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Full text of "Atti"

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<  j: 


r*. 


V6  r 


ATTI 


DELLA 


SOCIETÀ  T0SC4NA 


DI  ;  * 


SCIENZE   NATURALI 


RESIDENTE      IN     PISA 


■♦oj^co»- 


^/LIB^^  O  TIXIB 


Voi-  VII. 


PXS 

TIPOGRAFIA  T.  NISTRI  R  C. 

1886 


i 


DOTI.   JACOPO  DANIELLi 


OSSERVAZIONI 


SU     CERTI     ORGANI 

DELLA 

GUNNERA     SCABRA    RUIZ   ET  PAV. 

CON    note: 

SULLA   LETTERATURA   DEI   NETTARI   ESTRAFLORALI 


Nella  primavera  dell'  anno  1882  vegetavano  nelle  serre 
deir  Orto  botanico  fiorentino,  dei  giovani  individui  di  Gunnera 
scabra,  nati  neir  anno  stesso  da  semi  avuti  dalla  pianta  che 
fiorì  nel  suddetto  orto,  e  che  fu  presentata  fiorita  ad  una  con- 
ferenza della  Società  toscana  d'orticoltura  il   19  giugno   1881. 

L' illustre  naturalista  e  viaggiatore  Odoardo  Beccari,  da  quel- 
r  acuto  osservatore  che  egli  è,  vide  che  quelle  pianticelle  pre- 
sentavano nel  loro  stipite  dei  corpiciattoli  speciali,  degli  ''  organi 
buffi  „  com'  esso  li  chiamò,  e  mi  invitò  ad  osservarli. 

Il  loro  aspetto  mi  riuscì  affatto  nuovo,  e  spinto  dal  desiderio 
di  sapere  che  fossero  volli  studiarli.  Avuto  il  permesso  dal  chia- 
rissimo mio  maestro  prof.  Teodoro  Carnei,  di  sacrificare  alcuni 
di  quelli  individui,  mi  accinsi  air  opera  della  quale  presento 
adesso,  qualunque  essi  sieno,  i  resultati,  i  quali  almeno  oso 
sperare  sieno  nuovi,  poiché  nelle  mie  ricerche  bibliografiche  non 
ho  trovato  niente  che  dicesse  di  questi  organi.  Forse  se  avessi 
seguitato  a  esaminare  e  avessi  tardato  a  mostrare  i  miei  studi 
in  proposito,  avrei  potuto  io  stesso  dire  qualche  cosa  di  più  e 
di  meglio  su  questi  strani  corpiciattoli;  ma  T  interesse  scientifico 

Se  Nat,  Voi    VII,  fase.  l.<»  *  1 


2  J.    DANlfeLLl 

reclamando  la  maggior  prontezza  nel!'  interpetrazìone  dei  fatti, 
senza  occuparsi  di  chi  li  addita,  pongo  nel  dominio  del  pubblico 
questi  primi  resultati  de'  miei  studi,  onde  altri  più  abili,  e  con 
materiali  migliori^  si  unisca  a  me  per  dare  più  presto  una  com- 
pleta spiegazione  di  questi  organi,  dei  quali,  fra  le  altre,  non 
ho  potuto  dare  il  signijGcato  morfologico. 

Se,  contrariamente  air  esito  delle  mie  indagini  bibliografiche 
e  a  ciò  che  mi  hanno  detto  alcuni  distinti  botanici,  fossi  stato 
preceduto  nelle  mie  osservazioni,  la  presente  comunicazione  saiit 
utile  a  confermare  fatti  già  noti  o  a  farli  meglio  conoscere. 


La  Guntwa  scabra  Ruiz  et  Pavon  —  G.  chilensis  Lam., 
Panke  Anapodophylli  folio  Feuillée,  Panke  iindoria  Molina  — 
non  è  diflScile  ad  assere  osservata,  poiché  è  abbastanza  colti- 
vata nei  nostri  giardini  come  pianta  ornamentale  a  causa  delle 
sue  foglie  colossali  e  rugose;  ma  però  da  noi  non  sembra  di 
facile  coltura  giacché,  come  disse  nella  già  rammentata  confe- 
renza del  19  giugno  1881  il  sig.  Bastianini,  capo  giardiniere  del- 
rOrto  botanico  fiorentino,  essendone  stata  tentata,  da  esso  e 
da  altri,  negli  anni  antecedenti  al  1881,  la  coltura,  non  si  riuscì 
ad  ottenere  una  pianta  piuttosto  robusta.  A  me  poi,  più  sfortu- 
nato di  loro,  che  mi  premeva  di  studiare  gli  organi  in  questione, 
fino  dalla  loro  origine,  non  è  voluta  nascere  (<). 

Nei  propri  paesi.  Chili  e  Perù,  abita  luoghi  umidi,  stagni, 
sorgenti,  paduli;  fiorisce  nel  settembre  e  ottobre  ;  è  detta  Panke 
e  Pangue,  e  serve  a  molti  usi.  Così  si  prende  la  decozione  delle 
foglie  per  rinfrescarsi,  si  mangiano  i  piccioli  crudi  scortecciati, 
i  tintori  si  servono  delle  sue  radici,  miste  con  una  certa  terra, 
per  tingere  in  scuro,  i  conciatori  si  servono  del  rizoma,  ricco 
di  acido  gallico,  per  conciare  e  tingere  le  pelli  ;  il  decotto  delle 
radici  arresta  la  diarrea  e  T  emorragie;  e  '  Mucilago  plantae 
tenerae  dorso  et  renibus  applicitus,  febrium  ardores  compescit  (*)  j,. 

(0  Mi  ò  stato  detto  che  il  cattivo  successo  della  cultura  di  cui  parlò  il  Bastiti- 
nini,  può  esser  dipeso  dal  considerare  la  (Junnera  come  pianta  da  serra,  dovendo 
invece  esser  tenuta  come  una  pianta  nostrale  abitante  i  luoghi  umidi. 

(')  RuiZf  FI.  et  Pavon,  J.,  Sy stema  vegetabilium  Florae  peruvianae  et  chilensis^ 
I.,  p.  367,  s.  1.  1748. 


OSSEBVAZIOMI  SU  CERTI  ORGAKl  DELLA  GtJNNERA  SCABRA  ECC. 


Le  giovanissime  piante  da  me  studiate (Tav.  IV,  fig.  1)  avevano 
un  piccolo  fusto  rigonfiato,  che  poi  avrebbe  formato  il  rizoma, 
di  circa  10  o  15  mm.  di  diametro,  alto  20  o  30  mm.,  tutto  co- 
sparso, fino  nella  parte  più  inferiore,  degli  organi  in  discorso. 
Oltre  le  foglie  si  vedono  su  di  essi  delle  radici   avventizie  più 

0  meno  grosse,  anche  nella  parte  più  alta  del  fusto;  le  quali 
nascono  spessissimo  vicinissime  e  al  disotto  degli  organi.  Negli 
interstizi  il  fusto  è  coperto  da  peli  di  vario  genere.  Alcuni  di 
questi  organi  sono  nascosti  da  stipole  ascellari  o  linguette. 

Essi  sono  rotondi  o  un  po'  ellittici,  lobati  in  modo  da  pren- 
dere una  forma  stellata  più  o  meno  marcata,  con  un  bel  mu- 
crone nel  centro  (Tav.  IV.,  fig.  1  a).  Gli  ellittici  spesso  hanno  due 
od  anche  tre  mucroni,  forse  resultanti  dall'  unione  di  più  organi. 

1  lobi  in  generale  sono  7  od  8.  Questi  organi  nel  loro  pieno 
sviluppo  sono  di  colore  giallo.  La  loro  superficie  è  ricoperta  da 
una  sostanza  mucilagginosa.  Il  diametro  massimo  a  cui  possono 
arrivare  è  di  8  o  9  mm. 

Nei  più  giovani  eh'  io  ho  potuto  osservare,  le  diverse  parti 
erano  meglio  distinte;  specialmente  i  mucroni  sono  più  svilup- 
pati. Col  crescere  della  pianta  gli  organi  si  fanno  più  numerosi 
e  ingrossano,  ma  arrivata  alle  dimensioni  nelle  quali  li  abbiamo 
superiormente  descritti,  dopo  un  po'  di  tempo,  la  pianta  conti- 
nuando a  crescere,  i  mucroni  spariscono  (Tav.  IV.,  fig.  1  6),  gli 
organi  perdono  la  forma  più  o  meno  stellata,  si  fanno  roton- 
deggianti, di  colore  scuro,  non  son  più  mucilagginosi  e  danno 
al  fusto,  o  estremità  superiore  del  rizoma,  un  aspetto  tuber- 
coloso. 

Però  all'  ascella  delle  foglie  che  più  si  avvicinano  al  centro, 
fra  le  stipole,  troviamo  ancora  degli  organi  giovani,  mucilag- 
ginosi; i  quali  non  ho  veduto  più  nelle  piante  ancora  maggior- 
mente adulte. 

In  sezione  verticale  questi  corpiciattoli  (Tav.  IV.,  fig.  2)  ram- 
mentano, lontanamente,  la  forma  della  parte  superiore  del  giglio 
fiorentino.  Si  vedono  i  lobi  curvarsi  esternamente,  a  guisa  di 
voluta,  e  la  parte  dell'  organo,  che  sorge  in  mezzo  ad  essi,  va 
ingrandendo  dal  basso  all'  alto  fino  al  punto  in  cui  si  separa 
dai   lobi;  dal  qual   punto  comincia   a  ristringersi  e  prende  la 


4  J.   DAÉìMÌÀÀ 

forma  di  un  mucrone.  Queste  cose  le  vediamo  maggiormente 
marcate  in  organi  non  tanto  sviluppati. 


Le  linee  principali  di  una  sezione  orizzontale,  fatta  alle  base, 
cioè  nel  luogo  in  cui  i  lobi  e  la  parte  centrale  si  differenziano, 
ci  mostrano  invece  una  figura  formata  nel  centro  da  un  poliedro 
spesso  ottagonale  (Tav.  IV.,  fig.  3),  contornato  da  tanti  coni  troncati, 
in  sezione  longitudinale,  quanti  sono  i  lati  del  poliedro  centrale. 
Però,  come  ben  vedesi  dalla  figura  3,  i  contomi  di  queste  diverse 
parti  non  sono  formati  da  linee  rette  come  le  figure  geometriche 
a  cui  ho  paragonato  questa  sezione,  ma  sibbene  da  linee  più 
o  meno  curve  che  li  rendono  frastagliati. 

n  taglio  trasversale  del  mucrone  fatto  nella  sua  parte  li- 
bera (Tav.  IV.,  fig.  4)  mostra  come  in  essa  il  contorno  del  mu- 
crone, in  sezione;  sia  ancora  maggiormente  frastagliato. 

La  massa  di  questi  organi  è  formata  da  cellule  poliedriche, 
delle  volte  allungate,  più  grandi  nei  punti  mediani  delle  diverse 
parti  deir  organo.  Sono  più  piccole  di  quelle  che  entrano  a  co- 
stituire il  fusto  o  rizoma.  In  mezzo  a  loro,  in  ogni  lobo  e  nel 
mucrone  si  getta  un  bel  fascio  che  parte  da  quelli  che  si  tro- 
vano nel  fusto. 

I  fasci  sono  concentrici,  libero-legnpsi,  aventi  il  legno  costi- 
tuito da  vasi  spirali  situati  nel  centro  del  fascio. 

Tutto  Tergano,  cioè  tanto  i  lobi  che  la  parte  centrale,  è 
coperto  da  un^  epidermide  formata  da  uno  strato  di  cellule  a 
contomo  regolare,  scure,  con  grosso  nucleo  e  nucleolo. 

Ho  costatato  nelle  cellule  degli  organi  in  discorso  e  in  quelle 
del  fusto,  la  presenza  del  glucosio  e  del  saccarosio,  mediante  il 
saggio  dello  zucchero  di  Trommer  e  il  reattivo  di  Fehling.  Vi 
si  trova  ancora  del  tannino  e  della  fecola,  la  quale  è  in  mag- 
giore quantitài  nel  fusto,  nelle  cellule  del  quale  si  presenta  in 
granelli  anche  molto  grossi,  mentre  negli  organi  che  studiamo 
i  granelli  sono  piccolissimi. 


A  primo  aspetto  questi  organi  potevano  sembrare  peli  glan- 
dulosi  alla  base,  o  vere  e  proprie  glandolo,  ma  adesso  che  ab- 
biamo osservato  la  loro  costituzione  anatomica,  siamo  certi  che 


OSSERVAZIONI  SU  CERTI  ORGANI  DELLA  QUNNERA  SCABRA  ECC.  5 

non  si  tratta  né  delle  une  né  degli  altri  poiché  hanno  T  epider- 
mide e  in  essi  si  distribuiscono  dei  fasci  fìbro-vascolari.  Quello 
che  sono  però  non  sarà  difficile  a  dirsi  se  ci  ricordiamo  che  con- 
tengono degli  zuccheri  e  che  in  conseguenza  il  liquido  che  esce 
da  essi  è  un  vero  e  proprio  nettare. 

Perciò  non  mi  perito  a  dire  che  sono  nettarii  estraflorali,  o, 
come  direbbe  Delpino,  nettarii  estranuziali  {^). 


Se  non  è  difficile  il  dire  che  cosa  sono  questi  organi,  non  è 
lo  stesso  in  quanto  al  dire  a  che  cosa  servono.  Lo  scopo,  o,  per 
meglio  dire,  la  funzione  dei  nettarii  estraflorali  è  intesa  molto 
diversamente  dai  botanici;  e  gli  organi  studiati  da  me,  forse 
non  portano  nuova  luce  su  questo  problema. 

Senza  occuparci  degli  antichi  botanici,  le  cui  idee  in  propo- 
sito si  trovano  svolte  o  riepilogate  nei  lavori  moderni,  vediamo 
che  cosa  dicono  quelli  che  più  si  sono  occupati  della  funzione 
dei  nettarii  estraflorali,  per  poi  cercare  di  spiegare  Fuso  di  quelli 
della  Gunnera.  , 

Delpino  (*;,  dopo  avere  affermato  che  resta  eterno  il  princi- 
pio :  „  ove  esiste  un  nettario,  ivi  esiste  una  funzione  di  relazione 
tra  la  pianta  nebtarifera  e  tra  determinati  animalcoli  melito- 
fagi  9 ,  e  aver  definito  i  nettarii  :  „  pars  mellifera  plantarum 
angtospermamm  propria  „  —  definizione  erronea  perchè  si  trovan 
nettarii  anche  nelle  felci  e  nelle  conifere  —  divide  questi  in  me- 
sogamici  o  nuziali  e  in  estranuziali.  Parla  della  posizione  di 
questi  ultimi,  e  dopo  aver  citati  alcuni  esempi  di  simili  nettarii, 
alla  domanda:  „  quaFè  dunque  la  funzione  dei  nettarii  estra- 
nuziali, sia  che  sì  trovino  nelle  foglie  cauline,  nelle  brattee  o 
calice  „  risponde  che  non  esita  „  ad  enunciare  che  siffatti  net- 
tarii hanno  per  funzione  principale  di  costituire  nelle  formiche, 
nelle  vespe,  nei  Polisies  altrettante  vigili  sentinelle  e  guardiani 
per  impedire  che  le  parti  tenere  delle  piante  siano  divorate  dai 

(0  Delpino  F.  —  Ulteriori  asservcuioni  sulla  dicogamia  vegeUUe.  Parte  3eeQnda, 
fascicolo  U,  p.  S6.  Milano  1S75. 
f)  Delpino  F.  1.  e  p.  85. 


6  J.   DANIELU 

brachi  j,  Q).  Aggiunge  che  un  altra  funzione  (ma  in  via  subalter- 
nissima)  può  talvolta  essere  esercitata  dai  suddetti  nettarli,  con- 
sistente neir  impedire  Y  accesso  delle  formiche  ai  nettarii  nuziali, 
trattenendole  sui  nettarii  estranuziali. 

Lo  stesso  autore  in  un  altro  suo  lavoro  intitolato  :  Rapporto 
tra  insetti  e  tra  nettarii  estranunziali  in  alcune  piante  (*),  trattando 
più  diffusamente  lo  stesso  tema  dà  un  elenco  di  piante  fornite 
di  nettarii  estranuziali,  e  dalle  osservazioni  che  fa  su  alcune  di 
esse  deduce  che  i  nettarii  in  discorso,  almeno  nei  nostri  paesi, 
sono  in  correlazione  con  insetti  formicari  o  vespiari. 

Dice  di  aver  visto  nettarii  estraQorali  in  un'ottantina  di  specie 
distribuiti  in  una  ventina  di  generi  appartenenti  a  tredici  fami- 
glie di  dicotiledoni  (^),  e  che  crede  che  ulteriori  ricerche  potreb- 
bero decuplare  tal  numero. 

Di  queste  piante  però  dà,  solo  il  nome  specifico  di  poco  più 
di  venti,  fra  cui  ce  ne  sono  alcune  delle  quali  non  ha  veduto 
che  esemplari  secchi,  per  cui  non  può  stabilire  con  certezza  che 
esse  abbiano  nettarii. 

Vide  un  „  vero  esercito  di  piccole  formiche  „  sulle  brattee 
nettarifere  del  Clerodendron  fragrans;  cita  le  Myrmecodia,  VHyd- 
nophytum  come  piante  che  danno  domicilio  alle  formiche  ;  crede 
possibile  che  un  certo  Clerodendron  che  ha  gl'internodi  rigonfi 
presso  r  apice,  cavi  nel  centro,  con  un  foro  da  una  parte  dal 
quale  entrano  ed  escono  formiche,  sia  affine  al  fragrans  e  che 
le  formiche  vi  abbiano  fatto  lo  scavo  per  usufruire  con  più  co- 
modo i  nettarii,  cóme  lui  ha  visto  seguire  nella  Cynara  Cardun- 
culus  con  punto  o  con  poco  danno  della  pianta  e  con  grande 
vantaggio  delle  formiche  (*);  ha  visto  individui  di  Polistes  gallica 
su  diverse  specie  di  Cassia^  uno  o  due  per  ogni  pianta,  attratti 
dal  miele  delle  glandolo  picciolari,  i  quali  gli  ricordavano  coi 
loro  andirivieni  ^  il  diportarsi  delle  sentinelle  dinanzi  ai  posti 
di  guardia  „;  vi  vide  anche  delle  formiche  ma  non  gli  sembrano 
adattate. 

Osservò  che  i  nettarii  picciolari  del  Ricinus  sono  visitati,  al- 

(»)  Delpino  F.,  L  e.  p.  90. 

(«)  Bull.  Soc,  Ent,  ital.  Firenze-Roma  1875,  Anno  VII,  p.  69. 
Q)  Delpino  F.,  1.  e.  p.  73. 

(^)  Il  Beccari  mi  ha  detto  che  i  fusti  della  Cynara  non  sono  scavati  dalle  for- 
miche ma  dalle  larve  di  un  rincofozo. 


OSSEBVAZIONI  SU  CBKTI  OROANl  DELTA  GUNNERÀ  SCABRA  ECO.  Y 

meno  nel  nostro  paese,  dalla  Polistes  gallica;  sopra  i  bocci  della 
Paeonia  offidnalis  vide  sopra  ognuno  da  una  a  tre  formiche, 
che  suggevano  il  nettare  emanante  dai  sepali  '  avvicinando  qua- 
lunque oggetto  a  dette  boccie,  le  formiche  si  allarmavano,  assu- 
mevano un'  attitudine  minacciosa  e  lo  mordevano  furiosamente, 
spiegando  così  il  carattere  d' intrepidi  e  accaniti  difensori  delle 
boccio  medesime  »(*).  Sopra  una  specie  d' Ifeteropteris  vide  formiche 
leccare  il  nettare  dei  nettarli  picciolari.  Per  tre  o  quattro  giorni 
prima  deir  antesi,  e  uno  o  due  dopo,  vide  su  quasi  tutte  le  ca- 
latidi deìl^,  Centaurea  montana  una  o  due  formiche;  in  seguito 
le  brattee  esterne  dell'  involucro  calatideo  non  danno  più  nettare 
e  i  difensori  se  ne  vanno;  vide  formiche  lambire  il  nettare  delle 
stipole  della  Vida  sepium  e  di  specie  affini;  osservò  qualche 
formica  leccare  le  glandolo  picciolari  del  Prunus  avium  con 
gemme  sbocciate  da  qualche  giorno;  nel  Sambuais  racemosa  os- 
servò lo  stesso  fatto,  ma  melliflue  erano  le  stipole;  in  ogni  indi- 
viduo giovane  di  Sambucus  £6u/u5  costatò  per  solito  la  presenza 
di  alquante  formiche  che  leccavano  i  nettarli  di  ciascuna  foglia. 
Esposto  poi  il  principio:  „  Quando  un  fenomeno  appare  iso- 
lato e  singolo  nella  specie  sua,  può  essere  e  quasi  sempre  è 
una  mera  casualità,  destituita  affatto  da  ogni  significazione  di 
fine  0  di  scopo.  Ma  quando  uno  stesso  fenomeno  si  ripete  e  si 
riproduce  in  esseri  di  affinità  remote  e  quando  si  perpetua  nella 
serie  colà  dove  si  è  manifestato,  allora  doventa  un  segno  indu- 
bitabile della  costanza  e  deli'  importanza  delle  cause  che  lo  hanno 
perpetuato,  presuppone  una  funzione,  uno  scopo,  ben  definito  „. 
Considerando  che  quello  di  questi  nettarii  è  un  fenomeno  che  si 
riproduce  in  una  quantità  non  piccola  di  piante,  appartenenti 
alle  famiglie  le  più  svariate,  e  che  perciò  debbono  avere  uno  scopo, 
una  funzione,  che  esclusivamente  si  riferisca  ai  servigi  che  essi 
insetti  prestano  alle  piante,  si  mette  a  ricercare  questo  scopo 
9  mediante  un  processo  rigorosamente  logico  di  esclusione  ;;,. 
Esclude  che  il  nettare  sia  una  naturale  escrezione  di  umori 
superfiui,  e  perciò  egli  dice  che  non  rimane  che  credere  che  i 
nettarii  estrafiorali  abbiano  una  funzione  adescativa  e,  sempre 
per  esclusione,  ammette  che  non  resta  possibile  altra  tesi  che 
quella  che  le  formiche  e  le  vespe  siano  i  principali  nemici  dei 

(«)  Delpino  F.,  1.  e.  p.  75, 


8  J.  DANIELU 

principali  nemici  di  certe  piante.  Dice  ciò  confermato  dal  fatto 
di  essere  fra  i  principali  nemici  delle  piante  le  larve,  special- 
mente dei  lepidotteri,  e  fra  i  principali  nemici  di  dette  larve  le 
formiche. 

In  poche  parole,  certe  piante  a  somiglianza  degli  afidi,  coc- 
ciniglie ec.  porgerebbero  un  tributo  di  sostanza  zuccherina  ai 
loro  difensori.  Le  Myrmecodia,  gli  Hydnophytumy  le  Tococa,  Ma- 
jeta,  Cynara  Cardunculus  ec.  offrirebbero  <  vere  caserme  e  corpi 
di  guardia  alle  formiche  „  (0*  La  facilità  di  spiegare  certi  feno- 
meni e  questo  modi  di  esprimersi  non  devono  meravigliarci,  pen- 
sando che  il  chiaro  autore  tra  le  «  cause  efficienti  e  precedenti 
che  hanno  determinato  un  dato  organismo  in  tutti  i  suoi  carat- 
teri intrinseci  ed  estrinseci  da  esso  posseduti  »  è  convinto  che 
figuri  in  prima  linea  un  principio  intelligente  e  previdente  infuso 
in  ogni  organismo  (*). 

Parla  dell' utiUtà  delle  formiche  per  distruggere  gl'insetti 
che  infestano  i  boschi.  In  prova  di  ciò  riporta  degli  esempi  e 
scrive  che  spessissimo  le  formiche  adottando  a  stazione  l'albero 
a  cui  son  vicine  salvano  V  albero  stesso  per  quell'annata  da  ogni 
danno  di  bruchi  (^). 

Dice  che  osservazioni  di  pratici  confermano  1'  utilità  dei  ser- 
vizi che  devon  rendere  le  formiche  alle  piante,  V  uffizio  impor- 
tantissimo, sopra  ogni  altro  insetto,  addossato  alle  formiche,  di 
mantenere  V  equilibrio  nelle  classi  degli  insetti  fitofagi,  massime 
dei  lepidotteri.  GÌ' icneumonìdi,  i  veri  nemici  delle  uova^dei  bruchi, 
delle  crisalidi,  delle  farfalle,  essendo  totalmente  vincolati  alla 
vita  dei  bruchi,  non  possono  ostacolare  la  moltiplicazione  dei 
bruchi  di  anno  in  anno  crescente. 

Alla  pag.  87  fa  questo  ragionamento  :  dei  carnivori,  naturali 
equilibratori  e  limitatori  dei  fitofagi,  i  monofagi  e  gii  aligofagi  han- 
no poca  importanza  ed  efficacia  '  perchè  sta  vero  che  diminuiscono 
gli  individui  delle  specie  di  cui  si  nutrono,  ma  diminuendoli  dimi- 
nuiscono le  proprie  risorse,  in  una  parola  diminuiscono  se  stessi. 
Invece  gli  animali  pantofagi  hanno  ben  altra  efficacia.  In  un 
anno  si  ciberanno  della  specie  A  straordinariamente  moltiplica- 
tasi; neir  altra  annata,  poiché  la  specie  À  sarà  ridotta  al  quinto 

(«;  Delpino  F^  1.  e.  p.  82. 
(*)  Delpino  F.,  1.  e.  p.  81. 
(3)  Delpino  F.«  l.  e  p.  86. 


OSSERVAZIONI  SU  CEBTI  ORGANI  DELLA  QUNNEBA  SCABRA  ECC.  9 

numero  d^ndividui,  aggrediranno  poniamo  la  specie  B  che  a 
sao  turno  si  saiÀ  eccessivamente  moltiplicata,  e  così  via  discor- 
rendo, ogni  anno  faranno  sentire  la  loro  azione  equilibratrice 
su  quelle  specie  che,  moltiplicandosi  soverchiamente,  tendono  a 
rompere  l'equilibrio  preesistente.  Ma  è  chiaro  che  per  potere 
esercitare  quest'  ufficio,  non  bisogna  essere,  quanto  al  cibo,  vin- 
colati a  ninna  specie.  Quindi  è  che  i  veri  equilibratori  sono  gli 
animali  pantofagi  ;  laddove  gli  oligofagi  e  per  più  forti  ragioni 
i  monofagi  non  sono  che  equilibratori  apparenti  „.  Applicando 
ciò  agli  insetti,  considerando  che  le  formiche  son  pantofagi,  a 
differenza  degli  icneumonidi,  conclude  che  V  azione  delle  formiche 
alla  distruzione  delle  farfalle  deve  esser  maggiore  di  quella  degli 
icneumonidi.  Cita  alcune  osservazioni  pratiche  a  conferma  di  ciò 
e  fa  altre  considerazioni  per  dimostrare  la  maggior  efficacia  delle 
formiche. 

Dice  che  i  ragionamenti  e  fatti  esposti  vengono  in  appoggio 
air  „  importante  verità,  che  le  formiche  sono  i  principali  equili- 
bratori e  moderatori  degli  insetti  fitofagi;  «  e  che  „  resta  nello 
stesso  tempo  giustificato  il  concetto  da  cui  pigliammo  il  nostro 
punto  di   partenza,  cioè   che  la   natura   provvide   ad  attirare 
sopra  non  poche  piante  le  formiche,  medianti  nettarii  apposi- 
tamente fabbricati,  nello  scopo  di  assicurare  le  piante  stesse 
dalle  invasioni  dei  bruchi  „.  Aggiunge  che  in  qualche  località 
della  terra  può  credersi  che  Y  ufficio  di  equilibratore  sia  confe- 
rito anche  alle  vespe,  se  si  considerano  i  nettarii  estranuziali  dei 
generi  esotici  Ricinus  e  Cassia;  ma  ci  manca  ogni  elemento  di 
osservazione  reale  per  poter  confirmare  o  infirmare  siffatta  con- 
gettura „  (*).  Termina   dicendo  che  non  gli  par  vera  la  teoria 
di  Darwin  per   spiegare  T  origine  dei  nettarii  fiorali  mediante 
la  selezione  naturale,  perchè  parte  dall'  idea  che  il  miele  trasu- 
dato dai  nettarii  estranuziali  sia  un  escremento  e  dall'  idea  che 
la  visita  di  questi  nettarii  per  parte  d' insetti,  tomi  inutile  alle 
piante. 

Belt  (0  ha  studiato  una  specie  d' Acacia  di  cui  certe  formiche 
distruggono  tutte  le  foglie,  non  per  mangiarle,  ma  per  farne, 
secondo  lui,  dei  letti   sopra  i  quali   esse   coltivano  dei  funghi. 

(<)  Delpino  F.,  1.  e.  p.  89. 

(>)  Lubbock  —  Les  insectes  et  les  fieurs  sauvages.  Traduit  par  E.  Barbier.  Pa- 
ri» 1879.  p.  7. 


10  J.   DANIELLI 

Questa  pianta  porta  delle  spine  scavate,  e  ciascuna  fogliolina  di- 
stilla del  nettare  in  una  glandola  in  forma  di  cratere,  situata 
alla  base  della  foglia,  e  porta  air  estremità  uua  piccola  appen- 
dice zuccherina  in  forma  di  pera('). 

Quest'  Acacia  è  abitata  da  miriadi  di  piccole  formiche  (^Pseu- 
domyrma  bicolor)  che  si  pongono  nelle  spine  scavate  e  che  tro- 
vano così  su  quest'  albero,  V  alloggio  e  il  nutrimento.  Queste 
formiche  circolano  incessantemente  Inolia  pianta;  costituiscono 
per  la  pianta  dei  difensori  sempre  svegli  che  cacciano  e  met- 
tono in  fuga  le  formiche  di  cui  V  abitudine  è  di  danneggiare  le 
foglie;  oltreché,  secondo  Belt,  esse  comunicano  alle  foglie  un 
certo  odore  che  le  difende  contro  gli  attacchi  dei  mammiferi 
erbivori. 

Mailer  C')  ha  osservato  fatti  analoghi,  a  Sainte-Catherine. 

Darwin  (•^)  riportando  le  idee  di  Delpino,  scrive  che  non  ha 
mai  avuto  ragione  di  credere  che  segua  quello  che  afferma  il 
botanico  genovese  nelle  tre  specie  da  lui  osservate:  Prunus 
LaurocerasuSf  Vida  saliva  e  Vida  Faba;  che  nessuna  pianta  è 
più  debolmente  attaccata  da  dei  nemici  della  Pteris  aquilinay 
la  quale  non  ostante  alla  base  delle  fronde  ha  delle  grosse 
glandolo  che  segregano,  nella  loro  giovinezza  soltanto,  un  liquido 
zuccherino  abbondante,  avidamente  succhiato  da  formiche  ap- 
partenenti specialmente  al  genere  Myrmica,  le  quali  non  servono 
a  protegger  la  pianta  contro  qualche  nemico. 

Non  crede  buono  V  argomento  portato  da  Delpino  per  di- 
mostrare che  queste  glandolo  non  possono  essere  considerate 
come  escretori  (0,  ma  ammette  che  in  qualche  caso  la  secrezione 
serva  a  attirare  degli  insetti  per  difendere  la  pianta,  ed  ag- 
giunge che  non  vi  è  da  dubitare  [minimamente  che  essa  sia 
stata  sviluppata  in  alto  grado  a  questo  fine  speciale,  dopo  le 
osservazioni  di  Delpino  e  specialmente  dopo  quelle  di  Belt  sulla 
Acada  sphaerocephala  e  sopra  i  fiori  di  passione. 

Bonnier  (^)  ha  osservato  nelle  stipole  nettarifere  della  Vida 

(^)  La  scoperta  delle  glandole  ali*  estremità  delle  foglioline  dell'  Acacia  corni- 
gera Willd.,  attribuita  da  F.  Darwin  a  Belt  è  invece  dovuta  a  Savi  e  a  Meneghini 
(v.  Beccari  0.,  Malesia,  li,  p.  58. 

(«)  Mùller  ■—  Nature,  Voi.  X,  p.  103.  —  Lubbock.,  1.  e.  p.  7. 

(3)  Darwin  C.  —  Des  effets  de  la  fécondation  croisé.  Paris,  1877,  p.  41'^ 

(*)  Darwin  C,  1.  e.  p.  143. 

(*)  Bonnier  —  Les  nectaires.  Ann.  Se.  nat  6.«  Sèrie,  tom.  Vili,  p.  65,  Paria  1879. 


OSSBBYAZIONI  SU  CERTI  ORGANI  DELLA  6UNNERA  SCABRA  ECC.  1 1 

i  seguenti  imenotteri,  che  raccoglievano  abbondantemente  il  net- 
tare: Apis  mellifica  abbondantissimamente;  Polistes  gallica j  Sphe* 
codes  gibbuSy  un  po'  meno;  diversi  Andrena,  diversi  Helidus  e 
molto  più  raramente  i  Bombus  agrorum,  B.  pratorum,  B.  hirto- 
runtj  B.  terrestris.  Aggiunge  che  si  possono  anche  osservare  gli 
imenotteri  sopra  le  stipole  di  Vida  Faba  abbondantemente;  sopra 
quelle  della  Vida  sepium  e  della  Vida  lathyroidesj  meno  frequen- 
temente. Ha  pure  osservato,  nei  dintorni  di  Parigi,  le  api  visitare 
i  nettariidei  piccioli  di  Prunus  avium  e  di  Prunus  Mahaleb;  una 
volta  vide  il  Bombus  terrestris  e  spessissimo  numerosi  ditteri 
sopra  ai  nettarii  delle  giovani  foglie  di  Crataegus  Oxyacantha.  A 
Huez  (Oisans)  osservò  le  api  raccogliere  il  nettare  sopra  i  pe- 
duncoli della  Eruca  saliva.  Ha  visto  la  miellata  senza  pucerons^ 
nelle  quali  raccoglievano  il  miele,  in  Francia  e  in  Norvegia,  i 
seguenti  imenotteri:  Bombus  terrestris,  B.  hortorum,  B.pratorum^ 
B.  agrarum,  B.  articus,  B.  alpinus,  B.  nivalis,  B.  consobrinus, 
Apis  mellifica,  Osmia  rufa,  0.  nana^  Andrena  fulvicrus^  A.  dor- 
sala,  Halictus  dlindricus,  H.  tridndus. 

Fa  rimarcare  che  anche  le  api,  oltre  le  formiche,  secondo 
Belt,  visitano  i  nettarii  estraflorali  delF  Acada  sphaerocephala^  e 
non  sa  in  che  esse  possano  servire  da  guardie. 

Egli  seguita  scrivendo:  •  Inutile  è  insistere  più  lunga- 
mente su  questa  parte  supposta  (quella  attribuita  da  Delpino)  ; 
non  si  possono  discutere  simili  ipotesi  fatte  senza  osservazioni, 
senza  esperienze  e  di  cui  V  immaginazione  fa  tutte  le  spese  «. 

Dice  che  la  maggior  parte  dei  nettarii  estraflorali  non  emet- 
tono al  di  fuori  che  un  volume  relativamente  debole  di  nettare 
e  sovente  non  emettono  alcun  liquido.  Il  massimo  di  volume 
emesso  si  verifica  sempre  avanti  che  V  organo  presso  il  quale 
si  trova  r  accumulazione  dello  zucchero  abbia  raggiunto  il  suo 
sviluppo. 

A  misura  che  quest'organo  si  sviluppa  completamente  l'emis- 
sione del  liquido  diminuisce,  poi  cessa.  Questo  l' ha  costatato 
fra  gli  altri  nei  nettarii  delle  foglie  del  Prunus  avium.  Ricini^ 
communis,  Crataegus  Oxyacantha.  Si  è  assicurato  che  p.  es.  nei 
nettarii  situati  su  i  denti  delle  foglie  del  Ricino,  del  Crataegus, 
degli  Anethum  e  dei  Sambucì^s,  perdono  a  poco  a  poco  i  loro 
zuccheri  a  misura  che  appassiscono  o  che  spariscono  confonden- 
dosi col  parenchima  vicino.  Cionclude  dalle  sue  osservazioni  che 


12  J.   DANIKLLI 

per  i  nettari!  estraflorali  quando  gli  zuccheri  spariscono  dal  tessuto 
nettarifero,  essi  vanno  a  contribuire  alla  nutrizione  delF  organo 
vicino  in  via  di  sviluppo. 

Nei  tessuti  nettariferi  estraflorali  (*),  quando  V  emissione  del 
liquido  è  massima,  la  proporzione  del  saccarosio  è  massima  nel 
tessuto.  L'emissione  dipende  dai  fenomeni  della  traspirazione 
e  si  trova  in  relazione  diretta  con  le  circostanze  esteme. 

*^  Lo  sviluppo  essendo  continuo,  Taccumulazione  dello  zucchero 
è  costantemente  impiegata.  I  periodi  di  formazione  e  di  distru- 
zione si  confondono  per  lungo  tempo.  La  riserva  cessa  di  fun- 
zionare quasi  completamente,  ed  anche  qualche  volta  sparisce, 
quando  V  organo  vicino  raggiunge  il  suo  sviluppo  quasi  completo. 
Molte  di  queste  accumulazioni  zuccherine  non  producono  alcun 
liquido  estemo  „. 

I  periodi  di  distrazione  delle  riserve  zuccherine  sono  distinti 
nelle  gemme. 

Da  tutto  il  suo  lavoro,  Bonnier  tira  la  seguente  conclusione 
generale:  "*  I  tessuti  nettariferi,  siano  florali  o  estraflorali,  emet- 
tano o  no  un  liquido  al  di  fuori,  costituiscono  delle  riserve  nu- 
tritizie speciali,  in  relazione  diretta  con  la  vita  della  pianta  „• 

E  per  quelli  che  vogliono  spiegare  teleologicamente  queste 
accumulazioni  zuccherine,  riporta  un  pezzo  delle  legotis  sur  les 
phénomènes  de  la  vie  di  C.  Bernard,  che  termina  così:  *  la  legge 
della  finalità  fisiologica  è  in  ciascun  essere  in  particolare,  e  non 
fuori  di  lui  :  V  organismo  vivente  è  fatto  per  sé  stesso,  egli  ha 
le  sue  leggi  proprie,  intrinseche.  Lavora  per  sé  e  non  per  gli 
altri  „. 

Van  Tieghem  (*),  dividendo  le  idee  di  Bonnier,  scrive  che  la 
parte  fisiologica  é  la  stessa  in  tutti  i  nettari!,  che  cioè  sono 
sempre  una  riserva  zuccherina  destinata  ad  alimentare  V  accre- 
scimento degli  organi  vicini.  Il  nettare  esce  dalle  piante  come 
il  liquido  ordinario;  la  sua  formazione  é  un  semplice  caso  par- 
ticolare del  fenomeno  generale  deir  emissione  dei  liquidi  per 
traspirazione  rallentata,  e  per  la  naturale  proporzione  di  zuc- 
chero di  canna,  accompagnato  da  glucosio  e  da  qualche  sale  che 
contiene,  é  ricercato  avidamente  dagli  insetti  che  ne  sono  ghiot- 


(*)  Bonnier,  1.  e  p.  205. 

Ò  Van  Tieghem,  Ph.  —  Traité  de  botani^ue,  Paris  18S4,  p.  203. 


OSSERVAZIONI  SU  CEHTI  ORGANI  DELLA  GUNNERA  SCABRA  ECC.  1 S 

tissimiy  i  quali  perciò,  potendo  la  pianta  riassorbire  il  nettare 
emesso,  causano  alle  piante  stesse,  portandole  via  una  parte 
della  riserva  zuccherina  per  lo  sviluppo  degli  organi  vicini,  un 
reale  danno,  il  quale  però  delle  volte  è  compensato.  *^  Ma  quanto 
sovente  -egli  osserva-  questa  compensazione  non  ha  luogo?». 

Il  Beccari  (*)  crede,  a  diflFerenza  di  Darwin,  che  nella  Pteris 
aquilina^  meglio  che  in  qualunque  altra,  sia  giustificata  la  sup- 
posizione dì  un  uffizio  di  difesa  per  parte  delle  formiche,  appunto 
perchè  le  glandolo  non  secretono  nettare  altro  che  quando  sono 
giovanissime  (*).  Osserva  che  la  Pteris  aquilina  può  avere  attrat- 
tive per  gli  insetti  in  altre  parti  del  mondo,  se  non  V  ha  nelle 
nostre,  perchè  è  cosmopolita.  Per  provare  che  le  felci  anche  da 
noi  non  sono  immuni  dagli  attacchi  degli  insetti,  cita  il  fatto 
di  un  Cyrtoniium  falcatum  che  ha  avuto  quest'  anno  tutte  le 
fronde,  mano  a  mano  che  si  svolgevano,  spuntate  da  una  larva 
verde  dì  lepidottero,  e  quelle  di  giovanissime  piante  di  Pteris 
aquilina^  che  erano  non  molto  distantì  dal  Cyrtomium^  ridotte 
in  pezzetti.  Non  ha  visto  insetti  sulla  Pteris^  ma  ritiene  che  il 
danno  debba  attribuirsi  a  larve  simili  a  quelle  del  Cyrtomium. 

Lo  stesso  autore  scrive  che  forse  anche  le  Korthalsia  fra  le 
palme  offrono  nettari  estranuziali  sul  piccolo  picciolo  dei  sin- 
goli segmenti  delle  foglie;  che  sono  bellissimi  quelli  perifillici 
del  margine  della  Rosa  Banksiaej  e  che  attraggono  gran  numero 
di  grosse  formiche  nere  fCampanatus  pubescens)^  le  quali  la  ren- 
dono quasi  immune  dalle  larve  della  Hylotoma  rosae.  Delle  larve 
si  trovano  talvolta  sui  germogli  stentati  e  secondari,  nei  quali 
la  secrezione  zuccherina  è  quasi  nulla,  per  cui  non  vengono  vi- 
sitati dalle  formiche.  In  questo  caso  è  evidente,  esso  dice,  che 
la  produzione  dei  nettarli  è  necessaria  per  attirare  le  formiche, 
e  che  queste  quando  sono  presenti  proteggono  i  germogli  dagli 
attacchi  delle  larve. 

Crede  invece  che  realmente  in  alcune  piante,  p.  es.  nel  Pesco, 
non  sia  provato  se  il  vantaggio  che  le  formiche  vi  recano,''sia 
maggiore  del  danno.  Dimanda  se  tali  piante  non  potendo  libe- 
rarsi da  ospiti  importuni,  han  trovato  più  conveniente  e  meno 
svantaggioso  localizzarli  dove  il  danno  è  minore. 

(A)  Beccari  0.  —  Malesia^  toL  U,  p.  41.  Genova  18S4. 

O  Questa  ragione  si  potrebbe  portare  anche  in  appoggio  alle  idee  di  Bonnier. 


*  • 


ìi  3.   DANIRLLI 

Insiste,  dopo  aver  detto  che  le  foglie  del  Clerodendron  fistu- 
losum  Becc.  han  delle  glandolo  presso  la  costola  della  pagina 
inferiore,  che  nelle  piante  ospitatrici  si  trovano  spesso  glandolo 
che  secretono  umori  graditi,  a  quanto  sembra,  alle  formiche. 

Perchè  Bonnier  dice  che  non  sa  spiegarsi  la  visita  delle  api 
air  Acacia  cornigera^  Beccari  scrive  m  nota  :  *"  Si  direbbe  che 
Bonnier  non  è  mai  stato  punto  da  un^  ape,  altrimenti  gli  sa- 
rebbe subito  venuto  in  mente  che  una  pianta  molto  frequentata 
dalle  api  difficilmente  può  essere  attaccata  da  animali  erbivori. 
A  ragione  quindi  H.  Mailer  (Journ.  Micr.  Soc.  1881  p.  626)  ac- 
cusa Bonnier  di  aver  cercato  colle  armi  di  un  ragazzo  di  rove- 
sciare una  delle  teorie  più  larghe  e  meglio  stabilite  „  (')•  Que- 
sto apprezzamento  mi  sembra  che  faccia  il  paio  con  quello  di 
Bonnier  su  le  osservazioni  di  Delpino. 


Delpino  dice  dunque  di  aver  visto  nettari!  estraflorali  in  un'ot- 
tantina di  specie,  dà  però  il  nome  specifico  di  solo  una  ventina, 
delle  quali  ha  visto  alcune  soltanto  secche,  e  quindi  confessa  di 
non  poter  stabilire  certamente  se  abbiano  nettarli,  ed  ha  osser- 
vato formiche  soltanto  sui  nettarli  di  circa  nove  specie,  e  Polistes 
in  più  specie  di  Cassia  (*)  e  nel  Ricinus.  Nessun'  altra  osserva- 
zione diretta,  cioè  su  piante  con  nettarli,  ha  egli  fatto.  Il  restante 
sono  ragionamenti  più  o  meno  filosofici  che  saranno  più  o  meno 
giusti;  ma  certo  11  voler  cercare  lo  scopo  di  un  organo  e  volerlo 
trovare  con  un  processo  d' esclusione,  qualunque  sieno  le  nostre 
cognizioni,  mi  sembra  poco  scientifico,  poco  positivo.  È  proprio 
vero  che  non  rimanga  che  credere  altro  che  1  nettarli  estraflorali 
abbiano  una  funzione  adescativa,  e  che  non  resti  possibile  di 
credere  altro  che  questa  venga  esercitata  per  le  formiche  e  le 
vespe,  essendo  questi  animali  1  principali  nemici  dei  principali 
nemici  di  certe  piante? 

Non  sarebbe  razionale  dopo  quello  che  abbiamo  visto,  il 
supporre,  senza  generalizzare  tanto,  che  come  la  natura  ap- 
profitta di  mezzi  diversi  per  raggiungere  lo  stesso  fine,  il  me- 

(')  Il  Beccari  crede  che  i  nettarii  estraflorali  potrebbero  aver  avuto  origine  da 
lesioni  momentanee  prodotte  dagli  insetti  e  divenute  poi  ereditarie  per  la  costanza 
delle  cause  produttrici,  gli  stimoli  continuati  e  per  Tutilità  della  produzione  (1.  e.  p.  60). 

(<)  Sulla  Cassia  vide  anche  delle  formiche  ma  gli  sembrano  poco  adattate. 


OSSÈBY AZIONI  SU  CLBn  ÒRGANI  bELLA  GUNNBKA  SCABRA  ECC.  là 

desimo  organo  nelle  diverse  piante  adempia  funzioni  diflEerenti 
o  magari  le  accumuli  in  una  medesima  specie?  Nei  pochi  vegetali 
in  cui  è  stata  osservata  la  presenza  di  nettarii  con  i  detti  in- 
setti, è  provato  la  necessità  o  la  grande  utilità  di  questi?  Non 
vediamo  piante  con  nettarii,  senza  formiche  o  vespe,  e  non  ostante 
non  invase  dai  bruchi,  e  piante  simili  a  queste,  senza  nettarii? 

Intanto,  come  abbiamo  gik  detto,  Darwin  dietro  osservazioni 
proprie  nega  V  utilità  delle  formiche,  ammettendo  la  funzione 
adescativa,  per  difesa,  nella  Acacia  sphaerocephala  e  sopra  i  fiori 
di  passione  dietro  quello  però  che  di  esse  han  detto  Delpino  e 
Belt.  E  Bonnier  fa  osservare  che  sui  nettarii  vi  si  trovano  spesso 
imenotteri,  come  pure  le  api  e  numerosi  ditteri,  e  che  neW Acacia 
sphaerocephala^  oltre  le  formiche,  vi  si  trovan  le  api.  Che  bene 
alla  pianta  farebbero  questi  insetti? 

S'è  visto  che  Beccari  fa  notare  che  le  api  tengono  lontani 
gli  animali  erbivori;  ma  quante  piante  a  cui  accorrono  le  api 
sono  danneggiate  dagli  erbivori!  E  la  Pteris  aquilina ,  per  la 
quale  si  compiace  di  riportare  da  Bonnier  Q)  che  fu  vista  esser 
visitata  da  un  Halictus^  non  è  mangiata  dagli  erbivori? 

L'osservazione  di  Belt  prova  ancora  che  vi  sono  delle  formiche 
dannose  alle  piante.  Beccari  stesso  crede  che  alcune  volte  non 
sia  provato  che  V  utile  non  sia  maggiore  del  danno.  E  Macchiati  (^) 
afferma  il  danno  delle  formiche  a  certe  piante,  avendo  visto  che 
le  formiche  tengono  lontane  le  mosche  che  contribuiscono  alla 
fecondazione  incrociata  dello  Aster  chinensis. 

Potrebbero  certi  nettarii  su  cui  non  vi  sono  insetti  essere 
stati  utili,  per  attirare  i  difensori,  in  altri  tempi  o  in  altri 
luoghi,  ma  quali  sono  le  osservazioni  che  ce  lo  dimostrano? 

Anche  V  ipotesi  che  alcune  volte  le  piante  pongono  V  esca 
in  un  luogo  perchè  gV  insetti  non  si  cibino  in  un  altro ,  non  è 
perfettamente  gratuita?  È  vero  che  la  natura  si  serve  delle  volte 
di  mezzi  diversi  per  raggiungere  uno  scopo  identico,  ma  questa, 
ripeto,  è  un'  ipotesi  gratuita,  mentre  Macchiati  (^)  ha  osservato 
che  r  Aster  chinensis  per  tenere  lontani  insetti  dannosi,  e  questi 
sarebbero  appunto  formiche,  emettono  sostanza  gommosa  di  odore 

(*)  Beccari  0.,  1.  e.  p.  41. 

(*)  Macchiati  L.  —  Catalogo  dei  pronubi  delle  piante.   Nuovo  giorn.  bot  ita- 
liano, p.  355,  Firenze  1884. 
C)  Macchiati  L.,  1.  e. 


16  i.  DANIELLt 

disgustoso.  È  bella  la  teorìa,  è  brillante,  ma  avanti  di  crederci 
aspettiamo  che  sia  sostenuta  da  un  numero  ben  maggiore  di  os- 
servazioni. LMpotesi  che  sostiene  Bonnier  e  VanTieghem  sembra 
maggiormente  basata  sopra  T  osservazione.  Bonnier  cita  male  a 
proposito  le  Legons  di  Bernard,  poiché  anche  secondo  le  idee  di 
Delpino,  la  pianta,  benché  utile  agli  altri,  in  ultima  analisi  lavo- 
rerebbe per  sé. 

Van  Tieghem ,  come  abbiam  veduto ,  crede  che  gli  insetti 
prendendo  il  nettare  causino  un  male  alla  pianta,  che  però 
qualche  volta  può  esser  compensato. 

lo  non  ho  controllato  le  osservazioni  pubblicate  nei  lavori 
che  ho  largamente  riassunti,  né  ho  osservazioni  mie  particolari 
da  contrapporre  a  quelle  degli  autori  suddetti;  perciò  anzi  ho 
tracciato  queste  note  sugli  scritti  di  Delpino,  Darwin,  Bonnier, 
Van  Tieghem,  Beccari,  ecc.  Così  il  lettore  potrà  farsi  un  concetto 
giusto  delle  cognizioni  che  si  hanno  intorno  a  questo  argomento, 
e  applicare  quelle  che  più  gli  piacciono  air  interpetrazìone  della 
funzione,  o,  come  altri  direbbe,  dello  scopo  degli  organi  che  ora 
studiamo  della  Gunnera  scabra. 

Mi  permetterò  soltanto  di  far  rilevare  come  gV  individui  da 
me  studiati  vivevano  in  una  serra  a  Firenze,  mentre  la  pianta 
é  americana,  per  la  qual  cosa  il  non  trovarsi  insetti  sui  nettari!, 
nel  caso  mio,  non  proverebbe  niente  contro  [Delpino,  poiché  po- 
trebbe darsi  benissimo  che  vivessero  in  America  animali  ghiotti 
dei  tessuti  della  Gunnera  scabraj  e  insetti  difensori  adescati  dalla 
medesima,  e  non  importati,  né  parassiti  né  difensori,  in  Italia, 
a  Firenze,  e  perciò  da  me  non  visti.  Non  ho  potuto  studiare, 
analizzare,  nei  differenti  tempi,  il  contenuto  dei  nettarli,  degli 
organi  a  loro  vicini  e  del  fusto  per  vedere  se  le  trasformazioni 
del  loro  contenuto  giustificavano  o  no  la  interpetrazione  di 
Bonnier.  Mi  preme  però  di  rammentare  come  il  fusto,  che  é 
rigonfiato,  su  cui  s' inseriscono  i  nettarli,  le  radici,  le  foglie,  ecc., 
sia  ricchissimo  di  materiali  di  riserva. 

Io  son  fra  coloro  i  quali  credono  che  la  scienza  vera  debba  essere 
fondata  su  osservazioni  numerose,  serie,  fatte  con  serenità,  pe- 
sate e  vagliate  da  una  critica  spassionata  servente  solo  la  causa 
del  vero,  che  sia  tarda  a  concludere  e  a  sintetizzare;  e  che  i 
naturalisti,  lasciando  le  intuizioni,  le  divinazioni  ad  altri,  -  o  non 
le  confondano  colla  scienza  -  diano  le  cose  certe  come  certe,  le 


088KBV AZIONI  SU  CERTI  ORGANI  DILLA  GUNNERA  SCABRA  ECC.  1 7 

dubbie  corno  dubbio,  O;  quando  n'è  il  caso,  confessino  la  loro 
ignoranza:  altrimenti  per  quanto  si  facciano  chiamare  positivisti, 
saranno  sempre  dei  metafisici.  Perciò  convinto  della  bontà  di 
queste  idee,  dopo  avere  studiato  gli  autori  che  si  sono  occupati 
dei  nettarli  estraflorali  ed  esaminato,  come  ho  potuto,  i  medesimi 
nettarli  nella  Gunnera  scabra,  a  chi  mi  domandasse  a  che  questi 
servano  nella  Gunnera,  risponderei  candidamente:  non  ne  so 
niente:  nihil  quicquam. 


Sic  A'.il.  Voi    VII,  fuse.  1.0 


SULLE   SCORIE 

PROVENIENTI  DA  ANTICHE  FUSIONI  METALLICHE 

CHE  SI  TROVAIO  IELLA  TEIOTA  DI  CA8TAGIBT0 


RICERCHE 

DI    S'i^ITSTO    SE»Tim 


Nella  tenata  di  Castagneto,  appartenente  alla  Nobil  Casa 
della  Gherardesca,  dalla  parte  che  confina  col  Campigliese,  qnasi 
alla  base  del  Monte  Calvi,  in  Inogo  detto  comunemente  gli 
Schiumajj  sMncontrano  diversi  depositi  di  scorie  di  antica  ori- 
gine, disposti  poco  men  che  simmetricamente,  al  di  qua  e  al  di 
Ut  del  botro  del  Sambuco,  i  quali  si  crede  risalgano  ai  tempi 
degli  Etruschi.  Secondo  il  sig.  Simonin  (  Exploit,  min.  et  metall. 
en  Toscane  pendant  V  antiquité  et  le  moyen-dge.  —  Annal.  des 
Mlnes  Ser.  6,  T.  XIV.  p.  557  ),  queste  scorie  avrebbero  presso  a 
poco  la  stessa  composizione  di  quelle  di  Fucinaja  (Campiglia), 
soltanto  sarebbero  più  povere  di  rame  e  non  conteiTebbero  che 
traccio  di  zinco. 

Io  ebbi  occasione  di  visitare  gli  Schiumaj  nella  primavera  del- 
l'anno  passato,  e  di  raccogliere  i  campioni  di  quelle  scorie,  delle 
quali  ho  creduto  bene  istituire  accurata  analisi  chimica.  Ognuno 
di  quei  depositi  è  esteso  per  molti  metri  quadrati  e  segue  la 
pendenza  del  terreno  su  cui  poggia:  la  scoria  è  bruna  o  quasi 
nera;  in  molti  depositi,  specialmente  in  quelli  più  alti,  è  affatto 
inalterata  anche  alla  superficie,  in  altri  cumuli  quella  delle  parti 
superficiali  è  ricoperta  da  materia  terrosa  nera,  commista  a 
terriccio  trasportatovi  dalle  acque  che  scendono  dai  boschi  so- 
prastanti. Non  è  raro  incontrare  pezzi  di  scoria  a  superficie  ver- 
micolare, lucente  ed  anche  iridescente,  come  se  fosse  uscita  ieri 


à 


SULLE   SGORIB   DI   ANTICHE    FUSIONI   CHE   SI    TROVANO    EC.  19 

dal  forno  fusorio,  —  tanta  è  la  resistenza  che  offre  agli  agenti 
esterni,  ai  quali  è  esposta  da  secoli.  La  scoria  è  costituita  da 
una  massa  ben  fusa  per  lo  più,  molto  omogenea  in  generale; 
in  qualche  punto  apparisce  semigranulare  ed  offre  bolle  prodotte 
dai  gaz  rimasti  inclusi,  che  la  rendono  in  molti  luoghi  più  o 
meno  spugnosa.  In  due  cumuli  che  occupano  la  parte  di  mezzo 
dello  spazio  rettangolare  che  delimita  gli  Schiumaj,  la  scoria 
presenta  piccole  vene  di  color  verde,  alcuni  cristallini  verdastri 
o  celesti  nelle  cavità,  e  qualche  rifioritura  o  efflorescenza  dello 
stesso  colore,  dovuti  a  composti  ramici  formatisi  per  Fazione 
deir acqua.  La  frequenza  di  questi  composti  idrati  di  rame  nelle 
scorie  di  alcuni  dei  cumuli  potrebbe  far  credere,  piuttosto  che 
avanzi  di  antiche  fusioni  fatte  per  estrar  ferro,  fossero  il  capo- 
morto  della  estrazione  di  altri  metalli,  com'è  ormai  accertato 
per  le  scorie  del  Campigliese,  che  più  spesso  derivano  da  mine- 
rali di  rame,  di  piombo  e  di  stagno  che  da  quelli  di  ferro. 

Con  una  grossa  zappa  fu  facile  riconoscere  che  quegli  avanzi 
deir  antica  industria  metellurgica  sono  veramente  enormi,  e  se 
il  luogo  ed  il  tempo  lo  avessero  conceduto  sarebbe  stato  utile 
prendere  qualche  misura  per  stabilire  quanto  ci  sia  di  vero  nel- 
r  opinione  di  coloro  che  credono  raggiungano  tutte  quelle  scorie 
il  peso  approssimativo  di  oltre  quindici  mila  tonnellate.  Giova 
intanto  avvertire  che  la  loro  escavazione  è  facilissima^  essendo 
i  frantumi  affatto  incoerenti,  piuttosto  di  piccol  volume,  e 
quelli  di  grossa  mole  cadendo  in  pezzi  ai  primi  colpi  delle 
mazze  ferrate.  Se  si  aggiunge  che  sono  a  cielo  scoperto  e  sul  de- 
clive di  valle  non  troppo  ripida,  si  comprende  di  leggeri  quanta 
facilità  si  offra  a  chi  voglia  trarre  profitto  di  quelle  materie 
minerali  per  tanti  secoli  restate  in  assoluto  abbandono. 

Il  Sig.  Simonin  noa  avendo  ritrovato  gli  affioramenti  certi 
del  giacimento  che  gli  antichi  esplorarono  agli  òchiumaj  della 
Gherardesca,  non  sa  decidere  se  esse  scorie  provengano  da  fu- 
sione di  minerale  di  rame  o  di  piombo.  A  150  metri  più  in 
basso  degli  ultimi  cumuli  fui  condotto  a  vedere  dalle  persone 
del  luogo  due  escavazioni  praticate  verticalmente  nella  roccia 
calcarea  alla  destra  del  botro.  Queste  buche  sono  irregolari,  co- 
minciano con  pozzi  entro  i  quali  l'occhio  non  scorge  nulla  di 
notevole;  sono  escavate  con  arte  affatto  primitiva,  sicché  im- 
possibile senza   tutto  l'occorrente   sarebbe  stato  lo  scendervi. 


io  F.    SESTINi 

Al  di  fuori  sul  declive  del  monte  si  trovano  pezzi  di  caicareo 
ceroide  e  frantumi  di  calcareo  a  quanto  pare  fossilifero,  stac- 
cato probabilmente  dalla  roccia  nella  quale  furono  aperte  quelle 
buche.  Soltanto  a  quando  a  quando  mi  accadde  di  rinvenire 
qualche  piccolo  frantume  di  minerale  limonitico,  che  raccolsi 
insieme  con  due  campioni  di  roccia  traversata  da  vene  colorite 
dì  verde  dalla  buratitey  o  idrocarbonato  di  zinco  e  di  rame. 
Questo  per  me  era  un  segno  quasi  certo  che  in  quei  luoghi,  o 
in  altri  prossimi  dovevano  e  forse  debbono  trovarsi  ancora  mi- 
nerali di  ferro  accompagnati  da  composti  di  zinco  e  di  rame, 
come  avviene  dalla  parte  opposta  del  Monte  Calvi  ed  in  molte 
parti  del  Campigliese;  ma  qui  presso  gli  Schiumaj  della  6he- 
rardesca  al  certo  con  minore  frequenza  e  minore  abbondanza. 

Indi  passai  a  visitare  le  buche  del  ferro,  poste  a  nord  di  Monte 
Calvi  sul  Poggio  Cornato;  al  di  là,  cioè,  del  botro  dell'Acqua 
viva-  Ivi  i  paesani  ritengono  esista  un  filone  (?)  metallico,  ma  i 
pochi  segni  di  minerali  di  ferro  da  me  veduti  alla  superficie  del 
suolo,  per  la  massima  parte  epigenici,  e  la  qualità  della  roccia 
calcarea  predominante  in  quelle  buche,  che  sono  scavate  oriz- 
zontalmente e  poco  profonde  mi  fanno  ritenere  òhe  possa  appli- 
carsi a  questa  località  l'opinione  emessa  e  validamente  sostenuta 
dal  chiarissimo  Prof.  Ant.  D'Achiardi  (  Vedasi  l'opera  —  I  me- 
talli, loro  minerali  e  miniere  —  Milano  1883)  sull'origine  della 
miniera  di  ferro -manganifero  del  Monte  Argentario;  che,  cioè, 
questi  giacimenti  di  ferro  sieno  l'effetto  di  acque  marziali,  le 
quali  avendo  penetrato  o  attraversato  quelle  roccie  calcaree  ab- 
biano impregnato  le  roccie  stesse,  ove  più,  ove  meno,  di  ossido 
di  ferro  e  di  altri  metalli,  ed  abbiano  dato  per  tal  modo  ori- 
gine a  quegli  ammassi  irregolari  di  minerale,  che  si  trovano 
saltuariamente  nelle  roccie  calcaree  delloMudicate  località. 

Probabilmente  gli  antichi  scavatori  dopo  avere  raccolto  quanto 
più  poterono  a  cielo  scoperto,  aprirono  le  buche  che  ancora  in 
quei  luoghi  sì  vedono,  o  ingrandirono  grotte  naturali  ivi  esi- 
stenti, cercando  minerali  da  trattare.  Debbono  certamente  aver 
tratto  profitto  di  tutto  quanto  si  conteneva  negli  affioramenti; 
di  fatto  attualmente  segni  di  notabili  depositi  metallici  super- 
ficiali non  appariscono  presso  gli  Schiumaj  di  Castagneto,  e  so- 
lamente con  accurati  e  non  poco  dispendiosi  lavori  potrebbesi 
mettere  in  luce  la  esistenza  degli  ammassi  di  minerale  conte- 
nuti nell'interno  della  roccia  calcarea. 


SULLB  SCORIE   DI  ANTICHE   FUSIONI  CHE   SI  TROVANO   ECC.  21 

Le  scorie  raccolte  dai  diversi  depositi  dapprima  apparivano 
nn  poco  diflferenti  tra  loro  :  alcune  erano  ben  conservate,  altre 
per  Fazione  degli  agenti  atmosferici  sembravano  un  poco  alte- 
rate. Ma  ben  presto  dovei  riconoscere  che  anche  queste  seconde 
erano  lievemente  scomposte  alla  superficie,  e  toltane  con  T  acqua 
la  polvere  nera  che  le  ricopriva,  e  che  conteneva  molta  materia 
umica,  rimaneva  scoperta  la  sostanza  scorificata  quasi  intatta. 
Sottoposta  air  analisi  qualiquantitativa,  nella  quale  fui  valida- 
mente coadiuvato  dal  Sig.  Dott.  Livio  Sostegni,  Ajuto  alla  Cat- 
tedra di  Chimica  Agraria  nella  R.  Università  di  Pisa,  la  scoria 
si  riconobbe  formata  principalmente  di  silicato  ferroso -calcico 
con  allumina,  magnesia,  manganese  ed  ossidi  di  zinco,  di  piombo, 
e  di  rame.  Di  cobalto  e  di  nichelio  non  fu  possibile  trovare 
traccio  operando  sopra  le  quantità,  non  grandi  che  pel  solito  si 
prendono  in  simili  casi.  Forse  sottoponendo  ad  esperimento  mag- 
giori quantità  di  scoria  si  sarebbe  potuto  aver  reazioni  sufficienti 
per  accertarsi  della  presenza  di  questi  metalli,  ma  tali  reazioni 
del  resto  non  hanno  un  valore  pratico  se  non  indicano  notevoli 
quantità  dell* uno  o  dell'altro  dei  due  metalli  in  discorso. 

La  ricerca  dell'  argento  ha  sempre  molta  importanza,  e  pel 
caso  nostro  avea  speciale  interesse,  giacché  agli  Schiumaj  trovasi 
accumulata  una  grandissima  quantità  di  scoria,  e  quindi  anche 
se  fosse  stata  piccola  la  quantità  dell'  argento,  la  convenienza 
di  trattare  la  scoria  per  cavarne  il  metallo  prezioso  potrebbe  pur 
esserci  stata  sempre.  La  ricerca  fu  eseguita  con  cura  e  su  quan- 
tità di  materia  non  piccola,  giacché  si  operò  su  100  gr.  alla 
volta,  ma  non  si  potè  rinvenire  apprezzabile  quantità  di  argento. 
La  composizione  centesimale  della  scoria  è  rappresentata  dalle 
seguenti  cifre: 

Su  100,0  parti 

Acqua  svaporata  a  105*  C.^ »  2,3 

A.  Silicica  (Si 0,) >  29,8 

Ossido  ferroso  (FeO) >  39, 3 

—  di  allaminio  (AljOs) »  3, 1 

—  di  manganese  (Mn^O,)     ....  »  0»  6 

—  di  zinco  (ZnO) >  6,3 

—  di  piombo  (PbO) >  1,8 

—  di  rame  (CuO) >  0,6 

—  di  calcio  (CaO) >  8,7 

—  di  magnesio  (MgO) »  0,8 

Acqua  combinata  -  Materia  umica  -  Perdite  »  6, 7 

100,0 


22  F.    SESTINI 

Qual  conix)  possa  farsi  di  queste  scorie  come  materia  da 
trattarsi  per  estrarre  un  qualche  metallo  dei  molti  che  contiene 
non  è  difficile  prevedere,  ma  non  spetta  a  me  dichiarare  in  questo 
luogo.  Piuttosto  mi  piace  esporre  come,  a  mio  credere,  le  scorie 
di  Castagneto  potrebbero  trovare  un  utile  impiego  adoperandole 
come  ingrediente  per  la  fabbricazione  del  vetro  da  bottiglie; 
essendo  esse  sostanzialmente  costituite  da  una  pasta  vetrificata 
o  almeno  semivetrificata  dì  silicato  ferroso  calcico,  h  da  rite- 
nersi con  sicurezza  che  con  V  aggiunta  di  ossidi  alcalini  e  terrosi 
in  dose  opportuna  si  potrebbe  avere  una  materia  vetrosa  iden- 
tica a  quella  che  si  richiede  per  le  bottiglie  nere. 

Il  vetro  da  bottiglie  comprende  in  sé,  come  è  noto  in  media: 

Silice 58  a  60  7o 

Calce 18  a  20   » 

Ossido  di  Ferro.    ...  7  a    9   » 

Allumina 3  a    4   » 

Alcali 5  a    7    » 

Basterebl)0  mescolare  a  120  parti  di  scoria  di  Castagneto 
30  p.  di'argilla,  250  p.  di  sabbia  silicea,  80.  di  calce,  6  p.  di 
solfato  sodico  e  24  p.  di  cenere  di  legno  per  avere  una  compo- 
sizione adatta  alla  formazione  delle  bottiglie  da  vino. 

In  prova  di  questa  mia  opinione  riporterò  una  delle  formule 
secondo  le  quali  si  fabbricano  bottiglie  da  vino  in  Champagne: 

Sabbia 100  parti 

Feldispato 200      » 

Calce 20      »      ^    per  460  parti  di  pasta  vetrosa 

Sale  marino 15      » 

Scorie  di  forni  fusorie     .     .  125      » 

Noi  importiamo  ogni  anno  una  grande  quantità  di  bottiglie 
e  di  damigiane  fabbricate  nelle  fabbriche  estere.  Lasciando  a  parte 
quelle  che  si  acquistano  con  i  vini  imbottigliati  la  statistica 
del  1882  ci  addita  che  in  quell'anno  si  importarono  dall'estero 
75,414  centinaia  di  bottiglie  comuni  e  quintali  3350  di  dami- 
giano.  Press)  S.  Vincenzo  potrebbe,  quindi,  sorgere  una  fabbrica 
di  bottiglie  da  vino  impiegando  le  scorie  di  Castagneto  e  traendo 
profitto  della  facilità,  che  vi  si  offrirebbe  per  la  compera  di  com- 
bustibile e  per  spedire  per  via  di  terra  e  di  mare  le  bottiglie 
fabbricate. 


SULI>B   SOOKIK   DI   ANTICHE   FUSIONI  EOO.  28 

La  nostra  industria  enologica  h  in  notabile  aumento,  come 
lo  assicura  T incremento  della  nostra  esportazione;  ed  alcuno  ha 
trovato  modi  di  spedire  con  qualche  vantaggio  anche  i  vini  da 
pasto  in  damigiane  di  forma  speciale  e  con  ingegnoso  rivesti- 
mento. La  fabbricazione  economica  dei  recipienti  di  vetro  può 
assicurare  l'avvenire  della  nuova  maniera  di  spedir  fuori  d'Italia 
i  nostri  migliori  vini  che  ormai  sono  noti  per  le  loro  buone 
qualità  y  ma  non  possono  sostenere  la  concorrenza  dei  prodotti 
consimili  degli  altri  paesi  vinicoli  che  da  tanto  tempo  vanno  su 
i  mercati  stranieri,  se  non  allettano  i  trafficanti  ed  i  consuma- 
tori con  il  buon  prezzo  congiunto  alle  intrinseche  qualità  in  essi 
conservate  mercè  ottimi,  sicuri  ed  economici  recipienti. 


D.     PAMTANELLl 


UNA  APPLICàZIONE 


DELLE 


RICERCHE  DI  MICROPETROGRAFIA 

ALL'ARTE  EDILIZIA 


Un  esame  delle  roccie  ridotte  in  lamelle  trasparenti  può  in 
moltissimi  casi  fornire  utilissimi  indizi  sulla  loro  maggiore  o 
minore  resistenza  come  materiali  da  costruzione^  per  quanto  io 
creda  che  il  miglior  criterio  sulla  scelta  di  detti  materiali  sarà 
sempre  dato  dall'  esperienza  del  tempo  e  dall'  osservazione  delle 
vecchie  costruzioni,  congiunte  se  vuoisi  al  valore  della  loro  re- 
sistenza allo  schiacciamento;  però  il  grande  sviluppo  stradale 
moderno  non  permette  che  raramente  di  usufruire  materiali  di 
cave  conosciute  da  antica  data,  dovendosi  sovente  per  ragioni 
economiche  prendere  i  materiali  dove  sono  più  comodi  alle  di- 
verse opere  d' arte;  in  questi  casi  frequentissimi,  il  criterio 
che  precede  alla  scelta  è  prettamente  empirico  e  spesso  si  ri- 
fiutano buoni  materiali  per  altri  di  migliore  apparenza  e  dei 
quali  solo  il  tempo  dimostra  la  cattiva  qualità;  il  suono,  il 
modo  di  frattura,  la  stessa  resistenza  allo  schiacciamento  sono 
insufficienti,  potendo  la  roccia  includere  nel  suo  impasto  mate- 
riali facilmente  alterabili  dagli  agenti  amosferici,  o  guadagnare 
in  quest'azione.  La  distinzione  che  fanno  tutti  i  coloni  del 
Chianti  d' Alberese  e  Galestro,  dando  il  primo  nome  ad  un  cal- 
care resistente  e  durevole  ed  il  secondo  ad  un  calcare  simile 
appena  uscito  di  cava  ma  che  in  breve  tempo  si  sfalda  minu- 
tamente, è  un  esempio  esagerato  sì,  ma  calzante  delle  illusioni 
alle  quali  il  solo  esame  esterno  può  condurre. 


RICERCHE   DI  MICROPETROGRAFIA   ÀLL^  ARTE   BDIUZU  25 

Nei  sette  anni  circa  che  mi  occupo  più  o  meno  di  petrografia 
ho  potuto  casualmente  esaminare  una  discreta  serie  di  roccìe 
usate  nelle  costruzioni  e  limitando  per  ora  il  mio  esame  ai  cal- 
cari e  alle  arenarie,  sarei  giunto  a  raccogliere  le  seguenti  os- 
servazioni. 

Calcari.  —  I  calcari  possono  essere  cristallini  o  amorfi  e 
possono  contenere  quantità,  variabili  d'impurità,;  i  calcari  cri- 
stallini se  sono  puri  o  anche  inquinati  per  poco  di  materiali 
estranei  sono  altresì  resistenti  e  in  generale  buoni  materiali  da 
costruzione  quando  corrispondono  alle  qualità  più  elementari 
richieste  al  fine  al  quale  sono  destinati  :  i  calcari  amorfi  possono 
fornire  buoni  materiali  da  costruzione  a  patto  che  non  conten- 
gano anche  in  miscuglio  intimo  forti  proporzioni  di  materiali 
argillosi,  intendendo  con  questa  parola  un  po'  vaga,  quella  mi- 
scela indefinita  dì  silicati  d' allumina,  di  ferro,  d' allumina  più 
o  meno  pura,  di  silice  amorfa,  d'  ossido  di  ferro  idrato  che  me- 
scolati a  quantità,  variabile  di  carbonato  di  calce  costituiscono 
le  argille  comuni. 

Arenarie.  —  In  queste  roccie  va  distinta  la  natura  del 
cemento  e  quella  dei  loro  elementi  ;  il  cemento  può  essere  silìceo, 
calcare  e  argilloso;  se  il  cemento  è  siliceo  avremo  delle  j[][uarziti 
e  i  caratteri  esterni  i  più  grossolani  permetteranno  di  ricono- 
noscerle  né  credo  che  valga  la  pena  di  occuparsene;  se  il  ce- 
mento è  calcare  occorrere  distinguere  se  è  cristallino  o  amorfo, 
nel  primo  caso  fornirà  buone  pietre  da  costruzione  nel  secondo 
mediocri;  se  poi  è  prevalentemente  argilloso  in  molti  casi  la 
stessa  incoerenza  loro  servirà,  ad  escluderle  senz'altro;  l'esame 
microscopico  del  cemento  si  residua  quindi  a  riconoscere  se 
questo  essendo  calcare  è  cristallino  o  amorfo  e  nel  secondo  caso 
se  vi  è  frammista  dell'argilla:  riconosciuta  la  natura  del  cemento, 
dovrà  porsi  mente  alla  natura  dei  loro  elementi;  questi  possono 
essere  in  generale  frammenti  di  roccie  diverse,  quarzi,  calcari, 
e  silicati  vari;  rammentando  la  origine  di  esse  è  ovvio  osservare, 
che  i  frammenti  delle  roccie  da  cui  derivano  se  erano  facilmente 
alterabili,  si  saranno  distrutti  prima  del  loro  deposito;  per  contro 
i  frammenti  quarzosi  e  quelli  di  calcare  se  appartenevano  a 
calcari  cristallini  o  a  calcari  compatti  saranno  inalterati;  lo  stesso 
non  può  dirsi  di  molti  tra  i  silicati,  questi  possono  trovarsi  in 
uno  stato  d'incipiente  decomposizione  che  è  poi  facilmente  ri- 


i 


26  D.   PANTANRLU 

conoscibile  tra  i  più  comuni  di  essi  cioè  tra  i  feldispati;  un 
altro  silicato  che  è  comune  alle  arenarie  h  la  mica,  facilmente 
riconoscibile  al  microscopio  è  di  poca  importanza  nel  problema 
che  io  considero,  perchè  se  in  piccola  quantità,  non  altera  sen- 
sibilmente la  resistenza  della  roccia,  se  in  quantità  rilevante 
rende  la  roccia  schistosa;  un'altro  elemento  e  del  quale  non 
so  ancora  valutare  l'importanza  è  la  clorito;  probabilmente  per 
la  sua  natura  e  per  analogia  con  i  feldispati  con  i  quali  ha  in 
comune  gli  ultimi  prodotti  della  decomposizione  non  è  favore- 
vole alla  resistenza  delle  roccie,  ma  non  ho  osservazioni  in  pro- 
posito per  venire  ad  una  conclusione. 

Come  si  vede  mi  resterebbe  a  parlare  di  molti  altri  materiali 
usati  nelle  costruzioni,  cioè  di  tutti  quelli  che  hanno  anche  media- 
tamente un  origine  endogene;  per  molti  di  essi  le  osservazioni 
petrografiche  credo  superflue  (graniti,  serpentini,  porfidi,  tra- 
chiti  etc.  ),  altri  (tufi  vulcanici,  breccie  serpentinose,  etc.)  potreb- 
bero invece  rientrare  nelle  arenarie,  ma  preferisco  riservarli  ad 
ulteriori  ricerche  mancandomi  osservazioni  in  proposito. 

Ritornando  alle  arenarie  rammenterò  la  maggiore  resistenza 
del  macigno  di  Grillo  (Siena)  in  confronto  di  quello  della  Gon- 
folina  (Firenze)  e  non  esito  ad  attribuirla  al  cemento  calcareo 
più  decisamente  cristallino  del  primo  e  alla  scarsezza  di  fram- 
menti feldispatici,  che  già  in  parte  alterati,  riattivano  la  loro 
decomposizione  sotto  V  azione  degli  agenti  amosferici;  Y  arenaria 
di  Fiumalbo  deve  la  sua  ottima  qualità,  come  pietra  da  taglio 
al  suo  cemento  di  calcite  e  probabilmente  all'  assenza  del  feld- 
spato, e  r  arenaria  di  Torretta  nella  quale  questi  caratteri  non 
si  verificano  è  alla  prima  inferiore;  nello  stesso  modo  certi  cal- 
cari grossolani  dell' Apennino  settentrionale,  che  poi  in  fondo 
sono  vere  e  proprie  arenarie,  essendo  il  colore  biancastro  quello 
che  ha  servito  alla  loro  denominazione  e  non  i  componenti, 
forniscono  buoni  materiali  da  costruzione,  quando  il  loro  cemento 
è  di  calcite  che  nel  caso  speciale  è  fornito  dai  gusci  delle  fora- 
minifere,  sono  invece  pessimi  se  è  amorfo  o  argilloso,  né  è  facile 
riconoscerli  all'ispezione  esterna;  per  le  stesse  ragioni  le  arenarie 
nummulitiche  danno  sempre  buoni  materiali  per  l'arte  edilizia. 

TI  cosidetto  rosso  di  Maremma  o  di  Montieri  ha  una  resi- 
stenza variabilissima  ed  oggi  che  specialmente  viene  scavato  in 
quantità,  per  riparare  antiche  basiliche  della  Toscana  non  so 


KIGKRGHE   DI    MICR0PETK06BAFIA   ALL*  ARTE   EDILIZIA  27 

come  reggerà  air  azione  del  tempo;  infatti  la  proporzione  dei 
materiali  argillosi  in  questa  roccia  è  egualmente  variabile  senza 
che  possa  riconoscersi  ai  caratteri  empirici. 

Sul  modo  di  riconoscere  i  materiali  precedenti  non  starò  a 
fermarmi,  il  quarzo,  il  calcedonio,  la  calcite,  V  aragonite,  il  feldi- 
spato,  la  mica  si  riconoscono  facilmente;  Io  stesso  non  può  dirsi 
per  il  materiale  argilloso  specialmente  nei  calcari  amorfi;  con 
la  luce  polarizzata  non  si  risolvono  utilmente,  in  questi  casi  e 
credo  sieno  gli  unici,  vale  meglio  servirsi  della  colorazione  arti- 
ficiale per  mezzo  di  una  soluzione  di  fucsina;  essi  più  o  meno 
si  colorano  e  con  questo  mezzo  ho  potuto  riconoscere  ad  esempio 
in  alcune  sezioni  d*  alberese  o  di  calcare  litografico,  la  presenza 
di  materiali  estranei  al  carbonato  di  calce;  essi  si  presentarono 
sotto  la  forma  di  minute  strie  colorate  e  mentre  non  si  sarebbe 
potuto  senza  questo  mezzo  distinguere  una  sezione  in  un  calcare 
amorfo  puro  da  quello  di  un  calcare  litografico,  la  colorazione 
artificiale  mi  ha  fornito  le  differenze  succitate  che  poi  sono 
state  confermate  dalla  diversa  entità  del  residuo  lasciato  dai 
medesimi  disciolti  che  furono  in  una  soluzione  d*  acido  cloridrico. 

Per  rendermi  ragione  del  diverso  potere  assorbente  dei  colori 
ho  sottoposto  ad  una  soluzione  di  fucsina  nell'alcool  e  quindi 
a  ripetuti  lavaggi  sostanze  diverse,  cioè  carbonato  di  calce,  di 
magnesia,  silice  amorfa,  allumina  pura,  caolino,  idrato  ferrico, 
argilla,  polvere  basaltica,  tri  poli  a  diatomèe,  radiolarie  recenti  e 
fossili,  feldspato  etc,  alcuni  di  questi  corpi  provenivano  dalla 
polverizzazione  di  roccie  altri  erano  preparati  artificialmente;  il 
potere  assorbente  è  massimo  per  la  silice  amorfa,  in  ordine  de- 
crescente viene  Y  allumina  e  il  carbonato  di  calce  ottenuto  per 
precipitazione;  la  polvere  di  marmo  e  il  carbonato  di  magnesia 
non  si  colorano;  si  colora  il  caolino,  una  soluzione  di  fucsina  è 
scolorata  sensibilmente  dair  idrato  ferrico,  il  feldispato  e  il  ba- 
salto non  si  colorano;  le  diatomèe  e  le  radiolarie  si  colorano 
soltanto  nelle  parti  ove  il  loro  guscio  è  alterato,  se  sono  fresche 
0  inalterate  non  si  colorano  affatto,  così  nei  tripoli  spogliati  del 
carbonato  di  calce  si  colorano  i  residui  indeterminabili  silicei  che 
accompagnano  la  massa  delle  diatomèe  e  delle  radiolarie  mentre 
queste  ultime  rimangono  scolorate;  la  silice  ottenuta"per  calci- 
nazione dalla  silice  gelatinosa  si  colora  vivamente  anche  in  una 
soluzione  allungatissima  né  è  più  possibile  con  ripetuti  lavaggi 


28  D.   PANTANELLI 

neir  alcool  fargli  perdere  il  colore  acquistato;  si  potrebbe  in- 
diflFerentemente  impiegare  qualunque  altro  colore  d'  anilina,  credo 
però  preferibile  la  fucsina,  non  presentandosi  questo  colore  na- 
turalmente. 

Terminerò  questa  nota  ricordando  un  osservazione  che  sono 
stato  incapace  d' interpretare.  E  noto  che  la  decomposizione 
superficiale  dei  materiali  da  costruzione  è  accompagnata  e  anche 
ajutata  da  una  vegetazione  speciale  di  licheni;  T  esame  dei  mo- 
numenti della  Toscana  nei  quali  il  marmo  di  Carrara  è  il  ma- 
teriale più  comune,  ha  dimostrato  che  gli  ornati,  i  bassorilievi 
e  le  statue  esposti  air  aria  libera  perdono  in  quattro  secoli  non 
solo  la  loro  freschezza  e  la  vivacità,  del  taglio,  ma  anche  V  as- 
sieme delicato  delle  curve  delle  loro  masse;  così  probabilmente 
molti  capi  d^  arte  antichi  dei  quali  nei  musei  oggi  ammiriamo 
la  freschezza,  non  sarebbero  giunti  a  noi  se  non  fossero  stati 
seppelliti  nelle  macerie.  Orbene  vi  sono  materiali  da  costruzione 
su  i  quali  i  licheni  non  allignano;  alcuni  marmi  in  vecchie  co- 
struzioni colpiscono  per  la  loro  bianchezza;  i  travertini  del- 
l'abbadia  di  8.  Galgano  fabbricata  nel  1300  e  della  quale  non 
restano  oggi  che  le  pareti,  avendo  il  cardinale  Ferroni  ultimo 
proprietario  nel  secolo  passato  venduto  il  piombo  del  tetto,  sono 
ancora  bianchi;  nei  paesi  ove  il  rosso  ammonitìfero  è  la  prin- 
cipale pietra  da  costruzione  (Montieri,  Spoleto)  non  è  raro  vedere 
alternarsi  pietre  scure  per  licheni  con  altre  tuttora  rosse  fiam- 
manti; quale  relazione  passa  tra  questa  refrattarietà  alla  vege- 
tazione dei  licheni  tanto  favorevole  alla  durata  delle  pietre  da 
costruzione  e  la  loro  composizione?. 


b.   pantaNelli 


lòOCOIE    IDI    ^SS-A.B 


Il  Dott.  Vincenzo  Ragazzi  unitamente  alle  copiose  raccolte 
zoologiche  inviate  all'  Università  di  Modena  dalla  baja  di  Assab, 
rimise  alcuni  campioni  di  roccie  indicando  essere  le  sole  varietà 
litologiche  dei  dintorni;  sono  in  tutto  dieci  esemplari,  quattro 
calcari,  una  lava  basaltica  e  cinque  esemplari  di  scorie  con 
traccio  di  vetrificazione. 

n  basalto  porta  questa  indicazione:  *  forma  il  sustrato  alla 
lava  e  rimane  allo  scoperto  presso  il  mare  ».  Ha  V  aspetto  degli 
usuali  basalti  compatti  a  minuti  elementi,  pressoché  nero,  di 
massa  uniforme  e  appena  interrotta  da  qualche  cavità  e  da  rari 
cristallini  di  peridoto;  la  sua  densità  è  2,  96;  in  lamelle  presenta 
un  impasto  uniforme  di  plagioclasio,  augite,  peridoto,  magnetite 
e  qualche  rara  traccia  d' apatite;  la  frequenza  di  detti  minerali 
corrisponde  all'ordine  secondo  il  quale  li  ho  numerati;  le  la- 
melle trattate  coir  acido  cloridrico  perdono  il  peridoto;  la  pol- 
vere dalla  quale  può  separarsi  una  parte  di  minerale  magnetico, 
levigato  con  la  soluzione  di  borotungstato  di  cadmio  (deus.  3, 1  ) 
si  separa  lentamente  in  due  parti  distinte,  una  è  un  miscuglio 
di  magnetite  e  peridoto,  l'altra, la  più  leggiera, di  feldispato  e 
augite;  i  cristalli  sono  sempre  piccolissimi;  i  cristalli  di  peridoto 
eccetto  i  pochi  visibili  ad  occhio  nudo,  sono  piccolissimi  appena 
0, 2  di  millimetro  e  queste  dimensioni  non  sono  oltrepassate  da 
quelli  di  plagioclasio. 

La  polvere  rosso-scura  levigata  coir  acqua  che  ne  separa  le 
diverse  grossezze  senza  alterare  sensibilmente  le  proporzioni  dei 
componenti,  trattata  con  acido  cloridrico  non  perde  che  il  pe- 
ridoto e  l'ossido  di  ferro;  calcinata  non  cambia  colore  né  perde 
sensibilmente  di  peso;  la  percentuale  della  silice  è  50,2;  non  è 
stata  continuata  l' analisi  quantitativa  ma  avendo  fatto  oltre 
alla  disassociazione  col  carbonato  di  soda  e  potassa  quella  col- 
r  acido  fluoridrico,  ho  constatato  la  presenza  della  calce,  della 


àÓ  D.  ^ANTAMKtiLl  —   ROCCIK   DI   AS8AB 

soda  e  di  tracce  di  potassa;  potrebbe  oltre  alla  magnetite  con- 
tenere deir  oligisto  presentandosi  alcune  volte  in  sezioni  da  non 
potersi  riferire  a  forme  monometriche;  il  feldispato  oflFre  i  caratteri 
ottici  della  labradorite;  i  cristallini  geminati  secondo  la  legge 
deir  albite  si  estinguono  per  un  angolo  massimo  di  20/  da  0,10. 

Le  sezioni  condotte  nelle  scorie  basaltiche  per  le  molte  cavità 
male  possono  ottenersi  sottili  a  sufficienza;  sono  opache  amorfe 
con  pochi  cristallini  aciculari,  trasparenti,  nei  quali  è  vivo  assai 
tra  i  prismi  incrociati  il  pleocroismo  lamellare;  provengono  dal 
monte  Ganga  e  dai  contorni  di  Assab;  per  il  loro  speciale  gia- 
cimento non  posso  che  riferire  la  nota  che  le  accompagna; 
^  scorie  frequenti  in  grandi  masse  tra  i  lapilli  „. 

Gli  esemplari  di  calcare  appartengono  al  cordone  litorale 
post-pliocenico  già  segnalato  da  tutti  coloro  che  hanno  scritto 
del  Mar  Bosso  (per  maggiori  dettagli  vedasi  Issel,  Malacologia 
del  Mar  Bosso  pag.  17  e  seg.);  sono  costituiti  da  un  impasto 
incoerente  di  piccole  ghiaje,  foraminifere,  frammenti  d'alghe  in- 
crostanti, corallari  etc.;  è  notevole  l'estrema  rarità,  almeno 
negli  esemplari  ricevuti,  di  avanzi  di  molluschi,  contengono  in- 
vece frammenti  di  lava  e  sono  quindi  posteriori  alle  lave  stesse. 

Il  Dott.  Ragazzi  aveva  spedito  contemporaneamente  alle  sue 
raccolte  una  copia  del  suo  giornale;  questo  si  è  perduto  e  solo 
al  ritorno  dalla  sua  missione  a  Let-Marefia  nello  Scioa,  potrò 
con  più  pi*ecìsione'  riferire  della  posiziono  recìproca  di  queste 
roccie,  nella  quale  occasione  spero  anche  trattare  di  quelle  che 
ha  già  raccolte  e  che  raccoglierà  durante  il  suo  soggiorno  in 
quelle  regioni. 


>«o 


ANTONIO   D'ACHIARDI 


DELLA 


TRACHITE  E  DEL  PORFIDO  QUARZIFERI 


DI 


DONORATICO  PRESSO  CASTAGNETO 

NELLA   PROVINCIA    DI   PISA 
(Nota  presentala  nelP  adunanza  del  14  decembre  1884). 


Delle  rocce  trachitiche  e  porfiriche  del  territorio  campigliese 
(prov.  di  Pisa)  han  fatto  menzione  fra  i  primi  o  le  hanno  anche, 
ma  solo  macroscopicamente,  descritte  il  Targioni,  il  Savi,  il  Pilla, 
il  Burat,  il  Meneghini  e  il  Coqnand.  Altri,  e  fra  questi  il  vom 
Rath  e  il  Vogelsang,  ne  studiarono  più  di  recente,  e  segnata- 
mente quest*  ultimo  per  la  trachite,  anche  la  struttura  micro- 
scopica; e  poiché  questo  mio  studio  s'aggira  quasi  esclusivamente 
nel  campo  della  microscopia,  ritornerò  ancora  a  parlare  di  essi, 
quando  ne  sarà  il  caso.  Il  Lotti  finalmente  ha  intrapreso  in 
questi  ultimi  tempi  lo  studio  geologico  di  queste  medesime  roc- 
ce, da  lui  riassunto  in  una  memoria  presentata  alla  Società  To- 
scana di  Scienze  Naturali  in  questa  stessa  straordinaria  e  solenne 
seduta,  in  cui  si  celebra  il  60.''  anniversario  d*  insegnamento  del 
nostro  comune  maestro,  il  prof.  Meneghini;  e  dal  Lotti  stesso 
ho  ricevuto  gli  esemplari,  che  formano  il  materia,1e  di  questo 
lavoro  e  le  seguenti  indicazioni,  che  letteralmente  trascrivo. 

^  Trachite  quarzifera  —  Questa  roccia  forma  quasi  per 
intiero  le  colline  littoranee  fra  Castagneto  e  il  Botro  dei  Marmi 


3à  A.   D^ACHIARDI 

presso  Campiglìa  Marittima,  essendo  soltanto  ricoperte  qua  e  là 
da  lembi  di  roccie  sedimentarie  eoceniche,  le  quali  per  il  loro 
ir  regolar  ivssirao  andamento  stratigrafico  manifestano  ad  evidenza 
di  essere  state  sconvolte  dalla  roccia  eruttiva.  Però  non  mostrano 
al  suo  contatto  alterazione  di  sorta.  La  roccia  tiachitica  non 
presenta  varietà  spiccate,  e  solo  qua  e  là  lascia  vedere  delle 
inclusioni  più  o  meno  arrotondate  ordinariamente  piccole  di  una 
roccia  di  struttura  e  composizione  mineralogica  molto  diversa. 
Presso  San  Vincenzo  si  presenta  in  pseudostrati  di  15  a  20  cm. 
di  grossezza  e  regolarissimì.  Gli  esemplari  raccolti  per  lo  studio 
petrografico  provengono  da  Donoratico  „. 

"Piloni  porflrici  —  Nel  botro  di  Santa  Maria  presso 
Donoratico  su  quel  di  Castagneto  un  filone  porfirico  attraversa 
gli  scisti  varicolori  del  lias  superiore,  avendo  uno  spessore  di  4 
metri  circa.  Si  espande  quindi  in  una  piccola  massa  della  stessa 
roccia,  che  però  in  parte  diviene  pumicosa.  Questo  filone  trovasi 
separato  dalla  trachite  delle  colline  da  un  tratto  di  non  più  di  400 
metri,  occupato  intieramente  da  roccie  sedimentarie  eoceniche  ». 

**  Altri  filoni  regolarissimì  della  stessa  roccia  porfirica  attra- 
versano i  marmi  del  lias  inferiore  presso  San  Silvestro  in  quel 
di  Cam  piglia;  e  questi  sono  quelli  descritti  dal  vom  Rath 

Ciò  premesso  passo  alla  descrizione  delle  due  rocce. 


»  • 


TRACHITE    QUARZIFERA 

G.  vom  Rath  nel  1866  (')  descrivendo  la  roccia,  che  forma 
alcune  delle  più  basse  colline  del  Campigliese  presso  al  mare,  la 
qualifica  come  trachite,  che  dice  resultare  da  Sanidina  con  Oli- 
goclasio,  Quarzo  in  foggia  di  diesaedri  arrotondati,  Mica  di  scuro 
colore  e  Cordierite  violetto-azzurra,  pleocroitica,  in  cristalli  im- 
mersi nella  massa  fondamentale  e  costituiti  dalle  forme  110,  310, 
100,  010,  001.  Né  Augite,  né  Orneblenda  dice  di  avervi  veduto; 
sì  un  poco  di  Magnetite,  che  attrasse  dalla  roccia  polverizzata 
mercè  del  nxagnete. 

Dà  finalmente  il  peso  specifico  di  questa  roccia,   che  trovò 

(<)  Fragmente  aus  Italien   I.  Theil  ^  ZeUzsch.  d.  deut,  geoL  Ge$el   1866.  639. 


TRACHITK  E  PORFIDO  QUAtóIi?'ERI   DI   DONORATICO  33 

essere  2, 478  a  20*  C,  e  i  resultati  dell'  analisi  fattane,  da  me 
più  sotto  allegati. 

H.  Vogelsang  (*)  poco  dopo,  e  cioè  nel  1867,  descriveva  questa 
stessa  roccia,  anzi  gli  stessi  esemplari  avutine  dal  Vom  Rath, 
riproducendone  su  di  una  tavola  Y  immagine  di  una  sottile  se- 
zione osservata  al  microscopio  a  luce  ordinaria  e  polarizzata. 
Ci  dice  egli  essere  la  roccia  costituita  da  una  massa  fondamen- 
tale vetrosa  limpida,  con  cui  fanno  contrasto  le  frequenti  lamine 
di  mica  bruna,  e  in  cui  Y  osservazione  microscopica  gli  avrebbe 
pur  rivelata  la  presenza  di  sanidina,  meionite,  quarzo,  dicroite. 
forse  di  augite,  non  di  oligoclasìo.  Descrive  ed  effigia  le  inclu- 
sioni vetrose  e  gassose,  e  accenna  finalmente  alla  struttura  Sni- 
dale. Considera  la  roccia  come  un  conglomerato  vulcanico,  che 
qualifica  di  trachite  quarzifera. 

Lo  stesso  G.  vom  Rath  (^)  Y  anno  dopo  tornando  a  parlare 
e  con  maggior  diflFusione  del  territorio  campigliase  dice  che  le 
rocce  eruttive  dei  dintorni  di  Campiglia  son  distinte  in  porfidi 
quarziferi  e  porfidi  augitici,  e  Y  una  e  Y  altra  sorta  descrive,  alla 
prima  delle  due  riferendo  quella,  che  da  lui  stesso  studiata  e 
analizzata  aveva  già  qualificato  come  una  trachite  conformemente 
al  giudizio  fattone  prima  dal  Pilla,  indi  per  l'esame  microscopico 
dal  Vogelsang.  È  il  Vom  Rath  dubbioso  se  si  tratti  di  trachite; 
per  lo  meno  ammette,  se  vi  abbiano  vere  rocce  trachitiche, 
un'  intima  connessione  fra  esse  e  i  porfidi  quarziferi  dei  (filoni 
tanto  che  non  si  possano  separare  nella  Valle  delle  Rocchetto, 
ove  ne  fece  lo  studio.  Conclude  con  esprimere  una  sua  convin- 
zione che  se  non  trovinsi  rocce  vulcaniche  recenti  (trachiti)  né]  nella 
conca  di  Campiglia,  né  nella  strada  da  Rocca  San  Silvestro  alla 
parte  superiore  della  Valle  delle  Bocchette,  né  nella  valle  stessa  fino 
a  San  Vincenzo,  non  resta  però  esclusa  la  possibilità  che  nelle 
colline  di  Castagneto  esista  una  vera  e  propria  trachite. 

Da  ciò  emerge  chiara  l' importanza  di  un  nuovo  studio  pe- 
trografie© di  queste  rocce,  che  il  Vom  Rath  fu  incerto  nel  definire, 
che  il  Meneghini  e  il  Savi  per  le  correlazioni  loro  riunirono  sotto 
l'unico  nome  di  rocce  riacolitiche  e  che  io  stesso  nella  Mineralogia 
della  Toscana  ritenni  come  collegate  da  stretti  vincoli  di^parentela. 

(*)  Philosophie  der  Geologie  und  mikroskopische  Gesteinsstudien.  Boan.  1867. 
(*)  Geogn.  minor.  Fragra,  aus  Italien.  Th.  II.  —  Die  Berge  von  Campiglia  in  der 
Toskanischen  Maremme.  Zeitschr.  d.  Deut.  geoL  Gesellsch.  Berlin.  1868.  Bd.  20.  S,  307. 
So.  NaL  Voi.  VII,  fase,  l.»  8 


84  A.   D^ACHIABDI 

E  lo  studio  di  questa  trachite  tanto  più  appare  importante  in 
quantochè  la  sia  stata  appunto  raccolta  là  dove  il  Vom  Rath 
stesso  faceva  presentire  la  possibilità  che  vera  e  propria  trachite 
esistesse,  e  la  sia  senza  dubbio  la  stessa  cosa  di  quella  descritta 
ed  e£Qgiata  dal  Vogelsang. 

Caratteri   macroscopici — La  roccia  ha  struttura  ap- 
parentemente granosa  e  la  particolare  ruvidezza  delle  trachiti. 

I  grani  cristallini  non  hanno  per  il  solito  grandi  dimensioni; 
ma  di  tutte  le  principali  specie,  feldispato,  mica,  cordierite  ec, 
veggonsi  anche  a  occhio  nudo  qua  e  là  cristalli  della  grossezza  di 
più  millimetri;  raramente,  ma  non  ne  mancano  e  in  special  modo 
del  feldispato,  se  ne  osservano  anche  di  più  di   un  centimetro. 

II  colore  abituale  della  roccia  è  grigio,  più  o  meno  scuro  secondo 
la  quantità  della  mica  e  del  magma  fondamentale  vetroso, 
che  appare  grigiastro  veduto  in  massa,  e  alla  cui  abbondanza, 
non  che  alla  porosità  della  roccia,  deve  attribuirsi  la  densità  mi- 
nore che  nelle  ordinarie  trachiti.  Il  Vom  Rath  ha  trovato  2,478; 
io  pure  2,4  in  varie  pesate  fatte  di  molti  grammi  di  roccia. 
È  un  peso  specifico  che  si  avvicina  assai  a  quello  di  alcune  os- 
sidiane, e  ne  rende  ragione  la  copia  del  magma  vetroso,  che  se 
non  apparisce  a  occhio  nudo,  lo  si  vede  abbondare  nelle  sezioni 
osservate  al  microscopio  a  nicol  incrociati. 

Di  tanto  in  tanto  si  veggono  nella  roccia  nidi  di  colore  più 
scuro  per  sovrabbondanza  della  mica  assai  nettamente  limitati 
dal  resto  della  massa;  e  in  questi  nidi  o  concentramenti  micacei 
si  osservano  anche,  e  talvolta  molto  frequenti,  cristalli  di  un 
pirosseno  verdastro-scuro,  taluno  dei  quali  ho  pur  potuto  misu- 
rare al  goniometro  a  riflessione,  rilevandone,  benché  solo  appros- 
simativamente, i  valori  angolari  delle  facce  110,  010  e  100  (Tav.  II, 
fig.  9).  Gli  angoli  delle  facce  prismatiche  della  zona  [001]  presi 
a  due  a  due  mi  hanno  dato  infatti  dei  valori  di  circa  IS?"*  e 
133%  che  si  approssimano  assai  ai  valori  di  136*,  27',  30"  e 
133%32',30"  degli  angoli  110:010  e  110:100.  Anche  a  occhio 
nudo  si  scorge  che  un  buon  numero  di  questi  cristalli  sono  ge- 
minati in  croce;  ma  il  modo  se  ne  determina  meglio  al  micro- 
scopio per  la  piccolezza  dei  cristalli  e  poca  lucentezza  loro. 
La  durezza  ne  è  di  circa  6.  Al  cannello  ferruminatorio  si  fon- 
dono in  un  vetro  verde-sporco,  non  però  senza  qualche  difficoltà. 


tRÀGHITE  B  PORFIDO  QUARZIFERI   DI   DONORATICO  85 

Caratteri  microscopici  —  Osservata  al  microscopio 
una  sezione  sottile  di  questa  roccia  appare  quasi  nella  sua  to- 
talità o  meglio  per  la  sua  maggiore  estensione  trasparente  e 
senza  colore;  solo  di  tanto  in  tanto  granuli  violacei  di  cordie- 
rite  e  più  frequenti  e  non  di  rado  fitte  liste  o  laminette  di  mica 
di  color  tabacco  ne  turbano  la  limpidezza.  A  nicol  incrociati  si 
distinguono  subito  parti  diverse  nella  massa  di  stessa  apparenza; 
ed  ecco  quali  sono  le  distinzioni  da  farsi. 

Magma  o  massa  fondamentale  —  In  alcune  parti  scarso, 
in  altre  abbondante,  a  luce  ordinaria  appare  come  un  vetro 
quasi  limpido  e  scolorito  o  leggermente  tinto  qua  e  Ih  di  un 
colore  caffè-latte  sbiadito.  (Tav.  I,  fig.  1).  La  struttura  fluidale 
è  più  0  meno  evidente  secondo  i  punti. 

A  nicol  incrociati  la  massa  fondamentale  resta  completa- 
mente estinta  in  ogni  posizione;  soltanto  vi  si  vedono  finissimi, 
inconmensurabili  peli  o  aghetti  lucenti.  Di  tanto  in  tanto  si 
scorgono  pure  sferule  o  globuli  raggrinziti,  che  pajono  pur  essi 
di  vetro  (Tav.  I,  fig.  3).  I  seguenti  minerali  vi  stanno  immersi. 

Sanidina  —  È  il  più  abbondante  fra  i  minerali  di  questa 
roccia,  superato  solo  talvolta  dalla  mica.  Limpida  e  senza  colore 
a  luce  ordinaria  non  sempre  se  ne  scorgono  entro  al  magma  di 
analoga  apparenza  nettamente  i  cristalli,  che  però  si  delineano 
chiaramente  nella  luce  polarizzata  a  nicol  incrociati.  Non  per- 
tanto se  ne  possono  anche  a  luce  ordinaria  rilevarne  le  sezioni 
in  foggia  di  quadrati,  rettangoli,  esagoni,  spesso  allungate  (Tav.  II, 
fig.  1-6),  quali  sono  ordinariamente  offerte  dalla  sanidina,  con 
linee  di  sfaldatura  basale  e  con  queir  apparenza  di  rotture  pro- 
prie di  questa  varietà  di  ortose.  Ho  pur  veduto  sezioni  otta- 
gonali e  cristalli  che  vi  conducono  (Tav.  II,  fig.  7),  e  delle  sezioni 
maggiori  abitualmente  in  figura  d' esagono  ho  pur  misurato 
non  pochi  angoli,  che  corrispondono  agli  angoli  dell'  ortose  fra 
le  facce  100,  010,  001,  021,  403,  101.  (Tav.  II,  fig.  4,  5,  6).  Talune 
sezioni  mostrano  segni  di  geminazione,  e  pare  secondo  la  legge 
di  Carlsbad. 

A  nicol  incrociati  si  palesano  colori  d'interferenza  vivaci, 
come  già  furono  notati  dal  Vogelsang. 

Oligoclasio?  —  G.  vom  Rath  dice  essere  V  oligoclasio 
quasi  altrettanto  abbondante  quanto  la  sanidina  nella  trachite 
di  Campiglia;  Vogelsang  invece  non  ve  ne  avrebbe  trovato  segno 


36  a/d^  aghubdi 

nelle  sezioni  da  lui  preparate.  Certo  non  è  in  copia  come  dice  il 
Vom  Rath;  ma  non  vi  manca;  è  però  scarsissimo  e  raramente  ne 
ho  vedute  le  sezioni  (Tav.  I,  fig.  3)  in  mezzo  alle  numerosissime 
di  sanidina,  risconoscibilì  da  queste  per  la  loro  struttura  po- 
lisintetica. 

Quarzo  —  Visibile  anche  a  occhio  nudo',  se  ne  scorgono 
i  cristalli  nelle  sezioni  osservate  al  microscopio  in  foggia  di 
grani  dotati  di  un  notevole  rilievo,  quale  non  è  comune  in 
questa  specie.  Non  può  per  altro  cader  dubbio  che  non  si  tratti 
di  quarzo,  essendoché  nei  grani  sia  spesso  riconoscibile  la  forma 
di  diesaedro  con  e  senza  prisma,  quest'ultimo  sempre  estrema- 
mente raccorciato.  Le  direzioni  di  estinzione  confermano  pure 
la  determinazione  specifica. 

A  diflferenza  di  quelli  del  porfido  sotto  descritto  questi  grani 
di  quarzo  sono  piccoli  e  scarsi;  raramente  superano  nel  loro 
diametro  maggiore  i  due  o  tre  decimi  di  miUimetro,  eccezionali 
sono  quelli  di  qualche  millimetro  che  si  vedono  ad  occhio  nudo; 
mentre  se  ne  danno  non  pochi  di  minor  dimensione.  Baro  è  che 
nel  campo  del  microscopio  con  ingrandimento  di  127  diametri 
ne  appaiano  più  d'uno;  il  più  spesso  non  se  ne  veggono. 

A  differenza  pure  dei  cristalli  del  porfido  questi  grani  non 
offrono  segno  di  geminazione;  sempre  semplici  ed  isolati  o  solo 
per  eccezione  uniti  in  due  T  uno  sul!'  altro  in  posizione  parallela 
ne  differiscono  pure  per  il  loro  modo  d'arrotondamento  senza 
segno  di  corrosione,  per  il  loro  aspetto  particolare;  per  la  man- 
canza d'intrusione  in  essi  del  magma;  onde  ben  a  ragione  il 
Vogelsang  fu  incerto  nell' attribuire  il  loro  stato,  più  esatta- 
mente l'arrotondamento  loro,  o  a  incompleto  sviluppo  o  a  fu- 
sione degli  individui  cristallini.  Quest'  ultima  ipotesi  potrebbe 
trovare  appoggio  nel  fatto  citato  anche  da  Silvestri  del  ritro- 
vamento di  quarzo  fuso  fra  i  materiali  vulcanici. 

Senza  colore,  perfettamente  trasparenti  questi  cristalli  sono 
forniti  di  poche  inclusioni.  Vi  se  ne  osservano  però  talune  ve- 
trose di  forma  irregolare;  e  altre  un  poco  più  frequenti,  benché 
rare  esse  pure  e  per  il  solito  una  o  poche  più  per  grano  visibili 
nello  stesso  piano  di  fuoco  della  preparazione,  le  quali  ripetono 
la  forma  stessa  e  l' orientazione  del  cristallo,  che  le  include,  e 
sono  abitualmente  fornite  di  una  bolla  gassosa.  Il  loro  contorno 
esilissimo  esclude  che  sieno  cavità  regolari  piene  di  liquido  con 


TRACHITE  K  PORFIDO  QUARZIFERI   DI   DONORàTICO  37 

livella;  lo  che  viene  pure  escluso  dal  fatto  di  aversi  talvolta, 
benché  eccezionalmente,  più  dì  una  bolla  gassosa  per  inclusione. 
Oltre  a  ciò  vi  si  scorLjono  pure  inclusioni  bacillari  limpide  e 
senza  colore  dotate  talvolta  esse  medesime  di  bolle  gassose. 

A  nicol  incrociati  si  presentano  colori  d'interferenza  vivaci 
(Tav.  I,  fig.  2, 3)  con  tendenza  a  distribuirsi  circolarmente. 

Mica.  —  La  mica  appare  frequente  nelle  sezioni  osservate 
al  microscopio,  così  come  la  si  scorge  anche  a  occhio  nudo. 
Di  colore  bruno-tabacco,  listiforme  o  in  tavolette  esagonali  se- 
condo il  taglio,  pochissimo  trasparente,  anzi  appena  tralucida, 
è  con  ogni  verosimiglianza  bjotite.  Osservata  la  polvere  dei 
nidi  micaceo-pirossenici  si  veggono  numerosissime  ed  esili  lami- 
nette  di  mica,  che  in  tal  modo  apparisce  più  o  meno  traspa- 
rente, di  color  tabacco  chiaro  e  a  nicol  incrociati  mostra  colori 
d' interferenza  dal  verde-bruno  al  verde-giallastro-bruno. 

Gordierite  —  Oltreché  a  occhio  nudo  e  di  dimensioni  di 
più  millimetri,  ma  in  tal  caso  scarsi,  si  veggono  nella  massa 
fondamentale  della  roccia  sotto  al  microscopio  piccoli  e  nume- 
rosi cristalletti  e  grani  a  contorno  spesso  irregolare  e  talvolta 
anche  corroso  di  un  minerale  di  color  di  spigo,  violetto  o  rosso- 
vinato;  quest'  ultimo  colore  apparendo  di  rado  e  preferibilmente 
verso  la  periferia,  ove  i  grani  cristallini  appaiono  come  alterati 
per  un  principio  di  corrosione  sofferta.  I  cristalli,  in  buona  parte 
riconoscibili  nelle  loro  forme,  ci  appaiono  sezionati  ora  paralle- 
lamente, ora  normalmente,  ora  obliquamente  air  asse  verticale. 

Le  sezioni  parallele  all'  asse  z  (e)  sono  per  il  solito  in  foggia 
di  rettangoli  (Tav.  II,  fig.  13);  e  nella  grossezza  stessa  della  pre- 
parazione ci  é  dato  pur  talvolta  di  travedere  più  facce  fra  loro 
inclinate  della  zona  dei  prismi  verticali  (Tav.  II,  fig.  14-16),  con 
ogni  verosimiglianza  e  direi  quasi  certezza  le  100,  010,  110,  310, 
che  poi  si  riconoscono  per  misure  nelle  sezioìii  a  queste  nor- 
mali (Tav.  II,  fig.  22-23),  Rarissimamente  si  osservano  facce  pi- 
ramidali, essendo  abitualmente  terminati  i  cristalli  dalla  base: 
soltanto  in  una  sezione  di  cristallo  ne  ho  osservato  due,  che 
dalla  misura  dell'  angolo  che  fanno  fra  loro  sembrano  riferibili 
alle  101  (Tav.  II,  fig.  17). 

Le  sezioni  normali  o  quasi  all'  asse  verticale  appaiono  esa- 
gonali 0  a  maggior  numero  di  lati  (Tav.  II,  fig.  18,  23  ec),  e 
sono  spesso  rotondeggianti  per  corrosione  sofferta,  di  cui  pur  si 


38  A.  d'  achiardi 

veggono  i  segni  nelle  porzioni  periferiche.  Mentre  nelle  sezioni 
parallele  alleasse  verticale  i  cristalli  ci  appaiono  semplici,  in 
queste  anche  a  luce  ordinaria,  meglio  a  luce  polarizzata  e  meglio 
ancora  a  nicol  incrociati  e  anche  con  la  lamina  di  quarzo,  ci 
si  appalesa  con  tutta  evidenza  la  geminazione  caratteristica 
della  cordierìte,  quale  fu  osservata  da  A.  von  Lasaulx  (*)  e  da 
Hussak  (^)  nei  rigetti  trachitici  del  lago  di  Leach,  e  dal  secondo 
anche  in  quelli  bianco-azzurrastri  deir  Asama-Yama  (Giappone). 
Le  figure  21-24  della  tav.  II  mostrano  taluna  di  queste  sezioni; 
le  frecce  indicano  una  delle  due  direzioni  di  estinzione;  i  sim- 
boli sono  stati  applicati  alle  respettive  facce  per  V  indicazione 
fornitamene  dal  pleocroismo. 

Nella  fig.  21  si  vedono  sei  settori  spettanti  a  più  cristalli 
uniti  per  le  facce  del  prisma  110,  cinque  nello  stesso  modo,  il 
sesto  diversamente,  estinguendosi  contemporaneamente  due  set- 
tori adiacenti,  che  non  è  perciò  a  credersi  spettino  a  un  mede- 
simo cristallo,  essendo  nettamente  V  uno  dall'  altro  distinti  per 
la  linea  di  giunzione. 

Nella  fig.  23  è  rappresentato  un  altro  gemello  a  contorno 
meno  regolare  e  in  cui  ognuno  dei  sei  settori  ha  la  stessa  di- 
rezione di  estinzione  del  suo  opposto.  I  piani  di  unione  fra  i 
vari  settori  non  sono  più  gli  stessi  che  nel  caso  precedente,  o 
corrispondono  per  ambedue  i  cristalli  contigui  a  un  piano  310 

0  per  uno  di  essi  a  un  piano  110  e  per  V  altro  al  pinacoide  010. 

1  valori  angolari: 


010  :  110 

= 

119»,  10' 

010  :  110 

» 

149%  35' 

110:310 

150»,  0' 

110  :  100 

120%  25' 

100  :  310 

150»,  25' 

310  :  3r0 



59»,  10' 

quali  son  dati  da  Des-Cloizeaux,  e  che  sono  tutti  con  molta  ap- 
prossimazione multipli  di  30°,  spiegano  questi  vari  modi  di  ge- 

(^)  Ueb.  Cordieritzwillinge  in  einem  AuswurAing  dea  Laacher  See.  Zeit.  Kr,  u. 
Min.  d.  Groth  1883.  8.  77. 

(*)  Ueb.  den  Cordierit  in  vulkanischen  Auswarilingea.  SUz.  h.  Ah.  Wiss.  (Mata. 
Noi.  CI.).  Wiea  1883.  87,  4-5,  332. 


TRACHITB  E  PORFIDO  QUARZIFERI   DI   UONORATICO  39 

minazione  secondo  i  piani  suddetti.  Le  direzioni  di  estinzione, 
che  per  i  due  settori  superiori  e  per  i  due  inferiori  sono  paral- 
lele ai  piani  di  contatto  di  questi  quattro  settori  con  i  due  set- 
tori laterali,  e  per  questi  due  ad  angolo  di  circa  30*  con  quelle 
prime  ci  facilitano  l' interpetrazione  di  sì  fatte  geminazioni. 

Nella  fig,  23  è  rappresentato  un  grano  rotondeggiante  co- 
stituito da  due  individui  e  nella  24  altro  gemello  a  seconda  del 
piano  110  con  notevole  differenza  di  sviluppo  negli  individui 
riuniti  e  corrosione  periferica,  che  pur  si  osserva  nella  fig.  25. 

Con  il  solo  analizzatore  il  minerale  si  mostra  decisamente 
pleocroico.  Le  sezioni  parallele  air  asse  verticale  appaiono  di 
colore  violetto-spigo  assai  intenso  quando  Tasse  verticale  del  cri- 
stallo sia  normale  alla  sezione  principale  del  nicol;  appaiono 
invece  bianco-giallastre,  e  in  qualche  raro  caso  anche  rossastre, 
se  sia  ad  essa  parallela.  Nelle  sezioni  normali  air  asse  verticale 
si  hanno  invece  due  tinte  entrambe  violette,  ma  V  una  di  in- 
tenso colore  di  spigo,  V  altra  violetta  pallida;  sono  le  due  tinte 
degli  assi  orizzontali.  La  tinta  più  pallida  si  ha  quando  il  ma- 
croasse, 0  in  altri  termini  il  piano  degli  assi  ottici,  sia  paral- 
lelo alla  sezione  principale  del  nicol;  onde 

a    (asse  y)    violetto-scuro 
b    (asse  x)     violetto-chiaro 
e     (asse  z)    bianco-giallastro 

In  altre  cordieriti  è  detto  aversi  diverso  contegno  come  notò 
gih.  Hussak;  ma  qui  si  ha  proprio  perfetta  corrispondenza  con 
la  cordierite  summentovata  dei  rigetti  vulcanici  trachitici  tanto 
del  lago  di  Leach,  quanto  del  vulcano  d'  Asama-Tama  nel 
Giappone. 

A  nicol  incrociati  si  manifestano  vivaci  colori  di  polarizza- 
zione (Tav.  I,  fig.  1  e  3);  e  i  cristalli  si  estinguono  parallelamente 
e  normalmente  all'  asse  dei  prismi  verticali. 

Questa  nostra  cordierite  è  assai  più  ricca  d' inclusioni  del 
quarzo  della  stessa  trachite;  e  parte  sono  cristalline,  parte  no. 
Fra  le  prime  si  hanno  esilissimi  cristallini  bacillari  senza  colore 
analoghi  a  quelli  del  quarzo,  e  che  a  lor  volta  qui  pure  con- 
tengono inclusioni  gassose  (Tav.  II,  fig.  20).  La  grossezza  di 
queste  bacchettine  raggiunge  raramente  mm.  0,010;  il  più  spesso 


40  A.   D^  ACHIARDI 

è  al  di  sotto  di  mm.  0,005.  La  lunghezza  ne  è  varia  e  molto 
maggiore.  In  una  sezione  di  cristallo  (Tav.  II,  fig.  16)  ho  pur 
veduto  un'  inclusione  di  color  tabacco  in  foggia  di  esagono. 

Vi  hanno  oltre  a  ciò  inclusioni  vetrose  limpide,  senza  colore, 
nelle  quali  si  accolgono  bolle  di  aria  in  vario  numero  (Tav.  II, 
fig.  14  e  25);  nella  massima  parte  però  di  esse  inclusioni  si  ha 
soltanto  una  bolla  gassosa.  Riscaldando  la  lastrolina  al  di  sopra 
di  60^  le  bolle  gassose  restano  immobili  ed  immutate.  I  pori  a 
gas  spesso  sono  allineati,  e  nel  gemello  rappresentato  nella  fig.  21 
si  osservano  disposti  in  linee  parallele  ora  alle  facce  del  prisma 
ora  al  macroasse  (Tav.  I,  fig.  1).  Ei  sembra  da  ciò  che  debbano 
essersi  formati  nel  cristallo  entro  a  fenditure  più  facili  in  certe 
direzioni  che  in  altre. 

Meionite?  —  È  citata  da  Vogelsang  (mem.  cit.),  non  dal 
Yom  Bath.  Si  vedono  è  vero  sezioni  quadratiche  e  anche,  benché 
raramente,  ottagonali;  si  vedono  prismi  allungati  che  air  appa- 
renza si  giudicherebbero  per  dimetrici;  ma  tanto  a  luce  ordinaria 
che  a  nicol  incrociati  presentano  gli  stessi  caratteri  delle  se- 
zioni evidentemente  spettanti  alla  sanidina,  la  quale  come  di- 
mostra con  descrizione  e  figure  anche  il  Rosenbusch  (*)  offre 
spesso  apparenze,  che  possono  farla  scambiare  con  sostanze  di- 
metriche. Gli  angoli  di  115*  a  118^  misurati  dal  Vogelsang  e 
da  lui  riferiti  alla  meionite,  le  facce  del  cui  rorabottaedro  fon- 
damentale sono  fra  loro  inclinate  di  116^  18',  ho  riscontrato 
io  pure  in  sezioni  analoghe  a  quelle  dal  Vogelsang  stesso  effi- 
giate, ma  è  pur  V  angolo  che  nell'  ortose  fanno  fra  loro  le  facce 
001  e  403  (116^32).  Per  tanto  trattandosi  di  altri  esemplari, 
mentre  non  posso  escludere  che  realmente  Vogelsang  abbia  avuto 
sottocchio  la  meionite,  non  ne  posso  né  meno  confermare  la 
determinazione;  sono  anzi  propenso  ad  escludere  la  presenza  di 
questa  specie  nella  tracliite  di  Castagneto,  tanto  più  che  nes- 
suna delle  sezioni  quadratiche  od  ottagonali,  che  in  parte  almeno 
dovrebbero  riferirvisi,  si  mantiene  costantemente  estinta  col  gi- 
rare della  lastrolina. 

Pirosseno — Vogelsang  (*)  cita  con  dubbio  riferendoli  all'augì- 
te  alcuni  grani  e  pezzetti  di  color  verde  da  lui  raramente  osser- 
vati nella  massa  della  trachite.  Il  Vora  Rath  (^)  dice  di  non  avervi 

(*)  Mikrosk.  Phy.  ec.  1873.  1.  319. 
(V)  Mem.  cit  1866. 


TRAGHITE  E  PORFIDO  QUARZIFERI    DI    DONORATICO  41 

scorto  segnò  di  questa  specie,  e  io  pure  nella  massa  comune 
della  roccia,  almeno  nelle  sezioni  da  me  osservate,  nulla  di  certo 
son  riuscito  a  vedere  che  vi  si  possa  riferire;  soltanto  può  restare 
il  dubbio  per  alcune  plaghe  verdognole,  spiegandoci  con  T  altera- 
zione sofferta  la  mancanza  dei  vivaci  colori  d' interferenza  propri 
di  questa  specie.  Ma  se  non  nella  massa  comune,  il  pirosseno 
vi  esiste  e  abbondante  in  alcuni  nidi  ricchi  anche  di  mica,  e 
che  per  il  loro  colore  più  scuro  risaltano  all'  occhio  sul  fondo 
più  chiaro  della  roccia. 

Sono  cristalli  piccoli,  non  misurando  i  maggiori  che  1  a  2  mm. 
di  larghezza  per  2-4  di  altezza.  Per  il  solito  molto  minori,  pre- 
sentano tutti  le  forme  110,  100,  010;  ne  si  può  dire  se  tutte 
anche  le  111,  essendoché  polverizzata  la  roccia  per  isolarli,  si 
presentino  spesso  rotti  all'  estremità,  (Tav.  II,  fig.  8-12),  Malgrado 
la  loro  piccolezza  ho  potuto  d'  alcuni  misurare  gli  angoli  della 
zona  dei  prismi  verticali  al  goniometro  a  riflessione,  e  già.  dissi 
di  aver  trovato  valori  di  circa  137'  e  133''  per  ogni  quattro  degli 
otto  angoli,  valori  che  corrispondono  con  approssimazione,  che 
non  poteva  ottenersi  maggiore  per  lU  poca  lucentezza  delle  facce, 
agli  angoli  di  136^27',  30"  e  133",  32^30"  fatti  nel  pirosseno 
da  110:  010  e  110:  100. 

Non  pochi  di  questi  cristalletti  sono  geminati  per  compene- 
trazione a  similitudine  della  staurolite,  nel  modo  stesso  che  ho 
pur  riscontrato  in  moltissimi  cristalli  della  nera  angìte  vesu- 
viana, nei  quali  vengono  a  giacere  nel  medesimo  piano  ora  le 
facce  010  e  010,  ora  le  100  e  100,  ora  le  100  e  010,  ora  le 
100  e  no,  ora  altre  della  stessa  zona  appartenenti  respetti va- 
mente  ai  due  cristalli  compenetrantisi.  Alcuni  di  questi  casi  ho 
senza  dubbio  riscontrato  sia  per  ossorvazione  diretta  con  la  lente 
o  al  microscopio  per  luce  riflessa,  sia  nelle  sezioni  fattene  e  ri- 
dotte sottili  nel  balsamo  del  Canada.. 

I  due  cristalli  gemelli  fanno  fra  loro  angoli  di  circa  80"  e 
100*  0  di  120'^  e  60%  misurati  al  microscopio  con  larghissima  ap- 
prossimazione, come  pure  si  vede  nell'  augite  vasuviana.  Le  dire- 
zioni di  estinzione,  qui  pure  indicate  dalle  frecce  nelle  figure, 
aiutano  a  studiare  qnoste  geminazioni. 

Nella  fig.  8  h  rappresentato  un  gemello,  in  cui  nell'  uno 
dei  due  cristalli  la  linea  di  estinzione  è  parallela  all'  asse 
verticale  o  spigolo    100  :  01 0^  mentre   nell'  altro  vi  fa  angolo 


42  A.   D^ACHIARDI 

fra  38*  e  40":  ò  ciò  che  avviene  per  i  due  piani  rispettivamente 
paralleli  alle  facce  100  e  010,  che  qui  vengono  a  corrispondersi 
per  i  due  individui  nel  medesimo  piano. 

Nella  fig,  10  è  eflSgiato  un  gruppo  nel  quale  un  individuo 
si  estingue  al  solito  parallelamente  air  asse  verticale,  ma  Y  altro 
non  più  come  per  il  caso  precedente  ad  angolo  di  e/  38%  44' 
con  esso,  ma  sì  bene  di  circa  20%  che  con  molta  approssima- 
zione corrisponde  air  estinzione  sulla  faccia  110.  Invece  nel  gruppo 
rappresentato  nella  fig.  11,  mentre  in  uno  degli  individui  V  estin- 
zione si  fa  pure  con  angolo  di  circa  20%  nell'altro  si  fa  con 
angolo,  di  poco  più  di  38%  onde  conviene  ammettere  che  ven- 
gano a  corrispondersi  nel  piano  della  preparazione  i  piani  cri- 
stallini 010  e  110. 

Nel  gruppo  finalmente  rappresentato  dalla  figura  12  sono 

le  due  facce  010  e  OlO  di  due  cristalli  che  vengono  a  corrispon- 
dersi nello  stesso  piano.  Le  linee  di  estinzione  fanno  in  ambe- 
due i  cristalli  angolo  di  e'  38"*  con  l'asse  dei  prismi  verticali; 
i  due  cristalli  fanno  fra  di  loro  angoli  che  misurati  al  micro- 
scopio dettero  valori  vicfni  a  8P  e  99^;  è  la  geminazione  101 
già.  descritta  ed  effigiata  anche  da  Naumann. 

Colore  del  pirosseno  verde-sudicio  nei  cristalli  osservati  a 
occhio  nudo  o  con  la  lente;  verde-giallastro  nelle  sezioni  esa- 
minate al  microscopio.  Manca  affatto  il  pleocroismo  con  un  sol 
nicol.  A  nicol  incrociati  appaiono  i  colori  d' interferenza  propri 
del  pirosseno. 

Magnetite  —  G.  vom  Rath  fa  menzione  anche  di  magnetite; 
io  non  ne  ho  veduta  nella  massa  della  roccia,  ma  non  ne  esclu- 
derei la  presenza  nei  nidi  micaceo-pirossenici  senza  per  altro 
poter  affermare  di  più. 

A  parte  questi  nidi  ricchi  di  pirosseno,  che  costituiscono  una 
peculiarità  di  alcuni  punti  della  massa,  la  trachite  di  Castagneto 
si  ravvicina  molto  a  quella  dell'  Asama-Yama,  recentemente  de- 
scritta dall'  Hussak  ('),  che  ben  a  ragione  ne  notava  pure  la 
rassomiglianza  ponendone  a  confronto  le  analisi. 

(*)  Mem.  cit. 


TRACHITE  E  PORFIDO  QUARZffBRl   DI  DONORATIOO                         43 

Asama-Tama  Campii^lla 

SiO,                      74, 65  70, 64 

AUOj                    15,32  14,11 

FeA                     2, 34  2, 86 

MnO  0,26  

CaO                       1, 96  2, 02 

MgO                      0, 79  0, 72 

K,0                       1, 42  2, 95 

Na,0                      4,11  4,67 

Perdita  per         j       ^  3^ 
arroventamento  ) 


101, 30  100,  27 

Non  vi  ha  dubbio  per  me  che  non  si  tratti  di  trachite 
quarzifera,  malgrado  il  suo  tenore  in  silice  più  basso  che  nelle 
comuni  trachiti  del  gruppo  delle  quarzifere,  per  le  quali  Zirkel 
d^  un  minimo  di  72,26.  La  sua  scarsità  in  grani  di  quarzo, 
da  me  già  notata,  ci  rende  ragione  della  sua  relativa  povertà 
in  SiOj,  che  rimane  pur  sempre  assai  al  di  sopra  che  nelle  tra- 
chiti non  quarzifere,  tanto  se  sanidìno-oligoclasiche,  quanto,  e 
a  più  forte  ragione,  se  soltanto  sanidiniche. 

L' abbondanza  della  massa  vetrosa,  1'  estensione  e  il  contegno 
della  roccia,  tutto  porta  a  concludere  che  questa  non  siasi  len- 
tamente e  profondamente  consolidata  sotterra  a  più  o  meno 
grande  pressione  in  dighe,  filoni  ec,  ma  sì  bene  raffreddatasi 
rapidamente  alla  superfìcie  o  presso  di  essa,  sia  colando  ester- 
namente, sia  rapprendendosi  in  cu  pule  ec.  Né  la  presenza  del 
quarzo  deve  fare  ostacolo  nell' ammetter  ciò,  che  se  Zirkel  (*) 
ci  dice  mancare  nelle  forme  laviche,  raramente  sì,  ma  in  talune 
lave  trachitiche  è  stato  pure  riscontrato. 


PORFIDO    QUARZIFERO 

G.  vom  Rath  nella  seconda  delle  due  sopra  citate  memorie  (*) 
già  dissi  come  ondeggiasse   nel   dubbio  se  alla   trachite   o   al 

C)  Lehrb.  d.  Petrogr.  1866.  2.  166. 

(<}  Di«  Berge  von  Campiglia  —  Zeit  d.  Deut.  geoL  Gesel.  Berlin.  1868.  ZO»  307. 


44  A.   D^ACHIABDI 

porfido  dovesse  riferire  certe  rocce  di  San  Vincenzo  e  dintorni 
nel  territorio  campigliese,  e  come  propendesse  per  ritenere  quale 
un  porfido  quarzifero  la  roccia  che  prima  aveva  qualificata  come 
una  trachite,  e  che  come  tale  conferma  lo  studio  microscopico 
fattone  da  Vogelsang  e  ora  pure  da  me.  Si  rimane  quindi  un 
po'  incerti  se  eflFettivamente  quando  parla  di  porfido  quarzifero 
descriva  o  no  ciò  che  prima  aveva  fatto  conoscere  sott' altro 
nome.  Per  altro,  indipendentemente  da  una  qualche  confusione 
che  vi  può  esser  nata,  egli  è  certo  che  là  ove  parla  del  porfido 
dei  filoni  non  è  il  caso  della  trachite  descritta  da  Vogelsang 
e  da  me,  ma  si  della  roccia  di  cui  imprendo  ora  la  descrizione 
sotto  il  nome  di  porfido  quarzifero,  o  almeno  di  qualche  cosa 
di  molto  analogo;  tanto  più  che  fra  i  minerali  che  lo  compongono 
non  più  ricorda  la  violetta  cordierite,  ma  i  cristalletti  piccolis- 
simi della  varietà  pinite. 

Caratteri  macroscopici.  —  Gli  esemplari  da  me  esa- 
minati del  porfido  quarzifero  di  Donoratico  raccolti  dal  Lotti 
ci  mostrano  una  roccia  più  compatta  e  tenace  che  non  sia  la 
trachite  precedentemente  descritta.  Invece  di  un  fondo  di  color 
grigio  come  in  quella  si  ha  una  massa  biancastra,  che  appare 
in  parte  costituita  da  elementi  feldispatici,  forse  qui  parzial- 
mente caolinizzati,  e  nella  quale  veggonsi  numerosi  cristalli  o 
grani  di  quarzo  grigiastri  e  brevi  prismi  di  un  minerale  grigio- 
verdolino,  che  air  apparenza  si  giudica  per  pinite,  e  |qua  e  là 
scarsissimi  cristalletti  neri  come  di  tormalina.  Mica  nera,  sì 
fi'equente  nella  trachite,  qui  manca;  solo  in  connessione  con  i 
cristalletti  che  paiono  di  pinite  veggonsi  delle  lamìnette  bianche 
lucenti,  che  ne  sembrano  derivare  e  si  prenderebbero  per  talco 
o  per  mica  bianca.  Cristalli  di  feldispato  di  notevoli  dimensioni 
sembrano  trovarvisi  di  tanto  in  tanto,  e  quelli  che  il  Lotti  mi 
ha  mostrato  da  lui  stesso  raccolti  in  posto  sono  di  ortose  con 
apparenza  vetrosa  come  nella  varietà  sanidina. 

Caratteri  microscopici.  —  La  massa  fondamentale 
appare  in  massima  parte  costituita  da  un  minuto  miscuglio  di 
parti  cristalline  senza  colore  o  con  apparenza  nebulosa  a  luce 
ordinaria.  Io  credo  si  tratti  di  un  magma  felsitico  a  elementi  fel- 
dispatici e  silicei,  giucandone  almeno  alla  loro  apparenza  a  nicol 
incrociati.  Questi  materiali  del  magma  mostrano  spesso  una  strut- 
tura sferolitica  e  colori  d' interferenza  a  nicol  incrociati  senza 


tRACHITE  E  PORFIDO  QUARZIFERI  DI   DONORATIGO  4& 

mai  estinguersi  completamente  per  la  orientazione  loro  in 
tutte  le  direzioni.  Oltre  a  ciò  si  osservano  pure  sferuliti  a  croce 
nera,  E  il  magma  caratteristico  dei  così  detti  porfidi  petrosel- 
ciosi,  che  rivela  pure  un'  apparenza  calcedoniosa-opalìna,  un  in- 
sieme che  è  dovuto  a  qualche  cosa  d' intermedio  fra  lo  stato 
di  perfetta  cristallizzazione  e  il  vetroso  e  il  colloide.  Qua  e  là 
nel  magma,  ma  preferibilmente  intorno  ai  grani  di  quarzo,  si 
osserva  una  sostanza  informe  di  colore  grigio-sporco,  che  produce 
r  apparenza  nebulosa  sopra  menzionata  e  ha  contegno  di  silice 
calcedoniosa  fra  i  nicol  incrociati;  si  direbbe  prodotta  dalla 
corrosione  stessa  del  quarzo,  e  forse  anche  di  qualche  altro  mi- 
nerale (Tav.  I,  fig.  4,  5,  6). 

Studiando  per  paragone  altre  e  consimili  rocce  di  giaciture 
diverse  da  questa,  ma  pur  sempre  nel  territorio  campigliese,  ne 
ho  pur  osservate  alcune  in  cui  la  struttura  felsitica  è  anche 
più  evidente,  e  la  massa  fondamentale  costituisce  in  massima 
parte  la  roccia,  che  può  pertanto  ritenersi  una  vera  e  propria 
felsite. 

Qnarzo  —    Convien  distinguere  il  quarzo   di   prima  dal 
quarzo  di  seconda  consolidazione. 

Il  quarzo  di  prima  consolidazione  si  presenta  in  grani  di 
dimensioni  variabilissime,  ordinariamente  riconoscibili  anche  a 
occhio  nudo.  La  massima  parte  però  di  quelli  osservati  nelle 
sezioni  al  microscopio  raramente  raggiungono  o  sorpassano  un 
millimetro  di  diametro;  per  il  solito  ne  differiscono  in  meno 
e  d' assai  • 

Le  sezioni  nella  preparazione  non  appalesano  alcun  colore  a 
luce  ordinaria;  limpide,  fresche,  senza  rilievo,  com'è  carattere 
del  quarzo,  soltanto  verso  la  periferia  sempre,  non  di  rado  an- 
che neir  interno,  mostrano  segni  di  sofferta  corrosione  (Tav.  II, 
fig.  26-32).  Irregolarmente  esagonali  e  non  di  rado  anche  a 
maggior  numero  di  lati,  tali  appaiono  per  la  sofferta  corrosione, 
che  ne  ha  attaccato  diversamente  le  varie  parti  e  fra  esse  in 
special  modo  1'  estremità  dei  cristalli,  ivi  producendo  un  falso 
lato,  facilmente  però  riconoscibile  per  le  tracce  manifestissime 
del  suo  modo  di  origine.  Quando  la  corrosione  sia  molto  pro- 
gredita invece  di  sezioni  poligonali  si  hanno  sezioni  di  grani 
più  o  meno  rotondeggianti  e  spesso  anche  irregolari  nel  loro 
contorno  con  insenature,  solchi  ec. 


46  A.   D^ACHIARDt 

Le  sezioni  poligonali  ci  mostrano  chiaramente  i  caratteri 
del  quarzo.  Alcune  poche  esagonali  rimangono  sempre  estinte 
a  nicol  incrociati;  sono  sezioni  normali  all'asse  di  simmetria; 
altre  e  sono  le  più  stanno  ad  esso  asse  più  o  meno  oblique  ed 
anche  parallele;  né  rare  sono  quest'ultime  o  che  per  lo  meno 
vi  si  approssimano,  e  per  le  quali  oltre  alle  direzioni  di  estin- 
zione pur  le  misure  degli  angoli  di  circa  142*»  e  76'-77*  giovano 
alla  determinazione  della  cristallizzazione  (Tav,  li,  fig.  26), 

Le  facce  del  prisma  sono  ordinariamente  molto  ridotte,  tal- 
volta anche  mancano,  ma  si  danno  pure  cristalli  in  cui  pren- 
dono notevole  sviluppo,  lo  che  non  ho  mai  riscontrato  nei  cri- 
stalli della  trachite. 

E  mentre  in  questa  i  grani  di  quarzo  sono  scarsi  e  abitual- 
mente isolati,  qui  invece  sono  spesso  uno  a  canto  dell'  altro: 
taluni  pochi  in  posizione  parallela,  talvolta  però  per  distacco 
avvenuto  di  parti  di  un  unico  cristallo  (Tav,  TI,  flg.  32),  altri 
e  più  in  posizione  diversa,  onde  a  nicol  incrociati  diversi  pure 
i  loro  colori  e  i  momenti  d'estinzione  (Tav.  I,  fig.  4  e  6).  Per 
la  maggior  parte  questi  grani  o  cristalli  ci  appaiono  riuniti 
l)arallelamente  a  una  faccia  di  romboedro  <Tav.  II,  fig.  27);  ma 
dalle  sole  sezioni  e  per  l'approssimazione  un  po'  larga  nella 
misura  degli  angoli,  che  variano  secondo  che  il  taglio  cada  in 
un  verso  o  nell'  altro,  riesce  un  po'  difficile  stabilire  se  si  abbia 
a  che  fare  con  gemelli  secondo  100,  e  quali  apparrebbero  dalla 

succitata  figura  27,  o  non  piuttosto  secondo  il  piano  251,  come 
porterebbero  per  alcuni  casi  a  credere  angoli  misurati  di  circa 
85""  fra  i  due  cristalli,  e  il  piccolo  angolo  che  in  essi  fanno  le 
direzioni  di  estinzione. 

Ho  pur  veduti  cristalli  riuniti  altramente  (Tav.  Il,  fig.  28), 
per  una  faccia  di  romboedro  l'uno  e  di  prisma  l'altro;  ma 
qualunque  sia  il  modo  di  unione,  non  mai  si  compenetrano  fra 
di  loro,  e  ogni  sezione  di  cristallo  appare  semplice  anche  per  i 
colori  d' interferenza. 

Le  figure  30,  31  e  32  della  tav.  II  e  le  5  e  6  della  tav.  I, 
oltre  la  corrosione  periferica  dei  cristalli,  mostrano  anche  la  in- 
trusione più  o  meno  profonda  del  magma  entro  le  loro  sinuositò., 
anfrattuosita  ec.  prodotte  dalla  corrosione  stessa,  così  come  è 
carattere  del  quarzo  di  prima  consolidazione.  In  queste  sinuosità 
insieme  al   magma  si  vedono   penetrare  anche  i  cristallettì  di 


tRAOHITR  E  PORFIDO  QUARZIFERI   DI   DONORATIOO  47 

pinìte,  spesso  aderenti  ai  cristalli  stessi  di  quarzo,  prova  della 
loro  origine  più  serotina  (Tav.  II,  fig.  29,  30,  31  e  33),  se  non  sia 
piuttosto  deir  avere  essi  jBuitato  nel  magma  e  dell'  essere  dal 
medesimo  stati  trasportati. 

Oltreché  per  la  compenetrazione  in  essi  della  massa  fonda- 
mentale e  altre  apparenze  sopra  descritte,  differiscono  i  cristalli 
di  quarzo  del  porfido  da  quelli  della  trachite  anche  per  la  copia 
delle  inclusioni. 

Fra  le  inclusioni  cristalline  si  hanno  qui  pure  le  solite  esili 
bacchettine  senza  colore  o  leggerissimamente  verdognole  a  estre- 
mità per  il  solito  rotondeggianti,  che  a  quarzo  estinto  appaiono 
luminose  nel  quarzo  stesso,  e  che  sono  a  lor  volta  non  di  rado 
dotate  di  inclusioni  gassose.  Misuratene  alcune  trovai  aver  lun- 
ghezza massima  di  mm.  0,195  e  larghezza  massima  di  mm.  0,012, 
per  la  maggior  parte  essendo  molto  al  di  sotto  di  tali  dimen- 
sioni (Tav.  II,  fig.  27,  28,  29,  30^.  Questi  microliti  sono  perfetta- 
mente analoghi  a  quelli  effigiati  da  Cohen  (^)  e  da  lui  riferiti 
air  apatite. 

Analoghi  a  questi  nella  forma  e  nelle  dimensioni  altri  mi- 
croliti di  colore  giallo-arancio  pur  si  veggono  nel  quarzo  (Tav.  I, 
fig.  4i.  Io  sospetto  che  sieno  di  zircone,  ma  non  escludo  che  possano 
anche  essere  di  altra  specie.  Quasi  dello  stesso  colore,  meno  che  un 
po'  più  gìallastro-brune,  si  osservano  pure  delle  globuliti,  talora 
anche  in  numero  considerevole  (Tav.  IT,  fig.  33),  e  di  forma  ge- 
neralmente ellittica. 

Oltre  a  queste  si  hanno  e  in  gran  numero  inclusioni  vetrose 
e  gassose  (Tav.  II,  fig.  26  a  33).  In  alcune  sezioni  di  cristalli  ho 
osservate  inclusioni  assai  voluminose  di  un  vetro  giallognolo 
(Tav.  II,  fig.  32)  con  più  bolle  di  gasse;  ma  in  generale  queste 
inclusioni  sono  senza  colore,  limpide;  talune  sembrano  accennare 
a  un  contorno  regolare,  che  quasi  ripete  la  forma  del  quarzo 
includente;  ora,  apparentemente  almeno,  distribuite  senza  re- 
gola alcuna,  ora  allineate  in  gran  numero;  ma  sono  pur  queste 
di  vetro?  La  presenza  di  una  sola  bolla  di  aria  in  quasi  tutte 
potrebbe  far  sospettare  che  per  la  massima  parte  fossero  in- 
clusioni liquide  con  livella;  ma  le  bollicine  gassose  non  si  spo- 

(*)  Samml  v.  Mikr.  z.  ver.  d.  mikr.  Stract.  v.  Minor,  u.  Gesteinen.  Stuttgart 
18S3.  Tav.  LXXVU,  ùg,  3^. 


48  A.   D*  ACHIARDt 

stano  affatto,  né  meno  a  una  temperatura  superiore  ai  60% 
quindi,  mentre  non  escludo  la  possibilità  che  vi  abbiano  anche 
inclusioni  liquide,  in  generale  e  per  lo  meno  per  quelle  a  con- 
torno esilissimo,  che  sono  molte,  ritengo  che  sieno  vetrose. 

Le  bollicine  gassose  sono  per  il  solito  assai  grandi;  e  credo 
vi  abbiano  anche  cavità,  esclusivamente  ripiene  di  gasse,  quelle 
per  esempio  che  con  ombra  considerevole  ripetono  nel  loro  con- 
torno la  forma  del  quarzo  includente,  e  con  esse  altre  anche  ir- 
regolari nella  loro  figura. 

Del  quarzo  di  seconda  formazione  già.  dissi  parlando  della 
massa  fondamentale;  aggiungerò  oro  che  lo  si  osserva  pure 
nelle  sezioni  del  feldispato,  come  epigenico  sui  cristalli  più  o 
meno  altemti  di  questo  minerale.  Ci  appare  pure  ivi  in  foggia 
di  piccolissime,  fitte  sferuliti  a  fibre  irraggianti,  che  non  si  estin- 
guono a  nicol  incrociati  e  danno  colori  assai  vivaci  d' interferenza 
(Tav.  I,  fig.  4  a).  Così  pure  si  osserva  nella  pinite. 

Silice.  —  Con  apparenza  granulare  e  di  calcedonio  la  si 
osserva  nella  massa  fondamentale  della  roccia,  e  pur  anco  nelle 
sezioni  dei  cristalli  piti  o  meno  alterati  di  feldispato  e  di  pinite. 
Ortose.  —  Cristalli  di  dimensione  svariatissima  mostrano 
r  abito  particolare  dell'  ortose,  e  non  è  difficile  misurarvi  angoli 
che  conducono  alle  forme  001,  100,  010,  110,  101,  201  (Tav.  Il, 
fig.  40  e  41).  Essi  sembrano  costituire  una  buona  porzione  della 
roccia,  prendendo  parte  anche  in  confuso  alla  costituzione  della 
massa  fondamentale.  In  generale  paiono  semplici;  ve  ne  hanno 
però  anche  dei  geminati,  ma  rarissimi. 

A  luce  ordinaria  si  appalesano  senza  colore  o  meglio  bianco- 
sporchi,  soltanto  tralucidi  e  tutti  sagrinati.  A  nicol  incrociati 
rari  sono  i  cristalli  che  ci  presentino  le  tinte  comuni  dell'or- 
tose,  per  lo  più  si  ha  V  apparenza  di  un'  alterazione  sofferta,  e 
soltanto  come  macchie  qua  e  là,  in  generale  appariscono  nella 
sezione  in  figura  di  ortose  le  tinte  grigio-morate  a  testimonianza 
di  parti  non  completamente  alterate.  Ei  sembra  di  vedervi  pure 
il  caolino  in  foggia  di  nubecole  bianco-sudicie  opache,  e  ne  è 
la  presenza  resa  verosimile  anche  dall'  apparire  a  occhio  nudo 
più  0  meno  caolinizzati  i  cristalli  di  feldispato;  e  dell'  altera- 
zione da  essi  sofferta  è  pure  da  ritenersi  effetto  la  presenza 
dell'  abbondante  silice  in  foggia  di  scagUette  e  sferuliti  a  cri- 
stallini irraggianti,  di  cui  già  dissi  trattando  del  quarzo,  e  che 


TRACHITS  K  FOBFIDO  QUARZIFERI   DI   DONORATICO  49 

occupano  tanta  parte  della  massa  feldispatica.  (Tav.  I,  fig.  4-6). 
L' alterazione  sofferta  rende  spesso  difficile,  se  non  anche  impos- 
sibile, decidere  se  si  tratti  di  ortose  o  di  oligoclasio,  e  se  di 
ortose  di  quale  delie  sue  varietà.  L'esame  macroscopico  di  al- 
cuni cristalli  farebbe  credere  si  avesse  a  che  fare  qui  pure  con 
sanidina  ;  certo  Y  aspetto  loro  è  ora  ben  diverso  sotto  al  micro- 
scopio da  quello  dei  cristalli  di  sanidina  della  trachite. 

Debbo  avvertire  che  gli  esemplari  furono  raccolti  alla  super- 
ficie, quindi  rimane  il  dubbio  se  in  profondità,  conservi  il  feldi- 
spato  lo  stesso  aspetto. 

Oligoclasio  —  La  struttura  polisintetica  di  alcuni  cristalli, 
non  cancellata  dair  alterazione,  ne  fa  certi  della  presenza  di  un 
plagioclasio,  che  per  la  natura  della  roccia  stessa  sarà  verosimil- 
mente r  oligoclasio  (Tav.  I,  fig.  4  a). 

Ciò  che  fu  detto  per  V  ortose  vale  anche  per  questa  specie 
circa  air  alterazione  sofferta  e  ai  suoi  prodotti. 

Tormalina  —  Nella  maggior  parte  delle  sezioni  fatte  non 
vedesi  nulla  che  vi  si  possa  riferire;  ma  in  due  si  scorgono,  chia- 
ramente sezioni  di  cristalletti  aggruppati,  e  parte  anche  irrag- 
gianti, che  ritengo  sieno  di  tormalina,  specie  non  comune  in  sì 
fatte  rocce  (Tav.  I,  fig.4(i).  Questi  cristalletti  parte  appaiono 
sezionati  lungo  V  asse,  parte  obliquamente  e  parte  normalmente 
ad  esso  o  quasi.  Le  prime  sezioni  son  tutte  più  o  meno  allun- 
gate, la  lunghezza  massima  da  me  riscontrata  raggiungendo  i 
mm.  0,2127  per  una  massima  larghezzza  di  mm.  0,08325;  ma 
molti  cristalletti  sono  più  piccoli  assai  e  specialmente  sottili,  mi- 
surando in  lunghezza  mm.0,18-0,21  e  in  larghezza  mm.  0,018-0,037. 
Queste  sezioni  parallele  alleasse  ci  si  appalesano  abitualmente 
rotte  air  estremità  o  indecifrabili  nella  loro  terminazione:  solo 
alcune  poche  mostrano  facce,  che  per  la  misura  degli  angoli 

si  possono  riferire  alle  100,  111  concorrenti  alla  base  (Tav.  II, 
fig.  84).  Vi  si  scorgono  irregolari  e  poche  fenditure,  che  sembrano 
accennare  a  non  facile  sfaldatura.  Le  sezioni  normali  o  quasi 
normali  alFasse  sembrano  laminette  di  mica  esagonali  con  angoli 
misurati  di  120\ 

A  luce  ordinaria  si  ha  una  bella  tinta  celeste  come  di  cianite 
in  varie  delle  sezioni  parallele  air  asse,  in  altre  di  queste  e  nelle 
esagonali  cilestro-verdastro  più  o  meno  pallido  e  talvolta  più  o 
meno  sudicio. 

So,  Nat  Voi.  VII,  fase.  l.«  4 


50  A.    D^ACHIABDI 

Con  il  solo  polarizzatore  si  ha  forte  dicroismo:  mentre 
le  sezioni  esagonali  o  basali  si  mostrano  costantemente  della 
stessa  apparenza,  cioè  dotate  di  colore  bruno-azzurrognolo  o  di 
poco  cambiano  alcune  (verosimilmente  quelle  fra  esse  tagliate 
non  del  tutto  normali  air  asse),  le  altre  più  o  meno  allungate 
cambiano  da  una  tinta  azzurra  scura  tendente  air  azzurro-violetto 
a  un  celeste-verdognolo  con  grande  differenza  di  assorbimento 
di  luce  a  seconda  della  posizione  della  lamina  cristallina.  Quando 
Tasse  di  simmetria  del  cristallo  è  normale  alla  sezione  princi- 
pale del  polarizzatore  si  ha  il  massimo  di  assorbimento  con  la 
tinta  azzurra  molto  scura;  quando  invece  è  parallelo  si  ha  il 
minimo  con  le  tinte  chiare  giallo-verdastio-celestognole. 

A  nicol  incrociati  le  sezioni  esagonali  restano  costantemente 
estinte  o  quasi;  le  altre  presentano  colori  d' interferenza  più  o 
meno  vivaci  ad  anelli  concentrici.  Poche  o  punte  inclusioni.  La 
presenza  del  boro  svelata  dall'  analisi  fatta  della  roccia  dal  Gaz- 
zarrini  conferma  la  determinazione  di  questa  specie. 

Finite  —  Vom  Rath  parlando  dei  porfidi  quarziferi  del 
Botro  air  Ortaccio,  dice  che  entro  a  una  pasta  apparentemente 
compatta  bianco-giallastra  stanno  moltissime  cordieriti  della  gros- 
sezza di  una  linea,  convertite  in  piniti. 

Negli  esemplari  da  me  osservati  del  porfido  quarzifero  di 
Donoratico  presso  Castagneto  ho  pur  veduto  a  occhio  nudo  e 
meglio  con  la  lente  numerosissime  e  piccole  colonnette  d' appa- 
renza quasi  steatitosa,  di  colore  grigio-verdolino  pallido,  talvolta 
lucenti  come  talco  specialmente  nelle  fratture;  e  simili  a  queste 
ne  ho  pur  riscontrato  in  altri  esemplari  provenienti  d'altre 
parti  del  territorio  campigliese  e  nell'apparenza  loro  corrispon- 
denti a  quelli  descritti  dal  Vom  Bath.  I  caratteri  al  microscopio 
si  corrispondono  del  pari. 

Questo  minerale  nelle  sezioni  osservate  al  microscopio  ci  ap- 
pare in  foggia  di  prismi  o  bacchette  allungate,  la  cui  larghezza 
ordinariamente  oscilla  intorno  a  mm.  0,02  a  0,03,  e  la  lunghezza 
da  mm.  0,11  a  0,19;  ma  se  ne  danno  pure  di  quelle  fra  queste 
sezioni  prismatiche  che  appena  raggiungono  mm.  0,  009  di  lar- 
ghezza e  altre  che  superano  qualche  millimetro  tanto  per  tra- 
verso che  per  lungo;  tali  quelle  dei  cristalli  che  veggonsi  bene 
a  occhio  nudo. 

Queste  sezioni  allungate  appaiono  rotte  all'  estremità  o  ter- 


TBACHITK  B  POBFIDO  QUARZIFERI   DI  DONORATICO  51 

minate  dalla  base  e  solo  per  eccezione  da  facce  oblique.  Nella 
grossezza  della  preparazione  si  travedono  talora  più  facce  di 
prismi;  e  poiché  nelle  sezioni  normali  air  asse  si  hanno  figure  di 
esagoni,  d' ottagoni  e  di  dodecagoni,  conviene  quindi  ritenere  che 
vi  abbiano  le  facce  dei  pìnacoidi  001,  100,  010  e  di  due  prismi 
verticali  (Tav.  I  fig.  4-6,  Tav.  II,  fig.  36-39).  Il  contorno  di  alcune 
sezioni  è  anche  irregolare;  ma  Y  abito  prismatico  non  vi  è  per 
questo  cancellato. 

L*  interna  struttura  appare  alquanto  diversa  secondo  gV  in- 
dividui, forse  in  grazia  della  più  o  meno  progredita  alterazione 
loro.  Ordinariamente  le  sezioni  longitudinali  ci  appaiono  costi- 
tuite come  da  fasci  di  fibre,  che  di  tanto  in  tanto  lasciano  ma- 
glie occupate  da  sostanza  omogenea,  e  procedono  sinuosamente 
nella  direzione  deir  asse  verticale.  In  qualche  parte  invece  di 
fibre  così  procedenti  si  hanno  sferuliti  di  fibre  irraggianti  da 
tanti  centri  distinti,  così  come  è  poi  caso  abituale  delle  sezioni 
normali  air  asse.  Qrani  o  lamelle  come  di  sostanza  eterogenea 
s' intromettono  fra  queste  fibre  (Tav.  II  fig.  36-39). 

A  luce  ordinaria  si  ha  un  colore  giallo- verdolino  più  o  meno 
chiaro,  che  tanto  più  sbiadisce  quanto  più  sottile  sia  la  sezione 
fino  quasi  a  diventare  appena  sensibile.  L*  intensità  della  tinta 
varia  anche  in  ragione  delle  varie  parti  del  cristallo,  che  ci  ap- 
paiono diversamente  colorite.  Lungo  dair  aversi  una  tinta  uni-  , 
forme  si  hanno  porzioni  del  tutto  senza  colore  e  limpide,  altre 
giallo-verdoline  e  lamelle  o  grani  di  color  verde  intenso,  che  sem- 
brano come  indipendenti  e  sospese  entro  la  massa  del  cristallo 
che  le  include.  Le  porzioni  fibrose  e  sferulitiche  sogliono  apparire 
verdastre;  le  maglie,  che  vi  si  comprendono,  senza  colore  e  limpide. 

Con  un  sol  nicol  non  pochi  cristalletti  danno  segno  di  pleo- 
croismo  nelle  loro  sezioni  longitudinali  apparendo  una  tinta  più 
pallida  quando  sono  disposte  normalmente  alla  sezione  principale 
del  polarizzatore,  più  intensa  e  verde  quando  sieno  invece  a 
questa  parallele.  Si  ha  quindi  l\opposto  che  nella  cordìerite  della 
trachite,  per  la  quale  nelle  pezioni  longitudinali  la  tinta  più 
chiara  si  aveva  parallelamente  alla  sezione  principale  del  polariz- 
zatore, e  ciò  mi  aveva  messo  in  sospetto  potesse  trattarsi  di 
qualche  cosa  di  diverso.  Ma  intanto  anche  Hussak(^)  ha  riscontrato 

{*)  Ueb.  den  Cordìerit  in  volkanischen  Ausworflingen.  Sia.  k,  k,  Ak.  Wiss, 
Wien.  1883.  87.  4-5.  831 


52  A.   D^ACHIABDI 

diverso  contegno  in  varie  cordieriti;  e  la  cristallizzazione,  la  strut- 
tura minutamente  fibrosa  e  lamellosa,  il  colore  e  vedremo  anche 
la  polarizzazione  di  aggregato  fanno  ritenere  che  si  tratti  di 
pinite. 

A  nicol  incrociati  si  presentano  i  fenomeni  stessi  descritti 
da  Fouqué  e  Levy  (*)  per  questa  specie;  si  vede  cioè  che  tanto 
la  parte  colorata  che  senza  colore  risultano,  parzialmente  'almeno, 
di  sferuliti  a  croce  nera  (Tav.  I,  fig.  4  e),  con  questa  differenza 
che  le  giallo-verdi  presentano  le  tinte  morate  dell'opale  e  del 
calcedonio,  le  scolorite  colori  di  polarizzazione  cromatica  vivaci 
precisamente  come  nelle  stesse  sferuliti  osservate  nelle  sezioni 
dei  feldispati.  Le  sferuliti  a  croce  nera  veggonsi  meglio  e  più 
frequentemente  nelle  sezioni  normali  che  nelle  parallele  air  asse 
verticale.  Ove  invece  di  sferuliti  si  hanno  soltanto  fasci  di  fibre, 
queste  presentano  deboli  colori  d' interferenza,  che  talvolta  pur 
mancano. 

Le  laminette  o  grani  di  color  verde  cupo  inclusi  o  facenti 
parte  della  massa  stessa  della  pinite  mostrano  colori  d'interfe- 
renza più  o  meno  sensibili;  sembrano  quasi  di  mica. 

L' estinzioni  nelle  sezioni  non  costituite  o  solo  parzialmente 
costituite  di  sferuliti  si  fanno  sempre  parallelamente  e  normal- 
mente air  asse  dei  prismi  verticali. 

I  cristalli  di  pinite  si  veggono  spesso  aderenti  ai  cristalli 
di  quarzo,  talvolta  trasportati  dal  magma  stesso  entro  alle 
sinuosità  di  corrosione,  che  in  questi  si  osservano  ripiene  dalla 
massa  fondamentale  (Tav.  II,  fig.  30) . 

Mica  —  Non  vi  ha  certo  mica  nera  come  nella  trachite, 
in  cui  vedemmo  abbondantissima  la  biotite;  può  sospettarsi  che 
a  una  mica  appartengano  certe  laminette,  che  si  veggono  nella 
pinite. 

Apatite  —  Vi  ho  in  parte  riferito  le  esili  inclusioni  bacillari 
senza  colore,  che  si  rinvengono  nel  quarzo  e  altri  materiali  di 
questa  roccia  (Tav.  II,  fig.  27,  28,  30,  31). 

La  presenza  del  fosforo  svelato  dall'  analisi  conferma  questa 
determinazione. 

Zircone?  —  Sono  incerto  se  a  questa  o  ad  altra  specie 
debbano  riferirsi  i  mìcroliti  bacillari  di  colore  giallo-arancio,  os- 
servati in  diversi  cristalli  di  quarzo  (Tav.  II,  fig.  i  h). 

(')  Minér.  Microgr.  —  Roches.  érupt   franQaises.  Paris  1870,  314. 


TRACHITE  E  POBFIDO  QUARZIFERI   DI   DONORATICO  63 

Ematite?  —  Incerta;  forse  sono.da  riferirsi  ad  essa  alcune 
esili  laminette  di  color  giallo-arancio. 

Pirite  —  In  cubi  con  tinta  giallastra  all'  intorno  dovuta 
a  limonite.  In  parecchie  sezioni  non  ne  ho  veduto  indizio,  dunque 
la  deve  esser  rara,  almeno  negli  esemplari  da  me  esaminati  di 
Donoratico  e  di  questa  varietà,  che  in  altri  di  San  Silvestro 
(Campiglia)  e  di  struttura  più  omogenea  e  compatta  ho  trovato 
essere  molto  più  frequente,  cosa  importante  a  notarsi  per  la 
connessione  di  queste  rocce  eruttive  coi  giacimenti  metalliferi. 


Tali  sono  la  trachite  e  il  porfido  quarzifero  di  Castagneto, 
due  rocce  che  senza  dubbio  presentano  fra  loro  una  notevole 
differenza.  Quella,  quasi  un  vetrofiro,  è  roccia  che  deve  aver 
colato  alla  superficie  o  essersi  rappresa  molto  presso  di  essa. 
Il  magma  si  è  rapidamente  raffreddato,  si  è  quindi  costituito  in 
massa  vetrosa,  né  vi  fu  tempo  perchè  corrodesse  lentamente  il 
quarzo  e  lo  com penetrasse,  come  è  avvenuto  invece  nel  porfido, 
che  anche  nel  suo  modo  di  presentarsi  in  dighe  o  filoni  esclude 
il  trabocco.  11  raffreddamento  e  consolidamento  di  questa  seconda 
roccia  dovette  farsi  quindi  più  lentamente  sotterra;  V  abbon- 
dante e  uniforme  massa  vetrosa  non  si  formò  mancato  il  rapido 
rapprendersi  della  roccia;  i  cristalli  di  quarzo,  formativisi  da 
prima  in  molto  maggior  numero,  per  la  loro  lunga  dimora  nel 
magma  più  o  meno  fluido  furono  da  questo  più  o  meno  profon- 
damente corrosi  e  compenetrati,  prima  che  si  consolidasse;  e 
r  allineamento  o  meglio  accumulamento  delle  innumerevoli  in- 
clusioni in  certe  direzioni  piuttosto  che  in  altre  ci  accenna  forse 
la  via  per  la  quale  si  fecero  strada. 

L' aspetto  del  feldispato,  la  qualità  e  V  a])ito  della  cordierite 
convertita  in  pinite  nel  porfido,  queste  e  tante  altre  diversità 
che  vi  hanno,  che  differenza  vi  ha  quasi  in  tutto,  fanno  senza 
dubbio,  lo  ripeto,  delle  due  rocce  due  cose  ben  distinte.  Ma  non 
vi  può  dunque  essere  alcun  legame  fra  loro?  La  comunanza  della 
massima  parte  delle  specie  minerali  quantunque  con  proprietà 
fisiche  diverse,  la  corrispondenza  di  composizione  elementare 
dataci  dall'analisi  chimica,  riferendoci  a  quella  fatta  di  altri 
porfidi  vicini  e  analoghi,  le  condizioni  geologiche  del  giaci- 
mento, quale  viene  descritto  dal  Lotti,  tutto  ci  porta  a  sospet- 


54  A.    D^  ACHIARDI 

tare  un  legame  di  provenienza  fra  queste  due  rocce,  entrambi 
spettanti  al  gruppo  delle  rocce  a  struttura  trachitoide,  e  ve- 
rosimilmente per  nuir  altro  oggi  diverse  se  non  perchè  Y  una 
sì  rapprese  rapidamente  alla  superficie  o  presso  di  essa,  V  altra 
s'intruse  in  filoni  in  mezzo  a  quelle  stesse  rocce,  che  la  prima 
traboccando  forse  ricopriva  per  lunga  estensione.  Tocca  ora  al 
geologo  indagare  se  ne  sia  corrispondente  V  età,  e  se  le  si  pos- 
sano e  debbano  considerare  come  effetto  di  una  stessa  fase 
vulcanica  nelle  sue  diverse  manifestazioni  ipogea  ed  epigea. 

Pisa,  14  decembre  1884. 


SPIEGAZIONE    DELLE    TAVOLE 


Taf.    1. 

1.  Sezione  della  trachite  di  Donoratico  veduta  a  luce  ordinaria. 

2.  La  medesima  a  luce  polarizzata  e  a  nicol  incrociati. 

3.  Altra  sezione  della  stessa  roccia  veduta  pure  a  nicol  incrociati. 

4.  Sezioni  del  porfido  quarzifero  di  Donoratico:  a  porzione  di  roccia  con  ortose 

e  plagioclasio  veduta  a  nicol  incrociati;    h  Id.  con  quarzo,  feldispato, 

zircone?  pinite  ec.  ;  e.  Id.  con  pinite  costituita  di  sferuliti  a  croce  nera; 
d,  Id.  con  ortose  e  tormaline  veduta  a  luce  ordinaria. 

5.  Sezione  dello  stesso  porfido  a  luce  ordinaria. 

6.  Id.  a  nicol  incrociati. 

Tar.  II. 

1-7.  Cristalli  di  sanidina.  —  Ingrandimento  di  circa  50  diametri. 
8-12.  Cristalli  di  pirosseno  geminati  in  croce  meno  il  N.®  0,  che  è  semplice. 
Ingrandimento  di  15  a  20  diametri. 

13.  Sezione  di  cristallo  di  cordierite  a  superfìcie  sagrinata. 

14.  Cristallo  di  cordierite  (100,010,001,  110)  con  inclusioni  vitreo-gassose. — 

Ingrandimento  di  50  diam. 

15.  Altro  cristallo  di  cordiente  (001,  100,  110)   con  le  stesse  inclusioni.    In- 

grandimento di  40  diam. 

16.  Id.  (100,  010,  001,  110,  310)  con  inclusioni  cristalline  e  vetrose.  Ingran- 

dimento di  75  diam. 

17.  Sezione  di  cristallo  di  cordierite  terminato  da  facce  piramidali,  forse  le  101. 

18.  Sezione  normale  all'asse  di  cristallo  di  cordierite   con   principio  di  corro- 

sione periferica,  che  però  nen  ha  cancellato  la  forma  poligonale. 


56  A.  d'  ACHIABDI   —    TRACHITE  E  PORFIDO  QUARZIFERI  EC. 

19-20.  Sezioni  pure  Dormali  alleasse,  ma  arrotondate  per  maggiore  corrosione 
sofferta.  Nella  fig.  20  vedesi  un'  inclusione  cristallina  bacillare  conte- 
nente tre  bollicine  gassose.  Ingrandimento  di  circa  60  diametri. 

21.  Gemello  di  cordierite.  Ingrandimento  di  85  diametri. 

22.  Id.  con  ingrandimento  di  21  diam. 

23.  Id.  con  ingrandimento  di  50  diam. 

24.  Id.  con  segni  di  molto  progredita  corrosione. 

25.  Granulo  di  cordierite  corrosa  e  con  inclusioni  vetrose  e  gassose. 

26.  Sezione  parallela  all'asse  di  un  cristallo  di  quarzo  con  inclusioni  gassose 

numerosissime, 
27.  Cristalli  di  quarzo,  riuniti  parallelamente  a  una  faccia  di  romboedro  100, 
a  estremità  corrose,  con  numerose  inclusioni.  Ingrandimento  di  40  diam. 

28.  Id.  riuniti  per  una  faccia  di  prisma  1'  uno,  di  romboedro   l' altro,  a  estre- 

mità corrose. 

29.  Cristallo  di  quarzo  corroso,  con  le  solite  inclusioni  e  con  pinite  aderente. 

30.  Cristallo  di  quarzo  corroso  e  con  intrusione  del  magma  e  numerose  inclu- 

sioni. Ingrandimento  37  diametri. 

31.  Idem  con  ingrandimento  di  17  diam. 

32.  Id.  con  intrusione  del  magma  da  parte  a  parte.   Le  solite  inclusioni   nu- 

merosissime. I  due  pezzi  isolati  appartengono  al  medesimo  cristallo. 

33.  Cristalli  di  quarzo  con  globuliti  e  longoliti.  —  Pinite  aderente  al  quarzo. 

34.  Sezione  verticale  di  cristallo  di  tormalina.  Ingrandimento  di  250  diam. 

35.  Id.  con  ingrandimento  di  250  diam. 

36-38.  Cristalli  di  pinite.  Ingrandimento  di  55.  diam. 

39.  Sezione  normale  ali*  asse  esagonale  l' una,  ottagonale  Y  altra  di  cristalli  di 

pinite  con  struttura  interna  sferulitica. 

40.  Sezione  di  cristallo  di  ortose  parallela  a  100. 

41.  Id.  parallela  a  010. 


UNA    OSSERVAZIONE 


DI  TERZO  CONDILO  OCCIPITALE  NELL'HOMO 


CONSIDE3RAZIONI     RELATIVE 


NOTA 

DEL  DOTI.  GUGLIELMO  ROMITI 

Professore    di    Anatomia    in    Siena 

(con  una  TaTola) 


Che  neirosso  occipitale  dell'uomo  possano  occorrere  processi 
a  mo'  di  condili,  oltre  i  due  normalmente  destinati  ad  articolarsi 
coir  atlante,  è  cosa  nota  agli  Anatomici  :  né  è  solamente  per 
illustrare  un  nuovo  caso  di  questa  rara  varietà  anatomica,  la 
quale  ho  di  recente  raccolta  per  il  mio  Museo,  che  io  ho  creduto 
pubblicare  questa  Nota;  ma  piuttosto  mi  piace  prendere  occa- 
sione da  questa  illustrazione,  per  esprimermi  su  qualche  punto 
relativo  al  modo  di  spiegazione  degli  abnormi  condili  occipitali 
umani,  sul  quale  verte  tuttora  qualche  discrepanza,  o  qualche 
errata  interpretazione. 

G.  F.  Meckéli})  per  il  primo  notò  la  presenza  di  insoliti 
processi  nella  faccia  inferiore  della  porzione  basilare  dell'osso 
occipitale  ed  in  quella  condiloìdea.  Parlando  delle  apofisi  inso- 
lite dirette  dair  alto  al  basso,  e  di  una  lunghezza  spesso  molto 
considerevole  che  vedonsi  quasi  sempre  presso  al  foro  occipitale, 


(*)  G.  F.  Meckel  —   Manuale  d^  Anatomia    Generale  descrittiva  e  patologica, 
Tradnz.  Gaimi.  Milano,  1825.  Tomo  II,  pag.  84. 


68  0.    ROMITI 

sia  da  una  parte  sola,  sia  da  ambedue  insieme,  o  che  sono  più 
0  meno  solidamente  articolati  con  la  apofisi  trasverse  dalla  prima 
vertebra  cervicale  (e  qui  accenna  chiaramente  al  processo  para 
occipitale),  continua:  **  egli  è  molto  più  raro  il  trovare  queste 
y,  apofisi  dinanzi  al  foro  occipitale,  fra  le  estremità  anteriore 
,,  dei  due  condili  „.  Di  simili  casi  egli  aveva  già  descrìtti  esempi (*). 
La  spiegazione  che  ne  dava  era  quella  della  mostruosa  duplicità: 
immaginò  che  normalmente  T  embrione  venga  formato  da  due 
metà  laterali,  le  quali  prima  si  uniscono  nel  dorso,  poi  nel  piano 
anteriore  (*)• 

Dopo  Meckel  i  trattatisti  ricordarono  questa  varietà,  ed  alcuni 
osservatori  ne  fecero  oggetto  di  studio  speciale.  Ricordarono  i 
condili  occipitali  Hyrtl  (^)  che  li  disse  anomalia  assai  rara,  e  li 
considerò  analoghi  a  tutto  il  condilo  unico  degli  uccelli  e  degli 
anfibi  squamosi.  Henle{^)  menziona  le  altrui  osservazioni,  Krause  (*) 
li  ricorda  pure:  li  dice  abbastanza  rari  (5  7o)  ®  pì^  frequente- 
mente verificati  nel  maschio  che  nella  femmina.  Poco  o  nulla 
dicono  tutti  gli  altri  autori  che  ho  potuto  aver  tra  mano. 

Di  Anatomici  che  fecero  oggetto  di  speciali  ricerche  o  di 
Monografie  gli  abnormi  condili  dalFosso  occipitale  umano,  è  primo 
da  citare  il  Dieterich  (^),  il  quale  descrivendo  alcune  abnormità 
del  cranio  umano,  illustra  ancora  degli  esemplari  di  condili  oc- 
cipitali abnormi.  Gruber  (')  poi  sulle  sue  *  Anomalie  nuove  » 
che  egli  raccolse  in  un  sol  volume,  tratta  assai  estesamente  e 
colla  sua  ben  nota  dottrina,  V  argomento  degli  abnormi  condili 
dell'occipite.  Non  ho  potuto  avere  occasione  di  consultare  il 
libro  originale  dell'  Anatomico  di  Pietroburgo,  e  perciò  non  ne 

(})  In:  De  duplicitate  monstrosa.  Hallae  1815.  pag.  2i.  e:  Deutches  Archiv  fùr 
die  Physiologie,  Bd.  1.  H.  4.  Tav.  VI,  pag.  64i. 

(*)  Cesare  Taruflfi  ^  Dottrine  sulla  formazione  dai  mostri  doppi.  (Bollettino  delle 
Scienze  Mediche  di  Bologna.  Serie  VI,  Voi.  2.o  1878,  pag.  55  dell*  Estr.  e:  /Storta 
della  Teratologia,  Bologna.  1881-1884.  sparsim. 

0  Giuseppe  Hyrtl  —  Istituzione  di  Anatomia  dell*  Uomo,  Trad.  Antonelli.  Na- 
poli. 1871.  pag.  180. 

(*)  Henle  —  Eandbuch  der  systematischen  Anatomie  des  Menschen,  I,  pag.  107. 
Braunschweig.  1871. 

(^)  Krause  —  Anatomie,  Hannover.  1880.  T.  Ili,  pag.  63. 

(«)  Citato  da  Henle. 

C)  Ibid. 


UNA  OSSERVAZIONE  DI  TERZO  CONDILO  OCCIPITALE  NELL^  UOMO  59 

posso,  come  vorrei,  portarne  un  sunto  ed  un  giudizio:  nemmeno 
ho  trovato  il  lavoro  di  Alien,  menzionato  da  Ilenlei}). 

Canestrini  e  Moschen  (^)  descrivendo  ed  interpretando  assai 
giustamente  alcune  abnormità,  trovate  in  Crani  del  [Trentino, 
illustrano  ancora  specialmente  tre  casi  di  condilo  occipitale,  ri- 
cordando in  una  Nota  come  ne  posseggano  un  altro  esemplare 
nel  Cranio  di  un  Veneto.  I  due  casi  descritti  nella  Memoria 
sono:  uno  di  condilo  abnorme  che  nasce  dal  condilo  normale 
destro  e  si  porta  in  basso  e  all'  interno  nella  linea  mediana 
(fig,  1  della  Memoria  di  C.  e  M.),  un  altro  di  condilo  abnorme 
esattamente  mediano  (fig.  2),  un  terzo  (fig.  4)  doppio.  A  proposito 
del  condilo  esattamente  mediano,  lu^go  8  millimetri  e  articolan- 
tesi  coir  Atlante,  gli  Autori  della  Memoria  accertano  come  sia 
forse  da  collegare  l'abnorme  tubercolo  umano  col  tubercolo 
unico  degli  uccelli  e  dei  rettili,  seguendo  così  il  modo  di  inter- 
pretazione accennato  da  Hijrtl. 

Io  descrissi  (•^)  un  terzo  condilo  occipitale  trovato  nel  teschio 
d*  un  maschio  di  60  anni,  senese,  e  distinsi  i  veri  condili  dalle 
abnormi  faccette  articolari  nella  periferia  del  gran  foro  occipitale. 
Notai  in  quella  circostanza  come  la  varietà  sembrava  rarissima: 
1 :  800.  n  cranio  in  discorso  era  brachiocefalo,  il  condilo  ab- 
norme, figurato  nella  fig.  JY  della  Memoria,  era  situato  nel 
mezzo  dello  spazio  intercondilaideo  anteriore,  ma  con  una  larga 
base  che  ampiamente  si  impiantava  verso  destra:  la  baso  del 
condilo  abnorme  era  di  12  millimetri  trasversalmente,  il  condilo, 
incrostato  di  cartilagine  nella  punta  sua,  misura  8  mill.  di  lun- 
ghezza. Seguii  allora  la  dottrina  che  il  condilo  abnorme  umano 
'  fosse  analogo  al  condilo  unico  dei  sauropsidi  di  Huxley,  o  rettili 
ed  uccelli.  Lo  stesso  caso  riportai  nel  Catalogo  del  mio  Museo  (*). 


Q)  Alien  —  Citato  da  Henle.  ibid. 

Ò)  G.  Caaestriai  ed  L.  Moschea  —  Anomalie  del  Cranio  trentino   (Atti  della 
Società  Veneto-Trentina  di  Scienze  Naturali,  Padova.  Voi.  VII.  fase.  1.  ISSO,  con  una 
Tavola.  Profitto  di  questa  citazione  por  dichiararo  che  non  conoscevo  questo  lavoro 
quando  Bcrissi  la  Memoria  sullo  sviluppo  e  varietà  dell*  occipitale,  ed  è  per  questo 
che  non  vi  si  trova  menzionata.  Non  era  a  mia  disposizione  il  periodico  che  lo  con- 
teneva, ed  ebbi  poi  lo  scritto  'ialla  cortesia  degli  Autori. 

(*)  Guglielmo  Romiti  —  L(f  sviluppo  e  la  varietà  dell*  osso  occipitale  nelV  uomo, 
(Atti  della  Accademia  dei  Fisiocritici.  Siena.  1881.  Serie  III.  Voi.  IIL  fase.  I.  pag.  86. 

(*)  G.  Romiti  e  Pilade  Lachi  ^  Catalogo  ragionato  del  Museo  Anatomico,  Siena. 
1883.  I.  pag.  56. 


60  0.  BOMin 

Con  questo  che  ora  descrivo,  due  soli  sono  i  casi  di  terzo  con- 
dilo che  ho  trovato  tra  circa  700  crani  di  senesi  che  io  ho  pa- 
zientemente raccolti  e  studiati  dacché  dirigo  la  Scuola  Anatomica 
Senese.  E  da  tenere  nota  che  io  intendo  parlare  di  veri  e  propri 
condili  ben  sviluppati,  e  non  prendo  in  considerazione  le  ab- 
normi faccette  articolari  attorno  il  gran  foro  occipitale  e  nem- 
meno i  piccoli  rudimenti  di  condili  basilari,  così  facilmente  con- 
fondibili coi  tubercoli  faringei  i  quali  hanno  ben  altro  significato. 

Infine  il  Prof.  Francesco  Legge  {^)  studiando  diligentemente 
780  crani  di  Camerino,  ed  illustrando  sommariamente  le  diverse 
varietà  che  presentavano,  notò,  a  proposito  di  condili  occipitali 
come  questi  gli  si  presentassero  assai  meno  frequenti  nei  suoi 
crani,  di  quanto  non  lo  furono  ad  altri  e  specialmente  a|  me. 
Infatti  in  780  cnani  trovò  soli  due  esemplari  di  condilo  occipitale 
abnorme:  uno  dei  quali  era  di  condilo  semplice  o  laterale,  V  altro 
di  doppio:  in  questo  è  da  notarsi  il  fatto  che  il  condilo  sopran- 
numerario di  destra  è  in  diretta  comunicazione  col  condilo  nor- 
male, dal  quale  è  separato  per  un  solco  superficiale. 

Per  quanto  riguarda  il  modo  di  spiegazione  o  di  interpreta- 
zione della  varietà  della  quale  ora  tengo  parola.  Legge  non 
ammette,  o  per  lo  meno  pone  fortemente  in  dubbio,  che  il  terzo 
condilo  occipitale  neir  uomo  sia  analogo  al  condilo  unico  dei 
sauropsidi.  Che  esso  non  impugni  la  comune  spiegazione  in  modo 
assoluto,  dicono  le  parole  colle  quali  egli  esprime  il  proprio 
pensamento  (pag.  33-34:):  **  a  me  non  pare,  egli  scrive,  che  il 
j,  condilo  occipitale  anormale  dell'  uomo*  possa  ritenersi  analogo 
»  air  unico  degli  uccelli,  ed  anco  ammettendolo  non  saprei  come 
„  spiegare  che  i  condili  laterali  lungi  dall'  essere  atrofici  come 
,  in  tal  caso  dovrebbero  essere,  sono  invece  sviluppati  più  che 
j,  d'  ordinario  „. 

La  ragione  precipua  per  la  quale  il  ricordato  diligente  ana- 
tomico pone  fortemente  in  dubbio  la  comune  spiegazione,  è 
principalmente  nel  fatto  del  credere  come  il  condilo  abnorme 
occupi  una  posizione  laterale,  essendo  impiantato  o  a  destra 
(caso  mio)  o  a  sinistra  (caso  suo);  inoltre  in  un  suo  caso  notò 
come  avanti  dal  condilo  fosse  una  produzione  rivestita  di  carti- 


Q)  Francesco  Legge  —  Intorno  ad  alcune  anomalie  dell*  articolazione  occipitO' 
Atlantoidea  osservata  nei  crani  camerinesù  Velie  tri  1883.  opusc.  pag.  28  e  seg. 


• .  . 


UNA  OSSERY AZIONE  DI  TERZO  CONDILO  OCCIPITALE  NBLL^  UOMO  61 

lagine  la  quale  ritiene  **  un  vero  terzo  condilo  in  via  di  indivi- 
,  dualizzarsi  ,  :  crede  perciò  che  il  terzo  condilo  sia  dovuto  ad 
una  specie  di  *  gemmazione  dei  condili  normali  »,  ed  a  prova 
di  ciò  ricorda  anche  come  rimanga  talvolta  traccia  della  pri- 
mitiva riunione  sua  col  condilo  normale  in  un  piccolo  istmo 
osseo  che  li  ricongiunge  indietro.  Aggiunge  poi  come  il  modo 
di  considerare  o  di  formarsi  i  condili  abnormi  occipitali  sia 
uguale  a  quello  dei  tubercoli  basilari  (faringei).  Talun  caso  di 
straordinario  sviluppo  dei  condili  normali  in  avanti  richiama 
alla  mente  i  due  condili  normali  del  cavallo  che  tanto  si  spin- 
gono innanzi. 

Questo  modo  di  spiegare  la  genesi  dei  condili  abnormi  del- 
l' occipitale,  se  è  ingegnoso  e  studiato,  credo  possa  essere  seria- 
mente discusso:  ciò  io  mi  proverò  di  fare,  dopo  aver  descritto 
il  nuovo  caso  che  intendo  illustrare,  e  che  appunto  mi  dà,  ar- 
gomento alla  presente  Nota:  che  io  per  verità,  anche  dopo  le 
osservazioni  di  Legge,  sono  sempre  per  la  antica  spiegazione,  un 
po'  meglio  interpretata,  sul  significato  degli  abnormi  condili 
occipitali. 

Cranio  N.*  371,  anno  1883,  del  Museo  Craniologico  dell'Istituto 
Anatomico  di  Siena.  È  di  un  maschio.  Senese,  di  anni  70. 

n  Cranio  è  largo  ed  ha  le  seguenti  misure: 

Diametro  antero-posteriore  massimo.    .    .  176  mra. 

>  trasverso  massimo 151     » 

>  verticale 132  » 

Indice  cefalico     .    .    .     .     =    85,  79 

Cranio  grande,  ortognato,  glabella  sporgente:  ossa  nasali  piccole 
e  fossa  temporale  profonda  con  lievi  creste  o  asperità  ossee 
nella  parte  anteriore  della  linea  temporale.  Orbite  ampie,  obli- 
que, fossa  canina  poco  sviluppata,  setto  nasale  a  sinistra,  volta 
del  palato  assai  profonda,  con  creste  longitudinali:  mandibola 
piccola,  angolo  giusto,  mento  sporgente. 

Leggera  traccia  di  sutura  metopica  in  basso:  suture  normali 
persistenti,  solamente  la  sagittale  è  saldata  corrispondentemente 
all'obelion.  Ampio  wormiano  pterico  a  sinistra:  ninna  traccia 
di  sutura  incisiva:  denti  normali  e  ben  conservati. 

Nella  porzione  condiloidea  sono  due  piccoli  condili  abnormi 
dei  quali,  meglio  che  per  la  descrizione,  si  può  avere  chiara  idea 


62  6.    ROMITI 

per  la  esatta  figura  fatta  di  grandezza  naturale  dal  Dott.  Valenti 
(V.  la  Tavola  Fig.  I). 

I  due  condili  abnormi  sono  perfettamente  simmetrici  Y  un 
l'altro,  e  sono  nettamente  distinti  e  separati  dai  condili  normali, 
per  mezzo  d' uno  spazio  o  solco,  tanto  che  non  vi  è  traccia  di 
rapporto  alcuno  tra  essi  ed  i  condili  normali.  I  due  condili 
abnormi  misurano  ambedue  6  millimetri  in  altezza,  e  4  milli- 
metri in  larghezza  alla  loro  punta  sulla  quale  apparisce  in  ambo 
i  condili  una  faccetta  articolare.  Essi  convergono  col  loro  estremo 
un  verso  V  altro  e  distano  quivi  V  un  dair  altro  per  3  mm.,  così 
pure  alla  base  mentre  nel  mezzo  sono  allontanati  per  5  mm., 
e  rimane  perciò  tra  loro  'una  specie  di  ampio  foro  aperto  in 
alto.  È  da  notarsi  il  modo  di  impianto  e  di  origine  dei  due 
condili  abnormi  dall'  osso,  poiché  essi  nascono  direttamente  da 
questo  né  accennano  a  fondersi  nel  loro  impianto  verso  i  con- 
dili normali,  i  quali  sono  ben  confermati. 

Descritto  questo  nuovo  caso,  guardiamo  adesso  se  possa  o 
no  sostenersi  per  la  spiegazione  degli  abnormi  condili  occipitali 
r  antica  interpretazione,  o  se  debba  modificarsi,  e  incominceremo 
collo  stabilire  il  valore  della  diflBcoltà,  che  alla  ammissione  di 
essa  ha  affaciate  l'egregio  Prof.  Legge. 

Io  devo  prima  di  tutto  dichiarare  che,  ove  si  eccettuino 
alcune  abnormi  disposizioni  delle  parti  del  corpo  umano  dovute 
ad  alterazioni  patologiche  e  nondimeno  comprese  tra  la  varietà, 
es.  la  fusione  dell'  atlante  con  l' occipitale,  eccetto  questi  casi, 
le  vere  e  proprie  varietà  anatomiche  nell'  uomo  devono  sempre 
riferirsi  ad  una  analogia  coi  bruti.  Veramente  le  eccezioni  alle 
quali  ho  sopra  fatto  allusione  non  sarebbero  veramente  di  perti- 
nenza dei  nostri  studi,  sibbene  meglio  di  quelli  dei  patologhi; 
ma  è  invalso  l'uso  comprenderla  tra  la  varietà,  ed  io  stesso 
in  varie  circostanze  1'  ho  fatto,  ed  ora  accenno  a  questo  errore. 
Che  ogni  vera  varietà  umana  corrisponda  ad  analogia  coi  bruti 
e  conseguentemente,  per  le  noti  leggi  ontogenetiche,  ad  uno 
stadio  0  periodo  embrionale  è  cosa  adesso  sufficientemente  as- 
sodata alla  scienza,  ed  io  pure  ho  contribuito  con  varie  pub- 
blicazioni a  stabilire  questo  fatto  (*).  Ora,  siccome  gli  abnormi 


0)  Vedi,  tra  le  altre,  il  mio  lavoro:  //  Darwinismo  e  la  Embriogenià.  (Rivista 
di  filosofia  scientifica.  Torino-Milano.  1883.  V.  } . 


UNA  OSSERYAZIONE  DI  TERZO  CONDILO  OCCIPITALE  NELL^  UOMO  63 

condili  occipitali  non  hanno  certamente  origine  da  un  processo 
patologico,  devono  rappresentare  una  omologia,  per  quella  legge 
di  necessità,  che  governa  la  Biologia  in  genere,  e  là  Morfologia 
in  specie. 

Secondo  Legge  i  condili  abnormi  (terzo  condilo)  dell'  occipitale 
sono  da  paragonarsi  ai  tubercoli  basilari  (faringei)  e  da  spie- 
garsi con  lo  stesso  meccanismo:  ma  che  i  due  fatti  sieno  un 
po'  differenti  mostra  la  semplice  rij&essione  che  i  tubercoli  fa- 
ringei trovano  ragioni  e  dipendenza  nell'  impianto  della  apone- 
vrosi  faringea  che,  per  i  muscoli  i  quali  vi  si  inseriscono,  è  una 
potenza  attiva,  e  perciò  i  tubercoli  faringei  hanno  significato 
d' impianto  muscolare,  né  può  certamente  averlo  V  abnorme 
condilo  occipitale.  Aggiungasi  poi  che  Legge  stesso  ed  altri  hanno 
descritto  per  tubercoli  faringei,  dai  condili  occipitali  abnormi 
0  rudimentali:  e  tali  sono  appunto  quelli  vicini  alla  periferia 
del  forame  magno. 

I  condili  occipitali  nel  cavallo  sono,  come  ognun  sa,  assai 
sporgenti  in  avanti,  tanto  che  tra  i  loro  estremi  anteriori  in- 
tercede piccolo  spazio.  Paragonati  con  i  condili  abnormi  occi- 
pitali dell'  uomo,  non  vi  ha  dubbio  che  questi  estremi  loro  riav- 
vicinati somigliano  assai  questi,  e  specialmente  quelli  come  lo 
illustrato  da  me  in  questa  Nota.  Ma  questa  simiglianza  di  con- 
formazione non  da  diritto  né  ragione  di  cercare  per  i  condili 
del  cavallo  un'altra  interpretazione  morfologica  che  non  sia 
quella  comparativa  ed  evolutiva.  I  condili  occipitali  del  cavallo, 
ravvicinati  in  avanti  mercè  una  specie  di  espansione,  rappresen- 
tano appunto  un  gradino,  una  formazione  intermedia,  una  forma- 
zione ravvicinantesi  al  condilo  unico,  e  perciò,  pur  trovando 
giusta  la  grossolana  comparazione  tra  i  condili  del  cavallo  e  certi 
casi  di  abnormi  condili  occipitali  nell'uomo,  trovo  ancora  che 
una  forma  non  può  venire  a  spiegare  l' altra,  essendo  tutti  e  due 
suscettibili  d' una  spiegazione  comune.  La  fossetta  occipitale  m^- 
àm. (Lombroso)  o  vermiana  fAlbrechUChiarugiJ  che  abnormemente 
può  trovarsi  nelF  occipitale  umano  è  uguale  di  aspetto  a  quella 
che  normalmente  si  trova  in  molte  scimmie:  ma  ambedue  le 
formazioni,  1'  anormala  umana  e  la  normala  simiana  non  sono 
che  una  forma  di  passaggio  o  relativamente  rudimentaria  della 
grande  fossa  che  contiene  il  verme  negli  uccelli.  Lo  stesso  rap- 


64  G.   BOMITI 

porto  di  spiegazione  intercede  tra  i  condili  abnormi  umani ^  i 
normali  del  cavallo  ed  il  condilo  unico  dei  sauropsidi. 

Un  argomento  inoltre  che,  a  tutta  prima,  parrebbe  possedere 
un  certo  valore  per  impugnare  la  omologia  tra  V  unico  condilo 
dei  sauropsidi  ed  il  terzo  condilo  umano,  sarebbe  quello  tolto 
dal  vedersi  che  la  variata  disposizione  coincide  con  i  condili 
normali.  Ma  ove  si  rifletta  sopra  a  questo  fatto,  ben  facilmente 
ci  si  convincie  come  non  presenta  nulla  di  strano.  Infatti  che 
nel  corpo  umano  possa  coesistere  la  disposizione  normale  e  quella 
variata  d'  una  istessa  parte,  che  possa  cioè  coesistere  la  dispo- 
sizione umana  e  quella  brutale,  è  cosa  che  non  tanto  di  rado 
si  verifica,  e,  tra  gli  altri,  citerò  solamente  nello  stesso  occipitale 
la  esistenza  del  processo  paraocci pitale.  Quando  la  formazione 
ossea  rappresentata  dai  condili  normali  dell'  occipite  è  la  fusione 
di  tre  distinti  produzioni  ossee,  come  or  ora  accennerò,  si  in- 
tende bene  come  la  mancata  fusione  di  queste  tre  parti  fa  ri- 
manere la  traccia  od  il  vestigio  della  primitiva  triplice  indi- 
vidualità. 

Per  studiare  colla  massima  esattezza  il  modo  di  formazione 
del  condilo  occipitale  unico  nei  sauropsidi,  V  esemplare  migliore 
è  quello  dei  Cheloni,  d'  una  ordinaria  testuggine:  e  ne  ho  fatto 
disegnare  dal  DotL  Mibelli  la  faccia  posteriore  del  cranio,  nella 
Fig.  IL  Si  osserva  in  questa  come  V  unico  condilo  risulta  da  tre 
formazioni,  da  tre  condili  ben  distinti  e  separati  da  un  solco 
profondo,  ma  riavvicinati  e  stretti  V  un  V  altro  per  formarne 
apparentemente  uno  (^).  La  porzione  inferiore  appartenente  al 
basiocci pitale  presenta  un  condilo  o  un  processo  articolare  di- 
stinto basilare:  le  due  porzioni  laterali  appartenenti  air  occipitale 
laterale  hanno  esse  pure  un  condilo  o  un  processo  articolare 
laterale.  Queste  tre  pf)rzioni  nella  testuggine  sono  divise,  ed  i 
tre  condili  appariscono  così  distinti  che  esaminando  il  terzo  con- 
dilo umano  il  paragone  tra  i  tre  condili  del  Chelonio  e  della 
triplice  abnorme  formazione  umana  apparisce  chiarissimo.  Negli 
uccelli  e  negli  ofidi  le  tre  porzioni  dei  condili  si  fondono  inti- 
mamente ed  il  condilo  apparisce  veramente  unico.  Mi  parrebbe 

(')  Trovo  singolare  che  Sappey  dica  «nelle  tartarughe  di  mare,  F unico  tuber- 
€  colo  che  rimpiazza  i  due  condili  presenta  un  solco  nella  linea  mediana,  che  è  un 
€  primo  vestigio  d' una  tendenza  verso  la  dualità  » .  Anatomia  Descrittiva.  Trad.  ital. 
Napoli  1S78,  Voi.  1,  pag.  547-48) .  Avrebbe  dovuto  parlare  di  due  solchi  e  di  triplicità. 


tTNi  OSSERVAZIONE  Di  TKBZO  CONDILO  OCCIPITALB  NELL^  tJOMO  65 

adesso  inutile  il  ricordare  e  le  condizioni  embrionali  dell'  occi- 
pitale nei  vertebrati  superiori,  ed  i  vari  stadi  per  i  quali  nei 
vari  vertebrati  il  condilo  unico  viene  successivamente  a  formare 
i  due  condili  distinti,  individualizzandosi  così  i  due  condili  laterali^ 
a  formare  ì  quali  concorre  nei  vertebrati  superiori  porzione  del- 
l'occipitale  basilare,  cioè  la  sua  porzione  laterale  anteriore:  ciò 
vedesi  bene  esaminando  la  base  del  cranio  di  un  neonato.  Se 
però  la  porzione  articolare  del  basioccipitale  rimane  distinto  si 
ha  appunto  nell'  uomo  il  terzo  condilo  abnorme,  unico  o  doppio 
secondo  si  sviluppa  o  no  un  estremo  di  quello. 

Quanto  alla  forma  ed  al  numero  degli  abnormi  condili  oc- 
cipitale umani,  lo  studio  dei  condili  nella  testuggine  ce  ne  da 
ragione.  Il  condilo  basilare  della  testuggine,  come  vedesi  bene 
nella  figura,  è  conico,  assai  largo  alla  sua  base,  e  nel  mezzo 
è  lievemente  incavato  nella  direzione  antero-posteriore:  se  lo 
immaginiamo  diviso. in  due  metà  laterali,  queste  hanno  V  aspetto 
come  se  nascessero  con  direzione  obliqua  in  dentro:  a  questo 
modo  si  intende  la  varia  forma  degli  abnormi  condili  umani. 
Infine  quel  solco  che  in  certe  osservazioni  si  descrive,  e  che 
partisce  il  condilo  abnorme  del  condilo  normale  è  appunto  il 
rappresentante  di  quel  profondo  solco  che,  nella  testuggine»  di- 
vide i  condili  laterali  da  quello  basilare,  e  che  nel  neonato  umano 
accenna  alla  porzione  del  condilo  normale  che  spetta  al  basioc- 
cipitale. 

È  per  tutte  queste  considerazioni  che  io  sono  più  che  mai 
t)ersuaso  che  il  terzo  condilo  occipitale  neir  uomo  ò  omologo  al 
condilo  basilare  della  testuggine  e  perciò  alla  porzione  mediana 
del  condilo  degli  uccelli  e  dei  coccodrilli.  È  perciò  errore  il  con- 
siderare la  omologia  tra  il  condilo  abnorme  umano  e  tutto  il 
condilo  unico  degli  uccelli,  come  fanno  gli  Antropotomi.  Anche 
gli  abnormi  condili  occipitali  umani  stanno  perciò  a  rappresentare 
una  normale  disposizione  dei  vertebrati  inferiori. 


So.  Nat,  Voi.  VII,  fase.  !.<> 


SPIEGAZIONE  DELLE  FIGURE 


Fig.  l. 

Osso  occipitale  di  maschio  adulto:  visto  per  la  faccia  inferiore  — 
Grandezza  naturale. 
I.  -  Inion. 

C.  C.  —  Condili  normali. 

C  Terzo  condilo. 

Vìg.    II. 

Cranio  di  Testuggine  di  mare,  visto  pur  di  dietro  -  Grandezza 
naturale. 

I.         —  Cresta  occipitale. 
L.  L.  —  Occipitali  laterali. 
B.       —  Occipitale  basilare. 


Li  CiRllUGlIE  BELLA  PIEGA 


ED  IL  PELLICCIAIO  NEL  NEGRO 


^^rfMW^^A#4«^ 


NOTA      ANATOMICA 

DEL  DOTT.  GUGLIELMO  ROMITI 

Pbofbssobe  di  Anatoboa  in  Sona. 


Morì,  non  è  molto,  nel  nostro  Manicomio,  una  Negra  demente: 
la  Direzione  dello  stabilimento,  tanto  benemerita  nella  Scuola 
Anatomica,  non  potè  concedere  per  private  ragioni,  lo  studio 
deir  intero  cadavere,  come  sarebbe  stato  mio  vivissimo  desiderio. 
Dovendovi  però,  preparare  il  cranio  ed  il  cervello  per  conser- 
varli, io  ebbi  gentile  concessione  dal  sig.  D.  A.  Lachi  di  poter 
studiare  le  parti  molli  della, testa.  Allora  la  mia  attensione  si 
rivolse  a  ricercare  più  specialmente  la  esistenza,  la  forma  e  la 
struttura  della  cartilagine  della  piega  semilunare,  seguendo 
Giacominiy  il  quale  espresse  la  speranza  che  altri  Anatomici  si 
occupassero  di  questo  argomento.  Capitatami  la  occasione,  ob- 
bedisco al  dovere  del  ricercatore  e  al  desiderio  del  Collega. 

La  donna  era  una  Egiziana  di  una  sessantina  di  anni,  affetta 
da  demenza  consecutiva,  e  cieca  per  atrofia  del  bulbo  da  tise 
bulbare,  da  ambedue  gli  occhi.  Cagione  della  morte  fu  un  grave 
vizio  cardiaco. 

Delle  cose  ricercate  nella  testa,  io  ricorderò  solamente  che 
chiarissimo  esisteva  un  rudimento  dell'organo  di  Jacobson,  nel 


68  G.    ROMITI 

modo  e  nella  forma  che  in  altre  circostanze  descrissi  (').  Notai 
inoltre  come  il  muscolo  pellicciaio  si  prolungava  un  poco  più  in 
alto  ed  in  dentro  sulla  faccia,  certamente  più  in  alto  che  nel 
Bianco,  nel  quale  arriva  fin  verso  il  limite  dei  denti  inferiori.  Ciò 
coincideva  con  quanto  videro  Turner  (-)  e  in  parte  ChudzinsH  (^): 
Giacomini  (*)  trovò  il  muscolo  pellicciaio  sviluppato  maggior 
mente  una  volta,  un'  altra  impiccolito,  nelle  altre  7  normale. 
Hartmann  (^),  nella  figura  che  egli  dà,  della  musculatura  del 
corpo  d'un  negro  Monjalo,  il  pellicciaio  in  alto  si  vede  un  po'  più 
sviluppato  che  nel  Bianco.  Non  vi  ha  dubbio  che  dalla  maggior 
parte  delle  osservazioni,  nel  pellicciaio  dei  Negri  si  nota  una 
estensione  maggiore  o  un  maggior  sviluppo  del  muscolo  sotto- 
cutaneo del  collo,  il  qual  fatto  segna  un  passaggio  allo  sviluppo 
grandissimo  che  lo  stesso  muscolo  assume  nel  Chimpanzé,  fino 
a  giungere  all'  arcata  zigomatica  (  Turner  lo  vide  appunto  di 
questa  estensione  in  un  negro);  laddove  nel  Gibbone  e  nelle 
altre  scimmie  antropomorfe  esso  muscolo  ha  lo  stesso  sviluppo 
che  nel  Bianco  (Hartmann)  {^). 

Ma  il  fatto  che  più  interessava  nella  testa  della  nostra  Negra 
era  appunto  la  esistenza  della  cartilagine  nella  piega  jsemilu- 
nare,  cartilagine  che  Oiacomini  non  trovò  costante  nelle  sue 
IX  osservazioni  su  cadaveri  di  negri.  Risolvetti  allora,  se  ne 
verificavo  la  esistenza,  prepararla  da  un  lato  in  sito,  e  dall'altro 
toglierlo  e  studiarlo  nella  sua  minuta  struttura. 


(*)  6.  Romiti  —  Rudimento  di  organo  di  Jacobson  nelV  uomo  adulto  (  BoUett 
Soc.  Cult.  Se.  Med.  in  Siena.  1884.  6.  e  Gazz.  degli  Ospitali  N.o73). 

Q)  W.  Turner  —  Notes  on  the  dissection  of  a  negro  (Journal  of  the  anat  and 
Phisyologie  1879,  pag.  382). 

(')  Chudtìnski  in:  Revue  d* Antropologie  III,  pag.  25.  1874. 

(^)  C.  Oiacomini  *-  Annotaiioai  sopra  V  anatomia  del  Negro.  2.*  Mem.^  pag.  28. 
Torino  1882.  III.  Memoria.  1884.  pag.  5. 

(*)  Hartmann  —  Die  menschenàhnlichen  Affen,  Leipzig.  1883.  pag.  144.  V.  la 
trad.  ital.  Milano  1884,  pag.  163.  È  singolare  che  nei  bellissimo  libro  di  Testut. 
€  Les  anomalies  muscùlaires  chez  V  homme.  Paris  »  pag.  206  e  seg.  non  si  parli  della 
disposizione  del  pellicciaio  nel  Negro. 

(^)  Poco  tempo  fa,  trovai  nella  stanza  del  taglio  un  bellissimo  esempio  di  enorme 
pellicciaio  in  un  maschio  della  nostra  razza,  e  tale  che  certamente  non  avevo  visto 
r  uguale,  e  non  ricordo  ugualmente  descritto.  In  un  uomo  di  55  anni,  alto  metri  1, 80, 
a  masse  muscolari  assai  bene  sviluppate,  esisteva  a  destra  un  pellicciaio  spesso  e 
ben  cornuto,  il  quale  in  basso  aveva  inserzioni  normali,  ed  in  alto  si  estendeva  in 
tutta  r  arcata  zigomatica,  confondendo  le  sue  inserzioni  con  quelle  di  zigomatici. 
A  sinistra  il  fatto  era  in  minori  proporzioni. 


i 


LA  CARTILAGINE  DELLA  PIEGA  SBMILUNABE  ED  IL  PELLICCIAIO  DEL  NEGRO    69 

Esporrò  prima  brevemente  quanto  si  conosce  sulla  cartila- 
gine della  terza  palpebra  nel  Negro. 

Si  sapeva  solamente  dagli  Anatomici  come  nel  Negro  la 
piega  semilunare  fosse  più  sviluppata  che  nel  Bianco  (  Soem- 
tnering),  e  si  conosceva  in  questa  disposizione  un  rudimento  più 
sviluppato  della  terza  palpebra  dei  bruti,  e  si  dava  a  questo 
fatto  un  valore  puramente  antropologico,  considerandolo  come 
un  carattere  di  animalità,  (Vogt).  Il  Giacomini,  ricercando  nel 
1878  gli  occhi  di  negri,  trovò  che  nella  piega  semilunare  di  essi 
esisteva  una  piccola  cartilagine,  resto  o  rappresentante  della 
cartilagine  della  terza  palpebra  dei  bruti.  Ricercò  allora  la  piega 
semilunare  delle  scimmie,  e  vi  trovò  pure  la  cartilagine:  la 
studiò  ancora  nel  Bianco,  e  quivi  purjp,  come  rara  eccezione, 
ne  potè  trovare  un  rudimento  (M.  Nel-  mentre  trovò  costante, 
ma  più  o  meno  svilppata,  la  cartilagine  polla  piega  ^semilunare 
nel  Negro,  vide  che  nel  Bianco  maschio  era  in  porporzione  del- 
l' 1  :  78,  5  dei  casi,  nella  donna  bianca  1 :  85. 

Dopo  le  ricerche  di  Giacomini^  .\>Qr  quanto  io  mi  sappia,  nes- 
suno ripetè  le  osservazioni.  Anzi  Hartmann  (1.  e.  pag,  196  del- 
l'ediz.  tedesca,  e  209  della  traduz.  italiana),  asserisce  che  lo 
studio  suir  occhio  degli  Antropoidi  gli  lascia  concludere  per  u^a 
grande  somiglianza  coll'occhio.  Nel  suo  recente  libro  Gegenbaur  (*), 
tanto  diligente  nel  ricordare  tutto  quanto  è  rudiraentario  nel- 
r  uomo,  non  ricorda  la  cartilagine  della  terza  palpebra;  argo- 
mento questo  assai  prezioso  in' un  trattato  di  Antropotomia, 
intesa  ed  indirizzata  come  giustamente  ha  fatto  il  chiaro  ana- 
tomico. 

Nella  donna  Negra,  che  forma  soggetto  della*  mia  osserva- 
zione, la  piega  semilunare,  o  terza  palpebra  rudimentaria,  era 
grandemente  sviluppata,  e,  sentita  fra  i  polpastrelli,  appariva 
assai  consistente.  Ruotato  fortemente  in  fuori  il  bulbo  oculare, 
notevolmente  atrofizzato,  uniti  delicatamente  la  congiuntiva  alla 
base  della  piega,  e,  dissecatela  convenientemente,  isolai  una 
bella  placca  cartilaginea,  di  figura  triangolare,  colla  base  in 
avanti,  e,  misurante  6  millimetri  verticalmente  e  5  millimetri 
trasversalmente.  Il  muscolo  retto  interno  presentava  la  stessa 

(*)  e.  Giacomini  —  Annotazioni  sopra  V Anatomia  del  Negro.  I.  Mera.  Torino  1878, 
IL  Mera.  1882.  IH.  Mem.  1884.  —  G.  Romiti  -  Istologia  speciale,  Siena  1882,  pag.  160. 
(*)  Gegenbaur  —  Lehrbuch  der  Anatomie  des  Menschen,  Leipzig.  1883.  pag.  930. 


70  0*  BOMITI 

disposizione  descritta  da  Giacomini  a  pag.  22  della  sua  1  /  Me- 
moria: si  dirigeva  in  tre  fasci  dirigentisi-  nno  alla  sclerotica, 
uno  alla  terza  palpebra,  il  terzo  alla  carnncola. 

La  cartilagine  della  terza  palpebra  dell'  altro  lato,  dopo  es- 
sere stata  isolata  ed  indurata  in  alcool  ordinario,  venne  sottil- 
mente sezionata  e^'colorita  con  carminio  di  Grenacher.  Essa  mo- 
strò avere  i  caratteri  spiccati  di  cartilagine  fibrosa. 

Ck)n  questa  Notizia  ho  cercato  di  utilizzare,  nel  miglior  modo 
che  mi  è  stato  possibile,  un  materiale  di  studio  assai  raro  ad 
incontrarsi  nella  nostra  Scuola,  e  tanto  che  ritengo  sommamente 
difficile  trovarmi  nella  stessa  circostanza  una  seconda  volta. 


LFAIO  S! 


,  SOLFATO  ST 


-A 


ED    ALCUNI    LORO    AMMON-DERIVATI 


DI 


ANTONIO     LONGI 


Molto  ristrette  sono  le  cognizioni  che  si  hanno  sul  solfato 
stannoso  e,  poiché  sembra  che  nemmeno  ne  sia  stata  mai  fatta 
r  analisi,  molti  trattatisti  si  sono  astenuti  dall'  assegnargli  una 
formula. 

Nella  speranza  che  il  solfato  stannoso  od  un  solfato  stannoso 
alcalino  presentassero  una  stabilità  maggiore  del  cloruro  e  che  la 
loro  soluzione  potesse  quindi  con  vantaggio  sostituirsi  a  quella 
di  cloruro  stannoso  per  le  molteplici  operazioni  analitiche  nelle 
quali  quest'  ultinia  viene  impiegata,  io  ho  preparato  e  studiato 
il  solfato  stannoso  ed  un  solfato  stannoso- ammonico. 

Vari  sono  i  metodi  per  i  quali  può  ottenersi  il  solfato  stan- 
noso, ma  ho  dovuto  convincermi  che  il  migliore  fra  tutti  è  quello 
per  il  quale  lo  si  ottiene  dalla  reazione  delF  acido  solforico  sul- 
r  ossido  stannoso. 

Riempii  di  anidride  carbonica  un  pallone  della  capacità  di 
quattro  litri  circa  e  vi  versai  una  soluzione  recentissima  di 
cloruro  stannoso  proveniente  da  300  gr.  di  buono  stagno  puri- 
ficato per  filtrazione  (*).  A  questo  pallone  adattai  tosto,  per 
mezzo  di  un  tappo  di  gomma  a  tre  fori,  un  tubo  a  rubinetto 
munito  di  imbuto,  un  sifone  il  cui  braccio  interno  scendeva  fino 


(«)  Metodo  di  Curter  (Dingl.  polyt.  Journ   t  CCXV.  469). 


72  A,    LONGI 

al  fondo  del  pallone  ed  un  corto  tubo  piegato  ad  angolo  retto. 
Air  estremità^  esterna  del  sifone  era  adattato  un  tubo  di  guiuma 
chiuso  con  una  pinzetta;  il  corto  tubo  piegato  ad  angolo  retto 
poneva  il  pallone  in  comunicazione  con  un  apparecchio  Kipp 
ad  anidride  carbonica. 

Dopo  avere  immerso  il  pallone  in  un  bagno  di  acqua  bollente, 
per  mezzo  dell'  imbuto  a  rubinetto  aggiunsi  a  poco  a  poco  am- 
moniaca fino  a  leggero  eccesso  e  terminai  di  riempire  il  pallone 
con  acqua  distillata  bollita.  L' idrato  stannoso  formatosi  si  tra- 
sforma in  questo  modo  in  ossido  il  quale  cade  ben  presto  al 
fondo  del  pallone.  Mercè  V  apparecchio  adoperato,  si  può,  senza 
far  venire  V  ossido  stannoso  in  contatto  dell'  aria,  separare  il 
liquido  e  sostituirlo  con  anidride  carbonica  e  continuare  così  a 
lavare  con  acqua  distillata  bollente  fino  a  che  il  liquido  decan- 
tato si  mantenga  perfettamente  limpido  coir  aggiunta  di  nitrato 
di  argento. 

L' ossido .  stannoso  ottenuto  è  grigio  cupo  in  forma  di  sca- 
gliette lucenti  di  aspetto  grafi  tolde;  esso  fu.  trattato  con  una 
quantità  di  acido  solforico  (gr.  240)  di  poco  inferiore  alla  teorica 
(gr.  249),  il  risultante  solfato  fu  disciolto;  in  acqua  bollente  e 
la  soluzione  filtrata.  La  soluzione,  di  reazione  acida,  fu  evaporata 
a  b.  m.  fino  a  metà  del  suo  volume. 

Durante  l'evaporazione  si  formavano  alla  superficie  del  liquido 
delle  croste  di  minuti  cristalli  strettamente  intrecciati  le  quali 
mano  mano  cadevano  al  fondo. 

Questi  cristalli  A.  furono  separati  e  dalle  acque  madri,  per 
ulteriore  evaporazione,  si  ottennero  nuovi  cristalli  B. 

Fu  ripetuta  la  preparazione  del  solfato  stannoso  disciogliendo 
però  l'ossido  stannoso  in  un  eccesso  di  acido  solforico  (300 gr.) 
ed  ottenni  analogamente  dei  cristalli  A',  e  dalle  acque  madri 
di  essi  altre  croste  cristalline  B'. 

I  quattro  prodotti  furono  spremuti  bene  fra  carta  e  quindi 
asciugati  nel  vuoto  su  pomice  imbevuta  di  acido  solforico. 

II  corpo  ottenuto  si  presenta  in  forma  di  piccolissimi  cristalli 
bianchi  traslucidi  alcuni  dei  quali  esaminati  al  microscospio 
mostrarono  abito  prismatico;  essi  poiché  presentarono  il  feno- 
meno dell'estinzione  furono  ritenuti  come  appartenenti  al  sistema 
trimetrico.  In  altri  cristalli  fu  osservato  che  alle  facce  prisma- 
tiche si  associavano  facce  laterali  di  pinacoidi  e  che  spesso  a 


SOLFATO  STANNOSO,    SOLFATO  STANNOSO-AMMONICO  KC.  73 

queste  si  univano  i  domi.  Per  la  loro  piccolezza  riuscì  però  im* 
possibile  qualunque  altra  determinazione  cristallografica  (')• 

Esso  sì  discioglie  in  poca  acqua  dando  un  liquido  limpido  il 
quale,  per  V  aggiunta  ulteriore  di  acqua,  si  intorbida  per  la  for- 
mazione dì  solfati  basici  insolubili:  poche  gocce  di  acido  cloroi- 
drìco , rendono  di  nuovo  il  liquido  limpido.  Tal  soluzione  precipita 
in  bianco  col  cloruro  baritico,  e  trattata  col  solfuro  idrico,  cogli 
alcali,  coi  solfuri  alcalini,  col  cloruro  mercurico  e  col  cloruro  di 
bismuto  (previa  aggiunta  dì  idrato  potassico  in  eccesso)  dà  le 
reazioni  proprie  dei  sali  stannosi:  essa  non  dh  precipitato  quando 
sia  bollita  con  soluzione  concentrata  di  nitrato  ammojiipo. 

Riscaldato  a  100%  in  tubi  nei  quali  si  fece  passare  una  cor- 
rente di  idrogeno  secco,  subì  delle  diminuzioni  di  peso  del  tutto 
insignificanti. 

Riscaldato  ad  elevata  temperatura  facilmente  si  scompone 
emettendo  anidride  solforosa. 

ANALISI    QUANTITATIVA 

Le^  determinazioni  fatte  sui  quattro  prodotti  A,  B,  A'  e  B 
asciugati  a  100"  in  corrente  di  idrogeno  furono: 

a)  Determinazione  dello  stagno  —  Questa  determinazione  fu 
fatta  con  vari  metodi:  da  soluzioni  titolate  del  prodotto  in  acqua 
acìdulata  con  acido. cloroidrico  fu  precipitato  lo  stagno  con  ni- 
trato ammonico  previa  sopraossidazione  con  acido  nitrico,  op- 
pure fu  precipitato  con  solfuro  idrico  ed  il  resultante  solfuro  fu 
per  arrostimento  convertito  in  ossido  stannico;  od  altrimenti 
in  soluzioni  titolate  ìu  acqua  fortemente  acìdulata  con  acido 
solforico  fu  determinato  lo  stagno  con  soluzione  ^  di  perman- 
ganato potassico. 

b)  Determinazione  del  residuo  SO^  allo  stato  di  BaSO*  dopo 
aver  separato  lo  stagno  allo  stato  dì  SnO-  o  dì  Sn*S-. 

A    . 

Da  0,925  gr.  dì  sostanza  si  ottennero  0,6574;  0,6577  gr.  di 
SnO^  corrispondenti  a  0,51716;  0,51746  gr.  di  Sn  =  55,90; 
65,94  7o  Media  55,  92  o/, . 

(*)  Qaeste  notizie  mi  vennero  gentilmente  comanicate  dal  sig.  Dott.  Luigi  Busatti. 


74 


A.   IX>NOI 


Per  0,3962  gr.  di  sostanza  si  richiesero  37,1;  36,9;  36,8  ce. 
di  K«Mn»0»i^  corrispoudenti  a  0,21889;  0,21771;  0,21712  gr.  di 
Sn— 55,24;  54,94;  54,80  «/o-  Media  54,87»/.. 

Da  0,925  gr.  di  sostanza  si  ottennero  0,9895  ;  0,9855  gr.  di 
BaSO»  corrispondenti  a  0,40776;  0,40606  gr.  di  SO»  =44,07; 
43,90  7o.  Media  43,98  V,. 

B 

Per  0,2954  gr.  di  sostanza  sì  richiesero  27,7;  27,5;  27,5  ce. 
di  K'Mn^O'j^  corrispondenti  a  0,16343;  0,16225;  0,16225  gr.  di 
Sn=55,32;  54,93;  54,93  «/o-  Media  55,06  «/o- 

A' 

Da  0,8174  gr.  di  sostanza  si  ottennero  0,5720;  0,5734  gr.  di 
SnO*  corrispondenti  a  0,45000;  0,45122  gr.  di  Sn  =  55,05; 
55,20  Vo-  Media  55,12  7,. 

Per  0,3652  gr.  di  sostanza  si  richiesero  34,1;  33,9;  34,0  ce. 
diK«Mn«0»iB  corrispondenti  a  0,20119;  20001;  20060  gr.  di 
Sn  =  55,07;  54,23;  54,75  7,.  Media  64,580/". 

B' 

Per  0,3421  gr.  di  sostanza  si  richiesero  31,5;  31,0;  31,2  ce. 
di  K«Mn«0«  ì^  corrispondenti  a  0,18585;  0,18290;  0,18408  gr.  di 
Sn=54,23;  53,46;  53,81  7o.  Media  53,83  »/„. 

I  resultati  di  queste  analisi  sulla  composizione  dei  quattro 
prodotti,  fatte  le  medie  complessive,  così  si  riassumono: 


A 

B 

A' 

B' 

Sn 

55,45 

55,06 

54,85 

53,83 

SO* 

43,98 

44,85 

Ascrivendo  al  solfato  stannoso  la  formula  Sn  SO*  o  meglio 
Sn*  (SO*)*  la  sua  composizione  centesimale  sarebbe: 

Sn    =    55,14 
SO*  =    44,86 


SOLFTAO  STANNOSO,  SOLFATO  STANNOSO-AMMONICO  EC.  75 

n  solfato  stannoso  lasciato  alV  aria  molto  energicamente  ne 
assorbe  V  ossigeno  per  trasformarsi  in  ossido  e  solfato  stannico. 
La  sua  soluzione  pure  abbandonata  a  se  molto  prontamente 
depone  dell'ossido  stannico  ed  il  liquido  limpido,  per  T ebollizione 
con  nitrato  ammonico,  precipita  ossido  stannico. 

Il  solfato  stannoso,  come  reattivo,  non  può  dunque  sostituirsi 
con  vantaggio  al  cloruro  perchè  la  sua  soluzione  è  troppo  facil- 
mente alterabile;  nonostante  ciò  io  ne  determinai  il  coefficente  di 
solìibilità  e  per  tale  ricerca  io  mi  valsi  della  porzione  A'  siccome 
quella  che  all'  analisi  dette  i  numeri  più  prossimi  a  quelli  teorici. 

Il  solfato  stannoso  ridotto  in  polvere  fu  posto  in  una  bottiglia 
a  tappo  smerigliato,  fu  aggiunta  una  quantità  di  acqua  relativa- 
mente molto  piccola,  fu  sostituita  l'aria  con  idrogeno,  fu  agitato  fre- 
quentemente per  due  giorni  e  quindi  filtrata  la  risultante  soluzione. 

La  quantità  di  solfato  stannoso  disciolto  fu  determinata  da 
quella  di  SnO*  e  di  BaSO^  che  tal  soluzione  forniva,  nel  qual 
modo  fu   possibile  verificare   che  le-  quantità  di  Sn   e  SO^  si 

erano  mantenute  fra  loro  nel  rapporto  ^,  la  qual  cosa  era  in- 
dispensabile per  decidere  se  il  liquido  esaminato  fosse  la  vera  so- 
luzione del  solfato  stannoso  opi)ure  di  un  prodotto  della  sua 
scomposizione  coli' acqua. 


Temperatura  del  liquido  all'  atto  della  filtrazione  12^ 
1.  —  6,1396  gr.  di  soluzione  dettero  1,195  gr.  di  SuO-  e 

1,866  gr.  di  BaSO^ 

IL  —  8,712  gr.   di  Soluzione  dettero  1,682  gr.  di  SnO*  e 

2,6246  gr.  di  BaSO*. 


Coefficente  di  solubilità  del  solfato  stannoso  a  M^ 


calcolato  dell*  SnO* 


Calcolato  dal  BaS0« 


L 

2,632 

2,582 

• 

II. 

2,630 

2,620 

Media 


2, 616  (») . 


(')  C.  Marignac  nella  sua  memoria  ^Recherches  sur  les  formes  cristallines  et 
la  composition  chimique  de  divers  sels  »  (Annales  dee  Mines,  5.®  Serie,  Xll,  p.  54)  ri- 
ferendo molto  laconicamente  sulla  solubilità  del  solfato  stannoso  dà,  come  .coefficente 
di  solubilità  di  questo  corpo  a  19",  5  V3  numero  molto  discosto  da  quello  da  me  trovato. 


76  A.   LONQI 

Dumas,  nel  suo  Traile  de  Chimie  appliquée  aux  arts  ('),  par- 
lando della  difficoltà  che  presentano  allo  studio  i  solfati  stannico 
e  atannoso,  accennò  alla  probabilità  che  questi  due  sali  potessero 
formare  coi  solfati  alcalini  composti  più  facilmente  studiabili. 
Però  nonostante  che  tali  combinazioni  non  siano  state  mai  da 
alcuno  né  studraternè  ottenute,  se  si  eccettuano  le  (K*SO*-f~SnSO*) 
e  (K-SO*-|-(SnSO^)*)  che  Marignac  ha  appena  accennate  (*),  pure 
in  alcuni  trattati  trovasi  scritto  che  il  solfato  stannoso  dà  coi 
solfati  alcalini  dei  solfati  doppi  meno  facilmente  ossidabili  pel 
contatto  deir  aria. 

10  ho  voluto  tentare  la  preparazione  di;  combinazioni  del 
solfato  stannoso  con  quello  ammonico. 

Convertii  300  gr.  di  stagno  in  ossido  stannoso  il  quale  fu 
trattato  con  300  gr.  di  acido  solforico  e  subito  dopo  con  una 
soluzione  contenente  335  gr.  di  puro  solfato  ammonico.  Riscaldai 
la  mescolanza  a  b.  m.  aggiungendo  ad  essa  tant'  acqua  bollente 
fino  a  che  il  formatosi  solfato  stapnoso  non  si  fu  completamente 
disciolto.  Per  la  evaporazione  si  formarono  delle  croste  bianche 
formate  da  aggregati  di  minutissimi  cristalli  À.;  esse  furono 
separate  dalle  acque  madri,  dalle  quali,  per  evaporazione  ulte- 
riore si  ottenne  un  altro  prodotto  B.  di  aspetto  simile  al  primo. 

In  un  altra  preparazione  la  soluzione  risultante  dalla  me- 
scolanza dei  solfati  stannoso  ed  ammonico  fu  evaporata  per  Vs 
circa,  fu  rigettata  T  acqua  madre  ed  il  residuo  ridisciolto  nella 
minor  quantità  possibile  di  acqua  distillata  bollente.  Per  la  eva- 
porazione di  questa  soluzione  si  ottennero  pure  due  frazioni  A', 
e  B',  le  quali  apparentemente  differivano  dalle  prime  solo  per 
una  leggerissima  colorazione  giallognola. 

I  quattro  prodotti  furono  come,  i  quattro  precedenti  di 
solfato  stannoso,  spremuti  fra  carta  e  posti  ad  a  sciugare  nel 
vuoto  suir  acido  solforico. 

11  corpo  ottenuto  si  presenta  in  forma  di  aggregati  di  cri- 
stalli bianchi,  traslucidi,  minutissimi  sui  quali  non  fu  possibile 
fare  alcuna  determinazione  cristallografica.  Analogamente  al 
solfato  stannoso,  dà  una  soluzione  che  viene  intorbidata  per 
r  aggiunta  ulteriore  di   acqua.   Sottoposto  air  analisi   dette    le 


O  T.  in,  p.   173.  Paris  1831. 
(^)  V.  Memoria  citata. 


SOLFATO  STANNOSO,  SOLFATO  8T ANNOSO- AHUONICO  EC.  77 

reazioni  proprie  dei  soIfati,^  dei  sali  stannosi  e  di  quelli  amtnonici. 
Riscaldato  a  100*  in  corrente  di  idrogeno  non  subì  sensibili  di- 
minuzioni di  peso.  Riscaldato  a  temperatura  elevata  facilmente 
si  scompone. 

ANALISI   QUANTITATIVA 

Le  determinazioni  furono  fatte  sui  quattro  prodotti  A,  B,  A' 
e  B'  asciugati  a  100*  in  corrente  di  idrogeno. 

A 

Da  1,0888  gr.  di  sostanza  si  ottennero  0,5702;  0,5711  gr.  di 
SnO*  cwrispondenti  a  0,44865;  0,44928  gr.  di  Sn  ==»  41,19; 
42,10»/,.  Media  41,64  •/„. 

1,954  gr.  di  sostanza  sottoposti  alla  distillazione  con  soda 
fornirono  una  quantitài  di  ammoniaca  equivalente  a  69,9  ce.  di 
NaOH'/.o  corrispondenti  a  0,12582  gr.  di  NH*^6,43  7o. 

Da  1,0888  gr.  di  sostanza  si  ottennero  1,3572;  1,3557  gr.  di 
BaSO»  corrispondenti  a  0,55917;  0,55859  gr.  di  SO' =  51,35; 
51,30  7o.  Media  51,32  0/,. 

B 

Per  0,3199  gr.  di  sostanze  si  richiesero  22;  22,6;  22,2  ce. 
di  K»Mn«0«  '1,00  corrispondenti  a  0,1298;  0,13334;  0,13098  gr.  di 
Sn=40,57;  41,99;  40,94  V,-  Media  41,16  V,. 

A' 

Per  0,513  gr.  di  sostanze  si  richiesero  36,9;  36,6;  36,5;  ce. 
di  K*Mn«0«7,oo  corrispondenti  a  0,21771;  0,21594;  0,21535  gr. 
di  Sn  — 42,43;  42,09;  41,97  o/,.  Media  42,16  0/0. 

Da  1,7862  gì*,  di  sostanza,  da  cui  fu  separato  lo  stagno  col 
solfuro  idrico,  si  ottennero  0,6232  ;  0,627  gr.  dì  Pt  corrispon- 
denti a  0,11366;  0,11437  gr.  di  NH*  =  6,36;  6,40  V,-  Me- 
dia 6,38  7,  • 

B' 

Per  0,5695  gr.  di  sostanza  si  richiesero  40, 6;  40,  5;  40,  5  ce. 
di  K*Mn«0« '/.oo  corrispondenti  a  0,23954;  0,23895;  0,23895  gr. 
di  Sn  =42,06;  41,95;  41,95 «/o-  Media  41,99. 


78 


A 

A.  tOilCii 
B 

•    A' 

B' 

Sn 

41,64 

41,15 

42,16 

41,99 

NH* 

6,43 

— 

6,38 

— 

S0« 

51,32 

— 

» 

— 

Per  questi  risaltati  si  viene  a  concludere  essersi  ottenuto  il 
sola  composto  corrispondente  alla  formula  Sn-(SO*)*+  (NH*;*SO*, 
nonostante  che  si  fosse  aggiunta  al  solfato  stannoso  una  quan- 
tità di  solfato  ammonico  di  modo  che  i  loro  pesi  stassero  nel 

rapporto  di  ^^i^,. 

La  composizione  centesimale  teorica  del  Sn*(SO*)*+(NH*)'SO* 

sarebbe: 

Sn       =    42,14 

NH*    =      6,42 

SO*     —    51,42 

11  solfato  stannoso-ammonico  si  soprossida  molto  prontamente 
a  contatto  dell'  aria.  La  sua  soluzione,  abbandonata  a  se,  tanto 
presto  quanto  quella  del  semplice  solfato  stannoso,  abbandona 
ossido  stannico  ed  il  liquido  soprastante  precipita  pure  ossido 
stannico  per  V  ebollizione  con  nitrato  ammonico. 

Determinai  il  coef&cente  dì  solubilità  del  solfato  stannoso- 
ammonico  in  modo  analogo  a  quello  tenuto  per  la  fissazione 
del  coefficente  del  solfato  stannoso. 


Temperatura  del  liquido  all'atto  della  filtrazione  11^5. 

I.  —  12,8525  gr.  di  soluzione  dettero  1,968  gr.  di  SnO^  e 
4,483  gr.  di  BaSO^. 

II.  —  12,843  gr.  di  soluzione  dettero  1,971  gr.  di  SnO^  e 
4,4035  di  BaSO*. 

III.  12,849  gr.  di  soluzione  sottoposti  alla  distillazione  con 
soda  fornirono  una  quantità  di  ammoniaca  equivalente  a  63  ce. 
di  NaOH  75  corrispondenti  a  0,2268  gr.  di  NH*. 

IV.  —  12,8505  gr.  di  soluzione  sottoposti  alla  distillazione 
con  soda  fornirono  una  quantità  di  ammoniaca  equivalente  a 
63,5  ce.  di  NaOH  "/a  corrispondenti  a  0,2286  gr.  di  NH*. 


SOtFATO  3TANN0S0,  SOLFATO  STANNOSO-AMMONICO  EC. 


79 


Coefflcente  di  tolubilità  del  solfato  stannoto-ammonlco  a  11<>,6 


calcolato  dall'  SnO< 


calcolato  dal  BaSO< 


n. 


calcolato   dalf  NH« 


2,498 


2,ff78 


3,490 


2,640 


III. 


IV- 


2,642 


2,613 


Media 2,577 

L*  ammoniaca  è  capace  di  formare  delle  combinazioni  con 
vari  composti  dello  stagno.  Fra  le  combinazioni  ammon-stanniche 
si  possono  citare 

Sn  CH,  2  NH3  di  Rose 
Sn  CIS  4  NH^  di  Qouvelle  e  Persoz 
Sn  Br*,  2  NH^  di  Ragman  e  Preis 
Sn  P,    8  NH-'  di  Rammelsberg; 

però  di  combinazioni  ammon-stannose  non  è  a  mia  cognizione 
che  la  Sn  CP,  NH^  di  Persoz. 

Neir  intento  di  venire  in  conoscenza  di  naove  combinazioni 
ammon-stannose  io  sottoposi  air  azione  deir  ammoniaca  T  ossido 
stannoso,  il  solfato  stannoso  ed  il  solfato  stannoso-ammonico. 
Questi  composti,  ridotti  in  tenuissima  polvere,  furono  asciugati 
in  corrente  di  idrogeno  in  tubi  riscaldanti  a  100%  furono  pesati 
e  fu  fatta  passare  su  di  essi  ammoniaca  perfettamente  secca. 

L*  ossido  stannoso  non  si  combina  coir  ammoniaca  né  ad 
una  temperatura  di  vari  gradi  sotto  0%  né  a  25''-30''  né  a  100* 
né  a  200». 

11  solfato  stannoso  assorbe  ammoniaca  tanto  alla  temperatura 
ordinaria  che  a  lOO""  trasformandosi  in  un  composto  colorato 
intensamente  in  giallo;  questa  combinazione  però  si  effettua 
molto  lentamente  e  sono  necessari  molti  giorni  avanti  che  i 
tubi  cessino  di  aumentare  di  peso. 


80  A,    tONGl 

I.  5,168  gr,  di  solfato    stannoso    assorbirono  1,639  gr.  di 

ammonìaca; 

IL  7,243  gr.  di  solfato  stannoso  assorbirono  2,281  gr.  di 

ammoniaca; 

per  cui  si  deduce  che  il  composto  giallo  contiene  24,07[;|23,94  Vo 
di  ammoniaca  e  che  gli  si  può  ascrivere  una  delle  due  formule 

Sn  SO*,  4NH'*  ;       Sn«  (SO*)S  8NH^ 

che  richiedono  24,11  7o  ^'  ammoniaca. 

Esso  si  scompone  colla  massima  facilità  per  V  azione  del- 
l' acqua.  Abbandonato  all'  aria  ne  assorbe  V  umidità:  emette  am- 
moniaca e  si  trasforma   in    una   polvere   bianca  risultante   da 

« 

solfato  ammonico  ed  ossido  stannoso. 

11  solfato  stannoso  assorbe  pure  ammoniaca  quando  sia  ri- 
scaldato alla  temperatura  di  180*-200^;  in  queste  condizioni 
I.  8,140  gr.  ne  assorbirono  0,305  gr.; 

II.  9,252  gr.  ne  assorbirono  0,359  gr. 

U  composto  che  ne  risulta  è  colorato  in  giallo  pallido  e  con- 
tiene 3,61;  3,73  7o  ^^  ammoniaca.  Ad  esso  si  può  assegnare  la 
formula 

Sn*  (SOOS  Nff 

che  richiede  3,  82  Vo  ^i  ammoniaca  ('). 

Per  r  azione  dell'acqua  esso  si  scompone  in  solfato  ed  ossido 
stannoso  e  solfato  ammonico. 

Il  solfato  stannoso  ammonico  assorbe  pure  ammoniaca  alla 
temperatura  ordinaria  acquistando  una  bella  colorazione  gialla. 
I.  2,6925  gr.  ne  assorbirono  0,3050  gr.; 
II.  3,3655  gr.  ne  assorbirono  0,4000  gr. 


(*)  Il  solfato  stannoBO  ridotto  in  tenuissima  polvere  e  sospeso  nel  cloroforme  anidro 
assorbe  pure  V  ammoniaca  secca  trasformandosi  in  un  composto  colorato  in  giallo- 
pallido.  Sul  prodotto,  asciugato  in  una  corrente  di  idrogeno  secco,  fu  determinato 
r  SO^  e  per  media  di  due  determinazioni  concordanti  si  ottenne  per  rapporto  cente- 
simale 41,02;  però,  per  un  caso  fortuito  essendosi  guastalo  il  prodotto,  non  potei  più 
*fare  le  determinazioni  dello  stagno  e  deir  ammoniaca  la  quale  ultima  specialmente 
era  necessario,  in  questo  caso,  determinare;  perciò  per  il  solo  dato  ottenuto  io  non 
posso  decidere  se  alla  combinazione  formatasi  sia  da  assegnarsi  la  formula  SnSO^,  NIP 
(o  meglio  Sn«  (SO*)*,  2NH3  )  per  cui  si  richiede  41,57%  ài  SO*  oppure  V  altra 
Sn«  (S0*)«,  3NH»  la  quale  richiederebbe  40,91  %  di  SO*. 


SOLFATO  STANNOSOy  S0t#À90  8TANNO0O-AMMONICO  IC  81 

II  risaltante  composto  contiene,  dunque,  10,19;  10,62  7o  eli 
ammoniaca  e  corrisponde  alla  formula 

Sn«  (NHT  (SO0^  4NH3 

per  la  quale  si  richiedono  10,82  ^/q  di  ammoniaca. 

Coir  acqua  esso  si  scinde  in  ossido  stannoso  e  solfato  am- 
monico. 

È  questione  non  ancor  definita  se  le  combinazioni  stannose 
contengano  un  atomo  di  stagno  funzionante  da  bivalente,  op- 
pure due  atomi  tetravaleuti  di  questo  elemento  i  quali  per  es- 
sersi reciprocamente  uniti  per  due  unità  di  saturazione  vengano 
a  formare  un  aggruppamento  tetrav alente. 

Lo  studio  delle  combinazioni  stannose  presenta  delle  notevoli 
difficoltà  per  causa  della  loro  estrema  tendenza  a  trasformarsi 
in  derivati  stannìci  e  da  ciò  deriva  se  su  molte  di  esse  si  hanno 
solamente  cognizioni  molto  incomplete.  Il  composto  meglio  stu- 
diato è  certamente  il  cloruro;  e  le  ricerche  fatte  su  questo  corpo 
ci  permettono  di  fare  alcune  considerazioni  sulla  costituzione 
delle  combinazioni  stannose.  Per  due  determinazioni  della  densità 
di  vapore  del  cloruro  stannoso,  fatte  da  Rieth  e  delle  quali  egli 
si  limitò  esclusivamente  a  comunicare  i  risultati  (*),  si  potrebbe 
dedurre  che  ciascuna  molecola  di  esso  contiene  un  solo  atomo 
di  stagno;  però  più  recentemente  V.  e  C.  Meyer  avendo  fatta  la 
stessa  determinazione  O  trovarono  per  la  densità  di  vapore  i 
valori 

12,85  alla  temperatura  di  619® 
e  13,08     ,  ,  ,   697* 

i  quali  li  condussero  a  stabilire  che  Sn*  Cl^  esprimeva  la  gran- 
dezza molecolare  del  cloruro  stannoso. 

Th.  Carnelly  O  si  oppose  alle  conclusioni  dedotte  pei  risultati 
ottenuti'dai  due  Meyer,  perchè  le  loro  determinazioni  erano  state 
fatte  a  temperatura  troppo  vicina  al  punto  di  ebollizione  del 
cloruro  stannoso  (^).  In  seguito  a  ciò   V.  Meyer  ed  H.  Zùblin 


0)  Berliner  Berichte  HI,  66S. 
O  ivi  XII,  1197-1198. 

(3)  BerUaer  Berichte  XII,  1836. 

(^)  Lo  stesso  Carnelly  iasieme  eoa  Carleton   Williams  hanno  trovato   che  esso 
bolle  fra  617o  e  628.  (Berliner  Berichte  XII,  1370). 

A.  Noi.  VoL  VII,  fisioio.  2.0  6 


82  A.   LONOI 

ripeterono  le  esperienze  alla  temperatura  di  800*  e  970*  e  tro- 
varono (')  che  in  queste  condizioni  il  cloruro  stami  oso  (non  de- 
componendosi affatto  con  liberazione  di  cloro)  forniva  un  volume 
doppio  di  quello  ritrovato  alla  temperatura  di  619^  e  697';  per 
cui  essi  stabilirono  che  il  cloruro  stannoso  allo  stato  di  vapore 
esiste  in  due  stati  distinti  a  seconda  della  temperatura:  quello 
di  Sn*  CI*  a  temperatura  più  bassa  e  quello  di  Sn  CI*  a  tempe- 
ratura più  elevata. 

À  me  sembra  però  che  per  tali  ricerche  si  possa  quasi  sicura- 
mente decidere  sulla  esistenza  dell'  aggruppamento  =Sn=Sn=', 
poiché  il  valore  13,08  tanto  vicino  al  teorico  13,06  fu  deter- 
minato ad  una  temperatura  (697°)  di  circa  75*  superiore  a  quella 
di  ebollizione  del  cloruro  stannoso,  per  cui  non  si  può  du))itare 
che  esso  non  si  trovasse  allo  stato  di  vapore  perfetto. 

Ogni  dubbio  però  sarebbe  del  tutto  rimosso  quando  si  po- 
tessero produrre  ancora  argomenti  di  ordine  chimico  in  favore 
dell'aggruppamento  =Sn— Sn=, 

Per  analogia  col  carbonio  e  col  silicio,  nonostantechè  non 
si  sia  potuto  ancora  determinare  direttamente  la  grandezza  ^mo- 
lecolare del  protocloruro  di  silicio  ottenuto  da  Troost  e  Haute-  ' 
feuille  (*),  si  dovrebbe  ottenere  per  lo  stagno  un  cloruro  Sn*  CI* 
intermedio  fra  quello  stannico  e  lo  stannoso  :  A.  Ladenburg  (^) 
tentò  infatti  di  ottenere  un  prodotto  di  alogenazione  intermedio 
facendo  agire  il  bromo  sul  cloruro' stannoso,  ma  la  grande 
energia  dell'  alogeno  e  la  poca  stabilità  dei  legami  per  ì  quali 
stanno  uniti  fra  di  loro  gli  atomi  di  stagno,  gli  impedirono  di 
arrestare  la  reazione  alla  formazione  di  un  prodotto  del  tipo 
Sn*(X')*;  egli  giunse  però  a  dimostrare  la  esistenza  di  un  pro- 
dotto di  questo  tipo  studiando  le  combinazioni  dello  stagno  coi 
residui  alcoolici. 

Frankland  (*)  e  Lóvig  (^)  scoprirono  che  per  V  azione  della 
lega  di  stagno  e  sodio  suU'  ioduro  etilico  si  formano  diversi  etil- 
derivati  dello  stagno:  lo  stagno- tetraetile,  -trietilioduro,  -trietile 
e  -dietile.  Se  lo  stagno-dietile  avesse  potuto  volatilizzarsi  senza 

Q)  Berlinep  Berichte  XIII,  811-815. 

(*)  Comptes  rendus,  1871,  LXXIII,  567. 

(^)  Ann.  d.  chem.  u.  Pharm.  Vili  Supplementband  60-^3. 

(*)  ivi  LXXXV,  329. 

W  ivi  LXXXIV,  308. 


SOLFATO  StÀl^OSOy  SOLFATO  STANNOSO-AMMONIOO  EC.  8o 

decomposizione,  la  questione  della  esistenza  deir  aggruppamento 
=Sn="Sn^  sarebbe  ornai  già,  stata  definita,  ma  disgraziata- 
mente egli  si  decompone  in  stagno  e  stagno-tetraetile :  d'altra 
parte  poi  il  processo  di  preparazione  non  è  tale  da  poter  portare 
alcun  lume  sulla  sua  costituzione. 

Lo  stagno-trietilioduro  può  paragonarsi  ad  un  ioduro  alcoolico, 
quindi,  analogamente,  per  azione  del  sodio  i  due  residui  — Sn(C*H*)' 
monovalenti  si  dovrebbero  unire  per  formare  il  composto  Sn*(C*H'0* 
identico  allo  stagno-trìetile  di  Frankland  e  LOvig.  Questa  sintesi 
fu  infatti  realizzata  da  Ladenburg(*)  e  la  formula  Sn*(C'H^)* 
che  per  essa  fu  condotto  ad  assegnare  al  prodotto  ottenuto 
venne  in  tutto  confermata  per  le  determinazioni  della  densità 
di  vapore  (*). 

L' esistenza  di  un  corpo  della  formula  molecolare  (Sn*)"  (X')* 
è  un  argomento  validissimo  in  favore  della  formula  (Su*)*' (X)* 
da  assegnarsi  alle  combinazioni  stahnose;  poiché  se  è  possibile 
e  provata  V  esistenza  dell'  aggruppamento  ^Sa— Sn^  nessuna 
ragione  si  oppone  a  che  si  ammetta  con  quasi  ugual  certezza 
quella  dell'altro  aggruppamento  =Sn=Sn=,  nonostante  che 
fino  ad  ora  non  si  sia  riusciti  ad  acquistarne  prove  dirette. 

Per  queste  considerazioni  io  assegno  al  solfato  stannoso  la 
formula  SO*=Sn=-Sn=SO*  alla  quale  vengo  pure  condotto  per 
un  fatto  di  ordine  puramente  chimico:  Io  ho  precedentemente 
mostrato  come  il  solfato  stannoso  riscaldato  fra  ISO*"  e  200^  as- 
sorba una  quantità  di  ammoniaca  tale  da  formare  un  corpo  la 
cui  formula  più  semplice  è  Sn«(SO*)-  NH^  Ora,  in  considerazione, 
specialmente,  del  bel  lavoro  di  V.  Meyer  ed  M.  Lecco  sulla  co- 
stituzione dei  composti  ammonici  (^),  è  necessario  ammettere  che 
r  azoto  si  unisca  direttamente  ai  due  atomi  di  stagno  e  che  la 
formula  di  costituzione  dell'  ammon-derivato,  che  io  chiamerò 
solfato  di  ammon-stannoso,  sia  quindi 

S0*=Snl2!.?^Sn=S0*. 

Per  analoghe  considerazioni  si  devono  pure  ritenere'  quali 
combinazioni  atomiche  gli  altri  due  derivati  ammonici  e  devono 
chiamarsi  :  solfato  di  octoammon-stannoso(Sn*(NH5)®)  (SO^)*  quello 

(')  Ann.  d.  Chem.  u.  Pharm.  Vili  Supplementband  p.  64-70. 

C)  Ivi. 

0  Berliner  Berichte  Vili  (1875),  p.  233. 


84  !•  lAVai  —  SC^JATO  STANNOSO,   SOIiFÀTO  BC. 

ottenuto  dal  solfato  stannoso,  e  solfato  di  tetraamtnon-stannoso 

ammonico  (Sn«(Nff)*  (NH*)^(SO*)='   quello   ottenuto  dal  solfato 

stannoso  ammonico,  al  quale  ultimo  dorpo  non  si  può  a  meno 

di  assegnare  la  formula 

QO*-qn-q«/S0*-NH* 
SO  -^n-Snv^gQ4_jjg4 

poiché  infatti  se  le  parti  costituenti  del  solfato  ammonico  non 
si  fossero  unite  direttamente  a  quelle  del  solfato  stannoso,  per 
un  nuovo  reparto  delle  valenze  proprie  a  ciascuno  dei  cinque 
elementi,  il  risultante  corpo  si  sarebbe  razionalmente  compor- 
tato, per  V  azione  delP  ammoniaca,  quale  una  mescolanza  di  sol- 
fato stannoso  e  solfato  ammonico  e  ne  sarebbe  risultato  un 
tutto  con  una  composizione  corrispondente  ad  un  solfato  di 
octoammon-stannoso  ammonico,  mentre  che,  come  ho  mostrato, 
io  ottenni  in  questo  caso  un  tetraammon-derivato. 

Questo  studio  mi  ha  offerto  dunque  di  pronunciarmi  in  favore 
del  tipo  (Sn')"(X')*  al  quale  necessariamente  vengo  condotto 
dair  ottenuto  solfato  di  ammon-stannoso.  Nuovi  e  più  importanti 
fatti  di  ordine  chimico  si  richiedono  però  per  poter  giungere 
a  stabilire  definitivamente  la  costituzione  delle  combinazioni 
stannose,  per  cui  io  ho  in  animo  di  continuarne  lo  studio  in 
questa  direzione. 


Pisa^  dal  laboratorio  di  Chimica  generale  della 
R.  Università  -  Novembre  i8^4. 


h 


B.    LOTTI 


CORRELAZIONE  DI  GIACITURA 

FRA 

IL  PORfli  iiRZlFlO  E  LA  TRiCIlTE  diARZlFÈRA 

NBI   DINTORNI 

DI  CAMPIGLIA  MARITTIMA  E  DI  CASTAGNETO 

IN  PKOVINCIA  DI  PISA 


In  altra  occasione  (*},  trattando  dei  graniti  toscani,  feci  notare 
che  nei  monti  di  Cam  pigli  a  e  di  Castagneto  si  veriUca  un  fatto 
eloquentissinio  in  appoggio  della  tesi  di  una  stretta  relazione 
genetica  fra  i  graniti  e  le  trachiti.  Dissi  che  da  una  massa  di 
liparite  o  trachite  quarzifera  cordieritica  ben  caratterizzata,  che 
ha  interessato  gli  strati  eocenici,  dipartonsi  filoni  di  porfido 
quarzifero,  i  quali  nei  pressi  eli  Castagneto  penetrano  negli  scisti 
varicolori  a  Posidonomya  Bronni  del  lias  superiore  e  nei  dintorni 
di  Campiglia  attraversano  i  calcari  del  lias  inferiore.  Il  fatto 
aveva  troppa  importanza  perchè  non  meritasse  di  essere  studiato 
accuratamente,  e  soprattutto  interessava  di  mettere  in  chiaro 
la  vera  natura  di  quelle  roccie  sulle  quali,  tranne  alcune  ricerche 
del  vom  Rath(*)  e  del  Vogelsang  (^),  non  esisteva  uno  studio 
micropetrografico  completo.  Tale  lacuna  è  stata  ora  colmata  dal 

(')  Lotti  —  Considerazioni  sulla  età  e  sulla  origine  dei  graniti  toscani.  (Boll, 
geol.  3  e  4  18S4;. 

O  G.  vom  Rath  —  Quarzpihrender  Trachit  von  •Campiglia  Marittima  (Zeits. 
et  XVni  1866,  pag.  639). 

O  H.  Vogelsang—  Philosophie  der  Geologie  etc  Berlin  1867. 


86  B.   LOTTI 

prof.  D'Achiardi  e  sappiamo  ormai  cosa  pensare  sulla  costitu- 
zione mineralogica  di  queste  due  roccie,  le  quali,  sebbene  tanto 
diverse  nel  modo  d'aggregazione  e  nell'  aspetto  esterno,  pei  fatti 
che  andremo  esponendo  sono  da  ritenersi  unicamente  quali  mo- 
dalità di  uno  stesso  magma  eruttivo  dovute  alle  condizioni  dif- 
ferenti in  cui  avvenne  il  suo  consolidamento. 

Dai  geologi  toscani  Savi,  Pilla,  Meneghini  e  da  altri  le  roccie 
feldspatiche  di  Campiglia  furono  sempre  denominate  riacoliti 
o  tcachiti  quarzifere.  Il  vom  Rath,  cui  son  dovuti  tanti  eruditi 
lavori  sulle  roccie  eruttive  del  nostro  suolo,  analizzò  e  descrisse  (') 
una  roccia  eruttiva  del  Campigliese,  che  per  la  presenza  di  una 
pasta  amorfa  di  feldspato  sanidinìco  e  per  V  intiero  suo  abito 
credè  di  poter  classificare  fra  le  trachiti.  Gli  rimase  però  qual- 
che dubbio  essendoché  la  roccia  conteneva  un  buon  numero  di 
diesaedri  di  quarzo  e  la  cordierite,  cosa  insolita  nelle  roccie  vul- 
caniche; ad  avvalorare  questo  dubbio  aggiungevasi  che  nei  din- 
torni era  stata  osservata  pure  una  roccia  porfirica  in  filoni, 
non  lungi  dalla  massa  ritenuta  di  trachite.  Per  togliere  ogni 
dubbio  r  Autore  volle  nuovamente  visitare  il  Campigliese  (-)  e 
percorrendo  la  valle  delle  Rocchetto,  che  taglia  in  traverso  le 
colline  eruttive  di  S.  Vincenzo,  si  convinse  che  esse  erano  vera- 
mente formate  di  trachite.  Il  confronto  poi  della  roccia  eruttiva 
delle  colline  con  quella  granitico-porfirica  dei  filoni,  la  loro  non 
dubbia  connessione,  la  presenza  in  ambedue  della  cordierite  fe- 
cero certo  r  Autore  della  impossibilità  di  tener  distinta  la  roccia 
supposta  trachitica  della  massa  da  quella  porfirica  dei  filoni  e 
non  potendo  ritenere  quest' ultima  *quale  trachite  finì  per  con- 
cludere che  la  roccia  della  massa  non  era  da  classificarsi  fra  le 
trachiti.  La  instabilità  nella  opinione  di  questo  profondo  osser- 
vatore a  riguardo  delle  roccie  feldspatiche  del.  Campigliese  di- 
pendeva manifestamente  dal  fatto  che  la  struttura  della  roccia 
in  filoni  è  tutt'  altro  che  trachitica,  ad  onta  che  la  sua  connes- 
sione con  quella  veramente  trachitica  della  massa  apparisca  in- 
contestabile. 

Le  ricerche  micropetrografiche  del  D' Achiardi,  i  risultati 
delle  quali  son  resi  di  pubblica  ragione  in  questo  stesso  volume 

(»)  G.  vom  Rath  —  Zeies.  ,XVm,  pag.  639. 

(*)  G.  vom  Rath  —  Dte  Berge  vom  Campiglia  etc.  —  (Zeits.  etc  XX,  1868, 
pag.  326-327) . 


OOBBELAZIONE  DI  GIAOITURÀ  FRA  IL  PORFIDO  E  LA  TRAGHITE  QUARZIFERA      87 

degli  Atti  della  Società  toscana  di  Scienze  naturali,  hanno  pie- 
namente dimostrato  che  la  roccia  costituente  la  quasi  totalità 
della  massa  eruttiva  nelle  colline  fra  S.  Vincenzo  e  Castagneto 
è  non  solo  una  vera  e  propria  trachite  quarzìfera,  ma  una  tra-' 
chite  a  pasta  fondamentale  vetrosa,  e  che  la  roccia  la  quale 
comparisce  in  filoni  in  prossimità  della  massa  trachitica  è  por- 
fido quarzifero  che  appena  dififerisce  da  altri  porfidi  quarziferi 
per  avere  i  grossi  cristalli  isolati  di  feldspato  somiglianti  più 
alla  sanidina  che  air  ortose. 

Dopo  ciò  interessava  vivamente  di  constatare  i  rapporti 
geologici  fra  la  roC'Cia  trachitica  e  il  porfido  quarzifero,  rapporti 
soltanto  intraveduti  dal  vom  Bath  e  dagli  antichi  geologi  to- 
scani, i  quali,  con  questo  esempio  del  Campigliese  e  coir  altro 
deirElba,  non  seppero  mai  trovar  differenza  per  la  genesi  e 
per  r  età  fra  i  graniti  e  le  trachiti.  A  questo  scopo  mi  proposi 
ed  eseguii  colla  massima  cura  il  rilevamento  geologico  della  re- 
gione compresa  fra  Castagneto  e  Campiglia,  sulla  carta  alla 
scala  di  Vsoooo  ^®^  nostro  istituto  geografico,  ed  ora  ne  vado 
esponendo  brevemente  i  risultati,  mentre  la  unita  cartina  geolo- 
gica mi  dispensa  dal  descrivere  la  conformazione  della  località 
e  la  distribuzione  topografica  delle  roccie. 

La  massa  trachitica  delle  colline  littoranee  le  quali,  con 
un'altezza  media  sul  mare  di  circa  150  metri,  stendonsi  fra  il 
Botro  ai  Marmi  presso  Campiglia  e  quello  di  S.  Maria  presso 
Castagneto,  non  presenta  notevoli  varietà,  e  quella  di  Donoratico, 
studiata  dal  D' Achiardi,  si  può  considerare  come  il  tipo  di 
questa  formazione.  Quasi  dappertutto  ritrovaosi  in  essa  quelle 
inclusioni  micaceo-pirosseniche,  con  cristalli  piramidali  di  quarzo, 
descritte  dallo  stesso  Autore.  Una  varietà  nera  di  trachite,  che 
apparisce  in  zone  alternanti  con  quella  biancastra  o  grigia  or- 
dinaria, contiene,  come  le  inclusioni,  gruppi  cristallini  di  piros- 
seno  verdecupo.  Presso  S.  Vincenzo  ed  anche  altrove  la  trachite 
presenta  una  pseudostratificazione  marcatissima  di  cui  approfit- 
tano i  cavatori  in  quella  località  per  farne  lastre  da  pavimenti, 
gradini  etc.  Sulla  sinistra  del  Botro  delle  Rozze  o  delle  Bocchette 
la  roccia  eruttiva  diviene  parzialmente  pumicosa  e  può  notarsi 
che  la  vetrificazione  ha  interessato  soltanto  la  massa  fondamen- 
tale; il  quarzo,  i  cristalli  più  grossi  di  sanidina  e  la  biotite  sono 
rimasti  impigliati  nelle  sfilacciature  pumicee.   Questa   parziale 


88  B.   LOTTI 

vetrificazione  si  ritrova  poi  frequentemente  al  contatto  cogli 
strati  calcareo-argillosi  eocenici,  che  appariscono  qua  e  là  in 
lembi,  quali  residui  d*  un  mantello  che  ricuopriva  un  tempo  la 
massa  eruttiva.  Presso  questo  contatto,  sempre  sulla  sinistra 
del  Botro  delle  Bozze,  apparisce  una  breccia  di  aspetto  resinitico 
che  ricorda  quelle  brecciole  calcaree  a  nummuliti  non  rare  nei 
terreni  eocenici;  vi  si  osservano  infatti  frammenti  angolosi  di 
varie  dimensioni,  grìgiochiari,  grigiocupi,  giallastri,  neri,  senza 
dubbio  in  origine  calcarei,  che  furon  poi  convertiti  in  silice  re- 
sinoide per  sostituzione  chimica.  Certo  è  che  gli  elementi  di 
questa  roccia  non  furono  cementati  posteriormente  alla  loro 
silicizzazione,  ma  essa  si  operò  sulla  roccia  aggregata.  La  tra- 
chite  poi  ravvolge  qui  alcuni  frammenti  del  calcare  eocenico  di 
contatto  perfettamente  inalterato  ed  a  luoghi  è  convertita  in 
retinite,  talora  gialla,  talora  colorata  in  rosso  vivo  da  sesquios- 
sido  di  ferro. 

Risalendo  le  valli  delle  Bocchette  e  di  Bufalareccia  osservasi 
che  la  massa  eruttiva  delle  colline  viene  a  contatto  coi  terreni 
liassici  costituenti  la  parte  montuosa  della  regione;  ma  in  tal 
caso  la  roccia  eruttiva  non  è  più  trachite,  come  a  Donoratico 
e  a  S.  Vincenzo  ove  è  a  contatto  cogli  strati  eocenici,  ma  por- 
fido quarzifero  identico  a  quello  dei  filoni.  Al  Poggio  Lombardo 
la  roccia  porfirica  sta  in  contatto  cogli  scisti  varicolori  a  Posi- 
donomya  Bronni  del  lias  superiore  e  poco  appresso,  al  Poggio 
delle  Ginepraje,  tale  contatto  verificasi  coi  calcari  bianchi  del 
lias  inferiore,  i  quali  non  presentano!  alterazione  di  sorta,  né 
sono  cristallini  come  nella  conca  di  Campiglìa,  ma  soltanto  ce- 
roidi e  fossiliferi,  come  gli  analoghi  del  M.  Pisano,  delle  Alpi 
Apuane  e  deir  Elba.  Girando  intomo  al  Poggio  delle  Ginepraje 
la  massa  eruttiva  ritorna  in  contatto  cogli  scisti  del  lias  su- 
periore, pur  mantenendosi  porfirica;  e  poi,  più  a  Sud,  coi  sedi- 
menti eocenici  divenendo  nuovamense  trachitica.  L'ampiezza 
della  zona  porfirica  di  contatto  è  un  pò*  indeterminata,  ma  può 
raggiungere  air  incirca  500  metri. 

Nel  letto  del  Botro  di  S.  Maria  presso  Donoratico,  in  quel 
di  Castagneto,  vedesi  il  porfido  quarzifero  penetrare  negli  scisti 
del  lias  superiore  a  guisa  di  filone,  con  5  o  6  metri  di  spessore, 
che  espandesi  poi  più  sopra,  sulla  sinistra  del  fosso,  in  una  pic- 
cola massa  cupolare  circoscritta  dagli  scisti  stessi.  La  roccia, 


CORRELAZIONE  DI  GIACITURA  FRA  IL  PORFIDO  E  LA  TRACHITB  QUARZIFERA    89 

che  è  appunto  quella  studiata  dal  D^  Achiardì,  presenta  grossi 
cristalli  di  feldspato  alquanto  vetroso,  nel  quale  sta  diffusa 
molta  biotite  e  qualche  prisma  di  pini  te.  Nella  pai'te  più  su- 
perficiale deir  afiSoramento  essa  diviene  pumicosa,  come  vedemmo 
accadere  per  la  trachite,  e  fra  la  porzione  vetrificata  e  quella 
cristallina  vi  è  un  passagi^io  graduato  che  può  osservarsi  in  uno 
stesso  campione.  In  accordo  con  quanto  vedemmo  verificarsi 
per  la  trachite,  anche  nella  porzione  pumicosa  del  porfido  è 
soltanto  la  pasta  feldspatica  che  si  h  vetrificata,  mentre  i  grossi 
cristalli  di  feldspato,  il  quarzo  e  qualche  lamina  di  mica  ap- 
parentemente decolorata,  vi  sono  impigliati. 

Due  filoni  perfettamente  paralleli  di  porfido  quarzifero,  aventi 
uno  spessore  medio  di  4  o  5  metri  e  diretti  da  N.  N.  0.  a  S.  S.  E. 
attraversano  1  calcari  del  lias  inferiore,  tanto  ceroidi  che  sac- 
caroidi,  della  conca  di  Campiglia  e  lungo  il  loro  percorso,  per 
più  che  due  chilometri,  sono  scortati  dai  celebri  giacimenti  pi- 
rossenico-metalliferì  tanto  bene  descritti  dal  Savi  (')  e  dal  vom 
Rath  (*).  In  un  punto  del  filone  più  occidentale,  presso  il  Pozzo 
Coquand,  il  porfido  quarzifero  è  tanto  intimamente  collegato  ai 
silicati  ferrocalciferi  (pirosseno,  epidoto  e  ilvaite)  che  esso  pure 
è  in  parte  divenuto  pirossenico  ed  epidotifero.  Poco  più  sopra 
osservasi  nello  stesso  filone  che  la  roccia  eruttiva  diviene  felsi- 
tica  od  euritica  al  contatto  coi  calcari,  i  quali  del  resto  non 
soffersero  alterazioni  di  sorta.  I  cristalli  di  feldspato,  porfirica- 
mente  diffusi  nella  roccia  di  questi  filoni,  sono  per  lo  più  alquanto 
trasparenti,  forse  però  non  come  quelli  di  vera  sanidina  ed  in 
qualche  punto,  come  ad  esempio  presso  la  Cava  del  Piombo  nel 
filone  orientale,  hanno  più  V  aspetto  dell'  ortose  che  quello  della 
sanidina. 

Una  massa  eruttiva  isolata,  in  forma  di  cupola,  riapparisce 
nella  valle  del  Botro  ai  Marmi,  verso  Campiglia,  al  disotto  dei 
calcari  grigi  saccaroidi  (bardigli)  a  couzeranite,  che  costituiscono 
il  terreno  più  antico  della  serie  geologica  di  questi  dintorni  e 
son  forse  riferibili  allkinfralias,  se  pure  non  debbono  riunirsi  al 
lias  inferiore  coi  marmi  bianchi  sovrapposti.  La  roccia  eruttiva 
è  qui  anche  meno  somigliante  alla  trachite  di  quello  che  non 

(>)  Savi  Paolo  —  Oss.  geoL  sul  Campigliese  (N.  Oiorn.  Lett  XVUI,  Pisa  1829). 
(*)  G.  vom  Rath  —  Die  Berge  von  Campiglia  ec^  (Zeita.  etc  XX,  1868). 


90  B.   LOTTI 

lo  sia  il  porfido  quarzifero  preso  finora  in  considerazione,  dal 
quale  diffarisce  per  una  più  manifesta  granulazione  della  massa, 
per  la  mancanza  di  plnite  e  per  la  scarsità  della  mica  e  dei 
grossi  cristalli  di  feldspato;  la  sua  struttura  rammenta  quella 
di  certi  graniti  porfirici  dell'Elba,  abbenchè  il  feldspato  ortotomo 
abbia  pur  sempre  un  po'  d'  apparenza  vetrosa. 

Riassumendo  noteremo  adunque  ì  seguenti  fatti  principali: 
L  Nei  dintorni  di  Campiglia  e  di  Castagneto  le  roccie 
eruttive  feldspatiche  compariscono  o  in  una  massa  cupolare 
ricoperta  qua  e  là  da  lembi  di  roccie  sedimentarie  eoceniche, 
o  in  filoni  negli  scisti  del  lias  superiore  e. nei  calcari  ceroidi  o 
saccaroidi  del  lias  inferiore. 

2.  La  massa  eruttiva  cupolare  è  formata  di  trachite  quar- 
zìfera, ad  eccezione  di  quella  sua  parte  che  viene  a  contatto 
coi  terreni  Massici  la  quale  è  di  porfido  quarzifero,  come  dì  por- 
fido quarzifero  sono  pure  i  filoni  racchiusi  nelle  roccie  liassiche. 

3.  La  roccia  eruttiva  della  massa  cupolare  a  contatto  cogli 
strati  eocenici  rimane  trachite  e  presenta  anzi  a  luoghi  fenomeni 
di  vetrificazione  in  so  stessa  e  dì  silicizzazione  nelle  roccie  eoce- 
niche di  cui  racchiude  qualche  frammento. 

4.  Nessun  fenomeno  di  contatto  presenta  il  porfido  sugli 
scisti  e  sui  calcari  liassici,  né  tale  è  da  riguardarsi  la  saccariz- 
zazione  dei  calcari  nella  conca  di  Campiglia,  poiché  si  osserva 
che  i  filoni  eruttivi  attraversano  indifferentemente  i  calcari  ce- 
roidi fossiliferi  e  quelli  saccaroidi. 

5.  La  roccia  eruttiva  che  apparisce  di  sotto  ai  bardigli 
del  M.  Bombolo,  costituenti  la  formazione  più  profonda  della 
serie  in  questi  dintorni,  ha  una  struttura  granitica  più  marcata 
di  quella  della  roccia  porfirica  dei  filoni. 

6.  1  giacimenti  pirossenico-ilvaìtici,  cui  si  associano  i  mi- 
nerali di  ferro,  piombo,  zinco  rame  e  stagno^  sono  strettamente 
collegati  ed  in  manifesta  relazione  genetica  colle  roccie  eruttive. 

Da  quanto  è  stato  esposto  risulta  adunque  chiaramente  di- 
mostrato che  i  due  tipi  principali  di  roccie  eruttive,  trachite  o 
porfido,  non  rappresentano  altro  che  modalità,  di  consolidamento 
di  uno  stesso  magma  dipendenti  da  condizioni  diverse  in  cui 
esso  consolidamento  si  verificò.  Tali  condizioni  devono  riferirsi 
specialmente  a  differenze  di  profondità,  potendosi  così  soltanto 
spiegare  perchè  la  massa  eruttiva  mantiensi  trachitica  a  contatto 


I 


GORRRLAZIONR  DI  GIACITURA  FRA  IL  PORFIDO  K  LA  TRACHITE  QUARZIFERA    91 

colle  roccie  sedimentarie  eoceniche,  superficiali  e  di  esiguo  spes- 
sore, mentre  diviene  granitico-porfirica  a  contatto  con  quelle 
più  profonde  liassiche.  La  struttura  granitoide  della  massa  erut- 
tiva del  M.  Rombolo,  da  riguardarsi  come  la  più  profonda,  e 
la  saccarizzazione  dei  calcari  liassici  nelTarea  metallifera  di 
Campiglia  lascerebbero  pur  anco  sospettare  la  esistenza,  sotto 
queir  area,  di  una  roccia  decisamente  granitica  alla  quale,  come 
altrove,  sarebbero  dovuti  e  i  fenomeni  metalliferi  e  il  metamor- 
fismo del  calcare  liassico. 

Quanto  all'  età  di  queste  roccie  erdttive  solo  può  asserirsi  che 
esse  sono  posteriori  all'eocene;  che  se  volessimo  trovare  un  le- 
game genetico  fra  queste  e  le  roccie  granitiche  e  porfiriche  del- 
l' Elba,  del  Giglio,  di  Montecristo  e  di  Gavorrano,  perchè  esse 
pure  posteoceniche  e  in  relazione  con  silicati  ferrocalciferi  e  con 
giacimenti  metalliferi  e  perchè  hanno  a  comune  vari  minerali 
accessori,  quali  la  tormalina  e  la  coi'dierite  o  pinite,  dovremmo 
fissarne  l'età  fra  la  fine  dell'eocene  e  il  miocene  superiore  (*). 
È  a  notarsi  in  proposito  che,  alla  stessa  guisa  come  all'  Elba, 
manca  nel  Campigliese  tutta  la  serie  miocenica  e  pliocenica, 
che  pure  è  ben  sviluppata  a  poca  distanza  nelle  valli  della 
Cecina  e  della  Gornia. 

Quand'anche  del  resto  siano  a  tenersi  distinte  in  rapporto 
alla  età  le  roccie  eruttive  del  Campigliese  dalle  altre  dell'  arci- 
pelago toscano,  non  viene  con  ciò  menomamente  diminuita  l'im- 
portanza del  fatto  che  tra  il  granito  tipico  terziario  dell'Elba 
e  la  trachite  quarzifera,  pure  terziaria,  del  Campigliese  abbiamo 
tutti  i  passaggi  per  mezzo  dei  graniti  porfirici,  dei  porfidi  quar- 
ziferi a  ortose  e  dei  porfidi  quarziferi  a  sanidina,  tantoché  i 
nostri  antichi  geologi  Savi,  Pilla,  Pareto,  Meneghini  ed  altri 
più  recenti,  fra  i  quali  il  Cocchi  (*)  e  il  D'Achiardi  (*),  riconob- 
bero sempre  uno  stretto  legame  fra  le  roccie  granitiche  e  tra- 
chitiche  della  Toscana;  legame  che  non  era  sfuggito  al  vom 
Bath,  il  quale  pur  non  divideva  intieramente  le  idee  dei  geologi 


Q)  Lotti  —  Consid.  sulla  età  e  sulla  origine  dei  graniti   toscani,    f  Boll.  geoL 
3  e  4.  1884, 

(•)  I.  Cocchi  —    Descr.  geoL  delV  Isola  d*  Elba.    (  Mem.  Comit.  geol.   d' Italia, 

I,  1871). 

(^)  A.  D'Achiardi  —  Oordierite  nel  granito  dell*  Elba^  (Atti  Soc.  tose.  se.  nat. 

II,  1876). 


92  B.  U)TTI  —  G0RBELA210NE  DI  GIACITURA  FRA  IL  PORFIDO  KG. 

toscani,  allorquando  esclamava  (*)  „  Solite  es  in  Toscana  in  der 
That  nicht  móglich  sein,  was  aller  Orten  so  leicht  ist,  trachy- 
tische  und  granitishe  Gesteine  zu  unterscheiden  )  «  ed  è  infatti 
proprio  così. 

(^)  6   vom  Rath  —  Die  Berge  vom  Campiglia.  (Zeits,  etc.  XX»  pag.  326). 


Vedi  tav.  VII. 


^ 


D.   PANTANELLI 


VERTEBRATI  POSSILI 


DELLE 


LIGNITI     DI     SPOLETO 


Pochi  anni  indietro  furono  scoperti  nelle  vicinanze  di  Spoleto 
banchi  rilevanti  di  lignite,  che  oggi  concessi  in  esplorazione  a 
diverse  società  promettono  un  ricco  avvenire  a  quella  regione, 
anche  poi  per  la  vicinanza  di  Terni  centro  importante  d^  indu- 
strie svariate. 

Maggiori  dettagli  circa  queste  ligniti  possono  aversi  da  una 
pubblicazione  del  prof.  Ricci  (La  lignite  di  S.  Angelo  in  Mercoley 
Spoleto  1881);  in  questa  interessante  memoria  mi  si  è  voluto 
fare  V  onore  di  pubblicare  a  mia  insaputa  uno  abbozzo  inedito 
di  carta  geologica  dello  Spoletino  da  me  fatta  prima  del  1873 
e  lasciata  al  mio  ottimo  amico  Conte  F.  Toni:  in  questa  oggi 
avrei  molto  a  ridire;  fortunatamente  la  riproduzione  litografica 
è  così  infelicemente  riuscita  che  mi  dispensa  da  qualunque  pos- 
sibile correzione. 

II  banco  di  lignite  a  N.  0.  di  Spoleto  nei  pressi  di  S.  An- 
gelo in  Mercole  e  S.  Croce  è  compreso  in  una  argilla  d*  origine 
lacustre;  inclina  variamente  ad  Est  con  pendenza  sufficientemente 
regolare  salvo  qualche  rottura  locale  dipendente  da  strisciamenti 
verso  r  asse  della  valle;  la  sua  potenza  oltrepassa  in  qualche 
località  i  15  metri  e  sottostà  alle  marne  lacustri  di  Castel  Bi- 
taldi  dalle  quali  trassi  in  altri  tempi  le  specie  d'acqua  dolce 
seguenti  :  Bana  sp.  Belgrandia  prototypica  Brus.,  Neumayria  la- 


94  D.   PANTANELLI 

biata  Neum.,  Emmericia  umbra  De  Stef.,  Melanopsis  Esperi  Ferr., 
M.  flammulata  De  Stef.,  Valvata  piscinalis  Mail.,  Neritina  Patita- 
nella  De  Stef.,  Pisidium  Lawleyanum  De  Stef.,  Lymnaea  subpa- 
lustris  Thom.,  TJnio  sp.  le  quali,  meno  le  due  ultime  furono 
illustrate  da  De  Stefani  nel  suo  lavoro  sopra  i  molluschi  plioce- 
nici continentali  e  sul  loro  ordinamento;  per  quanto  abbia  cer- 
cato non  mi  è  stato  possìbile  di  ritrovare  presso  la  lignite 
avanzi  riconoscibili  di  molluschi;  se  però  questi  sono  mancanti, 
lo  stesso  non  può  dirsi  dei  vertebrati  e  le  poche  specie  raccolte 
servono  a  sufficienza  per  determinare  con  precisione  il  piano  di 
queste  ligniti. 

Fino  dal  1879  il  Capellini  presentò  all'  Accademia  di  Bologna 
dei  molarr  di  Mastodon  di  questa  località;  che  poi  nel  1881 
disse  appartenere  al  il/,  arvernensis;  mtanto  il  Conte  Toni  intel- 
ligente e  passionato  raccoglitore  delle  ricchezze  geologiche  del 
suo  paese,  andava  raccogliendo  quello  che  il  caso  portava  alla 
luce  negli  scavi  della  lignite  e  al  precedente  si  aggiunse  il  M. 
Borsoni  e  il  Tapirtés  arvernensis. 

L' anno  decorso  essendomi  recato  a  Spoleto  anche  per  sod- 
disfare alla  mia  pungente  curiosità  per  avere  io  in  altri  tempi 
percorso  varie  e  ripetute  volte  la  regione  lignitifera  senza  ac- 
corgermi della  lignite,  potendosi  dove  avviene,  per  seguire  l' af- 
fioramento della  medesima  tener  dietro  ad  uno  strato  d^  argilla 
cotta  dalla  combustione  superficiale  della  lignite,  visitai  nuova- 
mente dette  località  e  pregai  il  Conte  Toni  di  affidarmi  ì  fossili 
delle  ligniti  per  esaminarli  e  confrontarli  comodamente  con  altri 
già  conosciuti;  aderendo  a  questa  mia  preghiera  tanto  il  Muni- 
cipio di  Spoleto  proprietario  di  detti  fossili  quanto  il  sig.  Toni 
depositario  dei  medesimi,  della  qual  concessione  oggi  pubblica- 
mente ringrazio,  vengo  ora  a  render  conto  dei  medesimi,  pre- 
sentando allo  stesso  tempo  i  modelli  dei  più  importanti  tra  essi. 

Uastodon  aryamensis  Cr.  et  Job. 

I  frammenti  appartenenti  a  questa  specie  sono  tre  molari, 
e  una  porzione  dell'  estremità  della  mascella  superiore  con  parte 
deir  incisivo  ;  dei  molari  uno  solo  è  completo  e  due  di  essi  per 
la  curvatura  sono  i  3^  (6)^  molari  della  mascella  superiore  ;  tra 
questi  il  sinistro  è  completo,  il  destro   manca  della  fila  ante- 


YEBTEBBATI   FOSSIU   DELLE   LIGNITI   DI   SPOLETO  95 

riore  di  tubercoli  (colline);  il  sinistro  è  maggiore  deir  altro  e 
la  mancanza  d'  erosione  in  ambedue  della  superficie  tubercolare 
mostra  che  air  individuo  o  individui  ai  quali  hanno  appartenuto, 
non  erano  ancora  emersi  alla  superficie  esterna  della  mascella: 
le  dimensioni  dei  due  molari  sono  le  seguenti: 

Lunghezza  non  tenendo  conto  della  curvatura 
mol.  sinistro    Cm.  25        moL  destro  ultima  fila  esclusa  Cm.  18. 

Larghezza  massima 
moL  sinistro    Cm.  10        mol.  destro  Cm.    8. 

Distanze  delle  sommità  dei  successivi    tubercoli  a  partire  dalla  fila  po- 
steriore cioè  tallone  escluso  in  mm. 

fila  interna  fila  esterna 

mol.  sinistro    21,  27,  53.  34,  42;    —    23,  32,  48,  41,  39 
moL  destro      25,  27,  28,  33,  ...;     —    28,  30,  31,  33,  .... 
Distanza  delle  sommità  tubercolari  estreme  di  una  stessa  fila,  a  partire 
dalla  fila  posteriore. 

moL  sinistro     16,  23,  27,  30,  32,  40 
moL  destro       16,  18,  22,  24,  28,  .... 

Abbiano  o  no  i  due  molari  appartenuto  allo  stesso  individuo, 
il  destro  non  tanto  per  le  sue  dimensioni  minori,  quanto  per 
lo  stato  della  superficie  era  in  uno  stadio  di  sviluppo  meno 
avanzato  del  sinistro. 

È  notevole  che  ambedue  offrono  oltre  il  tallone  sei  serie  al- 
ternate di  tubercoli;  questo  numero  sembra  eccezionale  e  Lortet 
et  Chantre  (Reches.  Sur  les  Mastod.  Archi  v.  mus.  hist.  nat. 
Lyon.  Tom.  II,  pag.  299,  300)  lo  citano  solo  per  il  Mastodon 
longirostris;  si  verifica  però  anche  nel  M.  arvernensis;  infatti 
avendo  pregato  il  mio  ottimo  amico  De-Stefani  di  riscontrare 
questo  fatto  nelle  ricche  collezioni  del  museo  di  Firenze,  ha 
trovato  che  sopra  dodici  esemplari  di  ultimi  molari  di  detta 
specie,  quattro  soli  presentavano  sei  file  di  tubercoli  (');  tra 
diversi  molari  del  museo  di  Siena  nessuno  offre  questa  partico- 
larità; r  altro  molare  incompleto  e  sufScientemente  eroso  rap- 
presenta la  parte  anteriore  del  2.*'  (5.*^)  molare. 

Il  frammento  di  mascella  superiore  presenta  una  parte  del- 
l' incisivo  destro  rotto  a  livello  della  sua  inserzione,  il  diametro 
del  medesimo  ò  Cm.  8. 

(*)  È  da  notare  che  mentre  Lartet  et  Chantre^  (loc.  cit  )  indicano  cinque  file  di 
tabercoli  per  il  M.  arvernensis,  nelle  tavole  di  Jourdan  unite  alla  stessa  memoria 
sono  figurati  (Tav.  IV,  fig.  6,  6\  Tav.  V,  fig.  6,  6^)  due  ultimi  molari  con  sei  file 
di  tobercoli  oltre  il  tallone. 


gg  D.  PINTANELLI 

Questi  resti  come  quelli  seguenti  provengono  dalle  cave  di 
lignite  di  S.  Croce. 

Mastodon  Borsoni  Hays. 

Questa  specie  è  rappresentata  da  due  molari  uno  dei  quali 
completo  e  da  vari  frammenti  dei  medesimi.  Il  molare  completo 
è  il  S.""  (G"")  molare  superiore  sinistro,  le  sue  dimensioni  sono 
le  seguenti: 

Lunghezza  Cm.  19. 

Larghezza  massitna  alla  penultima  fila  anteriore  Cm.  10. 

Distanze  delle  successive  quattro  file  e  del  tallone  a  partire  da  questo; 

Mm.   36,  44,  45,  45. 
Larghezza  delle  quattro  file  tubercolari  alla  sommità  e  a  partire  dalla 
posteriore 

Mm.   50,  50,  55,  55. 

r  altro  molare  è  parte  del  2""  (5^)  molare  destro  della  mascella 
inferiore,  manca  di  parte  della  fila  posteriore  ed  è  profondamente 
eroso  nelle  parte  centrale  ed  estema. 

Oltre  a  questi  vi  sono  due  frammenti  d'  ultimo  molare  e  in 
ambedue  la  prima  serie  anteriore  di  tubercoli. 

Ho  detto  più  sopra  che  sono  stati  raccolti  vari  frammenti 
d^  incisivi;  alcuni  di  essi  sono  assegnabili  a  quella  parte  solo  per 
la  evidente  struttura  reticolata  delP  avorio;  un  frammento  solo 
raggiunge  le  seguenti  dimensioni: 

Lungh.  Cm.  96    Diam.  mass.  Cm.  7,5    Diam.  min.  Cm.  2,7. 

Tapirns  arreriLeiisis  Gr.  et  Job. 

Questa  specie  è  rappresentata  dalla  mascella  inferiore  sinistra 
incompleta;  a  forza  di  pazienza  e  di  cera  ho  potuto  riavvicinare 
quattro  frammenti  e  tenere  insieme  i  molari  dal  3  m.  al  3  pm.; 
un  1*  p  m.  che  probabilmente  appartiene  alla  stessa  mascella 
non  è  stato  potuto  collocare  al  suo  posto;  erano  però  uniti  il 
3  p  m.  e  il  P  m.,  come  pure  il  3  m.  e  il  2  m.,  quindi  la  rico- 
struzione ha  consistito  nel  ricollocare  il  V  m.,  che  era  staccato 
e  rotto  alla  base  della  corona  e  nel  riavvicinamento  dei  due 
frammenti  ad  ognuno  dei  quali  era  unita  porzione  della  mascella; 
il  terzo  molare  era  sempre  neir  alveolo  e  la  sua  superficie  su- 


YEBTSBRATI   FOSSIU   DELLE   LIGNITI   DI   SPOLETO  97 

periore  è  inclinata  colla  parte  anteriore  più  bassa  rispetto  alla 
superficie  superiore  della  serie  dentaria,  si  trova  inoltre  distante 
dal  secondo  molare  ed  avrebbe  dovuto  percorrere  un  arco  di 
cerchio  col  centro  sul  prolungamento  posteriore  della  mascella 
per  raggiungere  il  suo  posto. 

I  diversi  molari  presentano  una  finissima  striatura  parallela 
alleasse  della  mascella  nella  sommità  lineare  dei  tubercoli. 

Oltre  ai  denti  avvi  una  falange,  un  frammento  di  meta- 
tarso? un  frammento  d' astragalo,  e  rottami  d'  ossa  piatte  ;  ho 
riferito  i  denti  specialmente  al  T.  arvernensis  Cr.  et  Job.  perchè 
diversi  da  quelli  dei  due  Tapiri  di  Casino  e  Sarzanello;  sono 
invece  simili  ad  alcuni  molari  del  Val  d'Arno  dove  questa  specie 
è  citata,  posseduti  dal  Museo  dì  Siena. 


Diverse  misure  dentarie  in  millimetri 


1  pm. 

3®pm. 

40  pm. 

1  m. 

2m. 

3m. 

A 

19,4 

19,8 

20,3 

21,2 

23,4 

25 

B 

6.4 

8,1 

8,2 

7,2 

8,8 

10,2 

» 

9 

8,3 

8,6 

9.7 

10 

10,6 

» 

4,8 

3,4 

3,5 

4,3 

4,6 

4,7 

C 

» 

13,4 

15,1 

16,4 

17,9 

18,1 

c 

» 

15,2      10 

15,5 

15,3 

16,5 

D 

» 

9,1 

9,9 

13,3 

11,4 

13,3 

D' 

» 

6,3 

11,2 

12,4 

10,3 

11,5 

A  Lunghezza  —  B  „  „  Distanze  successive  a  partire  dalla 
estremità  anteriore  del  dente  alle  sommità  tubercolari  sull'  asse 
della  mascella  —  C  C  Larghezze  misurate  alla  base  della  co- 
rona nelle  due  parti  anteriore  e  posteriore  di  ogni  dente  escluso 
il  1*"  p.  m.  —  C  parte  anteriore  C  parte  posteriore  —  D 
D'  Larghezze  misurate  sulle  sommità  tubercolari  come  sopra; 
D  parte  anteriore,  D'  parte  posteriore. 

Da  queste  misure  si  rileva  che  nei  tre  molari  la  parte  an- 

iSb.  Nat.  YoL  VII,  faioic.  2.«  7 


98  T).   PiNTANKLLI 

teriore  del  dente  è  più  larga  della  posteriore,  V  inverso  avviene 
nei  premolari. 

Tra  i  fossili  inviatimi  trovasi  un  piccolo  frammento  di  corno 
di  cervo. 

Finalmente  nelle  marne  di  Castel  Ritaldi  con  i  molluschi 
citati  di  sopra,  raccolsi  V  osso  dell'  avambraccio  di  una  rana? 
Che  ora  trovasi  presso  il  Museo  di  geologia  della  Università 
di  Roma. 

La  presenza  del  Mastodon  arvernensis  determina  la  posizione 
stratigrafica  di  queste  ligniti;  cioè  le  assegna  al  pliocene;  quella 
del  M.  Borsoni  stabilisce  particolarmente  il  livello  delle  medesime 
nella  serie  pliocenica.  Il  M.  Borsoni  è  stato  trovato  in  Val 
d'  Arno  e  in  Piemonte;  nella  valle  del  Rodano  segna  i  piani 
più  bassi  del  pliocene  ed  in  Toscana,  eh'  io  sappia,  non  è  stato 
trovato  negli  strati  pliocenici  superiori;  si  può  quindi  anche  se 
non  si  vuole  accettare  come  io  credo  che  le  ligniti  di  Spoleto 
rappresentino  un  piano  inferiore  del  pliocene,  ritenerle  decisa- 
mente coeve  agli  strati  classici  del  Val  d'  Arno. 

Risultano  poi  appartenere  questi  strati  alla  parte  inferiore 
del  pliocene  da  un'  altra  serie  di  considerazioni;  ho  detto  più 
sopra  che  questi  strati  sottostanno  alle  marne  lacustri  di  Castel 
Ritaldi;  queste  a  loro  volta  sono  sottoposte  alla  potente  for- 
mazione sabbiosa  di  Montefalco  nella  quale  come  in  quella  ana- 
loga della  vicina  Bevagna,  sono  stati  a  più  riprese  trovati  molari 
d'  Elephas  meridionalis  e  il  sig.  Toni  stesso  mi  ha  mandato  con 
i  fossili  delle  ligniti  un  frammento  di  molare  di  detta  specie 
trovato  a  Mercatello  (Castel  Ritaldi)  alla  base  della  collina  di 
Montefalco;  la  pendenza  poi  degli  strati  a  lignite  di  S.  Croce 
e  S.  Angelo  non  si  conserva  negli  strati  superiori  di  Montefalco 
i  quali  sono  pressoché  orizzontali. 

Ho  sottoposto  all'  analisi  microscopica  un  calcare  biancastro 
friabile  che  in  molti  punti  è  direttamente  sovrapposto  agli  strati 
a  lignite;  contiene  circa  il  cinquanta  per  cento  di  carbonato  di 
calce  ed  il  residuo  dopo  eliminazione  di  quest'  ultimo  contiene 
moltissime  spicule  di  spongille  e  diatomee. 


TEBTKBBATI   F033IU   DELLE   LISKIII    DI   SPOLETO  99 

Avendo  pregato  il  aig.  F.  Castracane  di  esaminare  dette 
dìatomee,  devo  alla  gentilezza  di  questo  la  seguente  nota: 

,  Epithemia  Uyndmanii  Sm.;  E.  zebra  Kz.;  E,  ocellata  Kz,; 
,  E.  proposcidea  Kz. 

„  Cocconeis  placentula  E. 

a  Otjclotella  Panfanelliana  Cstr. 
,n.  sp.;  E.  maximis;  a  latere  rectan- 
„  gula,  a  fronte  plana;  tertia  radii 
„  parte  circtim  radiala;  area  centi-ali 
,  rariusctdis  margnrìlis  suhregulariter 
„  radiata,  nonnuUis  punclidis  ìnterpo- 
,  latis. 

„  È  vicina  alla  Ck.  comUt  (E.  Kz.) 
»  var.  radiosa  die  Giniuow  lia  figurato         ''■  ''-'""■«'«"'in  Cstr.  •"% 
,  nella  Siuopai  di  Van  Nemk    dalla  quale  \n\h  sempre  differi- 
„  reblie  e  per  T  irregolari tfi  delle  linee  radianti  dell'  area  e  più 
,  per  la  presenza  di  minutiasimi  puntini  sparsi  fra  mezzo. 

„CymbeUa  cuspidata  liz.;  C.  obtiisiuscida  Kz.;  C.  gastroides 
„  Kz.  ;  C,  {Corconema)  ctstula  E. 

„  Pinnularia  acuta  Sm.;  P.  radiosa  Sm. 

,  Navicula  ovalis  Sm. 

,  Gomphonema  vibrio  E. 

„  Fragilaria  (Odontidium)  Narrisonii  E. 

,  Gompììonema?  curvatum  Kz. 

,  Meloaira  arenaria  Moore  „ . 

Rimettendo  il  residuo  siliceo  di  detto  calcare  al  sig.  Castra- 
cane  mi  ero  limitato  ad  indicare  la  località,  ed  il  piano  geolo- 
gico, e  il  sig.  Castracane  aggiungeva  alla  nota  precedente  le 
seguenti  considerazioni: 

„  Secondo  me  il  materiale  non  è  semplicemente  lacustre 
n  in  Iato  senso,  ma  mi  indica  una  vegetazione  che  ebbe  luogo 
,ÌD  un  ampio  lago,  1'  assenza  di  qualunque  Ennofia  mi  fa  pen- 
ttSare  ad  una  non  forte  altezza  sul  livello  del  niaren. 

Le  considerazioni  stratigratiche  verificano  rigorosamente  le 
precedenti  ioduzioni  del  sig.  Castracane. 

Modena  Decembro  1884. 


SPIEGAZIONE  DELLA  TAVOLA 


1.  Mascella   inferiore  sinistra  di   Tapirns  veduta  dal  lato  interno 

con  3  m,  2  m,  1  m,  4  pm,  3  pm. 

2.  La  stessa  dal  lato  esterno. 

3.  Superficie    superiore   dei   denti    3  pm,    4  pm,     l  m,    2  m,    3  m. 


•  ••  »   • 

•  •  •  • 

•  •  • .   • 

•  •  •  •. 


OSSA  ACCESSOKIE 


m  mmn  m  mm  i 


LL 


DEI  RIMANENTI  MAMMIFERI 


DAL 


DOTT.     FICAL.BI     EUGENIO 
Aiuto  alla  Cattedra  di  Anatomia  coup,  x  Zoologia  dblla  R.  UnitxrsitJL  di  Pisa 


Leggendo  libri  di  Anatomia,  antichi  e  moderni,  che  trattino 
dello  scheletro  cefalico  dei  Mammiferi  e  specialmente  deirUomo, 
avviene  ad  ognuno  non  di  rado  di  trovar  rammentate  ossa  in- 
terpanetali,  ossa  epadali,  ossa  soprannumerarie^  ossa  intercalari, 
ossa  wormiane;  avviene  anche  facilmente  di  vedere  come  molti 
Autori  si  siano  studiati  fare  di  queste  ossa  enumerazioni,  no- 
minarne; descriverne  e  poi  è  facile  vedere  come  non  è  mancato 
chi  di  esse  ha  trattato,  specialmente  riferendosi  all'Uomo,  in 
modo,  dirò  così,  magistrale.  Ma  quello  che  mai,  o  quasi  mai, 
si  trova  è  qualche  studio  comparativo,  che  riguardi  la  cosa  in 
com[)lesso  nei  Mammiferi,  qualche  lavoro  di  interpretazione  mor- 
fologica, che  abbracci,  se  non  tutte,  il  che  reputo  impossibile, 
almeno  una  parte  delle  menzionate  ossa.  Questa  mancanza  di 
uno  studio  comparativo  suir  accennato  argomento  dimostra  che 
esso,  per  quanto  giìi  analiticamente  trattato,  è  tuttavia,  almeno 
a  mio  credere,  sempre  coltivabile  con  buon  frutto,  quando  non 
ci  si  limiti  a  sterili  enumerazioni  e  descrizioni,  nel  qual  caso, 
come  dice  Calori^  non  si  farebbe  che  portar  acqua  all'  Oceano, 
ma  quando  si  cerchi  collegare. tra  loro  con  vedute  di  Anatomia 
comparata  le  cose. 


102  E.   FICALBI 

Nel  presente  scritto  faccio  un  tentativo  neir  accennato  senso 
comparativo.  Mi  propongo  trattare  non  nella  sola  specie  umana, 
ma  nel  complesso  dei  Mammiferi  delle  ossa  dette  in  oggi  dai 
più  in  ter  parietali  e  di  molte  di  quelle  altre  che  sono  tutte  in- 
giustamente raccolte  in  un  fascio  col  nome  collettivo  di  wor- 
miane. 

Non  ho  trascurato  diligenza  nelle  osservazioni;  mi  sono  spe- 
cialmente valso  del  materiale  zootomico  che  è  raccolto  nel  ricco 
Museo  di  Anatomia  comparata  di  questa  Università,  pisana,  e 
mi  sono  gio,vato  anche  del  materiale,  che  il  mio  maestro  Prof. 
Romiti  della  Università,  di  Siena  ha  sempre  messo,  unitamente 
al  suo  consiglio,  a  mia  disposizione,  nelle  non  infrequenti  visite, 
che  sono  andato  facendo  a  quella  scuola  di  Anatomia  umana, 
della  quale  il  Romiti  stesso  è  Direttore. 


É  a  notizia  di  ognuno  che  le  ossa  che  compongono  lo  scheletro 
cefalico,  0  il  cranio,  dei  Vertebrati  sono,  considerandole  sotto 
l'aspetto  del  loro  sito  di  origine,  di  due  maniere  (*):  alcune  si 
formano  là  ov'  è  cartilagine  e  ne  prendono  il  posto,  si  sostitui- 
scono, insomma  alle  varie  parti  del  condrocramOj  e  diconsi  ossa 
di  origine  cartilaginea  o,  per  abbreviazione,  cartilaginee;  altre 
invece  si  formano  in  seno  a  semplice  tessuto  connettivo,  non 
prendono  il  posto  prima  occupato  da  cartilagine,  e  diconsi  ossa 
di  origine  membranacea  o  membranacee.  —  In  tutti  i  Vertebrati 
a  scheletro  più  o  meno  ossificato  si  ha  questo  fatto:  che  quella 
porzione  dello  scheletro  cefalico  o  del  cranio,  che  costituisce 
propriamente  la  scatola  che  racchiude  V  encefalo  (porzione  detta 
dagli  Inglesi  brain-case),  mentre  alla   base  ed    anche  nelle  sue 

(*)  Una  distinzione  un  poco  più  netta  delle  varie  ossa,  secondo  il  loro  posto  di 
origine,  per  quanto  il  processo  istologico  di  ossificazione  non  sia  recisamente  diverso 
nei  varii  casi,  è  la  seguente:  1.^  So  le  ossa  formansi  nel  connettivo  del  dorma  diconsi 
ossificazioni  dermosteiche  o  dermostosi.  2P  Se  le  ossa  formansi  nel  tessuto  connettivo 
sottocutaneo  o  sottomuccoso,  o  immediatamente  fuori  del  pericondrio  di  una  cai*tila- 
gine  0,  per  dirlo  in  termine  generale,  in  un  ambiente  connettivale,  diconsi  ossifica^ 
zioni  parosteiche  o  parostosi;  esse  sono  le  vere  ossa  membranacee.  3.®  Se  le  ossa  for- 
mansi immediatamente  al  di  dentro  del  pericondrio,  non  invadendo  da  prima  che  le 
cellule  superficiali  della  cartilagine,  diconsi  ossificazioni  ectosteiche  o  ectostosi;  collo 
sviluppo  tutta  la  cartilagine  può  essere  invasa  da  fuori  in  dentro  4.^  Se  le  ossa  for- 
mansi dentro  la  sostanza  cartilaginea  dicoiìBÌ  osstficazioni  endosteiche  o  endostosi;  sono 
le  vere  encondrosi. 


OSSA   ACCESSORIE  108 

parti  periferiche  può  aver  cartilagine  od  ossa  cartilaginee,  in 
sopra  possiede  sempre  a  ricuoprirla  diverse  ossa,  che  sono  di 
origine  membranacea:  in  altre  parole  buona  parte  del  tegmen 
crann{^)  {cranial  roof  degli  Anatomici  inglesi)  e  tutto  in  certi 
Vertebrati,  risulta  di  ossa  membranacee.  —  Le  più  caratteristiche 
ossa  membranacee  del  tegmen  cranii  sono  i  parietali  e  i  frontali^ 
che  nei  Mammiferi  si  può  dire  lo  costituiscono  da  sole.  In  di- 
versi Vertebrati  inferiori  (Pesci  teleostei.  Serpenti)  nel  tegmen 
cranii  può  vedersi  più  o  meno  compreso  anche  un  osso  di  origine 
cartilaginea,  il  sopraoccipitale  ;  di  lato  poi  ai  parietali  trovasi  nei 
Vertebrati  un  aitro  osso  membranaceo,  lo  squamoso,  che,  se  non 
entra  nel  tegmen  cranii,  entra  almeno  talvolta  (Uccelli,  Mam- 
miferi) e  sovente  in  modo  rimarchevole,  a  costituire  della  sca- 
tola encefalica  buona  parte  delle  pareti  laterali.  —  Esaminiamo, 
per  renderci  conto  meglio  di  ciò  che  ho  detto,  le  cose  in  un 
cranio  di  un  feto  di  Mammifero:  dico  di  un  feto,  o  di  un  embrione, 
perchè  nell'  individuo  adulto  molte  delle  unità,  osteologiche  cra- 
niche quasi  sempre  saldansi  più  o  meno  tra  loro  e  non  sono 
più  discernibili.  Prendo  ad  esempio  il  cranio  di  un  embrione  di 
Maiale  (fig.  1  e  fig.  8,  tav.  X).  Procedendo  dal  di  dietro  in  avanti, 
troveremo  subito  il  sopraoccipitale,  s  o;  esso  è  un  osso  di  origine 
cartilaginea  e  nel  Maiale  non  fa  parte  propriamente  del  tegmen 
cranii,  sibbene  della  parete  |3eriferica  postero! nferiore  della  sca- 
tola encefalica;  circoscrive  in  alto  il  grande  forame  occipitale, 
fo,  e  confina  col  suo  margine  superoanteriore  coi  due  parietali; 
neir  animale  adulto  o  quasi,  come  accade  nell'  Uomo,  saldandosi 
il  sopraoccipitale  col  hasioccipitale,  bo,  e  cogli  esoccipitali,  eo, 
costituisce  Tosso  occipitale  nel  suo  complesso.  I  parietali,  p a, 
seguono  al  sopraoccipitale:  sono,  come  già  si  sa,  ossa  membra- 
nacee caratteristiche  del  tegmen  cranii:  confinando  essi  posteroin- 
feriormente  col  sopraoccipitale,  tra  essi  stessi  e  quest' ultimo  si 
viene  a  costituire  una  linea  articolare  o  una  sutura  occipitopa- 

0)  Si  suol  dividere  in  Anatomia  uraana  Io  scheletro  cefalico  in  cranio  e  faccia: 
questa  divisione,  considerando  lo  cose  anatomocomparativamente  e  embriogenicamente, 
non  r«gge,  e  da  alcuno,  come  dal  Prof.  Romiti^  è  già  stata  abbandonata.  Io  non  in- 
tendo qui  fare  una  divisione  più  n  men  buon*;  dirò  solo  che  avendo  adottate  le  espres- 
sioni di  scatola  encefalica  e  specialmcnt'^  quella  di  tegmeyi  cranii^  non  ho  con  questi 
appellativi  inteso  altro  che  indicare  una  od  un*  altra  regione  dello  scheletro  cefalico, 
una  od  un*  altra  sua  porzione,  la  quale  passa  senza  limite  netto  di  demarcazione,  spe- 
cialmente considerando  le  cose  nella  serie  vertebrata,  nelle  altre  regioni  o  porzioni. 


104  E.    FIGALBI 

vietale,  che  dicesi  per  la  sua  apparenza,  anche  sutura  lambdoidea, 
i  due  parietali  poi,  toccandosi  col  loro  margine  interno,  veugono 
a  costituire  tra  loro  una  linea  articolare,  la  quale,  partendo 
dair  apice  dell'  angolo  lanibdoideo,  si  dirige  in  avanti,  occupando 
il  mezzo  del  tegmen  cranii,  e  prende  il  nome  di  sutura  biparietale, 
od  anche  di  porzione  parietale  della  sutura  sagittale,  che,  come 
vedremo,  si  estende  anche  tra  i  due  frontali.  Lateroinferiormeate 
ai  parietali  trovansi  gli  squamosi,  s  q,  (nell'  adulto  sono  la  pars 
squamosa  ossis  temporis)^  coi  quali  i  parietali  stessi  costituiscono 
la  sutura  squamoperietale ;  ciascuna  sutura  squamoparietale  parte 
dai  limiti  estremi  delle  branche  divergenti  della  sutura  lambdoidea 
e  si  dirige  in  avanti.  Anteriormente  i  parietali  confinano  coi 
frontali;  questi,  fr,  sono  due  grandi  ossi  che  si  dirigono  in 
avanti:  sulla  linea  mediana  del  tegmen  cranii  costituiscono  un 
tratto  articolare,  che  dicesi  sutura  hifrontale  o  porzione  frontale 
della  sutura  sagittale:  frontali  poi  e  parietali  costituiscono  una 
linea  articolare  trasversa,  che  dicesi  sutura  frontoparietale ;  non 
sto  a  ricordare  che  nell'  Uomo  adulto  i  frontali  si  fondono  in 
un  sol  pezzo,  scomparendo  così  la  porzione  frontale  della  sutura 
sagittale.  Non  sto  a  parlare  delle  altre  ossa  che,  air  intorno 
delle  enumerate,  si  trovano  a  costituire  il  resto  del  cranio.  Mi 
intratterrò  invece  in  altre  particolarità  che  si  riscontrano  nel 
tegmen  cranii  embrionarie.  Una  cosa  subito  è  da  far  notare  a 
proposito  di  sutura  sagittale  e  frontoparietale:  nel  punto  ove 
esse  a  vicenda  si  tagliano  (fig.  1  e  fig.  8,  /r),  costituendo  tra  loro 
come  una  croce,  ossia  in  corrispondenza  dei  quattro  angoli  in- 
terni dei  due  frontali  e  dei  due  parietali,  le  linee  articolari  delle 
ossa  in  discorso  si  allargano  e  vengono  cosi  a  far  risultare  uno 
spazio  membranoso  quadrangolare,  che  dicesi  fontanella  fronto- 
parietale.  Un  fatto  simile  può  osservarsi  più  indietro  del  descritto: 
se  noi  esaminiamo  il  cranio  di  un  embrione  di  Maiale  meno 
avanzato  in  sviluppo  di  quello  che  ci  ha  fornito  le  fig.  1  e  8, 
o  meglio  di  qualche  altro  Mammifero,  compreso  V  Uomo,  trove- 
remo che  nel  punto  di  unione  delle  suture  sagittale  e  lambdoidea, 
ossia  dove  Y  una  comincia  e  V  altra  presenta  il  vertice  del  suo 
angolo,  esiste,  per  il  fatto  dell'essere  un  po'  discosti  gli  apici 
delle  ossa,  uno  spazio  membranaceo  analogo  alla  fontanella 
frontoparietale,  di  apparenza  triangolare,  spazio  che  dicesi  fon- 
tanella   ocdpitoparietale   o   occipitale.  L' esistenza  di  queste   due 


OSSA    ACCESSORIE  105 

fontanelle  è  interessante  e  non  deve  esser  dimenticata.  —  Rias- 
sumendo ora  le  cose  accennate  pel  tipico  cranio  del  Maiale,  può 
dirsi:  che  posteriormente  nel  cranio  abbiamo  un  osso  cartilagineo, 
circoscrivente  in  sopra  il  gran  forame  occipitale  e  che  dicesi 
osso  sopraoccipitale;  che  al  davanti  di  esso  sono  due  ossa  mem- 
brai^acee,  proprie  a  quella  porzione  dello  scheletro  cefalico  che 
abbiam  chiamato  tegmen  cranii,  ossa  dette  parietali,  costituenti 
tra  loro  una  sutura  biparietale,  e  col  sopraoccipitale  una  sutura 
lambdoidea;  che  nel  punto  di  unione  della  sutura  biparietale 
(suo  estremo  posteriore)  e  della  lambdoidea  (suo  vertice)  può 
esistere  uno  spazio  membranaceo  o  una  fontanella  occipitoparie- 
tale;  che  lateralmente  ai  parietali  esistono  due  ossa  membra- 
nacee dette  squamosi;  che  in  avanti  ne  esistono  due  altre  pur 
membranacee,  che  sono  i  frontali,  i  quali  tra  loro  costituiscono 
una  sutura  bifrontale  (che  con  la  biparietale  costituisce  V  intiera 
sutura  sagittale),  e  coi  parietali  una  sutura  t  ras  versa  o  fronto- 
parietale;  che  nel  punto  in  cui  sutura  sagittale  e  frontoparietale 
si  incontrano  esiste  uno  spazio  membranaceo  o  una  fontanella 
frontoparietale.  Non  è  stato  per  scrivere  cose  risapute  che  ho 
detto  tutto  ciò,  ma  per  fermar  bene  V  attenzione  sul  modo  come 
è  conformato  il  tegmen  cranii  del  Maiale,  il  quale,  lo  dico  fin 
d'  ora,  ha  molto  del  tipico  sotto  questo  punto  di  vista.  Aggiun- 
gerò ora  che  divenendo  adulto  il  Maiale,  le  singole  ossa  che 
circoscrivono  le  fontanelle,  si  avvicinano,  si  mettono  in  contatto 
e  le  fontanelle  stesse  (come  già,  si  vede  esser  avvenuto  nella 
fig.  1  e  8  per  la  occipitale),  si  chiudono,  senza  che  nessuna  os- 
sificazione speciale  sia  in  esse  comparsa. 

Lo  ripeto:  il  tegmen  cranii  del  Maiale  è,  sotto  il  punto  di 
vista  dell'  argomento  che  ho  preso  a  trattare,  tipico.  Ciò  inteso, 
diamo  uno  sguardo  preliminare  alle  differenze  che  il  tegmen  cranii 
di  altri  Mammiferi  può  presentare,  confrontato  con  quello  del 
Maiale;  lo  sguardo  preliminare  stesso  reputo  utile  per  stabilire 
subito  un  programma,  una  guida  al  mio  lavoro. 

Se,  adunque,  ci  facciamo  ad  osservare  ora  un  cranio,  per  esem- 
pio, di  un  feto  di  Cane  presso  alla  nascita,  o  quello  di  un  gio- 
vane Cane  (^),  troveremo,  sì,  nel    tegmen  cranii   le   ossa  istesse 

Q)  Ho  preso  per  esempio  il  Cane  perchè,  secondo  Meckel  e  secondo  Baraldi^  in 
questo  animale  T  intorparietale  si  sviluppa  per  un  solo  centro  ed  è  quindi  sempre 
unico.  Meckel  dice  :  L*  interparietale  stretto  del  Cane  non  si  svilttppa  mai  per  più 


106  E.   FICALBI 

che  già  conosciamo  e  vedremo  che  hanno  i  noti  rapporti  tra 
loro;  ma  tosto  anche  ci  colpirà  la  presenza  in  più  di  un  osso, 
che  nel  Maiale  non  esisteva  affatto  ;  quest'  osso  vedremo  posto 
precisamente  nella  situazione  di  quello  spazio  membranaceo, 
che  abbiam  chiamato  fontanella  occipitoparietale.  La  [fig.  9, 
tolta  dallo  scheletro  cefalico  di  un  giovane  Cane,  ce  ne  dà  chiara 
idea.  In  essa  figura  vedesi  in  ^  o  il  sopraoccipìtale,  in  />  a  i  pa- 
rietali, \x\  fr  \  frontali;  in  int  poi,  che  è  il  posto  della  fon- 
tanella occipitale,  vedesi  un  osso  triangoliforme,  situato  tra  so- 
praoccipitale  e  parietali,  e  che  dicesi,  per  la  posizione  sua,  in- 
terparietale. 

Ecco  dunque  che  passando  dal  Maiale  al  Cane  abbiam  visto 
crescersi  il  numero  delle  ossa  membranacee  del  tegmen  cranii, 
per  raggiunta  di  un  Inter  parietale.  Continuiamo  il  nostro 
sguardo  preliminare. 

Se  dal  cranio  di  un  feto  o  da  quello  di  un  giovane  individuo 
canino,  noi  p^issiamo  al  cranio,  per  esempio,  di  un  embrione  di 
Pecora,  vedremo  crescersi  ancora  dijuno  i  pezzi  del  tegmen  cranii. 
Neir  embrione  pecorino  troveremo  non  più  uno,  come  nel  Cane, 
ma  due  interparietali;  e  la  fig.  10,  che  rappresenta  la  parte 
posteriore  di  porzione  del  cranio  di  un  feto  di  Pecora,  ce  ne 
dà  chiara  idea.  In  essa  vedesi  in  5 o  il  sopraoccipitale,  in  pa  i 
parietali,  \n  fr  i  frontali,  in  k  la  fontanella  f rontoparietale ; 
in  int  poi,  situazione  della  primitiva  fontanella  occipitale,  ve- 
donsi  due  ossa  triangoliformi,  situate  tra  sopraoccipitale  e  pa- 
rietali, e  che  sono  i  due  interparietali. 

Così  dal  Cane  alla  Pecora,  lo  ripeto,  sono  nuovamente  cre- 
sciuti i  pezzi  del  tegmen  cranii,  perchè  V  interparietale  da  unico 
e  mediano,  si  è  fatto  doppio  e  bilaterale. 

Se  dal  cranio  di  un  embrione  di  Pecora  passiamo  a  quello 
di  un  embrione,  anche  assai  avanzato  di  Cavallo,  vedremo  que- 
sto fatto:  che  si  hanno  ancora  due  ossa  di  più;  quattro  di  più 
in  confronto  del  Maiale.  Troveremo,  dunque,  neir  embrione  del 
Cavallo  il  sopraoccipitale,  i  due  parietali,  gli  interparietali,  che 

d*  un  punto  di  ossificazione.  Per  debito  di  verità,  io  debbo  dire  che  in  un  giovanis- 
simo embrione  di  Cane  ho  veduto  doppio  V  interparietale.  In  altri  ciò  non  vidi.  Sono 
inclinato  a  credere  che  si  possa  nelle  varie  razze  o  nei  varii  individui  di  Cane  ve- 
rificare r  uno  e  r  altro  fatto;  forse  prevale  quello  ammesso  da  Meckel^  dello  sviluppo 
per  un  unico  centro. 


OSSA   ACCESSORIE  107 

possono  essersi  fusi  in  un  sol  pezzo,  ì  frontali,  gli  squamosi;  ma 
altre,  come  ho  detto,  ne  troveremo  nel  tegmen  craniì  oltre  queste: 
troveremo,  cioè,  che  sempre  nel  luogo  di  situazione  della  fon- 
tanella occipite  parietale,  al  davanti  dei  due  interparietali,  i  quali 
si  fondono  in  un  sol  pezzo,  esistono  due  altre  ossa  speciali,  trian- 
goliformi,  quasi  due  altri  più  piccoli  interparietali;  do  loro  il 
nome  di  ossa  interparietali  accessorie  (').  Nella  fig.  13  vedonsi  le 
cose  accennate:  ipò  T  interparietale  (fusione  dei  due  primitivi), 
ipa  sono  gli  interparietali  accessorii.  —  Così,  lo  ripeto,  nel 
tegmen  cranii  altre  ossa  membranacee  souosi  aggiunte,  due  in 
più  che  per  la  Pecora,  quattro  in  più  che  pel  tipico  Maiale: 
due  interparietali,  due  interparietali  accessorii,  tutte  della  fon- 
tanella occipitoparietale  e  di  origine  membranacea. 

I  fatti  rammentati  sono  normali.  Ma  altri  ne  esistono,  si- 
mili a  questi,  che  solo  ne  diflFeriscono  per  essere  più  rari,  i  quali 
ci  dimostrano  come  altre  ossa  membranacee,  oltre  le  suaccen- 
nate, possano  prender  posto  nel  tegmen  cranii  dei  Mammiferi, 
Esaminando  infatti  le  collezioni  di  cranii,  per  esempio  di  Scim- 
mia, non  raramente  capita  di  vedere  che  il  posto  della  fonta- 
nella fronte  parietale  può  essere  invaso  da  uno  speciale  osso, 
che  ne  ha  precisamente  la  forma,  e  che  riguardo  ad  essa,  ri- 
corda i  rapporti  degli  interparietali  per  la  fontanella  occipitale; 
do  a  quest'  osso  il  nome  di  osso  frontoparielale  (-j,  e  lo  rappre- 
sento nella  fig.  16,  e  nella  fig.  17  in  fp.  Ed  ecco  che  un  ele- 
mento di  più,  oltre  i  già  noti,  può  nel  tegmen  cranii  dei  Mam- 
miferi prender  posto. 

Altre  ossa,  sebbene  più  rare  ed  accidentali,  posson  prender 
posto  nel  tegmen  cì\inii  dei  Mammiferi.  Posson  trovarsi  nella 
sutura  lambdoidea,  nella  biparietale,  nella  i^quamoparietale,  per 
tacere  di  altro.  Riserbo  a  queste  il  nome  di  ossa  normiane. 

Come  si  è  visto,  così,  in  questa  specie  di  programma  che  ho 
tratteggiato,  è  ben  singolare  il  tegmen  cranii,  considerato  in  una 
serie  di  Mammiferi.  I  suoi  pezzi  possono  variare  di  numero  da 
un  Mammifero  all'  altro,  e  noi  li  abbiam  visti  progressivamente 
aumentare. 

Quale  è  il  valore  di   queste   ossa   che,  prendendo  a  tipo  il 


(')  Vedi  per  esteso  le  cose  più  avanti. 


(*)  V.  più  ayanti. 


108  R.  FICALBI 

Maiale,  trovansì  in  più  in  altri  Mammiferi?  Sono  esse  tra  loro 
produzioni  affini?  Sono  gli  anelli  di  una  stessa  catena?  Ecco  il 
quesito  a  cui  risponderò  nelle  conclusioni  di  questo  mio  scritto. 
Frattanto,  per  poter  giungere  alle  conclusioni  stesse,  è  necessario 
che  mi  estenda  alquanto  in  descrizioni  analìtiche;  e  farò  ciò 
cominciando  dai  Vertebrati  inferiori  ai  Mammiferi. 

Tutto  ciò  che  ho  sommariamente  detto  fin  qui  (e  vi  ritornerò 
poi  più  estesamente),  si  riferisce,  lo  si  sa  e  lo  ripeto,  allo  sche- 
letro cefalico  dei  Mammiferi.  Ma  è  ora  tempo  di  dimandarci: 
Come  si  comporta,  per  riguardo  ai  suoi  pezzi  ossei,  il  tegmen 
cranii  degli  altri  Vertebrati?  Vi  si  nota  il  già  cognito  potere 
accrescitivo  nel  numero  dei  pezzi  stessi?  Possono  esistere,  cioè, 
nei  Vertebrati,  a  scheletro  cefalico  ossificato,  inferiori  ai  Mam- 
miferi, e  le  ossa  interparietali,  e  le  interparietali  accessorie,  e 
l'osso  frontoparietale,  e  le  ossa  wormiane?  Questo  importante 
quesito  alla  breve  cercherò  risolvere,  cominciando  dalla  classe 
degli  Uccelli  e  scendendo  ai  Pesci.  Esauriti  questi,  tornerò  sui 
Mammiferi. 

Nel  tegmen  cranii  degli  Uccelli  abbiamo  evidentissime  le  ossa, 
che  già  conosciamo:  due  parietali,  due  frontali,  due  squamosi; 
indietro  dei  parietali  abbiamo  il  solito  sopraoccipitale  d'  origine 
cartilaginea,  che  circoscrive  in  alto  il  forame  magno.  Negli  Uc- 
celli ca rinati  per  rendersi  conto  di  ciò,  come  di  molte  altre  par- 
ticolarità osteologiche  inerenti  al  loro  scheletro  cefalico,  è  ne- 
cessario esaminare  giovani  individui,  sovente  non  ancor  schiusi 
dall'uovo:  e  ciò,  in  causa  della  fusione  precoce  che  (come  in 
diversi  Mammiferi,  e  più  che  in  essi)  avviene  di  molte  delle  ossa 
craniche  tra  loro,  siano  di  origine  membranacea  o  cartilaginea. 
Negli  Uccelli  struzionidi  h  più  facile  veder  le  cose  anche  nel- 
r  individuo  adulto.  Io  mi  varrò  di  una  figura  tratta  dallo  sche- 
letro cefalico  di  una  Numida,  non  ancor  uscita  dall' uovo.  Esa- 
miniamo, dunque,  la  fig.  2:  in  essa  fo  rappresenta  il  forame 
occipitale,  ed  intorno  a  questo  veggonsi  ì  varii  elementi  osteolo- 
gici  del  segmento  occipitale  del  cranio:  vedesi,  cioè,  il  basiocci- 
pitale,  b  0,  <?li  esocipitali,  e  o,  il  sopraoccipitale,  s  o;  quest'  ultimo 
segna  il  limite  superiore  del  gran  foro  e  col  suo  margine  an- 
teriore incurvato  confina  in  parte  coi  due  parietali,  p  a;  essi 
non  giungono  ancora  nel  giovine  Uccello  che  ci  serve  di  esempio, 
a  toccarsi  tra  loro  in  una  sutura  sagittale;  confinano,  tuttavia, 


OSSA   ACCESSORIE  109 

anteriormente   ciascuno  col  frontale   del    proprio   lato,  fr,  col 
quale  costituiscono  una   sutura  frontoparietale;   i   frontali  poi 
tra  loro  costituiscono    una    sutura   bifrontale.    Non  toccandosi 
r  un  V  altro,  come  si  h  visto,  i  due   parietali,  al  sommo  della 
testa  del  nostro  Uccello  notasi  uno  spazio  membranoso,  z,  che 
è  la  fusione  delle  due  fontanelle  occipitale  e  frontoparietale  tra 
loro,  e  che  può  dirsi  fontanella  occi|)itoparietofrontale.  Come  si 
vede,  in  essa  non  si  trova  nessun  elemento  osseo  che  ricordi  gli 
interparietali  o  tanto  meno  gli  interparietali  accessori!,  V  inter- 
frontale,  i  wormiani  dei  Mammiferi,  che  abbiamo  superficialmente 
più  addietro  esaminato.  Divenendo    adulto  V  Uccello,  la  accen- 
nata fontanella  mano  mano  scomparirà  per  T  accostarsi  tra  loro 
sulla  linea  mediana,  dei  parietali  e  dei  frontali  dell'  un  lato  con 
quelli  dell'  altro  lato,  e  poi  per  il  saldarsi  del  sopraoccipitale  e 
dei  parietali  per  un  *  conto,  dei   parietali  e  dei  frontali  per  un 
altro.  Dal  fin  qui  detto  chiaro  risulta  che  si  ha  nell'  Uccello  un 
caso  analogo  a  ciò  che  vedemmo   per  il  Maiale.  Mai,  cioè,  nel 
tegmen  cranii  degli  Uccelli  sviluppansi   le  ossa  interparietali  e 
tanto  meno  le  altre,  che  già.  conosciamo.  Invero  Et.  Geoffroy 
St.  Hilaire  (*)  aveva  creduto  vedere  ne^li  Uccelli  due  interparie- 
tali; egli  considerava  come  interparietali  quelli  che  in  oggi  di- 
consi,  e  che  io  ho  accennato,  parietali,  e  considerava  a  lor  volta 
parietali  quelli  che  chiamansi,  e  che  io  pure  ho  chiamato,  squa- 
mosi. Ma  questo  suo  erroneo  modo  di  considerar  le  cose  fu  ret- 
tificato per  primo  da  Oken  (1818),  e  nessuno  poi  ha  più  soste- 
nuto e  diviso  le  idee  di  Stefano  Geoffroy  St.  Hilaire. 

Nei  Rettili  la  porzione  dello  scheletro  cefalico,  che  appellasi 
tegmeti  cranii,  può  essere  variamente  costituita,  specie  per  il  fog- 
giarsi diverso  delle  ossa  d' indole  parietale  e  frontale,  a  seconda 
che  si  considerano  i  varii  gruppi  dei  Rettili,  i  Crocodiliani,  gli 
Ofidiani,  i  Lacertiliani  e  i  Cheloniani  (  per  tacere  dei  Rettili 
estinti).  Questo  è  certo:  che  nel  loro  tegmeìi  cranii  non  notasi 
mai  alcun  elemento  interparietale  o  di  natura  affine.  Vi  fu,  è 
vero,  chi  in  quei  peculiari  Rettili  che  sono  gli  Ofidiani,  credè 
notare  un  osso  interparietale;  ma  dirò  tra  poco  quanto  tale 
veduta  sia  erronea;  frattanto  farò  noto  che  in  molti  Lacerti- 

Q)  Qeoffroy  Saint-Hilaire  Et.  — -  Considerations  sur  les  piéces  de  la  tète  osseuse 
des  animauv  vértéhrés  et   particuhìrement   sur  celles  du  crdne  des   Oiseaux,   In: 
Ann.  da  Musóam  d'hist.  nat  Tom.  X,  1807. 


110  E.   FICALBt 

liani  è  ovvio  persuadersi  come  gli  elementi  interparietali  od 
aflBni  non  siano  aflFatto  presenti:  infatti  in  varii  tra  essi  fra  il 
sopraoccipitale  e  i  parietali  esiste  uno  spazio  membranaceo,  una 
vera  fontanella  occipito parietale,  che  persiste  tutta  la  vita,  senza 
che  mai  ossificazione  alcuna  vi  si  stabilisca.  Nella  fig.  3  ho  rap- 
presentato la  parte  superiore  di  porzione  del  cranio  di  un  Geko: 
come  è  facile  vedere,,  tra  il  sopraoccipitale,  5  O;  e  il  margine 
posteriore  dei  parietali,  p  a,  esiste  una  fontanella,  z  z;  or  bene, 
in  essa,  che  sarebbe  la  sede  degli  interparietali,  non  scorgesi 
mai  ossificazione  alcuna.  Anche  negli  Ofidiani  o  Serpenti  non 
esiste  nessun  osso  interparietale:  quello  che  può  venir  fatto  di 
credere  un  interparietale  non  è  che  il  sopraoccipitale:  la  ragione 
che,  superficialmente  osservando  le  cose,  può  portare  a  ritenere 
come  un  interparietale  ciò  che  realmente  nei  Serpenti  e  il  so- 
praoccipitale, è  questa,  che  vengo  a  dire:  come  mostra  la  fig.  5 
(rappresentante  la  parte  superiore  di  porzione  del  cranio  di  un 
Serpente),  i  due  esoccipitali,  eo,  nei  Serpenti  circondano  com- 
pletamente di  lato  e  in  sopra  il  gran  forame  e  vengono,  in  alto 
al  forame  stesso,  tra  loro  a  riunirsi  in  una  sutura:  risulta  da 
ciò,  che  il  sopraoccipitale,  s  0,  ha  indietro  a  sé  la  parte  più 
superiore  dei  due  esoccipitali,  che  circondano  il  gran  foro,  e  tro- 
vasi incastrato  (a  far  parte  del  fegmm  cranii,  il  che  non  accade 
nei  Mammiferi)  tra  questa  parte  più  superiore  degli  esoccipitali 
e  il  parietale,  p  a  (che  è  unico),  ricordando  presso  a  poco  T in- 
terparietale di  varii  Mammiferi.  Ecco  spiegato  perchè  alcuno  lo 
chiamò  interparietale,  appellativo,  del  resto,  che  da  qualche 
vecchio  anatomico  (Agassiz)  fu  dato  in  generale  all'  osso  so- 
praoccipitale di  molti  Vertebrati.  Il  Cuvier  (*),  circa  al  sopraoc- 
cipitale degli  Ofidiani,  dice  appunto  «{uello  che  sopra  ho  esposto: 
dice,  cioè,  che  per  il  fatto  che  gli  esoccipitali,  o,  come  egli  li 
chiamava,  gli  occipitali  laterali,  si  toccano  V  un  V  altro  al  di 
sopra  del  foro  occipitale,  come  nei  Coccodrilli,  (ed  in  questi  pure 
Et  Geoffroy  St.  Hilaire  chiamò  interparietale  il  sopraoccipitale), 
il  sopraoccipitale  0,  come  egli  diceva,  V  occipitale  superiore  è 
spinto  in  avanti  e  presso  che  ridotto  all'  ufficio  di  interparie- 
tale. —  Che  ciò  non  sia  non  sto  a  ripetere:  il  sopraoccipitale 

(*)  Cuvier  G.  —  Le^ons  d'Anatomie  comparée,  Pubi,  par  DumériL  HI  Ed.  Bruxel- 
les» 1836.  T.  I,  Pag.  362. 


OSSA  ACCESSORIE  111 

dei  Serpenti  è  osso  prettamente  cartilagineo,  e,  come  in  oggi 
da  tutti  si  ammette,  non  ha  alcuna  relazione  con  Y  interparie- 
tale,  E  lo  stesso  Cuvier  iSn  dai  suoi  tempi  asseriva  che  né  Ret- 
tili, né  Uccelli  (ossia  i  Sauropsidi  dei  moderni  Anatomici)  pos- 
siedono ossa  di  tale  natura. 

Come  nessun  interparietale  od  osso  affine  trovasi  nel  tegmen 
cranii  dei  Sauropsidi,  così  non  trovasi  in  quello  degli  Amfibii,  a 
qualunque  gruppo  essi  appartengano.  Negli  Amtibii  viventi  manca 
nello  scheletro  cefalico,  non  solo  il  basioccipitale,  ma  anche  il 
sopraoccipitale;  sono  gli  esoccipitali  che  ciscoscrivono  in  alto  il 
grande  forame  e  tra  essi  ed  i  parietali  (che  posson  esser,  come 
nelle  Rane,  fusi  in  un  sol  pezzo  coi  frontali)  non  scorgasi  mai 
alcun  elemento  osseo,  che  ricordi  uno  o  due  interparietali.  Nei 
Labirintodonti,  che  sono  Amfibii  fossili,  il  posto  del  sopraoccipi- 
tale era  occupato  da  due  ossa,  come  dice  Huxley,  ma  tra  esse,, 
e  i  parietali  non  trovavasi  intercalato  osso  alcuno.  Nella  fig.  5 
e  nella  fig.  6  rappresento  porzione  di  cranio  amfibiano:  delle 
due  figure,  la  prima  si  riferisce  a  un  Gimnofione,  la  seconda  ad 
un  Ancoro,  alla  Rana  comune.  In  ambedue  eo  sono  gli  esocci- 
pitali, forniti  ciascuno  di  un  condilo,  e  o,  per  T  articolazione  del 
cranio  alla  colonna  vertebrale;  nella  fig.  5,  p  a  sono  i  parietali, 
fr  i  frontali:  come  si  vede  in  essa  figura,  tra  esoccipitali,  che 
circoscrivono  completamente  fino  in  sopra,  il  gran  foro,  e  i  pa- 
rietali non  esiste  alcuna  ossificazione  intercalare;  nella  fig.  6,  fp 
é  r  osso  frontopavietale ;  proìl  prootico  destro  :  come  la  figura 
dimostra,  tra  gli  osocci  pitali,  che  circoscrivono  il  gran  foro,  e 
r  osso  frontoparietale,  rimane  un  piccolo  spazio  non  ossificato, 
z,  ma  in  esso  mai  sviluppasi  alcuna  ossificazione.  Così  che,  lo 
ripeto,  negli  Amfibii  non  si  ha  mai  traccia  di  interparietali  od 
ossa  affini. 

Passiamo  ai  Pesci  con  scheletro  cefalico  più  o  meno  ossifi- 
cato. Nei  Ganoidi  le  ossificazioni  cefaliche  cartilaginee  sono  scar- 
sissime, permanendo  un  assai  sviluppato  condrocranio;  invece 
le  ossificazioni  membranacee  sono  più  abbondanti  e  la  massima 
parte  di  esse  sono  ossa  di  origine  cutanea,  situate  in  buon  nu- 
mero sopra  alla  regione  del  tegmen  cranii.  E  per  questo  che  se 
noi  ci  facciamo  ad  esaminare  per  di  sopra  il  cranio,  per  esem- 
pio, di  un  Polypterus,  troveremo  in  corrispondenza  della  regione 


112  E.   FICA.LBI 

sopraoccipitale  un  numero  assai  grande  dì  placchettine  ossee, 
in  avanti  a  queste  ne  troveremo  due  che  arieggiano  due  parie- 
tali ed  innanzi  pure  a  quest'  ultime  due  altre,  che  ricordano  i 
frontali.  E  taccio  di  altre.  Queste  ossa  cutanee  del  cranio  dei 
Ganoidi  (  in  cui  Gegenbaur  vede  il  primo  annunzio  delle  ossa 
membranacee  del  tegmen  cranii  dei  Vertebrati  ai  Ganoidi  su- 
periori, cui  per  eredità,  sarebbero  trasmesse),  a  ciò  ch'io  mi 
propongo  studiare  e  dimostrare,  cioè  che  nei  Vertebrati  infe- 
riori ai  Mammiferi  non  esistono  ossa  interparietali  o  di  natura 
aflSne,  non  portano,  per  l'indole  loro  cutanea,  contributo  alcuno. — 
Nei  Pesci  dipnoi,  come  per  esempio  nel  Lepidosiren,  nel  tegmen 
cranii  si  ha  un  grande  osso  unico  membranaceo,  il  quale  dalla 
regione  sopraoccipitnle  si  estende  fino  alla  etmoidale:  dicesi 
quest'  osso  frontoparietale  ed  al  di  dietro  di  esso  non  sorgesi 
ossificazione  alcuna,  che  ricordi  ossa  di  indole  interparietale  od 
affine. 

Veniamo  ai  Pesci  teleostei.  In  questi  pure,  non  v'  è  dubbio, 
si  può  escludere  ogni  interparietale  od  affine  ossificazione.  I 
vecchi  Anatomici,  a  dir  vero,  non  la  pensarono  sempre  così: 
ed  io  voglio  intrattenermi  un  po'  sulla  loro  opinione,  perchè 
questa  credo  non  sia  da  prendersi  a  gabbo  :  io,  lo  dico  per  in- 
cidenza, ho  sempre  coltivato  con  buon  frutto  i  vecchi  Maestri 
di  Anatomia  al  pari  dei  moderni;  anche  in  questo  scritto  ho 
la  soddisfazione  di  aver  tolto  dalla  polvere  varie  verità  anato- 
miche, che  i  moderni  sembrano  aver  dimenticato.  A  proposito 
dello  scheletro  cefalico  dei  Pesci  teleostei,  dunque,  si  parla  di 
osso  interparietale  da  tutti  o  da  quasi  tutti  i  vecchi  Anatomici, 
quali  possono  essere  Et.  Geoffray  St.  Hilairej  G.  Cuvier,  Agassiz 
ed  in  certo  modo  anche  Meckel;  da  questi  insigni  osservatori 
si  chiama,  in  tutto  o  in  parte,  interparietale  quell'  osso  che  più 
raodernemente  venne  detto,  anche  pei  Pesci,  sopraoccipitale.  Per 
accennare  tosto  la  posizione  di  questo  sopraoccipitale  degli  Autori 
moderni  nei  Pesci  teleostei,  dirò  eh'  esso  sta  sopra  al  forame 
magno  e  che  può  avere  coi  parietali  disposizioni  speciali,  secondo 
le  varie  maniere  di  Pesci:  può  darsi,  cioè,  che  i  due  parietali 
seguano  il  sopraoccipitale  e  al  davanti  di  esso  si  tocchino  col 
loro  margine  interno,  in  modo  da  costituire  una  sutura  sagit- 
tale;  o  può  darsi  che  il  sopraoccipitale   spingasi  tra   essi   in 


OSSA  AOGESSORIB  113 

modo  da  giungere  a  toccare  il  frontale,  tenendo,  per  conse- 
guenza r  uno  dall'  altro  separati  tra  loro  i  due  parietali,  che 
tra  loro  non  formano  sutura  sagittale.  Nella  fig.  7  rappresento 
una  veduta  superiore  di  porzione  della  metà,  posteriore  del  cranio 
di  un  Luccio:  fr  sono  i  frontali;  e  p  gli  epiotici;  pa  ì  parietali, 
che  non  formano  sutura  sagittale;  so  \\  sopraocci pitale,  che  se- 
para i  parietali  e  si  articola  in  avanti  coi  frontali.  —  Tornando 
ai  vecchi  Anatomici,  Cuvier  a  proposito  dell'osso,  che  chiamiamo 
oggi  sopraoccipitale  fa  osservare  che  non  solo  separa  talvolta 
completamente  V  uno  dall'  altro  i  due  parietali,  come  io  già,  ho 
detto  poco  fa,  (a  similitudine  di  ciò  che  può  accadere  per  V  in- 
terparietale  di  qualche  Mammifero,  come  i  Cetacei),  ma  che, 
spesso  si  avanza  tra  i  frontali  abbandonandosi  in  dietro  in  certi 
Pesci  gli  esoccipitali  e  di  più,  ad  esempio  nei  Siluridi,  può  ar- 
rivare perfino  a  fondersi  in  un  sol  pezzo  coi  parietali  (come  fa 
r  interparietale  in  diversi  Mammiferi).  Per  suo  conto,  Mechel  (')  è 
dubbioso  sul  significato  dell'osso,  che  modernamente  chiamiamo 
sopraoccipitale  nei  Pesci:  egli  dice  che  quest'  osso  non  gli  sem- 
bra appartenere  agli  occipitali  e  trova  giustificato  l'  appella- 
tivo usato  da  Cuvier  di  interparietale;  lo  chiama  anche  por- 
zione  squamosa  delV  occipitale  e  riserba  alla  sua  parte  anteriore 
l'appellativo  di. interparietale.  Ad  onta  delle  opinioni  e  delle 
ragioni  dei  vecchi  Anatomici,  devesi  ritenere  che  1'  osso  chia- 
mato modernamente  sopraoccipitale  ha  realmente  nei  Pesci  te- 
leostei tale  natura:  infatti  è  di  origine  cartilaginea.  Nei  Pesci 
teleostei,  così,  non  esiste  interparietale.  Mi  sono  esteso  alquanto, 
prima  di  venire  a  questa  conclusione,  perchè  qualcuno  anche 
modernamente  ha  pensato  che  nel  sopraoccipitale  dei  Teleostei 
siano  insiti  elementi  interparietali;  il  che  non  ritengo  per  di- 
verse considerazioni  e  principalmente  per  la  ragione  che  que- 
st'osso  ci  si  presenta,  lo  ripeto,  di  origine  cartilaginea. 

Da  tutto  ciò  che  ho  fin  qui  esposto  si  può  concludere  che 
nei  Vertebrati  inferiori  ai  Mammiferi  non  esiste  mai  nessun 
elemento  osseo  interparietale  o,  tanto  meno,  interparietale  ac- 
cessorio, frontoparietale,  wormiano.  Mi  si  potrebbe  rimproverare, 
perchè  mi  sono   trattenuto   soverchiamente  a   dimostrare  una 


(*)  Meckel  J.  F.  —  Tratte  general  d'Anatomie  comparée^   Trad.  de  rallom.  par 
Riester  et  Sansoo.  Paris  1829,  T.  IL 

So.  Noi.  YoL  VII,  fascic.  2  8 


114  E.    FICALBI 

cosa,  che  i  moderDi  Anatomici  non  negano:  infatti  nessuno  dei 
libri  recenti  di  Anatomia  parla  di  interparietali  od  ossa  aflSni 
nei  Sauropsidi  e  negli  Ictiopsidi.  Ma,  ad  onta  di  ciò,  sono  con- 
vinto che  le  mie  parole  non  siano  state  del  tutto  vane,  special- 
mente per  ciò  che  si  è  riferito  ai  Pesci,  ed  in  omaggio  alle  idee 
dei  vecchi  Maestri  di  Anatomia. 

Torno  ora  ai  Mammiferi  e  prima  di  tutto  ricordo  che  per 
veder  bene  la  disposizione  dì  molti  dei  loro  pezzi  cranici  è  ne- 
cessario il  più  delle  volte  far  ricorso  agli  embrioni  o  ai  giovani    n 
individui,  perchè  neir  adulto  molte  ossa  perdono,  per  reciproca 
fusione,  la  loro  individualità. 

Il  Maiale,  lo  sappiamo  già,  ci  offre  esempio  di  scheletro  ce- 
falico, che  è,  per  riguardo  alle  particolarità  che  mi  interessano, 
tipico.  In  esso  infatti  (fig.  8)  a  circoscrivere  in  alto  il  grande 
forame  e  a  far  da  parete  posteriore  alla  scatola  encefalica  tro- 
viamo il  sopraoccipitale,  osso  completamente  di  origine  [cartila- 
ginea, il  quale  mai  acquista  elementi  membranacei  nella  sua 
composizione.  In  sopra  e  al  davanti  del  sopraoccipitale  si  tro- 
vano i  due  parietali,  che  col  sopraoccipitale  stesso  formano  una 
sutura  lambdoidea  e  tra  loro  una  biparietale  (porzione  biparie- 
tale  della  sutura  sagittale);  tra  sopraoccipitale  e  parietali  po- 
chissimo tempo  rimane  una  fontanella  che,  anche  in  embrioni 
assai  giovani,  si  chiude  per  jl  vicendevole  accostarsi  di  queste 
tre  ossa.  Di  lato  ai  parietali  sono  gli  squamosi,  e  in  avanti  i 
frontali,  che  tra  loro  formano  una  sutura  bifrontale  (parte  fron- 
tale della  sagittale)  e  coi  parietali  una  frontoparietale.  Una 
fontanella,  del  resto  non  mai  relativamente  ampia,  trovasi  nel 
cranio  embrionale  tra  frontali  e  parietali,  lungo  il  decorso  della 
sutura  sagittale:  questa  fontanella  col  crescere  dell'animale 
sparisce,  per  Y  accostarsi  reciproco  in  quel  punto  dei  frontali 
e  dei  parietali.  Ninna  altra  ossificazione,  oltre  le  accennate, 
rinviensi  a  cose  normali  nel  tegmen  cranii  del  Maiale  a  qualunque 
epoca  lo  si  esamini.  Mancano  in  esso,  dunque,  e  interparietali 
e  altre  ossificazioni,  che  possano  stabilirsi  nella  fontanella  oc- 
cipitale e  frontoparietale.  Che  il  Maiale  in  ogni  epoca  dello  svi- 
luppo e  della  vita  estrauterina  non  presentasse  mai  ossa  inter- 
parietali  aveva  già  detto   Meckel  (*)   in  quella  inesauribile  mi- 

(*)  Meckel  J.  —  Tratte  general  etc,  cit  -  Tom.  IV.  pag.  252. 


ossi   ACCBSSOBIE  115 

nieradi  verità  zootomiche,  che  è  la  sua  Anatomia  comparata:  egli 
dice  che  invano  lo  ha  cercato  anche  nelle  prime  età,  fetali;  e 
tutto  ciò  una  volta  di  più  mostra  quale  acuto  osservatore  fosse 
Meckel  e  quanti  fatti  anatomici  egli  sia  riuscito  a  raccogliere 
e  constatare.  Anche  Baraldi  con  una  bella  serie  di  embrioni  di 
Maiale  convenientemente  preparati  (esistente  nel  nostro  Museo) 
ci  ha  esplicato  V  asserto  di  Meckel,  della  non  esistenza  assoluta 
d' interparietali  nello  scheletro  cefalico  del  Maiale.  Flower  (*)  ed 
anche  Parker  (^)  ed  Huxley  (  ),  per  quanto  mostrino  di  non 
ignorare  questo  fatto,  non  vi  si  intrattengono,  quasi  non  ne 
apprezzassero  V  importanza. 

Visto  che  il  Maiale  è  privo  di  interparietali  e  che  in  esso 
la  fontanella  occipitale  si  chiude  ben  presto  per  V  accostarsi 
reciproco  del  sopraoccipitale  coi  parietali,  dirò  che  altri  Mam- 
miferi, nei  quali  non  esiste,  sembra,  interparietale  alcuno,  sono 
quelli  deir  ordine  infimo,  gli  Ornitodelfi  o  Monotremi,  cioè.  E 
questo  fatto  è  importante,  non  solo  perchè  rappresenta  un 
punto  di  più  di  ravvicinamento  tra  gli  Ornitodelfi  e  i  Vertebrati 
sottostanti,  ma  perchè  anche  ci  fa  vedere  come,  oltre  i  Snidi, 
altri  Mammiferi  ci  diano  esempio  di  mancanza  di  interparietali. 
Esaminiamo  ora,  già  che  abbiam  visto  quelli  che  ne  sono 
privi,  i  Mammiferi  forniti  di  ossa  interparietali,  facendo  di  queste 
ossa  una  rivista  rapida  si,  ma,  per  sommi  capi  completa:  dopo, 
su  esse,  riassumeremo  qualche  considerazione. 

Gli  interparietali,  che,  non  mi  stancherò  di  dirlo,  sono  spe- 
ciali ossificazioni  della  fontanella  occipitoparietale,  furono  per 
la  prima  volta  accennati  da  Ruini  (*)  (1598)  nel  feto  del  Ca- 
vallo, E  siccome  fondonsi  in  questo  animale  (come  negli  altri) 
con  r  età  in  uno  solo,  di  forma  presso  a  poco  quadrata,  Ruini 
stesso  lo  chiamò  osso  quadrato.  Dipoi  Meyer  (^)  (1800)  lo  nominò 
nei  Rosicanti  (in  cui  è  sovente  sviluppatissimo)  osso  trasverso. 
(7M2;^r  lo  disse,  da  prima,  parietale  impari;  finalmente  Et.  Geoffroy 

(*)  Flower  W.  H.  —    An   xntroduction  to  the  osteology  of  the  Mammalia.   Lon- 
don 1S76. 

C)  Parker  and  Bettany  —  T?ie  morphology  of  tìie  Shull.  London,  1877. 
O  Huxley  T.  H.  —  Lectures  on  the  Elements  of  comparative  anatomy.  London  1804. 
»        »  Manuale  dell*  Anatomia   degli  animali  vertebrati  (  Trad    da 

Oiglioli).  Firenze  1874. 

(^)  Ruini  C.  —  Anatomia  del  Cavallo,  Bologna  1598. 
(*)  Meyer  N.  —  Prodromus  anat,  Murium.  Jena  1880. 

l 


116  E.   FIOALBI 

Saint  Hilaire  (*)  (1807)  gli  dette  il  nome  di.  osso  interparietale, 
o  di  ossa  inter parietali y  se  la  fusione  in  unico  pezzo  non  è  av- 
venuta. Questa  denominazione,  adottata  da    Cuvier  stesso  e  da 
Meckel,  è  giunta  fino  a  noi  e  deve  esser  conservata.  —  Vediamo 
come,  nei  Mammiferi,  suole  svilupparsi  quest'  osso,  o  queste  ossa 
interparietali,  e  come  comportarsi,  divenendo  adulto  l'animale. 
Come  ben  dimostrò  Baraldi  {^)y  possono  aversi  tre  modi  di  svi- 
luppo. 1.*  1  centri  di  ossificazione  sono  due,  situati  lateralmente 
nella  fontanella  occipitale,  e  assai  distanti  dalla  linea  mediana; 
in  questo  caso  avremo,  come  nei  Cervi,  due  ossa  interparietali 
ben  distinte,  anche  per  vario  tempo  dopo  la  nascita;  —  2.^  I 
centri  di  ossificazione  sono  pur  due,  ma  vicinii   alla  linea  me- 
diana, ossia  tra   loro;  in  questo   caso,  come  nella   Pecora,  nel 
Bove,  si  hanno  bensì  due  ossa  interparietali,  ma  che  rimangono 
poco  tempo  separate,  fondendosi  tra  loro  in   un  sol  pezzo  du- 
rante la  stessa   vita  fetale;  —  3.^  Il  centro  di  ossificazione  è 
unico,  situato  sulla  linea  mediana,  o,  se  sono  due,  sono  tanto 
vicini  da  fondersi  tosto  che  appariscono  insieme,  in   un   unico 
centro  di  irradiazione  della  sostanza  ossea;  in  questo  caso  si  ha 
un  solo  osso  interparietale  seuipre,  come  nel  Cane.  —  Dal  modo 
come   accade  lo  sviluppo,  si    possono  avere,  adunque,  nel  feto 
un  solo  interparietale  impari  e  mediano  (Cane),  o  due  interpa- 
rietal',  bilaterali,  toccantisi  reciprocamente  per  un  loro  margine 
(Cervo,  Pecora).  Per  quanto,  però,  molti  Mammiferi  abbiano  allo 
stato  embrionale  due  interparietali,  allo  stato  adulto  o  ne  hanno 
un  solOy  0  non  ne  hanno  alcuno.  Ciò,  per  due  cagioni:  la  prima 
è,  che  gli  interparietali  coli'  accrescimento  si  saldano  tra  loro 
in  un  sol  pezzo,  e  se  questo  permane  tutta  la  vita  (Castoro, 
Irace),  il  Mammifero  è  fornito  di  un  interparietale;  la  seconda 
cagione  porta  a  questo:  che  il  rammentato  interparietale,  più 
o  meno  precocemente,  in  molti  Mammiferi  si  salda  con  le  ossa 
circostanti  e  perde  la  sua  individualità;  così  questi  Mammiferi 
allo  stato  adulto  sono  privi  di  interparietale  (Cane,  Pecora,  Uomo). 
L' interparietale,  in  quei  Mammiferi  nei  quali   scompare,   può 
perdere  la  sua  individualitèt  in  due  modi  :  nel  primo   modo,  si 

(')  V.  in:  Ann.  du  Meséum  d'  hisi.  nat.  Tom.  X,  pag.  249  e  342.  (An.  1807). 

(^)  Baraldi  G.  —  Alcune  osservazioni  sulla  origine  del  cranio  umano  e  degli 
altri  Mammiferi^  ossia  craniogenesi  det  Mammiferi.  Giornale  della  R.  Acc.  di  Me- 
dicina, Torino  1873. 


OSSA   ACCESSORIE  117 

salda  al  sopraoccipitale:  e  questo  caso  è  frequentissimo  (Cane, 
Uomo,  Scimmie);  nel  secondo  modo,  sì  salda  con  i  parietali,  e 
di  ciò  si  hanno  esempi  tra  i  Roditori,  tra  gli  Arziodattili  rumi- 
nanti, tra  i  Solipedi.  — .11  fatto  del  fondersi  molto  precocemente 
da  prima  tra  loro  (se  sono  due)  e  poi  con  le  circostanti,  nei 
varii  Mammiferi,  le  ossa  interparietali,  e  il  non  trovarsi,  per 
ciò,  di  interparietali  traccia  né  nell'  individuo  adulto,  né,  in  certi 
casi,  neppure  neir  individuo  alla  nascita  o  non  molto  prima  di 
essa,  ha  fatto  sorgere  la  domanda  se  realmente  tutti  i  Mam- 
miferi abbiano  interparietali.  Rispondo  a  questo  quesito, indicando 
anche  qualcuno  dei  principali  Mammìferi  in  cui  allo  stato  adulto 
permane  V  interparietale  ('). 

Nel  Maiale,  abbiam  visto,  sì  può  esser  certi  che  nessun  in- 
terparietale esiste,  e  ciò  è  un  fatto  inoppugnabile.  Così  è  per  i 
Monotremi.  Potrebbe  darsi  che  il  fatto  del  Maiale  si  verificasse 
anche  in  qualche  altro  Mammìfero.  Tuttavìa  deve  dirsi  che  in 
Mammiferi  di  tutti  gli  ordini  (non  parlo  dei  Monotremi)  si  sono 
trovati,  esaminandoli  nelle  convenienti  età,  od  epoche  di  sviluppo, 
due  interparietali  od  uno.  —  Per  V  Uomo,  fino  dai  tempi  di 
Meckel  e  di  Cuvier  si  discusse  se  avesse  o  no  interparietale. 
Mecheli^)  chiaramente  lo  ammette;  dice:  "Presso  TUomo  la 
porzione  squamosa  dell'  occipitale  si  forma  di  due  metà  situate 
una  sopra  T  altra,  delle  quali  la  metà  superiore  corrisponde  al- 
l' interparietale,  almeno  a  quello  del  Topo  e  del  Castoro,  che 
hanno  quest'  osso  sviluppatissimo  „.  Cuvier  C^^)  pure  riconosce  la 
traccia  degli  interparietali  nella  parte  superiore  della  squama 
occipitis,  osservata  nel  feto  umano  delle  prime  settimane.  In 
questi  ultimi  anni  alquanti  Anatomici,  e  tra  noi  Baraldi{})  e 
Romiti  (^)  rimisero  in  evidenza  la  cosa.  L'  Uomo  dunque  ha  pri- 
mitivamente due  interparietali;  ma  essi  si  saldano  precocemente 
(nelle  prime  settimane  di  sviluppo  ontogenico)  al  sopraoccipitale 
e  tra  loro;  costituiscono  così  \d^  porzione  squamosa  vera  e  propria 

Q)  V.  Gruber  W.  —  Abhandl.  aus  der  menschlichen  und  vergleichenden  Anat 
St.  Petersburg,  1852.  —  Otto  A.  G.  --  De  rarioribus  quibusdam  sceleti  humani 
cum  animalium  scéleto  analofjiis;  Vratislaviae  1839. 

(«)  Meckel  J.  F.  —  Traité  general  etc.  cit  -  T.  IV,  pag.  252. 

(5)  Cuvier  G.  —  Legons  d*An,  etc.  cit  -  Pag.  412. 

(*)  Baraldi  G.  —  Alcune  osservazioni  etc»  cit. 

Q)  Romiti  G,  ^  Lo  sviluppo  e  le  varietà  delV  osso  occipitale  nelV  Uomo .  Atti 
della  R.  Acc.  Fisioc.  Siena  1881. 


118  E.   nCALBI 

dell'  occipitale  adulto,  porzione  che,  per  ciò  che  abbiam  detto, 
è  di  origine  membranacea:  nell'osso  dell'adulto  potrebbe  dirsi 
porzione  interparietale  dell'  occipitale.  Certe  volte  gli  interparie- 
tali  neir  Uomo  non  seguono,  durante  lo  sviluppo,  la  regola:  può 
darsi  cioè  che  non  si  uniscano  all'  occipitale  che  tardissimo  o 
mai.  In  questo  caso  si  hanno  nel  cranio  umano  tra  Occipitale 
e  parietali  uno  o  due  ossa  staccate,  che  sono  gli  interparietali, 
e  questa  loro  persistenza  come  ossa  distinte  ci  rappresenta  un 
ritorno  atavico.  Se  teoricamente  consideriamo  le  cose,  si  vede 
che  la  presenza  degli  interparietali  liberi  nell'Uomo  può  rispon- 
dere ad  uno  di  questi  tre  casi:  1.*  Tra  occipitale  e  parietali  può 
esistere  un  unico  grande  osso  triangolare  {^)  :  esso  rappresenta  i 
due  interparietali  primitivi  anchilosatì  tra  loro,  ma  non  col  sopra- 
occipitale,  come  mostra  la  fig.  11:  (caso  omologo,  per  esempio,  al 
Castoro  adulto).  Tra  occipitale  e  parietali  possono  esistere  due 
ossa  grandi  triangolari:  sono  i  due  interparietali,  rimasti  liberi 
tra  loro  e  con  le  ossa  circonvicine  (caso  omologo,  p.  es.,  al  gio- 
vane Cervo);  Tra  sopraocci pitale  e  parietali  può  aversi  un  solo 
osso,  triangoliforme,  ma  non  mediano,  sibbene  unilaterale,  come 
mostra  la  fig.  12;  esso  è  un  solo  dei  due  interparietali  primitivi 
che  è  rimasto  indipendente  da  ogni  altro  osso,  compreso  il  suo 
omonimo,  mentre  quest'  ultimo  è  saldato  al  sopraoccipitale. 
Esaminiamo  brevemente  questi  tre  casi.  Dirò  subito  che  comun- 
que si  siano  presentati  gli  interparieteli  nell'Uomo,  gli  Antro- 
potomi vi  hanno  assai  scritto  e  discusso  intorno,  non  scarseg- 
giando di  denominazinoni  difformi  per  questo  fatto,  di  natura 
sua  sempre  uguale.  Quando,  come  nel  primo  caso  da  me  enu- 
merato, un  solo  interparietale  si  notava  nel  cranio  umano  (fig.  11), 
ad  esso  si  dette  il  nome  di  wormiano  vero,  ìcormiano  triangolare, 
OS  triquetrum;  fu  da  Fischer  {^)  detto  osso  epattale^  altri  lo  chiamò 
epattale  vero;  Tschudi  gli  dette  il  nome,  non  giusto,  di  os  incae 
(osso  dei  cranii  peruviani  antichi);  il  nostro  venerando  Colorii^) 
gli  ha  dato  anche  1'  appellativo  di  loormiano  occipitale.  Tutte 
queste  denominazioni  devono  esser  sostituite,  come  giustamente 
insiste  il  Prof.  Romiti^  con  quella  di  interparietale.  Tra  i  vecchi 

(*)  V.  Romiti  G.  ~~  Lo  sviluppo  etc.  cit.  -  V.  anche  Calori  citato  più  avanti. 
(*)  Fischer  G.  —  De  osse  epactali  sive  Góthiano.  Moscoviae  1811. 
(?)  Calori  L.  —  De'  wormiani  occipitali  ed  interparietali  posteriori^  etc.  In:  Mem. 
deirAcc.  4elle  Se.  deirist.  di  Bologna,  1868.  Tom.  VII,  fase.  Z, 


OSSA  ACCESSORIE  119 

anatomici,  Cuvier  non  volle  riconoscere  nell'  osso  ora  descritto 
un  interparietale  omologo  a  quello  di  molti  Mammiferi;  altri 
Anatomici,  tra  cui  è  da  porre  Van  Doeveren{})  e  Meckel^  pen- 
sarono che  realmente  fosse  V  interparietale.  Jacquart  y^)  in  que- 
st' osso  volle  vedere  una  distintiva  di  razza  antropologica:  ma 
sicuramente  a  torto,  al  pari  di  Tschudi.  —  Nel  secondo  caso 
da  me  enumerato,  nel  sito  della  fontanella  occipitale  possono 
trovarsi  non  uno,  ma  due  interparietali;  non  mi  intrattengo  di 
più  su  questa  cosa:  ma  mi  preme  far  tosto  una  dichiarazione. 
Potrà,  darsi,  trovando  due  grandi  ossa  tra  occipitale  e  parietali, 
che  esse  siano  i  due  veri  interparietali  non  fusi  in  un  unico 
pezzo,  ma  il  più  sovente,  a  mio  credere,  queste  due  ossa  non  sono 
i  veri  interparietali,  sibbene  gli  interparietali  accessorii,  che  descri- 
vero;  essendo,  in  tal  caso,  il  vero  interparietale  anchilosato  col 
sopraoccipitale  come  squama  occipitis,  che  può  essere  un  poco 
più  piccola.  Si  tenga  a  mente  questo  fatto,  su  cui  tornerò  con 
la  dovuta  estensione.  —  Nel  terzo  caso  da  me  enumerato  (^), 
si  ha  un  solo  interparietale,  unilaterale  (tig.  12).  —  Lungo  la 
sutura  lambdoidea  del  cranio  umano,  lo  dico  ora  per  incidenza 
e  vi  tornerò  sopra,  possono  sovente  trovarsi  delle  ossificazioni 
senza  valore,  che  non  sono  né  gli  interparietali,  né  gli  interparie- 
tali accessorii,  e  che  devono  mettersi  nel  numero  dei  wormiani. 
Nelle  Scimmie  gli  interparietali  sì  comportano  precisamente 
come  neir  Uomo,  saldandosi  di  buonissima  ora  al  sopraoccipi- 
tale e  costituendone  la  porzione  squamosa;  quindi  nell'adulto 
non  solo,  ma  neanche  alla  nascita  si  ha  un  osso  interparietale 
indipendente,  se  non  per  puro  caso.  Ritengo  (;he  la  presenza  di 
interparietale  indipendente  nelle  Scimmie  debba  esser  fatto  ben 
raro:  così,  per  esempio,  in  oltre  80  cranii  da  me  osservati  di 
Scimmie  di  diversa  specie  ed  età,  mai  V  ho  potuto  notare.  — 
Quello  che  ho  detto  per  le  Scimmie  valga  "per  i  Lemuri.  — 
Nel  giovane  Qaleopiteco  trovasi  un  interparietale,  che  è  scom- 
parso  neir  adulto.  —    Trovasi  semplice  o  doppio   nei  giovani 

(')  Van  Doeveren  —  Specimen  observationwn  academicarum,  Groningae  etLugduni 
Batavorum  1765. 

(-)  Jacr^uart  —  Bela  valeur  de  V  os  epactal  comme  caractère  de  race  en  anthro- 
pologie.  In  :  Journ.  d*Anat.   1865.  T.  I. 

(^)  Nel  Museo  di  Anatomia  umana  di  Siena  esistono  due  cranii,  nei  quali  ò  ben 
visibile  questa  particolarità,  avendosi  ben  distinto  in  ambedue  il  solo  interparietale 
destro. 


120  B.  nckLBi 

Chiropteri.  —  È  rarissimo  negli  Insettivori  adulti.  —  I  Rosi- 
canti ci  danno  i  più  belli  eserapii  della  permanenza  dell'  osso 
inter parietale  nell'adulto:  sviluppatissimo  lo  ha  il  Castoro,  e 
più  o  meno  tutti  gli  altri  Rosicanti.  —  Nei  Carnivori  adulti 
non  si  trova  o  raramente.  —  Nemmeno  nell'  Elefante  adulto.  — 
Trovasi  nell'lrace  adulto.  —  Sviluppatissimo  è  nei  Cetacei,  an- 
che adulti,  per  quanto  possa  anche  in  questi  animali  coli'  età, 
fondersi  col  sopraocci pitale;  nei  Cetacei  l' interparietale  si  esten- 
de dal  sopraocci  pitale  al  frontale:  impedisce,  così  per  tutta  la 
vita  che  i  due  parietali  si  uniscano  tra  loro  in  una  sutura.  — 
Negli  Arziodattili  ruminanti  adulti  l' interparietale  perde  gene- 
ralmente la  sua  individualità,;  i  Cervi  giovani  lo  presentano 
evidente.  Sappiamo  già,  che  i  Snidi  ne  difettano.  —  Nei  Peris- 
sodattili  adulti  sovente  manca  l' interparietale,  per  quanto  lo 
si  trovi  evidente  nei  giovani  e  talvolta  doppio  anche  del  tempo 
dopo  la  nascita;  si  vede  nel  Rinoceronte.  —  Negli  Sdentati  (*) 
e  nei  Marsupiali  giovani  si  trova  e  qualche  volta  anche  negli 
adulti  0  semiadulti. 

Così  ho  licapitolato  tutto  ciò  che  si  riferisce  all'Anatomia 
comparata  delle  ossa  interparietali.  Si  è  visto  che  mancano  in 
tutti  i  Vertebrati  inferiori  ai  Mammiferi,  nei  più  bassi  di  questi 
(Monotremi)  e  nei  Snidi.  Esistono  negli  altri,  in  cui  possono  ridursi 
ad  uno  e  perdere  la  loro  individualità,  spessissimo  nell'  adulto. 
Facciamo  ora  qualche  considerazione  su  queste  ossa.  Dal  momento 
che  esse  non  trovansi  né  nei  Vertebrati  inferiori,  né  nei  Mammi- 
feri monotremi,  si  deve  ritenere  che  la  loro  presenza  indica  in 
certo  qual  modo  superiorità,.  Ciò  è  indubitato  :  tuttavia  per  quanto 
sieno  ossificazioni  proprie  ai  Vertebrati  superiori,  esse  non  sono 
essenziali:  e  ciò  ci  vien  dimostrato,  non  solo  dal  poco  sviluppo 
che  prendono  in  alcuni  e  dal  fatto  che  perdono  in  altri  prestis- 
simo la  loro  individualità,,  ma  specialmente  dal  fatto  che  man- 
cano del  tutto  in  certi  Mammiferi,  quali  i  Snidi.  Quest'  ultimo 
fatto  della  loro  assenza  nei  Snidi,  che  non  sono  Mammiferi  dei 
più  bassi,  costringe,  lo  ripeto,  a  non  considerarli  essenziali; 
infatti  se  noi  esaminiamo  la  serie  dei  Mammiferi  mai  troveremo 
che  questo  o  quell'  altro  osso  possa  mancare  in  una  per  ricompa- 
rire in  un'altra  specie,  e,  di  più,  neanche  mai  troviamo  nel  cranio 

(')  Meckel  —  An,  comp,  etc» 


OSSA   ACCISSOBIB  121 

dei  Mammìferi,  fuori  degli  interparietali,  essa  che  mai  abbiano 
dato  traccia  di  loro  nei  Vertebrati  inferiori.  Fa  solo  eccezione 
alla  prima  di  questo  due  regole  un  osso  de)  cranio  dei  Pango- 
lini (ManisJ,  nei  quali  manca  (almeno  così  sembra)  lo  zigoma- 
tico (*);  ma  ciò  si  può  spiegare  per  la  forma  un  po'  inusitata 
del  cranio  di  questi  animali:  e  vi  è  anche  da  riflettere  che  lo 
zigomatico  o  giugale  trovasi  rappresentato  in  molti  dei  Verte- 
brati sottostanti  ai  Mammiferi,  il  che  basta  per  farcelo  ritenere 
elemento  cranico  non  dirò  dei  più  essenziali,  ma  certo  impor- 
tante. Per  rafforzare  sempre  più  la  mia  tesi,  che  le  ossa  inter- 
parietali  non  sono  essenziali,  ma  che  rappresentano  elementi 
che  sonosi  aggiunti  nel  tegmen  cranii  dei  più  dei  Mammiferi, 
ricorderò  anche  il  loro  luogo  di  origine:  la  fontanella  occipite- 
parietale;  sono  dunque  ossa  di  fontanella.  Ora,  dunque,  concludo 
dicendo:  che  le  ossa  inter parietali  sono  ossificazioni  proprie  dei 
Vertebrati  superiori  (Mammiferi),  ma  non  essenziali;  per  il  posto 
ove  nascono  posson  considerarsi  ossa  di  fontanella,  di  sopra  a 
più  nel  tegmen  cranii.  —  Né  si  creda  esagerata  questa  mia  as- 
serzione: un  sommo  Anatomico,  Riccardo  Owen,  è  andato  più 
in  là,:  egli  ha  scritto  C):  „  LMnterpari^tale  non  è  un  elemento 
cranico  costante,  e  non  è  neppure  uno  smembramento  di  un 
solo  e  medesimo  osso  della  testa;  esso  è  tutto  al  più  il  più 
grande  e  il  più  comune  delle  ossa  loormiane  intercalate  »  .  Questo 
certo  è  troppo,  perchè  il  carattere  delle  ossa  wormiane  è  di  non 
esser  costanti,  e  nei  più  dei  Mammiferi  T  inter  parietale  invece 
lo  è.  Io  dunque  non  lascio  la  opinione  che  ho  emesso. 

Gli  interparietali,  pur  non  essendo  veri  wormiani,  sono,  ho 
detto,  un  di  più  che  si  è  aggiunto  nel  tegmen  cranii.  Ma  nel 
tegmen  cranii  stesso  possono  aggiungersi  altri  elementi,  i  quali 
non  hanno,  confrontati  con  gli  interparietali,  altra  diflFerenza 
che  questa:  di  essere,  prendendo  in  complesso  i  Mammiferi,  meno 
frequenti:  gli  interparietali  mancavano  nei  Monotremi  e  nei 
Snidi  ed  erano  cosa  di  regola  negli  altri  Mammiferi;  gli  elementi 
dei  quali  parlerò  ora  sono  di  regola  in  pochi  Mammiferi  (Equidi), 
e  più  rari  o  mancanti  negli  altri;  ecco  la  diflFerenza.  —  Ho  già, 

{})  Ho  detto  almeno  co^  sembra  perchè  altra  volta  si  ritenne  mancare  in  molti 
altri  Mammiferi  lo  zigomatico,  il  quale  poi  invece  si  trovò  esistere  nei  feti  e  anchi- 
losarsi  prestissimo  con  altre  ossa. 

(*)  Owen  R.  —  Principes  d*  Oitéologie  comparée  eie.  Paris  1855,   pag.  35. 


122  K.   FICALBI 

detto  indietro  in  questo'  scritto,  che  se  noi  ci  facciamo  ad  os- 
servare il  cranio  di  un  feto  di  Cavallo,  sovente  anche  al  mo- 
mento e  dopo  la  nascita,  potremo  osservare  questo  fatto:  che 
il  Cavallo  stesso  ha  non  solo  al  davanti  del  sopraoccipitale  due 
interparietali,  (che  riunendosi  poi  in  un  sol  pezzo  costituiranno 
r  osso  quadralo  del  vecchio  liuini)^  ma  al  dinanzi  dei  due  inter- 
parietali, 0  dell'unico,  se  gik  fusi,  troveremo  di  regola  due  altre 
ossa  più  piccole,  triangolari,  che  si  toccano  in  una  sutura  an- 
teroposteriore.  Queste  essa,  lo  ripeto,  sono  cosa  di  regola  nei 
Solipedi,  ed  è  per  ciò  che  devono  fermare  l'attenzione  dell' Ana- 
tomico. Le  chiamo,  per  la  posizione  loro,  ossa  interparietali  ac- 
cessorie (fig.  13).  Gli  Anatomici  moderni,  a  quanto  sembra, 
ignorano  la  presenza  di  queste  ossa,  se  si  deve  giudicarne  dai 
loro  libri.  Io  stesso,  col  Prof.  Baraldi,  che  le  ha  preparate  in 
diversi  cranii,  e  che  mi  ha  favorito  la  fig.  13,  le  credei  da  prima 
una  novità,;  ma  poi  vidi  che  a  Meckel  {})  non  erano  per  nulla 
sfuggite.  Egli  dice  che  sono  usuali  presso  qualche  Mammifero 
e  di  questo  numero  sono  sopra  a  tutto  i  Solipedi:  sembrerebbe 
quindi,  che  come  cosa  normale  o  quasi  le  avesse  trovate  in  altri 
Mammiferi,  e  sono  di  fatto  frequentissime,  e  trovansi  in  varie 
specie.  Meckel  non  le  nomina,  né  ne  indaga  il  significato.  Io 
ripeterò  che  sono  evidentissime  nel  feto  equino:  saldausi  con 
l'otk  prima  tra  loro,  poi  con  l' in terpari etale,  che  loro  sta  in 
dietro,  in  seguito  saldansi  anche  in  avanti  coi  parietali.  —  Ve- 
diamo ora  se  le  ossa  interparietali  accessorie  esistono  negli  altri 
Mammìferi.  Dirò  subito,  a  guisa  di  preannunzio,  che  esistono 
frequentemente  e  che  a  torto  furon  sempre  considerate  come 
ossificazioni  accidentali,  senza  importanza:  ossa  wormiane,  ecco 
la  elastica  parola  che  tutto  doveva  spiegare.  Io  mi  sono  dato 
a  ricercare,  sia  nella  letteratura  anatomica,  sia  nei  Musei  la 
presenza  di  queste  ossa  e  1'  ho  trovata  relativamente  frequente 
e  comune  a  molte  specie  di  Mammiferi,  come  vengo  a  dire. 

Neil'  Uomo  la  presenza  di  cosi  dette  ossa  wormiane  nella 
sutura  lam})doidea  è  un  fatto  frequente  assai:  Sappey  ed  altri 
Antropotomisti  dicono  che  quivi  trovansi  di  preferenza  i  wor- 
miani.  Il  fatto  è  che  molti  di  questi  pretesi  wormiani  (a  sé  i 
piccoli  nuclei  ossei  senza  importanza  reale;  sono    non  di  rado 


(«)  Meckel  —  Tratte  gen.  ete.  cit.  -  T.  IV,  pag.  251. 


OSSA    ACCESSORIE  123 

le  ossa  interparietali  accessorie,  che  in  casi  tipici,  come  io  ho 
veduto,  tra  la  porzione  squamosa  dell'  occipitale  (derivata  dalla 
unione  ad  esso  degli  interparietali  veri)  trovansi  in  numero  o 
di  due,  analoghe  a  quelle  dei  Solipedi,  e  ne  ho  figurato  un  caso, 
0  in  numero  di  un  sol  pezzo,  risultante  veris  milmente  dalla 
fusione  delle  due,  come  avviene  nel  Solipede  con  lo  sviluppo. 
Il  caso  che  ho  rappresentato  colla  fig.  11  mi  sembra  tipico:  la 
figura  è  presa  dal  cranio  di  un  feto  umano  alla  nascita  (*);  in 
essa  eo  sono  gli  esoccipitali,  60  il  basiocci pitale,  50  il  sopraoc- 
cipitale,  ip  la  porzione  squamosa  0  gli  interparietali  fusi  col 
sopraocci pitale  ed  all'  intorno  dei  quali  riman  sempre  qualche 
segno  della  primitiva  indipendenza  e  doppiezza;  ipa  sono  gli 
interparietali  accessorii;  è  evidente  la  rassomiglianza  che  hanno 
con  quelli  del  Cavallo.  Qualche  volta  le  due  ossa  interparietali 
accessorie  sono  fuse  in  un  sol  pezzo,  intercalato  tra  porzione 
squamosa  dell'  occipitale,  la  quale  può  essere  un  po'  meno  svi- 
luppata per  fargli  posto,  e  parietali.  Li  ogni  modo,  mai  gli 
Antropotomisti  eransi  dati  a  riflettere  sulla  natura  delle  descritte 
ossificazioni:  come  i  piii  di  essi  furono  ostinati  nel  chiamare 
epattale  o  w^ormiano  vero  l' interparietale,  quando  presentavasi 
indipendente,  così  pure  le  ossa  interparietali  accessorie  furon 
da  essi  sempre  chiamate  wormiani.  Ma  che  questa  veduta  non 
sempre  sia  giusta  mi  pare  lo  dimostri  il  caso  tipico  da  me  ac- 
cennato. Riconosco  anch'  io,  sì,  che  nella  sutura  lambdoidea 
posson  prender  luogo  veri  wormiani  accidentali  e  insignificanti 
morfologicamente,  ma  non  posso  a  meno  di  fare  avvertire  e  di 
ripetere  che  molte  delle  ossa  dette  wormiani  occipitali,  e  regi- 
strate dagli  Autori  sono  in  realtà  gli  interparietali  accessorii,  di 
cui  ci  dà»  classico  esempio  il  Cavallo.  Ed  anche  qualcuna  di  quelle 
ossa  che  come  tcormiani  occipitali  figura  e  descrive,  per  esempio. 
Calori,  devono  forse,  a  mio  debole  giudizio,  lo  ripeto,  esser  con- 
siderate ossa  interparietali  accessorie  0  rimaste  indipendenti  tra 
loro,  come  nell'  esempio  che  ho  figurato,  0  fus«  in  un  sol  pezzo 
come  avviene  con  1'  età,  anche  nei  Solipedi.  Né  mi  si  obietti  che 
le  ossa  interparietali  accessorie  dei  Solipedi  sono  ivormiani  per- 
manenti, poiché  questa  espressione  permanenti  esclude  appunto 
il  significato  che  deve  darsi  all'  altra  di  wormiano.  Sono,  bensì, 

Q)  Ebbi  questo  cranio  dal  Museo  anatomico  di  Siena. 


124  K.   FICALBI 

gli  interparietali,  gli  interparietali  accessorii,  il  frontoparietale, 
i  wormiani,  come  dirò  in  seguito,  tutte  ossa  che  passano  a  gradi 
le  une  nelle  altre;  ma  diflFerenze  di  grado  esistono  tra  esse,  e 
gli  interparietali  accessorii  non  sono  wormiani  nel  senso  vol- 
gare —  Essi  quando  sono  presenti  nell'  Uomo  ci  rappresentano 
un  fatto  accidentale  in  esso,  ma  normale  in  certi  Mammiferi 
inferiori,  ci  rappresentano,  in  altre  parole  un  caso  di  un  più  o 
men  diretto  atavismo. 

Così  ho  accennato  alla  presenza  delle  ossa  interparietali  ac- 
cessorie neir  Uomo.  Vediamo  ora  come  esistono  in  altri  Mam- 
miferi. Premetterò  che  si  trovano  spesso  e  già,  Mechel  scrisse  di 
avere  in  varii  animali  veduto  sovente  uno  o  più  ossa  molto  con- 
siderevoli situate  al  davanti  dell' interparietale. —  Possono  tro- 
varsi nelle  Scimmie  ed  io  ne  ho  visto  un  caso  nel  cranio  di  un 
non  adulto  individuo  di  Simia  satyrus  L.  —  Non  ne  ho  trovato 
traccia  in  pochi  cranii  di  Lemuri  da  me  esaminati.  —  Nei  Ro- 
sicanti possono  gli  interparietali  accessori  trovarsi,  fusi  tra  loro 
in  un  sol  pezzo,  che  è  situato  innanzi  al  vero  interparietale:  ce 
ne  dà,  esempio  assai  comune  il  Castoro.  —  Anche  tra  i  Carni- 
vori spesso  trovasi  un  osso  interparietale  accessorio,  come  ce  ne 
danno  esempio  i  Gatti,  i  Cani;  in  questi  ultimi  anzi  si  ha  questo 
fatto  singolare:  che,  come  per  un  solo  centro  sviluppasi  V  in- 
terparietale vero,  COSI  per  un  centro  solo  sembra  svilupparsi 
r  interparietale  accessorio;  nella  fig.  15  rappresento  porzione 
del  cranio  di  un  Cane,  in  cui  V  interparietale  accessorio  vedesi 
con  tutta  chiarezza  {i  a) .  —  In  un  Irace  adulto  al  davanti  del- 
l' interparietale  ho  visto  nel  cranio  due  interparietali  accessorii 
sempre  liberi  e  indipendenti,  come  nel  feto  del  cavallo.  —  Nei 
Cetacei  può  esistere  uno  sviluppatissimo  interparietale  accessorio, 
risultante  verisimilmente  dalla  fusione  in  un  sol  pezzo  dei  due 
centri  primitivi;  il  Prof.  Richiardi  {^)  descrisse  fin  dal  1877 
questo  terzo  interparietale  nel  cranio  di  un  feto  di  Orca:  di- 
mostrò che  in  esso  cranio  ^  esistono  tre  interparietali;  due  pari, 
al  davanti  del  margine  superiore  del  sopraoccipitale,  separato 
r  uno  dair  altro  sulla  linea  mediana  da  una  piccola  placca  os- 
sea, ed  un  terzo  impari  assai  più  ampio,  che  sta  al  davanti  dei 


(')  In  :  Processo  verbale  dell'adunanza  del  14  gennaio  1877  della  Società  Toscana 
di  Se.  Naturali,  residente  in  Pisa. 


OSSA   AGCESSOBIE  125 

margini  superiori  dei  precedenti  e  dei  parietali  e  giunge  fino  ai 
frontali  »  ;  disse  anche  che  ^  dal  saldarsi  dei  detti  interparietali 
tra  loro  e  col  sopraoccipitale  ne  risulta  quella  porzione  lam- 
bdoidea  dell'  occipitale  così  ampia  negli  individui  adulti,  da  par- 
tecipare col  suo  margine  anteriore  alla  formazione  del  vertice 
della  testa  ».  Questo  è  davvero  un  bel  caso.  —  Nel  cranio  di 
uno  Sdentato  (Myrmecophaga  tamandua  Desm.)  ho  visto  ben  svi- 
luppato r  interparietale  accessorio,  di  forma  losangica,  situato 
tra  parietali  e  squama  occipitis.  -  Nei  Marsupiali  può  trovarsi 
r  interparietale  accessorio,  come  ce  ne  danno  frequente  esempio 
la  Sariga,  il  Wombato. 

Ho  parlato,  così,  dì  ciò  che  si  riferisce  agli  interparietali 
accessorii,  considerati  negli  ordini  dei  Mammiferi.  Si  è  visto  che 
il  loro  posto  di  origine  è  la  fontanella  occipitale:  sono  dunque 
ossa  di  fontanella.  Mancano,  come  è  ovvio  a  intendersi,  nei 
Vertebrati  inferiori  ai  Mammiferi  e  nei  Monotremi,  possono 
trovarsi  nei  Mammiferi  degli  altri  ordini:  anzi  in  taluni  Mam- 
miferi sono  cosa  di  regola  (Equidi).  Queste  ossa  sono  anche 
meno  essenziali  degli  interparietali  veri,  per  quanto  però  veri 
wormiani  non  siano,  trovandosi  costanti  in  qualche  specie.  Vo- 
lendo ora,  per  riassumere,  definire  gli  interparietali  accessorii, 
può  dirsi:  che  sono  ossificazioni  proprie  dei  Mammiferi  al  di 
sopra  dei  Monotremi,  ma  che  non  sono  essenziali  ed  anche  meno 
essenziali  degli  interparietali;  sono  ossa  di  fontanella  anch'essi 
come  gli  interparietali  veri  e  al  pari  di  essi  sono  ossificazioni 
di  sopra  a  più  nel  tegmen  cranii. 

Abbiam  visto,  così,  che  quali  elementi  di  sopra  a  più  nel 
tegmen  cranii  dei  Mammiferi  possono  trovarsi  gli  interparietali 
e  gli  interparietali  accessorii.  Può,  oltre  questi,  riscontrarsi  in 
un  altro  osso  di  fontanella,  che  segna  propriamente  il  tratto 
di  unione  tra  le  ossificazioni  surramraentate  e  i  wormiani.  L'osso 
al  quale  alludo  risiede  nel  posto  della  fontanella  frontoparietale 
e  non  è  raro  vedere  che  si  insinua  alquanto  tra  i  frontali  an- 
teriormente e  i  parietali  posteriormente.  Lo  chiamo  osso  fronto- 
parietale  per  la  sua  situazione  :  potrebbe  dirsi  anche  osso  inter- 
frontale  (^).  Perchè,  mi  si  potrebbe  tosto  chiedere,  non  deve  esser 

(')  Non  ho  adottato  rappeUativo  di  inter frontale  (usato,  se  non  erro,  per  T  Uomo 
da  Boianus)  perchè  quando  i  due  frontali,  come  quasi  sempre  avviene,  saldansi  in 
un  sol  pezzo,  non  sembra  più  che  quest'  osso  sia  tra  V  uno  e  V  altro,  ed   anche   non 


126  lE.   FIGALBi 

messo  r  osso  frontoparietale  addirittura  tra  i  wormiani  od 
esclusone  affatto?  Tra  i  wormiani  non  può  a  buon  dritto  met- 
tersi per  una  ragione  non  del  tutto  trascurabile;  perchè,  cioè, 
esso  sebbene  non  sia  propriamente  di  regola  in  alcun  Mam- 
mifero, pur  tuttavia  è  quasi  di  regola  nelle  Scimmie  platirrine 
appartenenti  alla  famiglia  dei  Cebidi  e  specialmente  nelle  specie 
dei  generi  Cebus  e  Ateles.  Se  noi  ci  facciamo  ad  esaminare  un 
certo  numero  di  cranii  di  Cebi  o  di  Ateli  con  tutta  facilità  tro- 
veremo che  il  posto  della  fontanella  frontoparietale  è  occupato 
da  un  osso  che,  specialmente  negli  Ateli,  ha  forma  romboidale 
e  che  con  un  estremo  si  insinua  tra  i  due  frontali  o  in  un'  in- 
taccatura del  frontale,  se  i  due  sonosi  fusi  in  un  sol  pezzo,  con 
l'altro  estremo  si  insinua  un  po'  tra  i  due  parietali  (fig-  16). 
Escluderlo  poi  affatto  dai  wormiani  non  si  può  tanto  facilmente, 
perchè  costante  non  è  veramente  in  alcun  Mammifero.  Credo, 
quindi,  di  non  esser  lontano  dal  vero  dicendo  che  1'  osso  fron- 
toparietale segna  il  passaggio  dalle  altre  ossa  di  sopra  a  più 
del  tegmen  cranii  dei  Mammiferi  ai  veri  wormiani.  Credo  anche 
di  non  esser  lontano  dal  vero  ammettendo  che,  fermo  ciò  che 
ho  espresso,  esso  abbia  un  po'  maggiore  dignità  dei  wormiani, 
e  questo  perchè  la  sua  presenza  non  è  un  fatto  così  acciden- 
tale come  quella  dei  wormiani,  essendo  1'  osso  istesso  comunis- 
simo nei  cranii  delle  Scimmie,  che  più  sopra  ho  rammentato.  — 
Do  un  cenno  di  qualche  altro  Mammifero,  in  cui  può  trovarsi 
r  osso  frontoparietale  (^). 

Nell'Uomo  può  trovarsi  l'osso  frontoparietale:  è  però  piut- 
tosto raro,  specie  ben  sviluppato.  Lo  conoscevano  già  gli  Autori 
antichi  e  sovente  lo  si  trova  accennato  sotto  1'  appellativo  di 
osso  antiepilettico,  perchè  fu  creduto  eroico  rimedio  nella  epilessia. 
In  oggi  va  generalmente  col  nome  di  wormiano  della  fontanella 
anteriore  e  frontale,  od  anche  col  nome  di  frontatale.  —  Nelle 
Scimmie  ho  già  detto  che  può  trovarsi  frequentemente  1'  osso 
in  quistione  e  ce  ne  danno  esempio  quasi  costante  i  Cebidi. 
Nella  fig.  16  ho  rappresentato  l'osso  frontoparietale  di  un  Ateles; 
l'osso  stesso  vedesi  in  fp:   ha  forma   romboidale  e  si  insinua 

r  ho  adottato  perchè  in  certe  Scimmie  (Cebus)  sembra  rappresentare  T  apice  jìoste- 
riore  staccato  del  frontale,  che  è  in  questi  animali  molto  prolungato  in  dietro  a  guisa 
di  cuneo,  che  si  insinua  tra  i  due  parietali. 

0)  V.  Leuckart  —  ZooL  Bruchstuche,  II;  Stuttgardt,  ISil. 


OSSA   ACCESSORIE  127 

in  avanti  in  una  intaccatura  del  frontale  fr^  intaccatura  che 
era  primitivamente  tra  i  due  frontali  dell'individuo  giovane, 
dietro  si  insinua  alquanto  trai  due  parietali,  p  a.  Anche  in  Scimmie 
di  altre  famiglie  può  trovarsi  Tosso  frontoparietale:  in  75  cranii 
esaminati,  di  Scimmie  che  non  fossero  Cebidi,  ho  trovato  due 
volte  la  presenza  del  surrammentato  osso:  una  volta  nel  cranio 
di  un  Cercopithecus  cynosurus  Geoflfr.,  una  seconda  volta  nel  cranio 
di  un  Inutis  ecandatus  Geoffr.  Tutte  e  due  le  volte  era  benissimo 
sviluppato  e  di  forma  romboidale,  avente  insomma  apparenza 
e  rapporti,  come  quello  della  fig.  16.  —  In  altri  Mammiferi  può 
trovarsi  V  osso  frontoparietale  e  talvolta  bene  sviluppato.  Nella 
fig.  17  ho  disegnato  V  osso  stesso  come  si  trova  nel  cranio  di 
uno  Sciacallo  (^):  in  essa  fr  sono  i  frontali;  pa  i  parietali;  fp 
è  l'osso  frontoparietale,  il  quale  come  T  interparietale  e  l'in- 
terparietale  accessorio  nei  Cani,  è  di  forma  quadrilatera  ed  al- 
lungato. —  Per  citare  (jualche  altro  Mammifero,  dirò  che  Ca- 
lori (-)  descrisse  e  figurò  pel  cranio  del  Pedetes  caffer  Illig.  un 
ben  sviluppato  osso  frontoparietale,  eh'  egli  chiamò  wormiano 
della  fontanella  anteriore.  Anch'  io  ho  esaminato  diversi  cranii  di 
Rosicante  ed  un  caso  di  osso  frontoparietale  ben  sviluppato  ho 
riscontrato  in  un'  Istrice.  Un  caso  ne  ho  visto  in  un  Marsupiale, 
e  taccio  di  altro  (^). 

Oltre  gli  interparietali,  gli  interparietali  accessorii  e  1'  osso 
frontoparietale,  possono  nel  cranio  dei  Mammiferi  e  specialmente 
in  quello  dell'  Uomo,  rinvenirsi  delle  piccole  ossificazioni  di  sopra 
a  più,  che  non  hanno  la  minima  costanza  né  nel  modo  di  ap- 
parire, né  nel  numero  loro.  A  questi  ossetti  accessori  si  diede 
il  nome  di  wormiani  attribuendone  la  scoperta  all'  Anatomico 
danese  Olao  WormiuSy  che  credette  nel  1611  averli  descritti  pel 
primo,  mentre  già  li  conoscevano  gli  antichi  e  Bartolemeo  Eusta- 
chio nel  secolo  precedente  a  Wormius  ne  avea  tenuto  parola.  — 
Dobbiamo  intendere  per  wormiani  quelle  ossificazioni  che  non 
hanno  né  regola,  né  costanza  alcuna  nella  apparizione  loro,  ma 
che  sono  prettamente  accidentali.  Il  luogo  di  apparizione  degli 
ossetti  wormiani   sono  di  preferenza  le  fontanelle  e  le  suture 

(')  Sa  25  cranii  esaminati,  appartenenti  ad  individui  del  genere  Canis,  ho  trovato 
una  sola  volta  V  osso  frontoparietale. 

(«)  Calori  L.  —  /n  :  Mem.  delVAcc,  d.  Se.  delV  IstiL  di  Bologna^  T.  V,  An.  1854. 
O  Non  ho  riscontrato  mai  Tobso  frontoparietale  in  15  cranii  di  gatti. 


128  S.   FICALBI 

del  tegmen  cranii:  così  compaiono  sia  nel  sito  della  fontanella 
occipitale,  e  della  frontoparietale,  sia  nel  decorso  delle  suture 
larabdoidea  (•),  biparietale,  frontoparietale.  Possono  per  di  più 
osservarsi  frequentemente  wormiani  fuori  del  tegmen  cranii  in 
altre  articolazioni  o  suture,  anche  di  ossa  cartilaginee  con  mem- 
branacee; vedonsene  spesso  nella  sutura  tempore  parietale,  nella 
sfenoparietale,  nella  sfenofrontale:  x^osì  un  wormiano  sovente 
assai  sviluppato  si  ha  nella  sutura  temporoparietale  (squamopa- 
rietale)  ora  detta,  e  gli  si  dà,  il  nome  di  crotatale;  uno  (o  più) 
può  aversi  nel  sito  della  fontanella  temporooccipitoparistale;  non 
tra  r  angolo  anteroinferiore  del  parietale  e  la  grande  ala  dello 
sfenoide,  e  gli  si  può  dare,  con  Floioer,  il  nome  di  wormiano 
epipterico.  Perfino  dentro  l'orbita  si  è  visto  la  presenza  di  un 
wormiano,  nel  punto  ove  si  incontrano  tra  loro  frontale,  etmoide, 
sfenoide.  Tra  le  ossa  della  così  detta  faccia  dell'Anatomia  umana 
sono  rarissimi  i  wormiani.  Tutto  ciò,  esclusivamente,  o  quasi, 
per  r  uomo.  Sovente  i  wormiani  sono  laminette  ossee,  le  quali 
non  corrispondono  che  o  al  solo  tavolato  interno  o  al  solo  ta- 
volato esterno  delle  ossa  craniche.  In  conclusione  i  wormiani 
sono  ossificazioni  usualmente  piccole,  che  ci  stanno  a  rappre- 
sentare punti  di  ossificazione  insoliti  e  dispersi  senza  regola. 

I  wormiani  sono  specialmente  ritrovabili  nella  specie  umana. 
Anche  le  Scimmie  possono  presentarli:  in  80  cranii  scimmieschi, 
tre  ho  visto  presentare  qualche  wormiano.  Negli  altri  Mammi- 
feri possono  esistere,  ma  rari. 

Quale  è  la  cagione  del  prodursi  dei  wormiani  ?  In  certi  casi 
non  si  può  scorgere  causa  alcuna  apprezzabile  e  bisogna  consi- 
derare la  presenza  loro  come  una  mera  accidentalità.  In  altri 
casi,  reperibili  nella  specie  umana,  è  possibile  spiegare  la  for- 
mazione e  la  presenza  di  queste  ossificazioni:  così,  in  generale 
si  è  visto  che  quando  il  contenuto  cranico  è  molto  abbondante, 
si  ha  la  formazione  di  wormiani,  quasi  che  essi  fossero  nuovi 
pezzi  che  si  aggiungono  agli  altri,  per  aumentare  la  capacità 
craniense;  nei  crani  degli  individui  idrocefalici  notasi  il  maggior 
numero  dei  wormiani.  In  certi  casi  di  accrescimento  grande  del 

(^)  Nel  Museo  di  Siena  esiste  un  cranio  di  una  pazza  nel  quale,  oltre  ad  altri 
wormiani,  ne  esistono  al  di  sopra  dell*  angolo  superiore  delP  occipitale  quattro,  con 
una  disposizione  curiosa  :  di  essi  uno  è  centrale,  triangoliforme,  gli  altri  tre  gli  stanno 
attorno,  situati  uno  per  ogni  lato  del  primo. 


ÒS8A  AOCESSORIB  129 

cranio  il  numero  dei  wormiani  sì  fa  grandissimo  (in  modo  da 
avvicinarsi  alla  cinquantina)  per  divisione  in  pezzi  delle  singole 
ossa  di  ricii  opri  mento:  così  Portai  {^)  dice  che  negli  sfiancaraeuti 
del  cranio  prodotti  da  soverchio  contenuto  le  ossa  piatte  del 
tegmen  cranii,  specie  i  parietali,  si  dividono  in  molti  frammenti 
o  wormiani,  quasi  che  il  cranio  fosse  formato  da  una  congerie 
di  queste  ossa. 

Da  tutto  quello  che  sono  venuto  dicendo,  chiaro  si  vede 
come  nel  cranio  dei  Mammiferi  confrontato  con  quello  dei  Ver- 
tebrati inferiori,  si  vengono  aggiungendo  delle  nuove  ossa  di 
ricuopri mento.  Di  queste  nuove  ossa,  alcune  sono  costanti  in 
tutti  i  Mammiferi,  eccetto  poche  eccezioni:  sono  gli  interparie- 
tali.  Altre  sono  costanti  in  un  piccol  numero  e  frequenti,  ma 
non  costanti,  nei  più:  sono  gli  interparietali  accessorii.  Altro 
osso  non  è  costante  mai,  ma  quasi  costante  in  un  certo  numero 
di  Mammiferi,  e  assai  frequente  in  altri  :  è  V  osso  frontoparietale. 
Altre  ossificazioni  infine  sono  prettamente  e  sempre  accidentali, 
per  numero,  per  modo,  e  per  sito  di  apposizione:  sono  le  ossa 
wormiane,  ritrovabili  prevalentemente  nella  specie  umana.  — 
Certo  ognuno  non  potrà  a  meno  di  riconoscere  che  esiste  una 
certa  aflSnità.  tra  le  quattro  maniere  di  ossa,  che  ho  enumerato; 
han  tutte  questo  di  comune:  che  sono  accessorie;  tuttavia  grande 
differenza  di  grado  e  di  importanza  tra  le  prime  e  le  ultime  esiste. 
Peccherebbe  ugualmente,  a  mio  credere,  colui  che  volesse  porre 
tra  le  ossa  essenziali  del  cranio  gli  interparietali,  come  colui  che 
gli  interparietali  stessi  considerasse  wormiani:  e  Tuua  e  T altra 
di  queste  pecche  furoh  dagli  Anatomici  commesse. 

Si  potrebbe  ora  chiedere  quale  possa  essere  la  cagione  che, 
nei  Mammiferi  e  precisamente  in  quelli  al  dì  sopra  degli  Orni- 
todelfi,  ha  portato  alla  formazione  delle  ossa  accessorie.  Quanto 
ai  wormiani,  abbiam  visto  che  può  contribuire  al  loro  prodursi 
r  aumentato  contenuto  cranico.  Questo  fatto  potrebbe  dar  luce 
a  spiegare  la  formazione  delle  altre  ossa  accessorie.  Fermandoci 
agli  interparietali,  che  sonò  le  ossa  accessorie  più  importanti 
e  costanti,  sarebbe  errore  il  credere  che  fossersi  formati  (e  poi 
ereditariamente  trasmessi)  nel  cranio  dei  Mammiferi  per  V  au- 
mentato volume  dell'  encefalo,  in  confronto  di  quelle  degli  altri 
Vertebrati  1 

(»)  Portai  —  Court  d*  Anat.  méd.  T.  I.  Paris,  1803. 

Se.  Nat.  Voi.  U.  faic.  !.<>  9 


ISO  B.   FICALBI 

Facendo  ora  termine,  riassumo  per  comodità  le  cose  princi- 
pali, che  sono  venuto  dimostrando  in  questo  mio  scritto. 

L  —  Nei  Vertebrati  sottostanti  ai  Mammiferi  non  si  ha 
traccia  né  di  interparietali,  né  di  altra  ossificazione  affine  (ossa 
accessorie).  Le  ossa  accessorie  sono  proprie  alla  classe  dei  Mam- 
miferi, senza  che,  però,  si  ritrovino  in  tutti. 

2.  —  Gli  interparietali  (  o  T  interparietale  ) ,  per  quanto 
siano  ossa  quasi  costanti  nei  Mammiferi,  mancano  tuttavia  nei 
Monotremi  (1)  e  nei  Snidi:  ora  questo  fatto  della  loro  mancanza 
in  alcuni  Mammiferi  ci  fa  vedere  come  gli  interparietali  stessi 
siano  ossificazioni  non  essenziali.  Infatti  nessun  altro  osso  del 
cranio  (esclusa  forse  una  eccezione  per  lo  zigomatico,  che  del 
resto  si  trova  non  solo  nei  Mammiferi,  ma  nella  grande  massa 
dei  Vertebrati)  può  mancare,  come  ho  detto  avvenire  per  gì'  in- 
terparietali nei  Snidi  (taccio  della  loro  mancanza  nei  Monotremi 
e  in  tutti  gli  altri  Vertebrati);  nessun  altro  osso  del  cranio  poi 
perde  così  facilmente  e  presto  la  propria  individualità,  come  so- 
vente fanno  gli  interparietali.  Per  concludere,  dunque,  e  senza 
andare  all'  estremo  di  Owen,  che  li  considerò  addirittura  wor- 
miani,  può  dirsi  che  gli  interparietali  sono  ossificazioni  di  fon- 
tanella, ritrovabili  in  quasi  tutti  i  gruppi  dei  Mammiferi,  ma 
non  in  tutti:  sono,  cioè,  frequentissime,  ma  non  essenziali;  e 
riflettendo  che  non  esistono  nella  grande  massa  dei  Vertebrati, 
siamo  costretti  a  riguardarli  come  ossa  di  sopra  a  più  nel  teg- 
men  cranii. 

8.  —  Negli  Equidi  abbiamo  lo  sviluppo,  nella  fontanella 
occipitoparietale,  in  via  normale  o  costante,  di  due  ossificazioni 
in  più,  oltre  i  due  parietali:  abbiamo,  cioè,  gli  interpanefali  ac- 
cessorii.  Questi  possono  frequentemente  trovarsi  in  molti  altri 
Mammiferi,  fusi  o  no  in  un  sol  pezzo.  Gli  interparietali  accessorii 
non  devono  esser  messi  nel  novero  delle  ossa  wormiane,  perchè 
sono  normali  e  costanti  negli  Equidi  e  il  fatto  della  costanza 
esclude  appunto  la  natura  vera  e  propria  di  wormiano.  Può 
dirsi  che  gli  interparietali  accessorii  sono  ossificazioni  di  fonta- 
nella molto  meno  frequenti,  considerando  la  serie  intiera  dei 
Mammiferi,  degli  interparietali  e  come  essi  e  più  d' essi  sono 
ossificazioni  di  sopra  a  più  nel  tegmen  cranii. 

4.  —  Nella  specie  umana  trovansi  talvolta  tra  squama 
occipitis  (la  quale  rappresenta  i  veri  interparietali  fusi  tra  loro 


ossi  AOGISSOBÌE  131 

e  col  sopraoccipitale)  e  parietali,  nella  situazione  della  parte  più 
anteriore  della  fontanella  occipitoparietale,  due  ossa,  od  un  osso 
solo,  presentanti  un  certo  sviluppo  e  regolarità:  i  cultori  di 
Anatomia  umana  non  hanno  di  queste  ossificazioni  interpretata 
mai  la  vera  natura,  limitandosi  a  denominarli  wormiani.  E  ra- 
gionevole invece  ritenere  che  rappresentino  gli  interparietali 
accessoria  Sì  ha,  così,  in  occasione  della  loro  presenza,  la  ri- 
petizione accidentale  neirUomo  dì  un  fatto  normale  in  certi 
Mammiferi  ad  esso  inferiori,  si  ha,  cioè,  un  caso  di  atavismo. 

6.  —  Nelle  Scimmie  dei  generi  Ateles  e  Cebus  è  un  fatto 
non  dirò  costante,  ma  frequentissimo  la  presenza,  nel  sito  della 
fontanella  anteriore,  di  un  osso  di  forma  presso  che  romboidale, 
che  è  posto  tra  i  due  frontali  (o  tra  il  frontale)  e  i  parietali: 
lo  dico  osso  frontoparietale.  Esso  può  trovarsi  nel  cranio  di  di- 
versi altri  Mammiferi,  compreso  V  Uomo.  È  un  osso  di  fonta- 
nella, che  ci  sta  a  indicare  il  passaggio  vero  tra  interparietali 
e  interparietali  accessori  con  le  ossa  wormiane.  Sta  un  po'  al 
di  sopra  delle  ossa  wormiane,  perchè  quasi  di  regola  negli  Ateli 
e  nei  Cebi,  ma  d' altra  parte  ricorda  affatto  queste  ossa,  perchè 
è  del  tutto  accidentale  negli  altri  Mammiferi  compreso  V  Uomo. 
Non  v'è  bisogno  che  dica  che  l'osso  frontoparietale  anche  in 
misura  maggiore  degli  interparietali  e  degli  interparietali  ac- 
cessorii,  è  un  osso  di  sopra  a  più  nel  tegmen  cranii. 

6.  —  Le  ossa  wormiane  sono  ossificazioni  affatto  acciden- 
tali, fuori  di  ogni  cagione  ereditaria.  Possono  nascere  in  tutti 
i  punti  del  cranio:  prevalgono  nel  tegmen.  Confrontando  i  vari 
Mammiferi  tra  loro,  si  vede  che  è  l' Uomo  quello  che  prevalente 
mente  presenta  wormiani:  possono  presentarne  anche  le  Scimmie 
(io  ho  visto  3  casi  su  80  cranii  ),  e  raramente  altri  Mammiferi. 

7.  —  Dagli  interparietali  ai  wormiani,  come  abbian  visto, 
si  va  per  gradì:  gli  interparietali  sono  comuni  a  moltissimi 
Mammìferi,  sebbene  non  a  tutti  ;  gli  interparietali  accessorii  sono 
cosa  di  regola  soltanto  in  pochi,  per  quanto  possano  apparire 
in  altri  ;  l' osso  frontoparietale  non  è  veramente  costante  in  nes- 
suna specie,  per  quanto  sia  quasi  costante  nei  Cebidi;  i  wor- 
miani infine  sono  sempre  accidentali  per  sede  per  numero  e  per 
modo  di  apparizione. 


SPIEGAZIONE    DELLE    FIGURE 


TaT.  X. 

Fig.  1.  (metà  del  naturale).  Veduta  superiore  del  cranio  di  un  embrione  di 
SU3  scrofa  L.  (alcune  ossa  che  dovrebbero  vedersi  alquanto  di  lato, 
come  gli  squamosi  età,  sono  state  trascurate),  n  a  nasali  ;  fr  fron- 
tali, tra  i  quali  è  compresa  la  sutura  bifrontale;  p  a  parietali,  tra 
i  quali  è  compresa  la  sutura  biparietale;  k  fontanella  frontoparietale  ; 
8  0  sopraoccipitale. 

>  2.  (2  volte  e  '/t  ingrandita).  Veduta  posteriore  del  cranio  di  un  embrione 

di  Numida  meleagris  L.  nell'ultima  settimana  di  incubazione,  bo 
basiocoipitale ;  eo  esoccipitali;  so  sopraoccipitale;  fo  grande  fo- 
rame occipitale;  sq  squamosi;  p  a  parietali;  fr  frontali;  z  fonta- 
nella occipitoparietofrontale. 

»  3.  (2  V.  ingr.).  Veduta  superiore  di  parte  del  cranio  di  un  Platydactylus 
mauriianicus  Gmel.  fr  frontale;  p  «/*  post  frontale  ;  pa  parietali; 
s  0  sopraoccipitale;  eo  esoccipitali;  s  q  squamosi;  b  o  basioccipitale ; 
zM  fontanella  occipitoparietale. 

»  4.  (V4  di  volta  ingr.).  Veduta  superiore  di  parte  del  cranio  di  un  !ZVopt- 
donotus  natrioo  Wagler.  pa  parietale  ;  p  «/*  postfron  tale;  prò  pro- 
otico  ;  e  0  esoccipitali  ;  s  0  sopraoccipitale. 

>  5.  (4  V.  ingr.).  Veduta  superiore  di  parte  del  cranio  di  un  Siphonops  in- 

siinctus  Wagl.  fr  frontali  ;  p  a  parietali  ;  e  0  esoccipitali,  di  cui  cia- 
scuno mostra  un  condilo  articolare,  co, 

>  6.  (2  V.  mgr.)  Veduta  superiore  di  parte  del  cranio  di  una  Rana  esculenta 

L.  fp  osso  frontoparietale;  prò  il  prootico  destro;  eo  esoccipitali, 
col  condilo  e  0;  fo  foro  occipitale,  z  spazio  non  ossifìcato  al  di  dietro 
del  frontoparietale. 

>  7.  (metà  del  vero).  Veduta  superiore  di  porzione   del   cranio  di  un  Ssox 

Lucios  L.  fr  frontali; p a  parietali;  ep  epiotici;  so  sopraoccipitale. 

>  8.  (quasi  al  vero).  Veduta   posteriore    del   cranio  di  un  embrione  di  Sus 

scrofa  L.  fr  frontali  ;  p  a  parietali;  h  fontanella  frontoparietale  ;  s  q 


I 

I 


133 

squamoso;  p  periotico  shiistro;  eo  esoccipitale  col  condilo  co;  ho 
basioccipitale ;  fo  forame  occipitale;  so  sopraoccipìtale ;  x  tessuto 
non  ossificato  tra  sopraoccipìtale  e  parte  superiore  del  gran  foro. 
Fig.  9.  (metÀ  del  vero).  Veduta  superiore  della  parte  posteriore  del  cranio  di 
un  giovane  Cane  (gli  squamosi  sono  stati  trascurati),  fr  frontali; 
p a  parietali  ;  t  o  sopraoccipitale  ]int  interparietale. 
»  10.  (grand,  naturale).  Veduta  posteriore  del  cranio  di  un  embrione  di  pe- 
cora lungo,  dalla  fronte  all'origine  della  coda,  centm.  18  (non  sono 
stati  disegnati  gli  squamosi  e  i  periotici).  fr  frontali  ;  p  a  parietali  ; 
k  fontanella  frontoparietale ;  so  sopraoccipitale;  inti  due  interpa- 
rietali;  eo  esoccipitali  coi  condili,  co;  ho  basioccipitale;  fo  foro 
occipitale;  x  tessuto  non  ossificato  tra  sopraoccipitale  e  parte  supe- 
riore del  gran  foro. 

>  11.  (V^  del  vero).  Veduta  posteriore  di  un  cranio  umano,  p a  parietali;  te 

temporali;  oc  occipitale;  ini  interparietale. 

>  12  (^  del  vero).  Veduta  posteriore  di  un  cranio  umano,  p a  parietali;  te 

temporali;  oc  occipitale;  t n ^ T interparietale  dèstro,  che  solo  è  ri- 
masto distinto,  essendosi  il  sinistro  fuso  col  sopraoccipitale. 

>  13.  Interparietale  ed  interparietali  accessorii    di    un   embrione  di  Cavallo 

lungo  dalla  fronte  ali*  origine  della  coda  centm.  46  circa  (grand,  na- 
turale), so  limite  superiore  del  sopraoccipitale;  pa  limite  intemo 
dei  parietali;  ip  osso  interparietale,  in  cui  si  vede  sempre  T accenno 
della  primitiva  doppiezza;  tp  a  interparietali  accessorii. 

>  1 4.  Occipitale  di  un  feto  umano  a  termine,  con  gli  interparietali  accessorii 

(%  del  naturale),  bo  basioccipitale;  eo  esoccipitali;  « o  sopraoccipi- 
tale; tp  interparietali,  fusi  già  in  parte  tra  loro  e  col  sopraoccipi- 
tale; ipa  interparietali  accessorii. 
»  15.  (Va  del  vero).  Veduta  superiore  della  parte  posteriore  del  cranio  di  un 
Cane  (gli  squamosi  sono  stati  trascurati). /*r  frontali  ;  p  a  parietali  ; 
so  sopraoccipitale;  tp  interparietale;  ia  interparietale  accessorio. 

>  16.  (grand,  nat.)   Osso  frontoparietale  in  un   Ateles  variegaius   Natterer. 

fr  frontale;  p a  parietali;  sfp  sutura  frontoparietale;  sp  sutura  bi- 
parìetale  ;  fp  osso  frontoparietale. 

>  17.  (grand,  nat.)  Os^o  frontoparietale  in  un  Canis  mesomelas   Scbreb.  fr 

frontali;  pa  parietali;  «/*  sutura  bìfrontale;  sp  sutura  biparietale; 
sfp  satura  frontoparietale;  fp  osso  frontoparietale. 


SULLE  DIVERSE  FORME 


OHI 


S  IH  PABTIOOLAB  MODO 

SULLE  FORME  CHE  ASSUMONO  IL  GHLVCGIO  E  I  SALI 
NELL'ACQUA,  I  CORPI  ATTACCATI  DAL  LIQUIDO 
CHE  LI  CIRCONDA  E  GLI  ELETTRODI  POSITIVI  DI 
METALLO  OPPUR  DI  CARBONE 

S  fULLA  NOTRTOLB 

INFLUENZA  DKLL^OSSIGENO  DELL^ARIA  IN  QUESTE  ULTIME  AZIONI 


MEMORIA 

DI  A.  BARTOLI  E  G.  PAPASOGLI 


L  —  Ogni  volta  che  abbiamo  elettrolizzato  oei  nostri 
precedenti  studi,  dei  liquidi  acidi,  alcalini  e  neutri  usando  ])er 
elettrodo  positivo  della  grafite,  o  del  carbon  di  storta  o  d'  altia 
specie  osservammo  che  V  elettrodo  prendeva  delle  forme  diverse 
secondo  la  natura  deir  elettrolite  in  cui  stava  immerso. 

Ci  occupammo  di  un  tal  fatto  in  una  nota  assai  dettagliata 
pubblicata  nel  1883  col  titolo:  *  Nuova  Contribuzione  alla  istoria 
del  Carbonio  „  negli  atti  della  società  toscana  di  Scienze  Naturali 
ed  alla  qual  nota  aggiungemmo  due  tavole  per  maggior  chia- 
rezza (*). 

Torniamo  oggi  sullo  stesso  argomento,  cioè  sulla  forma  che 
vari  corpi  solidi  assumono  nello  sciogliersi  in  liquidi  di  varia 
natura  tanto  che  essi  corpi  siano  semplicemente  immersi  in  li- 
quidi attivi  0  no  quanto  che  vengano  percorsi  da  corrente  elettrica. 

(0  Così  fpure  una  tavola  con  le  figure  del  carbone  che  ha  servito  da  elettrodo 
positivo  la  inserimmo  nella  Gazzetta  Chimica  e  nel  Nuovo  Cimento  anni  1881-82. 


SULLB  DIVERSE  FORME  CHE  PRENDONO  I  CORPI  NEL  DISGIOOIJERSI  EC.      185 

Con  queste  ricerche  abbiamo  voluto  spiegare  quel  fenomeno 
che  continuamente  si  ripete  quando  un  corpo  solido  stando  im- 
merso in  un  liquido  in  quiete,  è  maggiormente  consumato,  nella 
pluralità  dei  casi,  nel  punto  d^  affioramento  che  nella  parte  im- 
mersa. 

n.  —  Sperimentammo  in  primo  luogo  col  ghiaccio,  come 
il  caso  il  più  semplice,  nel  quale  un  corpo  solido  si  scioglie  in 
un  liquido  della  medesima  natura.  Procurammo  che  la  tempe- 
ratura della  massa  liquida  non  fosse  variata  sensibilmente  dal 
ghiaccio,  che  vi  si  fondeva,  adoperammo  perciò  una  massa 
d' acqua  molto  maggiore  relativamente  a  quella  del  ghiaccio  che 
vi  si  immergeva.  Il  liquido  era  tenuto  nella  massima  quiete  ed 
in  una  grandissima  vasca  di  vetro. 

Quando  un  cilindro  di  ghiaccio  dell'  altezza  di  16  o  20  cm.^ 
e  del  diametro  di  circa  6  cm.  tenuto  fermo  alla  parte  superiore 
viene  immerso  per  metà  in  una  grande  massa  d^  acqua  portata 
alla  temperatura  di  OO^'C,  in  pochi  minuti  la  parte  immersa 
si  fonde,  come  pure  si  fonde  una  piccola  parte  di  quella  emersa 
in  modo  che  quest'  ultima  resta  sollevata  dalla  superficie  del- 
l' acqua  mantenendo  la  base  quasi  piana.  F.  I. 

Se  la  temperatura  dell'  acqua  s'  abbassa  aumenta  per  con- 
seguenza il  tempo  necessario  perchè  la  parte  immersa  si  fonda 
ed  il  cilindro  acquista  la  figura  di  due  coni  saldati  fra  loro  ai 
vertici,  ed  intanto  che  T  inferiore  va  sollecitamente  distruggen- 
dosi il  superiore  si  fa  sempre  più  marcato.  F.  II. 

La  causa  per  cui  la  parte  emersa  prende  la  forma  di  un 
cono  rovesciato  dipende  dai  vapori  acquei  che  s' inalzano  dalla 
superficie  del  liquido,  come  la  sua  forma  più  o  meno  acuminata 
dipende  dal  tempo  maggiore  o  minore  che  vi  sta  in  contatto. 

Quando  poi  la  temperatura  dell'  acqua  scende  fra  i  60*— 20*C 
allora  la  forma  della  parte  emersa  del  ghiaccio  appena  si  mo- 
difica, e  Y  immersa  si  fonde  mantenendo  sempre  la  forma  cilin- 
drica e  la  fusione  progredisce  uniformemente  sì  in  basso  come 
lateralmente  F.  III. 

Abbassando  sempre  più  la  temperatura  20* — 10"  C,  la  forma 
cambia  ed  il  cilindro  di  ghiaccio  immerso  assume  quella  di  una 
goccia  più  0  meno  grossa  secondo  il  grado  di  temperatura  del- 
l'acqua,  e  nel  punto  di  affioramento  avviene  il  maggior  con- 
sumo, di  maniera  che  la  parte  immersa  si  stacca  dalla  emersa. 


1  86  A.  BABTOLI   E   G.  PAPAS06LI 

Pia  bassa  che  è  la  temperatura  dell'  acqua,  non  inferiore  però 
ai  &"*  C,  più  grosso  è  il  pezzo  che  si  separa,  ma  questa  separa- 
zione avviene  più  lentamente.  Così  mentre  un  cilindro  del  dia- 
metro di  7  cm.  immerso  neir  acqua  a  20'  C  è  diviso  nel  punto 
di  affioramento  in  15  minuti,  quando  la  tempreratura  si  abbassa 
a  10*  C  il  tempo  cresce  fino  a  40  minuti,  P.  IV. 

Nei  casi  precedenti  la  forma  che  prende  il  cilindro  immerso 
dipende  dal  prodursi,  nell'acqua  intorno  alla  superficie  di  contatto, 
una  corrente  fredda  discendente  a  causa  della  maggiore  densità, 
acquistata  dall'  acqua  che  lo  circonda  e  che  ne  trattiene  la  fu- 
sione, mentre  a  distanza  formasi  uno  corrente  calda  ascendente, 
che  investendo  il  ghiaccio  nel  punto  di  affioramento  ne  accelera 
in  quel  punto  stesso  la  liquefazione  e  produce  la  strozzatura: 
formansi  cioè  nel  liquido  dei  moti  convettivi. 

Se  in  luogo  di  un  cilindro  si  sperimenta  con  un  cubo  di 
ghiaccio  facendo  in  modo  che  questo  stia  completamente  im- 
merso nel  centro  di  una  massa  considerevole  d'  acqua,  si  osserva 
che  se  la  temperatura  è  superiore  ai  4^  C  la  figura  che  va  ac- 
quistando è  quella  di  una  mezza  sfera  con  la  curvatura  in  alto 
se  poi  è  inferiore  ai  4*  C  il  ghiaccio  acquista  la  stessa  forma 
ma  rovesciata  F.  V. 

Sperimentando  in  seguito  con  acqua  alla  temperatura  di  4*  C, 
cioè  nel  caso  della  sua  massima  densità,  il  cilindro  di  ghiaccio 
si  fonde  in  basso,  per  cui  nel  fondersi  genera  dell'  acqua  meno 
densa  e  più  fredda  (la  temperatura  oscillava  fra  1** — 2°  C),  la 
quale  nel  salire  in  alto  lambendo  la  superficie  del  ghiaccio  ri- 
chiama dietro  a  sé  quella  più  densa  e  più  calda,  ciò  che  deter- 
mina una  fusione  maggiore  in  basso  che  in  alto.  F.  VI. 

Ripetendo  le  medesime  esperienze  con  acqua  nella  quale  era 
stato  sciolto  tanto  cloruro  di  sodio  da  renderla  presso  che  della 
densità  dell'  acqua  di  mare  (36—40  gr.  ®7oo)  osservammo  che 
il  ghiaccio  immei*so  acquista  la  forma  rappresentata  con  la  F.  VI, 
perchè  V  acqua  prodotta  dalla  sua  fusione  è  sempre  meno  densa 
dell'  acqua  in  cui  sta  immerso,  e  conseguentemente  produce  una 
corrente  ascendente  intorno  al  ghiaccio  immerso.  Però  se  la 
temperatura  dell'  acqua  salata  era  sotto  4**  C  allora  l' acqua  della 
corrente  ascendente  arrivata  alla  superficie  si  gelava  di  nuovo 
formando  un  largo  collare  rilevato  intorno  al  cilindro  di  ghiac- 
cio, F.  vn^ 


SUCLS  DIYEBSE  FORME  CHE  PRENDONO  I  CORPI  NBL  DISCIOLIERSI  EC.       187 

Questo  fatto  spiega  il  meccanismo  con  cui  i  massi  di  ghiaccio 
galleggianti  in  mare  si  saldano  fra  di  loro  con  tanta  facilità, 
e  prova  ne  sia  che  posti  due  cilindri  fra  di  loro  distanti  1  cm. 
bentosto  formarono  un  sol  pezzo. 

ni.  —  Il  cloruro  ammonico  foggiato  in  cilindri,  il  sai 
gemma,  il  carbonato  sodico,  V  idrato  potassico,  quello  sodico 
come  pure  i  grossi  cristalli  di  solfato  di  rame  quando  sono  in 
parte  immersi  neir  acqua  distillata  assumono  una  sola  forma 
più  o  meno  marcata  secondo  il  tempo  che  stanno  immersi  e  la 
temperatura  deir  acqua;  formasi  cioè  una  strozzatura  nel  punto 
d*  affioramento  che  aumenta  rapidamente  tanto  da  separare  la 
parte  emersa  dalla  immersa. 

La  strozzatura  avviene  perchè  appena  s' immerge  nàir  acqua 
un  corpo  solubile  in  essa  una  certa  quantità  del  corpo  solido 
si  scioglie  neir  acqua  che  lo  circonda  e  queste  aumentando  di 
densità  scende  in  basso  lungo  il  corpo  stesso  difendendolo  dal- 
r  acqua  meno  densa  circostante  che  viene  allontanata  e  spinta 
in  alto.  Questa  a  sua  volta  venendo  in  contatto  all'affioramento 
col  corpo,  ne  scioglie  una  certa  quantità  e  scende  essa  pure  in 
basso  lambendo  il  corpo:  ripetendosi  più  e  più  volte  questo 
fatto  si  produce  la  strozzatura:  la  causa  poi  della  forma  conica 
che  assume  la  parte  immersa  facilmente  si  capisce  riflettendo 
che  r  acqua  che  circonda  il  corpo  solubile  essendo  meno  satura 
in  alto  che  in  basso  scioglierà  neir  unità  di  tempo,  maggior 
quantità  del  corpo  nella  parte  superiore  immersa  che  nella  in- 
feriore, oltreché  vi  saranno  le  correnti  discendenti  ec. 

Se  poi  8*  immerge  nel  centro  di  una  grande  vasca  d'  acqua 
un  cubo  di  sai  gemma,  o  di  allume,  o  di  solfato  di  rame  o  di 
cloruro  ammonico,  in  modo  che  la  sua  base  sia  orizzontale  so- 
spendendolo per  un  filo,  dopo  breve  tiompo  il  cubo  si  consuma, 
prendendo  una  forma  che  si  avvicina  a  quella  di  una  semisfera, 
con  le  convessità  in  alto.  Invece  se  si  adopera  un  cubo  di  ghiac- 
cio, in  una  soluzione  salina,  il  dado  prende  ancora  la  forma  di 
semisfera  ma  con  la  convessità  rivolta  in  basso.  F.  V. 

Impiegando  poi  dei  cilindri  fusibili,  come  di  cera,  di  stearina, 
di  spermaceti,  di  paraffina,  di  sego  e  dei  dadi  delle  stesse  so- 
stanze immerse  in  una  vasca  piena  d' acqua  calda,  si  otteneva 
un  consumo  simile  a  quello  del  ghiaccio  nelle  soluzioni  di  acqua 
salata  F.  VII,  dacché  appunto  il  liquido  proveniente  dalla  fusione 


i 


138  A.  BABTOLI   E   6.  PAPÀSOGLI 

di  quelle  sostanze  saliva  in  alto.  Invece  un  cilindro  di  paraf- 
fina, o  un  dado  di  paraflana,  negli  olii  leggieri  del  petrolio  si 
discioglie  prendendo  le  forme  dei  sali  neir  acqua,  a  causa  della 
mag^iiore  densità,  della  paraflBna.  F.  Ili  e  IV. 

Ciò  che  abbiamo  detto  sin  qui  si  riferisce  al  caso  delle  sem- 
plici soluzioni,  nel  caso  poi  di  solidj,  che  reagiscono  chimica- 
mente con  i  liquidi  nei  quali  vengono  immersi  facemmo  le  se- 
guenti osservazioni. 

IV.  —  Consumo  di  un  cilindro  attaccato  da  un  liquido.  —  Im- 
mergendo un  cilindro  di  carbonato  di  calcio  in  una  soluzione 
diluita  di  acido  cloridrico  il  cilindro  prende  una  forma  simile  a 
quella  rappresentata  dalla  figura  (F.  Vili)  che  varia  però  se  la 
soluzione  acida  è  un  po'  concentrata.  Se  lo  sviluppo  è  debole  si 
forma  nel  punto  d'  aflaoraraento  una  strozzatura  marcata  e  la 
parte  immersa  prende  la  forma  conica  a  motivo  delle  correnti 
ascendenti  e  discendenti  che  si  formano,  se  poi  lo  sviluppo 
è  vivace  allora  si  osserva  un  solco  profondo  circolare  nel  punto 
d' aflaoramento  e  la  parte  immersa  prende  la  forma  di  un  cono 
rovesciato.  F.  IX.  In  questo  caso  dunque  il  massimo  consumo 
avviene  in  alto  ed  al  basso  mentre  nel  centro  è  assai  minore. 

Ciò  dipende  dallo  sviluppo  gassoso  che  determina  una  cor- 
rente ascendenle  che  incontra  la  discendente  determinata  dalla 
maggiore  densità  acquistata  dalla  soluzione  acida  per  il  cloruro 
calcico  disciolto:  formasi  dunque  nel  centro  uno  strato  di  un 
liquido  più  denso  che  agli  estremi,  e  la  parte  del  cilindro  im- 
merso prende  la  forma  di  due  coni  saldati  fra  loro  per  la  base. 

Lo  stesso  avviene  per  lo  zinco,  il  ferro  e  tutti  quei  metalli 
attaccati  dalle  soluzioni  nelle  quali  s' immergono,  il  loro  con- 
sumo è  maggiore  nel  punto  d'  aflaoramento. 

V.  —  Azione  dell'  aria.  —  In  questo  caso  però  un'  altra 
causa  concorre  a  far  sì  che  all'  aflBoramento  avvenga  la  stroz- 
zatura e  quindi  la  separazione  della  parte  emersa  dalla  immersa. 

Di  sovente  s'osserva  che  alcuni  metalli  (specialmente  il  rame) 
immersi  in  parte  in  un  liquido  inattivo,  col  tempo  vengon  cor- 
rosi nel  punto  in  cui  toccano  la  superficie  del  liquido.  La  causa 
di  questo  fenomeno  dipende  dall'ossigeno  atmosferico. 

Per  provare  ciò  eseguimmo  le  seguenti  esperienze  S' immerse 
in  parte  nell'  acido  solforico  diluito  un  cilindro  di  rame  del  dia- 
metro di  5  mm.,  (a  freddo  l'acido  solforico  diluito  non  attacca  il 


i 


SULLE  DIYSBSE  FORME  CHE  PRENDONO  I  CORPI  NEL  DISCIOOUERSI  EC.       1 39 

rame),  e  per  prova  di  confronto  mettemmo  un  egual  cilindro  di 
rame  nelle  stesse  identiche  condizioni  del  primo  con  la  diffe- 
renza che  al  liquido  acido  sovrapponemmo  uno  strato  di  pe- 
trolio rettificato  alto  3  cm. 

Passò  un  mese  senza  che  si  potesse  osservare  alcun  fenomeno 
nei  due  saggi;  in  seguito  osservammo  che  il  liquido  del  primo 
saggio  aveva  preso  un  leggero  colore  bluastro  mentre  quello 
del  secondo  saggio  era  incoloro.  Passato  il  secondo  mese  si  for- 
marono dei  minuti  cristalli  di  solfato  di  rame  sul  cilindro  del 
primo  saggio,  che  stavano  attaccati  pochi  millimetri  sopra  alla 
linea  d^  affioramento;  quei  cristalli  col  tempo  aumentarono  di 
numero  e  di  grossezza  tanto  da  ricuoprire  tutta  la  parte  emersa 
del  cilindro  di  rame,  mentre  che  il  cilindro  di  rame  del  secondo 
saggio  rimase  terso  e  di  grossezza  uniforme  come  vi  fu  messo. 
Alla  fine  del  quarto  mese  il  rame  del  primo  saggio  mentre  man- 
teneva la  sua  forma  cilindrica,  nella  linea  d^  affioramento  pre- 
sentava un  profondo  solco  circolare  F.  X.  Gli  stessi  risultati  si 
ottennero  con  cilindri  di  piombo  entro  soluzioni  diluite  di  acido 
acetico,  si  trovò  dopo  varii  mesi  attaccato  il  piombo  nella  boc- 
cia dove  avevd.  accesso  Taria;  mentre  neir  altra  boccia  nella 
cui  parte  superiore  avevamo  prodotto  una  atmosfera  di  gas  il- 
luminante, 0  dove  si  era  messo  uno  strato  di  petrolio,  il  piombo 
non  si  trovò  affatto  attaccato. 

La  causa  di  questi  fenomeni  è  evidentemente  dovuta  al- 
r  azione  dell'  ossigeno  atmosferico. 

VI.  —  Consumo  di  un  elettrodo  cilindrico.  —  Un  cilindro 
verticale  di  rame  impiegato  come  elettrodo  positivo  entro  una 
larga  vasca  contenente  una  soluzione  satura  di  solfato  di  rame, 
mentre  V  altro  elettrodo  è  una  larga  lamina  di  rame  che  forma 
la  superficie  di  un  cilindro  di  un  decimetro  e  più  di  raggio,  di 
cui  il  primo  cilindro  è  V  asse,  non  si  consuma  regolarmente, 
ma  prende  dopo  un  certo  tempo  la  forma  della  fig.  XI,  e  final- 
mente dopo  un  tempo  più  o  meno  lungo,  dipendente  dalla  in- 
tensità della  corrente  e  dalla  superficie  (dell'  elettrodo  positivo 
esso  si  stacca  completamente  nel  punto  dove  il  cilindro  era 
toccato  dalla  superficie  della  soluzione  di  solfato  di  rame. 

L'esperienza  fu  ripetuta  diverse  volte  con  cilindri  di  varie  gros- 
sezze, e  correnti  di  diversa  forza,  sempre  i  cilindri  si  trovarono 
spezzati  lungo  la  linea  che  separa  il  liquido  dall'aria  sovrastante. 


140  A.  BARTOLl   I   6.  PÀPAS06LI 

Se  invece  sì  toglie  il  cilindro  qualche  tempo  prima  che  si 
spezzi,  si  osserva  Inngo  la  linea  in  cui  affiora  neir  acqua,  un 
profondo  solco,  indizio  di  un  forte  consumo  in  quel  punto:  men- 
tre nelle  parti  immerse  nel  liquido  il  consumo  è  rimasto  rego- 
lare ed  il  pezzo  serba  la  forma  di  cilindro. 

Gli  stessi  resultati  abbiamo  ottenuti  con  cilindri  di  piombo 
elettrodi  positivi  in  una  soluzione  di  acetato  di  piombo,  e  con 
cilindri  di  ferro  in  una  soluzione  di  solfato  ferroso:  col  ferro 
però  il  consumo  è  meno  regolare  ed  il  solco  profondo  ma  meno 
circolare. 

Quale  è  la  causa  dì  tale  singolare  fenomeno? 

Molte  esperienze  ci  provarono  che  il  fenomeno  è  dovuto  al- 
l' aria  che  sovrasta  al  liquido;  V  aria  interviene  coir  ossidazione 
sulV  elettrodo,  in  quelle  parti  che  sono  in  vicinanza  del  liquido 
e  perciò  sempre  un  po'  bagnate  da  questo. 

Infatti  coi  metalli  poco  ossidabili,  come  un  cilindro  d'ar- 
gento chimicamente  puro,  impiegato  come  elettrodo  positivo  in 
una  soluzione  di  nitrato  d'  argento  non  dà  luogo  allo  stesso 
fenomeno;  invece  l'argento  si  consuma  quasi  regolarmente  nella 
parte  immersa,  vedi  fig.*  XII.  Questa  esperienza  coli'  argento  è 
stata  da  noi  ripetuta  le  centinaia  di  volte,  nell'  occasione  di  de- 
terminare la  costante  di  una  bussola  o  di  un  galvanometro. 
Come  r  argento  si  comporta  pure  il  platino,  ecc. 

Abbiamo  poi  ripetute  1'  esperienze  precedenti  con  cilindri  di 
rame,  avendo  cura  di  versare  lentamente  suU'  elettrolite  appena 
cominciata  l' elettrolisi,  uno  strato  di  petrolio  alto  5  a  10  mil- 
limetri: in  tal  caso  il  cilindro  di  rame  si  consumò  regolarissi- 
mamente nella  parte  immersa  per  modo  che  arrestata  l'elettro- 
lisi ad  un  certo  punto,  1'  elettrodo  di  rame  aveva  la  forma  di 
diverso  diametro,  aventi  l'asse  a  comune:  il  cilindro  più  pic- 
colo s' intende,  corrispondeva  alla  parte  immersa:  nemmeno  con 
una  lente  potemmo  scorgere  ver  un  solco  lungo  la  linea  di  se- 
parazione dell'  elettrolite  dal  petrolio. 

Abbiamo  eseguite  anche  le  esperienze  seguenti:  il  cilindro 
di  rame  elettrodo  positivo  penetra  verticalmente  traverso  un 
tappo  entro  una  campana  tubulata  e  rovesciata  piena  di  una 
soluzione  satura  di  solfato  di  rame;  1'  elettrodo  negativo  essendo 
al  solito  una  lamina  di  rame  aderente  alle  pareti  laterali  della 
campana:  anche  in  questo  caso  il  cilindro  di  rame  tutto  im* 
morso  nel  liquido,  si  consumò  regolarmente. 


k 


SULLE  DimSE  FORME  CHE  PRENDONO  I  CORFI  NEL  PISCIOOLIERSI  BC*     141 

Non  vi  è  dunque  dubbio  che  il  fenomeno  del  consumo  del 
rame,  etc.  lungo  la  linea  d' immersione,  non  sia  dovuto  che 
air  azione  dell'  aria  e  propriamente  dell'  ossigeno  dell'  aria 
atmosferica  {^). 

Vii.  —  Consumo  degli  elettrodi  positivi  di  carbone.  —  L' azione 
dell'  aria  spiega  anche  ì  fatti  che  seguono,  i  quali  sono  collegati 
coi  precedenti. 

Le  soluzioni  acquose  concentrate  dei  cloruri  molto  solubili, 
come  il  cloruro  di  calcio,  di  sodio  ecc.,  elettrolizzate  danno  al 
polo  positivo  del  cloro  senza  ossigeno  :  se  l' elettrolisi  si  fa  con 
un  elettrodo  positivo  di  carbone,  il  quale  sia  tutto  immerso 
nella  soluzione  dello  elettrolite  (come  avviene  nei  voltametri 
Hoffmann)  allora  1'  elettrodo  può  servire  indefinitamente  allo 
sviluppo  del  cloro,  senza  che  esso  mai  si  alteri.  Ma  se  invece 
r  elettrodo,  sia  grafite,  carbon  di  storta,  o  carbon  di  legno,  pesca 
nel  liquido  per  una  certa  porzione  mentre  l'altra  emerge  nel- 
l'aria atmosferica  sovrastante,  allora  abbiamo  sempre  osservato 
che  in  capo  a  pochi  dì  il  carbone  sì  consuma  lungo  la  linea  che 
separa  l' aria  dal  liquido.  È  questo  fatto  che  abbiamo  sempre 
osservato  non  solo  nell'  elettrolisi  delle  soluzioni  concentrate  dei 
cloruri,  ma  eziandio  dei  bromuri  e  degli  ioduri,  e  il  fatto  fu  da 
noi  accennato  nella  nostra  memoria  sulle  Elettrolisi  delle  solu- 
zioni dei  cloruri,  bromuri,  ioduri  pubblicata  nel  Nuovo  Cimento 
di  Pisa,  e  nella  Gazzetta  Chimica  di  Palermo  nel  1882. 

La  causa  del  fenomeno  è  chiaramente  dovuta  all'  ossìgeno 
atmosferico,  sebbene  per  ora  non  sia  facile  interpretare  chiara- 
mente il  meccanismo  delle  reazioni  per  le  quali  1'  ossigeno  fa 
consumare  il  carbone:  ed  infatti  un  grosso  strato  di  petrolio 
sovrapposto  al  liquido  basta  ad  impedire  il  consumo  dell'  elet- 
trodo di  carbone,  e  così  pure  basta  a  impedirlo  la  disposizione 
sopra  descritta  nella  quale  l' elettrodo  penetra  dal  basso  all'  alto 
per  mezzo  di  un  tappo  di  gomma  entro  una  campana  tubulata 
e  rovesciata,  piena  dell'  elettrolite  (*). 

Notiamo  infine  che  alla  stessa  causa  si  deve  se  nell'  elettrolisi 
delle  soluzioni  acide  e  saline  in   generale  il  carbone  elettrodo 

(*)  Varie  di  queste  esperienze  elettrolitiche  farono  per  incarico  nostro  fatte  quat- 
tro anni  or  sono  deir  egregio  dottore  Paolo  Guasti,  che  qui  pubblicamente  ringraziamo. 

(*)  È  facile  comprendere,  che  per  tali  esperienze   andarono  chilogrammi  di  ciò* 
rari,  bromuri,  ioduri,  ecc. 


142  A.  BABTOLI  8  G.  PAPASOOU  —  SUU<E  DlYKBSB  FORMI  BC. 

positivo  si  consuma  il  più  delle  volte,  lungo  la  linea  che  separa 
r  elettrolite  dall'  aria.  È  un  fatto  questo  che  noi  abbiamo  os- 
servato spesso:  ma  in  tal  caso  il  fenomeno  si  complica  a  causa 
del  movimento  delle  bolle  di  gas,  che  si  svolgono  più  o  meno 
rapidamente  dal  carbone  elettrodo  positivo.  È  con  questi  movi- 
menti gassosi  e  coi  movimenti  prodotti  dalle  soluzioni  di  acido 
mellico  discendenti  nell'acqua  e  sollevantesi  nelle  soluzioni  alca- 
line che  si  spiegano  le  diverse  forme  che  prendono  gli  elettrodi 
positivi  entro  quei  diversi  elettroliti. 

Vin.  —  Non  possiamo  qui  riassumere  le  pagine  precedenti, 
perchè  la  nostra  memoria  è  scritta  così  laconicamente  che  non 
ci  pare  se  ne  possa  levare  un  periodo,  senza  oscurare  la  chia- 
rezza di  qualche  fatto  importante,  e  senza  rompere  la  connes- 
sione fra  i  fenomeni  che  vi  abbiamo  descritti. 


Dal  Oabinetto  di  Fisica  dell'  Istituto 
Tecnico  di  Firenze 


2  Gennaio  1885. 


DOTI.  GIUSEPPE  RISTORI 


CONTRIBOTO  ALLA  PLORA  FOSSILE 


DEL 


VALDARNO    SUPERIORE 


La  Flora  fossile  del  pliocene  lacustre  del  Valdarno  superiore 
era  fino  ad  ora  conosciuta  per  ì  pregevolissimi  studi  di  Carlo 
(Jaudin,  i  quali  servirono  ad  illustrare  le  flore  fossili  dei  depositi 
pliocenici  ed  anche  post-pliocenici  di  molte  fra  le  località  to- 
scane ove  sì  possono  raccogliere  impronte  di  filli  ti  fossili  e  resti 
di  vegetali  fossilizzati. 

Il  dotto  Paleofitologo  studiò,  in  special  modo  le  raccolte  del 
March.  Carlo  Strozzi,  le  quali  erano  per  la  maggior  parte  co- 
stituite di  finiti  provenienti  dalle  così  dette  argille  arse  che  nel 
superiore  Valdarno,  involgono  i  noti  depositi  di  Piligno  dei  din- 
torni di  Castelnuovo  e  di  Gaville. 

Alcuni  studi  fatti  per  mia  particolare  istruzione,  sulle  for- 
mazioni lacustri  di  quel  bacino  pliocenico,  fecero  sì,  che  io  mi 
imbattesse  in  nuovi  depositi  argillosi  contenenti  abbondanti 
resti  di  vegetali  fossilizzati  e  impronte  di  foglie.  Le  nuove  località, 
nelle  quali  potei  raccogliere  un  numero  ragguardevole  di  esem- 
plari di  finiti  fossili,  sono  quelle  della  Foresta  e  del  Chiuso  am- 
bedue poco  distanti  dalla  terra  di  Figline  al  contrario  assai 
lontane  da  Castelnuovo  e  da  Gaville  da  dove  trasse  lo  Strozzi 
le  sue  pregevoli  raccolte.  Ebbi  poi  occasione  di  avere  fra  mano 


144  e.  BiSTOBi 

la  collezione  di  fili  iti  appartenente  al  Museo  Geologico  e  Pa- 
leontologico di  Firenze,  e  quella  del  Museo  dell'  Accademia  del 
Poggio  residente  in  Montevarchi  i  numerosi  esemplari,  delle  quali 
in  parte  provengono  da  Gaville  in  parte  da  Castelnuovo  (Zona  delle 
Ligniti)  ma  i  più  sono  di  una  località  poco  distante  da  S.  Giovanni 
valdarno  denominata  il  Fratello.  Da  tutto  questo  insieme  di 
materiali  potei  facilmente  accorgermi,  come  una  parte  di  quelli 
esemplari  appartenessero  a  specie  di  piante,  che  il  Gaudin  non 
aveva  indicate  come  rinvenute  nel  Valdarno  superiore;  mentre 
un'  altra,  e  questa  era  la  più  ragguardevole,  confermava  V  esi- 
stenza, anche  nelle  nuove  località  suindicate  del  Valdarno,  delle 
specie  descritte  e  figurate  dal  prelodato  Paleofitologo.  Questo  fatto 
mi  invogliò  ad  imprendere  lo  studio  tanto  degli  esemplari  del  Mu- 
seo fiorentino,  che  furono  dal  Prof.  Cesare  D'Ancona  gentilmente 
posti  a  mìa  disposizione,  quanto  di  quelli  da  me  stesso  raccolti 
e  dei  non  pochi  posseduti  dal  Museo  di  Montevarchi.  Postomi 
all'opera  non  senza  conoscere  le  diflBcoltk  di  un  simile  studio  e 
r  incertezza,  che  sempre  regna  nelle  generiche  e  specifiche  deter- 
minazioni, e  che  tutti  i  Paleofitologi  hanno  dovuto  confessare, 
per  esser  quelle  spesso  fondate  su  una  sola  impronta  di  foglia, 
su  di  un  frammento  di  essa,  oppure  sul  solo  frutto  o  su  altro 
esiguo  resto  della  pianta;  ben  presto  mi  accorsi  del  mio  non 
facile  compito.  Ad  onta  di  ciò  studiai  colla  massima  diligenza 
e  dopo  del  tempo  potei  convincermi  di  non  avere  errato  nel  mio 
primo  giudizio;  giacché  constatai  l'esistenza  di  ben  22  specie  di 
piante  dal  Gaudin  non  indicate,  come  appartenenti  alla  flora 
fossile  del  Valdarno  superiore  e  di  9  non  ancora  descritte  da  nes- 
sun Paleofitologo. 

Ho  creduto  quindi  non  affatto  inutile  pubblicare  >i  resultati 
di  questi  miei  modesti  studi  tanto  più,  che  a  questo  proposito 
fui  incoraggiato  dall'egregio  Prof.  Carlo  De  Stefani,  che  insieme 
al  Prof.  Cesare  D' Ancona  mi  furono  in  questo  povero  lavoro 
prodighi  di  consigli  e  suggerimenti. 

Dall' esposir.ione  del  quadro  sinottico  comparativo  posto  a 
compimento  di  questo  studio,  può  vedersi  a  colpo  d'occhio,  che 
la  flora  fossile  del  Valdarno  superiore  ha  dei  riscontri  più  o 
meno  importanti  con  le  flore  fossili  mioceniche,  plioceniche,  e 
post-plioceniche  di  alcune  fra  le  più  note  località  italiane,  che 
fino  ad  ora  hanno  dato  resti  ed  impronte  di  vegetali  fossili.  Tali 


CONTRIBUTO  ALL.V  FLOKA  FOSSILE  DEL  VALDARNO  SUPERIORE  [15 

raffronti  ci  perirono  propizia  occasione  a  fare  alcune  considera- 
zioni sul  vero  carattere  di  quella  flora  fossile. 

Gli  studi  del  Gaudla  ci  posero  davanti  un  numero  ragguar- 
devole, di  specie,  che  il  Valdarno  ha  in  comune  non  solo  con 
alcuni  depositi  miocenici  italiani;  ma  eziandio  con  altri  stranieri: 
infatti  il  nostro  deposito,  secondo  gli  studi  del  Gaudin,  contiene 
non  meno  di  37  specie  comuni  alla  flora  fossile  di  (Eningen 
(Svizzera)  e  21  a  quella  artica  ambedue  illustrate  dall' lleer. 
Ha  poi  un  numero  più  o  meno  grande  di  specie  comuni  a  flore 
fossili  di  molte  altre  località  come  p.  es.  Sotzka,  Kumi,  Haering, 
liadoboj.  Il  numero  di  queste  specie  comuni  alle  flore  fossili 
italiane  e  straniere  mioceniche  viene  oggi  aumentato  dietro 
questi  miei  studi,  fatti  come  contributo  alla  flora  fossile  del 
Valdarno  superiore.  Questo  fatto  non  è  assolutamenle  privo 
d'importanza;  poiché,  mentre  da  una  i)arte  arricchisce  il  numero 
delle  specie  fossili  del  Valdarno  supcriore,  dall'altra  imprime 
un  carattere  forse  più  spiccato  a  quella  flora  avvicinandola 
ancor  più  a  quelle  mioceniche  e  specialmente  a  quelle  dei  paesi 
settentrionali.  Con  questo  però  siamo  lungi  dal  dimostrare,  che 
la  Flora  fossile  del  Valdarno  appartenga  ad  un  periodo  più  an- 
tico del  pliocene;  poiché  tenuto  conto  del  piccol  numero  di  specie, 
che  finora  conosciamo,  quelle  comuni  alle  flore  mioceniche  sono 
abbastanza  ristrette  di  numero  e  non  tali  da  imprimere  alla 
flora  valdarnese  un  carattere  spiccato  di  maggiore  antichità: 
infatti  osservando  attentamente,  con  quali  località  mioceniche 
più  specialmente  essa  flora,  abbia  specie  in  comune,  ci  pos- 
siamo di  leggeri  accorgere,  che  la  comunanza  maggioro  è  con 
quei  depositi  miocenici  tanto  italiani,  che  esteri,  i  quali  sono 
rispetto  al  Valdarno  posti  in  località  |)ià  settentrionali.  1j'  unica 
eccezione  V  abbiamo  per  i  depositi  del  senigalliese,  i  quali  con- 
*  tane  ben  29  specie  in  comune  con  quelli  del  Valdarno.  Del  resto 
mi  piace  insìstere  ancora  un  poco  su  questa  comunanza  di  specie, 
che  la  flora  fossile  qui  presa  in  esame  ha  con  le^ mioceniche  di 
località  più  settentrionali;  poiché  ciò  importa  per  una  conclu- 
sione abbastanza  universale,  alla  quale  si  può  sempre  giungere 
osservando  e  studiando,  tanto  le  formo  fossili  animali,  quanto 
e[  vegetali  incluse  in  depositi  appartenenti  al  medesimo  piano 
geologico;  ma  situati  1'  uno  più  a  Nord  dell'  altro.  La  conclu- 
sione si  è  che  i  tipi  propri  di  specie  più  antiche  si  conservano 

Se,  Nat.  Voi.  U.  fase.  1.»  10 


146  G.    RISTORI 

e  passano  più  facilmente  da  perìodo  a  periodo  geologico  nei 
paesi  più  meridionali  di  quello,  che  non  facciano  in  quelli  più 
a  settentrione;  e  ciò  accade  in  modo  più  deciso  per  le  flore, 
che  per  le  faune;  poiché  alle  piante  mancano  i  mezzi  di  diffcsa, 
che  gli  animali  e  speciahnente  quelli  superiori  per  organizza- 
zione posseggono.  Credo  ora  che  quella  conclusione  si  possa  e 
si  debba  applicare  al  caso  della  nostra  flora  fossile  valdarnese 
e  spiegare  quindi  la  comunanza  che  ha  di  alcune  specie  colle 
flore  mioceniche,  ricorrendo  alle  idee  sostenute  dal  Darwin  nel 
suo  libro  suir  origine  delle  specie,  intorno  alle  immigrazioni, 
alle  dispersioni  e  alla  permanenza  più  o  meno  lunga  di  alcune 
forme  vegetali.  L'  eccezione,  che  potrebbe  presentarsi  riguardo 
alla  flora  miocenica  senigalliese,  credo  si  possa  in  qualche  modo 
distruggere  o  almeno  scemarne  grandemente  il  valore,  rammen- 
tandosi, come  i  vegetali  più  lungamente  degli  animali  conser- 
vino le  identiche  forme  specifiche  e  come  necessaria  conseguenza 
di  ciò  sia  la  minor  variabilità  delle  flore  nel  passaggio  da  un 
periodo  geologico  all'  altro  di  fronte  alle  faune,  che  si  presen- 
tano variabilissime.  A  questo  si  devono  aggiungere  le  peculiari 
circostanze  di  luogo,  le  quali  possono  influire  grandemente  sul 
carattere  di  una  flora,  come  quella,  che  molto  risente  delle  mu- 
tate condizioni  di  vita  e  specialmente  di  quelle,  che  si  riferi- 
scono alla  climatologia  e  alle  molte  altre  influenze  atmosferiche. 
Dando  il  giusto  valore  a  queste  riflessioni  si  può  anche  rendersi 
ragione  del  carattere  alquanto  miocenico  della  flora  fossile  del 
Valdarno,  senza,  che  ci  faccia  senso  V  esistenza  ormai  costatata 
di  56  specie  comuni  col  miocene  di  varie  località  italiane  su  113, 
che  fino  ad  ora  si  conoscono  di  quella  flora. 

A  questo  punto  credo  giunto  il  momento  opportuno  di  venire 
a  considerazioni  più  particolari  e  mi  piace  quindi  notare  fin 
d'  ora,  come  la  flora  fossile,  dei  depositi  miocenici  del  Casino  * 
presso  Siena  illustrata  dal  Dott.  Peruzzi  pi-esenti  sopra  28  specie 
fin  ora  descritte  14  comuni  con  quella  del  Valdarno  ossia  la 
metà.  Questa  proporzione  abbastanza  considerevole  per  località 
tant  )  vicine  ed  il  rinvenimento  fatto  da  me  stesso  d' impronte  di 
foglie  riferibili  alla  Q.  Etymodì^s  Ung.  che  il  Dott.  Pantanelli  (') 


(')  Pantanelli  — -  Sugli  strati  miocenici  del  Casino  (Siena)  e  considerazioni  sul 
miocene  superiore.  Memorie  delU  Reale  accademia  dei  Lincei.  Vili,  Serie  3.^ 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSHìE  DEL  YALDABNO  SUPERIORE      Ìi7 

afferma  non  essere  fino  ad  ora  insieme  alle  specie  Sabal  major 
Ung.  Fagus  dentata  TJng.  Castanea  Kuhinyi  Kov.  Salix  anglista 
Braun,  rinvenute  in  depositi  pliocenici,  mi  pare  degno  di  nota; 
perchè  dietro  questo  fatto  s' indebolisce  un  poco  uno  degli  ar- 
gomenti, su  cui  si  sono  appoggiati  per  riferire  i  depositi  d'acqua 
dolce,  della  suindicata  località  del  Casino  al  miocene  superiore. 
Del  resto  non  voglio  con  questo  trarre  argomento  contradittorio 
alle  conclusioni  del  Pantanelli  basate  principalmente  sulla  fauna 
e  più  particolarmente  sul  rinvenimento  in  quella  località  di 
resti  d'  Hipparion  di  Dremotherium  e  del  Tapirus  priscus  Kaup. 
di  Eppelsheim,  solamente  farò  osservare,  che  è  molto  pericoloso 
trarre  argomenti  stratigrafici  basandosi  sulle  flore  fossili,  le 
quali  si  assomigliano  molto  tanche  se  appartengono  a  periodi 
geologici  distantì  fra  loro.  La  flora  pliocenica  poi  in  particolare, 
ha  troppe  specie  in  comune  colla  miocenica  per  potere  servire 
di  base  a  considerazioni  stratigrafiche. 

Passando  ora  a  fare  il  confronto  della  nostra  flora  fossile 
con  le  plioceniche  italiane  si  scorge,  che  il  numero  di  specie 
comuni  non  è  quale  si  potrebbe  immaginare.  Pochi  raff'ronti  si 
notano  nellfe  località  toscane  di  Bozzone  presso  Siena  e  di  Mon- 
tajone  in  Val  D'  Era,  ne  offrono  invece  un  numero  un  poco 
rajiggiore  le  località  plioceniche]  lombarde  di  Folla  à/  Induno; 
Nese,  e  Valle  di  Tornago,  queste  in  complesso,  almeno  secondo 
gli  studi  del  Bordelli,  hanno  16  specie  comuni  colla  flora  del 
Valdarno.  Riflettendo  un  poco  su  questo  fatto  si  scorge  fa- 
cilmente, come  fino  dal  pliocene  esistevano  flore  proprie  di 
ciascun  paese  e  manca,  a  dìfierenza  dell'  antecedente  epoca  mio- 
cenica, quella  uniformità  e  quasi  universalità.  Questo  logica- 
mente porta  il  suo  contributo  di  prova  per  ritenere,  che  or- 
mai le  condizioni  climatologiche  durante  il  pliocene  non  erano 
più  uniformi;  ma  invece  variabili  anche  fra  paesi  vicini;  e  ciò 
in  causa  dei  sollevamenti  che  avevano  già  fatto  prendere  in 
quell'epoca  alle  catene  di  montagne  una  disposizione  molto 
simile  air  attuale  ed  avevano  raggiunto  già  notevoli  altezze. 
Porrò  per  ultimo  in  rilievo  come  la  flora  fossile  valdarnese  per 
me  decisamente  pliocenica  (0  conti  un  piccol  numero  di  specie 

(^)  Ritengo  pliocenica  questa  flora  1.®  perchè  dietro  gli  studi  del  Major  e  dopo 
il  rinvenimento  di  resti  di  Mammiferi  fossili  appartenenti  alle  medesime  specie,  fatto 
tanto  nelle  sabbie,  quanto  nelle  argille,  le  quali  includono  i  resti  dei  vegetali  fossili, 


148  G.    RISTORI 

cornimi  a  quelle  finora  rinvenute  in  depositi  post-pliocenici:  in- 
fatti colla  flora  delle  argille  del  Castro  (Arezzo)  non  ha  in  connine 
elio  due  sole  specie  VAlnus  Kefersfeinii  Goepp:  VAcer  Ponziauituf 
Gd.  coi  Travertini  toscani  pure  riferibili  al  post-pliocene  la 
Planerà  TJngeri  Ett.  la  Persea  speciosa  Heer  VAcer  Sismondae  Gd. 
il  Fagus  sylvatica  L.,  la  Uetida  prisca  Ett.  e  il  Quercus  llex.  L.  «J  . 
Questo  dimostra  quanto  la  nostra  flora  si  discosti  dalle  post- 
plioceniche;  perchè  il  piccolo  numero  di  specie,  che  ha  in  comune, 
tenuto  conto  dell' incertezza,  che  sempre  regna  nella  determina- 
zione, è  di  poca  e  ninna  importanza.  La  comunanza  però,  che 
per  le  due  specie  Acer  integrilobum  Ow.  e  Juglans  tephrodes  Ung.  la 
flora  fossile  valdarnese  ha  acquistato  con  quella  post-pliocenica 
del  bacino  di  Leffe  illustratji  dal  Bordelli  non  può  restare  privo 
d'interesse;  perchè  oggi  alla  comunanza  della  fauna  mammologica 
dei  due  bacini  si  aggiungerebbe  anche  quella  di  due  specie  di 
piante  fossili.  Ciò  potrebbe  prendersi  in  seria  considerazione  e 
tenersi  in  conto  di  nuovo  fatto  comprovante  la  pliocenicitk  della 


non  è  più  possibile,  basandosi  sulla  tanna,  fare,  come  per  T  addietro,  la  distinzione 
nel  Valdarno  superiore  di  due  orizzonti  geologici,  Tuno  Miocenico,  Taltro  Pliocenico, 
al  primo  dei  quali  secondo  lo  Stòhr  (Intorno  ai  depositi  di  lignite  che  esistono  in 
Valdarno.  Ann,  della  Soc.  dei  Nat.  An.  V.  e  lo  Strozzi  e  Gaudin  (Feuill.  foss  de  la 
Tose,  M.  I  e  11^  parte  geologica)  apparterrebbero  i  depositi  di  Piligno  e  conseguen- 
temente le  argille,  che  gli  includono;  :2.^^perchd  io  stesso  ho  potuto  raccogliere  nelle 
Sabbie^  nei  Sansini  od  in  altri  rlepositi,  non  corrispondenti  al  piano  delle  cosi  dotte 
Argille  arse  e  quindi  secondo  lo  Strozzi  e  Gaudin  piii  recenti  di  esse  Argille  o 
contenenti  un*  altra  flora  ed  un  altra  fauna,  un  buon  numero  d* impronte  di  foglie 
e  di  resti  vegetali  fossilizzati  appartenenti  alle  medesime  specie  di  quelli,  che  si 
rinvengono  nel  piano  deWArg'lle  arse^  insieme  ad  altre  impronte,  che  sempre  se- 
condo gli  autori  succitati,  apparterrebbero  ad  una  flora  più  recente,  propria  solo  dei 
Sansini  e  delle  Sabbie  e  da  non  confondersi  con  quella  delle  Argille,  Tutto  ciò  per 
chi  volesse  ancora  vedere  nel  Valdarno  superiore  un  piano  geologico  riferibile  al 
miocene  superiore. 

C)  Riferibile  a  questa  specie  ne  esiste  un  solo  esemplare  posseduto  dal  Museo 
di  Montevarchi;  esso  proviene  da  Gaville  e  precisamente  dagli  strati  delle  argille 
cenerognole.  (Zona  delle  Ligniti)  ossia  da  queir  orizzonte  creduto  il  più  antico  del 
Pliocene  del  Valdarno  superiore.  Questo  fatto  potrebbe  aggiungere  un  altro  argo- 
mento sulla  inopportunità  della  distinzione  in  quella  località  di  due  flore  una  più  an- 
tica delle  argille,  una  più  moderna  dei  sansini  e  delle  sabbie;  giacche  si  vede  ormai 
abbastanza  bene,  che  le  poche  ^pecie  comuni  alla  flora  quaternaria  e  magari  alla 
vivente  si  trovano  tanto  nelle  formazioni  argillose,  quanto  nelle  subbiose  e  ghiaiose 
(Sansino)  al  pari  di  quelle  comuni  alla  flora  miocenica  dei  depositi  italiani  ed  esteri: 
per  cui  non  so  vedere,  su  quali  fatti  paleontologici  ci  si  possa  basare  per  sostenere 
ancora  la  distinzione  di  un  pliocene  inferiore  (per  alcuni  miocene  superiore)  ed  un 
pliocene  superiore  nei  depositi  in  questione. 


"fi 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  YALDARNO  SUPERIORE  149 

flora  fossile  di  Leflfe,  se  non  si  potesse  fare  osservare,  che  due  sole 
.specie  comuni  al  pliocene  di  fronte  ad  un  numero  considerevole 
di  specie  decisamente  post- plioceniche,  anzi  per  la  più  parte 
tuttora  viventi,  che  il  Bordelli  ci  ha  descritte  ed  indicate  come 
proprie  di  quel  Bacino,  non  possono  servire  come  base  di  nes- 
suna conclusione  attendibile;  molto  più,  che  V  Aceì'  integrilolnm 
Ow.  è  stato  rinvenuto  in  altre  località  post-|)lioceniche  e  del- 
l' Inglans  tephrodes  Ung.  che  io  mi  sappia,  non  abbiamo  prove- 
nienti da  Leflfe,  che  frutti  isolati,  i  quali  può  supporsi,  che  siano 
stati  colìi  trascinati  per  il  denudamento  di  altre  località  plioce- 
niche, che  gli  contenessero. 

l  resultati  ottenuti  nel  proseguimento  dello  studio  della  flora 
fossile  del  Valdarno  superiore  e  le  considerazioni,  che  si  sono  potute 
fare  paragonando  la  suindicata  flora  con  quella  inclusa  da  i  depo- 
siti miocenici,  pliocenici  e  post-pliocenici  di  altre  località  italiane 
ed  estere,  ci  danno  la  possibilità  di  fare  dei  rilievi  più  esatti 
intorno  alla  temperatura,  che  nell'età  pliocenica  regnava  nel 
Valdarno;  perchè  se  da  una  parte  si  può  dimostrare,  che  quella 
flora  non  è  punto  a  riferirsi  al  miocene  superiore,  come  si  cre- 
deva dallo  Strozzi,  dal  Major  e  dal  Pantanelli,  dall'  altra  si  può 
intuire,  stante  il  carattere  suo  miocenico,  a  condizioni  climato- 
logiche,  tali  da  spiegare  1'  esistenza  e  la  prosperità  dei  grandi 
mammiferi  pliocenici,  che  vissero  nei  dintorni  di  quel  bacino: 
infatti  per  quanto  l'insieme  dei  generi  di  piante  fossili  fin' ora 
rinvenute  in  quella  località,  non  sia,  fatte  poche  eccezioni,  pro- 
prio di  una  flora  tropicale;  ma  invece  di  una  assai  temperata; 
nondimeno  l'esistenza  di  numerose  impronte  di  foglie  riferibili 
a  diverse  specie  di  Cirtnamomum  di  Carya  di  Pterocarya  dì  Persea 
di  Laurus,  di  Cassia,  di  Sassafras  non  che  di  altre  meno  numerose 
di  Mafinolia,  e  di  Liquidambar  frutto  in  gran  parte  di  questi 
miei  ultimi  studi,  imprime  certamente  a  questa  flora  un  carat- 
tere alquanto  diflferente  da  quello,  che  aveva  per  i  soli  studi 
del  Gaudin;  giacche  ne  accresce  il  numero  dei  generi  proprii  delle 
calde  regioni. 


150  G.    RISTORI 


DESCRIZIONE   DELLE  PIANTE   FOSSILI 


Conlfere 

Fallì.  Abieteae 

Pina» 

rinns  Haldingeri  Ung. 

P.  sfcrobilis  magnis,  ovato-oblongis,  squamarimi  apopbysi  magna,  plano- 
convexa  rhombeo-trapezoìdea,  carina  trasversali  producta;  umbone 
mediano  elevato  Gaud,  Feudi,  foss.  de  la  Tose,  p,  27,  M,  /,  PI.  11^ 
fig,  4.  Unger  Chloris  profog,  p,  73^  Taf,  IX^  fig,  .9,  Ì0,  11.  Schimper 
Tr,  Pai,  veg.  II,  p,  262. 

Syn.  Pitys  Haidingeri  Ung,  Chloris  protogea.  p.  73,  Taf.  IX. 

Osserv.  —  I  due  strobili  di  Pino,  che  io  riferisco  alla  specie 
suindicata  di  Ung.  dififeriscono  un  poco  fra  di  loro,  V  uno  con- 
corda coir  esemplare  figurato  dal  Gaudin,  V  altro  invece  si  ac- 
costa più  a  quello  dell'  Unger.  Infatti  il  prirao  strobilo  è  meno 
allungato  del  secondo  ed  in  ciò  si  avvicinerebbe  a  quello  del 
Pìnus  uncinoides  Gaud.;  ne  differisce  però  per  le  apofisi  delle 
squame,  per  V  umbone,  che  nel  mio  si  presenta  ricurvo,  di  più 
le  apofisi  delle  squame  dall'  alto  al  l>asso  vengono  ricoperte 
in  parte  dalle  successive  e  non  sì  veggono  finire  ad  angolo, 
cosa  questa,  che  si  riscontra  anche  nell'  esemplare  figurato 
dal  Gaudin.  All'  incontro  il  mio  secondo  esemplare  è  più  allun- 
gato e  nello  stesso  tempo  più  ridotto  nel  diametro  trasversale 
e  le  apofisi  delle  squame,  alcune  finiscono  ad  angolo,  come  nello 
strobilo  figurato  dall' Unger,  altre  ripetono  il  modo  del  primo 
esemplare.  Tolte  queste  piccole  differenze  nel  resto  ambedue  gli 
esemplari  da  me  studiati  concordano  coi  caratteri  specifici  del 
P,  Haidingeri  e  quindi  credo  ben  fatto  riferirgli  a  quella  specie; 
molto  più,  che  il  Gaudin  (*)  stesso  ci  fa  notare  esistere  un  pas- 

(>)  Feuill.  foss.  de  la  Tose  P.  i7,  M.  I. 


CONTRIBUTO  ALU  FLORA  FOSSILE  DEL  YALDARNO  SUPERIORE  151 

saggio  graduato  fra  la  forma  degli  strobili  del  P.  Ilaidingeri  e 
quella  degli  strobili  riferiti  al  P.  vncinoides;  per  cui  io  credo 
essermi  imbattuto  in  un  esemplare  che  si  accosta  ancor  più  di 
quello  studiato  dal  Gaudin  alla  specie  P.  wtcinoides,  ed  in  uno, 
che  invece  è  intermediario  per  la  forma  fra  quello  studiato  dal 
Gaudiu  e  quello  studiato  e  figurato  dall'  Uuger,  però  ambedue 
riferiti  alla  specie  P.  Ilaidingeri. 

Il  Sordelli  (*)  indica  questa  specie  come  rinvenuta  nel  Val- 
darno  superiore  dall'  ing.  E.  Spreaflco,  certo  è  che  il  Gaudin 
non  la  descrive  né  figura  come  proveniente  da  quella  località, 
ma  sibbene  da  C/neri  in  Piemonte.  Altro  esemplare  proveniente 
da  Castelnuovo  di  Massa  pure  nel  Valdarno  superiore  è  citato 
dal  Sordelli  stesso,  come  facente  parte  delia  collezione  paleon- 
tologica del  nob.  G.  Curioni  insieme  ad  un  secondo  strobilo  della 
stessa  località,  che  riferisce  al  P,  Massalongi  Sis.,  invece  che  al- 
P.  Ilaidingeri  TJng ,  a  cui  ritiene  appartenere  il  primo. 

Locai.  —  Zona  delle  Ligniti  Castelnuovo  Gaville.  (Coli,  del 
Museo  Geologico  e  Paleont.  di  Firenze:. 

Distr.  geogr.  —  [jigniti  plioceniche  di  Seegrahen  presso 
Leoben  nella  Stiria  superiore^  Chieri  Piemonte,  Folla  d*  Induno 
{Lombardia). 

Pinus   Saturni    Ung. 

A  conferma  dell'esistenza  di  questa  specie  nella  Flora  plioce- 
nica del  Valdarno  superiore  noterò  come  abbia  avuto  occasione 
di  studiare  due  strobili  esistenti  nel  Museo  fiorentino  perfetta- 
mente conservati  e  indubbiamente  riferibili  alla  suindicata  specie. 
Ambedue  provenivano  dalla  zona  delle  ligniti  (  Castelnuovo 
Gaville  ) . 

Pinus    vexatorla?    Gaud. 

La  cattiva  conservazione  di  uno  Strobilo  di  Pino,  che  del 
resto  presenta  ragguardevoli  dimensioni,  mi  impedisce  di  po- 
terlo coscienziosamente  determinare,  pure  non  trovo   superfluo 

(  ')  F.  Bordelli  —  Descrizione  di  alcuni  avanzi  vegetali  delle  Argille  plioceniche 
lombarde,  pag.  2^.  —  Atti  della  Società  Italiana  di  Scienze  Naturali.  Voi.  XVI, 
Fase.  III. 


152  6.   RISTORI 

il  notare  come  da  alcune  poche  squame  malamente  conservate 
e  deformate  dalla  compressione  non  che  dall' apoflsi  e  dall' um- 
bone,  che  ancora  lasciano  vedere  la  loro  forma  sebbene  alte- 
rata dallo  schiacciamento  sofferto,  si  possa,  con  qualche  proba- 
bilità di  essere  nel  vero,  ravvicinare  il  suindicato  strobilo,  a 
quelli  propri  della  specie  P.  venatoria  Gaud.  Fenili,  foss.  de  la 
Tose.  p.  33,  M.  II,  PI.  J,  fig.  3. 

Del  resto  non  i)uò  prendersi  la  responsabilità  di  aggiungere 
anche  questa  specie  di  Pinus  alla  flora  del  Valdarno  superiore: 
vedremo  se  la  raccolta  di  filliti  fossili  delle  argille  valdarnesi, 
che  continuamente  si  sta  facendo  per  parte  del  Museo  Geolo- 
gico e  Paleontologico  di  Firenze,  potrà  oflFrirci  in  seguito  esem- 
plari meglio  conservati,  i  quali  confermino  l'esistenza  anche  di 
questa  specie  nel  Valdarno  superiore. 

PinuB    De-Stefanii   nov.  sp. 

Tav.  Vili,  fig.  1,  2,  3. 

P.  strobilis  oblongis  gracilibus  fere  acuminatis  centim.  5  circa  longis 
infra  medium  2  crassis  apophysibus  basilaribus  rhombeis,  aliis  tran- 
sverse  rhombeis  superne  rotundatis  et  ab  umbone  striatis,  carina 
trasversali  acuta,  umbone  trasversim  spinato. 

Des.  e  Osserv.  —  Gli  strobili  di  questa  nuova  specie  di 
Pino  sono  oltremodo  frequenti  nelle  argille  di  Gaville  e  di  Ca- 
stelnuovo,  che  involgono  i  banchi  di  lignite;  e  vi  si  rinvengono 
in  tanta  quantità,  che  io  ne  ho  avuti  fra  mano  un  numero 
grande  di  esemplari  e  mi  ha  maravigliato  che  il  Gaudin  non 
abbia  potuto  osservarne  nessuno.  Gli  strobili  di  questa  nuova 
specie  rammentano  la  forma  di  quelli  giovanissimi  del  nostro 
P.  pineaL.  e  sono  lunghi  dai  4,50  ai  6  centimetri  ed  hanno  un 
diametro  laterale  di  2  a  2,50;  perciò  si  mostrano  allungati  e  sot- 
tili. Le  apofisi  delle  squame  sono  alla  base  dello  strobilo  di  forma 
romboidale,  procedendo  verso  l'apice  vanno  modificandosi  e  dopo 
due  0  tre  serie  si  mantengono  romboidali  alla  parte  inferiore  e 
divengono  arrotondate  superiormente;  solamente  le  apofisi  basi- 
lari finiscono  inferiormente  ad  angolo  acuto,  le  altre,  che  sono 
arrotondate  nella  parte  superiore,  si  ricoprono  in  piccola  parte 
a  vicenda,  per  cui  non  finiscono  più  ad  angolo  come  le  prime. 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  VALDARNO  SUPERIORE  153 

Le  apofisi  stesse  sono  striate  e  le  strie  irradiano  dall'  ambone. 
La  carena  è  acuta  e  disegnata  da  un  solco  non  tanto  profondo 
e  poco  marcato. 

I  molti  strobili  da  me  esaminati,  che  stante  le  poche  e  pic- 
cole differenze  esistenti,  ho  riferito  tutti  quanti  alla  suindicata 
naova  specie,  si  possono  dividere  in  tre  tipi  di  forme,  che  forse 
corrispondono  a  tre  diversi  stadi  di  sviluppo.  Una  prima  rap- 
presentata dalla  fig.  1  più  larga  alla  base  più  acuminata  e  avente 
forma  quasi  perfettamente  piramidale.  Una  seconda  rappresentata 
dalla  fig.  2  di  forma  meno  piramidale  e  più  cilindrica  e  con 
apofisi  ed  ambone  più  marcato.  Una  terza  rappresentata  dalla 
fig.  3  quasi  cilindrica  e  meno  acuminata  con  apofisi  più  svilup- 
pate e  tali  da  farci  credere,  che  quello  strobilo  abbia  quasi  rag- 
giunto il  suo  completo  sviluppo. 

Questa  specie  succintamente  descritta  presenta  analogie  di 
qualche  importanza  col  /\  Ilampeana  Heer  FI.  ieri.  Jlelv.  I, 
p.  56,  Taf.  XX,  fig.  4  Ung.  Foss.  FI.  v.  Kumi  p.  21,  t.  II,  fig.  13-15 
Ung.  Chloris  prot.  76,  Taf.  XX,  fig.  1-3  e  col  P.  (TaedaJ  resurgens 
Sap.  Schimper;  Tr.  Pai.  veget.  II,  p.  281,  Taf.  LXXVI,  fig.  7, 
La  prima  ha  simile  colla  mia  specie  la  forma  generale  dello 
strobilo  e  le  dimensioni,  non  che  la  forma  delle  apofisi,  le  quali 
però  nella  specie  ungeriana,  si  mostrano  più  uniformi  e  più 
profondamente  striate  e  con  ambone  molto  più  rilevato  e  quasi 
mancante  di  spina  trasversale.  La  seconda  non  presenta  di  simile 
altro,  che  la  forma  generale  dello  strobilo  e  le  dimensioni. 

Locai.  —  Zona  delle  Ligniti  Casielnuovo,  Gaville,  Fratello  (Coli, 
del  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 


Fam.   Cupressaceae 

Calibrile» 

Callitrites   Brongnlarti    Endl. 

Tav.  Vili,  fig.  4. 

C.  Strobilis  subglobosis  e  squamis  lignescentibus,  basi  intrusis ,  fere  ad 
basim  quadrivalvibus,  valvis  aequalibus  acutìs,  dorso  convexo,  verru- 


154  G.    RISTORI 

cosis  Endl.  Syn.  Conif.  p.  274^  Vng.  Syllorje  p,  66^  Taf,  XX,  fig.  8*9. 
Schimper^  Tr.  de  PL  veg.^  11^  p.  337. 

Syn.  Thuytes  calia  ri  na  Ung.  Chloris  protog,  p.  22 ,  Taf.  1%  fig,  1-8, 
Taf.    VII,  fig.  1-10.  per  le  altre  sinonimie  vedi  Schimper  opera  citata. 

Osserv.  —  La  detenni  nazione  di  questa  specie  T  ho  dovuto 
necessariamente  fare  solo  sugli  strobili;  giacché  mi  mancava 
ogni  altro  resto  fossile  appartenente  o  a  foglia  o  a  porzione  di 
ramo,  ne  ho  avuto  neppure  la  fortuna  di  imbattermi  in  frutti 
fossilizzati  dentro  agli  strobili  medesimi.  Ad  onta  di  ciò  nei 
molti  strobili,  che  ho  esaminati  ho  ritrovati  costanti  i  caratteri 
esposti  e  rappresentati  nella  descrizione  e  figure  date  dall' Unger 
e  dair  Ett.  per  la  suindicata  specie  C.  Brongniarti  e  poco  credo 
possa  dubitarsi  sulla  giustezza  della  determinazione.  Gli  strobili 
della  specie  qui  descritta  h-ìnno  analogie  con  quelli  della  Cai- 
litris  quadrivalvis,  se  ne  discostano  però  per  essere  il  dorso  delle 
valve  di  quest'ultimi  quasi  liscio;  mentre  quelli  della  specie  fos- 
sile presentano  verrucosità  molto  evidenti  e  caratteristiche.  Frk 
le  specie  fossili  plioceniche  si  può  ravvicinare  alla  Thuya  Saviana 
Gaud.;  ma  questa  specie,  come  nota  l'autore  stesso,  ha  uno  stro- 
bilo non  già  costituito  di  valve,  come  la  qui  esaminata;  ma  sib- 
bene  di  squame  verticillate.  Di  più  le  verrucosità  delle  squame 
nella  specie  del  Gaud  sono  molto  meno  sviluppate  di  quello  che 
non  siano  sul  dorso  delle  valve  della  specie  fossile  qui  esaminata. 

Locai.  —  Sabbie  gialle  limonitiche  di  Gaville  e  Fratello  presso 
S.  Giovanni  Valdarno.  (Coli,  del  Museo  Geologico  e  Paleontolo- 
gico di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  Formazioni  terziarie  di  Hilring.  —  Radohoj 
in  Croazia.  —  Mont-Rouge  presso  Parigi.  —  Armissa  presso  Nar- 
bona.  —  Colline  di   Torino. 

Potameae 

Funi.    Naiadeae 

l^olaiiioKeloii 

Fotnmogeton    Àiiconai    nov.  sp. 

Tav.   Vili,  fig.  5,  6.  7,  8. 

P.  foliis  ovalibus  circa  3  cent,  longis,  1,  80  latis,  nervis  curvatis  nume- 
rosissimis   basim  apicemque  versus  convergentibus,  uervulis  pariter 


CONTRIBUTO  4LLA  FLORA  FOSSILE  DEL  YALDÀRNO  SUPBRIORK  155 

numerosissimis  trasversim  coniuntis  et  ex  primis  egredientibus  sab 
angulo  fere  recto.  Fructibus  (*)  in  medio  ex  uno  latere  incavatis  ex 
altero  convexis,  eirciter  mill.  5  longis  et  3  latis. 

Des.  e  Osserv.  —  Ho  io  stesso  raccolto  in  una  località,  detta 
la  Foresta^  presso  Figline  Valdarno,  un  argilla  quasi  di  colore 
cinereo  simile  a  quella,  che  involge  una  buona  parte  dei  banchi 
di  lignite  presso  Castelnuovo  e  Gaville,  ricca  di  impronte  indub- 
biamente appartenenti  a  foglie  di  Potamogeton.  Queste  foglie  pre- 
sentano i  seguenti  caratteri:  Forma  ovale  leggermente  allun- 
gata, diametro  longitudinale  cen.  3  a  3,  50  diametro  trasversale 
cen.  1,  80.  Le  nervature  sono  convergenti  ai  due  estremi  del 
diametro  longitudinale  e  quindi  sono  a  mano  a  mano,  che  si  ac- 
costano ai  bordi  esterni  della  foglia  maggiormente  arcuate.  Il 
numero  di  queste  nervature,  compresa  la  mediana  costituita  da 
una  nervatura  più  marcata  e  diritta,  e  circa  18.  Gli  spazi  fra 
nervatura  e  nervatura  sono  più  o  meno  curvati  a  seconda  della 
distanza  loro  del  bordo  della  lamina  follare  e  sono  presso  a 
poco  di  eguale  superficie  e  vengono  attraversati  da  nervetti  sot- 
tili, che  vanno  da  nervatura  a  nervatura;  e  fanno  con  queste 
quasi  un  angolo  retto  ad  eccezione  di  quelli,  che  partono  dalla 
nervatura  mediana  retta;  poiché  essi  fanno  colla  medesima  un 
angolo  assai  acuto  e  vengono  a  disporsi  obliquaaiente  come  i 
lati  di  un  triangolo  equilatero  avente  il  vertice  su  di  essa  ner- 
vatura mediana.  Il  frutto,  che  ho  potuto  esaminare  su  di  un 
solo  esemplare  è  di  forma  ovale  lungo  m.  5  largo  3,  da  una 
parte  presenta  bordi  smarginati  ed  un  incavo  in  forma  di  vul- 
va con  un  solco  mediano;  dall'altra  è  di  forma  leggermente 
convessa  ed  assottigliato  nella  parte  superiore  dove  i  bordi  si 
prolungano  in  una  piccolissima  appendice,  che  finisce  in  punta, 
rigonfio  invece  nel!'  inferiore. 

La  specie  fossile,  che  più  si  avvicina  alla  qui  sopra  descritta 
è  il  Potamogeton  multinervis  Brongt.;  ma  quest'  ultimo  ha  le 
foglie  di  forma  ovale  si;  ma  con  diametro  trasversale  propor- 
zionalmente più  lungo,  e  quindi  esse  si  avvicinano  più  alla  forma 
tondeggiante;  di  più  le  nervature  hanno  andamento  più  irre- 

(^)  Più  modèrnamente,  quello  che  io  ho  chiamato  fratto,  allo  scopo  di  mantenere 
la  nomenclatura  dei  Paleofìtologi  e  per  essere  più  facilmonte  inteso  da  tutti,  sarebbe 
un  Carpidio;  poiché  il  vero  e  proprio  frutto  nei  Potaniogeton  è  Y  insieme  di  4  Car- 
pidi corrispondenti  ai  4  pistilli  del  fiore  giunti  a  maturazione. 


166  0.    RISTORI* 

gelare,  sono  in  magfi^ior  numero,  essendo  anche  la  lamina  foliare 
di  maggior  superficie.  La  specie  vjildarnese  ha  invece  maggiori 
analogie  colla  vivente  P.  natans  L.  differisce  solo  da  questa  ultima 
per  maggior  riduzione  della  lamina  foliare  e  per  la  disposizione 
più  uniforme  dello  nervature;  le  quali  nella  suindicata  specie  vi- 
vente si  presentano  alternativamente  più  o  meno  marcate;  per 
modo  che  V  area  limitata  da  due  nervature  più  marcate  è  attra- 
versata da  una  terza  nervatura  meno  marcata,  di  più  i  nervetti 
trasversali  sono  relativamente  meno  numerosi  e  limitano  aree 
quadrangolari  di  maggior  superficie,  che  nella  specie  fossile  sopra 
descritta. 

Nella  qui  annessa  tavola  non  ho  mancato  di  figurare,  oltre 
alle  foglie,  alcuni  frammenti  di  stipule  per  far  vedere  la  loro 
nervatura  longitudinale,  che  si  presenta  del  resto  abbastanza 
uniforme. 

Locai  —  Argille  refrattarie  della  Foresta  nei  pressi  di  Fi- 
gline Valdarno.  (Raccolte  da  me  stesso  e  donate  al  Museo  Geo- 
logico e  Paleontologico  di  Firenze). 


Amentlfere 

Fam.    Cupuliferae 

Carpi  lì  II  M 

Garpinus  grandis.  Ung. 

Tav.  Vili,    fig.  15. 

C.  foliis  petiolatis,  subcordatis,  ovato-oblongis,  acuminatis,  duplicato- 
serratis  penninerviis,  nervis  secundariis  simplicibiis,  rectis,  parallelis 
Ung.  Icon.  pi  foss.  Taf.  XX,  fi'j.  4.  Heer  FI.  tert  Helv.  II,  p.  iO,  Taf. 
LXXII,  fig.  2-24  e  Taf.  LXXIII,  fig.  2-4.  Ung.  SyUoge  plantanim 
foss.  p.  67,  Taf  XXI,  fig.  Ul'ì.  Mass,  e  Scarb.  Flora  foss.  Senig. 
p.  208,  Tav.  XXIV,  fig.  5.  Heer  FI.  foss.  artica,  p.  103,  Taf.  XLIX, 
fig.  9.  Slsmonda  Matér  pour  servir,  a  la  Pai.  da  Pìem.  p.  39,  PI. 
XII,  fig.  7-8.  Sf^himper  Tr.  Pai.  veg.  p.  589.  II. 

Osserr.  —  I  due  esemplari,  che  ho  esaminati  provengono  da 
due  diverae  località.,  uno  dalle  argille  cenerognole  di  Fratello 
presso  S.  Giovanni  Valdarno,  V  altro  dalle  argille  e  sabbie  gialle 


CONTRIBUTO  ALLA  FLOKA  FOSSILE  DEL  VALDARNO  SUPERIORE  157 

della  Foresta  presso  Figline  Valliamo,  Oli  ho  riferiti  ambedue 
alla  specie  C.  grandis;  giacché  fra  le  ligure  molteplici,  che  dà 
r  Heer  tutle  riferibili  alla  medesima  specie  ne  ho  trovale  alcune, 
che  concordano  perfettamente  coir  impronta  proveniente  dalla 
Foresta;  altre  invece,  che  concordano  con  quella  rinvenuta  a 
Fratello.  Lo  stato  di  conservazione  di  queste  due  filliti  non  per- 
mette r  esclusione  di  ogni  dubbio  sulla  loro  determinazione  spe- 
cialmente se  si  tiene  in  debito  conto,  la  facile  confusione,  che 
può  succedere  fra  le  foglie  di  Betula,  Cnrpinus,  Corj/liis,  JJlmus 
come  giustamente  nota  il  Massalongo.  Ad  onta  di  ciò,  la  forma 
della  lamina  foliare,  la  sua  acutezza,  la  forma  delle  dentature 
dei  bordi  laminari  e  la  nervatura  secondaria,  concordano  per- 
fettamente colle  figure  e  descrizioni  date  dai  diversi  Paleofitologi 
perii  0.  grandis.  In  ultimo  noterò  come  uno  degli  esemplari  da 
me  esaminati,  presenti  qualche  analogia  colla  specie  C.  pyrami- 
dalis  Goepp.;  però  non  corrisponde  il  numero  delle  nervature, 
che  è  alquanto  maggiore  in  quest'  ultima  specie,  la  quale  ha 
anche  l'apice  della  lamina  foliare  più  acuto;  l'altro  esemplare 
corrispondente  alla  Fig.  15  Tav.  Vili,  ha  invece  molte  analogie 
colla  specie  C.  orientalis  Lam. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno,  Foresta  presso 
Figline  Valdarno  (Coli,  del  Museo  Geologico  e  Paleontologico 
di  Firenze. 

Distr.  geogr.  —  Sobrussan  e  Luschiz  f Boemia) ,  Torino, 
Koflach.  fStiria)  Bacino  di  Vienna,  Sinigaglia,  Atanekerdluk 
(Groelandia) . 

FasuM 

Fagus    incerta    Mass. 

Tav.  Vili,   fig.  9,   10,  11. 

F.  follia  oblougis,  eliiptico-sublanceolatis,  apice  subattenuato-acuraina- 
tis,  basì,  subcordato-rotundatis,  peDninerviis,  margine  iiitegriusculis, 
uodulatis,  denticulatisve,  costa  valida,  nervis  secundariis  sub  angulo 
acubo  orientibus,  paralieiis  simplicibus  aiternis,  rete  venoso  fere 
obsoleto.  (Schimper^  Tr,  Pai,  ve.g  pag,  607,  li)  —  Mass,  FI,  Foss. 
Senig,  p,  205.   Tav.  XXX,  fig,  S), 

Syn.  Alnites  incerta  Mass,  Prod.  FI,  foss.  Senig,  p,  13.  Viviani 
in  Soc,  Oed,  Fran,  Tav.  IX,  f.  1-2,  Mass.  Fi.  Foss.  Senig.  p.  205, 


158  G.    RISTORI 

Tav,  XXX,  f.  3.    Fagus    ambigua    Mass,    Ft.    Foss,  Senig.  p.  204, 
Tav.  XXXri,  f.  1. 

Osserv.  —   Un  numero  ragguardevole  di  esemplari  che  più 
o  meno  perfettamente   corrispondono  alla  descrizione  e  figura, 
che  il  Massalongo  dà.  per  la  specie  F.  incerta,  sono  stati  da  me 
riferiti  alla  suindicata  specie:  non  senza  osservare  attentamente 
la  variabilità  delle  torme   successiva  e  graduale;    per  cui    può 
dirsi,  che  esista  una  scala  non  interrotta  di  forme,  che  va  dal 
F.  incerta,  al  F.  ambigua  al  F,  betulaefolia,  e  quindi  credo  do- 
versi ridurre  a  certezza  il  dubbio  del  Massalongo   stesso,   sul- 
r  opportunità  di  riunire  in  una   sola  le  tre   specie   suindicate: 
infatti  mentre  sarebbero  per  lo  stosso  autore  caratteri  differen- 
ziali, della  specie  F.  incerta,  apice  attenuato  e  margine  dentellato,  i 
quali  esagerati  costituirebbero,  invece,  quelli  propri  della  terza 
F.  betulaefolia,  si  riscontra  poi,  nei  miei  esemplari,  una  succes- 
sione non  interrotta,  che  va  dal  margine  semplicemente  ondulato 
al  margine  evidentemente  dentellato  di  più  tanto  l'apice  quanto 
la  base  delle  lamine  foliari  si  presentano  con  acutezze  diverse. 
In  una  parola  la  numerosa   serie  di   fìlliti  che  mi  sta  davanti 
confonde  affatto  questi  caratteri  di  distinzione  per  modo,  che  alle 
due  estremità,  stanno  esemplari,  che  dovrebbero  riferirsi  V  uno 
al  F.  ambigua  V  altro  al  F.  betulaefolia,  mentre  fra.  questi  due, 
rie  esiste  una  serie  abbastanza  numerosa  con  caratteri  interme- 
diari, tali  da  porci  davanti  tutti  i  possibili  termini  di  passaggio 
fra  la  prima  ed  ultima  forma.  Dietro  di  ciò  mi  prendo  senz'altro 
la  licenza,  che  del  resto  mi  dà,  il  Massalongo  stesso,  autore  delle 
tre  specie  succitate,  e  riferisco  tutti  quanti  gli  esemplari  da  me 
esaminati  alla  specie  F.  incerta.  A  giustificazione  di  ciò  figuro 
neir  annessa  tavola  3  esemplari;  l'uno  dei  quali  fig.  9  possiede 
tutti  i  caratteri  del  F.  incerta,  un  secondo  qui  non  figurato  se 
ne  discosta  un  poco  avvicinandosi  invece  cil  F.  ambigua,  il  terzo 
(fig.  10)  poi  potrebbe  riferirsi  a  quest'  ultima  specie,  mentre  l'ulti- 
mo (fig.  11)  ci  potrebbe  rappresentare  il  F.  betulaefolia.  Per  ciò,  che 
concerne  le  rassomiglianze,  che  le  qui  studiate  filliti  possono  avere 
con  filliti  fossili  di  altra  specie  vedi  Mass.  FI.  foss.  Senig.  p.  204-205. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  valdarno,  Gaville  e 
Castelnuovo  (Zona  delle  Ligniti),  (Coli,  del  Museo  Geologico  e 
Paleontologico  di  Firenze. 

Distr.  geogr.  —  Sinigaglia. 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  VALDAHNO  SUPERIORE  159 


Fagus    Gaudini    nov.  sp. 
Tav.  Vili,  fig.  1;<^,   13. 

F.  foliìs  petiolatis  ovatis  oblongis  acuminiitis,  basi  rotundata,  costa 
mediana  recta  ac  valida,  nervis  secundariis  sub  angulo  acuto  egre- 
dientibus,  rectis,  apud  basiin  leniter  arcuatis,  oppositìs  vel  alternatis, 
parallelis,  margine  profande  ondulato  ac  lobato,  nervulis  tenuÌ3simis 
perpendicularibus  inter  se  conjuntis. 

Des.  Osserv.  —  Non  può  certamente  mettersi  in  dubbio, 
che  le  due  impronte  di  filliti  rappresentate  dalle  Fig.  12,  13 
Tav.  Vili,  appartengano  al  genere  lagus;  però  non  corrispon- 
dono a  nessuna  delle  specie  fossili  fino  ad  ora  descritte  né  ad  un 
gran  numero  delle  viventi,  con  cui  ho  avuto  agio  di  confron- 
tarle, da  ciò  la  ragione  di  averle  distinte  con  un  nuovo  nome 
specifi[co  eccone  T esatta  descrizione.  Lamina  follare,  ovata,  allun- 
gata con  bordo  distintamente  lobato,  apice  acuto  e  base  arroton- 
data. La  base  della  lamina  è  regolare  nelle  giovani  foglie,  come 
quella  rappresentata  dalla  Fig.  13  Tav.  Vili,  diviene  invece  un 
poco  irregolare  nelle  adulte,  come  si  vede  alla  Fig.  12,  Tav.  Vili, 
cioè  esse  presentano  una  porzione  della  lamina  foliare  un  poco 
più  sviluppata  longitudinalmente  ed  anche  nel  senso  della  lar- 
ghezza, per  cui  la  lamina  stessa  non  viene  tagliata  per  metà 
della  costola  mediana;  ma  una  porzione  è  maggiore  dell'altra. 
La  costola  mediana  è  robusta,  si  allunga  in  un  picciuolo  anch'esso 
di  considerevole  sviluppo  ed  è  leggermente  ondulata  in  corri- 
spondenza dei  punti  di  origino  delle  nervature  secondarie,  le 
quali  sono  parallele  e  diritte,  solamente  le  due  più  prossime  alla 
base  laminare  si  presentano  leggermente  arcuate,  per  cui  non 
si  mantengono  parallele  alle  altre.  Tutte  quante  le  nervature 
secondane  vanno  a  finire  neir  angolo  di  insenatura  dei  lobi,  che 
sono  arrotondati  e  formano  come  una  smerlatura  lungo  il  bordo 
laminare,  detti  lobi  incominciano  fino  dalla  nervatura  secondaria 
più  prossima  alla  base  e  a  mano  a  mano,  che  si  avvicinano,  al 
punto  di  massima  larghezza  della  lamina,  si  fanno  più  marcati 
e  arrotondati,  per  poi  tornare  verso  l'apice,  a  diminuire  nuova- 
mente. Lo  spazio  compreso  fra  nervatura  secondaria  e  nervatura 
secondaria  è  dì  m.  7   nelle  foglie   giunte  a  completo   sviluppo 


160  G.    UlSTnHI 

ni.  4  Vi  nelle  giovan-.  L'angiolo,  che  le  nervature  secondarie  fanno 
colla  costola  mediana,  è  di  J5",  2'.  il  rete  venoso  è  poco  distinto; 
nasce  però  dalle  nervature  .secondarie  sotto  un  angol(»  quasi  retto 
e  limita  piccole  areole  di  forma  quasi  rettangolare. 

Questa  nuova  specie  di  Faggio  si  può  ravvicinare  al 
F.  cast anece folta  Ung.  ma  in  questa  ultima  specie  abbiamo  un 
numero  maggiore  di  nervature  secondarie  ed  il  bordo  lami- 
nare dentato.  Col  F.  ambigua  Mass.  ha  in  comune  l'acutezza 
dell'apice  laminare  ed  i  lobi,  che  però  sono  molto  più  profondi 
nella  mia  nuova  specie,  la  quale  ha  anche  la  base  della  lamina 
molto  meno  attenuta  e  minore  anche  il  numero  delle  nervature 
secondarie.  Col  F.  Feronf ce  Ett. ,  presenta  analogie  nella  forma 
della  lamina  e  del  picciuolo;  però  quest'  ultima  specie  è  irrego- 
larmente dentata  e  lobata  ed  ha  V  apice  più  ottuso.  Fra  le  specie 
viventi  il  solo  F.  sylvalica  gli  assomiglia  un  poco  e  presenta 
in  qualche  sua  varietà  lobi  lungo  il  bordo  laminare,  ma  essi  sono 
sempre  molto  più  piccoli  che  nella  mia  nuova  specie. 

LocaL  —  Pratello  presso  *S.  Giovanni  Valdarno  (  Coli,  d^l 
Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze;. 

Fagus  (*)  pseudo-cordifolia  nov.  sp. 

Tav.  VIIL  fig.  14. 

F.  foliis  petiolutis  cordatis,  apice  acuminato,  basi  rotundata,  dentatis, 
nervis  secundariis  angulo  acuto  egredientibus,  craspedodromis,  paral- 
lelis;  sed  basiin  versus  leniter  arcuatis,  utriuque  10. 

Des.  Osserv.  —  Foglia  lunga  centim.  5  larga  cent.  2,80 
lungamente  picciolata,  cordiforme  con  base  arrotondata  e  apice 
abbastanza  acuto,  con  bordo  laminare  dentato,  denti  acuti  e 
uscenti  dal  bordo  stesso  sotto  angolo  acutissimo.  Costola  mediana 
abbastanza  sviluppata  e  leggermente  sinuosa.  I  nervi  secondari 
sono  retti  craspedodromi  ad  eccezione  dei  tre  più  prossimi  alla 


(^)  Ho  riferito  quesf  impronta  al  ^'enerc  Fagus;  uia  non  posso  a  mono  di  far  pa- 
lese r  incertezza,  che  ancora  mi  rimane;  poiché  ha  delle  analogie  non  indifferenti 
colle  foglie  di  Betula  e  potrebbe  appartenere  anche  a  quel  genere.  I  molti  raffronti 
che  ho  fatto  della  mia  impronta  con  foglie  fossili  e  viventi  di  Faggio  e  di  Betula 
mi  hanno  fatto  propendere  a  crederla  appartenente  al  primo,  piuttosto  che  al  se- 
condo genere. 


CONTRIBUTO  ILLA  FLORA  FOSSILE  DEL  VALDARNO  SUPERIORE  l6I 

base  laminare,  che  si  presentano  leggermente  arcuati  e  non  si 
mantengono  agli  altri  paralleli,  il  penultimo  nervo  secondaria 
poi  manda  qualche  piccola  diramazione  verso  la  base.  Il  rete 
venoso  è  appena  visibile,  costituito  da  nervetti  uscenti  quasi  ad 
angolo  retto  dai  nervi  secondari  e  limitanti  aree  di  forma  ret- 
tangolare con  margini  alquanto  frastagliati. 

Se  si  confronta  questa  succinta  descrizione  con  quella  data 
del  Heer  Flora  ardica  Voi.  VII  p.  83  per  il  suo  F.  cordifoUa 
è  facile  accorgersi,  come  esistano  dei  raffronti  e  delle  somi- 
glianze non  indifferenti  fra  la  mia  nuova  specie  e  quella  del 
Heer;  pur  nondimeno,  tenendo  in  debito  conto  le  poche;  ma 
importanti  differenze,  che  si  possono  riscontrare,  come  per  es.  la 
presenza  di  dentature  evidentissime  nei  miei  esemplari,  V  arena- 
zione dei  nervi  secondari  specialmente  di  quelli  più  prossimi  alla 
base  laminare,  il  loro  angolo  d'  emergenza  dalla  costola  mediana 
e  la  maggiore  acutezza  delV  apice  laminare,  mi  pare  giustifi- 
cata abbastanza  la  distinsione  che  ne  ho  fatta  dalla  specie  figu- 
rata e  descritta  dall' Heer  e  dalle  altre  fossili  e  viventi. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno,  Gaville  (Coli, 
del  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Qnereiiii 

Qaercus   neriifolia  Al.  Br. 

Q.  foliis  longe  peiiolatis  subcoriaceis  elongato-lanceolatis,  apice  acumi- 
oatis,  basi  attenuatis  subdecnrrentibus,  nervis  secundariis  sub  angulo 
subrecto  e  costa  exorientibus  oppositis,  alternisve  parallelis,  margi- 
nem  versus  inter  se  coniuntis,  parum  curvatis  arcuatisve,  venia  obli- 
quis  irregularibus  tenuissimis  inter  se  coniuntis,  retem  minutissimum 
irregulariter  pentagonum  includentibus.  JJng.  Gen.  sp.  pag.  403  — 
Gaudin  FeuilL  Fesa,  de  la  Tose.  M.  VI,  p.  12,  PI.  Il,  fig,  1.  Heer  FI. 
Helv,  II  pag.  45-46,  Taf.  LXXIV,  fig.  1-6.  Taf.  LXXV,  fig.  2. 
Mass.  Leti,  a  Scarabelli,  pag,  18,  JST/  17,  EU.  FI.  v.  Bilin  pag.  54. 
Saporia  Éttid.  Il,  p.  256,  Schimper  Tr.  pai  veg.  p.  621.  II.  Mass. 
FI.  foss.  Senig.  p.  188  Tav.  XXXI,  fig.  6. 

Syn.  Quercus  Itgnitum  Al  Br.  in  Stizenb.  Verzeichn  pag.  77,  Heer. 
Uebers  d.  Tert.  II.,  pag.  -^3.  Quercus  commutata  Heer  II.  tert. 
Helv  J,  pag.  14,  21. 

Osserr.  —  La  fiUite  da  me  esaminata  somiglia  perfettamente 
alla  Fig;  2  e  6,  Taf.  LXXIV  dell'  Heer  FI.  Helv.  come  pure  alla 

S9.  Noi.  VoL  II.  faio.  l.o  li 


162  G.    RISTORI 

fig.  6,  Tav.  XXXI,  Mass.  FI.  Senig.  e  non  si  può  menomamente 
dubitare  dell' esatezza  di  questa  determinazione.  !1  mio  esem- 
jilare  però,  proveniente  dal  Fratello  presso  S.  Giovanni  Val- 
damo,  non  mi  sembra,  che  rassomigli  troppo  alla  figura,  che 
dk  il  Gaudin  Feuitt.  foss.  de  la  Tos.  M.  VI,  PI.  II,  fig.  1  di  un 
esemplare  riferito  da  lui  alla  stessa  specie  e  proveniente  da 
Bozzone;  infatti  quest'  ultimo  presenta  la  lamina  foliare  mag- 
giormente attenuata,  tanto  all'  apice,  che  alla  base  e  una  lar- 
ghezza della  lamina  melesima  molto  maggiore  e  nervi  secon- 
dari uscenti  dal  mediano  con  angolo  molto  acuto.  Tali  caratteri 
non  si  riscontrano  in  nessuna  delle  tante  figure  che  THeer  ed 
il  Massalongo  danno  perla  Q.  neriifolia;  di  più  l'acutezza  del- 
l'angolo, che  lo  nervature  secondarie  fanno  colla  costola  mediana, 
non  è  neppure  consentaneo  ai  caratteri  distintivi  che  gli  autori 
sopracitati  danno  per  la  specie  di  Querc^is  suindicata;  per  cui 
mi  sarà  permesso  di  esprimere  qualche  dubbio  sulla  esattezza 
della  determinazione  fatta  dal  Gaudin  almeno  per  l'esemplare, 
che  ha  figurato  a  PI.  II,  fig.  1,  Feuill.  fo^^s.  de  la  Tose.  M.  VI. 

Locai.  —  Gaville.  Valdarno  superiore  (Coli,  del  Museo  Geolo- 
gico e  Paleont.  di  Firenze). 

Distr.  G-eogr.  —  (Eningen^  Sobrussan  (^Boemia)  SinigagUuj 
Bozzoney  (ToscanaJ. 

Quereus    Sci  liana    G  aud . 

1  numerosi  esemplari  esistenti  nel  Museo  Geologico  e  Pa- 
leontologico di  Firenze  riferibili  alla  specie  Q.  Scillana  manten- 
gono costantemente  i  caratteri,  che  il  Gaudin  ritiene  esclusivi 
della  sua  specie  ed  atti  a  distinguerla  e  separarla  dalla  Castanea 
atavia  Ung.  per  cui  ho  creduto  necessario  fare  questa  semplice 
nota,  allo  scopo  di  confermare  la  nuova  specie  del  Gaudin,  fino 
ad  oggi  esclusiva  della  flora  fossile  del  Valdarno  superiore. 

Quereus  sp.  ind. 
Tav.    vili,    fig.   17. 

Osserr.  —  Figuro  nella  Tav.  Vili,  a  fig.  17  un  esemplare 
di  finite  proveniente  dal  Pratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno 
probabilmente  riferibile  al  genere  Qnercus;  stante  però  i  bordi 


% 


CONTRIBUTO  kUA  FLORA  FOSSILE  b&L  YALDARNO  SUPERIORE  l63 

laminari  mal  conservati,  che  tutti  gli  esemplari  da  me  esaminati 
presentano,  non  si  possono  riferire  alla  specie  di  Quercus,  a  cui 
per  altri  caratteri  della  lamina  foliare  potrebbero  appartenere. 
Infatti  essi  esemplari  presentano,  tanto  per  la  nervatura,  qua  nto 
per  r  apice  e  la  base  laminare,  analogie  col  Q.  Scillana  Gaud.  e 
col  Q.  Gaudini  Les.  e  specialmente  con  quest'ultima  specie  hanno 
in  comune  la  validità  della  costola  mediana  e  dei  nervi  secondari 
non  che  la  rotondità  della  base  laminare.  Però  attentamente  e 
ripetutamente  esaminando  detti  esemplari  si  vede  che  non  esi- 
stono affatto  né  dentature  ne  lobature  lungo  il  bordo  laminare, 
per  cui  non  apparterrebbero  a  nessuna  delle  due  specie  suindi- 
cate, che  presentano  evidenti  dentature.  Da  ciò  la  probabilità, 
di  essere  davanti  ad  una  nuova  specie  di  Quercus  simile  alla 
Q,  Gaudini  e  solo  distinta  da  quella  per  l'assoluta  mancanza  di 
dentature  e  lobature  lungo  il  bordo  laminare. 


Quercus    Daniellii  nov.  sp. 

Tav.  Vili,  fig.   18. 

Q.  foliis  ovato-oblongis,  longe  petiolatis,  basi  fere  rotnndatis ,  apice 
acuto,  lateribus  utrinque  lobatis,  lobis  acute  dentatis,  nervo  mediano 
valido,  nervis  secundariis  sub  ungulo  minime  acuto  egredienti- 
bus,  craspedodromìs,  parallelis  et  basim  versus  arcuati»,  rete  venoso 
vix  coiispicuo  / 

Des.  Osserv.  —  Foglia  ovata  allungata  con  base  quasi 
arrotondata  e  angolosa  all'  inserzione  del  picciuolo,  il  quale  si 
presenta  allungato  e  sottile,  bordi  laminari  quasi  paralleli  e  solo 
convergenti  presso  V  apice  e  la  baso,  lobati  assai  distintamente, 
i  lobi  sono  dentati,  ed  i  denti  acutissimi.  Costola  mediana  sot- 
tilissima e  angolosa  specialmente  in  corrispondenza  del  punto 
d'emergenza  dei  nervi  secondari,  i  quali  nascono  sotto  un'an- 
golo abbastanza  grande  cioè  di  58"*  gradi  e  sono,  quelli  presso 
alla  base  laminare,  arcuati  come  pure  i  due  più  prossimi  al- 
l'apice, retti  quelli  al  centro  della  lamina  foliare,  tutti  quanti 
sono  craspedodromi.  Il  rete  venoso  è  appena  visibile. 

Dietro  questa  descrizione  è  facile  accorgersi  come  il  mio 
esemplare  presenti  poche  rassomiglianze  colle  specie  fossili  fino 
ad  ora  descritte  e  figurate,   per  quanto   esse  siano  numerosis- 


164  (3.   RISTORI 

si  me;  solo  una  lontana  analogia  la  possiamo  trovare  in  qual- 
cuna delle  tante  foglie  riferite  alla  Q.  Drymeja  Ung.  Le  maggiori 
analogie  però  le  ha  colla  specie  tuttora  vivente  Q.  Psmdo-suher 
Santi;  infatti  troviamo  nell'esemplare  fossile  da  me  esaminato 
corrispondenza  nella  forma  dei  lobi  e  delle  dentature  dei  mede- 
simi ed  anche  le  nervature  secondarie  sono  egualmente  disposte. 
Altra  rassomiglianza,  poi  l'abbiamo  nella  forma  ed  acutezza 
dell'  apice  laminare,  il  quale  in  ambedue  queste  specie  la  fossile 
e  la  vivente  presenta  lateralmente  due  dentature  acutissime,  le 
quali  fan  sì,  che  l'apice  medesimo  prenda  1'  aspetto  tricuspidale. 
La  mia  nuova  specie  fossile  però  non  concorda  colla  vivente  per 
la  forma  della  lamina,  che  nella  prima  si  presenta  ph^  allun- 
gata più  ridotta  in  larghezza;  per  modo,  che  i  bordi  laterali, 
della  medesima  si  mantengono  per  lungo  tratto  paralleli  e  solo 
presso  la  base  e  1'  apice  cominciano  a  convergere;  mentre  nella 
specie  vivente  presentano  una  più  o  meno  leggiera  curvatura 
e  danno  alla  lamina  foliare  una  forma  più  ellìttica  ed  avente  un 
diametro  trasversale  relativamente  maggiore.  Di  più  la  specie 
fossile,  conta  un  numero  maggiore  di  nervature  secondarie  cioè 
7  a  8  per  lato  e  la  costola  mediana  ed  il  picciuolo  sono  multo 
meno  sviluppati,  di  più  le  nervature  secondarie  fanno  colla  co- 
stola medesima  un  angolo  più  ottuso. 

Locai.  —  Foresta  presso  Figline  Valdarno  (Coli,  del  Museo 
Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze)  rinvenuta  da  me  nelle 
argille  cenerognole  (Zona  delle  Ligniti). 


Qaerciu  Etymodrys   Ung. 

Q.  foliis  longe  petiolatis,  oblongo-ellipfciciS;  regulariter  sinuato-dentatis, 
dentibus  obtusis,  basi  attenuatis,  apice  obtiisiusculis,  peuninerviis, 
nervis  secundariis  rectis;  altemis  vel  oppositis,  venis  perpendicu- 
laribus,  retem  laxum  tetragonum  plerumque  efformantibns.  Ung  FI, 
i\  GleL  p.  174.  Taf.  III.  fig.  S,  Mass.  FI.  foss.  Senig.  p.  178,  Tav. 
XXII'XXIII,  fig.  10,  11,  12.  Tav.  XLII,  fig.  12,  Gaudin.  Fenili, 
foss.  de  la  Tose.  M.  VI.  p.  13.  PI.  Ili,  fig.  11.  Schimper  Tr.  Pai. 
veg.  p.  650,  II. 

Osserv.  —  Gli  esemplari  riferibili  a  questa   specie  sono    in 
gi-an  uumero  stati  da  me  raccolti  presso  una  località  detta  la 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  VALDARNO  SUPERIORE  165 

Foresta  distante  due  chilometri  dalla  terra  di  Figline.  L'im- 
l^ronte  sono  per  lo  più  in  un  argilla  cenerognola  refrattaria  ed 
nuche  se  ne  trovano  in  uno  strato  argilloso,  di  color  nero  e 
bituminoso,  che  alterna  con  quello  cenerognolo.  Esse  vi  si  rin- 
vengono numerosissime  e  si  veggono  sopramettersi  le  une  alle 
altre;  per  modo  che  è  difficile  poterle  isolare  ed  averne  una 
completa.  Ad  onta  di  ciò  si  riscontrano  con  facilità,  in  quei  nu- 
merosi esemplari  succitati  i  caratteri  delle  foglie  appartenenti 
alla  Qitercus  Et;jmodrifs,  anzi  alcuni  di  essi  sono  riferibili  alla  va- 
l'ietèt  entelea  del  Massalongo  (FI.  foss.  Senig.  p.  179  Tav.  XXIL 
XXIII  fig.  10-12J,  altri  alla  varietà  microdonfa  rappresentata 
e  descritta  nella  medesima  opera  del  Massalongo  Tav.  XXII-XXIII 
tig.  5  p.  180.  Da  ciò  si  può  ,con  maggior  probabilità  di  non 
avere  errato,  ritenere  V  esistenza  assoluta  anche  nel  Valdarno 
superiore  di  questa  specie  fino  ad  ora  creduta  da  molti  esclu- 
siva della  flora  del  Miocene  superiore. 

Locai.  —  Foresta  presso  Figline  Valdarno  (da  me  raccolta 
e  donata  al  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  G^ogr.  —  Marne  di  S.  Anna  |j rosso  Gleichenberg.  Si- 
nigagliay  Puzzolente^  Montemasso,  Casino  presso  Siena. 


Qaercus   Ilex  L. 

Fra  gli  esemplari  di  fìlliti,  che  si  conservano  nel  Museo 
della  Accademia  del  Poggio  residente  in  Montevarchi,  ne  ho 
potuto  osservare  uno,  che  appartiene  alla  specie  Quercus  Ilex, 
giacché  concorda  perfettamente  colla  descrizione  e  figure  che  il 
Gaudin  dà  a  p.  P,  M.  V,  PI.  HI,  fig.  7-11  Cont.  a  la  FI.  foss. 
ital.  Gli  esemplari  del  Gaudin  provengono  tutti  quanti  dai  Tufi 
vulcanici  delle  Lipari,  quindi  questa  specie  che  oggi  trovo  nel 
Valdarno  superiore  è  comune  anche  alla  Flora  quaternaria  non 
che  alla  vivente.  L'impronta  da  me  esaminata  proviene  proprio 
dal  piano  delle  Argille  arse,  da  cui,  lo  Strozzi,  il  Pantanelli  ed 
il  Major  ('),  hanno  voluto  vedere  rappresentato  il  Miocene  su- 
periore o  il  Pliocene  inferiore  in  una  parola  l'orizzonte  più  antico 


(V  Major    —    Sul  livello  geologico  del  terreno^  in  cui  fu  trovato  il  così  detto 
Cranio  delV  Olmo,  Arch.  per  l'Antropologia  e  la  Etnologia.  Voi.  VII,  p.  344.  (1877). 


166  6.    RISTORI 

dei  depositi  pliocenici  del  Valdarno,  che  secondo  il  Major  sarel)- 
bero  contemporanei  a  quelli  del  Casino  presso  Siena. 

Locai.  —  Gaville  e  Castelnuovo  (Zona  delle  Ligniti)  Coli,  del 
Museo  della  Acc.  valdarnese  del  Poggio  residente  in  Montevarchi. 

Distr.  geogr.  —  Isole  Lipari. 

Qnercus   flsniinensis  nov.  sp. 

Tav.  Vili,  fig.  16 

Q.  foliis  oblongis,  longe  petiolatis,  basi  apiceque  attenuati»,  strictis, 
margine  regulariter  sinuato-dentato,  dentibus  obtusis,  penninerviis, 
nervo  mediano  valido,  secundariis  rectis  alternatisve,  nervulis  ab  ae- 
cundariis  sub  angulo  fere  recto  egredientibus,  rete  venoso  vix  conspicuo. 

Des.  Osserv.  —  Foglie  allungatissime  acuminate,  attenuate 
alla  base,  lobate,  lobi  dentati,  denti  piccoli  e  poco  acuti,  pic- 
ciuolo lungo  e  valido,  nervatura  mediana  valida  e  alquanto 
sinuosa  specialmente  presso  V  apice  laminare,  nervature  secon- 
darie in  numero  di  8  per  lato  ed  uscenti  ad  angolo  acuto  dalla 
costola  mediana,  con  andamento  leggermente  incurvato  al  centro 
della  lamina,  più  sentitamente  presso  T  apice  e  presso  la  base. 
Le  nervature  terziarie  escono  dalle  secondarie  sotto  un  angolo 
vicinissimo  al  retto  e  si  confondono  col  rete  venoso,  il  quale 
limita  aree  rettangolari  con  lati  sinuosi  ed  alquanto  irregolari. 

Gli  esemplari  qui  descritti  furono  raccolti  da  me  stesso  nella 
solita  argilla  cenerognola  della  Foresta  (Zona  delle  ligniti).  Questi, 
come  si  vede  dalla  descrizione,  si  presentano  assai  caratteristici 
e  non  hanno  somiglianza  perfetta  con  nessuna  delle  specie  fos- 
sili; solamente  qualche  analogìa  con  le  giovani  foglie  di  Q.  Ett/- 
modrys;  ma  ne  diflferiscono  per  molti  cai'atteri  specialmente  per 
lo  lobature  molto  meno  profonde  in  questa  nuova  specie  ed 
anche  per  la  forma  della  lamina,  che  si  presenta  tanto  più  al- 
lungata e  stretta,  e  finalmente  per  la  quasi  costante  arenazione 
più  o  meno  evidente  dei  nervi  secondari.  Fra  le  specie  viventi 
somiglia  un  poco  al  Q.  cenns  e  al  Q.  robur.;  ma  quest'  ultime 
specie  hanno  i  lobi  del  bordo  laminare,  che  vanno  a  finire  in 
dentature  molto  più  acute,  hanno  il  picciuolo  molto  più  corto 
e  le  nervature  meno  marcate. 

Locai.  —  Foresta  presso  Figline  valdarno  (Raccolte  da  me 
e  donate  al  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 


(TONTKIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  VALDAUNO  SUI'ERIOKK  167 

Fani.    Saliciiieae 

Sallx    integra    Goepp. 

S.  Foliis  lanceolatis,  basi  attenuatis,  acutis,  nervis  secundarìis  angulo 
acuto  egredientibns.  Gtcpp,  foss.  Flora  v.  Schossnitz.  §.  x;?,5,  Taf,  XIX, 
fig.  1-16.  Heer  Flora  foss.  Helv,  li,  p.  H2,  Taf  LXVIII,  fig,  20-22. 
Gawlin  Feuilll.  foss.  de  la  Tose.  p.  30,  M.  7,  PI.  Ili,  fig.  6. 

Syn.  Salix  attenuata  AL  Br.  Stizenh.  79,  Salix  paucinervis  AL 
Hr,  in  Stizenb  79, 

Osserr.  —  L'  esemplare  di  fillite,  che  io  riferisco  alla  specie 
suindicata,  concorda  perfettamente  colla  descrizione  e  figura  del 
(landin  Feuill.  foss.  de  la  Tose.  M.  7,  p.  30^  PI.  Ili,  fig.  6,  e 
del  Heer  FI.  foss.  Ilelv.  p,32,  Taf.  LXVIII,  fig,  22.  Solamente 
r  esemplare,  da  me  esaminato  presenta  dimensioni  minori  di 
fronte  a  quello  figurato,  dal  Gaudin;  mentre  concorda  anche  per 
«inesto  con  alcuni  degli  esemplari  figurati  dall'  Heer. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno (Coli,  del  Museo 
(Jeologico  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  CEningen.  Montaione  {in  Toscana). 

Salix   decurrens    nov.  sp. 

Tav.  Vili,  fig.  19. 

S.  foliis  laiiceolatis  in  petiolum  attenuatis  atque  decurrentibus,  basi  api- 
ceqiie  valde  attenuatis,  costa  media  valida,  nervis  secundariis  validis 
vi  Miib  angulo  acutissimo  egredientibns,  arcuatis,  in  margine  laminari 
decurrentibus. 

Des.  Osserr.  —  Foglia  lanceolata  con  lamina  molto  atte- 
jKiata  alla  base  e  decorrente  nel  picciuolo,  il  quale  si  mostra  di 
circa  5  millimetri  lungo,  grosso  e  perfettamente  cilindrico.  Il 
l)ordo  laminare  è  integro,  l'apice  attenuato  e  alquanto  arroton- 
dato, la  costola  mediana  assai  grossa,  le  nervature  secondarie 
poco  evidenti,  arcuate  decorrenti  lungo  il  bordo  laminare  ed 
uscenti  con  angolo  acutissimo  dalla  costola  mediana.  Le  nervature 
secondarie  si  anastoraizzano  con  le  terziarie,  specialmente   nei 


i 


168  G.    BISTOBI 

pressi  del  bordo  laminare.  La  lunghezza  della  foglia  compreso 
il  picciuolo  è  di  cent.  8,  la  massima  larghezza  cent.  1,03^  presa 
alla  distanza  di  due  terzi  dall'estremità;  del  picciuolo. 

Non  con  troppa  facilità  ho  potuto  capire  se  V  esemplare  qui 
preso  in  esame  e  gli  altri  ad  esso  simili  appartenessero  ad  un 
Sali*^,  piuttosto  che  ad  un  Laurus:  infatti  se  esaminiamo  atten- 
tamente la  figura  e  descrizione  che  il  Massalongo  dà  per  il  Laurus 
iteopltylla  Mass.  FL  foss.  Senig.  p.  258,  Tav.  XLF,  fìg.  18.  e  quella 
di  Ett.  per  il  L.  phoeboides  EU.  Foss.  FL  v.  Vien.  Taf.  Ill^  fig.  3. 
visi  possono  trovare  analogie  abbastanza  numerose  ed  importanti 
colla  mia  nuova  specie  di  Salix;  però  quando  si  tenga  conto  nella 
mia  specie  della  forma  caratteristica  della  lamina,  del  suo  ro- 
busto e  corto  picciuolo  e  dell'acutissimo  angolo,  che  le  nervature 
secondarie  fanno  colla  mediana  non  che  della  loro  pronunziata 
curvatura  e  decorrenza  lungo  il  bordo  della  lamina  medesima; 
credo,  che  si  abbia  abbastanza,  per  potere  riferire  la  mia  im- 
pronta ad  un  Salix  piuttosto  che  ad  un  Laurus,  e  descriverla 
come  specie  nuova.  Fra  le  specie  viventi  che  più  si  avssomiglino 
alla  qui  fossile  descritta  sta  per  primo  il  Salix  babilonica  Jj. 
quest'ultima  però  differisce  per  la  base  laminare  meno  attenuata, 
la  lamina  molto  più  sviluppata  e  più  allungata  e  ridotta  invece 
in  larghezza;  secondo  viene  il  Salic  candida  Mi.  il  quale  però 
ha  il  bordo  laminare  crenato  e  V  apice  acuto.  Noteremo  in  ul- 
timo come  la  decorrenza  della  lamina  nel  picciuolo,  proprietà 
caratteristica  nella  mia  nuova  specie,  non  sia  cosa  frequente  nei 
Salix:  infatti  fra  i  fossili  abbiamo  il  solo  Salùc  nimpharum  Gaud. 
fra  le  specie  viventi  abbiamo  il  Salix  alba  L.,  S.  silesica,  S.  an- 
gusti folta,  S.  arbuscula,  S.  daphnoides,  S.  sacuti f olia y  S.  viminalis, 
e  poche  altre. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno  (Coli,  del 
Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Popnliitt 

Populu8   mutabilis  v.  oblonga  Heer. 
Tavr.  Vili,    tìg.  29. 

P.  foliis  oblongo-ovatis  et  sublanceolatis,  basi  integris,  superne  dentatis 
vel  serratis.  Heer  FL  tert.  Hdv.  II,  p.  19.  IIL   p.  173,  Taf.  LX, 


OONTBIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  YALDARNO  SUPERIORE  1 69 

fig.  6,  7,  9,  10,  13,  15,  Mass.  FI.  foss.  Senig.  p.  243.  Ett.  Foss. 
FI.  V.  Bilin  p.  85,  Taf.  XXII,  fig.  11,  XXVIII.  fig.  8,  Schimper  Tr. 
Pai.  veg.  p.  694.  IL 

Syn.  Populus  oblonga  Al.  Br.  in  Stizenh.  p.  80. 

Osserv.  —  All'  esemplare  da  me  studiato  e  rifei'ito  alla  specie 
P.  mtÀtabilis  v.  oblonga  fra  le  tante  e  varie  forme  della  lamina 
foliare  figurate  dall'  Heer,  una  sola  corrisponde  perfettamente  ed 
è  quella  della  Fig.  16,  Taf.  LX,  le  altre  se  ne  discostano  più 
o  menOy  ripetendo  però  e  mantenendo  i  principali  caratteri, 
quali  sarebbero,  la  forma  della  lamina,  e  la  disposizione  delle 
nervature  secondarie.  L'esemplare  però  da  me  esaminato  presenta 
il  picciuolo  alquanto  mal  conservato  e  quindi  è  impossibile  potere 
riscontrare  se  anche  la  lunghezza  e  grossezza  di  esso  corrisponda 
agli  esemplari  figurati  dall' Heer;  quello  che  si  può  ancora  ve- 
dere nel  mio  esemplare  è  il  modo  d' inserzione  del  picciuolo  alla 
lamina  e  anche  questo  corrisponde  perfettamente  alle  rappre- 
sentazioni dell'  Heer. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno  (Coli,  del 
Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  O'Jningen,  Stettfurf,  a  Schrotzburg,  Sotzka, 
Radoboj,  Ligniti  di  Bonn  Miocene  del  Mississipi,  Puzzolente, 
Montemasso  f  Toscana),  Sinigaglia. 


Fam.  Balsamifluae 

l^iquidainbar 

Liqnidainbar   Enropaeum    A.  Braun. 

L.  foliis  loDge  petiolatis,  palmatilobis  3-5  lobis,  lobis  argute  serratis 
apice  cuspidatis,  lobo  medio  indiviso  rarius  lobato,  (fractibus  in  stro- 
bilum  globosum  eoalitis,  capsulis  lanceolatis  longe  coruutis,  pedun- 
culo  strobili  elongato  crassiusculo  stricto.  Al  Br.  in  Buckl.  Gedog.  I, 
p.  115;  in  Stizenb.  Verzeichn  p.  76,  Ung.  Cìilor.  prof.  p.  120,  Taf. 
XXX.  fig.  1,  5.  m.  foss.  FI.  v.  Vien.  p.  15,  Taf  II,  f  19-22,  Goepp. 
Tert.  FI.  v.  Schossnitz  p.  22,  Taf  XII,  f  6-7.  Heer  FI.  tert.  Helv.  II, 
p.  6,  Taf.  LI-LIj,  fig.  1-8.  E.  Sismo»KÌa  Matér.  pour  serv.  a  la  pai. 
du  Pieni,  p.  30,  PI.  IX,  fig.  7,  Gaud.  et  Strozzi  Fenili,  foss.  de  la 


170  G.    RISTORI 

Tose.  p.  SO,  PI.  V.  1-3.  Mass.  FI.  foss.  Seniy.  p.  237,  Tav.  XII,  f.  4. 
Tav.  Xn\  fig.  6.    Schhnper^  Tv.  de  Pai.  veg.  11^  p.  710. 

Syn.  Acer  parschluijianum.  Vng.  Chlor.  prot.p.  132^  Taf.  XLIIL 
f'  5,  L.  acerifolium  Ung.  Iconogr.  Taf.  XX^  f.  28.  Oen.  et  spec. 
p.  Ò15. 

Osserv.  —  Un  solo  esemplare  e  non  conipleto  proveniente 
da  Gaville  rappresenta  questa  specie  nella  Flora  fossile  del 
Valdarno  superiore.  L' impronta  è  indubbiamente  riferibile  al 
genere  Liquidomhar,  somiglia  molto  alla  specie  Europaeum;  ma 
stante  i  lobi  un  poco  più  ottusi  presentati  dal  mio  esemplare 
(stando  a  co,  che  dice  il  Massalongo  FI.  foss.  Senig.  p.  239  a 
proposito  della  sua  nuova  specie  L.  Vincianum  Mass.)  potrebbe 
anche  a  questa  riferirsi;  per  quanto  abbia  i  lobi  molto  più  ottusi 
del  mio  esemplare,  il  quale  per  le  dimensioni  la  forma  e  Tacu- 
minatezza  dei  lobi,  concorda  perfettamente  colla  fig.  3  PI.  V, 
M.  1  Gaudin  Feuill.  foss.  de  la  7 ose,  che  ci  rappresenta  il  L.  Fai- 
ropaeum.  Dietro  poi  T  incertezza  espressa  dal  Massalongo  stesso, 
riguardo  alla  vera  e  propria  distinzione  della  sua  nuova  specie, 
riferisco  senz'  altro  il  mio  esemplare  a  quella  del  Braun  L. 
Europaeum. 

Locai.  — •  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno  superiore. 
Coli,  del  Museo  della  Società,  Vaklaruese  del  Poggio  residente  in 
Montevarchi. 

Distr.  geogr.  —  Sotzka^  (Eningen,  Radobojj  Montetnasso, 
(Toscana),  Puzzolente,  Sinigaglia. 


Urtieinèe 

Fani.    Ulinaccae 

l^lanera 

Planerà    linieri    Ett. 

P.  follia  breviter  petiolatis  rarius  sessi libns  magnitudine  maxime  varian- 
tibus,  ovato-acuminatis,  vel  ovato-lanceolatis,  basi  plerumque  insequali- 
bus  aequaliter  et  sempliciter  serratis  vel  crenatis,  dentibus  plerumque 
maguis,  nervìs  secutidariis  7-14  sub  angulo  acuto  egredientibus. 
Ett.  foss.  FI.  V.  Hàring  Taf.    X,  fig.  4-5.  Ileer    FI.  tert.  Uelv.  Ily 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  YALDARNO  SUPERIORE  171 

p.  60,  Taf.  LXXX.  Uvg.  foss.  FI,  i\  Kumi  p.  24,  Taf.  IV,  fig.  10-16. 
Heer  FI.  foss.  arci.  p.  110,  Taf.  IX,  fi(j.  8.  Sismonda  Matèr.  poiir 
serv.  a  la  pai.  dii  Fieni.,  p.  48.  PI.  XVII I,  fig.  2,  4.  Ludw.  Palceon- 
togr.  Vili,  p.  106,  Tab.  XXXVllI,  fig.  9-11,  XXXIX.  fig.  1,  10. 
LX,  3,  3  A  3  h,  —  Scliimper  Tr.  de  Pai.  veg.  p.  714,  II,  At. 
LXXXIX,  Gandhi,  FeuiU.  foss.  de  la  Tose.  M.  I,  p.  34,  PI.  II,  fig. 
10.  M.  IV,  p.  21,  PI.  I  fig,  15  17. 

OBsery.  —  Mi  sembra  cosa  inutile  trascrivere  qui  la  lunga 
sinoninoia,  di  questa  specie  e  per  essa  rimando  senz'altro  al  Trat- 
tato di  paleofitologia  dello  Schiniper  p.  714  Voi.  IL  Come  pure 
per  le  osservazioni  sulla  incerta  classazione  delle  forme  di  filliti 
riferite  a  questa  specie,  richiamo  le  osservazioni  fatte  dal  Mass. 
FI.  Foss.  Senig.  p.  216  sul  genere  Zelkova  sinonimo  di  Planerà. 
Ho  riferito  a  questa  specie,  un  impronta  di  foglia  da  me  stesso 
raccolta  alla  Foresta  presso  Figline  valdarno,  e  cre<lo  la  mia 
determinazione  bastantemente  ben  fondata;  giacche  queir  im- 
pronta presenta  tutti  i  caratteri  propri  della  specie  suindicata 
e  concorda  colle  figure  che  ne  danno  THeer,  V  Ett.,  ed  il  Gaud. 
stesso.  Farò  poi  notare  come  anche  il  Gaudin  sospettasse  l'esi- 
stenza di  questa  specie  nella  flora  fossile  del  ValJarno  supe- 
riore, per  avere  potuto  esaminare  molti  frammenti  di  filliti  pro- 
venienti da  quella  località,  i  quali  a  suo  dire  appartenevano  con 
molta  probabilità  ad  essa  specie;  ma  il  non  avere  o.ijjli  potuto 
esaminare  esemplari  di  foglie  sufficentemente  ben  conservati  e 
completi,  gli  impedì  di  ascrivere  anche  quella  specie  fra  le  com- 
ponenti la  flora  fossile  sum mentovata. 

Locai.  —  Foresta  presso  Figline  Valdarno  superiore  (donata 
da  me  al  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  Svizzera,  Alemagna,  Croazia,  Grecia,  Francia, 
Italia  nei  terreni  miocenici.  Il  Gaudin  l'indica  nel  quaternario 
di  Prata,  Monsummano  e  Poggio  Montone,  (  Toscana)  e  nel  pliocene 
di  Montajone   Val  D'Era. 


Ulmus    quercifolia    Ung. 

Tav.  VIIL    fig.  20. 

U.  foliis  petiolatis,    ovato-acuminatis    basi    attenuatis,    argute    dentatis 
penninerviis,  nervis    secuiidariis  subsimplicibus    craspedodromis   Ung. 


172  G.    RISTORI 

Chlor,  prot,  p.  .%',  Taf.  XXV,  fig.  J,  Gen.  sp.  pi.  foss.  p,  ili,  Hyl- 
loge  pi.  foss.  /,  p.  13.  Taf.  I\\  fig.  7-13.  Scìiimper  Tr.  pai.  veg.  11^ 
p.  721. 

Osserv.  —  La  fillite,  che  io  ho  riferito  alla  suindicata  specie 
dell'Unger  presenta  una  perfetta  somiglianza  colla  fig.  5  Taf. 
XXV,  Ung.  Chlor  prot.  e  ne  concorda  anche  la  descrizione,  quindi 
credo,  che  non  si  possa  dubitare  sulla  vera  esistenza  di  questa 
specie  nella  flora  fossile  del  Vnldarno  superiore.  Aggiunjjerò  poi 
che  ad  onta  della  facile  confusione  che  i)uò  succedere  frk  le  fo- 
glie appartenenti  ai  generi:  Ulmus,  Corglus,  Betula,  Alnus,  tanto 
fra  loro  rassomiglianti,  specialmente  per  la  nervatura  il  mio 
esemplare  presenta  dei  caratteri  così  evidenti  da  escludere  quasi 
ogni  dubbio  di  appartenere  a  specie  diversa  e  molto  meno  a 
genere  diverso  da  quello  a  cui  V  ho  riferito. 

Locai.  —  Zona  delle  Ligniti  (Gaville  Castelnuovo)  (Coli,  del 
Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Dlstr.  gd3jr.  —  Formazioni  mioceniche  superiori  della 
Sfiria,  Parschlug  e  Obdachj   Wiesenau  (Carinzia). 


liaurlnèe 

Fani.    Lanraceae 


Permea 

Per8ea   speciosa    Heer. 

P.  foliis  coriaceis,  longe  petiolatis,  ellipticis,  nervo  mediano  vjilido,  secun- 
dariis  utrinque  8-10,  sub  angulo  acuto  ogredientibus  Heer  FI.  ieri. 
Helv.  II,  p.  81,  Taf.  XC,  fig.  11-12.  e  Taf.  C\  fig.  18.  ///,  p.  185, 
Taf.  CLIIl  fig.  9-10.  Gand'ln,  Few  II.  fo.ss.  de  la  Tose.  M.  7,  p.  37, 
PI.  X,  fig.  3.  PI.  VII,  fig.  7  11  Kit.  fo.ss.  FI.  v.  Bilin.  p.  197.  Taf. 
XXXII,  fig.  15-16.  Srhimper,   Tr.  Pai  veg.  p.  829,  II. 

Osserv.  -  Mi  sono  imbattuto  in  diversi  esemplari  di  fiUiti 
appartenenti  alla  specie  dell'  Heer  Persea  speciosa;  essi  infatti 
concordano  perfettamente  colle  figure  e  descrizioni  date  dall'  Heer 
e  dal   Gaudin,    Degli  esemplari  da  me  esaminati   alcuni    vsomi- 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  YALDARNO  SUPERIORE    '  173 

gliano  alla  fìg.  7,  PI.  VII,  M.  I,  Gaiid.  Feuill.  foss.  dt^  la  Tose,  altri 
alla  fig.  3  PI.  X,  id.  memoria.  Dubito  del  resto,  che  anche  il 
Gaudio  abbia  prima  di  me  potuto  esaminare  e  riferire  alla  specie 
suindicata  un'  impronta  di  fillite  avuta  dallo  Strozzi;  la  quale 
probabilmente  proveniva  dal  Valdarno  superiore.  Neil'  incertezza 
però  ho  voluto  qui  far  menzione  delle  molto  filliti  che  ho  avuto 
agio  di  esiiminare  se  non  altro  a  conferma  della  certa  es  stenza 
di  questa  specie  nella  flora  fossile  del  Valdarno  superiore. 

Locai.  —  Fratello  {^)  presso  S,  Otovanni  Valdarno  (Coli,  del 
Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  Molassa  d'  acqua  dolce  nella  Svizzera;  Schro- 
fzburg  presso  (Eningcn  argille  di  Priesen.  Travertini  di  A'.  Vi- 
Valdo,  Jano  (Toscana).  (Appartiene  al  gruppo  della  Persea  indica). 


Hskmnafran 

Sassafras    Ferrettianuni    Mass. 

11  Gaudia  ha  determinata  questa  specie  su  di  un  esemplare 
abbastanza  mal  conservato  e  che  presentava  intero  solo  un  lobo 
laterale  della  lamina  foliare;  essendomi  io  imbattuto  in  un  im- 
pronta perfettamente  conservata  ed  intiera  trovo  ben  fatto  no- 
tare ciò  a  conferma  della  certa  esistenza  della  suindicata  specie 
fossile,  nel  valdarno  superiore. 


Cinnamoniiiiii 

Ginnaiiiomum   lanceolatnm  (Ung.)  Heer. 

Tàv.  Vili,  fig.  22,  23, 

C.  fohis    petiolatis,    laiiceolatis    basi    apiceque    acuminafcis    triplinerviis 
lateralibus  margine    approxiraatis,  acrodromis  apicera  non  attingen- 

(*)  Di  questa  specie  ne  esistono  nuoierosissirai  esemplari  nel  Museo  deH*  Acca- 
demia valdarnege  del  Foggio  residente  in  Montevarchi,  provenienti  da  Gaville.  Fra 
questi  esemplari  vi  si  trovano  tutte  quante  le  forme  di  foglie  figurate  dai  diversi 
autori  e  riferite  alla  suindicata  «specie;  per  cui  non  si  può  più  dubitare  della  sua 
esistenza  nella   flora  fossile  del  Valdarno  superiore. 


174         *  G.    RISTORI 

tibus  Heer.  ti  tert.  Helv,  />.  SO,  Taf.  XCIII,  fig.  6-11.  Mass.  FI. 
foss.  Senig.  p.  265,  Tav.  Vili,  fig.  2,  3,  4.  e  Tav.  XXXIII,  fig.  9. 
Sisinonda  Matér  pour  serv.  a  la  Pai.  du  Piem.  p.  52,  PI.  XXIV, 
fig.  5-6  e  PI.  XVI,  fig.  7.  Ung.  foss.  FI.  v.  Kwni  p.  30,  Taf.  VII, 
Schimper  Tr.  Pai.  veg.  p.  842,  II. 

Syo.  PhyUUes  cinnamomeus  Ross.  Versi.  Taf.  /,  fig.  2 ,  Daphno- 
gene  lanceolata  Ung.  FI.  v.  Sotzk.  Taf.  XVI,  fig.  l''6.  Web.  Pa- 
loBontogr.  II  p.  183,  Taf  XX,  fig.  8.  EU.  FI.  M.  Prom.  Taf.  VII, 
fig.  3-7.  Ceanothus  lanceolatus  (et  polymorphus  ?)  Veb.  loc.  cit.  Taf.  VI, 
fig.  4,  5. 

Osserv.  —  Il  Massalongo  nella  sua  flora  fossile  Senigallie^^e, 
a  proposito  della  specie  Cinnamoinum  hinceolatum ,  osserva  che 
alcune  forme  possono  facilmente  confondersi  colla  Daphogene 
Ungevi  Heer  e  col  Cinnamomwn  Rossmàssleri  Heer  stante  le 
piccole  differenze  dei  caratteri  diagnostici.  Io  però  per  i  miei 
esemplari,  credo  proprio  essermi  imbattuto  in  due  delle  forme 
più  caratteristiche  del  C.  lanceo^atum:  infatti  i  caratteri  che  io 
riscontro  sulle  filliti  esaminate  corrispondono  perfettamente 
alle  descrizioni  e  figure  date  e  dall'  Heer  e  dal  Sismonda  a  pro- 
posito della  suindicata  specie.  Abbiamo  poi  che  uno  dei  due 
esemplaai  somigl  a  alla  perfezione  colle  fig.  6,  7,  10  Taf.  XCIIl 
dell'  Heer  FI.  tert.  Helv  e  con  hi  fig.  7  PI.  XXVI  del  Sismonda 
Matér.  patir  se>*v.  a  la  pai.  du  Pieni,  l'altro  invece  che  è  anche 
più  perfettamente  conservato  si  avvicina  alle  fig.  8,  9,  Taf. 
XCIII  dell'  Heer  opera  stessa. 

Loeal.  —  Gaville  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno  (Coli, 
del  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze. 

Distr.  geogr.  —  Svizzera  nella  molassa  d'  acqua  dolce  Sotz. 
Rodobojj  Hoering,  ligniti  di  Bon.  Sinigaglia,  Torino,  schisti  di 
Asson  Rixhòft,  Kumi. 


Clonamomuin    TarglonlI  nov.  sp. 

Tav.  Vili,  tig.  24. 

G.  foliis  amplis,  ovalibus,  basi  obfcusa,  nervo  mediano  validissimo,  nervis 
lateralibus  e  basi  egredienfcibus  validis  ac  margini  parallelis  efc  fere 
apicem  attingentibus  ;  nervis  tertiariis  parifcer  e  basi  orienfcibas, 
arcubus  curvatis  efc  margini    fere    parallelis,  nervulis  transversis  ex 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  YALDAKNO  SUPERIORE  175 

lateribus   egredienfcibus  sub  angulo  fere    recto,  rete    venoso    interpo- 
sito  polygono. 

Dea.  e  Osserv.  —  La  fili  ite,  che  qui  descrivo  sotto  il  nome 
nuovo  di  Cinnainoinuiii   Targionii  proviene  dal  Fratello  presso  S. 
Giovanni   Valdarno  è  benissimo  conservata,  e  manca  solo  del- 
l'apice laminare.  Essa  piesenta  anche  a  prima  vista  dei  caratteri, 
che  la  fanno  subito  distinguere  da  tutte  le  specie  fossili  e  vi- 
venti di  Cinnìmomum,  eccone  la  descrizione.  Foglia  perfettamente 
ovale  e  di  dimensioni  considerevoli.  La  base  laminare  è  rotonda 
e  nel  bel  mezzo  di   essa  si  inserisce  il  picciuolo,    che   dall'  im- 
pronta lasciata  al  punto  di  inserzione,  si   giudica   robustissimo 
come  è  il  nervo    mediano  diretta    continuazione   del    picciuolo 
medesimo.    I  due  nervi  laterali  sono  arcuati  paralleh  al  bordo 
laminare  anch'  essi  robusti  e  raggiungono    quasi  l' apice  della 
lamina.  Oltre  a  questi  due  nervi   ne   abbiamo  altri   due    pure 
uscenti  dal  punto  d' inserzione  del  picciuolo,  i  quali    meno  ro- 
busti del  primo  paio  si  dispongono  fra  questi  e  il  bordo  lami- 
nare e  vengono  come  costituiti  da  tanti  piccoli  archi,  all'estre- 
mità poi  di  ciascuno  di  essi  archi  sorge  un  nervetto  di  quarto 
ordine,  che  uscendo  ad  angolo  quasi  retto  attraversa  nel  senso 
della  larghezza  1'  area  limitata  dal  nervo  laterale  primario  e  da 
quello  secondario;  per  modo  che  essa  area  viene  divisa  in  tanti 
quadrilateri  aventi,  dei  due  lati  più  corti,    l'uno  più  prossimo 
al  bordo  laminare  con  convessità  volta  all' infuori,  l'altro,  più 
prossimo  al  nervo  mediano  e  costituito  quindi  da  una  porzione 
di  uno  dei  nervi  laterali  primari,  con  convessità  meno  pronunziata 
e  volta  pure  verso  il  l)ordo  laminare  più  prossimo.    I  suddetti 
nervetti  trasversali  poi  si  anastomizzano  e  contribuiscono  a  for- 
mare il  rete  venoso  poligonare.  L'  area  compresa  fra  i  due  nervi 
laterali  primari  è  pure  conspersa  di  rete  venoso  poligonare;  ma 
costituito  dalle  diramazioni  ed  anastomosi  di  nervetti,  che  hanno 
origine  dalla  costola  mediana. 

La  nuova  specie  di  Cinnamofnum,  (*)  qui  descritta  e  figurata, 
ha  qualche  analogia  col  C.  spectahile  Heer;  quest'  ultima  però  ha 
una  maggiore  tenuità  della  base  laminare,  nervature  meno  mar- 
caie  e  decisamente  soprabasilari  ed  è  mancante  della  terza  serie 

(')  Le  specie  viventi,  che  mostrano  maggiori  soiniglianze  coUa  fossile  qui  deetritta 
sono  queste:  Cinnamomum  zeylanicum  Brey.  Laurus  cinnamomum  And.  Smilcun  ca- 
narienaù  Willd.  Smilax  Walteri  Furch. 


176  0.  ftisToìu 

di  nervature  uscenti  dal  punto  di  inserzione  del    picciuolo  ed 
aventi  andamento  parallelo  ai  bordi. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  ValJarno  superiore 
(Coli,  del  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Glanamomum   polymorphum  Heer  (A.  Br.) 

Tav.  Vili,  fìg.  21. 

Cito  questa  specie  e  figuro  neir  annessa  tavola  uno  degli 
esemplari  da  me  esaminati,  il  quale  al  pari  di  tutti  gli  altri 
proviene  da  Fratello  presso  S.  Giovanni  valdarno;  perchè  il 
Gaudi n  nelle  sue  Memorie  Sur.  quel  Gis.  de  FeuilL  foss.  de  la 
Tose,  mentre  cita  nel  quadro  sinottico  comparativo  la  suin- 
dicata specie,  omette  poi  di  farne  la  descrizione  e  di  figurare 
nelle  tavole  qualcuno  degli  esemplari  meglio  conservati. 

Del  resto  gli  esemplari  da  me  esaminati  non  presentano 
nulla  di  notevole  ed  hanno  visibili  e  benissimo  conservati  i 
caratteri  della  specie,  a  cui  gli  ho  riferiti  e  a  cui  indubbiamente 
appartengono. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni.  Gaville  Valdarno  su- 
periore. (Coli,  del  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 
Distr.  geogr.  —  Sotzka.  Monte  Fromina,  Torino,  Sinigaglia^ 
Svizzera,  F uzzolente,  Montemasso,  Bozzone  (Toscana). 


Brielnee 

Fam.    Ericaceae 

Andromeda 

Andromeda   protogaea  Ung. 

A.  foliis,  coriaceis,  utrinque  attenuatis,  integerrimis,  costa  valida,  iiervis 
secandariis  alternis  camptodromis  iuaequidisfcantibus,  nervulis  flexuosis 
percurrentibus  in  retem  minutum  exculptum  solufcis  Ett.  FI.  foss. 
Haering.  p.  64,  Taf.  XXII,  fig,  1-8,  Heer  FI.  tert.  Helv.  Ili,  p.  8, 
Taf.  CI,  fig.  26  e,  d,  e,  f.  Mass.  Piani,  foss.  del  Vicentino,  p,  153. 
Mass.  FI.  foss.  Senig.  p.  297,  Tav.  XXXIV,  fig.  3-6,  Tav.  XLIII, 


CONTBIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DSL  VALDARNO  SUPERIORE  l77 

fig.  4.  Oaud.  Fenili,  foss,    de  la    Tose.  M.   i,  p.  39.  PI.  X,  fig.  10. 
Schimper  Tr.  pai.  veg.  III^  p.  4. 

Byti.  Leucothoe  protogaea  Ung.  foss.  FI.  v.  Solzka  Taf.  XXIII, 
f.  2, 5,  5,  9.  Sf'himper  Tr.  pai.  veg.  III^  p.  4.  Andromeda  tristis  Ung. 
SylL  ILI,  p.  36,  Taf.  XII,  fig.  12.  Andromeda  reticulaia  Ett.  Fi. 
V.  Haring.  p.  65,  Taf  XXII,  fig.  9-10. 

Ossery.  —  L'  esemplare  da  me  esaminato  non  consiste  che 
in  un  frammento  della  porzione  inferiore,  di  una  lamina  foliare, 
ad  onta  di  ciò  vi  si  possono  riscontrare  tutti  quanti  i  caratteri 
necessari  per  una  determinazione  specifica:  infatti  si  vede  bene 
che  esso  concorda  perfettamente  colla  descrizione  e  figura  del- 
l' Heer  FI.  tert.  Helv.  Hip.  8  Taf.  CI  fig.  26  e  con  quella  MVEtt. 
FI.  Haring  p.  64  Taf.  XXII  fig.  1-8  non  che  con  quella  del  Gaudin 
Fenili,  foss.  de  la  Tos.  M.  Ip.  39  PI.  X  fig.  10.  11  lungo  e  grosso 
picciuolo,  r  attenuazione  pronunziatissima  della  lamina  alla  base, 
la  disposizione  delle  nervature  secondarie,  ed  il  rete  venoso  quasi 
costantemente  rettangolare,  sono  caratteri  abbastanza  importanti 
e  così  evidenti  nel  frammento  di  fili  ite  da  me  studiato,  da  non 
lasciare  nessun  dubbio  sulla  giustezza  di  questa  determinazione. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno  superiore 
(Coli,  del  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  Sotzka,  Haring,  M.  Promina,  Stiria.  Nella 
molassa  d'acqua  dolce  nella  Svizzera,  Rumi,  Sarzanello  {Piemonte), 
Sinigaglia,  Puzzolente  {Toscana). 


Polycarpee 

Fam.    Magiioliaceae 

Magnolia 

Magnolia  fraterna  Sap. 

Tav.  Vili,  fig.  «6. 

M*  foliis  corìaceis,  elliptico-oblongis^  lanceolatìs,  integerrìmis,  subtus  ut 
▼idetur,  pubescentibus,  penniuerviis,  nervo  primario  valido,  subtus 
prominente,  secundariis  sub  angulo  plus  minusve  aperfco  emissis  obli- 
quisve  secus  marginem  curvatis,  anastomosautibus,  nervulis  transver- 
sim  oblique  decurrenfcibus  flexuosis  tenuifcer   refciculatis,    pagina   su- 

S:  Noi.  Voi.  U.  ftic.  1.0  12 


178  0.   BISTOBI 

periori   impre^sis    Sap,  FI.  foss.  de  Meximieux  p.  267;  PI,  XXXII^ 
fig.  2-4.  Schimper  Tr,  pai.  veg,  III^  p,  76, 

Ossery.  —  Gli  esemplari  da  me  esaminati  sono  abbastanza 
ben  conservati  ed  a  prima  giunta  si  scorge,  che  indubbiamente 
essi  appartengono  al  genere  Magnolia.  Essi  però  si  discostano 
effettivamente  dalle  specie  di  Magnolie  fossili  fin  ora  descritte, 
e  si  avvicinano  grandemente  alla  vivente  M.  grandiflora.  Fra  le 
specie  fossili  però  esiste  a  Meximieux  una  specie  di  Magnolia  e 
precisamente  la  fraterna  di  Sap.,  le  di  cui  impronte  sono  per- 
fettamente simili  a  quelle  da  me  esaminate,  tanto,  che  ho  do- 
vuto a  quest'  ultima  specie  riferire  i  miei  esemplari.  Però  con- 
viene che  io  faccia  notare  come  non  abbia  saputo  vedere  diffe- 
renze apprezzabili  fra  i  miei  esemplari,  la  specie  figurata  e  de- 
scritta dal  Saporta  e  le  foglie  della  vivente  Magnolia  grandiflora; 
poiché  la  maggiore  tenuità  della  lamina  alla  base  e  la  minor 
grandezza  della  lamina  foliare  non  mi  sembrano  caratteri  troppo 
costanti  per  servire  di  base  ad  una  distinzione  specìfica:  infatti 
quando  si  osservino  bene  i  miei  esemplari  si  scorge  anche  in 
essi  come  pure  nelle  foglie  della  Magnolia  grandiflora,  e  negli 
esemplari  figurati  dal  Saporta  per  la  sua  specie  fossile,  l' inco- 
stanza dei  caratteri  suaccennati.  Un  solo  carattere,  che  si  trova 
costante  nelle  foglie  della  suindicata  specie  vivente,  manca  invece 
tanto  nei  miei  esemplari  fossili,  quanto  in  quelli  figurati  dal 
Saporta;  e  questo  si  è  la  breve  decorrenza  della  lamina  foliare 
lungo  il  picciuolo. 

Locai.  —  Foresta  presso  Figline  Valdarno.  Gaville.  (Coli,  del 
Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  Meximieux,  depositi  pliocenici. 

Acerlnee 

Fam.    Aceraceae 

Acer 

Acer    integrilobum  OW. 

Tav.  Vili,  fig.  26 

Ossery.  —  Figuro  nella  annessa  tavola  l'unico  esemplare  di 
Acer  integrilobum,  che  ho  potuto  osservare  nella  collezione  del 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  VALDARNO  SUPERIORE  17d 

Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze,  e  ciò  per  far  rite- 
nere come  certa  V  esistenza  di  questa  specie  nella  flora  fossile 
del  Valdarno  superiore;  perchè  fra  le  molte  filliti  appartenenti 
ad  Acer  figurate  dal  Gaudin  FeuilL  foss.  de  la  Tose.  AL  VI  PI. 
IV  non  ne  scorgo  alcuna,  che  veramente  possa  dirsi  appartenere 
alla  specie,  a  cui  ho  riferito  il  mìo  esemplare:  infatti  anche  il 
Gaudin  stesso  a  pagina  19  M.  VI  dell'  opera  suindicata,  nota 
come  la  prima  e  la  terza  figura  della  tavola  IV  assomiglino  al- 
quanto al  A.  integrilohum ;  ma  non  in  modo  da  escludere  ogni 
dubbio  su  di  una  simile  determinazione  che  ne  venisse  fatta. 
Di  più  egli  stesso  enumera  le  differenze,  che  esistono  fra  i  suoi 
esemplari  e  le  descrizioni  e  figure  date  dall'  Ileer  FI.  teì-t.  Ilélv. 
Ili,  p.  58  Taf.  ex  VI  fig.  11  e  dal  Massalongo  p.  332  Tav.  XV- 
XVI  fig.  6  per  la  vera  specie  A.  integrilohum.  11  mio  esemplare 
invece  ripete  precisamente  la  forma  di  quelli  figurati  dall'  Heer 
e  dal  Massalongo  e  corrisponde  perfettamente  alle  descrizioni 
della  specie. 

Locai.  —  Gaville  Valdarno  superiore  (Coli,  del  Museo  Geo- 
logico e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  (Eningen.  Puzzoleìite  {Toscana). 


Acer  sp.  ind. 
Tav.  Vili,   fig.  31. 

Figuro  nella  annessa  tavola  l'impronta  di  una  Samara^)  di  Acero 
proveniente  da  Fratello  presso  S.  Giovanni  e  questo  perchè  essa 
mi  pare,  che  differisca  da  tutte  quelle  figurate  dal  Gaudin  come 
trovate  nel  Valdarno  superiore.  Il  mio  esemplare  invece  presenta 
delle  somiglianze  colle  Samare  proprie  dell'  Acer  crassinervium 
Ett.  FI.  foss.  V.  Bilin.  Ili  p.  22  Taf.  XLVfig.  8-16  e  con  quelle 
dell'  A.  narbonense  Sap. 

(')  Per  Samara  si  intende  PAchenio  alato. 


aso 


0.   RISTORI 


Frangullnee 

Fam.  Iliceae 

Ilex 

Ilex  Massalongi  nor.   sp. 

Tav.  Vili,  fig.  27. 

I.  foliis  ovato-elUpticis,  coriaceis,  basi  rotandàta,  apice  acuminato  spi- 
noso, margine  spinoso,  costa  mediana  validissima,  nervis  secundariis 
ramosis,  validis  ac  alteruis  nervulis  ac  venis  patentissimis. 

Des.    Osserv.   —    Questa  fillite  appartiene  indubbiamente 
al  genere  Ilex;  giacché  possiede  tutti  quanti  i  caratteri,  che  il 
Massalongo  e  THeer  pongono  in  rilievo,  come  distintivi  di  questo 
genere.   Per  ciò  che  riguarda  la  specie  a  cui   può  appartenere 
questo  mio  esemplare,  si  può  affermare  recisamente,  che  differisca 
tanto  dalle  specie  fossili  quanto  dalle  viventi  fino  ad  ora  cono- 
sciute; da  ciò  la  ragione , di  averne  fatta  una  nuova  specie  e  di 
darne  una  dettagliata  descrizione.  Foglia  ovale  con  base  arro- 
tondata ed  apice,  che  finisce  in   una  punta  spinosa,  lunghezza 
della  lamina  cen.  9,  picciuolo  lungo  e  robusto,  costola  mediana 
validissima,  nervi  secondari  pure  molto  robusti  ed  uscenti  dal 
mediano  sotto  un  angolo  di  54*  e  6';  queste  nervature  secondarie 
sono  in  numero  di  8  o  9    per  lato  e  disposte   con  alternanza, 
alcune   di   esse  attraversano  le  spine  e  finiscono  nella  punta 
acuminata  delle  medesime,  mentre  le  altre  si  ripiegano  ad  arco 
in  prossimità  del  bordo  laminare  ed  ivi  si  anastomizzano  colle 
diramazioni  delle  altre  e  formano   nell'insieme  un  rete  venoso 
evidentissimo  e  a  larghe  maglie.  Il  bordo  laminare  è  provvisto 
nella  porzione  sinistra  della  lamina  follare  di  una  sola  spina,  nella 
porzione  destra  invece  di  due,  corrispondenti  a  due  nervature 
secondarie  alternanti  non  successive.  I  nervetti  terziari  nascono 
dai  secondari  spesso  sotto  un  angolo  vicino  al  retto  si  diramano 
alla  lor  volta  e  si  anastomizzano  fra  di  loro  e  con  le  loro  dira- 
mazioni, limitando  così  aree  assai  grandi  e  di  varia  forma. 
La  mia  nuova  specie  mostra  delle  analogie  coir  Uex  Sluderi 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  PEL  VALDARNO  SUPERIORE  181 

De  la  Ilarpe  figurato  e  descritto  dair  Ileer  FI.  tert.  JJelv.  Voi.  Ili 
p.  72  Taf.  CXXII  fig.  11^  e  col  L  Ruminiana  Hecr  FI.  tert.  Ilelv. 
Ili  p.  72  Taf.  CXXIF  fifj.  23  :  infatti  col  primo  lui  comune  la 
forma  triangolare  ed  appuntata  delle  spine  e  la  disposizione  delle 
nervature  secondarie;  non  concorda  però  per  il  numero  delle 
dentature  spinose,  per  il  rete  venoso  e  per  i  nervi  di  2.*  e  3.° 
grado,  che  nella  specie  dell'  Heer  sono  molto  meno  robusti;  col 
secondo  invece  concorda  per  la  validitii  delle  nervature;  ma 
discorda  per  il  numero  delle  dentature  spinose,  che  sono  nella 
mia  nuova  specie  molto  meno  numerose;  ma  più  grandi.  Fra 
le  specie  viventi  il  solo  Ilex  aquìfolium  può  darcene  una  lontana 
idea;  però  quest'  ultimo  ha  le  nervature  meno  valide,  il  numero 
delle  dentature  spinose  maggiore,  e  le  spine  si  presentano  più 
acuminate  e  la  nervatura  secondaria  è  più  regolare. 

Locai.  —  Gaville  Valdarno  superiore  (^Coll.  del  Museo  Geo- 
logico e  Paleontologico  di  Firenze). 


Fam.    liiiamiieae 

K  h  a  in  11  u  li 

Rhaninns  sp.  iud. 

Riferisco  a  questo  genere  un'im|)ronta,  che  molto  difficilmente 
si  può  verificare  se  appartenga  al  genere  RamniiSj  oppure  al 
genere  Cassia.  Per  la  disposizione  delle  nervature  secondarie  si 
avvicina  ai  Rhamnus;  per  la  piccolezza  della  lamina  foliare  in- 
vece alle  Cassie.  Ad  onta  di  ciò  essa  impronta,  presenta  qualche 
analogia,  specialmente  per  la  disposizione  delle  nervature  secon- 
darie, col  R.  Caudini  Heer,  ne  differisce  j^erò  per  l'angolo  d'emer- 
genza dplle  medesime  più  acuto  nel  mio  esemplare  e  per  la  base 
laminare  più  attenuata.  Del  resto,  non  saprei  a  quale  altra  specie 
avvicinarlo  né  trovo  conveniente  farne  una  specie  nuova,  man- 
candomi esemplari  bene  conservati. 


182  G.    RISTORI 

Tereblnthlnee 

Fam.  Jnglandeae 

Juglann 

Jnglans   tephrodes  Ung. 

Provenienti  dal  Tasso  presso  Terranuova  Bracciolini  ho  avuti 
molti  frutti  indubbiamente  appartenenti  alla  specie  /.  tephrodes 
Ung.  Questo  noto  perchè  il  Gaudin  non  fa  neppure  menzione 
di  sì  numerosi  resti  fossili;  solo  il  Pilla  nel  suo  Trattato  di 
Geologia  p.  176  V.  Il  ne  descrive  e  figura  due  frutti  come  rin- 
venuti nelle  argille  plioceniche  del  Valdarno  superiore.  Questa 
specie  di  Juglans  è  stata  anche  rinvenuta  nelle  formiizioni  la- 
custri del  Bacino  di  Leflfe;  ed  anche  nel  Museo  di  Firenze  esistono 
alcuni  esemplari  di  frutti  appartenenti  indubbiamente  a  quella 
specie  e  provenienti  da  quest'  ultima  località.  Nelle  brevi  con- 
siderazioni da  me  fatte  a  principio  di  questo  studio  sulla  Flora 
fossile  del  Valdarno  superiore  non  ho  mancato  di  notare  questo 
fatto  e  quindi  rimando  a  quelle  per  le  osservazioni  in  proposito. 
Inquanto  alla  descrizione  della  specie  e  alla  figurazione  degli 
esemplari  rimando  all'  opera  del  Pilla  pag.  e  voi.  citato  e  al 
lavoro  deir  Unger:  Sj/lloge  pi.  foss.  pL  38  Taf.  XIX  fig.  13-15 . 

Locai.  —  Tasso  presso  Terranuova  Bracciolini  (Coli,  del  Mu- 
seo Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  Feistritz  in  llliria,  Castel-Arquato  formazione 
subappennina  Bergamo  ligniti,  Leffe  ligniti). 


Carya   elaenoides   Ung.  (Heer). 

Tav.  Vili,  fìg.  1^8,  28  a. 

C.  folioHs  ovato-lanceolatis,  subfalcatis,  serratis,  basi  valde  inaequalibus, 
petiolatis,  lamina  in  petiolum  decurrente,  nervis  secundariis  parallelis 
arcuatis  camptodromis  rete  venoso  conspicuo.  Fructibus  ovato  obloa- 
gis  angulatis  siibpedunculatis.  Heer  FI.  ieri.  Ilelv.  HI,  p,  92,  Taf. 
CXXXI^  fig.  1-4.  Schimper  Tr.  pai,  veg.  p,  256^  III. 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  VALDARNO  SUPERIORE  183 

Syn.  Juf/lans  elaenoides   Ung.  foss.  FI.  v.  SofzJca    Taf.  XXXII, 
fy.  1-4,  Mass,  FI  Senig.  p.  H97,  Tao.  IX,  fig.  11,  Tav,  XLIT,  fig.  14. 

Osserv.  —  Sono  sicuro  della  determinazione  di  questa  specie 
perchè  r  ho  potuta  basare  non  solo  su  esemplari  di  foglioline 
assai  ben  conservate;  ma  anche  su  di  un  esemplare  del  frutto,  del 
quale  credo  bene  di  darne  il  disegno  nella  annessa  tavola.  Tanto 
il  frutto  quanto  le  foglioline  si  accordano  in  tutto  e  per  tutto 
colle  descrizioni  e  figure  date  dall'  Ileer.  Le  foglioline  però  non 
sono  troppo  simili  a  quelle  figurate  dal  Massalongo  sotto  il  si- 
nonimo di  J.  elaenoides.  D'  altra  parte  non  ho  potuto  confron- 
tare i  miei  esemplari  con  quelli  figurati  del  Ung.  autore  di  questa 
specie  giacché  non  mi  è  stato  possibile  avere  la  Foss.  FI.  v.  Sotzka 
ove  r  illustre  paleofitologo  descrive  e  figura  questa  specie.  Del 
resto  ripeto  anche  una  volta,  che  gli  esemplari  da  me  esaminati 
concordano  tanto  perfettamente  colle  descrizioni  e  rappresenta- 
zioni che  Heer  dà  per  la  specie  Canja  elaenoides  Ileer ^  che  non 
è  possibile  dubitare  della  identità,  specifica  dei  miei  esemplari 
con  quegli  figurati  dall'  Heer  stesso.  In  ogni  modo  la  non  corri- 
spondenza della  mia  impronta  con  quelle  figurate  dal  Massalongo 
sotto  il  nome  di  Juglans  elcenoides,  mi  fk  nascere  il  ^dubbio,  che 
non  esista  sinonimia  fra  Carga,  e  Juglans  elaenoides,  e  che  siano 
invece  due  specie  distinte.  Farò  per  ultimo  osservare  come 
r  esemplare  figurato  dal  Massalongo  abbia  grandi  analogie  colla 
Pterocarya  Massalongi  Gaud.  Fenili,  foss.  de  la  Tose.  M.  2,  p.  40, 
PI.  VIII^  fig.  1,  PL  IX,  fig.  2,  mentre  all'  incontro  i  miei  esem- 
plari se  ne  discostano  molto  sia  per  il  numero  e  V  acutezza  delle 
dentature  dei  bordi  laminari,  sia  per  la  disposizione  delle  nerva- 
ture secondarie  e  per  l'acutezza  dell'angolo  d'emergenza  di  esse 
dalla  costola  mediana,  ed  anche  per  altri  caratteri  di  minore 
importanza. 

Locai.  Gaville  Valdarno  superiore  (Coli,  del  Museo  Geologico 
e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  Sinigaglia?  Sotzka?  Losanna,  Aarwangen, 
Ligniti  di  Roti. 


184  G.    RISTORI 

Roslfloree 

Fam.    Amygdaleae 

Prunu» 

Prnnns  nanodes   Ung. 

Cito  questa  specie,  perchè  il  Gaudin  nella  sua  memoria  Feuill. 
fo88.  de  la  Tose.  M.  II,  non  si  mostra  punto  sicuro  di  una  im- 
pronta riferita  alla  specie  suindicata,  e  quindi  resta  in  dubbio 
se  veramente  la  specie  esista  nella  flora  fossile  del  Valdarno  su- 
periore. Un'  impronta  però  proveniente  dal  Fratello  presso  S. 
Giovanni  da  me  esaminata  concorda  con  ogni  suo  carattere  colla 
fig.  1,  Taf.  C XXXII,  Heer,  FL  tert.  Helv,  III.  per  modo  che  non 
lascia  nessun  dubbio  sulla  sua  identità  specifica  e  quindi  anche 
Buir  esistenza  di  questa  specie  nella  Flora  fossile  del  Valdarno. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno  superiore, 
Gaville.  (Coli,  del  Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 

Distr.  geogr.  —  (Eningen,  Gleichenberg . 

lieguitilnosae  incertae  sedls 

Lesaminofilte» 

Legnminosites  sp.   ind. 

Tav.VIII,  fig.  30. 

Sono  stato  molto  incerto  se  riferivo  V  impronta  figurata  a 
Tav.  VITI,  fig.  30  ad  una  Cassia  o  ad  una  Cesalpinia;  dopo  però 
molti  confronti  fatti  su  figure  di  foglie  fossili  e  su  varie  specie 
di  Cassie  e  di  Cesalpinie  viventi  mi  sono  dovuto  convincere,  che 
non  si  poteva,  stanto  la  cattiva  conservazione  del  mio  esem- 
plare, affermare  nulla  di  certo,  ed  allora  mi  sono  deciso  di  fi- 
gurare nella  Tavola  quest'  impronta  distinguendola  col  nome 
generico  Leguminosites  e  dando  alla  terminazione  {ites)  tutto  il 
suo  valore  d' incertezza.  —  La  mia  impronta  però  ha  qualche 
analogia  colla  specie  Legnminosites  Fyladis  Gaud.  ed  anche  colla 
Cassia  ambigua  Ung:  ma  molto  probabilmente  non  appartiene  a 
nessuna  delle  due  specie. 

Locai.  —  Fratello  presso  S.  Giovanni  Valdarno  (Coli,  del 
Museo  Geologico  e  Paleontologico  di  Firenze). 


QUADRO    SINOTTICO    COMPARATIVO  (') 

Delle  Piante  Fossili  del  Pliocene  lacustre  del   Valdarno  Superiore 


N. 


Specie 


1 

2 

8 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

18 

U 

15 

16 

17 

18 

19 

20 

21 

22 


SphMria  italica  Gaad.     .    .    . 

>        annalus  Gaud.  .    .    . 

Osmonda  Strozzi!  Gaod.  .    .    . 

Pinos  HaidÌDgeri  Ung.     .    .    . 

Strozzii  Gaad 

Satarni  Ung 

ooaaniiiM  UDg 

hepios  Ung 

Tozatoria  Gaud.     .    .    , 

palttostrobus  Ett.  .     .    . 

ancinoTdes  Gaud.    .    . 

De-St«faDÌi  dot.  sp.    . 
Sequoia  Langsdorfi  Brog. 
Taxodium  dubium  Stbg.  .    .    , 
Taxodites  Stroxziae  (iaud.    .    . 
GlTptottrobus  eoropaeas  Brog. 
CalUtrites  BroDgniarti  Endl.    , 
Poacites  piimaevas  Gaod.     .    , 
Cyperitee  elegans  Gaud.  .    .    . 
Smilaz  Targlouii  Gaud.    .    .    . 
Potamogeton  Anconai  dot.  sp. . 
Myrica  italica  Gaud.  .    .    .    . 


Miocene 


Pliocene 


PostsUocni 


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(*)  P«r  U  turr«ftioui'  di'i  gearri  drltr  piante  futtili,  lauto  iu  qu«*ito  i|iiadro  tinottiro,  quanto  nel  regio  def  lavoro,  ho  te- 
|tuita  la  cla8>aiioae  adottata  dallo  Schiuiper  nel  suo  trattato  di  Paleofit  logia. 


CONTRIBUTO  ALLA  FLORA  FOSSILE  DEL  VALDABNO  SUPERIORE 


187 


Miocene 


Pliocene 


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49  Salix  nyiopharom  Oau<1 

50  >      media  Al.  Br 

51  >      integra  Gcep 

52  >      decorrens  dot.  sp 

53  PopuluB  Heliadam  Ung 

54  >        matabilis  Heer 

55  Platanns  aceroides  Gwp 

56  Liqoidambar  europaeam  AI.  Br.    .    . 

57  Planerà  Ungeri  Ett 

58  Ulmos  Bronnil  Ung 

59  >      quercifolia  Ung 

60  FÌC08  gaTillana  Gaod 

61  >      tili»folia  AI.  Br 

62  Fenoonia  tasca  Gaod 

68     Laorus  princeps  Heer 

64  >       Gastaldi!  Gaud 

65  >       Gaiscardii  Gaud 

66  >       gracilis  Gaod 

67  >       ocoteaefolia  £tt.?    .    .    .    . 

68  Persea  speciosa  ileer 

69  Sassafras  Ferrettianom  Mass.  .    .    . 

70  Cinnamomom  polymorphum  Al.  Br.   . 

71  >  Bnchii  Heer 

72  >  laaoeolatnm  Heer.  .  . 
78  >  Targionii  noT.  sp.  .  . 
74  •            Scheuchzeri  Heer.    .    . 


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188 


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COmBIBDTO  ILU  FLOBA  FOSSILE  DKLTltDlBNO  aVFEBIOKS  189 


SPIEGAZIONE  DELLE  FIGURE  DELLA  TAV.   Vili. 


Fig. 

l,  2,  3. 

> 

4. 

> 

5,  6,  7,  8. 

> 

9,  10,  11. 

> 

12,  13. 

» 

14. 

> 

15. 

> 

10. 

» 

17. 

» 

18. 

)► 

19. 

> 

•20. 

> 

21. 

> 

22,  23. 

» 

24. 

» 

25. 

> 

26. 

> 

27. 

> 

28-28  a. 

> 

29. 

» 

30. 

> 

31. 

Pinu.s  De-Stefanii  nov.  sp.  Ristori. 

Callitrites  Brongniarti  Endl. 

Potarnogeton  Anconai  nov.  sp.  Ristori  la  fig.  8  rappre- 
senta alcuni  frutti  o  carpidi. 

Fagus  incerta  Mass. 

Fagus  Oaudìni  nov.  sp.  Ristori  la  fìg.  13  rappresenta  una 
foglia  giovane. 

Fagu-s  pseudo-cordifolia  nov.  sp.  Ristori. 

Carpinus  grandis  Ung. 

Quercus  figulinensis  nov.  «.p.  Ristori. 

Qu'^rcus  sp.  ind. 

Quercus  Daniellii  nov.  sp.  Ristori. 

Salix  decurrens  nov.  sp.  Ristori. 

Ulmus  quercifolia  Ung. 

Cinnamomum  polymorphum  Heer  (Al.  Br.). 

Cinnamomum  lanceolatum  Ung. 

Cinnamomum  Targionii  nov.  sp.  Ristori. 

Magnolia  fraterna  Sap. 

Acer  integri lobum  O.  W. 

Ilex  Massalongi  nov.  sp.  Ristori. 

Carya  ehenoides  Ung.  (Heer). 

Populus  mutabilis  v.  oblonga  Heer. 

Leguminosites  sp.  ind. 

Acer  sp.  ind. 


LUIGI  BUSATTI 


MA  SU  il  AlCil  iilAll  TOSCi!i 


BARITINA  DI  CAPRILLONE 

PRI':8S0     MONTKCATIXI     IN"     VaL     DI     CkcINA 


In  cavità  geodiche,  tra  le  vene  calcitiche  attraversanti  la 
paddinga  ed  il  calcare  marnoso  miocenico  di  Caprillone,  furono 
dair  ing.  Lotti  (*)  rinvenuti  dei  belli  e  grossi  cristalli  di  Baritina. 
Neir  esemplare,  che  favorì  al  Museo  di  Pisa,  i  cristalli  di  questa 
specie  sono  impiantati  fra  minuti  cristalli  romboedrici  di  cal- 
cite, sopra  i  quali  giganteggiano  per  la  loro  dimensione.  Oltre 
la  grossezza  fu  il  particolar  modo  col  quale  si  presentano  che 
maggiormente  vi  richiamò  la  mia  attenzione.  Bianco  di  porcel- 
lana è  il  contorno  di  questi  cristalli,  colore  che  verso  il  centro 
svanisce  per  dar  luogo  ad  una  colorazione  gìallo-rossigna  e 
giallo-chiara.  Per  lo  spazio  ove  domina  questo  colore,  i  cristalli 
sono  translucidi;  nelle  parti  periferiche  ove  domina  il  bianco, 
invece  sono  affatto  opachi.  Pochi  sono  i  cristalli  bianchi  e  opa- 
chi in  tutte  le  loro  parti  :  questo  avviene  solo  nei  più  piccoli, 
ed  alcuni  spezzati  lasciarono  nell'  interno  scorgere  delle  por- 
zioni incolore,  limpidissime. 

L'  aspetto  come  corroso,  che  hanno  questi  cristalli  di  bari- 
tina, le  screpolature  che  portano  farebbero  sospettare,  contro 
air  inalterabilità  della  specie  minerale  cui  appartengono,  che 
abbiano  subito  esteriormente  un'  alterazione  o  meglio  una  tra- 
sformazione in  combinazione  idrata.  È  da  questo  punto  di  vista 
che  specialmente  fui  mosso  ad  istituirne  un'  analisi   completa. 

(•)  Boll,  d,  Comit  geoìog,  d' Italia,  N.»  11-12,  1884.  pag.  367. 


192  L.   BU8ATT1 

Ma  sì  la  parte  interna,  che  mi  appariva  la  più  pura  ed  inalte- 
rata, quanto  la  esterna  mi  dettero  sempre  resultati  concordanti 
nelle  ricerche  chimiche. 

La  sostanza  prima  di  assoggettarla  alle  prove  quantitative, 
fu  disseccata  a  100',  quindi  a  200^  in  tubo  essiccatore  in  bagno 
ad  olio,  ma  la  perdita  non  sorpassò  gr.  0,0035  per  gr.  1,0705  di 
sostanza  presa.  Non  contento  di  ciò  scaldai  la  sostanza  in  un 
crogiuolo  di  platino  fino  al  calor  rosso,  ma  anche  con  questa 
prova  la  perdita  non  aumentò  sensibilmente,  e  si  dovè  conclu- 
dere che  la  baritina,  malgrado  le  sue  apparenze,  non  conteneva 
che  acqua  igroscopica^  e  da  trascurarsi  nell'  analisi  quantitativa, 
per  il  resultato  della  quale  do  i  seguenti  numeri: 

Ba 57,817 

Ca 0,241 

SO4 41,094 

99,152    (») 

Avverto  che  la  calce,  atteso  il  poco  precipitato  che  ne  otteneva 
nei  saggi  qualitativi,  è  stata  calcolata  per  l'eccesso  di  acido  sol- 
forico, che  rimaneva  dopo  la  completa  salificazione  del  bario. 

Le  forme  bene  accertate  presentate  da  questa  baritina,  se- 
condo l'orientazione  adottata  dal  Miller,  sono  (HO,  012, 101, 001); 
a  cui  corrispondono  secondo  Naumann  e  Dufrénoy,  respettiva- 

mente  i  simboli  (00  P,  Vj  P  00,  P  00,  0  P),  (m,  a*,  e*,  p).  Porse 
si  potrebbe  aggiungere  alle  sopra  riferite  forme  qualche  altro 
prisma  orizzontale,  ma  non  fu  possibile  accertarlo  con  misure. 
Avverto  che  non  potei  far  uso  che  del  goniometro  a  mano,  col 
quale  del  resto  potei  assicurarmi  dei  seguenti  valori  angolari: 

110  :  no    =-     iOlo 

no  :  012  =«   1190 

012  :  012  =  78« 
012  :  001  »  1410 
012  :  101     —    1200 

101  :  lOr  —  1050 
101  :  001     «     1270 

(^)  Quest*  analisi  V  ho  eseguita  nel  Laboratorio  di  Chimica  generale  dell'  Univer- 
sità, diretto  dal  cav.  prof.  P.  Tassinari.  Colgo  quindi  quest'  occasione  per  ringraziare 
il  detto  Professore  del  gentile  permesso  concessomi  di  frequentare  in  qualunque  mia 
occorrenza  il  suo  Laboratorio;  come  anche  di  mostrarmi  grato  al  dott.  U.  Antony, 
del  detto  Laboratorio,  per  V  aiuto  prestatomi  nelle  varie  ricerche  chimiche  ivi  fatte. 


NOTA  SU  DI  ALCUNI  MINERALI  TOSCANI  .193 

I  cristalli  sono  allungati  molto  nel  senso  dall'  asse  y,  essendo 
il  prisma  orizzontale  101  molto  sviluppato.  Poco  estese  sono  le 
faccio  del  prisma  verticale  110,  ed  in  tutto  V  insieme  la  baritina 
di  Caprillone  per  T  abito  di  cristallizzazione  si  ravvicina  molto 
ai  cristalli  di  celestina. 

La  sfaldatura  si  può  ottenere  facilissimamente  in  piani  per- 
fetti secondo  001  :  il  suo  peso  specifico  4,38  si  scosta  di  poco 
da  quello  dato  per  le  tipiche  baritine. 


GEMIiNATO   DI    EMATITE 

DI  Rio  (Isola  d'  Elba) 


Fra  le  belle  cristallizzazioni  di  ematite  dell'  isola  d'  Elba  non 
s'incontrano  molto  frequentemente  dei  geminati.  L'Hessemberg 
descrisse  e  disegnò  nelle  sue  Mineralogische  notizen  (*)  dei  bellis- 
simi cristalli  di  ematite  elbana  con  geminazione  secondo  R  (100) 

e  secondo  OO  R  (211)  ed  il  D'  Achiardi  (-)  dipoi  ne  osservava 
anche  con  geminazione  parallela  alla  base  (111).  Di  questi  ultimi 
geminati  se  ne  possono  vedere  alcuni  nella  ricca  collezione  to- 
scana che  il  detto  professore  di  Pisa  con  tanta  cura  e  maestre- 
volmente ha  saputo  radunare. 

Il  geminato  che  ora  descrivo  fa  parte  di  un  aggruppamento 
cristallino  d'  un  bellissimo  esemplare  di  ematite  che  fu  donato 
dal  dott.  Badanelli  al  Museo  di  Pisa,  e  che  egli  raccolse  a  Rio. 
Vi  sono   presenti   le  faccio  100  (R),   211  (V^R),   332  (—VsR), 

611  (Vs  R  3),  3ir  (Va  P  2).  Le  isosceloedriche  31  f  e  le  romboe- 
driche 100,  211  sono  faccio  bellissime  e  molto  sviluppate  nel 
cristallo  geminato,  che  fra  gli  altri  del  gruppo  cristallino  at- 
trasse la  mia  attenzione.  Le  211  sono  anche  profondamente  ri« 
gate  nel  verso  dello  spigolo  211  :  100  e  le  332  sono  alcune  levigate 
più  lucenti  delle  altre  ed  un  pochette  gibbute. 


if)  Abhand.  d.  Senchenberg.  Naturf,  Qesel.  in  Frankfurt  a  M.  Bd.  VII,  S.  1, 
ff.  e  Bd.  VII,  S.  257  ff. 

O  Mineralog.  d,  Toicana,  Pisa  1872. 
39.  Ndi.  Voi.  U.  fate.  1.0  13 


m 

Ì94  L.   BUSATtl 

La  geraiuazione  nel  cristallo  in  discorso  avviene  per  giustap- 
posizione. È  asse  di  geminazione  la  perpendicolare  ad  una  faccia 

del  prisma  211.  I  geminati  di  ematite  con  la  enunciata  legge, 
quali  sono  quelli  dell'  Elba  e  disegnati  dair  Hessemberg  (*),  come 
anche  quelli  di  Traversella  effigiati  dallo  Strùver  (*),  hanno 
sempre  questo  carattere  a  comune:  abito  tabulare  e  parallelli- 

smo  delle  faccio  311  e  111  dei  due  gemelli:  cioè  a  dire  che  la 
faccia  basale  ed  isosceloedrica  di  un  cristallo  è  in  perfetta  con- 
tinuazione con  le  corrispondenti  faccio  dell'  altro.  Jl  nostro  esem- 
plare si  allontana  da  questi  inquanto  che  vi  ha  solo  parallel- 
lismo  delle  faccio  isosceloedriche,  mancandovi  la  base.  È  appunto 
per  la  presenza  in  esso  dei  romboedri  332  e  211  che  si  ha  in- 
vece un  angolo  rientrante  all'  estremo  dell'  esilissima  e  tortuosa 
linea^  la  quale  lasciano  appunto  scorgere  le  faccio  isosceloedriche 
dei  due  gemelli,  là*  dove  si  uniscono  per  fondersi  in  un  mede- 
simo piano. 


CLORITE  DELLA  MINIERA  DEL  BOTTINO 

(Alpi  Apuane)    (•) 


La  clorito  di  questa  miniera  si  presenta  in  masse  ed  in 
piccoli  concentramenti  tra  le  belle  cristallizzazioni  dei  solfuri 
metallici  della  ricordata  ed  abbandonata  miniera  del  Bottino, 
presso  Serravezza. 

L' aspetto  è  scaglioso,  il  suo  colore  verde  pomo  :  è  luccicante 
e  minutamente  cristallina.  La  sua  polvere  esaminata  al  micro- 
scopio si  risolve  in  tante  e  minute  scaglie  o  lamelle  cristalline 
verdoline  e  1'  una  all'  altra  addossate,  sovrapposte  a  somiglianza 
d'  una  pila  che  si  attorcigli  lungo  una  linea  spirale.  Le  larainette 
cristalline  a  contorno  generalmente  rotondo  si  mostrano  spesso 
in  una  forma  di  esagono  regolare  perfetto.  Quando  si  possono 

(0  V.  Op.  cit. 

(•)  Std.  cristall  ematite  di  Traversella.  At.  d.  R.  Ac.  delle  Se.  di  Torino,  Voi.  VII. 

(^)  Dello  studio  di  questo  minerale  resi  già  conto,  in  unione  al  prof.  A.  Funaro, 
in  una  seduta  della  Soc.  Toscana  (V.  voi.  lU,  dei  proc.  verb.  p.  281).  Oggi  desidero 
riunirlo  agli  altri  minerali  di  recente  studiati,  anche  perchè  cosi  verranno  corretti 
gli  errori  numerici  che  il  proto  allora  inseriva  nello  specchietto  dell'  analisi. 


NOTA   8U   DI   ALCUNI   MINERALI   TOSCANI  195 

esaminare  di  una  certa  sottigliezza  appariscono  trasparentissime 
e  debolissimamente  dicroiche  con  un  nicol,  e  mostranti  leggeri 
colori  d' interferenza  con  i  due  nicol. 

La  sua  durezza  è  =  1,5  circa;  il  pes.  spec.  =  2,8  —  2,9. 

I  caratteri  chimici  di  questa  clorito  sono  i  seguenti.  Col 
borace  dà  una  perla  giallo-rossastra  a  caldo,  che  raffreddandosi 
passa  al  verde-chiaro  per  divenire  gialla  a  freddo.  Riscaldata 
nel  tubo  chiuso  prende  colore  bruno  e  svolge  acqua.  Anche  se 
riscaldata  a  rosso  su  lastra  di  platino  mantiene  il  colore  bruno. 
L^  acido  cloridrico  concentrato  T  attacca,  svolgendo  da  principio 
un  poco  di  anidride  carbonica.  Per  prolungata  ebollizione  si 
decompone  totalmente  con  deposito  di  silice  gelatinosa. 

L'analisi  qualitativa  eseguita  su  varii  pezzi  del  medesimo 
minerale  ha  costantemente  rivelato  la  fissenza  di  basi  alcaline, 
e  la  presenza  di  tracce  di  calce  soltanto  in  alcuni  pezzi.  Preva- 
lenti si  riconobbero  agevolmente  il  ferro  allo  stato  ferroso,  la 
allumina,  la  silice  e  la  magnesia. 

Per  l'analisi  quantitativa  fu  scelto  un  campione  scevro  di 
calce.  I  resultati  ottenuti  sono  i  seguenti,  che  metto  a  confronto 
con  quelli  dati  da  altri  analizzatori  per  cloriti  delle  due  sot- 
toindicate località: 


1.  Bottino.  Anal.  Funaro.        2.  Muttershausen  in 

Nassau.  Anal. 

Erlenmeyer  (*). 

3.  Dillenburg.  Anal.  NieBs(*). 

1 

2 

3 

Anidride  silicica  (SiO,)      .     . 

■ 

.    23,69 

25,72 

23,67 

Ossido  aUuminico  (Al^Oj)  .    . 

.    21,63 

20,69 

24,  i6 

»       ferrico  (Fe^Oa)  .... 

.       4,27 

4,01 

8,17 

»       ferroso  (FeO)      .    .     . 

.    31,53 

27,  79 

29,41 

»       magnesico  (MgO)  .     .     . 

4,82 

11,70 

1,75 

»        calcico  (CaO)     .... 

— 

— 

1,-28 

Acqua  (H^O) 

7,00 

10,05 

8,83 

Anidride  carbonica  (COj)  .    .     . 

4,12 
100,06 

— 

1,01 

99,96 

98,38 

Il  prof.  D'  Achiardi  nella  sua  Mineralogia  della  Toscana  fa 
menzione  di  questa  clorito,  che  per  i  caratteri  esteriori  (^)  am- 
mette doversi  ritenere  come  Eipidolite,  e  più  specialmente  come 
appartenente  alla  sua  varietà  Afrosiderite. 

(<)  Jahresh.  1860,  77a 

O  Jalirb.  Miner.  1873,  320. 

(')  Mineralog.  <L  Toscana,  II,  pag.  231. 


196  6.   BUSATTI 

L'  analisi  di  cui  ho  ora  ripartiti  i  resultati  conferma  quanto 
fino  da  allora  aveva  pensato  V  egregio  mineralogista,  in  quanto 
che  i  resultati  ottenuti  concordano  assai  con  quelli  di  campioni 
di  afrosiderite  di  altra  provenienza,  come  quelli  le  cui  analisi  ho 
posto  a  confronto  con  quella  eseguita  dal  Funaro. 

La  presenza  di  acido  carbonico  costante  in  questa  afroside- 
rite fa  credere  che  essa  sia  già  alterata  dalla  sua  composizione 
normale;  giacché  questo  corpo  non  può  starvi  altrimenti  che 
combinato  al  ferro  o  alla  magnesia,  e  senza  entrare  nella  mo- 
lecola clorìtica.  Per  questa  cagione  ci  siamo  astenuti  dal  tirar 
fuori  una  formula,  che  non  avrebbe  fatto  maggior  luce  certa- 
mente sulla  complessa  costituzione  dei  minerali  cloritici. 


UUARZO,    GESSO,    PIROLUSITE 

dell'  isola  del  Giglio 


Questi  minerali  provengono  dai  giacimenti  metalliferi  dell'  Isola 
e  più  particolarmente  da  quello  della  Cala  dell'Allume  il  quarzo 
ed  il  gesso,  ivi  associati  ai  minerali  già  noti  di  questa  località  (V): 
la  pirolusite  invece  dal  giacimento  di  minerali  manganesiferi 
del  Campese  (-). 

Quarzo.  —  In  generale  cristalli  della  semplice  combinazione 

(211,  100,  22T),  ora  limpidi  ora  nebulosi,  e  che  hanno  molta 
somiglianza  con  quelli  provenienti  dalle  masse  ferree  dell'  isola 
d'  Elba. 

In  un  cristallino  una  faccia  sola  tiene  luogo  della  bipiramide, 
ed  è  così  poco  inclinata  sull'  asse  del  cristallo  da  far  credere  a 
prima  vista  che  occupi  il  posto  della  base.  I  valori  angolari  che 
ebbi  misurando  l' inclinazione  di  questa  faccia  con  la  prismatica 
oscillarono  da  85%  11'  a  85%  40%  (media  85%  21').  Il  cristalletto, 
regolare  per  le  faccio  prismatiche,  che  sono  striate  orizzontal- 
mente, porta  sulla  faccia  eccezionale  una  incavatura  centrale 
triangolare. 

(«)  Busatti  —  Fluorite  delV  is.  d.  Giglio.  At.  d.  Soc  Tos.  d.  Se.  Nat  Voi.  VI, 
fase.  1.0 

(*)  Lotti  —  Appunti  d.  osser.  geolog.  nel  promontorio  Argentario,  nelVis.  del 
Giglio  e  di  Gorgona.  Bollet  d.  Comit.  Oeolog.  d*  Italia.  N.  5-6,  1883. 


MOTA    SU   DI    ALCUNI    MINERALI    TOSCANI  197 

In  altro  cristalletto  questa  faccia,  per  così  dire  pseudobasale, 
si  è  come  ripetuta  per  più  volte  sovra  sé  stessa  in  piani  pa- 
rallelii  succedentisi  V  uno  di  seguito  air  altro  verosimilmente 
colla  medesima  inclinazione. 

In  un  terzo  cristalletto  portante  la  solita  faccia,  nel  centro 
di  questa  si  erge  di  nuovo  la  bi piramide.  Altri  cristalli,  per  il 
sovrapporsi  e  decréscere  di  questa  faccia,  hanno  preso  una  forma 
quasi  decisamente  fusata.  Questa  forma  poi  apparisce  al  sommo 
grado  in  alcuni  grossi  cristalli,  che  divennero  tali  solo  per  V  as- 
sociarsi ed  il  decrescere  in  unione  parallela  di  altri  individui 
cristallini  minori.  Altre  particolarità  si  potrebbero  notare  nelle 
faccie  romboedriche  di  questi  quarzi:  così  alcune  se  ne  hanno 
concave  e  conservanti  per  tutta  la  loro  estensione  levigatezza 
come  nelle  piane.  Altre  poi  sono  tutte  striate,  ed  ora  più  ora 
meno  profondamente,  ma  sempre  in  modo  da  darci  V  idea  come 
esse  risultassero  da  decrescenti  gradini.  In  questo  ultimo  caso 
però  i  contemporanei  riflessi  al  goniometro  dimostrano  chiara- 
mente come  si  abbia  sempre  a  che  fare  col  medesimo  rom- 
boedro. 

La  presenza  di  faccie  più  o  meno  inclinate  suU'  asse  del 
cristallo  e  simulanti  la  base  non  è  nuova  nel  quarzo,  e  basti 
ricordare  fra  gli  esempi  nostrani  i  quarzi  di  Palombaia  illustrati 
dal  prof.  Bombicci  prima  ed  in  seguito  da  altri  mineralogisti. 
Tuttavia  ho  creduto  non  affatto  disutile  il  ricordarle  anche  di 
questa  località,  perchè  possono  avere  un  certo  valore  riguardo 
al  modo,  ancora  discusso,  col  quale  esse  faccie  possono  essersi 
prodotte. 

È  fuori  di  dubbio  che  nel  nostro  caso  esse  non  hanno  avuto 
origine  come  nei  così  detti  bahel-quarz,  in  cui  le  faccie  si  pro- 
dussero in  uno  spazio  ristretto  da  non  potersi  liberamente 
estendere,  vuoi  per  il  contatto  di  altra  faccia  cristallina,  vuoi 
per  una  superficie  levigata  contro  la  quale  si  trovarono  impe- 
gnati per  una  delle  sommità,  in  modo  che  ne  fu  impedito  il 
regolare  accrescimento.  I  cristalli  che  qui  ricordiamo  si  erge- 
vano liberissimi  tra  piccoli  cristalli  romboedrici  di  calcite  e  che 
formavano  insieme  a  questi  una  piccola  geode  rinvenuta  spez- 
zando un  ammasso  di  pirite.  Per  i  nostri  cristalli  è  lecito  anche 
non  ammettere  che  queste  sue  forme,  devianti  dalle  ordinarie, 
sieno  divenute  tali  'per  corrosioni ,  o  sieno  state  acquisite  per 


198  L.   BTSATTl 

caase  ulteriori  intervenute  a  modificare  i  cristalli  di  quarzo  dopo 
essersi  formati. 

Ci  sembra  in  fine,  che  per  i  cristalli  che  abbiamo  sotto  occhio, 
nei  quali  riscontriamo  un  graduato  passaggio  dalla  faccia  unica 
ed  inclinata  sul  prisma  fino  alla  forma  fusata  dei  cristalli  di 
questo  stesso  giacimento,  sia  più  ragionevole  ammettere,  seguendo 
r  idea  di  molti  mineralogisti,  che  le  forme  descritte  debbano 
ripetere  la  loro  orìgine  da  cause  perturbatrici,  influenzanti  più 
o  meno  direttamente  la  cristallizzazione  fino  dal  primo  deporsi 
delle  molecole  formatrici  dei  cristalli. 

Ctesso.  —  Ne  ho  incontrati  dei  cristalli  di  grandezza  va- 
riabile, alcuni  raggiungono  perfino  sei  centimetri  di  altezza*  Le 
forme  che  presentano  si  hanno  associate  nella  combinazione  (111, 
110,010;.  Le  faccie  111  lucenti  presentano  delle  gibbosità  che 
rendono  ineguali  la  loro  superficie;  le  110  più  o  meno  lucenti 
a  seconda  dei  cristalli  portano  strie  per  lo  lungo;  le  010  sono 
molto  estese  e  presentano  in  alcuni  cristalli  una  lucentezza  se- 
ricea dovuta  ad  esilissime  fibre  fra  loro  parallele,  attraversanti 
le  faccie  per  tutta  la  loro  estensione:  sono  anche  scanalate  nel 
verso  dello  spigolo  di  combinazione  col  prisma.  Alle  sopra  rife- 
rite forme,  comuni  per  le  cristallizzazioni  del  gesso,  se  ne  uni- 
scono altre  in  alcuni  cristalli;  esse  si  presentano  come  faccette 
di  modificazione  allo  spigolo  HO  :  010.  Sono  strette  e  lucenti: 
di  due  ho  potuto  misurare  la  inclinazione  sul  prisma,*  ed  ho 
ottenuto  dei  riflessi  colla  110  che  si  scostano  di  poco  da  164* 
per  la  più  vicina  al  prisma,  e  per  la  più  lontana  di  circa  154*. 
Questi  valori  si  possono  ritenere  come  molto  vicini  a  quelli 
riportati  dal  Dos  Cloizeaux  (*)  per  le  forme  di  questa  specie 
g  ^Vs,  g  Vi  (13  23  0,  250).  Infatti  egli  da: 

m  :  g  «/s l^)4^    -2\  57" 

migVa 1540, 44M0'' 

Tra  alcuni  cristalli  di  gesso  si  nascondono  delle  piccole  mas- 
sarolle  giallognole  di  solfo,  ed  essi  più  che  gli  altri  esemplari 
dimostrano  chiaramente  come  |)ossa  essersi  prodotto  il  solfato 
di  calce  nel  filone  della  Cala  dell'  Allume;  cioè  per  V  alterazione 
dei  solfuri  e  più  specialmente  per  quelli  di  ferro,  ivi  abbon- 
dantissimi. 

(0  An.  de  Chimie  et  de  Physique,  3.«  Sér.,  T.  X.  pag.  53. 


NOTA    SLf   DI   ALCUNI    MINERALI    TOSCANI  109 

Pirolasite.  —  Di  questa  specie  è  prevalentemente  costi- 
tuito il  giacimento  manganesifero  del  Cam  pese.  E  inclusa  in 
ammassi  nel  calcare  cavernoso  infraliassico  o  lo  impregna  ad- 
dirittura; come  avviene  nella  giacitura  del  vicino  Monte  Argen- 
tario, ove  il  minerale  ferro-raanganesifero  compenetra  profonda- 
mente il  calcare  cavernoso.  —  11  colore  è  bruno,  i  cristalli  hanno 
splendore  metallico:  sono  aciculari  e  si  riuniscono  in  forme 
fibrose  e  raggiate.  Danno  polvere  nera  e  sono  solubili  comple- 
tamente nell'acido  cloridrico  concentrato.  È  difficile  però  che 
si  abbia  a  che  fare  con  pirolusite  pura,  si  ha  sempre  più  o 
meno  deposito  di  silice  nella  soluzione,  nella  quale  i  saggi  chi- 
mici vi  svelano  copia  di  ferro  e  carbonato  di  calce. 


MAGNETITE  ED  EPIDOTO 

DEL    Romito    (  Monti    Livornesi  ) 


Rinvenni  questi  due  minerali  in  vicinanza  del  Romito  sulla 
via  a  sinistra  di  chi  vi  si  conduce,  dietro  Y  indicazione  datami 
dair  ing.  Lotti,  in  un  concentramento  di  eufotide  inglobato  in 
un  ammasso  della  stessa  roccia,  ma  che  presentavasi  all'  intorno 
tutta  alterata.  La  mai^netite  vi  è  abbondante  e  disseminata  fra 
il  feldispato  in  masserelle  di  color  grigio  scuro  completamente 
opache.  L'epidoto  vi  si  trova  più  raro:  è  cristallizzato,  di  color 
giallo  verdastro  e  spesso  i  cristallini  si  riuniscono  fra  loro  in 
forma  radiata. 


IL 


J 


NELLA 


PROVINCIA    DI    PISA,    ED    I    SUOI    FOSSILI 


MONOGRAFIA 

DEL  DOTI.  GIOVANNI  AUGUSTO  DE  AMICIS 


Tutto  quel  complesso  dì  colline  note  col  nonoe  di  —  Colline 
Pisane  — ,  studiate  anche  dal  lato  geologico  fino  da  tempi  ab- 
bastanza lontani,  è  costituito  quasi  esclusivamente  di  terreni 
terziari.  Ho  detto  quasi  esclusivamente,  volendo  con  questa  re- 
strizione accennare  a  quei  piccoli  lembi  di  terreni  cretacei,  giu- 
rassici, liassici  ed  infraliassici  scoperti  non  è  molto  (*)  presso  i 
Bagni  di  Casciana  nella  località  detta  Sammuro  e  nelle  vicine 
di  Macchione,  Casina,  e  Colle  Montanino.  ' 

In  quasi  tutte  quelle  colline  si  ha  un  carattere  commune 
e  pressoché  costante,  la  disposizione  concentrica,  direi  quasi  zo- 
nata, dei  terreni  terziari,  cominciando  in  basso  dall' eocenico  e 
venendo  al  miocenico  e  quindi  al  pliocenico. 

L'  eocene  vi  è  rappresentato  dai  calcari  alberesi  in  massima 
parte,  da  schisti  galestrini,  arenarie,  argille  schistose,  calcari 
siliciferi,  ftaniti  e  diaspri  gremiti  di  scheletri  di  radiolarii;  il 
miocene  presenta  in  prevalenza  i  gessi  e  le  marne  gessoso-solfifere, 
calcari  marnosi,  ligniti,  conglomerati  ad  elementi  calcareo-ser- 
pentinosi,  calcari  grossolani,  marne  a  cerizii,  e  tripoli;  il  pliocene 


{})  Lotti  B.  —  Un  piccolo  lembo  di  rocce  antiche  in  mezzo  al  pliocene  pretto 
i  Bagni  di  Casciana,  Proc.  verb.  Soc.  Tose,  di  Scienz.  Nat.  Voi.  IV,  13  gennaio  1884. 


IL  CALCARE  AD  AMPHISTEGINA  NKLLA  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  201 

è  rappresentato  da  conglomerati,  sabbie,  argille  turchine,  sabbie 
marnose  compatte,  marne  a  foraminiferi,  calcari  ad  Amphistegina. 

È  appunto,  come  Io  accenna  il  titolo  di  questo  lavoro,  dei 
calcari  ad  Amphistegina  che  intendo  qui  occuparmi,  e  dei  nu- 
merosi fossili  che  in  essi  si  contengono. 

Prima  di  entrare  a  parlare  della  posizione  stratigrafica  di 
detti  calcari  e  della  loro  fauna  e  flora  fossile,  credo  cosa  utile, 
anzi  necessaria,  far  precedere  un  breve  cenno  degli  studi  che 
precedentemente  a  questo  riguardo  furono  fatti,  e  delle  diverse 
opinioni  dei  vari  geologi  per  riguardo  al  posto  da  assegnarsi  a 
questi  calcari  nella  serie  geocronologica. 

Questi  calcari  pel  bizzarro  loro  modo  di ,  presentarsi,  per 
r  apparenza  loro  simile  ad  enormi  cumuli  di  lenticchie  pietrifì- 
cate  riunite  da  un  cemento  a  formare  a  volte  intiere  colline, 
da  gran  tempo  attirarono  V  attenzione  degli  osservatori  e  dei 
curiosi  delle  cose  naturali  e  dettero  luogo  ad  una  infinità  di 
supposizioni  e  peregrine  spiegazioni  più  o  meno  lontane  dal  vero. 

Il  primo  che  di  tali  calcari  si  occupò  fu  il  celebre  natura- 
lista Targioni-Tozzetti  (*).  Egli  riconobbe  a  Casciana,  Parlascio 
e  San  Frediano,  che  tale  deposito  constava  di  innumerevoli 
corpi  marini  uniti  insieme  da  glutine  lapideo;  e  che  fra  questi 
corpi  marini  quelli  che  più  degli  altri  tutti  abbondavano  erano 
le  Lenticoliti  o  Numismali.  Dà  pure  una  abbastanza  esatta 
posizione  degli  strati  di  tali  calcari,  dicendo  che  essi  sono  quasi 
tutti  inclinati  da  mezzogiorno  a  tramontana  con  grossezza  di- 
versa che  può  giungere  fino  alle  6  braccia,  e  che  riposano  su 
quei  calcari  che  egli  chiama  col  nome  di  Spugnoni.  Nota  pure 
le  differenze  che  si  incontrano  nei  vari  strati  sì  per  la  compat- 
tezza, si  per  le  dimensioni  delle  Lenti,  sì  pure  pel  colore  del 
cemento  che  le  lega.  Combatte  V  opinione  del  Bourguet  che  ri- 
teneva essere  tali  Lenticoliti  o  Triticiti  o  Nummi  nulT  altro 
che  *  coperchi  di  chiocciole  „.  Dà  inoltre  notizie  sui  fossili  rac- 
chiusi nei  calcari  lenticolari  e  cita  un  brano  interessantissimo 
di  una  lettera  dell'  inglese  Strange,  ricca  di  molte  osservazioni 
paleontologiche  relative  a  molti  fossili  da  esso  trovati  a  Parlascio, 
Da  ultimo  nota  per  incidenza  che  la  stessa  pietra  abbonda  in 
altri  luoghi  della  Toscana,  senza  per  altro  citare  altre  località. 

(*)  Targioni-Tozzetti  G.  — -  Relazione  di  alcuni  viaggi  fatti  in  dinerte  parti 
della  Toscana.  Firenze  1768-79.  Voi.  I,  p.  zlQ. 


202  6.  A.    DE  ÀMICIS 

Il  Soldaiii  (^')  nel  suo  —  Saggio  orittografico  — ,  pubblicato 
nel  1780,  opera  assai  meravigliosa  per  verità  e  dottrina,  avuto 
riguardo  al  tempo  in  cui  fu  scritta,  parla  della  straordinaria 
abbondanza  di  piccoli  Ammoniti  e  Nautili  striati  minutissimi  in 
molti  luoghi  del  Volterrano  e  del  Pisano,  specialmente  nel  Monte 
dì  Parlascio,  Casciana,  etc.  Dice  che  tali  corpicciuoli  sono  fra 
loro  uniti  da  un  „  leggerissimo  glutine  quasi  di  torba  calcarea 
bianca  „  e  che  formano  concrezioni  uniformi.  Nelle  appendici  poi 
XXV,  XXVI,  XXVII,  LXXXII,  CXXXV,  CXLIV,  parla  delle  di- 
verse  varietà,  di  leuticole  da  lui  trovate  e  di  altri  fossili  nel 
calcare  lenticolare  rinvenuti.  Inoltre,  da  quel  minuzioso  ed  ac- 
curato osservatQi'e  che  era,  volle  pure  avere  una  idea  appros- 
simativa del  numero  di  lenticole  che  si  contengono  in  un  dato 
peso  di  roccia,  e  trovò  che  40  grani  dì  quel  calcare  contenevano 
1380  nautili. 

Il  Giuli  (*)  parlando  dei  terreni  che  si  riscontrano  nelle  lo- 
calità presso  Ceppato  e  le  cave  di  San  Frediano,  non  si  perita  di 
chiamare  il  calcare  ad  Amphistegina  —  calce  carbonata  oolitica 
gialliccia  — ,  errore  madornale  in  cui  certo  non  sarebbe  caduto 
se  avesse  conosciuto  ciò  che  di  tale  calcare  avevano,  mezzo  se- 
colo prima  di  lui,  scritto  il  Targioni  ed  il  Soldani. 

Dopo  di  lui  il  Pilla (')  nel  suo  trattato  di  geologia,  scrive: 
**  Un  altro  deposito  dello  stesso  periodo  (miocene)  occorre  nelle 
vicinanze  di  Casciana  nelle  colline  di  Pisa,  e  presenta  una  riu- 
nione di  caratteri  dì  tale  importanza  che  crediamo  conveniente 
dì  farlo  conoscere  con  alquanto  di  precisione  „.  E  dopo  avere 
descritta  la  roccia,  resa  famosa  già,  dalla  descrizione  del  Targioni, 
nota  come  i  luoghi  principali  in  cui  essa  si  osserva  siano  San 
Frediano  e  Parlascio.  Dà.  pure  una  figura  delle  cave  di  San 
Frediano.  Per  altro  dalla  asterna  apparenza  di  questo  calcare, 
dal  suo  modo  di  presentarsi  in  balze  scoscese  e  dirupate  ed  an- 
nerite esternamente  dalle  intemperie,  ritiene  tale  calcare  di  età. 
assai  più  antica  dei  circostanti  depositi,  e  dice  che  esso  forma 
come  un'  isola  in  mezzo  ai  depositi  subapennini  che  gli  stanno 
d'  attorno.  E  da  queste  vedute  stratigrafiche  passando  allo  stu- 

(*)  Soldani  A.  —  Saggio  orittografico,  Siena  1870,  pag.  48  e  seg. 
C)  Giuli  G.  —  Saggio  statistico  di  mineralogia   utile   della    Toscana.    Bologna 
1842-43.  pag.  86. 

C)  Pilla  L.  —  Trattato  di  geologia  Pisa  1847-51.  pag.  205. 


IL  CALCARE  AD  AMPniSTEGINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  £C.  203 

dio  dei  fossili  trova  anche  in  questi  caratteri  tali  da  fare  ascri- 
vere quei  calcari  ad  un  periodo  anteriore  al  subapenninico;  così 
nota  come  le  Ostreae  che  vi  si  riscontrano  mostrino  sulle  valve 
grandi  pieghe,  carattere  che,  esso  dice,  non  è  proprio  delle 
ostriche  del  terreno  subapenninico;  inoltre  cita  come  non  appar- 
tenenti al  terreno  subapenninico  parecchie  specie  di  TerehrattUoe, 
un  piccolo  Pecten,  ed  alcune  piccole  Ostreae. 

Nota  poi,  e  qui  è  perfettamente  nel  vero,  come  si  trovino 
in  quella  roccia  piccoli  echini,  molti  brachiopodi  fra  cui  due 
piccole  specie  di  terebratule  nuove  che  descrive  e  figura,  mil- 
lepore,  denti  di  pesce  ec. 

Lo  stesso  geologo  trattando  della  pietra  lenticolare  di  Ca- 
sciana  nel  giornale  -  Il  Cimento  (*)  — ,  in  una  nota  esprime 
il  dubbio  che  Tetà  geologica  della  pietra  summentovata  anziché 
riferirsi  al  periodo  pliocenico  debba  considerarsi  più  antica  e  sia 
forse  da  noverarsi  fra  i  terreni  miocenici. 

Da  ultimo  in  alcune  osservazioni  sull'età  della  pietra  lenti- 
colare di  Casciana  {%  dà.  tutte  le  ragioni  per  cui  crede  non 
potersi  tale  roccia  riferire  al  terreno  sabapennino.  Una  delle 
ragioni  è  pel  Pilla  V  aver  rinvenuto  nelle  cave  di  San  Frediano 
fusticini  di  piccoli  coralli  che  non  aveva  mai  trovati  nei  terreni 
pliocenici,  e  con  essi  piccoli  corpicciuoli  orbicolari  di  alveoliti 
simili  a  quelli  che  aveva  rinvenuto  nella  panchina  di  Pomarance 
che  esso  riteneva  per  miocenica.  Inoltre  anche  l' apparenza 
esterna  del  colle  di  Parlaselo,  la  posizione  de;^li  strati,  la  rela- 
zione colle  rocce  circostanti,  erano  per  lui  altrettante  prove 
della  non  pliocenici tà.  di  quel  deposito.  Da  ultimo  dà,  un  cata- 
logo di  fossili  trovati  a  San  Frediano,  Parlascio,  Usigliano  e 
Casciana,  distinguendo  colla  lettera  S  quelle  forme  che  sono 
identiche  alle  subapennine,  colla  lettera  M  quelle  che  ne  diffe- 
riscono. Ecco  la  nota:  Coralli  (}Sl)\  Lenticoliti QA);  frammenti  ed 
aculei  di  Echini  (M);  Balani  (S);  due  specie  di  piccole  Terehratule 
(M);  Ostrea  hippopus  (S);  piccolo  Pecten  (M);  denti  e  palati  di 
pesci  (M);  Terehratula  ampulla{S);  una  Terebratiila  corta,  larga 
e  compressa  (M);    Terebratula  bipartita  (M);    Pecten  varius  (S); 

(*)  Pilla  L.  —  Della  pietra  lenticolare  di  Casciana  nelle  Colline  Pisane.  Gior- 
nale -  n  Cimento  —  Pisa,  ottobre  1847. 

C)  Pilla  L.  ~  Osservazioni  sulV  età  della  pietra  lenticolare  di  Casciana. 
Roma,  1848. 


204  G.  A.    DE  AMICIS 

Pecten  flabelli f ormis  (S);  altro  piccolo  Pect€n(M).  —  Come  con- 
clusione della  sua  memoria  dice;  **  Per  tutti  i  caratteri  disopra 
discorsi  non  può  cadere  alcun  dubbio  che  la  pietra  lenticolare 
di  Cascìana  non  appartiene  alla  formazione  subapennina.  Ella 
deve  riferirsi  a  quella  divisione  dei  terreni  terziari  che  sono 
dimandati  miocenici  „. 

Dopo  il  Pilla  si  occupò  del  calcare  lenticolare  di  Casciana 
il  Passerini  (')  nelle  sue  —  Memorie  sui  Bagni  d'Aqui  — .Ivi 
in  una  lettera  al  dott.  Prospero  Chiari  relativamente  alla  geo- 
logia del  Bagno  d'Aqui,  comunemente  detto  di  Casciana,  dice 
che  il  calcare  lenticolare  di  Parlascio  forma  una  specie  di  isola 
in  mezzo  ai  terreni  subapenninici,  rappresentando  asso  in  questa 
località  il  terreno  miocenico,  —  Come  si  vede,  il  Passerini  non 
fa  che  riportare  le  parole  stesse  del  Pilla,  e  le  stesse  sue  ragioni 
adopera  a  prova  dell'  asserto,  ciofe  Y  apparenza  esterna  del  Monte 
di  Parlascio  ed  i  fossili  in  quel  calcare  contenuti  che  gli  paiono 
in  parte  da  riferirsi  al  terreno  subapennino,  in  maggior  parte 
invece  al  miocene. 

Anche  nel  —  Quadro  generale  della  geologia  della  To- 
scana (*j  —  ,  posto  in  fondo  alla  traduzione  della  memoria  del 
Murchison  —  Sulla  struttura  geologica  delle  Alpi,  degli  Apen- 
nini  e  dei  Carpazii  — ,  il  calcare  ad  Amphisteyina  di  Parlascio 
figura  tra  i  piani  miocenici,  ed  è  posto  contemporaneo  del  cal- 
care di  Rosignano  e  di  quello  delle  Parrane,  nonché  della  pan- 
china di  Pomaranco  e  di  San  Dalmazio. 

Nella  memoria  del  prof.  Capellini  —  Sulla  formazione  ges- 
sosa di  Castellina  Marittina  (^)  — ,  è  detto  che  »  forse  da  accu- 
rate ricerche  stratigrafiche  si  giungerebbe  alla  conclusione  che 
mentre  in  determinate  aree  si  costituivano  strati  di.  calcare 
nummulitico  colla  Xummulites  Targionii  Mgh.  (pietra  lenticolare 
di  Parlascio),  altrove  si  depositavano  i  calcari  grossolani  e  mar- 
nosi di  Rosignano  e  delle  Parrane,  ovvero  si  continuava  la  for- 
mazione di  banchi  di  Ostreae  come  qweiW  di  Santo  al  Poggio», 


Q)  Passerini  F.  —  Cenni  mineralogici  e  geologici  sul  Bagno  d*  Aqui  e  sue 
adiacenze.  Pisa  1853. 

(*)  Murchison  R.  I.  —  Sulla  struttura  geologica  delle  Alpi,  Apennini  e  Car- 
pazii, Traduzione  dei  prof/^  Savi  e  Meneghini.  Firenze  1851. 

f  )  Capellini  G,  —  La  formazione  gessosa  di  Castellina  Marittima  ed  i  suoi 
fossili.  Bologna  1874. 


IL  CALCARK  AD  AMPHISTEQINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  205 

Come  si  vede  con  queste  parole  il  prof.  Capellini  stabilisce  una 
contemporaneità,  fra  il  calcare  ad  Amphistegina  ed  il  calcare 
grossolano  delle  Parrane  e  di  Rosìgnano  ed  i  banchi  ad  Ostreae 
di  Santo  al  Poggio,  che  nel  quadro  di  classificazione  dei  terreni 
unito  a  quella  memoria  sono  posti  nella  porzione  superiore  del 
miocene  medio,  corrispondente  secondo  i  suoi  studi  air  Elveziano 
ed  al  2/  Piano  Mediterraneo. 

E  dello  stesso  anno  una  nota  del  prof.  D' Achiardi(*)  sulla 
geologia  del  bagno  d'  A  qui  o  di  Casciana.  In  questa  nota  V  egre- 
gio geologo  fondandosi  su  quanto  era  stato  scritto  dal  Pilla  e 
da  nessuno  contraddetto  ascrive  egli  pure  al  miocene  il  calcare 
ad  Amphistegina,  su*l  quale,  egli  aggiunge,  si  adagiano  i  sedi- 
menti pliocenici,  e  quindi  più  recenti,  delle  più  basse  colline; 
nota  inoltre  che  se  al  Bagno  d'  Aqui  non  è  evidente  tale  sovrap- 
posizione nascondendola  il  travertino,  essa  si  vede  però  chiara- 
mente al  di  là  di  San  Frediano  fra  le  cave  ed  Usigliano  ove 
gli  strati  della  calcaria  lenticolare  si  tuffano  sotto  ai  terreni 
subapenninici. 

Come  si  rileva  facilmente  da  quanto  sono  venuto  fin  qui 
esponendo,  tutti  i  sopra  nominati  geologi  trovavansi.  tutti  d'  ac- 
cordo perfettamente  nel  riferire  il  calcare  ad  Amphistegina  al 
periodo  miocenico  anziché  al  pliocenico  o  subapenninico. 

Fu  primo  il  Manzoni  (-;  a  porre  in  dubbio  quanto  gli  altri 
prima  di  lui  avevano  detto,  fondandosi  sopra  suoi  studi  detta- 
gliati stratigrafici  e  specialmente  suir  esame  delle  specie  fossili. 
In  talune  sue  considerazioni,  dopo  aver  rilevato  V  errore  com- 
messo dagli  altri  attribuendo  al  miocene  il  calcare  di  San  Fre- 
diano e  Parlascio,  e  fatta  notare  la  non  contemporaneità,  di 
esso  calcare  con  quello  di  Rosignano,  ripetutamente  asserita  dal 
Capellini,  conchiude  che  la  pretesa  Nummulites  Targioni  Mgh. 
non  è  una  nummulite,  che  tutta  la  formazione  che  fa  corona 
alle  colline  di  Casciana,  San  Frediano,  Parlascio  ed  Usigliano 
non  è  miocenica,  e  che  i  fossili  raccolti,  distinguibili  in  Mollu- 
schi, Briozoi,  Echinodermi  e  Foraminifere  provano  air  evidenza 
che  si  tratta  di  una  vera  e  propria  formazione  litorale  pliocenica 

(*)  D' Achiardi  A.  —  La  geologia  del  Bagno  d'  Aqui  o  di  Casciana,  Boll.  d.  R. 
Comit  Geolog.  Ital.  1874. 

O  Manzoni  K.— Note  e  considerazioni  alla  --Relazione  di  un  viaggio  in  Italia 
del  Dott,  Fuchs.  Boll,  del  R.  Còmit  Geolog.  Ital.  1S74. 


206  Q.  A.   DE  AMIGIS 

immediatamente  addossata  e  sovrapposta  alle  marne  turchine 
plioceniche  conosciute  col  nome  di  mattajoni  o  argille  turchine. 

Pochi  giorni  dopo  a  queste  osservazioni  del  Manzoni  com- 
pariva, pure  sullo  stesso  argomento,  un  lavoro  del  Seguenza  ('). 
In  esso  r  autore  dice  che  il  Manzoni  con  quanto  aveva  scritto 
sul  calcare  ad  Amphistegina,  aveva  prevenuto  talune  applicazioni 
dei  suoi  studi  del  pliocene  dell'  Italia  meridionale  alle  rocce  della 
Toscana.  Volendo  conciliare  le  osservazioni  del  dott.  Manzoni 
con  quelle  surriferite  del  prof.  D'  Achiardi,  dice  che  ritenendo 
veri  i  fatti  stratigrafici  dai  due  geologi  oppostamente  sostenuti 
cioè  r  essere  il  calcare  sovrapposto  al  mattajone,  e  V  essere  sot- 
toposto alle  marne  plioceniche,  cerca  in  questi  due  f^tti  opposti 
la  conferma  di  una  importante  verità,  cioè  che  il  calcare  lenti- 
colare  toscano  giace  fra  due  zone  di  marne  plioceniche,  che  per 
poco  attento  esame  si  confusero  in  una  sola;  il  che  trova  con- 
ferma in  ciò  che  avviene  nella  Italia  meridionale.  Prosegue  fa- 
cendo un  paragone  fra  la  Toscana  e  V  Italia  meridionale,  pel 
pliocene  della  quale  fece  la  distinzione  netta  del  pliocene  recente 
dall'antico;  dice  che  il  Fuchs  errò  nel  riguardare  la  pietra  len- 
ticolare  di  Parlascio  siccome  il  nostro  più  recente  pliocene;  che 
tale  calcaria  non  è  esclusiva  della  Toscana  come  si  era  prima 
creduto;  ne  descrive  i  diversi  giacimenti  dell'  Italia  meridionale; 
dice  che  la  pretesa  Nummulites  Targionii  Mgh.  è  invece  I9.  Am- 
phistegina  vulgaris  d'  Orb.,  e  conclude  dicendo  che  così  nel!'  Italia 
meridionale  che  in  Toscana  la  roccia  lenticolare  forma  un  ot- 
timo orizzonte  al  limite  superiore  della  più  antica  zona  del 
pliocene.  Termina  la  sua  nota  con  un  elenco  di  fossili  avuti  dal 
Lawley,  provenienti  da  San  Frediano  e  Parlascio,  fossili  da  ri- 
ferirsi, secondo  le  sue  vedute,  tutti  alla  parte  superiore  del  più 
antico  pliocene. 

Nei  fascicoli  11.*  e  12.°  del  Bollettino  del  R.  Comitato  Geo- 
logico dello  stesso  anno  replicava  il  prof.  D' Achiardi  (*)  a  quanto 
aveva  detto  il  Seguenza.  Non  nega  che  nelF  Italia  meridionale 
il  calcare  lenticolare  riposi  fra  due  zone  di  marne  plioceniche, 
ma  dice  che  a  San   Frediano  le  cose  procedono  diversamente. 

Q)  Seguenza  6  —  Sulla  relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia  del  Dott, 
Th.  Fuchs,  Boll,  del  R.  Comit.  Geolog.  Ital.  1874.  pag.  294. 

(*)  D' Achiardi  A.  —  Sulle  calcarle  grossolana  e  lenticolare  della  Toscana* 
Boll,  del  R.  Comit.  Geol.  Ital.  1874.  fascicoli  11  e  12. 


IL  CALCARE  AD  AMPHISTEOINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  207 

Nò  sostenne  con  calore,  come  aveva  detto  il  Seguenza,  V  etk 
miocenica  di  tale  roccia,  ma  tale  la  ritenne  dietro  gli  studi 
degli  altri.  Dà  una  esatta  e  minuziosa  descrizione  topografico- 
stratigrafica  dei  depositi  di  San  Frediano,  ed  a  meglio  spiegare 
la  cosa  unisce  una  sezione  mostrante  la  posizione  delle  sabbie 
gialle  per  rispetto  alla  calcaria  lenticolare.  Concorda  colle  osser- 
vazioni del  Manzoni  e  ritiene  esso  pure  che  tali  depositi  siano 
pliocenici  anziché  miocenici,  e  termina  riferendo  una  nota  di 
fossili  di  San  Frediano  e  Parhiscio  conservati  nel  Museo  di  Pisa 
e  determinati  dal  De-Stefani.  Dalla  determinazione  delle  specie 
arguisce  il  prof.  De-Stefani  che  non  solo  non  si  tratti  di  mio- 
cene, ma  neppure  di  pliocene  antico,  non  avendovi  trovate 
traccio  di  Pleurotomae  o  di  altre  specie  proprie  del  tipico  pliocene; 
per  altro  non  istabilisce  a  quale  piano  del  pliocene  esso  calcare 
debba  riferirsi. 

Dopo  che  il  Manzoni  ebbe  notato  non  essere  miocenici  i 
calcari  lenticolari,  e  che  tale  fatto  fu  confermato  dal  Seguenza, 
dal  D'  Achiardi  e  dal  De  Stefani,  anche  gli  altri  geologi,  avendo 
occasione  di  trattare  di  tali  rocce,  non  le  posero  più  nel  miocene, 
ma  bensì  nel  pliocene.  —  Così  il  Capellini  in  una  sua  nota  (M, 
dopo  avere  annunciato  il  rinvenimento  del  calcare  ad  Amphiste- 
gina  presso  la  stazione  di  Orciano,  ed  avere  notato  che  ivi  tale 
calcare  riposa  sopra  una  collina  costituita  interamente  di  ar- 
gille turchine  plioceniche,  e  concluso  quindi  che  tale  roccia  è 
pliocenica  ed  occupa  il  posto  delle  ordinarie  sabbie  gialle,  dice 
che  se  avesse  visitato  il  deposito  di  Orciano  prima  della  pub- 
blicazione della  sua  memoria  sui  gessi  della  Castellina,  avrebbe 
fin  d'  allora  collocata  la  pietra  lenticolare  al  suo  vero  posto, 
cioè  nel  pliocene. 

n  Capellini  stesso  nella  memoria  sui  terreni  terziari  di  una 
parte  del  versante  settentrionale  deirApennino  (*),  nel  quadro 
comparativo  di  una  parte  della  formazione  terziaria  e  recente 
del  Bolognese  e  Forlivese  colle  corrispondenti  della  Toscana, 
Francia  e  Bacino  di  Vienna,  pone  il  calcare  ad  Amphistegina 
nel  Messiniano  superiore  al  disotto  cioè  delle  sabbie  gialle  ed 

(M  Capellini  G.  —  Calcare  ad  Amphistegina^  Strati  a  Congeria  e  calcare  di 
Leitha  nei  Monti  Livornesi,  Estr.  Rendìc.  Accad.  d.  Se.  delPIstit  di  Bologna  1874. 

(*)  Capellini  G.  —  Sui  terreni  terziari  di  una  parte  del  versante  settentrionale 
deir  Apennino.  Bologna  1876. 


208  0.  A.   DE  AIOCIS 

argille  turchine  del  pliocene  superiore,  coevo  cioè  delle  sabbie 
marine  di  Montpellier  ed  alla  porzione  superiore  degli  strati  di 
Belvedere.  Nel  corso  poi  di  questa  moraoria  dice  che  le  sabbie 
gialle  del  Sasso,  Mongardino,  Monte  Mario  e  Riosto,  coetanee 
delle  sabbie  di  Belvedere  corrispondono  in  parte  al  calcare  a 
Nulliporae  ed  Amphisteginae  di  Parlaselo  e  di  altri  luoghi  della 
Toscana,  di  Castrocaro  Forlivese  e  delle  colline  Romane.  Divide 
inoltre  sia  per  gli  studi  suoi  che  per  le  ricerche  del  dott.  Foresti 
le  marne  e  sabbie  plioceniche  in  due  orizzonti  ben  separati, 
ossia  due  depositi  litorali  sabbiosi  uno  più  antico  e  V  altro  più 
recente  cui  corrispondono  due  depositi  argillosi  o  marnosi  sub- 
marini 0  di  mare  profondo.  Il  calcare  ad  Atnphistegina  lo  pone 
appunto  (dietro  gli  studi  del  Seguenza)  fra  questi  due  diversi 
orizzonti. 

Il  De  Stefani  nella  Memoria  sui  Molluschi  continentali  dei 
terreni  pliocenici  e  suir  ordinamento  di  questi  ultimi  (*),  dice:  *  Vi 
era  l' abitudine  di  escludere  dal  pliocene  e  considerare  come 
mioceniche  tutte  quelle  rocce  terziarie  recenti  le  quali  non  fos- 
sero argille  né  sabbie,  quindi  le  Panchine  per  la  massima  parte, 
i  conglomerati  oflolitici,  i  calcari  ad  Amphisteginae  (altre  volte 

Nummulites) I  calcari  ad  Amphistegina  di  Parlascio  e 

San  Frediano,  i  cui  fossili  erano  meglio  conservati,  pei  primi 
per  opera  del  Manzoni  furono  riconosciuti  pliocenici.  Le  specie 
più  notevoli  contenute  in  essi  sono:  Peden  latissimus  Brc,  Pecten 
flabelliformis  Brc,  Pecten  Alessi  Phil.,  Neaera  crispata  Scacchi, 
Vennetus  intortus  L.,  Cypraea  Brocchi  Dsh.  „. 

Il  De  Stefani  stesso  in  altra  parte  della  medesima  memoria 
scrive  queste  parole:  *^  Rimangono  pliocenici  gli  altri  terreni 
che  già  avevo  nominati,  cioè  le  panchine  ed  i  calcari  di  Monte- 

rufoli,  Monte  Massi,  Sassoforte,  Pomarance,  San  Dalmazio 

Altri  autori  già  prima  di  me  avevano  manifestata  V  opinione 
che  alcune  di  queste  panchine  fossero  plioceniche.  Il  Savi  (*) 
aveva  creduto  fossero  plioceniche   le   panchine   dei  dintorni  di 

(')  De  Stefani  C.  —  Molluschi  continentali  dei  terreni  pliocenici  italiani  ed  or^ 
dinamento  di  questi  ultimi.  Memorie  della  Soc.  Tose.  d.  Scienz.  Natar.  Voi.  II,  fase  2.^ 
Voi.  IH,  fase.  2.0  Pisa  1876-77. 

(•)  Savi  P.  —  Sopra  i  carboni  fossili  dei  terreni  miocenici  delle  Maremme  To- 
scane. PiM  1848. 


/ 

IL  CALCARE  AD  AMPHISTEGINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  209 

San  Dalmazio,  cosa  convenuta  più  tardi  anche  dal  Lotti  [*). 
Giova  però  ricordare  che  a  proposito  della  panchina  di  Ponia- 
runce  e  San  Dalmazio  il  Coqnaud  (■)  a  caj^ione  della  natura  li- 
tologica e  per  avervi  trovato  il  Clyppasler  alias  Lk.  che  si  ri- 
teneva caratteristico  del  miocene,  le  credette  mioceniche  pur 
riconoscendole  superiori  alle  marne  salmastre  gessifere  apparte- 
nenti, secondo  quel  che  ho  detto,  al  miocene  superiore  e  certo 
non  più  antiche.  In  questa  opinione  fu  seguito  più  tardi  dal 
Meneghini  e  dal  Savi  stesso  (  ).  Ma  appunto  perchè  sono  più 
recenti  delle  marne  gessifere  e  contengono  fossili  pliocenici,  bi- 
sogna tornare  all'antica  opinione  del  Savi  e  porle  nel  pliocene: 
il  Clffpeaster  altus,  come  già  ha  dimostrato  il  Seguenza  (*),  in 
Italia  non  è  punto  caratteristico  del  miocene,  ed  in  Toscana, 
oltreché  a  Pomarance,  si  trova  in  parecchi  altri  luoghi  schiet- 
tamente pliocenici  „. 

Lo  stesso  geologo  nel  —  Quadro  comprensivo  dei  terreni 
deir  Apennino  settentrionale  p)  — ,  scrive:  "*  Gli  ammassi  calcarei 
ad  Ampbistegina  Ilauerina  d'  Orb.,  cosi  communi  verso  il  Tirreno 
ad  Orciano,  Cetona,  Parlaselo,  San  Dalmazio,  Civitavecchia,  e 
di  cui  è  noto  pure  qualche  lembo  verso  Y  Adriatico  a  Castrocaro 
(Firenze),  stanno  nella  parte  superiore  dei  terreni  veramente 
pliocenici,  fatto  del  quale  devesi  tenere  conto  perchè  in  molti 
scritti  è  ammessa  inesattamente  V  opinione  contraria  9. 

Riassumendo  quanto  sono  venuto  dal  principio  fin  qui  espo- 
nendo, da  tutti  i  fatti  dai  vari  geologi  osservati,  mi  pare  ormai 
fuori  di  dubbio  doversi  i  calcari  ad  Amphistegina  porre  nel 
pliocene  anziché  nel  miocene.  Né  con  ciò  finisce  la  discussione 
circa  il  posto  da  assegnarsi  a  tali  calcari  nella  serie  geologica, 
giacché  di  quei  geologi   che  li  pongono  nel   pliocene,  alcuni  li 


(')  Lotti  B.  —  Sul  giacimento  ofiolitico  di  Rocca  Sillana.  BoU.  d.  R.  Comit. 
Geol.  It  1S76.  p.  2S9. 

C)  Coquand  H.  —  Sur  les  terrains  tertiaires  de  la  Toscane,  Soc.  Geol.  de 
France.  S.  II,  T.  l.<»  pag.  421.  1844. 

(^)  Savi  P.  e  Meaeghini  G.  —  Considerazioni  sulla  geologia  della  Toscana 
(Appendice).  Firenze  1851. 

(*}  Seguenza  G.  —  Intorno  alla  posizione  stratigrafica  del  Clypeaster  altus  Lk. 
Atti  della  Soc.  lUl.  di  Scienze  Nat  Voi.  XIL  fase.  3.°  Milano  ls()9. 

(*;  De  Stefani  C.  —  Quadro  comprensivo  dei  terreni  dell* Apennino  settentrionale. 
Atti  della  Soc.  Toec.  d.  Scienze  Nat.  1881.  pag.  2i3. 

S:  Noi.  Voi.  U.  rate,  l.o  14 


210  G.  A.    DE  AMICIS 

considerano  come  pliocenici  recenti  o  superiori,  altri  invece  come 
del  pliocene  antico.  Soltanto  collo  studio  paziente  e  coir  accurato 
esame  dei  fossili  e  coi  dati  stratigrafici  potremo  sperare  di  ri- 
solvere la  quistione  e  porre  detti  calcari  nel  posto  che  nella 
serie  geologica  dei  terreni  loro  compete, 

E  prima  di  tutto  converrà,  vedere  se  tali  calcari  ad  Amphi- 
stegina  siano  esclusivi  delle  celebri  località  di  San  Frediano, 
Parlascio  e  Oasciana,  o  se  si  trovino  anche  in  altri  posti.  —  Gik 
nel  1875  il  Capellini  accennava  ad  un  lembo  di  calcare  ad 
Amphisteginaj  identico  a  quello  delle  citate  località,  presso  la 
stazione  di  Orciano  sotto  alla  villa  del  cav.  Perugia,  detta  la 
Casa  Nuova;  notava  altresì  come  a  Boccacciano  presso  Sarteano 
nei  monti  di  Cetona  avesse  fino  dal  1873  trovato  detto  calcare. 

Anche  il  Targioiii  Tozzetti  fino  dal  1768  aveva  fatto  capire 
come  conoscesse  oltre  i  giacimenti  di  San  Frediano,  Parlascio, 
e  Casciana  anche  altri  depositi  di  calcare  ad  Amphistegina;  in- 
fatti, senza  per  altro  nominare  località,  dice:  **  Questa  panchina 
(il  calcare  lenticolare)  serve  pei  lavori  grossi  dì  mura  come 
succede  in  molti  altri  luoghi  della  Toscana  ove  la  stessa  pietra 
abbonda  „• 

Il  De  Stefani  cita  pure  un  calcare  pliocenico  a  Pomarance, 
Monterufoli,  Monte  Massi,  Sassoforte,  ma  senza  dire  se  esso 
possa  riferirsi  al  tipo  stesso  del  calcare  ad  Amphistegina,  e  se 
contenga  tali  foraminiferi.  Cita  poi  come  calcari  ad  Amphiste- 
gina i  calcari  di  Orciano,  già  citati  prima  dal  Capellini,  di  Ce- 
tona, di  San  Dalmazio  e  di  Civitavecchia. 

Air  infuori  del  Targioni,  del  Capellini  e  del  De  Stefani,  nes- 
suno di  tutti  gli  altri  autori  che  si  occuparono  dei  calcari  plio- 
cenici ad  Amphistegina,  ne  fece  mai  conoscere,  per  quante  ricerche 
ne  abbia  accuratamente  fatte  sui  libri  e  memorie  loro,  in  altre 
località  della  Toscana.  E  questo  fatto  tanto  maggiore  meraviglia 
mi  destò  dopo  che  ebbi  compiute  numerose  escursioni  per  la 
provincia  di  Pisa,  inquantochè  trovai  il  calcare  ad  Amphistegina 
abbondantissimo  in  quasi  tutte  le  località  ove  si  ha  il  pliocene. 
Cosi  ebbi  occasione  di  rinvenire  il  calcare  ad  Amphistegina  oltre 
che  negli  omaì  notissimi  luoghi  di  San  Frediano,  Parlascio  e 
Casciana,  e  di  riscontrarlo,  giusta  le  osservazioni  del  De  Stefani, 
a  San  Dalmazio,  anche  a  Sogliole,  Pozzuolo,  Belvedere,  Nugola, 
Volterra,  Rocca  di  Sillano,  Monte  Castelli.  Riconobbi  pure  che 


IL  CALCARE  AD  AMPHISTEGINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  211 

i  calcari  o  panchine  di  Pomarance,  Mtjnterufoli,  Monte  MasM  e 
Sassoforte,  altro  non  sono  che  calciri  ad  Amphistf^gina.  Visitai 
anche  il  deposito  citato  dal  Capellini  presso  la  stazione  di  Or- 
ciano  e  così  dal  lato  strat  grafico  come  per  V  estensione  sua 
potei  rilevare  parecchie  differenze  da  quanto  egli  ne  aveva 
scritto . 

In  conclusione  ecco  le  località  della  provincia  di  Pisa  in 
cui  fino  ad  ora  ho  trovato  ben  distinto  il  calcare  ad  Amphiste- 
ghia:  San  Frediano,  Parlascio,  Casciana,  Madonna  dei  Monti 
(presso  San  Frediano),  Nugola,  Pozzuolo,  Casino,  Nugola  vec- 
chia, Belvedere,  Sogliole  (presso  Nugola),  Volterra,  San  Giusto, 
S.  Dalmazio,  Pomarance,  presso  Rocca  di  Sillano,  presso  Monte 
Ciistelli,  Mont^rufolì,  Monte  M  issi,  Sissof»rte,  Orciano  presso  la 
Villa  Perugia,  Pozzavilla,  e  presso  la  villa  Cubber. 

Ritengo  inoltre  trattarsi  pure  di  veri  calcari  ad  Amphiste- 
gina  pliocenici  nei  Monti  di  Cetona,  giusta  le  osservazioni  del 
Capellini  e  del  De  Stefani,  e  secondo  ciò  che  ne  è  detto  dal 
Capitano  Verri  f')  nella  sua  nota  sulla  Val  di  Chiana,  Anzi,  da 
quanto  dice  il  Verri,  sulla  loro  pliocenicità  non  può  cadere 
dubbio  stando  essi  sovrapposti  a  circa  1 20  m.  di  marne  che 
contengono  quali  fossili  caratteristici  il  Triton  apenninicum,  il 
Thyphis  fishth.^us,  il  Capulus  htingaricm,  la  Terehratula  Regnolii, 
ed  il  Ceratotrochus  duodecimcostafuSy  e  per  conseguenza  sono  in- 
dubbiamente plioceniche. 

Non  parlerò  qui  dei  calcari  di  Cetona  non  avendo  potuto 
recarmi  là  a  farne  uno  studio  dettagliato;  né  mi  occuperò  di 
quelli  di  Sassoforte,  Monterufoli,  Monte  Massi,  e  delle  vicinanze 
di  Rocca  di  Sillano  e  Monte  Castelli,  non  avendovi  potuto  fare 
suflSciente  raccolta  di  fossili;  parlerò  invece  parti tamente  di 
tutti  gli  altri,  del  loro  modo  di  presentarsi  e  dei  fossili  che  vi 
si  trovano  e  che  vi  ho  raccolti  e  studiati. 

Da  ultimo  mi  sento  in  dovere  di  rendere  grazie  all'egregio 
sig.  dott.  Busatti,  che,  avendo  rinvenuto  il  calcare  ad  Amphi- 
siegìna  a  Magliano  di  Toscana  (Maremma  Toscana),  me  ne  fa- 
voriva esemplari  per  uno  studio  comparativo  con  quelli  delle 
colline  Pisane,  ed  al  tempo  stesso  mi  forniva  dati  stratigrafici 
per  porre  al  suo  posto  nella  sarie  dei  terreni  anche  questo  calcare. 

(*)  Verri  A.  —  Sulla  cronologia  dei  vulcani  Tirreni  ed  idrografia  della   Val  di 
Chiana.  Rendic.  del  R.  Istit  Lomb.  di  Scienz.  Lett.  ed  Arti.  Milano  1878.  •  • 


213  0.  A.  DK  AMICIS 

Elsamìnando  i  calcari  di  tutte  le  località  cbe  sono  venuto 
enumerando,  si  potrebbero  riscontrare  parecchie  differenze  fra 
r  uno  e  l'altro  esemplare  di  posti  differenti,  così  per  T aspetto 
litologico  come  per  la  prevalenza  o  mancanza  di  taluni  fossili. 
Mi  si  potrebbe  così  accusare  di  avere  compreso  col  nome  di 
calcari  ad  Amphistegina  dei  calcari  ove  V  Amphistegina  è  raris- 
sima, e  dove  invece  abbondano  litotamnii,  briozoi,  bracbiopodì, 
ec.  e  che  meglio  quindi  con  altri  nomi  si  designerebbero.  Ma 
non  imponderatamente  ho  fatto  ciò.  Esaminando  tutto  il  plio- 
cene di  quasi  tutta  la  provincia  di  Pisa,  come  ultimo  rappre- 
sentante superiore  di  questo  periodo  ho  spessissimo  trovata  una 
forma  calcarea;  questa  a  volte  è  ricchissima  di  Amphisteginde 
tanto  da  esserne  quasi  esclusivamente  costituita,  taP  altra  in- 
vece ne  è  priva  o  quasi  priva,  ma  la  posizione  sua  è  sempre 
invariabilmente  superiore  alle  sabbie  gialle  che  in  ìstrati  più  o 
meno  potenti  vi  si  sottopongono;  a  volte  anche  queste  sabbie 
possono  mancare  od  essere  ridotte  a  lembi  di  pochi  centimetri 
di  spessore,  come  è  il  caso  di  San  Frediano  e  di  Orciano,  ed 
allora  il  calcare  può  per  condizioni  affatto  locali  sovrapporsi 
più  o  meno  immediatamente  alle  argille  turchine.  Né  alla  pro- 
vìncia di  Pisa  sì  limita  questo  fatto;  che  anzi  quasi  in  tutta 
Italia  come  termine  superiore  del  pliocene  non  si  hanno  le  sab- 
bie gialle,  ma  una  forma  calcarea  o  arenacea  più  o  meno  gros- 
solana, ovvero  conglomerati  con  fossili  esclusivamente  litorali 
e  spesso  con  Ampfnsleginae.  Per  questo  fatto  credo  potersi  sta- 
bilire come  limite  superiore  della  porzione  più  recente  del  plio- 
cene una  zona  di  calcari,  sabbie  grossolane  cementate  e  con- 
glomerati; per  questa  zona  propongo,  almeno  per  la  Toscana, 
il  nome  di  zona  dei  calcari  ad  Amphistegina,  a  ciò  indotto  dal 
fatto  cbe  nella  massima  parte  dei  casi  da  me  presi  in  conside- 
razione V Amphistegina  si  trova  quasi  sempre,  e  perchè  nei  luoghi 
ove  meglio  si  osserva  la  sovrapposizione  sua  alle  sabbie  gialle 
plioceniche,  come  a  Pomarance,  a  San  Dalmazio  ed  a  Belvedere, 
là  si  presenta  appunto  ricco  di  Amphisteginae  quasi  tanto  quanto 
quello  di  San  Frediano. 

Perciò  eviterò  d'ora  innanzi  di  adoperare  la  denominazione 
di  calcare  lenticolare  per  non  implicare  idee  sulla  sua  forma 
litologica,  o  riserverò  tale  nome  alle  varietà  che  realmente  per 
r  abbondanza  delle  Amphisteginae   possono  dirsi  -  sensu  stricto  - 


IL  CALCARE  AD  AMPHISTEGINA  NELLi  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  213 

lenticolari;  invece  in  uu  modo  generale  adopererò  il  nome  di 
calcare  ad  Amphistegina,  comprendendo  in  una  sola  zona  così 
denominata  tutti  i  calcari  soprastanti  alle  sabbie  gialle  del 
pliocene  superiore. 

Nella  zona  del  calcare  ad  Amphistegina  credo  pure  potersi 
comprendere  tutti  quei  conglomerati  ad  elementi  più  o  meno 
fini,  quei  banchi  ad  Oslreae  e  Balunij  quei  lemlji  di  sabbie  gros- 
solane cementate  e  contenenti  fossili,  sovrapposti  alle  sabbie 
gialle,  depositi  tutti  che  sono  in  grande  relazione  col  vero  cal- 
care ad  Amphistegina  sia  per  i  fossili  che  contengono,  sia  per 
la  posizione  loro  stratigrafica  per  rispetto  ai  sottostanti  piani 
del  pliocene  batimetricamente  inferiori  quantunque  geologica- 
mente affatto  contemporanei,  sia  infine,  e  questa  mi  pare  la 
ragione  più  saliente  per  riunire  in  una  sola  zona  tutti  questi 
diversi  sedimenti,  sia,  dico,  perchè  rappresentano  tutti  una  for- 
mazione prettamente  litorale,  come  dai  fossili  è  dimostrato. 

Terminato  così  con  questi  brevi  cenni  riassuntivi  lo  studio 
della  letteratura  geologica,  relativa  al  calcare  ad  Amphistegina, 
ed  avvertita  la  maggiore  estensione  che  intendevo  dai'e  a  tale 
denominazione  dirò  ora  del  modo  suo  di  presentarsi  nelle  varie 
località  in  cui  si  rinviene,  dei  diversi  suoi  aspetti  e  della  sua 
posizione  stratigrafica. 

Oltremodo  vario  è  V  aspetto  suo  sìa  per  la  compattezza,  sia 
per  le  dimensioni  delle  Amphisleginae,  sia  pel  colore,  sia  infine 
pei  fossili  che  contiene.  Di  quasto  vario  modo  di  presentarsi  fece 
pure  menzione  il  Targioni-Tozzetti  nei  suoi  —  Viaggi  in  To- 
scana (*)  — .  A  Parlaselo  ed  a  San  Frediano  dove  si  riscontra 
il  tipico  calcare  lenticolare,  da  una  varietà  facilmente  disgrega- 
bile che  si  trova  alla  superficie,  si  passa  per  infinite  gradazioni 
ad  una  varietà  così  compatta  e  resi^stente  da  poter  assumere 
levigatura  ed  anche  discreto  polimento,  varietà  di  cui  fannosi 
anche  belle  tavole  ed  è  là  conosciuta  dai  cavatori  col  nome  di 
lumachella. 

À  Nugola  r  aspetto  del  calcare  è  identico  a  quello  degli 
strati  inferiori  di  San  Frediano:  esso  vi  è  compatto,  vi  sono 
meno  visibili  le  Amphisteginae  ed  in  alcuni  punti  si  potrebbe 
piuttosto  dire  un  vero  calcare  a  Lithothai union. 

(1)  Targioni-Tozzetti  G.  —  V.  Op.  cit.  pag.  -^76  e  seg. 


214  G.  A.    DE  AMICIS 

A  Pozzuolo  cosi  come  al  Casino,  poco  lungi  da  Nugola,  il 
calcare  è  compatto  assai,  e  contiene,  oltre  alle  Amphisteginoe, 
molti  altri  generi  di  foraminiferi,  e  Litotamni,  nonché  in  alcune 
sue  parti  molte  Cladocore. 

A  Belvedere  sono  distintissime  le  Amphisteginae  ed  il  calcare 
può  dirsi  veramente  lenticolare;  vi  abbondano  le  Cellepore  ed 
i  Litotamnii. 

A  Sogliole,  presso  Nugola,  i  brachiopodi  prendono  un  tale 
sopravvento  sugli  altri  fossili  che  il  calcare  ad  Amphistegina 
dovrebbe  la  chiamarsi  calcare  a  brachiopodi. 

In  tutte  le  altre  località  più  sopra  citate,  in  cui  ho  riscon- 
trato il  vero  calcare  lenticolare,  tranne  poche  e  ristrettissime 
eccezioni,  esso  si  presenta  presso  a  poco  come  a  Parlaselo  e 
San  Frediano,  cioè  varietà  disgregabili  alla  superficie,  di  mano 
in  mano  più  compatte  discendendo  verso  gli  strati  interiori. 

Anche  a  Magliano,  per  quello  che  posso  rilevare  dagli  esem- 
plari avuti  dal  dott.  Busatti,  le  cuse  procedono  nello  stesso 
modo,  e  mentre  alla  parte  superiore  si  ha  un  calcare  giallastro, 
friabile,  ricchissimo  di  Amphisteginae,  alle  parti  inferiori  invece 
si  ha  un  calcare  analogo  a  quello  di  Nugola,  compattissimo  e 
con  abbondanti  Lithothamtài. 

Se  pei  fossili  che  contiene,  per  le  belle  varietà,  e  per  essere 
stato  da  più  antico  tempo  studiato  ed  escavato,  il  calcare  di 
Parlascio  e  San  Frediano  può  prendersi  a  tipo  dei  calcari  ad 
Amphistegina^  non  è  certo  però  in  tali  località  che  si  è  nelle 
più  adatte  condizioni  per  vedere  la  sua  posizione  stratigrafica. 
A  San  Frediano  si  potrebbe  a  prima  giunta  credere  che  il  calcare 
lenticolare  fosse  realmente  inferiore  alle  sabbie  gialle  plioceniche. 
Ed  esso  è  difatto  inferiore  a  delle  sabbie  gialle;  ma  queste  sia  pei 
fossili  caratteristici  che  contengono,  sia  puro  per  V  aspetto  loro 
non  sono  analoghe  a  tutte  le  altre  sabbie  gialle  plioceniche,  bensì 
alle  sabbie  di  Vallebiaja,  che  paiono  per  gli  studi  già  fatti  ('i 
da  ritenersi  di  quelle  più  recenti.  Questo  fatto  del  resto  era 
già  stato  notato  dall'  egregio  prof.  D'  Achiardi,  che  aveva  nelle 
sabbie  sovrastanti    al    calcare    lenticolare  rinvenuta    la   stessa 


(*)  De  Stefani  C.    —    Della    nomenclatura  geologica.    Lettera   ad    E.  Bey  ridi. 
Estratto  Voi.  I,  Ser.  IV,  Atti  d.  R.  Istituto  Veneto.  188:i. 


TL  CALCARE  AD  AMPHISTHOINA  NELLA   PROVINCIA  DI  PISA   KC.  215 

Cladocora  che  è  così  commune  nelle  sabbie  di  Vallebiaja  (')• 
In  questa  opinione,  che  cioè  tali  sabl)ie  siano  da  ritenere  più 
recenti  delle  altre  solite  sabbie  pialle,  mi  conforta  il  fatto  che, 
discendendo  la  collina  di  San  Frediano  dalla  parte  opposta  a 
quella  ove  sono  le  cave  principali,  andando  cioè  verso  Us  gliano, 
ho  potuto  rinvenire  al  disotto  del  calcare,  fra  questo  e  le  ar- 
gille turchine  indubbiamente  plioceniche  per  le  specie  fossili 
caratteristiche  che  contengono,  uno  strato  di  pochi  centimetri 
di  spessore,  ma  nettamente  visibile,  di  sabbie  perfettamente 
identiche  alle  ordinarie  sabbie  gialle  plioceniche. 

Meglio  che  a  San  Frediano  ed  a  Parlascio  si  può  vedere  la 
sovrapposizione  del  calcare  alle  sabbie  gialle  plioceniche  a  Bel- 
vedere, Pozzuolo  e  Sogliole  (presso  Nugola)  e  meglio  ancora 
presso  Volterra  alle  balze  di  San  Giusto,  a  San  Dalmazio  e  Po- 
marance.  A  Belvedere,  Pozzuolo  e  Sogliole  si  ha  un  passaggio 
graduato  senza  ombra  di  discordanza  dalle  inferiori  argille  tur- 
chine (V,  Tav.  XI,  fig.  Ai  a  sabbie  gialle  compatte  con  pochi 
fossili,  quindi  a  sabbie  gialle  meno  compatte  ricche  di  fossili 
fra  cui  r  Ostrea  lamellosa^  il  Peden  varius,  il  Perten  opercularis, 
la  Terebratnla  ampulloy  e  sopra  a  queste  si  rinvengono  potenti 
strati  di  calcare  ad  Amphislegina  ricchissimi  di  fossili.  Analoga 
disposizione  potei  osservare  presso  Volterra,  ove,  fattomi  calare 
giù  per  le  balze  di  San  Giusto,  potei  osservare,  di  mano  in 
mano  che  colle  funi  mi  scendevano  al  basso,  calcare  ad  Amphi- 
slegina che  nella  parte  sua  inferiore  si  cambiava  a  poco  a  poco 
in  istrati  dì  sabbie  grossolane  cementate,  quindi  sabbie  gialle 
plioceniche,  da  ultimo  al  di  sotto  di  tutto  le  argille  turchine 
potentissime. 

Disposizione  di  cose  perfettamente  analoga  si  ha  a  San 
Dalmazio,  ove  gli  strati  di  calcare,  tanto  ricchi  di  brachiopodi 
da  potersi  col  nome  di  calcare  a  brachiopodi  designare,  sovrap- 
posti alle  solite  sabbie  gialle  concordan temente  con  esse,  sono 
inclinati  di  circa  20*"  a  S.  0.,  e  poi  dopo  un  certo  tratto,  sa- 
lendo la  via  che  conduce  alla  Rocca  di  Sillano,  si  riscontrano 
quasi  perfettamente  orizzontali  e  tali  perdurano  finché  scom- 
paiono per  lasciare  allo  scoperto  le  masse  ofiolitico-serpentinose 


(*)  D'Achiardi  A.  —  Sulla  calcaria   lenticolare   e  grossolana   della    Toscana. 
BolL  d.  R.  Comit  GeoL  Ital.  1874.  pag.  362  e  seg. 


216  0.  A.    DE  AHICIS 

sottostanti  della  Bocca  di  Sillano,  sulle  quali  in  quel  punto 
essi  direttamente  essi  poggiano.  Calcari  analoghi  per  fossili  e  per 
r  aspetto  loro  sono  quelli  su  cui  è  fondata  Pomarance;  ivi  pure 
giacciono  sopra  le  sabbie  gialle  plioceniche,  inclinati  verso  0.  N.  0. 
ma  di  ben  poco  (V.  Tav.  XI,  fig.  Bj. 

I  lembi  di  Parlaselo,  Casciana  e  della  Madonna  dei  Monti 
si  presentano  con  tali  caratteri  da  potersi  con  ogni  ragione 
dire  che  rappresentino  altrettanti  piccoli  lembi  staccati  dal  de- 
posito di  San  Frediano. 

Ad  Orciano  poco  lungi  dalla  villa  Perugia  e  dalla  Casina 
del  sig.  Cubber,  il  calcare  lenticolare  si  presenta  col  carattere 
locale  di  contenere  molti  altri  fossili,  sopratutto  molte  specie 
di  Peclen.  —  11  prof.  Capellini  annunziandone  la  scoperta  i') 
aveva  detto  che  esso  costituisce  là  un  banco  lungo  circa  30  m., 
alto  7  ad  8,  composto  di  strati  che  inclinano  verso  la  valle 
della  Pme:  che  esso  riposa  sulle  argille  turchine  plioceniche  e 
che  per  conseguenza  occupa  il  posto  delle  sabbie  gialle  ])lioce- 
niche  superiori.  —  Osservando  attentamente  verso  il  contatto 
fra  il  calcare  e  le  argille  potei  rinvenire  anche  qui,  come  a 
San  Frediano  un  sottile  lembo  di  vere  sabbie  gialle  interposte; 
e  rigirando  la  collina,  presso  Pozzavilla  trovai  ben  più  potente 
tale  strato  di  sabbie  gialle  superiori,  onde  potei  concludere  che 
anche  per  Orciano,  come  per  tutti  gli  altri  pOiti,  il  calcare  non 
occupa  già  il  posto  delle  sabbie  gialle,  ma  è  ad  esse  superiore. 

Anche  a  Magliano  di  Toscana,  secondo  ciò  che  me  ne  diceva 
il  dott.  Busatti,  il  calcare  lenticolare  riposa  sulle  sabbie  gialle 
plioceniche. 

In  conclusione  si  ha  adunque  estesissima  in  Toscana  una 
zona  speciale  limite  superiore  del  pliocene;  ad  essa  do  il  nome 
di  xona  del  calcare  ad  Amphistegina  per  esserne  questo  calcare 
il  tipo  predominante,  senza  però  escludere  che  al  suo  posto  si 
possano  trovare,  come  di  tatto  si  trovano,  altre  rocce  diverse 
come  conglomerati,  sabbie  grossolane  fossilifere  cementate, 
banchi  ad  Ostreae,  etc.  Di  questa  zona  troviamo  pure  lembi 
nella  Maremma,  ed  anche  nelT  Italia  meridionale,  come  ad  es. 
presso  Catanzaro  ove  mi  fu  segnalato  dal  mio  buon  amico  dott. 
Neviani,  professore  nel  Liceo  di  quella  città. 

(*)  Capellini  G.  —  Calcare    ad    Amphistegina,   strali  a  Congerw  e  calcare  di 
Leitha  nei  Monti  Livornesi.  Estratto.  ReUdic.  accad.  Se.   Istit  di  Bologna.  1S75. 


IL  OALCÀRR  AD  AMPHISTEGINA  NELLA  PROVINCIA  1)1  PISA  KC.  217 

Tutta  questa  zona,  beiicbè  superiore  alle  sabbie  gialle  plio- 
ceniche, pure  è  affatto  ad  esse  contemporanea,  e  solo  rappre- 
senta una  formazione  diversa  per  batimetria,  precisamente  come 
avviene  per  le  argille  turchine  che  mentre  sono  coeve  delle 
sabbie  gialle,  pure  sono  ad  esse  inferiori  perchè  deposte  in  acque 
più  profonde.  La  zona  del  calcare  ad  Amphistegina  rappresenta 
adunque  bati metricamente  la  parte  più  litorale  del  pliocene,  e 
stratigraficamente  il  più  alto  termine  di  tale  sistema. 

Annetto  molta  importanza  ad  estendere  lo  studio  di  questa 
zona  a  tutto  il  resto  dell'  Italia,  giacché  per  tal  modo  si  po- 
trebbe facilmente  ricostrurre  tutta  V  antica  spiaggia  del  mare 
pliocenico  sulla  nostra  penisola.  Sarebbe  pure  interessante  ve- 
dere se  si  trovino  lembi  di  formazioni  riferibili  a  tale  zona 
anche  nelle  isole  del  Mediterraneo. 

Ed  ora  ecco  il  catalogo  sistematico  dei  fossili  che  nei  depositi 
«il  tale  zona  si  rinvengono.  Con  tali  fossili,  raccolti  nelle  mie  varie 
escursioni,  distìnti  per  località  e  collocati  in  serie  nell'ordine  zoo- 
logico, ho  potuto  mettere  insieme  una  discreta  collezione  che  ho 
donata  al  Museo  della  R.  Università,  di  Pisa.  Parecchi  fossili,  e 
specialmente  liriozoi,  di  Parlascio  e  San  Frediano  esistevamo  già 
nelle  collezioni  di  questo  Museo  ed  erano  stati  studiati  dal  prof. 
Meneghini;  ed  anche  di  questi  (che  ho  distinti  colla  lettera  M) 
mi  sono  valso  acciò  questo  catalogo  riuscisse  meno  incompleto. 

VERTEBRATA 
PISCES 

Gen.  C'hrj^Mophriii. 

Chrysophris  Asassizii  8ism. 

Di  questa  bella  specie,  vicinissima  alla  vivente  Chrysophris 
aurata^  ho  raccolto  18  denti  a  San  Frediano.  Un  solo  esemplare 
piccolissimo  riferibile  dubitativamente  alla  sp.  Agassizii  ho  tro- 
vato a  !N  ugola. 

Gen.  CapitodiiM  Milnst. 
Capitodns    snbtrancatns   Munsi. 

Un  grosso  e  ben  conservato  dente  ed  uno  i)iù  piccolo  tron- 
cato alla  parte  inferiore,  trovati  a  San  Frediano.  —  I  denti  di 


218  0.  A.    DE  AMICIS 

questa  forma,  riferiti  dal  Mùuster  al  gen.  Capitodus,  genere  che 
comprende  perfino  da  una  [)arte  dei  Dentea:,  dall'altra  dei 
Leuciscus,  sono  probabilmente  riferibili  al  gen.  Sargus. 

(ìen.    Uiiibriiia    Cuv. 
Uiubrina  sp. 

Un  solo  dente  specificamente  indeterminabile,  mancante  della 
porzione  inferiore,  proviene  dalle  cave  di  San  Frediano. 

Gen.    Liaiiiiia    Cuv. 

Lamna  Hopei  Ag. 

Quattro  esemplari,  di  cui  due  i^^olati  e  c:on  pieghe  longitu- 
dinali ben  marcate,  furono  da  me  trovati  a  San  Prediano. 

(jfen.  Il^yrhiiia  L. 
Oxyrhina   minata   Ag. 

Un  dente  di  questa  specie  fu  raccolto  a  San  Frediano  e  »tu- 
Hiato  e  determinato  dal  Lawley.  (M). 

(ìen.    Mphyrua    Kaf. 
Sphyrna  prisca  Ag. 

Di  questa  specie  7  bei  denti  triangolari,  non  molto  grandi, 
«loterminati  essi  pure  dal  Lawley  furono  raccolti  a  San  Fre- 
diano. (M). 

MOLLUSCO!  I)R  A 

BRACHIOPODA 

(len.  Iliiyiieoiiell»    Fischer 
Itliyconella  bipartita  Brc. 

Provengono  di  questa  specie  tre  esemplari  dalle  cave  di  San 
Frediano;  di  essi  due  mostrano  la  forma  tipica,  l'altro  ha  l'in- 
senatura della  grande  valva  più  marcata  di  quello  che  non  sia 


IL  CALCARE    AD  AMPHISTEGINA  NELLA  PROVINCIA   DI  PISA  KC.  219 

nelle  forme  tipiche.  Uno  dei  due  esemplari  tipici  potei  aprirlo 
per  prepararvi  V  apparecchio  apofìsario.  Nove  esemplari  di  cui 
alcuni  rotti  e  male  conservati,  provengono  da  Parlaselo  e  fanno 
parte  delle  collezioni  del  Museo  geologico  di  Pisa.  —  Quattro 
altri  esemplari  bellissimi  e  così  conservati  da  mostrare  per  tra- 
sparenza V  apparecchio  apofìsario,  li  ho  raccolti  a  San  Dalmazio. 


(leu.  Thecidiam  Sow. 
Thecidinm    inediterranenm   Res. 

Vn  solo  esemplare  di  forma  alquanto  più  allungata  della 
tipica,  proviene  da  Parlascio.  (M). 

Gen.    .'%i*sÌope    Deslongch. 
Argiope  decollata  Chemn 

Questa  specie  è  comune  assai  nel  calcare  ad  Amphistegina 
(li  talune  località.  Moltissimi  esemplari  ne  ho  raccolti  a  San 
Frediano  corrispondenti  perfettamente  alla  figura  datane  dal 
Davidson;  solo  alcune  presentano  le  pieghe  sullo  due  valve  vi- 
sibìli distintamente  su  tutta  la  superficie  delle  valve  anziché 
solo  sulla  fronte  della  conchiglia. 

Il  Museo  di  Pisa  ne  possiexle  pure  moltissime  provenienti  da 
Parlascio  e  di  forme  regolarissime. 

Gen.  Terebratiiliiia  d'Orb. 
Terebratuliua   capnt-serpentis   Limi. 

Di  questa  specie  citata  come  comune  a  Parlascio  e  San  Fre- 
diano, non  ho  potuto  trovare  resti  in  tali  località;  né  il  Museo 
di  Pisa  ne  possiede. 

Sette  esemplari  abbastanza  bene  conservati  li  trovai  a  San 
Dalmazio.  Fra  questi  uno  conserva  tutte  due  le  valve  e  si  mostra 
eguale  alla  figura  datane  dal  Davidson;  solamente  le  pieghe  che 
ornano  tale  elegantissima  conchiglietta  giunte  presso  la  fronte 
nella  regione  mediana  così  della  grande  che  della  piccola  valva 
si  biforcano. 


220  G.  A.    DE  AMICIS 

Oen.  Terehralnla   (Llwyd)  Klein. 
Terebratnla  ampolla  Brc. 

Questa  specie  e  assai  comune  nei  calcari  ad  Amphistegina  e 
subisce  diverse  piccole  modificazioni  nella  forma.  Nelle  collezioni 
del  Museo  di  Pisa  moltissime  se  ne  hanno  di  forma  tipica  pro- 
venienti da  Farlascio;  altre  pure  della  stessa  località  furono 
per  r  aspetto  loro  distinte  ne.le  collezioni  dal  prof.  Meneghini 
col  nome  di  T.  ampulla  var.  depressa. 

Io  ne  ho  potuto  raccogliere  sei  esemplari  a  Sogliole,  tre  bel- 
lissimi a  San  Frediano,  uuo  a  Nugola. 

Terebratnia   grandis   Biumb. 

Un  solo  esemplare  e  non  completo  mi  è  occorso  di  trovare 
di  questa  specie,  perfettamente  corrispondente  alla  figura  datane 
dal  Davidson.  L'  esemplare  proviene  da  Sogliole. 

Terebratnia   siunosa  Brc. 

Questa  bella  specie  è  in  alcune  località  assai  più  comune 
ed  abbondante  della  T.  ampulla.  Due  esemplari  sono  della  col- 
lezione del  Museo;  un  esemplare  lo  raccolsi  a  Soy:liole,  e  ben 
diciannove  in  poca  estensione  di  terreno  a  San  Dalmazio. 

Terebratula  Itegiiolii  Mgh. 

Di  questa  specie  vicina  alla  T.  ampulla  ma  più  allargata  e 
con  forame  più  stretto  si  conservano  nel  Museo  di  Pisa  otto 
esemplari  di  cui  uno  mostrante  l'apparecchio  upofisario,  prove- 
nienti da  Parlaselo  e  che  servirono  al  prof.  Meneghini  a  sepa- 
rare la  specie.  Quattro  esemplari  ne  ho  potuto  raccogliere  a 
Sogliole. 

Gen.    lle^erlea    Davidson 

Megerlea  orbicularis  Mgh. 

Due  bellissimi  esemplari  di  questa  specie  a  valve  leggermente 
striate  longitudinalmente  ed  area  nettamente  visibile  nella  grande 
valva,  li  raccolsi  a  San  Dalmazio.  L'  uno  misura  circa  2  cm.  nel 
senso  trasversale,  V  altro  è  circa  la  metà  del  primo. 


IL  CALCABE  AD  AMPHISTE0INA  NELLA  PROVINCIA  DI  FISA  EC.  221 

BRJOZOA 

Geo.    nereiiicea    Lamx. 
Berenieea  congesta  Reuss 

Di  questo  elegante  briozoo  un  solo  esemplare  proviene  da 
Parlaselo.  (M). 

Berenieea    echinulata  Reuss 
Un  esemplare  proveniente  da  Parlascio  (M). 

Gen.    Kutalophora    Lamx. 

Entalophora  anomala  Reuss 

Abbastanza  frequente  a  Parlascio.  Molti  esemplari  ne  ha  il 
il  Museo  di  Pisa. 

Gen.    Filinparsa   d*  Orb. 
Filisparsa  biloba  Reuss 
Un  solo  esemplare  ben  conservato  proviene  da  Parlascio  (M). 

Gen.  Plethopora  Hagw. 
Plethopora  Ibex    sp.  n.  Mgh. 

Sopra  un  bellissimo  esemplare  proveniente  da  Parlascio  e 
che  appartiene  al  Museo  di  Pisa,  il  prof.  Meneghini  istituì  la 
nuova  specie  Ibex.  La  descrizione  e  figura  non  furono  ancora 
pubblicate. 

Gen.  Faiicieiilarla  M.  Edw. 

Fascicnlaria   andeonlinm    M.  Edw. 

Di  questa  specie  che  fu  studiata  dal  Manzoni  nei  calcari 
lenticolari  di  San  Frediano  e  Parlascio,  non  mi  è  riuscito  tro- 
vare esemplari;  né  il  Museo  di  Pisa  ne  possiede  alcuno. 

Gen.  Repllmiiitiea^a  d'Orb. 
ReptmnUicava  cavernosa  Micht. 

Questa  specie  è  assai  comune  e  spesso  in  esemplari  di  rag- 
guardevoli dimensioni.  Il  Museo  di  Pisa  ne  possiede  molti  prò- 


222  G.  A.    DE  AMICIS 

venienti  da  Parlascio.  Due  esemplari  ne  ho  raccolti  ad  Orciano, 
uno  bellissimo  a  Belvedere,  e  molti  a  San  Frediano. 

Reptimnlticava   simplex   Micht. 

Di  questa  specie  poco  diversa  dalla  precedente  ma  assai  più 
rara,  quattro  soli  esem[ljiri  provengono  da  San  Frediano,  (M). 

Gen.  €'erioeava  d' Orb. 
Ceriocava   megalopoea   Reuss 

Due  soli  esemplari  ma  benissimo  conservati  e  corrispon- 
denti alla  descrizione  datane  dal  Reuss  per  questa  specie  pro- 
vengono da  Parlascio.  fM). 

Ceriocava    Arbascnlnm    Reuss 

Specie  di  dimensioni  più  piccole  della  precedente  ed  anche 
più  comune.  Parecchi  esemplari  con  caratteri  ben  distinti  sono 
di  Parlascio.  (M). 

Gen.  Ileteroiìorella    Busk 
Hcteropella  radiala  Busk 

Parecchi  esemplari  di  Parlascio  e  San  Frediano  furono  stu- 
diati e  determinati  dal  Manzoni. 

Gen.    ;%elea    Lamx. 
Aetea  sica  Co. 

Alcuni   esemplari   di    Parlascio  raccolti   e   determinati   dal 

Gen.    llenibraiiipora    Blv. 
Membranipora  nobilis  Reuss. 

Un  beir  esemplare  di  una  colonia  di  questo  briozoo  incro- 
stante su  di  una  Cellepora,  proviene  da  Parlascio.  (M). 

Membranipora    minima   sp.  n.  Mgh. 

Un  bellissimo  esemplare  di  questo  briozoo  incrostante  su  di 
un' Eschara   poljjommaj    proviene  da    Parlascio,  si    conserva  nel 


IL  CALCABE  AD  AMPHISTEQINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  22S 

Museo  di   Pisa  e  servì   al    prof.  Meneghini    a  distinguere  tale 
specie  nuova  non  ancora  per  altro  pubblicata. 

Menibranipora  excaTata  sp.  n.  Mgh. 

Anche  questa  specie  di  cui  si  conserva  nel  Museo  di  Pisa 
un  esemplare  proveniente  da  Parlascio,  fu  distinta  e  separata 
dal  prof.  Meneghini,  ma  non  ancora  descritta  né  figurata. 

Membranipora  squamata  sp.  n.  Mgh. 

Forma  assai  elegante  à  grandi  cellule,  comune  abbastanza 
a  Parlascio;  specie  essa  pure  distinta  dal  prof.  Meneghini  ma 
non  pubblicata. 

Membranlpora  angulosa   Reuss 

Esemplari  ne  furono  raccolti  a  San  Frediano  e  Parlascio  dal 
dott.  Manzoni. 

Membranlpora  ealpensis  Bk. 

Anche  di  questa  specie  indicata  come  comune  a  Parlascio 
dal  dott.  Manzoni,  non  mi  è  riuscito  trovare  esemplari. 

Membranlpora  Rosselli!  And. 

Parecchi  esemplari  furono  raccolti  a  San  Frediano  e  Par- 
lascio;  e.  s. 

Membranlpora  reticnlnm  Michel. 

Pochi  esemplari  di  San  Frediano  furono  studiati  dal  dott. 
Manzoni. 

Gen.    Lepralia    Johnston 
Lepralla  innominata  Cod. 

Alcuni  esemplari  delle  cave  di  San  Frediano  furono  deter- 
minati dal  Manzoni. 

Lepralla  rarlcostata  Reuss 
Qli  esemplari  provengono  da  Parlascio;  e.  s. 


224  0.  ▲.  UE  ÀMicis 

Lepralia  sqnamoidea    Reuss 

Anche  questa  specie  fu  studiata  dal  Manzoni.  Gli  esemplari 
sono  di  San  Frediano. 

Lepralia  Hnneri   Reuss 
Non  molto  comune  a  San  Frediano,  più  comune  a  Parlascio. 

Lepralia  decorata   Reuss 
Trovata  a  San  Frediano. 

Lepralia   pertnsa   Tohast. 

Di  questa  elegantissima  specie  due  forme  furono  distinte 
dal  Manzoni  a  San  Frediano  e  Parlascio;  1' una  è  la  forma 
tipica,  r  altra  è  imperforata. 

Lepralia    ciliata   Pallas 

Anche  di  questa  specie,  come  della  precedente,  il  Manzoni 
distinse  due  foime,  V  una  tipica,  V  altra  con  cellule  inermi  e 
levigate.  Provengono  gli  esemplari  da  San  Frediano. 

Gen.    Kmehara   Busk 
Esehara  varians  Reuss 

Parecchi  esemplari  raccolti  a  Parlascio  fanno  parte  delle 
collezioni  del  Museo. 

Esehara   papillosa    Reuss 

Specie  elegantissima,  non  molto  frequente.  Nove  esemplari 
provengono  da  Parlascio.  (M). 

Esehara  conferta  Reuss 
Un  solo  esemplare  fu  trovato  a  Parlascio.  (M), 

Esehara   sp. 

Molti  altri  esemplari  riferibili  al  gen.  Esehara  e  provenienti 
così  da  Parlascio  come  da  San  Frediano  non  sono  specificamente 
determinabili. 


'    IL  CALCAHE  AP  AMPHISTEOJNA  NEUJL  PROVINCIA  DI  PISA  £C.  225 

6eD.    Kiirhariiia    d' Orb. 
Escarina  gradlis  d'Orb. 

Un  esemplare  proveniente  da  Parlaselo.  (M). 

Gen.  Kseharineila  d'Orb. 

Escharinella   elegans  sp.  n.  Mgh. 

Questa  bellissima  specie  di  cui  un  solo  esemplare  si  conserva 
nel  Museo  di  Pisa  è  una  speci'»  nuova  non  ancora  pubblicata 
del  prof.  Meneghini. 

Gen.  Porina  d'  Orb. 
Porina   scrobicnlata  Reuss 

Bellissima  specie.  Tre  piccoli  esemplari  provengono  da  Par- 
lascio.  (M). 

Porina  Renssi   n.  sp.  Mgh. 

Di  questa  nuova  specie  dal  prof.  Meneghini  dedicata  al 
valente  naturalista  Reuss,  parecchi  esemplari  i)rovenienti  da 
Parlascio  si  conservano  nel  Museo  di  Pisa.  La  specie,  ancora 
inedita^  è  molto  vicina  alla  P.  diplostoma  Reuss,  ma  pure  ne  è 
Dettamente  distinta. 

Gen.   Retepora  Imperato 
Betepora  eclilnulata  Blain. 

Di  questa  elegantissima  specie  a  larghe  maglie  e  cellule 
piccole  numerosissime,  due  soli  esemplari  furono  raccolti  a 
Parlascio. 

Gen.  SeiiiifliMlrella  d'Orb. 
Semiflustrella   limarloides  sp.  n.  Mgh. 

Bella  specie  con  cellule  aperte  tutte  sopra  una  sola  faccia 
delle  colonie  che  sono  ramose,  a  sezione  elittica,  e  piccole. 
Questa  specie  stabilita  pur  essa  dal  prof.  Meneghini  sopra 
esemplari  di  Parlascio,  h  anche  essa,  come  le  precedenti,  inedita. 

So.  Nat.  Voi.  II.  fase.  !.<>  15 


226  0.  A,    DE  AMIGIS 

Gen.  Cellepora  Fabricius  emend.  Busk 
Gellepora  tnblgera  Busk 

Questa  specie  è  comune  assai;  il  dott.  Manzoni  ne  determinò 
fra  i  briozoi  di  Parlaselo  e  San  Frediano;  io  ne  ho  raccolti 
esemplari  oltreché  a  San  Frediano,  ove  abbonda,  anche  a  Bel- 
vedere e  ad  Orciano. 

Gen.    Ileploeelleporaria    d'Orb. 
Replocelleporaria  globularis  Bru. 

Specie  comune  a  Parlascio.  (M). 

Reptocelleporaria  sp. 

Riferisco  a  questo  genere  un  esemplare  raccolto  ad  Orciano 
e  specificamente  non  determinabile. 

Gen.  Wlueularla  Dfr. 
Yincalarla   sabmarginata   d' Orb. 

Bella  specie  formante  esili  colonie  poco  ramificate,  abbastanza 
frequente  a  Parlascio.  (M). 

Gen.  Myriozoiiiii  Donati 
Myriozonm    truneatum    Donati 

Questa  specie  è  citata  dal  Manzoni  nel  calcare  di  Parlascio; 
r  ho  raccolto  in  grande  abbondanza  a  San  Frediano. 

Myriozoum    punctatnm   Phil. 

Comunissimo  ed  in  forme  tipiche  ed  in  forme  alquanto  mo- 
dificate. Abbonda  a  Parlascio  e  San  Frediano;  l'ho  pure  rac- 
colto ad  Orciano. 

Myriozoam   clavatnm  sp.  n.  Mgh. 

Colonie  più  piccole  delle  precedenti  e  con  cellule  pure  più 
piccole.  Meno  comune  degli  altri  Myriozoum.  Tre  esemplari  delle 
collezioni  del  Museo  provengono  da  Parlascio.  La  specie  del 
prof.  Meneghini  è  ancora  inedita. 


IL  CALCARE  AD  AMPHlSTEGINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  227 

MOLLUSCA 

GASTEROPODA 

Gen.  Turbo  Lam. 
Turbo    rugosa»    Lino. 

Nel  calcare  ad  Amphislegina  di  Nugola  trovansi  con  bastante 
frequenza  i  modelli  interni  di  questo  fossile;  ma  non  ho  mai 
potuto  averne  esemplari  col  guscio  conservato.  Nella  collezione 
dei  fossili  di  Nugola  un  solo  esemplare  ne  esiste  ed  in  abba- 
tanza  cattivo  stato  di  conserv  ^  zione. 

Gen.  Troehns  Linn. 

Trochns  sp. 

• 

Riferibili  a  questo  genere  ma.  senza  speranza  di  determina- 
zione speci6ca  sono  molti  modelli  interni  communi  nel  calcare 
ad  Amphislegina,  Nella  collezione  da  me  fatta  due  esemplari 
provengono  da  Belvedere,  uno  da  San  Prediano,  e  tre  da  Nugola, 

Gen.  Turrltella  Lam. 
Tnrritella  subangulata   Bre. 

Un  esemplare  allo  stato  di  modello  da  me  raccolto  a  Nugola, 
mostra  tutti  i  caratteri  di  conchiglia  turricolata  ad  anfratti 
superiormente  più  piccoli,  carena  unica  assai  acuta,  apertura 
quadrangolare,  per  potere  essere  ascritto  a  questa  specie. 

Turritella  sp. 

Altri  modelli  indubbiamente  riferibili  a  questo  genero  ma 
per  le  specie  non  determinabili,  li  raccolsi  a  Sogliole,  ed  a 
Belvedere. 


Gen.    WeriiietiiM    Adans. 
Yermetus  intortus  Lam. 

Un  piccolo  ma  bellissimo  esemplare  formato  da  una  agglo- 
merazione, direi  quasi  da  un  nodo,  di  innumerevoli  tubi  di  Ver- 


228  »'.  A.    PE  AMICIS 

meti,  r  ho  rnccolto  lul  Orciiino.  Presenta  «listintissimi  tutti  i 
caratteri  della  specie  ÌHlortus  secondo  la  diagnosi  datane  dal- 
l' Iloornes. 

(ien.  l'at^fMiiìi  Flem. 
Caeeiim    trachea    Montv. 

Di  questo  piccolo  ed  elegante  gasteropode  ini  è  occorso  di 
trovare  un  solo  esj».Mnplare  a  San  Frediano;  esso  è  lungo  circa 
12  min.;  il  suo  dianietr«»  interno  non  rau^Lriunge  1  mni.  La  su- 
perficie esterna  ò  ornata  di  numerose  e  sottili  rughe  che  danno 
alla  conchiglia  tuhulare  un  lì^^petto  traclieifbrme. 

<ien.  1%'allctì  Adanson 
Natica    niillepuiictata    Lam. 

Ho  ascritto  w  questa  specie  un  modello  raccidto  a  San 
Dalmazio,  di  forma  subglobulare,  spira  poco  proniinente  ed  oc- 
cupante circa  un  quarto  del  diametro  maggiore  della  conchiglia. 

Xatìca   sp. 

Altro  i)icrnlo  fsompljire  specificamente  indeterminabile  e  da 
ascriversi  a  que>sto  grnore  fa  parto  della  collezione  del  Museo 
di  Pisa  e  proviene  da  San  Fiediano. 


(Sen.  Orhliiiiiii  Brug. 
Coritliiuin    Taricosuiii    Uro. 

è 

un  modello  estorno,  l'altro  un  mollilo  esterno  con  unito  il 
m<Ml(dlo  interno.  J{.il(»val:,  vow  cera,  da  modellatore,  i  modelli 
djillo  impronto  (\slerne,  vi  trovni  tutti  i  caratteri  per  ascrivere 
qursti  duo  begli  esemplari  al   (\  niricosum. 


Coritliiuin    Taricosuiii    Uro. 

Duo  bellissimi  eseniplari  ne  ho  raccolto  a  Nugola;  l'uno  ì 
modello  estorno,    l'altro    mi  mollilo   esterno   con   unito  ii 


(jen.  ft>|»raea  Linn. 
<'.vpraea    Krocchii    Desìi. 

Un  modello  int(Miio  di  (pu'sta  s|ìecio  distinguibile  per  T  aper- 
tura Jingusta.  ed  arr.u:il:i  non  mediana  e  labl)ro  con  numerosi 
df'nli  bnwi,  provicno  da  l\irlascio.  K  lungo  circa  4  ^-^  cm. 
largo  ;{  '/^.  I  M). 


IL  CALCARE  AD  AMPHISTEGINA  NKLLA  THOVINCIA  DI  PISA    EC.  229 

Geii.  Doliniii  Lani. 
Doliiim    denticnlatnm    Desh. 

Di  questa  bellissima  specie  ho  avuto  la  fortuna  di  trovare 
a  San  Frediano  un  cosi  bel  modello  interno  da  permettermene 
lu.  determinazione.  L'esemplare  è  di  cm.  6  '/^xl. 

Gen.    Triloiiiaiiii    Link. 
Tritoiiium  olearium  L. 

Un  unico  frammento  comprendente  due  anfratti  incompleti, 
ma  pure  senza  dubbio  alcuno  determinabile,  ho  potuto  rinvenire 
ad  Orciano.  Sono  uniti  allo  stesso  esemplare  anche  taluni  piccoli 
Vennetus  intorttis  Lam. 


Gen.  MiireiL  Lam. 
Murex  coiiglobatus    Mich. 

Un  modello  cosi  [>erfetto  da  potere  essere  specìficamente 
determinalo  T  ho  trovato  a  San  Frediano.  Lungo  circa  8  cm. 
è  quasi  completo  non  mancadogli  che  il  solo  primo  anfratto. 

Murex   brandaris    Limi. 

Appartiene  certamente  a  questa  specie  per  tutti  i  caratteri 
che  presenta,  per  le  tracce  di  ornamenti,  e  per  T  andamento 
della  spirale,  un'altro  modello  di  dimensioni  alquanto  minori 
del  precedente,  raccolto  pure  o^so  da  me  nelle  cave  di  San 
Frediano. 


Gen.    Coiiuni    Ij. 
Conus  sp. 

Nelle  cave  di  San  Frediano  ho  raccolto  un  modello  di  un 
piccolo  cono  che  non  misura  più  di  6  a  7  mm.  di  lunghezza,  è 
a  spirale  molto  depressa  e  superiormente  allargato.  Non  mi  è 
riuscito  conguagliarlo  ad  alcun'  altra  delle  specie  note. 


230  G.  A.  DE  AMICIS 

SCAPHOPODA 

Gen.  Dentaliiim  L. 
Dentalinm    tetragoiium    Brocchi 

Uu  bellissimo  esemplare  lungo  circa  1  cm.  perfettamente 
corrispondente  alla  figura  e  descrizione  datane  dall'  Hoerues, 
proviene  da  Parlascio  e  si  conserva  nel  Museo  dì  Pisa. 

Dentaiinm   entalis  Linn. 

Due  piccoli  frammenti  appartenenti  a  questa  specie  li  ho 
raccolti  a  San  Prediano. 

PELECIPODA 

Gen.  4l!»lrea  Lam. 
Ostrea    cochlear    Poli 

Di  questa  specie  ho  rinvenuto  una  sola  valva  inferiore  al- 
quanto rotta  al  margine  ed  all'  urabone  di  circa  45  mm.  per 
27,  assai  convessa  e  con  aspetto  poco  lamellare,  impressione 
ligamentare  di  poco  depressa,  e  di  forma  pressoché  triangolare 
e  striata;  impressione  muscolare  poco  distinta. 

L' esemplare  proviene  da  Orciano. 

Ostrea  lamellosa   Brocchi 

Questa  specie  è  estremamente  comune  e  forma  spesso  a 
San  Frediano  o  Parlascio,  così  come  a  Belvedere,  Orciano,  Po- 
marance  e  San  Dalmazio  veri  banchi.  È  invece  piuttosto  rara 
a  Nugola. 

Ostrea  ednlis  L. 

Questa  specie  è  abbastanza  comune  ad  Orciano  dove  ho 
raccolto  una  valva  inferiore  di  cm.  5  Va  per  4  con  impressione 
muscolare  subcentrale  nettamente  distinta  e  fossa  ligamentare 
triangolare  striata  longitudinalmente,  ed  una  piccola  valva  su- 
periore sottilissima  di  circa  19  mm.  per  24. 


IL  CALCARE  AD  AMPUISTEGINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA   KG.  231 

Ostrea  pusilla  Brc. 

Tre  esemplari  di  questa  piccola  e  bella  specie  fanno  parte 
delle  collezioni  del  Museo  e  provengono  da  Parlaselo. 

Ostrea  sp. 

Non  sono  specificamente  determinabili  una  valva  di  mm.  46 
per  57  simile  alla  lamellosa  ma  troppo  consumata  per  essere 
determinabile;  così  pure  parecchie  piccolissime  valve  di  non  più 
di  2  mm.  di  diametro  maggioro  esilissime  e  ricurve  assai,  fre- 
quenti esse  pure  a  Parlascio.  (M). 

Gen.  itnomia  L. 
Anomia   ephippium  Brc. 

Di  questa  specie  ho  rinvenuto  due  valve  a  Belvedere;  di  esse 
runa  misura  cm.  7x5,  l'altra  4x27^.  La  più  piccola  è  assai 
bene  conservata  e  presenta  tre  impressioni  muscolari  onde  può 
dirsi  sia  la  valva  dastra.  Anche  quella  più  grande  può  per  la 
sua  notevole  convessità,  ritenersi  come  valva  destra. 

Anemia  sp. 

Sono  specificamente  indeterminabili  tre  piccole  valve  da  me 
raccolte  a  San  Frediano. 

Gen.    fUpondylufii   L. 
Spondylns  sp. 

Non  ho  potuto  determinare  la  specie  di  un  frammento  tro- 
vato a  San  Frediano  comprendente  tutta  la  regione  cardinale 
di  una  valva  destra  con  grande  area  ligamentare  triangolare. 
E  assai  meno  concavo  dello  Sp.  crassicosla  Lam.  come  pure 
dello  Spondylus  subcostatus  d'  Orb.  da  cui  si  distingue  per  V  am- 
piezza deir  area  ligamentare  triangolare. 

Riferisco  pure  ma  dubitativamente  al  gen.  ^^pondylus  un 
modello  interno  assai  inequilaterale  ed  inequivalve  mostrante  le 
tracce  di  una  impressione  laterale,  ma  reso  ancora  più  difficil- 
mente decifrabile  per  V  essere  contorto  e  in  parte  logorato. 
Esso  mi  fu  favorito  dal  sig.  Domenico  Tardi  di  San  Frediano 
proprietario  di  quelle  cave. 


2a2  fi.  A.    l'E  AiilClS 

m 

Geo.  Lfiua  Brug. 
Lima    infiala   Chemnitz 

Un  esemplare  mal  conservato  ma  pure  djstmguibile  per 
essere  obliquamente  inequilaterale,  a  coste  longitudinali  tenui, 
numerose,  e  pressoché  fra  loro  eguali,  Y  ho  potuto  raccogliere 
ad  Orciano. 

Ken,  ■•eclcii  Mailer 
Pecten   latisslmas   Brocc. 

Questa  grande  specie  è  abbastanza  comune  nel  calcare  ad 
Amphistegina.  Un  beli' esemplare  di  IS  cm.  per  16  proveniente 
da  San  Frediano  si  conserva  nel  iluseo  di  Pisa.  Altri  esemplari 
trovansi  nel  piccolo  Museo  della  citta  di  Volterra  e  provengono 
dii  Volterra,  da  San  Dalmazio  e  da  Pomarance. 

Pecten  Jacobaeus  L.    (Vola  Jacobaea  L.) 

Specie  più  frequente  della  precedente,  comunissima  poi  ad 
Orciano.  Ne  ho  raccolto  una  grande  valva  superiore  a  Sogliole, 
una  pure  superiore  a  San  Frediano,  un  frammento  a  Nugola  e 
molti  ad  Orciano,  fra  cui  una  piccola  valva  superiore  benissimo 
conservata. 

Pecten  flabelliformis  Brc.  (Janira  flabelliformi^  Bre.) 

Tre  begli  esemplari  di  11  cm.  per  9,  circa,  e  dei  quali  uno 
conserva  entrambe  le  valve,  provengono  da  Orciano  ove  ho  tro- 
vata tale  specie  comunissima. 

Pecten   opercolaris  L. 

Specie  comune  di  cui  ho  raccolto  un  esemplare  a  Belvedere, 
cinque  a  San  Frediano  (di  cui  quattro  piccolissimi),  quattro  a 
Nugola,  dei  quali  due  rotti  al  margine,  e  due  altri  interi;  uno 
di  questi  di  cm.  5  per  4  '/a  è  conservato  benissimo,  mostra  in- 
tere lo  due  alette  e  ben  distinte  tutte  le  rughe  che  ornano  le 
numerose  coste.  Altri  due  begli  esemplari  ben  conservati,  più 
piccoli  del  precedente  li  ho  raccolti  ad  Orciano;  ed  infine  altri 


IL  CALCARE  AD  AMPHlSTEtìlNA  NKLLA   PROVINCIA  DI  PISA  EC.  2S]3 

dubbii,  un  poco  rotti,  e  di  poca  buona  conservazione  li  ho  tro- 
vati a  San  Dalmazio.  Nelle  collezioni  del  Museo  se  ne  conser- 
vano parecchi  di  Pomarance  e  Volterra. 

Pecten   Fusto   L. 

Anche  questa  specie  non  è  rara;  ne  ho  raccolto  un  esem- 
plare non  troppo  l)ello  a  Sogliole,  uno  piccolo  ma  benissimo 
conservato  e  di  forma  tipica  a  San  Prediano,  un  frammento 
pure  assai  caratteristico  a  Nugola  e  due  altri  frammenti,  di  cui 
uno  conserva  le  alette,  a  San  Dalmazio. 

Fecten  dubins  Brc 

Communissimo.  Ne  ho  trovato  un  esemplare,  ma  senza  le 
alette,  a  Belvedere,  sei  esemplari  tipici  e  ben  conservati  a  San 
Frediano,  dieci  piccoli  esemplari  tutti  belli  ed  in  buono  stato 
ad  Orciano  e  due  bellissimi  colle  alette  affatto  intere  a  San 
Dalmazio. 

Pecteii   varius    L. 

Anche  questa  specie  è  assai  comun  e  diffusa.  Molti  esem- 
plari ne  esistevano  già  nel  Museo  di  Pisa:  due  ben  conservati 
riuniti  sopra  un  solo  pezzo  di  calcare  ad  Ampliistegina  li  ho 
raccolti  a  Belvedere,  cinque  di  diverse  dimensioni  a  Nu^^ola, 
duo  bellissimi  cogli  ornamenti  tutti  assai  bene  conservati  e 
alette  pressoché  complete  ad  Orciano. 

Pecten  flexuosus   Poh 

Per  la  forma  affatto  caratteristica  delle  coste,  ho  riferito 
senza  titubanza  a  questa  bella  specie  due  |)iccoli  frammenti, 
unici  rappresentanti,  purtroppo,  che  io  abbia  trovati  ad  Orciano. 

Pecteu   inflexus    Poli 

Di  que.sta  elegantissima  specie,  una  fra  le  più  belle  di  quelle 
appartenenti  al  gen.  Pec/en,  ed  assai  vicina  alla  Pes-felis,  ho 
trovato  un  solo  frammento  mancante  della  porzione  nmbouale 
ma  però  con  tutti  gli  altri  caratteri  ben  marcati.  Più  fortunato 
fui  a  San  Dalmazio  ove  potei  rinvenire  due  esemplari  completi 


234  <T.  A.    I)K  AMicrs 

di  tale  specie,  V  uno  valva  destra,  V  altro  valva  sinistra,  ed  in 
uno  stato  di  conservazione  veramente  magnifico. 

Pecten   sp. 

Alcuni  esemplari  specificamente  non  determinabili  proven- 
gono da  Pozzuolo. 

Gen.    llociiiiia    Lam. 
IWodiola  barbata  L. 

Due  soli  frammenti  da  riferirsi  però  senza  alcun  dubbio  pei 
caratteri  loro  a  questa  specie,  ne  ho  rinvenuto  a  Nugola.  È 
una  delle  specie  meno  comuni  nel  calcare  ad  Amphistegina. 

Gen.    Pinna    L. 
Pinna  nobilis  L. 

Uno  stupendo  esemplare  di  questa  specie,  lungo  oltre  25 
centimetri  j^erfettamente  conservato,  è  posseduto  dal  sig.  Do- 
menico Tardi,  proprietario  delle  cave  di  San  Frediano,  ove  esso 
fu  rinvenuto. 

Riferisco  pure,  ma  dubitativamente  per  riguardo  alla  specie, 
al  gen.  Pinna  un  frammento  di  modello  interno  con  avanzi  di 
guscio  a  struttura  laminare  o  squamosa,  rinvenuto  ad  Orciano. 

Gen.    iÌLrca  Linn. 
Arca  diluTii  Lam. 

Un  solo  e-emplare  bellissimo,  con  entrambe  le  valve  cosi 
bene  conservate  che  si  direbbe  [iiuttosto  essere  stato  racchiuso 
in  argille  che  in  calcari,  ne  ho  trovato  nel  calcare  ad  Amphi- 
stegina  di  Orciano. 

Sottogcn .    B  y  M  M  <»  tt  r e  M 

Byssoarca    Noae     Linn. 

Questa  specie  è  abbastanza  commune  in  modelli  interni  a 
San  Frediano;  per  altro  neppure  un  esemplare  ne  ho  trovato 
col  guscio   conservato.  Singolarissimo  è  il  modo  con    cui  sono 


IL  CALCARE  AD  AMPHISTKGINA  NELLA  PROVINCIA  DI   PISA  EC.  235 

disposti  tali  modelli  nel  calcare  lenticolare.  1  cavapietre  di  San 
Frediano  trovano  spesso  delle  cavita  più  o  meno  sferiche  riem- 
pite da  corpi  allungati  ovalari  disposti  T  uno  accanto  all'altro 
in  guisa  da  irradiare  tutti  a  rosa  da  nn  centro.  Questi  corpi 
di  forma  singolarissima  non  sono  altro  che  modelli  di  Arca  None 
come  si  rileva  dall'essere  oblunghi,  inequilaterali,  con  grandi 
umboni  allontanati  assai  V  uno  dall'  altro,  granile  area  cardinale 
concava  e  due  impressioni  mnscolan  T  una  grande  l'altra  pic- 
cola, caratteri  tutti  di  questa  specie.  Per  ispiegare  la  strana 
disposizione  loro  1'  uno  accanto  all'  altro  colla  parte  piii  allun- 
gata rivolta  verso  il  centro,  conviene  ammettere  che  tale  specie 
vivesse  in  comunità,  in  tale  guisa  formate,  unite  per  mezzo  del 
bisso;  onde  è  giustificato  il  nome  di  Bìjssoarca  dato  al  sotto- 
genere cui  appartiene  1'  Arca  Noae. 

Gen.    PecliineuliiM   Lam. 
Pectuncalus   flabelliformis    DoJerl. 

Ho  trovato  ad  Orciano  nn  solo  esemplare  abbastanza  bene 
conservato  di  questa  piccola  specie  che  è,  del  resto,  rarissima 
nel  calcare  ad  Amphistegina. 

Pectuuculus   9p. 

Un  numero  straordinario  di  modelli  interni  riferibili  al  gen* 
Pedunculus  per  le  due  profonde  impressioni  muscolari  che  presen- 
tano ai  lati,  si  rinvengono  a  Belvedere,  a  San  Frediano,  a  Parla- 
scio,  ad  Orciano  e  sopratutto  poi  a  Nugola,  ove  sono  comunissimi. 

Gerì,    .\iieiiia    Lam. 

Riferisco  al  gen.  Nuciila  senza  cercare  di  dire  nulla  della 
specie,  due  piccoli  modelli  interni  provenienti  da  San  Frediano. 
Nelle  collezioni  del  Museo  di  Pisa  ve  ne  è  un'  altro  proveniente 
da  Parlaselo  esso  pure  specificamente  indeterminabile. 

Gen.    C'ardila    Desh. 
Cardila    radista    Lam. 

Di  questa  elegante  spec  e  ho  raccolto  due  valve  ben  conser- 
vate con    caratteri    nettissimi  ad  Orciano.    Esse   sono    tumide. 


230  G.  A.    UE  AM1(•I^ 

inequilaterali,  con  17  coste  rotondate  e  oblique,  uuiboni  molto 
ricurvi,  un  solo  dente  cardinale  nella  valva  destra,  due  nella 
sinistra. 

Cardila  rlioniboidea    Brc. 

Una  sola  valva  ed  in  |)oco  buono  stato  ho  pututo  raccogliere 
ad  Orciano;  è  la  valva  destra. 

Gen.    liiaiiia    Linn. 
Chama   sp. 

Riferisco,  ina  dubitativamente,  a  questo  genere  un  piccolo 
modello  interno  un  |)oco  incurvato  a  spiralo  raccolto  a  Sogliole. 

<jen.    8^ii€*iiia    Dc>sliaves 
Luciua  spuria  Desìi. 

Di  questa  bella  specie  sei  esemplari  merjivigliosamente  con- 
servati, colle  valve  ornate  di  numerose  e  sottilissime  pieghe 
longitudinali,  |)n)vengono  da  Parlaselo  e  fanno  [)arte  delle  col- 
lezioni del  Museo. 

Lucina  sp. 

Un  modello  interno  trovato  a  l^irlascio  e  conservato  nel 
Museo  non  è  s|)eciHcamonte  determinabile. 

Gen.    Eliiilofloiiia   Bromi. 
Uiplodonta  rotundata  Mng. 

Di  questa  specie  il  Museo  di  Pisa  possiede  quattro  modelli 
interni  provenienti  da  Casciana. 

Gen.    Cardiuiii    Linn. 
Dardium  hians  Brc. 

Tre  bei  modelli  mostranti  nettamente  la  parte  post-eriore 
beante,  le  coste  radiali  oblique  fra  cui  altri  minori  se  ne  frap- 
pongono, ne  ho  rinvenuto  a  Sogliole. 


IL  CALCARK  AD  AMPHISTEGINA  NELLA  PROVINCIA  PI  PISA   KC.  237 

Cnrdiuni    erlule   Linn. 

Un  esemplare  ben  conservato  con  una  delle  valve  ed  il  mo- 
dello interno  completo,  fu  da  me  trovato  nelle  cave  di  San 
Frediano. 

Riferisco  pure  a  questa  specie,  del  resto  punto  commune, 
un'  impronta  esterna  trovata  a  Nugola. 

Cardiutn  cfr.   lubercolatnm  L. 

Non  sono  ben  certo  di  potere  riferire  a  questa  specie  un 
modello  interno  di  notevoli  dimensioni  con  non  meno  di  30' coste 
radiali  oblique,  raccolto  pure  esso  a  San  Frediano, 

Cardium  sp. 

Sono  specificamente  indeterminabili  due  modelli  interni  pro- 
venienti r  uno  da  Casciana,  V  altro  da  Parlascio.  (M). 

Gen.  Weniis  Linn. 
Yenus   umbonaria    Lara. 

A  Nugola  ho  trovato  con  notevole  frequenza  i  modelli  in- 
terni di  questa  specie  assai  tumida  ed  inequi  laterale,  a  seno 
paleale  grande  e  profondo  che  si  osserva  pure  nei  modelli. 

Yenus   laevis  d'Orb. 

Tre  bellissimi  modelli  riferibili  a  questa  specie  provenienti 
da  Parlascio  fanno  parte  delle  collezioni  del  Museo  di  Pisa. 

Yenus   sp. 

Molti  altri  modelli  interni  del  gen.  Venus  ma  non  determi- 
nabili specificamente  provengono  da  Nugola,  da  San  Frediano 
e  Parlascio. 

Gen.    itreo|iaj|t;ia   d'Orb. 

Arcopagia   sp. 

Due  modelli  interni  di  questo  genere  molto  vicino  alle  Tel- 
linae  provengono  da  Parlascio  e  fanno  parte  delle  collezioni 
del  Museo. 


238  G.  A.    DE  AMICIS 

Gen.   Panopaea    Ménard 
Panopaea  Faujasii  Ménard 

Un  grosso  modello  interno  di  questa  specie  aperta  a  tutte 
due  le  parti,  mi  fu  favorito  dal  sig.  Tardi  di  San  Frediano, 
nelle  cui  cave  fu  rinvenuto. 

Gen.    Tcredo   Linn. 

Un  modello  interno  proviene  da  San  Dalmazio,  due  fram- 
menti- in  njigliore  stato  li  ho  raccolti  a  Nugola. 

ARTHROPODA 

CRUSTACEA 

Gen.  nalaniif$  auct. 
Balanas    balanoides    Ray. 
Un  solo  esemplare  alto  circa  2  cm.  proviene  da  Parlaselo.  (M), 

Balanas   perforatns   Brug. 

Ho  raccolto  a  San  Frediano  un  piccolo  esemplare  alto  circa 
7  mm.  di  questa  specie.  La  forma  sua  è  tubolosa  piuttosto  che 
conica  e  con  apertura  ristretta  e  di  forma  ovata. 

Balauus  tulipiformls   Ellis. 

Un  individuo  alto  30  mni.  colla  base  del  diametro  di  28  mm. 
l'ho  raccolto  ad  Orciano.  Esso  sta  sopra  una  valva  di  Ostrea 
lanieUosa.  Vi  si  vedono  abbastanza  distintamente  le  perforazioni 
delle  pareti  e  dei  radii,  ma  nulla  rimane  dell'  opercolo. 

Balanas   concavas  Darw. 

Ho  trovato  ad  Orciano  due  esemplari  di  questa  specie  ;  uno 
di  essi  è  assai  bene  conservato  e  mostra  una  forma  conica, 
un'  apertura  di  media  grandezza  con  un  dente  molto  sporgente 
dalla  parte  della  carena,  e  linee  radiali  distinte  sugli  scudi, 
carattere  distintivo  di  questa  specie.  Il  colore  ne  è  roseo.  Le 
pareti  sono  perforate,  non  così  i  radii. 


IL  CALCARE  AD  AMPBISTEGINA  NELLI  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  239 

VERMES 

CHETOPODA 

Gen.    SSerpula   Lìdu. 
Serpnla  sp. 

Un  piccolo  esemplare  di  un  tubo  a  sezione  più  o  meno 
quadrato  e  ravvolto  a  spirale  con  una  depressione  o  solco  lon- 
gitudinale che  divide  la  parte  superiore  del  tubo  in  due  lobi 
rilevati,  proviene  da  Parlascio.  (M). 

Un  altro  tubo  diritto,  lungo  17  mra.,  e  del  diametro  di  3  mm. 
con  accenno  manifestissimo  della  divisione  in  successivi  anelli, 
r  ho  raccolto  a  San  Frediano. 


ECHINODERMATA 

ECHINOIDEA 

Gen.  Cidarfn   Lam. 
Cidarls    tessurata   Mgfa. 

Di  questa  elegantissima  forma  si  trovano  a  San  Frediano 
numerosissimi  radioli.  Piti  raramente  si  rinvengono  poi  anche 
delle  placche;  due  ne  ho  trovate  a  San  Frediano;  parecchie  di 
Parlascio  appartengono  al  Museo  di  Pisa  che  possiede  pure  un 
bellissimo  benché  piccolo  esemplare  intero  di  questa  specie; 
questo  esemplare  proviene  da  Parlascio  e  misura  9  mm.  di 
diametro  per  5  di  altezza.  Sono  benissimo  distinguibili  tutte 
le  piccole  placche  e  tutti  i  1  ubercoli,  come  pure  le  aree  ambu- 
lacrali  ed  interambulacrali.  Anche  ad  Orciano  ne  ho  raccolto 
un  radiolo. 

Cidaris   Mttnsteri    Sism. 

Unici  rappresentanti  di  questa  specie  sono  cinque  radioli 
trovati  ad  Orciano;  uno  di  essi  presenta  ben  conservata  la  fac- 
cetta articolare,  gli  altri  sono  spezzati. 


240  G.  A.    DB  AMICIS 

Geu.  Kchiiiiin  Lìnn. 
Echinus    Laiuarcki    d' Orb. 

Un  solo  esemplare  di  questa  specie  appartenente  al  Museo 
dì  Pisa  e  proveniente  da  Parlascio  fu  spedito  al  prof.  Taramelli 
per  studio,  onde  non  potei  vederlo. 

Echìuus   sp. 

Un  esemplare  di  65  mm.  di  diametro  e  36  di  altezza,  tro- 
vato alle  cave  di  San  Frediano  e  gentilmente  cedutomi  dal  sig. 
Tardi,  è  disgraziatamente  così  eroso  alla  superficie,  che,  pure 
essendo  un  beli'  esemplare  e  mostrando  nettamente  la  distinzione 
fra  le  aree  ambulacrali  e  le  interambulacrali,  tuttavia  non  è 
specificamente  determinabile. 

Gen.    P^i^ainiiiechiiiiifii    Ag. 
Psammechinns  Spadae  Dr. 

Anche  V  unico  esemplare  di  tale  specie  che  possedeva  il 
Museo  di  Pisa  e  che  proveniva  da  Parlascio  fu  mandato  al 
prof.  Taramelli. 

Gen.  Kehinoe.TaiiiuM  van  Phelsum. 
Echinocyamas  pasillas  Ag. 

Provengono  dalle  cave  di  San  Frediano  i  cinque  esemplari 
che  ho  raccolti  di  questa  bella  e  piccola  specie.  Sono  ben  con- 
servati e  con  caratteri  ben  manifesti. 

Echlnocyamus  tarentinns  Lk. 

Di  questa  specie  dalla  precedente  di  ben  poco  diversa,  ma 
più  depressa  e  più  ovata,  provengono  da  San  Frediano  quattro 
begli  esemplari.  (M). 

Echinocyamas  ovatug   Ag. 

Un  unico  esemplale  ma  bellissimo  con  tutti  i  tubercoletti 
conservati  e  apertura  anale  e  boccale  assai  ravvicinate,  proviene 
da  Parlascio  e  fa  parte  delle  collezioni  del  Museo. 


IL  CALCABB  AD  1MPH1STE6INA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  SC.  241 

Gen.  Clypeasfer  Lk. 

Clypeaster   pliocenicas   Seg. 

Un  bellissimo  esemplare  appartenente  al  Museo,  di  dimen- 
sioni assai  ragguardevoli,  proviene  da  Pomarance. 

Glypeaster  sp. 

Riferisco  al  gen.  Glypeaster  per  la  forma  caratteristica  dei 
tubercoli,  una  unica  placca  rinvenuta  a  San  Dalmazio. 

Gen.   Spafaiigus   Elein. 
Spatangns  sp. 

Sono  da  riferire  al  gen.  Spatangus  sei  piccoli  frammenti  di 
placche  provenienti  da  Parlaselo  e  appartenenti  al  Museo  di 
Pisa;  così  pure  cinque  grandi  frammenti  di  guscio  (di  cui  tre 
pi'esentano  assai  bene  distinte  le  aree  ambulacrali)  che  raccolsi 
a  San  Dalmazio.  Un  altro  frammento  pure  di  Spatango  com- 
prendente due  porzioni  di  aree  ambulacrali  ed  una  intermedia 
interambulacrale  V  ho  raccolto  a  Belvedere. 

COELENTERATA 

ANTHOZOA 

Gen.  Cladocora   Ehrenbg. 

Gladocora  sp. 

I  calcari  ad  Amphistegina  sono  in  molti  punti  ricchi  di 
Gladocore,  ma  queste  mancando  quasi  sempre  della  muraglia  non 
riescono  che  molto  dubitativamente  determinabili  per  riguardo 
alla  specie.  Esemplari  numerosi  ne  ho  raccolto  a  Pezzuole  ove 
le  Cladocorae  sono  i  fossili  predominanti,  a  Belvedere,  a  San 
Frediano,  a  Pomarance  ed  a  San  Dalmazio. 

Gen.   Ceratolrochus   Edw.   et  H. 

Geratotrochns  dnodecim-coBtatns  È. 

Un  esemplare  meravigliosamente  conservato  colle  dodici 
coste  rilevate  e  ben  visibili  ornate  di  finissime  spine  e  con  setti 
numerosi,  proviene  da  Parlascio  (M). 

So.  Nat.  Voi.  VII,  fABC.  l.o  16 


r 

242  (j.  A.  r»K  AMiois 

Qen.   Flabellam   Lesson 
Flabellum  sp. 

Questo  genere  è  comuDissìmo  ma  disgraziatamente  è  sempre 
privo  della  muraglia,  per  cui  non  riescono  gli  esemplari  speci- 
ficamente determinabili.  Molti  ne  ho  raccolti  a  Nugola,  a  San 
Dalmazio,  Pozzuolo,  Belvedere,  San  Prediano  e  Parlascio. 

PROTOZOA 

FORAMINIFERA 

Importantissima  parte  prendono  alla  costituzione  dei  calcari 
ad  Amphistegina  questi  organismi  minuscoli.  Molti  generi,  mol- 
tissime specie  di  foraminiferi  si  rinvengono  in  questi  calcari. 
Senza  occuparmi  in  questo  lavoro  dello  studio  particolareggiato 
dei  foraminiferi,  studio  che  sarà  oggetto  di  un'  altra  nota  che 
già.  sto  preparando,  dirò  soltanto  che  i  generi  più  frequenti  che 
si  trovano  nei  calcari  ad  Amphistegina,  sono,  come  potei  rilevare 
sia  da  molte  sezioni  microscopiche  fatte,  sia  dall'  esame  micro- 
scopico dei  detriti  di  tale  roccia,  i  seguenti;  Polystomella  (e  fra 
esse  è  frequentissima  la  P.  crispa),  Globigerina,  Rotalia,  Rosa- 
linay.  Triloculina,  TextulariUy  Pulvinula.  Sopra  ogni  altro  poi  ab- 
bonda il  gen.  Amphistegina  che  per  la  grande  prevalenza  sua 
dà  il  nome  a  tale  calcare,  Di  questo  genere  conviene  che  mi 
intrattenga  qui  alquanto. 

Questo  foraminifero  fu  dall'  Aldrovandi  (*)  distinto  colle  de- 
nominazioni di  Triticites  e  Congeries  pedis  humani;  il  Targionì- 
Tozzetti  (*)  di  poi  lo  chiamò  Lente  o  Lenticola,  denominazione  che 
gli  fu  dal  Pilla  (')  più  tardi  mantenuta.  Il  Soldani  {*)  dice  che  tale 
fossile  appartiene  agli  Ammoniti  o  Nautili  striati  minutissimi. 
Fu  solo  più  tardi  il  prof.  Meneghini  (^)  che,  studiando  tale  fos- 

(0  Aldrovandi  (J.  —  Musaeum  Metallicum.  Bononiae  1648. 

(')  Targioni-Tozzetti  G.  —  Relazione  di  alcuni  viaggi  fatti  in  div0r»e  parti 
della  Toscana.  Firenze  1768-79. 

(^)  Pilla  L.  —  Osservazioni  sulV  età  della  pietra  lenticolare  di  Casdana  neUe 
colline  pisane,  Roma  1848. 

(*)  Soldani  A.  —  Saggio  crittografico.  Siena  1780. 

(*)  V.  collezioni  del  R,  Maseo  Geologico  di  Pisa. 


IL  CILOABE  AD  AMPHISTE6INA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  KC.  243 

8ile  raccolto  a  San  Frediano  e  Parlascio,  lo  ascrisse  al  genere 
NummuliteSj  e  vi  trovò  tali  caratteri  da  formarne  una  specie 
nuova,  la  N.  Targionii. 

Il  prof.  Meneghini  studiando  i  fossili  della  Sardegna  (*)  nel- 
r  istituire  per  una  nummulite  dei  terreni  neogenici  Sardi  la 
nuova  specie  ^.  Lamarmorae,  dice  che  questa  è  assai  vicina  alla 
N.  striata,  ma  molto  più  alla  iV.  Targionii  di  Parlascio  e  San 
Frediano,  quantunque  i  setti  della  N.  Targionii  siano  molto  pifi 
obliqui  di  quelli  della  N.  Lamarmorae.  Nota  pure  che  la  forma 
ne  è  variabile  ma  sempre  lenticolare,  a  bordi  taglienti  e  con 
ombilico  prominente.  Dice  anche  che  tale  specie  è  da  Fichtel  e 
Mohl  descritta  col  nome  di  Nautilas  mammilla. 

Nel  1874  il  dott.  Manzoni  (^)  affermava  in  alcuni  suoi  studi 
sulla  posizione  stratigrafica  del  calcare  lenticolare,  che  la  pretesa 
Nummulites  Targionii  Mgh.  non  è  una  Nummulite.  Nello  stesso 
anno  vedeva  la  luce  un  lavoro  del  Seguenza  {^)  in  cui  si  diceva 
doversi  la  Nummulites  Targionii  Mgh.  rapportare  al  genere  ^m/^Ai- 
stegina  e  che  probabilmente  era  V  Amphistegina  vulgaris  d'  Orb. 
Successivamente  nel  1880  il  dott.  Manzoni  in  una  memoria  pub- 
blicata dalla  Società,  Toscana  di  Scienze  Naturali  (/)  diceva  che 
r  Amphistegina  del  calcare  lenticolare  di  Parlascio  e  San  Fre- 
diano è  r  Amphistegina  Ilauerina  d'  Orb. 

Il  genere  Amphistegina  fu  dal  d'  Orbigny  (^)  fondato  sopra 
esemplari  fossili  del  bacino  di  Vienna  e  su  taluni  esemplari  vi- 
venti; come  caratteri  principali  distintivi  del  genere  egli  diede 
i  seguenti:  Conchiglia  lenticolare,  inegualmente  rigonfia  con  un 
corpo  a  foggia  di  bottone  saliente  al  centro  delle  due  facce, 
formata  dall'avvolgimento  spirale  di  due  specie  di  logge  (cellules) 
che  alternano  insieme,  di  cui  le  une  occupano  tutta  una  faccia 
opposta  della  conchiglia,  le  altre  riempiono  gli  spazi  che  riman- 
gono della   seconda   faccia,  presentando   così  da  un  lato   setti 


(*)  La  Marmerà  A.  —   Voyage  en  Sardaxgne*  Turin.  1857.  Tome  II,  pag.  6iS. 

(')  Manzoni  A.  —  Note  ad  un  viaggio  in  Italia  del  doti.  Th.  Fuchs,  Bull.  d.  R. 
Comitato  Geologico  Italiano,  187.i. 

(')  Seguenza  S.  —  Sulla  relazione  di  un  viaggio  in  Italia  del  dott.  Th.  Fuchs. 
Bull.  R.  Comit.  Geol.  Italiano,  1874. 

(^)  Manzoni  A.  —  Echinodermi  fossili  pliocenici.  Memorie,  Soc.  Tose,  Se.  Nat. 
Voi.  IV,  fase.  2.0  1880. 

O  D' Orbigny  A.—  Foraminifères  de  Vienne.  1825. 


244  (i.  A,    DK  AMICIS 

semplici  radiali,  dall'  altro  setti  biforcati.  Lo  Zittel  (*)  a  questi 
caratteri  dati  dal  d'  Orbigny  aggiunge  i  seguenti:  Loggia  ini- 
ziale centrale  grande  (grosse  centrale  Embryonalkammerjy  circon- 
data da  4  a  7  giri  spirali  divisi  da  setti  in  molte  logge;  logge 
comunicanti  fra  loro  per  una  fessura  lunga  e  stretta  posta  al 
bordo  settale  interno  della  faccia  inferiore;  conchiglia  perforata 
dappertutto  da  fini  canalicoli  tranne  nella  parte  centrale  a  bot- 
tone, nella  parte  mediana  coramune  dei  giri  (cordone  dorsale) 
e  nelle  pareti  dei  setti  ove  è  compatta;  setti  composti  di  due 
foglietti  saldati  che  di  rado  lasciano  spazio  visibile  fra  di  loro; 
assenza  di  un  sistema  canalifero  che  le  avvicina  di  più  alle 
Rotoline  che  alle  Nummtditi.  Per  vedere  la  bifidità  dei  setti  con- 
siglia di  consumarne  accuratamente  con  un  acido  la  superficie. 

Si  trattava  adunque  di  vedere  se  il  fossile  del  calcare  len- 
ticolare  presentava  tutti  questi  caratteri  per  potersi  ascrivere 
al  genere  Amphistegina. 

Cominciando  dai  caratteri  che  si  possono  rilevare  col  sem- 
plice esame  esterno  della  conchiglia,  riscontransi  bensì  nel  fos- 
sile di  Parlaselo  (V,  Tav,  XI,  fig.  1, 1  «),  la  forma  lenticolare,  e 
r  ineguale  rigonfiamento  centrale  sulle  due  faccio,  ma  per  quante 
ricerche  accurate  abbia  fatte  sopra  oltre  300  esemplari  non  ho 
potuto  mai  riscontrare  né  setti  bifidi  né  logge  alternanti.  Senza 
stare  qui  a  parlare  partitamente  dei  vari  sistemi  che  ho  seguito 
per  potere  vedere  i  setti,  che  senza  artifici  sono  difficilmente 
osservabili,  sistemi  di  cui  già  ho  parlato  in  una  mia  breve  nota 
precedente  (*),  mi  limiterò  a  dire  che  nessuno  dei  setti  mi  .com- 
parve mai  bifido;  inoltre  il  loro  andamento  era  affatto  diverso  da 
quelli  della  vera  Amphistegina  Haueri;  giacché  in  questa,  sopra 
la  faccia  meno  convessa,  i  setti  giunti  circa  a  due  terzi  dal 
bottone  centrale  si  incurvano  bruscamente  per  poi  biforcarsi, 
invece  negli  esemplari  da  me  esaminati  i  setti  si  presentano 
costantemente  di  poco  incurvati  ed  uniformemente  in  tutta  la 
loro  lunghezza.  Nella  Amphistegina  Haueri  inoltre  sull'altra 
faccia  i  setti  non  sono  più  bifidi,  ma  fra  V  uno  e  V  altro  di  essi 
vi  é  un  accenno  di  un  piccolo  setto   secondario.   Invece  nella 


(')  Zittel  A.  —  Handbuch  der  Paleontologie.  Mùnchen  1876. 
(*)  De  Amicis  G.  A.    —    L* Amphistegina  del  calcare  lenticolare  di  Parlasdo* 
Froc.  verb.  Soc.  Tose.  Scienz.  Nat.  20  maggio  1885. 


IL  CALCARE  AD  AMPHIST£QINA  NELLA  PROVINCIA  DI  PISA  EC.  245 

mia  di  Parlascio  tutte  e  due  le  facce  sono  perfettamente  eguali 
senza  accenno  alcuno  a  setti  secondari. 

Né  si  può  il  fossile  in  esame  riferire  aìV Amphistegina  vulgaris 
d' Orb,,  come  vorrebbe  il  Seguenza,  giacché  anche  questa,  come 
si  vede  chiaramente  dalla  figura  ricavata  dal  modello  in  gesso 
N.^  40  della  collezione  del  d'Orbigny  (V.  Tav.  XI,  fig.  2,  2a,  2i), 
presenta  setti  bifidi  per  quanto  sia  dì  forma  ben  diversa  dal- 
V Amphistegina  Haueri,  ed  i  setti  suoi  così  dell'una  che  dell'altra 
faccia  abbiano  andamento  diversissimo. 

Per  questi  caratteri  cominciai  a  dubitare  che  il  fossile  del 
calcare  lenticolare  non  fosse  una  Amphistegina.  Intanto  nel 
consultare  diverse  opere  mi  occorse  di  leggere  una  memoria 
del  De  la  Harpe  (')  ove  in  una  nota  parla  di  Ampkisteginae  e 
dice  che  osservando  al  microscopio  Y Amphistegina  del  bacino  di 
Vienna  vi  si  riscontrano  senza  difficoltà  i  caratteri  che  il  d'Or- 
bigny attribuisce  a  tal  genere;  mentre  V Amphistegina  Targionii 
(Nummulites  Targionii  Mgh,)  della  pietra  lenticolare  di  Toscana 
si  mostra  tutto  affatto  diversa.  Ivi  i  setti  non  si  biforcano,  e 
la  sezione  longitudinale  così  come  le  due  facce  della  conchiglia 
sono  simili  a  quelle  di  una  piccola  Xummulite  a  lati  leggermente 
ineguali  ed  a  setti  lunghi  ed  arcuati.  La  conoscenza  di  questa 
nota  di  un  così  accurato  osservatore  e  perfetto  conoscitore  di 
tali  esseri,  veniva  sempre  più  a  confermarmi  nell'  idea  che  non 
si  trattasse  di  una  Amphistegina.  Dietro  T  osservazione  del  De 
la  Harpe  della  somiglianza  esterna  del  fossile  in  esame  colle 
Nummuliti  mi  venne  desiderio  di  vedere  se  alle  Nummuliti  real- 
mente poteva  riferirsi.  Con  ispeciali  artifizi  di  cui  già  nella 
succitata  mia  nota  tenni  parola,  ottenni  le  sezioni  della  Amphi- 
stegina Targionii;  esaminandole  di  poi  al  microscopio  e  confron- 
tandole con  sezioni  di  vere  Nummuliti  tolte  alle  collezioni  del 
Museo  di  Pisa  trovai  molte  differenze  così  nelle  sezioni  longitu- 
dinali come  nelle  trasversali.  Nelle  mie  sezioni  longitudinali 
il  numero  dei  giri  risulta  comparativamente  minore  che  nella 
maggior  parte  delle  Nummuliti  delle  stesse  dimensioni;  il 
sistema  canalifero  in  molti  casi  non  é  distinguibile;  i  setti  ap- 
paiono più  ricurvi  ed  allungati  e  non  giungono  a  toccare  la 
parete  del  giro  precedente  più  interno  :  le  logge  sono  più  grandi. 

(')  De  la  Harpe  Ph.  —  Étude  des  Nummulites  de  la  Suisse.  Genève  ISSI. 


246  G.  A.    DE  AMICIS 

Così  pure  nelle  sezioni  trasverse,  V Amphistegina  Targionii  pre- 
senta un  numero  minore  di  giri  e  quindi  questi  sono  più  al- 
lontanati; di  più  sono  maggiormente  inequilaterali. 

Un'  altra  cosa  potei  osservare  tanto  nelle-  sezioni  mie  tra- 
sversali come  nelle  longitudinali;  l'esistenza  costante  in  tutti 
gli  esemplari  di  una  loggia  centrale  perfettamente  sferica  di 
ragguardevoli  dimensioni  che  pare  non  coordinarsi  affatto  alla 
forma  ed  allo  svolgimento  successivo  della  spira  (V.  Tav.  XI, 
fig.  3,  3a  36).  Nelle  Nummuliti  si  ha  bensì  in  una  metà  circa 
delle  forme  la  presenza  di  una  loggia  centrale,  ma  essa  si 
presenta  sempre  come  principio  della  spira,  ed  è  costantemente 
di  dimensioni  minori  che  negli  esemplari  [di  Parlascio  e  San 
Frediano. 

Un  ultima  e  più  notevole  differenza  ho  potuto  osservare 
confrontando  le  sezioni  trasversali  AeW Amphistegina  Haueri  con 
quelle  della  Targionii.  In  quella  (V.  Tav.  XI,  fig.  4),  si  osserva 
che  le  lamine  costituenti  i  giri  si  presentano  traversate  da  in- 
numerevoli e  sottilissimi  tubetti  assai  ravvicinati,  e  che  spesso 
nella  direzione  dell'  asse  maggiore  dalle  lamine  stesse  si  staccano 
da  una  parte  delle  più  piccole  lamelle  aventi  pure  esse  la  stessa 
struttura  tutta  cribrata  da  tubi  e  che  formano  unendosi  all'altro 
lato  della  lamina  stessa  delle  cavità  di  varia  forma. 

Invece  osservando  la  Amph.  Targioni  essa  appare  ben  di- 
versa. In  luogo  di  aversi  le  lamine  traversate  dai  canalicoli,  esse 
appaiono  costituite  da  altrettante  finissime  e  numerose  lamelle 
parallele  alla  superficie  esterna;  di  tali  lamelle  riuscii  a  contare 
fino  a  25  a  costituire  le  lamine  spirali  principali.  Questa  partico- 
larità si  può  osservare  nelle  annesse  figure  (V.  Tav.  XI,  fig.  3,  3  a,  6) 
di  sezioni  trasverse  ricavate  al  microscopio  le  une  con  un  in- 
grandimento di  circa  350  diametri,  V  altra  con  un  ingrandimento 
di  poco  più  di  600  diametri.  Altra  cosa  ancora  si  può  osservare 
nella  sezione  trasversa,  cosa  essa  pure  espressa  nella  annessa 
figura  (V.  Tav.  XI,  fig.  6\  l'esistenza  cioè  di  canali  veri  e  propri, 
giacché  come  tubi  si  comportano  al  microscopio,  che  partono 
dalla  camera  centrale  irradiando  ma  non  in  tutte  le  direzioni; 
essi  sono  popò  numerosi,  abbastanza  lontani  1'  uno  dall'  altro  e 
diretti  solo  secondo  1'  asse  minore  della  conchiglia,  mentre  non 
se  ne  trovano  nella  direzione  dell'  asse  maggiore;  inoltre  non 
raggiungono  mai  la  superficie  esterna,  ma  giunti  alla  metà  circa 


IL  CAU)iRE  AD  AMPHISTEGINA  NELLA  PROTINCIA  DI  PISA  IC.  247 

dello  spessore  della  terza  lamina  interna,  si  perdono  d' occhio, 
né  più  si  riscontrano  nei  giri  più  esterni. 

Altra  particolarità,  pur  degna  di  nota  si  è  che  osservando 
a  più  forte  ingrandimento,  600  diametri  circa,  una  sezione 
trasversa  della  Amphistegina  Targioni,  si  vedono  dalle  lamine 
spirali  staccarsi  delle  lamine  più  sottili  che  si  ripiegano  arcuan- 
dosi e  raggiungono  le  lamine  vicine  cui  si  appongono  per  ren- 
derle più  grosse  (V.  Tav.  XI,  fig.  7). 

inoltre  una  sottilissima  sezione  del  guscio  deir  ^mpAt^^é^tna 
Haueri  condotta  parallelamente  alla  superficie  esterna,  mi  ha 
mostrato  (V.  Tav.  XI,  fig.  5)  con  un  ingrandimento  di  circa  600 
diametri  un  numero  grandissimo  di  piccoli  fori  rotondi;  mentre 
un  analoga  sezione  della  Targionii  osservata  prima  collo  stesso 
ingrandimento,  e  poi  perfino  anche  con  un  obbiettivo  ad  im- 
mersione che  dava  un  ingrandimento  di  1060  diametri,  non  mi 
ha  mostrato  perforazioni  di  sorta. 

Adunque  V  Amphistegina  Targionii  diflferisce  dalle  vere  Num- 
muliti  come  pure  dalle  vere  Amphisteginasy  prendendo  a  tipo  di 
queste  V  Amph.  Haueri;  però  si  avvicina  molto  più  a  queste 
che  a  quelle.  Si  sarebbe  potuto  per  questo  fossile  fare  un  genere 
nuovo,  ma  non  avendolo  fatto  il  compianto  e  chiarissimo 
De  la  Harpe,  per  consiglio  anche  del  mio  maestro  prof.  Meneghini, 
mi  astengo  dal  proporlo;  invece  si  potrà  ampliare  la  frase  ca- 
ratteristica del  gen.  Amphistegina  per  comprendervi  anche  il 
fossile  di  Parlaselo  e  San  Frediano. 


SPIEGAZIONE    DELLA    TAVOLA 


FiG.  A.  Spaccato  geologico  condotto  da  Poggio  ai  Frati  alle  Panzane. 
^      B.         ,  ,  „         da  Pomarance  alla  Rocca  di  Sillano. 

^      1.  Àmphistegina  Targionii  Mgh.  (Ingraadim.  30  diam.)* 
„      la.         „  „  (veduta  di  profilo)  (ingrand.  30  diam.). 

y,      2.  2  a.  26.  Amphistegiua  vulgaris  dM)rb. 

„      3.  3  a.  36.   Àmphistegina  Targionii  Mgh.  (Sezioni  trasverse  e  lon- 
gitudinale). 
,      4.  Àmphistegina  Haueri  d'Orb.  (Sezione  trasversa;  ingr.  350  diam.). 
,      5.  ;,  y,       (Sezione  del  guscio    parallela  alla    super- 

ficie esterna.  Ingrandira.  600  diam.). 
„      6.  Àmphistegina  Targionii  Mgli.  (Sezione  trasversa.  Ingr.  350  diam.). 
„      7.  „  y,  (Sezione  trasversa.  Ingr.  diam.  600j. 


GIUSEPPE  RISTORI 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE 

SUL 

VALDARNO   SUPERIORE,    SUI    DINTORNI    D'AREZZO 

E    SULLA 

VAL    DI    CHIANA 


Fin  dall'  inverno  del  1884  impresi,  dietro  consiglio  del  Prof. 
Carlo  De-S tofani  a  fare  delle  escursioni  nel  Valdarno  superiore 
e  nei  dintorni  della  città,  d'  Arezzo,  indi  nella  Val  d' Ambra  e 
ultimamente  nella  Val  di  Chiana,  allo  scopo  non  solo  di  rendermi 
più  esatto  conto  di  quelle  località,  riguardate  sotto  l'aspetto 
geologico;  ma  anche  p^r  raccogliervi  fossili  ,e  più  specialmente 
conchiglie  lacustri,  della  cui  ricerca  mi  aveva  espressamente  in- 
caricato il  Prof.  Cesare  D'  Ancona.  In  tutte  queste  escursioni, 
che  si  succedettero  a  brevi  intervalli,  non  mancai  di  fare  molte 
osservazioni  geologiche  e  di  notare  nel  mio  taccuino  quelle  che 
mi  parvero  maggiormente  importanti;  tanto  che  oggi,  rileggendo 
tutte  quelle  note  ed  esaminando  accuratamente  le  raccolte  da 
me  fatte,  stimai  non  del  tutto  inutile  coordinare  quei  miei  poveri 
studi,  a  fine  di  poterne  trarre  le  necessarie  conseguenze  e  ri- 
chiamare su  di  essi  l'attenzione  dei  geologi:  poiché  da  quello 
che  potei  leggere  nei  libri  ed  ascoltare  nelle  lezioni  e  nelle  con- 
versazioni scienti tìche,  mi  è  sembrato  che  non  tutti  sieno  d'ac- 
cordo sulle  vicende  geologiche,  a  cui  andarono  soggetti  quei  paesi. 

Le  conclusioni,  che  fin  d'  ora  prometto  di  trarre  da  ciò,  che 
potei  osservare,  saranno  la  necessaria  e  più  logica  conseguenza 


250  G.  RISTORI 

di  fatti,  i  quali  si  possono  sempre  da  chiunque  constatare;  poiché 
scevro  da  ogni  preconcetto,  esaminai  e  raccolsi  materiali  e  no- 
tizie al  solo  scopo  di  fare  uno  studio  coscenzioso.  Non  saprei, 
però,  chiudere  queste  poche  righe  d' introduzione  senza  ricordare 
nuovamente  gli  egregi  protessori  Cesare  D'Ancona  e  Carlo  De- 
Stefani, che  con  consigli  ed  aiuti  mi  incoraggiarono  a  questi 
studi,  e  tanto  contribuirono  accicchè  riuscissero  il  meno  peggio 
possibile. 


CRETA    ED    EOCENE 

I  terreni  più  antichi,  che  si  incontrano  nelle  regioni  qui 
prese  in  esame,  si  devono  in  piccola  parte  riferire  al  Cretaceo 
superiore,  per  la  massima  ai  diversi  piani  dell'  Eocene.  Questi 
terreni  costituiscono  quasi  esclusivamente  i  monti  e  le  catene 
montuose,  che  limitano  il  Valdarno  superiore,  i  dintorni  della 
città  di  Arezzo,  e  parte  anche  della  Val  dì  Chiana  specialmente 
dalla  parte  di  Sud-Ovest. 

Delle  due  catene  montuose,  che  limitano  T  una  a  Nord-Est 
l'altra  a  Sud-Ovest  e  Nord-Ovest  il  bacino  del  Valdarno  supe- 
riore, presenta  maggiore  interesse  per  il  geologo  quest'ultima; 
poiché  nella  prima  sono  talmente  sviluppate  le  arenarie,  che  non 
lasciano,  altro  che  in  minima  proporziojae,  accessibili  le  forma- 
zioni degli  alberesi,  dei  galestri  e  del  calcare  nummulitico,  e  se 
sì  eccettuano  gli  affioramenti  della  pietra  forte  che  si  veggono 
comparire  fra  il  torrente  Vicano  e  il  torrente  Marnia,  ed  i  cal- 
cari alberesi  e  nummolitici  che  compariscono  nella  porzione  più 
a  Sud-Ovest  della  Sieve  poco  o  nulla  é  da  dirsi  intorno  alla  sua 
costituzione  geologica,  la  quale  si  presenta  assai  uniforme. 
Infatti  tanto  alla  base  di  quella  catena,  quanto  nelle  più  alte 
vette,  non  si  scorgono  che  arenarie  in  stratificazioni  assai  re- 
golari e  con  un  inclinazione  dai  12  ai  15  gradi,  diretta  da 
Nord-Est  a  Sud-Ovest.  Le  arenarie,  come  generalmente  accade, 
non  presentano  fossili  all'  infuori  di  qualche,  impronta  di  Chon- 
drites  e  di  residui  vegetali  carbonizzati,  a  cui  si  dà  il  nome  di 
Stipite.  Tale  uniformità  viene  interrotta  alla  Croce  dei  Fossi  presso 
monte  Drago,  ove  sono  state  da  una  profonda  frana,  messi  allo 


G.  RISTORI  —  CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  VALDARNO  SUPERIORE  EC.    251 

scoperto  i  galestri,  le  argille  scagliose  e  gli  alberesi  e  più  a  Sud 
alla  Querce,  al  Nibbio,  al  Cocollo,  e  finalmente  a  Poggio  di  Loro, 
ove  emergono  i  calcari  alberesi  schistosi  (sasso  coltellino).  Que- 
st'  ultime  formazioni  al  pari  delle  arenarie  sono  prive  di  fossili, 
e  solo  i  calcari  alberesi  ci  presentano  qualche  impronta  di  fu- 
coide.  Gli  strati  sono  alquanto  piii  inclinati  di  quelli  delle  are- 
narie, hanno  una  quasi  identica  direzione,  e  non  è  dato  scorgere 
in  nessun  punto  le  formazioni  ad  essi  sottostanti.  È  probabile 
però  che  riposino  sul  calcare  nunimulitico  o  alternino  con  esso, 
come  si  vede  neir  opposta  jcatena  montuosa  del  Chianti,  la  quale 
ci  presenta  una  costituzione  geologica  molto  simile.  Una  prova 
di  ciò  la  possiamo  avere  portando  il  nostro  esame  nella  porzione 
dei  suddetti  monti  di  Pratomagno,  la  quale  si  volge  a  Nord  e 
si  congiunge  coir  Appennino  del  Mugello.  Essa  mostra  i  suoi 
fianchi  profondamente  erosi  dal  fiume  Sieve  e  dai  suoi  affluenti 
di  sinistra,  ed  è  quindi  facile  vedere  la  successione  delle  forma- 
zioni nel  modo  suesposto,  ed  il  calcare  nummulitico  vi  si  rinviene 
in  posto  giacente  sulla  pietra  forte,  la  quale  contenendo  im- 
pronte di  Inocerami  di  Ammoniti  ed  altri  fossili  è  stata  giusta- 
mente riferita  al  Cretaceo  superiore,  oppure  sui  calcari  alberesi 
o  con  essi  alternante.  Queste  condizioni  geologiche  si  ripetono, 
come  è  detto,  nella  catena  del  Chianti  e  nelle  sue  propaggini,  che 
limitano  il  Valdarno  superiore  a  Nord-Ovest,  ed  è  qui  che  si 
può  vedere  non  interrotta  la  successione  degli  strnti  dalle  are- 
narie al  calcare  nummulitico,  e  misurarne  le  direzioni  ed  inclina- 
zioni. I  luoghi,  che  mi  hanno  specialmente  off'erta  tale  possibilità 
sono  i  seguenti:  Cavriglia,  Monte  Murlo,  Lucolena,  Monte  Lisoni 
e  a  Nord-Ovest  Monte  Scalari:  quivi  ho  anche  raccolti  numerosi 
saggi  di  calcare  nummulitico  fossilifero,  in  cui  si  veggono  oltre 
le  Nummuliti,  alcuni  resti  di  Cidaris  difficilmente  determinabili. 
A  Cavriglia  poi  nel  nummulitico  non  è  raro  rinvenire  denti  di 
Squalo,  i  quali  sono  pure  frequenti  in  quello  stesso  terreno  a 
Pontassieve,  ed  io  stesso  ne  ho  raccolti  anche  in  altre  località, 
di  cui  avremo  luogo  di  parlare. 

L' inclinazione   degli  strati  costituenti  le  suindicate    forma- 
zioni va  crescendo  dalle  arenarie  (*)  ai  calcari  alberesi,  e  special- 


(')  L'inclinazione  deUc  arenarie  raggiunge  un'angolo  di  12  gradi  eia  direzione 
è  Nord-Est,  Sud-Ovest 


252  G.   RISTORI 

mente  a  quelli  sottostanti  al  nummulitico,  i  quali  spesso  si 
mostrano  quasi  raddrizzati.  Essa  inclinazione  anitamente  alla 
direzione  della  medesima,  che  costantemente  si  mantiene,  mostra 
air  evidenza,  che  desse  formazioni  con  quelle  simili  della  catena 
di  Pratomagno  costituiscono  un  sinclinale,  su  cui  si  adagiarono 
le  argille  e  le  sabbie  plioceniche  del  Yaldarno  superiore. 

Le  condizioni  stratigrafiche  suindicate  si  ripetono  anche  nei 
monti  che  cingono  da  ogni  parte  la  pianura  aretina,  e  qui  pure 
le  arenarie,  i  galestri  e  i  calcari  costituiscono  il  sottosuolo,  sa 
cui  si  veggono  riposare  le  ghiaie  e  le  ^bbie  quaternarie  di  quella 
località.  Anche  qui  sono  prevalenti  le  arenarie  eoceniche,  che 
riposano  o  sui  calcari  alberesi  o  sui  galesti  o  sul  calcare  num- 
mulitico,  il  quale  si  mostra  sviluppatissimo  presso  il  Castello  di 
Capolana,  e  si  estende  dal  torrente  Bregine  a  S.  Martino  sulla 
destra  deirArno,  Gli  strati  considerevoli  per  spessore  affiorano 
in  più  luoghi  ed  io  raccolsi  numerosi  saggi  di  quel  calcare  ove 
si  vedono  in  gran  numero  le  Nummuliti,  e  potei  anche  consta- 
tare la  serie  stratigrafica  delle  diverse  rocce  e  formazioni,  messa 
allo  scoperto  dalle  profonde  erosioni  operate  dal  torrente  Fal- 
toniano.  Eccone  la  successione:  Arenarie  a  cemento  calcareo  (pietra 
forte  (^)  con  impronte  di  Nemertiliti,  Alberese  compatto  e  Calcare 
nummulitico  con  strati  inclinati  dai  28  ai  30  gradi  ^  Arenaria 
macigno  con  la  solita  inclinazion  di  12  a  15  gradi  e  la  solita  di- 
rezione Nord-Est,  Sud-Ovest.  In  questo  calcare  nummulitico,  oltre 
alle  Nummuliti,  si  rinvengono  anche  denti  di  Squalo  apparte- 
nenti per  lo  più  ai  generi  Oxyrhina  e  Lamna,  come  la  maggior 
parte  di  quelli,  che  si  raccolgono  abbondanti  nel  nummulitico  a 
Pontassieve  e  a  Cavriglia. 

Lo  stesso  posso  dire  di  tutti  gli  altri  monti,  che  cingono 
air  intorno  la  pianura  aretina  non  che  dei  piccoli  rilievi,  che 
sorgono  qua  e  la  ad  interromperla:  essi  infatti  hanno  un  identica 
costituzione  geologica  cioè  arenarie,  galestri,  alberese,  nummu- 
litico, e  quindi  si  può  giustamente  ritenere  che  si  tratti  di  una 
sola  e  continua  formazione,  la  quale  costituisce  il  sottosuolo  di 
essa  pianura  e  i  monti  che  la  limitano.  Che  quei  rilievi  con- 
tradistinti nella  carta  topografica  coi  nomi  Campolucci,  Patri- 

(')  E  molto  probabile  che  questa  pietra  forte  appartenga  al  Cretaceo  saperiore; 
giacche  vi  si  scorgono  Nemertiliti  e  altre  impronte  di  organismi  assai  problematici, 
in  tutto  simili  a  quelli  della  pietra  forte  di  Monteripaldi  e  di  Pontassieve. 


CONSIDKBAZIONI  GEOLOGlCflK  SUL  VALDARNO  SUPERIORE  KC.  253 

gnone,  S.  Cecilia,  Mohtioni,  Pratantico,  S.  Maria,  Maccagnolo, 
Puglia,  ed  il  colle  stesso  ove  è  fabbricata  la  città,  siano  la  conti- 
nuazione materiale  dei  monti  che  quasi  da  ogni  parte  cingono  la 
pianura  suindicata,  non  solo  lo  provano  la  identità,  mineralogica 
delle  rocce  e  la  loro  successione  stratigrafica;  ma  anche  la  di- 
rezione e  inclinazione  degli  strati. 

Le  condizioni  geologiche,  che  abbiamo  riscontrate  nei  mon- 
ti limitanti  il  Valiamo  superiore  e  la  pianura  aretina  si  ripe- 
tono con  varianti  di  poca  importanza,  dovute  allo  sviluppo 
maggiore  o  minore  dell'  una  o  dell'  altra  formazione,  anche  per 
i  monti  di  Chiani,  Poggiale,  Civitella,  Ciggiano,  Monte  S.  Savino, 
Calcione  fino  a  Rigomagno,  i  quali  cingono  a  Nord-Ovest  e  Sud- 
Ovest  e  limitano  le  formazioni  plioceniche,  che  alla  lor  volta 
includono  le  quaternarie  costituenti  la  pianura  della  Chiana. 
Lo  stesso  si  dica  per  i  monti  che  pifi  ravvicinati  includono  le 
sabbie  e  le  argille  plioceniche  della  Val  d'Ambra:  infatti  i  monti 
di  Galatrona,  di  S.  Leolino,  di  Duddova,  di  Monte  Benichi  sulla 
sinistra  del  fiume  Ambra;  di  Rapale,  di  Sogna,  di  Calcinaja,  di 
Capannole  e  S.  Pancrazio  sulla  destra,  presentano  uno  sviluppo 
prevalente  delle  arenarie  con  inclinazione  e  direzione  di  strati 
eguali  a  quelle  fin  ora  trovate  nella  catena  del  Chianti  sul  ver- 
sante dell'Arno,  della  quale  sono  essi  monti  una  più  o  meno 
diretta  continuazione.  Le  arenarie  al  solito  riposano  sui  galestri, 
sugli  alberesi,  sul  calcare  nunlmulitico,  il  quale  si  vede  svilup- 
patissimo  a  Pogi.  Il  calcare  alberese  che  in  questa  regione  sot- 
tostà costantemente  al  nummulitico,  presenta  i  suoi  strati  for- 
temente inclinati.  Essendo  poi  esso  calcare  inquinato  da  sostanze 
ferruginose  ha  un  colore  rosso  ruggine  dovuto  forse  all'azione 
delle  acque  meteoriche,  che  hanno  ridotto  i  sali  di  ferro  in  esso 
contenuti  allo  stato  di  idrati,  o  alle  emanazioni  di  acque  mine- 
rali ferruginose,  che  tutt'  ora  si  incontrano  assai  frequenti  in 
quella  località.  In  questo  calcare  alberese  non  mancano  le  so- 
lite impronte  di  Chondntes  ed  altre  fucoidi  ed  io  ne  ho  raccolti 
esemplari  bellissimi  a  Poggiana  ed  a  Pogi. 

MIOCENE 

Anche  il  terreno  miocenico  ha  i  suoi  rappresentanti  nei 
paesi,  di  cui  qui  ci  occupiamo,  e  il  rinvenimento  da  me  fatto 


254  U.    KISTORI 

di  fossili  riferibili  a  quel  periodo  geologico  ne  afferma  l'esi- 
stenza. Prima  d'ora  i  dintorni  del  Valdarno  superiore,  della 
città,  d'Arezzo  e  della  Val  di  Chiana  toscana,  non  avevano  dato 
altri  fossili,  i  quali  si  potessero  riferire  al  miocene,  all'  infuori 
d'una  porzione  di  tronco  sicilizzato  appartenente  alla  Raumeria 
Cocchiana  Caruel.,  che  fu  rinvenuta  in  un  torrente  presso  la 
villa  di  S.  Mezzano,  ove  1'  avevano  certamente  trascinata  le 
acque,  che  scendono  dalla  catena  di  Pratomaguo  e  più  precisa- 
mente dalla  porzione  di  essa  che  si  estende  da  Vallombrosa  al 
Varco  di  Reggello.  Quel  fossile  fu  studiato  dal  prof.  Teodoro 
Caruel,  e  attualmente  fa  parte  della  collezione  paleontologica 
del  Museo  fiorentino:  fu  però  allora  riferito  al  Cretaceo;  ma  da 
che  simili  fossili  si  ritrovarono  anche  nei  terreni  miocenici,  non 
è  qui  fuori  di  luogo  pensare  che  anche  questo  nostro  appar- 
tenga a  quel  periodo  geologico.  Oltre  a  ciò  è  probabile  che  sia 
miocenico  anche  un  pezzetto  di  calcare  contenente  un  modello 
interno  di  Murex  ed  un  Peden  trovato  nelle  argille  plioceniche 
di  Renacci,  presso  S.  Giovanni  valdarno,  dal  sig.  Giov,  Batta. 
Oiantini,  e  donato  al  museo  dell'Accademia  del  Poggio  residente 
in  Montevarchi.  Quei  due  resti  fossili  quando  furono  raccolti  non 
erano  certamente  in  posto  e  questo  ce  lo  prova  il  rotolamento 
da  essi  sofferto  e  la  natura  della  roccia,  a  cui  aderiscono  e  da 
cui  sono  compenetrati.  Essi  unitamente  al  pezzo  di  roccia  cal- 
care furono  a  mio  credere  trascinati  nel  lago  valdarnese,  e 
coinvolti  nei  suoi  depositi,  dai  torrenti  dopo  avergli  strappati 
ai  monti  vicini.  La  natura  di  quel  calcare  poi  concorre  ad  ac- 
crescere la  probabilità  che  quei  fossili  appartengano  al  Miocene; 
giacché  una  roccia  simile  non  si  trova  che  nel  monte  della  Verna 
a  rappresentarci  per  l'appunto  il  terreno  miocenico;  mentre 
gli  altri  piani  geologici,  che  in  esso  monte  si  incontrano,  si 
mostrano  costituiti  da  formazioni  identiche  a  quelle  della  ca- 
tena di  Pratomagno  ed  aventi  eguali  inclinazioni  e  direzioni  di 
strati.  A  questo  si  aggiunge  ora  il  rinvenimento  fatto,  durante 
le  mie  escursioni  nei  dintorni  della  città,  d'Arezzo  e  nella  Val 
d'Ambra  di  ciottoli  costituiti  da  un  calcare  gialliccio  cristallino, 
che  mi  colpì  per  la  sua  quasi  perfetta  rassomiglianza  con  quello 
a  Briozoi  del  Monte  della  Vena,  ultimamente  illustrato  dal  dott. 
Vittorio  Simonelli  (').   Le  località,  ove  io  raccolsi  quei   ciottoli 

(})  Simonelli    —    U  monte   della    Verna  e  ì  suoi  fossili.    Bull.  soc.  geol.  ital. 
Voi.  II»  anno  1883,  fase.  3.o 


CONSIDERAZIONI  GÈOLOlilCHE  SUL  VALDARNO  SUPERIORE  EC.  255 

costituiti  da  un  vero  e  proprio  calcare  a  Briozoi,  furono  nei 
dintorni  d'Arezzo  il  Torrente  Faltoniano  ed  i  Colli  di  Capolona 
e  nella  Val  d'  Ambra  Pogi  ove  si  mostrano  tanto  sviluppati  i 
calcari  alberesi  e  il  nummulitico,  di  cui  ho  già  parlato.  Queste 
due  località  distano  assai  l'una  dall'  altra  e  appartengono  a  due 
sistemi  di  monti  diversi;  giacché  la  prima  località  si  rannoda 
colle  propaggini  più  a  Sud  della  catena  di  Pratomagno  e  coi  monti 
del  Casentino;  mentre  la  seconda  è  in  continuazione  diretta  colla 
catena  chiantigiana.  Quei  ciottoli,  che  così  ho  chiamato  per  la 
loro  forma  rotondeggiante,  ma  che  esaminati  attentamente  non 
son  altro  che  pezzi  di  roccia  di  poco  distaccati  dallo  strato,  e 
solo  un  poco  corrosi  nei  loro  angoli  per  un  non  lungo  rotola- 
mento, e  forse  più  per  V  azione  delle  acque  meteoriche,  proven- 
gono probabilmente  dai  monti  circonvicini;  poiché  le  località 
ove  io  gli  ritrovai  sono  così  solitarie  e  distanti  da  vie  facil- 
mente accessibili,  da  non  potersi  in  verun  modo  ammettere  che 
r  uomo  ve  gli  abbia  trasportati  da  formazioni  lontane.  Non 
nego  del  resto  come  non  abbia  potuto  trovare  la  roccia  in 
posto:  forse  la  causa  che  rese  infruttuose  le  mie  più  diligenti 
ricerche,  deve  attribuirsi  alla  vegetazione- boschiva  folta  e  non 
interrotta,  che  cuopre  ambedue  quei  luoghi. 

Dissi  che  questo  calcare  era  in  tutto  simile  a  quello  a  Briozoi 
della  Verna  ritrovato  in  posto  dal  dott.  Vittorio  Sinionelli  e  da 
esso  riferito  al  Miocene  superiore  (piano  Tortoniano).  Questa  mia 
affermazione  è  ampiamente  giustificata  dai  fossili  inclusi  in  quei 
due  calcari  di  località  così  discoste  fra  loro,  ma  appartenenti 
a  piani  geologici  fra  loro  corrispondenti .  Infatti  essi  fossili  sono 
quasi  identici,  come  si  può  vedere  dai  due  seguenti  elenchi: 

Fossili  del  calcare  a  Briozoi  Fossili  del  calcare  a  Briozoi 

dei  Monte  della  Verna  Q)  di  Capolona  e  di  Pogl 

1.  Cellepora  sp.  ind.  1.  Cellepora{^)  sp,  ind. 

2.  Cidaris  caryophylla  Sini.  2.  Cidaris  (^)  sp.  ind. 

3.  Conocrinus  sp.  iiid.  3.  Conocrinus  sp.  ind. 

4.  Ostrea  sp.  ind.  L' Ostrea  sp.  ind. 

5.  Pecten  sp.  ind. 

(')  Simonelli  —  Il  Monte  della  Verna  e  i  suoi  fossili  (Estr.  dal  Boll,  della  Soc. 
geologica  italiana.  Voi.  II,  anno  1883,  fase.  3^ 

(^)  Le  Cellepore  presentano  grande  rossomiglianza  con  quelle  che  si  veggono  nel 
calcare  della  Verna,  tanto  che  si  può  ritenere,  che  appartengano  a  specie  forse  identiche. 

(^)  Credo  che  anche  il  solo  radiolo  di  Cidaris  che  si  vede  su  uno  dei  pezzi  del 


25  G  •  (i.    KISTORI 

I  fossili  però  che  maggiormente  contribuiscono  a  farci  rite- 
nere questi  due  calcari  appartenenti  ad  una  formazione  contem- 
poranea, sono  i  numerosi  resti  di  Crinoidi,  appartenenti  al  genere 
Cofwcrinus,  i  quali  se  si  tolgono  le  Cellepore,  e  qualche  raro 
frammento  di  Ostrea  e  di  Peden  e  di  Cidaris,  gli  riempiono 
quasi  totalmente. 

Del  resto,  come  si  vede  dall'  elenco,  questi  fossili  sono  scarsi 
e  in  uno  stato  di  conservazione  tale  da  non  permettere  di 
farne  un  esatta  determinazione  specifica  ;  tuttavia  non  mancano 
certamente  d' importanza;  poiché  bastano  a  fornirci  argomenti 
giusti  e  positivi  per  dimostrare  V  unità  e  la  connessione,  che  i 
terreni  miocenici  delle  località  qui  prese  in  esame,  hanno  con 
quelli  della  Verna  e  più  generalmente  con  quelli  dell'  appennino 
toscano,  di  cui  orograficamente  e  geologicamente  parlando  i 
monti  limitanti  il  Valdarno  superiore  e  la  Val  di  Chiana,  sono 
immediate  propaggini,  che  come  già  dissi  subirono  i  medesimi 
mutamenti  e  vicissitudini  geologiche,  le  quali  valsero  a  fargli 
identici  nelle  loro  formazioni,  e  a  farceli  oggi  riconoscere  tutti 
quanti  appartenenti  ai  diversi  piani  geologici,  che  dal  Cretaceo 
vanno  fino  al  Miocene  superiore^  trovandosi  in  essi  più  o  meno 
sviluppate  molte  delle  formazioni  riferibili  a  quella  serie  strati- 
grafica di  terreni  non  interrotta. 

PLIOCENE 

II  considerevole  sviluppo  dei  terreni  appartenenti  al  periodo 
pliocenico  e  i  numerosi  fossili  in  essi  contenuti  hanno  per  i 
geologi  reso  classico  il  Valdarno  superiore  e  la  Val  di  Chiana. 
Tanto  il  geologo  quanto  il  paleontologo  hanno  colà  trovato 
campo  agli  studi,  e  molti  di  essi  hanno  largamente  contribuito 
air  illustrazione  di  quei  terreni.  Il  tornare  per  parte  mia  su  quel- 
r  argomento,  tanto  studiato,  potrebbe  sembrare,  se  non  audace 
almeno  inopportuno;  quando  non  si  ponesse  mente  alle  tante 
controversie  che  esistono  ancora  fra  i  geologi,  e  al  tanto  mate- 

mio  calcare  a  Briozoi,  raccolti  a  Pogi,  si  possa  ravvicinare  alla  specie  del  Simonelli 
C.  caryophylla  :  infatti  per  quanto  mal  conservato,  ne  presenta  le  notevoli  dimensioni 
e  ne  rammenta  un  poco  anche  la  forma.  Del  resto  lo  stato  di  conservazione  del  mio 
esemplare  non  permette  di  potere  affermare  nulla  di  positivo»  da  ciò  la  ragione  di 
averlo  lasciato  neir  elenco  coir  indicazione  Cidaris  sp.  ind. 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  VALDARNO  SUPERIORE  £C.      257 

riale  paleontologico,  che  resta  a  studiarsi.  Nella  rassegna  quindi 
di  quelle  formazioni  plioceniche,  cercherò  di  chiarire  alcune  delle 
controversie,  e  di  porre  nei  giusti  termini  le  questioni  sulla  più 
o  meno  probabile  comunicazione  col  mare  dei  laghi,  che  du- 
rante il  pliocene  occuparono  quelle  località.  So  che  su  questo 
argomento  hanno  scritto  valenti  geologi,  e  per  la  Val  di  Chiana 
abbiamo  parecchie  memorie  del  Verri,  in  cui  il  dotto  capitano 
cerca  di  spiegare,  ricorrendo  anche  troppo  spesso  ai  sollevamenti, 
alle  depressioni,  alle  spaccature  e  a  molti  altri  mutamenti  della 
crosta  terrestre,  le  deposizioni  del  pliocene  lacustre  a  diretto 
contatto  di  quelle  del  pliocene  marino.  Le  accurate  escursioni 
fatte  da  me  in  quei  luoghi  ed  i  fossili  che  vi  ho  potuto  racco- 
gliere, credo  mi  abbiano  messo  in  grado  di  potere  esprimere  la 
mia  opinione  in  proposito.  Però,  per  procedere  con  ordine  e  a 
maggiore  intelligenza  di  tutti,  comincerò  dal  Valdarno  superiore. 
È  ormai  a  tutti  noto  come  i  depositi  argillosi  e  sabbiosi 
che  oggi  formano  le  colline  del  Valdarno  superiore,  siano  stati 
deposti  da  un  vasto  lago,  che  occupava  nel  periodo  pliocenico 
quella  regione.  La  fauna  e  la  flora  tossile  di  quei  depositi  hanno 
dimostrato  che  essi  appartengono  al  Pliocene.  Alcuni  geologi 
però  hanno  voluto  distinguervi  due  orizzonti  geologici,  V  uno 
dei  quali,  da  alcuni  è  riferito  al  Pliocene  inferiore  o  al  Miocene 
superiore,  l'altro,  che  corrisponderebbe  alla  spigale  formazione 
dei  sansini  e  delle  sabbie  gialle,  al  Pliocene  medio  e  superiore. 
Questa  distinzione  fu  specialmente  fondata  sul  rinvenimento  di 
resti  di  Mastodon  ed  anche  sopra  il  carattere  della  flora  delle 
così  dette  argille  arse,  le  quali  includono  i  banchi  di  piligno. 
Infatti  collo  studio  della  flora,  che  constatò  la  somiglianza  di 
essa  con  quella  miocenica  di  (Eningen,  sussistente  per  un  numero 
non  indifferente  di  specie  comuni,  e  coir  avere  poi  riferiti  erro- 
neamenti  i  resti  di  Mastodon,  rinvenuti  insieme  con  altri  di  Ta- 
pirtis  nel  piano  delle  argille  arse,  alla  specie  angustidens  propria 
del  miocene,  si  credè  avere  prove  incontestabili  per  distinguere 
nel  Valdarno  superiore  un  orizzonte  miocenico.  Di  questo  parere 
furono  Strozzi  e  Gaudin  (')  non  che  lo  StOhr  (*),  il  quale  illustrando 

(M  Strozzi  e  Gaudin  —  Feull,  foss.  de  la  Tose.  Mena.  I  e  IL 
(^)  Stòhr  —   Infamo  ai  depositi  di  Lignite  che  si  trovano  nel  Valdarno  supe^ 
riore,  ed  intorno  alla  loro  posizione  geologica,  Estr.  dell'  Ann.  della  Soc.  dei  Natu- 
ralisti. Anno  V. 

Se,  Nat.  Voi.  VU,  faie.  !.<>  17 


258  6.    RISTORI 

con  una  brevissima  nota  i  banchi  di  piligno  (o  lignite)  dei  dintorni 
di  Castelnuovo  e  di  Gaville,  gli  riferì  per  le  suesposte  ragioni  al 
piano  (Eningeniano,  mentre  ritenne  i  sansini  e  le  sabbie  gialle, 
che  secondo  lui  contenevano  esclusivamente  la  maggior  paiate 
dei  resti  della  ifauna  mammologica,  appartenenti  al  piano  Asti- 
giano, o  Pliocene  medio.  Tale  opinione  andò  perdendo  terreno 
via  via  che  progredirono  gli  studi  geologici  e  paleontologici  di 
quella  regione:  infatti  il  Major  studiando  la  fauna  mammologica 
riconobbe,  che  le.  specie  di  mammiferi  fossili  fin  ora  conosciute 
nel  Valdarno  erano  tutte  plioceniche  ed  i  resti  di  Mastodon  (*) 
appartenevano  tutti  alla  specie  arvernensis  Croiz.  et  Gob.  propria 
del  pliocene  e  il  Tapiro  non  era  quello  rinvenuto  nei  depositi 
del  Casino  presso  Siena  insieme  ai  resti  d'  Hipparion  ;  ma  fu  dal 
Major  riferito  invece  alla  specie  arvernensis.  Resta  il  carattere 
solo  della  flora  a  sostegno  della  suesposta  opinione  e  più  che  il 
carattere  generale  di  essa,  il  singolare  di. due  flore  distinte;  cioè 
di  una,  secondo  lo  Strozzi  e  Gaudin,  miocenica  esclusiva  delle' 
argille,  e  di  una  pliocenica  propria  dei  sansini  e  delle  sabbie 
gialle.  Questa  distinzione  di  due  flore  atte  a  segnare  due  distinti 
orizzonti  geologici  poteva  essere  giusta,  a  patto  solo  che  V  una 
fosse  esclusiva  delle  argille  arse,  V  altra  dei  sansini  e  delle 
sabbie;  ma  pur  troppo  non  è  così!  Chiunque  abbia  fatto  rac- 
colta nel  Valdarno  superiore  di  filliti  fossili,  ed  abbia  attenta- 
mente esaminati  gli  strati,  che  le  contengono,  ed  i  giacimenti 
ove  più  abbondano  certe  specie,  o  cert'  altre,  avrà  dovuto  accor- 
gersi, che  spesso  quelle  medesime  specie,  che  indussero  il  Gaudin 
a  credere  la  flora  (Ielle  argille  miocenica,  abbondano  al  pari 
delle  altre  aventi  un  carattere  più  moderno,  nei  sansini  e  nelle 
sabbie;  mentre  all'incontro  molte  specie  come  p.  es.  Fagus  syU 
valica,  Quercus  llex  od  altre  proprie  del  pliocene  e  di  terreni 
anche  più  recenti,  si  rinvengono  abbondantissime  anche. nel  piano 
delle  argille  arse.  In  una  parola  non  è  possibile  distinguere  due 
flore  una  più  antica  una  più  recente;  poiché  le  specie  che  con- 
corrono a  comporlo  si  trovano  sparse  ed  egualmente  abbondanti 
in  tutti  quanti  gli  strati,  sieno  essi  argillosi,  sieno  sabbiosi:  da 
ciò  la  necessità,  di  ritenere  affatto  arbitraria  quella  distinzione. 

Q)  Una  sola  eccezione  ci  viene  offerta  da  un  dente  molare  .posseduto  dal  Museo 
di  Montevarchi,  il  quale  apparterrebbe  alla  specie  Mastodon  Borsoni  Hay;  però  è 
dubbio  se  sia  stato  ritrovato  in  Valdarno. 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  YALpARNO|sUPXRIORK  EG.  269 

Non  insisto  di  più  su  questo  argomento,  del  quale  ho  più  dif- 
fusamente e  più  opportunamente  parlato  in  un  mio  antecedente 
lavoro  sulle  filliti  fossili  del  Valdarno  superiore:  ivi  il  lettore 
potrà  meglio  convincersi  della  giustezza  di  quanto  ho  qui  af- 
fermato, e  potrà  anche  una  volta  constatare  come  sia  instabile 
argomento,  il  carattere  di  una  flora,  per  servire  di  base  a  con- 
clusioni stratigrafiche. 

Premesse  queste  considerazioni,  mi  pare  che  non  resti  altro, 
che  rigettare  queir  opinione  ormai  contradetta  dai  fatti,  e  pren- 
derne in  esame  un'altra  espressa  dal  prof.  Igino  Cocchi  nella 
sua  memoria  (1!  Uomo  fossile  nelV  Italia  centrale).  Egli  crede  che 
nel  Valdarno  superiore  debbasi  distinguere  due  piani  geologici 
l'uno  riferibile  al  Pliocene  medio  Astigiano,  e  quindi  caratterizzato 
dalla  maggior  parte  delle  specie  componenti  la  fauna  mammo- 
logica  fossile,  fra  cui  sta  1'  Elephas  meridionalis  Nes.,  1'  atro  al 
Post-pliocene  distinto  dal  primo  e  caratterizzato  dall' ^é^Ao^ 
untiquus  Falc.  il  quale,  secondo  il  precitato  autore  si  troverebbe 
nei  dintorni  di  Laterina  ossia  in  depositi  relativamente  più  re- 
centi di  quelli  a  Nord-Ovest;  una  volta  che  si  ammetta  con  lui, 
che  le  acque  del  detto  lago  fluissero  da  Nord  a  Sud  o  più  pre- 
cisamente da  Nord-Ovest  a  Est-Sud-Est  e  che  quindi  i  depositi 
più  recenti  si  trovassero  in  quest'ultima  parte (*). 

Mi  asterrò  dal  discutere  questa  opinione  e  dal  prendere  in 
esame  1'  importanza  dei  dati  geologici  e  paleontologici,  su  cui 
è  fondata,  dirò  solo  che  i  resti  di  Elephas  antiquus  non  sono 
stati  rinvenuti  soltanto  a  Laterina,  ma  anche  al  Bucine  e  nei 
prassi  di  Montevarchi.  Esiste  poi  nel  Museo  di  Firenze  un  cranio 
di  Elephas  antiquus  probabilmente  rinvenuto  nei  pressi  di  Fi- 
gline, perchè  acquistato  dal  noto  raccoglitore  Francesco  Pieralli. 
Tutto  questo  mi  pare  che  contribuisca,  a  modificare  un  poco 
l'opinione  del  Cocchi,  e  ad  ammettere,  che  l'orizzonte  geologico 
più  recente,  e  caratterizzato  dall'  E.  antiquus,  sia  molto  più 
esteso  nel  Valdarno  superiore  di  quello  che  non  credesse  il  di- 
stinto geologo,  il  quale  lo  limitava  ai  dintorni  di  Laterina  e  di 
Malafrasca;  quasiché  queste  località,  essendo  le  più  prossime 
alle  formazioni  dei  dintorni  d'Arezzo  costituissero  come  un  anello 


('}  Ck)cchi  — U  uomo  fossile  nelV  Italia  centrale.  Memorie  della  Società  italiana 
di  scienze  naturli.  Tom.  II,  n.^  7,  Milano  1867. 


260  G.   RISTORI 

di  congiunzione  fra  i  depositi  pliocenici  del  Valdarno  e  quelli 
quaternari  della  pianura  aretina  (*).  All'  infuori  di  quest'  osser- 
vazione^  V  opinione  del  Cocchi  è  abbastanza  attendibile;  poiché 
la  fauna  del  Post-pliocene  è  caraterìzzata  dair  Elephas  antiquus 
anche  in  molte  altre  località  italiane  ed  estere:  infatti^  questo 
fossile  si  ritrova  anche  all'Ardenza,  e  appartiene  pure  a  quella 
specie  una  zanna  ultimamente  trovata  a  Livorno  nel  Cantiere 
dei  fratèlli  Orlando,  e  attualmente  posseduta  dal  Museo  di  Pisa; 
ora  questi  terreni  appartengono  indubbiamente  al  Post-pliocene 
e  la  fauna  fossile,  che  contengono,  lo  dimostra  all'  evidenza. 

Dopo  queste  considerazioni  vediamo  quale  fosse  la  estensione 
del  lago  pliocenico  valdarnese:  a  Nord-Est  e  Sud-Ovest  erano 
le  catene  eoceniche  di  Pratomagno  e  del  Chianti,  che  lo  limiti- 
vano  a  Nord-Ovest,  i  monti  di  S.  Donato  e  Bisticci  ad  Est-Sud- 
Est  poi  le  formazioni  plioceniche  seguitano  evidentemente  non 
interrotte  fino  a  confondersi  con  quelle  quaternarie  della  pianura 
aretina.  Queste  limitazioni  però  non  sono  così  assolute  come« 
potrebbe  sembrare  a  chi  esaminasse  le  cose  superficialmente; 
poiché  é  molto  probabile  che  anche  dalla  parte  di  Nord-Ovest 
il  lago  valdarnese  comunicasse  col  sottostante  bacino  ove  oggi 
sorge  la  città,  di  Firenze:  infatti  procedendo  da  S.  Ellero  ^erso 
Firenze,  tenendo  per  guida  il  corso  dell'Amo  si  veggono  qua  e 
là,  formazioni  argillose  e  sabbiose,  giacenti  sui  calcari  alberesi  e 
sui  galestri.  Le  località  ove  io  le  ho  ritrovate  sono  quelle  di 
Girone,  Pontanico,  Bagazzano  presso  Compiobbi,  di  Erchi,  S.  Mar- 
tino, e  Torricella  presso  le  Sieci.  In  tutti  questi  luoghi  esse 
formazioni  hanno  poca  potenza  e  sono  spesso  confuse  coi  galestri 
e  coir  argilla  scagliosa,  tanto  che  non  appariscono  molto  evi- 
denti: del  resto  si  vede  bene,  che  l'opera  della  denudazione  vi 
ha  agito  grandemente,  per  essere  state  deposte  sulle  erte  pen- 
dici di  quei  colli  eocenici.  Pur  nondimeno  la  loro  certa  esistenza 

(*)  L*  opinione  del  Cocchi,  cosi  modificata,  non  serve  più  come  punto  d*  appoggio 
per  credere  con  lui,  che  anche  durante  il  pliocene  le  acque  del  lago  valdarnese 
fluissero  da  Nord-Ovest  a  Est-Sud-Est  ;  trovandosi  però  i  terreni  del  Post-pliocene  più 
sviluppati  in  spessore  verso  quest'ultima  parte  ciò  potrebbe  benissimo  dimostrarci,  che 
quei  terreni  si  fossero  formati  in  corrispondenza  e  durante  il  vuotamento  del  Lago, 
che  avvenne  per  V  abbassamento  sofferto  in  quel  tempo  dalle  montuosità  costituenti  i 
dintorni  d'Arezzo,  e  per  essersi  allora  determinato  da  quella  parte  il  flusso  delle  acque. 
Del  resto  avremo  in  seguito  occasione  di  tornare  su  quest'argomento,  per  ora  basti 
averlo  accennato. 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  TALDABNO  SUPERIORE  EC.  261 

^  dimostra  che  la  deposizione  fu  operata  dalle  acque,  che  dal 
lago  valdarnese  si  insinuavano  in  quella  gola;  poiché  anche 
l'altezza  considerevole  raggiunta  dalle  medesime  formazioni 
plioceniche  presso  S.  Ellero  sulla  sinistra  del  torrente  Vlcano  (*) 
è  di  valido  appoggio  a  questa  mia  credenza. 

Oltre  a  ciò  credo  assai  giusta  V  idea  espressa  anche  da  altri, 
che  il  bacino  del  Valdarno  superiore  ricevesse  le  acque  di  quello 
contemporaneo  del  Mugello,  il  quale  ultimo  non  poteva  avere 
altro  scolo  naturale  air  infuori  di  quello   attuale  per   la  Valle 
della  Sieve;  anzi  potrebbe  anche  ritenersi  che  per  essa  Valle  co- 
municassero fra  loro  quei  due  bacini.  Non  conosco  però  troppo 
bene  il  Mugello  e  la  Val  di  Sieve  per  non  credere  azzardata  una 
simile  affermazione:  posso   però  dire  che    poco  oltre  la  RuSna 
si  cominciano  a  vedere  le  formazioni  argillose  e  sabbiose  che 
poi  si  allargano  nel  bacino  mugellese.  Quindi  V  interruzione  che 
corre  fra  le  formazioni  lacustri  del  Valdarno  e  quelle  del  Mu- 
gello sarebbe  segnata  da  una  serie  di  colline  costituite  di  are- 
narie e  di  calcari  alberesi,  che  si  stende  fra  il  torrente  Vicano 
e  Pogginolo  a  Sud  della  Rufina.  Queste  colline  raggiungono  una 
altezza  assai  limitata,  e  tale  da  non  escludere  la  comunicazione 
dei  due  sunnominati  laghi  pliocenici,  da  quella  parte  (-).  Comunque 
sia  di  queste  molteplici  comunicazioni  del  lago  valdarnese,  con- 
viene per  ora  abbandonare  V  argomento  ed  imprendere  invece 
la  discussione  di  un  altro  assai  più  importante  cioè  quello  di 
una  più  0  meno  possibile  comunicazione  che  per  la  Val  d'Ambra 
il  lago  medesimo  poteva  avere  col  mare  pliocenico  contemporaneo, 
che  occupava  i  dintorni  di  Siena  e  la  Valle  dell' Ombrone.  L'ar- 
gomento non  è  nuovo;  ne  disse  qualche  cosa  il  prof.  Carlo  De- 
Stefani in  un  suo  pregevolissimo  lavoro:  I  Molluschi  continentali 
pliocenici^  pubblicato  negli  Aiti  della  Soc.  tose,  di  Se.  Nat.  voi.  II, 
III,  V;  nò  tralasciò  di  parlarne  ultimamente  il  prof.  Igino  Cocchi 
in  una  sua   comunicazione   alla   Società»   medesima,  intitolata: 


(*)  Il  Colle  a  cui  io  mi  riferisco  supera  in  altezza  una  gran  parte  delle  forma- 
zioni cretacee,  che  avrebbero  dovuto  impedire  alle  acque  del  lago  valdarnese  di  in- 
sinuarsi per  quella  gola  e  di  comunicare  col  Bacino  di  Firenze. 

(*)  A  proposito  dello  scolo  delle  acque  del  lago  del  Mugello  vedi  Cocchi  (L'uomo 
fòssile  nelV  Italia  Centrale^  estr.  dal  V.  Ili,  Memorie  della  società  ital.  di  scienze 
Nat  p.  37-38  e  note. 


262  G.   RISTORI 

Nuovi  fossili  del  Vingone  e  della  Val  di  Chiana  (*).  Però  V  idee 
esposte  dai  due  distinti  geologi  sono  in  perfetta  contradizioae 
ed  è  per  questo  che  oggi  mi  permetto  di  portare  il  contributo 
di  accarate  mie  osservazioni  fatte  in  quelle  località,  a  fine  di 
mettere  nei  veri  termini  la  cosa. 

Neir  intento  di  fare  un^  accurata  escui*sione  nella  Val  d'Ambra 
e  di  rendermi  esatto  conto  delle  formazioni  plioceniche,  che  oc- 
cupano quella  valle  e  dei  rapporti  che  potevano  avere  con 
quelle  della  Val  d'Ombrone,  tenni  come  direttrice  della  mìa 
escursione  la  strada  che  mette  in  comunicazione  le  due  vallate 
dell'  Arno  e  dell'  Ombrone  procedendo  in  direzione  Nord-Sud  e 
percorrendo  lungo  le  rive  dell'Ambra  per  poi,  abbandonate  queste, 
tenere  quelle  del  Torrentello  Coggia  che  si  getta  nell' Ombrone 
a  Borghi.  Le  mie  ricerche  cominciarono  nei  pressi  del  Bucine 
fino  al  paesello  di  Ambra.  In  questo  primo  tratto  di  terreno  si 
mostrano  abbastanza  sviluppate  le  formazioni  sabbiose  e  ar- 
gillose, le  quali  hanno  dato  resti  di  mammiferi  pliocenici,  ap- 
partenenti alle  medesime  specie  di  quelli  che  si  ritrovano  nel 
Valdarno.  Le  località  più  fossilifere  sono  i  dintorni  del  Bucine 
ove  oltre  alle  ossa  dei  mammiferi,  esiste  un  deposito  argilloso 
ricco  di  finiti  fossili  delle  specie  caratteristiche  della  flora  fossile 
del  resto  del  Valdarno  superiore,  ed  i  dintorni  del  paesello  di 
Ambra  ove  si  rinvennero  resti  di  Rinoceros  etruscus  Falc.  che 
si  conservano  nel  museo  di  Montevarchi.  Queste  sabbie  ed  argille 
evidentemente  plioceniche,  mentre  si  mostrano  sviluppatissime  e 
di  considerevole  potenza  a  Nord  del  Bucine,  assottigliano  note- 
volmente nelle  vicinanze  di  quel  paesello  e  vanno  sempre  più 
rìducendosi  in  estensione  e  in  potenza  a  mano  a  mano  che  si 
procede  verso  Sud  risalendo  il  fiume  Ambra.  Ciò  io  credo  abbia 
sua  causa  nel  considerevole  sviluppo  e  nelle  altezze  raggiunte 
dai  terreni  eocenici,  di  cui  già  tenemmo  parola:  infatti  questi 
terreni  mentre  da  una  parte  tendono  a  limitare  la  larghezza 
della  valle,  dall'altra  ne  inalzano  il  livello,  per  modo  che  le 
acque  del  lago  valdarnese,  le  quali  in  essa  valle  si  insinuavano 
dovevano  necessariamente  avere  una  profondità  che  andava  di- 
minuendo a  mano  a  mano  che  si  procedeva  verso  Sud. 

Le  mie  più  accurate  ricerche  fatte  in  questa   località   non 

(*)  Atti  della  Soc.    Tose,  di  Scien.  nat,  (Processi  verbali)   Voi.  IV,  Adunanza 
4  maggio  1884 . 


CONSIDERAZIONI  GEOLOOIOHE  SUL  YALDIRNO  SUPERIORE  EC.  263 

riuscirono  a  scoprire  nessun  fossile  all'  infuori  di  qualche' 
resto  di  ossa  di  mammiferi,  e  dovei  mio  malgrado  constatare 
l'assenza  di  resti  di  molluschi  e  di  piante  fossili.  Accortomi 
che  le  ricerche  ad  onta  della  mia  insistenza  riuscivano  affatto 
inutili,  impresi  a  rivolgere  domande  in  proposito  a  quei  del 
luogo.  Tutti  mi  accertavano  il  rinvenimento,  più  volte  fatto,  di 
ossa  di.  mammiferi,  e  di  più,  con  mia  sorpresa,  mi  mostrarono 
numerosi  denti  di  Squalo,  un  esemplare  di  Strombus/coronatus 
Dfr.  ed  un  modello  interno  di  Cardila,  aggiungendo  di  avergli 
trovati  in  quei  luoghi.  A  prima  giunta  non  nego  che  credei  ri- 
soluta ogni  controversia,  insistei  però  presso  quella  gente  a 
fine,  che  mi  conducessero  nelle  località  precise,  ove  dicevano  di 
avere  rinvenuto  quei  fossili  marini  :  vi  fui  condotto  ;  e  non  solo 
non  potei  raccogliervi  nulla  di  simile;  ma  dovei  anche  convin- 
cermi deir  assenza  assoluta  di  ogni  benché  minimo  indizio  della 
presenza  del  mare  in  quella  località  ;  poiché  dove  si  diceva  di  aver 
raccolto  quel  denti  di  Squalo  dovevano  trovarsi  tanti  altri  resti 
di  organismi  marini  da  non  lasciare  nessun  dubbio  in  proposito. 
Dopo  questo  tornai  ripetutamente  in  quei  luoghi,  girai  intorno 
ad  essi,  nulla  lasciando  intentato,  portai  meco  dei  saggi  di  ar- 
gilla per  vedere  se  vi  era  qualche  Poraminifera;  ma  tutto  fu 
inutile.  Non  mi  restava,  che  esplorare  la  parte  più  a  Sud  della 
Val  d'Ambra  cioè  quel  tratto  che  sta  fra  il  paesello  di  Ambra 
e  Bricocolo:  ciò  feci  con  massima  cura,  ma  i  resultati  furono 
presso  a  poco  gli  stessi.  Molti  contadini  possedevano  denti  di 
Squalo  ed  uno  di  essi,  quello  che  abita  la-  cascina  denominata 
Pian  di  Rapale,  affermava  di  avere  trovato  uij  dente  di  Squalo  (*) 
mentre  scavava  una  buca  allo  scopo  di  atterrare  un  albero; 
ma  al  solito,  nulla  potei  vedere  e  raccogliere  che  giustificasse 
il  rinvenimento  di  simili  fossili;  per  la  qual  cosa  dovei  finire 
per  convincermi  che  essi,  od  erano  stati  da  qualcuno  smarriti, 
o  i  contadini  del  luogo  gli  possedevano  per  avergli  raccolti  nelle 
non  lontane  crete  senesi,  ove  spesso  si  recano  per  i  loro  com- 
merci ed  anche  per  trovarvi  lavoro. 

(')  Quei  del  luogo  (come  la  maggior  parte  dei  contadini)  chiamano  i  denti  di 
Squalo  saette,  come  pure  chiamano  cosi  le  frecce  dell*  epoca  neolitica  abbondantissime 
nella  Val  d*Ambra;  però  dalla  descrizione  che  me  ne  faceva  qael  colono  e  dalle  ri- 
sposte date  alle  mie  domande,  potei  assicurarmi,  che  si  trattava  proprio  del  dente 
di  uno  Squalo. 


264  6.   RISTORI 

Da  tatto  ciò  dovei  concladere,  che  il  mare  non  era  pene- 
trato nella  Val  d'Ambra  e  molto  meno  vi  era  rimasto  per  lungo 
tempo:  anzi  mi  aspettavo  che  oltre  Biricocolo  avrei  trovato 
qualche  ostacolo  naturale,  costituito  dalle  solite  roccie  eoceniche 
tanto  sviluppate  in  quei  luoghi,  il  quale  desse  ragione  del  non 
ingresso  del  mare  in  quella  valle;  ma  con  mia  meraviglia  ri- 
scontrai, che  le  formazioni  argillose  e  sabbiose  seguitavano  non 
interrotte  e  a  Giglio  raggiungevano  un  altezza  tale  da  superare 
di  parecchi  metri  il  culmine  di  Biricocolo  costituito  di  arenarie. 
Solamente  dopo  essere  disceso  per  un  buon  tratto  nel  despluvio 
deir  Ombrone  ed  avere  raggiunto  un  livello  molto  inferiore  alle 
formazioni  argillose  e  sabbiose  di  Giglio  e  al  C!olle  di  Biricocolo, 
a  Maesto,  lungo  il  torrente  Coggia,  trovai  la  via  provinciale 
ed  il  torrente  stesso  incassate  nella  roccia  eocenica  per  una  lun- 
ghezza di  20  metri  ;  ma  subito  dopo  a  queste  roccie  si  appoggia 
una  formazione  di  ghiaie  grossolane  di  ciottoli,  alternante  con 
sabbie  ed  argille,  che  raggiunge  un  notevole  spessore  e  supera 
r  altezza  delle  formazioni  eoceniche,  per  modo  che  la  breve  in- 
terruzione dei  depositi  pliocenici  incontrata  a  Maesto  è  più  ap- 
parente che  reale;  poiché  tanto  le  argille  e  sabbie  plioceniche 
suindicate,  quanto  quelle  di  Giglio  e  dei  dintorni  di  Campo- 
vecchio  e  di  Biricocolo,  superano  il  livello  delle  roccie  eoceniche, 
che  costituiscono  V  interruzione  su m mentovata. 

Stando  così  le  cose,  delle  due  una,  o  il  livello  delle  acque  del 
lago  del  Valdarno,  che  si  prolungava  in  un  braccio  per  la  Val 
d'Ambra,  era  superiore  a  quello  delle  acque  del  mare  pliocenico, 
che  occupava  la  Val  d' Ombrone,  per  modo,  che  il  rifiuto  del 
lago  fluiva  nel  mare,  o  le  formazioni  di  ghiaie,  ciottoli,  sabbie 
ed  argille  alternanti  che  si  trovano  nei  dintorni  di  Ombrone  e  di 
Maesto  ci  rappresentano  un  cordone  litorale,  il  quale  impediva 
che  durante  V  alta  marea  le  acque  marine  entrassero  nel  lago 
a  mescolarsi  colle  acque  dolci.  Ad  avvalorare  la  seconda  ipotesi, 
che  mi  pare  la  più  logica  e  la  più  naturale,  credo  opportuno 
indicare  la  natura  e  la  successione  stratigrafica  delle  formazioni 
ghiaiose  e  sabbiose,  che  s' incontrano  presso  Maesto  ed  Ombrone, 
le  quali  essendo  state  in  quelle  due  località  erose  dal  torrente 
Coggia,  mostrano  al  nudo  la  loro  costituzione,  successione  ed 
alternanza  di  strati  che  è  la  seguente: 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  YALDARNO  SUPERIORE  EC.  265 


Successione  degli  strati  come  si  osserva  presso  Maesto 

1.  Sabbia  con  ciottoli Spessore  Met.  2,80 

^.  Argilla  turchina  con  grossi  ciottoli ....  »           »     1,  70 

3.  Sabbia  gialla »           >    2,  00 

4.  Argilla  turchina  con  grossi  ciottoli ....  »           »    3,  60 

Successione*  i egli  strati  come  si  osserva  presso  Ombrone 

1.  Sabbia  gialla Spessore  Met.  2,  80 

2.  Argilla  turchina  con  grossi  ciottoli ....  »  »     3,  00 

3.  Sabbia  coft  ciottoli »  »     I,  60 

4.  Argilla  turchina  con  grossi  ciottoli ....  »  »        ? 

Da  ciò  si  può  benissimo  argomentare  che  quelle  formazioni  ciot- 
tolose, e  sabbiose  non  ci  rappresentino  altro  che  depositi  di 
spiaggia;  poiché  anche  le  forme  dei  ciottoli  sono  quelle  proprie 
delle  ghiaie  marine.  L' assenza  assoluta  di  fossili  in  queste  for- 
mazioni, di  fronte  alla  ricchezza  di  quelle  che  loro  stanno  a  con- 
•  tatto  immediato  serve  come  di  altra  prova  per  dimostrarci  che 
quei  materiali  furono  elaborati  dalle  onde,  per  cui  furono  to- 
talmente distrutti  i  resti  organici  che  potevano  contenere.  Ri- 
tengo poi  i  suindicati  depositi  di  origine  marina;  perchè  essi  si 
trovano  a  contatto  immediato  con  le  sabbie  ed  argille  ricchis- 
sime di  conchiglie  marine  fossilizzate:  anzi  a  maggior  prova 
aggiungerò,  che  presso  Maesto  sulla  sinistra  del  Coggia  raccolsi 
una  valva  di  Cardium,  e  molti  altri  frammenti  di  conchiglie 
appartenenti  al  medesimo  genere:  di  più,  negli  strati  sabbiosi 
che  alternano  con  quegli  argillosi  e  ciottolosi,  rinvenni  un  fram- 
mento probabilmente  appartenente  alla  cerniera  di  una  bivalve 
marina. 

A  rendere  però  così  scarse  di  fossili  marini  quelle  formazioni, 
che  come  già  dissi  dobbiamo  ritenere  littorali,  credo  che  oltre  la 
elaborazione  meccanica  dei  materiali  rocciosi,  operata  dalla  furia 
delle  onde  marine,  si  debba  aggiungere  la  più  o  men  grande 
azione  meccanica  delle  acque  dolci  del  braccio  del  lago  val- 
darnese,  il  quale  insinuandosi  per  tutta  la  Val  d'Ambra  si  tro- 
vava come  già  accennammo  ad  immediato  contatto  di  quel  cor- 
done littorale,  e  forse  concorse  in  piccola  parte  a  formarlo. 


266 


0.    ELTTORI 


Questo  braccio  del  la^o  valdarnese,  il  quale  occupava  Fat- 
tuale Val  'V  Ambra,  er^i  li  n^Aà  insenatura  di  qualche  impor- 
tanza che  interromiieva  la  line^  qua-si  retta  del  suo  littorale. 
Infatti  oltrepassata  queìT  insenatura  le  sponde  del  lago  proce- 
devano poco  frasta'^lia':e  fino  a  Laterina:  oltre  questa  località, 
venivano  a  stringersi  e  ad  accostarsi  notavo! mente  fra  loro,  e 
ciò  in  ragione  dello  sviluppo  che  prendono  le  rocce  eoceniche 
(arenarie;  a  Special  uccio  ed  a  Rondine;  per  cui  fra  Castiglion 
ribocchi  e  Rondine  abbiamo  una  notevole  riduzione  delle  for- 
mazioni lacustri.  La  linea  inima;rinaria  poi,  che  con  direzione 
Sud-Nord  potrebbe  riunire  le  due  ultime  località  ricordate,  de- 
limiterebbe press' a  poco  le  formazioni  arj^jillose  e  sabbiose .  ai)- 
partenenti  al  pliocene,  e  quindi  anche  T  estensione  del  lago  dalla 
(larte  di  Est-Nord-Est;  poiché  oltre  i  piuiti  toccati  da  essa  linea 
immaginaria  non  si  trovano  più  depositi  i  quali  possano  rife- 
rirsi al  pliocene,  ma  invece  cominciano  a  sviluppar.sì  le  ghiaie 
e  le  sabbie  con  quella  successione  ed  alternanza  di  strati  propria 
del  sottosuolo  dellalpianura  aretina  appartenente  al  post-pliocene. 
A  propositi  però  di  quest'  ultima  porzione  dei  depositi  plioce- 
nici del  lago  valdarnese,  conviene  che  io  faccia  menzione  di  alcuni 
fossili  marini  consistenti  in  due  denti  di  squalo  delle  specie 
Carcharodon  sulcidens  Agass.  e  Oj-ijrhina  liastalis  Agass.  che  il 
Museo  d'Arezzo  possiede  come  provenienti  da  Palazzone,  località 
poco  lontana  dalla  stazione  ferroviaria  di  Ponticino.  Però  dalle 
ricerche  che  feci  in  quella  località  dovei  venire  alle  medesime 
conclusioni,  a  cui  mi  condussero  quelle  eseguite  in  Val  d'Ambra 
allo  stesso  scopo  e  per  la  stessa  ragione. 

Questo  è  quanto  poteva  dirsi  intorno  al  Valdarno  superiore 
0  alla  Val  d'Ambra  da  un  osservatore  diligente  e  spassionato, 
all'  uopo  di  mettere  nei  veri  termini  le  controversie  ultimamente 
sorte  sulle  condizioni  di  quelle  località  nel  periodo  pliocenico. 
Se  il  rinvenimento  di  altri  fossili  o  1'  osservazione  più  sapiente 
di  fatti  non  venga  a  modificare  V  idee  da  me  succintamente 
esposte,  è  certo,  che  oggi  non  possiamo  avere  un  opinione  più 
confacento  a  spiegare  tutti  i  fatti  che  sono  alla  nostra  conoscenza 
per  lo  che  basti  per  ora  quello,  che  abbiamo  detto  del  Valdarno 
e  veniamo  alla  Val  di  Chiana.. 

Ij'  argomento  che  incominciamo  a  svolgere  è  stato  studiato 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  YALDARNO  SUPERIORE  EC.  267 

dal  Verri  (*),  il  quale  in  diverse  note  ne  ha  diflFusamente  trat- 
tato: esso  però  si  è  più  specialmente  occupato  della  Val  di 
Chiana  romana  e  dell'  antica  deltazione  del  Tevere,  che  della 
Val  di  Chiana  toscana.  Nondimeno  incidentalmente  ha  parlato 
anche  di  quest'  ultima  località»,  anzi  in  una  sua  nota  ultima  (^) 
uscita  ha  modificate  e  corrette  alcune  idee  antecedentemente 
espresse,  intorno  al  piano  del  pliocene,  acni  dovevano  riferirsi 
i  depositi  lacustri  di  Marciano,  Foiano,  Pozzuolo  fino  al  lago 
di  Chiusi.  Da  ciò  Y  opportunità  di  tornare  un  poco  suU'  argo- 
mento. 

Oltrepassata  la  stretta  di  Capo  di  Monte  e  Chiani^  occupata 
dalle  formazioni  quaternarie,  che  uniscono  quelle  dei  dintorni 
d'Arezzo  con  quelle  della  pianura  della  Chiana,  percorrendo  la 
via  che  da  Chiani  conduce  alla  Badia  al  Pino  si  può  vedere 
come  fino  a  Vicomaggio  le  formazioni  quaternarie  incise  nel  bel 
mezzo  del  canale  maestro  della  Chiana,  riposino  decisamente  sui 
terreni  eocenici,  che  costituiscono  la  punta  più  avanzata  Nord-Est, 
dei  monti  che  determinano  il  displuvio  e  lo  sparti-acque  della 
Chiana  dell'Ambra  e  dell' Ombrone.  Da  Chiani  a  Vicomaggio,  la 
strada  segna  il  confine  fra  i  terreni  quaternari  e  le  arenarie 
eoceniche,  die  a  sinistra  della  medesima  prendo&o  un  grande 
sviluppo;  però  lungo  il  torrente  Lota  le  arenarie  su m mentovate 
vengono  ricoperte  in  piccola  parte  da  una  formazione  di  sabbie 
gialle  della  potenza  appena  di  4  metri:  (juesta  si  allarga  a  mano 
a  mano,  che  si  procede  verso  Sud  e  a  Tuori  ha  già.  acquistato 
un  considerevole  sviluppo.  Oltre  quest'  ultima  località  la  vediamo 
interrompersi  più  qua  e  più  là  per  V  affioramento  delle  arenarie; 
ma  il  suo  sviluppo  è  divenuto  sempre  maggiore;  giacché  passa 
anche  ad  occupare  una  parte  della  valle  del  Leprone  e  del  Riola. 
A  Montagnano  questa  formazione  si  allarga  ancora  di  più  ed 
acquista  veramente  una  considerevole  potenza,  formando  delle 
colline  di  100  a  120  di  altezza  sul  livello  delle  formazioni  qua- 
ternarie costituenti  la  pianura  solcata  dal    canal  grande  della 

(*)  Verri  Antonio—  Sui  movimenti  sismici  della  Val' di  Chiana.  Rendiconti  del 
R.  ht.  lombardo  Voi.  X.  —  Id:  Avvenimenti  nelV interno  del  bacino  del  Tevere  du- 
rante e  dopo  il  Pliocene.  Atti  Soc.  it.  di  Scienz.  nat  Voi.  XXI,  p.  149.  —  Id.  Sulla 
Cronologia  dei  Vulcani  tirreni  e  sulla  idragrafia  della  Val  di  Chiana  anteriormente 
al  pliocene,  Rend.  del  R.  Ist.  Lomb.  Serie  II,  Voi.  XI,  fase.  III. 

(•)  Verri  —  Seguito  alle  note  sui  terreni  terziari  e  quaternari  del  bacino  del 
Tevere, 


268  G.   RISTORI 

Chiana,  e  prosegue  non  interrotta  fino  a  congì  ungersi  con  quelle 
plioceniche  marine  di  Chianciano  e  di  Chiusi  a  Sud  Ovest  e  con 
quelle  lacustri  di  Città  della  Pieve  a  Sud.  I  fossili  che  vi  si  pos- 
sono raccogliere  mostrano,  che  appartengono  al  pliocene  lacustre. 
La  valle  deir  Esse  quella  dell'  Infernaccio  fino  alla  pianura  della 
Chiana  sono  tutte  circondate  da  colline  plioceniche.  A  Marciano 
nei  dintorni  di  Lucignano  e  di  Monte  S.  Savino  a  Foiano  a  Farneta 
a  Valiano  a  Pozzuolo  a  Giojella,  ed  in  molte  altre  località,  si 
possono  raccogliere  fossili  appartenenti  a  diverse  classi  di  ani- 
mali di  specie  evidentemente  plioceniche.  Infatti  il  Museo  geo- 
logico di  Bologna  possiede  resti  di  Elephas  meridionalis  rinvenuti 
a  Farneta,  ove  io  stesso  ho  raccolto  una  porzione  di  scapola  ap- 
partenente a  quella  stessa  specie.  A  Lucignano  e  nella  valle 
della  Foenna  furono  qualche  tempo  fa  rinvenuti  resti  di  Mastodon 
e  di  Elephas y  e  probabilmente  anch^  essi  dovevano  appartenere 
alle  specie  arverensis  e  meridionalis.  I  fossili  però  più  caratteri- 
stici, e  che  servono  meglio  a  determinare  V  epoca  precisa  a  cui 
appartengono  quelle  formazioni,  e  le  condizioni  di  quelle  località 
nel  periodo  pliocenico,  sono  le  conchiglie  lacustri,  che  si  trovano 
abbondantissime  in  molti  luoghi,  come  presso  Marciano  in  una 
località  detta  Ponti  prossima  al  fiume  Esse  a  Foiano  presso  la 
Madonna  della  Querce,  a  Farneta  poco  sotto  la  Villa  a  Valiano 
presso  la  Cascina  del  Fuoco,  a  Pozzuolo,  a  Giojella  nel  botro  del 
Fossatone  e  a  Casa  Maggiore.  In  tutti  questi  luoghi  ho  io  stesso 
raccolti  magnifici  esemplari  di  conchiglie  lacustri,  che  ora  pos- 
siede il  Museo  di  Firenze  e  di  cui  credo  bene  darne  la  nota,  che 
debbo  alla  gentilezza  del  prof.  Cesare  D'Ancona,  che  sta  stu- 
diando quei  fossili. 

1.  Anodonta  sp.  (an.  A.  Bronnii  D'Anc?) 

Fossatone  presso  Giojella. 

2.  Unio  Pillce  De  Stef. 

Ponti  presso  Marciano. 

3.  Dreissena  Plébeja  Dub. 

Marciano. 

4.  Corhicula  sp. 

Marciano 

5.  Neritina  sp. 

Marciano. 

6.  ValvcUa  interposUa  De  Stef. 

Marciano. 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  YALDARNO  SUPERIORE  EC.  269 

7.  Mélanopsis  fiammulata  De  Stef. 

Marciano. 

8.  Vivipara  Esperi  Fer. 

Giojella. 

9.  „         Belluccii  De  Stef. 

•    Marciano  Farneta. 
10.  BUhynia  sp. 

Marciano. 

A  Marciano  ho  raccolto  anche  qualche  dente  di  Tinca  e  di 
Leìiciscus. 

Per  completare  questa  rapida  rassegna  delle  formazioni  la- 
custri plioceniche  della  Val  di  Chiana  e  a  maggiore  intelligenza 
del  lettore,  indicherò  la  successione  naturale  degli  strati  come 
si  trova  in  una  delle  località,  più  fossilifere.  Scelgo  a  questo 
proposito  i  dintorni  di  Marciano,  come  quelli  che  potei  più  mi- 
nutamente esaminare  e  dove  raccolsi  il  maggior  numero  di  fossili 
ed  eccone  la  successione  dall'  alto  al  basso  : 

1.**  Argille  non 'fossilifere,  e  terreno  vegetale; 
2.'  Argille   ferruginose   con   Paludine,  Valvate,  Neritine, 
Anodonte  ec. 

3.'  Strati  con  Dreissene  e  tufi  calcari  ove  in  gran  numero 
sono  riunite  le  Dreissene  e  dove  si  trovano  i  denti  di  Tinca  e 
di  Leudscus. 

4.**  Sabbie  con  Unia,  Anodonte,  Dreissene,  Valvate,  Paludine, 
Mélanopsis,  Cyrene. 

Come  si  vede  dallo  spaccato,  gli  strati  fossiliferi  sono  alter- 
nanti. Questa  condizione  di  alternanza  di  sabbie  e  di  argille 
fossilifere  la  vediamo  mantenersi  più  o  meno  esattamente  nel 
resto  della  Val  di  Chiana.  I  fossili  che  si  raccolgono  in  quelle 
formazioni  mostrano  che  esse  si  deposero  in  seno  ad  un  lago  di 
acque  dolci  o  meglio  leggermente  salmastre;  poiché  V  abbon- 
danza delle  Dreissene  ci  indica  che  le  acque  di  esso  lago  non 
erano  perfettamente  dolci  e  non  lo  potevano  essere;  inquantochè 
le  comunicazioni  coi  mari  contemporanei,  che  lo  cingevano  da 
Sud  e  da  Ovest  dovevano  essere  numerose.  Una  prima  di  queste 
comunicazioni  credo  col  Verri  (*)  che  fosse  per  la  Val  di  Foenna 

(*)  A.  Verri  —  Seguito  alle  Note    sui  terreni  terziari  e  quaL    del  Bacino   del 
Tevere.  Atti  della  Soc.  it.  di  Scienz.  nat  Voi.  XXIII,  fase.  3.^* 


270  G.  RISTORI 

ed  anche  a  Sud  di  essa:  infatti  percorrendo  detta  valle  si  incon- 
trano  le  formazioni  plioceniche  lacustri  fino  ad  Osteria  presso  la 
stazione  ferroviaria  di  Lucignano  :  quivi  però  vengono  interrotte 
dalle  arenarie  eoceniche  di  Rigomagno,  le  quali  raggiungono 
un'  altezza  di  poco  superiore  alle  formazioni  del  pliocene  marino, 
che  sì  trovano  assai  sviluppate  a  Casalta  (*),  e  che  seguitano 
non  interrotte  anche  nella  Valle  del  Sentine  fino  a  congiungersi 
colle  formazioni  plioceniche  marine  dei  dintorni  di  Rapolano  e 
della  Val  d' Ombrone.  Inquanto  alla  Valle  del  Sentine  e  a  quella 
della  Foenna  dirò  che  mostrano  evidenti  prove  della  permanenza 
del  mare;  poiché  qua  e  la  si  veggono  argille  e  sabbie  Qontenenti 
numerosi  resti  di  conchiglie  marine  plioceniche,  riposare  sui  ga- 
lestri manganesiferi  tanto  sviluppati  nella  Valle  del  Sentine  a 
S.  Martino  ed  a  Selva.  Il  pliocene  marino  incomincia  a  Casalta 
di  la  si  allarga  nella  Valle  del  Sentine  congiungendosi  a  Nord- 
Ovest  con  quello  della  Val  d' Ombrone  e  a  Sud  con  quello  dei 
dintorni  di  Sinalunga  e  di  Torrita. 

A  chi  volesse  dare  poi  una  grande  importanza  allo  sviluppo 
che  le  arenarie  eoceniche  prendono  nei  pressi  di  Rigomagno,  e 
volesse  vedere  in  corrispondenza  di  quella  località  uno  sbarra- 
mento fra  il  mare  della  vai  di  Sentine  ed  il  lago  pliocenico 
della  Chiana,  farò  osservare  che  V  attuale  scolo  del  Sentine  e 
della  Foenna  nella  Chiana  invece  che  nell'  Ombrone,  mostra  evi- 
dentemente che  i  terreni  secondari,  che  costituiscono  presso 
Boninsegna,  Romitorio  e  Camerino  lo  spartiacque  fra  il  Sentine 
e  r  Ombrone,  superano  in  altezza  le  arenarie  di  Rigomagno; 
quindi  se  il  mare  pliocenico  che  occupava  la  Val  di  Sentine, 
comunicava,  come  è  facile  verificare,  con  quello  della  Val  d' Om- 
brone, superando  col  suo  livello  l'altezza  raggiunta  dalle  for- 
mazioni secondarie  nelle  summentovate  località;  tanto  più  do- 
veva superare  V  altezza  evidentemente  minore,  raggiunta  dalle 
arenarie  nei  dintorni  di  Rigomagno  o  più  precisamente  a  Pa- 
lazzuolo  e  alle  Folci.  In  ogni  modo,  anche  facendola  meno  della 
Val  di  Foenna  come  braccio  di  comunicazione  fra  il  lago  plioce- 

(*)  Nella  Carta  geologica  annessa  ad  un  opuscolo  del  Verri  intitolato:  Alcune 
linee  sulla  Val  di  Chiana  e  Ittoghi  adiacenti  nella  storia  della  Terra;  la  valle  della 
Foenna  a  Ovest  di  Rigomagno  e  la  Val  di  Sentine,  sono  segnate  col  colore  convenuto 
per  il  pliocene  lacustre;  invece  io  ho  riscontrato^  che  vi  esistono  formazioni  plioce- 
niche si,  ma  plioceniche  marine. 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  YALDABNO  SUPERIORE  EC.  271 

nico  della  Chiana  ed  il  mare  coiitemporaneo  senese,  basta  vol- 
gersi un  poco  a  Sud  per  constatare,  che  le  formazioni  lacustri, 
che  seguono  per  piccolo  tratto  il  corso  della  Foenna  a  Sud 
d' Osteria,  sono  continuate  dalle  argille  e  dalle  sabbie  marine 
di  Sinalunga  e  di  Torrita,  le  quali  alla  lor  volta  sono  in  di- 
retta continuazione  con  quelle  di  Montepulciano,  Chianciano  e 
Chiusi,  che  limitano  ad  Ovest -Sud -Ovest,  anche  secondo  il 
Verri  (*)  la  massima  parte  delle  formazioni  plioceniche  lacustri 
della  Val  di  Chiana  e  sono  a  queste  contemporanee. 

La  vasta  comunicazione  però  che  il  lago,  in  seno  al  quale 
si  deposero  le  formazioni  plioceniche  della  Chiana,  sembra  avere 
avuto  dalla  parte  di  Ovest-Sud-Ovest,  ed  anche  di  Sud  (se  si 
giudica  dair  estesa  continuità  delle  formazioni  lacustri  con  quelle 
marine)  col  mare  pliocenico,  che  in  allora  occupava  i  dintorni 
di  Montepulciano,  Chianciano,  Chiusi,  Sarteano,  Cetona,  contradice 
la  condizione  di  leggera  salsedine  delle  sue  acque,  la  quale  ci 
viene  evidentemente  dimostrata  dai  fossili,  che  oggi  si  possono 
raccogliere  nei  suoi  depositi.  Infatti  quei  fossili  ad  eccezione 
delle  Dreissene,  appartengono  tutti  a  generi  e  specie  di  molluschi 
proprie  delle  acque  dolci,  e  quindi  disadatti  a  vivere  in  acque  molto 
salmastre.  Tali  condizioni  non  possono  mettersi  in  relazione  coi 
fatti  che  oggi  si  osservano,  a  meno  che  non  si  supponga  una 
più  o  meno  continua  barriera,  che  limitasse  alnfieno  in  parte 
una  tanto  vasta  comunicazione,  che  non  poteva  misurare  meno 
di  30  chilometri.  Le  formazioni  costituenti  questa  barriera,  che 
doveva  essere  anteriore  alle  deposizioni  del  lago  e  del  mare 
pliocenico,  oggi  non  esiste,  e  sarebbe  quindi  per  noi  cosa  affatto 
gratuita  il  supporne  Y  esistenza  anche  in  quelle  remote  età,  da 
ciò  la  necessità  di  ricorrere,  per  ispiegare  il  fatto,  ad  una  più 
logica  supposizione,  cioè  all'esistenza,  ammessa  pure  dal  Verri  (*), 
di  un  cordone  litorale,  che  doveva  necessariamente  interrompere 
in  gran  parte,  la  comunicazione  del  lago  col  mare  da  quella 
parte. 

Tali,  è  logico  supporre  che  fossero  le  condizioni  della  Chiana 
toscana  e  di  parte  di  quella  romana  nel  periodo  pliocenico.  Le 
estese  formazioni  di  ghiaie,  sabbie  ed  argille,  che  come  dicemmo, 

(*)  A.  Verri  —    Seguito  delle  note  sui  terreni  terziari  e  quaternari  del  bacino 
del  Tevere,  Soc.  ital   di  Scienz.  nat.  VoL  XXIIl,  fase.  3P 
(«)  Id.    -  Id.  Soc.  it  ec.  Voi.  XXIII,  pag.  287. 


272  6.  RISTORI 

contengono  numerosi  avanzi  fossili  di  una  fauna  decisamente 
pliocenica,  e  simile  in  parte  a  quella  del  Valdamo  superiore,  si 
devono  riferire  al  piano  geologico,  a  cui  appartengono  quelle 
di  quest^  ultima  località,  e  si  devono  senz'  altro  ritenere  contem- 
poranee e  quindi  argomentarne  la  coesistenza  di  quei  due  vasti 
laghiy  i  quali  però,  come  si  può  anche  dimostrare  basandosi 
sulla  differenza,  che  evidente  emerge  dal  confronto  delle  due 
faune  malacologiche,  non  si  trovavano  nelle  medesime  condizioni 
né  erano  fra  loro  in  comunicazione,  come  potrebbesi,  e  forse 
come  si  h  da  qualche  geologo  creduto.  Ma  poiché  quest'  argo- 
mento è  in  diretta  relazione  colle  condizioni  in  cui  si  trovavano 
nel  periodo  pliocenico  i  dintorni  della  città  d'  Arezzo  ora  rico- 
perti dalle  potenti  deposizioni  di  un  lago  quaternario,  il  quale 
superata  la  stretta  di  Capo  di  Monte,  si  estendeva  anche  ad  una 
gran  parte  deir  attuale  Chiana  toscana,  e  ne  formava  il  sotto- 
suolo della  pianura.  Da  ciò  la  ragione  di  cominciare  subito  a 
trattare  dei  dintorni  della  città  d'Arezzo  e  conseguentemente 
dei  terreni  post-pliocenici. 


POST'-PLIOCENE 

Sarà  inutile  che  io  torni  a  ripet>ere,  come  i  dintorni  della 
città  d' Arezzo  non  presentino,  air  occhio  deir  osservatore,  che 
una  formazione  di  considerevole  potenza  costituita  di  ghiaie, 
sabbie  ed  argille  che  riposano  unitamente  ad  alcuni  strati  di 
lignite  di  non  grande  spessore  su  di  una  argilla  turchina  con- 
tenente resti  di  conchiglie  fluviatili  tutte,  appartenenti  a  specie 
già  conosciute  e  decisamente  quaternarie  o  tuttora  viventi. 
Negli  strati  stessi  di  lignite,  che  qua  e  la  si  mostrano  di  spessore 
variabile  ed  appariscono  nei  profondi  tagli  della  pianura  operati 
dal  torrente  Castro  e  dal  torrente  Vingone  non  che  dalla  por- 
zione più  a  Nord  del  fiume  Chiana  e  più  specialmente  nei  pressi 
di  Quarata,  si  possono  raccogliere  abbondanti  i  resti  e  le  im- 
pronte di  Paludine,  di  Anodonte,  di  UniOj  di  Planorbis,  di  Limnee,  di 
Valvate,  di  Pisidium  e  di  Cyclas,  tutte  appartenenti  a  specie  già 
indicate  dal  prof.  Igino  Cocchi,  in  una  sua  ultima  nota  intitolata 
(Nuavi  fossili  del  Vingone  e  della  Chiana.  Non  starò  qui  a  ripetere 
il  nome  di  quelle  specie  determinate  dal  prof.  Cesare  d'Ancona: 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  YALDABNO  SUPERIORE   EC.  27S 

dirò  solo  che  apparteagona  tutte  a  specie  quaternarie  o  viventi, 
e  servono  benissimo,  unitamente  alla  fauna  mammologica  e  alla 
flora  fossile,  a  determinare  V  orizzonte  geologico  a  cui  debbono 
riferirsi  quei  depositi  ('),  i  quali  si  veggono  riposare  direttamente 
sulle  arenarie  eoceniche  o  sui  calcari  alberesi,  o  sulle  argille 
scagliose  e  schisti  argillosi,  di  cui  è  costituito  il  sottosuolo  della 
pianura  aretina  al  pari  dei  monti  che  la  limitano,  e  dei  bassi 
colli  di  Patrignone,  di  Ciciliano,  di  Puglia,  di  Montioni  e  di 
S.  Maria,  che  la  interrompono. 

ÀI  di  sotto  di  queste  formazioni  quaternarie,  per  la  fauna  e 
per  la  flora  fossile  che  in  se  racchiudono,  era  logicamente  pre- 
supponibile che  si  sarabbero  trovate  delle  formazioni  plioceniche 
come  diretta  continuazione  di  quelle  del  Valdarno  superiore  o 
della  Val  di  Chiana;  ma  per  quanto  accurate  e  diligenti  sieno 
state  le  mie  ricerche  a  questo  proposito,  non  mi  fu  possibile 
d' incontrare  il  ben  che  minimo  rappresentante  dei  terreni  plio- 
cenici e  tanto  meno  rinvenni  dei  fossili  riferibili  a  quel  periodo. 
Avevo  visti  accennati,  in  uno  scritto  del  prof.  Carlo  De-Stefani  (*) 
alcuni  fossili  marini  pliocenici  che  egli,  sotto  l'autorità,  del  Verri, 
cita  come  trovati  lungo  le  rive  del  torrente  Vingone  e  del 
torrente  Castro  e  conservati  nel  Museo  d'  Arezzo  insieme  colla 
mandibula  di  una  Balena  rinvenuta  a  Montioni  nel  1663;  mi 
recai  a  quel  Museo,  e  fattane  diligente  ricerca,  potei  vedere  quei 
fossili,  che  si  trovavano  nella  collezione  di  conchiglie  marine 
plioceniche  senza  essere  determinati,  e  quello  che  è  peggio  senza 
neppure  portare  scritta  V  indicazione  della  località,  dai  cataloghi 
solo  potei  constatare  che  erano  stati  portati  a-  quel  Museo  come 
raccolti  presso  il  torrente  Vingone;  mentre  alcune  altre  con- 
chiglie marine,  che  trovai  in  una  cassa,  che  giaceva  abbando- 
nata nel  magazzino,  erano  accompagnate  da  un  vecchio  cartel- 
lino, in  cui  erano  scritte  queste  precise  parole:  21  Conchiglie 
fossili  trovate  nel  Castro  sopra  ad  Arezzo.  Questi  fatti  crebbero 
la  speranza  e  il  fervore  nelle  mie  ricerche;  ma  mio  malgrado, 
dovei  pienamente  convincermi  che  nei  dintorni  d'Arezzo  non 
solo  non  esistevano  fossili  marini  pliocenici,  ma  neppure  terreni, 

(*)  Cocchi  —  U  uomo  fossile  nell'Italia  centrale,  Estr.  dal  Voi.  Ili,  delle  me- 
morie della  società  ital.  di  Scienz.  nat.  pag.  5. 

(*)  De  Stefani  —  Molluschi  continentali  plioc.  (Atti  della  Soc.  tose,  di  scienz. 
nat.  Voi.  V,  anno  1881. 

Se.  Nat.  Voi.  II  fftscic.  2.  18 


274  fi.  RISTORI 

che  gli  potessero  cooteaere.  Tutte  le  frane,  tatte  le  incisioDi 
operate  dai  torrenti  che  solcano  in  vari  sensi  quella  pianura» 
tutte  le  pendici  scoscese,  che  mostrano  a  nudo  gli  strati,  furono 
da  me  diligentemente  visitate  e  vi  furono  fatte  le  più  accurate 
e  minuziose  ricerche;  ma  da  per  tutto  non  rinvenni  altro  che 
depositi  lacustri  e  lacustri  quaternari  sempre  disposti  nel  modo 
anzidetto,  colla  solita  successione  di  strati  (*),  con  una  orìzon* 
talità  quasi  perfetta  e  contenente  fossili  lacustri  post-pliocenici, 
nessun  indizio  di  terreni  più  antichi  e  di  fossili  pliocenici. 

D' altra  parte,  tornando  ad  esaminare  più  accuratamente  le 
conchiglie  marine  conservate  nel  Museo  d'  Arezzo,  come  prove- 
nienti dai  dintorni  della  città,  le  quali  volli  anche  determinare 
e  darne  qui  la  nota  {%  mi  accorsi  che  esse  erano  state  raccolte 
parte  nelle  sabbie,  parte  nelP  argille,  parte  staccate  da  calcari 
forse  miocenici,  e  mostravano  caratteri  così  diflFerenti  di  fossiliz- 
zazione da  escludere  assolutamente  la  provenienza  loro  da  una 
medesima  località.  Queste  osserva/ioni  messe  a  contributo  colle 
mie  infruttuose  ricerche  e  colla  confusione  che  esiste  e  nei  ca- 
taloghi e  nelle  collezioni  del  Museo  d'  Arezzo,  ove  quello  che  è 
meno  curato  si  è  appunto  l'indicazione  precisa  della  provenienza 
dei  fossili,  che  vi  si  conservano,  è  naturale  che  destino  il  mas- 
simo sospetto  sulla  provenienza  attribuita  a  quelle  conchiglie 
marine,  ed  inclino  quindi  a  credere  che  sieno  state  raccolte  nelle 
crete  senesi  o  nei  dintorni  dì  SinaUinga  e  di  Torrita;  tanto 
più  che  la  cassetta  contenente  le  conchiglie  distinte  col  cartellino 
di  cui  trascrissi  più  sopra  la  precisa  dicitura,  era  ripiena  di 
altre  conchiglie  marine  fossili  disposte  colla  più  grande  confu- 
sione, e  che  indubbiamente  provenivano  da  Chiusi  e  da  Cetona; 

(*)  Per  la  successione  dei  depositi  lacustri  costituenti  la  pianura  aretina  ve^i  i 
ta^li  fatti  e  riportati  dal  Cocchi  nella  sua  memoria  L*  uomo  fossile  nelV  luUia  cen^ 
frale,  pag.  45-46. 

(*)    Con  indicazione  di  provenienza  Con  indicazione  di  provenienza 

dal  Vingone  dai  Castro 

Murex  Pecchiolanus  D'Anc.  Cardium  hians  Broc.  (2  modelli  interni) 

Cerithium  vulgatum  Brug,  Pectunculus  pilosus  Lin.  (4  valve) 

Ostrea  sp.  ind.  Spondylus  goederopus  Lin.  (4  valve) 

Cardium  multtcostatum  Brocc.  Pecten  opercularis  Lin.  (i  valve  sup.) 

Arca  mytiloìdes  Brocc.  Cytherea  sp.  ind.  (2  modelli  interni) 

Lucina  sp.  ind.  (3  modelli  interni) 
Ostrea  edulis  L.  Om.  (3  valve) 
Cardila  sp.  ind.  (1  modello  intemo) 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SOL  YÀLDABNO  SUPERIORE  £C.  276 

giacché  questo  ripetutamente  affertuava  il  sig.  Angiolo  De-Giudici 
interrogato  da  me  in  proposito. 

Nulla  aggiungerò  sul  valore  paleontologico  della  mandibola 
di  Balena  trovata  a  Montioni  per  questo  rimando  alla  nota  (^) 
ultimamente  fatta  dal  prof.  Igino  Cocchi  e  comunicata  alla  So- 
cietà toscana  di  scienze  naturali  residente  in  Pisa;  e  solo  dirò, 
che  a  Montioni  non  esistono  terreni  che  possano  contenere  si- 
mili fossili,  e  le  Argille  turchine  ricche  di  resti  di  conchiglie  flu- 
viatili quaternarie,  che  sono  messe  allo  scoperto,  presso  quella 
località  causa  le  profonde  erosioni  del  torrente  Castro  e  del 
torrente  Maspino,  si  veggono  direttamente  riposare  sulle  are- 
narie eoceniche  che  aflFacciansi  frequentemente  lungo  V  alveo  e 
neir  alveo  stesso  del  torrente,  primo  rammentato.  A  questo  si 
aggiunga,  che  la  mandibola  di  Balena  è  molto  discutibile  se  sia 
veramente  fossile,  e  per  esperienze  da  me  fatte  su  di  un  fram- 
mento che  ne  staccai,  non  dubito  punto  di  credere  che  quel 
resto  organico  appartenga  a  specie  tuttora  vivente,  e  sia  stato 
colà  portato  ed  inumato  dall'  Uomo:  certo  è  che  non  appartiene 
ad  un  animale  che  visse  nell'  acque  stesse,  che  operarono  le 
deposizioni,  da  cui  era  ricoperto. 

Ad  ogni  modo  credo  potere  affermare  colla  certezza  di  non 
essere  smentito,  che  non  esistono  nei  dintorni  d'Arezzo  terreni 
pliocenici  e  tanto  meno  terreni  pliocenici  marini:  solamente  le 
formazioni  quaternarie  ivi  acquistano  grande  sviluppo  e  succe- 
dono immediatamente  ai  terreni  eocenici  senz'alcun  intermediario. 
A  quest'  ultima  affermazione  però  si.  oppongono  le  conclusioni 
del  Forsyth  Major^  il  quale  in  una  sua  nota  intitolata:  Sul  li-- 
vello  geologico  del  terreno  in  cui  fu  trovato  il  così  detto  Cranio 
dell'  Olmo  (  ),  afferma  che  sulle  rive  della  Chiana  presso  la  sua 
confluenza  nell'Arno,  quindi  poco  lungi  da  Ruballa,  nell'argilla 
sottostante  alle  ghiaie  e  sabbie  quaternarie  fu  scavato  nel  1869 
un  molare  di  Elephas  meridionalis  Nesti;  e  di  più  che  il  Museo 
d'Arezzo,  possiede  numerosi  resti  di  una  fauna  mammologica 
decisamente  pliocenica,  però  senza  indicazione  di  località! 

Inquanto  ai  resti  di  mammiferi  pliocenici  conservati  nel 
Museo  d'  Arezzo,  non  potendosi  sapere,  anche  secondo  il  Major 

(*)  Cocchi  —  Nuovi  fossili  del  Vingone  e  della  Chiana.  Atti  della  Società  tose, 
di  Scieaz.  nat.  Voi.  IV,  processi  verbali,  4  maggio  1884. 

(•)  Bull,  della  Soc.  Ital.  di  Antropologia.  Adunanza  20  aprile  1876. 


276  6.    RISTORI 

]a  località  da  dove  provengono^  non  possono  essi  servire  di 
nessuna  prova  attendibile;  tanto  più  che  dai  cataloghi  di  quel 
MuseOy  per  quanto  sieno  in  grande  disordine,  io  stesso  ho  potuto 
riscontrare,  che  parecchie  delle  ossa  di  mammiferi  ivi  conservate 
provengono  dal  Valdarno  superiore  e.  dalle  colline  plioceniche 
della  Val  di  Chiana  toscana.  Il  dente  molare  sopra  citato  però 
sarebbe  di  grande  valore,  quando  non  si  potessero  fare  molte 
osservazioni  ed  esporre  i  seguenti  fatti:  1."  II  rinvenimento  di 
resti  di  Elephas  primigenius ,  di  Cervus  eurycet^os,  di  Boa  pri" 
migenius  e  di  altre  specie  di  mammiferi  quaternari,  non  che 
di  conchiglie  lacustri  pure  quaternarie,  fatto  in  quel  medesimo 
strato  argilloso  ed  in  quella  medesima  località  ove  il  Major  affer- 
ma essere  stato  scavato  il  dente  molare  in  questione.  2.*  Nel 
Museo  d'  Arezzo  non  esistono  denti  molari  di  Elephas  merìdionalis 
coir  indicazione  di  essere  stati  ritrovati  a  Quarana,  a  Ruballa,  a 
Ponte  a  Buriano,  o  in  altre  località  presso  alla  confluenza  della 
Chiana  nell'  Arno.  3."  Nei  denti  molari  di  E.  meridionalis  pos- 
seduti dal  detto  Museo  è  manifesta  la  fossilizzazione  caratteri- 
stica delle  ossa  fossili  del.  Valdarno  superiore.  4.*  11  sig.  Major 
non  dice  di  essere  stato  |)resente  all' escavazione  del  fossile, 
quindi  dovè  fidarsi  dell'  indicazione  di  persone  estranee  alla 
scienza,  che  tanto  facilmente  sogliono  ingannare.  5.®  La  fauna 
mammologica  fin'  ora  rinvenuta  nei  dintorni  di  Quarata  e  sulle 
rive  del  fiume  Chiana  è  decisamente  quaternaria  ('). 

Dimostrata  cosi  1'  assoluta  mancanza  dei  terreni  pliocenici 
nei  dintorni  della  città  d'  Arezzo,  resta  a  cercarsi  il  perchè  di 
quest'  assenza,  mentre  come  vedemmo  fino  da  Vicomaggio  in 
Val  di  Chiana  e  da  Rondine  in  Valdarno  sì  incominciano  a  tro- 
vare terreni  pliocenici.  Ora  come  è  che  i  laghi  pliocenici  che 
occupavano  il  Valdarno  da  una  parte  la  Val  di  Chiana  dalF  altra, 
non  invasero  anche  ì  dintorni  d'  Arezzo  e  non  operarono  in  essi 
le  loro  deposizioni?  Per  trovare  una  spiegazione  a  questo  fatto, 
conviene  rintracciare  le  condizioni  in  cui  si  trovavano  nel  perìodo 
pliocenico  i  dintorni  della  città  d'Arezzo;  poiché  esse  sole  de- 
vono e  possono  darcene  la  ragione.  Le  deposizioni  quaternarie 

(0  In  qaei  luoghi  nello  strato  argilloso  che  affiora  sulla  sinistra  della  Chiana 
alla  sua  confluenza  neirArno,  io  stesso  ho  raccolto  conchiglie  lacustri  appartenenti 
alle  seguenti  specie  quaternarie:  Bithynia  tentaculaia  L.  Valvata  piscinalis  MiilL, 
Planorbis  spiralis  L. 


CONSIDERAZIONI  GEOLOGICHE  SUL  YALDARNO  SUPERIORE  EC.  277 

della  località,  che  ci  occupiamo,  raggiungono  uno  spessore  con- 
siderevole, e  come  dicemmo,  liposano  sulle  arenarie,  sui  calcari 
alberesi  e  sui  galestri,  le  quali  rocce  assorgono  in  moltissimi 
punti  nel  mezzo  della  pianura  a  dimostrarci  come  sia  costituito 
il  sottosuolo  più  profondo.  A  chi  osserva  attentameate  quei 
colli,  che  interrompono  qua  e  ih  la  pianura  suddetta,  si  affaccia 
subito  alla  mente  T  idea  che  le  formazioni  eoceniche  di  cui  sono 
costituiti  abbiano  subito  un  abbassamento  ('),  per  il  quale  quella 
località  fu  invasa  dalle  acqile,  che  vi  deposero  le  ghiaie  le  sabbie 
e  le  argille,  ricoprendo  così  le  più  antiche  formazioni  che  oggi 
sporgono  più  qua  e  più  là  dalle  deposizioni  quaternarie  inva- 
denti, al  modo  stesso  che  sporsero  quali  isole  durante  il  sog- 
giorno del  lago  in  quella  uiedesima  località. 

Il  non  trovarsi,  negli  strati  più  bassi  costituenti  il  riempi- 
mento ed  il  ripianamento  di  quella  depressione,  né  terreni  né 
fossili  pliocenici,  mentre  questi  e  quelli  esistono  a  piccola  di- 
stanza, dimostra  chiarameinte  che  quella  regione  doveva  nel 
periodo  pliocenico  essere  sollevata  e  quindi  neir  impossibilità 
e  in  tal  condizione  da  non  si  effettare  nuove  deposizioni  sulle  pre- 
esistenti eoceniche;  giacché  i  nuovi  terreni  si  formano  solamente 
quando  una  data  regione  si  trovi  depressa:  altrimenti  la  denu- 
dazione operata  dagli  agenti  atmosferici,  invece  di  ^creare  di- 
struggerà parte  delle  formazioni  preesistenti.  L' opinione  che 
durante  il  pliocene  si  trovassero  sollevati  e  fuori  del  dominio 
delle  acque  i  dintorni  d'Arezzo,  fu  prima  che  da  me  manifestata 
dal  Verri  (^-),  il  quale  però  estendeva  questo  sollevamento  anche 
a  tutta  quanta  la  Chiana  toscana.  Dopo  ulteriori  studi  V  autore 
succitato  modificò  un  poco  le  sue  idee(^),  mantenendo  sempre 
la  credenza  che  le  acque  del  lago  pliocenico  della  Chiana  e 
anche  quelle  del  suo  lago  quaternario,  che  V  uno  dopo  V  altro 
l'occuparono,  fluissero  nel  Tevere  e  non  già  come  oggi  neWArno. 
Quest'  ultima  idea  é  oggi  universalmente  acccettata  e  tutti  siamo 
d'  accordo  a  ritenere  che  le  acque  del  lago  pliocenico  e  quindi 


(*)  Verri  —  Avvenimenti  neW  interno  del  bacino  del  Tevere  antico.  Atti  deUa 
soc.  itaL  di  scienze  naturali.  Voi.  XXI,  an.  1878,  pag.  176. 

(*)  Verri  —  Sulla  Cronologia  dei  Vulcani  terreni  e  sulle  orografia  della  Val  di 
Chiana  anteriormente  al  pliocene.  Rendiconti  del  R.  ist.  lomb.  Ser.  II,  Voi.  XI,  fascili. 
(■*)  Verri  —  Seguito  alle  note  sui  terreni  terziari  e  quaternari  del  bacino  del 
Tevere,   Atti  Soc.  ital.  di  Scienz.  nat.  Voi.  XXIII. 


278  G.    RISTORI 

quelle  del  lago  quaternario  della  Chiana  e  del   contemporaneo 
dei  dintorni  d'Arezzo  fluissero  verso  Sud.  Però  da  molti  si  crede 
che  il  flusso  delle  acque  verso  Sud  si  debba  generalizzare  anche 
al  lago  pliocenico  del  Valdarno  superiore.  Ora  mentre  nulla  si 
può  opporre  alla  prima  idea,  i  fatti  da  me  esposti  riguardo  le 
condizioni,  in  cui  si  trovavano  i  dintorni  d'  Arezzo  nel  periodo 
pliocenico,  contradicendo  la  seconda  ci  costringono  a   combat- 
terla,   perchè   se   le   acque  di   quel    lago   pliocenico'  si  fossero 
scaricate  nella  Val  di  Chiana  e  conseguentemente  i  due  laghi 
contemporanei  e  pliocenici  della  Chiana  e  delTArno  si  fossero 
trovati  in    diretta    comunicazione,   non   potevano   mancare  nei 
dintorni  d'Arezzo  ne  fossili  né  terreni  propri   di    quel    periodo 
geologico.  L'  assenza  di  questi  che  si  riscontra  per  tutta  quanta 
la  pianura  aretina,  mostra  come  dissi  e  qui  mi  piace  ripetere, 
che  i  dintorni  di  essa  città  si  trovavano  allora  sollevati  ed  impe- 
divano quindi  il  flusso  da  quella  parte  alle  acque  del  Valdarno 
superiore  (  ;.  Ma  non  basta  l'Arno  scendendo  dal  Casentino  e  tro- 
vando quei  terreni  sollevati  non  poteva  dirigersi  a  Sud,  come 
poi  per  circostanze  mutate  fece  nell'epoca  quaternaria;  quindi 
doveva  come  oggi  volgere  verso  il  lago  del  Valdarno  superiore 
e  scaricarsi  in  esso^*;,  contribuendo  così  in  gran  parte    a    col- 
marlo e  a  fornirgli  le  acque  necessarie  a  mantenerne  la  vastità. 
Quest'  ultima  opinione    scuoterà    alquanto  l' idea  ormai   da  un 
pezzo  professata  dai  geologi  che  1'  Arno  fino  dal  pliocene  fosse 
tributario  del  lago  della  Chiana;  ma  quando  si  ammetta  Ccome 
mi  sono  sforzato  di  dimostrare)    il  sollevamento  della  regione, 
oggi  occupata  dalla  pianura  aretina,  durante  il  pliocene,  il  fiume 
non  poteva   fluire  da  quella  parte,  a  meno  che  non  si  facesse 
strada  attraverso  ai  monti,  fino  ad    incidere   quelli  che  esiste- 
vano fra  Poggiale  e  Capo  di  Monto  e  costituire   il  taglio  e  la 
stretta  oggi  esistente  fra  le  due  località    summentovate.    Con- 
viene però  osservare  che  quella  stretta  oggi  è  solo  occupata  da 

(')  Il  Cocchi  dopo  aA'ere  ammesso  che  le  ac({ue  dell'Arno  e  quelle  del  lago  val- 
darnese  fluissero  verso  Arezzo,  non  sapendo  più  da  quali  acque  fosse  mantenuto  il  vasto 
lago  valdarnese,  ricorse  alT  ipotesi  che  esso  lago  ne  ricevesse  dalla  parte  di  Nord- 
Ovest.  (Cocchi  -  V  Uomo  fossile  nelC  Italia  centrale,  p.  '^H, 

(*)  Era  più  naturale  che  l'Arno  si  volgesse  da  quella  parte,  da  che  le  formazioni 
plioceniche  che  s'incontrano  fino  da  Rondine  mostrano,  che  il  fiume  aveva  minor  quan- 
tità di  roccia  da  erodere  da  ({uella  parte  per  raggiungere  la  bassura  del  Valdarno  di 
quello  che  non  avesse  da  Sud  per  incontrare  a  Vicomaggio  quella  della  Chiana. 


CONSIDERAZIONI  GBOLOQIOfl£  SUL  VALDARNO  SUPERIORE  SC.  279 

formazioni  quaternarie,  e  quindi  è  logico  far  rimontare  a  quel- 
r  epoca  la  sua  origine  e  non  ad  una  anteriore;  tanto  più  che 
in  questo  modo  si  trova  che  la  sua  formazione  è  in  corrispon- 
denza del  generale  abbassamento  dei  dintorni  d'Arezzo,  il  quale 
diede  luogo  al  Iago  quaternario  e  alla  deltazione  operata  dal- 
l'Arno in  esso  lago  e  nel  successivo  della  Val  di  Chiana  comu- 
nicante col  primo  per  la  suindicata  stretta  di  Capo  di  Monte. 

Per  ciò  che  riguarda  il  vuotamento  del  lago  del  Valdarno, 
questo  non  poteva  succedere  altro  che  per  la  potenza  raggiunta 
dai  depositi  operativi  dall'  acque  da  una  parte,  e  dall'  altra  per 
r  abbassamento  subito  dai  dintorni  della  città  d'Arezzo  sul  finire 
del  periodo  pliocenico;  per  il  quale  abbassamento,  come  dicemmo, 
si  formò  il  lago  quaternario  che  comunicava  con  quello  con- 
temporaneo della  Val  di  Chiana,  e  l'Arno  cessò  di  essere  tribu- 
tario del  lago  pliocenico  valdarnese,  e  trovò  il  suo  naturale  scolo 
verso  la  depressione  dei  dintorni  d'Arezzo  e  la  colmò  operandovi 
quella  deltazione  che  si  e^stese  anche  a  buon  tratto  della  pianura 
della  Chiana  dopo  avere  superata  la  stretta  dì  Capo  di  Monte. 

Le  idee  qui  esposte  mi  vennero  in  mente  or  fa  un  anno 
allorché  intrapresi  un  ascursione  nei  dintorni  d'Arezzo  allo  scopo 
di  ricercare  ivi  il  pliocene  marino,  di  cui  sospettavo  l'esistenza 
dopo  la  lettura  dei  lavori  del  prof.  Carlo  De-Stefani. 

Chiuderò  questa  nota  geologica  colla  speranza  di  aver  fatto 
per  parte  mia,  qualche  cosa  che  concorra,  almeno  per  i  fatti  e 
le  osservazioni  esposte,  a  fare  un  poco  di  luce  sull'  argomento. 


M.  CANAVARI 


POSSILI  DEL  LIAS  INFERIORE 


DEL 


GRAN    SASSO    D'ITALIA 

RACCOLTI 

DAL  PROF.  A.  ORSINI  SELL'ASìiO  1840 


Adunanza  siraordinaria  del  di  14  decambrt  1884 


Una  preziosa  raccolta  di  fossili  della  più  elevata  montagna 
dell'Appennino  si  trovava  nel  museo  geologico  di  Pisa,  celata 
agli  occhi  del  pubblico  in  uno  dei  molteplici  cassetti  nei  quali, 
per  ristrettezza  di  spazio  delle  collezioni  esposte,  sono  racchiusi 
tanti  e  tanti  tesori  scientifici.  Ricercando  in  quei  cassetti  fu  per 
me  una  somma  fortuna  di  rinvenire  tale  raccolta  e  leggere  nelle 
etichette  di  essa  e  sugli  esemplari  stessi  delle  roccie  la  data  1840. 
Verso  questo  tempo  V  infaticabile  prof.  A.  Orsini,  per  ricerche 
botaniche  e  geologiche,  e  in  quest'  ultime  valevolmente  coadiu- 
vato dal  conte  A.  Spada  Lavini,  aveva  già  percorso  e  ripercorso 
tutto  quel  tratto  di  Appennino  che,  dalle  Alpi  della  Luna  al 
Nord,  si  estende  a  mezzogiorno  sino  alle  grandi  catene  del 
Monte  Corno  e  della  Maiella.  Di  quasi  tutti  gli  e>eraplari  è  in- 
dicata la  provenienza,  e  su  alcuni  si  legge,  di  scrittura  del- 
l' Orsini  medesimo  :  Coni  alti  del  Piccolo  Corno,  Coni  ultimi  del 
Piccolo  Corno,  o  finalmente  Vetta  del  Corno  Piccolo;  ciò  che  fa 
arguire  eh'  egli  raggiungesse  le  sommità,  di  questa  parte  del 
Gran  Sasso,  ritenuta  generalmente   impraticabile  anche  sino  a 


[6]  FOSSILI  DEL  LIAS  INFERIORE  DEL  GRAN  SASSO  d' ITALIA   ECC.  281 

questi  ultimi  tempi.  Noi  avemmo  gik  occasione  di  dire:  „  Ora 
la  montagna  (Gran  Sasso  d' Italia)  è  riconosciuta  non  difficil- 
mente accessibile  quasi  da  ogni  lato  e  viene  percorsa  e  ascesa 
di  frequente  da  studiosi  e  da  escursionisti.  Solo  la  vetta  del 
Piccolo  Corno,  che,  veduta  dal  Teramano,  si  presenta  come  il 
Dente  del  Gigante,  non  è  stata  ancora  raj^giunta;  ma  ciò 
non  deve  sorprendere  quando  si  pensi  che  qua  mancano  le  guide 
esperte  e  coraggiose  che  si  trovano  nelle  regioni  alpine  „  (*). 

Chi  ebbe  la  ventura  di  conoscere  V  Orsini,  o  di  sentire  la 
fama  eh'  egli  ha  lasciato  di  se  nei  montanari  deirAppennlno, 
che  più  e  più  volte  lo  videro  cimentare  la  vita  in  alpestri  bur- 
roni per  cogliere  una  pianta  rara  o  estrarre  dalla  roccia  un 
pietrefatto,  non  si  meraviglierà  al  certo  nel  sapere  eh'  egli,  dopo 
aver  esplorato  buona  parte  dell' Appennino,  si  avventurasse 
eziandio,  con  esito  felice,  di  raggiungere  e  scrutare  il  punto  più 
aspro  e  più  difficile  di  tutta  la  catena.  La  memoria  di  una  si- 
mile escursione  non  ci  fu  tramandata  da  nessuna  pubblicazione, 
e  sono  lieto  di  poter  ora  ricordare  un  fatto  sconosciuto,  non 
tanto  in  riguardo  alle  difficoltà  superate,  quanto  per  le  raccolte 
paleontologiche  fatte  in  queir  eccelso  picco  dell'  Appennino 
abruzzese. 

Sulla  vetta  del  Corno  Piccolo  prevale  un  calcare  grigio-ch  aro, 
talora  con  selce,  identico  litologicamente  a  quel  lembo  che  si 
trova  alla  Conca  degli  Invalidi  e  che  rapportammo  al  Lias 
medio  (-).  Risulta  qua^i  completamente  costituito  di  frammenti 
di  steli  di  crinoidi  {Miller ter inus  sp.,  Pentacrinus  cfr.  basalliformis 
Mttnst.)  e  di  radioli  di  echinodermi.  Fra  questi  sono  rimarchevoli 
alcuni  esemplari,  tre  dei  quali  qui  figurati  (tav.  VI,  tìg.  14-16), 
e  indicati  come  Cidaris  sp.  ind.  Essi  hanno  qualche  analogia  con 
i  radioli  della  Cidaris  fiorigemma  Phill.,  specie  frequentissima 
nel  Giura.  L'esemplare  indicato  con  la  fig.  16  è  quello  che  si 
avvicina  di  più  a  questa  specie  per  la  regolare  disposizione  lon- 
gitudinale dei  granuli  spiniformi;  tutti  però  se  ne  allontanano 
*per  non  avere  i  granuli  riuniti  mercè  un  sottile  filetto,  ciò  che 
si  osserva  costantemente  nella  C.  fiorigemma  Phill.  Si  aggiunga 

(*)  La  regione  centrale  del  Gran  Sasso  d* Italia,  Osservazioni  geologiche  di 
L.  Baldacci  e  M.  Canavari  (con  tavola  di  Rezioiii).  Bollettino  d.  R.  Com.  geol. 
Voi    XV,  pag.  347.  Roma,  1884. 

n  i.  e. 


t^^i  %.  CASIVIRI  'T 

infine  che  la  forma  del  Gran  Sasso  sì  trova  associata  ad  altri 
foj^ili  %\fh\X'AX\W  ;ì]  Lias  meglio.  Cosi  ne^Ii  esemplari  di  roccie 
della  sommità  del  Piccolo  Corno  abbiamo  notato  V  impronta  di 
una  ammonite  mal  definita,  ma  che  pur  tuttavia  sembra  essere 
dì  Sfiecie  appartenente  al  gruppo  del  Harpoceras  algorianum  Opp., 
eri  una  l/ellìssima  Ijepfaena  V),  la  quale  corrisponde  perfettamente 
alla  Ijefdaena  fornicala  Canav.;  specie  entrambi  del  Lias  medio, 
e  la  seanida  rinvenuta  già  alla  Conca  degli  Invalidi  {*).  Havvi 
quindi  anche  corrisponden/a  paleontologica  tra  i  calcari  della 
vetta  del  Corno  V\cca)\o  e  quelli  della  Conca  degli  Invalidi,  ciò 
che  viene  a  convalidare  V  interpretazione  stratigrafica  che  il 
Baldacci  ed  io  avevamo  data  della  tettrmica  del  Gran  Sasso 
nella  se/ione  8.-N.  intersecante  il  Corno  Grande  e  il  Corno 
l'iccolo,  dopo  avei*  percorso  tutto  il  primo  picco  ed  esserci  li- 
mitati ad  osservazioni  nelle  pendici  occidentali  e  settentrionali 
del  secondo,  senza  toccarne  la  sommità  (). 

Sì  deve  però  anche  dire  che  un  esemplare  in  cui  è  scritto 
(Joni  alti  del  Piccolo  Corno,  1840,  risulta  di  un  calcare  bianco, 
crÌHtallino,  farinoso,  identico  a  quello  della  maggiore  vetta  del 
Gran  Sasso,  e  spettante  al  Lias  inferiore.  Da  questo  frammento 
di  roccia  Iio  potuto  estrarre  un  fossile  benissimo  conservato, 
elio  corrÌ8|)onde  alla  (Jhemnitzia  (Oonia)  iurgidula  Gemm.,  specie 
del  liias  inferiore.  Non  ò  improbabile  che  questo  pezzo  di  roccia 
sia  stato  tolto  dai  coni  più  orientali,  nei  quali,  oltre  il  Lias 
inferiore,  dove  succedere  anche  il  Trias;  ma  in  ogni  modo  tale 
fatto  fa  supporre  che  qualche  lieve  complicazione  stratigrafica, 
dal  lialdacci  e  da  me  non  potuta  rilevare,  implichi  le  sommità 
del  Piccolo  Corno. 

Oltre  ai  sopra  citati  fossili  del  Lias  medio  T  Orsini  ne  rac- 
colse altri  nella  vetta  del  Gran  Sasso,  alcuni  dei  quali  portano 
r  indicazione:  Punta  a  Levante  del  Corno  Grande.  Per  la  maggior 
parto  sono  ossi    minuti  gasteropodi    con    qualche  raro  lamelli- 

■ 

(M  QilOHta  ologaiito  conolìi^j^liu  fu  Rtudiuta  dal  Meneghini,  che,  riconoscendola' 
nuova,  la  ohiauiò  Lrpiat*na  Orsinii,  Non  ini  era  noto  1*  esemplare  in  parola  quando 
io  iloncrin»!  itlontion  »pocio  col  nomtMiì  L ,  fornicata  {Contribuì.  Ili  alla  conosc,  d. 
nmch.  </.  Str  II  7*.  Aspasia  Muh.  eoe.  Atti  Soc,  tose,  d.  Se.  nat.  Voi.  VI,  Pisa, 
I8S3)  |)oiolu^  alirìmonti  avriM  con^torvato  quel  nome  in  segno  di  rispetto  e  di  vene- 
ratione  al  M.i<^«(rtì  «  a  ricordo  M  prof.  A.  Orsini. 

{^)  La  i*^ioii(»  i*entr.  d,  (h-ttn  Sasso  ecc..  pag.  1^53. 

v^)  /.  i\  Tav.  vn,  tÌK.  a. 


[8]  FOSSILI  DEL  LIAS  INFERIOBE  PEL  GBAN  SASSO  D^  ITALIA  ECC.  283 

branco,  pregievolissimì  per  rara  conservazione,  sijwili  a  quelli 
che  già  vi  rinvenimmo  (*),  riferibili  al  Lias  inferiore  e  corrispon- 
denti a  quelli  del  calcare  cristallino  di  Sicilia,  interposto  tra 
gli  strati  a  T.  Aspasia  Mgh.  e  il  Retico  (*). 

L* oggetto  principale  della  presente  nota  h  la  descrizione  di 
questi  eleganti  fossili,  nelle  cui  superficie  si  sono  potuti  rilevare 
i  più  particolareggiati  caratteri  della  conchiglia,  ciò  che  forse 
varrà  a  scusare  i  soverchi  nomi  nuovi  usati  anche  per  esemplari 
conservati  solo  in  frammenti.  Ho  colto  poi  V  occasione  per  figu- 
rare e  descrivere  anche  un  crinoide  (tav.  VI,  fig.  17)  rinvenuto 
dal .  Baldacci  e  da  me,  insieme  ad  altri  fossili,  nel  Lias  inferiore 
esteso  al  vallone  della  Grotta  dell'Oro  (^). 


DESCRIZIONE  DELLE  SPECIE 


MOLLUSCA 

CI.  6ASTR0P0DA 

Gen.   Searrlopsls   Gemm. 
Scnrriopsis  (?)  Orsinìi  n.  f. 

Tav.  VI,  ùg.  12. 


• 


Altezza nam.  5,5 

Diametro  antero-posteriore >         9 

»         laterale »         9 

Conchiglia  spessa,  subconica,  a  base  quasi  circolare,  convessa 
posteriormente  e  anteriormente  alquanto  concava.  L'  apice  è  un 
poco  spostato  verso  la  parte  anteriore  e  termina  con  punta 
mammillare.  La  superficie  è  ornata  da  numerose  e  sottili  co- 
stole radiali  che  vanno  diminuendo  in  grandezza  dalla  base  verso 

(*)  La  regione  centr.  d.  Gran  Sasso  ecc.,  pag.  351 . 

(*)  G.  Gbmmellaro,   Sopra   ale.    faune  giur,    e  lias.  di    Sicilia  ecc.    Palermo, 

1872-82. 

(3)  La  regione  centr, ^d.  Gran  Sasso  ecc.  pag.  351.  ^ 


284  M.  CANAVARI  [9] 

la  regione  apiciale.  Con  una  semplice  lente  di  ingrandimento 
sono  inoltre  visibili  delle  sottilissime  linee  o  rughe  concentriche. 
I  caratteri  interni,  relativi  alle  impressioni  muscolari,  sono 
sconosciuti. 

Per  la  ornamentazione  questa  forma  si  rapporta  al  genere 
Scurriopsis  come  fu  definito  dal  Gemmellaro  ('),  ma  se  ne 
allontana  per  la  conformazione  dell'apice  terminante  in  punta 
mammillare,  carattere  che  la  farebbe  invece  riunire  al  genere 
Scurria.  Nelle  specie  però  di  questo  genere  si  rileva  quasi  co- 
sta ntemente  la  mancanza  delle  costicine  radiali. 

La  Scurriopsis (ì)  Orsinii u.f.  porgli  ornamenti  esteriori  ricorda 
le  specie  del  Lias  inferiore  Se.  Neumdyri  Gemm.,  Se.  Sarloriusi 
Gemm.,  Se.  Blakei  Gemm.  (*)  ravvicinandosi  però  maggiormente 
a  quest'  ultima.  Da  tutte  poi  facilmente  si  distingue  per  la  forma 
del  contorno  della  base,  che  è  quasi  circolare  e  non  ovale  o 
ellittico,  e  per  le  indicate  concavità  e  convessità  rispetti vament;e 
posteriore  ed  anteriore. 

Gen.  Lilotla  Gray. 
Lietta  circamcostata  Ganav.  *8p. 

1879.  Straparollus  circumcostatus   Canavari,  Sui  foss.  d.  Lias  inf. 

nelVApp.  Centr.  Att.  d.  Soc. 
tose,  di  Se.  nat.  Voi.  IV,  pag. 
147,  tav.  XI,  fig.  3. 
1872-82.  Liotia  circumcostata  (Canay.  sp.)  Gemmellaro,  Sopra  ale. 

faune  giur.  e  lias.  di  Sicilia.  In 
nota,  pag.  340. 

1880.  „  ^  Cànàyabi,  La  montagna  del  Suavieino,    . 

Boll.  .d.  R.  Com.  geol.  Voi.  XI. 
pag.  61. 

• 

Un  piccolo  frammento  di  anfratto,  in  parte  racchiuso  nella 
roccia,  corrisponde  completamente  agli  esemplari  raccolti  nel 
Lias  inferiore  di  altre  località  dell'Appennino  centrale  (San vicino, 
Grotte  di  S.  Eustachio).  Esso  misura  mm.  6  di  lunghezza  ed  è 
ornato  da  tre  costole  trasversali  con  piccole  prominenze  o  tu- 

(*)  Sopra  ale,  faune  giur,  ecc,,  pag.  379. 
(«)  /.  e. 


[10]  F038IU  DEL  LIAS  INFEUfORC  DEL  ORÀN  S\SSO  U^  ITALU  EC.  285 

berceli  nei  margini  interno  ed  esterno.  Questi  tubercoli  sono 
appaiati  nel  margine  ombilicale,  però  non  tutti  hanno  eguale 
grandezza,  e  quelli  che  si  trovano  nella  parete  interna  sono  i 
più  piccoli.  Le  strie  longitudinali  sottilissime,  poco  numerose, 
passano  anche  sopra  le  costole  e  sui  tubercoli:  se  ne  contano 
circa  7  nella  metà  visibile  di  un  anfratto,  che  ha  il  diametro 
di  mm.  3.  Esse  sono  meno  numerose  di  qn^le  che  si  riscontra- 
rono neir  esemplare  originale.  La  bocca  non  h  conservata  e  la 
sezione  dell'  anfratto,  quando  non  corrisponde  alle  costole,  è 
pressoché  circolare,  quando  vi  corrisponde  si  osservano  piccole 
sporgenze  relative  ai  tubercoli  delle  costole  stesse. 

Questa  specie,  che  rapportai  al  genere  StraparcHlm,  deve 
ascriversi  alle  Ldatioe,  come  fece  osservare  giustamente  il  Qem- 
mellaro.  Si  noti  poi  che  le  forme  più  antiche  dì  Liotiae  erano 
titoniane. 

Per  gli  ornamenti  degli  anfratti,  consistente  in  costole  tra- 
sversali variciformi  e  in  istrie  longitudinali,  la  descritta  specie 
ricorda  assai  una  specie  frequentissima  in  Hierlatz  e  nelle  Alpi 
di  Gratz  (*)  che  appartiene  a  tutt'  altro  genere,  e  cioè  la  Neritepsis 
elegantissima  HOrnes.  L'  "accrescimento  degli  anfratti ,  la  depres- 
sione della  spira  cosi  pronunciata  da  dare  alla  conchiglia  la 
forma  quasi  discoidale,  e  T  ampio  ombilico,  stabiliscono  subito 
nella  specie  ddir  Appennino  diversità  generica  (J). 


(*)  F.  Stoligzka  —  Ueb,  d,  Qastrop,  ti.  Aceph.  d.  Hierlati~Schichten.  Sitzungsb. 
d.  k.  Ak.  d.  Wi8s.  XLIII  B.,  pag.  179,  Wien,  1861. 

(*)  La  Liotia  circumcostata  Ganav.  del  Lias  inferiore  sarebbe  stata  sino  ad  ora 
la  specie  più  antica  del  genere.  Ma  sembra  invece  che  il  genere  Liotia  abbia  rappre- 
sentanti in  terreni  ancora  più  antichi,  e  precisamente  nel  Trias.  L*  ing.  Zaccagna 
avrebbe  di  recente  infatti  trovato  nella  formazione  marmifera  delle  Alpi  Apuane,  in 
un  piano  non  certo  dei  più  superiori,  una  località  sommamente  interessante  con 
qualche  ammonite  e  numerosissimi  e  piccoli  gasteropodi,  tra  i  quali  sono  frequenti 
esemplari  di  piccole  Liotiae.  Queste  corrispondono  per  la  maggior  parte  dei  carat- 
teri alla  specie  appenninica  del  Lias  inferiore,  e  la  sola  differenza  che  vi  si  riscontra 
è  relativa  alle  minori  dimensioni.  Ammettendo  come  probabile,  senza  tuttavia  ora 
asserirlo,  che  la  Liotia  dei  marmi  sia  la  medesima  specie  di  quella  dell'Appennino, 
questo  fetto  non  potrebbe  nulla  influire  intorno  air  età  triasica  dei  marmi  medesimi, 
ormai  riconosciuta  ed  accertata  da  molteplici  ed  accurate  osservazionL  È  noto  in- 
fatti che  i  gasteropodi  hanno  generalmente  un*  ampia  distribuzione  nel  t^mpo»  e 
per  non  citare  molti  esempi  ricorderemo  che  parecchi  gasteropodi  del  Trias  alpino 
(Hauptdolomit^  trovano  specie  identiche  o  analoghe  in  formazioni  liasicbe  (▼.  Am- 
MON,  Die  Gastrop.  d,  Hauptd.  Abhandl.  d.  zooL -minerai.  Ver.  zu  Ragensborg.  Mùn- 
chen,    1878). 


286  M.    CANAVAKI  [11] 

Gen.    Trochas    Linn. 
Troehas  Signorinii  n.  f. 

Tav.  VI,    fig.  9. 

Lunghezza  della  conchiglia mm.  6 

Larghezza  dell'  ultimo  giro »    4,  5 

Angolo  spirale 50<* 

Conchiglia  piccola,  coniforme,  composta  di  8-9  giri  piani  o 
leggermente  depressi,  molto  bassi  e  crescenti  sotto  un  angolo 
rettilineo;  la  loro  altezza  sta  alla  larghezza  circa  come  1  :  4, 
essi  sono  riuniti  mercè  suture  profonde  e  distintissime.  Alla 
base  o  parte  anteriore  di  ogni  giro  scorre  un  cingolo  arroton- 
dato alquanto  sporgente  a  guisa  di  carena,  che  dà  una  forma 
tutta  speciale  alla  conchiglia,  ogni  giro  della  quale  è  ornato 
poi  da  tre  sottilissime  strie  longitudinali,  visibili  solo  con  una 
lente  d' ingrandimento.  La  base  depressa  è  un  poco  concava, 
angolosa  alF  esterno  e  non  ombilicata,  appare  del  tutto  liscia; 
apertura  più  larga  che  alta,  molto  depressa  nella  parte  interna 
e  quasi  subromboidale. 

Questa  specie  per  la  conformazione  della  base  e  deir  intiero 
ultimo  giro  ha  molta  analogici  con  il  Trochus  VoUai  Gemm.  (*), 
da  cui  però  si  distingue  per  tutti  gli  altri  ornamenti  e  in  ispecìal 
modo  per  la  presenza  della  carena  nella  parte  anteriore  degli 
anfratti  e  per  il  minor  angolo  spirale.  Per  questi  ultimi  carat- 
teri la  forma  del  Gran  Sasso  trova  delle  notevoli  rassomiglianze 
nel  D'ochus  torosus  Stol.  (^)  delle  Alpi  di  Gratz.  Ma  in  tale 
specie  oltreché  aversi  un  maggior  numero  di  strie  longitudinali 
(5  invece  di  3),  la  posteriore  di  queste  è  sporgente  a  guisa  di 
cingolo,  onde  la  sutura  dei  giri  si  trova  tra  due  sporgenze,  ciò 
che  dà.  alla  specie  tutt'  altra  forma. 

Al  nuovo  e  interessante  esemplare  assodante  caratteri  di 
due  specie  ben  diverse,  diamo  il  nome  del  R.  prof.  Signorini, 
intelligente  e  appassionato  ricercatore  di  fossili  della  provincia 
aquilana. 


(')  Sopra  ale.  faune  giur.  ecc.,  pag.  3jl,  tav.  XXVII,  fig.  35-38. 
(«)  Ueber  d.  Gastr.  u.  Aceph    ecc.,  pag.   170,  Taf.  I,  fig.   18. 


[12]  FOSSILI  DRL  LI  AB  1NFEBI0RS  NEL  GHiN  SASSO  D^ITALU  ECC.  287 

Gen.  Merlllna  Lara. 
Neritina  sp.  ind.  cfr.    N.  Cornaliae  Gemm. 

Tav.  VI,    fig.  10. 

1872-82.  Neritina  Cornaliae  Gemmellàro  (cfr.),    Sopra  ale.  faune 

n  n  giur,  e  lias,   di  Sicilia^    pag.  318, 

tav.  XXIV,  fig.  62-64. 

Lunghezza  della  conchiglia ram.  7 

Larghezza  dell*  ultimo  giro   ......      >      7 

Questa  piccola  conchiglia  obliquamente  ovata  corrisponde 
per  la  maggior  parte  dei  caratteri  alla  specie  cui  fu  paragonata. 
Non  si  è  potuto  tuttavia  assicurarne  la  corrispondenza  perfetta 
a  cagione  dell'incompleta  conservazione  dell'esemplare,  nel  quale 
mancano  quasi  tutto  il  labbro  interno  ed  i  caratteristici  denticuli 
nel  lato  coluraellare  indicati  dal  Gemmellàro. 

Gen.    Birrontla    Dosh. 
Bifrontia  eonjuncta  n.  f. 

Tav.  VI,  fig.  11. 

Porzione  degli  ultimi  due  anfratti  di  una  conchiglia  destrorsa 
discoidale,  posteriormente  piana  e  anieriormente  carenata.  La 
spira  si  accresce  rapidamente  e  1'  ultimo  anfratto  ha  un  diametro 
doppio  (mm.  4)  del  precedente  (mm.  2);  essa  è  pochissimo  in- 
voluta, r  ombilico  risulta  perciò  ampio  e  profondo.  La  parete 
ombilicale  è  leggermente  concava  ed  è  ornata  da  spesse  costoline 
o  pieghe  trasversali  (5  in  4  mm.),  che  aumentano  verso  il  lato 
superiore  rendendolo  crenulato;  indi  continuano,  diminuendo  in 
grossezza,  sulla  parete  anteriore  appena  concava  e  inclinata 
verso  r  esterno  sino  in  una  specie  di  cingolo  spirale  oltre  il 
quale  si  dilatono  e  svaniscono  (fig.  11  e).  Succedono  dipoi  altri 
due  cingoli  i  quali  comprendono  una  sottile  fascia  depressa, 
alla  quale  fa  seguito,  neir  ultimo  anfratto  e  nella  parte  esterna, 
una  carena  molto  sporgente.  Le  pieghe  fanno  un  angolo  ante- 
riore appena  pronunciato  sul   margine  crenulato.  Sulla  faccia 


288  M.    CANAVARI  [13] 

orabilicale  si  hanno  inoltre  delle  strie  longitudinali  visibili  solo 
con  lente  d'ingrandimento  (fig.  11  e).  La  faccia  apiciale  ha  le 
suture  degli  anfratti  molto  evidenti  e  sembra  del  tutto  liscia, 
né  si  è  potuto  in  essa  riscontrare  quelle  strie  d'accrescimento 
così  caratteristiche  per  la  loro  direzione  nella  determinazione 
del  genere  (').  L'  apertura  della  conchiglia  anziché  ripetere  la 
forma  triangolare  o  subtriangolare  dell'anfratto,  è  irregolarmente 
ovulare,  poiché  le  angolosità  esteriori  provengono  dal  diverso 
spessore  del  guscio  e  non  implicano  la  parete  interna;  la  qual 
cosa  é  evidente  nell'  esemplare  descritto,  che  ha  la  particolarità 
di  avere  la  conchiglia  in  uno  stato  di  buona  conservazione. 
Nella  figura  116,  che  dà  la  sezione  della  bocca,  non  é  indicata 
la  carena  esterna,  perché  nell'  esemplare  essa  era  in  quel  punto 
mancante,  come  si  rileva  dalla  tìg.  Ila. 

Il  genere  Bifrontia,  limitato  ai  terreni  eocenici,  fu  fatto  co- 
noscere dal  Gemmellaro  (*)  anche  nel  Lias  inferiore,  e  la  specie 
eh'  egli  descrisse  con  il  nome  di  Bifrontia  Scacchiij  si  avvicina 
immensamente  alla  forma  del  Gran  Sasso.  Le  differenze  che  vi 
ho  notato  relative  agli  ornamenti  esteriori  di  pieghe  evidenti 
anche  nell'  ultimo  giro,  di  cingoli  e  strie  spirali,  che  non  furono 
indicati  nella  specie  di  Sicilia,  e  la  conformazione  dell'  apertura 
mi  hanno  indotto  a  distinguerla  con  un  nome  nuovo. 

6en.    Cllmaelna   Gemm. 

Cliniacina  Mariae  Gemm. 
Tav.  VI,  fig.  0. 

1872-82.  Climacina  Mariae  Gemmellaro,  Sopra  ale,  faune  giiir.  e 

lias.  di  Sicilia,  pag.  245, tav.  XXII, 

fig.  30-35. 
1884.  „  „       (Gemm.)  Baldàcci  e  Canàvari,  La  regione 

rentr,  d.  Gran  Sasso  d'Italia,  Boll. 

d.  R.  Com.  geol.  Voi.  XV,  pag.  351. 

Un  bello  esemplare  corrisponde  perfettamente  per  la  forma 
e  sviluppo  dei  giri  a  gradinata  con  la  specie  di  Sicilia,  e  pre- 

(*)  Sopra  ale.  faune  giur,  ecc.,  pag.  363. 

C)  L  e,  tav.  XXVn,  fig.  55-59,  tav.  XXVHI,  fig.  5,  6. 


t 


[14]  FOSSILI  t)BL  LIAS  ItfìTBRIOBK  DEL  GRAN  SASSO  D^  ITALIA  ECC.  289 

cìsamente  con  la  forma  giovanile  indicata  dal  Gemmellaro  con 
le  figure  30-33.  Aqche  per  gli  ornamenti  esteriori,  che  consistono 
in  sottilissimi  cìngoletti  longitudinali,  è  analoga  alla  specie  cui 
è  stata  riferita. 

Un  altro  esemplare  appartenente  alla  medesima  specie  rac- 
cogliemmo il  Baldacci  ed  io  sulla  vetta  del  Gran  Sasso:  quest'ul- 
timo è  conservato  nelle  collezioni  del  B.  Comitato  geologico 
in  Roma. 

Gen.    ChemiiKzIa    d*Orb. 

Sabgen.   Oonla   Gemm. 

Oonia   tnrgidala    Gemm. 

1872-82.  Chemnitzia  (Oonia)  turgidula  Gemm ellabo  ,  Sopra  ale.  faune 

giur,  e  liete,  di  Sicilia^  pag.  273, 
tav.  XXII^  fig.  12,  13.     . 

Conchiglia  liscia,  lunga  circa  mm.  12,  crescente  sotto  un 
angolo  spirale  di  40%  composta  di  6-7  giri  involuti,  l'ultimo 
.  dei  quali  ventricoso  alto  mm.  7  e  largo  del  pari  7  millimetri. 
Un  poco  più  piccolo  quindi  dell'  esemplare  figurato  dal  Gemmel- 
laro, corrisponde  ad  esso  per  le  proporzioni  e  per  tutti  i  carat- 
teri relativi  all'  accrescimento  della  spira  e  alla  conformazione 
della  bocca. 

Il  citato  esemplare  è  di  somma  importanza  in  quanto  che 
è  r  unico  fossile  spettante  al  Lias  inferiore  raccolto  sulle  cime 
del  Corno  Piccolo,  e,  come  è  stato  gih,  indicato  (pag.  282  [7]),  nel 
pezzo  stesso  del  calcare  da  cui  fu  estratto  è  l' indicazione  : 
Coni  alti  del  Piccolo  Corno,  1840. 

Gen.    Cerlthlam  Adans. 
Cerithlnm  Orsiaii  n.  f. 

Tav.  VI,  fig.  1. 

Lungkesza  della  conchiglia. '  mm.  13 

Larghezza  dell*  ultimo  giro »       7 

Angolo  spirale 37<^ 

Conchiglia  piccola,  di  forma  conica,  crescente  sotto  un  angolo 
a  lati   un   poco   convessi,  composta  da  numerosi   e  bassi  giri, 

S9,  Nat.  Voi.  II  fascic.  2.  19 


290  II.  CANAYARI  [15] 

riuniti  da  suture  rettilinee  non  molto  marcate.  Ogni  giro  è 
ornato  da  8  sottili  strie  longitudinali  ondulate  e  da  una  doppia 
serie  di  granuli  o  tubercoli,  T  una  anteriore  di  12  tubercoli  ar- 
rotondati, r  altra  posteriore  di  un  numero  doppio  di  elementi, 
alquanto  minori  in  grandezza  e  sporgenza.  Non  sembra  che  le 
strie  attraversino  questi  tubercoli.  L'  ultimo  giro  è  incompleta- 
mente conservato;  nella  base  si  notano  tre  marcate  strie  con- 
centriche verso  la  parte  esterna  (fig.  1  6),  che  è  un  poco  care- 
nata. Traccia  molto  mal  definita  della  columella. 

Questa  specie  è  affine  al  C.  Pironai  Geram.  (*)  del  Lìas  in- 
feriore di  Sicilia,  da  cui  si  distingue  facilmente  per  V  angolo 
spirale  più  aperto  e  per  il  numero  maggiore  delle  serie  dei 
tubercoli  nella  parte  posteriore  del  giro.  Ha  anche  qnalche  ana- 
logia per  la  forma  della  conchiglia  con  il  C  Ilerbichi  Gemm.  (*), 
ma  se  ne  allontana  per  la  disposizione  e  numero  dei  noduli  e 
per  la  forma  della  sutura  dei  giri. 

Geritliium  apenninicnm  n.  f. 

Tav.  VI,  fig.  2. 

Lunghezza  approssimativa  della  conchiglia    mm.  10 

Larghezza  dell*  ultimo  giro »       6,5 

Angolo  spirale 41^ 

Conchiglia  piccola,  di  forma  conica  tendente  alla  pupoide, 
composta  di  giri  molto  bassi,  rilevati  nel  mezzo  e  uniti  da 
suture  rettilinee  ben  distinte.  Nella  parte  centrale  di  ogni  giro 
si  trovano  9  tubercoli  arrotondati,  piuttosto  grandi,  e  4  cingoli 
longitudinali,  dei  quali  3  anteriori  ai  tubercoli  e  uno  tra  i  tu- 
bercoli medesimi.  I  tubercoli  di  un  giro  non  corrispondono  pre- 
cisamente a  quelli  del  giro  precedente,  ma  tendono  ad  essere 
alternanti.  La  base  dell'  ultimo  giro  e  i  caratteri  relativi  alla 
bocca  non  sono  conservati  nell'  esemplare  esaminato. 

La  semplice  serie  di  noduli  e  la  disposizione  delle  strie  tra- 
sversali, danno  un  carattere  tutto  speciale  alla  forma  descritta, 
da  non  farla  assomigliare  o  riferire  a  nessuna  delle  specie  liasiche 
di  Cerithii  sino  ad  ora  conosciute. 


(')  Sopra  ale.  faune  giur.  ecc,^  pag.  293,  tav.  XXllI,  fig.  45,  46. 
(«j  /.  e.  pag.  294,  tav.  XXIIl,  fig.  47,  4<. 


.  »  •  •  • 

[16}  FOSSILi  DEL  UAS  INFSBIOBR  DEL  QBAN  SASSO  d' ITALIA  ECC.  291 

Gerithinm  Spadai  n.  f. 

Tav.  VI,   fig.  4. 

Lunghezza  approssimativa  della  conchiglia    .    .    .    mm.  25 

Larghezza  dell'ultimo  giro  conservato »       4,5 

Angolo  spirale  calcolato 16^ 

Conchiglia  conico-allungata  e  quasi  cilindrica,  a  giri  piuttosto 
alti,  piani  nella  parte  centrale  e  carenati  in  quella  posteriore, 
riuniti  da  suture  poco  manifeste.  Ogni  giro  è  ornato  da  tre 
serie  di  granuli,  quella  posteriore  posta  sulla  carena  è  composta 
di  11  marcatissimi  granuli  arrotondati  e  molto  sporgenti;  le 
altre  due  anteriori  risultano  di  granuli  più  piccoli,  che  sembrano 
essere  riuniti  da  cingoli  longitudinali;  oltre  di  ciò  si  hanno, 
numerose  e  sottilissime  strie  longitudinali  visibili  solo  con  una 
lento  d' ingrandimento. 

Anche  in  questo  esemplare  si  deve  lamentare  Y  insufficienza 
della  conservazione  per  una  completa  descrizione;  d' altro  canto 
i  distintissimi  caratteri  esteriori  così  interessanti  nei  Cerithii  e 
in  generale  in  tutti  i  gasteropodi,  vorranno  scusare  il  nome 
nuovo.  La  triplice  serie  di  noduli  riscontrata  nel  Cerithium 
Spadai  n.  f.,  e  la  sua  forma  conico-allungata,  la  separano  net- 
tamente dalle  altre  specie  note  del  genere. 

Cerithium  sp.  ind.   efr.  C.  Strueverl  Gemm. 

Tav.  VI,  fig.  3. 

1872-82.  Cerithium  Sfrueveri  Gemììellabo  (efr.),   Sopra  ale.  faune 

giur.  e  Mas,  di  Sicilia^  pag.  297, 
tav.  XXV,  fig.  29,  30. 

Porzione  di  spira  della  lunghezza  di  mm.  6,  di  una  conchiglia 
mancante  dei  primi  e  degli  ultimi  giri,  di  forma  conica  e  al- 
quanto pupoide,  carattere  non  bene  espresso  neir  ingrandimento 
(fig.  3J).  I  giri  sono  riuniti  da  suture  profonde  e  inarcate,  ed 
ornati  da  8  pieghe  molto  sporgenti  intersecate  da  sottili  cingoli 
e  strie  longitudinali  come  nel  Cerithium  Sfrueveri  Gemm.  Le 
pieghe  0  costole  trasversali  havino,  tanto  nella  parte  anteriore 
del  giro,  quanto  in  quello   posteriore,  una   piccola  prominenza 


292  U.   CANAVARl  [il] 

a  guisa  di  nodulo,  sul  quale  passa  un  cingolo  longitudinale  di 
maggior  rilievo  degli  altri;  cosicché  in  ogni  giro  si  avrebbero 
due  cingoli  più  evidenti  degli  altri  invece  di  tre,  come  nella 
specie  di  Sicilia.  Ver  questa  lieve  differenza,  per  la  conforma- 
zione delle  costoline  trasversali,  e  sopratutto  a  causa  deir  im- 
perfezione dell'esemplare  esaminato,  non  mi  è  sembrato  poterne 
accertare  l'identità  con  la  specie  illustrata  dal  Qemmellaro,  con 
la  quale  certamente  ha  a  comune  moltissimi  caratteri. 

Gen.   Cerlthliiella    Gemm. 
Gerithinella  flscellenseO  n.  f. 

Tav.  VI,    fig.  7. 

Lunghezza  della  conchìglia.    .    •    .    .    .    mm.  H 

Larghezza  dell'  ultimo  giro »       4 

Angolo  spirale 14^ 

Conchiglia  conico-allungata,  a  giri  bassi,  leggermente  concavi 
nel  mezzo,  sporgenti  in  una  piccola  carena  anteriore  sulla  quale 
si  trova  una  serie  di  12  granuli  arrotondati  o  ovali  molto 
marcati,  inoltre  ogni  giro  è  ornato  da  numerose  e  sottilissime 
costicine  o  cingoli  (da  14  a  16)  ondulati  e  di  apparenza  gra- 
nulosa, ciò  che  dipende,  secondo  il  Gem  mollare  (-),  dall'incontro 
di  esse  con  le  strie  trasversali  di  accrescimento.  Nella  parte 
posteriore  degli  ultimi  due  giri  conservati  si  ha  poi  una  seconda 
serie  di  minutissimi  granuli  distinguibili  ad  occhio  nudo  sola- 
mente sotto  una  conveniente  incidenza  di  luce.  La  linea  sutu- 
rale, che  cade  tra  le  due  serie  di  granuli,  è  appena  marcata. 
La  bocca  e  tutti  i  caratteri  relativi  all'  ultimo  giro,  come  anche 
le  strie  di  accrescimento  sono  sconosciuti. 

11  descritto  esemplare  è  strettamente  affine  per  la  sua  forma 
con  la  Ceritìdnella  elegnns  Gemm.  ()  del  Lias  inferiore  di  Sicilia. 
I  caratteri  differenziali  riscontratevi  sono  relativi  al  maggior 
numero  dei  cingoli  longitudinali  e  sopratutto  al  numero  e  di- 

•(' )  Dair aatico  nome  moìxs  Fiscellus  con  cui  s'indicava  probabilmente  tutta  la 
cntcna  montuosa  compresa  tra  i  fiumi  Tronto  e  Atorno,  il  punto  culminante  della  quale 
ò  il  Gran  Sa^.-^o. 

C^)  Sopra  ale.  faune  (/tur.  ecc.^  pag.  2^». 

(=»)  /.  e,  i.ag.  285,  tav.  XXIII,  fìjf.  3-1-37,  tav.  XXV,  fig.  23. 


[18]  FOSSILI  DKL  LIAS  IXFEK.ORE  DEL  GRAN  SASSO  I»' ITALIA  ECC.  293 

Bposizione  della  serie  dei  piccolissimi  granuli  nella  parte  poste* 
riore  degli  anfratti.  Nella  specie  di  Sicilia  infatti  la  seconda 
serie  è  composta  di  un  numero  di  granuli  pressoché  eguale  alla 
prima,  mentre  in  quella  del  Gran  Sasso  il  numero  ne  è  doppio, 
ed  i  granuli  sono  anche  molto  più  piccoli.  NelT  ingrandimento 
di  un  giro  figurato  dal  Qemmellaro  (*)  la  serie  di  granuli  po- 
steriore dà  luogo,  come  V  anteriore,  ad  una  carena  sporgente, 
la  quale  manca  completamente  nella  Cerithinella  apenninica  n.  f. 
Tale  carattere  assai  rilevante  dà,  a  quest'  ultima  una  forma 
tutta  speciale,  come  si  rileva  dall'  ingrandimento  rappresentato 
con  la  fig.  76;  nella  quale  però  è  da  osservare  che  la  serie  po- 
steriore dei  granuli  non  è  indicata,  perchè  V  ingrandimento  h 
tratto  dal  terz'  ultimo  giro,  ove  non  si  è  riscontrata  la  suddetta 
granulazione.  Essa  sembra  che  vadi  svanendo  nella  parte  apiciale 
delia  spira,  verso  cui  va  diminuendo  ancora  la  serie  dei  granuli 
della  parte  anteriore  dei  giri.  Per  i  citati  ornamenti  esteriori 
la  C  apenninica  n.  f.  è  invece  molto  più  aflSne  alla  C.  italica 
Gtemm.  (*),  dalla  quale  però  diversifica  per  la  conformazione 
della  spira  conico-allungata  e  non  quasi  cilindrica,  come  in 
quest'  ultima  specie.  La  C.  apenninica  n.  f.  rappresenterebbe 
quindi  una  forma  intermedia  alle  due  C.  elegans  Gemm.  e  C. 
italica  Gemm. 

Cerithinella  miliare  d.  f. 

Tav.  VI,  fig.  8. 

Langhezza  approssimativa  della  conchiglia    .    .    .    mm.  20 

Larghezza  dell*  altimo  giro  conservato »       4 

•    Angolo  spirale 12^ 

Conchiglia  piccola,  conico-allungata,  a  giri  bassi,  piani  o 
leggermente  depressi  nel  mezzo,  uniti  da  suture  non  descerni- 
bili,  ornati  da  sottilissime  e  numerose  costoline  longitudinali, 
simili  a  quelle  della  specie  precedente  e  a  quelle  delle  diverse 
forme  di  CerUhinellae  descritte  e  figurate  dal  Qemmellaro  {% 
Nella  parte  posteriore  di  ogni  giro  si  trova  un'  unica  serie  di 
12   leggerissimi   granuli,  che  dà,   luogo    ad  una   specie   di  ca- 

(*)  Sopra  ale,  faune  giur,  ecc,,  tav.  XXIII,  fig.  37. 

(«)  /.  e,  pag.  284,  tav.  XXIII,  fig   30-33,  tav.  XXV,  fig.  20-22. 

(3)  /.  e. 


294  M.   CANAYIBI  [19] 

rena  pochissimo  marcata  quando  si  osservi  la  conchiglia  late- 
ralmente (fig.  8).  Le  costoline  longitudinali  attraversano  anche 
questa  granulazione. 

La  definizione  di  questa  specie  non  si  può  completare  a 
cagione  dell'  imperfezione  degli  esemplari  fragmentarì  esaminati. 
La  determinazione  generica  viene  giustificata  dalla  grande  ras- 
somiglianza che  la  specie  in  parola  ha  con  la  Cerithinella  Sche- 
rma Gemm.  ('),  dalla  quale  diversifica  solo  per  la  presenza  della 
minuta  granulazione.  Per  quest'  ultimo  carattere  ricorda  la  C. 
Manzonii  Gemm.  (^);  ma  anche  da  questa  specie  è  facilmente 
separabile  perchè  la  serie  della  granulazione  si  trova  nella  parte 
posteriore  del  giro  anziché  in  quella  anteriore,  per  il  minor 
sviluppo  dei  granuli  e  inoltre  per  la  conformazione  delle  suture, 
le  quali  sono  larghe  ed  impresse  nella  specie  di  Sicilia,  mentre 
sottilissime  e  quasi  indistinte  nella  forma  del  Gran  Sasso.  Questi 
caratteri  dell'  ornamentazione  della  conchiglia  sono  molto  inte- 
ressanti nel  genere,  e  si  considerano  come  buoni  elementi  per 
la  delimitazione  di  una  forma  nuova,  per  quanto  incompleta 
essa  possa  essere  nella  sua  spira. 

Cerithinella  flmbriatA  n.  f. 

Tav.  VI,  fig.  5. 

Frammento  composto  di  cinque  giri  della  lunghezza  di  mm.  12 
e  della  massima  larghezza  di  mm.  3,  appartenente  ad  una  con- 
chiglia piccola,  di  forma  conico-allungata  tendente  alla  cilindrica 
con  un  angolo  spirale  di  soli  7.**  I  giri  sono  alquanto  convessi 
ed  hanno  una  specie  di  carena  nella  parte  posteriore,  dopo  la 
quale  si  deprimono  verso  la  sutura  indicata  da  una  linea  ben 
distinta.  Ogni  giro  è  ornato  da  5  sottilissimi  cingoli  diminuenti 
in  grandezza  dalla  parte  anteriore  alla  posteriore  e  di  forma 
ondulata  a  cagione  di  numerose  linee  di  accrescimento.  Queste, 
con  un  fr)rte  ingrandimento,  nella  parte  posteriore  appaiono 
oblique,  ciò  che  non  è  stato  espresso  nella  fig.  56,  in  cui  sono 
indecisamente  rappresentate  per  V  insufiScienza  dell'  ingrandi- 
mento. Tale  carattere  relativo  alle  strie  di  accrescimento  ci  ha 


(^)  Sopra  ale,  faune  giur,  ecc.,  pag.  289,  tav.  XXHI,  fig.  25,  26. 
(*)  L  e,  pag.  286,  Uv.  XXUI,  fig.  18,  i9.  tav.  XXV,  fig.  25. 


[20]  FOSSIU  DEL  LUS  INFEBIOBE  DEL  GRAN  SASSO  d' ITALIA  ECC.  295 

fornito  r  elemento  generico  più  importante,  fatto  già  rilevare 
dal  Gemmellaro  (*)  nella  definizione  delle  Cerithinellae. 

La  semplicitài  degli  ornamenti  deir  esemplare  esaminato,  la 
forma  della  spira  e  dei  giri  d'  apparenza  carenati,  individualiz- 
zano molto  bene  la  specie  e  la  separano  da  tutte  le  altre  af- 
fini descritte  e  figurate. 

CI.    LAMELLIBRANCHIAPA 

Gen.  Haerodon  Lyc. 

Macrodon  (?)    Oiolii  n.  f. 
Tav.  VI,    ^^.  13. 

Lunghezza mm.  15 

Altezza .•    •    •      »     11 

Conchiglia  allungata,  inequilaterale,  margine  palleale  retti- 
lineo o  appena  convesso,  anteriormente  rotondata  e  posterior- 
mente troncata.  DalF  apice  parte  una  carena  molto  marcata  che 
va  a  limitare  il  corsaletto.  Apice  ricurvo,  molto  sporgente  come 
in  tutte  le  Arcidae,  delimitando  un'  area  ligamentare  sviluppa- 
tissima  e  lunga  quasi  quanto  tutta  la  conchiglia;  margine  car- 
dinale rettiliùeo,  non  completamente  conservato,  né  possibile  di 
.preparazione  a  cagione  della  cristallizzazione  del  calcare  che  ha 
implicato  il  guscio  e  il  modello.  La  conformazione  della  cerniera 
è  quindi  sconosciuta,  né  si  può  per  mancanza  di  caratteri  es- 
senziali, quali  sono  quelli  relativi  ai  denti,  stabilire  con  certezza 
il  genere  cui  la  specie  appartiene. 

La  valva  figurata  é  la  sinistra;  essa  in  gran  parte  é  in  mo- 
dello interno  e  non  ha  conservati  che  due  piccoli  frammenti  di 
guscio,  Tuno  nel  margine  palleale  e  T  altro  in  quello  apiciale. 
In  tali  frammenti  si  osservano  sottili  e  numerose  costoliue  ra- 
diali (circa  4  in  ogni  millimetro)  che  dal  margine  palleale  arri- 
vano quasi  sino  all'  estremità,  dell'  apice,  intersecate  da  alcune 
rughe  concentriche.  Nel  modello  del  corsaletto  si  osservano 
anche  4  pieghe  radiali  abbastanza  pronunciate  che  vanno  sva- 
nendo alla  regione  apiciale,  le  quali  rappresentano  le  impronte 
di  corrispondenti  depressioòi  che  dovevano  trovarsi  sulla  super- 

(*)  Sopra  ale,  faune  giur,  ecc,^  pag.  282. 


296  M.   GANAVÀKI  [21] 

ficie  interna  della  conchiglia.  Oltre  a  ciò  è  indicata  V  impronta 
palleale  integra,  e  la  traccia  del  solo  muscolo  anteriore,  la 
quale  si  trova  in  vicinanza  della  porzione  del  guscio  apiciale, 
mentre  non  è  conservata  quella  del  posteriore. 

Un  altro  frammento  allo  stato  pure  di  modello  interno  e 
mancante  della  regione  apiciale,  rappresenta  la  valva  destra; 
vi  si  nota  una  lieve  diiSerenza  con  la  valva  sinistra  figurata, 
in  quanto  che  la  carena  che  va  a  limitare  il  corsaletto  è  un 
poco  più  marcata. 

La  forma  descritta  presenta  le  maggiori  analogie  con  il 
genere  Macrodon,  e  veramente  con  le  due  specie  M.  Spallanzanìi 
Gemm.  e  M.  (?)  Pasinii  Qemm.  del  Lias  inferiore  di  Sicilia  (')• 
Dalla  prima  specie  si  distìngue  facilmente  il  M.  (?)  Giolii  n.  f. 
per  la  minore  lunghezza  della  conchiglia,  per  la  mancanza  della 
sinuosità,  nel  margine  palleale  e  per  la  presenza  delle  pieghe 
radiali  nel  corsaletto,  e  anche  per  uno  sviluppo  alquanto  mag- 
giore delle  costoline  radiali.  Dal  M.  (1)  Pasinii  Qemm.,  a  cui 
la  specie  del  Gran  Sasso  è  maggiormente  afiSne  per  la  con- 
formazione della  'conchiglia,  si  allontana  per  gli  ornamenti 
esterni.  Il  M.  (?)  Pasinii  Gemm.  infatti  ha  costoline  marcate  nel 
corsaletto,  ma  nel  modello  il  corsaletto  è  del  tutto  liscio  (*),  ciò 
che  stabilisce  una  diversità,  al  certo  molto  interessante. 

Il  Macrodon  che  il  Baldacci  ed  io(^)  indicammo  come  M. 
cfr.  Spallanzanii  Gemm.,  va  riferito  alla  specie  descritta. 

ECHINODERMATA 

CI.  CRINOIDEA 

Gen.  illllerlerlnafi  Linn. 
Millericrinus   sp.  nov.? 

Tav.  VI,  fig.  17. 

Entroco  cilindrico  di  mm.  15  di  diametro  e  mm.  20  di  lun- 
ghezza, composto  di  numerosissimi  trochiti  equidistanti,  e  ognuno 

(')  G.  Gemmellaro,  Sopra  ale  faune  giur.  ecc,^  pag.  384-385,  tav.  XXIX,  fig. 

7-8,  9-10. 

(*)  /.  e,  tav.  XXIX,  fig.  10. 

(3)  La  reg.  cenir.  d.  Gran  Sasso  eoe.,  pag.  351. 


[22]  FOSSILI  DEL  UAS  INFERIORE  DEL  GRAN  SASSO  D^  ITALIA  ECC.  297 

alto  circa  mezzo  millimetro  contandosene  9  in  mm.  5.  Le  arti- 
colazioni pochissimo  profonde  danno  luog9  sulla  superficie  esterna 
a  piccoli  solchi,  i  quali  con  una  lente  d' ingrandimento  appaiono 
indistintamente  denticulatì.  Le  facce  articolari  si  sono  ottenute 
mercè  la  frattura  deir  esemplare  in  più  pezzi.  11  minore  di 
questi  misura  V  altezza  di  un  millimetro,  presenta  le  due  facce 
articolari  e  risulta  di  due  trocbiti,  a  giudicare  dal  solco  esterno 
che  vi  si  riscontra.  Faccia  articolare  piana,  raggiata;  canale 
centrale  riempito  di  carbonato  di  calce  che  non  partecipa  alla 
sfaldatura  dello  spato  di  cui  è  costituito  V  intero  entroco,  ciò 
che  lo  rende  ben  distinto;  è  di  forma  circolare  e  negli  articoli 
superiori  tendente  a  quella  pentagonale  ad  angoli  pochissimo 
sporgenti;  il  suo  diametro  raggiunge  circa  mm.  2.  Le  costoline 
molto  sottili  irradiano  dal  limite  del  canale  alla  periferia,  aumen- 
tando gradatamente  in  grossezza  e  in  numero  por  irregolare 
dicotomia  e  talora  anche  per  interposizione;  in  un  quadrante 
ne  abbiamo  contate  25.  Con  una  lente  d' ingrandimento  si  os- 
servano sottilissime  costoline  concentriche,  le  quali  intersecando 
le  radiali  danno  a  queste,  apparenza  granulare.  In  una  sezione 
sottile  perpendicolare  all'  asse  e  corrispondente  precisamente  ad 
una  faccia  articolare,  le  costoline  radiali  e  le  concentriche  sono 
molto  manifeste  e  con  un  debole  ingrandimento  si  ha  un'  ap- 
parenza reticolare. 

C!on  i  crinoidi  liasici  la  specie  descritta  per  alcuni  caratteri 
della  superficie  articolare,  quali  sono  quelli  relativi  alla  dico- 
tomia delle  costoline  radiali,  ricorda  gli  esemplari  di  Millericrinus 
raccolti  alla  Bicicola  e  riferiti  dal  Meneghini  (')  al  M.  cfr. 
Adnethicus  Quenst.  Ma  se  ne  allontana,  oltreché  per  il  maggiore 
diametro,  anche  per  le  costoline  radiali  grauuliformi  e  special- 
mente per  la  sottigliezza  dei  trochiti.  Un'  afiSnità  ancora  mag- 
giore la  trova  invece  con  una  specie  molto  recente,  ó  cioè  con 
il  Millericrinus  Munstetnanus  d'Orb.,  del  Giura  superiore  e  pro- 
priamente della  zona  a  Hemicidaris  cremilaris.  E  cosa  poi  molto 
diflBcile  asserire  che  la  forma  del  Gran  Sasso  appartiene  eflfet-^ 
tivamente  al  genere  Millericrinus,  al  quale  per  analogia  V  ab- 
biamo  avvicinata.   Essa  ricorda   anche   i   trochiti  del  genere 


(^)  Monogr,  d.  foss,  appari,   au  cale,    rouge  ammanitique  de  Lombardie  «ce, 
pag.  182,  pi.  XXX,  fìg.  20-25. 


298  ÌL  CANATABI  [23] 

ApiocrinuSy  e  il  carattere  della  granulazione  delle  costoline  ra- 
diali è  stato  citato  anche  nelle  superficie  dei  trocbiti  AoiVApio- 
erinus  Mariani  Desor  (*),  del  Sequaniano  superiore. 

L' elegante  esemplare,  troppo  incompleto  per  indicarlo  con 
un  nome  nuovo,  fu  raccolto  nel  Lias  inferiore  nella  gola  inter- 
posta tra  i  due  Corni  e  il  monte  Intermesole,  e  precisamente 
nel  vallone  della  Grotta  dell'  Oro.  Esso  è  conservato  nelle  col- 
lezioni del  R.  Comitato  geologico  in  Roma. 


(')  P.  DB  LoRioL,  Monogr.   des  Crin,  foss,  de  la  Suiue.  Mém.  de  la  Soc  paL 
^oiMe.  Tomo  IV,  pag.  2i.  Genève,  J8T7-79. 


■■»^>o^oo»- 


SPIEGAZIONE    DELLA  TAVOLA    VI 


Fossili  del  Lias  inferiore 

Fig.    1  a.  Cerithium  Orsinii  n.  t.  pag.  289  [Uj. 
9    .    1 6.         ,  ,       Ingrandito  e  visto  dalla  base. 

1 0.         9  9       Ingrandimento  di  due  anfratti. 

2  a.  Cerithium  apenninicum  n.  f.  pag.  290  [13]. 

2b.         „  y,  Ingrandimento  di  due  anfratti. 

Sa.  Cerithium  sp.  ìnd.  cfr.  C.  Strueveri  Gemm.  pag.  291  [16 1. 

3ò.  Lo  stesso  ingrandito. 

4  a.  Cerithium  Spadai  n.  f.  pag.  291  [16]. 

ib.         j,  ,       Ingradimento  di  un  anfratto. 

5 a.  Cerithinella  fimbriata  n.  f.  pag.  294  [19]. 

5ò.  ,  „        Ingrandimento  di  un  anfratto. 

6  a.  Climacina  Mariae  Qpmm.  pag.  288  [13 1. 

66.  „  „        Ingrandimento  di  un  anfratto. 

la.  Cerithinella  fiscellense  n.  f.  pag.  292  |17|. 

„       7b.  „  „  Ingrandimento  del  terz'  ultimo  anfratto, 

in  cui  manca  la  serie  dei  piccoli  gra- 
nuli nella  parte  posteriore. 
,       8.     Cerithinella  miliare  n.  f.  pag.  293  [18|.  Ingrandimento  di  due 

anfratti  e  mezzo. 
9       9.     Trochus  Signorinii  n.  f.  pag.  28B  [11].  Ingrandito. 
,     10.     Neritina  sp.  ind.  cfr.  N.  Cornaliae  Gemm.  pag. 256  [12].  Ingrandita. 
,     Ila.  Bifroniia  conjuncta  n.  f.  pag.  287  [12|. 

,     11*6.  *       „  j,  Veduta  dal  lato  della   bocca  senza    essere 

indicata  la  carena  sporgente  nel  labbro 
esterno  perchè  rotta. 
,     Ile.  Ingrandimento  di  una  porzione  di  anfratto  della  specie  precedente. 
,     12  a.  Scurriopsìs  (?)  Orsini!  n.  f.   pag.  283  [8].    Ingrandita   e  vista 

dalla  parte  superiore. 


300  SPIEGAZIONE   DELLA    TAVOLA  [25] 

Fig.  126.  Lo  stesso  esemplare  visto  di  lato,  ingrandito. 

.     13.     Macrodon  (?)  Giolii  o.  f.  pag.  295  [20] . 

,     17.      Millericrinus  sp.  n.?  pag.  296  [21].  «L* originale  si  trova  nelle 

collezioni  del  R.  Comitato  geologico  in  Roma 
e  fu  raccolto  nel  vallone  della  Grotta  dell*  Oro, 
mentre  tutti  i  precedenti,  conservati  nel  R.  mu- 
seo geologico  di  Pisa,  provengono  dalla  vetta 
del  Corno  Grande. 

Fossile  del  Lias  medio 

9  14-16.  Cidaris  sp.  ind.  pag.  281  [6].  Tre  esemplari  diversi  per  for- 
ma e  numero  dei  granuli  ornamentali  raccolti  nella 
sommità  del  Piccolo  Corno. 


INIORi  AD  ÌA  Ailli  Disposili 


DELLB 


VENE  DEL   COLLO   NELL'UOMO 


NOTA 


DEL   DOTT.   PILADE    LAGHI 


PROFESSORE  DI  ANATOMIA  UMANA  NELL   UNIVERSITÀ  DI  CAMERINO 


Aveva  appunto  letto  T  accurato  lavoro  del  dott.  Ficalbi  su 
certe  disposizioni  venose  reperibili  nel  collo  delle  Scimmie  (*), 
quando  mi  è  occorso  di  osservare  in  un  cadavere  umano  una 
speciale  distribuzione  delle  vene  del  collo,  che  mi  sembrò  con- 
fermare appieno  le  vedute  dal  Ficalbi  stesso  enunciate.  Mi  prendo 
ora  appunto  la  cura  di  far  noto  il  caso  occorsomi,  prima  perchè 
lo  credo  avvenimento  non  tanto  frequente,  poi  per  contribuire 
a  confermare  ancora  una  volta  la  dottrina  della  discendenza, 
al  quale  oggetto  le  varietà  anatomiche  reperibili  neir  Uomo 
molto  bene  si  prestano.  E  tanto  più  volentieri  mi  assumo  questo 
compito,  in  quanto  il  dott.  Ficalbi  invitava  giustamente  a  fare 
delle  ricerche  suir  argomento. 

L^  individuo  nel  quale  fti  riscontrata  la  varietà,  in  discorso 
era  un  giovane  di  23  anni  dei  pressi  di  Camerino.  Avendo  io 
dovuto  fare  una  iniezione  venosa  per  i  bisogni  della  scuola,  fui 
sorpreso  prima  di  tutto  di  sentire  e  vedere  un  cordone  bleuastro 
fra  la  cute  e  la  clavicola  destra,  che  era  certamente  dovuto  ad 

• 

(*)  Ficalbi  E.  —  Di  una  particolare  disposizione  di  alcuni  vasi  venosi  del  collo 
nelle  Scimme  e  della  possbìlità  di  spiegare  con  essa  alcune  anomalie  venose  re- 
peribili  ne W  Uomo.  Atti  d.  Soc.  Tose,  di  Se.  Nat.  Voi    IV,  Fase.  3.o  Pisa  1885. 


302  P.   LAGHI 

una  vena  iniettata,  e  che  m' invitò  a  rendermi  ragione  della  saa 
presenza.  Espongo  adunque  la  disposizione  venosa  del  collo  di 
questo  individuo  che  si  vede  riprodotta  fedelmente  nell'  annessa 
figura  (Tav.  XIII)  che  io  debbo  all'  abile  matita  del  gentile  mio 
amico  e  collega  Prof.  Reali. 

Il  tronco  della  vena  giugulare  esterna  g  e  alla  cui  costituzione 
prendeva  parte  la  vena  temporale  superficiale  t  s  era  ampiamente 
anastomizzato  colla  vena  faciale /"  per  mezzo  di  un  grosso  tronco  z 
e  per  conseguenza  indirettamente  con  la  giugulare  interna  g  i. 
Più  in  basso  poi  comunicava  con  la  giugulare  anteriore  g  a  per 
mezzo  di  un  tronco  trasversale  tr  ed  anche  piii  in  basso  per 
mezzo  di  un'  altro  tronco  trasversale  t  i  più  specialmente  in  cor- 
rispondenza del  triangolo  omoclavicolare,  quando  cioè  la  vena 
giugulare  esterna  sta  per  attraversare  l' aponevrosi  cervicale 
media.  A  questo  stesso  punto  della  vena  medesima  facevano 
capo  vari  tronchi  venosi  a  modo  di  raggi  fra  cui  la  vena  cer- 
vicale trasversa  e  la  soprascapolare,  non  che  un  tronco  speciale 
che  dirò  fin  da  ora  essere  il  tronco  giugulo-cefalico  g  f.  Era  pure 
a  questo  livello  che  la  giugulare  esterna  si  approfondava,  si 
faceva  più  anteriore  e  sboccava  nella  succlavia  dappresso  alla 
giugulare  interna.  La  vena  cefalica  e  del  corrispondente  arto 
superiore  si  conduceva  per  il  solito  interstizio  deltoideo-pettorale, 
ma  giunta  al  livello  del  triangolo  clavi-pettorale  si  divideva  in 
due  rami,  di  cui  uno  profondo  rappresentante  la  contindazione 
normale  che  andava  a  sboccare  nella  vena  ascellare,  1'  altro  su- 
perficiale che  passava  al  davanti  della  clavicola  per  riunirsi  colla 
vena  giugulare  esterna,  tronco  anastomostico  giugtdo-cefalico  g  f. 
In  tal  maniera  si  veniva  ad  avere  un  anello  venoso  che  abbrac- 
ciava la  clavicola  e  il  muscolo  succlavio,  costituito  da  parte 
della  giugulare  esterna,  da  porzione  della  vena  succlavia  ed 
ascellare,  dalla  terminazione  della  vena  cefalica  e  dal  ramo  ve- 
noso giugulO'Cef alleo , 

A  sinistra  poi  si  avevano  ad  osservare  le  seguenti  particola- 
rità. La  vena  cefalica  giunta  al  triangolo  davi  pettorale  forma- 
va, dividendosi  e  riunendosi  successivamente,  un  anello  venoso  o, 
come  mostra  la  figura,  per  sboccare  quindi  nella  vena  ascellare. 
Era  pure  notevole  che  nel  triangolo  sopraclavicolare,  il  muscolo 
omoioideo  non  esisteva,  ma  era  invece  sostituito  da  una  espan- 


\ 


ANOMALA  DISPOSIZIONE  DELLE  VENE  DEL  COLLO  NBLL^UOMO  303 

sione  carnosa,  la  quale  si  estendeva  dalFosso  ioide  alla  clavi- 
cola, sul  cui  margine  posteriore  prendeva  inserzione  per  una 
estensione  di  circa  4  centimetri,  in  modo  che  il  muscolo  assu- 
meva così  la  forma  triangolare  a  base  in  basso  e*  che  le  sue 
fibre  più  esterne  andavano  a  confondersi  con  quelle  del  muscolo 
trapezio. 

Dal  sopra  detto  si  rileva  come  nel  collo  del  soggetto  in 
esame  si  avassero  disposizioni  speciali  che  meritano  veramente 
di  essere  prese  in  considerazione. 

Il  primo  fatto  e  che  mi  sembra  sopra  gli  altri  dovere  essere 
studiati»  è  la  disposizione  venosa  del  lato  destro,  che  si  può  rias- 
sumere dicendo  che  ivi  esisteva  il  ramo  ghigulo-cefalico,  ossia 
un  ramo  anastomatico  fra  vena  cefalica  e  giugulare  esterna.  E 
certo  che  fra  vena  giugulare  esterna  e  vena  cefalica  esiste  come 
condizione  embrionale  una  comunicazione  e  questa  può  assumere 
0  no  un  certo  sviluppo  dando  luogo  a  ciò  che  Sappey  chiama 
anomalie  per  inversione  di  volume.  Se  non  che  non  bisogna  fer- 
marsi a  questa  semplice  spiegazione  embriologica,  ma  studiarne 
ancora  la  significazione,  per  quanto  le  varietà  venose  così  facili 
a  verificarsi  non  permettano  sempre  questo  studio 

Ora  può  stabilirsi  prima  di  tutto  che  primitivamente  la  vena 
giugulare  esterna  e  la  cefalica  si  trovano  fra  loro  in  rapporto 
di  comunicazione,  e  questa  che  è  costante  e  bene  sviluppata 
negli  animali  inferiori  e  più  precisamente  nelle  scimmie  studiate 
da  Ficalbi,  si  va  facendo  sempre  meno  evidente  neir  uomo  fino 
a  ridursi  a  un  sottilissimo  ramo,  e  solo  per  ritorno  atavico  può 
prendere  un  ragguardevole  sviluppo. 

Questo  fatto  in  genere,  dell'  esistenza  di  questo  tronco  giu- 
gulo-cefalico,  è  ciò  che  ravvicina  V  uomo  alla  scimmia;  le  sue 
modalità  sono  invece  condizioni  perfezionate.  Può  dirsi  frattanto 
tipica  la  esistenza  di  un'  anastamosi  fra  la  giugulare  esterna  e 
la  cefalica;  ma  può  questa  disposizione  presentarsi  in  una  ma- 
niera più  o  meno  perfetta  e  ridursi  anche  ad  un  semplice  conato. 
Per  esempio  può  la  vena  giugulare  esterna  nel  suo  estremo  in- 
feriore dividersi  in  due  rami  di  cui  V  uno  va  nella  vena  suc- 
clavia come  di  norma,  V  altro  invece  discende  più  o  meno  per 
sboccare  in  un  altra  vena  del  collo  (Gruber)  o  anche  nella  stessa 
succlavia  (Gruber)  e  per  conseguenza  senza  raggiungere  la  vena 


304  P.  UGHI 

cefalica.  Può  mancare  il  primo  di  questi  rami  ed  esistere  invece 
r  altro,  il  quale  benché  non  raggiunga  la  cefalica  può  però  di- 
scendere in  basso  al  davanti  della  clavicola  formare  un  ansa 
attorno  ad  essa  e  al  muscolo  succlavio  per  poi  sboccare  nella 
vena  succlavia  (Gruber).  Lo  stesso  ramo,  che  Ficalbi  chiama 
anteriore  nelle  scimmie,  può  discendere  anche  più  in  basso  e 
riunirsi  con  la  vena  cefalica  (Krause,  Hallette,  Nuhn).  In  tutti 
questi  casi  il  conato  alla  tipica  condizione  ora  ora  accennata  è 
fatto  dalla  vena  giugulare  esterna.  Ma  può  invece  questo  es- 
sere effettuato  dalla  vena  cefalica,  ed  allora  si  possono  presen- 
tare gradazioni  varie  avanti  di  giungere  alla  disposizione  che 
sopra.  Può  infatti  la  vena  cefalica  salire  in  alto  per  raggiun- 
gere la  giugulare  esterna  e  sboccare  in  essa  (Quain).  Oppure  la 
stessa  vena  può  passare  al  davanti  della  clavicola  per  comuni- 
care con  la  vena  succlavia.  E  finalmente  può  giungersi  alla  con- 
dizione più  perfetta,  vale  a  dire  della  esistenza  del  ramo  ana- 
stomatico  giugulo  cefalico,  e  per  conseguenza  di  un  anello  ve- 
noso che  abbraccia  la  clavicola  quale  appunto  è  il  caso  di  Nuhn 
e  quello  che  mi  ha  dato  occasione  di  scrìvere  queste  poche  con- 
siderazioni e  che  è  rappresentato  nella  annessa  figura. 

Il  caso  nostro  merita  perciò  di  essere  reso  di  pubblica  ra- 
gione sia  perchè  ci  sta  a  rappresentare  una  condizione  atavica 
quanto  anche  per  la  sua  rarità.  Dìfatto  di  casi  di  tal  genere 
si  ricorda  come  notevole  quello  di  Nuhn,  e  Gegenbaur  stesso 
nel  suo  trattato  dì  Anatomia  Umana  ricorda  come  rare  le  pos- 
sibilità di  casi  congeneri.  Havvì  però  una  certa  differenza  fra 
il  caso  nostro  e  la  condizione  normale  delle  Scimmie  come  ha 
descritta  e  rappresentata  Ficalbi.  Difatto  V  anello  circumclavi- 
colare  in  esse  è  costituito  da  una  divisione  e  successiva  riunione 
della  vena  giugulare  esterna  nel  suo  estremo  inferiore.  La  vena 
cefalica  sembra  sboccare  nel  ramo  anteriore  di  questa  divisione 
ossia  in  quello  che  abbiamo  ricordato  per  ramo  giugulo-cefalìco. 
Però  nulla  si  oppone  a  che  venga  considerato,  come  corrispon- 
dente alla  normale  umana  terminazione  della  vena  cefalica,  quel 
tratto  di  ramo  anteriore  che  intercede  fra  lo  sbocco  della  cefa- 
lica nel  tronco  giugulo-cefalico  e  la  sua  riunione  con  il  ramo 
posteriore.  Per  cui,  se  invece  dì  aversi  questa  riunione,  si  ha 
lo  sbocco  di  questa  ultima  porzione  in  modo  isolato,  più  in  basso 


ANOMALA  DISFOSIZIONR  DELLB  VENE  DEL  COLLO  NELL^  UOMO  305 

e  Uno  anche  nella  ascellare  (come  è  appunto  lo  sbocco  della 
vena  cefalica  normalmente),  si  intende  jn  modo  assai  perfetto 
r  analogia  che  corre  fra  il  caso  nostro  e  quello  delle  scimmie, 
e  come  tutte  le  varietà  sopraccitate  non  siano  che  modalità  di 
una  stessa  disposizione. 

In  questo  modo  considerati  i  vari  casi  possibili,  troviamo 
pure  modo  di  intendere  la  speciale  disposizioni  venosa  che  ab- 
biamo trovato  a  sinistra  dello  stesso  individuo.  La  vena  cefa- 
lica come  mostra  la  figura  presenta  un  anello  nella  sua  por- 
zione più  alta  e  presso  allo  sbocco  suo.  Se  il  segmento  esterno 
dì  questo  anello  si  fosse  maggiormente  sviluppato,  fosse  passato 
davanti  alla  clavicola  e  avesse  raggiunto  la  giugulare  esterna 
si  avrebbe  avuta  la  stessa  disposizione  del  lato  sinistro.  Per  cui 
è  da  ritenersi  che  in  questo  caso  non  si  ha  che  una  gradazione 
per  giungere  alla  esistenza  del  tronco  giugulo-cefalico  come  è 
nelle  scimmie. 

Ammesso  dunque  come  primitiva  e  tipica  la  esistenza  del 
ramo  giugulo  cefalico,  quale  si  trova  nelle  scimmie  ne  viene 
come  corollario  che  il  caso  di  Nuhn  e  il  nastro  del  lato  destro 
rappresentano  una  condizione  atavica  abbastanza  perfetta,  gli 
altri  casi  surricordati  di  avviamento  a  questa  disposizione  sia 
per  parte  della  vena  giugulare  esterna  sia  per  parte  della  vena 
cefalica  (come  è  appunto  nel  lato  sinistro  del  nostro  individuo) 
rappresentano  invece  un  avviamento  alla  forma  più  elevata 
quale  si  presenta  normalmente  neir  uomo. 

In  modo  incidentale  mi  piace  di  far  rilevare  la  coesistenza 
di  queste  disposizioni  venose  con  quella  del  muscolo  omoioideo 
del  nostro  soggetto,  quale  si  rappresenta  in  ci  i  nella  annessa 
figura.  Fra  i  muscoli  del  collo  V  omoioideo  offre  assai  di  frequente 
delle  varietà,  come  lo  attestano  Theile  nella  sua  Miologia,  Ge- 
genbaur  e  Henle  neir  Anatomia  Umana.  Anzi  fra  le  disposizioni 
che  frequentemente  prende  il  muscolo  omoioideo  nel  suo  ventre 
posteriore  si  ha  quella  di  una  duplice  inserzione  clavicolare  e 
scapolare  o  di  sola  clavicolare;  il  secondo  caso  è  il  più  frequente 
e  il  fatto  è  anche  più  facile  ad  osservarsi  nella  razza  negra  come 
appunto  è  avvenuta  a  Giacomini,  il  quale  ne  riporta  vari  casi 
nella  sua  2.*  e  3.*  memoria  di  annotazioni  sopra  V  anatomia 
del  Negro.  Tanto  Giacomini  come  Gegenbaur  hanno  assegnato 

So.  Nat,  Voi.  n,  fascic.  2.  20 


306  P.  LAGHI  —  ANOMALA.  DISPOSIZIONE  DKLLE  VENI  EC. 

il  nome  di  muscolo  cleido-ioideo  alla  disposizione  analoga  a  quella 
da  noi  osservata.  Questa  varietà  muscolare  è  da  associarsi  alle 
molte  altre  e  frequenti  riscontrale  da  vari  osservatori  nel  collo, 
come  per  es.  ultimamente  da  Bianchi  (riferita  nello  Sperimenlale, 
febbraio  1885),  le  quali  tutti  stanno  ad  indicarci  una  tendenza 
a  riempire  il  triangolo  sopraclavicolare  con  un  setto  muscolare 
completo  comesi  osserva  in  mammiferi  inferiori  all'uomo.  Per- 
ciò sia  per  la  sua  frequenza  molto  maggiore  nel  Negro  che  nel 
Bianco,  sia  per  la  sua  speciale  disposizione  laminare,  la  varietà 
muscolare  da  noi  osservata  può  essere  giustamente  ritenuta  come 
un  ritorno  atavico  e  tanto  più  se  si  metta  in  accordo  con  le 
sopra  descritte  varietà  venose. 


SPIEGAZIONE    DELLA   FIGURA 


TaT.  XIII. 

ts.  Vena  temporale  superficiale. 

/*.  »      &ciale. 

ge-ge.      »      Giugulare  esterna. 

ga-ga,     »  »         anteriore. 

gi-gi.       »  >         interna. 

tr-tì.  Anastomosi  fra  vena  giugulare  esterna  e  giugulare  anteriore. 

e.  Vena  cefalica. 

gr*  Tronco  venoso-giugulo-cefalico. 

e.  8,  Cava  superiore. 

a.  Aorta. 

o.  Occhiello  formato  dalla  vena  cefalica. 

cLi,  Muscolo  cleido-ioideo. 

às.  Vena  ascellare. 


IRA  IL  CAEE  CMlMMGEfl  IL'  I! 


E 


SOPRA  LA  TASCA  IPOFISARIA  0  TASCA  DI  RATCHKE 


RICERCHE 

DEL  DOTI.  GUGLIELMO  ROMITI 


PROFESSORE   DI   ANATOMIA   IN  SIENA 


(con  una  Tavola) 


Essendo  caduto  sotto  la  mia  osservazione  per  la  prima  volta 
un  caso  di  canale  cranio  faringeo  nel  teschio  d'  una  bambina 
di  5  anni,  credo  opportuno  illustrarlo  convenientemente;  non 
tanto  per  la  sua  nuovitk,  quanto  per  le  importantissime  coti- 
siderazioni  alle  quali  conduce  il  suo  studio  morfologico-corapa- 
rativo  e  genetico.  Con  questa  osservazione  io  cerco  di  aumentare 
il  materiale  di  studio  della  umana  osteologia,  condotto  con  quel 
metodo  di  esame  che  tende  alla  ragione  dei  risultati  anatomici. 
D'  altro  lato  io  porto  convincimento  che  anche  questa  sorta  di 
raccolta  di  fatti  che  sorge  dalla  continua  ed  ingloriosa  osserva- 
zione del  cadavere  umano,  debba  trovare  dei  cultori  tra  gli  Ana- 
tomici; i  quali,  se  anche  potranno  errare  nelle  loro  spiegazioni, 
lasciano  sempre  un  elemento  di  studio  ad  altri  più  felici  ed 
acuti  nello  interpretare. 


Landzoi  (')  chiamò:  canale  cranio-faringeo  una  apertura  da 
esso  trovata  esclusivamente  nei  neonati  (10:7o)>^3.  quale  si  par- 

(')  Th.  Landzcrt   —    Ueber  den  canalis  cranio-phari/ngeus  am  Schddel  des 
Neugehorncn    (Petersburger  med.  Zeitschrift.  Bd.  XIV.  H.  3.  1868.  S.  133). 


SOPRA  IL  CANALE  CRANIO-FARINGEO  NELL^UOMO  E  80PR4  LA  TASCA  EC.   309 

tiva  dalla  sella  turcica,  traversava  il  corpo  sfenoidale  giungendo 
sino  alla  volta  faringea:  il  cajiale  conteneva  un  prolungamento 
cavo  a  cui  di  sacco  della  dura  madre  con  dei  vasi,  e  non  era 
altro  che  il  resto  del  tragitto  del  prolungamento  o  diverticolo 
ipofisario  il  quale  dalla  faringe  va  a  costituire  il  lobo  anteriore 
della  gianduia  pituitaria.  Per  quanto  conosco,  nessun  Anatomico 
ha  ricercato  questo  canale  al  di  là  del  feto  e  del  neonato:  i 
Trattati  riportano  solamente  le  osservazioni  di  Landzert. 


Descrizione  del  preparato.  —  Cranio  N.*  761  della  mia  rac- 
colta, e  Preparato  N.°  267  del  Museo  di  Siena.  Bambina  di  6 
anni,  senese,  morta  nello  Spedale  il  Giugno  scorso.  Il  cranio  è 
assai  bene  sviluppato,  è  di  forme  squisitamente  armoniche  ed  è 
a  tipo  brachicefalo  spiccato.  Di  altre  particolarità,  oltre  il  ca- 
nale in  parola,  presenta  un  grande  wormiano  pterico  a  destra 
ed  una  marcata  sutura  incisiva,  la  quale  raggiunge  il  margine 
alveolare  (V.  la  fig.  I). 

Nel  mezzo  della  taccia  inferiore  della  base  del  cranio,  e  la 
figura  aiuta  molto  la  descrizione,  ed  esattamente  in  corrispon- 
denza della  parte  più  anteriore  del  basipostsfenoide,  a  6  milli- 
metri dalla  sincondrosi  sfeno-occip itale,  a  3  dall' estremo  superiore 
del  vomere,  lievemente  a  destra  della  linea  mediana,  esiste  un 
foro  (fig.  I,  a)  di  circa  1  millimetro  di  diametro.  Esso  traversa 
tutto  il  corpo  dello  sfenoide  in  una  direzione  lievemente  obliqua 
in  avanti  ed  allo  esterno,  finche  sbocca  esattamente  nel  fondo 
della  sella  turcica  a  destra  a  2  Vs  millimetri  dalla  linea  mediana. 
11  suo  lume  è  uguale  per  tutto  il  suo  tragitto  rettilineo,  e  la 
sua  lunghezza  misura  8  millimetri. 


Frequenza.  —  Per  quanto  riguarda  la  frequenza  del  canale 
cranio-faringeo,  bisogna  naturalmente  fare  una  grande  distin- 
zione tra  il  suo  incontrarsi  nel  feto  e  nel  neonato  e  nelle  epoche 
della  vita  posteriori  a  queste.  Neil'  embrione  umano  e  nei  piccoli 
feti  è  sempre  costante  trattandosi;  come  vedremo,  di  disposizione 
necessaria,  qualunque  sia  il  fatto  embriologico   che  lo  origina. 


310  6.  ROMITI 

Dico  questo  perchè  sono  stati  affacciati  dei  dubbi  sopra  la  ra- 
gione del  comunicare  la  faringe  col  cranio  nel  periodo  embrionale. 
LfO  mie  ricerche  personali  sopra  questa  comunicazione  nello  em- 
brione e  nel  feto  umano  non  mi  porterebbero  che  a  confermare 
le  altrui,  sia  per  la  costanza  nel  primo,  come  per  la  frequenza 
nel  secondo,  avendo  pressappoco  incontrato  il  rapporto  di  fre- 
quenza dichiarato  da  Landzert.  Nel  fanciullo  e  neir  adulto  la 
cosa  è  altrimenti,  poiché,  come  ho  accennato,  gli  Anatomici  non 
ricordano  in  essi  questa  abnorme  disposizione.  Essa  è  certamente 
rarissima,  e  nello  stabilirne  la  proporzione  è  necessario  por  mente 
ad  una  disposizione  che  talvolta  può  incontrarsi  e  che  potrebbe 
trarre  in  inganno.  Voglio  diro  che  possono  ritrovarsi  nel  basisfe- 
noide,  come  nelle  altre  ossa  della  base  del  cranio,  esili  forellini 
ì  quali,  come  il  canale  basilare  delV  osso  occipitale,  hanno  ra- 
gione vascolare.  Essi  sono  assai  più  fini  del  nostro  in  discorso, 
non  traversano  verticalmente  T  osso  e  sono  situati  alle  parti  più 
periferiche. 

Fatta  questa  considerazione  posso  dichiarare  che  esaminati 
circa  800  Crani  che  ho  raccolti  per  il  Museo,  alcuni  dei  quali 
preparati  per  il  nostro  Manicomio  non  ho  trovato  il  canale  in 
parola. 

Esaminando  ancora  una  dozzina  di  crani  di  bambini  della 
prima  età,  nemmeno  in  questi  ho  visto  il  canale,  solamente  in 
alcuno  esiste  tuttora  una  piccola  traccia  d'  una  fossetta  nella 
sella  turcica,  resto  deir  obliterato  canale.  Perciò  anche  nei  bam- 
bini non  deve  essere  facile  il  verificare  la  persistenza  d'  un  ca- 
nale cranio-faringeo;  e  nello  insieme,  anche  tenendo  calcolo 
della  regola  proposta  da  Krause(*)  circa  lo  stabilire  la  più  o 
meno  relativa  frequenza  delle  varietà  umane,  noi  possiamo  con- 
siderare questa  importante  varietà  ossea  umana  ora  descritta 
come  straordinariamente  rara. 


Significato  morfologico-comparativo.  —  Ricercando  il  cranio  di 
altri  mammiferi  inferiori  air  uomo  ho  trovato   solamente  una 


(')  \V.  KrauRe  —  Handbuch  der  menschlichen  Anatomie  Hannover  ISSO.  T,  III, 
pag.  51-57. 


S 


SOPRA  IL  CANALE  CRANIO-FABINGEO  NELL^^OMO  E  SOPK.V  LA  TASCA  EC.    311 

omologa  disposizione  nel  Lepus  cuniculus  e  nel  timidus.  Pei'ò, 
non  potendo  avere  copioso  materiale  anatomo-com parati  vo,  ho 
estese  le  mie  ricerche  a  poche  classi  di  mammiferi,  e  chi  vorrà 
interessarsi  di  questo  studio  potrà  estenderlo  in  questo  indirizzo 
di  ricerca.  Cercai  direttamente  il  coniglio,  poiché  àapevo  dalla  let- 
tura dell'  eccellente  libro  di  Parker  e  Bettany  (*)  che  in  questo 
roditore  la  fossa  pituitaria  è  permanentemente  sprovvista  di  un 
fondo  o  pavimento  osseo,  e  che  perciò  neir  adulto  rimane  nel 
mezzo  di  essa  uno  spazio  perforato. 

Esaminando  infatti  lo  sfenoide  di  un  vecchio  coniglio,  come 
è  quello  che  ho  figurato,  visto  dalla  faccia  inferiore  o  prossimale, 
nella  fig.  II.  si  vede  che  la  sella  turcica  o  fossa  pituitaria  è 
ampia  ed  anche  a  pareti  oblique  che  le  danno  figura  ad  imbuto. 
Nel  fondo  è  un  foro  ovale  (a),  lungo  2  millimetri  nel  grande 
asse.  Talvolta  V  ho  trovato  doppio,  e  i  due  posti  longitudinal- 
mente. Tornerò  su  questa  disposizione  del  coniglio  ;dicendo  delle 
parti  contenutevi.  Nella  base  del  cranio  della  lepre  ordinaria 
esiste  una  disposizione  identica  a  quella  del  coniglio:  il  foro 
sembra  più  ampio.  Infatti  in  una  lepre  adulta  il  foro,  ovale 
come  nel  coniglio  ha  un  massimo  diametro  di  2  Ys  millimetri. 

Nelle  altre  specie  di  Roditori  esaminati  non  ho  trovato  uguale 
disposizione:  il  basisfenoide  è  tutto  solido  nfe  è  perforato.  Così 
trovasi  in  vari  Mus,  uélV Hystrix,  nella  Cavia.  Cercando  altri  ordini 
di  Mammiferi  ho  veduto  in  un  giovane  Felis  catus  un  sottilissimo 
canale  cranio-faringeo,  che  appena  permetteva  il  passaggio  ad 
una  finissima  setola.  Ma  è  più  specialmente  studiando  vertebrati 
inferiori  che  si  trova  costante  la  normale  comunicazione  tra  la 
sella  turcica  e  la  faringe.  E  specialmente  nei  pesci  più  inferiori, 
nei  Mixinoidi,  che  questa  comunicazione  persiste,  e  toglie  nome  di 
canale  palato-nasale.  Questa  comparazione  fu  per  il  primo  asserita 
da  Huxley  (9,  il  quale  dedusse  questa  spiegazione  dal  considerare 
il  canale  palato-nasale  dei  Mixinoidi  come  lo  spazio  tra  le  tra- 
becole  del  cranio,  e  giustamente  lo  paragonò  a  quella  apertura 
che  nello  embrione  dei  vertebrati  superiori  fa  comunicare  la 
faringe  col  cranio.  Ed  anzi  trasse  da  questa  asserzione  una  forte 

Q)  Parker  e  Bettany  —    Die  Morphologie  des  Schddels,   (Trad.    tedesca  dalla 
opera  inglese).  Stuttgart.   1879.  pag.  296. 

(^)  Th.  H.  Huxley  —    Manuale  della  Anatomia  degli    animali  vertebrati.    Trad. 
ital.  Firenze  1874.  pag.  68. 


1 


312  6.  BOMITI 

prova  del  valore  delle  trabecole  del  cranio  e  dei  processi  palato- 
mascellari  quali  archi  viscerali  preorali:  Miklucho- Maday  {^)  os- 
servò la  stessa  comunicazione  negli  Squali.  Rimane  cosa  sin- 
golare che,  tra  i  mammiferi,  soltanto  il  coniglio  presenti  una 
costante  apertura  nell'adulto. 

Il  canale  cranio-faringeo  descritto  nella  bambina  è  perciò 
omologo  al  canale  o  foro  pituitario  della  base  del  cranio  nel 
coniglio  e  nella  lepre,  ed  al  canale  palato-nasale  dei  pesci  Mi- 
xinoidi. 


Spiegazione  o  ragione  embriologica.  —  Riconosciuta  ormai  la 
necessità  di  dover  rintracciare  le  ragioni  d' ogni  varietà  umana 
sullo  sviluppo  dell'organo  che  la  presenta,  noi  dovremo  ricercare, 
nel  caso  nostro,  se  in  qualche  periodo  della  vita  embrionale  la 
base  del  cranio  è  attraversata  da  un  canale.  Ed  è  infatti  così 
per  la  formazione  del  lobo  anteriore  della  gianduia  pituitaria. 

La  gianduia  pituitaria  situata  nella  sella  turcica  è  composta 
di  due  lobi  uno  anteriore,  V  altro  posteriore,  lobi  che,  come  è 
noto,  si  sviluppano  in  modo  ben  differente:  V  anteriore  dalla 
primitiva  cavità  faringea,  il  posteriore  dal  cervello  intermedio. 
E  ormai  da  tutti  riconosciuto  che  il  lobo  anteriore  si  produce 
da  un  diverticolo  dalla  cavità  faringea  primitiva  cioè  dal  foglietto 
esterno  od  ectoderma,  diverticolo  detto  tasca  ipofisaria,  tasca  o 
borsa  di  Rathke  dal  nome  dello  anatomico  che  la  trovò.  La  tasca 
ipofisaria  per  giungere  nello  interno  del  cranio,  nella  futura 
sella  .turcica,  traversa  da  principio  la  primitiva  base  del  cranio 
tra  il  pilastro  medio  e  quella  parte  della  base  che  corrisponde 
al  cervello  intermedio:  procedendo  lo  sviluppo  la  tacsa  va 
strozzandosi  sempre  più  alla  sua  base  che  si  allunga  a  sottile 
picciuolo,  si  stacca  ed  il  picciuolo  si  trova  corrispondere  allora 
presso  a  poco  tra  il  basipresfenoide  ed  il  basipostsfenoide.  Il 
percoso  del  peduncolo  della  tasca  ipofisaria  o  tasca  di  Ratchke 
si  osserva  chiaramente  in  embrioni  umani  nei  primi  mesi  e  spesso 
anche  in  feti  di  4  o  5  mesi,  come  non  di  rado  me  ne  sono  con- 


(*)  Miklucho-Maclay  —  Beitrdge  zur  vergleichenden  Neurologie  der  Wirbelthiere. 
Leipzig.  1870.  pag.  31)  e  seg. 


SOPRA  IL  CANALE  CRANIO-FARINGEO  NELL^UOMO  E  SOPRA  LA  TASCA  EC.    313 

vinto.  II  canale,  che  non  è  che  il  canale  crànio-faringeo,  si  oblitera 
assai  presto,  tanto  che  nei  feti  a  termine  non  se  ne  trova  che  il 
10  Vo>  come  sopra  ho  accennato,  e  in  età,  più  inoltrata  non  se 
ne  trovano  tracce,  ed  il  caso  mio  della  bambina  di  5  anni  mostra 
la  eccessiva  rarità  sua.  Negli  ultimi  mesi  della  vita  intra-uterina 
rimane  distinta  nel  fondo  della  sella  turcica  una  profonda  ed 
ovale  infossatura  (fig.  Ili,  a)  :  ed  è  appunto  quello  il  resto  della 
estremità  superiore  della  comunicazione. 

Il  canale  cranio-faringeo  descritto  adesso  nella  bambina,  non 
è  che  il  resto  della  primitiva  comunicazione  tra  la  cavità  del 
cranio  e  la  faringe,  per  il  formarsi  del  lobo  anteriore  della 
gianduia  pituitaria  (^). 

Esaminando  il  contenuto  del  canale  cranio-faringeo  nel  feto 
fresco,  si  nota  come  esso  contenga  un  piccolo  prolungamento 
della  dura  madre,  alcuni  vasellini  specialmente  venosi  e  del  lasso 
connettivo.  Così  pure  esaminando  la  cosa  nel  coniglio  e  nella 
lepre  ho  visto  che  la  ampia  fossa  contiene  un  prolungamento 
della  dura  madre,  ed  allo  esterno  un  po'  di  connettivo  assai 
lasso  separa  questa  dalla  superficie  ossea.  Vi  sono  molti  e  sot- 
tilissimi vasi,  per  la  massima  parte  venosi:  qualche  ramificazione 
traversa  il  foro  e  si  sperde  per  la  volta  faringea. 

Giacché  il  caso  che  ho  illustrato  mi  ha  condotto  a  parlare 
della  tasca  ipofisaria  o  tasca  di  Ratchke^  io  debbo  profittare  della 
circostanza  per  togliere  in  esame  alcuni  lavori  suir  argomento, 
noti  dopoché  io  avevo  già  pubblicato  il  mio  libro  di  Embrio- 
genià, e  lo  studio  dei  quali  naturalmente  può  riattaccarsi  a 
quello  del  canale  cranio-faringeo.  Sono  questi  relativi  alla  esi- 
stenza della  tasca  di  Rathke,  ed  al  significato  ontogenetico  della 
gianduia  pituitaria. 

E  solamente  del  primo  punto  che  intendo  occuparmi,  che 
per  r  altro  rimando  ai  noti  lavori  di  Dohrn,  di  Owen^  di  Baraldi 
e  di  Balfour. 

Fino  da  quando  Rathke  (*)  nel  1838  scuoprì  la  tasca  ipofisaria, 

(^)  Per  quanto  riguarda  la  letteratura  sulla  formazione  della  tasca  ipofisaria  e 
dalla  gianduia  pituitaria,  rimando  ai  Trattati  di  Embriologia  di  Kólliher^  2.^  edìz., 
di  Balfour,  alle  mie  Lezioni  di  Embriogenià,  II,  pag.  31,  ed  alla  eccellente  Mono- 
grafia di  Mihalhovics.  Entw.  des  Gehims;  Leipzig.  1877.  pag.  83  e  seg. 

(')  Ratchke  —   Ueber  die  Entstehung  der  gianduia  pituitaria.  (MuUer  's  Archiv. 
1838.  pag.  482). 


314  G.  ROMITI 

Reichert  (')  ne  impugnò  la  esistenza,  facendola  derivare  da  pro- 
duzione delle  meningi.  Ma  la  esistenza  della  tasca  di  Ratchhe  o 
tasca  ipofisaria;  benché  per  singolare  contradizione  fosse  poi  ne- 
gata dallo  stesso  suo  scuopritore  (^),  fu  nuovamente  confermata 
dagli  osservatori  e  fu  ritenuta  origine  del  lobo  anteriore  della 
ipofisi.  C'jsì,  per  ricordare  alcuno,  Kolliher  fin  nella  l.*  Edizione 
della  sua  Entmchelungsgeschichte  (Leipzig.  1861,  pag.  242)  con- 
fermò il  fatto  nel  pollo  e  nell'  uomo  ('):  Luschka  Q)  pure  la  os- 
servò neir  embrione  umano  di  8-10  settimane,  Miklucho-Maclay  (^) 
neir  embrione  di  squalo, /)/^r.9y  (®)  completò  il  concetto  di  Ratchhe 
mostrando  la  doppia  origine  dei  due  lobi  della  ipofisi:  la  tasca 
di  Ratchhe,  prodotta  dallo  intestino  anteriore,  produceva  l'ante- 
riore, il  posteriore  nasceva  dallo  infondibulo.  Fu  merito  di 
Gotte  f  )  correggere  il  modo  di  origine  della  tasca  di  Ratchke  o 
tasca  ipofisaria,  poiché  mostrò  che  essa  non  nasceva  dallo  inte- 
stino anteriore  e  perciò  dallo  entoderma,  ma  sibbene  dalla  ca- 
vità boccale  primitiva,  e  perciò  dallo  ectoderma.  Questa  capitale 
dimostrazione  fu  tosto  confermata  ed  accettata  da  Mihalkovics  (^), 
Balfour  C'),  Kolliker  {''),  da  me("),  e  da  Rabl-RucUard  {'^):  nel- 
r  uomo  é  anche  ricordata  da  Froriep  {'%  il  quale  dà  anche  eccel- 
lenti figure  del  canale  cranio-faringeo  nell'  embrione  umano.  Ad 
onta  di  questa  concordia  di  opinioni  tra  gli  Anatomici,  non  è 
multo,  nel  1884,  che  Paul  Albrecht,  autore  del  resto  di  buoni 
ed  originali  lavori  di  osteologia  comparata,  ha  volato  sostenere 

(*)  Reichert  —  Dos  Entvoicklungslehen  im  Wirbelthierreiche.  Berlin  1840  p.  179. 

(*)  in:  Entwichelung  der  Schìldkrnte.  Braunschweig.  1848.  pag.  29. 

(3)  Kólliker  —  Entw.   1.^  Auf   Leipzig.  1861. 

(^    Luschka   —    Der  Hirnanhanr/.  etc.  Berlin.   IS60.  pag.  31- 

f»)  Mikliicho  Maclay   —   Beitrdge  zur  vergleichenden  Neurologie  der   Wirbel- 
thiere.  Leipzig.  1870.  pag.  39. 

(°)  Dursy  —    Beitrdge  zur  Entmckelungsgeschichte  des  Hirnanhanges.  (  Med. 
Centralblatt  Berlin.  1858.  8.)  e:  Zur  Entio  des  Kop/es  des  Menschen.  Tùbingen  1869. 

(^)  Gòtle  —  Entw,  der  Unhe.  Leipzig.  IH75.  pag.  'llS, 

(^)  Mihalkovics  —  Specialmente  in:  Etw.  des  Gehirns.  Leipzig.   1877.  pag.  83. 

(^)  Balfour  —    A  preliminar  account  of  the  development  of  the  elasmobranch 
fishes.  (Quart.  Journal  of  the  micro.s.  Science.  Oct.  1875). 

(«0)  Kólliker  -    Entw.  -2.*  ediz.  Leipzig.   1879.  pag.  302. 

Q^)  Romiti  —  Lezoni  di  Embriogenià.  II.  Siena  1882.  pag.  31. 

('*)  Rabl-Ruchk'»nl  —   D.e  gegenseitigen   Verhdltnlss  der  Chorda^  Hypophysis, 
etc.  (Morph.  Jihrb.  VI.  1880). 

Q^)  A.  Froriep  —  Kopftheil  der  Chorda  dorsalis  bei  menschlichen  Embryonen. 
(Hcnlo's  Fe-itgabe.  Bonn.  1882.  pag.  2(5) 


SO?BA  IL  CANALE  CRANIO-FARINGEO  NELL^UOMO  E  SOPRA  LA  TASCA  EC.   315 

che  la  tasca  di  Ratchke  non  esiste.  L' importanza  massima  della 
questione,  giustifica  se  io  riporto  sommariamente  le  conclusioni 
che  nella  sua  Memoria  ('),  riguardano  il  nostro  soggetto. 

*  La  tasca  di  Ratchke  non  esiste  :  esiste,  è  vero  il  canale  cranio- 
faringeo  neir  embrione,  ma  è  ripieno  solamente  dai  vasi  retro- 
faringei,  che  non  hanno  comunicazione  né  colla  faringe,  né 
colla  cavità  ovale  primitiva,  l'organo  contenuto  nel  canale 
e  considerato  come  tasca  di  Ratchke  non  fe  che  uno  di  questi 
vasi  (^)  :  non  vi  ha  ragione  embriologica  per  distinguere  due  lobi 
nella  ipofisi.  Il  così  detto  lobo  posteriore  non  origina  dall'  in- 
fundibolo. Tutta  r  ipofisi  è  completamente  indipendente  dal  cer- 
vello e  dalla  faringe:  gli  epiteli  dell'  ipofisi  sono  endoteli:  tutta 
r  ipofisi  è  una  gianduia  vascolare  sanguigna,  omologa  a  tutta 
l'ipofisi  dei  pesci:  il  sacco  vascoloso  di  questi  è  rudimentario 
nei  vertebrati  superiori.  L' infundibolo  è  un  filo  terminale  cra- 
niale: esiste  perciò  nel  midollo  due  code  di  cavallo,  una  craniale, 
l'altra  caudale  ». 

Queste  le  conclusioni,  le  quali,  ognun  vede,  quanto  e  quanto 
profondamente  dovrebbero  modificare  le  nostre  cognizioni  ed  i 
i  nostri  modi  di  considerare,  non  solo  la  ipofisi  del  cervello, 
ma  ancora  il  sistema  nervoso  centrale  in  genere.  Ma  dovendomi 
soltanto  per  adesso  occupare  di  quanto  è  relativo  alla  tasca  di 
Ratchlie,  noterò  prima  di  tutto  come  Alhrecht  descriva  un  **  pro- 
longement  grèle  du  cràniopharyux  „,  che  non  divorrebbe  altro 
che  la  volta  faringea  dell'adulto,  il  quale  prolungamento  rag- 
giunge, non  traversa  mai  il  cranio,  né  produce  porzione  di  ipo- 
fisi. Ma  la  sua  asserzione,  che  cioè  il  lobo  ipofisario  sia  indipen- 
dente dalla  faringe,  egli  non  dimostra  con  ricerche  nello  em- 
brione, almeno  scorrendo  molti  dei  suoi  lavori  che  devo  alla  sua 

(*)  Paul  Albrecht  —  Sur  les  $pondylo  centres  èpituitaires  du  crdne^  la  non  exi- 
stence  de  la  poche  de  Ratchke  et  la  présence  de  la  chorde  dorsale  et  de  spondylo^ 
centres  dans  la  cartilage  de  la  cloison  du  nez  des  vertébrés.  Communication  fa  ite 
a  la  Soc.  d'Anat  path.  Bruxelles  1884.  Manceaux  Edit. 

(')  In  questo  punto  vi  ha  una  nota,  che  testualmente  riporto: 
«  En  un  mot,  il  y  a  deux  erreurs  différentes,  qu*  on  a  commises:  on  a  regardé 
«le  prolongement  gréle  du  cràniopharynx  (voir  v.  Kolliker  Entw.  t.^  fig.  325A) 
«  ou  un  vaisseaux  rétrophariugien  (voir  v.  Kolliker  1.  e.  fig.  326  ce)  pour  la  poche 
«  de  Ratchke.  Le  prolongement  gréle  du  cràniopharynx  existe  certainement,  mais 
«jamais  il  ne  percv  la  base  du  orane,  jamais  il  ne  se  détache  du  cràniopharynx, 
«jamais  il  ne  devient  le  lobe  antérieur  de  Thypophyse». 

8  6.  ROMITI 


316  G.  ROMITI 

squisita  cortesia,  si  contenta  di  asserirlo  assolutamente,  e  dedu- 
ceudolo  da  preparati  tolti  da  feti  e  da  adulti  :  e  ciò  è  singolare 
poiché  nei  suoi  lavori  di  osteolo^^ia  comparata  la  dimostrazione 
segue  sempre  V  enunciato  o  V  asserzione.  Insisto  intanto  su 
questo  lato  potente  della  critica;  del  non  confermare  cioè  l'as- 
serzione con  preparati  embriologici. 

Bisogna  che  ricordi  come  Albrecht  nello  stesso  lavoro  abbia 
ammesso  che  la  corda  dorsale  non  termini,  come  universalmente 
si  ritiene,  nel  dorso  della  sella  turcica,  ma  si  continui  nel  setto 
delle  narici,  ove  si  troverebbero  degli  spondilocontri  epituitari; 
donde  cadrebbe  completamente  la  nota  teorìa  di  Gegembaur  della 
divisione  del  cranio  in  vertebrale  e  provertebrale,  e  della  divi- 
sione in:  cordale  e  precordale  di  Kòlliker. 

E  più  specialmente  con  queste  dimostrazioni  che  Albrecht 
impugna  la  derivazione  del  lobo  ipofisario  della  faringe.  Infatti 
egli  ritiene  poter  dimostrare  che  la  corda  dorsale  percorra  tutta 
la  lamina  quadrilatera  dello  sfenoide  o  il  dorso  della  sella,  tra- 
passi per  la  lamina  perpendicolare  dell'  etmoide  e  quindi  nel 
setto  cartilagineo.  Possiede  egli  un  cranio  di  feto  umano  ove 
dal  dorso  della  sella  sono  continue  ossificazioni  sino  all'etmoide, 
ricorda  una  figura  di  Rambaud  e  Renault  nella  quale  si  vedono 
7  nuclei  di  ossificazione  distinti  nel  setto  nasale  cartilagineo 
d'  un  bambino  di  un  anno,  ed  infine  descrive  un  teschio  di  vi- 
tello adulto,  nel  setto  nasale  del  quale  sono  7  nuclei  o  centri 
vertebrali.  Perciò  la  ipofisi  dovrebbe  essere  organo  ipocordale 
e  non  epicordale  (  ). 

La  comunicazione  di  Albrecht  destò  una  certa  commozione 
tra  gli  Anatomici,  e  Alberto  Kollikerij)  si  oppose   recisamente 

(})  Avevo  già  preparato  questo  lavoro  quando  io  ebbi  occasione  vedere  in  Roma 
il  mio  ottimo  amico  Prof*  Albrecht,  nel  novembre  scorso.  Io  ammirai  la  sua  pre- 
ziosa collezione  osteologica  che  egli  cortesemente  mi  dimostrò;  e  mentre  rimasi  pe^ 
rettamente  persuaso  su  quanto  riguarda  il  basiotico,  la  fossetta  vermiana,  la  duplicità 
originaria  dall'osso  incisivo,  le  paracostoidi  e  r  indipendenza  delle  coste  cervicali 
dalla  radice  anteriore  delTapofisi  trasversa  (fatto  questo  del  quale  avevo  io  pure  data 
diniostazione),  e  altri  fatti  osteologici,  vidi,  è  vero,  anche  i  preparati  mezionati  nel 
testo  relativi  alla  continuazione  di  ossificazioni  parziali  al  di  là  del  dorso  del  clivo. 
Quanto  a  questi  per  il  momento  non  potrei  pronunciarmi  sul  merito  della  questione 
se  0  no  la  corda  passi  nel  setto:  circa  però  la  genesi  del  lobo  anteriore  dalla  ipo- 
fisi dalla  faringe,  io  credo  che  quei  preparati  non  possono  distruggere  quanto  è  dato 
di  osservare  nello  embrione. 

Q)  A.  KòUiker  —  Grundrisse  der  Entvoik.  2.*  Ediz.  Leipzig.  188i.  pag.  24o. 


^ 


SOPRA  IL  CANALE  CRANIO-FARINGEO  NE Ll' UOMO  E  SOPRA  LA  TASCA  EC.    317 

ed  in  maniera  assoluta  al  modo  di  formazione  della  ipofisi  secondo 
Albrecht,  tanto  più  che  questi  dava  ancora  grande  valore  per 
la  sua  tesi  ad  una  figura,  la  308  della  2.'  edizione  della  ^  Em- 
briologia y,  dello  stesso  Kolliker,  giacché  egli  considerava  la  por- 
zione compresa  tra  ms  e  h  della  stessa  figura  come  la  porzione 
sfeno-etmoidale  del  cranio,  cosa  che  realmente  non  era,  perchè 
la  porzione  sfeno-etmoidale  è  formazione  successiva.  Riconosco 
però  giusto  V  appunto  che  Albrecht  fa  sull'  interpretazione  di  h 
in  quella  figura:  h  non  può  essere  certamente  la  tasca  di  Ratchke 
che  allora  la  ipofisi  sarebbe  ipocordale:  è  più  probabile  che  la 
tasca  sia  T  infossamento  situato  subito  sotto  eh. 

Nei  lavori  successivi  Kólliker{^)  ed  Albrecht  (*)  limitarono  più 
specialmente  la  loro  discussione  sul  ritenere  o  no  che  la  corda 
dorsale  si  prolunghi  nel  setto  nasale,  e  perciò  se  devesi  o  no  con- 
cludere, come  vorrebbe  Albreeht,  che  tutto  intero  il  cranio  debba 
considerarsi  come  vertebrale  e  cordale,  in  opposizione  alle  note 
divisioni  in  vertebrale  e  prevertebrale  fGegembaur),  cordale  e 
precordale  (Kolliker ).  Per  quanto  riguarda  la  nostra  questione, 
la  formazione  del  lobo  anteriore  della  ipofisi  dalla  tasca  di 
Ratchke^  Albreeht  ricorda  come  Ratehke  stesso  abbia  rinnegato 
quanto  egli  aveva  avanti  ammesso  circa  V  origine  del  lobo  della 
ipofisi  dalla  tasca  ipofisaria,  ed  insìste  sopra  la  spiegazione  dif- 
ferente che  dà,  ad  alcune  figure  di  Kolliker,  Di  osservazioni 
anche  qui  non  porta  proprie  ricerche  su  embrioni  e  descrive 
solamente,  come  ho  accennato,  un  singolare  setto  delle  narici 
d' un  vitello,  nel  quale  sono  7  rigonfiamenti  ossei  da  esso  con- 
siderati quali  centri  vertebrali  o  spondilocentri.  Né  è  certamente 
adesso  che  voglio  discutere  questa  capitale  questione  della  dot- 
trina del  cranio,  che  mi  porterebbe  troppo  lontano  dal  presente 
ai^gomento. 

Tornando  dunque  alla  tasca  di  Ratchke  o  tasca  ipofisaria, 
benché  io  fossi  più   che  mai  persuaso  e  dalla  sua  esistenza,  e 


(*)  A.  Kolliker  —  Ein$  Antwort  an  E.  Albrecht  in  Sachen  der  Enistehung 
der  Hypophysis  und  des  spheno-ethmoidales  Theiles  des  Schàdels,  (Biolog.  Cen- 
tralblatt.  1  marzo  1885).  —  Zitzber  der  Wùrzburg  Phys.  med.  Gesellesch  agosco  1885). 

(*)  P.  Albrecht  —  Ueber  Existenz  oder  Nichtexistenz  des  Ratchke  *schen  Tasche. 
(Biolog.  Centralblatt.  1  febbraio  1885.  —Ueber  die  Chorda  dorsalis  und  7  knocherne 
Wirbelzentren  in  knorpligen  Nasenseptum  eines  erwachsenen  Rindes,  Biolog. 
Cblatt.  1  maggio  1885.  15  maggio  1885  e  15  giugno  1885). 


318  0.  BOMITl 

dalla  derivazione  del  lobo  anteriore  dalla  ipofisi  da  essa,  aven- 
dola sempre  trovata,  pure  ho  voluto  sottoporre  nuovi  erabrioni 
di  vari  vertebrati  e  di  vario  grado  di  sviluppo,  ad  un  completo 
e  minutissimo  esame,  praticando  sezioni  della  intera  loro  testa 
esattamente  verticali,  parallele  al  piano  mediano  antero-poste- 
riore,  per  mezzo  del  microtomo  di  Thoma,  e  montando  le  se- 
zioni in  serie.  Così  a  me  parve  forse,  meglio  che  in  qualunque 
altro  modo,  da  risolversi  la  questione,  che  nelle  cose  naturali 
una  esatta  osservazione  o  verificazione  d'  un  fatto  è  argomento 
perentorio  più  delle  migliori  e  più  sottili  deduzioni.  Di  più 
usando  soverchiamente  di  queste  ci  si  avvicina,  anco  involon- 
tariamente, a  quel  teleologismo  che  è  sorgente  di  tanti  e  tanto 
colossali  errori  nella  scienza  nostra. 

Meglio  d'  ogni  minuta  descrizione,  io  darò,  tra  le  tante  se- 
zioni praticate,  le  figure  (fig.  IV  e  V)  della  sezione  verticale, 
ed  esattamente  della  centrale  della  serie,  d^  una  testa  di  em- 
brione di  pulcino  verso  il  7.'>  giorno  di  covatura  fatta  nella 
stufa  di  Arsonval.  L'  embrione  colorito  e  rinchiuso  nella  paraf- 
fina, fu  sezionato  col  microtomo  di  Jung.  Ho  a  bella  posta  pre- 
ferito il  disegno  e  lo  studio  d'  una  preparazione  tolta  dal  pulcino, 
perchè  Kolliker  e  Mihalkovics  hanno  più  specialmente  studiata 
e  figurata  la  cosa  in  questo  stadio  nei  mammiferi. 

Il  disegno  si  limita  a  quella  parte  della  preparazione  che  com- 
prende il  fondo  della  bocca  primitiva  (a),  la  base  del  cranio  nel 
pilastro  medio  di  Ratchke,  futura  sella  turcica  (b.  e),  il  cervello 
intermedio  (i),  e,  al  davanti,  un  grosso  vaso  (e) .  Dalla  parte 
più  alta  del  fondo  della  bocca  o  della  volta  faringea,  parte  un 
sottile  prolungamento  epiteliale,  largo  25  micromillimetrì,  questo 
ha  un  cammino  lievemente  tortuoso,  traversa  la  base  del  cranio 
primitivo  tra  due  formazioni  cellulari  (f)  che  costituiranno  il 
basisfenoide  e  sbocca  in  una  ampia  infossatura  che  è  la  fossa 
pituitaria  o  futura  sella  turcica.  È  da  notare  che  nel  suo  tra- 
gitto passa  al  davanti  d'  un  grosso  vaso  (e)  involto  in  delicato 
tessuto  fibrillare.  La  presenza  di  questo  vaso  in  questa  località, 
ed  in  un  periodo  sì  primitivo  ci  da  ragione  del  trovarvisene 
anche  neir  adulto:  donde  i  molteplici  forellini  vascolari  che  esi- 
stono spesso  nel  basisfenoide  completo,  forellini  che,  come  ho 
sopra  detto,  non  devono  essere  confusi  col  canale  cranio-faringeo. 

Arrivato  il  prolungamento  in  parola,  che  non  è  altro   che 


80PBA  IL  CANALE  CRANIO-FA KINQEO  NBLlVoMO  E  SOPRA  LA  TASCA  EC.    319 

la  primitiva  tasca  ipofisaria,  entro  il  cranio,  esso  è  schiacciato 
d'avanti  in  dietro,  e  sì  continua  direttamente  in  una  massa 
glandulare  a  molteplici  gemmazioni  od  ^cini,  claviforme  nel  suo 
insieme  (g),  e  che  si  porta  in  dietro  ed  in  alto  verso  la  base 
del  cervello  intermedio  (A).  L'epitelio  di  questa  massa  è  cilin- 
drico corto,  è  alto  8  micromillimetri  :  e  la  massa  stessa  rappre- 
senta una  serie  di  gemmazioni  da  un  tubo  epiteliale  o  glandu- 
lare, esattamente  come  si  ha  nella  produzione  delle  comuni 
glandule  del  corpo  umano:  esso  non  è  altro  che  il  lobo  anteriore 
della  ipofisi,  ed  h  inutile  spendere  ulteriori  parole  per  asserire 
che  esso  non  può  essere  che  la  continuazione  o  il  prodotto  del 
prolungamento  dell'  epitelio  faringeo  o  della  tasca  di  Batchke. 
Nel  preparato  si  nota  ancora  che  il  prolungamento  faringeo  è 
tuttora  cavo  (fig.  V)  presentando  un  lume  di  9  micromillimetri: 
così  pure  sono  i  tubi  glandulari  del  lobo  anteriore  della  ipofisi. 

Benché  non  direttamente  collegato  col  nostro  argomento, 
pure  io  voglio  notare  un  fatto  palese  nella  preparazione  e  nella 
figura  che  fedelmente  ritiae:  Albrecht,  tra  le  sue  conclusioni, 
asserì  ancora  che  tutta  la  apofisi  h  indipendente  dal  sistema 
nervoso  centrale;  sicché,  per  esso  lui,  il  lobo  posteriore  di  questa 
non  doveva  nascere  dal  cervello  intermedio.  Ma  appunto  nella 
figura  si  vede  in  (i)  come  un  diverticolo  del  pavimento  del  cer- 
vello intermediario  si  porta  in  basso  ed  in  dietro  cella  fossa 
ptnitaria,  ed  è  quello  che,  come  mostra  lo  studio  del  successivo 
sviluppo,  va  a  costituire  il  lobo  posteriore  della  ipofisi. 

Da  questa  preparazione  resta  meglio  confermato  e  dimo- 
strato come  anche  nel  pulcino  il  lobo  anteriore  della  ipofisi  si 
formi  da  gemmazioni  o  diverticoli  che  nascano  dalle  due  pareti 
della  tasca  di  Ratchke,  l' estremo  della  quale  nelle  sezioni  tra- 
sverse, apparisce  schiacciato  ed  ha  aspetto  di  fessura,  come  è 
figurato,  ma  nello  embrione  di  troia,  nella  fig.  329  della  2."  ediz. 
della  Embriologia  di  Kolliker.  Nei  mammiferi  invece  le  gemma- 
zioni epiteliali  che  producono  il  lobo  anteriore  della  ipofisi  sor- 
gono solamente  dalla  faccia  anteriore  della  tasca.  Nello  stadio 
che  io  ho  descritto  adesso  nel  pulcino  si  vede  come  alcuni  dei 
diverticoli  sieno  già  isolati  dallo  estremo  della  tasca  faringea 
che  li  originò. 

Dal  sin  qui  detto  e  dimostrato,  chiaro  apparisce  come  la 
nuova  veduta  di  Alhrechtj  benché  sostenuta  da  un  ricercatore  sì 


320  Q.  ROMITI  —  SOPRA  Ih  CANALE  CRANlO-PARmOBO  EC. 

competente  in  morfologia  comparata,  non  è  che  una  semplice 
asserzione. 

Che  nello  embrione  il  canale  cranio-faringeo,  del  quale  ve- 
ramente Albrecht  riconosce  la  esistenza,  contenga  dei  vasi  retro- 
faringei,  è  fatto  che  anche  le  mie  preparazioni  confermano,  e 
nella  fig.  IV  ne  fe  appunto  disegnato  uno,  ma  che  V  organo  de- 
scritto per  tasca  di  Ratchhe  sia  uno  di  questi  vasi  non  può 
certamente  sostenersi  e  per  la  sua  natura  schiettamente  epite- 
liale e  per  il  continuarsi  col    lobo  della  ipofisi. 

Che  in  questo  canale  sieno  anche  vasi,  non  cade  dubbio,  e 
uno  si  vede  id  (e)  nella  fìg.  IV:  tali  si  trovano,  e  abbondanti 
traversare  il  canale  nel  coniglio  e  nella  lepre  adulti,  ed  assai 
probabilmente  sulla  nostra  bambina  era  ancora  un  vasellino  che 
traversale  Y  abnorme  apertura  del  basisfenoide.  Ma  non  si  può 
prendere  per  esistito  permanente  quanto  si  trova  solo  neir  adulto, 
che  allora  bisognerebbe  negare  molte  altre  comunicazioni  o  pro- 
lungamenti transitori  che  si  trovano  nello  embrione  e  dei  quali 
può  talvolta  restar  traccia  nel!'  adulto,  e  dei  quali  sarebbe  qui 
ozioso  tener  ricordo.  La  tasca  di  Ralchke  sparisce  agli  odierni 
vertebrati  perchè  nuovi  adattamenti  non  ne  hanno  giustificata 
la  permanenza  e  la  ragione;  rimangono  i  vasi  perchè  possono 
avere  speciale  ufficio  ('),  sia  per  nutrire  delle  parti,  sia  per  co- 
stituire vie  emissarie  specialmente  venose. 

Dallo  insieme  di  questa  mia  Memoria  son  venuto  concludendo: 

Esiste,  come  rarissima  varietà  nelPuomo,  il  canale  cranio- 
faringeo,  anche  al  di  là  della  vita  fetale. 

Esso  è  omologo  a  quanto  si  trova  normalmente  nel  coniglio 
e  nella  lepre. 

Sta  a  rappresentare  il  resto  o  la  traccia  del  passaggio  at- 
traverso la  base  del  cranio  della  tasca  di  Ratch\e. 

Ha  perciò  lo  stesso  significato  morfologico-comparativo  e 
genetico  delle  altre  varietà,  umane:  è  carattere  reversivo. 

La  tasca  di  Ratchke  esiste  realmente  e  dà  realmente  origine 
al  lobo  anteriore  della  ipofisi. 

(9  Canale  abnorme  ed  esclusivamente  vascolare  è  il  cosi  detto  €  Canale  basilare 
mediano  dell*  occipitale  »  dal  quale  ne  sono  stati  illustrati  esemplari  da  Gruher  e 
da  me. 


SPIEGAZIONE    DELLE   FIGURE 


Fijr.  I. 

Porzione  dì  base  di  cranio  dì  una  bambina  di  5  anni, 
a.  Canale  cranio-faringeo  traversato  da  una  setola. 

Figr.  II, 

■A 

Base  del  cranio  (meno  la  parte  anteriore)  d*  un  coniglio  adulto.  ' 

a.  Canale  o  foro  cranio-faringeo. 

Fig.    HI. 

Faccia  superiore  d'  uno  sfenoide  di  feto  umano  ali*  8.^  mese. 
a.  Fossetta  pituitaria  o  resto  del  canale  cranio-faringeo. 

Fig,    IV. 

Porzione  di  sezione  verticale  della  base  del  cranio  di  un  embrione  di  pollo 
al  7.^  giorno  di  covatura.   Induramento  nel  liquido  di  Kleinemberg  e  alcool: 
colorazione  in  massa  nel  carminio  alluminico:  inclusione  in  paraffina  e  sezioni 
verticali  in  serie  col  microtomo  Jung.  La  preparazione  è  una  delle  centrali. 
Hartnack  3-2.  Tubo  corto.  Camera  di  Milne-Edwards  e  Doyere. 
a.     Cavità  boccale  e  faringea  primitiva. 
h.  e.  Base  del  cranio-Pilastro  medio  di  Ratchke. 

d.  Cervello  intermedio. 

e.  Vaso  basilare. 

/!      Prolungamento  faringeo  (tasca  di  Ratchke). 
g.     Lobo  anteriore  della  ipofisi. 
K     Base  del  cervello  intermedio, 
i.      Lobo  posteriore  della  ipofisi. 

Fig.  Y. 

e.f.g.  della  fig.  IV  maggiormente  ingranditi.  Hartnack  3-5  t.  e. 


*'^^^^^^y^^^^^^^^^^^^'^^^^^0^^^0»^ 


i: 


I  N  D  I  e 


DELLE 


MATERIE  CONTENUTE  NEL   SETTIMO   VOLUME 


J.  Daniblli.  —  Osservazioni  su  certi  organi  della  Gunnera  scabra  .  Pag.       l 

F.  Sestinl  —  Sulle  scorie  provenienti  da  antiche  fusioni  metalliche 

che  si  trovano  nella  tenuta  di  Castagneto *  .     .     .     >       18 

D.  Pantanelll  —  Una  applicazione  delle  ricerche  di  micropetro- 
grafia all'arte  edilizia >      24 

D.  Pantanelll  —  Roccie  di  Assab »      29 

A.  D'AcHiARDi.  —  Delia  trachite  e  del  porfido  quarziferi  di  Dono- 

ratico  presso  Castr.gneto  nella  prov.  di  Pisa >      31 

G.  Romiti  —  Una  osservazione  di  terzo  condilo  occipitale  nell'uomo 

e  considerazioni  relative >      57 

G.  KoMiTL  -—  La  cartilagine  della  piega  semilunare  ed  il  pellicciaio 

nel  negro >      67 

À.  LoNGi.  —  Solfato  stannoso,  solfato  stannoso-ammonico  ed  alcuni 

loro  ammonderivati >      71 

B.  Lotti.  —  Correlazione  di  giacitura  fra  il  porfido  quai-zifero  e  la 

trachite   quarzifera   nei  dintorni  di  Campiglia   marittima  e  di 

Castagneto  in  prov.  di  Pisa >      85 

I).  Pantanelll  —  Vertebrati  fossili  delle  ligniti  di  Spoleto.    .    .     »      93 

E.  P^icalbl  —  Ossa  accessorie  comparativamente  studiate  nel  cranio 

dell*  uomo  e  dei  rimanenti  mammiferi »     101 

A.  Bartoli  k  G.  Papasogll  —  Sulle  diverse  forme  che  prendono  i 

corpi  nel  disciogliersi  entro  un  liquido  indefinito >     134 

G.  Ristorl  -  Contributo  alla  flora  fossile  del  Valdarno  superiore.  >  143 
L.  Busattl  —  Nota  su  di  alcuni  minerali  toscani >     191 


324 

G.  A.  Db  Amicis.  —   Il  calcare  ad  ainphistegiaa  nella  provincia  di 

Pisa,  ed  i  suoi  fossili Pag.  200 

G.  Ristori.  —  Consideriizioni  geologiche  sul  Valdarno  superiore  ecc.     »     249 
M.  Canavari.  —  Fossili  del  Lias  inferiore  del  Gran  Sasso  d'Italia     »    280 
P.  Laghi.   —    Intorno  ad  una  anomala   disposizione  delle  vene  del 

collo  neiruomo  . »     301 

G.  Romiti.  —  Sopra  il  canale  cranio-faringeo   nell'uomo  e  sopra  la 

tasca  ipofisaria »    308 


ERRATA 

Pag.  l  iO  lin.  29.  V  elettrodo  di  rame  aveva 

la  forma  di  diverso  dia- 
metro 

154  Potameae 

155  »     3.  mill.  5  logis  et  3  latis 
155  €   25.  lungo  m.  5  largo  3 
170  Urtlelnèe 
172  liaurlnèe 
188             N.  75.  Oreodaphe  Heerii 
196  »     1.  ripartiti 


CORRIGE 

r  elettrodo  di  rame  aveva  la  fórma  di 
due  cilindri  di  diverso 


mill.  3  longis  2  latis 
lango  mill.  3  largo  2 
Urflelnee 
liattrlnee 

Oreodaphne  Heerii 
riportati 


^•J^rVV^vV»^ 


AtUSocTos.Sc.Nat.Vol.VII  Tavl. 


D'Achiapdi.Trachile  e  porfìdo 


i     SocTosc.  Sc.Nal.Vol.V11.Tav.il. 


D'Achiardi    Trochite  e  poi-fido 


../*V;. 


Atti  S0C.T08C  Se  Na t  Vol.VII.  Tav.  Ili 


Remili   Condilo  occipitale. 


*\ 


l 


i  — 


•  •  <*  • 


l 


Cnstofani  lit. 


Mibelli  dis. 


Lit.Gozani  Pi£a, 


Atti  Soc.To8c.Sc.Nal.Vol.VnTavY 


G.Papasogli  e  A.  Bartoli 


t.  >i      ■   »  ■  ,^^m 


6 


8 


8 


10 


12 


GPapasogli  dis. 


Chstofani  Ut. 


Lit.GQi^^\^\^^ 


Atti  Soc  Tose.  Se  Nat  Voi  VII  Tav.VI  Canavari_Foss  d  Lias  inf 

f  #       3      ■ 

3» 

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É 


E-Crislafari  dis.e  III.  Lit^A.Paiis,Fjrejize.Rniiia 


AttiSocTos.Sc.N«t.Vbl.VnTav!III 


B.  Lotti-Carta  qeol.de]  Campigljese 


a; 


IISiSS'f-iKStt' 


Atti  Soc.Tosc.  ScNal  VoLVU  Tav.IX 


Pantanelli  -T 


;*tMiMa 


Attì»oc.To8.»ciHat.Vol.Vll  Tav.A 


r  icalbi,-  Uesa  accessori 


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K 


■M-: 


Atti Soc.To6.ScNBt.Vol, VII  Tav.XI 


fljgil  ^i  Frtli 


De  Amicis .  Cale. ad  Amphist 


Fig.A 


I  I  fimltmar 


\    H^^  ArgUU  ttirttune' 


\  |g^g  t 


Alt  SocTosc.ScNat.Vol  VIITavXII 


^A-:: 


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<j  Romiti  Canale  Cranio-faring 


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Att.  Soc  Tose.  Se.  Nal.Voi.VIL  Tav  XIII.  Lachi.-  Vene  de)  collo  nel)'  Uomo 


RmIi  ih  Ciittcìfani  lit 


I 


ATTI 


DELLA 


SOCIETÀ  TOSGilNA 


DI 


SCIENZE   NATURALI 


RESIDENTE      IN     PISA 


j^d:  s  ìko:  o  XI.  X  £2 


Voi.  Vili, 


TIPOGRAFIA  T.  NISTRI  b  C 

1887 


à-IUSBPFS:    MBNESÒ-HIKI 


GONIODISCUS  FERRAZZII  Mgh. 

NUOVA  STELLERtDE  TERZIARIA  DEL  VICENTINO 

(Nota  pr«i«atata  nell'adooanza  del  di  10  gtnnaio  1886) 


Tav.  X. 

Diana e.»  200."" 

r.      87. 

R 110. 

Corpo  pentagonale  a  lati  leggermente  incurvati  e  ad  angoli 
bracchiali  attondati.  Si  contano  22  a  24  piastre  marginali  e  dor- 
sali per  ogni  arco  interbracchiale,  11  a  12  quindi  per  lato  di 
ciascun  braccio.  Superficie  delle  piastre  marginali  uniformemente 
papillosa.  Piastrelle  adambulacrali  cuneate,  oltre  20  paia. 

L'esemplare  può  invero  figurare  quale  splendido  oggetto 
paleontologico,  per  la  conservazione  di  quasi  tutte  le  sue  parti 
mantenute  nella  reciproca  posizione  loro  organica;  mentre  le 
piastre  di  consimili  dermatoscheletri  d'ordinario  si  trovano 
isolate,  senza  quindi  poter  neppure  formarsi  una  esatta  idea 
della  forma  generale  del  corpo,  che  qui  invece  si  presenta  pres- 
so che  intera.  Con  tanto  bella  apparenza  peraltro,  l'oggetto 
lascia  infinitamente  a  desiderare  al  paleontologo,  il  quale  in- 
damo vi  ricerca  quei  minuti  caratteri  che  le  piastre  isolate  tal- 
volta conservano,  e  che  valgono  a  determinare  il  genere  e  la 
specie  più  assai  che  la  generale  forma  esteriore.  Tutta  la  su- 
perficie esposta,  eh'  è  evidentemente  la  ventrale,  è  profonda- 
mente logorata,  come  fosse  stata  assoggettata  a  prolungato 
sfregamento,  così  appunto  come  era  avvenuto  del  Crenaster 
Montalionis  conservato  in  una  lastra  di  pietra,  che  faceva  parte 
del  pavimento  nella  piazza  del  paese,  al  cui  nome  la  specie  fti 

Se,  Nat,  Voi.  Vm,  fase.  1."  1 


2  G.  MENEOHna 

intitolata  (Nuovi  fossili  Tose,  in  App.  alle  Consid.  sulla  geologia 
Tose.  1853,  p.  24).  Nel  caso  presente  manca  ogni  notizia  sulle 
condizioni  del  ritrovamento. 

La  bella  stella  di  mare  sporge  irregolarmente  di  uno  a  due 
centimetri  dalla  superficie  pure  irregolare  di  una  lastra  di  cal- 
carla compatta  arenacea,  con  evidenti  caratteri  di  logorazione 
per  lungo  tempo  sofferta  e  risultata  più  efficace  sulla  roccia, 
in  confronto  al  fossile,  le  cui  piastre  spatizzate  vi  hanno  offerto 
maggiore  resistenza,  essendone  non  pertanto  scomparse  tutte 
le  particolarità  esteriori.  Le  piastre  marginali  sono  più  laiche 
che  lunghe  nelle  parti  medie  dei  lati  interbracchiali,  diminuen- 
dosene proporzionatamente  la  larghezza  in  prossimità  agli  an- 
goli ;  ma  in  nessuno  di  essi  angoli  sono  ben  conservate  le  ter- 
minali, rimanendone  anche  incerto  il  numero.  Le  piastrelle 
adambulacrali  conservano  prevalentemente  forma  cuneata,  che 
induce  a  supporre  alterne  ad  esse  le  piccole  aree  triangolari 
porifere.  Parallelamente  alla  doppia  serie  delle  venti  piastrelle 
adambulacrali  succedono,  in  ciascuno  degli  spazi  interambula- 
crali,  cinque  serie  di  piastre,  che  dai  due  lati  convergono  al- 
l'angolo  del  peristoma,  rappresentato  da  un  vuoto  irregolar- 
mente rotondo,  di  circa  due  centimetri  di  diametro.  L'angolo 
di  congiunzione  di  esse  serie  di  piastre  Inter ambulacrali,  sem- 
pre più  ottuso  dal  centro  alla  periferia,  termina  per  conver- 
tirsi nel  lieve  incavo  del  lato  interbracchiale.  Le  piastre  inte- 
rambulacrali  devono  essere  state  esagone  e  contigue  jfra  loro, 
ma  per  effetto  della  corrosione,  commisurata  alla  struttura 
cristallina,  risultarono  più  o  meno  profondamente  stellate  a 
sei  raggi. 

Essendo  cancellati  dalla  corrosione  gl'importanti  caratteri 
della  superficie  sulla  faccia  estema,  si  dovette  tentare  di  rile- 
varli sulla  opposta  o  dorsale.  Denudata,  a  tale  oggetto,  una 
porzione  del  lato  interbracchiale  sinistro  dalla  roccia  che  vi 
copriva  le  estremità  delle  piastre  marginali  dorsali,  riuscì  poi 
staccare  dalla  roccia  sottostante  tutta  la  doppia  serie  di  piastre 
marginali.  Il  frammento  staccato  (fig.  a)  mostra  il  notevole  spes- 
sore delle  piastre  dorsali  in  confronto  a  quello  rimasto  alle 
corrose  piastre  ventrali.  Le  maggiori  hanno  15  millimetri  di 
larghezza,  e*  7  di  lunghezza  ed  altrettanto  di  spessore  :  lunghezza 
e  spessore  subiscono  leggera  diminuzione  in  precedenza   alla 


GONIODISCUS  FEBRAZZn  Moh,  3 

estremità,  distale,  fino  alla  quale  si  mantiene  la  lunghezza  così 
leggermente  diminuita,  ma  nuovamente  si  aumenta  lo  spessore, 
al  quale  aumento  immediatamente  succede  Y  attondamento  della 
estremità.  Anche  la  estremità  intema  è  attondata,  come  lo  è 
pur  quella  della  successiva  piastra  interambulacrale,  alla  quale 
ciascuna  delle  marginali  si  connette.  I  fianchi  delle  piastre  mar- 
ginali sono  piani,  e  fra  quelli  delle  piastre  contigue  penetra  sot- 
tile strato  di  sostanza  calcareo-arenacea,  mentre  invece  le  op- 
poste faccio  delle  piastre  ventrali  e  dorsali  aderiscono  diretta- 
mente, ad  esclusione  di  materia  estranea  interposta.  Solo  alcune 
delle  piastre  dorsali  conservano  in  parte  lo  straterello  superfi- 
ciale papilloso,  che  per  lo  più  rimane  aderente  alla  roccia.  Le 
papille  coniche  vi  sono  uniformemente  distribuite,  ma  di  varia- 
bile grandezza,  varietà  che  apparisce  anche  maggiore  di  quello 
che  dovesse  essere  originariamente,  atteso  lo  smussamento  più 
profondo  che  sembrano  aver  subito  quelle  che  occupano  la  parte 
mediana  della  faccia  leggermente  convessa,  mentre  si  conser- 
vano appuntite  quelle  che  scendono  sui  lati.  Sembra  per  tali 
caratteri  giustificata  la  determinazione  del  genere,  quale  fii  de- 
finito e  limitato  da  Mùller  e  Troschel  (System  der  Asteriden, 
Braunschweig  1 842) .  La  facile  sfaldatura  dimostra  normale  alla 
superficie  V  asse  di  simmetria  cristallina.  Le  sezioni  sottili  non 
isvelaroho  al  microscopio  traccia  alcuna  dell'  originario  reticolo 
scheletrico,  che  nelle  piastre  delle  analoghe  specie  viventi  mo- 
stra maglie  piccolissime  (  ved.  A.  Gaudry.  Mérn,  sur  les  pièces 
solides  des  SteUérides,  Paris,  1852,  PI.  12,  fig.  2,  3.), 

La  specie  differisce  grandemente  da  tutte  le  congeneri  cre- 
tacee, che  sono  a  quattro,  a  sei,  a  otto,  a  dodici  piastre  mar- 
ginali intermedie  (Ed.  Forbes.  On  the  Asteriadae  foiind  fossil  in 
British  Sfrata,  Mem.  of  the  Geolog.  Surv.  II.  2.  1848.  p.  471,  sg. 
—  Parkinson.  Organ.  Reinahis,  London.  HI,  1811,  p.  3,  PI.  1, 
fig.  1,  3);  nonché  da  quella  del  calcare  di  Leitha,  descritta  dal 
Dr.  C.  Heller:  Goniaster  Mulleri  (Ueber  neue  fossile  Stelleriderij 
Wien,  1858,  p.  9,  Taf.  Il,  Fg.  3-7p;  presenta  invece  maggiori 
somigUanze  con  talune  delle  specie  viventi  ed  in  particolare 
col  G.  ploLcenta  M.  et  T.  e  col  G.  Sebae  M.  et  T.  (M.  T.  Dujardin 
et  M.  H.  Hupé.  Histoire  naturelle  des  zoophytes  Èchinodermes  - 
Suite  à  Buffon.  Paris  1862.  p.  401  sg.),  e  colle  specie  adriatiche, 
G,  placentaeformis  e  G,  acutiis    (C.  Heller.    Untersiichung.  ueber 


4  G.  MENEGHINI 

die  Littoralfauna  des  Adriatisch.  Meeres.  Sitzungsb .  rf.  k.  /.*.  Ak. 
d.  W.  xLvi,  1862,  p.  419.  —  Zoophijt.  und  Echinod.  d.  Adriat. 
M.  1868.  p.  54),  del  cui  valore  specifico  quistionano  E.  v.  Ma- 
renzeller  (  Bevis.  adriatisch.  Seesterne.  Z.  B.  Ges.  xxv,  1875)  e 
F.  Gasco.  (Descriz.  di  alcuni  Echinodeìtni  nuovi  o  per  la  prima 
volta  trovati  nel  Mediterr.  -  B.  Ac.  d,  s.  fis.  e  mai.  Nap.  Bendic. 
1876.  p.  40). 

Molto  scarsa  e  verosimilmente  molto  incompleta  è  finora  la 
serie  delle  Stelleridi  conosciute  nei  terreni  terziarii  d' Italia,  ed 
essa  dovrà  al  certo  essere  anche  sottoposta  a  critica  revisione 
allorché  se  ne  abbiano  più  copiosi  e  perfetti  materiali.  Si  ri- 
ducono per  ora  alle  specie  seguenti: 

Gonìaster  senensis 

Astrogonium  senense  Mgh.  (Studi  sugli  Echinodermi  fossili 
neogenici  di  Toscana.  Descriz.  di  Siena.  1862.  p.  1,  tav.  1,  fig.  1). 
Sabbie  gialle  plioceniche  dei  contomi  di  Siena. 
Gonìaster  Lawleyi 

Piastre  marginali  più  lunghe  (6."")  che  laiche  (5."") , 
leggermente  cuneate,  a  superficie  granulosa,  granuli  minuti 
(12  in  un  millim.  q.),  disposti  in  serie  irregolarmente  irra^anti. 

Argille  turchine  di  Orciano. 

Astropecten  Soldanii 

Crenaster  Soldanii  Mgh.  (Stud.  etc.  p.  5). 
Argille    turchine  plioceniche   del   Senese,  ed  in  quelle 
tortoniane  di  Benestare,  secondo  il  Seguenza. 

Astropecten  omatus 

Crenaster  omatus  Mgh.  (Stud.  etc.  p.  7). 
Argille  turchine  di  Malintoppo  ed  in  quelle  di  Benestare. 
Astropecten  foveolatus 

Crenaster  foveolatus  Mgh.  (Stud.  etc.  p.  8). 
Col  precedente. 
Astropecten  crenulatus 

Crenaster  crenulatus  Michlt.  in  litt.  Seguenza,  (Le  for- 
maz.  terz.  n.  pr.  di  Reggio.  Roma  1880,  p.  133). 

Tortoniano  di  Benestare. 

„  Placche  somiglianti  a  quelle  dell'  A.  ornatus,  ma  a  su- 
perficie convessa  come  squamosa,  con  alcuni  tubercoli  ad  una 
estremità.  „  (Seguenza) . 


GONIODISGUS   FERRÀZZn  Moh.  5 

Astropecten  Montalionis 

Crefmster  Montalionis  Mgh.  (Nuovi  fossili  toscani.  1853. 
p.  49.  —  Stud.  etc.  p.  81). 

Panchina  pliocenica  inferiore  dei  contomi  di  Mon- 
tajone  (^). 

Astropecten  laevis 

Crenaster  laevis  Michelt.  in  litt. 

non  Asterias  laevis  Desm.  (Cat.  des  Stellérides  viv.  et 
foss.  in  Act.  de  la  Soc.  Linn.  de  Bordeaux,  V,  1832,  4,  p.  15, 
pi.  2,  fig.  2) . 

Piastre  marginali  più  larghe  (5.""")  che  lunghe  (4.™)  ed 
alte  (2,5.°""),  attondate  all'esterno,  ad  angolo  ottuso  all'interno, 
superficie  regolarmente  foveolata,  fossette  rotonde  (e*  15  in  un 
millim.  q.);  faccie  laterali  incorniciate  da  rilievo  marginale  e 
liscie. 

Collina  di  Torino. 

Astropecten  foveolatus  ? 

Crenaster  Desmoulinsii  Michelt.  in  Utt. 

(^)  Alla  imperfetta  descrizione    datane  nelle  due  precedenti   occasioni,  devonsì 
aggiungere  le  osservazioni  seguenti. 

L*  esemplare  è  fossilizzato  in  idrossido  di  ferro,  spicca  quindi  cospicuamente 
sulla  tinta  giallastro-sudicia  della  roccia  eh*  è  quella  panchina  calcareo-arenosa 
che  nei  contorni  di  Montajone  sta  sotto  alle  argille  turchine,  ma  altrove  chiara 
mente  ricopre  la  formazione  gessosa-solfìfera .  La  logorazione  interessa  profon- 
damente la  superficie  della  roccia,  e  quella  pure  del  fossile  che  appena  ne  sporge 
in  qualche  parte  di  uno  o  due  millimetri.  Giace  colla  faccia  ventrale  adesa  alla 
pietra,  e  la  faccia  esposta  dovrebbe  quindi  essere  la  dorsale,  ma  la  logorazione  è  cosi 
profonda  eh*  è  invece  la  superfìcie  interna  delle  placche  ventrali  che  prevalentemente 
si  palesa.  Il  disco  ha  circa  50."""  di  diametro;  le  braccia  sono  molto  disuguali;  il 
maggiore  ha  circa  115.™"*  di  lunghezza  dal  margine  del  disco,  MO."""  dal  centro  di 
figura.  A  partire  dalP  angolo  interbracchiale.  le  piastre  visibili  su  ciascuno  dei  due 
lati  del  braccio  di  media  lunghezza  sono  e*  30.  Appariscono  quadrate  di  c>  3."*"*  di 
lato,  0  leggermente  romboidali,  con  progressiva  diminuzione  di  dimensioni  verso  le 
estremità,  ma  nei  seni  interbracchiali  si  allargano  nel  senso  dei  raggi  e  proporzio- 
natamente si  accorciano  nel  senso  parallelo  al  margine.  In  molte  parti  la  forma  n*  ò 
oscurata  dai  residui  delle  sovrapposte  placche  dorsali.  Non  sono  punto  contigue,  di- 
stando fra  loro  di  fino  2.*"*",  con  interposizione  della  sostanza  pietrosa.  È  da  esse  plac- 
che ventrali  che  si  dipartono  gli  aculei  di  8  a  Q."*"  di  lunghezza,  divergenti  o  forte- 
mente inclinati  verso  le  estremità  delle  braccia.  —  Molto  varie  di  forma  appariscono 
le  placchette  ambulacrali  nelle  colonne  mediane  delle  braccia,  precisamente  come  nel- 
r  Astropecten  Forbesi  Hell.  (C.  Heller.  Ueber  neue  fossile  Stelleriden^  Sitzungsb.  d. 
k.  Akad.  d.  W.  xxviii,  2.,  p.  158,  Taf.  I,  1858),  alla  quale  specie  la  nostra  somiglia 
molto,  dilferendone  specialmente  pel  numero  assai  minore  delle  placche  marginali. 


6  6.    MENEGHINI 

Piastre  marginali  trigone  più  larghe  (7.™)  che  lunghe 
ed  alte  (4.""),  ad  angolo  intemo  ottuso,  superficie  foveolata  a 
fossette  rade  (4  o  5  in  un  millim.  q.),  regolarmente  disposte  a 
quinconce;  faccie  laterali  divise  da  cordone  sporgente  in  una 
zona  esteriore  e  un  piccolo  triangolo  intemo. 

Collina  di  Torino. 

Benché  abbia  maggiori  dimensioni  e  più  rade  le  fos- 
sette della  superficie,  sembra  non  differire  dalla  specie  plioce- 
nica sumentovata. 

Una  piastra  si  distingue  dalle  altre  per  la  forma  cu- 
neata,  che  termina  a  spigolo  acuto,  ma  conserva  i  caratteri 
essenziali  delle  altre.  Primeggia  fra  questi  il  cingolo  spoi^ente, 
come  nel  Astropecten  ?  Colei,  Forb.  (Monogr.  of  the  Echinod.  of 
the  BrUish  Tert.  Lond.  1852,  p.  30,  PI.  IV,  fig.  3). 


Goniaster  deperditus 

Uraster  deperditus  Michelt.  Etudes  sur  le  Mioc.  infér.  de 
r  Italie  sept.  Harlem.  1861,  p.  27,  pi.  i,  fig.  17,  18).  —  Astroga- 
nium  deperditum  (Mi eh.  sp.  )  Mgh.  (Stud.  etc.  p.  51). 
Valdagno.  Miocene  inferiore  scd.  Michelotti. 
Goniodiscus  Ferrazzii  Mgh. 

Calcaria  arenacea  di  Lavarda? 
Astropecten  sp.  cfr.  A.  laevis  Desm.  sp. 

Tongriano,  zona  E.  Antonimina  (Seguenza). 


Astropecten  Petrobonae 

Asferias  Petroboìiae  Zign.  in  litt. 

Piastre  marginali  trigone  ;  faccia  superiore-esterna  molto 
curvata,  rettangolare  (9."™  e  4.™),  liscia;  taccio  laterali  trian- 
golari; ampia  e  rilevata  cornice  al  lato  superiore-esterno  con- 
vesso, molto  più  sottile  ed  acuta  al  lato  inferiore  concavo;  sot- 
tile pure  ma  rilevata  in  lobo  convesso  la  cornice  del  lato  in- 
temo. Faccia  inferiore  concava  rilevata  all'  angolo  che  la  unisce 
alla  intema  in  grosso  tubercolo,  che  rimane  fiancheggiato  dai 
due  lobi  sporgenti  della  cornice  dei  lati  intemi,  fra  i  quali  anche 
la  faccia  intema  porta  un  tubercolo  sporgente. 

Altre  piastre  meno  larghe  e  più  lunghe  (8.™  e  5.™)  e 
di  minore  altezza  (4.°") ,  colle  stesse  comici  alle  facce  laterali; 
sulla  faccia  interna,  invece  del  tubercolo  isolato,   uno  spigolo 


GONIODISCUS  FERRAZZn  Moh.  7 

trasversale  che  unisce  i  due  lobi  sporgenti  delle  relative  comici. 
Marna  grigia.  Zona  della  Serpula  spirulaea.   Priabona, 
sotto  la  chiesa. 


Il  beir  esemplare,  che  ha  dato  argomento  a  questa  nota,  faceva 
parte  di  una  disordinata  congerie  di  fossili  lasciata  in  meschina 
eredità  alla  famiglia  da  un  indotto  raccoglitore  abitante  a  San 
Giacomo  di  Lusiana.  L'onorevole  Cavalier  Andrea  Secco,  che 
aveva  la  bontà  di  accompagnarmi  nella  ispezione  di  detti  fos- 
sili, mi  spiegava  come,  in  quella  località,  compresa  nel  celebre 
rovesciamento  del  margine  meridionale  dei  Sette  Comuni,  si 
abbiano,  in  serie  discendente,  il  Neocomiano  ed  il  Senoniano, 
il  qual' ultimo  termina  in  Lavarda  a  contatto  degli  strati  del 
piano  di  Priabona.  I  terreni  di  Lavarda  sono  i  terreni  ter- 
ziarii  più  prossimi  a  San  Giovanni  di  Lusiana,  ed  evidente- 
mente da  essi  provenivano,  almeno,  per  la  massima  parte,  i  fos- 
sili di  quella  informe  collezione.  Ma  il  carattere  litologico  del 
nostro  esemplare  lo  potrebbe  far  piuttosto  riferire  ad  un  piano 
più  antico  anche  di  quello  di  Koncà  e  che  a  Lavarda  non  com- 
parisce, quello  cioè  a  Cancer  ed  a  Nummulites  cotnplaìiata,  che 
si  trova  invece  a  Pradifoldo  a  levante  di  Lavarda.  Supponeva 
quindi  V  onorevole  Secco  che  il  raccoglitore  estendesse  anche  a 
quella  località  le  sue  ricerche.  Considerando  però,  da  una  parte 
le  affinità  zoologiche  del  nostro  fossile  colle  specie  viventi,  e 
dall'altra  la  conosciuta  presenza  del  carattere  litologico  di 
Flysch  anche  negli  strati  di  Lavarda  (^  (7  est  de  cette  sotis-di- 
vision  que  se  dévehppe  le  Flysch.  „  Suess) ,  rimane  più  verosimile 
che  sia  esso  pure  da  quelli  provenuto. 

Per  trovare  un  qualche  acquirente,  ed  a  benefizio  quindi 
della  povera  famiglia,  il  chiarissimo  Ab.  Prof.  Comm.  Giuseppe 
Terrazzi  aveva  generosamente  consentito  che  queir  ammasso  di 
fossili  fosse  esposto  in  una  stanza  della  sua  casa  in  Bassano. 
L'autore  della  Enciclopedia  Dantesca  e  delle  biografie  dei  ce- 
lebri Bassanesi  acquistava  cosi  un  nuovo  titolo  di  benemerenza 
anche  nella  Geologia,  ed  è  a  sperare  che  non  isdegnerà  il  mo- 
desto tributo  di  riconoscenza  che  la  scienza  gli  offre,  intitolando 
al  suo  nome  illustre  questa  antica  stella  di  un  mare  scomparso. 


SPIEGAZIONE    DELLA    TAVOLA 


(rf/iiifAisicHSk  Ftrrazzii  IUtIl  aiieso  colla  &ccia  dorsale  alla  roccia  che  U  ctr 
ratiere  litologico  di  Fly^k  lascia  incerto  se  provenga  dagli  strati  di 
Lavarda  o  da  altro  piano  inferiore.  La  superficie  ventrale  esposta  d 
profondamente  loi^orata. 

Sai  lato  intf-rbraechiale  sinistro  il  marsine  fd  artificialmente  denu- 
dato dalla  roccia,  e  se  ne  potè  cosi  staccare  tutta  la  doppia  serie  di  sette 
piastre  marinali. 

11  frammento  è  figurato  a  parte  (ai.  in  grandezza  naturale  ed  in 
iscorcio  per  p^>rre  in  evidenza  le  estremità  distali  delle  piastre  dorsali 

\jà.  estremità  di  una  ia*)  di  esse  piastre  è  rappresentata  in  gran- 
dezza doppia  del  vero  (fig.  b).  per  mostrare  lo  strato  superficiale  papil- 
loso che  in  parte  vi  è  conservato. 

Esse  papille,  quali  si  vedono  colla  lente  su  metà  della  lunghezza  tra- 
sversale della  detta  piastra,  sono  rappresentate,  con  ingrandimento  li- 
neare di  nove  volte  (fig.  e):  profondamente  logorate  quelle  della  parte 
mediana,  appuntite  invece  le  laterali. 


CARLO  DE  STEFANI 


LIAS  INFERIORE  AD  ARIETI 

deli;  APPENNINO  SETTENTRIONALE 


PARTE   PRIMA 


Cenni   storici 

Non  istarò  ad  esporre  come  in  antico  tutti*  i  terreni  del- 
l' A  pennino,  salvo  quelli  subapennini,  fossero  ritenuti  come  pri- 
mari e  poi  come  di  transizione,  quantunque  giti  fossero  conosciuti 
i  comi  d'Ammone  di  San  Francesco  di  Paola  (Creta)  presso 
Firenze,  e  del  Monte  di  Cetona  (  Lias  )  nel  Senese,  e  forse  d'al- 
trove. Fu  la  scoperta  delle  Ammoniti  fatta  nel  1827  dal  Gruidoni 
nel  più  antico  Lias  inferiore  della  Spezia  che  diede  la  maggiore 
spinta  a  modificare  grandemente  le  opinioni  sulla  geologia  Apen- 
ninica.  Quei  terreni  della  Spezia  (Infralias,  Lias,  Giura,  Creta, 
Eocene)  furono  allora  ritenuti  dal  Guidoni  come  intermediti^). 
V  anno  di  poi  il  De  la  Béche  riguardava  gli  strati  ammonitiferi 
della  Spezia  come  appartenenti  al  Lias  ed  all'  Oolite  C)  e  cosi 
distingueva  un  Lias  nei  nostri  terreni. 

(*)  0.  Guidoni  —  Osservazioni  geognostiche  e  mineralogiche  sopra  i  monti  che 
circondano  il  golfo  della  Spezia.  Giornale  ligustico  di  scienze^  lettere  ed  arti.  An- 
no II,  Genova  18'^. 

(^  H.  De  la  Béche  —  Note  sur  les  différences  soit  primitives^  soit  postérieures 
au  dérangement  des  couches  qu*  on  peut  observer  dans  les  roches  stratifiées,  parti- 
culièrement  dans  celles  qui  sont  superposées  au  grès  rouge,  Annales  des  Sciences 
naturelles.  Tome  XVII.  Paris  1829. 

Se,  Nat,  Voi.  Vm,  fase,  l.*»  •    2 


10  e.    DE  STEPJlNÌ 

In  questo  tempo,  con  gì*  importantissimi  £aitti  geologici  no- 
tati nei  monti  della  Spezia  e  nelle  Alpi  Apuane,  venivano  sta- 
biliti nelle  medesime  regioni  due  dati  stratigrafici  fondamentali 
pello  studio  del  Lias.  e  pella  geologia  delKApennino  settentrio- 
nale, il  cui  sconoscimento  fu  causa  in  seguito  di  gravi  errori, 
fino  a  che  non  vennero  di  nuovo  confermati  molti  anni  dopo 
dal  Capellini  e  dal  Cocchi.  Nel  Promontorio  occidentale  della 
Spezia  Guidoni  e  Pareto  stabilivano  il  fatto  {%  confermato  ed 
illustrato  poi  ampiamente  dal  Pilla  ('),  di  un  rovesciamento  pel 
quale  la  serie  de'  terreni  e  la  posizione  stratigrafica  del  Lias 
era  invertita.  D' altra  parte  De  la  Béche  stabiliva  che  i  calcari 
fossiliferi  delle  Alpi  Apuane  simili  e  coetanei  a  quelli  delia  Spezia 
si  trovavano  sopra  una  serie  di  schisti  in  mezzo  ai  quali  era 
compresa  tutta  la  zona  mannorea,  la  quale  perciò  era  più  an- 
tica di  quei  calcari  fossiliferi  (^).  Solo  nel  1862  il  Capellini  con- 
fermò il  primo  fatto,  mentre  nel  1864  il  Cocchi  confermò  il 
secondo,  ed  ambedue  questi  geologi  ne  trassero  partito  per  mo- 
dificare ed  illustrare  l'ordinamento  dei  terreni  toscani. 

Il  Savi  intanto  trovava  fossili  nel  calcare  marmoreo  di  S. 
Giuliano  nel  M.  Pisano  (parte  inferiore  del  Lias  inferiore)  e 
stabiliva  la  denominazione  di  Lias  apenninico  per  quello  e  pei 
terreni  sottostanti  (  Triassici  e  paleozoici  ),  ponendo  nella  parte 
superiore  del  Secondario  col  nome  di  Macigno  ì  terreni  supe- 
riori (*). 

L'Hoffmann  e  TEmmerich  esaminando  di  nuovo  i  terreni 
■  ed  i  fossili  della  Spezia  vi  distinguevano  per  primi  delle  specie 
appartenenti  al  Lias  inferiore  C'^). 


0)  G.  Guidoni  e  L.  Pareto  —  Stdle  montagne  del  golfo  della  Spezia  e  sopra 
le  Alpi  Apuane:  lettera  geognostica  ai  direttori  della  Biblioteca  italiana.  Tomo 
XLVII,  Milano  1832 

C)  L.  F^illa  —  Saggio  comparativo  dei  terreni  che  compongono  il  suolo  d^  Italia, 
Annali  delle  Università  toscane,  T.  l.  Pisa  1845.  —  Note  sur  le  calcaire  rouge 
ammonitifcre  de  V  Italie,  Dulletin  de  la  Società  gèologique  de  France.  T.  IV. 
Paris  1«47. 

{^)  11.  De  La  Hcche  —  Sur  les  environs  de  la  Spezia,  Mém.  d,  la  Soc.  gèol. 
de  Frnnce,  T.  1.  Paris. 

{*)  P.  Savi  —  Osservazioni  geognostiche  sui  terreni  antichi  toscani^  concementi 
specialmente  i  Monti  Pisani^  le  Alpi  Apuane  e  la  Lunigiana,  Nuovo  Giornale  dei 
letteraH,  Tomo  XXIV,  Pisa,  1832. 

(^)  F.  HotTmann  —  Geognostische  Deohachtungen  gesammeltauf  einer  Reise 
durch  Italien  und  Sicilien.  Karsten*s  Archiv.  Band  XIII.  Berlin  1839. 


MAS  INFERIORE  11 

Sarebbe  fuori  del  mio  compito  soggiungere  come  nel  1845 
il  Pilla  ed  il  Pareto  attribuissero  al  Trias  gli  schisti  semi-cri- 
stallini, distinti  col  nome  di  Verrucano,  dal  Savi  uniti  al  Lias 
apenninico,  opinione  che  io  confermavo  paleontologicamente 
nel  1874;  come  nel  1845  il  Coquand  distinguesse  gli  schisti  a 
Posidonomyae,  e  nel  1847  il  De  Vecchi  stabilisse  paleontologi- 
camente resistenza  del  Lias  superiore;  come  nel  1851  il  Me- 
neghini distinguesse  altri  terreni  da  attribuirsi  al  carbonifero  ; 
come  nel  1853  Heer,  sopra  fossili  raccolti  da  Hoffmann  ed 
Escher  von  der  Linth  nel  1822  nel  Carrarese  stabilisse  l'esi- 
stenza di  rocce  infraliassiche  nella  serie  del  Lias  apenninico. 

Fella  storia  del  Lias  inferiore  occorrerà,  invece  ricordare 
che  nel  1845  il  Coquand,  discorrendo  appunto  dei  calcari  am- 
monitiferi  rossi  dei  quali  ora  mi  occuperò  e  che  egli  avea  notati 
a  Campiglia  ed  in  altre  parti  di  Toscana,  con  fondamenti  pa- 
leontologici li  pose  nel  Lias  inferiore  (*)  e  ne  stabili  così  la  vera 
età  diniegata  per  vario  tempo  dal  Savi  e  dal  Pilla  che  li  at- 
tribuirono al  Lias  superiore.  Nel  1847,  fondandosi  parimente 
sui  fossili,  il  D'Orbigny,  confermando  l'opinione  di  Emmerich 
ed  Hoffmann,  ammetteva  come  appartenenti  unicamente  al  Lias 
inferiore  o  Sinemuriano  i  calcari  scuri  costituenti  il  piano  più 
antico  del  Lias  della  Spezia,  opinione,  pur  questa,  accettata 
definitivamente  solo  in  tempi  assai  recenti  ('). 

Nel  1851  il  Meneghini  pubblicava  una  lista  di  Ammoniti 
raccolti  nei  Monti  della  Spezia,  nella  Montagnola  senese,  nei 
Monti  oltre  Serchio,  a  Caldana,  a  Grerfalco,  a  Sassorosso  (col 
nome  improprio  di  Castelnuovo  di  Garfagnana  ).  Da  questi  nomi 
dei  quali  ^  il  maggior  numero  è  dei  proprii  al  Lias  inferiore  ed 
il  numero  minore  al  Lias  superiore  „  il  Savi  deduceva  che  "  il 
posto  da  assegnarsi  nella  serie  geologica  ai  detti  calcari  si  è 
nella  parte  inferiore  del  sistema  Cliurese,  vale  a  dire  nel  pe- 
riodo Liassico,  come  il  prof.  Coquand  sostenne  „  00.  Nel  1853 
il  Meneghini  indicava  nuove  Ammoniti  de'  calcari  rossi   e  di- 


(*)  H.  Coquand  —  Sur  les  terrains  stratifiés  de  la  Toscane,  Bull,  Soc.  géol, 
de  France.  Sèrie  II,  Tome  II,  1845.  —  Note  sur  un  gisement  de  gypse  au  promon- 
taire  Argentario  en  Toscane,  Bull.  Soc,  géol  de  France,  Sèrie  II,  Tome  III.  Paris  1846. 

O  A.  D'Ordigny —  Paleontologie  francaise.  Terrains  jurassiques.  1842. 

O  P.  Savi  e  0.  Meneghini  —  Considerazioni  sulla  geologia  stratigrafica  della 
Toscana.  Firenjse  1851,  P.  324,  325. 


12  e.    DE  STEFANI 

stingueva  nell' insieme  "11  specie  del  liasse  superiore  o  toar- 
ciano,  14  del  liasse  propriamente  detto  o  medio,  22  del  piano 
inferiore  del  liasse  o  sinemuriano  „  :  fatte  varie  considerazioni 
sopra  questa  in  gran  parte  non  esatta  riunione  di  specie,  no- 
tando anche  la  costante  prevalenza  numerica  degV  individui 
appartenenti  a  specie  sinemurinìie,  il  Meneghini  concludeva; 
"  senza  osar  decidere  la  questione,  non  esitiamo  di  asserire  con- 
fermato da  questi  studii  che  il  nostro  calcare  rosso  ammoniti- 
fero  non  si  può  conguagliare  a  quello  dell' Apennnino  centrale 
e  delle  Alpi  lombarde,  il  quale  è  decisamente  liassico  supe- 
riore »  (*).  In  allora  col  calcare  rosso  (  zona  ad  Arieti)  era  unito 
in  uno  stesso  piano  geologico  anche  il  calcare  bianco  o  ceruleo 
sottostante  (zona  ad  Angulati)  ed  il  calcare  con  selce  sovra- 
stante (Lias  medio). 

Nel  1864  il  Savi,  in  mio  de'  suoi  ultimi  scritti,  accennando 
ai  fossili  pubblicati  dal  Meneghini,  asseriva  che  *^  la  nostra  cal- 
carla rossa  ammonitifera  è  da  essi  caratterizzata  nel  taodo  il 
più  certo  come  appartenente  all'  epoca  del  Lias  inferiore  „  O 
e  lo  stesso  ripeteva  nel  1865  il  Meneghini  (-).  Questi  però,  nel 
1868,  in  una  lettera  al  Rath,  parlando  in  modo  speciale  dei 
fossili  del  calcare  rosso  di  Campiglia,  ricordava  parecchie  specie 
appartenenti  al  Lias  medio,  onde  quel  calcare  era  al  Lias 
medio  attribuito  (*). 

Nel  1869  intanto  lo  Zittel  visitando  il  Museo  di  Pisa,  tra 
le  Ammoniti  liassiche  della  Toscana  avea  osservato  XAmmonites 
Algoinùnus  specie  tra  le  più  caratteristiche  del  Lias  medio,  pro- 
veniente da  strati  sovrastanti  al  calcare  rosso,  e  di  questa  os- 
servazione mi  prevalevo  poi  come  dirò  or  ora. 

Una  prima  buona  suddivisione  del  Lias  inferiore  fonda- 
ta sulla  paleontologia  compariva  nel  1875  per  opera  del 
Coquand  che  attribuiva  i   calcari  scuri  della  Spezia  alle  zone 


(*)  G.  Meneghini  —  Nuòci  fossili  toscani.  Annali  delle  Un.  toscane.  Pisa  1853, 
P.  12,  17. 

(')  P.  Savi  —  Sulla  costituzione  geologica  delle  elissoidi  della  Catena  metalli- 
fera. Nuovo  Cimento.  Voi.  XVIII.  Fisa  1864,  P.  11,  12. 

(3)  G.  Meneghini  —  Descrizione  della  carta  geologica  della  Provincia  di  Chro»- 
seto.  1865,  P.  392. 

(*)  G.  vom  Rath  —  Die  Berge  con  Campiglia  in  der  Toskanischen  Maremme. 
Zeitschrift  der  deutschen  geologischen  Gesellschaften.  Bd.  1868. 


LIAS   INFERIORE  13 

ad  Ammonites  angulatns  e  ad  A.  planorhis  (  secondo  me  quest'  ul- 
tima zona  finora  è  sconosciuta)  ed  i  calcari  rossi  toscani  alla 
zona  ad  Ammonites  bisidcatus,  cioè  ad  Arietites  Bucklandi  (*): 
•se  non  che  il  Coquand  poneva  le  divisioni  accettando  tutte 
le  denominazioni  fatte  in  addietro  dal  Meneghini  e  dal  Coc- 
chi, distribuendole  ne'  varii  suoi  piani,  talché  varie  sue  di- 
stinzioni  (Lias  superiore,  Lias  medio.  Trias),  sono  fondate 
sopra  una  fortuita  combinazione  di  nomi  di  specie  indicate  ine- 
sattamente. Contemporaneamente  con  altri  fondamenti  pa- 
leontologici e  stratigrafici  io  pure  schiarivo  queste  distinzioni. 
Il  calcare  bianco  ceroide  di  Toscana  appartenente  alla  zona  ad 
Angtdati  e  già,  messo  nel  Lias  dal  Savi  nel  1832,  era  poi  dal 
Savi  stesso  riguardato  nel  1864  come  possibilmente  infraliassico, 
mentre  poco  dopo  lo  Stoppani,  il  Meneghini,  il  Cocchi,  lo  ri- 
guardavano come  certamente  triassico  ed  il  Coquand  come  più 
antico:  ma  nel  1875  io  dicevo  che  "  per  la  sua  posizione  stra- 
tigrafica tra  r  Infralias  (  da  me  distinto  estendendo  gli  studi  del 
Capellini),  e  la  parte  più  recente  del  Lias  inferiore,  e  per  la 
natura  dei  fossili,  non  può  essere  ascritto  se  non  al  Lias  infe- 
riore medesimo  „  e  lo  ponevo  nella  sua  zona  più  antica  (*).  Poco 
di  poi,  studiandone  i  fossili,  deducevo  che  quei  calcari  ""  anco 
senza  conoscerne  le  precise  relazioni  stratigrafiche  si  porrebbero 
senza  incertezza  nel  Lias.  Considerando  poi  la  prevalenza  di 
specie  del  Lias  inferiore,  h  naturale  che  dessi  vengano  riposti 
più  particolarmente  nel  Lias  inferiore:  siccome  p^r^  in  quei 
fossili  si  trova  una  stretta  relazione  coli'  epoca  liassica  media, 
mentre  non  si  scopre  alcun  simile  rapporto  coli' infralias,  mi 
pare  si  possano  porre  in  un  piano  intermedio  del  Lias  inferiore, 
mentre  il  calcare  rosso  sta  nel  piano  superiore  „  O,  conclusione 
pienamente  confermata  di  poi,  come  si  vedrà,.  Nello  stesso 
anno  1875,  dopo  avere  stabilita  la  posizione  costante,  anche 
nei  Monti  della  Spezia,  (cui  prima,  per  un  resto  del  discono- 

(})  H.  Coquand  —  Histoire  des  terrains  stratifiés  de  V  Italie  centrale  se  réfe- 
rant  aux  périodes  primaire^  paléozoique^  triasique^  rhétienne  et  jurassique.  Bull.  d. 
Soc.  gèol.  de  France,  S.  3,  T.  Ili,  1875,  P.  30. 

(*)  C.  De  Stefani  —  Considerazioni  stratigrafiche  sopra  le  rocce  più  antiche 
delle  Alpi  Apuane  e  del  Monte  Pisano.  {Bollettino  del  R.  Comitato  geologico  1874-75. 
P.  66,  67. 

(3)  C.  Do  Stefani  ~^  DelV  epoca  geologica  dei  marmi  dell' Italia  centrale  (Boll. 
R.  Com.  geol.  1875,  n."  7  ed  8),  P.  9,  10. 


14  e.    DE  STEFANI 

• 

.  scinto  rovesciamento  non  erasi  posto  mente  )  del  calcare  rosso 
ammonitifero  sotto  il  calcare  ceruleo  con  selce,  osservavo  che 
"  quando  si  badi  al  tipo  degli  Arieti,  il  quale  è  particolarmente 
caratteristico  del  periodo  liassico  inferiore  e  quando  per  V  aititi 
parte  si  noti  il  piccolo  numero  di  quelle  specie  che  si  trovano 
nel  vero  lias  medio,  risulterà  dai  dati  paleontologici  la  conve- 
nienza di  lasciare  il  calcare  rosso  nel  Lias  inferiore  e  precisa- 
mente neUa  parte  più  recente  di  esso  „  (').  Del  calcare  con  selce 
dicevo  '^  la  presenza  délV Amìnonites  Algoviamìis  e  la  posizione 
stratigrafica,  sembra  lo  facciano  riferire  con  maggiore  proba- ^ 
bilità  al  Lias  medio  „  (*).  Fin  d'allora,  dopo  aver  distinto  Tln- 
fralias  ed  il  Lias  medio,  distinzione  che  aflfermavo  vie  più 
nel  1876,  stabilivo  così  stratigraficamente  e  paleontologica- 
mente la  distinzione  dei  due  piani  del  Lias  inferiore  ('*). 

Nel  1877,  non  conoscendo  precisa  rispondenza  di  questi  due 
piani  al  Lias  inferiore  d'altre  parti  d'Europa  introducevo  la 
denominazione  di  Piano  A  pel  più  antico  e  di  Piano  B  pel  più 
recente  {*). 

Una  ulteriore  ma  secondaria  divisione  stabilii  nel  1879, 
distinguendo  nel  Piano  A  la  lumachella  del  M.  Pisano  come  al- 
quanto più  recente  de'  calcari  ceroidi  del  resto  della  Toscana 
e  de'  calcari  cerulei  della  Spezia,  distinzione  che  ha  però  solo 
un  certo  fondamento  paleontologico,  e  tenendo  i  calcari  a  cri- 
noidi  del  Piano  B  come  alquanto  più  antichi,  come  in  realtà 
sono  sempre  stratigraficamente,  de'  calcari  rossi  ammonitiferi  (*).  ' 
Più  tardi  nel  1881,  affermavo  la  mancanza  della  zona  ad  Ae- 
goceras  2)hnorhLs  o  a  Psyhnoti  nel  nostro  Apennino,  equiparavo 
il  piano  A  alla  zona  estra  alpina  ad  Angtdati,  e  del  piano  B 
ritenevo  **  che  ninna  delle  zone  conosciute  altrove  nel  Lias 
medio  più  antico  vi  corrisponde;  però  notando  gli  stretti  rap- 
porti stratigrafici  nei  quali  si  trova  col  successivo  Lias  medio 
si  può  dire  che  rappresenta  una  divisione  delle  più  recenti  del 
Lias  inferiore  ed  un  passaggio  al  Lias  medio  :  questa  zona  aa- 


(»)  e.  De  Stefani  —  Cons  strat.  Alpi  Apuane   P.  74. 
O  Loc.  cit.  P.  74. 
(')  Loc.  cit  P.  83. 

(*)  C.  Do  Stefani    —    Geologia   del   Mante  Pisano.    Memorie  del  R.  Camitaio 
geologico.  Voi.  Ili   1877.  P.  37  e  124. 

(*)  C.  De  Stefani  —  La  Montagnola  senese.  (Boll.  R.  Qom.  geol.  1879).  P.  87. 


LIAS   INFERIORE  15 

rebbe  intermedia  fra  quella  délV Artetites  raricostabus  e  quella 
à^lX Aegoceras  Jamesoni  dell'Europa  centrale  „  ('):  quest'ultima 
conclusione  peraltro,  come  dirò,  sarà  leggermente  modificata. 
H  Canavari  poi  studiando  i  numerosi  fossili  ne'  calcari  ce- 
rulei della  Spezia  ripeteva  che  vi  manca  la  zona  a  Psylonoti  e 

che  essi  rappresentano  la  zona  ad  Angulati  (^). 

■ 

Osservazioni  litologiche 

H  calcare,  i  cui  fossili  descriverò,  indicato  per  solito  dai 
geologi  toscani  col  nome  di  calcare  rosso  ammonitifero,  carattere 
che  esso  però  ha  a  comune  con  altri  calcari,  è  compatto,  a 
grana  finissima  o  leggermente  ceroide  per  incipiente  cristalliz- 
zazione, di  rado  biancastro  o  grigio,  o  verdolino,  quasi  sempre 
colorato  con  varie  tinte  di  rosso,  or  carnicino,  or  vagamente 
roseo,  or  rosso  vinaccia  od  anche  giallo  aureo.  Nel  bianco,  nel 
roseo,  o  nel  giallo  sono  frequenti  venature  di  calcite  bianchiccia 
le  quali  mancano  per  lo  più  nei  calcari  rossi  più  accesi;  ma 
questi  sono  traversati  sovente  da  vene  e  sfumature  di  colore 
rosso  più  acceso  che  fanno  apparire  Ila  roccia  brecciata.  Talora 
trattasi  di  una  vera  breccia  nella  quale  il  calcare  fii  screpolato 
per  effetto  di  pressioni  avvenute  in  posto,  e  gì'  interstizii  fu- 
rono riempiti  da  una  pasta  calcareo-ferruginosa  distribuita  dalle 
acque.  A  Monsummano,  a  Sassorosso  di  Garfagnana  ed  in  qual- 
che altro  luogo  si  trovano  nel  calcare  dei  noduletti  di  selce 
rosea,  cornea,  o  cerulea  che  del  resto  non  mancano  nella  zona 
ad  Angulati  e  sono  molto  più  frequenti  nel  Lìas  medio.  La 
roccia  è  quasi  sempre  costituita  da  strati  regolari  la  cui  di- 
stinzione è  resa  spesso  maggiore  da  strati  di  schisto  calcareo 
rosso,  verdognolo,  di  rado  ceruleo.  Talora  il  calcare  è  compatto, 
bianco,  e  semicristallino,  onde  certi  pezzi  si  piglierebbero  per 
marmo  bianco.  Quando  esso  è  compatto  serve  mirabilmente 
per  usi  edilizii  e  decorativi,  per  tavole  e  impiallacciature  di 
monumenti,  di  rado  per  colonnini  giacche  non  è  molto  tenace 
ed  uniforme;  quasi  dovunque  se  ne  potrebbero  cavare  delle  ta- 

{})  e.  De  Stefani  —  Quadro  comprensivo  dei  terreni  che  costituiscono  V  Apen~ 
nino  settentrionale  (Atti  dèlia  Soc.  Toscana  di  se,  nat  ISSI).  P.  17. 

{*)  M.  Canavari  —  Beitràge  zur  Fauna  des  unteren  Lias  von  Spezia,  Pa^ 
laeentographica.  Bd.  29.  1882. 


16   '  e.   DB  STEFANI 

Yole  le  cui  tinte  ed  il  cui  tono  rosso  o  giallo  con  qualche  ve- 
natura varierebbero  singolarmente  da  un  lu<^  all^  altro.  Son 
noti  i  marmi  rossi  di  Sassorosso  di  Garfagnana  che  servirono 
pel  Duomo  di  Firenze,  i  rossi  della  Gherardesca  in  Maremma, 
la  breccia  di  Caldana,  il  roseo  di  Matanna,  il  roseo  venato  di 
bianco  di  Trassilico,  lo  stupendo  marmo  color  giallo  aureo  o 
giallo  miele  della  Montagnola  senese  conosciuto  col  nome  di 
giallo  di  Siena,  per  tacere  del  broccatello  di  Montarrenti  pure 
nella  Montagnola,  del  marmo  giallo  pallido  di  Santa  Maria  del 
Giudice  nel  Monte  Pisano,  etc. 

Quasi  in  ogni  luogo  abbondano  considerevolmente  i  CeMb- 
podi  fossili  e  sarebbe  più  facile  indicare  i  luoghi  nei  quali  man- 
cano che  quelli  nei  quali  si  trovano.  L'avere  fatto  scavi  in  un 
luogo  piuttosto  che  in  mi  altro'  per  levare  i  marmi  ha  fatto 
scoprire  maggior  numero  di  specie  in  certi  punti  che  in  altri. 
Alcune  sezioni  da  me  fatte  a  Pisa,  altre  del  Pantanelli(')  hanno 
constatato  che  quando  la  roccia  e  meno  cristallina  è  interamente 
costituita  da  foraminifere  {Glohigeripine,  Polymorphitiae  etc.): 
questi  fatti  provano  che  la  roccia  si  depositò  in  mari  profondi. 
Gasteropodi  e  Lamellibranchi  se  ne  trovano  in  varii  luoghi,  a 
Massicciano,  a  Roggio,  a  Campiglia;  ma  sono  talmente  saldati 
nella  roccia  che  riesce  difficile  scoprirli  e  pe^io  estrarli. 

E  notevole  che  questa  specie  di  roccia  denotante  zone  marine 
profonde,  la  quale  per  la  prima  volta  si  presenta  ne'  sedimenti 
italiani,  si  ripete  poi  con  eguali  caratteri  nel  Lias  superiore  ed 
in  varie  parti  del  Giura. 

Osservazioni  stratigrafiche  e  topografiche 

L'altezza  della  roccia  è  assai  limitata  e  va  da  1  metro  a 
circa  20  o  poco  più  in  casi  eccezionali.  Ordinariamente,  coli'  in- 
termezzo di  calcari  a  crinoidi  rosei,  riposa  sopra  calcari  cerulei 
d'  aspetto  interamente  diverso  o  sopra  calcari  ceroidi  bianchi 
appartenenti  alla  zona  ad  Angulati  del  Lias  inferiore;  ma  talora, 
o  perche  la  mancanza  dei  fossili  impedisce  una  esatta  distin- 
zione, perchè  la  presenza  di  ripetute  pieghe  ha  fatto  sgusciare 

(*)  D.  Pantanelli  —  ^oU  Microlitologiche  sopra  i  calcari.  (AttilLAcc.  Lincei) 
1882,  P.  9. 


LIAS   INFERIOBE  17 

e  scomparire  gli  strati  intermedii,  o  perchè  questi  realmente 
mancano,  essa  riposa  direttamente  suirinfralias:  non  mi  son 
noti  luoghi  nei  quali  il  calcare  rosso  riposi  sopra  rocce  più  an- 
tiche deir  Infralias.  Sopra  il  medesimo  succede  il  calcare  ceruleo 
chiaro  con  selce  del  Lias  medio,  il  quale  riproduce  con  grande 
estensione  una  forma  litologica  nota  già,  in  qualche  strato  del 
precedente  Lias  inferiore,  come  talora  in  esso  esistono  alcuni 
strati  rosei  simili  a  quelli  del  calcare  sottostante:  la  concor- 
danza fra  le  due  zone  è  poi  perfetta.  Questi  rapporti  stratigrafici 
rispondono  ai  rapporti  paleontologici  i  quali  uniscono  il  calcare 
rosso  più  al  Lias  medio  che  all'  antecedente  zona  ad  Angulati. 
Di  rado  il  Lias  medio  è  ridotto  a  pochissima  estensione  ed  in 
questo  caso  al  calcare  rosso  succede  una  delle  zone  schistose 
che  rappresentano  i  successivi  piani  giurassici  e  cretacei  in  ri- 
spondenza delle  quali  facilmente  accaddero  movimenti  che,  a 
cagione  della  diversa  natura  delle  rocce  contigue,  produssero 
stacchi  e  discordanze  non  sempre  naturali  né  originarie. 

H  calcare  rosso  non  fu  trovato  fin  qui  se  non  nel  versante 
Tirreno  dell'  Appennino  settentrionale  :  le  rocce  che  io  ritenevo 
appartenenti  a  quel  piano  nella  Provincia  di  Reggio  Emilia, 
dietro  alcuni  fossili  trovativi  furono  da  me  riconosciute  cretacee; 
le  ammoniti  che  uno  del  Cerreto  mi  mostrava  come  provenienti 
dai  monti  del  Comune  di  Ligonchio,  non  sono  di  quei  luoghi, 
giacche  nel  1882  vi  feci  espressamente  delle  minute  ricerche  e 
non  trovai  rocce  liassiche.  Comincerò  la  descrizione  dei  luoghi 
rifacendomi  da  settentrione:  premetto  però  che  non  intendo 
fare,  essendo  ciò  inutile,  una  bibliografia  ne  una  rassegna  critica 
delle  pubblicazioni  mie  o  di  altri  sulla  distribuzione  topografica 
delle  rocce. 

Provincia  di  Genova 

Nei  Monti  della  Spezia,  secondo  le  indicazioni  del  Cocchi  e 
del  Capellini  (0,  tanto  nel  Promontorio  orientale  dal  Telare  verso 
la  Serra  di  Fiascarino,  quanto  lungo  il  promontorio  occidentale, 
trovasi  il  calcare  rosso  fra  la  zona  ^à  Angulati  ed  il  Lias  medio  che 
si  può  incontrare  in  vari  punti.  Il  Savi  ed  il  Meneghini  indicarono 

(})  I.  Cocchi  ^  Lezioni  sulla  geologia  dell"  Italia  centrale.  1864. 

G.  Capellini  —   Carta  qcologica  dei  dintorni  del  Golfo  della  Sp'nia  e  Val 
di  Magra  inferiore.  Bologna  180'^. 

Se,  Nat,  Voi.  Vm,  fase.  1.*  3 


18  e.    DE  STEFANI 

per  primi  un  Ammonite  a  Parodi  (')  e  più  altri  ne  trovò  e  ne  in- 
dicò poi  nel  Promontorio  occidentale  e  nel  canale  di  Fiascarìno 
il  Cocchi,  il  quale  fu  pure  il  primo  a  trovarvi  fossili  nel  Lias 
medio  (*).  Il  Savi  riconobbe  per  tutto  altrove  la  sovrapposizione 
del  calcare  con  selce  (  Lias  medio  )  al  calcare  rosso  ;  ma  ne' 
monti  della  Spezia  non  riconoscendo  il  rovesciamento  ammesso 
dal  Pilla  dovette  ritenere  che  il  primo  sottostasse  al  secondo. 
Anche  da  ultimo  il  Capellini  ed  il  Cocchi  ammisero  quelle  due 
rocce  e  la  zona  ad  Angulati  come  rappresentanti  collettivamente 
il  Lias  inferiore  e  medio.  Io  più  tardi  distinsi  il  calcare  scoro 
sottostante  e  lo  attribuii  alla  zona  ad  Anguhti,  mentre  attribuii 
al  Lias  medio  il  calcare  con  selce  (^);  avevo  già,  vedute  nel 
Museo  di  Pisa  alcune  delle  Ammoniti  raccoltevi  dal  Cocchi  ed 
una  venne  da  me  indicata  col  nome  errato  di  Amìnonites 
Partschi  (*). 

FroTincia  di   Massa 

In  mezzo  alVApennino  di  Garfagnana  e  Lunigiana  sorgono 
parecchi  lembi  di  antiche  rocce,  nel  Monte  Malpasso,  a  Sassalbo, 
Mommio,  al  Colle  Forame,  a  Soraggio,  Corfino.  Le  parti  più 
inteme  sono  quasi  sempre  formate  dal V  Infralias  ben  distinto 
pe'  suoi  fossili  ;  succede  la  zona  ad  Angulati  rappresentata  per 
lo  più  da  calcari  cerulei  a  Pentacrini  ed  a  Brachiopodi,  dei 
quali  si  può  far  buona  raccolta  nei  Monti  di  Corfino  e  Mommio, 
rare  volte  da  calcari  bianchi  ceroidi  con  ammoniti  identiche  a 
quelle  della  Spezia  come  nel  Monte  di  Sassorosso.  Intorno  in- 
tomo, poi,  quasi  sempre  con  qualche  interruzione,  trovasi  il 
calcare  rosso  ammonitifero  alto  da  2  a  3  metri,  fino  a  circa  20 
o  30  nel  Monte  di  Sassorosso,  coperto  sempre  dal  Lias  medio 
concordante,  ovvero  con  discordanza  dal  Giura,  dalla  Creta,  dal- 
l'Eocene.  Tutti  questi  luoghi  sono  ben  forniti  di  fossili. 

Intorno  all'  Infralias  ed  alla  zona  ad  Angulati  dell'Alpe  di 
Mommio,  il  calcare  rosso  forma  una  cintura  piuttosto  continua 


(*)  P.  Savi  e  G.  Meneghini  —  Cons.  strat.  Toscana,  1954,  P.  348. 

(*)  I.  Cocchi  -  Description  des  roches  ignèes  et  sédimentaires  de  la  Toscane 
dnns  leur  succession  géologique  Bull,  Soc,  gèoL  de  France.  S.  2.  Tome  XllL  Pa- 
ii«  1856. 

(*)  C.  De  Stefani  —   Cons.  straL  Alpi  Apuane,  P.  75. 

(*)  C.  De  Stefani  -    Geol.  M.  Pis.  F.  41. 


LIAS    INFERIORE  19 

ed  elevata,  ed  il  Cocchi  vi  trovò  fossili  a  Restì  ed  a  Massicciano 
nel  fondo  del  vallone  (^). 

Nel  Monte  di  Soraggio  il  calcare  rosso  trovasi  in  piccoli 
lembi  alla  Costa  e  nelle  vicinanze  sulla  destra  del  Serchio  ed 
in  serie  continua  da  Vicagliola,  in  Corte,  al  Monte  di  Ripa,  fino 
al  Canale  Gelato  tutto  intorno  alla  zona  ad  Angolati:  trovansi 
fossili  presso  la  Costa  ed  in  varii  luoghi  sotto  Corte  verso  il 
Rimonio;  il  Cocchi  ne  trovò  nel  1863  alla  Parecchiola  nel  Co- 
mignolo di  mezzo  e  questi  li  descriverò. 

Nel  Monte  di  Corfino  la  copertura  del  calcare  rosso  è  piut- 
tosto continua  sulla  sinistra  del  torrente  omonimo  detto  anche 
Mozzanella,  dalla  ripa  di  esso  sopra  il  Pollone  di  Canigiano  fino 
a  Sassorosso,  che  da  esso  appunto  prende  il  nome,  ed  alla  Buca 
della  Guerra.  Alla  Rocca  sopra  Sassorosso  fu  scavato  parecchie 
volte,  ma  le  cave  sono  ora  abbandonate:  bellissime  tavole  di 
quel  calcare  si  vedono  in  quasi  tutte  le  migliori  case  di  Gar- 
fagnana,  e  quasi  in  tutte  si  osservano  belle  sezioni  di  Belemnites, 
Atradites  ed  Ammoniti.  In  questo  luogo  abbondano  i  fossili  dei 
quali  fece  pella  prima  volta  collezione  il  Dini;  il  Savi  li  indicò 
nel  1830  (^)  e  poi  ne  raccolse  egli  stesso  circa  nel  1833  (^).  Sulla 
destra  della  Mozzanella  il  calcare  rosso  forma  solo  lembi  iso- 
lati: uno  più  ragguardevole  è  sotto  Canigiano  a  confine  con 
rocce  cretacee  o  più  recenti;  altro  lembo  isolato  sulla  zona  ad 
Angidati  è  alla  Tana  grande  in  quel  di  Corfino  a  mezza  costa 
del  monte,  e  ne  provengono  fossili  molto  belli.  Altri  lembi  pic- 
coli ed  isolati  sotto  V  Eocene,  sono  salendo  sopra  Corfino  verso 
Corte  e  a  settentrione  del  Monte  ed  altri,  finalmente,  formano 
la  sommità,  più  alta  del  Monte  e  quella  della  cima  più  orien- 
tale di  esso. 

Nelle  Alpi  Apuane  trovasi  il  calcare  rosso  per  grande  esten- 
sione, come  può  rilevarsi  dalla  carta  in  grande  scala  che  io 
donai  nel  1881  al  Ministero  d'Agricoltura  e  Commercio  per  uso 
del  Comitato  geologico  e  che  ora  trovasi  nell'  Archivio  del  Mi- 


(*)  I.  Coochi  —  Sulla  geologia  dell*  Alta  Valle  di  Magra.  (Mem,  Soc»  it,  se. 
nat).  1866,  P.  5. 

(*)  P.  Savi  —  Catalogo  ragionato  d'una  Collezione  geognostica  della  Toscana. 
Nuovo  Giorn   d.  Lett.  T.  XX    Pisa  1830,  Parte  I. 

(')  P.  Savi  —  Tagli  geologici  delle  Alpi  Apuane  e  del  Monte  Pisano  N.  Giorn. 
dei  Lett.  T.  XX VII,  Pisa,  1833,  P.  36. 


20  e.    DB  STEFANI 

nistero  d' Istruzione  pubblica.  Nella  regione  orientale  troviamo 
isolati  lembi  di  calcare  rosso  in  un  ultimo  sperone  del  Colle 
del  Castello  di  Montignoso,  verso  il  Baccatoio  e  la  pianura,  poi 
sopra  il  Colle  della  Foce  tra  Massa  e  Carrara  ove  però  non 
deve  confondersi  coi  calcari  della  Foce,  più  recenti,  alla  Fornace 
dei  Peschini  presso  Carrara,  indi  con  estensione  maggiore  nel 
monte  di  Gragnana,  e  di  nuovo  in  piccole  masse  a  levante  di 
Castelpoggio,  sulle  crine  provenienti  dalla  Pizza  e  sulle  pendici 
settentrionali  e  meridionali  di  questa.  Esso  sta  suir  Infralias, 
oppure,  dal  Ponte  Storto  alla  Pizza,  sopra  il  calcare  ceruleo 
con  ammoniti  piritizzate  della  zona  ad  Angulati;  nel  monte  di 
Gragnana  ed  ai  Peschini  è  coperto  dal  Lias  medio  di  cui  vedesi 
qualche  traccia  anche  nel  Colle  di  Montignoso;  ma  per  lo  più 
sta  sotto  il  giura.  Vi  ho  trovato  tracce  di  crinoidi  in  pezzi 
erratici  nel  monte  della  Foce  verso  Carrara,  ed  una  sezione 
d' Ammonite  in  Trivola  presso  Castel-  poggio .  H  Cocchi  indicò 
Ammoniti  nel  Monte  di  Gragnana.  Ai  Peschini,  quantunque  la 
massa  sia  delle  meno  adattate,  pure,  perchè  vicina  alla  città, 
se  ne  scavarono  bozze  di  colore  roseo  per  uso  edilizio  e  special- 
mente per  r  ospedale  di  Carrara,  e  già  in  alcuno  dei  più  antichi 
autori  troviamo  ricordate  queste  cave. 

Qualche  raro  lembo  pare  ne  sia  nel  Monte  di  Tenerano  sopra 
rinfralias  e  sotto  il  Giura,  giacché  là  secondo  il  Savi,  alla 
"  Grotta  di  Tenerano  „  fii  trovata  un  Ammonite,  circa  nel  1833, 
non  so  se  dal  Guidoni  o  da  altri,  entro  un  calcare  biancastro 
granulare  (^).  Questo  fossile  che  è  uno  de'  più  antichi  trovati 
nelle  Alpi  Apuane,  V  unico  indicato  dal  Savi  nel  Lias  di  quelle 
montagne  eccettuati  i  colli  di  Vecchiano  e  X  unico  per  ora  pro- 
veniente da  quei  luoghi,  si  conserva  tuttora  nel  Museo  di  Pisa. 
Se  fin  d'allora  tosse  stata  conosciuta  la  posizione  di  quel  fossile 
si  sarebbe  ben  presto  schiarita  la  geologia  delle  Alpi  Apuane 
e  di  gran  parte  della  Toscana.  Il  calcare  rosso  della  Maestà 
della  Villa  indicato  talora  per  intero  come  appartenente  al 
Lias  inferiore,  è  in  gran  parte  più  recente  perchè  sta  sopra  lo 
schisto  a  Posidonomyae. 

Qualche  lembo  di  calcare  rosso  trovasi  ancora  intorno  al- 
l'Infralias  nella  parte  più  alta  della  valle  della  Pesciola  fra 
Pulica,  il  Monte  Grugola  ed  il  Pizzaguto. 

(*)  P.  Savi  -   Tagli  geoL  Alp.  Apuane  1833.  P.  36. 


LUS    INFERIORE  21 

Dal  Monte  di  Tenerano  a  quello  di  Reggio  non  ho  trovatx) 
traccia  di  questo  piano  del  Lias  inferiore  se  non  in  pezzi  er- 
ratici verso  il  Canale  Ricavoli  sotto  Ugliancaldo;  i  calcari  rossi 
di  una  delle  Maestà  d'Ugliano  ad  esso  attribuiti  li  credo  più 
recenti.  Nella  regione  orientale  delle  Alpi  Apuane  esso  prende 
però  nuovo  incremento. 

Nel  Monte  Corona  presso  Roggio  (Comune  di  Vagli)  trovasene 
un  lembo  piuttosto  alto  fra  la  zona  ad  Angulati  ed  il  Lias 
medio  od  altre  rocce  giurassico-cretacee,  ed  il  luogo  detto  in 
Bieta  va  segnalato  fra  quelli  nei  quali  si  possono  raccogliere  in 
breve  ora  centinaia  d'esemplari,  specialmente  delV  Arietites  Co- 
nybeari  Sow.,  ma  piccoli.  H  luogo  fii  scoperto  la  prima  volta, 
credo,  dal  Dini  nella  cui  collezione  è  qualche  specie  di  là;  ma 
fii  pubblicato  dal  Cocchi.  H  calcare  vi  è  spesso  roseo  con  mac- 
chie verdi. 

Se  ne  ritrova  fra  la  zona  ad  Angulati  ed  il  Lias  medio  nel 
Monte  Torre  in  quel  di  Careggine,  quasi  sul  vertice  fra  il  Ca- 
nale di  Vagli  e  la  Tòrrite  secca. 

Nella  Valle  della  Torrite  secca  il  calcare  rosso  si  estende 
molto  sur  ambedue  le  parti,  specialmente  sulla  destra  tutto  in- 
torno air  Alpe  di  S.  Antonio  fin  sotto  Sassi,  ed  alla  Villa  Ber- 
tagni  presso  Torrita,  e  dalla  cima  della  Pania  .fin  sotto  V  Uomo 
morto  ed  alla  base  della  Paniella;  altrettanto  si  estende  ma 
con  minore  altezza  nei  dintorni  di  Porciglia,  dal  Canale  dell' In- 
ferno fin  quasi  al  Mulino  del  Riccio  e  sotto  Rontano  fino  al 
Fessone  delle  Capannelle  ;  ma,  salvo  alcune  lastre  alle  Comper- 
tóse  e  nell'Alpe  di  S.  Antonio,  non  se  ne  trasse  partito.  Vi  si 
trovano  crinoidi  nell'Alpe  di  S.  Antonio  e  presso  Torrita,  e 
mal  conservate  Ammoniti  presso  il  Riccio  e  nel  Canale  di  Ron- 
tano: a  Deccio,  e  non  lungi  dal  Mulino  del  Riccio,  su  ambedue 
le  rive  della  Torrita,  è  sotto  ad  esso  il  calcare  ceruleo  della  zona 
zA  Angulati;  nella  Pania  vi  sta  un  calcare  ceroide  di  questa  zona  ; 
altrove  per  lo  più  direttamente  l' Infralias.  Il  calcare  con  selce 
sta  quasi  continuamente  al  di  sopra,  salvo  presso  Porciglia,  in- 
torno al  Canale  dell'  Inferno,  ed  alcune  altre  piccole  interruzioni 
ne'  monti  di  Rontano,  Deccio  e  S.  Antonio  dove  sopra  sta  il 
giura. 

Lungo  la  Torrite  di  Gallicano,  sulla  sinistra,  il  calcare  rosso 
scende  dalla  cima  della  Rocchetta,  che  è  mi'  ultima  propaggine 


22  e.   DE  STEFANI 

della  Pania,  fino  ai  dintorni  di  Vergemoli  dove  rimane  scoperto 
per  gran  tratto  e  fino  alla  Torrite  dove  passa  sulla  destra  sotto 
Chieva,  al  Colle  di  Matteo  sotte  Trassilico.  Sta  ordinariamento 
sopra  r  Infralias  e  sotto  il  Lias  medio.  Lembi  isolati  di  esso, 
sopra  r  Infralias  o  presi  in  mezzo  al  medesimo  e  con  esso  al- 
ternati in  strati  verticali  per  effetto  di  pieghe,  trovansi  sotto 
Calomini  e  lungo  la  valle  poco  più  giù  dell'Eremita. 

Al  Colle  di  Matteo  si  scavarono  colonnini  e  tavole;  quivi 
e  presso  l'Eremita  ho  trovato  tracce  di  crinoidi. 

ProTincia   di    Lacca 

Nel  lato  orientale  delle  Alpi  Apuane  alla  Valle  della  Tor- 
rita  di  Gallicano  succede  verso  Sud  quella  della  Torrite  Cava 
appartenente  nella  parte  più  alta  alla  Provincia  di  Lucca.  Nel 
suo  lato  sinistro  il  calcare  rosso  comincia  sotto  il  Monte  Croce 
e  traversando  la  valle  poco  sopra  Palagnana  seguita  per  Pian 
d' Orsoli  fino  in  cima  al  M.  Matanna  e  poi  su  tutta  la  crina  che 
sta  verso  la  valle  del  Lombricese  dalla  parte  di  Camaiore  fino 
sopra  Metato  e  Monte  Riglione .  E  alto  discretamente  a  Pala- 
gnana e  Pian  d' Orsoli  fino  al  Matanna;  è  in  più  tenui  strati 
di  poi  e  sta  sempre  fra  V  Infralias  ed  il  Lias  medio.  Per  lo  più 
lo  distingue  un  vago  colore  roseo  e  nel  Monte  Matanna  fu  ten- 
tata qualche  cava  bella  ma  scomoda  per  la  lontananza.  Ammo- 
niti ne  trovò  il  Simi  presso  la  cima  di  M.  Matanna  e  li  indicò 
al  Cocchi  che  primo  li  pubblicò  (^):  ne  trovò  pure  il  Simi  alla 
Grotta  all'Onda  e  ne  raccogliemmo  insieme:  credo  ne  siano 
tuttora  nella  sua  collezione:  del  resto  si  trovano  Ammoniti  b 
crinoidi  in  tutta  quella  crina  verso  il  Lombricese,  come  pure 
a  Palagnana  ed  alle  Scale  sotto  il  Monte  Croce.  Un  ultimo  pic- 
colo lembo  isolato  trovasi  sotto  il  Giura  al  piede  del  Monte 
La  Torre  verso  Camaiore.  Fra  il  Lombricese  ed  il  Crocione  il 
calcare  rosso  e  quello  roseo  a  crinoidi  alternano  apparentemente 
in  mezzo  all'  Lifralis  per  effetto  di  strette  pieghe  di  cui  si  può 
benissimo  verificare  la  curva  salendo  la  valle  o  la  foce  del 
Crocione  dal  fondo  ai  punti  più  alti.  Altri  strati,  alti  da  5  a  20  m. 
formano  una  cintura  continua  sotto  il  Lias  medio  tutto  intomo 
alla  piccola  massa  infraliassica  delle  Capanne  del  Pascoso  ed 

(«)  I.  Cocchi  —  Sulla  geologia  dell' Italia  centrale,  1864  P.  25. 


LIAS  INFERIOBE  28 

all'  altra  dei  Riccioni.  Questa  regione  dell'  alta  Torrite  Cava  e 
dei  dintorni  di  M.  Matanna  è  di  quelle  nelle  quali  il  calcare 
rosso  occupa  un'estensione  più  continua  ed  uniforme. 

Altri  lembi  trovansi  attorno  all'  Infralias  dai  monti  di  Villa- 
buona  sulla  Pescagliora  fino  alla  Valle  del  Pascoso  che  è  imo 
dei  rami  più  alti  della  Torrite  cava,  e  compaiono,  sotto  il  Lias 
medio,  in  fondo  ai  torrenti,  sotto  il  poggio  di  Groppa  presso  il 
Colletto  dove  contengono  tracce  di  fossili  e  sopra  l' Infralias 
presso  Pescaglia  e  Sassorosso  dove  hanno  una  discreta  altezza. 

Lo  stesso  fatto  si  verifica  intomo  all' Infralias  che  occupa 
la  parte  alta  delle  Valli  della  Pedogna,  del  Rio  delle  Campore 
e  del  Lucese;  quivi  il  calcare  rosso  apparisce  interrottamente 
sotto  piccoli  strati  di  Lias  medio  sotto  il  Monte  Piglione,  sotto 
il  Miralbello  e  la  Casa  bianca  sulla  Pedogna,  sotto  il  Monte 
Pedone  lungo  l' alveo  della  parte  più  alta  del  torrente  Lucese, 
lungo  il  Rio  delle  Campore  presso  la  sua  foce  nella  Pedogna  e 
a  dritta  di  questo  sotto  il  M.  Valimona. 

Ad  occidente  delle  Alpi  Apuane,  tal  quale  come  nella  Pro- 
vincia Massose,  trovansi  limitatissimi  rimasugli  di  calcare  roseo 
intimamente  legati  col  calcare  ceroide  o  coli' Infralias,  conte- 
nenti sempre  qualche  traccia  di  crinoidi,  a  Monte  Preti,  alle 
Piane  di  Capriglia,  e  a  Palatina.  A  Montepreti  è  qualche  traccia 
del  sovrastante  calcare  del  Lias  medio. 

Nella  parte  del  Monte  Pisano  che  appartiene  a  Lucca  il  cal- 
care di  questo  orizzonte  forma  una  cintura  continua  dal  Monte 
Rotondo  al  piano  sopra  i  calcari  ceroidi  a  gasteropodi  della  zona 
ad  Angulafi  e  sotto  il  Lias  medio  ;  è  rossastro  o  d'  un  color 
giallo  sbiadito  con  qualche  venatura  e  presso  Santa  Maria  del 
Giudice  ne  levano  dei  massi  per  ridurli  in  tavole  che  hanno 
qualche  apparenza  del  giallo  di  Siena. 

Finalmente  nella  pendice  S.  0.  del  Colle  di  Monsummano, 
circa  da  sopra  Monsummano  basso  fino  alla  Grotta,  il  calcare 
roseo,  o  ceruleo  chiaro,  o  verdognolo  con  un  poco  di  selce,  sta 
sotto  il  Lias  medio  e  sopra  il  calcare  ceruleo  della  zona  ad 
Angulati  che  ivi  pure  contiene  un  poco  di  selce.  Il  Marchese 
Carlo  Strozzi  vi  trovò  delle  Ammoniti  circa  nel  1852 (^);  vene 

(•)  G.  Meneghini  —  Nìmvì  fossili,  1853. 


24  e.    DE  STEFANI 

trovarono  pure  il  Pecchioli  nel  1858  ed  il  Cocchi   nel  1863  e 
le  loro  raccolte  trovansi  ora  nel  Museo  di  Firenze  (^) . 

ProTineia  di   Pisa 

Neir  ultimo  sperone  meridionale  delle  Alpi  Apuane  apparte- 
nente al  Comune  di  Vecchiano  il  calcare  rosso  forma  strati  poco 
alti  ma  continui  tra  il  calcare  roseo  a  gasteropodi  della  zona 
ad  Aìigulati  ed  il  Lias  medio,  dalla  Foce  di  Radicata  alla  val- 
lecola  de'  Sassigrossi,  e  di  qua  intorno  al  M.  Bastione  fino  al 
piano  di  Vecchiano.  Sulla  destra  della  Valletta  in  certe  cave 
sopra  i  Pantani  furono  raccolte  e  portate  al  Savi  e  al  Meneghini 
le  seguenti  specie  esistenti  nel  Museo  di  Pisa  e  così  nominate 
dal  Meneghini:  Amnwnites  Pecchioni  Mgh.,  A,  hisulcatiis  Brug., 
A.  Conybeari  Sow.,  A.  Boucauìtianus  D'Orb.  Nel  Monte  Pisano 
pochi  strati  e  mal  distinti  si  trovano  dal  Monte  Rotondo  al 
Monte  delle  Fate  fin  sotto  i  Bagni  della  Duchessa,  sotto  il  Lias 
medio,  e  talora,  verso  quest'  ultima  parte,  a  diretto  contatto 
coir  Infralias  o  con  tenuissimi  rappresentanti  della  zona  ad  An- 
guìati.  Formano  talora  una  breccia  rossastra  con  cristalli  d'Albite 
e  fuori  de'crinoidi  non  vi  si  trovarono  fossili;  sotto  al  Lias 
medio  alle  cave  de'  marmi  di  S.  Giuliano  ne  apparisce  qualche 
lembo  isolato  formato  da  calcare  schistoso  giallo  o  verdastro. 

Pochi  strati  di  "  calcare  rosso  con  qualche  crinoide  „  fanno 
seguito  air  Infralias  presso  Samure  nell'estremità  settentrionale 
dei  Monti  della  Castellina  C^). 

Uno  dei  sedimenti  più  importanti  per  la  quantità,  dei  fossili 
che  il  sig.  Tito  Nardi  ne  ha  ricavato  e  che  trovansi  ne'  varii 
Musei  h  quello  dei  Monti  di  Campiglia.  Il  calcare  rosso  si  estende 
sopra  il  marmo  bianco  della  zona  ad  Angidati  da  presso  la  Cal- 
dana al  piede  meridionale  del  Monte  Valerio  verso  il  M.  Calvi 
e  fino  alla  Pieve  vei-so  Sassetta,  indi  presso  Castagneto  :  esso  è 
alto  sempre  pochi  metri  e  ricchissimo  di  Ammoniti  e  di  Atracti- 


(*)  I  calcari  rossastri  ammoriitiferi  più  profondi  dei  Monti  di  Vico'e  Lucchio 
in  Val  di  Lima  non  apparteugono  al  Lias  inferiore  come  talora  fu  ritenuto  ma  pro- 
babilmente al  Titoniano;  un*  Ammonite  raccoltavi  dal  Carina  alla  Tana  a  Termini 
sembra  appartenere  al  genere  Simoceras. 

(2;  B.  Lotti  —  Terreni  secondari  nei  dintorni  dei  Bagni  di  C{isciana  in  pro- 
vincia di  Pisa.  Processi  verbali  d.  Soc.  toac.  di  se.  nat.  IO  gennaio  1886. 


LIAS   INFERIORE  25 

tes,  di  cui  ha  parlato  più  volte  il  Meneghini,  e  di  crinoidi  che 
THofifmann  pel  primo  trovava  nella  valle  di  Fucinaia.  Presso 
Castagneto  son  delle  cave  che  danno  il  così  detto  broccatello  o 
mischio  della  Gherardesca. 

Profineia   di    Siena 

Nella  Montagnola  senese  il  nostro  piano  acquista  peculiari 
caratteri.  Esso  sta  ognora  tra  il  marmo  bianco  della  zona  ad 
Angulatij  ed  una  zona  di  schisti  lucenti  estesa  tra  Gelsa,  Luciano, 
Cetinale,  Pernina,  Caiano  che  io  credetti  riunire  allo  stesso  Lias 
inferiore  ma  che  forse  in  parte  superiormente  equivale  agli  schisti 
giurassici  ;  rare  sono  le  tracce  di  calcare  ceruleo  del  Lias  medio. 
Esso  si  estende  ad  occidente  della  Montagnola  ne'  colli  di  Mon- 
tarrenti  sulla  sinistra  della  Rosia  e  verso  Sud  fino  a  Spannoc- 
chia, ed  ivi  rimane  a  scoperto  in  strati  di  circa  20  o  più  metri  ; 
si  estende  poi  nell'alto  della  Montagnola  ed  anco  ad  oriente 
fira  Molli  e  le  Reniere,  indi  in  tutte  le  pendici  occidentali  at- 
torno al  Botro  di  mezzo  e  nelle  crine  settentrionali  fra  Pernina, 
Lucerena,  Marmoraia,  Quegna,  La  Sanese,  Pietralata  e  la  Su- 
ghera. Nei  colli  di  Montarrenti  predomina  il  calcare  ceroide 
giallo  d' oro  o  giallo  miele,  marmoreo,  con  venature  per  lo  più 
violacee  di  vaghissimo  aspetto:  lo  chiamano  gialh  di  Sietia  e 
ne  sono  parecchie  cave  lavorate  di  tanto  in  tanto.  Di  colore 
assai  più  sbiadito  se  ne  trova  a  Lucerena.  Talora  il  calcare  è 
molto  schistoso,  o  sostituito  da  veri  schisti  con  lembi  di  cal- 
care schistoso  gialliccio,  con  cipollino  verdognolo  o  biancastro 
o  giallo  e  con  vene  di  selce  o  quarzo.  In  una  tavola  di  marmo 
giallo  di  Siena  esistente  nel  Palazzo  Pitti  il  Meneghini  notò 
una  sezione  di  Ammonite  che  ritenne  essere  VA.  margaritaUus 
Montf.  (^);  altre  piccole  egli  ne  vide  in  una  tavola  a  Padova 
ed  altre  ne  aveva  notate  il  Padre  Angeloni;  una  sezione  tra- 
sversale la  vidi  in  una  impiallacciatura  nella  chiesa  dell'An- 
nunziata in  Firenze  presso  l' entrata  maggiore,  ed  il  Pantanelli 
trovò  in  posto  un  frammento  con  4  o  5  sezioni  che  io  presentai 
alla  Società  toscana.  Crinoidi  ne  furono  già  notati  da  Pantanelli 
e  Lotti  nel  fosso  delle  Vignacce,  se  ne  trovano  abbondantemente 
in  posto  a  Montarrenti,  a  Lucerena  e  altrove,  come  pure  se 

(*)  P.  Savi  e  G.  Meneghini  —  Cons.  geol    Toscana.  1851,  P.  382. 


26  e.    DE.  STEFANI 

ne  possono  vedere  alcune  sezioni  ne'  tavolini  del  Caffè  del  Greco 
e  nelle  colonne  delle  chiese  in  Siena. 

Neil'  estremo  Sud  nel  lato  orientale  del  Monte  di  Catena  so- 
pra Camporsevoli  e  verso  S.  Casciano  dei  Bagni,  la  roccia  più 
profonda  del  monte  è  un  calcare  rosso  o  biancastro  nel  quale 
si  trovano  Arietites  ceratitoides  Quenst.,  A.  spiraiissimus  Qaeiist.| 
A.  stellaris  Sow.  Non  v'  ha  dubbio  che  vi  sia  qualche  lembo 
coetaneo  agli  altri  già,  descritti  e  ne  avrei  buon  numero  di  fos- 
sili ;  ma  non  sono  ben  sicuro  sui  limiti  degli  strati  e  delle  specie, 
giacché  verso  S.  Casciano  ho  trovato  poco  sopra  ad  uno  strato 
con  Arietites j  in  una  roccia  litologicamente  identica,  un  Aegoceras 
sp.  n.,  vicino  assai  a  forme  del  Lias  medio  e  poco  sopra  d^Ii 
Harpoceras.  Certo  vi  sono  poi  varii  piani  del  Lias  medio  e  su- 
periore rappresentati  dalle  specie  piti  caratteristiche;  ma  io  qui 
per  non  far  cosa  soggetta  a  qualche  incertezza  non  mi  tratterrò 
a  lungo  a  discorrere  del  Monte  di  Cotona. 

Provincia  di   Grosseto. 

Sulla  cima  N.  0.  della  Cornata  di  Gerfalco  e  sul  contìguo 
Poggio  Mutti  il  calcare  rosso  forma  dei  lembi  ora  isolati  ora 
molto  estesi  sopra  il  calcare  bianco  marmoreo  della  zona  ad 
Angulati.  Quivi  si  trova  '^  la  maggior  parte  degli  abbondantis- 
simi ma  mal  conservati  esemplari  di  Ammoniti  allo  stato  di 
frammenti  erratici  „  (0.  Di  tali  fossili  parlò  più  volte  il  Mene- 
ghini (^).  Lo  stesso  calcare  in  strati  abbastanza  alti,  di  colore 
rosso  o  grigio  chiaro  si  manifesta  poco  lungi  e  sopra  il  solito 
calcare  bianco  *"  nel  versante  occidentale  del  Montalto  o  Pog- 
gione  presso  Prata  in  un  piccolo  lembo  „  (^). 

Finalmente  nella  parte  meridionale  del  Monte  Calvo  presso 
Gravorrano  dalla  parte  di  Ravi  fino  alla  Caldana  trovasi  lo  stesso 
calcare,  sovrastante  al  solito  alla  zona  del  marmo  bianco  ad 
Aìufulati:  h  alto  circa  10  metri,  per  solito  rosso,  e  presso  Cal- 
dana è  costituito  da  una  breccia  nota  ai  marmisti  col  nome 
di  Breccia  di  Caldana;  questa  è  composta  da  *  frammenti  an- 

C)  G.  Meneghini  —  Desc.  cart.  geol,  Grosseto  1865,  P.  391. 

(')  Meneghini  e  Savi  —  Cons.  geol,  1851,  P.  387.  —  Meneghini  -  Ntwv,  fast. 
1853,  P.  9.   -  Meneghini  -  Desc,  geoL  Grosseto  1865,  P  391. 

(^)  B.  Lotti  —  Cenno  sulla  costituzione  geologica  della  Comunità  di  Massa 
marittima,  Boll.  R,  Com,  geol.  Voi.  V,  187  i,  P.  292. 


LIAS   INFERIORE  27 

golosi  di  vario  colore,  ma  specialmente  rossi  e  giallastri  cemen- 
tati da  calcite  cristallizzata  per  lo  più  bianca,  talvolta  inquinata 
da  una  sostanza  bruna  :  in  alcuni  punti  il  calcare  non  è  brec- 
ciforme  ma  soltanto  pezzato  di  macchie  di  colore  più  intenso 
di  quello  del  fondo  „  (^).  H  Meneghini  indicò  a  Caldana  di  Ravi 
VAniìnonites  Conyheari  Sow.  (^). 

Considerazioni  sui  fossili. 

I  fossili  da  me  studiati  in  questo  lavoro  si  trovano  presso 
che  tutti  nel  Museo  di  geologia  dell'  Istituto  superiore  di  Firenze 
dove  ho  potuto  studiarli  per  gentile  concessione  del  Direttore 
Prof.  Cav.  C.  D'Ancona.  Essi  provengono  da  Restì,  Massicciano, 
Soraggio,  Sassorosso,  e  Roggio  nella  Provincia  di  Massa,  Mon- 
summano  nella  Provincia  di  Lucca,  Campiglia  in  quella  di  Pisa, 
Gerfalco  in  quella  di  Grosseto  e  Cetona  in  quella  di  Siena.  A 
Restì  e  Massicciano  e  Soraggio  furono  raccolti  dal  Cocchi,  a 
Sassorosso  dal  Dini,  dal  Cocchi  e  da  me,  a  Roggio  dal  Cocchi 
e  da  me,  a  Monsummano  dal  Pecchioli  e  dal  Cocchi,  a  Cam- 
piglia dal  Nardi,  a  Gerfalco  dal  Nardi  e  dal  Pecchioli  (^),  a 
Cetona  dal  Manciati,  dal  Quadri  e  da  me. 


(*  )B.  Lotti  —  Sulla  geologia  del  gruppo  di  Gavorrano,  Bull,  Com.  geol.  1877  P.  58. 

(»)  Savi  e  Meneghini  -  Cons.  geol.  1851.  P.  391. 

(')  I  fossili  di  quasi  tutti  questi  luoghi  furono  già  più  volte  indicati  dal  Mene- 
ghini. A  Gerfalco  molte  specie  vennero  indicate  nel  1851  {Cons.  geol.  Toscana  P.  382): 
nell'elenco  rifatto  nel  1853  {Nuoo,  foss.  P.  9)  venne  lasciato  fuori  V Ammonites  co- 
mensis;  nel  1860  {Cari.  geol.  Grosseto)^  furono  lasciati  VA.  complanatus^  VA,  bifrons^ 
conae  determinazioni  assolutamente  erronee,  V  A.  aff.  rart'costaio^  V  A,  aff,  Bonnardii^ 
A.  bisuUatus,  A.  spinalus,  A.  heterophyllus  :  io  lascerò  fuori  perche  non  li  ho  trovati  o 
perchè  si  debbono  almeno  in  parte  escludere  A,  tardecrescenst  A.  Normanianus^  A.  an- 
gulatus^  A.  fimbria tus,  A.margaritotus^  A.  mimatense,  oltre  b\V  A.  Hungaricus,  A. 
NodotianuSt  A.  multicostatus  Sow.,  A.  Buchlandi  già  indicati  come  incerti.  DelP  A. 
Montii  Meneghini  sp.  ined.  citata  da  me  nel  1877  (Geol,  M.  Pis.  P.  38)  sono  stato 
dispiacente  di    non    potere  tener  conto  non  avendola  vista  tra  i  miei  esemplari.  Ri- 
mangono indicati  in  modo  sicuro  o  veduti  anche  da  me    Arietites    Conybeari  Sow., 
A.  stellaris  Sow.,  A.  ceras  Gieb     o  ceratitoides  Quenst,    Phylloceras  cylndricum 
Sow.,  Aegoceras  Peccchiolii  Mgh.  Nel  1851  (Cons,  geol.  P.  396)  e  nel  1853  (Nuov. 
foss,  P.  11)  il  Meneghini  citò  a  Sassorosso  33  specie,  che  io  riportai  nel  1877  (Geol, 
M.  Pis.  P.  38)  escludendo  Ammonites  tortilis'ì  A.  liasicus^  A.  hridion,  A.  ophioidesf^ 
A.  caprotinusf^  A   Levesquei'h  A.  RaquinianuSy  A,  insignis^  A,  aalensis^  A.  sternalis, 
A.  Bonnardiiff  specie  indicate  con  dubbio  o  proprie  del  Lias   superiore  o  della  zona 
ad  Angulati,  e  V  A,  plurtcosta  Mgh.,  perchè  esaminando  la  roccia  donde  questo  pro- 
veniva osservai  che  si  trattava  del  calcare  ceruleo  con  selce,  quindi  probabilmente  del 


28  e.    DE  STEFANI 

Oltre  a  ciò  ho  studiato  i  fossili  del  Lias  inferiore  del  Monte 
di  Cetona  esistenti  nei  Musei  geologici  di  Milano  e  di  Monaco, 
e  la  bellissima  collezione  di  Ammoniti  di  Sassorosso  fatta  dal 
defunto  Prof.  Cav.  Olinto  Dini  e  conservata  con  gelosa  cura  in 
Castelnuo vo  Grarfagnana  dal  figlio  Emiliano ,  il  quale  gentilmente 
mi  concesse  di  studiarla  e  di  figurarne  alcuni  esemplari.  Sarebbe 
desiderabile  che  questa  raccolta  fosse  custodita  in  un  pubblico 
Museo  dove  tornasse  piii  facile  agU  scienziati  V  esaminarla.  In 
questa  collezione  ho  veduto  pure  alcuni  fossili  di  Soraggio,  di 
Pie  di  Latra  presso  Corfino  e  di  Roggio,  i  quali  polla  prima 
volta  erano  stati  scoperti  dal  medesimo  Dini. 

or  individui  che  io  descriverò  sono  per  lo  più  di  conserva- 
zione discreta,  assai  di  rado  ottima;  i  lobi  degli  Anunoniti  si 
vedono  negl'individui  provenienti  da  luoghi  dove  il  calcare  è 
più  ai^illoso,  come  da  Massicciano,  Restì,  Sassorosso,  ed  un  poco 


Lias  medio.  Mentre  non  nominavo  queste  specie  ne  aggiungevo  7  altro  secondo  le 
indicazioni  segnate  dal  Mene^'hini  nel  Museo  di  Pisa.  Delle  22  specie  cosi  risuItaQti 
lascerò  fuori  ora  A.  Nodotianus,  À  iardecrescens^  A',  ffartmanni.  A,  geometrieus^ 
A,  Charmasseiy  A.  cfr.  crassust  A.muticus,  A.  subarmaius,  A.  hybridus^  A.  armatus^ 
A.  BoucaufeiamiSt  A.  fimbriatus^  A.  complanatus^  A.  heferophyllus,  A.  mimaieme 
perchè  non  trovate  da  me  o  perchè  debbono  portare  altri  nomi,  come  pure  Y  A.  mul- 
ticostatus  Suw ,  VA,  hifrons  Brug.  che  secondo  me  proviene  dal  calcare  rosso  sovra- 
stante al  Lias  medio,  ed  un  Harpoceras  indicato  col  nome  di  Ammonites  rcuUans  che 
ritengo  proveniente  dal  Lias  medio.  Ho  conservato  cosi  le  seguenti  specie  indicate 
dal  Menei^hini  Arietìtes  Conybeari  Sow.,  A  ceratitoides  Qucnst.  o  ceras  Gieb»,  A. 
s Celiar is  Sow.,  A  spiratissimus  Quenst.,  A,  bisulcatiis  Brug.,  A.  obtusus  Sow.,  JETar- 
poceras  Aclaeon  D'Orb.,  Atractìtes  orthoceropsis  Mgh.  e  V  A.  Cordieri  Mgh.  indi- 
cato dal  suo  autore  in  lavori  più  recenti.  A  Campiglia  furono  indicate  varie  spacie 
nel  1853  (Xuov.  foss.  P.  9):  nel  1868  (Rath,  Die  Berrje  von  Camp.)  furono  omessi 
Ammonites  BoucauUianus,  A.  spinatus,  A  heterophyllus,  A.  Bonnardii,  A.  Davoei^ 
A.  Valdani;  V  A,  striatocostatus  Mgh.  fu  fatto  sinonimo  delf  A,  Partschi^  dell* A. 
Loscombi  fu  fatto  VA.  tenuistriatus  Mgh.,  dell' A.  abevispina  si  fece  VA.ffebwti, 
Nel  presente  lavoro  lascierò  V  A.  spiratissimus,  V  A.  tardecrescens,  oltre  all' A.  mor- 
garitatus  ed  all'A.  Buvignieri  di  cui  faccio  specie  nuove;  VA.  Heberti  cui  sostituisco 
il  nome  di  A.  Bìrchii^  VA.  mimatensis^  VA.  Nodotiantts,  A.  armatus,  A.  zetes,  A. 
Normanianus  che  non  ho  trovato  o  in  parte  si  debbono  attribuire  ad  altre  specie,  e 
Atractìtes  alpinus,  Orthoceras  liasicus,  Belemnites  longissimusì  che  debbono  portare 
altri  nomi.  Tra  le  specie  indicate  dal  Meneghini  riporto  qui  Arietites  Conybeari  Soyf.^ 
A.  ceratitoides  Quenst.  (o  ceras  Gieb.),  A.  bisulcatus  Brug  ,  Phylloceras  Partschi 
Stur,  P.  tenuistriatum  Mgh.,  P,  Nardii  Mgh.,  Atractìtes  orthoceropsis  Mgh.,  A. 
Quenstedù  Mgh.,  A.  Cordieri  Mgh.,  le  quali  due  ultime  specie  però  non  furono 
vedute  da  me. 

Nel  Museo  di  Pisa  sono  indicate  pure  le  seguenti  specie  provenienti  dal  monte 
dei  Sassigrossi  nel  Comune  di  Vecchiano,  che  io  non  ho  visto:  Ammonites  Pée~ 
chiolii  Mgh.,  A.  bisulcatus  Brug.,  A.  Conybeari  Sow.,  A.  Boucaultianus  D*Orb« 


UAS    INFERIORE  29 

meno  da  Roggio;  non  si  vedono,  salvo  rarissime  eccezioni,  dove 
il  calcare  è  più  compatto  come  a  Monsummano,  Gerfalco  e 
Campiglia.  In  questo  caso  però,  p.  es.  in  tutti  gl'individui  di 
Campiglia,  i  lobi  si  possono  scoprire  artificialmente  corrrodendo 
con  acidi  la  superficie  dell'  Ammonite  o  meglio  lustrandola  al- 
quanto con  carta  smerigliata  e  passando  sopra  la  superficie  resa 
lucente  una  mano  di  coppale;  così  i  lobi  spiccano  come  linee 
rosso-cupe  su  fondo  più  chiaro  e  si  possono  meglio  determinare 
alcune  specie.  Però  i  lobi  in  tal  modo  scoperti  non  si  possono 
prendere  a  tipo  delle  descrizioni  giacche  la  superficie  viene  sco- 
perta per  lo  più  in  maniera  irregolare  e  le  linee  compariscono 
alterate. 

È  singolare  il  piccolissimo  numero  di  specie  fra  le  centinaia 
d'individui  osservati  e  il  predominio  straordinario  di  alcune 
specie  in  uno  od  in  altro  luogo.  In  tutto  sono  1168  individui  e 
36  specie,  di  cui  13  rappresentate  da  non  più  di  2  individui, 
e  le  rimanenti  23,  da  1153.  V  Arietites  Conyheari  è  comunis- 
simo a  Campiglia,  Sassorosso,  Massicciano,  Roggio  e  in  certi 
luoghi  se  ne  potrebbero  raccogliere  centinaia  d'esemplari;  ma 
r  Oxynoticeras  perilambanon  frequentissimo  a  Campiglia  donde 
ne  vidi  50  individui,  manca  altrove,  fuorché,  appena,  a  Sasso- 
rosso.  Sopra  71  esemplari  di  Gerfalco,  65,  e  135  sopra  201  di 
Cetona  appartengono  aìV  Arietites  ceratitoides  che  manca  od  è 
rarissimo  altrove;  così  dicasi  à^W!  Arietites  spiratissimus  abbon- 
dante a  Massicciano  donde  ne  osservai  63  individui. 

Altra  osservazione  già  fatta  dal  Meneghini  è  quella  della 
prevalenza  nel  numero  delle  specie  appartenenti  a  certi  generi 
di  fronte  a  certi  altri  (Nuov.  foss.  1853,  P.  10).  Per  esempio 
le  8  specie  di  Arietiti  proprie  del  Lias  inferiore  sono  rappre- 
sentate da  566  esemplari,  mentre  le  2  specie  di  Aegoceras  o 
Harpoceras,  secondo  Haug,  precorritrici  del  Lias  medio,  lo  sono 
da  soli  3  esemplari. 

Ma  sopra  tutto  è  importante  ripetere  col  Meneghini  che 
tutte  le  specie  descritte  vissero  contemporaneamente  e  si  tro- 
vano ne'  medesimi  strati  alti  pochi  decimetri:  in  parecchi  pezzi 
de'  Musei  si  possono  vedere  esemplari  di  varie  specie  stretta- 
mente ammassati,  p.  es.  Phylloceras  Partschi  e  Arietites  Cany- 
beari  di  Roggio,  A.  Conyheari  e  Phylloceras  Nardii  di  Sassoros- 
so, Atractites  orthoceropsi.s  e  A»  con^picilliim;  A.  orthoceropsis  e 


30  e.   DE  STEFANI 

Nautilus  sp.;  A.  Conybeari,  Oxynoticeras  perilambanon  e  Phyìl. 
yardii;  Ox.  perilambanon,  PhylL  Xardii,  Aegoceras  Birchii;  a 
Campiglia,  etc.  Non  vi  può  esser  dubbio  dunque  sulla  perfetta 
coetaneità  delle  specie  qui  ricordate. 

Presenterò  qui  la  nota  delle  specie  descritte  e  de'  piani  di 
cui  si  ritengono  proprie;  noterò  che  le  specie  le  quali  erano  in 
addietro  state  indicate  dal  Meneghini  come  proprie  del  Lias 
superiore  debbono  essere  tutte  soppresse,  e  quelle  indicate  come 
proprie  del  Lias  medio  si  riducono  ad  assai  poche  e  meno  certe. 


i 

1 

1 

. 

Zone  daU'  Arte- 

Uaai 

Zona  ad 

Nomi  deUe  specie 

1        Luoghi   dell'  Appennino 

1 

1 

tUetBuckìamii 

c 

An^uloH 

ali    JLtgoctirmm 
rarieoHahtm 

snpci 

Terebratnla  incisira  Stop. 

(erbaensis  Suess) 

1 

1 
Massicciano,  Resti,  Sassorosso 

i 

Li 

esi 

Oerf.  Spezia  '            .           Aspasia  Mgh. 

1 

Massicciano 

Kb 

A  ■! 

ILPiMOO 

r 

Ayicnla  iiuteqniralris  Sow. 
Plenrotomaria  campiliensis  sp.  n. 
Naatilns  sp. 

Campiglia 
Campiglia 
Sassorosso 
Campiglia 

Germania,  Fnui- 
oia,  Inghilterra 

Kb 

Spezia 

Atracdtes  orthoceropsis  Mgh. 

Massicciano,  Resti,  Sassorosso,  Campiglia 

L.I 

lormeBegis 

n          Qnenstedti  Mgh. 

Gerfalco,  Campiglia 

Bpezia 

n        Ck)rdieri  Mgh. 

n         conspicillam  sp.  n. 
Belemmtes  sp. 
Phylloceras  oonvexam  sp.  n. 

„            anoylonotos  sp.  n. 

Sassorosso,  Campiglia 

Campiglia 

Sassorosso 

Massicciano,  Resti,  Gerfalco 

Resti,  Sassorosso 

L.a 

aff.  Ph.  oooi- 
doale  Spezia 

M           tenuistrìatum  Mgh. 

Campiglia 

8pezia;9icilia 

»           Partschi  Star 
»           Sayii  sp.  n. 

Massicciano,  Resti,  Sassorosso,  Roggio, 
Campiglia,  Gerfalco,  Cotona 

Campiglia 

Zona  ad  Jr. 
obiu9U9,  Franda 

L.m 
Oinra 

n           liberinm  Gemm. 

Massicciano,  Resti,  Soraggio,  Sassoros- 
so.  Roggio,  Campiglia,  Gerfalco,  Spe- 
zia, Cetona 

L.B 

L.n 

NardU  Mgh. 

Massicciano,  Campiglia. 

f»           Innense  sp.  n. 

Massicciano 

»           Coqnandi  sp.  n. 

Campiglia,  Sassorosso 

Oxynoticeras  perilambanon  sp.  n. 

Ca   piglia,  Sassorosso 

« 

Lytooeras  secemendom  sp.  n. 
•         tuba  sp.  n. 

Campiglia 
Massicciano,  Sassorosso 

UÀS   INFERIORB 


31 


4UttÌ 


Nomi  delle  speoie 


Luoghi   dell'  Appennino 


Zone  dair  Arie- 
tUes  Buekìandi 
all'  Aegoceras 
raricosiaium 


Lias  medio 

e 
superiore 


zia 


)ZU 


tzia 


ArìetitoB  Conybearì  Sow. 


OonybearoideB  Reynès 
spiratissimas  Quenst 

bisoloatas  Bnig. 
oeratitoides  Quenst. 
stellarìs  8ow. 
obtosus  Sow. 


„       pseudoharpoceras  sp.  n. 
Aegooeras  Peoohiolii  Mgh. 

,  Birohii  Sow. 

Harpoceras  Maugenesti  D'Orb. 
n  cfr.  Actaeon  D'Orb. 

BalannB  sp. 


Massicciano,  Sassorosso,  Roggio,  Sassi- 
grossi  ,  Monstimmano ,  Campiglia , 
Gerfalco,  Caldana 


Massicciano 

Massicciano,  Resti,  Sassorosso,  Cetona 

Massicciano,  Sassorosso,  Oampiglia 


Massicciano,  Sassorosso,  Monsmnmano, 
Campiglia,  Qerfalco,  Cetona 

Sassorosso,  Cetona 


Massicciano,  Resti,  Sassorosso,  Campiglia 


Massicciano 

Massicciano,  Sassorosso,  Corflno,  Sassi- 
grossi,  Qerfalco,  Campiglia 

Massicciano,  Resti,  Soraggio,  Sassoros' 
so,  Campiglia 

Gerfalco 

Roggio,  Sassorosso 

Campiglia 


Pooriac ,  Caren- 
no,  Erto.  Zona 
ad  A.  Buchlati' 
di,  comunissimo 

Zon.  A^Bueklandi 

Colombart.  Zone 
ad  A.  Bucklandi 
e  A,  ohttisus 

Carenno.  Zona  ad 
A,  Bueklandi 

Pouriac.  Germa- 
nia 

Erto.  Zona  ad  A. 

Messinese,  Erto. 
Zona  ad  A,  Bue- 
klandif  A,  obiu- 
8US,  dx*  oxynO' 

tU8 


Pouriac,  Erto.  Zo- 
na ad  A.  obiu9U3 


Nell'insieme  si  hanno 

Specie  nuove  11. 

Specie  aflBni  ad  altre  della  zona  ad  Angulati,  2  (Phyllo- 
ceras  tenuistriatum,  P.  convexum). 

Specie  comuni  alla  zona  ad  Angulati  ed  al  Lias  medio  5 
delle  meno  caratteristiche,  (Terébratula  Aspasia,  Avicola  inacqui" 
valvis,  Atradites  orthoceropsis,  A.  Cordieri,  Phylloceras  Partschi) . 

Specie  peculiari  al  Lias  medio  e  superiore,  6  (Terehratula 
incisiva  o  erhaensis,  Phylloceras  libertum  Gemm.,  Nardii  Mgh., 
Harpoceras  Maugenesti ,  H.  cfr.  Actaeon). 

Specie  peculiari  al  Lias  inferiore  dalla  zona  ad  Arietites 
Bucklandi  a  quella  dell'  A.  raricostatus,  8  (Aegoceras  Bircìiii, 
Arietites  Conybeari,  A.  Conybearoides,  A.  bistdcatus,  A.  ceratitoi- 
des,  A,  spiratissimus,  A.  stellaris,  A.  obtusus):  tutte  esistono 
nella  zona  ad  A.  Bucklandi,  le  ultime  tre  in  quella  dell'^.  obtu- 


L.med. 
L.  med. 


32  e.   DE  STKFAKl 

sus,  V  ultima  in  quella  dell'  Oxynoticeras  oxynotus.  Aggiungendo 
VAtradites  Quenstedti  del  Lias  di  Lyme  Regis  le  specie  di- 
ventano 9. 

Specie  affini  a  quelle  delle  zone  or  nominate,  1  (ArietUes 
pseudo  harpoceras) . 

Totale  delle  specie  che  si  trovano  in  altri  luoghi  nel  Lias  infe- 
riore 14,  di  quelle  che  si  trovarono  nel  Lias  medio  10.  Comuni  ai 
due  piani  5  :  speciali  al  Lias  inferiore  9  :  speciali  al  Lias  medio  5, 

E  ad  osservarsi  che  degli  8  Arietiti  i  quali  parrebbero  pro- 
prii  della  zona  ad  ArietUes  Biicklandi,  3  se  ne  trovano,  con  molti 
altri  mancanti  al  nostro  calcare  rosso,  negli  strati  ad  Angulati 
del  Lias  inferiore  della  Spezia,  i  quali  è  probabile  rispondano 
insieme  alle  zone  ad  A.  Buckandi  e  ad  Aegoceras  angulatum  del- 
l' Europa  centrale  e  settentrionale.  Perciò  il  nostro  calcare  rosso, 
il  quale,  insieme  agli  Arietiti,  fra  cui  sono  alcuni  dei  più  ca- 
ratteristici della  Zona  ad  ArietUes  obtmus,  contiene  Aegoceras, 
Harpoceras  e  Phylloceras  proprii  o  vivini  assai  alla  zona  ad  Aego- 
ceras Jamesoni,  cioè  alla  parte  inferiore  del  Lias  medio,  pos- 
siamo ritenere  comprenda  le  varie  zone  ad  ArietUes  obtusus, 
Oxynoticeras  oxyìwtus  ed  Aegoceras  raricostatum^  cioè  glilArieten- 
srhichten  e  il  piano  ad  Ammonites  planicosta  di  Von  Seebach,  le 
zone  deir  A.  planicosta^  A,  geometricus,  A.  Biicklandi  di  Schloen- 
bach,  le  zone  dell'  A,  bifer.  A,  planicosta,  A.  geametrictis  di 
Emerson  della  Germania  del  Nord. 

La  scarsità  o  la  mancanza  a  dirittura  d' interi  generi  o  sotto- 
generi e  di  specie  che  caratterizzano  la  parte  più  antica  del 
Lias  inferiore,  mentre  vi  sono  alcune  poche  specie  proprie  al- 
trove del  Lias  medio  o  molto  vicine  a  questo  potrebbe  mostrare 
che  il  nostro  calcare  rosso  è  più  collegato  al  Lias  medio  che 
alla  parte  antica  del  Lias  inferiore;  la  stratigrafia  ed  in  parte 
la  litologia,  come  altrove  si  è  detto,  avvalorerebbero  questa 
supposizione,  mentre  il  Lias  inferiore  più  antico  è  alla  sua  volta 
strettamente  collegato  pella  stratigrafia  e  pelle  analogie  lito- 
logiche cogli  strati  sottostanti  ad  Aìncula  contorta.  Tutti  questi 
terreni  hanno  dunque  la  massima  analogia  con  quelli  della 
Francia,  ed  in  essi  potrebbero  trovare  appoggio  'quei  geologi 
deir  Europa  occidentale  i  quali  vorrebbero  unire  nel  piano  Re- 
tico  gli  strati  ad  Avicula  contorta  con  quelli  ad  Aegoceras  pia- 
norbis  finora  sconosciuti  in  Italia  e  con  quellli  ad  Aegoceras  an- 


UAS  INFERIÓRE  33 

gulatum,  lasciando  nel  Lias  inferiore  Sinemuriano  gli  strati  so- 
vrastanti ad  Arietiti. 

Ad  ogni  modo  nel  nostro  calcare  rosso  e  negli  strati  ad 
Angulati  della  Spezia  e  d'  altrove  non  si  può  fare  alcuna  di 
quelle  distinzioni  precise  che  altri  fece  in  Germania,  in  Francia 
e  in  Inghilterra,  ed  il  solo  ordinamento  possibile  pel  nostro  Lias 
inferiore  è  quello  fatto  da  me  d' un  piano  A,  comprendente  la 
zona  ad  Angulati  e  d' un  piano  B  che  comprenda  il  calcare 
rosso  con  Arietiti.  Non  potremmo  chiamare  il  piano  A  zona  ad 
Angulati j  sebbene  in  realtà  sia  l'unica  zona  in  cui  simili  Am- 
moniti dominano,  perchè  esso  non  risponde  solo  alla  zona  ad 
Angulati  del  rimanente  d' Europa,  ma  vi  abbondano  insieme  gli 
Arietiti  d'un  piano  successivo  e  perchè  più  che  una  plaga  ad 
Ammoniti  risponde  al  medesimo  una  plaga  a  gasteropodi;  né 
molto  meno  potremmo  chiamare  piano  ad  Arietiti  il  piano  B, 
perchè  tali  Cefalopodi  s'incontrano  anche  più  abbondanti  nel 
piano  anteriore  e  perchè  solo  ad  una  parte  di  esso  rispondono 
gli  strati  ad  Arietiti  d'altre  parti  d'Europa.  Nomi  diversi  da 
quelli  che  io  ho  proposto  avrebbero  dunque  pure  l' incoveniente 
d'indurre  idee  preconcette  non  esatte. 

E  singolare  a  notarsi  nel  Piano  B  la  coesistenza  di  Arietiti 
caratteristici  altrove  di  strati  non  recenti  del  Lias  inferiore, 
con  talune  specie  vicinissime  a  quelle  del  Lias  medio:  questo 
fatto  porterebbe  a  due  conclusioni  fra  loro  contradittorie.  H 
Reynés  notò  come  nel  Lias  della  Francia  talune  specie  com- 
paiano prima  che  nell'Europa  centrale,  applicando  osservazioni 
già  fatte  nel  1853  dal  Meneghini,  il  quale  avea  ritenuto  come 
assai  probabile  che  varie  specie  credute  esclusivamente  toar- 
ciane  e  liassiche-medie  cominciassero  ad  esistere  in  Italia  fino 
dal  Lias  inferiore  (Nuov.  foss,  P.  16).  Questa  opinione  è  accet- 
tata dal  Canavari  pel  Lias  inferiore  A  della  Spezia  e  lo  è  co- 
munemente da  alfcri  palaeontologi. 

Paragone   con  gli  altri  terreni  del  Lias 

inferiore  d'Italia. 

Coetanei  ai  nostri  calcari  rossi  panni  siano  parte  di  quelli 
di  Erto  nel  Veneto  descritti  dal  Taramelli,  e  ciò  si  può  dedurre 

8c,  Nat.  Voi.  Vni,  fase.  l.«  4 


34  e.    DE  STEFANI 

dai  fossili  indicati  colà,  sebbene  la  posizione  non  sia  stata  chia- 
rita da  studii  stratigrafici.  Ivi  trovansi  Arietites  Conijheari  Sow., 
A.  óbtusus  Sow.,  A.  stellar is  Sow.  (^). 

Similmente  in  Lombardia  ad  Arzx)  e  Saltrio  ed  in  altri  luc^hi 
sono  calcari  con  Arietiti  (^)  ancora  poco  studiati. 

In  Piemonte  nella  Provincia  di  Cmieo  furono  trovati  varie 
volte,  nel  vallone  di  Colombart,  Ammoniti  che  lo  Zittel  attribuì 
dM^  Arietites  spiratissimus  Quenst.,  (^)  e  molte  più  specie  vi  ha 
raccolto  il  Sacco  al  Colle  di  Pouriac  (^),  come  Griphaea  obliqua 
Sow.,  Amaltlieus  Coynmii  D'Orb.,  Arietites  Bucklandi  Sow.,  A. 
Conyheari  Sow.,  A,  cloricus  Sav.,  A.  ceratitoides  Quenst.  (  ceras 
Gieb.),  A.Sauzeanus  D'Orb.,  Aegoceras  Birchii  Sow.,  Belemniies 
acidus  Wils. 

Neir  isola  d'  Elba  pure,  alla  Cala  del  Telegrafo,  trovansi 
calcari  gialli  e  rossi  con  Arietites  (^);  e  calcari  rossi  con  Atradi- 
tes,  crinoidi  e  molluschi  sono  nel  lato  orientale  dell'  isolotto  <ìi 
CerboU  (^)  presso  Piombino. 

In  SiciUa  sono  rappresentanti  di  questo  piano  per  lo  meno 
nella  regione  orientale  della  provincia  di  Messina,  dove  il  Se- 
guenza  indica  alle  Punte  Mole  un  Arietites  obtusus,  ed  a  Mola 
Phylloceras  e  Oxymticeras  C).  Non  sarei  però  sicuro  che  alla 
stessa  zona  appartenessero  tutti  gU  strati  a  Brachiopodi  e  mol- 
luschi della  medesima  regione  di  cui  molte  specie  sono  vicine 
al  Lìas  medio. 

L'estensione  del  piano  più  antico  del  Lias  inferiore  non  è 
ancora  ben  conosciuta  nelle  Alpi;   per  ora  vi  si  possono  sicu- 


(^)  T .  Taramelli  Monografia  stratigrafica  e  paleontologica  del  Lias  nelle  pro~ 
vincie  Venete  1880. 

C)  0.  Curioni  —  Geologìa  applicata  della  Provincia  lombarda.  Milano, 
Hoepli.  1877. 

C)  0.  Gastaldi  —  Sui  rilevamenti  geologici  fatti  nelle  Alpi  piemontesi  durante 
la  campagna  del  i877  (Atti  R.  Acc.  Lincei  Voi.  2,  S.  3.»  1878)  P.  6. 

(^)  F.  Sacco  —  Studio  geo-paleontologico  sul  Lias  dell'  alta  valle  della  Stura 
di  Cuneo  (Boll.  R.  Com.  geoL  XVII.  188G,  P.  6). 

(^)  Brevi  cenni  relativi  alla  Carta  geologica  dell*  Isola  d*  Elba  (Pubblicazione 
della  Carta  geologica  d*  Italia.  Roma),  1885  P.  7. 

(')  P.  Fossen  —  Sulla  costituzione  geologica  dell*  isola  di  CerboU  (Bollettino 
del  R.  Com.  geol.  Voi.  XVI.  Roma,  1885.  P.  14. 

Q)  G.  Seguenza  ^  Intorno  al  sistema  giurassico  nel  territorio  di  Taormina 
(Il  Naturalista  Siciliano,  1885).  —  G.  Seguenza.  //  Lias  inferiore  nella  provincia 
di  Messina  (Rendiconto  della  R.  Accademia  delle  se  fis.  e  mat.  di  Napoli,  fase.  9.o  1882). 


LIAS   INFERIOBE  35 

ramente  attribuire  solo  i  calcari  scuri,  selciosi,  di  Carenno  in 
Val  d'Erve. 

La  presenza  di  alcuni  Aegoceras  (Schio theimia)  ne  rende  ve- 
rosimile l'esistenza  anche  al  Colle  di  Pouriac  in  Piemonte. 

Esso  è  invece  esteso  neirApennino  ed  in  Sicilia:  ma  vi  sem- 
bra ignota  la  zona  più  antica  a  Psilonoti. 

Alla  Spezia  sotto  il  piano  B  e  sopra  la  zona  ad  Avimla  con- 
torta trovansi  calcari  con  una  fauna  ricchissima  di  Cefalopodi, 
con  alcuni  Brachiopodi  e  Gasteropodi  {})]  senza  stare  a  ripetere 
ogni  volta  i  nomi  delle  specie  più  caratteristiche  e  comuni  con 
altri  giacimenti  ne  indicherò  solo  il  numero,  riserbandomi  a  ri- 
cordare i  nomi  in  fondo.  Alla  Spezia  dunque  vi  sono  6  specie 
comuni  con  le  Alpi  Apuane,  1  con  TApennino  di  Restì,  1  con 
Sassorosso,  1  con  Gerfalco,  1  con  Campiglia  e  con  Cesi,  5  con 
la  Sicilia,  10  con  Carenno  in  Lombardia,  21  con  varii  luoghi  del 
Lias  inferiore  delle  zone  ad  Aegoceras  aìigulatum  ed  Arietites 
Bucklandi  di  varie  parti  d' Europa,  1  col  Lias  medio  e  superiore. 

Nelle  Alpi  Apuane  in  due  luoghi  vennero  da  tempo  raccolti 
e  indicati  da  me  (^)  fossili  di  questo  piano  nel  calcare  ceruleo 
posto  fra  il  Ketico  ricco  di  fossili  ed  il  calcare  rosso  del  Lias 
interiore  piano  A,  cioè  presso  Deccio  sulla  Torrite  secca,  e  nel 
Canale  Ricavoli  in  più  luoghi  sotto  TJgliancaldo.  Visitando  il 
Museo  di  Firenze  vidi  che  il  Cocchi  aveva  raccolto  fossili  in 
quest'ultimo  luogo  fin  dal  1866  cioè  molti  anni  prima  di  me. 
Si  devono  pure  aggiungere  le  Ammoniti  piritizzate  del  calcare 
grigio  schistoso  sovrastante  all'  Infralias  alla  Pizza.  Ho  studiato 
attentamente  i  fossili  raccolti  dal  Cocchi  e  da  me  e  quantunque 
non  li  abbia  finora  pubblicati  ne  riporterò  6  comuni  con  la  Spezia, 
e  1  comune  con  Restì,  1  con  Carenno,  4  col  Lias  inferiore  d'altre 
parti  d'Europa. 

Lo  stesso  dicasi  dei  fossili  raccolti  pure  dal  Cocchi  a  Restì 
in  Val  di  Magra,  nell'  Apennino,  nella  medesima  posizione  stra- 
tigrafica: ivi  è  una  specie  comune  con  la  Spezia,  1  con  le  Alpi 
Apuane  e  col  Lias  inferiore  d'  altre  parti  d'  Europa.  Una  specie 
comune  con  Carenno,  colla  Spezia,  colla  Sicilia,  col  Lias  ìnfe- 


(*)  M.  Canavari  —  Beit,  Z,  Fauna  d,  uni,  Lias  von  Spesia  1882. 
(')  C.  De  Stefani  —  Ordinamento  cronologico  dei  terreni  delle  Alpi  Apuane 
Proc.  verb.  Soc.  tose,  se    nat    14  novembre  18S0.  P.  122. 


36  e.    DE  STEFAXI 

riore  di  fiiori  d' Italia  fe  a  Sassorosso  nel  calcare  ceroide  bianco 
sottostante  al  rosso. 

Nel  Monte  Pisano  fra  il  Lias  inferiore  B  ed  il  Retico  fos- 
silifero è  un  calcare  bianco  pieno  di  fossili,  che  furono  da  me 
descritti  O,  benché  non  figurati.  Vi  sono  2  specie  comuni  con 
Campiglia,  1  con  Cesi,  5  col  Lias  inferiore  d'  altre  parti  d'Eu- 
ropa, 1  coir  Infralias  e  col  Lias  medio,  1  col  Giura.  Si  potrebbe 
aggiungere  che  a  Vecchiano  nelV  estremità  meridionale  delle 
Alpi  Apuane  trovasi  nella  medesima  posizione  stratigrafica  una 
identica  lumachella,  e  vi  ho  raccolto  qualche  fossile  simile  a 
quelli  del  M.  Pisano,  ma  non  darò  indicazioni  perchè  sarebbero 
insufficienti  e  troppo  incomplete  appetto  al  gran  numero  di 
fossili  che  vi  si  trovano. 

A  Campiglia  parimente  sotto  il  Lias  inferiore  B  e  sopra 
rocce  equivalenti  al  Retico,  nello  quali  però  ancora  non  furono 
trovati  fossili,  esiste  un  calcare  bianco  marmoreo  i  cui  fossili 
vennero  studiati  e  figurati  dal  Sig.  Simonelli  (^).  Vi  sono  1  specie 
comune  con  la  Spezia,  2  col  Monte  Pisano,  2  con  Gerfalco,  1 
con  Montieri,  Furio,  Monticelli,  4  con  Cesi,  3  con  la  Sicilia,  3 
col  Lias  inferiore  d'  altre  parti  d'  Europa. 

A  Gerfalco  ripetesi  quel  calcare  nella  medesima  posizione: 
ne  studiai  alcuni  fossili  anni  addietro  (^)  e  fra  essi  sono  1  spe- 
cie comune  con  la  Spezia,  2  comuni  con  Campiglia,  con  Mon- 
tieri, Cesi,  Furio,  Monticelli. 

Lo  stesso  calcare  fu  trovato  a  Montieri  nell' intemo  del 
monte,  con  una  specie  comune  a  Campiglia,  Gerfalco,  al  Furio, 
a  Cesi,  a  Monticelli.  Nella  Montagnola  senese  quel  calcare  tro- 
vasi tra  il  Lias  inferiore  B  ed  il  Trias  superiore  ma  non  vi 
sono  conosciuti  fossili  ben  distinti. 

A  Carenno  in  Lombardia  sono  10  specie  comuni  colla  Spe- 
zia, 1  con  Sassorosso,  1  colle  Alpi  Apuane,  1  colla  Sicilia,  5  col 
Lias  inferiore  d'altri  luoghi (^). 


(»)  e.  Do  Stefani  —  Geol.  M.  Pis,  1877,  P.  32. 

(•)  V.  Simonelli  —  Fossili  del  Lias  inferiore  di  Campiglia  martUitna  (Proc 
verb.  Soc.  Tote.  bc.  nat  Voi.  HI.  2  luglio  1882,  P.  166.  —  Faunula  del  calcare 
ceroide  di  Campiglia  marittima  (Atti  Soc.  tose.  ec.  nat.  Voi.  VI),  1884. 

(»)  C.  De  Stefani  —  Geol.  M.  Pis.  P.  37. 

i*)  C.  F;  Parona  —  Sopra  alcuni  fossili  del  lias  inferiore  di  Carenno^  Nese 
ed  Adrara  nelle  prealpi  bergamasche  (Atti  Soc.  it.  se.  nat.  Voi.  XXVII,  1884). 


LIAS  mFERIORE  37 

Neil' Apennino  centrale  calcari  bianchi  quasi  marmorei  od 
colitici,  spesso  identici  a  quelli  della  Toscana,  si  trovano  in  molti 
luoghi  sotto  il  Lias  medio  e  sopra  rocce  pur  fossilifere  ma  d'età 
ancora  incerta.  Non  v'  ha  dubbio  che  studii  ulteriori  ne  preci- 
seranno anco  meglio  la  posizione  stratigrafica;  ma  intanto  sono 
ben  chiari  i  loro  rapporti  paleontologici. 

Al  Monte  Nerone  è  una  specie  già  nota  altrove  nel  Lias  in- 
feriore e  medio;  al  Furio  ne  è  una  comune  con  Campiglia,  Ger- 
falco,  Montieri,  Cesi  e  Monticelli;  alle  Grotte  di  S.  Eustachio 
ne  è  una  comune  con  Cesi,  1  col  Gran  Sasso,  2  con  la  Sicilia 
ed  una  che  si  trova  nel  Lias  inferiore  fuori  d' Italia  ;  a  Monti- 
celli nel  Lazio  è  la  solita  specie  comune  con  Campiglia,  Ger- 
falco,  Montieri,  Cesi,  Furio  0).  A  Cesi  nell' Umbria  (^)  è  una 
specie  comune  con  la  Spezia,  una  con  Gerfalco,  Montieri,  Furio, 
Monticelli,  una  col  Monte  Pisano,  3  con  Campiglia,  1  con  S. 
Eustachio,  10  con  la  Sicilia,  1  col  Lias  inferiore  d'altre  parti 
d'Europa;  al  Piccolo  Corno,  al  Corno  Grande,  a  Campo  Peri- 
coli ed  alla  Grotta  dell'  Oro  nel  Gran  Sasso  (^)  trovansi  5  specie 
comuni  colla  Sicilia,  1  colle  Grotte  di  S.  Eustachio. 

Finalmente  in  Sicilia  nella  montagna  del  Casale  e  nella 
montagna  di  Bellampo  fra  il  Retico  ed  il  Lias  medio  trovasi 
un'  abbondante  fauna,  per  lo  più  con  gasteropodi,  che  fu  già 
studiata  e  figurata  dal  Gemmellaro  (^);  vi  sono  5  specie  comuni 
con  la  Spezia,  5  col  Gran  Sasso,  3  con  Campiglia,  2  con  S.  Eusta- 
chio, 10  con  Cesi,  3  col  Lias  inferiore  o  medio  d'altre  parti 
d' Europa. 

Segue  r  elenco  delle  varie  specie  più  caratteristiche  comuni 
a  differenti  luoghi.  Ho  lasciato  però  alcune  specie  di  luoghi  la 


(^)  M.  Canavari  —  Sui  fossili  del  Lias  inferiore  nelV  Appennino  centrale  (Atti 
Soc.  tose.  se.  nat.  Voi.  IV,  1880. 

(-)  C.  F.  Parona  —  Sopra  due  piani  fossiliferi  del  Lias  nelV  Umbria  (Ilend, 
R.  Ist.  Lomb.  V 5  maggio  1882. —  M.  Canavari,  loe.  cit.  —  Parona-  Contributo  allo 
studio  della  fauna  liassica  dell* Appennino  centrale,  in  Verri  Studio  geologico  sulle 
conche  di  Terni  e  di  Rieti  (Mem.  R.  Acc.  Lincei  Voi.  XV)  1883. 

(2)  L.  Baldacci  e  M.  Canavari  —  La  regione  centrale  del  Gran  Sasso  d*  Italia 
(Boll.  R.  Cora.  geol.  1884,  n.  11  e  12)  P.  11.  —  M.  Canavari-  Fossili  del  Lias  in- 
feriore del  Gran  Sasso  d*  Italia  raccolti  dal  Prof»  A.  Orsini  fAtti  Soc.  tose.  se. 
nat.  Voi.  VII,  1885). 

(*)  Gemmellaro  -^  Sopra  i  fossili  del  calcare  cristallino  delle  montagne  del 
Casale  e  di  Bellampo  nella  Provincia  di  Palermo,  1878. 


38  e.    DE  STEFANI 

cui  fauna  non  venne  ancora  distesamente  illustrata,  come  quelle 
che  potrebbero  essere  incerte. 


Pentacrinus  scalaris  Goldf. 
P.  subsulcatìis  Miinst. 
Eugenìocrinus  compressiis  Miinst. 
T.  punctata  Sow. 
T,  Aspasia  Mgh. 
BhynconeUa  variàbUis  »Sclilt. 
R.  triplicata  juvenis  Qaenst. 

B.  subtriquetra  Can. 
Pecten  acutiradiatus  Miinst. 

„       Agathis  Gremm. 
P.  disparUis  Quenst 
Lima  punctatci  Sow. 
Avicula  Deshayesi  Terq. 
A,  inaequivalvis  Sow. 
Diotis  Janus  Mgh. 

Astarte  psilonoti  Qaenst. 
Emargimda  Meneghiniana  Can. —  E. 

Lepsiusi  Gemm. 
Chemnitzia  pseudotumida  De  St. 

C.  {Pseudomelania)  Raphis  Gemm. 
0.  (Pseudomdania)  Falconeri  Gemm. 
C.  Nardii  Mgh. 

C  procera  Desi. 
Climacina  Marine  Gemm. 
Palaeoniso  pupoides  Gemm. 
P  ìiana  Gemm. 
P.  apenninica  Gemm. 
Phasianella  Morencyana  Flette. 
Pachystyliis  conicus  Gemm. 
CerithineUa  turritelloides  Gemm. 
Alarla  Guiscardii  Gemm. 
Neritina  oceanica  Gemm, 
NeritopsìS  Sophrosine  Gemm. 
N.  Passerina  Mgh. 
Natica  Savii  Can. 
Amberleya  Deslongschampsi  Gemm. 
Liotia  circuincostata  Can. 
Turbo  Palmicrii  Gemm. 
Solarium  Lorioli  Gemm. 
Cryptaenia  roteUaeformis  Dunk. 
Oonia  turgidula  Gemm. 
FUurotomaria  praecatoria  Desi. 


Monte  Pisano  (Lias  ìnf.  e  medio). 
Monte  Pisano  (Lias  inf.  ad.  A,  Bucklandi). 
Monte  Pisano. 

Alpi  Apuane  (Lias  inf.  e  medio). 
Spezia,  Gerfalco  (Lias  inf.  e  medio). 
M.  Nerone  (Lias  inf.  e  medio). 
Alpi  Apuane  Resti  (Lias  inf.). 
Spezia,  Resti. 

Monte  Pisano  (Lias  inf.  e  medio). 
Gran  Sasso,  Sicilia. 
Campiglia  (Lias  inf.  ad  AnguìaH), 
Campiglia  (Lias  inf.). 
Campiglia  (Lias  inf.). 
Monte  Pisano  (Lias  inf.  e  medio). 
Campiglia,  Montieri,  Gerfalco,  Farlo,  Ce- 
si, Monticelli. 
Cesi  (Lias  inf.). 
S.  Eustachio,  Cesi,  Sicilia. 

M.  Pisano,  Campiglia,  Cesi. 

Gran  Sasso,  Sicilia. 

Gran  Sasso,  Sicilia. 

Campiglia,  Gerfalco. 

Monte  Pisano  (Baiociano). 

Gran  Sasso,  Sicilia. 

Spezia,  Campiglia,  Cesi,  Sicilia. 

Campiglia,  Cesi,  Sicilia. 

Campiglia,  Sicilia. 

S.  Eustachio  (Lias  inf.). 

Cesi,  Sicilia. 

Cesi,  Sicilia. 

Cesi,  Sicilia. 

Cesi,  Sicilia. 

Cesi,  Sicilia. 

M.  Pisano,  Campiglia. 

Spezia,  Sicilia. 

Cesi,  Sicilia. 

S.  Eustachio,  Gran  Sasso. 

Cesi,  Sicilia. 

S.  Eustachio,  Sicilia. 

Sicilia  (Lias  inf.). 

Gran  Sasso,  Sicilia. 

Monte  Pisano  (Infralias,  Lias  medio). 


UAS  niFERIOBE 


39 


P.  Capdlinii  De  St. 
Atractites  orthoceropsis  Mgh. 
A.  Cordieri  Mgh. 
A,  Guidonii  Mgh. 
Phylloceras  zetes  D'  Orb. 
P.  s^c^  Sow. 
P.  Partschi  Star. 

P.  cylindricum  Sow. 

Lytoceras  PhiUipsi  Sow. 

L.  biforme  Sow. 

L.  (Pleuracanthites)  artictdatum  Sow. 

L.  (»)  subbiforme  Can. 

L.  (»)  Meneghina  E.  Sism. 

Aegoceras  raricostatum  Ziet. 

^.  euptychum  Wahn. 

ii.  ddetum  Can. 

-4.  Guidonii  Sow. 

ii.  pleuronotum  Cocc. 

^.  Coregonense  Sow. 

A.  comptum  Sow. 

X  catenatum  Sow. 

-4.  ventricosum  Sow. 

A.  Carwsense  D'  Orb. 

^.  Listeri  Sow. 

Arietites  sp.  n.  —  -4.  multicostatus  H,, 

et  Chap.  (non  Sow.). 
il.  doncws  Mgh. 
^.  Sinemuriensis  D'Orb. 
^.  rotiformis  Sow. 
-4.  spiratissimus  Quenst. 
^.  Conybeari  Sow. 
^.  bisìdcatus  Brag. 
il.  Grunovi  H. 
Tropites  tdircUiasicus  Can. 


Spezia,  Sicilia. 

Spezia  (Lias  inf.  e  medio). 

Spezia  (Lias  inf.  e  medio). 

Spezia  (Lias  sap.). 

Spezia  (Lias  inf.  e  medio). 

Spezia,  Alpi  Apuane,  Carenno,  (Lias  inf.). 

Spezia,    Sicilia   (Lias  inf.,   Lias  medio, 

Lias  sap.). 
Sassorosso,  Spezia,  Carenno,  Sicilia  (Lias 

inf.) , 
Spezia,  Alpi  Apuane. 
Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia,  Carenno. 
Spezia,  Alpi  Apuane. 
Spezia,  Alpi  Apuane. 
Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia,  Colle  di  Pouriac  (Lias  inf.). 
Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia,  Colle  di  Pouriac. 
Spezia,  Carenno. 

Spezia,  Alpi  Apuane,  Colle  di  Pouriac. 
Spezia,  Carenno. 
Spezia,  Alpi  Apuane  (Lias  inf.). 
Spezia,  Carenno. 
Spezia  (Lias  inf.). 

Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia,  Carenno  (Lias  inf.). 
Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia,  Carenno  (Lias  inf.). 
Spezia,  Carenno  (Lias  inf.). 
Spezia  (Lias  inf.). 
Spezia,  Carenno. 


L'esistenza  di  questi  fossili  comuni  a  tanti  luoghi  diversi 
prova  che  i  terreni  i  quali  li  racchiudono  sono  contemporanei, 
ed  anche  in  quei  casi  nei  quali  non  è  precisata  la  loro  posi- 
zione stratigrafica  tra  la  zona  ad  Avimla  contorta  o  piano  Re- 
tico  ed  il  Piano  B  del  Lias  inferiore,  si  può  ritenere  che  essi- 
appartengano  al  Piano  A  del  Lias  inferiore. 


40  e.   MB  STEFANI 

Possiamo  dunque  concludere  relativamente  al  nostro  Lias 
inferiore  come: 

dai  rapporti  esistenti  fra  le  diverse  faune  sopra  indicate 
risulti  esser  le  medesime  strettamente  collegate  fi^  loro  e  ri- 
spondenti alla  parte  più  antica  del  Lias  inferiore  d'altri  paesi. 

La  loro  zona  è  stratigraficamente  inferiore  al  piano  B,  cioè 
alle  zone  comprese  fra  quella  dell' Aegoceras  raricostatum  e  quella 
del  Peniacrinus  tuberculatus  inclusive. 

Non  sono  conosciuti  rappresentanti  della  zona  ad  Aegoceras 
planarbis  o  a  Psilonoti: 

perciò  le  faune  suddette  rispondono  insieme  alle  zone  ad 
Aegoceras  angidatum  o  ad  Angulati  e  ad  Arietites  Buddandi  del- 
l' Europa  centrale  e  settentrionale. 

Tenuta  ferma  pel  piano  suddetto  la  denominazione  di  piano 
A,  soggiungerò  che  questo  è  rappresentato  da  due  plaghe  lito- 
logicamente diverse;  cioè  da  un  calcare  ceruleo  cupo  schistoso, 
il  cui  limite  meridionale  sembra  essere  nel  Monsummano,  e  da 
un  calcare  bianco  cristallino  che  dalle  Alpi  Apuane  si  estende 
fino  in  Sicilia. 

Dal  punto  di  vista  dei  fossili  vi  si  debbono  distinguere  tre 
plaghe,  cioè  a  Cefalopodi,  a  Brachiopodi,  a  Grasteropodi;  questi 
vari  fossili  si  trovano  però  talora  promiscuamente  sebbene  gli 
uni  o  gli  altri  predominino  qua,  o  là. 

La  plaga  a  Gasteropodi  e  LameUibranchi  è  ricchissima  di 
specie  e  presenta  un  tipo  del  Lias  inferiore  quasi  sconosciuto 
finora  altrove. 

Queste  diflferenti  plaghe  accennano  a  diflferenti  profondi^ 
marine.  Secondo  me  X  abbondanza  di  Gasteropodi  e  Lamelli- 
branchi  prova  V  esistenza  di  mari  limitati  e  non  lontani  dai 
litorali,  supposizione  che  sarebbe  confermata  dalla  presenza  di 
frustoli  vegetali  terrestri  negli  strati  del  calcare  ceruleo  schi- 
stoso  delle  Alpi  Apuane. 

H  successivo  piano  B  rappresenta  invece  uno  stadio  di  mare 
più  profondo  e  più  uniforme,  stadio  che  seguitò  nelle  nostre  re- 
gioni nel  Lias  medio  e  nel  superiore  e  per  varie  età  di  poi. 

Nel  seguente  quadro  rappresenterò  la  distribuzione  dei  ter- 
reni del  Lias  inferiore  d' Italia. 


Uà  8    INFBHIORE 


41 


Zone  del  Lias 
inferiore 


leU'Earopa 

ceitrale  e 

setteitrioiale 


in 
Italia 


3 


II 


•g 


•^  2 

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*  25 

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te  J* 

d 
o 


Lias    medio 


Plaga  a  Cefalopodi 


Plaga   a   Brachiopodi 


Plaga  a  Qasteropodi 
e  Lamellibranohi 


m 

o 
a 


Calcari  grigi  del  Vallone  di 
Colombari  e  del  Colle  di 
Pouriac  in  Piemonte. 

Calcari  di  Àrzo,  Salirlo  eie. 
in  Lombardia. 

Calcari  di  Erio  nel  Yeneio. 

Calcari  rossi  e  gialli  del- 
r  isolotto  di  Cerboli  e 
della  Cala  del  Telegrafo 
aU'  Elba. 

Calcari  rossi  della  Spezia, 
delle  Alpi  Apuane,  Loni- 
giana,  Garlagnana,  Mon- 
èiummano,  Monte  Pisano, 
CampigUa,  Gerfaloo,  Pra- 
ia ,  Montagnola  senese , 
Ceiona,  Caldana  di  Bayi 
nell'Apennino  settentrio- 
nale. 

Calcari  di  Mola  e  Punte  Mo- 
le nel  messinese. 

Calcari  a  crinoidi  dell'Apen- 
nino  settentrionale. 


Calcari  di  Longi,  Mola,  Pun- 
te Mole,  Monte  Galfa  nel 
Messinese  ? 


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8  I 
II 

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a 

o 


o 
a 

.2 

Pi 


Calcari  cerulei  o  ceroidi  del- 
la Spezia,  dell'Alpe  di 
Corfino  e  delle  Alpi  A- 
puane  nell'Apennino  set- 
tentrionale. 

Calcari  ad  Angulati  del  col- 
le di  Pouriac,  di  Caren- 
no  in  Val  d' Erve  in  Lom- 
bardia. 


Calcari  cerulei  delle  Alpi 
Apuane  e  della  Lunigia- 
na  nell'Apennino  setten- 
trionale. 

Calcari  ceroidi  ^inferiori  del 
Monte  Pisano. 


Calcari  bianchi,  cristallini, 
oolitici,  delle  Alpi  Apua- 
ne, Monte  Pisano,  Cam- 
piglia,  Gcrfalco,  Montieri, 
Montagnola  senese  (A- 
pennino  settentrionale)  ; 
dell'  Apennino  centrale 
nelle  Marche,  nell'Um- 
bria e  nel  Lazio  al  M. 
Nerone,  al  Farlo,  a  S. 
Eustachio,  Sanyicino,  Ce- 
si, Monticelli  Gran  Sasso; 
delle  Montagne  del  Ca- 
sale e  di  Bellampo  in 
Sioilia. 


Strati  ad  Avieula  contorta. 


42  e.    DE  STEFANI 

Adunque : 

Nel  nostro  Lias  non  si  possono  distinguere  sotto-zone  equi- 
valenti a  quelle  d'  altre  parti  d'  Europa. 

Unica  distinzione  possibile  per  ora  è  quella  di  due  piani, 
che  in  tutta  Italia  paiono  materialmente  distinti. 

Il  piano  inferiore  è  collegato  colla  zona  ad  Avictda  contorta. 

H  piano  superiore  h  più  collegato  col  Lias  medio,  dal  quale 
però  è  paleontologicamente  ben  distinto. 

Nel  nostro  Lias  inferiore  troviamo  insieme  specie  superstiti, 
altrove  note  solo  in  piani  antecedenti,  e  specie  che  altrove  ap- 
pariranno solo  più  tardi  ;  forse  queste  combinazioni  ci  appaiono 
solo  per  imperfezione  delle  cognizioni  odierne. 

Prima  di  finire  debbo  vivamente  ringraziare  il  von  Sutner 
che,  per  intromissione  dello  Zittel,  si  compiacque  di  esaminare 
le  tavole  e  il  manoscritto  di  questo  lavoro  e  corredarlo  di  al- 
cune per  me  utilissime  osservazioni. 


PARTE    SECONDA 


(Nota)  I  numeri  aggiunti  fra  parentesi  alle  loculità  indicano  il  numero 
degli  esemplari  da  me  veduti;  quando  non  vi  è  altra  indicazione  vuol 
dire  che  sono  del  Museo  di  geologìa  dell  Istituto  superiore  in  Firenze: 
ho  aggiunto  un  D  per  indicare  quelli  della  collezione  Dini 

Terebratula  (Pygope)  incisiva  Stoppani. 

Tav.  I,  fig.  1-5. 

Terebratula  diphya?  var.  Suess,  Sikaungsberichte  der  K.  Akademien  der 
Wissenschafteii.  Wieii,  Vili,   1852,  P.  557,  Taf.  31,  Fig.  18,  19. 

Terebratula  diphya^  Terebratula  lanipas  (non  Sow.)  Spada  e  Orsini, 
Qiiclques  observations  géologiques  sur  les  Apennins  de  T  Italie  cen- 
trale, Bull,  d  Soc.  géol.  de  France.  2.^  Ser.  T.  XII,  1855,  P.  1205, 1207. 

Terebratula  mtitica  (non  Catullo,  ex  parte),  Terebratula  digona  (non 
Sowerby) ,  Terebratula  incisiva,  Terebratula  Villae,  Terebratula  lon- 
gicóllis,  Terebratula  circumvallata  Stoppani,  Studii  geologici  e  pa- 
leontologici sulla  Lombardia,  1857,  P.  229,  402,  403. 


LUS   INFERIORE  43 

Terebratula  erbaensis  Suess,  Note  sur  les  gisements  des  Térebratules  du 
groupe  de  la  diphya  dans  l'Empire  d^Antriche:  in  Pictet,  Mélanges 
paléonfcologiques  P.  III.  1861,  P.  184,  PI.  33,  fig.  8.  —  Zitte!,  Geol)- 
giscbe  Beobachtungen  aus  dea  Central-Apenninen.  Geognostisch- 
paiaeontologische  Beitrage  von  Benecke.  Bd.  II.  1869,  P.  47,  Taf.  15, 
Fig.  5-10.  —  Meneghini,  Monographie  des  fossiles  du  calcaire  roiige 
ammonitifère  (Lias  supérieur)  de  Lombardie  et  de  PApennin  cen- 
trai, in  Paleontologie  lombarde  1879.  P.  165,  Pi.  XXIX,  fig.  6-8.  - 
Ganavari,  I  brachiopodi  degli  strati  a  Terebratula  Aspasia  Mgh.  nel- 
r  Appennino  centrale  (Mem.  R.  Acc.  Lincei  V.  Vili,  1880)  P.  15.  — 
Parona,  Contributo  allo  studio  della  fauna  liassica  deir  Apennino 
centrale  (Mem.  R  Acc.  Lincei  VoL  XV,  S.  3.')  1883,  P.  100,  Tav.  Ili, 
fig.  24. 

Massicciano  (6).  Resti  (1). 

La  specie  fu  già  indicata  in  Italia  ad  Erba  in  Lombardia 
nel  Lias  superiore:  alla  Marconessa,  al  Catria,  nel  Sanvicino, 
alla  Grotta  del  Miele  nella  Valle  del  Penna,  nel  M.  Pietralata 
nell' Apennino  centrale  nel  Lias  medio. 

Non  vi  ha  alcmia  differenza  fra  gì'  individui  nostri  e  quelli  del 
Lias  superiore.  Un  individuo  giovane  somiglia  alle  figure  7  del 
Meneghini,  7  d' un  individuo  di  Breitenberg  dello  Zittel  ;  altri  alle 
figure  4  e  8  del  Meneghini  e  9,  pure  di  Breitenberg,  dello  Zittel. 

E  la  prima  volta  che  la  specie  s' incontra  nel  Lias  inferiore. 

Fu  costume  fino  ad  ora  dare  la  precedenza  a  nomi  più  an- 
tichi di  specie,  quantunque  non  accompagnati  da  figura  e  non 
troppo  bene  illustrati,  sopra  nomi  più  recenti  cui  la  figura  sia 
aggiunta;  nel  caso  della  presente  specie  a  preferenza  del  nome 
di  T.  erbaemis  ho  accettato  uno  dei  nomi  più  antichi  dello 
Stoppani,  dei  quali  v'era  abbondanza. 

Terebratula  (Pygope)  Aspasia  Meneghini. 

Tav.  I,  fig.  6-9. 

Terebratula  Aspasia  Meneghini,  Nuovi  fossili  toscani.  (Annali  delle  Uni- 
versità toscane  T.  Ili)  1853,  P.  13.  —  Zittel,  Geol.  Beob.  aus.  Cent. 
Ap.  1869,  P.  38,  Tif.  XIV,  Fig.  1-3.  —  Gemmellaro,  Sopra  i  fos- 
sili della  zona  con  Terebratula  Aspasia  Menegh.  della  provincia  di 
Palermo  e  di  Trapani  (Giornale  di  Scienze  naturali  ed  economiche 
Voi.  X)  1874,  P.  63,  Tav.  XI,  fig.  1-3.  —  Meneghini,  Mou.  du  cai. 


44  e.    DE  STEFANI 

rouge  1879,  P.  168,  PI.  XXXI,  fig.  8-9.  —  Uhlig,  Ueber  die  lìassi- 
sche  Brachiopoden -Fauna  von  Sospirolo  bei  Belluno,  Sitzungsberichte 
d.  K.  Akad.  d.  Wiss.  raath.-naturw.  CI.  Bd.  LXXX,  Abth.  1, 1879, 
P.  16.  —  Cauavari,  Brach.  Ap.  cent.  1880,  P.  10,  Tav.  I.  —  Cana- 
vari,  Beitràge  zur  Fauna  des  untereii  Lias  von  Spezia.  Palaeonto- 
graphica  Bd.  29,  Lief.  Ili,  1882,  P.  129,  Taf.  1,  Fig.  1,  2.  — 
Parona,  Coni,  fauna  liass.  Ap.  cent.  1883,  P.  97.  —  Haas,  Beitràge 
zur  Eenntniss  der  liasischen  Brachiopoden-fauna  von  Sudtyrol  und 
Venetien,  Kiel  1884,  P.  21. 

Terebratula  Backeriae  (non  Davidson)  Stoppani,  Stud.  geol.  1857,  P.  228. 

Terebratula  diphya  (non  Colonna)  Ponzi,  Sopra  i  diversi  periodi  eruttivi 
determinati  uelP  Italia  centrale.  Atti  delP  Accademia  pontificia  dei 
Nuovi  Lincei.  Voi.  XVII,  1864,  P.  27. 

Pygope  Aspasia  Gemmellaro,  Sopra  taluni  Harpoceratidi  del  Lias  supe- 
riore dei  dintorni  di  Taormina,  Palermo  1885,  P.  4.  —  Segaenza, 
Intorno  al  sistema  giurassico  nel  territorio  di  Taormina  (Il  Natu- 
ralista Siciliano)  1885,  P.  6.  — -  Oemmellaro,  Monografia  sui  fossili 
del  Lias  superiore  delle  provincie  di  Palermo  e  di  Messina  (Bollet- 
tino della  Soc.  it.  di  se.  nat.  ed  ec.  di  Palermo)  1885,  P.  9. 

Massicciano  (2).  Trovata  del  Cocchi  il  9  Settembre  1864. 

In  Italia  è  indicata  presso  Taormina  e  Bellampo  in  Sicilia 
e  in  Lombardia  nel  Lias  superiore;  a  Sospirolo  presso  Belluno, 
alla  Marconessa,  al  Catria,  a  Cagli,  alla  Grotta  del  Miele,  a  Val 
d' Urbia,  a  Pietralata,  a  M.  Gemmo,  alle  Grotte  dì  S.  Eustachio, 
nel  Sanvicino,  a  Monticelli  nell'Apennino  centralo,  nelle  mon- 
tagne del  Nord  di  Sicilia  fino  ai  dintorni  di  Sciacca  nel  Lias 
medio  ;  a  Castel  Tesino  nel  Canal  del  Brenta,  Gerfalco  ed  alla 
Castellana  presso  Spezia  nel  Lias  inferiore  ad  AnguMi.  Nel 
Lias  inferiore  cogli  Arietiti  non  era  però  ancora  stata  trovata. 

Non  starò  a  ripeterne  una  descrizione  particolareggiata:  varrà, 
meglio  la  figura.  Il  lobo  ed  il  seno  son  molto  marcati.  Piut- 
tosto che  alla  forma  del  Lias  inferiore  ad  Aìigidati  essa  risponde 
a  quella  del  Lias  medio. 


Àvìcula  inaequivalvis  Sowerby. 

Tav.  I,    fig.  16. 

Avicula  inaequivalvis  (Sow.)  Gemmellaro,  Foss.  Ter.  Alp.  1874,  P.  90.  — 
De  Stefani,   Geologia  del  Monte  Pisano  (Memorie  del  R.  Gomitato 


LlAS   INFERIORE  45 

geologico.  Voi.  Ili,  Parte  I)   1877,  P.  33.   —   Seguenza,    Int .  sist. 
giur.  Taormina  p.  5. 

Campiglia  (1). 

È  indicata  nei  dintorni  di  Chiusa  Sclafani  e  presso  Taormina 
in  Sicilia  nel  Lias  medio  ;  nel  Monte  Pisano  nel  Lias  inferiore  ad 
Angidati.  Fuori  d' Italia  si  trova  in  molti  luoghi  del  Lias  infe- 
riore (Nord  Germania,  Francia,  Còte  d'  or,  Lincolnshire,  Tork- 
shire,  Lyme  Regis)  e  del  Lias  medio  (Hood  's  Bay  ed  altri  luo- 
ghi d'Inghilterra). 

È  una  valva  destra,  piuttosto  depressa,  mediocremente  obli- 
qua, col  margine  palleare  discretamente  convesso.  Larghezza  e 
Lunghezza  15'".  L'orecchietta  posteriore  e  la  parte  anteriore 
della  valva  sembrano  liscie;  la  parte  posteriore  è  ornata  di 
coste  longitudinali  alquanto  rilevate,  un  poco  flessuose,  ad  in- 
tervalli non  sempre  eguali  fra  loro,  alternate  da  una  o  due 
coste  secondarie  minori. 

Da  Massicciano  proviene  un  frammento  di  Pecten  sp. 

Fleurotomaria  Campiliensis  sp.  n. 

Tav.  I,    fìg.  12,  13. 

Campiglia  (2  esemplari  coperti  dalla  roccia). 

Conchiglia  formata  di  5  o  6  giri  regolarmente  crescenti,  con- 
vessi, a  sutura  mediocremente  profonda,  striati  per  lungo  e  per 
traverso.  L'ultimo  giro  è  assai  convesso.  Le  strie  trasversali  sono 
oblique  verso  la  parte  opposta  all'  apertura,  ben  rilevate  e  ben 
distinte,  sottilissime,  assai  ravvicinate  tanto  che  se  ne  contano 
5  o  6  per  millimetro  :  nell'  ultimo  giro  sono  talora  leggermente 
flessuose  e  vanno  scomparendo  dalla  metà  in  giù  verso  la  base. 
In  tutti  i  giri,  a  partire  da  un  terzo  dalla  sutura  superiore,  si 
notano  alcune  strie  trasversali  impresse  o  rilevate,  sottili  quanto 
quelle  trasversali  ma  distanti;  in  un  millimetro  se  ne  contano  3, 
ma  talora  sono  un  poco  più  ravvicinate;  nella  metà  inferiore 
dell'  ultimo  giro  alcune  alquanto  più  marcate  sembrano  di  tanto 
in  tanto  alternare  colle  altre.  La  fascia  del  seno  si  vede  a  mala 
pena,  quantunque  sia  piuttosto  ampia,  alquanto  sotto  la  mas- 
sima convessità,  dell'ultimo  giro,  e  si  distingue  un  poco  pel 
colore  meno  cupo  dal  resto  della  conchiglia  la  cui  roccia  è  rossa. 


46  e.    DE  STEFANI 

ìje  strìe  longitudinali  che  vanno  quasi  sparendo  nella  parte 
superiore  del  giro  poco  prìma  della  fascia,  sembrano  segni- 
tare  a  traverso  la  medesima  senza  deviare,  e  ciò  mi  lasciava 
incerto  sulla  determinazione  del  genere:  però  alcune  strie  di 
accrescimento  si  vedono  assai  distintamente  curvarsi  sopra  la 
medesima. 

Altezza  circa  21". 

Xatifilus  sp. 

Sassorosso  (1  esemplare  raccolto  dal  Cocchi  il  6  giugno  1869). 

Conchiglia  rigonfia,  a  dorso  laigo  ampiamente  convesso,  con 
fianchi  pianeggianti,  che  si  uniscono  al  dorso  con  angolo  poco 
lontano  dal  retto.  Diametro  1 1 0" ;  laighezza  60".  Non  si  vede 
l'ombelico  ne  la  struttura  della  superficie. 

Si  avvicina  al  S.  intermedius  Sow.  ;  ma  i  fianchi  formano  col 
dorso  un  angolo  meno  ottuso.  Il  Cocchi  lo  aveva  indicato  come 
.V.  inornatus  D' Orb.,  ma  appetto  a  questo  i  fianchi  si  uniscono 
al  dorso  con  angolo  più  ottuso. 

yautilus  sp. 

Campiglia  (2j. 

Conchiglia  con  ombelico  ampio,  col  dorso  fortemente  con- 
vesso e  riunito  ai  fianchi  poco  pianeggianti  con  curva  piuttosto 
regolare.  La  superficie  è  tutta  solcata  trasversalmente  da  sottili 
linee  flessuose.  Diametro  110".  Si  avvicina  al  X.  semistriotus 
D'Orb.;  ma  i  fianchi  meno  convessi  e  il  dorso  meno  pianeg- 
giante sembrano  allontanamelo.  La  cattiva  conservazione  non 
permette  una  determinazione  più  precisa. 

Àtractites  Quenstedti  (Meneghini). 

Aulacoceras    Quenstedti    Meneghini,    Mon.    du    cale,    rouge.  1867-1881. 
P.  137,    140. 

Campiglia 

Il  Meneghini  ha  riunito  a  questa  sua  specie  una  forma  del 
Lias  inferiore  di  Lyme  Itegis  indicata  come  Belemnites?  sp.  ind. 
dal  Quenstedt  (Cephalopoden,  18-46.  P.  475.  Taf.  31,  fig.  1).  Non 
conoscendo  la  specie  mi  limiterò  a  riportare  la  descrizione  del 


UAS   INFERIORE  47 

Meneghini.  Parlando  di  un  esemplare  di  questo  Atractites  egli 
dice  che  "  si  allontana  da  tutti  gli  altri.  Tronco  di  fragmocono; 
circa  35'^  dell'estremità,  anteriore  irregolarmente  rotta  in  ri- 
spondenza al  setto  scoperto  dell'  ultima  camera  posteriore  ;  se- 
zione trasversale  circolare.  Una  sezione  longitudinale  mostra 
7  camere  complete;  l'altezza  dell'ultima  camera  anteriore  nella 
quale  si  verifica  la  rottura  è  sconosciuta:  27"^  di  lunghezza  sulla 
linea  mediana  dal  primo  all'ottavo  setto:  diametro  anteriore  20  ", 
posteriore  15'":  altezza  delle  camere  minore  della  quarta  parte 
del  diametro:  angolo  conico  IP.  Un  altro  esemplare  mostra  la 
terminazione  del  fragmocono  e  la  parte  anteriore  del  rostro  che 
lo  racchiude.  La  frattura  anteriore  ha  1 3"  di  diametro  e  lo  strato 
spatico  bianco  rostrale  che  circonda  il  fragmocono  di  calcare 
rosso  non  ha  che  Y"  di  grossezza.  Una  frattura  degli  strati  del 
rostro  lascia  vedere  sur  una  faccia  il  nucleo  di  7  camere  sur 
una  lunghezza  di  12'":  la  sezione  mostra  la  continuazione  del 
fragmocono  nell'  intemo  del  rostro  per  l' altezza  di  45'"  senza 
raggiungere  la  punta.  Presso  la  punta  del  fragmocono  la  gros- 
sezza degli  strati  rostrali  raggiunge  4'"  e  la  rottura  del  rostro 
al  di  là  della  punta  ha  1 0'"  di  diametro  „ . 

Atractites  Cordieri  (Meneghini). 

Belemnites  hastatus  (non  Blainv.)  Savi  e  Meneghini,  Considerazioni  sulla 

geologia  stratigrafica  della  Toscana.  1851,  P.  85. 
Aulacoceras  Cordieri  Meneghini,  Mon.  dn  cale   rouge  1867  1881,  P.  185, 

140. 
Atractites    Cordieri  (Mgh.)    Canavari,    Beit.  z.  Fauna  unfc.   Lias.    1882, 

P.  138,  Taf  XV,  fig.  20-22. 

Sassorosso  (D.)  Campiglia. 

È  indicato  pure  nel  Lias  medio  a  Cetona  e  nel  Lias  infe- 
riore ad  Angulati  alla  Spezia.  Per  questa  specie  mi  rimetto 
alle  descrizioni  del  Meneghini  e  del  Canavari. 

Atractites  orthoceropsis  (Meneghini). 

Bacidites  vertebralis  (non  Lamarck)   Guidoni,   Lettera  al  Savi   sui  fossili 
recentemente  scoperti  alla  Spezia.  P.  12,  n.  7. 


48  e.    DE  STEFANI 

Belemnitessp.  Emmerich,  in  Hoffruann,  Geogaostische  Beobachfcungen  gè- 
sammelt  auf  einer  Reise  durch  Italiea  una.  Sicilien.  Earsien^s  Ar- 
chiv  Bd.  XIII,  1839,  P.  292,  n.  1.  —  Meneghini,  in  Rath,  Die  Berge 
Yon  Campiglia  in  der  Toskanischen  Maremme.  Zeit  schrif  der  deutschen 
geologischen  Gesellsch.  V.  XX,  1868.  n.  20. 

Belemnites  orthoceropsis  Meneghini,  iti  Savi  e  Meneghini,  Cons.  geol. 
Tose.  1851,  P.  380,  401.  —  Meneghini,  In  Rath,  Die  Berge  von 
Campiglia  1868,  n.  9.  —  Meneghini,  in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pi- 
sano, 1877,  P.  38. 

Aulacoceras  orthoceropsis  Meneghini,  Mon.  du  cale,  rouge,  1867-81, 
P.  134-139.  —  Canavari,  La  Montagna  del  Suavicino.  Boll.  Com. 
geol.   1880.  P.  62. 

Atractites  orthoceropsis  (Mgh.)  Canavari,  Beit.  z.  Fauna  unt.  Lia.<?,  1882, 
P.  137,  Taf.  XV,  fig.  15-19.   —    Paroua,  Cont.  f.  lias,  Ap.  cent. 
1883,  P.  108. 

Massicciano  (1  fragtnocoao),  Rssbl  (1  fragmocono),  Sassorosso 
(3  fragmoconi)  (27  fragmoconi  D.),  Campiglia  (36  rostri,  19  frag- 
moconi)  (1  D.)  Gerfalco  (2  fragmoconi). 

In  Italia  la  specie  è  nota  nel  Lias  medio  di  Papigno,  di 
presso  Cesi,  del  Sanvicino,  del  M.  di  Cetona  e  di  Repole  presso 
Pisa,  e  nel  Lias  inferiore  ad  Angulati  di  Coregna  presso  Spezia. 

Dopo  le  osservazioni  del  Meneghini  e  del  Mojsisovics  credo 
inutile  diffondermi  a  parlare  di  questo  genere  e  della  specie 
che  è  pure  sufficientemente  conosciuta. 

Non  ho  trovato  fragmoconi  attaccati  ai  rostri  ;  ma,  seguendo 
il  Meneghini,  riunisco  alla  specie  i  rostri  fusiformi,  o  semplice- 
mente conici,  che  terminano  con  una  breve  punta  affilata,  or- 
nati talora  per  traverso  da  sottili  linee  rilevate  e  da  rugosità, 
a  sezione  sempre  ellittica;  ne  ho  frammenti  lunghi  anco  120" 
e  col  diametro  anteriore  di  40  ".  Come  i  fragmoconi,  i  cui  rap- 
porti furono  già  notati  dal  Meneghini,  anche  i  rostri  somigliano 
a  quelli  dell'^.  indmieìise  Stoppani  del  Lias  superiore  di  Lom- 
bardia, ma  sono  più  cilindrici  e  la  sezione  nella  parte  anteriore 
è  meno  ovale.  Non  vi  ho  trovato  traccia  di  solco  longitudinale. 

Atractites  ?  conspicillum  sp.  n. 

Tav.  I,  fi^,  15. 
Belemnites  longissimus?  (non  Mill.)  Meneghini,  in  Rath^  Die  Berge  von 


LIAS   INFERIORB  4Ò 

Campiglia  1868,  P.  322.  n.  19.  —Meneghini,  io  De  Stefani,  Geol. 
M.  Pi8.  1877,  R  38. 
AtractUes  sp.  Meneghini,  Mon.  du  cale,  rouge  1867-81,  P.  138. 

Campiglia  (8). 

Mi  pare  non  si  possano  attribuire  ad  alcun'  altra  delle  forme 
conosciute  quei  rostri  che  il  Meneghini  descrive  come  *  molto 
più  sottili  di  quelli  attribuiti  all'^.  orthoceropsis  (diametro  6" 
o  8")  e  allungati  (certi  frammenti  fino  a  150")  che  la  strut- 
tura spatica  allontana  dai  rostri  del  Behmnites  longissimus  coi 
quali  hanno  la  più  grande  somiglianza  „  (Mon.  du  cale,  rouge). 
Sono  quasi  cilindrici,  o  leggermente  ovali;  T imperfetta  conser- 
vazione e  la  brevità  dei  franMnenti  non  permette  di  dire  se 
siano  uniformi  in  tutta  la  loro  lunghezza,  oppure  fusiformi,  e 
come  terminino.  In  alcuni  frammenti,  lungo  tutto  uno  dei  fian- 
chi, si  vede  un  solco  ristretto  ma  ben  distinto  simile  a  quello 
dei  Belemnites.  In  altri  si  vede  un  alveolo  senza  concamerazioni, 
imbutiforme,  molto  acuto,  assai  ampio  proporzionatamente  alle 
pareti,  la  cui  ragguardevole  lunghezza  non  si  può  precisare. 

Come  la  mancanza  di  struttura  radiata  li  allontana  dai 
BélemniteSy  così  può  darsi  siano  pure  diversi  dai  veri  AtractUes. 

Belemnites  sp. 

Sassorosso. 

Vari  esemplari  di  vere  Belemnites  ho  osservati  in  alcune 
lastre  di  marmo  provenienti,  da  quel  luogo  nella  collezione  Dini 
ed  in  altre  case  di  Gkurfagnana. 

Phylloceras  convezum  sp.  n. 

Tav.  I,  fig.  14,  Tav.  Il,  fig.  16. 

Ammonites  cylindricus  (non  Sowerby)  Meneghini,  Descrizione  della  carta 

geologica   della  Provincia  di  Grosseto.   Statistica  della  Provincia  di 

Grosseto  1865,  P.  392.  —  Meneghini,  in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pisa- 
no, 1877,  P.  87. 

?  Massicciano  (1  franmaento).  Restì  (1). 

Meneghini  (Descr.  cari.  geol.  Grosseto)   lo  indica  pure  nel 

Se,  Nat,  Voi.  Vm,  fase.  !.•  6 


60  e.    DE  STEFANI 

•  calcare  rosso  di  Gerfalco,  col  nome  di  Aììi.  cylindricum  *  in  di- 
mensioni enormemente  maggiori  delle  consuete  alla  Spezia  ed 
a  Hierlatz  „. 

In  Italia  il  P.  cylindricum  Sow.  fti  notato  nella  zona  ad  An- 
gulati  del  Lias  inferiore,  a  Parodi,  Castellana  e  Campiglia  presso 
Spezia,  nel  calcare  spatico  di  Campiglia  e  di  Gerfalco  in  To- 
scana, nella  Montagna  del  Casale  e  di  Bellampo  in  Sicilia,  ed  io 
r  ho  trovato  assai  comune  nel  calcare  ceroide  ceruleo  dell'Alpe 
di  Corfino  presso  Sassorosso  nelVApennino  settentrionale  sotto 
al  calcare  rosso  ad  Arieti,  dove  prima  assai  di  me  V  aveva  tro- 
vato il  Cocchi,  come  risulta  da  esemplari  esistenti  nel  Museo  di 
Firenze.  Questi  ultimi  individui  sono  identici  a  quelli  della  Spezia. 

La  presente  forma  è  diversa  pelle  maggiori  dimensioni,  che 
sono  le  seguenti; 

Diametro  44*^  ;  altezza  dell'  ultimo  giro  25*^  circa. 

La  regione  dorsale,  quasi  piana,  è  riunita  presso  che  con 
angolo  retto  ai  fianchi  i  quali  non  sono  del  tutto  pianeggianti 
come  nel  tipo  della  Spezia,  ma  leggermente  convessi,  perciò  al- 
quanto più  larghi  verso  V  ombelico.  Nel  Lias  medio  di  Cotona 
questa  specie  è  sostituita  dal  P.  Bielzi  Herb. 

I  lobi  rispondono  a  quelli  del  P.  cylindricum. 


Phylloceras  ancylonotos  sp.  n. 

Tav.  II,   flg.  15. 

Restì  (1),  Sassorosso  (1  D.). 

Diam.  33"',  altezza  dell'  ultimo  giro  18'". 

Per  r  andamento  dei  giri  e  per  la  forma  ovale  dell'  ultimo 
il  cui  maggior  diametro  è  ad  un  terzo  dell'  altezza,  si  avvicina 
al  P.  Hehertinum  del  Medolo  di  Meneghini  {Pai.  lomb.  Fossiles 
du  Médolo  1867-81,  P.  30,  PI.  HI,  fig.  6)  che  pare  alquanto  di- 
verso dal  tipo  del  Reynés:  però  da  quello  diversifica  peli' ultimo 
giro  più  alto  e  la  regione  dorsale  più  convessa.  Si  vedono  tracce 
dei  lobi  specialmente  dì  parte  della  sella  laterale  e  di  una  delle 
selle  esteriori,  che  si  accostano  alla  figura  del  Meneghini. 

Forme  affini  a  questa  si  trovano  anche  altrove,  secondo 
von  Sutner,  nel  Lias  inferiore. 


LIAS   INFERIOKE  *  6Ì 

Fhylloceras  tenuistriatum  (Meneghini). 

Tav.  m,  fig.  7,  8,  9. 

Ammonites  Loscombi  (non  Sow.)  Meneghini,  Nuov.  foss.  1853,  P.  10. 

Ammonites  tenuistriaius  Meneghini,  in  Rath,  D.  Berge  von  Camp.  1868, 
n.  10  —  Meneghini,  in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  1877,T.  88.  —  .Rey- 
nés,  Monographie  des  Ammonites,  1867,  p.  6;  1879  Tav.  XLIV,fig.  16. 

Campiglia  (15).  Secondo  von  Sutner  si  trova  a  BBerlaz. 

La  specie  non  fu  descritta,  ma  semplicemente  paragonata 
con  VAmaltheus  Loscambi  Sow.  e* poi  figurata  dal  Reynés. 

Il  P.  occiduale  Can.,  specie  vicina  a  questa,  si  trova  nel  Lias 
inferiore  ad  Angulati  di  Coregna  presso  la  Spezia. 

La  specie  ha  conchiglia  depressa;  la  spira  molto  involuta 
lascia  vedete  un  ombelico  piuttosto  ristretto  e  sufficientemente 
profondo  che  per  lo  più  è  coperto  dalla  roccia  :  il  dorso  è  stret- 
tamente convresso;  i  fianchi,  quasi  piani,  scendono  all'ombelico 
rapidamente  convessi  laenza  angolo  marcato.  La  sezione  dei  giri 
forma  un'ovale  molto  allungata.  La  superficie  è  tutta  ornata 
di  sottilissime  coste  ottuse,  diritte,  o  regolarmente  ma  legger- 
mente concave  dalla  parte  dell'  apertura,  colla  maggior  conca- 
vità, nel  mezzo  dei  fianchi,  talora  anche  leggermente  flessuose. 
Le  coste  cominciano  per  lo  più  solo  sulla  metà  dei  fianchi  e 
si  vanno  facendo  più  marcate  verso  il  dorso  a  traverso  al  quale 
continuano  ;  più  grosse  e  più  distanti  presso  l' apertura  si  vanno 
facendo  più  fitte  e  più  minute  verso  l'interno,  sicché  mentre 
all'apertura  se  ne  contano  p.  e.  5  ogni  5",  verso  la  metà  del- 
l'ultimo giro  se  ne  contano  7.  Il  diametro  comune  è  dì  33  a 
60'";  la  proporzione  dell'ultimo  giro  è  di  50  a  55  p.  100;  l'om- 
belico di  0,08  a  0,13;  la  grossezza  da  0,22  a  0,30.  Un  individuo 
liscio  e  superficialmente  corroso,  nel  quale,  lustrandolo,  scopersi 
dei  lobi,  ha  diametro  di  162'";  altezza  dell'ultimo  giro  87"';  lar- 
ghezza dell'ombelico  25"';  grossezza  42"'.  Le  dimensioni  e  la 
forma  sono  come  nel  P.  occiduale  della  Spezia,  ma  in  questo  le 
costole  sono  assai  più  fine. 

Sopra  nessuna  superficie  naturale  ho  potuto  vedere  i  lobi  ;  li 
ho  veduti  corrodendo  con  acidi  e  lustrando  più  o  meno  profonda- 
mente gli  esemplari,  mezzo  però  che  mai  àk  un  concetto  perfet- 
tamente esatto  di  essi.  Paiono  6  lobi  o  7  per  ogni  fianco;  lobo 


52  e.    DE  STEFANI 

antisifonale  sconosciuto  ;  il  primo  lobo  laterale  termina  trifido 
e  similmente  il  secondo  laterale  il  quale  è  più  lungo  dei  lobi 
aasiliarii;  la  prima  sella  laterale  è  trifogliata  ed  è  pia  alta 
della  sella  estema:  la  sella  estema,  la  seconda  sella  laterale, 
la  prima  e  la  seconda  delle  selle  ausiliari  paiono  bifogliate, 
forse  anche  pella  profondita  della  superfìcie  lustrata;  le  altre 
selle  ausiliari  non  si  vedono  bene.  Anche  nei  lobi  l'analogia 
c^À  P.  occiduale  è  grandissima  e  forse  le  differenze  appaiono 
almeno  in  parte  solo  per  la  profondita  cui  è  giunta  la  sezione  e 
per  le  ineguaglianze  di  questa.  Le  differenze  apparenti  sarebbero 
queste,  che  i  due  lobi  laterali  sono  piii  lunghi  degli  ausiliarii; 
la  seconda  sella  laterale  non  è  semplice  ma  bifogliata:  la  grande 
foglia  interposta  al  ramo  terminale  mediano  ed  al  ramo  termi- 
nale intemo  del  primo  lobo  laterale  sarebbe  più  lunga,  come  e 
più  lunga  la  grande  foglia  posta  fra  il  ramo  terminale  mediano 
ed  il  ramo  terminale  estemo  del  secondo  lobo:  parimente  la 
prima  sella  laterale  nella  base  sarebbe  più  stretta. 

Phylloceras  Partschi  (Stur). 

Tav.  L  a^.  10,  11. 

Ammonites  sfriatocostafus  Meneghini,  Niiov.  foas.  1853,  P.  9,  28. 

Ammoniles  Partschi  (St.)  von  Hauer,  Ueber  die  Cephalopoden  aus  dem 
Lias  der  Nord-ostlichen  Alpen.  Denkschrift.  d.  K.  Akad.  d.  Wis- 
senschafken,  Wien  1856,  P.  57.  —  von  Hauer,  Ueber  die  Ammo- 
niten  aus  dem  sogenannten  Medolo  der  Berge  Domaro.  SitznDgsbe- 
rìchte  der  K.  Ak.  d.  Wiss  1861,  P.  405.  —  Meneghini,  in  Kath, 
D.  Berge  von  Camp.  1868,  P.  321,  n.  9.  —  Seguenza,  Sull'età  geo- 
logica delle  rocce  secondarie  di  Taormina.  Nuove  effemeridi  siciliane 
Voi.  II,  1871,  P.  2.—  Meneghini,  in  De  Stefani  Geol.  M.  Pis.  1877, 
P.  37,  38. 

Ammonites  torulosus  (non  Schlt.),  Ammonites  Lamberti  (non  Sow.),  Stop- 
pani,  Stud.  geol.  s.  Lombardia  1857,  P.  223,  225. 

?  Phylloceras  isomorphum  Gemmellaro,  Sopra  alcune  faune  giuresi  e  liasi- 
che  della  Sicilia  1872,  P.  6,  Tav.  I,  fig.  1. 

Phylloceras  Partschi  (St.)  Meneghini,  Mon.  du  cale,  rouge  P.  83;  Foss. 
du  Medolo,  1867-81,  P.  26,  PI.  Ili,  fig.  3-5.  —  Gemmellaro,  Sopra 
i  Fossili  del  calcare  cristallino  delle  montagne  del  Casale  e  di  Bei- 
lampo  nella  Provincia  di  Palermo.  Giorn.  di  Scienze  nat.  ed  ec. 
Voi.  XllI,  1878,  P.  236.  —  Parona,  Contribuzione  allo  studio 
della   fauna   liasica   di  Lombardia.    Rend.   R.   Ist.  Lombardo  S.  II, 


UAS    INFERIORE  53 

Voi.  XII.  1870,  P.  9.  ~  Canavari,  Beit.  z.  Fauna  unt.  Lias.  1882, 
P,  146.  —  Gemmellaro,  Sui  fossili  degli  strati  a  Terobratula  Aspasia 
della  contrada  Rocche  rosse  presso  Galati,  I&84,  P.  7,  Tav.  II, 
fig.  9,  10.  —  Segnenza.  I  minerali  della  provincia  di  Messina,  Par- 
te I.  1885,  P.  51,  71.  —  Gemmellaro,  Sopra  tal.  Harp.  Lias  sup. 
1885,  P.  4.  —  Segnenza,  Int.  sist.  giur.  Taormina,  1885,  P.  5,  8.  — 
Gemmellaro,  Mon.  foss.  Lias  sup.  Bull.  d.  Soc.  di  se.  nat.  ed  ec. 
di  Palermo.  1885,  P.  1. 

Massicciano  (5  mal  conservati),  Restì  (11),  Sassorosso  (2  mal 
conservati)  (3  D.),  Roggio  (5  impronte  e  individui  con  lobi), 
Campiglia,  a  M.  Calvi  e  Sassetta.  (32),  tìerfalco  (1)  Cetona  (20). 

Si  conosce  in  Italia  nel  Lias  superiore  di  Bicicola,  Clivio, 
Boroncello,  Medolo,  Pilzone,  Val  Cuvia  in  Lombardia,  di  Taor- 
mina e  di  Bellampo  in  Sicilia,  nel  Lias  medio  presso  Galati  pure 
in  Sicilia:  nel  Lias  inferiore  ad  Angulati  di  Coregna  presso  la 
Spezia,  della  Montagna  del  Casale  in  Sicilia. 

Stur  indicò  la  sua  specie  nella  zona  ad  Arietites  obtusus  Sow. 
che  h  quella  stessa  donde  provengono  i  nostri  esemplari. 

I  fossili  di  Campiglia  furono  già  esaminati  dall' Hauer  che 
li  ebbe  col  nome  di  Ammonites  striatocostatus  Mgh.;  egli  dice 
{Ueb,  die  Ceph.  P.  57)  che  *"  rispondono  quasi  completamente 
air^.  Partschi  „  sinonimìa  che  fu  poi  ammessa  interamente  dal 
Meneghini,  e  soggiunge  che  hanno  V  ombelico  molto  stretto  ed 
i  fianchi  alquanto  più  pianeggianti,  come  realmente  per  solito 
si  verifica,  Il  Meneghini,  parlando  degl'individui  di  Campiglia 
che  sono  appunto  il  tipo  del  suo  P.  striatocostatus  (Mon.  cale, 
rouge  P.  85)  dice  che  '^  gli  esemplari  giungono  fino  a  110'"  di 
diametro  e  le  proporzioni  danno  in  media,  altezza  dell'  ultimo 
giro  0,57;  grossezza  0,24;  larghezza  dell'ombelico  0,9;  ricopri- 
mento della  spira  0,25.  Le  coste  vengono  meno  sui  fianchi, 
mentre  le  pieghe  e  le  strie  salienti  si  partono  dal  margine 
dell'ombelico,  molto  obliquamente  all' innanzi  nella  parte  in- 
tema del  giro  e  rivoltate  nella  direzione  radiale  delle  coste 
nella  parte  esterna.  Le  strie  sono  tre  sopra  ciascuna  costa  e 
due  in  ciascun  solco  interposto.  Le  coste  vanno  rapidamente 
crescendo  in  larghezza  ed  in  altezza  dall'  indietro  all'  innanzi* 
e  le  sette  ultime  del  grande  esemplare  di  110"'  di  diametro 
occupano  30'"  di  lunghezza  „.  I  solchi  trasversali  per  lo  più 
mancano,  ma  in  qualche  individuo  senza  guscio  se  ne  vedono 


54  e.    DE.  STEFANI 

fino  a  5  nell'  ultimo  giro.  Alcuni  esemplari  di  Campiglia  aHatto 
lisci  rispondono  alle  flg.  4  e  5  del  Medòlo  (Meneghini,  Foss.  d. 
Medoh).  Si  vedono  lobi  in  un  individuo  di  Gerfalco  ed  in  altri 
di  Roggio  ;  ma  sono  specialmente  conservati  in  quelli  di  Restì  e 
presentano  tutti  i  caratteri  della  specie.  NegV  individui  di.  Cam- 
piglia si  scoprono  i  lobi  solo  con  artifizio. 

Gli  esemplari  senza  guscio  esteriore  di  questa  specie  di  Cam- 
piglia sono  stati  presi  qualche  volta  pel  P.  zetes  D' Orb.  (Mene- 
ghini, in  Rath,  Berg.  von  Camp.,  n.  6,  in  De  Stefani,  GeoL  M. 
Pis.  P.  38)  ;  come  esemplari  lisci  del  P.  Nardii  Mgh.  potrebbero 
prendersi  pel  P.  stella  Sow.  L'  esame  dei  lobi,  quand' altro  non 
bastasse,  chiarisce  la  specie. 

Phylloceras  Savii  sp.  n. 

Tav.  Ili,   fig.    10.  ; 

Campiglia  (1). 

Come  il  P.  tenuistriatum  risponde  al  P.  Partschi  colle  coste 
senza  strie,  così  questa  forma  risponde  al  P.  Partschi  fornito 
di  strie  ma  senza  coste. 

Phylloceras  (RhacophylUtes)  Nardii  (Meneghini). 

Ammonites  mimatensìs  (D'Orb.)   Meneghini,  in  Rath,  D.  Berge  von  Camp. 

1868,  P.  320,  n.  8.  —  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  1877,  P.  37. 
var.  Nardii  Meneghini,  in  Rath,  D.  Berge  von  Camp.  1868,  P.  320.  n.  8.  — 

Meneghini,  Mon.  du  cale,  rouge   1867-81,  P.  83. 
Ammonites  Nardii  Meneghini,  Nuov.  foss.  1853,  P.  9,  27. —  Meneghini, 

in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  1877,  P.  38.    —   Reynés    prò    parte, 

Monographie  des  Aram.   1879,  P.  6,  (non  PI.  XXXIX,  fig.  12-16). 
Phylloceras  diopsis  Qenmiellaro,   Foss.  d.  strati  a  Ter,  Asp.  1884,  P.  6, 

Tav.  II.  fig.  6-8,  Tav.  VI,  fig.  1,  2. 
Rha^ophi/llites  diopsis  Seguenza,    Min.  prov.  d.  Messina,  Parte  I,   1885, 

P.  50. 

Massicciano  (6),  Campiglia  (172  comunissima)  (3D.). 

In  Sicilia  questa  specie  trovossi  nel  Lias  medio  alle  Rocche 
rosse  presso  Galati. 

Conchiglia  compressa,  a  largo  ombelico,  con  4  o  5  giri  ra- 
pidamente crescenti:   regione   dorsale   strettamente  convessa; 


LIAS   INFERIORE  55 

fianchi  piuttosto  pianeggianti^  con  angolo  ombelicale  acuto,  tanto 
che  nell'ombelico  i  giri  si  seguono  a  gradinate  ben  distinte. 
Il  giro  esterno  negli  ultimi  tre  quarti  è  fornito  di  25  a  34  coste, 
quasi  a  modo  di  creste,  salienti,  continue  a  traverso  il  dorso, 
che  vanno  diventando  sempre  più  marcate  verso  l'apertura, 
concave  verso  l' apertura  stessa,  molto  rilevate  sul  dorso  e  ta- 
lora quasi  improvvisamente  mancanti  nel  mezzo  dei  fianchi, 
quasi  embriciate  cioè  più  declivi  da  una  parte  e  per  lo  più  da 
quella  dell'apertura,  anzi  talora  quasi  canalicolate:  verso  T in- 
temo si  fanno  mano  mano  più  depresse  e  più  fitte.  Talora  si 
contano  fino  a  41  coste  in  mezzo  giro.  A  volte  alcune  coste  sono 
dicotome  e  si  riuniscono  sulla  metà  dei  fianchi;  talora  1  o  2 
strie  secondarie  poco  impresse  si  trovano  sulla  parte  più  sa- 
liente che  par  quasi  doppia. 

Questi  sono  i  caratteri  comuni  presentati  da  38  individui 
di  Campiglia. 

In  29  individui  dello  stesso  luogo,  è  rimasta  la  conchiglia 
senza  il  guscio. 

Le  proporzioni  dell'  ultimo  giro  variano  assai.  Il  diametro 
varia  da  40  a  60":  l'altezza  dell'ultimo  giro  è  di  0,38  a  0,44; 
la  larghezza  dell'ombelico  da  0,29  a  0,39.  Un  individuo  per 
rapporto  al  diametro  che  è  di  48'",  ha  altezza  dell'  ultimo  giro 
di  0,45,  ombelico  e  grossezza  dell'  ultimo  giro  di  0,25. 

Un  colossale  individuo  di  Campiglia  di  cui  rimase  un  firam- 
mento  dovea  avere  almeno  320'"  di  diametro,  ed  ultimo  giro* 
alto  circa  110'". 

Il  Meneghini  costituendo  il  P.  Nardii  a  specie  distinta  disse 
che  era  diverso  dal  P.  mimatense  per  la  mancanza  dei  solchi 
trasversali  e  per  l'ampiezza  maggiore  dell'ombelico  (N.  foss. 
P.  38).  Più  tardi  però  (Rath,  D.  Berge  von  Campiglia,  P.  320) 
scrisse  che  **  gli  esemplari  di  Adneth  che  Hauer  determinò  come 
Ammonites  mimatensis  lo  spinsero  a  riguardare  VA,  Nardii  come 
una  semplice  varietà,  „  ;  soggiungeva  {Mon.  du  cale,  rouge  P.  38) 
che  questa  differisce  solo  "  par  les  còtes  prolongóes  jusque>  au 
partour  orabilical,  souvent  fasciculées  deux  k  deux  et  mème  en 
plus  grand  nombre,  et  par  la  surface  du  test  finement  strióe  ». 

Prescindendo  dalle  differenze  prodotte  dalla  diversa  lun- 
ghezza delle  coste  e  dalla  mancanza  dei  solchi,  tutti  gl'indi- 
vidui del  nostro  Lias  inferiore  diversificano  dal  P.  mimatense 


56  e.    DE  STEFANI 

D' Orb.,  per  V  angolo  acuto  ombelicale  dei  giri,  talché  sono  vi- 
cini al  P.  stella  Sow.  della  zona  ad  Angulati  Essi  costituiscono 
perciò  una  specie  a  se,  cui  deve  serbarsi  come  più  antico  il  nome 
dato  dal  Meneghini.  Il  P.  Nardii  (non  Mgh.)  del  Reynés  (ifon. 
Aìnm.  1879  6.  6.  PI.  XXXIX,  fig.  12,  16)  non  presenta  quel  ca- 
rattere dell'angolo  acuto  ombelicale  ed  inoltre  è  fornito  di 
solchi,  per  cui  deve  trattarsi  d' una  forma  diversa  :  anche  i  lobi 
sono  un  poco  diversi  dai  nostri. 

Fhylloceras  (RhacophylUtes)  libertum  Gemmellaro. 

AmmonUes  mitnatensis  (D^Orb.)  Savi  e  Meneghini,  Gons.  geol.  Toschi 851, 
P.  400.  —  Meneghini,  Nuov.  foss.  1853.  —  von  Haner,  Ueb.  Am. 
aus  d.  Medolo  1861,  P.  406.  •-  ?Gocohi,  Sulla  Geologia  dell' Italia 
centrale,  1864,  P.  15.  —  Meneghini,  Deac.  geol.  Grosseto  1865, 
P.  392.  —  Zittel,  Geog.  Beob.  cent.  Ap.  1869,  P.  134. 

Philloceras  mitnatensis  Meneghini,  Mon.  du  cale,  rouge,  Foss.  du  Me- 
dolo 1867-81,  P.  26,  PI.  IV,  fig.  2.  —  Tarainelli,  Monografia  stra- 
tigrafica e  paleontologica  del  Lias  nelle  Provincie  venete.  Atti  del- 
l'Istituto veneto.  Appendice  al  T.  V,  s.  V.  1880,  P.  73,  Tav.  Ili, 
fig.  2.  —  Canavari,  Mont.  del  Suav.  1880,  P.  67.  —  Meneghini,  in 
Tiiccimei,  Sulla  struttura  e  i  terreni  che  compongono  la  Qatena  di 
Fara  in  Sabina,  Boll.  soc.  geol.  it.  1883,  P.  IO. 

Phijlloceras  libertum  Gemraellaro,  Foss.  str.  Ter.  Asp.  1884,  P.  4,  Tav.  II, 
fig.  1-5. 

BhacophyllUes  libertum  Seguenza,  Min.  prov.  Mess.  Parte  I^  1885,  P.  50, 
71.  —  Seguenza,  Int.  sist.  giur.  1885,  P.  5.  —  Geinmellaro,  Mon. 
foss.  Lias.  sup.  1885,  P.  2.  '  ^ 

Massicciano  (2),  Restì  (3),  Soraggio  a  Parecchìola  (1),  Sas- 
sorosso  (3)  (17  D.),  Roggio  (3),  Campiglia  (15),  Gerfalco,  (2,  rara), 
Cetona  (30).  Il  Cocchi  (Sulla  geol.  P.  15)  lo  indica  alla  Serra 
presso  Spezia. 

In  Italia  questa  specie  trovossi  nel  Lias  superiore  del  Mes- 
sinese, nel  Lias  medio  ai  Campi  dell'Acqua,  a  Fara  Sabina,  alla 
Marconessa,  a  Cagli  nell'  Apennino  centrale,  a  Cetona  in  To- 
cana,  presso  Galati,  nella  Montagnola  di  S.  Elia  e  nei  dintorni 
di  Giuliana  in  Sicilia,  probabilmente  nella  zona  ad  ArietUi  del 
Lias  inferiore  ad  Erto  nel  Veneto,  e  finalmente  a  quanto  pare 
nella  zona  ad  Angulati  dello  stesso  Lias  inferiore  a  Gerfalco 
in  Toscana. 


LUS   INFERIORE  57 

I  solchi  trasversali,  che  vanno  dall' ombelico  al  dorso,  sono 
ora  sigmoidali  ora  semplicemente  curvi  come  le  coste  :  sovente 
non  si  vedono  se  non  quando  manca  il  guscio:  ne  ho  contati 
4  0  5  neir  ultima  metà  del  giro  estemo. 

H  Gemmellaro  unisce  a  questa  specie  il  P.  mimatense  del 
Meneghini  del  Lias  superiore  di  Lombardia  Mon.  du  cale,  rotige. 
P.  81,  PI.  XVn,  fìg.  4;  ma  questa  forma,  stando  alla  figura,  è 
diversa  perchè  V  ultimo  giro  è  più  convesso  ed  il  margine  om- 
belicale è  rotondo. 

Phylloceras  (BhacophylUtes)  lunense  sp.  n. 

Tav.  m,  fig.  1,  2. 

Restì  (3),  Massicciano?  (1). 

Questa  forma  va  distinta  per  V  ultimo  giro  molto  alto ,  for- 
nito di  solchi  e  di  coste  rilevate  poco  appariscenti,  col  contomo 
ombelicale  assai  angoloso. 

.    Essa  e  le  due  antecedenti  sono  forme  eterotopiche  del  P.  mi- 
matense D' Orb. 

In  un  individuo  che  ho  figurato,  vedesi  in  parte  ben  conser- 
vata l'apertura;  essa  termina  superiormente  con  una  espansione 
a  guisa  di  tetto  ;  presso  la  parte  inferiore  è  una  aletta,  ad  ogni 
lato,  che  termina  con  una  ottusa  curva  e  si  unisce  obliquamente 
all'  ombelico  :  una  profonda  sinuosità,  separa  le  aletta  dall'  espan- 
sione superiore;  su  questa  espansione  seguitano  le  coste  trasver- 
sali: uno  dei  solchi  profondi  segna  il  confine  dell'aletta  dal 
resto  della  conchiglia. 

H  lobo  antisifonale  coi  due  enormi  lobi  laterali,  il  primo  lobo 
accessorio  e  gli  altri  caratteri  si  avvicinano  molto  a  quelli  del 
Phylloceras  mimatense  D'Orbigny. 

Phylloceras  (BhacophylUtes  ?)  Ooquandi  sp.  n. 

Tav.  n,    13,  14. 

Ammonites  Buvignieri  (non  D' Orb.)  Meneghini,  Nuov.  foss.  1853,  P.  10.  — 
Meneghini,  in  Rath,  D.  Berge  von  Camp.  1868,  n.  5.  —  Meneghini, 
in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  1877,  P.  38. 

Campiglia  (2  esemplari  malconci)  (1  D.),  Sassorosso  (1  D.). 
Conchiglia  molto  depressa,  ottusamente  carenata,  a  spira 


58  e.    DE  STEFANI 

quasi  abbracciante,  con  ombelico  mediocre,  ultimo  giro  debol- 
mente convesso  avente  quasi  alla  meta  la  massima  grossezza  ; 
dorso  declive  da  ciascim  lato,  appena  rotondato,  con  solco  pro- 
fondo nel  mezzo.  La  superficie  è  ornata  da  strettissime  costole 
filiformi  le  quali  s' intemano  profondamente  nel  guscio  e  sepa- 
rano intervalli  appena  concavi  larghi  circa  1  mill.  :  esse  vanno 
dall'  ombelico  al  dorso  e  quivi  rimangono  per  breve  tratto  in- 
terrotte da  un  largo  solco  mediano  alla  carena  :  poco  prima  di 
giungere  all'ombelico  si  riuniscono  poi  sempre  a  coppie.  Esse 
sono  oblique  o  leggermente  flessuose:  partendo  dall'ombelico 
fanno  una  leggerissima  curva  convessa  verso  l'interno  della 
spira  e  passata  la  metà  del  fianco  ne  fanno  un'  altra  leggera 
convessa  pur  verso  la  medesima  parte,  indi  si  dirigono  molto 
obliquamente  al  dorso;  attesa  questa  obliquità  su  ambedue  i 
fianchi  i  solchi  accennerebbero  a  riunirsi  lungo  il  sifone  quasi 
ad  angolo  retto.  Il  solco  sulla  metà  del  dorso  è  piuttosto  pro- 
fondo e  largo. 

I  lobi,  scoperti  artificialmente,  perciò  in  modo  meno  perfetto, 
sono  5  per  fianco  oltre  al  lobo  antisifonale.  Il  lobo  sifonale  è 
più  profondo  del  primo  lobo  laterale  ed  è  largo  quasi  quanto 
questo  cioè  non  molto;  ha  6  rami  da  ciascun  lato,  e  special- 
mente i  3  inferiori  fomiti  da  numerose  digitazioni.  H  primo 
lobo  laterale  è  piuttosto  stretto  con  4:  rami;  il  secondo  lobo 
laterale  è  di  metà  più  corto.  Della  sella  sifonale  si  vede  solo 
una  piccola  parte  suddivisa  in  molte  foglioline;  la  sella  estema, 
piuttosto  stretta,  poco  più  alta  della  sifonale,  termina  con  3 
foglioline  maggiori  di  cui  la  più  intema  è  la  più  alta  e  la  più 
larga;  prima  sella  laterale  più  bassa,  più  stretta,  bifida;  selle 
ausiliari  sempre  più  basse  e  più  semplici. 

Proporzione  dell'ultimo  giro  al  diametro  0,51;  ombelico  e 
grossezza  0,21. 

Un  Individuo  giunge  al  diametro  di  1  decimetro;  secondo 
il  Meneghini  ne  sono  anche  di  2  decm. 

La  specie  è  apparentemente  assai  vicina  all'  AmaUheus  Bu- 
vignieri  D'Orb.  cui  fu  attribuita  dal  Meneghini;  ma  a  giudi- 
care da  que'  miei  individui  l' ombelico  è  più  largo,  la  sezione 
dei  giri  più  regolarmente  convessa,  i  solchi  della  superficie  sono 
più  marcati  e  più  profondi  e  con  andamento  meno  flessuoso: 
le  proporzioni  delle  varie  parti  al  diametro  sono  diverse,  la  sella 


LIAS   INFERIORE  59 

esterna  è  superiormente  divisa  in  due,  i  rami  del  lobo  àntisifo- 
nale  sono  6  per  ciascun  lato  invece  di  5,  le  selle  ausiliari  sono 
più  strette:  v'è  insomma  differenza  non  solo  di  specie  ma  di 
genere. 

n  Canavari  che  aveva  visto  questa  specie  la  ritenne  una 
Schlotheimia;  von  Sutner  Tha  giudicata  un  Phylloceras,  proba- 
bilmente del  gruppo  Rìiacophyllites,  analogo  al  P.  atdonotum  e 
ad  altra  forma  di  Zlambach.  I  lobi,  quantunque  assai  mal  con- 
servati, non  contrarierebbero  questa  opinione. 

Oxynoticeras  perilambanon  sp.  n. 

Tav.  ir,  fig.  1-4. 

• 

Amìnonites  margaritatus  (non  Montf.)  Meneghini,  in  Savi  e  Meneghini,  Gons. 
geol.  Tose.  1851,  P.  382.  —  Meneghini,  Nuov.  foss.  1853,  P.  10.  — 
Meneghini,  Desc.  geol.  Grosseto  1865,  P.  392.  —  Meneghini,  in  Rath, 
Die  Berge  von  Camp.  1868,  P.  320,  n.  1.  —  Meneghini,  in  De  Ste- 
fani, Geol.  M.  Pis.  1877,  P.  37,  38. 

Ammonites  Guibali  (nonD'Orb.)  Reynés,  Mon  Aiuni.,   1879,  P.  6. 

Sassorosso  (5  D.)  Campiglia  (50). 

Il  Meneghini  lo  indicava  pure  a  Gerfalco  (Desc.  geol.  Gross.) 
e  lo  ravvisava  in  alcune  sezioni  d' una  tavola  di  marmo  giallo 
della  Montagnola  senese  (Cons.  geol.  Tose.  P.  382). 

Non  avendo  potuto  studiare  bene  gì'  individui  di  Sassorosso, 
tipo  di  questa  mia  specie  sono  quelli  di  Campiglia. 

Conchiglia  compressa,  acutamente  carenata  con  ultimo  giro 
amplissimo  comprendente  quasi  l'intera  conchiglia,  quindi  con 
r  ombelico  piccolissimo  ridotto  talora  ad  una  semplice  perfora- 
zione. Apertura  ellittico-lanceolata,  per  più  di  un  terzo  intac- 
cata dal  penultimo  giro.  Numerose  coste  sigmoidali  vanno  dal- 
l' ombelico  fino  al  dorso  fermandosi  all'  incontro  della  carena  e 
presso  questa  sono  molto  oblique  ;  sono  poco  rilevate,  e  più  de- 
presse verso  la  carena,  angolose  ma  molto  ottuse,  con  pendìo 
il  più  delle  volte  meno  ripido  dalla  parte  dell'  apertura  :  si  vanno 
facendo  più  rilevate  tra  la  metà  dell'ultimo  giro  e  1'  apertura, 
mentre  verso  l'interno  diventano  talora  quasi  filiformi;  sono 
separate  da  intervalli  ordinariamente  più  larghi  e  tanto  inag- 
giori  quanto  più  si  allontanano  dall'  apertura;  gì'  intervalli  sono 


60  e.    DE  STEFANI 

percorsi  da  sottilissime  e  fitte  strie  rilevate  visibili  anche  ad 
occhio  nudo,  aventi  il  medesimo  andamento  delle  coste:  non 
vi  e  però  traccia  di  scultura  longitudinale.  Qual^Aie  rara  volta 
dalla  meta  più  estema  dell'  ultimo  giro  verso  la  carena  partono 
delle  coste  intermedie.  Variano  secondo  gV  individui  la  grossezza 
ed  il  numero  delle  coste  :  nell'  ultimo  giro  presso  la  carena  ne 
ho  viste  da  80  a  56  ;  talora  sono  appena  marcate.  La  carena 
è  molto  rilevata  e  distinta  e  affatto  liscia  od  appena  segnata 
dalle  strie  sottilissime  che  ornano  tutta  la  superficie  :  negl'  in- 
dividui più  grandi  viene  qualche  volta  a  mancare. 

I  più  piccoli  individui  hanno  diametro  di  28'*;  altri  di  lìQ"^; 
ma  r  ombelico  vi  si  mantiene  quasi  ridotto  a  semplice  perfo- 
razione. 

Un  individuo  che  ha  V  ombelico  relativamente  un  poco  più 
ampio,  ha  le  seguenti  dimensioni:  Diametro  105"';  altezza  del- 
l'ultimo giro  55";  ombelico  10*^;  grossezza  VA'^. 

Un  frammento  di  grosso  individuo  presenta  un  guscio  spa- 
tico  ben  distinto  il  quale,  scoperto,  lascia  vedere  parte  dei  lobi, 
cosa  rarissima  negl'individui  di  Campiglia.  E  lobo  sifonale  che 
si  vede  solo  in  piccola  parte  e  mal  conservato  sembra  più  largo 
ed  è  più  corto  del  primo  lobo  laterale;  quest'ultimo,  molto 
lungo  e  stretto,  ha  due  rami  terminali  e  due  rami  laterali,  è 
riccamente  frastagliato;  il  secondo  lobo  laterale  solo  in  parte 
conservato  sembra  altrettanto  stretto  quanto  il  primo  e  sud- 
diviso in  modo  consimile,  ma  è  meno  profondo;  essendo  la  su- 
perficie profondamente  corrosa  si  vedono  insufficienti  tracce  dei 
lobi  ausiliari  e  delle  relative  selle.  La  sella  esterna  si  vede  solo 
nel  lato  intemo  e  termina  in  duo  o  probabilmente  tre  foglioline 
lobate  di  cui  la  più  interna  e  di  nuovo  divisa  in  tre;  la  sella 
laterale  e  più  alta,  divisa  in  due  grossi  rami,  di  cui  l'esterno 
lungo  e  frastagliato  da  foglioline  semphci,  l' interno  suddiviso 
in  quattro  foglioline  frastagliate  :  la  prima  sella  (ausiliare  sembra 
assai  più  bassa  di  quella  laterale,  ma  lo  è  quasi  quanto  l' estema. 

Questa  specie  si  distingue  dall'  Anmltheus  niargaritatus  Montf. 
cui  fii  riunita,  perchè  non  è  così  multiforme,  pella  carena  semplice 
non  nodulosa,  per  le  coste  più  numerose  e  più  oblique  verso 
la  carena,  peli' ombelico  costantemente  più  piccolo  e  pei  lobi; 
il  primo  lobo  laterale  è  troppo  più  stretto  e  la  sella  laterale 
è  più  alta  di  quella  estema. 


LUS   INFEKIOBE  61 

• 

Per  la  forma  somiglia  più  all'O.  Guibalianus  W  Orh.,  cui  fu 
riunita  dal  Reynés  ponendovi  come  sinonimo  VA.  margaritatus 
Meneghini  di  Campiglia,  ed  all'  0.  Lymemis  Wright:  dal  primo 
diversifica  perchè  in  generale  più  depressa,  coi  giri  più  invo- 
luti, essendo  l'ombelico  mancante  o  piccolissimo,  la  carena  quasi 
sempre  acutissima  e  ben  distinta,  le  coste  alquanto  più  sigmoidali 
e  più  oblique  presso  la  carena,  ordinariamente  meno  rilevate: 
i  lobi  e  le  selle  sono  più  stretti  e  suddivisi  maggiormente  con 
altra  disposizione. 

Le  specie  del  gruppo  délV  Oxynoticeras  Giitbalianus  sono  pro- 
prie del  Lias  inferiore  e  medio. 

La  mancanza  deìV AmaUhaetis  margaritatus  nella  parte  supe- 
riore del  nostro  Lias  inferiore  fa  ritenere  che  gì'  individui  citati 
con  quel  nome  dal  Canavari  nella  parte  più  antica  del  predetto 
Lias  alla  Spezia,  appartengano  invece  al  Lias  medio. 

Lytoceras  secernendum  sp.  n. 

Tiiv.  Ili,  fig.  3-6. 

Ammonites  fimbriatm  (non  Sow.)  Meneghini,  Nuav.  foss.  1853,  P.  10.  — 
Meneghini,  in  Rath,  Die  Berge  von  Camp.  1868,  n.  2.  —  Meneghini, 
in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  1877,  P.  38. 

Lytoceras  fimbriatum  (non  Sow.)  Meneghini,  Mon.  du  cil.  rouge  1867- 
81,  P.  101. 

Campiglia  (20)  (1  D.). 

Conchiglia  a  mediocre  accrescimento,  con  4  o  5  giri,  di  cui 
l'ultimo  assai  grande  è  molto  convesso  nel  dorso  ma  non  nei 
fianchi,  ed  i  rimanenti  sono  approfondati  come  in  un  largo 
ombelico:  la  superficie  è  ornata  di  numerose  e  sottili  coste 
trasversali,  continue  anche  sul  dorso,  uniformi  ed  uguali  fra 
loto,  seghettate  con  scanalature  verticali,  leggermente  flessuose 
con  la  convessità  poco  sotto  la  metà  dei  fianchi  verso  l'om- 
belico, e  talora  presso  questo  alquanto  sigmoidali:  per  lo  più 
verso  r  ombelico  si  appaiano  due  a  due.  In  alcuni  degl'  individui 
giovani  ogni  2  o  4  coste  ne  è  una  più  rilevata.  Negl'  individui 
giovani  sono  pur  sempre  8  o  9  lame  trasversali  taglienti  assai 
rilevate  che  abbracciano  tutto  il  giro,  mentre  negli  adulti  vanno 
a  scomparire  e  mancano  affatto.  Nel  nucleo  intemo  a  queste 


62  e.    DE  STEFIXI 

lame  rispondono  dei  solchi  e  di  questi  rimane  qnalche  traccia 
anche  n^l' individui  adulti. 

Diametro  da  45*  a  14:0*;  altezza  dell'ultimo  giro  in  rap- 
porto al  diametro  0,33  a  0,40;  grossezza  0,29  a  0,35;  ombe- 
lico 0,37  a  0,42.  L' altezza  e  la  sproporzione  dell'  ultimo  giro 
aumentano  coli'  età. 

Sopra  alcune  superfici  lustrate  vedonsi  dei  lobi  ;  non  però  il 
lobo  sifonale  e  la  sella  ausiliare  :  i  due  lobi  laterali  hanno  quasi 
uguale  profondità,  la  prima  sella  laterale  è  divisa  superiormente 
in  due  grandi  rami  di  quasi  uguale  altezza.  Neil'  insieme  i  lobi 
somigliano  a  quelli  del  L.  fimbriatum  Sow.  e  del  L.  VUlae  Mgh. 

La  nostra  specie  diversifica  dal  L.  fitnbriatum  Sow.  per  la 
maggiore  altezza  proporzionale  dell'ultimo  giro,  per  le  coste 
piii  numerose,  più  uniformi,  più  flessuose  ed  accoppiate  due  a 
due,  pelle  quali  somiglia  ma^ormente  al  L.  Villae  Mgh.  del 
Lias  superiore.    - 

Lytoceras  tuba  sp.  n. 

Tav.  I,    fìg.    17,  18. 

Massicciano  (1),  Sassorosso  (1  D.). 

Non  so  se  debba  unirsi  a  questa,  all'  antecedente  o  ad  altra 
specie  il  L.  fimbriatum  Sow.  indicato  dal  Meneghini  a  Sassorosso 
(Nuov.  Fo88.  P.  11),  e  quello  di  Gerfalco  (Descriz.  geol.  Grosseto 
P.  392). 

Conchigligi  ad  accrescimento  molto  veloce,  a  giri  assai  con- 
vessi, di  cui  r  estemo  presso  l' apertura  equivale  quasi  alla  metà 
del  diametro  ;  esso  è  quasi  rotondo  e  solo  leggermente  depresso  ' 
sui  fianchi:  la  superficie  è  ornata  di  coste  trasversali,  continue 
anche  sul  dorso,  molto  piccole,  separate  da  larghi  intervalli, 
diritte  o  leggermente  oblique  a  partire  dall'ombelico  ed  al- 
quanto convesse  verso  Y  apertura  nella  parte  più  prossima  al- 
l'ombelico  stesso.  Coste  maggiori  alternano  con  altre  minori; 
le  maggiori  partono  direttamente  dall'  ombelico  e  fra  ognuna 
di  esse  ne  sono  3  o  1  ma  per  lo  più  2  più  piccole  che  partono 
dalla  metà  dei  fianchi.  Nell'ultimo  giro  sono  traccio  palesi  di 
3  o  4  lamine  rilevate. 

Non  si  vedono  lobi,  ma  la  specie  è  del  gruppo  del  L.  firn- 
briatum  Sow.,  quantunque  certamente  distinta  dalle  altre,  anche 


LIAS   INFEEIORE  63 

dal   L.  secernendum,  per  la   grande  sproporzione  in  altezza   e 
grossezza  dell'ultimo  giro. 

Diametro  150"';  altezza  dell'  ultimo  giro  62'";  grossezza  52'"; 
ombelico  55"'. 

Fino  ad  ora  erano  sconosciute  nel  Lias  inferiore  forme  di 
Lytoceras  fimbriati  come  questa  e  l' antecedente  ;  però,  secondo 
von  Sutner  nelle  Alpi  non  furono  ancora  distinti  con  accura- 
tezza gli  orizzonti  nei  quali  trovansi  i  primi  grandi  fimbriati. 

Arietites  Oonybeari  (Sowerby). 

Tav.  IV,   flg.  12,  13. 

Ammonites  Oonybeari  (Sow.)  Meneghini,  in  Savi  e  Meneghini,  Cons.  geol. 
Tose.  1851,  P.  387,  301,?  397.  —  Meneghini,  Nuov.  foss.  1853,  P.  9, 
IO.  —  Meneghini,  Desc.  geol.  Grosseto  1865,  P.  392.  —  Meneghini, 
in  Rath,  Die  Berge  von  Camp.  1868,  n.  13.  —  De  Stefani,  Conside- 
razioni stratigrafiche  sopra  le  rocce  più  antiche  delle  Alpi  Apuane 
e  del  Monte  Pisano.  Bollettino  del  R.  Comitato  geologico  Voi.  V, 
P.69.-.  Meneghini,  in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  1877,  P.  37-38. 

Ammonites  tardecrescens  (non  Hauer),  Ammonites  spiratissimus?  (non 
Quenst.)  Meneghini,  in  Rath,  Die  Berge  von  Camp.  1868,  n.  14, 
15.  —  Meneghini,  in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  1877,  P.  38. 

Arietites  Oonybeari  (Sow  )  Tararaelli,  Mon.  strat.  del  Lias  1880,  P.  78, 
Tav.  8,  fig.  1,2.—  Canavari,  Beit.  z.  Fauna  unt.  Lias  1882,  P.  178/ 
Taf.  VI,  fig.  6.  —  Parona,  Sopra  alcuni  fossili  del  Lias  inferiore  di 
Carenno,  Nese  e  Adrara  nelle  prealpi  bergamasche.  (Atti  Soc.  it.  se. 
nat.  Voi.  XXVII,  1885,  P.  360.  —  Sacco,  Studio  geo-paleontolo- 
gico sul  Lias  delUalta  valle  della  Stura  di  Cuneo.  Boll.  d.  R.  Com. 
geol,  S.  II,  Voi.  VII,  1886,  P.  15,  22,  25. 

Massicciano  (54),  Sassorosso,  (14)  (22  D),  Roggio  (4),  Sassi- 
grossi  nel  Pisano  (1),  Monsummano  (2),  Campiglia,  (126)  (2  D). 

n  Meneghini  {Nuov.  Foss.  P.  9)  lo  cita  anche  a  Gerfalco,  a 
Caldana  di  Ravi  {Con.  geol.  P.  391).  Ho  veduto  questa  specie 
nelle  collezioni  per  lo  più  coi  nomi  di  Ammonites  Bucklandi?, 
Bonnardi,  liasicus  e  specialmente  .di  bisulcatus  e  probabilmente 
le  si  riferiscono  varii  degli  esemplari  così  indicati  dal  Mene- 
ghini {Cons.  geol.  Tose.  P.  396,  397,  Nuov.  Foss.  P.  7,9,  11). 

In  Italia  si  trova  nel  Lias  inferiore,  zona  ad  Arietiti^  di 
Erto  nel  Veneto,  e  del  colle  di  Pouriac  in  Piemonte,  e  nella 


64  e.    DE  STEFANI 

zona  ad  Angidati  di  Parodi  presso  Spezia  e  di  Carenno  in  Val 
d'Erve  nel  Bergamasco. 

Considero  come  tipiche  di  questa  specie  le  forme  di  Sower- 
by,  D'Orbigny  e  Wright,  avendo  qualche  dubbio  per  quelle 
del  von  Hauer  e  del  Chapuis  giacché  non  vi  è  intera  corri- 
spondenza nel  carattere  dei  lobi  e  potrebbe  esservi  qualche 
differenza  morfologica  maggiore  di  quello  che  la  forma  esteriore 
non  dimostri. 

Vi  è  grande  variabilità  nel  numero  dei  giri  e  nel  numero 
delle  coste  per  ogni  giro;  i  giri  sono  4  nei  più  giovani,  sino 
a  7  negli  adulti,  la  qual  cosa  non  deve  fare  specie  quando  si 
ponga  mente  al  gran  numero  dei  giri  ed  al  lento  accrescimento 
dell'  individuo  figurato  dal  Wright.  Le  coste  coli'  età  vanno  di- 
ventando più  fitte;  con  un  diametro  di  40'"  ne  sono  32-40  nel- 
l'ultimo giro,  con  un  diametro  di  60'"  ne  sono  40  a  60,  con 
un  diametro  di  80'"  ne  sono  50-70.  Cotali  coste  quando  giun- 
gono al  dorso  si  deprimono  e  si  curvano  leggermente  verso  la 
parte  anteriore  fino  a  raggiungere  la  carena  laterale.  Negl'in- 
dividui meno  adulti,  fra  una  carena  e  1'  altra  si  vedono  delle 
sottili  linee  rilevate.  Le  tre  carene  coi  2  profondi  solchi  laterali 
alla  carena  mediana  sono  sempre  ben  marcate  come  nel  tipo. 

Solo  in  un  caso  lustrando  dei  giri  intemi  ho  veduto  tracce 
di  lobi  che  potrebbero  corrispondere  al  tipo,  sebbene  i  minuti 
frastagliamenti  non  si  palesino:  il  secondo  lobo  laterale  è 
meno  profondo  del  primo,  le  3  selle  decrescono  regolarmente 
in  larghezza  e  altezza.  La  camera  di  abitazione  occupa  quasi 
tutto  r  ultimo  giro. 

Arietites  Conybearoides  (Reynés). 

Tav.  IV,  fig.  19,  20. 

Massicciano  (3). 

Il  Reynés  ha  figurato  e  brevemente  descritto  questa  specie 
{Mon.  Amm.  P.  4,  PI.  XV,  fig.  26,  31)  come  diversa  dall'-A.  Co- 
nyheari  ^  par  tours  bien  plus  étroits  et  une  taille  infiniment 
plus  petite k  peine  8  centimétres  ». 

Essa  ha  5  o  6  giri  poco  convessi  nei  lati  e  più  sul  dorso, 
con  33  a  38  coste  ben  distinte  ma  non  molto  rilevate,  quasi 
diritte,  ed  appena  curve  poco  prima  di  giungere  al  dorso,  separate 


LIAS    INFERIORE  65 

da  intervalli  spaziosi  e  leggermente  convessi,  talora  striati  da  sot- 
tilissime linee  radianti.  La  carena  è  acuta  ma  poco  rilevata  ed 
accompagnata  ai  due  lati  da  solchi  non  larghi  né  molto  profondi. 

n  migliore  esemplare  ha  di  diametro  85'"  ;  altezza  dell'  ultimo 
giro  12";  ombelico  53'";  grossezza  10'". 

È  diverso  étlVA.  Conybeari  Sow.  pei  giri  più  stretti  e  più 
lentamente  crescenti  ;  le  coste  più  diritte,  separate  da  intervalli 
più  larghi,  meno  numerose:  la  carena  meno  marcata,  coi  solchi 
laterali  meno  profondi. 

I  lobi  figurati  dal  Reynés,  giacché  nei  nostri  individui  non 
si  vedono,  sono  molto  vicini  a  quelli  dell' J..  Conybeari,  ma  sono 
tutti  più  larghi,  la  sella  laterale  è  più  alta,  l'ausiliare  è  più 
larga  e  più  alta. 

Arietites  spiratissimus  (Quenstedt). 

Tav.  IV,   fig.  17,  18. 

Ammonites  spiratissimus  (Quenst.)  Meneghini,  in  De  Stefani,  Qeol.  M. 
Pis.  1877,  P.  38.  —  Gastaldi,  Sui  rilevamenti  geologici  fatti  nelle 
Alpi  Piemontesi  durante  la  campagna  del  1877.  Atti  della  R.  Ac- 
cademia dei  Lincei  S.  8.*  Voi.  2.»  1878,  P.  6. 

Arietites  spiratissimus  (Quenst)  Canavari,  Beit,  z.  Fauna  unt.  Lias,  1882 
P.  177,  Taf.  VI,  fig.  2. 

• 

Massicciano  (63  raccolti  dal  Cocchi  il  27  Settembre  1864), 
Restì  (5),  Sassorosso  (18  D.),  Cetona  (5). 

In  Italia  essa  fii  raccolta  nei  calcari  del  Vallone  di  Colom- 
bart  in  Piemonte,  nella  zona  ad  Aìigiilati  del  Lias  inferiore  di 
Campiglia  presso  Spezia. 

Somiglia  al  tipo  stesso  del  Quenstedt,  ed  alla  forma  del 
Canavari  che  mi  pare  non  distinguibile  dal  tipo,  più  che  all'  in- 
dividuo figurato  dal  von  Hauer. 

Conchiglia  compressa,  un  poco  infundibuliforme,  a  6  o  6 
giri  assai  lentamente  crescenti;  ultimo  giro  quasi  uniformemente 
convesso  da  ogni  parte,  con  dorso  ampiamente  curvo,  coi  fianchi 
solo  un  poco  ripianati.  Tutti  i  giri  sono  ornati  da  coste  ottuse, 
di  cui  4i  a  50  sono  nelV  ultimo  ;  esse  sono  separate  da  inter- 
valli assai  più  larghi,  diritte,  o  leggermente  e  quasi  regolar- 
mente curve  con  la  concavità  rivolta  all'  apertura:  nell'  ultimo 
giro  vanno  a  svanire  sul  dorso  che  :è  diviso  nel  mezzo  da  .un?» 

Se,  Nat.  Voi.  Vm,  fase,  l.»  6 


66  e.    DE  STEFANI 

carena  bassa  e  ottusa^  a  tetto,  piuttosto  stretta,  accompagnata 
a  ciascun  lato  da  una  piccola  concavità  sulla  quale  vanno  a 
perdersi  le  coste.  Lobi  non  se  ne  vedono. 

Diametro  18*^  a  46'*;  rapporto  dell'ultimo  giro  al  diametro 
0,14  a  0,22;  ombelico  0,56  a  0,63;  grossezza  0,14  a  0,17. 

Arietites  bisulcatus  (Bruguière). 

Ammonites  bisulcatus  (Brug.)  Meneghini,  in  Savi  e  Meneghini,  Cons.  geol. 

Tose.  1851,  P.  348,  396?  —  Meneghini,  Nuov.  Foss.  18{i3,  P.  9.  — 

Von   Hauer,  Deb.  Ceph.  aus  d.  Lias  1856,  P.  14.    —    De  Stefani, 

Geol.  M.  Pi8.  1877,  P.  37,  38. 
Ammonites  bisulcatus?  Meneghini,  in  Rath,  Die  Berge  von  Camp.  1868, 

u.  17. 
Arietites  bisulcatus   (Brug.)   Cauavari,   Beit.  z.  Fauna    unt.  Lias    1882, 

p.  iHO.  —  Parona,  S.  ale.  foss.  d.  Lias  1885,  P.  360. 

Massicciano  (1),  Campiglia  (9),  Sassorosso  (5  D.). 

Il  Meneghini  lo  ha  indicato  ne'  primi  suoi  lavori  nel  calcare 
rosso  di  Parodi  presso  Spezia,  a  Sassorosso  (Cons.  geol.  P.  348, 396) 
ed  in  parecchi  altri  luoghi,  ma  si  deve  intendere  per  lo  più  VA. 
Conybeari  od  altra  specie,  tanto  più  che  V  indicazione  non  fu 
ripetuta  in  lavori  recenti,  e  che  V  A.  bisulcatus,  per  quanto  so 
io,  è  molto  raro. 

Esso  trovasi  nel  Lias  inferiore  ad  Attguhti  a  Parodi  e  Co- 
regna  presso  Spezia  ed  a  Carenno  in  Lombardia. 

Quantunque  i  miei  esemplari  per  lo  più  non  siano  ben  con- 
servati, non  li  trovo  diversi,  pella  proporzione  dei  giri,  polla 
forma  della  carena,  pel  numero  e  peli'  andamento  delle  coste 
dalla  forma  figurata  dal  Wright  (The  Lia^  Am.  Tav.  3,  fig.  1). 
Alcuni  hanno  il  diametro  di  HO'*'.  VA.  multicostatm  Sowerby, 
come  è  noto,  è  sinonimo  di  questa  specie;  non  lo* sono  però  r-4. 
muUicostatus  (non  Sow.)  von  Hauer,  Chapuis,  Canavari,  né  VA. 
muUicostatua  (non  Sow.)  Rejmés. 

Arietites  oeratitoides  (Quenstedt). 

Tav.  IV,   fig.  6,  7. 
et  var.  densicosta  Quenstedt  Tav.  IV,  fig.  8,  9. 

Ammonites  ceras  (Gieb.)  Meneghini,  Desc.  geol.  Grosseto,  1865.  P.  392.  — 


LIAS  INFERIORE  67 

Meneghini,  in  Rath,  Die  Berge  von  Camp.  1868,  n.  18.  —    Mene- 
ghini, in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pia.  1877,  P.  38. 
Arietites  ceras  Sacco,  Stud.  geo-pai.  1886,  P.  16,  22,  25. 

Massicciano  (4),  Sassorosso  (1  raccolto  dal  Cocchi  il  6  giu- 
gno 1863),  Monsummano  (1,  raccolto  dal  Cocchi  il  marzo  1863), 
Canapiglia  (1),  Gerfalco  (65),  Cetona(135). 

Nelle  collezioni  V  ho  visto  per  lo  più  col  nome  di  A.  bisul- 
catus  e  credo  che  con  tal  nome  siano  stati  da  primo  indicati 
gV  individui  di  Gerfalco  dal  Meneghini  (  Cons.  geol.  P.  387,  e 
Nuov.  Foss.  P.  9).  • 

Alcuni  individui  rispondono  benissimo  nella  forma  estema 
ad  un  individuo  tipico  di  Adneth,  della  collezione  Pecchioli;  i 
più  sono  identici  alla  var.  densicosta,  altri  al  tipo  (Quenstedt. 
Die  Ammoniten  des  schwàbischen  Jura  P.  99,  Tab.  13,  fig.  7) 
ed  hanno  per  lo  più  dimensioni  minori  (Diam.  70"'),  minor  nu- 
mero di  coste,  per  lo  più  da  40  a  50,  che  perciò  sono  più  rade  : 
Forse  alcuno  di  questi  individui  a  coste  più  rade  fii  riunito  dal 
Meneghini  all'  A,  geometricus  Oppel,  cioè  A,  seììiicostatus  Toung 
et  Bird,  (De  Stefani,  GeoL  M.  Pis.  P.  38),  che  è  specie  secondo 
molti  sinonima,  se  non  che  i  solchi  laterali  alla  carena  del  dorso 
sono  in  quello  sempre  meno  profondi  che  nel  nostro.  In  alcuni 
si  vedono  i  lobi  col  loro  tipo  particolare  e  distinto,  la  sella 
laterale  più  stretta  e  più  alta  della  sella  estema,  le  foglioline 
■semplicissime,  etc. 

Negli  ixidividui  di  Gerfalco,  esposti  lungamente  alle  intem- 
perie e  sempre  assai  corrosi,  mai  si  vedono  lobi;  hanno  sempre 
piccole  dimensioni  (35"'  a  50"*);  ma  uno  giunge  a  90"^. 

Il  Reynés  unisce  VA.  ceras  all' J..  geometricus  Phillips  {Mon. 
Amm.  P.  6,  PI.  XIV,  fig.  1,  12)  che  però  secondo  il  Wright 
{The  Lias  ammonites  P.  286)  è  una  varietà  délV  Amalthetis  spi- 
natiis:  ma  certamente  il  Reynés  voleva  riferirsi  all'-4.  geome- 
tricus Opp. 

Arietites  stellaris  (Sowerby). 

Tav.  IV,   fig.  1-5. 

Ammonites  stellaris  (Sow.)  Meneghini,  in  Savi  e  Meneghini,  Cons.  geol. 
Tose.  1851,  P.  396.  —  Meneghini,  Nuov.  foss.  1853,  P.  9.  —  Me- 
neghini, in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  P.  38. 


68  e.    DE  STEFANI 

ArietUes  stellaris  (Sow.)  Tarameli!,  Mon.  strat.    del    Lias  1880,  P.  79, 
Tav.  Vili,  fig.  3,  4. 

Sassorosso  (3) ,  Cetona  (4) . 

H  Meneghini  lo  indicò  pure  nei  Monti  oltre  Serchio  e  a 
Gerfelco:  e  dal  Taramelli  è  indicato  ad  Erto  dove  si  troverìi 
nella  zona  ad  Arieti  del  Lias  inferiore. 

Negl'individui  che  ho  visto  la  prominenza  della  carena  e 
la  superficialità  dei  due  solchi  laterali  mi  avrebbero  tentato  a 
distinguere  questa  forma  dal  tipo;  ma  in  un  individuo  si  ve- 
dono il  primo  lobo  laterale,  la  sella  estema  e  la  sella  laterale 
identiche  al  tipo.  Tutta  la  superficie  è  talora  ornata  da  sotti- 
lissime strie  radiali,  come  nella  fig.  3,  Tav.  XXII  del  Wright 
{Lias  Amm.  P.  295),  le  quali  traversano  là  regione  sifonale  e 
la  carena,  rendendola  leggermente  nodulosa  come  se  si  trat- 
tasse di  un  Aìnalthetis;  non  ho  osservato  però  le  linee  spirali 
quali  furono  notate  altrove. 


Arietites  obtiisiis  (Sowerby). 

Tav.  IV,  ^g.  10,  11. 

Ammanites  obtusus  (Sow.)  Meneghini,  in  Savi  e  Meneghini,  ConB.  geol. 
Tose.  1851,  P.  396.  —  Meneghini,  in  De  Stefani.  Geol.  M.  Pis.  1877, 
P.  38. 

Arietites  obtusus  (Sow.)  Taramelli,  Mon  strat.  del  Lias  1880,  P.  79, 
Tav.  Vili,  fig.  5  e  6.  —  Seguenza,  Il  Lias  inferiore  nella  provincia 
di  Messina.  Rend.  della  R.  Àcc.  delle  se.  fis.  e  mat.  di  Napoli,  fa- 
se 9.0,  1882,  P.  6. 

Massicciano?  (1),  Restì  (4):  Sassorosso  (2)  (3D),  Campiglìa 
(1  compresso  e  sformato). 

Lo  ho  veduto  spesso  nelle  collezioni  col  nome  di  Ammanites 
stellaris. 

È  indicato  nella  zona  ad  Arieti  del  Lias  inferiore  di  Erto 
nel  Veneto  e  di  Punte  Mole  nel  Messinese. 

■ 

H  numero  delle  coste  varia  da  17  a  22.  I  lobi,  talora  ben 
conservati,  rispondono  interamente  al  tipo. 


LIAS    INFEBIOIUB  69 

Arìetites  pseudoharpoceraa  sp.  n. 

Tav-  IV,  fig.    14-16. 

Massicciano  (1). 

Conchiglia  depressa,  con  ultimo  giro  piuttosto  ampio;  sul 
mezzo  della  regione  dorsale  scorre  una  ottusa  carena  convessa, 
accompagnata  ai  due  lati  da  tenue  concavità,  oltre  la  quale 
principiano  i  fianchi;  questi  sono  assai  debolmente  convessi  e 
con  improvvisa  curva,  quasi  ad  angolo  retto,  scendono  alF  om- 
belico. Essi  sono  ornati  da  coste  (circa  30  nell'  ultimo  giro)  che 
vanno  dall'ombelico  al  principiare  del  dorso,  semplici,  ottuse 
e  depresse,  separate  da  intervalli  leggermente  concavi  più  larghi 
delle  medesime,  alquanto  oblique  e  leggermente  sigmoidali:  a 
mezzo  del  fianco  hanno  la  convessità  rivolta  all'apertura,  e 
verso  questa  parte  hanno  una  concavità  assai  minore  presso 
r  ombelico. 

Diametro  43*^;  altezza  dell'ultimo  giro  18";  ombelico  IdT; 
grossezza  8"*. 

I  lobi  sono  3  per  lato.  Lobo  sifonale  quasi  altrettanto  lungo 
che  largo,  più  lungo  d'un  terzo  e  più  largo  assai  del  lobo  la- 
terale,  con  due  rami  frastagliati;  primo  lobo  laterale  allun- 
gato ,  più  lungo  che  largo,  inferiormente  bifido,  ornato  a  ciascun 
lato  da  4  foglioline;  secondo  lobo  laterale  altrettanto  lungo 
quanto  il  primo,  inferiormente  bifido,  col  lato  intemo  quasi  di 
metà  più  lungo  dell'altro;  lobo  ausiliare  quasi  uguale  al  secondo 
lobo  laterale.  Sella  sifonale  sconosciuta;  sella  estema  molto 
larga,  irregolarmente  frastagliata;  sella  laterale  più  alta  della 
sella  estema,  ovale,  allungata,  frastagliata  con  semplicità;  prima 
sella  ausiliare  conica  e  di  metà  più  bassa  di  quella  laterale. 

Per  le  coste  somiglia  ad  un  Harpoceras  p.  es.  all'  H.  boscensis 
Reynès,  pella  forma  del  dorso  ha  grande  analogia  cóìTArietUes 
obtusus  Sow. ,  cui  somiglia  pure  pei  lobi  ;  però  i  lobi  laterale  e 
ausiliare  sono  molto  più  stretti  e  profondi  e  sono  inferiormente 
bifidi,  la  sella  laterale  e  la  prima  ausiliare  sono  più  allungate  e 
inoltre  la  sella  laterale  è  assai  più  stretta;  le  foglioline  delle  selle 
sono  più  regolari.  Dall' J^.  stellaris  Sow.  diversifica  per  fianchi  più 
depressi,  coste  fiessuose,  più  numerose,  meno  marcate,  lobi  più 
stretti,  piuttosto  triangolari  che  oblunghi,  selle  meno  frasta- 
gliate, sella  estema  più  larga. 


70  e.    DE  STEFANI 

Aegoceras  Pecchiolii  (Meneghini). 

Tav.  Il,  fig.  8-10.     -^ 

AmmonUes  Pecchiolii  Meneghini,  Deec.  geol.  Grosseto,  1865,  P.  392  in 
nota.  —  De  Stefani,  Cons.  strat.  Alpi  Apuane  e  Monte  Pisano.  P.  69. 
—  Meneghini,  in  De  Stefani,  Geol.  M.  Pis.  1877,  P.  38. 

Aìnmanites  Serapis  Reynès,  Mon.  Amm.  1879,  P.  5,  PI.  XXXIV,  fig.  23, 24. 

Massicciano  (1),  Pie  di  Latra  presso  Corfino  (1  D.),  Sasso- 
rosso  (1  D.),  Gerfialco  (1),  Campiglia(]).  Nel  Museo  di  Pisa  ne 
sono  pure  individui  de'  Sassigrossi  nel  Comune  di  Vecchiano. 

Conchiglia  discoidale,  compressa,  con  almeno  5  giri  convessi 
lentamente  crescenti,  con  ombelico  un  poco  infundibuliforme  ; 
r  ultimo  giro  è  convesso  da  ogni  lato  ma  un  poco  più  depresso 
sul  dorso  ed  a  sezione  ovale.  La  superficie  è  ornata  da  coste 
trasversali  che  principiano  sull'  ombelico,  ottuse,  diritte,  con- 
tinue, sempre  più  ravvicinate  verso  V  intemo  e  presso  1'  aper- 
tura separate  da  intervalli  più  larghi  di  esse  :  nell'  ultimo  mezzo 
giro  se  ne  contano  25.  Per  solito  ad  ogni  ^3  o  ^5  di  giro  si 
esservano  3  o  4  coste  più  o  meno  separate  da  intervalli  mag- 
giori ed  alquanto  più  rilevate. 

Diametro  135*^;  Altezza  dell'  ultimo  giro  17";  Grossezza  IT^  ; 
Larghezza  dell'  ombelico  43*^. 

I  lobi  sono  4  per  lato;  lobo  si  fonale  sconosciuto  di  cui  si 
vede  solo  un  ramo  inferiore:  primo  lobo  laterale  irregolare, 
che  pare  assai  più  profondo  del  sifonale,  inferiormente  in  ap- 
parenza bifido  a  cagione  del  piccolo  sviluppo  del  ramo  intemo 
coi  due  rami  inferiori  pur  essi  alla  loro  volta  bifidi;  esso  è 
diviso  in  3  foglioline  nel  lato  intemo.  Secondo  lobo  laterale  e 
lobo  ausiliare  molto  stretti,  piccoli  e  assai  obliqui.  Della  sella 
estema  si  vede  solo  una  grossa  foglia  inferiore;  prima  sella 
laterale  divisa  superiormente  in  due  foglioline  di  cui  l' intema 
e  più  grande.  Una  linea  che  parta  dall'  estremità  del  lobo  dor- 
sale taglia  r  estremità  inferiore  del  primo  lobo  laterale,  passa 
sotto  il  secondo  lobo  laterale  e  taglia  il  lobo  ausiliare. 

Mentre  pella  forma  estema  somiglierebbe  a  certi  Angulati 
del  Lias  inferiore  più  antico,  all'^.  Listeri  Sow.,  all'^.  Jamesoni 
Sow.,  od  anche  al  Coeloceras  crassum  Phil.,  ed  al  C.pettos  Quenst., 
pure  pei  lobi  appartiene  ad  un  tipo  interamente  diverso  cioè 


UAS   INFERIORE  71 

b]V  Aegoceras  BécheiSow.j  all' -4.  muticus  D'  Orb.,  e  specialmente 
air  A.  Heberti  Opp. 

n  Reynés  figura  e  descrive  brevemente  V  Ammonites  Serapis 
di  Campiglia  dicendo  che  si  avvicina  all'  A.  Ragazzonii  H.  *  dont 
elle  se  distingue  par  des  flancs  plus  comprimés  ».  Io  l' ho  riu- 
nito all'  A.  Pecchioni  sebbene  nella  figura  sia  poco  palese  il  no- 
tevole carattere  degl'  intervalli  fra  le»  coste  alternativamente 
più  lai^hi  e  piti  stretti. 

Aegoceras  (Microderoceras)  Birchii  (Sowerby). 

Tav.  II,  fig.  5-7. 
• 
Amtnonites  brevi»pina  (D*Orb.DouSow.)Meueghim,  Nuov.Poss.  1853,  P.  10. 
Ammonites  Heberti  (Op.)  Meneghini,  in  Rath,  Die  Berge  von  Camp.  1868. 

n.  3.  —  Meneghini,  in  De  Stefani,  Qeol.  M.  Pis.  1877,  P.  38. 
Aegoceras  (Microderoceras)  Birchii  Sacco,  Stud,  geo-pai,  1886,  P.  16,22,  26. 

Massicciano  (2),  Restì  (1),  Parecchiola  presso  Soraggio  (1  e- 
semplare  raccolto  dal  Cocchi  il  12  settembre  1866)  (1  D.),  Sas- 
sorosso  (5)  (8  D.) ,  Campiglia  (25) . 

Fu  trovato  pure  al  colle  di  Pouriac. 

Non  ho  citato  nella  sinonimia  V  Aegoceras  Birchii  Taramelli 
(Man.  strat.  del  Lias  P.  75,  Tav.  VI,  fig.  1)  perchè  non  sono  si- 
curo della  corrispondenza. 

Ritengo  che  a  questa  specie  si  debbano  attribuire  almeno 
per  la  massima  parte  gli  esemplari  di  Sassorosso  e  Campiglia 
indicati  coi  nomi  di  Ammonites  subartnatus,  mutictis,  hybriduSf 
(Savi  e  Meneghini,  Cons.  geoL  1851,  P.  399.-  De  Stefani  Greol. 
M.  Pis.  P.  38),  Davoei?  Meneghini,  Nuov.  foss.  P.  10),  armaius 
(Meneghini,  Cons.  geol.  P.  399,  Ntuyo.  foss.  P.  10,  in  Rath  Die 
Berge  von  Camp.  n.  4,  De  Stefani  Geol.  M.  Pis.  P.  38) ,  e  la  spe- 
cie indicata  come  vicina  all'^.  Birchii  Sow.,  di  Gterfalco,  dal 
Meneghini  (Desc.  geol.  Grosseto  P.  392).  In  Italia  è  stata  tro- 
vata pure  ad  Erto  nel  Veneto. 

Fuori  d' Italia  il  tipo  della  specie  è  proprio  della  zona  ad  Arie- 
tites  oUtcsus  a  Lyme  Regis  e  trovasi  pure  in  Francia  e  in  Germania. 

Questa  forma  non  è  certo  1'^.  brevispina  Sow.  rappresentato, 
come  nota  il  Wright  (Monograph  on  the  Lias  Ammonites  of  the 
British  Islands.  Palaeontographica  1878.  P.  361)  dalla  figura  1, 
Tav.  556  del  Sowerby  (Minerai  Conchology  Voi.  VI,  P.  106)  in- 


72  e.    DE  STEFANI 

vece  che  dalla  fìg.  2,  che  rappresenta  YA.Iatecosta  Sow.,  e  cui 
solo  per  iscambio  è  neir  opera  del  Sowerby  riferito  Y  A.  bre- 
vispina.  Questa  specie  è  diversa  dalla  nostra  perchè  ha  i  tu- 
bercoli meno  marcati,  i  giri  molto  più  depressi,  le  coste  mag- 
giori ben  rilevate,  piuttosto  uniformi,  continue  e  manifeste 
sulla  regione  sifonale.  I  nostri  individui  nella  forma  si  possono 
dire  identici  a  quelli  tipici  dell'^.  Birchii  figurati  di  nuovo  dal 
Wright  (Loc.  cit.  P.  332,  Tav.  XXIH;  Tav.  XXXH,  fig.  5-8), 
assai  più  che  a  quello  di  grandi  dimensioni  figurato  dal  Reyn^ 
{Mon.  Atnm.  Voi.  XXXVHI,  fig.  9)  perchè  dessi,  a  parità  di  gran- 
dezza, hanno  le  coste  assai  più  piccole.  Hanno  pure  analogia  con 
r^.  Birchii  delle  fig.  6  e  7  del  Reynés,  con  quello  del  D'Or- 
bigny  (Paleontologie  frangaise,  Terraifis  jurassiques,  1842;  PI.  86), 
e  con  VA.  brevispUia  var.  (non  Sow.)  Hauer  (Ueher  die  Cepìia- 
lopoden  atcs  dem  Lias  der  Nordostlichen  Alpen,  Wien  1856,  Taf.  17, 
fig.  10)  che  già  il  Meneghini  aveva  riferito  air^.  Ileherti  Opp. 
e  che  il  Réynes  (Loc.  cit.  P.  6)  con  quest'  ultima  forma  riunì 
air  A.  Birchii;  però  nei  nostri  individui  le  coste  maggiori  sulla 
regione  sifonale  sono  del  tutto  o  quasi  mancanti.  Son  pure  molto 
grandi  le  somiglianze  con  V  A.  brevispifui  D' Orb.  (Loc.  cit.  PI.  79) 
già  ravvicinato  dal  Meneghini  e  da  altri  all'^.  Heberti  Opp.,  e 
certo  pella  forma,  se  non  pei  lobi  che  sembrano  notevolmente 
diversi,  attribuibile  all'  A.  Birchii j  invece  che  all'  A.  brevispina 
Sow.,  come  inesattamente  fa  il  Wright. 

Le  due  serie  di  tubercoli  si  conservano  talora  in  individui" 
del  diametro  di  185*^  e  tracce  ne  sono  perfino  in  quelli  di  300'^: 
in  questi  però  restano  solo  le  coste  grosse  fomite  dei  tubercoli 
mentre  vanno  ùiano  mano  scomparendo  le  sottili  coste  inter- 
medie come  nella  var.  gigas  Quenstedt  (  Aìnm.  d.  schtc.  Jura 
Tab.  18,  fig.  13).  Non  si  verifica  però  mai  quello  che  il  D'Orbigny 
dice  del  suo  A.  brevispina y  che  cioè  la  superficie  diventi  affatto 
liscia,  e  solo  fornita  di  coste  sottili,  senza  quelle  più  grosse. 

Negl'individui  giovani  le  coste  sono  circa  26;  negli  adulti 
esse  vanno  diventando  più  numerose  e  più  fitte.  Meritano  con- 
siderazione alcuni  grossi  individui  che  avrei  creduto  dovessero 
costituire  una  forma  a  se,  qualora  non  avessi  veduto  i  passaggi, 
esaminato  i  lobi  ed  il  Quenstedt  stesso  non  li  avesse  designati 
come  semplice  varietà  enodis  (Loc.  cit.  fig.  9):  li  descriverò. 

Conchiglia  depressa  con  5  o  6  giri  lentamente  crescenti,  poco 
più  alti  che  larghi;  dorso  convesso;  fianchi  J)iutto8to  depressi; 


Uh»     INFERIORE  73 

coste  numerose  trasversali,  alternativamente  maggiori  e  mi- 
nori, senza  tubercoli  e  spine,  che  partono  dall'  ombelico.  Le  coste 
maggiori  che  sono  fino  a  41  e  46  si  fermano  al  principiare  del 
dorso,  sono  rilevate,  ottuse,  separate  da  intervalli  più  larghi 
ottusamente  concavi  ;  gì'  intervalli  si  vanno  facendo  più  larghi 
e  le  coste  più  grossolane  verso  l' apertura.  Delle  costicine  mi- 
nori, ottuse,  rilevate,  quasi  uguali  agi'  intervalli,  ornano  ancora 
la  superficie,  per  modo .  che  una  risponde  al  vertice  delle  coste 
maggiori  e  due  agli  spazii  intermedii  fra  queste:  esse  conti- 
nuano sul  dorso.  In  rapporto  al  diametro  l' altezza  dell'  ultimo 
giro  è  0,28,  la  grossezza  0, 17.  Un  individuo  giunge  al  diametro 
di  31  centim.  Solo  in  un  individuo  giovane  di  Sassorosso  del 
diametro^  di  42'"  si  vedono  naturalmente  i  lobi,  i  quali,  salvo 
la  maggior  semplicità  derivante  dall'età,  rispondono  a  quelli 
figurati  dall'  Hauer  pell'^.  brevispina  Sow.  var.  Negli  esemplari 
di  Campiglia  i  lobi  si  scojfrono  solo  artificialmente;. ne  ho  os- 
servati in  4  o  5  individui:  combinando  gli  uni  cogli  altri  si  vede 
che  potrebbero  rispondere  tutti  all'^.  brevispina  D' Orb.  non  Sow., 
piuttosto  che  a  quelli  dell' ^.  Birchii  ^erQ\i(d  sono  più  larghi  e 
meno  frastagliati;  ad  ogni  modo  escludono  con  certezza  1'^.  ar- 
matus  e  le  specie  affini. 

Harpoceras  (Ctjdoceras)  Maugenesti  (D'Orbigny). 

Tav.  n,  fig.  31. 

Gerfalco  (1  raccolto  dal  Pecchioli  il  15  agosto  1858  e  da 
lui  già  determinato). 

Fuori  d' Italia  è  specie  del  Lias  medio. 

Conchiglia  compressa,  discoidale,  con  5  o  6  giri  non  veloce- 
mente crescenti,  col  dorso  alquanto  carenato,  ornata  per  tra- 
verso da  coste  semplici,  diritte,  che  principiano  a  poca  distanza 
dall'  ombelico  e  terminano  bruscamente  al  cominciare  del  dorso 
alquanto  lungi  dalla  carena  in  tubercolo  molto  depresso.  Nel- 
l'ultimo giro  le  coste  sono  29.  Non  si  vedono  lobi;  ma  la  forma 
risponde  assai  bene  alla  figura  del  D'Orbigny.  Diametro  37'"; 
altezza  dell'ultimo  giro  10;  ombelico  20'". 

Il  sottogenere  Cycloceras,  a  cagione  délV Aptyctis  è  dal  Haug 
riunito  agli  Harpoceras  {Beitrage  zu  einer  Monographie  der  Am- 
moniten-gattung  Harpoceras.  N.  Jahrb.  f.  Min.  GeoL  und  Pai. 
Beil.  B.  m,  1884.  P.  585). 


74  e.    DE  STEFANI 

Harpoceras  (Cychceras)  cfr.  Actaeon  (D' Orbigny) . 

Tav.  n,   fig.  12. 

Amnianites  Actaeon  (D*  Orb.)  Meneghini,  in  Savi  e  Meneghini,  Gons.  geol. 
Tose.'  1851,  P.  399. 

Sassorosso  (1  D.  così  nominato  dal  Meneghini),  Roggio  (1) 
insieme  con  tutte  le  altre  specie  qui  ricordate. 

Fuori  d' Italici  è  proprio  del  Lias  medio. 

Somiglia  più  al  tipo  del  D' Orbigny  che  alla  forma  descritta 
dall'  Hauer,  La  conchiglia  è  compressa,  con  Sol  giri  ornati 
da  coste  trasversali,  con  dorso  alquanto  più  ottuso  che  nella  fi- 
gura del  D' Orbigny,  ma  non  carenato  né  fornito  di  cresta  come 
gl'individui  dell' Hauer;  l'ultimo  giro  ha  circa  28  coste  sottili, 
ottuse,  semplici,  leggermente  flessuose  ;  a  partire  dall'  ombelico 
fanno  una  leggerissima  curva  convessa  verso  l' apertura,  poi  vanno 
diritte  fin  verso  il  dorso,  si  fanno  più  curve  e  concave  verso 
l'apertura:  si  deprimono  poi  e  svaniscono  prima  di  giungere  alla 
metà  del  dorso.  Le  coste  vanno  facendosi  alquanto  più  fitte 
andando  dall'  apertura  verso  l' intemo.  Diametro  20^^  ;  altezza 
dell'ultimo  giro  6';  ombelico  9'^;  larghezza  dell'ultimo  giro  4". 

Nella  parte  più  interna  dell'ultimo  giro  si  vedono  3  lobi 
che  non  presentano  le  frastagliature  del  tipo  atteso  che  l'in- 
dividuo non  è  adulto.  Il  primo  lobo  laterale  è  più  profondo  del 
secondo;  la  prima  sella  laterale  è  alquanto  più  alta  della  se- 
conda ed  anche,  per  quel  poco  che  si  vede,  della  sella  estema. 

Questa  specie  e  l'antecedente  possono  trovarsi  anche  al- 
trove al  confine  tra  il  Lias  inferiore  e  medio. 

Balanus  sp. 

Tav.  I,  flg.  19.  e  Tav.  Ili,  fig.  6. 

Aderenti  ad  alcuni  Ammoniti  di  Campiglia  si  vedono  dei 
coipi  che  riterrei  potessero  essere  Balani  o  simili  Cirripedi.  Ne 
ho  veduto  due  forme,  una  che  si  vede  sul  Lytoceras  secerfiendum, 
Tav.  Ili,  fig.  6,  è  del  tipo  del  Balanus  cowmnis  Bronn.;  l'altra, 
Tav.  I,  fig.  19,  di  quello  p.  e.  del  B.  stellaris  Brocchi. 

n  genere  Balanus  non  è  conosciuto  finora  in  terreni  più 
antichi  dell'Oligocene. 


SPIEGAZIONE    DELLE    TAVOLE 


Gli  originali  esistono  fiel  Museo  di  Firenze  salvo  quelli 

della   collezione   Dini. 


Tar.    I. 

Fio.  1-5.  Tereòralula  incisiva  Stopparli  =»  T.  erbaensis  Sues3,  Massicciane 

»     6-9.  T.  Aspasia  Meneghini,  Massicciano. 

»     10,  11.  Phylloceras  Parlschi  Siui\  Oampiglia. 

»     12,  13.  Pleurotomaria  campiliensis  sp.  n.  Carapiglia. 

»     14.  Phylloceras  convexum  sp.  n.  Resi). 

0 

»  15.         Atractites  conspicillum  sp.  n.  Crtm piglia. 

»  16.         Avicula  inaequivalvis  Sowerby,  Campiglia. 

»  17,  18.  Lytoceras  tuba  sp.  n.  Massicciano. 

»  19.         Balanus  sp.  Campiglio. 

Tar.   II. 

Fio.  1 ,  2,  3.  Oxynoticeras  perilambanon  sp.  n.  Campiglia. 

>  4.  Lobi  di  un  grande  individuo.  Primo  lobo  laterale  e  parte  dei  lobi 

sifonale  e  secondo  laterale.  Campiglia^ 

>  5,  6.       Aegoceras  Birchii  (Sow.)  Campiglia. 

>  7.  Lobi  di  un  individuo  giovane.  Sassorosso. 
»    8,  9.      Aegoceras  Pecchioni  (Mgh.)  Massicciano. 

>  10.         Lobi  del  medesimo  individuo. 

>  11.     *    Harpoceras  Maugenesti  (D'Orb.)  Gerfalco. 

»  12.  Harpoceras  Actaeon  (D*Orb.)  junior,  Roggio. 

»  13,  14.  Phylloceras  Coquandi  sp.  n.  Sassorosso  (Coli.  Dini). 

»  15.  »*        ancylonotos  sp.  n.  Restì. 

>  16.  Phylloceras  convexum  sp.  n.  Resti. 


76  SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 


Tat.    III. 


Fx'>.  1.  PhyU'jceras  (vnense  sp.  d.  Resti. 

>  2.  Lobi  dell' ukima  concamerazione  del  medesimo  iodirìduo. 

>  3,  4,  5,  6.  Lyl*jcerat  tecernendum  sp.  n.  Ca'opiglia. 

»  7,8.  PhyUorerm  tenuistrintun  (Mgh.)  Campiglia. 

>  9.  L/>bì  scoperti  artificialmaote. 

>  '  10.  PhylioceraM  Savii  sp.  n.  Campiglia. 

Tat.    IT. 


Arieliles  stellarU  (Sow.)  Sassorosso. 

>  >  >  »  (Coli.  Dini). 

Lobi  del  medesimo  individuo. 
Arietiies  ceraiitoides  (Quensc)  Cetooa. 
Lobi  d* altro  individuo, 
var.  densicosta  Queost.  Cetoaa. 
Arieiites  ohtusus  (Sow.),  Restì. 
Arietites  Conybeari  (5ow.),  Campijrlia. 
Arietitei  pseuUoharpoceras  sp.  o.  Massicciaoo. 
Lobi  del  medesimo  individuo 

Arietites  sp'ratissimus  (Quenst)  Sassorosso  (Coli.  Dini). 
Arietites  Conybearoides  (Kcyn.)  Massicciano. 


Fio. 

3,  4. 

> 

1,2. 

> 

5. 

> 

6. 

» 

7. 

> 

8,9. 

» 

10,  11. 

> 

12,  13. 

> 

14,  15. 

> 

16. 

» 

17,  18. 

» 

10,  20. 

FAUSTO    SSSTTNl 


DEI  SINGOLARI  MERITI 


DI 


GIUSEPPE  GAZZERI 

NELL'  AVANZAMENTO  DELLA  CHIMICA 

MASSIME   DELLA    CHIMICA   APPLICATA   ALL'AGRICOLTURA 


I. 

Tra  i  cultori  nostrani  degli  studi  chimici  corrono  due  opi'- 
nioni  ben  diverse:  alcuni  pensano  che  prima  di  Raffaele  Pina 
(1840)  nissuno  in  Italia  acquistasse  giusti  titoli  per  trasmettere 
il  proprio  nome  negli  annali  della  scienza,  eccettuato  Amedeo 
Avogadro(1812);  i  meriti  del  quale  peraltro  non  si  cominciarono 
ad  apprezzare  giustamente  che  dopo  il  1857:  altri  ritengono  che 
gli  studii  chimica  abbiano  soggiaciuto  al  destino  comune  delle 
cose  italiane  :  che,  cioè  parecchie  tra  le  belle  ed  utili  scoperte 
spettassero  a  noi,  ma  che  poi  divenute  cose  straniere,  solo 
allora  furono  tenute  universalmente  in  pregio.  Di  questa  se- 
conda opinione  è  Giovanni  Bizio,  il  quale  nel  proemio  di  un 
opera  che  aveva  in  animo  di  pubblicare  per  ritogliere  agli 
stranieri  (^)  *  quanto  spetta  agli  italiani  nella  chimica  scienza  » 
prima  rivendicò  in  modo  certo  e  sicuro  la  scoperta  della  liquefe,r 
zione  dei  gaz  a  Liberato  Baccelli,  che  nel'  1812  (cioè  undici  anni 
prima  del  Faraday)  a  Bologna  condensò,  mercè  la  pressione, 
una  sostanza  aerea  (gaz  ammoniaco),  e  predisse  la  liquefazione 
di  altri  gaz  (^);  poi  dimostrò  che  la  natura  dell'  acido  solforico 

(')  Saggio  letto  air  Ateneo  di  Venezia  nella  tornata  del  10  maggio  1880. 
(<)  Vedasi  anche  Trattato  del  oalorxoo  (pag.  199)  del  Prof^  Zantedeaehi. 


78  P.   SESTINI 

di  Sassonia  fii  avanti  che  dal  Bussy  determinata  da  Marco 
Carburi,  fondatore  del  primo  insegnamento  di  chimica  speri- 
mentale neir  Ateneo  di  Padova,  alla  fine  del  secolo  passato. 
Opinione  somigliante  a  quella  di  Griovanni  Bizio  manifestò  Giu- 
seppe Missaghi  ;  il  quale  in  una  dissertazione  letta  nel  novem- 
bre del  1868  per  la  solenne  riapertura  degli  studii  universitari 
in  Cagliari,  provò  con  i  documenti  alla  mano,  come  Lodovico 
Barbieri  d' Imola,  che  fiorì  nella  seconda  metà,  del  secolo  de- 
cimosettimo e  fii  vanto  della  Università,  di  Bologna,  abbia  con- 
validato con  esperienze  proprie  la  dottrina  professata  allora 
allora  (1669)  da  Mayow  in  Inghilterra  e  che  consisteva  nello 
stabilire  che  solo  una  parte  dell'  aria  interviene  nella  calcinazio- 
ne, nella  combustione  e  nella  respirazione  {spiritus  nitro-aereus\ 
e  che  r  altra  parte  è  impropria  a  sì  elevati  uflBcii.  Lo  stesso 
Missaghi  osservava  come  il  Barbieri  con  ingegnose  esperienze, 
chiaramente  descritte  nella  sua  opera  edita  a  Bologna  nel  1680, 
col  titolo  **  Spiritus  nitro-aerei  operationes  in  Microscopio  „  abbia 
tentato  di  sciogliere  questioni  fisiologiche  allora  affatto  oscure 
circa  r  azione  dello  spirito-nitro  aereo  (che  fii  poi  detto  ossigeno 
da  Ant.  Lorenzo  Lavoisier)  nella  germinazione  del  seme,  nella 
incubazione  dell'  uovo  ed  in  altri  fenomeni  vitali  di  non  mi- 
nore importanza  ;  inclusive  nella  digestione  e  nella  termogenesi, 
rispetto  alla  quale  ^  opinò  che  il  calore  animale  h  prodotto  da 
„  lenta  combustione  ;,  (^). 

Ai  lodevoli  tentativi  dei  Prof.*  G.  Bizio  e  G.  Missaghi  tenne 
dietro  quello  con  più  vasto  disegno  concepito  da  Francesco 
Selmi;  il  quale  all'  Eìiciclopedia  Chimica  Italiana  volle  a^unto 
un  compendio  storico  in  cui  dovevano  essere  menzionati  i  Chi- 
mici Italiani  che  hanno  dato  opera  all'  incremento  della  scienza 
e  all'  utile  applicazione  degli  studii  chimici  alle  industrie  e  che 
purtroppo  furono  dimenticati  affatto,  o  quasi  affatto  nelle  opere 
straniere. 

**  Forse  avremmo  conseguito  (scrivea  V  illustre  F.  Selmi  nel 
„  1878  a  pag.  674  del  Voi.  11.^  della  sua  opera,  il  nostro  intento 
»  meglio  di  quello  a  cui  siamo  riusciti  se  avessimo  posseduto 


(')  G.  Missaghi  —    SulV  insegnamento  della  Chimica  Generale  nelle  Scttole 
universitarie  del  Regno.  Firenze,  Tip.  ital.  di  N.  Fabrini  1870.  pag.  18. 


AVANZAMEMTO  DELLA  CHIMICA  MASSIME  APPLICATA  ALl' AQRICOLTUBA        79 

„  tempo,  mezzi  e  salute  per  un  pellegrinaggio  nelle  diverse 
„  città,  d' Italia  a  consultare  i  volumi  contenuti  nelle  singole 
„  biblioteche,  almeno  nelle  principali;  ma  sarebbe  stata  fatica 
„  lunga  e  dispendiosa,  alla  quale  per  le  nostre  condizioni  non 
ry  potevamo  sobbarcarci  „.  E  fii  una  vera  sciagura  che  Egli  non 
potesse  compiere  quel  faticoso  pellegrinaggio;  giacché  nissuno 
meglio  di  lui  avrebbe  potuto  tradurre  in  atto  il  patriottico  di- 
segno, e  per  giunta  il  suo  compendio  storico,  pregevole  sempre 
per  tutto  quello  che  riguarda  la  storia  della  Chimica  e  dei  suoi 
grandi  fondatori,  ribn  avrebbe  presentato  alcune  lacune  rispetto 
agli  Italiani,  i  quali  pure  hanno  contribuito  ad  accrescere  il 
patrimonio  della  scienza,  e  per  cause  diverse,  soprattutto  per 
quel  fatale  destino,  a  cui  sopra  si  accennava,  per  la  loro  sover- 
chia modestia,  e  per  la  poca  o  nessuna  diflPiisione  delle  pub- 
blicazioni nostre  all'  estero,  hanno  poi  veduto  darne  il  merito 
ad  altri. 

Una  di  tali  lacune  vorrei  in  qualche  modo  colmare  con 
questa  memoria,  con  la  quale  mi  sono  accinto  di  buon  pro- 
posito, e  non  senza  titubanza,  a  ricordare  quanto  di  meglio 
Giuseppe  Gazzeri  potè  operare  coltivando  le  scienze  fisiche,  e 
specialmente  applicando  le  cognizioni  della  Chimica  e  V  eletto 
ingegno  che  sortì  da  natura,  alla  fisiologia  vegetale,  all'  agricol- 
tura e  air  industria  con  molto  lustro  e  vantaggio  reale  deila 
patria  nostra.  Io  avrò  ragione  di  essere  pago  della  mia  debole 
opera,  se  convincerò  qualcuno  degli  esordienti  cultori  delle 
scienze,  che  non  è  bella,  non  è  giusta,  non  h  saggia  cosa  met- 
tere in  non  cale  quanto  hanno  fatto  alcuni  nostri  connazionali 
che,  sebbene  per  coltivare  gli  studi  scientifici  dovessero  lottare 
con  difficoltà,  di  cui  oggi  non  si  ha  alcuna  idea,  pur  nonostante 
seppero  lasciare  ammaestramenti  nobili  ed  utili,  fecero  progre- 
dire la  scienza  e  si  resero  benemeriti  della  umanità.. 


n. 

Giuseppe  Gazzeri  nacque  in  Firenze  V  anno  1771  di  Vincenzio 
e  Annunziata,  appartenenti  ambedue  ad  onesta  e  civile  famiglia. 
Incominciati  gli  studi  classici  nelle  Scuole  Pie,  per  continuarli 
ebbe  a  vestire  V  abito  di  chierico  presso  i  Padri  della  Missione; 
ma  non  sentendo  vocazione  per  la  vita  claustrale  lo  dimisei  poi 


80  p.  SEsron 

si  portò  al  pubblico  studio  di  Pisa,  ove  si  laureò  in  Giuri- 
sprudenza a  24  anni  di  età.  Tornato  in  Firenze  era  per  darsi 
all'esercizio  della  professione,  quando  la  notizia  dei  mirabili 
progressi  che  specialmente  per  opera  d.i  Ant.  Lorenzo  Lavoisier 
la  Chimica  aveva  fatto  in  Francia,  suscitarono  nel  giovane 
avvocato  il  desiderio  di  apprendere  qualche  cosa  delle  nuove 
dottrine;  e.  non  tosto  ebbe  assaporato  i  primi  ftiitti  della  nuova 
scienza,  ne  fu  preso  talmente  che  si  decise  ad  abbandonare  il 
fòro  ;  ove  certamente  avrebbe  trovato,  a  cagione  del  suo  pronto 
e  beir  eloquio,  sorte  assai  lieta. 

Sul  cadere  del  secolo  decimottavo  chi  voleva  studiare  chi- 
mica in  Firenze  non  aveva  da  rivolgersi  che  al  Prof.  Ottaviano 
Targioni-Tozzetti,  che  dettava  private  lezioni,  e  chi  avesse  vo- 
luto esercitarsi  nelle  manipolazioni  chimiche  non  poteva  ricor- 
rere che  a  Tommaso  Gabbrielli,  il  quale  nel  proprio  laboratorio 
istruiva  praticamente  gli  studenti.  Non  si  sa  quanto  il  Gazzeri 
profittasse  di  questi  aiuti;  ma  egli  è  certo  che  molto  fece  da 
per  sé  spinto  dair  ardente  amore  allo  studio,  e  sorretto  da 
fermo  volere  e  da  acuta  intelligenza  nell'operare.  A  lui,  ormai 
tutto  assorto  nelle  discipline  chimiche,  offrì  occasione  di  dare 
pubblico  saggio  del  suo  valore  V  Accademia  dei  Georgofilì,  che 
nel  marzo  del  1798  pose  a  concorso  T  esame  del  metodo  comune 
per  imbiancare  le  tele  (con  Y  esposizione  alternativa  alla  guazza 
e  al  sole)  in  confronto  con  quello  proposto  da  Berthollet  e  basato 
suir  applicazione  dell'  acido  muriatico  ossigenato  (  cloro  ),  che 
era  stato  scoperto  poco  prima  da  Scheele.  Tre  mesi  dc^  il 
Gazzeri  pubblicava  una  memoria  bene  elaborata,  in  cui  dava 
ogni  desiderabile  ragguaglio  intomo  al  nuovo  processo  indu- 
striale che  rapidamente  si  era  diffuso  nei  paesi  settentrionali, 
e  metteva  in  evidenza  i  vantaggi  che  applicati  a  dovere  pre-. 
sentava  sul  metodo  usato  da  noi.  In  quel  tomo  i  tempi  corr 
revano  molto  difficili;  il  secolo  18.^  finiva  tra  lo  scoppio  delle 
artiglierie,  e  i  grandi  preparativi  guerreschi  facevano  male  presa- 
gire del  secolo  che  sorgeva.  Innamorato  sempre  più  dello  studio 
della  Chimica  il  Gazzeri  si  ritrasse,  per  non  essere  frastornato 
dai  rivolgimenti  militari  e  politici,  in  una  casa  di  campagna, 
nella  quale  insieme  con  V  amico  Puliti  si  die  a  ripetere  le  sco- 
perte fatte  di  recente  all'  estero  e  a  tentare  delle  nuove  ricerche 
cominciando  da  produrre  V  acido  solforico  in  piccole  camere  di 


AVANZAMENTO  DELLA  CHIMICA  MASSIME  APPLICATA  ALl' AGRICOLTURA        81 

piombo,  conle  si  diceva  che  cominciavasi  a  fare  oltre  monte  e 
come  ancora  nisstmo  aveva  cercato  di  fare  in  Italia. 

Convinto  della  utilità,  somma  degli  studi  chimici  e  dei  grandi 
vantaggi  che  V  applicazione  delle  nuove  cognizioni  potevano  arr 
recare  alle  arti,  alle  industrie,  e  all'  arte  salutare,  con  una  dotta 
ed  elegante  orazione  pronunziata  davanti  ai  Gteorgofili  (1802) 
cercò  di  trasmettere  le  proprie  convinzioni  negli  altri,  ed  ap- 
poggiandosi all'esempio  dei  fortunosi  avvenimenti  che  si  com- 
pievano al  di  là.  delle  alpi  messe  in  evidenza  non  solo  che  la 
prosperità,  delle  nazioni  progredisce  di  pari  passo  con  le  scienze, 
ma  istantemente  dimostrò  come  le  cognizioni  chimiche  di  pochi 
possano  grandemente  accrescere  in  caso  di  bisogno  i  mezzi  per 
la  difesa  di  un  grande  paese,  che  voglia  essere  e  conservarsi 
libero  ed  indipendente. 

L'abilità  oratoria  e  l'ingegno  penetrante  del  giovane  chi- 
mico fecero  chiaro  in  poco  d'ora  il  suo  nome  anche  fuori  della 
piccola  Toscana:  di  fatti  nel  1804,  venne  richiesta  l'opera  sua 
per  migliorare  la  fabbricazione  dell'  allume  della  Tolfa  poco 
lungi  da  Civitavecchia,  che  a  quei  tempi  era  per  ragion  poli- 
tica e  per  difficoltà,  di  comunicazione  considerata  come  paese 
quasi  straniero.  Quando  poi  (1807)  Maria  Luisa,  Regina  di 
Etruria,  istituì  nel  R.  Museo  di  Fisica  e  Storia  Naturale  di  Fi- 
renze insieme  con  altre  quattro  cattedre,  quella  di  Chimica 
teorico-sperimentale,  venne  questa  al  Gazzeri  affidata,  e  le  lezioni 
sue  meravigliarono  i  molti  uditori  per  l'ordine,  la  chiarezza 
delle  idee,  la  concisione  e  la  lingua  purgata  (molto  diversa 
dalle  ofTtbtli  favelle  che  pronunziano  i  chimici  italiani  oggi  dalle 
cattedre);  per  la  qual  cosa  dotti  e  letterati  accorrevano  ad  ascol- 
tarlo, come  ne  fa  fede  anche  Augusto  Pictet  in  due  corrispon- 
denze pubblicate  nello. Bibliotéqtie  univer selle  di  Genève,  T.  1 6  e  T.  1 9. 

Il  tramonto  dell'  astro  napoleonico  avendo  ricondotto  i  Lo- 
renesi  in  Toscana  (1814)  l'insegnamento  della  Chimica  fu  tolto 
al  R.  Museo  di  Storia  Naturale,  e  solamente  dopo  un  anno  il 
Gazzeri  fii  chiamato  a  dettare  lezioni  di  Chimica  nella  scuola 
pei  farmacisti  del  grande  Spedale  di  Santa  Maria  Nuova  ;  dove 
lesse  pubblicamente  per  trent'anni  di  seguito,  e  compose  nel 
1819  quell'aureo  testo  che  anche  oggi  potrebbe  essere  letto 
con  piacere  e  non  senza  profitto  da  molti,  e  che  ebbe  poi  varie 
edizioni  col  titolo  di  Compendio  di  un  trattato  elementare  di  Chi' 
mica  (Voi.  I  e  n,  Tip.  Piatti). 

8e.  Nat,  Voi.  Vm,  fase  l.<*  V 


82  F.   SESTINI 

La  scoperta  dell' Oersted  condusse  il  Gazzeri  ad  occuparsi 
di  ricerche  elettro-magnetiche,  che  fruttarono  la  conoscenza  di 
nuovi  fatti;  tra  i  quali  il  seguente  che  trovasi  descritto  nella 
Bibliotèque  marerselle  de  Genere.  T.  lo,  pag.  280;  nella  quale  com- 
parve pure  una  serie  di  esperimenti  da  lui  istituiti  in  Firenze 
in  collaborazione  a  due  suoi  colleghi.  Detenninando  le  circo- 
stanze sotto  le  quali  Tacciajo  riceve  la  calamitazione  con  la 
elettricità  ordinaria,  osservò  che  „  alcuni  aghi  di  acciajo  situati 
„  al  di  fuori  di  una  spirale  di  rame,  sulla  quale  si  faceva  pas- 
„  sare  la  scarica  di  una  bottiglia  di  Leida,  si  calamitavano  in 
senso  inverso  di  quelli  situati  al  di  dentro  „:  fatto  che  venne 
poi  confermato  da  Van  Beek,  a  cui  dapprima  parea  poco  ve- 
risimile. Il  nostro  Gazzeri  insieme  ai  suoi  illustri  colleghi,  cav. 
Antinori  e  conte  Bardi  di  Firenze,  costruì  una  potente  pila, 
immaginò  un  voltaimetro  assai  ingegnoso,  che  permetteva  di 
operare  assai  in  grande,  e  faceva  le  differenze  nel  volume  dei 
gaz  svolti  dall'acqua  assai  piii  manifeste  di  quello  che  non 
fosse  stato  possibile  fin  allora  ed  in  oltre  nei  suoi  rapporti 
còlla  durata  dell'esperienza  poteva  far  giudicare  dell'attività 
relativa  secondo  le  circostanze  0). 

Devesi  al  Gazzeri  la  scoperta  di  fatti  magnetici  assai  note- 
voli, dei  quali  ci  accontenteremo  di  citare  il  seguente:  »  se  si 
dirige  un  ago  da  bussola  esattamente  nel  piano  meridiano  ma- 
gnetico, fonandone  il  polo  nord  al  sud,  e  viceversa,  esso  ri- 
mane fisso  in  questa  posizione  e  non  riprende  la  sua  situazione 
naturale  che  allorquando  si  fa  un  poco  deviare  il  suo  asse  da 
un  lato  o  dall'altro  del  meridiano  ».  —  L'esperienza,  che  Picfcet 
volle .  ripetere,  fu  dal  Fisico  Ginevrino  giudicata  allora  un  fatto 
da  spiegarsi  con  tutte  le  teorie  C^). 

Il  Gazzeri  tu  collaboratore  del  predetto  sig.  Pictet  in  alcune 
ricerche  su  certi  mutamenti  calorifici  del  voltaimetro;  collaborò 
con  Onofrio  Davy  nelle  esperienze  da  lui  fatte  in  Firenze  sul 
diamante,  ed  ebbe  attivo  commercio  epistolare  con  molti  dei 
più  valorosi  scienziati  del  suo  tempo. 

Non  avendo  in  animo  di  fare  un  elogio  del  Gazzeri,  a  clii 
piacesse  conoscere  tutte  le  circostanze  nelle  quali  Ei  si  fece 

(')  Atti  dei  Gergo/ili  T.  XXVI. 

(<)  Bibliothèque  de  Genève,  IS   p.  Si. 


AVANZAMEMTO  DELLA  CHIMICA  MASSIME  APPLICATA  ALl'  AGRICOLTURA        83 

conoscere  vantaggiosamente  in  patria  e  fuori,  indicherò  il  discorso 
che  sulla  vita  di  lui  lesse  all'  Accademia  dei  Georgofili  il  Prof. 
Andrea  Cozzi  nell'anno  1848,  e  dal  quale  sono  attinte  non  poche 
notizie  qui  riferite,  Troppo  lungo  sarebbe  citare  tutte  le  disser- 
tazioni e  tutti  i  lavori  di  questo  attivo  quanto  ingegnoso  scien- 
ziato: a  me  preme  fermarmi  sopra  ciò  che  di  veramente  ori- 
ginale egli  operò,  e  sopratutto  vo'  dire  dei  suoi  studi  sopra  i 
concimi.  Con  questi  Egli  faceva  conoscere  ai  Georgofili  i  risul- 
tamenti  delle  proprie  ricerche  sopra  le  proprietà,  del  concio  di 
stalla  e  delle  diverse  materie  che  entrano  nella  sua  composizio- 
ne, illustrando  i  nuovi  fatti  raccolti  con  la  consueta  sua  lucidità 
e  con  nuove  e  belle  considerazioni;  di  guisa  che  questa  parte 
degli  studii  suoi  servì  a  dare  un  indirizzo  del  tutto  nuovo  alla 
teoria  della  concimazione,  e  lo  condusse  ad  un  importante  sco- 
perta, che  gli  ha  giustamente  meritato  l'onore  di  essere,  dopo 
molti  anni  di  negligente  oblio  (come  più  avanti  vedremo)   ri- 
cordato tra  l'eletta  di  quei  chimici  cui  si  deve  la   istituzione 
della  Chimica  Agraria.   L'importanza  di  questi   studii   poco  o 
punti  curati  oggi  dalla  più  parte  degli  scienziati  nostri,  che  tro- 
vano più  comodo   seguire  e  studiare  le  còse  straniere,  e  non 
darsi  cura  di  andare  in  cerca  di  ciò  che  dai  predecessori  è  stato 
fatto  di  utile  in  casa  nostra,  mi  impone  l' obbligo  di  riassumerli 
nel  miglior  modo  possibile. 

Attratto  dalle  meraviglie  che  ad  ogni  passo  s'incontrano 
nella  sublime  contemplazione  delle  cose  naturali  di  buon'ora 
il  Gazzeri  volse  la  mente  ad  indagare  il  modo  onde  i  vegetabili 
si  nutriscono,  e  valendosi  delle  cognizioni  di  cui  la  scienza  con- 
temporanea erasi  arricchita,  specialmente  per  opera  di  Teodoro 
De  Saussure,  reputò  utile  e  lodevole  divisamento,  prendere  a 
rischiarare  la  somma  utilità  degli  ingrassi  o  concimi,  in  ogni 
tempo  riconosciuta  presso  tutte  le  nazioni  agricole;  intomo  alla 
quale,  pertanto,  si  avevano  allora  (1818)  idee  teoriche  molto 
discordanti  non  solo,  ma  ancora  correvano  diverse  opinioni  sul 
modo  di  applicarla  al  diretto  scopo  dell'agricoltura,  che  è  quello 
di  ottenere  il  massimo  e  miglior  prodotto  con  la  minore  spesa 
relativa. 

•Onofrio  Davy  nella  sua  Chimica  Agraria,  che  fu  tradotta 
in  italiano  (a  Firenze  nel  1815)  dal  Prof.  Antonio  Targioni- 
Tozzetti,  accennava  alla  necessità  di  prevenire  la  fermentazione 


4k 


84  P.  SESTDil 

dei  concimi  e  deir  utilità  di  spargerli  nei  campi,  per  quanto  è 
possibile,  nello  stato  di  loro  integrità.  L' opinione  dell'  illustre 
inglese,  che  urtava  con  Y  uso  inveterato  di  tutti  i  paesi,  era 
pertanto  assai  conforme  alla  dottrina  che  il  nostro  Autore  nu- 
triva da  tempo,  e  che  da  lui  era  stata  esposta  all'Accademia 
dei  Georgofili  pochi  mesi  avanti;  e  non  potendo  allora  da  sé 
stesso  istituire  esperimenti,  procurò  che  V  Accademia  predetta 
nel  programma  annuale  stabilisse  il  premio  maggiore  a  chi 
*  premessa  una  chiara  teoria  degli  ingrassi  e  della  loro  in- 
„  fluenza  sulla  vegetazione,  determinasse  le  principali  differenze 
„  tra  quelli  che  sono  più  in  uso,  e  quindi  V  opportunità  della 
,  loro  applicazione  nei  vari  casi  e  fissasse  coir  appc^gio  del 
„  raziocinio  e  dell'  esperienza  se  ed  in  quali  casi  si  possa  con 
«  appropriato  sistema  impiegarli  nel  loro  stato  d' integrità,  o 
„  se  la  previa  fermentazione  o  decomposizione  di  essi  più  o 
,  meno  avanzata,  per  cui  si  perde  una  porzione  della  loro  so- 
9  stanza,  sia  una  condizione  indispensabile  all'  uso  loro,  come 
„  alcuni  pretendono  „.  —  Per  tal  modo  cercò  che  altri  facesse 
ciò  che  Ei  non  avea  agio  di  fare,  e  spregiudicamente  racco- 
gliesse argomenti  per  stabilire  alcuni  dati  certi  e  sicuri,  ai  quali 
potesse  ragionevolmente  e  con  fiducia  appoggiarsi  il  pratico 
agricoltore.  L'  esito  del  concorso  non  fu  punto  felice;  e  non 
essendo  stato  possibile  conferire  il  premio,  fii  riproposto  nel- 
r  anno  successivo  con  doppia  ricompensa.  Nissimo  di  coloro 
che  si  presentarono  la  seconda  volta  parve,  pertanto,  favore- 
vole air  opinione  del  Clazzeri.  Allora  Egli,  fermo  nei  suoi  prin- 
cipii,  fece  di  tutto  per  porli  al  cimento  dell'  esperienza,  ed  in- 
traprese una  bella  serie  di  pruove,  delle  quali  soltanto  brevi 
cenni  si  trovano  in  qualche  libro  straniero,  mentre  quasi  nis- 
suna  parola  se  ne  fa  nei  nostri;  sebbene  Pictet,  Boussingault, 
Gasparin  e  Pierre  nelle  loro  opere,  che  sono  state  saccheggiate 
dai  trattatisti  italiani  di  agrologia  e  di  chimica  agraria,  ricor- 
dino con  qualche  lode  questi  studi  del  Gazzeri.  Inoltre  si  deve 
notare,  che  quei  pochissimi  libri  italiani  che  citarono  le  ricer- 
che sui  concimi  del  Gazzeri,  riferirono  le  cifre  e  i  dati  erronei 
che  trovansi  nel  Corso  di  Agricoltura  del  conte  Gasparin  ! 

E  pur  troppo  vero  che  la  più  parte  dei  neochimici  d'Italia, 
guardano  molto  al  presente,  poco  o  punto  al  passato,  e,  tutti 
attenti  alla  loro  ombra,  lasciano  dimenticate  molte  buone  cose 


AVANZAMENTO  DELLA  CHIMICA  BfASSIME  APPUCATA  ALl'  AORIGOLTURA       85 

ottenute  presso  di  noi,  con  nissuna  gratitudine  delle  fatiche  dai 
nostri  vecchi  maestri  durate,  poco  curando  V  onore  della  patria 
nostra,  che  per  insegnamenti  chimici  si  vuol  quasi  affatto  tri- 
butaria della  scienza  straniera! 

Prendiamo  la  prima  memoria  che  il  Guzzeri  pubblicò  nel 
1819  in  Firenze  col  titolo  **  DegV  ingrassi  e  del  più  tUile  e  più 
ragionevole  impiego  di  essi  nelV  agricoltura  „ ,  fermiamoci  sulle 
pagine  nelle  quali  descrive  gli  esperimenti  suoi,  e  vedremo  se, 
in  relazione  con  le  cognizioni  di  quel  tempo,  egli  compiesse 
opera  di  poco  momento. 

Ripetuto  con  ingegnoso  mutamento  neir  apparato  Y  esperi- 
mento allora  nuovo  del  Davy,  col  quale  venne  dimostrato  che 
gli  effluvii  che  emanano  dalla  spontanea  scomposizione  delle 
sostanze  organiche  contribuiscono  notabilmente  ad  eccitare  la 
vegetazione  delle  piante,  le  radici  delle  quali  sieno  investite  da 
quelli  effluvii,  fece  il  Gazzeri  vegetare  piante  di  leguminose 
(fave),  che  avevano  germogliato  neir  acqua,  in  4:  vasi  ripieni  di 
un  misto  di  terra  argillosa  e  sabbia  di  fiume  privata  di  materia 
organica,  e  secondo  il  diverso  trattamento  ebbe  risultamenti 
differnti.  La  prima  pianta  non  ricevè  per  le  radici  che  acqua 
pura  ;  attinse  quindi,  quanto  potè  di  acido  carbonico  dall'  atmo- 
sfera, e  fruttificò  scarsamente.  La  seconda,  che  anch'  essa  non 
trovò  che  acqua  pura  nel  terreno,  avendo  pure  essa  vissuto 
coir  apparato  foliaceo  in  un  atmosfera  carica  di  effluvii  di  so- 
stanze organiche  in  scomposizione  (sterco  di  cavallo  sorretto  da 
un  coperchio  di  piombo  che  lo  isolava  dalla  terra  del  vaso)  pro- 
dusse più  abbondantemente  della  prima.  La  terza  venne  innaf- 
fiata con  leggerissima  soluzione  di  zucchero  (un  grano  =  0'',049 
al  giorno  nelle  prime  due  settimane  ;  un  grano  e  mezzo  =  0*',074 
dopo  il  1 4.®  giorno)  dette  il  massimo  prodotto  di  semi.  Una  quarta 
pianta  innaffiata  con  soluzione  leggerissima  di  zucchero,  ma  che 
fu  tenuta  con  le  sue  parti  verdi  sotto  campana  contenente  calce 
viva,  perì  non  avendo  potuto  profittare  né  delle  emanazioni  delle 
sostanze  organiche,  né  dell'  acido  carbonico  dell'  aria,  Un  altra 
pianta  poi  che  viveva  con  le  radici  in  recipiente  pieno  di  sabbia, 
in  cui  erano  condotte  le  emanazioni  dello  sterco  di  cavallo, 
abboni  molti  frutti;  ma  dopo  36  giorni  di  esperimento  inco- 
minciò a  deperire,  indi  morì. 

„  Sebbene  queste  esperienze,  ne  deduceva  l'Autore,  non  ri- 


86  F.  SESTINI 

„  solvano  la  questione  se  le  emanazioni  aeriformi  delle  materie 
y,  organiche  in  decomposizione  siano  assorbite  dalle  piante  vi- 
y,  venti  per  le  sole  radici,  ovvero  per  le  sole  foglie,  o  per  le 
„  une  e  per  le  altre,  pure  concorrono  a  provare  che,  in  qualun- 
„  que  modo  ciò  avvenga,  esse  giovano  alla  vegetazione,  e  si 
„  convertono  in  nutrimento  delle  piante  „ . 

Avanti  di  esporre  le  esperienze  veramente  originali  istituite 
per  dedurre  la  teoria  degli  ingrassi  il  Gazzeri  con  molta  bre- 
vità ed  incomparabile  chiarezza  riassume  le  cognizioni  che  in 
quel  tempo  si  avevano  sulla  nutrizione  delle  piante.  Segnata- 
mente ricorda  che  se  la  più  gran  parte  del   carbonio   che   si 
accumula  nelle  piante  proviene  dalla  scomposizione  dell'acido 
carbonico  (De  Saussure),  se  l'acqua,   l'ossigeno,  e  l'acido  car- 
bonico sotto  l'azione  alterna  della  luce  e  dell'oscurità,  bastano 
alle  piante  per  vivere,  o  piuttosto  per  non  morire,  affinchè  prospe- 
ramente vegetino  le  piante  abbisognano  di  altri  ajuti,  che  non 
possono  ricevere  che  dal  terreno,  il  quale  componesi  di  varie 
terre,  ed  alcuni  centesimi  di  materie  saline  e  metalliche  e  quan- 
tità più  o  meno  grande  di  avanzi  di  esseri  organizzati;  senza 
dei  quali  la  vegetazione  languisce  anzi  che  prosperare.  L'ufficio 
della  parte  terrosa  sta  nel  sostenere  la  pianta,  scrive  il  Gaz- 
zeri  a  pag.  33  della  sua  1.*  memoria  „  trattenere  l'umidità  e 
„  sonmiinistrarla  opportunamente  ed  a  fornir  loro  alcuni  atomi 
„  di  sé  stessa  che  vi  s' insinuano  e  vi  si  fissano  „ .  L' ufficio  dei 
concimi  è,  secondo  lui,  duplice,    meccanico  e  chimico- fisiologico: 
meccanicamente   migliorano  la  costituzione   fisica   del    terreno: 
chifnicamente  mediante  la  lenta  scomposizione   della   materia 
organica,  rendono  solubili   parte  dei  loro  componenti,  e  li  di- 
spongono ad  essere   assorbiti,  e  per  tal  modo  preparano    alle 
piante  opportuno  nutrimento;  sviluppano  poi  molto  gaz  acido 
carbonico  ed  effluvii  utili  alle  piante  stesse  che  li  assorbono; 
infine  risvegliano  e  mantengono  un   dolce  ed  utile  calore  per 
la  vegetazione.  Queste  parole  non  ti  sembrano  scritte  nel  1819; 
ma  piuttosto  tu  le  crederesti  di  poco  anteriori  al  1 840  !  Io  in- 
vito a  leggerle  e  rileggerle  coloro  che  dicono  e  sostengono  che 
la  Chimica  Agraria  è  pretta  creazione  di  Liebig,  e. che  in  Italia 
nissuno  si  h  occupato  mai  seriamente  di  simili  studii.  Piuttosto 
oggi,  lo  ripeterò  fino  a  sazietà,  pochi  e  ben  poco  si  occupano  con 
amore  delle  cose  nostre  !  Chi  ha  ancora  un  poco  di  affetto  per  la 


AVANZAMENTO  DELLA  CHIMICA  MASSIME  APPLICATA  ALl'  AGRICOLTURA        87 

scienza  italiana  e  vuol  conoscere  se  anche  prima  del  1840  si 
è  coltivata  presso  di  noi  la  Chimica  applicata  all'agricoltura, 
cerchi  e  studi  i  lavori  di  Bandaio,  Corradori,  Fabroni,  Giobert, 
Targioni-Tozzetti,  Gazzeri,  Taddei  ed  altri  ancora,  tutti  italiani 
e  prettamente  italiani! 

Passiamo  ora  alla,  parte  sperimentale  e  veramente  originale 
delle  ricerche  del  Gazzeri  su  i  concimi,  ed  occupiamocene  di 
proposito,  imperocché  in  questa  il  pregio  è  così  evidente,  che 
anche  gli  stranieri,  in  specie  i  Francesi,  sempre  parchi  di  ri- 
guardo per  noi,  hanno  tributato  elogi  al  Gazzeri.  Boussingault 
ne  fece  un  cenno  con  belle  parole  ;  Gasparin  ne  riferì  im  poco 
più  per  esteso  a  pag.  593  del  1.^  volume  del  suo  grande  trattato; 
ma  nel  ridurre  i  pesi  toscani  a  pesi  metrici  e  nel  descrivere  le 
esperienze  incorse  in  molti  errori  ;  e  Is.  Pierre  ed  il  nostro  Ant. 
Selmi  0)  ricopiarono  le  cifre  sbagliate  dell'Agronomo  francese. 

Il  Gazzeri  per  avere  cognizione  precisa  delle  perdite  che 
provano  i  letami  freschi  quando  si  lasciano  putrefare  prima  di 
interrarli,  il  21  marzo  1819  empì  una  caldaja  di  rame  per^/a 
circa  con  sterco  fresco  di  cavallo,  collocò  la  caldaja  sotto  un 
loggiato,  e  la  coprì  con  due  stoje  di  paglia  per  mantenerla  a 
temperatura  quasi  costante,  per  avere  lenta  fermentazione  e 
poca  perdita  di  materie  volatili.  Al  principio  della  prova  pesò  il 
concio  e  lo  sottopose  ad  un  assaggio  fisico-chimico,  come  potevasi 
fare  a  quei  tempi;  e  al  termine  di  ogni  periodo  in  cui  divise 
resperimento  ripetè  il  peso  e  l'assaggio  del  concio  che  rimaneva. 

Nella  tavola  qui  unita  riproduco  le  cifre  stesse  date  dal  Gaz- 
zeri  in  pesi  toscani,  ed  a  lato  inscrivo  le  cifre  metriche,  ac- 
ciocché se  io  pure  in  qualche  errore  di  calcolo  fossi  caduto 
convertendo  le  une  nelle  altre,  il  lettore  possa  correggere  i 
miei  errori. 

A  proposito  dell'esperienze  in  discorso,  il  Conte  De  Gaspa- 
rin nel  predetto  suo  Cours  dJ  Agricolture  a  pag.  594  osservava 
che  il  Gazzeri  "  n  a  pa^  fait  t  analyse  des^  gaz  „  ma  in  esperienze 
come  quelle  del  nostro  Autore,  massime  a  quei  tempi  era 
forse  agevol  cosa,  potrei  anche  dire,  era  possibile  fare  l' analisi 
dei  gaz  assorbiti  e  di  quelli  dispersi  da  una  notabile  quantità, 
di  concio  nel  tempo  della  sua  scomposizione?  Antonio  Selmi 

(')  Dei  Concimi  di  stalla;  di  Ani,  Selmi,  Torino  18d3,  pag.  87. 


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AVANZAMENTO  DELLA  CHIMICA  MASSIME  APPLICATA  ALL*  AGRICOLTURA        89 

poi  a  pag.  88  del  suo  libro  Dei  Concimi  di  Stalla;  Torino  1863, 
traduce,  o  meglio  parafrasa  V  appunto  del  Conte  Gasparin  di- 
cendo, che  Gazzeri  non  aveva  determinato  la  perdita  dell'azoto. 
Ma,  domando  io:  si  può  dimenticare  che  nel  1819  V  analisi  ele- 
mentare non  era  ancora  a  tal  punto  di  perfezione  da  potersi 
eseguire  con  facilità  e  con  precisione  la  valutazione  dell'  azoto, 
massime  in  sostanze  complesse  come  i  conci  freschi? 

Se,  come  resulta  dai  narrati  esperimenti,  in  soli  quattro 
mesi  lo  sterco  cavallino  tanta  perdita  subisce  della  propria 
sostanza,  e  di  mano  in  mano  diminuisce  e  finiscono  poi  col  di- 
struggersi quasi  completamente  la  materia  mucosa,  biliare  e 
le  sostanze  solubili  degli  escrementi,  si  può  ben  concludere  "  che 
„  la  fermentazione  distruggendo  oltre  la  metà  delle  sostanze 
„  dei  letami,  fa  specialmente  perdere  ciò  che  è  in  essi  di  più 
y,  pregevole  e  di  più  atto  a  nutrire  le  piante  „. 

Questo  ottimo  avviamento  dato  agli  studii  sopra  i  mutamenti 
chimici  che  avvengono*  nei  concimi  per  la  loro  scomposizione, 
fii  è  vero,  proseguito  ed  esteso  dai  varii  chimici,  da  Taddei, 
da  Payen,  da  Koerte,  eppoi  da  Voelcker  e  da  altri  ;  ma  V  ar- 
gomento mai  fii  abbandonato  dal  Gazzeri  che  dopo  la  prima 
memoria  che  è  la  più  notabile,  quasi  direi  classica,  dette  alle 
stampe  varie  altre  scritture,  con  le  quali  sempre  meglio  rischiarò 
r  argomento. 

Air  esperienza  fondamentale  ora  riferita  seguì  una  serie  di 
prove  tra  loro  ben  connesse,  alcune  delle  quali  furono  eseguite 
non  più  con  una  sola  materia  escrementizia,  ma  con  letame 
molto  complesso  formato  ad  arte,  oppure  tolto  da  un  ordinaria 
concimaia;  e  tra  i  resultati  ottenuti  per  brevità  noteremo 
questo:  che  la  quantità  delle  materie  scomposte  nello  sterco 
vaccino  puro  fu  minore  che  in  quello  misto  a  paglia,  e  la  ma- 
teria stercoracea  (bile,  muco  etc.)  si  scomponeva  più  sollecita- 
mente della  fibra  vegetabile,  la  quale  più  tardi  perde  pur  essa 
la  propria  struttura,  e  si  converte  in  una  materia  che  per  metà 
risulta  di  terra  e  per  V  altra  metà  di  un  composto  con  eccesso 
di  carbonio  e  difficile  a  scomporsi.  E  dagli  esperimenti  speciali 
fatti  con  letame  di  concimaia  molto  complesso,  il  Gazzeri  fii 
tratto  a  concludere  **  che  il  disperdimento  di  materia  nutritiva 
non  debba  essere  minore  di  quello  osservato  nelle  varie  specie 
di  escrementi  puri  „.  Considerando,  d' siltra  parte,  V  aiuto  che 


90  F,  SESTINI 

r  orina  dà  alla  scomposizione  delle  paglie,  egli  deduceva  che  il 
solo  risultarnento  finale  della  fermentazione  dei  letami  com- 
plessi debba  essere  come  in  quella  dei  conci  semplici  *"  la  ma- 
„  cerazione  e  V  alterazione  di  una  parte  della  fibra  più  grosso- 
„  lana;  risultamento  ottenuto  al  caro  prezzo  della  distruzione 
„  totale,  o  quasi  totale  della  sostanza  stercoracea  ed  animaliz- 
„  zata  e  della  parte  più  tenue  della  fibra  stessa,  di  cui  si  ac- 
„  cumulano  bensì  nel  residuo  le  parti  terrose  ed  inerti  ». 

Colpito  il  nostro  Autore  da  sì  grande  distruzione  di  materia, 
come  efficacemente  egli  dice,  "  da  una  perdita  sì  vera,  e  sì  lacri- 
mevole sfuggita  all'osservazione  degli  agricoltori  „  prese  a  com- 
battere come  erroneo  tutto  ciò  che  si  pensava  generalmente 
intorno  all'  attitudine  degli  ingrassi  a  sciogliersi  nell'acqua, 
all'  effettiva  loro  soluzione,  e  all'  assorbimento  delle  materie  per 
tal  modo  disciolte. 

Con  sottili  argomentazioni  tenta  il  nostro  Autore  di  dimo- 
strare che  la  fermentazione  o  macerazione  degli  ingrassi  diretta 
a  renderli  solubili  è  un  operazione  non  solo  inutile,  ma  irragio- 
nevole e  dannosa.  Se  ciò  è  vero  per  gli  escrementi  puri,  come 
resultò  dagli  esperimenti  suoi,  lo  stesso  non  potrebbe  dirsi  per 
le  paglie,  per  i  lettimi  e  per  le  materie  vegetabili  più  o  meno 
risecchite  che  si  mescolano  nel  concio.  Ma  di  questo  ultimo 
fatto  egli  non  conveniva  gran  cosa;  e  trasportato  dall'importanza 
della  sua  scoperta  ne  allargò  un  pò" troppo  il  significatocelo 
esagerò  certamente,  come  più  avanti  vedremo;  quindi  aggiunse 
che  tale  fermentazione  si  propone  in  ogni  caso  un  oggetto  non 
necessario  e  che  non  ottiene  questo  scopo,  sebbene  *"  si  sacri- 
„  fichi  alla  lusinga  di  conseguirlo  almeno  la  metà  della  preziosa 
„  materia  degl'  ingrassi,  oltre  molte  fatiche,  tempo  e  spese  per 
„  i  locali  e  per  le  operazioni  relative  „ . 

Giudicava,  in  primo  luogo,  che  si  proponesse  un  oggetto  non 
necessario,  giacche  il  contatto  degli  organi  assorbenti  delle 
piante  vale  da  se  stesso  a  determinare  una  pronta  riduzione 
nelle  materie  nutrienti  non  solubili  nello  stato  opportuno  al- 
l'assorbimento; ed  ecco  la  dimostrazione  sperimentale  che  ne 
dava.  In  due  vasi  contenenti  terra  priva  di  materia  organica 
(4  Libbre  =  Kil  1,358)  pose  grammi  113  di  unghia  di  cavallo 
in  pezzetti,  in  uno  dei  quali  seminò  due  semi  di  fave;  in- 
naffiò ambedue  i  vasi  e  prolungò  l'esperienza  insino  a  completa 


AVANZAMENTO  DELLA  CHIMICA  MASSIME  APPLICATA  ALl' AGRICOLTURA         91 

maturazione  delle  piante:  trattò  poi  la  terra  del  vaso  ove  le 
piante  erano  cresciute  con  acqua,  e  la  fece  passare  per  sottile 
staccio,  sul  quale  non  restò  alcun  vestigio  dei  ritagli  •  dell' un- 
ghia.  La  terra,  del  vaso  che  non  aveva  portato  alcuna  pianta, 
invece,  lasciò  sullo  stesso  staccio  pezzetti  di  unghia  molto  ram- 
molliti, che  disseccati  pesarono.  27  gi-ammi.  Cosicché  di  due  quan- 
tità eguali  di  unghia  poste  nelle  stesse  condizioni,  fii  scomposta 
in  parte  quella  che  non  ebbe  contatto  con  gli  organi  assorbenti 
di  alcuna  pianta,  mentre  venne  interamente  trasformata  in  ma- 
teria solubile  l'altra  che  soggiacque  all'  influenza  di  quelli  organi. 
Istituì  il  Gazzeri  esperienze  a  queste  .ultime  consimili  con 
cera  e  resina,  e  ne  risultò  che  1'  una  come  1'  altra  materia  non 
soffrono  che  piccola  e  forse  accidentale  diminuzione  allorché 
assai  divise  sono  incorporate  nel  terreno  ed  esposte  all'  azione 
combinata  dell'  aria  e  dell'  acqua;  ma  all'  opposto  ne  provano 
una  notabilissima  quando  a  quella  degli  agenti  suddetti  si  ag- 
giunge r  anione  delle  radici  di  qualche  vegetabile  in  piena  ve- 
getazione. . 

Lo  studio  dei  cambiamenti  che  subiscono  le  materie  cornee 
nella  putrefazione  iniziato  tanto  bene  dal  Gazzeri  67  anni  or  sono 
è  stato  ripreso  e  con  altri  intendimenti  approfondito  nel  1880 
(vedasi  Landw.  Versuchs-Stationen  B.  26,  s.  51),  da  un  chimico 
tedesco  (sig.  Morghen),  che  non  pare  abbia  avuto  hIziva  sentore 
delle  cose  di  cui  discorriamo,  sebbene  la  memoria  del  chimico 
fiorentino  fosse  tradotta  in  tedesco  (a  Lipsia)  nel  1823. 

Il  Gazzeri  giunse  alla  conclusione  seguente:  "  se  la  cera  e 
„  le  resine,  sostanze  delle  più  insolubili  e  refrattarie  all'  azione 
„  dell'  acqua,  poste  a  contatto  delle  radici  delle  piante  diven- 
„  gono  in  qualche  modo  solubili,  e  vi  si  introducono,  potrà 
„  egli  dubitarsi  che  tra  le  altre  forze  o  potenze  della  vita  or- 
„  ganica  tutte  meravigliose,  esista  anche  quella  da  me  indicata, 
„  e  per  cui  la  sostanza  degli  ingrassi  benché  non  dotata  di  so- 
„  lubilità  effettiva  ed  attuale  trovandosi  a  contatto  degli  organi 
„  dei  vegetabili  viventi  venga  di  fatto  soluta  ed  assorbita?  „  (pa- 
gina 74). 

Cadono  pertanto  in  acconcio  le  osservazioni  che  l'Autore  fa- 
ceva .  intorno  le  quantità  di  materia  che  assorbono  le  piante  an- 
nuali avanti  e  in  prossimità  della  maturazione,  quando  il  terreno 
serba  poca  acqua  in  sé,  mentre  più  piccola  é  la  quantità  di  nutri- 


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92  F.    BESTINI 

mento  che  prendono  nei  vari  periodi  della  loro  vita  che  di  molto 
precedono  la  maturanza,  sebbene  nel  terreno  esista  allora  la 
totalità  dei  concimi  amministrati  e  copiosa  sia  V  acqna.  Ricorda 
che  le  soluzioni  un  poco  concentrate  di  gomma  e  di  zucchero,  se 
contengono  più  di  ^;:ìoo  o  di  ^  -200  di  materia  disciolta,  uccidono  le 
radici  delle  piante,  e  da  tutte  queste  cose  deduce:  ^  che  non  solo 
„  non  è  provato  essere  indispensabile  all'efficacia  dei  concimi  la 
„  loro  attuale  e  vera  solubilità,  ma  che  vi  sono  valide  ragioni 
„  e  fatti  evidenti  che  fanno  credere  l'opposto  „.  —  Conforta,  in- 
fine, queste  conclusioni  col  fatto  notorio  del  prezzo  elevato  al 
quale  i  pratici  acquistano  ingrassi  non  fermentati  e  non  solu- 
bili (corno,  penne,  lana,  crini,  unghie)  proporzionatamente  agli 
effetti  che  ne  ottengono;  ed  allega  anche  altri  fatti,  come 
r  uso  del  lupino  cotto,  la  pratica  del  sovescio  e  della  stabbia- 
tura delle  pecore,  che  sarebbero  operazioni  men  che  utili  se 
la  fermentazione  fosse  indispensabile  per  estrinsecare  V  azione 
dei  concimi. 

Per  riconoscere,  d' altra  parte,  se  veramente  i  conci  fermen- 
tati danneggino  i  vegetabili,  come  i  sostenitori  della  fermen- 
tazione degli  ingnissi  opinavano,  il  Gazzeri  fece  due  ordini  di 
esperienze  di  concimazione,  alcune  delle  quali  meriterebbero  di 
essere  pubblicate  di  nuovo  ed  estese,  e  alcun  poco  variate  po- 
trebbero servire  di  punto  di  partenza  per  qualche  nuovo  ed 
interessante  studio.  L' importanza  di  queste  particolari  esperienze 
del  Gazzeri  non  sfuggì  alla  sagacia  del  sig.  Boussingault,  il  quale 
così  ne  parla  nella  sua  opera  Economie  Rurale  T.  2,  p,  63  "  Pour 
„  lever  tous  les  doutes  que  T  on  pouvait  encore  conserver  sur 
„  r  effet  nuisible  des  engrais  non  fermentés,  M.  Gazzeri  a  fait 
„  venir  du  blé  dans  une  terre  qui  avait  re^u  une  dose  extraor- 
„  dinaire  de  colombine,  qui  passe  pour  un  des  engrais  lés  plus 
„  actits.  Du  erottili  de  cheval,  pris  au  moment  où  il  venait 
„  d'  étre  rendu,  mèle  à  la  terre  dans  la  proportion  d'  un  quart 
„  en  volume,  11'  a  cause  aucun  obstacle  à  la  végetation  des 
»  cérèales  „. 

Il  Gazzeri  in  verità  riconosceva  che  non  è  impossibile  che 
r  uso  dei  letami  freschi  qualche  volta  produca  danno  alle  piante, 
ma  solamente  in  tali  circostanze  che  non  mai  si  verificano  nelle 

■ 

operazioni  agricole;  e  lo  provò  con  molte  esperienze  (quelle  ap- 
pena accennate  da  Boussingault)  sulle  quali   gioverà  intratte- 


AVANZAMENTO  BELLA  CHIMICA  MASSIME  Al»PLICATA  ALl' AGEICOLTURA       93 

nersi  un  poco.  Egli  pose  alcuni  semi  in  terra  mescolata  con 
materie  diverse,  ora  sole,  ora  diverse  unite  insieme;  ora  in  pro- 
porzione maggiore,  ora  in  proporzione  minore,  per  riconosceife  se 
alcune  isolatamente,  o  più  di  loro  insieme  unite  esercitassero 
malefica  azione  sul  nuovo  germoglio,  o  sulle  tenere  pianticelle.  Le 
materie  sperimentate  furono  non  meno  di  trenta  (vallonea,  se- 
gatura, carta  tritata,  lana,  concio  fresco  di  cavallo,  crusca,  fa- 
rina di  grano,  corno  raspato,  feci  umane,  colombina,  orina,  pol- 
lina, etc);  ogni  mescolanza  fa  posta  in  vaso  separato,  ed  in 
ogni  vaso  vennero  collocati  5  semi.  Sette  sole  di  tali  materie 
miste  alla  terra  di  orto  impedirono  la  germogliazione  ;  e  furono 
r  orina,  la  pollina,  le  feci  umane,  la  farina,  la  crusca,  le  ossa 
ed  il  corno  raspato,  miste  nella  proporzione  da  1  su  5  a  1  su  20 
di  terra;  mentre  in  tutte  le  altre,  non  escluso  il  concio 
fresco  di  cavallo,  non  misto  con  terra,  i  semi  germogliarono 
regolarmente.  —  In  un  altra  serie  di  esperienze  cercò  di  sta- 
bilire quanta  terra  convenisse  di  mescolare  con  le  sette  materie 
suddette  perchè  i  semi  germogliassero;  ed  osservò  che  basta- 
vano 5  parti  di  terra  per  ogni  parte  di  ossa  in  polvere  e  di 
corno  tritato;  ne  occorrevano  15  verso  1  di  pollina  e  di  co- 
lombina per  una  vigorosa  vegetazione  delle  piante  del  grano 
e  delle  fave.  E  da  tutti  i  resultati  fu  portato  alla  conclusione 
seguente:  ^  non  sussiste  in  fatto  che  gV  ingrassi  amministrati 
„  nelle  proporzioni  e  nel  modo  che  si  usano  nella  cultura  dei 
„  campi  impediscano  o  contrarino  la  vegetazione  delle  piante 
„  utili,  quando  queste  possono  vivere  e .  fruttificare  in  qualche 
„  specie  d'  escremento  puro  e  non  mescolato  in  proporzione 
„  alcuna  al  terreno;  (pag.  96)  „. 

Rispetto,  adunque,  ai  conci  o  ingrassi  formati  di  materie 
escrementizie  sole,  la  dimostrazione  del  Gazzeri  è  evidente;  in 
breve  tempo  con  la  fermentazione  perdono  metà  della  loro  ma- 
teria, e  buona  parte  delle  loro  sostanze  fertilizzanti  inutilmente 
si  spreca;  i  conci  freschi  usati  nel  modo  comune,  all'opposto,  non 
cagionano  alcun  danno  e  possono  spiegare  tutta  la  loro  effica- 
cia verso  le  piante  coltivate.  —  Se  il  Gazzeri  non  avesse  fatto 
altro  basterebbe  già  tutto  questo  per  renderlo  benemerito  delle 
Scienze  Agrarie,  e  ben  sarebbe  stato  che  Ei  si  fosse  attenuto  al 
lato  chimico-fisiologico  del  soggetto  :  ma  egli  volle  andare  anche 
più  avanti  e  forse   passò  i  confini  assegnati   al   chimico.   Per 


tl4  F.    SE.STINI 

esempio,  niello  male  eripe  e  dello  svilupr»fi  degli  insetti,  di  cui 
si  addobbitaiio  i  <:oiici  freschi  non  credè  giusto  fame  quel  conto, 
che  iie  facevano  altri  che    approvavano   caldamente  Y  uso  dei 
conci  maturi.  Eppoi  con  troppa  franchezza  estese  ai  conci  com- 
plessi, formati  di   materie   escrementizie  e  lettiere  i   resultati 
da  lui  ottenuti  per  i  conci,  per  mò  di  dire,  puri.  —  Non  è  che 
Egli  si  dissimulasse  che  escludendo  la  fermentazione  o  matura- 
zione dei  conci  complessi  si  andava  incontro  a  gravi  difficoltà; 
no  davvero.  Egli  vedeva  tra  le  altre  cose  V  ingombro  che  avreb- 
bero prr)dotto  le  materie  fibrose  delle  lettiere.  Che   cosa  fare 
di  quantità  grandissime  di  materie  vegetabili  fibrose,  dure,  (  si 
domandava  )  indocili  per  difetto    di  macerazione:  come  incor- 
pf^rarle  nel  terreno  ?  <.*ome  impedire  la  fermentazione  sì  pronta 
a  stabilirsi  nei  letami  freschi  ?    Ma  pago  di    avere    acquistato 
cognizioni  utilissime  per  la  scienza  come  per  la  pratica,  egli  si 
lusingò  "^  che  gli  agricoltori,  resi  dal  proprio  interesse  ingegnosi 
a  trovan»  es[>edienti  per  superare  e  fare  scomparire  ogni  diffi- 
colta, avrebbeio  saputo  provvedere  più  col  fatto  che  con  le  pa- 
role al  lorc)  maggiore  interesse,  e  alla  loro  maggiore  comodità  „ . 
E  qui  veramente  non  colse  nf?l  s.»gno;  imperocché  sia  per  le 
difficoltà  relative  all'  uso  di  conci  contenenti  tante  materie  pa- 
gliose e  dure  restìe  a  scomporsi  quando  son  sole,  e  che  sono  mag- 
giori di  (luello  che  Ei  le  supponeva,  sia  per  forza  della  tradi- 
zione ereditaria,  che  sì  bene  stigmatizzò,  sia  per  questi  motivi 
insieme  e  [)er  altri  che  ora  non  gioverebbe  mettere  innanzi,  gli 
agricoltori  restarono  ferini  nell'  antica  pratica,  e  lieti  e  contenti 
seguitarono  (e  seguiteranno)  ad  operare  come  prima  operavano. 
Ma  che  la  difficoltii  <li  far  macerare  tutte  le    materie    fibrose 
dei  lettimi  sia  grande  se  non  si  mescolano  nel  monte  del  le- 
tame con  gli  escrementi  freschi  degli  animali,  ne  dà  una  prova 
la  confessione  del  Marchese  Cosimo  Ridolfi,  amico  e  compagno 
di  studii  e  di  lavoro    del  (irazzeri:  il    quale  per    molto  tempo 
accettò  senza  riserva  anche  quest'  ultima  parte  della  dottrina 
del  nostro  Autore,  ma  più  tardi  ebbe  a  ricredersi,  e  rettamente 
insegnò    (  come   può   vedersi    dalle   impareggiabili    Lezioni    di 
Agraria;  voi.  I,  pag.  157  )  che  per  usare  le  materie  coriacee  e 
pagliose  dei  lettimi  orrorrr   farle  macerare  tìeile   concimme   nei 
modi  ]ilì(  acronel  \)Qr  impedire  il  piii  possibile  le  perdite  messe 
tanto  bene  in  luce  dal  Gazzeri. 


ATANZAHENTO  DELLA  CHIMICA  MASSIME  AFFOCATA   ALL*  AQRICOLTUBA        95 

m. 

Dopo  il  1845  tre  chimici  inglesi,  sigg.  Huxtable,  Thompson 
e  Way,  e  qualche  anno  più  tardi  Giusto  Liebig,  si  posero  a 
studiare  le  proprietà  assorbenti  del  terreno^  cercando  di  mettere 
in  chiaro  i  fatti  più  importanti  che  ad  esse  proprietà  si  rife- 
rivano ;  e  in  poco  d' ora  venne  universalmente  riconosciuto 
quanto  importante  fosse  questa  proprietà  nuovamente  ricono- 
sciuta della  terra  coltivabile.  La  cosa,  per  tanto,  era  tutt'  altro 
che  nuova,  e  la  sua  scoperta  apparteneva  al  nostro  Gazzeri. 
Difatti  Egli  a  pag.  79  della  sua   prima  memoria  sui  concimi, 

tante  volte  avanti  ricordata,  scriveva*. . ^  mm  posso  aste- 

„  nermi  da  fare  avvertire  un  altro  fatto  importante  e  degno 
„  di  osservazione.  —  Se  in  un  acqua  di  letame  fortemente  co- 
„  lorita  e  contenente  quella  maggiore  quantità  di  materia  nu- 
^  tritiva  che  può  contenere,  si  ponga  e  vi  si  agiti  una  porzione 
„  di  allumina  o  di  terra  argillosa,  il  liquore  è  prontamente 
„  scolorito,  e  la  terra  si  appropria  la  sostanza  che  vi  era  di- 
„  sciolta,  formando  con  essa  una  combinazione  che  sebbene  in- 
„  solubile  neir  acqua  è  scomposta  dall'  azione  assorbente  delle 
„  piante,  che  vi  prosperano  sii^olarmente,  come  ho  verificato 
„  con  V  esperienza  „. 

Di  questo  fatto  che  doveva  essere  stato  già  osservato  ed 
in  qualche  modo  annunziato  dai  filosofi  antichi  e  moderni, 
giacché  pare  che  anche  Aristotile,  Bacone,  Hales  e  Berzelius, 
ne  facessero  parola,  non  erasi  compresa  la  notabile  importanza 
per  la  vita  delle  piante,  ed  è  merito  del  Gazzeri  se  ciò  avvenne. 
In  fatti  Egli  proseguiva:  **  questo  fatto  (l' assorbimento  delle 
„  materie  solubili  per  opera  del  terreno)  cospirando  coi  molti 
„  già  allegati  a  provare  non  essere  necessaria  per  la  nutrizione 
r,  delle  piante  la  solubilità  attuale  della  materia  degli  ingrassi, 
„  spiega  nel  tempo  stesso  un  altra  tanto  più  mirabile  e  più 
„  benefica  quanto  più  semplice  disposizione  della  natura,  per 
„  cui  viene  amministrato  il  nutrimento  alle  piante  nel  modo 
„  che  loro  conviene  e  che  lo  stesso  bisogno  loro  determina  „  .  In 
tal  modo  per  la  prima  volta  veniva  stabilito  che  il  potere 
assorbente  ha  l'ufficio  di  moderare  la  somministrazione  delle 
materie   nutritive  che  possono  avere   bisogno   di   prendere  le 


96  p.  SEsnxi 

piante  dal  terreno  e  dai  concimi  in  esso  incorporati;  concetto 
affatto  nuovo  e  che  sorge  limpido  dalle  parole  stesse  del  nostro 
Autore.  Egli  evidentemente  precede  di  molto  coloro,  che  spe- 
cialmente si  sono  occupati  di  fisiologia  vegetabile  dopo  il  ISSO, 
e  che  hanno  trovato  utile  di  distinmiere  varii  £rradi  di  assimila- 
bilità  in  cui  possono  trovarsi  nel  terreno  le  sostanze  nutritive, 
desumendoli  dalla  maggiore  o  minore  facilità  del  terreno  a 
nutrire  bene  le  piante  coltivate.  Per  il  Gazzeri  prima  di  ogni 
altra  cosa  prevale  il  bisogno  delle  piante,  differente  secondo  i 
periodi  della  vegetazione,  e  date  le  circostanze  favorevoli  nna 
volta  che  alla  pianta  occorre  nutrimento,  se  da  un  lato  essa  ne 
assume  dall'  atmosfera  coli'  apparato  foliaceo.  dair  altra  con  le 
radici  può  attingere  dal  terreno  più  o  meno  di  quelle  sostanze 
nutritive  che  le  abbisognano,  purché  queste  sostanze  si  trovino 
in  stato  di  sohihilità  vhinale;  cioè  non  importa  che  esse  sieno 
in  stato  di  solubilità  attuale,  basta  che  possano  divenire  solu- 
bili, sia  pure  per  opera  degli  agenti  estemi  facqua«  calore,  os- 
sigeno), sia  per  X  azione  scomponente  degli  organi  assorbenti 
delle  piante  tanto  bene  dal  Gazzeri  già  messa  in  evidenza  con 
l>en  ordinate  esperienze. 

Di  quanto  il  nostro  Chimico  sopravanzi  in  tutti  gli  ali- 
menti di  fisiologia  e  di  chimica  vegetabile  i  suoi  contemporanei 
ed  anche  alcuni  dei  moderni,  risulta  chiaramente  da  quanto  è 
stato  ora  brevemente  discorso. 

Altro  agronomo  italiano  nel  1830,  Raffaello  Lambmschini, 
prese  a  trattare  davanti  ai  Geoi^oflli  di  Firenze  di  questa  pro- 
prietà assorbente,  che  qualificò  come  incorporamento^  ed  esplicando 
il  concetto  fondamentale  del  Gazzeri  così  si  pronunciò:  *  Pos- 
„  siamo  (^)  ben  riconoscere  una  particolare  affinità  e  una  com- 
„  binazione  sui  generis  fra  i  sughi  alimentari  delle  piante,  e  le 
„  particelle  del  terreno  convenientemente  costituito  e  conve- 
„  nientemente  disposto.  Combinazione  non  tanto  debole  da  per- 
„  mettere  una  facile  disperdizione  dei  sughi  nutritivi,  o  nn  troppo 
„  abbondante  succhiamento  di  essi  per  parte  delle  piante,  e 
„  combinazione  insieme  non  tanto  forte,  da  non  essere  vinta 
„  ognor  più  dall'  azione  ognora  crescente  della  forza  vitale  dei 
„  vegetabili  „. 

(»)  Atti  dei  Georgofili,  T.  IX,  p.  330. 


i 


ÀYANZAMENTO  DELLA  CHIMICA  MASSIME  APPLICATA  ALL^AGBICOLTURA        97 

Le  osservazioni  del  Gazzeri  e  del  Lambruschini  sulle  pro- 
prietà assorbenti  del  terreno  non  fiirono  né  dimenticate,  né 
trascurate  in  Toscana;  non  così  avvenne  altrove.  Soltanto  quelle 
del  Gazzeri  furono  conosciute  in  Germania  nel  1823,  per  la 
traduzione  della  predetta  memoria  sui  concimi,  e  sopra  di  esse 
richiamò  V  attenzione  degli  studiosi  del  proprio  paese  V  alemanno 
Bronner  che  nel  1836  in  un  libro  stampato  a  Heidelberg  (Der 
Weinbau  in  Sud-Deutsclad  s.  44)  si  dette  cura  di  provare  quanto 
grande  importanza  quella  proprietà  abbia  per  la  pratica  agraria. 

Per  queste  ragioni  io  di  gran  cuore  accetto,  (peraltro  con 
una  ben  lieve  ma  non  oziosa  rettificazione)  il  giudicio  dell'  egre- 
gio prof.  Italo  Giglioli,  che  così  si  esprime  a  pag.  38  del  suo 
libro  -  Chimica  Agraria  e  Silvana.  Napoli  1 884.  •  *  La  Chimica 
„  Agraria  è  una  scienza  finora  molto  poco  italiana.  Di  gran 
„  lunga  il  numero  maggiore  delle  ricerche  furono  fatte  e  si  fanno 
„  fuori  d' Italia.  Una  sola  grande  scoperta  in  questa  scienza  ò 
„  italiana;  quella  del  potere  assorbente  del  terreno:  ma  fu  ne- 
„  cessano  che  Inglesi  e  Tedeschi  rifacessero  la  scoperta,  perchè 
„  si  divulgasse  in  Italia,  e  gV  Italiani  rammentassero  le  osser- 
y,  vazioni  del  Gazzeri  „ . 

Per  gli  stranieri  si,  è  verissimo,  fu  necessario  che  si  rifacesse 
la  scoperta,  come  è  stato  necessario  che  si  rifacesse  la  enun- 
ciazione della  legge  di  Avogadro  (^),  come  sarebbe  necessario 
rifare  quasi  tutto  ciò  che  si  pubblica  in  lingua  italiana;  ma  per 
gr  italiani,  almeno  per  quelli  che  non  hanno  solamente  vaghezza 
di  cose  straniere,  non  doveva  essere  né  punto,  né  pòco  necessario. 

Ad  onore  del  vero  deve  dichiararsi  che  air  estero  sono  stati 
gli  autori  tedeschi  i  primi,  per  V  autorevole  consiglio  del  Prof. 
A.  Orth  di  Berlino  (^,  a  riconoscere  che  la  scoperta  del  po- 
tere assorbente  del  terreno  spetta  a  uno  scienziato  italiano; 
mentre  anche  in  un  recentissimo  libro  di  Chimica  Agraria  stam- 
pato a  Parigi  pochi  mesi  or  sono,  se  ne  attribuisce  il  merito 
a  Thompson  e  a  Huxtable. 

Cotalchè  allieta  assai  T  animo  nostro  vedere  dopo  tanti  anni 
di  negligenza  a  Giuseppe  Gazzeri  attribuito  almeno  uno  dei 
molti  meriti  che  gli  spettano. 

(*)  Sunto  di  un  Corso  di  Filosofia  Chimica  del  Prof.  F.  Canniizaro  (Nuovo 
Cimento.  Pisa  1858,  VoL  VU). 

(*)  Landvoirhttchaftlicher  Versuchs-Stationen  B  XVI,  p.  56. 

Se.  Nat,  Voi.  VHI,  ÙMO.  1.*  8 


98  F.  SESTINI 


IV. 

L'acido  borico  che  era  stato  scoperto  nel  1778  da  Hoeflfer 
nei  lagoni  di  Monte  Rotondo  e  di  Castelnuovo,  e  poco  dopo  da 
Paolo  Mascagni  negli  altri  lagoni  del  Volterrano  e  del  Senese, 
era  ancora  oggetto  di  semplice  curiosità  scientifica,  quando  G.  Graz- 
zeri  nel  1 808  cominciò  i  suoi  tentativi  per  trarre  di  là  V  acido 
borico  e  fabbricare  il  borace,  identico  a  quello  che  vernaci  di 
fiiori.  —  Non  scoraggito  dalle  difficoltà  senza  numero  incontrate, 
tornò  successivamente  ad  occuparsi  anche  con  maggior  lena 
nel  1816  del  modo  di  dar  vita  all'estrazione  industriale  del- 
l' acido  borico,  e  fii  in  quel  tempo  che  concepì  il  felice  pensiero 
di  perforare  i  terreni  boraciferi  della  Marenuna  toscana  per 
ottenere  artificialmente  mediante  lo  sprigionamento  e  la  con- 
seguente eruzione  del  cocente  vapore  rinchiuso  nella  terra,  sof- 
fioni simili  a  quelli  che  naturalmente  erompono,  ove  le  scre- 
polature del  suolo  lasciano  libera  uscita  ai  vapori  sotterranei. 
Siffatta  ed  ottima  idea  non  potè  essere  da  lui  portata  ad  atto 
a  causa  degli  ostacoli  che  allora  si  presentavano,  in  specie  per  la 
deficienza  di  meccanismi  occorrenti  alla  pratica  esecuzione  e  dei 
capitali  sufficienti  all'  intrapresa  :  ma  fii  più  tardi  utilmente  ap- 
plicata da  altri  con  incremento  della  industria,  e  promette  di 
essere  feconda  in  avvenire  di  altre  e  vantaggiose  conseguenze; 
giacché  con  la  trivella  ora  si  attinge  acqua  boracifera  calda, 
ora  vapore  secco,  come  si  dice  dai  tecnici,  ora  soffioni  più  o 
meno  carichi  di  sali  ammoniacali. 

H  Gazzeri  ha  contribuito,  adunque,  in  modo  diretto  colla 
mente  e  coli' opera  sua  personale,  alla  fondazione  dell'unica 
grande  industria  chimica  essenzialmente  italiana;  quella  voglio 
dire  dell'acido  borico.  Paolo  Mascagni  consigliò  l'uso  del  ca- 
lore naturale  dei  soffioni  per  l' evaporazione  delle  acque  bora- 
cifere;  l' infelice  Ing.'*  G.  Ciaschi  operò  la  saturazione  delle 
acque  riunite  intomo  l' apertura,  o  piccolo  cratere  dei  soffioni  : 
il  Gazzeri  stimolò  con  l'esempio  i  proprii  compaesani  a  darsi 
a  quell'industria,  e  additò  al  modo  di  avere  soffioni  boraciferi 
artificiali,  e  per  tal  guisa  insegnò  ad  accrescere  sempre  più  le 
sorgenti  dell'acido  borico. 


AVANZAMENTO  DELLA  CHIHICA  KASSDIE  APFUCATA  ALL*AOBICOLTDBA       99 


V. 

Per  quanto  ci  siamo  proposti  di  prendere  a  considerare  sol- 
tanto alcuni  dei  più  importanti  studii  e  lavori,  ai  quali  Giu- 
seppe Gazzeri  nella  sua  laboriosa  vita  dette  opera,  pure  non 
possiamo  fare  a  meno  di  ricordare  brevissimamente,  come  a 
causa  del  blocco  continentale,  che  fu  imo  dei  più  grandi  errori 
economici  del  primo  impero  napoleonico,  Egli  volgesse  per  varii 
anni  la  sua  intelligente  operosità  ad  allestire  da  per  sé  e  a  favo- 
rire chi  volesse  impiantare  in  Toscana  una  qualche  industria  chi- 
mica. Tra  queste  preferì  :  1  ."*  la  fabbricazione  del  sale  ammonico 
col  metodo  di  Baumè;  2."*  V  imbianchimento  delle  tele  col  cloro; 
3.^  la  fabbricazione  della  carta  bianca  con  la  paglia;  4.®  la 
lavorazione  della  gomma  elastica;  5."^  V  estrazione  della  potassa 
dalle  ceneri  di  Maremma  con  metodo  economico  e  produttivo; 
6."*  r  estrazione  dello  zucchero  dalle  castagne;  oltre  di  che  sug- 
gerì importanti  miglioramenti  nelle  ferriere  dell'  Elba.  Ma  poche 
di  queste  industrie,  che  Egli  illustrò  con  dotti  scritti,  e  alcune 
delle  quali  iniziò  a  proprie  spese,  altre  diresse  per  conto  d' altri, 
tolto  il  blocco  napoleonico,  non  essendo  sorrette  da  sufficienti 
capitali,  poterono  poi  sopravvivere  per  la  concorrenza  della  fab- 
bricazione straniera.  E  quasi  che  questo  fosse  poco,  mentre  cioè, 
impiantava  fabbriche  industriali  d' indole  sì  diflferenti,  coope- 
rava alla  direzione  della  celebrata  Antologia  del  Yieusseux  senza 
venir  meno  al  proprio  ufficio  di  pubblico  lettore,  istituiva  ricerche 
di  chimica  patologica,  e  di  frequente  dava  alla  luce  dissertazioni 
per  ogni  rispetto  pregevoli  sopra  argomenti  di  chimica  applicata 
alla  fisiologia  e  alFagricoltura.  Tra  queste  sia  concesso  di  fare  al- 
meno la  enumerazione  di  alcune  che  non  sarebbe  inutile  rian- 
dare di  proposito  se  il  tempo  e  lo  spazio  noi  contrastassero: 
le  quali  hanno  per  titolo  :  1  ."*  sulla  maturazione  dei  frutti,  ricerche 
ed  osservazionij;  2."*  su  gli  olii  e  su  i  corpi  grassi;  3.^  sulla  malaria, 
ricerche  importanti  assai  pel  tempo  in  cui  ftirono  pubblicate; 
4.^  sull'  analisi  delle  acque;  non  che  diverse  memorie  sopra  i 
concimi  e  sulle  rotazioni  agrarie. 

Di  tutta  questa  mole  grandissima  di  lavori  e  di  studi,  a 
cui  piaccia,  si  può  prendere  notizia  rovistando  gli  Atti  della 
Accademia  dei  Georgofìli  di  Firenze,  in  grembo  della  quale  la 


100  F.  SSSTINI 

Chimica  era  ben  coltivata  da  diversi  ed  abili  Scienziati  avanti  che 
sorgesse  la  nuova  èra  che  data  dal  1 840;  èra  che  allargò,  estese 
grandemente  il  campo  degli  studi,  ma  in  molte  cose  non  fece 
che  aumentare  la  superficie  dei  domimi  della  Chimica  applicata 
air  agricoltura,  di  poco  approfondando  le  nostre  cognizioni  sul- 
r  essenza  dei  mutamenti  chimici  relativi  alla  produzione  agraria. 

VI. 

In  conclusione,  a  parte  la  grande  operosità  scientifica,  a 
parte  anche  le  vaste  cognizioni  e  la  bella  cultura,  rimane  sem- 
pre a  Giuseppe  Gazzeri  il  merito  1  .**  di  avere  sin  dal  principio 
del  secolo  nostro  utilmente  coltivato,  ed  insegnato  in  ItaUa  a 
coltivare  la  Chimica  sperimentale  ;  2.®  di  avere  iniziato  con  buon 
metodo  una  serie  di  esperimenti  chimici  sopra  la  fermentazione  ^ 
dei  concimi  e  di  avere  con  logiche  deduzioni  rivelato  varie 
e  molto  importanti  conclusioni  intomo  la  concimazione  delle 
piante  coltivate,  ed  altre  pure  assai  interessanti  per  la  fisio- 
logia e  la  chimica  vegetabile;  3.®  di  avere  rilevata  l'importanza 
del  potere  assorbente  del  terreno  e  di  avere  additato  V  ufficio 
che  per  mezzo  di  questa  proprietà  adempie  il  suolo  rispetto  alla 
vegetazione;  3.^  di  avere  concepito  l'idea  dei  soffioni  artificiali 
per  accrescere  la  produzione  dell'acido  borico;  concetto  più 
tardi  tradotto  in  pratica  con  vantaggio  dell'  industria  nazionale. 

Questi  sono  titoli  tali  di  benemerenza  che  neppure  il  tempo 
cancellerà  dalla  memoria  degli  italiani:  tali  che  renderanno 
sempre  venerato  il  nome  del  Gazzeri  presso  tutti  coloro  cui  sta 
a  cuore  la  scienza  e  la  civiltà  ;  tali,  infine,  che  impongono  fin 
d'  ora  r  obbligo  di  noverarlo  tra  i  fondatori  della  Chimica  ap- 
plicata all'agricoltura  e  alle  industrie  affini. 


SBLLi  mmmm  delio  %wm  mk 


BEI 


PESCI  MURENOIDI  ITALIANI 
melili  mwm  w.  dott.  figalbi  Eugenio 

Aiuto  alla  oattedra  di  Akat.  ookp.  e  Zool.  pxlla  R.  UinyEiuiiTX  di  Pisa 


Lo  studio  analitico  della  conformazione  dello  scheletro 
cefalico  in  questo  e  quel  Vertebrato,  che  presenti  qualche 
peculiarità,  è,  a  mio  credere,  argomento  da  non  dispregiarsi 
dagli  Anatomici,  in  oggi  che  la  morfologia  del  cranio,  conside- 
rato sotto  l'aspetto  generale,  ha  fatto  già,  per  opera  special- 
mente degli  Osservatori  inglesi,  dei  passi  decisivi:  dico  che  lo 
studio  analitico  delle  varie  forme  non  è  da  dispregiarsi,  in 
primo  luogo  perchè  più  numerose  sono  le  osservazioni  sulle 
singole  specie  e  meglio  può  approfittarne  con  le  sue  vedute  ge- 
nerali la  Morfologia,  in  secondo  luogo  perchè  la  conoscenza  delle 
modificazioni  secondarie  del  cranio,  che  possono  riscontrarsi  in 
questo  e  quel  Vertebrato  o  gruppo  di  Vertebrati  craniati,  può 
essere  utile,  non  solo  come  conoscenza  in  sé,  ma  anche  come 
mezzo  per  stabilire  aflSnità  o  non  affinità  tra  le  varie  specie  e 
i  gruppi  di  esse. 

E  per  queste  ragioni  che  mi  son  dato  a  studiare  descritti- 
vamente lo  scheletro  cefalico,  o,  come  anche  comunemente  di- 
cesi, il  cranio  di  quegli  importanti  Pesci,  che  sono  i  così  detti 
MuRENoiDi;  le  mie  osservazioni  si  aggirano  sui  Murenoidi  della 
nostra  Fauna,  quali  la  Anguilla,  il  Grongo,  V  Ofisuro,  la  Murena. 

Non  nego  che  diversi  Anatomici,  specie  tra  i  vecchi,  mo- 
strarono già  di  non  ignorare  che  questi  Pesci  hanno  delle  pecu- 


102  E.   nCALBI 

Ilarità  craniche,  in  confronto  di  altri;  così  Meckel^  Olivier ^  Stannius 
e  qualche  altro  menzionarono  questa  e  quella  disposizione^  che  a 
loro  sembrò  particolare;  ma  fecero  ciò  sempre  incidentalmente, 
e  sovente  in  modo  tutt'  altro  che  tale  da  appagare  la  curiosità 
dell'Anatomico,  oltre  che  ftiron  ben  lungi  dal  citare  tutte  le 
particolarità,  o  citarle  con  esattezza;  anche  0.  G.  Costa,  per  ri- 
cordare un  italiano,  nella  sua  Famia  del  Regìio  di.  Napoli  (}) 
accenna  qualche  cosa  sul  cranio  dei  Murenoidi,  e  dà  una  figura 
di  quello  dell' Ofisuro  e  della  Murena,  ma  al  Costa  non  inte- 
ressava di  dare  che  qualche  nozione  principale,  e  quindi  tanto 
le  figure  che  le  descrizioni  sono  ben  lungi  dal  potersi  dichia- 
rare complete.  Per  dimostrare  che  anche  tra  i  moderni  non 
molto  si  è  fatto  sulV  argomento  che  intendo  trattare,  mi  basti 
citare  ciò  che,  riguardo  ai  Murenoidi,  si  trova  nell'eccellente 
libro  di  Parker  e  Bettany  sul  cranio  (Lotidon,  1877),  libro  che, 
per  quanto  d'indole  generale,  pur  tuttavia  contiene  qua  e  là 
qualche  sunto  analitico,  su  questo  o  quel  cranio;  circa  ai  Mu- 
renoidi dice  quanto  segue:  **  Nei  Murenoidi  le  trabecole  si  ri- 
ducono a  strette  bandellette  di  cartilagine  nella  regione  orbi- 
tale, curvate  in  avanti  e  in  su,  sopra  il  parasfenoide.  Anterior- 
mente si  trova  un  osso  etmoide  mediano  verticalmente  crestato, 
con  un  solco  al  di  sotto  per  ricevere  una  cresta  sporgente  dal 
vomere  fornito  di  denti.  Su  l' uno  e  Y  altro  lato  di  questa  cresta 
vi  è  una  semplice  e  distinta  bacchetta  trabecolare.  I  nervi  olfat- 
tivi, nel  passare  nei  sacchi  nasali,  sono  avviluppati  da  un  paio 
di  grosse  e  distinte  cartilagini  ectoetmoidali;  sopra  la  capsula 
olfattiva  trovasi  un  piccolo  osso  nasale.  Non  esistono  premascel- 
lari; il  vomere,  fornito  di  denti,  giunge  fino  alla  estremità  del 
muso;  i  mascellari  sono  grandi  e  portano  denti.  L' iomandibo- 
lare  è  molto  ampio,  con  due  teste  articolari  distinte  e  separate; 
il  suo  estremo  distale  è  diretto  in  basso  e  in  avanti;  il  sim- 
plettico  è  distinto.  Tra  queste  due  ossa  è  attaccato  il  resto  del- 
l' arco  ioideo  per  un  ligamento  interiale.  Gli  epiali  e  i  ceratoiali 
sono  quasi  uguali  in  grandezza  ;  non  vi  e  ipoiale.  L' apice  della 

parte  sospensoriale  dell'  arco  mandibolare  non  è  ossificata 

Vi  è  un  piccolo  quadrato,  e  in  avanti  di  questo  un  minuto  pro- 


(1)  OroQzio  Gabriele  Costa  —  Fauna  del  Regno  di  Napoli^  Pesci,  Parte  I,  Or- 
dine dei  Malaoopterig^i  apodi.  Napoli  1S50, 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MUBENOIDI  EC.     103 

• 

cesso  cartilagineo  di  forma  triangolare,  che  rappresenta  tutto 
ciò  che  esiste  della  cartilagine  pterigoidea;  al  di  sopra  vi  è  un 
osso  palatopterigoideo  stiliforme.  La  mascella  inferiore  possiede, 
oltre  un  dentario  e  un  articolare,  un  piccolo  coronoide  nella 
sua  faccia  interna,  incastrato  tra  le  due  ossa  più  grandi  „ . 

Come  si  vede,  ciò  non  è  molto,  e  lascia  aperto  largo  adito 
ad  una  legìttima  curiosità  scientifica,  e  di  più  farò  osservare 
come  vi  sia  qualche  inesattezza,  come,  per  esempio,  là  ove  si 
parla  del  vomere,  là  ove  si  dice  che  esiste  un  simplettico  di- 
stinto, che  invece  manca  in  tutti  Murenoidi. 

Tutto  ciò  che  ho  accennato  dimostra  che  non  è  chiuso  il 
campo  a  nuove  e  dettagliate  ricerche,  ed  io  ho  la  convinzione 
di  non  fare  opera  vana  occupandomi  della  cosa.  Potrebbe  essere 
forse  utile  un  giorno  conoscer  bene  analiticamente  i  crani  dei 
Pesci  per  tentare  la  creazione  di  gruppi,  come  già  praticò 
Huxley  per  gli  uccelli. 

Dell'argomento  poi  che  ho  scelto  mi  occupo  volentieri,  in 
quanto  sembrami  scorgere  che  in  Italia  siano  pochi  i  cultori 
dell'Anatomia,  che  prendano  a  tema  delle  loro  ricerche  il  cranio 
e  il  restante  dello  scheletro  dei  Vertebrati,  specie  degli  infe- 
riori, argomento  questo  tra  i  più  interessanti,  ciascun  lo  sa, 
deir  Anatomia  comparata  e  che,  per  quanto  sia  stato  dei  più 
esplorati,  presenta  pur  sempre  tanto  di  nuovo.  Non  io  ho  la 
pretesa,  si  capisce,  di  colmare  la  accennata  lacuna;  mi  baste- 
rebbe di  aver  dato  un  po'  di  buon  esempio. 

Nel  presente  scritto  prima  descriverò  analiticamente  lo  sche- 
letro cefalico  dei  Murenoidi  nostrali,  che  sopra  ho  accennato; 
poi  in  ultimo,  a  guisa  di  riassunto,  riepilogherò  le  uniformità 
e  difformità  che  si  vedono  esistere^sia  confrontati  i  suddetti 
Murenoidi  tra  loro,  sia  con  qualche  altro  Teleosteo. 

Mi  valgo  nella  nomenclatura  dei  pezzi  del  cranio,  delle  de- 
nominazioni usate  da  Parker^  come  quelle  di  cui  reputo  utile 
la  diffusione  e  che  stimo  le  più  appropriate. 

1.  —  Scheletro  cefalico  della  Anguilla 

Inizio  il  mio  studio  sulla  conformazione  dello  scheletro 
cefalico  0,  come  anche  si  dice,  del  cranio  dei  Pesci  murenoidi, 
cominciando  da  quello  della  Anguilla  comune  (Anguilla  vulgatiSj 


104  B.  ncÀLBi 

Fieni)  (^);  avvertirò  tosto  che  nella  descrizione  scialitica  del 
cranio  della  Anguilla  stessa  come  degli  altri  Murenoidi,  non 
sto  a  distinguere  di  questo  varie  porzioni  o  regioni,  ma,  co- 
minciando dalla  parte  sua  occipitale,  procedo  in  avanti,  ri- 
serbandomi di  parlar  per  ultimo  della  porzione  ioido-bran- 
chiale. 

Osservando  la  £Eiccia  posteriore  del  cranio  di  una  Anguilla, 
&ccia  abbastanza  ampia  e  tagliata  a  picco  relativamente  alla 
direzione  posteroanteriore  del  tegmen  e  della  basis  craniij  ei 
vedono,  come  mostra  la  Fig.  1,  diverse  ossa,  delle  quali  due 
sole  sono  impari,  mediane  e  simmetriche,  essendo  le  altre  pari, 
bilaterali,  asimmetriche  per  la  loro  forma.  Tra  queste  ossa, 
posteriormente  ben  visibili,  quattro  ne  spiccano  di  cui  tre  cir- 
coscrivono il  forame  occipitale,  una  è  più  elevata  del  forame 
medesimo.  Sono  le  quattro  ben  note  ossa  del  così  detto  se- 
mento occipitale  del  cranio,  sono,  cioè,  il  hasioccipitale^  gli  e«or- 
dpUaliy  il  sopraoccipitalc.  Descriviamole  brevissimamente. 

L'  osso  basioccipitale  ( Fig.  1 ,  3,  5,  b  o)  è  sulla  continuazione 
della  colonna  vertebrale,  ha  forma  alquanto  schiacciata  dall^alto 
in  basso  e  a  un  dipresso  triangolare  :  in  dietro  ove  corrispon- 
derebbe il  vertice  del  triangolo,  vertice  che  e  tronco,  presenta 
una  superficie  articolare  rotonda,  concava;  per  mezzo  di  essa 
è  in  contatto  con  la  prima  vertebra;  la  sua  faccia  inferiore  o 
ventrale  è  ricoperta,  nel  cranio  integro,  in  parte  dal  parasfe- 
noide  (Fig.  Sj  p  sf),  il  quale,  rivestendo  tutta  la  base  del  cra- 
nio, giunge  in  dietro  con  due  apofisi  fin  quasi  all^  articolazione 
cranio-vertebrale;  in  avanti  il  basioccipitale,  si  articola  con  i 
due  prootici,  lateralmente  poi  articolasi  con  gli  esoccipitali 
(  Fig.  1  e  3,  e  0  ).  —  Le  d\m  ossa  esocdpitali  (  Fig.  1,  2,  3,  5  e  o  ) 
irregolari  per  forma  sono  costituite,  come  ben  dice  Meckel  pei 
Pesci  in  generale,  di  tre  branche,  confluenti  in  una  massa  cen- 
trale: delle  tre  branche  una  è  diretta  esternamente,  una  su- 
periormente, una  anteriormente;  nel  cranio  gli  esoccipitali  si 
impiantano  uno  per  lato  sul  basioccipitale  con  la  loro  massa; 
la  branca  esterna  di  ciascuno,  giunge  fin  sotto  la  sporgenza 
pterotica  del  cranio,  che  poi  conosceremo  ;  con  la  propria,  branca 
superiore  gli  esoccipitali  vengono  V  un  V  altro  a  riunirsi  al  di 

Q)  Muraena  anguilla^  Linneo. 


OONFOMAZIONB  DELLO  SCHELETBO  CSFAUCO  DEI  PESCI  MUBENOIDI  BC.      106 

sopra  del  forame  occipitale  (come  mostra  la  Fig.  1),  il  quale  è 
così  da  queste  ossa  quasi  in  tutta  la  sua  periferia  circoscritto  : 
ho  detto  qtmsi  in  tutta .  la  sua  periferia,  infatti  in  basso  il  fo- 
rame stesso  è  circoscritto  un  pocolino  anche  dal  basioccipitale  ; 
ciaschedun  esoccipitale  si  articola  in  alto  con  V  epiotico  della 
propria  parte,  cui  fa  da  base  di  impianto  (  Vedi  la  Fig.  Ij  ep); 
lateralmente  si  articola  con  la  porzione  posteriore  dello  pte- 
rotico  (Fig.  1,  pto)y  e  anteriormente,  mercè  il  suo  processo 
o  branca  anteriore,  si  articola,  per  un  piccolo  tratto,  col  prootico 
del  proprio  lato  (  Fig.  Sj  prò).  —  L'  osso  sopraoccipitale  (^)  è 
esile,  allungato  anteroposteriormente,  presso  che  squamiforme 
anteriormente  (  Fig.  1,  2,  e  5,  ^  o  ).  Esso,  nel  cranio  integro,  non 
solo  non  circoscrive  in  nessuna  misura  il  forame  occipitale,  ma 
neppm-e  è  in  contatto  con  gli  esoccipitali,  dai  quali  lo  divide 
uno  spazio  non  ossificato,  in  cui  permane  tessuto  cartilagineo, 
spazio  rappresentato  in  k  nella  Fig.  1 .  Questa  disposizione  del 
sopraoccipitale  fece  sì  che  molti  vecchi  Anatomici  gli  dessero 
in  generale  nei  Pesci  il  nome  di  inter parietale ^  nome  che  per 
nulla  compete  a  quest'  osso  di  origine  cartilaginea.  Lateralmente 
il  sopraoccipitale  si  articola  con  gli  epiotici  (  Fig.  1  e  2,  ^  p  ) , 
che  lo  abbracciano  intimamente;  in  sopra  è  per  buon  tratto 
ricoperto  dai  parietali  (Fig.  2, jpa),  in  modo  che  non  riman 
libero  e  visibile  che  il  suo  estremo  posteriore,  quale  è  rappre- 
sentato appunto  nelle  Fig.  1  e  2  in  5  o. 

Ho  tenuto  così  brevemente  parola  di  quattro  delle  ossa, 
che  ci  si  presentano  osservando  la  faccia  posteriore  del  cranio 
dell'Anguilla,  ho,  cioè,  parlato  del  così  detto  segmento  cranico 
occipitale  ;  vengo  ora  alle  altre  ossa  visibili  nella  già,  accennata 
faccia  posteriore  del  cranio.  Esse  sono  in  numero  di  quattro, 
ossia,  due  a  due,  pari,  bilaterali,  asimmetriche,  e  dette  epiotici 
e  pterotici. 

Gli  epioticij  od  ossa  epiotiche,  (Fig.  1,  2,  4  e  5,  ejp  ),  irrego- 
lari per  forma,  mandano  ciascuno  in  alto  e  in  dietro  un  pro- 
cesso, che,  nello  scheletro  cefalico  integro  può  chiamarsi  prò- 
cesso  epiotico  del  cranio.  Gli  epiotici  fiiron  detti  occipitali  esterni 
da  Cuviery  paroccipitali  da  Owen;  da  Hxley  fu  loro  dato  il  nome 

(^)  Meckeh  a  torto,  scrisse  potere,  almeno  qualche  volta,  mancare  nella  Àn- 
gailla  Tosso  sopraoccipitale,  eh* egli  chiama  porzione  squamosa  dell* occipitale.  V.  la 
sua  An.  camp.  Tomo  2,  pag.  480.  Paris  18^. 


106  E.  nCALBI 

che  ho  usato,  e  che  deve  esser  conservato,  per  la  ragione  che 
queste  ossa,  lungi  dall'  essere  elementi  occipitali,  entrano  a  co- 
stituire parete  alla  cavità  labirintica  uditiva.  Sono  situati  gli 
epiotici,  uno  per  ciascun  lato,  al  di  sopra  degli  esòccipitali  e 
ai  lati  del  sopraoccipitale.  Ciascuno  epiotico,  che  forma  parte 
della  parete  posteriore  della  cavità  encefalica,  si  articola  in 
basso  coir  esoccipitale  del  proprio  lato  (V.  la  Fig.  1  e  2),  inter- 
namente» col  sopraoccipitale,  in  alto  e  anteriormente  col  parie- 
tale, esternamente  col  pterotico  del  proprio  lato.  —  Gli  pfe- 
roHci  (  Fig.  1,2,  3,  4e5p<(?)  sono  due  ossa  molto  allungate, 
che  dalla  porzione  posteriore  del  cranio  si  estendono  in  avanti, 
uno  per  parte,  fino,  si  può  dire,  a  raggiungere  il  cerchio  osseo 
periorbitario  :  un  canale  muccoso,  in  comunicazione  con  quello 
che  scorre  nelle  ossa  periorbitari  e,  percorre,  molto  superficial- 
mente, tutto  lo  pterotico  da  cima  a  fondo.  GU  pterotici  sono 
ossa  delle  pareti  laterali  del  cranio;  costituiscono  inviluppo  a 
porzione  della  cavità  labmntica  uditiva,  che  per  un  certo  tratto 
li  invade.  Si  articola  ciaschedun  pterotico  internamente,  ossia 
verso  la  faccia  superiore  del  cranio,  coli'  epiotico,  col  parietale, 
col  frontale  del  proprio  lato,  in  dietro  e  in  basso  coli'  esocci- 
pitale, ventralmente  poi  si  articola,  procedendo  di  dietro  in 
avanti,  prima  col  prootico,  poi  con  V  alisfenoide  del  proprio 
lato;  esternamente,  e  piuttosto  in  avanti,  tra  lo  pterotico  e  il 
prootico,  si  impianta  lo  sfenotico  (  Fig.  2,  3  e  4,  5/*o  ).  In  dietro 
e  di  lato  ciascun  pterotico  si  estende  in  un  processo  assai 
sviluppato  posterionnente,  che  dicesi  sporgenza  pterotica  del 
cranio.  —  Nel  cranio  dell'Anguilla  non  v'  e  opistotico  distinto. 

Con  lo  pterotico  ho  iniziato  lo  studio  delle  pareti  laterali 
del  cranio.  Continuo  ora  ad  accennare  quali  elementi  ossei  tro- 
vansi  in  queste  pareti  della  cassa  encefalica;  poi  gradatamente 
parlerò  prima  della  basis  e  del  tegmen  cranii,  quindi  della  estre- 
mità anteriore  del  cranio,  o  del  muso  con  le  varie  ossa  che  vi 
si  trovano,  quindi  infine  dell'apparecchio  sospensore  e  mascel- 
lare inferiore,  e  di  quello  ioido-branchiale. 

Nelle  pareti  encefaliche  laterali  oltre  i  già  noti  pterotici, 
trovansi  i  prootici,  gli  alisfenoidi,  gli  sfenotici,  ossa  bilaterali, 
asimmetriche,  di  origine  cartilaginea. 

I  prootici  (  Fig.  3,  4:  e  ò  prò)  sono  due  osssa  assai  svilup- 
pato, ^'regolari  per  forma,  i  quali,  situati  uno  per  parte,  vengon 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  inTRENOIDI  EC.     1 07 

subito  innanzi  all'  esoccipitale.  Sono  le  principali  tra  le  ossa  che 
costituiscono  parete  alla  cavità  labirintica  uditiva  e  sul  loro 
significato  errarono  quasi  tutti  i  vecchi  Anatomici  ;  così  Cuvier 
ed  Oicen  li  crederono  parte  dello  sfenoide:  devesi  ad  Huxley  il 
nome  che  ora  hanno  e  che  ne  precisa  il  significato  anatomico. 
Ciascun  prootico  trovasi,  nel  cranio  integro,  (V.  Fig.  3  e  4)  com- 
preso tra  lo  pterotico,  col  quale  si  articola  in  sopra,  tra  V  esoc- 
cipitale e  il  basioccipitale,  coi  quali  si  articola  indietro,  tra  il 
parasfenoide,  col  quale  articolasi  in  basso,  e  tra  Talisfenoide 
e  lo  sfenotico,  dei  quali  col  primo  si  articola  anteriormente,  in 
sopra  ed  esternamente  col  secondo.  Di  più  ciascun  prootico 
manda  dalla  sua  parte  intema  o  intracranica  un  processo  che 
va  a  raggiungere  la  faccia  inferiore  del  parietale  del  proprio 
lato,  col  quale  si  articola.  —  Gli  alisfenoidi  (  Fig.  3,4e5a/5) 
sono  ossa  piuttosto  piccole,  che  vengon  subito  innanzi  ai  prootici. 
In  basso  si  impianta  ciascun  alisfenoide  sulla  branca  del  pro- 
prio lato  del  basisfenoide,  che  tra  poco  accennerò;  anterior- 
mente si  articola  con  una  apofisi  discendente  del  frontale  della 
propria  parte,  posteriormente  col  prootico;  in  sopra  è  coperto 
dalla  porzione  anteriore  dello  pterotico,  col  quale  si  articola; 
tocca  anche  lo  sfenotico.  Tra  alisfenoide  e  prootico,  nel  punto 
ove  si  articolano  è  compresa  una  lacuna  assai  ampia,  un  grosso 
foro,  passaggio  di  nervi.  —  Gli  sf enotici  (Fig.  2,  d,  4:  e  b  sfo) 
sono  due  ossa  di  forma  presso  a  poco  piramidale  o  triangolare, 
che,  uno  per  parte,  sporgono  ai  lati  del  cranio,  in  modo  che 
come  in  dietro  abbiam  visto  una  sporgenza  pterotica  data  dal- 
l'estremo posteroestemo  del  pterotico,  così  più  in  avanti  viene 
a  costituirsi  (V.  Fig.  2  e  4  )  una  sporgenza  sfenotica,  triangolare, 
data  da  ciascun  sfenotico,  che  si  proietta  in  fuori.  Ciaschedun 
sfenotico  ha  forma  piramidale,  come  ho  detto,  col  vertice  di- 
retto esternamente;  l'impianto  dello  sfenotico  si  la  principal- 
mente nel  prootico,  in  una  sporgenza  di  questo,  che  gli  fa  da 
base;  si  articola  poi  anche  ciascun  sfenotico  con  l' alisfenoide  e 
con  lo  pterotico  del  proprio  lato.  Fu  dato  allo  sfenotico  dai 
vecchi  Anatomici  il  nome  di  frontale  posteriore  e  da  diversi  mo- 
derni di  postfronlaU:  è  bene  appellar  quest'  osso,  di  origine  car- 
tilaginea, addirittura,  come  io  ho  usato,  sfenotico,  lasciando  il 
nome  di  postfrontale  ad  altra  ossificazione  riscontrabile  nel 
cranio  vertebrato,  e  che  non  è  qui  il  luogo  di  rammentare. 


108  E.  nCALBI 

Vengo  ora  alle  ossa  della  base  della  cavità  encefalica.  Primo 
osso  della  base  è  il  basioccipitale,  che  già  conosciamo.  Da  questo 
procedendo  in  avanti  im  solo  osso  basilare  di  origine  cartila- 
ginea si  trova:  il  basisfenoide;  vi  e  poi  lungo  tutta  la  basis 
cranii  un  altro  grande  osso  che  quasi  dalla  estremità  del  muso 
si  estende  fino  al  basioccipitale,  situato  sotto  al  basisfenoide 
e  in  parte  sotto  al  basioccipitale  rammentato,  osso  che  si  chia- 
ma il  parasfenoide  e  che  è  di  origine  connettivale.  Brevemente 
parlo  di  queste  due  ossificazioni  basilari  accennate,  ambo  im- 
pari, mediane  e  simmetriche.  —  L'  osso  basisfenoide  (  Fig.  3,  4 
e  ò,  bsf  )f  è,  come  ho  già  detto,  il  secondo  ed  ultimo  osso 
cartilagineo  della  base  della  cavità  encefalica.  Esso  nel  cranio 
integro  non  si  articola  minimamente  in  dietro  col  basioccipi- 
tale, quindi  tra  questo  e  quello  rimane  uno  spazio,  in  cui  per 
un  certo  tratto  si  insinuano  con  la  loro  parte  inferiore  i  pro- 
otici;  non  arrivando,  però,  i  due  prootici  stessi  a  toccarsi  re- 
ciprocamente, ne  deriva  che  lo  spazio  stesso  viene  chiuso  in 
basso  direttamente  dal  sottostante  parasfenoide,  in  modo  che 
in  questo  punto  la  cavità  encefalica  non  ha  base  di  osso  car- 
tilagineo,  11  basisfenoide,  (detto,  nei  Pesci  teleostei  in  generale, 
j)resfenoide  da  diversi  Anatomici,  tra  cui,  per  esempio,  anche 
Meckel)  {})  risulta  di  una  base,  e  di  due  branche  divergenti,  di- 
rette in  alto.  Con  la  base  riposa  sul  parastenoide,  senza  che 
la  base  stessa  si  articoli  in  dietro  con  osso  alcuno,  non  giun- 
gendo a  toccare  i  prootici,  e  nemmeno  si  articoli  con  qualche 
osso  in  avanti  ;  per  mezzo  delle  sue  branche  divergenti  si  arti- 
cola il  basisfenoide  con  le  apofisi  discendenti  che  vedremo  nei 
frontali,  e  con  gli  alisfenoidi.  —  Non  riscontransi  nel  cranio 
della  Anguilla  ossificazioni  presfenoidee  od  orbitosfenoidee.  —  Al 
davanti  della  regione  del  basisfenoide  trovasi  un  grande  spazio 
non  ossificato,  che  può  chiamarsi  spazio  non  ossificato  interorbi- 
tario  (Fig.  3  e  4,  2:):  si  stende  fin  molto  in  avanti  nel  muso; 
il  suo  contomo  è  formato  in  basso,  ossia  nella  sua  base,  dalla 
metà  anteriore  del  parasfenoide,  che  giace  sulla  branca  infe- 
riore dell'osso  premassillo-etmo-vomerino,  in  alto  dai  frontali, 
il  suo  angolo  anteriore  è  costituito  dair  angolo  che  formano, 


Q)  Io  non  intendo  far  qui  la  discussione  se  quest*  osso  debba  considerarsi  pre- 
sfenoide  o  basisfenoide. 


4 

CONFORMAZIONE  BELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  IfUBENOIDI  EC.    109 

riunendosi  tra  loro,  le  branche  superiore  e  inferiore  dell'osso 
premassillo-etmo-vomerino,  il  suo  limite  posteriore  è  costituito 
dal  punto  di  incontro  dei  frontali  col  basisfenoide,  e  dal  para- 
sfenoide.  —  Il  parasfenoide  (  Fig.  3,  4e5,  jp5/*)èun  lunghissimo 
osso,  il  quale,  mentre  nella  sua  metà,  posteriore,  ossia  in  quella 
che  corrisponde  alla  base  della  vera  cavità  encefaUca,  è  alquanto 
slargato  e  conformato  a  doccia,  per  abbracciare  le  ossa  carti- 
laginee, che  costituiscono  le  parti  più  declivi  del  cavo  encefa- 
lico, nella  sua  metà,  anteriore,  che  giunge  fin  quasi  all'estremo 
del  muso,  è  stretto  e  lineare.  È  disposto,  come  si  capisce,  an- 
teroposteriormente  e  segna  precisamente^  la  base  del  cranio. 
Si  articola,  per  mezzo  della  sua  metà,  posteriore  slargata,  col 
basioccipitale,  che  in  parte  ricuopre,  coi  due  prootici,  col  basi- 
sfenoide, ossa  da  esso  rivestite  inferiormente;  per  mezzo  della 
sua  porzione  anteriore  si  articola  con  Tosso  premassillo-etmo- 
vomerino,  che  poi  conosceremo  ;  vi  è  questa  differenza,  però,  tra 
la  sua  porzione  posteriore  e  la  sua  anteriore,  che  mentre  la 
prima  ricuopre  le  ossa  craniche  della  base,  la  seconda  è  rico- 
perta dalla  branca  inferiore,  orizzontale,  dell'osso  premassillo- 
etmo-vomerino,  branca  sopra  alla  quale  riposa. 

Venendo  al  tegmen  craniiy  dirò  che  le  ossa  che  vi  si  riscon- 
trano sono  i  due  parietali  e  i  due  frontali^  bilaterali,  asimme- 
trici, gli  uni  e  gli  altri,  come  si  sa,  di  origine  membranacea: 
essi,  '  dal  sopraoccipitale  e  dagli  epiotici  in  avanti,  cuoprono 
tutta  la  cavità  encefalica.  —  I  parietali  (  Fig.  2,  4  e  5,  ^  a  )  sono 
due  ossa  piuttosto  piccole,  allungate  più  nel  senso  anteropo- 
steriore  che  nel  trasversale;  si  ha  questo  di  particolare  a  pro- 
posito dei  parietali,  che  sovente  quello  dell'  un  lato  è  un  po- 
colino  più  allungato  di  quello  del  lato  opposto;  ciascheduno 
di  questi  ossi  si  articola  in  dietro  coli'  epiotico  della  propria 
parte  :  tra  1'  uno  e  1'  altro  poi  è  compreso  in  massima  parte  il 
sopraoccipitale,  che  per  una  certa  estensione  ne  viene  coperto  ; 
di  lato  ciascun  parietale  si  articola  collo  pterotico,  in  avanti 
col  frontale,  e  tra  l' uno  e  l' altro  dei  due  frontali  i  parietali 
si  insinuano  alquanto  col  loro  estremo  anteriore  assottigliato; 
una  sutura  biparietale  (sagittale)  trovasi  tra  l' un  parietale  e 
r  altro.  —  I  frordali  (  Fig.  2,  3,  4  e  5,  /*r  )  han  forma  allungata; 
sono  alquanto  slargati  a  squama  posteriormente,  anteriormente 
terminano  in  punta  :  è  soltanto  la  parte  slargata  che  fa  parte 


Ilo  £•  FICALBÌ 

del  tegmen  della  vera  e  propria  cavità  encefalica,  la  parte  al- 
lungata facendo  parte  del  così  detto  muso  dell'  animale;  ciascun 
frontale  verso  il  terzo  suo  posteriore  manda,  dalla  faccia  infe- 
riore, in  basso  un  processo,  che  può  dirsi  apofisi  discendente 
del  frontale,  la  quale  va  a  raggiungere  una  delle  branche  del 
basisfenoide  ;  un  po'  anteriormente  al  punto  ove  sorge  la  apofisi 
discendente,  si  proietta  in  fuori  una  piccola  eminenza  irrego- 
lare, verso  la  quale  si  attaccano  gli  ossetti  periorbitari.  Cia- 
schedun  frontale  si  articola  in  avanti  alle  facce  laterali  della 
branca  superiore  dell'osso  premassillo-etmo-vomerino,  incastran- 
dosi con  la  sua  estremità  anteriore  nella  parte  inferiore  della 
branca  stessa,  che  si  insinua  in  dietro  tra  1'  uno  e  1'  altro  fron- 
tale ;  in  basso  ciascun  osso  frontale  si  articola,  per  mezzo  della 
sua  apofisi  discendente,  alla  branca  corrispondente  del  basisfe- 
noide, e  al  corrispondente  alisfenoide,  il  quale  giunge  a  toccare 
anche  la  faccia  inferiore  del  frontale  del  suo  lato  ;  esternamente, 
con  tutto  il  margine  estemo  della  sua  metà  posteriore,  ciascun 
frontale  articolasi  col  corrispondente  pterotico;  in  dietro  arti- 
colasi col  corrispondente  pterotico  ;  in  dietro  articolasi  col  pa- 
rietale, in  dentro  1'  un  frontale  con  1'  altro,  costituendo  ima 
sutura  bifrontale,  che,  a  dir  vero,  non  è  molto  lunga,  essendo 
in  avanti  separati  per  buon  tratto  i  frontali  dalla  branca  su- 
periore dell'  osso  premassillo-etmo-voinerino,  in  dietro  dai  due 
parietali,  che  tra  essi  alquanto  si  insinuano. 

Il  parasfenoide  e  i  frontali  mi  hanno  condotto  fino  all'  estre- 
mità del  muso,  ed  ora  io  mi  occupo  delle  ossa  che  lo  compon- 
gono, cioè  dell'  osso  premassillo-etmo-vonieritw,  dei  mascellari  in- 
feriori,  degli  pterigoideiy  dei  nasali  e  dei  periorbitarii. 

L'osso premassillO'etmO'Vùmerhio  (Fig.  2,  3,  4  e  5  /)  r  v),  come 
indica  il  nome  che  gli  ho  dato,  è  di  natura  composta.  Per  ac- 
cennarne prima  d'  ogni  altra  cosa  la  forma,  dirò  che  esso  si 
compone  di  due  branche,  ambedue  anteroposteriori,  le  quali  si 
riuniscono  ad  angolo  acuto  tra  loro  anteriormente,  ove  l' osso 
è  un  pochino  slargato  :  delle  due  branche  la  inferiore  sottile  e 
terminante  a  punta,  è  perfettamente  orizzontale,  la  superiore 
più  grossa  e  che  per  essa  termina  assottigliandosi,  è  un  pò* 
obliqua  in  alto  e  indietro.  Accennata  la  forma,  dirò  che  delle 
due  branche  la  inferiore  si  articola  col  parasfenoide,  come  già 
a  proposito  di  quest'  osso  fd  detto,  il  quale  vi  riposa  sopra  con 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFAUCO  DEI  PESCI  KURENOIDI  EC.    Ili 

la  sua  metà  anteriore,  giungendo  fino  alV  angolo  di  congiunzione 
delle  due  rammentate  branche  tra  loro,  la  branca  superiore  si 
articola  coi  due  frontali,  che  V  uno  dall'  altro  per  un  certo  tratto 
separa;  verso  V  estremità,  dell'osso  premassillo-etmo-vomerino, 
ossia  presso  il  punto  di  congiungimento  delle  due  branche,  si 
attaccano  i  mascellari  superiori,  Y  osso  poi  sorregge  anche,  per 
mezzo  di  ligamenti,  le  ossa  nasali.  Vista  la  forma  e  i  rapporti 
di  quest'  osso,  vediamone  la  natura.  Fu  essa  variamente  inter- 
pretata da  CuvieVj  da  Meckel,  da  Oicen,  Per  chiarirne  il  signifi- 
cato, ricordo  prima  di  tutto  quali  ossa  tipicamente  possono 
riscontrarsi  alla  estremità  del  cranio  di  certi  pesci,  di  un  Gadtis 
ad  esempio  :  osservando  un  Gadus  troveremo  nel  suo  muso  :  un 
mesetmoidei})^  due  esetmoidi  (^),  tutti  e  tre  ossificazioni  della 
cartilagine  etmoidale;  quindi  troveremo  due  premascellari,  ed 
in  sotto  un  vomere  (taccio  dei  due  nasali).  Ora  ci  possiamo  di- 
mandare. Quali  di  queste  ossa  nella  Anguilla  sono  presenti 
come  pezzi  ben  distinti  ?  Di  queste  ossa,  come  pezzo  ben  di- 
stinto e  isolato,  non  ne  è  presente  alcuna:  trovasi  invece  al 
loro  posto  il  già  noto  osso  premassillo-etmo-vomerino.  Si  deve 
dimandare  quindi:  Comprende  esso  anchilosate  in  una  sola 
massa  tutte  le  unità  osteologiche  suddette?  Rispondo  che  esso 
comprende  in  sfe  le  seguenti  ossa,  che  si  sono  saldate  insieme: 
il  mesetmoide,  i  due  premascellari,  il  vomere.  Gli  esetmoidi 
non  vi  sono  compresi;  essi  non  si  ossificano  nella  Anguilla  e 
rimangono  rappresentati  da  due  caHilagini  (una  per  lato), 
che  si  vedono  attaccate  ai  lati  della  porzione  posteriore  della 
branca  superiore  dell'osso  premassillo-etmo-vomerino  e  che 
(situate  in  avanti  della  regione  oculare  e  in  dietro  delle  ca- 
vità nasali)  si  dirigono  in  fuori  e  un  po'  in  avanti  verso 
i  mascellari  superiori  ;  a  ciascuna  di  queste  cartilagini  può 
darsi  il  nome  di  cartilagine  esetmoidea.  In  giovani  Murenoidi  è 
possibile  dividere  in  quattro  pezzi  l'osso  premassillo-etmo-vo- 
merino, due  dei  quali  pezzi  sono  mediani,  il  mesetmoide  e  il 
vomere,  due  bilaterali,  ossia  i  premascellari;  ciò  ci  fa  vedere 
che  a  quest'  osso  non  è  improprio  il  nome  che  ha  usato  ;  la  sua 
branca  inferiore  può  dirsi  branca  vomerina:  essa  porta  denti; 

(^)  Il  cosi  detto  etmoide^  od  etmoide  medio. 

(')  Sono  i  cosi  detti  etmoidi  laterali  o  frontali  anteriori  o  prefrontali»  Parker 
li  chiama  ectetmoidù 


112  E.  nCALBI 

la  superiore  può  dirsi  ìnesetmoidea  e  rappresenta  il  mesótmoide ; 
il  suo  estremo  alquanto  slargato  può  dirsi  estremità  premasceU 
lare,  che  pure  porta  dei  denti  numerosi.  Le  vedute  che  sono 
venuto  esponendo  furono  sostenute  da  Meckeli}),  il  quale  tut- 
tavia dubitò  a  torto  che  anche  i  nasali  potessero  esser  compresi 
neir  osso  premassillo-etmo-vomerino.  Cuvier  ed  Owen  la  pensa- 
rono diversamente.  Nel  1867  JacobyiJ)  rimise  in  evidenza  le 
vedute  di  Meckel,  e  concluse  come  io  più  sopra  ho  indicato  e 
ho  riassunto  coli'  appellativo  di  osso  premassillo-etmo-vome- 
rino (^).  —  Le  ossa  ìnasceUari  superiori  (  Fig.  2,  4  e  5,  m s)  han 
forma  allungata:  al  loro  estremo  posteriore,  un  poco  ritorto, 
terminano  assottigliandosi;  al  loro  estremo  anteriore  presen- 
tano un  processo  a  cresta  diretto  in  alto,  una  apofisi  montante; 
sono  fomiti  di  numerosi  e  piccoli  denti  nel  loro  margine  infe- 
riore. Ciascun  mascellare  superiore  si  articola  in  avanti,  per 
mezzo  del  suo  processo  montante,  alla  estremità,  anteriore  del- 
l' osso  premassillo-etmo-vomerino;  in  dietro,  mercè  ligamenti 
fibrosi,  si  attacca  col  suo  estremo  assottigliato,  alla  parte 
posteriore  del  dentale,  del  proprio  lato,  uno  dei  pezzi  della 
mandibola,  verso  il  punto  ove  il  dentale  si  unisce  coli' artico- 
lare. —  Dalla  parte  inferiore  della  estremità  del  muso  all'  ap- 
parecchio sospensore  ioido-mandibolare  trovasi  nel  cranio  del- 
TAnguilla,  che  sto  studiando,  un  osso  dell'  apparenza  di  una 
verghetta,  obliquo  un  po',  anteroposteriormente,  d'  alto  in  basso 
e  di  dentro  in  fuori  (Fig.  i  e  b,  ptg);  quale  significato  osteo- 
logico  deve  darsi  a  quest'osso?  Per  rispondere  a  questa  di- 
manda è  utile  aver  presenti  gli  elementi  che  si  trovano  tra  il 
vomere,  ossia  tra  la  parte  inferiore  della  estremità  del  muso, 
e  r  osso  quadrato  tipicamente  nei  Pesci  teleostei:  se  ci  fero- 
ci amo  ad  esaminare  per  esempio  un  cranio  di  Perca  troveremo, 
bilateralmente,  tra  vomere  e  osso  quadrato,  una  specie  di  ca- 
tena ossea  costituita:  1.®  d'un  palatino;  2.®  d'un  pterigoide {^); 

(')  Meckel  J.  F.  —  Traité  general  d'Anatomie  comparée,  Trad.  de  rAllemand 
par  Riester  et  Sanson.  Paris,  18^.  T.  II,  pag.  503. 

(')  Jacoby  L.  —  Ueber  den  Knoc?ienbau  der  Oberkmnlade  bei  den  Aaien 
(Muraenoidei),  Inaugural^chrift.  Halle,  1867. 

(^)  Vedi  più  avanti  ciò  che  dico,  parlando  dell' osso  premassillo-etmo-vomerino 
del  Grongo,  di  ana  asserzione  di  ClauSt  la  quale,  per  quel  Pesce,  sarebbe  in  eon- 
tradizione  con  le  vedute  suesposte. 

(^)  Eetopterigoide  di  Huxley,  pterigoideo  estemo  di  Stannius,  tropfeno  di  Cavi«r. 


CONFOBMÀZIONE  BELLO  SCHELETRO  CEFÀLICO  DEI  PESCI  MXTRENOIDI  EC.    113 

3.®  d'un  mesopterigoide  {}))  4.®  d'un  metapterigoide  C).  Ciò  sta- 
bilito, si  potrebbe  credere  che  la  accennata  verghetta  ossea 
del  cranio  dell'Anguilla  rappresentasse  un  solo  di  questi  ossi, 
0  più  d'  uno  fusi  insieme  :  e  vi  fu  chi  pensò  1'  una  cosa  o  l'altra: 
Meckel  fu  piuttosto  inclinato  a  credere  un  palatino  la  verghetta, 
Cuvier  pensò  che  rappresentasse,  se  non  mi  inganno,  tutte  le 
ossa  surramentate  ;  Parker  dà  a  quest'  osso  il  nome  di  palato- 
pterigoide.  Io  lo  chiamerei  e  lo  considererei  addirittura  pteri- 
goide,  escludendo  la  sua  natura  mista  di  palatino  e  di  pterigoide; 
e  a  questo  modo  di  pensare  credo  diano  conferma  diverse  ra- 
gioni :  in  primo  luogo  1'  osso  stesso  non  tocca  mai  i  mascellari 
superiori  ed  ancbe  con  la  branca  vomerina  dell'  osso  premas- 
sillo-etmo-vomerino  si  articola  un  po'  a  distanza,  non  giungen- 
dovi in  contatto,  ma  essendovi  unito  per  mezzo  di  ligamenti 
fibrosi  :  X  osso  palatino  invece  oltre  al  toccare  il  vomere,  tocca 
generalmente  anche  il  mascellare  superiore,  e  fa  6iò  anche  nei 
Teleostei,  in  cui  il  mascellare  superiore  è  assai  spostato;  in 
secondo  luogo  in  altri  Murenoidi,  che  non  sono  le  Anguille  o 
i  Gronghi,  nei  quali  si  comporta  come  nelle  Anguille,  ossia, 
come  dirò,  nelle  Murene,  1'  osso  in  quistione  è  ridotto  ai  mi- 
nimi termini  e  mentre  tocca  l' iomandibolare  e  il  quadrato  non 
giunge  affatto  uè  al  mascellare  superiore,  né  alla  porzione  vo- 
merina del  premassillo-etmo-vomerino  :  ora  se  in  quest'  osso 
fosse  compreso  anche  il  palatino  tal  fatto  non  si  dovrebbe 
avere,  poiché  il  palatino,  lo  ripeto,  è  in  rapporto  col  mascellare 
superiore  e  col  vomere.  Io  lo  chiamo  dunque  pterigoide  e  dico 
che  nell'Anguilla  la  catena  ossea  palato-pterigoidea  è  rappre- 
sentata dal  solo  elemento  ora  descritto,  che  si  estende  dall'osso 
quadrato,  o  più  precisamente  dal  punto  di  articolazione  del 
quadrato  e  dell'  iomandibolare  tra  loro  fino  presso  alla  branca 
vomerina  del  premassillo-etmo-vomerino,  cui  si  articola  mercè 
ligamenti  fibrosi.  Non  è  la  sola  Anguilla,  o  meglio  non  sono  i 
soli  Murenoidi  i  pesci  in  cui  può  ridursi  la  catena  ossea  palato- 
pterigoidea,  altri  ve  ne  sono  e  citerò  i  Siluridi,  gli  Eritrinini. 
Ma  certo  sono  i  Murenoidi  che  ne  danno  il  più  beli'  esempio, 
come  dirò  in  seguito  per  la  Murena  comune. 

« 

Q)  Entopterigoide  di  Owen  e  Huxley,  pterigoideo  intemo  di  Cuvier. 
O  Timpanale  di  Cuvier;  Huxley  lo  chiama,  come  io  ho  usato,  metapterigoide,  — 
In  tutte  le  suesposte  denominazioni  ho  seguito  Parker. 

8e.  Nat.  VoL  Villi  ÙMO,  1.*  9 


114  E.  FICALBI 

Deve  dirsi  qualche  cosa  ora  delle  ossa  ìmsaìi  e  degli  assetti 
periorbitali;  tutti  questi  elementi  ossei  ci  presentano  una  par- 
ticolarità singolare:  sono  cavi  e  nella  loro  cavità  scorre  un 
canale  muccoso,  o,  in  altre  parole,  i  così  detti  canali  muccosi 
della  testa  sono  in  intimo  rapporto  con  queste  ossa.  Questa 
particolarità  propria  delle  suaccennate  ossa  nei  Teleostei,  fino 
dai  vecchi  Anatomici  fecero  sollevare  la  quistione  se  le  ossa 
stesse  dovessero  piuttosto  considerarsi  come  ossa  accessorie, 
che  come  facenti  realmente  parte  dello  scheletro  cefalico  vero 
e  proprio;  toccherò  poi  questa  questione:  frattanto  in  due  pa- 
role descrivo  quelle  che  per  la  loro  posizione  si  è  indotti  a 
dover  chiamare  le  ossa  nasali;  e  descrivo  poi  tutti  gli  altri  os- 
setti,  che  trovar  si  possono  nel  muso  della  Anguilla  e  che, 
senza  dare  importanza  al  nome,  chiamerò  osseti l  periorbitnli .  — 
Le  ossa  nasali  nell'Anguilla  sono  allungate,  gracili,  tubulose,  con 
passaggio  di  canale  muccoso  (Fig.  2,  4  e  5  wa).  È  situato  cia- 
scun nasale  ai  lati  della  branca  superiore  dell'  osso  premassillo- 
etmo-vomerino,  e  si  estende  quanto  questa  branca,  cui  è  at- 
taccato per  tessuto  connettivo  ;  in  dietro  per  tessuto  connettivo 
e  ciascun  nasale  connesso  anche  con  la  eminenza  aspra  che  si 
proietta  in  fuori  in  ogimno  dei  frontali.  —  Dopo  i  nasali  debbo 
parlare  degli  ossefti  periorbitali:  ripeto  quello  che  ho  detto 
sopra,  che,  cioè,  senza  dare  importanza  preconcetta  al  nome, 
chiamo  cosi  quella  serie  bilaterale  di  piccoli  ossicini,  tutti  sot- 
tili e  tubolosi,  che  nella  Anguilla  cominciando  dalla  eminenza 
aspra  del  frontale  e  andando  avanti  fino  alla  estremità  del 
muso,  si  trovano,  e  che  circuiscono  in  basso  le  aperture  nasali 
e  le  orbite  (  Fig.  2,  4  e  5,  a,  b,  e,  d,e,f.g).  Nei  Teleostei  in  ge- 
nerale queste  ossificazioni,  o  almeno  alcune  corrispondenti  a 
queste,  sono  state  dette  ossa  inf r aorbitali y  sottorhitalij  ec.  ;  in 
altri  Teleostei  poi,  che  non  l'Anguilla,  si  parla  anche  di  osso 
lacrimale:  dirò  poi  cosa  penso  di  quest'osso;  frattanto  veniamo 
prima  di  far  delle  considerazioni,  alla  descrizione  degli  ossetti 
periorbitali  nella  x^nguilla.  Dirò,  dunque,  che  in  un  perimetro 
che  si  trova  tutt'  all'intorno  degli  occhi  e  delle  aperture  na- 
^sali  si  ha  una  serie  di  ossicini  (^),  che,  con  i  nasali,  coi  quali 

{})  Nei  cranii  dei  Musei  in  generale  non  sono  presenti  questi  ossicini,  perchò 
fìicilmente  van  perduti,  per  la  loro  debole  unione  e  piccolezza,  nel  preparare  i  cra- 
nii stesti. 


.'  f 

CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     115 

si  connettono,  formano  una  catena,  un  anello  allungato  non 
interrotto  (Fig.  2,  e  4) ,  il  quale  tutto  h  percorso  da  canali  muc- 
cosi;  cominciando  dall' indietro,  verso,  cioè,  l'estremità,  poste- 
riore del  nasale  e  la  eminenza  laterale,  aspra  di  ciascun  fron- 
tale si  ha,  per  ogni  lato,  che  gli  ossicini  suddetti  formano  una 
catena  composta  di  sette  di  essi  (Fig.  2,  4,  5  a,  è,  e,  d,  e,f,  g)y 
catena  che  si  dirige  prima  esternamente  e  un  po'  inferiormente, 
poi  in  avanti  e  termina  verso  l'estremo  anteriore  del  nasale; 
di  questi  ossicini,  tutti  corti  e  tubulati,  i  primi  tre  (a,b,c) 
sono  diretti  in  fuori  e  un  po'  in  basso,  e  dal  frontale  costitui- 
scono un  tratto  che  giunge  alla  parte  posteriore-  del  mascellare 
superiore:  quivi  si  connettono  con  altri  tre  ossetti  più  allun- 
gati, che  sono  situati  un  dopo  l'altro  sopra  al  bordo  del  ma- 
scellare superiore  e  che  giungono,  su  quest'osso,  fino  all'estre- 
mità del  muso;  alla  estremità  stessa  poi  è  situato  con  ossicino 
a  virgola,  gr,  in  direzione  trasversale,  che  connette  l'estremità, 
anteriore  dell'  ultimo  degli  ossetti  suddetti,  o  della  catena  pe- 
riorbitaria,  con  l'estremità,  anteriore  del  nasale.  Così,  lo  ripeto, 
per  la  contiguità,  del  nasale  e  dei  periorbitari  tra  loro  viene  a 
costituirsi  un  anello  allungato,  che  circoscrive  lo  spazio  in  cui 
si  trovano  occhio  e  apertura  nasale.  Nella  Anguilla  ossa  nasali 
e  periorbitarie  hanno  tra  loro  estrema  rassomiglianza,  tutte 
sono  tra  loro  collegate  da  canali  muccosi.  Ed  eccoci  ora  al  pro- 
blema che  più  sopra  ho  accennato.  Hanno  tutte  queste  ossa 
lo  stesso  valore  morfologico?  Sono  accessorie  nel  cranio?  È 
questa  una  quistione  che  già,  i  vecchi  Anatomici,  più  dei  mo- 
derni, che  non  sembrano  darle  l' importanza  che  merita,  dibat- 
terono :  di  essa  già,  trattò  magistralmente  lo  Stannius.  Per  lui 
le  ossa  nasali  e  le  periorbitali  dei  Pesci  teleostei,  queste  ossa 
a  canali  muccosi,  appartengono  al  sistema  dei  canali  muccosi 
stessi  e  non  realmente  al  resto  del  cranio:  diverse  ragioni 
apporta  a  sostegno  della  sua  tesi;  così,  per  citarne  due  sole, 
egli  dimostra  che  in  altre  parti  del  corpo  nei  Pesci  possono 
aversi  delle  ossa  a  canali  muccosi  simili  alle  surricordate  ed 
anche  con  queste  connesse,  dimostra  che  le  surricordate  ossa 
mancano  in  quei  Pesci  che  non  hanno  apparecchio  muciparo 
nella  testa.  Io  non  voglio  entrare  nel  merito  della  quistione,  e 
non  ne  sarebbe  questo  il  luogo:  farò  notare  solo  che  davvero 
nell'Anguilla  tanto  i  nasali,  quanto  tutti  gli  altri  ossetti  tubolosi 


116  E.  FICàLBI 

reperibili  nel  muso  hanno  grandissima  somigUanza  tra  loro  e, 
di  più,  con  ossetti  analoghi,  che  si  trovano  in  altre  parti,  per 
esempio  con  quelli  ossetti  a  canale  muccoso,  che  sono  in  con- 
nessione con  i  preopercoli  (  V.  Fig.  5,  pop,  x  ).  Io  non  metto  in 
dubbio  che  nella  Anguilla,  V  ossetto,  per  esempio,  g  della  catena 
(  Fig.  2,  4,  5  )  sia  un  vero  e  proprio  elemento  di  sostegno  di 
un  canale  muccoso;  ma  quale  differenza  esiste  tra  esso  e  gli 
altri,  sia  pure  quelli  segnati  a,  b,  e,  che  sono  i  più  lontani,  con- 
nessi col  frontale,  e,  nei  Teleosti,  da  tutti  gli  autori  chiamati 
gli  infraorbitali  o  periorbitarii?  Nessuna  differenza  trovo  nella 
Anguilla,  tanto  che  non  posso  mettere  in  due  diverse  categorie 
questi  ossetti;  ed  anche  i  nasali,  che  così  nomino  solo  per  la 
loro  situazione,  non  mi  presentano  nella  Anguilla  carattere 
alcuno  che  dagli  altri  ossetti  li  differenzi.  Adunque  le  idee 
di  Stannius  sembrerebbero  davvero  trovare  ampia  base  di  ap- 
poggio nella  Anguilla,  come  quel  Teleosteo  in  cui  tanto  i  na- 
sali, quanto  i  periorbitari  sono  della  maggiore  semplicità,  ri- 
dotti a  semplici  tubi  ossef,  percorsi  da  canali  muccosi,  e  del 
tutto  simili  ad  altre  ossificazioni,  le  quali,  non  vi  è  dubbio, 
appartengono  al  sistema  muccoso.  In  molti  Teleostei  si  parla 
di  un  vero  e  proprio  osso  lacrimale,  considerato  da  molti  Ana- 
tomici come  una  differenziazione  di  uno  dei  comuni  ossetti  pe- 
riorbitarii ;  nella  Anguilla  un  osso  cui  si  possa  dar  questo  nome 
non  esiste,  poiché,  lo  ripeto,  tutti  gli  ossetti  che  ritrovansi  nel 
muso  sono  uniti  tra  loro,  eccetto  la  varia  lunghezza. 

Vengo  air  apparecchio  sospensore  ioido-opercolo-mandibo- 
lare.  —  Ad  ambo  i  lati  della  scatola  encefalica  ossia  sulle  pareti 
laterali  del  cranio,  e  precisamente  tra  la  sporgenza  pterotica 
e  la  sfenotica  si  attacca  un  osso  detto  iomandibolare,  che  con 
un  altro,  che  gli  è  inferiore  per  posizione,  detto  il  quadrato^* 
costituisce  r  apparecchio  sospensore  ioido-opercolo-mandibolare, 
così  chiamato  per  le  ossa  a  cui  dà  attacco.  L'  osso  iomandibo- 
lare,  (  Fig.  4  e  5,  y  ;/0  ^  alquanto  schiacciato  e  di  figura  presso 
a  poco  trapezoide;  è  col  suo  margine  e  coi  suoi  angoli  supe- 
riori che  si  unisce  alle  pareti  del  cranio:  si  attacca  allo  pte- 
rotico  in  tutta  quella  porzione  di  quest'  osso  che  si  trova  com- 
presa tra  la  parte  posteriore  del  cranio  e  lo  sfenotico  :  col  suo 
angolo  poi  superoanteriore,  angolo  provvisto  di  una  eminenza 
articolare,  V  osso  iomandibolare  stesso  si  insinua  sotto  lo  sfa- 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     117 

notico,  ove  questo  si  impianta  sul  prootico,  e  quivi  pure,  nel 
punto  di  unione  di  queste  due  ossa  si  articola.  L'  articolazione 
di  ciaschedun  osso  iomandibolare  sia  collo  pterotico  sia  collo 
.  sfenotico,  nel  punto  ove  questo  tocca  il  prootico,  si  fa  sempre 
mercè  ligamenti,  non  per  sutura,  né  squamosa,  né  addentellata. 
Ciascun  iomandibolare,  articolatosi  così  al  lato  del  cranio  che 
gli  corrisponde,  si  dirige  in  basso,  inclinando  molto  in  avanti, 
e  col  suo  margine  inferiore  si  articola  per  sutura  squamosa 
coir  osso  quadrato.  L' iomandibolare  non  solo  si  articola  al 
quadrato,  ma  col  suo  margine  posteriore  dà,  attacco  altresì 
alle  ossa  opercolari  e  all'  apparecchio  ioideo  :  ed  anzi  appunto 
perchè  sorregge  ioide  e  mandibola,  a  sé  gli  opercolari,  fii  detto 
iomandibolare.  Tornerò  sulle  ossa  opercolari  e  sulle  ioidee  tra 
poco.  Ora  passo  al  quadrato  e  alla  mandibola.  —  L'  osso  qua- 
drato (  Fig.  4  e  5,  0  g  )  fa  seguito  all'  iomandibolare,  colla  parte 
inferiore  del  quale  si  incastra  per  sporgenze  ed  angoli  rientranti 
reciproci.  Nel  punto  ove  il  margine  anteriore  dell'  iomandibo- 
lare e  del  quadrato  si  uniscono,  viene  ad  attaccarsi  coli'  estremo 
suo  posteriore  il  pterigoide  già.  noto.  L' osso  quadrato  è  di 
forma,  dirò  così,  trapezoide  ed  al  suo  estremo  inferiore  presenta 
una  troclea  articolare,  alla  quale  si  articola  uno  dei  pezzi  della 
mandibola,  1'  articolare.  —  Tra  osso  iomandibolare  e  quadrato 
non  riscontrasi  nell'Anguilla  il  simplettico,  il  quale  è  presente 
nel  cranio  degli  altri  Teleostei. 

La  mandibola  o  mascella  inferiore  consta  di  due  branche, 
una  destra,  una  sinistra,  e  queste  a  lor  volta  di  tre  pezzi  cia- 
scuna: essi  cominciando  da  dietro,  sono  1'  articolare j  il  coronoide, 
il  dentale.  Li  accenno  un  per  uno.  —  L'  osso  articolare  (  Fig.  4 
e  b,  art)  è  di  forma  triangolare,  presenta  una  superficie  di 
articolazione  per  la  troclea  del  quadrato:  è  di  origine  cartila- 
ginea, come  si  sa;  si  articola  al  dentale,  che  lo  ricuopre  per 
buona  parte  esternamente  con  la  porzione  sua  posteriore.  — 
Nella  mandibola  dell'Anguilla  non  v'  è  distinto  osso  angolare 
come  in  altri  Teleostei.  —  L'  osso  coronoide  (  Fig.  5,  o  A:  )  è  pic- 
colissimo, di  forma  presso  che  triangolare  ;  è  situato  nella  faccia 
intema  di  ciascuna  branca  mandibolare,  tra  articolare  e  den- 
tale. E  seguendo  Parker  che  chiamo  quest'  osso  coronoide;  il 
Cuvier  lo  chiamò  opercolare  in  altri  Teleostei.  —  L'  osso  dentale 
è  il  più  grande  tra  i  componenti  la  mandibola:  è  allungato, 


118  E,  nCALBI 

cavo,  porta  piccoli  e  numerosi  denti  ( Fig.  i  e  òy  det);e.  come 
si  sa,  di  origine  membranacea.  Xella  sua  cavità  è  contenuta 
la  cartilagine  di  Meckeì,  che  si  immedesima  indietro  con  V  ar- 
ticolare. H  dentale  di  un  lato  si  articola,  al  suo  estremo  an- 
teriore, con  quello  dell'  altro  lato  per  mezzo  di  tessuto  fibroso, 
costituendo  la  sinfisi  maìidibolare;  in  dietro  poi  si  articola  con 
r  articolare  e  con  il  coronoide.  —  Così  abbiam  preso  nozione 
deir  apparecchio  mascellare  inferiore  o  mandibolare,  ed  abbiam 
visto  eh'  esso  non  si  attacca  direttamente  al  cranio,  ma  fa  ciò 
con  l'intermezzo  dell' iomandibolare ;  questo  modo  di  attacco 
porta  il  nome  di  disposizione  iostilica. 

All'apparecchio  sospensoriale  ioidomandibolare  sono  con- 
nesse per  ogni  lato  quattro  ossa  speciali,  ossia  le  così  dette 
ossa  opercolari,  piatte  e  piuttosto  sottili:  le  descrivo.  —  Delle 
ossa  opercolari,  il  pezzo  superiore  dicesi  V  opercolo  (Fig.  4  e  5,  op): 
è  laminare,  presso  a  poco  ellittico,  disposto  orizzontalmente: 
al  suo  estremo  anteriore  presenta  una  faccetta  articolare,  che 
combacia  e  si  attacca  con  una  faccetta  corrispondente  posta 
sopra  una  piccola  apofisi  del  margine  posteriore  dell' iomandi- 
bolare.  —  H  mainine  inferiore  dell'  opercolo  dà  attacco  al  se- 
condo osso  opercolare:  è  questo  un  osso  falciforme,  stretto  e 
allungato,  che  segue  esattamente  il  margine  inferiore  suddetto 
dell'opercolo  da  dietro  in  avanti  per  tutta  la  sua  estensione: 
dicesi  il  sottopercolo  o  il  subopercolo  (  Fig.  i  e  o,  sop).  —  Al 
davanti  e  un  po'  più  in  sotto  del  punto  di  attacco  dell'  oper- 
colo si  trova  il  terzo  pezzo:  e  un  osso  presso  a  poco  triango- 
lare, che  ricuopre  alquanto  la  prima  porzione  del  subopercolo 
e  si  attacca  con  la  sua  faccia  intema  all'  ioide,  col  suo  angolo 
inferiore  per  ligamenti  all'  angolo  posteriore  dell'  osso  articolale 
della  mandibola  :  dicesi  l' interopercolo  (  Fig.  4  e  5,  «  o  p  ) .  —  An- 
teriormente all'  interopercolo  si  ha  il  quarto  pezzo  che  ricuopre 
alquanto  l' interopercolo  stesso  in  modo  imbricato:  è  un  osso 
quasi  a  mezzaluna,  che  al  suo  estremo  superiore  presenta  un 
processo  sottile,  a  punta:  dicesi  il  preopercolo  (Fig.  4  e  5, pò/)), 
il  quale,  mentre  superiormente  col  suo  processo  a  punta,  si 
attacca  all'  iomandibolare,  inferiormente  per  ligamento  si  con- 
nette all'angolo  posteriore  della  mandibola.  Faccio  qui  noto 
che  alla  base  del  processo  a  punta  del  preopercolo  si  inserisce 
un  tubulo  osseo,  armatura  di  sostegno  di  un  canale  muccoso 
(Vedi  Fig.  6,  pop,  x). 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     119 

Vengo  air  apparecchio  ioideo.  —  Al  margine  posteriore  di 
ciascuno  dei  due  iomandibolari  si  attacca  per  ligamenti  il  così 
detto  ioide,  e  dicendo  ioide  non  si  intende  di  parlare  di  un 
unico  pezzo,  ma  di  diverse  ossa  tra  loro  riunite;  l'ioide,  in 
altre  parole,  che  meglio  deve  dirsi  apparecchio  ioideo,  risulta, 
di  due  branche  o  archi  ossei  (uno  per  lato,  e  composto  ciascuno 
di  due  pezzi,  come  dirò)  diretti  in  basso  e  in  avanti,  che  ven- 
gono a  riunirsi  tra  loro  inferiormente  sulla  linea  mediana,  ove 
danno  attacco  a  due  pezzi  mediani,  ventrali,  che  dell'apparec- 
chio ioideo  sono  parte  integrante:  su  ciascun  arco  o  branca 
ioidea  poi  si  attaccano  una  serie  di  raggi  ossei,  che  vedremo 
chiamarsi  raggi  branchiostegali.  Descrivo  brevissimamente  que- 
ste varie  parti,  così  accennate.  —  Ciaschedun  arco  ioideo  o  cia- 
scheduna branca  dell'ioide,  (destra  e  sinistra),  risulta  di  due 
pezzi:  uno  superiore,  che  e  quello  che  mercè  ligamenti  si  at- 
tacca all' iomandibolare  e  che  dicesi  epiale  (Fig.  5,  ey),  esso  è 
il  più  piccolo;  uno  inferiore,  che  dicesi  ceratoiale  (Fig,  4  e  5,  e  i/), 
che  è  più  grande  e  che  sulla  linea  mediana  inferiore  si  unisce 
alle  ossa  o  pezzi  ventrali,  che  lo  legano  a  quello  dell'  altro  lato  ; 
i  due  descritti  pezzi  di  ciascuna  branca  dell'ioide  si  articolano 
tra  loro,  dirò  così,  per  sutura  squamosa:  infatti  l'inferiore  ha 
dei  prolungamenti  sottili,  che  si  estendono  sul  superiore  e  vi 
si  uniscono.  Ho  accennato  poco  fa  che  ciascuna  branca  del- 
l'ioide, o  meglio  il  pezzo  superiore,  o  epiale,  di  ciascuna  di  esse 
si  unisce  all'  iomandibolare  per  ligamenti  :  ora  dirò  che,  a  dif- 
ferenza di  ciò  che  ho  così  descritto  per  l'Anguilla,  nel  cranio 
di  altri  Teleostei  (  che  portansi  a  tipo  di  descrizione,  quali 
r  Esox,  il  GaduSj  la  Perca)  tra  ciascuna  branca  dell'  ioide  e  il 
corrispondente  iomandibolare  trovasi  intercalato  un  piccolo 
pezzo  osseo,  che  dicesi  osso  interiale  o  stiloiale:  adunque,  per 
ripeterlo,  nel  cranio  dell'Anguilla  manca  l' osso  interiale  o  sti- 
loiale. —  Le  branche  dell'  ioide  dirette  come  sono  in  basso, 
anteriormente  e  indentro,  si  incontrano  l' una  con  l' altra  ven- 
tralmente sulla  linea  mediana  :  in  questo  loro  punto  di  unione 
si  attaccano  con  dei  pezzi  ioidei  mediani,  che  sono  in  numero 
di  due,  e,  naturalmente,  impari  e  simmetrici:  sono  uno  supe- 
riore all'altro;  il  superiore  dei  due,  lungo  e  piuttosto  affilato, 
è  disposto  in  senso  poster oanterior e:  è  lo  scheletro  della  lingua 
e  dicesi  osso  glossoiale  o  eìvtoglossale,  o  entoglosso  (  Fig.  4  e  5,  jf  y), 


120  E.  nCALBI 

è  il  bdsiaU  di  Parker;  si  articola,  con  la  sua  parte  posteriore, 
rigonfiata  alquanto  ;  con  la  estremità  anteroinferiore  delle  bran- 
che ioidee;   il  pezzo  inferiore  è  tozzo,  corto,  e  trovasi  situato 
sotto  la  estremità  anteroinferiore  delle  due  branche  ioidee,  alle 
quali  si  attacca:  è  diretto  da  avanti  in  dietro,  con  la  sua  estre- 
mità posteriore,  cioè,  che  è  più  sottile,  guarda  posteriormente: 
dicesi  osso  uroiale  (basibranchiostegale  di  Parker)  e  si  vede  nella 
Fig.  4  e  5,  uy.  Così  ho  descritto  i  due  pezzi  ioidei  mediani  :  ve- 
dremo poi  che   alla   estremità   posteriore   dell'  entoglossale  si 
attacca  il  primo  dei  pezzi  ventrali  dell'  apparecchio  branchiale. 
Ora  prima  di  procedere,  devo  far  notare  una  cosa:  da  quello 
che  ho  descritto  poco   sopra  risulta  che  le  branche   ioidee,  o 
meglio  il  pezzo  inferiore  di  ciascuna  di  esse,  o  il  ceratoiale,  si 
attacca  direttamente  all' entoglosso  e  all' uroiale,  senza  l'inter- 
mezzo di  nessun  altro  pezzo  osseo  :  ma  in  altri  Teleostei  le  cose 
non  stan  così:  in  essi  tra  il  ceratoiale  e  i  pezzi  ventrali  me- 
diani trovansi   due   ossetti  per  lato,  che  sembrano  terminare 
inferiormente  il  ceratoiale,  e  che  diconsi    ossetti  ipoiaìi:   sono 
stati  detti  anche  baciali,  ma  siccome  alcuno  (Parker)  dà  l'ap- 
pellativo di  bastale  all'  osso  glossoiale,  così  io  credo  che  il  nome 
di  ipoiali  sia  il  più  conveniente:   nel  cranio  dell'Anguilla,   per 
concludere,  mancano  gli  ossetti  ipoiali.    —    Ciascheduna  delle 
due  branche  dell'  ioide  o  ciascedun  arco  ioideo,  dà  attacco  ad 
una  serie  di  ossa  singolari,  sottili,  simili  a  tanti  stiletti  lunghi 
e  ricurvi;  diconsi  raggi  branchiostegali  (Fig.  4  e  5,  r ór);   sono 
in  numero  di  1 2  per  parte  ;  ho  detto  che  si  attaccano  (per  li- 
gamenti)  alle  branche  dell'ioide,  ma  a  quale  dei  pezzi  di  cia- 
scuna branca,  all' epiale  o  al  cerotoiale?  Rispondo  tosto  che  si 
attaccano  tutti  al  pezzo  superiore  o  all'  epiale  :  in  altri  Teleostei 
ciò  non  avviene,  perchè  i  raggi  branchiostegali  si  attaccano  d 
al  ceratoiale,  o  a  questo  e  all'  epiale.  Per  dimensione  non  sono 
i  raggi  branchiostegali  nell'Anguilla  tutti  uguali:  i  primi,  co- 
minciando di  basso,  sono  corti  e  poco  arcuati  ;  mano,  mano  poi 
che  si  sale  in  alto  vanno   facendosi  allungatissimi  e  ritòrti  a 
semicerchio  in  alto:    sono  tanto  ricurvi  che  la  loro  estremità 
libera,  sottile  e  filiforme,  guarda  in  avanti  ;  l' ultimo  dei  raggi 
branchiostegali,  e  il  superiore  a  tutti,  ritorto  completamente  a 
semicerchio,  invece  di  essere  filiforme,  è  laminare,  conformato 
a  guisa  di  falce. 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     121 

Per  terminare  V  enumerazione  delle  ossa  dello  scheletro 
cefalico  della  Anguilla,  non  mi  resta  che  parlare  dell'  apparec- 
chio branchiale.  Questo,  come  in  generale  nei  Pesci  teleostei, 
è  composto  di  cinque  paia  di  archi  branchiali,  paia  disposte 
neir Anguilla  come  tanti  V  uno  dietro  l'altro:  le  branche  di 
ciascun  paio  risultano,  secondo  che  sono  più  o  meno  anteriori, 
di  un  numero  diverso  di  articoli  o  pezzi,  come  dirò;  le  due 
branche  degli  archi  branchiali  più  perfetti  (  1 .®  e  2,^  )  sono  col 
loro  estremo  anteroinferointemo,  che  costituisce  il  vertice  del  V, 
connesse  con  ossificazioni  ventrali  mediane  (ossa  basibran- 
chiali  ),  mentre  dei  pezzi  ossei  superiori,  in  numero  pari,  ossia 
bilaterali  (  ossa  faringobranchiali  )  rilegano  tra  loro  (  lato  per 
lato,  cioè  tutte  le  dèstre  tra  loro,  le  sinistre  tra  loro,  e  non 
destre  con  sinistre  )  le  estremità  superiori  delle  branche  delle 
prime  quattro  paia  degli  archi.  Vediamo  meglio  queste  parti, 
cominciando  dal  primo  paio  degli  archi  e  venendo  in  dietro: 
la  descrizione  del  primo  paio  ci  farà  vedere  come  deve  esser 
costituito  un  arco  branchiale  perfetto.  —  Subito  al  di  dietro 
dell'  entoglossale  e  situato  sulla  medesima  direzione,  trovasi 
un  pezzo  osseo,  cilindroide,  lungo  un  po'  meno  della  metà  del- 
l' entoglossale  (  Fig.  4:  eò,  l.^bb);  questo  osso  mediano  col  suo 
estremo  anteriore  si  attacca  all'  estremità  posteriore  dell'  ento- 
glossale, col  suo  estremo  posteriore  dà  attacco  alla  estremità 
anteroinferointerna,  o  ventrale,  delle  due  branche  del  primo 
paio  d'  archi  branchiali:  in  altri  termini,  quest'  osso  è  il  pezzo 
ventrale  mediano  del  primo  paio  di  archi  branchiali:  è  il  primo 
di  quelle  che  chiamansi  ossa  basibranchiali,  alle  quali  Cuvier  dava 
il  nome  di  captile  branchiali.  Vediamo  ora  il  primo  paio  di  ar- 
chi (  Fig.  5  )  :  come  ho  detto  più  sopra,  i  due  archi  del  primo 
paio  (come  gli  altri)  formano  tra  loro  una  specie  di  V,  del 
quale  ciascuna  branca. rappresenta  appunto  un  arco  ;  ora,  ognuna 
delle  branche  del  primo  paio  di  archi  consta  di  tre  pezzi  od 
articoli  :  uno  inferiore  corto,  che  forma,  unendosi  a  quello  del- 
l' altro  lato  il  vertice  del  V,  è,  cioè,  il  pezzo  anteriore  e  dicesi 
osso  ipobranchiah  (  Fig.  5,  1.^  ip  );  uno  medio,  che  è  il  più  lungo 
di  tutti  e  forma  la  massima  parte  dell'  arco  :  dicesi  osso  cerato- 
branchiale  ( Fig.  5,  1."^  ce);  uno  superiore,  piccolo,  schiacciato, 
di  forma  presso  a  poco  triangolare,  e  che  dicesi  osso  epibran- 
ckiale  (Fig.  5,  l.""  epb).  Vedutane  I21,  costituzione;  guardiamo  come 


I22  E.  nCALBI 

è  disposto  il  primo  paio  di  archi  :  può  dirsi  che  nel  cranio  in- 
tegro il  pezzo  ceratoiale  e  ipoiale,  Y  uno  in  seguiòo  all'  altro, 
sono  situati  orizzontalmente,  o  quasi,  sul  piano  inferiore  del 
faringe,  e  da  fuori  in  dentro  i  due  pezzi  di  un  lato,  conver- 
gono sulla  linea  mediana  con  quelli  dell'  altro  lato,  incontran- 
dosi per  costituire  il  vertice  del  V  subito  dietro  al  primo  ba- 
sibranchiale  ;  il  pezzo  epibranchiale  e  piegato  in  alto,  in  modo 
da  circoscrivere  di  lato  e  verso  V  alto  il  faringe;  cosi  è  costi- 
tuito il  primo  paio  di  archi,  nel  quale,  ripetendo,  si  trova  un 
basibranchiale,  due  ipobranchiali,  due  ceratobranchiali,  due  epi- 
branchiali  (  dirò  poi  dei  faringobranchiali  ).  —  H  secondo  paio 
di  archi  branchiali  e  costituito  e  disposto  in  modo  perfetta- 
mente simile  al  primo,  onde  non  ne  sto  a  descrivere  ad  uno 
ad  uno  i  pezzi  ;  v'  e  soltanto  una  certa  differenza  relativa- 
mente al  pezzo  osseo  mediano  ventrale,  o  al  secondo  osso  ha- 
sihranchiale  (  Fig.  h,  2,""  bb):  mentre  abbiamo  visto  che  gli  archi 
del  primo  paio  con  la  loro  estremità,  anteriore  si  connettono 
air  estremo  posteriore  del  primo  basibranchiale,  quelli  del  se- 
condo paio  non  sono  connessi  direttamente  al  secondo  basi- 
branchiale,  ma,  coi  loro  estremi,  che  costituiscono  il  vertice 
del  V,  si  uniscono  al  suddetto  secondo  basibranchiale  per  un 
tratto  ligamentoso:  il  secondo  basil^rauchiale,  quindi,  oltre  ad 
essere  molto  più  gracile  del  primo  non  è  in  contatto  imme- 
diato con  gli  archi  suoi  corrispondenti,  ma  si  attacca  solo  alla 
parte  posteriore  dell'  estremità  di  quelli  del  primo  paio,  costi- 
tuendo così  la  prima  parte  di  un  tratto  osseo-fibroso,  che  riu- 
nisce primo  e  secondo  paio  di  archi  branchiali.  Vedremo  che 
non  esiste  un  terzo  basibranchiale  :  quindi  nell'Anguilla  dall'  en- 
toglossale  venendo  in  dietro,  presto  vanno  scomparendo  i  pezzi 
mediani  ventrali  dell'  apparecchio  branchiale,  —  H  terzo  paio 
di  archi  branchiali  ci  presenta  una  riduzione  dei  pezzi  costi- 
tuenti; ciascheduno  di  essi  non  consta  che  di  un  ceratobranchmle 
( Fig.  5,  5.^ r é? )  e  di  un  epibranchiale  (3.'' epb),  manca  il  pezzo 
ipobrayicìiialey  che  resta  rappresentato  da  cartilagine:  in  altri 
Teleostei  anche  il  terzo  arco  consta  dei  tre  soliti  articoli.  In 
corrispondenza  del  terzo  paio  di  archi  che  descrivo,  manca  ogni 
basibranchiale  (come  più  sopra  ho  accennato),  in  modo  che 
secondo  e  terzo  paio  di  archi  ventralmente  sono  semplicemente 
connessi  da  un  tratto  fibrosocartilàgineo  ;  l'Anguilla  così,  a  dif- 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     l23 

ferenza  di  altri  Teleostei  ha  due  soli  basibranchiali.  —  H  quarto 
paio  di  archi  branchiali  è  costituito  come  il  terzo.  -^  H  quinto 
paio  di  archi  è  più  ridotto  di  tutti  e  inerita  speciale  conside- 
razione. Ciascun  arco  di  questo  paio,  propriamente  parlando, 
non  consta  che  di  un  solo  pezzo,  del  ceratobranchiale,  (Fig.  5, 
Ó,"*  ce)y  che  si  presenta  molto  più  sottile  che  non  nei  prece- 
denti archi;  questo  ceratobranchiale  costituente  il  quinto  arco,  è 
connesso  quasi  per  tutta  la  sua  lunghezza  al  ceratobranchiale 
del  quarto  arco,  al  margine  posterointerno  del  quale  aderisce, 
specie  con  la  sua  metà  anteriore.  I  due  ceratobranchiali,  costi- 
tuenti da  soli  tutto  il  quinto  paio  di  archi,  vengono  detti  sovente 
ossa  ipofaringee:  sono  le  ossa  faringee  inferiori  di  Cuvier;  i  due  ce- 
ratobranchiali stessi  sostengono,  ossia  danno  attacco,  e  in  ciò 
sta  la  loro  particolarità,  ciascuno  ad  una  placca  ossea,  sottile,  di 
forma  triangolare  allungatissima,  irta  di  numerosi  e  minutissimi 
denti:  queste  due  ossa  in  quistione  (una  per  lato)  nel  cranio  de- 
composto (  V.  Fig.  ò,  z z)  sembrano  rappresentare  un  sesto  paio 
di  archi  branchiali;  ma  sono  esse  realmente  archi  branchiali?  No: 
Esse  sono  phicche  ossee  dentigere,  di  origine  membranacea;  non 
in  tutti  i  Pesci  teleostei  esse,  come  nell' Anguilla  che  descrivo, 
trovansi  esistenti:  in  molti  sono  saldate  intimamente,  fino  ab 
initio,  ai  due  ultimi  ceratobranchiali,  ossia  alle  così  dette  ossa 
ipofaringee,  che  appaiono  irte  di  denti  ;  questa  isolabilità  dalle 
ossa  contigue  delle  placche  dentigere  della  Anguilla  h  un  fatto 
morfologico  interessante  (^).  —  Devo  ora  parlare  di  quei  pezzi 
ossei  superiori  agli  archi  branchiali  e  con  essi  connessi,  che 
neir  un  lato  e  nell'  altro,  ritrovansi  e  che  già  dissi  chiamarsi 
ossa  faringobranchiali.  Esse,  lo  voglio  accennar  subito,  sono  anche 
chiamate  ossa  epifaringee  o  ossa  faringee  superiori.  Se  noi  de- 
componiamo nei  suoi  pezzi  V  apparecchio  branchiale  di  una 
Anguilla,  troveremo  connesse  con  le  estremità  di  ambedue  i 
lati  delle  arcate  branchiali  quattro  ossa  per  parte,  come  mostra 
la  Fig.  5  ;  vediamo  in  due  parole  la  disposizione  di  queste  ossa 
neir  apparecchio  branchiale  integro  e  dimandiamoci  poi  quale 
significato  ha  ciascuna.  Il  primo  ossetto  dei  quattro  (si  intende 
che  io  mi  riferisco  ad  un  lato  solo)  è  il  più  minuto,  (Fig.  5, 


(')  Non  mi  estendo  di  più  a  dire  del  significato    morfologico    importante   che, 
nella  filogenesi  dolio  scheletro  cefalico,  si  dà  alle  placche  dentigere. 


124  E.  FICALBI 

1.^  fa)  è  piuttosto  allungato,  e  disposto  anteroposteriormente : 
connette  tra  loro  le  estremità  superiori  dei  due  primi  archi 
branchiali,  ossia  connette  il  primo  e  secondo  osso  epibranchiale  : 
questo  ossetto  è  indubbiamente  un  vero  e  proprio  faringobran- 
chiale  ;  in  altri  Pesci  teleostei  serve  all'  attacco  dell'  apparec- 
chio branchiale  allo  scheletro  assile;  non  fa  ciò  nell'Anguilla, 
nella  quale  1'  apparecchio  branchiale,  come  dirò,  aderisce  al 
resto  dello  scheletro  soltanto  per  mezzo  del  primo  basibran- 
chiale.  H  secondo  ossetto  (Fig.  5,  2.""  fa),  sempre  di  forma  allun- 
gata ed  un  pocolino  triangolare,  è  un  po'  più  grosso  del  primo, 
ha  la  stessa  direzione  anteroposteriore  e  serve  a  connettere 
tra  loro  le  estremità  superiori  del  secondo  arco  branchiale  e 
del  terzo  :  la  estremità  superiore  del  quarto  si  addossa  al  terzo, 
e  quella  del  quinto  è  libera.  Anche  il  secondo  ossetto  ora  de- 
scritto è  un  vero  e  proprio  faringobranchiale.  Vediamo  il  terzo 
e  quarto  ossetto  (Fig.  5,  k k) :  sono  ambedue  piatti,  sottili,  irti 
di  minutissimi  denti;  tra  loro  sono  intimamente  connessi,  in 
modo  che  sembrano  costituire  un'unica  placca  ossea,  la  quale 
è  attaccata  al  di  sotto  della  estremità  superiore  del  terzo  e 
quarto  arco  (terzo  e  quarto  epibranchiale)  e  fa  parte  della 
vòlta  della  cavità  faringobranchiale;  quale  significato  hanno 
questi  due  pezzi  ossei,  tra  loro  riuniti  a  costituire  la  rammentata 
più  volte  placchetta  ossea  (bilaterale),  irta  di  denti?  Essi  non 
devono  considerarsi  quali  ossa  faringobranchiah  :  sono  placclie 
ossee  denfigere,  di  origine  membranacea,  analoghe  alle  placche 
ossee  dentigere,  che  già  ho  detto  aderire  al  quinto  paio  di  archi 
branchiali.  Così  che  nella  Anguilla  i  veri  ossi  faringobranchiali 
sono  soltanto  due  per  lato.  In  molti  altri  Teleostei  (si  esamini, 
per  esempio,  la  Sciaena  umbra),  le  ossa  faringobranchiali,  o  epi- 
faringee,  sono  realmente  quattro  per  lato,  delle  quali  le  due 
ultime  fomite  di  denti;  ma  non  hanno  l' apparenza  delle  placche 
dentigere  della  Anguilla;  sibbene  ci  rappresentano  ossificazioni 
cartilaginee,  alle  quali,  fino  ab  initio,  sonosi  saldate  intimamente 
le  placche  ossee  dentigere.  —  Così  ho  descritto,  esaminandolo 
nei  suoi  singoli  pezzi,  l'apparecchio  branchiale  dell'Anguilla. 
Diamogli  ora  uno  sguardo  in  generale,  ossia  complessivo.  In 
primo  luogo,  in  uno  sguardo  all'apparecchio  branchiale  dell'An- 
guilla, si  nota  eh'  esso  ha  i  suoi  archi  disposti  quasi  orizzon- 
talmente da  dietro  in  avanti,  situati,  cioè,  quasi   per   intiero, 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOEDI  EC.     l25 

ossia  col  loro  pezzo  più  lungo  o  ceratobranchiale,  sul  piano  in- 
feriore o  ventrale  della  cavità  faringobranchiale  ;  si  nota  anche 
che  gli  archi  branchiali  non  circoscrivono  per  nulla  completa- 
mente in  sopra  il  faringe,  poiché  i  pezzi  di  un  lato  non  toc- 
cano minimamente  quelli  dell'altro.  In  secondo  luogo,  altra 
cosa  importante  che  si  nota  è  questa:  che  l'apparecchio  bran- 
chiale della  Anguilla  quasi  per  intiero  ò  situato  assai  indietro, 
ossia  quasi  del  tutto  in  fuori  del  cranio;  guardando,  in  altre 
parole,  di  sopra  perpendicolarmente  il  cranio  di  una  Anguilla, 
si  nota  che  quasi  tutto  l'apparecchio  branchiale  rimane  sco- 
perto e  indietro  di  una  perpendicolare  abbassata  dal  basiocci- 
pitale,  di  tutto  ciò  .può  farcisi  un'  idea,  guardando  la  semische- 
matica Fig.  1 2.  Per  quale  mezzo  è  attaccato  al  resto  dello  sche- 
letro cefalico  l'apparecchio  branchiale  della  Anguilla?  Esso  non 
si  attacca  al  resto  del  cranio  che  per  mezzo  del  primo  basi- 
branchiale,  il  quale  tiene  rilegato  all'  entoglossale  e  alle  branche 
ioidee  l'apparecchio  branchiale  stesso:  nell'Anguilla  dunque,  a 
diflFerenza  di  altri  Teleostei,  che  hanno  un  mezzo  di  attacco 
dorsale,  esiste  il  solo  attacco  ventrale  accennato. 

Con  quello  che  sono  venuto  fino  ad  ora  dicendo,  ho  anali- 
ticamente dato  idea  della  costituzione  dello  scheletro  cefalico 
dell'Anguilla,  ho,  cioè,  enumerato  i  pezzi  costituenti,  e,  come 
il  lettore,  spero,  avrà  potuto  notare,  non  è  stata  questa  mia 
fatica  inutile,  perchè  diverse  peculiarità,  in  confronto  del  cranio 
di  altri  Pesci  teleostei,  ho  potuto  mettere  in  rilievo.  Per  com- 
pletare ora  la  descrizione  dello  scheletro  cefalico  della  Anguilla, 
è  necessario  dare  ad  esso  uno  sguardo  complessivo  o  d'insieme. 

Se  noi  ci  facciamo  a  riguardare  la  forma  complessiva  del 
cranio  di  una  Anguilla,  tosto  potremo  notare  eh'  essa  forma 
alquanto  si  discosta  da  quella,  che  ci  presenta  il  cranio  di  molti 
altri  Pesci  teleostei  (per  esempio,  Perca,  Serranm  gigas,  ec); 
infatti  nell'Anguilla  abbiamo  un  cranio,  dirò  così,  raccolto,  senza 
quei  mascellari  superiori  liberi  in  dietro,  slargati,  sporgenti, 
senza  quello  sproporzionato  tratto  palatopterigoideo,  composto 
di  molteplici  pezzi,  senza  le  enormi  ossa  opercolari,  come  può 
vedersi  in  molti  Teleostei,  nei  quali  il  cranio  presenta  il  noto 
aspetto  poco  elegante  e  scomposto.  Per  il  fatto  dell'  essere  ben 
raccolte  tra  loro  le  varie  ossa,  dell'esser  proporzionati  e  for- 
niti di  denti  i  mascellari  superiori,  per  il  fatto  dell'  esser  V  io- 


126  E.  FICALBl 

mandibolare  e  Tosso  quadrato  strettamente  articolati  in  rai 
tutto  immobile,  per  il  fatto  della  presenza  di  un  solo  osso  pte- 
rigoide,  che  dalle  parti  anteriori  del  muso  giunge  al  quadrato, 
ed  anche  per  la  sagoma  generale  del  cranio,  specie  se  spogliato 
dell'apparecchio  opercolare  e  ioidobranchiale,  il  cranio  stesso 
dell'Anguilla  ad  una  occhiata  superficiale  ricorda  certi  tratti 
del  cranio  di  molti  Rettili  (per  esempio,  il  cranio  ofidiano;  anche 
quello  dello  Psnmmosaurus) :  si  capisce  facilmente  che  questa 
rassomiglianza  è  in  molte  cose  superficiale,  perchè  nella  sua 
costituzione  fondamentale  il  cranio  della  Anguilla  rientra  del 
tutto  nelle  regole  generali  del  cranio  dei  Pesci:  tuttavia  la 
suddetta  rassomiglianza  non  è  da  prendersi  in  ridìcolo,  e,  per 
esempio,  specialmente  la  disposizione  dello  pterigoide  non  è  so- 
lita nei  Pesci,  e  fa  risovvenire,  lo  ripeto,  il  cranio  rettiliano. 
Queste  parziali  rassomiglianze,  che  sono  venuto  accennando, 
•non  erano  passate  inosservate  a  Meclel  {^) ,  che  le  notò  in 
generale  per  tutti  i  Pesci  murenoidi;  egli,  però,  si  spinse  un 
po'  troppo  nelle  sue  conclusioni;  disse,  infatti,  che  la  suaccen- 
nata organizzazione  riattaccava  i  nanmottati  Pesci  ai  Rettili; 
disse  anche,  riferendosi  alla  disposizione  che  sopra  ho  accen- 
nato dell'  unico  pterigoide,  che  ciò  "  stabilisce  evidentemente 
un  ravvicinamento  rimarchevole  tra  l'organizzazione  dei  sud- 
detti Pesci  e  quella  dei  Rettili,  sopra  a  tutto  delle  Salaìnatidre 
e  degli  Ofidiani  „ .  —  Tutto  ciò  che  ho  detto  ora  e  tutte  quelle 
peculiarità.,  che  sono  sempre  andato  esponendo  nella  descrizioìie 
analitica,  ci  dimostra  che  lo  scheletro  cefalico  della  Anguilla 
ha  realmente  delle  differenze  importanti  a  conoscersi  confron- 
tato con  quello  di  altri  Teleostei,  e  ci  dimostra  altresì  che 
opera  inutile  non  ho  fatto,  prendendolo  ad  argomento  di  studio. 

2.  —  Scheletro  cefalico  del  Grongo  comune 

La  descrizione  dello  scheletro  cefalico  del  Grongo  comune 
{Conger  valga ris,  Cuv.)  (-)  è  grandemente  facilitata  da  tutto  quello 
che  ho  detto  a  proposito  del  cranio  dell'Anguilla:  anzi  per  non 
mettermi  al  caso  di  ripetere  cose  già  scritte,  non  rifarò  da 


(»)  Meckel  --  Tratte  gen,  d*A«.  comp,,  Paris  1829.  Tome  li,  pag.  484  et  483. 
(^)  Muraena  conger,  Linneo. 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     127 

capo  la  descrizione  analitica  del  cranio  del  Grongo,  ma,  pas- 
sando sopra  con  poche  parole  al  già  cognito,  mi  limiterò  solo 
a  ricordare  quelle  particolarità  nelle  quali  esso  differisce  da 
quello  dell'Anguilla  comune. 

Il  basioccipitale,  gli  esoccipitali  hanno  la  stessa  disposizione 
che  nella  Anguilla;  il  sopraoccipitale  pure  è  piccolo  e  non  entra 
per  nulla  a  circoscrivere  il  grande  forame.  V  è,  però  a  proposito 
del  basioccipitale  e  del  sopraoccipitale  del  Grongo  da  avvertire 
qualche  particolarità:  il  basioccipitale  ha,  a  differenza  di  quello 
dell'Anguilla,  un  prolungamento  squamiforme  anteriore,  col  quale 
giunge  a  toccare,  sulla  base  della  cavità  encefalica,  i  prootici  ; 
questi  poi  essendo  ravvicinati  tra  loro,  ne  deriva  che  nel  Grongo 
non  esiste,  o  è  minima  queir  area  della  base  della  cavità  en- 
cefalica priva  di  osso  cartilagineo,  e  solo  costituita  dal  para- 
sfenoide,  area  che,  come  ebbi  già  a  dire,  nella  Anguilla  trovasi 
tra  limite  anteriore  del  basioccipitale,  posteriore  del  basisfenoide, 
interno  e  inferiore  dei  due  prootici.  Il  sopraoccipitale  è  nel 
Grongo  relativamente  più  lungo  nel  senso  anteroposteriore  di 
ciò  che  non  sia  nella  Anguilla,  e  si  insinua  di  più  sotto  e  tra 
i  parietali.  —  Gli  epiotici,  gli  pterotici  sono  situati  come  nella 
Anguilla  e,  come  in  essa,  non  vi  soìio.  opistotici  distinti,  I  proo- 
tici^ gli  alisfenoidij  gli  sfenotici  sono  disposti  come  nella  An- 
guilla. Vi  è  un  bamsfenoide,  e  v'  è  un  parasfenoide  lunghissimo  ; 
non  esiste,  a  similitudine  della  Anguilla,  nessuna  ossificazione 
presfenoidea  od  orbitosfenoidea.  Lo  spazio  non  ossificato  inte- 
rorbitario  è  ampio  e  limitato  dalle  stesse  ossa  come  nella  An- 
guilla. I  parietali  sono  quasi  simili,  e  similmente  disposti  come 
nella  Anguilla.  —  I  frontali  sono  rappresentati,  almeno  in  Gron- 
ghi adulti  0  presso  che  adulti,  da  un  unico  pezzo;  si  ha,  cioè, 
un  frontale  unico,  impari,  mediano,  simmetrico.  —  L'  osso  pre- 
^nassillo-etmO'Vomerino,  le  cartilagini  esetmoidee,  i  mascellari  su- 
periori sono  come  nella  Anguilla  (^).  Gli  pterigoidei  sono,  com'è 
neir  Anguilla,  in  numero  di  un  solo  per  lato  ;  però,  posteri or- 

(')  Neir  eccellente  Trattato  di  Zoologia  di  Claus  {Tratte  de  Zool.  par  C.  Claus^ 
traci,  par  G.  Moquin  Tandon,  Paris,  1884;  pag.  124i),  nel  punto  ove  si  parla  del 
Conger,  tra  le  altre  cose,  si  trova  eh*  esso  possiede  <  Ossa  intermascellari  sprovviste 
di  denti,  libere  nella  pelle  molle  del  musoT^,  Questa  asserzione  senza  dubbio  non 
sta  bene:  il  Conger^  come  gii  altri  Murenoidi,  ha  le  ossa  premasce Ilari  o  interma- 
scellari saldate  col  vomere  e  col  meselmoide  a  costituire  un  osso  prcmassillo-étmo- 
vomerino.  Quelle  che  il  Claus   (fjrse  ad  imitazione  di  altri)   chiama   gli   in  torma- 


128  E.  FICALBl 

mente,  là,  ove  si  articolano  per  incastro  coli'  iomandibolare 
e  col  quadrato  sono  più  slargati,  ed  anteriormente  più  da  vi- 
cino che  non  nella  Anguilla  toccano  V  osso  premassillo-etmo- 
vomerino. 

Le  ossa  nasali  e  le  periorbitali  presentano  nel  Grongo  delle 
differenze  importanti  confrontate  con  le  ossa  omonime  nella 
Anguilla.  Vediamo  quello  che  si  osserva  nel  Grongo.  —  Le  due 
ossa  nasali  sono  (Fig.  6,  n  a)  allungate,  applicate  per  tutta  la 
lunghezza  del  loro  margine  interno  ai  lati  della  branca  supe- 
riore dell'  osso  premassillo-etmo-vomerino,  danno  passaggio  a 
canale  muccoso,  ma  sono  più  slargate,  più  piatte  che  non  nella 
Anguilla,  hanno  il  margine  estemo  loro  alquanto  ondulato.  — 
Gli  ossetti  periorbitarii  sono  disposti  come  mostra  la  Fig.  6; 
descriviamoli  (  da  un  lato  )  cominciando  dal  di  dietro  o  dalla 
eminenza  del  frontale.  In  primo  luogo  si  hanno  tre  ossetti 
(Fig.  6,  a,  hj  e)  che  formano  un  tratto  tra  i  lati  della  estremitìi 
anteriore  del  frontale  e  la  posteriore  del  mascellare  superiore; 
questi  tre  ossetti  sono  disposti  precisamente  come  i  tre  corri- 
spondenti del  cranio  della  Anguilla,  e  sono  loro  omologhi.  Con- 
nesso con  questi  ossetti,  cui  fa  seguito  in  avanti,  trovasene  uno 
lungo,  piuttosto  sottile,  cilindrico,  tuboloso  (rf):  è  situato  sul 
mascellare  superiore  ;  in  dietro  si  attacca  al  periorbitario  e ,  già 
noto,  in  avanti  non  si  connette  direttamente  con  alcun  osso, 
ma  ha  1'  estremo  libero.  Poco  in  avanti,  però,  di  questo  estremo 
trovasi  un  osso  ampio,  piatto,  anfrattuoso,  di  forma  triango- 
lare {e)j  il  quale  altro  non  può  esser  considerato,  che  il  così 
detto  osso  lacrimale  (  come  è  in  molti  altri  Teleostei  )  {})  ;  nella 
Aìiguilla  non  esiste  nessun  osso  così  fatto,  e  ciò  costituisce  diffeì'enza 
rimarchevole;  né  un  osso  simile  esiste  in  alcun  altro  Murenoide; 
nella  Anguilla  e  negli  altri  Murenoidi  gli  ossetti  periorbitali 
rimangono  presso  a  poco  tutti  uguali;  cosa  dimostra  ciò?  Di- 

• 

Bcellari,  privi  di  denti  e  liberi  nella  pelle  del  muso,  altro  non  sono  da  considerarsi 
che  i  lacrimali  (Fig.  6,  fr).  di  cui  parlerò  tra  poco;  e  che  le  ossa  suddette  nulla 
abbiano  di  comune  coi  premascellari,  che  sarebbero  davvero  ben  strani  e  lontaai 
dalla  disposizione  murenoide,  lo  prova,  tra  altro,  e  la  loro  posizione  e  Tesser  con- 
nessi e  traversati  dai  canali  muccosi  stessi,  che  sono  in  rapporto  con  le  altro  ossa 
periorbitali  e  che  sono  i  medesimi  che  negli  altri  Murenoidi  attraversano  le  ossa 
periorbitali  non  differenziate,  che  occupano  il  posto  tenuto  nel  Cofiger  dai  lacrimali. 
(1)  È  queir  osso  che  più  indieti'o  dissi  esser  impropriamente  considerato  dal 
Claus  il  premascellare. 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     129 

mostra  che  il  lacrimale  del  Grongo  (e  dei  Teleostei  in  generale) 
altro  non  è  che  uno  dei  veri  e  proprii  ossetti  periorbitarii,  il 
quale  è  grandemente  accresciuto;  se  noi  dovessimo  prendere 
come  tipo  l'Anguilla,  si  potrebbe  dire  :  I  Pesci  teleostei  hanno 
un  cerchio  di  ossicini,  per  ciascun  lato  del  muso,  che  comprende 
nel  suo  perimetro  V  orbita  e  V  apertura  nasale  :  di  questi  ossicini 
uno  (per  ciascun  lato)  crescendo  e  diflPerenziandosi ,  diviene  il 
nasale,  un  altro,  pur  crescendo  e  differenziandosi  alquanto,  di- 
viene il  così  detto  lacrimale:  e  queste  idee  concorderebbero, 
presso  a  poco,  con  quelle  già  emesse  da  Stannius.  In  avanti 
del  lacrimale  vero  e  proprio  ora  descritto  trovasi  nel  Grongo 
un  ossicino  piccolissimo,  tubulato  (/*):  esso  è,  veramente,  troppo 
distante  dall'orbita  per  esser  chiamato  a  ragione  periorbitario, 
e  poi,  per  ripetere  ciò  che  dissi  dell' ossetto  simile  che  si  trova 
nella  Anguilla  (segnato  g),  non  v'  è  dubbio  che  altro  non  è  che 
un  vero  e  proprio  elemento  di  sostegno  di  un  canale  muccoso; 
ma  d' altra  parte  ha  tante  analogie,  fuor  che  nelle  dimensioni, 
con  gli  altri  ossetti  periorbitarii,  che  ho  creduto  bene  di  ram- 
mentarlo qui.  Così,  per  concludere,  nel  Grongo  abbiamo  nel 
muso  sette  ossetti  a  canali  muccosi  per  ogni  lato,  tra  i  quali  il 
nasale  e  un  po'  slargato  e  lungo,  ed  uno  dei  periorbitali  è  pur 
slargato,  triangolare,  essendosi  trasformato  in  un  vero  lacrimale. 
L' apparecchio  sospensore  ioido-opercolo-mandibolare  è  com- 
posto (per  ciascun  lato)  di  un  iomandibolare  e  di  un  quadrato 
articolati  tra  loro  e  disposti,  relativamente  alle  ossa  circonvi- 
cine, come  nella  Anguilla;  tra  iomandibolare  e  quadrato  non 
riscontrasi,  a  similitudine  dell'  Anguilla,  il  simplettico.  —  In 
ciascuna  branca  della  mandibola  trovasi  un  articolare,  un  coro- 
noide,  un  dentale,  come  nella  Anguilla;  ed  anche  nel  Grongo 
manca  l'angolare.  Le  ossa  opercolari  sono  nello  stesso  numero 
che  nella  Anguilla  e  nei  Pesci  teleostei  in  generale:  sono,  cioè, 
V  opercolo,,  il  suhopercolo,  V  inter opercolo ,  e  il  preopercolo;  di 
questi  ossi,  quello  detto  opercolo  differisce  un  po'  tra  Grongo 
e  Anguilla,  essendo  nel  primo  di  forma  presso  che  semilunare, 
con  l'estremo  posteriore,  cioè,  rivolto  in  alto  e  il  margine  su- 
periore concavo,  a  differenza  della  Anguilla  che  ha  quest'osso 
presso  a  poco  ellittico,  con  margini  •  per  nulla  ritorti  a  semi- 
luna. —  Ciaschedun  arco  ioideo,  a  similitudine  della  Anguilla, 
consta  nel  Grongo  di  un  epiale  e  di  un  ceratoiale;  come  in  essa, 

Se,  Nat.  Voi  Vm,  fase.  1.'*  IO 


130  E.  nCALBI 

manca  V  interiale  o  stiloiale.  Vi  è  un  glossoiale  come  nella  An- 
guilla. —  \jOsso  uroiale  o  hasihranchiostegale  esiste,  ma,  mentre 
nella  Anguilla  è  tozzo  e  corto,  nel  Grongo  è  allungatisslmo: 
l'estremo  anteriore  suo  è  slargato  e  con  esso  si  attacca  alle 
branche  ioidee;  il  resto  dell'osso  è  stili  forme,  e  col  suo  estremo 
posteriore  giunge  fino  alla  base  dell'  ultima  -arcata  branchiale, 
mentre  nell'Anguilla  neppure  è  in  corrispondenza  con  la  prima. — 
Mancano,  a  proposito  dell'apparecchio  ioideo,  nel  Grongo  come 
nella  Anguilla,  gli  ossetti  ipoiali.  —  1  raggi  hranchiostegali  nel 
Grongo  sono  in  numero  di  8  per  parte;  sono  molto  più  robusti 
che  non  nella  Anguilla  (che  ne  ha  12)  e  relativamente  più  corti: 
in  luogo  di  terminare  con  estremitìi  assottigliatissima,  i  tre  su- 
periori di  ogni  lato  sono  un  poco  slargati  ;  come  nella  Anguilla, 
i  raggi  hranchiostegali  sono  molto  ricurvi  in  alto,  ma,  oltre 
che  in  alto,  i  più  lunghi  sono  un  po'  diretti  anche  in  dentro; 
sono  attaccati  tutti  all' epiale. 

Veniamo  all'apparecchio  branchiale.  Esso  è  composto,  al 
t  solito,  di  cinque  paia  di  archi,  come  quello  dell'Anguilla,  dal 
quale  pochissimo  diflferisce  per  la  sua  costituzione  analitica,  mol- 
tissimo circa  al  suo  insieme  generale.  Dal  punto  di  vista  della 
costituzione  analitica,  accennerò  le  seguenti  differenze,  essendo 
il  resto  uguale;  nel  Grongo  le  ossa  basihranchiali  sono  in  nu- 
mero di  trsy  invece  che  di  due  come  nella  Anguilla,  in  altre 
parole  le  prime  tre  paia  di  archi  ne  sono  fornite.  Gli  archi  sono 
costituiti  nel  Grongo  degli  articoli  stessi  che  i  corrispondenti 
nella  Anguilla;  il  quinto  paio  di  archi,  come  nella  Anguilla, 
possiede  due  placcìie  ossee  dentigere  allungate,  una  per  ogni 
lato.  Le  ossa  faringobrancìdaU  sono  come  nella  Anguilla,  e, 
come  in  essa,  nella  linea  delle  faringobranchiali  sono  situati 
(  per  ogni  lato  )  due  ossetti  piatti,  sottili,  irti  di  denti  e  tra 
loro  intimamente  connessi,  in  maniera  che  sembrano  costi- 
tuire un'  unica  placca  ossea,  attaccata  al  di  sotto  della  estre- 
mità superiore  del  terzo  e  quarto  arco  (terzo  e  quarto  epi- 
branchiale);  sono  questi,  al  solito,  placche  ossee  dentigere  della 
volta  faringea.  —  Vediamo  ora  le  differenze  che  da  uno 
sguardo  complessivo  dell'  apparecchio  branchiale  del  Grongo 
comparato  con  quello  della  Anguilla  emanano.  Si  nota  prima 
di  tutto  che  mentre  nella  Anguilla  gli  archi  branchiali  sono 
situati   quasi  orizzontalmente  da  dietro   in  avanti,  nel  Gron- 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     131 

go  essi  sono  molto  più  sollevati,  e  rimarchevole  ò  a  questo 
riguardo  la  differenza.  Nemmeno  nel  Grongo,  ugualmente  a  ciò 
che  accade  nella  Anguilla,  gli  archi  branchiali  circoscrivono 
completamente  in  sópra  il  faringe,  non  toccandosi  i  pezzi  di 
un  lato  con  quelli  dell'altro.  Veniamo  ad  una  differenza  note- 
volissima: dissi  che  nella  Anguilla  l'apparecchio  branchiale  è 
quasi  per  intiero  situato  assai  indietro,  ossia  quasi  del  tutto 
in  fuori  del  cranio;  nulla  di  tutto  ciò  nel  Grongo:  in  esso  in- 
vece si  nota  che  l'apparecchio  branchiale  è  situato  nel  suo  com- 
plesso sotto  il  cranio  (Fig.  13).  Come  si  attacca  al  resto  dello 
scheletro  cefalico  l' apparecchio  branchiale  del  Grongo?  Per 
quanto  gli  epibranchiali  e  i  faringobranchiali  siano  in  contatto 
con  la  base  del  cranio  (ciò  cTie  non  è  nella  Anguilla),  pur  tut- 
tavia l'attacco  reale  delio  apparecchio  branchiale  al  restante 
dello  scheletro  cefalico  si  fa  nel  Grongo,  come  per  l'Anguilla,  per 
mezzo  del  primo  basibranchiale,  il  quale  tiene  rilegato  all'  ento- 
glossale  e  alle  branche  ioidee  l'apparecchio  branchiale  stesso. 
In  uno  sguardo  complessivo  o  d' insieme  del  cranio  del 
Grongo  notansi  molte  delle  particolarità,  che  io  accennai  per 
quello  della  Anguilla;  esso  cranio,  oltre  ad  esser  raccolto  nei 
suoi  pezzi,  come  quello  della  Anguilla,  ha,  anch'  esso,  fomiti  di 
denti  i  mascellari  superiori,  ha  l' iomandibolare  e  1'  osso  qua- 
drato strettamente  articolati  in  un  tutto  immobile,  ha  un  solo 
pterigoide  per  lato,  che  dalle  parti  anteriori  del  muso  giunge 
al  quadrato,  ha  una  sagoma  generale,  specialmente  se  spogliato 
dell'apparecchio  opercolare  e  ipidobranchiale,  così  fatta,  che  essa 
e  tutti  gli  altri  caratteri  fanno  sì  che  siano  ricordati,  ad  una 
occhiata  superficiale,  come  ammetteva  anche  Meckely  certi  tratti 
di  molti  cranii  rettiliani.  —  In  uno  sguardo  complessivo,  esiste 
qualche  differenza  tra  cranio  della  Anguilla  e  cranio  del  Grongo? 
Sì.  In  primo  luogo  dà  in  occhio  l' importante  fatto  già  notato, 
della  disposizione  diversa  dell'apparecchio  branchiale,  che  è  nella 
Anguilla  situato  in  dietro  e  fuori  della  base  del  cranio,  nel 
Grongo  sotto  la  base  stessa;  poi,  se  si  divarichino  tra  loro  un 
poco  le  mascelle  nei  due  cranii,  si  vede  come  nella  Anguilla 
la  inferiore  sia  molto  sporgente  sulla  superiore,  mentre  nel 
Grongo  ciò  non  avviene,  o  in  insensibile  grado  ;  vi  è  poi  un'  altra 
differenza  importante  tra  i  due  cranii:  nella  Anguilla  la  faccia 
posteriore  del  cranio  è  tagliata  a  picco  (Fig.  12),  anzi  qualche 


132  E.  FICALBI 

volta  i  bordi  del  forame  occipitale  e  V  osso  basioccipitale  con  la 
sua  faccia  posteriore  articolare  sporgono  un  poco:  nel  Grongo,  in- 
vece, la  faccia  posteriore  del  cranio  è  sempre  a  tettoia  (  Fig.  1 3), 
la  di  cui  parte  sporgente  è  il  margine  superiore,  che  cuopre  del 
tutto  il  forame  occipitale  e  la  parte  articolare  dell'osso  basi- 
occipitale:  ciò  aveva  notato  anche  Cutter  {^). 

Così  ho  brevemente  detto  dello  scheletro  cefalico  del  Grongo, 
e  delle  differenze,  che  tra  esso  scheletro  cefalico  e  quello  della 
Anguilla  si  notano. 

3.  —  Scheletro  cefalico  dell'  Ofisuro 

Sullo  scheletro  cefalico  dell'  Ofisuro  o  Serpente  di  mare 
{Ophisuru^  serpeìiSj  Lacép.)  (^)  non  v'  ^  bisogno  che  mi  intrat- 
tenga più  che  tanto,  dopo  ciò  che  ho  detto  di  quello  della 
Anguilla  e  del  Grongo  ;  mi  limiterò  semplicemente  ad  accennare 
le  particolarità  più  importanti,  che  esso  presenta  paragonato 
a  quello  dei  suddetti  Pesci.  Dirò  subito  che  V  Ofisuro  circa  alla 
conformazione  del  cranio,  sebbene  sotto  qualche  puuto  di  vista 
stia  tra  mezzo  all'Anguilla  e  al  Grongo  da  una  parte  e  alla 
Murena  dall'  altra,  pur  tuttavia  possiede  una  disposizione  cra- 
nica che  concorda  più  che  altro  coli' Anguilla  e  col  Grongo,  salvo, 
si  intende,  certe  differenze  secondarie.  Una  veduta  d' insieme 
del  cranio  dell'  Ofisuro  (privo  dell'  apparecchio  branchiale)  si  ha 
nella  Fig.  7. 

Senza  fare  enumerazioni  di  ossa,  comincerò  per  dire  che 
osservando  il  cranio  dell'  Ofisuro  dalla  sua  faccia  posteriore  (  o, 
come  anche  dicono,  nucale)  si  vede  che  essa  faccia,  tagliata  a 
picco,  per  la  sua  figura  generale'  e  per  la  disposizione  delle  ossa 
somigUa  molto  più  a  quella  della  Murena,  che  descriverò,  che 
non  a  quello  dell'Anguilla,  e  tanto  meno  del  Grongo,  che  ha 
questa  faccia  nucale  formata  a  tettoia  sporgente  in  dietro. 

(•)  Cuvier  G.  Lcq,  d*Anae.  comp.  Troisième  édit.  Bruxelles,  1836.  pag.  393.  — 
11  Costa  nella  sua  Fauna  eie.  scrisse:  «  L* anguilla  ugualmente  che  il  grongo,  come 
già  lo  avvertiva  Cuvier^  ha  la  faccia  occipitale  piatta  e  declinante  in  dietro,  meno 
però  nelfanguìila  che  nel  grongo».  Ora,  non  è  esatto,  come  già  ho  avuto  laogo  di 
dire  (e  Tho  figurato,  Fig.  12)  che  anche  Panguilla  abbia  la  faccia  occipitale  decli- 
nante in  dietro:  essa  T  ha  tagliata  a  picco  ;  ed  anche  Cuvier  non  parla  di  faccia  oc- 
cipitale declinante  indietro  che  per  il  grongo. 

(*}  Muraena  serpens,  Lin. 


CONFORBfAZIONE 'DELLO  SCHELBTRO  CEFÀLICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.    133 

Anche  le  pareti  laterali  della  cavità  encefalica,  che  relativa- 
mente al  resto  del  cranio  è  molto  più  allungata  anteroposte- 
riormente  che  nella  Anguilla  e  nel  Grongo,  somigliano,  e  per 
questa  maggiore  lunghezza  e  per  la  disposizione  delle  ossa  (gli 
pterotici,  i  prootici,  gli  alisfenoidi,  il  basisfenoide)  più  a  ciò 
che  si  ha  nella  Murena,  che  non  a  ciò  che  si  trova  nella  An- 
guilla e  nel  Grongo  suddetti  (confronta  tra  loro  le  Fig.  4,  7  e  9) . 
Lo  sfenotico,  e  quindi  la  sporgenza  sfenotica  del  cranio,  è  molto 
piccolo  (Fig.  7  sfó)y  non  curvato  in  avanti  a  guisa  di  uncino 
(come  è  nella  Anguilla  e  nel  Grongo),  ma  piuttosto  simile  a 
ciò  che  vedremo  nella  Murena.  I  frontali  si  saldano,  almeno 
negli  individui  adulti,  in  un  unico  pezzo  come  nel  Grongo  (a 
diflFerenza  della  Anguilla  e  della  Murena.  L'osso  premassillo- 
etmo-vomerino  dell'  Ofisuro  (Fig.  1,  prv)  è  allungatissimo,  ap- 
puntato, e  ciò  per  V  enorme  allungamento  del  musò,  che  questo 
Pesce  presenta  in  confronto  agli  altri  Murenoidi  nostrani.  Non 
esisto  neir  Ofisuro  nessun  osso  esetmoide,  a  similitudine  del- 
l'Anguilla e  del  Grongo:  vedremo  invece  che  la  Mureàia  ha  un 
piccolo  osso  esetmoide  ad  ognuno  dei  due  lati  della  branca 
superiore  del  premassillo-etmo-vomerino. 

Le  ossa  pterigoidi  dell'  Ofisuro  sono  molto  laminari,  larghe 
in  dietro,  appuntate  in  avanti  (Fig.  7,  pt  g);  in  dietro*si  attac- 
cano al  punto  di  articolazione  tra  iomandibolare  e  quadrato; 
di  '  qui  si  dirigono  in  avanti  e  vanno  sempre  più  assottigliandosi, 
per  tenninare  a  punta  ;  1'  estremo  anteriore  afflato  di  ciascun 
pterigoide  si  termina  attaccandosi  per  connettivo  alla  faccia 
interna  del  mascellare  superiore  del  proprio  lato.  Scrisse  il 
Costa  che  nell'  Ofisuro  lo  pterigoide  e  estremamente  delicato  e 
non  raggiunge  il  vomere:  infatti  la  sua  punta  non  giunge  pro- 
priamente a  toccare  la  branca  vomerina  delf  osso  premassillo- 
etmo-vomerino,  per  quanto  gli  sia  molto  vicina;  tuttavia  è 
sempre  connessa  con  le  ossa  della  volta  boccale,  in  modo  che 
la  disposizione  di  questo  pterigoide  si  avvicina  molto  di  più  a 
ciò  che  si  ha  nella  Anguilla  e  nel  Grongo,  che  non  ha  ciò  che 
vedremo  nella  Murena,  nella  quale  lo  pterigoide  è  rudimentale, 
e  con  il  suo  estremo  anteriore  rimane  sempre  lontano  e  dalla 
branca  vomerina  dell'  osso  premassillo-etmo-vomerino,  e  dal 
mascellare  superiore  (confronta  tra  loro  le  Fig.  4,  7  e  9). 

Le  ossa  nasali  dell' Ofisuro  sono  sottiU,  allungate  e  situate 


134  E.  FICALBI 

ciascuna  al  lato  della  branca  superiore  dell'  osso  premassiUo- 
etmo-vomerino  (Fig.  7,  n  a).  Le  ossa  periorbitarie  sono  in  nu- 
mero, se  non  mi  inganno,  di  sei  per  lato  ;  le  tre  posteriori  (a,  b,  e) 
sono  situate  tra  frontale  e  mascellare  superiore  e  sono  le  più 
grosse,  le  altre  tre  (d,  e,  f)  sono  (li  una  sottigliezza  estrema  e 
riposano  sul  lato  esterno  del  mascellare  superiore,  dirigendosi 
in  avanti  verso  V  osso  premassilloetmovomerino.  Non  vi  è  nel- 
r  Ofisuro  nessun  osso  lacrimale  vero  e  proprio,  ed  in  ciò  questo 
Pesce  concorda  con  l'Anguilla  e  con  la  Murena  e  discorda 
dal  Grongo. 

La  placca  ossea  costituita  dall'  iomandibolare  e  dal  qua- 
drato ( Fig.  7j  ym,  oq)  è  molto  ampia,  e  per  la  conformazione 
e  disposizione  sua  ricorda  molto  di  piii  ciò  che  vedremo  veri- 
ficarsi nella  Murena,  che  non  ciò  che  è  nella  Anguilla  e  nel 
Grongo:  infatti  essa  placca  è  diretta  presso  che  perpendicolar- 
mente in  basso,  quasi  come  vedremo  nella  Murena,  mentre  nel- 
l'Anguilla e  nel  Grongo  è  fortemente  inclinata,  col  suo  estremo 
inferoanteriore,  in  avanti.  Come  negli  altri  Murenoidi,  non  pre- 
senta r  Ofisuro  il  simplettico. 

La  mandibola  è  allungatissima,  come  allungatissimo  è  il 
muso,  ma  non  sorpassa  in  lunghezza,  il  che  fa  invece  nella 
Anguilla*  r  estremità  dell'osso  premassillo-etmo-vomerino.  Con- 
sta dei  soliti  tre  pezzi,  dei  quali  il  più  ragguardevole  è  il  den- 
tale. —  Le  ossa  opercolari  hanno,  relativamente  al  resto  del 
cranio,  uno  sviluppo  simile  a  quello  che  presentano  nella  An- 
guilla e  nel  Grongo,  sono  quindi  molto  più  sviluppate  di  quello 
che  vedremo  poi  nella  Murena,  che  le  ha  ridotte  assai:  sono, 
al  solito,  in  numero  di  quattro  per  lato,  e  l' apparecchio  oper- 
colare  osseo  da  esse  costituito  non  ha  rapporti,  a  similitudine 
degli  altri  Murenoidi,  con  le  aperture  branchiali. 

L'apparecchio  ioideo  è  ridotto  assai,  per  quanto  consti  dei 
pezzi  stessi,  che  nella  Anguilla  e  nel  Grongo;  possiede,  cioè,  in 
ciaschedun  arco,  un  epiale  (Fig.  7,  ey),  un  ceratoiale  (cj/),  e 
come  ossa  mediane,  impari,  un  glossoiale  (gy),  e  un  uroiale 
(uy);  tutti  questi  pezzi,  però,  sono  sottili  e  gracili  ;  e  l' uroiale 
è  allungatissimo,  stiliforme;  l'apparecchio  ioideo  dell' Ofisuro 
ricorda  quello  della  Anguilla  e  del  Grongo  in  quanto  consta 
di  tutti  i  pezzi  di  cui  consta  in  questi  Pesci,  ricorda  poi  quello 
della  Murena,  che  lo  ha  ridottissimo,  in  quanto  le  branche  ioideo 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  .MTJRENOIDI  EC.     1 35 

(costituite  dagli  epiali  e  dai  ceratoiali)  sono  molto  sottili.  — 
I  raggi  branchiostegali  dell'  Ofisuro  sono  sottilissimi,  numerosi, 
in  numero  di  18  o  20  per  lato  (Fig.  7,  rbr);  sono  ricurvi,  e 
i  superiori,  col  loro  estremo  libero,  guardano  la  nuca;  si  at- 
taccano air  epiale;  nel  cranio  integro  i  primi  sette  od  otto  raggi 
branchiostegali  dell'  un  Iato',  ossia  i  più  bassi,  si  incrociano  con 
quelli  dell'altro  lato,  costituendo  un  graticciato  sottofaringeo. 
Veniamo  all'apparecchio  osseo  branchiale.  Questo  nell' Ofi- 
suro è  composto,  circa  alla  sua  costituzione  analitica,  perfet- 
tamente come  nella  Anguilla  (ed  anche  nel  Grongo) ,  vi  si  ri- 
scontrano, cioè,  gli  stessi  pezzi,  ad  eccezione,  se  non  mi  inganno, 
dei  basibranchiali,  che  nell'  Ofisuro  mi  sembrano  essere  nel  nu- 
mero di  un  solo,  mentre  nella  Anguilla  sono  due.  Tolta  questa 
inezia,  l'apparecchio  branchiale  dell' Ofisuro  nella  sua  compo- 
sizione è  noto,  quando  sia  noto  quello  dell'Anguilla.  H  primo 
e  secondo  paio  di  archi  constano,  infatti,  per  ciascuna  metà  la- 
terale o  branca,  nell'  Ofisuro  di  tre  pezzi  ciascuno  (  un  ipobran- 
chiale, un  ceratobranchiale,  un  epibranchiale) .  Il  terzo  e  quarto 
paio  di  due  pezzi  (un  ceratobranchiale,  un  epibranchiale).  Il 
quinto  paio  di  un  solo  pezzo  (ceratobranchiale):  questo  quinto 
paio  di  archi,  o  quinto  paio  di  ceratobranchiali,  è  ridottissimo, 
e  i  ceratobranchiali  stessi,  che  lo  costituiscono,  sono  attaccati, 
ma  più  o  meno  separabili,  alle  placche  ossee  dentigere  della 
base  del  faringe,  placche  che  or  ora  accennerò.  Esistono  nel- 
r  Ofisuro  due  ossa  faringobranchiali  per  parte,  come  nella  An- 
guilla :  ed  esistono  delle  placche  ossee  dentigerCy  due,  cioè,  sulla 
base  del  faringe,  connesse  coli' estremità  inferiore  dei  cerato- 
branchiali  del  quarto  paio  di  archi,  e  specialmente  coi  cerato- 
branchiali  ridottissimi  costituenti  il  quinto  paio  :  queste  placche 
sono  corrispondenti  a  quelle  della  Anguilla,  segnate  z  nella 
Fig.  5  ;  due  altre  placche  dentigere  sono  superiormente  al  fa- 
ringe, una  per  lato,  e  non  mi  sembrano  divisibili  in  due  metà, 
ciascuna,  come  lo  sono  le  corrispondenti  della  Anguilla;  sono 
connesse  con  le  ossa  epibranchiali  del  secondo,  terzo  e  quarto 
arco.  Circa  a  uno  sguardo  d'insieme  dell'apparecchio  branchiale 
dell'  Ofisuro,  può  dirsi  eh'  esso  fe  un  qualche  cosa  di  mezzo  tra 
quello  dell'Anguilla  e  quello  del  Grongo  :  infatti  non  è  sotto  il 
cranio  (Fig.  14),  come  è  nel  Grongo,  e  non  è  così  lontano  dalla 
base  del  cranio  stesso,  come  nella  Anguilla;  gli  archi  non  sono 


136  E.  FICALBI 

COSÌ  inclinati,  come  nella  Anguilla,  ma  simiglianti  a  ciò  che  si 
ha  nel  Grongo;  come  negli  altri  Murenoidi,  l'apparecchio  osseo 
branchiale  dell' Ofisuro  non  h  attaccato  in  sopra  al  resto  del 
cranio  per  ossa  speciali,  ma  si  può  considerare  quasi  da  esso 
indipendente  ed  è  il  faringe  e  i  tessuti  circostanti  che  lo  ten- 
gono in  sito. 

In  uno  sguardo  complessivo  (Fig.  7)  lo  scheletro  cefalico  del- 
l' Ofisuro,  per  quanto  presenti  un  muso  enormemente  allimgato 
in  avanti,  non  discorda  dalle  particolarità,  che  già,  accennai  per 
i  Murenoidi  precedentemente  descritti,  cioè  per  V  Anguilla  ed 
il  Grongo:  è  raccolto  nei  suoi  pezzi;  ha  i  mascellari  superiori 
fomiti  di  denti  e  formanti  il  contorno  laterosuperiore  della 
bocca;  ha  una  placca  iomandibolare  quadrata  ben  rigida,  so- 
migliante lontanamente  al  quadrato  di  certi  cranii  rettiliani; 
ha  un  solo  pterigoide  per  parte  ed  ha  una  sagoma  generale  che 
può  ricordare  alcuni  cranii  di  Rettili;  tutto  ciò,  come  già  notai 
negli  altri  Murenoidi  descritti.  —  Volendo  poi  riassumere  le 
differenze  principali  che  in  uno  sguardo  complessivo  notansi  tra 
il  cranio  dell'  Ofisuro  e  quello  dei  precedenti  Murenoidi,  ripe- 
terò che  consistono  nelle  seguenti:  il  cranio  dell'  Ofisuro  è  al- 
lungatissimo  in  modo  da  costituire  un  muso  sottile,  quasi  fog- 
giato a  rostro,  mentre  così  allungato  non  è  nell'Anguilla  e  nel 
Grongo;  la  mascella  inferiore  non  sporge  in  avanti  della  supe- 
riore, come  sporge  nella  Anguilla  ;  la  placca  iomandibolare-qua- 
drata  è  diretta  perpendicolarmente  in  basso,  invece  che  in  basso 
e  in  avanti,  come  nella  Anguilla  e  nel  Grongo  ;  lo  sfenotico  e 
la  sporgenza  sfenotica  non  sono  ricurvi  in  avanti  ad  uncino  e 
sono  poco  sviluppati;  le  ossa  del  tegmen  cranii  e  delle  pareti 
laterali  della  cavità  encefalica  hanno  una  disposizione  un  po'  di- 
versa da  ciò  che  è  nel  Grongo  e  nella  Anguilla  ;  l' apparecchio 
ioideo  è  gracile,  i  raggi  branchiostegali  sottilissimi  e  più  nu- 
merosi che  non  nella  Anguilla  e  nel  Grongo. 

4.  —  Scheletro  cefalico  della  Murena  comune 

Veniamo  ora  a  parlare  del  cranio  della  Murena  comune 
(Muraena  helena,  Lin.)  (^),  cranio  che  è  interessantissimo  e  sul 

(^)  Muraenophis  helena,  Lac. 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     137 

quale  davvero  è  prezzo  dell'  opera  intrattenersi.  —  Tengo  il 
medesimo  ordine  descrittivo,  che  ho  seguito  per  lo  studio  dello 
scheletro  cefalico  della  Anguilla,  cominciando  dalle  parti  occi- 
pitali del  cranio  e  passando  al  resto. 

La  faccia  posteriore  del  cranio  della  Murena  (detta  da  al- 
cuno anche  faccia  nucale)  è  tagliata  a  picco  non  meno  di  quella 
della  Anguilla  e  dell'  Ofisuro,  e  ci  lascia  scorgere,  come  mostra 
la  Fig.  8,  il  grande  forame  occipitale,  la  coppa  articolare  del 
basioccipitale,  ed  otto  ossa  in  tutto,  delle  quali  sei  appaiate, 
due  impari  e  mediane.  Di  tutte  queste  le  ossa  che  per  le  prime 
ci  devono  interessare  sono  le  quattro  del  così  detto  segmento 
occipitale,  che  passo  ad  accennare.  L'  osso  basioccipitale  è  piut- 
tosto stretto  ed  allungato,  ed  anteriormente  termina  in  punta, 
mentre  posteriormente  presenta  la  coppa  articolare  che  coi  suoi 
margini  combacia  coi  margini  di  quella  della  prima  vertebra; 
differisce  quello  della  Murena  dal  basioccipitale  della  Anguilla, 
perchè  è  più  stretto  e  perchè  ha  1'  estremità  sua  anteriore  ap- 
puntata, mentre  quello  dell'Anguilla  1'  ha  slargata  assai.  Il  ba- , 
sioccipitale  della  Murena  articolasi  con  le  ossa  stesse,  che  nella 
Anguilla  e  negli  altri  Murenoidi  descritti,  col  parasfenoide,  cioè, 
che  entra  con  la  sua  estremità  posteriore  affilatissima  in  un 
incastro  che  si  trova  nella  faccia  inferiore  o  ventrale  del  ba- 
sioccipitale, coi  due  prootici,  con  gli  esoccipitali.  —  Le  due  ossa 
esoccipitali,  al  solito  irregolari  per  forma,  sono  quelle  che  cir- 
coscrivono per  la  massima  parte  il  foro  occipitale:  infatti  questo 
foro,  eccetto  che  in  basso  o  alla  sua  base,  ove  è  per  un  certo 
tratto  limitato  dal  basioccipitale,  poi  il  resto  è  circoscritto  dagli 
esoccipitali,  che  si  incontrano  reciprocamente  in  una  articola- 
zione all'  apice  di  esso  (Fig.  8,  e  o).  Ciascun  esoccipitale,  poi, 
come  nella  Anguilla,  si  articola  con  l' epiotico,  con  lo  pterotico, 
col  prootico  del  proprio  lato.  —  Il  sopraoccipitah  è  un  piccolo 
ossettincf  incastrato  principalmente  tra  la  porzione  superiore 
dei  due  epiotici;  non  è  per  nulla  in  rapporto  col  foro  occipitale 
(Fig.  8,  so)\  si  articola  lateralmente  cogli  epiotici,  anteriormente 
coi  parietali  ;  posteriormente  e  in  basso  tocca  i  due  esoccipitali  : 
nella  Anguilla  questo  fatto  non  avviene,  cioè  il  sopraoccipitale 
non  tocca  gli  esoccipitali,  i  quali  ne  sono  separati  da  uno  spazio 
non  ossificato,  che  non  esiste  nella  Murena,  come  non  esiste 
nel  Grongo  e  nell' Ofisuro, 


138  E.  nCALBI 

Le  altre  ossa  che  si  scorgono,  osservando  dalla  sua  così 
detta  faccia  nucale,  o  posteriore,  il  cranio  (Fig.  8),  sono  gli 
epiotici,  e  gli  pteroticiy  ossa  bilaterali,  asimmetriche,  che  hanno 
la  stessa  disposizione  e  si  articolano  con  le  "stesse  ossa,  come 
nella  Anguilla,  e  sui  quali,  quindi,  non  importa  mi  intrattenga 
ulteriormente.  Nel  cranio  della  Murena,  come  in  quello  della 
Anguilla,  del  Grongo,  dell' Ofisuro,  non  vi  è  opistotico  distinto. 

Sui  prootici  della  Murena  posso  rispamiiarmi  ogni  descri- 
zione, perchè,  eccetto  qualche  diflFerenza  di  forma,  per  rapporti 
e  disposizione  sono  come  nella  Anguilla.  —  Gli  alisfenoidi  (Fig.  9, 
a  l  s)  sono  piuttosto  laminari,  allungati  assai  nel  senso  antero- 
posteriore;  fanno  da  parete  laterale  a  un  discreto  tratto  di 
cavità  encefalica,  a  tutto  quel  tratto,  cioè,  che  corre  tra  il 
prootico  e  il  basisfenoide  ;  sono  molto  diversi  da  quelli  della 
Anguilla,  che  li  ha  piccoli  e  tutt'  altro  che  così  piatti  e  si  as- 
somigliano a  quelli  dell'  Ofisuro  ;  si  articola,  come  nella  Anguilla, 
ciascun  alisfenoide  col  prootico,  coli'  epiotico,  con  lo  pterotico, 
►col  frontale  del  proprio  lato  e  col  basisfenoide.  —  Circa  agli 
sf enotici  (Fig.  Q^sfo)  devo  far  notare  che  sono  molto  piccoli, 
e  quindi  le  sporgenze  sfenotiche  del  cranio  sono  di  conseguenza 
nella  Murena  molto  più  piccole  che  non  nella  Anguilla  e  nel 
Grongo  mentre  somigliano  a  ciò  che  si  ha  nell'  Ofisuro  ;  sono 
anche  nella  Murena,  invece  che  in  avanti  a  guisa  di  uncino, 
come  nella  Anguilla  e  nel  Grongo  suddetti,  dirette  in  dietro  e 
in  basso  come  nell' Ofisuro;  queste  ditfereiize  sono  degne  di 
nota.  Gli  sfenotici  della  Murena  si  articolano  con  le  ossa  stesse, 
come  nella  Anguilla  e  negli  altri  Murenoidi. 

La  cavità  encefalica  della  Murena  è,  cominciando  dal  di 
dietro,  limitata  in  basso  o  nel  suo  pavimento,  prima,  subito 
dopo  il  bordo  del  gran  forame,  dai  due  esoccipitali,  poi  un  poco 
dal  corpo  del  basioccipitale,  quindi  dai  due  prootici  :  al  davanti 
di  questi  esiste  \m  grande  spazio,  sul  pavimento  di  essa  cavità, 
non  formato  di  ossa  di  origine  cartilaginea,  ma  invece  da  un 
osso  di  origine  membranacea,  il  parasfenoide  ;  in  avanti  di 
questo  spazio  per  un  piccolo  tratto  la  cavità  encefalica  sud- 
detta torna  ad  esser  limitata  in  basso  da  osso  cartilagineo,  dal 
basisfenoide,  cioè.  L'  osso  bcisisfcnoide  (  Fig.  9,  h  s  f)  ha  nella 
Murena  le  stesse  disposizioni  come  nella  Anguilla  e  negli  altri 
Murenoidi  descritti,  se  non  che  somiglia  più  a  quello  dell'Ofisuro, 


CONFORBCAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  BCURENOIDI  EC.    1 39 

che  a  quello  dell' Anguilla  e  del  Grongo.  Non  h  esatto  quello 
che  asserisce  Meckel,  che  nella  Murena,  cioè,  il  basisfenoide 
sia  composto  di  due  metà,  separabili.  —  Al  davanti  della  re- 
gione del.  basisfenoide  esiste  lo  spazio  non  ossificato  interorhitario 
(Fig.  9,  z\  limitato  nel  suo  contomo  dalle  stesse  ossa,  che  nella 
Anguilla,  nel  Grongo,  nell'  Ofisuro.  —  Il  parasfenoide  h  lunghis- 
simo, come  nella  Anguilla;  è  molto  più  affilato  che  in  questa, 
specie  al  suo  estremo  posteriore,  ed  ha  gli  stessi  rapporti  con 
le  ossa  circostanti. 

I  parietali  vedonsi  nel  tegmen  cranii  subito  al  davanti  degli 
epiotici  (Fig.  9,  p  a)  e  del  sopraoccipitale  ;  sono  piccoli  e  ciasche- 
duno di  essi  si  articola  coli'  epiotico,  collo  pterotico,  col  fron- 
tale del  proprio  lato  e  col  sopraoccipitale.  —  I  frontali,  che 
sono  due  ben  separabili  (Fig.  9,  fr),  hanno,  come  nella  Anguilla, 
forma  allungata  e  presentano,  come  in  essa,  una  eminenza 
esterna  ;  hanno  gli  stessi  rapporti  che  nella  Anguilla,  -quindi  non 
ne  parlo  ulteriormente. 

Veniamo  alle  ossa  che  compongono  il  così  detto  muso.  — 
L' osso  premassillo'etmO'Vomerino  si  compone  nella  Murena,  come 
nella  Anguilla,  e  negli  altri  Murenoidi  descritti,  di  due  bran- 
che; .ma  nel  suo  complesso  è  di  diverso  aspetto  nel  primo  e 
nel  secondo  di  questi  pesci  (Cfr.  Fig.  b  prv,  e  Fig.  10);  nella 
Murena  la  branca  inferiore,  orizzontale,  nella  metà  anteriore 
sua  è  molto  slargata  e  termina  all'  apice  del  muso  con  un  estre- 
mo arrotondato;  nella  metà  anteriore  slargata  ora  detta,  sulla 
superfìcie  ventrale,  notansi  tre  file  di  denti,  caniniformi,  ben 
sviluppati,  due  file  marginali,  che  si  incontrano  all'  apice,  una 
fila  centrale,  e  questa  fila  si  continua  anche  in  tutta  la  metk 
posteriore,  ristretta  della  branca  inferiore  dell'  osso  premassillo- 
etmo-vomerino  in  discorso;  dalla  porzione  anteriore,  slargata 
della  branca  inferiore  si  eleva  come  una  cresta  la  branca  su- 
periore (Fig.  10,  a),  che  ben  presto  si  dirige  in  dietro;  la  estre- 
mità del  muso  nella  Murena,  come  più  sopra  ho  accennato,  è 
formato  dalla  porzione  slargata,  con  estremo  anteriore  arroton- 
dato del  suo  osso  premassillo-etmo-vomerino  ;  i  mascellari  su- 
periori si  articolano  con  questo  osso  molto  più  indietro  che 
nella  Anguilla  e  nel  Grongo  ;  a  differenza  poi  della  Anguilla,  e 
del  Grongo,  come  meglio  dirò  più  avanti,  quest'  osso  non  è  per 
nulla  in  rapporto  con  gli  pterigoidi  ;  ha  gli  stessi  rapporti  che 


140  E.  FICÀLBI 

nella  Anguilla  circa  ai  frontali;  delle  sue  attinenze  coi  nasali 
e  con  i  periorbitali  dirò  più  in  avanti.  —  Ora  bisogna  tener 
parola  di  due  ossa,  bilaterali,  asimmetriche,  che  non  si  trovano 
né  nella  Anguilla,  né  nel  Grongo,  né  nell'Ofisuro,  voglio  dire 
degli  esetmoidi,  presenti  nella  Murena  ;  parlando  dello  scheletro 
cefalico  della  Anguilla,  là  ove  mi  intrattenni  sull'osso  premas- 
sillo-etmo-vomerino,  dissi  che  in  certi  Teleosti  (e  presi  per 
esempio  un  Gadus)  possono  trovarsi  nel  muso  tre  ossa  di  na- 
tura etmoidale,  uno  mediano,  impari,  due  laterali  o  pari,  il 
mesetmoidey  cioè,  e  gli  esetnwidi  (^)  ;  dissi  che  nella  Anguilla  (e 
nel  Grongo)  il  mesetmoide  é  rappresentato  dalla  branca  su- 
periore dell'osso  premassillo-etmo-vomerino,  mentre  gli  eset- 
moidi sono  rappresentati  dalle  due  cartilagini  esetmoidee,  che, 
una  per  parte,  si  attaccano  ai  lati  della  branca  superiore  del- 
l' osso  premassillo-etmo-vomerino  suddetto  :  in  altre  parole,  gli 
esetmoidi  non  si  ossificano  nella  Anguilla  e  nel  Grongo.  Ora 
invece  nella  Murena  le  ossa  esetmoidi  si  trovano  presenti  (Fi- 
gura. 9,  e  h)  e  hanno  la  situazione  che  nella  Anguilla  e  nel 
Grongo  hanno  le  cartilagini  esetmoidali,  ciascun  esetmoide  della 
Murena,  cioè,  é  situato  in  modo  trasversale,  tra  la  parte  late- 
rale inferiore  del  terzo  posteriore  della  branca  mesetmoidale 
(o  superiore)  dell'osso  premassillo-etmo-vomerino,  e  il  punto 
ove  la  estremità  anteriore  del  mascellare  superiore  e  la  parte 
slargata  del  premassillo-etmo-vomerino  reciprocamente  si  arti- 
colano. Circa  alla  sua  forma,  ciascun  esetmoide  della  Murena 
e  un  ossetto  non  molto  sviluppato,  ricurvo,  ingrossato  più  nel 
suo  mezzo  che  non  alle  estremità:  é  composto  come  di  due 
metà,  riunite  tra  loro  ad  angolo  ;  di  queste  metà,  la  posteriore 
tocca  col  suo  estremo  la  branca  superiore  del  premassillo-etmo- 
vomerino  nel  sito  che  ho  detto  più  sopra  ;  la  parte  media  del- 
l' osso  riposa  sul  punto  di  unione  del  mascellare  superiore  col 
premassillo-etmo-vomerino  suddetto;  la  metà  anteriore  é  ada- 
giata sui  margini  della  parte  slargata  di  questo  osso,  e  presenta 
una  particolarità  interessante,  cioè,  (come  mostra  la  Fig.  9,  eh) 
mentre  tutto  il  resto  dell'osso  è  compatto,  questa  estremitìi 
si  allunga  in  una  porzione  ossea  a  canale  muccoso  e  presen- 
tante delle  frange  laterali  sottili  e  laminari,  come  il  nasale,  e 

(^)  Detti  per  Io  più  etmoidi  lateraliy  prefrontali,  e  da  Parker  ectethmoidal  boHe$, 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETBO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  «C.     141 

che  con  questo  contribuiscono  a  far  da  tetto  alle  cavità  olfat- 
tive ;  bisogna  ammettere  che  un  ossetto  a  canale  muccoso  siasi 
quivi  anchilosato  con  V  estremità  anteriore  dell'  esetmoide  C).  — 
Le  due  ossa  mascellari  superiori  (Fig.  9,  m  s)  sono  nella  Murena' 
allungate  e  portano  denti  ben  sviluppati  ;  si  articolano  col  loro 
estremo  anteriore  al  premassillo-etmo-vomerino,  in  dietro  su- 
bito della  sua  porzione  anteriore,  slargata,  orizzontale;  e  per 
la  ampiezza  di  questa,  il  punto  di  articolazione  è  assai  più  di- 
stante dalla  estremità  del  muso  che  non  nella  Anguilla  e  nel 
Grongo;  posteriormente  si  connette  ciascun  mascellare  superiore 
per  ligamenti  fibrosi  alla  parte  posteriore  del  dentale  'del  pro- 
prio lato. 

Viene  ora  il  momento  di  tener  parola  delle  ossa  pterigoidi 
della  Murena;  esse  sono  ridotte  ai  minimi  termini;  sono  rap- 
presentate, per  ciaschedun  lato,  da  uno  stiletto  osseo  ricurvo, 
che  quasi  per  tutta  la  sua  lunghezza  aderisce  alla  faccia  intema 
del  margine  anteriore  di  ciascun  osso  iomandibolare,  giungendo 
a  toccare  col  suo  estremo  inferiore  anche  il  sottostante  osso 
quadrato;  soltanto  col  suo  estremo  anterosuperiore  ciascun 
pterigoide  sporge  un  poco  liberamente  in  avanti  (Fig.  9,  pf  gr). 
Questo  rudimentale  pterigoide  è  ben  lungi  dal  raggiungere  Tosso 
premassillo-etmo-vomerino;  e  ciò  costituisce  una  notevole  dif- 
ferenza tra  la  disposizione  della  Anguilla  e  del  Grongo  ed  anche 
deir  Ofisuro  e  questa  della  Murena.  Ripeterò  qui  ciò  che  dissi 
parlando  dello  scheletro  cefalico  della  Anguilla,  che,  cioè  i  Pesci 
murenoidi  tutti  presentano  ridotta  al  solo  pterigoide  la  catena 
ossea  palatopterigoidea,  e  fra  questi  le  Murene  sono  quelli  in 
cui  la  riduzione  è  maggiore. 

Veniamo  alle  ossa  nasali  e  agli  assetti  periorbitali.  Anche 
nella  Murena,  come  nella  Anguilla  questi  elementi  ossei  sono 
gracili,  tubulosi,  e  danno  passaggio  a  canali  muccosi;  ossa  na- 
sali e  periorbitarie  anche  nella  Murena  hanno  grande  rassomi- 
glianza tra  loro.  —  I  nasali  sono  situati  ai  lati  della  branca 
superiore  dell'  osso  premassillo-etmo-vomerino  e  giungono  quasi 
dall'estremità  del  muso  fino  alla  eminenza  laterale  di  ciascun 
frontale.  Sono  tubolosi  e  i  loro  due  terzi  anteriori  presentano 

(<)  La  interpetrazione  che  ho  dato  dell* osso,  che  nella  Murena  ho  chiamato  e 
considerato  esetmoide,  mi  sembra  la  più  propria  e  razionale;  non  nego,  però,  che 
sarebbe  bene  esaminare  Murene  giovanisBime  per  confermare  le  cose. 


142       •  £•  ficaxbì 

lungo  il  margine  estemo  una  espansione  ossea  laminare,  fran- 
giata ( Fig.  9,  na).  —  Dopo  i  nasali,  devono  esser  descritti  gli 
assetti  periorbitarii:  do  questo  nome  a  queir  insieme  di  piccoli 
elementi  ossei  che,  in  numero  di  sei  per  ogni  lato,  trovansi  nel 
muso,  situati  dall'  eminenza  del  frontale  in  avanti  ;  questi  os- 
setti,  lo  dico  subito,  sono  indubbiamente  gli  omologhi  degli  os- 
setti  che  ho  chiamato  anche  nella  Anguilla  periorbitali.  Esami- 
niamoli brevemente.  Come  ho  detto,  cominciando  dal  di  dietro, 
presso  r  eminenza  laterale  di  ciascun  frontale,  comincia  la  ca- 
tena degli  ossetti,  che  sono  in  numero  di  sei  per  parte;  essa 
catena  parte  dalla  eminenza  suddetta  e  prima  si  dirige  in  basso 
(  Fig.  9,  a,b,c,d,e,f),  in  modo  da  venire  a  raggiungere  il  bordo 
superiore  del  mascellare  inferiore,  poi,  seguendo  quest'osso,  si 
porta  in  avanti  fino  alla  estremità,  quasi,  del  muso.  Di  questa 
catena,  i  primi  tre  pezzi  od  ossetti  (Fig.  9,  a,b,c)  sono  brevi  e 
costituiscono  un  tratto  che  dall'eminenza  del  frontale  giunge 
al  mascellare  superiore,  circa  al  principio  del  suo  terzo  ante- 
riore ;  il  quarto  ossetto  (d)  è  situato  quasi  orizzontalmente  e  si 
dirige  in  avanti:  esso  pure  h  breve;  il  quinto  (e)  è  sottile  e 
allungato,  è  situato  sul  margine  e  nella-  faccia  estema  del  ma- 
scellare superiore,  e  si  porta  con  esso  in  avanti;  il  sesto  (f) 
è  allungato,  un  po'  ricurvo  e  come  composto  di  due  pezzi:  è 
situato  sul  margine  esterno  della  parte  slargata  dell'  osso  pre- 
massillo-etmo-vomerino  e  giunge  fin  quasi  all'estremità  ante- 
riore di  questo;  tutti  e  sei  questi  ossetti  sono  traversati  da  ca- 
nali muccosi.  Nella  Murena,  come  nella  Anguilla,  non  si  può. 
parlare  di  un  lacrimale,  come  si  trova  in  altri  Teleostei.  E  le 
considerazioni  che  feci  per  gli  ossetti  periorbitarii  della  An- 
guilla valgano  per  questi  ora  descritti  della  Murena. 

L' osso  iomandibolare  (  Fig.  9,  y  m  )  nella  Murena  è  ampio, 
piuttosto  sottile,,  ossia  laminare,  ed  ha,  grossolanamente  consi- 
derato, una  figura  triangolare,  con  vertice  in  basso  e  base  in 
alto;  si  attacca  al  resto  del  cranio  con  quella  che  sarebbe  la 
base  del  triangolo,  ossia  col  suo  margine  superiore;  prende  ar- 
ticolazione ciascun  iomandibolare  in  tutto  quel  tratto  laterale 
del  cranio  che  corre  tra  l'estremo  posteriore  dello  pterotico 
fino  all'  alisfenoide,  si  articola,  cioè,  con  lo  pterotico,  in  quella 
sua  porzione  che  dicesi  sporgenza  pterotica  del  cranio,  si  arti- 
cola con  lo  sfenotico,  sotto  al  quale  passa  (  sotto  la  così  detta 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFÀLICO  DEI  PESCI  BCURENOIDI  EC.     1 4d 

sporgenza  sfenotica  del  cranio),  e^si  articola  anche  con  Tali- 
sfenoide;  l'articolazione  tra  pterotico  e  iomandibolare  ed  anche 
un  po'  tra  questo  e  alisfenoide  si  fa  per  una  specie  di  sutura 
dentellata,  come  già  aveva  notato  Meckel,  in  modo  tale  che 
resta  molto  difficile  ogni  movimento  dell' iomandibolare  nelle 
pareti  laterali  del  cranio.  L'osso  iomandibolare  dà  attacco  al 
quadrato,  alle  ossa  opercolari,  alle  ossa  ioidee,  ed  anche,  come 
già  ebbi  a  dire,  allo  pterigoide.  —  Vesso  quadrato  h  connesso 
con  l'estremo  inferiore  o  col  vertice  (tronco)  dell' iomandibo- 
lare (Fig.  9  oq);  queste  due  ossa  si  uniscono  in  immobile  ar- 
ticolazione  mercè  incastro  di  punte  e  schegge  con  incisure  cor- 
rispondenti; l'osso  quadrato  è  piccolo,  di  forma  irregolare,  e 
presenta  una  troclea  articolare  per  l' osso  articolare  della  man- 
dibola. Osso  iomandibolare  e  quadrato  nella  Murena  formano 
un  tutto  rigido,  una  specie  di  ampio  osso,  apparentemente  in- 
diviso, che  grandemente  ricorda  per  il  suo  aspetto  e  la  sua  po- 
sizione, come  già  avvertiva  Meckel,  la  disposizione  dei  Sauropsidi, 
che  hanno  un  unico  osso,  il  quadrato,  interposto  tra  la  man- 
dibola e  le  pareti  craniche.  Nella  Murena  la  piastra  ossea  ora 
detta,  costituita  da  iomandibolare  e  quadrato  è  diretta  quasi 
perpendicolarmente  in  basso,  ed  un  pocolino  anche  in  dietro: 
nella  Anguilla  e  nel  Grongo,  invece,  la  piastra  ossea  costituita 
dai  suddetti  elementi  è  diretta  in  basso  e  fortemente  in  avanti; 
neir  Ofisuro  si  avvicina  alla  disposizione  della  Murena.  —  Nella 
Murena,  come  nella  Anguilla,  nel  Grongo,  nell' Ofisuro,  non  ri- 
scontrasi il  simplettico. 

La  mandibola  o  mascella  inferiore  consta  nella  Murena  al 
solito  di  due  branche,  destra  e  sinistra,  composte  ciascheduna 
di  un  articolare,  di  un,  coronoide,  di  un  dentale.  —  L'arti- 
colare è  relativamente  piccolo,  più  che  nella  Anguilla,  il  co- 
ronoide  piccolissimo,  squamiforme;  assai  grande  h  il  dentale, 
che  porta  denti  acuti  e  ben  sviluppati:  ciascun  dentale  forma, 
si  può  dire,  tutta  una  branca  della  mandibola,  poiché  è  sol- 
tanto r  estremo  posteriore  di  essa  branca  che  è  costituito  dal- 
l'articolar  e  ;  ciascheduna  branca  della  mandibola  poi  è,  relati- 
vamente alla  lunghezza  del  cranio,  molto  più  sviluppata  nella 
Murena  che  non  nella  Anguilla  e  nel  Grongo  per  il  fatto  del- 
l' essere  perpendicolare  ed  anzi  un  po'  diretto  in  dietro  il  pezzo 
sospensore  costituito  dall'iomandibolare  e  dal  quadrato. 


Ì44  E.    nCALBI 

Diciamo  qualche  cosa  delle  ossa  opercolarL  A  ciascun  ioman- 
dibolare,  ossia  ad  ambo  i  lati  del  cranio,  trovansi  appese  quat- 
tro ossa,  che  formano  l'apparecchio  opercolare,  ridottissimo 
nella  Murena,  ossa  che  si  chiamano  V  opercolo,  il  subopercolOy  e 
il  preopercolo.  Di  queste,  V  opercolo  è  il  più  ampio  (Fig.  9,  op), 
è  laminare  ed  ha  forma  all' incirca  triangolare;  col  suo  vertice 
che  è  diretto  in  avanti  e  un  po'  in  alto  si  attacca  ad  una  apo- 
fisi  articolare,  situata  nell' iomandibolare  presso  il  margine  po- 
steriore di  quest'  osso  ;  l' opercolo,  lo  ripeto,  è  il  più  ampio  degli 
ossi  opercolari,  per  quanto,  relativalnente  alle  dimensioni  del 
cranio  della  Murena  sia  piccolissimo.  Il  subopercolo  o  sottooper- 
colo  (  Fig.  9,  sop)  si  attacca  al  margine  anteriore  dell'  oper- 
colo; è  laminare  e  piccolo,  per  dimensione  vien  dopo  all'oper- 
colo. V inferopercolo  (Fig.  9,  i)  è  il  più  piccolo  dei  quattro;  è 
un  ossicino  incastrato  tra  subopercolo  e  preopercolo  è  può  con- 
siderarsi rudimentale.  Il  preopercolo  (  Fig.  9  p  )  è  esso  pure  di 
piccole  dimensioni  ;  consiste  in  un  ossetto  alhmgato,  sottile,  di- 
retto d'alto  in  basso,  che  col  suo  estremo  superiore  prende  at- 
tacco nel  punto  di  articolazione  tra  iomandibolare  e  quadrato, 
colla  sua  metà  inferiore  si  connette  sia  all'  interopercolo,  sia 
anche  un  po'  al  subopercolo.  Dalla  unione  delle  accennate  quat- 
tro ossa  ne  risulta  un  apparecchio  opercolare  rudimentale  o 
quasi,  anche  più  di  quello  già  ridotto  dell'  Anguilla,  del  Grongo, 
dell' Ofisuro,  apparecchio  opercolare  che  non  ha  nessuna  rela- 
zione con  le  aperture  branchiali. 

Venendo  all'  apparecchio  ioideOy  dirò  subito  che  questo  pre- 
senta una  riduzione  grandissima,  confrontato  con  quello  della 
Anguilla,  del  Grongo  e  di  altri  Teleostei.  Consta  (Fig.  9)  di 
due  branche  sottili,  destra  e  sinistra,  grandemente  ridotte,  a 
guisa  di  verghette  ossee;  ciascuna  branca  h  composta  di  due 
pezzi  ossei,  uno  anteriore,  1'  altro  posteriore,  ambedue  sottili, 
stiliformi,  che  1'  uno  con  1'  altro  si  articolano  sovrapponendosi 
per  un  certo  tratto,  come  mostra  la  Fig.  9,  ed  essendo  riuniti  da 
tessuto  connettivo  :  di  questi  due  pezzi  1'  anteriore  è  il  cera- 
totale  (e  y),  il  posteriore  1'  eplale  (e  y)  ;  ciascuna  branca  ioidea 
così  costituita  è  situata  al  di  dentro  e  parallelamente  quasi 
alle  branche  della  mandibola.  Posteriormente  le  branche  ioidee 
non  giungofw  a  toccare  1'  iomandibolare,  ma  1'  epiale  con  la  sua 
estremità  posteriore  si  ripiega  un  poco,  e,  situatosi  al  di  dentro 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     145 

del  punto  di  articolazione  del  quadrato  con  l'articolare,  a  queste 
ossa  è  connesso  per  tessuto  connettivo  molle  e  cedevole.  An- 
terioiTQente  le  branche  ioidee  si  toccano  reciprocamente:  gli 
apici,  cioè,  dei  due  ceratoiali  si  articolano  tra  loro  mercè  con- 
nettivo. Non  si  trova  nella  Murena  né  il  glossoiale  o  entoglosso, 
(che  tutto  al  più  può  darsi  sia  rappresentato  da  una  piccola 
cartilagine)  né  V  uroiale,  come  già  avevano  notato  Rathke  e 
Stanniu^:  in  questo  pesce,  lo  ripeto,  a  costituire  l'ioide  non  si 
trovano  che  due  elementi,  i  due  epiali  e  i  due  ceratoiali,  per 
quanto  Meckel  dica  che  gli  elementi  sono  al  numero  di  tre. 
Come  si  vede  nella  Murena  V  apparecchio  ioideo,  ridotto  come 
è  a  due  semplici  branche  stiliformi,  può  considerarsi  davvero 
quasi  rudimentale,  e  non  può  disconoscersi  eh'  esso  grandemente 
ricorda  quello  dei  serpenti,  nei  quali  pure  si  hanno  due  branche 
stiliformi,  situate  una  per  lato.  Nelhi  Anguilla,  nel  Grongo  l' ap- 
parecchio ioideo  è  ben  sviluppato,  come  si  vide,  e  ciò  costi- 
tuisce differenza  in  confronto  alla  Murena.  —  Se  nella  Murena 
è  grandemente  ridotto  1'  apparecchio  opercolaro  e  lo  ioideo, 
non  meno  lo  sono  i  raggi  hranchiostegali  (Fig.  9,  rbr);  di  questi 
trovansene  8  o  10  per  parte;  e  sono  sottili  filamenti  ossei  assai 
lunghi,  che  nascono  dalla  regione  ove  mandibola  e  osso  qua- 
drato si  articolano  e  si  dirigono  prima  in  dietro,  poi  si  ricur- 
vano in  alto  e  in  avanti  verso  la  nuca.  Nella  Anguilla,  nel 
Grongo,  nell'Ofisuro,  nei  Teleostei  in  genere  i  raggi  hranchio- 
stegali attaccansi  alle  branche  ioidee;  ìiella  Murena  ciò  non  fanno: 
col  loro  estremo  anteriore  convergono  tutti  verso  la  regione 
articolare  della  mandibola,  e  là,  il  loro  estremo  termina  libe- 
ramente in  quel  connettivo,  in  cui  termina  pure  V  epiale  di 
ciascheduna  branca  ioidea,  connettivo  che  tiene  unite  queste 
parti  (estremità  dello  epiale,  estremità  dei  raggi  hranchiostegali) 
al  punto  di  articolazione  tra  articolare  e  quadrato. 

Veniamo  all'  apparecchio  branchiale  della  Murena.  —  La 
prima  quistione  che  si  presenterebbe,  sarebbe  questa:  quante 
paia  di  archi  branchiali  ha  la  Murena?  Vedremo  che  se  ne  sono 
ammesse  da  molti  quattro,  da  qualcuno  cinque  paia:  di  queste 
le  prime  tre  paia  sono  fuori  di  discussione,  la  quistione  stessa, 
come  dirò  or  ora,  può  sorgere  a  proposito  del  quarto  e  quinto 
paio,  lliserbandomi,  adunque  a  toccare  un  poco  più  avanti  questa 
quistione,  dirò   ora  subito    che  l'apparecchio   branchiale  della 

Se.  Nat.  Voi.  Vm,  fase.  1.*»  11 


146  E.  nCALBI 

Murena  manca  di  ogni  osso  basibranchiale,  e  di  ogni  ipohranchiaJe, 
e  che  le  ossa  faringohranchiali  sono  ridotte   ad  un  solo   pezzo 
per  lato.  Ma  per  prender  meglio  cognizione  delle  cose,  vediamo 
come  sono  costituiti  gli  archi  singoli.  Il  primo,  secondo  e  terzo 
paio  di  archi  branchiali  sono    simili   tra    loro  e  costituiti    nel 
medesimo  modo:  ciascuna  loro  branca,  cioè  consta  di  due  pezzi, 
un  ceratohra/nchiale  in  basso,  un  epihraìichiale  in  alto,  che  V  uno 
con  r  altro  si  articolano  ad  angolo  ;  così  a  costituire  le  tre  prime 
paia  di  archi  si  hanno  tre  ceratobranchiaU  e  tre  epibranchiali 
per  lato,  e  tutti  sono  ossetti  sottili,  quasi  stiliformi,  e  i  cerato- 
branchiali  sono  un  po'  più  grossi  e  più  lunghi  quasi  del  doppio 
dei  respettivi  epibranchiali.  Le  prime  tre  paia  di  archi  non  sono 
connesse  inferiormente  con  nessun  basi  branchiale,  difettano  di 
ipobrauchiali,  e  superiormente  non  hanno  rapporto  con  nessun 
faringobranchiale  ;  V  estremo  inferiore  di  ogni  ceratobranchiale 
termina  liberamente  sotto  la  muccosa  della  base   del  faringe, 
r  estremo  superiore  di  ogni  epibranchiale  termina  liberamente 
sotto  la  muccosa  delle  parti  laterali  e  superiori  del  faringe  istesso. 
Dopo  i  tre  primi   archi   branchiali,  sottili,  gracili,  si  ha  nella 
Murena  la  presenza  di  una  riunione  di   ossa,  che  molti  consi- 
derano   complessivamente   costituire   il  quarto   paio  di  archi, 
mentre   ritengono  il  quinto  mancante:  queste   ossa,  che    sono 
tutte  ben   sviluppate,  sembrano   infatti  costituire   con  la  loro 
riunione  un  paio  di  archi  grossi  e  robusti,  che  hanno  fomiti  di 
denti  ben  sviluppati  alcuni   dei  loro  pezzi,  in  modo  da  avere 
apparenza  di  vere  e  proprie    mascelle  faringee.    Questo  paio  di 
mascelle  faringee,  però  non  rappresentano  il  solo  quarto  paio 
di  archi,  tra  i  loro  pezzi  si  riscontrano  anche  i  rudimenti  di  un 
quinto  paio;  per  rendersi  ora  ragione  delle  cose  sarà,  bene  os- 
servare ad  uno  ad  uno,  per  indagarne  il  significato,  i  pezzi  suac- 
cennati, che  le  mascelle  faringee  costituiscono.  Esse  così  dette 
mascelle  costituiscono  due  archi,  uno  a  destra  e  uno  a  sinistra, 
i  quali,  mentre  con  il  loro  pezzo  superiore  e  inferiore,  ossia  coi 
loro  estremi,  sono  in  contatto,  con  la  parte  mediana,  piegata 
ad  angolo,  sono  discosti  V  uno  dall'  altro.  Nella  Fig.  11  si  ha 
rappresentato  uno  di  questi  archi,  il  destro.  Studiamone  i  vari 
pezzi.  In  primo  luogo  si  vede  che  i  pezzi  più  ragguardevoli  sono 
due,  riuniti  ad  angolo  e  segnati  uno  e  ph,  V  altro  e  e  :  cosa  rap- 
presentano essi  ?  Non  v'  è  dubbio  che  rappresentano  il  superiore 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHEI.ETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MtJRENOIDI  EC.     147 

un  epibranckiale,  T  inferiore  un  ceratobranchiale:  sono  essi,  infatti, 
r  epibranchiale  e  il  ceratobranchiale  del  quarto  arco,  enorme- 
mente sviluppati  in  confronto  delle  ossa  omonime  dei  tre  archi 
precedenti.  Veniamo  al  terzo  pezzo  :  V  osso  epibranchiale  è  con- 
nesso superiormente  con  un  osso  speciale,  fornito  di  denti  se- 
gnato fa  nella  Fig.  11  :  qual  significato  ha  questo  pezzo?  La  sua 
posizione  tosto  ci  fa  vedere  che  è  un  faringohranchiale  :  e  il  pa- 
ragone, che  può  essere  istituito  con  ciò  che  si  ha  in  altri  Te- 
leostei, conferma  questa  asserzione:  se  noi  infatti  osserviamo 
r  apparecchio  branchiale  di  molti  Teleostei,  come,  per  esempio, 
di  una  Sciaena,  vedremo  che  esistono  quattro  ossa  faringobran- 
chiali  o,  come  anche  le  dicono,  faringee  superiori,  per  lato:  di 
queste  V  ultimo  pezzo  è  connesso  coli'  estremità  superiore  del 
quarto  arco,  ossia  col  quarto  epibranchiale,  e  porta  denti  ;  ora 
appunto  r  osso  in  quistione  della  Murena  è  connesso  colla  estre- 
mità superiore  del  quarto  arco  (quarto  epibranchiale)  ed  è  den- 
tigero:  ecco  così  spiegata  la  natura  dell'osso  fa  della  Murena, 
e,  per  riassumere  le  cose,  può  dirsi:  nella  Murena  le  ossa  fa- 
ringobranchiali  (faringee  superiori)  sono  ridotte  ad  on  sol  pezzo 
per  lato,  a  quello,  cioè,  che  è  comunemente  nei  Teleostei  in 
rapporto  col  quarto  arco  branchiale  ;  la  presenza  di  questo  fa- 
ringobranchiale  dentigero  fa  correre  molto  divario  tra  la  d^'- 
sposizione  delle  cose  nella  Murena  in  confronto  di  ciò  che  si 
ha  nella  Anguilla,  nel  Grongo,  nell'  Ofisuro  ;  infatti  cosa  si  può 
osservare  in  questi  Pesci?  In  essi  si  hanno  due  faringobran- 
chiali  per  lato,  privi  di  denti  e  in  connessione  con  questi  tro- 
vansi,  per  ciascun  lato,  due  placche  ossee  dentigere  (una  per  lato 
neir  Ofisuro)  di  origine  membranacea,  le  quali  hanno  anche  rap- 
porto col  quarto  arco;  la  differenza,  quindi,  che  corre  tra  i  ci- 
tati Pesci  e  la  Murena,  per  concludere,  è  questa:  nella  Murena 
non  esistono  placche  dentigere  indipendenti,  ma  sonosi  fiise 
con  il  faringohranchiale  esistente,  appunto  come  si  fondono  coi 
faringobranchiali  contigui  nella  maggioranza  dei  Teleostei,  men- 
tre nella  Anguilla,  nel  Grongo,  nelV  Ofisuro  questa  fusione  non 
avviene.  —  Veniamo  ora  ad  indagare  la  natura  del  quarto 
pezzo  segnato  5^  e  nella  Fig.  1 1  ;  questo  quarto  pezzo  è  indub- 
biamente il  rappresentante  del  quinto  arco  branchiale;  è  il  quinto 
ceratobranchiale  :  in  altre  parole,  esso  e  il  suo  corrispondente 
deir  altro  lato,  col  quale  si  tocca,  stanno  a  rappresentare  quelle 


14S  I.  Hi  ILI 

che  =?i  dicono  le  o^*^/  frtrin^ej:  i*'rf'r*ori  «iei  Telec»f?tei.  che 
appunto  il  quinto  j'aio  •]!  archi.  :■■  ^^■j:n:o  paio  «ii  ceratobi 
chiali.  Una  ^lifferenza  e*;-rt^  tra  .io  '.-be  veìemmo  nella  AjD211ì112l 
nel  Grongo  e  nell'^tìsuro  e  qu-^v.à  -iisr-o^izioDe  ora  acoeimata 
'Iella  Murena:  nei  sudàett:  MureLoidi.  inratt:.  -ii^si  che  il  quinto 
paio  di  archi  era  rappre^entat-^»  lai  r^Ai  ceratobranchiali.  a 
ciaijcuno  dei  quali  aderiva,  r^enza  esservi  saìlata.  una  placca 
^j^jfe^i  d^fmiigera:  nella  Marena  queste  placche  ossee  dentigere 
non  f?i  trovano,  i  denti  faringei  s^jno  impiantati  ad'iirittnra  sui 
ceratobranchiali  rappresentanti  il  quinto  arco:  é  questo  il  fatto 
che  si  verifica  nella  maggioranza  dei  Teleostei,  nei  quali  il 
quinto  paio  di  archi  è  rappresenta^:»  dai  due  soli  ceratobran- 
chiali dentigeri.  che  prendono  il  n«jme  già  ricordato  «li  ^#*.<^i  fa- 
nny^ff  iifpt'ior'.  :  ed  e-co  jn"  aìtra  difierenzn  tra  ]a  Murena  e 
gli  altri  Murenoidi  precedentemente  descritti. 

Cosj  \jftr  riassumere  pr»>siamo  dire:  nella  Murena  si  hanno 
cinque  paia  di  archi  branHjiali:  le  prime  tre  paia  constano  dei 
soli  ceratobranchiali  e  degli  ej»il»ranchiali  sottili  e  assai  gracili. 
mancando  in  essi  f»gni  traccia  di  if^^jbranchiali.  di  basibran- 
chiali.  Il  quarto  paio  consta  di  svilupatissimi  ceratobranchiali 
e  epibranchiali,  ed  è  connesso  con  due  faringoVjranchiali  (  uno 
per  lato  )  dentigeri.  Il  quinto  paio  coasta  dei  soli  ceratobran- 
chiali. che  sono  dentigeri.  e  strettamente  connessi  coi  cerato- 
branchiali  del  quarto  arco,  in  modo  che  seml^rano  far  parte  di 
esso,  e  qualche  anatomico  parla  infatti  per  la  Murena  di  quat- 
tro paia  sole  di  archi  branchiali.  Per  il  fatto  del  grande  svi- 
luppo dei  ceratobranchiali  e  epibranchiali  del  quarto  paio  di 
archi,  per  il  fatto  che  questi  superiormente  sono  connessi  con 
un  paio  di  ossa  faringobranchiali  dentigere.  e  inferiormente  lo 
sono  con  i  ceratobranchiali  dentigeri  del  quinto  paio  (ossa  fa- 
ringee inferiori)  si  viene  ad  avere  nella  Murena  la  esistenza  di 
un  vero  e  proprio  paio  di  sviluppate  mascelle  faringee.  —  Circa 
a  uno  sguardo  d'insieme  dell'apparecchio  branchiale  della  Mu- 
rena, deve  dirsi  che  per  prima  cosa  danno  in  occhio  le  robuste 
mascelle  faringee,  le  quali  sporgono  molto  indietro  coli'  angolo 
di  riunione  dei  pezzi  superiori  e  inferiori  loro;  i  ceratobran- 
chiali di  tutti  gli  archi  sono  molto  inclinati,  quasi  orizzontal- 
mente disposti  nelle  pareti  lateroinferiori  del  faringe.  In  quanto 
ai  suoi  rapporti  col  resto  del  cranio   T  apparecchio  branchiale 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MURENOIDI  EC.     149 

della  Murena  è  un  qualche  cosa  di  mezzo,  quasi  come  quello 
dell'  Ofisuro,  tra  ciò  che  si  ha  nella  Anguilla  e  ciò  che  si  ha 
nel  Grongo:  infatti  (Fig.  15)  la  estremità  superiore  delle  arcate 
branchiali  e  la  estremità,  inferiore  sono  sotto  il  cranio,  gli  an- 
goli di  riunione  dei  pezzi  superiori  cogli  inferiori  di  ciascun  arco 
sono  sporgenti  indietro  e  fuori  del  cranio  ;  in  ogni  modi  i  rap- 
porti col  resto  del  cranio  sono  di  gran  lunga  maggiori  nella 
Murena  (e  nel  Grongo  e  nell' Ofisuro)  che  non  nella  Anguilla. 
Circa  a  uno  sguardo  complessivo  dello  scheletro  cefalico  della 
Murena,  dirò  che  esso  scheletro  cefalico,  se  si  eccettua  il  corto 
pterigoide,  che  non  giunge  in  avanti  a  toccar  le  ossa  del  muso, 
non  discorda  da  ciò  che  dissi  a  proposito  degli  altri  Murenoidi; 
e  posso  quindi  riferirmi  alle  cose  già  scritte. 

5.  —  Conclusioni  riassuntive 

Con  quello  della  Murena,  ho  terminato  di  descrivere  gli 
scheletri  cefalici,  dei  nostri  comuni  Pesci  murenoidi.  Mi  sono 
studiato,  mano  mano  che  descrivevo,  di  mettere  in  rilievo  le 
differenze  che  questi  Pesci  mostrano  tra  loro,  e  mostrano  con- 
frontati con  altri  Teleostei;  ora  vengo,  per  comodità  di  chi 
legge,  a  riassumere  qualche  cosa  e  in  questo  riassunto  riepilo- 
glierò  prima  quali  sono  i  caratteri  cranici  comuni  principali,  che 
legano  tra  loro  i  Murenoidi  e  li  fanno  diversificare  da  altri  Te- 
leostei (e  prenderò  a  paragone  i  Teleostei  più  comunemente 
addotti  ad  esempio  nei  Trattati,  cioè  la  Perca,  il  Gadiis,  il  Salmo, 
VEsox),  poi  riepilogherò  le  conformità  e  difformità  che  i  quattro 
Murenoidi  che  ho  studiato  presentano  tra  loro,  circa  alla  strut- 
tura del  loro  scheletro  cefalico.  Potrei  anche  accennare  quali 
altri  Teleostei  ai  Murenoidi  dimostransi  craniologicamente  più 
vicini,  ma  andrei  troppo  per  le  lunghe;  e,  se  mai,  potrebbe 
esser  questo  un  argomento  di  altro  scritto. 

Ecco  molti  caratteri  comuni  ai  Murenoidi,  caratteri  che 
costituiscono  differenze  craniologiche  tra  i  Murenoidi  e  altri 
Teleostei.  —  Nei  Murenoidi  V  osso  sopr aoccipitale  è  piccolissimo, 
non  presenta  mai  cresta  alcuna  superiormente,  è  lontanissimo 
dai  frontali,  non  separa  V  uno  dall'  altro  i  due  parietali,  eccetto 
che  per  im  insensibile  tratto  posteriore,  e  i  parietali  sono  in 
suo  paragone  assai  grandi.    In  altri   moltissimi  Teleostei  (per 


1  h^}  E.  FICILEI 

es.  il  Gmrfif^.  la  P^rco  }  il  T?r»prà*>:o;pitale  è  grande,  fornito  di 
creata  -Tif-eriorrnente:  giunge  ai  frontali  separando  i  parietali 
(v:,  j^r  ciò.  'ìr^yj  da  alcuno  ì'^^rri^iri-^i^ì  i  quali  sono  piccoli 
in  hMO  confronto.  —  I  Murenoidi  non  hanno  os.s«j  opistotico^  che 
è  predente  in  rrTjion  nomerò  di  Telei>stei  'G^vJ^t.^p,  —  Xei  Mnre- 
noidi  non  rtì  incontra  orbi*o<f^f'^'{^h.  come  in  altri  pochi  Teleostei 
Ci^ilmoj.  —  La  riunione  dei  due  premascellari,  del  vomere,  del 
meaetmoide  in  un  unico  osso  prerno-^srilìo-^^mO'^'on^enHO  è  un  fatto 
assai  caratteristico  dei  Murenoidi  Hj:  mentre  nei  Teleostei  in 
generale  <^es.  Gadns,  Perca.  Salmo.  R*ox)  queste  ossa  sono  ben 
distinte  e  separabili  tra  loro.  —  Gli  ^setmoidi  o  non  si  ossifi- 
cano nei  Murenoidi  ^Anguilla,  Conger.  OphÌ9uni.y  e  sono  allora 
rappresentati  da  cartilagine,  o  ^Muraf-naj  sono  piccole  ossa  ; 
mentre  in  altri  Teleostei  iGadus,  Sai  ma  ^  Perca,  etc.)  sono  ossa 
V>en  ft-viluppate.  alle  quali  si  dette  il  nome  di  prefronfali.  —  Le 
ossa  mascellari  stqperiori  sono  ì:»enissimo  sviluppate  nei  Murenoidi, 
sempre  fomite  di  denti,  e  costituiscono  i  margini  superolaterali 
della  bocca;  in  dietro  non  sono  fluttuanti,  ma  sempre  fissate 
da  robusti  ligamenti  all'  estremità  posteriore  delle  branche  della 
mandinola.  In  altri  Teleostei  (Esox,  Gndns,  P^r^/i, etc.)  sono  sprov- 
viste di  denti,  fluttuanti  in  dietro  più  o  meno,  come  perdute 
nello  spessore  delle  pareti  buccali  laterosuperiori,  tanto  che  per 
questi  caratteri  da  diversi  .anatomici  non  fiiron  considerati  i 
veri  mascellari  superiori  e  ftiron  detti  ossa  labiali.  —  Il  tratto 
palatopterigoideo  è  nei  Murenoidi  rappresentato  da  un  solo  osso 
sfittile,  lo  pterigoide.  che  certe  volte  fMuraena)  neppur  giunge 
in  avanti  a  toccare  le  ossa  della  volta  buccale;  anche  questo 
è  un  tratto  assai  caratteristico  dei  Murenoidi.  Nella  ma^o- 
ranza  dei  Teleostei  (Salmo,  Perca,  Gadus,  Rsox,  etc.)  il  tratto 
palatopterigoideo  è  molto  sviluppato,  sovente  con  scapito  della 
eleganza  del  cranio,  e  costituito,  per  ciascun  lato,  di  un  pa- 
latino, uno  pterigoide,  un  mesopterigoide ,  un  metapteri- 
goide.  —  I  ìuisali  e  gli  ossetti  periorbitali  nei  Murenoidi  sono, 
c^jme  di  solito,  cavi  per  passaggio  di  canali  muccosi  e  ridottis- 
simi, al  punto  che  non  si  può  dire  quale  differenza  esista  tra 
essi  e  le  comuni  ossa  tubulose  dei  canali  muccosi,  anche  situati 


(^)  Vedi  ciò  che  ho  detto  indietro  della  errata  confusione,  che  qualche  Zoologo 
(Claus)  ha  fatto  nel  Grongo  tra  premasc^llare  e  lacrimale. 


CONFX)RMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MUREKOIDI  EC.     151 

in  altre  regioni  (^);  il  solo  Conger  ha  un  lacrimale  distinto.  In 
altri  Teleostei  i  nasali  e  i  lacrimali  sono  più  o  meno  differen- 
ziati dagli  altri  ossetti  a  canali  muccosi  (Gadus),  —  Tra  osso 
iomandibolare  e  quadrato  non  riscontrasi  nei  Murenoidi  il  sim- 
plettico;  mentre  esso  è  comune  agli  altri  Teleostei  (Salmo,  Gadìis, 
etc).  —  Manca  nella  mandibola  dei  Murenoidi  V  angolare;  che 
si  trova  in  altri  Teleostei  (Salmo,  Gadns,  etc.) .  —  Le  ossa  oper- 
colari  nei  Murenoidi  costituiscono  un  opercolo  sempre  poco  svi- 
luppato, quasi  rudimentale  nella  Muraena,  che  non  ha  rapporti 
con  le  aperture  branchiali;  mentre  nella  maggioranza  dei  Te- 
leostei l'apparecchio  opercolare  è  bene  sviluppato  ed  ha  rap- 
porto con  le  aperture  branchiali  (Perca,  Salmo,  Gadus,  Esox).  — 
Nell'apparecchio  ioideo  dei  Murenoidi  manca  V osso  interiah  o 
stiloiale,  mancano  gli  ossetti  ipoiali;  nella  Muraena  poi  manca 
anche  il  glossoiale  e  Vuroiale.  Tutto  ciò  a  differenza  di  altri 
Teleostei,  nei  quali  le  suaccennate  ossa  sono  presenti  (Esox, 
Gadus,  Perca,  Salmo).  —  All'  apparecchio  branchiale  dei  Mure- 
noidi posson  esser  connesse  (Anguilla,  Conger,  Ophisurus)  delle 
placcìie  ossee  dentigere  di  origine  membranacea,  ben  distinte  dalle 
ossa  cartilaginee  contigue;  mentre  nella  generalità  dei  Teleostei 
(es.  Perca)  queste  placche  dentigere  si  uniscono  fino  ab  initio 
con  le  ossa  cartilaginee  contigue  (ceratobranchiali,  faringobran- 
chiali),  costituendo  con  esse  un  tutto,  mai  divisibile.  La  pre- 
senza di  queste  placche  ossee  dentigere  dei  Murenoidi  ben  iso- 
late è  un  fatto  morfologico  non  privo  di  importanza.  —  L'ap- 
parecchio branchiale  osseo  dei  Murenoidi  non  ha  propriamente 
attacchi  ossei  al  restante  dello  scheletro  (allo  scheletro  assile) 
dal  lato  dorsale  suo;  a  differenza  di  altri  Teleostei  (es.  Perca), 
nei  quali  un  paio  di  faringobranchiali  servono  a  questo  scopo . 
—  L'apparecchio  branchiale  di  certi  Murenoidi  (Anguilla)  è 
situato  del  tutto  fuori  del  cranio;  a  differenza  della  maggio- 
ranza dei  Teleostei  (es.  Perca),  che  lo  hanno  sotto  il  cranio  o 
presso  che  sotto.  —  Circa  alla  sua  figura  ed  apparenza  este- 
riore il  cranio  dei  Murenoidi  si  discosta  da  quello  di  molti  altri 
Teleostei  (Gadus,  Perca,  Salmo,  Esox,  etc);  infatti,  come  in- 
dietro insistei,  i  Murenoidi  hanno  un  cranio  raccolto  nei  suoi 

(*)  Vedi  più  indietro  ciò  che  ho  accennato  sulla  importanza  che  ha  questo  fatto 
per  chiarire  (come  già  teotò  S  tannius)  la  morfologia  delle  ossa  nasali  e  lacrimali, 
almeno  nei  Pesci. 


152  E.  FICALBI 

pezzi,  ben  composto,  con  mascellari  superiori  dentigeri  e  for- 
manti margine  alla  bocca,  con  la  placca  ossea  iomandibolare- 
quadrata  ben  rigida,  che  sembra  apparentemente  costituire  un 
osso  solo,  con  apparecchio  opercolare  piccolo:  tutti  caratteri 
questi,  che  rendono  il  cranio  dei  Murenoidi  molto  più  elegant-e 
di  quello  di  altri  Teleostei,  nei  quali  i  mascellari  superiori  li- 
beri indietro,  slargati,  sporgenti,  lo  sproporzionato  tratto  pa- 
latopterigoideo,  composto  dei  molteplici  pezzi,  le  enormi  ossa 
opercolari,  lo  rendono  poco  elegante  e  scomposto;  prendendo, 
per  esempio,  a  tipo  il  teschio  della  Perca y  non  può  negarsi  che 
quello  dei  Murenoidi,  per  la  sua  sagoma  generale  e  per  gli  altri 
caratteri  or  ora  detti  sembra  discostarsi  dal  pesce  ;  e  davvero 
il  cranio  murenoide,  specie  se  spogliato  dell'apparecchio  oper- 
colare e  ioidobranchiale,  che  del  resto  sono  non  mai  esagerati, 
per  la  sua-sagoma  generale,  per  la  disposizione  suddescritta  dei 
mascellari  superiori  e  degli  pterigoidi,  per  l'aspetto  e  disposi- 
zione della  placca  ioidomandibolare-quadrata,  ricorda  alla  lon- 
tana certi  cranii  rettiliani,  più  che  non  ricordi  il  cranio  comune 
dei  Teleostei.  E  gik  il  gran  Meckel  aveva  espresso  questa  opinione, 
sulla  quale  tuttavia  mi  sembra  eccedesse,  il  che  non  si  deve. 

Riassunti  così  molti  dei  caratteri  comuni  ai  Murenoidi,  ca- 
ratteri che  rappresentano  le  differenze  craniche,  che  corrono  tra 
i  Murenoidi  stessi  e  la  maggioranza  dei  Teleostei,  riassumo  i 
caratteri  secondarli  pei  quali  i  Murenoidi  possono  tra.  loro  di- 
scordare o  concordare,  al  confronto  dei  loro  singoli  cranii. 

Prendendo  come  punto  di  partenza  la  Anguilla,  si  vede  che, 
per  riguardo  alle  conformità  e  difformità  craniche,  i  Murenoidi 
italiani  devono  esser  posti  in  questo  ordine:  Anguilla,  Conger, 
Ophisurus,  Muraena;  le  affinità  craniche  maggiori  si  hanno  tra 
Auguillu  e  Conger,  viene  poi  V  Ophisurus,  e  quindi  la  Muraeìmy 
che  ha  con  tutti  e  tre  disuguaglianze  importanti,  sempre,  però 
s'intende,  rimanendo  nei  limiti  del  cranio  murenoide. 

La  Muraena  dagli  altri  Murenoidi  differisce  per  i  fatti  se- 
guenti :  in  essa  lo  pterigoide  è  ridotissimo  e  non  giunge  per  nulla 
in  avanti  a  toccare  le  ossa  della  volta  buccale,  mentre  negU  altri 
Murenoidi  lo  pterigoide  più  (Anguilla,  Conger)  o  meno  (Ophi- 
surus) vi  giunge  sempre.  Nella  Muraena  esistono  le  ossa  esetmoidi, 
che  mancano  negli  altri  Murenoidi.  Nella  Muraena  V  apparecchio 
opercolare  presenta,  in  paragone  del  resto  del  cranio,  una  ri- 


CONFORMAZIONE  DELLO  SCHELETRO  CEFALICO  DEI  PESCI  MTJRENOIDI  EC.     153 

duzione  maggiore  che  in  qualunque  altro  Murenoide.  La  Mu- 
raena  presenta  V  apparecchio  ioideo  ridottissimo,  costituito,  cioè, 
dei  soli  e  stiliformi  epiali  e  ceratoiali,  mentre  negli  altri  Mu- 
renoidi  esiste  anche  un  uroiale  e  un  glossoiale,  e  di  più  i  ce- 
ratoiali, e  gli  epiali  non  sono  mai  così  stiliformi.  La  Muraena 
ha  l'apparecchio  branchiale  conformato  un  po'  diversamente 
dagli  altri  Murenoidi:  in  essa,  infatti,  le  prime  tre  paia  di  archi 
branchiali  sono  sottili,  costituite,  per  ciascuna  branca,  di  due 
soh  pezzi,  (mentre  negli  altri  Murenoidi  le  prime  tre  paia  d'archi 
non  sono  così  sottili,  e  le  prime  due  sono  costituite,  per  cia- 
scuna branca  di  tre  pezzi);  il  quarto  paio  di  archi,  composto 
per  ciascheduna  branca  di  due  articoli,  è  robustissimo,  confor- 
mato a  guisa  di  un  paio  di  mascelle  faringee,  e  connesso  in 
sopra  con  un  faringobranchiale  dentigero,  (  mentre  negli  altri 
Murenoidi  il  quarto  paio  di  archi  non  è  più  grosso  degli  altri 
e  non  conformato  a  mascelle  faringee)  ;  infine  il  quinto  paio  di 
archi  della  Muraena,  da  alcuno  negato,  e  rappresentato  da  un 
paio  di  ossa  dentigere,  poste  nella  base  del  faringe  e  connesse 
col  quarto  paio  di  archi,  e  di  più  nell'apparecchio  branchiale 
della  Muraena  non  vi  sono  placche  ossee  dentigere  isolate,  (men- 
tre negli  altri  Murenoidi  il  quinto  paio  di  archi  è  rappresen- 
tato da  un  paio  di  ceratoiali  non  dentigeri,  ma  connessi  con 
placche  ossee  dentigere  ben  isolabili,  e  di  più  altre  placche  os- 
see dentigere  isolate  esistono  superiormente  al  faringe  in  rap- 
porto con  gli  epibranchiali  e  coi  faringobranchiali) . 

L'  Ophisurm,  che,  per  la  maggioranza  dei  suoi  caratteri  cra- 
nici, si  accosta  al  Conger  e  aXVAìiguUla,  ne  differisce  (  oltre  a 
quelli  che  gli  sono  proprii)  per  i  seguenti  fatti,  che  lo  acco- 
stano invece  alla  Muraena:  in  esso  la  faccia  nucale  del  cranio, 
il  tegmen  craniiy  e  le  pareti  laterali  della  cavità  encefalica  per 
la  conformazione  e  disposizione  delle  ossa,  differiscono  un  po'  da 
ciò  che  si  ha  nel  Conger  e  nella  Anguilla,  e  si  avvicinano  più 
alla  Muraena)  WQÌV Ophisurus  \o  sfenotico  e  la  sporgenza  sfeno- 
tica  del  cranio  sono  piccoli,  non  ricurvi  in  avanti  ad  uncino,  e 
ciò  a  differenza  di  ciò  che  si  ha  nel  Conger  e  nella  Anguilla, 
e  a  similitudine  invece  della  Miiraeìia;  nélV Ophisnrus  la  placca 
ossea  iomandibolare-quadrata  è  diretta  perpendicolarmente  in 
basso,  a  differenza  del  Conger  e  della  Anguilla,  che  1'  hanno  di- 
retta in  basso  e  in  avanti,  e  a  similitudine  della  Muraena, 


154  E.  ncÀLBi 

n  Conger  e  V Anguilla,  per  quanto  siano  i  Murenoidi  più  afi&ni, 
differiscono  tra  loro  per  le  seguenti  particolarità:  V Anguilla 
ha  due  frontali,  il  Conger  un  unico  frontale  impari,  per  la 
saldatura  dei  due  ;  nélV  Anguilla  ossa  periorbitali  e  nasali  sono 
tutte  molto  simili  tra  loro  e  non  vi  è  lacrimale  differenziato, 
nel  Conger  esiste  un  lacrimale  ben  differenziato  che  fti  preso  da 
alcuno  per  il  premascellare  ;  V  osso  uroiale  nella  Anguilla  è  corto 
e  tozzo,  nel  Conger  è  allungato,  in  modo  da  giungere  fino  a 
livello  della  base  dell'  ultima  arcata  branchiale;  nella  Anguillu 
la  mascella  inferiore  sporge  in  avanti  della  superiore,  nel  Conger 
le  due  mascelle  sono  presso  che  della  lunghezza  stessa;  nella 
Aìiguilln  la  faccia  posteriore  del  cranio,  o  nucale,  è  tagliata  a 
picco,  nel  Conger  la  faccia  posteriore  del  cranio  è  focata  a 
tettoia  sporgente  in  dietro  ;  nella  Anguilla  V  apparecchio  bran- 
chiale ha  gli  archi  molto  inclinati,  è  situato  fuori  del  cranio, 
ed  ha  due  soli  basibranchiali,  nel  Conger  V  apparecchio  bran- 
chiale ha  gli  archi  molto  più  eretti,  è  situato  sotto  il  cranio, 
ha  tre  basibranchiali. 

Così  ho  riassunto  le  peculiarità  craniche  dei  Pesci  murenoidi 
italiani,  confrontati  con  la  maggioranza  dei  Teleostei  e  con- 
frontati tra  loro.  Altre  considerazioni  potrebbero  farsi,  specie 
per  accennare  quali  Teleostei  sono  ai  Murenoidi  più  affini,  e 
per  stabilire  qualche  dato  sul  modo  di  classificare  o  suddividere 
questo  gruppo  di  Pesci;  ma  mi  astengo  da  tutto  ciò,  conside- 
rando eseguite  per  ora  su  troppo  poche  specie  le  mie  ricerche 
craniologiche. 


SPIEGAZIONE   DELLE   FIGURE 


Tar.   XI. 

Fig.  1.  —  Teschio  di  AnguiUa  vtdgaris  visto  di  dietro,  ossia  dalla  sna  faccia 
occipitale  (circa  in  grandezza  naturale) .  b  o  basioccipitale,  sopra 
al  quale  si  vede  il  grande  forame  occipitale,  cordiforme;  eo  esoc- 
cipitale; so  sopraoccipitale;  k  spazio  non  ossificato  tra  il  sopra- 
occipitale,  i  due  epiotici,  i  due  esoccipìtali  e  il  grande  forame; 
ep  epiotico;  pto  pterotico. 

Fig.  2.  —  Teschio  di  Anguilla  visto  di  sopra  e  un  pocolino  di  dietro  (circa  in 
gr.  nat.).  eo  esoccipitale;  ep  epiotico;  pto  pterotico;  so  sopra- 
occipitale;  pa  parietale;  sfo  sfenotico;  fr  frontale;  prv  osso 
premassillo-etmo-vomerino;  na  nasale;  ms  mascellare  superiore; 
ajbyC,dje,/jg  la  catena  degli  ossetti  periorbitali.  (Le  cartilagini 
esetmoidi  non  sono  figurate). 

Fig.  3. —  Teschio  di  Anguilla  visto  di  lato  e  in  sotto  (circa  in  grand,  nat). 
b 0  basioccipitale;  e o  esoccipitale; pto  pterotico; ^ $ / parasfenoide; 
prò  prootico;  sfo  sfenotico;  6s/ basisfenoide;  als  alisfenoide; 
fr  frontale;  prv  osso  premassillo-etmo-vomerino;  z  spazio  non 
ossificato  interorbitario. 

Fig.  4.  -  Scheletro  cefalico  di  Anguilla,  meno  V  apparecchio  branchiale,  visto 
di  lato  (circa  in  grand,  nat);  ep  epiotico,  che  sporgendo  in  alto 
nasconde  il  sopraoccipitale;  pa  parietale;  pto  pterotico;  sfo  sfe- 
notico; prò  prootico;  als  alisfenoide;  bsf  basisfenoide;  psf  p^ 
rasfenoide;  fr  frontale;  prv  osso  premassillo-etmo-vomerino; 
n  a  nasale;  m s  mascellare  superiore,  a,  b,  e,  d,  e^f,  g  la  catena  degli 
ossetti  periorbitali;  ptg  pterigoide;  ym  iomandibolare;  oq  osso 
quadrato;    art  osso  articolare;   dei  dentale;    op  opercolo;   sop 


156  E.  FICJLLBI 

subopercolo  o  sottoopercolo;  i o y;  interopercolo ;  pop  preopercolo; 
cy  ceratoiale  o  pezzo  inferiore  dell'ioide;  uy  aroiale  o  basibran- 
chiostegale;  yy  glossoiale  o  entoglossale;  rbr  raggi  branchioste- 
gali;  z  spazio  non  ossificato  interorbitario. 

Fig.  o.  —  Scheletro  cefalico  completo  di  Anguilla^  decomposto  nei  suoi  singoli 
pezzi;  i  singoli  pezzi  per  lo  più  sono  visti  di  sopra;  si  capisce  che 
i  rapporti  loro  reciproci  non  possono  essere  conservati  nella  figura; 
(circa  in  grand,  nat.).  ho  basioccipitale ,  eo  esoccipitale;  so  so- 
praoccipitale;  ej)  epiotico;  bsf  basisfenoide;  pa  parietale;  prò 
prootico;  pio  pterotico;  psf  parasfenoide;  fr  frontale;  als  ali- 
sfenoide ;  sfo  sfenotico ;  prv  premassillo-etmo-vomerino ;  n a  na- 
sale ;  a,  b,  e,  d,  e,  f,  g  la  catena  degli  ossetti  periorbitarii  ;  m  8  ma- 
scellare superiore  \  pt  g  pterigoide  ;  y  m  iomandibolare  ;  o  q  osso 
quadrato;  art  articolare;  ok  osso coronoide;  det  dentale;  op  oper- 
colo; sop  subopercolo  o sottoopercolo;  top  interopercolo ;  poj? pre- 
opercolo;  X  tubulo  osseo  di  un  canale  muccoso  (disegnato  solo  a 
destra);  ey  epiale  o  pezzo  superiore  dell'ioide;  cy  ceratoiale  o 
pezzo  inferiore  dell'ioide;  ^y  glossoiale  o  entoglossale;  uyjiToìale 
0  basibrancbiostegale ;  rbr  raggi  branchiostegali;  l.^bb  il  primo 
basibranchiale  ;  2.^  bb  il  secondo  basibrancbiale  ;  L^  ip  il  primo 
ipobrancliiale  o  appartenente  al  primo  arco  branchiale;  2,^  ip  il 
secondo  ipobranchiale;  \,^ce  il  primo  ceratobi'anchiale  o  apparte- 
nente ili  primo  arco  branchiale  ;  2.^  e  e,  H,^  e  e,  i.®  e  e,  5,  e  e  gli  altri 
ceratobranchiali;  Jf.»  epb  il  primo  epibranchiale;  2.^epb,  3,^  ^phj 
4.^epb  gli  alti-i  epibranchiali  (il  5®  arco  branchiale  ne  è  privo); 
l.^fa  primo  faringobranchiale;  2.^ fa  secondo  faringobranchiale  ; 
kj  y  placche  ossee  dentigere  faringobranchiali  ;  z,  z  placche  ossee 
dentigere  connesse  col  5.<^  paio  di  ceratobranchiali  ossia  col  quinto 
paio  di  archi  branchiali. 

Fig.  G.  -  Estremità  anteriore  del  teschio  di  un  Grongo  (il  cosi  detto  muso) 
visto  di  sopra  ( circa  metà  del  naturale ) .  prv  osso  premassillo- 
etmo-vomerino  (  sua  branca  superiore  o  mesetmoidea  )  ;  frV  estre- 
mità anteriore  del  frontale;  ms  mascellare  superiore;  /  ossetto  a 
canale  muccoso  delle  estremità  del  muso;  e  il  lacrimale;  d,  c^bj  a  os- 
setti periorbitari;  na  nasale;  es  la  cartilagine  esetmoide  di  si- 
nistra: quella  di  destra  non  è  figurata. 

Fig.  7.  —  Scheletro  cefalico  di  Ophlsurus  serpens,  meno  l' apparecchio  branchiale, 
visto  di  lato  (circa  in  grand,  naturale);  lettere  come  nella  Fig.  4; 
se  non  che  :  6'  o  sopraoccipitale  ;  il  prootico  non  si  vede,  perchè  co- 
perto dall' iomandibolare;  i  interopercolo;  ey  epiale. 


SPIEGAZIONE  DELLE  nOURE  157 

Fig.  8.  —  Teschio  di  Muraena  helena  visto  di  dietro,  ossia  della  sua  faccia  occi- 
pitale 0  nucale  (circa  in  grand,  naturale);  lettere  come  nella  Fig.  1. 

Fig.  9.  —  Scheletro  cefalico  di  Murena,  meno  V  apparecchio  branchiale,  visto  di 
lato  (alquanto  ingrandito);  lettere  come  nella  Fig.  4;  se  non  che: 
s  0  sopraoccipitale  ;  il  prootico  non  si  vede,  perchè  coperto  dair  io- 
mandibolare;  eh  osso  esetmoide;  i  ìnteropercolo ;  p  preopercolo; 
ey  epiale. 

Fig.  10.  —  Osso  premassillo-etmo-vomerino  di  Murena  visto  di  sopra  (grand,  nat.); 
a  branca  superiore  o  mesetmoidale;  h  estremo  posteriore  della 
branca  inferiore  o  vomerina. 

Fig.  11.  —Le  cosi  dette  mascelle  faringee  della  Murena  (lato  destro;  grand, 
nat),  le  quali  risultano  dei  seguenti  pezzi:  epb  epibranchiale ; 
ce  ceratobranchiale:  queste  due  ossa  costituiscono  il  quarto  arco 
branchiale;  fa  è  T  unico  faringobranchiale  esistente  nella  Murena 
ed  è  intimamente  connesso  con  le  ossa  del  quarto  arco  branchiale, 
è  dentigero;  5.^0  quinto  ceratobranchiale,  che  da  solo  rappresenta 
tutto  il  quinto  arco:  è  detto  comunemente  nei  Teleostei  osso  fa- 
ringeo inferiore:  è  dentigero. 

Fig.  12  (schematica),  —  Disposizione  dello  scheletro  branchiale  relativamente  al 
resto  del  cranio  nella  Anguilla.  Dello  scheletro  branchiale  è  sche- 
maticamente rappresentata  la  metà  destra,  meno  le  ossa  f aringo- 
branchiali:  si  vede  come  le  arcate  branchiali  siano  molto  inclinate 
e  quasi  completamente  situate  fuori  del  resto  cranico.  Il  cranio 
stesso  è  rappresentato  in  quella  parte  sua  e  che  forma  parete  alla 
cavità  encefalica  e  che  forma  la  parte  mediana  del  muso:  è  visto 
in  sezione  longitudinale  mediana,  2:  è  lo  spazio  non  ossificato  in- 
terorbi tarlo;  si  vede  che  la  faccia  nucale  del  cranio  è  tagliata  a 
picco.  I,  n,  m,  IV,  V  sono  le  arcate  branchiali;  col  V  arco  si 
vede  connessa  la  placca  ossea  dentigera. 

Fig.  1 3  (scheìnaficu),  —  Disposizione  dello  scheletro  branchiale  relativamente  al 
resto  del  cranio  nel  Grongo.  Dello  scheletro  branchiale  è  schema- 
ticamente rappresentata  la  metà  destra,  meno  gli  epibranchioli  e 
le  ossa  faringobrayichiali;  si  vede  come  le  arcate  branchiali  siano 
assai  erette,  e  lo  scheletro  brancliiale  situato  sotto  il  cranio.  Cranio 
rappresentato  e  sezionato  come  nella  Anguilla;  si  vede  che  la  fac- 
cia nucale  è  a  tettoia  sporgente  in  dietro;  2;  è  lo  spazio  non  ossi- 
ficato interorbitario;  I,  II,  III,  IV,  V  le  arcate  branchiali. 

Fig.  U  (schematica),  —  Disposizione  dello  scheletro  branchiale  relativamente  al 
resto  del  cranio  neir  Ofisuro.  Dello  scheletro  branchiale  è  schema- 
ticamente rappresentata  la  metà  destra  meno  le  ossa  faringobran- 


1 58  E.  nCÀLBI    —   SPIEGAZIONE  DELLE  FIQVBÉ 

chiali  (  si  vede  però  una  placca  ossea  dentigera  (?)  ) .  La  figura 
dimostra  che  le  arcate  branchiali  sono  meno  erette  che  nel  Grongo, 
e  che  lo  scheletro  branchiale  sebbene  non  sia  tutto  sotto  il  cranio, 
come  nel  Grongo,  non  v'  è  cosi  lontano,  come  nella  Àngailla.  Cra- 
nio rappresentato  e  sezionato  come  nella  Anguilla;  si  vede  che  la 
faccia  nucale  è  tagliata  a  picco;  2f  è  lo  spazio  non  ossificato  in- 
terorbitario  ;  I,  II,  III,  IV,  V  le  arcate  branchiali. 
Fig.  15  (schematica),  —  Disposizione  dello  scheletro  branchiale  relatÌTamente  al 
resto  del  cranio  nella  Murena.  Dello  scheletro  branchiale  è  sche- 
maticamente rappresentata  la  metà  destra.  Si  vede  che  le  arcate 
branchiali  sono  assai  inclinate  e  che  mentre  i  loro  estremi,  specie 
gli  inferiori,  sono  sotto  al  cranio,  gli  angoli  di  riunione  dei  pezzi 
superiori  e  inferiori  (  epibranchiali  coi  ceratobranchiali)  sporgono 
fuori  del  cranio  in  dietro.  Cranio  rappresentato  e  sezionato  come 
nella  Anguilla.  Si  vede  che  la  fa.  eia  nucale  è  tagliata  a  picco; 
z  è  lo  spazio  non  ossificato  interorbitario  ;  I,  II,  III,  IV,  V  sono 
le  arcate  branchiali. 


A.    BOTTINI 

-191 


RICERCHE  MlOIMlEMll'lSOU  D'UBA 


CON     UNA    NOTA 


sul  FISSIDENS  SERRULATUS  Bridel 


RICERCHE  BRIOLOGICHE 


Fra  i  molti  e  molti  naturalisti  che  con  diverso  scopo  hanno 
visitato  e  dottamente  illustrato  V  Isola  d' Elba,  nessuno  che  io 
sappia,  tranne  il  dottor  Emilio  Marcucci,  si  è  mai  occupato  dei 
muschi.  Ciò  m' indusse  V  anno  decorso  ad  intraprendervi  due 
escursioni,  la  prima  sul  cominciare  di  Febbrajo,  la  seconda  verso 
la  fine  di  Marzo,  tempo  il  più  adattato  per  le  ricerche  briolo- 
giche  in  quella  località  meridionale.  In  una  quindicina  di  giorni 
potei  percorrere,  pur  troppo  un  po'  alla  lesta,  V  Isola  intera, 
ed  ora  presento  il  catalogo  dei  miei  muschi  ,e  di  quelli  in  gran 
parte  tuttora  indeterminati  del  dottor  Marcucci,  da  me  per 
suo  favore  esaminati  nelV  erbario  di  lui  a  Firenze.  Prima  però 
mi  è  duopo  rammentare  V  aspetto  e  la  natura  del  paese,  di 
volo  s' intende  e  solo  quanto  interessa  il  mio  tema,  per  non 
ripetere  oziosamente  ciò  che  nei  varii  lavori  e  soprattutto  in 
quello  attuale  importantissimo  dell'  ingegnere  Lotti  trovasi  in- 
dicato (^). 

L' Isola  d'  Elba,  la  maggiore  dell'  Arcipelago  toscano,  lunga 
da  est  ad  ovest  25  chilometri,  occupante  un'  area  di  236  chi- 

(*)  Lolti  B.  Descrizione  geologica  dell'Isola  d* Elba  (Memorie  descrittive  della 
carta  geologica  d'Italia,  Voi.  IL  1886).  —  Vedi  pure  le  stupende  carte  geologiche 
deir  Isola  stessa  airVssiooo  (1884)  ed  ali*  Vso'ooo  (1885),  rilevate  dal  Lotti  per  conto 
del  Comitato  geologico. 


160  A.  ijo'mxi 

lometri  quadrati,  è  distinta  in  tre  gruppi  di  alture  allineati  da 
oriento  ad  occidente  e  divisi  nella  direzione  del  meridiano  da 
due  depressioni,  cui  corrispondono  profonde  insenature  della 
costa. 

Nel  gruppo  orientale,  la  cui  elevazione  massima  e  di  circa 
500  metri,  comparisce  intera  la  serie  delle  roccie  dell'  Isola. 
La  panchina  quaternaria  esistente  in  più  punti,  trovasi  portata 
sul  Monte  Calamita  presso  Capoliveri  ad  un'altezza  di  quasi 
200  metri.  Mancano  qui  ed  in  tutta  Y  Isola  i  terreni  terziarii 
superiori.  L'  eocene  vi  è  rappresentato  da  varie  calcarle,  da 
schisti,  arenarie,  diaspri,  ftaniti  e  vi  si  collega  intimamente  un 
gruppo  di  roccie  ofioliticho,  cioè  serpentine,  eufotidi  e  diabasi. 
Susseguono  scisti  varicolori  del  lias  superiore  e  calcane  del  lias 
inferiore  e  dell'  infralias  ;  poi  scisti  e  puddinghe  quarzose  per- 
miane; scisti  carboniosi  ed  ardesiaci  siluriani;  serpentine,  cai- 
carie,  micascisti  e  scisti  gnoissiformi  presiluriani.  Anche  i  tanto 
noti  giacimenti  ferriferi  sono  in  questa  parte  orientale  del- 
l' Isola. 

Il  gruppo  medio  presenta  ad  oriente  la  intera  serie  dei 
terreni  fin  qui  nominati,  con  gran  sviluppo  della  diabase;  mentre 
ad  occidente  consta  di  una  cupola  di  porfido  quarzifero,  mio- 
cenico (^),  dell'  altezza  massima  di  370  metri. 

Finalmente  il  gruppo  occidentale  che  raggiunge  al  Monte 
Capanne  i  1019  metri,  è  tutto  una  cupola  di  granito  mioce- 
nico, rivestita  alla  periferia  da  lembi  isolati  di  roccie  sedimen- 
tarie, ofiolitiche  e»  porfiriche. 

I  corsi  d' acqua  dell'  Isola,  numerosi  ma  di  poca  entità,  sono 
in  generale  asciutti  in  estate;  scarsissime  le  sorgenti  perenni 
nelle  porzioni  centrale  ed  orientale  ove  non  compariscano  roccie 
ofiolitiche;  copiose  al  contrario  nella  Valle  di  Marciana,  a  set- 
tentrione del  Monte  Capanne. 

H  clima  dell'Elba  è  dolce:  la  temperatura  media  invernale 
h  di  +  8°:  la  media  estiva  +  22^:  l'annuale  +  15^.  La  massima 
dell'  estate  raramente  oltrepassa  i  30^,  e  il  maggior  freddo  ri- 
cordato non  giunse  a  più  di  6"  sotto  zero  (-).  Frequenti  le  varia- 
zioni atmosferiche,  in  correlazione  coi  venti. 

La  quantità  di  pioggia  h  piccola,  di  fronte   a   quella  della 

(')  Lotti  B.  I.  e.  pa^.   138  e  soguenti. 

(')  Tulle  G.  Monojrafia  agraria  del  Circondario  dell*  Isola  d'  Elba.  pag.  13(1879). 


RICERCHE  BRIOLOGICHB  NELL  ISOLA  D  ELBA  161 

costa  toscana.  La  media  annuale  di  Portoferrajo  per  gli  ultimi 
17  anni  ci  da  solo  "™599,3,  con  predominio  in  Ottobre  (^).  A 
questa  scarsità  suppliscono  in  estate  abbondanti  rugiade;  cosic- 
ché r  aria  si  mantiene  costantemente  umida,  particolarmente 
nella  stagione  calda  e  quando  spirano  gli  scirocchi.  I  mesi  più 
asciutti  sono  il  Gennajo  ed  il  Marzo  (^). 

Bei  boschi  di  castagni  si  osservano  sul  versante  nord  del 
Monte  Capanne;  altrove  boschetti  sempre  verdi,  o  terreni  nudi, 
o  vigneti.  Piccolissime  le  pianure  e  interamente  coltivate.  La 
costa  frastagli atissim a  e  tranne  angustissimi  tratti,  tutta  rupestre. 

La  più  bella  vegetazione  briologica  si  ha  nelle  fresche  valli 
di  Marciana  sul  granito,  in  quella  di  S.  Martino  sul  porfido  e 
lungo  il  Fosso  di  Rialbano  sulle  puddinghe  quarzose.  La  piccola 
spiaggia  renosa  di  Campo  e  le  pianure  oflErono  qualche  buona 
specie.  Le  calcarle  e  le  roccie  ofiolitiche  sono  in  generale  po- 
vere di  muschi;  poverissimi  gli  schisti  presiluriani  del  Monte 
Calamita  e  tutti  i  terreni  fortemente  mineralizzati.  La  friabilità 
di  alcune  roccie,  la  loro  secchezza  o  la  esposizione  troppo  asso- 
lata, ci  spiegano  la  scarsità  dei  muschi  in  più  luoghi  dell'  Isola. 

Delle  105  specie  di  questo  catalogo,  5  sono  state  trovate 
dal  dottor  Marcucci,  66  da  me,  e  34  da  ambedue  (^);  delle  quali  73 
spettano  s^gli  Acrocarpi  e  32  ai  Pleurocarpi.  11  loro  insieme  ci 
palesa  il  carattere  più  spiccato  della  vegetazione  briologica  me- 
diterranea, molte  forme  essendo  identiche  a  quelle  dell'Algeria. 
Fra  le  più  caratteristiche  citerò:  Fissidens  taxifolius  var.  Bon~ 
valeti  (che  ritengo  nuovo  per  V  Europa),  Fissidens  serrulatus,  Ce- 
ratodon  corsicus,  Pottia  Starkei^  Webera  Tozeri,  Bryum  atropurpu- 
reum  dolioloides,  Bryum  Donii,  Homalia  lusitanicay  Camptothedum 
aureuniy  Rhynchostegium  megapolitanum  var.  mediterraneum  e  Ra- 
phidostegium  Welwitschii  nuovo  per  l'Italia;  tra  le  specie  rare: 
Cosdnodon  cribrosus  e  Brachytliecium  albicans  var.  alpinum. 

Sono  rimasto  sorpreso  di  non  aver  trovato  una  quantità  di 
muschi  che  supponevo  non  poter   mancare   nell'  Elba;  è  però 

(^)  Lotti.  L  e.  pa^.  4. 

(«)  Pullò.  1.  e. 

(^)  Le  specie  delP erbario  Marcucci  ascendono  ad  una  cinquantina;  io  però  mi 
sono  trovato  costretto  a  citarne  solo  trentanove,  non  tenendo  conto  di  quelle  che 
nella  breve  mia  corsa  a  Firenze  mi  fu  impossibile  identificare  con  rigore.  Sono  tut- 
tavolta  quasi  sicuro  che  tra  le  omesse  non  ve  ne  ha  nessuna  che  manchi  alla  pre- 
sente enumerazione. 

Se.  Noi,  Voi.  Vm,  fase.  !.•  12 


162  A.  BomNi 

vero  che  per  rendersi  conto  esatto  della  vegetazione  briologica 
di  quest'  Isola^  sarebbe  necessaria  una  esplorazione  ripetuta  per 
parecchi  anni  di  seguito:  essendo  che  le  piccole  specie  spora- 
diche delle  quali  abbonda  la  Flora  mediterranea,  sfuggono  &cil- 
mente  all'  occhio  del  raccoglitore,  e  per  la  variabile  azione  d^li 
agenti  atmosferici,  molti  muschi  annui  spariscono  e  ricompa- 
riscono a  periodi  in  una  medesima  località. 

Pisa,  Luglio  1SS6. 


CATALOGO 


MUSCHI     I^:EIaIjr  BlIa:BJL 


Acrocarpi 

Gen.  1  —  Archidium  Brid. 

1.  A.  alternifolium  (Dicks.)  Schimp. 

Alle  falde  del  Monte  Orello  {}),  lungo  la  via  per  Lon- 
gone,  sulla  serpentina:  (e.  fr.). 

Gen.  2  —  Phascum  Linn. 

2.  Ph.  cuspidatum  Schreb. 

Longone  e  pianura  di  Portoferrajo,  sulla  terra:  (e.  fr.). 

Gli  esemplari  di  Longone  hanno  la  cuffia  molto  grande, 
biloba,  scendente  quasi  fino  alla  base  della  cassula;  quelli 
del  piano  di  Portoferrajo  sono  estremamente  piccoli,  bul- 
biformi, e  dovrebbero  riferirsi  alla  varietà  piliferum  Br. 
eur.,  se  non  vi  ostasse  il  carattere  delle  foglie  semplice- 
mente cuspidate. 

Gen.  3  —  Pleuridium  Brid. 

3.  P.  subiilattim  (Huds.)  Br.  eur. 

Valli  di  Pomonte  e  di  Marciana,  sul  terréno  grani- 
tico: (e.  fr.). 

(*)  Monte  Orello  od  anche  Monte  Lorello. 


RICERCHE  BRIOLOOICHE  NELL^  ISOLA  D*  ELBA  163 

4.  P.  alternifolium  (KAulf.)  Br.  eur. 

Pianura  di  Portoferrajo  :  (e.  fr.). 

Gen.  4  —  Systegium  Schimp. 

5.  S.  crispum  (Hedw.)  Schimp. 

Longone,  lungo  la  via  per  la  Madonna  di  Monser- 
rato  :  (e.  fr.) . 

Gen.  5  —  Eucladium  Br.  eur. 

6.  E.  verticillatum  (Linn.)  Br.  eur. 

Valle  d'Ortano,  sulla  serpentina:  (sterile);  boschi  della 
Valle  di  S.  Martino,  sul  porfido:  (pi.  ?);  castagneti  di 
Marciana,  sul  granito  porfirico:  (sterile). 

E  sempre  incrostato  di  carbonato  calcico. 

Gen.  6  —  Weisia  Hedw. 

7.  W.  viridula  (Linn.)  Brid. 

Comune  sui  terreni  silicei  di  tutta  l'Isola:  (e.  fr.).  La 
var.  stenocarpa  Br.  germ.,  nella  Vaile  di  S,  Martino,  sul 
porfido. 

Gen.  7  —  Dicranella  Schimp. 

8.  D.  rubra  (Huds.)  Lindb.  —  2).  varia  Hedw. 

Comune  sui  terreni  silicei,  argillosi  e  marnosi  dell'Isola, 
ed  al  Giove  presso  Rio  Marina,  sulla  terra  impregnata  di 
minerali  di  ferro:  (e.  fr.). 

Gen.  8  —  Dicranum  Hedw. 

9.  D.  scoparium  (Linn.)  Hedw. 

Castagneti  di  Marciana  e  S.  Gerbone  (Marcucci!):  Monte 
Capanne  (Marcucci!  ed  io)  sul  granito:  (e.  fr.). 

Sopra  Marciana  Castello  ho  raccolto  una  forma  sterile 
vicinissima  alla  var.  spadiceum  Boulay,  Muscin,  de  la 
France,  pag.  484. 

Gen.  9  —  Leucobryum  Hampe. 

10.  L.  glauciim  (Linn.)  Schimp. 

Castagneti  di  Marciana  sul  terreno  granitico:  (sterile), 

Gen.  10  —  Fissidens  Hedw. 

11.  i^.  incurvus  Schwaegr;  Braithw.  Brit.  Moss-Flora  (1881;) 


164  A.  BOTTINI 

Mitten,  The  Joum.  of  the  Linn.  Soc.  Botany,  VoL  XXI, 

pag.  550  (1886). 

Valle  dei  Molini,  le  Trane,  nei  coltivati:  Capoliveri, 
nei  pascoli  inagri  :  boschi  sempre  verdi  sopra  S.  Giovanni 
presso  Portoferrajo,  sulla  diabase;  (e.  fr.). 

Nei  cespi  delle  Trane  (come  in  quelli  di  Pisa)  si  os- 
servano tutte  le  possibili  gradazioni  fra  gli  esemplari  tipici 
con  cassula  irregolare,  inarcata,  cemua,  e  quelli  spettanti 
al  F.  vitndulus  Braithw.  Brit.  Moss-Flora,  pag.  70,  con  cas- 
sula perfettamente  simmetrica  ed  eretta.  Le  foglie  disposte 
in  4  o  6  paja,  sono  identiche  in  ambedue  le  forme,  da  3  ^jt 
a  5  volte  più  lunghe  che  larghe,  con  margine  lai^o  alla 
base,  sottile  in  alto,  evanescente  come  la  nervatura  alla 
sommità.  L'  apice  è  più  o  meno  acuminato  od  apicolato. 
Insisto  su  questo  fatto,  il  quale  dimostra  come  da  noi  non 
esista  nessuna  netta  demarcazione  fra  il  F.  inairvus  8ch- 
waegr.,  ed  il  F.  viridultis  Braithwaite.  Secondo  il  signor 
Mitten  (1.  e.)  il  vero  F.  viriduliés  (Sw.)  sarebbe  altra  specie 
che  avrebbe  per  sinonimi  F.  Sardagnai  Vent.  Rev.  Bryol. 
pag.  93  (1S83):  F.  introUmhatiis  Ruthe,  Hedwigia,  pag.  177 
(1870): FsubimmarginatHsFhilìh. Rev.  Bryol.  pag.  57  (1884). 

12.  F.  taxifolius  (Limi.)  Hedw. 

var.  p  Bonvaleti  (Sch.  et  Par.)  Bescher.  Catal.  d.  Mouss. 
d'Algerie,  pag.  7  (1882).  —  Fissidens  Bonvaleti ^ch.  et.  Par, 
in  exsicc.  Bryoth.  Europ.  Rabenh.  fase.  XIX,  n.*  945  (1867). 

Il  tipo  lungo  il  Fosso  di  Rialbano  su  terreno  quarzoso, 
ed  al  Giove  presso  Rio  Marina  sopra  la  terra  impregnata  di 
minerali  di  ferro:  (e.  fr.).  La  var.  p  nei  boschi  sempre  verdi 
a  S.  Giovanni  presso  Portoferrajo,  sulla  diabase:  (e.  fr.). 

Le  varietà  Bonvaleti  non  mi  era  nota  dell'  Europa  ;  la 
conoscevo  solo  dell'Algeria. 

13.  F.  Majtus  Mitten,  The  Journ.  of  the  Linn.  Soc.  Botany,  Voi. 

XXI,  pag.  550  (188(5).  —  /'.  adiantoides  Br.  eur.  et  ree.  Auct. 
Presso  le  Rimesse  sulla  via  per  Procchio,  sopra  la  terra: 
(piante  sterili,  ed  altre  con  fiori  '/e  ?  ascellari). 

14.  F.  adiantoides  Hedw.  Muse,  frond.  III.  t.  XXVI  (dioicus!); 

Mitten,  The  Journ.  of  the  Linn.  Soc.  Botany,  Voi.  XXI, 
pag.  550  (1886).  —  F.  decipiens  De  Not.  Epil.;  Braithw. 
Brit.  Moss-Flora,  t.  XI.  D. 


RICERCHE  BRIOLOOICHE  NELL  ISOLA  D  ELBA  165 

Alla  Madonna  di  Monserrato,  sulla  diabase:  (piante 
sterili  miste  ad  altr(5  con  numerosi  fiori  ?  ascellari  verso 
la  metà  degli  steli;   non   ho  trovato  fiori  ^). 

Secondo  il  sig.  Mitten  (1.  e.)  le  forme  dioiche  spettano 
al  F.  adiantoides  Hedw.,  o  F.  decipiens  De  Not.  ;  le  forme 
monoiche  al  F.  majus.  Egli  asserisce  pure  che  in  quest'  ul- 
timo le  cellule  delle  foglie  sono  il  doppio  più  grandi  che 
nel  primo.  Tutti  i  miei  esemplari  per  altro,  tanto  i  monoici 
che  i  dioici  appartengono  al  tipo  a  cellule  piccole.  D'  altra 
parte  i  professori  Philibert(^)  e  Boulay(^)  hanno  osser- 
vato che  i  fiori  maschi  possono  svilupparsi  come  gemme 
avventizie  sulle  vecchie  foglie  delle  piante  fenùnee  del 
F.  decipiens.  È  quindi  probabile  che  una  distinzione  spe- 
cifica &a  F.  majus  e  F.  adiantoides^  non  sia  a  bastanza 
giustificata. 

15.  F.  serrtdatus  (Bridel). 

S.  Cerbone,  sul  granito  (Marcucci!);  lungo  il  Fosso  di 
Rialbano  su  terreno  quarzoso  nei  siti  ombrosi  ed  umidi, 
e  nei  castagneti  ombrosi  ed  umidi  di  Marciana  sul  gra- 
nito porfirico:  (piante  sterili;  piante  d*^  con  fiori  terminali 
ed  ascellari;  piante  ^  con  fiori  terminali;  ima  pianta  por- 
tante all'estremità  del  fusto  un  vecchio  pedicello). 

(xen.  1 1  —  Blindia  Br.  eur. 

16.  B,  acuta  (Huds.)  Br.  eur. 

Raccolta  dal  dott.  Marcucci  a  S.  Cerbone,  su  terreno 
granitico:  (sterile)- 

Foglie  lunghe  fino  a  3  V*2  millimetri,  ma  di  forma  e 
struttura  normale. 

Gen.  1 2  —  Ceratodon  Brid. 

17.  (7.  corsicus  Br.  eur. 

Raccolto  dal  dottor  Marcucci  nella  Valle  di  Patresi 
presso  Marciana  sul  granito  :  (e.  fr.) . 

Gen.  13  —  Pottia  Ehrh. 

18.  P.  truncata  (Linn.)  Br.  eur. 

Valle  di  S.  Martino,  su  terreno  porfirico:  (e.  fr.). 

(»)  Philibeit.  Rev,  Bryol,  pag.  65  (1883). 

(•)  Boulay.  Musnin.  de  la  France  pag.  522  (I88i). 


166  A.    BOTTINI 

19.  P.  iìiteinnedin  (Turn.)  FQrn;  DeNot.  Epil.;  Juratz.  Laubmoosfl. 

V.  Oesterr.-Ung.  pag.  93. 

Longone,  Valle  dei  Molini,  le  Trane,  nei  coltivati  :  Valle 
di  S.  Martino  su  terreno  porfirico  :  (e.  fr.). 

20.  P.  Starkei  (Hedw.)  C.  Milli.;  Venturi,  Rev.  Bryol.  pag.  61, 

(1885). 

Monte  Calamita,  sugli  schisti  gneissiformi  :  salita  di  Ca- 
poliveri,  spiaggia  di  Mola,  pianura  di  Portoferrajo,  nei 
pascoli  magri  e  nei  coltivati:  Valle  di  S.  Martino,  sul  por- 
fido: (e.  fr.). 

Gli  esemplari  elbani  hanno  i  denti  del  peristoma  im- 
perfetti come  nella  var.  brachyoda  Lindb.  Trichost.  Eur.; 
le  spore  molto  grandi  (fino  ""0,030)  e  fomite  alla  super- 
ficie dei  soliti  grossi  e  radi  bitorzoli  caratteristici;  la  cuf- 
fia tutta  papillosa,  meno  però  alla  base  che  all'apice. 
Non  ho  potuto  rinvenire  gli  anteridii.  Cuffie  papillose,  seb- 
bene in  grado  minore,  ne  ho  rinvenute  eziandio  in  esem- 
plari francesi  a  peristoma  perfetto  del  sig.  Du  Buisson, 
ed  in  altri  algeriani  della  var.  brachyoda,  mandatimi  dal 
sig.  Bescherelle.  Anche  la  Poffia  Wilsonii  (Hook.)  Br.  eur., 
ha  la  cuffia  papillosa;  ma  oltre  alla  differente  forma  delle 
foglie,  della  cassula  e  dell'opercolo,  se  ne  distingue  per 
le  spore  non  bitorzoluto,  ma  ricoperte  di  fitte  e  minutis- 
sime granulazioni,  come  ho  riscontrato  in  esemplari  au- 
tentici di  Wilson  e  di  Wood,  favoritimi  dal  sig.  Geheeb. 

Gen.  14  —  Didymodon  Hedw. 

21.  D.  lundtis  Homsch. 

Longone,  sulla  terra:  Valle  d'Ortano,  sul  calcare  ca- 
vernoso: (e.  ft\). 

22.  D.  tophaceus  (Brid.)  Juratz. 

Le  due  forme  hrevicauli^  e  acutifolia,  al  Giove  presso  Rio 
Marina,  sulla  terra  impregnata  di  minerali  di  ferro:  (e.  fr.). 

Gen.  15  —  Trichostomum  Hedw. 

23.  T.  imitabile  Bruch,  mst.;  Br.  eur. 

Comune  nella  parte  orientalo  e  centralo  dell'Isola,  sulla 
terra  e  nelle  fessure  delle  roccie  silicee,  come  porfido,  schisti 
gneissoidi,  serpentina,  diabase  :  (fruttifica  scarsamente) , 


RICERCHE  BRIOLOGICHE  NELl'  ISOLA  d'  ELBA  167 

Nelle  fessure  delle  rupi  ombreggiate,  si  trova  quella 
forma  sterile  simulante  la  Barbuta  tortuosa^  notata  in 
Francia  dal  professore  Boulay  (  Muscin.  de  la  France, 
pag.  448,  1884), 

24.  T.  crispulum  Bruch. 

Tra  Longone  e  la  Madonna  di  Monserrato,  e  presso  le 
Rimesse  lungo  la  via  di  Proccbio,  sulla  terra:  (e.  fr.). 

25.  T,  flavavirens  Bruchi. 

Marina  di  Ortano,  nelle  fessure  degli  schisti  silicei: 
(sterile);  presso  Longone:  boschi  di  S.  Giovanni,  sulla  dia- 
base: Marina  di  Campo,  sull'arena  sotto  i  lecci:  (e.  fr.). 

Su  di  una  stessa  pianta,  le  foglie  sono  rapidamente  con- 
tratte air  apice  ed  apiculate,  oppure  gradatamente  ristrette 
ed  acuminate.  Gli  esemplari  di  S.  Giovanni  sul  Golfo  di 
Portoferrajo  rappresentano  una  forma  di  passaggio  al  T. 
viridiflavum  De  Not.;  Juratz.,  del  quale  hanno  tutti  i  ca- 
ratteri, eccettuate  le  foglie,  che  non  differiscono  punto  da 
quelle  del  T.  flavovirens. 

Gen.  16  —  Barbula  Hedw. 

26.  i?.  aloides  (Koch)  Br.  eur. 

Boschi  di  S.  Martino  sul  terreno  porfirico:  (e.  fr.).  Una 
forma  intermedia  fra  questa  specie  è  la  Barbula  ambigua, 
presso  le  Rimesse  lungo  la  via  per  Procchio,  sopra  la 
terra:  (e.  fr.). 

27.  B.  atrovirens  (Sm.)  Schimp. 

Salita  di  Capoliveri,  Golfo  di  Portoferrajo  alle  Trane, 
nei  pascoli  magri  e  nei  coltivati:  fra  Campo  e  Pomonte, 
sul  granito:  (e.  fr.).  La  var.  edentula  Schimp.,  presso  la 
cima  del  Monte  Capanne,  sul  granito. 

28.  B.  cuneifolia  (Dicks.)  Br.  eur. 

Presso  Longone,  Golfo  di  Portoferrajo  alle  Trane  e  a 
S.  Giovanni,  nei  coltivati  :  boschi  di  S.  Martino,  su  terreno 
porfirico:  (e.  fr.).  La  forma  spathulaefolia  De  Not.,  presso 
Longone  insieme  al  tipo. 

29.  B.  canescens  Bruch. 

Monte  Fabbrello  (Marcucci!):  Golfo  di  Portoferrajo  alle 
Trane,  nei  coltivati:  Valle  di  Pomonte,  sul  granito:  (e.  fr.). 

30.  5.  muralis  (Linn.)  Timm. 


168  A.  BOTTINI 

Comune  in  tutta  Y  Isola  sui  muri  e  le  rupi  tanto  silicee 
che  calcaree  :  (e.  fr.).  Esiste  anche  neir  erbario  Marcucd. 
La  var.  aestiva  Brid.,  nella  Valle  di  Marciana.  La  rar. 
incatia  Br.  eur.,  tra  Campo  e  Pomonte. 

31.  B.  unguiculata  (Huds.)  Hedw. 

Salita  di  Capoliveri,  Golfo  di  Portoferrajo  '  nella  Valle 
dei  Molini  ed  alle  Trane,  nei  pascoli  magri  e  nei  cultivati: 
castagneti  di  Marciana^  su  terreno  granitico:  (e.  fr.). 

32.  B.  gracilis  Schwaegr.  ;   Boulay,  Muscin.  de  la  Franca,  pag. 

428  (1884). 

Presso  Capoliveri,  alle  Trane,  e  presso  le  Rimesse,  nei 
pascoli  magri  e  sulla  terra  in  parte  calcarea  :  (e.  fr .).  Una 
forma  molto  vicina  alla  var.  viridi^  Br.  eur.,  tra  Rio  e 
Longone. 

Fra  gli  esemplari  tipici  se  ne  trovano  sovente  altri  colla 
cassula  subcilindrica  come  nella  B.  fallax,  o  col  tessuto 
delle  foglie  caratteristico  della  B.  rineaìis. 

33.  B.  cotivoluta  Hedw. 

Boschi  di  S.  Giovanni  sul  Golfo  di  Portoferrajo,  sopra 
la  diabase:  castagneti  di  Marciana  sul  terreno  granitico: 
(e.  fr. ). 

34.  B.  toriiiosa  (Linn.)  Web.   et  Mohr.;  Boulay,  Muscin.   de   la 

Franco,  pag.  420  (1884). 

La  forma  a  fypica  Boulay,  nei  castagneti  di  Marciana, 
sul  granito  porfirico:  (e.  fr.).  Una  forma  ambigua  ftu  la 
var.  f rag  ili f olia  Juratzka  e  la  var.  rigida  Boulay,  lungo  il 
Fosso  di  Rialbano  su  terreno  quarzoso:  (e.  fr.). 

"^B.  nitida  (Lindb.)  Renauld,  Kev.  Bryol.  pag.  90  (1882).  — 
Trichostomum  nitidnm  Lindb.;  Boulay,  Muscin.  de  la  Franco, 
pag.  444  (1884). 

La  var.  ìnedin  Boulay,  nella  Valle  di  Marciana  sul  gra- 
nito porfirico:  (sterile).  La  var.  ohtiisa  Boulay,  lungo  il  Rio 
di  Ortano,  sul  calcare  cavernoso:  (sterile). 

Intorno  a  questo  musco  problematico,  le  cui  forme  to- 
scane si  raggirjino  fra  la  7i.  toHuosa  e  la  mclitmta,  con- 
sultare: Venturi  e  Bottini,  Enumeraz.  critica  dei  muschi 
italiani,  pag.  50  (1884);  Boulay,  1.  e;  Venturi,  Nuovo  Giorn. 
Bot.  Ital.,  Voi.  XVIII,  N."  2,  pag.  70  (1S86), 

*  B.  inclinata  Schwaegr. 


RICERCHE  BRIOLOGICHE   NELl' ISOLA  d'eLBA  169 

Presso  Longone,  sulla  terra  sassosa:  castagneti  di  Mar- 
ciana, sul  granito  porfirico:  (e.  fi-.), 

35.  B,  squarrosa  Brid. 

In  tutta  r  Isola,  sulla  terra  e  le  rupi  calcaree  e  silicee  : 
(sterile). 

36.  B.  subulata  (Linn.)  Pai.  Beauv.;  Boulay,  Muscin.  de  la  Fran- 

ce,  pag.  410  (1884). 

La  var.  integrifolia  Boulay,  in  varii  luoghi  della  Valle 
di  Marciana,  su  terreno  granitico:  (e.  fr.). 

37.  -B.  ruralis  (Linn.)  Hedw. 

Marina  di  Campo,  sull'  arena  sotto  i  lecci:  (sterile). 

Gen.  1 7  —  Grimmìa  Ehrh. 

38.  G.  apocarpa  (Linn.)  Hedw. 

Boschi  della  Valle  di  S.  Martino,  sui  muri:  (e.  fr.). 

39.  G.  piilvinata  (Lina.)   Smith;  Boulay,  Muscin.  de  la  Franco, 

pag.  385  (1884). 

In  tutta  r  Isola,  sui  muri  e  le  rupi  specialmente  silicee: 
(e.  fr.).  Esiste  anche  nell'  erbario  Marcucci.  La  forma  lon- 
gicapsula  Bescherelle,  Boulay,  nelle  Valli  di  S.  Martino  e 
di  Marciana,  sui  muri  e  sul  granito. 

40.  G.  decipiens  (Schultz)  Lindb.  —  (?.  Schultzii  (Brid.)  Wils. 

S.  Gerbone  (Marcucci  !)  e  presso  la  cima  del  Monte  Ca- 
panne, sul  granito:  (e.  fr.). 

41.  G.  trichophylla  Grev.  et  Auct.  ree. 

var.  Lisae  (De  Not.  Epil.). 

forma  lusitanica  (Schimp.);  Boulay,  Muscin  de  la  Franco, 
pag.  379  (1884).  —  Grimmia  ancistrodes  Solms.-Laub. 

forma  submtdica  (Boulay,  1.  e.  pag.  379), 

var.  Sardoa  (De  Not.  Epil.). 

D  tipo  non  lo  conosco  dell'  Elba,  ne  d' altre  parti  della 
provincia  mediterranea.  La  var.  Liscie^  raccolta  ancora  dal 
Dottor  Marcucci,  è  comune  nell'Isola  sul  granito,  il  por- 
fido e  la  diabase:  (e.  fr.)  ;  le  sue  forme  lusitanica  e  submutica 
nei  castagneti  di  Marciana,  sul  granito  porfirico:  (e.  fr.). 
La  var.  Sardoa  a  S.  Piero  in  Campo  sul  granito  (Marcucci!) 
e  nei  boschi  di  S.  Giovanni  ed  alle  Panche  sul  Golfo  di 
Portoferrajo,  sopra  la  diabase  :  (e.  fr.). 


170  A.  BOTTIXI 

Due  anni  or  sono  il  prof.  Boulay  C)  ed  io  (^)  notammo 
che  certe  forme  di  Grimmia  di  cui  abbonda  la  provincia 
mediterranea,  rendono  malagevole  una  distinzione  speci- 
fica fra  le  Grimmie  tì-ichophyUaj  Lisae,  Sardoa  e  Mutden" 
bechi i.  11  copioso  materiale  raccolto  nell'Isola  d'  Elba,  mi 
dimostra  ora  la  necessità  di  riunirle  definitivamente  in 
una  sola  specie.  Caratteri  della  var.  Lisae  sono:  foglie  più 
larghe  alla  base  e  spore  tutte  o  in  parte  maggiori  di  quelle 
del  tipo.  iSovente,  ma  non  sempre,  ha  pure  foglie  più  brevi 
e  cassule  più  rigonfie.  Tutti  gli  altri  caratteri  distintivi 
esaminati  ad  uno  ad  uno,  non  mi  hanno  offerto  alcon  va- 
lore; basti  citare  fra  quelli  ritenuti  i  più  costanti,  la  di- 
rezione delle  foglie  bagnate  che  credevasi  inarcata  all' in- 
fuori e  che  invece  è  oltremodo  variabile  anche  in  mio 
stesso  cespo.  La  var.  Sardoa  ha  foglie  strette  come  la 
G.  trichophylla  ma  più  corte,  cassula  molle,  piccola,  gonfia, 
spore  grosse,  pelo  delle  foglie  variabile;  si  distingue  dalla 
G.  Miìhlenheckii  pei  cespi  più  radi  e  tenui,  pei  fosti  ordi- 
nariamente lunghi,  come  strozzati  ad  ogni  successiva  in- 
novazione, in  grazia  del  subito  succedere  di  foglie  piccole 
ad  altre  più  grandi.  In  certi  esemplari  tali  differenze  di- 
minuiscono, ed  allora  la  somiglianza  con  quest'ultima 
specie  doventa  grandissima.  Alla  G.  Miììdenbeckii  tipica, 
mancante  nella  provincia  mediterranea,  ma  molto  diflPusa 
nell'  Europa  media  e  del  nord,  ove  conservasi  ben  distinta 
dalla  G.  trichopìnjVa,  può  accordarsi  il  valore  di  sottospecie. 

42.  G.  lencophaea  Grev. 

Monte  Calamita,  sugli  schisti  gneissiformi:  Rio  Alto 
(Marcucci!):  in  tutta  la  cupola  granitica  della  r^^one 
occidentale:  (e.  fr.). 

Gen.  1 8  —  Racomitrium  Brid. 

43.  li.  aciculare  (Linn.)  Brid. 

Presso  la  cima  del  Monte  Capanne,  sul  granito  :  (e.  fr.). 

44.  B.  ìanuginosum  (Dill.;  Hedw.)  Brid. 

S.  Cer])one  (Marcucci!)  e  presso  la  cima  del  Monte  Ca- 
panne, sul  granito:  (sterile). 

(«)  Boulay    Muscin  de  la  Frnnce.  pag.  378-380  (1884). 

(')  Venturi  0  Bottini.  Enumeraz.  critica  dei  muschi  ilalianù  pag.  65-66(1884^. 


RICERCHE  BRIOLOGICHE  NELl'  ISOLA  d'  ELBA  171 

Ho  raccolto  ancora  delle  formo  di  passaggio  al  R.  ca- 
nescens. 

Gen.  1 9  —  Hedwigia  Ehrh. 

45.  H.  ciliata  (Dicks.)  Hedw. 

Presso  la  cima  del  Monte  Capanne,  sul  granito:  (e.  fr.), 

Gen.  20  —  Coscinodon  Spreng. 

46.  (7.  cribrostùs  (Hedw.)  Spruce. 

Alla  Madonna  di  Monserrato,  sulla  diabase:  (e.  fr.). 

Gen.  21  —  Zygodon  Hook,  et  Tayl. 

47.  Z.  viridissimtcs  (Dicks.)  Brid. 

Marina  di  Campo,  alla  base  dei  lecci:  (e.  fr.). 

Gen.  22  —  Orthotrichum  Hedw. 

48.  0.  rupestre  Schleich. 

Raccolto  dal  dott.  Marcucci  alla  cima  del  Monte  Orello, 
sulle  rupi  :  (e.  fr.). 

Le  foglie  constano  di  due  strati  di  cellule  nella  parte 
loro  superiore:  le  cassule  sono  debolmente  striate  e  i 
denti  del  peristoma  non  papillosi  :  mancano  i  cigli.  E  una 
forma  prossima  alla  var.  Sturmii  (H.  et  H.)  Venturi,  Enum. 
critic.  d.  muschi  ital.  pag.  28,  dalla  quale  differisce  per  le 
cassule  oblunghe,  gradatamente  ristrette  fino  al  pedicello, 
anziché  ovato  ed  a  collo  corto.  Corrisponde  all'O.  Stuìmii 
Boulay,  Muscin.  de  la  Franco,  pag.  327  (1884). 

Gen.  23  —  Entosthodon  Schwaegr. 

49.  E,  ericetorum  (Bals.  et  De  Not.)  Schimp. 

Tanto  il  tipo  quanto  la  var.  Notarisii  Schimper,  alle 
Rimesse  lungo  la  via  per  Procchio,  sulla  terra:  (e.  fr.). 
Una  forma  intermedia  alle  precedenti,  nei  castagneti  di 
Marciana,  sul  granito  :  (e:  fr.). 

50.  E.  Templetoni  (Hook.)  Schwaegr. 

Boschi  di  S.  Giovanni,  sulla  diabase  :  alle  falde  del  Monte 
Orello,  sulla  serpentina:  presso  le  Rimesse  lungo  la  via 
di  Procchio,  sul  porfido;  S.  Cerbone  (Marcucci!)  sul  gra- 
nito :  (e.  fr.). 


172  A.  BOTTINI 

(Jen.  21  —  Funaria  Schreb. 

51.  I\  fascicularis  (Dicks.)  Schimp. 

Presso  Longone  sulla  terra  e  nella  Valle  di  S.  Martino 
sul  suolo  porfìrico:  (e.  fi:.). 

52.  F.  calcarea  Wahlenb. 

La  forma  nied  iter  rama  Lindb.,  alla  Madonna    di   Mon- 
serrato,  sulla  diabase:  (e.  fr.).  La  forma  patuln  Br.  eur., 
nei  castagneti  di  Marciana,  sul  terreno  granitico  :  (e.  fr.). 
53-  F.  convexa  R.  Spruce. 

Longone,  sui  muri  terrosi  :  Golfo  di  Portoferrajo  (Mar- 
cucci!)  alle  Panche:  (e.  fr.). 

54.  F.  hygroììietì^a  (Linn.)  Sibth. 

Qua  e  \h  in  tutta  V  Isola  (Marcucci  !  ed  io),  particolar- 
mente sui  terreni  silicei  :  (e.  fr.). 

Gen.  25  —  Leptobrytim  Schimp. 

55.  L.  pyriforme  (Linn.)  Schimp. 

Raccolto  dal  dott.  Marcucci  a  Pomonto  :  (e.  fr.). 

(}en.  26  —  Webera  Hedw. 

56.  W.  carfiea  (Linn.)  Schimp. 

Fosso  di  Rialbano,  su  terreno  quarzoso:  al  Giove  presso 
Rio  Marina,  sulla  terra  impregnata  di  minerali  di  ferro: 
Valle  dei  Molini  sul  Golfo  di  Poi-toferrajo,  nei  coltivati: 
(e.  fr.). 

57.  W.  Toz^ri  (Grev.)  Schimp. 

Pianura  di  PortofeiTajo  sulla  via  per  Procchio:  casta- 
gneti di  Marciana  su  terreno  granitico:  (e.  fr.). 

Gen.  27  —  Bryum  Dillen. 

58.  B.  torqueficens  Br.  eur.;  Bottini,  Contribuz.  alla  Fior,  briol. 

della  Calabria,  pag.  8;  Boulay,  Muscin  de  la  Fi^ance,  pag.  269. 

Comune  in  tutta  l'Isola,  nei  boschetti,  sulla  terra, 
l'arena,  fra  i  sassi,  sopra  tutti  i  terreni:  (e.  fr.). 

La  infiorescenza  di  questa  specie  (0  è  decisamente  pò- 
ligama.  Negli  esemplari  elbani,  tutti  i  fiori  fertili  ed  altri 
giovanissimi  che  proba))ilraente  sarebbero  stati  fecondati, 


RICERCHE  BRIOLOinCHE  NELL^  ISOLA  D*  ELBA  173 

sono  esclusivamente  feminei  :  tutti  i  fiori  sterili  bene  svi- 
luppati sono  ermafroditi. 

59.  B.  murale  Wils. 

S.  Martino  (Marcucci!):  S.  Giovanni  presso  Portoferrajo, 
sui  muri  :  (e.  fr.). 

60.  B.  atropurpureum  Web.  et  Mohr. 

Comune  in  tutta  l'Isola  nei  luoghi  sabbiosi,  ghiajosi, 
raramente  sui  muri,  alla  penombra  dei  boschetti  :  (e.  fr.). 
Più  frequente  della  forma  tipica  è  la  forma  dolioloides 
Solm.-Laub.  Tentam.  Bryo-geogr.  Algar.  pag.  37.  Esiste 
anche  nell'erbario  Marcucci. 

Tra  le  piante  normali,  se  ne  trovano  talune  con  pedi- 
celli lunghissimi. 

61.  5.  alpimim  Huds.;  Linn. 

forma  «  typica  Linn.;  Boulay,  Muscin  de  la  France, 
pag.  252. 

forma  p  meridionalis  Schimp.  Syn.  ed.  Il,  pag.  441.  — 
forma  angustifolia  Boulay,  1.  e. 

forma  y  mediterranea  Boulay,  1.  e. 

forma  8  gemmipara  (De  Not.)  Boulay,  1.  e.  —  B.  gem- 
miparum  De  Not.  Epil.  pag.  406. 

La  forma  a  lungo  il  Rio  di  Bagnaja  (Marcucci!)  e  sopra 
Pomonte  e  nei  castagneti  di  Marciana,  sul  granito:  (e.  fr.). 
La  forma  p  lungo  i  Fossi  di  Fosco  e  del  Pentimento  nel 
Monte  Calamita,  sugli  schisti  gneissiformi:  (sterile).  La 
forma  t  qua  e  Ih  in  tutta  l' Isola,  sui  terreni  silicei  :  (sterile). 
La  forma  8  a  Rio  (Marcucci  !)  alle  miniere  di  ferro:  (sterile). 

Come  giustamente  osserva  il  Boulay,  le  innumerevoli 
gradazioni  esistenti  fra  queste  varie  forme,  ci  obbligano 
a  considerare  il  B.  gemmiparum  come  uno  stato  partico- 
lare del  B.  alpinum.  La  vera  forma  gemmipara  (De  Not. 
1.  e.)  che  ha  ^  folla  patula,  flaccida,  ovata,  parabolice  ad 
apicem  angustata,  vix  acuta,  concava, ....;,  è  piuttosto 
rara,  e  secondo  Schimper  {})  e  Juratzka  (^)  vivrebbe  sui 
terreni  calcarei,  a  diflferenza  della  forma  a  che  è  decisa- 
mente silicicola.  Io  r  ho  sempre  rinvenuta  in  Toscana  sui 


(0  Schimper.  Syn,  ed.  II,  pag.  443. 

(*)  Juratzka.  Laubmoosfl,  v,  Oesterr-Ung.  pag.  277. 


174  A.  Bori'iNi 

terreni  silicei,  però  non  del  tutto  privi  di  calcare,  come 
ini  sono  assicurato  saggiando  la  terra  che  imbrattava  i 
cespi.  Sarebbe  forse  V  azione  chimica  del  calcare,  od  an- 
che quella  meccanica  delle  materie  incrostanti,  sempre 
abbondantissime,  che  determina  lo  sviluppo  della  forma 
gemmipara  ?  Gli  esemplari  da  me  pubblicati  nell'  Erbario 
Crittogamico  Italiano,  Serie  II,  N.*'  1309  spettano  parte 
alla  forma  7,  parte  alla  forma  8,  ambedue  bulbillifere. 
62.-6.  caespiticium  Linn. 

Lungo  il  Rio  di  Ortano,  sul  calcare  cavernoso:  (sterile), 

63.  B.  capillare  Linn.;  Boulay,  Muscin  de  la  France,  pag.  262. 

La  var.  vidgare  Boulay,  a  Rialbano  ed  al  Campo  della 
Valle,  su  terreno  quarzoso  e  la  diabase  :  Rimercajo  (Mar- 
cucci!):  Valle  di  Marciana,  alla  base  dei  castagni:  (e.  &.)• 
Una  bella  forma  avente  il  sistema  vegetativo  della  var. 
flaccidum  Schimp..  e  le  cassule  del  B.  torquescens,  nella 
Valle  di  Marciana,  sul  terreno  granitico:  (e.  fr.  etpl.  ?). 

64.  B.  Donii  Grev. 

Monte  Calamita,  sugli  schisti  gneissoidi:  Longone,  sulla 
terra:  Valle  di  Marciana,  sul  granito:  (e.  fr.). 

Le  spore  non  somministrano  un  buon  carattere  per  di- 
stinguere questa  specie  dal  B.  capillare,  poiché  in  que- 
st'ultimo non  sempre  sono  punteggiate,  ma  alle  volte  si 
presentano  liscie  alla  superficie  come  nel  B.  Donii. 

65.  B.  pseudotriqmtrum  (Hedw.)  Schwaegr. 

Madonna  di  Monserrato,  sulla  diabase:  Valle  di  Fatresi 
(Marcucci!)  su  terreno  granitico:  (p.  ^). 

Gen.  28  —  Mnium  Linn. 

66.  M.  undidatimi  Linn. 

Qua  e  là  sulla  terra  e  le  pietre  particolarmente  silicee 
ed  ombreggiate  in  tutta  l'Isola:  (e.  fr.). 

67.  M.  punctatum  (Linn.)  Hedw. 

S.  Cerbone  (Marcucci!)  su  terreno  granitico:  (e,  fr.). 

Gen.  29  —  Bartramia  Hedw. 

68.  B.  stricta  Brid. 

Comune  sui  terreni  silicei,  anche  mineralizzati,  di  tutta 
r  Isola:  (e.  fr.).  Esiste  pure  nell'  erbario  Marcucci. 

69.  B.  pomiformis  (Linn.)  Hedw. 


s 


RICERCHE  BRIOLOOICHE  NELL^  ISOLA  D^  ELBA  1 76 

Presso  le  Rimesse  lungo  la  via  per  Procchio  :  Valle  di 
Pomonte,  sul  granito:  (e.  fr.). 

Gen.  30  —  Philonotis  Brid. 

70.  Ph.  fontana  (Linn.)  Brid. 

var.  gracilescens  Schimp.  in  Husnot,  Muso.  Gali,  n.*'  530; 
Rev.  Bryol.  pag.  21  (1875);  Boulay,  Muscin.  de  la  France, 
pag.  215. 

forma  major  Boulay,  1.  e. 

forma  minor  Boulay,  1.  e. 

H  tipo  a  S.  Gerbone  (Marcucci!)  sul  granito:  (e.  fr.).  Una 
forma  di  passaggio  alla  var.  gracilescens  sugli  schisti  gneis- 
soidi  del  Monte  Calamita:  (sterile).  La  forma  major  lungo 
il  Fosso  di  Rialbano  e  nella  Valle  di  Pomonte,  su  terreno 
quarzoso  e  granitico:  la  forma  minor  presso  le  Rimesse 
lungo  la  via  di  Procchio:  (pi.  f/). 

Gen.  31  —  Pogonatum  Pai.  Beauv. 

71.  P.  aloides  (Hedw.)  Pai.  Beauv. 

Castagneti  di  Marciana,  su  terreno  granitico:  (e.  fr.). 

Gen.  32  —  Polytrichum  Dillen. 

72.  P.  piliferum  Schreb. 

Monte  Capanne,  tanto  dal  lato  di  Pomonte  quanto  da 
quello  di  Marciana,  sul  granito:  (e.  fr.). 

73.  P,  juniperinum  Wild. 

Valle  di  Marciana  (Marcucci!  ed  io)  sul  granito:  (e.  fr.). 


Pleurocarpi 

Gen.  33  —  Fontinalis  Dillen. 

74.  F.  antipyretica  Linn, 

Lungo  le  acque  correnti  sul  granito,  nei  castagneti  di 

Marciana:  (sterile). 

Gen.  34  —  Leptodon  Mohr. 

75.  L,  Smitìiii  (Dicks.)  Mohr. 

Castagneti  di  Marciana,  sul  granito:  (sterile). 


176  !•  Bórmn 

Gen.  35  —  Homalia  Brid. 

76.  //.  lusitanica  Schiinp. 

Siti  umidi  ed  ombreggiati.  Lungo  il  Fosso  di  Rìalbano, 
sulle  puddinghe  quarzose:  Valle  di  S.  Martino,  sul  j)orfido: 
Valle  di  Marciana  sulla  volta  murata  di  un  molino  spruz- 
zata dalle  acque:  (sterile,  ma  abbondante  e  stupendamente 
sviluppata) . 

Gen.  36  —  Leucodon  Schwaegr. 

77.  L,  sciìiroides  (Limi.)  Schwaegr. 

La  forma  morensi^  (Schleich.)  De  Not.,  nella  Valle  di 
Marciana  sui  castagni:  (e.  ir.  incipienti). 

Gen.  37  —  Pterogonium  Swartz. 

78.  1\  gracile  Swartz. 

Comune  sulle  roccie  silicee  in  tutta  V  Isola:  (e.  fr.);  al 
Giove  presso  Rio  Marina  sulla  terra  impregnata  di  mi- 
nerali di  ferro:  Valle  di  Ortano  sul  calcare  cavernoso: 
(sterile).  Esiste  anche  nell'  erbario  Marcucci. 

Varia  molto  per  la  compattezza  dei  cespi,  la  direzione 
e  grandezza  dei  rami  e  le  dimensioni  delle  foglie.  Come 
casi  estremi  citerò  due  forme,  una  simulante  il  Pterigy- 
nandrum  fiUfornie  e  l'altra  lo  SderopodiHm  Ulecebrum,  È 
pure  da  notare  come  in  tutti  gli  esemplari  elbani,  V  an- 
golo superiore  della  parete  di  parecchie  cellule  foliari, 
presenta  una  rimarchevole  sporgenza  sul  piano  della  lar 
mina,  a  modo  di  papilla. 

Gen.  38  —  Antitrichia  Brid. 

79.  A.  curtipendìda  (Limi.)  Brid.;  Schimp.  S>ii.  ed.  Il,  pag.  576. 

S.  Gerbone  (Marcucci  !)  :  presso  la  cima  del  Monte  Ca- 
panne sul  gl'ani to:  (pi.  ?  e  sterili). 

Dei  miei  esemplari  alcuni  convengono  colla  descrizione 
data  da  Schimper  per  la  var.  gigantea  SuU.  et  Lesq.  ;  gli 
altri  spettano  ad  una  forma  anomala,  con  foglie  strette 
e  lungamente  acuminate,  nmnite  in  alto  di  denti  robu- 
stissimi, uncinati. 

Gen.  39  —  Isothecium  Brid. 

80.  1.  myiinim  (Pollich.)  Brid. 


RICERCHE  BRIOLOOICHE  NELL*  ISOLA  D^  ELBl  177 

La  forma  tìpica  nei  castagneti  di  Marciana^  su  terreno 
granitico:  (sterile). 

Gen.  40  — |Homalothecium  Br.  eur. 

81.  H.  sericeum  (Linn.)  Br.  eur. 

Valli  di  Pomonte  e  di ,  Marciana,  sul  granito  e  sui  ca- 
stagni: (e.  fr.). 
Le  cassule  sono  leggermente  inarcate. 

Gen.  41  —  Camptothecium  Schimp. 

82.  C.  aureum  (Lag.)  Schimp. 

Rio  Alto  e  le  Trane,  sulla  terra:  presso  la  cima  del 
Monte  Capanne  sul  granito  :  (pi.  ?  e  sterili). 

Gen.  42  —  Brachythecium  Br.  eur. 

83.  B.  albicans  (Neck.)  Br.  eur.;  De  Not.  Epil.  pag.  116. 

La  var.  alpinum  De  Not.,  presso  la  cima  del  Monte 
Capanne,  sul  granito:  (sterile). 

84.  J5.  rutabulum  (Linn.)  Br.  eur.;  Vent.  et  Bott.  Enum.  critic. 

dei  muschi  italiani,  pag.  8. 

Comune  nella  parte  orientale  e  centrale  dell'  Isola,  sulla 
terra  specialmente  silicea:  (e.  fr.).  La  var.  opwanwm  Bot- 
tini, 1.  e,  è  pure  comune:  (e.  fr.). 

85.  B.  rivulare  (Bruch)  Br.  eur. 

Valle  di  S.  Martino  sul  porfido  e  Valle  di  Marciana  sul 
granito,  lungo  le  acque:  (e.  fr.). 

Gen.  43  —  Scleropodium  Schimp. 

86.  S.  illecebrum  (Schwaegr.)  Br.  eur. 

Molto  comune  sui  terreni  prevalentemente  silicei  anche 
mineralizzati  di  tutta  l'Isola:  (e. fr.).  Esiste  pure  nell'er- 
bario Marcucci. 

Variabile  oltremodo  nelle  dimensioni  dei  fiisti,  nella 
disposizione,  lunghezza  e  direzione  dei  rami,  ed  anche 
nella  forma  e  direzione  delle  foglie.  Talvolta  simula  lo  Scle- 
ropodium caespitosum,  tal  altra  V  Eurhynchium  meridionale. 

Gen.  44  —  Eurliyncliium  Schimp. 

87.  E.  myosuroides  (Linn.)  Schimp. 

Presso  Rio  (Marcucci  !):  Fosso  di  Rialbano,  sul  terreno 

8e.  Nat.  Voi  Vm,  £aao.  l.«  18 


178  A.  BOTTINI 

quarzoso  :  boschi  di  S.  ^jio vanni,  sulla  diabase  :  sopra  Mar- 
ciana Castello^  sul  granito:  (e.  ir.). 

88.  E.  circiììatum  (Bridj  Br.  eur. 

Comune  sulla  terra  e  le  rupi  specialmente  silicee  di 
tutta  risola:  (e.  fr.j.  Esiste  anche  nell' erbario  ^larcaccL 

Varia  molto  per  le  dimensioni  e  compattezza  dei  ce^i, 
nonché  per  la  grandezza  e  la  direzione  dei  rami.  Ho  rac- 
colto una  curiosa  forma  attenuata,  simulante  a  prima 
vista  le  varietà  più  minute  della  Philonotis  fontana. 

89.  E.  meridioìujle  De  Xot.  in  Picc. 

Fosso  di  Rialbano,  sul  terreno  quarzoso:  (sterile). 

90.  E.  crassinervium  (Tayl.)  Shimp. 

Valle  di  Marciana,  sul  granito:  (sterile). 

91.  £.  praelongum  Schimp. 

«Sulla  terra  e  le  rupi  silicee  ombrellate  in  tutta  V  Isola 
(Marcucci!  ed  ioj,  ma  di  rado  fertile.  Comune  specialmente 
la  var.  SuaìiziUTum.)  Auct..  La  forma  hians  (Hypmtm 
hians  Hedw.;  Lindb.  Muse.  Scand.  pag.  34,  n."*  73),  lungo 
il  Fosso  di  Kialbano  :  (sterile).  Due  forme  anomale  non 
descritte  nelle  Flore,  alle  Rimesse  sulla  via  di  Procchio, 
e  nella  Valle  di  Marciana:  (sterili). 

92.  E.  Stokesii  (Tum.)  Br.  eur. 

Sulla  terra  e  le  rupi  silicee  nei  boschi  di  quasi  tutta 
r  Isola  :  (e.  fr.j.  Una  forma  flaccida,  attenuata,  nei  casta- 
gneti di  ^larciana,  su  terreno  granitico. 

Gen.  45  —  Raphidostegium  De  Not. 

93.  i?.  WeUcitschìi  Schimp.  S™.  ed.  II,  pag.  679  {Rhynchostegium). 

Boschi  sempre  verdi  di  S.  Giovanni  presso  Portoferrajo, 
sugli  alberi  :  (e.  fr.j. 

I  miei  esemplari  sono  stati  esaminati  dall'  amico  Renauld. 
Questa  bella  specie  era  nota  in  Europa  solo  del  Porto- 
gallo. Trovasi  anche  a  Madera,  a  Teneriffa  ed  in  Algeria. 

Gen.  46  —  Rliynchostegium  Schimp. 

94.  R.  teneUum  (Dicks.)  Br.  eur.;  Bescherelle,  Catal.  des  mousses 

ol)serv.  en  Algerie,  pag.  38. 

La  forma  tipica  nella  Valle  di  S.  Martino,  sul  porfido: 
(e.  fr.).  La  forma  meridionale  Boulay,  Bescher.  1.  e,  nei  ca- 


RICERCHE  BRIOLOQICHE  NELL^  ISOLA  D^ELBl  17d 

stagneti  di  Marciana,  sul  granito  :  (  e.  fr.  ).   A  Mangani 
(Mar  cucci!). 

95.  E.  curvisetum  (Brid.)  fichimp. 

Comune  sulle  pietre  e  le  rupi  silicee  particolarmente 
air  ombra  dei  boschi,  in  quasi  tutta  V  Isola  :  (e.  fi:.). 

Varia  per  la  colorazione  dal  verde  cupo  al  verde  chiaro 
giallastro,  generalmente  appannato,  ma  per  eccezione  lu- 
cente come  nel  E.  tenellum. 

96.  E.  confertum  (Dicks.)  Br.  eur.;  Schimp.  Syn.  ed.  Il,  pag.  684. 

Fosso  di  Rialbano,  Piano   di  Portoferrajo,   Marina   di 
•  Campo,  Valle  di  Marciana,  sulle  pietre  silicee,  V  arena  ed 
i  muri:  (e.  fi:.).  La  forma  minutula  Schimp.  1.  e,  nella  Valle 
di  S.  Martino,  sulle  pietre  :  (e.  fi:.). 

Sovente  i  pedicelli  sono  torti  a  destra  (di  chi  guarda) 
di  cima  in  fondo  ;  oppure  torti  in  alto  e  diritti  o  flessuosi 
in  basso. 
•97.  E.  tnegapolitanum  (Bland.)   Br.  eur.;   Boulay,  Muscin  de  la 
Franco,  pag.  95. 

La  var.  meridionale  Schunp. ,  Boulay,  1.  e,  molto  comune 
sulla  terra  sabbiosa  prevalentemente  silicea,  nei  pascoli 
magri,  sotto  gli  alberi:  (e.  fi:,  abbondanti).  Rara  la  forma 
detta  impropriamente  tipica  e  quelle  di  passaggio. 

Si  trovano  dei  pedicelli  della  lunghezza  di  4  centimetri. 

98.  E.  riisciforme  (Neck.)  Br.  eur. 

Comune  sui  sassi  e  le  rupi  silicee  anche  mineralizzate 
lungo  i  ruscelli  dell'Isola:  (e.  fi:,  scarsi).  La  var.  inundatum 
Br.  eur.,  lungo  il  Fosso  di  Rialbano.  La  var.  prolixum 
Br.  eur.,  nella  Valle  di  S.  Martino.  Esiste  anche  nell'  er- 
bario Marcucci. 

Gen.  47  —  Thamnium  Br.  eur. 

99.  T.  alopecurtim  (Linn.)  Br.  eur. 

Qua  e  Ik  in  tutta  l'Isola,  sulle  pietre  silicee  ombreg- 
giate, lungo  le  acque  :  (sterile).  Esiste  anche  nell'  erbario 
Marcucci. 

Gen.  48  —  Hypnum  Dillen 

100.  H.  chrysophyllum  Brid;  Schimp.  Syn.  ed.  Il,  pag.  724. 

La  var.  tenellum  Schimp.,  1.  e,  alle  Trane  sul  Gk)lfo  di 
Portoferrajo,  sopra  il  margine  dei  campi:  (sterile). 


ISO  A.  Bomn 

101.  H.  rupre^nform^  Linn. 

Comune  da  per  tutto,  su  tutti  i  terreni:  le.  fr.l.  La 
uncinahdioii  Br.  eur..  nelle  Valli  di  Pomonte  e  di  Marciana. 
La  var.  ^rir^orum  Br.  eur..  alle  Rimesse  lungo  la  Tia  di 
Proc<;hio  e  sopra  Marciana  Cartello.  La  var.  elatum  Br.  eor., 
nella  Valle  di  Pomonte.  Elsiste  anche  nell'erbario  MarcaocL 

102.  lì.  cwfpidatum  Linn. 

Lungo  il  Fosro  di  Kialbano  sul  terreno  quarzoso  e  5<^ia 
8.  Giovanni  presso  Portot'errajo  su  terreno  diabasico  umi- 
do: rsterilei. 

1 03.  //.  purum  Linn. 

In  quasi  tutta  l'Isola,  nei  boschi,  nei  luoghi  ombreg- 
giati, srjpra  ogni  terreno:  (sterile t.  Esiste  anche  nell^  er- 
bario Marcucci. 

Gen.  19  —  Hylocomium  Schimp. 

104.  //.  triquetrum  CLinn.)  Br.  eur. 

8.  Cerlx/ne  TMarcucci!)  e  sopra  Marciana  Castello,  sol 
granito:  (sterile). 

105.  //.  loreum  (Linn.)  Br.  eur. 

S.  Cerl^Kine  (Marcucci!)  e  sopra  Marciana  Castello,  sol 
granito:  (sterile). 


Il  FISSIDENS  SERRULATIJS  Bridel 

LE  SUE  FORME  E  LA  SUA  DIFFUSIONE 


PAETE   PRIMA 

Le  foiint  del  FissideM  serririatus 

Scoperto  il  Fissidens  serridatm  nelV  Isola  di  Teneriffa(^), 
questo  bel  musco  venne  swccessiraimente^  ^legnalato  anche'  in 
varie  parti  di  Europa  e  come  tató  desc^ritto  in  diverse  Flore  (^)  ; 
se  non  che  intomo  ai  caratteri  della  specie  ha  regnato  e  regna 
tuttora  fra  i  briologi  il  più  gràtó  disparere.  Ed  infatti  il  Fis- 
sidens polyphyllus  creato  da  Wilson  (^)  e  da  lui  in  seguito  ab- 
bandonato (^),  quindi  nuovamente  adottato  dalla  generalità,  degli 
autori  anche  i  più  recenti  (^),  viene  ora  ritenuto  dal  prof. 
Boulay  (^)  come  varietà  boreale  del  Fissidens  serrulatus,  la  quale 
si  collegherebbe  al  tipo,  mediante  quella  pianta  dei  Pirenei  che 
egli  chiama  Fissidens  serrtdatus  forma  pyr&naica.  H  Fissidens 
Langei  di  De  Notaris  C) ,  che  in  tutte  le  opere  posteriori  al- 
l' „  Epilogo  „  figura  fra  i  sinonimi  del  Fissidens  serrulatus,  ha 
trovato  testé  un  sostenitore  àutoi'evole  nel  sig.  Mitten  (^),  il 
quale  asserisce  che  il  vero  fissidens  sèrndcdus  Brideì,  non  è 
stato  rinvenuto  fuori  delle  Isole  Atlantóché,  e  che  tutto  ciò  che 

(1)  Bridel.  Spedes  Muscorum  I,  pag*.  170  (1S06);  Menu,  Muse  pag.  190(1819) 
et  Bryol.  untv.  Il,  pag.  704  (1827). 

(*)  Schimper.  Brt/oL  eur.  VI,  Suppl.  T.  3  (1851);-  St/nopsis,  pag.  107  C1860); 
Si/n.  ed,  II,  pag.  117  (1876).  —  Braithwaite.  Èritish  Moss-Flora,  pag.  75  (1881).  — 
Boulay.  Muscinées  de  la  France  (Mòusses),  pag.  523  (1884). 

(3)  Wilson.  In  Ut,  Bnuch  et  Schimp.  Brya.  eur.  VI,  Mon.  Suppl.  T.  Ili,  (1851). 

O  Wilson.  Bryologia  Britannica,  pag.  306,  t.  53  (1855). 

(^)  Schimper.  Syn.  pag.  109  (1860);  Syn.  ed.  II,  pag.  121  (1876).  —Braithwaite. 
1.  e.  pag.  79.  —  Boulay.  l.  e.  pag.  522. 

(®)  Boulay.  Revue  Bryologique^  12.*  année,  pag.  50  (1885). 

f)  De  Notaris.  Epilogo  della  Briologia  Italiana,  pag.  479  (1869). 

(*)  Mitten  W.  Notes  on  the  European  and  North-American  Spedes  of  Mosses 
of  the  Genus  Fissidens.  (Read  19  th  Pébruary,  1885.  —  The  loum,  of  the  Linn^ 
Soc.-Botanif,  Voi.  XXI,  pag.  550-560,  1886). 


182  A.  BOTTINI 

in  Europa  vien  preso  per  tale,  spetta  invece  al  Fissidens  Lan- 
gei  De  Notaris,  per  lui  specificamente  distinto.  Il  Fissidens 
Welmtschii  Schimper  (^),  non  è  ammesso  dal  sig.  Braithwaite  (*) 
che  lo  riunisce  al  Fissideìis  polyphylltis.  Finalmente  una  varietà 
„  africanus  „  del  Fissidens  serruluttis  è  stata  descritta  dal  «ig. 
Bescherelle  (^). 

Se  poi  ci  facciamo  a  esaminare  nei  varii  autori  le  descri- 
zioni del  Fissidens  serrulatus,  troviamo  (lasciata  da  parte  quella 
di  Bridel,  perchè  troppo  incompleta)  le  seguenti  divergenze: 
De  Notaris  (^)  dice  che  ha  foglie  marginate  e  liscie  e  che  per 
quest'  ultimo  carattere  si  distingue  dal  suo  Fissidens  Langei  che 
ha  foglie  fortemente  papillose.  Anche  per  Schimper  (^)  \p  foglie 
sono  marginate,  ma  la  superficie  loro  anziché  liscia  è  «  leniter 
submammillosa  „ .  D  sig.  Mitten  (^)  delle  papille  non  parla,  però 
ci  fa  sapere  che  le  foglie  sono  sprovviste  di  margine,  e  che 
quelle  del  Fissidens  Langei  hanno  dovunque  un  margine  colo- 
rato distinto. 

In  tanta  varietà,  di  asserzioni,  mi  è  parso  utile  prendere  a 
studiare  questo  soggetto,  approfittando  a  tale  uopo  del  mio  fer 
vorevole  soggiorno  in  Pisa,  cioè  in  prossimità,  di  quei  luoghi 
ove  il  Fissideyis  serrtdaUis  cresce  in  quantità,  e  bellezza  vera- 
mente  prodigiosa.  E  alla  base  di  tutto  il  Monte  Pisano,  delle 
Alpi  Apuane  e  nell'Isola  d'Elba  che  ho  raccolto  un  copiosis- 
simo materiale  per  questo  studio.  11  prof.  Pirotta  ha  gentil- 
mente messo  a  mia  disposizione  gli  esemplari  dell'  erbario  De 
Notaris,  consistenti  in  tre  campioni  autentici  di  Fissidens  Langei 
di  Toscana  e  della  Liguria,  e  tre  di  Fissidens  sen-ulnttis  delle 
Canarie.  Oltre  a  ciò  ho  fatto  tesoro  di  una  importante  colle- 
zione del  mio  erbario,  dovuta  alla  liberalità,  dei  miei  corrispon- 
denti, composta  di  campioni  di  Fissidens  serrulatus  di  TenerifFa 
e  di  Portogallo:  di  Fissidens  serrulatus  verus  (sec.  Mitten)  di 
Teneriffa:  di  Fissidens  serrulatus  var.  africanus  di  Algeria:  di 
Fissidens  serrulatus  forma  pyrenaica  dei  Pirenei  Baschi:  di  Fis- 


(»)  Schimper.  Syn,  ed.  II,  pag.  120  (1876;. 

(«)  Braithwaite.  British  Moss'-Flora,  pag.  79  (1881). 

(3)  Bescherelle.  Catalogne  des  Mousses  observées  efi  Algerie,  pag.  7  (1882). 

(«}  De  Notaris.  1.  e.  pag.  479. 

(*)  Schimper.  St/n.  ed.  II,  pag.  118  (187fi) . 

(®;  Mitten.  1.  e.  pag.  559. 


NOTA  SUL  FISSIDKNS  SERRULATUS  183 

sidens  polyphyllus  del  Dipartimento  di*  Finistère  e  della  Como- 
vaglia:  di  Fissidens  Wehcitschii  di  Fanzerez  presso  Oporto. 

Sarebbe  superfluo  riportare  ad  una  ad  una  tutte  le  detta- 
gliate e  minute  osservazioni  da  me  fatte  sopra  un  numero  molto 
grande  di  esemplari  ;  esporrò  soltanto  i  risultati  generali,  inco- 
minciando dalle  piante  nostrali,  che  mi  hanno  joflferto  più  vasto 
campo  di  studio. 

Fissidens  serrulatus.  —  Monte  Pisano,  Alpi  Apuane, 
Isola  d'Elba. 

Cespi  mediocri,  più  spesso  grandi  o  grandissimi,  più  o  meno 
compatti  o  radi.  Fusti  semplici  o  poco  ramosi,  raramente  bene 
ramificati,  innovanti  sotto  V  apice  o  più  in  basso,  generalmente 
robusti,  ma  varianti  in  altezza  da  1  a  10  centimetri,  comprese 
le  innovazioni  successive.  Foglie  di  un  bel  verde  chiaro,  pas- 
sante alle  volte  al  verde  oliva  scuro,  esattamente  distese  in  un 
sol  piano  come  le  barbe  di  una  penna,  o  più  o  meno  falcate 
ed  incurvate,  sia  tutte  da  un  lato,  sia  rispettivamente  verso 
r  asse  che  le  porta:  generalmente  grandi,  però  molto  variabili 
per  le  dimensioni  da  pianta  a  pianta  e  su  di  uno  stesso  fusto, 
ove  s' interpolano  non  di  rado  foglie  di  mm.  7  o  6,5  di  lunghezza 
per  mm.  1,25  di  larghezza,  con  altre  di  mm.  3  per  mm.  0,7: 
variabile  pure  non  poco  il  rapporto  della  lunghezza  alla  lar- 
ghezza, combinandosi  in  differenti  maniere  i  valori  estremi  sopra 
indicati:  talvolta  più  uniformi.  Margine  foliare  ben  distinto, 
costituito  dalle  4  o  6  serie  di  cellule  più  esteme,  poco  differenti 
di  forma  dalle  inteme,  ma  alquanto  più  grandi  e  con  pareti 
due  o  tre  volte  più  grosse,  che  col  loro  forte  potere  refrangente, 
danno  al  contorno  del  lembo  una  chiarezza  ed  una  lucentezza 
speciale;  raramente  il  margine  è  colorato  in  giallastro;  d'or- 
dinario scarseggia  o  manca  di  pigmenti,  anche  di  clorofilla. 
Negli  esemplari  elbani  ho  osservato  alcune  foglie  con  margine 
poco  distinto.  Per  la  consistenza  possono  le  foglie  essere  molli 
e  flessibili,  o  rigide  sicché  si  spezzano  anziché  lasciarsi  piegare. 
La  loro  superficie  è  fortemente  papillosa  per  la  sporgenza  co- 
nica molto  elevata  delle  cellule  sopra  il  piano  del  lembo.  Per 
vedere  le  papille  distintamente,  bisogna  piegare  la  foglia;  allora 
sulla  piegatura  si  rendono  visibilissime  al  microscopio;  sulle 
foglie  stese  non  si  possono  apprezzare.  Come  eccezione  si  ri- 


184  A.  Boirixi 

scontrano  esemplari  con  foglie  meno  ed  anche  quasi  nalla  par 
pillose.  Il  lembo  è  assai  bruscamente  contratto  alla  sominità 
e  terminato  da  un  acume  corto,  fortemente  ed  ìnegaalmente 
dentato  x)  inciso-dentato:  qualche  volta  Ja  dentatura  è  meno 
robusta,  ed  allora  il -lembo  si  attenua  a  poco  a  poco  fino  al- 
l' apice^  o  per  lo  meno  finisce  in  un  acume  più  lungo  e  grada- 
tamente assottigliato.  La  lamina  dorsale  (lamina  inferiore  di 
Lindberg)  presenta  due  forme  differenti,  rarissimo  essendo  il 
caso  che  in  tutte  le  foglie  di  una  pianta  termini  subitamente 
in  una  orecchietta  arrotondata:  quasi  sempre  in  molte  foglie 
si  assottiglia  a  poco  a  poco,  per  terminare  in  punta  alla*  base. 
Fiori  d^  su  piante  distinte,  molto  rari  (^),  ascellari  e  terminali, 
quest'  ultimi  più  grandi.  Foglie  involucrali  2-3-t,  le  esteme  ge- 
neralmente simili  alle  foglie  ordinarie,  ma  con  lamina  dorsale 
sempre  attenuata  in  punta  alla  base  e  alquanto  più  corta:  le 
inteme  a  lamina  vaginante  grande,  aperta,  ampiamente  con- 
cava, sormontata  da  ima  lamina  verticale  lanceolata,  più  o 
-meno  lunga,  che  a  volte  decorre  sul  dorso  della  lamina  vagi- 
nante: contenenti  nel  loro  intemo  dei  grossi  anteridii  oblungo- 
cilindrici,  scarsi  nei  piccoli  fiori  ascellari,  numerosi  (fino  a  35) 
nei  grossi  fiori  terminali.  Parafisi  poclie,  lineari.  Fiori  9  molto 
numerosi,  terminali  del  fusto,  più  di  rado  anche  terminali  dei 
grossi  rami,  subterminali  e  laterali,  cioè  situati  all'apice  di 
brevissimi  rametti  radicanti  posti  nelle  ascelle  delle  foglie.  (Con- 
viene notare  che  non  ostante  tale  variabilità  di  collocamento, 
i  fiori  terminali  sono  di  gran  lunga  i  più  numerosi  e  che  non 
ho  mai  trovate^  un  sol  caso  di  piante  ?,  in  cui  fra  i  varii  fiori, 
mancasse  quello  terminale  del  fusto.  A  volte  alla  sommità  di 
questo,  entro  alle  foglie  apicali,  si  rinvengono  due  fiori  ?  ben 
distinti  per  foglie  involucrali  proprie  e  per  avere  uno  di  essi 
un  peduncoletto  speciale.  Foglie  involucrali  poche  :  talora  2  sole, 
talora  fino  a  5,  le  esterne  e  le  inteme  simili  alle  corrispon- 
denti dei  fiori  </ .  Archegonii  poclii  o  molti.  Parafisi  pochissime, 
situate  spesso  all'  esterno  delle  foglio  involucrali  intime.  Frut- 
tificazione terminale:  raramente  laterale,  nel  qual  caso  mi  è 
stato  facile  scoprire  sempre  all'  apice  del  fusto  una  vecchia  va- 

(<)  Schimper  (Syn,  ed.  II,  pag.  117)  dice  che  i  fiori  r/  sono  numerosissimi. — 
Dell'Inghilterra  si  conoscono  solo  piante  ifterili  o  maschili  (Braithwaite.  Brit,  Mos»~ 
Floray  pag.  76). 


NOTA  SUL  nSSroENS  SERRULATUS  185 

ginula  o  per  lo  meno  un  fiore  ?.  Le  piante  fruttifere  non  sono 
mai  delle  più  grandi.  Perichezio  costituito  da  2  a  6  foglie,  si- 
mili alle  foglie  involucrali.  Pedicelli  solitarii  (raramente  due 
ad  egual  grado  di  sviluppo  entro  alle  medesime  foglie  periche- 
ziali)  lunghi  da  7  a  12nun.,  rosso  cupi  o  rossicci,  solidi,  rara- 
mente diritti,  sovente  flessuosi,  a  collo  di  cigno  b  curvati  ad 
arco  alla  sonunità.  Cassule  solide,  rosso  cupe,  fulvo  brune,  fulve, 
quasi  erette  o  più  spesso  patenti,  orizzontali  ed  anche  pendenti, 
simmetriche  (cilindriche,  cilindrico-obconiche,  fusiformi-ovali  (^), 
ristrette  o  no  sotto  l'apertura)  od  asimmetriche  leggermente 
inarcate.  Opercolo  con  rostro  retto,  lesiniforme,  a  volte  lungo 
quanto  Turna,  ma  generalmente  più  breve.  Cuffia  conica  (^), 
simmetrica,  regolarmente  divisa  alla  base  da  quattro  o  cinque 
fenditure,  non  discendente  al  disotto  dell'opercolo.  Denti  del 
peristoma  grandi,  solidi,  rosso  vivaci,  passanti  ad  un  colore  più 
pallido  verso  V  apice,  divisi  fino  presso  ed  oltre  la  metà  in  due 
e  talvolta  in  tre  rami  più  o  meno  eguali  molto  appuntati  e 
nodulosi;  in  tali  rami,  i  più  sviluppati  dei  quali  constano  ezian- 
dio di  42  articoli  sovrapposti,  sono  sempre  distintissime  le  strie 
verticali  notate  dal  prof.  Philibert  (^)  :  sono  anzi  prominenti  a 
foggia  di  deboli  costole,  alternate  da  leggiere  solcature,  ove  la 
sostanza  amorfa  che  le  costituisce  è  oltremodo  sottile  e  tra- 
sparente. Nella  porzione  inferiore  indivisa  dei  denti,  lo  strato 
interno  è  costituito  da  articoli  trapezoidali,  robusti,  inegual- 
mente larghi  ma  egualmente  alti,  disposti  in  due  od  in  tre  serie 
verticali  parallele  (*),  Lo  strato  esterno  consta  di  placche  sot- 
tili, rettangolari,  alte  solo  la  metà  degli  articoli  intemi,  larghe 
quanto  tutto  il  dente,  quindi  formanti  una  sola  serie  verticale, 
costituita  nei  denti  robusti  fino  da  32  placche  sovrapposte  :  tali 
placche  sono  ricoperte  da  papille  irregolarmente  disposte,  con 
rare  tracce  di  strie:  raramente  queste  ultime  rimpiazzano  le 
papille.  Lo  strato  estemo  è  più  largo  delV  intemo,  sul  quale 
sopravanza  lateralmente  con  un  margine  che  dal  colore  arancio 

(')  Come  nella  figura  del  sig.  Braithwaite.  1.  cit.  Tav.  XI,  Fig.  C. 

(*)  Schimper  ijivece  (Syn  ed.  II,  pag.  1 17)  ha  trovato  cuffie  a  cappuccio  «calyptra 
cuculiata».  Io  ne  ho  vedute  solo  tre,  tutte  della  forma  sopra  indicata. 

(3)  Philibert.  De  Cimportance  du  péristome  pour  les  afpnités  naturelles  des 
mousses.  !2.®  Artide  (Revue  Bryologique,  année~1884,  pag.  65  et  suivantes). 

{*)  L'e8<^re  tre  anziché  due  le  serie  degli  articoli,  sembra  un  latto  raro,  notato 
per  altro  dal  prof.  Philibert  (1.  <f)  bel  ()eristoma  coqsimile  del  genere  Dicrenum. 


186  A.  BOTTINI 

passa  subito  al  rosso  vivace.  Spore  di  ""0,009  a  ""0,01 2,  lisce, 
contenenti  molte  gocciolette  oleose. 

Parlato  a  lungo  di  questi,  basterà  per  gli  altri  esemplari 
notare  le  differenze  e  le  particolarità  importanti. 

Fissidens    Langei.    —    Asciano,  Pegli,  Capo  Panaggi 
(Erbario  De  Xotaris). 

Non  differisce  dal  precedente.  Foglie  bene  marginate  e  pa- 
pillose: acume  e  dentatura  normale:  lamina  dorsale  delle  due 
differenti  forme.  Xegli  esemplari  di  Asciano  esistono  foglie  quasi 
intere,  gradatamente  ristrette  fino  alla  sommità.  Fiori  ^  ter- 
minali e  laterali. 

n  sig.  Mitten  pone  il  Fissidens  Langei  nel  gruppo  delle  specie 
a  frutti  laterali,  ed  a  riguardo  di  esso  così  si  esprime  a  pag.  559 
della  sua  più  volte  citata  nota:  *"  Size,  habit,  and  appearance 
j,  exactly  that  of  F.  serndutus  Brid.,  found  in  the  Atlantic  islands; 
„  but  with  leaves  everj'^where  having  a  distinct  coloured  border, 
„  of  which  there  is  no  vestige  in  the  true  F.  serrulatu-s.  De 
„  Xotaris  says  the  perichaetia  are  lateral.  The  areolation  of  the 
„  leaves  is  also  different.  — S.  W.  England;  Portugal;  Italy  »• 

Ho  già  notato  in  parte  e  proseguirò  a  notare  come  e  quanto 
possa  variare  la  colorazione  e  la  forma  del  margine  delle  foglie. 
L' assei-zione  che  il  sig.  Mitten  attribuisce  a  De  Notaris  della 
posizione  laterale  dei  perichezii  è  inesatta:  De  Notaris  non 
parla  affatto  di  perichezii  laterali,  anzi  dice  per  ben  due  volte: 
fnictificatio  ignota  »  (^).  Solo  per  non  conoscere  che  piante 
sterili,  egli  pone  la  specie  tra  quelle  a  peduncolo  laterale,  ac- 
canto al  Fissidens  adiantoides  col  quale  ha  non  poca  analogia. 
A  De  Notaris  sembra  sfuggissero  i  fiori  ^  da  me  riscontrati 
sulle  piante  di  Pegli.  Quanto  poi  al  sig.  Mitten  il  quale  consi- 
dera come  Fissidens  Langei  ciò  che  in  Europa  è  stato  preso 
per  FÌJisidens  serridatus,  non  so  capire  come  voglia  attribuii^li 
fruttificazione  laterale,  mentre  la  scoperta  di  esemplari  fiiitti- 
feri  da  me  fatta  nel  Monte  Pisano  (Guamo,  Vomo,  Asciano)  e 
pubblicamente  conosciuta  {^) ,  stia  a  provare  che  il  caso  nor- 
male e  più  frequente  quello  è  della   fnittificazione  terminale, 

(*)  De  Notaris.  Epiiotjo.  pag.  476  e  479. 

(')  Venturi  o  Bottini.  Enumerazione  critica  dei  muschi  italiani,  pag.  42,  in  nota 
(.\tti  della  Società  Crittogamoiogica  Italiana,  Vol.*lII,  disp.  3.*,  1SS4). 


NOTA  SUL  nSSIDENS  SERRULATUS  187 

e  che  solo  per  eccezione  si  associa   ad   essa  la  fruttificazione 
laterale. 

Pissidens  serrulatus,  —  Serra  de  Cintra. 
Identico  agli  esemplari  normali  precedenti.  Un  fiore  ?  ter- 
minale. 

Pissidens  serrulatus,  —  Foresta  di  Agua  Garda  a  Te- 
neriffa  (Erbario  mio). 

Non  differisce  dalle  piante  tipiche  di  Toscana  che  per  le 
papille  delle  foglie  un  poco  meno  rilevate,  per  quanto  coniche 
anche  queste  e  perfettamente  distinte. 

Pissidens  serrulatus.  —  Un'  esemplare  di  Teneriffa  e 
due  portanti  la  indicazione  generica  di  Canarie  (Erbario  Der 
Notaris) . 

Hanno  tutti  foglie  prive  affatto  di  papille  :  nel  resto  taluni 
sono  identici  alla  forma  normale  di  Toscana,  altri  presentano 
sullo  stesso  fusto  foglie  tipiche  e  foglie  con  mai^ne  quasi  nullo 
o  nullo  :  in  questo  caso  sono  pure  quasi  intere  e  alle  volte  gra- 
datamente ristrette  fino  all'apice.  H  margine  (quando  esiste) 
è  colorato  in  giallastro  o  semplicemente  lucido.  La  lamina  dor- 
sale termina  nei  due  differenti  modi  più  volte  indicati.  Pian- 
te ^  con  fiori  terminali  ed  ascellari.  Pianta  ?  con  residui  di 
fruttificazione  terminale  del  fusto  e  delle  grandi  innovazioni. 

Pissidens  serrulatus  verus  (sec.  Mitten).  —  Teneriffa. 

Foglie  grandi,  con  acume  e  dentatura  tipica,  pochissimo  o 

nulla  papillose,  senza  margine.  Non  mancano  però  foglie  quasi 

intere,  altre  con  rudimento  di  margine  ed  anche  talune  colle 

cellule  del  contomo  a  pareti  quasi  grosse  quanto  nella  forma 

normale  di  Toscana.  Pianta  sterile  e  pianta  c^  con  fiori  ascellari. 
Il  sig.  Mitten,  alla  cui  gentilezza  debbo  gli  esemplari  ora 
nominati,  mi  scrive  i})  che  questa  forma  di  Teneriffa  a  foglie 
non  marginate  datagli  da  Montagne,  è  stata  da  lui  assunta  come 
caratteristica  del  vero  Fissidens  serrulatus.  Non  bisogna  dimen- 
ticare però  come  a  Teneriffa  sia  pure  molto  e  forse  più  comune 
la  forma  con  foglie  benissimo  marginate,  né  vi  manchino  forme 

(<)  In  data  12  Maggio  1886. 


5».77_r 


rfi-^-— T    c..r 


fÌASÌdens  senuL^iiis  v^r.  Africanns.  — 


iJ.T.Hr^^h 


Ti.. 


.-^    *- 


tr:  -r  I»rr  1-r  Ì'AL±r:    "Zìi,  J»»^   pOT 


Fiftsìdens  sermlattis  :• 


pTrenaica.  —  Valle  drifai 


'il  T^/n;;*-^.  r.  .r.  Truarr-r.;*:^  o  y^n  ir:  r>iÌ2i'E«kió  di  margiike  co- 
'•r'.\.rjj  ^Isfc  ':'=:]^-.l-r  ?i  j-sr-rtì  à:.p-i:z.i  jiu  ^.•ììie  «ii  quelle  delle 
*.h.\\.h  ^:h:rr*x.\'.  \ir.r:rK  •>  '»r.  ^Ijo:::  rari  e  det:<^  denti  alla 
-y>:r-r;i>>4-  ^H'i/itarri-rr-'.^  r^rr^rre  5r-o  all'  api-re  che  e  acuto:  ki- 
rr-;.'*a  'ior-ìA^r  *r:.Tr..rji:i*>:  :::  or^pioiiiettà  arroton-iata :  p<ipille  fo- 
ii;ari  q  iA^i  rr^ll^  «Trrll-^lr  arroV/L'iare  app-Erca  -^p-^reeDrii.  Uà  fiore  ? 
V:rTriir;aie  'iel  ::ì.=:V/.  con  a'.rro  laterale  prossimo.  Foglie  involu- 
cral:  2-'{.  a.r.-.a:  ^-irriili  alle  oriiiiarle.  con  lamina  dorsale  pia 
corta  ^A  atten--:ii*a  in  punta. 

Fissidens  polyphyllus.  —  Dipartimento  di  Finistère  e 

CofT;ova^IIa. 

Ftóti  alti  da  2  a  13  centimetri,  f-jco  ramificatL  Foglie  pia 
unii'orrni  e  relativamente  un  p^/  più  -strette  di  quelle  delle  piante 
di  ToT^rana,  non  arrivanti  alle  dimensioni  massime  di  queste: 
rprovvi^te  di  marjrine.  con  pareti  cellulari  tutte  di  eguale  spes- 
r/^re:  (gradatamente  ri-jtrette  nella  porzione  superiore  fino  al- 
l' api':e  ch^  é  acuto  o  mutico,  intero  o  de):iolmente  dentellato. 
Lamina  dor-,ale  Trulle  foglie  dello  stesso  stelo >  ora  attenuata  in 
ptjnta  alla  ba^se,  ora  terminante  bniscamente  in  orecchietta  ar- 
rotondata. Superficie  foliare  non  papillosa  He  cellule  sono  ap- 
I^ena  rilevate  o  non  lo  s^jno  affatto j. 

Risulta  dalle  varie  Flore,  che  il  fusto  può  raggiungere  la 
lunghe/^^  di  IS  centimetri:  che  i  fiori  sono  dioici  e  laterali,  i  ? 
.situati  H\ì^trs^)  verso  X  apice  delle  innovazioni  :  e  che  le  pochis- 
8ime  cassule  rinvenute  (*),  non  differiscono  da  quelle  del  iTi«- 
(UuH  Hemdafus  di  Toscana. 

(M  Uraitliwaite   brit,  5Ioss-Flora,  pag.  79  e  TaT.  XII,  Fig.  C. 


NOTA  SUL  FISSIDENS  SERRULATUS  189 

Pissidens  Welwitschii.  —  Fanzerez  presso  Oporto. 

Foglie  conformate  come  nel  Fissidens  polyphyllics,  ma  più 
piccole  e  più  strette,  con  lamina  dorsale  molto  angusta,  sempre 
attenuata  in  punta  alla  base.  Non  di  rado  la  nervatura  giunge 
esattamente  all'  apice,  ed  il  tessuto  follare  consta  di  cellule  più 
minute.  I  miei  esemplari  sono  sterili,  ma  Schimper(^)  ci  fa 
sapere  che  i  fiori  ?  (i  soli  conosciuti)  sono  ascellari,  o  situati 
su  di  un  breve  rametto  laterale. 

Ciò  che  ho  detto  fin  qui  si  riferisce  al  Fissidens  Welwitschii 
che  possiamo  chiamare  tipico.  Recentemente  ho  ricevuto  dal 
sig.  Newton  esemplari  di  una  forma  molto  comune  a  Fanzerez, 
con  caratteri  perfettamente  intermedii  fra  il  Fissidens  Welwitschii 
ed  il  polyphyllics.  Sulle  foglie  di  questa  forma  si  osservano  a 
volte  qua  e  là,  dei  tratti  di  margine  colorato  o  lucido  come 
nel  Fissidens  serrulatus. 

Ricordato  per  ultimo  come  Schimper  attribuisca  al  Fissidens 
serrulatiis  foglie  leggermente  subpapillose,  da  quanto  precede 
mi  sembra  apparire  nel  modo  più  chiaro  la  convenienza  di  rife- 
rire le  molte  forme  qui  enumerate  ad  un'  unico  tipo  specifico, 
tipo  certamente  non  poco  variabile,  la  cui  diffusione  è  probabile 
si  effettuasse  in  epoca  molto  remota,  come  or  ora  vedremo. 
A  chi  non  piacesse  riconoscere  nel  Fissidens  serrulatus  una  sola 
varietà  e  parecchie  forine^  sarà  ovvio  innalzare  la  prima  al  grado 
di  sottospecie  e  le  seconde  al  grado  di  varietà.  È  una  questione 
nella  quale  ha  cosi  larga  parte  V  apprezzamento  individuale,  da 
non  potersi  pretendere  che  tutti  la  risolvano  ad  un  modo. 

Fissidens  serrulatus  (Bridel)  —  Dioicus  ! 
Flores  $  terminales,  rarius  etiam  laterales 

Forma    «  Foliis   abrupto  et  breviter   acuminatis,   apice  bene 

serratis,  marginatis,  papillosis.  —  F,  Langei  De  Not. 
Epil.  pag.  479! 

Elba,  Corsica?,  Monte  Pisano  (e.  fr.),  Alpi  Apuane, 
Capo  Panaggi  e  Pegli  :  Italia.  —  Estérel  :  Francia.  — 
Serra  de  Cintra,  Moncique,  Vallongo,  Valladarez: 

(1)  Schimper  Syn,  ed.  II,  pag.  102. 


190  A.  BOTTINI 

Portogallo.  —  Foresta  di  Agua  Garcìa  (e.  fr.)  :  Tkxe- 
BiFFA  —  Ribero  Frio:  Madera.  —  Presso  Penzance: 
Inghilterra. 
Fonna    ?  Foliià  ut  in  a  sed  haud  papillosis.  —  F.  sermlafas  De 

Xot.  Epil.  pag.  479! 

TenerifEa  (e.  fr.),  Isole  Canarie  (dove  ?) . 
Fonna    Y  Foliis  ut  in  ?  sed  hau3  mai^iuatis.  —   F.  serruìatus 

Mitten,  Notes  on  the  Europ.  and  N.-Amer.    Spec. 

of  Moss.   of  the  Gen.    Fissidens^   pag.  559!    (The 

Joum.  of  the  Linn.  Soc.-Botany,  Voi.  XXI,  18S6). 

Teueriffa. 

Formi    0  Foliis  ut  iu  a  sed  latiorìbus;  caule  sat  bene  ramoso.  — 

F.  serr Hiatus  var.  africamis  Bescherelle,  Catalogae 
des  Mousses  observées  en  Algerie,  pag.  7! 
Djebel  Edough,  Stora:  Algerl\. 
Fonna    s  Foliis  ut  in  C  sed  latiorìbus.  —  F.  serrulatiis  forma  pyre- 

naica  Boulay,  Revue  Bryologique,  année  1885  pag.  50! 
Gambo:  Bassi  Pirenei.  —    Valle  della   Bidassoa: 
Pirenei  Baschi. 

yar.  polypbyllu»  (Wils.)  Boulay,  Reyue  Bryologiqae, 

année  1885,   pag.  50! 

Flores  $  laterales  et  subterminales 

Forma  C  Foliìs  quoad  longitudinem  minus  latis  quam  in  a,  in 
parte  superiori  pauUatim  angustatis,  apice  int^ris 
vel  minute  crenulatis,  haud  marginatisi  laevibus 
vel  fere  laevibus.  —  F.  polyphyllus  Wils.  in  lit.  et 
Auct.  recent! 

Fanzerez  presso  Oporto  :  Portogallo.  —  Finistère 
(e.  fr.):  Francu.  —  Glengariff:  Irlanda.  —  Paese  di 
Galles,  Corno  vaglia:  Inghilterra. 

Forma    r^  Foliis  ut  in  C  sed   minoribus,    angustioribus,    lamina 

dorsali  ad  basim   semper  attenuata,  perangusta; 
plantis   numquam   procerrimis.    —    F.  Wehcitschii 
Schimp.  Syn.  ed.  II,  pag.  120! 
Caldas  de  Gerez,  Fanzerez  presso  Oporto:  Portogallo. 


Abbiamo  veduto  sopra,  come  più  d'una  di  queste  forme  possa  per 
eccezione  riscontrarsi  simultaneamente  sopra  uno  stesso  individuo. 


NOTI  SUL  FISSIDENS  SERRULATUS  1 9ì 

m 

PARTE  SECONDA 

La  diffasione  del  Fìssidens  serrulatus 

* 

Delle  differenti  cause  dalle  quali  dipende  la  distribuzione 
dei  muschi  alla  superficie  del  globo,  alcune  sono  attuali,  altre 
anteriori  Le  attuali  si  suddividono  in  cause  esterne  compren- 
denti il  suhstratum  e  il  clima,  ed  in  cause  interne  che  si  con- 
fondono colla  intima  natura  e  coi  modi  particolari  di  propaga- 
zione di  ciascuna  specie.  Le  anteriori  si  suddividono  in  cause 
prime  a  noi  inaccessibili,  ed  in  cause  geologiche.  Queste  ultime, 
più  oscure  e  più  diflBlcili  a  rintracciare  delle  cause  attuali,  non 
sono  mai  state  prese  in  considerazione,  che  io  sappia,  nei  la- 
.vori  di  brio-geografia. 

Applichiamo  ora  queste  considerazioni  al  caso  del  Fissidens 
serrulatus. 

Cause  attuali 

Cause  esterne 

Del    substratuxn 

Dobbiamo  considerare  la  età,  geologica  (0,  i  caratteri  mine- 
ralogici e  petrografia,  la  natura  chimica  e  le  proprietà,  fisiche. 

Della  età  geologica  e  dei  caratteri  mineralogici  e 
petrografici  del  substratum.  —  H  Fissidens  serrulatus  vive 
a  Teneriflfa  (^)  sul  terreno  vegetale  ricoprente  le  roccie  vulca- 

(')  Le  considerazioni  di  ordine  geologico  non  sarebbero  al  loro  posto  qui  nello 
studio  delle  cause  attuali  :  dovrebbero  invece  essere  svolte  allorché  ci  occuperemo  delle 
cause  anteriori.  Non  mancherò  di  tornarvi  sopra  e  di  insistervi  in  quella  circostanza; 
ma  intanto  la  chiarezza  della  esposizione  mi  foraa  assolutamente  a  dame  un  cenno 
dal  bel  principio. 

(^}  Non  ho  dati  per  potere  afifermare  che  si  rinvenga  anche  nelle  altre  isole 
vicine;  giacché  la  indicazione  vaga  di  «Canarie»  usata  dagli  autori,  non  denota 
quale  ne  sia  la  esatta  provenienza.  Anche  il  sig.  Oeheeb  non  lo  conosce  di  altre  lo- 
calità di  queir  Arcipaiago;  ed  il  sig.  Husnot,  che  ha  visitato  le  Canarie,  mi  scriveva 
il  4  Decembre  188^,  che  il  Fissidens  serrulatus  esiste  in  abbondanza  e  ben  frutti- 
ficato nella  foresta  di  «Agua  Garcia»  nell'Isola  di  Teneriffa,  ove  cresce  nei  siti 
ombrosi  e  freschi,  sul  terreno  vegetale  ricoprente  le  roccie  vulcaniche;  che  però 
non  r  ha  ritrovato  in  altre  località  nò  di  Teneriffa,  nò  della  Gran  Canaria,  nò  della 
Palma,  da  lui  percorse  per  più  mesi. 


192  A.  BOTTCn 

niche  f^):  esiste  pure  a  Madera  e  in  Algeria.  Chi  poi  si  facda  a 
studiarne  la  distribuzione  sul  continente  europeo,  rimane  colpito 
dal  fatto  della  costante  sua  connessione  coi  terreni  antichi,  per 
quanto  differenti  fra  loro  per  caratteri  mineralogici  e  petro- 
grafici.  Da  noi  in  Italia  cresce  in  quantità  prodigiosa  nelle  parti 
basse  delle  due  opposte  pendici  del  Monte  Pisano  snlle  pud- 
dinghe quarzose  e  quarziti  del  Verrucano  (permiano)  e  sul  ter- 
reno che  ne  risulta;  al  piede  delle  Alpi  Apuane  sugli  schìsti 
gneissoidi,  schisti  carboniosi  e  micascisti  riferiti  fin  qui  al  si- 
luriano, ed  ora  dall'  ingegnere  Zaccagna  i'-)  ritenuti  permiani; 
nell'  Isola  d'  Elba  sulle  roccie  quarzose  del  Verrucano  e  sul  gra- 
nito normale  e  porfirico  miocenico  (^),  quest'  ultimo  V  unico  caso 
a  me  noto  di  abitazione  della  specie  sovra  una  roccia  relatiTa- 
mente  recente;  a  Pegli  ed  al  Capo  Panaggi  in  Liguria,  sugli 
schisti  grigi  talcosi  del  trias  inferiore  f*).  In  Francia  trovasi 
neir  Estérel  sul  granito  antico  f^).  Alla  base  dei  Pirenei  Baschi 
sul  "  grès  bigarré  „  del  trias  (**').  In  Portogallo  nella  Serra  de 
Moncique  sopra  la  Foyaite  (sorta  di  sienite  antica)  o  sugli  schisti 
attribuiti  al  periodo  carbonifero  (");  nella  Serra  de  Cintra  sul 
granito  cretaceo  i"^)  ;  presso  Oporto  a  Vallongo  sugli  schisti  ar- 
gilloso-micacei  siluriani,  ed  a  Valladarez  o  sul  granito  antico, 
o  sul  gneiss,  o  gli  schisti  metamorfici  (^).  In  Inghilterra  presso 
Penzance  sul  Killas  devoniano  (^^). 


(*)  Sulla  geologia  delle  Canarie  vedi:  Grisebach.  La  végétationdu  Giobe;  tnuL 
par  Tchihatchef,  Voi.  II,  pag.  811  (1878). 

(*;  Comunicazione  epistolare  delFing.  D.  Zaccagna  in  data  9  >faggìo  1888. 

(')  Posteriore  al  sollevamento  eocenico,  ed  anteriore  al  miocene  superiore  eha 
ne  contiene  i  ciottoli  pre.«8o  Gavorrano  nella  prossima  terra  ferma.  —  Vedi:  Lotti  & 
Descrizione  geologica  dell'Isola  d' Elba.  pag.  138  e  seguenti  (1886). 

(^)  Comunicazioni  epistolari  delKing.  L.  Mazzuoli  in  data  4  e7  Gennajo  1886l  — 
Ho  yerifìcato  che  gli  esemplari  di  Fistidens  serrulatus  (Langei)  dell*  erbario  DeN»- 
taris  raccolti  colà,  sono  imbrattati  da  materiali  talcosi. 

(•*)  Comunicazione  epistolarct  del  prof.  L.  Philibert  in  data  27  Novembre  1885.— 
11  prof.  Boulay  dice  che  le  montagne  deirEstérel  sono  costituite  da  porfido  quarzì- 
fero. Vedi:  Boulay.  Etudes  sur  la  distribution  géographique  des  mousses  en  Franee^ 
pag.  84  (1877;. 

(^)  Comunicazioni  epistolari  dclfamico  capitano  Renauld  in  data  9  aprile  1880, 
e  del  prof  Trémols  in  data  ^7  Maggio  1886. 

(~)  Comunicazione  epistolare  dei  prof.  P.  Choffat  in  data  14  Gennajo  188d^ 

(^)  Comunicazione  epistolare  del  dott  E.  Levier  in  data  21  Gennajo  1886. 

O  Comunicazione  epistolare  del  sig.  I.  Newton  in  data  30  Aprile  1886w 

(<0)  Comunicazione  epistolare  del  sig.  R.  Braithwaite  in  data  2  Febbn^o  1888. 


NOTA  SUL  hSSlDENS  SERRULATUS  19^ 

La  varietà  polyphyllus  vive  nel  paese  di  Galles  sulle  roccia 
cambriane  (^),  in  Cornovaglia  sugli  schisti  (^),  ed  a  Fanzerez 
presso  Oporto  con  la  forma  Welwitschii  sul  gneiss  o  gli  schisti 
argilloso-micacei  siluriani  ('^).  Sopra  quali  terreni  si  trovi  nelle 
altre  poche  località  non  posso  precisarlo,  essendomi  mancate  le 
relative  indicazioni  che  avevo  premurosamente  richieste;  ma 
considerando  i  caratteri  delle  formazioni  che  vi  predominano  vi 
è  ragione  di  ritenere  che  anche  là  viva  sulle  roccie  silicee 
antiche . 

Della  natura  chimica  del  substratum.  —  L' influenza 
della  natura  chimica  del  substratum  sul  Fissidens  serrulattis  è 
evidente:  esso  è  decisamente  silicicolo.  Che  tale  influenza  sia 
un  fatto  generale,  estendentesi  ad  un  numero  stragrande  di 
muschi  è  ormai  riconosciuto  da  tutti  i  briologi,  né  giova  insi- 
stervi ulteriormente  (^);  qui  mi  preme  solo  ricordare  che  le  nostre 
attuali  cognizioni  ci  permettono  bensì  distinguere  i  muschi  in 
silicicoli,  calcifughi  (?),  calcicoli,  ìnetallicoliy  umicoli  e  così  via  :  che 
possiamo  stabilire  categorie  di  specie  esclusive,  preferenti,  e  in- 
differenti per  rapporto  ai  diversi  elementi:  ma  che  riguardo  al 
modo  in  cui  questi  agiscono,  poco  o  nulla  sappiamo.  Fino  a  che 
punto  i  tali  e  tali  elementi  debbono  dirsi  indispensabili  o  nocivi 
al  regolare  sviluppo  delle  varie  specie  di  muschi?  L'  argomento 


(*)  Comunicazione  epistolare  del  sig.  R.  Braithwaite  in  data  14  Maggio  1886. 
{})  ComuDicazione  epistolare  del  sig.  W.  Mitten  in  data  12  Maggio  1886. 
(?)  Comunicazione  epistolare  del  sig.  I.  Newton  in  data  30  Aprile  1886. 
{^)  Ecco  qui  l'elenco  di  alcune  opere  che  trattano  Targomento  dal  nostro  punto 
di  vista  speciale,  o  da  quello  più  vasto  di  tutte  le  piante  e  le  cui   deduzioni  sono 
applicabili  ancora  ai  muschi. 

Saint  Lager.  Sur  Vinfluence  chimiqiAe  du  sol  sur  les  plantes  (1876). 

Boulay.  Etudes  sur  la  distrihution  géographiqi^e  des  mousses  en  France.  pag. 
11-32,  et  pag.  254  (1877).  —  Vi  si  trova  la  indicazione  di  molti  lavori  ante- 
riori. —  Muscinées  de  la  France  (Mousses).  pag.  LXXVIII  (1884). 

Contejean.  Géographie  Botanique;  influence  du  terrain  sur  la  végétatUm,  (1881). 

Fitz  Gerald  e  Bottini.  Prodromo  della  Briologia  dei  bacini  del  Serchio  e  della 
Magra,  pag.  :ì9  (Nuovo  Giornale  Botanico  Italiano,  Voi.  Xlll,  N.®  2,  1881). 

Brotherus.  Etudes  sur  la  dstribution  des  mousses  au  Caucaso,  pag.  35  (1884). 

Jeanbernat  et  Renauld.  Bri/o- Géographie  des  Pgréìiées.  pag.  16M(34  (Mem.  de  la 

Soc.  Nation.  des  Selene.  Natur.  et  Mathem.  de  Cherbourg.  T.  XXV,   1885). 
Questo  catalogo  potrebbe  venire  aumentato. 

Se.  Nat.  Voi.  Vm,  fase.  1.»  14 


194  A.  Bf/msi 

dal  campo  della  brio-geografia  pa.ssa  in  quello  della  fisiologia  e 
della  chimica;  le  ripetute  analisi  delle  ceneri  e  i  tentativi  dì 
cultura  artificiale,  massime  delle  specie  aquatiche,  potrebbero 
nei  sìngoli  casi  contribuire  a  rischiarare  questo  lato  importante 
deir  argomento. 


Delle  proprietà  fisiche  del  substratum.  ~  Rigoardo 

ad  esse  la  nostra  specie  non  si  mostra  molto  esigente,  vivendo  sa 
roccie  dure  e  compatte,  schistose  e  friabili,  e  spesso  sul  terreno 
che  ne  risulta.  La  umidità  del  suolo  che  bisogna  distinguere, 
come  giustamente  osserva  il  prof.  Boulay,  dalla  umidità  atmo- 
sferica, esercita  una  influenza  potente  suir  abitazione  del  Fis- 
nidem  serndatuSj  e  concorre  a  determinarne  la  stazione:  esso  tro- 
vasi abitualmente  sul  terreno  umidiccio,  o  agli  stillicidii,  o  presso 
i  piccoli  corsi  d'  ac^jua.  Al  difetto  di  umidità  del  terreno  può 
supplire  però,  come  vedremo  ben  tosto,  l'abbondante  umidità 
deir  aria. 

I3el  clima 

Si  comprendono  sotto  questo  nome  tutte  le  influenze  meteo- 
rologiche, fra  le  quali  esamineremo  la  luce,  il  calore,  la  umi- 
dità deir  aria  ed  il  regime  pluviale. 


Della  luce.  —  La  nostra  specie  fìigge  costantemente  i 
raggi  solari  diretti  :  essa  vive  all'  ombra  ordinaria  dei  boschi 
e  delle  rupi,  o  più  spesso  pone  sua  stanza  nelle  fessure  quasi 
buje  e  nelle  insenature  del  terreno  mascherate  dalla  folta  ve- 
getazione di  altre  piante. 


Del  calore.  —  Onde  meglio  apprezzare  V  azione  di  questo 
elemento,  pongo  sott'  occhio  un  prospetto  delle  temperature  di 
varii  luoghi  prossimi  a  quelli  ove  vive  la  specie. 


NOTA  SUL  nSSIDENS  SERRULATUS 


195 


Temperatura 


S.  Cruz  di  Teneriffia  (*)  *.  . 
Laguna  di  Teneriffa  (')  .  . 

Lisbona  (*) 

Portoferrajo  (Isola  d'Elba)  (*) 

Pisa        \    

Lucca      '    (*) 

Genova    )    

Brest  («) 

Penzance  O 


Anni  di 
osservazione 


INedia  annua 


1877-1885 


1882-1883 
1881-1883 
1880-1883 
1866-1874 
1860-1885 


210,  7 
160,9 
160,3 
150 

140, 45 
130, 87 
150,2 
110,7 
Ilo,  03 


INinima 


+30,2 

-6o(raiiiiiio) 
40,37 

lo,  67 

70, 4(rarl8i.) 
20, 03 


INassima 


400,7 

30o 
350 
33«,7 
310,7 

220,  96 


Rileviamo  da  questa  tavola  che  il  Fissidens  serrulatus  sop- 
porta condizioni  di  temperatura  molto  diverse,  che  può  resistere 
per  breve  tempo  a  parecchi  gradi  sotto  zero,  ma  che  fugge  i 
climi  eccessivamente  caldi  ed  i  freddi.  Così  a  S.  Cruz  di  TeneriflFa 
non  ostante  la  media  annua  elevata,  la  temperatura  media  del 
mese  più  caldo,  l'Agosto,  non  è  che  di  26^;  ed  a  Brest  la  cui 
media  dell'  anno  è  relativamente  bassa,  si  gode  un  clima  co- 
stantemente tiepido,  la  media  estiva  essendo  di  17^,1  e  la  media 
invernale  di  6^,8.  Anche  a  Penzance  ed  a  Plimouth  (®)  le  medie 
del  Gennajo  si  mantengono  a  6%53  ed  a  6^,8.  Meritano  consi- 


(<)  Grisebach.  La  YégétaHon  du  Globe:  trad.  par  Tcbihatchef,  Tome  deuxième, 
pag.  825  (1878). 

(')  Comunicazione  epistolare  della  Direzione  dell*  Osservatorio  astronomico  di 
Madrid,  in  data  26  Giugno  1886. 

(')  Dove.  Temperaturtaf. 

{*)  Pullè.  Monografia  agraria  del  Circond.  dell'Isola  delf  Elba.  pag.  13  (1879). 

^)  Annali  dell*  Ufficio  centrale  di  Meteorologia  Italiana.  Roma, 

(^)  Boulay.  Études  sur  la  distribution  géographique  des  Mousses  en  France, 
pag.  107-108  (1877). 

O  Hosken  Richards,  W.  Abstract  of  the  weather  at  Penzance  and  neighbou- 
rhood,  for  the  year  i879y  together  with  Meteorological  registers^  front  1860  io  1879, 
both  inclusive:  -  20  yenrs;  and:  Abstract  of  the  weather  at  Penzance  and  ndghbou- 
rhood^  for  the  year  1885,  together  toith  Meteorological  records  for  $ix  years^  from 
1880  to  1885,  bùth  inclusive. 

(*)  Grisebach.  1.  e.  Voi.  I,  pag.  330  (1875). 


196 


A.  BfJTTINI 


derazione  le  medie  di  S.  Cruz  e  di  Laguna,  poiché  la  prima  ci 
da  la  temperatura  della  parte  meridionale  di  Teneritfa  al  li- 
vello del  mare,  e  le  seconde  ci  forni  secano  approssimativamente 
quelle  del  limite  superiore  altitudinale  a  cui  vive  e  fruttifica 
il  Fissidem  serridatus.  Infatti  V  osservatorio  di  Laguna  Oatitu- 
dine  nord  28*.  12)  è  posto  a  50G  metri  di  elevazione,  ed  il 
Fissidens  raggiunge  nella  foresta  di  Erica  arborea  di  Agua  Garcia 
r  altezza  di  quattro  a  seicento  metri  (^).  Ora  è  notevole  che 
mentre  a  TeneriflFa  la  specie  fruttifica  abbondantemente,  in 
Europa  invece  ove  vive  solo  nelle  regioni  basse,  non  produce 
mai  o  quasi  mai  cassule.  Solo  alcuni  esemplari  fruttiferi  di 
Fissidens  serridatus  forma  «  sono  stati  rinvenuti  da  me  alla 
base  del  Monte  Pisano  in  Toscana,  ed  alcuni  altri  della  varietà 
polyphyllus  dal  sig.  Camus  nel  Dipartimento  di  Finistère  in 
Francia . 

Della  umidità  dell'aria  e  del  regime  pluviale. — Ecco 

il  prospetto  delle  medie  annue  della  pioggia  e  della  umidità 
atmosferica  di  varie  stazioni  sopra  ricordate. 


Pioggia    ed    umidità 


Lagnruidi  Teneriffa  (*) 

Portoferrajo    (  Isola 
d'Elba  (').... 

Pita  

Lncca        |  (*)    ... 

Genova     /    

Brest  (») 

Penzanoe  (*) 


Anni  di   icQQa  caduta    Umidità 
ossemuone     in  mm.     relativa 


Tensione 
del  yapore 


I  Inaerò  dei 
irirmi  pioTosi; 
nell'amo 


1877-1885  '    535 


76 


12,2 


nltimi  17 
anni 

1882-1883 

1881-1883 


599,3 
895 

1300,  23 
1880-1883  ;  1278,67 


1866-1874  , 
1860-1885  ' 


737.5 
1125 


Abbondan-  ti  mgiado 
estive 

69, 50  9,  6 

69  '       8, 97 

62,25  8,77 

Umidità  ab-  bendante 


I 


lai  U  PiOKEil 

wmìm 


91 


105 
128 
114 
185 


Ottobre 

Marzo,  Settembre 
;  Marzo,  Sett."",  Ottobre 
!  Aprile,  Sett~NoT." 

Gennajo 

Deoembre 


(')  Comunicazione  cpÌBlolaro  del  sig.  T.  Husnot,  in  data  4  Luglio  1886. 
(^)  Comunicazione   epistolare  della  Direzione   dell*  Osservatorio   astronomico  Ji 
Madrid,  in  daU  26  Giugno  1886. 

(^)  Lotti.  Descrizione  geologica  dell*  Isola  (V  Elba   pag.  3-4  (1886). 
(*)  Annali  dell*  Ufficio  centrale  di  Meteorologia  Italiana,  Roma. 
0)  Boulay.  1.  e.  pag.  108 
(*)  Hosken  Richards,  W.  1   e. 


NOTA  SUL  PISSIDENS  SERRULATUS  197 

H  regime  pluviale  esercita  una  influenza  non  indifferente 
sulla  distribuzione  della  specie;  tuttavolta  alla  scarsità  del- 
l' acqua  caduta  durante  Y  anno,  può  supplire  come  a  Laguna,  a 
Portoferrajo  ed  a  Brest,  V  abbondante  umidità  dell'  aria.  I  si- 
gnori Jeanbemat  e  Renauld  in  un  loro  recente  pregevolissimo 
lavoro  (^),  comparando  la  Flora  Briologica  dei  Pirenei  con  quella 
di  Toscana,  notata  V  analogia  fra  il  regime  pluviale  nostro  e 
quello  del  bacino  dell'  Adour,  spiegano  la  presenza  del  Fissidens 
serrulatus  in  Toscana  mediante  la  gran  quantità  di  pioggia  ca- 
duta durante  l' anno  e  1'  abbondante  umidità  dell'  aria.  E  che 
ciò  influisca  potentemente  a  mantenerlo  nei  siti  ove  esiste,  non 
v'  ha  nessun  dubbio  ;  ma  condizioni  identiche,  anzi  più  propizie, 
si  verificano  da  noi  a  breve  distanza  anche  sui  terreni  recenti 
e  lo  stesso  deve  accadere  altrove;  quindi  la  sua  rigorosa  cir- 
coscrizione ai  terreni  antichi  rimane  inesplicata. 

Cause   interne 

La  propagazione  della  specie  si  può  effettuare  per  via 
vegetativa  o  per  spore. 

Riguardo  alla  prima  maniera  non  abbiamo  qui  quei  mezzi 
speciali  e  variati  di  propagazione  di  cui  in  generale  abbondano 
i  muschi.  Le  ordinarie  innovazioni  servono  ad  ingrandire  i  cespi, 
non  a  diffondere  la  specie  a  distanza  ;  a  quest'  ultimo  effetto 
possono  contribuire  in  piccolissima  parte  (quando  esistono)  certi 
ramuscoli  laterali  portanti  i  fiori  ?,  radicanti  alla  base  ed  alle 
volte  decidui;  però  i  mezzi  accennati  sono  affatto  insufficienti 
a  renderci  conto  dell'  area  vastissima  e  disgiunta  della  specie, 
non  che  della  sua  estrema  diffusione  ed  abbondanza  presso  di  noi. 

La  propagazione  per  spore  è  pure  scarsissima  nell'  attualità, 
essendo  limitata  nelle  Isole  di  Teneriffa  e  di  Madera.  La  quasi 
assoluta  mancanza  di  fruttificazione  in  Europa  da  noi  già  av- 
vertita, è  legata  molto  verosimilmente  all'  allontanamento  dei 
sessi  ;  infatti  qui  in  Italia  sono  molto  comuni  le  piante  ?,  scarse 
quelle  c?^;  in  Inghilterra  invece  non  sono  state  trovate  che 
piante  sterili  e  c^. 

H  professor  Boulay  (^)  vede  nell'  isolamento  dei  sessi  e  nel- 

(*)  Jeanbemat  et  Renauld,  Bryo-Géographie  des  Pi/rénées.  pag.  145-147  (1885). 
C)  Boulay.  Études  sur  la  distribuHon  géographique  des  mousse^  en  France, 
pag.  9  (1877). 


198  A.  BOTTINI 

la  conseguente  sterilita  di  molte  specie  dioiche  di  muschi,  ima 
conseguenza  della  dispersione  delle  spore  a  grande  distanza. 
**  Vers  les  limites  de  V  aire  de  dispersion  des  spores  (cosi  ^U), 
„  a  cause  du  développement  des  surfaces,  la  réunion  des  deux 
„  sexes  devient  très  accidentelle  et  incertaine  „.    Ed  altrove 
aggiunge  (^):    **  Les    Hypnum  rugosum  et  abietinum    qui  n^ont 
»  pas  encore  été  rencontrés  munis  de  capsules  en  Franco,  sont 
„  des  mousses  communes  dans  presque  tons  nos  départements. 
„  Ces  deux  espèces  n'  émettent  pas  de  stolons  ni  de  granulations 
„  qui  puissent  favoriser  leur  propagation.  Faut-il  rattacher  leur 
»  présence,  dans  ces  localités  sans  nombre  oii  nous  les  rencon- 
»  trons,  à  une  période  géologique  antérieure  plus  favorable  à 
y,  leur  complet  développement?  Je  ne  le  pense  pas.  H  est  plus 
„  naturel  d'admettre  qu'  elles  proviennent  de  la  germìnatioD 
»  des  spores  emportées  par  le  vent  dans  toutes  les  directions. 
j,  Ce  qui  le  prouve,  e'  est  leur  présence  très  frequente  et  leur 
„  abondance  dans  les  ruines  des   chàteaux  abandonnés  depuis 
»  moins  d'un  siede;  e'  est  aussi  la  viguer  de  leur  végétation,  qui 
„  éloigne  Tidée  d' espèces  en  souflFrance,  tendant  k  disparaltre  ,. 
La  opinione  del  prof.  Boulay  è  plausibilissima  in  questi  ed 
in  molti  altri  casi  e  ci  rende  sufficiente  conto  della  dispersione 
di  una  (luantità  di  muschi ,  ma  non  sarebbe  al  certo  applicabile 
al  caso  nostro.  Se  dalle  Canarie  fosse  avvenuto  nel!'  attualità 
un  irraggiamento  di  spore  verso  T  Europa,  come  mai  ne  sareb- 
bero rimasti  invasi  solo  i  terreni  antichi  e  mai  i  più  recenti, 
spesso  frammisti  e  confusi  con  quelli?  Come  spiegare  che  in 
Liguria  la  specie  siasi  arrestata  su  di  un  piccolo  lembo  di  schisti 
triassici  e  non  sui  vicini  terreni  terziarii?  Come   conciliare  la 
sua  estrema  abbondanza  sul  versante  del  Monte  Pisano  prospi- 
ciente l'Appennino  lucchese  colla  completa  mancanza  sugli  spe- 
roni di  questo,  dai  quali  resta  divisa  mediante  poche  miglia  di 
pianura?  Invano  se  ne  cercherebbe  la  spiegazione  nel  clima  e 
nelle  proprietà  del  substratum,  giacché   nelle   parti  basse  dei 
nostri  monti  le  condizioni  tutte  le  sarebbero  oltremodo   fiivo- 
revoli,  compresa  la  qualità  delle  roccie,  il  macigno  e  gli  schisti 
argillosi  eocenici  sui  quali  la  Flora  silicicola  del  Monte  Pisano 
si  ritrova  colà  perfettamente  sviluppata. 

(*)  Boalay.  1.  e.  pag.  7. 


NOTA  SUL  FISSIDENS  SEJORULATUS  1 99 


Canne   anteriori 

Da  quanto  precede  sembrami  risultare  che  per  rendersi  conto 
della  presenza  e  della  diflFiisione  della  specie  in  Europa,  con- 
venga risalire  ad  un  periodo  anteriore  più  favorevole  al  pro- 
porzionato sviluppo  e  ravvicinamento  dei  sessi  e  conseguente 
fruttificazione.  E  qui  conviene  notare  che  la  scarsità  dei  fiori  c^ 
del  Fissidens  in  Toscana,  non  prova  che  questo  sia  stato  costan- 
temente sterile  presso  di  noi  in  ogni  tempo;  poiché  le  piante  </ 
potrebbero  essere  andate  successivamente  diminuendo  e  quelle 
più  numerose  di  tutte  che  non  portano  alcuna  sorta  di  fiori, 
potevano  sotto  altre  condizioni  produrre  dei  fiori  maschili.  Lo 
stesso  dicasi  riguardo  alle  altre  località  europee.  Ora  se  rifletto 
che  il  Fissidens  serrulatus  sporifica  abbondantemente  nell'  Isola 
di  TeneriflFa,  non  trovo  in-agionevole  supporre  che  altrettanto 
si  avverasse  da  noi  durante  un  periodo  in  cui  le  condizioni  della 
Europa  occidentale  fossero  presso  a  poco  quelle  attuali  delle 
Canarie. 

Disgraziatamente  il  dettaglio  di  queste  condizioni  ci  sfugge; 
ma  mi  piace  rammentare  che  a  S.  Cruz  di  TeneriflFa  la  tempe- 
ratura media  annua  attuale  è  di  2P,7:  la  media  del  Gennajo 
17^6:  quella  dell' Agosto  26^  (^).  Ora  durante  il  miocene,  la  media 
annuale  dell'Europa  nord-ovest  verso  il  50^  di  latitudine  è  stata 
valutata  approssimativamente  a  20°  (^);  quella  della  Svizzera  per 
lo  stesso  periodo,  è  ritenuta  dall' Heer  di  22°  (^);  in  Provenza 
ha  la  medesima  elevazione  e  non  sembra  aumentare  in  modo 
apprezzabile  coli'  avanzarsi  più  al  sud  fino  alla  Grecia  ed  al- 
l'Asia Minore  (^).  Il  prof.  Heer  rassomiglia  il  clima  locale  di 
Oeningen  a  quello  odierno  di  Madera  e  gli  assegna  una  tem- 
peratura media  annua  di  18°  a  19° (^).  Intanto  &io  dall'oligo- 
cene si  cominciano  a  rinvenire  fossili  a  Ronzon  nell'Alta  Loira 
e  ad  Armissan  presso  Narbona  le  prime  specie  di  fanerogame 

(^)  Grisebach.  1.  e.  pag.  825.  Vedi  pure  nell'opera  stessa  T  interessante  articolo 
sulla  vegetazione  delle  Canarie,  pag.  761. 

(*)  Saporta.  Le  Monde  des  Plantes.  pag.  132  (1879). 

(3)  Saporta.  1.  e. 

(*)  Saporta  1.  e. 

Q)  Saporta.  1.  e.  pag.  314. 


200  ▲.  BOTTlNi 

rimaste  indigene  neir  Europa  meridionale  (^).  Quanto  ai 
il  Phascum  cuspidatum  ora  comunissimo  in  tutta  Y  Europa  e 
cinque  specie  di  Dicraniun  attualmente  viventi,  sono  state  rin- 
venute neir  ambra  ('^). 

Scendendo  al  pliocene,  i  tufi  di  Meximieux  (^>  ci  dimostrano 
come  in  quel  periodo  esistesse  nei  dintorni  di  Lione  una  ricca 
vegetazione,  della  quale  facevano  parte  specie  attualmente  vi- 
venti in  Europa,  miste  ad  altre  ora  caratteristiche  dell'Ame- 
rica del  Nord,  dell'Asia  e  molte  proprie  oggidì  delle  Canarie. 
Fra  queste  ultime  sono  da  rammentare  due  felci:  YAdiantum 
reniforme  Linn.,  che  non  sorpassa  più  al  presente  T  Arcipelago 
delle  Canarie  nella  direzione  del  nord,  e  la  Woodicardia  radicans 
Cav.,  egualmente  canariense,  che  si  avanza  sporadicamente  fino 
alle  Asturie,  ed  in  Italia  sull'  Etna,  ad  Ischia,  a  Sorrento  e  fino 
(secondo  taluni  autori)  presso  Bologna  (^)  e  presso  Ferrara  (*). 
La  media  annua  del  lionese  in  pieno  periodo  pliocenico  doveva 
essere  di  17^  o  IS^  (^j,  temperatura  estremamente  prossima  a 
quella  attuale  di  Laguna  di  Teneriflfa. 

La  flora  del  pliocene  lacustre  del  Valdamo  Superiore,  re- 
centemente illustrata  dal  dottor  Giuseppe  Ristori  (\  su  133 
specie,  ne  presenta  56  comuni  col  miocene  di  varie  località 
italiane  e  molte  pure  comuni  colla  flora  fossile  di  Oeningen; 
al  contrario  vi  sono  scarsissime  le  specie  attualmente  viventi; 
essa  attesta  un  clima  caldo,  non  però  tropicale.  Riflettendo  poi 
alla  poca  comunanza  di  specie  passante  fra  questa  e  le  diverse 
altre  flore  plioceniche  italiane,  si  rileva  facilmente  come  fino 
d'  allora  esistessero  flore  proprie  di  ciascun  paese  e  che  le  con- 

(')  Come  la  Pistacia  lentisctts  ecc.  Vedi  Saporta.  1.  e.  pag.  265. 

C)  Schimper.  Tratte  de  Paleontologie  Vegetale.  I,  pag.  240  (1869).  —  Van 
Tieghem.  Tratte  de  Botanique.  pag.  1235  (1884). 

(3)  Saporta.  1.  e.  pag.  332. 

(^)  Saporta.  Le  Monde  des  Plantes,  pag.  337  (1879).  —  Non  la  trovo  registrata 
però  nella  recente  Flora  della  Provincia  di  Bologna  del  prof.  G.  Cocconi  (1883);  e 
nemmeno  nelle  recentissime  Aggiunte  alla  Flora  Bolognese  del  sig.  G.  E.  MatteL 
(Giugno  1886). 

(5)  Hooker,  W.  F.  Species  Filicum.  Voi  III,  pag.  67  (1860).  —  Peraltro  questa 
località  non  ò  menzionata  neir  opera  di  Nyman,  C.  F.  Conspectus  Florae  Europaeae. 
Supplem.  I,  pag.  86xi  (1883-1884). 

(<*)  Saporta.  1.  e    pag.  123. 

C)  liistori.  Contributo  alla  Flora  fossile  del  Valdamo  Superiore  (Atti  della 
Società  ToAcana  di  Scienze  Naturali  resid.  in  Pisa.  Voi.  VII,  pag.  143,  1886)  — 
£  da  questo  lavoro  che  ho  attinto  le  presenti  notizie. 


NOTA  SUL  nSSIDENS  SERRULATUS  201 

dizioni  climatologiche  non  fossero  più  uniformi,  ma  invece  va- 
riate anche  in  siti  vicini. 

Richiamiamoci  ora  alla  mente  che  il  Fissidens  serrulatus 
possiede  un'  area  disgiunta,  le  varie  parti  della  quale  si  schie- 
rano attorno  alla  porzione  occidentale  del  bacino  mediterraneo, 
di  cui  la  specie  è  caratteristica  nell'  attualità,:  che  si  avanza 
ancora  in  pochi  siti  umidi  e  temperati  della  Francia  nord-ovest 
e  della  Inghilterra  :  che  abita  costantemente  le  regioni  costiere, 
nel  nostro  continente  poco  elevate  sul  mare;  e  da  quanto  sono 
andato  esponendo  mi  sembra  poter  concludere  non  essere  im- 
probabile che  r  attuale  sua  distribuzione  in  Europa,  rappresenti 
un  residuo  di  quella  che  avrebbe  posseduto  fino  dal  pliocene  e 
dal  miocene.  La  specie  si  sarebbe  salvata  sui  terreni  antichi 
rimasti  da  queir  epoca  in  condizioni  tali  da  consentirne  la  con- 
servazione fino  a  noi;  mentre  i  terreni  silicei  terziarii  (sui  quali 
non  può  negarsi  che  si  diflPondesse,  quando  si  rifletta  al  caso 
del  granito  miocenico  dell'  Elba) ,  ci  è  permesso  supporre  che 
in  grazia  delle  molteplici  vicende  di  cui  sono  stati  spesso  il 
teatro  fino  nell'  epoca  quaternaria,  abbiano  più  profondamente 
modificato  la  loro  Flora  e  perduto  la  specie  di  cui  ci  occu- 
piamo {}). 

Questa  asserzione  richiederebbe  di  esser  convalidata  dalla 
storia  geologica  dei  singoli  luoghi  ove  si  trova  la  specie;  ma 
un  tale  compito  non  può  venire  assunto  da  una  sola  persona, 
per  cui  lo  raccomando  ai  varii  botanici  e  geologi  che  conoscono 
a  fondo  il  proprio  paese,  dovendo  io  limitarmi  ad  alcune  con- 
siderazioni sulla  Toscana. 

Ammesso  che  la  diflfusione  del  Fissidens  serrulatus  cessasse 
col  pliocene,  si  capisce  come  all'  Elba  non  si  trovi  su  terreni 
più  recenti  del  granito  miocenico  {%  poiché  di  formazioni  po- 


Q)  Vedi:  Engler,  Ad.  Versuch  einer  Entwichlungsgeschichte  der  Pflanzenwell^ 
insbesondere  der  Florengebiete  seit  der  Tertidrperiode.  1  u.  II.  Leipzig  (  1879  e  1882).- 
Van  Tieghem.  Traité  de  Botanique,  pag.  1609  (1884).  —  Saporta  et  Marion.  L*  Èva- 
lutìon  du  règne  végétaly  Tome  second,  Chapitre  IX,  (1885). 

(^)  Riguardo  alla  età  delle  roccie  granitiche  e  porfìriche  dell*  Elba,  cosi  si  esprime 
il  Lotti  a  pag.  180  del  suo  lavoro  più  volte  citato  :  «  Possiamo  adunque  stabilire  che 
«  queste  roccie  si  formarono  in  un'  epoca  compresa  tra  Y  eocene  e  il  miocene  Bupe- 
«  riore  e  precisamente  in  quel  periodo  di  tempo  in  cui  avveniva  il  più  imponente  dei 
«  sollevamenti,  quello  cioè  che  formava  per  intero  l'Appennino  e  innaUaya  le  Alpi, 
«squarciando,  rovesciando  e  increspando  bizzarramente  gli  strati  eocenici». 

Se.  Nat.  Voi.  VIIT,  fase,  l.»  15 


202  A.    liOTTIXI 

steriori  non  vi  esistono  che  le  quaternarie,  sulle  quali  non  po- 
teva propagarsi,  (guanto  al  nostro  Appennino,  i  lembi  del  pliocene 
portati  in  alcuni    punti  qua.si  a  1000    metri  di    altezza  presso 
Kadicofaniy  ci  autorizzano  ad  ammettere  essere  avvenuto  in  esso 
un  sollevamento  postpliocenico  molto  forte.    Le  stesse    colline 
lucchesi,  sebbene  meno  sollevate,  ci  mostrano  il  pliocene  a  circa 
240  metri  nelle  Pizzorne  sotto  Tofori  e  S.  Gennaro  (^).  La  specie 
che  non  veireta  in  Europa  fuori  dei  siti  bassi,  si  trovò  collo- 
cata ad  una  elovazione  alla  quale  non  poteva,  più  vivere,  mas- 
sime nella  sussi.'guento  epoca  glaciale,  che  se  non  da  per  tutto 
fu  epoca  di  gran  fred<lo  I -),  ne^>suno  i)iìi  vorrà  asserire  che  fosse 
epoca  di  caldo:  non  poteva  discendere  in  basso,  mancando  ormai 
di  mezzi  di  diffusione:  essa  dunque  ha  dovuto  scomparire   dal 
macigno  e  dagli  schisti  ai'gillosi  eocenici  del  nostro  Appennino 
e  dei  colli  lucrhf.\si.  Pel  Monto  Pisano  e  le  Alpi  Apuane  invece, 
la  poca  elevazione  del  pliocene  nelle  circostanti   colline  ("*),  ci 
porta  a  supporre  un'  innalzamento  postpliocenico  assai  minore, 
che  permise  alla  specie  di  conservarsi.  E  da  notare  poi  che  dopo 
r  epoca  glaciale,  così  il  Monte  Pisano  come  le  Alpi  Apuane  hanno 
partecipato   ad  un   movimento  di   sommersione,  diretto    verso 
r  ovest  nel  primo  e  verso  il  sud  nelle  seconde,  il  quale  lasciando 
emersi  i  terreni  aiitichi,  ebbe  por  effetto  di  seppellire  sotto  il 
mare  le  formazioni  terziarie   sovraincombenti,  verosimilmente 
assai  estese  sulle  penditi  di  quei  monti  (^),  ed  ora  rappresentate 
da  pochi  residui  isolati.  Non  farii  quindi  meraviglia  che  il  Ms- 
sidens  serrulatus  lo  abbiamo  ritrovato  colà  solo  sui  terreni  silicei 
paleozoici,  tanto  più  che  gli  scai-si  lembi  di  macigno  eocenico 
rimanenti,  non  sono  ancora  per  quanto  riguarda  la  nostra  specie, 
sufficientemente  esplorati. 

(')  Comunicazione  epistolare  del  prof.  C.  De  Stefani,  in  data  25  Maggio  ISSd. 

(')  A  chi  dubitasse  che  il  nostro  Fissidens^  proprio  dei  paesi  subtropicali  a 
temperati ,  avesse  potuto  traversare  1*  epoca  glaciale,  sì  potrebbe  semplicementa  fare 
osservare  che  ciò  è  avvenuto  di  fatto  per  altre  piante.  Ma  olti*6  a  ciò,  che  la  esten- 
sione dei  ghiacciaj  sia  conciliabile  colla  presenza  in  siti  vicini  di  una  vegetazione 
di  aspetto  siibtropicalc  collegata  ad  un  clima  mite,  ce  ne  offre  esempio  attualmente 
la  Nuova  Zelanda. 

P)  Verso  Parrana  nei  colli  livornesi,  il  pliocene  raggiunge  una  elevazione  mas- 
sima di  circa  100  metri.  Nelle  colline  pisane  ed  in  quelle  che  fiancheggiano  TAmo 
nel  suo  tratto  inferiore,  elevasi  a  Cangila  a  100  metri,  a  Lari  129  metri,  a  Monto* 
j)oli  119  metri  e  nelle  vicinanze  di  Pontodera  50  metri. 

(*)  Lotti.  Descrizione  geolojica  de W  Isola  d'  Elba,  pag.  240-246  (1886). 


kOTA  SUL  FISSIDENS  SERRULATUS  20B 

La  mia  ipotesi  si  accorda  perfettamente  con  quella  proposta 
dal  dottor  Major  a  spiegare  V  origine  della  Flora  fanerogamica 
caratteristica  dei  terreni  antichi  dell'  area  mediterranea  occi- 
dentale. Egli  a  pagina  90  del  suo  importante  lavoro  (^),  dopo 
aver  dato  un  catalogo  di  ben  centosedici  fanerogame  ed  una 
felce,  caratteristiche  come  egli  dice  della  Tirrenide,  così  si 
esprime:  "  Es  ist  bezeichnend,  dass  sich  die  endemischen  Pflan- 
„  zenformen  fast  ausschliesslich  an  altere  Formationen  halten 
„  (einige  Ausnahmen,  d.  h.  endemische  Pflanzen  der  Apuanisehen 
»  Alpen,  die  auch  auf  den  benachbarten  eocanen  Apennin  ùber- 
„  greifen,  werden  spater  zur  Sprache  kommen),  und  zwar  sind 
»  sie  meist  sehr  localisirt:  auf  das  Gap  Noli  (  Liguri en  ),  den 
j,  toscanischen  Archipel,  die  Apuanisehen  Alpen,  den  Monte  Calvi 
„  (zur  Catena  Metallifera  in  der  toscanischen  Maremme  gehórig), 
»  das  Cap  Palinuro.  Einzelne  Arten  sind  auch  von  Corsica,  oder 
„  von  Corsica  und  Sardinien  nach  dem  toscanischen  Inselarchipel 
„  und  selbst  bis  auf  die  Westkùste  der  Halbinsel  verbreitet. 

„  Die  Pflanzen,  welche  won  Sfldfrankreich  bis  Nordafrika 
„  reichen,  haben  dann  in  den  meisten  Fallen  auch  eine  weitere 
„  Verbreitung  nach  Westen  und  Osten;  die  grosse  Mehrzahl  der 
„  Pflanzen  des  vorstehenden  Verzeichnisses  ist  in  diesem  Fall. 
„  Sie  sind  es,  welche  dem  Grebiet  ein  subtropisches  Geprage 
„  verleihen;  wir  betrachten  sie  demnach  als  letzte,  in  dieser 
„  Region  zum  Theil  dem  Verschwinden  nahe  Ueberreste  aus 
„  einer  Zeit,  in  welcher  die  Flora  der  Mittelmeerregion  ùberhaupt 
„  einen  subtropischen  Charakter  batte.  Und  darum  erscheinen 
„  zugleich  die  beute  grossentheils  getrennten,  theilweise  nur 
„  als  Bruchstùcke  vorhandenen  Wohnorte  derselben  —  wie 
„  gewisse  Striche  des  westlichen  und  Ostlichen  Liguriens,  die 
„  Apup,nis'chen  Alpen,  die  Inseln,  die  Catena  Metallifera  Savi  's, 
„  der  Monte  Argentario,  der  Monte  Circeo  etc.  —  als  die  noch 
„  ùber  das  Meer  emporragenden  Ueberreste  eines  in  frùhem 
„  Zeiten  zusammenhangenden  Gebietes  „. 

(*)  Forsyth  Major,  C.  J.  Die  Tyrrhenii.  Studien  ùber  geographische  Verbreitung 
von  Thieren  und  Pflanzen  im  westlichen  Miitelmeergebiet  (  Kosmos  VII,  Bil.  XIII, 
18S3).  —  Vedi  pure:  Major.  Atti  della  Società  Toscana  di  Scienze  Naturali,  Pro- 
cessi Verbali:  adunanze  8  Gennajo  18S2,  pag.  36-42:  li  Marzo  ISS/,  pag.  U3-133: 
I.^  Novembre  1882,  pag.   192:  Il  Novembre  18S3,  pug.  13-21. 


204  A.BOTTIXI    —   NOTA  SUL  nSSEDENS  SERRtJLATCS 


A.wertenze   finali 

Sono  portato  a  credere  che  parecchie  altre  specie  di  muschi 
rari  e  ad  area  disgiunta  deblìano  avere  una  età  ed  una  storia 
non  dissimile  da  quella  del  Fissidens  serrulatus;  ma  non  posse- 
dendo su  di  osse  studii  sufficienti,  mi  astengo  eziandio  dal  no- 
minarle. 

Sono  io  il  primo  a  confessare  di  aver  lasciato  delle  indi- 
cazioni vaghe  da  precisare,  delle  lacune  da  colmare,  dei  dubbi 
da  risolvere,  senza  parlare  delle  nuove  scoperte  le  quali  po- 
trebbero rovesciare  la  ipotesi  proposta.  Ma  sarò  pago  di  aver 
richiamata  V  attenzione  dei  briologi  sulla  opportunità  di  non 
limitare  gli  studii  di  brio-geografia  al  solo  presente,  ma  di  in- 
dirizzarli per  quanto  è  possibile,  sia  pure  a  forza  di  ipotesi, 
anche  alla  ricerca  del  passato. 


aiOVi\JTNI    BAJlAIiDI 


APPARATO  FEMMINILE 

BELLA 

GENERAZIONE  NEI  NILGAU 

(PORTAX  PIOTA   FALL.) 
ED    UN    CENNO    SULLA    LORO    PLACENTA 


L'  apparato  femminile  della  generazione  dei  Nilgau  diflFerisce 
da  quello  degli  altri  ruminanti  per  avere  due  cavità  incubatrici 
o  uteri  indipendenti  Y  uno  dall'  altro,  e  quindi  non  comunicanti 
fra  loro  per  mezzo  di  quella  porzione  che  vien  chiamata  corpo 
dell'  utero.  DiflFerisce  pure  da  quello  dei  Monotremi,  dei  Marsu- 
piali, dei  Conigli,  delle  Lepri  etc.  perchè  in  questi  animali 
non  solo  vi  sono  due  uteri,  ma  vi  sono  anche  due  colli  che 
separatamente  sboccano  nella  vagina,  mentre  nei  Nilgau  i  due 
colli  si  fondono  in  uno  solo  alla  sua  parte  posteriore.  Questa  di- 
sposizione perciò  segna  un  vero  passaggio  fra  gli  apparati  della 
generazione  ad  utero  semplice,  e  gli  apparati  ad  utero  doppio, 
che  finora  si  conoscevano. 

Nel  preparare  gli  organi  genitali  di  una  femmina  di  Nilgau 
gravida,  dai  quali  avevo  estratto  il  feto,  restai  sorpreso  accor- 
gendomi che  ciò  che  credevo  il  corno  destro  era  un  utero  di- 
stinto. Non  vi  era  comunicazione  fra  la  parte  destra  e  la- si- 
nistra, e  il  feto  non  invadeva  coi  suoi  involucri  tutt'  e  due  le 
coma  come  avviene  negli  altri  ruminanti.  Mancava  quindi  quella 
porzione  che  abbiamo  detto  chiamarsi  corpo.  Ogni  cavità  incu- 


206  G.  BARALDI 

batrice  aveva  un  collo  suo  proprio,  ed  i  due  colli,  ad  una  certa 
distanza,  fondevansi  insieme  formando  iiu  unico  canale  che  a 
somiglianza  di  ciò  che  accade  negli  altri  ruminanti,  andava  ad 
aprirsi  nella  vagina. 

Ma  prima  di  andar  oltre  a  parlare  dell'  utero  dei  Xilgau, 
credo  necessario  richiamare  alla  memoria  Y  enorme  differenza 
di  struttura  e  di  funzione  che  vi  è  fra  la  imita  iiìcuhatriee  del 
dotto  di  MùUer  e  quella  parte  che  viene  chiamata  collo  o  yx?r- 
zìOììe  cervicale  delV  utero,  affinchè  risulti  evidentemente  che  i 
Nilgau  sono  animali  a  doppio  utero,  e  nei  quali  durante  lo  svi- 
luppo la  fusione  dei  dotti  Mulleriani  si  è  arrestata  nella  por- 
zione cervicale.  Per  ciò  fare,  diremo  che  i  dotti  Mulleriani,  i 
quali  non  subiscono  grandi  mutamenti  morfologici  nei  vertebrati 
inferiori,  nei  mammiferi  invece  si  possono  dividere  in  diverse 
regioni  che  sono  il  dotto  Faloppiano,  la  cavita  incubatrice,  il 
collo,  e  la  vagina  :  parti  tutte  che  hanno  struttura  e  funzione 
differente. 

Il  (lotto  di  Faloppio  è  uno  stretto  tubo,  molto  lungo  e  ge- 
neralmente flessuoso,  con  due  aperture,  una  addominale  allar- 
gata in  forma  di  padiglione,  X  altra  uterina.  È  costituito  da 
tre  membrane,  la  peritoneale,  la  muscolare  e  la  mucosa.  La 
muscolare  ha  due  strati,  uno  superficiale  a  fibre  longitudinali, 
r  altro  profondo  a  fibre  circolari.  La  mucosa  sprovvista  di  glan- 
dule  forma  delle  ripiegature  longitudinali  ed  è  rivestita  da  im 
epitelio  vibratile.  Il  ciotto  serve  col  suo  padiglione  a  raccogliere 
r  uovo  sfuggito  dalla  vescichetta  di  Graaf.  e  col  tubo,  per  mezzo 
della  vibrazione  delle  ciglia  vibratili,  a  trasportare  Tovo  stesso 
nella  matrice. 

La  cavità  incubatrice,  o  utero,  è  una  larga  cavità  più  o  meno 
lunga,  in  molti  animali  rivolta  a  spira  a  somiglianza  delle  coma 
d'ariete;  costituita,  come  il  dotto  di  Faloppio,  dalle  stesse  tre 
membrane,  colla  differenza  che  la  muscolare  è  formata  da  tre 
strati  di  fibre,  le  quali  s' intrecciano  in  tutte  le  direzioni  ;  e  la 
mucosa  è  di  un  bianco  rossastro,  ricca  di  una  quantità  di  glan- 
<lule,  rimarchevoli  pei  cambiamenti  che  subiscono  durante  la 
gestazione  e  l'epoca  delle  regole  nella  domia.  Fino  dai  primi 
momenti  della  gestazione  la  mucosa  dell'utero  s'ingrossa  mol- 
tissimo, e  dà  luogo  alla  decidua  vera  ed  alla  riflessa  alla  cui 
produzione  prende  parte  in  tutti  i  punti.  La  mucosa  è  tappez- 


/ 


APPARATO  FEMMINILE  DELLA  GENERAZIONE  NEI  NILGAU  207 

zata  di  un  solo  strato  di  cellule  vibratili,  le  di  cui  vibrazioni 
agiscono  in  senso  inverso  di  quello  della  tromba  Faloppiana. 
L'  utero  solo  è  destinato  a  mettersi  in  rapporto  col  prodotto 
del  concepimento. 

11  collo  o  porzione  cervicale  dell'utero  è  un  tubo  che  fa  se- 
guito air  utero,  più  o  meno  lungo  nei  differenti  animali,  il  quale 
ha  lo  strato  muscolare  più  spesso  di  quello  della  matrice  e 
forma  dei  grossi  fasci  circolari  di  fibre  muscolari  da  rassomi- 
ghare  a  degli  sfinteri  :  in  moltissimi  animali  lo  strato  musco- 
lare protubera  nell'interno  con  dei  rialzi  che  chiudono  quasi 
perfettamente  per  alcuni  punti  il  lume  del  tubo  :  per  la  dispo- 
sizione particolare  che  questi  rialzi  assumono  nel  collo  uterino 
della  donna,  vennero  chiamati  albero  della  vita.  Negli  animali 
sono  detti  sfinteri  od  anche  musi  di  tinca.  La  mucosa  del  collo 
differisce  completamente  e  per  la  sua  struttura  e  per  la  sua 
funzione  da  quella  dell'  utero,  come  Robin  (^)  lo  ha  perfetta- 
mente dimostrato  nella  donna.  Essa  è  più  spessa  di  quella  del- 
l' utero  con  glandule  a  tubo  semplice  e  a  tubo  composto  e  mol- 
tissime di  queste  sono  rimpiazzate  dalle  così  dette  uova  del 
Naboth.  La  mucosa  dopo  di  aver  tappezzata  la  cavità  del  collo, 
ricopre  l' orifizio  e  le  labbra  del  muso  di  tinca  :  in  quest'  ultima 
porzione,  Cornil  (*^),  dice  che  nella  donna  presenta  delle  dif- 
ferenze sì  grandi  dalla  prima,  che  si  devono  considerare  due 
porzioni;  1' una  uterina,  l'altra  vaginah  o  del  muso  di  tinca. 
La  porzione  uterina  è  ricoperta  di  un  solo  strato  di  cellule  di 
un  epitelio  vibratile,  e  la  vaginale  da  un  epitelio  pavimentoso 
stratificato.  Questa  mucosa  non  prende  parte  alla  formazione 
della  decidua  vera  ed  alla  riflessa  durante  la  gestazione.  H  collo 
dell'utero  nella  dorma,  secondo  Oomil,  ha  delle  papille  simili 
a  quelle  della  cute.  La  funzione  del  collo  è  quella  d'inibire 
il  passaggio  di  anche  una  minimissima  parte  del  prodotto  del 
concepimento,  per  mezzo  specialmente  di  quel  liquido  vischioso 
trasparente  di  color  bianco  o  d'ambra,  di  cui  in  tutte  le  età, 
il  collo  è  pieno  e  le  cui  proprietà  si  esagerano  durante  la  gra- 
vidanza, formando  il  così  detto  tampone  gelatinoso. 

La  vagiìia  è  un  larghissimo  tubo  che  fa  seguito  al  collo  del- 

(')  V.  Corail,    liecherches  sur  la  structure    de  la  Muqueuse   du  col  utérin  a 
l' éiat  normal.  Robin,  Joura.  d*  Anatomie  et  de  Physiologie,  anno  1864,  pag.  386. 
O  Op.  cit. 


208  G.  BARALDI 

r  utero.  La  sua  mucosa  è  sprovvista  di  glandule  0)  e  tappezzata 
(la  un  epitelio  pavimentoso.  La  vagina  serve  a  ricevere  l'or- 
gano maschile  nel  momento  del  coito. 

Non  tengo  nota  del  vestibulo  genito-urinario  non  avendo 
importanza  per  gli  apparati  che  stiamo  per  descrivere.  Dirò 
solo  che  è  unico,  e  che  la  funzione  è  uguale  in  tutti  i  mam- 
miferi. 

Data  questa  rapida  e  necessaria  occhiata  alla  differente 
struttura  delle  diverse  regioni  dei  dotti  Mulleriani,  passiamo 
alla  descrizione  degli  uteri  di  Nilgau. 

Sono  4  apparati  femminili  della  generazione  che  ho  a  mia 
disposizione,  due  di  femmine  gravide  e  due  di  femmine  dell'  età 
circa  di  un  anno  e  mezzo. 

Dei  due  primi  apparati  uno  conteneva  un  feto  solo  e  Y  altro 
due.  Gli  altri  due  naturalmente  erano  vuoti. 

Incominceremo  dalla  descrizione  dei  vuoti. 

Uno  di  essi  fig.  I,  visto  all'  esterno  mostrava  dei  legamenti 
larghi  assai  sviluppati  ;  le  trombe  D  f,  apparivano  lunghe  e  poco 
flessuose  e  col  padiglione  piuttosto  stretto.  Le  porzioni  incuba- 
trici Pi,  Pi',  nella  loro  forma  si  avvicinavano  di  più  a  quella 
della  pecora  che  a  quella  della  vacca,  perchè  le  spire  a  corno 
d'  ariete  sono  appena  due  e  mezzo,  mentre  nella  pecora  sono 
tre  o  più  di  tre  :  misuravano,  nel  massimo  della  loro  lunghezza, 
m.  0,105,  ed  il  suo  diametro  maggiore  era  di  m.  0,018:  queste 
porzioni  che  corrispondono  alle  coma  uterine  degli  altri  rumi- 
nanti presentano  una  gi'ande  cavitk,  nelle  di  cui  pareti  inteme 
si  notano  una  quantità,  di  rilievi  che  molto  probabilmente  rap- 
presentano le  regioni  dei  cotiledoni  materni:  sono  tappezzate 
da  una  membrana  mucosa  color  carnicino  ricoperta  da  uno 
strato  di  cellule  epiteliali. 

Ognuna  delle  cavità  incubatrici  comunica  con  uno  stretto 
tubo  a  pareti  grossissime  che  rappresenta  la  porzione  del  collo 
uterino  C,  a,  a'.  Il  tubo  sinistro  a,  è  lungo  m.  0,014,  il  tubo 
destro  a,  e  lungo  m.  0,012:  nell'interno  dei  tubi  si  notano  di- 
versi rialzi  formati  da  un  numero  maggiore  di  fibre  muscolari 

(')  Come  sta  la  faccenda'/  MìIda  Edwars—  Le^on  sur  la  Physiologie  efAna" 
tomie  eomparée  Tom.  IX,  pag.  68  —  asscrifice  clic  in  molti  mammiferi  la  vagina  è 
provvista  di  glandule,  le  quali  sono  molto  sviluppato  nei  Ruminanti.  Laydic  e  raolti 
altri  moderni  istologi  le  negano. 


APPARATO  PEBfMINILE  DELLA  GENERAZIONE  NEI  NILGAU  209 

circolari,  a  guisa  di  tanti  sfinteri,  i  quali  visti  neir  intemo  si 
possono  rassomigliare  a  tanti  musi  di  tinca  s,  s'.  Fra  un  muso 
di  tinca  e  V  altro  vi  è  una  specie  di  cavità  piena  di  un  muco 
denso  biancastro.  La  mucosa  che  tappezza  i  tubi  é  ricca  di  glan- 
dule,  e  forma  un  numero  grandissimo  di  piccole  ripiegature  lon- 
gitudinali nella  parete  di  ogni  cavità,,  e  al  margine  libero  di 
ogni  muso  di  tinca  si  osservano  moltissime  papille. 

Dei  rilievi  a  muso  di  tinca  e  respettive  cavità  se  ne  osser- 
vano tre  per  ogni  collo,  in  un  Nilgau;  e  tre  nel  collo  uterino 
destro,  e  due  nel  sinistro  in  un  altro  individuo.  La  figura  1  .*  rap- 
presenta gli  organi  della  generazione  del  primo  individuo. 

A  questo  punto  la  porzione  cervicale  dell'utero  sinistro  a, 
si  fonde  con  quella  di  destra  a',  formando  qui  un  grande  muso 
di  tinca  s',  con  due  aperture  alla  parte  anteriore.  Alla  parte 
posteriore  di  questo  grande  muso  di  tinca  s',  si  forma  una  ca- 
vità cervicale  simile  ad  una  di  quelle  descritte  nelle  porzioni 
anteriori  del  collo  :  poi  un  altro  muso  di  tinca,  indi  altra  cavità 
fino  al  numero  3:  finalmente  un  ultimo  muso  di  tinca,  che 
sbocca  nella  vagina  v,  nel  modo  stesso  che  si  osserva  nella 
vacca.  Anche  questa  porzione  b,  del  collo  comune  ai  due  uteri, 
è  rivestita  della  medesima  mucosa  colle  stesse  particolarità  che 
abbiamo  notate  per  le  porzioni  anteriori. 

Dalla  descrizione  che  ho  data  dei  colli  uterini  mi  pare  aver 
dimostrato  che  formano  un  Y,  le  di  cui  braccia,  o  porzioni  ute- 
rine a  a',  comunicano  con  una  cavità  incubatrice  o  utero,  e 
colla  coda  o  porzione  vaginale  b,  colla  vagina. 

Le  diverse  cavità  che  abbiamo  riscontrate  nei  colli  delle 
porzioni  uterine  e  vaginali  sono  piene  di  un  muco  denso,  bian- 
chiccio e  filamentoso. 

Non  mi  perdo  a  descrivere  la  vagina  non  presentando  questa 
nella  forma  generale  diflTerenze  notabili  da  quella  della  vacca, 
per  venire  a  discorrere  degli  organi  della  generazione  gravidi 
dei  due  Nilgau  più  sopra  indicati  (^). 

Li  uno  degli  uteri  gravidi  Fig.  2.*,  ho  trovato  un  feto  solo, 
lungo  m.  0,24,  il  quale  era  rinchiuso  nella  cavità  incubatrice 
destra  Pi';  l'altra  cavità  P  i,  naturalmente  era  vuota. 


(*)  Oli  organi  della  generazione  dei  due  Nilgau  di  un  anno  9  mezzo  si  conser- 
vano ne)  Museo  di  An&tpn^U  comparata  di  Pisa  sotto  il  N*^  d\  Catalogo  6383-6384. 


210  G.  lUKALDI 

Le  dimensioni  delle  Ct^vità  incubatrici  e  rispettivi  colli  preso 
in  un  preparato  a  secco  sono  queste: 

Lunghezza  media  della  cavita  incubatrice  destra  m.  1,  190 

Circonferenza  massima  idem „  0,  580 

Lunghezza  del  collo  (porzione  uterina)    ....  „  0,  0-45 

Diametro  idem ^0, 014 

Lunghezza  dell'  utero  sinistro ^0,  350 

Circonferenza  massima  idem j,  0,  190 

Lunghezza  del  collo  (porz.  uterina) . „  0,  050 

Diametro  idem ,0,  l-iO 

Lunghezza  del  collo  (porz.  vaginale) ,0,  060 

Diametro  idem „  0,  025 

Lunghezza  dèlia  vagina „  0,  2-1:0 

Circonferenza  massima ,.,0,  230 

Neir  altra  Nilgau  ho  trovati  due  feti  lunghi  m.  0,  105  Tuno, 
m.  0, 104  r  altro,  rinchiusi  uno  per  ciascuna  cavità  incubatrice. 
Le  misure  di  queste  cavità  e  rispettivi  colli,  prese  in  un  pre- 
parato fresco,  sono  le  seguenti  : 

Utero  destro  lunghezza  media m.  0,  480 

Diametro  massimo  del  medesimo „  0, 1 1 0 

Lunghezza  del  collo  (porzione  uterina)   ....  „  0,  036 

Lunghezza  media  dell'utero  sinistro ,0,  470 

Diametro  massimo  del  medesimo ,,  0,  115 

Lunghezza  del  collo  (porzione  uterina)    ....  „  0,  035 
Lunghezza  del  collo  comune  ai  due  uteri  o  por- 
zione vaginale ^  0,071 

Lunghezza  della  vagina „  0,  220 

In  questi  uteri  gravidi  ho  osservato  che  la  mucosa,  nel- 
r  orificio  di  ciascun  collo  uterino,  fa  una  ripiegatura  semilunare 
da  rassomigliare  ad  una  valvola.  Inoltre  ho  visto  che  il  mar- 
gine di  tutti  quei  rialzi  che  ho  indicati  neir  interno  dei  colli 
col  nome  di  musi  di  tinca,  sono  guerniti  di  lunghissime  papille; 
che  nelle  diverso  cavità,  fra  un  rialzo  e  X  altro,  si  notano  an- 
cora quelle  ripiegature  longitudinali  della  mucosa,  le  quali  si 
osservano  anche  negli  uteri  vuoti:  e  che  le  cavità  del  collo 
tanto  delle  porzioni  uterine  che  della  porzione  vaginale,  sono 
piene  di  un  muco  densissimo,  il  quale  fa  le  veci  di  tanti  tam- 
poni uterini.   Il  numero  dello  cavità  del  collo  variano  da  tre 


APPARATO  FEMMINILE  DELLA  GENERAZIONE  NEI  NILGAU  211 

a  quattro  nelle  porzioni  uterine  aa,  e  da  tre  a  quattro  nella 
porzione  vaginale  b. 

Questa  particolarità,  adunque,  degli  organi  della  generazione 
femminile  dei  Nilgau  non  si  riscontra  affatto,  almeno  per  quanto 
io  so,  non  solo  nei  ruminanti  domestici,  ma  neanche  in  altri 
come  ad  esempio  nella  Daina,  nella  Cerva  etc.  In  tutti  questi 
animali  le  corna  uterine  comunicano  fra  loro  per  mezzo  del 
corpo.  Anche  V  utero  della  Dromedaria  e  simile  a  quello  degli 
altri  ruminanti,  sebbene  il  corpo  sia  diviso  quasi  in  totalità  da 
un  tramezzo  risultante  da  un  esagerato  addossamento  delle  due 
coma,  (  Chauveau  pag.  970  (^)).  Il  collo  uterino  di  tutti  questi 
animali  è  sempre  unico  e  mai  biforcato  ad  y  come  quello  da 
noi  descritto:  è  più  o  meno  lungo  e  presenta  un  numero  varia- 
bile (da  4  a  6)  di  sfinteri  o  musi  di  tinca  più  o  meno  completi. 

Ora  considerando  che  in  tutti  i  mammiferi  la  cavità  incu- 
batrice differisce  nella  struttura,  nella  capacità  e  nella  funzione 
dal  collo  uterino,  noi  non  esitiamo  a  classificare  i  Nilgau  fra 
gli  animali  a  doppio  utero. 

Con  questa  differenza;  che  mentre  nei  Nilgau  la  fusione 
dei  dotti  Mulleriani  si  fa  in  parte  nelle  porzioni  cervicali  per 
cui  si  hanno  due  orifizi  uterini  ed  uno  vaginale;  invece  in  tutti 
i  mammiferi  conosciuti  fino  ad  ora  con  doppio  utero  la  con- 
fluenza o  la  fusione  dei  dotti  Mulleriani,  che  restano  comple- 
tamente separati  l'uno  dall' altro  in  tutti  i  vertebrati  inferiori, 
in  alcuni  di  questi  sboccano  separati  nel  vestibulo  genito  uri- 
nario come  per  esempio  nei  monotremi.  Nei  marsupiali  si  ha 
la  fusione  in  parte  della  vagina;  nei  conigli  e  nelle  lepri  si  fa 
in  tutta  la  vagina  stessa,  restando  separate  le  due  porzioni 
cervicali.  Per  il  passato  si  riteneva  che  dalla  fusione  vaginale 
dei  dotti  Mulleriani  si  passasse  immediatamente  alla  fusione 
delle  camere  incubatrici.  Inoltre  in  un  gran  numero  di  animali 
come  per  esempio  nei  bovi,  nelle  pecore  e  nei  maiali  ec.  la  fu- 
sione dei  dotti  Mulleriani  arriva  fino  alla  estremità  posteriore 
delle  cavità  incubatrici,  ed  in  altri  si  fondano  anche  tutte  lo 
porzioni  incubatrici  come  avviene  per  esempio  nell'  uomo,  nella 
scimmia  ec. 


(*)  Tratte  d* Anatomie  comparée  des  A'^imaux   domestiques.  Paris,  Troisi^me 
ed  ilio  n. 


212  G.  BÀBÀLDI 

Quindi  volendo  classificare  gli  organi  della  generazione  fem- 
minile nei  mammiferi,  nel  modo  che  generalmente  viene  adot- 
tato, diremo: 

Utero  semplice:  quando  troveremo  due  dotti  Faloppiaiii,  un 
utero,  un  collo  ed  una  vagina,  come  nella  doima  e  nelle  scimmie. 

Utero  bicorne:  quando  troveremo  due  dotti  Faloppiani,  due 
coma  o  porzioni  incubatrici,  un  così  detto  corpo  uterino  ed  una 
vagina,  come  nei  bovi,  nelle  pecore,  nei  cavalli  ec. 

Utero  (loppio  con  collo  ad  Y:  quando  troveremo  due  dotti 
Faloppiani,  due  uteri,  due  colli  fusi  all'  estremità  posteriore  ed 
una  vagina,  come  nei  Nilgau. 

Utero  e  collo  doppio:  quando  troveremo  due  dotti  Faloppiani, 
due  uteri,  due  colli  ed  una  vagina,  come  nei  conigli,  nelle  lepri, 
in  alcuni  mus  (  ^)  ec. 

Utero  e  collo  e  parte  della  vagina  doppia:  quando  si  trovano 
due  dotti  Faloppiani,  due  uteri,  due  colli  e  porzione  della  va- 
gina fusa,  come  nei  marsupiali. 

Dotti  Mulleriani  non  fusi:  quando  troveremo  due  dotti  Fa- 
loppiani, due  uteri,  due  colli  e  due  vagine,  come  nei  monotremi. 

Ho  creduto  utile  di  comunicare  questa  particolarità,  degli 
organi  femminili  della  generazione  dei  Nilgau,  perchè  ha  una 
certa  importanza  embriologica,  fisiologica  e  teratologica.  Em- 
briologica, perchè  rappresentano  un  grado  speciale  di  trasfor- 
mazione nella  fusione  dei  dotti  Mulleriani:  fisiologica,  perchè 
in  questi  animali  potrà  avvenire  con  tutta  facilità  la  superfe- 
tazione, che  così  facilmente  non  può  avvenire  negli  altri  ru- 
minanti, per  la  ragione  che  in  questi  V  uovo  o  meglio  le  mem- 
brane fetali,  dopo  brevissimo  tempo  dalla  concezione  percludono 
Tunica  apertura  uterina  del  collo  e  gli  spermatozoidi  trovano 
un  ostacolo  a  passare  nel  corno  vuoto.  E  finalmente  teratolo- 
gica, perchè  alcune  anomalie  di  uteri  doppi  che  si  riscontrano 
talvolta  in  animali  che  normalmente  hanno  l'utero  semplice, 
possono  ritrovare  il  loro  riscontro  negli  uteri  doppi  dei  Nilgau, 
meglio  che  negli  uteri  di  coniglio  e  di  lepre  come  si  è  fatto 
fin  qui   dagli  anatomici  e  come  mi   pare   sarebbe  il  caso  de- 

(0  Non  ho  avuta  occasione  che  di  avere  \\n  i^lo  individuo  di  Mus  decumanus 
e  mi  pare  di  avere  ri-^contrata  la  stessa  particolarità  che  si  ha  nel  Nilgaa.  Altre 
osservazioni  metteranno  in  chiaro  questo  fatto- 


APPARATO  FBMMINILE  DELLA  QENEtlAZIONE  NEI  NILGAU  ^13 

gV  uteri  doppi  di  donna  descritti  da  Cuvier  (^),  da  Martin  (^)  e 
specialmente  il  caso  descritto  da  Romiti  (^)  in  cui  ha  riscon- 
trato un  utero  doppio,  uno  molto  sviluppato  e  V  altro  rudi- 
mentario,  i  quali  si  fondevano  insieme  "  nel  punto  che  presso 
a  poco  corrisponderebbe  alla  fine  della  cavità  cervicale  »  :  ed 
il  caso  di  utero  doppio  con  un  unico  collo,  descritto  da  Gru- 
veilhier,  trovato  in  una  donna  morta  sei  settimane  dopo  il 
parto  ;  in  cui  V  utero  destro  molto  più  sviluppato,  conteneva  il 
feto  (vedi  Fig.  252  di  Ch.  Debierre  (^)  ) . 

Affinchè  non  cada  alcun  dubbio  che  il  doppio  utero  dei 
Nilgau  sia  un  anomalia,  dirò  che  esaminati  questi  organi  in 
quattro  femmine  li  ho  trovati  sempre  colla  stessa  identica  con- 
formazione, ciò  che  non  avviene  quando  si  tratta  di  anomalie. 

Placenta.  Alla  singolare  particolarità,  degli  organi  della  ge- 
nerazione nelle  femmine  dei  Nilgau  se  ne  aggiunge  un  altra 
non  meno  particolare,  e  che  è  forse  inerente  alla  prima,  ed  è 
che  la  distribuzione  dei  vasi  della  placenta  fetale  e  molto  dif- 
ferente da  quella  di  tutti  gli  altri  ruminanti,  come  pure  sono 
diflPerenti  i  cotiledoni. 

I  vasi  placentali  invece  di  dividersi  in  due  vasi  principali 
che  scorrono  dall'  avanti  air  indietro  sulla  allontaide,  dando 
rami  secondari  dall'  uno  e  dall'  altro  lato,  come  si  osserva  ad 
esempio  nella  placenta  fetale  della  pecora  (^)  e  della  Vacca, 
nei  Nilgau,  questi  stessi  vasi  nel  punto  in  cui  termina  il  cor- 
done ombelicale  si  suddividono  immediatamente  in  10  o  12  ra- 
mi, circa  del  medesimo  calibro,  che  si  distribuiscono  in  tutte 
le  direzioni  sull'  allontoide  che  è  anche  più  corta,  relativamente 
di  quella  degli  altri  ruminanti. 


(*)  Le^n  d* Anatomie,  Tom.  IH,  pag.  628.  Caso  di  matrice  doppia,  bicorpo  e 
bicorne,  in  una  femmina  umana. 

(*)  Martin  ha  dimostrato  come  i  dotti  moUeriani  possono  restare  completamento 
divisi  in  unjneonato  umano.  Journal  de  l* Anatomie  e  de  la  Physiologie  de  Robin 
e  Pouchety  Anno  IV.  (Gennaio  o  Febbraio). 

(3)  Notizie  Anatomiche.  Di  alcuni  casi  di  mala  conformazione  degli  organi  ge- 
nitali femminili.  Estratto  dal  Bollctt  della  Soc.  tra  i  Cult,  delle  Se.  Med.  in  Siena. 
Anno  III,  Siena  1885. 

(^)  Manuel  d*  Embryologie  humaine  et  comparée.  Paris  1886. 

(^)  Vedi  la  Figura  394  data  da  Chauveau  —  Traité  d* Anatomie  comparée  des 
AnimauiV  domestiques.  Paris  1878. 


214  G.  BARALDI 

La  distribuzione  dei  vasi  placentali  dei  Nilgau,  rassomiglia 
molto  alla  distribuzione  dei  vasi  placentali  della  Cavalla. 

I  cotiledoni  che  sono  circa  in  numero  di  68  nella  Pecora 
e  nella  Capra,  di  14  nella  Daina,  e  di  72  nella  Vacca;  nella 
Nilgau  invece  sono  quaranta.  Oltre  a  ciò  i  cotiledoni  di  questo 
animale,  che  sono  concavi  come  quelli  della  Pecora  e  della  Capra, 
sono  però  più  espansi  e  più  larghi  quasi  da  toccarsi  Y  uno  col- 
r  altro,  ciò  che  non  si  riscontra  in  nessun  altro  ruminante. 

La  placenta  di  Nilgau  si  conserva  nel  Museo  di  Anatomia 
comparata  di  Pisa  sotto  il  N.°  6102  di  catalogo.  Si  conservano 
puro  nello  stesso  Museo  le  placente  di  Pecora  (N.'^GOIQ),  di 
Daina  (N.«  6122),  di  Vacca  (X.'>  6910),  etc. 


SPIEilAZIONE    DELLE    FIGURE 


Organi  della  generazione  Femniinile 

Fig.  1.*  Uteri  di  Poptax  piota  (Nilgau)  di  un  anno  e  mo/.zo  circa,   visto 

dalla  faccia  superiore. 
Df.    Tromba  di  Faiuppio  senza  il  Padiglione. 
Pi.     Cavità   incubatrice  sinistra  o  porzione  incubatrice    dei   dotti 

Mulleriani,  aperta. 
Pi'.  Utero  destro  ecc. 
C.     Collo  degli   uteri,  aperto. 

a.  Porzione  uterina  del  collo  dell'utero  sinistro. 
2l',     Porzione  uterina  del  collo  dell' uu^ro  destro. 

b.  Porzione  vaginale  del  collo  degli  uteri, 
s.      Sfinteri  del  collo  uterino. 

s'.     Sfinteri  del  collo  vaginale. 
V.      Vagina  aperta. 

—  Tolta  da  una  preparazione  fresca. 

Fig.  2.»  Uteri  di  Nilgau  di  cui  il  destro  era  gravido,  visto  dalla  faccia 

inferiore. 
Le  lettere  valgano  quello  della  Fig.  1.» 

—  Tolta  da  una  preparazione  a  secco,  che  si  conserva 
nel  Museo  di  Anatomia  comparala  di  Pisa  sotto  il  N.®  di 
Catalogo  G689. 


&)>PA&iTO  FEHUINILE  DELLA  aEKERAZIONE  NEI  NILOAU  àl5 


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1 


mi  i  i  iPOSIIO  DI  RilTOl  I  DI  CARIIMI 

SULLA   VETTA   DI   MONTE    PELLEGRINO 

CON  UNO  SCHIZZO  8INCRON0GRAFICO 

DKL  CALCARE  POSTPLIOCiiNICO  DELLA  VALLATA  DI  PALERIO 


PEL 


HARCHBSe  ANTONIO  DB  GREGORIO 


DOTTOBB  nr  SCXBNZS    MATT7BALI 


H  deposito  ossifero,  il  cui  studio  è  soggetto  di  questo  lavoro, 
presenta  in  vero  una  grande  importanza:  sì  perchè  nulla  di 
simile  si  è  rinvenuto  finora  in  Sicilia,  si  perchè  la  scoverta  di 
vertebrati  fossili  può  dare  molto  lume  intorno  alla  storia  delle 
ultime  vicissitudini  geologiche  della  nostra  isola,  sì  perchè  (anche 
indipendentemente  di  ogni  altra  considerazione)  X  esame  dei 
loro  caratteri  anatomici  svela  molte  paculiarità,  interessanti. 

Nessun  deposito  di  piccoli  mammiferi  finora  è  stato  trovato 
in  Sicilia,  neppure  dagli  ingegneri  delle  miniere,  che  per  eseguire 
il  rilievo  geologico,  la  hanno  recentemente  traversata  da  un 
capo  air  altro.  Nelle  grotte  che  contengono  gli  avanzi  esostorici 
degli  antichi  abitatori,  si  è  forse  potuto  rinvenire  qualche  ossi- 
cino di  piccolo  mammifero;  ma  si  è  trattato  sempre  di  fram- 
menti indeterminabili  o  di  poca  entità,  difficilissimi  a  distinguersi 
e  a  classificarsi,  avuto  anche  riguardo  alla  promiscuità  come  si 
trovano.  —  Dicevo  che  tale  scoperta  poteva  esser  molto  utile 
per  chiarire  molte  lacune  della  storia  geologica  moderna  del- 
l' isola  nostra;  ed  è  superfluo  dimostrarlo.  Dirò  solo  che  lo  studio 
comparativo,  sia  anatomico  che  tassonomico,  di  esseri  di  classi 
superiori  come  quelli  da  noi  studiati,  può  offrire  molti  e  valevoli 

8c,  Nat.  Voi.  Vm.  16 


218  A.  DE  GREGORIO 

criteri  per  la  ricostruzione  degli  antichi  continenti,  per  investi- 
garne il  clima  e  anche  in  certo  modo  la  vegetazione  e  la  oro- 
grafia. Tanto  più  poi  che  lo  studio  delle  emigrazioni  e  delle 
immigrazioni  degli  animali  è  oggi,  e  a  ragione,  molto  in  onore, 
come  quello  che  ha  condotto  a  importanti  scoperte,  spiegando 
molti  fenomeni  e  molti  fatti  altrimenti  misteriosi.  —  Infine,  non 
parlando  del  carnivoro  di  seguito  descritto,  certo  i  roditori  e 
principalmente  quello  più  grande,  presentano  dei  caratteri  peco- 
liarissimi  nel  sistema  dentario,  che  hanno  poche  analogie  fra 
i  congeneri  sia  viventi  che  fossili. 

Premesse  queste  considerazioni  non  mi  sembra  fuor  di  luogo 
dare  un  cenno  della  posizione  della  località  fossilifera:  e  ciò 
tanto  per  formarsi  un'  idea  delle  condizioni  di  vita  di  allora, 
tanto  per  lo  studio  di  sincroni/azione,  il  quale  per  la  mancanza 
di  suflBcienti  criteri  riesce  un  po'  difficile  e  incerto. 

Tutto  il  fondo  della  grande  vallata,  sul  quale  sorge  la  città 
di  Palermo,  è  formato  di  un  calcare  conchiglifero  ix)stpliocenico 
che  si  distende  in  tutti  i  sensi  sino  a  lambire  le  falde  dei  monti 
circonvicini.  Tal  calcare  è  regolarmente  stratificato  e  ha  una 
grande  potenza:  ho  esaminato  infatti  dei  pozzi  profondi  25  metri 
incavati  in  esso  e  ho  avuto  fra  mani  il  materiale  estratto  dal 
fondo  del  porto,  appartenente  senza  dubbio  alla  stessa  forma- 
zione. In  talune  contrade  (  come  per  esempio  a  Ficarazzi  )  la 
roccia  postpliocenica  passa  alle  sabbie,  alle  marne,  alle  argille. 
Queste  ultime  sono  in  taluni  siti,  come  a  Ficarazzelli,  ricchissime 
di  fossili;  vi  primeggiano  la  Cyprhia  islandica  e  il  Fusus  (Brongus) 
conb'arius.  Però  in  generale  la  roccia  predominante  è  un  cal- 
care detritico  conchigliare  che  fornisce  un'  ottima  pietra  per 
costruzione,  poiché  è  molto  facile  a  lavorarsi,  mentre  nello  stesso 
tempo  h  resistente  agli  agenti  atmosferici.  Il  calcare  delle  Falde 
di  Monte  Pellegrino,  della  Vergine  Maria  e  dell' Arenella  è  bianco 
e  contiene  grande  quantità  di  conchiglie,  coralli,  briozoi,  nulli- 
dore.  Quello  dei  pressi  di  Aspra  (Capo  di  Zafferana)  è  giallastro, 
alquanto  più  tenace  e  più  fitto  e  formato  interamente  di  con- 
chiglie minutamente  frantumate.  Sino  a  pochi  anni  addietro 
quasi  tutte  le  case  di  Palermo  si  costruivano  col  calcare  delle 
Falde  di  Monte  Pellegrino,  ora  si  preferisce  quello  di  Aspra. 

In  generale  gli  strati  sono  su  per  giù  orizzontali,  ma  non 
di  rado  pendono  alquanto  in  una  o  in  un'  altra  direzione,  per 


INTORNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.      219 

lo  più  per  pochi  gradi.  Qualche  volta  s' inclinano  più  marcata- 
mente, ma  ciò  per  lo  più  avviene  in  tratti  non  molto  estesi. 
Tale  roccia  contiene  una  fauna  assai  ricca  e  molto  carat- 
teristica, che  parmi  abbia  grandissima  affinità  con  quella  del 
Crag  d' Inghilterra.  Buona  parte  delle  specie  vivono  ancora  nel 
Mediterraneo,  alcune  nei  mari  glaciali,  altre  sono  estinte.  È  un 
orizzonte  assolutamente  distinto  dal  pliocene,  il  quale  e  assai 
sviluppato  nei  dintorni  d'Altavilla,  ove  sfoggia  tutte  le  sue  specie 
tipiche  fra  cui  primeggia  lo  Strovibus  coronatiis.  —  11  póstpliocene 
di  Palermo  è  molto  più  recente  di  esso,  però  non  credo  si  possa 
del  tutto  conguagliarlo  al  quaternario  ossifero  delle  grotte, 
il  quale  è  ancora  più  recente.  Invero  questo  alla  sua  volta  pare 
vada  distinto  in  due  sotto-zone,  V  una  che  comprende  i  depositi 
a  Hippopotamus  Pentlandij  Ekphas  antiquus,  Bos  primigenius  e 
troehocenus,  Cervus  elaphus  etc.  i  quali  si  rinvengono  tanto  nelle 
grotte,  che  nei  terreni  di  alluvione  (recentemente  ne  ho  sco- 
perto un  deposito  lungo  il  letto  del  fiume  Anapo),  V  altra  che 
comprende  i  depositi  esostorici  delle  grotte  con  armi  di  selce 
più  o  meno  grezza.  Io  non  ho  ancora  avuto  tempo  di  studiare 
l'epoca  relativa  di  queste  due  zone  (che  potrebbero  anche  es- 
sere coeve  come  è  molto  probabile),  né  tampoco  le  relazioni 
fra  il  quaternario  ossifero  propriamente  detto  e  il  postplioce- 
cene  tipo;  però  parmi  che  gli 'argomenti  militino  per  la  mag- 
giore antichità  di  quest'ultimo,  anzi  credo  si  possa  asserirlo 
senza  timore  di  essere  smentiti.  È  però  probabile  che  l'ultima 
fase  postpliocenica  sia  contemporanea  alla  formazione  del  detto 
quaternario  ossifero.  Vo'  qui  solo  menzionare  due  fatti:  Nella 
spiaggia  di  Sferracavallo  ho  osservato  che  lo  stesso  calcare  con- 
tiene una  fauna  un  pochino  differente  di  quella  del  póstpliocene 
tipo:  è  ricca  di  grandi  conus  e  di  grandi  patelle,  che  sono  assai 
rari  in  quello,  e  di  una  interessantissima  nuova  specie  di  Strombus 
che  ho  descritto  nel  mio  lavoro  **  Studi  su  talune  conchiglie 
mediterranee  „  ;  vi  abbondano  inoltre  la  Columbella  rusticula  e 
altre  specie  .che  sono  pure  assai  rare  nel  póstpliocene.  A  prima 
vista  tal  calcare  parrebbe  di  doversi  ascrivere  ad  un'  epoca  più 
antica  ;  infatti  la  presenza  del  genere  Strombus,  il  grande  svi- 
luppo del  genere  conus,  farebbero  sospettare  di  un  orizzonte 
pliocenico.  Però  l'insieme  della  fauna  che  racchiude,  mi  pare 
abbia  maggiore  analogia  con  quella   tuttora  vivente  che  con 


220  A.  DE  GREGORIO 

quella  del  terziario  superiore.  Si  tratta  quindi  sènza  fallo  di  on 
livello  un  po'  superiore  al  postpliocene  tipo  e  con  tutta  proba- 
bilità contemporaneo  al  quaternario  ossifero,  —  L' altra  osser- 
vazione e  questa:  che  fra  gli  avanzi  esost orici  delle  grotte  si 
trova  una  quantità  di  grandi  patelle  (P,  ferruginea),  e  di  grandi 
trochus  (Fr.  fragarioides)  che  servivano  di  alimento  agli  antichi 
abitatori,  le  quali  specie  sono  rare  nel  postpliocene  e  abbondano 
invece  nel  banco  di  calcare  di  Sferracavallo  sopra  menzionato. 

Da  tutto  ciò  che  ho  detto  si  rileva  agevolmente,  che  vi  è 
uno  stacco  seasibilissimo  fra  il  nostro  postpliocene  (zona  fredda) 
e  il  quaternario  e  siccome  tali  nomi  da  molti  autori  sì  confon- 
dono riferendosi  alla  stessa  epoca,  il  Prof  Doderlein  ha  pro- 
posto per  esso  il  nome  di  „  piano  siciliano  „  il  quale  titolo  è 
stato  adottato  dal  Prof  Seguenza  nel  suo  gran  lavoro  sul  ter- 
ziario di  Reggio.  —  La  fauna  malacologica  del  nostro  postplio- 
cene fu  molto  bene  studiata  dal  rimpianto  Philippi;  il  marchese 
di  Monterosato  ne  pubblicò  un  ricco  catalogo.  Il  sig.  Grwyn 
Jeffreys  V  avea  studiato  con  molta  attenzione  come  si  detegge 
dalle  citazioni  nella  Brittish  Conchology.  Il  prof  Giuseppe  Se- 
guenza ha  publicato  interessantissimi  cataloghi  di  faune  coeve, 
e  recentemente  ha  dato  alla  luce  un  importantissimo  lavoro 
sugli  ostracadi  di  Rizzolo,  la  cui  formazione  geologica  è  coeva 
a  quella  delle  argille  di  Ficarazzi  (dei  dintorni  di  Palermo) ,  le 
quali  contengono  infatti  le  stesse  specie. 

Il  nostro  postpliocene  io  credo  corrisponda  al  sottorizzonte 
Cronierino  del  prof  Mayer  (sous  étage  cromerin)  cioè  air^niu- 
siano  inferiore  dello  stesso  autore  (Mers  amples) .  Però  tal  nome 
fu  proposto  nel  1884  cioè  posteriormente  a  quello  del  prof.  Do- 
derlein. Del  resto  io  credo  che  la  divisione  fatta  dal  lodato 
prof  di  Zurigo  dei  terreni  di  sedimento  è  imperfetta  riguardo 
ai  terreni  di  formazione  recente.  La  divisione  suddetta  è  la 
seguente  : 

^  ,     .      (  Epoque  actuelle 
Sahanen  |  ^cheulin 

(  Dumtenin 
Amusien  ì  ^ 

^  Cromenn 

(  Andonin 
Astien      ,  Tablianin 


INTORNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.     221 

Io  stimo  che  il  nostro  postpliocene  corrisponda  al  pliocene 
superiore  di  vari  autori  (fra  cui  forse  lo  stesso  prof.  Fuchs)  e 
che  esso  sia  presso  a  poco  contemporaneo  al  Crag  di  Norwich, 
air  orizzonte  scaldisiano  di  Nist  e  dei  geologi  belgi,  ai  grandi 
ghiacciai  dell'  Alta  Italia,  all'  invasione  del  Sahara.  Forse  il  crag 
d'Inghilterra  potrebbe  essere  un  po'  più  antico,  perocché  seb- 
bene racchiuda  una  fauna  molto  simile,  non  è  improbabile  che 
essa  sia  immigrata  in  Sicilia  in  tempi  un  po'  posteriori.  Ad  ogni 
modo  io  ritengo  che  non  è  punto  utile  adottare  tanti  smem- 
bramenti e  che  vai  meglio  ritenerli  come  sotto-orizzonti  o  facies 
locali.  Non  h  una  questione  che  io  ho  studiato  profondamente, 
però  tutto  m' induce  a  credere  che  si  debba  modificare  il  senso 
di  postpliocene  e  designare  con  esso  tutto  il  periodo  che  córse 
fra  il  pliocene  (Astiano)  e  il  quaternario  propriamente  detto. 
Siccome  ormai  ciascuno  autore  dà,  un  senso  e  un'  estensione 
diflTerente  al  postpliocene  (o  pleistocene),  io  non  sarei  lontapo 
dal  proporre  il  nome  di  piano  Frigidiano.  I  nomi  di  Scaldisiano 
e  di  Siciliano  non  hanno  che  un  carattere  locale;  quelli  di 
Sahariano  e  Arnusiano  non  mi  paiono  ben  definiti  anzi  pro- 
pendo a  credere  che  rappresentino  lo  stesso  periodo.  I  nomi  di 
Casterliano  e  Diestiano  non  credo  differiscano  molto  dallo  Scal- 
disiano (^),  ma  non  ho  studiato  le  faune  rispettive  per  formar- 
mene un'  idea.  Col  nome  di  Frigidiano  io  intenderei  denotare 
tutto  il  complesso  degli  strati  interposti  fra  Valluvium  e  il 
pliocene  propriamente  detto. 

La  successione  dei  terreni  sarebbe  secondo  me  la  seguente  : 
Contemporaneo. 
Quaternario  ( AUuvium  ibrecce  ossifere,  travertini,  stazioni 

lacustri,    etc.) . 
Frigidiano  (Diluvium:  postpliocene  ossia  pleistocene,  crag 
di   Norwich,   postpliocene  del  Piemonte,  Scaldisiano, 

(<)  Il  8ig.  E.  Vaa  Den  Broeck  (Annales  de  la  Soeiété  Roy,  Mal,  Belg.)  nel  suo 
studio  «  sulle  sabbie  plioceniche  diestiane  »  dice  che  gli  strati  a  Isocardia  cor  sono 
più  antichi  di  quelli  a  Ftdstts  contrarius  Ciò  potrebbe  forse  accadere  nel  Belgio;  in 
Sicilia  invece  queste  due  specie  sono  sempre  consociate:  anzi  dirò  che  sono  poche 
le  specie  che  vanno  cosi  di  conserva.  Nel  nostro  postpliocene  formano  un  orizzonte 
particolare,  sicché  ove  si  trova  Tuna  si  è  quasi  sicuri  di  trovare  F  altra.  Nel  nostro 
pliocene  tipo  non  si  trova  mai  il  fusus  contrarius;  a  me  non  è  mai  neppure  acca- 
duto di  ritrovare  Visocordia  cor;  però  essa  è  menzionata  dal  mio  illustre  amico  il 
prof.  Seguenza,  nel  suo  grande  lavoro  sul  terziario  di  Reggio. 


222  A.  TiE  OKEGOBIO 

grandi  ghiacciai,  invasione  del  Sahara,  calcareo  di  Pa- 
lermo, argiik*  di  Ficarazzi,  quaternario  di  Rizzolo  etc) 
Ho  avuto  taluni  fossili  d^'Uis^jla  Barbadoes  delle  An- 
tille,  che  io  credo   appartengono   allo   stesso  periodo; 
però  ancora  non  li  ho  bene  .studiati.. 
Astiano  (pliocene  propriamente  detto). 
La  enonne  differenza  della  fauna  post  pliocenica  e  pliocenica 
(almeno  in  Sicilia),  salta  all'occhio  anche  del  paleontologo  più 
inesperto;  lo  che  è  in  contradizione  con  quanto  si  asserisce  nel 
rapprjrto  del   sig.  Renevier  (  Unifiration   Proced.  graph.  Congrès 
géoL,  Bologne  p.  572)  cioè  che  il  pliocene  e  il  quaternario  for- 
mano unico  periodo.   Così  non  posso  che  deplorare   che   sulla 
carta  geologica  della  Sicilia,  pubblicata  per  cura  del  Ciomitato 
geologico,  sia  indicato  con  unico  colore  il  quaternario  e  il  post- 
pliocene,  e  con  altro  il  pliocene. 

La  stratigrafia  degli  strati  intennedi  fra  il  pliocene  e  il 
postpliocene  non  è  ancora  del  tutto  studiata,  ne  tampoco  la 
fauna  die  essi  racchiudono.  Io  credo  che  utili  osservazioni  e 
fruttuose  ricerche  potrebljero  eseguirsi  lungo  lo  spaccato  della 
ferrovia  tra  Santa  Flavia  e  Altavilla.  Forse  a  tutta  prima  sem- 
brerebbe che  le  rocce  che  lo  costituiscono  contengano  specie 
ajmuni  air  uno  e  all'  altro  periodo,  ma  nessuna  di  quelle  ca- 
ratteristiche dell'uno  e  dell'altro;  però  T esame  microscopico 
delle  specie  piccole  e  sopratutto  quello  degli  ostracodi  pjtrà 
apprestare  utili  schiarimenti. 

Vo  far  conoscere  infine  un'  interessante  scoverta:  avendo 
mio  padre  fatto  eseguire  taluni  pozzi  per  scavi  di  acqua  in  un 
nostro  fondo  in  contrada  Pietrazzi,  ho  osservato  che  sotto  al 
calcare  postpliocene,  alla  profondita  di  circa  15  metri  si  distende 
un  enorme  banco  di  sabbia.  Avendo  io  ordinato  vari  scavi  oriz- 
zontali e  vari  scandagli  nella  mentovata  località  come  pure  nei 
pozzi  vicini,  son  venuto  a  conoscere  che  tale  sabbia  ha  una 
potenza  e  uno  sviluppo  considerevole.  E  bianca,  fine,  dolomitica; 
vi  si  trova  qualche  ciottolo  e  qualche  grande  ostrica  (forse  la 
0.  panormensis  De  Greg.).  Per  lo  più  è  disgregata  e  polverulenta, 
in  alcuni  brevi  tratti  acquista  una  grande  coesione  e  passa  a 
strati  di  fitta  arenaria.  E  in  tale  località  e  precisamente  presso 
le  case  del  fondo  inteso  **  Catania  „  di  nostra  proprietà  che 
rinvenni  alcune  ossa  di  enorme  dimensione,  appartenenti  senza 


INTORNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.     223 

fallo  a  qualche  balena,  colà  naufragata.  In  mezzo  alla  sabbia 
ho  scoperto  qualche  straterello  (di  10""  a  20""  di  spessore)  di 
argilla  torbosa  con  planorbi,  paludine  etc. 

Si  tratta  evidentemente  di  un  antica  spiaggia.  Accade  in- 
fatti sovente  che  per  accidentalità,  il  mare  si  ritiri  di  qualche 
metro  per  un  rialzo  subitaneo  della  sabbia  deposta  dalle  onde, 
e  che  gli  scoli  dell'  acqua  piovana  restino  carcerati  e  vi  depon- 
gano r  argilla.  Quando,  occasionalmente  per  una  tempesta,  o 
anche  per  le  stesse  maree,  il  mare,  sbarazzatosi  dell'  ostacolo, 
toma  quindi  ad  avanzarsi  nell'antico  suo  dominio.  Avuto  anche 
riguardo  alia  natura  della  sabbia,  che  è  simile  a  quella  dei  monti 
sovrastanti,  io  credo  che  acque  fluviali  o  forse  torrenziali  scen- 
dessero giù  dal  monte  Cuccio  e  da  Bellolampo  e  dagli  altri  monti 
vicini  verso  la  detta  spiaggia. 

Da  tale  osservazione  ne  consegue  evidentemente  che  il  mare 
postpliocenico  da  principio  non  arrivava  punto  a  lambire  i  monti, 
ma  restava  al  di  qua,  poi  andò  avanzandosi  sino  a  percuotere 
i  fianchi  dei  monti  e  occupare  quasi  tutta  la  Conca  d'  oro,  cin- 
gendo Monte  Pellegrino  e  Monte  Gallo  come  due  isolotti;  quindi 
cominciò  a  ritirarsi  sino  all'  alveo  attuale.  Per  ispiegare  il  qual 
fatto  fe  necessario  ammettere  che  nel  primo  periodo  del  post- 
pliocene  il  livello  della  Sicilia  era  un  po'  più  basso  dell'attuale, 
quindi  andò  abbassandosi  maggiormente  forse  di  un  centinaio 
di  metri,  finché  cominciò  a  rialzarsi  di  nuovo  fino  a  raggiungere 
r  attuale  livello.  —  Un'  altra  prova  di  ciò  si  ha  in  questo  fatto  : 
che  facendo  eseguire  mio  padre  un  lungo  tunnel  per  scavi  d'acqua 
in  Barzellino  (altro  nostro  fondo  situato  in  una  posizione  più 
elevata  di  quello  di  Pietrazzi  e  vicino  alla  detta  contrada),  esa- 
minando il  materiale  escavato  rinvenni  un  frammento  di  roccia 
tutto  quanto  traforato  dalle  foladi  (^). 

In  quanto  ai  monti  della  vallata  di  Palermo  dirò  che  sono 
di  formazione  secondaria  (giurese  e  triasica).  Sono  costituiti  di 
un  calcare  compatto  grigiastro  molto  fitto  che  in  taluni  siti 
passa  alla  dolomite,  in  altri  a  un  calcare  subcristallino,  in  altri 


(>)  Devo  osservare  un  fatto  curioso,  che  talune  elici  (  credo  la  MazzuUi  e  la 
candidissima)  forano  il  calcare  dei  nostri  monti  precisamente  nella  stessa  guisa  che 
le  foladi,  sicché  si  può  rimanere  talvolta  ingannati  ;  però  io  ho  estratto  anche  le 
stesse  conchiglie  perforanti. 


224  '  A.  DE  GREGORIO 

a  un  calcare  sublìtografico.  Si  adopera  per  lastricare  le  strade, 
come  pietra  da  calce,  etc. 

Di  depositi  ossiferi  di  piccoli  mammiferi  non  ne  ho  scoperto 
ancora  alcmio  malgrado  accm^ate  ricerche,  tranne  quello  di 
Monte  Pellegrino,  che  è  tema  di  questo  lavoro,  e  un  piccolo 
lembo  isolato  sul  Monte  di  Bellolampo.  Ho  da  osservare  che 
la  roccia  di  entrambi  i  depositi  è  molto  simile;  però  quella  di 
quest'  ultima  località  è  assai  meno  fitta  e  meno  tenace. 

Forse  taluno  riputerà  fuor  di  luogo  le  precedenti  osserva- 
zioni e  eh'  io  mi  sia  dilungato  troppo  dal  soggetto.  Io  stimo 
però  che  di  molto  interesse  sieno  tali  considerazioni;  poiché  se 
le  relazioni  di  geografia  geologica  locale  sono  di  poca  impor- 
tanza quando  si  tratta  di  terreni  molto  antichi  (che  atteso  le 
lunghe  e  varie  vicissitudini  della  terra  si  trovano  per  lo  più 
caoticamente  disposti),  possono  invece  essere  di  molto  vantalo 
allineando  il  geologo  nello  studio  di  sincronizzazione,  quando  si 
tratti  di  terreni  recenti,  del  terziario  superiore  e  precipuamente 
del  postpliocene  e  del  quaternario. 

Sorge  Monte  Pellegrino  a  Nord  della  città  di  Palermo;  a 
guisa  di  enorme  scoglio,  dalle  forme  fantastiche  e  bizzarre  si 
scoscende  ai  fianchi  quasi  a  picco.  Vi  si  sale  però  comodamente 
per  una  magnifica  strada  a  zig-zag  che  conduce  al  santuario  di 
S.  Rosalia,  per  cui  i  Palermitani  hanno  un  culto  speciale.  La  roccia 
è  quasi  brulla  e  rupestre;  le  pendici  sono  adorne  di  fronzute  mac- 
chie di  Euforbie,  che  sporgono  vagamente  sui  ciglioni  dei  precipizi 
come  tanti  nidi  di  verzura;  gli  altipiani  sono  anch'essi  poveris- 
simi di  terra  vegetale  però  ammantati  qua  e  là  di  gai  fiorellini: 
sono  i  crocus,  le  calendule,  le  scabiose,  le  nigelle,  i  garofani  di 
montagna,  i  ranuncoli  che  fanno  a  gara  a  sfoggiare  i  piti  gai 
colori.  H  Pellegrino  si  eleva  ad  una  considerevole  altezza 
(quasi  600.°),  che  sembra  anche  maggiore  perocché  le  sue  falde 
sono  bagnate  dal  mare.  Esso  occupa  un'  area  considerevole;  in- 
fatti la  sua  estensione  credo  raggiunga  circa  2500  ettari.  Da 
un  fianco  limita  col  mare,  del  resto  è  circondato  dalla  forma- 
zione postpliocenica,  che  come  ho  detto  di  sopra  forma  tutto 
il  suolo  della  vallata  di  Palermo  (eccettuata  la  contrada  al  di 
là  di  Passo  di  Rigano  ove  affiora  l'eocene  con  le  argille  sca- 
gliose e  col  calcare  nummulitico).  Lungo  la  spiaggia  che  si 
distende  a  Nord  di  Monte   Pellegrino  affiora  il  secondario,  o, 


INTORNO  À  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.     225 

per  meglio  dire,  si  scoprono  le  testate  degli  strati  che  si  sono 
sprofondati.  Quivi  si  può  seguire  quasi  l'intera  serie  dal  trias 
air  eocene  come  saviamente  fii  osservato  dal  Prof.  Gemmel- 
laro.  —  Tali  testate  occupano  però  una  ben  ristretta  zona  e 
e  non  si  elevano  mai  sul  livello  del  mare  e  spariscono  nella 
spiaggia  di  Mondello  sotto  la  sabbia.  In  tempi  remoti  certo 
Monte  Pellegrino  era  unito  a  Monte  Gallo  ;  credo  però  che  tale 
epoca  rimonti  all'  antico  terziario,  anzi  probabilmente  non  sia 
punto  posteriore  all'  oligocene. 

Durante  il  postpliocene  certo  entrambi  non  costituivano  che 
due  isolotti  come  attualmente  Mozia  (Isola  delle  femmine).  Anzi 
dalle  osservazioni  precedentemente  esposte  si  arguisce  che  du- 
rante il  postpliocene  si  andarono  dapprima  abbassando  e  im- 
mergendo sino  a  una  certa  altezza;  quindi  cominciarono  a  sol- 
levarsi per  raggiungere  V  elevazione  che  attualmente  si  hanno. 
Durante  il  quaternario  io  credo  che  il  livello  della  Sicilia  era 
solo  di  pochi  metri  più  basso  che  Y  attuale;  il  mare  s' insenava 
nella  valle  di  Palermo  tanto  dal  lato  di  Mondello  che  dall'  at- 
tuale porto,  e  Montepellegrino  era  probabilmente  una  penisola. 
Mi  pare  di  avere  anche  rammentato  che  lungo  il  fianco  del  detto 
monte  che  guarda  il  mare,  si  aprono  alcune  grotte  (di  l'Ad- 
dauro  =  dell'Alloro),  ove  si  sono  rinvenuti  resti  di  antiche  abi- 
tazioni esostoriche.  Ultimamente  scoversi  anche  un  antico  fo- 
colare con  ossami  di  grande  interesse.  Or  è  molto  probabile, 
ripeto,  che  durante  il  quaternario  Monte  Pellegrino  non  fosse 
un'  isola,  se  no  dovrebbe  necessariamente  ammettersi  che  gli 
abitanti  si  servissero  di  qualche  piroga,  lo  che  anche  potrebbe 
darsi,  ma  lo  credo  non  molto  verosimile.  E  strano  osservare 
che  nelle  grotte  del  lato  Sud  e  Ovest  dello  stesso  monte  (eh'  io 
sappia)  non  si  rinvengono  avanzi  quaternari  :  le  grotte  ossifere 
sono  dal  lato  Est  e  guardano  il  mare.  Io  credo  che  a  tale 
scelta  sieno  stati  spinti  gli  antichi  abitatori  non  solo  dal  tro- 
varsi più  a  riparo  dei  venti,  ma  più  ancora  dall'  essere  in  quei 
tempi  tali  grotte  meno  accessibili  alle  fiere  atteso  la  configura- 
zione orografica  del  littorale  diversa  dell'  attuale. 

Il  deposito  quaternario  ossifero  di  Bellolampo  è  poco  elevato: 
non  credo  arrivi  un  centinaio  di  metri.  Nelle  pendici  dello  stesso 
monte,  che  si  continuano  sino  alla  **  Montagnola  di  S.  Elia  „ , 
si  nota  qua  e  là  nelle  screpulature  della  roccia  qualche  lembo 
quaternario,  costituito  di  una  spècie  di  breccia  argillosa  rossastra 

Se.  Nat.  Voi.  Vm.  17 


M^  iK  'amiiiiTii 


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Intorno  a  un  deposito  di  eoditori  è  di  Cirnivori  sulla  vetta  bc.    ÌÌÌ 

De  Gregorio.  —  L' altezza  segnata  dal  mio  aneroide ,  se 
ben  rammento  era  di  550  metri  sul  mare,  mentre  quelle  del 
pizzo  del  telegrafo  è  di  circa  600.  Quindi  la  località,  fossili- 
fera è  circa  50  metri  più  in  giù  della  vetta  e  ne  dista  orizzon- 
talmente di  un  centinaio.  Un  altro  mezzo  di  ritrovarla  e  di 
orientarsi  ce  lo  fornisce  una  grande  grotta  la  cui  bocca  si  apre 
un  pochino  più  in  basso,  circa  un  ottanta  metri  a  destra.  Si 
badi  però  che  la  detta  grotta (^),  avendo  l'imboccatura  molto 
bassa,  non  si  lascia  scorgere  se  non  quando  le  si  è  molto  vi- 
cino. Parranno  forse  superflui  tanti  dettagli,  ma  chi  volesse 
ricercare  il  deposito  fossilifero,  non  li  riputerebbe  certo  tali, 
essendo  assai  difficile,  anzi  quasi  impossibile,  raccapezzarsi  senza 
simili  avvertimenti. 

Lo  strato  fossilifero  ha  una  piccola  estensione  e  un  picco- 
lissimo spessore;  si  manifesta  da  principio  a  guisa  di  una  semplice 
incrostazione,  quindi  si  va  ispessendo  sino  a  raggiungere  la  po- 
tenza di  quasi  un  metro;  non  si  distende  in  tutto  che  lungo 
un  otto  o  dieci  metri.  Esso  non  è  rincassato  in  una  fenditura 
del  calcare  secondario ,  come  potrebbe  credersi  a  tutta  prima, 
ma  non  è  che  aderente  al  detto  calcare;  solo  nella  parte,  ove 
lo  strato  acquista  maggiore  sviluppo,  si  può  dire  che  esso  giaccia 
in  una  insaccatura,  o  per  meglio  dire  in  una  depressione  della 
roccia.  Devo  aggiungere  che  esso  aderisce  così  solidamente  al 
calcare  che  riesce  impossibile  distaccamelo  senza  rompere  parte 
della  roccia  sottostante.  Io  credo  non  sia  inverosimile  che  tale 
deposito  non  costituisse  anticamente  che  il  suolo  di  una  piccola 
grotta  ossia  di  una  tana,  il  cui  tetto  e  le  cui  pareti  sieno  crol- 
lati e  stati  portati  via  dalle  acque. 

Sul  principio,  come  ho  detto,  il  rammentato  deposito  si  ma- 
nifesta a  guisa  di  una  semplice  incrostazione  e  non  contiene 
alcun  fossile,  altro  che  qualche  frammento  di  ossa  indetermi- 
nabili; un  po'  in  avanti  acquista  però  un  certo  spessore  e  di- 
venta ricchissimo  di  fossili.  Sono  la  maggior  parte  frammenti 
di  ossa,  e  vi  si  trova  anche  qualche  conchiglia.  La  roccia  è  una 
specie  di  breccia  rossa,  argillosa  cretiforme,  più  o  meno  calca- 
rifera,  traversata  da  vene  di  spato  calcare.  Essa  ha  una  tenacità 

(*)  Ho  fatto  eseguire  in  essa  delle  ricerche  non  solo  di  depositi  ossiferi  di  pic- 
coli mammiferi,  ma  anche  di  resti  esostorici.  Però  sfortunatamente  non  ho  finora  rin- 
venuto nulla,  sia  perchè  il  suolo  è  stato  molto  rimestato,  sia  perchè  probabilmente 
non  ne  contenea.  --  Per  accertarsene  gioverebbe  però  eseguire  ulteriori  scavL 


228  ▲.  DB  OREGOBIO 

grandissima  e  quale  assolutamente  non  si  aspetta.  Le  ossa  in- 
vece sono  immensamente  fragili  e  calcinate,  sicché  riesce  infi- 
nitamente difficile  r  estrarle  intere.  Le  conchiglie  poi  presentano 
un  fenomeno  curioso:  il  guscio  è  quasi  sempre  distrutto,  ne  si 
può  formarsi  un'  idea  precisa  del  suo  modello  sia  intemo  che 
esterno,  poiché  il  posto  del  guscio  resta  vuoto  e  la  parete  estema 
del  modello  e  sovente  anche  V  intema  sono  erose  e  coverte  di 
incrostazioni  e  di  cristalli  di  carbonato  di  calce.  Come  racca- 
pezzarcisi?  Eppure  ne  'Sono  venuto  a  capo.  Più  di  tre  mesi  il 
mio  collettore  Vittorio  Meneguzzo  ha  lavorato  a  portar  giù 
blocchi  di  roccia  a  frantumarli  e  a  estrame  con  la  maggior 
cura  possibile  i  resti  fossili.  Lo  strato  e  stato  quasi  consumato 
e  poca  parte  ne  resta  in  sito.  Così  ho  potuto  avere  i  fossili  in 
questo  lavoro  illustrati  e  molti  altri  posteriormente  alla  inci- 
sione delle  tavole. 

Ho  fatto  eseguire  ed  eseguito  io  medesimo  molte  ricerche 
sullo  stesso  monte  sperando  di  ritrovare  altri  depositi  simili. 
Non  sono  stato  punto  fortunato,  ho  trovato  però  in  vari  punti 
una  roccia  rossastra  identica  a  quella  del  deposito  ossifero,  ora 
allo  stato  di  semplice  incrostazione  della  roccia  secondaria,  ora 
nascosta  in  qualche  sua  fenditura  o  insaccatura.  Però  nessun 
resto  organico  vi  ho  mai  rinvenuto.  Lungo  la  spiaggia  dietro 
il  monte,  proprio  a  lambire  il  mare,  ho  osservato  anche  una 
breccia  quaternaria,  che  mi  è  parsa  della  stessa  epoca,  ma  priva 
di  fossili. 

Paragonando  la  qualità  della  roccia  ossifera  di  Montepelle- 
grino  con  quella  di  Castellana  che  ho  sopra  menzionato,  si  resta 
sorpresi  della  grande  somiglianza  che  presentano.  Se  non  che 
quella  di  quest'  ultima  località,  come  ho  già  detto,  è  general- 
mente molto  meno  tenace,  sebbene  però  in  qualche  tratto  di- 
venti anch'  essa  quasi  ugualmente  resistente.  Parmi  sia  di  somma 
utilità  enumerare  le  specie  di  Castellana  (Bellolampo)  per  for- 
marsi un'  idea  della  loro  relazione  cronologica  con  quella  di 
Monte  Pellegrino. 

A  Castellana  ho  dunque  ritrovato  8  specie,  delle  quali  tre 
roditori  e  5  gasteropodi.  Un  roditore  è  piuttosto  grosso  ed  è 
una  specie  affatto  diversa  di  quelle  di  Monte  Pellegrino,  un 
secondo  roditore  pare  un  mus  analogo  a  quello  di  Monte  Pel- 
legrino e  probabilmente  identico,  il  terzo  roditore  è  estrema- 
mente piccolo  è   forse   un  sarex  e  non  ha  riscontro  fira  le 


INTORNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.     229 

Helix  Mazzulli  (Jan)  Phil. 

»     platychela  Meiike  (form.  sphaeroddea  Phil.) 
„     septila  Ziegler 
Clatmlia  nohilis  Pfeiffer 
Cyclostoma  aulcatum  Drapamaud. 
Intorno  sX[' Helix  Mazzulli  devo  osservare  che  primieramente 
fii  descritta  da  Costa  sotto  il  nome  di  crispatory  ignorando  che 
tal  nome  era  stato  precedentemente  proposto  da  Ferrussac  per 
un'  altra  elice.  Ho  unito  all'  iniziale  di  Jan  quella  di  Philippi, 
perchè  questi  fii  quegli  che  fé  meglio  conoscere  la  specie,  dan- 
done una  buona  figura.  L' egregio  sig.  Benoit  mio  amico  ha 
proposto  per  la  stessa  specie  il  nome  di  CostaCj  ma  non  so  per- 
chè debbasi  metter  da  parte  il  nome  antico  di  Mazzulli. 

li  helix  sphaeroidea  Phil.,  proposta  per  un  esemplare  post- 
pliocenico,  la  ho  trovata  anche  vivente  e  mi  pare  s' identifichi 
con  la  platychela  var.  Rosaliae  Benoit  (lUustr,  test.  Sicilia  p.  77, 
tav.  11,  p.  12). 

L'  Helix  septila  Ziegler  vive  ora  sulle  Madonie  e  sull'  Etna. 
E  dessa  aflBne  alla  planospira  Lamk.  {lefeburiana  Ferruss.)|ed  è 
considerata  dalla  Marchesa  Paolucci  come  una  varietà  della 
macrostoma.  Io  non  ho  studiato  tale  questione,  però  panni  che 
abbia  dei  caratteri  abbastanza  distinti  (specialmente  negli  esem- 
plari fossili), .  sicché  la  considero  specie  a  parte  come  anche 
opina  il  mio  amico  Benoit  (Illustr.  Test.  Estramar.  Sicilia  p.  93 
tav.  4  f.  21  —  Nuovo  Catalogo  Conch.  terrestr.  e  fiuviotil.  Si- 
cilia p.  53). 

Parmi  ad  ogni  modo  molto  interessante  osservare  che  nel 
calcare  postpliocenico  di  Palermo  ho  trovato  qualche  esemplare 
della  stessa  specie. 

Come  ho  già  detto,  le  conchiglie  del  deposito  ossifero  di 
Monte  Pellegrino  sono  assai  alterate  ed  è  oltremodo  difficile 
trame  degli  esemplari  determinabili.  Però  io  con  grandissimi 
stenti  sono  arrivato  infine  ad  avere  le  seguenti  : 

Helix  platychela  Ziegler.   Esemplari   identici  di  quelli   di 

Castellana  (Bellolampo) . 
Helix  Mazzulli  (Jan.)  Phil.    Frammenti  molto  dubbi,  fra 

cui  il  pezzo  figurato  (tav.  VITE,  fig.  25). 
Clausilia  nohilis  Pfeiffer.  Non  ne  ho  trovato  che  un  esem- 
plare anteriormente  rotto;  esso  però  pare  assolatamente 
identico  a  quelli  dì  Bellolampo. 


230  A.  DE  GREGORIO 

specie  di  Monte  Pellegrino.    —    Le  conchiglie  sono  le   specie 
seguenti  : 

Cyclosioma  sul<xitum  Drapam.  Pochi  esemplari  ma  di  si- 
cura determinazione;  uno  di  essi  è  figurato  (tav.  Vili, 
fig-  23)  ;  generalmente  hanno  le  coste  spirali  molto  gros- 
si e  gli  interstizi  piccolissimi,  come  in  talune  varietà  che 
vivono  in  Sicilia. 
In  Monte  Pellegrino  non  ho  trovato  alcuna  mascella  riferi- 
bile al  grande  roditore  di  Castellana,  alludo   sempre  a  Bello- 
lampo,  ciò  a  scanso  di  equivoco,  perocché  alle  falde  di  Monte 
Pellegrino  esiste  pure  una  vasta  contrada  con  lo  stesso  nome 
(che  anzi  è  più  conosciuta  di  quella)  ed  è  per  questa  ragione 
che  mi  sono  deciso  a  illustrare  i  resti  fossili  di  colà  in  un  la- 
voro a  parte. 

Esaminando  accuratamente  tutte  quante  le  ossa  del  depo- 
sito ossifero  della  cima  di  Monte  Pellegrino  mi  pare  si  possano 
riferire  a  quattro  specie:  cioè  tre  roditori  e  un  carnivoro.  Pre- 
dominano le  ossa  del  carnivoro,  che  h  un  mustelide,  e  di  un  ro- 
ditore piuttosto  grosso,  che  giudico  debba  ascriversi  a  un  ge- 
nere nuovo. 

La  prima  questione  che  sorge  è  questa  :  tali  ossa  si  trovano 
in  situj  ovvero  vi  sono  state  trasportate  dalle  acque  %  In  quest'  ul- 
tima ipotesi,  dovrebbero  essere  rotolate,  mentre  non  lo  sono. 
Del  resto  non  è  supponibile  che  la  cima  del  monte  sia  stata 
allora  molto  più  alta  che  adesso  non  lo  è.  Ma  io  escludo  af- 
fatto anche  che  sieno  state  trasportate  dalle  acque  per  un  pic- 
colo tratto:  vero  è  che  la  maggior  parte  di  loro  si  trovano 
sconnesse  e  frammiste  ;  ma  ve  ne  ha  taluno,  rimasto  nella  posi- 
zione naturale,  come  quando  era  coverto  di  tendini  e  di  muscoli: 
prova  ne  siano  il  femore  e  il  bacino  (tav.  V,  fig.  1),  riprodotti  iden- 
ticamente come  si  trovano  nella  roccia.  —  Con  più  ragione  si 
potrebbe  sospettare  che  il  nostro  deposito  fosse  stato  una  tana 
del  carnivoro,  il  quale  solesse  andare  in  preda  di  roditori  ;  che  se 
le  ossa  di  questi  non  sono  stritolate,  sarebbe  da  attribuirsi  ciò 
alla  natura  eminentemente  feroce  del  carnivoro  il  quale,  come 
molti  mustelidi  viventi,  amasse  pascersi  del  sangue  piuttosto 
che  della  carne  delle  sue  vittime  uccidendole  più  per  gì'  istinti 
voraci  che  per  la  fame.  Ma  in  tal  caso  sarebbe  strano  e  ini- 
spiegabile  per  quale  istinto  il  carnivoro  trasportasse  le  sue  prede 
lassù  in  quel  sito;  per  nutrire  i  figli?  Ho  poche  cognizioni  dei 


mrOBNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODUOBI  E  DI  CABNIYOBI  SULLA  VETTA  EC.      231 

costumi  dì  tali  animali  per  giudicarne.  Certo^  ripeto,  non  solo 
le  ossa  non  mostrano  tracce  di  stritolamento  ma  talune  di  esse 
non  sono  state  rimosse  fin  dalla  morte  deir  animale  cui  appar- 
teneano.  Ed  è  curioso  anzi  osservare  che  mentre  la  maggior 
parte  sono  disposte  caoticamente  e  si  trovano  fratturate  (non 
già  però  che  sieno  punto  rotolate)  altre  poche  invece  accennano 
evidentemente  che  non  sono  state  rimosse  dallo  stesso  sito: 
alludo  non  solo  al  pezzo  figurato  (tav.  V,  f.  1),  di  cui  ho  detto 
di  sopra,  ma  anche  ad  altri  pezzi  che  ho  ritrovato  posterior- 
mente alla  incisione  delle  tavole,  fra  i  quali,  vari  frammenti  di 
spina  dorsale  in  cui  le  vertebre  aderiscono  una  all^  altra.  Del 
resto  lo  studio  del  sistema  dentario  del  carnivoro  mostra  evi- 
dentemente che  esso  apparteneva  ad  uno  dei  generi  più  feroci 
che  si  conoscano  e  non  panni  verosimile  che  vivesse  in  società 
con  piccoli  esseri  inoffensivi  quali  i  roditori,  tanto  più  che  oltre 
al  grande  roditore  figurato,  ne  ho  rinvenuto  anche  uno  assai 
più  piccolo  non  rappresentato  nelle  tavole. 

Dalle  considerazioni  sopra  esposte,  dall'esame  delle  conchi- 
glie, appartenenti  a  specie  tuttora  viventi  in  Sicilia,  dalle  re- 
lazioni che  presenta  il  deposito  ossifero  di  Monte  Pellegrino  con 
quello  di  Castellana  (Bellolampo)  io  vengo  alla  conclusione  che 
r  epoca  della  loro  formazione  non  è  punto  più  antica  del  Fri- 
gidiano  (postpliocene);  che  anzi  io  credo  sia  coeva  all'ultima 
fase  di  questo  periodo,  quando  già  le  faune  schiettamente  qua- 
ternarie cominciavano  a  popolare  l'isola  e  il  cUma  a  tempe- 
rarsi. Infatti  alla  fine  del  Frigidiano  avvenne  in  Sicilia  un  bru- 
sco cambiamento  di  temperatura  :  enormi  bande  di  ippopotami 
e  di  elefanti  si  avanzarono  dall'Africa  (con  cui  allora  l'isola 
era  unita)  e  vennero  ad  abitarla.  La  Mustela  arzilla  e  la  Pel- 
legrinia  Panormensis  sarebbero  in  certo  modo  anche  un  argo- 
mento a  favore  della  mia  ipotesi;  mentre  che  la  prima  ha  gran- 
dissima afiQiiità  con  la  M.  zibellina  ed  altre  specie  analoghe,  che 
accennano  ad  un  clima  assai  freddo  e  rigido,  la  seconda  invece 
ha  analogie  con  specie  di  climi  caldi.  Non  è  difficile  che  la  Mu- 
stela già  fosse  indigena  di  Sicilia  durante  il  Frigidiano  e  che 
si  fosse  adattata  a  vivere  anche  nei  primordi  del  quaternario 
in  società  a  nuovi  invasori  di  Sicilia  fra  cui  la  Pellegrinia,  ma 
che  poi  non  reggendo  al  diverso  clima  sia  estinta. 

n  sig.  D.  Forsyth  Major,  cui  mi  onorai  partecipare  la  mia 


232  Ju  DB  ISEOOID 

soorerta  mi  soUerò  dei  dabbi  rignardo  all'epoca  del  d^iorafai, 
che  egli  dubiterebbe  fosse  piìi  antica  cbe  io  non  creda.  Spiaeeinì 
pero  che  le  cousÌderazioDÌ  sopra  esposte  e  qoelle  cni  accramerò 
dì  seguito  Cquando  parlerò  con  specialità  della  Pelle^rìnia  P»- 
nonnensìsj  m' indncano  a  discordarne. 

In  ischìarìraento  di  tutto  quanto  ho  precedentemente  esposto 
non  mi  pare  fiiorì  di  Inogo,  anzi  molto  utile  dare  mio  schizzo 
della  conformazione  geolc^ca  dei  dintorni  di  Palermo  e  della 
posizione  del  deposito  ossifero. 


m  Montale 

X     Depoiito  ouifero  sulla  vetU  di  Monta  Pellegrino. 

y      Deposito  oiaifero  alla  base  di  Monte  Bellolampo  presso  le  cave  Castellank. 

F    Prìgidiano  (postpliocene)   occupante  tutto  il  fondo   della   valle  di  Palemui 

(Conca  d'Oro), 
I     Scandagli  sotto  il  calcare  pos (plioceni co  (antica  spiaggia  ai  Pietrazu). 
E    Lembi  eocenici. 
Q     Depoiito  quatarnario  littorale. 
Q     Depoiito  quatarnario  di  acoua  dolce,  travertini  ecc. 
Q    Grotta  con  depoiiti  esostonci  alle  falda  di  M.*  Pellagriiio  e  di  H.*  Gallo 
V     Grotta  di  S.  Ciro  con  Hippopotamaa  Pentlandi  ecc. 


INTORNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.     233 

Pria  di  passare  in  rivista  i  resti  fossili  figurati  nelle  mie 
tavole,  io  premetterei  mi'  avvertenza  che  è  per  me  mia  scusante  : 
Io  non  sono  molto  familiare  con  gli  animali  di  classi  superiori, 
né  tampoco  dispongo  di  una  libreria  molto  vasta.  Riguardo  poi 
a  roditori,  oltre  alle  memorie  inscritte  nel  Bullettino  della  so- 
cietà geologica  di  Francia,  nel  Quarterly  Journal  della  società 
geologica  di  Londra  e  negli  Annali  della  società  paleontologica 
Sviz  zera,  non  dispongo  che  di  taluni  lavori  molto  interessanti 
di  Newton  e  di  Filhol  (il  più  grande  specialista  di  codesta  classe), 
é  di  tutto  ciò  che  si  trova  qua  e  là  sparso  nei  lavori  d' interesse 
generale  come  in  quelli  di  Gaudry,  di  Quenstedt,  di  Cuvier,  di 
Owen,  di  Klaus  etc.  Posseggo  però  la  stupenda  osteografia  di 
Blainville,  opera  veramente  monumentalo,  e  il  magnifico  trat- 
tato di  Schlosser  (Nager  des  europaischer  Tertiars  1884  con  8 
tavole).  Si  aggiunga  a  ciò,  che  trovandomi  attualmente  impe- 
gnato in  molteplici  altri  lavori,  non  posso  consacrare  a  questo 
che  un  tempo  relativamente  molto  limitato.  Le  quali  conside- 
razioni poi  avranno  più  peso  quando  si  rifietta  che  le  ossa  si 
trovano  frammiste,  che  le  specie  cui  apparteneano  erano  ab- 
bastanza piccole,  e  talune  di  taglia  non  molto  differente,  sicché 
molto  difficile ,  e  talora  forse  impossibile  ne  riesce  la  separa- 
zione. —  Devo  infine  confessare  che  io  non  complete  nozioni 
delle  specie  tuttora  viventi,  sparse  pel  mondo,  appartenenti 
alle  classi  dei  carnivori  e  roditori.  Così  io  spero  che  sarò  scu- 
sato se  vi  fosse  qualcosa  a  ridire  intorno  al  le  mie  deduzioni 
e  i  miei  giudizi,  sebbene  io  abbia  fatto  il  possibile  perchè  fos- 
sero esatti:  la  Palaeontologia  ha  ormai  occupato  un  campo  così 
immensamente  vasto,  che  è  impossibile  che  esso  sia  abbracciato 
per  intero  da  un  solo  geologo. 

Le  tavole  sono  state  eseguite  dall'  incisore  Carlo  Perna,  sotto 
la  mia  diretta  sorveglianza;  in  esse,  come  ho  già  avuto  occa- 
sione di  menzionare,  non  sono  rappresentati  taluni  pezzi  inte- 
teressanti  Che  ho  avuto  posteriormente. 


234  JL  DEL  GKEOOKIO 


Pellegrina  Panormensis  De  Grog. 

Tav.       V,  fig.  1,  2,  3,  5.  6.  7,  a  9, 10?,  14, 15,  16,  17,  19,  20, 21, 28-30?,  31, 3SL 

Tav.     VI,  fig,  1,  4-7?,  10,  13,  16,  17,  31-34. 

Tav.    VII,  fig.  24-34. 

Tav.  VIU,  fig.  1-9,  10,  121 3,  14,  24, 

Cranio  —  E  desso  bislungo^  schiacciato^  somigliante  a  quello 
della  Cavia  capybara  (Hydrochoerus  capyhara  h.)  però  assai 
più  piccolo.  La  larghezza  massima,  che  coincide  presso  il 
foro  occipitale,  è  di  35*".  Anteriormente  il  cranio  è  molto 
compresso  tanto  dal  lato  di  sopra  che  di  iBanco,  sicché  di- 
venta subquadrangolare,  anzi  le  pareti  laterali  s*  inflettono 
in  dentro  restrìngendosi  verso  le  mascelle.  Le  due  ma- 
scelle superiori  sono  immensamente  ravvicinate  V  una  al- 
l' altra,  anzi  parallele  e  aderenti.  Le  apofisi  zigomatiche 
sono  esili,  curve,  divaricate.  Non  ho  visto  un  arco  intero 
da  loro  formato,  perchè  è  sempre  rotto  sui  nostri  esem- 
plari, però  si  può  giudicare  della  sua  forma  dall^  inizio 
delle  apofisi.  I  molari  distano  circa  20."'^  dagli  incisivi. 
Le  due  protuberatize  timpaniche  sono  assai  sviluppate  pro- 
porzionatamente alla  dimensione  dell' animale,  sicché  io 
credo  che  egli  abbia  dovuto  avere  l'udito  molto  svilup- 
pato, ed  era  cosi  che  si  potea  schermire  fuggendo  all'  av- 
vicinarsi della  mustela;  esse  hanno  la  forma  di  piccole 
uova,  alla  parte  anteriore  hanno  una  piccola  prominenza 
a  forma  di  picciuolo,  posteriormente  (  dal  lato  estemo  ) 
sono  alquanto  impresse  e  ripi^ate  in  dentro.  La  figura 
1 0  (tav.  Yni)  rappresenta  una  di  queste  casse  timpaniche. 
Le  mascelle  inferiori  sono  piuttosto  corte,  anteriormente 
carenate,  munite  di  un'  apofisi  posteriormente  in  basso, 
come  lo  mostrano  le  fig.  25  (tav.  VII)  e  3  (tav.  VJLU).  La 
distanza  tra  i  molari  e  gì'  incisivi  è  di  11",  sicché  questi 
restano  molto  indietro  di  quelli  della  mascella  superiore. 
Tra  r  incisivo  e  i  molari  vi  è  un  avvallamento,  e  la  ma- 
scella si  volge  alquanto  in  fuori  formando  una  specie  di 
arco.  Lo  figure  30,  31,  32,  33  (tav.  VII),  e  la  figura  7 
(tav.  Vili)  rappresentano  mascelle  superiori.  Le  figure  1 


INTORNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.      235 

(tav.  VI),  25,  26,  29,  34  (tav.  VH),  1,  3,  12,  13,  (tav.  Vin) 
rappresentano  delle  mascelle  inferiori. 

Denti  —  GÌ'  incisivi  sono  quattro  uno  a  mascella  cioè  due  nelle 
due  mascelle  superiori  e  due  nelle  due  mascelle  inferiori, 
come  del  resto  avviene  nei  congeneri. 

GÌ'  incisivi  superiori  più  arcuati  e  più  larghi  di  quelli 
inferiori  ;  hanno  un  diametro  maggiore  e  sono  lateralmente 
più  compressi;  però  sono  più  fragili,  perocché  si  trovano 
air  interno  piene  di  roccia  ;  la  loro  estremità  è  volta  in 
dentro,  ma  generalmente  è  fratturata.  La  superficie  è  le- 
vigata, ma  quella  intema  ha  qualche  lieve  solco.  La  su- 
perficie estema  è  convessa,  quella  intema  lo  è  molto  meno 
e  quasi  piana.  La  figura  24  (tav.  VII)  rappresenta  un  in- 
cisivo superiore  visto  da  due  lati;  e  le  figure  18,  24, 
(tav.  Vin)  rappresentano  due  incisivi  superiori  con  fram- 
menti delle  rispettive  mascelle. 

GÌ'  incisivi  inferiori  hanno  un  diametro  più  piccolo  dei 
superiori,  sono  meno  arcuati  e  più  cilindrici;  sono  pro- 
fondamente impiantati  nella  mascella  inferiore;  all'  estre- 
mità coronale  sono  tagliati  a  sghembo;  lungo  il  fianco 
intemo  sono  compressi  e  appianati,  segno  che  doveano 
essere  molto  ravvicinati  fra  loro.  Lo  smalto  è  molto 
sviluppato  nella  parete  estema  anteriore.  Lungo  il  detto 
fianco,  come  pure  lungo  il  fianco  intemo,  evvi  ujia  lievis- 
sima scanellatura.  Il  numero  degli  incisivi  inferiori  è  di 
due,  cioè  uno  a  mascella  come  di  consueto.  —  Le  mie  fi- 
gure 27,  28  (tav.  VII)  ne  rappresentano  due  esemplari.  La 
fig.  25  mostra  una  mascella  inferiore,  nella  quale  l'estre- 
mità, superiore  dell'incisivo  è  rotta;  però  è  interessante 
perchè  mostra  l'impianto  del  dente  incisivo  nella  base 
della  mascella.  Anche  la  ma  scella  26  (tav.  VE)  è  munita 
di  un  incisivo  superiormente  un  po'  rotto.  Lo  stesso  si  ve- 
rifica nelle  mascelle  1,  3  (tav.  VIE).  La  fig.  2  (tav.  Vili) 
rappresenta  un  incisivo  intero  attaccato  alla  mascella  e 
guardato  dalla  parte  di  sopra. 

I  molari  sono  1 2  in  tutto,  cioè  3  a  mascella.  Essi  sono 
bifidi  quasicchè  fossero  formati  da  due  denti  appaiati  e 
uniti;  ciò  avviene  per  la  particolarissima  disposizione  dello 


236  A.  DE  GREGORIO 

smalto,  il  quale  ai  fianchi  s'inflette  in  dentro  in  modo 
che  lo  strato  di  smalto  di  un  lato  va  a  toccare  quello 
deir  altro,  lato  producendo  una  strangolazione  o  per  meglio 
dire  una  grande  e  profonda  scanellatura  a  ciascun  lato, 
sicché  r  avorio  resta  circoscritto  fra  due  ellissi.  Però  av- 
viene che  il  detto  avorio  si  forma  anche  lungo  la  scanel- 
latura, di  cui  ho  detto  di  sopra  e  in  parte  la  riempie  a 
seconda  dell'età,  dell'individuo.  Tale  carattere  si  distin- 
gue benissimo  nelle  nostre  figure,  principalmente  nei  due 
denti  ingranditi  fig.  14  (Tav.  VUI).  Ho  ritrovato  delle  pic- 
cole mascelle  con  molari,  in  cui  tale  strato  di  avorio  so- 
vrapposto alle  scanellature  manca  affatto,  sicché  simulano 
r  aspetto  di  specie  diverse,  però  io  ritengo  da  ciò  si  debba 
attribuire  all'  età,  giovine.  Del  resto  ciò  avviene  ben  di 
rado,  perocché  quasi  tutti  gl'individui  che  ho  ritrovato 
hanno  la  stessa  dimensione  e  la  stessa  età,.  Un  fatto  ana- 
logo devo  notare  riguardo  alla  forma  delle  corone:  esse 
hanno  sempre  presso  a  poco  la  stessa  forma  rappresentata 
delle  due  figure  14  (VITI)  con  poche  diversità.  Però  av- 
viene in  qualche  caso,  che  le  due  parti  che  costituiscono 
il  dente,  non  sieno  fra  loro  simetriche,  di  che  é  un  esem- 
pio la  nostra  figura  4  (  tav.  Vili  )  e  lo  si  osserva  nella 
corona:  ciò  succede  nell'ultimo  molare  cioè  nel  poste- 
riore il  quale,  naturalmente  essendo  l'ultimo  formato, 
é  il  meno  eroso.  1  molari  sono  impiantati  obliquamente, 
ma  le  corone  sono  perfettamente  piane  e  levigate;  è 
difficile  distinguere  l'età,  dall'erosione  delle  corone,  per- 
ché i  denti  hanno  presso  a  poco  lo  stesso  diametro  per 
tutta  la  lunghezza  ;  però  ho  rinvenuto  qualche  raro  esem- 
plare, in  cui  la  corona  e  un  po'  più  angusta  (  proporzio- 
natamente al  resto  del  dente)  e  i  due  spazi  dell'avorio 
circoscritti  dallo  smalto  più  piccoli  ;  io  credo  che  ciò  debba 
attribuirsi  evidentemente  all'  età.  ovvero  a  una  madore 
resistenza  nel  dente  stesso,  per  la  quale  non  si  era  an- 
cora consumata  la  parte  superiore  del  dente.  I  molari 
della  mascella  superiore  sono  inclinati  obliquamente  verso 
la  parte  posteriore  ossia  la  occipitale.  I  molari  della  ma- 
scella inferiore  sono  invece  inclinati  in  senso  inverso,  cioè 
verso  la  parte  anteriore  ossia  verso  gl'incisivi.  I  molari 


INTOENO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.      237 

della  mascella  superiore  sono  un  pochino  più  corti  e  più 
arcuati  :  il  dente  posteriore  è  quello  più  arcuato,  le  nostre 
figure  4,  8  (tav.  Vili)  credo  rappresentino  questo  dente. 
I  molari  della  mascella  inferiore  sono  un  pochino  più  lun- 
ghi e  meno  arcuati,  quello  posteriore  è  quasi  dritto  come 
la  figura  9  (tav.  VIII)  ed  è  il  più  lungo. 

Ho  detto  che  i  denti  molari  sono  3  a  mascella,  devo 
però  aggiungere  che  nella  mascella  inferiore  si  trova  in 
qualche  esemplare  un  quarto  dente,  che  è  anteriore,  un 
po'  più  piccolo  e  con  la  scanellatura  laterale  non  decor- 
rente dall'infimo  della  radice  sino  alla  corona,  ma  un 
po'  più  in  su  della  radice.  Si  tratta  evidentemente  di  un 
dente  di  latte,  deciduo.  Tale  fatto  però  è  rarissimo  ad 
osservarsi,  perocché  quasi  tutti  i  miei  numerosissimi  esem- 
plari sono  piuniti  di  soli  3  molari;  non  ne  posseggo  che 
quattro  esemplari  con  4  molari  due  dei  quali  sono  rap- 
presentati nella  mia  tavola  (fig.  25,  29,  tav.  tav.  VII). 

Omoplata  —  È  un  osso  molto  tenue  e  fragile,  ovoidale,  piuttosto 
esteso,  è  lungo  40.™,  largo  20.  La  cavità  glenoidale  è  ellit- 
tica subtrapezoidale. 

Omero  —  È  un  osso  corto  ed  elegante.  V  estremità  scapolare  è 
robusta.  Il  corpo  ha  una  specie  di  cresta  che  si  distende 
dalla  estremità,  superiore  sino  circa  a  metà,  di  esso;  quindi 
si  assottiglia  e  si  fa  cilindrico  per  quindi  slargarsi  e  atte- 
nuarsi per  formare  Y  estremità  posteriore  che  è  abbastanza 
larga  e  fragile.  La  lunghezza  totale  dell'omero  è  di  60.™ 
Le  nostre  figure  14-16  (tav.  V)  rappresentano  frammenti 
di  omero  dalla  parte  inferiore  ;  la  fig.  17  (tav.  V)  rappre- 
senta l'estremità  superiore. 

Ulna  —  È  un  osso  molto  tenue  e  fragile,  lateralmente  assai 
compresso;  da  un  fianco  ha  una  profonda  scanellatura. 
Si  trova  sempre  in  frammenti,  sopratutto  è  Y  estremità 
olecranica  che  si  rinviene,  mentre  Y  estremità  anteriore  ò 
sempre  rotta  e  mancante  atteso  la  grande  fragilità.  La 
cavità  in  cui  s'ingrana  il  femore  è  profonda  ed  è  fian- 
cheggiata da  una  specie  di  cresta  saliente.  Le  fig.  4,  IO 


238  A.  DE  GREGORIO 

(tav.  VI)  rappresentano  due  frammenti  riferibili  con  prò 
babilità  a  mi' ulna  della  stessa  specie.  Ne  posse^o  però 
migliori  esemplari,  non  figurati. 

Radio  —  Vi  riferisco  l'esemplare  (tav.  V,  fig.  32)  la  cui  estre- 
mità ha  due  avvallamenti  e  una  protuberanza  lingue- 
forme  sul  bordo. 

Vertebre  —  Siccome  si  trovano  frammischiate  fra  loro  e  fra 
quelle  di  altre  specie,  riesce  molto  difficile  distinguere  non 
solo  a  quale  regione  appartengano  (cervicale,  dorsale,  cau- 
dale ecc.),  ma  anche  a  quale  specie  debbano  riferirsi.  Io 
ritengo  però  che  quelle  che  ho  fatto  figurare  (fig.  31-34, 
tav.  VI)  appartengano  alla  specie  in  questione.  Posseggo 
un  interessante  frammento  di  osso  appartenente,  io  credo, 
al  sacro^  esso  è  largo  16.™,  ma  i  suoi  lembi  sono  frat- 
turati. 

Pelvi  —  E  un  osso  abbastanza  sviluppato,  molto  bislungo,  lami- 
nare-triangolare,  munito  di  una  carena  saliente,  che  presso 
la  cavità  cotilaidea  si  termina  in  una  piccola  protuberanza. 
La  cavità  cotiloidea  è  orbicolare  profonda.  Atteso  la 
grande  fragilità  h  molto  difficile  anzi  quasi  impossibile 
avere  degli  esemplari  interi;  le  estremità  posteriori  spe- 
cialmente sono  sempre  rotte;  pare  si  terminino  in  una 
espansione  laminare  arcuata.  Un  frammento  di  bacino  è 
figurato  sulla  tav.  V  (fig.  1);  esso  lascia  vedere  anco  T ar- 
ticolazione col  femore.  La  lunghezza  delle  pelvi  io  credo 
debba  essere  di  circa  di  65.™  —  Un  altro  frammento  di 
pelvis  della  stessa  specie  è  figurato  nella  stessa  tavola 
(fig.  7),  il  quale  mostra  la  cavità  cotiloidea;  altri  fram- 
menti son  rappresentati  dalle  figure  10  (Tav.  V),  16,  17, 
(Tav.  VI).  La  figura  1 8  pare  un'  estremità  dello  stesso 
osso. 

Femore  —  È  T  osso  più  robusto  dello  scheletro  della  Pell^rinia. 
Il  capo  è  abbastanza  sviluppato,  i  due  troncateti  medio- 
cremente, il  grande  troncatere  h  però  relativamente  robusto, 
eretto  e  fiancheggiato  alla  parte  superiore  da  una  cavità 


INTOBNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODlTOUl  E  Di  CARNIVOKI  SULLA  VETTA  EC.      239 

abbastanza  profonda.  Dal  grande  troncatere  si  prolunga 
per  V^  <i®l  corpo  una  espansione  carineforme  non  però 
molto  larga.  L' estremità  posteriore  del  femore  è  abbastanza 
grossa,  e  tanto  i  due  condili  che  la  cavità  poplitea  sono 
rimarchevoli.  La  lunghezza  totale  e  di  62.™.  La  mia  fig.  1 
(tav.  V)  ne  rappresenta  uno  intero  articolato  con  le  pelvi; 
le  figure  2,  3,  5,  6  (tav.  V),  fig.  8  (tav.  VI)  rappresentano 
dei  firanunenti  di  femore  della  stessa  specie  che  ne  mo- 
strano le  varie  parti. 

Tibia  —  È  un  osso  molto  elegante,  bislungo,  estremamente 
fragile,  perchè  vuoto  internamente  e  di  forma  triangolare. 
L'  estremità,  superiore  è  molto  sviluppata;  io  non  la  de- 
scrivo perchè  disegnata  da  tre  lati  nella  nostra  tavola  V 
(fig.  1 9-20).  Come  si  vede,  da  essa  si  diparte  una  profonda 
scanellatura,  che  poi  si  va  perdendo  lungo  il  corpo.  Questo 
superiormente  è  triangolare,  come  lo  mostrano  le  nostre 
figure  8,  9  (tav.  V),  inferiormente  si  assottiglia  e  si  fa  ci- 
lindroide; air  estremità,  inferiore  si  slarga  un  po'  a  sghembo 
triangolarmente,  formando  la  cavità,  di  articolazione  col 
piede.  —  È  eccessivamente  difficile  aver  degli  esemplari 
interi  di  quest'osso;  ordinariamente  non  se  ne  rinviene 
che  la  sola  testa.  —  La  fig.  1 1  (tav.  VI)  rappresenta  un 
altro  pezzo  di  tibia  della  stessa  specie. 

Perone  —  Atteso  la  gracilità  di  quest'  osso  riesce  impossibile 
averne  dei  pezzi  determinabili,  io  vi  ascrivo  con  qualche 
dubbio  r  osso  figurato  a  tav.  V,  fig.  21. 

Calcaneum  —  È  un  osso  bislungo  cilindrico  rappresentato  dalla 
nostra  figura  31  (tav.  V). 

Carpo,  metacarpo,  tarso,  metatarso,  falangi  —  Tali  ossa,  essendo  pic- 
cole e  per  lo  più  fratturate,  ed  essendo  frammiste  fra 
loro  e  fra  quelli  delle  altre  specie,  riesce  assai  difficile 
determinarle  e  tanto  più  descriverle,  come  per  esempio 
quelle  figurate  (tav.  V,  fig.  23,  24,  25,  26,  27,  28,  29,  30),  le 
quali  in  massima  parte  mi  paiono  falangi.  Io  però  posseggo 


240  A.  DE  GREGORIO 

inoltre  un  piccolo  ossetto  che  ho  ascritto  ad  osso  uncinato 
del  carpOy  e  una  falange  del  pollice,  che  non  son  figurati. 

Analogie  —  La  prima  idea  che  viene,  si  è  di  ravvicinare  la 
nostra  specie  a  quella  figurata  da  Cuvier  (Les  ossements 
fossiles  Voi.  5,  p.  12  tav.  I,  f.  16)  riferita  da  lui  dìXì' Orydères 
ossia  "  Rats  taupes  „  del  Capo  (=  bathyergus  111.);  infatti 
vi  è  molta  somiglianza  nella  forma  dei  denti  di  tutte  e 
due  le  specie,  se  non  che  nella  nostra  le  scanellature  dei 
denti  e  le  ripiegature  dello  smalto  sono  assai  più  regolari. 

Il  cranio  somiglia  molto  a  quello  di  talune  Caina  e 
soprattutto  alla  C.  capyhara  {Hydrochaerus  capybara  L.), 
ma  è  assai  più  piccolo  e  ha  i  denti  molari  dissii^ili.  Però 
invece  per  la  forma  di  quest'ultimi  si  rassomiglia  abba- 
stanza alla  Cavia  aperea  (Anacma  aperea  Cuvier)  che  è  un 
porcellino  d' India  che  vive  selvaggio  nel  Brasile,  ma  la 
cui  dimensione  è  assai  più  piccola  di  quella  del  nostro. 

La  forma  del  cranio  è  anche  molto  simile  a  quella  del 
Capronis  Fournieri. 

La  dimensione  credo  sia  presso  a  poco  uguale  a  quella 
del  Kerodon  moca  Cuvier  del  Brasile. 

Più  lontana  analogia  ha  con  il  Theridomys  Gaudini  Pict. 
Humbert  (Annal.  Soc.  Pai.  Suiss.  1869). 

La  speciosa  configurazione  della  corona  dei  denti  rasso- 
miglia molto  a  quella  di  taluni  denti  figurati  da  Quenstedt 
(Handbruch  Petrefaktenkunole  1886  pi.  3,  f.  20,  22)  rife- 
riti da  lui  al  Castor  Jaegeri  della  molassa  di  Hundorf  ;  se 
non  che  questi  ultimi  hanno  una  ripiegatura  mediana  dello 
smalto,  la  quale  manca  nei  nostri.  Io  non  so  come  lo  stesso 
autore  riferisca  alla  medesima  specie  altri  denti  di  tut- 
t' altra  configurazione.  Avrà,  certo  ragione  di  farlo,  ma  ciò 
sorprende.  Del  resto  la  nostra  specie  h  tutt' altro  che 
un  castor. 

Avendo  inviato  le  mie  quattro  tavole  litografiche  e 
taluni  denti  e  ossa  di  questa  specie  all'  illustre  amico  si- 
gnor Dott.  C.  Forsith  Major,  egli  mi  ha  risposto  gentil- 
mente che  approvava  pienamente  le  mie  idee  intomo  alla 
novità,  della  specie  e  alla  determinazione;  mi  sollevò  però 


INTO&KO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  BC.      241 

dei  dubbi  intomo  all'  epoca  del  deposito  che  a  lui  par- 
rebbe forse  miocena  e  analoga  a  quella  di  Pikermi.  Spia- 
cemi  in  ciò  discordare  dalla  sua  autorevole  opinione; 
perocché,  oltre  a  molte  altre  ragioni,  V  esame  delle  poche 
conchiglie  intercluse  nel  deposito  m' induce  a  considerarlo 
come  assai  più  recente,  mentre  non  solo  conservano  lo 
stesso  tipo  ma  anche  l'aspetto  delle  viventi;  prova  ne 
sieno  le  rugosità,  del  guscio  dell'  Helix  Mazzulli.  La  posi- 
zione e  la  configurazione  stessa  del  deposito  hanno  pure 
un'  aspetto  più  quaternario  che  decisamente  terziario. 

Farmi  sia  di  molta  utilità  ch'io  trascriva  un  brano 
della  dotta  lettera  del  prelodato  autore: 

^  Vi  sono  per  la  conformazione  dei  molari,  analogie  con 
»  Roditori  Africani  oltre  col  Ctenoda,  Aylus,  anche  col 
„  Pedinator  e  col  Heterocephalus  glaber  dello  Scioa;  nonché 
„  coi  Bhathyergits  e  Georychus  dell'Africa  Meridionale.  — 
9  Maggiori  ancora  mi  sembrano  le  analogie  con  un  pic- 
„  colo  gruppo  di  Roditori  dell'America  Meridionale  (Chili, 
„  Perù,  Bolivia):  Octodon  Brovgesi  Wal.  e  Sphalacopus 
„  Paeppigii  Wag..  Ma  bisogna  notare  che  tutti  e  tre  i 
„  nominati  generi  hanno  4  molari  sopra  e  sotto  ed  è 
„  l'ultimo  molare  che  è  il  più  piccolo  mentre  nel  fossile 
»  è  il  primo  (ciò  che  però  non  è  di  grande  importanza 
„  come  vien  dimostrato  p.  es.  da  due  generi  molto  affini, 
„  Bathyergus  e  Oeorychtjts;  nel  primo  i  molari  anteriori 
»  sono  i  più  piccoli,  nel  secondo,  quelli  posteriori) . 

^  Insomma  io  ritengo  trattarsi  d'un  genere  estinto  e 
n  nuovo  ». 

Mustela  arzilla  De  Grog. 

Cranio  —  È  assai  simile  a  quello  della  M.  zibellina;  un  fram- 
mento è  rappresentato  dalla  figura  11  (tav.  VII),  però 
spiacemi  che  solo  molto  tempo  dopo  che  le  tavole  fos- 
sero litografate,  ne  potei  avere  due  belli  esemplari. 

Varco  zigomatico  è  in  tutti  i  miei  esemplari  rotto;  a 
giudicare  però  dal  suo  inizio  dovea  essere  sottile  e  volto 
in  su.  La  forma  del  cranio  è  bislunga;  strangolata  in 
mezzo  e  munita  posteriormente  di  una  cresta  non  molto 

8e.  Nat,  VoL  VOI,  fiwc.  l.«  18 


242 


A.  DE  OBEOORIO 


eretta.  —  La  lunghezza  del  cranio  è  di  100."",  la  mas- 
sima larghezza  di  40."^  e  coincide  nell'osso  parietale,  la 
massima   strettezza  è  di  10.™  e  coincide  dietro    le  ossa 
palatine  dalla  parte  basilare.  11  foro  occipitale  ha  un  dia- 
metro di  IL"™.    Le  protuberanze  timpaniche  sono   sempre 
rotte;  le  nostre  figure  (tav.  VHI,  fig.  10  bis,  16,  19)  de- 
vono ascriversi  a  loro  frammenti. 
Dbnti  —  Nella  mascella  inferiore  vi  sono  6  incisivi^  cilindroidi, 
un  pochino  irregolari;  in  un  esemplare  il  primo  incisivo 
di  destra  è  assai  più  sviluppato  degli  altri  e  simula  V  aspet- 
to di  un  un  piccolo  canino;  quasiché  fosse  un  canino  di 
latte,  il  quale  cadendo   desse   posto  a  un  incisivo;    tale 
spiegazione  però  pare  molto  strana;  tanto  più  che  T  indi- 
viduo cui  appartiene  non  sembra  giovine;  è  quindi  vero* 
simile  che  con   Tetà.  abbia  acquistato  un  maggiore  svi- 
luppo che  gli  altri.  11  qual  fenomeno  si  osserva  pure  in 
altro  mio  esemplare,  ma  meno  marcatamente.  Lo  stesso 
credo  accada  nel  Gulo  luscus.  GÌ'  incisivi  inferiori  dovreb- 
bero essere  simetrici,  ma  non  ho  potuto  osservarli  essendo 
tutte  le  mascelle  inferiori,  che  possiedo,  fratturate. 

I  denti  canini  sono  4,  naturalmente  uno  a  mascella, 
cioè  due  superiori  e  due  inferiori.  Sono  cilindro-conici, 
eretti,  robustissimi,  profondamente  impiantati.  Seguono 
due  falsi  molari  a  ciascuna  mascella  cioè  8  in  tutto .  Però 
oltre  di  essi,  nella  mascella  inferiore  ve  ne  è  un  altro  più 
piccolo  dietro  il  canino,  che  simula  V  aspetto  di  un  falso 
molare  di  latte;  però  lo  ho  osservato  in  molte  mascelle 
inferiori.  I  detti  falsi  molari  sono  triangolari-conoidei. 

H  dente  fierino  (dens  sectorius,  dent  carnassière)  è  bi- 
slungo trapezoidale;  nel  mezzo  è  triangolare  conoideo,  po- 
steriormente ha  una  depressione  e  una  sinuosità.,  e  in 
ultimo  un'  altra  piccola  protuberanza. 

Segue  il  dente  molare  vero  (  cioè  il  molare  tubercolato  ) 
che  sulla  mascella  superiore  è  affatto  rettangolare  e  si- 
tuato perpendicolarmente  alla  fila  degli  altri  denti  cioè 
volto  in  dentro.  La  parte  del  detto  dente  che  guarda 
l'esterno  è  protuberante,  quella  che  guarda  T intemo  6 
depressa,   bordata  di  un  rilievo  e  munita  di  una  lievis- 


INTORNO  A  UN  DEPOSITO  DI  AOBITOEI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.     243 

sima  protuberanza,  quasicchè  fosse  pizzicato.  Invece  il  mo- 
lare vero  della  mascella  inferiore  è  molto  piccolo,  orbi- 
colare,  depresso  in  mezzo,  ai  bordi  un  po'  onduloso.  Quindi 
i  molari  veri  (dentes  molares  tritores)  sono  in  tutto  4,  due 
superiori  e  due  inferiori. 

Mascella  inferiore  —  La  mascella  inferiore  è  semplice,  dritta, 
molto  somigliante  a  quella  della  Mustela  foina.  Posterior- 
mente, e  in  basso  (non  però  sotto)  è  munita  di  un  condilo 
conoideo,  abbastanza  protuberante  verso  la  parte  intema. 
Le  nostre  figure  12,  13,  14  (tav.  VII)  rappresentano 
frammenti  di  mascelle  inferiori  in  cui  si  vedono  i  due 
falsi  molari  e  il  dente  ferino,  il  quale  è  anco  rappresen- 
tato dalla  figura  16  (tav.  VII)  e  dalla  figura  17  (tav.  VH), 
in  questa  ultima  si  notano  le  radici  dei  denti  prossimi. 
La  figura  15  (tav.  VII)  rappresenta  un  falso  molare.  La 
.fig.  18  un  incisivo.  La  fig.  19  un  frammento  di  mascella 
visto  da  due  lati;  essa  è  sformata  in  modo  che  gl'inci- 
sivi son  disposti  in  massa,  ciò  evidentemente  per  la  fos- 
silizzazione. Nelle  figure  14,  15  si  notano  inoltre  due 
frammenti  di  ossa  bislunghi,  che  forse  sono  falangi  della 
mustela.  Le  figure  20,  21,  22  rappresentano  tre  denti  ca- 
nini visti  da  vari  lati.  La  fig.  23  un  molare  vero  inferiore, 
la  cui  posizione  è  evidentemente  dietro  il  grande  dente 
ferino. 

Omoplata  —  E  un  osso  molto  tenue,  della  forma  delle  pinne  di 
taluni  pesci.  Alla  cavità  glenoidale  s' ispessisce  un  poco  ; 
questa  coincide  proprio  all'  estremità.  La  lunghezza  di 
quest'  osso  è  di  65.™,  la  larghezza  è  di  40."**  È  eccessiva- 
mente raro  averne  qualche  esemplare;  io  non  ne  ho  che 
uno  quasi  intero. 

Omero  —  Quest'  osso  si  trova  sempre  in  frammenti,  perchè,  seb- 
bene le  estremità  sono  abbastanza  robuste,  il  corpo  nella 
parte  media  è  angusto.  Il  caput  humeri  è  molto  sviluppato, 
la  sua  grande  prominenza  non  è  però  abbastanza  isolata 
come  in  quella  della  Pellegrinia  Panormensis.  La  parte 
distaile   ossia   V  estremità   inferiore  dell'  omero   è   molto 


244  A.  De  GREGORIO 

compressa  e  larga,  è  rappresentata  dalle  nostre  figu- 
re 11,  12,  13  (tav.  Y).  La  lunghezza  totale  credo  che  sia 
presso  a  poco  di  80.' 


mm 


Ulna  —  È  un  osso  assai  compresso  e  fragile,  verso  Y  estremità 
posteriore  è  abbastanza  largo  e  stretto,  anteriormente  sì 
assottiglia  e  tende  a  divenir  subcilindrico.  La  cavità  di 
articolazione  con  V  omero  è  assai  profonda,  occupando 
metà  della  larghezza  totale.  Di  fianco  vi  è  una  depressione 
bislunga  non  però  così  marcata  come  nella  Pellegrinia 
Panormensis.  Tutti  gli  esemplari  che  posseggo  sono  rotti, 
quindi  non  posso  assegnarne  la  lunghezza.  La  nostra  fi- 
gura 1 5  (tav.  VI)  rappresenta  V  estreìnità  posteriore  cioè  la 
parte  dietro  della  cavità  di  articolazione  o  per  meglio 
dire  la  porzione  olecranica. 

Radio  —  Riferisco  a  tale  osso  taluni  frammenti  cilindrici  la  cui 
estremità  superiore  è  piuttsto  grossa  e  irregolarmente  tra 
pezoidale,  V  altra  ha  due  piccole  depressioni  in  mezzo,  e 
un  lato  eretto,  lingueforme.  Quest'  osso  è  analogo  a  quello 
figurato  (tav.  V,  f.  32)  il  quale  però  è  un  po'  più  piccolo 
e  parmi  riferibile  alla  Pellegrinia  Panormensis. 

Vertebre  —  Mi  riferisco  a  ciò  che  ho  detto  a  proposito  delle 
vertebre  della  Pellegrinia  Pamrmensis.  Però  riguardo  a 
quelle  della  mustela  è  facile  orientarsi,  perchè  raggiun- 
gono la  più  grande  dimensione.  E  così  che  io  riferisco  ad 
esse  quelle  figurate  nella  nostra  tavola  VI  (fig.  20-30).  Ri- 
guardo alle  vertebre  caudali  è  facilissimo  incorrere  in 
equivoci,  perchè  essendo  di  piccola  dimensione  si  confon- 
dono con  quelle  delle  altre  specie  di  minore  dimensione. 

Sacro  —  È  un  osso  piatto  largo  compresso  abbastanza  robusto. 
Non  ne  ho  che  un  frammento,  analogo  a  quello  della 
Pellegrinia  ma  più  grande. 

Pelvi  —  È  un  osso  abbastanza  compresso,  ma  solido  e  assai 
sviluppato.  La  cavità  cotiloidea  è  piuttosto  larga  e  profonda. 
L'estremità  posteriore  è  bifida:  frammenti  di  pelvi  sono 
figurati  a  tav.  VI,  fig.  12,  18,  19. 


INTOENO  A  UN  DEPOSnX)  DI  EODITOEI  E  DI  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.      246 

Femore  —  È  un  osso  molto  robusto  e  bislungo.  La  estremità 
superiore  è  quasi  sempre  rotta.  Il  capo  e  rotondeggiante, 
prominente,  non  molto  sviluppato.  I  troncateri  sono  rotti, 
ma  credo  che  non  sono  neppure  molto  sviluppati.  Il  corpo 
è  semplice,  subcilindrico.  L' estremità  inferiore  è  molto  ro- 
busta, i  due  condili  abbastanza  prominenti.  La  lunghezza 
totale  è  di  circa  88.™.  La  nostra  figura  1 7  (tav.  Vili)  rap- 
presenta r  estremità  superiore  come  anche  la  figura  1 8 
(tav.  V);  invece  le  figure  20,  27  (tav.  Vili)  due  pezzi  con 
r  estremità  inferiore. 

Tibia  —  L'  estremità  superiore  (ginocchio)  è  molto  sviluppata, 
triangolare,  superiormente  compressa.  Il  corpo  è  affatto 
cilindroide.  L' estremità  inferiore  h  trapezoide,  tagliata  un 
po'  a  sghembo  e  irregolarmente  scavata.  Dalla  parte 
esterna  presso  la  parte  più  prominente  evvi  una  pic- 
colissima apofisi.  —  Un  pezzo  di  tibia  è  rappresentato 
dalla  nostra  figura  22  (tav.  VHI).  La  lunghezza  totale  della 
tibia  giudico  sia  stata  di  85.' 


mm 


Perone  —  Riferisco  a  tale  osso  vari  frammenti  cilindro-compressi 
con  sezione  ellittica.  Un'  estremità  è  ellittica  simetrica 
scavata,  1'  altra  ha  presso  a  poco  l' is tessa  forma,  però  è 
meno  compressa. 

Calcaneo  —  È  breve,  robusto,  contorto,  munito  di  varie  apofisi. 
Un  frammento  di  calcaneo  è  rappresentato  dalla  nostra 
figura  38  (tav.  V). 

Carpo,  metacarpo,  tarso,  metatarso  e  falangi  —  Mi  rapporto  a  ciò 
che  ho  detto  superiormente  a  proposito  di  queste  ossa 
parlando  della  Pellegrinia  Panormensis.  Ho  ritrovato  però 
talune  ossa,  che  mi  pare  si  possano  ascrivere  con  molta 
probabilità  alla  Mustela  arzilla.  Io  ho  creduto  raffigurarci 
le  ossa  scafoidi  del  carpo  e  del  tarso,  V  osso  uncinato  del 
carpo,  un  metatarso  e  varie  falangi.  Li  ho  riferiti  alla 
Mustela  piuttosto  che  alla  Pellegrinia  atteso  la  loro  di- 
mensione. Falangi  della  Mustela  io  credo  sieno  pure  quelle 


246  A.  DE  GREGORIO 

rappresentate  dalle  figure  23-26   della  tavola  V.  —  La 
figura  (tav.  Y,  f.  33)  rappresenta  probabilmente  un  metatarso. 

Analogie  —  Mi  sembra  fuor  di  dubbio  che  si  tratti  di  una  specie 
immensamente  affine  alla  Musteh  zibellinUj  della  quale 
Blainyille  riproduce  il  cranio  nella  sua  grande  osteografia 
(tav.  7, 13)  sopra  un  individuo  morto  a  Parigi  verso  il  1840 
secondo  si  rileva  dal  volume  di  testo  (tomo  2,  pag.  78).  — 
Io  ritengo,  anzi,  che  i  nostri  individui  si  possano  forse 
considerare  come  una  varietà  della  detta  specie  ;  ma  non 
conosco  bene  lo  scheletro  della  vivente,  non  dandone 
Blainville  sufficienti  ragguagli.  Trovo  però  che  i  falsi  molari 
della  mascella  superiore  sono  6  nella  zibellina,  cioè  tre  a 
mascella  mentre  nei  miei  esemplari  sono  sempre  4  cioè 
due  a  mascella.  Nella  mascella  inferiore  però,  come  ho 
già  detto,  si  ritrova  un  terzo  dente  dietro  il  canino.  — 
La  posizione  del  molare  vero  della  mascella  superiore  dei 
nostri  esemplari  corrisponde  presso  a  poco  a  quello  della 
Mustela  zibellinaj  lo  che  è  di  molta  importanza,  essendo 
che  per  tal  carattere  questa  si  distingue  dalla  M.  faina. 

Lepus  n.  sp. 

Sebbene  io  possegga  una  quantità  enorme  di  materiale  os- 
sifero di  Monte  Pellegrino,  atteso  V  immensa  rarità  di  questa 
specie,  non  ho  a  mia  disposizione  che  due  frammenti  di  ma- 
scella superiore  e  un  ristrettissimo  numero  di  denti  isolati.  Le 
due  mascellette  pare  appartengano  allo  stesso  individuo;  quan- 
tunque non  son  sicuro  di  ciò,  le  ho  incollate  alla  meglio.  Esse 
sono  somigliantissime  a  quelle  del  Lepus  timidus,  specie  notis- 
sima vivente;  se  non  che  pare  manchino  assolutamente  del 
seno  sottorbitale,  il  quale  nella  specie  vivente  è  poco  svilup- 
pato, ma  esiste.  I  denti  della  fossile  sono  identici  a  quelli  di 
questa,  sembrano  solamente  un  po'  meno  larghi.  Il  loro  numero 
è  incerto:  le  due  mascellette  portano  ciascuna  quattro  molari 
bene  sviluppati,  anteriormente  un  quinto  molare,  il  quale  nei 
nostri  esemplari  è  caduto,  e  che,  a  giudicarne  dall'  alveolo  (il 
quale  è  grosso  e  rotondo),  dovea  avere  una  forma  diversa  dagli 
altri  molari.  Tal  fatto  si  verifica  anco  negli  individui  viventi, 


INTORNO  A  UN  DEPOSITO  DI  RODITORI  E  CARNIVORI  SULLA  VETTA  EC.        247 

però  in  essi  Y  alveolo  è  più  piccolo  che  nei  fossili.  Si  tratta 
torse  di  un  molare  di  latte,  ma  non  di  un  dente  deciduo:  è 
per  caso  che  manca  nel  nostro  esemplare.  —  Dietro  il  quinto 
dente  è  probabile  che  debba  trovarsene  almeno  un  altro,  a  giu- 
dicarne almeno  dall'andatura  della  mascella;  però  questa  es- 
sendo rotta,  non  può  asserirsi  nulla  su  ciò. 

Non  è  improbabile  che  debba  riferirsi  la  nostra  specie  al 
Lepiis  varibilis  Fall.,  il  quale  vive  sulle  alte  Montagne  dell' Eu- 
ropa settentrionale  e  specialmente  della  Russia,  ovvero  al  Lepus 
diluvianus  Cuvier  delle  caverne  esostoriche  del  Belgio  (molti 
considerano  questa  specie  come  identica  al  L.  timidus,  lo  stesso 
Quenstedt  esprime  tal  dubbio  ^  Handbuch  pi.  3,  fr.  ;  „  io  però 
non  ne  sono  convinto). 

Riguardo  ad  altre  analogie  meno  intime  potrei  notare  il  Mya- 
Ingus  sardoHS  Henz,  del  quale  il  sig.  Forsyth  Major  mi  donò  vari 
esemplari  di  Sardegna.  La  nostra  però  ha  una  dimensione  più 
grande.  Esaminando  i  denti  si  vede  che  essi  sono  molto  più 
lunghi  di  quella,  però  hamjo  la  stessa  forma.  Se  non  che,  osser- 
vandoli più  attentamente,  si  osserva  una  diversità,  importante: 
ogni  dente  costa  pure  come  in  quella  di  due  denti  appaiati,  però 
nella  nostra  specie  la  parete  interna  di  ciascuno  non  è  così  indi- 
vidualizzata come  in  quella.  Addippiù  esaminandone  la  sezione 
con  la  lente  si  osserva  una  linea  molto  sinuosa  dello  smalto,  la 
quale  s' interna  dal  di  fuori  al  di  dentro  lungo  la  parete  intema 
di  separazione  fra  i  due  semidenti  e  prima  di  arrivare  al  lato 
opposto  si  ripiega  su  di  se  passando  sulla  parete  del  semidente 
prossimo  e  ritoma  allo  stesso  lato  d'  onde  s' introdusse,  il  quale 
carattere  si  riscontra  benissimo  nel  Lepus  timidiis.  —  I  denti 
incisivi  sono  assai  simili  a  quelli  della  Pellegrinia  Panormensis  ma 
assai  più  robusti. 

Nelle  mie  tavole  non  vi  è  figurato  che  un  dente  molare 
(tav.  Vili  fig.  11),  che  inferiormente  è  in  parte  rotto. 

Mus  piletus  De  Greg. 

E  una  piccola  elegante  specie  che  ho  ritrovato  anche  nel 
deposito  di  contrada  Castellana,  come  ho  già  detto,  e  che  mi 
riservo  a  descrivere  in  altro  lavoro.  Nella  tavola  V  son  figurati 
due  femori  (fig.  4,  22)  e  un  frammento  di  femore  (fig.  34). 


248  G.  DE  GREGORIO  —  LVTORXij  A  L  X  HEPOSITO  DI  RODITORI  EC. 

Xella  tavola  Vii  son  figurate  talune  vertebre  (fig.  3-7J.  De- 
vono probabilmente  riferirsi  alla  stessa  specie  le  vertebre  e  il 
sacro  (tav.  MI,  fig.  l).  La  piccola  vertebra  rappresentata  dalla 
fig.  3  (tav.  VII)  è  poi  riprodotta  ingrandita  nella  tav.  Vm.  f.  26. 

Molti  pezzi  interessanti  che  ho  ritrovato  dopo  che  le  tavole 
erano  state  già  eseguite,  saranno  illustrati  in  una  monografia 
speciale. 


SPIEGAZIONE]    DEFJ.K   FIGURK 


Taf.   Y. 

Fig.  1.  Femore  o  Pelei  della  Pellegrinia  Panormensis;  sono  entrambi 
incastrati  nella  roccia,  precisamente  nella  posizione  nella  quale 
sono  disegnate.  Il  capo  del  femore  è  ancora  aderente  alla  ca- 
rità cotiloidea. 

»  2,  3.  Due  pezzi  anteriori  dì  femore  della  stessa  specie,  mostranti 
oltre  il  capo,  anche  il  grande  e  il  piccolo  troncatere. 

»      4.  Femore  del  Mu8  piletua  De  Greg. 

»  5,  6.  Estremità  posteriore  di  due  pezzi  di  femore  della  Pellegrinia 
Panormensis  mostranti  i  due  condili  o  la  caoiià  popUtea. 

>  7.  Frammento  di  pelois  dello  stesso  roditore,  mostrante  la  cavità 
cotiloidea, 

»  8,  9.  Frammenti  di  tibia  dello  stesso  roditore,  uno  dei  quali  è  di- 
segnato  anche  in  sezione. 

»     10.  Potrebbe  e^isere  un  framm-^nto  di  pelois  dello  stesso  roditore. 

»  11,  12,  13.  Frammenti  di  omero  (estremità  posteriore)  della  Mustela 
arzilla. 

»  14,  15,  16.  Frammenti  di  omero  della  Pellegrinia  Panormensis  De 
Greg.  La  figura  14  mostra  un  frammento  consistente  in  parte 
del  corpo  e  deW estremità  posteriore,  la  figura  accanto  mostra 
la  sozione  del  corpo.  La  figura  15  rappresenta  un  aUro  fram- 
mento visto  di  faccia  e  anche  di  dietro.  Nella  fig.  16  è  rotta 
l'estremità  posteriore  e  manca  l'anteriore  che  ccrrisponde  in 
basso  al  nostro  disegno. 

»  17.  Estremità  scapolare  dell*  omero  della  Pellegrinia  Panormensis 
Do  Greg.  Lo  stesso  esemplare  è  disegnato  da  due  lati  e  dalla 
sezione  del  corpo. 

»  18.  Femore  della  Mustela  arzilla  De  Greg.  La  parte  anteriore  (  in 
basso  del  nostro  disegno)  è  rotta,  quello  anteriore^  è  erosa. 


250  A.  DE  GREGORIO 

Fig.  19,  20.   Tibia  della  Pellegrinia  Panormenèis  De  Greg.  Due  estre- 
mità  anteriori  di  tibia   della   stessa  specie,  viste  ciascuna  da 
tre  lati. 
>     21.  Farmi  un  perone  della  stessa  specie;  non  ne  sono  però  del  tutto 
sicuro. 
22.  Femore  di  un  piccolo  roditore  {Mas  piletua  De  Greg.). 
23-26,  28-30.  Sembrano  falangi  ;    forse  gli  esemplari  23-^   appar- 
tengono alla  Mustela  arzillay  gli  esemplari  28-30  alla  PelU^ 
grinia  Panormensis ;  ma  non  sarebbe  che  una  supposizione. 

31.  Io  credo  sia  un  calcaneo  della  Pellegrinia  Panormensis  De  Greg: 

32.  Io  considero  l'esemplare  figurato  come  un  radio  della  etessa 
specie. 

33.  Metatarso  della  Mustela  arzilla, 
34-35.  Frammenti  di  femore  del  Mas  piletus  De  Greg. 

36.  Piccoli  ossicini  incastrati  in  un  pezzetto  di  roccia;  io  dubito  si 
tratti  di  coste  del  Mas  piletus  De  Greg.,  però  mi  riesce  assai 
difficile  il  determinarli. 

37.  Questo  esemplare  mi  è  indecifrabile. 

38.  Frammento  di  calcaneo  della  Mustela  arzilla. 


TsT.    YI. 

Fig.  1.  Pezzo  di  roccia  con  un  frammento  di  mascella  inferiore  della 
Pellegrinia  Panormensis,  con  quattro  ossicini  (  forse  falangi 
della  Mustela  arzilla) . 

»  2,  3.  Credo  sìeno  falangi  della  Mustela  arzilla.  Nell'esemplare  fig.  2 
è  un  pò*  rotta  V  estremità  a  sinistra,  ove  dovea  esservi  una 
protuberanza  simetrica  a  quella  di  destra. 

9  4.  È  probabilmente  un  frammento  di  ulna  della  Pellegrinia  Pa- 
normensis. 

»     5.  Probabilmente  è  un  frammento  di  costa  della  stessa  specie. 

»     6.  Un  osso  rotto  forse  appartenente  a  un  cranio  della  stessa  specie. 

»      7.  Forse  una  costa  rotta  della  stessa  specie. 

»     8.  Frammento  di  femore  della  stessa  specie. 

»  9.  Frammento  di  omoplata  con  la  cavità  glenoidale  visto  da  due 
lati.  Appartiene  probabilmente  alla  Mustela  arzilla. 

»      10.  Sembra  un  frammento  di  ulna  della  Pellegrinia  Panormensis. 

»      11.  Frammento  di  tibia  della  stessa  specie. 

»     12.  Cavità  cotiloidea  della  Mustela  arzilla, 

»  13.  Pare  un  frammento  Aq\  corpo  del  femore  deWa,  Pellegrinia  Pa- 
normensis, e  precisamente  la  parte  anteriore. 

»      14.  Quest'osso  non  so  a  che  specie  e  a  che  parte  corrisponda. 

»  15.  Ulna  della  Mustela  arzilla.  È  lo  stesso  esemplare  figurato  da 
due  lati  e  precisamente  l'estremità  superiore  cioè  V olecranica. 
\\  nostro  pezzo  superiormente   è  intero,   inferiormente  è  rotto 


SPIEGAZIONE  DELLE  naUSE  251 

precisamente  ove  si  dovea  restringere  per  dar  luogo  alla  ca- 
vità sigmoidea. 
Fig.  16,  17.  Frammenti  di  pelois  della    Pellegrinia   Panormensis  dise- 
gnati dal  lato  opposto  della   cavità  cotiloidea  e  uno  di  essi  in 
sezione. 

9  18,  19.  Frammenti  dì  pelois;  il  frammento  19  pare  appartenga  alla 
stessa  specie,  il  frammento  18  pare  che  sia  1*  estremità  di  quello 
della  Mustela  arzilla. 

»  20-30.  Vertebre  variamente  figurate,  credo  appartenenti  alla  Mu- 
stela arzilla. 

•     31-34.  Vertebre  credo  appartenenti  alla  Pellegrinia  Panormensis. 

Tav.   TU. 

Fig.  I .  Sacro  credo  appartenente  al  Mus  piletus  De  Greg. 

»      2.  Frammento  di  omero  della  Mustela  arzilla  De  Greg. 

»      3-7.  Vertebre  del  Mus  piletus  De  Greg. 

»  8-9.  Pelvis  della  Mustela  arzilla,  frammenti  mostranti  la  cavità 
cotiloidea. 

»  10.  Frammento  di  osso  che  non  so  decifrare;  ha  una  cresta  assai 
curiosa. 

»  11.  Frammento  di  cranio  della  flfu^^e/a  arzilla;  nella  parte  opposta 
a  quella  figurata  si  vede  qualche  impronta  di  dente. 

»  12-14.  Mustela  arzilla  De  Greg.  Mascella  inferiore  che  mostra  due 
falsi  molari  e  il  dente  ferino,  e  dietro  a  questo  la  radichetta 
del  molare  cero,  che  però  non  si  vede  nella  nostra  figura.  Il 
dente  canino  e  il  molare  vero  sono  rotti  e  mancano,  la  estre- 
mità anteriore  corrisponde  a  sinistra  della  nostra  figura,  lo  che 
si  verifica  anche  nelle  figure  13,  14;  i  denti  sono  un  pò*  rotti. 
Meglio  conservaci  sono  quelli  delle  figure  13,  14.  Nella  roccia, 
ove  è  incastrato  l'esemplare  14,  vi  era  anche  un  ossicino,  che 
per  equivoco  fu  anche  disegnato  dal  litografo. 

»  16-23.  Denti  della  Mustela  arzilla  De  Greg.  La  fig.  15  mostra  un 
pezzo  di  roccia  in  cui  è  incastrato  un  premolare,  che  lascia 
vedere  le  due  sue  radici;  nella  stessa  roccia  è  incastrato  un 
ossicino  che  non  so  a  che  appartenga. —  Fig.  16  un  dente  fe- 
rino. —  Fig.  17  un  pezzo  di  mascella  inferiore  guardato  di 
lato  e  di  sopra;  esso  contiene  un  dente  ferino  e  le  radichette 
dei  falsi  molari.  Nella  parte  di  dietro  lateralmente  si  nota  una 
radichetta  forse  appartenente  al  molare  cero,  le  quale  per  com- 
pressione sul  fossilizzarsi  venne  a  spostarsi.  —  Fig.  18  un  in- 
cisino.  —  Fig.  19  lo  stesso  esemplare  visto  di  fianco  è  in  se- 
zione; è  desso  un  frammento  della  parte  anteriore  di  una  ma- 
scella inferiore,  che  porta  attaccati  un  canino  e  tre  incisici; 
il  canino  è  un  po'  rotto  superiormente;  gl'incisivi  perla  com- 
pressione e  sformamento  della  mascella  nel  fossilizzarsi   cam- 


252  1.  DB  GREGORIO 

biarono  s*.  rana  m'unte  di  posizione  come  lo  mostra  la  s*?z:one. — 
Fig.  20-22  fpe  dpini  can  ni  visti  da  tre  lati.  —  Fig.  23  molare 
Vrffo  d'illa  rnisc-^iln  inf*:TÌor*f  visto  di  fianco  e  di  sopra. 
Fig.  24-34.  Pellegridia  Panormen^is  D»Greg.  F-.g:.  24  incidivi  della  ma- 
scella inferior*^  —  Fig.  25  mascella  inferiore,  la  qual«^  contiene 
quattro  molari  conservando  il  molare  di  latte  cioè  i*anceriorep 
lo  che  si  verifica  anche  nel  l'esemplare  fig  29.  —  Fig.  26  ma- 
scella inferiore. —  Fig.  27-28  due  incidivi  inferiori  disegnati  da 
due  lati.  —  Fig.  29  mascella  inferiore  munita  di  quattro  mo- 
lari dì  cui  uno  di  latte  —  Fig.  30  parte  del  cranio  raostrania 
il  palato  con  le  due  mascelle  superiori  in  parte  rotte;  nello 
stesso  pezzo  di  roccia  si  vedono  lateralmente  i  denti  di  un*  al- 
tro esemplare.  —  Fig.  31  idem,  altro  esemplare  visto  di  Cic- 
cia e  di  fianco.  —  Fig.  32,  33  le  due  mascelle  inferiori  (  con 
Vapofisi  zigomatica?).  —  Fig  34  frammento  di  mascella  in- 
feriore visto  di  sopra. 


TaT.  Vili. 

Fig.  1-9.  Pellegrinia  Panormensis,  Fig.  1.  mascella  inferiore.  —  Fig.  2. 
frammento  di  mascella  inferiore  eh*?  lascia  vf^dere  1* incisivo 
anche  nella  parte  impiantata  nell'osso.  —  Fig.  3  mascella  in- 
feriore, il  più  grande  esemplare  che  posseggo;  l'incisivo  è 
rutto,  così  pure  il  molare  anteriore,  che  non  si  vede  nel  nostro 
disegno.  —  Fig.  4-6  vari  denti  molnri  visti  da  varie  parti.  — 
Fig.  7  mascelle  superiori  formanti  la  hase  del  erano.  ~  Fig.  8, 
9  due  molari. 
»  10.  Frammento  di  cranio,  cassa  timpanica  della  Pellegrinia  Fa- 
normensin. 

•  10  bis.  Frammento  di  cranio^  probabilmente  la  cassa  timpanica  della 

Pellegrinia  Panormensis. 
9      11.  Lepus  n.  sp.  Molare  di  cui  una  parte  è  rotta. 

•  12-13.  Due  mascelle  inferiori  della  Pellegrinia  Panormensis  situate 

presso  a  poco  nella  loro  forma  naturale  e  guardale  di  sopra; 
gì*  incìsivi  sono  in  entrambi  rotti,  nell'esemplare  12  è  rotto 
anche  un  molare.  La  figura  13  riproduce  lo  stesso  esemplare 
rappresentato  dalla  fig.  1  delU  stes<%a  tavola.  La  fig.  13  rap- 
presenta lo  stesso  esemplare  figurato  nella  tavola  VII.  fig.  24. 

»  14.  Due  molari  della  Pellegrinia  Panormensis  ingranditi  dalla  parte 
della  corona. 

»      15.  Frammento  di  bic'no  della  Mustela  arzilla  De  Greg. 

9  16.  Frammento  di  crnnio,  una  cas^a  timpanica  fratturata  d«>lla  Mu- 
stela arzilla. 

»  17.  Frammento  di  femore  della  Mustela  arzilla^  costituito  del  caj^^ 
d'.d  collOy  di  parte  del  corpo  colle  apofìsi  rotte. 


St^IEOAZIONB  DELLE  nGUSB  253 

Fìg.  18.  Pezzetto  di  roccia,  ove  è  incastrato  un  piccolo  elice,  forse 
V  Helix  aeptila,  e  un  pezzetto  di  mascella  superiore  con  1*  in- 
cisivo. 

19.  Frammento  di  cassa  timpanica  della  Mustela  arzilla. 

20.  Femore  della  Mustela  arzilla,  estremità  inferiore. 

21.  Pare  un  frammento  di  pelois  della  stessa  specie. 

22.  Tibia  della   Mustela  arzilla,  parte  superiore  con   la   testa   al- 
quanto erosa. 

23.  Frammento  di  Cyclostoma  sulcatum. 

24.  Frammento  di  mascella  superiore  della  Pellegrinia  Panormen- 
sÌ8,  con  r  incisivo  incastrato  in  un  pezzetto  di  roccia. 

25.  Frammento  di  guscio  deW Helix  Mazzulli  (Jan)  Phil. 

26.  Piccola  vertebra  del  Mus  piletus  De  Greg.  Lo  stesso  esemplare 
già  figurato  (tav.  VII,  fig.  3)  in  grandezza  naturale  e  ingrandito. 


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PIANTA  DELLA  FAMIGLIA  DELLE  EUFORBIAGEE 


Le  nuove  ricerche  sul  bossolo,  cui,  e  nel  passato  e  nel  pre- 
sente anno,  ebbi  occasione  di  istituire,  mi  condussero  a  risultati 
i  quali,  comecché  di  poca  importanza,  rendo  tuttavia  noti,  nella 
fiducia  di  fare  cosa  grata  ai  cultori   di  fitochimica. 

Per  maggiore  brevità  e  chiarezza  dividerò  codesti  risultati 

I.  In  quelli  riguardanti  il  procedimento  non  tanto  di  estra- 
zione quanto  di  separazione  degli  alcaloidi  già  noti  sotto  i  nomi 
di  Bussina,  Parahussina  e  Bussinidina. 

IT.  In  quelli  che  indizierebbero  nel  bossolo  V  esistenza  di 
due  altri  alcaloidi,  che  vorrei  chiamare  Parabussinidina  l'uno 
e  Bussinamina  l'altro. 

in.  In  quelli  riguardanti  le  materie  coloranti  o  pigmenti, 
i  quali,  nel  complesso  dei  loro  caratteri  fisico-chimici,  sarebbero 
affatto  differenti  da  quelli  segnalati  anni  sono  dal  chimico  te- 
desco il  dott.  G.  F.  Walz  (^). 

rV.  Finalmente  in  quelli  che  si  riferiscono  alla  cera,  onde 
la  pagina  superiore  delle  foglie  del  bossolo  è  abbondantemente 
ricoperta,  e  sulla  quale,  crediamo,  non  ha  ancora  nessuno  isti- 
tuite chimiche  sperienze. 

(>)  N,  Jahrbuch  fiir  Pharmacie  XII,  (1859),  303. 
Se.  Nat.  Voi.  Vm,  fase.  2.*  19 


256  G.  A.  barbaolìa 

I. 

Separazione  degli  Alcaloidi 

n  processo  riposa  principalmente: 

1 .®  Sulla  proprietà  che  ha  Y  acqua,  resa  acida  con  corrente 
di  anidride  carbonica,  di  sciogliere  tutti  gli  alcaloidi,  lasciando 
invece  insolubili  la  maggior  parte  di  quelle  altre  sostanze  che, 
a  differenza  degli  alcaloidi,  non  posseggono  la  funzione  chimica 
convenzionalmente  appellata  basica  (^); 

2.^  Sulla  facile  dissociazione  molecolare  della  combinazione 
dell'acido  carbonico  cogli  alcaloidi  pel  calore,  quando  cioè,  la 
soluzione  acquosa  carbonica  venga  mantenuta  per  un  certo 
tempo  alla  ebollizione,  nel  qual  caso,  mentre  la  Bussina  (^)  pre- 
cipita, rimangono  totalmente  in  soluzione  gli  altri  alcaloidi; 

3.*^  In  fine  sul  diverso  grado  di  solubilità  che  questi' ul- 
timi, sia  allo  stato  di  libertà  che  a  quello  di  combinazione  sa- 
lina, presentano  rispetto  e  all'  alcoole  e  all'  acqua  e  all'  etere. 

In  che  consista  il  medesimo  processo  lo  descriveremo  bre- 
vemente rimandando  per  maggiori  schiarimenti  alle  note  già 
pubblicate. 

La  massa  catramosa  (che  rimane  dalla  distillazione  del  so- 
luto alcoolico  del  precipitato  ottenuto  versando  latte  di  calce 


(<)  Rendiconti  del  Reale  Istituto  Lombardo  IV,  (1871)  fase.  Vili 
(')  li  vocabolo  Buxine  venne  introdotto  nella  chimica  nel  1830  da  un  valente 
fitrmacologo  francese  di  Bordeaux  il  Yd^wrè  {Examen  chimique  de  V  écorce  du  buis  ; 
Buxus  sempervirens  L  -  Journal  de  Pharmacie,  XVI,  (1830),  428.  —  TromsdorflT 
Neues  Journal,  XXIII,  219.  —  Berzelius  Jahresbericht,  XI,  (183i),  345)  per  designare 
il  principio  alcaloideo  in  genere  esistente  nel  Bossolo  e  da  lui  per  la  prima  volta  se- 
gnalatovi, principio  il  quale,  mentre  ritenevasi  consistere  di  una  sola  ed  unica  specie 
chimica  la  Bussina,  dal  rimpianto  Baldassare  Pavia,  farmacista  di  Locate  Triulzi 
(Lombardia)  venne  riconosciuta  mescolanza  di  due:  la  Bussina  e  la  Parabussina  {Sulla 
Parabussina  -  Novello  alcaloide  del  Biixus  Sempervirens  L.  Bollettino  farmaceutico. 
Vili,  (1868),  68.  —  Principali  caratteri  fisico^himici  differenziali  fra  i  due  alcaloidi 
Bobsina  e  Parabossina,  Ibìd.  X,  (1871),  113);  e  da  me,  in  questi  ultimi  anni,  mesco- 
lanza ancora  più  complessa,  per  lo  meno  di  cinque  alcaloidi:  la  Bussina,  la  Para- 
bassina,  la  Bussinidina,  la  Parabussinidina  e  la  Bussinamina,  siccome  ebbi  occasione 
di  dimostrare  in  parecchie  note.  (Gazzetta  chimica  italiana  XIII,  (1883),  249.  -  Pro- 
cessi verbali  della  Società  Toscana  di  Scienze  Naturali,  Adunanze  14  marzo  1883  - 
14  marzo  ISSI  e  15  novembre  1885.  Berichte  d,  deutschen  chemischen  Qesellschaft 
XVII,  (1884),  2055). 


OONTtllBtJZIONE  ALtX)  STtTDIO  t)EL  BtJ^US  SEMPEBVIRENS  L.  EC.  25? 

fino  a  forte  reazione  alcalina  nel  decotto  solforico  delle  foglie 
e  dei  ramoscelli  di  Bossolo)  versisi  in  acqua  piovana  nella 
quale  sta  gorgogliando  anidride  carbonica  ben  lavata.  Dopo 
parecchie  ore  di  azione  di  codesto  gas,  portisi  V  intiera  massa 
su  filtro,  raccogliendone  a  parte  il  liquido  e  trattando  con  nuova 
acqua  piovana  e  nell'  istesso  modo  la  parte  solida  rimasta  sul 
filtro.  Tre  o  quattro  trattamenti  al  più  bastano  per  depauperare 
completamente  la  parte  insolubile  dal  principio  alcaloideo. 

I  filtrati  riuniti  assieme  compongono  un  liquido  rosso-bruno, 
trasparente,  il  quale,  anche  abbandonato  semplicemente  all'  aria 
alla  temperatura  ordinaria,  per  isprigionamento  spontaneo  di 
anidride  carbonica,  fassi  torbido;  scaldandolo  spumeggia,  diventa 
lattiginoso  e  difficilmente  chiarificabile  colla  filtrazione,  e  già 
ad  una  temperatura  vicina  a  quella  a  cui  V  acqua  bolle,  chia- 
rificasi, diventando  in  pari  tempo  di  colore  giallognolo  sbiadito 
e  filtrabilissimo.  11  precipitato,  aggregatosi  in  seguito  alla  fii- 
sione  a  mo'  di  fiocchi  mollicci  e  brunastri,  col  riposo  appiccicasi 
alle  pareti  del  pallone  e  consecutivamente,  col  raflfreddamento, 
si  solidifica  in  massa  rosso-brunastra,'  semi-trasparente  avente 
tutto  V  aspetto  di  resina.  Nel  fatto  però  non  si  tratta  di 
sola  resina,  ma  di  una  sua  mescolanza  col  principio  alcaloi- 
deo. Laonde,  separata  dal  liquido,  lavata  con  acqua  distillata, 
quindi  sciolta  in  acqua  resa  debolmente  acida  con  acido  os- 
salico, ottiensi  un  liquido  rosso-brunastro  il  quale,  filtrato, 
scaldato  verso  i  50.**  e  per  ultimo  accuratamente  neutralizzato 
con  ammoniaca  (sia  pure  commerciale)  per  modo  da  evitame 
r  eccesso,  vi  s'ingenerano  fiocchi  di  una  materia  nerastra  appic- 
caticcia,  la  quale,  col  riposo,  raccogliesi  sul  fondo  del  vaso  e  col 
raffreddamento  concretasi  in  uno  strato  omogeneo,  vetroso 
trasparente,  di  colore  rosso-rubino  il  quale  si  descriverà  am- 
piamente più  avanti  ai  pigmenti.  Ora,  versando  nel  sovrastan- 
te liquido  fattosi  pagliarino,  previamente  filtrato  e  scaldato 
verso  i  50.'',  una  soluzione  concentrata  di  carbonato  di  sodio, 
ottiensi  un  precipitato  fiocco-caseoso  il  quale,  filtrato,  lavato 
ed  essiccato  spontaneamente  al  sole,  presentasi  di  colore  giallo 
sbiadito;  è  friabilissimo,  facilmente  fusibile  e  suscettibile  di 
bruciare  con  fiamma  molto  fuligginosa  ;  contiene  inoltre  azoto 
e  presenta  in  grado  elevatissimo  la  funzione  basica.  Ora  a  co- 
desto corpo  conserveremo  il  nome  Bussina  fino  a  che  ulteriori 


25d  0.  A.  BARBAGUA 

studj  (che  intendo  di  eseguire  presto,  non  appena  salute  e  tempo 
mei  permetteranno)  non  si  saranno  pronunziati  meglio  intomo 
alla  sua  natura  chimica. 

Il  liquido  di  colore  rosso-bruno  (che,  come  vedemmo,  portato 
e  mantenuto  per  un  certo  tempo  alla  ebollizione  divenne  di  co- 
lore giallognolo  sbiadito  e  da  cui  venne  separata  la  Bussina,  non 
che  la  resina  di  colore  rosso-rubino)  trattato  anch'  esso  con  una 
soluzione  concentrata  di  carbonato  di  sodio,  dà  un  precipitato 
fiocco-caseoso  bianco  o  leggermente  tinto  in  gialliccio,  che  consta 
degli  altri  quattro  alcaloidi.  Come  nel  caso  della  precipitazione 
della  bussina,  allo  scopo  di  dare  a  codesto  corpo  maggiore  coe- 
sione e  conseguentemente  di  facilitare  la  sua  filtrazione,  giova 
di  scaldare  prima  il  liquido  almeno  fino  verso  i  50.** 

Codesto  processo,  che  diremo  deW  acido  carbonico ^  parmi,  sia 
sotto  il  punto  di  vista  analitico  che  sotto  quello  industriale,  pre- 
feribile air  altro  delV  acido  solforico  proposto  dal  Pavia  fino  dal 
1868(0  6  al  mio  che  proposi  più  tardi  e  che  diremo  delV  acido 
ossalico  (^).  E  lo  dichiaro  tanto  maggiormente  in  quanto  con 
una  sola  operazione  o,  per  meglio  dire,  con  un  solo  agente, 
r  acido  carbonico,  che,  come  ognun  sa,  costa  pochissimo  ed  è 
di  facilissima  preparazione,  viensi  contemporaneamente  non 
solo  a  sceverare  la  massa  alcaloidea  dalla  quasi  totalità  delle 
sostanze  solubili  nell'  alcool  e  destituite  di  funzione  basica,  ma 
ben  anco  a  separare  dalla  prima  completamente  la  bussina. 

Quanto  poi  alla  separazione  nei  singoli  alcaloidi  della  massa 
alcaloidea  già  privata  dalla  bussina,  ciò  ottiensi  facilmente 
operando  nel  seguente  modo:  —  Sciolgasi  essa  nella  minore 
quantità  possibile  di  alcoole  a  90**  centesimali,  il  soluto  filtrato 
si  neutralizzi  con  cura  (procurando  di  evitame  V  eccesso)  me- 
diante una  soluzione  alcoolica  concent;ratissima  di  acido  ossalico, 
agitando  di  quando  in  quando  ed  abbandonando  il  tutto  a  sé 
medesimo  per  alcune  ore,  quindi  lo  si  filtri,  concentrando  poscia 
il  filtrato,  distillandone  V  alcoole  e  filtrandolo  di  nuovo,  perchè 
durante  codesta  operazione  nuova  quantità  di  precipitato  si 
forma,  che  dev'  esser  riunita  al  primo,  per  esser  lavato  assieme 
a  freddo  con  alcoole  a  90.®  e  ripetutamente  fino  a  che  questo 

(})  Bollettino  farmaceutico,  1868,  pag.  68. 
(«)  Gazzetta  chimica  it.   1883,  pag.  250. 


CONTRIBUZIONE  ALLO  STUDIO  DEI<  BUXUS  SElfPERYIBENS  L.  EC.  259 

non  passi  più  colorito.  Ora  i  quattro  alcaloidi,  trasformati  per 
tal  modo  in  ossalato  ed  in  uno  stato  di  conveniente  purezza 
chimica,  si  trovano  intimamente  mescolati  e  per  separare  l'uno 
dair  altro  tacciasi  bollire  il  precipitato  con  acqua  distillata,  se- 
parandone il  soluto  colla  filtrazione  ed  operando  sulla  parte 
insolubile  neir  istesso  modo  e  con  nuova  acqua  tre  o  quattro 
volte  di  seguito.  E,  mentre  i  soluti  acquosi  riuniti  ed  intiepiditi 
assieme  vengono  trattati  con  carbonato  di  sodio,  nel  qual  caso 
danno  un  precipitato  voluminoso  e  d'aspetto  della  gelatina  o 
colla  di  pesce  rigonfiata  nell'acqua,  precipitato  che  costituisce 
la  Parabmsina,  la  parte  insolubile  nell'  acqua  semplice  sciolgasi 
nell'acqua  resa  acida  con  acido  ossalico.  Il  soluto  risultante 
pongasi  in  separatore  di  vetro  e,  previa  agitazione  con  poco 
etere,  si  precipiti  con  carbonato  di  sodio,  procurando  di  aggiun- 
gerlo fino  a  forte  reazione  alcalina  ed  agitando  poscia  il  tutto 
nuovamente  e  con  violonza.  H  soluto  etereo,  che  è  sempre  in 
tal  caso  più  o  meno  tinto  in  giallognolo,  separato  dall'acquoso, 
filtrato  ed  evaporato,  lascia  per  residuo  la  Bussinamina.  H  pre- 
cipitato, ovverosia  la  parte  insolubile  di  esso,  riunita  di  nuovo 
nel  separatore,  si  agiti  con  novello  etere,  il  quale  questa  volta 
dev'  essere  usato  in  larghissimo  eccesso  ;  il  nuovo  soluto  etereo, 
separato  dall'acquoso,  filtrato  e  distillato,  lascia  un  residuo 
bianco,  cristallino,  il  quale  non  è  altro  che  la  Parabmsinidina. 
Il  precipitato  amorfo,  affatto  insolubile  nell'  etere  costituisce  la 
Biissinidina.  Ora  fa  duopo  avvertire  che  la  purezza  chimica  dei 
quattro  corpi  non  puossi  conseguire  che  a  questa  sola  condi- 
zione, di  sottoporre  ciascuno  e  separatamente  agli  stessi  trat- 
tamenti due  o  tre  volte. 

Sulla  Parabussina  pubblicarono,  come  già  fecemmo  notare, 
il  Pavia  nel  1868  e  nel  1871  Q)  ed  il  Pavesi  nel  1874  («);  sulla 
Bussinidina  pubblicai  io  stesso  nel  1883  (^)  e  mentre  rimandiamo 
alle  note  relative  coloro  ai  quali  interessasse  di  prenderne  mag- 
giore conoscenza,  ci  occuperemo  di  descrivere  sommariamente  le 
proprietà  dei  due  nuovi  alcaloidi,  le  quali,  a  parer  nostro,  sono 
sufficienti  per  istabilire  tra  essi  e  tra  gli  altri  già  descritti  un 
diagnostico  differenziale. 

(»)  Bollettino  farmaceutico  -  Vili,  68  e  X,  113. 

(')  Relazione  dei  lavori  eseguiti  nel   Laboratorio   chimico   della  sianone  di 
prova  presso  la  R.  Scuola  superiore  d* Agricoltura  m  Milano,  pag.  40. 
(3)  Gazzetta  chimica  it.  XIII,  (1883),  25K 


260  G.  A.  BARBAGLIA 

II. 

Parabussinidina  e 

Sono  i  due  alcaloidi  i  quali,  se  precipitati  dalle  loro  solu- 
zioni saline  col  carbonato  di  sodio  nelle  condizioni  dianzi  ac- 
cennate, sono  solubili  nell'  etere.  L' uno  dall'  altro  però  separasi 
approfittando,  come  si  disse,  del  loro  diverso  grado  di  solubilità 
nel  medesimo  solvente,  tantoché,  se  precipitati  assieme,  baste- 
rebbe di  trattare  la  mescolanza  dapprima  con  pochissimo  etere, 
nel  qual  caso  la  Bussinamina,  per  essere  straordinariamente 
solubile  vi  si  scioglie  nella  sua  totalità,  mentre  la  Parabussini- 
dina, che  vi  è  debolmente  solubile,  rimane  indietro  in  gran 
parte.  Ripetendo  il  trattamento  due  o  tre  volte  di  seguito  si 
riesce  ad  ima  completa  separazione. 

Relativamente  alle  altre  proprietà  differenziali  la  Parabus- 
sinidina è  cristallizzabile  {})  e  dal  soluto  etereo  separasi  cristal- 
lizzata in  bei  prismi,  microscopici  trasparenti,  incolori,  affatto 
insolubili  nelV  acqua,  per  lo  contrario  solubili  alquanto  nell'etere 
e,  senza  confronto,  più  solubili  nell'  alcoole;  le  soluzioni  arros- 
sano intensamente  la  cartolina  reattiva  di  curcuma. 

La  soluzione  alcoolica  poi  dà  con  una  soluzione  del  pari 
alcoolica  di  acido  ossalico,  un  precipitato  cristallizzato  in  ma- 
gnifiche tavole  romboidali  trasparentissime,  e  fragilissime,  pre- 
cipitato il  quale,  formasi,  com'  è  naturale ,  prontamente  se  le 
soluzioni  sono  concentrate,  laddove  formasi  lentamente  se  sono 
diluite.  Nel  primo  caso  i  cristalli  sono  microscopici  e  la  mag- 
gior parte  aggregati  gli  uni  cogli  altri  per  gli  spigoli  ed  attorno 
ad  un  centro  comune  per  modo  da  dare  origine  a  forme  radiate 
regolarissime,  nel  secondo  invece  sono  isolati  e  siffattamente  svi- 
luppati da  essere  visibili  anche  ad  occhio  nudo.  In  ogni  caso 
la  precipitazione,  per  completarsi  richiede  tempo,  e  viene 
eziandio  grandemente  sollecitata  colla  agitazione. 


(*)  Pretesero  due  chimici  d*  avere  estratto  dal  Bossolo  alcaloidi  cristallizzati,  e 
poiché  ne  fecer  soggetto  di  pubblicazione,  cosi  ci  sentiamo  in  dovere  di  dichiarare 
aver  preso  per  alcaloide  T  uno  il  bìsolfato  di  calcio  e  T  altro  Tossalato  di  ammonio. 
Taciamo  sui  nomi  per  delicatezza,  pronti  del  resto  a  declinarli  quando  ne  fossimo 
richiesti,  essendo  i  due  chimici,  come  di  leggieri  ognuno  può  rilevarlo,  cadati  in 
uno  de*  più  grossolani  errori. 


CONTRIBUZIONE  ALLO  STUDIO  DEL  BUXUS  SEMPERVIRENS  L.  EC.  261 

L'  ossalato  di  Parabussinidina,  oltreché  diflferire  da  quello 
di  Bussina  per  essere  affatto  insolubile  nell'  alcool,  diflferirebbe 
eziandio  da  quello  di  Parabussina  per  essere  pochissimo  o  insensi- 
bilmente solubile  nell'acqua  e  dalla  Bussinidina  pel  motivo  che 
quest'  ultimo,  sciolto  nell'  acqua,  resa  acida  con  acido  ossalico 
e  quindi  reso  alcalino  col  carbonato  di  sodio,  dà,  un  precipitato 
affatto  insolubile  nelV  etere. 

La  Bussinamina  è  corpo  amorfo  di.  colore  giallognolo  sbia- 
dito (^),  affatto  insolubile  nell'acqua,  solubilissimo  per  lo  con- 
trario neir  alcoole  e  la  soluzione,  messa  a  evaporare  a  bagno 
maria  in  capsula  di  vetro  (procurando  di  quando  in  quando 
di  farla  scorrere  con  arte  sulla  sua  superficie  )  a  completa  es- 
siccazione e  raffredamento  vi  aderisce  tenacemente  come  ver- 
nice formando  uno  strato  vetroso,  duro,  omogeneo,  di  colore 
giallognolo  e  senza  presentare  la  menoma  ombra  di  cristalliz- 
zazione; in  breve,  per  codesti  ed  altri  caratteri,  la  si  direbbe 
resina  coppale.  Dalla  vera  resina  differirebbe  per  altro  princi- 
palmente in  ciò  che  è  solubilissima  nell'  etere  e  presenta  in  modo 
spiccatissimo  la  funzione  basica.  Infatti  le  soluzioni,  sieno  alcoo- 
liche  sieno  eteree,  arrossano  intensamente  la  cartolina  reattiva 
di  curcuma  e  neutralizzano  gli  acidi  forti  per  dare  origine  a  veri 
sali.  Neutralizzando  la  soluzione  alcoolica  concentrata  con  so- 
luzione, del  pari  alcoolica  e  concentrata,  di  acido  ossalico  essa 
fornisce  un  precipitato  bianco  che,  esaminato  al  microscopio,  è 
amorfo,  si  presenta,  cioè,  sotto  forma  di  semplici  granulazioni 
tutte  di  eguale  grandezza,  il  che  e'  indurrebbe  a  credere  che 
trattisi  di  una  sola  specie  chimica. 

Dal  fin  qui  detto  ci  pare  non  esservi  dubbio  veruno  in- 
tomo alla  loro  natura  chimica,  cioè  a  dire,  essere  entrambi  i 
due  corpi  veri  alcaloidi  non  solo,  ma  ben  anche  due  specie  chi- 
miche differentissime  e  tra  di  loro  e  dalle  altre  già  descritte. 
Alle  obbjezioni  già  rivolteci  verbalmente  ed  a  quelle  che  forse 
potrebbonsi  fare  per  le  stampe,  di  non  avere  cioè  nella  identi- 
ficazione de'  cinque  alcaloidi  ricorso  al  criterio  diagnostico  im- 
portantissimo che  viene  desunto  dai  risultati  dell'  analisi  elemen- 

(0  Facciamo  osservare  che  fino  ad  ora  ogni  tentativo  diretto  allo  scopo  di  ren- 
dere la  Bussinamina  bianca  rimase  senza  frutto;  però  colla  nostra  dichiarazione 
non  intendiamo  di  escladere  la  possibilità  che  un  giorno  si  possa  averla  bianca  come 
gli  altri  alcaloidi. 


262  G.  A.  BARBAGUA 

tare,  crediamo  dì  potere  rispondere  che,  in  tesi  generale,  por  ri- 
conoscendo neir  analisi  elementare  tatti  pregi  ammessi  dai  nostri 
oppositori,  essa,  per  decidere  intomo  alla  natura  e  moltiplicità. 
delle  specie  chimiche  alcaloidee  in  questione,  è  insufficiente,  e 
tanto  maggiormente  lo  dichiariamo  in  quanto  potrebbesi  trattare 
di  isomerie  od  anche  di  polimerie;  bastino  gli  alcaloidi  della 
corteccia  di  china  che,  con  quelli  del  bossolo,  hanno  non  poca 
rassomiglianza.  E  poiché  gli  alcaloidi  solidi  (ed  i  nostri  non  ne 
£Etnno  eccezione)  gaseificando  col  calore  decompongonsi  e  la  loro 
molecola  è  assai  complessa,  così,  come  criterio  diagnostico,  a 
nulla  ponno  giovare  neppure  i  resultati  così  della  densità  di  va- 
pore come  delle  calorie  di  temperatura.  In  codeste  contingenze, 
r analisi  elementare  perdendo  maggiormente  d'importanza,  la 
diagnosi  non  può  farsi  che  alla  stregua  delle  reazioni  chimiche. 
Ora  a  queste  abbiamo  ricorso  ;  se  sieno  poche,  se  limitata  nel  nu- 
mero, non  vogliamo  discuterlo,  a  parer  nostro  sono  però  sufficienti 
per  legittimare  T  ammissione  delle  cinque  chimiche  individua- 
lità, cui  air  analisi  elementare  8ottx)porremo,  non  appena  avremo 
la  certezza  di  possederle  chimicamente  pure.  E,  mentre  ciò  di- 
chiariamo per  prevenire  la  critica  di  avere  creato  specie  chimiche 
nuove  senza  averle  prima  elementarmente  analizzate,  colla  no- 
stra dichiarazione  intendiamo  di  rendere  noto  il  nostro  pro- 
gramma di  studio,  cui  fin  d'ora  promettiamo  di  eseguire  colla 
maggiore  sollecitudine. 

m. 

Pigmenti 

H  problema  dei  pigmenti  esistenti  nei  vegetali  e  principal- 
mente quello  riguardante  la  clorofilla  è  in  oggi  ancora  uno  dei 
più  intricati  della  chimica  organica. 

Fino  ad  oggi  neasuno  s' è  occupato  della,  estrazione  e  quanto 
meno  dello  studio  dei  pigmenti  del  Bossolo,  se  si  eccettui  un 
chimico  tedesco  per  nome  Walz  (^)  il  quale,  fin  dal  1859,  ac- 
cintosi ad  estrarre  la  Bussina  su  lar^a  scala,  s' imbattè  in  una 
polvere  bianco-giallastra,  soffice  ed  insolubile  negli  acidi  diluiti, 
cui  chiamò  Buxoflavina.  Se  codesta  sostanza  sia  un  vero  pigmento, 

(•)  N.  Jahrbuch  fùr  Pharmacis  XII,  307. 


CONTBIBUZIONE  AIXO  STUDIO  DEL  BUXUS  SEMPERVIRENS  L.  EC.  263 

e,  volendolo  pure  ammettere,  se  essa  realmente  preesista  nella 
pianta,  è  problema  ancora  molto  discutibile.  Tal  si  dica  del- 
l' altra  sostanza  colorante  a  cui  lo  stesso  autore  non  diede  nome, 
sebbene  l'abbia  descritta  come  polvere  brunastra  e  solubile  negli 
acidi  diluiti.  Ora  fa  meraviglia  il  vedere  come  il  Walz,  saga- 
cissimo neir  arte  di  esperimentare  e  che  ha  trattato  parecchi 
quintali  di  bossolo,  non  sia  riuscito  ad  estrarre  allo  stato  di 
purezza  due  materie  coloranti  di  cui  l'una  è  verde  è  l' altra  rossa, 
materie  che,  preformate,  si  contengono  in  larga  copia  e  nelle 
foglie  e  nelle  altre  parti  verdi  del  vegetale  e  che,  giudicandole 
anche  dai  soli  caratteri  esteriori,  non  ponno  né  debbono  andar 
conftise  colle  due,  ch'egli  descrisse  tanto  incompletamente. 

Che  nelle  foglie  e  nei  ramoscelli  verdi  contengansi  prefor- 
mati due  e  forse  più  pigmenti  distinti,  facilmente  ce  ne  accor- 
giamo ispezionando  semplicemente  il  precipitato  che  si  forma 
versando,  sia  nel  macerato  che  nel  decotto  solforico  od  ossalico, 
carbonato  di  sodio  a  caldo  od  ammoniaca  a  freddo,  precipitato 
che  è  costantemente  di  colore  ardesiaco  e  dal  quale  ponno  aversi 
i  due  pigmenti  allo  stato  di  purezza  esaurendolo,  previa  com- 
pleta essiccazione,  sia  a  freddo  che  a  caldo  in  apparecchio  a 
spostamento,  con  alcoole  a  96.^  —  97.**,  meglio  ancora  se  questo  è 
assoluto,  filtrando  poscia  il  liquido  a  freddo,  quindi  distillandolo 
per  riaverne  l' alcoole  e  trattandone  l'estratto,  che  è  nero  e  pe- 
cioso, coir  acqua,  cui  procurar  devesi  di  acidificare  e  mantenere 
in  continua  agitazione  con  una  corrente  di  anidride  carbonica 
bene  lavata.  Così  operando,  mentre  tutti  gli  alcaloidi  passano 
in  soluzione,  insieme  ad  essi  vi  passa  una  quantità  piuttosto 
rilevante  di  pigmento  rosso,  della  cui  estrazione  allo  stato  di 
purezza  si  disse  gik,  lungamente  più  sopra  alla  separazione  degli 
alcaloidi  medesimi.  Fra  le  sostanze  insolubili  nell'  acqua  carbo- 
bica  annoverasi  il  pigmento  verde  che  vi  si  contiene  nella  sua 
totalità,  non  che  una  certa  quantità  di  pigmento  rosso,  quella 
parte,  cioè,  di  esso  che  venne  rispettata  dall'  anidride  carbonica 
per  mancanza  di  acqua.  —  Grada  codesta  mescolanza  facil- 
mente separasi  tutto  il  pigmento  verde  polverizzandola  minu- 
tamente, esaurendola  poscia  con  etere,  quindi  filtrando  il  soRito, 
distillandolo  ed  evaporandolo  per  ultimo  a  secchezza. 

Dicemmo  che  nelle  foglie  e  nei  ramoscelli  verdi  contengonsi 
preformati  due  e  forse  più  pigmenti,  ora  un  terzo  pigmento  de- 


264  G.  jl.  babbaoua 

vesi  ammettere,  quantmique,  per  verità,  non  siasi  ancora  riu- 
scito ad  isolarlo  in  conveniente  stato  di  purezza  quale  si  ri- 
chiede per  poterne  identificare  la  natura  chimica.  Lo  troviamo 
sempre  ed  allo  stato  di  soluzione  in  tutti  i  liquidi  che  riman- 
gono dopo  la  precipitazione  dei  diversi  alcaloidi  (sia  cogli  alcali 
che  coi  carbonati  alcalini  e  cogl'  idrossidi  alcalino-terrosi)  dai 
macerati  e  dai  decotti  di  bossolo  preparati,  vuoi  con  acqua 
semplice,  vuoi  con  acqua  acidificata  coir  acido  solforico  o  col- 
r  acido  ossalico.  Codesto  terzo  pigmento  è  di  colore  giallo  ca- 
nario finché  il  liquido  è  acido  o  neutro,  fassi  invece  di  colore 
rosso-aranciato  non  appena  diventa  alcalino  ;  quantunque  solu- 
bilissimo neir  acqua,  dall'  acqua  facilmente  precipita  non  appena 
vi  si  determini,  sia  cogli  alcali  che  coi  carbonati  corrispondenti, 
qualsiasi  genere  di  precipitazione,  coli'  idrossido  d' alluminio  for- 
ma, ad  esempio,  ima  lacca  resistente;  laonde,  sebbene  in  parte, 
anche  cogli  alcaloidi  precipita  impartendo  loro  il  proprio  colore, 
in  altre  parole,  esso  accompagna  gli  alcaloidi,  almeno  in  parte,  in 
tutti  quei  trattamenti  che  vengono  messi  in  giuoco  per  estrarli 
e  purificarli;  il  che  avrebbe  fatto  credere  a  taluno  all'esistenza 
simultanea  nel  bossolo  di  alcaloide  giallo,  aranciato  e  bianco. 
Come  gli  altri  due  pigmenti,  il  terzo  esiste  in  tutte  le  parti 
verdi  del  vegetale,  a  differenza,  però  dei  medesimi,  vi  esiste 
in  maggiore  quantità  nelle  parti  più  giovani .  Laonde,  ne  sono 
incomparabilmente  più  ricchi  i  decotti  dei  ramoscelli  di  un  mese, 
di  quelli  dei  rami  di  un  anno,  nei  quali  invece  è  in  grande 
aumento  il  pigmento  rosso-rubino  ;  tantoché  saremmo  quasi  ten- 
tati di  affermare  che,  col  progredire  della  vegetazione,  in  que- 
st'  ultimo  il  primo  pigmento  finisca  per  trasformarsi.  Descrive- 
remo sommariamente  le  proprietà  dei  tre  pigmenti,  non  in- 
tendendo con  ciò  di  avere  esaurito  un  argomento,  che  è  vasto 
e  ben  più  difficile  che  non  dai  più  sia  ritenuto. 

Affine  di  poterci  intendere ,  parmi  utile,  se  non  necessario, 
di  dare  loro  nome,  chiamando  il  pigmento  verde  Buxoviridinunij 
quello  rosso  Buxoruhinum  ed  il  giallo  Btixocrocinum  (0,  serbando 
la  desinenza  ina  per  i  nomi  degli  alcaloidi. 

Il  Buxùviridinum  è  di  un  bel  verde  smeraldo,  amorfo,  mol- 

(')  In  luogo  di  Buxoflavinum  e  Buxoxanthinum^  sostantivo,  quest*  ultimo,  che 
avrebbe  derivazione  mista,  parte  latina  e  parte  greca. 


CONTRIBUZIONE  ALLO  STUDIO  DEL  BUXUS  SEMPERVIRENS  L.  EC.  265 

liccio  d' estate,  fonde  nell'  acqua  bollente  portandosele  a  galla, 
è  affatto  insolubile  nell'acqua,  solubilissimo  invece  nell' al coole 
concentratissimo  e,  meglio  ancora,  se  assoluto.  Nel  debole,  ad 
esempio  in  quello  a  70.*^  centesimali,  è  insolubile;  è  debol- 
mente solubile  nell'alcool  metilico  è,  per  converso,  solu- 
bilissimo nell'alcoole  amilico  e  quasi  in  tutte  le  proporzioni 
nell'etere,  nel  solfuro  di  carbonio,  nel  cloroformio,  nella  ben- 
zina, negli  eteri  di  petrolio  ed  in  molti  altri  liquidi  idrocar- 
burati, i  quali  tutti  assumono  un  magnifico  colore  verde.  Tutte 
codeste  soluzioni  sono  peìfettametUe  neutre  ai  reattivi  colorati. 

Versando  nell'acqua  la  soluzione  nell'alcoole  etilico  il  pi- 
gmento precipita  sotto  forma  di  fiocchi  di  colore  verde  cupo, 
i  quali,  raccolti  su  filtro,  vi  si  appiccicano  insaldandolo  per 
modo  da  non  potemeli  staccare. 

Scaldando  lo  stesso  pigmento  sulla  lamina  di  platino  esso 
fonde  con  estrema  facilità,  si  rigonfia  e  poscia  s'accende  e 
brucia  con  fiamma  assai  fiiligginosa,  lasciando  un  residuo  fisso 
tenuissimo  rossastro  il  quale,  sciolto  nell'acido  cloridrico  e  trat- 
tato col  solfocianuro  potassico,  colorasi  in  rosso  sanguigno. 
Scaldandolo  in  tubo  d' assaggio  con  soluzione  di  potassa  caustica 
sviluppa  ammoniaca  riconoscibile  e  alla  cartolina  reattiva  di 
curcuma,  cui  arrossa,  ed  ai  vapori  di  acido  cloridrico  coi  quali 
producesi  nebbia  di  cloruro  ammonico.  —  Nel  Ruxoviridinum 
si  contiene  adunque  e  ferro  ed  azoto. 

È  stabile  a  freddo  sia  cogli  acidi,  purché  non  ossidanti  ener- 
gici, che  cogli  alcali,  nei  quali  sciogliesi  se  sono  in  soluzione 
acquosa.  L' acqua  soprasatura  di  acido  carbonico  non  lo  scioglie 
affatto,  né  v'induce  cambiamento.  Per  altro  alla  luce  diretta 
del  sole  coli' andar  del  tempo  le  soluzioni  finiscono  per  ingial- 
lire e  quindi  per  iscolorirsi  completamente;  lo  stesso  avviene 
delle  soluzioni  nell'etere,  nel  cloroformio,  nel  solfiiro  di  car- 
bonio e  nella  benzina.  Alla  luce  diffusa  lo  scolorimento  delle 
medesime  soluzioni  avviene  in  un  tempo  incomparabilmente 
più  lungo.  Il  pigmento  secco  non  iscolorasi  punto.  . 

Dal  complesso  di  codeste  reazioni  saremmo  tratti  a  con- 
cludere essere  il  Buxoviridinum  clorofilla  o  pigmento  ad  essa 
molto  somigliante.  Nel  qual  caso  alle  varietà  già  dimostrate 
se  n'  aggiungerebbe  una  nuova  che  crediamo  interessantissima. 

Il  Buxorubinum  è  pigmento  solido,  duro,  friabile,  trasparente 


266  0.  A.  BARBAOLIA 

come  vetro,  a  superficie  liscia  ed  a  frattura  concoide.  È  amorfo 
ed  estremamente  solubile  nell'alcoole  anche  a  70.*^  centesi- 
mali, la  soluzione  è  di  colore  rosso-rubino  e  completamente 
neutra  ai  reattivi  colorati.  —  Evaporando  questa  a  B.  M.  in 
capsula  di  vetro  lascia  un  residuo  scorrevole  che,  col  raffred- 
damento, aderisce  alle  pareti,  ricoprendole  equabilmente  come 
di  uno  strato  vitreo,  omogeneo,  di  colore  rosso-rubino,  traspa- 
rentissimo  e  senz'ombra  di  cristallizzazione.  Se  non  che  col 
tempo  si  rendono  appariscentissime  innumerevoli  linee  irregolari 
e  splendenti  sì  da  far  credere  che  il  corpo  siasi  cristallizzato. 
Cristalli  però  non  vi  esistono  neppure  per  ombra  e  di  leggieri 
possiamo  persuadercene  ispezionandolo  con  lente  a  forte  ingran- 
dimento. —  Trattasi  di  fenditure  accidentali,  tantoché  basta  di 
scuoter  la  capsula  che,  in  corrispondenza  di  esse,  lo  strato  vitreo 
si  suddivide,  cadendo  in  pezzi  minuti  ed  irregolari. 

Altra  differenza  notabilissima  del  Buxomhinum  è  quella  ri- 
guardante la  sua  insolubilità  completa  e  neir  etere  e  nel  clo- 
roformio e  nel  solfuro  di  carbonio  e  nella  benzina  e  negli  altri 
liquidi  idrocarburati.  —  L' acqua  nella  quale  gorgoglia  gas  acido 
carbonico  ne  scioglie  discreta  copia  colorandosi  in  rosso,  essa 
ne  scioglie  maggiormente  aggiungendovi  il  pigmento  in  solu- 
zione alcoolica.  E  solubile  negli  acidi  anche  diluitissimi. 

Neir  alcoole  amilico  il  Buxorubinum  a  freddo  è  parzialmente 
solubile,  lo  che  ci  farebbe  pensare  ad  una  mescolanza,  cioè  a 
dire,  alla  coesistenza  nel  bossolo  di  due  pigmenti  rossi. 

Scaldato  sulla  lamina  di  platino  fonde  senza  rigonfiarsi,  poscia 
s'accende  e  brucia  con  fiamma  estremamente  fuligginosa,  la- 
sciando im  residuo  nerastro  di  carbone  che,  a  più  forte  riscal- 
damento, brucia  anch'esso  senza  lasciare  traccia  di  cenere. 
Bollito  con  soluzione  di  potassa  caustica  non  isviluppa  ammo- 
niaca. A  differenza  del  pigmento  verde  il  rosso  adunque  non 
contiene  ne  ferro  né  azoto. 

Ora,  dal  complesso  di  codesti  caratteri  fisico-chimici,  saremmo 
autorizzati  a  classificare  il  Buxorubinum  fra  le  resine  e  tanto 
maggiormente  l'ammettiamo  nel  bossolo  preformato,  quantun- 
que altri,  che  pure  l'ebbe  isolato,  lo  niegasse  recisamente,  con- 
fondendolo cogli  alcaloidi,  chiamandolo  persino  parabussina  e 
dimostrando  con  ciò  d'ignorare  completamente  gli  importanti 
lavori  del  nostro  Bald^ssare  Pavig,, 


CONTRIBUZIONE  ALLO  STUDIO  DEL  BUXUS  SEMPEiiVIBENS  L.  EC.  267 

H  Buxocrocinum  estraemmo  dalle  acque  da  cui  vennero  pre- 
cipitati gli  alcaloidi,  evaporandole  prima  a  B.  M.  a  secchezza, 
esaurendone  poscia  il  residuo  t con  alcoole  concentratissimo  ed 
evaporandone  per  ultimo  il  soluto  pure  a  secchezza. 

E  corpo  giallo-rossigiio  alquanto  solubile  nell'  acqua  e  mag- 
giormente se  essa  viene  resa  debolmente  vuoi  acida  vuoi  al- 
calina. E  solubilissimo  nelV  alcoole  e  la  soluzione  non  arrossa  la 
cartolina  reattiva  di  curcuma,  né  dà  precipitato  filtratile  quando 
venga  diluita  coli'  acqua  distillata  e  bollente.  Tale  soluzione  dà 
un  precipitato  giallo  sbiadito  aggiungendo  ad  essa  allume,  quindi 
carbonato  di  sodio  (lacca).  Qualche  cosa  di  simile  avviene,  se 
in  luogo  deir  allume,  nella  soluzione  trovasi  alcaloide  salificato, 
alcaloide,  che  a  guisa  dell'  allumina,  precipita,  trascinando  seco 
il  pigmento. 

E  alquanto  solubile  anche  nell'  etere,  in  altre  parole  agi- 
tando in  separatore  di  vetro  la  sua  soluzione  acquosa  esso  co- 
lorasi debolmente  in  giallo,  conservandosi  neutro  ai  reattivi 
colorati. 

IV. 

Cera 

Come  dicemmo  fin  dal  principio  nessimo  s'  è  ancora  occu- 
pato dello  studio  chimico  della  cera  del  bossolo  e  noi  ci  siamo 
entrati  così  incidentalmente  mentre  stavasi  estraendo  e  dalle 
foglie  e  dai  ramoscelli  gli  alcaloidi  che  vi  si  contengono.  Non 
intendiamo  quindi  di  dame  un  analisi  completa.  Tutt'  altro  ! 
Essendoci  invece  limitati  a  quella  dell'  alcoole  che,  notoriamente, 
nelle  cere  esiste  sempre  allo  stato  di  etere  composto,  essendone 
il  principio  immediato  preponderante  e,  ad  im  tempo,  forman- 
done, a  parer  nostro,  la  caratteristica  principale.  Per  quanto 
incomplete  sieno  però  tali  analisi  esse  dimostrerebbero  sempre 
con  sufficiente  attendibilità  essere  la  cera  del  bossolo  simile,  se 
non  identica,  a  quella  animale,  verbigrazia  la  cera  delle  api. 

Fino  dal  1878  C)  facemmo  noto  come,  bollendo  per  24  e 
più  ore  col  latte  di  calce  il  precipitato  che  si  ottiene  trattando 

(')  Società  Toscana  di  Scienze  Naturali,  Voi.  IV,  £mc  I,  pag.  67. 


^68  Ó.  A.  BARBAOLiA 

col  carbonato  di  sodio  fino  a  forte  reazione  alcalina  il  decotto 
solforico  bollente  delle  foglie  e  dei  ramoscelli  di  bossolo  (ope- 
razione che  per  maggiore  brevità,  b'  è  chiamata  saponificazmie) , 
filtrando  poscia  il  precipitato  medesimo,  e,  previa  essiccazione, 
esaurendolo  coli'  alcoole  a  %""  centesimali,  si  ottenga  un  so- 
luto di  colore  rosso  sporco  con  riflesso  verdognolo  che,  ancora 
caldo,  filtrato  e  lasciato  spontaneamente  raflfreddare  si  rappren- 
de come  in  un  megma  cristallino,  il  quale,  messo  a  sgocciolare 
sopra  filtro  e  poscia  compresso  fra  carta  bibula  ed  essiccato, 
fornisce  un  corpo  di  colore  verdognolo  risultante  dall'  aggrega- 
zione di  cristalli  aciculari,  fusibili  a  85®  C.  In  appoggio  a  codesti 
caratteri  opinammo  subito  doversi  trattare  di  alcoole  miricilico, 
anzi  facemmo  la  dichiarazione  promettendone  presto  uno  studio 
più  circostanziato. 

Ora,  avendo  esaurito  coli'  alcoole  il  precipitato  ottenuto  nel- 
r  istesso  modo  ma  non  saponificato,  s'ottenne  un  soluto  il  quale, 
sebbene  avesse  l' istesso  colore,  col  raffreddamento  non  fece  il 
benché  menomo  deposito  cristallino.  Ed  avendo  il  precedente 
precipitato  {gìk  completamente  esaurito  coli'  alcool  fino  a  che 
questo  passò  scolorito)  saponificato  nel  modo  anzidetto  e  quindi, 
previa  filtrazione  ed  essiccazione,  di  nuovo  trattato  con  alcoole 
bollente  ed  ancora  bollente  filtrato,  forni  un  soluto  debolmente 
colorito  in  giallognolo,  che,  col  raffreddamento,  si  rapprese  in 
megma  cristallino,  il  quale  in  questo  caso  non  era  più  verdo- 
gnolo sibbene  bianco.  Sottoposto  alla  filtrazione,  compresso  fra 
carta  e  ricristallizzato  nell'  alcoole,  fornì,  allo  stato  di  chimica 
purezza,  un  corpo  risultante  dall'  aggregato  di  cristalli  aciculari 
splendenti,  fusibile  a  85^  insolubile  completamente  nell'  acqua, 
pressoché  insolubile  nell'  alcoole  freddo  e  solubilissimo  quasi  in 
tutte  le  proporzioni  nel  bollente.  È  solubile  del  pari  molto  più 
a  caldo  che  a  freddo  nell'etere,  nel  cloroformio,  nella  benzina 
e  nei  liquidi  idrocarburati  e  tutti  codesti  soluti  sono  perfetta- 
mente neutri  ai  reattivi  colorati  ;  coli'  alcoole  amilico  compor- 
tasi precisamente  come  coli'  etilico.  Non  contiene  per  ultimo 
azoto. 

Ora  tuttociò  e'  indusse  a  credere,  se  non  a  ritenere  per  certo, 
che  si  trattasse  indubbiamente  di  alcoole  miricilico,  appellato 
anche  alcoole  melissilico  o  miricico  e  che  esso  alcoole  ripetesse  la 
sua  origine  dal  palmitato  e  dallo  stearato  di  miricilo,  eteri  com- 


CONTRIBUZIONE  ALLO  STÙDIO  DEL  BIJXUS  SEMPERVIEENS  L.  EC.  269 

posti  che,  come  già  ebbe  a  dimostrare  il  Brodie  (^)  esistono  co- 
stantemente nella  cera  delle  nostre  api  ed  i  quali,  a  differenza 
degli  altri  principj  immediati,  sono  pressoché  insolubili  nello 
spirito  di  vino,  così  a  caldo  come  a  freddo.  Parveci  per  altro 
che  il  vero  carattere  diagnostico  non  si  potesse  desumere  che 
dai  resultati  dell'analisi  elementare;  ne  male  ci  apponemmo, 
inquantochè  fu  l'analisi  appunto  quella  che  valse  a  decider  la 
questione. 

In  fatti  fornirono: 

0,318    g.  di  sostanza  0,4065  g.  di  H2O  e  0,  950    g.  di  CO2 
0,3253g,  ^  0,419    g.         „         0, 9750  g. 

0,418    g.  ,  0,520   g.         ,         l,2163g.       , 

Ora  queste  cifre  conducono  evidentemente  alla  formola 
brutta  Oso  H62  0.  che  viene  dedotta  dalla  composizione  cen- 
tesimale : 


Teoretica 

Sperimentale 

l.''  Analisi 

2.0  AnalUI 

3.*  Anali*! 

C.  -    82,19 
H.  -     14, 16 
0.  =      3,65 

81,47 

14,20 

1 

81,74 

14, 30 

81,30 

14,16 

100,00 

1 

1 

e  che  è  appunto  quella  dell' alcoole  miricilico. 

Se  non  che  ci  si  potrebbe  objettare  che  in  100  p.  di  alcoole 
cerilico  (C27  H66  0),  derivante  dal  cerotinato  di  cerilo  per  iden- 
tico trattamento,  contenendosi  81,  81  p.  di  carbonio  e  14,  15  p. 
di  idrogeno,  potrebbe  trattarsi  invece  di  codesto  corpo,  tanto 
più  che  esso  costituisce  una  delle  caratteristiche  della  cera  ve- 
getale di  Carnauba  che,  come  ognun  sa,  si  estrae  dalle  foglie 
della  palma  carnauba  0  Copernicia  Cerifera  M.  del  Brasile  e  di 
altra  impropriamente  detta  vegetale,  che  proviene  dalla  China 


(»)  Annal.  Chem.  u,  Pharm   67-108. 


^70  Q.  A.  ÈABBAGUA  —  CONTKIBUZIOKE  ALLO  SlUDIO  EC. 

ed  è  prodotta  da  un  iuaetto  il  Coccus  Ceriferus;  ma  T  objezione 
cade  da  sé  quando  si  pensa  che  questo  alcoole  si  fonde  a  79.^  C. 
Cosi  pure  cadono  di  subito  anche  le  altre  possibili  objezioni, 
che  il  corpo  analizzato  possa  essere  invece  cerotinato  di  cerilo^ 
(òiHiodOi)  principio  immediato  caratteristico  della  stessa  cera 
vegetale  che  fonde  a  82.^  C.  o  palmitato  di  miricilo  (Cis  H92  O2) 
principio  immediato  caratteristico  della  cera  delle  nostre  api 
che  fonde  a  84,^  5  quantunque  si  contengano  in  1 00  p.  del  primo 
corpo  82,  24  p.  di  carbonio  e  13,  71  p.  d'idrogeno,  ed  in  100  p. 
del  secondo  81,  66  di  carbonio  e  13,  61  di  idrogeno,  perchè  en- 
trambi due  eteri  composti  sono  saponificabili  e  pressoché  inso- 
lubili nello  spirito  di  vino  così  a  caldo  come  a  freddo.  Ozioso 
parveci  adunque  di  andare  in  cerca  dell'  acido  palmitico,  poten- 
dosi già  fin  d'ora,  in  appoggio  e  ai  caratteri  fisico-chimici  ed 
ai  risultati  dell'  analisi,  con  fondamento  ritenere  che  non  possa 
trattarsi  d'  altro  che  di  alcoole  miricilico.  E  ciò  anche  prendendo 
in  seria  considerazione  gli  importanti  risultati  analitici  pubbli- 
cati non  è  molto  dallo  Stftrcke  sulla  cera  di  Carnaùba  {}).  Ci 
piace  per  ultimo  di  rendere  noti  codesti  risultati  anche  per 
coloro  i  quali  ancora  credono  di  potere  stabilire  im  diagnostico 
differenziale  fra  la  cera  vegetale  e  la  cera  animale,  basandolo 
unicamente  sulla  composizione  chimica. 

(»)  Liebig  V  AnnaUn,  B.  2>3. 


Pisa,  novembre  1886. 


Dallo  Stabilimeuto  di  chimica  medi'^a^  farmaceutica  e 
tossicologica  della  R.  Università. 


G-.    G-RA.TTì^ROIjA. 


FORMA  CRISTALLINA  E  CARATTERI  OTTICI 

DELLA 

ASPARAGINA  DESTROGIRA  DI  PIUTTI 

n  II  /xrii  ì  /CO  NH2 
C2H3(NH2)^(.Q0jj 


H  Prof.  Dr.  Arnaldo  Piutfci  mi  ha  favorito  un  notevole  numero 
di  bei  cristalli  di  asparagina  dolce,  la  cui  soluzione  acquosa 
egli  aveva  ricoflosciuto  dotata  del  potere  rotatorio  destrogiro 
per  la  luce  polarizzata.  Egli  aveva  nello  stesso  tempo  osservato 
che  le  faccette  emiedriche  indicate  da  Pasteur  sui  cristalli  di 
asparagina  a  soluzione  levogira,  senza  sapore  dolce,  come  colle- 
gate, per  la  loro  posizione  sul  cristallo,  col  verso  della  rotatività, 
erano  ne' suoi  cristalli  in  posizione  alternata  con  quella  indicata 
da  Pasteur  per  quelli  da  lui  studiati,  e  quindi  in  correlazione 
col  potere  rotatorio  proprio  dei  nuovi  cristalli.  H  Prof.  Piatti 
ha  creduto,  con  ragione,  che  valesse  la  pena  di  uno  studio 
accurato  del  nuovo  materiale  da  lui  ottenuto  e  ben  volentieri 
me  ne  sono  occupato  non  essendo  frequente  trovarne  una  serie 
così  bella  e  numerosa. 

Si  possono  leggere  le  comunicazioni  del  Prof.  Piutti  nelle 
seguenti  pubblicazioni:  Orosi,JX,  p.  198,  —  Gazz.  Chini.  Ital. 
XVI,  275.  —  Compi.  Rend.  Cm,  1341  —  Berichte  d.  d.  Chem. 
Gesell.  XIX,  1991. 

La  bibliografia  che  io  ho  potuto  consultare  sulla  fisica  cristal- 
lografica di  questa  sostanza  si  riduce  alla  memoria  del  Pasteur 
negli  Annales  de  Chimie  et  de  Physique  anno  1851,  pag.  70;  alla 
notizia  inserita  da  Rammelsberg  nella  sua  ^  Krystallographisch" 
Physikalischen  Chemie  „  2.*  ediz.  p.  187;  e  alla  memoria  di  Paul 
Groth  nei  "  Poggendoìf  Ammlen  „  1868,  p.  651,  e  alla  breve  notizia 
data  pure  da  Groth  nella  **  Physikalische  Krystallographie  „  2.*  ediz. 

St.  Nat.  VoL  ym,  fase.  2.*  20 


272  G.  GRATTAROLA 

p.  469.  —  Le  memorie  citate  dal  Kammelsberg,  cioè  di  v.  Lang, 
nelle  '^  SUzungsherichte  des  Wien.  etc.  XXX,  116;  di  Schrauf, 
ibid.j  XLII,  140;  dì  Des  Cloizeaux  **  Nouvelles  Recherches  sur  les 
praprietés  opttqties  etc.  „ ,  Paris  1867,  p.  37;  di  Kopp,  "  Einleit  in  d. 
Krystallog,  „  1,  Auf.,  p.  312;  di  Bamhardi,  "  Ann.  Phannacie  „ 
12,  58,  non  potei  consultarie  nelle  pubblicazioni  originali,  e  mi 
dovetti  limitare  a  quanto  ne  riportano  gli  scritti  consultati. 

Dell'  esistenza  di  un  tetraedro  positivo  su  cristalli  di  aspa- 
ragina,  Pasteur  prevede  (loco  citato)  la  possibilità  (^)  ;  e  Ram- 
melsberg  (  loco  citato  )  dice  che  V  ottaedro  o  comparisce  come 
tetraedro  destro  oppure  sinistro.  Anzi  la  figura  da  lui  inserita 
nel  trattato  è  precisamente  di  un  cristallo  colla  modificazione 
di  destra.  Non  avendo  a  disposizione  tutta  la  bibliografia,  non 
saprei  dire  se  questa  affr»  inazione  Rammelsberg  deduca  da  sue 
proprie  o  da  altrui  osservazioni  ;  e  resta  quindi  intera  la  con- 
venienza di  uno  studio  apposito. 

I  cristalli  che  ho  a  disposizione  possono  essere  riferiti  al 
sistema  trimetrico  (rombico),  poiché  le  deviazioni  stanno  dentro 
ai  limiti  generalmente  consentiti.  Per  calcolare  le  costanti,  imi- 
formandomi  air  orientazione  del  Miller  per  la  levoasparagina, 
ritenni  il  prisma  verticale  come  primario;  il  brachidoma  più 

esteso  come  021,  e  la  forma  emiedrica  negativa  come  x  111. 

Le  facce  non  sono  perfettamente  piane  e  danno  immagini  mul- 
tiple, a  cui  per  la  limpidezza  estrema  dei  cristalli  si  aggiungono 
immagini  provenienti  da  rifrazione  e  da  riflessione  intema,  le 
quali  ultime  però  si  possono  facilmente  riconoscere  e  scartare. 
Coir  esplorazione  microscopica  delle  facce  si  può  giudicare  della 
condizione  di  poliedricità,  delle  facce  e  stabilire  quale,  fra  le 
immagini  presenti  nel  campo  visivo  del  cannocchiale,  convenga 
scegliere,  preferendo  naturalmente  la  più  limpida  e  proveniente 
dalla  porzione  di  faccia  più  estesa.  La  distanza  angolare  fra 
le  immagini  estreme  di  una  stessa  faccia  varia  notevolmente. 
Nella  più  parte  dei  casi  non  sorpassa  P;  ma  talvolta  arriva 
fino  quasi  a  4*.  —  Delle  4  facce  del  prisma  110,  tre  erano  di- 
scretamente in  zona,  la  quarta  ne  deviava  leggermente,  però 
fatta  la  lettura  del  suo  angolo  colle  contigue,  dopo  aver  impo- 

(})  Il  ne  serait  pas  impossible  qn*  on  decoovrit  un  jour  une  substance  qui  aurait 
la  forme  cristalline  symétrique  de  la  forme  de  Tasparagine  actueliement  connue;  il 
y  aurait,  entre  les  deus  éspecès  d' asparagi  ne,  la  méme  relation  qu*  eatre  les  deux 
acidcs  tartriques,  droit  et  gauche. 


FORMA  CniSTALLINA  E  CARATTERI  OniCI  ECC.  273 

stato  il  relativo  spigolo,  si  ebbe  bensì  una  certa  differenza  da 
quella  fatta  coli'  impostazione  dell'asse  intemo  ideale  della  zona, 
ma  non  tale  da  sorpassare  i  limiti  anzidetti.  L'  angolo  (delle 
normali)  dello  spigolo  ottuso  di  1 10,  media  delle  medie  delle  ripe- 
tute letture  sugli  spigoli  omologhi  dello  stesso  cristallo,  e  su  tre 
cristalli,  è  di  50*.  47'.  7  '.  L'  angolo  dello  spigolo  acuto  (media 
analoga)  è  129^  23'.  17".  Gli  estremi  più  lontani  da  queste 
medie  sono  rispettivamente:  50^  27'-50^56'.  V2,el29«.2  -129^  32'. 

(La  non  corrispondenza  della  somma  50^  47'.  7  -f  129.  23' 
17"  con  180*,  dipende,  come  è  chiaro,  dall'incertezza  e  dalla 
variabilità  dell'  impostazione  ). 

Groth  otteneva  un  angolo  dil29^  17'.  5"  —  129^  24';  Miller 
129^  18;  Pasteur  129\  37    e  Uammelsberg  129^  40. 

Tenuto  però  conto  della  poliedricità  delle  facce  e  dell'  in- 
decisione delle  letture  non  v'  è  alcun  motivo  di  mutare  il  va- 
lore fondamentale  scelto  da  Miller  per  il  calcolo  dei  parametri 
e  questo  valore  si  riterrà  dunque  anche  qui  di  129*.  18'. 

Per  r  inclinazione  di  o  sulla  faccia  contigua  del  prisma  si 
ottenne  (solita  media  delle  medie  per  3  cristalli)  25"*.  49 .  Per 
quest'angolo  su  cristalli  sinistrorsi  ottennero:  Miller  27*.  13'; 
Rammelsberg  27*  (calcolato);  Barnhardi  27*.  49'  (misurato).  Per 
cui  la  differenza  fra  il  valore  dato  da  Miller  e  quello  ora  ot- 
tenuto è  di  1*.  24  ;  che  pure  è  lecito  attribuire  alla  solita  mol- 
teplicità delle  immagini,  quantunque  per  due  cristalli  le  letture 
fatte  sieno  molto  attendibili. 

n  brachidoma  021  ha  dato  colla  solita  media  il  valore: 
per  l'angolo  ottuso  (sopra  il  macroasse)  62*.  2';  di  fronte  ai 
valori  61*.  58  di  Miller;  62*.  42  di  Rammelsberg;  63*.  10'  di 
Barnhardi.  Per  le  dette  ragioni  si  può  dunque  assegnare  a  questa 
forma  il  simbolo  già  ammesso  021.  Si  possono  quindi  tenere 
anche  per  la  presente  destroaspara^na  i  rapporti  parametrali 
(assiali)  a  :  b  :  e  =  0,4737  :  1  :  0,8327. 

Le  facce  sin  qui  osservate  per  la  levoasparagina  sono: 

Il  brachipinacoìde  Oli  e  la  base  001;  il  prisma  110,  il  bra- 
chidoma primario  Oli  e  il  brachidoma  021  e  lo  sfenoidexlH. 

Le  combinazioni  descritte  sono  Oli,  HO,  021,  %111,  (Groth, 
Physik.  Krystallog.  H  Ediz.  p.  469  );  e  poi  quelle  di  tutte  le  facce 
trovate  (Rammelsberg,  loco  citato  p.  187). 


Fig.a 


274  0.  GRATTAROLA 

Lo  studio  dei  nuovi  cristalli  di  destroasparagina  ha  fatto 

conoscere  oltre  alle  forme  già  citate,  il 
3.**  pinacoide  (macropinacoide)  100,  al- 
tri due  brachidomi  e  il  macrodoma  101. 
La  faccia  100,  trovata  sopra  un  solo 
cristallo,  fa  colle  contigue  di  1 1 0,  un 
angolo  variabile  da  25^  24'.  30* ,  a  25% 
^•«•1  11    30''(fig.l). 

La  posizione  della  faccia  01 1  (brachidoma  primario)  (fìg.  2  e  3) 
resulta  dall'angolo  Oli  A  021  che  varia  da  18^  24^  2  a  19^  38' 

con  una  media  di  18^  27  .  7";  mentre 
Miller  darebbe  19M4'e  Rammelsberg 
19^  40'. 

Le  immagini  su  questa  faccia  Oli 
sono  sempre  assai  confiise  e  per  alcune 
di  esse  facce  è  stato  conveniente  fare 
la  lettura  adoperando  il  canocchiale 
come  microscopio  e  leggendo  sul  mas- 
simo d'intensità,  di  illuminazione. 
Altro  brachidoma  065  (fig.  3).  La  sua  posizione  è  determi- 
nata dalla  distanza  angolare  da  021  di  15^  20'  V2  —  14^  51'  ^'2 

(trovato  su  un  solo  cristallo),  con  me- 
dia di  15^  6  ;  dal  calcolo  si  avrebbe 
un  angolo  di  14^  0'.  34". 

L'  altro  brachidoma  095  (fig.  3)  fa 
un  angolo  di  3**.  6'  con  021;  dal  calcolo 
si  ricava  come  simbolo  approssima- 
tivo 095;  cui  veramente  corrisponde 
un  angolo  di  2**.  42  .  39"  con  una  diffe- 
renza di  0^  13'  V3. 
'  La  faccetta  indicata  come  101  (fig.  2) 
si  trova  sulla  zona  (001  :  100)  e  fa  con  001  un  angolo  (media 

di  6  letture)  di  60^  30'.  10".  Si  trova  pure  sulla  zona  110  :  Oll; 
e  quindi  deve  appartenere  al  macrodoma  primario  101.  H  calcolo 
darebbe  per  l'angolo  101  :  001  un  valore  di  60^  21'.  56";  e  quindi 
si  ha  coir  angolo  trovato,  tenuto  conto  della  imperfezione  delle 
facce,  una  grande  corrispondenza. 

Vario  è  1'  abito  dei  cristalli.  Alcuni,  e  sono  la  maggior  parte 


Pig.8 


\ 


Fig4. 


FORMA  CRISTALLINA  E  CARATTERI  On'lCI  ECC.  275 

hanno  assai  sviluppajba  una  faccia  della  base,-  la  quale  però  e 
formata  da  una  tramoggia,  o  imbuto  a  gradinate,  esagona 
(v.  fig.  4),  e  rappresenta  la  ]faccia 
su  cui  il  cristallo  poggiava  sul  fondo 
dei  vaso;  la  base  opposta,  più  stretta 
e  irregolare.  Le  quattro  facce  di  021 
sono  estese  nel  senso  del  brachiasse; 
le  due  superiori,  cioè  quelle  conti- 
gue alla  tramoggia,  sono  più  strette; 
le  altre  due  molto  più  larghe;  co- 
sicché in  complesso  il  cristallo  prende  la  forma  di  un'  urna 
(fig.  5).  Delle  4  facce  dello  sfenoide,  le  due  superiori  sono  pic- 
cole, e  talvolta  rappresentate  da  una 
sottile  riga  lucente,  e  talvolta  anche 
non  sono  percettibili  affatto  ;  le  altre 
due,  inferiori,  contigue  alla  base  non 
tramoggi ata,  sono  molto  più  estese 
e  talvolta  sono  addirittura  preponde- 
ranti. Il  prisma  110  segue  natural- 
mente le  vicende  dello  sfenoide.  Le  fac- 
ce degli  altri  brachidomi  sono  sovente 
invisibili  e  solo  di  rado  si  presentano 
con  estensione  sufficiente  per  la  misurazione  goniometrica. 

Quasi  tutti  gli  altri  cristalli  hanno  V  abito  rappresentato 
dalla  fig.  6.  Preponderano  le  facce  delle  due  forme  110,  021,  e 
sono  piccolissime,  e  talvolta  invisi- 
bili tutte  o  parte  delle  facce  delle 
altre  forme.  In  questo  caso  la  faccia 
tramoggiata  è  una  delle  facce  del 
prisma  110  o  del  brachidoma  02 1 .  E  qui 
adunque  la  disposizione  del  primo 
nucleo  cristallino  sul  fondo  o  sulle 
pareti  del  vaso  che  ha  determinato 
l'abito   definitivo  del  cristallo. 

E  difficile  il  dividere  in  combi- 
nazioni i  cristalli,  stante  la  grande 
variabilità,  della  estensione  delle  facce, 
le  quali  talvolta  impiccoliscono  tal- 
mente da  rendersi  impercettibili,  o 

Fig.  a 


Fig.  5 


percettibili  soltanto  e  dubbiosamente,  a  forti  iiigraiifli menti.  Cosi 
dal  brachidoma  Oli  non  compariscono  spesso  che  due  sole  facce; 
e  così  dello  sfenoide  x  111;  e  del  pìnacoide  010  una  sola  taccia 
fe  percettibile,  benché  il  cristallo  sia  imito  da  tutte  le  parti. 
N'on  saprei  decidere  se  si  tratti  qui  di  un  caso  di  emunorfia. 
Rari  i  cristalli  multipli;  più  rari  e  dubbii  i  geminati,  e  solo 
io  un  caso  un  geminato  ben  netto.  Esso  è  rappresentato  nella 
fìg.  4  ed  è  la  geminazione  di  an  cri- 
stallo di  destroasparagina  (il  supe- 
riore)  con    uno   di   levoasparagiua 
0'  interiore)  in  posizione  parallela, 
ed  è  cioè  un  geminato  di  coinple- 
•*  ■•    mento. 

La  correlazione  zonale  apparisce 
dalla  fig.  7  che  è  la  proiezione  ste- 
reografica di  tutte  le  torme  osser- 
vat-e  nella  destroasparagina. 
r,g.  7  Caratteri  ottic!  —  La  conveniente 

inclinazione  delle  facce  del  prisma 
110  e  del  brachidoma  021  penuettono  la  determinazione  del- 
l' indice  di  rifrazione  senza  ricorrere  a  facce  artificialmente  pro- 
curate; solo  per  ottenere  maggiore  nitidezza  si  sono  ricoperte 
le  faccie  con  vetricini  coprioggetti  tenuti  aderenti  con  olio. 

Pel  prisma  110  l'angolo  del  prisma  resulta  51*.  19.  30';  e 
r  angolo  di  minima  deviazione  riuscì  nel  ra^io  giallo  del  sodio 
(Riga  D) 

*i  =  34».  57'.  10' 
Ì2  =  ZT'.  36'.  10" 
d'onde:  indice?   =  1,4800 

,     7  =  1,6175 

Pel  brachidoma  021  (adoprato  come  il  prisma  110)  si  ebbe: 

per  spigolo  del  prisma  63".    8', 

e  per  le  due  deviazioni  $'  =  4ó°.  17'.  30'' 

r  =  53'.    9'.  20" 
da  cui: 

«   =  I,  5496 

y  =  1,  6225 


FORMA  CRISTALLINA  E  CARATTERI  OmCI  ECC.  277 

e  quindi  prendendo  la  madia  dei  due  y\ 

«  =  1,  5496  \ 

/^  =  1 ,  5S00  I  per  la  luce  dei  sodio 
y=  1,  G200  ) 

cui  fanno  riscontro  i  corrispondenti  valori  ottenuti  per  la  levo- 
asparagina  da  varii  esperimentatori  (loc.  cit.) 


pel  rosso: 


pel  giallo: 


pel  verde: 


pel  blu: 


y  =  1,  616; 

^=  1,577; 

«  =  1,  546; 

y  =  1,619; 

jS  =  1,  581; 

a  =  1,  549; 

7  =  1,  6238;  1,  6296 

/5=  1,  5845;  1,6342 

«  =  1,5513;  1,  5516 

y  =  1,  6372;  1,  6384 

^  =  1,  5943 


1,6139 
1,  5752 
1,  5438 
1,6190 
1,  5800 
1,  5476 


1,6176;  1,6194 
1,  5778 
1,  5458 

1,6251;  1,6277 
1,  5829 
1,  5489 
1,  6342 


a  =  1,  5542 

È  abbastanza  facile  approfittando  delle  facce  del  pinacoide  001 
ottenere  una  lamina  per  osservare  le  figure  di  interferenza. 

Neir  aria  non  si  hanno  le  emergenze  degli  assi,  essendo 
troppo  grande  X  angolo  assiale. 

Neir  olio  non  si  possono  osservare  contemporaneamente  tedi 
emergenze,  essendo  insufficiente  T  ampiezza  del  campo  visivo 
dell'  apparecchio  polarizzante  adoprato.  (ET  apparecchio  pola- 
rizzante NOrremberg,  a  due  nicols,  facente  parte  dell'  "  Uni- 
versalapparat  ^  di  Groth.)  Si  vedono  però  quando  si  disponga 
lo  strumento  per  la  misurazione  dell'  angolo  degli  assi  ottici. 
Così  si  prova  che  anche  per  la  destroasparagina  il  piano  degli 
assi  ottici  è  parallelo  a  010,  e  la  1.*  mediana  è  l'asse  delle 
z  (verticale). 

Le  curve  delle  lemniscate  sono  molto  fitte  a  causa  della 
forte  birifrazione  della  sostanza  ;  però  si  può  vedere  abbastanza 
distintamente  l'orlatura  delle  iperboli,  rossa  dalla  parte  estema, 
e  azzurra  nella  parte  intema,  d'  onde  p  <  '^>. 

Impostando  dapprima  suU'  estrema  zona  azzurra,  e  ritenendo 

r  angolo  trovato  come  quello  corrispondente  al  raggio  rosso  si 

ebbe: 

2  il.  =  94^  54'. 


278  G.  GBITTAROLA 

Impostando  successivamente  sul  rosso  estremo  e  ritenendo 
r  angolo  letto  come  quello  corrispondente  all'  azzurro  estremo, 
si  ebbe: 

2  H.  =  95^  18' 

e  per  angolo  di  un  colore  intermedio  il  valore  OS"*.  6'. 

Più  difficile  è  procurarsi  una  lamina  perpendicolare  alla  2.' 
mediana,  cioè  parallela  al  piano  1 00  allo  scopo  di  misurare  2  IL  . 
La  strettezza  dei  cristalli,  la  loro  fragilità,  la  loro  solubilità, 
nelV  acqua,  la  loro  decomponibilità  ad  un  calore  un  po'  forte, 
sono  le  difficoltà  che  bisogna  vincere  per  avere  una  lamina 
abbastanza  sottile  e  lustra  dalle  due  facce.  Quella  che  ho  po- 
tuto ottenere  lascia  poco  chiaramente  scorgere  la  colorazione 
sugli  orli  delle  iperboli;  per  cui  la  misurazione  fu  fatta,  cen- 
trando successivamente  la  parte  mediana  della  stretta  zona 
che  costituisce  V  apice  delle  iperboli.  Il  valore  ottenuto  fu  : 

2  Ho  =  102*.  9'. 

Deducendo  dai  valori  di  IL  e  H.  colla  nota  formula: 

,        ^       sen  H. 

tang  V  = ^ 

°  sen  H. 

il  valore   dell'  angolo  vero  degli    assi  ottici  (  2  V  )   si   ottiene 
(per  un  raggio  medio) 

2  V  =  86^  58'.  56' 

I  valori  dati  dai  varii  autori  per  cristalli  di  levoasparagina 
sono:  pel  rosso  86^  8  ;  e  86^  30'.  5";  pel  giallo  86^  28'  e  8&\ 
40';  pel  blu  86^  42'  e  86^  36.  b\ 

Deducendo  il  valore  di  V  dalla  formula: 


cos  V  = 


0^2  ^2 


tenendo  per  «,  /3,  y  i  valori  da  me  trovati,  cioè,  1,5496;  1,5800; 
1,6200,  si  trova: 

2  V  =  82^  23'; 


FORMA  OUSTALUKA  B  CAKAtTS&I  OTTICI  BOC.  279 

che  differisce   di   8*.  V^   circa  dal  valore  ottenuto  colla  for- 
mula: 

.     ^      sen  H. 

Ben  Ho 

questo   deriva  probabilmente   dal   valore  non  esattissimo   di 
^f^tf  poiché  si  sa  che   bastano   anche  leggiere  variazioni  in 
questi  valori  per  indurre  notevoli  diflferenze  nel  valore  di  V. 
Lo  stesso  calcolo  ha  dato  coi  valori  «x,  jS,  y  trovati  da  altri 
per  la  levoasparagina  i  valori  : 

pel  rosso:  85^  20  ;  85^    5';  85^  55   (Riga  B) 

pel  giallo:  86^  58;  86^  15\  5;  86^  38'  (Riga  D) 

pel  verde:         87^    8'  (Riga  E) 

pel  blu:  89^  51'. 


8$.  Kai.  VoL  Vm,  fkso.  2.*  il 


a.  A.RCA.Na-E:Xii 


SULLA  FIORITURA  DELL'EURYALB 


FEROX     SAL. 


Gli  Autori,  che  sino  ad  ora  si  sono  occupati  deir  Euryale 
ferox  Sai,,  non  trovansi  d'  accordo  relativamente  alle  partico- 
larità, della  sua  fioritura,  come  può  agevolmente  rilevare  da 
quanto  è  registrato  nelle  loro  opere. 

Le  prime  osservazioni  sulla  fioritura  dell'  Euryale,  per  quanto 
è  a  mia  notizia,  sono  quelle  riportate  dal  Salisbury  (^),  il  quale 
riferisce  che  un  giardiniere  addetto  all'  ambasciata  brittannica 
in  China  asseriva  la  fioritura  avvenire  sotto  acqua.  **  Florescentia, 
„  egli  dice,  secundum  hortulanum,  qui  nostram  legationem  in 
„  Chinam  comitatus  est,  sub  aqua  peragitur,  quod  vix  credam  » . 

L'  Andrew  pure  non  si  mostra  troppo  disposto  ad  accettare 
che  r  Euryale  fiorisca  sotto  acqua.  Però,  dopo  avere  asserito 
averla  egli  stesso  veduta  fiorita  fuor  d'  acqua,  riporta  essergli 
stato  riferito  aver  essa  fiorito  sott'acqua  **  The  story,  egli  dice, 
„  of  the  Anneslea  's  (1'  Euryale)  fiowering  under  water,  may  bave 
„  probably  arisen  from  the  very  short  time  the  blossom  re- 
„  main  above;  as  like  those  of  the  Nymphaea,  they  only  rise 
„  to  expand,  and  again  gradually  sink  to  ripe  their  seeds  etc.  „: 
e  più  in  basso  **  That  it  certenly  flowers  above  water,  we  can 
„  assert   from   our  own   observation,  but  we  are  informed  at 


(1)  Salisbury  —   Deseription  of  naturai  order   of  Nymphaeaceoé^  in    Konig 
and  Sima  Ann.  bot  2,  p.  73-74. 


282  G.    ABCANGELl 

j,  White  Knights  (  where  drawing  was  taken  last  september  ) 
»  that  it  had  flowerd  there  below:  which  might  bave  been 
„  owing  to  its  artificial  treatement  (  we  bave  seen  tbe  Nym- 
„  pbaea  rubra  flowering  at  the  very  bottoni  of  the  water,  in  the 
j,  same  aquarium)  and  cannot  be  its  naturai  state,  unless  we  can 
j,  bring  ourselves  to  believe  that  nature  bave  endowed  it  with  the 
„  power  of  propagating  itself  in  both  elements  „.  Nella  tavola 
eh'  è  unita  a  questa  descrizione  sono  rappresentate  due  foglie 
ed  alcuni  fiori,  uno  sbocciato  a  fior  d'  acqua  ed  altro  sezionato 
longitudinalmente.  Veramente  le  figure  di  questa  tavola  mo- 
strano qualche  leggera  differenza  dai  caratteri  della  pianta  che 
si  coltiva  iu  Europa,  ciò  che  potrebbe  far  credere  trattarsi  di 
una  varietà,  od  anche  di  una  specie  diversa,  tanto  più  che 
l'Autore,  dopo  aver  riferito  che  il  nome  di  Anmslea  le  fu  dato 
da  Roxburgh  in  onore  del  cav.  Giorgio  Annesley,  che  scuoprì 
la  pianta  nel  fiume  Gagra  in  Onde  e  presso  Cittagong  nel- 
r  India,  aggiunge  che  il  frutto  distingue  ad  esuberanza  questo 
genere  ddlV  Euryale  di  Salisbury:  però  gli  autori  tutti  concor- 
dano nel  ritenere  che  la  pianta  di  Andrew  sia  nient'  altro 
che  VE.  ferox  Sai, 

Nel  Botanical  Magazhie  (^)  non  sono  dati  ragguagli  impor- 
tanti relativamente  alla  fioritura  dell' jEwrya/^;  però,  nelle  tavole 
annesse  alla  descrizione  della  pianta,  è  rappresentato  un  fiore 
sbocciato.  Lo  stesso  pure  è  da  dirsi  per  la  Flore  des  serres  et 
Jardin  de  Paris,  ove  ritrovasi  riprodotta  la  medesima  tavola. 

Il  Roxburgh  (^)  nella  sua  celebre  opera  Plants  of  the  coast  of 
Coromandel,  parlando  dei  fiori  dell'  Euryale  e  dei  peduncoli  che 

li  sostengono,  così  si  esprime  ^ if  the  water  is  shallow, 

„  they  are  generally  so  long  as  to  elevate  the  flower  above  its 
„  surface;  but  if  deep,  they  blossom  under  water  „.  Relativa- 
mente al  fruttOj  egli  dice  essere  esso  della  grandezza  di  un  uovo 
d'  oca,  irregolarmente  ovato,  con  divisioni  inteme  oscure  ed 
irregolari,  e  con  circa  venti  semi  rotondi  della  grossezza  di  una 
piccola  ciliegia.  Alla  descrizione  fa  corredo  una  tavola,  nella 
quale  sono  rappresentate  due  foglie,  un  fiore  sbocciato,  insieme 
alle  sue  sezioni  verticale  e  trasversale,  come  pure  le  sezioni 

0)  Curtis  W.  —  Botanical  Magazine  35  (1812),  tav.  1447. 
(«)  Roxburgh  W.  —  PlanU  of  the  coast  of  Coromandel.  LoadoQ  1819.  v.  UI, 
p.  39,  Uv.  244. 


> 


SULLA   FIORITUKà  DEIX^EUBTALE  283 

del  frutto,  ed  il  seme  coperto  del  suo  arillo,  nonché  spogliato 
e  sezionato.  E  però  da  notare  che,  nella  figura  del  fiore  aperto, 
i  sepali  sono  poco  discosti  ed  ascendenti,  ed  i  petali  conniventi: 
solo  nella  sezione  le  parti  del  perianzio  sono  rappresentate  più 
divaricate. 

H  prof.  Planchon  (^)  ha  pure  trattato  dell'  EurycUe  ferox 
nella  Flore  des  serres  e  nel  suo  lavoro  sulle  Ninfeacee.  Nella 
diagnosi  eh'  egli  ne  dà,  riferendosi  ai  fiori,  così  si  esprime  :  *^  per 
„  dies  duas  aperti,  nocte  intermedia  clausì,  nunc  rarius,  fide 
„  Roxb.,  sub  aquis  altis  nuptias  foecundas  clandestine  peragentes, 
„  fructibus  semper  sub  unda  post  anthesim  maturatis  „ .  Estema 
poi  in  una  nota  il  sospetto  che,  sotto  lo  stesso  nome  di  Euryaie 
ferox,  si  sieno  confuse  due  specie  differenti,  una  delle  quali  de- 
scritta da  Salisbury  sugli  esemplari  dell'erbario  di  Banks  sa- 
rebbe nativa  della  China,  e  fornita  di  frutti  della  grossezza  di 
un  ananasso,  con  80  a  100  semi,  l'altra  nativa  della  India  e 
descritta  da  Roxburgh,  con  finitto  della  grossezza  di  un  uovo 
di  dindo,  contenente  da  10  a  20  semi.  Aggiunge  inoltre  che 
nélVEuryak  la  fioritura  dura  due  giorni,  comprendendo  due 
sbocciamenti  successivi,  separati  da  un  periodo  di  chiusura: 
giacché  il  fiore,  apertosi  due  ore  avanti  giorno,  si  richiude  verso 
mezzodì,  e  dopo  esser  rimasto  chiuso  fino  al  mattino  seguente, 
si  riapre  avanti  giorno,  per  richiudersi  poi  una  seconda  ed 
ultima  volta  come  da  prima.  "  Rarement,  continua  l'Autore, 
„  V  expansion  des  fleurs  de  l' Euryaie  s'  opere  au  degré  voulu 
„  sans  que  un  peu  d'artifice  vienne  seconder  les  efforts  de  la 
„  nature.  Il  s'  agit  de  dégager  avec  les  doigts  les  pointes  des 
„  pièces  calycinales  forcément  liées  entre  elles  par  le  pli  con- 
„  traete  dans  le  bouton.  Cette  adhérence  rompue,  tout  le  rest 
„  suit  de  lui  mème,  le  corolle  apparait  avec  ses  belles  nuances 
„  violettes,  mais  elle  n'  arrive  jamais  a  1'  état  d'  expansion  ho- 
„  rizontale,  loin  de  se  réfléchir,  comme  fait  au  second  soir  celle 
„  de  la  Victoria  regia  » .  Nella  tavola  unita  a  questo  lavoro, 
oltre  gli  organi  di  vegetazione,  sono  pure  rappresentati  un 
fiore  in  boccio,  im  fiore  completamente  aperto,  un  frutto  ed 
un  seme.  Conviene  pure  avvertire  che,  secondo  i  sigg.  Hooker 


(>)  Planchon  J.  E.   «  Euryaie  ferox  (indica)  ^  in  Fiore  des  serres  ete.  VIH, 
1852,  p.  79-84  ed  Ann.  d«8  Se.  Nat  3.<  Mr.  XIX  p.  28  e  29. 


284  G.   ABCANGEU 

e  Thomson,  il  sospetto  del  PlanchoD,  che  cioè  la  pianta  descritta 
da  Salisbur  y  sia  specificamente  differente  da  quella  di  Boxburgh, 
non  è  suflBcientemente  giustificato  :  poiché  è  per  un  errore  che 
fu  assegnato  al  suo  frutto  un  numero  di  semi  da  80  a  100, 
mentre  in  realtà  non  sono  più  di  8-10,  com' essi  hanno  potuto 
riscontrare  nei  saggi  dai  quali  fu  tolta  la  descrizione.  Però, 
nella  diagnosi  data  dai  signori  Hooker  e  Thomson  (^),  è  citato 
un  carattere  che  non  e  riportato  ne  dal  Salisbury  ne  dal  Ro- 
xburgh,  r  odore  cioè  dei  fiori,  essendoché  in  quella  diagnosi  si 
legge  ....*'  floribt^s  purptireo-violaceis  suaveolentibus  „. 

Il  prof.  Caspary  (^)  trattò  pure  della  fioritura  délVEuryale  nel 
suo  lavoro  sulle  Ninfeacee,  inserito  negli  annali  del  Museo  di 
Leida.  Nella  descrizione  che  dà  déìV  Euryale  egli  così  si  esprime: 
. . . .  '^  Flores,  prò  stirpis  mole,  parvi,  petalis  purpureo-violaceis, 
„  luce  solis  Clara  haud  aperti,  plerumque  ne  supra  aquam  qui- 
„  dem  emergentes,  luce  solis  esclusa  (v.  g.  nubibus)  supra  aquam 
„  emersi,  et  per  tres  dies  a  9  h.  a.  m.,  ad  6  h.  p.  m.,  fere  aperti  „ , 
ammettendo  quindi  con  ciò  che,  quantunque  i  fiori  di  questa 
pianta  per  lo  più  non  emergano  al  di  fiiori  dell'  acqua,  in  al- 
cuni casi,  allorché  cioè  sia  tolta  la  luce  diretta  del  sole,  come 
quando  il  ciclo  è  nuvoloso,  possano  emergere  e  per  tre  giorni 
consecutivi  mostrarsi,  dalle  nove  del  mattino  alle  6  pomeridiane, 
quasi  aperti:  se  pure  quel  fere  non  va  riferito  al  tempo  dello 
sbocciamento,  ciò  che  ci  sembra  poco  verosimile.  Sembrerebbe 
poi  da  questa  descrizione  che  V  oscurità  della  notte  non  avesse 
attitudine  a  promuovere  lo  sbocciamento. 

Due  anni  dopo  alla  pubblicazione  del  lavoro  di  Caspary,  il 
sig.  Ypert,  in  im  articolo  sulla  cultura  della  Victoria  regiu(^)y 
pubblicato  nella  Revt^  Horticoley  senza  far  parola  delle  osserva- 
zioni di  Caspary,  dopo  aver  riferito  che  i  fiori  della  Victorin  si 
aprono  verso  le  5  o  6  ore  di  sera,  per  chiudersi  alle  8  od  alle  9 
del  mattino,  dice  che  quelli  dell'  Euryale,  al  contrario,  si  aprono 
di  giorno,  nel  momento  in  cui  la  temperatura  è  più  elevata. 

Neir  interessante  pubblicazione  del  prof.  Baillon  (^)  sulle  Nin- 
feacee, r  Autore  non  ammette  differenze  di  notevole  importanza 

(«)  Hooker  fil.  et  Jhomson  —  Flora  indica  1855,  p.  244. 
(•)  Caspary  —  Nymphaeaceae  in  Ann.  Mus.  Lug.  -  Bat.  Voi.  Il,  :253    1866. 
(')  Ypert  -  Cultura  della  Victoria,  in  Revue  Horticole  1868,  p.  75-76. 
(^)  Baillon  H.  —  Moaofjraphie  des  Nymphaeacées.  Paris  1871,  p.  103 


SULLA  FIORITURA   DELL^  EURTALE  285 

fra  il  contegno  della  Victoria  e  dell'  Euryale  nella  fioritura. 
Egli  dice  infatti,  riferendosi  ad  ambedue  le  specie  :  ^  Les  fleurs 
»  sons  solitaires,  longement  pédonculés  :  elles  viennent  s' épan- 
;,  ouir  au-dessus  de  V  eau,  et  sont  d'  un  blanc  plus  ou  moin  rosé 
„  dans  r  espèce  américaine,  et  d'  un  pourpre  violacé  dans  la 
»  piante  asiatique  »;  onde  egli  ammette  senz'  altro  che  i  fiori 
dell'  Euryale  sboccino  al  di  fuori  dell'  acqua,  come  quelli  della 
VictoHa. 

Il  prof.  Delpino  nei  suoi  lavori  sulla  dicogamia  {})  cita  pure 
r  Euryale.  Egli  ne  fa  menzione,  insieme  alla  Victoria,  fra  le  piante 
a  fiori  straordinariamente  grandi.  La  cita  poi  dopo  aver  trat- 
tato dei  fiori  della  Victoria,  regia,  eh'  egli  considera  come  ap- 
parecchi zoidiofili  a  ricovero  e  di  tipo  magnoliaceo,  dicendo 
come  egli  ritiene  quelli  dell'  Euryale  della  stessa  natura.  *Ag- 
giunge  pure  come  i  fiori  di  questa  pianta  sono  fragrantissimi. 
Quindi,  siccome  egli  ritiene  la  Victoria  quale  regina  delle  piante 
cantarofile,  di  quelle  cioè  i  cui  fiori  sono  apparecchi  designati  a 
Cetonie,  Trichii,  Glafiri,  Donacie  etc,  l' Euryale,  secondo  il  suo 
parere,  va  pure  ascritta  allo  stesso  gruppo. 

Dell'  Euryale  ferox  trovasi  pure  fatta  menzione  nella  pre- 
gevolissima opera  di  C.  Darwin:  Tìie  effects  of  Cross-and  Self-fer- 
tilisation.  L'  Autore  include  la  specie  nell'  elenco  delle  piante 
che  protette  dagl'  insetti  sono,  o  completamente  fertili,  o  for- 
niscono più  della  metà,  del  numero  dei  semi,  che  producono 
allorché  1'  appulso  non  è  vietato.  Egli  riporta  come  il  prof. 
Caspary  gli  abbia  comunicato,  essere  questa  pianta  in  alto  grado 
autogama,  quando  gì'  insetti  ne  sieno  esclusi  ;  produrre  essa  un 
solo  fiore  alla  volta,  ed  essendo  la  specie  annuale,  essersi  do- 
vuta fecondare  da  se  stessa  nelle  ultime  cinquantasei  genera- 
zioni. Aggiunge  che  il  prof.  Hooker  lo  assicura  che,  a  sua  co- 
noscenza, questa  specie  è  stata  ripetutamente  introdotta,  e  che 
a  Kew  la  stessa  pianta,  tanto  d'  Euryale  che  di  Victoria,  pro- 
duce più  fiori  nello  stesso  tempo.  Quindi  anche  il  Darwin  ri- 
tiene che  i  fiori  della  nostra  pianta  sboccino  nell'  aria. 

Più  recentemente  ancora  del  lavoro  del  Darwin  e  comparsa 
nella  Revue  horticole  una  lettera  di  M.  Ermens,  direttore  delle 
culture  di  Sua  Altezza  il  Manarajah  del  Kashmyr  e  Jummao, 

(*)  Delpino  F.  —  Ulteriori  osservazioni  e  considerazioni  stilla  dicogamia  etc. 
Milano  1875,  p.  236. 


286  Q^àMCàmmu 

neUd  quale  si  annniìiia  V  ìnTio  dei  semi  di  nna  ninfea,  che  egli 
ritieoe  per  una  nnovìtà  capace  di  gareggiare  con  la  Vietaria, 
ma  che  fiorisce  e  fruttifica  sott'acqua.  Lo  scriTente  così  si 
esprìme;  '  Cette  piante  flearit  et  fructifie  soos  V  eao,  sa  flear 
9  n'  est  jamai  apparente  et  reste,  je  crois,  presqae  a  Y  état  de 
9  bonton  (est-ce  poor  assorer  la  fécondation  I).  Les  sepaies  da 
«  calice  offirent  une  grande  résistence  et  semblent  soadés  les 
y  nns  aux  antres,  poor  empécher  Y  introdnction  de  Y  ean  à  iSn 
9  de  &yorÌ8er  le  fructificatìon . . . .  „  Da  tutto  ciò  adunqae  si  è 
concluso  O  che  la  pianta  in  questione  era  nient'  altro  che  Y  Eu- 
ryale  ferax,  la  quale  è  stata  perciò  ritenuta  come  fornita  di 
fiori  dimorfi,  alcuni  cioè  capaci  di  sbocdare  nell'  aria,  ed  altri 
permanenti  costantemente  sotto  acqua,  ma  pur  tuttavia  fecondi. 

n  prof.  Van  Tieghem,  nel  suo  trattato  di  Botanica,  non  am- 
mette che  i  fiori  sommersi  dell'  Euryale  sieno  da  ritenersi  come 
▼eri  fiori  cleistogamici:  ed  in&tti  a  pag.  437  di  quel  trattato 
cosi  si  esprime:  '^  Dans  certaines  plantes  aquatiques  ( Ranun- 
„  culìis  aquatiliSy  Alisma  natans,  Menyanthes,  Euryale  etc.),  toutes 
„  les  fleurs  situées  dans  Tair  s'ouvrent  comme  ò,  Tordinaire; 
^  mais  celles  qui  se  trouvent  submergées  demeurent  closes, 
9  sans  doute  pour  prot^er  leur  parties  intemes  contre  le 
9  conctat  de  Teau.  Ce  ne  sont  pas  là  des  vrais  fleurs  cléisto- 
„  games.  De  méme,  chez  certaines  plantes,  les  fleurs  qui  sont 
9  ou  trop  précoces,  ou  trop  tardives,  s' épanouissent  mal  ou 
„  demeurent  closes,  sans  pour  cela  revètir  l'ensemble  des  ca- 
9  ractères  des  vrais  fleurs  cléistogames  „. 

Il  Prof.  Duchartre  non  segue  l'opinione  del  Van  Tieghem, 
ma  ritiene  invece  che  V  Euryale  sia  realmente  una  pianta  a 
fiori  dimorfi;  giacché  a  pag.  730  del  suo  trattato  di  Botanica 
si  legge:  *^  Une  grande  Nymphéacée  de  l'Inde,  qui  est  à  peu 
yf  près  Y  Euryale  feroXy  possedè  ò,  la  fois  des  fleurs  submei^ées 
y,  qui  ne  s^ouvrent  pas  et  des  fleurs  aériennes  qui  s^ouvrent. 
y,  Les  premières  qui  ne  peuvent  se  féconder  qu'  elles-mèmes 
y,  donneut  des  fruits  comme  les  demières  „ . 

L^  esposizione  fatta  fin  qui  in  sé  riassume  tutto  quanto  al 
presente  si  conosce  sulla  fioritura  della  nostra  pianta.  Vediamo 
adesso  quali  sono  le  osservazioni  inedite  e  più  recenti  che  ho 

Q)  Gardeners  'Cronicle  ISSO,  p.  7 il. 


SULLA  FIOBITITIU   DELL^EUBTALE  287 

potuto  raccogliere,  e  quali  sono  quelle  che  io  stesso  ho  potuto 
fare  sopra  questo  argomento. 

Nel  Giardino  botanico  di  Roma  V  Euryale  fu  coltivata  varie 
volte.  Nel  1870  e  nello  anno  attuale,  secondo  quanto  mi  vien 
riferito  dal  prof.  Pirotta,  i  fiori  resultarono  tutti  cleistogamici. 
Nelle  collezioni  di  quell'Istituto  esiste  però  un  fiore  colto  nel  1878, 
che  presenta  i  suoi  sepali  alquanto  discosti  o  divaricati  in  alto, 
tanto  da  poter  dire  il  fiore  semiaperto. 

Secondo  quanto  mi  riferisce  il  sig.  G.  Bucce,  Giardiniere 
Capo  nel  R.  Giardino  botanico  di  Genova,  V  Euryale  è  stata 
coltivata  per  più  anni  in  quell'Istituto.  Egli  mi  asserisce  poi 
che,  tra  il  luglio  e  l'agosto  sotto  il  clima  di  Genova  all'aria 
aperta,  ha  veduto  sempre  svilupparsi  dei  bottoni  sopra  l' acqua, 
ma  non  gli  è  mai  riuscito  di  sorprenderli  aperti,  quantunque 
trovasse  immancabilmente  maturi  i  semi  nel  fondo  dell'  acqua. 

Le  prime  culture  dell'  Euryale  in  Firenze  rimontano  a  parecchi 
anni  fa.  Infatti  il  sig.  L.  Ajuti,  addetto  a  quello  Istituto  in  qualità 
di  Giardiniere  botanico,  mi  asserisce  che  in  detto  giardino  la 
nostra  pianta  fii  coltivata  negli  anni  1855-60-69-78,  da  semi  rice- 
vuti dai  giardini  di  Amsterdam,  di  Monaco  e  di  Carlsrhue,  che  se 
ne  conservano  foglie  e  fiori  nelle  collezioni,  eh'  è  sicuro  che  i  fiori 
possono  sorgere  un  poco  al  di  sopra  dell'  acqua  e  mostrarsi  coi 
sepali  un  po'  discosti  in  alto  e  come  socchiusi,  e  elio  la  pianta 
ha  fruttificato  più  e  più  volte  copiosamente  producendo  semi 
fecondi.  Io  stesso  potei  più  volte  osservare  la  pianta  che  fu 
coltivata  nel  1878,  allorquando  io  pure  aveva  1'  onore  di  ap- 
partenere a  queir  Istituto,  e  ben  mi  ricordo  che  non  mi  riuscì 
mai  di  vedere  fiori  sbocciati  al  di  fuori  dell'  acqua.  A  quel- 
r  epoca  però  non  potei  istituire  delle  ricerche  accurate,  perchè 
distratto  da  altre  occupazioni:  ma  il  sospetto  che  in  questa 
pianta  si  verificasse  qualche  fatto  singolare,  tenne  in  me  vivo 
il  desiderio  di  coltivarla  e  studiarla,  allorquando  mi  fossi  tro- 
vato in  condizioni  migliori. 

In  seguito  alle  domande  di  semi  d'  Euryale  rivolte  a  varii 
istituti  botanici,  solo  in  questo  anno  finalmente  ho  potuto  ef- 
fettuare con  buon'  esito  la  cultura  di  questa  bellissima  pianta, 
e  ciò  mediante  semi  ottenuti  dal  Giardino  botanico  di  Strasburgo. 

Questi  semi  furono  posti  a  germogliare  in  una  vaschetta  con- 
venientemente riscaldata,  in  una  delle  nostre  serre  calde.  Di  essi, 


288  G.   ABCANOEU 

in  numero  di  due,  uno  solo  germogliò,  circa  quindici  giorni  dopo 
la  seminagione,  e  si  sviluppò  in  una  pianticella  assai  robusta 
che  aveva  le  sue  prime  foglie  molto  somiglianti  a  quelle  delle 
comuni  ninfee,  ma  però  notevolmente  più  piccole.  Allorquando 
la  pianta  ebbe  raggiunto  un  conveniente  grado  di  sviluppo,  e 
la  stagione  lo  permise,  ciò  che  fu  ai  primi  di  maggio,  venne 
trapiantata  in  una  delle  vaschette  del  nostro  aquario,  all'aria 
aperta,  in  una  località  delle  più  calde  del  Giardino,  perchè  in- 
vestita per  buona  parte  del  giorno  dai  raggi  solari  diretti,  e 
suflBcientemente  riparata  dai  venti  di  settentrione. 

In  queste  condizioni  la  nostra  pianta  vegetò  vigorosamente 
per  buona  parte  della  primavera  e  dell'estate,  fino  circa  ai 
primi  di  settembre,  epoca  in  cui  mostrava  di  aver  già  risentito 
del  raflfrescamento  dovuto  all'  avvicinarsi  dello  autunno.  Essa 
produsse  foglie  mano  mano  più  grandi,  che  giunsero  ad  avere 
una  lamina  di  circa  0",60  di  diametro,  con  un  picciolo  lungo 
più  di  un  metro  e  del  diametro  di  circa  1 5"".  Essa  incominciò 
a  fiorire  sollecitamente,  cioè  verso  i  primi  di  giugno:  ai  fiori 
che  pei  primi  si  produssero  e  eh'  erano  piccoletti,  altri  ne  suc- 
cessero mano  mano  più  grandi,  i  quali  tutti  però  si  decompo- 
nevano dopo  qualche  tempo  senza  fruttificare.  Altri  fiori  con- 
tinuarono a  prodursi  nei  mesi  di  luglio,  agosto  e  settembre 
successivi  :  ma  fu  solo  nel  mese  di  agosto  che  comparvero  frutti 
fecondi.  Tre  di  questi  frutti  si  aprirono  dagli -ultimi  di  agosto 
ai  primi  di  settembre,  somministrando  in  tutto  venti  semi  per- 
fetti, cioè  cinque  il  primo,  sei  il  secondo  e  nove  il  terzo.  Nel- 
r  ultima  parte  del  mese  di  settembre  si  aprirono  altri  due  frutti, 
uno  il  24  ed  uno  il  30.  In  quello  che  si  aprì  il  24  si  contarono 
quarantasette  semi,  dei  quali  diciannove  erano  perfettamente 
sviluppati,  e  ventotto  molto  piccoli  ed  imperfetti.  In  quello  che 
si  aprì  il  30,  9  semi  si  mostrarono  bene  sviluppati  e  37  molto 
imperfetti.  Altro  frutto  si  apri  la  mattina  del  1.*  di  ottobre, 
e  ne  uscirono  52  semi  a  differenti  gradi  di  sviluppo,  ma  tutti 
molto  imperfetti.  Altro  simile  si  aprì  il  7  di  ottobre,  mettendo 
in  libertà  molti  semi,  dei  quali  undici  soli  perfetti,  ed  altro  pure 
il  26,  ma  con  semi  tutti  imperfetti.  A  questi  frutti  se  ne  deb- 
bono aggiunger  due,  che  furono  colti  per  studio  il  1 9  settembre, 
i  quali  contenevano  semi  prossimi  al  completo  sviluppo  e  per- 
fetti, uno  in  numero  di  quattro,  l' altro  di  sette.  Siccome  pertanto 


SULLA.  FIOBITURA  DELL^  EURTALE  289 

in  seguito  agli  ultimi  frutti  apertisi  nell'ottobre,  altri  non  se 
ne  sono  mostrati,  e  si  può  ritenere  che  con  quelli  sia  compito 
il  ciclo  riproduttivo,  si  può  concludere  che  la  nostra  pianta  ha 
in  tutto  prodotto  sessantanove  semi  perfetti,  numero  da  rite- 
nersi più  che  sufficiente  per  la  conservazione  della  specie.  Da 
quanto  poi  siam  venuti  esponendo,  resulta  manifesta  un  intima 
relazione  fra  il  progresso  della  temperatura  nell'  estate  e  le 
funzioni  di  fecondazione  e  maturazione  ;  essendo  appunto  sotto 
r  influenza  della  massima  temperatura  che  si  è  sviluppato  il 
frutto  col  massimo  numero  di  semi  fecondi.  Da  ciò  si  può  quindi 
ragionevolmente  concludere  che,  sebbene  in  alcuni  dei  frutti 
ottenuti  il  numero  dei  semi  sia  prossimo  a  quello  che  la  pianta 
produce  nelle  condizioni  normali,  nei  climi  caldi  dei  paesi  ove 
questa  pianta  è  spontanea,  pure  in  seguito  a  fecondazione  af- 
fatto autogoma,  si  possano  produrre  dei  frutti  che  contengano 
un  numero  di  semi  maggi»»re  del  massimo  ottenuto  nel  nostro 
Giardino. 

Devesi  inoltre  avvertire  che,  di  tutti  quanti  i  fiori  che  si 
produssero  fino  ai  primi  di  ottobre,  nessuno  si  portò  al  di  sopra 
dell'  acqua,  quantunque  la  profondità  di  questa  toccasse  appena 
i  0°*,30,  e  tutti  rimasero  immersi  a  distanza  maggiore  o  minore 
dalla  superficie  del  liquido.  Ciò  posso  recisamente  asserire;  poi- 
ché la  pianta  fu  continuamente  sorvegliata,  ed  osservata.  L'  os- 
servazione prolungata  mi  ha  fatto  pure  conoscere  come  quei  fiori 
da  primo  prendevano  una  direzione  ascendente  prossima  assai 
alla  verticale,  sollevandosi  un  poco  per  V  allungamento  del  pe- 
duncolo: ma  poi,  via  via  che  crescevano,  il  peduncolo  loro  s'in- 
fletteva lateralmente,  dopo  avvenuta  la  fecondazione,  fino  a  ri- 
dursi prostrato  sul  fondo  della  vaschetta.  Mentre  poi  si  effet- 
tuava la  maturazione,  la  parte  inferiore  del  fiore  inturgidiva  e 
si  piegava  sul  peduncolo  ad  angolo,  per  prendere  una  posizione 
ascendente,  in  modo,  cioè,  che  l'  apice  del  calice  fosse  rivolto 
alla  superficie  dell'acqua. 

Esaminando  dei  fiori  a  differenti  gradi  di  sviluppo  circa  alla 
metà  di  settembre,  ho  potuto  constatare  che  in  un  fiore  della 
lunghezza  di  0",026,  misurato  dalla  base  dell'  ovario  all'  apice 
del  calice,  questo  appariva  con  i  suoi  quattro  pezzi  strettamente 
applicati  a  formare  un  astuccio  conico  chiuso,  rinforzato  inter- 
namente dalla  corolla.  Al  di  dentro  di  questo  astuccio  era  una 


290  G.   IBGAKWU 

camerella  ripiena  d' aria,  il  cui  fondo  era  formato  dal  disco 
stimmatico  incavato  a  coppa,  al  di  sopra  del  quale  erano  gli 
stami  incurvati  e  conviventi  con  le  antere  già  in  sviluppo  note- 
volmente inoltrato,  mostrando  esse  i  granelli  pollinici  già  pros- 
simi al  completo  sviluppo.  In  altro  fiore  di  0",032  di  lunghezza, 
il  calice  si  presentava  come  nel  precedente  chiuso  al  pari  della 
corolla:  i  pezzi  però  di  questa  si  mostravano  tinti  di  un  bel  color 
violaceo,  e  gli  stami  avevano  raggiunto  il  loro  completo  svi- 
luppo, presentando  le  antere  già  aperte  ed  in  parte  vuotate  del 
loro  polline,  che  si  vedeva  caduto  sopra  la  sottoposta  coppa 
stimmatica.  In  un  terzo  fiore  della  lunghezza  di  0°,077,  si  os- 
servavano gli  stami  in  via  di  decomposizione  di  color  bianchiccio 
livido,  e  la  camera  d'aria,  esistente  al  di  dentro  degli  invogli, 
completamente  ripiena  d' acqua.  Neil'  ovario  di  questo  fiore 
erano  diversi  semi  molto  sviluppati  e  forniti  di  embrione.  Non 
può  adunque  restare  alcun  dubbio  che  in  questi  fiori  la  feconda- 
zione avvenga  allorquando  essi  sono  in  boccio,  e  chiusi  nel  seno 
deir  acqua,  e  che  quindi  sieno  da  ascriversi  ai  cleistogamici. 

Allo  scopo  di  riscontrare  se  fosse  possibile  di  ottenere  che 
questi  fiori  si  aprissero  nell'  aria,  feci  togliere  dalla  vasca,  ove 
trovavasi  la  pianta,  una  buona  parte  dell'  acqua  che  vi  si  con- 
teneva, in  modo  che  tre  fiori  restassero  al  disopra  dell'  acqua 
immersi  nell'  aria.  Effettuata  questa  operazione,  ciò  che  fu  alle 
4  circa  pomeridiane,  alle  8  antimeridiane  del  giorno  successivo 
i  loro  peduncoli  si  erano  talmente  curvati  da  nascondere  di 
nuovo  tutti  i  tre  fiori  nell'  acqua  sottostante. 

Di  non  lieve  interesse  è  pure  il  contegno  dei  frutti  della 
nostra  pianta  all'  epoca  della  maturazione.  L' aprirsi  del  frutto 
infatti  si  effettua  in  un  modo  abbastanza  costante,  quantunque 
si  dica  in  generale  che  il  loro  pericarpio  si  rompe  irregolar- 
mente. La  rottura  del  pericarpio  avviene  al  disotto  della  base 
del  calice,  presso  al  margine  della  coppa  stimmatica,  ed  in 
modo  che  il  frutto  si  divide  in  due  parti,  una  superiore  costi- 
tuita dal  perianzio,  dall'  androceo  e  dalla  coppa  stimmatica,  ed 
una  inferiore  costituita  dall'  ovario,  la  quale  poi  si  fende  late- 
ralmente e  si  apre  per  mettere  in  libertà  il  suo  contenuto.  La 
parte  superiore,  come  pure  i  semi  contenuti  nell'  inferiore,  ap- 
pena avvenuta  la  rottura  del  fìnitto,  si  portano  alla  superficie 
dell'  acqua,  ove  galleggiano  e  sono  così  trasportati  lungi  dalla 


SULLA  FIOBrrURÀ   DELL^EUBTALE  291 

pianta  che  lì  produsse.  Il  galleggiamento  dei  semi  ha  luogo  in 
grazia  di  un  grosso  arillo  molle,  che  li  riveste  e  che  contiene 
aria  fra  le  sue  cellule,  alcune  delle  quali  riunite  in  gruppi  rac- 
chiudono un  umore  rosso,  che  rende  screziato  il  tessuto,  e  che 
in  contatto  dell'  aria  cambia  il  suo  colore  in  azzun'o.  Dopoché 
i  semi  hanno  galleggiato  per  qualche  tempo,  sia  perchè  si  svi- 
luppano quelle  boUicelle  d' aria  interposte  fra  le  cellule  delicate 
dell'arino,  sia  perchè  questo  si  decompone,  i  semi  cadono  a 
fondo,  e  così  ha  luogo  la  disseminazione.  Non  va  trascurato  di 
registrare  il  fatto  che,  allorquando  la  parte  superiore  del  frutto, 
fluitata  dall'acqua,  giunge  in  un  luogo  asciutto  e  percosso  dai 
raggi  solari,  spesso  nel  prosciugarsi  si  apre,  discostando  i  pezzi 
del  calice  e  della  corolla  a  forma  di  rosetta,  e  simulando  un 
perianzio  che  da  poco  tempo  si  sia  staccato  dal  fiore. 

Verso  il  primo  di  ottobre,  quantunque  la  temperatura  si 
fosse  conservata  abbastanza  elevata,  le  massime  dimensioni, 
cui  giungevano  le  foglie  della  nostra  pianta,  erano  notevol- 
mente diminuite  :  appariva  però  eh'  esse,  quasi  per  compensare 
le  loro  minori  dimensioni,  si  producessero  in  maggior  numero. 
Verso  il  12  di  detto  mese  alcuni  fiori  incominciarono  a  mostrarsi 
con  r  apice  fuori  d' acqua,  ed  uno  di  essi  incominciò  a  divaricare 
in  alto  i  suoi  sepali,  tanto  da  lasciar  vedere  il  colore  della 
parte  superiore  della  corolla.  Però,  in  tutti  quanti  i  fiori  che  si 
sono  sviluppati,  non  s'  è  potuto  mai  riscontrare  un  vero  sboc- 
ciamento, e  quantunque  la  pianta  fosse  osservata  la  ser^  e  la 
mattina  di  buon  ora,  nessun'  indizio  si  ebbe  che  potesse  accen- 
nare ad  un  fenomeno  di  tal  fatta,  che  si  fosse  compito  nel  corso 
della  notte.  , 

Successivamente  avendo  osservato  che  la  energia  di  vege- 
tazione della  pianta  andava  ancor  diminuendo,  e  desiderando 
di  tentare  se  fosse  possibile  farne  sbocciare  i  fiori,  feci  chiudere 
la  vasca  al  di  sopra  con  una  vetrata,  e  vi  feci  adattare  un  pic- 
colo calorifero  per  riscaldarne  1'  acqua  a  volontà.  Mediante  tale 
apparecchio,  il  primo  di  novembre,  essendo  la  temperatura  del- 
l' ambiente  discesa  al  disotto  dei  20®  e,  s' incominciò  a  riscal- 
dare r  acqua  della  vasca,  in  modo  che  nella  notte  si  conser- 
vasse a  circa  25®,  e  nel  giorno  salisse  fino  ai  32-33  e.  nell'  ore 
pomeridiane.  In  queste  condizioni  alcuni  fiori  hanno  continuato 
a  mostrarsi  al  di  sopra  della  superficie  dell*  acqua^  ed  i  pezzi 


292  0.   ARCANGELI 

del  calice  loro  si  sono  un  poco  disgiunti  nelV  apice,  tanto  da 
far  vedere  i  colori  della  corolla  che  stava  al  di  sotto.  Questi 
fiori  però  non  sono  mai  sbocciati,  ne  la  corolla  loro  mai  è  ri- 
masta libera  dall'inviluppo  calicinale,  ne  mai  si  è  aperta.  Avendo 
allora  colti  alcuni  di  questi  fiori  per  esaminarne  V  intemo,  ho 
potuto  riscontrare  che  i  loro  stami  erano  in  minor  numero  e 
non  sviluppati  in  modo  normale,  con  le  sacche  polliniche  già 
aperte,  contenenti  pochi  grani  di  polline,  dei  quali  diversi  riuniti 
tuttora  in  tetradi  e  vizzi.  In  questi  fiori  il  polline,  a  cagione 
della  sua  scarsezza  e  della  sua  imperfetta  costituzione,  non  po- 
teva uscire  dalle  sacche  polliniche.  Altri  fiori  pure  colti  fra 
quelli  più  giovani  e  tuttora  sommersi,  presentavano  condizioni 
simili:  onde  veniva  con  ciò  dimostrato  che  tutti  questi  fiori, 
che  così  si  producevano  nel  periodo  autunnale  di  vegetazione, 
quantunque  si  trovassero  in  un  ambiento  assai  riscaldato,  in 
realtà  non  sbocciavano,  ed  erano  di  più  affatto  inotti  alla  ri- 
produzione. La  pianta  ha  continuato  poi  a  produrre  foglie,  che 
si  mostravano  però  sempre  più  piccole  e  si  coloravano  debol- 
mente in  verde,  con  alcuni  fiori  che  non  progredivano  nel  loro 
sviluppo,  fino  a  che  alla  fine  di  novembre  il  suo  vigore  si  è 
mostrato  in  gran  parte  esaurito,  e  la  pianta  ha  cessato  di  vi- 
vere il  sette  di  decembre  tuttora  con  varii  fiori  in  boccio, 
quantunque  si  fossero  usate  tutte  le  precauzioni  per  prolun- 
garne l'esistenza.  Non  v'è  dunque  alcun  dubbio  che  la  pianta 
non  fr  perenne,  come  fii  ritenuta  dal  De  CandoUe  e  Steudel, 
ma  bensì  annua  com'  è  stata  riconosciuta  dal  Caspary. 

Le  notizie,  che  ho  potuto  raccogliere  da  alcuni  Giardini  bo- 
tanici all'estero,  sono  abbastanza  concordi  con  i  resultati  da 
me  ottenuti. 

Il  prof.  De  Bary  infatti  m'informa  che,  nelle  serre  del 
Giardino  botanico  di  Strasburgo,  1'  Eiinjaìe  è  coltivata  come 
pianta  annuale  e  seminata  in  primavera  entra  in  fioritura  nel 
mese  di  luglio  prima  della  Victoria  regia  seminata  contempo- 
raneamente, che  i  fiori  non  si  aprono  che  pochissimo  e  per 
breve  tempo,  e  si  ricorda  di  aver  veduto  alcuni  di  questi  fiori 
a  livello  dell'  acqua  ed  anche  un  po'  al  di  sopra. 

n  prof.  Oliver  di  Londra  mi  ha  dal  canto  suo  favorito  un  breve 
scritto  del  Capo  Giardiniere  del  Giardino  botanico  di  Kew,  dal 
quale  resulta  che  questi  non  ha  veduto  giammai  un  fiore  aperto, 


SULLA   FIORITURA    DELL*  EURTALE  293 

quantunque  le  piante  coltivate  in  quel  giardino  ne  abbiano  pro- 
dotti a  centinaja;  che  se  la  pianta  trovasi  presso  la  superficie 
deir  acqua  i  fiori  talora  s' inalzano  sopra  Y  acqua,  ma  la  regola 
è  che  i  fiori  maturano  sott'  acqua  e  giammai  sbocciano,  pro- 
ducendo però  dei  semi  perfetti;  che  i  petali  purpurei  possono 
osservarsi  sotto  i  lobi  del  calice  nei  fiori  maturi,  ma  d' ordinario 
essi  sono  strettamente  applicati  gli  uni  agli  altri. 

Altre  notizie  interessanti  ho  pure  ricevuto  dal  prof.  Maxi- 
mowicz  di  Pietroburgo.  Egli  mi  riferisce  come  V  Euryale  nelle 
serre  di  Pietroburgo  si  comporta  affatto  come  pianta  annua, 
che  nella  Manciuria  essa  è  stata  trovata  lungo  il  fiume  Ussuri, 
all'imboccatura  del  confluente  Jmasous  a  46^  di  lat.  Sett.,  e 
presso  il  lago  Kanka  sotto  la  lat.  Sett.  di  45^,  ov'  essa  sembra 
fiorire  dopo  il  Nelumbium,  insieme  al  quale  cresce,  sebbene  di 
esso  molto  più  rara;  che  nelle  serre  di  Pietroburgo  le  foglie 
delV  Euryale  sono  per  lo  più  molto  più  grandi  di  quelle  del 
NelumbitiMj  mentre  in  Manciuria  ha  luogo  il  contrario  :  che  in 
Manciuria  la  pianta  è  stata  raccolta  il  30  settembre  con  frutti 
maturi  ed  a  vegetazione  compita,  vale  a  dire  col  contegno  di 
pianta  annua;  che  sebbene  lungo  l' Ussuri  l'autunno  sia  lungo 
e  bello,  i  geli  vi  cominciano  verso  la  fine  di  settembre,  e  V  in- 
verno è  nevoso  e  freddo  di  tal  fatta  che  egli  stesso  vi  ha  tro- 
vato alla  fine  di  marzo  una  temperatura  di  20^  a  25°  R.  sotto 
zero,  e  viaggiava  in  slitta  tirata  da  cavalli  sul  ghiaccio  del 
fiume:  che  i  semi  àoiV  Euryale  evidentemente  restano  difesi 
dal  freddo  al  fondo  delle  acque,  e  quando  germogliano  la  loro 
vegetazione  è  favorita  da  un'  estate  calda,  la  quale  fa  sì  che 
le  acque  sollecitamente  divengono  tiepide.  Aggiunge  inoltre  che, 
quanto  alla  pianta  della  China  e  del  Giappone,  lo  sbocciamento 
non  oltrepassa  un  piccolo  scostamento  dei  petali  nei  fiori  fiior 
d'acqua,  e  che  il  prof.  Regel  pure  ritiene  che  il  fiore  non  possa 
gerirsi  di  più. 

Vediamo  adesso  quali  conseguenze  si  possono  dedurre  da 
quanto  è  stato  superiormente  esposto. 

L' opinione  di  Andrews,  che  la  brevità  del  tempo  in  cui  si 
effettua  la  fioritura  sia  stata  la  causa  che  ha  fatto  credere  che 
V Euryale  fiorisca  sott'  acqua,  non  può  certamente  ammettersi, 
dopo  quanto  asserisce  il  Salisbury,  eh'  è  stato  riconosciuto  da 
tanti  altri  posteriormente  e  persino  recentemente  nel  suo  paese 


294  a.    ARCANGBU 

natale,  e  pure  confermato  dalle  mie  osservazioni.  Vero  è  eh*  agli 
dice  di  aver  visto  la  pianta  fiorire  sopra  V  acqua,  ma  nel  suo 
scritto  non  è  detto  esplicitamente  se  ha  realmente  veduto  i 
fiori  aperti. 

Quanto  al  Roxburgh,  che  asserisce  che,  se  l'acqua  è  bassa  i 
peduncoli  sono  tanto  lunghi  da  sollevare  i  fiori  al  di  sopra  di 
essa,  ma  che  la  fioritura  avviene  sotto  l'acqua  se  questa  è 
profonda,  pare  ch'egli  abbia  voluto  ammettere  che  i  fiori  si 
aprono  anche  nell'aria,  ma  in  realtà  non  lo  dice.  Del  resto 
r asserzione  non  è  giusta,  perchè  anche  quando  l'acqua  è  assai 
bassa,  come  appunto  allorché  non  oltrepassa  i  0",3  di  profon- 
dità, i  fiori  si  mantengono  per  lo  pid  sommersi,  e  se  pure  giun- 
gono a  sorgere  al  di  sopra,  come  avvenne  per  la  mia  cultura 
nell'ottobre,  ciò  avviene  nell'ultimo  periodo  di  vegetazione, 
però  solo  appena  divaricando  la  parte  superiore  dei  loro  sepali, 
od  al  più  solo  eccezionalmente  aprendosi  a  tal  punto,  come  nel 
fiore  che  conservasi  a  Itoma,  da  potersi  dire  sbocciati. 

In  quanto  alle  osservazioni  del  Planchon  e  del  Caspary,  esse 
lasciano  campo  a  considerazioni  di  non  poco  valore.  Infatti 
quantunque  non  resti  alcun  dubbio  che  essi  si  sono  occupati 
della  medesima  pianta,  eh'  è  quella  stessa  descritta  da  Salisbury 
e  da  Roxburgh  e  quella  pure  coltivata  da  me,  essi  si  mostrano 
relativamente  alla  fioritura  di  essa  in  gran  parte  discordi.  Così, 
mentre  l'uno  afferma  che  i  fiori  si  aprono  due  ore  avanti  giorno, 
e  si  chiudono  verso  mezzogiorno  per  due  giorni  di  seguito,  che 
lo  sbocciamento  raramente  si  effettua  senza  che  l' artifizio  ven- 
ga a  secondare  gli  sforzi  della  natura,  e  che  giammai  la  co- 
rolla arriva  allo  stato  di  espansione  orizzontale  che  si  osswva 
nella  Victoria:  l'altro  dice  che  i  fiori  per  lo  piìi  si  mantengono 
sott'acqua,  e  che  solo  allorquando  la  luce  del  sole  manchi,  si 
mostrano  quasi  aperti  per  tre  giorni  successivi  dalle  9  del  mat- 
tino alle  6  della  sera,  asserzioni  che  certamente  non  possono 
conciliarsi,  e  dalle  quali  si  rileva  una  concordanza  notevole  sol- 
tanto neir  ammettere  che  i  fiori  molto  raramente  ed  imper- 
fettamente sbocciano,  ciò  che  appunto  viene  in  appoggio  dei 
resultati  da  me  ottenuti. 

Riguardo  all'opinione  del  prof.  Raillon,  che  considera  i  fiori 
délV  Eury ale y  alla  pari  di  quelli  della  Victoria,  capaci  di  sboc- 
ciare fuori  d'acqua;  a  me  sembra  non  potersi  accettare:  come 


SULLA   FIORITUBA     DELl'eURYALE  295 

pure  trovo  molto  difficile  che  possa  accettarsi  quanto  è  stato 
detto  sull'odore  dei  fiori  à^Euryale  dai  sigg.  Hooker  e  Thom- 
son: imperocché,  non  solo  questo  carattere  non  è  notato  dagli 
altri,  ma  oltre  a  ciò  a  me  non  è  riuscito  avvertire  traccia  al- 
cuna di  odore,  neppure  in  quei  fiori  autunnali  che  avevano 
accennato,  come  ho  detto  di  sopra,  ad  un  primo  conato  di  sboc- 
ciamento. Forse  si  tratta  di  qualche  equivoco  verificatosi  con 
i  fiori  di  qualche  altra  ninfeacea,  o  di  qualche  altra  specie 
prossima. 

Che  VEuryale  sia  una  pianta  a  fiori  di  tipo  magnoliaceo  e 
cantarofila,  come  appunto  ritiene  il  prof.  Delpino,  mi  sembra 
molto  difficile,  se  in  essi  la  fecondazione  avviene  sott'  acqua,  se 
il  loro  sbocciamento  neir  aria  non  si  effettua  che  molto  rara- 
mente, e  se  in  quei  fiori,  che  più  o  meno  si  mostrano  disposti  a 
sbocciare,  gli  stami  si  presentano  con  le  antere  anormalmente 
sviluppate.  Più  giusta  è  certamente  T  opinione  del  Darwin,  che 
pone  VEuryale  fra  le  piante  che  protette  dall'  azione  degli  in- 
setti, o  sono  perfettamente  fertili,  o  forniscono  più  della  metà 
dei  semi  che  producono,  allorché  1'  appulso  degl'  insetti  non  è 
vietato.  Del  resto  a  me  sembra  più  ragionevole  l'ammettere 
che  r  Euryale  maturi  i  suoi  semi  senza  il  concorso  degl'  insetti, 
e  che  il  numero  dei  semi  del  frutto  dipenda,  più  che  dall' ap- 
pulso dei  pronubi,  dal  calore  di  cui  la  pianta  può  disporre. 

Siecome,  per  quanto  è  stato  esposto  di  sopra,  non  può  più 
restare  alcun  dubbio  che  l' Euryale  produca  fiori  cleistogamici, 
fra  le  opinioni  del  Van  Tieghem  e  del  Duchartre,  è  solo  la 
seconda  che  si  mostra  più  conforme  alla  verità. 

Le  osservazioni  che  trovansi  più  in  accordo  con  i  resultati 
delle  mie  ricerche  sono  quelle  del  giardiniere  citato  da  Salisbury, 
e  quelle  dell'  Ermens,  le  quali  tutte  furon  fatte  sulla  pianta 
vivente  nel  suo  paese  natale,  in  condizioni  perfettamente  nor- 
mali, con  le  quali  pure  concordano  quelle  fatte  in  varii  altri 
Giardini  botanici.  Tutte  queste  osservazioni  concordano  nel 
dimostrare  essere  1'  Euryale  una  pianta  a  fiori  cleistogamici. 
Dalle  mie  osservazioni  poi  resulta  che,  mentre  i  fiori  che  si 
sviluppano  nel  luglio  e  nell'  agosto,  sotto  il  nostro  clima  ci  danno 
uno  dei  più  belli  esempj  di  fecondazione  autogamica  a  porte 
chiuse,  cioè  sott'  acqua,  nella  camera  nuziale  che  resulta  for*' 
mata  dal  perianzio  e  dalla  coppa  stimmatica;  quelli  che  si  svi- 

8$.  Nmi,  Voi.  Vm,  fktc.  2*  92 


296  <J.    AKCAXGÉU 

luppano  successivamente  presentano   antere   sviluppate    anor- 
malmente, tanto  che  in  essi  la  fecondazione  e  la  fruttificazione 
non  possono  aver  luogo.   Senza  dubbio,  in  questo  caso,  i  fiori 
che  si  sviluppano  successivamente  differiscono   un  poco  per  la 
loro  struttura  e  si  contengono  in  modi  differenti:  imperocché 
come  abbiamo  detto  nel  primo  periodo  di  vegetazione  si  hanno 
dei  fiori  sterili,  si  hanno  poi  fiori  fecondi  nel  periodo  estivo  e 
finalmente  nel  periodo  autunnale  fiori   sterili,  nei  quali    si  ri- 
scontra una  tendenza  alla    casmogamia.    Quindi   nélV  Euryakj 
anziché  verificarsi  un  vero  e  proprio  dimorfismo,  stando  a  quanto 
è  stato  detto  di   sopra,  si  avrebbe  una  pianta  a  fecondazione 
affatto  autogama  con  un  residuo  di  dimorfismo,  che  si  manifesta 
nella  tendenza  che  hanno  alcuni  fiori  a  portarsi  fuor  d'  acqua 
ed  aprirsi.  In  appoggio  di  siffatta  opinione  si  può  giustamente 
osservare  che,  quantunque  la  fecondazione  eterodina  sia  dimo- 
strata per  moltissimo  piante,  essa  non  può  ritenersi  come  con- 
dizione necessaria  per  la  conservazione  della  specie,  potendosi 
citare,  non  solo  una  lunga  serie  di  piante  nelle  quali  si  verifica 
la  fecondazione  omoclina  e  la  eterodina  ad  un  tempo,  ma  pure 
di  quelle  come  la  Leersìa  onjzokleSy  la   Voaìulzeia  e  molte  piante 
del  genere  Stipdy  nelle  quali  la  fecondazione  omoclina  è  la  sola  a 
verificarsi,  e  talora  con  soli  fiori  cleistogamici.  Supponiamo,  per 
meglio  comprendere  le  cose,  che  i  progenitori  A^WEunjale  sì  sieno 
trovati  nel  passato  a  lottare  contro  nemici  viventi  nell'  aria,  che 
ne  distruggevano  i  fiori  via  via  che  questi  si  presentavano  al  di 
sopra  dell'  acqua,  è  facile  il  comprendere,  come  in  tal  caso  le 
successive  generazioni  di  essa  pianta  possano  avere  acquistata 
la  tendenza  a  conservare  i  loro  fiori  sott'  acqua,  e  che  in  questi 
il  processo  di  fecondazione  si  sia  poco  a  poco  modificato,  fino  a 
resultarne  una  specie  con  soli  fiori  subaquei  e  cleistogamici. 
Certamente  in  tali  condizioni  valeva  meglio  sacrificare  i  van- 
taggi della  eterogamia  a  quelli  dell'  esistenza,  od  altrimenti, 
conveniva  più  sacrificare  qualcosa  che  perder  tutto.  Ma  sì  potrà 
forse  obiettare  su  tal  proposito,  non  potersi  escludere  il   caso 
che  in  qualche  parte  di   quella   vasta  regione,  nella  quale   la 
nostra  pianta  è  spontanea,  verificandosi  condizioni  eccezionali 
e  più  favorevoli  al   suo  sviluppo,  essa  possa  schiudere  i  suoi 
fiori  neir  aria  e  vantaggiarsi  del  benefizio  della  fecondazione 
eterodina  favorita  dall' appulso  degl'insetti:  oppure  che  nelle 


SDLLA   FIORITURA   DELL^  EURYALE  297 

successive  generazioni,  con  alternanza  più  o  men  regolare,  pos- 
sono apparire  individui  dotati  della  facoltà  di  produrre  fiori 
casmogami  a  fecondazione  eterodina,  tanto  più  che  in  varie 
opere  essa  è  stata  rappresentata  con  fiori  perfettamente  sboc- 
ciati. Io  non  nego  che  queste  obiezioni  abbiano  un  certo  valore: 
però  a  me  sembra  che  i  fatti  che  ho  potuto  raccogliere  sieno 
per  la  massima  parte  ad  esse  contrarli.  Il  riscontrare  i  fiori 
figurati  aperti  nelle  opere  di  varii  autori,  come  in  quelle  di 
Andrews,  di  Roxburgh,  di  Curtis,  di  Planchon,  non  è  un  fatto 
cui  si  possa  attribuire  un  gran  valore:  imperocché  in  tempi,  nei 
quali  gli  studj  biologici  sulla  fioritura  e  sulla  fecondazione  erano 
tanto  meno  avanzati,  si  era  poco  avvezzi  ad  ammettere  che 
una  pianta  potesse  fiorire  sqtt'  acqua,  e  non  è  quindi  difficile 
che  abbia  avuto  luogo  qualche  errore.  Specialmente  poi  nel 
caso  della  jB/e^rt^a^,  che  produce  fiori  subaquei,  i  quali  secondo 
r  epoca  in  cui  si  esaminano  hanno  V  apparenza,  sia  di  fiori  in 
boccio  prossimi  a  schiudersi,  sia  di  fiori  che  dopo  lo  sboccia- 
mento si  sieno  richiusi  da  qualche  tempo,  e  tanto  differiscono 
dagli  ordinarli  cleistogamici  pel  fatto  singolare  della  corolla,  che 
si  presenta  assai  sviluppata  e  colorata  in  violetto  anche  assai 
dopo  la  fecondazione,  può  essere  avvenuto  che  non  pochi  di 
coloro  che  studiarono  la  pianta  credessero  che  i  fiori  che  ave- 
vano fra  mano  fossero  capaci  di  sbocciare,  come  in  generale 
suole  avvenire,  senza  pensare  alla  cleistogamia,  e  supplissero  con 
r  immaginazione  a  quanto  mancava  negli  esemplari  che  ave- 
vano fra  mano.  Del  resto  ammettiamo  pure  che  un  tale  er- 
rore non  si  sia  verificato  e  che  la  nostra  pianta  sia  capace  di 
aprire  alcuni  dei  suoi  fiori:  certamente  Y  argomento  merita  di 
essere  ancora  seriamente  studiato,  poiché  nessuno  fin  ad  ora  ha 
dimostrato  esser  quei  fiori  fecondi,  ed  in  vero  non  si  può  am- 
mettere che  VEuryale  produca  fiori  cosmogami  e  fecondi  fino 
a  che  ciò  non  sia  realmente  dimostrato. 

Tutto  quanto  é  stato  superiormente  esposto  ha  pure  una 
certa  importanza  dal  punto  di  vista  della  sistematica:  impe- 
rocché offre  un  argomento  di  più  in  favore  di  coloro  che  in 
seguito  al  Lindley,  ritengono  il  genere  Victoria  distinto  dal  ge- 
nere Euryale.  Sebbene  infatti  i  caratteri,  sui  quali  si  basa  la 
distinzione  di  questi  due  generi,  quali  quelli  desunti  dalla  con- 
formazione della   corolla,   dalla  conformazione   dell' androceo, 


2d8  G.  ARCAKGEU 

dal  nuocerò  delle  caselle  del  gineceo  e  dalla  conformazione 
dello  stimma,  sieno  già.  suficienki  a  costituire  due  generi  di- 
stinti, si  può  avvertire  che  il  processo  della  fioritura,  tanto 
differente  in  quelle  due  piante,  viene  a  convalidare  tale  di- 
stinzione. 

Nel  porre  termine  a  questo  scritto  credo  opportuno  il  fare 
avvertire  che,  quantunque  VEuryale  sia  nativa  principalmente 
delle  regioni  calde  e  temperate  dell'Asia  austro-orientale,  essa 
si  adatta  pure  a  vivere  in  climi  assai  freddi,  come  resulta  dalle 
notizie  favoritemi  dal  prof.  Maximowicz  che  ho  sopra  riportate. 
Quindi  trattandosi  di  una  pianta  che  per  la  bellezza  del  suo 
fogliame  sta  al  di  sopra^  della  maggior  parte  delle  altre  nin- 
feacee,  e  quasi  gareggia  con  la  Kictoria  regia,  non  v'  è  dubbio 
eh'  essa  è  destinata  a  figurare  fra  i  più  belli  ornamenti  pei 
nostri  laghetti  artificiali,  e  che  probabilmente  fra  non  molto 
prenderà  posto  fra  le  piante  spontanee  che  popolano  i  nostri 
laghi  e  paduli. 


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Heckel  -   Uber  Haare  und  Driisenhaare  bei  einingen  Nymphaeaceen  Gattungen. 

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Hooker  J.  D.  et  Thomson  Th.  —  Flora  indica,  London  1885,  p.  244. 
Kerner  J.  S.  —  Genera  plantarum  etc.,  Stuttgart  1811-28. 
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Missionaires  de  Pékin        Mémoires  des  Chinois  III,  p.  451. 
Miinchn.  Abhand.  5.  13.  Germinatio. 
Pfeiffer  L.  —  Nomenclator  botanicus,  I,  p.  2.*,  p.  1308. 
Planchon  J.  E.    —   Études    sur    les    Nymphéacées,    Ann.   des    Se.    Nat.    3.® 
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Reichenbach  H.  G.  L.  —  Exot.  11.  —   Conspectus  Regni  vegetabilis,  Lipsiae 

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Roxburgh  W.  —  Flora  indica,  II,  p.  573. 

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300  O.  ABCANGSU  —  ÌSULLÀ  nORITUSA  DKLL*  EURTÀLB 

Saporta  G.  De  —  La  végétation  da  Sud-est  de  la  France  à  Tépoqae  tertiaire. 

Ann.  des  Se  Nat.  5.®  ser.,  IV,  p.  166. 
Saporta  G.  De  et  Marion  A.  T.  —  L'  Évolation  du  Règne  vegetale,  Paris  1885, 

ir,  p.  126. 
Spach  Ed.  —  Histoire  nat  des  végétaux,  Vili,  p.  166-167. 
Sprengel  C.  —  Linnaei  C.  Systema  vegetabìliam,  ed  XVI,  Gottingae  1825  II, 

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Traattvetter  E.  R.  —  Incrementa  florae  fanerogamicae  rossicae,  Petropoll  1882 

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Treviranus  —  Abhandl.  Mat.  Phys.  Classe  Baier.  Akad.,  V,  1850,  p.  317. 
Van  Tieghein  P.  —  Sur  V  appareil  sécreteur  et  les    atfinités  de  structure  des 

Nymphaeacées,  Bull.  Soc.  Bot.  de  Fr.  2.«  ser.  Vili,  p.  72. 

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Ypert  —  Revue  Horticole,  4.«  année  1868,  p.  75-76. 


V^ 


r>OTT.  a.  G-ioiii 


LA  LUCINA  POMUM,  DUJ. 


■^ 


Già  da  del  tempo  alcuni  geologi  hanno  citato  come  carat- 
teristica di  dati  piani  miocenici  la  Lucina  pomum  Dod.,  altri, 
per  gli  stessi  piani,  la  Lucina  globulosa,  Desh.,  altri  la  Lucina 
appenninica,  Dod.,  altri  la  Lucina  miocenica,  Mich.,  altri  la  Lu- 
cina Delbosi,  May.,  altri  infine  la  Lueiìia  (Cyprina)  Dicomani,  Mgh. 

Ora  da  questa  lunga  serie  di  nomi  specifici,  come  del  resto 
era  facile  a  prevedersi,  è  sorta  la  questione  se  si  abbia  che  fare 
con  una  sola  forma  specifica,  o  con  due,  o  con  tre,  oppure  con 
altre  e  tante  quanti  sono  i  nomi  proposti. 

Nel  1876  il  Manzoni  in  una  sua  memoria  intitolata  ^  Della 
posizione  stratigrafica  del  calcare  a  Lucina  pomum  (^)  „  dopo 
avere  accennato  come  questo  calcare  non  sia  che  una  fase  ini- 
ziale della  formazione  gessifera  e  come  si  trovi  saltuariamente 
alla  base  di  questa  nelle  colline  di  Brisighella  e  di  Bologna, 
dice  che  la  Lucina  pomum  é  stata  da  lui  trovata  in  colonie. 

In  seguito  a  questa  memoria  il  Coppi  pubblicò  nel  1877  una 
nota  **  Sul  calcare  a  Lucina  pomum  (^)  „  in  cui  emette  V  opi- 
nione che  il  collocamento  stratigrafico  del  detto  calcare  asse- 
gnato dal  Manzoni  non  è  esatto  ed  indica  questo  fossile  con 
due  nomi,  cioè  Lucina  pomum  Dod.  e  Lucina  Delbosi  May. 

Tre  anni  appresso  troviamo  che  lo  Scarabelli  nella  sua 
*"  Geologia  della  provincia  di  Forlì  (^)  „  cita  la  Lucina  appen- 

(1)  Boll,  del  R.  Comit.  geolog.  d*  Italia.  N.«  5-6.  Anno  1876. 
(«)  Boll,  del  R.  Comit  geolog.  d*  Italia.  N.*  1-2.  Anno  1877. 
(3)  Scarabelli  —  Geologia  della  provincia  di  Forlì.  Forlì  1880,  pag.  53  e  54. 


302  G.  GIOU 

ninica  come  caratteristica  del  piano  Langhiano.  Più  oltre  in 
una  nota  a  pagina  53  (libr.  cit.)  egli  dice:  ""  La  L.  appenninica 
(L.  pomum)  è  caratteristica  dell'  Elveziano  del  Mayer  ecc. ...  e 
si  trova  in  moltissimi  luoghi  entro  rocce  collocate  dal  Doderlein 
nel  miocene  medio  „ . 

Nello  stesso  anno  il  Cafici  in  una  nota  .'  Sulla  determina- 
zione del  calcare  a  selce  piromaca,  del  calcare  compatto  e  mar- 
noso (forte  e  franco),  ad  Echinidi  e  modelli  di  grandi  Bivalvi 
nella  regione  S.  E.  della  Sicilia  (^)  „  diceva  che  la  Lucina  pomum 
si  ritiene  per  la  forma  più  importante  dell'  Elveziano.  Fra  i  fos- 
sili del  detto  calcare  forte  e  franco  l' autore  cita  infatti  la  Zrw- 
cìnq  pomum,  Dod.  come  molto  comune  e  forse  la  Lucina  Del' 
bosi,  May.,  talché  sembra  le  ritenga  per  due  forme  distinte. 

Anche  il  De  Stefani  in  una  nota  che  ha  per  titolo  "  I  fos- 
sili di  Dicomano  in  Toscana  e  della  Torretta  nel  Bolognese  (*)  ^ 
ritiene  che  a  Dicomano  si  tratti  del  piano  Elveziano  equiva- 
lente agli  strati  di  Grand,  citando  tra  i  fossili  caratteristici  di 
questa  località  la  Lucina  Diconiani,  Mgh.  (Cyprina,  Mich.)  che 
trovasi  pure  alla  Torretta  aggiungendo  queste  parole  :  *  Ritenni 
altra  volta  che  la  Lucina  pomum  o  Lucina  appenninica,  Dod. 
potesse  essere  sinonima  di  questa  specie  „. 

Contemporaneamente  il  De  Bosniaski  presentando  alla  So- 
cietà Toscana  di  Scienze  Naturali  il  suo  lavoro  su  *  La  for- 
mazione gessoso-solfifera  e  il  secondo  piano  mediterraneo  in 
Italia  (^)  „  affermava  che  il  Macigno  di  Torretta  è  caratteriz- 
zato dalla  Lucina  ghbulosa,  Desh.,  così  determinatagli  dal  Fuchs, 
secondo  il  quale  sarebbe  identica  alla  Lucina  Dicomanif  ÌILgh. 

Un  anno  appresso  il  Manzoni  nella  memoria  **  Della  mioce- 
nicità  del  Macigno  e  dell'unità  dei  terreni  miocenici  del  Bolo- 
gnese (*)  „  fa  osservare  che  nelle  varie  località,  nelle  quali  si 
rinvenne  e  si  studiò  il  macigno,  si  è  trovata  sempre  la  solita 
Lucina,  per  cui,  egli  dice  (pag.  50):  ""  Mi  sono  dato  la  pena  di 
verificare  se  veramente  questa  presentasse  delle  differenze  spe- 
cifiche tali  da  giustificare  i  diversi  nomi  che  sono  stati  appli- 
ca) Boll,  del  R.  ComiL  geolog.  d'Italia.  N.o  11  e  12,  anno  1880. 

(•)  Atti  della  Soc.  Tose  di  Scienze  Nat.  Processi  verb.  Adun.»  14  Novem- 
bre 1880.  V.  XII. 

(3)  Atti  della  Soc.  Tose,  di  Scienze  Nat  Process.  verb.  Ad.  14  novembre  1880. 
Voi.  XII,  pag.  90. 

(*)  Boll  del  R  Comit.  geolog.  d'Italia,  N»  12.  Anno  1881. 


A  LUCINA  rOMUM,  DUJ.  803 

cati  a  questa  conchiglia,  come  L.  Dicomani,  L.  appenninica, 
L.  Delbosi,  L.  pamum.  Interrogato  su  tale  proposito  il  Fuchs, 
rispose  che  per  tutti  si  tratta  sempre  della  Lucina  (Loripes) 
globtdosa,  Desh.  „. 

Nello  stesso  anno  il  Capellini  pubblicò  due  memorie  riguar- 
danti i  terreni  miocenici,  nella  prima  delle  quali  (I  calcari  a 
Bivalvi  di  Monte  Cavallo,  Stagno  e  Casola  nell'  Appennino  bo- 
lognese (^)  )  cita  la  Lucina  globulosa,  Desh.  rinvenuta  in  una 
roccia  calcare  ;  nell'  altra  (  Il  macigno  di  Torretta  e  le  rocce 
a  Globigerine  dell'Appennino  bolognese  (^)  )  cita  lo  stesso  fos- 
sile come  frequente  nel  macigno  di  Torretta  identificato,  egli 
dice,  da  alcuni  alla  L.  pomum,  Desm.,  L.  appenninica,  Dod.  o 
Cypr.  Dicomani  Mgh.  Secondo  il  Capellini  anche  certe  forme  di 
Tapes  gregaria  del  Sarmatiano  dei  Monti  livornesi  sarebbero 
pure  una  varietà  della  L.  globulosa  o  Dicomani. 

Finalmente  il  Cafici  nel  1883  toma  di  nuovo  a  parlar  di 
questa  specie  nel  suo  lavoro  sulla  ^  Formazione  miocenica  del 
territorio  di  Licodia-Eubea  (provincia  di  Catania)  (^)  „ ,  in  cui  ri- 
ferisce una  lettera  del  Fuchs  che  insiste  ad  identificare  fra  loro 
la  L.  pomum,  Desm.,  la  L.  appenninica,  Dod.  e  la  L.  Dicomani,  Mgh. 

Nel  Museo  paleontologico  di  Pisa  trovansi  bellissimi  esem- 
plari di  Lamellibranchi  provenienti  da  Dicomano  in  Mugello 
(Toscana)  già  studiati  dal  Prof.  Meneghini  e  indicati  da  lui  col 
nome  di  Cyprina  Dicomani,  Mgh.  e  più  tardi  dal  De  Stefani 
con  quello  di  Lucina  Dicomani,  Mgh.  Oltre  a  questi  vi  sono 
altri  numerosi  esemplari  di  Lucine  raccolti  dallo  Scarabelli  nel 
terreno  miocenico  di  Rovereti  di  Val  di  Pondo  presso  S.**  Sofia 
e  Mortano;  altri  raccolti  nel  miocene  del  Paretaio  della  Col- 
lina presso  Palazzuolo,  a  Cavai  Magra  nel  popolo  di  Salicecchio, 
presso  Poggio  di  Monte  maggioro  (comune  di  Salicecchio)  e  lungo 
la  nuova  linea  ferroviaria  Firenze-Faenza  dal  Dott.  M.  Cana- 
vari.  Altri  provengono  dall' Imolese  ed  altri  infine  da  Sintria 
presso  Brisighella. 

Già  il  Cafici  nella  memoria  di  sopra  citata  aveva  fatto  os- 
servare che  gli  esemplari  siciliani  di  L.  pomum  si  possono  ri- 
durre a  due  tipi  ben  distinti:  orbi  colare  l'uno,  trasversalmente 
oblungo  r  altro.  Ora  negli  esemplari  che  fanno  parte  della  nostra 

(0  Bollett.  del  R.  Comit.  geolog.  d*  Italia.  Anno  1881.  Voi.  XI. 

O  Bologna  Tip.  Gamberini  e  Parmeggiani  1881. 

Ò  n.  Accad.  dei  Lincei.  Anno  CCLXXX.  1882-83.  Roma  Tip.  Salviocci  1883. 


304  0.  GIGLI 

collezione  si  riscontra  che  i  tipi  ai  quali  essi  si  possono  riferire 
sono  tre  anziché  due:  cioè  l'uno  orbicolare  Tav.  XIV,  fig.  1,  tra- 
sversalmente oblungo  l'altro  Tav.  XIV,  fig.  7,  e  a  lato  boccale 
espanso  in  alto  il  terzo  Tav.  XIV,  fig.  8.  Questi  tipi  ci  sembra 
rappresentino  piuttosto  varietà  della  medesima  specie,  anziché 
specie  distinte,  poiché  per  la  somma  di  tutti  gli  altri  caratteri 
queste  tre  forme  coincidono  perfettamente.  E  siccome  di  esse 
sembra  prevalere  per  numero  di  individui  quella  del  tipo  orbi- 
colare, così  mi  limiterò  a  descrivere  soltanto  questa. 


Lucina  pomum,  Duj. 

Tar.  XIV,  fig.  1;  la.  16. 

L.  pofHum,  Dod.  —  L.  pomum,  Desm.  —  L.  pomum,  May. 
L.  appenninica,  Dod. 

Dimensioni  di  alcuni  esemplari 


Lunghezza        Larghezza  Spessore 


Esemplari  di  ViU  di  Pondo  -  Tipo  i  m.  in.   fiO 

orbicolare (  60 

54 


\ 


Tipo  trasversalmente  oblunuro  .     .  J 


Tipo  a  lato  boccale  espanso     .     .  \ 

I 

EsempUiri   di    Cavai    Magra  -  Tipo  \ 
orbicolare ' 


Tipo  trasversalmente  oblungo  .     . 


,    Tipo  a  lato  boccale  espanso     .     .  ^ 


56 

/    / 

53 

21 
25 

41 
38 

34 

31 


63 
58 

58 

65 
50 

20 
21 

45 
40 

29 
27 


Esemplari  del  Paretaio  della  Collina  - 
Tipo  orbicolare 

Tipo  trasversalmente  allungato     . 

Tipo  a  lato  boccale  espanso     .     . 


38 
36 

30 
34 

46 
30 

9 
6 

20 
29 

14 
12 


I 


-1 


•I 

■  I 


LÀ   LUCINA  POMUM,   DUJ.  305 

Località.  Rovereti  di  Val  di  Pondo  presso  S.**  Sofia  e 
Mortano. 

Conchiglia  suborbicolare,  equi  valve  inequilaterale  assai  tur- 
gida, ma  meno  della  Lucina  Dicomani,  Mgh.,  con  la  maggior 
convessità  circa  ad  V^  superiore  delle  valve.  Lunula  molto  pro- 
fonda anteriormente  limitata  dal  lato  boccale  che  si  rialza  in 
modo  da  formare  una  specie  di  rostro  ottusissimo,  posterior- 
mente dagli  umboni  che  sono  assai  grandi,  ravvicinati  ed  un 
pochino  inclinati  in  avanti,  e  lateralmente  da  due  spigoli  ottusi 
ma  assai  netti,  i  quali  si  prolungano  fino  agii  apici  degli  um- 
boni stessi.  H  profilo  del  margine  cardinale  anteriore  risulta 
profondamente  concavo,  mentre  che  quello  del  margine  cardi- 
nale posteriore  è  leggermente  convesso  ;  inoltre  il  primo  è  qual- 
che millimetro  meno  lungo  della  metà  di  questo,  essendo  V  an- 
teriore di  mm.  15,  il  posteriore  di  mm.  35.  Nel  margine  cardinale 
posteriore  si  osserva  un  corsaletto  allungato  limitato  da  ninfe 
pochissimo  sporgenti  e  non  formanti  un  rilievo  così  acuto  come 
nella  L.  Dicomani,  Mgh. .  H  rimanente  contorno  delle  valve  può 
dirsi  addirittura  semicircolare,  se  non  che  nella  parte  posteriore 
notasi  una  insenatura  dovuta  alla  convergenza  in  quel  punto 
di  due  solchi  radiali  assai  più  profondi  che  nella  L.  Dicomani  Mgh., 
i  quali  scendono  dagli  apici  degli  umboni  limitando  così  uno 
spazio  lanceolato,  che  sembra  vada  accrescendosi  coli'  età  del- 
l' individuo. 

La  superficie  estema  delle  valve  apparisce  fittamente  striata 
e  le  strie  sono  più  piccole  e  più  fitte  nella  regione  più  vecchia 
della  conchiglia,  mentre  in  basso  si  osservano  disposte  con  meno 
regolarità  e  più  o  meno  inarcate  ad  indicare  i  successivi  gradi 
di  accrescimento.  Di  queste  strio  se  ne  contano  5  nello  spazio 
di  un  millimetro  in  vicinanza  dell'  apice  dell'  umbone  ed  appena  2 
verso  la  metà  od  il  margine  ventrale  delle  valve. 

Veduta  dall'  alto  al  basso  (tav.  XIV,  fig.  1 ,  è)  la  conchiglia  ri- 
sulta notevolmente  inequilaterale  e  la  sua  massima  convessità 
si  trova  verso  la  parte  posteriore,  giacché  essa  è  in  corrispon- 
denza della  metà  della  valva  nel  senso  longitudinale  della  con- 
chiglia . 

Lo  spessore  del  guscio,  aljcontrario  che  nella  L.  Dicomani,  Mgh., 
che  r  ha  sottilissimo,  è  considerevole  raggiungendo  i  2  o  2  ^/2  mm. 


306  0.  G!OU 

In  questo  esemplare  nalla  si  vede  della  strattara  della  cer- 
niera, ne  delle  impressioni  dei  muscoli  adduttori  delle  due  vmlve, 
ne  di  quella  del  mantello.  Tali  impressioni  però  sì  osservano 
bene  in  un  altro  esemplare  che  indubbiamente  si  può  riferire 
alla  medesima  specie,  presentandosi  cogli  stessi  identici  carat- 
teri esteriori  che  ho  sopra  descritto. 

Esso  è  rappresentato  per  la  massima  parte  dal  suo  modello 
intemo  costituito  da  roccia  calcare,  non  rimanendo  del  suo  goscio 
che  circa  i  ^s  della  parte  posteriore  della  valva  destra  e  la 
regione  apicale  della  sinistra  in  modo  tale  da  restame  allo 
scoperto  le  impronte  dei  muscoli  adduttori  anteriore  e  poste- 
riore della  valva  sinistra  e  quella  dell'  anteriore  della  valva 
destra,  non  che  Y  impronta  palleale.  Ora  Y  impressione  dell^  ad- 
duttore anteriore  è  allungata,  la  posteriore  ovale  e  la  linea 
palleale  è  integra  e  parallela  al  margine  delle  valve,  il  quale 
presenta  delle  strie  radialmente  disposte,  come  mostra  la 
fig.  2,  tav.  XIV. 

Fra  questi  esemplari  di  Val  di  Pondo  è  notevole  per  le  sue 
dimensioni  il  modello  interno  di  una  grossa  conchiglia  che  mi- 
sura in  lunghezza  mm.  125  in  larghezza  116  e  in  ispessore  79. 
A  giudicare  dalle  dimensioni  sembra  che  si  tratti  di  un  indi- 
viduo molto  più  vecchio  dei  precedenti,  ma  tuttavia  apparte- 
nente alla  medesima  specie,  poiché  se  si  eccettua  Y  apparenza 
debolmente  lanceolata  del  suo  corsaletto  e  il  leggerissimo  ri- 
gonfiamento delle  sue  ninfe  che  lo  ravvicinerebbero  un  po'  alla 
L.  Diromani  Mgh.,  evidentemente  in  esso  si  riscontrano  tutti  i 
caratteri  degli  altri  due  esemplari  descritti  e  soprattutto  quello 
del  solco  radiale  molto  profondo  nella  parte  posteriore  delle 
due  valve. 

Riguardo  alla  cerniera  di  questa  specie,  siccome  lo  stato  di 
conservazione  di  queste  conchiglie  è  tale  che  Y  intemo  delle 
valve  e  generalmente  vuoto,  ho  voluto  tentare  di  scoprirne  la 
forma  nel  modo  seguente. 

Ho  messo  un  esemplare  nel  carbone  acceso  e  ve  Y  ho  la- 
sciato scaldare  fino  al  calor  rosso,  Y  ho  quindi  immerso  repen- 
tinamente in  un  bagno  d'  acqua  fredda  e  sono  riuscito  così  ad 
aprirlo  con  un  solo  colpo  di  martello.  Il  resultato  è  stato  ab- 
bastanza soddisfacente,  poiché  sebbene  la  calcite  che  riveste 
con  belle  foime  cristalline  tutte  le  pareti  inteme  delle  valve 


LA   LUCINA   POMUM,    DUJ.  307 

di  questa  conchiglia  sia  penetrata  anche  nelle  fossette  che  ri- 
cettano i  denti  mascherando  così  in  parte  la  struttura  del 
cardine;  pure  sono  riuscito  a  vedere  (tav.  XIV,  fig.  3)  assai  net- 
tamente uno  dei  denti  cardinali,  una  fossetta  che  gli  sta  dietro 
in  direzione  obliqua,  la  fossetta  mediana  terminata  superior- 
mente ad  angolo  acuto  ed  una  parte  del  dente  cardinale  po- 
steriore della  valva  sinistra.  Della  valva  destra  (tav.  I,  fig.  3  a), 
di  cui  ho  potuto  ottenere  isolata  soltanto  la  parte  della  regione 
apicale  che  corrisponde  a  quella  descritta  della  valva  sinistra 
ho  rinvenuto  la  fossetta  che  corrisponde  al  dente  cardinale 
citato  della  valva  sinistra  ed  un  debole  accenno  della  linea  che 
limitava  il  dente  cardinale  che  si  incastrava  nella  fossetta  me- 
diana il  quale  nella  frattura  evidentemente  si  è  rotto.  Nel  lato 
posteriore  di  questo  frammento  di  conchiglia  si  osserva  inoltre 
una  parte  della  doccia  che  racchiudeva  il  ligamento  esterno, 
della  quale  si  riscontra  il  lato  opposto  nella  valva  sinistra. 

Prima  però  di  asserire  la  presenza  dei  denti  così  bene  svi- 
luppati nel  cardine  di  questa  Lucina,  per  il  qual  fatto  si  do- 
vrebbe separarla  dalla  Lucina  globulosa  Desh.  e  dalla  Lucinu 
Dicomani  Mgh.  che  non  ne  hanno,  non  solo,  ma  anche  dalla 
Lucina  miocenica  Mich.  che,  se  li  ha,  sono  rudimentali,  ho  voluto 
accertarmene  sperimentando  sopra  altri  individui  e  usando  un 
artifizio  diverso. 

Ho  preso  pertanto  un'  altra  di  queste  conchiglie  e  mediante 
sfregamento,  operato  colla  macchina  che  serve  a  fare  le  sezioni 
microscopiche  delle  rocce,  sono  riuscito  ad  asportare  tutta  la 
regione  apicale  della  conchiglia  occupata  dagli  umboni  arri- 
vando così  a  mettere  allo  scoperto  la  linea  di  chiusura  della 
cerniera  (tav.  XIV,  fig.  4). 

Le  due  valve  mi  si  sono  mostrate  disgiunte  dalla  calcite 
che  le  riveste  internamente  e  la  cerniera  mi  si  è  presentata 
come  costituita  da  due  denti  cardinali  brevi,  un  po'  divergenti 
nella  valva  sinistra  e  da  un  rilievo  bifido  nella  valva  destra, 
che  poi  vedremo  andrà  a  formare  due  altri  denti  distinti.  Preso 
esatto  disegno  della  cosa  ho  proseguito  lo  sfregamento  (tav.  XIV, 
fig.  4,  a)  e  i  due  denti  della  valva  sinistra  sono  apparsi  più 
sviluppati,  specialmente  il  posteriore,  e  la  fossetta  che  sta  in 
mezzo  a  loro  si  vede  notevolmente  approfondita.  A  questo  punto 
quelli  della  valva  destra  si  mantengono  ancora  rudimentali. 


30S  G.  tiiou 

Nel  lato  cardinale  posteriore  però  di  ambedue  le  valve  inco- 
mincia a  vedersi  una  debole  traccia  di  rigonfiamento.  Più  pro- 
fondamente ancora  (tav.  XIV,  fig.  4,  b)  le  cose  si  mostrano  con 
maggior  chiarezza  :  nella  valva  sinistra  non  si  nota  che  un  de- 
bole assottigliamento  sul  dente  cardinale  posteriore;  ma  nella 
destra  si  trovano  ormai  già  bene  sviluppati  i  due  denti  car- 
dinali separati  da  una  fossetta  come  nell'  altra  valva. 

Posteriormente  si  osservano  i  soliti  rigonfiamenti  quasi  allo 
stesso  stadio  di  sviluppo.  Seguitando  ancora  a  portar  via  collo 
sfregamento  si  giunge  finalmente  a  vedere  una  cerniera  come 
ci  mostra  la  tav.  XIV,  fig.  4,  e.  composta  di  due  denti  cardinali 
e  due  fossette  corrispondenti  non  che  di  un  dente  laterale  po- 
steriore obliquo  ed  analoga  fossetta  per  ciascuna  valva. 

Tutto  questo  si  osserva  in  esemplari  riferibili  al  tipo  pre- 
valente orbicolare.  Riguardo  poi  a  quelli  di  tipi  oblungo  e  a 
lato  boccale  anteriore  espanso  (Tav.  XIV,  fig.  8  e  9)  analoghi 
esperimenti  ci  inducono  ad  identificarli  con  quello,  come  del 
resto  è  facile  convincercene  dai  graduati  passaggi  che  esistono 
tra  queste  forme. 

Un  esemplare  del  tutto  identico  alla  forma  descritta  pro- 
veniente dal  miocene  medio  di  Montebaranzone  mi  è  stato 
gentilmente  inviato  dal  Prof.  Dante  Pantanelli  accompagnan- 
dolo con  una  quantità  di  disegni,  i  quali  rappresentano  le  suc- 
cessive sezioni  verticali  praticate  colla  sega  nel  senso  antero- 
posteriore  della  conchiglia  di  un  altro  individuo.  Evidentemente 
da  quelle  figure  risulta  anche  in  questa  conchiglia  la  presenza 
di  denti  cardinali  e  laterali  posteriori,  ma  quantunque  con  questo 
sistema  si  abbia  il  vantaggio  di  conservare  le  sezioni  pure  una 
buona  parte  della  conchiglia  stessa  viene  asportata  dalla  sega; 
inconveniente  che  si  evita  usando  quello  dello  sfregamento. 

Le  altre  Lucine  raccolte  dal  Canavari  nel  macigno  delle 
vicinanze  di  Palazzuolo  hanno  prevalentemente  dimensioni  pic- 
cole o  mediocri,  se  ne  eccettuiamo  una  molto  deformata  dalla 
pressione  che  raggiunge  la  lunghezza  massima  di  90  mm.  e  lo 
spessore  del  guscio  di  mm.  3.  Però  il  guscio  trovasi  quasi  in 
tutte  incompletamente  conservato,  essendone  stato  per  lo  più 
asportato  dalla  corrosione  lo  strato  estemo  prismatico,  che 
quando  si  ha  la  fortuna  di  poter  riscontrare  ci  presenta  del 


LA    LUCINA   POMUM,    DUJ.  309 

resto  gli  stessi  caratteri  di  striatura  della  forma  precedente- 
mente descritta.  Anche  queste  Lucine  si  possono  comodamente 
riferire  alle  tre  forme  tipiche  come  quelle  di  Val  di  Pondo 
(tav.  XV,  fig.  2,  3,  4).  Inoltre  sono  caratterizzate  dal  solco  radiale 
posteriore  molto  profondo  e  da  una  cerniera  che,  messa  allo 
scoperto  col  solito  artifizio  dello  sfregamento  (tav.  XIV,  fig.  6), 
risulta  costituita  da  due  denti  cardinali  e  da  uno  laterale  poste- 
riore per  ciascuna  valva.  Finalmente  i  caratteri  della  lunula  e 
del  corsaletto,  in  quegli  esemplari  nei  quali  si  possono  studiare, 
coincidono  esattamente  colla  specie  descritta: 

Parimeute  alla  medesima  specie  sembra  si  debbano  riferire 
anche  quelle  malissimo  conservate  di  Poggio  di  Monte  Maggiore. 
Fra  queste  è  notevole  il  modello  di  una  conchiglia  assai  grande 
lunga  mm.  96,  larga  70  e  spessa  62  riferibile  al  tipo  trasver- 
salmente oblungo.  Questo  carattere  però  evidentemente  è  reso 
esagerato  da  una  depressione  considerevole  subita  dalla  con- 
chiglia nel  processo  di  fossilizzazione. 

L'  analogia  infine  induce  ad  ascrivere  pure  alla  medesima 
specie  anche  gli  esemplari  che  provengono  dall'  Imolese,  dei 
quali  uno  è  rappresentato  dalla  fig.  6,  tav.  XV,  per  la  massima 
parte  conservati  in  modelli  di  roccia  calcarea  sovente  colorata 
in  giallo  da  sostanze  ocracee,  non  che  quelli  provenienti  da 
Sintria  presso  Brisighella  e  finalmente  quelli  che  il  Canavari 
raccolse  nel  1883  lungo  la  nuova  linea  ferroviaria  Firenze- 
Faenza  allora  in  costruzione. 

Rapporti  e  differenze.  —  Ho  già  di  sopra  accennato  come 
questa  specie  sì'scosti  notevolmente  dalla  Luciìia  Dicoìnani,  Mgh. 
(tav.  XV,  fig.  1  )  sia  per  la  maggior  profondità  del  solco  radiale 
nel  lato  posteriore  delle  valve,  sia  per  la  minore  sporgenza 
delle  ninfe,  sia  per  la  minor  turgidezza  delle  valve,  sia  per  il 
maggiore  spessore  del  guscio.  In  riguardo  poi  alla  struttura 
del  cardine,  per  quante  precauzioni  abbia  usate  nello  sfrega- 
mento, a  causa  della  sottigliezza  del  guscio,  non  sono  riuscito 
a  rinvenir  traccia  di  denti  ne  cardinali  né  laterali  in  due 
dei  più  tipici  esemplari  di  L.  Dicoma7ii,  Mgh.  (tav.  XIV,  fig.  5  e 
tav.  XV,  fig.  5).  Questo  fatto  insieme  agli  altri  caratteri  disopra 
accennati  mentre  evidentemente  mi  costringe  a  disgiungerla 
dalla  specie  or  ora  descritta,  mi  indurrebbe  invece  a  ravvici- 


310  ti.  ftiou 

narla  MaL.globuIosa  Desìi.,  come  pen.sii  il  Fuchs  e  che  rH6me8(*) 
così  descrive:  **  Testa  grandi,  orbiculata,  cordiformi,  subsphaerìca, 
tenui,  fragili,  tenuiter  striata,  cardine  edentulo;  intus  margi- 
nibus  radiatim  substriatis  „.  La  qual  descrizione  poi  non  è  altro 
che  quella  che  già  era  stata  data  dal  Deshayes  (^).  Che  poi  nel 
caso  della  L.  Dicomani  si  tratti  realmente  di  una  Lucina  e  non 
di  una  Cyprina  non  è  alcun  dubbio.  Poiché  se  V  osservazione 
microscopica  di  parecchie  sezioni  da  me  condotte  attraverso  il 
guscio  di  Lucine,  sia  fossili,  che  viventi  e  attraverso  quello  della 
Cyprina  islandica,  L.  non  mi  ha  offerto  dati  sufficienti  per  sta- 
bilire fra  questi  due  generi  una  divisione  netta  per  invocarla 
nel  caso  nostro,  però  un'  esemplare  dei  più  tipici  di  L.  Dico- 
mani  Mgh.  (tav.  XV,  fig.  5),  in  cui  la  meta  anteriore  del  guscio 
della  valva  destra  è  stato  corroso  nel  processo  della  fossiliz- 
zazione, ci  offre  occasione  di  veder  nettamente  la  figura  nastri- 
forme del  muscolo  adduttore  anteriore,  tipica  del  genere  Lucina, 
carattere  questo  sommamente  importante  poiché  la  presenza  o 
la  mancanza  dei  denti  sulla  cerniera  non  ha  nessun  valore  per 
la  determinazione  di  questo  genere  (^). 

Escluso  intanto  che  la  Lucina  ijoìnum,  Duj.  si  possa  identi- 
ficare alla  L.  Dicomani,  Mgh.  e  alla  L.  globnlosa,  Desh.  dobbiamo 
vedere  se  si  potesse  riferire  alla  L.  miocenica^  Mich.. 

Orbene  se  limitandoci  a  considerarne  solo  i  caratteri  este- 
riori potrebbe  nascere  il  dubbio  che  si  trattasse  della  medesima 
cosa,  un  esame  della  struttura  della  cerniera  ci  mostra  che 
nella  L.  miocenica,  Mich.  i  denti  o  non  raggiungono  mai  lo  svi- 
luppo che  hanno  nella  L.  pomum,  Duj.  o  sono  più  frequentemente 
nascosti  come  si  rileva  dalla  seguente  descrizione  che  THómes  (*) 
da  di  questa  specie:  **  Testa  suborbi colari,  obliqua,  latore  postico 
abbreviato,  obscure  sinuato,  striis  minutis  concentricis  plus  mi- 
nusve  obsoletis;  dentibus  obsoletibus;  vix  perspicuis;  impres- 
sione muscolari  antica  longa,  postica  ovali  „. 


(')  M.  Hoernes    —    Die  fosstlen  Mollugken    der    Tertiàr^Bech&ns  van 
(Wìen  1870)  pag.  223.  Tav.  XXXII,  fig   l  a-b, 

(*)  Deshayes  —  Enciclopedie  methodique.  VoL  II,  Vera.  Hist.  oat  XII.  Pa- 
ris 1830,  pag.  :m. 

(')  Vedi  M  Hoernes.  M.  —  Die  fosstlen  Mollusken  der  Tertidr^Beckens  von 
Wien.  (Wien  1870)  pag.  ^ii'J. 

(*)  M.  Hoernes  —  Die  fossilen  Mollusken  der  Tertidr-Beckent  wm  Wien. 
(Wien  1870)  pag.  228.  Tav.  XXXIU.  ^^.  3  a-c. 


La  Lucina  fOMiTM;  duj.  311 

Rimane  ora  il  dubbio  se  si  debba  riferire  alla  Lucina  Del- 
basi,  May.,  o  alla  Lucina  poìnum,  May.,  oppure  alla  Lucina  ap- 
penninica, Dod. .  Interrogato  su  tale  proposito  il  Mayer  per  mezzo 
del  Prof.  Pantanelli,  al  quale  debbo  qui  render  pubblicamente 
grazie  per  la  gentilezza  che  ha  avuto  in  mio  favore  inviando 
al  Mayer  stesso  un  esemplare  di  Lucina  proveniente  da  Monte- 
baranzone  identico  a  quello  che  già  aveva  mandato  a  me,  ha 
risposto  che  egli  non  ha  mai  conosciuto  la  Lucina  Delbosi  come 
pure  non  ha  mai  descritto  la  Lucina  pomum,  ma  che  questa 
specie  è  del  Dujardin  alla  quale  riferisce  l'esemplare  inviatogli  (^). 

Quanto  alla  Lucina  appenninica,  Dod.  è  pur  chiarito  che  il 
Doderlein  la  chiamò  cosi  per  averla  trovata  nell'Appennino, 
non  intendendo  con  questo  di  farne  una  specie  nuova;  che  anzi 
ben  presto  si  accorse  esser  perfettamente  identica  alla  Lucina 
pomum  da  lui  precedentemente  raccolta  in  Piemonte  (^). 

Ora  per  quanto  accuratamente  io  abbia  ricercato  la  esatta 
descrizione  della  Lucina  pomum,  Duj.,  non  sono  riuscito  a  ritro- 
varla. Ad  ogni  modo  confidando  sull'autorità  del  Mayer  credo 
di  essere  autorizzato  a  concludere  che  per  la  specie  descritta 
trattasi  della  Lucina  pomum,  Duj.  sinonima  della  Lucina  appen- 
ninica, Dod.;  ma  estremamente  diversa  dalla  Lucina  Dicomani, 
Mgh.,  come  sopra  ho  dimostrato,  dalla  Lucina  globulosa,  Desh. 
e  dalla  Lucina  miocenica,  Mich. 

Quanto  alla  ^  località  in  cui  tale  specie  si  è  rinvenuta  ho 
già  detto  sopra.  Quanto  alla  posizione  stratigrafica  trattasi  del 
Miocene  medio  e  le  località  in  cui  rinvengonsi  gli  esemplari 
che  possiede  il  prof.  Pantanelli  del  Reggiano  e  del  Modenese 
sono  quelle  indicate  dal  Doderlein  nelle  sue  "  Note  illustrative 
della  carta  geologica  del  Modenese  e  del  Reggiano  (Modena 
1870)  pag.  12  „;  se  non  che  il  Pantanelli  stesso  crede  che  il 
piano  che  racchiude  la  Lucina  pomum  Duj.  non  debba  riferirsi 
all'  Elveziano  di  Mayer,  ma  a  un  piano  più  basso,  cioè  alla  parte 
inferiore  del  Langhiano  di  Mayer.  Invece  nelle  Sabbie  Elveziane 
o  Superiane  di  Superga  trovasi  la  Lucina  globulosa,  Desh.  (^). 


(*)  Mayer  —  In  litteris, 
(•)  Doderlein  —  In  litteris. 
(«)  PanUnelH  D.  —  In  litteris. 


8€,  Nat.  Voi.  Vm,  fase.  2.«  33 


312  li.  fiiuu 

Per  rendere  meno  incompleto  questo  mio  lavoro  sarebbe  stato 
molto  interessante  stabilir  confronti  fra  la  Lucina  pomum,  Daj. 
di  sopra  descritta  e  le  Bivalvi  del  macigno  di  Porretta,  ai^o- 
mento  sul  quale  tanto  si  è  discusso.  Esaminata  a  tale  scopo  la 
collezione  di  quei  fossili  che  trovasi  nel  nostro  Museo  e  quella 
ancor  più  numerosa  del  Museo  di  Firenze  non  sono  riuscito  a 
scorgere  in  nessun  esemplare  ne  traccia  di  cardine,  né  di  im- 
pressioni muscolari,  ne  di  linea  palleale  essendo  tutti  in  cat- 
tivissimo stato  di  conservazione.  Se  non  che  a  giudicare  dal- 
r  insieme  della  conchiglia  e  dalla  convessità  delle  valve  come 
pure  dal  solco  radiale  posteriore  sembrerebbe  che  alcmie  si 
potessero  dubbiosamente  riferire  al  genere  Lucina  verificandosi 
anche  in  queste  Bivalvi  la  particolarità  di  appartenere  certe 
al  tipo  orbicolare  ed  altre  al  tipo  trasversalmente  allungato. 

Paragonati  questi  esemplari  colle  figure  di  fossili  analoghi 
date  dal  Capellini  nella  sua  memoria  intitolata:  "  Il  macigno 
di  Porretta  e  le  rocce  a  Globigerine  dell'Appennino  bolognese  „(^) 
sembrerebbe  trattarsi  di  cose  molto  vicine  e  fors' anche  iden- 
tiche. Ora  il  Capellini  riferisce  alcune  di  quelle  Bivalvi  alla 
Lucina  corbarica,  Leym.  varietns  vulgaris,  altre  al  genere  Cypri- 
cardia  altre  infine  alla  Lucina  pomum,  Desm.,  la  quale  figura  a 
tav.  XV.  fig.  3. 

Senza  osare  di  aggiunger  nulla  su  questo  argomento  rimane 
adunque  accertato  che  la  Lucina  pomum,  Duj.  si  riscontra  anche 
in  queir  importantissimo  giacimento. 


(')  Memorie  delVAcead,  delle  Scienze  delVhtit,  di  Bologna,  Serie  IV,  Tomo  II, 
Anao  1881,  Fase.  1.». 


SPIEGAZIONE    DELLE    TAVOLE 


Tar.    XIV. 

Fio.  1.       Lucina  pomum,  Duj.    del  tipo  orbicolare  dei  Rovereti  di  Val 

di  Pondo. 

j,     1,  a.  La  stessa  veduta  dalla  faccia  anteriore. 

„     1,  6.   La  stessa  veduta  dalValto  al  basso. 

„  2.  La  stessa  L.  pofnum,  Duj.  allo  stato  di  modello  intemo  mo- 
strante la  forma  e  disposizione  dei  muscoli  adduttori  e  della 
linea  palleale. 

„  3.  Valva  sinistra  della  stessa  L.  pomum,  Duj.  mostrante  la  di- 
sposizione dei  denti  nella  cerniera. 

„     3,  a.  Frammento  della  valva  destra  della  medesima. 

„  4.  4,  a,  4,  6.  4,  e.  Sezioni  successive  del  cardine  della  L.  pomum,  Duj. 
di  Val  di  Pondo  ottenute  col  mezzo  dello  sfregamento. 

„     5.       Sezione  del  cardine  della  Lucina  Dicomani,  Mgh.  di  Dicomano. 

»  6.  Sezione  del  cardine  della  L.  potnum,  Duj.  di  Palazzuolo  (Co- 
mune di  Salicecchio). 

„  7.  Lucina  pomum,  Duj.  del  tipo  trasversalmente  oblungo  dei  Ro- 
vereti di  Val  di  Pondo. 

,  8.  Lucina  pomum,  Duj.  del  tipo  a  lato  boccale  espanso  in  alto 
della  medesima  località. 


* 


* 


314  G.  GIOU  — r    LA  LUCINA  POMUM,  DUI. 

Taf.    XT. 

FiG.  1.       Lucina  Dlcotuani,  Mgh.  di  Dicomano. 

2.  Lucina  pomuM,  Duj.  del  tipo  orbicolare  di  Palazzuolo. 

3.  L.  pomum,  Duj.  del  tipo  trasversalmente  oblungo  della  stessa 
località. 

4.  L.  pomum,  Duj.  del  tipo  a  lato  boccale  espanso  in  alto  della 
medesima  località. 

5.  Lucina  Dicomani,  Mgh.  mostrante  l'impronta  del  muscolo  ad- 
duttore anteriore  nastriforme  e  la  sezione  del  cardine  senza 
denti. 

6.  Lucina  j>omum,  Duj.  proveniente  dall' Imolese. 


EO  ti  ilIM  A 1  Ili 


E 


SOPRA   ALCUNI    IFOMiGETI 

■ 

NOTA 

DI    G.  OASPSBIHZ 


La  malattia  soggetto  della  presente  nota,  non  sembra  nuòva 
nel  pisano;  ma  siccome  le  indicazioni  in  proposito  ricevute  da 
alcuni  proprietari  e  giardinieri  non  sono  troppo  rassicuranti; 
la  considereremo  solo  nel  luogo  dove  ha  mostrato  gli  effetti 
suoi  incontestabilmente  più  dannosi,  nel  giardino  cioè  del  sig. 
Bartolommeo  Buonafalce.  Prima  di  tutto  conviene  osservare 
che  i  cenni  riguardanti  le  condizioni  cosmo-telluriche  nelle  quali 
una  data  micosi,  o  è  comparsa  per  la  prima  volta,  od  ha  de- 
terminato le  più  temibili  epidemie,  assumono  importanza  tanto 
maggiore,  quanto  più  sono  le  dette  condizioni  costanteitiente 
in  rapporto  con  il  loro  apparire  od  estendersi.  E  ciò  è  tanto 
vero  che  si  è  per  il  passato  attribuito,  eccedendo  nell'  impor- 
tanza, solo  allo  stato  meteroologico  dell'  atmosfera  ed  ai  grandi 
agenti  della  natura,  che  hanno  influenza  notevole  sulla  vege- 
tazione, la  causa  diretta  di  morbi,  la  cui  esistenza  ed  attitu- 
dine ad  espandersi  avrebbe  dovuto  più  che  altro  collegarsi  con 
la  vita  di  speciali  parassiti.  In  oggi  il  progresso  nei  me^zi  e 
nei  metodi  di  indagine  lo  dimostra  chiaramente.  Noi  però,  seb- 
bene si  cerchi  guardarci  dall'  eccesso  opposto,  dal  considerare 
cioè  la  fito-patologia  come  uno  studio  esclusivo  dei  parassiti, 
non  potendo  estenderci  sui  fatti  reputati  in  relazione  con  V  esi- 


\ 


316  G.  GASPEBINI 

ziale  micosi  di  cui  ci  occupiamo^  e  non  sapendo  definire  U  grado 
di  influenza  neppure  di  quei  pochi  che  andiamo  ad  accennare, 
si  prenderà  occasione  da  questo  morbo  per  estenderci  un  poco 
nella  parte  micologica,  e  contribuire  così  alla  conoscenza  d* al- 
cuni Gingilli  agrumicoli. 

Il  detto  giardino  Buonafalce,  attiguo  al  Museo  di  Storia 
naturale,  consta  di  terreno  alluvionale  assai  sciolto  e  ricco  dì 
humus,  perchè  di  frequente  concimato,  e,  sebbene  cinto  da  fab- 
bricati, riceve  abbastanza  luce  dalla  parte  di  Sud.  Vi  si  coltiva 
alcune  piante  di  limoni  delle  quali  parte  sono  tenute  a  spal- 
liera, parte  a  boschetto;  solo  negli  anni  decorsi  ve  ne  erano 
alcune  in  grossi  vasi.  Le  piante  a  boschetto  sono  abbastanza 
vicine  fra  di  loro,  ed  è  necessario  saper  fin  d'ora  che  il  piano 
ove  esse  vivono,  oltre  ad  essere  circondato  da  mura,  e  anche 
sprovvisto  di  una  fognatura  opportuna  che  impedisce  il  rista- 
gnarvi dell'acqua.  Quelle  a  spalliera  sono  assai  meglio  espo- 
ste ai  raggi  solari  ed  hanno  le  radici  al  di  sopra  del  piano 
del  giardino,  mantenutevi  da  una  panchina  pochissimo  distante 
dai  limoni  a  boschetto,  e  quindi  esse  radici  non  vanno  solette 
a  risentire  dell'  eccessiva  umidità.  Secondo  quello  che  ho  po- 
tuto rilevare  dal  gentilissimo  sig.  F.  Rossi,  al  quale  e  affidato 
il  giardino  Buonafalce,  la  malattia  sui  frutti  del  Citrus  Limonum 
avrebbe  richiamato  la  sua  attenzione  fin  dal  1879,  nel  quale 
anno  le  vicissitudini  atmosferiche  furono  fra  le  peggiori,  sia  per 
la  pioggia  copiosa  e  continua,  sia  per  i  temporali,  sia  per  l'an- 
damento meteorico  del  mese  di  Maggio,  piovoso  anch'  esso,  nel 
quale  la  ritardata  vegetazione  non  solo  non  potè  avvantaggiarsi 
per  r  insufficiente  temperatura,  ma  ebbe  a  ricevere  danni  ec- 
cezionali {}),  Noto  specialmente  il  mese  di  Maggio,  perchè  è  in 
questo,  o  verso  i  primi  di  Giugno  che  suol  presentarsi  la  morìa 
dei  frutti.  Negli  anni  successivi,  e  di  primavera  e  di  autunno, 
se  la  stagione  è  stata  umida,  si  è  avuto  qualche  frutto  colto 
dal  male,  senza  però  che  le  piante  a  spalliera  od  in  vaso  ne 
abbiano  mostrato  il  minimo  vestigio.  Finalmente  la  perdita  dei 
frutti,  aumentata  1'  anno  decorso  C^),  è  divenuta  in  quest'  anno 
considerevole,  tanto  che  noi  abbiamo  creduto  opportuno  istituire 
delle  ricerche  in  proposito. 

(*)  E.  Meucci  —  BuUettino  della  R.  Soc.  di  Orticoltura,  Anno. IV,  N.»  5.  Firenie. 
(«)  E.  Meucci  —  loc.  cit  anno  XJ,  N.<>  2.  p.  54-53. 


SOPRA  UN  NUOVO  MORBO  CHE  ATTACCA.  I  LIMONI  ECC.  317 

Sebbene  questa  malattia  a  primo  aspetto  somigli  la  nebbu 
DEGLI  ESPERIDI  (^),  essentlo  parò  tali  i  suoi  caratteri  da  non  po- 
tersi di  certo  con  questa  confondere,  e  V  aver  potuto  stabilire 
che  alcuni  dei  fungilli,  sempre  rinvenuti  su  ciascuno  dei  frutti 
affetti,  rappresentano  specie  nuove,  ci  inducono  a  riferirne  come 
di  un  morbo,  probabilmente  per  i  danni  insignificanti  arrecati 
per  r  addietro,  sfuggito  ai  fitopatologi. 

In  quest'  anno  la  malattia,  che  aveva  fatto  capo  nel  Maggio, 
infierì  col  sopraggiungere  del  fresco  e  piovoso  Giugno,  durante 
il  quale  1'  atmosfera  fu  gravemente  perturbata,  ed  appunto  in 
quel  tempo  in  cui  maggiormente  si  sviluppò  la  Peronospora 
della  Vite.  Le  piante  che  ebbero  a  rimanere  quasi  spogliate 
de'  loro  frutti  furono,  come  negli  anni  precedenti,  le  sole  a  bo- 
schetto, mentre  le  vicinissime  a  spalliera  non  subirono  alcuna 
perdita.  Però  tanto  le  une  che  le  altre  non  hanno  generalmente 
mostrato  di  aver  sofferto,  né  per  il  freddo,  durante  V  inverno, 
ne  per  altre  cause  che  possono  riferirsi  alla  concimazione,  po- 
tatura, etc,  mostrandosi  air  aspetto  in  stato  di  salute.  Sì  nelle 
une  che  nelle  altre  la  produzione  dei  frutti  fu  abbondante. 

Poiché  la  caduta  dei  frutti  avveniva  per  lo  più  durante  la 
notte,  non  pochi  dei  medesimi,  sia  maturi  che  piccoli  ed  acerbi 
od  appena  voltati  alla  maturazione,  sia  delle  parti  più  alte  che 
più  basse  della  pianta,  ogni  mattina  venivano  trovati  sul  suolo, 
mutati  di  colore  e  leggermente  di  consistenza.  Dal  colore  ap- 
punto, un  x)Cchio  un  poco  esercitato,  poteva  benissimo  ricono- 
scere non  solo  quelli  prossimi  a  cadere,  ma  sibbene  quelli  presi 
dal  male  nei  loro  primi  stadi,  quando  cioè  vi  si  incominciava 
a  scorgere  delle  piccole  macchiette  livide  irregolarmente  distri- 
buite. Queste  diventavano  in  poco  tempo  sempre  più  grandi, 
confluivano  e  raggiungevano  costantemente  Y  estensione  neces- 
saria per  far  perdere  ai  frutti  l'aspetto  normale.  Dette  macchie, 
con  piccola  superficie  circolare  centrale  livido-cupa,  si  mostra- 
vano un  po'  diverse  a  seconda  che  si  consideravano  sopra  frutta, 
che  avevano  o  no  raggiunta  la  maturazione. 

Nei  limoni  ancora  acerbi  1'  area  livida  centrale  molto  cupa 
era  circondata  da  una  zona  scura  più  o  meno  estesa,  che  spic- 

(*)  Achille  Cattaneo  —  La  nebbia  degli  Esperidi  Archivio  del  Laboratorio 
Crittogamico  Garo vaglio.  Voi.  IV,  183*3. 


318  6.  GISPERIM 

cava  sul  fondo  verde.  Nei  frutti  maturi  la  macula  livida,  o  pas- 
sava per  leggere  sfumature  ad  uu  giallo  citrino  sporco  sempre 
più  chiaro,  fino  a  confondersi  col  colore  proprio  dei  limoni  sani, 
od  aveva  all'  intorno,  e  ciò  più  di  rado,  delle  zone  concentriche 
di  un  colore  poco  dissimile,  le  quali  divenivano  più  sbiadite  e 
per  ciò  meno  evidenti  quanto  più  ci  si  allontanava  dal  centro 
d' infezione.  Al  mutato  colore  ho  già  accennato  che  si  riscon- 
trava corrispondere  una  modificazione  variamente  sensibile  per 
ciò  che  spetta  alla  consistenza.  Un  frutto  ben  maturo  veniva 
ridotto  molle  e  facilmente  spappolabile  ;  quelli  ancora  addietro 
nello  sviluppo  conservavano  alla  compressione  una  resistenza 
normale  od  un  poco  aumentata. 

Dirò  subito  come,  nei  tentativi  fatti  per  rendere  sperimen- 
tale la  malattia,  introducendo  cioè  con  un  ago  sterilizzato  le 
spore  degli  ifomiceti  che  descriveremo  nel  parenchima  <li  frutti 
sani,  si  sieno  ottenute  talora  delle  macchie  circolari  livido-cupe, 
qualche  altra  volta  citrino-chiare.  Nelle  prime  ho  potuto  veri- 
ficare un  graduato  aumento  di  consistenza  dal  centro  alla  peri- 
feria; nelle  seconde  invece,  mollissime  in  tutta  la  loro  estensione, 
vi  era  un  passaggio  brusco  alla  consistenza  dei  frutti  sani.  L'epi- 
carpio, a  seconda  che  aveva  il  sottostante  parenchima  più  o 
meno  molle,  presentava  variamente  spiccate  le  piccole  depressioni 
che  si  trovano  alla  sua  superficie  in  corrispondenza  delle  glan- 
dule  a  olio  essenziale.  Xei  luoghi  poi  in  cui  il  detto  parenchima 
per  r  azione  del  micelio  in  esso  sviluppatosi  era  al  tatto  cede- 
vole, come  si  trattasse  di  sostanza  semifluida  ricoperta  da  un 
sottile  strato  epiteliale,  Y  epicarpio  presentava  una  superficie 
liscia,  ed  i  vestigi  delle  dette  depressioni  cominciavano  ad  ap- 
pa  rire  ed  a  rendersi  sempre  più  spiccati  a  misura  che  ci  si  awi- 
c  inava  al  termine  dell'  area  infetta. 

In  nessun  caso  però  sono  riuscito  a  riprodurre  le  macchie 
precisamente  come  si  può  riscontrare  negli  esemplari  che  ebbi 
in  esame;  e  sia  che  tenessi  i  limoni  infetti  artificialmente  in 
camere  umide  od  all'asciutto,  alla  oscurità  od  alla  luce,  non  mi 
si  è  mai  presentato  quel  che  si  riscontra  costante  in  quelli  am- 
malati naturalmente,  il  predominio  cioè  nel!'  intemo  o  all'esterno 
di  un  micelio  senza  setti. 

Fra  le  cose  che  meritano  di  essere  segnalate  è  la  velocità 
con    cui  il  male  progrediva.    In  circa  60  ore  un   frutto   com- 


SOPRA  UN  NUOVO  MOBfiO  CHE  ATTACCA  I  LIMONI  ECC.  819 

pletamente  sano,  colto  dal  male,  veniva  alterato  del  tutto  e 
cadeva. 

I  limoni  caduti,  oltre  che  per  le  caratteristiche  accennate, 
si  lasciavano  riconoscere  per  V  odore  fortemente  nauseante: 
odore  specialissimo  di  queste  frutta  in  grazia  alle 'alterazioni 
cui  sono  andate  soggette. 

Se  si  prende  un  frammento  dei  frutti  completamente  alterati, 
o  si  praticano  delle  sezioni  in  corrispondenza  dell'aree  circolari 
caratteristiche  del  male,  anche  con  un  obbiettiva  di  mediocre 
ingrandimento,  specialmente  se  si  impiegano  delle  materie  colo- 
ranti come  r  Eosina,  la  Vesuvina  etc,  si  vede  che  il  parenchima 
del  frutto  stesso  è  percorso  da  un  numero  considerevole  di  fila- 
menti micelici.  Dai  limoni  che  esaminai  verso  i  primi  di  Luglio, 
dopo  che  questi  erano  rimasti  per  una  diecina  di  giorni  in  la- 
boratorio, senza  neppure  essere  coperti  da  una  campana,  poco 
potei  rinvenire,  presentandomisi  nel  loro  interno  tal  copia  e  di- 
versità di  ife  sterili  da  farmi  perdere  sulle  prime  Ja  speranza 
di  poter  giungere  a  determinare  se  esse  appartenevano  ad  una 
o  a  più  specie  di  fungilli.  La  comparsa  delle  successive  frutti- 
ficazioni del  Penic.  digitatum,  Aspergillus  niger,  e  délV Asp.  vio- 
laceO'ftcscU'S,  per  dire  delle  prime  a  presentarsi,  mi  dette  ragione 
della  presenza  di  alcuni  dei  filamenti  sterili  suddotci.  Di  quei 
filamenti,  che  erano  i  più  abbondanti  in  ciascun  frutto  ed  i 
meglio  riconoscibili  per  la  loro  refrangibilità,  non  potei  in  nessun 
modo  vederne  le  fruttificazioni,  sebbene  per  molti  giorni  li  abbia 
ottenuti  non  inquinati  da  germi  di  iforniceti  estranei.  Essi  erano 
in  tutto  il  loro  decorso,  ora  rettilineo,  ora  molto  tortuoso,  co- 
stantemente sprovvisti,  a  differenza  di  tutti  gli  altri,  di  sopi- 
menti cellulari,  e  presentavano  in  alcuni  tratti  delle  varicosità 
o  tuberosità  più  o  meno  brusche,  che  alle  volte  si  dividevano 
in  due  o  più  rami  di  diametro  minore.  Il  protoplasma  di  questa 
rete  miceliale  è  molto  denso,  granuloso  e  refrangente  alla  luce, 
talora  come  Y  endosporio  dei  conidi  in  generale.  Nelle  parti  più 
vecchie  vi  si  osserva  un  tenue  cilindro  protoplasmatico  staccato 
dalle  pareti  dei  filamenti.  Tali  pareti  sono  molto  sottili,  ialine, 
e  si  modellano  sul  protoplasma  seguendone  le  protuberanze, 
gli  agglomeramene  e  le  ramificazioni. 

n  dubbio  che  questo  micelio  non  rappresenti  una  specie 


320  0.  6ÀSPERINI 

distinta  è  per  noi  di  poco  valore,  tenuto  conto  delle  anastomosi 
delle  sue  ife  fra  di  loro  e  mai  con  le  altre  settate,  avendo  in 
proprio  degli  esperimenti  fatti  con  cura,  dai  quali  risalta  che 
gli  ifi  appartenenti  a  specie  diverse  (Asp.  niger,  elegans,  davatus, 
glaticuSj  Penic,  digitatum,  Alternaria  tennis)  non  si  anastomizzano 
fra  di  loro,  mentre  ciò  avviene  di  quelli  che  appartengono  ad 
una  medesima  specie. 

Verso  il  10  di  Novembre  capitandomi  di  esaminare  altri 
frutti  a  diversi  gradi  di  sviluppo,  staccati  dalla  pianta  perchè 
appena  appena  attaccati  dal  male,  come  non  avevo  potuto  os- 
servarli nel  Luglio,  alcuni  li  posi  in  camere  umide  alla  tempe- 
ratura ambiente,  altri  in  una  stufa  a  IS'*  C.*,  riserbandomene  5 
per  Tesarne  delle  macule  patognomoniche.  Di  queste  se  ne  trova 
per  lo  più  2-3  per  ogni  frutto  e  distribuite  senza  regola.  Se  si  os- 
servano attentamente  si  nota  che  esse  occupano  una  superficie, 
dove  al  mutato  colore  si  è  aggiunta  la  scomparsa  degli  incavi 
epiglandulari,  simulando  una  tumescenza.  Se  queste  macchiette 
si  osservano  al  microscopio  in  sezioni  normali  alla  loro  super- 
ficie estema,  in  esse  si  vedono  delle  piccole  protuberanze,  che 
occupano  il  posto  delle  depressioni  epiglandulari  normali  sopra 
ricordate,  le  quali  sono  determinate  dal  distacco  dell'  epicarpio 
dal  parenchima  sottostante,  in  modo  da  formare  delle  cavità 
presso  a  poco  lenticolari,  e  senza  comunicazione,  sia  coli' esterno, 
sia  con  la  glandule  sottoposte,  le  quali  potrebbero  esser  note 
anche  sotto  il  nome  di  glandule  di  Malpighii^). 

Esaminando  con  ingrandimento  sufficiente  quelle  singolari  ca- 
vita vi  si  può  agevolmente  osservare  un  micelio,  senza  sopimenti 
cellulari,  con  ife  del  diametro  di  3-4  fj..,  le  quali  serpeggiano  lungo 
le  pareti  e  nelf  interno  delle  dette  cavità  .ed  hanno  manifesta 
attitudine  ad  accrescersi  centrifugamente  rispetto  alle  medesime. 

Avendo  ciò  riscontrato  egualmente  in  ciascuna  delle  macchie 
esaminate  nei  primi  stadi,  sono  d'opinione  che  il  giovane  micelio 
parassita,  nutrendosi  a  spese  della  lamella  media  delle  cellule 

(*)  11  granfie  anatomico  bolognese  (Op.  omn.,  t.  I,  p  32.  Lendini,  1686)  fu  il 
primo  a  fare  delle  osservazioni  d'un-i  certa  importanza  su^'li  organi  di  secrezione 
delle  piante  Segnalò  le  glandule  di  un  buon  numero  di  Esperidee,  e  quelle  del 
Bictantnus;  riconobbe  la  esistenza  e  la  funzione  dei  nettari  nella  Corona  imperiaUs, 
nel  Lilium  persicum  e  nel  Ranunculus^  non  che  l'ufficio  dei  peli  (plandulart)  del- 
l' Urtica  e  Cucurbitaj  sebbene  qualificati  da  Grew  {The  Anatomy  of  Plants^  p.  148, 
London  1682)  per  organi  protettori. 


SOPRA  UN  NUOVO  MORBO  CHE  ATTACCA  I  LIMONI  ECC.  321 

dell'  epicarpio,  sia  penetrato  nell'  interno  dei  frutti  in  corrispon- 
denza degli  incavi  epiglandulari,  che  possono  avere  offerto  alle 
spore  stesse  le  condizioni  migliori  per  arrestarvisi. 

Così  la  presenza  del  micelio  parassita  facendo  diminuire  il 
turgore  delle  cellule  del  parenchima  sottostante  all'  epicarpio  e 
determinandone  la  retrazione,  lo  strato  epicarpico,  il  quale  ha 
meno  risentita  1'  azione  dei  filamenti  micelici,  in  grazia  pure 
della  propria  tenacità,  e  resistenza  per  lo  spessore  delle  pareti 
cellulari,  si  incurva  all'  infuori,  determinandosi  il  suo  distacco 
dargli  strati  sottoposti.  Può  anche  darsi  che  i  gas  sviluppatisi 
in  seguito  alla  attivissima  nutrizione  di  quei  filamenti  vi  influi- 
scano. In  tal  guisa  vengono  formate  le  cavità  di  cui  si  è  fatto 
cenno,  le  quali  haimo  il  diametro  di  circa  V^  mm.  alla  loro  base, 
e  della  altezza  massima  di  150  [i. 

Se  ci  facciamo  a  dare  uno  sguardo  ai  frutti  attaccati  dal 
male,  e  dopo  qualche  giorno  dalla  loro  caduta,  se  i  medesimi 
sono  stati  posti  sollecitamente  in  camere  umide  e  all'oscurità, 
il  micelio  senza  setti  si  fa  estemo,  e,  allungandosi  molto,  li  ri- 
cuopre  di  un  lasso  feltro  biancastro,  senza  però  mostrare  alcuna 
fruttificazione.  Se  invece  sono  stati  tenuti  nell'  ambiente  ordi- 
nario presentano  qua  e  là  delle  croste  o  macchiette  candide 
costituite  da  un  fìtto  intreccio  miceliale  assai  depresso,  con 
margini  più  o  meno  frastagliati,  di  forma  sferica  od  ellittica, 
e  col  centro  che  si  fa  glauco,  mentre  si  estendono  con  assai 
rapidità.  A  questo  rivestimento,  che  devesi  al  Pente,  digitatum, 
^  ne  tiene  dietro  un  altro,  che  si  fa  pure  precedere  da  un  fetro 
bianco,  che  in  seguito  doventa  di  un  color  caffè  chiaro  che  va 
fino  al  tabacco  cupo.  Se  i  frutti  si  tengono  in  un  luogo  asciutto 
prende  il  predominio  il  rivestimouto  glauco;  se  in  camere  umide 
tutti  i  limoni  vengono  ricoperti  dalle  fruttificazioni  dell' ^^p. 
niger  o  Sterigmatocystis  nigra  v.  Tiegh. .  Altre  piccole  aree  ven- 
gono occupate  da  ifomiceti  di  vario  colore  come  violaceo-cupo, 
ochraceo,  roseo  etc,  ed  altri  fungilli  si  sovrappongono  ai  primi, 
ma  di  ciò  in  altra  occjisione,  poiché  conviene  procedere  alla 
descrizione  specialmente  di  quelle  specie,  che  non  sono  cono- 
sciute come  a^umicole. 


322  0.  GASPBRm 

Non  appena  sottoposto  air  osservazione  microscopica  qH^ 
rivestimento  color  caflFe  cupo,  ci  accorgemmo  trattarsi  di  «Ut 
assai  diffusa  Sterigmatocystis.  Questo  genere  fu  istituito  da  Gramet 
nel  1859  per  un  fungo  che  il  medesimo  trovò  nel  condotto  au- 
ditivo di  un  sordo,  fìmgo  da  lui  medesimo  appellato  8t.  unta- 
custica.  Fresenius,  nel  1863  aggiunse  a  questa  specie  la  Si.  sut- 
phureaj  rinvenuta  negli  escrementi  del  Lucherino  {FringUla 
spinus  Linn.),  e  nel  1877  Ph.  V.  Tieghem  vi  portò  un  latino  con»- 
tributo  di  nuove  specie,  cominciando  dall'  avvertire  che  il  suo 
Asp.  niger  aveva  le  basidi  ramificate  (  sterigmi  ),  particolarità 
forse  sfìiggita  allo  stesso  De  Bary,  il  quale,  seguendo  il  prc^rìo 
metodo  di  denominazione,  chiamò  il  suddetto  Asp.  niger,  Eu^ 
rotium  nigrum. 

È  appunto  a  questa  specie  che  abbiamo  creduto  dover  riferire 
il  Gingillo  in  esame,  nonostante  alcune  interessanti  particolarità 
che  ci  hanno  indotto  a  modificarne  le  diagnosi  e  a  dame  una 
nuova  descrizione. 

Appoggiando  le  opinioni  di  alcuni  valenti  micologi  crediamo, 
per  le  ragioni  che  saranno  esposte,  non  doversi  accettare  il 
genere  istituito  da  Cramer. 

Aspergillus  niger,  V.  Tieghem. 

(Ann.  d.  se.    nat.  V.  Sér.   pag.  240,    1867.    e   t.  Vili,    fig.  3.   1869). 

A.  Wilhelm  (Beitr.  zur  Kenntn.  der  Pilzgattung  Asp.  1877).  Winter 

(Krjptogamen-flora.  Filze.  14  Lief.  1884). 
Syijon.:  Sferi/jmatoct/stis  nigni  V.  Tiegh.  (Bull.  soc.  Bot.  d.  Frane.  1877). 
Bain.:  (Bull.  soe.  Bot.  Fr.  t.  I,  pag.  30,  fig.  4).  Saec.  SjU.  fung.  Voi.  IV, 

pag.  75,  1886). 
Sterigmatocystis  autacustica  Cramer  (in  Vierteljahi'ssehrift  d.  naturf.  Ges. 

zu  Ztlrieh,  1859  u.  1860). 
Etirotium  nigrum  de  Bary  (Beitrage  III,  pag.  21,  1870). 
?  Monilia  puUa  Pers.  (Synops.  pag.  692) . 
Exsieee.:  Rabh.  Fungi  europ.  685,  2136,  2363,  Thumen.  Mycoth.  1178. 

Hyphis  fertilibus  ereetis,  ^/2-4  mm.  longis,  10-16  \3.  diam.,  erasse  tuni- 
eatis,  simplieibus,  hyalinis,  apice  vesieuloso  inflatis  ;  yesieula  sphae- 
roidea,  undique  basidiophora  ;  basidiis  radiantibus,  eonfertis,  decolo- 
ribus  V.  fuseis,  omnino  teetis,  14-50  [x  longis,  2-6  (j.  crassis;  apice  2-d 
sterigmata,  sed  piurimum  tria  gerentibus,  obclavata,  8  [i..  long.  3  |i. 
cr.;  conidiis  initio  hyalinis,  levibus,  p»>rfecte  sphaericis,  2-3  jjl  diam., 


àOPKk  UN  NUOVO  MORBO  CHE  ATTACCA  I  LIMONI  feCC.  3à3 

yeirruculosis  y.  cnstatis,  louge  catenulatis,  non  contiguis  sed  pedicellis 

tenuissimis  connexìs. 
liabiM  in  fructibus    Citri    Limonum  et  in  firuct.    putrescentibus   auran- 

tiarum;  in  dilutìs  gallis,  in  solutione  tannica,  saccharina,  citrica,  tar- 

trica  etc;  in  pane  udo,  in  urina  acida,  in  foliis  deiectis  in  Gallia  et 

Germania,  in  seminibus  coctis  Zeae  Maydis,  Phaseoli  vulgaris,  Solani 

tuberosi  etc. 
Sclerotia,  sec.  Wilhelm,  diametro  vario,  globosa  v.  tuberosa,  v.  cylindrica, 

pterunque  hic  inde  rimis  instructa,  pallida,  in  fuscum  v.  rufum  vergentia. 

\  e<Hiidi  di  queata  specie,  di  cui  Jules  Raulin  (^)  dà  inesatta 
%]ar9(,  soao  descritti  da  V.Tiegheni,  Wilhelm,  Saccardo  e  Bainier 
Q(HKke  verruculosis;  non  mi  resulta  che  alcuno  faccia  menzione 
se  si^no  o  no  contigui. 

Osservando  attentamente  le  lunghe  coroncine  dei  conidi,  si 
vede  che  sono  tenute  insieme  da  sottili  pedicelli,  ialini,  nelle 
parti  più  giovani,  foschi,  se  si  trovano  fra  quei  conidi  che  hanno 
già  rai^iunta  la  completa  maturazione.  Questi  tenuissimi  pe- 
diceUJL  sono,  cilindrici  e  della  lunghezza  di  1  a  2  |i.. .  I  conidi 
adulti  sono  eguali  fra  di  loro  e  presentano  la  forma  di  una 
sferai  con  V  equatore  normale  al  pedicello.  Quanto  all'  episporio, 
mentre  lo  si  trova  fornito  di  rilievi  sparsi  od  isolati,  normal- 
mente invece  le  punte  o  verruche  fiise  V  una  con  V  altra,  o 
riunite  molto  da  vicino  in  modo  da  scomparirne  il  limite  e  di- 
sposte in  serie,  mi  hanno  presentato  l'aspetto  di  creste  a  mar- 
gine libero  assai  regolare  e  con  le  estremità  convergenti .  alle 
inserzioni  dei  pedicelli.  Tali  rilievi  longitudinali  vengono  bene 
distinti,  e  per  essere  più  fortemente  colorati  in  bruno,  e  per 
r  aspetto  che  prende  una  spora  isolata,  che  mostri  di  faccia  il 
punto  di  attacco  con  le  contigue.  Queste  particolarità  devono 
il  loro  interesse  al  grado  di  importanza  che  hannOri  conidi  nella 
determinazione  degli  ifomiceti  in  generale.  Perciò  che  spetta 
al  gen.  Aspergilhis.  e  Sterigmatocystis  (Cramer)  si  è  visto  variare 
in  uà  buon  numero  di  specie,  a  seconda  degli  agenti  fisici  e 
chimici,  e  più  specialmente  per  V  umidità  e  pel  calore,  la  lun- 
ghezza delle  ife  fertili,  V  ampiezza  del  loro  rigonfiamento  apicale, 
19.  lunghezza  delle  basidi,  il  numero  degli  sterimmi,  ed  im  poco 

(*)  Raulin   —  Éttides  ckimiques  sur  la  veffeiaticn,   Ann   dea  se   nat  5.®  lérie, 
Bot  1869,  t.  7,  fig.  3»  f. 


324  0.    GASPEBINI 

anche  le  loro  dimensioni,  senza  però  che  i  conidi  di  una  data 
specie  abbiano  subito  siffatte  modificazioni  da  non  essere  rico- 
noscibili; e  ciò  anche  nei  casi  in  cui  V  aspetto  delle  singole 
specie  era  variato  molto  notevolmente.  E  come  è  difficile  rin- 
venire in  una  cultura  due  ife  fertili  bene  sviluppate  eguali  fi^ 
di  loro  in  tutte  le  loro  parti,  altrettanto  è  assai  costante  la 
uguaglianza  dei  conidi  maturati  sia  per  le  dimensioni  che  per 
le  particolarità  dell'  esosporio.  Esaminiamo  intanto  lo  sviluppò 
di  quelli  appartenenti  all'^.  niger. 

Prendendo  delle  spore  da  una  cultura  che  conti  almeno  4 
o  5  giorni  e  collocandole  in  camere  umide  su  porta  oggetti  ap- 
positamente preparati,  che  offrano  cioè  substrati  di  varia  natura, 
come  gelatina,  acqua  zuccherata  etc,  con  precedente  steriliz- 
zazione, germinano  dopo  8  a  10  ore.  Il  loro  protoplasma,  au- 
mentando in  volume  per  V  assorbimento  dell'  acqua,  fa  sì  che 
r  esosporio,  sebbene  assai  ispessito,  si  fenda  irregolarmente  in 
un  punto  qualunque  della  sua  superficie  per  dare  adito  all'  eso- 
sporio di  emettere  i  tubetti  cilindrici,  incolori,  a  parete  molto 
sottile,  ripieni  da  un  protoplasma  molto  finamente  granuloso, 
i  quali  costituiscono  il  promicelio.  I  filamenti  anfigeni,  da  prima 
semplici,  cominciano  ben  presto  a  mandare  delle  gemme  laterali 
a  distanza  piuttosto  breve,  le  quali,  successivamente  accrescen- 
dosi, si  ramificano  e  si  intersecano  ad  angoli  molto  acuti,  in 
modo  che  sulla  gelatina  ci  appariscono  ad  occhio  nudo  delle 
impronte  circolari. 

I  setti  propri  di  questo  micelio  compariscono  un  po'  tardi 
e  con  irregolarità.  Dopo  24  ore  dai  filamenti  orizzontali  descritti 
si  vede  sorgere  dei  rami  verticali  od  ife  fertili  assai  più  grosse 
dei  primi.  Esse  hanno  pareti  da  prima  sottili,  protoplasma  gra- 
nuloso ed  abbondante,  e  una  forma  leggermente  clavata.  A  mi- 
sura che  aumentano  in  lunghezza  le  pareti  ispessiscono  e  si 
fanno  più  rigide;  si  mantengono  per  tutta  la  loro  vita  semplici, 
ed  incominciano  a  rigonfiarsi  all'  apice  dove  il  protoplasma  si 
addensa.  Quando  il  rigonfiamento  ha  raggiunto  presso  a  poco 
la  forma  sferica,  protrudono  alla  sua  superficie  convessa  delle 
cellule  ialine  ed  a  parete  sottilissima,  che  si  accrescono  con 
molta  rapidità.  Esse  non  sono  contigue  ed  irraggiano.  Manten- 
gono fisso  il  diametro  alla  loro  origine,  mentre  in  alto  si  slar- 
gano e  pel  mutuo  contatto  si  comprimono  un  poco,  specialmente 


SOPRA  UN  NUOVO  MORBO  CHE  AtTACCA  I  LIMONI  ECC.  325 

se  appartenenti  ad  una  cultura  rigogliosa  giunta  a  completo 
sviluppo.  Air  apice  di  queste  cellule,  che  sono  le  basidi,  compare 
assai  precocemente  un  sottile  e  breve  peduncolo,  che  vien  tosto 
accompagnato  da  altri  laterali,  alla  cui  sommità  si  presenta  un 
piccolo  rigonfiamento  che  va  a  costituire  la  prima  spora.  I  conidi 
adunque  possono  comparire  prima  che  gli  sterimmi  abbiano  rag- 
giunto lo  sviluppo  loro  proprio,  come  si  può  vedere  in  altri 
Aspergini,  eppure  essere  visibilmente  distinguibili  dagli  sterimmi 
stessi  che  si  attenuano  bruscamente  al  di  sotto  del  rigonfia- 
mento apicale  delle  sporule.  A  proposito  del  luogo  di  origine 
delle  basidi  è  duopo  non  lasciar  passare  una  particolarità,  che 
è  più  o  meno  manifesta  in  tutti  gli  Aspergini.  Se  si  denuda 
un  rigonfiamento  delle  ife  fertili  già  adulte  in  modo  che  rimanga 
privo  delle  basidi  che  lo  ricuopronp,  vi  si  scorgo  una  diversa 
refrangenza  la  quale  ci  fa  avvertire  una  scultura  assai  elegante. 
Si  vedono  cioè  degli  anelli  chiari,  risultanti  da  un  ispessimento 
della  membrana  esterna  della  vessicula,  dal  centro  d'  ognuno  dei 
quali  sorgono  le  basidi.  Quando  queste  hanno  cessato  di  accre- 
scersi, è  allora  che  succede  la  massima  produzione  dei  conidi. 
Questi  si  dispongono  in  lunghe  corone  irraggianti,  le  quali,  o 
sono  riunite  fra  di  loro  in  piccoli  mazzetti,  ed  allora  il  capitulo 
si  presenta  sferico,  o  costituiscono  due  o  più  fascetti  conidiali 
di  tali  dimensioni  da  potersi  scorgere  appena  ad  occhio  nudo, 
ed  i  capituli  in  questo  caso  prendono  un  aspetto  stellato. 

Quanto  alle  proprietà  di  questo  fimgillo  e  così  noto  il  fatto 
che  esso  sdoppia  il  tannino  in  acido  gallico  e  glucosio  (^),  che  sa- 
rebbe inutile  passare  in  rivista  le  nostre  ricerche  che  lo  confer- 
mano. Della  sua.  azione  patogena  o  meno  sugli  animali  ne  sarà 
tenuta  parola  in  un'  altra  occasione.  Secondo  U.  Gayon  (^)  inter- 
vertisce  lo  zucchero  di  canna  allo  stesso  modo  del  Penicillium 
crustaceum.  Alle  belle  ricerche  instituite  da  J.  Raulin  (^)  sulla 
vegetazione  di  questo  ifomiceta  sarebbe  stato  opportuno  aggiun- 
gerne altre  conscementi  V  acido  citrico  ;  ma  avendo  dovuto  ef- 
fettuarle con  mezzi  non  troppo  adatti,  mi  limito  ad  accennare 

(0  Ph.  V.  Tieghem  —  Sur  la  fermentation  gallique  -  Ckxnptes  rendus,  1867, 
T.  LXV. 

(*)  U.  Oayon  —  De  la  fermentation  alcoolique  du  sucre^  de  canne  par  les 
ìuoisissures.  Compi,  rend.  de  PAc.  d.  Sciea.  T.  86,  1878.  p.  52-54. 

(•)  ioc.  cit. 


326  0.  GASPERINI 

che  esso  acido,  aggiunto  in  piccole  proporzioni  (2  per  100)  ai 
vari  substrati,  ne  agevola  lo  sviluppo  e  si  ottengono  culture 
rigogliose.  Le  mie  indagini  sono  imperfette  anche  relativamente 
alle  fruttificazioni,  non  essendomi  per  ora  caduta  sott'  occhio 
che  la  forma  conidiale. 

Del  resto  la  forma  ascofora  h  nota;  e  le  descrizioni  avute 
non  lasciano  dubbi  suU'  affinità  del  gen.  Sterigmatocystis  Cram. 
col  gen.  Aspergillus.  Allo  stesso  dott.  F.  Morini  *  parrebbe  più 
opportuno  ritenere  un  unico  genere,  che  rappresenti  per  una 
parte  un  unità  di  tipo  nella  forma  gonidiale,  per  V  altra  un'  unità 
di  tipo  nella  forma  ascofora  „  (^).  A  questo  proposito  sono  da 
prendersi  in  molta  considerazione  le  opinioni  di  V.  Tieghem, 
cui  spetta  il  merito  di  avere  per  primo  riconosciuto  quanto  fos- 
sero vicini  i  suddetti  generi,  che  in  realtà,  come  vedremo  anche 
in  seguito,  non  possono  considerarsi  separatamente. 

Aspergillus  violaceo-fuscus,  sp.  nov. 

Efifusus  ;  hyphis  sterilibus  ramosis,  septatis  ;  fertilibus  erectis,  simplicibus, 
continuis,  cylindraceis,  hyalinis  12-18  \i.,  diam.;  circa  2  mm.  altis, 
apice  vesiculoso-inflatis:  vesicula  sphaerica  42-51  \l.  d.  ;  basidiis  ra- 
diantibus,  cilindrico-conoideis  6-8  |i.  long,  apice  3  ji.  cr.;  sterigma- 
tibus  simplicibus,  cilindricis  v.  piriformibus  2-4  tx.  long.;  conidiìs 
ovoideis  3.26  —  5  =  5  —  6.5,  primo  hyalinis,  dein  violaceo-fiiscis,  ver- 
ruculosis:  capitalo  integro  usque  95  \i.,  diam.  Sclerotia  ignota. 

Hab,  in  fìructibus  Hesperidearmn,  in  dilutis  gallis,  in  solutis  tannino, 
saccharo,  acido  citrico;  in  seminibus  coctis  Zeae  maydis  aliisque  sub- 
stantiis  yegetalibus. 

Questa  specie,  che  ho  ripetutamente  seminato  e  coltivato  in 
substrati  di  varia  natura,  e  principalmente  sul  riso  cotto  e  sulle 
miscele  nutritizie  proposte  da  Pasteur  e  Koch,  mostra  proprietà 
fisiologiche  poco  dissimili  da  quelle  della  precedente.  Determina 
la  fermentazione  gallica,  resiste  in  liquidi  ove  si  trovino  leggiere 
tracce  di  solfito  sodico,  acido  ossalico;  vegeta  rigogliosamente 
sugli  aranci  e  sui  limoni  posti  a  frammenti  in  camere  umide; 
negli  infilai  di  noce  di  galla  variamente  concentrati;  presenta 

(')  P.  Morini.  —   Ricerche  sopra  una  specie  di   Aspergillus.  (Tav.  II).   Mal- 
pighia.  Anno  I,  fase,  l.o  p.  ^4-31. 


SOPRA  UN  NUOVO  MORBO  CHE  ATTACCA  I  LIMONI  ECC.  327 

insomma  una  notevole  adattabilità  alle  diverse  condizioni  di 
vita  cui  è  stata  sottoposta,  mantenendo  i  suoi  caratteri  abba^ 
stanza  fissi.  Lo  sviluppo  dell^  sue  spore  non  presenta  nulla  che 
meriti  speciale  descrizione  effettuandosi  come  nel  caso  della  St. 
nigra.  Il  suo  micelio  è  settato.  Le  ife  fertili  erette,  sprovviste 
sempre  di  setti,  leggermente  ricurve  alla  base,  con  pareti  ispes- 
site, si  presentano  ialine  nelle  prime  fasi  di  sviluppo.  In  seguito, 
quando  cioè  comincia  a  cessare  V  attiva  produzione  dei  conidi, 
e  neir  intemo  de'  filamenti  fertili  si  vede  ridursi  di  volume  e 
perdere  la  refrangenza  il  cilindro  protoplasmatico,  già,  interrotto 
spesso  in  vari  punti,  questo  cilindro  e  le  pareti  stesse  si  fanno  a 
poco  a  poco  di  un  giallo  verdastro  cupo.  H  loro  rigonfiamento  api- 
cale  prende  una  forma  assai  regolarmente  sferica  ed  è  tutto  rico- 
perto dalle  basidi,  che  sono  semplici,  incolore,  raggianti,  stipate, 
cilindriche  da  prima,  quindi  cilindrico-coniche  o  davate.  Quelle 
che  si  trovano  sullo  stesso  rigonfiamento  sono  per  lo  piti,  tutte 
eguali;  e  nei  casi  di  vegetazione  rigogliosa  si  comprimono  un  pò*  fra 
di  loro  nella  parte  più  espansa.  Superiormente  la  loro  parete  si 
inspessisce  un  poco  e  si  continua  con  quella  del  sottile  sterimma, 
alla  cui  sommità  si  generano  le  spore.  La  lunghezza  e  la  forma 
dello  sterimma  variano  a  seconda  dello  stadio  in  cui  si  sorprende 
le  spore  in  formazione,  poiché  queste  non  hanno  alcun  limite  che 
possa  morfologicamente  distinguerle  dagli  sterimmi  stessi  in  tal 
caso  rudimentali.  In  questa  specie,  come  nelle  altre,  accade  os- 
servare i  diversi  gradi  di  sviluppo  od  i  termini  di  passaggio  fra 
lo  sterimma  appena  visibile,  per  essere  confuso  con  le  spore 
giovanissime,  e  quello  bene  distinto  dal  conidio  già  formato; 
ed  è  in  questa  specie  che  le  basidi,  in  condizioni  di  vita  molto 
favorevoli,  accennano  alla  pluralità  de'  propri  sterimmi.  Il  nostro 
microfita,  da  non  potersi  riferire  a  nessuno  di  quelli  descritti  fra 
gli  Erotium  sec.  V.  Tiegh.  (^)  ha  i  conidi  contigui  e  disposti  a 
catenella.  Essi  sono  come  nell'J..  niger,  ialini,  lisci,  da  prima; 
quindi  il  loro  episporio  comincia  a  rivestirsi  di  verrucosità,  di- 
sposte irregolarmente  e  colorite  in  bruno-violaceo.  È  per  questo 
colore  che  si  distingue  dalle  altre,  e  che  si  riconosce  a  colpo 
d'  occhio  se  essa  vegeti,  si  estenda  o  no  in  un  dato  mezzo  nu- 


Q)  Ph.  V.  Tieghem    —    Sur  le  développem&nt  de  quelques  ascomi/ceies.    Bull, 
la  80C.  bot  de  France.  T.  XXIV,  p.  203.  1877. 

8e,  Noi.  Voi.  Vm,  fase.  2.°  24 


328  0.    GASPERINI 

tritivo  :  però  in  qualche  caso  c^  è  da  confonderla  con  V  Asp. 
descritto.  Il  suo  mutar  di  colore,  da  più  cupo  a  più  chiaro,  mi 
è  risultato  collegarsi  con  le  condizioni  di  vegetazione. 

Trattandosi  di  Asp.  ^  fuscescentes  „  e  di  St.  ^  nigricantes  „  col- 
tivati in  substrati  poco  propizi  ed  in  un'  ambiente  poco  umido, 
hanno  presentato  colori  più  chiari  e  smorti.  Nelle  culture  ri- 
gogliose i  colori  si  sono  fatti  più  vivi  e  cupi.  Mentre  Y  Asp. 
niger  colora  V  alcool  in  giallo  bruno  e  resiste  molto  nella  lotta 
per  l'esistenza,  trovandosi  al  contatto  di  vari  ifomiceti  {Perde, 
digitatum,  Trichothecium  roseum,  T.  candidum,  Asp.  davatuSf 
A.  glaucus)  e  più  specialmente  del  Penicillium  parasiticum  che 
però  r  uccide,  la  presente  specie  non  si  scolora  nell'  alcool  ed 
oppone  molto  minore  resistenza  singolarmente  al  parassitismo 
del  suddetto  Pente.,  che  descriveremo  quanto  prima. 

Mi  è  nota  soltanto  la  fruttificazione  conidiale. 

Aspergillus   elegans,  sp.  n.? 

Synon.?  Aspergillus  ochraceus  Wilhelm  (Beitr.  zur  Kenntn.  Aspei^illus. 
pag.  66. — Kryptogamen  Flora-Pilze  von  Dr.  G.  Winter.  pag.  63-1884). 
?  Aspergillus  ochrdeucus  Haller  (Enum.  method.  pag.  6).  ?M(milia 
ochrdeuca  Gmelin  (in  Linné,  Syst.  nat.  II,  2.  pag.  1487).  ?  Monilia 
sulphurea  Pers.  (Synops.  pag.  691) .  ?  Sterigmatocystis  sulphurea  Fre- 
senius  (Beitràge  pag.  83).  ?  S.  lutea  v.  Tieghem  (Bull.  Soc.  Bot. 
Frane.  1877,  pag.  103).  ?  S.  lutea  Bainier  (Bull.  Soc.  Bot.  Frane. 
1880,  pag.  30). 

Exsce.:  Rabh.,  Fungi  europ.  784?,  2361, 

Myeelio  albo,  repente;  hyphis  fertilibus  erectis,  continuis,  simplieibus, 
primum  hyalinis  demum  dilute  oehraceis  atque  tenuissime  epiguttu- 
latis  1-6  mm.  longis,  5-10-12  |x.  diam.,  in  vesieulam  sphaericam  usque 
ad  70  (JL.  diam.  dilatatis;  basìdiis  radiantibus,  eonfertis,  elavulatis, 
omnino  vesicae  superficiem  tegentibus,  4-26 |x.  longis;  sterigmatibus  2-6, 
sed  plerunque  tria  7-14  |x.  longis  1-2  |x.  erassis;  eonidiis  e  sterigma- 
tum  apiee,  varie  protracto,  oriundis,  inferioribus  ovoideis  v.  sphaeroi- 
deis,  hyalinis,  caeteris  perfeete  sphaericis  3-3.  5  (i.  diam.  numerosis, 
episporio  tenuissime  verruculoso,  aequalibus,  eontiguis,  oehraceis; 
eapitulo  integro  20-130  (i.  diam.,  ochraceo.  Sclerotia  ignota. 

Habitat  in  fruetibus  putrescentibus  Citri  Limonum,  in  pane  udo,  in  se- 
minibus  coctis  Zeae  maydis  L.,  Phaseoli  vulgaris,  Solani  tuberosi  et 
in  solutis  yariis. 


SOPRA  UN  NUOVO  MOftBO  OHE  AtTACCA  I  LIMONI  ECC.  329 

An  diflfert  ab  hac  S.  lutea  v.  Tiegh.  *  conidiis  ochraceo-flavis  » ,  S.  lutea 
Bain.  *  conidiis  levibus  6-5  |x.  diam.  , ,  Asp.  ochraceus  K.  A.  Wilhelm 
**  conidia  globosa,  raro  ovalia  (diam.  3.  5-5  (jl.),  episporio  tenuissime 
verrucoloso,  decolore  v.  flavescente  »  ? 

Per  ciò  che  riguarda  la  St  lutea  V.  Tiegh.,  non  vi  sono  dati 
diagnostici  per  potere  stabilire  in  ciò  che  realmente  differisca 
dalla  nostra  ;  ed  è  per  questo  che  V  illustre  micologo  Saccardo 
(^  la  identica  domanda,  in  che  cosa  cioè  differisca  da  quella  di 
V.  Tieghem  la  St  lutea  Bain.,  di  cui  riporta  la  diagnosi  (^):  ed 
è  forse  per  la  medesima  ragiono  che  Wilhelm  mette  in  dubbio 
che  YAsp.  ochraceus  da  luì  descritto,  e  successivamente  ram- 
mentato da  V.  Tieghem  e  Cornu  come  St.  ochracea  (^),  sia  una 
specie  nuova. 

E  manifesto  però  che,  se  le  specie  sopra  enumerate  non  si 
possono  distinguere  dair^.  elegans  per  il  colore  o  per  qualche 
altro  carattere,  come  questo  di  poca  importanza  per  la  sua  va- 
riabilità, specialmente  in  alcune,  i  conidi  della  nostra,  sempre 
eguali  fra  di  loro,  ne  differiscono  per  le  dimensioni.  Perciò  ritengo 
che  forse  nessuna  delle  specie  dai  micologi  descritte,  o  nel  gen. 
Aspergillus  Michel,  o  nel  gen.  Sterigmatocystis  (Cramer)  possano 
essere  confuse  con  la  presente.  Ma  non  nascondo  la  convinzione 
che,  mentre  a  stabilire  una  specie  nuova  sono  provvisoriamente 
sufficienti  i  caratteri  della  sola  forma  conidiale,  è  però  neces- 
saria la  conoscenza  delle  altre  forme  di  finittificazione,  le  quali 
ridurranno  nei  giusti  limiti  il  numero  dei  funghi,  come  questo, 
incompletamente  conosciuti. 

Il  nostro  microfita,  forse  il  più  bello  ed  elegante  fra  gli 
Aspergini,  forma  dei  rivestimenti  continui  che  dal  color  bianco 
vanno  fino  all'  ochraceo  spiccante,  passando  per  tutte  le  grada- 

(*)  Sylloge  fung.  cit.  p.  73. 

(«)  Wilhelm  —  (Inaugurai  Dissertetioa  Strassburg  -  Bot.  Jahresb.  1877)  del 
genere  Asp.  fa  due  sezioni:  Sectio  1.  €  Stipites  conidiferi  sterigmatibus  simplicibus » , 
ed  in  questa  pone  V  Asp.  flavus  Brefeld,  e  Y  Asp,  clavatus  Desmaziéres.  Sectio  li: 
€  Stipites  conidiferi  sterigmatibus  ramosis,  vesica  terminali  globosa»,  ed  in  questa 
seconda  sezione  descrive  V  Asp.  nifier  V.  Tieghem;  Y  Asp.  ochraceus  n.  sp.  (?),  e 
Y  A,  albus.  È  quindi  naturale  che  V.  Tieghem  {Remarques  sur  les  genres  asperp : 
e  ster,  à  propos  d*  un  récent  memoire  de  M.  Wilhem.  Bull,  de  la  soc,  Bot  Frane. 
T.  XX IV.  p.  208  cit.)  ponga  nella  sua  classif.  la  sp.  suddetta  come  St.  ochracea. 
Cornu  (loc.  sup.  cit.  p  210)  dice  averla  rinvenuta  su  certe  piante  imballate  prima 
di  disseccare,  che  gli  furono  inviate  dalla  Corsica.  Parrebbe  una  specie  assai  difTusa. 


330  0.  OISPERÌKI 

adoni  intermedie  col  traacorre  del  tempo.  Lo  rinvenni  per  la 
prima  volta  sui  limoni  ammalati  già  in  parte  ricoperti  dal 
Pente,  cmstaceum,  dal  Trichothecium  roseum  Link  e  dalle  altre 
muffe  descritte.  Tenendo  dietro  al  suo  sviluppo  in  uno  dei  mol- 
tissimi substrati,  dove  ne  ho  eseguite  le  culture  (circa  40),  cioè 
sulla  gelatina  pura  o  commista  a  zucchero  etc.,  si  vede  le  sue 
spore  gonfiarsi,  fendersi,  come  di  solito  avviene,  ed  emettere 
un  promicelio  con  decorso  anfigeno.  Dopo  20  o  24  ore  dalla 
sementa  dei  conidi,  la  superficie  della  gelatìna  mostra  degli 
avvallamenti  circolari,  confluenti,  isolati  o  comunicanti  ira  di 
loro,  a  seconda  del  metodo  seguito  per  la  sementa  stessa.  Ha 
r  aspetto  cioè  di  una  superficie  piana  plastica  sulla  quale  sieno 
state  fatte  delle  impressioni  a  varia  distanza  con  un  corpo  ro- 
tondo. Osservando,  con  V  aiuto  di  una  semplice  lente  d' ingran- 
dimento, queste  depressioni  circolari  del  diametro  di  2  a  4  mm. 
circa,  dal  centro  delle  medesime  si  vede  sorgere  un  ciuffetto 
di  ife  fertili;  ed  alla  loro  base  irraggiarsi  un  numero  conside- 
revole di  filamenti  sterili,  essendo  questi  i  punti  dove  le  spore 
son  cadute  ed  hanno  germogliato.  Dopo  48  ore  circa  le  de- 
pressioni circolari  non  si  rinvengono  più,  e  la  superficie  della 
gelatina  è  invece  ricoperta  da  un  numero  grandissimo  di  ife 
fertili  quasi  verticali,  che,  se  seminate  in  un  sol  punto,  costi- 
tuiscono una  rosetta  di  colore  ocraceo  nel  centro,  il  qual  colore 
è  dovuto  ai  capituli  conidiofori  adulti.  All'  intomo,  mentre  questi 
vanno  sempre  diminuendo  di  volume  perchè  vi  si  trovano  i  più 
giovani,  dal  colore  paglierino  si  passa  insensibilmente  al  bianco 
delle  ife  nei  primi  stadi  di  sviluppo.  Se  queste  si  studiano  al 
microscopio,  specialmente  valendoci  delle  rigogliose  culture  quali 
si  ottengono  sul  riso  cotto  in  camere  umide,  si  nota  manifesto 
che  il  loro  modo  di  comportarsi  nelle  prime  fasi  non  differisce 
in  nulla  da  quello  proprio  agli  Aspergini  in  genere. 

Il  filamento  fertile,  ricco  di  protoplasma  granuloso,  si  ac- 
cresce con  molta  rapidità,  ed  il  suo  rigonfiamento  apicale,  for- 
matosi a  grado  a  grado,  perde  sempre  più  la  forma  clavata 
per  avvicinarsi  alla  sferica.  Allora  la  superficie  della  vessicola 
incomincia  a  rivestirsi  di  cellule  ialine,  cilindriche,  dette  basidi. 
Queste,  prima  di  raggiungere  il  completo  sviluppo,  emettono 
alla  loro  estremità  libera,  nel  maggior  numero  dei  casi,  un*  unica 
gemmetta  ialina^  la  quale  si  accresce  e  termina,  colla  inter- 


SOPBA  UN  NUOVO  UGRUO  '<ÌHÈ  ATTACCA  I  LIMONI  ECC.  381 

posizione  di  un  tenue  tratto  (sterìmma),  in  un  rigonfiaménto 
con  Spiccata  refrangenza,  il  quale  costituisce  la  prima  spora. 
Incotaincia  in  tal  caso  la  produzione  dei  conidi  prima  che  le 
basidi  si  sieno  ramificate;  ma  ciò  va  soggetto  a  numerose  ec- 
cezioni, riscontrandosi  delle  basidi  con  3  gemme  ben  distinte, 
&;enza  che  alcuna  abbia  incominciato  a  mostrare  il  suo  potere 
sporigeno. 

Prevalentemente  però  mentre  il  primo  sterìmma  genera  la 
prima  spora,  ai  suoi  lati  si  trovano  gli  sterimmi  laterali  in  nu- 
mero per  lo  più  di  due.  Questi  presentano  forme  diverse  a  se- 
conda dello  stadio  in  cui  si  sorprendono  i  conidi  giovanissimi. 

Il  riscontrare  in  alcune  basidi  da  2  sterimmi  (^)  fino  a  6 
e  7,  mentre  da  un  lato  deve  riferirsi  all'  età,  va  attribuito  più 
che  altro  alle  condizioni  di  vita  e  di  nutrizione.  A  queste  devesi 
pure  la  incostanza  e  spesso  la  notevole  differenza  nelle  dimen- 
sioni delle  ife  fertili,  del  rigonfiamento  terminale,  delle  basìdi 
e  degli  sterimmi,  non  che  la  maggiore  o  minore  attività  spo- 
rigena  di  quest'  ultimi.  Le  ife  fertili,  da  prima  ialine,  nel  rag- 
giungere il  completo  sviluppo  si  colorano,  presentano  una  parete 
assai  inspessita,  ed  alla  loro  superficie  esterna,  mentre  il  cilindro 
protoplasmatico  intemo  è  ridotto  di  volume  o  scomparso,  sì  ri- 
vestono di  gocciolette  piccolissime  di  sostanza  oleosa,  le  quali 
disposte  regolarmente  ed  uniformemente,  sembrano  a  prima 
vista  tenui  verrucosità.  Anche  in  questa  specie,  coltivata  in 
condizioni  favorevoli,  si  ha  la  disposizione  delle  lunghe  catenelle 
conidiali  in  grandi  fasci,  i  quali  o  si  distribuiscono  elegante- 
mente a  verticillo,  o  costituiscono  un  bel  capolino  sferico  con 
qualche  fenditura,  fino  a  misurare  ^/a  e  più  di  mm.*  di  diametro. 
Mentre  non  si  adatta  a  vegetare  su  tanta  varietà  di  substrati 
come  r^.  niger,  è  però  più  di  questa  specie  capace  di  vivere 
lungamente,  per  la  durata  della  produzione  delle  spore  e  per 
la  notevole  persistenza  in  queste  del  potere  germinativo.  E  se 
ci  facciamo  ad  osservare  delle  culture,  anche  lasciate  all' am- 
biente per  più  di  tre  mesi,  non  si  vede  che  altri  fimgìllì  sieno 
sopraggiunti  ad  inquinarle;  e  per  di  più  vi  si  riscontra  che  al- 

(*)  Si  noti  che  nel  gen.  Sterxgmatocystis  Cram.  si  da  il  nome  di  sterìmma  non 
solo  a  quella  parte  aBsottigliata  che  sostiene  direttamente  i  conidi  ma  anche  alla 
porzione  inferiore  slargata  che  negli  Aspergini  CSectio  I  Wilhelm)  si  considera  come 
baside. 


*-  Ti 


*:m#*  ^.••*  il*?   *;io»r.iiì  .nT^^-iuan  *rja  annnare  in  ma*  Edae 

j^li/^r^yulr,  .ti  v>»;i":.z;i'>»:i    ii  iiniiii'iA,  -a.':  H»  ò^rr'l  4  toiÌì^iii>  ri- 
p^/*r*  .n   >u*'V.tó  A  :i;rr*a  ie-   ««'/r7:*:.j»rAnj:f*  !asimlij-  sa  in  ae- 

'V^n   ^jM.(t\    V'Xa'.    v/*TA.rr.iir'.f:rrr:   ^npìii!;.  ■?  -HHiza.  -ine   vadano 

AiipergilItLS   cUvatns   L>e^m. 

''Artn.  -i.  ^.  r.*n.    r*^..'    '»t*r.»^.  T.  IL  p.  71.  -.  [L  ijr.  +.  I'*-^'  Wilheti& 

7  r,n^*ri;A;  r.Tph..'?  -vr...v;.^  -t^ptArL-.  hTAlir.is:  r-rnilibos  :&ssiznz«Ltì)>us. 
<?>r*fl^^i;^>sU.  f-/ixX.:,.\\h,  iAj^-y.'vL'*.  «■;4r.'i:'i>  t.  -».-.ri:'Ì»*  ilhb«,  osque  ^  mm. 
\f*x\^,.  riWxAr^k't^i^  'f-.V»  -j.  i.^rr...  *:ir-.;m  :r*nA:«—  ÌatìcL*:  baàidiis  densis. 
<'t^//^lor{N  *.-'.  a^i  10  ;;,  l'ir.ir,:  -r^r! amar ih-i-  f>rF-TÌr>-i.s:  macr«>c»>iii«liL5  sphae- 

\oui(t'<.  ff^*'  hyaliriÌH.  'rpwp'jrio  laevi.  interioribas  contigui*,  longe  cate- 
riitUti.4.  \u  r;ipifuliim  ^:l;i7Ìfonrje  roller:ti.s.  .sphaerict  t.  .stellatìm  dispo- 
«it.i.Jt.  r'?ipitiii;i  conl'Iiopjrn  gUu.ve?»oentia  v.  cinerea.  Sclerotia  ignota. 
ÌMf.  in  fruiti hijM  pijtnfH^:entiW»j.H  Hesperidearum.  in  reminibus  coctis  Zeae 
WfiytlìH  fi/,,  in  pari^;  lulo.  st^rcore  anijerino.  gallinaceo,  ecjuino.  aliisque 
(:or\HtnhììSi  piitnrH';.  in  Gallia.  Belgio.  Italia.  America  Bor. 

Qij^!Hia  Hpocje,  produttrice  di  un  numero  considerevole  di  ife 
f^?rtili  Hu  moltJHHimo  sostanze  organiche  putrescenti,  forma  dei 
riv^^MtirrHuiti  da  prima  candidi  eppoi  di  U'i  bel  colore  celeste 
pallialo  col  rriaiuran;  delle  spore.  Se  le  culture  si  eseguiscono 
HpocialrrH$nif)  in  mozzi,  noi  quali  i  principi  zuccherini  si  trovino 
in  KninHo  abbondanza,  alcune  aree  irregolari  occupate  da  questo 
lutiKillo  si  vodranno  mantenere,  per  tutto  il  loro  ciclo  vitale, 
un  coloro  liianco-spon^o  o  cenerognolo.  Così  Desraazieres  stesso, 
nnlla  sua  brovo  doscrizione  di  ((uesto  elegantissimo  fimgillo, 
diro  dm  "  formo  do  potitos  touffes  cendrées  ou  glauques  „  ed 
aKKÌiiitK<^  <'ho  **  doit  otre  placéo  h  còte  de  V  Aspergillus  glauciis, 
doni,  olio  HO  «listinguo  porfaitomont  par  la  réunion  de  ses  spo- 


SOPRA  UV  NUOVO  MORBO  CHE  ATTACCA  I  LIMONI  ECC.  333 

ridies  en  tètes  allongées  ou  claviformes  ».  Per  conto  nostro  la 
differenza  essenziale  fra  VA.  clavatus  e  1'^,  glaucus  consiste  più 
che  altro  nella  diversità  dei  conidi,  nel  primo  molto  piccoli  e 
lisci,  nel  secondo  del  diametro  trasversale  di  6-10  p-.,  longitudi- 
nale di  8-14.5  i^.,  e  per  essere  quelli  adulti  forniti  di  episporio 
verrucoso  e  inspessito.  Aggiungasi  che  1'^.  glaucus  può  avere  le 
ife  fertili  settate  e  ramificate,  e,  senza  qui  tener  conto  delle 
diverse  attitudini  fisiologiche  che  sono  proprie  del  clavatus  e  non 
del  glaucuSy  si  avrà  che  queste  due  specie  diversificano  fra  di 
loro  né  piti  né  meno  come  dovrebbe  sempre  riscontrarsi  fra 
due  buone  specie  di  uno  stesso  genere.  Le  ife  fertili  del  clavatuSj 
tanto  quelle  con  fruttificazione  glauca  che  cenerognola,  sorgono 
dal  micelio  settato  e  ialino,  presentandosi  tortuose  nel  loro 
tratto  inferiore.  Hanno  normalmente  il  diametro  di  25-40  [i.  ed 
una  membrana  non  molto  inspessita.  Il  loro  rigonfiamento  ba- 
sidifero  in  speciali  circostanze  di  denutrizione  può  mostrarsi 
sferico,  e  ricoperto  di  basidi  solo  alla  sommità.  Esse  basidi 
normalmente  cominciano  ad  apparire  nel  punto  dove  le  ife  fertili 
cominciano  a  slargarsi,  dop)  aver  mantenuto  un  diametro  quasi 
costante  per  un  tratto  che  varia  a  seconda  della  loro  lunghezza. 
Le  cellule  madri  (basidi)  vanno  mano  mano  aumentando  in  lun- 
ghezza a  misura  che  ci  si  avvicina  alla  sommità  del  rigonfia- 
mento, dove  si  osservano  le  più  lunghe  e  le  più  attive  rispetto 
alla  produzione  delle  spore.  Queste  cellule  madri  in  qualche 
raro  caso  non  costituiscono  un  rivestimento  continuo,  avendole 
viste  formare  come  una  specie  di  manicotto  nella  parte  media 
o  dove  incomincia  lo  slargamento  dell'  ifo  fertile,  e,  coli'  inter- 
posizione di  uno  spazio  anulare,  senza  vestigio  di  basidi,  ricom- 
parire air  apice  dell'  ifo  medesimo.  La  superficie  esterna  donde 
sorgono  le  cellule  madri,  osservata  con  un  forte  ingrandimento 
ci  mostra  gli  stessi  anelli  refrangenti  degli  altri  Aspergini,  qui 
però  molto  piccoli  e  ravvicinati.  Se  il  copri-oggetti  esercita  su 
questi  una  compressione  anche  leggera,  ci  apparisce  per  nor- 
male disposizione  ciò  che  non  è,  prendendo  in  questo  caso  essi 
anelli  circolari  un  aspetto  regolarmente  poligonale. 

Una  quantità  variabile  delle  spore  più  giovani  rimangono 
aderenti  e  formano  come  un  tutto  con  le  stesse  basidi,  con  le 
quali  hanno  a  comune  la  grande  facilità  di  colorirsi  con  V  eosina, 
vesuvina  etc. .  L'  ampiezza  del  rigonfiamento  basidifero,  il  dia- 


384  0.    OASPERINI 

metro  dell' ife  fertili  e  la  loro  lunghezza  variano  entro  limiti 
molto  estesi  a  seconda  del  substratum  e  delle  condizioni  fisiche. 

Poiché  questi  fungilli  hanno  da  essere  conosciuti  meglio  che 
si  può  in  servigio  di  fatti  che  hanno  il  loro  interesse  biologico, 
darò  un  cenno  dell'  azione  della  temperatura  sullo  sviluppo  di 
questa  specie.  A  0**  C.  le  sue  spore  non  germinano,  come  pure 
al  di  sopra  di  40^  C.  Il  suo  micelio  si  sviluppa  fra  5^  C*  e  38*  CA 
ìjAsp.  glaucus  sopporta  la  temperatura  minima  di  un  grado  e 
mezzo  C.*,  come  il  Penic,  glanc.y  e  queste  due  specie  sono  quindi 
più  resistenti  del  clavafus.  Come  avviene  in  generale,  le  spore 
più  resistenti  sono  quelle  che  provengono  dalle  culture  effettuate 
nelle  condizioni  di  vita  più  sfavorevoli,  ed  e  appunto  in  queste 
condizioni  che  vengono  formate  quelle  spore  sferiche,  il  doppio 
più  grandi  delle  nonnali  ellittiche,  con  episporio  più  sottile  e 
scolorato,  spore  che  abbiamo  dette  macroconidi.  Il  massimo 
della  attività  sporigena  delle  ife  fertili  si  ha  fra  i  18*  e  i  22*  C*. 
Abbassando  o  alzando  la  temperatura  diminuisce  la  resistenza 
che  questa  specie  oppone  al  Penicillium  para^siticum,  col  quale, 
se,  in  buone  condizioni,  anche  relativamente  al  substrato,  so- 
stiene una  lunga  lotta. 

La  luce  pure  spiega  un'  azione  sul  microflta  in  parola,  quale 
non  ho  potuto  verificare  nei  precedenti. 

Ho  esperimentato  con  superfici  piane  di  cultura  piuttosto 
estese,  bene  sterilizzate,  in  un  sol  punto  delle  quali  ho  poste 
le  spore  del  clavafus.  Tali  culture  le  ho  collocate  in  una  piccola 
camera  oscura,  che  funzioni  anche  da  camera  umida,  munita 
di  un  orifizio  che  lasci  passare  liberamente  all'  intemo  i  raggi 
della  luce,  e  facendo  in  modo  che  questi  cadano  in  una  linea 
che  incontri  il  punto  di  sementa  delle  spore.  Tenendo  conto 
di  questo  punto,  se  dopo  3  o  4  giorni  si  esaminano  le  culture, 
si  trova  che  la  superficie  del  substratum  è  ricoperta  da  un  bel- 
lissimo tappeto  ceruleo,  che  si  estende  soltanto  in  direzione 
della  sorgente  luminosa.  Il  micelio  e  le  conseguenti  fruttifica- 
zioni di  questa  specie  progrediscono  soltanto  verso  V  orifizio 
della  camera  oscura,  mostrando  in  tal  guisa  un  marcato  elio- 
tropismo positivo,  a  differenza  di  alcuni  miceli  che  rifiiggono, 
per  così  dire,  dalla  luce,  circostanza  questa  da  tenersi  in  molto 
conto,  specialmente  quando  si  abbiano  a  fare  delle  ricerche, 
della  natura  di  quella  di  cui  riferisco.  Basare  una  distinzione 


SOPBA  UN  NUOVO  MORBO  CHB  ATTACCA  I  LIMONI  ECC.  886 

fra  le  varie  specie,  senza  mai  trascurare  le  loro  diverse  atti- 
tudini fisiologiche,  mi  sembra  che  sarebbe  un  buon  metodo 
da  seguirsi. 

Aspergillus   variabilis.  sp.  nov. 

Hjrphis  erectis,  continuis  v.  varie  reptatis  ac  rare  ramosis,  V»-^  mm.  al- 
tis  5-16  |x.  diam.  apice  vesiculoso  inflatis;  vesicula  varia  10-60  (i. 
diam.  vel  apice  tantum  basidiophora,  basidiis  radiantibus,  6-18  (i.  long, 
simplicibus  vel  ramosis  et  usque  ad  tres  sterigmata  gerentibus  3-5  (t. 
long.  ;  conidiis  primum  laevibus,  hyalinis,  3  |x.  diam. ,  dein  viridu- 
lis  5-6.52  {JL.  diam.  sphaericis  v.  ovoideis,  laevibus  v.  tenue  verruculosis. 

Capitulo  integro  9-115  |jl.  diam.,  virens. 

Hab,  in  fruct.  putrescentibus  Herperidearun. 

An  differt  ab  hac  sp.  St.  var.  Bainier?  (Bull.  d.  la  Soc.  Bot.  Fr.  T.  XXVII, 
pag.  30.  1880). 

Se  il  fare  una  diagnosi  esatta  delle  altre  specie  è  cosa  un 
po'  malagevole,  di  questa  poi  è  diflBcilissima.  Sono  così  molteplici 
le  forme  che  presentano  le  sue  fruttificazioni  couidiali,  le  sole 
a  me  note,  che  è  pressoché  impossibile  in  una  diagnosi  com- 
prenderle tutte. 

Siccome  ora  conviene  porre  un  limite  al  già,  troppo  lungo 
esame  dei  fiingilli  comparsi  sui  frutti  alterati  dal  mìcolio  pri- 
mitivo descritto,  benché  il  presente  Asp.  sia  la  miglior  con- 
ferma (  relativa  alle  fruttificazioni  conidiali  )  per  dimostrare 
r  insussistenza  delle  Sterigmastocystis  come  un  genere  a  parte 
dagli  aspergini,  stando  il  medesimo  a  rappresentare  uno  di  quei 
termini  di  passaggio,  che  non  sono  diffìcili  fra  due  generi,  di- 
stinti solo  per  comodità  di  studio,  ne  esporremo  la  descrizione 
minuta  in  luogo  più  opportuno.  Dallo  studio  delle  sue  forme, 
ottenute  per  mezzo  della  mancata  od  esagerata  influenza  di  quei 
fattori,  che  più  modificano,  come  si  è  detto,  lo  sviluppo  di  tali 
microfiti,  si  hanno  pure  dei  criteri  abbastanza  esatti  circa  il 
valore  dei  caratteri  delle  specie  appartenenti  al  gen.  Aspergillus 
(Michel).  Rimetto  pure  ad  altra  nota  la  descrizione  di  una  lunga 
serie  di  fiingilli,  e  tuttirinvenuti  sui  limoni  ammalati  più  o  meno 
putrescenti,  fra  i  quali  interessa  il  Penic.  parassiticimi  più  volte 
citato  [micelio  sottilissimo,  settato  solo  in  prossimità  delle  frut- 
tificazioni. Sporule  ovali  od  ovato  ellittiche  1,5  =  2,26]:  il  Penic. 


^^^  Ti-    rJ 

;f^:jjt>^ro  'vv:-y:^  *ri->*:?,  jj-iJ:!.    =  4-fó':    I  P-pwir, 

V-y-i^ff.-t'  :a  j^frry^h  ó:T*rrs-  «  alcEii  dei  q^iaii  n^fs^Esecìaiiti  specie 

AliSà,  i>f;j>rr:k-fr  de;  ]liaoiJ  asmnalari-  ^be  ^«ODero  in  camere 
u/wid*:.  iio  irhf^u^nXfffnffrr.e  rirooiitrato  ima  sf-eoe  del  gen.  Sar- 
rfi/jir^/myr^Jif  «Mfrven>  e  cfa«r  app-e-lero  Sao^.  CifW,  o(m  celiale  othIì, 
ellittk'h/:  o  cilindriche,  'i^.5=  1-2  ?i  unite  in  colonie  con  Tane 
ramifi';azioriJ.  Cellule  «^p^irìfere  i^jlate  1.3  ^x>re  minotisBinie. 
Si  c/iltiva  l>erje  «-ul  «ago  di  limone  sterilizzato  e  dihiito. 


f  ^'/fXi  avere  diffusamente  decritto  ed  enumerato  una  qoantità 
wruiiderevole  di  ifomiceti.  e  tutti  rinvenuti  sui  frutti  ammalati, 
iUfU\u*Aì  dire  della  parte  che  e-ssi  hanno  avuto  nella  genesi  della 
malattia  in  dis^^irs^i,  compito  tanto  importante  quanto  difficile. 
Per  ciò  che  Hpetta  alla  natura  del  morbo,  prescindendo  dagli 
organinmi  fin*  ora  studiati  e  solo  tenendo  conto  del  suo  modo 
di  darjprr fitti,  mi  sembra  poter  dedurre  che  esso  ripete  una  causa 
paniHHiiaria.  Se  infatti  volessimo  attribuire  la  moria  dei  fìiitti 
solo  ari  una  alterazione  avvenuta  nelle  piante  affette,  sia  per 
dirMÌriuitx;  valore  alimentare  del  terreno,  sia  per  qualche  spo- 
HiariHjnio  nell'  sissimilazione  dei  materiali  nutritizi,  o  per  qual- 
che altra  causa  a  noi  ignota  e,  se  si  vuole,  tale  da  non  poter 
essere  neppure  investigata  dai  mezzi  di  cui  oggi  dispone  la 
scienza,  ma  che  però  non  esca  dall'  ordine  dell'  alterazioni  nu- 
tritizio; se  noi  infine  volessimo  ricercarne  la  causa  solo  nella 
anormale  composizione  chimica  dei  frutti  (ricerca  di  notevole 
intc^n^HHO  (^  du)  ci  duolo  non  aver  potuto  effettuare),  giunge- 
remmo soltanto  a  dar  ragione  di  un  fatto,  del  perchè  cioè  i  li- 
moni a  boschetto  vengano  sempre  attaccati  dal  male,  mentre 
({iielli  a  spalliera  ne  rimangono  costantemente  immuni;  ed  a 
siabilircì  il  grado  dell'  alterazione  che  precede  il  descritto  mi- 
colio  parassita. 

Ma  non  sapremmo  certo  come  renderci  ragione  dell'arresto 
(It^l  morbo  al  cominciare  delle  belle  giornate,  al  cessare  delle 
nobbio,  0  del  suo  ricomparire  col  ritorno  del  tempo  cattivo  ed 


\ 


SOPBA  UN  NUOVO  MORBO  CHE  ATTACCA  I  LIMONI  ECC.  337 

umido.  Non  sapremmo  comprendere  come  avvenga  che  in  una 
stessa  pianta  sieno  presi  dal  male  tanto  i  frutti  ancor  verdi  e 
piccoli,  come  quelli  che  han  già  raggiuntala  maturazione:  che 
quelli  più  nascosti  alla  luce  muoiano  con  maggiore  facilità  e 
frequenza;  e  che  i  superstiti  maturino  e  sieno  trattenuti  dalla 
pianta  presso  a  poco  come  avviene  nei  casi  normali.  Se  tutti 
i  frutti  di  tutte  le  piante,  sulle  quali  la  malattia  si  è  svilup- 
pata, fossero  caduti  ;  o  se  le  piante  stesse  ci  apparissero  patite 
per  il  mutato  colore  o  per  la  caduta  delle  foglie;  se.  qualche 
frutto  si  fosse  visto  abortire  ;  se  insomma  ci  fossimo  potuti  accor- 
gere che  le  piante  si  trovavano  in  uno  stato  di  languore,  di 
sofferenza,  non  avremmo  esitato  ad  ammettere  che  il  micelio 
primitivo,  non  che  i  fungilli  probabilmente  partecipi  all'  eziolo- 
gia, non  devono  altro  riguardarsi  che  come  accidentali  conco- 
mitanze. Ma  il  micelio,  che  sempre  accompagna  le  macule  com- 
parse d'  allora,  non  sopraggiungendo,  con  le  decomposizioni  cui 
dà  luogo  nel  parenchima  che  percorre,  ad  accelerare  la  necrosi 
di  frutti  gravemente  alterati,  o  nei  quali  i  poteri  fisiologici  sieno 
quasi  spenti,  poiché  li  attacca  mentre  potrebbero  crescere,  rag- 
giungere la  maturità  e  rimanere  sulla  pianta,  comò  presso  a 
poco  di  solito  avviene  in  individui  del  tutto  sani,  mi  sembra 
doversi  concludere  che  il  detto  micelio  esercita  un'  azione  de- 
cisamente parassitaria.  Ammesso  così  che  la  malattia  debba 
ascriversi  al  parassitismo  di  un  micelio  fungino,  in  seguito  ad 
un  complesso  di  condizioni,  prima  fra  le  quali  il  diminuito  po- 
tere fisiologico  delle  piante  a  boschetto,  rimane  da  sapersi  come 
il  micelio  stesso  penetri  nell'  intemo  dei  frutti,  e  quale  il  suo 
modo  di  conservazione  d'  anno  in  anno. 

Quanto  alla  via  per  la  quale  il  micelio  si  fa  strada  attra- 
verso r  epicarpio,  alla  cui  superficie  mai  ho  rinvenuto  la  più 
piccola  soluzione  di  continuità,  ho  già  esposta  la  mia  opinione. 
Essa  è  avvalorata  da  molti  fatti,  fra  i  quali  dal  non  avere  mai 
visto  alcun  insetto  posarsi  sui  frutti,  e  sta  in  armonia  con  le 
cognizioni  che  abbiamo  circa  le  proprietà  di  alcuni  microfiti. 

Quanto  al  modo  di  conservazione  di  cui  si  è  accennato,  sa- 
rebbe necessario  conoscere  V  intiero  ciclo  di  sviluppo  del  micelio 
parassita.  Pur  troppo  però  tutti  i  tentativi  fatti  per  studiarne 
le  fruttificazioni  hanno  sortito  un  esito  negativo. 

Ho  praticata  la  inoculazione  dei  vari  microfiti  descritti  in 


338  G. 

flutti  sani  e  procarati  in  varie  località,  come  ho  acoeoDato  in 
principio,  istituendo  a  questo  proposito  due  serie  di  esperimenti. 
La  prima  su  dei  limoni  tutt'ora  sulla  pianta;  la  seconda  serie 
su  frutta  staccate  e  poste  in  camere  umide  a  varia  tempera- 
tura. I  resultati  in  generale  sono  stati  molto  diversi.  Senza  star 
qui  a  riferire  le  numerose  prove,  del  resto  non  prive  di  quei 
difetti  che  a  parer  nostro  le  rendono  attendibili  entro  certi 
limiti  (per  non  aver  mai  ottenuta  Y  infezione  disseminando  la 
superficie  dei  frutti  sani  con  le  spore  dei  vari  Aspergini  il  cui 
sviluppo  era  agevolato  dall'  umidità  e  dal  calore,  nonché  per 
essere  stato  qualche  volta  necessario  fare  una  bucatura  relati- 
vamente ampia,  allo  scopo  di  vedere  V  intemo  dei  frutti  stessi 
invaso  dal  micelio),  dirò  solo  che  le  infezioni  artificiali,  che  più 
abbiano  rassomigliato  la  malattia  naturale,  nei  primi  stadi,  si 
sono  ottenute  con  le  spore  deW Aspergici us  niger..  Per  la  co- 
stante presenza  ed  abbondanza  di  questo  fingilo  in  ciascuno 
dei  limoni  affetti  avuti  in  esame,  anche  se  isolati  con  ogni  cautela, 
e  per  V  ultimo  fatto  accennato,  però  di  poco  valore,  è  da  so- 
spettarsi che  esso  fungi  Ilo  complichi  il  processo  morboso  quando 
questo  fe  di  già  avanzato.  Anche  tutte  le  altre  specie  sarebbero 
da  riguardarsi,  sebbene  non  sia  cosa  tanto  facile  il  definirlo 
con  certezza,  come  saprofitiche,  poiché  compariscono  quando  le 
frutta  hanno  raggiunto  tal  grado  di  alterazione  da  offrirsi  come 
substrato  idoneo  al  maggior  numero  degli  ifomiceti  conosciuti. 

Quanto  poi  alla  questione  del  doversi  oppur  no  ammettere 
che  un  micelio  resultante  dalla  germogliazione  di  spore  appar- 
tenenti ad  un'  unica  specie,  possa,  in  date  circostanze,  dare 
origine  a  fruttificazioni,  ben  diverse  fra  loro,  converrà  stabilire 
i  limiti  di  tali  differenze,  e  ciò  va  fatto  istituendo  delle  ricerche 
secondo  i  metodi  delle  moderne  indagini  bacteriologiche.  Per 
ora  sappiamo  dagli  studi  accurati  di  Tulasne,  Hoffmann,  De  Bary, 
Brefeld,  V.  Tieghem  e  Le  Mounier  e  da  molti  altri,  in  qual  conto 
debba  tenersi  il  poliformismo  sostenuto  daHallier,  Camoy,  IQein, 
Cocardas  etc.  ;  ma  su  ciò  non  è  stata  detta  l'ultima  parola. 

Noi,  per  ciò  che  spetta  al  micelio  parassita,  non  dubitiamo 
punto  che  provenga  da  spore  appartenenti  ad  una  specie  di- 
stinta. Anzi  abbiamo  la  piena  convinzione  di  poterlo  dimostrare, 
se  il  materiale  non  ci  farà  difetto,  procurando,  con  tutte  le 
cautele  di  cui  saremo  capaci^  che  i  limoni  affetti,  tenuti  in  ca- 


SOPRA  UN  NUOVO  MORBO  CHE  ATTACCA  1  LIMONI  ECC.  339 

mere  oscure  ed  umide,  rimangano,  per  un  tempo  maggiore  di 
quel  che  si  è  ottenuto  fin' ora,  senza  essere  inquinati  dalle 
spore  di  organismi  estranei. 

In  fine,  conviene  aggiungere  qualche  cosa  concernente  i  mezzi 
preservativi,  quali  ci  vengono  suggeriti  dallo  studio  eziologico 
del  morbo  descritto,  poiché  nella  patologia  vegetale  del  pari  che 
nelV  animale^  come  ben  disse  il  compianto  prof.  S.  Garovaglio, 
una  giusta  diagnosi  deve  essere  il  fondamento  d^  ogni  razionale 
terapia . 

Quanto  alle  cause  predisponenti  da  riferirsi  alle  vicissitudini 
atmosferiche,  V  uomo  ha  ben  poco  da  fare  ;  è  quindi  giusto  che 
si  rivolga  laprincipale  attenzione  a  rimovere  la  causa  eflBciente, 
che  per  noi  è  rappresentata  dai  germi  del  micelio  parassita. 
A  ciò  si  può  giungere  nel  caso  nostro  per  due  vie:  o  col  di- 
fendere con  qualche  espendiente  i  frutti  dai  germi  micidiali,  o 
col  rendere  i  frutti  stessi  resistenti  all'  azione  di  essi  germi,  in 
modo  da  non  temerne  i  tristi  effetti.  Le  diflBcoltà  di  applica- 
zione e  la  povertà  di  quei  mezzi  di  cui  oggi  disponiamo  per 
difendere  un  dato  organismo  dalle  spore  di  un  fungo  patogeno, 
sono  tali  dal  dispensarmi  di  parlarne. 

Sembra  adunque  che  le  precauzioni  migliori  sieno  quelle  di 
mettere  in  opera  tutto  ciò  che  conferisce  al  mantenimento  delle 
piante  nelle  condizioni  più  floride  di  salute;  e  qui  non  mi  trat- 
tengo, che  non  mi  spetta,  sui  metodi  di  una  conveniente  fo- 
gnatura, concimazione  etc. .  Perchè  il  male  non  si  diffonda  è 
sempre  bene  distruggere  le  frutta  affette.  Oltre  a  ciò  è  neces- 
sario che  non  si  lascino  sul  terreno  i  limoni  caduti  anche  per 
una  cauaa  qualunque,  poiché  si  ricuoprono  facilmente  di  funghi, 
alcuni  dei  quali  possono,  per  certe  date  circostanze,  produrre 
un'inaspettata  micosi  devastatrice;  ed  è  pure  di  grande  utilità, 
non  foss'  altro  per  mitigare  e  circoscrivere  il  piti  possibile  gli 
effetti  dannosi  dei  parassiti  in  generale,  che  ciascuno  metta  in 
opera  tutti  quei  precetti  igienici  razionali,  dai  quali  devonsi 
attendere  i  benefizi  maggiori. 

Dal  Gabinetto  di  Botanica  della  R.  Università  di  Pisa, 
il  20  Decembre  1886. 


340  0.  (ìasperini 


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SOPRI  UN  NUOVO  MORBO  CHE  ATTACCA  I  UMONI  ECC.  341 

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d.  baraIjI^ì 


■^n9i< 


ALCUNE  RICERCHE 


CONTRIBUENTI  ALLA.  CONOSCENZA 

DELLA 

TAVOLA  TRITURANTE  0  MACINANTE 

DEI 

DENTI  MASCELLARfC)  NEGLI  EQXTIDI 


I.  Scopo  e  divisione  del  lavoro. 

Nonostante  il  numero  straordinario  di  lavori  di  eminenti 
anatomici,  che  sono  stati  stampati  intorno  ai  denti  degli  Equidi, 
a  mio  credere  non  è  stata  detta  ancora  V  ultima  parola.  Molte 
cose  altresì  sono  da  mettersi  in  chiaro,  e  più  di  una  difficoltà 
da  risolvere. 

Il  posto  assegnato  a  questi  denti  nella  classificazione  del 
Cuvier,  e  riportata  dal  Milne  Edwards,  è  veramente  quello  che 
convenga  tanto  ai  mascellari  superiori  dei  solipedi,  quanto  ai  ma- 
scellari inferiori? 

Quello  che  è  stato  detto  fin  qui  intomo  al  modo  con  cui 
sono  distribuite  le  tre  sostanze,  che  costituiscono  il  dente,  guar- 
dato nella  tavola  triturante,  è  sufficiente  per  determinare  se 
un  dente  mascellare  appartiene  piuttosto  ad  una  data  specie  di 
Equus,  che  ad  un  altra?  E  sufficiente  per  determinare  se  un 

(*)  Adopero  il  nome  di  denti  mascellari  e  non  quello  di  denti  molari  come  ge- 
neralmente viene  usato  dagli  autori,  perchè  per  denti  mascellari  si  devono  ritenere 
tutti  i  denti  che  sono  impiantati  nelle  mascelle,  e  per  denti  molari  solamente  quelli 
che  trovansi  al  didietro  dei  premolari:  più  avanti  darò  maggiori  dettagli  sulla  no- 
menclatura di  tutti  i  denti  che  si  sviluppano  nelle  mascelle 

8$.  NoL  Voi.  ym,  fato.  2.*  25 


344  G.  BAKALDI 

dente  mascellare  di  un  dato  equide  sia  deciduo  o  permanente^ 
sia  premolare  o  molare,  sia  primo,  secondo,  terzo,  etc,?  Io, 
stando  ai  lavori  di  cui  posso  disporre,  non  lo  crederei. 

Infatti  se  venisse  presentato  ad  alcuno  un  dente  di  equide 
e  gli  si  domandasse:  Qual  dente  è  questo,  ed  a  quale  specie  di 
equide  appartiene  ?  Sapete  cosa  potrebbe,  al  più  al  più,  rispon- 
dere !  che  quel  dente  appartiene  al  genere  equus  piuttosto  che  ad 
un  altro  genere,  che  è  superiore,  che  non  è  ne  terzo  premolare 
né  terzo  molare  vero:  ma  a  quale  specie  di  equus  appartenga 
o  a  quale  razza,  se  premolare  o  non,  se  primo  o  secondo  molare, 
a  questo  certamente  col  solo  aiuto  dei  libri  non  riuscirebbe  a 
rispondere. 

Ora  con  questo  mio  scritto,  non  intendo  di  risolvere  tutte 
le  difficoltà,  che  presenta  la  tavola  triturante  dei  denti  mascel- 
lari negli  Equidi,  mi  studio  soltanto: 

1.^  Di  mettere  in  chiaro  che  i  denti  mascellari  superiori 
dei  solipedi  non  possono  essere  classificati  coi  mascellari  in- 
feriori ; 

2.*  Di  fare  una  nomenclatura  per  le  diverse  parti  che  pre- 
senta la  disposizione  dell'  avorio  nella  tavola  triturante; 

3.*  Di  dimostrare  le  modificazioni  che  si  riscontrano  nella 
figura  presentata  dall'avorio,  nei  diversi  mascellari  di  uno  stesso 
cavallo  e  di  uno  stesso  asino; 

4.®  Di  accennare  le  importanti  modificazioni  che  si  riscon- 
trano fra  i  denti  mascellari  di  cavallo  e  di  asino  giovane,  e  gli 
stessi  denti  di  cavallo  e  di  asino  vecchio; 

5.®  Di  far  rilevare  le  differenze  che  esistono  fra  i  denti 
mascellari  di  cavallo  con  quelli  dell'  asino; 

6.®  Finalmente,  con  riserva,  di  far  risaltare  la  differenza 

che  mostra  la  figura  della  tavola  triturante  dei  mascellari  in 

due  cavalli  pressoché  della  medesima  età,  ma  di  razza  differente. 

Tutte  queste  cose,  mi  pare  che  dagli  anatomici  non  siano 

state  prese  in  bastevole  considerazione. 

E  ben  vero  che  il  descrivere  le  differenze  che  si  riscontrano 
nella  tavola  triturante  dei  denti  mascellari,  per  distinguerli  l'uno 
dall'  altro  in  una  data  razza  e  in  specie  e  razze  differenti,  può 
sembrare  superfluo,  potendo  procurarsi  con  molta  facilità  un 
esemplare  ;  ma  è  anche  vero,  a  mio  parere,  che  vi  può  essere 
risparmio  di  tempo  e  maggior  sicurezza  nella  determinazione 


bENTI    MASCELLARI    DEGÙ    EgUIDÌ  345 

di  un  dente  (quando  non  se  ne  abbia  che  un  solo  per  fare  il 
confronto)  a  trovare  riunite  tutte  le  differenze  in  un  solo  lavoro. 
AflBnchè  questo  scritto  riescisse  veramente  completo,  biso- 
gnerebbe che  potessi  dare  le  figure  dei  denti  di  giovani,  di  adulti 
e  di  vecchi  equidi  della  medesima  specie  e  razza,  e  non  come 
ho  dovuto  contentarmi  io  di  pochi  esemplari.  Per  altro,  nono- 
stante il  limitato  materiale  di  cui  ho  potuto  disporre,  io  spero 
che  anche  le  poche  osservazioni  che  farò  risaltare,  potranno 
essere  utili  agli  studiosi. 

Gli  Equidi  in  generale,  senza  tener  nota  delle  dentizioni 
anormali,  possono  dare  origine  a  72  denti,  i  quali  sono  così 
divisi  : 

Incisivi  decidui  12 

Incisivi  permanenti  12 

Canini  decidui  4 

Canini  permanenti  4 

Premolari  decidui  16 

Premolari  permanenti     12 

Molari  12 

Totale    72 

Se  la  maggior  parte  degli  autori  sono  d'accordo  nell' indicare 
per  abbreviazione  i  diversi  denti  con  lettere,  come  /  d  per  in- 
tendere incisivi  caduchi,  /  incisivi  permanenti,  ed  canini  caduchi, 
e  canini  permanenti,  m  d  mascellari  decidui,  p  premolari  ed  m 
molari;  non  sono  però  d'  accordo  nel  metodo  da  adottarsi  nella 
enumerazione,  specialmente  dei  mascellari.  Il  metodo  che  io 
seguirò  è  quello  dato  da  Rùtimeyer,  che  V  ha  preso  da  Hensel, 
secondo  cui  il  premolare  posteriore  è  indicato  col  nome  di  primo 
premolare  e  non  di  quarto  premolare  come  ad  esempio  nel  me- 
todo di  Owen.  Quindi  la  formola  dentale  dei  denti  mascellari 
di  un  cavallo  sarebbe  questa: 

(  dm  4?  — dm  3— dm  2  — dm  1  _ 
Giovane  ^  ^m  4??  -dm  3  —  dm  2  —  dm  1 

(dm4?— p3  —  p2  —  pi— mi— m2  —  m3 
^^^'*^     fdm4??— p3— p2— pi— m  1— m2  — m3 

E  da  notarsi  che  il  dm  4  superiore,  alcune  volte  persiste 
per  tutta  la  vita  del  cavallo  ed  altre  volte  cade,  per  non  es- 


346  G.  BAHALDI 

sere  più  sostituito,  coli'  escire  del  p  3.  U  dm  4  inferiore  s' in- 
contra rare  volte  nei  nostri  equidi  domestici  giovani  e  raris- 
simamente nei  cavalli  adulti.  Io  Y  ho  trovato  due  sole  volte 
in  crani  di  cavallo  inglese  che  stanno  al  Museo  anatomico  della 
R.  Scuola  Zooiatrica  di  Pisa. 

n  (Ime  quando  s* incontra  negli  Equidi  adulti  viene  più 
generalmente  indicato  dagli  Odontologisti  col  nome  di  premo- 
lare quarto,  e  quindi  segnato  colla  lettera  p  4.  Sebbene  io  ri- 
conosca che  ciò  non  sia  esatto,  pure  seguirò  l'andazzo  degli 
altri,  per  non  portare  novità  che  potrebbero  essere  a  danno 
della  chiarezza  di  chi  non  ha  1*  abitudine  di  pensare  all'  origine 
dei  denti. 

Mi  fermo  a  parlare  solo  sui  denti  mascellari,  essendo  gli 
altri  stati  studiati  largamente  da  molti  zootecnici  ;  e  ben  poco 
quindi  e  forse  nulla  vi  sarebbe  da  osservare  in  essi  di  nuovo. 

Più  di  qualunque  altra  parte  dei  denti  mascellari,  è  la  ta- 
vola triturante  che  ci  da  principalmente  i  caratteri  per  poterli 
classificare  e  distinguerli  fra  loro  e  fra  le  diverse  specie  di  Equidi: 
perciò  le  mie  osservazioni  sono  limitate  a  questa  parte. 

Onde  risolvere  i  problemi  che  mi  sono  proposto  con  queste 
osservazioni  credo  utile,  per  essere  meno  oscuro  che  sia  possibile, 
di  studiare: 

1.*  La  formazione  della  tavola  triturante  per  rilevarne  i 
caratteri  nelle  diflFerenti  epoche  del  suo  svolgimento; 

2.®  La  descrizione  delle  diverse  parti  della  tavola  tritu- 
rante, non  ritenendo  sufficiente  quella  data  dai  diversi  Odontologi; 
3.^  La  classificazione  desunta  dalla  distinzione  della  tavola 
triturante  dei  denti  snperiori  e  degli  inferiori; 

4.*  Le  differenze  della  tavola  triturante  fra  i  denti  decidui 
e  i  permanenti; 

5.^  Le  differenze  fra  i  premolari  ed  i  molari; 
6.*  Le  differenze  fra  la  tavola  triturante  dei  denti  giovani 
e  dei  denti  vecchi. 

Messi,  che  io  abbia,  in  rilievo  i  principali  caratteri  della 
tavola  triturante  che  fanno  distinguere  i  diversi  denti  mascellari 
di  un  medesimo  individuo  a  qualunque  razza  o  specie  appar- 
tenga, passerò  a  parlare  dei  caratteri  differenziali  che  si  rilevano 
nella  tavola  triturante: 

1.^  Fra  il  genere  Anchitherium  e  il  genere  Hipparion; 


DENTI  MASCELLAKI  DEGLI  EQUIDI  347 

2.^  Fra  il  genere  Hipparion  e  Y  Equus  Stenonis; 
3.*  Fra  TE.  Stenonis  e  TE.  intermedius; 
4.*  Fra  V  E.  caballus  del  terreno  quadernario  e  gli  Equidi 
viventi; 

5.*  Fra  il  Cavallo  e  V  Asino; 

6.^  E  finalmente  fra  due  razze  almeno  del  cavallo  domestico. 

II.  Formazione  della  tavola  triturante  e  della  corona 

dei  denti  mascellari. 

Non  fa  d' uopo  che  io  dica  che  per  tavola  triturante  o  ma- 
cinante intendo  dire  della  faccia  del  dente  che  guarda  la  ca- 
vità boccale,  e  che  serve  a  sminuzzare  il  cibo,  essendo  così 
chiamata  dal  maggior  numero  degli  Odontologisti. 

Per  intendere  come  si  formi  la  tavola  triturante  e  la  co- 
rona dei  denti  mascellari  degli  Equidi  bisogna  che  ricordiamo 
lo  sviluppo  dei  denti  stessi. 

E  per  ciò  fare,  diremo  che  i  fenomeni  di  evoluzione  dei  fol- 
licoli che  danno  origine  ai  denti  mascellari  dei  solipedi  sono 
uguali  a  quelli  che  avvengono  in  qualunque  dentizione.  La  sola 
differenza  che  si  osserva  con  alcuni  altri  animali  consiste  nel 
punto  esatto  dell'  origine  del  cordone  epiteliale,  e  sulla  durata 
che  mettono  ad  eftettuarsi  in  seno  delle  mascelle,  le  fasi  suc- 
cessive dell'evoluzione.  * 

H  primo  rudimento  dei  folliculi  dentari  è  rappresentato  da 
un  cordone  che  proviene  dallo  strato  epiteliale  della  mucosa 
gengivale.  Il  cordone  che  da  origine  ai  folliculi  della  prima 
dentizione  nasce  direttamente  da  prolungamento  dell'epitelio 
della  bocca.  Il  cordone  dei  denti  permanenti,  secondo  Legros 
e  Magi  tot  (^),  che  si  sostituiscono  ai  precedenti,  è  un  diverti- 
colo del  cordone  primitivo  (^) .  Quanto  ai  follicoli  dei  denti  per- 

(})  Sur  r  origine  et  la  formation  du  foUicule  dentaire,  Robin.  Journ.  de  Tanat. 
et  de  la  phys.  1873. 

C)  Io  non  ho  avuta  T opportunità  di  osservare  questo  diverticolo  del  follicolo 
dei  denti  mascellari  lattaioli,  dal  quale  diverticolo  poi  hanno  origine  i  denti  per- 
manenti che  li  sostituiscono:  ma  mi  piace  di  avvertire  che  se  ciò  succede  per  i  denti 
mascellari,  non  è  cosi  pei  denti  incisivi.  1  denti  incisivi  permanenti  del  cavallo  na- 
scono direttamente  da  un  prolungamento  speciale  dell'epitelio.  E  ciò  è  tanto  vero 
che  se  voi  osservate  T  arcata  incisiva  di  giovane  individuo  voi  vedete  al  margine 
intorno  dell*  arcata  stessa  i  cordoni  follicolari  dei  denti  permanenti,  passare  attra- 
verso, ciascuno,  ad  un  foro  scavato  nel  marine  intemo  di  ogni  arcata  incisiva. 


348  G.  BAKALDI 

manenti,  non  preceduti  da  temporari  corrispondenti,  naacono 
dai  cordoni  che  provengono  direttamente  da  epitelio.  II  guòer- 
naculum  dentis  o  Vinter  dentis,  come  Girard  (^)  chiama  il  cor- 
done follicolare  dei  denti  di  ogni  molare  vero,  entra  per  una 
piccola  fessura  che  esiste  già  alla  nascita  del  puledro,  nella 
parete  boccale  del  solco  alveolare  delle  mascelle. 

Il  cordone  è  invariabilmente  epiteliale:  esso  si  compone  al- 
l'estemo  di  elementi  epiteliali  prismatici  dello  strato  di  Mal- 
pighi,  e  nel  centro  di  cellule  epiteliali  poliedriche.  L' estremila 
del  cordone  che  prende  presto  la  forma  di  una  clava,  e  che 
più  tardi  si  modella  sul  bulbo,  costituisce  Y  organo  dello  smalto 
del  foUiculo  futuro. 

n  bulbo  dentario  o  organo  dell'avorio  (fig.  4,  i.  tav.  IX)  ha 
un'  origine  completamente  differente  da  quella  dell'olino  delio 
smalto.  Nel  tessuto  embrionarie  del  mascellare,  ad  una  piccola 
profondità,  al  di  sotto  della  superficie,  in  un  punto  corrispon- 
dente all'accumulazione  delle  cellule  epiteliali  di  cui  T accre- 
scimento ulteriore  deve  formare  T  organo  dello  smalto,  appa- 
risce la  prima  traccia  del  germe  dell'avorio.  Da  principio  è 
solamente  un  punto  opaco  nel  tessuto  embrionarie,  senza  che 
si  possa  osservare  alcun  cangiamento  di  struttura;  e  questo 
punto  è  situato  nella  cavità  dell'  organo  dello  smalto  ben  defi- 
nito. Secondo  Dursy,  dicono  Legros  e  Magitot,  la  zona  opaca, 
che  diviene  più  tardi  il  bulbo  dell'avorio,  forma  una  benda 
continua  in  tutta  la  lunghezza  del  mascellare,  e  più  tardi  nei 
punti  corrispondenti  al  germe  dello  smalto  si  formano  delle 
masse  globose  che  non  sono  altro  che  i  bulbi  dentari. 

La  massa  globosa  che  costituisce  il  germe  del  dente  fiituro 
è  formata  da  nuclei  di  tessuto  connettivo  e  di  capillari  san- 
guigni. La  sua  forma  prende  presto  il  carattere  del  dente  futuro. 

H  germe  dentario  dei  mascellari  superiori  del  cavallo  assume 
la  figura  di  un  B  gotico  (fig.  2),  nel  quale  1'  asta  (a,  a)  è  for- 
mata da  due  linee  curve  (b,  b)  presso  che  uguali  di  lunghezza 
colla  convessità  in  dentro;  e  i  due  ventri  (r,  v)  hanno  ciascuno 
un  appendice  che  sporge  a  due  terzi  posteriori  della  loro  curva: 
quella  del  ventre  posteriore  (a p)  è  piccola  e  forma  un  solo  lobo, 
quella  del  ventre  anteriore  (a  p)   è  più  grande   e  presenta  la 

Q)  Jppodantolofjia,  tradotta  da  Cros.  Milano,  PerelU  e  Mariani  editori. 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EAUIDI  349 

forma  di  una  classidra.  In  ogni  ventre  si  osserva  pure  una  ca- 
vità (e  Vy  e  v). 

11  germe  dentario  dei  mascellari  inferiori  assume  invece  la 
figura  di  un  S  (fig.  3),  nei  di  cui  ventri  (v,  v)  sporgono  due  ap- 
pendici una  alla  parte  posteriore  del  ventre  posteriore  (a  p  ),  ed 
una  a  forma  di  classidra  che  fa  seguito  al  punto  d'  unione  dei 
due  ventri  (a  p).  Si  osservano  anche  due  cavità  {e  v,  e  v)  non 
chiuse  però,  come  lo  sono  quelle  dei  mascellari  superiori. 

Air  intorno  del  germe  dell'  avorio  e  dell'  organo  dello  smalto 
si  produce  una  specie  di  capsula,  che  risulta  da  una  emanazione 
diretta  degli  elementi  del  bulbo  ;  dalla  base  del  quale  si  distacca 
per  elevarsi  ai  lati  fino  alla  sommità  del  follicolo  stesso,  ove 
si  riunisce  in  se  stesso,  per  costituire  quello  che  si  chiama  sacco 
follicolare  (fig.  4,  9).  Questo  sacco,  che  più  tardi  dà  origine  al 
cemento,  si  modella  anch'  esso  sopra  V  organo  dello  smalto  (7) 
rivestendo,  come  secondo  strato,  tutte  le  scannellature  e  cavità 
che  presenta  la  forma  del  dente. 

Per  ricapitolare  in  poche  parole  i  fatti  che  sono  al  presente 
ben  stabiliti  e  fuori  di  ogni  contestazione,  diremo  che  il  germe 
dei  denti  di  cavallo  come  quello  di  ogni  altro  mammifero  (fig.  4 
[pecora]  )  si  compone  dapprima  di  tre  parti  :  la  prima,  V  organo 
dello  smalto  (7),  che  deriva  dall'  epitelio  della  superficie  della 
bocca  :  le  due  altre,  l' organo  dell'  avorio  (1)  e  il  sacco  dentario  (9) 
prendono  origine  nel  mezzo  del  tessuto  embrionario  compatto 
e  lontano  dalla  superficie. 

Ora  passiamo  a  parlare  della  evoluzione  dei  denti  mascellari 
del  cavallo  e  della  calcificazione  delle  tre  sostanze,  avorio,  smalto 
e  cemento,  che  costituiscono  i  denti  stessi. 

Evoluzione  e  Calcinificazione  dei  denti  mascellari.  —  Fin  dal 
principio  della  vita  entro  uterina,  al  secondo  mese,  se  si  esa- 
minano con  cura  le  arcate  alveolari,  si  riscontrano  gran  numero 
di  follicoli  dentari  alloggiati  nella  scannellatura  che  rappresenta 
gli -alveoli  in  questa  età.  Questi  follicoli  sono  molto  piccoli  e 
ricoperti  dalla  lamina  la  più  profonda  del  tessuto  della  gengiva. 
La  loro  forma  è  globosa;  superiormente  aderiscono  alla  gengiva, 
profondamente  alla  scannellatura  alveolare  ed  ai  tronchi  dei 
vasi  e  dei  nervi  che  la  percorrono  ;  sono  continui  lateralmente 
ai  follicoli  vicini.  Dietro  l' opinione  di  Serres,  partendo  dal  quarto 


350  G.  BÀBÀLDI 

mese,  si  sviluppalo  tra  i  follicoli  dei  tramezzi  fibrosi,  che  dopo 
si  ossificano  e  cambiano  i  rapporti  dei  germi  fra  loro  (Girard  (0). 

Quando  il  bulbo  dentario  è  arrivato  ad  un  certo  sviluppo, 
che  nel  cavallo  corrisponde  a  tutta  la  parte  superiore  della  co- 
rona, allora  incomincia  la  calcificazione  dello  smalto  e  dell'  avorio 
e  si  ha  quindi  la  formazione  dei  denti. 

Dapprima  si  calcinifica  uno  strato  di  cellule  dello  smalto  al 
disopra  degli  odontoblasti  (tav.  IX,  fig.  4,  3,  (^))  che  sono  alla  su- 
perficie ed  ai  punti  più  elevati  del  bulbo,  poi  si  forma  un  sottile 
strato  d'avorio,  che  jma  volta  calcificato  non  può  più  accrescersi 
esteriormente,  ed  il  suo  accrescimento  non  si  può  fieure  che  dal 
di  fuori  al  di  dentro.  L'avorio  non  è  altro  che  una  trasformazione 
diretta  delle  cellule  odontoblastiche  (Tomes,  pag.  165  (^))  asso- 
lutamente come  lo  smalto  risulta  dalla  trasformazione  delle 
cellule  dello  smalto. 

La  formazione  nuova  d' avorio  dovrà,  necessariamente  pren- 
der posto  all'  interno  del  capuccio  di  dentina  precedentemente 
formato. 

Nei  mascellari  superiori  del  cavallo  compaiono  in  primo  luogo, 
due  capucci  di  dentina  ricoperti  dallo  smalto,  alla  sommità  di 
due  specie  di  papille  che  si  elevano  dal  bulbo,  e  precisamente  in 
corrispondenza  delle  due  linee  curve  che  forma  l'asta  {a a  fig.  3, 
tav.  IX)  del  B,  e  che  abbiamo  detto  essere  la  figura  che  presenta 
il  bulbo  dei  molari  superiori;  in  secondo  luogo,  dopo  pochi  giorni, 
altri  due  capucci  si  osservano  in  due  altre  specie  di  papille,  che 
si  elevano  nello  stesso  modo  di  quelle  dell'  asta  sopra  i  due 
ventri  {vv)  del  B,  interzo  luogo,  un'altro  capuccio  avviene  sopra 
un'  altra  papilla  che  si  eleva  dall'  appendice  {ap)  del  ventre  an- 
teriore del  B .  Cosi  che,  se  si  mettesse  in  macerazione  un  germe 
di  mascellare  superiore  di  cavallo  in  questo  periodo,  noi  ne 
avremmo  5  capucci  di  dentina  ricoperti  dal  loro  rispettivo  smalto, 
simili  a  quelli  che  presenta  la  fig.  4,  tav.  IX,  nei  numeri  2  e  3.  I 
cinque  capucci  corrispondono  alle  cinque  eminenze  segnate  con  e 
nella  fig.  7,  tav.  IX. 

(•)  Loc.  cit 

(*)  Mi  servo  della  figura  data  da  Waldeyer  il  quale  V  ha  jpr^ta  da  qd  dente 
mascellare  di  pecora:  perchè  i  fenomeni  di  calcinificazione  sono  precisamente  simili 
a  quelli  che  avvengano  nei  denti  mascellari  del  cavallo. 

(•)  TraUé  d* Anatomie  dentaire  Bumaine  et  oomparée.  Trad.  par  Cniet.  Pa- 
JÌ8  1880, 


DENTI  MAaCELLÀRI  DEGLI  EQUIDI  351 

Per  l'aggiunta  di  nuovi  strati  interni  di  dentina  quelle  cinque 
specie  di  cupole  si  ingrossano  e  s' ingrandiscono  alla  base,  fino 
al  punto  di  fondersi  tutte  fra  di  loro  (fig.  6,  tav.  IX).  Quando 
è  avvenuta  questa  fusione,  e  si  è  quindi  completata  la  super- 
ficie gengivale  della  corona,  il  dente  —  facendo  astrazione  dallo 
strato  di  cemento  che  si  svilupperà  più  tardi  —  non  cresce  più 
ne  in  larghezza  né  in  grossezza,  ma  solamente  in  lunghezza. 

Nei  mascellari  inferiori  riguardo  alla  formazione  dello  smalto 
e  della  dentina  abbiamo  lo  stesso  processo  evolutivo  indicato 
pei  denti  superiori.  Se  non  che  si  osservano  prima  tre  piccoli 
capucci  che  si  sviluppano  sopra  tre  specie  di  papille  che  si  ele- 
vano dal  bulbo;  due  sopra  l'appendice  a  forma  di  classidra 
(fig.  3,  a  pX  e  una  sopra  la  papilla  basata  suir  apice  posteriore 
del  3  che  costituisce  il  bulbo  stesso:  dopo  due  altri  capucci  si 
sviluppano  sulle  papille  dei  ventri  (vv)  del  3.  Pure,  anche  per 
questi,  vale  quello  che  abbiamo  detto  dei  denti  mascellari  su- 
periori; una  volta  calcificata  tutta  la  superficie  gengivale  del 
bulbo,  questi  denti  non  crescono  più,  né  in  larghezza,  né  in 
grossezza;  ma  crescono  solo  in  lunghezza. 

L'  accrescimento  del  dente  in  lunghezza  si  fa  per  V  aggiunta 
di  nuovi  strati  interni  di  dentina,  ricoperti  sempre  nel  loro 
esterno  dallo  smalto;  e  questo  accrescimento  seguita  fino  a 
tanto  che  il  bulbo  dentario  seguita  ad  allungarsi  :  ed  una  volta 
che  questo  ha  cessato  di  crescere  comincia  subito  la  formazione 
delle  radici,  delle  quali  se  ne  formano  tre  per  ogni  mascellare 
superiore  e  due  per  ogni  mascellare  inferiore. 

A  quale  lunghezza  circa  possa  arrivare  la  corona  dei  diversi 
mascellari  dirò  più  avanti.  Intanto  seguiterò  a  parlare  dello 
sviluppo  dei  denti  in  discorso,  notando  ciò  che  da  altri  e  da 
me  è  stato  riscontrato,  intomo  allo  stato  dei  molari,  nelle  di- 
verse età  di  feti  e  di  giovani  cavalli. 

In  un  feto  di  cavallo  di  giorni  1 00,  Legros  e  Magitot  (^)  hanno 
constatato  che  il  bulbo  è  comparso  per  tutti  i  follicoli  della 
prima  dentizione,  come  pure  il  primo  vestigio  delle  pareti  fol- 
licolari. In  un  altro  feto  il  follicolo  del  primo  mascellare  tem- 
porario  è  chiuso,  mentre  quello  del  secondo  mascellare  di  so- 
stituzione è  allo  stato  di  apparizione  dell'  organo  dello  smalto, 

(')  Loc.  eit 


352 


0.  BAKALDI 


e  del  terzo  non  vi  è  alcuna  traccia.  In  un  terzo  feto  di  200 
giorni  circa  lo  stato  di  sviluppo  dei  mascellari  di  sostituzione 
è  presso  che  come  i  follicoli  dei  temporari,  i  quali  son  chiosi 
e  ben  costituiti;  ma  senza  traccia  di  capuccio  di  dentina  appa- 
rente. Si  vede  manifestamente  V  organo  del  cemento  coronano 
nascente.  Non  vi  è  traccia  dell'  organo  del  cemento  radicolare. 

In  un  quarto  feto  di  220  giorni  si  vedono  i  follicoli  dei  denti 
temporari  molto  voluminosi,  provvisti  di  un  capuccio  conside- 
revole di  dentina.  Gli  organi  del  cemento  coronario  e  radico- 
lare, sono  in  posto  e  tutt'  affatto  sviluppati. 

Io  ho  osservato  che  in  un  feto  di  265  giorni  i  mascellari 
decidui  sono  molto  avanzati  nello  sviluppo:  non  solo  le  cinque 
cupoline  di  dentina,  che  si  osservano  in  tutte  le  specie  di  ma- 
scellari in  diverse  epoche,  si  sono  fuse  fra  di  loro;  ma  si  è  for- 
mata anche  gran  parte  della  corona.  Per  cui  a  questa  età  la 
corona  dei  mascellari  decidui  è  alta  in  media,  misurata  dalla 
base  air  estremità  libera: 


Nel  dm  3.^  sup, 


) 


O  0 


l.< 


v 


Nel  dm  3.*  inf. 


2/ 


estemo 

e. 

1.8 

interno 

» 

1,4 

estemo 

» 

2,3 

intemo 

» 

1,9 

estemo 

n 

2,0 

interno 

y> 

1,7 

estemo 

rt 

1,7 

intemo 

rt 

1,8 

estemo 

r) 

1,9 

interno 

V 

2,2 

estemo 

» 

1,6 

intemo 

» 

1,9 

1"  ■ 

Da  queste  misure  risulta  che  il  secondo  deciduo  tanto  supe- 
riormente quanto  inferiormente  è  il  più  sviluppato. 

Osservando  i  denti  di  questa  età,  quando  hanno  subita  una 
lunga  macerazione  neir  acqua,  si  vedono,  nella  loro  superficie, 
delle  eleganti  striature  longitudinali,  le  quali  corrispondono  ai 
prolungamenti,  sotto  forma  di  papille  o  meglio  di  villosità  che 
Tomes,  pag.  148  (^),  ha  visto  infossarsi  nell'epitelio  esterno  del- 
l'organo dello  smalto. 

(^)  Loc.  cit. 


DENTI  MASCELLARI  DEOU  EQUIPI  353 

lu  un  cavallo  neonato  i  mascellari  decidui  hanno  già  for- 
mato le  loro  radici.  Tutta  la  corona  è  coperta  dal  cemento  ed 
e  lunga: 

Nel  dm  3.^  sup. 


2/ 


1  • 


Nel  dm  3."  inf. 


2/ 


1/ 


( 


estemo 

e. 

2,6 

interno 

» 

2,3 

esterno 

n 

3,1 

interno 

» 

2,4 

esterno 

» 

3,0 

interno 

» 

2,3 

esterno 

» 

2,3 

interno 

79 

2,5 

esterno 

ft 

2,8 

intemo 

n 

2,6 

esterno 

V 

3,0 

interno 

7» 

3,2 

A  questa  epoca  sono  formate  le  cupolino  dei  primi  molari 
superiori  ed  inferiori.  Le  du  cupole  esteme  sono  più  avanzate 
delle  interne  nei  denti  superiori  e  negli  inferiori  sono  più  svi- 
luppate le  interne. 

Tutti  i  mascellari  decidui  sporgono  dall' ^alveolo  per  circa 
mezzo  centimetro. 

Eruziom  dei  denti.  —  Durante  la  formazione  della  corona 
i  denti  escono  dall'  alveolo  ;  spingono  in  su  la  gengiva,  la  quale 
a  poco  a  poco  si  distrugge,  ed  in  questa  guisa  una  porzione 
della  corona  dei  mascellari  resta  libera  nella  cavità  della  bocca. 
Questo  lavorio  fisiologico  conosciuto  col  nome  di  eruzione  dei 
denti,  nel  cavallo  si  ha  a  diflFerenti  epoche  secondo  la  specie 
del  dente. 

Prima  che  avvenga  l'eruzione  del  dente,  dalla  superficie 
interna  del  sacco  follicolare  si  seceme  il  cemento:  il  quale  ri- 
copre perfettamente  tutta  la  superficie  dello  smalto,  non  escluso 
quello  che  riveste  la  cavità  lasciata  dall'  introflessione  dello 
smalto  stesso,  conosciuta,  questa  introflessione,  col  nome  di 
mi  di  sacco  o  cornetto  dei  mascellari  superiori,  e  che  corrisponde 
per  noi  alle  cavità  di  ogni  ventre  del  B  formate  dal  bulbo 
dentario  (flg.  2cvcv').  Per  farsi  una  giusta  idea  del  come  si 
formino  e  come  siano  i  cul-di-8Q.cco  o  concetti,   si  oa»ervi  la 


354  0.  BÀKALDI 

introflessione  che  avviene  nel  dente  di  pecora  (fig.  4),  e  le  due 
cavità  piene  di  cemento  della  fig.  5,  yy,  zz,  che  rappresenta 
una  sezione  verticale  antero  posteriore  di  dente  mascellare  su- 
periore di  cavallo.  Il  cemento,  specialmente  in  quella  porzione 
della  corona  che  sporge  al  difuori  dell'  alveolo  e  della  gengiva 
(oltre  allo  strato  che  si  osserva  rivestire  tutto  il  dente),  riempie 
tutte  le  diverse  scanellature,  infossature  e  tutte  le  cavità  la- 
sciate dai  rialzi  che  sono  alla  superficie  triturante. 

Giacché  parlo  di  cemento,  mi  piace  qui  fare  una  parentesi, 
per  esporre  la  mia  meraviglia,  cioè,  che  Chauveau  (^)  nel  suo 
stupendo  trattato  di  Anatomia  comparata  degli  animali  dome- 
stici a  pag.  401,  abbia  asserito  che  "  a  Tétat  physiologique, 
le  cement  ne  ranferme  pas  de  canaux  de  Havers  „ .  Io  già  dissi 
altra  volta  (^)  come  il  cemento  dei  denti  di  cavallo  sia  prov- 
visto di  una  quantità  di  canali  di  Havers;  ed  ora  posso  ag- 
giungere che  questi  canali  non  solo  esistono  in  quantità  straor- 
dinaria, ma  che  formano  delle  eleganti  ramificazioni  osservabili, 
nelle  sezioni  trasversali,  sempre  uguali  nelle  stesse  parti  in 
differenti  denti.  Se  poi  mi  si  dicesse  che  il  cemento  da  me  esa- 
minato non  era  allo  stato  fisiologico,  allora  risponderei  che 
bisognerebbe  ritenere  il  cemento  stesso  non  essere  altro  che 
una  produzione  patologica,  avendo  costantemente  riscontrato  i 
canali  di  Havers  in  tutti  gli  stadi  del  suo  sviluppo:  sia  in  denti 
in  via  di  formazione,  sia  in  denti  quasi  in  totalità  consumati. 

Ritorno  alla  eruzione. 

H  meccanismo  col  quale  i  denti  all'  epoca  dell'  eruzione  sono 
cacciati  al  di  fuori  dell'  alveolo  e  vengono  ad  occupare  il  loro 
posto,  è  lontano  dall'  essere  perfettamente  spiegato.  Da  alcuni 
si  ritiene  che  essi  si  elevano  in  seguito  del  deposito  d'avorio 
che  si  aggiunge  continuamente  alla  loro  base  ed  all'allunga- 
mento delle  loro  radici:  ma  questa  teoria  se  può  essere  giusta 
per  i  denti  di  alcuni  animali,  non  si  può  accettare  per  l'eru- 
zione dei  mascelari  del  cavallo,  i  quali  sono  già  al  loro  posto 
prima  che  si  formino  le  radici.  E  se  anche  si  volesse  ammet- 


(*)  Tratte  d* Anatomie  comparée  des  animatile  domestiques.  3*  Ed.,  Paris,  1878. 
(*)  Baraldi  —   //  cemento  dei  denti  negli  animali  domestici.   Processi  verbali 
della  Società  Toscana  di  Se.  Nat  Adunanza  del  di  15  marzo  1880. 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  355 

tere  che  è  per  V  allungamento  della  corona  (^)  non  si  potrebbe 
accettare,  in  quanto  che  non  troverebbe  poi  la  spiegazione  un 
altro  fatto  della  stessa  natura,  che  è  la  ecsita  continua  del 
dente,  mano  mano  che  alla  superficie  macinante  si  consuma. 
Quale  possa  essere  la  natura  di  questa  impulsione  ?  È  un  pro- 
blema non  ancora  risoluto,  dice  Tomes  -  pag.  1 95  C^)  -,  poiché  le 
spiegazioni  che  sono  date  fino  al  giorno  d' oggi  sono  meno  sod- 
disfacenti che  la  confessione  della  nostra  ignoranza. 

Lasciamo  da  parte  la  natura  dell'  impulsione  dei  mascellari, 
e  diciamo  con  qual  ordine  avvenga  l'eruzione  di  questi  denti, 
nel  cavallo. 

TI  cavallo  nasce  con  tutti  i  denti  di  latte  che  sporgono  al 
difuori  dell'alveolo  ricoperti  dalla  gengiva.  In  pochi  giorni  la 
gengiva  si  distrugge  sulla  tavola  triturante,  ed  in  parte  ai  lati 
della  corona;  in  guisa  che,  (ancora  per  l'allungamento  dei  denti) 
una  porzione  della  corona  resta  libera  nella  cavità  della  bocca. 
Questa  porzione  della  corona  h  ricoperta  da  un  grossissimo 
strato  di  cemento  dello  spessore  di  circa  mm.  1.  A  otto  giorni 
circa  sono  giunti  a  questo  periodo  i  decidui  secondo  e  terzo 
(md  2  -  md  3,  fig.  1 ,  tav.  IX)  di  ogni  lato  di  mascella  ;  e  a  20 
giorni  i  primi  (md  1).  A  11  mesi  osceno  i  primi  molari  veri, 
o  molari  posteriori,  od  anche  senplicemente  molari,  come  da 
molti  vengono  chiamati  (mi);  da  20  a  22  mesi  i  secondi  mo- 
lari (m  2) ,  e  da  4  a  6  anni  i  terzi  molari  (m  3) . 

Da  30  a  32  mesi  i  terzi  molari  da  latte  cadono  per  essere 
immediatamente  sostituiti  dai  terzi  premolari  permanenti;  gli 
altri  premolari  possono,  alcune  volte,  ritardare  a  uscire  fino 
al  terzo  anno.  La  fig.  1  dà  un  beli'  esempio  di  questa  età  nella 
quale  figura  scorgiamo  che  il  md  3  superiore  sinistro  è  già  ca- 
duto naturalmente. 

I  premolari  sopra  numerari  o  quarti  decidui  (md  4)  spun- 
tano fra  i  cinque  e  i  sei  mesi,  e  vengono  cacciati  dall'  aveolo, 
generalmente  colla  uscita  del  terzo  premolare. 

L'  ordine  di  successione  adunque  col  quale  avviene  1'  eru- 
zione,  è   questo:    a  8  giorni  i  dm  2  e  dm  3  —  a  20  giorni  i 

{^)  Chiamo  corona  tutta  quella  porzione  di  denti  mascellari  degli  eqaidi  che 
dair estremità  libera  va  fino  al  punto  in  cui  incominciano  le  radici.  Alcuni  anatomici 
(Chauveau  ec.)  chiamano  corona  solamente  quella  porzione  che  sporge  al  di  fuori  della 
gengiva.  Non  faccio  comenti,  essendo  superflui  per  chi  conosce  i  denti  degli  Bqaidi. 


356  u.  uakaldI 

dm  1  —  da  5  a  6  mesi  il  dm  4  —  ali  mesi  imi  —  a  20 
mesi  i  m  2  —  da  30  a  32  mesi  i  p  3  —  a  3  anni  i  p  2  e  p  1  — 
e  da  4  a  6  anni  gli  m  3. 

Da  questa  regola  generale  risulta,  come  fa  giustamente  os- 
servare Huxley  (^),  che  il  primo  molare  (mi)  appare  ed  occupa 
il  suo  posto,  e  viene  adoperato  ben  avanti  che  i  molari  decidui 
cadano  e  vengano  rimpiazzati  dai  premolari.  Onde  quando  il 
primo  premolare  viene  a  posto  fresco  e  non  logoro,  il  primo 
molare,  che  gli  è  vicino  è  assai  logorato.  Questa  disparità  nel 
logorio  è  mantenuta  per  lungo  tempo  e  fornisce  caratteri  pre- 
ziosi per  poter  distinguere  V  ultimo  premolare  dal  primo  molare 
neir  adulto,  specialmente  quando  come  nel  cavallo,  i  premolari 
ed  i  molari  sono  molto  simili. 

La  successione  con  cui  si  presentano  i  mascellari  ci  dà,  un 
altro  prezioso  carattere,  che  serve  a  scoprire  una  frode  che 
usano  i  cozzoni  (sensali  da  cavalli)  quando  sono  interessati,  che 
i  loro  cavalli  sembrino  più  vicini  all'  età  nella  quale  il  loro 
valore  è  più  considerabile,  e  possono  per  conseguenza  sperare 
trarne  maggior  profitto.  Se  i  cavalli  gpno  troppo  giovani  cer- 
cano d' invecchiarli  strappando  loro  i  denti  incisivi  per  far  uscire 
prematuramente  i  permanenti  :  cosi  ad  esempio  strappano  i  pie- 
cozzi  lattaioli  ad  un  cavallo  di  3  anni  che  abbia  delle  forme 
ed  una  taglia  ben  sviluppata  per  far  credere  che  Y  animale  ha  4 
anni.  Questa  frode  è  molto  facile  a  scoprirsi  se  la  nostra  os- 
servazione si  porta  sulla  tavola  triturante  del  terzo  premolare. 

Se  la  tavola  è  quella  del  terzo  molare  deciduo,  e  non  quella 
del  terzo  premolare  di  sostituzione  (  che  nell'  età  di  tre  -anni 
questo  dente  è  già  al  suo  posto  )  diremo  che  il  cavallo  non  ha 
compiuti  i  tre  anni,  nonostante  che  i  denti  incisivi  ne  segnino  4. 

Quando  i  denti  mascellari,  di  qualunque  specie  siano,  trovansi 
al  loro  posto,  la  tavola  triturante  presenta  dei  caratteri  comuni 
a  tutti,  di  cui  io  vado  qui  a  parlarne. 

Tavola  triturante.  —  Se  si  esamina  la  tavola  triturante 
dei  denti  dichiarati  subito  dopo  messi  allo  scoperto  dalla  gen- 
giva e  non  ancora  usati,  la  si  vede  tutta  coperta  da  cemento 
e  costituita,  nei  superiori,  da  cinque  sporgenze   o   cuspide  ta- 


(0  Manuale  dell* Anatomia  degli  Animali  vertebrati,   pag.  33i.   —    Trad.  da 
GigliolL  Firenze  1874. 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  357 

glienti  (fig.  7  e  8,  tav.  ÌXe  e,  e  e\  e"  (riunita  fra  di  loro  da  la- 
mine trasversali  che  circoscrivono  V  entrata  di  due  cavità  co- 
nosciute col  nome  di  cornetti  dentari,  o  introflessioni.  Queste 
cavità  terminano  per  un  cul-di-sacco,  che  discende  nello  spes- 
sore del  dente  fino  alle  radici  (fig.  5,  z  z).  Due  delle  sporgenze 
sono  esterne  e  corrispondono  alle  papille  delle  curve  dell'  asta 
del  B  che  abbiamo  detto  rappresentare  il  bulbo  (vedi  pag.  348); 
due  sono  medie,  corrispondono  alle  papille  dei  ventri  del  B 
stesso,  ed  una  interna  che  corrisponde  alla  papilla  dell'  appen- 
dice del  ventre  anteriore.  Quéste  cinque  eminenze,  le  quali  sono 
naturalmente  formate  di  dentina  e  di  smalto,  che  fa  seguito  a 
quello  del  resto  della  corona,  sono  ricoperte  dal  cemento,  il 
quale  alla  loro  base  forma  uno  strato  tanto  grosso  che  riempie 
tutte  le  sinuosità  e  quasi  in  totalità  le  due  cavità  indicate. 

Queste  due  cavità  (fig.  ò,  yy)  restano  fra  le  due  sporgenze 
esterne  e  le  due  medie  ;  tali  cavità  sono  conosciute  dagli  ana- 
tomici col  nome  di  cornetti  o  introflessioni  dello  smalto,  e  che 
io  chiamo  cavità  dei  ventri  del  B  formato  dal  bulbo  dentario. 
Ho  detto  che  il  cemento  riempie  quasi  le  introflessioni,  perchè 
nel  centro  di  queste  si  osservano  uno  o  due  tubi  vuoti  (fig.  3, 
25  e  13,  tav.  XUI)  che  arrivano  fino  al  fondo  delle  iYitroflessioni, 
e  che  rappresentano  il  resto  della  cavità  della  papilla  del  sacco 
follicolare. 

Nei  mascellari  inferiori,  alla  medesima  epoca,  si  scorgono  pure 
cinque  eminenze  e  le  stesse  particolarità  indicate  pei  denti  supe- 
riori :  meno  le  introflessioni  a  cui  di  sacco  che  qui  non  esistono 
affatto  affatto.  Due  eminenze  sono  esterne  e  corrispondono  alle 
papille  dei  ventri  del  3  elevantisi  dal  bulbo  (vedi  pag.  349),  e 
tre  sono  inteme,  una  per  ogni  lobo  dell'  appendice  a  forma  di 
classidra  ed  una  per  1'  apice  del  ventre  posteriore. 

Questa  apparenza  della  tavola  triturante  dura  poco  tempo, 
perchè,  ogni  singolo  dente  appena  giunto  al  posto,  per  1'  attrito 
che  porta  con  se  la  masticazione,  corrode  tutta  la  superficie 
esposta  di  queste  parti  ;  cosicché  a  lungo  andare  rimane  scoperta 
una  superficie  di  dentina  nel  mezzo  di  ciascuna  sporgenza,  cir- 
condata da  una  striscia  di  smalto,  e  lo  smalto  da  una  striscia 
più  o  meno  grossa  di  cemento,  che  abbiamo  già  detto,  ricopre 
tutto  il  dente.  Nonostante  che  i  denti  colla  masticazione  si  con- 
sumino, tuttavia  la  porzione  della  corona  che  sta   al  di  fiiori 


:>58  <'.  HAKALDI 

(\e\Y  alveolo  si  mantiene  sempre  alla  medesima  lunghezza  per 
un  carattere  comune  molto  rimarchevole  che  si  riscontra  in 
questi  denti  ed  in  denti  di  altri  animali  erbivori.  Essi  sono  cac- 
ciati fuori  dall'alveolo  mano  mano  che  si  consumano;  in  ma- 
niera che  tutta  la  porzione  della  corona  che  sta  entro  Y  alveolo 
viene  spinta  fuori.  E  provato  peraltro  che  la  uscita  continua 
del  dente  non  dipende  dal  consumo  che  soffre  nella  masticazione  : 
perchè  se  un  dente  opposto  viene  a  mancare,  quello  che  resta, 
sopravanza  di  molto  i  vicini  (/).  Bisogna  intanto  ben  guardarsi, 
fa  osservare  Blandin  C^),  dal  prendere  come  per  un  vero  accre- 
scimento lo  sporgere  continuo  dei  denti  mascellari,  inquantochè 
questo  accrescimento  non  è  che  apparente  e  a  conti  fatti  quando 
si  misura  la  lunghezza  della  corona,  è  tanto  più  corta  quanto 
più  vecchio  è  V  animale. 

III.  Descrizione  della  tavola  triturante 

La  tavola  triturante  dei  denti,  che  non  hanno  ancora  inco- 
minciato  il  lavorìo  della  triturazione  degli  alimenti,  si  mostra 
costituita  tanto  nei  denti  superiori  quanto  nei  denti  inferiori, 
di  cinque  eminenze,  delle  quali  abbiamo  già  detto  a  pag.  16. 

Se  noi  teniamo  dietro  ai  diversi  gradi  di  consumo,  che  av- 
vengono nei  denti,  noi  vedremo  cambiarsi  in  una  maniera  stra- 
ordinaria la  figura,  che  rappresenta  Y  avorio  nella  tavola  tritu- 
rante. Questo  cambiamento  è  tanto  più  rimarchevole  nel  periodo 
di  tempo  che  impiegano  i  denti  a  consumare  in  totalità,  le  cinque 
sporgenze  o  eminenze  e  portare  quindi  al  pareggiamento  la  ta- 
vola triturante,  di  quello  che  si  osserva  dal  pareggistmento  fino 
al  consumo  di  tutta  la  corona. 

In  causa  dello  stropicciamento,  i  denti  soffrono  i  seguenti 
cambiamenti. 

(<)  Tenori  (vedi  Girard,  loc  cit.  pag.  81)  ha  calcolato  che  <i  molari  del  cavallo 
potrebbero  acquist-nre  la  lunghc/.za  di  circa  sei  pollici,  se  nulla  perdessero  per  con- 
fri''ain3nto.  In  una  to^ti  -li  cavalla  sacrificati  pei  lavori  anatomici,  e  che  segnava 
da  sei  a  sette  anni,  i  denti  molari  superiori  destri  non  erano  logorati  che  alla  loro 
faccia  laterale  interna,  e  si  erano  conservati  intatti  alla  faccia  opposta,  la  fila  infe- 
riore, che  passava  in  dentro,  aveva  perforata  la  volta  palatina;  i  molari  superiori 
avevano  acquistato  una  lunghezza  straordinaria;  uno  di  questi  denti  misurato  dal- 
l'estremità dello  radice  airestremilà  della  tavola,  marcava  cinque  pollici,  e  la  diffe- 
renza in  meno  non  era  che  alcune  linee  per  gli  altri  molari». 

(•)  Anatomie  du  sy$tème  dentaire  dans  V  Home  et  les  animaux,  pag.  115. 
Bmxelles,  1837. 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQEIDI  359 

La  tavola  totalmente  intatta  dei  denti  superiori,  perde  nel 
corso  di  pochi  mesi  gli  orli  taglienti  delle  cinque  eminenze  (fig.  7, 
ee  e  e  e\  tav.  IX)  e  mostra  cinque  isole  d'avorio  contornato 
da  smalto  e  cemento  due  delle  quali  sono  esterne,  due  sono  medie, 
ed  una  è  interna;  dopo  pcchi  altri  mesi  alcune  di  queste  isole 
si  sono  unite  fra  di  loro;  e  dopo  un  anno,  od  al  più  un  anno 
e  mezzo  tutte  le  isole  indicate  sono  continuative  e  racchiudono 
nel  loro  centro  due  cavità,  {cv  cv\  fig.  10  a  17,  tav.  IX)  piene 
di  cemento  contoniato  da  smalto. 

L'  ordine  col  quale  le  isole  si  uniscono  fra  loro  è  general- 
mente questo:  prima  si  fondono  insieme  le  due  esterne  e  le  due 
medie;  poi  V  interna  colle  medie,  e  queste,  dal  lato  posteriore 
colle  esterne,  indi  le  medie  si  uniscono  dal  lato  anteriore  colle 
esterne,  e  finalmente  le  medie,  nel  loro  centro,  vanno  a  con- 
giungersi colle  esterne. 

Nei  denti  mascellari  inferiori  si  mostrano  pure,  dopo  pochi 
mesi,  cinque  isole,  le  quali  si  uniscono  presto  fra  loro  con  questo 
ordine:  prima  le  due  interne  anteriori,  poi  la  posteriore  interna 
colla  posteriore  esterna  e  subito  dopo  formano  un  solo  conti- 
nente, riunendosi  tutte  tra  loro. 

Tutte  queste  apparenze  della  tavola  triturante  variano  nella 
medesima  epoca  nei  differenti  denti  di  una  serie,  guardati  in 
un  medesimo  individuo,  essendo  esse  in  perfetta  correlazione 
colla  eruzione  dei  denti  stessi:  così  ad  esempio,  quando  il  m  1 
presenterà,  cinque  isole  il  m  2  non  sarà  ancora  usato,  quando 
il  m  1  sarà  pareggiato  il  m  2  non  avrà  ancora  tutte  le  isole 
fuse  fra  lorg  etc.  etc. 

Allorché  la  faccia  di  sfregamento  di  tutti  i  denti  mascellari 
è  pareggiata  (tav.  IX,  fig.  10  a  15),  cioè  tutte  le  isole  si  sono 
riunite  e  le  cavità  e  le  anfrattuosita  sembrano  riempite  e  li- 
vellate, cambiasi  in  una  tavola  di  forma  triangolare  nel  pre- 
molare terzo  superiore  (fig.  IO,  p3);  nel  molare  terzo  invece 
la  forma  è  presso  che  trapezoide  (fig.  15,  m  3)  e  negli  altri  è 
quadrilatera  (fig.  Il  a  14). 

La  direzione  della  tavola  è  in  tutti  leggermente  obliqua 
dall'  infuori  all'  indentro.  Riguardo  a  ciò,  nei  denti  inferiori 
è  solo  da  notare  che  il  molare  terzo,  invece  di  avere  la  ta- 
vola di  forma  trapezoide  come  l' ha  il  molare  terzo  superiore, 
r  ha  triangolare  (  vedi  tutti  i  m  3  nella  tav,  XtlT  )  ;  e  la  dire- 

Se,  Nat.  VoL  YIIJ,  fàso.  2.°  26 


f 


i 


360  <}.  BÀKALDI  ' 

zioae  della  tavola  è  dall'  indentro  all'  infuori  (vedi  m  1-  m  2\ 
fig.  1,  tav.IX). 

La  superficie  della  tavola  è  guarnita  d' eminenze  e  di  de- 
pressioni trasversali,  disposte  regolarmente  nel  senso  secondo 
il  quale  i  denti  mascellari  collidono  gli  uni  cogli  altri.  Le  de- 
pressioni corrispondono,  per  lo  più,  una  nel  mezzo  del  dente  e 
due  ai  lati,  anteriore  e  posteriore,  ove  lo  strato  dello  smalto 
è  meno  spesso  (fig.  l,  m  ì,  et  e  m  2,  e t). 

Da  questo  periodo  in  avanti  lo  studio  della  tavola  tritu- 
rante è  del  massimo  interesse.  Essa  ci  fa  conoscere  se  un  dente 
è  superiore  od  inferiore,  se  premolare  primo,  secondo  o  terzo, 
se  molare  primo,  secondo  o  terzo  ;  se  di  un  individuo  giovane 
o  di  un  vecchio,  e  se  è  di  una  specie  o  di  un  altra;  almeno, 
e  credo  di  poterlo  <limostraro,  per  gli  equus  viventi  domestici. 

Per  la  tal  cosa  ritengo  necessario  far  precedere  alla  deter- 
minazione dei  denti  una  succinta  descrizione  anatomica  intorno 
alla  figura  che  presenta  V  avorio  nella  tavola  triturante  stessa: 
ritenendo  non  sufficienti  al  nostro  scopo,  quelle  date  fin  qui 
dagli  autori.  Ed  oltre  poi  al  non  essere  sufficenti  le  descrizioni, 
le  parti  della  tavola  stessa  sono,  dai  diversi  Odontologia  chia- 
mate in  differente  modo. 

Bracy-Clark  (^)  osserva  che  la  superficie  di  sfregamento  dei 
mascellari  superiori  imita  assai  bene  un  B  gotico  rivolto  verso 
la  parte  interna  della  bocca,  offrendo  nella  porzione  la  più  av- 
vicinata alla  apertura  boccale  una  piccola  appendice. 

I  mascellari  superiori,  dice  Cuvier  C^),  presentano  all'  occhio, 
in  tutto  il  suo  contorno,  un'  orlatura  di  smalto  che  fa  due  pieghe 
principali,  una  alla  loro  faccia  interna  assai  grande,  e  1'  altra 
alla  loro  faccia  esterna,  più  piccola;  si  vede  inoltre  nel  suo  mezzo 
due  mezze  lune  (croissant)  contornate  di  smalto,  o  delineato  da 
esse,  e  poste  sulla  medesima  linea  nel  senso  della  lunghezza  del 
dente.  I  mascellari  inferiori  hanno  lo  smalto  che  delinea  su 
ciascuno  di  essi  i  medesimi  contorni,  e  questi  contomi  sono 
tali,  che  è  molto  più  facile  di  rappresentarsi  che  di  descriversi. 
Io  per  brevità  non  voglio  riportare  la  lunga,  ma  esatfB  descr- 
izione, che  dà  questo  autore,  della  tavola  triturante  dei  mascel- 


(<)  On  the  Knousbdge  of  the  age  of  the  horse  by  his  teeth^  etc  LondoOt  188<(. 
O  Des  Dents  des  Mammiféres.  pag.  226.  Paris,  1825. 


DENTI  MASCELLARI  DEGÙ  EQUIDI  361 

lari  inferiori,  bastandomi  d' indicare  più  avanti,  in  un  quadro, 
la  nomenclatura  che  egli  dà.  alle  diverse  parti  di  questi  denti. 

*"  I  denti  di  sopra  »  (  parlando  dei  mascellari  )  Girard  dice, 
pag.  226  (^),  *"  hanno  nella  superficie  delle  basi  loro  per  il  largo, 
quasi  nel  mezzo  un  cavo  quasi  rilevato  dai  lati;  e  per  il  lungo 
di  essi  vi  sono  incavati  molti  seni  piccoli  ineguali  curvi,  e  quasi 
semicircolari,  fatti  con  mirabile  artificio  di  natura  affine  di 
meglio  macinare  il  cibo.  I  mascellari  inferiori,  sono  nel  lato 
di  sopra  ineguali,  ruvidi,  e  tutti  pieni  per  il  lungo  della  super- 
ficie del  corpo  loro  di  seni  poco  profondi  ora  corti  ora  curvi, 
ed  ora  quasi  rotondi  nei  lati  di  fuori  „. 

Haxley(^)  asserisce  che  nei  denti  mascellari  superiori  *^  il 
disegno  generale  della  superficie  corrosa  può  essere  descritto 
cosi:  esternamente  due  mezze  lune  longitudinali  una  dietro 
r  altra  colle  loro  concavità,  volte  air  infuori,  le  quali  si  formano 
per  la  corrosione  delle  pareti;  internamente,  a  queste,  due  altre 
mezze  lune  in  parte  trasversali  le  cui  estremità  anteriori  sono 
in  contatto  colla  parete,  le  quali  si  formano  per  la  corrosione 
delle  lamine  ;  ed  attaccate  alla  superficie  interna  di  queste  due 
superficie  a  forma  di  classidra  fermate  dalla  corrosione  delle 
due  colonne  solcate  „.  Nella  mascella  inferiore  dice:  ^  il  risultato 
della  corrosione  qui  è  di  due  mezze  lune  le  cui  concavità  sono 
voltate  in  dentro:  al  punto  di  unione  delle  due  mezze  lune 
anteriore  e  posteriore  si  osserva  una  superficie  profondamente 
biforcata  „  :  un  altra  superficie  si  mostra  in  connessione  col- 
r  estremità  posteriore  della  mezza  luna  posteriore. 

Tomes  (^),  dice,  che  il  dente  molare  superiore  usato  di  ca- 
vallo presenta  sopra  un  campo  generale  di  avorio,  due  isole  di 
cemento,  limitate  da  una  linea  tortuosa  di  smalto,  e  alla  parte 
intema,  una  specie  di  promontorio  d' avorio  limitato  dallo 
smalto . 

Potrei  seguitare  a  trascrivere  quello  che  hanno  detto  intorno 
alla  tavola  triturante  dei  denti  mascellari  negli  equidi  molti 
distintissimi  naturalisti  quali  Cuvier,  Owen,  Rùtimeyer,  Mayor, 
etc.  ma,  se  anche  lo  facessi  non  si  riuscirebbe,  mi  pare,  a  di- 

(*)  Loc.  cit. 

(*)  Manuale  dell'Anatomia  degli  Auimali  vertebrati,  Trad.  da  Giglioli,  pag.  35i. 
Firenze,  )874. 

(•)  Loc.  cit.  pag.  298. 


:^62  (i.  BAKALDI 

stinguere  se  un  dente  mascellare  isolato  è,  ad  esempio,  di  un 
asino  0  di  un  cavallo. 

Perciò  io  credo  di  non  fare  cosa  inutile  il  descrivere  più 
minutamente  la  figura  presentata  dalle  tre  sostanze  che  com- 
pongono i  denti  e  principalmente  V  avorio,  essendo  esso  che  da 
la  forma  ai  denti  stessi.  Siccome  abbiamo  visto  che  V  avorio 
va  a  sostituire  il  bulbo,  di  cui  abbiamo  parlato  nello  sviluppo 
dei  denti,  così  ne  viene  per  conseguenza  che  V  avorio  in  se- 
zione presenterà  la  stessa  figura  presentaci  dal  bulbo.  Quindi 
r  avorio  dei  denti  mascellari  superiori  figurerà  un  B  gotico, 
come  hanno  anche  asserito  Bracv-Clark  e  Chauveaux,  ed  i  ma- 
scellari  inferiori,  secondo  me,  un  3.  Il  B,  come  ognun  sa,  consta 
di  un  asta  con  duo  apici  uno  anteriore  ed  uno  posteriore,  e 
due  ventri  (boucles  dei  francesi),  uno  anteriore  ed  uno  poste- 
riore. 11  3  consta  di  due  ventri  con  tre  apici  uno  dei  quali 
anteriore,  uno  medio  ed  uno  posteriore. 

Per  descrivere  la  tavola  triturante  dei  mascellari  superiori 
ed  inferiori  prendo  per  tipo,  tanto  per  gli  uni  quanto  per  gli 
altri  il  primo  premolare  di  un  asino. 

Se  si  guarda  adunque  alla  superficie  triturante  di  un  ma- 
scellare superiore  di  asino  (fig.  9,  tav.  IX  e  fig.  3,  tav.  XllI  — 
premolare  primo  superiore  sinistro  di  asino,  ingrandito  ^"^  23  (^)  — ) 
non  si  dura  molta  fatica  a  scorgere  che  V  avorio  (A)  presenta 
un  B  gotico  orlato,  tanto  all'  esterno  che  all'  intemo,  di  un 
nastro  di  smalto  (s);  nel  quale  B  si  può  considerare  un  asta 
{a  a),  due  ventri  {e  v  )  con  due  appendici  {a  jj-ap),  due  cavità 
dei  ventri  (e  v-c  r'),  delle  sinuosità  e  delle  anfrattuosita  all'  in- 
tomo del  B  stesso  (2). 

L'  asta  (a  a)  h  formata  da  due  linee  curve,  una  anteriore  (&), 
e  una  posteriore  (6'),  colla  convessità  rivolta  all'  esterno;  esse 
linee  curve  si  uniscono  circa  nel  mezzo  dell'  asta,  per  modo  che 
neir  asta  stessa  riscontriamo  tre  apici  uno  anteriore  (1),  uno 
medio  (7),  ed  uno  posteriore  (10). 

I  ventri  sono  uno  anteriore  (  r)  ed  uno  posteriore  (v  ),  questo 
ultimo  ha  una  piega  (15)  al  margine  intero-posteriore,  la  quale 

(*)  La  fig.  3,  tav.  XllI,  rappresenta  disegnato  solamente  Io  smalto  della  fig.  9, 
tav.  IX. 

(')  La  medesima  figura  la  presentano  anche  i  mascellari  superiori  di  tutti  gli 
altri  equus» 


DENTI  MASCELLÀKI  DEGLI  EQUIDI  363 

può  essere  più  o  meno  grande.  L'  appendice  del  ventre  ante- 
riore (ap)  sì  stacca  posteriormente  dal  margine  interno;  assume 
la  forma  di  uno  classidra,  nella  quale  si  può  considerare  un 
peduncolo  (22),  un  lobo  anteriore  (23)  ed  un  lobo  posteriore  (19). 
L'  appendice  del  ventre  posteriore  (a p)  si  stacca  dalla  metà  del 
margine  interno  del  ventre  posteriore,  e  mostra  una  estremità, 
arrotondata  rivolta  all' indietro  (17). 

L'  asta,  i  due  ventri  con  le  sue  appendici  sono  formate,  lo 
ripeto,  da  dentina  (A)  contornata  da  smalto  (S)  e  questo  con- 
tornato da  cemento  (C). 

Le  due  cavità  dei  ventri  sono,  una  aCnteriore  {e  v)  ed  una 
posteriore  (e  i?  ),  entrambi  riempite  dal  cemento  (C),  che  contorna 
lo  smalto  di  questa  cavità:  nel  loro  centro  si  osserva  qualche 
volta  uno  e  qualche  volta  due  fori  (25  e  13)  lasciati  dal  resto 
della  papilla  del  sacco  follicolare,  la  quale  papilla  ha  dato  ori- 
gine al  cemento  che  le  riempie. 

La  cavità  anteriore  {e  v)  oflFre  a  considerare  due  estremità, 
una  anteriore  (2),  una  posteriore  (6);  due  pieghe  una  ante- 
riore (26)  una  posteriore  (3),  e  una  sporgenza  intero  posteriore  (5). 
La  cavità  posteriore  (e v)  offre  pure  a  considerare  due  estre- 
mità, una  anteriore  (8)  una  posteriore  (11);  e  due  pieghe,  una 
anteriore  (14)  e  una  posteriore  (12). 

Le  sinuosità  sono  in  numero  di  tre,  una  esterna  anteriore  (4) 
formata  dalla  concavità  della  linea  curva  anteriore  ;  una  esterna 
posteriore  (9)  formata  dalla  concavità  della  linea  curva  poste- 
riore, ed  una  interna  (21)  formata  dall'appendice  a  forma  di 
classidra. 

Le  anfrattuosita  sono  tre,  una  anteriore*  interna  (24)  situata 
fra  la  convessità  del  ventre  anteriore  e  la  sua  appendice  ;  una 
media  interna  (18)  situata  fra  i  due  ventri,  ed  una  posteriore 
interna  (16)  situata  fra  la  piega  e  Y  appendice  del  ventre  po- 
steriore. L'  anfrattuosita  media  interna  mostra  nel  suo  fondo, 
specialmente  nei  cavalli,  uha  sporgenza  (20)  (vedi,  per  esempio, 
il  numero  20  nella  fig.  4,  p  1 ,  tav.  XII)  :  nelV  iisino,  tale  spor- 
genza, quando  vi  è,  è  pochissimo  sviluppata. 

Tanto  le  sinuosità  che  le  anfrattuosita  sono  piene  di  ce- 
mento (C). 

Andiamo  ai  mascellari  inferiori. 

So  si  guarda  alla  tavola  triturante  dei  mascellari  inferiori 


364  G.  BAKALDI 

Doi  scorgiamo  immediatamente  che  Y  avorio  contornato  da 
smalto  rappresenta  un  3  (fig.  2,  tav.  XIII  —  premolare  primo 
inferiore  sinistro  di  asino  — ).  nel  quale  si  può  considerare,  a 
somiglianza  dei  mascellari  superiori,  due  ventri  (r  r  )  tre  apici 
(1-2-3),  due  appendici  f<i/>  ^p).  due  cavità  dei  ventri  icrcr)^ 
una  sinuosità  e  delle  anfrattuosita  all'  intomo  del  3  (^) . 

I  due  ventri,  sono  uno  anteriore  ('),  che  forma  alla  parte 
anteriore  un  angolo  retto  (i),  ed  un  ventre  posteriore  (r  ). 

Dei  tre  apici,  uno  è  anteriore  H)  molto  appuntato;  uno 
medio  (2).  al  quale  fa  seguito  V  appendice  a  forma  di  classidra, 
e  uno  posteriore  (3)  molto  arrotondato. 

Delle  due  appendici,  una  è  media  iapì  ed  ha  origine  nel 
punto  di  fusione  dei  due  api<;i  dei  ventri,  nella  quale  si  può 
rilevare  un  peduncolo  (2)  o  apice  di  fusione  e  due  lobi,  uno  an- 
teriore f  13)  ed  uno  posteriore  (14):  e  un'  altra  appendice  è  poste- 
riore ((/;/),  nella  quale  si  notano  due  angoli,  uno  esterno  (7) 
ed  uno  interno  fS). 

Delle  due  cavità  dei  ventri,  una  è  anteriore  (e  vi  ed  ha  una 
estremità  anteriore  ( 5 )  ed  una  posteriore  (6):  una  cavità  è  po- 
steriore (r  /  )  e  mostra  pure  due  estremità,  una  anteriore  (9) 
ed  una  posteriore  (10);  oltre  a  ciò  in  questa  cavità  si  osser- 
vano due  pieghe,  una  posta  (juasi  all'estremità  anteriore  (11) 
e  l'altra  circa  nel  mezzo  (12). 

La  sinuosità  è  queir  insenatura  che  si  vede  all'  interno,  fra 
un  lobo  e  1'  altro  dell'  appendice  a  classidra,  e  la  chiamo  per- 
ciò sinuosità  interna  dell'appendice  a  classidra  (21). 

Le  anfrattuosita  sono  diverse:  dò  il  nome  di  anfrattuosita 
media  esterna  (15)  allo  spazio  esterno  compreso  fra  i  due  ventri 
e  chiamo  piega  di  questa  anfrattuosita  (16)  una  sporgenza  che 
si  osserva  alla  parte  anteriore  esterna  del  ventre  posteriore. 
Dò  poi  il  nome  di  anfrattuosita  posteriore  (17)  allo  spazio  che 
vi  è  fra  r  angolo  esterno  dell'  appendice  posteriore  e  il  ventre 
posteriore;  di  anfrattuosita  anteriore  interna  (IS)  allo  spazio 
compreso  fra  il  lobo  anteriore  dell'  appendice  a  classidra  e 
r  apice  del  ventre  anteriore  (  questa  anfrattuosita  è  continua 
colla  cavità  del  ventre  anteriore  )  ;  di  anfrattuosita  media  in- 


(*)  La  mede^'ima    fìunira    presentano   anche  i  Dia^cellari    inferiori    di    tutti   gli 
altri  equus. 


DENTI  MASCELLARI  DEGÙ  EQUIBI  365 

tema  (19)  allo  spazio  che  si  trova  fra  il  lobo  posteriore  del- 
l' appendice  a  classidra  e  Y  apice  posteriore  (  pure  essa,  è  in 
continuità  colla  cavità  del  ventre  posteriore  );  finalmente  chiamo 
anfrattuosita  posteriore  interna  (20)  lo  spazio  compreso  fra  l'an- 
golo interno  dell'  appendice  posteriore  ed  il  ventre  posteriore. 

Prima  di  lasciare  di  parlare  delle  particolarità  della  tavola 
triturante  tanto  dei  mascellari  superiori  che  dei  mascellari  in- 
feriori, dirò  che  il  cemento  che  riempie  le  sinuosità  ed  anfrat- 
tuosita del  B  e  del  3,  costituisce  uno  strato  grossissimo,  che 
sorpassa  in  molti  punti  le  massime  sporgenze  dello  smalto;  in 
modo  che  la  tavola  triturante  assume  una  forma  grossolana- 
mente triangolare  nei  terzi  premolari  superiori  ed  inferiori, 
triangolare  pure  nei  molari  terzi  inferiori,  trapezoide  nei  molari 
terzi  superiori,  e  quadrangolare  in  tutti  gli  altri. 

E  ben  inteso  per  altro  che  il  cemento,  il  quale  riempie  le 
anfrattuosita  e  le  sinuosità  esterne  dei  mascellari  superiori,  non 
e  in  continuazione,  come  abbiamo  già  visto,  col  cemento  che 
riempie  le  cavità  dei  ventri  del  B,  mentre  nei  mascellari  in- 
feriori, ha  luogo  il  contrario. 

Qui  credo  necessario  di  esporre  un  quadro,  il  quale  mostri 
come  da  alcuni  autori  siano  diversamente  chiamate  talune 
parti  della  tavola  triturante  dei  denti  mascellari,  affine  di  po- 
tere confrontare  a  colpo  d' occhio  il  nome  da  me  adottato 
nella  descrizione  della  tavola  triturante  stessa,  con  quello  dato 
dai  medesimi  autori.  Dal  quadro  risulterà,  anche,  come  siano 
pochissime  le  parti  prese  in  considerazione  da  questi  autori,  e 
quindi  non  sufficienti  per  potere  classificare  e  riconoscere  fra 
loro  i  denti  di  un  medesimo  individuo,  e  fra  i  denti  dei  di- 
versi equidi  (^). 

(*)  Chi  desiderasse  avere  maggiori  dottagli  intorno  ai  denti  mascellari  del  ca- 
vallo, anche  al  difuori  della  tavola  triturante,  può  ricorrere  con  grande  profitto  alla 
esatta  e  lunga  descrizione,  corredata  da  bellissime  figure,  che  ne  danno  Goubaux 
e  Rarrier  nel  loro  stupendo  lavoro  «  De  V  Eo;térieur  du  ChevalPm  Non  mi  sono  ser- 
vito della  nomenclatura  delle  diverse  parti  della  tavola  triturante,  data  da  questi 
autori  perchè  mi  pare  sia  più  facile  quella  da  me  adottata. 


1.  Quadro  della  nomenclatura  delle  diverse  parti  della  tai 

Autori  e  da  me  —  Denti  mascellari  9 


r 


A 

b 
h' 

V 

e' 
ap 

ev 

1 

2 

8 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

18 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

20 

31 

22 

23 

24 

25 

26 


Baraldl  f^ 

ÀTOrio  che  rappresenta  un  B  gotico 

.VflU  del  B 

Cnrra  anteriore  ilelPosta 

Curva  p<isteriore  dell'afta     .    .     .     . 

Ventre  anteriore 

Ventre  posteriore 


ChaiiVMi  (') 


Gandry  (^ 


gotico 


Appendice    del    ventre   anteriore    o  appendice  a  forma 
di  classidra 


Appendice  del  ventre  p^jsteriore 
Cavità  del  ventre  anteriore  .     . 


Cavità  del  ventre  posteriore, 


boucle  ant. 

boucle  post. 

appendice    de  la 
boucle  ant. 

onl  di  sacco  anter. 
cai  di  sacco  post. 


ilentioolo  est 
denticolo  est  ] 
denti  e*  medio 
dentic*  medio 
dentic*  grand< 

dentic*  piccia 


I 


I 


! 


cit 


Apice  anteriore 

Estremità  ant.  della  cavità  del  ventre  ant 

Piega  intero  posteriore  della  cavità  del  ventra  ant.  . 

Sinaosità  esterna  ant. 

Sporgenza  intero  posteriore  della  cavità  anteriore 

Estremità  posteriore  della  cavità  ant -     . 

Apice  mediano 

Estremità  ant.  della  cavità  poster 

Binaosità  esterna  posteriore 

Apice  posteriore 

Estremità  posteriore  della  cavità  post 

Piega  posteriore  della  cavità  poster 

Foro  papillare  della  cavità  posteriore 

Piega  anteriore  della  cavità  posteriore 

Piega  intero  p<J8teriore 

Anfrattuosita  posteriore 

Estremità  posteriore  dell'appendice  posteriore  .     .     . 

Anfrattuosita  media 

Lobo  posteriore  dell'appendice  anteri«»ro 

Fondo  dell'anfrattuosita  media *    .    .    . 

Hinaosità  intema 

Colletto  dell'appendice  anteriore 

Lobo  anteriore  dell'appendice  anteriore 

Anfrattuosita  anteriore 

Foro  papillare  della  cavità  anteriore 

Piega  anteriore  della  cavità  anteriore 

(*)  La  prima  colonna  indica  le  parti  delia  tavola    triturante  dei  denti    descritte  in   questo    h 
—  («)  Loc.  cit  —  V)  Loe.  cit  —  (")  De  Vextrneur  du  Cheval,  1883. 


;urant6  dei  denti  mascellari  degli  Equidi,  data  da  alcuni 

ri  (vedi  fig.  9,  Tav.  IX  e  fig.  3,  Tav.  Xni). 


'infoDdlbolouit. 
infundibolo  post, 
'infandibolouit. 
Lafnndibolo  p<wL 
iria  dell'  infondi- 


!         ! 

-  (•)  Lts  anfJiniirm'iiU  iìh  J^onàe  Animai  da»*  In  lem/n  gtolopijiie:  —  (•)  toc  cit.  —  (»)  Liic. 


II.  Quadro  —  Denti   masoeU 


fT 


;i 


;    ap' 


e  V 


ev- 


3 
4 

5 

6 

7 

8 

9 
lU 
11 
13 
18  • 
14 
15 
IG 
17 
18 
19 


I    30 


21 


Baral4i 


GImbymh 


fiurfrf 


L' aTorìo  presenta  an  3 modiflcazione  del  B 

Ventre  anteriore !  dentioolo  ant  «al 

I 

Ventre  posteriore denticolo  post. 

i 

Appendice  media  o  a  forma  di  elassidra , 


Appendice  del  ventre  posteriore 
Cavità  del  ventre  anteriore  .    . 
Cavità  del  ventre  posteriore.    . 
Apice  del  ventre  anteriore    .    . 
Apice  di  fusione  dei  dae  ventri 


cul-de-8ae 


Apice  del  ventre  |>OHtcrìore denticolo  del  lobo 

Angolo  retto  del  ventre  anteriore 1 

Estremità  anteriore  della  cavità  del  ventre  anteriore ! 

Estremità  posteriore  della  cavità  del  ventre  anteriore j 

Angolo  estemo  dell'appendice  posteriore \ 

Angolo  intorno  dell'appendice  posteriore i 

Estremità  anteriore  della  cavità  del  ventre  posteriore ^ 

Estremità  posteriore  della  cavità  del  ventre  posteriore. 


Piega  anteriore  della  cavità  del  ventre  posteriore 
Piega  media  della  cavità  del  ventre  posteriore .    , 
Ijìho  anteriore  dell' api>end ice  media    .    .     .    .     , 
Lolx»  i>osteriore  dell'appendice  media  .... 

Anfrattuosita  media  esterna 

Piega  dell'anfrattuosita  media  esterna  .... 

Anfrattuosita  posteri«»re  ectenia , 

Anfrattuosita  anteriore  intema , 


1 


denticolo  Inter 
denticelo  inten 


continuazione  dello 


I 


Anfrattuosita  medU  interna S     »°"»*«  ^f},  "^  ^^'  \ 

^^  I    SACCO  coli  esterno,  1 

Anfrattuosita  posteriore  intema o  cnnnellurté 


Sinuosità  intema 


{})  Beitrfige  dtichichte  drr  Fosailen  I*fcrde  iw*he9ondere  ltalien%.  Zurtoh,  1880. 


'inferiori  (%.  2,  Ut.  XIII). 


lobo  iot  posL 
piaga  uit  dello.snulto 
plcgk  4eaU  intcrnm 
piega  dello  smallo 


piega 
Eatremità  posteriore 


mezsi  luna  posteriore 
anperfloie  della  colonna 


o  dei  lobi  inL  poaL 


ino  del  lubi  int  poat. 
piega  esterna  anL 


lobo  interno  inedjuio 
lobo  interno  mediano 
piega  eatema 
piega  eetema 


bordo  int  dell'infondibolo 
infundibolo  anteriore 
inlVuidiboIo  poateriore 


370  <;.  BAKALDI 

Ritenendo  ora  di  avere  sufficienti  elementi  sulla  tavola  tri- 
turante dei  denti  mascellari,  per  poterne  parlare  in  particolar 
modo^  vengo  senz'  altro  a  dire  che  dalla  sola  ispezione  della 
tavola  stessa  noi  possiamo  intanto  stabilire  il  posto  che  con- 
viene ai  denti  mascellari  degli  equidi,  nella  classificazione  dei 
denti  adottata  da  alcuni  anatomici. 

IV.  Classificazione  dei  denti  mascellari  e  confronto 
della  tavola  triturante  dei  denti  superiori  co- 
gli  inferiori . 

I  denti  tutti,  come  ognuno  sa,  sono  stati  divisi  in  gimnosomi 
costituiti  di  sola  dentina  ed  in  stegrnwsomi,  i  quali  hanno  la 
dentina  ricoperta  da  una  o  due  sostanze,  smalto  e  avorio.  Gli 
steganosomi  poi,  all'  esempio  del  Cuvier  e  del  Milne-Edwards, 
si  possono  dividere  in  denti  semplici  e  denti  composti  :  semplici 
sono  quelli  che  hanno  una  forma  conica  o  una  forma  laminare 
a  superficie  piana  o  deVjolmente  curvata,  in  cui  lo  smalto  od 
il  cemento  riveste  solo  la  periferia:  composti  o  solcati  invece 
sono  quelli  che  ofi'rono,  nel  loro  interno,  dello  smalto  e  del 
cemento,  o  solo  una  di  queste  sostanze  incastrate  nella  dentina^ 
e  che  presentano  per  conseguenza  sulla  tavola  triturante,  in 
una  sezione  orizzontale  fatta  artificialmente,  le  tre  sostanze  al- 
ternate, sia  nel  loro  asse,  sia  nella  loro  superficie  laterale.  I 
denti  composti  possono  poi  assumere  cinque  forme  principali, 
ed  essere  divisi  perciò  in  denti  a  fcttnccia  (Rubanées),  (lenti  fos- 
.sicolffti,  dmti  lohnlutiy  denti  fascicolati,  e  denti  aggregati. 

Denti  a  fettuccia  sono  quelli  nei  quali  la  superficie  della  polpa 
dentinica  non  è  scavata  da  solchi  che  lateralmente,  di  maniera 
che  le  piegature  centripete  dello  smalto  e  del  cemento  sono 
verticali,  e  si  mostrano  dapertutto  in  continuità  della  sostanza, 
«lualunque  sia  la  profonditìi  alla  quale  arriva  il  consumo  della 
corona. 

JJenti  fossi  colati  sono  quelli  che  presentano  in  generale  delle 
ripiegature  laterali  dello  smalto  come  i  denti  a  fettuccia;  ma 
offrono  inoltre  calla  loro  superficie  triturante  delle  depressioni 
profonde  nelle  quali  questo  rivestimento  penetra,  di  maniera* 
che  allorquando  la  corona  è  un  poco  usata  dalla  masticazione, 
vi  si  osservano  delle  specie  di  isole  com|X)ste  di  cemento  con- 


DENTI  MSSCELLARl  DEGLI  EQUIDI  371 

tornato  da  smalto  completamente  separate  dallo  smalto  esterno, 
per  mezzo  di  uno  strato  più  o  meno  grosso  di  dentina. 

Non  sto  a  descrivere  i  denti  lobulati,  fossicolati  e  aggre- 
gati, non  riscontrandosi  di  queste  forme  nei  denti  del  cavallo. 

Io  non  ho  trovato  in  altri  libri  di  odontologia,  all'  infuori 
di  quelli  dichiarati,  questa  classificazione.  Gli  autori  di  cui  posso 
disporre  descrivono  i  mascellari  del  cavallo  senza  classificarli: 
però  dalla  descrizione  che  questi  danno,  non  sempre  risulta 
chiara  la  enorme  differenza  che  passa  fra  i  denti  mascellari 
superiori  ed  i  denti  mascellari  inferiori  del  cavallo. 

Credo  quindi  di  non  fare  cosa  inutile  il  ritornarvi  sopra, 
affinchè,  colla  dimostrazione  che  tenterò  di  dare,  risulti  chiaro, 
quale  posto  convenga  ai  denti,  di  cui  teniamo  parola,  e  la  dif- 
ferenza grande  che  vi  h  fra  i  mascellari  superiori  ed  i  mascel- 
lari inferiori. 

Volendo  seguire  la  classificazione  data  dal  Milne-Edwards  (^), 
ritengo  che  i  denti  inferiori  debbono  essere  posti  fra  i  denti 
a  fettuccia  e  i  denti  superiori  fra  i  denti  fossicolati.  Infatti  i 
mascellari  inferiori  mostrano  solamente  delle  pieghe  laterali, 
le  quali  sono  rappresentate,  viste  dalla  tavola  triturante  (figure 
della  tav.  XIII,  meno  la  terza),  dalle  sinuosità  ed  anfrattuosita. 
Per  cui  la  polpa  dentinica  adunque  non  forma  che  ripiegature 
laterali  rivestite  da  smalto  e  cemento  che  sono  dapertutto  in 
continuità,  come  si  può  vedere  osservando  qualunque  grado  di 
usura  al  quale  possa  essere  giunto  il  dente  ;  condizione  che  si 
deve  riscontrare  nei  denti  a  fettuccia. 

I  mascellari  superiori  oltre  di  mostrare  la  sostanza  denti- 
nica tutta  ripiegata  lateralmente  e  ricoperta  di  smalto  e  ce- 
mento, mostrano  anche  alla  superficie  triturante  due  escava- 
zioni della  polpa  dentinica,  le  quali  giungono  fino  alla  radice 
dei  denti,  come  si  può  vedere  guardando  la  superficie  triturante 
di  animali  vecchissimi  o  in  sezioni  trasversali  fatte  vicine  alla 
radice  (fig.  17,  tav.  IX),  o  in  sezioni  longitudinali  (fig.  5,  tav,  IX). 
Le  escavazioni  della  sostanza  dentinica  nella  superficie  tritu- 
rante, sono  foderate  da  smalto  e  sono  piene  di  cementò,  per 
cui  formano  due  isole  di   cemento  contornato   da  smalto  in 


(')  Legons  sur  la  Phisiologie  et  V Anatomie  campar ée  de  V  Homme  et  des  Ani' 
maux,  Tom.  VI,  pag.  155.  Paris,  1860. 


872  0.  BABAU)I 

mezzo  air  avorio,  per  modo  che  le  sostanze  che  formano  le  due 
isole  non  sono  in  alcun  modo  continue,  (s'intende  quando  il 
dente  è  usato  ),  colle  stesse  sostanze  che  riempiono  le  infossa- 
ture  laterali  esterne.  Questa  ultima  particolarità  unita  alle  altre 
fa  porre  i  mascellari  superiori  fra  i  denti  fossicolati. 

Al  considerare  denti  a  fettuccia  (rubanées)  i  mascellari  in- 
feriori degli  Equus,  come  io  faccio,  si  potrebbe  obiettare  che 
alcuni  anatomici  ritengono  i  mascellari  formati  nelle  due  arcate 
giusta  il  medesimo  tipo,  come  ad  esempio  ha  detto  Giebel  {^), 
il  quale  così  si  esprime:  "  nack  detisalben  Typiis  gebel  in  beiden 
Reihen  „  :  che  altri  dichiarano,  essere  i  mascellari  inferiori  sem- 
plicemente una  modificazione  dei  mascellari  superiori,  come 
Chaveau  (-),  il  quale  dice:  "  La  structure  des  Molaires  rap- 
pelle  celle  des  incisives,  quoiqu'  elle  soit  beaucoup  plus  com- 
pliquèe.  La  cavità  intérieure  de  la  dent,  cavité  extrémement 
diverticulèe,  est  enveloppée  par  V  ivoire.  L' email  ,est  applique 
en  conche  sur  celui-ci,  et  se  replie  dans  le  culs-de-sac  exteraes 
exactement  comme  pour  les  incisives;  aussi  trouvet-on,  sur  la 
surface  de  frottement  de  la  dent  qui  a  use,  un  encadrement 
d'  email  extérieur,  et  deux  cercbs  ou  plutòt  deux  polygoaes 
irréguliers  d'email  centrai,  circonscrivant  les  deux  cornets. 
Dans  les  molaires  supérieur,  V  ensamble  de  ces  rubans  d' éniail 
reprèsente  un  B  gothique,  portant  un  petit  appendice  sur  la 
boucle  la  plus  rapprochée  de  V  entrée  de  la  bouche.  Cette  figure 
est  modifiée  dans  les  dents  de  la  màchoire  inférieure,  V  email 
des  culs-de-sac  se  continuant  du  còte  interne  avec  V  email 
extérieur  „. 

Ed  altri  autori  ancora,  mi  si  può  dire,  pongono  i  denti  ma- 
scellari inferiori  fra  i  denti  fossicolati,  come  ad  esempio,  il 
Milne-Edwards  (^),  il  quale  asserisce  che  la  conformazione  dei 
denti  fossicolati:  "  se  voit  chez  plusieurs  Rongeurs,  mais  est  plus 
caractèrisé  chez  le  Che  vai  e  la  plupart  des  Uuminants,»:  e  in 
nota  aggiunge  "  Chez  le  Cheval,  ce  mode  de  conformation  se 
reconnait  aux  dents  incisives  aussi  bien  qu'  aux  molaires,  mais 
n'  est  fortement  caractèrisé  que  sur  ces  dernieres,  principalemeut 
à  la  màchoire  supérieure?  „. 


Q)  Odontographie,  pag.  63.  1855. 

(')  Loc.  ciU,  pag.  4u8. 

(3)  Loc.  cit,  pag.  157  e  158,  torn.  VI. 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  373 

A  tali  opposizioni  risponderei  brevemente  che  la  enorme 
diflFerenza  di  costituzione  fra  i  mascellari  superiori  ed  i  mascel- 
lari inferiori,  nei  quali  T  avorio  nella  tavola  triturante  usata 
presenta  un  3  negli  ultimi  ed  un  B  nei  primi,  non  mi  può  per- 
mettere di  accettare  V  opinione  di  Giebel  che  cioè  i  mascellari 
delle  due  arcate  siano  costituiti  sul  medesimo  tipo;  poiché  se 
pensiamo  che  il  bulbo,  il  quale  ha  generato  i  mascellari  infe- 
riori, si  può  rassomigliare  ad  un  nastro  pieghettato  solo  late- 
ralmente, e  che  il  bulbo  che  ha  dato  origine  ai  mascellari  su- 
periori, oltre  di  essere  pieghettato  lateralmente,  presenta  due 
cavità,  ci  dobbiamo  convincere  che  i  mascellari  inferiori  sono 
di  tipo  diiferente  dai  superiori. 

Direi  poi  che  Chauveaux  e  caduto  in  -un  inesattezza  quando 
ha  asserito,  esservi  nei  mascellari  inferiori  dei  cul-di-sacco,  se 
egli  stesso  aggiunge  che  lo  smalto  ed  il  cemento  che  li  riempie 
sono  in  continuazione  collo  smalto  ed  il  cemento  che  riveste 
il  dente  lateralmente. 

Finalmente  farei  osservare  che  Milne-Edwards,  almeno  mi 
pare,  sia  caduto  in  errore  quando  ammette  fra  i  denti  fossi- 
colati  i  mascellari  inferiori  di  cavallo;  in  quanto  che  non  tro- 
viamo in  essi  alcuna  introflessione  di  sostanza  nella  tavola  tri- 
turante, che  egli  stesso  ha  messo  per  condizione  essenziale  per 
essere  denti  fossicolati  :  e  che  la  clausola  esposta  dal  medesimo 
anatomico,  che  cioè  la  forma  dei  denti  fossicolati  si  riscontra 
principalmente  alla  mascella  superiore,  non  possiamo  accettarla, 
come  una  esclusione  dei  mascellari  inferiori  dai  denti  fossico- 
lati, perchè  avremmo  dovuto  riscontrarli  fra  i  denti  a  fettuccia 
(rubanèes),  nella  classificazione  data  dal  medesimo  autore. 

Concluderò  ripetendo  che  fino  a  quando  seguiremo  la  clas- 
sificazione dei  denti  dataci  dal  Milne-Edwards,  noi  saremo  co- 
stretti a  porre  fra  i  denti  steganosomi  composti  a  fetuccia 
(rubanèes)  i  mascellari  inferiori  degli  equidi,  ed  i  mascellari 
superiori  fra  i  denti  steganosomi  composti  fossicolati. 

Ma  nei  solipedi,  mi  si  domanderà,  i  mascellari  di  ogni  singola 
arcata  sono  costituiti  tutti  sul  medesimo  tipo? 

Sì:  tranne  leggere  modificazioni  che  li  fa  solamente  distin- 
guere r  uno  dair  altro. 


374 


U.  BAKALDf 


V.  Distinzione  e  confronto  della  tavola  triturante  dei 
diversi  denti  mascellari  di  una  medesima  serie. 

I  denti  mascellari  destri  e  sinistri  si  dividono  in  due  serie 
superiori  ed  in  due  serie  inferiori;  le  une  e  le  altre  possono 
essere  di  denti  decidui  o  di  denti  permanenti.  Nella  descrizione 
tengo  nota  solamente  di  un  lato,  essendo  T  uno,  sempre  per- 
fettamente uguale  air  altro. 

Per  quanto  io  sa|)pia,  non  credo  che  alcun  Odontologo, 
Anatomico,  o  Zootecnico  si  sia  interessato  di  far  conoscere  le 
modificazioni,  che  avvengono  nella  figura  presentata  dall'avorio 
della  tavola  triturante  dei  denti  dichiarati  dei  solipedi  ;  le  quali 
modificazioni  si  riscontrano  nelle  diverse  specie  di  mascellari 
di  un  medesimo  individuo. 

Cuvier(/),  OwenC-),  De  Blainville  (^),  Giebel(*),  Blaudin  (^), 
Girard (/'),  Huxley  (^),  Chauveau  («),  Sansone,  Gayot(i^),  Qou- 
baux  e  Barrier  (^M,  etc.  hanno  stabilito  la  differenza  fra  il  terzo 
e  quarto  premolare  ed  il  terzo  molare  cogli  altri  quattro,  ma 
non  si  sono  fermati  che  a  dire,  se  non  superficialmente,  in  che 
consista  questa  differenza. 

M.  F.  Cuvier  (pag.  225)  asserisce:  "  La  première  màchelière 
(per  noi  p  4)  est  une  i'ausse  molaire,  qui  tombe  bientot,  et  qui 
11'  est  pas  remplacée  ;  elle  ne  se  trouve  pas  dans  nòtre  dessiu. 
La  seconde  (p  3)  est  grand  et  a  la  forme  generale  d' un  triangle 
isocéle.'  Son  angle  aigu  est  en  avant,  et  elle  présente  à  l' oeil, 
dans  tout  son  contour,  u  nebordure  d'  email  qui  fait  deux  plis 
principaux,  un  a  sa  face  interne,  assez  grand,  et  1'  autre  à  sa 
face  externe,  plus  petit;  on  voit  en  outre  dans  son  milieu  deux 
croissans  entourès  d'  email,  ou  dessinés  par  elle  et  placès  sur  la 

(*)  Loc.  cit. 

(*)   Odontotj raphie.   I8»r). 

(')   Osleog raphie.   1839. 

(*)  Loc.  cit. 

(•')  Loc.  cit. 

(*)  Loc.  cit 

(")  Loc.  cit 

(*)  Loc.  cit 

(')  Loc.  cit 

(•0)  Loc.  cit 

(»»;  De  r  extéricur  du  tìuxul.  Parip,  1855. 


DENTI  MASCBLLABI  DEÙhl  EQUIDI  375 

rnème  ligne,  dans  le  sens  de  la  longueur  de  la  dent.  Les  quatre 
macheliéres  suivantes  sont  corrèes  ;  mais  elles  présentent  exa- 
ctement  le  mémes  figures  que  la  première  „  (avrà  voluto  dire 
que  la  second  èssendo  il  primo  molare  (p4)  un  dente  semplice), 
*"  La  sixiéme  ressemble  encore  aux  précèdentes  par  les  dessins 
que  forme  V  email,  et  elle  n'  en  diflfère  que  parcequ'  elle  est  plus 
étroite  h  son  ex  tremi  té  postérièure  qu'  h  son  exstrèmité  anté- 
rieure,  Ces  dents  ne  prennent  leurs  racines  qu'  k  un  àge  assez 
avance  „ . 

Dei  due  ordini  di  denti  dei  mascellari  superiori,  dice  Girard 
(pag.  225)  "  i  primi  verso  le  fauci  sono  più  lunghi  e  più  sottili 
dei  secondi,  ed  i  secondi  dei  terzi,  e  così  vanno  di  mano  in 
mano  sino  alla  fine;  e  di  questi  i  due  primi  ed  i  due  ultimi 
denti  sono  differenti  dagli  altri,  e  fra  di  loro  di  grandezza  e 
di  figura;  conciossiachè  questi  essendo  larghi  nel  principio  del 
corpo,  che  riguarda  i  denti,  vanno  stringendosi  poco  a  poco,  a 
finire  verso  di  fuori  in  un  angolo  ottuso,  per  tagliare  e  rompere 
meglio  il  cibo;  e  gli  altri  che  stanno  fra  di  loro,  essendo  quasi 
su  tutto  il  lungo  del  corpo  uguali  in  larghezza,  formano  un 
quadrato  oblungo;  ed  i  due  ultimi  che  riguardono  le  fauci  sono 
meno  larghi  e  lunghi  di  quelli  che  stanno  vicini  ai  denti  canini; 
e  questi  denti  mascellari  mutano  i  cavalli  nel  terzo  e  quarto 
anno,  contro  V  opinione  di  molti,  e  sono,  a  similianza  degli 
umani,  senza  radice  „.  Io  non  conosco  cosa  abbia  voluto  dire 
quest'  odontologo,  coli'  ultimo  periodo  ! 

Tutto  quanto  si  riferisce  intomo  alla  diflferenza  delle  diverse 
specie  di  mascellari  indicato  da  Chauveau  (pag.  408),  consiste  in 
questo:  **  les  molaires  des  deux  màschoires  oflFrent  un  nombre 
de  racines  diflPérent.  On  en  compte  trois  dans  les  molaires  qui 
terminent  les  arcades,  soit  en  avant,  soit  en  arriére,  k  V  une 
et  ò,  Y  outre  màchoire.  Quant  aux  molaires  intermèdiaires,  elles 
oflFrent  quatre  racines  a  la  màchoire  supérieure,  et  deux  seu- 
lement  k  V  inférieure.  Le  molaires  s' écartent  les  unes  des  autres 
par  leur  partie  enchàssée,  surtout  aux  deux  extrémités  de  l'ar- 
cade ». 

Potrei  aggiungere  quanto  dicono  molti  altri  autori:  ma  lo 
ritengo  superfluo;  perchè  quelli  che  sono  a  mia  conoscenza  non 
aggiungono  niente  di  più  di  quello  che  abbiano  detto  Cuvier, 
Girard  e  Chauveaux. 

Se.  K<U.  Voi.  Vm,  fa<4c.  2."  27 


376  O.  BÀRÀLDI 

Tali  descrizioni,  non  sembrandomi  sufficienti  per  distinguere 
singolarmente  un  dente  dall' altro,  quando  venisse  isolatamente 
presentato,  mi  fa  tentare  di  dire  come  si  possono  conoscere  i 
mascellari  decidui,  dai  permanenti,  e  questi  e  quelli  fra  di  loro. 

Nel  parlare  delle  differenze  dei  denti  mascellari  non  tengo 
nota  che  di  quelle  che  presenta  la  figura  nella  tavola  tritu- 
rante, e  lascio  da  parte  le  differenze  nell'  altezza  della  corona, 
nel  numero  e  nella  forma  delle  radici,  non  essendo  questi  ca- 
ratteri sicuri,  e  non  sempre  visibili,  per  poter  diflPerenziare  un 
dente  dall'  altro. 

1.®  Differenze  fra  i  mascellari  superiori  decidui  ed  i  perma- 
nenti. —  I  mascellari  decidui  superiori  in  numero  di  8,  quattro 
per  ogni  lato  (fig.  1 ,  m  d),  mostrano  nella  loro  tavola  tritu- 
rante delle  particolarità  che  li  fa  distinguere  dai  mascellari 
permanenti  (^). 

Il  mascellare  deciduo  quarto  (fig.  I,md4),  che  in  alcune 
specie  di  equide  persiste  per  tutta  la  vita  dell'  animale,  e  che 
ordinariamente,  nelle  specie  viventi  cade  coli'  uscire  del  terao 
premolare  permanente,  differisce  tanto  dagli  altri  mascellari 
decidui  e  permanenti,  che  non  v'  è  bisogno  di  fermarsi  molto 
per  distinguerlo.  E  un  dente  steganosoma  semplice,  il  quale 
mostra  perciò  la  tavola  triturante  senza  alcuna  depressione  o 
sporgenza:  la  tavola  presenta  una  figura  più  o  meno  rotonda, 
o  più  o  meno  ovale  (  fig.  5,  tav.  XII,  p  4  ( -)  ).  È  in  confronto 
degli  altri  eminentemente  piccolo;  il  massimo  diametro  della 
tavola  triturante  usata,  che  io  abbia  riscontrato  in  un  cavallo 
toscano  arriva  a  mm.  8  :  mentre  il  diametro  degli  altri  mascel- 
lari può  giungere  fino  a  38  e  più  millimetri. 

Gli  altri  tre  decidui  sono  composti  fossicolati  e  mostrano 
nella  loro  tavola  triturante  la  stessa  forma,  triangolare  il  terzo 
e  quadrangolare  gli  altri  due,  e  la  stessa  figura  di  un  B  che 
presentano  i  premolari  permanenti  :  diflferiscono  però  quelli  da 
questi  dal  rapporto  diverso  dei  diametri  della  tavola  triturante 


(^)  Non  tengo  nota  clic  i  decidui  si  possono  distinguere  dai  permanenti,  perchè 
fra  la  corona  e  le  radici  esiste  sempre,  nei  decidui,  un  rilievo  conosciuto  col  aome 
di  colletto,  il  quale  colletto  non  v'è  nei  ma.scellarì  permanenti. 

(';  Quando  questo  dente  persiste  per  tutta  la  vita  dell*  animale,  si  suol  chiamare 
quarto  premolare. 


DENTI  MASCELLARI  DEQLI  EQUIDI  377 

e  dal  rapporto  del  diametro  longitudinale  delV  appendice  a 
forma  di  classidra  (a  p),  colla  lunghezza  della  tavola  stessa. 
Oltre  a  ciò  i  decidui  hanno  V  appendice  indicata  di  forma  dif- 
ferente da  quella  dei  permanenti. 

Se  osserviamo  le  tavole  trituranti  dei  mascellari  decidui  di 
cavallo  neonato  e  di  30  mesi  circa,  (cioè  poco  tempo  prima 
che  cadano  )  e  le  confrontiamo  con  quelle  dei  permanenti,  scor- 
giamo a  colpo  d'  occhio  che  la  tavola  dei  primi  è  più  lunga 
relativamente  di  quella  dei  secondi,  e  V  appendice  a  classidra 
è  più  breve  (fig.  7,  tav.  XII). 

I  loro  rapporti  stanno  così: 


Mnscellarl   decidui   superiori  (^). 


Deciduo 


lunghezza 


larfMiMzt 


diametro 
Mr  appendice 


Cavallo  mezzo  sangue  •  dm.  3.° 
inglese  nato  in  Ita-  |  dm.  2.° 
lia,  di  pochi  giorni  f     dm.  l.** 


mm.  88 

n         30 

•      30 


Cavallo  mezzo  sangue 
inglese  nato  in  Ita- 
Ua,  di  30  mesi  circa 


dm.  3.** 
dm.  2.** 
dm.  l.'^ 


n 


37 
27 
27 


mm.  21 
,  22 
,      22 

.  22 
,  22 
.      22 


mm. 


9 


8 

9 

11 

7 

8 

10 


Masrellari   permanenti    superiori. 


Cavallo  toscano  dì 
anni  12 


Premolare 

lunghezza 

larghnza 

diametre 
dell'  appendice 

3." 
2.» 
1.» 

mm.  32 
,     29 
.     26 

mm.  22 

.     24»/. 
.     25 

mm.     6 
.      10 

.    11 

Molart 

1." 

2." 
S.' 


mm.  23  Vi 
,     23 

.     27 


mm.  23  >/< 
,     23 

.     20  '.', 


I 


mm.  11 

,      13 
.      13 


(*)  Le  dimensioni  sono  prene  dal  vero.  Le  dimensioni  delle  figure  possono  va- 
riare, perchè  molte  sono  prese  da  fotografìe. 


378 


0.  BABAU)! 


riavallo  africano  di 
anni   lo 


remolarl 

i       lunghezza 

mm.  38  ','« 

larghezzi 
mm.  23 

diametro 
deir  appendice 

3." 

mm.    8  '/2 

2." 

.     28 

.     2:^ 

.      10 

1." 

.     26 

.     25 

.    11 

Molari 

1." 

!  mm.  22 

1 

mm.  22  V« 

mm.  10 

2." 

1     ,     23 

,     23 

,      12 

3.» 

:  ,  32 

.     21 

.      13  V« 

La  lunghezza  della  tavola  triturante  è  presa  circa  ad  un 
terzo  estemo  di  essa  nel  senso  longitudinale  della  testa  e  più 
precisamente  dallo  smalto  che  riveste  esternamente  ed  ante- 
riormente il  ventre  anteriore  del.  B,  allo  smalto  che  riveste 
all'esterno  posteriormente  il  ventre  posteriore  (fig.  1 1 ,  tav.lX,  //). 
La  larghezza  è  presa  dallo  smalto  che  riveste  il  fondo  della 
sinuosità  dell'  appendice  a  forma  di  classidra  allo  smalto  che 
riveste  il  fondo  della  piccola  sinuosità  dell'apice  medio  (fìg.  11, 
la  la).  Il  diametro  dell'  appendice  a  forma  di  classidra  è  preso 
dallo  smalto  che  riveste  ì  punti  più  sporgenti. 

E  da  osservare  che  i  rapporti  fra  la  lunghezza  e  la  lar- 
ghezza della  tavola  triturante  dei  decidui  vana  assai  dagli  in- 
dividui appena  nati  agli  individui  che  hanno  questi  denti  che 
stiano  per  cadere,  come  lo  dimostrano  le  dimensioni  prese  in 
un  cavallo  di  pochi  giorni  ed  in  un  cavallo  di  30  mesi  circa 
(vedi  pag.  377),  dalle  quali  risulta  che  i  decidui  vecchi  hanno  la 
tavola  triturante  che  si  avvicina  di  più  alla  forma  quadrata. 
E  nonostante  a  ciò,  se  noi  facciamo  il  conft-onto  fra  i  ma- 
scellari di  latte  ed  i  permanenti,  ci  risulta  sempre  che  i  primi 
sono  relativamente  più  lunghi  dall'  avanti  all'  indietro  di  quelli 
di  rimpiazzamento,  anche  se  il  confronto  viene  fatto  con  denti 
lattaioli  vecchi. 

L'  avvicinarsi  i  denti  decidui  superiori  alla  forma  quadrata 
quando  sono  vecchi  non  dipende  dalla  pressione  della  uscita 
dei  mascellari  posteriori  come  ce  lo  ha  fatto  credere  il  Blondin 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  379 

pag.  225  (^);  ma  dipende  invece  dalla  loro  forma  originaria. 
Osservando  uno  di  questi  denti  vergini  fuori  dall'  alveolo  noi 
vediamo  che  la  loro  corona  non  è  prismatica  come  lo  sono  i 
denti  permanenti,  ma  bensì  è  piramidale  tronca  colla  base  qua- 
drilunga (rivolta  verso  la  cavità  boccale)  e  V  apice  che  si  av- 
vicina al  quadrato.  Dunque  il  cambiamento  di  forma  della  ta- 
vola triturante  dei  denti  lattaioli  dipende  dal  loro  consumo  e 
dalla  rispettiva  loro  continua  uscita. 

Un  altro  carattere  importante,  ci  fa  distinguere  a  colpo 
d'  occhio  i  denti  lattaioli  o  decidui  dai  denti  permanenti:  i  primi 
hanno  il  nastro  di  smalto  di  uno  spessore  quasi  uniforme  in 
tutte  le  parti  del  dente  (fig.  7,  tav.  XII);  i  secondi  invece  hanno 
questo  stesso  nastro  molto  più  spesso  in  alcune  parti,  come  ad 
esempio  nel  mezzo  del  margine  delle  linee  curve  dell'  asta  (b  b'), 
del  margine  della  cavità  cv  cv  e  del  margine  dei  ventri  (vv): 
è  poi  relativamente  sottile  nelle  altre  parti. 

Lo  smalto  nei  decidui  è  sempre  poco  rilevato  al  disopra 
dell'  avorio,  è  cristallino  e  calla  sua  superficie  libera  irregolare. 
Air  incontro  lo  smalto  dei  permanenti  ha  la  superficie  levigata, 
specialmente  in  quei  punti  ove  è  più  grosso  lo  strato. 

2.^  Differenze  fra  i  mascellari  decidui  'ed  i  permanenti  inferiori. 
—  l  mascellari  decidui  inferiori  sono  in  numero  ordinariamente 
di  (),  3  per  ogni  lato,  ed  eccezionalmente  di  8,  perchè  si  riscon- 
trano dei  cavalli  col  quarto  deciduo,  che  corrisponde,  sia  per  la 
piccolezza,  sia  per  la  sua  costituzione  al  quarto  deciduo  supe- 
riore, e  che  come  questa  generalmente  cade  coli'  uscire  del  terzo 
premolare.  (  Due  cranii  di  cavallo  mezzo  sangue  inglese  e  uno 
di  cavallo  puro  sangue  inglese  coi  decidui  quarti  inferiori,  si 
possono  osservare  alla  Scuola  Zooiatrica  di  Pisa). 

T  tre  decidui  inferiori,  sempre  presenti,  sono  simili  per  la 
forma  e  la  distribuzione  delle  sostanze  che  li  costituisce,  ai 
denti  permanenti  di  sostituzione. 

Però  i  decidui  differiscono  dai  permanenti  per  avere  nella 
tavola  triturante  (come  abbiamo  detto  pei  superiori)  lo  smalto 
di  quasi  uguale  spessore  e  molto  sottile  in  tutte  le  sue  parti, 
ciò  che  non  si  riscontra  nei  permanenti,  ove  lo  stesso  nastro 

{^)  Anatomìe  dn  Si/»tcme  dentaùe,  IJruxolleti  I8.T7. 


380  0.  BASALDI 

è  assai  pid  grosso  di  spessore  alla  metà,  dei  ventri  vv  e  nel- 
r  appendice  a  classidra  (a/>).  Differiscono  pure  i  decidui  dai 
permanenti,  perchè  in  quelli  si  riscontra  il  peduncolo  (2)  del- 
l' appendice  a  classidra  eminentemente  largo  e  corto  (  fig.  6, 
tav.  Xm  ),  e  r  anfrattuosita  media  esterna  molto  profonda. 

Finalmente  i  denti  lattaioli  differiscono  da  quelli  di   sosti- 
tuzione, perchè  hanno  i  rapporti  fra  la  lunghezza  e  la  larghezza 
della  tavola  triturante,  confrontata  con  la  lunghezza  dell'  ap- 
pendice a  classidra  differente  da  quella  dei  permanenti. 
Eccone  alcuni  esempi: 


Mascellari   decidili    inferiori. 


Cavallo  primo  meticcio 
di  padre  puro  sangue  { 
inglese    e    di    madre  ; 
italiana  sine-razza,  di  j 
pochi  giorni 


Deciduo 


3." 

1." 


lunghezza         larghezza 


nim.  32 

.     26  V« 
.     26 


mm.  12 

,     13 
.     13 


Riamati* 

longitudinala 

dell' appendica 


mm.  17 
,      16  »  s 
,      16 


Mezzo  sangue  inglese 
di  30  mesi  circa,  nato 
in  Italia 


3." 
2." 
1." 


mm.  32 
,  27 
.     26 


mm.  13 
.     U 


13  V»' 


mm.  17  V* 
.      17 
.      16 


Xaseellari   permanenti    iaferiori. 


Cavallo  toscano  dell'età 
circa  di  12  anni 


Premolari 

lunghezza 
mm.  30 

larghezza 
mm.  12 

diametre 

lengitudiiiale 

deirappendiee 

3.° 

mm.  13 

2.° 

,      28 

,     15 

,     16 

1.» 

,      27 

,     15  V« 

.     16  Va 

Molari 

1." 

mm.  23 

mm.  14 

mm.  13 

2.' 

.      24 

.      13 

,     13 

ò.' 

"      ^^ 

.      12 

.     12 

DENTI  MASCELLARI  DEGÙ  EQUIDI 


381 


Cavallo  africano  dell'età 
circa  di  15  anni 


remolari 

Lungheua 

Larghezza 

Dlanittro 
longltudliwl* 

3.° 

mm.  28 

mm. 

12 

mm.  12 

2.» 

,      24 

n 

14 

,     17 

1.° 

,      25 

n 

15 

«     16 

Molari 

1.° 

;  mm.  22 

mm. 

13 

mm.  12 

2.» 

'     ,     23'/» 

n 

12 

.     13 

3.» 

»     34 

1 

n 

12 

.   11  v« 

3.®  Differenze  fra  i  decidui  superiori  tra  loro.  —  Del  deciduo 
quarto  abbiamo  già  detto  come  sia  la  sua  tavola;  esso  non  si 
può  confondere  con  altri.  Il  deciduo  terzo  (fig.  7,  m  d  3,  tav.  XIl) 
si  riconosce,  non  solo  dal  rapporto  della  lunghezza  della  tavola 
triturante  (  che  è  straordinaria  per  lo  sviluppo  enorme  che 
prende  anteriormente  il  ventre  )  colla  larghezza  e  col  diametro 
dell'appendice  a  classidra,  stando  il  rapporto  in  questi  ter- 
mini ::  38  :  21  :  8;  ma  anche  semplicemente  dalla  sua  forma 
triangolare.  Il  secondo  (m  d  2)  si  distingue  dagli  altri,  perchè 
ha  r  appendice  a  classidra  {a  p)  molto  larga  e  relativamente 
corta;  e  il  rapporto  fra  il  diametro  di  questa  e  la  lunghezza 
della  tavola  triturante  sta  ::  9  :  30;  oltre  a  ciò  nel  secondo 
deciduo  si  ha  la  cavità  anteriore  (ciO  colle  estremità  (2  e  6) 
corte,  e  più  lunga  della  posteriore;  l'estremità  anteriore  della 
cavità  posteriore  è  assai  più  esterna  e  più  rilevata  della  estre- 
mità posteriore  del  ventre  anteriore.  Il  primo  ha  V  appendice, 
relativamente  alla  lunghezza  della  tavola,  più  lunga  di  quella 
del  secondo,  e  il  suo  rapporto  fra  il  diametro  e  la  lunghezza 
della  tavola  sta  :  :  1 1  :  30  ;  la  cavità  anteriore  del  primo  è  di 
poco  più  lunga  della  posteriore  (fig.  7,  tav.  XII). 

4."*  Differenze  fra  i  decidui  inferiori  tra  loro.  -  Il  quarto  deciduo 
quando  e'  è,  si  riconosce  dagli  altri,  perchè  è  un  dente  semplice 
piccolissimo,  mentre  il  3.*,  2.^  e  1.*  sono  composti  a  fettuccia 
coir  avorio  che  assume  la  figura  di  un  3.  11  terzo  differisce  dal 
secondo  e  dal  primo  per  la  forma  triangolare  della  tavola  tri- 
turante (questa  forma  è  dovuta  all'  enorme  sviluppo  che  prende 


382  Q.  BARÀLDI 

al  lato  anteriore  il  ventre  anteriore),  essendo  quella  degli  altri 
quadrangolare.  Il  secondo  si  riconosce  dal  prini  j  per  avere  quello 
la  tavola  triturante  più  lunga  e  l'appendice  a  classidra  più  corta. 
Più  di  qualunque  altro  carattere  per  distinguere  questi  tre 
denti  l'uno  dall'altro,  serve  il  rapporto  fra  lunghezzae  la  lar- 
ghezza della  tavola  con  il  diametro  longitudinale  dell'appendicela 
classidra  (vedi  il  quadro  dei  rapporti  di  queste  parti  a  pag.  380). 

5.®  Differenze  fra  i  premolari  ed  i  molari  superiori  (fig.  da 
10  a  15,  tav.  IX).  —  I  denti  mascellari  permanenti  superiori 
sono  in  numero  di  dodici,  6  per  ogni  lato,  divisi  in  tre  pre- 
molari che  sono  quelli  che  hanno  sostituito  i  tre  primi  deci- 
dui, ed  in  3  molari  che  vengono  dietro  (0- 

Non  tenendo  nota  che  i  premolari  si  possono  distinguere 
dai  molari  per  la  posizione  che  occupano  nella  bocca,  per  la 
lunghezza  della  loro  corona  relativamente  all'  età,  per  la  curva 
della  corona  stessa  che  è  maggiore  nei  molari,  per  la  forma, 
grandezza  e  profondità  delle  colonne  e  dei  solchi  delle  faccio 
laterali  etc;  dirò  solo  che  gli  uni  si  distinguono  dagli  altri  per 
delle  particolarità  che  si  vedono  nelle  diverse  parti  e  nelle 
dimensioni  della  tavola  triturante. 

La  tavola  dei  premolari  e  generalmente  inclinata  in  avanti, 
quella  dei  molari  è  inclinata  all'  indietro. 

Una  cosa  che  salta  all'  occhio  nei  premolari,  e  che  è  comune 
non  solo  ai  cavalli,  ma  anche  agli  asini  e  ad  altre  specie  come 
neir  Equics  stoìwnis  Cocchi  ed  E.  intermedius  Meyer,  è  che  la  ca- 
vità del  ventre  anteriore  {e  v)  è  sempre  più  grande  della  poste- 
riore {e  v'\  e  che  l' estremità  anteriore  (8)  della  cavità  posteriore 
è  più  estema  della  estremità  posteriore  (6)  della  cavità  ante- 
riore: questa  ultima  particolarità  e  maggiore  nel  terzo  più  che 
nel  secondo  e  nel  primo.  Nei  molari  invece  le  cavità  (e  v  e  v  ) 
sono  uguali  o  presso  che  uguali  di  grandezza,  e  le  stesse  estre- 
mità (8,  6)  delle  cavità  indicate  pei  premolari,  o  sono  al  mede- 
simo livello,  o  la  prima  sopravanza  di  pochissimo  la  seconda 
(fig.  da  10  a  15,  tav.  IX).  Si  può  anche  aggiungere  come  caratteri 
differenziali  fra  i  premolari  ed  i  molari,  massime  nel  cavallo, 

(*}  Girard  pag.  70,  loc.  cit.  Dice  di  avere  riscontrato  alcune  volte,  ma  molto  di 
rado,  un  sopra  molare  supplementare  situato  vicino  al  6.^  (Questo  autore  conta  i 
denti  molari  dall* avanti  ali* indietro).  A  proposito  di  questo  dente  supplementare 
Goubaax  e  Barrier  pag.  70ii  dicono  di  non  averlo  mai  visto  e  credono  si  tratti  di 
anomalia.  Neppure  io  V  ho  mai  riscontrato. 


DENTI  UASOELLÀSI  DBOLI  EQDIDI  383 

che  nei  primi  T  anfrattuosita  media  interna  (18)  è  relativamente 
più.  larga;  la  piega  del  fondo  di  questa  anfrattuosita (20)  è  mag- 
giormente sviluppata,  e  gli  apici  (1  e  7)  sono  molto  più  larghi  e 
presentano  una  insenatura  più  sentita  di  quella  dei  molari. 

La  tavola  triturante  dei  premolari,  specialmente  nei  cavalli 
domestici,  è  sempre  più  grande  di  quella  dei  molari  ed. è  più 
lunga  che  larga:  quella  dei  molari  invece  o  è  quadrata,  o  ò 
più  larga  che  lunga,  fatta  eccezione  però  del  terzo  molare  che 
ha  la  tavola  più  lunga  che  larga  ;  ma  par  altro  il  molare  terzo 
non  si  può  confondere  con  nessuno  altro  dente,  perchè  la  sua 
forma  è  trapezoide.  In  altri  equidi,  sui  quali  ho  prese  le  stesse 
misure,  tale  differenza  di  rapporto  fra  i  premolari  ed  i  molari 
non  esiste:  uell'  asino  per  esarapio  troviamo  più  lai^o  che  lungo 
il  p  1 ,  neir  Equus  intet-meditts  il  p  1  è  uguale  al  m  3,  e  nel- 
l' E^uus  stenonis  il  p  1  e  il  p  2  sono  nello  stesso  rapporto  del  m  2. 

Eccovi  alcuni  esempi  di  dimensioni  della  tavola  triturante: 


Quadm  dElle  dimetislonì  della  tavola  tritura!i!ii  dei  denti  magliari  superiori 


(La  lODgheEM  è  ridotta  a  100) 


Cavallo    di    razza 

p.3.- 

Africana  di  15 

p.2.- 

anni  circa 

p.l.- 

m.  l.- 

m.  2.- 

m.  3.° 

Cavallo    di    razza 

p.3.- 

Toscana  di  an- 

p.2.- 

ni  12  circa 

p.l.- 

m.  1.- 

m.  2.'j 

m.  3.'i 

38,5—100 
28  =100 
26  =100 
22,5=100 
23  =100 
32    i—lOO 

34,6=100 
28,6=100 
25,9=100 
24,1=100 
24,1=100 


106  +  6 
105  +  5 
62—38 

66—34 
80  -20 
97—3 
100—  0 
98—2 


i 

ili 

i| 

45 

33 

12 

54 

44 

10 

42 

40 

2 

42 

42 

0 

47 

46 

1 

39 

46 

• 

37 

38 

1 

50 

40 

10 

47 

39 

8 

45 

44 

I 

45 

43 

2 

m.  3.-|  27,7— 100  ì     80  —  20i    44      .44 


34r 

0.  BARALDI 

Specie    0    Razza 
deir  equino 

1 

*• 
S 

m 
E 

• 

\ 

1 

1 

Si    §*§ 

g  E       f  S 

;                             1 

40    —100 

\         Larghezn 
^    1       In  centetlmi 

\  Differenza  fra  la  lun- 
if^      ghezza  •  la  larghezza 

1                                                          

Lunghezza  delia 

caviti  del  venire 

anteriore  In  centetlmi 

Lunghezza  della 
caviti  del  ventre 
poiL  In  centetlmi 

Differenza 
delie  cavità 

Cavallo  mezzo  san- 

p.3." 

44 

36 

8 

gue    inglese    di 

p.2.° 

34    =100 

80      20 

46 

35 

11 

anni  10  circa 

p.  1.° 

32,2—100  ' 

93        7 

45 

41 

4 

m.  l.** 

28    — lOOi 

105  +  5 

45 

44 

1 

m.  2.^ 

28    —100 

102+  2 

45. 

44 

1 

m.  p.*» 

31,6=100 

1 

89      11 

45 

40 

5 

Asino 

p.  3.^ 

n  9" 
p.  -. 

p.  1.** 

m.  1.' 

m.  2." 

m.  3.** 

1 

28    —100 
24,1—100 
21.7—100 
20,5—100 
20,5=100 
20.5=100 

72      28 

91        9 

101  +  1 

107  +  7 

103  +  3 

85  — 15 

! 

1 

1 
1 

1 

1 

EquHH  bUermedius, 

p.  2.° 

35.2—100 

83      17 

1 
1 

1 

Meyer 

p.l.'^ 
m.  1." 
m.  2." 

30,1=100 
30,1—100 
29,8—100 

90  —10 
90      10 
88      12 

1 

1 

1 
1 

Equus    stenoìiis , 

p.3.'' 

32,5—100 

67      33 

! 

1 

1 

Cocchi 

p.  2." 

p.  1.° 

m.  1.** 

m.  2.*^ 

m.  3.° 

27,4—100 
25,6—100 
21,7—100 
23,2=100 
20,5—100 

93—  7 
93        7 
97        3 
93        7 
85  —15 

1 

1 

1 
1 

1 

1 

■ 

Cavallo  di  anni  9, 

p.  3." 

38,8=100  . 

64      36 

40 

35 

5 

inglese  puro  san- 

p. 2." 

31.3—100  '. 

88      12 

48 

i'^ 
*- 

6 

gue  da  corsa.  Va- 

p. 1  .^ 

30,1—1001 

88      12 

47 

41 

6 

leva  Lire  60000 

m.  1." 

26,2—100 

104  +  4 

45 

45 

0 

f  dico  sessanta- 

m. 2.'^ 

27,1—100  ' 

100        0 

45   1 

45 

0 

mila) 

m.  3.** 

29,5=100  , 

78      22 

i 

43 

1 

41 

3 

DENTI  IiUSCELLABI  DBOU  EQDIDI  385 

6."  Diffeì-enze  fra  i  premolari  ed  i  molari  inferiori  (fig.  5,  tav. 
XIU).  —  I  premolari  hanno  la  tavola  triturante  pid  grande  dì 
quella  dei  molari:  .inoltre  i  premolari  hanno  l'anfrattuosita 
media  esterna  (15)  che  non  arriva  al  livello  della  cavità-  dei 
ventri,  l'apice  medio  (2)  lungo,  il  lobo  anteriore  (13)  dell'appen- 
dice a  forma  di  classidra  più  piccolo  del  lobo  posteriore  (14)  e 
r  angolo  interno  (8)  dell'  appendice  del  ventre  posteriore  lungo 
ed  acuto.  I  molari  invece  hanno  1'  anfrattuosita,  media  ester- 
na (15),  che  arriva  fino  al  livello  della  cavità  dei  ventri,  V  apice 
medio  (2)  corto  e  largo,  i  lobi  dell' appendice  a  forma  di  clas- 
sidra presso  che  uguali  di  grandezza,  e  l' angolo  interno  (8)  del- 
l'appendice  del  ventre  posteriore  corto. 

Avrei  voluto  stabilire  un  carattere  differenziale  fra  i  pre- 
molari ed  i  molari  dalla  differenza  che  passa  fra  la  lunghezza 
dell'  appendice  a  classidra  e  la  larghezza  del  dente,  ma  mi  sono 
accorto  che  questa  differenza  non  fe  costante  :  generalmente  però, 
si  può  ammettere  che  la  lunghezza  dell'appendice  dei  premolari 
è  maggiore  della  larghezza  della  tavola  triturante;  e  nei  mo- 
lari 0  è  uguale  alla  larghezza  o  è  di  poco  superiore  :  per  esempio, 
si  veda  il  rapporto  fra  queste  parti  del  1 ."  e  2.'  premolare  e  quelle 
del  l."  e  2."  molare  nel  Cavallo  africano  e  nel  Cavallo  toscano. 

Ecco  alcuni  esempi  che  dimostrano  come  la  tavola  tritu- 
ranre  dei  premolari  sia  più  grande  di  quella  dei  molari  : 

Quadro  delle  diirimioiii  della  tavola  triturante  dei  deoti  inascellarì  inferiori 


Cavallo  mezzo    sai^e  in- 
ingleae  di  anni  10  circa 


p.3.- 
p.2.' 
p.l.' 
m.  1.' 
m.  2.' 


— 

— - 

34    = 

-100 

30,1= 

=100 

30,1= 

=100 

28,6= 

-100 

28,6- 

-100 

U   ■- 

-100 

^5 

G.  B\R4r.DI 

!!•«•  Mia  razza 

Specie  di  maicollare 

tunghoiia 

tunghaiM 
rapportala  In  cantatimi 

S.    M 

il     il 
fi      1% 

£  S 

e  a 

:i  et 

lE  SU 

fidili 

Cayallo  di  anni    15.  razza 

p.  3.' 

30.4—100 

46        54 

47^  1 

africana 

p.  2.*: 

25,9—100 

56        44 

61+5 

p.  1." 

25.5—100 

56        44 

60+  4 

m.  L"; 

22,8—100 

OO  —  A» 

!,55        0 

* 

m.  i: 

23.5=100 

54—  46 

oo  -f-   1 

m.  :3.* 

31.6—100 

40        60 

40        0 

Cavallo  di  anni  12,   razza 

p.  'ò: 

29,8=100 

45  —  .55 

45         0 

toscana 

p.2.'* 

28    —100 

53        47 

60+7 

p.  l.' 

26.2=100 

58        42 

65+7 

m.  l.** 

23.8—100 

• 

57        43 

56+1 

m.  2.'' 

24.1— 100 

56        44 

oo  —   1 

m.  3.", 

29.5—100 

44        56 

45+1 

Cavallo  di  anni  8,   inglese 

p.  3." 

35.8—100 

45  —  55 

51  +  6 

puro  sangue  da  Corsa 

p.  2." 

28.9—100 

58        42 

60+  2 

p.  l.*^ 

28.9—100 

55  —  45 

55        0 

m.  1;^ 

27.4—100 

48        52 

52+4 

ni.  2." 

1 

27.4—100 

48        52 

48        0 

m.  3." 

33.4=100 

38        62 

35        3 

Fatta  la  differenza  fra  i  premolari  ed  i  molari,  ci  resta  a 
conoscere  i  diversi  premolari  ed  i  diversi  molari,  di  una  me- 
desima serie. 


7.®  Differenze  fra  i  premolari  superiori  tra  loro  (fig.  10  a  12, 
tav.  IX) .  —  Il  premolare  terzo  differisce  immensamente  dagli 
altri  due  e  non  si  può  confondere  con  essi  in  tutti  gli  equini, 
sia  per  la  grandezza  della  tavola  triturante  e  sia  per  la  sua 
forma  triangolare  dovuta  allo  sviluppo  enorme,  che  prende  la 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  387 

porzione  anteriore  del  ventre  anteriore,  precisamento  come  av- 
viene per  il  terzo  molare  deciduo.  U  2.**  e  1.**  premolare  hanno 
la  tavola  triturante  di  forma  quadrata:  il  secondo  si  riconosce 
dal  primo  per  avere  Y  appendice  del  ventre  anteriore  (a  p)  più 
piccola,  la  sinuosità  dell'apice  anteriore  (1)  più  profonda,  e  la 
piega  dell'  anfrattuosita,  media  (20)  più  stretta  e  più  profonda. 
Quando  si  ha  da  giudicare  dalla  tavola  triturante  questi  due 
premolari,  dati  isolatamente  per  riconoscerli  1'  uno  dall'  altro, 
bisogna  ricorrere  al  rapporto  fra  la  lunghezza  e  la  larghezza 
della  tavola  stessa,  «  se  troviamo  che  la  lunghezza  sta  alla  lar- 
ghezza :  :  100  :  93  o  92  o  meno,  diremo  che  è  secondo  premolare: 
se  invece  sta  ::  100  :  94  o  più  diremo 'che  è  primo  premolare. 

8.®  Differenze  fra  i  molari  superiori  tra  loro  (fig.  13  alo, 
tav.  IX).  —  Il  molare  terzo  si  riconosce  dagli  altri  due  per  la 
forma  trapezoide  che  assume  la  sua  tavola  triturante,  e  per 
la  mancanza  dell'  anfrattuosita,  posteriore.  Spesse  volte  questo 
dente  mostra  tre  isole  di  cemento:  due  sono  le  comuni  cavità 
di  tutti  i  denti,  ed  una  piccola  posteriore  che  gli  è  particolare. 
Non  è  sempre  facile  il  distinguere  il  1.°  molare  dal  2."*, 
specialmente  se  si  hanno  isolati  e  senza  confrontarli  tra  loro. 
Quando  si  possono  confrontare,  il  m  1  si  conosce  dal  m  2,  per- 
chè la  sua  tavola  triturante  è  più  consumata  essendo  il  primo 
escito  a  1 1  mesi  e  il  secondo  a  20  mesi  :  generalmente  il  primo 
ha  la  piega  (20)  dell'anfrattuosita  media  appena' accennata,  mentre 
il  2."*  r  ha  sempre  più  sviluppata.  Quando  si  hanno  isolati,  l' unico 
criterio  per  dire  se  e  m  1  o  m  2  si  ha  solamente  dal  rapporto 
fra  la  lunghezza  e  la  larghezza  della  tavola:  se  la  prima  di- 
mensione sta  alla  seconda  :  :  1 00  :  a  più  di  1 00  è  molto  pro- 
babile che  sia  il  m  1,  perchè  generalmente  è  sempre  il  più 
largo  di  tutti  i  molari  (vedi  il  quadro  dei  rapporti  a  pag.  383). 

9.**  Differenze  fra  i  premolari  inferiori  tra  loro  (fig.  5, 
tav.  XITE).  —  n  terzo  premolare  si  conosce  a  colpo  d'occhio 
per  la  sua  tavola  triturante  di  forma  triangolare  :  (la  sua  forma 
è  dovuta  al  l'enorme  sviluppo  che  prende  il  margine  anteriore 
del  ventre  anteriore,  da  rendere  l' apice  pure  anteriore  arroton- 
dato dal  lato  interno):  il  primo  ed  il  secondo  premolare  invece 
hanno  la  tavola  di  forma   quadrangolare  e  l'apice    anteriore 


388  0.  BiRALDI 

appuntato.  Io  non  sono  stato  capace  di  trovare  una  diflFerenza 
ben  marcata  fra  il  primo  ed  il  secondo  premolare;  ammeno 
che  non  si  voglia  tenere  per  differenza,  la  leggera  inclinazione 
in  dentro,  che  mostra  il  primo  nel  margine  estemo  del  ventre 
posteriore,  inclinazione  che  non  ai  scorge  nel  premolare  secondo. 

10.®  Differenze  fra  i  molari  inferiori  tra  loro  (fig.  5,  tav.  XIH).  — 
Non  si  può  confondere  il  m  3  cogli  altri  due  per  la  forma  parti- 
colare deir  appendice  del  ventre  posteriore,  la  quale  fa  assumere 
una  superficie  triangolare  alla  tavola  triturante  :  tale  appendice, 
a  differenza  di  quella  che  si  scorge  nel  m  1  e  nel  m  2,  resta 
unita  al  rispettivo  ventre,  solamente  per  un  sottile  peduncolo. 

Per  distinguere  V  uno  dall'  altro  i  molari  primo  e  secondo 
di  un  medesimo  individuo,  generalmente  si  può,  tenendo  per 
m  1  quello  che  ha  la  tavola  triturante  più  piccola:  però  se 
questi  due  denti  vengono  dati  isolati,  bisogna  che  io  lo  confessi, 
non  ho  trovati  caratteri  che  li  faccia  conoscere  V  uno  dall'altro. 

Tutto  quanto  ho  detto  fin  qui  vale  solo  per  distinguere  un 
dente  superiore  da  un  inferiore,  un  deciduo  da  un  permanente, 
un  premolare  da  un  molare  e  tutti  questi  tra  loro  ;  ma  non 
vale  per  conoscere  se  un  dente  è  giovane  o  vecchio  {}), 

Viene  quindi  spontanea  la  domanda:  come  si  distinguono  i 
denti  giovani  dai  denti  vecchi? 

Ecco  le  differenze  che  avrei  riscontrato  fra  gli  imi  e  gli  altri. 

11.*  Differenze  fra  i  denti  mascellari  permanenti  giovani  ed  i 
denti  mascellari  permanenti  vecchi  —  Per  quanto  io  abbia  scar- 
tabellato libri  di  Ippodontologia  e  di  Odontologia  generale,  non 
m'  è  stato  dato  di  trovare  una  enumerazione  dei  caratteri  utili 
per  determinare,  dalla  ispezione  della  tavola  triturante  se  un 
dente  è  giovane  o  no.  Tutti  gli  autori  che  conosco,  si  limitano 
a  dire,  in  base  al  fatto  che  il  dente  si  consuma  continuamente, 
che  quando  la  corona  è  molto  lunga  il  dente  è  giovane,  quando 
è  corta  il  dente  è  vecchio. 

*"  Les  figures,  dice  Cuvier  pag.  226  (^),  dessinèes  par  T  email 

Q)  Per  dente  giovane  intendo  un  dente  poco  con??umato,  e  per  'dente  vecchio 
un  dente  molto  consumato:  in  altri  termini  il  primo  appartiene  ad  un  individuo 
giovane  od  il  secondo  ad  un  individuo  vecchio. 

(«)  Loc.  cit. 


DENTI  MASCELLARI  DEQU  EQUIDI  389 

sur  les  molaires,  diflPérent  un  peu  suivant  le  degré  d' usure  de 
ces  dents:  dans  les  vieux  animaux,  les  replis  diminuent  de  prò- 
fondeur,  et  finìssent  par  s' etfacer  presque  entièrement;  dans 
ceux  chez  lesquels  la  mastication  n'  a  poiut  ancore  eu  lieu,  ces 
lobes  sont  reprèsentés  par  des  tubercules  ,.  • 

Coi  detti  del  Cuvier,  che  in  generele  sono  giustissimi,  si  può 
solamente  distinguere  un  dente  giovane  che  non  sia  pareggiato, 
da  un  dente  vecchio  che  sia  pareggiato:  ma  non  si  distingue 
se  un  dente,  dopo  il  pareggiamento,  sia  molto  consumato  o 
no.  La  presenza  delle  pieghe  dello  smalto  più  o  meno  pro- 
fonde, non  valgono  a  farci  conoscere  se  un  dente  è  giovane  o 
vecchio,  quando  non  siano  indicate  le  pieghe  di  cui  s' intende 
tener  nota  ;  imperocché  vi  sono  degli  equidi  che,  anche  giovani, 
non  hanno  naturalmente  i  denti  provvisti  di  certe  pieghe  pro- 
fonde, come  ad  esempio  l'Asino. 

Per  riconoscere  se  un  dente  è  giovane  o  vecchio,  vi  sono 
dei  caratteri  comuni  tanti  ai  mascellari  superiori  che  ai  ma- 
scellari inferiori;  e  degli  altri  che  sono  comuni  solamente  o  ai 
superiori,  o  agli  inferiori. 

—  Parlando  del  consumo  che  avviene  per  causa  della 
masticazione  degli  alimenti,  pag.  359,  ho  fatto  già  conoscere  le 
modificazioni  apportate  nella  tavola  triturante  prima  del  pa- 
reggiamento, ora  dirò  solo  i  cambiamenti  che  avvengono  dopo 
questo  periodo.  — 

Se  si  guarda  alla  superficie  triturante  di  tutti  i  mascellari, 
appena  avvenuto  il  pareggiamento,  si  trova  un  dato  rapporto 
fra  la  sua  lunghezza  e  la  sua  larghezza:  ebbene,  questo  rap- 
porto difierisce  mano  mano  che  il  dente  invecchia,  il  suo  dia- 
metro longitudinale  diminuisce  ed  il  trasversale  resta  uguale; 
quindi  si  può  dire  che  un  dente  è  tanto  più  vecchio,  relativa- 
mente, quanto  meno  è  la  dififerenza  fra  la  lunghezza  e  la  lar- 
ghezza della  tavola.  Questa  distinzione  per  altro  non  serve  che 
per  denti,  i  quali  appartengono  ad  individui  della  medesima 
razza;  e  ciò  nella  supposizione  che  tutti  gli  individui  di  una 
medesima  razza  abbiano  la  tavola  triturante  coi  medesimi  rap- 
porti fra  la  lunghezza  e  la  larghezza.  Il  carattere  adunque  in 
discorso  non  può  servire  per  distinguere  un  dente  giovane  da 
un  vecchio,  quando  il  dente  sia  presentato  isolato  e  senza  che 
si  sappia  a  quale  specie  o  razza  appartiene. 


390  0.  BARALDI 

Vi  ò  però  un  carattere,  comune  a  tutte  le  specie  e  le  razze, 
che  persiste  per  un  dato  periodo  anche  dopo  avvenuto  il  pa- 
reggiamento (^)  e  che  CI  fa  conoscere  un  dente  giovane  da  uno 
vecchio.  Tale  carattere  consiste  in  due  alti  rilievi  trasversali 
della  tavola,  che  corrispondono  alla  parte  mediana  dei  ventri 
(boudes  dei  francesi)  (fig.  1,  tav.  IK  et  et  etc.)  e  che  sono  tanto 
più  alti  quanto  più  il  dente  e  giovane.  Mano  mano  che  il  ca- 
vallo invecchia  i  rilievi  tendono  a  diminuire  ed  anche  a  scom- 
parire ;  cosicché  quando  i  rilievi  sono  molto  alti  ed  acuti  diremo 
che  il  dente  è  giovane,  quando  sono  molto  bassi  ed  arroton- 
dati, o  affatto  scomparsi  diremo  che  il  dente  è  vecchio  {%  Ec- 
cone un  esempio  :  il  molare  1  .•  di  un  cavallo  mezzo  sangue  in- 
glese, appena  avvenuto  il  pareggiamento,  quindi  giovane  ha  i 
rilievi  che  s' innalzano  dal  solco  mediano  mm.  3  nel  superiore 
e  mm.  4  nell'  inferiore.  La  misura  è  presa  appoggiando  una 
stecca  sui  rilievi  e  prendendo  la  distanza  che  vi  è  nei  superiori 
fra  la  superficie  dell'  apice  medio  (7)  e  il  piano  inferiore  della 
stecca;  e  nei  denti  inferiori  fra  il  piano  dell'  anfrattuosita,  medip. 
esterna  (lo)  e  la  superficie  inferiore  della  stecca  medesima  (^). 

Quando  la  superficie  triturante  è  fatta  piana  dal  consumo, 
io  non  conosco  caratteri  che  siano  comuni  alle  due  sorta  di 
denti  (inferiori  e  superiori)  per  stabilire  quale  sia  un  dente  gio- 
vane e  quale  un  vecchio. 

In  tale  caso  e  dopo  questo  periodo  si  e  costretti  a  ricorrere 
a  caratteri  che  sono  solamente  particolari  ad  ognuna  delle  due 
sorta  di  denti. 

Quindi  diremo: 


(^)  Noi  sappiamo  già  che  cosa  voglia  dire  pareggiamento,  vedi  pag.  359,  e  perciò 
eoa  questa  parola  non  intendiamo  che  la  tavola  si  sia  fatta  piana;  ma  solo  che  sono 
scomparse,  pel  consumo,  tutte  e  cinque  le  prominenze  e  che  le  isole  d*  avorio  si  sono 
fuse  tra  loro. 

(*)  Non  ho  materiale  sufficiente  per  ^determinare  in  modo  assoluto  quale  sia 
Vcìh  del  cavallo  secondo  che  i  rilievi  sono  più  o  meno  sviluppati:  ma  però,  in  ge- 
nerale, posso  asserire  che  i  rilievi  sono  molto  acuti  ed  alti  in  cavalli  domestici  di 
7-8  anni,  e  sono  quasi  scomparii  in  cavalli  di  15-16  anni. 

(*)  Debbo  avvertire  che  si  possono  trovare,  sebbene  raramente,  cavalli  vecchi 
col  denti  clie  presentano  alti  rilievi  trasversali:  il  Prof.  Vachetta  mi  comunicava 
verbalmente  che  possedeva  un  cranio  di  cavallo  vecchio  con  tale  anomalia.  Questi 
cavalli  dagli  Odontologi  vengono  chiamati  cavalli  con  denti  bovini,  perchè  in  questi 
animali,  come  in  tutti  i  ruminanti  in  generale,  i  rilievi  trasversali  dei  mascellari  si 
ritcoDtrano  per  tutta  la  vita. 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  391 

12."*  Differenze  fra  un  dente  mascellare  superiore  giovane  ed  uno 
vecchio  (^).  —  Tre  sono  i  caratteri  principali  che  fanno  distin- 
guere un  mascellare  superiore  giovane  da  un  vecchio  ;  1  .•  la 
maggiore  o  minore  larghezza  della  cavità,  dei  ventri  (croissant 
Cuvier),  (fig.  3,  cv  cv)\  2.^  la  maggiore  o  minore  profondità  del- 
l' anfrattuosita  posteriore  (fig.  3,  u)  ;  3."*  il  più  o  meno  grande 
sviluppo  della  piega  del  fondo  dell'anfrattuosita  media  (20);  e 
tutto  ciò  s'intende  in  relazione  alla  qualità  del  dente  ed  alla 
specie  o  razza  di  equino  alla  quale  appartiene  il  dente  stesso. 

Gli  animali  giovani  hanno,  le  cavità  (e  ve  v)  del  B  molto 
larghe,  e  la  loro  larghezza  è  superiore  allo  spessore  delle  pa- 
reti dei  ventri  (tav.  XII,  fig.  4,  vv)\  i  vecchi  invece  hanno  le 
stesse  cavità  molto  strette,  e  le  pareti  dei  ventri  sono  mag- 
giori, in  larghezza,  a  quella  delle  cavità  (fig.  17,  tav.  IX). 

L'  anfrattuosita  posteriore,  molto  profonda  nei  denti  giovani 
(tav.  Xn,  fig.  23,  16)  è  quasi  nulla  e  anche  scomparsa  nei  vec- 
chissimi (fig.  24,  tav.  xn  e  fig.  17,  tav.  IX):  esempio;  in  un  ca- 
vallo inglese  mezzo  sangue  dopo  avvenuto  il  pareggiamento, 
r  anfrattuosita  è  profonda  mm.  6  ;  nello  stesso  dente  1'  anfrat- 
tuosita, misurata  vicino  alla  radice,  è  profonda  mm.  2. 

Se  si  guarda  alla  fig.  12,  tav.  IX,  che  rappresenta  un  dente 
giovane,  si  vedrà  come  la  piega  (20)  dell'  anfrattuosita  media, 
sia  molto  sviluppata;  mentre  se  si  guarda  alla  fig.  17  della  me- 
desima tav.  IX,  che  rappresenta  una  sezione  fatta  profonda- 
mente sul  medesimo  dente,  si  vedrà  come  la  stessa  piega  sia 
pochissimo  sviluppata. 

Se  le  pieghe  indicate  da  Cuvier  sono  queste  stesse  da  me 
accennate,  allora  si  può  accettare  la  sua  opinione,  che  cioè, 
quando  sono  molto  sviluppate  il  dente  è  giovane  quando  lo 
sono  poco  il  dente  è  vecchio. 

All'  infuori  di  questi  caratteri  non  ne  trovo  altri  che  siano 
costanti  per  tutte  le  specie  e  razze  di  equidi. 

13.**  Differenze  fra  un  dente  mascellare  inferiore  giovane  ed  uno 

(})  Per  dimostrare  le  differenze  fra  un  dente  vecchio  ed  un  giovane,  credo  di 
potere  presentare  indifferentemente  o  la  tavola  triturante  di  un  dente  consumato 
dalla  masticazione  o  di  un  dente,  anche  vergine,  sezionato  allo  stesso  livello  del- 
Taltro  consumato  naturalmente,  quando  questo  dente  sia  della  stessa  qualità  ed  ap- 
partenga alla  medesima  specie  o  razza. 

Se.  Kat,  Voi.  Vm,  fase.  2.0  38 


392  0.  BA&ALDI 

vecchio.  —  Le  diflPerenze  fra  un  mascellare  inferiore  giovane  ed 
un  vecchio  consistono  in  ciò:  nei  denti  vecchi  (fig.  1,  tav.  XTTT), 
sono  diminuite  tutte  le  pieghe  che  st  riscontravano  nei  denti 
giovani;  il  colletto  (2)  delV appendice  a  classidra  si  fa  più  largo 
le  cavità  dei  ventri  {evo v)  rimpiccioliscono  od  anche  scom- 
paiono (  r  anteriore  scompare  prima  della  posteriore  )  e  final- 
mente diminuisce  assai  la  distanza  fra  il  fondo  dell'  anfìiuttao- 
sità  media  estema  (15)  e  la  sinuosità  intema  dell' appendice  a 
classidra  (21). 

Finito  di  enumerare  i  principali  caratteri  della  tavola  tritu- 
rante, che  fanno  distinguere  i  diversi  denti  mascellari  di  an 
medesimo  individuo  a  qualunque  razza  o  specie  appartenga  mi 
resta  ora  di  enumerare  quei  caratteri  che  fanno  distinguere  i 
mascellari  dei  diversi  generi,  specie  e  razze  degli  equidi. 

Questa  parte  è  importantissima:  interessa  al  Zoologo,  al 
Paleontologo  ed  al  Zootecnico;  riescirò  io  a  stabilire  i  carat- 
teri, che  fanno  distinguere  dalla  tavola  triturante  i  mascellari 
che  /tppartengono  ad  un  dato  genere,  ad  una  data  specie  ad 
una  data  razza  di  equide,  almeno  in  quei  pochi  esemplari  di 
cui  posso  disporre?  Provo. 


VI.  Distinzione  e  confronto  della  tavola  triturante 
dei  denti  mascellari  fra  alcuni  dei  diversi  ge- 
neri, specie  e  razze  degli  equidi. 

Per  determinare  a  quale  specie  di  equide  appartenga  un 
dente  mascellare,  quando  non  si  abbia  di  esso  che  un  pezzo 
con  tutta  la  superficie  triturante,  bisogna  subito  domandarsi: 
quali  sono  i  caratteri  della  tavola  triturante  che  lo  fanno  di- 
stinguere secondo  il  genere,  la  specie,  o  la  razza? 

Prima  di  dire  dei  caratteri  della  tavola  triturante,  coi  quali 
ritengo  di  poter  distinguere  un  equide  dall'  altro,  su  quei  pochi 
esemplari  che  ho  a  mia  disposizione,  esporrò  una  nota  dei  piii 
menzionati  generi,  specie  e  razze  di  equidi,  fossili  e  viventi,  che 
tolgo  dalle  opere  dei  signori  F.  P.  Pascoe(^),  Wilckens(^),  D. 

(})  Zoological  clamfication  etc.  Seconda  edis   Londra  1880. 
(')  Elementi  della  Storia  Naturale  degli  animali  damettiei.  Trad.  Motti  Dott 
Angelo.  Reggio  neU*  Emilia  1885. 


DENTI  MASCELLARI  DEGÙ  EQUIPI  393 

Chenu(^),  Piètrement  (^),  SansonC*^)  e  Murray  (*);  per  dare  un 
idea  deir  estensione  dello  studio  della  tavola  triturante  dei 
denti  mascellari,  nella  famiglia  degli  animali  di  cui  io  vorrei 
tener  parola. 

Noia  dei  generi,  specie  e  razze  più  conosciute  della  famiglia  degli   Equidi 

Eoippus. 

Oroippus, 

Mioippus. 

{  Aurdianense,  Blainv. 
Anchitherium   l  Bairdii,  Leidy. 

f  Dumam^  Gerv. 

diplostylum?  Gerv. 
\  mesostylum?  Gerv. 
^^  f  prostylum,  Gerv. 

^  venustum,  Leidy. 

rr^      „     .      ^i  antilapinum.  Falc. 
Hippothenum?  ,f    ^ 

'^^  (  gracUe,  Kaup. 

m  .    .       i  Fischeriy  Meyer. 

Llasmosterium  )   rj-        i-     .    Vi-    i 

C  Keyserlmgi,  Jbiscn. 

Protohippus. 
Piohippus. 

:  Stenofìis  (Cocchi)    fossUis,    Rutimeyer;    ligeris,    Pale. 
!  arnensis,  Lartet;  plicidens  Owen. 

intermedius,  Mayor. 

curvidens,  Owen. 

namadicus^  Falc. 

neogceus,  Lund. 
Equus  .  .  .  .  (^  principalisy  Lund. 

sivalensis,  Falc. 

hemianus,  Gmelin. 

hemippus?  GeofiF. 

quagga,  Gmelin. 

inontanus,  Burchiel. 
1  zebra,  Lin. 


(1)  Encyclopédie  d' Histoire  naturelle  eie.  Parie  1854. 

O  Les  Chevawo  dans  les  tempes  prèhistoriques  et  Historiques,  Paris,  1883. 

(5)  Tratte  de  Zootecnie.  Paris,  1874. 

(^)  The  Oeographieal  distribution  of  Mammoli,  London,  1866. 


ì 


394  0.  BABALDI 

anjanus,  Piètrement.  (Asiatictts,  Sanson). 

mongólicuSf  Piètrem.  (Africanus,  Sanson). 

gennanicus,  Sanson. 

L  II      T  •     )  fnsius,  .Sanson. 
caballus,  Lm.  <  '  ' 

1  belgius,  Sanson. 
^9^^  \  \  brUamiicus,  Sanson. 

hibemis,  Sanson. 
sequanus,  Sanson. 


T  .      (  eurapeus,  Sanson. 
'  f  africanus,  banson. 


asmu 


I  caratteri,  dai  quali  si  può  conoscere  se  un  dente  mascel- 
lare appartiene  piuttosto  ad  una  specie  di  equide  che  ad  un 
altra,  si  hanno  da  tutte  le  particolarità  differenti  che  si  os- 
servano nella  tavola  triturante  del  dente  mascellare  stesso. 

Se  il  mio  compito  non  V  avessi  limitato  alla  sola  osserva- 
zione della  tavola  triturante,  potrei  aggiungere,  quando  V  esem- 
plare lo  permettesse,  quei  caratteri,  che  gli  autori  sogliono  in- 
dicare per  conoscere  a  quale  specie  appartiene  una  data  denti- 
zione; quali  ad  esempio,  quelli  che  si  rilevano  dallo  stato  e 
dalla  distribuzione  di  tutti  gli  altri  denti  ;  cioè,  dall'  arcata 
degli  incisivi,  dalla  distanza  dei  canini  agli  incisivi  ed  ai  mo- 
lari, dalla  diversa  distanza  dei  molari  da  una  serie  all'  altra, 
dal  rapporto  fra  il  margine  posteriore  della  volta  palatina  e 
gli  ultimi  molari,  dalla  lunghezza  della  corona,  dall'  essere 
quest'  ultima  tutta  fuori  dall'  alveolo  o  no,  e  finalmente  dal 
rapporto  della  grandezza  fra  i  denti  premolari  ed  i  molari. 

Io  non  terrò  parola  sulla  distinzione  e  sul  confronto  della 
tavola  triturante  dei  mascellari  negli  equidi,  che  di  quelli  sui 
quali  ho  avuto  materiale  di  riscontro.  Tali  sono  i  generi  An- 
chiterium,  Hipparion  ed  Equus.  Darò  pure  alcuni  cenni,  sui  ma- 
scellari dei  generi  Eohippus,  Orohippus  e  Miohippus. 

1.^  Differenze  fra  il  genere  Anchitherium  e  il  genere  Hip- 
parion.  —  Il  genere  che  nella  dentatura  si  discosta  maggiormente 
dagli  equidi  viventi  è  certo  V Anchitherium,  il  quale  viene  consi- 
derato dai  paleontologi,  il  successore  dei  Palaeotheridi  (Pachi- 
dermi), in  particolar  modo,  secondo  il  Wilckens  del  Polaeotherium 
medium,  V  Anchitherium  è  il  più  antico  rappresentante  della  fa- 


DENTI  MÀ8CBLLÀBI  DEGÙ  EQUIDI  395 

miglia  degli  equidi  nel  vecchio  mondo;  del  quale  tutti  gli  avanzi 
conosciuti  appartengono  al  Miocene  più  antico  od  al  più  mo- 
derno Eocene.  La  sua  dentatura  è  però  ancora  molto  analoga 
a  quella  del  nominato  Palaeotherium  O,  e  quindi  la  più  diver- 
gente dalla  dentatura  del  tipo  equino:  ha  le  mascelle  molto 
esili  ed  il  terzo  molare  è  situato  molto  indietro  sotto  l'orbita. 
Gli  incisivi  sono  più  piccoli  in  proporzione,  e  la  loro  corona 
manca  di  quella  fossa  che  caratterizza  quelli  degli  equus  e  del- 
l' Hipparion. 

Il  primo  mascellare,  asserisce  Huxley  (pag.  356  loc.  cit.)  è 
proporzionatamente  molto  più  grande,  specialmente  nella  ma- 
scella superiore,  e,  come  gli  altri  sei  ha  corta  corona  con  uno 
strato  di  cemento  non  spesso.  Le  corone  sono  talmente  corte 
che  sporgono  tutte  al  di  fuori  dell'  alveolo  come  quelle  dei  denti 
mascellari  dei  carnivori.  Il  disegno  della  loro  tavola  triturante  è 
immensamente  semplificato  (fig.  1,  tav.  XII),  i  ventri  (vv)  hanno 
una  direzione  obliqua  e  sono  in  continuazione  colle  sue  appen- 
dici dei  quali  sembrano  essere  un  allargamento,  o  come  si  esprime 
Huxley  (pag.  356,  loc.  cit.)  ^  la  cresta  anteriore  e  la  posteriore 
corrono  attraverso  la  corona  in  direzione  appena  leggermente 
obliqua  e  le  colonne  sono  appena  più  che  un  allargamento  delle 
creste  „.  Gaudry(^)  dice  che  "**  nélV  Anchitherium  (fig.  163  del 
suo  lavoro)  i  denticeli  intemi  li  hanno  sensibilmente  la  stessa 
direzione  dei  denticeli  mediani  mm  „. 

I  mascellari  inferiori  dell'  Anchitherium  diflferiscono  da  quelli 
dei  cavalli  per  essere  mancanti  dell'  appendice  posteriore  e  per 
avere  l'appendice  a  classidra  (a^)  rappresentata  solamente  da 
due  punti.  L'  aspetto  della  tavola  triturante  è  quello  di  un  3, 
ma  senza  1'  angolo  retto  che  si  osserva  nel  dente  dei  cavalli 
al  ventre  anteriore.  Il  terzo  premolare,  dice  Huxley,  è  alquanto 
più  grande  degli  altri  mascellari  ed  il  lobo  posteriore  del  3.* 
molare  inferiore  è  piccolo  come  nelle  altre  Equide  (vedi  la  figura 
data  da  Gaudry). 


(')  Per  molti  punti  rAnchiterium  si  scosta  dalle  moderne  Equidae,  i  quali  se- 
gnano altrettanti  passi  che  esso  fa  verso  gli  estinti  Palaeotherium;  ed  anzi  lasomi- 
glianza  è  tale  che  Cuvier  considerava  gli  avanzi  d'Anchitherium,  che.  egli  conosceva, 
come  quelle  di  una  specie  di  Palaetorium. 

(')  Les  enchainement  du  Monde  animai  dans  les  temps  géologiques^  Mommi' 
fères  tertiaires.  Paris,  1878. 


396  G.  bàbàldi 

n  genere  Hipparion  considerato  dai  Paleontologi  come  un 
successore  immediato  dell' Anchitherium,  fu  trovato  per  la  prima 
volta  da  Christol  O  nelle  sabbie  terziarie  del  bacino  di  Pèzènas, 
dipartimento  d'  Hèrault,  e  nella  vallata  della  Durance.  Per  dif- 
ferenziarlo dagli  altri  equidi,  avendo  in  esso  osservato  che  lo 
smalto  dei  denti  mascellari  superiori  invece  di  ^  un  croissant  au 
milieu  du  bord  interne,  montre  un  cercle  qui  ne  se  confond  paini 
avec  les  croissant  du  reste  de  la  dent  „,  gli  dette  il  nome  d' Hip- 
parion (piccolo  cavallo).  Dopo  poco  tempo  Kaup  trovò  nelle 
sabbie  d'  Eppelsheim,  sulle  rive  del  Rhin  mescolate  colle  ossa 
di  Dinothèrium,  di  Mastodontes  e  di  Rhinocèros,  dei  denti  di 
equide,  che  offrono  il  medesimo  carattere  di  quelli  dell' Hipparion: 
ma  sia  che  egli  non  conoscesse  questo  genere,  sia  che  egli  abbia 
pensato  che  le  ossa  d'  Eppelsheim  differiscono  da  quelle  di  Pè- 
zènas, ha  voluto  fare  un  genere  nuovo  sotto  il  nome  ò!  Hppo* 
therium  e  ne  distingue  due  specie  :  Hipp.  nanum  ed  Hipp.  gracile. 
Pare  che  i  Paleontologi  moderni,  come  vedremo  più  sotto,  non 
accettino  questo  nuovo  genere. 

Altri  avanzi  d'  Hipparion  sono  stati  disseppelliti  dagli  strati 
superiori  del  Miocene  dell'  antico  mondo,  in  gran  numero  spe- 
cialmente a  Pikermi  presso  Atene  :  ed  altri  avanzi  ancora  sono 
stati  raccolti  dal  sig.  dottor  Federico  Castelli  di  Livorno,  nelle 
ligniti  di  Casino  presso  Siena. 

I  denti  del  Casino  stupendamente  belli  e  ben  conservati, 
sono  stati  illustrati  dal  nostro  distinto  Paleontologo  Major  (^), 
al  quale  io  cedo  la  penna  sia  per  la  bella  descrizione  che  ne 
dà  dei  denti  medesimi,  sia  per  le  importanti  considerazioni  che 
fa  intorno  alle  specie  del  genere  in  discorso. 

-  Hipparion  gracile  Kaup.  Un  certo  numero  di  denti  isolati. 
I  molari  e  premolari  superiori  fanno  vedere  un  grado  di  pie- 
ghettatura dello  smalto  che  cerco  invano  nelle  figure  dei  denti 
di  Hipparion  di  Pikermi  e  Mont  Lèberon,  e  che  non  si  trova 
neanche  negli  originali  di  Pikermi  depositati  nei  Musei  di  Milano 
e  Firenze;  mentre  invece  hanno  molta  più  rassomiglianza  coi 
denti  di  Eppelsheim  „. 

(*)  D'Orbigny    -  Dictionnaire  universel   cT  Histoire  naturelle.    Art.    €  Cheval 
fossile».  Paris. 

(«)  Mammiferi  fossili  della  Toscana,  Atti  della  Soc.  Toscana  di  Se.  Nat,  Voi.  I, 
fase.  3.0,  pag.  -229. 


DENTI  MASCELLARI  DEQU  EQUIDI  397 

*  Per  potere  confermare  o  respingere  in  modo  positivo  la 
supposizione  dell'  Hensel  di  due  specie  di  Hipparion,  basati  in 
gran  parte  sulla  conformazione  dei  denti  cioè  dell'  H.  gracile  di 
Eppelsheim,  e  H.  mediterraneum  di  Cucuron,  Pikermi,  Concud 
—  sarebbe  necessario  di  scegliere  pel  confronto  del  grado  delle 
pieghe,  i  denti  delle  diverse  località,  che  corrispondono  fra  di 
loro  nella  loro  età,  cioè  nel  grado  di  logorazione,  ciò  che  però 
finora  non  h  stato  fatto  „. 

"  Il  Gaudry  concede  che  la  pieghettatura  sia  spesso  svilup- 
pata nei  molari  dell'  Hipparion  di  Eppelsheim;  però  egli  nega 
a  questo  carattere  ogni  costanza  (^);  riguardo  ai  denti  di  Pikermi 
egli  dice  :  **  si  on  met  toutes  les  màchoires  des  hipparions  de  Grece 
à  coté  les  unes  des  autres^  on  voit  un  passage  insensible  des  dents, 
à  email  très  plissé  aux  dents  à  email  peu  plissè,et,  sur  une  ménte 
màchoire,  il  y  a  quelque  fois  de  grandes  inègalités  dans  le  plissement 
de  V  email  des  molaires  „. 

"  L' Hensel,  dopo  aver  descritto  i  resti  di  Hipparion  che 
erano  a  sua  disposizione,  giunge  alla  conclusione,  che  difficil- 
mente si  possa  indicare  una  differenza  assoluta,  esprimibile  per 
parole  o  numeri,  fra  la  dentizione  dell'  Hipparion  gracile  di  Ep- 
pelsheim e  degli  Hipparion  dell'  Europa  meridionale.  "  Sola- 
mente in  generale  si  potrà,  riferire  a  questi  ultimi  una  strut- 
tura meno  complicata  dei  loro  molari  e  forse  ci  avviciniamo 
più  al  vero  esprimendo  questo  rapporto  nel  modo  seguente: 
Il  massimo  della  pieghettatura  dello  smalto  , negli  Hipparion 
dell'Europa  meridionale  non  raggiunge  il  massimo  nelV Hip- 
parion gracile,  ed  il  loro  minimo  rimane  inferiore  a  quello  di 
questa  specie,  di  modo  che  viene  a  stare  nei  limiti  della  pie- 
ghettatura che  si  riscontra  nei  molari  di  Cavallo  „  (^). 

"  Nei  denti  provenienti  di  Cucuron  e  di  Pikermi  non  ho  tro- 
vato un  tal  grado  di  pieghettatura  còme  è  indicato  in  parec- 
chie figure  di  molari  di  Eppelsheim,  e  come  ho  riscontrato  nei 
molari  di  Casino.  Quindi  proporrei  di  mantenere  la  denomina- 
zione di  Hipparion  mediterraneum  come  fu  delimitata  da  Hensel; 
chiamerò  Hipparian  gracile  la  specie  di  Eppelsheim  e  provviso- 
riamente anche  quella  del  Casino  ;  lasciando  ai  severi  sistematici 

Q)  A.  Gaudry  —  Animaux  fossiles  et  Geologie  de  VAttique,  p.  231. 
(^)  Hensel  —  Uber  Hipparion  mediterraneum  (ÀbhandlungeQ  d.  K.  Akademie 
d.  Wìtsenschaften  zu  Berlin.  Aus  dem  Jahre  1S60)  Berlin  1861),  p.  111. 


398  O.  BÀ&ÀLDI 

la  cura  di  attribuire  a  questi  nomi,  secondo  il  loro  parere,  il 
valore  di  specie  o  dì  razze  „. 

Di  tutte  le  altre  specie  d' Hipparìon  che  sono  menzionate 
nel  quadro  pag.  393  non  so  se  siano  stati  notati  dei  caratteri, 
rilevati  dai  mascellari,  i  quali  valgono  a  difierenziare  una  specie 
dair  altra. 

Comunque  sia  i  denti  d'  Hipparìon  che  ho  potuto  esaminare 
tanto  in  natiu*a  quanto  in  disegni,  sono  molto  differenti  da 
quelli  dell*  Anchitherìum  :  i  prìmi  si  accostano  di  più  a  quelli 
del  genere  Equus  e  si  può  dire  con  Huxley  che  sono  affatto 
simili. 

Se  confrontiamo  la  tavola  triturante  di  un  mascellare  su- 
periore di  Anchitherium  aurelianense  (  fig.  1 ,  tav.  XÌT  (^)  )  con 
quella  di  un  premolare  primo  di  Hipparìon  gracile  Hensel  (fig.  11, 
ingrandita  ^^/st,  tav.  XH),  di  un  premolare  primo  di  Hipparìon 
fnediterraneumìiensél  (fig.  12,  dente  colla  tavola  non  interamente 
pareggiata)  e  di  un  molare  pure  di  H.  mediterraneum  Hensel 
(fig.  12  (^))  non  facciamo  fatica  a  scorgere  T  enorme  differenza 
che  vi  fe  fra  r  una  e  le  altre  ;  basta  delle  tante  indicarne  una 
sola,  la  presenza  negli  Hippariòn  delle  due  cavità  {cvcv)  dei 
ventri  del  B;  cavità  che  nell' Anchitherium  non  esistono. 

La  tavola  triturante  dei  mascellari  inferiori  dell'  Hippariòn 
differisce  da  quella  dell' Anchitherium  perchè  le  punte  o  spor- 
genze dell'apice  medio  che  abbiamo  notato  nell' Anchitherium 
sono  eminentemente  più  sviluppate  nell'  Hippariòn,  in  modo  che 
rappresentano,  in  piccolo,  quell'  appendice  a  cui  abbiamo  dato 
il  nome  di  appendice  a  forma  di  classidra  (tav.  XDI,  fig.  2,  ap) 
dei  mascellarì  inferiori  degli  Equus. 

Intorno  alla  tavola  triturante  dei  mascellari  dei  generi 
Equidi  fossili  dell'America  illustrati  dal  Marsh  non  ho  alcuna 
notizia.  Ho  potuto  raccogliere  solo  alcuni  cenni  che  riguardano 
la  loro  dentizione  nell'opera  di  Wilkens,  e  sono  i  seguenti: 

1  .•  ì^élVEohippiis  dell'  eocene  inferiore,  il  più  antico  rap- 
presentante, finora  conosciuto,  del  cavallo,  vi  sono  parecchie 
specie  tutte  della  grandezza  di  una  volpe.  A  pari  della  maggior 
parte  dei  mammiferi  primitivi,  questi   ungulati   possiedono  44 

0)  Copiata  dalla  figura  162  di  Oaudry. 

(^)  Dalla  figuta  165  di  Goudry,  coli* indicazione  di  molare  superiore  di  Hippa- 
riòn gracile. 


DENTI  MSSCELLÀBI  DEGLI  EQUIDI  399 

denti  i  molari  con  corta  corona  di  forma  interamente  diversa 
dai  premolari. 

2.^  'SélVOrohippus  che  viene  a  sostituire  T  Eohippus  nello 
strato  Eocenico  superiore,  e  che  presenta  una  maggiore  sebbene 
ancor  lontana  somiglianza  col  tipo  equino,  osserviamo  il  primo 
premolare  che  assomiglia  ai  molari. 

3.^  Nel  Mesohippus  del  Miocene,  vicino  alla  base  nei  gia- 
cimenti del  Brontotherium,  il  quale  è  grande  come  una  pecora 
e  stretto  parente  dell' Orohippus,  si  vedono  due  dei  premolari 
al  tutto  somiglianti  ai  molari. 

4.**  Nel  Miohippus  del  Miocene  superiore,  che  assomiglia 
molto  all'Anchitherium  d' Europa,  non  trovo  notata  alcuna  cosa 
intorno  alla  sua  dentizione,  ma  se  assomiglia  all'  Anchitherium 
come  asserisce  il  Wilckens,  è  da  ritenersi  che  i  premolari  siano 
simili  tutti  e  tre  ai  molari. 

Anche  per  il  genere  Protohippus  del  pliocene  inferiore  e  per 
il  genere  Pliohippus  del  pliocene  medio  non  ho  trovato  notato 
alcun  carattere  sulla  loro  dentizione.  Solo  so  che  il  Protohippus 
grande  come  un  asino  assomiglia  moltissimo  all'  Hipparion  eu- 
ropeo, e  che  il  Pliohippus  per  avere  perduti  i  piccoli  unghielli 
rappresentanti  il  2."*  e  4.®  dito  e  sotto  molti  altri  rapporti,  si 
mostra  molto  equino. 

Ora  dovrei  parlare  della  distinzione  della  tavola  triturante 
fra  il  genere  Hipparion  e  il  genere  Equus  :  ma  tale  distinzione 
non  si  potrebbe  intender  bene  se  prima  non  facessi  risaltare  le 
differenze  che  si  riscontrano  nella  tavola  triturante  dei  denti 
nelle  diverse  specie  d' Hipparion. 

2.^  Differenze  fra  le  specie  del  genere  Hipparion,  —  Del 
genere  Hipparion  ho  potuto  studiare  i  denti  di  sole  due  specie, 
r  Hipp.  gracile  Hensel  •  e  1'  Hipp,  mediterraneum  Hensel. 

Dopo  quanto  ha  detto  Major  intomo  ai  denti  delle  due 
specie  d'  Hipparion,  poco  vi  sarebbe  d'  aggiungere  se  io  non  in- 
tendessi di  fare  il  confronto  fra  i  denti  mascellari  del  genere 
Hipparion  e  del  genere  Equus. 

I  denti  A'  Hipp.  gracile  trovati  al  Casino,  e  conservati  nel 
Museo  del  sig.  dott.  Federico  Castelli  di  Livorno  e  che  mise 
gentilmente  a  mia  disposizione,  sono  dieci  mascellari  superiori, 
3  mascellari  inferiori  ed  un  incisivo.  Tutti  questi  denti  devono 


400  6.  BÀRALDI 

appartenere  ad  un  medesimo  indivìduo  per  le  acuenti  ragioni: 
1.*  sono  stati  trovati  tutti  alla  rinfusa,  ma  in  un  medesimo 
gruppo:  2.®  mettendoli  in  serie  si  scorge  che  combinano  perfet- 
tamente fra  loro:  dei  dieci  mascellari  superiori,  6  costituiscono 
una  serie  completa,  la  destra,  e  gli  altri  quattro  sono  sinistri, 
in  tutto  uguali  ai  destri. 

La  lunghezza  dei  denti  mascellari  d' Hipparion  gracile  trovati 
al  Casino  è  in  media  da  e.  3  ^^4  a  4  e  quelli  dell'  Hipp.  mediter- 
raneum  trovati  a  Pichermi  da  e.  3  a  4. 

La  tavola  triturante  dei  mascellari  di  queste  due  specie 
d'  Hipparion  ci  mostra  dei  rilievi  trasversali  molto  elevati,  ciò 
che  sta  a  denotare  che  i  denti  appartenevano  ad  individui  re- 
lativamente giovani. 

La  conferma  di  questa  mia  asserzione  V  abbiamo  dalla  ta- 
vola triturante  di  un  dente  incisivo  dell'  Hipparion  del  Casino 
che  io  ho  fatta  espressamente  disegnare  (fig.  19,  tav.  XH).  Se 
vogliamo  giudicare  1'  età,  dell'  Hipparion  del  Casino,  colle  stesse 
norme  che  giudichiamo  quella  dei  cavalli  domestici,  noi,  osser- 
vando la  tavola  triturante  del  detto  incisivo,  dobbiamo  dire 
che  r  Hipparion  aveva  all'  incirca  fra  gli  8  e  i  9  anni  (  vedi 
ad  esempio  le  tav.  XX  e  XXI  di  Gaubaux  e  Barrier  (^)  ). 

Ora  considerando  adunque  che  l' Hipparion  del  Casino  è 
giovane  (  8  a  9  anni  ),  che  i  denti  mascellari  sono  lunghi  sola- 
mente da  e.  3  V2  a  4,  e  che  i  cavalli  della  medesima  età  li  hanno 
lunghi  da  e.  6  a  7  circa,  dobbiamo  dire,  anche  tenuto  conto  della 
mole  dei  due  generi  di  equidi  —  data  dalla  grossezza  dei  ma- 
scellari stessi  —  che  in  modo  assoluto,  1'  Hipparion  ha  i  denti 
mascellari  più  corti  di  quelli  del  cavallo. 

Per  confrontare  la  tavola  triturante  dei  mascellari  delle  due 
specie  d'  Hipparion  ho  fatto  disegnare  un  premolare  primo  su- 
periore d'Hipp.  gracile  del  Casino  (fig.  11,  tav.  XII),  e  cinque 
mascellari  superiori  di  diversa  età,  d' Hipp.  mediterraneum  di 
Pikermi  (fig.  12-13-14-15-16).  La  figura  12  presenta  un  p  1  molto 
giovane  in  cui  la  cavità,  posteriore  (croissant  post  Cuvier)  non 
è  ancora  perfettamente  isolata,  la  fig.  13  un  molare  di  indi- 
viduo adulto;  la  fig.  14  un  molare  vecchio  in  cui  l'isola  (ap), 
che  rappresenta  negli  equus  V  appendice  a  classidra,  è  fusa  col 

(*)  Loc.  cit 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  401 

ventre  anteriore,  e  le  fig.  15  e  16  due  p  3  giovani.  E  un  oc- 
chiata a  queste  figure  basta  per  distinguere  i  denti  delle  due 
specie  d'Hipparion  in  discorso.  ì^élV  Hipp,  gracile  {&g.  11)  ve- 
diamo che  lo  smalto  forma  delle  numerose  e  profonde  pieghe, 
ed  in  alcuni  punti  è  molto  flessuoso.  'NélVHtpp.  mediterraneum 
(fig.  da  12  a  16)  invece  le  pieghe  dello  smalto  stesso  sono  poco 
numerose  e  profonde,  e  non  si  riscontra  in  alcuna  parte  la 
flessuosità  notata  nello  smalto  dei  denti  àeWHipp.  gracile. 

3.*  Differenze  fra  il  genere  Hipparion  ed  il  genere  Equus. 
—  Mascellari  superiori.  —  La  tavola  triturante  dei  denti  ma- 
scellari superiori  del  genere  Equus,  dice  Gaudry  (^),  non  lascia 
sempre  scorgere  facilmente  la  difierenza  fra  questo  genere  ed 
il  genere  Hipparion,  in  quanto  che,  come  egli  stesso  fa  osser- 
vare, i  denticoli  intemi  (appendice  a  forma  di  classidra  per  noi) 
non  sono  in  alcuni  Hipparion  sempre  isolati  dal  ventre  per 
tutta  la  limghezza  della  corona,  ma  alla  loro  base  invece  si 
uniscono  e  formano  una  penisola,  simile  a  quella  che  si  riscontra 
negli  Equus.  Tale  unione  dell'  eppendice,  Gaudry,  V  ha  osser- 
vata in  un  dente  molto  usato  AéìVHipp.  ìnedilerr anelimi^)  (fig.  14, 
tav.  XH).  Nonostante  che  questo  dente  d'  Hipparion  mostri  un 
carattere  esclusivo  al  genere  Equus,  pure  io  ritengo  che  si  possa, 
studiandolo  bene,  riconoscere  che  è  d'  Hipparion.  Infatti  in  nes- 
suna specie  del  genere  Equus  troviamo  un  dente  molare  con 
un  appendice  {ap)  così  arrotondata,  rinchiusa  fra  i  due  ventri 
e  con  un  colletto  larghissimo.  Peraltro  debbo  anche  avvertire 
che  quando  i  denti  sono  molto  vecchi,  come  è  precisamente 
quello  in  esame,  difficilmente  si  possono  fare  dei  confronti,  che 
diano  sicuri  risultati. 

Aggiunge  inoltre  Gaudry,  che  il  grado  di  saldatura  dell'  ap- 
pendice a  classidra  oflfre  delle  variazioni  individuali,  perchè  si 
osservano  dei  denti  d'  Hipparion  che  sono  sensibilmente  al  me- 
desimo grado  di  usura  e  non  pertanto  1'  appendice  a  classidra 
{ap)  è  inegualmente  unita  al  ventre.  In  quanto  a  quello  che 
mostrano  le  fig.  15  e  16,  che  ho  tolte  da  Gaudry  stesso,  mi  par§ 
che  non  si  possa  dire  con  questo  Paleontologo  che  quei  denti 

(')  Loc.  cit. 

C)  Gaudry  chiama  Hipp.  gracile  quello  di  Moni  Léberon,  che  secondo  Hensel  e 
Ms^or  sarebbe  THipp.  mediterraneum. 


402  6.  BAKALDI 

siano  al  medesimo  grado  di  usura;  essendovi  la  fig.  15,  che 
mostra  una  tavola  triturante  non  ancora  pare^ata,  e  quindi 
molto  più  giovane  dell'  altra,  che  e  in  gran  parte  pare^ata. 
Per  dire  poi  che  mostrano  delle  variazioni  individuali  bisogne- 
rebbe sapere  che  quei  denti  appartengono  a  due  individui  della 
medesima  età,  ciò  che  il  Gaudry  non  ha  provato.  Comunque 
sia  questi  denti  non  possono  servire  in  modo  utile  per  stabilire 
delle  differenze  nella  tavola  triturante  dei  mascellari  fra  il  ge- 
nere Hipparion  e  il  genere  Equus,  essendo  essi  molto  giovani. 

Nei  denti  mascellari  superiori  del  cavallo,  dicono  Graubaux 
e  Barrier  (/),  T  appendice  anteriore  (boucle  accessoire)  è  sempre 
riunita  al  ventre  anteriore  (boucle  antèrieure  du  B)  per  mezzo 
di  un  piccolo  peduncolo  d'  avorio.  A  questo  riguardo  non  vi  è 
alcuna  eccezione  nel  cavallo.  Neil'  hipparion,  al  contrario,  che 
i  trasformisti  considerano  come  l' antenato  del  precedente, 
questa  appendice  è  costantemente  isolata  sopra  la  tavola  den- 
taria (vedi  la  fig.  259  dei  medesimi  autori). 

Si  osservono,  essi  aggiungono,  delle  numerose  differenze  in 
ciò  che  concerne  la  disposizione  del  nastro  dello  smalto.  Esso 
forma  qualche  volta,  su  certi  individui,  delle  ripiegature  straor- 
dinariamente sinuose  o  increspate,  analoghe  a  quelle  dell' hip- 
parion. Alcuni  anatomici  hanno  creduto  trovare  in  questo  ca- 
rattere delle  ragioni  sufficienti  per  stabilire,  fra  i  cavalli  fossili, 
una  specie  intermediaria  all'  hipparion  e  al  nostro  cavallo  at- 
tuale, r  equus  plicidens.  Che  questa  distinzione  sia  giustificata 
o  non,  la  verità  è  che  queste  pieghe  dello  smalto  esistono  an- 
cora su  molti  dei  soggetti  del  giorno  d'  oggi. 

Io  sono  del  medesimo  parere  di  Gaubaux  e  Barrier  nel  ri- 
tenere che  il  numero  delle  pieghe  non  valga  a  distinguere  un 
Hipparion  da  un  Equus,  essendo  vene  degli  uni  e  degli  altri  che 
hanno  le  pieghe,  e  molto  numerose,  come  nell'  Hipp.  gracile 
(fig.  1 1 ,  tav.  Xn)  o  poco  numerose,  come  nell'  Hipp.  mediterra- 
neum  (fig.  da  1 2  a  1 5)  :  e  il  numero  delle  pieghe  che  si  osser- 
vano in  alcuni  cavalli  domestici,  come  ad  esempio  nella  razza 
puro  sangue  inglese  (fig.  4)  è  superiore  a  quello  dell'  Hipp.  me- 
diterraneum. 

L' unico  carattere  adunque  che  fa  distinguere  la  tavola  tri- 
turante degli  Equus  da  quella  degli  Hipparion,  per  i  denti  su- 

(')  De  VEitérieut'B  du  Cheval,  Paris,   1885.  pag.  7ii. 


DENTI  MASCELLARI  DEGÙ  EQUIDI  403 

periori,  consìste  nella  fusione  o  non  dell'  appendice  a  classidra 
(ap)  col  ventre  anteriore:  negli  Equus,  fossili  e  viventi,  costi- 
tuisce sempre  una  penisola,  cioè  V  avorio  di  essa  è  continuo 
con  r  avorio  del  resto  dei  denti  (vedi  tutte  le  figure  dei  ma- 
scellari superiori  del  genere  Equus,  tav.  XII);  nell' Hipparion 
invece  questa  stessa  appendice  è  isolata,  cioè  Y  avorio  che  la 
costituisce  non  è  continuo  coli' avorio  del  dente  (fig.  11-12-13 
ap);  per  modo  che  guardato  il  dente  mascellare  nella  sua  faccia 
intema,  in  luogo  di  presentare  una  grande  piega,  presenta  una 
vera  colonna,  che  si  fonde  solamente  vicino  alla  radice  come 
nel  caso  che  ci  mostra  la  tavola  triturante  di  un  dente  vec- 
chissimo di  Hipp,  mediterraneum  (fig.  14  ap). 

Mascellari  inferiori.  —  La  tavola  triturante  dei  denti  ma- 
scellari inferiori  di  Equus  differisce  da  quella  dell'  Hipparion, 
in  quanto  che  i  lobi  dell'  appendice  a  classidra  (  denticoli  in- 
terni Gaudry),  sono  relativamente  nell' Hipparion,  piccoli,  schiac- 
ciati dall'  indentro  all'  infuori,  e  si  proiettano  tanto  all'  interno 
da  formare  una  profonda  sinuosità  :  tutto  ciò  si  mostra  al  con- 
trario neir  Equus.  Gaudry  asserisce  che  queste  particolarità  sono 
così  leggere  che,  allorquando  si  trovano  denti  isolati,  si  è  so- 
vente imbarazzati  a  decidere  ^se  essi  provengono  da  un  Equus 
o  da  un  Hipparion. 

Se  quanto  asserisce  Gaudry  può  ritenersi  per  vero  (quando 
si  confronta  un  mascellare  inferiore  di  Hipp.  mediterraneum  con 
uno  di  Equus)  non  è  cosi  quando  si  fa  lo  stesso  confronto  col- 
r  Hipp.  gracile)  poiché,  nei  denti  di  questo  troviamo,  oltre  alle 
particolarità  indicate,  lo  smalto  flessuoso  e  provvisto  di  nu- 
merose pieghe  che  non  si  riscontrano  nel  genere  Equus. 

Se  teniamo  poi  conto  delle  diflFerenze  che  presenta  la  lun- 
ghezza dei  mascellari,  il  rapporto  fra  lunghezza  e  la  jlarghezza 
della  tavola  triturante,  si  va  quasi  sicuri  di  non  confondere  i 
denti  degli  Hipparion  con  quelli  degli  Equus. 

4.**  Differenze  fra  le  specie  del  genere  Equus.  —  Moltissime 
sono  le  specie  fossili  e  viventi  di  Equus  descritte  dagli  autori  : 
ma  io  non  terrò  nota  che  di  quelle  sulle  quali  ho  trovato  ma- 
teriale per  confrontare  la  tavola  triturante  dei  denti  mascellari: 
tali  sono  V Equus  stenonis  Cocchi,  V E.  intermedius  Major,  VE. 
cahalliis  del  terreno  quadernario,  V  E.  caballus  domesticus  e  V  E. 
asinus. 


4iH  0.  BARÀLDI 

ÒJ"  Differenze  fra  V  Equus  Steìtonis  e  V  Equus  interme- 
Jitis.  —  Nei  denti  deir£5ww.9  stenonis  Cocchi  (^)  {Equus  fossilis 
K(ltìineyer(-))  del  pliocene  inferiore  dell'antico  mondo  e  che 
trovasi  al  medesimo  livello  del  Protohippus  dell'  America ,  —  il 
quale  Wilckens  (^)  considera  come  l'intermedio  fra  X  Hipparìon  ed 
i  cavalli  attuali,  che  sono  già  rappresentati  in  gran  numero  nelle 
palafitte  europee  più  recenti,  mentre  mancano  nelle  palafitte 
europee  più  antiche  dell'  epoca  della  pietra,  —  si  riscontra  una 
disposizione  dello  smalto  differente  da  quella  dell'  hipparìon  e 
da  quella  delle  altre  specie  di  equus.  Il  Cocchi  dice  :  ^  questo 
tipo  animale  presenta  forme  diverse  nelle  parti  di  diverse  età 
del  bacino  del  Val  d'Arno.  La  più  comune  è  in  pari  tempo  una 
delle  più  caratteristiche  della  fauna  più  antica;  è  un  cavallo  di 
alta  statura,  di  forme  massiccie  con  denti  mascellari  fomiti  di 
smalto  minutamente  pieghettato  in  fregi  e  merletti  assai  ele- 
ganti (^)  „ . 

Parlando  delle  differenze  fra  i  denti  dell' JE.  stenoniSy  del- 
l' Hipparion  e  dei  cavalli  attuali,  Gaudry  (^)  asserisce  che  gli 
uni  e  gli  altri  presentano  delle  grandi  variazioni  in  una  me- 
desima specie;  neWE.  stenonis  del  pliocene  (fig.  167),  che  si  può 

(*)  Cocchi  —  V  uomo  fossile  nelV  Italia  centrale.  -  Soc.  Italiana  di  Se.  Nat 
Voi.  IIU  delle  Memorie,  Milano  1867.  -a  pag.  18  dell*  estratto  dice:  «  Nelle  collezioni 
r  ho  chiainato  da  molto  tempo  E^uus  stenonis^  per  ricordare  quella  illustrazione  del 
Museo  fiorentino  che  fu  Stenone,  e  poiché  il  cranio  iutiero  di  questa  specie  che  vi 
si  conserva  è  fra  gli  o/getti  più  antichi  onde  va  ricco.  Peraltro  nella  nostra  corri- 
sponden/A  privata  dal  coropiavto  Ugo  Falconer,  viene  indicata  come  inedita  e  col 
nome  di  E.  Ligeris;  e  dall*  illustre  Ed.  Latet  con  quello  di  E.  arnensis.  Imparo  poi 
recentemente  dalla  lettura  di  un  opera  di  distinto  naturalista,  che  abbiamo  l'abitu- 
dine di  chiamare  questo  stesso  cavallo  plicidens  nella  Val  d*Àrno,  locchò  ignorava; 
non  troppo  giustificato  a  me  pare  il  ravvicinamento.  Laon^^e  pel  cominciare  di  que- 
sta sinonimia  preferiamo  di  conservare  il  nostro  in  onore  del  celebre  naturalista 
danese  che  tanto  ccntinbui  a  fondare  la  classica  collezione  fiorentina.  Questa  specie, 
tanto  comune  nella  fauna  inferiore,  lo  è  meno  nella  media,  dove  forse  appena  fti  ri- 
trova e  non  fa  parte  della  superiore  » . 

•)  Major  dice  che  «  nel  Musco  civico  di  Milano,  parecchi  molari  provenienti 
dal  Val  d*Arno  superiore  e  dintorni  di  Cortona  che  presentano  i  caratteri  principali 
doW Equus  fossilis  di  Rùtimeyer.  Il  Cocchi  aveva  data  a  questo  cavallo  del  Val 
d*Arno  superiore,  senza  caratterizzarlo,  il  nome  di  Equus  Stenonis».  Nota  sui  Co- 
valli  fossili  italiani.  Rivista  Scientifico-industriale,  ottobre  1876. 

Ó  Loc.  cit,  pag.  34. 

e*)  Loc.  cit,  pag.  18, 

(^)  Les  anchainements  du  Monde  Animai  dans  les  temps  geologiques. 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  405 

supporre  V  antenato  dei  nostri  cavalli,  il  denticolo  I  (appendice 
a  forma  di  classidra)  e  meno  compresso  che  nelle  specie  attuali 
e  perciò  meno  allungate  del  denticolo  dell'  Hipparion. 

Il  molare  sinistro  superiore  di  E.  st^nonis  trovato  nel  Volcan 
du  Caupet  {pliocene  medio,  dato  da  Gaudry  nella  figura  167)  ras- 
somiglia più  ad  un  dente  di  asino  più  di  quello  che  rassomigli 
ad  un  dente  di  E,  stenonis.  —  (Si  confronti  la  fig.  167  di  Gaudry 
con  le  nostre  fig.  8  e  9,  tav.  XII  ). 

I  denti  delle  fig.  7-8  della  tav.  I  date  da  Rfltiraeyer  (^)  come 
appartenenti  aH'J^^.  fossili^,  mi  fanno  restare  meravigliato  per  la 
grande  rassomiglianza  che  hanno  piuttosto  coi  denti  dell'^.  ca- 
ballus  di  quello  che  coi  denti  à^WE.  fossilis.  La  presenza  del 
lobo  anteriore  (25),  sebbene  rudimentario  dell' appendice  interna 
anteriore  ;  la  forma  della  sporgenza  interoposteriore  (5)  della 
cavità  anteriore;  la  poca  profondità  di  tutte  le  pieghe  delle 
cavità  (nonostante  che  siano  denti  giovani)  sono  tutti  caratteri 
che  farebbero  ritenere  i  denti  dati  da  Rfltimeyer  come  appar- 
tenenti all'-E.  caballus  piuttosto  che  all'io,  stenanis. 

Da  che  dipende  questa  enorme  differenza  fra  i  denti  del- 
l'io, fossilis  dati  da  Rfltimeyer  e  i  denti  déìVE.  stenanis  della 
fig.  3,  tav.  Xn  riportata  da  noi,  se  questi  Equus  differentemente 
chiamati  sono  una  medesima  specie,  come  ha  asserito  Wilckens, 
pag.  34(2)? 

Intorno  ai  denti  mascellari  superiori  déìVE.  stenanis  Cocchi, 
io  non  ho  potuto  studiare  altro  che  il  magnifico  esemplare  che 
trovasi  nel  Museo  paleontologico  di  Pisa,  di  cui  ho  tolta  la 
figura  3  della  tav.  XII. 

Come  si  può  osservare  in  questa  figura,  la  tavola  triturante 
AeìV  Equus  stenoftis  è  ben  lontana  dal  potersi  confondere  con 
quella  dell' Hipparion.  In  essa  noi  vediamo  l'appendice  anteriore 
(ap)  fusa  col  ventre  anteriore  (v)  in  tutti  i  denti.  Non  tengo 
nota  delle  pieghe  diverse  dello  smalto  perchè  queste  valgono 
solo  a  dimostrare  le  differenze  che  si  riscontrano  nelle  varietà 
degli  E.  stenanis,  e  nelle  varietà  degli  Hipparion  e  degli  altri 
cavalli. 

Secondo  il  mio  modo  di  vedere  —  non  tenendo  per  ora  nota 

(^)  Beitràge  -  -  Zur  Keuntuiss  der  fossilen  Pferde^  und  zu  einer  vergMehenden 
Odontographie  der  Hufthiere  im  Allgemeinen.  Basel  1863. 
C)  Loc.  cit. 


406  0.  BARALDI 

delle  figure  date  da  Gaudry  e  Rùtimeyer  —  io  distinguerei 
r^.  stenonis  da  tutti  gli  altri  equus,  portando  solo  V  attenzione 
air  appendice  interna  anteriore  {a  p)  dei  mascellari  superiori,  la 
quale  si  mostra  formata  in  una  maniera  nelle  specie  in  discorso, 
che  non  si  può  confondere  con  niun  altra  di  altri  cavalli:  essa 
xìqWE.  stenoniSj  in  confronto  della  grandezza  della  tavola  tritu- 
rante e  molto  piccola  :  e  ciò  poi  che  mostra  essere  straordina- 
riamente differente  da  quella  delle  altre  specie  è  la  mancanza 
del  lobo  anteriore  (23),  e  la  forma  ovale  del  lobo  posteriore 
portato  molto  in  addietro.  Queste  sole  particolarità,  a  mio  ve- 
dere, valgano  adunque  a  fare  distinguere  a  colpo  d' occhio  VE. 
stenonùt  dagli  altri  Equus;  e  ciò  è  tanto  vero  che  per  convin- 
cersene non  si  ha  che  da  confrontare  la  fig.  3  della  tav.  XII 
colle  altre  figure  tutte  tolt^  dal  vero. 

Sui  denti  mascellari  inferiori  délY Equus  stenonis  non  ho  nulla 
a  dire,  non  avendo  potuto  studiarli.  Solo  dirò  che  osservando 
le  figure  date  da  Major  (^)  e  Rùtimeyer  (^)  dei  denti  mascellari 
di  questa  specie  di  Equus,  si  scorge  un  numero  grande  di  pie- 
ghe in  molte  parti  del  nastro  di  smalto,  che  non  si  riscontrano, 
che  in  piccolo  numero  negli  altri  Equus. 

Il  prof.  Cocchi  (^)  parlando  dei  fossili  del  deposito  lacostre 
costituenti  la  parte  inferiore  dell'  altipiano  d' Arezzo,  all'  articolo 
Cavallo  dice  :  "  Il  confronto  più  superficiale  mostra  la  estema 
differenza  che  passa  fra  i  resti  di  cavallo  del  Val  d'Amo  plio- 
cenico, specialmente  fra  i  denti  che  vi  sono  tanto  comuni,  e  la 
mascella  inferiore  del  cavallo  di  specie  probabilmente  nuova 
(col  nome  di  Equus  Larteti)  fossile  nello  stesso  strato  e  luogo  » 
(vedi  tav.  IV  della  sua  memoria).  **  Oltre  molte  altre  partico- 
larità che  i  pezzi  omonimi  presentano  nella  mascella  di  cui  dò 
la  figura,  i  molari,  confrontati  con  quelli  di  E.  stenonis j  sono 
a  sezione  più  decisamente  quadrata;  le  pieghe  dello  smalto  sono 
grosse  e  a  contorno  liscio,  mentre  néìVE.  st^ìwnis  le  pieghe  sono 
formate  da  una  sottile  lamina  di  smalto,  ed  è  poi  finamente 
pieghettata  a  guisa  dì  frangia,  specialmente  nelle  staffe  del  lato 

(*)  Beitràge  —  Zur  Geschichte  der  fossilen  Pferde  insbesondere  luUi^ns.  — 
Abhandluagea  der  Schweizerischen  paiàontologischen  Gesellschaft.  Voi.  VII,  Zùrich, 
ISSO. 

(•)  Loc.  cit 

(')  Loc.  cit,  pag.  :20. 


DENTI  MASCELLARI  DEGÙ  EQUIDI  407 

intemo  del  dente,  come  nélYE.  pUcidenSy  Owen.  I  molari  più 
piccoli  dei  premolari,  come  in  tutti  i  cavalli,  lo  sono  in  diverso 
modo  nelle  due  specie  ;  che  si  vanno  impicciolendo  dall'  ante- 
riore al  posteriore  nella  specie  pliocenica,  mentre  il  primo  è 
più  piccolo  del  secondo  nella  specie  figurata  „. 

^  Non  cerchiamo  adunque  „  aggiunge  "  le  maggiori  analogie 
di  questo  cavallo  con  la  specie  pliocenica,  che  si  discosta  con- 
siderevolmente; voglionsi  invece  ricercare  fra  le  viventi  „. 

Ritengo  importante  di  non  tralasciare,  un  osservazione  di 
Major  fatta  sulla  dentizione  dell' JE'.  stenoniSy  potendo  essa  ser- 
vire come  ausiliare,  per  differenziare  la  dentizione  di  questa 
specie  dalla  dentizione  di  altre  specie  di  Equus:  1'  osservazione 
è  questa:  Egli  ebbe  a  "  rilevare  come  il  primo  premolare  (per 
noi  quarto  premolare)  di  latte  inferiore,  rarissimo  nell'^.  ca- 
ballus  neir  età  adulta,  raro  anche  e  molto  ridotto  nell'  Hippa- 
rion,  ma  meglio  sviluppato  negli  Anckitherium  e  Palaeotherium, 
si  trova  non  tanto  di  rado  uéìV  Equus  stenonis  —  lo  potei  con- 
statare in  una  mezza  dozzina  di  casi  ;  —  ed  anche  il  corrispon- 
dente premolare  superiore  che  è  abbastanza  raro  nell'^wt^ 
caballuSy  è  costante  nell'i?,  stenonis  „  —  Cavalli  fossili  italiani. 
Rivista  Scientifico-industriale,  Ottobre  1876.  — 

Passiamo  ora  a  studiare  i  denti  mascellari  dell'^.  intermedius. 

Neil' E*,  intermedius  Major  (^),  che  Wilchens  ha  posto  nel  mezzo 
del  pliocene  quasi  al  livello  del  Plioippus  d' America  (^),  e  del 
quale  esiste  un  magnifico  cranio  nel  Museo  Paleontologico  di 

(^)  Major  trovò,  esaminando  le  diverse  ossa  e  denti  dei  cavalli  fossili,  che  esi- 
stono in  molti  MiiRei  pubblici  e  privati  d*  Italia,  due  fossili,  che  sono  talmente  in- 
termediari fra  i  due  gruppi,  Tuno  di  E,  caballus^  Taltro  di  E.  stenonis^  che.  Egli 
dice,  «  non  so  a  quale  dei  due  ascriverli;  Tuno  è  una  mascella  superiore  quasi  com- 
pleta di  Olivola  in  Val  di  Magra,  nel  Musco  di  Pisa;  T altro  fossile  è  una  mascella 
superiore  dei  dintorni  di  Figline,  n^l  Val  d'Arno  superiore.  Quest'  ultimo  tenderà 
forse  un  poco  più  verso  il  gruppo  deW E.  Caballus  ed  ha  affinità  rimarchevoli  col- 
r^.  Quagga;  il  fossile  d*  Olivola  tende  più  verso  il  gruppo  di  E.  Scenonis.  Al 
Cavallo  di  Olivola  ho  dato  nel  Museo  di  Pisa  il  nome  di  Equus  intermedius^  non 
per  farne  una  specie  nuova,  perchè  specie  nel  senso  dell'antica  scuola  per  me  non 
esistono,  —  e  più  che  altro  mi  hanno  confermato  in  questo  modo  di  vedere  questi 
studi  sui  cavalli  fossili,  —  ma  per  caratterizzarlo  come  forma  intermedia  fra  il  cosi 
chiamato  E,  Caballus  ed  il  cosi  chiamato  E,  Stenonis.  —  Cavalli  fossili  italiani. 
Rw.  Se.  Ind.  1876. 

(•)  Wilchens  —  Op.  cit,  pag.  40  e  41,  Tav.  II.  Albero  geneologico  degli  Un- 
gulati. 

8e.  Nat,  Voi.  YHL,  fkso.  2.*  99 


408  Q.  BARALDI 

Pisa  (trovato  nei  terreni  terziari  d'Olivola  nella  Lunìgiana), 
i  denti  mascellari  superiori  diflFeriscono  dai  denti  mascellari  pure 
superiori  dell'-E'.  stenonis  e  dagli  altri  Equus  per  caratteri  meno 
accentuati  di  quelli  che  si  osservano  fra  questi  e  quelli  del- 
l' Hipparion. 

La  tavola  triturante  dei  denti  rappresentati  nella  fig.  5  (  gibt 
eine  Oberkiefer  -  Zahnreihe  von  Equus  fossilis  j  oder  fìlrderhin 
besser  Equus  stenonis  aus  S.  Paolo  zwischen  Dusino  und  Asti. 
Die  Originalien  befinden  sich  im  Museum  von  Turin),  data  da 
Riltimeyer  (^)  rassomiglia  più  ai  denti  deìV  E.  ùUermedius  di 
quello  che  rassomigli  ai  denti  déìYE.  steìwnisì 

Io  non  dispongo  che  dell'  esemplare  del  Museo  Pisano  da 
cui  ho  tolta  la  fig.  2  della  tav.  XII. 

Come  si  vede  osservando  questa  figura,  la  tavola  triturante 
dei  denti  mascellari  superiori  dell'^.  intermedius  differisce  da 
quella  dei  denti  dell' j^.  stenonis  per  la  forma  dell'  appendice  a 
classi dra  (rtp)  (denticolo  interno  I  Gaudry),  la  quale  è  molto 
piccola,  come  lo  è  anche  negli  E.  stenonis,  ma  è  però  provvista 
di  un  rudimentale  lobo  anteriore  (23),  di  cui  abbiamo  già  visto 
'  esseme  mancante  1'  appendice  dei  denti  dell'  E.  steìioni^.  Oltre 
a  ciò  la  forma  di  tutte  le  pieghe  che  si  osservano  nei  mascel- 
lari dell' j&.  intermedius  sono  differenti  da  quelle  dei  mascellari 
àeW  E.  stenoyiiSy  e  specialmente  la  piega  posteriore  (12)  della 
cavità  posteriore,  che  è  molto  grande  ed  ha  una  direzione  dal- 
l' infuori  all'  indentro  nei  primi  e  dall'  avanti  all'  indietro  nei 
secondi. 

Se  si  paragona  la  stessa  tavola  triturante  dell' -E.  interme- 
dius con  quella  delle  altre  specie  di  Equus  risulta  che  in  questi 
ultimi  r  appendice  a  classidra  è  assai  più  grande  ed  ha  il  lobo 
anteriore  (23)  maggiormente  sviluppato. 

Aggiungo  per  ultimo  il  rapporto  fra  la  lunghezza  e  la  lar- 
ghezza della  tavola  triturante  deWE.  intennedius  e  délVE.  ste- 
fionis,  aflSinchè  si  noti  la  differenza  che  vi  è  su  ciò  fra  1'  una  e 
r  altra  specie. 

La  lunghezza  della  tavola  è  ridotta  a  100. 

La  lunghezza  sta  alla  larghezza: 


(')  Beurtheilung  d&r   Pferde   der   Quatemàr  -  Epoche.  Abhandlongen   der 
•chwdizerischen  palàonlologìschen  Gesellscbaft,  Voi.  II,  Zùrich,  1875. 


DENTI  MASCELLASI  DEOLI  EQUIDI  409 


ìéìVE.  intermedia             nélVE.  stenonis 

p2,  : 

:  100  :  83               : 

:  100  :  93 

P  1,  : 

:  100  :  90               : 

:  100  :  93 

m  1,  : 

:  100  :  90               : 

:  100  :  97 

ni2,  : 

:  100  :  88                : 

:  100  :  93 

Volendo  maggiori  dettagli  sul  confronto  delle  dimensioni 
della  tavola  triturante,  si  ricorra  al  quadro  dei  rapporti  a 
pagina  383. 

6.®  Differe7ize  fra  gli  Equus  del  terreno  quaternario  e  gli 
Equidi  viventi.  —  Nei  cavalli  fossili  del  terreno  quaternario, 
non  sono  state  fino  ad  ora  riscontrate  delle  differenze  nella 
tavola  triturante  dei  denti  mascellari,  le  quali  valgano  a  distin- 
guerli dai  cavalli  attuali.  È  molto  probabile  che  ciò  dipenda 
dall'essere  molte  specie  arrivate  fino  a  noi  a  costituire  la  fa- 
miglia dei  solipedi  viventi. 

È  vero  che  nell'  interessante  lavoro  di  Major  f ^)  sono  indi- 
cate delle  differenze  fra  i  mascellari  dei  cavalli  fossili  dell'epoca 
quaternaria  ed  i  cavalli  attuali:  e  anche  questo  valente  pa- 
leontologo ha  trovato  delle  differenze  notabili  nelle  ossa  del 
carpo  e  metacarpo  e  nelle  ossa  del  tarso  e  metatarso  che  fanno 
distinguere  gli  uni  dagli  altri  cavalli,  ma  sfortunatamente  per 
la  mancanza  della  tavola,  che  deve  mostrare  i  mascellari  su- 
periori, io  non  posso  approfittare  di  quelle  osservazioni,  nella 
tema  di  cadere  in  errori. 

Stando  a  quello  che  Major  stesso  dice  nella  sua  comuni- 
cazione fatta  alla  Società  Antropologica  ed  Etnologica  di  Fi- 
renze C^),  sembrerebbe  che  non  fossero  ancora  trovate  delle  dif- 
ferenze specifiche  fra  i  denti  dei  cavalli  del  quaternario  e  i 
denti  dei  cavalli  attuali,  se  asserirce  che  *"  i  frammenti  di  ma- 
scelle e  denti  isolati  poco  o  punto  si  distinguono  da  quelli  del 
nostro  cavallo  domestico  „\  ed  aggiunge  in  nota,  che  *  M.  Sanson 
ètablit  qu'  avec  les  dents  et  autres  fragments  fossiles  que  les 
paléontologistes  trouvent  dans  les  dépòts  quaternaires,  il  ne  lui 
parait  pas  possible  que  ces  géologues  puissent  déterminer,  corame 
ils  le  font   cependant,   si   ces  restes  appartiennent  à  V  Equus 

0)  Beitràge  etc.  Loc.  cit 

{*)  Alcune  osservazioni  sui  Cavalli  quaternari.  Archivio  per  T  Antropologia  e 
la  Etnologia.  Voi.  IX,  fase.  I.^  1879. 


410 


0.  BARALDI 


caballuSf  on  à  d' autres  espèces».  **  È  sempre  preferibile  però, 
dice  Major  d'  accordo  con  Sanson,  il  chiamare  provvisoriamente 
Equìis  caballus  avanzi  fossili  che  non  si  distinguono  dai  corri- 
spondenti del  nostro  Cavallo  domestico,  anzi  che  dar  loro  senza 
ragione  alcuna,  cioè  senza  poter  dimostrare  dei  caratteri  dif- 
ferenziali déìV  E.  cabali lis  o  da  altra  specie  vivente,  i  nomi  di 
Equus  primigenitis,  E.  adamiticuSy  E.  Larteti  etc.,  come  si  usava 
altre  volte  „. 

Il  prof.  Cocchi  (^)  ha  trovato  nel  Post-pliocene  inferiore 
Aretino,  una  mascella  inferiore,  coi  denti  di  Equus,  la  quale 
ha  riguardato  come  appartenente  ad  una  nuova  specie,  e  con 
riserva  la  presenta  per  ora  col  nome  di  E.  adamiticuSy  propo- 
nendo quando  venisse  dimostrata  come  una  specie  nuova  e  di- 
stinta, di  assumere  il  nome  di  E.  Larteti.  Egli  ha  comparata 
questa  mandibola  di  Asino  e  di  Cavallo,  e  perciò  che  riguarda 
ai  denti  mascellari  avrebbe  riscontrato  che  la  lunghezza  e  la 
larghezza  della  tavola  triturante  è: 


!                 1 

;1.°  irenolart!].'  preDolareiS.*  irmolaie 

1                        1                                                 1 

1                                 '                                                                    : 

3  '  molare 

l*  lolaro 

1.*  lolari 

In  un  Cavallo  di  an- 
ni 12  di  statura  or- 
dinaria 

Lunghezza 
Larghezza 

0,  0320          0,  0280 
0,  0162         0,  0190 

0,  0252 
0,  0184 

0,  0240 
0,  0160 

0,0240 
0,0150 

0,0310 
0,0185 

In  un  Asino  veochio 
di  grande  statura 

Lunghezza 
Larghezza 

1 
0,  0248     '     0,  0240 

0,  0140          0,  0112 

1 

0,  0250 

0,  0200 

1 

0,  0220 
0,  0170 

0,0203 
0,0145 

0,  0330 
0,  Olio 

In  un  cavallo  fossile 

dell'  Olmo,  per  di-  i  Lunghezza 
mensione  poco  in-  ' 
feriore  a  quella  del  j  Larghezza 
Oavallo  I 


0,  0340 
0,  0170 


0,  0261 
0,  0190 


0,  0260 
0,  0190 


0,  0230 
0,  0165 


0,0870 
0,  0115 


"  Risulta  da  questo  confronto.  Egli  aggiunge,  che  nelle  pro- 
porzioni rispettive  e  nella  folma  dei  denti  della  mascella  in 
esame  esistono  tratti  abbastanza  caratteristici  e  peculiari  „. 

**  Altre  diflFerenze  si  possono  ritrarre  nella  disposizione  dello 
smalto.  Le  due  vallecole  che  lo  smalto  forma  dalla  parte  in- 
tema neir  asino  sono  semplici  e  volte  V  una  verso  dell'  altra. 
La  posteriore  del  primo  premolare  è  la  sola  che  offre  una  forma 
a  staffa  ben  pronunziata.  Nel  cavallo  la  forma  a  staffa  è  sempre 


(')  loc.  cit 


DENTI   MÀSCBLLARI   DEGÙ   EQUIDI  411 

distinta,  i  veri  molari  soltanto  avendo  T  anteriore  piccola  e 
poco  estesa.  Nel  nostro  fossile  invece  le  staffe  anteriori  dei  veri 
molari  sono  molto  più  nettamente  sviluppate.  —  Lo  smalto 
non  ha  la  struttura  fibrosa-radiata  che  si  orserva  in  quello  dei 
molari  dell'  asino  „. 

E  qui  è  il  caso  di  richiamare  come  ha  fatto  il  Piétrement  (^) 
(pag.  1 03)  ciò  che  ha  detto  Cuvier  a  proposito  delle  ossa  fossili 
deir  Equus  caballtis  ^  qui  accompagnent  les  èléphants  et  les 
tigres  «. 

"  Le  chevaux  qui  les  ont  foumis  ressemblaient-ils  en  tout 
à  nos  chevaux  d' aujourd*  hui? 

**  J'  avone  que  V  anatomie  comparée  est  peu  en  état  de  ré- 
pondre  à  cette  question. 

^  J' ai  compare  avec  soin  les  squelettes  de  plusieurs  variètès 
de  chevauXj  ceux  de  fnidet,  d'rfn^,  de  zèbre  et  de  couc^ga,  sans 
pauvoir  leur  trouver  de  caractère  assez  fixe  pour  que  j' osasse 
hasarder  de  prononcer  sur  aucune  de  ces  espèces  d'  apres  un  os 
isole;  la  taille  méme  ne  fournit  que  des  moyens  incomplets  de 
distinction,  les  chevaux  et  les  ànes  variant  beaucoup  h  cet  ègard, 
à  cause  de  leur  ètat  de  domesticité,  leur  difference  pouvant 
presque  aller  du  simple  au  doublé;  et,  quoique  je  n'aie  pu 
encore  me  procurer  le  squelette  de  V  lièmione  ou  dgigguetatj  je 
ne  doute  point  qu'  il  ne  ressemble  autant  h  toutes  les  autres 
espèces  qu'  elles  se  ressemblent  eutre  elles. 

*"  La  mème  ressemblance  parait  avoir  lieu  de  Y  espèce  fos- 
sile aux  espèces  vivantes  (^)  „. 

in  conferma  delle  osseiTazioni  di  Cuvier,  Hensel(^)  dice: 
*"  Io  non  ho  potuto  scoprire  nei  mascellari  superiori  dei  carat- 
teri precisamente  distintivi  delle  specie  fra  loro  ;  benché  mi  sia 
stato  possibile  di  compararle  tutte  all'  eccezione  déiVE.  ^non- 
taniis  „.  Questa  osservazione  è  molto  importante  dice  Piétre- 
ment inquanto  che  le  specie  estinte  di  cavalli,  che  sono  state 
indicate  sono  sopratutto  state  distinte  in  ragione  delle  diffe- 
renze riscontrate  nei  molari  superiori. 


(1)  Les  Chevaux  dans  les  temps  prèhistoriques  et  Historiqttes,  Paris,  1883. 
(•)  Cuvier  —  Recherehes  sur  les  ossements  fossiles^  t.  Ili,  p.  217. 
(3)  Physikal.  Abhandl,  d,  k.  Akad.  d.  Weissenschaften  zu  Berlin,  1860,p.  85. 
(Nota  di  Piétrement,  pag.  105). 


412  6.  BIKAUM 

Acconci  f^)  nel  degcrìrere  i  namerosissimi  resti  dì  CavaDo 
che  si  rinvengono  nella  Caverna  fo^ilifera  di  Cocìgliana  (Mcmtì 
pisani)  asserisce  che  *  i  denti  confrontati  con  quelli  dell*£^if4«« 
Stenonin  dai  una  parte  e  con  quelli  dei  Cavalli  recenti  dall'altra 
presentano  qualche  leggera  differenza  tanto  dall'  una  che  dal- 
l' altra  specie  ;  ma  queste  differenze  sono  così  poco  costanti  e 
di  così  poca  entità,  che  credo  difficile  e  forse  inutile  cosa  il 
registrarle  tutte.  Dirò  in  complesso  che  il  sistema  dentario  del 
nostro  cavallo  è  più  sviluppato  ed  i  denti  sono  più  grandi  di 
quelli  dei  recenti,  mentre  le  ossa  lunghe  degli  arti,  e  più  spe- 
cialmente i  metacarpali  e  metatarsali  sono  più  corti  ed  un  poco 
più  complessi  „. 

Ho  studiato  tutto  quanto  ha  detto  Piétrement  intomo  agli 
E<juidi  fossili  deir  epoca  quaternaria,  ma  non  ho  trovato  nulla 
che  si  riferisca  allo  studio  particolare  della  tavola  triturante 
nei  denti  di  questi  cavalli. 

Mi  piacerebbe  molto  di  sapere  se  sono  stati  fatti  dei  con- 
fronti sulla  tavola  triturante  dei  mascellari  in  un  cavallo  fos- 
sile del  quaternario,  il  quale  e  stato  riconosciuto,  per  ciò  che 
riguarda  lo  scheletro,  uguale  ad  una  razza  vivente:  ed  è  il  se- 
guente annunciato  da  Pietrément  (^j.  Egli  riporta  le  osserva- 
zioni di  Sanson  dicendo  che  si  conosce  un  solo  cranio  c^>ace 
di  dare  degli  indizii  (renseignements)  precisi  sopra  le  specie  del 
genere  Equtis  che  hanno  abitato  l'Antico  Continente  durante 
r  epoca  quademaria.  Questo  cranio  è  stato  trovato  a  Greìtelle 
nel  1868,  nelle  sabbie  quaternarie  non  rimosse  della  vallata 
della  Senna,  ed  è  conservato  nella  galleria  paleontologica  del 
Museo  di  Storia  naturale  di  Parigi.  Esso  non  appartiene,  ag- 
giunge Piétrement,  come  il  cranio  dello  scheletro  del  Museo  di 
Buenos- Aires ^  ad  un  soggetto  estinto  (  Burmeister  (^)  )  :  perchè 
e  identico  al  cranio  dei  cavalli  Percheron  attuali.  Prova  per 
conseguenza  che  la  razza  cavallina  di  Percìieron  o  Sequana  è 
originaria  del  bacino  parigino,  come  Sanson  (*)  T  aveva  di  già 
riconosciuto  dallo  studio  dell'  area  geografica  poco  estesa  di 
questa  razza. 

(^)  Di  una  caverna  fossilifera  scoperta  a  Cudgliana  (Monti  pisani).  Atti  della 
Soc    Tose,  di  Se.  Nat.,  Voi.  V,  fase.  1.».  Piia  1880. 
(*)  Loc.  cit,  pag.  l08. 
(3)  Vedi  Piétrement  pag.  108. 
(«)  Traité  de  ^tecnie,  t.  III,  pag.  100-101. 


DENTI  MÀSCELLABI  DEGÙ  EQUIDI  413 

Mi  piacerebbe  pure  di  poter  fare  il  confronto  della  tavola 
triturante  dei  cavalli  fossili  trovati  in  quantità  enormi  a  Saltdrèj 
ritenuti  da  Sanson  (^),  e  da  Piétrement  (^),  in  base  ai  loro  det- 
tagli anatomici,  appartenenti  secondo  ogni  probabilità,  alla  razza 
belga  vivente  (Equus  caballus  belgiusj,  che  gli  abitanti  della 
stazione  preistorica  andavano  a  cacciare  nel  bacino  della  Mense. 

Cosi  confronterei  volentieri  la  tavola  triturante  dei  denti 
mascellari  superiori  trovati  da  Thomas,  distinto  veterinario  del- 
l' armata  in  Africa,  nei  depositi  torbosi  appartenenti,  probabil- 
mente al  quaternario  recente  (e  che  è  situato  nella  vallata  del 
Rhummel,  5  chilometri  circa  distante  al  sud  di  Constanttne) , 
coi  denti  del  cavallo  barbero  o  dongalawi  qualificato  africano 
da  Sanson  e  Thomas  ed  al  quale  Piétrement  ha  dato  il  nome 
di  mongolico  (^).  Il  Thomas  dopo  avere  date  delle  misure  com- 
parative, prese  su  un  fragmento  di  mascellare  superiore  che 
consiste  in  una  metà  dritta  della  volta  palatina,  le  due  arcate 
molari  al  completo,  la  metà  dritta  dell'  arcata  incisiva  con  le 
barre  del  medesimo  lato,  e  delle  misure  prese  sopra  la  regione 
corrispondente  di  un  cavallo  barbero,  della  taglia  di  m.  1,50, 
Egli  dice:  *"  Les  dents  incisi ves  et  molaires  ne  présentent  pas, 
au  point  de  vue  de  leur  structure,  de  différences  notables  avec 
celles  du  cheval  africain  actuel;  elles  paraissent  seulement  un 
peu  plus  longues  et  un  peu  plus  épaisses,  toutes  proportions 
gardées.  J' ai  remarqué  que  Y  échancrure  postérieure  de  la  voute 
palatine  s'  étend,  dans  le  fossile,  presque  jusqu'  au  niveau  du 
bord  antérieur  de  la  deuxiéme  arriére  molaire,  tandis  que,  sur 
le  specimen  actuel  que  j'  ai  examinè,  cette  échancrure  atteint 
à  peine  le  bord  postérieur  de  la  méme  molaire.  De  ces  com- 
paraisons,  il  semblerait  résulter  que  la  règion  faciale  de  Y  espèce 
quatemaire  était  beaucoup  plus  courte,  plus  largo,  plus  massive, 
en  un  mot,  que  celle  du  cheval  barbe  actuel  :  que  la  dentition 
du  premier  était  relativement  plus  puissante  que  celle  du  se- 
cond  et  Y  ouverture  postérieure  de  ses  cavités  nasales  plus 
grande  (^)  „. 

(')  Trattato  di  Zootecnia^  trad,  da  Lemoigne  e  Tampellini^  pag.  600. 

(>)  Piétrement  I.  e,  pag.  109. 

{•)  L.  e.  pag.  13. 

(^)  Thomas  —  Note  sur  quelques  Equidès  fossiles  des  environs  de  Constanttne. 
Note  imprimòe  à  Montpellier  en  188i),  extrait  de  la  Revue  dea  Sciences  natareles. 
(Da  Piétrement  L  e,  pag.  113). 


414  G.  BARÀLDI 

Io  non  posso,  ne  devo  fare  alcuna  considerazione,  intomo  a 
quanto  hanno  detto  i  diversi  autori  da  me  citati  sui  denti  dei 
Cavalli  fossili  del  quaternario:  a  me  basta  solo  di  avere  accen- 
nate le  loro  opinioni,  perchè  gli  studiosi  della  tavola  triturante 
dei  denti  mascellari  degli  Equidi  traggano  quel  profitto,  che  non 
è  concesso  a  me  per  mancanza  di   materiale  di  confronto. 

Per  mostrare  quanta  rassomiglianza  vi  sia  fra  i  denti  di 
cavalli  fossili  del  quaternario  coi  denti  dei  cavalli  attuali,  ho 
fatte  disegnare  le  fig.  1 7  e  20,  della  tav.  XII,  le  quali  rappre- 
sentano due  premolari  secondi  di  Equus,  trovati  nella  Caverna 
fossilifera  di  Cucigliana.  E  indubitato  che  non  si  può  negare  la 
somiglianza:  però,  se  queste  due  tavole  trituranti  si  confron- 
tano con  tutte  le  tavole  trituranti  di  altri  Eqnus  caballus  di  cui 
ho  dati  i  disegni,  non  è  difficile  il  rilevarne  delle  differenze, 
specialmente  se  si  porta  la  nostra  attenzione  sulle  pieghe  dello 
smalto  che  trovansi  ai  bordi  corrispondenti  V  uno  coli'  altro 
delle  due  cavità  (croissant,  Cuvier).  La  figura  dei  denti  di  cavalli 
attuali  da  noi  rappresentati,  la  quale  si  discosta  meno  dalle 
fig.  17  e  20,  è  quella  dei  denti  di  cavallo  puro  sangue  inglese 
(fig.  4,  tav.  XII).  Tuttavia  facendo  il  confronto  fra  il  p  2  fig.  20 
ed  il  p  2  fig.  4,  che  sono  i  due  denti  che  nella  tav.  XII  si  so- 
migliano di  più,  si  trova  che  la  tavola  triturante  nei  primi,  ha 
la  lunghezza  che  sta  alla  larghezza  :  :  30  :  25,  nei  secondi  in- 
vece sta  :  :  32  :  25  ;  oltre  a  ciò  nei  cavalli  di  Cucigliana  la  ca- 
vità posteriore  ha  un  inclinazione  differente  da  quella  del  ca- 
vallo inglese,  e  Y  appendice  a  classidra  è,  nei  primi,  più  lunga 
e  più  schiacciata. 

Se  troviamo  differenze  nella  tavola  triturante  fra  i  cavalli 
fossili  di  Cucigliana  e  quelli  attuali  da  noi  riportati,  ciò  non 
vuol  dire  che  non  vi  possono  essere  altre  specie  o  razze  di 
cavalli  viventi,  per  cui  ii  denti  in  discorso  si  rassomiglino  di 
più,  ed  anche  essere  perfettamente  uguali:  tantoché  per  oijt,  io 
direi  solo,  che  i  denti  di  Cucigliana  appartengono  ad  un  Eqtius 
che  non  è  ne  VEqmis  asintis  per  le  ragioni  che  diremo  più  sotto, 
(vedi  differenze  fra  l'asino  ed  il  cavallo),  né  VE.  StenoniSy  né 
VE.  inteì^mediuSj  perché  lo  sviluppo  e  la  forma  dell'  appendice  a 
classidra  che  si  osserva  nei  cavalli  del  quaternario  di  Cucigliana 
é  assai  differente  da  quella  di  questi  due  Equus  del  Pliocene; 
ma  a  quale  altra  specie,  varietà  o  razza  di  Equus  appartengono, 


DENTI  MASCELLAfiI  DEOU  EQUIDI  415 

per  me,  stando  ai  pochi  esemplari  di  cui  ho  a  mia  disposizione 
non  posso  azzardare  alcun  pronunciamento. 

In  conclusione  io  sono  persuaso  che  il  confronto  fra  la  ta- 
vola triturante  dei  denti  di  cavalli  fossili,  coi  denti  di  cavalli 
attuali  approderà  a  buoni  risultati,  solamente  quando  potremo 
avere  sott'  occhio  quattro  esemplari  tipi  o  buoni  disegni,  i  quali 
mostrino:  1.^  una  serie  di  denti  decidui;  2.^  una  serie  di  denti 
permanenti  di  individui  giovani;  3.^  di  individui  adulti;  4.^  di 
individui  vecchi,  per  ogni  specie  e  razza  di  cavalli  viventi. 

Io  nutro  la  convinzione  che  verrà  un  giorno  in  cui  si  rico- 
noscerà dallo  scheletro  e  dai  denti  che  molte  specie  di  Equidi, 
che  hanno  vissuto  nell'  epoca  quaternaria,  sono  arrivate  fino 
a  noi  con  sole  leggerissime  modificazioni;  come  pare  secondo 
Sanson  sia  avvenuto  per  VE.  cahallm  belgius,  del  quale  si  tro- 
vano scheletri  a  monti  nel  terreno  quaternario  di  Salutrè  in 
Francia,  e  per  V  E.  C.  sequaniuSj  del  quale  si  è  trovato  un  cranio 
nelle  sabbie  quaternarie  non  rimosse  della  vallata  della  Senna. 

7.®  Differenze  fra  le  specie  viventi  del  genere  Equus.  — 
Non  è  mio  compito  di  parlare  della  storia  naturale  delle  di- 
verse specie  del  genere  Equus,  che  vivono  al  giorno  d'oggi  allo 
stato  di  domesticità  e  allo  stato  selvaggio  nell'  interno  del- 
l'Asia e  nella  parte  nord- est  dell'Africa,  essendo  molto  oscura; 
e  la  confiisione  che  vi  regna,  a  detto  di  George  (^)  non  dipende 
solamente  dalla  mancanza  di  osservazioni  precise  relative  a 
questi  animali,  e  dall'  insufficienza  dei  soggetti  di  studio  riuniti 
nei  Musei  zoologici:  ma  risulta  in  parte  dalla  maniera  di  cui 
alcuni  autori  hanno  classificato  i  solipedi,  e  dalla  mancanza  di 
una  critica  severa  nelle  discussioni  della  maggior  parte  dei  sino- 
nimi adottati  in  molti  lavori  recenti. 

Io  non  desidererei  di  andare  tanto  >oltre  a  ricercare  cioè  in 
tutto  le  varietà  degli  Equidi  viventi  i  caratteri  che  si  potreb- 
bero riscontrare  nella  tavola  triturante  dei  loro  denti;  ma  mi 
sarei  contentato  di  potere  fare  delle  osservazioni  solamente  sui 
denti  mascellari  àéìV  Equus  hemionus  Gmelin.,  dell' ^.  quagga 
Gmelin.,  dell'-K  montanus  Burchielli,  dell'io,  zebra  Lin.  per  con- 


■  

0  Etudes  zoologiques  sur  les  Hèmiones  et  quelques  autres  espéces  chevalines. 
An.  de  Sciences  naturelles,  quinta  serie,  tom.  XII,  pag.  5. 


416  0.  bàraldi 

frontarli  coi  denti  mascellari  délVE.  cabalhis  Lin.  e  delV^.  asinus 
Lin.,  delle  quali  due  ultime  specie  soltanto  possiedo  esemplari. 

Dei  tanti  zoologi  che  hanno  parlato  degli  equidi  viventi,  non 
conosco  che  Owen  il  quale  abbia  esaminata  la  tavola  triturante 
dei  mascellari  per  ricavarne  dei  caratteri  diflferenziali  fra  V  una 
e  le  altro  specie.  Però  mi  sembra  che  i  pochi  caratteri  presi 
in  rassegna  da  questo  eminente  zoologo  non  siano  sufficienti 
per  determinare,  non  solo,  se  un  dente  isolato  ma  neanche  se 
una  serie  completa  di  denti  mascellari,  appartiene  piuttosto  ad 
una  specie  che  ad  un  altra. 

Eccovi  pertanto  un  esempio  di  rapporti  del  diametro  antere- 
posteriore  della  tavola  triturante  delle  diverse  specie  di  equidi 
viventi  che  tolgo  da  Owen  stesso  C). 

"  ìiéìVEquus  cabaline  »  P  2  C^)  da  mm.  36  a  40;  p  3,  da  mm.  28 
a  32;  p  4,  da  mm.  26  a  30;  m  1,  da  mm.  24  a  28;  m  2,  da  mm.  25 
a  27;  m  3,  da  mm.  28  a  37  (il  m  3  in  alcune  varietà  di  cavallo 
non  eccede  al  p  3  in  lunghezza);  d2,  da  mm.  34  a  39;  d  3,  da 
mm.  27  a  30;  d  4  da  mm.  28  a  29. 

'^eWEquus  asinus  p  2,  da  mm.  28  a  35;  m3,  da  mm.  21  a  24 

„    E.  quagga       p  2,    „      „      32  a  35;  m3,  „      „      23  a  24 

„    E.hemionus    p  2,    „      „      37  a  39;  m  3,  „      „      22  a  29 

„    E.  Burchielli  p  2,    „      „      28           ;  m  3,  „      „      25 

Dopo  ciò,  come  si  potrà  ben  capire,  sono  costretto  a  limi- 
tare i  miei  studi  sulla  tavola  triturante  dei  denti  mascellari 
delle  diverse  specie  degli  Equidi,  alle  sole  due  specie  domestiche. 

8.^  Differenze  fra  V  Equus  cabaìlus  e  VE.  asinus.  —  Molti 
sono  i  naturalisti  che  si  interessano  a  mostrare  le  differenze 
che  si  riscontrano  nello  scheletro  fra  T  asino  ed  il  cavallo  ;  ben 
pochi  invece  sono  quelli  che  hanno  trovata  una  differenza  nei 
denti  mascellari  di  questi  due  solipedi,  e  meno  sono  anche 
quelli  che  si  sono  fermati  ad  osservare  le  differenze  che  si  ri- 
scontrano nella  tavola  triturante:  e  quelli  che  si  sono  fermati, 

(^)  Description  of  the  Cavern  of  Bruntquel,  and  its  or  gante  Contenti.  Philo- 
sophical  transaction.  Recewed  August  20,  ISOS.  Read  lannary  7,  1869.  Partii. 
Equine  Remains  —  London,  -  Voi.  159.  Pag.  535. 

(*)  Faccio  notare  che  il  premolare  secondo  di  Owen  corrisponde  al  nostro  terzo 
premolare.  Vedi  pag.  5. 


DENTI  MASCELLABI  DEGLI  EQUIDI  417 

a  mio  avviso,  non  hanno  preso  in  rassegna  tutti  quei  carat- 
teri che  sono  essenziali  per  stabilire,  quasi  in  modo  positivo 
ed  in  tutti  i  casi,  se  un  dente  appartenga  piuttosto  ad  un  asino 
o  ad  un  cavallo. 

I  paleontologi  fanno  con  ardore  degli  scavi  nei  terreni  e  il 
suolo  delle  caverne  del  periodo  quaternario  ha  fatto  scoprire 
a  loro  un  grandissimo  numero  di  ossa  di  solipedi.  (Per  lo  più 
queste  ossa  sono  attribuite  al  cavallo,  raramente  all'  asino  e 
fino  al  presente  la  distinzione  non  riposa  che  sulle  differenze 
di  volume. 

A  proposito  di  ciò  il  prof.  Sanson  in  una  sua  nota  sugli 
equidi  della  forma  quaternaria,  inserita  nei  Comptes-rendtis  de 
VAcadèmie  de  sciences  (t.  LXVI,  pag.  35),  faceva  rimarcare  che 
sopra  la  lista  di  queste  forme,  si  vede  quasi  sempre  figurare 
VEquus  caballus  senza  che  siano  indicati  i  caratteri  in  base  dei 
quali  una  tale  determinazione  specifica  ha  potuto  essere  sta- 
bilita "  H  ne  parait  pas  possible  „  Egli  dice  *"  de  dépasser,  en 
ne  disposant  que  de  dents  molaires  isolèes,  de  fragments  de 
maxillaire  pourvus  d' incisives  et  quelquefois  d'  os  des  membres, 
entier  on  brisés  la  diagnose  du  genre,  de  distinguer,  par  example, 
VEqutis  asintis  d'  un  E.  caballm  quelconque  „. 

In  appoggio  della  sua  opinione  Egli  compara  i  denti  e  le 
ossa  delle  membra  di  un  cavallo  e  di  un  asino,  facondo  risal- 
tare che  le  differenze  di  dimensione,  invocate  dai  paleontologi, 
sonò  affatto  insufficienti  per  stabilire  un  giudizio  certo.  "  Farmi 
les  piéces  isolées  du  squelette  une  seule  „  secondo  Sanson,  sa- 
rebbe veramente  caratteristico,  e  cita  "  V  apophyse  orbitaire  du 
frontal  dont  la  forme  si  nettement  tranchée  peut  exclure  tout 
chance  d'  erreur  „.  Termina  Sanson,  la  sua  nota  concludendo 
*^  qu'  il  y  a  lieu  de  rester  dans  le  doute  sur  V  espèce  des  èquidés 
quaternaires  dont  on  ne  possedè  que  des  donts,  des  framents 
de  màchoires  on  des  os  des  membres,  et  de  ne  point  les  at- 
tribuer  tous,  comme  on  V  a  fait  jusqu'  a  prèsent  sans  plps  ampie 
information,  résolùment  a  1'^.  caballus  „. 

Arloing  ha  cercato  di  far  fare  un  nuovo  passo  all'  anatomia 
comparata  degli  Equidi  pubblicando  una  sua  memoria  intito- 
lata: Caradéres  ostéologiques  différentiels  de  Vane,  du  cheval  et 
des  leurs  hybridesi}). 

(})  RegueU  de  médecine  vétèrxnaire,  aimée  1876,  p.  312-33:2  e  1057-1069. 


418  0.  BARALEI 

La  lacuna  che  Sanson  ha  fatto  rimarcare,  dice  Arloing  pro- 
fessore d' anatomia  e  di  fisiologia  alla  Scuola  veterinaria  di 
Tolosa,  e  verissima.  I  libri,  aggiunge  egli,  come  le  monografie 
di  anatomia  comparata  o  di  anatomia  veterinaria,  fì*ancesi  e 
straniere,  non  parlano  di  caratteri  osteologici  differenziali  del- 
l'asino  e  del  cavallo. 

Piétrement  (a  pag.  104  (^))  parlando  del  lavoro  di  Arloing 
dice,  che  gli  anatomici  comparatori  e  i  paleontologisti  consul- 
teranno certamente  questa  memoria  con  frutto  :  *  mais,  à  sa 
lecture,  ils  ne  manqueront  pas  de  s'  apercevoir  qu'  il  est  extré- 
mement  difficile  et  le  plus  souvent  impossible  de  decider  à 
quelles  espéces  d'  Equidès  apparti ennent  la  plupart  des  os  fos- 
siles  jusqu'  ici  decouverts  et  attribuables  à  ces  sortes  d'animaux  ». 

Arloing  parlando  dei  denti  (a  pag.  320),  dice  che  non  ha 
potuto  trovare  su  questi  organi  dei  caratteri  diflferenziali  co- 
stanti: essi  sarebbero,  aggiunge,  qualche  volta  molto  utili,  poiché 
i  denti  si  conservano  ammirabilmente  negli  strati  terrestri  o 
alla  superficie  del  suolo.  Ed  accetta  V  opinione  di  Rùtimeyer 
intomo  alle  differenze  dei  denti  fra  gli  asini  ed  i  cavalli. 

Ratimeyer  (^)  dice,  che  i  mascellari  dell'Asino  •presentano 
qualche  carattere  diflferenziale  importante.  Cos\  i  tre  premolari 
sono  in  un  rapporto  costante  con  i  tre  molari  posteriori,  tanto 
nell'asino  che  nel  cavallo;  ma,  nell'asino  i  (premolari  riuniti 
formano  una  benda  più  corta  che  nel  cavallo.  Per  conseguenza, 
ciascuno  dei  premolari  dell'  asino  avrà  una  superficie  di  tritu- 
razione proporzionalmente  più  larga  e  più  corta  che  quella  del 
cavallo.  E  ne  risulta  ancora  che  il  B  gotico  figurato  dalla  la- 
mina di  smalto  è  più  riunito,  e  1'  appendice  del  ventre  ante- 
riore più  larga  e  meno,  allungata  nell'  asino  che  nel  cavallo. 

George  nei  suoi  ^Ètudes  zoologiques  sur  les  Hémiones  et  quel" 
ques  autres  espèces  chevaliìies  „  (^)  parlando  delle  differenze  che 
si  riscontrano  nel  cranio  fra  l' asino  ed  il  cavallo  fa  rimarcare, 
come  dice  Egli,  qualche  leggera  differenza,  fra  le  due  specie, 
nella  conformazione  dei  denti  molari  (^).  Nell'Onagro  d'Abissinia, 

(*)  Loc.  cit. 

(*)  Beitràge  —  Zur  Keuntniss  der  fossilen  Pferde  und  zu  einer  vergleichenden 
Odontographie  der  Hufthiere  »n  Allgemeinen,  Basel,  t8G3. 
(')  Annales  di  Se.  Nat,  sèrie  Y,  tom.  XII,  I8G9,  pag.  t\. 
(*)  George  chiama  molari  tutti  i  denti  mascellari. 


DENTI  MÀSCELLASI  BEGLI  EQUIDI  419 

sono  straordinariamente  spessi  e  molto  ricchi  di  cemento,  ca- 
ratteri che  sono  meno  pronunciati  nell'Asino  domestico,  ma  che 
distinguono  ancora  questo  dai  cavalli  coi  quali  egli  ha  potuto 
comparare.  Neil'  Onagro  il  bordo  esterno  della  fila  formata  da 
questi  denti  s' incurva  molto  nel  di  dentro,  e  si  rimarca  qualche 
particolarità  nella  disposizione  delle  pieghe  dello  smalto.  Così 
il  lobo  interno  dell'  ultimo  molare  è  notabilmente  meno  allun- 
gato dall'  avanti  all'  indietro  più  che  nel  Cavallo,  e  lo  sviluppo  di 
queste  pieghe  dello  smalto  è  meno  grande  nel  molare  anteriore. 
Delle  diflferenze  corrispondenti,  qualchevolta  meno  pronunciate, 
sono  date  dai  molari  intermediari.  Lo  spessore  dei  molari  è 
ancora  più  considerevole  alla  mascella  inferiore.  Il  molare  po- 
steriore sopratutto  nel  cavallo  h  molto  più  allungato  dall'  avanti 
air  indietro. 

Fin  qui,  è  ciò  che  ho  potuto  trovare  indicato  dagli  autori 
intomo  alle  differenze  che  si  riscontrano  nella  tavola  triturante 
fra  il  cavallo  e  l'asino;  ora  esporrò  quei  caratteri  che  ho  cre- 
duto valgano  a  meglio  distinguere  i  denti  mascellari  dell'  una 
e  dell'  altra  specie. 

Prima  parlerò  dei  caratteri  delle  tavole  trituranti  consi- 
derate in  serie;  secondo  del  rapporto  della  lunghezza  e  lar- 
ghezza della  tavola  in  ogni  singolo  dente;  terzo  delle  diflferenze 
nelle  diverse  parti  che  si  osservano  nella  tavola  stessa. 

A  —  Guardando  una  serie  di  mascellari  superiori  di  un  ca- 
vallo e  di  un  asino,  l' unica  differenza  che  si  riscontra  è  la 
seguente:  in  media  il  rapporto  che  sta  fra  la  lunghezza  della 
tavola  triturante  dei  premolari  e  la  lunghezza  di  quella  dei 
molari,  nel  cavallo  è  ::  100  :  85  e  nell'asino  ::  100  :  80.  Nella 
serie  dei  denti  inferiori,  la  tavola  triturante  dei  premolari  sta 
a  quella  dei  molari,  nel  cavallo  ::  100  :  90,  nell'asino  :  :  100  :  94. 

Kitengo  che  non  si  possano  tenere  nei  mascellari  come  buoni 
caratteri  differenziali  fra  i  nostri  equidi  domestici,  né  la  mag- 
giore o  minore  quantità  di  cemento,  come  ha  fatto  Geoide,  né 
la  curva  più  o  meno  grande  formata  dalla  serie  dei  denti  in 
discorso,  né  i  rilievi  trasversali,  che  si  osservano  nei  denti 
giovani . 

Sì  potrebbe  aggiungere  solo,  e  che  credo  abbastanza  co- 
stante, questo  carattere  :  l' appendice  a  classidra  (a  p)  del  p  2 
superiore,  fig.  8,  tav.  XII,  sporge  di  più  nell'  interno,  di  quello 


420  0.  baràldi 

che  sporga  l'appendice  del  medesimo  dente,  nel  cavallo (fig.  6  ec). 
Infatti  tirando  una  linea  retta  che  sia  tangente  all'  appendice 
del  p  3  ed  all'  appendice  del  pi,  quella  del  p  2  resta  nell'  asino, 
in  parte,  al  didentro  della  linea  stessa,  mentre  nel  cavallo  resta 
al  di  fuori.  Oltre  a  ciò  è  da  osservare  che  in  generale  tutti  i 
lobi  posteriori  (19)  dell'  appendice  a  forma  di  classidra  (apX  sono 
relativamente  ai  lobi  anteriori  (23),  più  grandi  e  più  compressi 
nel  cavallo  di  quello  che  lo  siano  nell'  asino. 

B  —  Il  rapporto  fra  la  lunghezza  e  la  larghezza  della  ta- 
vola triturante  di  ogni  singolo  dente,  vale  di  più  a  distinguere 
se  una  dentizione  è  di  asino  o  di  cavallo.  Però  bisogna  notare 
che  i  diametri  non  devono  essere  presi  in  denti  appianati,  per- 
chè allora  il  diametro  longitudinale  aumenta  per  tutta  la  gros- 
sezza dello  smalto;  ma  bensì  nei  denti  in  posto  ed  allo  stato 
naturale.  Ognuno  sa  che  i  margini  di  contatto  fra  l' uno  e  V  altro 
dente  si  consumano  enormemente,  e  che  quindi  il  diametro 
antero-posteriore  diminuisce.  Per  esempio  chi  facesse  il  rap- 
porto fra  i  denti  della  serie  fig.  8,  tav.  XII,  e  i  denti  della  serie 
%.  9,  che  sono  tutti  e  due  di  asino,  troverebbe  una  grandis- 
sima diflferenza  tra  1'  una  e  1'  altra,  dipendente  dal  fatto  che  la 
prima  rappresenta  una  serie  allo  stato  naturale,  la  seconda  una 
serie  di  denti  appianati  e  messi  a  distanza. 

Ecco  il  rapporto  della  lunghezza  e  larghezza  della  tavola 
triturante  preso  in  serie  di  denti  in  posto  ed  allo  stato  natu- 
rale, riducendo  sempre  a  100  il  diametro  antero-posteriore. 
Questo  rapporto  resta  costante  tanto  negli  individui  giovani  che 
negli  individui  vecchi  perchè  negli  Equidi,  i  denti  mascellari 
permanenti,  superiori  ed  inferiori,  sono  formati  come  un  prisma 
quadrangolare  leggermente  curvo. 

Il  diametro  antero-posteriore  sta  al  diametro  trasversale, 

nei  denti  del  cavallo  (razza  toscana). 


superiori 

inferiori 

p3,  : 

:  100  : 

66 

p3,  ::  100  :  45 

p2,  : 

:  100  : 

80 

p2,  ::  100  :  53 

pi,  : 

:  100  : 

97 

pi,  ::  100  :  58 

m  1,  : 

:  100  : 

100 

pi,  ::  100  :  57 

tn2,  : 

:  100  : 

98 

p2,  ::  100  ;  56 

m3,  : 

:  100  : 

80 

p3,  ::  100  :  U 

DENTI  MASCELLARI  DEGÙ  EQUIDI  421 


nei 

denti 

dell'  asino; 

saperiori 

inferiori 

p3, 

::  100  : 

72 

p3,  ::  100  : 

55 

p2, 

::  100  : 

91 

p  2,  :  :  100  : 

60 

pi, 

::  100  : 

101 

pi,  ::  100  : 

60 

m  1, 

::  100  : 

107 

mi,  ::  100  : 

57 

m2, 

::  100  : 

103 

m2,  ::  100  : 

M 

m3, 

::  100  : 

85 

m3,  ::  100  : 

44 

Per  maggiori  dettagli  vedi  i  quadri  dei  rapporti  delle  tavole 
trituranti  di  diverse  specie  di  equidi  (pag.  377). 

Da  questo  quadro  risulta  evidente  che  nell'  asino  il  p  1,  mi, 
m2  hanno  la  tavola  triturante  più  larga  che  lunga,  ciò  che 
non  si  riscontra,  nei  medesimi  denti,  del  cavallo, 

Per  apprezzare  più  facilmente  la  differenza  che  vi  è  fra  la  lun- 
ghezza e  la  larghezza  della  tavola  triturante,  ho  creduto  che  non 
valessero  le  misure  assolute  dei  diversi  denti,  delle  quali  ordi- 
nariamente si  servono  gli  odontologisti  ;  ma  che  bisognasse  pren- 
dere come  termine  di  comparazione  una  parte  determinata  della 
tavola  stessa  e  considerarla  come  unità,  di  misura,  e  riportando 
a  questa  unità  le  misure  relative  sulle  quali  si  vuole  richiamare 
l'attenzione.  E  questo  è  ciò  che  ho  fatto  ricordandomi  che 
Cuvier  (^)  ha  rimarcato  che  le  diflferenze  osteologiche,  che  esi- 
stono fra  l'Asino  ed  il  Cavallo  sono  molto  leggere;  e  per  ciò 
volendo  distinguere  questi  animali  l' uno  dall'  altro,  non  bisogna 
aver  riguardo  alla  taglia,  poiché  esistono,  dei  cavalli  che  sono 
meno  grandi  dei  nostri  asini  ordinari  ;  ed  i  caratteri  forniti  da 
una  parte  qualunque,  considerata  isolatamente,  sono  poco  spic- 
cate e  difficilmente  rilevabili.  Comparando  adunque  le  propor- 
zioni delle  diverse  parti  dei  denti,  le  diflferenze,  si  distinguono 
con  maggiore  facilità  prendendo  l' unità  di  misura  nel  dente 
stesso  che  si  vuole  studiare. 

C  —  Differenze  che  si  riscontrano  nelle  diverse  parti  della  tavola 
triturante.  —  Mettendo  a  confronto  una  serie  di  denti  mascel- 
lari superiori  di  cavallo  con  una  dell'  asino,  esempio  fig.  4  e  7 
(cavallo)  e  fig.  8  (asino)  della  tav.  XU,  scorgiamo  immediata- 
mente che: 

(')  Reeherchet  tnr  le$  ossements  fossile  t.  Ili,  pag.  ^iìl. 


422  0.  BARALDI 

a)  Lo  spazio  lasciato  dai  margini  corrispondenti  delle  due 
cavità  (cv,cv)  nel  cavallo,  è  lungo  e  stretto  per  modo  che,  non 
tenendo  nota  delle  diverse  pieghe  dello  smalto,  i  margini  for- 
mano due  linee  presso  che  rette  in  senso  trasversale  del  dente  ; 
neir  asino  lo  stesso  spazio  è  triangolare  e  i  margini  delle  cavità, 
in  questo  punto,  sono  leggermente  curvi  ed  obliqui,  divergenti 
dall'  infiiori  al  didentro.  Per  maggior  intelligenza  vedi  lo  spazio 
compreso  fra  i  n/  1 4  e  5  della  fig.  3,  tav.  Xn  (  la  quale  figura 
rappresenta  un  dente  di  asino)  e  si  metta  a  confronto  il  me- 
desimo spazio  con  quello  dei  denti  di  cavallo. 

b)  Neir  asino  i  denti  giovani  (mi  fig.  1 0  e  p  1  fig.  23  ) 
non  presentano  mai  quella  moltiplicità  di  pieghe  le  quali  si 
riscontrano  nello  smalto  dei  margini  corrispondenti  X  uno  col- 
r  altro  delle  cavità  dei  ventri,  che  si  osservano  in  tutti  i  denti 
giovani  di  cavallo  (fig.  4  da  p  3  a  m  3,  m  1  fig.  7,  etc.).  Questo 
carattere  nei  denti  vecchi  non  è  sicuro  per  distinguere  se  un 

•dente  è  di  asino  o  di  cavallo. 

cj  \j  appendice  del  ventre  anteriore  o  a  forma  di  clas- 
sidra  (ap)  ha  nell'asino  i  due  lobi  (23  a  19)  in  quasi  tutti  i 
denti,  uguali  all'  incirca  di  grandezza  (fig.  8),  e  qualche  volta  il 
lobo  anteriore  (23)  è  più  grande  del  posteriore  (19,  fig.  9).  Nel 
cavallo  il  lobo  posteriore  (19)  è  costantemente  più  grande  del- 
l' anteriore. 

dj  11  fondo  dell'anfrattuosita  media  intema (18)  si  insinua 
fra  le  due  cavità  dei  ventri,  più  nell'  asino  che  nel  cavallo. 

e)  La  piega  (20)  (per  es.,  fig.  4  e  5,  p  1,  tav.  XII),  nel 
fondo  dell'  anfrattuosita  media,  è  sempre  presente  nel  cavallo 
e  qualche  volta  è  doppia.  Nelle  dentizioni  di  cavalli  vecchi  si 
perde,  specialmente  nel  m  1  e  poi  negli  altri  molari,  restando 
però  sempre,  almeno  accennata,  nei  premolari.  Tale  piega  dif- 
ficilmente si  osserva  nell'asino:  quando  vi  è,  è  piccolissima  e 
per  lo  più,  solo  nel  p  2  e  nel  m  2. 

f)  La  sporgenza  intero-posteriore  (5)  della  cavità  del  ventre 
anteriore,  costituisce  uno  dei  caratteri  principali  per  conoscere 
se  un  dente  mascellare  superiore  è  di  asino  o  di  cavallo:  in 
quest'  ultimo  equino  tale  sporgenza  non  manca  mai  in  tutti  i 
denti,  tanto  nei  lattatoli  fig.  7  md  2  md  2,  che  nei  permanenti 
(fig.  4-5-6  p2  etc).  Negli  asini  non  c'è,  od  è  appena  appena 
accennata  (fig.  8-9-10  p  2-md  2  etc). 


DENTI  MASCBLLABI  DEGLI  EQUIDI  423 

gj  V  apice  medio  (7)  nell'  asino  è  meno  piegato  in  avanti 
di  quello  che  lo  sia  nel  cavallo. 

hj  Le  estremità  delle  cavità  dei  ventri  (2-6-8-11,  per  es. 
fig.  3)  sono  più  lunghe  e  sviluppate  nel  cavallo  che  nell'  asino, 
quindi  la  concavità  della  cavità  è  rappresentata  da  un  raggio 
maggiore  nel  cavallo. 

Denti  mascellari  inferiori.  —  Confrontando  una  serie  di 
denti  mascellari  inferiori  di  asino  con  una  serie  del  cavallo 
troviamo  che: 

aj  II  lobo  posteriore  (14)  dell'appendice  a  forma  di  clas- 
sidra  (ap,  fig.  2,  tav.  XIII)  è  arrotondato  nell'asino,  e  nel  ca- 
vallo mostra  una  schiacciatura  che  corrisponde  all'  apice  poste- 
riore (3)  del  ventre  posteriore:  (vedi  i  denti  di  tutte  le  serie 
del  cavallo  e  dell'  asino  e  come  esempio  si  guardi  alla  fig.  5, 
p  2, 14  -  cavallo  -  ed  alla  fig.  8,  p  2,  i4  -  asino  -  della  tav.  XIII) . 
Questo  carattere  differenziale  io  1'  ho  trovato  molto  costante, 
tantoché  a  colpo  d'  occhio  si  può  riconoscere  se  un  dente  ma- 
scellare inferiore  è  di  cavallo  o  di  asino. 

bj  II  lobo  anteriore  (13)  dell'appendice  a  classidra,  ha 
nel  cavallo  il  colletto  stretto,  e  ciò  per  la  larghezza  dell'estre- 
mità posteriore  (6)  della  cavità  anteriore  {cv).  Nell'asino  invece 
lo  stesso  colletto  è  molto  largo,  perchè  l' estremità  posteriore  (6) 
è  stretta.  —  Vedi  per  es.  il  13  del  p  2,  fig.  5  (cavallo),  ed  il  13 
del  p  2,  fig.  8  (asino):  e  cosi  si  osservino  tutti  i  lobi  degli  altri 
denti . 

cj  Ed  infine  T  apice  (1)  del  ventre  anteriore  nell'asino  è 
sempre  più  corto  del  medesimo  apice  del  cavallo. 

Stabilita  in  tale  maniera  la  differenza  della  tavola  triturante 
dei  denti  mascellari  superiori  ed  inferiori  fra  il  cavallo  e  l'asino, 
guardiamo  se  è  possibile  di  rilevare  delle  differenze  nella  ta- 
vola stessa,  le  quali  ci  facciano  distinguere  i  denti  fra  le  razze 
dei  cavalli  domestici. 

9.®  Differenze  fra  le  diverse  razze  di  cavalli.  —  La  sud- 
divisione degli  Equidi  cavallini  nei  loro  diversi  gruppi  naturali 
è  stata  pubblicata  per  la  prima  volta  da  Sanson  in  una  nota 
intitolata:  Nouvelle  dètermination  des  espéces  chevalines  du  genre 
Equus,  presentata  all'Accademia  delle  Scienze  ed  inserita  nei 
Compts  rendtis,  tom.  LXEX.  Egli  suddivide  gli  Equidi  cavallini 

8c.  Nat.  Voi.  Vm,  fase.  2.o  30 


424  0.  BÀRALDI 

deir  epoca  attuale  in  otto  specie  cavalline  che  hanno  ciascuna 
il  suo  tipo  osteologico  proprio.  Trattandosi  poi  di  stabilire  la 
nomenclatura  delle  specie  cavalline  sino  al  presente  ignorate  o 
disconosciute,  V  autore  non  fa  che  aggiungere  alle  denomina- 
zione con  cui  si  designa  la  specie  unica  finora  ammessa  nel 
genere  equus,  un  aggettivo  qualificativo  che  esprime  l'origine 
di  ciascuna  delle  specie  novellamente  determinate,  desumendo 
questo  adottivo  dal  nome  latino  con  cui  venivano  designati 
gli  abitanti  delle  località  originarie  di  queste  specie.  E  tali 
specie  sono:  V  Equus  Caballus  asiaticiiSj  E.  C.  africanus,  E.  C.  ger^ 
manicus,  E.  C.  frisius,  E.  C.  belgitis,  E.  C.  britannicus,  E.  (7.  hi- 
hernicus  e  VE.  C.  sequamtis  (^), 

Come  principio,  si  può  adottare  questa  divisione  degli  Equidi 
cavallini  in  otto  gruppi  distinti,  ma  però  se  si  consideri  che 
gli  zoologi  non  sono  d'accordo  sui  caratteri  proprii  per  diflFe- 
renziare  le  specie,  mentre  generalmente  lo  sono  nel  riconoscere 
una  specie  cavallina  unica  in  tutti  i  cavalli  domestici,  e  nel  rite- 
nere 7'azze  cavalliìie  le  divisioni  naturali  di  questa  specie;  cosi 
io  riserverò,  per  questo,  il  nome  di  specie  cavallina,  o  Equus 
caballus,  all'  insieme  dei  soggetti  costituenti  questi  otto  gruppi, 
e  darò  a  questi  ultimi  il  nome  di  razze  cavalline,  come  anche  la 
maggior  parte  dei  zootecnici  ha  adottato  fin  qui. 

Sarebbe  stato  mio  desiderio  di  studiare  la  tavola  triturante 
dei  denti  mascellari  di  almeno  queste  otto  razze,  ma  circostanze 
non  dipendenti  da  me  non  mi  permettono  di  fare  il  confronto 
che  su  una  razza  e  tre  varietà  delle  suddette  otto  razze;  e 
sono  il  cavallo  africano,  il  cavallo  toscano,  il  cavallo  impropria- 
mente detto  puro  sangue  inglese  e  il  cavallo  paney. 

Non  avendo  alcuna  importanza  pei  miei  studi,  io  non  in- 
tendo qui  di  fare  una  discussione  se  questi  tre  ultimi  cavalli 
debbonsi  considerare  varietà  oppure  razze  (come  generalmente 
sono  considerate  da  molti  zootecnici,  i  quali  dividono  le  razze 
empiricamente  avendo  solo  riguardo  alla  loro  attitudine  e  senza 
curarsi  affatto  della  loro  origine);  e  seguirò  la  divisione   data 

(^)  Chiunque  desiderasse  di  conoscere  in  dettaglio  i  caratteri  tipici  delle  sei 
razze  cavalline  europee  dovrà  consultare  il  terzo  volume  del  Tratte  de  Zooteehnie 
di  Sanson,  oppure  il  riassunto  di  questo  stesso  trattato,  fatto  dai  signori  professori 
Lemoigne  e  Tampellini.  -^  Milano  1880. 


DENTI  MASCBLLASI  DEGLI  EQUIDI  425 

da  Sanson,  perchè  si  sappia  con  certezza  da  quali  individui  ho 
prese  le  figure,  che  mi  servono  per  fare  il  confronto  dei  denti. 

Per  cavallo  africano  intendo  VEquus  caballus  africanus  Sanson, 
o  E.  C.  mongolictis  Pietrément.  Da  un  individuo  di  questa  razza, 
del  quale  esiste  uno  scheletro  nel  Museo  di  Anatomia  compa- 
rata di  Pisa,  coir  indicazione  "  Scheletro  di  cavallo  arabo  „  ho 
tolta  la  fig.  6  della  tav.  XII  (mascellari  superiori),  e  la  fig.  12 
della  tav.  XDI  (mascellari^  inferiori).  Ritengo  che  questo  sche- 
letro appartenga  ad  un  individuo  della  razza  africana  e  non 
alla  varietà  della  razza  asiaticaj  perchè  lo  scheletro,  indipenden- 
temente dai  suoi  caratteri  craniologici,  presenta  alla  regione 
lombare  solamente  cinque  vertebre  ben  distinte:  e  questo  ul- 
timo carattere,  a  detta  di  Sanson,  è  esclusivo  alla  razza  afri- 
cana  {})  avendo  tutte  le  altre  razze  sei  vertebre  lombari.  Tanto 
la  razza  asiatica  quanto  la  razza  africana  vengono  general- 
mente confuse  col  nome  di  cavallo  arabo  o  orientale. 

Per  cavallo  toscano^  (che  è  la  denominazione  data  ad  un 
cranio  che  si  trova  nel  Museo  Pisano)  riterrei,  pei  caratteri 
craniologici,  si  dovesse  intendere  il  cavallo  delle  maremme  to- 
scane, il  quale  viveva  allo  stato  semi-selvaggio,  e  che  secondo 
Sanson  avrebbe  avuto  origine  dal  cavallo  germanico  {E,  C.  ger- 
manictis)  di  cui  "  le  caractéres  spécifiques  „  dice  *"  sont  exacte- 
ment  ceux  de  la  race  germanique  (^).  Da  questo  cranio  ho  tolto 
la  fig.  5  della  tav.  XII  (serie  di  denti  mascellari  superiori)  e  la 
fig.  1 1  della  tav.  XIII  (denti  mascellari  inferiori). 

Per  cavallo  puro  sangue  inglese  intendo  una  varietà  della 
razza  asiatica  (  E.  G.  asiaticus  Sanson  o  E.  C.  aryanus  Pietré- 
ment). Da  un  cranio  che  trovasi  nel  Museo  di  Anatomia  Ve- 
terinaria di  Pisa  appartenente  ad  un  individuo  di  questa  va- 

(^)  il  prof.  Tampellini  distinto  Zootecnico  insegnante,  nella  Scuola  Veterinaria 
deir  Università  di  Modena,  in  una  sua  interessante  nota  intitolata  €  Contributo  alla 
caralieristica  dei  tipi  equini  >  prova  con  nuovi  esempi  che  €  spesso  e  massime  nei 
cavalli  di  conosciuta  origine  orientale  confusi  cioè  sotto  la  denominazione  di  arabi, 
riscontrasi  un  tipo  a  5  vertebre  lombari  colla  formnla  a  35». 

C)  Per  renlersi  conto  della  presenza  di  questo  cavallo  nelle  maremme  toscane, 
Pietrément  «lice  (loc.  cit.  pag.  5Si)  €  il  suffit  de  se  rappeler  qu*  elle  fat  &  diverses 
reprises  envahie  et  occupòe  per  des  peuples  d*  origine  tudesque  Elle  fut  traversòe 
par  les  Wisigoths  d'Alaric  (ilO-iil);  elle  fot  successi vement  occupée  par  les  Ho- 
rules  d'Odoacre  (476-491),  et  par  les  Ostrogoths  de  Thèodoric  ('iS'J-òSi):  enfin  elle  fui 
envahie  par  les  Lombards  d*Alboin,  qui  s*y  òtablirent  en  568  et  qui  n*en  furent 
jamais  dépossòdés. 


426  G.  BABALDl 

rietk,  e  che  porta  questa  indicazione  *"  Scobell,  stallone  p.  s. 
figlio  di  Carnival  e  Lady  Sophie,  nato  in  Inghilterra  nel  1878, 
morto  a  Pisa  il  16  Giugno  1885  „  ho  tolto  la  fig.  4  della  tav.  X[l 
(serie  di  denti  mascellari  superiori)  e  la  fig.  10  della  tav.  XTTT 
(serie  di  denti  mascellari  inferiori). 

Per  cavallo  poney  intendo  una  varietà  della  razza  irlandese 
(  E.  C.  hibernicus  Sanson  ).  Da  un  cranio  di  un  individuo  di  questa 
varietà,  che  si  conserva  nel  Museo  di  Anatomia  Veterinaria 
di  Bologna,  ho  tolto  la  fig.  25  della  tav.  XII. 

Ora  dovrei  parlare  della  distinzione  e  del  confronto  della 
tavola  triturante  dei  denti  mascellari  di  queste  quattro  razze, 
o  varietà  di  cavalli  ;  ma  non  potendo  disporre  che  di  poco  ma- 
teriale, e  insufficiente  per  fare  delle  osservazioni,  che  fossero 
basate  su  caratteri  sicuri  di  confronto,  ho  pensato  di  fermarmi 
poco  sui  denti  del  cavallo  puro  sangue  inglese  e  sui  denti  del 
cavallo  poney y  per  trattenermi  di  più  sul  confronto  fra  i  denti 
del  cavallo  africano  coi  denti  del  cavallo  toscano  :  avvertendo 
per  altro  che  questo  confronto  lo  faccio  solo  per  dare  un  esempio 
dei  caratteri  principali  di  cui  si  deve  tener  nota  in  tale  con- 
tingenza, senza  avere  la  pretesa  di  cogliere  precisamente  nel 
vero. 

Un  occhiata  adunque  che  si  dia  alla  tavola  triturante  dei 
denti  mascellari  superiori  ed  inferiori  del  cavallo  puro  sangue 
inglese  (fig.  4,  tav.  XII  e  fig.  10,  tav.  XIII),  potrebbe  bastare  per 
distinguerla  da  tutte  le  altre  degli  altri  cavalli.  Ma  volendo 
pur  fare  rilevare  qualche  carattere  dirò:  primo,  che  nei  ma- 
scellari superiori  ed  inferiori,  il  rapporto  fra  la  lunghezza  e  la 
larghezza  della  tavola  di  ciascun  dente,  in  questo  cavallo,  è 
differente  dal  rapporto  stesso  degli  altri  cavalli,  come  se  ne 
può  convincersi  osservando  i  quadri  a  pag.  43  e  a  pag.  45  :  se- 
condo, nei  mascellari  superiori,  il  numero  e  la  profondità  di 
tutte  le  pieghe,  e  specialmente  quelle  del  fondo  (20)  dell'  an- 
frattuosita media  intema  e  la  posteriore  (12)  della  cavità  po- 
steriore rivolta  in  basso,  come  pure  la  piccolezza  dell'appen- 
dice a  classidra  {ap)  ed  in  particolar  modo  il  suo  lobo  ante- 
riore (23)  etc,  nel  cavallo  puro  sangue  inglese,  tutte  queste 
parti  differiscono  dagli  altri  cavalli:  terzo,  nei  denti  inferiori  il 
rigonfiamento  posto  nel  lato  posteriore  dell'  apice  anteriore  (1) 
dei  premolari  primo  e  secondo,  la  forma  particolare  deli'ap- 


DENTI  MASCELLARI  DEGÙ  EQUIDI  427 

pendice  posteriore  del  terzo  molare  etc;  sono  tutti  caratteri 
che  non  si  osservano  che  nella  tavola  triturante  dei  denti  della 

fig.  10  tav.  xni. 

È  necessario  notare  che  la  razza  puro  sangue  inglese  ha  la 
proprietà  di  essere  precoce,  e  quindi  la  tavola  triturante  degli 
individui  di  essa,  mostra  una  età  superiore  a  quella  che  real- 
mente abbia  il  cavallo  preso  in  esame. 

Ed  un  altra  occhiata  che  si  dia  alla  tavola  triturante  dei 
denti  mascellari  del  cavallo  poney  (  fig.  25,  tav.  XII  )  può  pure 
bastare  per  distinguerla  da  tutte  le  altre  tavole  trituranti  della 
medesima  tav.  XII. 

10,**  Differenze  fra  il  cavallo  toscano  (fig.  5,  tav.  XII  e  fig.  11, 
tav.  Xni)  ed  il  cavallo  africano  (fig.  6  tav.  XII  e  fig.  12,  tav.  XEH). 

—  Se  facciamo  il  confronto  fra  la  tavola  trituraijte  dei  denti 
mascellari  superiori  del  cavallo  toscano  con  quella  del  cavallo 
africano  indipendentemente  dall'  essere  quest'  ultimo  cavallo  più 
vecchio  di  qualche  anno,  troviamo  che: 

a)  La  presenza  del  quarto  premolare  (p  4)  è  solo  nel  ca- 
vallo toscano.  (  La  presenza  del  quarto  premolare  devesi  rite- 
nere come  un  carattere  di  razza,  oppure  devesi  considerare  come 
un  fatto  di  atavismo?  La  risposta,  la  darò  quando  avrò  mag- 
gior materiale  di  confronto  ) . 

6^  H  p  3  e  il  m  3  del  cavallo  africano  hanno  la  tavola 
triturante  relativamente  più  lunga  di  quella  del  cavallo  toscano. 

—  Vedi  a  pag.  43  il  quadro  dei  rapporti  fra  la  lunghezza  e  la 
larghezza  della  tavola  triturante  — ; 

cj  Le  appendici  (ap)  del  ventre  anteriore  dei  denti  nel 
cavallo  toscano  sono  più  grandi,  relativamente  alla  dimensione 
della  tavola,  di  quelle  che  lo  siano  nel  cavallo  africano; 

d)  H  lobo  posteriore  (17)  dell'appendice  anteriore  è  relati- 
vamente, nei  molari  del  cavallo  toscano  più  allungato  ed  ap- 
pianato, di  quello  che  lo  sia  nei  medesimi  denti  del  cavallo 
africano  : 

e)  Tutte  le  cavità  dei  ventri  (cv, cv)  del  B  sono  differenti 
fra  r  ima  e  V  altra  razza.  Indipendentemente  dall'  essere  il  ca- 
vallo toscano  più  giovane,  pure  le  differenze  si  riscontrerebbero 
in  tutte  le  età.  Così  noi  vediamo  una  maggiore  larghezza  nella 
piega  (3)  della  cavità  anteriore  nel  cavallo  toscano;  la  direzione 


428  G.  BARÀLDI 

del  margine  intemo  della  cavità  posteriore  (e  v)  è  obliqua  dal- 
l' intemo  all'  estemo  e  dall'  avanti  all'  indietro  assai  più  nel 
cavallo  toscano,  che  nel  cavallo  afìdcano,  e  la  concavità  del 
margine  estemo  delle  stesse  cavità  è  maggiore  nel  secondo 
cavallo  più  che  nel  primo; 

fj  Infine  la  piega  (20)  dell'  anfrattuosita  media  intema,  è 
più  sviluppata  nel  cavallo  toscano.  —  Questo  carattere  non  è 
sicuro,  potendo  dipendere  dall'  essere  il  cavallo  toscano  più 
giovane  dell'altro. 

Molti  altri  caratteri,  nella  tavola  triturante  jlei  denti  ma- 
scellari superiori,  si  potrebbero  prendere  in  rass^na  per  dif- 
ferenziare queste  due  razze  ;  ma  io  credo  che,  per  la  pochezza 
del  materiale,  valga  meglio  per  ora  a  tenere  solamente  quelli 
che  ho  indicati. 

Nei  mascellari  inferiori  osserviamo  che: 

a)  n  rapporto  fra  la  lunghezza  e  la  larghezza  della  ta- 
vola triturante  è  diflferente  nelle  due  razze  (vedi  il  quadro  a 
pag.  45  ). 

b)  V  apice  posteriore  (3)  nel  cavallo  toscano  non  è  al 
medesimo  livello  dell'  appendice  a  classidra  e  trovasi  quindi  più 
estemo  che  nel  cavallo  africano: 

e)  L'  anfrattuosita  media  estema  (15)  è  lai^a  nel  cavallo 
africano  e  stretta  nel  cavallo  toscano; 

d)  La  sporgenza  anteriore  (22)  del  ventre  anteriore  del 
p3,  è  più  arrotondata  e  più  sviluppata  nel  cavallo  toscano, 
che  nel  cavallo  africano; 

e)  Per  ultimo,  l' appendice  posteriore  del  m  3  ha  1'  an- 
golo estemo  (7)  più  sviluppato  nel  cavallo  toscaao  e  meno  nel- 
r  africano. 

Queste  sono  le  differenze  principali  risconsrate  nei  denti 
mascellari  superiori  ed  inferiori  fra  le  due  razze  africana  e 
toscana. 

A  me  basta  di  avere  dimostrato  che  ve  ne  sono.  Se  poi 
queste  differenze  si  debbano  considerare  come  buone,  costanti 
ed  infallibili  lo  proverà  chi  meglio  di  me  e  con  maggior  ma- 
teriale di  confronto  farà  degli  studi  sulla  tavola  triturante  delle 
razze  degli  Equidi. 


CONCLUSIONE 


La  tavola  triturante  dei  denti  mascellari  superiori  e  inferiori 
degli  Equidi  ci  dà  utili  caratteri  per  distinguere  se  uno  di  essi 
denti  è  superiore  o  inferiore,  dalla  figura  che  presenta  V  avorio  ; 
se  è  giovane  o  vecchio,  dai  cambiamenti  che  assume  per  causa 
del  suo  continuo  logorarsi  ;  se  deciduo  o  permanente,  dal  rap- 
porto della  sua  lunghezza  colla  larghezza,  dall'aspetto  dello 
smalto  etc. :  e  se  primo,  secondo,  terzo  o  quarto  deciduo;  se 
primo,  secondo  o  terzo  premolare;  se  primo,  secondo  o  terzo 
molare,  dal  rapporto  della  sua  lunghezza  colla  larghezza,  dalla 
differenza  dell'  estensione,  forma  e  direzione  delle  cavità  {crois- 
sant Cuvier)  e  dalla  forma  presenza  o  no  di  alcune  pieghe  dello 
smalto. 

La  tavola  triturante  dei  denti  mascellari  degli  Equidi  ci  dà 
pure  una  interessante  caratteristica  per  conoscere  se  uno  di 
questi  denti  appartiene  ad  un  individuo  di  un  dato  genere,  di 
una  data  specie,  e  molto  probabilmente  di  nna  data  razza,  e 
ciò  si  può  desumere  dall'  avere,  nella  tavola  triturante,  l' ap- 
pendice a  forma  di  classidra  (a  p)  (denticolo  grande  intemo  Quudry) 
unita  o  no  al  restante  della  tavola  ;  dall'  essere  questa  stessa 
appendice  più  o  meno  grande,  e  non  avere  il  lobo  anteriore  (23) 
o  d'  averlo  più  o  meno  sviluppato  ;  dal  diverso  rapporto  dei 
diametri  delle  tavole  trituranti  fra  loro  ed  in  serie,  e  per  ul- 
timo dalla  presenza  o  no  e  dalla  forma  di  alcune  pieghe  dello 
smalto. 


430  e.  BABÀLDI 

Volendo  ora  rispondere  ad  una  domanda  che  mi  fb  fatta:  '  che 
dente  è  ed  a  quale  specie  appartiene  questo  pezzo  di  dente  di 
Eqoide  nel  quale  si  scorge  solo  intatta  la  tavola  triturante?  „, 
direi  che  quel  pezzo  di  dente  è  un  primo  premolare  gio- 
yane,  permanente,  superiore,  sinistro  di  Equus  asinus 
(fig.  3,  tav.  XTTT) ,  per  le  seguenti  ragioni  : 

1.^  L'avorio  nella  tavola  triturante  presenta  un  B  con- 
tornato da  smalto,  quindi  dente  mascellare  superiore  ;  invece 
r  avorio  dei  mascellari  inferiori  presenta  un  3  (vedi  pag.  30) . 

2.*  I  ventri  {v  v)  del  B  essendo  rivolti  a  destra  di  chi  li 
guarda,  ed  essendo  V  appendice  a  forma  di  classidra  (ap)  posta 
nel  ventre  inferiore,  il  dente  mascellare  è  sinistro  ;  i  mascel- 
lari destri  hanno  i  ventri  rivolti  a  sinistra  coli'  appendice  pure 

«  

nel  ventre  inferiore  (vedi  le  figure  della  tavola  XII  e  la  fig.  3 
della  tavola  XII). 

3.*  I  nastri  dello  smalto  sono  levigati  e  molto  grossi  nel 
mezzo  dei  margini  interni  ed  estemi  delle  curve  (bb')  del  B, 
e  nel  mezzo  dei  margini  estemi  ed  intemi  dei  ventri,  perciò 
permanente;  nei  decidui  i  nastri  dello  smalto  hanno  la  su- 
perficie frastagliata  e  sono  di  uno  spessore  quasi  uguale  in  tutte 
le  parti  della  tavola  triturante  (v.  pag.  39). 

4.*  La  tavola  è  pareggiata  e  i  rilievi  trasversali  sono 
molto  alti  ed  acuminati,  per  tali  fatti  il  dente  è  relativamente 
giovane  ;  nei  denti  vecchi  sono  scomparsi  i  rilievi  trasversali 
(v.  pag.  48). 

6.*  La  cavità  (e  v)  del  ventre  anteriore  è  più  lunga  della 
posteriore,  quindi  il  dente  è  premolare;  i  molari  hanno  le 
cavità  (et;  et;')  presso  che  uguali  di  lunghezza  (v.  pag.  42). 

6.^  La  tavola  triturante  è  quadrilatera  ed  ha  il  rapporto 
che  sta  fra  la  sua  lunghezza  e  la  sua  larghezza  ::  100  :  101 
condizione  che  non  si  riscontra  che  nel  primo  premolare  (v. 
pag.  46  ). 

In  quanto  all^  avere  dichiarato  che  il  dente  è  di  Equus 
asinus  e  non  di  altra  specie,  è  perchè  si  nota  nella  tavola  tri- 
turante quanto  segue: 

1  .^  La  mancanza  della  sporgenza  intero-posteriore  (5)  della 
cavità  anteriore; 


DENTI  MASCELLARI  DEQU  EQUIDI  431 

2.^  La  mancanza  della  piega  (20)  nel  fondo  deir  anfrat- 
tuosita media; 

3.*  E  si  nota  infine  che  il  lobo  anteriore  (23)  dell'  appen- 
dice a  classidra  è  molto  sviluppato. 

Invece,  se  il  dente  fosse  stato  di  Equus  caballu^  si  sarebbe 
notato  che  il  primo  premolare  avrebbe  presentato  una  spor- 
genza (5)  intero-posteriore  nella  cavità  anteriore  (v.  fig.  4,  ta- 
vola XII);  se  fosse  stato  di  E.  intermedius  avrebbe  presentato 
r  appendice  a  classidra  eminentemente  piccola  ed  il  lobo  ante- 
riore (23)  rudimentalissimo  (fig.  2,  tav.  XII)  ;  se  fosse  stato  di 
E.  stenonis  avrebbe  presentato  mancanza  di  lobo  anteriore  (23) 
(fig.  3,  tav.  Xn)  ;  se  fosse  stato  di  HippaHon  avrebbe  presentata 
r  appendice  a  classidra  isolata  dal  restante  della  tavola  tritu- 
rante (fig.  11-12-13,  tav.  xn);  e  se  infine  fosse  stato  di  Anchi- 
terium  avrebbe  presentato  1'  avorio  della  tavola  triturante  senza 
il  B  (fig.  1,  tav.  XII). 

Avrò  io  colto  nel  segno  in  tutto  e  per  tutto?  Lo  giudicherà 
chi  con  maggiore  materiale  saprà  fare  meglio  di  me. 


SPIEGAZIONE    DELLE    FIGURE 


Lettere  e  numeri  comuni  a  tutte  le  figure  dei  denti  maecellaH  superiori  (^). 

A.  Ayorio. 
S.  Smalto. 

C.  Cemento. 

a  a.  Asta  del  B  gotico  rappresentato  dall'  avorio  contornato  da  smalto. 

ap.  Appendice  del  ventre  anteriore  a  forma  di  classidra  (Denticelo  ant. 

int.^  Gaudry). 

ap.  Appendice  del  ventre  posteriore  {Dentinolo  post,  int.^  Gaudry). 

b.  Curva  ant.   dell'  asta  (Denticdo  ant.  est.^  Gaudry). 
b'.       y,      post,     idem      (        ,         post,    y,       idem  ). 

e  V.  Cavità  ant.  del  ventre  ant.  del  B,  o  semplicemente  cavità  ant. 
cv.       9       post.  „         post,      y,  f,  9      post. 

V.  Ventre  ant.  del  B  {Denticelo  medio  ant.^  Gaudry). 
?/.        y,       post,      m       {       m  ft      post.y    idem  ). 

md  1.  Molare  deciduo  primo, 
md  2.        ^  9        secondo, 

md  3.        „  ,        terzo. 

md4.        «  „        quarto, 

p  1.  Premolare  primo, 
p  2.  „  secondo, 

p  3.  ^  terzo, 

mi.  Molare  primo, 
m  2.        9        secondo, 
m  3.        y,       terzo. 

(9  Vedi  la  fig.  9,  tav.  IX  e  la  fig.  3,  tav.  XIII,  che  servono  per  tipo. 


DENTI  MASCBLLABI  DEGLI  EQUIDI  483 

1.  Àpice  anteriore. 

2.  Estremità  ant.  della  cavità  del  ventre  ant.  del  B. 

3.  Pi^a  interoposteriore  della  cavità  del  ventre  ant. 

4.  Sinuosità  estema  ant. 

5.  Sporgenza  interoposteriore  della  cavità  ant. 

6.  Estremità  posteriore  della  cavità  ant. 

7.  Apice  mediano. 

8.  Estremità  ant.  della  cavità  post. 

9.  Sinuosità  est.  post. 

10.  Apice  post. 

11.  Estremità  post,  della  cavità  post. 

12.  Piega  post,  della  cavità  post. 

13.  Foro  papillare  della  cavità  post. 

14.  Piega  ant.  della  cavità  post. 

15.  Piega  interopost. 

16.  Anfrattuosita  post. 

17.  Estremità  post,  dell'  appendice  post. 

18.  Anfrattuosita  media. 

1 9.  Lobo  post,  deir  appendice  ant. 

20.  Fondo  deir  anfrattuosita  media. 

21.  Sinuosità  intema. 

22.  Punto  di  congiunzione  col  ventre  dell^  appen.  a  forma  di  classidra. 

23.  Lobo  ant.  delF  appendice  ant. 

24.  Anfrattuosita  ant. 

25.  Foro  papillare  della  cavità  ant. 

26.  Piega  ant.  della  cavità  ant. 

27.  Cavità  della  polpa  dentaria,  o  delle  papille  del  bulbo  dentario. 

28.  Sporgenza  post,  della  cavità  post,  nel  molare  terzo. 

29.  Rigonfiamento  ant.  del  ventre  ant.  nel  premolare  terzo. 

Lettere  e  numeri  comuni  a  tutte  le  figure  dei  denti  mascellari  inferiori  (^). 

V.  Ventre  anteriore. 
r'.  Ventre  posteriore. 
e  i\  Cavità  del  ventre  anteriore. 
e  r^  Cavità  del  ventre  posteriore. 
ap.  Appendice  media  a  forma  di  classidra. 
aj)'.  Appendice  posteriore. 

1.  Apice  anteriore. 

2.  Apice  medio  o  di  fusione  dei  due  ventri. 

(*)  Vedi  la  fig.  t^  tav.  XIII,  che  serve  pgsr  tipo. 


434  0.  BABALDI 

3.  Apice  posteriore. 

4.  Angolo  retto  del  ventre  anteriore. 

5.  Estremità  anteriore  della  cavità  del  ventre  anteriore. 

6.  Estremità  posteriore  della  cavità  del  ventre  anteriore. 

7.  Angolo  estemo  dell'  appendice  posteriore. 

8.  Angolo  intemo  dell'  appendice  posteriore. 

9.  Estremità  anteriore  della  cavità  del  ventre  posteriore. 

10.  Estremità  posteriore  della  cavità  del  ventre  posteriore. 

11.  Piega  anteriore  della  cavità  del  ventre  posteriore. 

12.  Piega  media  della  cavità  del  ventre  posteriore. 

13.  Lobo  anteriore  dell'appendice  a  forma  di  classidra. 

14.  Lobo  posteriore  dell'  appendice  a  forma  di  classidra. 

15.  Anfrattuosita  media  estema. 

16.  Piega  dell'  anfrattuosita  media  estema. 

17.  Anfrattuosita  posteriore  estema. 

18.  Anfrattuosita  anteriore  intema. 

19.  Anfrattuosita  media  intema. 

20.  Anfrattuosita  posteriore  intema. 

21.  Sinuosità  intema  delll'  appendice  a  forma  di  classidra. 

22.  Sporgenza  anteriore  del  ventre  anteriore  del  premolare  terzo. 

Tav.    IX  0). 

Fig.  1.  Dentizione  completa  (^  di  un  Cavallo  mezzo  sangue  inglese,  di 

mesi  33,  nato  a  S.  Rossore  Pisa.  Mostra  nella  prima  linea 
i  denti  destri,  tanto  superiori  che  inferiori,  visti  dalla  loro 
faccia  intema  ;  e  nella  seconda  linea  i  denti  sinistri  visti 
dalla  loro  faccia  estema. 
„     ^        il.  Licisivo  primo      o  piccozzo,  destro  inf.,  faccia  intema. 
f,     n        i  2.         ^        secondo  o  mediano,       y,         n         ^  « 

n     w        i  3.        „        terzo       o  cantone,        »         »         »  y, 

n     9      id  2.         „        deciduo  secondo  o  mediano  destro  inf.  faccia  intema. 
r,     v     id  3  .         „         deciduo  terzo  o  cantone,  destro  inf.  faccia  interna. 
n     9       il'.         «        primo      o  piccozzo,  sinistro  inf.,  faccia  estema. 
n     n       i  2^         „        secondo  o  mediano,        »  »         «  « 

n     n       i3^         jf        terzo        o  cantone,         »  »         »  » 

(^)  Tutte  le  figure  della  Tav.  IX,  meno  la  :2.%  3.^  4.*  e  5.*  sono  prese  da  fo- 
tografie, perciò  in  alcuni  denti  si  vedono  le  rotture  e  le  sezioni  artificiali. 

Nelle  figure  di  questa  tavola  mancano  alcuni  segni  caratteristici,  perchè  do- 
vette essere  tirata  in  un  epoca  nella  quale  io  ero  ammalato,  e  quindi  non  potei  fare 
le  correzioni.  Per  buona  forluna,  credo,  che  ciò  non  arrechi  confusione. 

C)  Mancano  in  questa  figura  i  denti  incisivi  caduchi  primi  e  il  molare  deciduo 
terzo  sinistro  inferiore,  perchè  sono  caduti  naturalmente. 


ì)ENn  MASCELLABI  DEOU  EQUIBI  435 

Pig.  1.  id2^  Incisivo  deciduo  secondo  o  mediano,  sinist.  inf.  faccia  estema. 

n  n  id  3^         „  ^  terzo      o  cantone,        «       «        «  „ 

,  ,  e.         Canino  destro  inferiore,  faccia  intema. 

„  j,  e'.  „       sinistro         „  „       esterna. 

jf  »  md  3.  Molare  deciduo  terzo       destro  inf.,  faccia  intema. 

,  ,  md2.        „  „  secondo      »         »         „  » 

,  ,   mdl.         ^  „  primo  „  n  n  n 

f,  9  md  2'.       ^  „  secondo  sinistro  inf.  faccia  estema. 

«  „  mdl^       „  „  primo  „  y,        n  » 

p  3.     Premolare  terzo  destro  inf.,  faccia  intema. 


1»  »r  p2.  ^  secondo  ,  „  ^  n 

»  »  P  !•  if  primo      ,  „         »  9> 

»  1»  P  3^  ,  terzo       sinistro  inf.,  faccia  estema. 

»  »  P  2^  ^  secondo       ,  »  »  »» 

»  j»  P  !'•  »  primo  «  „  »  » 


9  H 


m  1.  Molare  primo      destro  inf.,  faccia  intema. 

n  n  m2.       „        secondo       ^  ,  »  » 

,  ,  m3.       ^        terzo  »  »  »  » 

9  ^  mV.      „        primo      sinistro  inf.,  faccia  estema. 

,  ,  m2^      „        secondo         ,  «  i,  » 

»  ,  m3^      „        terzo  ^  ,         »  » 

»  ,^  m  3".     „  „  destro  sup.,  faccia  intema. 

,  »  m2"(i)  „        secondo       n         y,         n  « 

»  n  m  1".        ^  primo  n  n  n  « 

9  «  m3^^^    9        terzo       sinistro  sup.,  faccia  estema. 

f,  „  m2''^    ,        secondo        »  »  »  »» 

,  „  mV.    j,        primo  »  «  «  » 

,  „  p  P'.  Premolare  primo      destro  sup.,  faccia  intema. 

n  n  p2'^  „  secondo       „         «         »  « 

»  ^  p3'^  y,  terzo  ^         :,         ^  ^ 

,  „  p  1'^  „  primo     sinistror    „      faccia  esterna. 

„  „  p  2".  „  secondo       „         » .        "  " 

n  »  p3'^  „  terzo  „  n  n  fi 

^  »  md  1''.  Molare  deciduo  primo       destro  sup.,  faccia  intema. 

„  „  md2''(*).  «  „        secondo        ^         n         n  n 

^  „  md3'^  ,  „         terzo  „         n         j,  » 

,  ,  md4.  „  ^         quarto  ^  »  »  , 

»  „  mdl'".  n  n        primo       sinistro  „  ,  „ 

„  ,  md2''^  ,  «        secondo         »        »         „  „ 

„  „  md3''^  „  „        terzo  »        »         »  » 


(>)  11  in2"  ò  nel  posto  del  mi"  e  viceversa. 


y 


436  0.  BA&ALDI 

Fig.  1.  md  4.  Molare  deciduo  quarto  sinistro  sup.,  faccia  intema. 
,     ,  e".       Canino  destro       sup.,  faccia  intema. 
,      ,  c"^  y,        sinistro       „  «       esterna. 

,     ^  i  3".     Incisivo  terzo,  o  cantone,       destro  sup.,  faccia  intema. 
„     „  i  2'\  „         secondo,  o  mediano,      ^  m         it  * 

„     ^  i  1".  „        primo,  o  piccozzo,         ,  ,  ,  „ 

,     ,  id  3".        „         deciduo  terzo,  o  cantone  caduco  sup.   destro,  faccia 

intema. 
„      „  id  2"         „  „        secondo,  o  mediano  caduco*  „  ,        faccia 

intema. 
„     „  i  3''^        „         terzo,  o  cantone,       sinistro  sup.,  faccia  estema. 
„     „  i  2"*,        „         secondo,  o  mediano,        »  i,  »»  * 

„     „  i  V*.        „         primo,  o  piccozzo,  ,  ^  »  n 

,     ,,  id  3'^^      9         deciduo    terzo,    o    cantone    caduco,    sinistro    sulla 

faccia  estei:;^a. 
„     ^  id2"^      y,  „         secondo,  o  mediano    caduco,    sulla    faccia 

esterna. 
„     „  et  Eminenze  o  rilievi  trasversali  dei  molari  superiori. 
»     »  et'         ,  „  ,  ,        inferiori. 

Fig.  2.  Sezione  trasversale  semischemmatica  ingrandita  del  bulbo  di  un 
dente  mascellare  superiore  di  Cavallo,  fatta  immediatamente 
al  disotto  delle  papille.  Assomiglia  ad  un  B  gotico. 

Fig.  3.  Sezione  trasversale  semischemmatica  ingrandita  del  bulbo  di  un 
dente  mascellare  inferiore  di  Cavallo,  fatta  immediatamente 
al  disotto  delle  papille.  Assomiglia  ad  un  3. 

Fig.  4.  Sezione  trasversale  della  mascella  inferiore  di  un  agnello  com- 
prendendo un  dente  posteriore  in  via  di  sviluppo,  secondo 
Waldeyer  (Tombs.   Traile  d'An.  dentaire.  fig.  59). 

1.  Germe  delF  avorio,  con  uno  strato  d^  odontoblasti.  — 
2.  Avorio  formato.  —  3.  Smalto  formato.  —  4.  Punto  in  cui 
r  epitelio  intemo  e  T  epitelio  estemo  delV  organo  dello  smalto 
si  continuano  fra  loro  —  5.  Cellule  dello  smalto  o  epitelio 
intemo.  —  6.  Epitelio  estemo  dell'organo  dello  smalto.  — 
7.  Reticolo  stellato  dell'organo  dello  smalto.  —  8.  Rilievi 
papillari  sporgenti  nell'organo  dello  smalto.  —  9.  Tessuto 
connettivo  che  contoma  il  germe  e  che  forma  quello  che  viene 
chiamato  sacco  dentario.  —  10.  Vasi  e  nervi  del  mascellare. 

Fig.  5.  Sezione  longitudinale  semischemmatica  di  un  dente  mascellare 
superiore,  già  usato.  A.  avorio,  S.  smalto,  C.  cemento,  y.  cui 
di  sacco  o  cornetto,  z  fondo  del  cui  di  sacco. 


\ 


Denti  mascellari  degli  equidi  437 

Fig.  6.  Molare  deciduo  secondo  sinistro  superiore  di  feto  di  cavallo  di 
giorni  295. 

Fig.  7.  Premolare  secondo  sinistro  superiore  ingrandito,  visto  dalla  faccia 
intema  :  è  di  Cavallo  mezzo  sangue  inglese  dell'  età  di  33  mesi. 
e.     Eminenza  mammillare  esterna  —  Denticoli  esterni^  Gaudry. 
e^.    Eminenza  mammillare  media  —  Denticoli  mediani,  idem. 
e*'.  Eminenza  mammillare  interna  —  Denticolo  intemo,  idem. 
/.     Limite  del  cemento. 

Fig.  8.  Come  la  figura  7  vista  dalla  faccia  esterna. 

Fig.  9.  (^)  Premolare  primo  sinistro  superiore  di  Asino  sine-razza  di  an- 
ni 9:  sezione  ingrandita  -  ®^/28.  Figura  presa  per  tipo. 

Fig.  10,  11,  12,{13,  14,  15.  Tavola  triturante  della  serie  sinistra  dei  ma- 
scellari superiori  di  Cavallo  mezzo  sangue  inglese   di  anni  12 
.a  13,  —  I  denti  di  questa  serie  sono  stati  prima  perfettamente 
appianati  collo  smeriglio,  poi  fotografati  alla  grandezza  natu- 
rale, meno  il  p  2  che  è  un  poco  più  grande  ^®/84 . 
Il        (fig.  11).  Diametro  longitudinale  della  tavola  triturante. 
la  la  (fig.  11).  Diametro  trasversale  *  »  » 

i  (fig.  15).  Terza  cavità  »  »,  „ 

Fig.  16.  Tavola  triturante  di  un  primo  molare  superiore  destro  ingran- 
dita 'V«»i  d®l  medesimo  individuo  delle  figure  10,  11,  ecc., 
fotografata  prima  di  essere  stata  appianata. 

Fig.  17.  Tavola  triturante  ingrandita  **/28  del  primo  premolare,  presa  in 
una  sezione  vicina  alle  radici  dello  stesso  premolare  primo 
della  fig.  12. 

Tav.   XII. 

Tutte  ie  figure  di  questa  tavola  rappresentano  denti  mascellari 

superiori  sinistri,  meno  la  fig.  19. 

Fig.  1.  Anchiterìum  aurelianetìse  —  presa  da  Gaudri,  fig.  163. 
„     2.  Equus  int^rmedius,  Major.  Serie  da  p  2  a  m  2,  grandezza  ^^jsi  — 
da  un  bellissimo  esemplare  trovato  nei  terreni  terziari  d'Oli- 
vola  nella  Lunigiana,  e  conservato  nel  Museo   paleontologico 
di  Pisa. 


(1)  Questa  figura  nella  tavola  ò  senza  numero.  —  Per  la  spiegazione  delle  lettere 
e  dei  numeri  di  dettaglio  vedi   quelle  e  questi  comuni  a  tutte  le  figure,  a  pag.  92. 


438  0.  BARALDI 

Fig.  3.  Equus  stenoìiis,  Cocchi.  —  Serie  completa  *•/§»  —  da  un  esem- 
plare conservato  nel  Museo  paleontologico  di  Pisa. 

,     4.  Equus  cabaUus,  razza  da  corsa,  puro  sangue  inglese,  età  9  anni  - 
Serie  completa,  grandezza  naturale  Museo  zooiatrico  di  Pisa. 

9  5.  Equus  caballus,  tslzzs^  toscana,  età  12  anni.  —  Serie  completa, 
grandezza  naturale. 

,  6.  Equus  caballus,  razza  africana,  età  anni  15.  —  Serie  completa, 
grandezza'  ^'/sa . 

,  7.  Equus  caballus,  mezzo  sangue  inglese,  nato  a  San  Rossore  (Pisa), 
età  33  mesi.  —  Serie  da  md  3amdl  edaml  am2. 

„  8.  Equus  asinus,  sine-razza  (domestico).  —  Serie  completa.  I  denti 
sono  posti  a  distanza.  La  figura  è  presa  da  denti  artificial- 
mente lisciati. 

«  10.  Equus  asinus,  sine-razza,  età  30  mesi.  —  Serie  da  md  3  a  md  1 
e  mi. 

.  11.  Hipparion  gracile,  Hensel,  p  1  grand,  '^js.  —  Da  un  esemplare 
trovato  nelle  legniti  del  Gasino  presso  Siena  e  conservato 
neir  interessante  Museo  di  proprietà  del  sig.  Dott.  Federico 
Castelli  di  Livorno. 

„  12.  Hipparion  medìterraneum,  Hensel,  p  1,  grandezza  naturale.  — 
Da  un  esemplare  trovato  a  Pikermi  presso  Atene  e  conser- 
vato nel  Museo  del  sig.  Dott.  Castelli  di  Livorno.  (  La  ta- 
vola triturante  non  è  ancora  totalmente  pareggiata). 

»  13.  Hipparion  mediterraneum,  Hensel,  mi,  (H.  gracile,  Gaudry, 
fig.  165);  grandezza  naturale. 

9  14.  Hipparion  mediterraneum,  Hensel.  mi,  molto  usato,  grandezza 
naturale.  (Da  Gaudry,  fig.  166). 

I»  15.  Hipparion  mediterraneum,  Hensel  (H.  gracile,  Gaudry,  fig.  169). 
md  3,  grandezza  naturale. 

9  16.  Hipparioìi  mediterraneum,  Hensel  (H.  gracile,  Gaudry,  fig.  170). 
md  3,  grandezza  naturale. 

„  17.  Equus  caballus  (fossile).  p2,  grandezza  naturale. —  Da  un  esem- 
plare trovato  nella  Caverna  fossilifera  di  Cucigliana  (Monti 
pisani  )  e  conservato  nel  Museo  paleontologico  di  Pisa 
(raccolta  Acconci). 

9  18.  Equus  stenonis,  molare.  (Gaudry,  fig.  167).  —  Volcan  du 
Caupet-pliocene  medio). 

^  19.  Hipparion  gracile,  Hensel.  Incisivo  picozzo  superiore  sinistro, 
grandezza  naturale.  Museo  Castelli  di  Livorno. 

»     20.  Equus  caballus  (come  la  fig.  17). 

»     21.  Equus  caballus  (attuale)  -  Parigi  -  molare.  (Gaudry,  fig.  167). 

„  22.  Equus  caballus  (mezzo  sangue  inglese),  p  1  vecchio,  appianato 
artificialmente,  grandezza  naturale. 


DENTI   MASCELLARI   DEGLI   EQUIDI  439 

Fig.  23.  Equiis  asintis.  p  1  giovane,  appianato  artificialmente,   grandezza 

naturale. 

„  24.  Equtis  aslnus,  p  1  vecchio  ;  tolto  da  una  sezione  del  p  1  segnato 
nella  Fig.  23. 

,  25.  Equu^  cahalhis  (razza  poney).  Serie  completa,  grandezza  natu- 
rale. —  Da  un  esemplare  del  Museo  di  Anatomia  Veteri- 
naria di  Bologna. 

„     26.  Equus  caballus  (mezzo  sangue  inglese),  p  2,  grandezza  naturale. 


Tav.   XIIL 

Tutte  le  figure  di  questa  tavola  rappresentano  denti  mascellari 

inferiori  destri,  meno  la  figura  3. 

Fig.     1.  Equtis  caballus.  m2  molto  vecchio. 

2.  Equus  aslnus,  pi  inferiore  destro,  (fig.  tipo). 

3.  Equus  asinus.  p  1  superiore  sinistro,  (fig.  tipo). 

4.  Equus  caballus,  p  1  vecchio. 

5.  Equus  caballus.  Serie  completa  di  denti  messi  a  distanza,  (vedi 
la  spiegazione  delle  fig.  10  a  15,  tav.  XII). 

6.  Equus  asinus.  Serie  da  md  3  ami.  (v.  spieg.  fig.  10,  T.  XII). 

7.  Equus  caballus.  Serie  da  md  1  a  m  2.  (v.  spieg.  fig.  7,  T.  XII). 

8.  Equus  asinus.  Serie  di  denti  messi  a  distanza,  appianati  artifi- 
cialmente, (v.  spieg.  fig.  9,  T.  XII). 

9.  Equus  asinus.  Serie  completa  (v.  spieg.  fig.  8,  T.  XII) . 

10.  Equus  caballus.  Serie  completa,  (v.  spieg.  fig.  4,  T.  XII). 

11.  Equus  caballus.  Serie  completa,  (v.  spieg.  fig.  5,  T.  XII). 

12.  Equus  caballus.  Serie  completa,  (v.  spieg.  fig.  6,  T.  XII). 

13.  Equus  asinus.  p  3  vecchio. 

14.  Equus  asinus.  p2  vecchio  (^). 


li 


n 

9 

n 

9 
9 
9 


(})  Iq  questa  figura  e  stato  esagerato  il  lobo  posteriore  delF  appendice  a  classidra. 


Se.  Kat.  YoL  VIU,  fase.  3.»  81 


ìndice 


I.  Scopo  e  divisione  del  lavoro pag.  343 

U.  Formazione  della  tavola  triturante  e  della  corona  dei  denti 

mascellari ,      347 

ni.  Descrizione  della  tavola  triturante «     358 

IV.  Classificazione  dei  denti  mascellari   e  confronto   della  ta- 
vola triturante  dei  denti  superiori  cogli  inferiori    .     .      ,     370 

V.  Distinzione  e  confronto  della  tavola  triturante  dei  diversi 

denti  mascellari  di  una  medesima  serie „     374 

1."  Differenze   fra  i  mascellari  superiori  decidui  ed 

i  permanenti ^376 

2."  Differeìize   fra  i  mascellari  inferiori    decidui  ed 

i  permanenti ,     379 


3.**  Differenze  fra  i 

4."  Differenze  fra 

5."  Differenze  fra  i 

6.**  Differenze  fra 

7.**  Differenze  fra 

8.**  Differenze  fra 

9."  Differenze  fra 

10."  Differenze  fra  i 


decidui  superiori  tra  loro     .     .  ,381 

decidui  inferiori  tra  loro     .     .  ^  ivi 

premolari  ed  i  molari  superiori  „  382 

premolari  ed  i  molari  inferiori  „  385 

premolari  superiori  tra  loro,     .  „  386 

molari  superiori  tra  loro      .     .  ,  387 

premolari  inferiori  tra  loro.     .  ^  ivi 

molari  inferiori  tra  loro.     .     .  „  388 
1 1 ."  Differenze  fra  i  denti  mascellari  permanenti  gio- 
vani ed  i   denti   mascellari  permanenti   vecchi 

in  geìieràle ,  ivi 

12."*  Differenze  fra  un  dente  mascellare  superiore  gio^ 

vane  ed  uno  vecchio 891 


DENTI  MASCELLARI  DEGLI  EQUIDI  441 

13.**  Differenze  fra  un  dente  mascellare  inferiore  già- 

vane  ed  uno  vecchio pag.  391 

VI.  Distinzione  e  confronto  della  tavola   triturante    dei  denti 
mascellari  fra  alcuni  dei  diversi  generi,  specie  e  razze 

degli  equidi «     392 

1.**  Differetize  fra  il  genere  Anchitherium  e  il  genere 

Hipparion »     394 

2.**  Differenze  fra  le  specie  del  genere  Hipparion     .      »     399 
3.**  Differenze  fra  il  genere  Hipparion    ed  il  genere 

Equus »     401 

4."*  Differenze   fra   le   specie   del   genere   Equus   in 

generale 403 

S.**  Differenze  fra  T  Equus   Stenonis  e  T  Equus  in- 

termedius „     404 

6.^*  Differenze  fra  gli  Equus  del  terreno  quaternario 

e  gli  Equidi  viventi ,     409 

7.**  Differenze  fra  le  specie  viventi  dd  getiere  Equus 

in  generale ^     415 

8.**  Differenze  fra  T  Equus  caballus  e  VE.  asinus  .      ^416 
9.°  Differenze  fra  le  diverse  razze  di  cavalli  in  ge- 
nerale  ,     423 

10."*  Differenze  fra  la  razza  africana  (E.  C.  mongo- 
licus  Piétr.)  e  la  razza  toscana  (E.  C.  Oerma- 

nicus  Sanson) ,     427 

Conclusione „     429 

Spiegazione  delle  figure »     432 


ROCCE    OTTRELITICHE 


DELLE 


ALPI    APUANE 


STUDJ 
DI    ANTONIO    D'ACHIARDI 


Le  rocce  ottrelitiche  delle  Alpi  Apuane  occupano  due  posizioni 
distinte  nella  serie  dei  terreni  cristallini,  al  di  sotto  cioè  e  al  di 
sopra  dei  marmi  saccaroidi,  che  han  reso  celebri  quelle  montagne. 

Nella  zona  inferiore  fra  il  marmo  saccaroide  e  il  grezzone 
suole  rinvenirsi  una  roccia  brecciforme  conosciuta  sotto  ai  nomi 
di  Breccia  Affricana  e  di  Mischio,  varia  nelle  tinte  molteplici 
e  sfumate,  varia  nella  qualità  dei  frammenti  collegati,  varia 
nella  natura  del  cemento,  che  può  essere  ed  h  in  taluni  casi 
ottrelitifero. 

Sul  contatto  fra  le  due  rocce,  marmo  e  grezzone,  non  da 
per  tutto  esiste  sì  fatta  breccia;  d'  ordinario  si  hanno  invece 
alcuni  stratarelli  schistoso-micacei  con  noduli  di  maimo  ceroide 
bianco,  giallo,  e  di  altri  colori.  Or  bene  la  breccia  ne  occupa 
il  posto  e  a  loro  spese  e  delle  rocce  sopra  e  sottostanti  sembra 
essersi  costituita  per  taluno  di  quei  movimenti  e  per  i  processi 
di  metamorfismo  che  interessarono  queste  formazioni;  e  tu  trovi 
infatti  in  essa  collegati  dallo  stesso  cemento  i  frammenti  dei 
marmi  saccaroide  e  ceroide,  del  grezzone  e  degli  schisti  micacei. 
I  frammenti  di  una  o  di  altra  di  queste  rocce  possono  anche 
mancare,  così  come  nel  cemento  può  esservi  o  no  ottrelite;  non 
per  questo  cessa  la  roccia  di  essere  geologicamente  la  stessa. 

In  questa  zona  inferiore  trovasi  pure  una  sorta  di  Ottre- 
litefiro,  che  manca   dei  noduli  calcari,  e  venne  anchOi  e  non 


ROCCE  OTTRELITICHE  DELLE  ALPI  APUANE  443 

saprei  dire  se  a  ragione,  considerato  come,  facente  parte  delle 
COSÌ  dotte  madrimacchie  del  marmo. 

Nella  zona  superiore  al  marmo  saccaroide,  detta  anche  zona 
degli  schisti  cristallini  superiori,  si  rinvengono  pure  schisti  mi- 
caceo-ottr elitici  a  noduli  ora  marmorei,  ora  quarzosi,  e  che 
per  la  qualità  dei  materiali  che  li  costituiscono  offrono  non  poca 
rassomiglianza  con  le  rocce  ottrelitiche  della  zona  inferiore. 

■•  Koiia  inreriore 

1.  Breccia  o  Mischio  ottrelitico 

Targioni  (^),  Repetti  (^j  parlano  di  questa  roccia;  la  quale 
veniva  poi  in  un'  apposita  nota  descritta  da  Paolo  Savi  (^)  nel  1830 
sotto  il  nome  di  Mischio  o  Brecciato  di  Seravezza.  Le  cave  già 
erano  in  fiore  verso  il  1560  sotto  Cosimo  I  de'  Medici,  e  il  Savi 
stesso  menziona  quelle  di  Massa  di  Carrara,  del  Monte  Altissimo, 
del  Forno  Volastro,  di  Levigliani  e  di  Stazzema,  occupandosi  a 
preferenza  di  quest'  ultime  o  di  Stazzema,  che  dice  essere  le 
più  celebri. 

Ci  narra  il  Savi  che  i  lapidar]  chiamano  mischio  quei  pezzi, 
nei  quali  i  frammenti  calcari  sono  molto  coloriti  e  si  confon- 
dono col  cemento  e  contengono  diaccij  cioè  parti  di  calcare  gra- 
nuloso convertite  in  una  massa  jalina,  e  chiamano  brecciato  la 
stessa  roccia,  in  cui  i  frammenti  sono  perfettamente  distinti 
dal  cemento,  poco  coloriti.  Egli  però  non  fa  distinzione  scien- 
tifica fra  Tuna  e  T  altra  pietra,  ed  applica  ad  ambedue  il  nome 
di  mischio. 

n  Passerini  (^)  fece  anche  V  analisi  del  cemento  e  ne  ottenne  : 

Silice 39,00 

Ferro 22,00 

Allumina 30,50 

Magnesia 3,  00 

Calce 2,00 

Acqua  e  perdita     ....  3,  50 

100,  00 

(»)  Rcìaz.  Viag.  Toscana.  Ed.  2.»,  T.  VI. 

(*)  Antologia,  Firenze,  1826. 

(J)  Nuovo  Giorn.  de'  Letterati.  Pisa,  1830.  ?0.  173. 

(*)  N.  Giornale  dei  letterati.  Pisa  1830,  20.  185. 


444  ÉL.  d'achiàbdi 

n  Simi  (^)  ha  pur  descritto  i  minerali  di  queste  rocce;  e  io 
stesso  nella  Mineralogia  della  Toscana  {%  parlando  dell'  ottrelite 
ne  ho  riportato  al  sistema  monoclino  i  cristalli  osservati  nel 
Mischio  del  Corchia.  De  Stefani  e  altri,  che  trattarono  della  geo- 
logia delle  Alpi  Apuane,  pur  fecero  menzione  di  questa  roccia 
ottrelitica,  ma  ninno  per  quanto  io  sappia  ne  ha  fin  ora  fatto 
r  esame  e  studio  microscopico,  e  sono  i  resultati  di  questo  studio, 
da  me  fatto  del  Mischio  del  Corchia,  che  ora  ho  l'onore 
di  presentare  alla  Società  Toscana  delle  Scienze. 

La  roccia  del  Corchia,  da  me  studiata,  è  una  vera  breccia  ; 
i  frammenti  ne  sono  quasi  esclusivamente  calcari;  il  cemento 
rosso-ferruginoso  è  copiosamente  fornito  di  ottrelite. . 

Frammenti  calcari.  —  Questi  frammenti  per  ogni  verso 
distribuiti  nella  massa  fondamentale,  vari  nelle  dimensioni,  più 
o  meno  angolosi  nelle  sezioni,  a  superficie  consunte  come  dice 
il  Savi,  spettano  a  più  sorta  di  marmi. 

Alcuni  sono  di  marmo  ceroide  bianco,  giallo  o  di  altre  tinte, 
spesso  anche  sfumate  ;  altri  di  marmo  granulare  ;  non  pochi  di 
grezzone,  quest'  ultimi  singolari  per  la  loro  apparenza  di  orga- 
nica struttura,  anche  se  osservati  con  sola  lente  d' ingran- 
dimento. 

Fatte  le  sezioni  di  questi  frammenti  diversi,  ho  riscontrato 
nei  marmorei  (ceroidi  etc.)  la  solita  struttura  propria  dei  marmi 
con  orientazione  in  tutti  i  versi  delle  minutissime  lamelle  po- 
lisintetiche di  calcite,  negli  altri  o  di  grezzone  un'  apparenza  di 
struttura  oolitica,  ma  senza  decisa  struttura  concentrica  in  tutti 
gli  sferoidi  sezionati,  soltanto  in  alcuni  apparendone  come  un 
principio  (tav.  XVI,  fig.  1). 

Risultano  questi  sferoidi  di  una  massa  cristallina  di  calcite 
a  struttura  spatica  estremamente  minuta  e  colore  un  po'  gri- 
giastro, mentre  il  cemento,  che  è  pure  di  calcite,  ha  struttura 
spatica  più  ampia  e  trasparenza  molto  maggiore.  Talune  di 
queste  massarelle  cementate  hanno  forma  discoide,  onde  le  loro 
sezioni  ellittiche.  Questa  stessa  struttura  ho  riscontrato  in  molte 
sezioni  esaminate  al  microscopio  di  tipico  grezzone  degli  stessi 
luoghi,  onde  resta  confermata  la  provenienza  da  fì*ammenti  di 
questa  roccia. 

(*)  Sag,  corogr.  Versilia,  1855. 
(«)  1872.  voi.  J,  pag.  176. 


i 


ROCCE  OTTRELITICHE  DELLE   ALPI   APUANE  445 

• 

I  noduli  o  frammenti  calcari  presentano  talora  sul  contatto 
con  il  cemento  o  pasta  ottrelitica  un  rivestimento  verdastro, 
che  nelle  sezioni  contorna  la  figura  dei  frammenti  calcari  sfu- 
mando verso  il  loro  interno  e  talora,  se  essi  sieno  molto  piccoli, 
totalmente  o  quasi  totalmente  sostituendoli  (tav.  XVI,  fig.  2, 
11,12). 

Osservata  al  microscopio  con  assai  forte  ingrandimento 
(tav.  XVI,  fig.  12)  questa  pellicola  verde  vedesi  resultare  da  mi- 
nutissimi cristallini  verde-chiari,  bacillari  e  molto  esili.  La  lar- 
ghezza dei  cristallini  da  me  misurati  varia  da  mm.  0, 004 — 0, 04 
per  una  lunghezza  circa  10  volte  maggiore.  Accanto  a  queste 
bacillo  vedonsi  anche  delle  laminette,  e  quelle  non  sono  altro 
che  le  sezioni  trasversali  più  o  meno  oblique  di  queste. 

Queste  sezioni  bacillari  mostrano  una  struttura  fibrosa;  e 
si  ha  tutta  Y  apparenza  di  una  clorito,  come  confermano  altri 
caratteri. 

A  luce  ordinaria  colore  giallo-verde-cedro  molto  chiaro.  Con 
solo  analizzatore  pleocroismo  evidente.  Se  le  sezioni  bacillari  sono 
disposto  nel  verso  dell'  allungamento,  parallele  cioè  alla  sezione 
principale  del  nicol,  si  ha  un  colore  verde-cedro  intenso  legge- 
rissimamente traente  al  ceruleo  e  massimo  assorbimento;  ad 
angolo  di  90"^  con  questa  direzione  si  ha  invece  un  colore  giallo- 
verde  pallido.  Nelle  sezioni  laminari,  che  si  avvicinano  più  o 
meno  ai  piani  basali,  si  osserva  sempre  una  tinta  verde  con 
leggerissime  differenze  di  tuono,  se  pure  possano  osservarsi. 
Asse  di  massima  elasticità  ottica  parallelo  ad  allungamento 
delle  bacillo, 

A  nicol  incrociati  colori  d' interferenza  verde-azzurrognoli 
morati  nelle  sezioni  bacillari,  nelle  quali  V  estinzione  si  fa  a  0^, 
cioè  nel  verso  del  loro  allungamento.  Le  sezioni  laminari  o 
basali  invece  rimangono  sempre  estinte,  come  nei  cristalli 
uniassi. 

•Tutto  dunque  concorda  per  farci  ritenere  che  si  tratti   di 
pennina  o  di  ripidolite. 

Fra  i  cristalli  di  questa  clorito  presso  il  contatto  con  il 
marmo  vedonsi  anche  cristalli  di  un'  altra  sostanza,  quasi  sco- 
lorita 0  leggermente  giallognola,  con  apparenza  bollosa  se  os- 
servati con  forte  ingrandimento;  sono  nel  dubbio  se  vadano 
riferiti  al  pirosseno. 


446  A.  d'achiasdi 

Cemento.  —  Massa  rossa-mattone  per  minuta  e  fitta  dis- 
seminazione di  grani  di  ossido  ferrico.  Mantiene  sempre  la 
stessa  apparenza  tanto  a  luce  ordinaria  che  con  uno  o  con  due 
nicol  incrociati.  Vi  si  osservano  anche  dei  granellini  di  calcite, 
forse  minuti  frammenti  di  calcare  rimasto  nella  pasta. 

Ottrelite.  —  In  questa  massa  rossastra  sono  più  o  meno 
fittamente  disseminate  le  lamine  di  ottrelite,  che  nelle  sezioni 
appaiono  quasi  tutte  in  forma  di  liste,  ordinariamente  semplici, 
talvolta  anche  riunite  fra  loro  a  due  a  due,  non  mai,  almeno 
negli  esemplari  da  me  osservati,  riunite  in  gran  numero  in  fasci, 
come  nelle  varietà  di  rocce  più  sotto  descritte. 

Per  la  massima  parte  i  cristalli  di  ottrelite  appaiono  sem- 
plici a  luce  ordinaria;  soltanto  pochi  geminati  ad  angolo  oscil- 
lante da  79*  a  82**  (tav.  XVI,  fig.  4)  con  piano  di  geminazione 
parallelo  alla  linea  a  b  della  figura  e  che  fa  con  la  linea  di  al- 
lungamento delle  liste  o  linea  basale  dei  due  cristalli  angoli 
(bacj  bad)  oscillanti  per  le  misure  da  139*  a  140%  30'.  Altri 
cristalli  geminati  sono  rappresentati  dalla  figura  5. 

A  luce  polarizzata  invece  con  uno  o  con  diie  nicol  quasi 
tutti  i  cristalli  mostrano  struttura  polisintetica  ;  appaiono  come 
costituiti  da  tante  lamine  soprapposte,  che  con  la  diversa  co- 
lorazione propria  a  ciascuna  ci  danno  immagine  di  orologio  a 
polvere  (Tav.  XVI,  fig.  4,  5,  6,  ec),  quella  stessa  apparenza,  che 
fu  eflSgiata  da  Cohen  (^)  per  T  ottrelite  di  Ottrèz  nel  Belgio. 
In  un  gran  numero  di  cristalli  si  osservano  tre  zone  distinte, 
in  alcuni  quattro,  in  altri  più,  V  unione  delle  lamine  cristalline 
avvenendo  per  piani  più  o  meno  vicini  al  parallelismo  con 
la  base. 

Alle  loro  estremità  le  bacchette  o  liste  ottrelitiche  appaiono 
a  margine  non  integro,  quasi  come  smerlato,  per  la  diversa 
rottura  delle  varie  lamine  insieme  riunite  a  costituirle;  (tàv.  XVI, 
fig.  3,  4,  8,  9)  soltanto  poche  sono  terminate  da  un  piano  quasi 
ad  angolo  retto  (tav.  XVI,  fig.  6, 10)  con  l'allungamento  delle 
sezioni  bacillari  e  parallelamente  al  quale  vedonsi  anche  fre- 
quenti linee  di  sfaldatura  (tav.  XVI,  fig.  4,  5,  6,  7  ec). 

Oltre  a  linee  di  sfaldatura  basale  e  a  queste  che  sono  le  più 
comuni,  vedonsi  altre  linee  ad  angolo  ottuso  con  T  allungamento 

i})  Samm.  v.  mihrophot.  z.  Ver,  rf.  Mikrosh.  strttcL  v.  Min.  u.  Gest.  Taf.  71, 


ROCCE  OTTRELmCHE  DELLE  ALPI  APUANE  447 

stesso  delle  sezioni  bacillari,  angolo  che  trovai  oscillare  da.  115* 
a  117*  (tav.  XVI,  fig.  4  e  5).  Finalmente  sulle  sezioni  basali  ve- 
donsi  dei  parallelogrammi,  vicini  a  rombi  (tav.  XVI,  fig.  14),  che 
accennano  a  piani  di  sfaldatura  prismatica,  con  ang.  di  111*  a 
120*,  quella  stessa  sfaldatura  che  apparisce  quasi  ad  angolo 
retto  con  la  linea  d'allungamento  delle  sezioni  bacillari. 

Anche  Lacroix  (^)  fa  menzione  di  quattro  sfaldature;  una  facile 

secondo  001;  due  meno  facili  secondo  110  e  HO,  e  una  terza 
difficile  non  ben  determinata. 

A  luce  ordinaria  questa  ottrelite  presenta  un  colore  verde- 
cupo con  riflessi  bronzineo-grigiastri.  Con  un  nicol  h  fortemente 
pleocroica  ;  sezioni  basali  danno  tinte  azzurra  e  verde-oliva,  che 
riferite  alle  figure  parallelogram  miche  di  sfaldatura  appaiono 
la  prima,  cioè  la  tinta  azzurra,  quando  macrodiagonale  di  quelle 
figure  sia  quasi  parallela  a  sezione  principale  del  nicol,  la  se- 
conda o  verde-oliva  quando  vi  sia  quasi  normale.  Il  massimo 
delle  due  tinte  si  raggiunge  ad  un  piccolo  angolo  da  quelle 
diagonah  e  ad  ancor  più  piccolo  dalle  bisettrici  degli  angoli 
del  parallelogrammo.  A  nicol  incrociati  si  determinano  queste 
stesse  direzioni  con  le  estinzioni,  e  nasce  il  sospetto  che  si 
tratti  di  cristallizzazione  triclina. 

Nelle  sezioni  bacillari  si  hanno  invece  tre  tinte;  se  quelle 
sono  disposte  normalmente  a  sezione  principale  del  nicol  si  ha 
per  tutte  una  tinta  giallo-verdognola  molto  chiara,  spesso  pal- 
lidissima ;  se  sono  invece  disposte  parallelamente,  hannosi  tinte 
verde-oliva,  azzurra  o  intermedia  a  seconda  che  la  sezione  cada 
normalmente  o  più  o  meno  obliquamente  agli  assi  di  elasticità 
ottica  nella  zona  dell'asse  cristallografico  001.  —  E  il  pleo- 
croismo  caratteristico  dell'  ottrelite. 

A  nicol  incrociati  si  manifestano  colori  d'interferenza  più 
o  meno  vivaci,  specialmente  nelle  parti  più  chiare.  Struttura 
polisintetica  è  chiaramente  dimostrata  anche  da  queste  colora- 
zioni. Direzioni  di  estinzione  non  coincidono  con  allungamento 
di  sezioni  bacillari,  facendovi  angoli  assai  diversi. 

?  Oltre  ai  cristalletti  di  ottrelite  nella  massa  rossastra  del 
cemento  vedonsi  delle  macchiette  brune  allungate,  che  al  mi- 

(*)  Propr,  opt,  du  chloritoide  etc.  —  Ball.  Soc.  fran^aise  de  Mineralogie  — 
Paris,  Fevrier  1886. 


448  A.  d'achiakdi 

croscopio  ci  appaiono  quali  accumulamenti,  per  lo  più  fusiformi, 
di  una  sostanza  granulare  bruna,  a  lucentezza  quasi  metallica, 
che  rassomigliano  per  la  forma  le  figure  date  da  Cohen  (^)  e 
da  Rosenbusch  ('-)  per  i  cristalli  artificialmente  ottenuti  di 
Ca  Si  Fk+2  Aq.;  e  quelle  pure  date  da  Renard  e  da  De  la  Vallèe 
Poussin  ('^)  per  alcune  filladi  delle  Ardenne.  Sembrano  di  un 
qualche  ossido  di  ferro;  ma  con  sicurezza  non  oso  affermare 
di  uno  piuttosto  che  di  un  altro  (Tav.  XVI,  fig.  2). 


2.  Ottreliteflro 

Questa  roccia,  che  fa  pur  parte  della  stessa  zona  della  pre- 
cedente, e  che  può  anche  considerarsi  come  una  forma  di  ot- 
treliteschisto,  a  occhio  nudo  o  armato  di  sola  lente,  appare 
costituita  da  una  massa  bianco-giallastra,  quasi  carnea,  nella 
quale  vedonsi  confusamente  un  minerale  granulare,  altro  spa- 
tico  e  altro  micaceo.  In  questa  massa  fondamentale,  già  da 
me  i^)  qualificata  come  quarzoso-feldispatico-damouritica,  ve- 
donsi disseminate  innumerevoli  squame  verdi-cupe  rivolte  in 
tutti  i  versi  e  difficili  a  separarsene,  e  già  da  me  pur  esse 
qualificate  per  ottrelite. 

Al  microscopio  la  massa  fondamentale  appare  granulitica, 
prevalentemente  costituita  da  quarzo  e  mica-bianca;  oltre  a 
ciò  da  un  feldispato  e  da  altri  minerali  in  essi  disseminati, 
come  rutilo,  tormalina,  ematite,  ec.  La  sua  colorazione  gial- 
lognola appare  dovuta  ad  altra  sostanza;  credo  a  limonite. 

Quarzo.  —  E  in  granuli  a  contorni  irregolari,  diversa- 
mente orientati,  ora  isolati,  ora  addossati  alle  laminette  di 
ottrelite,  ora  aggruppati  come  in  un  mosaico,  quale  appare  ma- 
nifestamente a  nicol  incrociati  (tav.  XVI,  fig.  21). 

Feldispato.  —  Del  feldispato,  che  sembra  ortose  ve- 
donsi pure  alcuni  granuli  cristallini,  mancanti  affatto  di  strut- 
tura polisintetica  e  coi  colori  grigio-morati  d' interferenza  e 
forme  proprie  di  questa  specie  (tav.  XVI,  fig.  22,  sup.). 

(*)  Loc.  cit. 

(«)  Mihroshop.  Physiogr.  1885.  -230.  tev.  1'>,  fig.  4. 

(3)  Note  sur  V  Ottrelite.  -  Ann.  Soc.  géol.  Belgique.   1878-79.  T.  16,  51;  fig.  i. 

(*^  A.  D'Ach lardi  —   Mineralogia  della  Toscana,  Pisa  1873,  t.  176. 


BOCCE  OTTRELITICHE  DELLE  ALPI  APUANE  449 

Mica-bianca.  —  E  abbondantissima.  A  luce  ordinaria  si 
presenta  in  foggia  di  fasci  contorti,  assottigliantisi  all'  estremità, 
di  fibre  scolorite  (tav.  XVI,  fig.  21).  A  nicol  incrociati  questi  fasci 
di  fibre  presentano  colori  d'interferenza  assai  vivaci,  iridati. 
Si  hanno  tutti  i  caratteri  della  mica-bianca;  con  ogni  verosi- 
miglianza si  tratta  di  damourite;  escludo  che  sia  talco  per 
il  modo  di  procedere  delle  fibre. 

Rutilo.  —  Nella  massa  quarzoso-micacea  osservansi  cri- 
stalletti  di  rutilo,  piccolissimi,  bacillari,  variabili  in  larghezza 
da  Vioo  a  V^ooo  di  mm.  e  meno  per  una  lunghezza  ordinaria- 
mente circa  10  volte  superiore.  Questi  cristalletti  innumerevoli, 
talora  in  veri  sciami,  parte  appaiono  semplici,  parte  geminati 
nel  modo  proprio  di  questa  specie  e  cosi  come  nei  cristalletti 
dell'  ottreliteschisto  di  Ottrèz  osservati  e  descritti  da  Leop.  van 
Werveke  (^). 

La  geminazione  dominante  in  essi  ha  per  piano  301  ;  se  ne 
hanno  gemelli  ad  angolo  acuto  di  54^,  44';  non  rara  V  altra  che 
ha  invece  per  piano  101  e  se  ne  hanno  gemelli  geniculati  ad 
ang.  di  114**,  25'.  Sono  le  apparenze  stesse  effigiate  da  Rosen- 
busch(^),  da  Hussak(^),  ec.  Questi  cristalletti  di  rutilo  sono 
quasi  scoloriti  o  brunastri;  poco  o  punto  pleocroici,  e  con  legge- 
rissima differenza  di  assorbimento  nelle  varie  direzioni  (Tav.  XVI, 
fig.  21,  26,  27).  Saggi  chimici,  eseguiti  dal  prof.  Funaro,  confer- 
mano la  presenza  del  titanio  nella  roccia. 

Tormalina.  —  Fra  questi  piccolissimi  cristalletti  di  rutilo 
se  ne  vedono  altri  pur  sempre  piccolissimi,  ma  assai  più  grandi 
di  essi,  isolati  qua  e  là,  non  mai  geminati,  bacillari,  terminati 
da  facce  perpendicolari  all'  allungamento  loro  o  da  piramidi 
ottuse,  fortemente  pleocroici  da  un  roseo-grigio  a  colore  spigo 
scuro,  molto  assorbenti  la  luce  nella  direzione  normale  alla 
sezione  principale  del  nicol  polarizzatore  e  in  corrispondenza 
del  colore  spigo.  Sono  certamente  cristalletti  di  tormalina 
(tav.  XVI,  fig.  23  e  24) . 

Ematite?  —  Non  so  se  all' ematite  o  non  piuttosto  a 
una  qualche  varietà  di  ferro  titanato  debbansi  riportare  certe 
laminette  di  colore  arancio  a  rosso  per  trasparenza,  assai  he- 

(»)  Neues  Jahrb.  Miner,  etc.  1880,  -2.  3.  \bhand.  iSì. 

(«)  Mikr.  Phis.  1885.  ±90. 

(*)  Auleic.  z,  Best.  d.  gesteinb.  Miner,  1885.  Taf.  J.  ^f;.  59. 


450  A.  d'achiakdi 

quenti,  sparse  qua  e  la,  talvolta  anche  accumulate,  punto  pleo- 
croiche  ed  evidentemente  la  stessa  cosa  di  una  sostanza  rosso- 
bruna  in  massa  e  di  apparenza  metallico-resinoide  per  luce 
riflessa,  che  apparisce  nelle  stesse  preparazioni  e  vi  fa  anzi 
passaggio. 

Magnetite.  —  Piccoli  grani  neri  e  opachi,  che  si  osser- 
vano in  prossimità  di  questa  sostanza,  forse  sono  di  magnetite. 
Ottrelite.  —  L'ottrelite  è  il  minerale  che  più  di  ogni 
altro  apparisce  anche  ad  occhio  nudo  in  questa  roccia.  I  cri- 
stallini o  laminette  ne  spgliono  essere  disposti  a  gruppi,  e  nelle 
sezioni  ci  appaiono  al  microscopio  come  fasci  di  bacchette  più 
o  meno  divergenti  (fig.  13,  15,  18).  Queste  apparenti  bacchette, 
che  non  sono  altro  che  sezioni  trasversali  delle  lamine  ottre- 
litiche,  tanto  se  isolate,  quanto  se  a  gruppi,  sono  non  di  rado 
curve  (fig.  17,  18);  curvatura  che  pur  ci  si  mostra  sulle  lamine 
stesse  osservate  con  sola  lente  d'  ingrandimento. 

Le  dimensioni  delle  lamine  sono  assai  variabili  ;  e  nelle  se- 
zioni le  misure  presene  dettero: 

Altezza min.  0,01 — 0,3 

Larghezza „      0,    2  —  3  e  più. 

Nelle  sezioni  basilari  si  vedono  come  più  lamine  quasi  V  una 
con  l'altra  embriciate  (tav.  XVI,  fig.  16),  onde  T  intensità,  di 
tinte  diversa  fra  le  varie  parti  soprapposte  o  no.  I  contorni  di 
queste  sezioni  sono  più  o  meno  irregolari,  ne  mai  potei  misu- 
rarne angoli  con  esattezza  ;  non  per  tanto  se  ne  hanno  alcune 
che  appaiono  esagonali;  e  qui  pure  vi  si  osservano  le  solite 
linee  in  figura  parallelogrammica,  quasi  rombica,  che  accennano 
alla  sfaldatura  prismatica  della  specie,  tìli  angoli  di  queste 
linee  di  sfaldatura  oscillano  nelle  varie  sezioni,  in  cui  da  me 
furono  misurati,  da  110°— 120^  per  lo  più  da  112°— 117*;  in 
niun  caso  raggiunsi  il  limite  di  120°. 

Le  sezioni  trasversali  in  foggia  di  bacchette  si  presentano 
al  solito  smerlate  all'  estremità  (tav.  XVI,  fig.  9  ec.)  per  rot- 
tura; e  talune  rotte  in  un  punto  o  nell'  altro  appaiono  risal- 
date dal  quarzo,  precisamente  con\e  nell'  ottrelite  di  Ottrèz  de- 
scrittaci da  A.  Renard  e  Ch.  De  La  Vallèe  Poussin.  In  molte  di 
queste  bacchette  vedonsi  a  luce  ordinaria  diverse  linee  lon- 
gitudinali, parallele  o  quasi  alla  base  (fig.  8,  9,  17),  alla  cui 


ROCCE  OTTRELITICHE  DELLE  ALl»I  APUANE  451 

sfaldatura  sembrerebbero  corrispondere;  ma  osservandole  a  luce 
polarizzata  e  a  nicol  incrociati  si  vede  trattarsi  di  geminazione, 
che  per  tal  modo  ci  si  appalesa  anche  nei  cristalli  apparente- 
mente semplici  a  luce  ordinaria. 

Si  vedono  oltre  a  ciò  le  solite  linee  di  sfaldatura  normali 
o  quasi  allo  spigolo  d'allungamento  delle  sezioni;  e  altre  oblique 
come  già  furono  descritte  per  la  breccia  calcare-ottrelitica. 
Talune  di  queste  linee  si  continuano  dall'  uno  all'  altro  indi- 
viduo nei  cristalli  geminati  (fig.  19). 

A  luce  ordinaria  si  hanno  tinte  che  variano  dalla  giallo- 
verde-chiara  all'azzurra.  Facce  100  appaiono  verdi-giallastre 
(verde-oliva  e  giallo- verde );  facce  010  verdastro-azzurrognole 
(  azzurro  e  verde-giallo  )  e  facce  basali  azzurro-verdi  cupe  (  az- 
zurro e  verde-oliva)  ;  sono  i  colori  delle  facce.  Tinte  intermedie 
si  hanno  nei  piani  intermedj. 

Le  laminette  non  appaiono  per  altro  uniformemente  colorite; 
sembrano  contenere  non  poche  impurità  e  in  special  modo  pic- 
cole scagliette  di  colore  verde  cupo. 

Con  il  nicol  analizzatore  il  pleocroismo  si  rivela  eviden- 
tissimo. E  si  ha: 

001 azzurro  e  verde-oliva 

010 azzurro  e  giallo- verde 

100 verde-oliva  e  giallo-verde 

Le  sezioni  allungate  o  bacillari  ci  mostrano  secondo  il  taglio 
sempre  una  tinta  giallo-verde  pallida  quando  il  loro  spigolo 
d'  allungamento  sia  normale  alla  sezione  principale  del  nicol, 
e  variante  dall'  azzurro  al  verde-oliva  quando  sia  invece  'pa- 
rallelo; per  altro  né  il  massimo  di  chiarezza  della  tinta  giallo- 
verdognola;  né  il  massimo  d' intensità  della  tinta  azzurra  cade 
precisamente  nelle  due  direzioni  indicate,  ma  ad  un  certo  an- 
golo con  lo  spigolo  d' allungamento  delle  sezioni  bacillari  e 
con  la  normale  ad  esso.  Con  ciò  coincidono  le  direzioni  di  estin- 
zione osservate  a  nicol  incrociati,  per  le  quali  ho  trovato  an- 
goli di  9\  10%  15%  20°  fino  a  38*  con  linea  biisale  o  di  allun- 
gamento a  seconda  del  piano  di  sezione  e  con  differenza  fra 
r  uno  e  r  altro  individuo  geminato.  Tutto  dimostra  che  biset- 
trice acuta  fa  con  normale  a  base  angolo  maggiore  che  nelle 
miche.  Lacroix  dice,  che  é  quasi  normale,  ma  dalle  mie  os- 
servazioni non  resulterebbe. 


452  A.    D^ACHIABDI 

Più  difl5cili  sono  a  determiDarsi  le  direzioni  di  estinzione  e 
del  massimo  d' intensità  delle  due  tinte  azzurra  e  verde-oliva 
sulle  facce  o  sezioni  basali^  ordinariamente  mal  definite  nei 
loro  contomi.  Riferendo  queste  direzioni  alle  figure  di  sfalda- 
tura nasce  qui  pure  il  sospetto  che  si  abbia  a  che  fare  con 
cristallizzazione  triclina. 

Lacroix(^j  parlando  del  pleocroismo  dell' ottrelite,  anzi  più 
generalmente  del  cloritoide,  cui  riferisce  Y  ottrelite  e  altre  specie 
analoghe,  dà  per  i  vari  assi  di  elasticità  ottica  le  tinte  se- 
guenti : 

a  (\) giallo-verdastro 

b  (**«) azzurro-indaco 

C  ("i») verde-oliva 

Rosenbusch 

a verde-oliva 

•  b azzurro-indaco 

C verde-giallo 

Tschermak  e  Sipocz 

a azzurro 

b verde-oliva 

e verde-giallo 

e  De  FouUon  per  la  masonite  di   Natie,  come   riporta  anche 
Rosenbusch  quale  eccezione  alla  regola, 

ft azzurro 

b verde-oliva. 

Vi  ha  dunque  grande  disparità  dall'  uno  all'  altro  osserva- 
tore; le  mie  osservazioni  fatte  suU'  ottrelite  di  questo  ottreli- 
tefiro  concordano  con  quelle  di  Tschermak  e  Sipocz,  avendo 
trovato  r  azzurro  per  l' asse  di  massima,  il  verde-oliva  per 
r  asse  di  media  e  il  verde-giallo  per  1'  asse  di  minima  elasti- 
cità ottica.  L'  ottrelite  di  questa  roccia  è  otticamente  positiva. 

A  nicol  incrociati  si  hanno  colori  d'interferenza  mediocre- 
mente vivaci  con  prevalenza  di  tinte  azzurre  verdi  e  violacee, 
e  ci  si  appalesano  per  geminati  anche  i  cristalli  a  luce  ordi- 

(^)  Mem.  cit 


ROCCE  OTTRELITICHE  DELLE  ALl»I  APUANE  453 

naria  apparentemente  semplici.  Più  e  più  lamine  vedonsi  V  una 
sovrapposte  air  altra  e  in  posizione  invertita,  come  fa  cono- 
scere la  tinta  ditferente  che  presentano,  verosimilmente  come 
già  effigiò  Tschermak  (^).  Queste  lamine,  che  nelle  sezioni  or- 
dinariamente ci  appariscono  bacillari,  presentano  quando  bac- 
chetta è  normale  a  sezione  principale  del  nicol  un  colore  giallo- 
verde  chiaro  per  tutta  la  loro  estensione;  quando  la  si  osservi 
invece  parallela  allora  veggo nsi  tante  strisce  con  diversi  e  al- 
ternanti colori  (giallo-verde  e  celeste),  quante  sono  le  lamine 
geminate.  E  cosi  si  ha  il  modo  facile  di  costatare  semplici  e 
doppie  geminazioni  come  sono  effigiate  nelle  fig.  19  e  20,  nelle 
quali  oltre  la  solita  geminazione  di  lamine  sovrapposte  con 
spostamento  si  veggono  (fig.  20)  gemelli  riuniti  fra  loro  paral- 
lelamente a  linee,  che  attraversano  i  cristalli,  onde  sono  costi- 
tuiti. Analoghe  geminazioni  ha  pure  effigiato  Hussak. 

II.    Zona   »iii|ieriore. 

1.  Ottreliteschisto  degli  schistl  superiori. 

Gli  esemplari  raccolti  presso  Bedizzano  sulla  Brugiana  non 
sempre  sono  facili  a  sezionarsi,  la  roccia  essendo  spesso  facil- 
mente disgregabile.  Si  tratta  di  roccia  schistosa  damouritica  a 
noduli  di  quarzo,  nella  quale  le  lamine  di  ottrelite  veggonsi 
come  tanti  punti  neri  nella  mica  argentina.  Osservata  al  mi- 
croscopio la  roccia  oltre  a  questi  presenta  anche  altri  minerali 
sotto  descritti. 

Quarzo.  —  Insieme  alla  mica  costituisce  la  massa  fon- 
damentale della  roccia.  Si  presenta  come  in  un  mosaico  di  pic- 
coli pezzi  orientati  in  tutte  le  direzioni,  con  tutte  le  vivaci 
tinte  della  specie  a  nicol  incrociati  (tav.  XVI,  fig.  22). 

Damourite.  —  In  laminette  fibrose  argentine  a  colori 
d' interferenza  molteplici  e  assai  vivaci  involge  i  pezzi  di  quarzo 
(tav.  XVI,  fig.  22). 

Ottrelite.  —  I  cristalletti  o  meglio  le  lamine  cristalline 
appaiono  nelle  sezioni  in  foggia  di  fasci  di  bacchette  divergenti 
(tav.  XVI,  fig.  25).  Taccio  degli  altri  caratteri  propri  della  specie 
già  precedentemente  rfcordati. 

(0  ^eit.  Kr.  u.  Min.  Groth,  III. 


454  A.   D^ACHUBDI 

Tormalina.  —  lu  ana  sezione  scorgesi  una  macchia  nera 
ftig.  22)  formata  come  da  un  feltro  di  cristallini  di  tormalina, 
i  quali  si  trovano  anche  isolati  nella  roccia  stessa,  specialmente 
in  vicinanza  di  detta  macchia.  Questi  cristalletti  isolati  con  le 
solite  tinte  e  assorbimento  propri  della  tormalina  appaiono  nelle 
sezioni  in  foggia  di  prismi  terminati  dalla  base  e  da  piramidi 
ottase  (tav.  XVI,  fig.  23  e  24).  Nella  massa  nera  per  il  forte  as- 
sorbimento dei  cristallini  in  tutte  le  direzioni  orientati  e  mol- 
tiplicatamente  sovrapposti  non  si  ha  mai   il  campo  luminoso, 
onde  sembrerebbe   a  prima  giunta  aversi   a  che  fare  con  un 
corpo  opaco  o  isotropo,  ma  attentamente  osservando  verso  i 
margini  della  massa   stessa  si  vedono   dei  cristalletti,  che   di- 
ventano semitrasparenti  con  colore  vinato  sbiadito  quando  nel 
verso  della  loro  lunghezza  stan  paralleli  alla  sezione  principale 
del  nicol. 

Rutilo.  —  I  cristalli  piccolissimi,  veri  microliti  bacillari 
(tav.  XVI,  fig.  26  e  27),  osservati  anche  nell'  ottrelitefiro  sopra 
descritto,  parte  semplici,  parte  geminati,  identici  a  quelli  già 
effigiati  da  L.  v.  Werveke  {^)  e  da  Hussak  (^).  La  loro  larghezza 
varia  da  mm.  0,  0045  a  0,  009  per  una  lunghezza  sei  a  dieci 
volte  maggiore:  oltreché  nella  massa  micacea,  stanno  inclusi 
nel  quarzo.  Il  modo  di  geminazione,  gli  angoli  misurati,  gli 
altri  caratteri  tutti  non  lasciano  alcun  dubbio  sulla  determi- 
nazione di  questa  specie. 

Zircone.  —  Son  rimasto  incerto  sulla  presenza  dì  questo 
minerale  in  piccoli  cristalletti. 

Ematite.  —  In  rosse  laminette,  rare. 

2.  Breccia  ottrelitlca. 

Se  i  noduli  quarzosi  sieno  maggiori  e  la  mica  fìmga  quasi 
le  veci  di  cemento  non  più  contribuendo  a  dare  alla  roccia 
una  forma  decisamente  schistosa,  si  ha  allora  una  sorte  di 
breccia,  che  può  paragonarsi  a  forme  congeneri,  quali  si  rin- 
vengono ad  Ottrèz,  sede  classica  per  V  ottrelite. 


(»)  N.  Jahrb,  f.  Min.  Geol.  m.  Pai,  1880.  2.  3.  281.  Taf.  IX,  fig,  3. 
(«)  An  Best    Gest,  pag.  59. 


SULL'  INSPESSIMENTO  DELLA  PARETE 

NELLE 

CELLULE  LIBERIHIE  DEI  PICCIOLI  FOCLIURI  DI  KLCUIE  mLIUCEE 

NOTA 
DI     P.    PIOHI 


Occupandomi  dell'  anatomia  comparata  delle  foglie  delle 
Araliacee  ho  avuto  occasione  di  osservare  i  differenti  stadi 
della  formazione  di  quella  parte  di  Floema,  che  tutti  i  Botanici 
chiamano  libro  resistente^  parte  tneccanica  del  libro  (  cellule  libe- 
riane).  Tali  osservazioni  riguardano  il  modo  d' inspessimento 
della  parete  cellulare  in  questi  elementi. 

Relativamente  air  accrescimento  in  spessore  della  membrana 
cellulare  sappiamo  che,  dopo  i  lavori  del  sig.  Naegeli  (*)  (1858) 
la  maggioranza  dei  botanici  era  d'  accordo  nell'  ammettere  che 
tale  ispessimento  avvenisse  nella  massima  parte  per  intussusce- 
ption,  vale  a  dire  in  modo  totalmente  differente  da  quello  che 
si  riteneva  anteriormente  quando  cioè  era  ammessa  la  sovrap- 
posizione centripeta  o  centrifuga  (Hartig-Harting  e  Mohl). 

Dopo  alcuni  anni  però  i  sigg.  Dippel  (^),  Sanio  (^)  e  Schmitz 
riprendendo  a  studiare  V  argomento,  poterono  accertare  un  nu- 
mero di  fatti  per  i  quali  V  ispessimento  della  parete  cellulare 
sembra  avere  effetto  per  sovrapposizione.  Però  anche  dopo  questi 
lavori  si  ritenne  che  la  sovrapposizione  fosse  solo  da  accettarsi 
in  casi  eccezionali  rimanendo  così  sempre  in  gran  valore  la 
teoria  dell'  intussmception. 

A  questi  studi  si  sono  recentemente  aggiunti  quelli  prege- 

(»)  Pfìanzenphys.  Unters.  Heft  2,  1858. 

(«;  Mihroshop,  18G9. 

(3)  Bot.  Zeitung  J  860-1863, 

8€,  Nat.  Voi.  Vm,  fagc.  2,»  32 


456  p.  PicHi 

volìssimi  di  Scimper,  di  Strarburger  (*)  e  di  Baranetzki  (-)  i 
quali  concludono  doversi  rigettare  afifatto  la  teoria  del  Naegeli 
riportando  tanto  in  onore  la  giustapposizione  da  ammettere  che 
qualunque  inspessimento  della  paret;e  cellulare  debba  avvenire 
per  essa  soltanto. 

A  questo  proposito  faccio  le  seguenti  considerazioni: 

Sappiamo  che  la  parete  cellulare  e  originata  dallo  strato 
più  estemo  del  protoplasma  ed  è  ragionevole  ammettere  che 
le  particelle  di  cellulosa  abbiano  formazione  non  contemporanea 
ma  sibbene  successiva,  probabilmente  dall'esterno  all' intemo. 
Avvenendo  cosi  il  processo  di  formazione  di  queste  piccole  par- 
ticelle di  cellulosa  convengo  che  alcune  di  esse  si  sovrapporranno 
a  quelle  di  antecedente  foinnazione,  ma  non  posso  non  ammet- 
tere che  altre  s  interpongano  fra  queste,  dando  così  luogo  alla 
intiisstisception . 

Ma  questo  non  basta. 

Se  si  vuole  escludere  V  interposizione  di  nuove  particelle  a 
quelle  già  esistenti  non  so  come  potremo  spiegarci  l'aumento 
in  superficie  della  parete  cellulare.  Qui  mi  par  chiaro  che  debba 
aver  luogo  questo  processo  nella  formazione  della  parete,  sem- 
pre però  accompagnato  dall'  altro  della  giustapposizione,  perchè 
può  benissimo  avvenire  che  una  particella  di  cellulosa  aggrup- 
pandosi con  le  sue  sorelle  formate  prima  di  lei,  sia  addossata 
ad  una,  mentre  resulta  poi  intercalata  fra  altre. 

E  come  si  potrebbe  spiegare  la  formazione  della  parete  lignifi- 
cata se  non  si  ammettesse  la  interposizione  di  minute  particelle  ? 

Ritengo  del  resto  che  vi  siano  dei  casi  in  cui  il  processo 
à' intiissusceptton  terra  il  vantaggio,  mentre  altre  volte  avverrà 
che  la  giustapposizione  avrà  la  prevalenza,  ed  è  appunto  a  tale 
scopo  che  riferisco  queste  osservazioni. 

Nei  piccioli  fogliari  di  alcune  Araliacee  ho  potuto  incontrare 
i  seguenti  stadi  di  formazione  delle  cellule  liberiane. 

La  parete  di  questi  elementi  è  da  principio  sottile  ma  a  poco 
a  poco  s' ispessisce  inugualmente  presentandosi  maggiormente 
ingrossata  in  corrispondenza  degli  spigoli,  senza  mostrare  nessun 
indizio  di  stratificazione,  e  questo  carattere  va  man  mano  sa- 

(*)  Ueber  den  bau  und  das  Wachsthum  der  Zellhdute,  1882. 
(*)  Epaississement  des  paroii  des  éléments  parenchymateux,  Ann.  dea  Se.  Nat. 
Ser.  VII,  T.  IV.  N.*>  3  et  i.  Paris,  Ottobre  1886. 


SULL^  INSPESSIMENTO  DELLA  PAKETE  CELLULARE  NEGLI  EF^MEMTI  EC.      457 

leudo  e  raggiunge  il  più  alto  grado  allorché  le  cellule  hanno 
acquistato  le  loro  dimensioni  massime.  A  questo  punto  esse  si 
presentano  tanto  simili  alle  cellule  ipodermiche  coUenchima- 
tiche  (^)  che  specialmente  se  viste  in  sezione  trasversale  pos- 
sono confondersi  con  esse  (fig.  1  e  2,  tav.  XVII). 

In  questo  primo  periodo  d' ispessiinento  durapte  il  quale 
le  cellule  sono  accresciute  in  ampiezza  mi  sembra  ragionevole 
ammettere  che  abbia  avuto  luogo  il  processo  d' intussusces- 
sione  insieme  all'altro  dell'apposizione,  concedendo  al  primo 
un  certo  vantaggio  sul  secondo. 

Ben  altro  avviene  nel  secondo  stadio  d' inspessimento  delle 
pareti  delle  cellule  in  discorso.  Al  di  dentro  di  ciascuna  cellula 
vedonsi  come  addossare  alla  parete  alcuni  esili  straterelli  di 
cellulosa  che  presto  si  lignifica,  aventi  spessore  pressoché  uni- 
forme. Questi  straterelli  si  aumentano  in  numero  e  vengono  a 
costituire  al  di  dentro  della  parete  formata  nel  primo  stadio, 
tanti  rivestimenti  che  mi  pare  si  possano  ritenere  formati  nella 
massima  parte  per  apposizione  centripeta  rimanendo  le  dimen- 
sioni delle  cellule  pressoché  invariabili  (fig.  3  e  4,  XVII). 

Avvenuto  T  inspessimento  per  mezzo  di  questi  strati,  si  ha 
la  lignificazione  dei  medesimi  che  mi  si  e  mostrata  evidente- 
mente avendo  ottenuta  una  bella  colorazione  rossa  con  la  solu- 
zione alcoolica  di  floroglucina,  e  acido  cloridrico,  ed  una  gialla 
con  il  cloridrato  e  solfato  di  anilina.  La  parete  formata  nel 
primo  stadio  rimane  pressoché  costituita  di  cellulosa. 

A  sviluppo  moltissimo  inoltrato  si  vedono  (fig.  5)  queste 
cellule  liberiane  con  parete  fortemente  ingrossata  strettamente 
unite  fra  loro  e  fornite  dei  caratteri  del  libro  meccanico. 

Da  tutto  questo  sembrami  razionale  di  poter  concludere  che 
per  i  casi  da  me  osservati  in  questi  piccioli  foliari  si  ha  un 
primo  stadio  d' inspessimento  in  cui  V  intussuscessione  prende 
parte  attiva,  ed  un  secondo  in  cui  il  processo  d'apposizione 
tiene  il  primo  posto. 

Dal  Gabinetto  di  Botanica  della  B.  Università  di 
Pisa,  li  14  Novembre  1886. 


(I)  Ho  riscontrato  questi  caratteri  anche  nel  tessuto   liberiano  della   radice  di 
Beta  vulgaris  L,  var.  Saccarifera, 


SPIEGAZIONE    DELLA    TAVOLA 


Fig.  1.'  Aralia  frifoliatn  Meijen.  —  Sez.°'   trasvers.  dell*  Epidermide 

e    del    Collenchima   del    picciolo    fogliare  (Zeiss  Obj. 
D.  Oc.  3. 
^     2/  3/  4.*  e  5.*.  jiralia  frlfoliata   Meyen,   —    Sez."   trasvers. 
mostranti  gli  stadi  di  formazione  del  tessuto  liberiano 
negli  stessi  piccioli  (Zeiss  Obj.  D.  Oc.  2). 


\ 


I  N  D  I  e 


DELLE 


MATERIE   CONTENUTE  NELL'OTTAVO   VOLUME 


G.  Meneghini    —   Goniodiscus  Ferrazzii  Mgh.  Nuova  stelleride 

terziaria  del  vicentino Pag.      1 

C.  De  Stefani  —  Lias  inferiore  ad  Arieti  dell'  Appennino  set- 
tentrionale            9 

F.  Sestixi   —    Dei   singolari   meriti    di  Giuseppe  Gazzeri  nel- 

r  avanzamento  della  chimica  massime  della  chimica  appli- 
cata all'agricoltura ,      77 

E.  FicALBi    —  Sulla  conformazione  dello  scheletro  cefalico  dei 

pesci  murenoidi  italiani «ilOl 

A.  Bottini  —  Ricerche  brìologiche  nell'  Isola  d' Elba,  con  una 

nota  sul  Fissidens  serrulatas  Bridel ,159 

G.  Baraldi  —  Apparato  femminile  della  generazione  nei  Nil/fan 

(Portax  pietà  Pali.)  ed  un  cenno  sulla  loro  placenta  .     .      ,    205 

A.  De  Greoorio  —  Intorno  a  un  deposito  di  roditori  e  di  car- 
nivori sulla  vetta  di  Monte  Pellegrino  con  uno  schizzo 
sincronografico  del  calcare  postpliocenico  della  vallata  di 
Palermo 217 

G.  A.  Barbaglia   —    Contribuzione  allo  studio  del  Buxus  sem- 

pervirens  L.,  pianta  della  famiglia  delle  euforbiacee     .     .      »    255 

G.  Grattarola    —    Forma    cristallina  e  caratteri    ottici    della 

Asparagina  destrogira  di  Piatti »    271 

G.  Arcangeli  —  Sulla  fioritura  dell'  Eurytde  ferox  Sai.  .     .     .      „    281 


460  INDICE 

G.  GioLi  —  Lti  Lucina  Ponnnn,  Duj P^f?»  301 

G.  Gasperixi  —  Sopra  un  nuovo  morbo  che  attacca  i  limoni  e 

sopra  alcuni  iforaiceti ,31a 

G.  Baraldi  —  Alcmie  ricerche  contribuenti  alla  conoscenza 
della  tavola  triturante  o  macinante  dei  denti  mascellari 
negli  equidi „    343 

A.  D'AciriARDi  —  Rocce  ottrelitiche  delle  Alpi  Apuane  .     .     .      ,    442 

P.  Pieni  —  Suir  inspessimento  della  parete  nelle  cellule  libe- 
riane dei  piccioli  fogliari  di  alcune  Araliacee „    455 


■  *  "liAj^  •»^>. 


v.tArv    •  ■'    !'>>?. 


ERRATA  CORRICfE  —  Volume  Vin. 


ERRATA 

CORRIGE 

Classidra 

leggasi  Clessidra  in  tutti  i 

356          Lin. 

.    3 

gli 

i 

»               » 

11 

ultimo 

primo 

n                      n 

26  e  27 

terzo 

primo 

369  e  893   „ 

2  6  24 

Mayor 

Major 

382 

26 

Meyer 

Major 

393 

21 

Piohippus 

Pliohippus 

400 

8 

3V* 

3V« 

410 

15 

mandibola  di 

mandibola  con  mandibole  di 

430 

15 

XII 

XIll 

4310  437  « 

14  0  29 

Anehlteriunt 

AnehUhefium 

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ioti  disegnò  -  Cristofam  litogiafò  Lil^'A  i'an::   Kirenze  l\uir 


Atl  Soc-ToscSctìat  Vol.VIII  TavX\' 


D'Achìardi.    Rocce  oUreHUche 


'iihiardi  ilis  Cnslof^m 


MiV'i'jW: 


r,.\'at.V<.!.Vll!TavXVll 


Pichi-Suirinspess  d  pareteell 


Pi:hi  V.:.  Criilofaì-i  iit. 


3  901S  03554  7713 


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