il nome da me adottato
nella descrizione della tavola triturante stessa, con quello dato
dai medesimi autori. Dal quadro risulterà, anche, come siano
pochissime le parti prese in considerazione da questi autori, e
quindi non sufficienti per potere classificare e riconoscere fra
loro i denti di un medesimo individuo, e fra i denti dei di-
versi equidi (^).
(*) Chi desiderasse avere maggiori dottagli intorno ai denti mascellari del ca-
vallo, anche al difuori della tavola triturante, può ricorrere con grande profitto alla
esatta e lunga descrizione, corredata da bellissime figure, che ne danno Goubaux
e Rarrier nel loro stupendo lavoro « De V Eo;térieur du ChevalPm Non mi sono ser-
vito della nomenclatura delle diverse parti della tavola triturante, data da questi
autori perchè mi pare sia più facile quella da me adottata.
1. Quadro della nomenclatura delle diverse parti della tai
Autori e da me — Denti mascellari 9
r
A
b
h'
V
e'
ap
ev
1
2
8
4
5
6
7
8
9
10
11
12
18
14
15
16
17
18
19
20
31
22
23
24
25
26
Baraldl f^
ÀTOrio che rappresenta un B gotico
.VflU del B
Cnrra anteriore ilelPosta
Curva p<isteriore dell'afta . . . .
Ventre anteriore
Ventre posteriore
ChaiiVMi (')
Gandry (^
gotico
Appendice del ventre anteriore o appendice a forma
di classidra
Appendice del ventre p^jsteriore
Cavità del ventre anteriore . .
Cavità del ventre posteriore,
boucle ant.
boucle post.
appendice de la
boucle ant.
onl di sacco anter.
cai di sacco post.
ilentioolo est
denticolo est ]
denti e* medio
dentic* medio
dentic* grand<
dentic* piccia
I
I
!
cit
Apice anteriore
Estremità ant. della cavità del ventre ant
Piega intero posteriore della cavità del ventra ant. .
Sinaosità esterna ant.
Sporgenza intero posteriore della cavità anteriore
Estremità posteriore della cavità ant - .
Apice mediano
Estremità ant. della cavità poster
Binaosità esterna posteriore
Apice posteriore
Estremità posteriore della cavità post
Piega posteriore della cavità poster
Foro papillare della cavità posteriore
Piega anteriore della cavità posteriore
Piega intero p<J8teriore
Anfrattuosita posteriore
Estremità posteriore dell'appendice posteriore . . .
Anfrattuosita media
Lobo posteriore dell'appendice anteri«»ro
Fondo dell'anfrattuosita media * . . .
Hinaosità intema
Colletto dell'appendice anteriore
Lobo anteriore dell'appendice anteriore
Anfrattuosita anteriore
Foro papillare della cavità anteriore
Piega anteriore della cavità anteriore
(*) La prima colonna indica le parti delia tavola triturante dei denti descritte in questo h
— («) Loc. cit — V) Loe. cit — (") De Vextrneur du Cheval, 1883.
;urant6 dei denti mascellari degli Equidi, data da alcuni
ri (vedi fig. 9, Tav. IX e fig. 3, Tav. Xni).
'infoDdlbolouit.
infundibolo post,
'infandibolouit.
Lafnndibolo p<wL
iria dell' infondi-
! !
- (•) Lts anfJiniirm'iiU iìh J^onàe Animai da»* In lem/n gtolopijiie: — (•) toc cit. — (») Liic.
II. Quadro — Denti masoeU
fT
;i
; ap'
e V
ev-
3
4
5
6
7
8
9
lU
11
13
18 •
14
15
IG
17
18
19
I 30
21
Baral4i
GImbymh
fiurfrf
L' aTorìo presenta an 3 modiflcazione del B
Ventre anteriore ! dentioolo ant «al
I
Ventre posteriore denticolo post.
i
Appendice media o a forma di elassidra ,
Appendice del ventre posteriore
Cavità del ventre anteriore . .
Cavità del ventre posteriore. .
Apice del ventre anteriore . .
Apice di fusione dei dae ventri
cul-de-8ae
Apice del ventre |>OHtcrìore denticolo del lobo
Angolo retto del ventre anteriore 1
Estremità anteriore della cavità del ventre anteriore !
Estremità posteriore della cavità del ventre anteriore j
Angolo estemo dell'appendice posteriore \
Angolo intorno dell'appendice posteriore i
Estremità anteriore della cavità del ventre posteriore ^
Estremità posteriore della cavità del ventre posteriore.
Piega anteriore della cavità del ventre posteriore
Piega media della cavità del ventre posteriore . ,
Ijìho anteriore dell' api>end ice media . . . . ,
Lolx» i>osteriore dell'appendice media ....
Anfrattuosita media esterna
Piega dell'anfrattuosita media esterna ....
Anfrattuosita posteri«»re ectenia ,
Anfrattuosita anteriore intema ,
1
denticolo Inter
denticelo inten
continuazione dello
I
Anfrattuosita medU interna S »°"»*« ^f}, "^ ^^' \
^^ I SACCO coli esterno, 1
Anfrattuosita posteriore intema o cnnnellurté
Sinuosità intema
{}) Beitrfige dtichichte drr Fosailen I*fcrde iw*he9ondere ltalien%. Zurtoh, 1880.
'inferiori (%. 2, Ut. XIII).
lobo iot posL
piaga uit dello.snulto
plcgk 4eaU intcrnm
piega dello smallo
piega
Eatremità posteriore
mezsi luna posteriore
anperfloie della colonna
o dei lobi inL poaL
ino del lubi int poat.
piega esterna anL
lobo interno inedjuio
lobo interno mediano
piega eatema
piega eetema
bordo int dell'infondibolo
infundibolo anteriore
inlVuidiboIo poateriore
370 <;. BAKALDI
Ritenendo ora di avere sufficienti elementi sulla tavola tri-
turante dei denti mascellari, per poterne parlare in particolar
modo^ vengo senz' altro a dire che dalla sola ispezione della
tavola stessa noi possiamo intanto stabilire il posto che con-
viene ai denti mascellari degli equidi, nella classificazione dei
denti adottata da alcuni anatomici.
IV. Classificazione dei denti mascellari e confronto
della tavola triturante dei denti superiori co-
gli inferiori .
I denti tutti, come ognuno sa, sono stati divisi in gimnosomi
costituiti di sola dentina ed in stegrnwsomi, i quali hanno la
dentina ricoperta da una o due sostanze, smalto e avorio. Gli
steganosomi poi, all' esempio del Cuvier e del Milne-Edwards,
si possono dividere in denti semplici e denti composti : semplici
sono quelli che hanno una forma conica o una forma laminare
a superficie piana o deVjolmente curvata, in cui lo smalto od
il cemento riveste solo la periferia: composti o solcati invece
sono quelli che ofi'rono, nel loro interno, dello smalto e del
cemento, o solo una di queste sostanze incastrate nella dentina^
e che presentano per conseguenza sulla tavola triturante, in
una sezione orizzontale fatta artificialmente, le tre sostanze al-
ternate, sia nel loro asse, sia nella loro superficie laterale. I
denti composti possono poi assumere cinque forme principali,
ed essere divisi perciò in denti a fcttnccia (Rubanées), (lenti fos-
.sicolffti, dmti lohnlutiy denti fascicolati, e denti aggregati.
Denti a fettuccia sono quelli nei quali la superficie della polpa
dentinica non è scavata da solchi che lateralmente, di maniera
che le piegature centripete dello smalto e del cemento sono
verticali, e si mostrano dapertutto in continuità della sostanza,
«lualunque sia la profonditìi alla quale arriva il consumo della
corona.
JJenti fossi colati sono quelli che presentano in generale delle
ripiegature laterali dello smalto come i denti a fettuccia; ma
offrono inoltre calla loro superficie triturante delle depressioni
profonde nelle quali questo rivestimento penetra, di maniera*
che allorquando la corona è un poco usata dalla masticazione,
vi si osservano delle specie di isole com|X)ste di cemento con-
DENTI MSSCELLARl DEGLI EQUIDI 371
tornato da smalto completamente separate dallo smalto esterno,
per mezzo di uno strato più o meno grosso di dentina.
Non sto a descrivere i denti lobulati, fossicolati e aggre-
gati, non riscontrandosi di queste forme nei denti del cavallo.
Io non ho trovato in altri libri di odontologia, all' infuori
di quelli dichiarati, questa classificazione. Gli autori di cui posso
disporre descrivono i mascellari del cavallo senza classificarli:
però dalla descrizione che questi danno, non sempre risulta
chiara la enorme differenza che passa fra i denti mascellari
superiori ed i denti mascellari inferiori del cavallo.
Credo quindi di non fare cosa inutile il ritornarvi sopra,
affinchè, colla dimostrazione che tenterò di dare, risulti chiaro,
quale posto convenga ai denti, di cui teniamo parola, e la dif-
ferenza grande che vi h fra i mascellari superiori ed i mascel-
lari inferiori.
Volendo seguire la classificazione data dal Milne-Edwards (^),
ritengo che i denti inferiori debbono essere posti fra i denti
a fettuccia e i denti superiori fra i denti fossicolati. Infatti i
mascellari inferiori mostrano solamente delle pieghe laterali,
le quali sono rappresentate, viste dalla tavola triturante (figure
della tav. XIII, meno la terza), dalle sinuosità ed anfrattuosita.
Per cui la polpa dentinica adunque non forma che ripiegature
laterali rivestite da smalto e cemento che sono dapertutto in
continuità, come si può vedere osservando qualunque grado di
usura al quale possa essere giunto il dente ; condizione che si
deve riscontrare nei denti a fettuccia.
I mascellari superiori oltre di mostrare la sostanza denti-
nica tutta ripiegata lateralmente e ricoperta di smalto e ce-
mento, mostrano anche alla superficie triturante due escava-
zioni della polpa dentinica, le quali giungono fino alla radice
dei denti, come si può vedere guardando la superficie triturante
di animali vecchissimi o in sezioni trasversali fatte vicine alla
radice (fig. 17, tav. IX), o in sezioni longitudinali (fig. 5, tav, IX).
Le escavazioni della sostanza dentinica nella superficie tritu-
rante, sono foderate da smalto e sono piene di cementò, per
cui formano due isole di cemento contornato da smalto in
(') Legons sur la Phisiologie et V Anatomie campar ée de V Homme et des Ani'
maux, Tom. VI, pag. 155. Paris, 1860.
872 0. BABAU)I
mezzo air avorio, per modo che le sostanze che formano le due
isole non sono in alcun modo continue, (s'intende quando il
dente è usato ), colle stesse sostanze che riempiono le infossa-
ture laterali esterne. Questa ultima particolarità unita alle altre
fa porre i mascellari superiori fra i denti fossicolati.
Al considerare denti a fettuccia (rubanées) i mascellari in-
feriori degli Equus, come io faccio, si potrebbe obiettare che
alcuni anatomici ritengono i mascellari formati nelle due arcate
giusta il medesimo tipo, come ad esempio ha detto Giebel {^),
il quale così si esprime: " nack detisalben Typiis gebel in beiden
Reihen „ : che altri dichiarano, essere i mascellari inferiori sem-
plicemente una modificazione dei mascellari superiori, come
Chaveau (-), il quale dice: " La structure des Molaires rap-
pelle celle des incisives, quoiqu' elle soit beaucoup plus com-
pliquèe. La cavità intérieure de la dent, cavité extrémement
diverticulèe, est enveloppée par V ivoire. L' email ,est applique
en conche sur celui-ci, et se replie dans le culs-de-sac exteraes
exactement comme pour les incisives; aussi trouvet-on, sur la
surface de frottement de la dent qui a use, un encadrement
d' email extérieur, et deux cercbs ou plutòt deux polygoaes
irréguliers d'email centrai, circonscrivant les deux cornets.
Dans les molaires supérieur, V ensamble de ces rubans d' éniail
reprèsente un B gothique, portant un petit appendice sur la
boucle la plus rapprochée de V entrée de la bouche. Cette figure
est modifiée dans les dents de la màchoire inférieure, V email
des culs-de-sac se continuant du còte interne avec V email
extérieur „.
Ed altri autori ancora, mi si può dire, pongono i denti ma-
scellari inferiori fra i denti fossicolati, come ad esempio, il
Milne-Edwards (^), il quale asserisce che la conformazione dei
denti fossicolati: " se voit chez plusieurs Rongeurs, mais est plus
caractèrisé chez le Che vai e la plupart des Uuminants,»: e in
nota aggiunge " Chez le Cheval, ce mode de conformation se
reconnait aux dents incisives aussi bien qu' aux molaires, mais
n' est fortement caractèrisé que sur ces dernieres, principalemeut
à la màchoire supérieure? „.
Q) Odontographie, pag. 63. 1855.
(') Loc. ciU, pag. 4u8.
(3) Loc. cit, pag. 157 e 158, torn. VI.
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 373
A tali opposizioni risponderei brevemente che la enorme
diflFerenza di costituzione fra i mascellari superiori ed i mascel-
lari inferiori, nei quali T avorio nella tavola triturante usata
presenta un 3 negli ultimi ed un B nei primi, non mi può per-
mettere di accettare V opinione di Giebel che cioè i mascellari
delle due arcate siano costituiti sul medesimo tipo; poiché se
pensiamo che il bulbo, il quale ha generato i mascellari infe-
riori, si può rassomigliare ad un nastro pieghettato solo late-
ralmente, e che il bulbo che ha dato origine ai mascellari su-
periori, oltre di essere pieghettato lateralmente, presenta due
cavità, ci dobbiamo convincere che i mascellari inferiori sono
di tipo diiferente dai superiori.
Direi poi che Chauveaux e caduto in -un inesattezza quando
ha asserito, esservi nei mascellari inferiori dei cul-di-sacco, se
egli stesso aggiunge che lo smalto ed il cemento che li riempie
sono in continuazione collo smalto ed il cemento che riveste
il dente lateralmente.
Finalmente farei osservare che Milne-Edwards, almeno mi
pare, sia caduto in errore quando ammette fra i denti fossi-
colati i mascellari inferiori di cavallo; in quanto che non tro-
viamo in essi alcuna introflessione di sostanza nella tavola tri-
turante, che egli stesso ha messo per condizione essenziale per
essere denti fossicolati : e che la clausola esposta dal medesimo
anatomico, che cioè la forma dei denti fossicolati si riscontra
principalmente alla mascella superiore, non possiamo accettarla,
come una esclusione dei mascellari inferiori dai denti fossico-
lati, perchè avremmo dovuto riscontrarli fra i denti a fettuccia
(rubanèes), nella classificazione data dal medesimo autore.
Concluderò ripetendo che fino a quando seguiremo la clas-
sificazione dei denti dataci dal Milne-Edwards, noi saremo co-
stretti a porre fra i denti steganosomi composti a fetuccia
(rubanèes) i mascellari inferiori degli equidi, ed i mascellari
superiori fra i denti steganosomi composti fossicolati.
Ma nei solipedi, mi si domanderà, i mascellari di ogni singola
arcata sono costituiti tutti sul medesimo tipo?
Sì: tranne leggere modificazioni che li fa solamente distin-
guere r uno dair altro.
374
U. BAKALDf
V. Distinzione e confronto della tavola triturante dei
diversi denti mascellari di una medesima serie.
I denti mascellari destri e sinistri si dividono in due serie
superiori ed in due serie inferiori; le une e le altre possono
essere di denti decidui o di denti permanenti. Nella descrizione
tengo nota solamente di un lato, essendo T uno, sempre per-
fettamente uguale air altro.
Per quanto io sa|)pia, non credo che alcun Odontologo,
Anatomico, o Zootecnico si sia interessato di far conoscere le
modificazioni, che avvengono nella figura presentata dall'avorio
della tavola triturante dei denti dichiarati dei solipedi ; le quali
modificazioni si riscontrano nelle diverse specie di mascellari
di un medesimo individuo.
Cuvier(/), OwenC-), De Blainville (^), Giebel(*), Blaudin (^),
Girard (/'), Huxley (^), Chauveau («), Sansone, Gayot(i^), Qou-
baux e Barrier (^M, etc. hanno stabilito la differenza fra il terzo
e quarto premolare ed il terzo molare cogli altri quattro, ma
non si sono fermati che a dire, se non superficialmente, in che
consista questa differenza.
M. F. Cuvier (pag. 225) asserisce: " La première màchelière
(per noi p 4) est une i'ausse molaire, qui tombe bientot, et qui
11' est pas remplacée ; elle ne se trouve pas dans nòtre dessiu.
La seconde (p 3) est grand et a la forme generale d' un triangle
isocéle.' Son angle aigu est en avant, et elle présente à l' oeil,
dans tout son contour, u nebordure d' email qui fait deux plis
principaux, un a sa face interne, assez grand, et 1' autre à sa
face externe, plus petit; on voit en outre dans son milieu deux
croissans entourès d' email, ou dessinés par elle et placès sur la
(*) Loc. cit.
(*) Odontotj raphie. I8»r).
(') Osleog raphie. 1839.
(*) Loc. cit.
(•') Loc. cit.
(*) Loc. cit
(") Loc. cit
(*) Loc. cit
(') Loc. cit
(•0) Loc. cit
(»»; De r extéricur du tìuxul. Parip, 1855.
DENTI MASCBLLABI DEÙhl EQUIDI 375
rnème ligne, dans le sens de la longueur de la dent. Les quatre
macheliéres suivantes sont corrèes ; mais elles présentent exa-
ctement le mémes figures que la première „ (avrà voluto dire
que la second èssendo il primo molare (p4) un dente semplice),
*" La sixiéme ressemble encore aux précèdentes par les dessins
que forme V email, et elle n' en diflfère que parcequ' elle est plus
étroite h son ex tremi té postérièure qu' h son exstrèmité anté-
rieure, Ces dents ne prennent leurs racines qu' k un àge assez
avance „ .
Dei due ordini di denti dei mascellari superiori, dice Girard
(pag. 225) " i primi verso le fauci sono più lunghi e più sottili
dei secondi, ed i secondi dei terzi, e così vanno di mano in
mano sino alla fine; e di questi i due primi ed i due ultimi
denti sono differenti dagli altri, e fra di loro di grandezza e
di figura; conciossiachè questi essendo larghi nel principio del
corpo, che riguarda i denti, vanno stringendosi poco a poco, a
finire verso di fuori in un angolo ottuso, per tagliare e rompere
meglio il cibo; e gli altri che stanno fra di loro, essendo quasi
su tutto il lungo del corpo uguali in larghezza, formano un
quadrato oblungo; ed i due ultimi che riguardono le fauci sono
meno larghi e lunghi di quelli che stanno vicini ai denti canini;
e questi denti mascellari mutano i cavalli nel terzo e quarto
anno, contro V opinione di molti, e sono, a similianza degli
umani, senza radice „. Io non conosco cosa abbia voluto dire
quest' odontologo, coli' ultimo periodo !
Tutto quanto si riferisce intomo alla diflferenza delle diverse
specie di mascellari indicato da Chauveau (pag. 408), consiste in
questo: ** les molaires des deux màschoires oflFrent un nombre
de racines diflPérent. On en compte trois dans les molaires qui
terminent les arcades, soit en avant, soit en arriére, k V une
et ò, Y outre màchoire. Quant aux molaires intermèdiaires, elles
oflFrent quatre racines a la màchoire supérieure, et deux seu-
lement k V inférieure. Le molaires s' écartent les unes des autres
par leur partie enchàssée, surtout aux deux extrémités de l'ar-
cade ».
Potrei aggiungere quanto dicono molti altri autori: ma lo
ritengo superfluo; perchè quelli che sono a mia conoscenza non
aggiungono niente di più di quello che abbiano detto Cuvier,
Girard e Chauveaux.
Se. K<U. Voi. Vm, fa<4c. 2." 27
376 O. BÀRÀLDI
Tali descrizioni, non sembrandomi sufficienti per distinguere
singolarmente un dente dall' altro, quando venisse isolatamente
presentato, mi fa tentare di dire come si possono conoscere i
mascellari decidui, dai permanenti, e questi e quelli fra di loro.
Nel parlare delle differenze dei denti mascellari non tengo
nota che di quelle che presenta la figura nella tavola tritu-
rante, e lascio da parte le differenze nell' altezza della corona,
nel numero e nella forma delle radici, non essendo questi ca-
ratteri sicuri, e non sempre visibili, per poter diflPerenziare un
dente dall' altro.
1.® Differenze fra i mascellari superiori decidui ed i perma-
nenti. — I mascellari decidui superiori in numero di 8, quattro
per ogni lato (fig. 1 , m d), mostrano nella loro tavola tritu-
rante delle particolarità che li fa distinguere dai mascellari
permanenti (^).
Il mascellare deciduo quarto (fig. I,md4), che in alcune
specie di equide persiste per tutta la vita dell' animale, e che
ordinariamente, nelle specie viventi cade coli' uscire del terao
premolare permanente, differisce tanto dagli altri mascellari
decidui e permanenti, che non v' è bisogno di fermarsi molto
per distinguerlo. E un dente steganosoma semplice, il quale
mostra perciò la tavola triturante senza alcuna depressione o
sporgenza: la tavola presenta una figura più o meno rotonda,
o più o meno ovale ( fig. 5, tav. XII, p 4 ( -) ). È in confronto
degli altri eminentemente piccolo; il massimo diametro della
tavola triturante usata, che io abbia riscontrato in un cavallo
toscano arriva a mm. 8 : mentre il diametro degli altri mascel-
lari può giungere fino a 38 e più millimetri.
Gli altri tre decidui sono composti fossicolati e mostrano
nella loro tavola triturante la stessa forma, triangolare il terzo
e quadrangolare gli altri due, e la stessa figura di un B che
presentano i premolari permanenti : diflferiscono però quelli da
questi dal rapporto diverso dei diametri della tavola triturante
(^) Non tengo nota clic i decidui si possono distinguere dai permanenti, perchè
fra la corona e le radici esiste sempre, nei decidui, un rilievo conosciuto col aome
di colletto, il quale colletto non v'è nei ma.scellarì permanenti.
('; Quando questo dente persiste per tutta la vita dell* animale, si suol chiamare
quarto premolare.
DENTI MASCELLARI DEQLI EQUIDI 377
e dal rapporto del diametro longitudinale delV appendice a
forma di classidra (a p), colla lunghezza della tavola stessa.
Oltre a ciò i decidui hanno V appendice indicata di forma dif-
ferente da quella dei permanenti.
Se osserviamo le tavole trituranti dei mascellari decidui di
cavallo neonato e di 30 mesi circa, (cioè poco tempo prima
che cadano ) e le confrontiamo con quelle dei permanenti, scor-
giamo a colpo d' occhio che la tavola dei primi è più lunga
relativamente di quella dei secondi, e V appendice a classidra
è più breve (fig. 7, tav. XII).
I loro rapporti stanno così:
Mnscellarl decidui superiori (^).
Deciduo
lunghezza
larfMiMzt
diametro
Mr appendice
Cavallo mezzo sangue • dm. 3.°
inglese nato in Ita- | dm. 2.°
lia, di pochi giorni f dm. l.**
mm. 88
n 30
• 30
Cavallo mezzo sangue
inglese nato in Ita-
Ua, di 30 mesi circa
dm. 3.**
dm. 2.**
dm. l.'^
n
37
27
27
mm. 21
, 22
, 22
. 22
, 22
. 22
mm.
9
8
9
11
7
8
10
Masrellari permanenti superiori.
Cavallo toscano dì
anni 12
Premolare
lunghezza
larghnza
diametre
dell' appendice
3."
2.»
1.»
mm. 32
, 29
. 26
mm. 22
. 24»/.
. 25
mm. 6
. 10
. 11
Molart
1."
2."
S.'
mm. 23 Vi
, 23
. 27
mm. 23 >/<
, 23
. 20 '.',
I
mm. 11
, 13
. 13
(*) Le dimensioni sono prene dal vero. Le dimensioni delle figure possono va-
riare, perchè molte sono prese da fotografìe.
378
0. BABAU)!
riavallo africano di
anni lo
remolarl
i lunghezza
mm. 38 ','«
larghezzi
mm. 23
diametro
deir appendice
3."
mm. 8 '/2
2."
. 28
. 2:^
. 10
1."
. 26
. 25
. 11
Molari
1."
! mm. 22
1
mm. 22 V«
mm. 10
2."
1 , 23
, 23
, 12
3.»
: , 32
. 21
. 13 V«
La lunghezza della tavola triturante è presa circa ad un
terzo estemo di essa nel senso longitudinale della testa e più
precisamente dallo smalto che riveste esternamente ed ante-
riormente il ventre anteriore del. B, allo smalto che riveste
all'esterno posteriormente il ventre posteriore (fig. 1 1 , tav.lX, //).
La larghezza è presa dallo smalto che riveste il fondo della
sinuosità dell' appendice a forma di classidra allo smalto che
riveste il fondo della piccola sinuosità dell'apice medio (fìg. 11,
la la). Il diametro dell' appendice a forma di classidra è preso
dallo smalto che riveste ì punti più sporgenti.
E da osservare che i rapporti fra la lunghezza e la lar-
ghezza della tavola triturante dei decidui vana assai dagli in-
dividui appena nati agli individui che hanno questi denti che
stiano per cadere, come lo dimostrano le dimensioni prese in
un cavallo di pochi giorni ed in un cavallo di 30 mesi circa
(vedi pag. 377), dalle quali risulta che i decidui vecchi hanno la
tavola triturante che si avvicina di più alla forma quadrata.
E nonostante a ciò, se noi facciamo il conft-onto fra i ma-
scellari di latte ed i permanenti, ci risulta sempre che i primi
sono relativamente più lunghi dall' avanti all' indietro di quelli
di rimpiazzamento, anche se il confronto viene fatto con denti
lattaioli vecchi.
L' avvicinarsi i denti decidui superiori alla forma quadrata
quando sono vecchi non dipende dalla pressione della uscita
dei mascellari posteriori come ce lo ha fatto credere il Blondin
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 379
pag. 225 (^); ma dipende invece dalla loro forma originaria.
Osservando uno di questi denti vergini fuori dall' alveolo noi
vediamo che la loro corona non è prismatica come lo sono i
denti permanenti, ma bensì è piramidale tronca colla base qua-
drilunga (rivolta verso la cavità boccale) e V apice che si av-
vicina al quadrato. Dunque il cambiamento di forma della ta-
vola triturante dei denti lattaioli dipende dal loro consumo e
dalla rispettiva loro continua uscita.
Un altro carattere importante, ci fa distinguere a colpo
d' occhio i denti lattaioli o decidui dai denti permanenti: i primi
hanno il nastro di smalto di uno spessore quasi uniforme in
tutte le parti del dente (fig. 7, tav. XII); i secondi invece hanno
questo stesso nastro molto più spesso in alcune parti, come ad
esempio nel mezzo del margine delle linee curve dell' asta (b b'),
del margine della cavità cv cv e del margine dei ventri (vv):
è poi relativamente sottile nelle altre parti.
Lo smalto nei decidui è sempre poco rilevato al disopra
dell' avorio, è cristallino e calla sua superficie libera irregolare.
Air incontro lo smalto dei permanenti ha la superficie levigata,
specialmente in quei punti ove è più grosso lo strato.
2.^ Differenze fra i mascellari decidui 'ed i permanenti inferiori.
— l mascellari decidui inferiori sono in numero ordinariamente
di (), 3 per ogni lato, ed eccezionalmente di 8, perchè si riscon-
trano dei cavalli col quarto deciduo, che corrisponde, sia per la
piccolezza, sia per la sua costituzione al quarto deciduo supe-
riore, e che come questa generalmente cade coli' uscire del terzo
premolare. ( Due cranii di cavallo mezzo sangue inglese e uno
di cavallo puro sangue inglese coi decidui quarti inferiori, si
possono osservare alla Scuola Zooiatrica di Pisa).
T tre decidui inferiori, sempre presenti, sono simili per la
forma e la distribuzione delle sostanze che li costituisce, ai
denti permanenti di sostituzione.
Però i decidui differiscono dai permanenti per avere nella
tavola triturante (come abbiamo detto pei superiori) lo smalto
di quasi uguale spessore e molto sottile in tutte le sue parti,
ciò che non si riscontra nei permanenti, ove lo stesso nastro
{^) Anatomìe dn Si/»tcme dentaùe, IJruxolleti I8.T7.
380 0. BASALDI
è assai pid grosso di spessore alla metà, dei ventri vv e nel-
r appendice a classidra (a/>). Differiscono pure i decidui dai
permanenti, perchè in quelli si riscontra il peduncolo (2) del-
l' appendice a classidra eminentemente largo e corto ( fig. 6,
tav. Xm ), e r anfrattuosita media esterna molto profonda.
Finalmente i denti lattaioli differiscono da quelli di sosti-
tuzione, perchè hanno i rapporti fra la lunghezza e la larghezza
della tavola triturante, confrontata con la lunghezza dell' ap-
pendice a classidra differente da quella dei permanenti.
Eccone alcuni esempi:
Mascellari decidili inferiori.
Cavallo primo meticcio
di padre puro sangue {
inglese e di madre ;
italiana sine-razza, di j
pochi giorni
Deciduo
3."
1."
lunghezza larghezza
nim. 32
. 26 V«
. 26
mm. 12
, 13
. 13
Riamati*
longitudinala
dell' appendica
mm. 17
, 16 » s
, 16
Mezzo sangue inglese
di 30 mesi circa, nato
in Italia
3."
2."
1."
mm. 32
, 27
. 26
mm. 13
. U
13 V»'
mm. 17 V*
. 17
. 16
Xaseellari permanenti iaferiori.
Cavallo toscano dell'età
circa di 12 anni
Premolari
lunghezza
mm. 30
larghezza
mm. 12
diametre
lengitudiiiale
deirappendiee
3.°
mm. 13
2.°
, 28
, 15
, 16
1.»
, 27
, 15 V«
. 16 Va
Molari
1."
mm. 23
mm. 14
mm. 13
2.'
. 24
. 13
, 13
ò.'
" ^^
. 12
. 12
DENTI MASCELLARI DEGÙ EQUIDI
381
Cavallo africano dell'età
circa di 15 anni
remolari
Lungheua
Larghezza
Dlanittro
longltudliwl*
3.°
mm. 28
mm.
12
mm. 12
2.»
, 24
n
14
, 17
1.°
, 25
n
15
« 16
Molari
1.°
; mm. 22
mm.
13
mm. 12
2.»
' , 23'/»
n
12
. 13
3.»
» 34
1
n
12
. 11 v«
3.® Differenze fra i decidui superiori tra loro. — Del deciduo
quarto abbiamo già detto come sia la sua tavola; esso non si
può confondere con altri. Il deciduo terzo (fig. 7, m d 3, tav. XIl)
si riconosce, non solo dal rapporto della lunghezza della tavola
triturante ( che è straordinaria per lo sviluppo enorme che
prende anteriormente il ventre ) colla larghezza e col diametro
dell'appendice a classidra, stando il rapporto in questi ter-
mini :: 38 : 21 : 8; ma anche semplicemente dalla sua forma
triangolare. Il secondo (m d 2) si distingue dagli altri, perchè
ha r appendice a classidra {a p) molto larga e relativamente
corta; e il rapporto fra il diametro di questa e la lunghezza
della tavola triturante sta :: 9 : 30; oltre a ciò nel secondo
deciduo si ha la cavità anteriore (ciO colle estremità (2 e 6)
corte, e più lunga della posteriore; l'estremità anteriore della
cavità posteriore è assai più esterna e più rilevata della estre-
mità posteriore del ventre anteriore. Il primo ha V appendice,
relativamente alla lunghezza della tavola, più lunga di quella
del secondo, e il suo rapporto fra il diametro e la lunghezza
della tavola sta : : 1 1 : 30 ; la cavità anteriore del primo è di
poco più lunga della posteriore (fig. 7, tav. XII).
4."* Differenze fra i decidui inferiori tra loro. - Il quarto deciduo
quando e' è, si riconosce dagli altri, perchè è un dente semplice
piccolissimo, mentre il 3.*, 2.^ e 1.* sono composti a fettuccia
coir avorio che assume la figura di un 3. 11 terzo differisce dal
secondo e dal primo per la forma triangolare della tavola tri-
turante (questa forma è dovuta all' enorme sviluppo che prende
382 Q. BARÀLDI
al lato anteriore il ventre anteriore), essendo quella degli altri
quadrangolare. Il secondo si riconosce dal prini j per avere quello
la tavola triturante più lunga e l'appendice a classidra più corta.
Più di qualunque altro carattere per distinguere questi tre
denti l'uno dall'altro, serve il rapporto fra lunghezzae la lar-
ghezza della tavola con il diametro longitudinale dell'appendicela
classidra (vedi il quadro dei rapporti di queste parti a pag. 380).
5.® Differenze fra i premolari ed i molari superiori (fig. da
10 a 15, tav. IX). — I denti mascellari permanenti superiori
sono in numero di dodici, 6 per ogni lato, divisi in tre pre-
molari che sono quelli che hanno sostituito i tre primi deci-
dui, ed in 3 molari che vengono dietro (0-
Non tenendo nota che i premolari si possono distinguere
dai molari per la posizione che occupano nella bocca, per la
lunghezza della loro corona relativamente all' età, per la curva
della corona stessa che è maggiore nei molari, per la forma,
grandezza e profondità delle colonne e dei solchi delle faccio
laterali etc; dirò solo che gli uni si distinguono dagli altri per
delle particolarità che si vedono nelle diverse parti e nelle
dimensioni della tavola triturante.
La tavola dei premolari e generalmente inclinata in avanti,
quella dei molari è inclinata all' indietro.
Una cosa che salta all' occhio nei premolari, e che è comune
non solo ai cavalli, ma anche agli asini e ad altre specie come
neir Equics stoìwnis Cocchi ed E. intermedius Meyer, è che la ca-
vità del ventre anteriore {e v) è sempre più grande della poste-
riore {e v'\ e che l' estremità anteriore (8) della cavità posteriore
è più estema della estremità posteriore (6) della cavità ante-
riore: questa ultima particolarità e maggiore nel terzo più che
nel secondo e nel primo. Nei molari invece le cavità (e v e v )
sono uguali o presso che uguali di grandezza, e le stesse estre-
mità (8, 6) delle cavità indicate pei premolari, o sono al mede-
simo livello, o la prima sopravanza di pochissimo la seconda
(fig. da 10 a 15, tav. IX). Si può anche aggiungere come caratteri
differenziali fra i premolari ed i molari, massime nel cavallo,
(*} Girard pag. 70, loc. cit. Dice di avere riscontrato alcune volte, ma molto di
rado, un sopra molare supplementare situato vicino al 6.^ (Questo autore conta i
denti molari dall* avanti ali* indietro). A proposito di questo dente supplementare
Goubaax e Barrier pag. 70ii dicono di non averlo mai visto e credono si tratti di
anomalia. Neppure io V ho mai riscontrato.
DENTI UASOELLÀSI DBOLI EQDIDI 383
che nei primi T anfrattuosita media interna (18) è relativamente
più. larga; la piega del fondo di questa anfrattuosita (20) è mag-
giormente sviluppata, e gli apici (1 e 7) sono molto più larghi e
presentano una insenatura più sentita di quella dei molari.
La tavola triturante dei premolari, specialmente nei cavalli
domestici, è sempre più grande di quella dei molari ed. è più
lunga che larga: quella dei molari invece o è quadrata, o ò
più larga che lunga, fatta eccezione però del terzo molare che
ha la tavola più lunga che larga ; ma par altro il molare terzo
non si può confondere con nessuno altro dente, perchè la sua
forma è trapezoide. In altri equidi, sui quali ho prese le stesse
misure, tale differenza di rapporto fra i premolari ed i molari
non esiste: uell' asino per esarapio troviamo più lai^o che lungo
il p 1 , neir Equus intet-meditts il p 1 è uguale al m 3, e nel-
l' E^uus stenonis il p 1 e il p 2 sono nello stesso rapporto del m 2.
Eccovi alcuni esempi di dimensioni della tavola triturante:
Quadm dElle dimetislonì della tavola tritura!i!ii dei denti magliari superiori
(La lODgheEM è ridotta a 100)
Cavallo di razza
p.3.-
Africana di 15
p.2.-
anni circa
p.l.-
m. l.-
m. 2.-
m. 3.°
Cavallo di razza
p.3.-
Toscana di an-
p.2.-
ni 12 circa
p.l.-
m. 1.-
m. 2.'j
m. 3.'i
38,5—100
28 =100
26 =100
22,5=100
23 =100
32 i—lOO
34,6=100
28,6=100
25,9=100
24,1=100
24,1=100
106 + 6
105 + 5
62—38
66—34
80 -20
97—3
100— 0
98—2
i
ili
i|
45
33
12
54
44
10
42
40
2
42
42
0
47
46
1
39
46
•
37
38
1
50
40
10
47
39
8
45
44
I
45
43
2
m. 3.-| 27,7— 100 ì 80 — 20i 44 .44
34r
0. BARALDI
Specie 0 Razza
deir equino
1
*•
S
m
E
•
\
1
1
Si §*§
g E f S
; 1
40 —100
\ Larghezn
^ 1 In centetlmi
\ Differenza fra la lun-
if^ ghezza • la larghezza
1
Lunghezza delia
caviti del venire
anteriore In centetlmi
Lunghezza della
caviti del ventre
poiL In centetlmi
Differenza
delie cavità
Cavallo mezzo san-
p.3."
44
36
8
gue inglese di
p.2.°
34 =100
80 20
46
35
11
anni 10 circa
p. 1.°
32,2—100 '
93 7
45
41
4
m. l.**
28 — lOOi
105 + 5
45
44
1
m. 2.^
28 —100
102+ 2
45.
44
1
m. p.*»
31,6=100
1
89 11
45
40
5
Asino
p. 3.^
n 9"
p. -.
p. 1.**
m. 1.'
m. 2."
m. 3.**
1
28 —100
24,1—100
21.7—100
20,5—100
20,5=100
20.5=100
72 28
91 9
101 + 1
107 + 7
103 + 3
85 — 15
!
1
1
1
1
1
EquHH bUermedius,
p. 2.°
35.2—100
83 17
1
1
1
Meyer
p.l.'^
m. 1."
m. 2."
30,1=100
30,1—100
29,8—100
90 —10
90 10
88 12
1
1
1
1
Equus stenoìiis ,
p.3.''
32,5—100
67 33
!
1
1
Cocchi
p. 2."
p. 1.°
m. 1.**
m. 2.*^
m. 3.°
27,4—100
25,6—100
21,7—100
23,2=100
20,5—100
93— 7
93 7
97 3
93 7
85 —15
1
1
1
1
1
1
■
Cavallo di anni 9,
p. 3."
38,8=100 .
64 36
40
35
5
inglese puro san-
p. 2."
31.3—100 '.
88 12
48
i'^
*-
6
gue da corsa. Va-
p. 1 .^
30,1—1001
88 12
47
41
6
leva Lire 60000
m. 1."
26,2—100
104 + 4
45
45
0
f dico sessanta-
m. 2.'^
27,1—100 '
100 0
45 1
45
0
mila)
m. 3.**
29,5=100 ,
78 22
i
43
1
41
3
DENTI IiUSCELLABI DBOU EQDIDI 385
6." Diffeì-enze fra i premolari ed i molari inferiori (fig. 5, tav.
XIU). — I premolari hanno la tavola triturante pid grande dì
quella dei molari: .inoltre i premolari hanno l'anfrattuosita
media esterna (15) che non arriva al livello della cavità- dei
ventri, l'apice medio (2) lungo, il lobo anteriore (13) dell'appen-
dice a forma di classidra più piccolo del lobo posteriore (14) e
r angolo interno (8) dell' appendice del ventre posteriore lungo
ed acuto. I molari invece hanno 1' anfrattuosita, media ester-
na (15), che arriva fino al livello della cavità dei ventri, V apice
medio (2) corto e largo, i lobi dell' appendice a forma di clas-
sidra presso che uguali di grandezza, e l' angolo interno (8) del-
l'appendice del ventre posteriore corto.
Avrei voluto stabilire un carattere differenziale fra i pre-
molari ed i molari dalla differenza che passa fra la lunghezza
dell' appendice a classidra e la larghezza del dente, ma mi sono
accorto che questa differenza non fe costante : generalmente però,
si può ammettere che la lunghezza dell'appendice dei premolari
è maggiore della larghezza della tavola triturante; e nei mo-
lari 0 è uguale alla larghezza o è di poco superiore : per esempio,
si veda il rapporto fra queste parti del 1 ." e 2.' premolare e quelle
del l." e 2." molare nel Cavallo africano e nel Cavallo toscano.
Ecco alcuni esempi che dimostrano come la tavola tritu-
ranre dei premolari sia più grande di quella dei molari :
Quadro delle diirimioiii della tavola triturante dei deoti inascellarì inferiori
Cavallo mezzo sai^e in-
ingleae di anni 10 circa
p.3.-
p.2.'
p.l.'
m. 1.'
m. 2.'
—
— -
34 =
-100
30,1=
=100
30,1=
=100
28,6=
-100
28,6-
-100
U ■-
-100
^5
G. B\R4r.DI
!!•«• Mia razza
Specie di maicollare
tunghoiia
tunghaiM
rapportala In cantatimi
S. M
il il
fi 1%
£ S
e a
:i et
lE SU
fidili
Cayallo di anni 15. razza
p. 3.'
30.4—100
46 54
47^ 1
africana
p. 2.*:
25,9—100
56 44
61+5
p. 1."
25.5—100
56 44
60+ 4
m. L";
22,8—100
OO — A»
!,55 0
*
m. i:
23.5=100
54— 46
oo -f- 1
m. :3.*
31.6—100
40 60
40 0
Cavallo di anni 12, razza
p. 'ò:
29,8=100
45 — .55
45 0
toscana
p.2.'*
28 —100
53 47
60+7
p. l.'
26.2=100
58 42
65+7
m. l.**
23.8—100
•
57 43
56+1
m. 2.''
24.1— 100
56 44
oo — 1
m. 3.",
29.5—100
44 56
45+1
Cavallo di anni 8, inglese
p. 3."
35.8—100
45 — 55
51 + 6
puro sangue da Corsa
p. 2."
28.9—100
58 42
60+ 2
p. l.*^
28.9—100
55 — 45
55 0
m. 1;^
27.4—100
48 52
52+4
ni. 2."
1
27.4—100
48 52
48 0
m. 3."
33.4=100
38 62
35 3
Fatta la differenza fra i premolari ed i molari, ci resta a
conoscere i diversi premolari ed i diversi molari, di una me-
desima serie.
7.® Differenze fra i premolari superiori tra loro (fig. 10 a 12,
tav. IX) . — Il premolare terzo differisce immensamente dagli
altri due e non si può confondere con essi in tutti gli equini,
sia per la grandezza della tavola triturante e sia per la sua
forma triangolare dovuta allo sviluppo enorme, che prende la
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 387
porzione anteriore del ventre anteriore, precisamento come av-
viene per il terzo molare deciduo. U 2.** e 1.** premolare hanno
la tavola triturante di forma quadrata: il secondo si riconosce
dal primo per avere Y appendice del ventre anteriore (a p) più
piccola, la sinuosità dell'apice anteriore (1) più profonda, e la
piega dell' anfrattuosita, media (20) più stretta e più profonda.
Quando si ha da giudicare dalla tavola triturante questi due
premolari, dati isolatamente per riconoscerli 1' uno dall' altro,
bisogna ricorrere al rapporto fra la lunghezza e la larghezza
della tavola stessa, « se troviamo che la lunghezza sta alla lar-
ghezza : : 100 : 93 o 92 o meno, diremo che è secondo premolare:
se invece sta :: 100 : 94 o più diremo 'che è primo premolare.
8.® Differenze fra i molari superiori tra loro (fig. 13 alo,
tav. IX). — Il molare terzo si riconosce dagli altri due per la
forma trapezoide che assume la sua tavola triturante, e per
la mancanza dell' anfrattuosita, posteriore. Spesse volte questo
dente mostra tre isole di cemento: due sono le comuni cavità
di tutti i denti, ed una piccola posteriore che gli è particolare.
Non è sempre facile il distinguere il 1.° molare dal 2."*,
specialmente se si hanno isolati e senza confrontarli tra loro.
Quando si possono confrontare, il m 1 si conosce dal m 2, per-
chè la sua tavola triturante è più consumata essendo il primo
escito a 1 1 mesi e il secondo a 20 mesi : generalmente il primo
ha la piega (20) dell'anfrattuosita media appena' accennata, mentre
il 2."* r ha sempre più sviluppata. Quando si hanno isolati, l' unico
criterio per dire se e m 1 o m 2 si ha solamente dal rapporto
fra la lunghezza e la larghezza della tavola: se la prima di-
mensione sta alla seconda : : 1 00 : a più di 1 00 è molto pro-
babile che sia il m 1, perchè generalmente è sempre il più
largo di tutti i molari (vedi il quadro dei rapporti a pag. 383).
9.** Differenze fra i premolari inferiori tra loro (fig. 5,
tav. XITE). — n terzo premolare si conosce a colpo d'occhio
per la sua tavola triturante di forma triangolare : (la sua forma
è dovuta al l'enorme sviluppo che prende il margine anteriore
del ventre anteriore, da rendere l' apice pure anteriore arroton-
dato dal lato interno): il primo ed il secondo premolare invece
hanno la tavola di forma quadrangolare e l'apice anteriore
388 0. BiRALDI
appuntato. Io non sono stato capace di trovare una diflFerenza
ben marcata fra il primo ed il secondo premolare; ammeno
che non si voglia tenere per differenza, la leggera inclinazione
in dentro, che mostra il primo nel margine estemo del ventre
posteriore, inclinazione che non ai scorge nel premolare secondo.
10.® Differenze fra i molari inferiori tra loro (fig. 5, tav. XIH). —
Non si può confondere il m 3 cogli altri due per la forma parti-
colare deir appendice del ventre posteriore, la quale fa assumere
una superficie triangolare alla tavola triturante : tale appendice,
a differenza di quella che si scorge nel m 1 e nel m 2, resta
unita al rispettivo ventre, solamente per un sottile peduncolo.
Per distinguere V uno dall' altro i molari primo e secondo
di un medesimo individuo, generalmente si può, tenendo per
m 1 quello che ha la tavola triturante più piccola: però se
questi due denti vengono dati isolati, bisogna che io lo confessi,
non ho trovati caratteri che li faccia conoscere V uno dall'altro.
Tutto quanto ho detto fin qui vale solo per distinguere un
dente superiore da un inferiore, un deciduo da un permanente,
un premolare da un molare e tutti questi tra loro ; ma non
vale per conoscere se un dente è giovane o vecchio {}),
Viene quindi spontanea la domanda: come si distinguono i
denti giovani dai denti vecchi?
Ecco le differenze che avrei riscontrato fra gli imi e gli altri.
11.* Differenze fra i denti mascellari permanenti giovani ed i
denti mascellari permanenti vecchi — Per quanto io abbia scar-
tabellato libri di Ippodontologia e di Odontologia generale, non
m' è stato dato di trovare una enumerazione dei caratteri utili
per determinare, dalla ispezione della tavola triturante se un
dente è giovane o no. Tutti gli autori che conosco, si limitano
a dire, in base al fatto che il dente si consuma continuamente,
che quando la corona è molto lunga il dente è giovane, quando
è corta il dente è vecchio.
*" Les figures, dice Cuvier pag. 226 (^), dessinèes par T email
Q) Per dente giovane intendo un dente poco con??umato, e per 'dente vecchio
un dente molto consumato: in altri termini il primo appartiene ad un individuo
giovane od il secondo ad un individuo vecchio.
(«) Loc. cit.
DENTI MASCELLARI DEQU EQUIDI 389
sur les molaires, diflPérent un peu suivant le degré d' usure de
ces dents: dans les vieux animaux, les replis diminuent de prò-
fondeur, et finìssent par s' etfacer presque entièrement; dans
ceux chez lesquels la mastication n' a poiut ancore eu lieu, ces
lobes sont reprèsentés par des tubercules ,. •
Coi detti del Cuvier, che in generele sono giustissimi, si può
solamente distinguere un dente giovane che non sia pareggiato,
da un dente vecchio che sia pareggiato: ma non si distingue
se un dente, dopo il pareggiamento, sia molto consumato o
no. La presenza delle pieghe dello smalto più o meno pro-
fonde, non valgono a farci conoscere se un dente è giovane o
vecchio, quando non siano indicate le pieghe di cui s' intende
tener nota ; imperocché vi sono degli equidi che, anche giovani,
non hanno naturalmente i denti provvisti di certe pieghe pro-
fonde, come ad esempio l'Asino.
Per riconoscere se un dente è giovane o vecchio, vi sono
dei caratteri comuni tanti ai mascellari superiori che ai ma-
scellari inferiori; e degli altri che sono comuni solamente o ai
superiori, o agli inferiori.
— Parlando del consumo che avviene per causa della
masticazione degli alimenti, pag. 359, ho fatto già conoscere le
modificazioni apportate nella tavola triturante prima del pa-
reggiamento, ora dirò solo i cambiamenti che avvengono dopo
questo periodo. —
Se si guarda alla superficie triturante di tutti i mascellari,
appena avvenuto il pareggiamento, si trova un dato rapporto
fra la sua lunghezza e la sua larghezza: ebbene, questo rap-
porto difierisce mano mano che il dente invecchia, il suo dia-
metro longitudinale diminuisce ed il trasversale resta uguale;
quindi si può dire che un dente è tanto più vecchio, relativa-
mente, quanto meno è la dififerenza fra la lunghezza e la lar-
ghezza della tavola. Questa distinzione per altro non serve che
per denti, i quali appartengono ad individui della medesima
razza; e ciò nella supposizione che tutti gli individui di una
medesima razza abbiano la tavola triturante coi medesimi rap-
porti fra la lunghezza e la larghezza. Il carattere adunque in
discorso non può servire per distinguere un dente giovane da
un vecchio, quando il dente sia presentato isolato e senza che
si sappia a quale specie o razza appartiene.
390 0. BARALDI
Vi ò però un carattere, comune a tutte le specie e le razze,
che persiste per un dato periodo anche dopo avvenuto il pa-
reggiamento (^) e che CI fa conoscere un dente giovane da uno
vecchio. Tale carattere consiste in due alti rilievi trasversali
della tavola, che corrispondono alla parte mediana dei ventri
(boudes dei francesi) (fig. 1, tav. IK et et etc.) e che sono tanto
più alti quanto più il dente e giovane. Mano mano che il ca-
vallo invecchia i rilievi tendono a diminuire ed anche a scom-
parire ; cosicché quando i rilievi sono molto alti ed acuti diremo
che il dente è giovane, quando sono molto bassi ed arroton-
dati, o affatto scomparsi diremo che il dente è vecchio {% Ec-
cone un esempio : il molare 1 .• di un cavallo mezzo sangue in-
glese, appena avvenuto il pareggiamento, quindi giovane ha i
rilievi che s' innalzano dal solco mediano mm. 3 nel superiore
e mm. 4 nell' inferiore. La misura è presa appoggiando una
stecca sui rilievi e prendendo la distanza che vi è nei superiori
fra la superficie dell' apice medio (7) e il piano inferiore della
stecca; e nei denti inferiori fra il piano dell' anfrattuosita, medip.
esterna (lo) e la superficie inferiore della stecca medesima (^).
Quando la superficie triturante è fatta piana dal consumo,
io non conosco caratteri che siano comuni alle due sorta di
denti (inferiori e superiori) per stabilire quale sia un dente gio-
vane e quale un vecchio.
In tale caso e dopo questo periodo si e costretti a ricorrere
a caratteri che sono solamente particolari ad ognuna delle due
sorta di denti.
Quindi diremo:
(^) Noi sappiamo già che cosa voglia dire pareggiamento, vedi pag. 359, e perciò
eoa questa parola non intendiamo che la tavola si sia fatta piana; ma solo che sono
scomparse, pel consumo, tutte e cinque le prominenze e che le isole d* avorio si sono
fuse tra loro.
(*) Non ho materiale sufficiente per ^determinare in modo assoluto quale sia
Vcìh del cavallo secondo che i rilievi sono più o meno sviluppati: ma però, in ge-
nerale, posso asserire che i rilievi sono molto acuti ed alti in cavalli domestici di
7-8 anni, e sono quasi scomparii in cavalli di 15-16 anni.
(*) Debbo avvertire che si possono trovare, sebbene raramente, cavalli vecchi
col denti clie presentano alti rilievi trasversali: il Prof. Vachetta mi comunicava
verbalmente che possedeva un cranio di cavallo vecchio con tale anomalia. Questi
cavalli dagli Odontologi vengono chiamati cavalli con denti bovini, perchè in questi
animali, come in tutti i ruminanti in generale, i rilievi trasversali dei mascellari si
ritcoDtrano per tutta la vita.
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 391
12."* Differenze fra un dente mascellare superiore giovane ed uno
vecchio (^). — Tre sono i caratteri principali che fanno distin-
guere un mascellare superiore giovane da un vecchio ; 1 .• la
maggiore o minore larghezza della cavità, dei ventri (croissant
Cuvier), (fig. 3, cv cv)\ 2.^ la maggiore o minore profondità del-
l' anfrattuosita posteriore (fig. 3, u) ; 3."* il più o meno grande
sviluppo della piega del fondo dell'anfrattuosita media (20); e
tutto ciò s'intende in relazione alla qualità del dente ed alla
specie o razza di equino alla quale appartiene il dente stesso.
Gli animali giovani hanno, le cavità (e ve v) del B molto
larghe, e la loro larghezza è superiore allo spessore delle pa-
reti dei ventri (tav. XII, fig. 4, vv)\ i vecchi invece hanno le
stesse cavità molto strette, e le pareti dei ventri sono mag-
giori, in larghezza, a quella delle cavità (fig. 17, tav. IX).
L' anfrattuosita posteriore, molto profonda nei denti giovani
(tav. Xn, fig. 23, 16) è quasi nulla e anche scomparsa nei vec-
chissimi (fig. 24, tav. xn e fig. 17, tav. IX): esempio; in un ca-
vallo inglese mezzo sangue dopo avvenuto il pareggiamento,
r anfrattuosita è profonda mm. 6 ; nello stesso dente 1' anfrat-
tuosita, misurata vicino alla radice, è profonda mm. 2.
Se si guarda alla fig. 12, tav. IX, che rappresenta un dente
giovane, si vedrà come la piega (20) dell' anfrattuosita media,
sia molto sviluppata; mentre se si guarda alla fig. 17 della me-
desima tav. IX, che rappresenta una sezione fatta profonda-
mente sul medesimo dente, si vedrà come la stessa piega sia
pochissimo sviluppata.
Se le pieghe indicate da Cuvier sono queste stesse da me
accennate, allora si può accettare la sua opinione, che cioè,
quando sono molto sviluppate il dente è giovane quando lo
sono poco il dente è vecchio.
All' infuori di questi caratteri non ne trovo altri che siano
costanti per tutte le specie e razze di equidi.
13.** Differenze fra un dente mascellare inferiore giovane ed uno
(}) Per dimostrare le differenze fra un dente vecchio ed un giovane, credo di
potere presentare indifferentemente o la tavola triturante di un dente consumato
dalla masticazione o di un dente, anche vergine, sezionato allo stesso livello del-
Taltro consumato naturalmente, quando questo dente sia della stessa qualità ed ap-
partenga alla medesima specie o razza.
Se. Kat, Voi. Vm, fase. 2.0 38
392 0. BA&ALDI
vecchio. — Le diflPerenze fra un mascellare inferiore giovane ed
un vecchio consistono in ciò: nei denti vecchi (fig. 1, tav. XTTT),
sono diminuite tutte le pieghe che st riscontravano nei denti
giovani; il colletto (2) delV appendice a classidra si fa più largo
le cavità dei ventri {evo v) rimpiccioliscono od anche scom-
paiono ( r anteriore scompare prima della posteriore ) e final-
mente diminuisce assai la distanza fra il fondo dell' anfìiuttao-
sità media estema (15) e la sinuosità intema dell' appendice a
classidra (21).
Finito di enumerare i principali caratteri della tavola tritu-
rante, che fanno distinguere i diversi denti mascellari di an
medesimo individuo a qualunque razza o specie appartenga mi
resta ora di enumerare quei caratteri che fanno distinguere i
mascellari dei diversi generi, specie e razze degli equidi.
Questa parte è importantissima: interessa al Zoologo, al
Paleontologo ed al Zootecnico; riescirò io a stabilire i carat-
teri, che fanno distinguere dalla tavola triturante i mascellari
che /tppartengono ad un dato genere, ad una data specie ad
una data razza di equide, almeno in quei pochi esemplari di
cui posso disporre? Provo.
VI. Distinzione e confronto della tavola triturante
dei denti mascellari fra alcuni dei diversi ge-
neri, specie e razze degli equidi.
Per determinare a quale specie di equide appartenga un
dente mascellare, quando non si abbia di esso che un pezzo
con tutta la superficie triturante, bisogna subito domandarsi:
quali sono i caratteri della tavola triturante che lo fanno di-
stinguere secondo il genere, la specie, o la razza?
Prima di dire dei caratteri della tavola triturante, coi quali
ritengo di poter distinguere un equide dall' altro, su quei pochi
esemplari che ho a mia disposizione, esporrò una nota dei piii
menzionati generi, specie e razze di equidi, fossili e viventi, che
tolgo dalle opere dei signori F. P. Pascoe(^), Wilckens(^), D.
(}) Zoological clamfication etc. Seconda edis Londra 1880.
(') Elementi della Storia Naturale degli animali damettiei. Trad. Motti Dott
Angelo. Reggio neU* Emilia 1885.
DENTI MASCELLARI DEGÙ EQUIPI 393
Chenu(^), Piètrement (^), SansonC*^) e Murray (*); per dare un
idea deir estensione dello studio della tavola triturante dei
denti mascellari, nella famiglia degli animali di cui io vorrei
tener parola.
Noia dei generi, specie e razze più conosciute della famiglia degli Equidi
Eoippus.
Oroippus,
Mioippus.
{ Aurdianense, Blainv.
Anchitherium l Bairdii, Leidy.
f Dumam^ Gerv.
diplostylum? Gerv.
\ mesostylum? Gerv.
^^ f prostylum, Gerv.
^ venustum, Leidy.
rr^ „ . ^i antilapinum. Falc.
Hippothenum? ,f ^
'^^ ( gracUe, Kaup.
m . . i Fischeriy Meyer.
Llasmosterium ) rj- i- . Vi- i
C Keyserlmgi, Jbiscn.
Protohippus.
Piohippus.
: Stenofìis (Cocchi) fossUis, Rutimeyer; ligeris, Pale.
! arnensis, Lartet; plicidens Owen.
intermedius, Mayor.
curvidens, Owen.
namadicus^ Falc.
neogceus, Lund.
Equus . . . . (^ principalisy Lund.
sivalensis, Falc.
hemianus, Gmelin.
hemippus? GeofiF.
quagga, Gmelin.
inontanus, Burchiel.
1 zebra, Lin.
(1) Encyclopédie d' Histoire naturelle eie. Parie 1854.
O Les Chevawo dans les tempes prèhistoriques et Historiques, Paris, 1883.
(5) Tratte de Zootecnie. Paris, 1874.
(^) The Oeographieal distribution of Mammoli, London, 1866.
ì
394 0. BABALDI
anjanus, Piètrement. (Asiatictts, Sanson).
mongólicuSf Piètrem. (Africanus, Sanson).
gennanicus, Sanson.
L II T • ) fnsius, .Sanson.
caballus, Lm. < ' '
1 belgius, Sanson.
^9^^ \ \ brUamiicus, Sanson.
hibemis, Sanson.
sequanus, Sanson.
T . ( eurapeus, Sanson.
' f africanus, banson.
asmu
I caratteri, dai quali si può conoscere se un dente mascel-
lare appartiene piuttosto ad una specie di equide che ad un
altra, si hanno da tutte le particolarità differenti che si os-
servano nella tavola triturante del dente mascellare stesso.
Se il mio compito non V avessi limitato alla sola osserva-
zione della tavola triturante, potrei aggiungere, quando V esem-
plare lo permettesse, quei caratteri, che gli autori sogliono in-
dicare per conoscere a quale specie appartiene una data denti-
zione; quali ad esempio, quelli che si rilevano dallo stato e
dalla distribuzione di tutti gli altri denti ; cioè, dall' arcata
degli incisivi, dalla distanza dei canini agli incisivi ed ai mo-
lari, dalla diversa distanza dei molari da una serie all' altra,
dal rapporto fra il margine posteriore della volta palatina e
gli ultimi molari, dalla lunghezza della corona, dall' essere
quest' ultima tutta fuori dall' alveolo o no, e finalmente dal
rapporto della grandezza fra i denti premolari ed i molari.
Io non terrò parola sulla distinzione e sul confronto della
tavola triturante dei mascellari negli equidi, che di quelli sui
quali ho avuto materiale di riscontro. Tali sono i generi An-
chiterium, Hipparion ed Equus. Darò pure alcuni cenni, sui ma-
scellari dei generi Eohippus, Orohippus e Miohippus.
1.^ Differenze fra il genere Anchitherium e il genere Hip-
parion. — Il genere che nella dentatura si discosta maggiormente
dagli equidi viventi è certo V Anchitherium, il quale viene consi-
derato dai paleontologi, il successore dei Palaeotheridi (Pachi-
dermi), in particolar modo, secondo il Wilckens del Polaeotherium
medium, V Anchitherium è il più antico rappresentante della fa-
DENTI MÀ8CBLLÀBI DEGÙ EQUIDI 395
miglia degli equidi nel vecchio mondo; del quale tutti gli avanzi
conosciuti appartengono al Miocene più antico od al più mo-
derno Eocene. La sua dentatura è però ancora molto analoga
a quella del nominato Palaeotherium O, e quindi la più diver-
gente dalla dentatura del tipo equino: ha le mascelle molto
esili ed il terzo molare è situato molto indietro sotto l'orbita.
Gli incisivi sono più piccoli in proporzione, e la loro corona
manca di quella fossa che caratterizza quelli degli equus e del-
l' Hipparion.
Il primo mascellare, asserisce Huxley (pag. 356 loc. cit.) è
proporzionatamente molto più grande, specialmente nella ma-
scella superiore, e, come gli altri sei ha corta corona con uno
strato di cemento non spesso. Le corone sono talmente corte
che sporgono tutte al di fuori dell' alveolo come quelle dei denti
mascellari dei carnivori. Il disegno della loro tavola triturante è
immensamente semplificato (fig. 1, tav. XII), i ventri (vv) hanno
una direzione obliqua e sono in continuazione colle sue appen-
dici dei quali sembrano essere un allargamento, o come si esprime
Huxley (pag. 356, loc. cit.) ^ la cresta anteriore e la posteriore
corrono attraverso la corona in direzione appena leggermente
obliqua e le colonne sono appena più che un allargamento delle
creste „. Gaudry(^) dice che "** nélV Anchitherium (fig. 163 del
suo lavoro) i denticeli intemi li hanno sensibilmente la stessa
direzione dei denticeli mediani mm „.
I mascellari inferiori dell' Anchitherium diflferiscono da quelli
dei cavalli per essere mancanti dell' appendice posteriore e per
avere l'appendice a classidra (a^) rappresentata solamente da
due punti. L' aspetto della tavola triturante è quello di un 3,
ma senza 1' angolo retto che si osserva nel dente dei cavalli
al ventre anteriore. Il terzo premolare, dice Huxley, è alquanto
più grande degli altri mascellari ed il lobo posteriore del 3.*
molare inferiore è piccolo come nelle altre Equide (vedi la figura
data da Gaudry).
(') Per molti punti rAnchiterium si scosta dalle moderne Equidae, i quali se-
gnano altrettanti passi che esso fa verso gli estinti Palaeotherium; ed anzi lasomi-
glianza è tale che Cuvier considerava gli avanzi d'Anchitherium, che. egli conosceva,
come quelle di una specie di Palaetorium.
(') Les enchainement du Monde animai dans les temps géologiques^ Mommi'
fères tertiaires. Paris, 1878.
396 G. bàbàldi
n genere Hipparion considerato dai Paleontologi come un
successore immediato dell' Anchitherium, fu trovato per la prima
volta da Christol O nelle sabbie terziarie del bacino di Pèzènas,
dipartimento d' Hèrault, e nella vallata della Durance. Per dif-
ferenziarlo dagli altri equidi, avendo in esso osservato che lo
smalto dei denti mascellari superiori invece di ^ un croissant au
milieu du bord interne, montre un cercle qui ne se confond paini
avec les croissant du reste de la dent „, gli dette il nome d' Hip-
parion (piccolo cavallo). Dopo poco tempo Kaup trovò nelle
sabbie d' Eppelsheim, sulle rive del Rhin mescolate colle ossa
di Dinothèrium, di Mastodontes e di Rhinocèros, dei denti di
equide, che offrono il medesimo carattere di quelli dell' Hipparion:
ma sia che egli non conoscesse questo genere, sia che egli abbia
pensato che le ossa d' Eppelsheim differiscono da quelle di Pè-
zènas, ha voluto fare un genere nuovo sotto il nome ò! Hppo*
therium e ne distingue due specie : Hipp. nanum ed Hipp. gracile.
Pare che i Paleontologi moderni, come vedremo più sotto, non
accettino questo nuovo genere.
Altri avanzi d' Hipparion sono stati disseppelliti dagli strati
superiori del Miocene dell' antico mondo, in gran numero spe-
cialmente a Pikermi presso Atene : ed altri avanzi ancora sono
stati raccolti dal sig. dottor Federico Castelli di Livorno, nelle
ligniti di Casino presso Siena.
I denti del Casino stupendamente belli e ben conservati,
sono stati illustrati dal nostro distinto Paleontologo Major (^),
al quale io cedo la penna sia per la bella descrizione che ne
dà dei denti medesimi, sia per le importanti considerazioni che
fa intorno alle specie del genere in discorso.
- Hipparion gracile Kaup. Un certo numero di denti isolati.
I molari e premolari superiori fanno vedere un grado di pie-
ghettatura dello smalto che cerco invano nelle figure dei denti
di Hipparion di Pikermi e Mont Lèberon, e che non si trova
neanche negli originali di Pikermi depositati nei Musei di Milano
e Firenze; mentre invece hanno molta più rassomiglianza coi
denti di Eppelsheim „.
(*) D'Orbigny - Dictionnaire universel cT Histoire naturelle. Art. € Cheval
fossile». Paris.
(«) Mammiferi fossili della Toscana, Atti della Soc. Toscana di Se. Nat, Voi. I,
fase. 3.0, pag. -229.
DENTI MASCELLARI DEQU EQUIDI 397
* Per potere confermare o respingere in modo positivo la
supposizione dell' Hensel di due specie di Hipparion, basati in
gran parte sulla conformazione dei denti cioè dell' H. gracile di
Eppelsheim, e H. mediterraneum di Cucuron, Pikermi, Concud
— sarebbe necessario di scegliere pel confronto del grado delle
pieghe, i denti delle diverse località, che corrispondono fra di
loro nella loro età, cioè nel grado di logorazione, ciò che però
finora non h stato fatto „.
" Il Gaudry concede che la pieghettatura sia spesso svilup-
pata nei molari dell' Hipparion di Eppelsheim; però egli nega
a questo carattere ogni costanza (^); riguardo ai denti di Pikermi
egli dice : ** si on met toutes les màchoires des hipparions de Grece
à coté les unes des autres^ on voit un passage insensible des dents,
à email très plissé aux dents à email peu plissè,et, sur une ménte
màchoire, il y a quelque fois de grandes inègalités dans le plissement
de V email des molaires „.
" L' Hensel, dopo aver descritto i resti di Hipparion che
erano a sua disposizione, giunge alla conclusione, che difficil-
mente si possa indicare una differenza assoluta, esprimibile per
parole o numeri, fra la dentizione dell' Hipparion gracile di Ep-
pelsheim e degli Hipparion dell' Europa meridionale. " Sola-
mente in generale si potrà, riferire a questi ultimi una strut-
tura meno complicata dei loro molari e forse ci avviciniamo
più al vero esprimendo questo rapporto nel modo seguente:
Il massimo della pieghettatura dello smalto , negli Hipparion
dell'Europa meridionale non raggiunge il massimo nelV Hip-
parion gracile, ed il loro minimo rimane inferiore a quello di
questa specie, di modo che viene a stare nei limiti della pie-
ghettatura che si riscontra nei molari di Cavallo „ (^).
" Nei denti provenienti di Cucuron e di Pikermi non ho tro-
vato un tal grado di pieghettatura còme è indicato in parec-
chie figure di molari di Eppelsheim, e come ho riscontrato nei
molari di Casino. Quindi proporrei di mantenere la denomina-
zione di Hipparion mediterraneum come fu delimitata da Hensel;
chiamerò Hipparian gracile la specie di Eppelsheim e provviso-
riamente anche quella del Casino ; lasciando ai severi sistematici
Q) A. Gaudry — Animaux fossiles et Geologie de VAttique, p. 231.
(^) Hensel — Uber Hipparion mediterraneum (ÀbhandlungeQ d. K. Akademie
d. Wìtsenschaften zu Berlin. Aus dem Jahre 1S60) Berlin 1861), p. 111.
398 O. BÀ&ÀLDI
la cura di attribuire a questi nomi, secondo il loro parere, il
valore di specie o dì razze „.
Di tutte le altre specie d' Hipparìon che sono menzionate
nel quadro pag. 393 non so se siano stati notati dei caratteri,
rilevati dai mascellari, i quali valgono a difierenziare una specie
dair altra.
Comunque sia i denti d' Hipparìon che ho potuto esaminare
tanto in natiu*a quanto in disegni, sono molto differenti da
quelli dell* Anchitherìum : i prìmi si accostano di più a quelli
del genere Equus e si può dire con Huxley che sono affatto
simili.
Se confrontiamo la tavola triturante di un mascellare su-
periore di Anchitherium aurelianense ( fig. 1 , tav. XÌT (^) ) con
quella di un premolare primo di Hipparìon gracile Hensel (fig. 11,
ingrandita ^^/st, tav. XH), di un premolare primo di Hipparìon
fnediterraneumìiensél (fig. 12, dente colla tavola non interamente
pareggiata) e di un molare pure di H. mediterraneum Hensel
(fig. 12 (^)) non facciamo fatica a scorgere T enorme differenza
che vi fe fra r una e le altre ; basta delle tante indicarne una
sola, la presenza negli Hippariòn delle due cavità {cvcv) dei
ventri del B; cavità che nell' Anchitherium non esistono.
La tavola triturante dei mascellari inferiori dell' Hippariòn
differisce da quella dell' Anchitherium perchè le punte o spor-
genze dell'apice medio che abbiamo notato nell' Anchitherium
sono eminentemente più sviluppate nell' Hippariòn, in modo che
rappresentano, in piccolo, quell' appendice a cui abbiamo dato
il nome di appendice a forma di classidra (tav. XDI, fig. 2, ap)
dei mascellarì inferiori degli Equus.
Intorno alla tavola triturante dei mascellari dei generi
Equidi fossili dell'America illustrati dal Marsh non ho alcuna
notizia. Ho potuto raccogliere solo alcuni cenni che riguardano
la loro dentizione nell'opera di Wilkens, e sono i seguenti:
1 .• ì^élVEohippiis dell' eocene inferiore, il più antico rap-
presentante, finora conosciuto, del cavallo, vi sono parecchie
specie tutte della grandezza di una volpe. A pari della maggior
parte dei mammiferi primitivi, questi ungulati possiedono 44
0) Copiata dalla figura 162 di Oaudry.
(^) Dalla figuta 165 di Goudry, coli* indicazione di molare superiore di Hippa-
riòn gracile.
DENTI MSSCELLÀBI DEGLI EQUIDI 399
denti i molari con corta corona di forma interamente diversa
dai premolari.
2.^ 'SélVOrohippus che viene a sostituire T Eohippus nello
strato Eocenico superiore, e che presenta una maggiore sebbene
ancor lontana somiglianza col tipo equino, osserviamo il primo
premolare che assomiglia ai molari.
3.^ Nel Mesohippus del Miocene, vicino alla base nei gia-
cimenti del Brontotherium, il quale è grande come una pecora
e stretto parente dell' Orohippus, si vedono due dei premolari
al tutto somiglianti ai molari.
4.** Nel Miohippus del Miocene superiore, che assomiglia
molto all'Anchitherium d' Europa, non trovo notata alcuna cosa
intorno alla sua dentizione, ma se assomiglia all' Anchitherium
come asserisce il Wilckens, è da ritenersi che i premolari siano
simili tutti e tre ai molari.
Anche per il genere Protohippus del pliocene inferiore e per
il genere Pliohippus del pliocene medio non ho trovato notato
alcun carattere sulla loro dentizione. Solo so che il Protohippus
grande come un asino assomiglia moltissimo all' Hipparion eu-
ropeo, e che il Pliohippus per avere perduti i piccoli unghielli
rappresentanti il 2."* e 4.® dito e sotto molti altri rapporti, si
mostra molto equino.
Ora dovrei parlare della distinzione della tavola triturante
fra il genere Hipparion e il genere Equus : ma tale distinzione
non si potrebbe intender bene se prima non facessi risaltare le
differenze che si riscontrano nella tavola triturante dei denti
nelle diverse specie d' Hipparion.
2.^ Differenze fra le specie del genere Hipparion, — Del
genere Hipparion ho potuto studiare i denti di sole due specie,
r Hipp. gracile Hensel • e 1' Hipp, mediterraneum Hensel.
Dopo quanto ha detto Major intomo ai denti delle due
specie d' Hipparion, poco vi sarebbe d' aggiungere se io non in-
tendessi di fare il confronto fra i denti mascellari del genere
Hipparion e del genere Equus.
I denti A' Hipp. gracile trovati al Casino, e conservati nel
Museo del sig. dott. Federico Castelli di Livorno e che mise
gentilmente a mia disposizione, sono dieci mascellari superiori,
3 mascellari inferiori ed un incisivo. Tutti questi denti devono
400 6. BÀRALDI
appartenere ad un medesimo indivìduo per le acuenti ragioni:
1.* sono stati trovati tutti alla rinfusa, ma in un medesimo
gruppo: 2.® mettendoli in serie si scorge che combinano perfet-
tamente fra loro: dei dieci mascellari superiori, 6 costituiscono
una serie completa, la destra, e gli altri quattro sono sinistri,
in tutto uguali ai destri.
La lunghezza dei denti mascellari d' Hipparion gracile trovati
al Casino è in media da e. 3 ^^4 a 4 e quelli dell' Hipp. mediter-
raneum trovati a Pichermi da e. 3 a 4.
La tavola triturante dei mascellari di queste due specie
d' Hipparion ci mostra dei rilievi trasversali molto elevati, ciò
che sta a denotare che i denti appartenevano ad individui re-
lativamente giovani.
La conferma di questa mia asserzione V abbiamo dalla ta-
vola triturante di un dente incisivo dell' Hipparion del Casino
che io ho fatta espressamente disegnare (fig. 19, tav. XH). Se
vogliamo giudicare 1' età, dell' Hipparion del Casino, colle stesse
norme che giudichiamo quella dei cavalli domestici, noi, osser-
vando la tavola triturante del detto incisivo, dobbiamo dire
che r Hipparion aveva all' incirca fra gli 8 e i 9 anni ( vedi
ad esempio le tav. XX e XXI di Gaubaux e Barrier (^) ).
Ora considerando adunque che l' Hipparion del Casino è
giovane ( 8 a 9 anni ), che i denti mascellari sono lunghi sola-
mente da e. 3 V2 a 4, e che i cavalli della medesima età li hanno
lunghi da e. 6 a 7 circa, dobbiamo dire, anche tenuto conto della
mole dei due generi di equidi — data dalla grossezza dei ma-
scellari stessi — che in modo assoluto, 1' Hipparion ha i denti
mascellari più corti di quelli del cavallo.
Per confrontare la tavola triturante dei mascellari delle due
specie d' Hipparion ho fatto disegnare un premolare primo su-
periore d'Hipp. gracile del Casino (fig. 11, tav. XII), e cinque
mascellari superiori di diversa età, d' Hipp. mediterraneum di
Pikermi (fig. 12-13-14-15-16). La figura 12 presenta un p 1 molto
giovane in cui la cavità, posteriore (croissant post Cuvier) non
è ancora perfettamente isolata, la fig. 13 un molare di indi-
viduo adulto; la fig. 14 un molare vecchio in cui l'isola (ap),
che rappresenta negli equus V appendice a classidra, è fusa col
(*) Loc. cit
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 401
ventre anteriore, e le fig. 15 e 16 due p 3 giovani. E un oc-
chiata a queste figure basta per distinguere i denti delle due
specie d'Hipparion in discorso. ì^élV Hipp, gracile {&g. 11) ve-
diamo che lo smalto forma delle numerose e profonde pieghe,
ed in alcuni punti è molto flessuoso. 'NélVHtpp. mediterraneum
(fig. da 12 a 16) invece le pieghe dello smalto stesso sono poco
numerose e profonde, e non si riscontra in alcuna parte la
flessuosità notata nello smalto dei denti àeWHipp. gracile.
3.* Differenze fra il genere Hipparion ed il genere Equus.
— Mascellari superiori. — La tavola triturante dei denti ma-
scellari superiori del genere Equus, dice Gaudry (^), non lascia
sempre scorgere facilmente la difierenza fra questo genere ed
il genere Hipparion, in quanto che, come egli stesso fa osser-
vare, i denticoli intemi (appendice a forma di classidra per noi)
non sono in alcuni Hipparion sempre isolati dal ventre per
tutta la limghezza della corona, ma alla loro base invece si
uniscono e formano una penisola, simile a quella che si riscontra
negli Equus. Tale unione dell' eppendice, Gaudry, V ha osser-
vata in un dente molto usato AéìVHipp. ìnedilerr anelimi^) (fig. 14,
tav. XH). Nonostante che questo dente d' Hipparion mostri un
carattere esclusivo al genere Equus, pure io ritengo che si possa,
studiandolo bene, riconoscere che è d' Hipparion. Infatti in nes-
suna specie del genere Equus troviamo un dente molare con
un appendice {ap) così arrotondata, rinchiusa fra i due ventri
e con un colletto larghissimo. Peraltro debbo anche avvertire
che quando i denti sono molto vecchi, come è precisamente
quello in esame, difficilmente si possono fare dei confronti, che
diano sicuri risultati.
Aggiunge inoltre Gaudry, che il grado di saldatura dell' ap-
pendice a classidra oflfre delle variazioni individuali, perchè si
osservano dei denti d' Hipparion che sono sensibilmente al me-
desimo grado di usura e non pertanto 1' appendice a classidra
{ap) è inegualmente unita al ventre. In quanto a quello che
mostrano le fig. 15 e 16, che ho tolte da Gaudry stesso, mi par§
che non si possa dire con questo Paleontologo che quei denti
(') Loc. cit.
C) Gaudry chiama Hipp. gracile quello di Moni Léberon, che secondo Hensel e
Ms^or sarebbe THipp. mediterraneum.
402 6. BAKALDI
siano al medesimo grado di usura; essendovi la fig. 15, che
mostra una tavola triturante non ancora pare^ata, e quindi
molto più giovane dell' altra, che e in gran parte pare^ata.
Per dire poi che mostrano delle variazioni individuali bisogne-
rebbe sapere che quei denti appartengono a due individui della
medesima età, ciò che il Gaudry non ha provato. Comunque
sia questi denti non possono servire in modo utile per stabilire
delle differenze nella tavola triturante dei mascellari fra il ge-
nere Hipparion e il genere Equus, essendo essi molto giovani.
Nei denti mascellari superiori del cavallo, dicono Graubaux
e Barrier (/), T appendice anteriore (boucle accessoire) è sempre
riunita al ventre anteriore (boucle antèrieure du B) per mezzo
di un piccolo peduncolo d' avorio. A questo riguardo non vi è
alcuna eccezione nel cavallo. Neil' hipparion, al contrario, che
i trasformisti considerano come l' antenato del precedente,
questa appendice è costantemente isolata sopra la tavola den-
taria (vedi la fig. 259 dei medesimi autori).
Si osservono, essi aggiungono, delle numerose differenze in
ciò che concerne la disposizione del nastro dello smalto. Esso
forma qualche volta, su certi individui, delle ripiegature straor-
dinariamente sinuose o increspate, analoghe a quelle dell' hip-
parion. Alcuni anatomici hanno creduto trovare in questo ca-
rattere delle ragioni sufficienti per stabilire, fra i cavalli fossili,
una specie intermediaria all' hipparion e al nostro cavallo at-
tuale, r equus plicidens. Che questa distinzione sia giustificata
o non, la verità è che queste pieghe dello smalto esistono an-
cora su molti dei soggetti del giorno d' oggi.
Io sono del medesimo parere di Gaubaux e Barrier nel ri-
tenere che il numero delle pieghe non valga a distinguere un
Hipparion da un Equus, essendo vene degli uni e degli altri che
hanno le pieghe, e molto numerose, come nell' Hipp. gracile
(fig. 1 1 , tav. Xn) o poco numerose, come nell' Hipp. mediterra-
neum (fig. da 1 2 a 1 5) : e il numero delle pieghe che si osser-
vano in alcuni cavalli domestici, come ad esempio nella razza
puro sangue inglese (fig. 4) è superiore a quello dell' Hipp. me-
diterraneum.
L' unico carattere adunque che fa distinguere la tavola tri-
turante degli Equus da quella degli Hipparion, per i denti su-
(') De VEitérieut'B du Cheval, Paris, 1885. pag. 7ii.
DENTI MASCELLARI DEGÙ EQUIDI 403
periori, consìste nella fusione o non dell' appendice a classidra
(ap) col ventre anteriore: negli Equus, fossili e viventi, costi-
tuisce sempre una penisola, cioè V avorio di essa è continuo
con r avorio del resto dei denti (vedi tutte le figure dei ma-
scellari superiori del genere Equus, tav. XII); nell' Hipparion
invece questa stessa appendice è isolata, cioè Y avorio che la
costituisce non è continuo coli' avorio del dente (fig. 11-12-13
ap); per modo che guardato il dente mascellare nella sua faccia
intema, in luogo di presentare una grande piega, presenta una
vera colonna, che si fonde solamente vicino alla radice come
nel caso che ci mostra la tavola triturante di un dente vec-
chissimo di Hipp, mediterraneum (fig. 14 ap).
Mascellari inferiori. — La tavola triturante dei denti ma-
scellari inferiori di Equus differisce da quella dell' Hipparion,
in quanto che i lobi dell' appendice a classidra ( denticoli in-
terni Gaudry), sono relativamente nell' Hipparion, piccoli, schiac-
ciati dall' indentro all' infuori, e si proiettano tanto all' interno
da formare una profonda sinuosità : tutto ciò si mostra al con-
trario neir Equus. Gaudry asserisce che queste particolarità sono
così leggere che, allorquando si trovano denti isolati, si è so-
vente imbarazzati a decidere ^se essi provengono da un Equus
o da un Hipparion.
Se quanto asserisce Gaudry può ritenersi per vero (quando
si confronta un mascellare inferiore di Hipp. mediterraneum con
uno di Equus) non è cosi quando si fa lo stesso confronto col-
r Hipp. gracile) poiché, nei denti di questo troviamo, oltre alle
particolarità indicate, lo smalto flessuoso e provvisto di nu-
merose pieghe che non si riscontrano nel genere Equus.
Se teniamo poi conto delle diflFerenze che presenta la lun-
ghezza dei mascellari, il rapporto fra lunghezza e la jlarghezza
della tavola triturante, si va quasi sicuri di non confondere i
denti degli Hipparion con quelli degli Equus.
4.** Differenze fra le specie del genere Equus. — Moltissime
sono le specie fossili e viventi di Equus descritte dagli autori :
ma io non terrò nota che di quelle sulle quali ho trovato ma-
teriale per confrontare la tavola triturante dei denti mascellari:
tali sono V Equus stenonis Cocchi, V E. intermedius Major, VE.
cahalliis del terreno quadernario, V E. caballus domesticus e V E.
asinus.
4iH 0. BARÀLDI
ÒJ" Differenze fra V Equus Steìtonis e V Equus interme-
Jitis. — Nei denti deir£5ww.9 stenonis Cocchi (^) {Equus fossilis
K(ltìineyer(-)) del pliocene inferiore dell'antico mondo e che
trovasi al medesimo livello del Protohippus dell' America , — il
quale Wilckens (^) considera come l'intermedio fra X Hipparìon ed
i cavalli attuali, che sono già rappresentati in gran numero nelle
palafitte europee più recenti, mentre mancano nelle palafitte
europee più antiche dell' epoca della pietra, — si riscontra una
disposizione dello smalto differente da quella dell' hipparìon e
da quella delle altre specie di equus. Il Cocchi dice : ^ questo
tipo animale presenta forme diverse nelle parti di diverse età
del bacino del Val d'Arno. La più comune è in pari tempo una
delle più caratteristiche della fauna più antica; è un cavallo di
alta statura, di forme massiccie con denti mascellari fomiti di
smalto minutamente pieghettato in fregi e merletti assai ele-
ganti (^) „ .
Parlando delle differenze fra i denti dell' JE. stenoniSy del-
l' Hipparion e dei cavalli attuali, Gaudry (^) asserisce che gli
uni e gli altri presentano delle grandi variazioni in una me-
desima specie; neWE. stenonis del pliocene (fig. 167), che si può
(*) Cocchi — V uomo fossile nelV Italia centrale. - Soc. Italiana di Se. Nat
Voi. IIU delle Memorie, Milano 1867. -a pag. 18 dell* estratto dice: « Nelle collezioni
r ho chiainato da molto tempo E^uus stenonis^ per ricordare quella illustrazione del
Museo fiorentino che fu Stenone, e poiché il cranio iutiero di questa specie che vi
si conserva è fra gli o/getti più antichi onde va ricco. Peraltro nella nostra corri-
sponden/A privata dal coropiavto Ugo Falconer, viene indicata come inedita e col
nome di E. Ligeris; e dall* illustre Ed. Latet con quello di E. arnensis. Imparo poi
recentemente dalla lettura di un opera di distinto naturalista, che abbiamo l'abitu-
dine di chiamare questo stesso cavallo plicidens nella Val d*Àrno, locchò ignorava;
non troppo giustificato a me pare il ravvicinamento. Laon^^e pel cominciare di que-
sta sinonimia preferiamo di conservare il nostro in onore del celebre naturalista
danese che tanto ccntinbui a fondare la classica collezione fiorentina. Questa specie,
tanto comune nella fauna inferiore, lo è meno nella media, dove forse appena fti ri-
trova e non fa parte della superiore » .
•) Major dice che « nel Musco civico di Milano, parecchi molari provenienti
dal Val d*Arno superiore e dintorni di Cortona che presentano i caratteri principali
doW Equus fossilis di Rùtimeyer. Il Cocchi aveva data a questo cavallo del Val
d*Arno superiore, senza caratterizzarlo, il nome di Equus Stenonis». Nota sui Co-
valli fossili italiani. Rivista Scientifico-industriale, ottobre 1876.
Ó Loc. cit, pag. 34.
e*) Loc. cit, pag. 18,
(^) Les anchainements du Monde Animai dans les temps geologiques.
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 405
supporre V antenato dei nostri cavalli, il denticolo I (appendice
a forma di classidra) e meno compresso che nelle specie attuali
e perciò meno allungate del denticolo dell' Hipparion.
Il molare sinistro superiore di E. st^nonis trovato nel Volcan
du Caupet {pliocene medio, dato da Gaudry nella figura 167) ras-
somiglia più ad un dente di asino più di quello che rassomigli
ad un dente di E, stenonis. — (Si confronti la fig. 167 di Gaudry
con le nostre fig. 8 e 9, tav. XII ).
I denti delle fig. 7-8 della tav. I date da Rfltiraeyer (^) come
appartenenti aH'J^^. fossili^, mi fanno restare meravigliato per la
grande rassomiglianza che hanno piuttosto coi denti dell'^. ca-
ballus di quello che coi denti à^WE. fossilis. La presenza del
lobo anteriore (25), sebbene rudimentario dell' appendice interna
anteriore ; la forma della sporgenza interoposteriore (5) della
cavità anteriore; la poca profondità di tutte le pieghe delle
cavità (nonostante che siano denti giovani) sono tutti caratteri
che farebbero ritenere i denti dati da Rfltimeyer come appar-
tenenti all'-E. caballus piuttosto che all'io, stenanis.
Da che dipende questa enorme differenza fra i denti del-
l'io, fossilis dati da Rfltimeyer e i denti déìVE. stenanis della
fig. 3, tav. Xn riportata da noi, se questi Equus differentemente
chiamati sono una medesima specie, come ha asserito Wilckens,
pag. 34(2)?
Intorno ai denti mascellari superiori déìVE. stenanis Cocchi,
io non ho potuto studiare altro che il magnifico esemplare che
trovasi nel Museo paleontologico di Pisa, di cui ho tolta la
figura 3 della tav. XII.
Come si può osservare in questa figura, la tavola triturante
AeìV Equus stenoftis è ben lontana dal potersi confondere con
quella dell' Hipparion. In essa noi vediamo l'appendice anteriore
(ap) fusa col ventre anteriore (v) in tutti i denti. Non tengo
nota delle pieghe diverse dello smalto perchè queste valgono
solo a dimostrare le differenze che si riscontrano nelle varietà
degli E. stenanis, e nelle varietà degli Hipparion e degli altri
cavalli.
Secondo il mio modo di vedere — non tenendo per ora nota
(^) Beitràge - - Zur Keuntuiss der fossilen Pferde^ und zu einer vergMehenden
Odontographie der Hufthiere im Allgemeinen. Basel 1863.
C) Loc. cit.
406 0. BARALDI
delle figure date da Gaudry e Rùtimeyer — io distinguerei
r^. stenonis da tutti gli altri equus, portando solo V attenzione
air appendice interna anteriore {a p) dei mascellari superiori, la
quale si mostra formata in una maniera nelle specie in discorso,
che non si può confondere con niun altra di altri cavalli: essa
xìqWE. stenoniSj in confronto della grandezza della tavola tritu-
rante e molto piccola : e ciò poi che mostra essere straordina-
riamente differente da quella delle altre specie è la mancanza
del lobo anteriore (23), e la forma ovale del lobo posteriore
portato molto in addietro. Queste sole particolarità, a mio ve-
dere, valgano adunque a fare distinguere a colpo d' occhio VE.
stenonùt dagli altri Equus; e ciò è tanto vero che per convin-
cersene non si ha che da confrontare la fig. 3 della tav. XII
colle altre figure tutte tolt^ dal vero.
Sui denti mascellari inferiori délY Equus stenonis non ho nulla
a dire, non avendo potuto studiarli. Solo dirò che osservando
le figure date da Major (^) e Rùtimeyer (^) dei denti mascellari
di questa specie di Equus, si scorge un numero grande di pie-
ghe in molte parti del nastro di smalto, che non si riscontrano,
che in piccolo numero negli altri Equus.
Il prof. Cocchi (^) parlando dei fossili del deposito lacostre
costituenti la parte inferiore dell' altipiano d' Arezzo, all' articolo
Cavallo dice : " Il confronto più superficiale mostra la estema
differenza che passa fra i resti di cavallo del Val d'Amo plio-
cenico, specialmente fra i denti che vi sono tanto comuni, e la
mascella inferiore del cavallo di specie probabilmente nuova
(col nome di Equus Larteti) fossile nello stesso strato e luogo »
(vedi tav. IV della sua memoria). ** Oltre molte altre partico-
larità che i pezzi omonimi presentano nella mascella di cui dò
la figura, i molari, confrontati con quelli di E. stenonis j sono
a sezione più decisamente quadrata; le pieghe dello smalto sono
grosse e a contorno liscio, mentre néìVE. st^ìwnis le pieghe sono
formate da una sottile lamina di smalto, ed è poi finamente
pieghettata a guisa dì frangia, specialmente nelle staffe del lato
(*) Beitràge — Zur Geschichte der fossilen Pferde insbesondere luUi^ns. —
Abhandluagea der Schweizerischen paiàontologischen Gesellschaft. Voi. VII, Zùrich,
ISSO.
(•) Loc. cit
(') Loc. cit, pag. :20.
DENTI MASCELLARI DEGÙ EQUIDI 407
intemo del dente, come nélYE. pUcidenSy Owen. I molari più
piccoli dei premolari, come in tutti i cavalli, lo sono in diverso
modo nelle due specie ; che si vanno impicciolendo dall' ante-
riore al posteriore nella specie pliocenica, mentre il primo è
più piccolo del secondo nella specie figurata „.
^ Non cerchiamo adunque „ aggiunge " le maggiori analogie
di questo cavallo con la specie pliocenica, che si discosta con-
siderevolmente; voglionsi invece ricercare fra le viventi „.
Ritengo importante di non tralasciare, un osservazione di
Major fatta sulla dentizione dell' JE'. stenoniSy potendo essa ser-
vire come ausiliare, per differenziare la dentizione di questa
specie dalla dentizione di altre specie di Equus: 1' osservazione
è questa: Egli ebbe a " rilevare come il primo premolare (per
noi quarto premolare) di latte inferiore, rarissimo nell'^. ca-
ballus neir età adulta, raro anche e molto ridotto nell' Hippa-
rion, ma meglio sviluppato negli Anckitherium e Palaeotherium,
si trova non tanto di rado uéìV Equus stenonis — lo potei con-
statare in una mezza dozzina di casi ; — ed anche il corrispon-
dente premolare superiore che è abbastanza raro nell'^wt^
caballuSy è costante nell'i?, stenonis „ — Cavalli fossili italiani.
Rivista Scientifico-industriale, Ottobre 1876. —
Passiamo ora a studiare i denti mascellari dell'^. intermedius.
Neil' E*, intermedius Major (^), che Wilchens ha posto nel mezzo
del pliocene quasi al livello del Plioippus d' America (^), e del
quale esiste un magnifico cranio nel Museo Paleontologico di
(^) Major trovò, esaminando le diverse ossa e denti dei cavalli fossili, che esi-
stono in molti MiiRei pubblici e privati d* Italia, due fossili, che sono talmente in-
termediari fra i due gruppi, Tuno di E, caballus^ Taltro di E. stenonis^ che. Egli
dice, « non so a quale dei due ascriverli; Tuno è una mascella superiore quasi com-
pleta di Olivola in Val di Magra, nel Musco di Pisa; T altro fossile è una mascella
superiore dei dintorni di Figline, n^l Val d'Arno superiore. Quest' ultimo tenderà
forse un poco più verso il gruppo deW E. Caballus ed ha affinità rimarchevoli col-
r^. Quagga; il fossile d* Olivola tende più verso il gruppo di E. Scenonis. Al
Cavallo di Olivola ho dato nel Museo di Pisa il nome di Equus intermedius^ non
per farne una specie nuova, perchè specie nel senso dell'antica scuola per me non
esistono, — e più che altro mi hanno confermato in questo modo di vedere questi
studi sui cavalli fossili, — ma per caratterizzarlo come forma intermedia fra il cosi
chiamato E, Caballus ed il cosi chiamato E, Stenonis. — Cavalli fossili italiani.
Rw. Se. Ind. 1876.
(•) Wilchens — Op. cit, pag. 40 e 41, Tav. II. Albero geneologico degli Un-
gulati.
8e. Nat, Voi. YHL, fkso. 2.* 99
408 Q. BARALDI
Pisa (trovato nei terreni terziari d'Olivola nella Lunìgiana),
i denti mascellari superiori diflFeriscono dai denti mascellari pure
superiori dell'-E'. stenonis e dagli altri Equus per caratteri meno
accentuati di quelli che si osservano fra questi e quelli del-
l' Hipparion.
La tavola triturante dei denti rappresentati nella fig. 5 ( gibt
eine Oberkiefer - Zahnreihe von Equus fossilis j oder fìlrderhin
besser Equus stenonis aus S. Paolo zwischen Dusino und Asti.
Die Originalien befinden sich im Museum von Turin), data da
Riltimeyer (^) rassomiglia più ai denti deìV E. ùUermedius di
quello che rassomigli ai denti déìYE. steìwnisì
Io non dispongo che dell' esemplare del Museo Pisano da
cui ho tolta la fig. 2 della tav. XII.
Come si vede osservando questa figura, la tavola triturante
dei denti mascellari superiori dell'^. intermedius differisce da
quella dei denti dell' j^. stenonis per la forma dell' appendice a
classi dra (rtp) (denticolo interno I Gaudry), la quale è molto
piccola, come lo è anche negli E. stenonis, ma è però provvista
di un rudimentale lobo anteriore (23), di cui abbiamo già visto
' esseme mancante 1' appendice dei denti dell' E. steìioni^. Oltre
a ciò la forma di tutte le pieghe che si osservano nei mascel-
lari dell' j&. intermedius sono differenti da quelle dei mascellari
àeW E. stenoyiiSy e specialmente la piega posteriore (12) della
cavità posteriore, che è molto grande ed ha una direzione dal-
l' infuori all' indentro nei primi e dall' avanti all' indietro nei
secondi.
Se si paragona la stessa tavola triturante dell' -E. interme-
dius con quella delle altre specie di Equus risulta che in questi
ultimi r appendice a classidra è assai più grande ed ha il lobo
anteriore (23) maggiormente sviluppato.
Aggiungo per ultimo il rapporto fra la lunghezza e la lar-
ghezza della tavola triturante deWE. intennedius e délVE. ste-
fionis, aflSinchè si noti la differenza che vi è su ciò fra 1' una e
r altra specie.
La lunghezza della tavola è ridotta a 100.
La lunghezza sta alla larghezza:
(') Beurtheilung d&r Pferde der Quatemàr - Epoche. Abhandlongen der
•chwdizerischen palàonlologìschen Gesellscbaft, Voi. II, Zùrich, 1875.
DENTI MASCELLASI DEOLI EQUIDI 409
ìéìVE. intermedia nélVE. stenonis
p2, :
: 100 : 83 :
: 100 : 93
P 1, :
: 100 : 90 :
: 100 : 93
m 1, :
: 100 : 90 :
: 100 : 97
ni2, :
: 100 : 88 :
: 100 : 93
Volendo maggiori dettagli sul confronto delle dimensioni
della tavola triturante, si ricorra al quadro dei rapporti a
pagina 383.
6.® Differe7ize fra gli Equus del terreno quaternario e gli
Equidi viventi. — Nei cavalli fossili del terreno quaternario,
non sono state fino ad ora riscontrate delle differenze nella
tavola triturante dei denti mascellari, le quali valgano a distin-
guerli dai cavalli attuali. È molto probabile che ciò dipenda
dall'essere molte specie arrivate fino a noi a costituire la fa-
miglia dei solipedi viventi.
È vero che nell' interessante lavoro di Major f ^) sono indi-
cate delle differenze fra i mascellari dei cavalli fossili dell'epoca
quaternaria ed i cavalli attuali: e anche questo valente pa-
leontologo ha trovato delle differenze notabili nelle ossa del
carpo e metacarpo e nelle ossa del tarso e metatarso che fanno
distinguere gli uni dagli altri cavalli, ma sfortunatamente per
la mancanza della tavola, che deve mostrare i mascellari su-
periori, io non posso approfittare di quelle osservazioni, nella
tema di cadere in errori.
Stando a quello che Major stesso dice nella sua comuni-
cazione fatta alla Società Antropologica ed Etnologica di Fi-
renze C^), sembrerebbe che non fossero ancora trovate delle dif-
ferenze specifiche fra i denti dei cavalli del quaternario e i
denti dei cavalli attuali, se asserirce che *" i frammenti di ma-
scelle e denti isolati poco o punto si distinguono da quelli del
nostro cavallo domestico „\ ed aggiunge in nota, che * M. Sanson
ètablit qu' avec les dents et autres fragments fossiles que les
paléontologistes trouvent dans les dépòts quaternaires, il ne lui
parait pas possible que ces géologues puissent déterminer, corame
ils le font cependant, si ces restes appartiennent à V Equus
0) Beitràge etc. Loc. cit
{*) Alcune osservazioni sui Cavalli quaternari. Archivio per T Antropologia e
la Etnologia. Voi. IX, fase. I.^ 1879.
410
0. BARALDI
caballuSf on à d' autres espèces». ** È sempre preferibile però,
dice Major d' accordo con Sanson, il chiamare provvisoriamente
Equìis caballus avanzi fossili che non si distinguono dai corri-
spondenti del nostro Cavallo domestico, anzi che dar loro senza
ragione alcuna, cioè senza poter dimostrare dei caratteri dif-
ferenziali déìV E. cabali lis o da altra specie vivente, i nomi di
Equus primigenitis, E. adamiticuSy E. Larteti etc., come si usava
altre volte „.
Il prof. Cocchi (^) ha trovato nel Post-pliocene inferiore
Aretino, una mascella inferiore, coi denti di Equus, la quale
ha riguardato come appartenente ad una nuova specie, e con
riserva la presenta per ora col nome di E. adamiticuSy propo-
nendo quando venisse dimostrata come una specie nuova e di-
stinta, di assumere il nome di E. Larteti. Egli ha comparata
questa mandibola di Asino e di Cavallo, e perciò che riguarda
ai denti mascellari avrebbe riscontrato che la lunghezza e la
larghezza della tavola triturante è:
! 1
;1.° irenolart!].' preDolareiS.* irmolaie
1 1 1
1 ' :
3 ' molare
l* lolaro
1.* lolari
In un Cavallo di an-
ni 12 di statura or-
dinaria
Lunghezza
Larghezza
0, 0320 0, 0280
0, 0162 0, 0190
0, 0252
0, 0184
0, 0240
0, 0160
0,0240
0,0150
0,0310
0,0185
In un Asino veochio
di grande statura
Lunghezza
Larghezza
1
0, 0248 ' 0, 0240
0, 0140 0, 0112
1
0, 0250
0, 0200
1
0, 0220
0, 0170
0,0203
0,0145
0, 0330
0, Olio
In un cavallo fossile
dell' Olmo, per di- i Lunghezza
mensione poco in- '
feriore a quella del j Larghezza
Oavallo I
0, 0340
0, 0170
0, 0261
0, 0190
0, 0260
0, 0190
0, 0230
0, 0165
0,0870
0, 0115
" Risulta da questo confronto. Egli aggiunge, che nelle pro-
porzioni rispettive e nella folma dei denti della mascella in
esame esistono tratti abbastanza caratteristici e peculiari „.
** Altre diflFerenze si possono ritrarre nella disposizione dello
smalto. Le due vallecole che lo smalto forma dalla parte in-
tema neir asino sono semplici e volte V una verso dell' altra.
La posteriore del primo premolare è la sola che offre una forma
a staffa ben pronunziata. Nel cavallo la forma a staffa è sempre
(') loc. cit
DENTI MÀSCBLLARI DEGÙ EQUIDI 411
distinta, i veri molari soltanto avendo T anteriore piccola e
poco estesa. Nel nostro fossile invece le staffe anteriori dei veri
molari sono molto più nettamente sviluppate. — Lo smalto
non ha la struttura fibrosa-radiata che si orserva in quello dei
molari dell' asino „.
E qui è il caso di richiamare come ha fatto il Piétrement (^)
(pag. 1 03) ciò che ha detto Cuvier a proposito delle ossa fossili
deir Equus caballtis ^ qui accompagnent les èléphants et les
tigres «.
" Le chevaux qui les ont foumis ressemblaient-ils en tout
à nos chevaux d' aujourd* hui?
** J' avone que V anatomie comparée est peu en état de ré-
pondre à cette question.
^ J' ai compare avec soin les squelettes de plusieurs variètès
de chevauXj ceux de fnidet, d'rfn^, de zèbre et de couc^ga, sans
pauvoir leur trouver de caractère assez fixe pour que j' osasse
hasarder de prononcer sur aucune de ces espèces d' apres un os
isole; la taille méme ne fournit que des moyens incomplets de
distinction, les chevaux et les ànes variant beaucoup h cet ègard,
à cause de leur ètat de domesticité, leur difference pouvant
presque aller du simple au doublé; et, quoique je n'aie pu
encore me procurer le squelette de V lièmione ou dgigguetatj je
ne doute point qu' il ne ressemble autant h toutes les autres
espèces qu' elles se ressemblent eutre elles.
*" La mème ressemblance parait avoir lieu de Y espèce fos-
sile aux espèces vivantes (^) „.
in conferma delle osseiTazioni di Cuvier, Hensel(^) dice:
*" Io non ho potuto scoprire nei mascellari superiori dei carat-
teri precisamente distintivi delle specie fra loro ; benché mi sia
stato possibile di compararle tutte all' eccezione déiVE. ^non-
taniis „. Questa osservazione è molto importante dice Piétre-
ment inquanto che le specie estinte di cavalli, che sono state
indicate sono sopratutto state distinte in ragione delle diffe-
renze riscontrate nei molari superiori.
(1) Les Chevaux dans les temps prèhistoriques et Historiqttes, Paris, 1883.
(•) Cuvier — Recherehes sur les ossements fossiles^ t. Ili, p. 217.
(3) Physikal. Abhandl, d, k. Akad. d. Weissenschaften zu Berlin, 1860,p. 85.
(Nota di Piétrement, pag. 105).
412 6. BIKAUM
Acconci f^) nel degcrìrere i namerosissimi resti dì CavaDo
che si rinvengono nella Caverna fo^ilifera di Cocìgliana (Mcmtì
pisani) asserisce che * i denti confrontati con quelli dell*£^if4««
Stenonin dai una parte e con quelli dei Cavalli recenti dall'altra
presentano qualche leggera differenza tanto dall' una che dal-
l' altra specie ; ma queste differenze sono così poco costanti e
di così poca entità, che credo difficile e forse inutile cosa il
registrarle tutte. Dirò in complesso che il sistema dentario del
nostro cavallo è più sviluppato ed i denti sono più grandi di
quelli dei recenti, mentre le ossa lunghe degli arti, e più spe-
cialmente i metacarpali e metatarsali sono più corti ed un poco
più complessi „.
Ho studiato tutto quanto ha detto Piétrement intomo agli
E<juidi fossili deir epoca quaternaria, ma non ho trovato nulla
che si riferisca allo studio particolare della tavola triturante
nei denti di questi cavalli.
Mi piacerebbe molto di sapere se sono stati fatti dei con-
fronti sulla tavola triturante dei mascellari in un cavallo fos-
sile del quaternario, il quale e stato riconosciuto, per ciò che
riguarda lo scheletro, uguale ad una razza vivente: ed è il se-
guente annunciato da Pietrément (^j. Egli riporta le osserva-
zioni di Sanson dicendo che si conosce un solo cranio c^>ace
di dare degli indizii (renseignements) precisi sopra le specie del
genere Equtis che hanno abitato l'Antico Continente durante
r epoca quademaria. Questo cranio è stato trovato a Greìtelle
nel 1868, nelle sabbie quaternarie non rimosse della vallata
della Senna, ed è conservato nella galleria paleontologica del
Museo di Storia naturale di Parigi. Esso non appartiene, ag-
giunge Piétrement, come il cranio dello scheletro del Museo di
Buenos- Aires ^ ad un soggetto estinto ( Burmeister (^) ) : perchè
e identico al cranio dei cavalli Percheron attuali. Prova per
conseguenza che la razza cavallina di Percìieron o Sequana è
originaria del bacino parigino, come Sanson (*) T aveva di già
riconosciuto dallo studio dell' area geografica poco estesa di
questa razza.
(^) Di una caverna fossilifera scoperta a Cudgliana (Monti pisani). Atti della
Soc Tose, di Se. Nat., Voi. V, fase. 1.». Piia 1880.
(*) Loc. cit, pag. l08.
(3) Vedi Piétrement pag. 108.
(«) Traité de ^tecnie, t. III, pag. 100-101.
DENTI MÀSCELLABI DEGÙ EQUIDI 413
Mi piacerebbe pure di poter fare il confronto della tavola
triturante dei cavalli fossili trovati in quantità enormi a Saltdrèj
ritenuti da Sanson (^), e da Piétrement (^), in base ai loro det-
tagli anatomici, appartenenti secondo ogni probabilità, alla razza
belga vivente (Equus caballus belgiusj, che gli abitanti della
stazione preistorica andavano a cacciare nel bacino della Mense.
Cosi confronterei volentieri la tavola triturante dei denti
mascellari superiori trovati da Thomas, distinto veterinario del-
l' armata in Africa, nei depositi torbosi appartenenti, probabil-
mente al quaternario recente (e che è situato nella vallata del
Rhummel, 5 chilometri circa distante al sud di Constanttne) ,
coi denti del cavallo barbero o dongalawi qualificato africano
da Sanson e Thomas ed al quale Piétrement ha dato il nome
di mongolico (^). Il Thomas dopo avere date delle misure com-
parative, prese su un fragmento di mascellare superiore che
consiste in una metà dritta della volta palatina, le due arcate
molari al completo, la metà dritta dell' arcata incisiva con le
barre del medesimo lato, e delle misure prese sopra la regione
corrispondente di un cavallo barbero, della taglia di m. 1,50,
Egli dice: *" Les dents incisi ves et molaires ne présentent pas,
au point de vue de leur structure, de différences notables avec
celles du cheval africain actuel; elles paraissent seulement un
peu plus longues et un peu plus épaisses, toutes proportions
gardées. J' ai remarqué que Y échancrure postérieure de la voute
palatine s' étend, dans le fossile, presque jusqu' au niveau du
bord antérieur de la deuxiéme arriére molaire, tandis que, sur
le specimen actuel que j' ai examinè, cette échancrure atteint
à peine le bord postérieur de la méme molaire. De ces com-
paraisons, il semblerait résulter que la règion faciale de Y espèce
quatemaire était beaucoup plus courte, plus largo, plus massive,
en un mot, que celle du cheval barbe actuel : que la dentition
du premier était relativement plus puissante que celle du se-
cond et Y ouverture postérieure de ses cavités nasales plus
grande (^) „.
(') Trattato di Zootecnia^ trad, da Lemoigne e Tampellini^ pag. 600.
(>) Piétrement I. e, pag. 109.
{•) L. e. pag. 13.
(^) Thomas — Note sur quelques Equidès fossiles des environs de Constanttne.
Note imprimòe à Montpellier en 188i), extrait de la Revue dea Sciences natareles.
(Da Piétrement L e, pag. 113).
414 G. BARÀLDI
Io non posso, ne devo fare alcuna considerazione, intomo a
quanto hanno detto i diversi autori da me citati sui denti dei
Cavalli fossili del quaternario: a me basta solo di avere accen-
nate le loro opinioni, perchè gli studiosi della tavola triturante
dei denti mascellari degli Equidi traggano quel profitto, che non
è concesso a me per mancanza di materiale di confronto.
Per mostrare quanta rassomiglianza vi sia fra i denti di
cavalli fossili del quaternario coi denti dei cavalli attuali, ho
fatte disegnare le fig. 1 7 e 20, della tav. XII, le quali rappre-
sentano due premolari secondi di Equus, trovati nella Caverna
fossilifera di Cucigliana. E indubitato che non si può negare la
somiglianza: però, se queste due tavole trituranti si confron-
tano con tutte le tavole trituranti di altri Eqnus caballus di cui
ho dati i disegni, non è difficile il rilevarne delle differenze,
specialmente se si porta la nostra attenzione sulle pieghe dello
smalto che trovansi ai bordi corrispondenti V uno coli' altro
delle due cavità (croissant, Cuvier). La figura dei denti di cavalli
attuali da noi rappresentati, la quale si discosta meno dalle
fig. 17 e 20, è quella dei denti di cavallo puro sangue inglese
(fig. 4, tav. XII). Tuttavia facendo il confronto fra il p 2 fig. 20
ed il p 2 fig. 4, che sono i due denti che nella tav. XII si so-
migliano di più, si trova che la tavola triturante nei primi, ha
la lunghezza che sta alla larghezza : : 30 : 25, nei secondi in-
vece sta : : 32 : 25 ; oltre a ciò nei cavalli di Cucigliana la ca-
vità posteriore ha un inclinazione differente da quella del ca-
vallo inglese, e Y appendice a classidra è, nei primi, più lunga
e più schiacciata.
Se troviamo differenze nella tavola triturante fra i cavalli
fossili di Cucigliana e quelli attuali da noi riportati, ciò non
vuol dire che non vi possono essere altre specie o razze di
cavalli viventi, per cui ii denti in discorso si rassomiglino di
più, ed anche essere perfettamente uguali: tantoché per oijt, io
direi solo, che i denti di Cucigliana appartengono ad un Eqtius
che non è ne VEqmis asintis per le ragioni che diremo più sotto,
(vedi differenze fra l'asino ed il cavallo), né VE. StenoniSy né
VE. inteì^mediuSj perché lo sviluppo e la forma dell' appendice a
classidra che si osserva nei cavalli del quaternario di Cucigliana
é assai differente da quella di questi due Equus del Pliocene;
ma a quale altra specie, varietà o razza di Equus appartengono,
DENTI MASCELLAfiI DEOU EQUIDI 415
per me, stando ai pochi esemplari di cui ho a mia disposizione
non posso azzardare alcun pronunciamento.
In conclusione io sono persuaso che il confronto fra la ta-
vola triturante dei denti di cavalli fossili, coi denti di cavalli
attuali approderà a buoni risultati, solamente quando potremo
avere sott' occhio quattro esemplari tipi o buoni disegni, i quali
mostrino: 1.^ una serie di denti decidui; 2.^ una serie di denti
permanenti di individui giovani; 3.^ di individui adulti; 4.^ di
individui vecchi, per ogni specie e razza di cavalli viventi.
Io nutro la convinzione che verrà un giorno in cui si rico-
noscerà dallo scheletro e dai denti che molte specie di Equidi,
che hanno vissuto nell' epoca quaternaria, sono arrivate fino
a noi con sole leggerissime modificazioni; come pare secondo
Sanson sia avvenuto per VE. cahallm belgius, del quale si tro-
vano scheletri a monti nel terreno quaternario di Salutrè in
Francia, e per V E. C. sequaniuSj del quale si è trovato un cranio
nelle sabbie quaternarie non rimosse della vallata della Senna.
7.® Differenze fra le specie viventi del genere Equus. —
Non è mio compito di parlare della storia naturale delle di-
verse specie del genere Equus, che vivono al giorno d'oggi allo
stato di domesticità e allo stato selvaggio nell' interno del-
l'Asia e nella parte nord- est dell'Africa, essendo molto oscura;
e la confiisione che vi regna, a detto di George (^) non dipende
solamente dalla mancanza di osservazioni precise relative a
questi animali, e dall' insufficienza dei soggetti di studio riuniti
nei Musei zoologici: ma risulta in parte dalla maniera di cui
alcuni autori hanno classificato i solipedi, e dalla mancanza di
una critica severa nelle discussioni della maggior parte dei sino-
nimi adottati in molti lavori recenti.
Io non desidererei di andare tanto >oltre a ricercare cioè in
tutto le varietà degli Equidi viventi i caratteri che si potreb-
bero riscontrare nella tavola triturante dei loro denti; ma mi
sarei contentato di potere fare delle osservazioni solamente sui
denti mascellari àéìV Equus hemionus Gmelin., dell' ^. quagga
Gmelin., dell'-K montanus Burchielli, dell'io, zebra Lin. per con-
■
0 Etudes zoologiques sur les Hèmiones et quelques autres espéces chevalines.
An. de Sciences naturelles, quinta serie, tom. XII, pag. 5.
416 0. bàraldi
frontarli coi denti mascellari délVE. cabalhis Lin. e delV^. asinus
Lin., delle quali due ultime specie soltanto possiedo esemplari.
Dei tanti zoologi che hanno parlato degli equidi viventi, non
conosco che Owen il quale abbia esaminata la tavola triturante
dei mascellari per ricavarne dei caratteri diflferenziali fra V una
e le altro specie. Però mi sembra che i pochi caratteri presi
in rassegna da questo eminente zoologo non siano sufficienti
per determinare, non solo, se un dente isolato ma neanche se
una serie completa di denti mascellari, appartiene piuttosto ad
una specie che ad un altra.
Eccovi pertanto un esempio di rapporti del diametro antere-
posteriore della tavola triturante delle diverse specie di equidi
viventi che tolgo da Owen stesso C).
" ìiéìVEquus cabaline » P 2 C^) da mm. 36 a 40; p 3, da mm. 28
a 32; p 4, da mm. 26 a 30; m 1, da mm. 24 a 28; m 2, da mm. 25
a 27; m 3, da mm. 28 a 37 (il m 3 in alcune varietà di cavallo
non eccede al p 3 in lunghezza); d2, da mm. 34 a 39; d 3, da
mm. 27 a 30; d 4 da mm. 28 a 29.
'^eWEquus asinus p 2, da mm. 28 a 35; m3, da mm. 21 a 24
„ E. quagga p 2, „ „ 32 a 35; m3, „ „ 23 a 24
„ E.hemionus p 2, „ „ 37 a 39; m 3, „ „ 22 a 29
„ E. Burchielli p 2, „ „ 28 ; m 3, „ „ 25
Dopo ciò, come si potrà ben capire, sono costretto a limi-
tare i miei studi sulla tavola triturante dei denti mascellari
delle diverse specie degli Equidi, alle sole due specie domestiche.
8.^ Differenze fra V Equus cabaìlus e VE. asinus. — Molti
sono i naturalisti che si interessano a mostrare le differenze
che si riscontrano nello scheletro fra T asino ed il cavallo ; ben
pochi invece sono quelli che hanno trovata una differenza nei
denti mascellari di questi due solipedi, e meno sono anche
quelli che si sono fermati ad osservare le differenze che si ri-
scontrano nella tavola triturante: e quelli che si sono fermati,
(^) Description of the Cavern of Bruntquel, and its or gante Contenti. Philo-
sophical transaction. Recewed August 20, ISOS. Read lannary 7, 1869. Partii.
Equine Remains — London, - Voi. 159. Pag. 535.
(*) Faccio notare che il premolare secondo di Owen corrisponde al nostro terzo
premolare. Vedi pag. 5.
DENTI MASCELLABI DEGLI EQUIDI 417
a mio avviso, non hanno preso in rassegna tutti quei carat-
teri che sono essenziali per stabilire, quasi in modo positivo
ed in tutti i casi, se un dente appartenga piuttosto ad un asino
o ad un cavallo.
I paleontologi fanno con ardore degli scavi nei terreni e il
suolo delle caverne del periodo quaternario ha fatto scoprire
a loro un grandissimo numero di ossa di solipedi. (Per lo più
queste ossa sono attribuite al cavallo, raramente all' asino e
fino al presente la distinzione non riposa che sulle differenze
di volume.
A proposito di ciò il prof. Sanson in una sua nota sugli
equidi della forma quaternaria, inserita nei Comptes-rendtis de
VAcadèmie de sciences (t. LXVI, pag. 35), faceva rimarcare che
sopra la lista di queste forme, si vede quasi sempre figurare
VEquus caballus senza che siano indicati i caratteri in base dei
quali una tale determinazione specifica ha potuto essere sta-
bilita " H ne parait pas possible „ Egli dice *" de dépasser, en
ne disposant que de dents molaires isolèes, de fragments de
maxillaire pourvus d' incisives et quelquefois d' os des membres,
entier on brisés la diagnose du genre, de distinguer, par example,
VEqutis asintis d' un E. caballm quelconque „.
In appoggio della sua opinione Egli compara i denti e le
ossa delle membra di un cavallo e di un asino, facondo risal-
tare che le differenze di dimensione, invocate dai paleontologi,
sonò affatto insufficienti per stabilire un giudizio certo. " Farmi
les piéces isolées du squelette une seule „ secondo Sanson, sa-
rebbe veramente caratteristico, e cita " V apophyse orbitaire du
frontal dont la forme si nettement tranchée peut exclure tout
chance d' erreur „. Termina Sanson, la sua nota concludendo
*^ qu' il y a lieu de rester dans le doute sur V espèce des èquidés
quaternaires dont on ne possedè que des donts, des framents
de màchoires on des os des membres, et de ne point les at-
tribuer tous, comme on V a fait jusqu' a prèsent sans plps ampie
information, résolùment a 1'^. caballus „.
Arloing ha cercato di far fare un nuovo passo all' anatomia
comparata degli Equidi pubblicando una sua memoria intito-
lata: Caradéres ostéologiques différentiels de Vane, du cheval et
des leurs hybridesi}).
(}) RegueU de médecine vétèrxnaire, aimée 1876, p. 312-33:2 e 1057-1069.
418 0. BARALEI
La lacuna che Sanson ha fatto rimarcare, dice Arloing pro-
fessore d' anatomia e di fisiologia alla Scuola veterinaria di
Tolosa, e verissima. I libri, aggiunge egli, come le monografie
di anatomia comparata o di anatomia veterinaria, fì*ancesi e
straniere, non parlano di caratteri osteologici differenziali del-
l'asino e del cavallo.
Piétrement (a pag. 104 (^)) parlando del lavoro di Arloing
dice, che gli anatomici comparatori e i paleontologisti consul-
teranno certamente questa memoria con frutto : * mais, à sa
lecture, ils ne manqueront pas de s' apercevoir qu' il est extré-
mement difficile et le plus souvent impossible de decider à
quelles espéces d' Equidès apparti ennent la plupart des os fos-
siles jusqu' ici decouverts et attribuables à ces sortes d'animaux ».
Arloing parlando dei denti (a pag. 320), dice che non ha
potuto trovare su questi organi dei caratteri diflferenziali co-
stanti: essi sarebbero, aggiunge, qualche volta molto utili, poiché
i denti si conservano ammirabilmente negli strati terrestri o
alla superficie del suolo. Ed accetta V opinione di Rùtimeyer
intomo alle differenze dei denti fra gli asini ed i cavalli.
Ratimeyer (^) dice, che i mascellari dell'Asino •presentano
qualche carattere diflferenziale importante. Cos\ i tre premolari
sono in un rapporto costante con i tre molari posteriori, tanto
nell'asino che nel cavallo; ma, nell'asino i (premolari riuniti
formano una benda più corta che nel cavallo. Per conseguenza,
ciascuno dei premolari dell' asino avrà una superficie di tritu-
razione proporzionalmente più larga e più corta che quella del
cavallo. E ne risulta ancora che il B gotico figurato dalla la-
mina di smalto è più riunito, e 1' appendice del ventre ante-
riore più larga e meno, allungata nell' asino che nel cavallo.
George nei suoi ^Ètudes zoologiques sur les Hémiones et quel"
ques autres espèces chevaliìies „ (^) parlando delle differenze che
si riscontrano nel cranio fra l' asino ed il cavallo fa rimarcare,
come dice Egli, qualche leggera differenza, fra le due specie,
nella conformazione dei denti molari (^). Nell'Onagro d'Abissinia,
(*) Loc. cit.
(*) Beitràge — Zur Keuntniss der fossilen Pferde und zu einer vergleichenden
Odontographie der Hufthiere »n Allgemeinen, Basel, t8G3.
(') Annales di Se. Nat, sèrie Y, tom. XII, I8G9, pag. t\.
(*) George chiama molari tutti i denti mascellari.
DENTI MÀSCELLASI BEGLI EQUIDI 419
sono straordinariamente spessi e molto ricchi di cemento, ca-
ratteri che sono meno pronunciati nell'Asino domestico, ma che
distinguono ancora questo dai cavalli coi quali egli ha potuto
comparare. Neil' Onagro il bordo esterno della fila formata da
questi denti s' incurva molto nel di dentro, e si rimarca qualche
particolarità nella disposizione delle pieghe dello smalto. Così
il lobo interno dell' ultimo molare è notabilmente meno allun-
gato dall' avanti all' indietro più che nel Cavallo, e lo sviluppo di
queste pieghe dello smalto è meno grande nel molare anteriore.
Delle diflferenze corrispondenti, qualchevolta meno pronunciate,
sono date dai molari intermediari. Lo spessore dei molari è
ancora più considerevole alla mascella inferiore. Il molare po-
steriore sopratutto nel cavallo h molto più allungato dall' avanti
air indietro.
Fin qui, è ciò che ho potuto trovare indicato dagli autori
intomo alle differenze che si riscontrano nella tavola triturante
fra il cavallo e l'asino; ora esporrò quei caratteri che ho cre-
duto valgano a meglio distinguere i denti mascellari dell' una
e dell' altra specie.
Prima parlerò dei caratteri delle tavole trituranti consi-
derate in serie; secondo del rapporto della lunghezza e lar-
ghezza della tavola in ogni singolo dente; terzo delle diflferenze
nelle diverse parti che si osservano nella tavola stessa.
A — Guardando una serie di mascellari superiori di un ca-
vallo e di un asino, l' unica differenza che si riscontra è la
seguente: in media il rapporto che sta fra la lunghezza della
tavola triturante dei premolari e la lunghezza di quella dei
molari, nel cavallo è :: 100 : 85 e nell'asino :: 100 : 80. Nella
serie dei denti inferiori, la tavola triturante dei premolari sta
a quella dei molari, nel cavallo :: 100 : 90, nell'asino : : 100 : 94.
Kitengo che non si possano tenere nei mascellari come buoni
caratteri differenziali fra i nostri equidi domestici, né la mag-
giore o minore quantità di cemento, come ha fatto Geoide, né
la curva più o meno grande formata dalla serie dei denti in
discorso, né i rilievi trasversali, che si osservano nei denti
giovani .
Sì potrebbe aggiungere solo, e che credo abbastanza co-
stante, questo carattere : l' appendice a classidra (a p) del p 2
superiore, fig. 8, tav. XII, sporge di più nell' interno, di quello
420 0. baràldi
che sporga l'appendice del medesimo dente, nel cavallo (fig. 6 ec).
Infatti tirando una linea retta che sia tangente all' appendice
del p 3 ed all' appendice del pi, quella del p 2 resta nell' asino,
in parte, al didentro della linea stessa, mentre nel cavallo resta
al di fuori. Oltre a ciò è da osservare che in generale tutti i
lobi posteriori (19) dell' appendice a forma di classidra (apX sono
relativamente ai lobi anteriori (23), più grandi e più compressi
nel cavallo di quello che lo siano nell' asino.
B — Il rapporto fra la lunghezza e la larghezza della ta-
vola triturante di ogni singolo dente, vale di più a distinguere
se una dentizione è di asino o di cavallo. Però bisogna notare
che i diametri non devono essere presi in denti appianati, per-
chè allora il diametro longitudinale aumenta per tutta la gros-
sezza dello smalto; ma bensì nei denti in posto ed allo stato
naturale. Ognuno sa che i margini di contatto fra l' uno e V altro
dente si consumano enormemente, e che quindi il diametro
antero-posteriore diminuisce. Per esempio chi facesse il rap-
porto fra i denti della serie fig. 8, tav. XII, e i denti della serie
%. 9, che sono tutti e due di asino, troverebbe una grandis-
sima diflferenza tra 1' una e 1' altra, dipendente dal fatto che la
prima rappresenta una serie allo stato naturale, la seconda una
serie di denti appianati e messi a distanza.
Ecco il rapporto della lunghezza e larghezza della tavola
triturante preso in serie di denti in posto ed allo stato natu-
rale, riducendo sempre a 100 il diametro antero-posteriore.
Questo rapporto resta costante tanto negli individui giovani che
negli individui vecchi perchè negli Equidi, i denti mascellari
permanenti, superiori ed inferiori, sono formati come un prisma
quadrangolare leggermente curvo.
Il diametro antero-posteriore sta al diametro trasversale,
nei denti del cavallo (razza toscana).
superiori
inferiori
p3, :
: 100 :
66
p3, :: 100 : 45
p2, :
: 100 :
80
p2, :: 100 : 53
pi, :
: 100 :
97
pi, :: 100 : 58
m 1, :
: 100 :
100
pi, :: 100 : 57
tn2, :
: 100 :
98
p2, :: 100 ; 56
m3, :
: 100 :
80
p3, :: 100 : U
DENTI MASCELLARI DEGÙ EQUIDI 421
nei
denti
dell' asino;
saperiori
inferiori
p3,
:: 100 :
72
p3, :: 100 :
55
p2,
:: 100 :
91
p 2, : : 100 :
60
pi,
:: 100 :
101
pi, :: 100 :
60
m 1,
:: 100 :
107
mi, :: 100 :
57
m2,
:: 100 :
103
m2, :: 100 :
M
m3,
:: 100 :
85
m3, :: 100 :
44
Per maggiori dettagli vedi i quadri dei rapporti delle tavole
trituranti di diverse specie di equidi (pag. 377).
Da questo quadro risulta evidente che nell' asino il p 1, mi,
m2 hanno la tavola triturante più larga che lunga, ciò che
non si riscontra, nei medesimi denti, del cavallo,
Per apprezzare più facilmente la differenza che vi è fra la lun-
ghezza e la larghezza della tavola triturante, ho creduto che non
valessero le misure assolute dei diversi denti, delle quali ordi-
nariamente si servono gli odontologisti ; ma che bisognasse pren-
dere come termine di comparazione una parte determinata della
tavola stessa e considerarla come unità, di misura, e riportando
a questa unità le misure relative sulle quali si vuole richiamare
l'attenzione. E questo è ciò che ho fatto ricordandomi che
Cuvier (^) ha rimarcato che le diflferenze osteologiche, che esi-
stono fra l'Asino ed il Cavallo sono molto leggere; e per ciò
volendo distinguere questi animali l' uno dall' altro, non bisogna
aver riguardo alla taglia, poiché esistono, dei cavalli che sono
meno grandi dei nostri asini ordinari ; ed i caratteri forniti da
una parte qualunque, considerata isolatamente, sono poco spic-
cate e difficilmente rilevabili. Comparando adunque le propor-
zioni delle diverse parti dei denti, le diflferenze, si distinguono
con maggiore facilità prendendo l' unità di misura nel dente
stesso che si vuole studiare.
C — Differenze che si riscontrano nelle diverse parti della tavola
triturante. — Mettendo a confronto una serie di denti mascel-
lari superiori di cavallo con una dell' asino, esempio fig. 4 e 7
(cavallo) e fig. 8 (asino) della tav. XU, scorgiamo immediata-
mente che:
(') Reeherchet tnr le$ ossements fossile t. Ili, pag. ^iìl.
422 0. BARALDI
a) Lo spazio lasciato dai margini corrispondenti delle due
cavità (cv,cv) nel cavallo, è lungo e stretto per modo che, non
tenendo nota delle diverse pieghe dello smalto, i margini for-
mano due linee presso che rette in senso trasversale del dente ;
neir asino lo stesso spazio è triangolare e i margini delle cavità,
in questo punto, sono leggermente curvi ed obliqui, divergenti
dall' infiiori al didentro. Per maggior intelligenza vedi lo spazio
compreso fra i n/ 1 4 e 5 della fig. 3, tav. Xn ( la quale figura
rappresenta un dente di asino) e si metta a confronto il me-
desimo spazio con quello dei denti di cavallo.
b) Neir asino i denti giovani (mi fig. 1 0 e p 1 fig. 23 )
non presentano mai quella moltiplicità di pieghe le quali si
riscontrano nello smalto dei margini corrispondenti X uno col-
r altro delle cavità dei ventri, che si osservano in tutti i denti
giovani di cavallo (fig. 4 da p 3 a m 3, m 1 fig. 7, etc.). Questo
carattere nei denti vecchi non è sicuro per distinguere se un
•dente è di asino o di cavallo.
cj \j appendice del ventre anteriore o a forma di clas-
sidra (ap) ha nell'asino i due lobi (23 a 19) in quasi tutti i
denti, uguali all' incirca di grandezza (fig. 8), e qualche volta il
lobo anteriore (23) è più grande del posteriore (19, fig. 9). Nel
cavallo il lobo posteriore (19) è costantemente più grande del-
l' anteriore.
dj 11 fondo dell'anfrattuosita media intema (18) si insinua
fra le due cavità dei ventri, più nell' asino che nel cavallo.
e) La piega (20) (per es., fig. 4 e 5, p 1, tav. XII), nel
fondo dell' anfrattuosita media, è sempre presente nel cavallo
e qualche volta è doppia. Nelle dentizioni di cavalli vecchi si
perde, specialmente nel m 1 e poi negli altri molari, restando
però sempre, almeno accennata, nei premolari. Tale piega dif-
ficilmente si osserva nell'asino: quando vi è, è piccolissima e
per lo più, solo nel p 2 e nel m 2.
f) La sporgenza intero-posteriore (5) della cavità del ventre
anteriore, costituisce uno dei caratteri principali per conoscere
se un dente mascellare superiore è di asino o di cavallo: in
quest' ultimo equino tale sporgenza non manca mai in tutti i
denti, tanto nei lattatoli fig. 7 md 2 md 2, che nei permanenti
(fig. 4-5-6 p2 etc). Negli asini non c'è, od è appena appena
accennata (fig. 8-9-10 p 2-md 2 etc).
DENTI MASCBLLABI DEGLI EQUIDI 423
gj V apice medio (7) nell' asino è meno piegato in avanti
di quello che lo sia nel cavallo.
hj Le estremità delle cavità dei ventri (2-6-8-11, per es.
fig. 3) sono più lunghe e sviluppate nel cavallo che nell' asino,
quindi la concavità della cavità è rappresentata da un raggio
maggiore nel cavallo.
Denti mascellari inferiori. — Confrontando una serie di
denti mascellari inferiori di asino con una serie del cavallo
troviamo che:
aj II lobo posteriore (14) dell'appendice a forma di clas-
sidra (ap, fig. 2, tav. XIII) è arrotondato nell'asino, e nel ca-
vallo mostra una schiacciatura che corrisponde all' apice poste-
riore (3) del ventre posteriore: (vedi i denti di tutte le serie
del cavallo e dell' asino e come esempio si guardi alla fig. 5,
p 2, 14 - cavallo - ed alla fig. 8, p 2, i4 - asino - della tav. XIII) .
Questo carattere differenziale io 1' ho trovato molto costante,
tantoché a colpo d' occhio si può riconoscere se un dente ma-
scellare inferiore è di cavallo o di asino.
bj II lobo anteriore (13) dell'appendice a classidra, ha
nel cavallo il colletto stretto, e ciò per la larghezza dell'estre-
mità posteriore (6) della cavità anteriore {cv). Nell'asino invece
lo stesso colletto è molto largo, perchè l' estremità posteriore (6)
è stretta. — Vedi per es. il 13 del p 2, fig. 5 (cavallo), ed il 13
del p 2, fig. 8 (asino): e cosi si osservino tutti i lobi degli altri
denti .
cj Ed infine T apice (1) del ventre anteriore nell'asino è
sempre più corto del medesimo apice del cavallo.
Stabilita in tale maniera la differenza della tavola triturante
dei denti mascellari superiori ed inferiori fra il cavallo e l'asino,
guardiamo se è possibile di rilevare delle differenze nella ta-
vola stessa, le quali ci facciano distinguere i denti fra le razze
dei cavalli domestici.
9.® Differenze fra le diverse razze di cavalli. — La sud-
divisione degli Equidi cavallini nei loro diversi gruppi naturali
è stata pubblicata per la prima volta da Sanson in una nota
intitolata: Nouvelle dètermination des espéces chevalines du genre
Equus, presentata all'Accademia delle Scienze ed inserita nei
Compts rendtis, tom. LXEX. Egli suddivide gli Equidi cavallini
8c. Nat. Voi. Vm, fase. 2.o 30
424 0. BÀRALDI
deir epoca attuale in otto specie cavalline che hanno ciascuna
il suo tipo osteologico proprio. Trattandosi poi di stabilire la
nomenclatura delle specie cavalline sino al presente ignorate o
disconosciute, V autore non fa che aggiungere alle denomina-
zione con cui si designa la specie unica finora ammessa nel
genere equus, un aggettivo qualificativo che esprime l'origine
di ciascuna delle specie novellamente determinate, desumendo
questo adottivo dal nome latino con cui venivano designati
gli abitanti delle località originarie di queste specie. E tali
specie sono: V Equus Caballus asiaticiiSj E. C. africanus, E. C. ger^
manicus, E. C. frisius, E. C. belgitis, E. C. britannicus, E. (7. hi-
hernicus e VE. C. sequamtis (^),
Come principio, si può adottare questa divisione degli Equidi
cavallini in otto gruppi distinti, ma però se si consideri che
gli zoologi non sono d'accordo sui caratteri proprii per diflFe-
renziare le specie, mentre generalmente lo sono nel riconoscere
una specie cavallina unica in tutti i cavalli domestici, e nel rite-
nere 7'azze cavalliìie le divisioni naturali di questa specie; cosi
io riserverò, per questo, il nome di specie cavallina, o Equus
caballus, all' insieme dei soggetti costituenti questi otto gruppi,
e darò a questi ultimi il nome di razze cavalline, come anche la
maggior parte dei zootecnici ha adottato fin qui.
Sarebbe stato mio desiderio di studiare la tavola triturante
dei denti mascellari di almeno queste otto razze, ma circostanze
non dipendenti da me non mi permettono di fare il confronto
che su una razza e tre varietà delle suddette otto razze; e
sono il cavallo africano, il cavallo toscano, il cavallo impropria-
mente detto puro sangue inglese e il cavallo paney.
Non avendo alcuna importanza pei miei studi, io non in-
tendo qui di fare una discussione se questi tre ultimi cavalli
debbonsi considerare varietà oppure razze (come generalmente
sono considerate da molti zootecnici, i quali dividono le razze
empiricamente avendo solo riguardo alla loro attitudine e senza
curarsi affatto della loro origine); e seguirò la divisione data
(^) Chiunque desiderasse di conoscere in dettaglio i caratteri tipici delle sei
razze cavalline europee dovrà consultare il terzo volume del Tratte de Zooteehnie
di Sanson, oppure il riassunto di questo stesso trattato, fatto dai signori professori
Lemoigne e Tampellini. -^ Milano 1880.
DENTI MASCBLLASI DEGLI EQUIDI 425
da Sanson, perchè si sappia con certezza da quali individui ho
prese le figure, che mi servono per fare il confronto dei denti.
Per cavallo africano intendo VEquus caballus africanus Sanson,
o E. C. mongolictis Pietrément. Da un individuo di questa razza,
del quale esiste uno scheletro nel Museo di Anatomia compa-
rata di Pisa, coir indicazione " Scheletro di cavallo arabo „ ho
tolta la fig. 6 della tav. XII (mascellari superiori), e la fig. 12
della tav. XDI (mascellari^ inferiori). Ritengo che questo sche-
letro appartenga ad un individuo della razza africana e non
alla varietà della razza asiaticaj perchè lo scheletro, indipenden-
temente dai suoi caratteri craniologici, presenta alla regione
lombare solamente cinque vertebre ben distinte: e questo ul-
timo carattere, a detta di Sanson, è esclusivo alla razza afri-
cana {}) avendo tutte le altre razze sei vertebre lombari. Tanto
la razza asiatica quanto la razza africana vengono general-
mente confuse col nome di cavallo arabo o orientale.
Per cavallo toscano^ (che è la denominazione data ad un
cranio che si trova nel Museo Pisano) riterrei, pei caratteri
craniologici, si dovesse intendere il cavallo delle maremme to-
scane, il quale viveva allo stato semi-selvaggio, e che secondo
Sanson avrebbe avuto origine dal cavallo germanico {E, C. ger-
manictis) di cui " le caractéres spécifiques „ dice *" sont exacte-
ment ceux de la race germanique (^). Da questo cranio ho tolto
la fig. 5 della tav. XII (serie di denti mascellari superiori) e la
fig. 1 1 della tav. XIII (denti mascellari inferiori).
Per cavallo puro sangue inglese intendo una varietà della
razza asiatica ( E. G. asiaticus Sanson o E. C. aryanus Pietré-
ment). Da un cranio che trovasi nel Museo di Anatomia Ve-
terinaria di Pisa appartenente ad un individuo di questa va-
(^) il prof. Tampellini distinto Zootecnico insegnante, nella Scuola Veterinaria
deir Università di Modena, in una sua interessante nota intitolata € Contributo alla
caralieristica dei tipi equini > prova con nuovi esempi che € spesso e massime nei
cavalli di conosciuta origine orientale confusi cioè sotto la denominazione di arabi,
riscontrasi un tipo a 5 vertebre lombari colla formnla a 35».
C) Per renlersi conto della presenza di questo cavallo nelle maremme toscane,
Pietrément «lice (loc. cit. pag. 5Si) € il suffit de se rappeler qu* elle fat & diverses
reprises envahie et occupòe per des peuples d* origine tudesque Elle fut traversòe
par les Wisigoths d'Alaric (ilO-iil); elle fot successi vement occupée par les Ho-
rules d'Odoacre (476-491), et par les Ostrogoths de Thèodoric ('iS'J-òSi): enfin elle fui
envahie par les Lombards d*Alboin, qui s*y òtablirent en 568 et qui n*en furent
jamais dépossòdés.
426 G. BABALDl
rietk, e che porta questa indicazione *" Scobell, stallone p. s.
figlio di Carnival e Lady Sophie, nato in Inghilterra nel 1878,
morto a Pisa il 16 Giugno 1885 „ ho tolto la fig. 4 della tav. X[l
(serie di denti mascellari superiori) e la fig. 10 della tav. XTTT
(serie di denti mascellari inferiori).
Per cavallo poney intendo una varietà della razza irlandese
( E. C. hibernicus Sanson ). Da un cranio di un individuo di questa
varietà, che si conserva nel Museo di Anatomia Veterinaria
di Bologna, ho tolto la fig. 25 della tav. XII.
Ora dovrei parlare della distinzione e del confronto della
tavola triturante dei denti mascellari di queste quattro razze,
o varietà di cavalli ; ma non potendo disporre che di poco ma-
teriale, e insufficiente per fare delle osservazioni, che fossero
basate su caratteri sicuri di confronto, ho pensato di fermarmi
poco sui denti del cavallo puro sangue inglese e sui denti del
cavallo poney y per trattenermi di più sul confronto fra i denti
del cavallo africano coi denti del cavallo toscano : avvertendo
per altro che questo confronto lo faccio solo per dare un esempio
dei caratteri principali di cui si deve tener nota in tale con-
tingenza, senza avere la pretesa di cogliere precisamente nel
vero.
Un occhiata adunque che si dia alla tavola triturante dei
denti mascellari superiori ed inferiori del cavallo puro sangue
inglese (fig. 4, tav. XII e fig. 10, tav. XIII), potrebbe bastare per
distinguerla da tutte le altre degli altri cavalli. Ma volendo
pur fare rilevare qualche carattere dirò: primo, che nei ma-
scellari superiori ed inferiori, il rapporto fra la lunghezza e la
larghezza della tavola di ciascun dente, in questo cavallo, è
differente dal rapporto stesso degli altri cavalli, come se ne
può convincersi osservando i quadri a pag. 43 e a pag. 45 : se-
condo, nei mascellari superiori, il numero e la profondità di
tutte le pieghe, e specialmente quelle del fondo (20) dell' an-
frattuosita media intema e la posteriore (12) della cavità po-
steriore rivolta in basso, come pure la piccolezza dell'appen-
dice a classidra {ap) ed in particolar modo il suo lobo ante-
riore (23) etc, nel cavallo puro sangue inglese, tutte queste
parti differiscono dagli altri cavalli: terzo, nei denti inferiori il
rigonfiamento posto nel lato posteriore dell' apice anteriore (1)
dei premolari primo e secondo, la forma particolare deli'ap-
DENTI MASCELLARI DEGÙ EQUIDI 427
pendice posteriore del terzo molare etc; sono tutti caratteri
che non si osservano che nella tavola triturante dei denti della
fig. 10 tav. xni.
È necessario notare che la razza puro sangue inglese ha la
proprietà di essere precoce, e quindi la tavola triturante degli
individui di essa, mostra una età superiore a quella che real-
mente abbia il cavallo preso in esame.
Ed un altra occhiata che si dia alla tavola triturante dei
denti mascellari del cavallo poney ( fig. 25, tav. XII ) può pure
bastare per distinguerla da tutte le altre tavole trituranti della
medesima tav. XII.
10,** Differenze fra il cavallo toscano (fig. 5, tav. XII e fig. 11,
tav. Xni) ed il cavallo africano (fig. 6 tav. XII e fig. 12, tav. XEH).
— Se facciamo il confronto fra la tavola trituraijte dei denti
mascellari superiori del cavallo toscano con quella del cavallo
africano indipendentemente dall' essere quest' ultimo cavallo più
vecchio di qualche anno, troviamo che:
a) La presenza del quarto premolare (p 4) è solo nel ca-
vallo toscano. ( La presenza del quarto premolare devesi rite-
nere come un carattere di razza, oppure devesi considerare come
un fatto di atavismo? La risposta, la darò quando avrò mag-
gior materiale di confronto ) .
6^ H p 3 e il m 3 del cavallo africano hanno la tavola
triturante relativamente più lunga di quella del cavallo toscano.
— Vedi a pag. 43 il quadro dei rapporti fra la lunghezza e la
larghezza della tavola triturante — ;
cj Le appendici (ap) del ventre anteriore dei denti nel
cavallo toscano sono più grandi, relativamente alla dimensione
della tavola, di quelle che lo siano nel cavallo africano;
d) H lobo posteriore (17) dell'appendice anteriore è relati-
vamente, nei molari del cavallo toscano più allungato ed ap-
pianato, di quello che lo sia nei medesimi denti del cavallo
africano :
e) Tutte le cavità dei ventri (cv, cv) del B sono differenti
fra r ima e V altra razza. Indipendentemente dall' essere il ca-
vallo toscano più giovane, pure le differenze si riscontrerebbero
in tutte le età. Così noi vediamo una maggiore larghezza nella
piega (3) della cavità anteriore nel cavallo toscano; la direzione
428 G. BARÀLDI
del margine intemo della cavità posteriore (e v) è obliqua dal-
l' intemo all' estemo e dall' avanti all' indietro assai più nel
cavallo toscano, che nel cavallo afìdcano, e la concavità del
margine estemo delle stesse cavità è maggiore nel secondo
cavallo più che nel primo;
fj Infine la piega (20) dell' anfrattuosita media intema, è
più sviluppata nel cavallo toscano. — Questo carattere non è
sicuro, potendo dipendere dall' essere il cavallo toscano più
giovane dell'altro.
Molti altri caratteri, nella tavola triturante jlei denti ma-
scellari superiori, si potrebbero prendere in rass^na per dif-
ferenziare queste due razze ; ma io credo che, per la pochezza
del materiale, valga meglio per ora a tenere solamente quelli
che ho indicati.
Nei mascellari inferiori osserviamo che:
a) n rapporto fra la lunghezza e la larghezza della ta-
vola triturante è diflferente nelle due razze (vedi il quadro a
pag. 45 ).
b) V apice posteriore (3) nel cavallo toscano non è al
medesimo livello dell' appendice a classidra e trovasi quindi più
estemo che nel cavallo africano:
e) L' anfrattuosita media estema (15) è lai^a nel cavallo
africano e stretta nel cavallo toscano;
d) La sporgenza anteriore (22) del ventre anteriore del
p3, è più arrotondata e più sviluppata nel cavallo toscano,
che nel cavallo africano;
e) Per ultimo, l' appendice posteriore del m 3 ha 1' an-
golo estemo (7) più sviluppato nel cavallo toscaao e meno nel-
r africano.
Queste sono le differenze principali risconsrate nei denti
mascellari superiori ed inferiori fra le due razze africana e
toscana.
A me basta di avere dimostrato che ve ne sono. Se poi
queste differenze si debbano considerare come buone, costanti
ed infallibili lo proverà chi meglio di me e con maggior ma-
teriale di confronto farà degli studi sulla tavola triturante delle
razze degli Equidi.
CONCLUSIONE
La tavola triturante dei denti mascellari superiori e inferiori
degli Equidi ci dà utili caratteri per distinguere se uno di essi
denti è superiore o inferiore, dalla figura che presenta V avorio ;
se è giovane o vecchio, dai cambiamenti che assume per causa
del suo continuo logorarsi ; se deciduo o permanente, dal rap-
porto della sua lunghezza colla larghezza, dall'aspetto dello
smalto etc. : e se primo, secondo, terzo o quarto deciduo; se
primo, secondo o terzo premolare; se primo, secondo o terzo
molare, dal rapporto della sua lunghezza colla larghezza, dalla
differenza dell' estensione, forma e direzione delle cavità {crois-
sant Cuvier) e dalla forma presenza o no di alcune pieghe dello
smalto.
La tavola triturante dei denti mascellari degli Equidi ci dà
pure una interessante caratteristica per conoscere se uno di
questi denti appartiene ad un individuo di un dato genere, di
una data specie, e molto probabilmente di nna data razza, e
ciò si può desumere dall' avere, nella tavola triturante, l' ap-
pendice a forma di classidra (a p) (denticolo grande intemo Quudry)
unita o no al restante della tavola ; dall' essere questa stessa
appendice più o meno grande, e non avere il lobo anteriore (23)
o d' averlo più o meno sviluppato ; dal diverso rapporto dei
diametri delle tavole trituranti fra loro ed in serie, e per ul-
timo dalla presenza o no e dalla forma di alcune pieghe dello
smalto.
430 e. BABÀLDI
Volendo ora rispondere ad una domanda che mi fb fatta: ' che
dente è ed a quale specie appartiene questo pezzo di dente di
Eqoide nel quale si scorge solo intatta la tavola triturante? „,
direi che quel pezzo di dente è un primo premolare gio-
yane, permanente, superiore, sinistro di Equus asinus
(fig. 3, tav. XTTT) , per le seguenti ragioni :
1.^ L'avorio nella tavola triturante presenta un B con-
tornato da smalto, quindi dente mascellare superiore ; invece
r avorio dei mascellari inferiori presenta un 3 (vedi pag. 30) .
2.* I ventri {v v) del B essendo rivolti a destra di chi li
guarda, ed essendo V appendice a forma di classidra (ap) posta
nel ventre inferiore, il dente mascellare è sinistro ; i mascel-
lari destri hanno i ventri rivolti a sinistra coli' appendice pure
«
nel ventre inferiore (vedi le figure della tavola XII e la fig. 3
della tavola XII).
3.* I nastri dello smalto sono levigati e molto grossi nel
mezzo dei margini interni ed estemi delle curve (bb') del B,
e nel mezzo dei margini estemi ed intemi dei ventri, perciò
permanente; nei decidui i nastri dello smalto hanno la su-
perficie frastagliata e sono di uno spessore quasi uguale in tutte
le parti della tavola triturante (v. pag. 39).
4.* La tavola è pareggiata e i rilievi trasversali sono
molto alti ed acuminati, per tali fatti il dente è relativamente
giovane ; nei denti vecchi sono scomparsi i rilievi trasversali
(v. pag. 48).
6.* La cavità (e v) del ventre anteriore è più lunga della
posteriore, quindi il dente è premolare; i molari hanno le
cavità (et; et;') presso che uguali di lunghezza (v. pag. 42).
6.^ La tavola triturante è quadrilatera ed ha il rapporto
che sta fra la sua lunghezza e la sua larghezza :: 100 : 101
condizione che non si riscontra che nel primo premolare (v.
pag. 46 ).
In quanto all^ avere dichiarato che il dente è di Equus
asinus e non di altra specie, è perchè si nota nella tavola tri-
turante quanto segue:
1 .^ La mancanza della sporgenza intero-posteriore (5) della
cavità anteriore;
DENTI MASCELLARI DEQU EQUIDI 431
2.^ La mancanza della piega (20) nel fondo deir anfrat-
tuosita media;
3.* E si nota infine che il lobo anteriore (23) dell' appen-
dice a classidra è molto sviluppato.
Invece, se il dente fosse stato di Equus caballu^ si sarebbe
notato che il primo premolare avrebbe presentato una spor-
genza (5) intero-posteriore nella cavità anteriore (v. fig. 4, ta-
vola XII); se fosse stato di E. intermedius avrebbe presentato
r appendice a classidra eminentemente piccola ed il lobo ante-
riore (23) rudimentalissimo (fig. 2, tav. XII) ; se fosse stato di
E. stenonis avrebbe presentato mancanza di lobo anteriore (23)
(fig. 3, tav. Xn) ; se fosse stato di HippaHon avrebbe presentata
r appendice a classidra isolata dal restante della tavola tritu-
rante (fig. 11-12-13, tav. xn); e se infine fosse stato di Anchi-
terium avrebbe presentato 1' avorio della tavola triturante senza
il B (fig. 1, tav. XII).
Avrò io colto nel segno in tutto e per tutto? Lo giudicherà
chi con maggiore materiale saprà fare meglio di me.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Lettere e numeri comuni a tutte le figure dei denti maecellaH superiori (^).
A. Ayorio.
S. Smalto.
C. Cemento.
a a. Asta del B gotico rappresentato dall' avorio contornato da smalto.
ap. Appendice del ventre anteriore a forma di classidra (Denticelo ant.
int.^ Gaudry).
ap. Appendice del ventre posteriore {Dentinolo post, int.^ Gaudry).
b. Curva ant. dell' asta (Denticdo ant. est.^ Gaudry).
b'. y, post, idem ( , post, y, idem ).
e V. Cavità ant. del ventre ant. del B, o semplicemente cavità ant.
cv. 9 post. „ post, y, f, 9 post.
V. Ventre ant. del B {Denticelo medio ant.^ Gaudry).
?/. y, post, m { m ft post.y idem ).
md 1. Molare deciduo primo,
md 2. ^ 9 secondo,
md 3. „ , terzo.
md4. « „ quarto,
p 1. Premolare primo,
p 2. „ secondo,
p 3. ^ terzo,
mi. Molare primo,
m 2. 9 secondo,
m 3. y, terzo.
(9 Vedi la fig. 9, tav. IX e la fig. 3, tav. XIII, che servono per tipo.
DENTI MASCBLLABI DEGLI EQUIDI 483
1. Àpice anteriore.
2. Estremità ant. della cavità del ventre ant. del B.
3. Pi^a interoposteriore della cavità del ventre ant.
4. Sinuosità estema ant.
5. Sporgenza interoposteriore della cavità ant.
6. Estremità posteriore della cavità ant.
7. Apice mediano.
8. Estremità ant. della cavità post.
9. Sinuosità est. post.
10. Apice post.
11. Estremità post, della cavità post.
12. Piega post, della cavità post.
13. Foro papillare della cavità post.
14. Piega ant. della cavità post.
15. Piega interopost.
16. Anfrattuosita post.
17. Estremità post, dell' appendice post.
18. Anfrattuosita media.
1 9. Lobo post, deir appendice ant.
20. Fondo deir anfrattuosita media.
21. Sinuosità intema.
22. Punto di congiunzione col ventre dell^ appen. a forma di classidra.
23. Lobo ant. delF appendice ant.
24. Anfrattuosita ant.
25. Foro papillare della cavità ant.
26. Piega ant. della cavità ant.
27. Cavità della polpa dentaria, o delle papille del bulbo dentario.
28. Sporgenza post, della cavità post, nel molare terzo.
29. Rigonfiamento ant. del ventre ant. nel premolare terzo.
Lettere e numeri comuni a tutte le figure dei denti mascellari inferiori (^).
V. Ventre anteriore.
r'. Ventre posteriore.
e i\ Cavità del ventre anteriore.
e r^ Cavità del ventre posteriore.
ap. Appendice media a forma di classidra.
aj)'. Appendice posteriore.
1. Apice anteriore.
2. Apice medio o di fusione dei due ventri.
(*) Vedi la fig. t^ tav. XIII, che serve pgsr tipo.
434 0. BABALDI
3. Apice posteriore.
4. Angolo retto del ventre anteriore.
5. Estremità anteriore della cavità del ventre anteriore.
6. Estremità posteriore della cavità del ventre anteriore.
7. Angolo estemo dell' appendice posteriore.
8. Angolo intemo dell' appendice posteriore.
9. Estremità anteriore della cavità del ventre posteriore.
10. Estremità posteriore della cavità del ventre posteriore.
11. Piega anteriore della cavità del ventre posteriore.
12. Piega media della cavità del ventre posteriore.
13. Lobo anteriore dell'appendice a forma di classidra.
14. Lobo posteriore dell' appendice a forma di classidra.
15. Anfrattuosita media estema.
16. Piega dell' anfrattuosita media estema.
17. Anfrattuosita posteriore estema.
18. Anfrattuosita anteriore intema.
19. Anfrattuosita media intema.
20. Anfrattuosita posteriore intema.
21. Sinuosità intema delll' appendice a forma di classidra.
22. Sporgenza anteriore del ventre anteriore del premolare terzo.
Tav. IX 0).
Fig. 1. Dentizione completa (^ di un Cavallo mezzo sangue inglese, di
mesi 33, nato a S. Rossore Pisa. Mostra nella prima linea
i denti destri, tanto superiori che inferiori, visti dalla loro
faccia intema ; e nella seconda linea i denti sinistri visti
dalla loro faccia estema.
„ ^ il. Licisivo primo o piccozzo, destro inf., faccia intema.
f, n i 2. ^ secondo o mediano, y, n ^ «
n w i 3. „ terzo o cantone, » » » y,
n 9 id 2. „ deciduo secondo o mediano destro inf. faccia intema.
r, v id 3 . „ deciduo terzo o cantone, destro inf. faccia interna.
n 9 il'. « primo o piccozzo, sinistro inf., faccia estema.
n n i 2^ „ secondo o mediano, » » « «
n n i3^ jf terzo o cantone, » » » »
(^) Tutte le figure della Tav. IX, meno la :2.% 3.^ 4.* e 5.* sono prese da fo-
tografie, perciò in alcuni denti si vedono le rotture e le sezioni artificiali.
Nelle figure di questa tavola mancano alcuni segni caratteristici, perchè do-
vette essere tirata in un epoca nella quale io ero ammalato, e quindi non potei fare
le correzioni. Per buona forluna, credo, che ciò non arrechi confusione.
C) Mancano in questa figura i denti incisivi caduchi primi e il molare deciduo
terzo sinistro inferiore, perchè sono caduti naturalmente.
ì)ENn MASCELLABI DEOU EQUIBI 435
Pig. 1. id2^ Incisivo deciduo secondo o mediano, sinist. inf. faccia estema.
n n id 3^ „ ^ terzo o cantone, « « « „
, , e. Canino destro inferiore, faccia intema.
„ j, e'. „ sinistro „ „ esterna.
jf » md 3. Molare deciduo terzo destro inf., faccia intema.
, , md2. „ „ secondo » » „ »
, , mdl. ^ „ primo „ n n n
f, 9 md 2'. ^ „ secondo sinistro inf. faccia estema.
« „ mdl^ „ „ primo „ y, n »
p 3. Premolare terzo destro inf., faccia intema.
1» »r p2. ^ secondo , „ ^ n
» » P !• if primo , „ » 9>
» 1» P 3^ , terzo sinistro inf., faccia estema.
» » P 2^ ^ secondo , » » »»
» j» P !'• » primo « „ » »
9 H
m 1. Molare primo destro inf., faccia intema.
n n m2. „ secondo ^ , » »
, , m3. ^ terzo » » » »
9 ^ mV. „ primo sinistro inf., faccia estema.
, , m2^ „ secondo , « i, »
» , m3^ „ terzo ^ , » »
» ,^ m 3". „ „ destro sup., faccia intema.
, » m2"(i) „ secondo n y, n «
» n m 1". ^ primo n n n «
9 « m3^^^ 9 terzo sinistro sup., faccia estema.
f, „ m2''^ , secondo » » » »»
, „ mV. j, primo » « « »
, „ p P'. Premolare primo destro sup., faccia intema.
n n p2'^ „ secondo „ « » «
» ^ p3'^ y, terzo ^ :, ^ ^
, „ p 1'^ „ primo sinistror „ faccia esterna.
„ „ p 2". „ secondo „ » . " "
n » p3'^ „ terzo „ n n fi
^ » md 1''. Molare deciduo primo destro sup., faccia intema.
„ „ md2''(*). « „ secondo ^ n n n
^ „ md3'^ , „ terzo „ n j, »
, , md4. „ ^ quarto ^ » » ,
» „ mdl'". n n primo sinistro „ , „
„ , md2''^ , « secondo » » „ „
„ „ md3''^ „ „ terzo » » » »
(>) 11 in2" ò nel posto del mi" e viceversa.
y
436 0. BA&ALDI
Fig. 1. md 4. Molare deciduo quarto sinistro sup., faccia intema.
, , e". Canino destro sup., faccia intema.
, , c"^ y, sinistro „ « esterna.
, ^ i 3". Incisivo terzo, o cantone, destro sup., faccia intema.
„ „ i 2'\ „ secondo, o mediano, ^ m it *
„ ^ i 1". „ primo, o piccozzo, , , , „
, , id 3". „ deciduo terzo, o cantone caduco sup. destro, faccia
intema.
„ „ id 2" „ „ secondo, o mediano caduco* „ , faccia
intema.
„ „ i 3''^ „ terzo, o cantone, sinistro sup., faccia estema.
„ „ i 2"*, „ secondo, o mediano, » i, »» *
„ „ i V*. „ primo, o piccozzo, , ^ » n
, ,, id 3'^^ 9 deciduo terzo, o cantone caduco, sinistro sulla
faccia estei:;^a.
„ ^ id2"^ y, „ secondo, o mediano caduco, sulla faccia
esterna.
„ „ et Eminenze o rilievi trasversali dei molari superiori.
» » et' , „ , , inferiori.
Fig. 2. Sezione trasversale semischemmatica ingrandita del bulbo di un
dente mascellare superiore di Cavallo, fatta immediatamente
al disotto delle papille. Assomiglia ad un B gotico.
Fig. 3. Sezione trasversale semischemmatica ingrandita del bulbo di un
dente mascellare inferiore di Cavallo, fatta immediatamente
al disotto delle papille. Assomiglia ad un 3.
Fig. 4. Sezione trasversale della mascella inferiore di un agnello com-
prendendo un dente posteriore in via di sviluppo, secondo
Waldeyer (Tombs. Traile d'An. dentaire. fig. 59).
1. Germe delF avorio, con uno strato d^ odontoblasti. —
2. Avorio formato. — 3. Smalto formato. — 4. Punto in cui
r epitelio intemo e T epitelio estemo delV organo dello smalto
si continuano fra loro — 5. Cellule dello smalto o epitelio
intemo. — 6. Epitelio estemo dell'organo dello smalto. —
7. Reticolo stellato dell'organo dello smalto. — 8. Rilievi
papillari sporgenti nell'organo dello smalto. — 9. Tessuto
connettivo che contoma il germe e che forma quello che viene
chiamato sacco dentario. — 10. Vasi e nervi del mascellare.
Fig. 5. Sezione longitudinale semischemmatica di un dente mascellare
superiore, già usato. A. avorio, S. smalto, C. cemento, y. cui
di sacco o cornetto, z fondo del cui di sacco.
\
Denti mascellari degli equidi 437
Fig. 6. Molare deciduo secondo sinistro superiore di feto di cavallo di
giorni 295.
Fig. 7. Premolare secondo sinistro superiore ingrandito, visto dalla faccia
intema : è di Cavallo mezzo sangue inglese dell' età di 33 mesi.
e. Eminenza mammillare esterna — Denticoli esterni^ Gaudry.
e^. Eminenza mammillare media — Denticoli mediani, idem.
e*'. Eminenza mammillare interna — Denticolo intemo, idem.
/. Limite del cemento.
Fig. 8. Come la figura 7 vista dalla faccia esterna.
Fig. 9. (^) Premolare primo sinistro superiore di Asino sine-razza di an-
ni 9: sezione ingrandita - ®^/28. Figura presa per tipo.
Fig. 10, 11, 12,{13, 14, 15. Tavola triturante della serie sinistra dei ma-
scellari superiori di Cavallo mezzo sangue inglese di anni 12
.a 13, — I denti di questa serie sono stati prima perfettamente
appianati collo smeriglio, poi fotografati alla grandezza natu-
rale, meno il p 2 che è un poco più grande ^®/84 .
Il (fig. 11). Diametro longitudinale della tavola triturante.
la la (fig. 11). Diametro trasversale * » »
i (fig. 15). Terza cavità » », „
Fig. 16. Tavola triturante di un primo molare superiore destro ingran-
dita 'V«»i d®l medesimo individuo delle figure 10, 11, ecc.,
fotografata prima di essere stata appianata.
Fig. 17. Tavola triturante ingrandita **/28 del primo premolare, presa in
una sezione vicina alle radici dello stesso premolare primo
della fig. 12.
Tav. XII.
Tutte ie figure di questa tavola rappresentano denti mascellari
superiori sinistri, meno la fig. 19.
Fig. 1. Anchiterìum aurelianetìse — presa da Gaudri, fig. 163.
„ 2. Equus int^rmedius, Major. Serie da p 2 a m 2, grandezza ^^jsi —
da un bellissimo esemplare trovato nei terreni terziari d'Oli-
vola nella Lunigiana, e conservato nel Museo paleontologico
di Pisa.
(1) Questa figura nella tavola ò senza numero. — Per la spiegazione delle lettere
e dei numeri di dettaglio vedi quelle e questi comuni a tutte le figure, a pag. 92.
438 0. BARALDI
Fig. 3. Equus stenoìiis, Cocchi. — Serie completa *•/§» — da un esem-
plare conservato nel Museo paleontologico di Pisa.
, 4. Equus cabaUus, razza da corsa, puro sangue inglese, età 9 anni -
Serie completa, grandezza naturale Museo zooiatrico di Pisa.
9 5. Equus caballus, tslzzs^ toscana, età 12 anni. — Serie completa,
grandezza naturale.
, 6. Equus caballus, razza africana, età anni 15. — Serie completa,
grandezza' ^'/sa .
, 7. Equus caballus, mezzo sangue inglese, nato a San Rossore (Pisa),
età 33 mesi. — Serie da md 3amdl edaml am2.
„ 8. Equus asinus, sine-razza (domestico). — Serie completa. I denti
sono posti a distanza. La figura è presa da denti artificial-
mente lisciati.
« 10. Equus asinus, sine-razza, età 30 mesi. — Serie da md 3 a md 1
e mi.
. 11. Hipparion gracile, Hensel, p 1 grand, '^js. — Da un esemplare
trovato nelle legniti del Gasino presso Siena e conservato
neir interessante Museo di proprietà del sig. Dott. Federico
Castelli di Livorno.
„ 12. Hipparion medìterraneum, Hensel, p 1, grandezza naturale. —
Da un esemplare trovato a Pikermi presso Atene e conser-
vato nel Museo del sig. Dott. Castelli di Livorno. ( La ta-
vola triturante non è ancora totalmente pareggiata).
» 13. Hipparion mediterraneum, Hensel, mi, (H. gracile, Gaudry,
fig. 165); grandezza naturale.
9 14. Hipparion mediterraneum, Hensel. mi, molto usato, grandezza
naturale. (Da Gaudry, fig. 166).
I» 15. Hipparion mediterraneum, Hensel (H. gracile, Gaudry, fig. 169).
md 3, grandezza naturale.
9 16. Hipparioìi mediterraneum, Hensel (H. gracile, Gaudry, fig. 170).
md 3, grandezza naturale.
„ 17. Equus caballus (fossile). p2, grandezza naturale. — Da un esem-
plare trovato nella Caverna fossilifera di Cucigliana (Monti
pisani ) e conservato nel Museo paleontologico di Pisa
(raccolta Acconci).
9 18. Equus stenonis, molare. (Gaudry, fig. 167). — Volcan du
Caupet-pliocene medio).
^ 19. Hipparion gracile, Hensel. Incisivo picozzo superiore sinistro,
grandezza naturale. Museo Castelli di Livorno.
» 20. Equus caballus (come la fig. 17).
» 21. Equus caballus (attuale) - Parigi - molare. (Gaudry, fig. 167).
„ 22. Equus caballus (mezzo sangue inglese), p 1 vecchio, appianato
artificialmente, grandezza naturale.
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 439
Fig. 23. Equiis asintis. p 1 giovane, appianato artificialmente, grandezza
naturale.
„ 24. Equtis aslnus, p 1 vecchio ; tolto da una sezione del p 1 segnato
nella Fig. 23.
, 25. Equu^ cahalhis (razza poney). Serie completa, grandezza natu-
rale. — Da un esemplare del Museo di Anatomia Veteri-
naria di Bologna.
„ 26. Equus caballus (mezzo sangue inglese), p 2, grandezza naturale.
Tav. XIIL
Tutte le figure di questa tavola rappresentano denti mascellari
inferiori destri, meno la figura 3.
Fig. 1. Equtis caballus. m2 molto vecchio.
2. Equus aslnus, pi inferiore destro, (fig. tipo).
3. Equus asinus. p 1 superiore sinistro, (fig. tipo).
4. Equus caballus, p 1 vecchio.
5. Equus caballus. Serie completa di denti messi a distanza, (vedi
la spiegazione delle fig. 10 a 15, tav. XII).
6. Equus asinus. Serie da md 3 ami. (v. spieg. fig. 10, T. XII).
7. Equus caballus. Serie da md 1 a m 2. (v. spieg. fig. 7, T. XII).
8. Equus asinus. Serie di denti messi a distanza, appianati artifi-
cialmente, (v. spieg. fig. 9, T. XII).
9. Equus asinus. Serie completa (v. spieg. fig. 8, T. XII) .
10. Equus caballus. Serie completa, (v. spieg. fig. 4, T. XII).
11. Equus caballus. Serie completa, (v. spieg. fig. 5, T. XII).
12. Equus caballus. Serie completa, (v. spieg. fig. 6, T. XII).
13. Equus asinus. p 3 vecchio.
14. Equus asinus. p2 vecchio (^).
li
n
9
n
9
9
9
(}) Iq questa figura e stato esagerato il lobo posteriore delF appendice a classidra.
Se. Kat. YoL VIU, fase. 3.» 81
ìndice
I. Scopo e divisione del lavoro pag. 343
U. Formazione della tavola triturante e della corona dei denti
mascellari , 347
ni. Descrizione della tavola triturante « 358
IV. Classificazione dei denti mascellari e confronto della ta-
vola triturante dei denti superiori cogli inferiori . . , 370
V. Distinzione e confronto della tavola triturante dei diversi
denti mascellari di una medesima serie „ 374
1." Differenze fra i mascellari superiori decidui ed
i permanenti ^376
2." Differeìize fra i mascellari inferiori decidui ed
i permanenti , 379
3.** Differenze fra i
4." Differenze fra
5." Differenze fra i
6.** Differenze fra
7.** Differenze fra
8.** Differenze fra
9." Differenze fra
10." Differenze fra i
decidui superiori tra loro . . ,381
decidui inferiori tra loro . . ^ ivi
premolari ed i molari superiori „ 382
premolari ed i molari inferiori „ 385
premolari superiori tra loro, . „ 386
molari superiori tra loro . . , 387
premolari inferiori tra loro. . ^ ivi
molari inferiori tra loro. . . „ 388
1 1 ." Differenze fra i denti mascellari permanenti gio-
vani ed i denti mascellari permanenti vecchi
in geìieràle , ivi
12."* Differenze fra un dente mascellare superiore gio^
vane ed uno vecchio 891
DENTI MASCELLARI DEGLI EQUIDI 441
13.** Differenze fra un dente mascellare inferiore già-
vane ed uno vecchio pag. 391
VI. Distinzione e confronto della tavola triturante dei denti
mascellari fra alcuni dei diversi generi, specie e razze
degli equidi « 392
1.** Differetize fra il genere Anchitherium e il genere
Hipparion » 394
2.** Differenze fra le specie del genere Hipparion . » 399
3.** Differenze fra il genere Hipparion ed il genere
Equus » 401
4."* Differenze fra le specie del genere Equus in
generale 403
S.** Differenze fra T Equus Stenonis e T Equus in-
termedius „ 404
6.^* Differenze fra gli Equus del terreno quaternario
e gli Equidi viventi , 409
7.** Differenze fra le specie viventi dd getiere Equus
in generale ^ 415
8.** Differenze fra T Equus caballus e VE. asinus . ^416
9.° Differenze fra le diverse razze di cavalli in ge-
nerale , 423
10."* Differenze fra la razza africana (E. C. mongo-
licus Piétr.) e la razza toscana (E. C. Oerma-
nicus Sanson) , 427
Conclusione „ 429
Spiegazione delle figure » 432
ROCCE OTTRELITICHE
DELLE
ALPI APUANE
STUDJ
DI ANTONIO D'ACHIARDI
Le rocce ottrelitiche delle Alpi Apuane occupano due posizioni
distinte nella serie dei terreni cristallini, al di sotto cioè e al di
sopra dei marmi saccaroidi, che han reso celebri quelle montagne.
Nella zona inferiore fra il marmo saccaroide e il grezzone
suole rinvenirsi una roccia brecciforme conosciuta sotto ai nomi
di Breccia Affricana e di Mischio, varia nelle tinte molteplici
e sfumate, varia nella qualità dei frammenti collegati, varia
nella natura del cemento, che può essere ed h in taluni casi
ottrelitifero.
Sul contatto fra le due rocce, marmo e grezzone, non da
per tutto esiste sì fatta breccia; d' ordinario si hanno invece
alcuni stratarelli schistoso-micacei con noduli di maimo ceroide
bianco, giallo, e di altri colori. Or bene la breccia ne occupa
il posto e a loro spese e delle rocce sopra e sottostanti sembra
essersi costituita per taluno di quei movimenti e per i processi
di metamorfismo che interessarono queste formazioni; e tu trovi
infatti in essa collegati dallo stesso cemento i frammenti dei
marmi saccaroide e ceroide, del grezzone e degli schisti micacei.
I frammenti di una o di altra di queste rocce possono anche
mancare, così come nel cemento può esservi o no ottrelite; non
per questo cessa la roccia di essere geologicamente la stessa.
In questa zona inferiore trovasi pure una sorta di Ottre-
litefiro, che manca dei noduli calcari, e venne anchOi e non
ROCCE OTTRELITICHE DELLE ALPI APUANE 443
saprei dire se a ragione, considerato come, facente parte delle
COSÌ dotte madrimacchie del marmo.
Nella zona superiore al marmo saccaroide, detta anche zona
degli schisti cristallini superiori, si rinvengono pure schisti mi-
caceo-ottr elitici a noduli ora marmorei, ora quarzosi, e che
per la qualità dei materiali che li costituiscono offrono non poca
rassomiglianza con le rocce ottrelitiche della zona inferiore.
■• Koiia inreriore
1. Breccia o Mischio ottrelitico
Targioni (^), Repetti (^j parlano di questa roccia; la quale
veniva poi in un' apposita nota descritta da Paolo Savi (^) nel 1830
sotto il nome di Mischio o Brecciato di Seravezza. Le cave già
erano in fiore verso il 1560 sotto Cosimo I de' Medici, e il Savi
stesso menziona quelle di Massa di Carrara, del Monte Altissimo,
del Forno Volastro, di Levigliani e di Stazzema, occupandosi a
preferenza di quest' ultime o di Stazzema, che dice essere le
più celebri.
Ci narra il Savi che i lapidar] chiamano mischio quei pezzi,
nei quali i frammenti calcari sono molto coloriti e si confon-
dono col cemento e contengono diaccij cioè parti di calcare gra-
nuloso convertite in una massa jalina, e chiamano brecciato la
stessa roccia, in cui i frammenti sono perfettamente distinti
dal cemento, poco coloriti. Egli però non fa distinzione scien-
tifica fra Tuna e T altra pietra, ed applica ad ambedue il nome
di mischio.
n Passerini (^) fece anche V analisi del cemento e ne ottenne :
Silice 39,00
Ferro 22,00
Allumina 30,50
Magnesia 3, 00
Calce 2,00
Acqua e perdita .... 3, 50
100, 00
(») Rcìaz. Viag. Toscana. Ed. 2.», T. VI.
(*) Antologia, Firenze, 1826.
(J) Nuovo Giorn. de' Letterati. Pisa, 1830. ?0. 173.
(*) N. Giornale dei letterati. Pisa 1830, 20. 185.
444 ÉL. d'achiàbdi
n Simi (^) ha pur descritto i minerali di queste rocce; e io
stesso nella Mineralogia della Toscana {% parlando dell' ottrelite
ne ho riportato al sistema monoclino i cristalli osservati nel
Mischio del Corchia. De Stefani e altri, che trattarono della geo-
logia delle Alpi Apuane, pur fecero menzione di questa roccia
ottrelitica, ma ninno per quanto io sappia ne ha fin ora fatto
r esame e studio microscopico, e sono i resultati di questo studio,
da me fatto del Mischio del Corchia, che ora ho l'onore
di presentare alla Società Toscana delle Scienze.
La roccia del Corchia, da me studiata, è una vera breccia ;
i frammenti ne sono quasi esclusivamente calcari; il cemento
rosso-ferruginoso è copiosamente fornito di ottrelite. .
Frammenti calcari. — Questi frammenti per ogni verso
distribuiti nella massa fondamentale, vari nelle dimensioni, più
o meno angolosi nelle sezioni, a superficie consunte come dice
il Savi, spettano a più sorta di marmi.
Alcuni sono di marmo ceroide bianco, giallo o di altre tinte,
spesso anche sfumate ; altri di marmo granulare ; non pochi di
grezzone, quest' ultimi singolari per la loro apparenza di orga-
nica struttura, anche se osservati con sola lente d' ingran-
dimento.
Fatte le sezioni di questi frammenti diversi, ho riscontrato
nei marmorei (ceroidi etc.) la solita struttura propria dei marmi
con orientazione in tutti i versi delle minutissime lamelle po-
lisintetiche di calcite, negli altri o di grezzone un' apparenza di
struttura oolitica, ma senza decisa struttura concentrica in tutti
gli sferoidi sezionati, soltanto in alcuni apparendone come un
principio (tav. XVI, fig. 1).
Risultano questi sferoidi di una massa cristallina di calcite
a struttura spatica estremamente minuta e colore un po' gri-
giastro, mentre il cemento, che è pure di calcite, ha struttura
spatica più ampia e trasparenza molto maggiore. Talune di
queste massarelle cementate hanno forma discoide, onde le loro
sezioni ellittiche. Questa stessa struttura ho riscontrato in molte
sezioni esaminate al microscopio di tipico grezzone degli stessi
luoghi, onde resta confermata la provenienza da fì*ammenti di
questa roccia.
(*) Sag, corogr. Versilia, 1855.
(«) 1872. voi. J, pag. 176.
i
ROCCE OTTRELITICHE DELLE ALPI APUANE 445
•
I noduli o frammenti calcari presentano talora sul contatto
con il cemento o pasta ottrelitica un rivestimento verdastro,
che nelle sezioni contorna la figura dei frammenti calcari sfu-
mando verso il loro interno e talora, se essi sieno molto piccoli,
totalmente o quasi totalmente sostituendoli (tav. XVI, fig. 2,
11,12).
Osservata al microscopio con assai forte ingrandimento
(tav. XVI, fig. 12) questa pellicola verde vedesi resultare da mi-
nutissimi cristallini verde-chiari, bacillari e molto esili. La lar-
ghezza dei cristallini da me misurati varia da mm. 0, 004 — 0, 04
per una lunghezza circa 10 volte maggiore. Accanto a queste
bacillo vedonsi anche delle laminette, e quelle non sono altro
che le sezioni trasversali più o meno oblique di queste.
Queste sezioni bacillari mostrano una struttura fibrosa; e
si ha tutta Y apparenza di una clorito, come confermano altri
caratteri.
A luce ordinaria colore giallo-verde-cedro molto chiaro. Con
solo analizzatore pleocroismo evidente. Se le sezioni bacillari sono
disposto nel verso dell' allungamento, parallele cioè alla sezione
principale del nicol, si ha un colore verde-cedro intenso legge-
rissimamente traente al ceruleo e massimo assorbimento; ad
angolo di 90"^ con questa direzione si ha invece un colore giallo-
verde pallido. Nelle sezioni laminari, che si avvicinano più o
meno ai piani basali, si osserva sempre una tinta verde con
leggerissime differenze di tuono, se pure possano osservarsi.
Asse di massima elasticità ottica parallelo ad allungamento
delle bacillo,
A nicol incrociati colori d' interferenza verde-azzurrognoli
morati nelle sezioni bacillari, nelle quali V estinzione si fa a 0^,
cioè nel verso del loro allungamento. Le sezioni laminari o
basali invece rimangono sempre estinte, come nei cristalli
uniassi.
•Tutto dunque concorda per farci ritenere che si tratti di
pennina o di ripidolite.
Fra i cristalli di questa clorito presso il contatto con il
marmo vedonsi anche cristalli di un' altra sostanza, quasi sco-
lorita 0 leggermente giallognola, con apparenza bollosa se os-
servati con forte ingrandimento; sono nel dubbio se vadano
riferiti al pirosseno.
446 A. d'achiasdi
Cemento. — Massa rossa-mattone per minuta e fitta dis-
seminazione di grani di ossido ferrico. Mantiene sempre la
stessa apparenza tanto a luce ordinaria che con uno o con due
nicol incrociati. Vi si osservano anche dei granellini di calcite,
forse minuti frammenti di calcare rimasto nella pasta.
Ottrelite. — In questa massa rossastra sono più o meno
fittamente disseminate le lamine di ottrelite, che nelle sezioni
appaiono quasi tutte in forma di liste, ordinariamente semplici,
talvolta anche riunite fra loro a due a due, non mai, almeno
negli esemplari da me osservati, riunite in gran numero in fasci,
come nelle varietà di rocce più sotto descritte.
Per la massima parte i cristalli di ottrelite appaiono sem-
plici a luce ordinaria; soltanto pochi geminati ad angolo oscil-
lante da 79* a 82** (tav. XVI, fig. 4) con piano di geminazione
parallelo alla linea a b della figura e che fa con la linea di al-
lungamento delle liste o linea basale dei due cristalli angoli
(bacj bad) oscillanti per le misure da 139* a 140% 30'. Altri
cristalli geminati sono rappresentati dalla figura 5.
A luce polarizzata invece con uno o con diie nicol quasi
tutti i cristalli mostrano struttura polisintetica ; appaiono come
costituiti da tante lamine soprapposte, che con la diversa co-
lorazione propria a ciascuna ci danno immagine di orologio a
polvere (Tav. XVI, fig. 4, 5, 6, ec), quella stessa apparenza, che
fu eflSgiata da Cohen (^) per T ottrelite di Ottrèz nel Belgio.
In un gran numero di cristalli si osservano tre zone distinte,
in alcuni quattro, in altri più, V unione delle lamine cristalline
avvenendo per piani più o meno vicini al parallelismo con
la base.
Alle loro estremità le bacchette o liste ottrelitiche appaiono
a margine non integro, quasi come smerlato, per la diversa
rottura delle varie lamine insieme riunite a costituirle; (tàv. XVI,
fig. 3, 4, 8, 9) soltanto poche sono terminate da un piano quasi
ad angolo retto (tav. XVI, fig. 6, 10) con l'allungamento delle
sezioni bacillari e parallelamente al quale vedonsi anche fre-
quenti linee di sfaldatura (tav. XVI, fig. 4, 5, 6, 7 ec).
Oltre a linee di sfaldatura basale e a queste che sono le più
comuni, vedonsi altre linee ad angolo ottuso con T allungamento
i}) Samm. v. mihrophot. z. Ver, rf. Mikrosh. strttcL v. Min. u. Gest. Taf. 71,
ROCCE OTTRELmCHE DELLE ALPI APUANE 447
stesso delle sezioni bacillari, angolo che trovai oscillare da. 115*
a 117* (tav. XVI, fig. 4 e 5). Finalmente sulle sezioni basali ve-
donsi dei parallelogrammi, vicini a rombi (tav. XVI, fig. 14), che
accennano a piani di sfaldatura prismatica, con ang. di 111* a
120*, quella stessa sfaldatura che apparisce quasi ad angolo
retto con la linea d'allungamento delle sezioni bacillari.
Anche Lacroix (^) fa menzione di quattro sfaldature; una facile
secondo 001; due meno facili secondo 110 e HO, e una terza
difficile non ben determinata.
A luce ordinaria questa ottrelite presenta un colore verde-
cupo con riflessi bronzineo-grigiastri. Con un nicol h fortemente
pleocroica ; sezioni basali danno tinte azzurra e verde-oliva, che
riferite alle figure parallelogram miche di sfaldatura appaiono
la prima, cioè la tinta azzurra, quando macrodiagonale di quelle
figure sia quasi parallela a sezione principale del nicol, la se-
conda o verde-oliva quando vi sia quasi normale. Il massimo
delle due tinte si raggiunge ad un piccolo angolo da quelle
diagonah e ad ancor più piccolo dalle bisettrici degli angoli
del parallelogrammo. A nicol incrociati si determinano queste
stesse direzioni con le estinzioni, e nasce il sospetto che si
tratti di cristallizzazione triclina.
Nelle sezioni bacillari si hanno invece tre tinte; se quelle
sono disposte normalmente a sezione principale del nicol si ha
per tutte una tinta giallo-verdognola molto chiara, spesso pal-
lidissima ; se sono invece disposte parallelamente, hannosi tinte
verde-oliva, azzurra o intermedia a seconda che la sezione cada
normalmente o più o meno obliquamente agli assi di elasticità
ottica nella zona dell'asse cristallografico 001. — E il pleo-
croismo caratteristico dell' ottrelite.
A nicol incrociati si manifestano colori d'interferenza più
o meno vivaci, specialmente nelle parti più chiare. Struttura
polisintetica è chiaramente dimostrata anche da queste colora-
zioni. Direzioni di estinzione non coincidono con allungamento
di sezioni bacillari, facendovi angoli assai diversi.
? Oltre ai cristalletti di ottrelite nella massa rossastra del
cemento vedonsi delle macchiette brune allungate, che al mi-
(*) Propr, opt, du chloritoide etc. — Ball. Soc. fran^aise de Mineralogie —
Paris, Fevrier 1886.
448 A. d'achiakdi
croscopio ci appaiono quali accumulamenti, per lo più fusiformi,
di una sostanza granulare bruna, a lucentezza quasi metallica,
che rassomigliano per la forma le figure date da Cohen (^) e
da Rosenbusch ('-) per i cristalli artificialmente ottenuti di
Ca Si Fk+2 Aq.; e quelle pure date da Renard e da De la Vallèe
Poussin ('^) per alcune filladi delle Ardenne. Sembrano di un
qualche ossido di ferro; ma con sicurezza non oso affermare
di uno piuttosto che di un altro (Tav. XVI, fig. 2).
2. Ottreliteflro
Questa roccia, che fa pur parte della stessa zona della pre-
cedente, e che può anche considerarsi come una forma di ot-
treliteschisto, a occhio nudo o armato di sola lente, appare
costituita da una massa bianco-giallastra, quasi carnea, nella
quale vedonsi confusamente un minerale granulare, altro spa-
tico e altro micaceo. In questa massa fondamentale, già da
me i^) qualificata come quarzoso-feldispatico-damouritica, ve-
donsi disseminate innumerevoli squame verdi-cupe rivolte in
tutti i versi e difficili a separarsene, e già da me pur esse
qualificate per ottrelite.
Al microscopio la massa fondamentale appare granulitica,
prevalentemente costituita da quarzo e mica-bianca; oltre a
ciò da un feldispato e da altri minerali in essi disseminati,
come rutilo, tormalina, ematite, ec. La sua colorazione gial-
lognola appare dovuta ad altra sostanza; credo a limonite.
Quarzo. — E in granuli a contorni irregolari, diversa-
mente orientati, ora isolati, ora addossati alle laminette di
ottrelite, ora aggruppati come in un mosaico, quale appare ma-
nifestamente a nicol incrociati (tav. XVI, fig. 21).
Feldispato. — Del feldispato, che sembra ortose ve-
donsi pure alcuni granuli cristallini, mancanti affatto di strut-
tura polisintetica e coi colori grigio-morati d' interferenza e
forme proprie di questa specie (tav. XVI, fig. 22, sup.).
(*) Loc. cit.
(«) Mihroshop. Physiogr. 1885. -230. tev. 1'>, fig. 4.
(3) Note sur V Ottrelite. - Ann. Soc. géol. Belgique. 1878-79. T. 16, 51; fig. i.
(*^ A. D'Ach lardi — Mineralogia della Toscana, Pisa 1873, t. 176.
BOCCE OTTRELITICHE DELLE ALPI APUANE 449
Mica-bianca. — E abbondantissima. A luce ordinaria si
presenta in foggia di fasci contorti, assottigliantisi all' estremità,
di fibre scolorite (tav. XVI, fig. 21). A nicol incrociati questi fasci
di fibre presentano colori d'interferenza assai vivaci, iridati.
Si hanno tutti i caratteri della mica-bianca; con ogni verosi-
miglianza si tratta di damourite; escludo che sia talco per
il modo di procedere delle fibre.
Rutilo. — Nella massa quarzoso-micacea osservansi cri-
stalletti di rutilo, piccolissimi, bacillari, variabili in larghezza
da Vioo a V^ooo di mm. e meno per una lunghezza ordinaria-
mente circa 10 volte superiore. Questi cristalletti innumerevoli,
talora in veri sciami, parte appaiono semplici, parte geminati
nel modo proprio di questa specie e cosi come nei cristalletti
dell' ottreliteschisto di Ottrèz osservati e descritti da Leop. van
Werveke (^).
La geminazione dominante in essi ha per piano 301 ; se ne
hanno gemelli ad angolo acuto di 54^, 44'; non rara V altra che
ha invece per piano 101 e se ne hanno gemelli geniculati ad
ang. di 114**, 25'. Sono le apparenze stesse effigiate da Rosen-
busch(^), da Hussak(^), ec. Questi cristalletti di rutilo sono
quasi scoloriti o brunastri; poco o punto pleocroici, e con legge-
rissima differenza di assorbimento nelle varie direzioni (Tav. XVI,
fig. 21, 26, 27). Saggi chimici, eseguiti dal prof. Funaro, confer-
mano la presenza del titanio nella roccia.
Tormalina. — Fra questi piccolissimi cristalletti di rutilo
se ne vedono altri pur sempre piccolissimi, ma assai più grandi
di essi, isolati qua e là, non mai geminati, bacillari, terminati
da facce perpendicolari all' allungamento loro o da piramidi
ottuse, fortemente pleocroici da un roseo-grigio a colore spigo
scuro, molto assorbenti la luce nella direzione normale alla
sezione principale del nicol polarizzatore e in corrispondenza
del colore spigo. Sono certamente cristalletti di tormalina
(tav. XVI, fig. 23 e 24) .
Ematite? — Non so se all' ematite o non piuttosto a
una qualche varietà di ferro titanato debbansi riportare certe
laminette di colore arancio a rosso per trasparenza, assai he-
(») Neues Jahrb. Miner, etc. 1880, -2. 3. \bhand. iSì.
(«) Mikr. Phis. 1885. ±90.
(*) Auleic. z, Best. d. gesteinb. Miner, 1885. Taf. J. ^f;. 59.
450 A. d'achiakdi
quenti, sparse qua e la, talvolta anche accumulate, punto pleo-
croiche ed evidentemente la stessa cosa di una sostanza rosso-
bruna in massa e di apparenza metallico-resinoide per luce
riflessa, che apparisce nelle stesse preparazioni e vi fa anzi
passaggio.
Magnetite. — Piccoli grani neri e opachi, che si osser-
vano in prossimità di questa sostanza, forse sono di magnetite.
Ottrelite. — L'ottrelite è il minerale che più di ogni
altro apparisce anche ad occhio nudo in questa roccia. I cri-
stallini o laminette ne spgliono essere disposti a gruppi, e nelle
sezioni ci appaiono al microscopio come fasci di bacchette più
o meno divergenti (fig. 13, 15, 18). Queste apparenti bacchette,
che non sono altro che sezioni trasversali delle lamine ottre-
litiche, tanto se isolate, quanto se a gruppi, sono non di rado
curve (fig. 17, 18); curvatura che pur ci si mostra sulle lamine
stesse osservate con sola lente d' ingrandimento.
Le dimensioni delle lamine sono assai variabili ; e nelle se-
zioni le misure presene dettero:
Altezza min. 0,01 — 0,3
Larghezza „ 0, 2 — 3 e più.
Nelle sezioni basilari si vedono come più lamine quasi V una
con l'altra embriciate (tav. XVI, fig. 16), onde T intensità, di
tinte diversa fra le varie parti soprapposte o no. I contorni di
queste sezioni sono più o meno irregolari, ne mai potei misu-
rarne angoli con esattezza ; non per tanto se ne hanno alcune
che appaiono esagonali; e qui pure vi si osservano le solite
linee in figura parallelogrammica, quasi rombica, che accennano
alla sfaldatura prismatica della specie, tìli angoli di queste
linee di sfaldatura oscillano nelle varie sezioni, in cui da me
furono misurati, da 110°— 120^ per lo più da 112°— 117*; in
niun caso raggiunsi il limite di 120°.
Le sezioni trasversali in foggia di bacchette si presentano
al solito smerlate all' estremità (tav. XVI, fig. 9 ec.) per rot-
tura; e talune rotte in un punto o nell' altro appaiono risal-
date dal quarzo, precisamente con\e nell' ottrelite di Ottrèz de-
scrittaci da A. Renard e Ch. De La Vallèe Poussin. In molte di
queste bacchette vedonsi a luce ordinaria diverse linee lon-
gitudinali, parallele o quasi alla base (fig. 8, 9, 17), alla cui
ROCCE OTTRELITICHE DELLE ALl»I APUANE 451
sfaldatura sembrerebbero corrispondere; ma osservandole a luce
polarizzata e a nicol incrociati si vede trattarsi di geminazione,
che per tal modo ci si appalesa anche nei cristalli apparente-
mente semplici a luce ordinaria.
Si vedono oltre a ciò le solite linee di sfaldatura normali
o quasi allo spigolo d'allungamento delle sezioni; e altre oblique
come già furono descritte per la breccia calcare-ottrelitica.
Talune di queste linee si continuano dall' uno all' altro indi-
viduo nei cristalli geminati (fig. 19).
A luce ordinaria si hanno tinte che variano dalla giallo-
verde-chiara all'azzurra. Facce 100 appaiono verdi-giallastre
(verde-oliva e giallo- verde ); facce 010 verdastro-azzurrognole
( azzurro e verde-giallo ) e facce basali azzurro-verdi cupe ( az-
zurro e verde-oliva) ; sono i colori delle facce. Tinte intermedie
si hanno nei piani intermedj.
Le laminette non appaiono per altro uniformemente colorite;
sembrano contenere non poche impurità e in special modo pic-
cole scagliette di colore verde cupo.
Con il nicol analizzatore il pleocroismo si rivela eviden-
tissimo. E si ha:
001 azzurro e verde-oliva
010 azzurro e giallo- verde
100 verde-oliva e giallo-verde
Le sezioni allungate o bacillari ci mostrano secondo il taglio
sempre una tinta giallo-verde pallida quando il loro spigolo
d' allungamento sia normale alla sezione principale del nicol,
e variante dall' azzurro al verde-oliva quando sia invece 'pa-
rallelo; per altro né il massimo di chiarezza della tinta giallo-
verdognola; né il massimo d' intensità della tinta azzurra cade
precisamente nelle due direzioni indicate, ma ad un certo an-
golo con lo spigolo d' allungamento delle sezioni bacillari e
con la normale ad esso. Con ciò coincidono le direzioni di estin-
zione osservate a nicol incrociati, per le quali ho trovato an-
goli di 9\ 10% 15% 20° fino a 38* con linea biisale o di allun-
gamento a seconda del piano di sezione e con differenza fra
r uno e r altro individuo geminato. Tutto dimostra che biset-
trice acuta fa con normale a base angolo maggiore che nelle
miche. Lacroix dice, che é quasi normale, ma dalle mie os-
servazioni non resulterebbe.
452 A. D^ACHIABDI
Più difl5cili sono a determiDarsi le direzioni di estinzione e
del massimo d' intensità delle due tinte azzurra e verde-oliva
sulle facce o sezioni basali^ ordinariamente mal definite nei
loro contomi. Riferendo queste direzioni alle figure di sfalda-
tura nasce qui pure il sospetto che si abbia a che fare con
cristallizzazione triclina.
Lacroix(^j parlando del pleocroismo dell' ottrelite, anzi più
generalmente del cloritoide, cui riferisce Y ottrelite e altre specie
analoghe, dà per i vari assi di elasticità ottica le tinte se-
guenti :
a (\) giallo-verdastro
b (**«) azzurro-indaco
C ("i») verde-oliva
Rosenbusch
a verde-oliva
• b azzurro-indaco
C verde-giallo
Tschermak e Sipocz
a azzurro
b verde-oliva
e verde-giallo
e De FouUon per la masonite di Natie, come riporta anche
Rosenbusch quale eccezione alla regola,
ft azzurro
b verde-oliva.
Vi ha dunque grande disparità dall' uno all' altro osserva-
tore; le mie osservazioni fatte suU' ottrelite di questo ottreli-
tefiro concordano con quelle di Tschermak e Sipocz, avendo
trovato r azzurro per l' asse di massima, il verde-oliva per
r asse di media e il verde-giallo per 1' asse di minima elasti-
cità ottica. L' ottrelite di questa roccia è otticamente positiva.
A nicol incrociati si hanno colori d'interferenza mediocre-
mente vivaci con prevalenza di tinte azzurre verdi e violacee,
e ci si appalesano per geminati anche i cristalli a luce ordi-
(^) Mem. cit
ROCCE OTTRELITICHE DELLE ALl»I APUANE 453
naria apparentemente semplici. Più e più lamine vedonsi V una
sovrapposte air altra e in posizione invertita, come fa cono-
scere la tinta ditferente che presentano, verosimilmente come
già effigiò Tschermak (^). Queste lamine, che nelle sezioni or-
dinariamente ci appariscono bacillari, presentano quando bac-
chetta è normale a sezione principale del nicol un colore giallo-
verde chiaro per tutta la loro estensione; quando la si osservi
invece parallela allora veggo nsi tante strisce con diversi e al-
ternanti colori (giallo-verde e celeste), quante sono le lamine
geminate. E cosi si ha il modo facile di costatare semplici e
doppie geminazioni come sono effigiate nelle fig. 19 e 20, nelle
quali oltre la solita geminazione di lamine sovrapposte con
spostamento si veggono (fig. 20) gemelli riuniti fra loro paral-
lelamente a linee, che attraversano i cristalli, onde sono costi-
tuiti. Analoghe geminazioni ha pure effigiato Hussak.
II. Zona »iii|ieriore.
1. Ottreliteschisto degli schistl superiori.
Gli esemplari raccolti presso Bedizzano sulla Brugiana non
sempre sono facili a sezionarsi, la roccia essendo spesso facil-
mente disgregabile. Si tratta di roccia schistosa damouritica a
noduli di quarzo, nella quale le lamine di ottrelite veggonsi
come tanti punti neri nella mica argentina. Osservata al mi-
croscopio la roccia oltre a questi presenta anche altri minerali
sotto descritti.
Quarzo. — Insieme alla mica costituisce la massa fon-
damentale della roccia. Si presenta come in un mosaico di pic-
coli pezzi orientati in tutte le direzioni, con tutte le vivaci
tinte della specie a nicol incrociati (tav. XVI, fig. 22).
Damourite. — In laminette fibrose argentine a colori
d' interferenza molteplici e assai vivaci involge i pezzi di quarzo
(tav. XVI, fig. 22).
Ottrelite. — I cristalletti o meglio le lamine cristalline
appaiono nelle sezioni in foggia di fasci di bacchette divergenti
(tav. XVI, fig. 25). Taccio degli altri caratteri propri della specie
già precedentemente rfcordati.
(0 ^eit. Kr. u. Min. Groth, III.
454 A. D^ACHUBDI
Tormalina. — lu ana sezione scorgesi una macchia nera
ftig. 22) formata come da un feltro di cristallini di tormalina,
i quali si trovano anche isolati nella roccia stessa, specialmente
in vicinanza di detta macchia. Questi cristalletti isolati con le
solite tinte e assorbimento propri della tormalina appaiono nelle
sezioni in foggia di prismi terminati dalla base e da piramidi
ottase (tav. XVI, fig. 23 e 24). Nella massa nera per il forte as-
sorbimento dei cristallini in tutte le direzioni orientati e mol-
tiplicatamente sovrapposti non si ha mai il campo luminoso,
onde sembrerebbe a prima giunta aversi a che fare con un
corpo opaco o isotropo, ma attentamente osservando verso i
margini della massa stessa si vedono dei cristalletti, che di-
ventano semitrasparenti con colore vinato sbiadito quando nel
verso della loro lunghezza stan paralleli alla sezione principale
del nicol.
Rutilo. — I cristalli piccolissimi, veri microliti bacillari
(tav. XVI, fig. 26 e 27), osservati anche nell' ottrelitefiro sopra
descritto, parte semplici, parte geminati, identici a quelli già
effigiati da L. v. Werveke {^) e da Hussak (^). La loro larghezza
varia da mm. 0, 0045 a 0, 009 per una lunghezza sei a dieci
volte maggiore: oltreché nella massa micacea, stanno inclusi
nel quarzo. Il modo di geminazione, gli angoli misurati, gli
altri caratteri tutti non lasciano alcun dubbio sulla determi-
nazione di questa specie.
Zircone. — Son rimasto incerto sulla presenza dì questo
minerale in piccoli cristalletti.
Ematite. — In rosse laminette, rare.
2. Breccia ottrelitlca.
Se i noduli quarzosi sieno maggiori e la mica fìmga quasi
le veci di cemento non più contribuendo a dare alla roccia
una forma decisamente schistosa, si ha allora una sorte di
breccia, che può paragonarsi a forme congeneri, quali si rin-
vengono ad Ottrèz, sede classica per V ottrelite.
(») N. Jahrb, f. Min. Geol. m. Pai, 1880. 2. 3. 281. Taf. IX, fig, 3.
(«) An Best Gest, pag. 59.
SULL' INSPESSIMENTO DELLA PARETE
NELLE
CELLULE LIBERIHIE DEI PICCIOLI FOCLIURI DI KLCUIE mLIUCEE
NOTA
DI P. PIOHI
Occupandomi dell' anatomia comparata delle foglie delle
Araliacee ho avuto occasione di osservare i differenti stadi
della formazione di quella parte di Floema, che tutti i Botanici
chiamano libro resistente^ parte tneccanica del libro ( cellule libe-
riane). Tali osservazioni riguardano il modo d' inspessimento
della parete cellulare in questi elementi.
Relativamente air accrescimento in spessore della membrana
cellulare sappiamo che, dopo i lavori del sig. Naegeli (*) (1858)
la maggioranza dei botanici era d' accordo nell' ammettere che
tale ispessimento avvenisse nella massima parte per intussusce-
ption, vale a dire in modo totalmente differente da quello che
si riteneva anteriormente quando cioè era ammessa la sovrap-
posizione centripeta o centrifuga (Hartig-Harting e Mohl).
Dopo alcuni anni però i sigg. Dippel (^), Sanio (^) e Schmitz
riprendendo a studiare V argomento, poterono accertare un nu-
mero di fatti per i quali V ispessimento della parete cellulare
sembra avere effetto per sovrapposizione. Però anche dopo questi
lavori si ritenne che la sovrapposizione fosse solo da accettarsi
in casi eccezionali rimanendo così sempre in gran valore la
teoria dell' intussmception.
A questi studi si sono recentemente aggiunti quelli prege-
(») Pfìanzenphys. Unters. Heft 2, 1858.
(«; Mihroshop, 18G9.
(3) Bot. Zeitung J 860-1863,
8€, Nat. Voi. Vm, fagc. 2,» 32
456 p. PicHi
volìssimi di Scimper, di Strarburger (*) e di Baranetzki (-) i
quali concludono doversi rigettare afifatto la teoria del Naegeli
riportando tanto in onore la giustapposizione da ammettere che
qualunque inspessimento della paret;e cellulare debba avvenire
per essa soltanto.
A questo proposito faccio le seguenti considerazioni:
Sappiamo che la parete cellulare e originata dallo strato
più estemo del protoplasma ed è ragionevole ammettere che
le particelle di cellulosa abbiano formazione non contemporanea
ma sibbene successiva, probabilmente dall'esterno all' intemo.
Avvenendo cosi il processo di formazione di queste piccole par-
ticelle di cellulosa convengo che alcune di esse si sovrapporranno
a quelle di antecedente foinnazione, ma non posso non ammet-
tere che altre s interpongano fra queste, dando così luogo alla
intiisstisception .
Ma questo non basta.
Se si vuole escludere V interposizione di nuove particelle a
quelle già esistenti non so come potremo spiegarci l'aumento
in superficie della parete cellulare. Qui mi par chiaro che debba
aver luogo questo processo nella formazione della parete, sem-
pre però accompagnato dall' altro della giustapposizione, perchè
può benissimo avvenire che una particella di cellulosa aggrup-
pandosi con le sue sorelle formate prima di lei, sia addossata
ad una, mentre resulta poi intercalata fra altre.
E come si potrebbe spiegare la formazione della parete lignifi-
cata se non si ammettesse la interposizione di minute particelle ?
Ritengo del resto che vi siano dei casi in cui il processo
à' intiissusceptton terra il vantaggio, mentre altre volte avverrà
che la giustapposizione avrà la prevalenza, ed è appunto a tale
scopo che riferisco queste osservazioni.
Nei piccioli fogliari di alcune Araliacee ho potuto incontrare
i seguenti stadi di formazione delle cellule liberiane.
La parete di questi elementi è da principio sottile ma a poco
a poco s' ispessisce inugualmente presentandosi maggiormente
ingrossata in corrispondenza degli spigoli, senza mostrare nessun
indizio di stratificazione, e questo carattere va man mano sa-
(*) Ueber den bau und das Wachsthum der Zellhdute, 1882.
(*) Epaississement des paroii des éléments parenchymateux, Ann. dea Se. Nat.
Ser. VII, T. IV. N.*> 3 et i. Paris, Ottobre 1886.
SULL^ INSPESSIMENTO DELLA PAKETE CELLULARE NEGLI EF^MEMTI EC. 457
leudo e raggiunge il più alto grado allorché le cellule hanno
acquistato le loro dimensioni massime. A questo punto esse si
presentano tanto simili alle cellule ipodermiche coUenchima-
tiche (^) che specialmente se viste in sezione trasversale pos-
sono confondersi con esse (fig. 1 e 2, tav. XVII).
In questo primo periodo d' ispessiinento durapte il quale
le cellule sono accresciute in ampiezza mi sembra ragionevole
ammettere che abbia avuto luogo il processo d' intussusces-
sione insieme all'altro dell'apposizione, concedendo al primo
un certo vantaggio sul secondo.
Ben altro avviene nel secondo stadio d' inspessimento delle
pareti delle cellule in discorso. Al di dentro di ciascuna cellula
vedonsi come addossare alla parete alcuni esili straterelli di
cellulosa che presto si lignifica, aventi spessore pressoché uni-
forme. Questi straterelli si aumentano in numero e vengono a
costituire al di dentro della parete formata nel primo stadio,
tanti rivestimenti che mi pare si possano ritenere formati nella
massima parte per apposizione centripeta rimanendo le dimen-
sioni delle cellule pressoché invariabili (fig. 3 e 4, XVII).
Avvenuto T inspessimento per mezzo di questi strati, si ha
la lignificazione dei medesimi che mi si e mostrata evidente-
mente avendo ottenuta una bella colorazione rossa con la solu-
zione alcoolica di floroglucina, e acido cloridrico, ed una gialla
con il cloridrato e solfato di anilina. La parete formata nel
primo stadio rimane pressoché costituita di cellulosa.
A sviluppo moltissimo inoltrato si vedono (fig. 5) queste
cellule liberiane con parete fortemente ingrossata strettamente
unite fra loro e fornite dei caratteri del libro meccanico.
Da tutto questo sembrami razionale di poter concludere che
per i casi da me osservati in questi piccioli foliari si ha un
primo stadio d' inspessimento in cui V intussuscessione prende
parte attiva, ed un secondo in cui il processo d'apposizione
tiene il primo posto.
Dal Gabinetto di Botanica della B. Università di
Pisa, li 14 Novembre 1886.
(I) Ho riscontrato questi caratteri anche nel tessuto liberiano della radice di
Beta vulgaris L, var. Saccarifera,
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Fig. 1.' Aralia frifoliatn Meijen. — Sez.°' trasvers. dell* Epidermide
e del Collenchima del picciolo fogliare (Zeiss Obj.
D. Oc. 3.
^ 2/ 3/ 4.* e 5.*. jiralia frlfoliata Meyen, — Sez." trasvers.
mostranti gli stadi di formazione del tessuto liberiano
negli stessi piccioli (Zeiss Obj. D. Oc. 2).
\
I N D I e
DELLE
MATERIE CONTENUTE NELL'OTTAVO VOLUME
G. Meneghini — Goniodiscus Ferrazzii Mgh. Nuova stelleride
terziaria del vicentino Pag. 1
C. De Stefani — Lias inferiore ad Arieti dell' Appennino set-
tentrionale 9
F. Sestixi — Dei singolari meriti di Giuseppe Gazzeri nel-
r avanzamento della chimica massime della chimica appli-
cata all'agricoltura , 77
E. FicALBi — Sulla conformazione dello scheletro cefalico dei
pesci murenoidi italiani «ilOl
A. Bottini — Ricerche brìologiche nell' Isola d' Elba, con una
nota sul Fissidens serrulatas Bridel ,159
G. Baraldi — Apparato femminile della generazione nei Nil/fan
(Portax pietà Pali.) ed un cenno sulla loro placenta . . , 205
A. De Greoorio — Intorno a un deposito di roditori e di car-
nivori sulla vetta di Monte Pellegrino con uno schizzo
sincronografico del calcare postpliocenico della vallata di
Palermo 217
G. A. Barbaglia — Contribuzione allo studio del Buxus sem-
pervirens L., pianta della famiglia delle euforbiacee . . » 255
G. Grattarola — Forma cristallina e caratteri ottici della
Asparagina destrogira di Piatti » 271
G. Arcangeli — Sulla fioritura dell' Eurytde ferox Sai. . . . „ 281
460 INDICE
G. GioLi — Lti Lucina Ponnnn, Duj P^f?» 301
G. Gasperixi — Sopra un nuovo morbo che attacca i limoni e
sopra alcuni iforaiceti ,31a
G. Baraldi — Alcmie ricerche contribuenti alla conoscenza
della tavola triturante o macinante dei denti mascellari
negli equidi „ 343
A. D'AciriARDi — Rocce ottrelitiche delle Alpi Apuane . . . , 442
P. Pieni — Suir inspessimento della parete nelle cellule libe-
riane dei piccioli fogliari di alcune Araliacee „ 455
■ * "liAj^ •»^>.
v.tArv • ■' !'>>?.
ERRATA CORRICfE — Volume Vin.
ERRATA
CORRIGE
Classidra
leggasi Clessidra in tutti i
356 Lin.
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gli
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» »
11
ultimo
primo
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26 e 27
terzo
primo
369 e 893 „
2 6 24
Mayor
Major
382
26
Meyer
Major
393
21
Piohippus
Pliohippus
400
8
3V*
3V«
410
15
mandibola di
mandibola con mandibole di
430
15
XII
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14 0 29
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