Full text of "Atti"
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Ser. 2
Voi. 18
1921
ATTI
DKLL
ISTITUTO BOTANICO
BELL' UNIVERSITÀ DI PAVIA
REDATTI DA
GIOVANNI BRIOSI
Peofkssore di Botanica dell'Università k Direttore dell'Istituto Botanico
E DELLA Stazione di Botani<:a Crittogamica.
II Seeie
Volume Diciottesimo
Con SI tavole ìitografute e mi ritratto.
compilato dal
DoTT. LUIGI MONTEMARTINI
Professore incaricato pkk l'anno 19'iO-21.
Seguito (\e\V Archivio Triennale
del Laboratorio di Botanica Criftogainica.
Piante alpine — Orto Botanico di Pavia.
MILANO
TIPO-LIT. TURATI LOMBARDI E C.
1921.
ATTI
DELL
ISTITUTO BOTANICO
DELL'UNIVERSITÀ DI PAVIA
REDATTI DA
GIOVANNI BRIOSI
Profkssore di Botanica :;ellT'niteksità e Direttore dell'Istituto Botanico
E DELLA Stazione di Botanica Crittogamica.
II Serie
Volume Diciottesimo
Culi ■il tavole litografate e un ritratto.
COSIPILATO DAL
DoTT. LUIGI MONTEMARTINI
Professore incaricato per l'anno 1920-2I.
Seguito i\e\V Archivio Triennale
del Laboratorio di Botanica CrUtoyamica.
Piante alpine — Orto Botanico di Pavia.
MILANO
TIPO-LIT. TURATI LOMBARDI E C.
1921.
\^
ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
LABORATORIO CRITTOGAMICO ITALIANO
RODOLFO FARNETI
- . vii^LtaH
Rodolfo Fai-ueti è nato a Chiesina, piccola frazione del Comune
di Lizzano in Belvedere (prov. di Bologna), il 17 febbraio 1859.
Il Dardagna. il lago Pratignano, lo Scafaiolo, il Corno alle Scale,
il Cinione, la Ponetta ed il Reno, tutto il gruppo degli Appennini (che
Egli tanto amò fino agli ultimi giorni e del quale parlava sempre col
piì\ sentito entusiasmo) che è a cavaliere delle due provincie di Bologna
e di Modena ed è tanto interessante per le formazioni geologiche, pei
fenomeni tellurici, pei dettagli oro- ed idrografici, per la flora e la fauna,
pei fossili e pei minerali, furono tutti insieme come lo stampo nel quale
si formò l'anima sua di naturalista, buona, espansiva, entusiasta, di ar-
tista e di scienziato, studioso senza ambizione, senza interesse, per il
solo bisogno di estinguere una nobile sete di vedere e sapere, coH'unica
soddisfazione di far conoscere ed ammirare agli altri le cose che più
di tutte Egli ammirava.
Non seguì nessun corso regolare di studi superiori. Fu un natura-
lista all'antica, di quelli che studiano i fenomeni naturali in tutte le
loro più svariate manifestazioni, e dotato come era di memoria fortis-
sima e di ingegno non comune, era diventato per gli amici che vive-
vano con Lui una vera miniera di notizie, di cognizioni, di nozioni le
più varie, cui tutti potevano attingere.
Per gli studi che aveva fatto sulla flora delle sue montagne e di
altre parti d'Italia, nel 1886 venne chiamato a Pavia come conserva-
tore delle collezioni del nostro Istituto Botanico e del Laboratorio Crit-
togamico. E qui, senza abbandonare completamente gli altri campi delle
Scienze Naturali, si specializzò nello studio della Botanica.
— IV —
I suoi lavori sono improntati ad una onestà e scrupolosità di os-
servazione e sperimentazione per cui sono sempre pregevoli: molti di
essi si fecero notare anche all'estero per la genialità nel coordinare e
spiegare i fatti osservati.
Dedicatosi, nei primi anni nei quali era a Pavia, allo studio dei
Muschi della nostra provincia, riesci a raccoglierne e determinarne ben
tre centurie di specie non ancora qui segnalate e tra esse molte forme
nuove la cui descrizione, insieme alla descrizione di forme fossili delle
torbe, lo fece conoscere dai primi briologi d'Europa.
Studiò poi le Epatiche ed anche in questo studio si affermò per il
suo spirito di osservazione.
Nello studio della flora fanerogamica, le sue aggiunte alla Flora
Pavese e le ricerche sulla sua origine, lo fanno collocare tra i siste-
matici più diligenti e tra i più acuti cultori di geogiafia botanica.
La pubblicazione apprezzata sopra la cleistogamia del riso dimostra
la sua competenza anciie nella biologia fiorale.
Ma dove si distinse maggiormente fu nel campo della Micologia e
Patologia Vegetale, verso il quale fu spinto dalle funzioni che doveva
compiere nel Laboratorio Crittogamico.
In questo campo, oltre una quantità di piccole ed interessanti note
contenenti descrizioni di casi clinici o di specie patogene nuove o poco
conosciute, Egli lasciò dei lavori veramente notevoli sia nel campo della
Micologia pura, che in quello della Patologia.
Li Patologia il Farneti era di quelli che tengono ancora in primo
ordine l'azione dei parassiti. Li una nota sopra l'azione delle cause con-
comitanti, che secondo alcuni sarebbero le più importanti, Egli co.si si
esprimeva in modo chiaro e geniale : " Se il legno arde tanto più facil-
" mente quanto meno acqua o più resina contiene, non possiamo perciò
« cercare la causa dell'incendio di un bosco in queste sue naturali pro-
" prietà, ma nella scintilla che lo ha determinato „.
E più avanti:
" I disturbi funzionali, l'astenia e qualunque altra malattia costitu-
" zionale non predispongono gli alberi ad essere attaccati in modo spe-
" ciale dai funghi. Le contrarie opinioni non sono basate sopra dati espe-
" riraentali e non trovano generale conferma nelle osservazioni cliniche „.
V
In Micologia il Farneti fu geniale osservatore del polimorfismo dei
funghi, dei quali riusci a riunire non solo forme inipeifette con forme
ascofore più o meno già note, ma anche forme imperfette tra di loro,
dimostrando che una medesima specie può dar luogo a diverse forme
imperfette e può presentarsi ora come parassita ed ora come saprofita,
a seconda del substrato nel quale si sviluppa, " il che si deve attribuire
" non tanto all'azione meccanica che i filamenti miceliali debbono eser-
" citare penetrando attraverso i tessuti, od alla loro voracità, quanto
" all'aumento o alla modificazione dei fermenti diastasici che secernono „.
Importante è, da questo punto di vista, lo studio sul polimorfismo
e lo sviluppo della Botrytis Hormini parassita della Salvia Hortnimim,
il quale studio iia, si può dire, aperto all'Autore la via per gli studi
pili importanti, per la Patologia vegetale, sopra il Brusone del riso, sopra
Y Avvizzimento dei germogli del gelso e sopra la Malattia dell'inchiostro
del castagno, questi ultimi due fatti in collaborazione col chiarissimo
prof. Briosi.
Pel Brusone del riso, seguendo la sua idea che il parassita è tutto
e le cause concomitanti hanno una importanza solamente secondaria, e
persuaso che forme imperfette diverse possono essere modi di manife-
stazione di un'unica specie, affermò recisamente la natura parassitaria
del male e, dopo avere dimostrato che le Piricularia, gli Helmintho-
sporium, i Cladosporium, ecc. trovati sul riso sono tutti una medesima
specie, potè appoggiare la sua affermazione al fatto che questa, in una
forma o nell'altra, è sempre presente dove si manifesta la malattia.
Per V Avvizzimento dei germogli del gelso collegò il Fusarium alla
Gibberella, richiamò il fatto che volta a volta una medesima specie
può essere parassita e saprofita, e dimostrò la natura parassitaria del
male.
Per la Malattia dell' inchiostro del castagno, alla quale malattia il
nome del Farneti insieme a quello del Briosi rimarrà sempre legato,
capovolse il metodo di osservazione seguito dai botanici che si erano
prima occupati di questo problema, dimostrando che la causa del male
andava cercata non nelle radici, ma nelle parti aeree delle piante col-
pite. E dimostrò in modo sicuro l'azione patogena del Coryneum per-
niciosum.
— VI —
Pei suoi lavori di patologia il Fariieti ebbe per titoli la libera do-
cenza in Patologia Vegetale nella nostra Università.
Tenne qualche anno un corso che era una monografia.
La malattia, dovuta in gran parte a sopralavoro, non gli consenti
di continuare nei suoi studi prediletti, si che nemmeno potè condurre a
termine le ricerche così ben iniziate sul Brusone del riso e sulla ma-
lattia dei castagni.
È morto il 18 febbraio 1919 a Vidiciatico, ancora tra le sue mon-
tagne che Egli aveva bisogno di vedere e la cui vista compensava
l'anima sua della interruzione degli studi che in esse aveva con tante
promesse cominciato.
Luigi Montbmartini.
Dall' IstltntO Botanico di l'aTia, ottobre liMil.
ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI
del Prof. RODOLFO FARXETI.
1. Muschi della provincia di Pavia. Seconda centuria (Atti Istituto Botanico di
Pavia, ser. ii, voi. I, 1888j.
2. Idem. Tei'za centuria {ibidem, voi. ii, 18911.
3. Idem. Quarta centuria (ibidem, voi. iii, 1892).
4. Funghi mangei'ecci e velenosi (Manuale Dumolard. Milano, 1892).
5. Frutti freschi e secchi. Ortaggi (Manuale Dumolard. Milano, 1892).
6. Epaticologia insubrica (Atti Istit. Bot. di Pavia, ser. ii, voi. in. 1894).
7. Briologia insubrica. Prima contribuzione: Muschi della provincia di Brescia
(ibidem, voi. iv. 1895i.
8. Ricerche di Briologia paleontologica nelle torbe del sottosuolo pavese appar-
tenenti al periodo glaciale {ibidem, voi. v, 1896).
0. Nuovi materiali per la Micologia Lombarda. Funghi della provincia di Cre-
mona : prima centuria (^ibidem, voi. vi, 1898).
10. Atlante Botanico, ii ediz. (in collaboraz. con Gr. Briosi. Milano, Hoepli, 1898).
11. Aggiunte alla Flora Pavese e ricerche sulla sua origine (.4/^/ Istituto Bot. di
Pavia, ser. li, voi. vi, 1900).
12. Intorno ad una nuova malattia delle albicocche. Eczema empetiginoso causato
dalla Stigmina Briosiana n. sp. (ibidem, voi. vii, 1900V
13. Intorno al BoletuS Briosianiis Farn., nuova e interessante specie di Imeiio-
micete con cripte acquifere e clamidospore (ibidem, 1900).
14. Intorno alla malattia della vite nel Caucaso (in collaborazione con L. Monte-
martini; ibidem, 1900).
15. Intorno allo sviluppo e al polimorfismo di uu nuovo micromicete parassita
(ibidem, 1901).
— VII —
16. Intorno all'avvizziiuento dei germogli del gelso. Nota preliminare (in colla-
borazione con G. Briosi •,'ìbidern, 1901).
17. Intorno ad un nuovo tipo di licheni a tallo conidit'ero, che vivono sulla vite,
finora ritenuti per funghi (in coUaboraz. con G. Briosi; ibident, vol.viu, 1902).
18. Le volatiche e l'atrofia dei frutti del fico (ìbidem, 1903).
19. Di una varietà tardiva di pioppo (Populus nigra L.) finora non avvertita (in
collaborazione con G. Briosi; ibidem, voi. ix, 1904).
20. Di una nuova specie di Giavone che da alcuni anni ha invaso le risaie della
Lombardia e del Piemonte (ibidem, 1904Ì.
21. Intorno alla malattia del Calie sviluppatasi nelle piantagioni di Cuicatlan
(Stato di Oaxaca) nel Messico (ibidem,, 1904).
22. Erpete furfuracea delle pere: Macrosporiìtm Si/doìtriavinn n. sp. (A/nudes 2fy-
cologici, Berlin, 1905).
23. Intorno alla compai'sa della Diaspis peiitagoiiu Targ. in Italia e alla sua origine
(Atti latit. Bot. di Pavia, ser. il, voi. xi, 1905).
24. Risposta alla nota del prof. G. Leonardi « Sulla pretesa antica presenza in
Italia della Diaspis pentagona » (Alba Agricola, Pavia, 1905).
25. Intorno ad alcune malattie della vite non ancora descritte od avvertite in
Italia (Atti Istif. Bot. di Pavia, ser. ii, voi. x, 1905).
26. Il marciume dei boccinoli e dei fiori delle rose causato da una forma patogena
delia Botryiis vulgaris (Pers.) Fr. (ibidem, 1906).
27. Sull'avvizzimento dei germogli del gelso. Suoi rapporti col Fusariuvi late-
ritiuììì Nees e colla Gibberella moricola (De Not.) Sacc. Seconda nota pre-
ventiva (in collaborazione con G. Briosi; ibidem, 1905).
28. Di un nuovo mezzo di diffusione della fillossera per opera di larve ibei'nanti
(in collaborazione con G. Pollacci ; ibidevi, 1905V
29. Intorno al brusone del riso ed ai possibili rimedi per combatterlo. Nota pre-
ventiva (ibidem, 1905).
30. Ricerche sperimentali ed anatomo-fisiologiche intorno all'influenza delTam-
biente e della concimazione sulla diminuita o perduta resistenza al brusone
del riso bertone e di altre varietà introdotte dall'estero (Rivista di Patol.
Veg., voi. II, Pavia, 1906).
31. Il Brusone del riso (ibidem, 1906).
32. Ustioni prodotte dal fumo delle locomotive sopra le foglie delle piante (ibi-
dem, 1906).
33. L'avvizzimento dei cocomeri in Italia (ibidem, 1907).
34. La causa del brusone del riso secondo il dott. Haven Metcalf {Alba Agricola,
Pavia, 1909).
35. Il ìiial biiiìico delle querele minaccia anche i castagni ed i faggi (Rivista di
Pai. Veg., voi. iv, Pavia, 1909).
36. La cancrena delle zampe di asparagio (ibidem, 1910).
37. I parassiti e saprofiti dei foraggi che sono causa di malattie nel bestiame
e di alterazioni del latte e suoi prodotti (Alba Agricola, Pavia, 1910).
38. Sulla moria dei castagni (mal dell'inchiostro): prima nota (in collaborazione
con G. Briosi; Alti Istit. Botanico di Pavia, ser. ii, voi. xiii, 1908).
39. Intorno alla causa della moria dei castagni (mal dell'inchiostro) ed ai mezzi
per combatterla: seconda nota preliminare (ibidem, voi. xiv, 1909).
40. La moria dei castagni (mal dell'inchiostro): osservazioni critiche ad una nota
dei signori Grition a Maublanc (ibidem, voi. xv, 1910).
— vili —
41. Riproduzione artificiale della moria dei castagni (mal deirinohiostro) {Rend.
R. Acc. Lincei, voi. xx, Roma, 1911).
42. Nuove osservazioni intorno alla moria dei castagni (mal dell'iucliicstro) e .sua
riproduzione artificiale : quarta nota preliminare {Atti Istit. Bot. di Pavia,
voi. XIV, 1911).
43. Intorno alla cleistogamia e alla possibilità della fecondazione incrociata arti-
ficiale nel riso : Oryza sativa (ibidem, voi. xil, 1912).
44. Il mal del piede del frumento (Alba Agricola, Pavia, 1912).
45. La selezione .del riso (ibidem, 1912).
46. Norme pratiche per combattere la malattia dell' inchiostro dei castagni (Ri-
vista di Put. Veg., voi. vi, Pavia, 1912).
47. Se l'astenia e i disturbi funzionali, derivanti da lesioni od alterazioni pro-
dotte nelle radici o nella parte inferiore del tronco, possono predisporre la
chioma dell'albero all'attacco di funghi parassiti o saprofiti (ihitlevi, 1912).
48. La resistenza del castagno giapponese alla malattia dell'inchiostro (in colla-
borazione con E. Lissone e L. Montemartini; ibidem, 1912).
49. La decapitazione dei crisantemi in seguito a rottura spontanea del peduncolo
fioraie (ibidem, 1913).
50. Una piccola pianta dannosissima alle risaie di Massaciuccoli in Toscana (Alba
Agricola, Pavia, 1913).
51. A proposito di una nota del dott. Lionello Petri sulla moria dei castagni (mal
dell'inchiostro) (in collaborazione con G. Briosi; Rend. R. Acc. dei Lincei,
voi. XXII, Roma, 1913).
52. Ancora sulla moria dei castagni : in risposta al sig. dott. L. Petri (ibidem, 1913).
63. 11 mal dell'inchiostro nelle giovani pianticelle dei castagneti e dei semenzai
(in collaboraz. con G. Briosi; Atti Istit. Bot. di Pavia, voi. xv, 1915).
64. Sulla moria dei castagni: note postume (ibidem, voi. xviii, 1921).
55. Sull'avvizzimento dei germogli del gelso (in collaborazione con G. Briosi;
ibidem, voi. xvii, 1920).
56. Sopra il brusone del riso: note postume {ibidem, voi. xviii, 1921).
— IX
PREFAZIONE
Raccogliendo nel présente volume, insieme ad alcuni lavori^nostri,
le ultime manifestazioni dell'attività scientifica dei compianti Giovanni
Briosi e Rodolfo Farneti, chiudo con esso la seconda Serie di questi
Atti che fu ideata e curata con tanto affetto ed orgoglio dall'amato
Maestro.
Certamente l'opera che Egli ha iniziato dovrà continuare, ma è
giusto che questi diciotto volumi rimangano a sé, col nome di Giovanni
Briosi, perchè oltre contenere gran parte della sua produzione scien-
tifica, essi rispecchiano tutta la sua attività di organizzatore e diri-
gente dell'Istituto a Lui affidato.
Ed è con affetto di amico, e col pensiero rivolto a tutta la gio-
ventù passata nel medesimo Laboiatorio, che insieme al Maestro licordo
l'amico ed il collaboratore, il compagno di studi e la guida, Rodolfo
Farneti, coli' immagine del quale mi pare doveroso completare la serie
di tanti ricordi.
Luigi Montemartini.
Pavia, 14 ottobre 1921. ,
XI
INDICE DKL PRESENTE VOLUME
Rodolfo Farneti Pag. iii
Prefazione » ix
Indice generale alfabetico di tutta la Serie » xm
Sulla moria dei castagni (mal dell' inchiostro); per Giovanni Briosi e
Rodolfo Farneti -, >■ 1
Ricerche anatomo-fisiologiche sulle foglie delle Tiltandsia; per Maria
Barbaini " 95
Sopra il britsone del riso; per Rodolfo Farneti » 109
Miceti del corpo umano e degli animali ; per Gino Pollacci .... - l-o
Effetti della senilità delle piante; per Luigi Montemartini » 133
Aggiunte alla Flora Pavese; per Luigi Maffei 137
/
XIII
INDICE ALFABETICO
DI TUTTA LA SERIE SECONDA
Volume Pagina
Alpe V., Menozzi A. e Briosi G., Studio dei metodi intesi a
combattere il Brusone del Riso. Prima relazione IV xi.iv
AsCHiERi E. e Mameli E., Ricerche anatomiche e biochimiche
sul Lychìiis viscaria L. 7 XVII 1 19
Baucarini P., Intorno ad una malattia dei grappoli dell'uva. I 181
BarbaixiM., Ricerche anatomo-tisiologiche sulle foglie delle Til-
landsia XVIII '.I5
Bariola R., Sull'anatomia del Jequirity (seme àeW'Abriis pie-
catorius L.) e dei semi delle piante comunemente usate per
sofisticarlo. Nota preliminare XV 275
— Sull'anatomia del seme àelì'Abnis precatorius L. (Jequiritj)
e dei semi usati per sofisticarlo XVI 1
Bianchi G., Briologia della provincia di Mantova IX 267
— Micologia della provincia di Mantova ._ IX 289
— Idem, idem. Secondo contributo XIII 309
Briosi G., Intorno alle sostanze minerali nelle foglie delle
piante sempreverdi I 363
— Alcune erborizzazioni nella valle di Gressoney II 41
— intorno all'anatomia delle foglie deìV Eiicalyptus glóbulus
Labil. II 57
— Intorno alla malattia designata col nome di Roncet sviluppa-
tasi in Sicilia sulle viti americane VII 181
— Ispezione ad alcuni vivai di viti americane malate di Roncet
in Sicilia X 225
'— Del miglior modo di ordinare le cattedre ambulanti di agri-
coltura VII 171
— Esperienze per combattere la peronospora della vite eseguite
nell'anno 1885 ^ I 1
— Idem, idem, nell'anno 1886 I 189
— Idem, idem, nell'anno 1887 _ I 251
— Idem, idem, nell'anno 1888 I 437
— Per difendersi dalla Peronospora della vite II 29
^ Ancora sul come difendersi dalla Peronospora II 37
— Relazione sugli esperimenti eseguiti coll'acetato di rame per
combattere la Peronospora nell'anno 1894 IV xxiv
XIV
Briosi G., Relazione sugli esperimenti eseguiti coll'acetato di
rame per combattere la Peronospora nell'anno 1895
— Idem, idem, eseguiti nell'anno 1896
— La infezione peronosporica nell'anno 1895
— Rapporti e relazioni diverse
— Idem, idem _..
— Idem, idem __._
— Idem, idem .
— Idem, idem
— Idem, idem
— Idem, idem
— Idem, idem
— Idem , idem
— Idem, idem
— Idem, idem
— Idem, idem
^- Rassegna delle principali malattie sviluppatesi sulle piante
culturali nell'anno 1887, delle quali si è occupato il Labo-
ratorio Crittogamico
— Elenco generale delle ricerche del Laboratorio Crittoga-
■ mico nel 1888
— Elenco generale delle ricerche fatte alla Stazione e Labo-
ratorio Crittogamico di Pavia nell'anno 1889
— Rassegna generale delle ricerche fatte nell'anno 1890
per l'anno 1891 __
per l'anno 1892
per l'anno 1893
per l'anno 1894
per l'anno 1895 ■
per l'anno 1896 ,
per l'anno 1897
per l'anno 1898
per l'anno 1899
per l'anno 1900
per l'anno 1901
per l'annii 1902 _ . ^,
per l'anno 1903
per l'anno 1904 .
per l'anno 1905 .
per l 'anno 1906 j.
per l'anno 1907
per l'anno 1908
per l'anno 1909 .
per l'anno 1910 ^- -
per l'anno 1911
per l'anno 1912 ..
per l'anno 1913
per l 'anno 1914
Volume
Pagina
Idem,
idem.
Idem,
idem,
Idem,
idem,
Idem,
idem.
Idem,
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idem,
Idem,
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idem.
Idem,
idem.
Idem,
idem,
Idem,
idem,
Idem,
idem.
IV
149
V
145
IV
145
I
I
II
IX e i-ix
m
VII e XXIX
IV
V e XXVII
V
159 e 327
VI
IX e XXXVII
VII
296 e 332
VIII
521
IX
323
X
305 e 337
XI
361
XII
299
289
1
I.XXIH
II
XXVIII
II
LUI
II
I.XXIX
III
XXII
III
XXXIX
IV
XVIII
IV
XXXVII
V
IX
y
XII
VI
XXXIV
Xl
I.VIU
VII
317
VII
352
vili
543
IX
348
X
331
X
357
XI
390
XII
323
XIII
387
XIV
409
XIV
433
XV
213
XV
242
XVI
256
XVI
285
— XV —
Volume
Briosi G., Rassegna generale delle ricerche fatte nell'anno 1915_ XVII
— Idem, idem, per l'anno 1916 XVII
— Idem, idem, per l'anno 1917 XVII
— La Stazione di Botanica Crittogamica in Pavia. Rapporto
sull'operosità del Laboratorio Crittogamico dalla sua fon-
dazione sino al 1897 V
— La Stazione di Botanica Crittogamica di Pavia (Labora-
torio Crittogamico Italiano) VII
— La Stazione di Botanica Crittogamica (Laboratorio Critto-
gamico Italiano) in Pavia, dalla sua fondazione (1871 ì sino
all'anno 1910 XIII
— Santo Garovaglio (biografia) II
— Guglielmo G-asparrini » III
— Antonio Scopoli >• IV
— Carlo Vittadini .. V
— Giuseppe Gibelli » VI
— Giuseppe Moretti » VII
— Agostino Bassi » VII!
— Bonaventura Corti >- ;_ IX
— Federico Delpino » X
— Giovanni Battista Amici » XI
— Giuseppe Gussone » XII
— Francesco Ginanni » X III
— Luigi Sodiro » XIV
— Abramo Bartolomeo Massalongo » XV
— Bartolomeo Maranta » XVI
— e Farneti R., Intorno all'avvizzimento dei germogli dei
gelsi. Nota preliminare VII
— e — Intorno ad un nuovo tipo di licheni a tallo conidi-
fero, che vivono sulla vite, Un'ora ritenuti per funghi _ _ Vili
— e — Di una varietà tardiva di Pioppo (Poptilus nigra L.)
tìnora non avvertita IX
— e — Sull'avvizzimento dei germogli del gelso. Suoi rap-
porti col Fusarium laterìtium Nees e colla Gibberella vio-
ricola (De Not.) Sacc. Seconda nota preventiva X
— e — Sulla moria dei castagni (Mal dell'inchiostro) XIII
— e — Intorno alla causa della moria dei Castagni (Mal del-
l'inchiostro) ed ai mezzi per combatterla. Seconda nota pre-
liminare XIV
— e — Nuove osservazioni intorno alla moria dei Castagni
(Mal dell'inchiostro) e sua riproduzione artificiale. Quarta
nota preliminare XIV
— e — La moria dei castagni (Mal dell'inchiostro). Osser-
vazioni critiche ad una nota dei signori Griffon e Maublanc XV
— e — Il mal dell'inchiostro nelle giovani pianticelle dei
castagneti e dei semenzai XV
— e — A proposito di ima nota del dott. L. Petri sulla
moria dei Castagni (Mal dell'inchiostro) XVI
Pa£;ina
59
81
265
321
412
1!1
Il I
1
III
ni
ni
HI
111
III
III
III
III
III
III
III
123
103
25
65
291
47
327
48
323
213
— XVI —
Volume Pagina
Briosi G. e Farneti R., Ancora sulla moria dei Castagni (Mal
dell'inchiostro) in risposta al signor dott. L. Petri XVI 221
— e — Sulla moria dei Castagni (Mal dell 'inchiostro) XVIH 1
— e Gigli T., Su la composizione chimica e la struttura ana-
tomica del frutto del pomodoro: Lycopeisicum esculentum
Mill. ]I 5
— e Pavarino L., Bacteriosi della Matthiola annua L. (Bacte-
riiirii Matthiolae n. sp.) XV 135
— e ToGNiNi F., Contributo allo studio dell'anatomia com-
parata delle Cannabinee Il I
— e — Intorno alla anatomia della Canapa (fiannabis sa-
tira L.). Parte prima: Organi sessuali HI Iti
— e — Idem, idem. Parte seconda: Organi vegetativi IV 155
— , Menozzi a. e Alpe V., Studio dei metodi intesi a com-
battere il Brusone dei Riso. Prima relazione IV XLiv
BusCALiONi L., Ricerche di botanica applicata. Sulle modifica-
zioni provocate dai processi di mercerizzazione nei filati
di cotone VII 195
— e PoLLACCi G., L'applicazione delle pellicole di collodio
allo studio di alcuni processi fisiologici nelle piante ed in
particolar modo alla traspirazione VII iS2
— e — Ulteriori ricerche sull'applicazione delle pellicole di
collodio allo studio di alcuni processi fisiologici delle piante
ed in particolar modo della traspirazione vegetale VII 127
— e — Le antocianine e il loro significato biologico nelle
piante Vili 135
— e PuRGOTTi A., Studii sulla dissociazione e diffusione
degli joni. Nota preliminare IX 1
— e — Sulla diffusione e sulla dissociazione dei joni XI 1
— e Traverso G. B., L'evoluzione morfologica del fiore in
rapporto colla evoluzione cromatica del perianzio X l'i3
Carbone D., Descrizione di alcuni Eumiceti provenienti da
carni insaccate sane ^^l\ 259
Cattaneo E. e Mameli E., Sul geotropismo negativo spon-
taneo di radici di Helianthus anninm e di alcune altre
piante XVII 9
Cattorini P. e., Intorno all'esistenza delle sfere direttrici o
centrosfere nelle cellule del sacco embrionale della Tulipa
(Tiiìipa Gesneriana L., Talipa Greigi Regel) XIU 299
Cavara F., Sulla vera causa della malattia dei grappoli del-
l'uva, ecc. I '-'*^
— Intorno al disseccamento dei grappoli della vite. Peronos-
pora viticola, Coniothyriuiii Diplodiella e nuovi ampelomi-
ceti italici I 2"<5
— Sul fungo che è causa del Bitter-rot degli Americani I 359
— Appunti di patologia vegetale. Alcuni funghi parassiti di
piante coltivate I "^^^
— Contribuzione alla Micologia Lombarda II '^'
— XVII —
Volume l'agiiia
Cavara P., Una malattia dei limoni (Trichoseptoì-ia Alpei Ca.v .) Ili 'ài
--- Intorno alla morfologia e biologia di una nuova specie di
Hymenogaster : IH -H
— Ulteriore contribuzione alla Micologia Lombarda III ''^^'A
— Contributo alla morfologia ed allo .sviluppo degli idioblasti
delle camelliee IV CI
— Di una Ciperacea nuova per la flora europea (Cyperus ari-
status Kottb. var. Bockeleri Cav.) V 2i3
— Intorno ad alcune strutture nucleari V 1119
— Studii sul The. Ricerche intorno allo sviluppo del frutto
della Theo Chinensis Sims. coltivata nel R. Orto Botanico
di Pavia V 265
Cazzani e., Sulla comparsa della Peronospora Cubensis Berk. et
Curt. in Italia IX SO
— Osservazioni critiche sopra alcune ricerche microchimiche
dell'esculina X 68
Da Pano a., Sulla germinabilità del riso (Ori/za sativa) e del
granturco (Zea Mays) in rapporto alla temperatura ed alla
umidità XVI 17
Farnbti R. , Muschi della provincia di Pavia. Seconda cen-
turia I 3-^
— Idem, idem, terza centuria - II . 175
— Idem, idem, quarta centuria III ''3
— Epaticologia insubrica -^ III 231
Briologia insubrica. Prima contribuzione: Muschi della
provincia di Brescia IV 129
— Ricerche di Briologia paleontologica nelle torbe del sotto-
suolo Pavese appartenente al periodo glaciale V 47
— Nuovi materiali per la Micologia Lombarda. Funghi della
provincia di Cremona: prima centuria VI 95
— Aggiunte alla flora Pavese e ricerche sulla sua origine — VI 123
— Intorno ad una nuova malattia delle Albicocche. Eczema
empetiginoso causato dalla Stigiii/iia Briosiana n. sp. VII 23
— Intorno al Boletus Briosiamis Farn. Nuova e interessante
specie d'Imenomicete con cripte acquifere e clamidospore- VII 65
— Intorno allo sviluppo e al polimorfismo di un nuovo Micro-
micete parassita VII 251
— Le volatiche e l'atrofia dei frutti del fico Vili 513
- Di una nuova specie di Giavone che da alcuni anni ha in-
vaso le risaie della Lombardia e del Piemonte IX 33
— Intorno alla malattia del Caffè sviluppatasi nelle pianta-
gioni di Cuicatlan (Stato di Oaxaca) nel Messico EX 36
— Intorno ad alcune malattie della vite non ancora descritte
od avvertite in Italia X 72
— Il marciume dei boccinoli e dei fiori delle rose causato da
ima forma patogena della Botrytis vulgaris (Pers.) Pr. _ _ X 77
— Intorno al hrusone del riso ed ai possibili rimedii per com-
liatterlo. Nota preliminare X 203
— XVIIt —
Volinne Pallina
Farneti e., Intorno alla comparsa della D/tis}ìis peiifaffotni
Targ. in Italia e alla sua origine XI 326
— Intorno alla cleistogamia e alla possibilità della feconda-
zione incrociata artificiale nel riso {Orijza natica) XII 351
— Sopra il brusone del riso {note postume] XYIII 109
— e Briosi G., Intorno all' avvizzimento dei germogli dei
gelsi. Nota preliminare VII 123
— e — Intorno ad un nuovo tipo di licheni a tallo coiiidi-
fero, che vivono sulla vite, finora ritenuti per funghi _ _ VIII 10:^
— e — Di una varietà tardiva di Pioppo (Popidiisi ìu'f/ni L.ì
finora non avvertita IX 25
— e — Sull'avvizzimento dei germogli del gelso. Suoi rap-
porti col Fusarium lateritium Nees e colla Gibberelhi mo-
ricola (De Not.) Saoc. Seconda nota pi-eventiva X 65
— e — Sulla moria dei castagni (Mal dell'inchiostro) XIII 291
— e — Intorno alla causa della moria dei castagni (Mal
dell'inchiostro) ed ai mezzi per combatterla. Seconda nota
preliminare XIV 47
— e — Nuove osservazioni intorno alla moria dei castagni
(Mal dell'inchiostro) e sua vipi-oduzione artificiale. Quarta
nota preliminare XTV 327
— e — La moria dei castagni (Mal dell'inchiostro). Os-
servazioni critiche ad una nota dei signori Griffon e
ìlaublanc XV 43
— e — Il mal dell' inchiostro nelle giovani pianticelle dei
castagneti e dei semenzai XV 323
— e — A proposito di una nota del dott. L. Petri sulla
moria dei castagni (Mal dell'inchiostroì XVI 213
— e — Ancora sulla moria dei castagni (Mal dell'inchiostro)
in risposta al signor dott. L. Petri XVI 221
— e — Sulla moria dei castagni (Mal dell'inchiostro) XVIII 1
— e — Sull'avvizzimento dei germogli del gelso XVII 185
— e MoNTEMARTiNi L., Intomo alla malattia della vite nel
Caucaso (Physalospoì-a Woroninii n. sp.) VH 33
— e PoLLACCl G., Di uu nuovo mezzo di diffusione della
Fillossera per opera di larve ibernanti X 95
Gigli T. e Bmosi G., Su la composizione chimica e la strut-
tura anatomica del frutto del Pomodoro: Lycopersìcum
eseulentiim II 5
Maffei L., Sopra una nuova specie di Ascomicete XI 325
— Contribuzione allo studio della Micologia Ligustica. Cen-
turia prima XII 1
— Idem, idem. Secondo contributo XIII 273
— Idem, idem. Terzo contributo .,. XIV 137
— Idem, idem. Quarto contributo XVI 225
— Aggiunte alla Flora Pavese XVIII 137
e TuRCONi M., Note micologiche e fitopatologiche: I, Cer-
cospora lumbrìcoides n. sp. sul Frassino e Nectria Castiltoae
— XIX —
Volume Tai-'ina
n. sp. sulla CasfiUoa elastica nel Messico. II. Steganospo-
rium Kosarofp. n. sp. sul Gelso in Bulgaria XII 329
Maffei L. e TuRCONi M., Note micologiche e fitopatologiche.
Serie II: 1. Un nuovo genere di Ceratostomatacee. 2. Due
nuovi micromiceti parassiti della Sophora japonica L. _ _ XV 143
Mameli E., Sulla conducibilità elettrica dei succhi e dei tes-
suti vegetali. Nota I_ XII 285
— Sulla flora micologica della Sardegna, Prima contribuzione- XIII 158
— Idem, idem. Seconda contribuzione XIV 1
— Sull'influenza del magnesio sopra la formazione della clo-
rofilla XV l.'-il
— Risposta alla nota del dott. L. Petri < Sul significato pato-
logico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vite » XVI 41
— • Sulla presenza dei cordoni endocellulari nei tessuti della
vite e di altre dicotiledoni ; con appendice in risposta al
dott. L. Petri XVI 47
— Note di Parabiosi vegetale XVI 103
— Ricerche anatomiche, fisiologiche e biologiche sulla Mar-
tynia lutea Lindi XVI 137
— Influenza del fosforo e del magnesio sulla formazione della
clorofilla XVI 189
— Ricerche fisiologiche sui licheni. I. Idrati di carbonio XVII 147
— Licheni della Sardegna XVII 159
— Licheni della Cirenaica XVII 175
— Note critiche ad alcune moderne teorie svilla natura del
consorzio lichenico XVII 209
— Ricerche sulla costituzione chimica della membrana delle
Alghe Cianoficee XVII 257
— e AsCHiBRi E., Ricerche anatomiche e biochimiche sul
Lychnis vìscaria L. XVII 119
— e Cattaneo E., Sul geotropismo negativo spontaneo di
radici di Heìianthus annuus e di alcune altre piante XVII 9
— e PoLLACCi G., Note critiche intorno a recenti ricerche
sulla fotosintesi clorofilliana XIII 257
— e — Ricerche sull'assimilazione dell'azoto atmosferico nei
vegetali. Nota preliminare XIII 351
— e — Sull'assimilazione diretta dell'azoto atmosferico li-
bero nei vegetali XIV 159
— e — Metodo di sterilizzazione di piante vive per espe-
rienze di fisiologia e di patologia XIV 129
— e — Ancora sull'assimilazione diretta dell'azoto atmo-
sferico libero nei vegetali XVI 197
Magnaghi a., Micologia della Lomellina VII 105
— Contribuzione allo studio della Micologia Ligustica VIII 121
Mariani G., Intorno all'influenza dell'umidità sulla formazione
e sullo sviluppo degli stomi nei cotiledoni VIII 67
Mbnozzi a., Alpe V. e Bitio.si G., Studio dei metodi intesi a
combattere il Brusone del Riso. Prima relazione IV XLiv
— XX
Volume Patena
MoNTEMARTiNi L.. Sull'influenza di atmosfere ricche di bios-
sido di carbonio sopra lo sviluppo e la struttura delle foglie. Ili 83
— Contributo alla ticologia insubrica IV 43
Intorno alla anatomia e fisiologia del tessuto assimilatore
delle piante : IV 89
— Contributo allo studio dell'anatomia del frutto e del seme
delle Opuuzie \' f)9
— Un nuovo mìcromicete della vite (Aureobasidium Vitis
Viala et Boyer var. album) V 69
— Ricerche intorno all'accrescimento delle piante V 75
Cloroficee di Valtellina V 249
— Contribuzione allo studio del passaggio dalla radice al fusto- VI 1
Seconda contribuzione allo studio del passaggio dalla radice
al fusto VI 23
— Ricerche sopra la struttura delle Melanconiee ed i loro rap-
porti cogli Ifomiceti e colle Sferossidee VI 49
— Contributo allo studio della anatomia comparata delle Ari-
stolochiacee VII 229
— Nuova Uredinea parassita delle Orchidee ( Uredo aurantiaca
n. sp.) Vili 99
— Intorno all' influenza dei raggi ultravioletti sullo sviluppo
degli organi di riproduzione delle piante . IX 13
— Note di fisiopatologia vegetale .- IX 39
— Il sistema meccanico delle foglie della Victoria regia Lindi. IX 253
— Note di biologia dei frutti IX 261
— Sulla relazione tra lo sviluppo della lamina fogliare e quello
dello xilema nelle traccie e nervature corrispondenti X 61
— Sull'origine degli ascidii anormali nelle foglie di Samfraga
crassi folia L X 78
— Contributo alla biologia fogliare del Buxus sempervirens L. X 239
— Primi studii sulla formazione delle sostanze albuminoidi
nelle piante X 245
— Una malattia delle Tuberose (Polianthes tuberosa L.) dovuta
alla liotrytis vulgaris Fr. XI 297
— Ricerche anatomo-fisiologiche sopra le vie acquifere delle
piante. Secondo contributo XII 363
— Sulla trasmissione degli stimoli nelle foglie e in particolar
modo nelle foglie delle Leguminose XIII 177
— Ancora sulla trasmissione degli stimoli nelle foglie delle
Leguminose . XIII 343
— Note di biologia dei semi XIII 213
— La spiga del grano in rapporto colla selezione. Osservazioni
preliminari XIII 231
— Contributo allo studio della sensibilità geotropica delle
radici XIV 43
— Sulla nutrizione e riproduzione nelle piante. Parte I e II XIV 65
— Idem, idem. Parti III-VI XV 1
— Intorno ad una nuova mal. deirolivo(Bacfer(«77ì 0/frne n.sp.) XIV 151
XXI
Volume Pagina
MoNTBMARTiNi L., Ricerche anatomo-tìsiolo(>;iche soprii le vie
acquifere delle piante XV 109
— Intorno ad alcuni casi di simbiosi autunnale locale e tem-
poranea XVII 21
— Sopra la circolazione delle sostanze minerali nelle foglie. XVII 227
— Elmetti della senilità delle piante XVIII 133
— Farneti Rodolfo ^ XVIII in
— e Farneti R.. Intorno alla malattia della vite nel Caucaso
(Physalospora Woronìnii n. sp.ì VII 33
MuTTO E., Nuove specie di micromiceti XVI 205
— e PoLLACCi G., Ricerche intorno alle specie: Cowio<Ai/)'jMHi
pirimim (Sacc.) Sheldon, Phyllosticta pirina Sacc. e Conio-
thyrium tirolense Bubàk XYl 2(t9
— e — Ulteriori ricerche intorno alla variazione di alcune
specie di micromiceti ^ XVII 53
NicotraL.. Ontogeuia e dignità sistematica delle piante vascolari XI 299
XoMURA H.. Intorno alla ruggine del Rengesó (Astragaliif: si-
ììicus L.) ed a due nuovi micromiceti patogeni del gelso _ IX 37
— Ulteriori ricerche sperimentali sull'eziologia della malattia
del baco da seta detta Flaccidezza IX 229
Oddo B. e Pollacci G., Influenza del nucleo pirrolico sulla
formazione della clorofilla . XVII 131
Pavarino L., Influenza della Plasmopara viticola sull'assorbi-
mento delle sostanze minerali nelle foglie XI 310
— La respirazione patologica nelle foglie di vite attaccate
dalla peronospora XI 336
— Intorno alla flora del calcare e del serpentino nell'Appennino
Bobbiese XII 21
— Sulla Batteriosi del pomodoro {Bacferium Priosii n. sp.) _ XII 337
— Intorno alla produzione del calore nelle piante ammalate, XIII 355
— Intorno alla flora del calcare e del serpentino nell'Appennino
Bobbiese. Seconda contribuzione XIV 19
— Alcune malattie delle Orchidee causate da bacterii XV 81
Intorno alla flora del calcare 'e del serpentino XV 89
— e Briosi G., Bacteriosi della Mattinola annua L. (Bacfe-
rium Matthiolae n. sp.) XV 135
— e Turioni M., Sull'avvizzimento delle piante di Capsicum
anìiuum L XV 207
Pavesi V., Studii comparativi su tre specie di papaveri nostrali _ IX 183
POMTis I., Sugli elaioplasti nelle Mono- e Dicotiledoni. Nota
preliminare XII 345
— Sugli elaioplasti nelle Mono- e Dicotiledoni . XIV 335
— Sopra speciali corpi cellulari che formano antocìanine XIV 363
— Sopra uno speciale corpo cellulare trovato in due Orchidee. XIV 377
— Sulla presenza del Glicogeno nelle Fanerogame e sua rela-
zione coll'ossalato di calcio XIV .^85
— Sulla presenza di amiloide nelle cellule cristallofore del
Philoclendrou Melanochrysum Lind. e del Ph. Oxicar-
dium Schott. XIV 397
— XXII —
Volume Pafrina
PoLiTis I., SuH'origiue e sull'ufficio dell'ossalato di calcio nelle
piante XV 63
— Sulla flora micologica della Grecia XV 73
Polpacci G., Contribuzione alla micologia ligustica V 29
— Appunti di Patologia vegetale (Funghi nuovi, parassiti di
piante coltivate) V 191
— Intorno ai metodi di ricerca microcliimica del fosforo nei
tessuti vegetali VI 15
— Intorno alla presenza dell'aldeide formica nei vegetali _ _ VI 45
11 biossido di zolfo come mezzo conservatore di organi
vegetali VI 165
— Intorno all' assimilazione clorofilliana delle piante. Me-
moria I VII 1
— Sopra una nuova malattia dell'erba medica (Pleosphaeru-
Una Briosiana Pollacci) VII 49
— Intorno all'emissione di idrogeno libero e di idrogeno car-
bonato dalle parti verdi delle piante VII 97
— A proposito di una recensione del sig. Czapek del mio la-
voro «Intorno all'assimilazione clorofilliana» VII 101
— Intorno all'assimilazione clorofilliana. Memoria II VIII 1
— Sulla malattia dell'olivo detta Brusca IX 26
— Nuovo apparecchio per l'analisi dei gas emessi dalle piante IX 99
— L'isola Gallinaria e la sua Flora IX 107
— Monografia delle Erysiphaceae italiane IX 151
— Intorno al miglior modo di ricerca microchimica del fosforo
nei tessuti vegetali X 80
— Azione della luce solare sulla emissione di idrogeno dalle
piante .. . X 215
Sulla scoperta dell'aldeide formica nelle piante X 293
— Influenza dell'elettricità sull'assimilazione clorofilliana _. XI 308
— Nuovo metodo per la conservazione di organi vegetali . ^ Xi 308
— Sopra i metodi di ricerca quantitativa dell'amido contenuto
nei tessuti vegetali .. ^_- XI 351
— Critica alla pubblicazione del dott. S. Nizza intitolata:
Il problema dell'Aldeide formica nelle piante XII 17
— Elettricità e vegetazione. Parte prima: Influenza dell'elet-
tricità sulla fotosintesi clorofilliana XIII 1
— Su una graminacea nuova infestante il riso (Panicum
erectìim n. sp. i XIII 223
— Il parassita della rabbia e la Plasmodiophora Brassicae Wor.
Ricerche sui loro rapporti di affinità morfologica e fisio-
logica. Nota preliminare XIV 403
— • Aggiunte alla flora ticinese .. . XV 53
— Sulla bioreazione del tellurio e sulla sua applicazione pra-
tica agli studii di fisiologia e di patologia vegetale XV 281
— Studii citologici sulla Plasmodiophora Brassicae Wor. e
rapporti sistematici coi parassiti della rabbia e del cimurro
dei cani XV 291
— xxrii —
Volnme Pagina
Poi.LACci G., Suir.l/))((S prccatoriìis L. XV -285
— Studio sul genere Citromyces X^'l l'21
— Briosi Giovanili XVII in
— Sul carbonio delle piante verdi XVII 29
— Studiisuiproteosomiesulla reazione vitale di Loew eBokoi-ny XVII 10:!
— La sporotricosi delle pesche. Nuova malattia manifestatasi
in Liguria XVll -JO'à
— Rassegna crittogamica per gli anni 1918-19, con notizie
sulle malattie del pomodoro dovute a parassiti vegetali __ XMl 277
— Rassegna crittogamica per l'anno 1920 XA'II 285
— Miceti del corpo umano e degli animali XVIII 123
--- e BusCALiONi L., L'applicazione delle jiellicole di collodio
allo studio di alcuni processi fisiologici nelle piante ed in
particolar modo alla traspirazione VII 82
— e — Ulteriori ricerche sull'applicazione delle pellicole di
collodio allo studio di alcuni processi fisiologici delle piante
ed in particolar modo della traspirazione vegetale VII 127
— e — Le antocianine e il loro significato biologico nelle
piante Vili 135
— e Farneti R., Di un nuovo mezzo di difi'usione della fil-
lossera per opera di larve ibernanti X 95
— e Mameli E., Note critiche intorno a recenti .ricerche
sulla fotosintesi clorofilliana XIU 257
— e — Ricerche sull'assimilazione dell'azoto atmosferico
nei vegetali. Nota preliminare XIII 351
— e — Sull'assimilazione diretta dell'azoto atmosferico li-
bero nei vegetali XIV 159
— e — Metodo di sterilizzazione di piante vive per espe-
rienze di fisiologia e di patologia XI\' 129
— e — Ancora sull'assimilazione diretta dell'azoto atmo-
sferico libero nei vegetali XVI 197
— e Mi:tto E., Ricerche intorno alle specie: Coniothyrinm
pirìnum (Sacc.) Sheldon. Phyllosticta pirina Sacc. e Conio-
thyrimn tirolense Bubàk XVI 209
— e — Ulteriori ricerche intomo alla variazione di alcune
specie di micromiceti XVII 53
— e Oddo B., Influenza del nucleo pirrolico nella forma-
zione della clorofilla XVII 131
Plrgotti a. e Huscalioni L., Studi sulla dissociazione e
diffusione degli joni. Nota preliminare IX 1
— e — Sulla diffusione e sulla dissociazione dei joni XI 1
Rota-Rossi G., Prima contribuzione alla micologia della pro-
vincia di Bergamo IX 127
— Alcune considerazioni sull'ontogenia delle cormofiti vascolari X 88
— Seconda contribuzione alla micologia della provincia di
Bergamo X 265
— Due nuove specie di micromiceti parassite XI 807
— Terza contribuzione alla micologia della provincia di Ber-
gamo XIII 195
urne
Pagina
XI
;ìiy
11
15iì
Ili
1
III
45
V
1
IV
1
VI
109
— XXIV —
Salvoni M., Sul significato! fisiologico della trasformazione au-
tunnale degli idrati di carbonio iu grassi
ToGNiNi F., Sopra il percorso dei fasci libro-legnosi primarii
negli organi vegetativi del Lino, Linuin uùtatissunum L.
— Ricerche di morfologia ed anatomia sul fiore femminile e
sul frutto del castagno (Castanea vesca Gaertn.)
— Contribuzione alla Micologia toscana --
— Seconda contribuzione alla Micologia toscana
— Contribuzione allo studio dell'organogenia comparata degli
stomi
— Sull'embriogenià di alcune Solanacee
— e Briosi G., Contributo allo studio dell' anatomia com-
parata delle Camiahinee . __- II
— e — Intorno alla anatomia della Canapa (Cannabis sa-
liva L.). Parte prima : Organi sessuali
— e — Idem, idem. Parte seconda: Organi vegetativi
Traverso G. B. , Intorno all'influenza della luce sullo svi-
luppo degli stomi nei cotiledoni
— e BuscALiONi L., L' evoluzione morfologica del fiore in
rapporto colla evoluzione cromatica del perianzio
TuRCONi M., Sopra una nuova specie di Cylindrosporitim, pa-
rassita dell'/Zea; furcata Lindi.
— Un nuovo fungo parassita sulla Chaqnirilìa. pianta mes-
sicana
— Nuovi micromiceti parassiti
— Litorno alla Micologia lombarda. Memoria I
— Intorno ad una nuova malattia dei bambù [Bamìmsa mitis
Poir., B. iiigra Lodd. e B. gracilis Hort.). XVI
— Sopra una nuova malattia del Cacao {Theobroma Cacao L.)
— e Maffei L., Note micologiche e fito-patologi che: I. Cer-
cospora 1 umbri coides n. sp. sul Frassino e Nectria Casiil-
loae n. sp. sulla Castilluu elastica nel Messico. II. Stegano-
sporium Kosaroffii n. sp. sul Gelso in Bulgaria XII 329
— e Note micologie e fito-])atologiclie. Serie II: 1. Un
nuovo genere di Ceratostomatacee ; -■ Due nuovi micromi-
ceti parassiti della Sophora japonica L. XV 143
— e Pavarino L., Sull'avvizzimento delle piante di Capsi-
ciim annuum L. XV 207
III
Ul
IV
155
VII
55
X
103
IX
28
X
91
XI
314
XII
57
SVI
245
:vii
1
ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
E
LABORATORIO CRITTOGAMICO ITALIANO
SULLA MORIA DEI CASTAGNI
(Mal (leir Inchiostro)
PER
GIOVANNI BRIOSI e RODOLFO FARNETI
icoìi 11 tnniìv titoi/rafale)
Tra i manoscritti ancora inediti lasciati dai compianti miei maestri Briosi
prof. Giovanni e Farneti prof. Rodolfo, ho trovato e potuto ordinare questi pochi
che riguardano uno studio cui Essi attendevano da parecchi anni, preparandosi
a scrivere quella che sarebbe stata la più importante e più completa monografìa
sopra la malattia che tanto danno ha arrecato e continua ad arrecare alle selve
di castagni in Europa, e tante volte ha richiamato l'attenzione degli studiosi in
Italia e fuori.
Dico sarebbe stata, perchè pur troppo non solo lo studio rimase troncato,
essendo mancato agli Autori la forza, il tempo e l'occasione di conoscere ed esa-
minare anche le più recenti scoperte del Petri sopra l'argomento da Essi studiato,
ma rimase incompleto il manoscritto, proprio nella parte che riguarda le loro osser-
vazioni originali, sulle quali però per fortuna. Essi avevano già pubblicato diverse
note preliminari che tutte vanno qui ricordate ' perchè, insieme alle bellissime
tavole che trovai già stampate, completano e sono completate da questa ultima
e postuma pubblicazione.
' Le note già stampate dal Briosi e Farneti sono le seguenti:
Stilla Moria dei ca.ilaffni (Mal dell' inrìiiostroj : prima uota; in «Atti \s\. Eot. ili Pavia»,
ser. II, voi. XIII, con una tavola, 1908.
fntonw alla causa della Moria dei castanni (Mal dell' incUiustroJ ed ai mezgi per combat-
terla: seconda nota preliminare; ibidem, voi. xiv, IDO'.I.
Im Moria dei caaUKjni (Mal dell' incliiostro) ; osservazioni critiche da una nota dei signori
(iriffon e Maublanc; ibidem, voi. xv, 1910.
Hiprodiisione artificiale della Moria dei anitiiipii (Mal dell' iiichiostroj ; in « Rend. d. r. Ac.
d. Lincei», classe Scienze, voi. xx, 1911.
Nuore osserrazioni intorno alla Moria dei castai/ni (Mal dell' inchiostro) e sua riprodasione
artificiale: quarta nota preliminare; in «Atti Ist. Bot. di Pavia», voi. xiv, 1911.
A proposi to di una nota del Dott. Lionello l'etri sulla Moria dei castagni (Mal dell' in-
chiostro) : in » Rend. d. r. Ac. d. Lincei», classe Scienze, voi. xxii, 1913.
Atn dell'Istit. Bui dvll'ViiiversiUt di Pavia — Serie II — Voi. XVIII. 1
— 2 —
Si devono riconoscere al Briosi ed al Farneti due meriti nei loro studii sulla
Malattia dell' inchiostro del castagno: quello di avere dimostrato in modo indubbio
che nou è malattia delle radici ma delle parti aeree della pianta e di avere quindi
richiamato gli studiosi all'esame di queste; e quello di avere dimostrato con cer-
tezza, e di averne dato anche la prova sperimentale, la natura patogena del 6?o-
77/«e7«w e la sua grande (secondo Essi, costante) diffusione sulle piante ammalate.
Queste due constatazioni, ormai acquisite alla scienza, pongono i nomi del
Briosi e del Farneti iu prima linea tra gli studiosi della malattia di che trattasi,
epperò mi parve cosa utile far conoscere tutto quanto Essi hanno scritto e si pre-
paravano a pubblicare con tanto corredo di tavole.
Non ho tentato di completare io quello che ho trovato incompleto, sia per
deferente rispetto verso l'opera di Chi mi ha insegnato, sia perchè mi sarebbero
mancate la competenza e l'autorità per giudicare anche l'opera d'altri ed entrare
come giudice nelle polemiche che si sono svolte nelle precedenti note preliminari.
Mi limitai pertanto ad ordinare quello che trovai un po' sparso, mettendovi il meno
possibile di mio. Piccola fu la fatica pei primi capitoli che erano già copiati e
pronti per la stampa: per l'ultimo mi valsi di una pubblicazione già fatta dal Far-
neti e di note da lui predisposte. La spiegazione dettagliata delle tavole era stata
preparata dallo stesso Farneti.
Devo avvertire che gli ultimi manoscritti risalgono ai primi mesi del 1917,
si che non è a meravigliarsi se non si trovano in essi cenni intorno alle più
recenti osservazioni del Petri e di altri.
Hai Laborntorlo Crittogamico di Paria — marzo 1921.
Dott. Luigi Montemartini.
Ancora sulla Moria dei castafftii [Mal delV inchiostro) ^ in risposta al signor Dott. !.. Petri :
ibidem, 1913.
// « Mal dell'inchiostro » nelle t/iorani pianticelle dei castagneti e dei semenzai : in « Atti
Ist. Bot. di Pavia », voi. xv, 1915.
Va pure ricordata (e viene più avanti riportata integralmente in questa pubblicazione) la se-
guente nota del solo Farneti :
Norme pratiche per combattere la «Malattia dell'inchiostro > nei castagni : in - Rivista di
Patologia Vegetale», voi. vi, Pavia, 1913.
E finalmente va tenuta presente la seguente che ligura in collaliorazii>ne icm Munti'inarlini i>
bissone, ma per la quale il Farneti fece da relatore:
La resistensa del castagno giapponese alla « Malattia dell'inchiostro » .• ricostituzione dei
castagneti distrutti dalla moria: relazione al Ministero di Agricoltura; in «Rivista di Patologia
Vegetale ». t9l2.
INTRODUZIONE.
Gli Autori che si sono occupati della Moria dei castagni si possono
raggruppare come segue:
a) quelli che hanno accettato la teoria dell'esaurimento del suolo
emessa prima dal Gibelli e poscia abbracciata dall'Henry ;
b) quelli che hanno pensato al parassitismo del micelio delle
micorize o come fenomeno primario (De Seynes, Gibelli, Ducomet, ecc.),
0 come fenomeno provocato da mancanza di humus (Gibelli, Delacroix)
0 da condizioni sfavorevoli di terreno (Pestana);
r) quelli che attribuirono il male alla disti'uzione delle micorize
per opera del Mi/celopkagus (Mangin), o di altri fanghi parassiti, quali
Sphaeropsis (Ducomet);
d) quelli che ritennero come causa del male dei bacteri (Pestana);
e) quelli che diedero importanza ad agenti atmosferici o clima-
terici (Criè ed altri).
Tutti ritennero che quale si fosse la causa della malattia, essa
agisse sulle radici e che in queste se ne dovessero cercare le prime
manifestazioni.
Nei capitoli che seguono sono esaminati separatamente i diversi
fattori chimici, fisici o biologici che nel suolo possono esercitare un'azione
sopra le radici e si dimostra che da essi non può dipendere la Malattia
dell' inchiostro.
Gli ultimi capitoli sono destinati alle nostre osservazioni originali
sopra la sintomatologia, la patogenesi e la cura.
1. — Agaricus melleus e Rizomorfe.
Planchon nel 1876 studiò la Moria dei castagni nel Gard presso
Anduze, e pubblicò due anni più tardi una memoria ' nella quale
cerca di dimostrare che la Malattia dell' inchiostro {Maladie de l'Encre),
come egli per il primo la chiamò, era dovuta ad " un mycelium ou blanc
'de chnmpignon, qui prend des forines imriées, mais qui se retrouve toujours
semblnble à lui-mi''ine sur diverses portions du sijstème souterrain et plus
tard du tronc de la piante „.
' Planchon, La Maladie des cliàtaìgiiient dans les Cévennes, in « Compt.
reud. d, s. d. l'Ac. d. So. d. Paris», 1878; e: La Maladie des rhàtatgnierx, in
« Revue des eavix et forèts », Paris, 1878, T. xvii.
— 4 —
Questo micelio, secondo Planchon, si osserva anclie alla superficie
(ielle radici sotto forma di piccoli cordoni biancastri più o meno rami-
ficati con tendenza a prendere la disposizione a ventaglio obliquo, ed
è simile a quello che fa morire i gelsi, 1 meli, ecc. Evidentemente,
dice, è un agarico del gruppo àe\VArmillai-ia e probabilmente d'un tipo
vicino liW Agaricus melleus, quantunque non corrisponda con esattezza
alla descrizione datane dall'Hartig.
Più tardi, dopo avere constatato il polimorfismo del micelio del-
VAgaricus melleus e i rapporti specifici fra la Rhizomorphn fragilis
var. subterranea, il micelio flabelliforme o Rìiizomorpha fragilis var.
subcortiealis e il micelio descritto e figurato da Hartig come apparte-
nente aWAgaricus melleus, ed essere riescilo ad ottenere gli organi di
fruttificazione di questo micelio, non ebbe più dubbio che non si trat-
tasse A?i\Y Armillaria mellea.
Anzi tanto si convinse che la causa determinante del Male del-
l'inchiostro fosse l'azione parassitaria di questo micelio, che non esitò
di proporre che si denominasse tale malattia Male del fungo, o della
Rizoctonia bianca^.
Il dott. Selva, che per il primo studiò la malattia nel Biellese,
vide qualche volta dei rivestimenti di miceli sulle radici dei castagni
morti ^, onde il Gibelli, fino dalle sue prime ricerche si propose di
studiare se la causa del male fosse qualche rizomorfa come " era lecito
presumere e quasi sperare „ dopo gli studi di Roberto Hartig, sul
marciume radicale.
In seguito per altro ad accurato esame delle radici di parecchi
alberi morti o languenti, afferma che a questi miceli non si poteva
attribuire la causa del marciume delle radici affette dal Male delVIn-
chiostro, perchè in molti casi (60 per cento) non se ne trovava traccia.
Tutt'al più il parassitismo di tali miceli, secondo lui, doveva conside-
rarsi un epifenomeno frequente, concomitante alla malattia, ma non il
vero fattore eziologico di essa.
Per maggior sicurezza, inviò in esame radici ad Hartig per averne
il parere. La risposta assai laconica era contraria al suo modo di ve-
dere, onde il Gibelli, scrupolosissimo, ritornò ad osservare, e non solo
in Piemonte, ma anche in Liguria e Toscana, invocando altresì la
' Planchon, La Maladie cles clìàlaignient iìa»s les Céveììyies, in « Bull. ti. 1. .
Soc. Boi. d. France». Paris, 1882.
" Selva Fk., Memoria per seri-ire alio studio della Malaff/a dei castagni.
Biella, 1872.
— 5 —
presenza e la testimonianza di altri botanici, ma fu condotto a dover
riconfermare le sue precedenti conclusioni '.
. Aggiunse anche altri argomenti non privi di valore eziologico, cioè:
che mentre le rizomorfe attaccano indistintamente arbusti ed alberi
di qualsiasi specie facendoli morire tutti nello stesso modo, perchè, egli
si domanda, attaccherebbero nel caso nostro " solo i castagni e non le
altre essenze arboree colle quali sono commisti? „ ^.
J. De Sej'nes ^ trovò pure il micelio descritto da Planchon nei
castagni infetti, ma molto di rado; di più lo studio micrografico non
gli permise di assodare alcun legame fra questo micelio e la morte
delle radici. Quantunque, egli dice, tale micelio si trovi applicato contro
le radici, non le penetra e sembra non avere maggiore attività del
micelio conosciuto sotto il nome di Hemantia che aderisce sotto le
foglie morte. Questo autore trovò anche un micelio filamentoso che
forma un intreccio superficiale ed un intreccio profondo, che distrug-
gono i tessuti della radice, ma non potè constatare se questi filamenti
si riuniscano per formare delle rizomorfe, quantunque lo ritenga pos-
sibile.
Le osservazioni del Gibelli riguardo &\YAgaricus melleus ed ai
miceli che si osservano qualche volta sulle radici dei castagni, furono
pubblicate anteriormente alla piiraa memoria del Planchon, onde non
potevano essere ispirate a spirito polemico, quindi se il Planchon le
avesse tenute nel debito conto e fosse stato più sereno, forse non
avrebbe persistito nel suo errore; tanto più che anch'egli nelle radici
dei castagni malati non aveva sempre osservato il micelio rizomorfico
à%\V AgaricHs melleus.
Molti agricoltori e forestali della Fi'ancia, del Portogallo, della
Spagna e della Svizzera attribuirono e attribuiscono -AWAgaricus melleus
0 al comune marciume delle radici la causa del Male dell'inekiostro.
Così il Goizet, Chevalier, D'Arbois de Jubainville, Petit, A. Jeanieau;
ma essi non portano fatti od osservazioni cliniche che infirmino le
ragioni del Gibelli, od appoggino quelle del Planchon.
Invece Delacroix, Mangin, Prunet, Criè e molti altri, affermano
che VAgariais melleus e le. rizomorfe non hanno alcun rapporto col
Male dell' indiiostro.
' Gibelli G., Di una nuui-a Malattia dei castagni, in « Staz. Sper. Agrarie,
1876 ; e Intorno ad una nuova Malattia dei castagni, in « Eiv. Scienze Med. e
Naturali». Modena, 1877, anno iv (in collaborazione con G. Antonelli).
'' GiBBLU G. e Antonelli G., Sopra una nuova Malattia dei castagni, in
«Atti R. Ac. Se, Lett. ed Arti». Modena, 1877, T. xvii.
^ Db Seynbs J., Le parasite de la Maladie des chàtaigiiiers, in « Compt.
rend. d. s. d. l'Ac. d. Se. d. Paris », 1879.
— 6 —
Il Criè specialmente, che ha visitato le stesse località del Planchon
e molte altre, nelle quali la malattia era stata attribuita dagli agri-
coltori 0 dai forestali a questo imenomicete, riporta parecchie centinaia
di osservazioni cliniche e contribuisce a risolvere definitivamente tale
questione.
Egli dopo aver visitato il Morbihan, la Loir, il Finistère, le Ce-
venne, i Pirenei, la Spagna, il Portogallo, il Vallese, la Savoia, ecc.
esclude in modo assoluto che la malattia sia dovuta a.\V Agaricus melleus,
nonostante che qualche volta ne abbia osservato anche le fruttificazioni
sopra i castagni malati. Dal fatto, dice egli, che in alcune radici di
qualche castagno malato o morente vivono le ife e gli stromi dell'J-
garicus melleus o della Rizoctonia, non ne deriva che si debbano incri-
minare questi funghi.
Le nostre i)ersonali osservazioni confermano pienamente quelle
del Gibelli e del Criè. Anzi noi, contraiiamente a quanto afferma il
Barsali, nei castagneti non abbiamo trovato che molto di rado V Agaricus
melleus, mentre vi abbiamo trovato invece frequentemente sulle ceppe
dei castagni (affetti o no dal Male delf inchiostro) VHijpholoma fasci-
culare ed altri imenomiceti.
Non è raro il caso di vedere castagni morti o morenti per mar-
ciume ordinario, specialmente nei terreni impermeabili ed umidi e ciò
indipendentemente dal Male dell'inchiostro, ed in località dove questa
malattia non era ancora comparsa.
La sintomatologia esterna dei castagni morenti di marciume ordi-
nario non differisce da quella che presentano gli alberi affetti dal
Male dell'inchiostro quando sono arrivati al secondo stadio della ma-
lattia. Ma l'esame delle radici e la mancanza dei cancri caratteristici
nei rami, nel tronco o nella ceppa, può distinguere le due malattie, le
quali del resto possono trovarsi contemporaneamente sopra lo stesso
albero.
Conclusione. — h' Agaricus melleus e in generale gli imenomiceti,
le rizomorfe ed i miceli talloidi o bissoidi non sono la causa determi-
nante del Male dell'inchiostro.
2. — Micocecidi delle estremità radìcellari.
Sappiamo che tra i micelii fungini ed i bacteri fino ad ora trovati
sopra le estremità radicellari ve ne sono di quelli che provocano note-
voli ipertrofie, cioè micocecidi.
Vedremo in altro capitolo se queste neoformazioni favoriscono, o
no, la funzione assorbente della radice; qui occupiamoci di esse solo come
produzioni patologiche, analoghe ai micocecidi prodotti dalla Plasmodio-
phora Brassicce nelle radici delle Crucifere, agli elmintocecidi prodotti
da.\V Heterodern Schachtii e radicicola in diverse piante ed ai zoocecidi
prodotti nelle radicelle della vite dalla Phylloxera vastatrix, ecc.
Il Boudier, che fu il primo (nel 1876) ad osservare queste iper-
trofie nelle radici di varie Cupolifere, le attribuisce all'azione di paras-
siti radicicoli, ma non dà loro molta importanza patologica. Prillieux,
che osservò questi cecidi sopra le radicelle di pini malati, nel 1878',
sembra dar loro maggior importanza. P. E. Miiller, che osservò pure
nel 1878 - queste formazioni ipertrofiche nel faggio, vi attribuì (sette
anni prima del Frank) funzione simbiotica mutualistica, ma per altro
egli pure non accorda loro importanza patologica.
Planchon osservò questi cecidi pure nel 1878, ma non vi diede
importanza ^
Nel 1879 furono tali produzioni osservate dal De Seynes, il quale
le considerò come causa unica determinante del Male dell' inchiostro del
castagno.
Il Gibelli, che non conosceva il lavoro di De Seynes, ne parla per
la prima volta in una pubblicazione del 1879, apparsa per altro dopo
quella del De Seynes *, ma riferentesi a studi fatti antecedentemente,
cioè nel 1877-78. Non vi dà importanza e ne parla unicamente " /jer
non ammettere nulla di quanto ho osservato e ci possa dare gualche luce
sulla causa vera della malattia „, nonostante le avesse osservate nei ca-
stagneti malati.
Planchon nella pubblicazione del gennaio 1882, pure ammettendo
che queste ipertrofie possano attribuirsi all'azione parassitaria di un
micelio, non crede per altro siano la causa diretta od indiretta della
morte dei castagni, poiché le ha osservate altresì sopra un castagno
perfettamente sano e lontano da tutti i focolai della malattia.
Gibelli, che ormai si credeva concorde col De Seynes e che igno-
rava che queste ipertrofie fossero già state osservate dal Boudier, dal
' Prillieux T., Méinoire sur la iiialailie ronde des i>ìììs mar/t/iiie et silvestre:
ni. Solngne, in « Soc. d'Agric. ecc. d'Orleans », 1878, T. XX.
^ MiiLLEii P. E., FJiides sur l'humus des foréfs, 1878.
' Fece menzione di queste sue osservazioni solo nel gennaio del 1882 per
confutare De Seynes e cioè un anno prima dei Nuovi studi sidla Malattia del
rastaffuo del Gibelli.
' Gibelli G., La Malattia del castagno , osservazioni ed esperienze. Mo-
dena, 1879.
— 8 —
Prillieux, dal P. E. Miiller, dall'Hartig, dal M. Reess, dal Planchon sopra
conifere, querele, faggi, castagni sani e malati, nella memoria presentata
alia Accademia delle Scienze di Bologna nel dicembre 1882 ', abbandona
il riserbo tenuto nella pubblicazione del 1879 e confessa: " Da questo
apparato di forme parassitarie fungine, massime vegetative, foggiate a
reticoli più o meno fitti, che strozzano le spugnole e i ramuscoii minuti,
trovate recentemente per tutte le centinaia di piante morte ed amma-
late da me esaminate, io fui condotto molto naturalmente a supporre,
essere desse esclusivamente la causa diretta della malattia „.
Secondo noi, se era naturale supporre che queste ipertrofie fossero
un prodotto morboso locale, capace, per la loro localizzazione, di cagio-
nare ai castagni gravi disturbi funzionali ed anche la morte, come fanno
altri cecidi radicicoli, non era per altro giustificato di ritenerli come la
causa di una malattia che presenta i caratteri del male dell'inchiostro.
È vero che la Moria del castagno, giunta alla seconda fase, per il
modo di presentarsi e di allargarsi dei focolai infetti nei castagneti, per
la clorosi e l'intristimeuto delle foglie, dei frutti e giovani ramoscelli
ed anche per il decorso del male, presenta indubbie analogie con la
Fillossera della vite, talché, in parecchi luoglii fu indicata dagli agri-
coltori anche col nome di Fillossera del castagno; ma altresì è vero che
le alterazioni delle estremità radicellari, qualunque sia la loro natura,
non possono spiegare tutto il quadro clinico del Male dell'inchiostro.
Come si spieglierebbe infatti il marciume delle grosse radici a co-
minciare dalla loro inserzione nella ceppa, con andamento centrifugo,
cioè in senso inverso di quanto dovrebbe verificarsi, se il processo ne-
crotico s'iniziasse e diffondesse non dalla ceppa, ma dalle estremità ra-
dicellari?
Delacroix ^ sostiene che nel periodo iniziale della malattia, la lesione
ha sede soltanto nelle radicelle o nelle radici di piccolo diametro. " Plus
tard (dice egli) toitt le si/stème des racines est envahi, mais c'est le fait
d'un saprophytisme vulgaire, dont les agents soiit très variés. Daiis ìes ra-
cines dont le fonctionnement a cesse, oit ménte dans celles où la vie est lan-
giiissante, apparaissetit des bacteries, des myceìinms; les tisstis ne tardcnt
pas à subir une pourriture kumide, à la suite de laquelle les racines se
desagregent progressivement „.
' GiBELLi G., Nuoci studii sulla malaflia del Castayiio dei/a dell' imhioslro,
in «Atti Acc. d. Se. di Bologna», 1882.
' Delacroix G., La maladic des chàtaigniers en France, in « Bull, de la
Soc. Myc. de France », 1897, T. xiii.
Ciò non è punto conforme ai fatti. Quando il male comincia a ma-
nifestarsi nelle g-rosse radici, le radicelle assorbenti con le loro mico-
rize sono sanissime e sana è pure la rimanente parte della radice, e
ciò dimostrano altresì la reazione del tannino e dell'amido, che sono
i primi a scomparire dai tessuti malati. L'invasione dei saprofiti è un
epifenomeno frequente, ma non costante, che si verifica quando è comin-
ciato lo sfacelo generale.
Infatti non è infrequente il caso di vedere lo sfacelo già inoltrato
nella parte grossa della radice, mentre nella parte sottostante i tessuti
radicali non hanno ancora cominciato ad imbrunire, né è ancora comparsa
la vegetazione niicrofitica e saprofltica; ciò, che è proprio l'opposto di
quanto dovrebbe avvenire se fosse vero quello che afferma il Delacroix.
Abbiamo esaminate le radici di centinaia di castagni malati in tutti
gli stadi in piante vecchie e giovani, ed anche in castagnoli di pochi
mesi, ed abbiamo avuta sempre la conferma di tale fatto.
Delacroix dice anche: " On peni remargiter dans guelques cirronstances
sur les radicelles très jeunes, au moment, peut-élre, oà Venvahissement du
mycelium commence, la formation d'un liège cicatriciel extérieur, qui pamU
étre un fissii de protection et doni la conche generatrice est tout àfait externe „.
Questo fatto anatomico, che potrebbe avere un grande valore diagnostico
ed eziologico e venire in appoggio della tesi del Delacroix, non è asso-
lutamente vero, né per le radicelle malate, né per le sane; da nessuno
è stato osservato e non si comprende come il Delacroix sia caduto in
tale equivoco; basta confrontare le belle figure del Gibelli con quelle
del Delacroix.
Che le ipertrofie radicellari non siano per sé stesse la causa della
malattia, ormai è fuori dubbio.
Gibelli, nella pubblicazione sopra citata, dopo aver detto, in prin-
cipio, che fu indotto molto naturalmente a supporle la causa diretta ed
esclusiva della malattia, sulla fine della Memoria, avendo constatato che
si trovano sopra radicelle di castagui tanto sani che malati, ed altresì
in altre cupolifere, fu costretto ad escluderlo, pure ritenendo ancora che
esse, in determinate circostanze, potessero diventare causa del male; opi-
nione questa di poi condivisa da altri e che noi confuteremo nei pros-
simi capitoli.
Conclusione. — Le ipertrofie radicellari non sono né possono essere
per sé stesse causa del Male dell'inchiostro.
10
3. — Micelii delle estremità radicolari.
Quando si sradicano colla dovuta precauzione le piante morte in
modo che le estremità radicali colle loro spugnole rimangano intatte,
noi vediamo, dice il Gibelli, clie la forma loro è alterata: queste alte-
razioni si possono distinguere, secondo lui, in coralloidi, 'piriformi, digi-
tiformi, ecc., e si spiegano per opera di strozzature prodotte da fila-
menti miceliali.
Il Gibelli non le attribuisce, come avrebbe dovuto, a ipertrofie pro-
vocate dall'azione irritativa dello stesso micelio fungine, come aveva
dimostrato, prima di lui, il Boudier. Fa notare che queste deformazioni
radicali, che egli interpreta come produzioni patologiche, corrispondono
alle radicele oUviformi del De Seynes, e dice che sono sempre invase
da un micelio parassitario biancastro, bruniccio o piti o meno nero.
" Questo micelio parassitico assume diversi aspetti: talora è bianco,
quasi candido e nelle radicale coralloidi si scorge sotto forma di fili più
0 meno ramificati, intrecciati irregolarmente, più o meno attorcigliati in
cordicine, che passano da ramuscolo a ramuscolo, da grumo a grumo, li
ravvolgono insieme in una rete intreccialissima, in veli, in falde, in fiocchi:
poi si contorcono di nuovo in cordicine più o meno grosse, che si scostano
e si arrampicano lungo i ramoscelli più grossi e li collegano fra loro „.
Fa notare peraltro " che molte volte i micelii a barba bianca, ab-
bondanti, diffusi, che olezzano di fungo anche a distanza, non paiono avere
tutta quella esizialità che si attenderebbe „.
Indi soggiunge " che è difficile decidere se esso abbia un nesso ge-
netico colle altre forme, che sono intimamente adese coi tessuti delle spu-
gnole e delle minime ramificazioni radicali. Questo micelio bianco si trova
ordinariamente sui grumi radicali delle piante ancor vive „.
" Le altre forme di micelio, aggiunge di poi, che credo essenzialmente
inerenti alla malattia, incappucciano le estremità radicolari sia coralloidi,
sia piriformi come un guanto bene attilato sul dito formandovi uno stra-
terello di uno spessore, proporzionalmente al diametro della radicala, ab-
bastanza notevole,,.
" Dalla superficie interna del guanto miceliale partono dei fili minu-
tissimi, che compenelrano nelle cellule della spessore della spugnola „.
E l)iìi oltre: "Sulle radici morte da parecchio tempo si può rilevare
che il panno miceliale, tanta feltrato che pseudoparenchimatoso, s'avanza
più 0 meno in su delle spugnole abbracciando ramuscali di due o tre mil-
limetri di diametro, d'onde si possano staccare falde abbastanza larghe „ .
- 11 —
Avverte di poi die " sulle radici più grosse di tre o quattro milli-
metri di diametro, il micelio penetra nei tessuti della corteccia al disotto
dei primi straterelli snberosi, o anche tramezzo ad essi „.
E più oltre: " Quando poi la proliferazione di questo micelio oltre-
passan.ìo gli strati del libro, invade la zona cambiale, si fa dissecatore
e distacca la corteccia secondaria tutta insieme col libro dal legno, trasfor-
mandola in mi astuccio tubuloso intorno al corpo legnoso, interponendovisi
a guisa di feltro irregolare, come fanno di solito le rizomorfe subcorticali „.
Sembra auclie che il Gibelli voglia conciliare in parte le sue
osservazioni col modo di vedere di Planchon; ed altresì trovare un
legame fra i risultati delle sue nuove ricerche, le sue precedenti affer-
mazioni e quelle di De Seynes. Infatti scrive: " Qualche volta molli
articoli del micelio penetrano negli strati suberosi, si fanno brevissimi,
sub-rotondi, ingrossano un pochino più dei precedenti e dei susseguenti, si
fanno più cupi di colore e perdono ogni trasparenza; si adunano in file
di tre, quattro, sei, per poi riacquistare la forma e il colore dei soliti
articoli, ai quali si interpongono, insomma acquistano il carattere di conidii,
e più precisamente dei conidii di una Torula, che certamente è quella
stessa indicata dal De Se!/nes coli' appellativo di Torula exitiosa, come egli
stesso me ne ha assicurato „.
" Più spesso invece il micelio, sempre nello spessore degli strati suberosi,
s'agglomera in reticoli fitti, formando delle macchie a contorni irregolaris-
simi, intramezzale da aree piìi chiare come fiiiestrine interposte. Le intri-
catissime ramificazioni di queste macchie progredendo, si addensano in
pulvicoli amorfi, talora come i prodromi o gli incunabuli delia forma di
fruttificazione più elevata, i picnidii, da me trovata nel 1878 e già indicati
sotto il nome di Sphaeropsis o Diplodia ' „.
" Da questo apparato di forme parassitarie fungine, massime vegetative,
foggiale a reticoli più o meno fitti, che strozzano le spugnole e i ramuscoli
minuti, trovate recentemente su tutte le centinaia di piante morte od am-
malate da me esaminate, io fui condotto molto a supporre, essere desse
esclusivamente la causa diretta della malattia „.
Più avanti peraltro fa altre osservazioni e constatazioni che sono
pure preziose per l'eziologia della malattia.
" In tutto questo insieme di reticoli, di cuffie, di panni, di periteci
picnidici ed ascofori, di coronane di Torula c'è quanto basta e ad esu-
beranza da soddisfare le esigenze dei più guardinghi parassitologi fitopa-
tologi. E anch'io avrei potuto acquetarmivi; tanto più che mi sentivo con-
' Diplodia custaneae Sacc. var. radicicola Sacc. in « Michelia », viii, pag. 537.
— 12 —
fortato dall'opinione dell'eminente micologo, il De Seynes, che nei suoi scritti
pubblicati e nella corrispondenza privata con me non esitava minima-
mente ad attribuire la Moria dei castagni al complesso di questi parassiti
fungini „.
Ma quale non fu la meraviglia del Gibelli quando trovò che le
pianticelle provenienti da semi sanissimi coltivate in vaso nell'Orto
Botanico di Modena, presentavano le stesse ra dicelle coralloidi e piri-
formi invase dagli stessi micelii?
Si procurò radici di castagno di località sanissime e vi trovò le
identiche cose. Allora si diede ad esaminare radici provenienti dalle
regioni castanicole di tutta Italia, dal Napoletano all'estremo Piemonte,
e sempre ebbe lo stesso identico risultato.
Nuove ricerche sopra castagni coltivati in miscela di quarzo e
terra, in miscela di quarzo e caolino ed in quarzo puro gli diedero
risultati non diversi.
Allora estese le sue ricerche ad altre specie della famiglia delle
cupolifere ed in tutte rinvenne gli stessi fatti. E se queste osserva-
zioni egli avesse allargate alle specie di altre famiglie non avrebbe
in parecchie rinvenuto cose diverse, giacciiè questo che egli trovava
non era un prodotto patologico, ma un fenomeno simbiotico naturale
come dimostrò più tardi il Frank che questi prodotti denominò micorize,
dandole per frutto di osservazioni sue originali, mentre la scoperta
loro spettava al Gibelli, che mai non cita, od al Boudier.
Di fronte a questi nuovi fatti, Gibelli fa le seguenti considerazioni:
" La malattia non è evidentemente eausata, malgrado le prime apparenze,
da depauperazione di materiali nutritizi del terreno, uè da mutate con-
dizioni climateriche. Essa dunque non può essere d'altra natura fuorché
parassitaria „. E siccome secondo lui " nessun altro parassita può acca-
gionarsene, fuorché il micelio che attornia le spugnole, ne impedisce l'ac-
crescimento, le trasforma in grumi coralloidi, piriformi, ecc. „ per spie-
gare 0 meglio forzare i fatti, secondo il suo modo di vedere, ricorre ad
una ingegnosa ipotesi.
Tutto questo, dice, « mostra ad evidenza, che il parassitismo fun-
gine non è per nulla accidentale, né dipendente da condizione di clima
0 di terreni speciali, ma collegato a certe condizioni biologiche „. E
,più oltre aggiunge: "È un fatto che il parassita ha un indigenato per
così dire necessaria sulle radici di molte cupulifere „ ed emette il dubbio
" che certe forme parassitarie potessero avere un indigenato tollerato e
tollerabile sulle radici del castagno sano, senza suo sensibile detri-
mento „.
Ed escogitò allora l'ipotesi, che più o meno modificata è stata poscia
— 13 --
abbracciata anche da altri ', che i miceli micorizici diventino parassiti
coll'indebolirsi della pianta o coll'esaurirsi del terreno.
Boudier fu il primo ad osservare - le formazioni ipertrofiche delle
radicene, quelle alle quali il Gibelli diede poscia il nome di radici co-
ralloidi e pirifùì-mi e il De Se}'nes di radici oliviformi.
Queste ipertrofie il Boudier le trovò sopra le betule, le querele ed
i castagni e dimostrò che erano dovute all'azione dei micelii di diverse
specie di tuberacee, cioè al probabile parassitismo di qualche specie di
Elaphomi/ces: E. variegatus, E. as^penihts, E. echinntus, E. Leveillei, E. cija-
nosporus e E. granulatns.
Secondo il Boudier, le ipertrofie radicellari sono dovute ad un'a-
zione speciale di questi miceli sopra le radici.
" Se si esaminano, infatti, queste radici (dice egli) con attenzione,
si vede che esse sono turgescenti, irregolari e ramificate in modo anor-
male „ " sono numerose, pressate e intricate le une nelle altre „.
Boudier osserva ancora, che se si mette sotto al microscopio una
sezione sottile di radicella si vede che la superficie esterna è ricoperta
di filamenti miceliali delicatissimi settati e di un colore giallastro.
" D'un aiitre coté si Von examine le terreaii qui environne le reseau
en question, oh le trotive peti riche en ces filaments „. Secondo il Boudier
il micelio degli Elaphomyces che si trova sopra queste radicelle è pro-
babilmente parassita, poiché le modifica, e le sforza a svilupparsi in
modo anormale.
Fa notare per altro con acuta osservazione che, quantunque questo
micelio invada la superficie delle radicelle, esso non le penetra, poiché
il primo strato di cellule solamente sembra attaccato, ma la radice nel-
l'interno rimane sana: " aussi ne détrnit-il pas la vHaìité de la racine, au
contraire il l'active en délerminant taffliience des sucs nourriciers „. Così il
Boudier intravede il mutualismo simbiotico.
Parla anche delle radicelle fascicolate, che trentaquattro anni più
tardi furono nuovamente descritte e figurate dal Ducomet come cosa
nuova.
Il Boudier nota ancora che alla formazione delle cuffie radicellari
concorrono diverse specie di micelii e che non tutti hanno lo stesso
comportamento.
Il micelio (]e\V Elaphomyces Leveillei non esercita, dice egli, alcuna
azione modificatrice sulle radici con le quali viene a contatto; le cir-
' Delachoi.x, Mangin, Ca.mara Pbstana, Ducomet, Salvi, Barsali.
^ Boudier M., Du parasitisma probable de qiieìques esp(''ces dti geiire Ela-
phomyces, in « Bull. d. 1. Soc. Bot. d. Fraiice », 187(5, T. xxili.
— 14 —
conda senza deformarle e senza provocare in esse le caratteristiche iper-
trofie.
Notò anche assai spesso in radicelle avviluppate dal micelio ieWE-
laphomijces, altri filamenti miceliali più scuri, più ligidi e di un aspetto
più fragile,- che egli ritiene si debbano riferire al Genococcum geophilum,
comune nelle località da lui visitate. Questi filamenti, secondo Boudier,
sono ben distinti da quelli dell' E. Leveillei, poiché questi ultimi sono meno
rigidi, più pallidi e d'ordinario coperti di granulazioni verdastre.
Non si deve per altro concludere, secondo Boudier, che questo fungo,
cioè V Elaphomyces Leveillei, non sia egualmente parassita, perchè il mi-
celio suo può perfettamente svilupparsi sopra le radicelle e distruggerle,
poscia vegetare da solo.
De Seynes, come ricorda anche Gibelli, aveva parimenti notato le
radici bitorzolute e varicose, ad estremità oliviformi, ed il micelio fitto,
reticolato, che risale verso i tessuti sani e penetra nel tessuto corticale;
distinguendo, come vedremo, due sorta di micelii con diversa azione pa-
rassitaria e patogena.
Malgrado però gli sforzi fatti dal Gibelli per combinare le proprie
idee con quelle di Planchon, quest'ultimo respinge tale modo di vedere;
infatti Planchon dice: "Le ramificazioni coralloidi delle fibrille del ca-
pillizio sono frequentissime nei castagni. Fino dal 1878, il mio collega
Armando Sabatier, professore alla Facoltà di Scienze di Montpellier, me
le aveva fatte notare presso Lassalle, nello stesso luogo dove ho osser-
vato sopra le grosse e mezzane radici degli alberi malati, i micelii rizo-
morfici che io pensai e penso ancora essere la causa più chiara della
malattia. Che queste ipertrofie siano dovute all'azione parassitaria d'un
micelio filamentoso, è cosa possibile; ma che siano queste gli agenti
diretti della morte degli alberi, io posso tanto meno crederlo che ho
visto questi stessi rigonfiamenti coralloidi (circondati alle volte d'un in-
treccio di fili miceliali raniiiìcati) in un castagno perfettamente sano,
coltivato lontano da tutti i focolai della malattia „.
R. Hartig non è per altro dello stesso parere; e ritiene che le mi-
corize possono produrre la moite dei tessuti quando i filamenti miceliali
invadono gli strati più interni della corteccia.
I rapporti che passano fra certi micelii fungini e le radici di alcune
piante sono della massima importanza biologica, onde .sono stati studiati
da una eletta schiera di studiosi, i quali per altro non si trovano in
tutto completamente d'accordo.
Per rispetto alla malattia del castagno, dopo le ricerche del Gibelli,
Planchon, De Seynes, Hartig, Frank, Ducomet ed altri, la questione, se-
condo noi, deve essere posta nei seguenti termini:
^ 15 —
' a) Fra i micelii delle cufiBe o micorize ve ne possono essere di
quelli che si comportano come veri parassiti? e in tal caso possono essi
produrre la morte dei castagni con tutta la fenomenologia che presenta
il quadro clinico del Male dell'inchiostro?
b) Le ipertrofie micoriziche possono per sé stesse nuocere alia
vita delle piante e nel caso concreto produrre la Moria dei castagni'^
e) I micelii delle micorize possono avere, come dubitava Gibelli,
un " indigenato tollerato e tollerabile xnlle radici del castagno „ per un certo
tempo e fintanto che altre circostanze non intervengano a determinare
" una nnona forma di concorrenza citale tra la pianta del castagno ed il
suo tenebroso ospite? „
d) Il mutualismo simbiotico fra i micelii e le radici del castagno
si è reso per adattamento, ereditario e indispensabile alla vita di que-
st'albero? e ciò fino al punto da cagionare il deperimento e la morte
dell'albero quando il micelio simbionte manca o viene distrutto per una
qualunque causa?
Esamineremo e risponderemo qui solo alla prima questione; essendo
le altre legate intimamente alla natura e alla biologia delle micorize che
studieremo a parte nel prossimo capitolo,
Gibelli non dice se nelle cufiìe miceliali entrino specie diverse di
funghi. Egli li attribuisce tutti alla Tortila exiiiosa, forma conidica della
sua Diplodia.
Nota solo differenze di colore, attribuendo al micelio bianco un com-
portamento parassitario più debole che all'altro (scuro), perchè quello
cresce anche sopra radici sane. Sembra per altro che voglia attribuire
le differenze a diverso stato di sviluppo o di età.
De Seynes invece distingue due specie di micelii, l'uno bruno nero
a pareti grosse e ad articoli lunghi, l'altro più pallido con articoli più
brevi.
La descrizione che i due autori danno della forma ed il colore che
indicano non è sufficiente per identificare i micelii di De Seynes e quelli
di Gibelli, malgrado che ambedue siano concordi nell'attribuirli ad una
stessa entità fungina: la Tonda exitiosa.
Bisogna notare che secondo De Seynes il micelio pallido penetra
di preferenza nei tessuti, distruggendo gli strati ricchi di protoplasma,
lascia intatte le fibre del libro e del legno; mentre l'altro si mantiene
superficiale.
Ciò che è perfettamente il contrario di quanto avrebbe osservato
Gibelli.
Secondo Ducomet la malattia avrebbe origine sotterranea; infatti,
egli dice, se si osserva il male al suo inizio " on voit qtt'il a san siège
— 16 —
dans les jeunes racines, dans les régions correspondantes ou leiir voisinage
plus ou moins immédiat „ *.
Parecchie specie dì micelii, secondo lui, possono produrre le mico-
rize, ma non tutti esercitano la stessa azione sulle radici e non tutti
le penetrano ad eguale profondità (ciò che avevano già notato anche Bou-
dier, Gibelli ed altri), onde la forma delle micorize varierebbe secondo
il micelio che le ha provocate, e così pure varieiebbero i rapporti fra i
due simbionti. Ciò può verificarsi, secondo Ducoraet, non solo in ambienti
diversi, ma anche nello stesso ambiente.
Ducomet distingue nel castagno diversi tipi di micorize per il co-
lore e per la forma.
Le micorize gialle le ha trovate solamente nei castagneti malati; ma
questo, secondo noi, non prova punto che esse siano la causa della ma-
lattia, tanto più che egli le ha osservate anche sopra le Sughere.
Le micorize brune ritiene che si debbano ad un micelio parassita
piuttosto che micorizico, giacché non forma micorize che accidentalmente.
Non le ha trovate che in rami radicellari od in porzioni loro che spesso
si trovano ridotte a semplici mammelloni appena sporgenti sopra le ra-
dicene assorbenti. Il manicotto miceliale, dice Ducomet, iia uno spessore
variabile, è irregolarmente formato e ricopre delle cellule appena defor-
mate quantunque a contenuto bruno. Egli dice di aver trovato questo
tipo distribuito in modo irregolare ed esclusivamente alla periferia delle
aree malate. Questo ci sembra troppo poco per accagionarlo della Moria
dei casiagnil
Altro caso di parassitismo trova nelle micorize che egli chiama aiirw-
n untisi.
I criteri del resto sui quali il Ducomet si basa per giudicare il
parassitismo delle micorize sono esclusivamente anatomici. Noi ritorne-
remo sopra questo argomento in altro capitolo; ora seguiamo le argo-
mentazioni del Ducomet solo in quanto gli servono a dimostrare il pa-
rassitismo dei .singoli micelii.
Le micorize del castagno sono del tipo exotrofico. È vero, dice egli,
che la maggior parte del micelio si sviluppa esternamente, ma esso s'in-
cunea anche parzialmente nei tessuti corticali periferici.
Nelle radici sane il micelio è sempre intercellulare, produce il cli-
vaggio delle membrane senza penetrarle. Quando si verifica la penetra-
zione entro le cellule ed ha luogo la vita endotrofica, ci sembra, dice
Ducomet, che essa si debba considerare di natura parassitaria.
' Ducomet V., Coiifr/biifimi ù /'t-lmlo lìc l<i maìdille lìii chàtaignier. Ren-
nes, 1930.
— 17 —
Nelle luicoiize del castagno si distingue nna penetrazione endogena
ed una penetrazione esogena.
La penetrazione esogena si osserva sopra micorize apparentemente
normali. In esse si possono vedere dei filamenti profondamente immersi
nei tessuti, filamenti che sembrano in relazione col manicotto micorizico.
Il micelio parassita appartiene al tipo abòrunantesi, ma non è, dice egli,
di calibro costante, e sembra appartenere a due specie distinte.
" Dans certains cas il nous apparaU camme rertain que le mycelium
devenu parasite appartieni au tijpe à poils ramifiés „ '.
La regione invasa dal parassita si distingue presto per la tinta
bruna, più o meno sfumata che assume.
I peli micelialì, secondo Ducomet, che presenterebbero due forme,
l'una di setole rigide, acuminate, l'altra di peli ramificati, si sviluppe-
rebbero più abbondantemente in questa regione, anzi di frequente non
se ne ti overebbe che in essa ed il resto della micoriza ne sembra sfornito.
Questo micelio tricomatoso è, dice egli, bruno con filamenti tenui,
ma nodosi e di diametro molto irregolare. A questo micelio bruno tri-
comatoso apparterrebbero dei picnidi di 200 jtt di diametro con spore cu-
biche, brune, del diametro da 8 a 10 ,«, a membrana ispessita, provviste
di un poro a ciascun angolo -.
La penetrazione di questo micelio sembra limitata al parenchima
corticale, all'esterno dell'endoderma; ma, dice Ducomet, se ne trova
anche nel cilindro centrale, di preferenza nel legno, tanto nei vasi,
che nelle fibre e nel parenchima.
' Notiamo ohe questi ptli miceliali ramificati rassomigliano, come sono stati
descritti e figurati, sempre staccati, dal Ducomet, a quelli di alcune piante supe-
riori, specie castagno e querele. Noi non li abbiamo mai visti, né mai furono os-
servati da alcuno degli autori che hanno studiato la malattia del castagno e si
che J)er la loro forma singolarissima (un micelio tricomatoso !) non potevano sfug-
gire alla osservazione, tanto più se erano frequenti in modo da essere causa della
malattia.
' Notiamo che le spore di questo micete, per la forma, il colore e le dimen-
sioni, corrispondono perfettamente a quelle del Chaetoceratostoma ìiispidum Tur-
coni e Mafiei (Atti Ist. Bot., xv), che è una Ceratosi orna tacea a peritecio irto di
.setole rigide, rette, acuminate, trovata saprofita ed assolutamente superficiale
sulle foglie morte di castagno in Liguria.
Se nell'esaminare micorize si trovano delle setole rigide e delle spoi-e cubiche,
come quelle figurate e descritte dal Ducomet, si dovrà essere cauti nel riferirle
a micorize spinose, perchè tali setole rigide e tali spore cubiche potrebbero appar-
tenere a periteci del Chaetoceratostoma hispidum mescolati al terriccio e prove-
nienti da detriti di foglie di castagno (confronta le figure 21, 22 e 35 B della
pubblicazione del Ducomet).
Alti delllsl. Hot. ielVUniiersilà di Paria ~ Serie II - Voi. XVIII. 2
— IS-
TI micelio profondo è i)iù grosso, ma il suo parassitismo sembra più
debole, e non pare possa arrivare all'endoderma.
Nella maggior parte dei casi, dice il Ducomet, non vi ha penetra-
zione miceliale al di là della regione stromatizzata e malgiado ciò i
rami micorizici muoiono presto !
Il Ducomet non si occupa soltanto del parassitismo dei micelii
che prendono parte alla formazione delle micorize, ma anche di quello
dei micelii e d'altri microrganismi che vivono sulle estremità radicellari,
raggruppandoli come segue:
a) parassiti delle estremità assorbenti;
b) parassiti delle radici porta-micorize;
e) parassiti delle radici adulte;
d) organismi avventizi diversi.
Seguiamo l'Autore.
a) Parassiti delle estremità assorbenti.
Nelle radicelle normali assorbenti, dice il Ducomet, si vede il
parenchima corticale invaso da un micelio di grosso calibro Inter- ed
intra-cellulare. Sotto l'influenza di questo micelio le cellule corticali
perdono rapidamente la loro turgescenza e niuoioiio senza reazione
apparente. Ha osservato peraltro tale micelio " tnolto raramente „ ; non
può affermare se si tratta dell'inizio della formazione della micoriza o
di un' infezione parassitaria iniziale.
Può darsi, dice egli, che sia un micelio normalmente micorizico,
il quale non diverrebbe realmente parassita che in certe condizioni.
Ma confessa che questa questione resta nel dominio delle ipotesi.
è) Parassiti delle radici porta-micorize.
Le porta-micorize, allo stato giovane, secondo Ducomet, possono
essere attaccate dal micelio di quattro diversi parassiti.
Il primo è un grosso micelio molto simile a quello più sopra de-
scritto, ma che penetra anche nel cilindro centrale. Esso si vede pure
negli elementi del legno, vasi e fibre, ma è più frequente nella cor-
teccia.
La struttura degli elementi cellulari e la costituzione stessa del
sughero che produce la morte della corteccia primaria sembrano essere
la causa di questa localizzazione.
Il secondo micelio è più gracile ed irregolare, ha filamenti più o
meno varicosi; si riscontra spesso nella stessa regione delle porta-
— 19 —
niicorize, solo od associato al precedente. Vive nell'interno degli ele-
menti legnosi, ed anche nella corteccia, ove si trova tanto entro le
cellule quanto nei meati intercellulari. Sembra al Ducomet che questo
si debba riferire ad uno dei due micelii gracili delle micorize. Co-
munque, sarebbe meno dannoso del micelio a grosso calibro. Resta
spesso, dice Ducomet, localizzato nella corteccia, per cui venendo
questa sfogliata per l'azione dello sfrato snherosofellodermico, risulta
poco dannoso.
Il terzo micelio è estremamente tenue, sembra noduloso per ab-
bondanza di materie di riserva, e potrebbe essere, dice Ducomet, in
certi casi, un prolungamento assorbente di uno dei tipi precedenti ai
quali è sovente associato; specie al micelio di grosso calibro.
Esso è quasi esclusivamente intracellulare ed ha anche diversa
composizione chimica perchè il grosso micelio si colora col bleu cotone
ed il tenue no.
Questo terzo micelio si allontana poco dalla corteccia, benché non
sia raro trovarlo, dice Ducomet, negli elementi del cilindro centiale.
Verrebbe introdotto nelle cellule per mezzo del grosso micelio o vi
penetrerebbe per l'apertura formata da quest'ultimo.
Il quarto micelio è decisamente bruno ed il Ducomet lo ha di già
segnalato nella regione delle micorize; esso mostrerebbe una grande
tendenza ad estendersi in senso tangenziale, ma non penetrerebbe che
assai raramente fino nel cilindro centrale. Rispetto alla malattia del
castagno peraltro, questo, secondo Ducomet, è poco importante, od almeno
la sua importanza è molto minore di quella degli altri tre.
e) Parassiti delle radici adulte.
Nelle radicene adulte, quando le loro ramificazioni assorbenti o
micoriziche sono state distrutte in seguito a parassitismo o, meglio,
per il fenomeno di soppressione naturale del quale si tiene troppo poco
conto quando si studia la patologia generale delV apparecchio radicale, il
Ducomet trova due micelii parassiti.
Il primo è un micelio ocraceo parassita del legno. L'ha trovato
più volte in radici di due a tre millimetri di diametro, localizzato in
aree necrosate per la morte d'un ramo radicale; e si irradia nei tes-
suti attigui apparentemente sani.
Il suo parassitismo non gli sembra dubbio, ma lo ritiene acciden-
tale, di poca importanza e senza interesse.
Il secondo è un micelio rizomorfico di maggior importanza del
precedente, ma sempre relativamente piccola. Esso forma rizomorfe
— 20 —
intercorticali, visibili anche ad oecliio nudo per il loro colore cliiaro,
interposte tra lo sughero normale e lo sughero di reazione immediata-
mente sottoposto, le cui cellule hanno un colore molto scuro.
Da queste rizomorfe partono dei rami miceliali clie arrivano ai
tessuti sottostanti, penetrandovi attraverso lo sughero di reazione di
invulnerabilità molto limitata.
d) Organismi avventizi diversi.
Vi sono altresì microrganismi, funghi e bacteri, che, secondo Du-
comet, possono produrre il Male dell' inchiostro.
Fra questi parassiti avventizi il Ducomet annovera sette diverse
specie di funghi, dei quali peraltro due soli dotati d'azione attiva e
diretta.
Dei bacteri l'Autore non dà il numero e attribuisce loro una re-
sponsabilità collettiva !...
Il primo micelio avventizio è uno dei piìi curiosi, clie entra, dice
egli, nella categoria delle false micorize del Mangin. E bruuo e forma
all'estremità dei rami micorizici delle calotte pseudoparenchimatose,
irte di setole, molto più lunghe e meno rigide di quelle delle micorize
spiìiose. Queste calotte, dice Ducomet, si distaccano spontaneamente per
pressione del mantello micorizico, ma possono anche contrarre delle
aderenze col rametto micorizico per mezzo di rami miceliali: aderenze
che, secondo lui, si possono considerare come parassite.
Il secondo è un micelio bruno, forse, dice, non differente dal
precedente, ma die può essere anche identico al micelio bruno che
entra nella costituzione di certe micorize; esso può penetrare con
dei rami entro le pareti verticali. Ducomet fa notare anche che le
micoiize che presentano simili lilamenti sono sempre micorize morte
0 morenti con tessuto corticale imbrunito e si domanda: " y-a-t-il là
une cause oii une conséqitence de V intercaìation des filamenls hrunes, ou
s'agiti/ d'ime simple coincidence? r.- Peraltro, soggiunge, è permesso
supporre che la sua presenza non possa a meno di produrre qualche
perturbamento nell'insieme della formazione micorizica.
Ai bacteri il Ducomet attribuisce un'importanza particolare. Questi
bacteri sono costituiti da bastoncini ad estremità arrotondate, diritti
0 leggermente curvi, in generale di tre ,« di lunghezza e talvolta sino
a sette e più ed allora si fanno flessuosi e passano alla forma di
spirilli. Li ha osseivati nelle micorize dei rami assorbenti ed anche
nelle radici porta-micorize. Se ne possono trovare in tutto lo spessore
delle radici, dalla corteccia al cilindro centrale. Trovansi nell'interno
delle cellule ad anche nei meati intercellulari.
— 21 —
III seguito all'eccitazione parassitaria si forma al posto del legno
uu tessuto pareuchiniatoso.
La penetrazione dei bacteri avverrebbe quasi sempre per mezzo
di altri microrganismi. Gli strati esterni della corteccia sono spesso
invasi da bacteri, ma unicamente in seguito alla morte dello strato
pilifero, la cui disorganizzazione permette una facile penetrazione.
" Le cellule senza micelio sono interamente sprovviste di bacteri, le cellule
con micelii ne sono abbondautemeute provviste „. Del modo di penetrazione
di questi bacteri non sa dare una spiegazione precisa, e dichiara:
" Nous entrons là dans le domaine des hypothèses et il est toujours prudent
de ne pas s^y aventurer „.
In via d'ipotesi il Ducomet conclude che il male sia prodotto:
1) dalla cattiva costituzione delle micorize (vedi pag. 16), il cui
micelio brnno od abbrunantesi e spinoso gli sembra sempre parassita;
2) dal passaggio al parassitismo di uno o più micelii che di
regola non lo sono ed entrano nella costituzione normale delle micorize;
3) dall'introduzione tra il micelio delle micorize di false mico-
rize costituite da un pseudo-parenchima tricogeno;
4) dal parassitismo nell'estremità radicellare, almeno di cinque
specie di micelii, dei quali due gracilissimi sembrano essere introdotti
nei tessuti da uno degli altri tre;
6) dal parassitismo di un bacterio che ritiene introdotto da
uno dei micelii precedenti o da un micelio micorizico.
Ed aggiunge (si direbbe per svalutare le sue stesse ipotesi):
1) che il micelio bruno interessante alle volte le micorize nor-
mali non può essere diverso da quello trovato nei tessuti e da quello
che forma le stesse micorize;
2) che questo micelio bruno gli è sembrato sempre poco ab-
bondante;
3) che le micorize spinose, che egli ritiene nocive, sono sempre
poco diffuse;
4) che lo stesso si può dire delle false micorize;
5) che all' infuori delle micorize, i micelii ialini ritenuti come
parassiti (i due micelii gracili a parte) non sono forse che micelii che
entrano nella costituzione delle micorize;
6) che dei micelii gracili, il più tenue, che egli ritiene appar-
tenere ad una Chi/tridiacea, gli sembra il più importante.
E riassume le sue conclusioni affermando che la malattia del
castagno sarebbe prodotta essenzialmente:
a) dal passaggio alla vita parassitaria del micelio micorizico;
— 22 —
è) dal parassitismo di una Chytridiacea filamentosa introdottasi
per mezzo del micelio micorizico divenuto parassita, benciiè viva airinfuori
delle micorize propriamente dette;
e) dal parassitismo dei bacteri nella regione micorizica o non
micorizica, introdotti sia direttamente dal micelio micorizico o normale o di-
venuto parassita, sia dal micelio delle Chytridiacee.
Non è possibile confutare le affermazioni del Dueomet, riguardo al
parassitismo dei singoli micelii e dei singoli microrganismi, da lui men-
zionati, perchè li presenta per così dire come esseri anonimi. I carat-
teri che assegna loro sono così scarsi e così generici che potrebbero
applicarsi alla maggior parte dei microfiti che vivono n%\Xhumus o nelle
radici vive o morte di tutte le piante. Non solo egli non ha tentato di
dimostrare sperimentalmente il parassitismo di tali miceti e di questi
bacteri; ma non li ha nemmeno coltivati, per conoscerne i caratteri col-
turali e biologici e per averne o gli organi riproduttori od almeno tal
copia di caratteri vegetativi da rendere possibile la loro identificazione.
Di conseguenza non possiamo confutare le singole affermazioni del Du-
eomet, ma solo contrapporvi osservazioni d'ordine generale.
Glie vi siano rapporti tra i micelii umici ed ipogei e le estremità
radicolari del castagno, è un fatto innegabile.
E fuoii dubbio anche che tali rapporti non sono gli stessi per tutte
le specie fungine. Alcuni micelii non cercano nella radice che un punto
d'appoggio; altri cercano nelle cellule periferiche e nei rametti delle
radicelle che muoiono e si disgregano (per processo di eliminazione e
rinnovazione naturale) il loro alimento; altri infine si uniscono alle ra-
dici con vincoli simbiotici, che la maggior parte degli autori ritengono
mutualistici. Non è il luogo di discutere sulla natura di questa simbiosi
e dei limiti del mutualismo che alcuni ritengono facoltativo per il mi-
celio fungino ed invece indispensabile per le radici del castagno.
Parleremo di ciò in altro capitolo; a noi qui basta constatare il
fatto che i castagni nonostante le micorize possono vivere e prosperare,
senza dar segni di sofferenze, in tutte le regioni castanicole del mondo.
E evidente, invece, che il micelio fungino trae vantaggio dalle radici del
castagno, nelle quali penetra, vi contrae aderenze e vi determina la for-
mazione di ipertrofie aventi i caratteri patognomonici dei micocecidi.
Il contatto del micelio con le cellule della radicella ospite viene
assicurato mediante la penetrazione per entro le pareti cellulari radiali.
Il micelio micorizico non differisce, secondo noi, dai parassiti ipertrofiti
— 23 —
che per il fatto clie i suoi filamenti vivono per la maggior parte della
loro lunghezza liberi all'esterno, neWhumus, quasi saprofiti. Essi scom-
pongono le sostanze organiche ed agiscono da niti ificatori e nello stesso
tempo funzionano da organi assorbenti in sostituzione dei peli radicali,
fornendo alla pianta ospite l'azoto da loro stesso trasformato e reso as-
similabile ed i sali minerali.
In cambio ritraggono questi raicelii dalla pianta che li ospita gli
idrati di carbonio che essa elabora.
Questi rapporti mutualistici possono variare fino a diventare anta-
gonistici come nel parassitismo vero; il che, secondo Gibelli, Delacroix,
Pestana, si verificherebbe appunto nel castagno affetto dal Male del-
l'inchiostro.
L'alterazione dei rapporti biologici fra i due simbionti avverrebbe
per deficienza o per mancanza di htmus nel terreno, o per sfavorevoli
condizioni alla nitrificazione nel terreno stesso. Nei casi di parassitismo
segnalati dal Ducomet, tali cause sarebbero assolutamente da escludersi,
come del resto le esclude lo stesso Ducomet; giacché, se ciò fosse, esse
dovrebbero agire non solamente sopra alcuni micelii micorizici, ma sopra
tutti i micelii di un'intera pianta o almeno di una delle sue radici; mentre
invece il Ducomet afferma che il parassitismo di tali miceli si trova anche
limitato ad alcuni rametti ed altresì a piccole porzioni di questi.
Se la causa prima della trasformazione del mutualismo in parassi-
tismo fosse la deficienza di alimento, perchè questi micelii simbionti ca-
paci di trarre dalle cellule vive senza ucciderle le sostanze idrocarbo-
nate non potrebbero ritraine anche le sostanze azotate? Perchè si do-
vrebbero trasformare da parassiti ipertrofizzanti, semplici stimolatori del
plasma, in ctenofiti, cioè in agenti tossici, i quali non stimolano, ma uc-
cidono il plasma?
Inoltre, come si spiegherebbe che questi micelii del Ducomet a com-
portamento decisamente ctenofitico penetrano e si spingono, quando di-
vengono parassiti per mancanza di alimento, anche fuori del parenchima
ipertrofizzato, cioè in altre parti delle radicelle formate di tessuti meno
ricchi di sostanze nutritive?
Noi riteniamo che il Ducomet non sia nel vero e sia invece molto
più probabile che i micelii che penetrano nella corteccia senza irritarne
il protoplasma, che non formano il reticolo raicorizico entro le pareti
cellulari radiali e penetrano conservando la forma filamentosa, non siano
micelii micorizici. Ci sembra anche poco probabile che questi micelii del
Ducomet siano nella maggior parte dei casi dei parassiti facoltativi o dei
parassiti delle ferite ; pensiamo che siano invece dei semplici saprofiti.
Invero le micorize, non va dimenticato, trovansi nei rami radicel-
— 24 —
lari assorbenti, onde sono organi temporanei, cioè con accrescimento e
durata limitata. In piena vitalità sono bianchiccie o bianche, come fa
notare lo stesso Ducomet, ma di mano in mano che la loro vitalità s'af-
fievolisce, diventano sempre più scure ed anneriscono del tutto quando
sono morte.
Lo stesso Ducomet fa notare, che la morte e la caducità delle mi-
corize e dei ramuscoli radicellari è un fenomeno di soppressione natu-
rale ', del quale si tiene, dice, troppo poco conto quando si studia la
patologia generale dell'apparecchio radicale.
Il Ducomet per altro tien poco conto di questa sua raccomandazione,
poiché di questi miceli che egli chiama parassiti, ne sono prive le mi-
corize sane, che hanno un colore bianco pallido, e li trova solo nelle
micorize abbrunantesi e brune, colorazioni che sono proprie, secondo lo
stesso Ducomet, delle micorize morte o morenti.
Secondo noi anche questi casi citati dal Ducomet non debbonsi at-
tribuire a parassitismo, ma a semplice saprofitismo. Il Ducomet riconosce
invero che nelle micorize più vecchie, il primo sviluppo del fungo è pu-
ramente saprofiUco, poiché i suoi filamenti miceliali cominciano a pene-
trare negli elementi morti della cufiBa, ma aggiunge, " que btentót les cel-
lules sous-jaeentes bien vivantes ne tardent pas à Mre inléressées à leuv tour
dans leurs cloisons radiales. Celle deuxième phase doit écidemment étre con-
sidèree comme parasitaire „.
Ciò non è sufficiente, a parer nostro, per dire che si tratta di pa-
rassitismo, poiché sono micorize vecchie, nelle quali la vita comincia già
ad estinguersi.
Anche nei casi nei ([uali il reticolo miceliale delle micorize penetra
tra le pareti cellulari radiali di più strati di cellule ed invade anche le
pareti tangenziali profonde, cosi da formare talvolta una vera stroma-
tizzazione intercellulare, il Ducomet vede un caso di parassitismo. Ma
per quale ragione? Non viene di tale maniera ostacolata od impedita la
funzione osmotica tra le cellule della radicella e quelle del fungo, né fa-
vorita l'azione assorbente di quest'ultimo a danno della radice, cosi da
alterare i rapporti mutualistici fra i due simbionti.
Fra i micelii extramicorizici che il Ducomet considera quali paras-
siti può esservene qualcuno che sia da considerarsi come parassita delle
ferite: ad esempio il micelio ocracro localizzato alle aree necrosate per la
molte 0 pel distacco di qualche ramuscoto, cosi pure il grosso micelio delle
' Fenomeno che aveva notato anche il Malpigli! per le ipertroQe radicellari
dell'olmo e di altri alberi.
— 25 —
radicene assorbi-uli e forse qualche altro, ma questi, come confessa lo
stesso Ducomet, son sempre poco abbondanti e poco difusi.
Ora è cosa seria l'incolparli d'essere essi la causa della malattia dei
castagni? Anche i bacteri menzionati dal Ducomet non possono essere
parassiti veri, ma tutt'al più parassiti delle ferite, se pure non sono sa-
profiti banali. Comunque del resto la loro azione è tanto localizzata, che
non potrebbe recare alcun nocumento alla pianta.
Anche il micelio tenuissimo, che al Ducomet sembra appartenere
ad una Cliitridiacea e che secondo lui è introdotto nelle cellule dal grosso
micelio delle estremità radicellari assorbenti, non può essere perciò con-
siderato che come un parassita delle ferite.
Dobbiamo per altro notare che esso ha molta rassomiglianza col
micelio fibrillare del Coryneum da noi trovato tanto nei rami che nei
tronchi-ed anche nelle radici dei castagni malati (tav. X, fig. 6, 12,
16, 18). Se sia esso per altro identico al nostro noi non possiamo affer-
marlo, perchè il Ducomet non lo descrive in modo sufficiente, né dice
se sia unicellulare o settato.
Come vedremo in altro capitolo, questo micelio (che noi abbiamo
ottenuto, anche in coltura pura, dai conidii del nostro Coryneum) non
è altro che una ramificazione di un micelio più gros.so, che pure rasso-
miglia (tav. X, fig. 1, 2, 3) a quello che, secondo Ducomet, aprirebbe
la via per la penetrazione della sua Chitridiacea.
Nulla per altro anche qui si può affermare con sicurezza intorno
all'identità del micelio del Ducomet col nostro del Coryneum, perchè il
Ducomet non dice di avere esaminata la radice in tutta la sua lunghezza
fino alla inserzione ed avervi trovato sempre lo stesso micelio.
Solo nel caso che la radice fosse malata in tutta la sua lunghezza
si spiegherebbe come il nostro micelio si potesse trovare nelle estremità
radicolari.
È un fatto bene accertato, che fu constatato anche dal Gibelli e da
altri botanici e riconosciuto pure dal Prunet, che il marciume nella ra-
dice degli alberi malati comincia dalla ceppa e va degradando ed atte-
nuandosi col procedere verso le estremità radicali, cosi che le parti in-
feriori delle radici possono essere tuttora sanissime mentre si trova di
già affetta da marciume tutta la parte superiore verso la ceppa.
Ora se tali sono i fatti, come si può andare a cercare l'inizio del
Male deW inchiostro nelle estremità radicellari • ?
' Pruneti, che pure riconosce l'andamento centrifugo della malattia, ritiene
cosa strana che essa si inizi con la necrosi delle giovani radici, per causa ignota,
ma in tale opinione vi è un controsenso nella interpretazione dei fatti da lui
stesso ammessi.
— 26 —
Qualunque possa essere il rapporto individuale di qualciie micelio
niicorizico con la radice assorbente, qualunque sia la natura dei paras-
siti che possonsi riscontrare nell'estremità radicellari, non si potrà per
certo incolpare questi microrganismi, anche se fossero patogeni, di pro-
durre la morte e lo sfacelo della parte superiore della radice, dal mo-
mento che nel tratto intermedio non si trova traccia di necrosi, onde
la continuità è interrotta.
Le tossine dei ctenofiti, invero, uccidono il plasma di parecchi strati
di cellule anche a qualche distanza, ma la diffusione della necrosi, anche
se rapidissima, avviene sempre per contiguità, perchè la penetrazione
delle tossine nei tessuti vivi ha luogo per osmosi attraverso le pareti
cellulari.
Conclusione. - I micelii ed i bacteri trovati dal Ducomet e da altri
nelle estremità radicellari, anche se fossero parassiti, non si possono rite-
nere come causa del Male dell'inchiostro dei castagni.
4. — Parassitismo dei micelii micorizici,
determinato da indebolimento della pianta.
Al Gibelli venne il dubbio, in seguito a numerose osservazioni fatte
sopra castagni tanto sani che malati ed a colture sperimentali, che certe
forme parassitarie " potessero avere un indigenato tollerato e tollerabile
sulle radici del castagno sano, senza suo sensibile detrimento „.
" Fintanto che le piante soggetto sono in buona condizione di vege-
tazione, dice egli, la moltiplicazione successiva del capillizio radicale non
dà tempo né modo al micelio di prendere uno sviluppo minaccioso, o di
invaderlo al punto da impedirgli qualunque funzione. Se avvenga invece,
che per qualunque ragione d'indebolimento la vegetazione della pianta
illanguidisca, allora quella del micelio diventa tanto piii rigogliosa e in-
veste tutta la nuova radicola „.
" La pianta può tener duro contro questo devastatore degli organi
d'assorbimento per due, tre anni o poco più. Ma poi, poco nutrita per
difetto d'organi assorbenti, la pianta svolge uno scarso fogliame durante
l'estate, cui come conseguenza inevitabile tien dietro una più scarsa assi-
milazione di materiali amilacei e di riserva, dei quali si raccoglie una
quanti !à sempre più deficiente nei serbatoi naturali durante la stagione
estiva. E intanto le radicele novelle si producono in numero più esiguo,
e anche queste poche sono più facilmente strozzate dal micelio. In questo
modo si entra in un circolo vizioso, che finisce colla morte della pianta „.
" Come è evidente, si avrebbe qui una nuova forma di concorrenza
— 97 —
vitale tra la pianta del castagno e il suo tenebroso ospite „. E più oltre
soggiunge: " Ora se si ammette che una pianta colle radici già invase
da un abbondante micelio, pronto a soffocare le novelle che si attentano
a spuntare, si trovi per qualunque ragione in istato di debilitazione, dessa
potrà benissimo all'incoarsi di uua stagione vegetativa col poco materiale
amiloproteico, raggranellato nell'anno precedente, svolgere una prima
chioma fogliacea. Ma frattanto il nemico implacabile non dà tregua alle
radici teuerelie; l'evoluzione del capillizio radicale è interamente inter-
cettata, e la pianta, esaurita la poca provvigione nutritizia collo svol-
gimento delle prime frondi, non può procedere alla seconda fase vege-
tativa, durante la quale deve anche produrre fiori, e necessariamente
inaridisce e muore „.
In sostanza, la causa determinante della Moria del castagno sarebbe,
secondo Gibelli, Vindebolimento della pianta qualunque sia la ragione che
lo determina.
Di conseguenza i micelii fungini delle estremità radicellari altro
non sarebbero che una concausa necessaria a produrre la malattia.
È in fondo l'ipotesi alla quale ricorrono non pochi fitopatologi, per
spiegare in molti casi la causa del parassitismo in generale, facendo ap-
punto risalire all'indebolimento della pianta attaccata la responsabilità
di un gran numero di malattie. Non di rado si abusa di quest'ipotesi per
spiegare le malattie che non si conoscono, o per comodità di polemica,
essendo argomento facile e comodo. È per cosi dire, non di rado, un
surrogato moderno delle influenze lunari e marine d'altri tempi.
Nel caso della Moria del castagno, dimostreremo l'infondatezza del-
l'ipotesi del Gibelli, piìi o meno velatamente vagheggiata anche da altri,
dei quali non mette conto di occuparsi, perchè non apportano alcun
contributo di fatti nuovi.
Il Gibelli, del resto, emette que.sta sua opinione senza nemmeno
preoccuparsi se essa si trovi in contraddizione con la realtà di fatti da
lui stesso accertati e la giustifica solo per esclusione di tutte le altre
ipotesi da lui prima emesse e poscia scartate.
Ora se le radici del castagno che si trovano in " istato di debilita-
zione per gualsi'isi causa „ determinassero il parassitismo dei micelii mi-
corizici, sarebbe facile provocare artificialmente la malattia, ma né Gi-
belli, né altri, con. tale mezzo vi è riescito.
La vecchiaia, la decrepitezza sono causa di debilitazione, ma non
sono la causa determinante del Male dell'inchiostro, giacché, come fa riiie-
tutamente notare lo stesso Gibelli, questa malattia attacca indifferente-
mente i castagni di qualunque età, non risparmiando i più vigorosi.
Anche Mangin, come vedremo, riconosce che non bisogna confondere la
decrepitezza col Male dell'inchiostro.
— 28 —
La deficienza di materiali alibili nel terreno è causa indubbia di
debolezza per tutte le piante, ma tanto Gibelli, quanto la maggior parte
degli autori, escludono che questa deficienza possa essere la causa del
Male delVincliiostro. Il castagno deperisce nei terreni calcari, né prospera
nei terreni argillosi, ma la malattia non asseconda ed accompagna i de-
perimenti dovuti alla varia natura del terreno.
Cause di debilitazione per le piante ve ne sono in tutti i casta-
gneti, in ogni regione ed a tutte le altezze ; ora come si spiegherebbe
che le micorize che si trovano in tutti i castagni diventino micidiali
solo in alcune località e generalmente solo sotto i 600 metri d'altezza
sul mare, quantunque al di sopra di questa quota siano più frequenti e
più gravi le cause di depauperamento dei terreni e di debilitazione delle
piante?
Come si spiegherebbe il modo di procedere e diffondersi della ma-
lattia nei castagneti a guisa di macchia d'olio? Quale potrebbe essere
la causa di debilitazione che progredisce, s'allarga e procede in tale
maniera?
Se la malattia fosse dovuta a povertà del terreno, perchè essa non
incomincia nell'alto delle pendici e non scende diminuendo verso il fondo
della valle per ivi arrestarsi coU'aumentata fertilità del terreno? Perchè
avviene invece l'opposto, cioè il male si manifesta generalmente in basso
e si propaga diminuendo verso l'alto?
Nella montagna non è raro il trovare castagni selvatici nati e stroz-
zantisi con poca terra in anguste spaccature di roccia, dove sembrerebbe
impossibile che un albero potesse vivere; essi vi crescono invero sten-
tatamente, sotto forma di poveri sterpi, che si spogliano delle foglie a
metà dell'estate per deficienza d'acqua e di alimento, ma non vengono
per questo attaccati dal Male, delt inchiostro.
È noto che le Tuberacee forniscono un contributo notevole alla for-
mazione delle micorize; ora come va che la produzione dei tartufi è stret-
tamente legata alia prosperità delle piante tartufifere e che col languire
di queste diminuisce la produzione di quelli? Dovrebbe avvenire il con-
trario se le micorize, col languire delle piante, prendessero il soprav-
vento.
Invece tutto ciò che può servire a stimolare, a rendere più vigo-
rosa la vegetazione dell'albero, serve a rendere più produttiva la tar-
tufaia, come ciò clie contribuisce ad indebolire la vegetazione dell'al-
bero ne diminuisce la sua produttività.
Parecchie esperienze fece il Gibelli per riprodurre artificialmente
il Male dell'inchiostro, coltivando pianticelle in terreni artificiali, poveri
0 privi di elementi indispensabili alla vita del castagno, ma non vi riesci.
— 29 —
Coltivò castagnoli nati da seme, in terra grassa di giardino, in terra di
castagneti, iu sabbia pura, in polvere di quarzo e caolino ed in quarzo
puro. In tutte queste colture si svilupparono normalmente le micorize,
ma in nessuna pianta esse divennero parassite; e si che le cause di
debilitazione [ler la composizione chimica e fisica del terreno erano state
spinte ad un limite tale, quale non si verifica in natura.
Del resto il Gibelli stesso in altro luogo più tardi dichiara clie " la
malattia non è evidentemente causata, malgrado le prime apparenze, da de-
paiiperaziove di materiali nutritizi del terreno, né da mutate condizioni cli-
materiche „. Ed afferma che " il parassitismo f angina non è per nulla acci-
dentale,nè dipendente da condizioni di clima o di terreni speciali „, quantunque
lo supponga collegato a certe condizioni biologiche; supposizione che
esamineremo nel prossimo capitolo.
Non si capisce quindi perchè il Gibelli negli ultimi suoi studi abbia
supposto che la causa determinante della Moria dei castagni sia dovuta
alla debilitazione delle piante per qualsiasi causa, mentre aveva scartato
tutte le ragioni chimiche e fisiche di debilitazione e non abbia tentato
di rinvenirla in speciali condizioni di biologia, come fecero i suoi seguaci
Delacroix e Pestana.
Più tardi esamineremo anche quest'ultima opinione di Delacroix e
Pestana e dimostreremo come essa non abbia parimenti alcuna base spe-
rimentale, e si trovi in contraddizione con fatti universalmente rico-
nosciuti ed ammessi. Qui intendiamo occuparci solo dell'ipotesi del Gi-
belli e degli argomenti ai quali egli crede poterla appoggiare.
Gibelli dice che per scarsa assimilazione si raccoglie nelle piante
ammalantisi una quantità sempre più deficiente di materiali amilacei
nei serbatoi naturali. Se ciò fosse, si avrebbe una prova evidente del-
l'indebolimento generale della pianta per denutrizione; ma questo è smen-
tito completamente dai fatti.
Esaminando infatti qualunque parte d'una pianta malata (ramoscelli,
rami, tronco, radici) in qualunque stadio della malattia, si trova che
l'amido ed il tannino vanno scomparendo col progredire del male, cosi
che non se ne trova più traccia nelle parti del tessuto necrosate, mentre
i tessuti circostanti, ove la cancrena non è arrivata, hanno le cellule
rigurgitanti d'amido e di tannino. Ciò dimostra all'evidenza che la ma-
lattia non è generale o costituzionale dell'albero, ma locale; e che è limi-
tata ad alcuni organi, i quali a seconda dell'importanza della loro fun-
zione determinano l'intristimento o la morte dell'albero.
E questo è conforme alla sintomatologia ed al quadro clinico del
Male dell'inchiostro.
Gibelli dice, che il castagno ammalato " esaurita la poca provvigione
— 30 —
nutritizia collo svolgimento delle prime frondi, non può procedere alla
seconda fase vegetativa e naturalmente inaridisce e muore „ ; ma i ca-
stagni che durante l'estate muoiono di apparente forma apoplettica, non
muoiono d'esaurimento, per avere consumato tutti i materiali di riserva,
ma per squilibrio fra l'assorbimento dell'acqua e la traspirazione e clo-
rovaporizzazione della pianta. Esaminando i vari organi dei castagni
che muoiono di forma apoplettica durante l'estate, si trova che in essi,
quando non sono colpiti direttamente dalla necrosi, non mancano i ma-
teriali di riserva.
Conclusione. — Le osservazioni sul procedimento del male nei ca-
stagneti infetti, e l'esame tanto esterno che anatomico delle diverse
parti degli alberi malati, come altresì le colture sperimentali, escludono
che la causa determinante del Male dell'inchiostro sia dovuta a debolezza
della pianta.
5. Fungili che vivono nel terreno provocando la " Morùi „ nelle
piante o che contraggono rapporti colle radici del castagno.
Moltissimi sono i funghi i cui micelii vivono nel terreno, special-
mente nell'humus, e non pochi fra questi sono quelli che possono con-
correre alla formazione delle micorize.
P. E. Miiller calcola che in un centimetro cubo di terriccio si
trovino tanti filamenti miceliali che, uniti insieme, arriverebbero a non
meno di tre chilometri di lunghezza.
Sarauw ritiene con Gibelli, de Seynes, Lecompte ', Rostrup, che
i micelii delle micorize appai tengano alle Sphaeriaceae, che avrebbero
ordinariamente per forme conidiche dei Cladosporium e degli Helmin-
thosporium.
Alfredo Moller - ha fatto delle colture con piccole porzioni di
micorize di diverse conifere e di quercia, ed è riescilo ad ottenere le
fruttificazioni del Mucor keterogamus Vull. e di altre tre specie di Mucor
e (li un altro genere di Mucorinee che egli ha chiamato Zi/gorfu/nciis.
A noi sembra peraltro difficile assicurarsi della purezza di tali
colture, quindi i risultati di esse hanno bisogno di conferma e di con-
trollo sperimentale.
' Lecompte H., Note sur le m.ycorhiza, in «Bull. d. 1. Soc. Bot. d. France »,
1887, T. XXIV.
^ Moller A., Untersucìiungen ilber ein und zweijiìtiriije Kiefern in iiiirkischeii
Sandhoden. in « Ztsclir. f. Forst. ii. Jagdwesen », 1903, Bd. xxxv.
— si-
li maggior numero dei micelii die concorrono alla formazione
delle niicorize è stalo riferito a Tuheracee (Vittadini ', Tuiasne -, l>on-
dier^, Mailer, Kamdenski, Grosglik, Reess, Frank*, Mattirolo, Dan-
geard) e a Basidiomiceti (AVoronin, Frank, Noak ^, Cavara, Crié).
Sarauw dice che è molto dubbio che i Tartufi, gli Agaricini, i
Llcoperdacei, gli Imenogastrei, ecc. entrino nella formazione delle
micorize. Non nega che vi siano delle niicorize in comunicazione me-
diante micelii con Basidiomiceti e Tubeiacee; ma dice che questi
micelii non appartengono a tali fungili, ma ne sono dei parassiti ; vivono
sopra questi funghi ipogei come vivrebbero sopra le radici e le foglie
cadute o morte.
I micelii e le rizomorfe che involgono i tartufi e li legano alle
radici degli alberi, sono stati studiati da Tuiasne ^ De Ferry de la
Bellone ', Grimblot ^ Coudamy ^ Chatin '", Hesse ", Shelesnow^-, Matti-
rolo, Dangeard '■'' ed altri.
Mattirolo ha riferito micelii micorizici al Tuber excavatum Vitt.,
Dangeard ha confermato l'opinione di Mattirolo, sostenendo che le ri-
zomorfe appartengono realmente ai tartufi: le incolori sono in uno
stato più avanzato.
De Ferry e Grimblot sostengono invece che il micelio bianco che
riveste il tartufo è estraneo a questo. Della stessa opinione sono Hesse
e Bucholz.
' Vittadini C, Moiographia Lycoperdiiieorum, in « Mem. E. Ac. d. Se. di
Torino », Ser. ii, T. v, 1843.
* TULASNE L. &. e e, Observations sur le geitre Elapbomyces, in « Ann. d.
Se. Nat., Bot. », Ser. li, T. xvi, 1841.
' BouDiER M.. Dii parasifisme probable de qtiekjìies esjjèces (ìit genre^la-Tpho-
myce>i. in «Bull. Soc. Bot. d. Frauce », 1876, T. xxiil.
* Frank B., Untersuchungen il. die ErnUhrung der Pflanze, ecc., in « Nalnrw.
Wochonbl. .., 1888.
^ NOAK Fr., Ueber ìiiykorìiizenbildende Filze, in • Bot. Ztg. >, 1889.
" TuLASXE Cb.. Fuìigi liypogaei. Paris, 186'2.
' De Ferry de la Bellone, La truffe. Paris. 1888.
* Grimblot, La truffe francaise, in « Rev. d. eanx et des forèts », 1887,
T. XXVI.
" CouDAMV A.. Elude sur l'histoire iiaturelle de la truffe. Angoulème, 187tì.
'" Chatin A., Iai truffe : Elude des conditions yénérales de la productiou
frufph'e, Paris, 1869; e Sur les ai-bres et arbustes triiffìers, in «Bull. d. 1. Soc.
Bot. d. Frauce», 1869, T. xvi.
" Hesse R., Zur Entwickelungsgeschichte der Tuberaceen und Elapliomyceieu.
in "Bot. Centralbl. ., 1889, Bd. xxxviii e Bd. xl.
'- Von Shblesnow, Ueber das Vorkommen der toeisseu Truffel in der Uvi-
geìning con Moskou, in « Bull. d. 1. Soc. Imp. d. Natur. in Moscou », 1869, T. xlii.
" Dangeard P. A., I.a truffe, in «Le Botaniste », 4 Ser., 1894.
— 32 —
Sarauw, clie ha esaminato il materiale inviatogli dal Mattirolo,
sostiene, contro Mattirolo e Dangeard, che il micelio che forma le mi-
corize penetra bensì nella cavità del Ttiber excavalum, ma che non vi
è relazione intima tra i filamenti miceliali delle micorize e il tessuto
solido del tartufo. Il micelio, dice egli, vi penetra come penetrerebbe
in qualunque altra cavità umida.
Sarauw afferma di avere fatto delle analoghe osservazioni per le
micorize del faggio e il Ehizopogon luteolus Fr., ed Hesse su quelle
delle querele e dei faggi e il Leucogaster floccosus.
Anche Ascherson ' avrebbe notato alla base dei Rhizopogon, degli
Hymenogaster e dei Leucogaster simili ciuffi di filamenti miceliali che
formano rizomorfe.
Sarauw ha osservato parimenti ciuffi di micelio sopra Tuber aestivum
e Tuher mesentericum che non contraggono però legami con le micorize
di faggio sviluppantisi nello stesso terriccio. Dice anche di aver os-
servato ife del Lycoperdon Bocista che avviluppavano le micorize del
faggio, ma la loro guaina miceliale era formata da un altro fungo.
Secondo Boudier, Rees ^, Ball ^, Ludwig * ed altri, il micelio degli
Elaphomyces sarebbe parassita delle radÌL-i degli alberi. Ma Sarauw
non crede a questo parassitismo, peraltro ammette che la Celtidia,
scoperta da Janse ', sia parassita delle radicelle del Celtis, ma ritiene
che le ife intracellulari delle micorize di questa pianta non apparten-
gano a questo fungo.
Non crede nemmeno al parassitismo daìV Hijmenogaster Cerebellum
del Cavara, mettendo in dubbio che le " ife comunicanti „ appartengano
•à\V Hymenogaster, perchè dice che simili filamenti si trovano in tutte
le terre di brughiera, come afferma di avere egli altra volta osservato
e figurato; la sua figura peraltro non dimostra nulla, anzi con essa si
può escludere che si tratti delle stesse ife figurate dal Cavara, tanto
per la forma che per le unioni fibulaii ciie mancano in quelle del
Sarauw.
' AscHKii.so.N' P., Uehcr ilas Yorkoiiiìiieii voii iSpeisetniffeln ini nonlisclten
l)eitlsc/ìta7ìd, in « Sitzb. bot. Ver. Prov. Brandenb. :>, 1880.
- Rees M. e Flscu C, Untersuc/mugen iiber Bau und Leijensgeschichte der
Il/rschtriiff'e!, Elaphomyces, in « Bibliotheca Botanica». Kassel, 1887, vii.
' Bail Th., in ref'erat del lavoro di As(;her.-ion , in «Bot. Centralbl. ». 1881.
Bd. V.
■* Ludwig F., Einiye intere><sante Pilzfunde, in « Verh. d. bot. Ver. d. Prov.
Brandenburg », 1880.
' Jan.se J. M., Les endophytes radicaux de quelques plantes javanaises, in
«Ann. d. Jard. bot. d. Buitenzorg », 1897, voi. xiv.
— sa-
li Sarauw dice anche die sopra gli E/aphomi/ces vive spesso pa-
rassita la Tarrubia ophiglossoides Tul., la quale intreccia le proprie ife
con quelle dell'ospite e con quelle delle micorize degli alberi, le quali
ultime peraltro sono formate da altri funghi'. Egli non crede assolu-
tamente al parassitismo delle Tuberacee; ed esclude in generale che
i funghi simbiotici delle micorize possano nuocere sensibilmente alla
pianta ospite; né ammette come dimostrato che quest'ultima ritragga
un vantaggio qualunque dal fungo.
Senza entrare nel merito di tale questione, noi osserviamo che
non si può negare un rapporto biologico fra i tartufi e le piante tar-
tufifere, giacché la loro esistenza è dimostrata dalla pratica colturale
delle tartufaie artiiìciali. Da lungo tempo è dimostato che non è pos-
sibile la coltivazione dei tartufi senza la coltivazione delle piante
tartufifere e clie la produzione delle tartufaie è strettamente legata
alla coltura, al governo, alla vegetazione delle piante tartufifere, ed
alla loro specie e varietà. Quando l'albero deperisce, la tartufaia si
esaurisce e la produzione dei tartufi cessa.
I micelii che concorrerebbero alla formazione delle micorize del
castagno, secondo i diversi autori, apparterrebbero alle seguenti specie
fungine:
A) ASCOMICETI.
Tuberacee: Elaphomijces granulatus Fr.
„ papillatus Vitt.
„ variegatns Vitt.
„ hirtus Tul.
„ Leveillei Tul.
„ ecliinatus Vitt.
„ citrinus Vitt.
„ ci/anosporus Tul.
Cenococcum geophilum Fr.
Tuber melanosporum Vitt.
„ rufutn Pico
„ macrospofum Vitt.
' TuLASNE Ch., Selecta fangorum carpologica, 1866.
Atti delllst. Bot. dell' Unli'ersUA di Paria — Serie II - Voi. XVII I.
— 34 —
Balsamia vulgaris Vitt.
Genea hispidula Beik.
„ verrucosa Vitt.
„ vagans Matt.
Pac/typhlaeus Jigericus Tul.
DiscoMiCETi: Hydnocystis Beccavi Matt.
B) BASIDIOMICETI.
Imenogastree : Hysterangiuiiì Pompholyx Tul.
„ Fetri Matt.
„ siculutn Matt.
Hymenogasfer arenaiius Tul.
LicoPERDEE: Geaster fìmhriatus Fr.
ScLERODERMEi : Melatioguster ambiguus Fr.
Polysaccum crassipes DC.
„ Pisocar picum Fr.
Funghi imperfetti: Diplodia Castaneae Saci".
Tonda exifiosa De Seynes
Cladospormm sp.
Helminthosporiitm sp.
Tutti questi funghi peraltro sono stati trovati anclie dove non
esiste il Male deW inchiostro e in castagneti lontani da centri infetti.
E non solo essi trovausi sopra radici di castagno, ma, generalmente,
anche su radici di altre piante, le quali non ne risentono apparente-
mente alcun danno.
Le Tuberacee, va notato inoltre, sono strettamente legate alla
natura iìsica e chimica del terreno, mentre il Male deW inchiostro del
castagno ne è indipendente.
È noto, e da antico tempo, che dove si sviluppano i tartufi,
muoiono le piante erbacee e si formano chiazze spoglie di ogni vege-
tazione. Marsigli ' scriveva: "' Quod terra uhi tuberà crescnnt herbis et
graminibus piane sit destituta „.
La tartuficoltura ha confermato questo fatto, dimostrando che tra
i filari degli alberi tartutìferi non è possibile coltivare piante interca-
lari, tanto erbacee che arbustive, che nei primi anni ; perchè quando
Marsigli, De generatioue fungonim. fìoma, 1714.
— 35 —
il micelio ilei tartufi comincia ad espandersi, invadendo il terreno degli
iuterfilari, arresta lo sviluppo di qualsiasi pianta. Anche le viti degli
interfilari cessano di vegetare e produrre.
La moria delle viti si estende colla produttività delle tartufaie ;
ed in quindici o venti anni, a quanto affermasi, tutti i piedi dei vitigni
periscono in conseguenza dei micelii, come muoiono i gelsi, i mandoili,
gli ulivi, ecc.
Anche negli alberi tartufiferi, dopo una cinquantina d'anni, si
notano segni di deperimento accompagnati dal diminuire e cessare
della produzione della tartufaia.
Come si possono spiegare questi fenomeni ? Sono essi dovuti al-
l'azione parassitaria del micelio dei tartufi, o ad intossicazione od
esaurimento del terreno per opera del micelio stesso? Fino ad ora
non si è dato, né ancora può darsi risposta precisa a tale ■ domanda.
È certo peraltro che la moria di queste piante devesi attribuire all'a
zione diretta o indiretta del micelio dei tartufi, come i cerchi delle fate
che si disegnano nei prati debbonsi all'azione dei micelii di agaricini e
di altri funghi.
Il Male dell' inchiostro del castagno può essere prodotto da cause
simili od analoghe ?
A noi per varie ragioni non sembra; infatti i micelii dei tartufi
uccidono tutte le piante erbacee che incontrano sul loro cammino,
qualunque ne sia la specie; altrettanto fanno i micelii dei Tricholoma e
di parecchie altre specie d'Imenomieeti che formano i cerchi delle fate.
Ora nulla di tutto ciò avviene nei castagneti infetti dal Male
deW inchiostro. In questi castagneti malati le erbe tutte come i muschi
e gli arbusti continuano a vegetare come nei castagneti sani, senza
mostrare sofferenza alcuna; solo il castagno deperisce e muore! Questo
fatto solo basterebbe per escludere che il Male delf inchiostro del ca-
stagno e la moria della pianta prodotta da micelii ipogei abbiano
origine uguale od analoga.
Inoltre, se i micelii sotterranei esercitassero un'azione tossica,
depauperante, parassitaria o comunque nociva sui castagni, tale azione
si dovrebbe esplicare di preferenza sopra le loro giovani barbicelle, e
non attaccare ed incancrenire anzitutto le grosse radici dell'albero che
pure sono protette da grossa corteccia, il che è l'opposto di quello che
avviene nelle piante che muoiono nelle tartufaie e nei cerchi delle fate.
Ancora, negli interfilari delle tartufaie muoiono, come si è detto,
viti, gelsi, mandorli, ecc., ma nelle radici loro non si produce la can-
crena caratteristica dei castagni presi dal Male delV inchiostro, cancrena
che dalla ceppa passa prima alle grosse, poi alle succe.ssive radici.
— 36 —
Gli alberi delle tartufaie artificiali dopo, come abbiamo detto, un
cinquantennio di produttività tartufieola deperiscono, ma tale deperi-
mento si può attribuire, come generalmente si fa. all'azione dei micelii
dei tartufi ? A noi non sembra per il fatto che tale deperimento si
verifica solo nelle tartufaie artificiali dove le querele tartufifere sono
generalmente disposte in filari distanti fra loro da sei a dieci metri,
mentre non avviene nelle quercie isolate le cui radici, libere d'espan-
dersi in ogni senso, non hanno a lottare colla concorrenza di quercie
vicine. Il deperimento delle quercie delle tartufaie artificiali è analogo
aXVelaga^es naturale degli alberi nei boschi troppo folti, per l'equilibrio
necessario che deve passare tra lo sviluppo delle radici e quello della
chioma dell'albero. Ciò è confermato dal fatto che la diminuzione o
cessazione della produzione dei tartufi, ciie segue il deperimento del-
l'albero tartnfifero, si verifica qualunque sia la causa che lo produce,
azioni traumatiche, potature esagerate, ecc.
Il Male de!r inchiostro non aspetta a manifestarsi nei castagni
quando essi abbiano raggiunto una cinquantina d'anni, ma li attacca
in tutte le età non risparmiando le giovani pianticelle, e tutte colpisce
le piante anche se isolate o distanti parecchie decine di metri fra loro.
I micelii si trovano in quantità enorme in tutti i terreni umiferi
e non è fenomeno nuovo, eppure il castagno mai ha mostrato di risen-
tirne danno, anzi secondo molti ne ottiene vantaggio diretto od indi-
retto e le sue radici reagiscono al contatto dei micelii con neo-forma-
zioni (ipertrofiche). Come si spiegherebbe quindi la comparsa relativamente
recente e saltuaria della malattia ed il suo diffondersi più o meno
rapido se fosse dovuta all'azione prolungata dei micelii ipogei, entrino
essi a far parte o no delle micorize?
CoNCLUsiOKE. — Il Male deW inchiostro dei castagni non può attri-
buirsi all'azione diretta od indiretta, anche se prolungata, dei micelii
ipogei e delle micorize; nemmeno esso può avere rapporto alcuno, né
analogia con quella Moria delle piante determinata dai micelii delle
Tuberacee o di altri funghi che producono i cerchi delle fate nei prati.
37 —
6. — Speciali condizioni pedologiche.
A) La deficienza o sovrabbondanza
DI ALCUNE SOSTANZE MINERALI NEL TERRENO
POSSONO DETERMINARE IL " MaLE DELL'INCHIOSTRO,,?
Gibelli e Antonelli supposero che la causa del Male dell' inchiostro
fosse da rintracciarsi nel terreno '.
Questa loro opinione si basava sopra analisi chimiche, del prof. An-
tonelli e del dott. Maissen, delle ceneri di castagni sani e di castagni
malati.
Da tali analisi si possono trarre, secondo Gibelli, le seguenti de-
duzioni:
1. " La quantità di ossido di ferro contenuta nelle ceneri delle
radici malate è assai maggiore che in quelle delle radici sane. Questo
aumento è più costante nella corteccia, sorpassando il triplo nelle radici
malate (29,9 malate; 13,6 sane di Graglia; 24,2 malate di Pontede-
cimo; 7,2 sane di Fiuraalbo). Si mantiene evidentissimo nel legno delle
radici di Pontedecimo in confronto di quello di Fiumalbo (14,5 ma-
late; 4,4 sane). Nel legno di Graglia malato è poco meno del doppio
(18,2 malato; 10,6 sano). In media l'aumento dell'ossido ferrico nelle
radici malate è del triplo „.
2. " La quantità di potassa contenuta nelle ceneri delle radici
malate diminuisce di molto in confronto con quella contenuta nelle ra-
dici sane. Nella corteccia si può calcolare ad un terzo la proporzione
fra le malate e le sane di Graglia (3,9 malate; 11,6 sane); a meno di
un sesto tra le malate di Pontedecimo e le sane di Fiumalbo (2,0 ma-
late; 13,0 sane). Nel legno le differenze sono di poco meno gravi (9,9
malate; 27,1 .sane di Graglia; 7,0 malate di Pontedecimo; 33,3 sane
di Fiumalbo). In media dunque la quantità di potassa nelle radici ma-
late si può calcolare ridotta ad un quarto del normale „.
3. " L'anidride fosforica subisce diminuzioni parallele a quelle
della potassa nelle radici malate. Nella corteccia delle radici malate di
Graglia la troviamo ridotta ad un quinto (0,.5 malate; 2,6 sane); cosi
pure in quella di Pontedecimo in confronto di quella di Fiumalbo (0,7
' Gibelli G. e Antonelli G., Sopra ima nuova Malattia dei castagni, iii
Atti R. Ago. Scienze, Lettere ed Arti di Modena», 1877.
— 38 —
malate; 2,8 sane). Nel legno di Gragiia malato alla metà (4,6 ma-
late; 11,1 sane); nel legno di PonteJecimo a quasi un quinto (4,7 ma-
late; 22,0 sane di Fiumalbo). Anche l'anidride fosforica dunque troviamo
ridotta in media nelle radici malate ad un quinto del normale „.
4. " La silice si trova naturalmente aumentata nelle ceneri delle
radici malate; in media, portata al triplo „.
5. " Nei tronchi le differenze anzidette sono molto meno pronun-
ciate. La sola che si mantiene con qualche evidenza è quella della po-
tassa, che nella corteccia malata si trova ridotta quasi ad un terzo della
quantità contenuta nella corteccia sana,,.
" Lasciando a parte le differenze degli altri elementi, tenendo conto
soltanto di quelle della potassa, del fosforo e del ferro, ognun vede
quanto gravi e quanto profonde siano le alterazioni indotte dalla ma-
lattia nella composizione chimica della pianta, e quindi nelle sue fun-
zioni di assimilazione dei materiali utili ' „.
In seguito ai dati delle analisi, Gibelli emise la seguente ipotesi :
" Nelle regioni castanicole, dove il montanaro asporta tutti i pro-
dotti del castagno sotto forma di frutti, di rami, di foglie e perfino delle
erbe che crescono sotto la sua ombra amica -, senza mai nulla restituire
sotto forma di concime, il terreno lentamente, ma inesorabilmente viene
depauperato dei sali più importanti al castagno, potassa e soda. E na-
turale che questa pianta possa resistere ad una continua sottrazione di
questi elementi anche per piìi di un secolo. Ma quando la povertà è
giunta all'estremo, la jìiù lieve causa malefica basta ad uccidere la pianta
indebolita. E ciò tanto più si può supporre in quanto che le radici del
' In base a queste analisi il Cugini ritenne di poter escludere che il Male
<leU' inchiostri) fosse di origine parassitaria. « Se la malattia fosse parassitaria, i
miceli del fungo serpeggiante tra i tessuti della pianta sottrarrebbero bensì a
questa gli elementi nutritivi, ma questi rimarrebbero nei miceli immersi nei
tessuti: e l'analisi chimica delle ceneri non rivelerebbe alcuna alterazione nella
loro costituzione: giacché insieme al materiale della radice del castagno verreb-
bero analizzati anche i parassiti » (Sopra una malattia che devasta i castagneti
di alcune Provincie italiane, in «Atti Soc. Agr. di Bologna», 1878, e in «Gior-
nale di Agricoltura », Forlì, 1878).
Anche Gibelli a tale proposito nota « che quando veramente i miceli doves-
sero accagionare tanto squilibrio negli elementi nvitritivi, noi dovremmo trovarlo
solamente nella corteccia, che talora è profondamente compenetrata dai miceli ;
mentre invece si incontrano quasi altrettante differenze di composizione anche nel
legno, dove pochissimo o punto penetrano i parassiti >.
^ Avrebbe potuto aggiungere anche: l'asportazione del pulesco e di tutto il
legno degli alberi che vengono abbattuti e sostituiti con nuove pianticelle.
— 39 -
castagno si dilatano superficialmente, ma si approfondano pochissimo;
per cui non possono trarre dal sottosuolo i materiali alcalini dei quali
è ormai esausto il soprasuolo „.
Per corroborare quest'ipotesi, Gibelli ed Antonelli fecero analisi di
terre di castagneti sani e floridi e di castagneti invasi dalla malattia,
onde vedere se la quantità di ossidi alcalini che contengono i sani sia
notevolmente maggiore di quella del terreno dei castagni malati.
A questo scopo, Maissen fece l'analisi di quattordici terre, undici
di castagneti sani e tre di castagneti invasi dalla malattia (di Graglia,
di Pontedecimo e di Buti), prendendo in considerazione soltanto il fosforo
e la potassa.
Da queste analisi, dice Gibelli, " bisogna confessarlo, non risulte-
rebbe abbastanza confermata la nostra presupposizione, che cioè sia real-
mente la scarsezza della potassa e del fosforo nel terreno il fattore pri-
mitivo della malattia. Infatti se noi badiamo alla cifra della potassa sola,
troviamo che la terra malata di Buti occupa realmente l'ultimo posto,
ma che quella di Graglia occupa l'undicesimo e quella di Pontedecimo
il decimo „.
" Se consideriamo a pai te la cifra del fosforo, troviamo che la terra
di Graglia occupa il sesto posto, quella di Pontedecimo l'ottavo e quella
di Buti il tredicesimo „.
Le analisi del terreno quindi non confermavano l'ipotesi del Gibelli,
ma egli, pur non volendo " forzare i fatti „ fa notare che la scelta dei
campioni di terre non è facile e che " non è irragionevole la supposi-
zione che a produrre la malattia, la scarsità del fosforo concorra in
molto minor parte di quella della potassa „. Ma anche a questo riguardo
le terre di Pontedecimo e di Graglia sono ancora superiori a quelle di
Porretta e di Treviso; ma Gibelli osserva: " chi può assicurarci che
queste regioni immuni oggi, non siano domani colpite dal malanno? ' „
Gibelli nel 1877 tentò la prova sperimentale, coltivando giovani ca-
stagni in terre aitificialmente depauperate od esageiatamente aumentate
di alcuni sali, ma i risultati furono parimente negativi.
Nonostante i risultati delle analisi del terreno e delie esperienze
colturali, Gibelli non si persuade, ed osserva ancora: " Noi conosciamo
' Dal tempo nel quale Gibelli scriveva queste rifiessioni, sono ormai trascorsi
38 anni ed a Porretta ed a Treviso non si è ancora sviluppato il ALale dell'in-
chiostro, mentre si è manifestato a Cuneo, che rispetto alla potassa occupa il primo
posto e il nono posto rispetto all'acido fosforico; si è pure manifestato a Pinerolo
che occupa il nono posto rispetto alla potassa ed il quarto rispetto all' acido
fosforico !
- 40 —
bensì le quantità di fosforo e di potassa che si contengono nelle terre;
ma noi purtroppo non conosciamo né sotto quale formula chimica, né in
quale stato d'aggregazione fisica molecolare si trovino insieme agli altri
elementi del terreno „ e indi aggiunge che 1' " aggregazione fisica delle
molecole terrose può di molto modificare il valore alimentare del ter-
reno stesso per il castagno „.
E più avanti: " Ammesso anche che il terreno del castagno sia ab-
bastanza fornito di sostanze minerali, la quantità di materia elaborata
nei frutti deve dipendere, come per tutte le piante coltivate, dalla pro-
porzione di materie azotate assimilabili che gli si dovrebbero sommini-
strare con una ben pensata economia „. E ricordato ancora lo sfrutta-
mento che si fa del castagno, con l'asportazione di tutti i suoi prodotti,
senza compenso di concimazioni, soggiunge: " E dunque naturale l'indurre
che dopo tanti anni di sfruttamento senza discrezione, anche gli elementi
alibili i più abbondanti facciano difetto e producano nell'organismo della
pianta uno stato di debolezza, che la predisponga a subire l'influenza
delle diverse cause deleterie e tanto più di parassiti fungini „.
Gibelli non trovando correlazione fra i risultati delle analisi dei
castagni malati e sani ed i risultati delle analisi dei rispettivi terreni,
cerca rendersi ragione di tale fatto con osservazioni che, per quanto
giuste, non valgono a spiegare né la causa della malattia (come vedremo),
né le contraddizioni delle analisi.
Più tardi per altro il Gibelli abbandona la ipotesi del depaupera-
mento del terreno: " Se realmente i castagneti periscono per de-
ficienza di potassa e di fosforo, coltivando delle piante novelle nelle
regioni infestate dalla malattia e addizionate dei materiali anzidetti, po-
tremmo ottenerne delle piante rigogliose e promettenti. E d'altra parte
se noi riuscissimo a coltivare piante di castagno giovani e ben sane
entro terreno artificialmente depauperato quanto fosse possibile di po-
tassa e di fosforo, potremmo forse in certo qual modo riprodurre la ma-
lattia che ci occupa e far perire cosi le piante sottoposte alla sperimen-
tazione „.
Ma le esperienze gli danno risultati assolutamente negativi; onde,
il Gibelli, scrive: " nel loro insieme ci dicono chiaramente, non
essere la Malattia dell'inchiostro causata direttamente dal difetto di fosforo
e di potassa nei terreni castanicoli „.
Restano per altro le grandi differenze fra i risultati delle analisi
delle ceneri delle piante sane e delle piante malate; differenze delle
quali né Gibelli, né altri danno spiegazione scientifica.
In tali differenze per altro alcuni vedono un indizio di perturba-
mento funzionale e di denutrizione delle piante malate.
— 41 —
Ora, secondo noi, l'aumento dell'ossido di ferro nelle ceneri delle
piante inalate (circa il triplo) e della silice in realtà non è che appa-
rente, come vedremo, e la diminuzione della potassa e del fosforo dipen-
dono da un fenomeno fisiologico generale e non particolare ai castagni
malati di Male dell'inchiostro.
È un fatto noto che l'amido, il glucosio, le sostanze albumiuoidi, fra
i principi organici, e la potassa e l'acido fosforico tra gli elementi mi-
nerali, emigrano dalle foglie nei rami e nel tronco, e che allorquando
sul principio dell'inverno le foglie si staccano dalla pianta, sono ridotte
pressoché ad uno scheletro di membrane cellulari incrostate di silice ed
altre sostanze minerali.
Gli elementi minerali nelle ceneri delle foglie del castagno secondo
le analisi di Fleche e Grandeau ' variano dal maggio all'ottobre, come
segue:
maggio
Acido fosforico. . . 19,31
Potassa 31,85
Ossido di ferro. . . 0,50
Silice 1,59
E nelle foglie cadute nel novembre, secondo le analisi del Trinci -
si trova acido fosforico 0,1069, potassa 0,2273.
Ciò che avviene nelle foglie accade anche nel legno e nella cor-
teccia tanto dei rami, che del tronco e delle radici, quando essi si ap-
prossimano alla morte.
Infatti, anche le analisi della corteccia morta e della corteccia viva
d'abete rosso riportate da Henry ^ danno risultati analoghi a quelli tro-
vati da Antonelli e Maissen nella corteccia del castagno sano e malato.
Se si analizzano due rami della stessa grossezza, dei quali uno sia
vivo e l'altro morto, si vede che la potassa e l'acido fosforico, dice Henry,
sono in molto maggiore quantità nel legno del primo che del secondo.
settembre
ottobre
9,22
8,35
16,95
10,52
1,33
2,17
1,95
4,67
' Fleche L. e Grandeau P., Recherches chimiques sur la compositiim des
f'millex d'i'nji- et d'espéce diffcrciits, in «Ann. d. la St. Agron. de PEst », Nancy,
1878.
2 Trinci C, Le foglie di castagno considerate come lettiera nella bassa mnii-
tagiia pistoiese, in « Staz. Sper. Agr. It. », Modena, 1896, voi. xxix.
Corteccia viva Coi-tecoia morta
' Acido fosforico 4, ri 1,30
Potassa 1-2,L' 2,70
Silice 2,5 26,00.
— 42 —
Nel legno morto quindi si hanno le stesse modificazioni che si trovano
nelle foglie che cadono all'autunno.
Nel caso speciale del legno e della corteccia dei castagni morti di
Male dell'inchiostro, bisogna tener calcolo ancora di un altro fatto.
Dice Gibelli, che " il legno del tronco degli alberi morti, o anche
solo languenti per malattia, a detta dei periti negozianti di legname, è
meno denso, pesa un terzo del sano „.
Ma del minor peso specifico del legno malato o morto non hanno
tenuto conto i signori Antonelli e Maissen nelle loro analisi. Eppure è
evidente che se la quantità delle cellule necessarie per raggiungere l'unità
di peso doveva essere maggiore pel legno malato o morto di quella pel
legno vivo e sano; nel legno malato e morto maggiore deve essere la
silice e l'ossido di ferro che incrostano le pareti cellulari.
I risultati delle analisi sopra citate indicano quindi solo che le
radici analizzate erano morte o morenti, ma non dicono nulla per ri-
spetto al Male dell' /iicìiiostro, uè sono indizio di denutrizione o di altra
causa speciale.
Le analisi del terreno dei castagneti malati e dei castagneti sani,
più avanti riportate, e le esperienze del Gibelli, dimostrano dunque che
la malattia non può essere dovuta a deficienza di acido fosforico o di
potassa, né a sovrabbondanza di ossido di ferro o di silice nel suolo.
II castagno è una pianta calcifuga che non tollera più del quattro
per cento di calce nel terreno, come l'hanno dimostrato Fleche e Gran-
deau \
Il deperimento del castagno nei terreni calcari presenta caratteri
ben diversi da quelli del 'Mede delV inchiot.tro. Del resto la malattia si
manifesta anche in terreni poveri e poverissimi di calcare '^.
Gibelli dice che il terreno di castagneti malati non conteneva che
il 0,10 per cento di calce.
Il terreno però non va considerato unicamente dal punto di vista
della composizione chimica, in quanto gli elementi indispensabili alla
pianta vi siano contenuti nelle proporzioni necessarie all'alimentazione
diretta delia pianta, o le sostanze nocive non vi sorpassino la quantità
tollerata dalla pianta stessa; ma bisogna considerare anche la sua com-
' Flechb P. e Grandbau L., Ehifliisx iter Hofìenbeschaffenheif auf die Vege-
tatioìi der Kastanie, in » Ann. d. Chem. et Phys. >•, 1874.
' La povertà di calce, secondo il Pestana, sarebbe anzi una causa della Ma-
lattia dell'inchiostro, perchè impedirebbe la nitritìcazione nel terreno. Questa sua
ipotesi, come vedremo, non ha alcun appoggio nei fatti.
— es-
posizione chimica e fisica in quanto essa possa produrre utili o dannose
reazioni, cioè essere d'ostacolo alla nitrificazione ed alla circolazione
dell'aria e dell'acqua.
Se consideriamo lo strato di terreno nel quale penetrano le radici
del castagno, vi troviamo due elementi predominanti: l'elemento mine-
rale proveniente dalla decomposizione e disgregazione superficiale delle
rocce; e l'elemento organico formato dai cascami della vegetazione, il
quale allo stato di humus intimamente mescolato all'altro elemento, forma
la tei'ra vegetale. Essi poggiano sopra la roccia in posto, inalterata, che
costituisce la base minerale.
Dobbiamo considerare quindi in rapporto alla coltivazione del ca-
stagno ed al Male delT inchiostro:
1. la base mineralogica die fornisce la terra minerale:
2. la copertura morta e la sua trasformazione in humus;
3. la terra vegetale del castagneto formata dalla terra minerale,
modificata nella sua composizione chimica e fisica dalla mescolanza e
dall'azione dei prodotti della trasformazione humica della copertura morta.
La disgregazione delle zone è dovuta ad azioni meccaniche e fisiche
che le riducono in frammenti, i quali hanno la composizione della roccia
primitiva, all'azione meccanica delle radici, dell'acqua, specialmente al
gelo e disgelo.
La decomposizione è dovuta ad azioni chimiche dell'acqua, dell'ossi-
geno, dell'acido carbonico, ecc.
*
Per rispetto alla costituzione geologica la malattia del castagno si
è sviluppata in Italia nei seguenti terreni:
Quaternario: Puntocene diluviale a Barga (Lucca) e
Castelnnovo Garfagnana.
Terziario: Pliocene a Barga (Lucca) e Castelnuovo
Garfagnana.
Oligocene a Savonese.
Eocene a Bartoniano, a Pistoia, Villa di
Pitenio, Borgo a Mozzano, Ponte a
Moriano, Valfreddana, Villa Basilica,
Castelnuovo Gaifagnana, Cassio, Pon-
tremoli, Lotta (Fanano).
Secondario: Parisiano a Pistoia.
Cretaceo a Vallonibrosa, Pistoia, Val-
freddana, Villa Basilica, Pontedecimo,
Lotta (Fanano).
— 44 —
Giuraliassico ad Anchiano in vai del
Serchio e a Villa Basilica.
Li/raliassico a Borgo a Mozzano.
Triassico a Chiusa di Pesio (Cuneo) e
Loano.
Primario: Permico- Carbonico a Buti (monti Pisani),
Graglia, Intra, Ariano, Fabbiana (Pi-
uerolo), Barge (Cuneo), Savonese.
Rispetto alla natura litologica la Moria è comparsa:
1. In terreni alluvionali ciottolosi, sabbioso-terrosi provenienti da
rocce arenaceo-calcaree plioceniche (Piacenziano), presso Barga (Lucca), e
d'origine Eocenica a Castelnuovo Garfaguana (Massai;
2. In terreno di natura marnoso-sabbiosa dell'Oligocene, nel Sa-
vonese ;
3. In terreni arenacei formati dallo sfacelo dell'arenaria macigno
(Eocene), nei dintorni di Pistoia, Villa di Piteccio, Borgo a Mozzano,
Ponte a Moriano, Valfreddana, Villa Basilica, Castelnuovo Garfagnana
Cassio, Pontremoli, Lotta;
4. In terreno misto formato da detriti d'arenarie della formazione
precedente e da calcari del Parisiano, nei dintorni di Pistoia;
5. In terreno formato da detriti di calcari marnosi e arenaceo-
psammitici del Cretaceo, misto non di rado a detriti d'arenarie eoceniche,
a Vallombrosa, Pistoia, Valfreddana, Villa Basilica, Pontedecirao, Lotta;
6. In terreno formato da calcari Giurassici ed arenarie eoceniche
ad Anchiano in Val del Serchio;
7. In terreno formato da detriti di calceschisti dell' Infraliasico
e di arenarie eoceniche, a Borgo a Mozzano;.
8. In terreni formati dallo sfacelo degli Sciasti triassici, a Chiusa
di Pesio (Cuneo) e a Loano ;
9. In terreni provenienti dallo sfacelo delle rocce gneissiche e
schistose del Pernio-Carbonifero, a Buti (Monti Pisani), Graglia, Intra,
Ariano, Fabbiana, Barge (Cuneo), Savonese.
La terra minerale quindi non può essere priva degli elementi ne
cessari alla vita del castagno, né di carbonati alcalino-terrosi alla cui
deflcenza il Pestaua attribuirebbe specialmente la causa del Mah del-
l'inchiostro per ostacolata ed impedita nitrificazione.
È ben noto che i depositi plistocenici, quando non sono troppo ciot-
tolosi e commisti a terriccio, come nei castagneti sotto Barga e nella
vallata di Pontremoli, permettendo la penetrazione delle radici, dell'aria
e dell'acqua, costituiscono buonissimi terreni per la coltura del castagno
e d'altre essenze forestali.
— 45 —
Il Piacenziano (Pliocene), quando assume facies sabbiosa, rappre-
senta terreni sciolti, assorbenti avidamente l'acqua di pioggia e l'aria
atmosferica, nei quali, oltre la silice, per le alterazioni dei felspati, vi
si trovano abbondanti traccia di ferro, calce, magnesia, soda, potassa, ecc.,
quindi una quantità notevole di elementi utili alle piante, per la qual
cosa vi prosperano meravigliosamente anche i castagni, come nel Bar-
ghigiano (Lucca) e a Castelnuovo Garfagnana.
Non improprio alla coltivazione del castagno si può dire parimenti
il mantello sabbioso-marnoso che in alcune plagile del Savonese ricopre
le formazioni dei terreni cristallini antichi.
La disgregazione, lo sfacelo e l'alterazione delle rocce arenaceo-
raarnose dell'Eocene, nell'Appennino, son ricoperte di rigogliose selve
di castagno. Queste arenarie (macigno e malosse) composte di granuli
di quarzo, pagliuzze di mica, argilla, qualche volta cori granuli di fel-
dispato, sono cementate di sostanza calcare, e le più antiche (del Trias,
Carbonifero e Devoniano) da cemento siliceo.
La loro composizione chimica è variabilissima. Contengono acido sili-
cico in quantità variabile da 1,64 a 76,86; allumina da 3,25 a 38,34;
ossido di ferro da 13,4 a 64,38; calce da 0,40 a 22,22; magnesia da
0,08 a 20.
Il terreno del macigno è permeabile all'acqua e all'aria e ricopre
0 si alterna con schisti galestrini eocenici e sovrasta ad argilloschisti
del cretaceo; ciò nonostante vi è comparso il Male deWincliiostro a Pi-
stoia, Villa di Piteccio, Borgo a Mozzano, Valfreddana, Villa Basi-
lica, Castelnuovo Garfagnana, Cassio, Pontremoli, Lotta (Fanano).
Nella tabella più avanti riportata, i dati dei terreni analizzati di Fiu-
raalbo, Montese, Porretta, Serra Mazzona, si riferiscono a questa for-
mazione arenacea.
I terreni del cretaceo superiore, dove sono alquanto marnosi, for-
mano depositi detritici commisti non di rado a frammenti di schisti ar-
gillosi e detriti arenacei eocenici di trasporto.
Quivi si ammantano spesso di boschi di castagno e d'altre essenze
silvane. In terreni di tale natura la malattia è comparsa a Vallorabrosa,
Valfreddana, Pistoia, Villa Basilica, Pontedecimo, Lotta.
Gli schisti argillosi, secondo il Bischof, contengono da 0,20 a 7,21
di potassa; 0,39 a 13,72 di calce.
Le formazioni schistose del Trias alterandosi facilmente danno ori-
gine ad un terreno argilloso sabbioso dove vegetano abbastanza bene
i castagni. Eppure in tali terreni si è anche sviluppata la malattia come
a Chiusa di Pesio e sopra Loano.
Nelle regioni schistose e gneissiche del Permo-Carbonifero dove le
- 46 —
rocce si presentano profondamente alterate, si osservano prospere selve
di castagni, celebri per i loro prodotti specialmente in provincia di Cuneo.
Parecchie località, dove la terra minerale è fornita da queste rocce
schistose, da.\l' appenninite ligure piemontese e dal Verrucano dei monti
Pisani, i castagneti pure sono stati invasi dal Male dell' inchiostro; anzi
in questi la malattia fu avvertita per la prima volta (a Buti nei Monti
Pisani e a Graglia nel Biellese), e nei Monti Pisani le selve di castagni
sono state quasi interamente distrutte.
Più tardi in terreni di tale natura si è manifestata la malattia
anche ad Intra sul Lago Maggiore, a Ariano sopra il lago d'Orta, a
Fabbiana e Barge in Piemonte e in parecchie località del Savonese.
I Gneiss, quantunque abbiano struttura schistosa, hanno la stessa
composizione mineralogica dei graniti (ortopo, quarzo e mica) e secondo
il Bischof contengono da 58,98 a 76,55 di acido silicico; da 10,83 a 21,14
d'allumina; da 0,82 a 9,49 d'ossido di ferro; da 0,23 a 5,65 di calce;
da 1,2 a 2,65 di magnesia; da 0,65 a 5,29 di potassa; da 0,46 a 4,00
di soda e lino a 0,58 di ossido di manganese.
I micaschisti, che mancano di feldispati e sono costituiti essenzial-
mente di mica, contengono da 48,72 a 82,38 di silice; da 5,3 a 26,69
d'allumina; da 0 a 26,26 d'ossido di ferro; da 0 a 4,90 di calce; da 0,27
a 11,99 di magnesia; da 0,83 a 5,56 di potassa; da 0,36 a 4,02 di soda.
I cloroschisti, costituiti essenzialmente da cloriti, contengono da
41,54 a 42,08 di acido silicico; da 3,51 a 19,81 d'allumina; da 0 a 37,03
d'ossido di ferro; da 12 a 41,54 di magnesia.
La terra minerale, qualunque sia la sua origine e la sua composi-
zione, subisce notevoli trasformazioni chimiche e modificazioni fisiche
per l'azione esercitata sopra di essa dalla copertura morta e dai prodotti
della sua trasformazione Inimica.
B) L'humus
HA on'azione nella tìrtermimazione del Male dell'inchiostro?
La maggior paite degli Autori che si sono occupati del Male del-
l'inchiostro dei castagni hanno voluto vedere nella deficienza deWhiimus
0 nelle incomplete sue trasformazioni una causa diretta o indiretta
della grave malattia.
Non solo dei castagneti si raccolgono i frutti senza dare quasi
mai alla pianta alcun compenso di concime, ma dal castagneto si
asportano altresì tutti gli altri cascami: foglie, ricci, broccame di scalvo
e potatura, ma spesso anche la copertura viva, costituita dalle felci e
— 47 —
dalle altre erbe che vi crescono spontanee, per farne lettiera e qnindi
concime da servire per altre colture.
Per alcuni il Male dell' inchiostro del castagno non sarebbe altro
che conseguenza del depauperamento del terreno per una inconsulta
spogliazione di tutti i cascami, che dovrebbonsi invece lasciare nel
castagneto onde supplire, almeno in parte, alla mancata conciniazione.
Altri ritengono indispensabile Vhumus alla formazione delle mi-
corize 0 alla vita saprofitica dei micelii che le formano; quando esso
manca o diminuisce troppo, le micorize non si formerebbero o i loro
rapporti simbiotici si altererebbero in modo da diventare parassitarie .
Infine, alcuni, pure ammettendo che nel terreno dei castagneti malati
vi si possa trovare sufficiente quantità di materia organica, ritengono
che la sua nitrificazione sia in alcuni terreni ostacolata per condizioni
chimiche e fisiche contrarie, specialmente per mancanza di carbonati
alcalini e di ossigeno per insufficiente permeabilità.
Le questioni quindi che si rannodano direttamente o indiretta-
mente dXVhumus, per ciò che riguarda l'eziologia del Male dell' incìiiostro,
sono molteplici e complesse.
Tratteremo perciò separatamente:
1) della copertura morta e viva e della sua funzione ed influenza
cititnica e fisica sul terreno;
2) dei principi fertilizzanti che si sottraggono annualmente al
castagneto, mediante l'asportazione della copertura morta e viva e col
raccolto delle castagne, e del deterioramento od esaurimento del teireno
che ne consegue;
3) della decomposizione della copertura morta, umificazione e ni-
trificazione della materia organica in rapporto alla simbiosi micorizica e
alla Moria dei castagni.
1) Copertura morta e viva nei castagneti. — La copertura morta
dei castagneti è costituita dai detriti più o meno decomposti delle
foglie e dei ricci che cadono annualmente e da pochi frammenti di
rami morti o di placche di corteccia, che. cadono accidentalmente per
azioni diverse; la copertura viva formata da ericacee, ginestre ed
altri piccoli arbusti e da erbe d'ogni altezza, da felci, muschi, licheni, ecc.
I castagneti rispetto alla copertura morta e viva non si trovano
tutti in eguali condizioni, perchè, a seconda della specializzazione della
coltura 0 delle usanze colturali, la copertura talora si rimuove ed
asporta, tal'altra si lascia sul terreno.
Nei castagneti da frutto, ogni anno si raccolgono le castagne od
i marroni, privati dei loro ricci ed il resto si lascia sul terreno per
un tempo più o meno lungo, peraltro non oltre i nove o dieci mesi;
— 48 —
giacché prima del nuovo raccolto si ripulisce il castagneto dalle felci
ed altre erbacee e si scopa più o meno accuratamente onde sul terreno
non restano clie i muschi e le basse erbe.
Nei castagneti selvatici da legname, invece, specie se tenuti a
ceduo 0 palina, nulla si raccoglie o solo i frutti; e tutta la copertura
morta e viva resta e si accumula sul suolo, fino alla fine del turno di
taglio, poiché il ceduo cresce rapidamente e proteggendola impedisce
che le acque od il vento la asportino.
Devesi anche tener conto di alcune speciali condizioni intermedie,
causate dalle diverse usanze colturali.
Le foglie ed i ricci; anche nei castagneti da frutto, restano sempre
per un mese o due sparsi sul terreno, fin quando cioè non sono com-
pletamente secchi, e talora anche più a lungo quando la stagione e
la neve non ne permettono la sollecita raccolta. In parecchi luoghi non
si raccolgono che le foglie e si lasciano i ricci sparsi sul terreno o
riuniti in piccoli mucclii detti ricciaie o cardale^ fino all'approssimarsi
del nuovo raccolto; peraltro in generale si asporta il tutto per farne
lettiera o gettare i ricci direttamente nella concimaia.
Nel Piemonte, nella Toscana, ed in altri luoghi ancora non si
potrebbe rinunciare alle foglie di castagno colle quali si fa lettiera;
sarebbe una grave perturbazione nell'economia agricola dei piccoli po-
deri; perché senza di esse diminuirebbe la già scarsa produzione del
concime e si dovrebbe ridurre l'allevamento del bestiame, non poten-
dosi più destinare la paglia al foraggiamento. La Moria del castagno
quindi produce, in tali regioni, un doppio danno, l'uno diretto, l'altro
indiretto.
In alcuni luoghi, non si laccolgono le foglie o se ne raccoglie solo
una parte; ma quel che rimane non resta sparso uniformemente sul
suolo, ma viene portato dai venti nelle bassure o negli avvallamenti,
dove rimane fino alla prossima castagnatura, epoca nella quale si scopa
accuratamente il castagneto e si assetta, per il raccolto dei frutti
novelli.
Quando si assettano i castagneti, non di rado anche la copertura
viva, 0 parte di essa falciata od arroncata, si asporta oppure si am-
mucchia e si brucia sul posto; dove si ha maggior cura del castagneto
e sono in uso ancora vecchie ma buone usanze, si sotterra tutto nelle
roste, formate o da muricciuoli semilunari o da stecconato e rami in-
trecciati al piede degli alberi, negli avvallamenti e dove il pendio è
più forte.
Di tutti questi particolari bisogna tener conto quando si vuole
trovare nelle sottrazioni che si fanno al castagneto, o neir/«Mmi<s o nei
— 49 —
processi di umificazione la causa prima del Male dell'inchiostro, perchè
essi contribuiscono a creare condizioni diverse da luogo a luogo, per
ciò che riguarda il bilancio del castagneto, fra sottrazioni e restituzioni
dei principi utili od indispensabili alla vegetazione.
In generale, nel castagneto da frutto si hanno condizioni inter-
medie fra quelle di una vera foresta, dove tutta la copertura morta e
viva resta e si accumula sul suolo per un lungo periodo di anni, e
quella di un campo coltivato del quale ogni anno si asporta tutta la
parte aerea o non di rado si tolgono anche le radici.
Nei castagneti a ceduo o a palina, invece, e in molte selve di
castagno selvatico da legname, si verificano le condizioni generali
delle foreste d'essenze a foglie caduche, perchè quivi non si raccolgono
né le foglie, né gli altri cascami e nemmeno si falcia la copertura viva.
In rapporto al Male dell'inchiostro, dobbiamo esaminare quindi
separatamente:
1) i castagneti a ceduo o a palina e le selve nelle quali non si
raccoglie annualmente alcun prodotto, tranne il legname alla fine del
turno, e nelle quali tutti i cascami delia vegetazione si accumulano e
restano sul terreno;
2) i castagneti nei quali si raccoglie il solo frutto, sia a mano,
sia per mezzo del pascolo dei suini;
3) i castagneti in cui si raccoglie e si asporta il solo frutto;
ma all'approssimarsi del nuovo raccolto si falcia la copertura viva e
si scopa il terreno dalla copertura morta; distinguendo quelli in cui
la spazzatura si brucia sul posto, da quelli in cui si sotterra nelle roste;
4) i castagneti nei quali tutta la copertura od una parte viene
asportata; distinguendo quelli nei quali si tolgono solo le foglie e le
felci, da quelli nei quali si asportano anche i ricci e tenendo conto anche
della durata che la copertura resta giacente al suolo (da uno a dieci
mesi) ed in parte si decompone arricchendo in proporzioni il terreno
per dilavamento di buona parte dei principi utili che nella copertura
morta si contengono.
* *
La composizione chimica del fogliame e degli altri organi che si
staccano dall'albero e cadono ci permette di determinare ciò che il
castagno sottrae ogni anno al terreno.
La composizione dell'intera copertura morta e viva ci permetterà
di valutare il danno che si causa al castagneto con la sua asportazione
periodica.
Alti (teirisl. Bai. dell' l'iiiiii-siti'i di hirin — Serie 11 — Voi. .WIII. 4
— 50 —
Per rispetto alla copertura ed al terreno che essa copre si deb-
bono inoltre fare parecchie altre considerazioni.
La copertura, avvertiamo, non è solamente un concime, nel senso
ristretto della parola, ma anche un correttivo che agisce fisicamente
e elamicamente sulla terra minerale e vegetale del castagneto e sugli
elementi mineralogici che la compongono.
La copertura morta costituisce una specie di coltre intessuta di
filamenti miceliali e di alghe nella quale si annidano vermi, insetti e
miriadi di microrganismi vegetali ed animali che lavorano alla sua
trasformazione in terriccio, ed alla preparazione meccanica e fisica
della terra minerale, scavandovi gallerie in ogni senso, che facilitano
la circolazione dell'aria e dell'acqua e la penetrazione ed incorporazione
lìeWhutnus, nello stesso tempo che l'arricchiscono di azoto atmosferico.
Nel processo di decomposizione della copertura morta si svolge
acido carbonico che agisce chimicamente sugli elementi minerali del
.suolo, e sui composti umici che legano gli elementi terrosi, disgregati
del terreno, migliorandone le proprietà fisiche e rendendolo più adatto
alla vegetazione.
In Germania, dove la raccolta della copertura morta dei boschi,
in parecchi luoghi, costituisce un diritto d'uso pubblico (Streurecht),
si è constatato che i danni di questa usanza sono molto più gravi nei
terreni sabbiosi e sciolti che nei terreni argillosi e che ciò è dovuto in
parte al maggior bisogno che quelli hanno di composti umici che ne
aumentino la coesione.
Lo strato di detriti organici che ricopre il terreno serve, inoltre,
a proteggerlo dall'azione meccanica esercitata dalla pioggia che tende
a comprimerlo e renderlo impermeabile; e serve inoltre come regolatore
dell'umidità e del calore.
Queste diverse proprietà AeW humus, non solo hanno importanza
diretta, poiché alcuni attribuiscono il Male dell' inchioalro alla .siccità,
altri alla soverchia umidità ed altri ancora al freddo e agli sbalzi di
temperatura; ma hanno altresì importanza indiretta perchè contribui-
scono a mantenere le condizioni fisiche del terreno favorevoli alla vita
dei microrganismi della nitrificazione, giacché non solo forniscono la
materia prima, ma altresì favoriscono in essa le condizioni utili di
umidità, di temperatura e permeabilità indispensabili alla loro vita,
che è legata altresì alla penetrazione e circolazione dell'aria nel
terreno.
L'acqua non é distribuita nel terreno dei castagneti come nei
campi aratori e nei prati. Mentre in questi l'umidità va aumentando
con la profondità, nei boschi la zona più secca si trova, secondo la
— 51 —
natura del terreno, la profondità e la direzione delle radici, da trenta
a quaranta centimetri sotto la superficie.
Wollny dice che, a parità di composizione, un terreno con coper-
tura è notevolmente più umido in estate d'un terreno ciie ne sia privo;
inoltre, la proporzione dell'umidità aumenta con lo spessore della co-
pertura, benché non in proporzione di esso.
Ciò si spiega col fatto che la copertura si imbeve come una spugna
in tale misura che, secondo Calas e altri forestali, la copertura morta
può trattenere quattro volte il proprio peso d'acqua; ciò che corrisponde
per certi boschi ad uno strato di almeno cento millimetri di pioggia.
Il dott. Ramaun dell'Accademia forestale di Eberswalde aveva tro-
vato, peraltro, che la differenza d'umidità fra il terreno spogliato dalla
copertura e quello non spogliato, nello stesso bosco, era piccola; anzi
che quest'ultimo, ad una profondità fra 50 a 80 centimetri, era più secco
dell'altro; alle stesse conclusioni venne lo Schmidt, ispettore delle fo-
reste di Meiningen.
Fricke, invece, ha trovato che i terreni con copertura contengono
il venti per cento in più di acqua di quelli che ne sono stati privati
e spiega i risulati ottenuti da Ramami e da Schmidt col fatto che
essi l'hanno calcolata riferendola all'unità di peso e non all'unità di
volume come egli ha fatto.
Fricke, peraltro, si è limitato ad esaminare il terreno soltanto
fino a 40 centimetri di profondità.
L'umidità superficiale dei boschi protetti dalla copertura si spiega
non solo per l'alto coefficiente di saturazione di quest'ultima, e per
l'azione moderatrice che essa esercita contro l'evaporazione, ma proba-
bilmente anche per il comportamento osmotico del terreno ricoperto di
terriccio, poiché, secondo le ricerche di C. J. Lynde ed F. W. Bates,
l'umidità tei\derebbe a portarsi dai punti dove la soluzione del suolo é
meno concentrata verso quelli dove lo è di più, onde lo strato terroso
si comporterebbe come una membrana semi-permeabile '. Ciò spieghe-
rebbe anche i risultati ottenuti da Ramann che trovò che il terreno
protetto dalia copertura morta era alla profondità di .50 a 80 centi-
metri più secco di quello spogliato.
' Muntz e Gandechon constatarono questo fenomeno fino dal 1908, ma senza
spiegarlo: « Lorsque les engrais salins sont donnés à une teri-e d'un état di sic-
cité relatif, le sei attire à lui l'eau de la terre et forme une solution qui reste
localisée pendant un très long temps sous forme d'un noyau humide, et que la
terre placée dans l' intervalle des cristaux de sei se dessèche au profit du no3'au
humide, qui s'agrandit graduellement à mesure qu'il attire à lui l'eau des parties
avoisinantes ».
— 52 —
Comunque, il maggior tenore di acqua nello strato superficiale del
terreno dei boschi è un fatto accertato, e ciò spiega la tendenza del
castagno a cacciare radici superficiali; fenomeno che alcuni hanno
litenuto come uno dei sintomi della malattia e come prova che la
Moria dei castagni fosse dovuta ad esaurimento degli strati più profondi
del suolo, onde la pianta fosse costretta a cercare negli strati superfi-
ciali del terreno l'alimento che le viene meno. Esso sarebbe l'ultimo
sforzo, secondo questi autori, che la pianta farebbe prima di morire,
mentre esso non è altro che un fenomeno generale, indipendente da
qualunque malattia e dovuto probabilmente a semplice idrotropismo '.
Per rispetto alla temperatura del terreno, le ricerche di E. Wollny
e di E. Ebermayer condussero alle seguenti conclusioni. Il terreno
con copertura nella stagione estiva è più freddo del terreno nudo,
altrettanto avviene in qualunque altra stagione quando la temperatura
si eleva nelle ore più calde del giorno; in inverno invece il terreno è
più caldo quando la temperatura ambiente si abbassa. L'influenza della
copertura è tanto più sensibile quanto maggiore è il suo spessore.
Perchè il terreno possa permettere l'accesso alle radici dell'aria,
dell'acqua e dei principii fertilizzanti che loro sono necessari, e perchè
in esso si possano compiere i processi biologici della nitrificazione
della materia organica, bisogna anche che esso sia permeabile. Nei campi
aratori questo si ottiene con le periodiciie lavorazioni del terreno; nei
castagneti e nei boselii in genere questo ottiensi per mezzo della coper-
tura e della lenta incorporazione AoiVlnimus aiutate dall'opera degli ani-
mali * (vermi, insetti, miriapodi, ecc.) che sotto la copertura lo perfo-
rano, lo .solcano e per così dire lo lavorano in ogni senso.
Sono ben note le ricerche di Schloesing circa l'azione degli acidi
umici e degli uraati .sopra la porosità dei terreni argillosi e compatti,
e l'aggregazione e coesione dei terreni soverchiamente sciolti.
La copertura morta, decomponendosi, fornisce incessantemente il
cemento umico che serve a legare nei terreni sciolti le particelle ter-
rose, danilogli una struttura grumosa; e fornisce altresì i principii
minerali, specie calce e potassa (elementi abbondanti nelle ceneri delle
foglie) che servono a coagulare l'argilla colloidale, e così modificano
favorevolmente alla vegetazione lo stato fisico del terreno.
" I montanari delle regioni castanicole (dice Gibelli) hanno l'im-
provvidissima abitudine di sottrarre nella primavera e nell'autunno
' Infatti tale fenomeno si verifica tanto nel castagneti malati quanto nei aani,
specie ov'è conservata intatta la copertura morta.
' Fra i quali primeggia ii Lumbriots terrestrix.
— 53 -
tutta la paglia del fogliame e dei detriti dal piede del castagno. Il
quale, invece, pianta più che generosa, è capace di fornire per più di
un secolo gran copia di castagne e abbondanza di foglie, senza che
l'ingrato montanaro lo rimuneri della più tenue quantità di concime,,.
•' È dunque naturale l'indurre che dopo tanti anni di sfruttamento
senza discrezione, anche gli alimenti alibili più abbondanti facciano
difetto e producano nell'organismo della pianta uno stato di debolezza,
che lo predisponga a subire l'influenza delle diverse cause deleterie e
tanto più dei parassiti fungini „.
D'accordo con Gibelli sopra l'influenza dannosa della cattiva usanza
d'asportare il fogliame dal castagneto; ma per quanto tale pratica sia
dannosa, per quanto possa contribuire a far deperire i castagni, questo
deperimento non costituisce il Male dell'inchiostro, né questa deplorevole
usanza ha rapporto alcuno con la manifestazione di tale malattia, come
più oltre dimostreremo.
La copertura morta non si esporta soltanto dai castagneti, ma
anche da altri boschi, specialmente in alcuni luoghi della Germania,
dove, come abbiamo detto, costituisce un uso civico che rimonta a
tempi assai remoti; ed altrettanto si fa in Francia dove questo diritto
d'uso risale al XIV secolo.
Le esperienze e le ricerche del dott. Schwappach, continuate per
un quarto di secolo in località diverse della Prussia, sopra boschi di
faggio situati in pianura ed in montagna, hanno condotto l'autore alle
seguenti conclusioni:
■' Tutti i lotti spogliati della copertura accusavano nettamente
l'influenza di questa operazione, coli' indurimento del suolo, che si copre
di muschi, coli' ingiallimento delle foglie e il deperimento dei fusti,,.
" Il suolo del lotto spogliato annualmente da venticinque anni è
tutto coperto di muschi e il popolamento è quasi morto, specialmente
al centro. Nella primavera scorsa, si è dovuto in questo lotto di ven-
ticinque are, abbattere 46 tronchi del popolamento dominante, intera-
mente secchi. Nel lotto spogliato ogni due anni, il rivestimento di
muschi è assai notevole, ma non ancoi-a continuo, e un certo numero
di tronchi sono morenti. Nel lotto spogliato ogni quattro anni, i ca-
ratteri sono delio stesso ordine, ma attenuati „.
" La perdita d'accrescimento al termine di venticinque anni, che
tanto hanno durato le esperienze, è stata in media:
" Quando la spogliazione ha luogo ad ogni anno .... 25 "/„
, n «l'ie anni. . 15 °U
quattro anni 10 "io
„ „ cinque anni 5 7„
— 54 —
" L'influenza nefasta è tanto più accentuata quanto da più lungo
tempo dura la spogliazione. Così, durante l'ultimo periodo, cioè durante
il venticinquesimo anno, la depressione dell'accrescimento si è elevata
in media:
" Nel caso della spogliazione annuale al ... 40 %
„ „ biennale al . . . 2.5 7o
„ „ quadriennale al 20 %
„ „ sessennale al . , 12 "/(,
" In cattive condizioni, la spogliazione annuale può, dopo trenta
anni, condurre al deperimento completo del bosco „.
Che la continua asportazione del fogliame possa essere causa di
lento deperimento anche nei castagneti è cosa logica, benché non sia
ancora dimostrato, né sia facile il dimostrarlo. Vi sono castagneti se-
colari, nei quali si è sempre raccolto il fogliame senza che in essi
siasi potuto notare il deperimento trovato dal Schwappach.
Noi abbiamo accuratamente esaminato le sezioni trasversali dei
tronchi e dei rami di 150 castagni morti pel Male dell' inchiostro in
località dove si raccoglie il fogliame dei dintorni di Fanano ed ove
le grossezze variavano da 10 centimetri a metri 1,20 di diametro, ne
abbiamo misurato lo spessore degli anelli, e lo abbiamo confrontato
collo spessore degli anelli della stessa età ed anche della stessa an-
nata, di castagni sani ; ma in media fra sani e malati non abbiamo
trovato differenza apprezzabile. Abbiamo esaminati castagni morti di
Male dell' inchiostro nel pieno vigore del loro sviluppo, e trovato che
gli anelli d'accrescimento del legno erano normali, sino al penultimo
anno, avevano in generale sino ad un centimetro e più di spessore.
Abbiamo esteso l'esame ed il confronto a castagni posti in condizioni
d'ubicazione e di terreno apparentemente non diverse ed appartenente
ai castagneti nei quali non si leva la copertura, ma lo spessore degli
anelli (che pure varia notevolmente sotto l'influenza dell'ubicazione,
della natura, della fertilità e delia freschezza del terreno) non ci ha
rivelato il deperimento che il dott. Schwappach ha trovato nei faggi.
Una depressione d'accrescimento del 25 al 40 per cento non po-
teva non manifestarsi.
Comunque, la morte dei castagni causata dal Male dell'inchiostro
non è accompagnata da una lenta e crescente depressione d'accresci-
mento, come avviene negli alberi che muoiono in seguito alla continua
annuale asportazione della copertura del bosco.
La copertura viva dei castagneti che si arroncano ad ogni anno,
quando si assetta il castagneto prima del raccolto, e che spesso si
— 55 —
asporta dal castagneto e si destina ad uso di lettiera, è quasi intera-
mente costituita da felci {Pleris aquilina, Asplenium Filix-fwminu, Ne-
phrodium Filix-mas, Aspidium acideatum) e di ericacee, specialmente di
Calluna vulgaris; giacche i muschi e le erbe basse non si estirpano,
perchè non ostacolano la raccolta delle castagne. Vedremo in altro
paragrafo la quantità presumibile di principii fertilizzanti che si asporta
dal castagneto con la copertura viva. Qui studieremo solo l'influenza
indiretta che si attribuisce a questa parte della copertura viva, sopra
le proprietà fisiche e chimiche del terreno.
Ramann riconosce che la Pteris aquilina (la più comune nei ca-
stagneti) esercita un'azione benefica, ma non così la Calluna vulgaris
ed i mirtilli che deteriorano il suolo con le loro radici e formano un
humus acido (terra di brughiera), mentre che Vhumus che si forma sotto
alle felci non è acido ed oltre a ciò il terreno si mantiene fresco e
permeabile.
Secondo Wolliiy, sotto la copertura viva la formazione deWhumus
avviene più lentamente, perchè è più lenta la decomposizione della
materia organica del suolo, la quale procede in ragione inversa della
densità della copertura viva ; quindi sotto tale rapporto la copertura
viva eserciterebbe un'azione nociva.
L'arroncatura o l'estirpazione della copertura viva non può nuo-
cere quindi al castagneto, anzi può essere utile se essa si sotterra, od
anche, benché in minore misura, se si brucia sul posto; ma vi riesce
di danno quando si porta via perchè si sottrae annualmente una notevole
quantità di principii fertilizzanti al terreno.
2) Principii fertilizzanti che si sottraggono annualmente dai casta-
gneto, mediante l'asportazione della copertura morta e viva, e col raccolto
delle castagne; ed esaurimento e deterioramento del terreno che ne con-
segne. — Il Vigiaui studiando i castagneti del Casentino calcola che
annualmente si asporti dal castagneto per ettaro:
Kg. 13,80 di azoto;
Kg. 8,81 di anidride fosforica;
Kg. 21,94 di potassio;
Kg. 36,72 di calce;
supponendo che nei castagneti della Toscana si raccolgano annualmente
20 quintali di castagne fresche, 7 quintali di rami e di legno, e 330
chilogrammi di foglie per ettaro.
Altri, calcolando in base ad un raccolto annuale di 22 quintali di
— 56 —
castagne fresche, un metro cubo di legna e due quintali di foglie, com-
putano pel castagneto le seguenti perdite per ettaro:
Kg. 16,56 d'azoto;
Kg. 9,07 d'anidride fosforica;
Kg. 23,23 di potassa;
Kg. 33,89 di calce;
in questo calcolo di sottrazione annuale al terreno non è compreso, ben
inteso, quanto occorre per l'incremento legnoso degli alberi, che varia
secondo l'età, la specializzazione della coltuia, la località, l'altitudine e
l'andamento della stagione; sottrazione anche questa non trascurabile
se si considera che il faggio (essenza affine al castagno e fra le meno
esigenti) esige per l'accrescimento legnoso annualmente per ettaro, se-
condo il Ramann:
Età
Azoto
Potassa
Anidride fosforii a
Kg.
Kg.
Kg.
a 20 anni
9,88
8,02
4,51
a 40 „
14,24
1 1 ,58
6,10
a 60 „
12,74
10,91
4,79
a 80 „
11,64
10,66
4,31
a 100 „
11,73
10,44
4,11
a 120 „
10,86
9,80
3,70
media
11,84
10,23
4,58
Tutto sommato, se si confronta l'esigenza del castagneto con quella
del prato, secondo i dati forniti da .Jolie ', emerge che il castagneto
sarebbe sei volte meno esigente del prato per l'azoto, tre volte per l'a-
nidride fosforica e cinque volte per la potassa.
Non ostante la poca esigenza del castagneto, in confronto delle
altre colture agricole, è logico che senza restituzione debba, coll'andare
del tempo, avvenire la depressione della produzione castanicola ed anche
il deperimento degli alberi; benché ciò non sia facile dimostrarlo. In-
fatti vi sono castagneti dai quali da secoli si asportano frutti, foglie e
legna senza dar loro mai concime, i quali non danno segno di sofferenza
né di diminuzione nel raccolto.
Bisogna quindi ammettere che vi debbano essere altri fattori che
intervengono a riparare le perdite dell'azoto ed a facilitare l'utilizza-
zione delle riserve minerali del suolo.
' Secondo Jolie in 10000 Kg. di fieno è contenuto azoto Kg. 160, anidride
fosforica Kg. 45, potassa Kg. 165.
— 57 —
Se confrontiamo i risultati delle analisi del Maissen (più avanti
ricordate) delle terre di 14 castagneti (fra i quali tre colpiti da Mule
dell'inchiostro), coi risultati delle analisi dei terreni di 92 foreste fran-
cesi (di diverse località e diversa natura geologica) riportate da Henry',
troviamo che rispetto all'anidride fosforica, tre dei castagneti analizzati
ne contengono una quantità maggiore della massima riscontrata nelle
foreste francesi e che solamente nel terreno di 49 foreste se ne sa-
rebbe trovato una quantità maggiore di quella trovata nel castagneto più
povero.
Rispetto alla potassa, il terreno di otto dei castagneti esaminati ne
conteneva una quantità maggiore di quella della foresta più ricca della
Francia, anzi due ne contenevano più del doppio. Solo il terreno di
undici foreste sarebbe più ricco di potassa di quello del più povero ca-
stagneto analizzato dal Maissen,
Ciò dimostra che, non ostante che nella maggior parte dei casta-
gneti sopra menzionati si raccolgano frutti, foglie e legna, non vi è
in essi maggiore esaurimento di potassa e di fosforo che nei migliori
forestali. Anzi, nei castagneti si trova una riserva di tali principi mag-
giore che nelle foreste più rigogliose della Francia.
Secondo Fliche e Grandeau le foglie di castagno contengono 0,62
d'azoto; 8,35 d'acido fosforico; 10,52 di potassa sopra mille grammi di
sostanza secca.
In quanto alla quantità di principi utili che vanno perduti per la
pianta quando le foglie morendo cadono in autunno, gli autori non sono
d'accordo.
Per alcuni, fra i quali Sachs, Kraus ^, Grandeau e Fliche, Reinke',
' Gli agi'onomi, dice Henry, sono concordi nel classificare i terreni rispetto
al fosforo, come segue:
a) terreni ricchissimi quando ne contengono più del due per mille;
b) terreni ricchi quando ne contengono dall'uno al due per mille ;
e) di ricchezza media quando ne contengono da 0,5 a 1 per mille;
</) poveri quando non ne contengono che da 0,1 a 0,5 per mille:
o) molto poveri quando ne contengono meno del 0,1 per mille.
Quattro dei castagneti il cui terreno fu analizzato da Maissen figurerebbero
quindi fra i ricchissimi; due fra i ricchi (uno dei quali affetto dal Male tlel/'iii-
chìosfrn); cinque fra quelli di ricchezza media (uno dei quali colpito dal Male flet
r inchiostro); e soltanto tre fra i terreni poveri.
' Kraus G., Einige Bemerkungen iiber die Erscheiminr/, ecc., in « Bot.
Ztg. ., 1873, n. 26.
' Reinke J., Lekrbuch der allgem. Botanik, 188(J.
— 58 —
Detmer ', Czapek ^, ecc., le foglie prima di cadere nell'àutumio, si vuo-
tano, cioè tutte le sostanze utili che contengono vengono immagazzinate
negli organi viventi della pianta. Per altri invece, fra i quali Combes ^,
Stalli*, Dulk ■', Wehmer ", la diminuzione delle sostanze solubili che si
verifica nelle foglie cadenti sarebbe dovuta a dilavazione operata dalla
pioggia e dalla rugiada.
Comunque, tanto che la scomparsa o diminuzione della potassa, del
fosforo e dell'azoto si debba ad emigrazione negli organi permanenti
della pianta o sia dovuta in parte o per intero alla asportazione ope-
rata dalla pioggia e dalla rugiada, queste sostanze non andrebbero per-
dute, perchè nel primo caso aumenterebbero le riserve della pianta, nel
secondo arricchirebbero il terreno.
Malgrado ciò è da ritenersi che una parte non trascurabile di so-
stanze utili per la pianta venga sottratta con le foglie che cadono e
quindi asportata con la copertura morta, come del resto dimostrano le
analisi di Wehmer, Combes, André ed altri.
La perdita inoltre per dilavazione continua nelle foglie anche dopo
la loro caduta. Ramann ha constatato che dopo un anno le foglie di
quercia lasciate esposte a tutte le intemperie avevano perduto il 40 per
cento della potassa; cioè le foglie che alla caduta contenevano 0,487 di
potassa, dopo due anni non ne avevano più di 0,133.
Non è dunque necessario che la copertura sia decomposta perchè le
sostanze minerali passino nel suolo. La potassa è quella che passa più
rapidamente; poi viene la magnesia e l'acido fosforico.
Le esperienze di Schróder, ripetute e confermate dal Ramann, lo
dimostrano in modo evidente. Un chilogramma di foglie di faggio rac-
colte in ottobre prima di essere state bagnate dalla pioggia, furono messe
in tre litri di acqua distillata e lasciatevi per 24 ore. Indi evaporando
questo liquido si ottenne un primo estratto; poscia queste stesse foglie
furono rimesse in due altri litri d'acqua distillata e lasciatevi per due
' Detsier W., Lehrb. dei- Pflanzenphysiologie, 1883.
^ CzAPBK Fr., Biochemie der Pflanzen, 1896.
■ Combes K., Les opinions actuelles sur les phénom'enes physiologiques qui
accompagnent la chtite de-i feui/les, in « Rev. gén. à. Hotauique>. Paris, 1911,
' Stahl e., Zur Biologie des Chlorophylls ecc. Jena, 1909.
^ Dulk E., Unteisuchungen der Buchenblntler in ihren verschiedenen Wuchs-
thumszeiten, in t Land. Jahrb. », 1875, Bd. xviii.
" Wbhmhr C, Die dem Laubfall voraufgehende vermeintliche Blattentleerung,
in >. Ber. d. d. bot. Ges. », 1892, Bd. x.
— 59
giorni, e da tale liquido si ottenne per evaporazione un secondo estratto:
e le analisi diedero i seguenti risultati:
Mille parti di
foglie secche
di faggio
contenevano
Sopra mille parti di sostanza
secca furono disciolte
Totale
per cento
1" estratto
2" estratto
Potassa .
Calce
Magnesia . . .
Acido fosforico
Silice
Cenei-e pura . .
Materia organica
i
5,668
20,858
3,093
4,233
23.179
60,300
2,807
0,657
0,561
0,592
0,609
5,576
18,540
1,285
0,696
0,428
0,219
0,612
3,334
8,450
71,66
6,26
32,01
19,18
5,26
14,77
2,70
Dunque, dopo tre giorni di dilavazione, le foglie secche avevano
perduto il 71,66 per cento della potassa e il 19,18 percento dell'acido
fosforico. E Ramanu ha dimostrato che tali perdite si hanno non solo
nelle esperienze di laboratorio, ma anche nelle foglie esposte a tutte le
intemperie.
Di ciò bisogna tenere il dovuto conto, quando si vuole calcolare la
quantità di principi utili che vengono annualmente sottratti al casta-
gneto con la raccolta delle foglie.
Come è stato di già detto, le foglie di castagno non si raccolgono
immediatamente dopo la loro caduta, ma si lasciano nel castagneto fino
che sono completamente secche, ciò che si verifica dopo parecchi giorni
e spesso dopo qualciie mese, nel qual tempo rimangono esposte a tutte
le intemperie e ciò nella stagione più piovosa dell'anno. Spesso anzi
esse non si raccolgono che nella primavera, cioè quando le nevi sono
scomparse. Ammesso che le foglie al momento che si raccolgono conten-
gano ancora il 15 per cento di acqua, i tre quintali di foglie che si rac-
colgono in un ettaro di castagneto, secondo i dati di Grandeau e Fliche,
conterrebbero :
Azoto Kg. 0,1581
Potassa 2,6826
Acido fosforico , 2,12925
se esse fossero raccolte subito dopo la caduta, cioè prima di essere
bagnate dalle pioggie e dalla rugiada; ma rimanendo esse esposte per
- 60 —
pareccliio tempo alle piogi^ie, la quantità di potassa e di acido fosforico
che si asporta annualmente da un ettaro di castagneto, con la raccolta
delle foglie, deve essere evidentemente molto minore, tale da non dovere
preoccupare dal momento che, come si è dimostrato, nel terreno dei ca-
stagneti esistono notevoli riserve tanto di fosforo che di potassa.
Riserva che, secondo i dati del Maissen sopra riportati, può essere
calcolata ad ettaro da un minimo di Kg. 4530 a un massimo di Kg. 48.330
per l'acido fosforico e tra uu minimo di Kg. 34.815 a un massimo di
Kg. 143.070 per la potassa, nello strato di terra a disposizione delle
radici del castagno, e che viene reso poco a poco assimilabile sotto
l'azione dissolvente dell'acqua, dell'acido carbonico e delle radici.
3) Decomposizione della copertura moria. — Per quanto riguarda
l'asportazione dell'azoto, bisogna notare che non tutta la copertura
morta si raccoglie ' ; anche quando si scopa accuratamente il casta-
gneto, ne resta sempre alla superficie, o incorporata allo strato superfi-
ciale del terreno, una quantità sufficiente per ospitare ed alimentare
miriadi di microrganismi; bacteri.ifomiceti, ed altri miceli di funghi supe-
riori, alghe, ecc., ciie hanno la proprietà di fissare l'azoto atmosferico.
Gli aerobionti che vivono nella copertura, dice Dezani -, utilizzano
i carboidrati come nella respirazione normale fissando azoto atmosferico;
il Macrosporium comune, secondo il detto Autore, per ogni grammo di
zucchero bruciato, può produrre fino mmg. 8,9 di azoto.
Secondo Henry, in foglie di quercia che avevano ancora 9,73 per cento
di acqua e che contenevano 1,108 per cento di azoto, dopo un anno d'e-
sposizione all'aria l'azoto era salito a 1,923 per cento; e in foglie di car-
pino che avevano 12,70 per cento di acqua e 0,947 per cento di azoto,
questo dopo un anno era arrivato a 2,246 per cento.
Il guadagno di azoto fu dunque di grammi 0,815 per ogni cento
grammi di foglie di quercia; di grammi 1,299 per ogni cento grammi
di foglie di carpino.
Supposto che la materia organica che rimane nel castagneto sotto
forma di foglie, di detriti e di terriccio fosse distesa in uno strato uni-
forme anche di soli due millimetri di spessore, si avrebbero sempre 20
metri cubi di copertura morta, pari a circa 16 quintali, capaci di ac-
cumulare sotto l'azione dei microrganismi da Kg. 13,05 a Kg. 20,78 di
' Vigiani ritiene clie .si laccolgano annualmente solo Q.li 3, .SO di foglie di
castagno per ettaro, altri calcolano solo due quintali ; molto meno quindi della
intera copertura morta.
* Dezani S., Sit le foglie cadute, studio biochimico, in « Staz. Sper. Agr.
It. ., Modena, 1913.
— 61 —
azoto; iinantità che può ritenersi sufficiente o quasi ai bisogni del
castagno.
Non intendiamo impostare queste, cifre (per sé stesse incerte e va-
riabili, dipendendo da fattori biologici e fisici variabilissimi da luogo a
luogo) nel bilancio annuale dell'azoto del castagneto, per contrapporle
alle cifre più sicuramente ponderabili e costanti, che rappresentano le
sottrazioni annuali d'azoto che vengono fatte col raccolto delle castagne,
delle foglie e del legno, ma le riportiamo solamente per dare una pos-
sibile spiegazione del fatto che vi sono castagneti dai quali si continua
da secoli ad asportare annualmente frutti, foglie e legna, senza che
diano segno di stanchezza o di deperimento.
C) Il " Male dell'inchiostro „
PDÒ ESSERE CADSATO DIRETTAMENTE 0 INDIRETTAMENTE
DA ESAURIMENTO 0 STERILITÀ DEL SUOLO?
Ripetiamo : il Male delt inchiostro non si presenta sotto una forma di
rachitismo o di deperimento cronico degli alberi. La malattia, come con-
cordemente riconoscono la massima parte degli autori, sembra anzi col-
pire di preferenza le piante più giovani e vigorose, ben inteso senza
risparmiare le altre.
Come abbiamo detto: a) vi sono castagneti in cui le foglie nou
restano sul terreno che per una ventina di giorni o per qualche mese;
in alcuni di questi si è sviluppata la malattia (p. e. a Piteccio nel Luc-
chese, a Castelnuovo Garfagnana, a Ariano, Fabbiano, Panano, ecc.), ma
la maggior parte dei castagneti così trattati, dai quali cioè si asporta
la copertura morta, non presentano alcun segno della Malattia dell'in-
chiostro tanto in Toscana e nella Liguria, quanto nel Piemonte e nel-
l'Emilia.
b) Vi sono castagneti in cui la copertura morta e viva non si
asporta, ma si ammucchia e si sotterra o si brucia quando si assetta il
castagneto all'approssimarsi del raccolto dell'anno successivo. In alcuni
di questi (p. e. pendici dei monti di Borgo a Mozzano e di Vidiciatico)
abbiamo riscontrata la malattia.
e) Vi sono castagneti selvatici o tenuti a ceduo, in cui la coper-
tura non si tocca mai, e rimane sempre sul suolo. Malgrado ciò essi
pure non sono risparmiati dal Male delV inchiostro., tali sono, p. e., alcuni
cedui dei dintorni di Pistoia e il ceduo di Sella presso Savona. Anzi,
mentre la Moria va distruggendo quest'ultimo ceduo, la selva di castagni
da frutto che vi è attigua, e che si scopa accuratamente per trarne let-
tiera, è fino ad ora immune.
— 62 —
In ciò le nostre osservazioni concordano con quelle del Crié, del
Delacroix e di molti altri osservatori francesi '.
Il prof. Celi, che fu il primo a studiare la malattia del castagno a
Graglia nel Biellese, fa notare che la malattia si manifestò per primo
nella parte bassa tenuta a prato e periodicamente concimata e lascia
intravedere il dubbio che la Moria sia provocata e favorita dalle con-
cimazioni.
A Lotta in comune di Fanano (Modena), dove abbiamo esaminati
e curati un gran numero di castagni affetti dal Male deW inchiostro, ab-
biamo constatato che la lavorazione, la concimazione del terreno e la
sua coltura non esercitano azione preservativa. Anzi, nei campi conci-
mati annualmente ed avvicendati con leguminose foraggere induttrici di
azoto, si osserva, in confronto dei terreni incolti, una maggior frequenza
di marciume radicale e di mortalità; cosi pure nei terreni castagnati
tenuti a prato stabile, specialmente se ricevano acque di colature miste
a colaticcio di stalla.
Nelle bassure, ove si accumulano le foglie portatevi dal vento e dove
scolano dalle parti soprastanti le acque pluviali cariche di sostanze umiche,
il marciume radicale si sviluppa più rapidamente e vi s'affretta il de-
corso della malattia e la morte dell'albero; senza però che le colature
di bosco esercitino nessuna manifestazione predisponente all'infezione
delje parti epigee dei castagni.
Osservazioni cliniche. — Riportiamo qui per esteso alcune delle
osservazioni fatte in campagna in appoggio delle cose sopra esposte.
a) Nel podere di Medoli, a levante della casa colonica, tra il fosso
del Borgo e quello della Riola, vi è un campo castagnaio di circa mq. 4000
coltivato a cereali, che si concima con letame e s'avvicenda con legu-
minose da foraggio. In esso si contarono 24 castagni morti del Male
dell'inchiostro: 15 avevano parte delle loro radici marcescenti e 2 soli ave-
vano le radici sane, mentre la loro chioma era pure attaccata dal Co-
ryneum come quella dei precedenti.
b) Tra la mulattiera Fanano Vesaro e la mulattiera dei Medoli,
a settentrione del fosso della Riola, vi è un altro campo coltivato a
cereali. In esso, quantunque sia alla periferia dell'area infetta, dei 12
castagni che vi si trovano, uno è morto, tre presentano marciume ra-
dicale e otto hanno i soli rami ammalati.
' Uno di noi lia avuto occasione di osservare giovani castagni malati e morti
nell'orto-pomario della Scuola di Villambits, dove il Prunet ha fatto le sue espe-
rienze; essi non erano morti certo per esaurimento del suolo!
— 63 —
e) Altro piccolo appezzamento presso la casa dei Medoli è col-
tivato ad erba medica. In esso vi sono 18 castagni dei quali sette morti,
sette con marciume nelle radici e quattro con le radici sane attaccati
solo nella chioma dal Coryneum come i precedenti.
d) Presso il campo a settentrione del fosso della Riola vi è un
altro appezzamento coltivato a lupinella, posto al limite estremo dell'area
infetta e della zona castanicola. In esso non vi sono che nove castagni,
tutti con rami più o meno attaccati da Coryneum, ma colle radici fino
ad ora sane.
e) Presso la casa dei Medoli vi è un prato stabile, che nella parte
che è più vicina alla casa riceve il beneficio delle colature di acque
pluviali concimanti per l'aggiunta di colaticcio di stalla, per cui esso
ha più l'aspetto di un verziere o di un pomario che di un castagneto,
tanto è la fertilità del suolo, il rigoglio e la floridezza della vegetazione.
Quivi si sono osservati 48 castagni morti per Male delì'inchioslro, 36
con marciume radicale e 22 con le radici ancora sane, ma attaccati nei
rami dal Coryneum come tutti i precedenti.
f) Presso la casa colonica dei Rodi vi è un altro prato, nel quale,
quantunque si trovi alla periferia dell'area infetta, si è osservato un
castagno morto per Male dell' indiiostro, il quale era posto proprio nel
punto più fertile dove defluivano le pluviali cariche di colaticcio di stalla;
6 avevano le radici malate e 58 le radici sane, ma erano tutti attaccati,
come gli altri, nella parte epigea.
ff) Nell'orto attiguo alla casa colonica vicino al fosso dei Rodi vi
era un castagno morto e tre con marciume radicale. Un altro castagno
morto si trovava nella siepe dell'orto medesimo.
h) Nel castagneto sopra la strada dei Medoli vi è un avvallamento
0 depressione longitudinale nella quale scolano le pluviali cariche di prin-
cipi umici, perchè provenienti dai castagneti soprastanti e in cui si accu-
mulano e permangono per tutta la stagione invernale i ricci e le foglie
portatevi dal vento e vi abbandonano per liscivazione la maggior parte
dei loro principi fertilizzanti. Quivi si sono osservati 40 castagni morti,
43 con marciume nelle radici, e 85 con le radici sane, ma tutti erano
più 0 meno attaccati nei rami dal Coryneum.
i) Nei castagneti di Lotta, facendo il confronto fra i castagni
cresciuti in terreni coltivati od a prato, con quelli cresciuti in teireno
incolto e magro, sopra 1221 castagni esaminati, nei primi crescevano 612
castagni, dei quali 140 erano morti (il 23,9 per cento), 194 presentavano
marciume radicale (il 33,1 per cento) e 252 avevano ancora le radici
sane (il 43 per cento); nei secondi (cioè nei terreni incolti), nei quali
crescevano 675 castagni, ve n'erano 25 dei morti (il 3,93 per cento),
— 64 —
74 con marciume radicale (11,65 per cento) e 536 con le radici sane
(85,35 per cento).
Fra questi ultimi se ne trovavano 40 nei quali non si osservarono
cancri nei rami; mentre gli altri, nessuno eccettuato, erano tutti attac-
cati dal Coryneinn.
CoNCLnsioNK. — Da quanto è sopra esposto quindi risulta:
I. — La scopatura e la raccolta delia copertura morta e viva,
anche se sono causa di deterioramento del terreno, non esercitano al-
cuna azione sulla manifestazione del Male dell' inchiostro;
II. La deficienza tV/nimus nel terreno non è causa predispo-
nente ttè efficiente della Moria dei castagni;
III. — La povertà del terreno in principi fertilizzanti non è causa
diretta o indiretta del male;
V. — La lavorazione e concimazione del terreno, l'induzione
d'azoto atmosferico, il beneficio di. colature pluviali, ricche di principi
umici e sali ammoniacali, non preservano i castagni dal Male delVin-
cìiiostro; al contrario, se non sono causa predisponente dell' infezione,
sembrano però favorire il marciume radicale ed affrettare il decorso del
male;
V. — I microrganismi fissatori di azoto non preservano i castagni
dalla Moria.
7. — Cause fìsiche
alle quali si è voluto attribuire la moria dei casta^^ni.
Furono a volta a volta considerate come causa della moria dei ca-
stagni il freddo, l'umidità, la siccità.
a) Freddo.
Nei Bassi Pirenei, come riferisce il Journal d' Agrìculture pratique\
la causa della Moria dei rastayni fu attribuita ai freddi del 1879-1880;
e negli à.Ui Pirenei, secondo Crié, furono incolpate le correnti d'aria
fredda "-.
' Paris, 1891, T. ii, pag. 782.
' CiìlÉ L., Rapporl sur la maladie des chàtaigniers daiis les Alpei occiden-
tales, Savoie ef Valais. in « Bull. d. Min. d'Agrie. », 1900.
— 65 —
Questa opinione, come giustamente osserva il Cile, è assolutamente
insostenibile. Non solo la malattia esisteva nei Pirenei prima del 1879-
1880, ma le caratteristiche lesioni prodotte dal freddo nei tronchi e nei
rami degli alberi non si riscontrano che di rado nei castagni affetti o
morti pel Male dell'inchiostro come la gélivure, la roidure, la lunare o 1»
disquamazione della corteccia, come sarà chiarito nel prossimo capitolo.
Ci limiteremo qui ad alcune osservazioni d'indole generale che ci
sembrano decisive.
1. Quando un albero muore dal freddo, sia che la morte avvenga
prima dello schiudersi delle gemme, sia che si avveri nel corso dell'e-
state, solo la parte aerea muore e fino alla morte l'albero mostra tutte
le radici sane e non marcescenti come lineile dei castagni che muoiono
pel Male deW inchiostro.
2. Il Male dell' inchiostro infierisce più nei luoghi bassi e caldi, che
in quelli alti e freddi; generalmente non sorpassa i 700 metri d'altezza.
Come si spiegherebbe ciò? Non si potrebbe invocare l'azione del gelo
e disgelo come per l'esposizione?
3. Nel Lucchese, nel Pisano, nel Pistoiese, nel Genovesato si ve-
dono castagneti distrutti dalla Moria accanto ad oliveti e vigneti ed
anche agrumeti sani, eppure questi sono ben più sensibili al freddo dei
castagno.
h) Umidità.
L'umidità del terreno è generalmente la concausa, la causa predi-
sponente del marciume micotico delle radici degli alberi; e nei terreni
argillosi anche la causa determinante del marciume per asfissia.
Come abbiamo potuto accertare a Fanano, l'umidità del terreno ac-
celera pure in modo evidentissimo il decorso del male quando questo ha
raggiunto le radici ed anche solo il pedale del castagno, anzi sembra
favorisca l'attacco al piede, come sarà detto trattando delle cause pi'e-
disponenti o favorevoli allo sviluppo della malattia; ma non predispone
né favorisce, sembra, la corineosi dei rami.
Non si può attribuire all'umidità del terreno, anche se stagnante,
la causa determinante del Male deir inchiostro. Il secondo stadio della
malattia, caratterizzato dalla morte e putrefazione delle radici, non può
assimilarsi al marciume ordinario, sia che provenga da micosi o da
asfissia delle radici, quantunque gli eff'etti non siano diversi e non sempre
sia facile distinguere le due alterazioni.
Il marciume ordinario si manifesta sempre in condizioni speciali
del terreno. Se dovuto a micosi nelle radici, in esse si manifestano le
Mli deU'InL Bui. ileirViiirei-Mii dì Parìa — Serii' II — Voi. .WIII. 5
- 66 —
caratteristiche rizomorfe (miceli corticali); se dovuto ad asfissia, è sempre
evidente l'impermeabilità quasi assoluta del terreno; ed in tali condi-
zioni, del resto, il castagno non prospera, ma vive difficilmente e sten-
tatamente. Quando poi il Male dell' indi io stro non è unito al marciume
ordinario, manca sempre la corineosi della parte aerea dell'albero.
Quantunque nel resto, la sintomologia del secondo stadio della ma-
lattia Male deiriìichiostro sia identica o poco diversa da quella del mar-
ciume ordinario, il modo però di diffondersi della moria a macchia d'olio
e il suo manifestarsi tanto nei terreni asciutti e leggeri, che nei ter-
reni umidi e argillosi, bastano a distinguerla; poiché il marciume ordi-
nario è legato all'ambiente e strettamente confinato nei luoghi ove le
condizioni necessarie si avverano.
Fu appunto la mancanza di localizzazione delia moria e l'allaigarsi
come una macchia d'olio dei suoi focolai primitivi, piìi che la mancanza
di miceli corticali, ed il colore d'inchiostro delle radici malate, che nei
casi dubbi la fecero distinguere dal marciume radicale ordinario; distin-
zione in cui ora tutti gli Autori convengono.
e) Siccità.
Nei me.si più caldi ed asciutti si hanno i maggiori casi di morte
repentina, quasi apoplettica dei castagni affetti dal Male deirinchiostro,
come degli altri alberi attaccati da marciume radicale o con molte ra-
dici lesionate.
Questo fenomeno, per analogia col folletage o apoplessia della vite,
fu attribuito da alcuni osservatori anche per il castagno al secco e al
calore dell'estate.
Se la siccità ed i forti calori estivi possono essere la causa occa-
sionale della morte repentina di castagni già affetti dal Male dell'in-
chiostro, come vedremo, non ne sono però la causa efficiente; come è
facile persuadersene osservando nelle regioni castanicole la distribuzione
della malattia, che non si limita ad attaccare i castagni nei luoghi più
asciutti, ma spesso predilige le fonde più fresche ed anzi è favorita
dall'irrigazione.
Del resto le perturbazioni causate dal calore e dalla siccità pre-,
sentano anche in una medesima località casi molto diversi ; l'intensità
della causa agente venendo assai modificata da condizioni specialissime
d'ambiente ed individuali della pianta; onde, secondo l'intensità e la
durata del suo effetto, mentre in alcune piante si ha la soppressione
definitiva delle funzioni essenziali alla vita, per disidratazione del plasma,
in altri individui si hanno perturbazioni soltanto temporanee e passeg-
giere, ma sempre visibili ed evidenti.
— 67 —
Sono appunto questi disturbi passegg^ieri e la periodicità del feno-
meno, che non si verificano nei castagneti colpiti da Moria: ciò esclude
che essa sia dovuta alla siccità o ai forti calori estivi.
Aggiungeremo ancora che quando anche la siccità ed il calore sono
tali da uccidere un albero, non producono mai uè cancri né corineosi sui
rami, né il marciume nelle radici, ciò che non manca mai nei castagni
che muoiono per il Male dell' inchiostro, il che è la prova più sicura per
escludere che la siccità ne sia la causa efficiente.
Si può dunque concludere che né il freddo, né l'umidità, né la sic-
cità possono essere indicate come causa della Moria dei castagni.
8. — Funghi parassiti e saprofiti
clie (làuuo luogo ad alterazioni secondarie nel castagno
e loro rapporti col "Male dell'inchiostro,,.
a) AaARicDS melleus Wallr. Abbiamo di già diffusamente parlato
deWAgaricus melleus la quale fu attribuita dal Planchon la causa della
Moria dei castagni.
Nei casi, non frequenti, in cui esso concorre ad aggravare od ac-
celerare il decorso del male, tale fungo non si può assolutamente rite-
nere come causa efficiente della malattia, ma tutt'al più va considerato
come una concausa.
Altri hanno sostenuto che VAgaricus melleus non cresce, o solo
raramente, nei castagneti, ma anche questo non è esatto. Noi l'abbiamo
osservato parecchie volte sulle ceppe e sopra le radici del castagno,
senza peraltro aver potuto notare alcun rapporto fra il suo sviluppo e
la sua frequenza con la Moria dei castagni; avendolo trovato quasi uni-
camente in castagneti sani e immuni dalla malattia;
b) Hypholoma fascicolare Huds. È frequente sopra le grosse
radici scoperte e sulle ceppe dei castagni affetti da Moria in territorio
di Fanano; non abbiamo peraltro potuto constatare che esso concorra
ad aggravare od accelerare il decorso del male né come concausa, né
come causa concomitante. Si trova con pari frequenza anche nei casta-
gneti immuni da Moria e sembra che i castagni attaccati da questo
agaricino non ne risentano danno o solo in modo poco apprezzabile.
Diversi autori peraltro affermano d'averne constatata l'azione dannosa!
e) PoLYPORns sdlphureus Fr. E abbastanza frequente nei casta-
gneti malati dei dintorni di Fanano e delle varie regioni castanicole
della Francia visitate dal Crié ; ma non attacca solo i castagni affetti
da Moria, bensi anche i sani con pari se non con maggior frequenza.
— 68 —
Non si può considerare neanche come causa concomitante, solo
contribuisce insieme ad altri saprofiti allo sfacelo del legno degli
alberi attaccati.
Qualche volta si sviluppa ntUa parte alta degli alberi penetrando
per le larghe ferite prodotte dalla rottura o dal taglio di grossi rami,
ma quasi sempre attacca la parte più bassa del tronco se vi sono ferite
0 lesioni profonde che mettano allo scoperto il cuore del legno.
Produce il mairiumr rosso del legno, da non confondersi col cuore
rosso. È la causa principale della carie o luna dei castagni, cioè della
corruzione della parte interna del tronco e dei grossi rami, c.lie li rode
e riduce in frantumi ed in polvere.
Il micelio di questo fungo penetra tra strato e strato del legno
seguendo gli anelli annuali d'accrescimento ed i raggi midollari, for-
mandovi mediante l'intreccio dei suoi filamenti una specie di feltro e
delle pellicole che dividono la massa legnosa infetta in tanti prismi, i
quali disseccando si staccano, si frantumano e si riducono in polvere
bruna come il tabacco. Questo fenomeno è dovuto ad un fermento solu-
bile {citoidrolitico) che viene segregato dal micelio del fungo. Questo
fermento, molto attivo, attacca le pareti degli elementi legnosi dei quali
scioglie lo strato mediano, per cui le fibre si screpolano e si rompono
trasversalmente.
A Fanano come nel Lucchese e nei dintorni di Pau nei bassi Pirenei
si vedono parecchi grossi castagni con vecchi cancri prodotti da corineosi
che abbracciavano un quarto o un quinto della circonferenza dell'albero
discendenti dall'e.stremità di un ramo della stessa parte lungo il tronco
fino a terra. In corrispondenza di vecchi cancri longitudinali la cor-
teccia era caduta ed il legno morto era messo a nudo.
A distanza hanno l'apparenza di alberi percossi dal fulmine.
È facile distinguere i vecchi cancri di corineosi dalle carie pro-
dotte dal Polyporus sulpìiureus e da altri funghi. Quest'ultimo procede
dall'interno verso l'esterno distruggendo il legno mentre i cancri del
Coryneum procedono dall'esterno in senso inverso all'interno : in questi
la corteccia si distacca e cade, il legno muore e si dissecca, ma non
viene intaccato e disfrutto come nella carie.
Polyporus dryadeus Fr. Questo fungo, che attacca con maggior
frequenza le querele, è stato osservato dal Crié anche nei castagni
affetti da Moria. Produce il marciume bianco del pedale, detto anche
marciume della radice. Noi l'abbiamo osservato in alcuni castagni mo-
renti di Fanano. Penetra per le ferite della corteccia del pedale e delle
grosse radici scoperte.
Non è una concausa della Moria, ma ad essa si trova associato solo
— 69 -
accidentalmeute. È indubitato peraltro che contribuisce ad affrettare
la morte dei castagni od il loro deperimento. Questo marciume si ma-
nifesta internamente con andamento radiale verso il centro del fusto.
Propagandosi secondo le fibre del legno sale lentamente nel tronco e
scende molto più rapidamente verso le radici. Il legno visto in sezione
longitudinale si mostra percorso da strisele bianchiccie o giallastre,
prende una colorazione brunastra, indi si decompone rapidamente in
una sostanza molle, spugnosa, d'un giallo rossastro, con cordoni interni
longitudinali bianchi, che hanno l'aspetto dell'amianto e che sono for-
mati da fibre delignificate e deformate.
Col tempo questa massa si disgrega e si polverizza in un tritume
bruno o nerastro e la ceppa diventa cavernosa.
La disorganizzazione del legno è dovuta ad un fermento che scioglie
la lamella mediana e trasforma la lignina degli elementi del legno.
A Fanano, qualche castagno con Male dell'inchiostro, scalzato per
l'esame e la cura delle radici, si è lovesciato per avere il fittone e le
radici della parte centrale della ceppa ridotte come manelle di stoppa
per opera di questo fungo.
Completamente estranei alla Moria e da considerarsi come epife-
nomeni accidentali sono parimenti il Pohjporus (Fomes) fulvus, il Po-
lyporus crijspus e la Daednlea quercina, che il Crié .dice d'avere osser-
vato sopra i castagni malati o deperenti. Noi in Italia non abbiamo
mai avuto occasione di vedere tali funghi né sui castagni malati né
sui sani.
Frequente vi è invece tanto sugli uni che sugli altri la FistuUna
hepalica, che pure concorre alla produzione della carie, ma che ben
poco può aggravare lo stato dei castagni affetti dalla Moria.
Lo stesso dicasi della Lensites betulinn Fr. e dello Schizophyllnm
commune Fr., quantunque abbiano, a quanto affermasi, un comporta-
mento parassitario; ma essi si trovano solo accidentalmente sopra i ca-
stagni presi dalla Moria, e molto meno di frequente della FistuUna
hepatica.
Nei rami uccisi direttamente dalla corineosi o per seccume indiretto
in conseguenza di marciume radicale si sviluppano delle Thelephoreaf,
alcune delle quali, come lo Stereum liirsuium Fr. (nel Borghigiano ed a
Fanano) e lo Stereum pnrpureum Pers. (a Fanano), sono da considerarsi
come causa concomitante o concausa del marciume stesso, poiché dis-
sociando gli elementi del legno modificano la composizione chimica
delle membrane lignificate e rendono il legno friabile. Nel processo di
decomposizione del legno possono concorrervi anche il Corticivtu, il
Chlorosplenium aeruginosum DeNot. osservatovi dal Crié, ed altri saprofiti.
— 70 —
I rami si spogliano della corteccia, cedono sotto il pioprio peso
e cadono in frantumi; e gli alberi morti per il Male dell'inchiostro, de-
nudati della corteccia, con monconi dei rami acquistano l'aspetto di
grossi pali infissi nel terreno pel richiamo degli uccelli, dando un
aspetto di desolazione caratteristica ai castagneti distrutti che riempie
di tristezza e non si dimentica.
Nel legno dei tronchi e dei rami dei castagni morti del Male del
rinchiostro sono stati notati diversi saprofiti, guali la Diplodia Castaneae
e la Nummularia Bulliardi osservativi dal Crié, il quale peraltro non
trovò che avessero alcun rapporto con la malattia; mentre invece ha
notato una certa costanza nella presenza di due altri niiceti che at-
taccano il legno dei castagni malati (che descrive imperfettamente),
lo Sphaeroìiema eìidoxylon e V Endoxylomijces Castaneae, i quali attac-
cano il legno, ma che secondo luì * costituiscono un fenomeno secon-
dario, un epifenomeno nel processo morboso ,,.
Lo stesso deve dirsi del Melanomma Gibellianum notatovi dal
Gibelli.
Ultimamente si è voluto attribuire molta importanza tiW'FAidotia ra-
dicalis, nota da lungo tempo quale saprofita o leggero parassita di azione
molto limitata e ristretta nelle radici scoperte e ferite del castagno.
Di essa abbiamo già detto troppo in altre Memorie e non ne riparle-
remo, tanto più che quello stesso (il Petri) che l'aveva preconizzata
quale causa della Moria, non ne fa più menzione in un suo lavoro di
compilazione apparso più tardi intorno al Male dell' inchiostro. '
9. — La sintomatologia e la patogenesi della Moria dei castagni *.
1) CoEYNEUM PERNiciosoM Briosi c Fameti, in Atti del li. Istituto
Botanico di Pavia; ser. II, voi. XIII, pag. 291-298. — Acervulis pul-
' Quando comparvero le pubblioazioui del Petri sopra la Dlepharospora cam-
bioora, gli Autori non ebbero occasione ne modo di occuparsene: le loro condi-
zioni di salute già gravi non consentivano ad essi la fatica dello studio. Questo
capitolo rimane dunque incompleto e mancante della parte che più interessa.
ì. m.
- Di questo capitolo, che doveva essere il più importante e nel quale, come
già fu detto, il Farneti stava raccogliendo ed ordinando tutte le osservazioni,
ancora inedite o già rese pubbliche nelle molte note preliminari, non si trova,
pur troppo, manoscritto pubblicabile.
Devo pertanto limitarmi a riportare le diagnosi delle forme miceliche nuove
indicatedagli Autori come causa della malattia e alcuni fi-ammenti di descrizioni,
insieme a un gruppo di conclusioni e considerazioni che erano state formulate da
essi ; richiamando lo studioso all'esame delle molte e bellissime tavole, delle quali,
per fortuna, il Farneti ha lasciato una spiegazione dettagliata. l. m.
— 71 —
vinatis, enimpentibus, alris; conidiis clavatis vel davato fusoidein, fuscis,
40-50 X 13-15 '( ; basidiis filiformibiis, fasciciilatis,paraphysibtis iutermixtis,
conidia superantibus.
In cortice Castaneae species liaec parasitica, morbum Moria dei ca-
stagni vel Male dell' inchiostro provocane.
2) FusicoccuM PERNiciosDM H. sj). — Stromatibus sparsis, majasciiìis,
innato-erumpentibus, depresso pidvinatis, verruculosis, fuligineis, plurilocula-
ribiis; sporuUs oblongo-fusoideis, hyalinis, continiiis, utringue oblnsiusculis,
intiis granidoso-multiguttulatis, 56-66 x 11-13 /t; banidiis aciadaribusi,
diniidio brevioribìis.
In cortice Castaneae species haec parasitica, morbum Moria dei ca-
stagni vel Male dell'incliiostrc provo<;ans.
3) Mklanconis perniciosa u. S}). — Fseudosfromatibus sparsis,
majusculis, peridermio piistulnto tectis, deinde enimpentibus, peritheciis ag-
gregatis, irregulariter sparsis vel subcircinantibus, majusculis, ovatis, in colla
convergentia attenuatis; ascis cylindraceis, stipitatis, 150-160 /i, longis;
paraph'jsibìis fiUformibus, ascos longe superantibus; sporidiis octonis. mo-
tiostichis, raro distichis, elliptico-oblongis, hijaliiiis, medio didi/mis parum
ronstrictis, utrinque ohtusiusculis, 35-38 15-18 /(.
In cortice Castaneae specie.-- haec parasitica, morbum Moria dei ca-
stagni vel Male dell'inchiostro provocans.
La Moria dei castagni presenta due fasi perfettamente distinte,
caratterizzate da una sintomatologia propria.
La prima fase, durante la quale la malattia è localizzata alla
chioma o alla parte aerea dell'albero, finisce quando il male, giunto
alla regione del colletto, invade le grosse radici. Essa è sfuggita a
tutti gli autori che si sono occupati dell'argomento: è caratterizzata
dal seccume di estremità dei rami e dalla comparsa sulla corteccia
dei rami stessi di macchie nere cancrenose che si estendono verso il
basso.
Quando il male è arrivato alle radici e comincia ad invaderle,
comincia la seconda fase, che termina quasi sempre con la morte del-
l'intero albero. È questa la fase della quale unicamente si sono occu-
pati i diversi autori descrivendone la sintomatologia che nei caratteri
generali corrisponde perfettamente a. quella delle piante arboree che
si ammalano e muoiono per marciume radicale, da qualunque causa
esso sia prodotto.
Pei caratteri della prima fase, un occhio esercitato nota facilmente,
in un castagneto infetto, non solo gli alberi moribondi, ma anche quelli
destinati a morire entro parecchi mesi ed anche dopo più di un anno.
Molte piante cominciano eoll'apparire languide per la scarsezza delle
__ 72 —
foglie, che sono anche più sottili e di colore più pallido, e perchè i
lamoscelli terminali dell'anno precedente sono già inariditi e nudi. La
fioritura ordinariamente è scarsa, può però essere anche normale, ma
i fiori 0 non legano, o dopo qualche tempo, p. e. in agosto, cessano
di ingrossare e rimangono abortiti sui rami ciie alla fine di settembre
sono già sjìogli di foglie, le quali invece negli alberi sani di solito
persistono fino alla fine di ottobre.
Ordinariamente una pianta in tre anni passa dal languore alla
morte la quale avviene per lo più dall'agosto all'ottobre. Però non
sono infrequenti i casi di alberi d'apparenza assai rigogliosa a mezzo
del luglio, sui quali in poco più di una settimana seccano tutte le foglie
che rimangano secche, insieme ai frutti incipienti, ' sulla intelaiatura
dei rami.
*
* *
In valle Freddana (prov. di Lucca), lungo la strada provinciale
per Camajore, esistevano castagneti che furono tutti distrutti dal male;
alcuni grappi di alberi, che sono stati tagliati ap[iena si mostrarono
sofferenti, allo scopo di utilizzarne almeno il legname, ricacciarono dalle
ceppe vigorosi polloni che ora contano già 15 anni e sono bellissimi,
mentre tutt'intorno la selva è scomparsa.
Questa è la prova che il male comincia in alto e che durante la
prima fase può essere arrestato coll'asportazione delle parti infette,
prima che il contagio sia arrivato alle radici.
*
» *
A Fanano (prov. di Modena), in una plaga di castagneto larga-
mente infestata dal male, la maggiore mortalità si verifica: 1» negli
appezzamenti coltivati a cereali e periodicamente concimati con stal-
latico; 2* in appezzamento coltivato ad erba medica; 3" in prato na-
turale. In quest'ultimo i casi più numerosi e più gravi di malattia si
verificano dove fluiscono le colature di acqua e di stalla. L'influenza
dell'acqua, sia che scorra superficialmente, sia che filtri attravei'so il
terreno, è parimenti manifesta perchè in tutti gli avvallamenti che
ricevono maggior copia di acque superficiali si osserva il maggior
numero di casi, ed i più gravi, di marciume radicale'.
' Ho voluto riportai'e, tra tante, questa osservazione perchè mentre essa si
spiega coll'azione favorevole dell'umidità su tutti i processi di marciume delle
radici da qualunque causa essi derivino, ricorda anche l'osservazione del Petri
sopra le infezioni nella regione del colletto. /. ni.
73 —
Conclusioni e considkrazioni.
Abbiamo dimostrato:
1." Il male ha la sua origine nella parte aerea e non nella
radice. Questo fatto ha importanza capitale per l'eziologia, la profilassi
e la cura della malattia.
2." Quando il male scende alle radici, in queste procede dal
tronco alle estremità. Questo fatto dimostra l'infondatezza dell'ipotesi
del Gibelli, del Lacroix e del Mangin.
3." Il male che si osserva nei polloni dei cedui è perfettamente
identico, per i caratteri patognomonici e per la sua eziologia, a quello
che si osserva nei lami delle piante di alto fusto.
4." La malattia è ovunque fondamentalmente la stessa, quan-
tunque in casi eccezionali, ristretti e limitati ad aree ben circoscritte,
essa si complichi per il concorso d'altre cause, specialmente del mar-
ciume fungino ordinario delle radici, già constatato da Planclion, e del
male de! rotolo, constatato da altri.
5." Il micelio del parassita, non facile a mettersi in evidenza
nei tessuti, ma facilmente riconoscibile per i suoi rami sottilissimi, non
settati 0 con setti assai radi ed a contenuto finamente granulare, invade
costantemente il tronco ed i rami delle piante ammalate, ma, a quanto
sembra, non penetra mai, o solo di rado, nelle radici.
6.° Il marciume (non fungino) delle radici è l'ultima manifesta-
zione della malattia, e non si riscontra mai in castagni col tronco ed
i rami sani, come abbiamo potuto constatare a Cadiboiia e nella pro-
vincia di Lucca, sradicando parecchie decine di castagni secolari, in
ogni stadio di sviluppo del male.
7." I concettacoli fruttiferi del Coryneum non si manifestano
che nello stadio finale della sua vita vegetativa, come in qualunque
altra specie di fungo; ma fino dall'inizio del male i tessuti si trovano
invasi dal micelio del parassita.
a) Che diverse forme fungine possano provocare quel complesso
di alterazioni che si comprendono sotto il nome generico di Male dei-
f inchiostro, non possiamo escludere, quantunque da noi non siano state
osservate sino ad ora che forme di sviluppo di un'unica specie. Esclu-
diamo però che vi sia Male d-lV inchiostro non parassitario e comunque
che cominci dalle radici.
b) Che il Coryneum perniciosum non sia altro che il Coryneum
Knnzei var. Castaneae Sacc, e quindi la Melanconis perniciosa sia la
Melanconis modoniae Tul., che in condizioni speciali diventa parassita
— 74 —
e si comporta come patogena, può darsi; ma tutto ciò per la eziologia,
la profilassi e la cura della malattia lia importanza secondaria. Cosi
dicasi dello studio della biologia e del polimorfismo probabile del pa-
rassita e dello studio delle alterazioni anatomo-patologiche.
e) Che vi possa essere qualcuno, che non riesca a trovare il
micelio ed i concettacoli fruttiferi del parassita nelle piante ammalate,
nessuna meraviglia; dal momento che ciò era sfuggito a botanici sommi,
come Gibelli, Planchon, De Seynes, Cornu, Mangiu, Delacroix, Prillieux,
per tacere di molti altri minori. Ed è confortevole per noi che altri
(Ducomet, Petri), dietro le nostre indicazioni, siano riusciti a constatare
che il Coryneum qualche volta c'entra nella malattia del castagno, pur
non es.sendo riusciti, nelle non facili ricerche, a confermarne la presenza
costante.
Noi siamo riusciti ad uccidere un grosso castagno nell'Orto Bota-
nico, inoculandovi le spore del Corì/neum e provocando non solo la
sintomatologia e l'intero quadro clinico della malattia, ma la riprodu-
zione dello stesso parassita sulla pianta inoculata. Nell'Orto Botanico
eonsei'viamo ancora l'albero da noi inoculato.
La legge ed i regolamenti forestali impediscono di togliere, anche
a scopo di cura, i castagni; per cui si vedono, specialmente in terreni
vincolati in provincia di Lucca, alberi ammalati o morenti che restano
in piedi, in omaggio alla legge, focolai d'infezione.
Cosi pure volendo tagliare al piede o sradicare i castagni amma-
lati, per estinguere un focolaio d'infezione, la concessione, quando viene
accordata, è sempre accompagnata dall'ingiunzione di ripiantare gio-
vani castagni nello stesso luogo, ed entro termine breve; per cui si
viene a perpetuare il male.
10. — Norme pratiche per combattere
la " malattia dell'inchiostro „ nei castagni *.
La cura deve variare secondo la gravità del male e secondo che
si tratta di piante allevate ad alto fusto od a ceduo.
La prima ispezione da farsi, negli alberi d'alto fusto, è quella di
vedere se il male è giunto alle radici. Quando il male vi è giunto ed
' Come fu già detto, la prima parte di questo capitolo è presa tutta da unii
nota del Farneti già pubblicata nella Rivista di Patologia vegetale; la seconda
parte riguarda esperienze da lui fatte, d'accordo col prof. Briosi, a Fanano in pro-
vincia di Modena ed in Valle del Serchio in provincia di Lucca.
/, m.
— 75 —
ha invaso più di un terzo del perimetro in cui esse si estendono, la
cura offre poche probabilità di successo, e vale meglio, per limitare l'in-
fezione del bosco, abbattere l'albero e possibilmente estirpare anche la
ceppa.
Nel caso che il male non abbia invaso che poche radici, si può
tentare di salvare la ceppa, recidendo il tronco, se si tratta di castagno
d'alto fusto, il più rasente terra possibile. Ciò fatto bisogna scalzarla
profondamente dalla parte ammalata ed asportare le radici ed il legno
infetto; disinfettando poscia ripetutamente le ferite con soluzione acida
di solfato di ferro al 30 per cento ed 1 di acido solforico, la cui pre-
parazione verrà più sotto indicata; o con soluzione di solfato di rame
al 5 «/o-
Se la ceppa si trovasse internamente cariata o cava, si dovrà disin-
fettare spandendovi ed introducendovi abbondantemente del solfato di
ferro o di rame in polvere, in quantità proporzionata alla grossezza
della ceppa e all'ampiezza della cavità o della carie.
Questa cura si dovrà fare solo nei casi che si ritengano pratica-
mente ed economicamente utili; a meno che non si tenti di farla a scopo
puramente sperimentale e scientiiìco.
Quando il male non è ancora sceso alle radici, la cura riesce più
facile; purché, con accurate esplorazioni, si possa stabilire il livello più
basso al quale esso è arrivato nei rami e nel tronco.
Le caratteristiche strisele livide e depresse noti sono visibili che
nei rami a corteccia liscia; ma non è difficile seguire la traccia del
cancro anche sotto la corteccia grossa e vecchia, ricoperta di ritidoma,
tanto sui grossi rami che nel tronco, purché vi si pratichino delle pic-
cole tacche esplorative. La necrosi, infatti, è ben visibile nella faccia
interna della corteccia, nel cambio e nell'alburno, per il suo colore più
scuro, per cui è facile ai potatori distinguerla a prima vista, special-
mente quando hanno fatto un po' di pratica in questa esplorazione. Giova
avvertire, nel praticare i saggi esplorativi, che tanto nei rami che nel
tronco la striscia necrosata discende sempre dallo stesso lato; a meno
che non vi siano più infezioni. Anche i ramoscelli che s'inseriscono la-
teralmente ai rami maggiori ed al tronco, possono servire di guida;
perchè quelli posti dalla parte ammalata sono morti o languenti, mentre
quelli dalla parte opposta sono sani e vegeti. Si può quindi avere un
indizio della via percorsa dal male.
Stabilito con molta approssimazione il punto più basso al quale si
presuppone giunto il processo infettivo, la sezione deve farsi almeno
cinquanta o sessanta centimetri più sotto, scegliendo la posizione più
indicata per una razionale potatura o capitozzatura.
— 76 —
Malgrado gli scandagli fatti, non è improbabile di trovare nel cambio
0 nell'alburno che il male scende anche più sotto, o che vi è un'infe-
zione anche da un altro lato. In questo caso bisogna seguire questa
traccia con gli stessi criteri e nello stesso modo che si è detto sopra;
imperocché con l'amputazione si deve asportare assolutamente tutta la
parte ammalata, altrimenti l'operazione sarebbe inutile.
Trattandosi di castagni selvatici, se il male giunge al tronco, vi
sarà maggiore convenienza e più sicurezza di riuscita, tagliandoli il più
lasente terra possibile, per avere una migliore e più vigorosa cacciata
dalla ceppa. Lo stesso dicasi per i castagni innestati, quando il male
giunge più basso dell'innesto. La capitozzazione del tronco è consiglia-
bile solo per non procedere ad un nuovo innesto e per avere più presto
rami da frutto.
Dei numerosi polloni che spunteranno sulla capitozza si sceglieranno
i tre 0 quattro più robusti, sopprimendo gli altri; cosi pure si farà per
quelli spuntati sulla ceppa, avvertendo, in quest'ultimo caso, di dare la
preferenza a quelli inseriti più vicino a terra.
Tutte le ferite prodotte dal taglio dovranno essere accuratamente
e ripetutamente medicate con solfato di ferro o di rame, come si è detto
sopra. La soluzione di solfalo di ferro per la disiufezione e la medica-
zione delle ferite si preparerà nel modo seguente:
In un recipiente di legno della capacità di circa 15 litri, comodo
per trasportarsi, si mettono 3 chilogrammi di .solfato di ferro, poscia vi
si versa sopra un decilitro di acido solforico a 53" Bé, agitando con un
bastone. Ciò fatto si versano 10 litri di acqua calda nel recipiente, e
si mescola fino a completa soluzione. È necessario versare prima l'acido
solforico sopra il solfato di ferro, per evitare che il liquido lanci degli
spruzzi pericolosi. La soluzione si applica con un pennello o con una
spugna fissata ad un manico.
Le ampie ferite prodotte dal taglio dei grossi rami, dei tronchi o
delle ceppe, dopo la disinfezione, sarà bene ricoprirle di catrame; atten-
dendo ad applicarlo che la ferita sia bene asciutta.
In qualche località, la malattia si presenta sotto forma diffusa di
soflferenza ed intristimento generale; ciò è dovuto alla concomitanza del
male del rotolo o ad una infezione generale che si propaga per l'alburno.
In questo fenomeno, forse vi contribuiscono anche condizioni speciali
dell'ambiente e la varietà del castagno. Non è sempre facile distinguere
la malattia fino dal suo primo inizio; spesso accade che quando compa-
iono i primi sintomi, il male ha già attaccate parte ed anche tutte le
radici. Qui si rende indispensabile una cura preventiva dei castagni che
crescono in vicinanza alle aree infette, per iinpedire che queste si allar-
ghino e il male si diffonda.
— 77 —
A questo scopo si può tentare la cura interna con soluzioni di sol-
fato di ferro, solfato di rame, o cou altre sostanze che la esperienza
potesse dimostrare efficaci. Queste iniezioni potranno avere effetto non
solo preventivo sopra piante non ancora infette, ma probabilmente anche
curativo sopra gli alberi le cui radici non sono che in piccola parte
ammalate. In quest'ultimo caso però, la cura non potrà avere in alcun
caso effetto, se non si procura nello stesso tempo di listabilire l'equi-
librio fra il ridotto assorbimento delle radici e l'evaiiorazione e traspi-
razione della parte aerea. Nel caso contrario sarebbe inevitabile la morte
di qualunque pianta, indipendentemente da qualunque alterazione morbosa.
Bisogna quindi ristabilire l'equilibrio fisiologico interrotto fra le
radici e la chioma dell'albero, riducendo quest'ultima, mediante lo scalvo
0 la proporzionata potatura, nell'indispensabile equilibrio funzionale delle
rimanenti radici.
La cura interna delle piante è stata altre volte tentata da Bon-
chery, da Harting e da altri, senza riescire a fare assorbire il liquido;
perchè ciò veniva impedito dall'aria frapposta nell'intenio del foro. Il
signor Mokrzecki riesci felicemente ad applicare questo metodo nella
cura della clorosi degli alberi da frutto, servendosi di un apparecchio
che permette l'introduzione del liquido e l'espulsione dell'aria nello stesso
tempo che si pratica il foro. In questo modo egli riesci ad iniettare 840
alberi con soluzioni di solfato di ferro, variabili dal 0,5 al 0,25 per cento,
e ciò con esito felicissimo. L'apparecchio del quale si servi fu quello
inventato e descritto da Schewyrew.
Questo apparecchio, senza essere troppo complicato, è incomodo ed
imbarazzante, per persone non addestrate come i contadini; quindi a
me sembra conveniente modificare alquanto l'apparecchio e procedere in
modo alquanto diverso, per ottenere lo stesso scopo pratico. Con un
trivello si piatica un foro di circa un centimetro e mezzo di diametro,
alquanto inclinato dall'alto al basso, penetrante attraverso l'alburno. Ciò
fatto vi si applica, avvitandola, una cannula del diametro voluto e di
dieci centimetri circa di lunghezza. Questa cannula, che potrà essere
di ferro o di ottone, a seconda che si desidera iniettare una soluzione
di sale di ferro o di rame, dovrà avere tre aperture, una all'estremità
che dovrà avvitarsi nel foro e due all'estremità opposta: una centrale
per l'introduzione del liquido e l'altra laterale per l'uscita dell'aria.
Quella per l'introduzione del liquido dovrà essere munita di un becco
per innestarvi un tubo di gomma; la laterale di una imboccatura da
chiudersi con un tappo. Quest' ultima, quando la cannula sarà avvitata
al tronco da iniettarsi, dovià essere rivolta in alto.
Il recipiente contenente la soluzione, oltre la capacità necessaria,
— 78 —
dovrà avere in basso tre o quattro fori per servire in ogni caso, mu-
niti ciascuno di una cannuccia alla quale si innesterà un tubo di gomma
di suflSciente lunghezza e che si terrà chiuso inferiormente con una mol-
letta. Al momento di usarlo, questo recipiente verrà sospeso in alto ad
un ramo od al tronco dell'albero, per avere una certa pressione; poscia
l'estremità libera dei tubi di gomma verrà innestata al becco di ciascuna
cannula avvitata nei fori praticati nell'albero da iniettarsi. Ciò fatto si
leverà il tappo della bocca d'uscita dell'aria, si apriranno le mollette;
ed il liquido penetrerà per le cannule nei fori, riempiendoli e scaccian-
done l'aria, per la bocca a ciò destinata. Quando il liquido uscirà da
quest'ultima, non vi sarà più aria nel foro né nella cannula; allora la
bocca per l'uscita dell'aria potrà chiudersi col tappo, ed il liquido verrà
lentamente assorbito dall'albero e messo in circolazione insieme alla linfa.
Mokrzecki dice che un albero di 20 centimetri di diametro può as-
sorbire 8 litri di liquido in 24 ore. Quando l'albero è grosso, non basta
jìraticarvi un sol foro, ma bisogna farveue tre o quattro per rendere
più perfetta e sbrigativa l'operazione.
Il momento più propizio [ter la cura interna si ha nei mesi di raaizo,
aprile e maggio, quando i succhi sono in movimento.
La quantità di sale da farsi assorbire agli alberi dovrà variare in
proporzione della loro grossezza, avvertendo di procedere con molta
prudenza. Moki'zecki è riuscito a fare assorbire ad un albero di mediocre
grossezza fino a 12 grammi di solfato di ferro in soluzione anche al 2
e mezzo per mille.
Malgrado i buoni risultati ottenuti dal Mokrzecki, non bisogna di-
menticare che il Dementjew li nega assolutamente e che il solfato di
ferro nelle piante può decomporsi, dando luogo a composti insolubili e
mettendo in libertà acido solforico; ciò che può essere tanto più facile
nel castagno, albero molto ricco di tannino. Secondo esperienze da me
fatte, il castagno tollera meglio il solfato di rame del solfato di ferro.
Internamente può tolleiare il ^/., per mille di solfato di rame, mentre
la stessa dose di solfato di ferro può produrre bruciature sulle foglie.
Per evitare le conseguenze di intossicazioni generali, o perturba-
zioni osmotiche, è prudente provare prima sopra uno o pochi alberi, già
compromessi; iniettandovi soluzioni molto diluite; vale a dire impiegando
un tempo proporzionalmente maggiore per fare assorbire all'albero una
stessa quantità di sale. Nel caso però che la pianta desse segni di sof-
ferenza, si dovrà immediatamente sospendere l'operazione.
Le iniezioni col solfato di ferro si dovranno quindi praticare con
maggiore prudenza, in conseguenza della sua maggiore tossicità per il
castagno. Le soluzioni consigliabili sono al 2 per 10 mila, quantunque
I
79
il castagno sembri tollerare internamente, senza inconvenienti, anche
le soluzioni al 5 per 10 mila, tanto dell'uno che dell'altro sale; e fa-
cendo assorbire al massimo 10 litri di liquido per volta. La dose potrà
essere aumentata nel caso che in pratica si veda di poterlo fare senza
inconvenienti '.
*
* *
La malattia nei cedui è la stessa di quella degli alberi di alto fusto,
ma può presentarsi alquanto diversamente, specialmente nei cedui sopra
ceppala.
L'infezione dei polloni sopra ceppaia avviene più di frequente alla
loro inserzione con la ceppa, in conseguenza della loro direzione verti-
cale, che facilita il trasporto dei germi per mezzo dell'acqua di pioggia
che scorre lungo di essi, più facilmente che nei rami obliqui ed orizzon-
tali; di conseguenza anche il loro ammalarsi all'ascella da essi formata
con la ceppa.
Quando il pollone è attaccato alla base, il male si comunica facil-
mente alla ceppa e da questa alle radici, per cui non facile riesce la
cura; malgrado che la striscia livida sia sempre visibile sui polloni.
Non di rado, il cancro non arriva fino alla base del pollone, e sem-
brerebbe che tagliandolo alla base e disinfettando la ferita si dovesse
eliminare il male. E ciò succederebbe senza dubbio se il male fosse limi-
tato al pollone che si taglia, ma spesso si trova infetta anche la ceppa,
da più 0 meno lungo tempo. Non già che il male si sia propagato a
questa dal pollone in discorso; ma da polloni che sono morti fino dai
' Il Fariieti ha provato a far assorbire a rametti di castagno muniti di gio-
vani fjermogli soluzioni di solfato di ferro e di solfato di rame a diversi gradi di
concentrazione, e lasciò delle sue esperienze i seguenti risviltati:
per il sol fido dt.fvrru.
soluzione al 5 per 1000: dopo 48 ore i germogli cominciavano a dar segni evi-
denti di sofferenza e dopo 68 ore erano morti ;
:. '2,5 • dopo fi8 ore cominciavano a dar segni di sofferenza :
1 . i segni di sofferenza si avevano solo dopo 92 ore: dopo
130 ore i germogli morivano ;
per il solfato di rame,
ì dopo 120 ore non si avevano ancora segni di sofferenza :
. 0,.5 > • idem idem.
— 80 —
primi anni del loro sviluppo, od anche da vecchi polloni del taglio an-
tecedente; come non è difficile constatare dalla presenza degli speroni
del taglio precedente che non hanno ricacciato o dai germogli dissec-
cati già da tempo ed inseriti appunto dalla parte dalla quale il male si
è diffuso alla ceppa ed alle radici.
In questi casi la cura è assai difficile se non sempre impossibile.
Ciò dipende dall'estensione che il male lia preso nelle radici.
Si potrà tentare di scalzare la ceppa ed asportare la maggior parte
delle radici e del legno guasto, come si è detto per gli alberi d'alto
fusto, disinfettando abbondantemente e ripetutamente le ferite prodotte
col solfato di ferro, o di rame, come si è detto sopra.
Le ferite si ricopriranno in seguito di catrame, e se la ceppa è
cariata si tratterà come quella degli alberi di alto fusto.
I rimedi curativi nei cedui potranno avere sempre un'efficacia limi-
tata; è indispensabile quindi la cura preventiva. Questa cura consiste
iieli'irrorare le ceppate in primavera, specialmente alla base dei polloni,
con poltiglia bordolese o con solfato di ferio al 25 o 30 per cento, ma
prima che le piante vadano in vegetazione e procurando di non toccare
le gemme.
Questa cura preservativa potrebbe applicarsi anche ai polloni delle
capitozze almeno per i primi anni.
Spesso al Male deV inchiostro si aggiunge il comune marciume radi-
cale. In quest'ultimo caso bisogna risanare il terreno col drenaggio e
disinfettarlo col solfuro di carbonio, prima di ripiantarvi alberi di qua-
lunque specie.
Per la ricostituzione dei castagneti distrutti si può ricorrere ai ca-
stagni giapponesi ', avvertendo però che male si prestano come soggetto
da innesto per il nostro castagno, e che comunque non potrebbero pre-
servarlo dalla malattia nella parte aerea.
È da notarsi ancora che i castagni del Giappone producono poco
legno, quantunque di buona qualità, e frutti meno apprezzati dei nostri.
Dopo la potatura dei castagneti infetti, bisogna asportare tutto il
broccame e la legna, focolaio d'infezione, carbonizzandola o destinandola
al riscaldamento.
' I castagni giapponesi per la ricostituzione dei castagneti distrutti dal Male,
dell'inchiostro . furono proposti in Italia fino dal 1892 dal prof. Vittorio Perona.
I
81
11. — Esperienze per combattere il " Male deiriuchiostro,,
a Lotta (Fauano) e a Lucca ^
A Lotta in comune di Fanano (Modena) in mezzo ad una plaga
di castagneti perfettamente sani si trova un focolaio infetto di 500 metri
di lunghezza per 130 di larghezza.
I lavori di estinzione e di cura che stiamo iniziando, hanno lo scopo
d'impedire l'allargarsi del centro infetto, circoscriverlo, salvando, possi-
bilmente anche parte dei castagni ammalati del focolaio.
A tale scopo, a cominciare dal centro dell'area infetta, si scopre il
primo palco di radici di ogni castagno in un raggio di uno a due metri
a cominciare dalla ceppa. Se il numero delle radici affette da marciume
è tale da lasciai-e poca speranza di salvezza per l'albero, questo viene
sradicato e carbonizzato. Se le radici ammalate sono invece in numero
limitato, queste si asportano e si bruciano e in corrispondenza della loro
inserzione si scalfisce la ceppa fino a trovare il legno sano; si medicano
le ferite con ripetute pennellature di una soluzione satura di solfato di
ferro (40 a 45 per cento), con aggiunta dell'uno per cento di acido sol-
forico e quando le ferite medicate sono rasciugate si ricoprono di uno
strato di catrame. Si disinfetta la terra smossa con la soluzione sopra-
detta allungata con due terzi di acqua e si ricolma la buca ricoprendo
tutte le radici.
Ciò fatto si passa all'esame dei rami e del tronco. Si dovranno to-
gliere tutti i rami ammalati, senza eccezione, recidendoli almeno 20 cen-
timetri più basso del livello al quale è discesa la cancrena. Non basta
però limitarsi all'esame dei rami, specialmente se vi è marciume radicale,
ma bisogna seguire i cancri nel tronco, nella direzione dei rami o delle
radici ammalate in corrispondenza dei quali o delle quali discende.
Siccome però i cancri non lasciano alcuna traccia sulla corteccia
vecchia, bisognerà fare dei saggi con delle tacche, ed accertata la pre-
senza del male, asportare la corteccia che lo ricopre, scalfendo il legno
fino a trovare il sano. Poscia si medicano le ferite con la soluzione di
solfato di ferro concentrata come si è detto sopra e si ricoprono con
uno strato di catrame.
' Anche qviesta parte del lavoro rimane incompleta. Ho cercato completarla
coll'aggiunta di una relazione mandata dagli Autori al Ministero di Agricoltura
nel 1915 e con notizie avute recentemente dal Sindaco di Fanano e dal Direttore
della Cattedra ambulante di Agricoltura di Lucca, ai quali invio sentiti ringra-
ziamenti. '■ "'■
Atti dell' Ist. Boi. iletr rrtirersiUi ili Paria - Serie II - Voi. XVIII. tì
— 82 —
Se i rami tagliati non si giudicano nell'insieme sufficienti a rista-
bilire l'equilibrio in proporzione delle radici soppresse, si taglieranno
altri rami, curando possibilmente la forma della chioma dell'albero, av-
vertendo che una potatura eccessiva non nuoce, mentre se deficiente
può essere causa della morte della pianta, indipendentemente dalla ma-
lattia, per semplice squilibrio funzionale.
Verso la periferia del terreno dell'area infetta il marciume radi-
cale si fa sempre più raro e meno grave e si arriva ad un limite in
cui non se ne trova più traccia. Ciò non vuol dire però che i castagni
con radici sane non possano essere ammalati nei rami ed anche nel
tronco, per cui è necessaria la maggiore attenzione nell'esame di questi;
esame che dovrà essere ripetuto nella primavera e nell'estate e per più
anni di seguito.
Nel luogo dove si abbattono castagni e rami ammalati e dove questi
si accatastano prima di bruciarli o carbonizzarli, si dovrà aspergere il
terreno superficialmente con una abbondante irrorazione di una soluzione
di solfato di rame al 5 per cento.
In valle Freddana, in provincia di Lucca, in una regione castani-
cola quasi interamente distrutta dal Male dell'inchiostro esiste un gruppo
di castagni ammalati in vario grado, evidentemente condannati a mo-
rire fra non molto. Quivi si vuole applicare il sistema di cura che si
pratica a Lotta in comune di Fanano, per vedere se si riesce a salvare
almeno una parte dei castagni ammalati e vedere quale valore curativo
abbia un tale trattamento. A Lotta invece, col tentare di distruggere
il focolaio infetto si tende specialmente a dimostrare il valore profilat-
tico di questo sistema di cura.
A Borgo a Mozzano e ad Anchiano in valle del Serchio, provincia
di Lucca, si fanno anclie esperienze di inoculazione con solfato di rame,
mediante un apparecchio speciale da noi ideato, di facile applicazione.
La soluzione al due per mille, contenuta in un recipiente fissato al tronco
dell'albero, viene introdotta nel fusto, mediante una cannula a doppia
imboccatura, una nella direzione della canna stessa cui s'innesta un
tubo di gomma (in comunicazione col recipiente soprastante contenente
la soluzione) e l'altra perpendicolare a questa che serve per l'espulsione
dell'aria. Scacciata l'aria dal foro e dalla cannula, si chiude l'imbocca-
tura superiore ed il liquido penetra e viene messo in circolazione.
Ad Anchiano, dove si verifica una forte mortalità anche nei casta-
gneti nati da seme o trapiantati nel castagneto infetto, per cui essi
muoiono quasi tutti nel primo o secondo anno e raramente raggiungono
il quinto anno d'età, si fanno esperienze dirette a dimostrare che l'in-
— 83 —
fezioiie procede per via epiia;ea e non ipogea e che la malattia non è
in correlazione con la natura fisica e chimica del terreno né con una
misteriosa intossicazione del medesimo.
A questo scopo sono state trasportate ad Anchiano 25 piccole piante
di castagno allevate in vaso nel nostro Orto Botanico di Pavia, con terra
in cui non è mai stato coltivato castagno e col loro vaso sono state poste
in larghe e profonde buche entro altri vasi più grandi isolati dal ter-
reno circostante con spesso strato di ghiaia. Se malgrado questo isola-
mento con doppio vaso e drenaggio, le piante muoiono, la loro mortalità
non si potrà imputare ad infezione ipogea, né alla natura o tossicità del
terreno, ma ad una infezione epigea.
Breve Relazione delle esperienze iniziate a Fanano per la cura del
Castagneto ivi fortemente attaccato dal " Male dell'Inchiostro,,.
{Mandata al Ministero di Agricoltura il 16 novembre 1915).
Come è noto, nella primavera scorsa si iniziarono per ordine di
codesto Ministero a Fanano lavori ed esperienze per combattere il
Male delV inchiostro che aveva fortemente attaccato un castagneto in
contrada di Lotta sita sotto la strada che da Fanano conduce a Sestole.
Con piacere posso annunciare ora che i primi risultati ottenuti sono
molto promettenti, anzi superiori alle speranze.
Furono, come di già scrissi a codesto Ministero, trattati e curati col
metodo di già descritto (nella lettera 8 maggio 1915, Num. di prot. 271)
più di tremila alberi, dei quali 1200 nelle radici e circa 2000 nei fusti
e nei rami.
Ebbene nell'ultima ispezione (settembre e ottobre) si è trovato che
nella maggior parte degli alberi trattati ove era stato possibile con-
durre le operazioni colle dovute cure ed individualizzare lo stato mor-
boso dell'albero con precisione, tutti i sihtomi del male sono scomparsi
in seguito alla cura. Alberi che sarebbero morti con certezza durante
l'estate scorsa poiché avevano di già l'aspetto clorotico e cachettico, con
foglie pallide e piccole, ricci rachitici e mal sviluppati e non avevano
maturato i frutti nell'anno precedente, in questo invece, cioè dopo la
cura, l'aspetto loro è interamente cambiato, le foglie hanno raggiunto
le dimensioni normali, non sono più pallide ma di un verde sanissimo
e gli alberi si sono ricoperti di abbondanti e grossi ricci, pieni di ca-
stagne perfettissime ed eccellenti.
— 84 —
Fra i malati se ne erano lasciati sedici a titolo di esperimento e
per desiderio del proprietario e del contadino, ma senza alcuna nostra
speranza di guarigione, poiché da essi avevamo asportati nove decimi
e più delle radici; questi li abbiamo trovati in parte morti, in parte
morenti nonostante fossero stati (almeno alcuni) anche capitozzati, e ciò
non perchè il male in essi non fosse arrestato dalla cura, ma perchè
le radici rimaste non furono sufficienti a tenerli in vita.
In 48 alberi l'equilibrio funzionale fra radici e chioma non era
stato ben ristabilito, onde si è dovuto procedere a nuovi tagli, poiché
le radici lasciate non bastavano a mantenere in coudizioni di vegeta-
zione normale la chioma rimasta.
In alcuni degli alberi curati furono trovate ancora altre radici
guaste 0 perchè non riconosciute come tali nella primavera scorsa, o
perchè sfuggite all'esame durante la prima cura ; queste, come è natu-
rale, furono ora asportate. Tolte queste poche eccezioni, tutte le piante
curate non presentavano differenza alcuna colle piante sane dello stesso
castagneto e dei castagneti immuni limitrofi; l'aspetto del fogliame, la
grossezza e l'abbondanza dei frutti non differivano. Anzi ben se.<santa
alberi fra quelli curati, ai quali si erano non solo asportate parecchie
radici marcescenti, ma altresì intaccate profondamente la ceppa,' presen-
tavansi più rigogliosi e più ricchi di frutti dei migliori alberi sani :
notisi che alcuni di questi alberi eransi dovuti puntellare per tenerli
in piedi, tante erano le radici tagliate e così forte era stata la porzione
di ceppa scalfita ed esportata.
In generale può dirsi che si è riusciti a combattere radicalmente
il male anche negli alberi che avevano attaccato sino *j^ delle radici.
Verso la fine del prossimo inverno si faranno nuove ispezioni per
continuare eventualmente il lavoro e meglio assicurare il già fatto.
Da una lettera delT avv. Amato Veggetti, Sindaco di Panano:
L'effetto migliore ottenuto dalle operazioni fatte dai prof. Farueti
in località " Lotta „ di Fanano contro la Malattia dell'inchiostro dei ca-
stagni é stato l'isolamento assoluto della malattia che non si è propa-
gata ai castagneti vicini come avrebbe certamente fatto senza le cure
di Farneti e con quale danno per la nostra montagna é facile immaginare.
Panano, 2 aprile 1921.
A. Veggetti.
85 —
Da una lettera del prof. Pio Bonuccelli, Direttore della Cattedra ambu-
lante di Agricoltura di Lucca:
Le esperienze furono condotte negli anni 1912-13 e 1914; ed avreb-
bero dovuto continuare nel 1915, ma tutto il personale tecnico di questa
Cattedra fu richiamato alle armi e non risulta che il prof. Farueti po-
tesse in quell'anno recarsi a Lucca, ove invece fu nei tre anni pre-
cedenti.
Nell'anno 1912 a Borgo a Mozzano, ad Anchiano e a Barga si
fecero operazioni di scalzamento delle ciocche di castagno, abbattimento
delle piante che avevano le radici infette, taglio dei rami ammalati per
le altre, con disinfezione dei tagli fatti.
Nel 1913 e 1914 si continuarono nelle stesse località, e poi in Valle
di Freddana, e a Sesto di Menano le stesse operazioni.
Inoltre a Borgo a Mozzano, ad Anchiano ed a Sesto furono fatte
esperienze di inoculazioni di solfato di rame e di solfato di ferro. Le
applicazioni peraltro furono fatte un po' tardive, a vegetazione iniziata,
e nel 1913 nel periodo delle esperienze si verificarono anche numerose
pioggie, per cui le piante assorbiiouo poco liquido, dimodoché non si
sono notati risultati pratici. Ad Anchiano nel maggio 1914, in un ca-
stagneto già molto devastato dalla Moria, furono poste 20 piantine di
castagno provenienti dall'Orto Botanico di Pavia.
Durante la prima estate dette piantine vegetarono bene. Nell'in-
verno successivo alcune furono danneggiate da cause estranee : le altre
successivamente si sono perdute tutte, mi diceva il proprietario, forse
per siccità.
Nella mia recente ispezione ho constatato che un beneficio si è
ottenuto colle amputazioni più o meno grandi dei rami grossi delle
piante.
I castagni che hanno subito questa operazione hanno resistito di
più di fronte all'invadenza della malattia, e ve ne sono tuttora.
Cosa questa, che in moltissimi casi era stata notata da molti nostri
selvicultori, i quali sovente ne profittano trasformando in boschi cedui
i castagneti ad alto fusto presi dalla Moria, sicuri che il bosco avrà
cosi una vitalità molto lunga.
Lucca, m ajyrile 1921.
Più Bonuccelli.
— 87 —
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Tav. I.
Pianta di castagno attaccata dal Male dell'inchiostro ed ormai perduta nella parte
superiore.
Tav. 11.
Paesaggio con diverse piante di castagno morte o morenti per Male dell'inchiostro.
Tav. iti.
Piante di castagno della località delle precedenti, e che al pari di esse, alcuni
anni or sono, si ritenevano perdute, ma che il proprietario Cav. Avvo-
cato Lorenzo Lorenzetti di Castelnuovo Garfagnana riesci a s alvare
recidendo in tempo il tronco.
Ora, come si vede nella figura, hanno ripreso nuovo vigore e si trovano in piena
e vigorosa vegetazione, abbondantemente cariche di irutti.
Tav. IV. '
Fig. 1 e 2. Parte inferiore di due giovani polloni attaccati da cancro (e) che
scende fino nelle radici.
3. Grosso ramo, preso da un albero d'alto fusto, in cui vedesi il cancro (e)
che dalla sua estremità scende fino alla base.
i. Pollone percorso dal cancro (e) in tutta la sua lunghezza.
Tav. V.
Fig. 1. Cancro formatosi nella parte inferiore di un pollone che non ha rag-
giunto ancora il piede. Le radici sottostanti si trovano ancora sane.
» 2. Ceppala con vari polloni, dei quali solamente quello di sinistra ha un
cancro (e) alla base ; gli altri sono perfettamente sani.
Solo le radici sottostanti al cancro del pollone sono ammalate per
un breve tratto, a partire dalla ceppa, nel resto, fino all'estremità
delle più sottili ramificazioni e delle barbicelle sono ancora sane. Tutte
le rimanenti radici della ceppa sono perfettamente sane.
3. Pollone con cancro che discende dalla vetta; ma che non arriva e s'ar-
resta prima di toccare il piede. Le radici sottostanti sono tutte sane.
88 —
Tav. vi.
Fig. i. Sezione longitudinale di un i-amo, con forme miceliali toruloidi (m) nella
corteccia.
» 2. Porzione di ramo, con cancro (e, e). In essa si vedono stromi del paras-
sita (sf), e lenticelle (Z).
» 3. Grosso ramo d'una pianta d'alto fusto con cancri (e) che dall'estremità
dei raini di primo, secondo, terzo e quarto ordine scendono e conflui-
scono nel principale, fino al tronco, formando strisele livide, depresse,
da una sola parte del ramo.
» 4. Sezione di un giovine ramo, praticata in con-ispondenza di una macchia
formata da recente infezione (e). II tessvito è invaso dal micelio del
parassita, che caccia anche rami aerei (??i). In essa si vede che per
arrestare il processo infettivo si è formata una prima diga di su-
ghero (d) ; che questa non è stata sufficiente per arrestare le infiltra-
zioni tossiche, segregate dal parassita, per cui si è formata una seconda
diga (d'), ed in fine una terza cP.
5. Giovane ramo con cancro ellissoidale localizzato (e), a lento sviluppo, di
circa due centimetri di larghezza; in cui sono già comparsi stromi (st)
del parassita.
» 6. Altro giovane ramo con piccoli cancri (e) a lento sviluppo, di recente
formazione.
» 7. Porzione ingrandita di un cancro: {st) stromi, (/) lenticelle.
Tav. vii.
Fig. 1. Sezione trasversale e longitudinale di un ramo con cancro : (ca) corteccia
ammalata; (cs) corteccia sana; (la) legno ammalato; (Is) legno sano;
(m) midollo.
» 2, 4 e 5. Sezione trasversale di polloni ammalati, praticata in corrispon-
denza del cancro: (ca) corteccia ammalata; {cs) corteccia sana; (la)
legno ammalato.
3. Cancro (e) arrestatosi nel suo sviluppo ed oi'a limitato da un callo di
cicatrizzazione (cc^: (st) stromi del parassita; (/) lenticelle.
6. 9 e 10. Forme miceliali che si riscontrano nella parte superficiale delle
pustole verruciformi e dei cancri in foi-mazione.
7. Forme di micelio nell'interno dei tessuti.
» 8 e 11. Pustole verruciformi riscontrate in alcvmi rami di piante languenti.
Sono formazioni sugherose localizzate, provocate dall'irritazione d'un
micelio indeterminato (fig. 6, 9, 10 e 12).
12. Forma di micelio, che ricorda quello dello stroma del Coryneum, che
sembra determinare le formazioni verniciformi sugherose (fig. H e 11).
Tav. Vili.
Fig. 1. Sezione di un picnidio di Fusicoccìim perniciosum.
2. Sezione di uno stroma di Melanconis perniciosa.
3. Picnospore di Fusicoccum perniciosum.
— 89 —
Fig. 4. Aschi e paratisi di Melanconis perniciosa.
• 5. Sezione di un peritecio di Melanconis perniciosa.
» 6, 7 e 9. Spore di Melanconis perniciosa.
» 8. Gonidi di Cori/neìim imrniciosum.
» 10. Sezione di un acervolo piatto di Coryneum perìiiciosuni.
Tav. IX.
Fig. 1. Estremità di un ramo dell'annata con cancri laterali iniziali (e').
•> 2. Porzione del precedente ingrandita. %
» 3. Sezione trasversale di un ramo dell'annata in corrispondenza d'un cancro
iniziale : (p) punto in cui è avvenuta l' infezione ; (s) diga di sughero.
4. Sezione longitudinale di un cancro iniziale più ingrandita.
5. Altra sezione longitvidinale, vista a minore ingrandimento: (p) penetra-
zione dell'infezione; (s) diga di sughero.
6. Micelio toruloide alla superficie di una pustola iniziale.
7. Sezione di una piccola pustola, in cui si vede il micelio (m) e il punto
iniziale della pustola (p).
» 8. Sezioni trasversali di giovani rami dell'annata, praticate in corrispon-
denza di pustole iniziali (/)).
Tav. X.
Fig, 1. Grosso micelio non settato, varicoso-nodoso, a contenuto granulare, con
numerose bollicine di variahile grandezza disposte in serie longitu-
dinale mediana. Questo micelio è intercellulare e penetra non di rado
nelle fibre e nei vasi attraversandoli, avvolgendovisi o strisciando
. lungo le pareti.
» 2. Micelio che penetra trasversalmente nell'interno di un vaso.
» 3. Micelio che si avvolge nell'interno di una fibra.
4. Grosso micelio che si biforca senza segmentarsi, dividendosi in lacinie
sottili ed attenuate all'apice.
'> 5. Micelio che attraversa dei vasi penetrandovi per le areole.
6. Micelio esilissimo di 1 '/j millesimi di millimetro di diametro, non set-
tato, che penetra, attraversa e s'avvolge lungo la parete interna di
un vaso.
7. Micelio sottile, non settato, nell'interno delle cellule del libro.
8. Lo stesso più ingrandito, che si ramifica senza segmentarsi, a contenuto
protoplasmatico granelloso e bolloso.
9. Conidioforo di Cori/neum, isolato da uno stroma ; (a) rami ripetutamente
biforcati, composti di brevi articoli apofisati : (e) conidio in via di
sviluppo; (e', e') Gonidi maturi.
» 10. Conidioforo articolato die costituisce la parte superiore del filamento
miceliale rappresentato nella figura 18.
11. Gonidio di Coryneum in via di germinazione (stadio più avanzato di
quelio rappresentato nella figura 14); filamenti miceliali germinativi,
di diametro notevolmente variabile, non settati, o composti di articoli
clavati, indi prolungati in filamento esilissimo, continuo, lungamente
attenuantesi ; questo carattere lo caratterizza e può essere dovuto alla
— 90 —
graduale diminuzione della pressione interna del plasma, per insuffi-
ciente resistenza apicale della cellula, che si prolunga e si ramifica
senza segmentarsi.
Fig. 12. Micelio tenuissimo, granuloso-vacuoloso nell'interno delle cellule del libro
(sezione longitudinale).
13. Gonidio di Coryneum in germinazione. I singoli articoli si sono allun-
gati. L'estremità (a) ha cacciato un grosso filamento miceliale ger-
minativo, non settato, dapprima varicoso, poscia gradatamente atte-
nuantesi. L'estremità (6) ha cacciato tre filamenti miceliali germina-
tivi, ed hanno gergiinato anche gli articoli intermedi del conidio, con
filamenti parimenti attenuantisi in modo caratteristico.
14. Altro conidio di Coryneum in germinazione.
Il suo successivo sviluppo si vede nella figura 11.
15. Miceli esili, unicellulari, isolati per lacerazione e disgregazione dei lembi.
16. Grosso micelio intercellulare, a plasma finamente granuloso, con processi
laterali clavati (isolato nel modo precedente).
» 17. Grosso micelio intercellulare, a parete ondulata (isolato come sopra).
- 18. Micelio i-amificato, isolato per lacerazione e disgregazione in vicinanza
di uno stroma di Coryneum. Nella parte inferiore (m) non è settato;
ì suoi rami laterali (ci sono pure unicellulari, a contenuto granuloso-
vacuoloso, subramificati in rami ancor più sottili di 1 '/2 millesimi di
millimetro, al solito caratteristicamente attenuati all'apice. Questo
micelio, con tutte le sue ramificazioni di diametro variabile ed atte-
nuantisi gradatamente verso l'apice, costituisce un'unica cellula. Esso
è caratteristico perchè si verifica tanto nei tessuti ammalati che nelle
colture. Il filamento principale nella parte superiore, in vicinanza dello
stroma, comincia a segmentarsi in articoli che diventano sempre più
brevi e grossi, di diametro disuguale, ingrossati a clava o a tronco
di cono inverso, spesso apofisati ; precisamente all'opposto di quanto
avviene nelle ramificazioni inferiori unicellulari, e ciò forse per la
segmentazione e la resistenza apicale della cellula.
Tav. XI.
Fig. 1. Rami con estremità rigonfiata ad ampolla che si osservano negli sti'omi
valsoidei (materiale di Savona), analoghi a quelli ottenuti in coltura
e rappresentati nelle figure 9, 10, 16, 18, 23, 26, 35 e 36.
^ 2. Ramificazioni ottenute in colture anerobiche.
» 3 e 4. Rigonfiamenti apicali dei rami che si osservano nell'interno delle
cripte di stromi valsoidei, e che per la forma ricordano gli oogoni e
gli anteridi (materiale di Savona).
n 5. Ingrossamenti claviformi con strozzatura mediana (materiale di Savona).
» 6. Ingrossamenti fusoidali : (e) con plasma granulare omogeneo che arre-
standosi nello sviluppo costituisce un conidio di Fiisicoccum; (b) con
masse interne di plasma più denso, più differenziato in (a), che arre-
standosi nello aviluppo e cutinizzandosi, costituiscono conidi di Co-
ryneum (materiale di Savona).
» 7. Conidi di Coryneum in via di formazione (materiale di Savona).
8. Primo stadio della ramificazione del micelio in coltura.
— 91 —
Fig. 9 e 10. Rami a rigonfiamenti ad ampolla che ricordano per la forma gli
oogonì e gli anteridì (materiale di coltura].
» 11. Spore germinanti di Coryneum in coltura.
» 12. Ramificazioni mioeliali a pennello da materiale in coltura.
» 13. Gonidio di Corynvuin in germinazione con bolle apicali.
» 14 e 15. Ingrossamenti apicali a clava (da materiale di coltura).
• 16 e 18. Ramo miceliale a bolla apicale (materiale di coltura).
» 17. Micelio sviluppatosi dalla germinazione di un conidio di Cori/neum.
» 19. Ramo miceliale con due bolle sovrapposte nell' interno di una cripta
dello stroma valsoideo (materiale di Savona).
> 20. Micelio con ramificazioni a scopazzi (materiale di coltura).
> 21 e 22. Ulteriore sviluppo d'un ingrossamento apicale claviforme (vedi fig. 6)
con difierenziazione iniziale delle ascospore.
» 23. Rami miceliali con ingros.samenti apicali ad ampolla (materiale di Savona).
» 24 e 25. Ingi-ossamento claviforme apicale, con iniziata trasformazione in
conidio di Coryneum (materiale di Savona).
» 26, 35 e 86. Rami con rigonfiamenti ad ampolla, che ricordano per la forma
oogonì ed anteridì.
» 27, 32 e 33. Ramo di micelio con protuberanze e processi laterali a clava
od a gozzo (materiale di coltura).
» 28, 29 e 31. Conidio di Coryneum ottenuto in coltui-a, e sua successiva ger-
minazione con produzione di bolla apicale.
» 30. Micelio sviluppatosi dalla germinazione di un conidio di Coi-yneum (ma-
teriale di coltura).
» 32 e 33. Vedi fig. 27.
» 34. Stadio intermedio di sporificazione.
» 35 e 36. Vedi fig. 26.
» 37, 38 e 39. Ramificazione a pennello ed a rampini ^materiale di coltura).
» 40, 41 e 42. Aschi di Melancouis in vari stadi di sviluppo (materiale di
Savona).
Tav. XII.
Fig. 1. Giovane ramo dell'annata con cancri iniziali : (e'. <•') cancri formatisi la-
teralmente al ramo, non in corrispondenza di gemme ; (e' e* c^) cancri
iniziatisi in corrispondenza di cicatrice. L'attacco ha luogo sul ger-
moglio erbaceo ed il cancro esterno vi appare solamente nel giovane
ramo lignificato. Qualche volta il germoglio avvizzisce e muore allo
stato erbaceo ed il male si diffonde nel ramo dell'anno precedente,
nel quale poscia si manifesta il cancro (materiale del Biellese).
2. Altro giovane ramo dell'annata con cancro laterale (e') che percorre da
un sol lato tutta la parte superiore del ramoscello, mentre dalla parte
opposta resta sano con cellule piene di amido ; (e') cancro iniziatosi
lateralmente in un internodio (materiale del Biellese).
» o. Ramificazioni sporifere e stato iniziale della formazione dei conidi e degli
aschi (Coltura anerobica).
4. Micro e macro spermazi assai variabili di forma e dimensioni che si for-
mano dopo la sporificazione del Coryneum o della Melanconis per
proliferazione delle ife che formano il contesto dello stroma, sia per
— 92 —
gemmazione di rami speciali, sia per segmentazione, in modo ana-
logo agli Oidium, come è indicato, nelle figure 5, 6, 7, 9, 10, 14, 19
e 20. Materiale di Savona con forma conidica ed ascofora nello stesso
cancro ed anche nello stesso stroma valsoideo.
Fig. 5. Conidioforo, che produce microspermazi rotondeggianti.
» 6 e 20. Formazione di macrospei'mazì per distacco della cellula apicale.
» 7. Formazione di spermazì ellissoidali od ohlunghi sopra cellule davate ba-
sidiiformi, lateralmente ai filamenti che formano il contesto interno
dello stroma.
» 8. Acervulo di Melanconium sp.: (e), conidì; (e) epidermide suberificata;
(s) stroma. In materiale di Barga.
«• 9. Grappolo di microspermazi globosi, con graspo come nella fig. 5.
10. Formazione di conidì di Coryneum e contemporaneamente di macro-
spermazì ovali.
11. Stroma conico di Coryneitvi: (e) conidì.
» 12. Stroma valsoideo di Coryneum che produce conidì alla superficie estema
erompente (e) e nelle cripte interne (e') : (s) stroma subepidermico ;
(»■', s'j stroma intercorticale ; (e) epidermide.
» 13. 16, 18 e 22. Rami sporiferi dell'interno dei concettacoli conidiferi. Gli
ingrossamenti ovoidali o clavati ricordano per la forma qtielli che si
ottengono in coltura (vedi tav. XI, fig. 1, 3, 4, 10, 16, 18, 26,35, 36).
Essi per successiva evoluzione danno luogo ora a conidì, ora ad aschi
(materiale di Savona).
« 14. Formazione di spermazì per disgregazione e proliferazione del pseudo-
parenchima dello stroma.
' 15. Piccolo stroma intercorticale di Corynettm con conidì maturi, perfetta-
mente conformati e cutinizzati. All'esterno non si scorge ehe una
leggera tumescenza con macchia colore arancio, di circa un millimetro
di diametro, dovuta alla colorazione dell'epidermide.
y. 16 Vedi fig. 13.
• 17. Conidì di Melanconium (vedi fig. 8).
» 18. Vedi fig. 13.
» 19. Proliferazione dello strato interno di un concettacelo, con formazione
contemporanea di conidì di Coryneum e spermazì di varia forma.
» 20. Vedi fig. 6.
•> 21. Stroma valsoideo che produce alla superficie esterna erompente conidì
di Coryneum, e nelle cripte interne conidì od aschi di Melanconis.
. 22. Vedi fig. 13.
Tav. XIII.
Fig. 1. Albero (a) dell'Orto Botanico di Pavia nel quale furono inoculate spore
di Melanconis ottenendo la riproduzione del cancro che si è esteso
fino al pedale; a, punto nel quale venne fatta l'inoculazione; e, rimes-
siticci del piede della ceppa raggiunti ed uccisi dal male: b, rimes-
siticci della parte opposta e ancora sana dell'albero.
» 2. Porzione più ingrandita dello stesso tronco nella quale si vedono le nu-
merosissime pustole del parassita che ricoprono il cancro: a, rimes-
siticci già uccisi dal male; b, rimessiticci ancora vivi; e, estremità
inferiore di un cancro.
— 93
Tav. XIV.
Fig. 1. Tronco dello stesso albero della tavola precedeute, fotografato dalla parte
opposta, dove si erano inoculate spore della forma conidica del pa-
rassita (Coryneum): il cancro si era esteso in basso fino a 50 centi-
metri dal terreno.
• 2. Un giovane ramo con due cancri iniziali (e e o') sviluppatisi in seguito
ad inoculazione del parassita.
Tav. XV.
Fig. 1. Giovane castagno di tre anni morto per attacco della malattia nel fusto.
•2. Giovane castagno di cinque anni morto per attacco nella regione del
colletto.
3. Giovane castagno di pochi mesi attaccalo nella regione del colletto (ti) :
il fusto è morente, la radice è ancora sana.
» 4. Castagni con applicazione degli apparecchi di inoculazione.
Tav. XVI.
Fig. 1. Giovane castagno di tre anni attaccato dal male nella regione del colletto:
a, ramo morto da poco ; b, rimessiticcio vivo ma languente, sorto dalla
base del ramo precedente; e, ramo ancora sano; d, punto nel quale è
avvenuta l'infezione che si è estesa fino alla base del ramo a ed è
discesa nel fittone ; f, fittone morto dalla parte destra, verso il punto
di attacco, e ancora sano nella parte sinistra, opposta.
» '2. Giovane castagno di tre anni, ammalato: a, ramo ancora sano; b, lato
della ceppa e del fittone ancora sano; e, ramo morto da oltre un anno;
d, i-ami morti nell'annata; e, striscia cancrenosa che scende dalla base
del ramo e nel fittone e lo percorre in tutta la svia lunghezza da un
solo lato: f, estremità del fittone già morta.
Tav. XVII.
Fig. 1-11. Giovani piantine sviluppatesi in castagneti infetti: a, foglie e parte
superiore del fusticino ancora sane ; 6, regione dei cotiledoni ; f, fit-
tone; e. e, cancri iniziali; (?, fusto ancora sano.
ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
E
LABORATORIO CRITTOGAMICO ITALIANO
RICERCHE ANATOMO-FISIOLOGICHE SULLE FOGLIE
DELLE " TILLANDSIA „
per la Dott. MARIA BARBAINI
Le metamorfosi meravigliose clie gli organismi subiscouo per met-
tersi in rapporto armonico cou il mondo esterno, cioè per giungere a
quelle determinate condizioni che sole possono mantenerli in vita, sono
molto diflfuse tanto fra gli animali quanto fra i vegetali.
Ne sono bellissimi esempi nella flora le igrofite, le xerofite, le aero-
fite e, fra queste ultime, le epifite tropicali e in modo speciale le Til-
landsia. Queste piante vivono aderendo unicamente per mezzo dei loro
fusti 0 di ridottissime esili radici (rizoidi) ai tronchi e ai rami di altre
piante, che fungono semplicemente da sostegno.
Strappiamo questi vegetali dal loro ospite, appendiamoli alle rin-
ghiere dei balconi come si usa nella riviera ligure, o a un fusto morto
come usano i nostri giardinieri che li coltivano nelle serre: purché essi
ricevano ogni tre o quattro giorni un tanto d'acqua perchè non abbiano
a inaridire, vivranno rigogliosi e fioriranno. I nostri marinai clie li por-
tano al ritorno dai loro viaggi, li chiamano " garofani d'aria „ o " ga-
rofani d'America „ .
Donde traggono queste piante, nelle condizioni naturali di vita,
l'acqua e le sostanze nutritizie, dato che nulla esse sottraggono agli
alberi delie fitte foreste sui quali vivono? E come avvengono e per quali
organi l'assorbimento e l'assimilazione?
Alcune epifite dei tropici (le Aracee ad esempio) emettono radici
aeree che si dirigono verso il basso sino a raggiungere il terreno, nel
quale si ramificano abbondantemente; ma la maggior parte delle epifite
fa assegnamento sull'acqua di pioggia che esse raccolgono ed assorbono
per mezzo di speciali apparati.
Le Tillandsia, tra le epifite, sono piante generalmente adattate ad
un clima secco, con struttura xerofita. Il complesso dei caratteri ana-
— 96 —
tornici e morfologici di queste piante raggiunge meravigliosamente lo
scopo di moderare la traspirazione eccessiva da parte delle foglie.
Parecclii sono gli autori che studiarono l'anatomia delle Bromeliacee.
Delle radici si occuparono: Mez C. ', Jorgensen ' e Wittmack L.'';
quest'ultimo dice che nelle Bromeliacee epifite le radici sono poco svi-
luppate e in alcune specie allo stato adulto mancano affatto, come nella
Tillandsia argentea, T. striata, e in modo speciale nella T. usneoides che
ha radici soltanto nelle piantine di pochi giorni.
Del fusto tratta ancora Mez C. e pure Ross H. * e Russow E."^ che
afferma che i fasci fibrovascolari dei deboli fusti delle Tillandsia hanno
completamente perduto la facoltà di funzionamento fisiologico.
Interessante è l'analogia funzionale che Weddell H. A. " ed altri
riscontrarono fra questi vegetali e la maggior parte dei Muschi o dei
Licheni; il Weddell paragona appunto la T. usneoides a dei licheni.
Dell'anatomia delle foglie si occupò ancora Mez C. nel suo ampio
lavoro sulle Bromeliacee. Fatta qualciie rara eccezione, ritiene come ca-
rattere anatomico assai importante della famiglia l'ispessimento della
parete interna delle cellule epidermiche, e con ini Linsbauer' che dice
l'ispessimento talora cosi forte che il lume cellulare si riduce a punti
quasi impercettibili.
Una formazione epidermica fisiologicamente importante e caratteri-
stica della famiglia è quella dei " peli squamosi „ che ricoprono fitta-
mente l'epidermide fogliare. Mez esaminò in molte specie di Bromeliacee
queste squame e le ricondusse a due tipi principali, attribuendo un
primo tipo anche alle Tillandsiee. Egli dice che la forma di queste squame
varia più o meno da una specie all'altra, ma resta costante in ogni specie;
aiferma poi che nelle Bromeliacee, e specialmente nelle Tillandsia, le
radici servendo solo come organo di sostegno, l'assorbimento delle sostanze
nutritizie si fa per mezzo delle foglie e per l'intermediario del loro rive-
stimento squamoso.
' Mez C, Physiologisehe Bromeliaceen Studien. Jahrb. Wissen. Bot., xi, 1904.
* JouGENSEN A., Deitrage zur Naturgeschichte cler Wurzel. Bot. Tidiskrit't,
Kopenhagen, 1878.
s Wittmack L., « Bromeliaceae » Engler u. Praììtl, Xatiirl. Fflcimen/am.
' Ross H., Cenni jyreliminari suW anatomia del fusto delle Bromeliacee. B. S.
Bot. It., 1895.
^ Russow E., Leitbundel der Monocotylen Just., 1876.
" Weddell H. A., Les stibstratum neutres. Comp. rend. Acad. Se. Patis,
t. L.XXXI, 1875.
' LissBAUER K., Zur physiologischen Anatomie der Epidermis und des Durch-
lilftutigsgeivebes der Bromeliaceen. Auz. Kais. Akad. Wiss. Wien, etc, 1911.
— 97 —
Dell'apparato tegumentale trattano pure Eichter P. ' e Bulitsch A. *.
Dell'apparato aerifero con Mez C. tratta Schimper A. F. W. ^ che
ha emesso l'idea che i tessuti aeriferi delle piante-cisterna siano una
specie di adattamento alla vita acquatica.
Anche Linsbauer, Arechong, * Ledere du Sablon ^ accennano alla
presenza di questo tessuto, ma non si occupano della sua funzione fisio-
logica.
Del tessuto assimilatore, del tessuto acquifero e dell'apparato di
sostegno parlano Mez C, Richter P., Pfitzer ^ e Westermaier '.
Oltre i sunnominati autori, accennano a caratteri anatomici generali
delle Bromeliacee anche Costantin I., Steinbrinck C.*, Hansgirg A. e altri.
Avendo a mia disposizione nell'Orto Botanico rigogliosi esemplari
di Tillandaia, ad esse furono rivolte le mie ricerche e particolarmente
a due specie: la Tillandsia ixioides Gris. e la T. dianthoidea Ros.
Tillandsla ixioides Gris.
Nella T. ixioides l'epidermide fogliare è fittamente ricoperta dai
caratteristici peli squamosi che C. Mez descrisse e dei quali io feci un
disegno meno schematico (Tav. 19, fig. 5).
Osservai che il numero e la forma delle cellule costituenti queste
squame è piuttosto costante e regolare; nella forma complessiva i peli
si mostrano talora rotondeggianti con disco centrale, talora irregolari
' RrciiTER P., Die Bromeliaceen vergleichend anatomisch betrachtef. Ein Bei-
tì-ufj zur Physiologìe der Gewebe. Inaug. Diss., Berlin, 1891.
^ BuLiTSCH A., Zur Anatomie der Broiiieliaceae. Ref. in: Ubers. List. Bot.
Russland, 1892.
^ Schimper A. F. W., Ueber Bau und Lebensiveise der Epiphyten Westìn-
dieiis, 1884.
— Ueber die Lebensiveise der Epiphytischen Brovieliaceen und ihrem natiir-
lichen Siaiidorfeiì. Jahr. f. Gartenkunde u. Bot., 2 Jahr., 1885.
■• Arechong, Vorlailfige Mittheilinig iiber einige Uiitersuchungen der Ana-
tomie des Blattes. Bot. Not., Nordstedt, 1874.
' Lbcleru du Sablon, Sur le fonctioìììiement des réserves d'eau. Eevue gén.
de Bot., 1914.
« Pfitzer E., Beitrage zur Kenntniss der Hautgeiuebe der Pflanzen. Prings-
heim Jahr., vili, 1872.
' We.sterm.^ier Max., Ueber Bau und Function des pflanzlichen Hautge-
ivebesgstems. Pring. Jahr. Bot. xiv, 1883.
« Steinhuinck C, Einfìlhrende Versuche zur Cohesionsmechanik von Pfian-
zenzellen uebst Bemerkungen iiber den Saugmechanismus der Wasserabsorbierenden
Haare von Bromeliaceen. Flora der Allgem. B. Zeitung, 1905.
Alti deirist. Boi. dell'Università di Pavia — Serie II — Voi. XVIII. 7
— 98 —
con disco eccentrico, per irregolare ampiezza dell'ala. Notai inoltre che
le squame sono fittissime nella parte basale e mediana della foglia e si
fanno man mano più rare ai margini e all'apice.
L'epidermide mostra una struttura del tutto caratteristica. In una
sezione trasversale (Tav. 18, fig. 2) il primo strato epidermico è costi-
tuito di cellule allungate, addossate fittamente le une alle altre, senza
spazi intercellulari con visibile lamella mediana; le pareti sono forte-
mente i.spessite, specialmente le laterali e l'interna.
Il lume cellulare si presenta abbastanza largo verso l'esterno; circa
nel mezzo però subisce un deciso restringimento e si allunga verso l'in-
terno della foglia a guisa di stretta fessura.
La porzione espansa di questo lume verso l'esterno si restringe an-
cora a guisa di coppa; per cui se — dopo aver asportato con leggero
raschiamento le squame — osserviamo questo strato epidermico in sezione
tangenziale, fuocheggiando possiamo vedere verso l'esterno uno stretto
lume, poi, procedendo verso l'interno, la parte ampia del lume e infine
r imboccatura della parte nuovamente ristretta e allungata. La parte
espansa (Tav. 19, fig. 4) contiene un plasma ialino e non presenta un
contorno spiccatamente delineato, poiché in questo tratto la membrana
cellulaie si inclina come a formare un imbuto verso la parte centrale.
Proprio in questo restringimento trovasi incastrato un corpo siliceo,
che appare di notevole grossezza, ben evidente, rotondo, e che è costan-
temente presente in ogni cellula (Tav. 18, fig. 2).
L'aspetto di questo corpo può <lapprima traire facilmente in inganno.
Data la sua rifrangenza e struttura granulosa, lo supposi a piima
vista un nucleo o almeno un corpo di natura protoplasniatica; tentai
perciò colorazioni con fucsina e con eosina, ma ne ebbi risultati nega-
tivi: trattai ripetutamente le sezioni con acqua di Javelle: ottenni lo
spappolamento dei cloroplasti del tessuto assimilatore, ma i corpi in
questione rimasero inalterati.
Pensai allora che poteva trattarsi di corpi di natura silicea, come
Linsbauer aveva trovato nelle foglie di altre Hromeliacee {Bromelia, ecc. . .
non però del genere Tillandsia) o di piccole druse silicee, come M. Mo-
bius ' trovò in cellule epidermiche delle foglie e del fusto di CalHsia
repens. Questi ultimi sono molti simili a corpi da me osservati, ma sono
assai numerosi: in una sola cellula giovane se ne trovano da sette ad
otto e in una vecchia persino cinquanta.
MòBius M., BeoÌMichfiuìi/cìi aii Bromeliaceen, etc. Frankfurt, 1899.
— 99 —
Trattai quindi le sezioni con acido fluoridrico: e le trattai a lungo
perciiè i corpi si mostravano molto resistenti a tale azione, e ne ottenni
la soluzione che mi assicurò della loro natura silicea.
Nelle sezioni cosi trattate e poi ben lavate in alcool, ho osservato
che in corrispondenza al corpo scomparso resta un foro irregolare, talora
leggermente quadrangolare, talora rotondo con piccole incisioni alla peri-
feria, provocate dalle sporgenze appuntite e granulose del corpo siliceo.
Tale foro corrisponde all'imboccatura dell'ultima parte stretta e
allungata del lume imbutiforme che si vede nella sezione trasversale di
queste cellule e che costituirebbe la parte stretta cilindrica dell'imbuto.
Una sezione nel senso trasversale secondo l'asse della foglia pre-
senta l'epidermide con aspetto molto simile a quella di una sezione tras-
versale; soltanto la parte del lume più larga che si stende parallela alla
superficie della foglia si presenta più allungata.
Da questo complesso di osservazioni trarrei, a mio parere, la con-
clusione che il lume di queste cellule epidermiche ha nel suo insieme
la forma di un imbuto irregolarmente ovoidale, la cui parte espansa è
allungata nel senso longitudinale della foglia; questa parte larga del
lume non è però aperta completamente verso l'esterno, ma chiusa in
gran parte da nn coperchio costituito dalla parete esterna cutinizzata.
Aggiungerò che in una sezione tangenziale, ottenuta dopo raschia-
mento delle squame, vediamo l'epidermide interrotta da zone talora vuote
completamente, talora mostranti le quattro cellule centrali del disco
sezionate tangenzialmente, a seconda della porzione maggiore o minore
di squama che è stata asportata nel raschiamento.
All'epidermide su descritta segue un secondo strato di cellule, quattro
0 cinque volte più grandi di quelle epidermiche e ad esse saldamente
unite secondo una ben delineata lamella mediana (Tav. 18, flg. 2). In
questo strato le pareti cellulari sono regolarmente ispessite e attraver-
sate da numerosi canalicoli ben evidenti; lo strato si mostra interrotto
da cellule isolate rotondeggianti a parete sottile che corrispondono al-
l'ultima cellula dello stipite delle squame. Qua e là si può trovare qualche
raro cloroplasto.
Un terzo strato di cellule ovoidali o pentagonali congiunge gli strati
epidermici con il mesofillo (Tav. 18, fig. 1).
Il tessuto a palizzata manca completamente; esso è sostituito (Tav. 18,
fig. 1) da un tessuto acquifero di tre o quattro strati di cellule grandi
ovoidali 0 prismatiche, allungate, a pareti sottilissime.
Mez C. dice che questo tessuto manca raramente nelle Bromeliacee;
— 100 —
e quando è presente non manca mai nella pagina superiore della foglia
— e afferma essere sviluppato in tutt'e due le pagine fogliari nelle
Tillandsia e nella maggior parte delle Pseudocatopsis. Nelle specie
di Tillandsia da me studiate solo rarissimamente notai la presenza di
tessuto acquifero verso la pagina inferiore, e ciò in zone t-istrettissime
di qualche foglia. Ho osservato inoltre clie questo tessuto è maggior-
mente sviluppato nella parte basale e mediana della foglia, mentre ai
margini e all'apice si riduce fino a scomparire o quasi. Si comprende
facilmente come tale sviluppo del tessuto acquifero sia in rapporto con
la sua funzione, dato che, per la disposizione a rosetta delle foglie e per
la loro forma scanalata a doccia, l'acqua si raccoglierà di preferenza
nella parte basale e mediana.
L'analoga distribuzione delle squame conferma questa osservazione.
La rimanente parte del mesofiUo (due quinti) è costituita da un
tessuto assimilatore (Tav. 18, fig. 1) che non differisce molto da un
comune tessuto spugnoso; soltanto si presenta meno lacunoso, essendo
le caratteristiche lacune aerifere di cellule stellate (Tav. 19, fig. 2) loca-
lizzate in porzioni, alternate con i fasci fibro-vascolari, a costituire un
sistema respiratorio quale Linsbauer riscontrò in altre Bromeliacee: costi-
tuito cioè di speciali cordoni di cellule stellate a pareti sottili che scor-
rono parallelamente ai fasci (Tav. 19, fig. 1) e comunicano per dirama-
zioni laterali con gli stomi (Tav. 19, fig. 3).
Abbondano i cloroplasti, che sono molto più piccoli nelle cellule stel-
late del tessuto aerifero; in foglie giovani ho osservato accanto a mi-
crocloroplasti dei raegacloroplasti (talvolta in via di divisione) costituiti
(ii 4-8 niicrocloroplasti di color verde chiaro; questo fatto osservò anche
H. Billings *, nella T. ustieoides, ma i megacloroplasti da lui osservati
.si dividevano in numerosissimi microcloroplasti.
Nelle cellule del tessuto assimilatore di foglie ben sviluppate, ac-
canto ai numerosi cloroplasti, si trovano parecchi elaioplasti giallognoli.
Nella pagina inferiore della foglia si ripetono gli stessi strati epi-
dei'uiici descritti per la pagina superiore.
Noto soltanto la presenza degli stomi che non sono molto numerosi
e piuttosto piccoli e contengono qualche cloroplasto e qualche elaioplasta.
Gli stomi giacciono nel piano del secondo strato epidermico. Infatti
in una sezione trasversale (Tav. 19, fig. 3) l'epidermide in corrispon-
denza dello stoma si invagina a formare un'infossatura, profonda quanto
lo spessore dell'epidermide stessa, in fondo alla quale giace lo stoma.
BiLLiNCiS H., A tStudy of Tillandsia usiieoidcs. Bot. gaz., xxxviii, 1904.
— 101 —
Ho sempre osservato che ogni infossatura corrispondente allo stoma
porta ai lati due squame inserite nell'epidermide, le quali stendono le
ampie ali sovrapposte l'una all'altra a ricoprire l'infossatura.
Io penso che la posizione infossata degli stomi ed il riparo che ad
essi fanno le ali delle squame siano condizioni che unite al numero limi-
tato degli stomi e al forte ispessimento dell'epidermide impediscono una
eccessiva traspirazione.
Tillaudsia dìantlioidea Ros.
La struttura generale delle foglie di Tillandsia dianthoidea differisce
di poco da quella descritta per la T. ixioides.
L'epidermide è pure ricoperta di fittissime squame che sono soltanto
meno grandi, più regolari e rotondeggianti.
Le cellule dell'epidermide in sezione trasversale mostrano invece
una struttura diversa.
Sono fittamente addossate come nella Tillandsia ixioides, ma qui la
lamella mediana è poco visibile (Tav. 18, fig. 3).
Inoltre sono irregolarmente ispessite: la parete interna lo è forte-
mente, le pareti laterali vicino alla parete interna sono pure ispessite,
ma si assottigliano avvicinandosi all'esterna, che è di medio spessore.
Per questo il lume, che è abbastanza ampio, presenta press'a poco
la forma di un triangolo con un vertice volto verso l'interno della foglia
e il lato ad esso opposto parallelo al margine di essa; assai spesso l'an-
golo interno è arrotondato ed allora il lume assume una forma semi-
circolare.
La parete esterna di queste cellule epidermiche presenta uno strato
di cutina ondulato, talora ben evidente anche in sezione trasversale,
ma che si osserva assai meglio in una sezione taugenziale all'epidermide.
Nel lume vi è un contenuto protoplasmatico ialino granuloso; manca
assolutamente qualunque corpo siliceo.
Il secondo strato, che qui già serve di congiunzione fra l'epidermide
e il mesofillo, consta di cellule pentagonali o quadrangolari a parete di
poco ispessita, molto diverse da quelle corrispondenti nella T. ixioides.
Questa evidente differenza fra le epidermidi delle due specie di
Tillandsia (dianthoidea e ixioides) è di una importanza non trascura-
bile poiché può servire al riconoscimento ed alla distinzione delle due
specie che sono tanto simili nei caratteri morfologici; tanto più se si
pensa che raramente esse fioriscono, mentre il fiore costituirebbe l'unico
carattere morfologico distintivo.
— 102 —
Nel tessuto assimilatore trovatisi abbondanti cloroplasti d' un bel
verde e insieme ad essi elaioplasti in numero assai maggiore che nella
Tillandsia ixioides, tanto ciie limitai lo studio degli elaioplasti alla TU-
landsia diantìioidea.
La Tillandsia ixioides non era stata studiata finora in modo par-
ticolare da nessun autore: nella Bibliografia abbastanza estesa che ri-
guarda la famiglia delle Bromeliee trovai soltanto una brevissima nota
del Dr. Tassi ', riguardante la Tillandsia dianthoidea, alla quale mi per-
metto fare qualche obbiezione.
Contrariamente alla descrizione data dal Tassi, io trovo che le
squame non sono attaccate all'epidermide direttamente per mezzo delle
quattro cellule mediane che converrebbero alla base in una sola piccola
cellula della serie epidermica; noto invece che esiste un vero e proprio
pedicello o stipite della squama formato da quattro cellule sovrapposte:
tre piccole, una molto più grande, tutte concresciute con l'epidermide
(Tav. 18, fig. 3).
Inoltre ho osservato che le pareti delle cellule costituenti l'ala delle
squame sono sottili, non " relativamente molto spesse „ come scrive il
Tassi, e verso l'apice non ho potuto confermare la presenza di un poro-
canale neppure in squame trattate con gli opportuni reattivi.
Mentre convengo che l'ala delle squame possa servire di protezione
contro una troppo rapida evaporazione del succo acquoso contenuto nei
tessuti, non mi pare giusto pensare (come il Tassi), localizzata all'apice
delle cellule dell'ala, per la presenza di un porocanale, la funzione d'as-
sorbimento dell'acqua tanto evidentemente assunta dalle cellule del disco
centrale che ne posseggono tutto l'adattamento anatomico, come del resto
ho potuto dimostrare con esperienze di fisiologia che descriverò in seguito.
Il Tassi accenna poi ad un tessuto acquifero normalmente presente
oltre che verso la pagina superiore della foglia anche verso quella in-
feriore; tessut(0 che avrebbe la particolarità di avere pareti ondulate.
Io, anche in foglie molto giovani, ho osservato di solito un solo tes-
suto acquifero, posto verso la pagina superiore della foglia, mentre il
rimanente mesofillo è interamente occupato dal tessuto assimilatore; solo
in qualche raro preparato e in brevi tratti della sezione fogliare, con-
statai che al di sotto del mesofillo v'erano due o tre strati di nuovo
tessuto acquifero.
Ciò però notai solo eccezionalmente fra le centinaia di sezioni fatte.
' Tassi Fl., Struttura delle foglie di « TUlandsia diantìioidea » (Rossi) in ra])-
porto col suo modo di vegetazione. Bull. Lab. Bot. Siena, 1899,
— 103 —
La diversa constatazione fatta dal Tassi è forse basata sull'esame
di piante che erano state sottoposte naturalmente o artificialmente ad
un particolare regime di siccità, e nelle quali si era anormalmente svi-
luppato un secondo tessuto acquifero.
Quanto all'aspetto ondulato delle pareti del tessuto acquifero notato
dal Tassi, obbietterò che non si tratta di una particolaiità anatomica,
bensì fisiologica, poiché le pareti di queste cellule si mostrano stese o
ondulate a seconda che le cellule sono ricche o povere d'acqua.
Il Tassi inoltre trova presenza d'amido nei cloroplasti.
Trattando con iodio sezioni di foglie in diversi periodi di sviluppo,
a me si è rivelata la presenza di piccolissimi granuli di amido soltanto
nei cloroplasti di foglie giovanissime. Le foglie adulte ne mancano total-
mente.
Elaìoplasti.
Accennai più volte alla frequente presenza nelle cellule del tessuto
assimilatore e anche talora in quelle del tessuto acquifero, di elaioplasti
simili a quelli che J. Politis ^ trovò nel!' epidermide delle squame dei
bulbi, nelle epidermidi del perianzio, dell'ovario, raramente delle foglie
di numerosi generi di monocotiledoni e dicotiledoni, non di Bromeliacee.
In foglie giovanissime non ho potuto riscontrare la presenza di
questi elaioplasti.
In foglie giovani, ma abbastanza sviluppate, essi si presentano
come corpi giallognoli molto rifrangenti, talvolta isolati in una cellula,
talvolta in gruppi di due, sei, otto.
Essi hanno forma di grappolo molto irregolare o di corpo roton-
deggiante bernoccoluto, o di grossissime goccie oleose (Tav. 18, fig. 4).
Si trovano di preferenza in tutte le cellule del tessuto clorofilliano,
specialmente nelle cellule poste fra l'epidermide ed i fasci; molto grandi
si trovano nelle cellule annesse agli stomi.
Alcuni, grossi ed isolati, si osservano pure nel primo e nel secondo
strato epidermico inferiore e nel tessuto acquifero, mentre mancano
quasi assolutamente negli strati epidermici superiori.
Esaminando molte foglie ho potuto osservare che lo stadio di elaio-
plasti a grappolo si presenta solo in foglie di determinato sviluppo,
mentre molto frequenti si mostrano rotondeggianti, bernoccoluti, o a forma
di grosse goccie oleose.
' Poi.i l'is I., Hiujli c.liiioijldtiti iivllr MtiaocotikdoiiL e DicotHeiloiii. Atti Ist.
Bot., vul. XIV, Pavia, 1911.
— 104 —
Ho trattato sezioni di foglie di Tillandsia dianthoidea con Sudan III
in alcool a 75 "/^ ed ho ottenuto una bella colorazione rossa quasi istan-
tanea di goccie piccolissime evidentemente di pura sostanza oleosa secreta
dagli elaioplasti, mentre questi resistevano all'azione del reattivo.
Ritentai dopo aver leggermente riscaldate le sezioni, poiché la so-
stanza oleosa degli elaioplasti è facilmente solubile in alcool e diventa
quasi insolubile in esso, come osservò Raciborski, dopo il riscaldamento.
Le sottoposi quindi a un'azione prolungata del reattivo ed ottenni
cosi una bella colorazione rossa, specialmente nelle cellule stomatiche.
Anche con acido osmico, dopo vari tentativi ottenni la colorazione
bruno-nera degli elaioplasti: usando una soluzione acquosa al 2 "/^ di
acido osmico preparata di fresco, e lasciandovi le sezioni oltre 48 ore.
In foglie più sviluppate e specialmente in foglie vecchie, accanto
agli elaioplasti descritti se ne vedono numerosi in stadii più avanzati;
taluni assumono un aspetto più o meno granuloso e sono spesso contor-
nati da goccioline oleose, altri presentano una vacuola rotonda centrale
più 0 meno ampia, altri infine, completamente vuotati della sostanza oleosa,
si mostrano incolori con uno stroma granuloso o una buccia trasparente
(Tav. 18, fig. 5).
A quanto mi risulta, questi elaioplasti non furono finora osservati
da nessun autore nelle foglie delle Bromeliacee. Soltanto Zimmermann A.'
li trovò nelle cellule del perigonio e dell'ovario di Dyckia remotifolia
e in quelle dell'ovario di Pitcairnia lepidota.
Esperienze di fisiologia sulle "Tillandsia,,.
Due soli furono gli autori che cercarono di dimostrare, per via di-
retta, l'assorbimento dell'acqua e delle sostanze nutritizie da parte delle
foglie delle Bromeliacee.
Lo Sciiimper scelse una Bromeliacea ejjifita fornita di radici de-
bolmente sviluppate e staccò la rosetta di foglie alla base; coperse quindi
la ferita con balsamo del Canada e riempi di acqua la rosetta, teneu-
dovene costantemente una certa quantità.
Le piante esaminate restarono fresche per tre mesi e prosperarono.
Con ciò l'autore dice di aver dimostrato che l'acqua, posta a con-
tatto delle foglie, giunge attraverso l'epidermide nell'interno della pianta
e là viene consumata per i processi vitali.
' Zimmermann A., Ucber die Elaioplasten , Tiibingen, 1893.
— 105 —
Egli afferma anche che le squame hanno una grande importanza
in questo assorbimento; ma non indica gli esperimenti sui quali basa
quest'affermazione, uè fa alcuna osservazione anatomica sui tessuti assor-
benti.
M. Eichter, che studiò minutamente l'anatomia di alcune Bromeliacee,
avrebbe voluto ripetere le esperienze fisiologiche di Schimper, ma do-
vette rinunziarvi per mancanza di materiale vivo.
Mez ha affermato in seguito a complicate dimostrazioni di osmosi,
che le squame delle Tillandsia agiscono come pompe e possono condurre
l'acqua nell'interno della pianta.
Aso ' ha fatto recentemente delle geniali esperienze per vedere se
per mezzo di questi [)eli squamosi avvenga, oltre che l'assorbimento
d'acqua, anche l'assimilazione di sali.
Egli scelse quali soggetti d'esperienza alcune Bromeliacee (fra le
quali non sono comprese le Tillandsia da me studiate) e tentò di far
loro assorbire per mezzo delle foglie, un sale di litio (Li NO3 al 3 \),
che poi cercava nei tessuti spettroscopicamente.
Egli trovò in qualche caso traccie di litio nelle cellule.
Ma un difetto capitale di queste esperienze è il procedimento usato
dall'Aso; egli tagliava infatti le foglie alla base, poi chiudeva le ferite
con miscela di colofonia e cera, indi le immergeva nella soluzione e ve
le lasciava una settimana.
È evidente che: 1» le foglie non erano in questo caso in condizioni
normali e il loro assorbimento poteva essere, se non arrestato del tutto,
almeno molto ostacolato; 2" che la chiusura della ferita poteva non es-
sere sempre tale da escludere completamente una penetrazione del sale
attraverso i tessuti messi allo scoperto.
Con le mie esperienze credo di esser riuscita a risolvere questo
problema di fisiologia vegetale, evitando ogni causa d'errore.
Scelsi fra le piante di Tillandsia dianthoidea e T. ixioides, che cre-
scono rigogliose e fioriscono nelle serre del nostro Orto Botanico, due
esemplari che innaffiai due volte al giorno con una soluzione diluita di
bleu di metilene.
Scelsi questa sostanza perchè, a detta di parecchi autori, essa pe-
netra facilmente attraverso le pareti cellulari e viene assorbita dal pro-
toplasma, e, se è convenientemente diluita, non nuoce punto alle piante.
Infatti in parecchie esperienze di fisiologia vegetale, l'uso del bleu
di metilene permise di giungere a risultati soddisfacenti.
' Aso K.. Koniien Bromeliaceeii durch die Schu.ppeii der BlUtter Salzeauf-
nehmcìii Flora, 100, 1910.
— 106 —
Il liquido veniva somministrato alle piante per mezzo di una pipetta,
con la quale si lasciava cadere lentamente entro l'imbuto formato dalla
rosetta di foglie una piccola quantità di liquido e ciò allo scopo di im-
pedire che le foglie scanalate e ricurve rivolte verso il basso funzio-
nassero da sifone e non permettessero lo stazionare dell'acqua nelle pic-
cole gole.
Ripetendo a distanza di pochi minuti l'aggiunta di piccole quantità
di liquido, si riusciva a farne stare fra le foglie da uno a due centimetri
cubi.
Una parte di questo liquido andava certamente perduta per evapo-
razione, ma io mi accontentai di prolungare piuttosto l'esperienza per
qualche settimana, anziché mettere le piante in condizioni diverse dalie
normali, coprendole con campane di vetro per ottenere un maggiore as-
sorbimento.
Dopo circa 10 giorni staccai da una pianta una foglia adulta ed una
giovanissima, ne feci numerose sezioni ed osservai che il liquido era
penetrato per mezzo delle squame, nelle cellule dei peduncoli di esse, e
in qualche rara zona, anche nelle cellule del primo e del secondo strato
epidermico.
Ivi si notavano granulazioni bleu, e colorate in bleii o in verde bluastro
le goccie oleose derivate dagli elaioplasti.
Continuai l' inaffiamento ancora per alcune settimane, in capo alle
quali esaminai altre foglie.
Le sezioni di queste diedero un risultato assai più soddisfacente:
non solo i peduncoli delle squame e gli strati epidermici avevano pareti
e contenuto cellulare colorati, ma anche l'intero " tessuto acquifero „ si
presentava debolmente ma nettamente colorato in cilestrino e qua e là
anche qualche strato delle sottostanti cellule.
Aggiungerò che il tessuto acquifero presentava le cellule fortemente
turgescenti, a pareti ben tese, ciò che indica che l'assorbimento del
liquido da me somministrato (il solo che sia stato dato a quelle due
piante per un periodo di oltre un mese) avveniva realmente.
Con questo credo di essere riuscita a dimostrare in modo sicuro,
che piante epifite, quali le Tillandsie, assorbono l'acqua necessaria alla
loro vita esclusivamente per mezzo delie foglie.
Non vi è dubbio che le piccole quantità di sostanze azotate orga-
niche che la pioggia, gli insetti, il vento, trasportano entro le piccole
cisterne delle Tillandsie, vengano assorbite ed assimilate allo stesso modo,
come Belt suppose fin dal 1874.
Dan'lstituto Botanico dell'Università ili Pavia. Noveiiilire 1!»20.
— 107
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Tavola XVIII.
Fig. 1. — Sezione trasversale in foglia di TiUandsia ixioides ; t. a.: tessuto acqui-
fero; f: fascio fibro-vascolare ; l. a.: lacuna aerifera (Kor. oc. 4, ob. 4).
» 2. — Id., id. in corrispondenza di una squama; sq.: squama in sez. trasv. ;
ep.: epidermide: e. s. ; corpo siliceo (Kor. oc. 4, ob. 8).
, 3. — Sez. trasv. dell'epidermide fogliare di TiUandsia dianthoidea in cor-
rispondenza di una squama; sq.: squama in sez. trasv.; ep.: epider-
mide (Kor. oc. 4, ob. 8).
» 4. _ Elaioplasti in giovane foglia di T. dianthoidea; ci.: cloroplasti; e/. ;
elaioplasti (Kor. oc. 4, ob. 8).
„ 5. _ Id., id. iu foglia vecchia; ci.: cloroplasti; el.: elaioplasti (Kor. oc. 4,
ob. 8).
Tavola XIX.
Fig. 1. — Sez. long, iu foglia di T. ixioides in corrispondenza di un canale aeri-
fero a cellule stellate; e. a.: canale aerifero (Kor. oc. 4, ob. b).
„ 2. — Sez. trasv. di un canale aerifero in T. ixioides (Kor. oc. 4, ob. 8).
» 3. — Sez. trasv. iu foglia di T. rf<V«jMo«riea in corrispondenza di uno stoma;
st.: stoma; e. st.: cellule stellate (Kor. oc. 4, ob. 5).
„ 4. _ Sez. tangenziale dell'epidermide fogliare di T. ixioides; e. s.: corpo si-
liceo (Kor. oc. 4, ob. 8).
» 5. — Pelo squamoso di foglia di T. ixioides; a.: ala; d: disco {Kor. oc. 4.
ob. 8).
ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
E
LA.BORATOIIIO CRITTOGAMICO ITALIANO
SOPRA IL "BRUSONE,, Dl^X RISO
per RODOLFO FARNETI
{con IO tavole litografale)
KOTE POSTUME.
Nel settenibie del 1904 quando il compianto Prof. Farneti pubblicava
la prima sua nota preliminare ' sopra il briisone del liso, gli studiosi
di questa gravissima malattia che tanti danni iia arrecato, a peiiodi,
alle risaie dell'Alta Italia, non erano ancora riusciti a formulare alcuna
ipotesi die avesse fondamento di serietà sulla natura e causa del
morbo -.
Vero è che il Prof. Garovaglio fin dal 1871 ', e poi ancora nel 1875
insieme al Cattaneo *, aveva creduto potere asserire die si trattava di
malattia di natura parassitaria dovuta precisamente ad un ascomicete
trovato costantemente sulle piante esaminate e descritto col nome di
Pleospora OryzoR {Sphierella Oryzce-Gsitt.- Sa.ce., SylL, 1,527); ma è pur
vero che in seguito lo stesso Cattaneo "' trovò, sul riso brusonato o
sano, insieme alla Pleospora o sole, molte altre forme fungine che fe-
cero passare in seconda linea la Pleospora stessa, senza che nessuna
di esse potesse venire con sicurezza segnalata se non come causa,
almeno come costante compagna della malattia.
' Farketi R., Intorno al hrusone del riso ed ai possibili rimedi i per com-
batterlo; nota preliminare, in Atti Ist. Bot. di Pavia, serie ii, voi. x, 1904.
2 Veggasi : Montbmartini L., Delie ilirerse niahittie del riso; relazione al
Congresso risicolo di Novara, 1901.
3 Garovaglio L., Del brusone o carolo del riso: in Archivio trienn. d.
Lab. Crittogamico di Pavia, voi. i, 1871.
* Garovaglio L. e Cattaneo A., Nuove ricerche sulla natura del brusone
del riso fatte nel Laboratorio Crittogamico di Pavia nell'estate 1875; in Archivio
trienn. d. Lab. Critt. di Pavia, voi. ii, 1876.
5 Cattaneo A., Contributo allo studio dei niicefi che nascono stdle pianti-
celle di riso; in Archivio trienn. ecc., voi. ii, 1876, e: iSullo Sclerotiuni Oryzae,
nuovo parassita vegetale che ha devastato nel corrente anno molte risaie di Lom-
bardia e del Novarese; col precedente, 1879.
— 110 —
La stessa Piricularia Oryzm, che fu più tardi descritta da Briosi e
Cavara ' e presentata come la forma più diffusa nelle risaie ammalate,
non potè essere messa, dagli autori che la descrissero, in stretta rela-
zione di causa ad effetto colla malattia, e la Commissione incaricata
dal Ministero di Agricoltura di studiare l'argomento ^ cosi si esprimeva
a proposito di tutte queste forme fungine;
" Il risaltato dell'esame microscopico anche per l'ultimo riso bru-
* sonato è una conferma di quanto più volte siamo andati affermando,
" e che cioè di questa malattia non si possa per ora affermare la na-
" tura parassitaria specifica, e che le entità micologiche le quali ac-
" compagnano, sia pure con certa costanza, le piante malate, siano da
" considerarsi più effetto che causa del brusone, per quanto, come
" p. e. la Piricularia Oryzae, costituiscano dei veri parassiti i cui effetti
" dannosi non sono di poco rilievo „ ^.
Né più fortunate ei'ano state le lunghe e numerose ricerche fatte
dalla Commissione stessa per trovare la causa della malattia negli
agenti atmosferici o nelle condizioni esterne di coltura della preziosa
pianta, onde essa concludeva le sue relazioni colle seguenti parole :
* la natura della malattia e le condizioni nelle quali si svolge non sono
" per anco accertate „ ^.
Alcuni anni dopo, il Voglino "■ riprendendo lo studio della malattia
credè di poterne rintracciare la causa in bacterì speciali isolati dalle
radici delle piante ammalate, ma la cosa non era sicura e quando nel
1901 si riuni a Novaia il pritno Congresso risicolo internazionale, dopo
riassunti i precedenti della questione e in seguito a breve discussione,
si addivenne all'approvazione del seguente ordine del giorno:
" Il Congresso
" mentre fa voti perchè si continuino le ricerche scientifiche, d'ac-
" cordo con quelle fatte negli altri paesi, sopra la causa determinante
1 Briosi G. e Cavara, Fr., / funghi parassiti delle piante coltivate; fase, viii,
u. 1»<, Pavia, 1892.
2 Tale Commissione era composta dei professori Alpe Vittorio della R. Scuola
Sup. di Agricoltura di Milano, Briosi Giovanni del Laboratorio Crittogamico di
Pavia e Menozzi Angelo pure della Scuola Sup. di Milano. Le sue tre relazioni
furono pubblicate nel Bollettino di Notizie Agrarie del Ministero di Agricoltura
negli anni 1891, 92 e 93.
3 Relazione ili, in Boll. Notizie Agrarie, 1893.
* Loc. cit.. Ili Relazione, 1893.
5 Voglino P.. Ricerche intorno alla malattia del riso conosciuta col nome
di « Brusone » ; nota preventiva, Torino, 1897.
— Ili —
" la malattia del brnsone, in particolar modo sulla cosi detta bacteriosi,
"allo stato attuale degli studi;
* raccomanda agli agricoltori, come mezzo per evitarne i danni,
" di perseverare nel lavoro di selezione delle nuove varietà che pre-
" sentino maggiore resistenza alla malattia;
" plaude al concetto manifestato dalVOn. Lucca per la istituzione di
" un cospicuo premio per lo scopritore delle cause e del rimedio della
" malattia detta brusone del riso nelle sue varie manifestazioni;
" affida al Comitato ordinatore del Congresso, in unione alla Pre-
" sidenza, l'incarico di promuovere adeguate sottoscrizioni dai Comizii,
'^ Associazioni Agrarie ed altri Sodalizii Agrarii interessati „.
Dopo il Congresso di Novara si occuparono ancora, da noi, della
malattia in parola il Voglino ' ed il Ferraris ^. Il primo precisò meglio
la sua idea che si trattasse di un bacterio vivente nelle radici delle
(dante ammalate delle quali provocherebbe la necrosi; il secondo con
una serie di accurate osservazioni dimostrò che il micelio della Piri-
ctdaria Oryzae Br. et Cavr. ha un comportamento distintamente paras-
sita ed attacca le piante ordinariamente nella regione del nodo basale
della pannocchia producendo ivi le prime e più sintomatiche alterazioni
che caratterizzano il brusone.
Anche nel Giappone Maiyebe ed Hori ' prima, e poi Kawakami *
studiando le diverse malattie del riso che si presentano là coi diversi
aspetti del nostro brusone, si dichiararono per la natura parassitaria
di esse attribuendole ora alla Pirictdaria grisea (CK.) Sacc, che da
noi attacca il panico, ora a\V Helmintliosporium Oryzae Maiy. et Hori.
Ma tanto gli autori giapponesi che il Ferraris basavano le loro
affermazioni unicamente sopra l'osservazione diretta e mancando la
' Voglino P., Sul brusone del riso; in L'Economia rurale, voi. 45", 1903.
La natura bacterica del brusone del riso è stata ammessa, seguendo il Voglino,
anclie dal dott. Pirolini, professore di agraria nell'Istituto Tecnico di Novara, nel
suo giornale 11 riso e la sua coltivazione. È a ricordarsi in ogni modo che anche
il Voglino ])iii tardi (/ funghi più dannosi alle piante, osservati nella j^rovincia
di Torino e regioni limitrofe nel 1905 ; in Ann. d. R. Ac. di Agric. di Torino,
voi. XLViii, 1905) ammise l'identità, già dimostrata dal Farneti, della Piricularia
Oryzae, P. grisea, P. parasitans e Daedalea parasitans.
2 Ferraris T., Il brusone del riso e la Piricularia Oryzae Br. et Cavr.; in
Malpighia, 1902.
3 Maiybbe K. et Hori S., Uapjwrto della Staz. Agr. Sperimentale, n. 18.
* Kawakami T., La maladie Imotsi du ria; in Bull. d. 1. Soc. Agron. d.
Sappox'o, T. II.
— 112 —
prova sperimentale, le loro affermazioni rimanevano solo delle ipotesi
ed urtavano anche contro il fatto che non sempre sopra le piante am-
malate si trovava una medesima forma fungina.
La questione era a questo punto quando il Farneti cominciò, nel
nostro Laboratorio Crittogamico, i suoi studi sopra la malattia, dei
quali pubblicò i primi risultati, nel 1904, nella nota preliminare sopra
ricordata cui seguì, a distanza di due anni, la più lunga ed esauriente
relazione al terzo Congresso internazionale di risicoltura di Pavia*.
Dopo avere accertata l'identità della malattia in Italia e nel
Giappone ed avere rilevato i diversi aspetti coi quali essa si presenta,
che le valsero pure nome diversi - {brusone, brucione, selone, solone, mal
del nodo, mal del groppo, caroeu, carolo, carolo nero, carolo bianco, carolo
maggiore, carolo minore, carbonchio, crodalnra, crollamento, lùsaróla,
costipazione, bianchella, biancona, secchereccio, marino, marin, sterilità,
spica falsa, gentiluomo, e, in Giappone, hagare e naeyake, che corrispon-
dono più precisamente al nostro carolo minore) e che dipendono dal
maggiore o minore avanzamento del male, o dall'età più o meno inol-
trata della pianta assalita, o dalla parte di essa che fu colta la prima
0 di preferenza; il Farneti dimostrò che il micromicete che la accom-
pagna e che esso pure si presenta in forme diiferenti è unico e assai
polimorfo e tanto nelle colture artificiali che sulle piante ammalate
può assumere le seguenti forme principali: Piricidaria Oryzae Br. et
Cavr., P. grisea (Cooke) Sacc, Helminthosporium Oryzae Maiy. et Hori,
H. macrocarpum Garov. et Catt., H. sixmoideum Cavr., Cladosporium
sp. Garov. et Catt., Hormodendron sp, Garov.
In seguito a tale constatazione, fu possibile al Farneti affermare
che sempre il brusone del riso è accompagnato dal medesimo parassita,
e poiché con esperienze molto ingegnose, che sono descritte nella rela-
zione sopracitata, egli è riuscito a riprodurre artificialmente, con tutti
i suoi diversi caratteri, la malattia, sia a mezzo di germi del fungo
ottenuti in colture, sia con spore prodotte in natura inoculate o sparse
sull'acqua nella quale crescevano piante sane, sia adoperando frammenti
di organi ammalati portati in contatto di piante sane, concluse affer-
mando recisamente la natura parassitaiia del morbo: e additò anche
i mezzi (disinfezioni e spostamento del livello dell'acqua) secondo i
quali dovevasi tentare di combatterlo.
1 Farneti K., Il brusone del riso; relazione al iii Congr. iut. di Risicoltura,
Pavia, 1906, e in Rivista di Patologia Vegetale, voi. ii, Pavia, 1906.
2 II Farneti lia lasciato sulla bibliografia antica del brusone una quantità di
note che valgono ad illustrare tale sinonimia: poiché tu ammessa da tutti non
mi pare necessario pubblicarle.
— 113 —
Dei lunghi e pazienti studi che continuò poi il Farneti sopra il va-
riare della resistenza delle piante alla malattia-, o sul comportarsi
del parassita rispetto ai diversi organi attaccati, al loro stadio di
sviluppo ed alle condizioni esterne di vegetazione, come pure sopra ai
metodi di lotta, non rimasero che le belle tavole, già stampate, con la
relativa spiegazione, nelle quali egli fissava di mano in mano il risul-
tato delle sue osservazioni.
Gli mancarono il tempo e le forze per condurre a termine il la-
voro, e le ricerche furono anche troncate perchè dopo il 1909, forse
per l'introduzione dall'estero e la diffusione di nuove varietà di riso
resistenti alla malattia, il brusone non ha più devastato le nostre
campagne -.
Il lavoro e l'ipotesi del Farneti, come è naturale, non andarono
esenti da critiche, né mancarono ad essi gli oppugnatori, come però
non mancarono, anche all'estero, valenti sostenitori ^- non è compito
mio, senza avere fatto osservazioni mie proprie, entrare come giudice
nelle polemiche che ne seguirono.
1 Sopra questo argomento il Farneti puliblicò già una nota preliminare che
qui va ricordata : Ricerche sperimentali ed uiiatomo-fisiologiche intorno all'influenza
dell'ambiente e della sovrabbondante concimazione sulla diminuita resistenza al
brusone del riso bertone e di altre varietà introdotte dall'estero: in Rivista di Pa-
tologia Vegetale, anno ii, Pavia, 1906.
2 II brusone del riso ha sempre recato i suoi danni a periodi, cessando di
essere dannoso od anche scomparendo affatto, forse coli' introduzione di nuove va-
rietà o di metodi nuovi di coltura, a dati momenti, per tornare poi a minacciare
gravemente i raccolti, come accade delle gra)idi calamità anche degli uomini.
3 Tra gli oppositori va anzitutto ricordato il prof. U. Brizi che in una
serie di lavori {Intorno alla malattia del riso detta.* brusone » ; in Read. d. r. Ac. d.
Lincei, Classe Scienze, voi. xiv, 1905 — Ricerche sulla malattia del riso detta
«■ bi-nso7ìe t : primi studi eseguiti nel 1904; in Annali della Istituzione Agraria A.
Ponti, voi. V, Milano, 190B — Ulteriori ricerche intorno al brusone del riso com-
piute nell'anyio 1905; ibidem, voi. vi, Milano, 1906 — Terzo contributo allo studio
del brusone del riso; ibidem, voi. vii, Milano 1908) sopra alcuni. dei quali intrat-
tenne anche il Congresso risicolo di Pavia, sollevando dei dubbii sopra la natura
parassitaria della malattia, cercò la causa di questa in disturbi fisiologici speciali
delle radici e precisamente in fenomeni di asfissia dovuti a difetto di aerazione
del terreno e delle acque.
A questo modo di vedere si accostarono anche il Soraueu {Handbuch der
Pftanzenkrank-heifen , ni Aufl., Heft 6-10, Berlin, 1906) e Novelli e Giordano
{Contributo allo studio degli effetti dell'aerazione artificiale dell'acqua e indiretta-
mente del terreno nelle risaie; Novara, 1909): mentre invece si dichiararono per
la natura parassitaria della malattia e per il polimorfismo della Piricularia Vrgzae
e la sua identità con altre forme risicole, M. Schirai {Supplemental notes on the
Atti dell'Intit. Boi. dell'Università di Pavia — Serie II — Voi. XVIIl. 8
— 114 —
Comunque se ne pensi, è fuori dubbio che l'avere dimostrato un
nesso fra i vari parassiti che erano stati riscontrati sul riso ammalato
è fatto di grande importanza sia dal punto di vista della patologia che
fungus ivhich caiises the disease so called imochyhio of Oryza saiiva L. ; in Bota-
nical Magazine, voi. xix, 1905) ed H. M.etc.alf (A prel/iiiìnary reporf of the blast
of rice, with notes mi other vice diseases ; in South Caiolina Agricult. Exper.
Station, Bull. N. 121, 1906).
A proposito del Metcall' è interessante riportare la lettera da lui scritta al
Farneti nel dicembre 1908 e da questi già comunicata al giornale l'Alba Agricola
di Pavia nel gennaio 1909.
Washington. D. C, 2ti dicembre 1908.
EoREfiio Propkssoue,
« Il ljl<ist del riso negli Stati Uniti è una malattia cagionata dal parassitismo
« di un fungo del genere Piricularia.
u Non ho mai mancato di trovare il fungo nelle lesioni, sebbene sia spesso
«difficile di trovarlo in condizione fruttifera. Ho prodotto la malattia inoculando
« colle pure colture del fungo piante sane che si trovavano nella risaia ed anche
« sotto vetro. In questa maniera ho prodotto artiflcialmente più di 600 casi della
« malattia. 11 blasf del riso non è una malattia fisiologica, ma l'intensità della
« invasiose è favorita dalle condizioni del terreno.
» La malattia si manifesta con una maggiore intensità nei terreni messi di
« recente sotto coltivazione, nei terreni riposati, di recente sotto l'acqtia, o nei
« terreni fertilizzati colle sostanze azotate. Attacca tanto sovente il riso cresciuto
« all'asciutto (io voglio dire sul riso cresciuto senza qualsiasi irrigazione) come il
« riso cresciuto all'umido. Per quanto ho potuto osservare, il blast non è etìetto
«del contenuto gasoso del terreno; e' se è effetto (favorito) dalle condizioni cli-
<i matiche, la natura di questa influenza è molto oscura. Le radici delle piante
e ammalate di blast sono normali, come è evidente dal fatto che le piante colpite
« dal male emettono facilmente nuovi getti in pochi giorni. Quando la malattia
« attacca la pianta prima della emissione della spiga, tutta la pianta è distrutta.
« Ma questo avviene raramente, ed è la sola eccezione al potere della pianta am-
« malata di blast di emettere nuovi getti.
« Per quanto ho avuto l'occasione di osservare, il brusoiie in Italia è esat-
« tamente la stessa malattia come del blast in America. Può essere però una forma
« di brusone che sia difierente dal blast, ma non la ho vista. È molto evidente che
« i risicoltori ed i contadini usano il nome brusone per descrivere molte differenti
«condizioni malsane della pianta del riso; ed il nome brusone può essere dato a
« certe malattie del riso che non sono cagionate dal parassitismo di un fungo e
« che sono fisiologiche. Io posso dire solamente che non vidi nessuna di tali malattie
« durante il mio breve soggiorno in Italia.
« Con distinti e cordiali saluti devotissimo
Haven Metcalf.,
— 115 —
da quello delia micologia pura, e che costituiscono uno studio di mico-
biologia e di parassitologia assai interessante le osservazioni lasciateci
sopra lo sviluppo delle diverse forme e le loro relazioni colla pianta
ospite.
Per queste ragioni e perchè possano servire ai futuri studi della
malattia se disgraziatamente si presenterà ancora a devastare le nostre
campagne, presento ai patologi ed agli agricoltori, con affetto di amico
e con ammirazione di studioso, le tavole e la spiegazione di esse che
serviranno a completare ed illustrare le note già pubblicate dall'estinto
collega.
Luigi Montkmartini.
Dal Laboratorio Crittogamico di Parìa, ifio(riio 1921.
— 116
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Tav. XX.
Fig. 1. Cariosside in via di germinazione: la guaina embrionale ha perforatiO la
glumella e preme contro la gluma interiore. Le spore che aderiscono
all'esterno della glumetta perforata e all'interno della gluma, possono
infettare la guaina embrionale con la quale vengono a contatto.
» 2. Cario.sside come sopra. La gluma interiore divaricata lascia vedere la
guaina embrionale che ha appena perforato la glumella inferiore.
» 3 e 4. Cariosside in istato più avanzato di germinazione.
» 5. Cariosside in via di germinazione spogliata dalle glumelle.
» 6. Cariosside non germinata, spogliata dalle glumelle; si vede che la guaina
embrionale non è riescita a perforare la glumella, quindi vi si è svi-
luppata sotto avvolgendo il seme.
» 7. Cariosside attaccata leggermente da brusone. Germinata mostrava all'a-
pice della guaina embrionale una macchietta bruna dovuta all'azione
del parassita, in seguito ad infezione trasmessa dal seme. La presenza
del parassita fu constatata al microscopio.
» 8. Cariosside come quella rappresentata nella tìg. 7, che all'inizio dell'aper-
tura della guaina per l'uscita della prima foglia embrionale, mostra
lungo i margini una macchia bruna dovuta ad infezione ti-asmessa dal
seme.
» 9 a 14. Cariossidi attaccate da Helininthosporiitm (Jryzce.
» 15 a 18. Cariossidi attaccate da PiriciUaria Oryzce.
• 19. Cariosside fortemente attaccata da Helminthosporium OryzOB.
• 20. Cariosside fortemente attaccata da Pin'cular/a Oi-yzm.
» 21. Cariosside attaccata da Hebiihitìiosporium germinando ha manifestato al-
l'apice della guaina embrionale una macchia bruna in seguito ad in-
fezione trasmessa dal seme.
» 22, 24, 26, 28 e 30. Cariossidi attaccate da Helminthosporhim.
» 23, 25, 27 e 29. Cariossidi attaccate da Piricularia.
» 31. Cariosside ingrandita con macchiette prodotte da Piricularia.
» 32. Cariosside raccolta nelle risaie di Campomaggiore, morta durante la ger-
minazione perchè ricoperta da spore germinanti di Helminthosporiinn.
» 33. Guaina embrionale che non avendo potuto perforare la glumella si è svi-
luppata all'interno di questa, avvolgendo il seme. Il cotiledone pre-
senta in m una macchia bruna, cos'i pure i lembi dei tegumenti che
ricopri vaao la fessura cotiledonale. Tanto il cotiledone che i tegumenti,
esaminati al microscopio si mostravano invasi dal micelio del parassita.
— 117 —
Pig. 34. Giovane pianticella di riso raccolta in risaia ai primi di maggio: in a
si vedono le radici perfettamente sane ; in 6 la guaina embrionale
aperta ed annerita dal brusone; in e la prima foglia morente con nu-
merose macchie di bnisoue: in d la seconda foglia con macchia bruna
all'apice e sana nel rimanente.
» 35. Seme spogliato dalle glumelle con macchie brune prodotte dal parassita.
>' 36. Seme come sopra d'un colore bruno intenso, completamente invaso dal pa-
rassita e con carie profonda.
» S7 a 39. Giovani piantine raccolte in risaia ai primi di maggio. Il loro ger-
moglio fortemente attaccato da Hebninthoxporium è morto.
» -10 e 41. Sezione trasversale di giovane germoglio, tagliata in corrispondenza
di una piccola macchia di brusone, manifestatasi nella parte dorsale
della guaina embrionale. L'infezione è penetrata nel parenchima sot-
tostante e si è propagata lungo la lacuna aerifera come lo dimostra
la sezione 41 praticata molto più in basso dove all'esterno non si scor-
geva più alcuna macchia.
Tav. XXL
■ Fig. 1. Giovane pianticella di riso attaccata da Heìmìnthosporinm, raccolta in
risaia ai primi di maggio. In a si vede la radice vegeta e sana; in b
la guaina embrionale annerita e morta ; in e la prima foglia morta
parimenti di brusone; in d la seconda foglia con macchiuzze bruso-
nate sul lembo e morente perchè fortemente attaccata nella parte guai-
nante : in e la terza foglia morta; in f la quarta foglia ancor sana.
» 2. Giovane piantina come sopra. In a si vede la radice sana e robusta; in
b la guaina embrionale morta: in e la prima foglia con macchiuzze
brusonate prodotte da Helminthosporium; in d la seconda foglia av-
vizzita perchè foi-temente attaccata alla base; in e la terza foglia at-
taccata all'estremità.
» 3. Piantina come sopra. In a si vedono numerose radici ben sviluppate e
sane : in b la guaina embrionale annerita e morta per attacco del pa-
rassita; in e e d la prima e la seconda foglia morte per la stessa causa;
in e la terza foglia ancor viva ma attaccata all'apice.
» 4. Piantina come sopra. In a si vedono numerose radici ben sviluppate e
perfettamente sane; in b la guaina embrionale morta naturalmente;
in e e d la prima e la seconda foglia morte per brusone; in e la terza
foglia con macchie di brusone verso l'apice; in /" la quarta foglia con
macchie oblunghe brusonate caratteristiche ; in 5' la quinta foglia
ancor sana.
» 5. Giovane piantina raccolta in risaia ai primi di maggio, morta per bru-
sone. Ina si vedono le radici che non presentano alterazione alcima;
in b la guaina embrionale morta; in e e (Ma prima e seconda foglia
imperfettamente sviluppate e morte: in e ed /"la tei'za e quarta foglia
morte e macchiate di nero, cosi pure la loro guaina,
ti. Piantina come la precedente. In a si vedono le radici che non presentano
alterazione alcuna. Le foglie sono morte ed annerite perchè fortemente
attaccate da Uelininthosporium.
— 118 —
Fig. 7. Pianticella raccolta in risaia ai primi di maggio. In a si vedono le radici
perfettamente sane. In 6 la guaina embrionale morta ed annerita; in
e e d la prima e la seconda foglia morte brusonate; in e la terza foglia
con macchia bruna lineare che dall'apice scende fin verso la base del
lembo, prodotta da Helmiììfhosporium; in /"la quarta foglia ancor sana.
» 8. Pianticella come sopra, attaccata nel culmo e in vxna foglia ialVHelmm-
thosporium. Le radici a sono perfettamente sane.
» 9. Pianticella come sopra: a radici perfettamente sane; S guaina embrionale
morta: e prima foglia morta in seguito ad infezione à' Helminthospo-
rium; d seconda foglia attaccata dal parassita, ma non ancora morta;
e terza foglia morta avvizzita perchè attaccata alla base; /'quarta fo-
glia vegeta e sana.
» 10. Pianticella coltivata in vaso sopra la quale si è riprodotto artificialmente
il brusone infettandola con spore di Helminthosporium Oryzce.
Ina si vedono le radici sane e ben sviluppate; in b la guaina em-
brionale morta con macchia di brusone che per contatto si è propa-
gata anche alla base del culmo : in e il resto della prima foglia il cui
lembo è caduto in seguito alla cancrena che l'aveva colpito alla base;
in d la seconda foglia con macchiuzze prodotte da spore di Helmintho-
sporium in germinazione. Il giovane culmo presenta diverse macchie
nere di brusone.
» 11. Altra pianticella coltivata in vaso e sopra la quale si è riprodotto arti-
ficialmente il brusone infettandola con spore di Helminthosporium del
riso. In « si vedono le radici sane ; in 6 la guaina embrionale morta ;
in e la prima foglia morta di brusone; in d la seconda foglia con di-
verse macchiuzze di brusone sul lembo; in e la terza foglia non an-
cora interamente aperta e col primo inizio di una macchia di brusone
sul lembo.
Nel culmo si osservano diverse macchiette bruno-nerastre di brusone.
Tav. XXII.
Fig. 1. Pianticella di i-iso attaccata da Helminthosporium raccolta in risaia alla
fine di maggio, all'epoca della prima mondatura. In a si vedono le
radici d'un colore bruniccio ma ancor turgide: in e e d la prima e
seconda foglia annerite e morte di brusone; in e la terza foglia mo-
rente con diverse macchie di brusone; in /"la quarta foglia sana; in
g la quinta foglia brusonata nella metà superiore ; in /; la sesta foglia
che spunta sana.
» 2. Pianticella come la precedente. In a si vedono le radici sane; in m e )»'
macchie di brusone sul culmo; in e la prima foglia brusonata nella
l)arte superiore; in d la seconda foglia quasi interamente brusonata:
in e la terza foglia con parecchie macchie di brusone ; in /■ la quarta
foglia, non ancora spiegata, sana.
3. Foglia di riso raccolta come sopra con parecchie macchie oblunghe, brune
di brusone prodotte àaW Helminthosporium.
4. Foglia come sopra con la parte superiore del lembo interamente bruso-
nata per attacco di Helminthosporium.
— 119 —
Fig. 5. Foglia come sopra con parecchie macchiuzze oblunghe di brusone.
'> 6. Foglia come sopra con macchie lineari, alcune marginali, ed una larga
macchia bruno-nerastra nella guaina, prodotte parimenti da Helmin-
ihosporìiiin.
» 7. Altra foglia come sopra, con macchie di brusone di varia forma e grandezza.
» 8. Foglia come sopra con numerose macchiuzze oblunghe di brusone.
» 9. Pianticella di riso attaccata da Ilelmiìifhosporiuiii raccolta in risaia alla
metà di maggio. In a si vedono le radici sane; in 6 la guaina embrio-
nale morta; in e la prima foglia morente per brusone: in d la seconda
foglia con larga macchia di brusone al margine; /"la terza foglia sana.
» 10. Pianta di riso attaccata da Helininthosporium raccolta in risaia all'epoca
della prima mondatura. In a si vedono le radici sane ; in ?^ la guaina
embrionale morta ; in e la prima foglia morta di brusone ; in d la se-
conda foglia morta con diverse macchie di brusone ; in e foglia con
macchie puntiformi e lineari di brusone ; in /" foglia sana non ancora
spiegata.
Tav. XXIII.
Fig. 1. Materiale preso dalla piantina rappresentata nella tavola XXII, fig. 10 e
dalla fogliolina rappresentata nella figura 4 della presente tavola.
Si vedono spore germinanti di Helìninthosporium il cui micelio in ger-
minazione si dirige verso un punto della lamina fogliare, e il pro-
toplasma, della cellula con la quale viene a contatto e delle attigue,
prende tosto una colorazione brvina che si propaga rapidamente in
ampiezza e profondità formando una macchia.
» 2. Ingrandimento della figura 3, per far vedere la forma delle macchie e i
conidiofori formantivisi.
» 3. Fogliolina infettata artificialmente con spore di Helmhithosjìorium.
X. Estremità fogliacea di una guaina embrionale macchiata in più punti in
seguito ad infezione artificiale.
» 5. Riproduzione artificiale del male del nodo, per semplice contatto con por-
zione di foglia infetta da Helminthosporiuni. Il nodo e le parti attigue
del culmo sono annerite.
6. Riproduzione del male del nodo per contatto con porzione di nodo infetto.
» 7. Parte superiore di una guaina embrionale, con diverse macchie di bru-
sone. In alcune di queste si vedono sviluppati i conidiofori deWHel-
minthosporhim.
» 8. Cariosside di riso germinante, infettata con spore di Helminthosporiuni
del Mays. All'estremità della guaina embrionale si vede una macchia
bruna prodotta dalle spore germinanti delV Helmmfhospormm.
» 9. Cariosside germinante, infettata artificialmente con Piricularia. In essa
si vede la macchia bruna prodotta dalle spore germinanti di Piricu-
laria.
» In. Cariosside germinante infettata artificialmente con spore di Helminthospo-
rium del Giavone. Nella parte superiore della guaina embrionale si
vede una macchia bruna prodotta dall'infezione.
— 120 —
Tav. XXIV.
Fig. 1. Foglia adulta di Riso, con macchie di Ijrusoue nei primi stadi di sviluppo,
prodotte da Piricidavia.
» 2. Foglia come sopra, con maocliie completamente sviluppate e cai-atteristiche
della malattia. .
» 3. Ingiallimento del lembo fogliare prodotto da infezione alla base della'
foglia.
4. Ingiallimento della foglia non dovuto a brusone.
» o. Foglia giovane di riso con l'estremità ingiallita, per lesioni trasversali
(/«), prodotte da insetti.
» 6. Foglia marmorato-tigTata per causa tisiologica, cioè non dovuta a pa-
rassitismo.
» 7. Pistillo infetto. Il micelio del parassita s'intreccia e s'insinua nella
parete dell'ovario che prende una coloi-azione bruna.
Tav. XXV.
Fig. 1. Micelio (///) che penetra attraverso l'incastro delle glumelle.
» 2. Micelio e conidiofori nel filamento di uno stame.
■> o. Grani di polline invasi dal micelio del parassita che li avvolge e li
compeuetra.
> 4. Micelio che s'intreccia e penetra nello stimma. '-
» 5. Antera prima dell'antesi attaccata dal parassita, che ne invade le pareti
dei sacchi pollinici, il connettivo e il filamento staminale.
Tav. XXVI.
Fig. 1. Figui-a schematica in cui è rappresentata la superficie fogliare della
pagina superiore. In n' è rappresentata una nervatura di secondo
ordine; in n" le nervature di terzo ordine; in F le vallecole o solchi ;
in s le serie di stomi; in p una serie di peli alterni, adunchi rivolti
verso la base della foglia, che proteggono le cellule bulbiformi (B
poste in serie longitudinale in fondo alle vallicelle) lialle goccie di
pioggia e di rugiada, le quali rotolano in basso, senza bagnarle; in
d gli aculei delle nervature rivolti verso l'apice della foglia; in G
goccie di rugiada che scendono per una vallicella trasportando spore
sp, che vengono afferrate e trattenute dagli aculei delle nervature.
Queste ultime germinando cacciano un tubo miceliale che si di-
rige verso le cellule bulbiformi, fortemente traspiranti, iniziando
nel punto di contatto una macchia bruna che rapidamente si estende
(Tav. XXm, fig. 1).
» 2. .Sezione trasversale di una foglia di riso. Le lettere corrispondono a
quelle della figura precedente.
» 3. Forma miceliale che spesso si osserva nei tegumenti del seme, che passa
dall'una all'altra cellula, per mezzo di rami laterali che incontrandosi
si anastomizzano («) e formano un reticolato di figura variabile a
seconda della forma delle cellule dello strato tegumentale invaso.
— 121 —
Tav. XXVII.
Fig. 1 e 2. Forine di micelio, che aderiscono alla guaina embrionale sotto le
glumelle, asportate dai tegumenti che ricoprivauo la fessura coti-
ledoiiale.
Fig. 3. Figura schematica per dimostrare in qual modo avviene il contagio, e
fornire la ragione per cui l'infezione resta generalmente localizzata
in alcuni punti del culmo e della pannocchia. Essa rappresenta l'e-
stremità di un culmo di riso, mentre la pannocchia sta per uscire
dalla guaina delle due foglie superiori.
La guaina gu della foglia superiore comincia ad aprirsi e comin-
ciano a far capolino le prime spighette della pannocchia p. L'apertura
si trova in parte ricoperta dalla guaina gu della foglia sotto.staute
F che l'abbraccia. Le goccioline di rugiada formatesi nella foglia F
sopra la macchia brusonata ma, precipitano in basso cariche di spore,
parte delle quali non trattenute dagli aculei delle nervature (vedi
Tav. XXVI, fig. 1) giungono insieme alla goccia all'ascella della foglia.
Se il lembo fogliare forma un angolo molto acuto o se le goccie sono
troppo gròsse, queste precipitano con troppa velocità; giunte all'ascella
urtano contro il dorso della ligula l che impedisce loro di penetrare
entro la guaina fogliare e contro le appendici semilunari munite di
lunghe ciglia che ne allargano lateralmente il riparo: e guidate dalle
doccie laterali spiovono in basso. Se in questo caso le goccie cadono
a terra, non sempre avviene altrettanto delle spore che trasportano;
perchè queste ultime, spesso vengono trattenute dalla ligula e dai
peli delle appendici ascellari. .
Quando invece l'inclinazione del lembo fogliare form^ un angolo
|)Oco acuto o le goccioline di rugiada sono minute, qvieste scendono
con minore velocità e giunte all'ascella vi si fermano (<) trattenute
dalla ligula e dalle appendici ascellari insieme a tutte le spore non
lasciate per via.
In tal modo si forma all'ascella delle foglie un deposito di spore,
le quali germinando non tardano a produrvi una macchia infettiva
mg, mg'.
Le spighette della pannocchia ]j che si trovano a contatto della
macchia infettiva mg o delle spore o miceli aderenti alle ciglia
delle appendici ascellari o alla ligula, contraggono l'infezione, la
quale sai'à tanto piii grave quanto maggiore sarà l'infezione ascel-
lare o il deposito di geiuni, ciò che dipende a sua volta dal numero,
dall' ampiezza e dall' età delle pustole formatesi sulla foglia corri-
spondente.
Se le macchie brusonate del lembo fogliare sono recenti o piccole,
all'ascella della foglia (all'epoca in cui cominciano a far capolino le
spighette della pannocchia) non si sarà ancora formata macchia in-
fettiva e poche saranno le spore quivi depositate, per cui, poche
saranno le spighette che contraggono l'infezione, e la maggior parte
la contraggono perchè si trovano in prossimità dell'ascella fogliare
al uiomento che precipita dall'alto una goccia infetta.
— 122 —
Fig. 4. Come la pi-ecedente. Rappresenta uno stadio più avanzato della spigatura.
La pannocchia ha sorpassato in parte l'ascella della foglia superiore
ed in parte si trova ancora abbracciata dalla sua guaina semi aperta.
Le spighette infettate all'ascella della foglia F sono indicate in //'.
Al disopra di if l'ascella della foglia F non ha potuto produrre al-
cuna infezione ; ha infettato invece le spighette sottostanti. Il tratto
tra if e l'ascella della foglia F si troverà ancora immune e verrà
infettato solo più tardi dall'ascella della foglia soprastante, come è
già stata infettata la parte superiore fino all'estremità della pannocchia.
Tav. XXVIII.
Fig. 1. Forme miceliali che si osservano nel parenchima cotiledonale.
» 2, 3, 4 e 7. Forme miceliali che si osservano nei tegumenti del seme.
» 5 e 6. Forme miceliali che si osservano nei tegumenti che ricoprono l'em-
brione.
» 8 e 9. Stadio più avanzato della spigatura di quello rappresentato nella
fig. 4 della tavola XXVII. L'ascella della foglia F' dopo avere infettato
la pannocchia, infetta anche il culmo, in prossimità del collaretto,
dove sosta per un tempo relativamente lungo.
L'ascella della foglia i^ si è portata intanto ad infettare il primo
nodo, e contemporaneamente l'ascella della foglia sottostante F'
infetta il 2" nodo col quale è venuta a contatto.
Tav. XXIX.
Forme colturali di Piricularia, in cui si vedono passaggi a forme di Cla-
dosporium e di Helminthos-porinm.
ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
B
LABORATORIO CRITTOGAMICO ITALIANO
MICETI DEL CORPO UMANO E DEGLI ANIMALI
NOTA I.*
del Prof. GINO POLLACCI
{con due tarale litografale)
La pubblicazione che inizio con la presente nota ha lo scopo di fai
conoscere i risultati di studi sulla flora crittogamica del corpo umano
e degli animali da me intrapresi non solo per portare un nuovo contri-
buto alla micologia, ma anche per daie un vantaggioso aiuto alla pato-
logia umana e veterinaria.
Il numero delle malattie dovute a miceli è certamente molto pivi
grande di quello che attualmente si conosca. Le micosi si moltiplicano
da che si ricercano sistematicamente; non tutte le forme isolate dal corpo
umano e dagli animali descritte come patogene vanno accettate come
tali, varie di esse vanno considerate come semplici saprofite; ma ciò
non toglie che molte siano certamente parassite, che numerose ma-
lattie la cui eziologia è ancora ignota siano dimostrate col tempo es-
sere causate dall'azione patogena di micromiceti e che anche comunis-
simi ifomiceti dotati di speciali adattamenti e speciale attività, possano
trasformarsi in parassiti dannosi all'uomo ed agli animali ^
Per aumentare le nostre cognizioni in proposito è indispensabile
però vagliare quanto è stato pubblicato in tale campo e distruggere tutto
ciò che venne creato senza basi scientifiche sperimentali e senza suf-
ficienti studi comparativi micologici. Esaminando le numerose pubbli-
cazioni che su questo argomento sono state fatte e che continuamente
vengono alla luce, si constata facilmente quale confusione regni in tale
campo a causa sopratutto di una infinità di generi e forme che sono
1 Vedi a questo proposito la interessante nota di G. Nkgri, Ricerche sulla
Dtolofjia dì un PeniciUo Patogeno {PeìiiciUium mycetoviageuum Mant. et Ngr.) in
Atti della Reale Aoc. Scienze Torino, Voi. lvi, 1921.
— 124 —
date per nuove senza fondamento, sia per la diagnosi delle specie per
la massima parte assolutamente insufficienti e che sovente si adattano
a tutti i tipi del genere od a molti di essi, sia per descrizioni senza
alcun criterio micologico, sia per la polimorfia frequente degli iforaiceti
in mezzi diversi di cultura e sopratutto per l'abitudine che ha preso il
medico di dare un nome ad una forma di micete da lui isolato da un
ammalato senza quelle conoscenze che solo uno specialista di tale ramo
botanico può avere. Quindi è necessaria una revisione paziente e dili-
gente di tutte le specie che finora sono state trovate sul corpo del-
l'uomo e degli animali. Circa poi al parassitismo di queste forme spetta
al medico lo stabilirlo e tale suo compito sarà di molto facilitato dal
micologo, se questo gli potrà fornire colture pure di specie ben deter-
minate e ben fissate.
Tale lavoro di revisione l'ho già da tempo iniziato ', ma ancora di-
versi anni saranno necessarii prima di poter aver raccolto i materiali
sparsi e poter venire a delle conclusioni generali sicure su tutte le specie
trovate sull'uomo e sugli animali, essendo necessario precipuamente fare
lo studio colturale del maggior numero possibile di forme servendosi
di un unico terreno, onde diminuire nel miglior modo l'influenza del po-
limorfismo sulla classificazione delle specie.
Durante la raccolta e lo studio di questo materiale ho trovato di-
verse specie di micromiceti non ancora descritti sopra il corpo umano ap-
partenenti a varii generi, parecchie delle quali con tutta probabilità
sembrano patogene e cause di gravi malattie. Di alcune di queste specie
a solo scopo di prendere data, pabblico subito la dettagliata descrizione
e la figura, riservandomi di dare uno studio più completo quando avrò
ultimato le ricerche su tutte le altre forme e quando i clinici che mi
hanno fornito questi micromiceti avianno completato il loro studio pa-
tologico.
Il terreno culturale unicamente adoperato per i confronti e che
propongo come tipo di substrato nutritizio da essere usato da tutti quanti
intendono dedicarsi alla classificazione degli ifomiceti è preparato e co-
stituito nel seguente modo :
A gr. 500 di polpa di manzo ben triturata si aggiungono gr. 1000
di acqua distillata, si fa bollire il tutto, si filtra e si aggiunge:
Peptone Wilte gr. 10; cloruro di sodio gr. 5; Agar-Agar gr. 1.5.
Si fa bollire e filtrare a caldo, si neutralizza, si fa bollire di nuovo
per mezz'ora; se occorre si filtra di nuovo e si aggiungono gr. 70 di
1 G-i:<o Poi.LACCi, studio sul genere « Citromyces » con 1 tav. in Atti del-
ritituto Botanico di Pavia, voi. xvi, 1915.
— 125 —
glucosio. Questa miscela, versata in recipienti, viene sterilizzata frazio-
natamente per tre volte in pentola Koch.
In questo terreno vivono gli iforaieeti ottimamente e tutte le dia-
gnosi dei microraiceti descritti da me nella presente nota e nelle fu-
ture, si intendono corrispondenti ad ifomiceti coltivati nel terreno so-
p radette.
Di tutte le specie descritte, io conservo in vita e tengo a dispo-
sizione degli studiosi, le rispettive colture. Un esemphue di queste ho
mandato anche al Centmlhureau voor Schimtnelculturen a Baarn.
*
* *
Haplographium De Bella Marengo n. sp.
Dal prof. Aurelio De Bella e dott. Giovanni Marengo della Sezione
Dermosifilopatica diretta dal prof. Sprecher dell'Ospedale Pamatone di
Genova ebbi due culture pure di miceti trovati costantemente ed iso-
lati da una lesione cutaneo-gommosa che da diversi mesi era com-
parsa sulla guancia di un uomo di 26 anni che anch'io ho avuto occa-
sione di osservare. Il detto individuo non era né sifilitico, né tuberco-
loso e la piaga si rimarginò solo dopo la cura con joduro di potassio.
Una delle culture prese in esame era formata da PenicilUum crii-
staceum (L.) Fries. ; micete che il dott. Ramazzotti ^ ha recentemente
trovato in un caso di lesione cutanea dovuta secondo detto Autore al-
l'azione patogena di questo micromicete. Ma il prof. De Bella ed il dott.
Marengo hanno inoculato ripetutamente sopra topi il PenicilUum rru-
staceum da loro isolato, senza ottenere riproduzione di micetoma. Eguali
risultati negativi ho avuto io operando su cavie, su scimmie e su me
stesso; quindi probabilmente detta comunissima mufl"a si trovava nella
piaga dell'ammalato come semplice saprofita. L'altra coltura invece di
colore nero era costituita da un micete avente caratteri che corrispon-
dono a quelli del genere Haplographium delle Dematiaceae che si av-
vicina al genere PenicilUum delle Mucedinaceae, ma si diflferenzia per i
conidiofori ed i conidii bruni. Con microcolture in vetrini porta oggetti
con vaschetta, che permettono l'osservazione diretta al microscopio, si
può seguire tutto lo sviluppo dell' ifomicete e stabilire cosi che nessuna
delle poche specie di questo genere descritte finora e che abbiano una
diagnosi che permetta di classificarli, corrisponde a questa. Nessun
Haplographium è stato finora trovato sul corpo umano o di animali.
1 VinciNio RAJiAzzoi'Tr, Dermatomicosi innaiia da ifomicete del genere « Pe-
nicillìum », 1920. Milano (Cooperativa Grafica Operai).
— 126 —
Dalle spore nasce un micelio segmentato, filamentoso, abbondante,
ramificato come è riprodotto nella flgnra 1 della tavola XXX; sopra l'e-
stremità della massima pai te di questi filamenti dapprima jalini indi
bruni incominciano a formarsi ben presto (circa entro iO giorni a tem-
peratura media 18° C.) gli sterigrai come in fig. 2 e 3. Gli sterigmi
in alcuni casi sono numerosi come in fig. 4. L'insieme della coltura as-
sume ben presto un colore nero carico proprio delle Dematiaceae con
aspetto vellutato e spesso forma dei glumeruli.
Intorno alla patogenesi di questo ifomicete stanno occupandosi
il prof. De Bella e dott. Marengo e il risultato delle loro osservazioni
sarà oggetto di pubblicazione. Dedico la nuova specie al prof. De Bella
e dott. Marengo che sono stati i primi ad isolare questo micete del
quale dò la seguente diagnosi:
Haplogeaphidm De Bella Marengo n. sp.
Coloniis in agaro cum glucosio cultis, nigris, zonatis. orbiculatis ;
hyphis sterilibvs repentibus, ramidosis, initio hyalinis, dein fuscis, 3-4 jx
diani.; conidiopìioris repentibus ererlis, simpìiciòuis, septatis, atris, 50-80 /t
longis, sursum paucos vel multos ramulos 10-12 /t longos gerentibus, rumulis in
catenulas conidiorum abeuntibus; conidiis globosis, nigris, levibiis, 4-5 fi diam.
Habitat in imlnere malae hominis - Genua.
Professori A. De Bella et Doctori I. Marengo dicatum.
*
« *
Acrenioniella Berti u. sp.
Dal dott. Giuseppe Berti, assistente alla Clinica chirurgica degli
Istituti di studi superiori di Firenze diretta dal prof. Burci, ebbi, per
esame, colture di miceti da lui trovati in un tumoretto avente l'aspetto
di un granuloma, asportato dalla gamba di una donna; tali colture, ino-
culate in cavie producono, mi scrive il dott. Berti, dei granulomi. Esa-
minate le colture inviatemi, risultano costituite da due specie di mi-
ceti, una appartenente alle Mucedicaceae e l'altra alle Dematiaceae e
precisamente una al genere PenicilHum Link, e l'altra al genere Acre-
moniella Sacc. Tali specie le ho trovate associate in ogni tubo di col-
tura. Coltivandole nel solito terreno sopradescritto in vetrino con va-
schetta, ho potuto seguire il loro sviluppo, il che mi ha permesso di
studiare in ogni particolare la loro genesi e la loro struttura e di sta-
bilire che sono due specie non ancora state descritte dai micologi.
— 127 —
Specie nuove quindi clie ho dedicate una al dott. Berti che è stato il
primo ad isolarle e l'altra al cliiar." chirurgo prof. Burci direttore della
Clinica Chirurgica di Firenze. Del Penicillium sono riuscito ad otte-
nere delle colture pure, non così àé\V Acremoniella. Nessuna Acremoniella
finora era stata trovata sul corpo umano o di animali.
Intorno all'azione parassitaria di tali specie sta facendo ricerche
il dott. Berti. Io mi limito a darne la figura, la diagnosi e la det-
tagliata descrizione.
Nei primi stadi di sviluppo il micelio piuttosto granuloso AeW Acre-
moniella produce dei conidiofori con un solo conidio all'apice, dapprima
pressoché ialini, tanto che parrebbe si trattasse di una Mucedinacea e
precisamente del genere Acremonium, ma ben presto i conidi si colo-
rano in bruno intenso ed il micete assume tutti i caratteri del genere
Acremoniella.
Non bisogna confondere gli stadi giovani di sviluppo del Penicil-
lium Burci con quelli à^W Acremoniella, cui spesso vive associata. Mentre
le ife fruttifere del Penicillitim portano all'apice un rigonfiamento che
rimane ialino e poi si trasforma in sterigma, il rigonfiamento dei coni-
diofori àeW Acremoìiiella si trasforma in spora colorata globosa che si
distacca e riproduce la specie.
I conidiofori non ramificati sono generalmente più stretti del mi-
celio, sono spesso settati e rimangono ialini. I conidii sono sferici, ra-
ramente oviformi, lisci; rarissimamente si osserva un rigonfiamento nel-
l'apice del conidioforo come in fig. 10 della tav. XXX; questo caso va
considerato come un'anomalia. Ogni conidioforo porta solo un conidio
bruno, che si distacca e germina producendo dapprima un budello mi-
celico come in fig. 9 (tav. XXX), poi il micelio si ramifica e dà origine
ai conidiofori.
Ecco la diagnosi della nuova specie:
Acremoniella Berti n. sp.
Coloniis ■puris non obtentis; hyphis sterilibus repentibus, ratnosis, sep-
tatis, hyalinis, sparsis, 4-5 f^i diam.; conidiopìioris erectis vel curvatis, non
ctispidatis, hyalinis, 15'25 /.i longis; conidiis globosis, continuis, 6-7 fi diam.
fuscis.
Habitat in parvo tumore muliebris, socio Penicillio Burci n. sp.;
Florentia.
Doctori Joseplio Berti dicala.
128 —
Peuicillium Burci u. sp.
Insieme alla specie precedente nelle stesse colture si scorgono
abbondantissime spore continue molto più piccole, debolmente colorate
in bruno, che, se il preparato è fatto con il materiale tolto dai tubi di
coltura, difficilmente si presentano disposte a catena perchè con facilità
si distaccano dai brevi conidiofori, ma se si osserva una microcoltura
in vetrino da microscopio con vaschetta, esse appaiono tutte in fitte e
numerosissime catenelle alle quali è dovuto l'aspetto cotonoso della
coltura. Grli sterigmi sono brevi e sottili (vedi fig. 4-5-6, tav. XXXI)
ed il micelio ramificato è nelle vecchie colture spesso nascosto dal gran
numero delle catenelle che in ogni senso lo ricoprono. Il micelio a svi-
luppo avanzato è grosso, molto settato e verrucoso (fig. 1, tav. XXXI).
Seguendo lo sviluppo del micelio osservasi facilmente la formazione
dapprima di brevi conidiofori sui quali si sviluppano spore minute per
lo più globose, raramente a forma di botte, disposte a catena; in questo
stadio il micete potrebbe essere determinato come un Oospora e pos-
siede infatti i caratteri dati dal Wallr per tale genere (fig. 4, tav. XXXI),
ma ben presto i conidiofori formano veri sterigmi e talvolta anche nu-
merosi che portano tutti catenelle di spore. A completo sviluppo così
il fungo acquista la forma defiuitiva caratteristica di Pemcillium (fig. .5-6,
tav. XXXI).
Sovente, se non sempre, all'apice dell' ifa fruttifera si forma un
rigonfiamento che potrebbe essere confuso con uno stadio giovane di
Acremoniella Berti; ma mentre i conidiofori di questa specie producono
una spora globosa colorata che si distacca viproducenJo la specie, i ri-
gonfiamenti rotondi che si formano all'apice dei giovani conidiofori del
PeniciUium sono jalini e si trasformano presto in sterigmi sui quali si
formano catene di spore.
Sul corpo dell'uomo e degli animali finora sono stati trovati, per
quanto io sappia, il Pemcillium crustaceum (Link.) Fries. ; il P. minimum
Siebenmann, il P. pictor Naveau-Lamaise, il P. brevicattle var. hominis
Brumpt et Langeron, il P. mycetomagenum Mantelli e Negri ed il P. Ani-
sopliae Vuillemin. La specie sopradescritta oltre che per la novità
ieW habitat, non corrisponde alle descrizioni date dai diversi autori
per queste specie e neppure alle numerose altre elencate nella Sylloge
— 129 —
Saccardo ed a quelle studiate da Dierckx ' da Tlioin ^ e da Soop ^ Ecco
la diagnosi della nuova specie :
Penicillium Bdrci n. sp.
Coloniis in agaro cum glucosio cultis, albis, floccosis, dein griseo-avel-
laneis; hijphis sterilibus ramulosis, hi/aìinis, septatis, repentibus vel adscen-
dentibus, 6-7 ^ diam.; conidiophoris erectis, simplicibus, septatis, hyaìinis
50-110 fi longis, sursnm paucos rainulos gerentibus. Raimdis in catenulas
conidiorum abeimtihus; conidiis globosis, rariter ellipsoideis, levibus, pallide
fuligineis, 4-5 /.i diam.
Habit. ili parvo tumore mulieris, socia Acremoniella Berti n. sp.
Fìorentia.
Clarissimo Chirurgo Biirci dicatum.
*
* *
Torula Pais n. sp.
Nella Clinica Dermosifilopatica dell'Università ai Sassari diretta
dal prof. Cosimo Lombardo, l'assistente dott. Luigi Pais ha isolato da
nodosità all'esterno di peli delle ascelle di un soldato, un ifomicete
a me consegnato per studio; in questo caso, pur avendo un aspetto di
trichomitosi palmellina, pure le nodosità presentavano delle differenze
dal comune reperto (simbiosi di schizomiceti eromogeni e di Trycho-
myces miiiutissimum Duacq.)
Il dott. Pais sta studiando se sia da escludersi che il reperto possa
essere accidentale, poiché questo fungo non è stato ancora isolato da
casi consimili e poiché non é stato possibile a lui finora di rivedere
l'infermo onde riprendere abbondante materiale per controllo; ad ogni
modo il micete suddetto appartiene ad una specie non ancora descritta
di Torula Pers. che dedico al dott. Pais. Il micete presenta le seguenti
caratteristiche:
1 DiBRCKX, Essai de revisiot) du genre « Penicillium » in Aiiiiales de la So-
ciété scientifique de Bruxelles, 1900.
2 Ch. Thdm, Cultural stud. o/" « Penicillium » in Bull. 118 Dep. of Agricul-
tui- Washington, 1910.
* 0. I. 0. Soop, Monographie dei- Pilzgnippe Pciiici/lìiivi in A'idenskapssels-
kapet i Ki-istiania, 1912.
Jin dell'Jst. Boi. dell' InircrsiUi di rafia Serie 11 — Voi. XVIII. 9
— 130 —
Le colonie coltivate nel solito tei'reno glucosato, assumono presto
un colore nero intenso, con superficie verrucosa, lanugginose ai margini;
il micelio osservato nelle microcolture appare ramificato, jalino all'estre-
mità e sottile agli apici (fig. 7, tav. XXXI) che si ingrossa e diventa
brunastro verso il centro della colonia; sui filamenti niicelici si formano
brevi conidiofori, uguali per aspetto alle altre ife, ed all'estremità di queste
si formano conidii globosi, neri, riuniti in catene lungiie, per lo più pie-
gate a falce (fig. 7, tav. XXXI) e formate da una sola serie di spore;
in avanzato sviluppo è frequente il caso di osservare che i conidiofori
portino conidii neri formanti dei glomeruli (vedi fig. 8, tav. XXXI). In
questo stadio di sviluppo, se si osserva la coltura con piccolo ingrandi-
mento, il micete appare di forma petiicilUare, mentre per i particolari
di struttura e di sviluppo descritti prima evidentemente l'ifomicete va
ascritto al genere Tortila Pers. Finora nessuna specie di questo genere
è stata trovata sul corpo umano o di animali. Delle numerose specie
descritte a conidii lisci, nessuna presenta i caratteri di questo nuovo
interessante ifomicete del quale dò la seguente diagnosi :
ToRULA Pais n. sp.
Coloniis in agaro glucosato cnltis tiigris, verrucosis, margine lamigi-
ttosis: hyphys sterilibus ramosix, parce septatis, apice hyalinis et subtilibus,
dein pallide olivaceis ac crassiorihns 4-6 ;i diam., conidiophoris brevibus,
parce septatis, olivaceis, 4-12 /.t longis; conidiis globosis, levibus, in catena
digestis, vel glomeratis, fuscis, 4-5 /( diam.
Habit. in pilis axillae hominis, Sassari.
Doctori Aloysio Pais dicata.
131
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Tavola XXX.
Fìtì;. 1-6. Ha]>lo^raphium De Bella Marengo n. sj).
Fig. 1 — Estremità di ite mioeliali (obb. C. Zeis, oc. 4 Koristka).
» 2 — Estremità di conidiotbro con 4 sterigmi (obb. 8*, oc. 4 Kor.).
3 — Giovane conidiotbro (obb. 8, oc. 4 Kor.).
» 4 — Conidioforo con numerosi sterigmi e conidii (obb. 8* oc. 4 Kor.).
• .5 — Conidiotbro con 5 sterigmi e conidii fobli. 8, oc. 4 Kor.).
» 6 — Micelio, conidiofori e conidii visti a piccolo ingrandimento in micro-
colture (obb. A Zeis, oc. 4 Kor.).
Fig. T 12. Acremoniella Berti n. sp.
Fig. 7 — Conidioforo con conidii (obb. 8*, oc. 4 Kor.).
8 — Conidii isolati (obb. 8*, oc. 4 Kor.).
> 9 — Gonidio in germinazione (obb. 9, oc. 4 Kor.).
» IO -- Conidioforo anormale (obb. 8, oc. 4 Kor.).
•> 11 — Giovane conidioforo con conidio in formazione (obb. 8, oc. 4 Kor.).
» 12 — Micelio, conidiofori e conidii a piccolo ingrandimento in microcolture
(obb. B Zeis, oc. 4 Kor.).
Tavola XXXI.
Fig. 1-6. Penicilliam Bnrcì u. sp.
Fig. 1 — Micelio a completo sviluppo (obb. 8*, oc. 4 Kor.).
■> 2 — Estremità del micelio (obb. 8*, oc. 4 Kor.).
> 3 — Diverse forme di conidii distaccati dagli sterigmi (obb. 9, oc. 4 Kor.).
> 4 — Formazione dei conidiofori e conidii (stadio di pseudo Oospora) (obb.
8*, oc. 4 Kor.).
» .T — Conidiofori consterigiui e conidii a completo sviluppo (obb. 8, oc. 4 Kor.).
o 6 — Micelio, conidiofori e conidii visti a piccolo ingrp,ndiment.o, in micro-
coltura Tobb. A Zeis, oc. 4 Kor.).
Fig. 7-9. Tornla Pais n. sp.
Fig. 7 — Micelio con couidiofuri e conidii in giovane stadio di sviluppo (obb. 8*,
oc. 4 Kor.).
> 8 — Micelio con conidiofori in stadio di completo sviluppo (obb. 8*, oc. Kor.).
» 9 — Micelio con conidiofori e conidii in microcoltiira visto a piccolo ingran-
dimento (obb. A Zeis, oc. 4 Kor.).
n»l Lalioratorio (ritto^siiiico di Pavia — giugno 1921.
I
ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
LABORATOKIO CRITTOGAMICO ITALIANO
EFFETTI DELLA SENILITÀ
DELLE PIANTE
NOTA PRELIMINARE
del Dott. LUIGI MONTEMARTINI.
In UQ lavoro pubblicato nel 1915 nelle memorie della Stazione Spe-
rimentale Agraria di Itliaca ', M. B. Harris, con una serie di minute
e pazienti osservazioni fatte su foglie di Vitis vulpina e di qualche
altra fanerogama, ha dimostrato che le zone delimitate dalle ultime
nervature sono della medesima grandezza o superficie nelle diverse
parti di nna foglia, e mentre tale grandezza si presenta costante né
varia col variare delle dimensioni, o dello spessore, o dell'esposizione
delle singole foglie di una stessa pianta o di piante eguali e vicine
tra loro, essa cambia invece coll'età della pianta, e precisamente è
maggiore nelle foglie delie piante più giovani e diminuisce in quelle
delle piante più vecchie, con una oscillazione da 1 (media di mm.^ 0,515
nelle foglie di una vite di 3 anni) a 0,267 (media di mm.^ 0,1376 nelle
foglie di una vite di 70 anni).
Questa differenza, secondo l'Harris, non può essere attribuita ciie
alia senilità " la quale ha per effetto di assicurare uno sviluppo più
" denso del sistema delle nervature, con una riduzione delie zone com-
" prese tra le nervature stesse „, fino a potersi determinare l'età della
pianta (computata dalla sua derivazione dal seme, perchè la moltipli-
cazione vegetativa per innesto o per talee conserva i caratteri della
pianta originaria) dal numero delle nervature che attraversano una
linea retta di due centimetri di lunghezza tracciata sulla foglia.
' « Cornell University Agricultiiral experiment Station of the College of
Agriculture » , Memoria n. 7. Itliaca, New York, giugno 1915.
Di questa Memoria, della quale non ho potuto avere l'originale, è pubbli-
cato un largo riassunto nel Bollettino mensile di informazioni agrarie deìVIntitiifo
Intern. di Agricoltura di lioma (Anno vii, u. 9).
— 134 —
Non può sfuggire a nessuno l'importanza delle osservazioni del-
l'Harris e l'opportunità, affermata dallo stesso studioso americano, di
confermarle ed ampliarle, per il contributo che esse possono portare
alla soluzione di interessanti problemi teorici e pratici quali quelli della
senilità e della degenerazione delle piante che da secoli sono ripro-
dotte solo per innesti o per talee.
Ond'è che mentre affidai alla Signorina G. Varinelli, che studia nel
nostro Istituto Botanico, il compito di estendere le indagini ad altre
specie e ad altri caratteri anatomici e cercare sperimentalmente le
cause 0 le condizioni del fenomeno, ho voluto intanto vedere l'effetto
della senilità sopra le ceneri contenute nelle foglie, e ciò sia per por-
tare anche da questo lato un piccolo contributo alla soluzione del pro-
blema, sia per estendere le mie precedenti osservazioni * sopra la circo-
lazione e la funzione delle sostanze minerali nelle foglie.
Per ora mi limitai a fare ricerche solo quantitative: più avanti
comunicherò i risultati di analisi qualitative già in corso.
Confrontai foglie di alberi vecchi e di piante giovani derivate da
semi caduti da esse e crescenti nelle vicinanze di essi. Operai sopra
materiale colto sempre di mattino, esposto egualmente alla luce, e oc-
cupante sul ramo che lo portava, posizioni analoghe.
I dati che comunico rappresentano la media di almeno due de-
terminazioni :
La percentuale delle 'ceneri rispetto al peso secco è risultata:
in foglie di Platanus occidentalis vecchio (oltre 1 20 anni), 1 1,20
« r „ « n giovane (1.5 anni), 10,32
\ntog\\%'ììAesculushippocastanus\&cc\no (40 anni), 8 78
^ „ V „ giovane (4 anni), 7,43
in fogliedi.4escM/!<sA«p^jocas/«MKSvecciiio (oltre 100 anni), 9,64
giovane (3 anni), 8,41
in iogW&AiAbiespectinata vecchio! circa 100 anni), penult raessa4,62
" .. « -, n giovane (15 anni), „ „ 3,16
n n » ,, 1. vecchio — ultimamessa3,34-
" " ., „ giovane — „ 2,81
> Sopra la circolazione delle sosfaiize minerali nelle /'oylie: in Atti Ist. Bot.
di Pavia, Ser. ii, voi. xvii.
2 II confronto tra le foglie della penultima e dell'ultima messa delle mede-
sime piante conferma l'osservazione del Briosi {Intorno alle sostanze minerali nelle
foglie delle piante sempreverdi; in Atti Ist. Bot. di Pavia, Ser. ii, voi. i, 1888)
sopra l'aumento delle ceneri coU'età.
— 135 —
Si vede partauto che le foglie delle piante vecchie contengono una
maggioi- percentuale di ceneri rispetto al loro peso secco.
È ciò in relazione al fatto che in esse il sistema delle nervature
è più fitto e che le nervature contengono una maggiore quantità di ce-
neri del mesiifillo?' 0 il fenomeno rivela caratteri speciali di senilità
anche nelle cellule del mesofillo ?
È quanto si dovrà vedere colle analisi qualitative già iniziate.
haU'Istitnto Itotiiairo (1ell'('iiÌTersitù <ii Puviii. ifititruo lìt21.
1 Sono poche le osservazioni che si hanno in proposito (veggasi la Memoria
del Briosi qui sopra citata e: Fr. Czapek, Bìocheniie der Fflanzeii, Bd. ii, p. 788,
Jena, 1905i, ma sufficienti per potere asserire che le nervature delle foglie conten-
gono una maggiore quantità di ceneri del mesofillo.
Ho voluto rifare qualche osservazione nuova sopra le foglie di ippocastano
isolando le nervature mediane delle singole fogliette dal resto del lembo ed ho
visto che le prime contengono il 10,32 per cento della .sostanza secca in ceneri,
il lembo solo il 10,03.
ISTITUTO BOTANICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
K
LABORATORIO CRITTOGAMICO ITALIANO
AGGIUNTE ALLA FLORA PAVESE
NOTA
del Dott. LUIGI MAFFEI.
Chi osserva la carta geologica della Provincia di Pavia ' vede a
colpo d'occhio la diversa natura dei terreni che la compongono, la loro
conformazione piana o montuosa e il numero non lieve dei corsi d'acqua,
sia naturali che artificiali, che l'attraversano. Infatti la nostra Provincia
è costituita in parte dalla pianura formata dalle alluvioni del Po, sol-
cata da diversi fiumi, primo fra questi il Ticino, da torrenti e da altre
correnti minori; dalla collina, ubertosa in quasi tutta la sua estensione,
pure attraversata da torrenti e torrentelli diversi; dalla montagna che
in certe località contrasta maggiormente con la collina per la gran vi-
cinanza delle due formazioni.
Ricorderò che nell'Appennino Pavese si hanno diverse vette che
oscillano tra i 1200 e 1700 m., quali sarebbero, per citare le più impor-
tanti, quelle dei massicci calcari del M. Penice (1462), del Lesima (1727),
del M. Alfe (16.51), del Boglelio (1490), ecc. e quelle dei massicci ser-
pentinosi del M. Veri (12^4), dell'Oramala (1525), del M. Dego (1407)
del Eoccabruna (I419j, ecc.
Tale varietà di costituzione, oltre che dal punto di vista geologico,
è altrettanto interessante per il botanico sia per la diversità dei ter-
reni e le specie che ospitano, sia per l'abbondanza d'irrigazione data
da fiumi e canali che, scendendo dalle Alpi da disparate altezze e per-
correndo regioni diverse, diffondono, col dilagare delle proprie acque,
molte specie e varietà non sempre comuni.
E interessante la valle del Ticino dove questo scorre, si può dire,
fra boschi di querele e pioppi che, pur troppo, negli ultimi anni per-
' Vedi T. Tahamei.li , Descriz. geologica della Provincia di Pavia. Novara 1916.
Atti delflst. Boi. dell'Università di Pavia — Serie n - Voi. XVIU. 10
— 138 —
dettero tutta la loro maestosità perchè in gran parte abbattati lasciando
alle piene del fiume ampia libertà di espandersi in tutti i sensi causando
spesso non pochi danni.
Oltre alla ricca flora del bosco e del sottobosco interessano il bo-
tanico, per l'aspetto proprio e caratteristico che assumono, le diverse
associazioni delle piante acquatiche delle lanche che il Ticino, durante
il suo corso irregolare, forma e periodicamente distrugge.
Mi piace ricordare, per esempio, che a Nord di Pavia, distante due
ore di barcheggio, il cosidetto Canale da Riva, segnato nelle carte anche
sotto i nomi di Venario, Venerio, Venera e le lanche laterali della Man-
gialocca sono il residuo di antichi rami del Ticino. Il Canale da Riva
sbocca nel fiume a poche centinaia di metri a monte dell'idrometro del
Canarazzo ed ha un percoiso di circa sette chilometri di lunghezza.
La flora acquatica in detta località formata da Phragmites, Scirpus,
Typha, Nasturtium, Nymphaea, Myriophylìam, Vnllisneria, Pofamogeton,
Ranunculus, Helodea, ecc., ecc., è tanto abbondante e cresce cosi intensa
che tutti gli anni si deve tagliare per dar sfogo alle acque, perchè il
Canale da Riva funziona da collettore di quasi tutte le acque irrigatrici
di quella zona. Cosi pure interessano tanto le lanche che si incontrano
risalendo il Ticino fino a Vigevano dove la flora è periodicamente sog-
getta all'influenza delle correnti, quanto quelle che si possono trovare
ancora qua e là nell'antico letto del fiume e ad acqua completamente
stagnante.
Ancora nella pianura troviamo, in mezzo a colture intensive, loca-
lità abbandonate e che assumono un carattere proprio. Cito, ad esempio,
le sabbie dei dintorni di Gambolò e Remondò ciie sono ricoperte da
ginestre.
Interessante per il botanico è anche il carattere marino di talune
piante che crescono spontanee in alcune località dove vi sono sorgenti
di acque salse.
Ricorderò, ad esempio, riportando quanto scrive il prof. T. Tara-
nielli nella Descrizione geologica della Provincia Pavese, che " nelle saline
" tra Miradolo e Monteleone, le meglio conosciute, ed a quelle di Carapo-
" spinoso, al luogo detto il Borone od il Tombone di Roveda, la flora
" marittima compare manifestissima, con poche specie, è vero, ma ben
"distinte e caratteristiche. Esse sono: Salicomia herbacea h., Aster tri-
" polium L., Bupleurum ienuissimum L. e Polypogon monspelliense Desf.
" Di esse però sono ordinariamente inseparabili compagne alcune poche
" specie di piante, le quali tuttavia non si riscontrano esclusivamente
" alle Saline o nei dintorni, benché abbiano habitat assai circoscritto,
" come ad esempio le sabbie delle sponde e delle isole del Po. Tra le
— 139 —
" piante appartenenti a questo gruppo le seguenti furono sino ad ora
" raccolte alle indicate Saline: Salsola Kali L., Coryspermum hyssopifo-
" lium L., Inula graveolens Desf., Scirpus TaberncBmoutani Gin. e Tragus
" racemosus Desf. ,
Di particolare interesse è poi il carattere speciale della flora del-
l'Appennino Pavese di cui si occuparono diversi autori e specialmente
il Pavarino che studiò la flora in rapporto con l'ambiente e sopratntto
con le condizioni fisico-chimiclie del terreno.
Molti sono stati gli autori che .si occuparono della flora faneroga-
mica del Pavese, per cui questa è fra le più conosciute. I primi lavori
risalgono alla prima metà del secolo scorso e sono quelli ben noti del
Nocca e Balbis, del Bergamaschi, del Rota; seguono i più recenti del
Traverso, del Farneti, che della flora ricercò le origini, del Pavesi, del
Pavarino, del Pollacci e ultimamente del Fiori. Pur tuttavia, quantunque
sia un campo assai studiato, la flora del Pavese presenta sempre nuove
attrattive e nuovo materiale di studio.
*
* *
Consultando gli erbari della Flora Pavese esistenti all'Istituto Bo-
tanico e al Museo Civico di Pavia ho potuto ricavare parecchie specie
ivi conservate non ancora determinate o se determinate non ancoia
ascritte alla Flora Pavese. A queste ne ho aggiunte altre da me rac-
colte formando uu piccolo elenco che credo utile di pubblicare contri-
buendo così, sia pure con poco, alla conoscenza della flora fanerogamica
del Pavese.
Le piante da me raccolte fui'ono pure depositata nell'Erbario del-
l'Istituto Botanico di Pavia.
*
* *
Presso il Museo Civico annesso all'Istit. Tecnico di Pavia è conser-
vato un erbario della Flora Pavese (Herbarium Papiense secundum "Nocca:
Flora Ticinensis „ ordinatum) che comprende circa 1200 fanerogame e
pressoché 200 crittogame. Qualche anno fa quest'erbario trovavasi depo-
sitato e abbandonato alla rinfusa presso l'ex Orto Agrario di Pavia. Di
là fu levato e consegnato al Museo Civico dove per opera volonterosa
del Conservatore di quel Museo, signor Angelo Carabelli, fu ripulito
e riordinato, seguendo le indicazioni che portavano i cartellini, secondo
il sistema di Linneo. Pur troppo, a detta del signor Carabelli, una buona
parte andò perduta per il lungo abbandono, per il cattivo stato di con-
— 140 —
servazione, mancandovi i cartellini di determinazione, il nome dell'autore,
la località di raccolta, e per lo stato polverulento in cui erano ridotte
le piante stesse.
Pur tuttavia il signor Carabelli è riuscito a riordinarne un buon
numero formando un ricco erbario ricordo di illustri Autori che primi
si occuparono della iìora Pavese, poiché dette piante furono raccolte dal
Nocca, dal Bergamaschi, dal Moretti, dal Rota. La maggior parte delle
Crittogame (muschi e licheni) fu raccolta dal Bozzi '. Ad arricchire poi
detto erbario ha contribuito anche il Carabelli aggiungendovi esemplari
da lui stesso raccolti.
L'erbario conserva esemplari ancora bellissimi quantunque siano
raccolti da oltre un secolo, altri sono incompleti, alle volte ridotti a poche
parti di pianta e talora mancanti delle parti più necessarie che possano
permettere una giusta determinazione; tuttavia tutte ne portano una con
la località di raccolta e col nome dell'autore. Quest'ultimo fu aggiunto
dal Carabelli ricavandolo dal nome che portavano i pacchi allorché fu-
rono trasportati dall'Orto Agrario al Museo Civico. Nell'elenco non figu-
rano quelle piante che, stando alla determinazione che portano, sareb-
bero nuove per la Provincia di Pavia, perchè non mi riuscì di poterle
controllare per mancanza, come ho detto, delle principali parti indispen-
sabili al loro riconoscimento.
Con questa contribuzione, frutto dello studio delle piante esistenti
nei due erbari sopra citati e di altre da me raccolte, si va ad arricchire
la flora Pavese di circa 7.5 specie.
Nella disposizione sistematica ho seguito la Flora analitica d'Italia
di A. Fiori, Gt. Paoletti e Béguinot.
' Bozzi L., Muschi dulia Provincia di Paria. Milano, 1883.
141 —
BIBLIOGRAFIA
Per quauto riguarda la Bibliogra6a della flora tanerogamica della Provincia
di Pavia, confronta anche: Pollac'Ci G., Aggiiuìte alla flora Ticinese, in Atti
Ist. Bot. di Pavia, ser. ii, voi. xv, p. 5:-5, 1911, dove sono citate 28 pubblicazioni.
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che ne regolano l'introduzione, e la naturalizzazione, in Nuovo Giorn. Bot. Ita!.,
nuova serie, tom. 23, pag. 403 e 495. Firenze 1916.
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Cesati V., Sfirpes italicae rariores vel novae descriptionibus iconibiisque illu-
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Cesati V., Saggio su la geografia botanica e su la flora della Lombardia.
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Fiori A., [j Elodea canadensis Michx nel Veneto ed in Italia, in Malpighia ix,
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Tarajielli T., Descrizione geologica della Provincia di Pavia. Istitvito geo-
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142
ELENCO DELLE SPECIE
MONOCOTILEDONES '
Graminacecie.
1. Setaria verticillata (L.) P. B. (i ambigua (Guss.)
Nelle aiuole dell'Orto Botanico di Pavia. Agosto 1921.
2. Phalàris canariensis L.
Lungo la strada della Cascina Costantina che va al Ticino. Nel
prato della ex Società Canottieri Colombo esistente prima della
strada di Circonvallazione esterna, 1896. Esistono pure esemplari
neir erbario del Museo Civico raccolti da A. Carabelli lungo la
strada di Circonvallazione esterna che va dal Ponte Ticino a Porta
Cavour, 1909.
3.** Trisetuiii argeuteuiu (W.) R. et S.
Luoghi sassosi sul M. Calenzone e M. Hoglelio. (Raccolse Ber-
gamaschi).
Cypevficeae.
4.* Cyperus glaber L.
Lungo le rive del Po (raccolse G. Moretti?).
5. Potaiiiogeton pusilla L. /? trichoides (Chani. et Schl.) b tuberciilata
(Ten. et Guss.).
Nelle lanche del canale da Riva alla Cascina Arpasanta (Zer-
bolò. Luglio 1921,
1 Cou * sono segnate le specie ohe si trovano nell'Erbario della Provincia
di Pavia, esistente all'Istituto Botanico; con ** quelle conservate nell'Erbario
della Plora Ticinese che trovasi al Mixseo Civico di Pavia ; quelle senza segno
furono raccolte dallo scrivente.
-- 143 —
OrchM^ciceae.
6.** Orchis coriophora L.
Sul Monte Lesinia raccolse Bergamaschi 1823.
7.** Orchis papilionacea L.
Nella iiiiieta di Torre d'Isola raccolse Carabelli nel maggio 1890.
Salicareae.
8. Populus uiouilifera Ait.
Coltivato in tutto il Pavese.
Betul(u;e(ie.
9. Betula alba L.
Nei boschi della Cascina Arpasanta (Zerbolò) dove esiste da una
quindicina d'anni un esemplare di betula, il cui fusto avrà 10 cm.
di diametro, cresciuta in luogo sabbioso e ghiaioso. È località sog-
getta alle piene del Ticino, quindi la pianta deve essere nata da
seme ivi trasportato dalle acque del fiume.
10.'* AIuus viridis (Chaix) D. C.
Sui M. Boglelio raccolse Nocca?
Polytfmuiceae.
11.* Polygonuin arenarium W. et K.
In luoghi aridi arenosi della campagna pavese. Nella scheda che
accompagna questa specie non è precisata la località di raccolta
né vi è il nome del raccoglitore.
12.* Polygonuiii lapathìfoliuin L. § Persicaria (L.) e incamim (W.).
A Mairano presso Casteggio raccolse Cavara. Giugno 1886.
Anittì'antctreae.
13. Aiuarantus deflexus L.
Nell'Orto Botanico di Pavia in agosto 1921.
Paronych incede.
14.* Scleranthiis aunuiis L. /S verticillatus (Tauscli.).
Sul M. Oramala scendendo a Rovegno, raccolse R. Farneti.
Giugno 1890.
— 144 —
Carifophyllaceae.
15.* Cerastium arveuse L. e hirsutuin (Teu.)
A Corbesassi raccolse R. Farneti. Giugno 1890.
16.* Cerastium carapanulatiim Viv. b palustre (Moris).
Nei dintorni di Pavia raccolsero Farneti e Bozzi. Aprile 188 4
17.** Silene gallica L. ,:? ansjlica (L)
A Mombolone presso Pavia raccolse Bergamaschi.
18.** Dianthiis deltoide» L.
Sul M. Cesarino di C'asteggio raccolse G. Moretti.
Hypevicarecw.
19.* Hypericum perforatum L. a typicuin e microphylluni D. (J. (Jord.).
Tra Varzi e Godiasco (giugno 1890), nei boschi del Ticino (lu-
glio 1890) raccolse Farneti; sull'argine del Ticino presso il lan-
cone (agosto 1886), a Casteggio (agosto 1887) raccolsero Cavara
e Baccarini.
Ci'Staceae.
20. Helianthenium Chauiaecistus Mill. a vulgare (Gaertn.) a obscu-
riiiii (Pers.).
Nelle ghiaie del torrente Coppa presso Montalto Pavese. Mag-
gio 1920.
Ci'^ueiferae.
21.* Oardamine pratensis L. /S Hayneana (Welw. ex Rchb.l.
Presso il cimitero di Pavia (aprile 1887), a S. Lanfranco (aprile
1888) raccolse F. Cavara.
22. Lepidium Iberis L.
Sui bastioni della Villetta (Pavia). Luglio 1921. Nell'Erbario
Generale dell'Istituto Botanico esistono esemplari raccolti dal Ber-
toloni nel 1796 sopra ruderi in Pavia.
23* Thlapsi virgatura Gr. et Godr.
Sul M. Lesima raccolse Farneti.
Bfmuiiciilacefie.
24.** Anemone horteusls L.
Sul M. Lesima raccolse Bergamaschi (1822).
— 145 —
25. Ranaaculus repeus L. b erectos D. C.
In Val Torelli, sulla riva sinistra della Trebbia, raccolse Far-
neti (giugno 1890).
26. Kauunculus repens L. e villosns Lamotte.
A Orezoli raccolse Farneti nel giugno del 1890.
27. Banunculus aquatìlis L. e trichophyllus (Chaix).
Nella lanca dei barcaioli (riva destra) e in quella della ex Società
Canottieri Colombo (riva sinistra del Ticino) nel giugno 1920 (Ma-
meli e Maffei). Esistono anche esemplari tanto nell'Erbario della
provincia di Pavia dell' Istituto Botanico, raccolti da Baccarini e
Cavara nel 1886. quanto in quello del Museo Civico.
Crassulacetxe.
28.** Sediim dasyphylluiu L. y brevifolium (D. C.)
Eaccolse Bergamaschi nel luglio 1822 sulla sommità del Monte
Lesima.
Rosaceae.
29.** Putentilla supina L.
Sui Colli di 8. Colombano (senza nome del raccoglitore).
30.** Potentina palustris L.
In maggio e giugno (1822) raccolse Bergamaschi, sui colli sopra
Retorbido e Godiasco.
31.* Alcheiiiilla vugaris L. y hibrida (F. W. Schm.) a pubescens (Lani.).
Raccolse Farneti sul M. Tartago nel giufrno 1890.
32.* Rosa graveolens Gren.
A Ruino raccolse Farneti nel giugno 1888.
Legumiitosae.
33. Gleditschia trìachanthos L.
E comune nel Pavese, usata per far siepi.
34.* Cytisus Ardoini Fourn.
Raccolse Farneti tra Ottone e Fabbrica, in giugno 1890.
35.* Genista germanica L. jS inerniis Koch b subinermis Rouy.
Sul M. Lesima raccolse Farneti nel luglio del 1888.
— 146 —
36. Medicago lupuliiia Linn. « typica h Willdenowiana Koeh.
Sulle mura dei bastioni di Pavia. Giugno 1921. Nell'Orto Bota-
nico (E. Mameli, 1920). A Borgoratto Mormorolo (Farneti).
37. * Medicago scutellata (L.) Mill.
In campagne sabbiose della Lomellina e specialmente del Pavese
raccolse Bergamaschi.
38.** Melilotus italica (L.) Lam.
In località umide lungo il Naviglio fuori porta Milano raccolse
Bergamaschi.
39. Trifolìuin arvense L. a agrestinum (Jord.)
Nel prato della lanca dei barcaioli, sulla riva destra del Ticino,
in giugno 1920 (E. Mameli e L. Maflfei).
40. Lotus corniculatus L. y decvinibens Poli-.
Sull'argine del lancone (riva destra del Ticino) nel giugno del
1920 (E Mameli e L. Maffei).
41. Amorpha fruticosa L.
Si trova abbondante nel boschi lungo 11 Po. Al lancone del Po,
presso la ferrovia Pavia- Voghera raccolse Carabelli esemplari con-
servati nell'Erbario pavese del Museo Civico.
42.* Lathynis pannonicus (Jacq.) Garcke.
Raccolse Farneti nel giugno del 1890 scendendo dal M. Oramala
verso Rovegno.
43.** Vicia villosa Roth.
Raccolse Bergamaschi sul M. Giarolo.
44.* Vicia hirsuta (L.) S. F. Gray.
A Miradolo, a Corteolona (aprile 1884 raccolse A. Lodi). Nei
prati e boschi presso il lancone del Po raccolsero Baccarini e
Cavara (maggio 1886).
Oenotheraceae.
45. Oenothera rosea Sol. in Ait.
Nasce spontanea lungo i viali dell'Orto Botanico di Pavia.
Umbelliferae.
46.* Seseli iiiontauuiii L.
Raccolse Farneti nel mese di luglio del 1888 sul M. Lesima.
— 147 —
Geraniaceae.
47.** Geraniuin pratense L.
In luoghi ombrosi del M. Lesiraa raccolse Bergamaschi nel lu-
glio del 1823.
48. Linuni teniiifolium L. ^ salsoloides (Lani.).
8ui pendii dei colli sulla sponda destra del torrente Coppa.
Maggio 1920.
Situar ubareae.
49. Ailautus glaiidulosa Desf.
Qua e là inselvatichita in molte località del Pavese dove diventa
quasi infestante come alla Cascina Arpasanta di Zerbolò. Trovasi
nei dossi della Cascina Grande di Zinasco; nel bosco del Rottone
vicino a Pavia, lungo la strada per Belgioioso, ecc.
Malvtvceae.
50. Hibiscus sjTÌacHS L.
Trovasi sui bastioni della Villetta (Pavia) e comune in molte
altre località della Provincia.
EupJtorMaceae.
51. Euphorbia maculata L.
Nei cortili e nel giardino dell'Istituto Botanico di Pavia.
52.** Euphorbia palustris L.
Alla Zelata. Esiste un esemplare nell'Erbario della Provincia
di Pavia del Museo Civico, ma senza nome del raccoglitore.
53.** Euphorbia pilosa L.
Nell'Orto Botanico raccolse Bergamaschi in aprile del 1822.
CallitrU-haceae.
54.* Callitriche palustris L. 6 haiiiulata (Kuetz.)
Nel lancone presso Pavia, raccolsero Baccarini e Cavara nel
giugno del 1886.
— 148 —
Asclepiadaceae.
55. Asclepias syriaca L.
Raccolse Carabelli (1908) nel bosco della chiavica del Gravel-
lone presso Pavia, dove cresce abbondantemente. Qua e là in di-
verse località della Provincia. A Zerbolò.
Bont'agituirefie.
56. Ueliotropiuin auchusaefoliuni Poir.
Cresce spontanea nell'Orto Botanico di Pavia; a Zerbolò e in
diversi giardini nei dintorni di Pavia.
Convolvulaceae,
57. Cuscuta racemosa Mart.
Sulla Cicuta, Dulcamara e altre piante nell'Orto Bot. di Pavia,
giugno 1921.
Soltituieeae.
58. Datura Stramoniuiii L. fi Tatula (L.K
Cresce spontanea nell'Orto Botanico di Pavia. Luglio-agosto 1921.
59.** Atropa Belladonna L,
Raccolse Carabelli nella fossa del Castello Visconteo dove passa
la ferrovia tra Poita Cairoli e Porta Milano.
SrropJmlariaeeae.
60. Linaria Pelisseriana (L.) Mill. b gracilis Chav. (F. G. Dietr.).
Alle Saline di Miradolo, giugno 1921.
61.** Odontites lutea (L.) Kchb. e linifolia (L.)
Alle Cascina Zerbo, oltre Gravellone. Bergamaschi (?).
Ofofffineliueeae.
62. Orobanche Hederae Duby.
Parassita snWHedera nell'Orto Botanico di Pavia. Luglio 1921.
LabiftUie.
63.* A.juga reptans L. b rosea Fiori.
Nei prati sotto il Borgo Ticino raccolsero Cavara e Farneti nel
maggio del 1887.
— 149 —
64.** Mentha viridis (L.) L. ;» .j e^b?c.ì?»sf?«ià ?.hsfiì .^1
In luoghi umidi nelle vicinanze della G5ascina Rottone in luglio
e agosto. (Manca il nome del raccoglitore).
Verbenareae.
6.5. Clerodendron foetidum Bunge.
Cresce inselvatichito nell'Orto Botanico di Pavia, nel giardino
della Cascina Malpaga (Zerbolò) e in altri della Provincia di Pavia.
Rubiacea^.
66.** Galiuiu lucidum Ali.
Raccolse Carabelli alla Cà de' Ratti (presso Pavia).
67.* Valeriana offlcinalis L. /S tenuifolia Valil.
Bosco d'Arena vicino al Borgo Ticino raccolsero nel maggio 188.5
Lodi e Bozzi.
I>i2>saeaeeae.
68.** Scabiosa gramnntia L.
Lungo le rive del naviglio presso S. Giuseppe, raccolse Berga-
maschi (?) in agosto.
Coniposìtfie.
69. Senecio paludosus L. b riparius Wallr.
Sopra l'argine di rinforzo della lanca dei barcaioli, sponda destra
del Ticino, nel maggio 1920 (E. Mameli e L. Maffei).
70. Pilago germanica (L.) L. « typica b canescens (Jord.)
Lungo la strada verso il colle alle Saline di S. Colombano,
giugno 1921.
71. Gnaplialium uligiiiosum L. ^ ramosnm (Lam).
Nei boschi della Cascina Malpaga (Zerbolò), luglio 1921.
72. Leontodon Mrtus L.
Nel prato della lanca dei barcaioli nel giugno 1920 (E. Mameli
e L. Maffei).
— 150 —
73. Picris hieracioides L. a tipica b Pseudo-Villarsii Caldesi.
Nel cortile dell'Istituto Botanico di Pavia, luglio 1920.
74. Tragopogon porrifolius L. e eriosperinum (Ten.)
A Montalto Pavese nel maggio 1920.
75. Crepis virens L. Vili b ruuciuata Bisclioff.
Nel cortile dell'Istituto Botanico di Pavia, giugno 1921.
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1 FUNGHI PARASSITI
DELLE PIANTE COLTIVATE OD UTILI
ESSICCATI, DELINEATI E DESCRITTI
per Giovanni BRIOSI e Fridiano CATARA
CONTINUATI DA F. CAVARA E G. POLLACCI.
Sono finora usciti 18 fascicoli.
Per l'acquisto rivolgersi M'Mitafo Botanico di Pavia.
ATTI DELL'ISTITUTO BOTANICO
dell'università di PAVIA
REDATTI DA GIOVANNI BRIOSI
Volume r 0O.1 fi tavole litografate . ■ ' |??^ ~ ^ ?„ ~
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Fanno seguito M'Archivio Triennale del Laboratorio Critfoffamico di Pavia.
Per l'acquisto rivolgersi alla Direzione dell'Istituto Botanico di Pavia.
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crittogamia del Garovaglio, del Gibelli, del Cattaneo, del Pirotta. ecc.
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