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Full text of "Atti"

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Ser.  2 
Voi.  18 
1921 


ATTI 


DKLL 


ISTITUTO  BOTANICO 

BELL'  UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

REDATTI    DA 

GIOVANNI  BRIOSI 

Peofkssore  di  Botanica  dell'Università  k  Direttore  dell'Istituto  Botanico 
E  DELLA  Stazione  di  Botani<:a  Crittogamica. 

II  Seeie 

Volume  Diciottesimo 

Con   SI   tavole   ìitografute   e   mi    ritratto. 
compilato  dal 

DoTT.   LUIGI    MONTEMARTINI 

Professore  incaricato  pkk  l'anno  19'iO-21. 


Seguito  (\e\V Archivio  Triennale 
del  Laboratorio  di  Botanica  Criftogainica. 


Piante  alpine  —  Orto  Botanico  di  Pavia. 

MILANO 

TIPO-LIT.    TURATI    LOMBARDI    E    C. 

1921. 


ATTI 


DELL 

ISTITUTO  BOTANICO 

DELL'UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

REDATTI    DA 

GIOVANNI  BRIOSI 

Profkssore  di  Botanica  :;ellT'niteksità  e  Direttore  dell'Istituto  Botanico 
E  DELLA  Stazione  di  Botanica  Crittogamica. 

II  Serie 

Volume  Diciottesimo 

Culi  ■il   tavole  litografate  e   un   ritratto. 

COSIPILATO    DAL 

DoTT.   LUIGI    MONTEMARTINI 

Professore  incaricato  per  l'anno  1920-2I. 

Seguito  i\e\V Archivio  Triennale 
del  Laboratorio  di  Botanica  CrUtoyamica. 


Piante  alpine  —  Orto  Botanico  di   Pavia. 

MILANO 

TIPO-LIT.    TURATI    LOMBARDI    E    C. 
1921. 


\^ 


ISTITUTO  BOTANICO  DELLA  R.  UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

LABORATORIO  CRITTOGAMICO  ITALIANO 


RODOLFO    FARNETI 


- .  vii^LtaH 


Rodolfo  Fai-ueti  è  nato  a  Chiesina,  piccola  frazione  del  Comune 
di  Lizzano  in  Belvedere  (prov.  di  Bologna),  il  17  febbraio  1859. 

Il  Dardagna.  il  lago  Pratignano,  lo  Scafaiolo,  il  Corno  alle  Scale, 
il  Cinione,  la  Ponetta  ed  il  Reno,  tutto  il  gruppo  degli  Appennini  (che 
Egli  tanto  amò  fino  agli  ultimi  giorni  e  del  quale  parlava  sempre  col 
piì\  sentito  entusiasmo)  che  è  a  cavaliere  delle  due  provincie  di  Bologna 
e  di  Modena  ed  è  tanto  interessante  per  le  formazioni  geologiche,  pei 
fenomeni  tellurici,  pei  dettagli  oro-  ed  idrografici,  per  la  flora  e  la  fauna, 
pei  fossili  e  pei  minerali,  furono  tutti  insieme  come  lo  stampo  nel  quale 
si  formò  l'anima  sua  di  naturalista,  buona,  espansiva,  entusiasta,  di  ar- 
tista e  di  scienziato,  studioso  senza  ambizione,  senza  interesse,  per  il 
solo  bisogno  di  estinguere  una  nobile  sete  di  vedere  e  sapere,  coH'unica 
soddisfazione  di  far  conoscere  ed  ammirare  agli  altri  le  cose  che  più 
di  tutte  Egli  ammirava. 

Non  seguì  nessun  corso  regolare  di  studi  superiori.  Fu  un  natura- 
lista all'antica,  di  quelli  che  studiano  i  fenomeni  naturali  in  tutte  le 
loro  più  svariate  manifestazioni,  e  dotato  come  era  di  memoria  fortis- 
sima e  di  ingegno  non  comune,  era  diventato  per  gli  amici  che  vive- 
vano con  Lui  una  vera  miniera  di  notizie,  di  cognizioni,  di  nozioni  le 
più  varie,  cui  tutti  potevano  attingere. 

Per  gli  studi  che  aveva  fatto  sulla  flora  delle  sue  montagne  e  di 
altre  parti  d'Italia,  nel  1886  venne  chiamato  a  Pavia  come  conserva- 
tore delle  collezioni  del  nostro  Istituto  Botanico  e  del  Laboratorio  Crit- 
togamico. E  qui,  senza  abbandonare  completamente  gli  altri  campi  delle 
Scienze  Naturali,  si  specializzò  nello  studio  della  Botanica. 


—    IV    — 

I  suoi  lavori  sono  improntati  ad  una  onestà  e  scrupolosità  di  os- 
servazione e  sperimentazione  per  cui  sono  sempre  pregevoli:  molti  di 
essi  si  fecero  notare  anche  all'estero  per  la  genialità  nel  coordinare  e 
spiegare  i  fatti  osservati. 

Dedicatosi,  nei  primi  anni  nei  quali  era  a  Pavia,  allo  studio  dei 
Muschi  della  nostra  provincia,  riesci  a  raccoglierne  e  determinarne  ben 
tre  centurie  di  specie  non  ancora  qui  segnalate  e  tra  esse  molte  forme 
nuove  la  cui  descrizione,  insieme  alla  descrizione  di  forme  fossili  delle 
torbe,  lo  fece  conoscere  dai  primi  briologi  d'Europa. 

Studiò  poi  le  Epatiche  ed  anche  in  questo  studio  si  affermò  per  il 
suo  spirito  di  osservazione. 

Nello  studio  della  flora  fanerogamica,  le  sue  aggiunte  alla  Flora 
Pavese  e  le  ricerche  sulla  sua  origine,  lo  fanno  collocare  tra  i  siste- 
matici più  diligenti  e  tra  i  più  acuti  cultori  di  geogiafia  botanica. 

La  pubblicazione  apprezzata  sopra  la  cleistogamia  del  riso  dimostra 
la  sua  competenza  anciie  nella  biologia  fiorale. 

Ma  dove  si  distinse  maggiormente  fu  nel  campo  della  Micologia  e 
Patologia  Vegetale,  verso  il  quale  fu  spinto  dalle  funzioni  che  doveva 
compiere  nel  Laboratorio  Crittogamico. 

In  questo  campo,  oltre  una  quantità  di  piccole  ed  interessanti  note 
contenenti  descrizioni  di  casi  clinici  o  di  specie  patogene  nuove  o  poco 
conosciute,  Egli  lasciò  dei  lavori  veramente  notevoli  sia  nel  campo  della 
Micologia  pura,  che  in  quello  della  Patologia. 

Li  Patologia  il  Farneti  era  di  quelli  che  tengono  ancora  in  primo 
ordine  l'azione  dei  parassiti.  Li  una  nota  sopra  l'azione  delle  cause  con- 
comitanti, che  secondo  alcuni  sarebbero  le  più  importanti,  Egli  co.si  si 
esprimeva  in  modo  chiaro  e  geniale  :  "  Se  il  legno  arde  tanto  più  facil- 
"  mente  quanto  meno  acqua  o  più  resina  contiene,  non  possiamo  perciò 
«  cercare  la  causa  dell'incendio  di  un  bosco  in  queste  sue  naturali  pro- 
"  prietà,  ma  nella  scintilla  che  lo  ha  determinato  „. 

E  più  avanti: 

"  I  disturbi  funzionali,  l'astenia  e  qualunque  altra  malattia  costitu- 
"  zionale  non  predispongono  gli  alberi  ad  essere  attaccati  in  modo  spe- 
"  ciale  dai  funghi.  Le  contrarie  opinioni  non  sono  basate  sopra  dati  espe- 
"  riraentali  e  non  trovano  generale  conferma  nelle  osservazioni  cliniche  „. 


V 

In  Micologia  il  Farneti  fu  geniale  osservatore  del  polimorfismo  dei 
funghi,  dei  quali  riusci  a  riunire  non  solo  forme  inipeifette  con  forme 
ascofore  più  o  meno  già  note,  ma  anche  forme  imperfette  tra  di  loro, 
dimostrando  che  una  medesima  specie  può  dar  luogo  a  diverse  forme 
imperfette  e  può  presentarsi  ora  come  parassita  ed  ora  come  saprofita, 
a  seconda  del  substrato  nel  quale  si  sviluppa,  "  il  che  si  deve  attribuire 
"  non  tanto  all'azione  meccanica  che  i  filamenti  miceliali  debbono  eser- 
"  citare  penetrando  attraverso  i  tessuti,  od  alla  loro  voracità,  quanto 
"  all'aumento  o  alla  modificazione  dei  fermenti  diastasici  che  secernono  „. 

Importante  è,  da  questo  punto  di  vista,  lo  studio  sul  polimorfismo 
e  lo  sviluppo  della  Botrytis  Hormini  parassita  della  Salvia  Hortnimim, 
il  quale  studio  iia,  si  può  dire,  aperto  all'Autore  la  via  per  gli  studi 
pili  importanti,  per  la  Patologia  vegetale,  sopra  il  Brusone  del  riso,  sopra 
Y Avvizzimento  dei  germogli  del  gelso  e  sopra  la  Malattia  dell'inchiostro 
del  castagno,  questi  ultimi  due  fatti  in  collaborazione  col  chiarissimo 
prof.  Briosi. 

Pel  Brusone  del  riso,  seguendo  la  sua  idea  che  il  parassita  è  tutto 
e  le  cause  concomitanti  hanno  una  importanza  solamente  secondaria,  e 
persuaso  che  forme  imperfette  diverse  possono  essere  modi  di  manife- 
stazione di  un'unica  specie,  affermò  recisamente  la  natura  parassitaria 
del  male  e,  dopo  avere  dimostrato  che  le  Piricularia,  gli  Helmintho- 
sporium,  i  Cladosporium,  ecc.  trovati  sul  riso  sono  tutti  una  medesima 
specie,  potè  appoggiare  la  sua  affermazione  al  fatto  che  questa,  in  una 
forma  o  nell'altra,  è  sempre  presente  dove  si  manifesta  la  malattia. 

Per  V Avvizzimento  dei  germogli  del  gelso  collegò  il  Fusarium  alla 
Gibberella,  richiamò  il  fatto  che  volta  a  volta  una  medesima  specie 
può  essere  parassita  e  saprofita,  e  dimostrò  la  natura  parassitaria  del 
male. 

Per  la  Malattia  dell' inchiostro  del  castagno,  alla  quale  malattia  il 
nome  del  Farneti  insieme  a  quello  del  Briosi  rimarrà  sempre  legato, 
capovolse  il  metodo  di  osservazione  seguito  dai  botanici  che  si  erano 
prima  occupati  di  questo  problema,  dimostrando  che  la  causa  del  male 
andava  cercata  non  nelle  radici,  ma  nelle  parti  aeree  delle  piante  col- 
pite. E  dimostrò  in  modo  sicuro  l'azione  patogena  del  Coryneum  per- 
niciosum. 


—    VI    — 

Pei  suoi  lavori  di  patologia  il  Fariieti  ebbe  per  titoli  la  libera  do- 
cenza in  Patologia   Vegetale  nella  nostra  Università. 

Tenne  qualche  anno  un  corso  che  era  una  monografia. 

La  malattia,  dovuta  in  gran  parte  a  sopralavoro,  non  gli  consenti 
di  continuare  nei  suoi  studi  prediletti,  si  che  nemmeno  potè  condurre  a 
termine  le  ricerche  così  ben  iniziate  sul  Brusone  del  riso  e  sulla  ma- 
lattia dei  castagni. 

È  morto  il  18  febbraio  1919  a  Vidiciatico,  ancora  tra  le  sue  mon- 
tagne che  Egli  aveva  bisogno  di  vedere  e  la  cui  vista  compensava 
l'anima  sua  della  interruzione  degli  studi  che  in  esse  aveva  con  tante 

promesse  cominciato. 

Luigi  Montbmartini. 

Dall' IstltntO  Botanico  di  l'aTia,  ottobre  liMil. 


ELENCO  DELLE  PUBBLICAZIONI 

del  Prof.  RODOLFO  FARXETI. 


1.  Muschi  della  provincia  di  Pavia.  Seconda  centuria  (Atti   Istituto  Botanico  di 

Pavia,  ser.  ii,  voi.   I,   1888j. 

2.  Idem.  Tei'za  centuria  {ibidem,  voi.  ii,  18911. 

3.  Idem.  Quarta  centuria  (ibidem,  voi.  iii,  1892). 

4.  Funghi  mangei'ecci  e  velenosi  (Manuale  Dumolard.  Milano,  1892). 

5.  Frutti  freschi  e  secchi.  Ortaggi  (Manuale  Dumolard.  Milano,  1892). 

6.  Epaticologia  insubrica  (Atti  Istit.  Bot.  di  Pavia,  ser.  ii,  voi.  in.   1894). 

7.  Briologia  insubrica.  Prima  contribuzione:   Muschi    della    provincia  di  Brescia 

(ibidem,  voi.   iv.  1895i. 

8.  Ricerche  di  Briologia  paleontologica  nelle  torbe  del  sottosuolo   pavese  appar- 

tenenti al  periodo  glaciale  {ibidem,  voi.  v,  1896). 
0.  Nuovi  materiali  per  la  Micologia  Lombarda.  Funghi   della   provincia  di    Cre- 
mona :   prima  centuria  (^ibidem,  voi.  vi,  1898). 

10.  Atlante  Botanico,  ii  ediz.  (in  collaboraz.  con  Gr.  Briosi.  Milano,  Hoepli,  1898). 

11.  Aggiunte  alla  Flora  Pavese  e  ricerche  sulla  sua  origine  (.4/^/  Istituto  Bot.  di 

Pavia,  ser.  li,  voi.  vi,  1900). 

12.  Intorno  ad  una  nuova  malattia  delle  albicocche.  Eczema  empetiginoso  causato 

dalla  Stigmina  Briosiana  n.  sp.  (ibidem,  voi.  vii,  1900V 

13.  Intorno  al  BoletuS  Briosianiis  Farn.,    nuova  e   interessante   specie   di  Imeiio- 

micete  con  cripte  acquifere  e  clamidospore  (ibidem,  1900). 

14.  Intorno  alla  malattia  della  vite  nel  Caucaso  (in  collaborazione  con  L.  Monte- 

martini;  ibidem,  1900). 

15.  Intorno  allo  sviluppo   e   al    polimorfismo  di   uu   nuovo  micromicete   parassita 

(ibidem,  1901). 


—    VII    — 

16.  Intorno  all'avvizziiuento  dei  germogli  del  gelso.    Nota   preliminare   (in   colla- 

borazione con  G.  Briosi  •,'ìbidern,  1901). 

17.  Intorno  ad  un  nuovo  tipo  di  licheni  a  tallo  conidit'ero,  che  vivono  sulla  vite, 

finora  ritenuti  per  funghi  (in  coUaboraz.  con  G.  Briosi;  ibident,  vol.viu,  1902). 

18.  Le  volatiche  e  l'atrofia  dei  frutti  del  fico  (ìbidem,  1903). 

19.  Di  una  varietà  tardiva  di  pioppo  (Populus  nigra  L.)  finora  non  avvertita  (in 

collaborazione  con  G.  Briosi;  ibidem,  voi.  ix,  1904). 

20.  Di  una  nuova  specie  di  Giavone  che  da  alcuni  anni  ha  invaso  le  risaie  della 

Lombardia  e  del  Piemonte  (ibidem,  1904Ì. 

21.  Intorno  alla  malattia  del  Calie    sviluppatasi    nelle    piantagioni   di   Cuicatlan 

(Stato  di  Oaxaca)  nel  Messico  (ibidem,,  1904). 

22.  Erpete  furfuracea  delle  pere:  Macrosporiìtm  Si/doìtriavinn  n.  sp.  (A/nudes  2fy- 

cologici,  Berlin,  1905). 

23.  Intorno  alla  compai'sa  della  Diaspis  peiitagoiiu  Targ.  in  Italia  e  alla  sua  origine 

(Atti  latit.  Bot.  di  Pavia,  ser.  il,  voi.  xi,   1905). 

24.  Risposta   alla    nota  del  prof.  G.   Leonardi  «  Sulla    pretesa  antica  presenza  in 

Italia  della  Diaspis  pentagona  »  (Alba  Agricola,  Pavia,  1905). 

25.  Intorno  ad  alcune  malattie   della  vite    non    ancora    descritte   od   avvertite   in 

Italia  (Atti  Istif.  Bot.  di  Pavia,  ser.  ii,  voi.  x,  1905). 

26.  Il  marciume  dei  boccinoli  e  dei  fiori  delle  rose  causato  da  una  forma  patogena 

delia  Botryiis  vulgaris  (Pers.)  Fr.  (ibidem,  1906). 

27.  Sull'avvizzimento  dei   germogli   del   gelso.    Suoi   rapporti   col  Fusariuvi  late- 

ritiuììì  Nees  e  colla  Gibberella  moricola  (De  Not.)  Sacc.  Seconda  nota  pre- 
ventiva (in  collaborazione  con  G.  Briosi;   ibidem,  1905). 

28.  Di  un  nuovo  mezzo  di  diffusione  della  fillossera  per  opera  di  larve  ibei'nanti 

(in  collaborazione  con  G.  Pollacci  ;  ibidevi,  1905V 

29.  Intorno  al  brusone  del  riso  ed  ai  possibili    rimedi    per  combatterlo.  Nota  pre- 

ventiva (ibidem,  1905). 

30.  Ricerche  sperimentali   ed   anatomo-fisiologiche    intorno    all'influenza   delTam- 

biente  e  della  concimazione  sulla  diminuita  o  perduta  resistenza  al  brusone 
del  riso  bertone  e  di  altre  varietà  introdotte  dall'estero  (Rivista  di  Patol. 
Veg.,  voi.  II,  Pavia,  1906). 

31.  Il  Brusone  del  riso  (ibidem,  1906). 

32.  Ustioni  prodotte  dal  fumo  delle  locomotive  sopra  le   foglie  delle   piante  (ibi- 

dem, 1906). 

33.  L'avvizzimento  dei  cocomeri  in  Italia  (ibidem,  1907). 

34.  La  causa  del  brusone  del  riso  secondo  il  dott.  Haven  Metcalf  {Alba  Agricola, 

Pavia,  1909). 

35.  Il  ìiial  biiiìico  delle  querele  minaccia  anche   i    castagni  ed  i  faggi  (Rivista  di 

Pai.    Veg.,  voi.  iv,  Pavia,  1909). 

36.  La  cancrena  delle  zampe  di  asparagio  (ibidem,  1910). 

37.  I  parassiti  e  saprofiti   dei    foraggi   che  sono    causa  di   malattie  nel   bestiame 

e  di  alterazioni  del  latte  e  suoi  prodotti  (Alba  Agricola,  Pavia,  1910). 

38.  Sulla  moria  dei  castagni  (mal  dell'inchiostro):  prima  nota  (in  collaborazione 

con  G.  Briosi;  Alti  Istit.  Botanico  di  Pavia,  ser.  ii,  voi.  xiii,   1908). 

39.  Intorno  alla  causa  della  moria  dei  castagni   (mal   dell'inchiostro)  ed  ai  mezzi 

per  combatterla:  seconda  nota  preliminare  (ibidem,  voi.  xiv,  1909). 

40.  La  moria  dei  castagni  (mal  dell'inchiostro):  osservazioni  critiche  ad  una  nota 

dei  signori  Grition  a  Maublanc  (ibidem,  voi.  xv,  1910). 


—  vili  — 

41.  Riproduzione  artificiale  della  moria  dei   castagni  (mal  deirinohiostro)   {Rend. 

R.  Acc.  Lincei,  voi.  xx,  Roma,   1911). 

42.  Nuove  osservazioni  intorno  alla  moria  dei  castagni  (mal  dell'iucliicstro)  e  .sua 

riproduzione  artificiale  :  quarta  nota  preliminare  {Atti  Istit.  Bot.  di  Pavia, 
voi.  XIV,  1911). 

43.  Intorno  alla  cleistogamia  e  alla  possibilità  della  fecondazione  incrociata  arti- 

ficiale nel  riso  :    Oryza  sativa  (ibidem,  voi.  xil,  1912). 

44.  Il  mal  del  piede  del  frumento  (Alba  Agricola,  Pavia,  1912). 

45.  La  selezione  .del  riso  (ibidem,  1912). 

46.  Norme  pratiche  per  combattere  la  malattia   dell'  inchiostro    dei   castagni  (Ri- 

vista di  Put.   Veg.,  voi.  vi,  Pavia,  1912). 

47.  Se  l'astenia  e  i  disturbi  funzionali,  derivanti   da  lesioni   od  alterazioni    pro- 

dotte nelle  radici  o  nella  parte  inferiore  del  tronco,  possono  predisporre  la 
chioma  dell'albero  all'attacco  di  funghi  parassiti  o  saprofiti  (ihitlevi,  1912). 

48.  La  resistenza  del  castagno  giapponese  alla  malattia   dell'inchiostro  (in  colla- 

borazione con  E.  Lissone  e  L.  Montemartini;  ibidem,  1912). 

49.  La  decapitazione  dei  crisantemi  in  seguito  a  rottura  spontanea  del  peduncolo 

fioraie  (ibidem,   1913). 

50.  Una  piccola  pianta  dannosissima  alle  risaie  di  Massaciuccoli  in  Toscana  (Alba 

Agricola,  Pavia,  1913). 

51.  A  proposito  di  una  nota  del  dott.  Lionello  Petri  sulla  moria  dei  castagni  (mal 

dell'inchiostro)  (in  collaborazione  con  G.  Briosi;  Rend.  R.  Acc.  dei  Lincei, 
voi.  XXII,  Roma,  1913). 

52.  Ancora  sulla  moria  dei  castagni  :  in  risposta  al  sig.  dott.  L.  Petri  (ibidem,  1913). 

63.  11  mal  dell'inchiostro  nelle  giovani  pianticelle  dei  castagneti  e  dei  semenzai 

(in  collaboraz.  con  G.  Briosi;  Atti  Istit.  Bot.  di  Pavia,  voi.  xv,  1915). 

64.  Sulla  moria  dei  castagni:  note  postume  (ibidem,  voi.  xviii,  1921). 

55.  Sull'avvizzimento  dei   germogli  del  gelso  (in    collaborazione  con   G.    Briosi; 

ibidem,  voi.  xvii,  1920). 

56.  Sopra  il  brusone  del  riso:  note  postume  {ibidem,  voi.  xviii,  1921). 


—    IX 


PREFAZIONE 


Raccogliendo  nel  présente  volume,  insieme  ad  alcuni  lavori^nostri, 
le  ultime  manifestazioni  dell'attività  scientifica  dei  compianti  Giovanni 
Briosi  e  Rodolfo  Farneti,  chiudo  con  esso  la  seconda  Serie  di  questi 
Atti  che  fu  ideata  e  curata  con  tanto  affetto  ed  orgoglio  dall'amato 
Maestro. 

Certamente  l'opera  che  Egli  ha  iniziato  dovrà  continuare,  ma  è 
giusto  che  questi  diciotto  volumi  rimangano  a  sé,  col  nome  di  Giovanni 
Briosi,  perchè  oltre  contenere  gran  parte  della  sua  produzione  scien- 
tifica, essi  rispecchiano  tutta  la  sua  attività  di  organizzatore  e  diri- 
gente dell'Istituto  a  Lui  affidato. 

Ed  è  con  affetto  di  amico,  e  col  pensiero  rivolto  a  tutta  la  gio- 
ventù passata  nel  medesimo  Laboiatorio,  che  insieme  al  Maestro  licordo 
l'amico  ed  il  collaboratore,  il  compagno  di  studi  e  la  guida,  Rodolfo 
Farneti,  coli' immagine  del  quale  mi  pare  doveroso  completare  la  serie 

di  tanti  ricordi. 

Luigi  Montemartini. 

Pavia,  14  ottobre  1921.  , 


XI 


INDICE  DKL  PRESENTE  VOLUME 


Rodolfo  Farneti Pag.  iii 

Prefazione »  ix 

Indice  generale  alfabetico  di  tutta  la  Serie »  xm 

Sulla  moria  dei   castagni   (mal   dell' inchiostro);    per  Giovanni  Briosi  e 

Rodolfo  Farneti -,  >■  1 

Ricerche  anatomo-fisiologiche  sulle   foglie  delle   Tiltandsia;   per  Maria 

Barbaini "  95 

Sopra  il  britsone  del  riso;  per  Rodolfo  Farneti »  109 

Miceti  del  corpo  umano  e  degli  animali  ;  per  Gino  Pollacci      ....  -  l-o 

Effetti  della  senilità  delle  piante;  per  Luigi  Montemartini »  133 

Aggiunte  alla  Flora  Pavese;  per  Luigi  Maffei 137 


/ 


XIII 


INDICE  ALFABETICO 
DI   TUTTA   LA   SERIE  SECONDA 


Volume  Pagina 

Alpe  V.,  Menozzi  A.  e  Briosi  G.,  Studio  dei  metodi  intesi  a 

combattere  il  Brusone  del  Riso.   Prima  relazione IV  xi.iv 

AsCHiERi  E.  e  Mameli  E.,  Ricerche  anatomiche  e  biochimiche 

sul  Lychìiis  viscaria  L. 7 XVII  1 19 

Baucarini  P.,  Intorno  ad  una  malattia  dei  grappoli  dell'uva.  I  181 

BarbaixiM.,  Ricerche  anatomo-tisiologiche  sulle  foglie  delle  Til- 

landsia XVIII  '.I5 

Bariola  R.,  Sull'anatomia  del  Jequirity  (seme  àeW'Abriis  pie- 

catorius  L.)  e  dei  semi  delle  piante  comunemente  usate  per 

sofisticarlo.  Nota  preliminare XV  275 

—  Sull'anatomia  del  seme  àelì'Abnis  precatorius  L.  (Jequiritj) 

e  dei  semi  usati  per  sofisticarlo XVI  1 

Bianchi  G.,  Briologia  della  provincia  di  Mantova IX  267 

—  Micologia  della  provincia  di  Mantova  ._ IX  289 

—  Idem,  idem.   Secondo  contributo XIII  309 

Briosi   G.,   Intorno  alle  sostanze   minerali    nelle    foglie    delle 

piante  sempreverdi I  363 

—  Alcune  erborizzazioni  nella  valle  di  Gressoney II  41 

—  intorno  all'anatomia  delle   foglie  deìV Eiicalyptus  glóbulus 

Labil. II  57 

—  Intorno  alla  malattia  designata  col  nome  di  Roncet  sviluppa- 
tasi in  Sicilia  sulle  viti  americane VII  181 

—  Ispezione  ad  alcuni  vivai  di  viti  americane  malate  di  Roncet 

in  Sicilia X  225 

'—    Del  miglior  modo  di  ordinare  le  cattedre  ambulanti  di  agri- 
coltura          VII  171 

—  Esperienze  per  combattere  la  peronospora  della  vite  eseguite 

nell'anno  1885 ^ I  1 

—  Idem,  idem,  nell'anno  1886 I  189 

—  Idem,  idem,  nell'anno  1887 _ I  251 

—  Idem,  idem,  nell'anno  1888 I  437 

—  Per  difendersi  dalla  Peronospora  della  vite II  29 

^     Ancora  sul  come  difendersi  dalla  Peronospora II  37 

—  Relazione  sugli  esperimenti  eseguiti  coll'acetato  di  rame  per 

combattere  la  Peronospora  nell'anno  1894 IV  xxiv 


XIV 


Briosi  G.,  Relazione  sugli  esperimenti  eseguiti  coll'acetato  di 
rame  per  combattere  la  Peronospora  nell'anno  1895 

—  Idem,  idem,  eseguiti  nell'anno   1896 

—  La  infezione  peronosporica  nell'anno  1895 

—  Rapporti  e  relazioni  diverse 

—  Idem,  idem  _.. 

—  Idem,   idem  __._ 

—  Idem,   idem . 

—  Idem,   idem 

—  Idem,  idem 

—  Idem,  idem 

—  Idem,  idem 

—  Idem ,  idem 

—  Idem,  idem 

—  Idem,  idem 

—  Idem,  idem 

^-     Rassegna  delle  principali  malattie  sviluppatesi  sulle  piante 

culturali  nell'anno  1887,  delle  quali  si  è  occupato  il  Labo- 
ratorio Crittogamico 

—  Elenco   generale   delle    ricerche    del    Laboratorio    Crittoga- 
■  mico  nel  1888 

—  Elenco  generale  delle  ricerche  fatte  alla  Stazione  e  Labo- 
ratorio Crittogamico  di  Pavia  nell'anno  1889 

—  Rassegna  generale  delle  ricerche  fatte  nell'anno  1890 

per  l'anno  1891  __ 

per  l'anno  1892 

per  l'anno  1893 

per  l'anno  1894 

per  l'anno  1895 ■ 

per  l'anno  1896 , 

per  l'anno  1897 

per  l'anno   1898 

per  l'anno  1899 

per  l'anno  1900 

per  l'anno  1901 

per  l'annii  1902 _  .      ^, 

per  l'anno  1903 

per  l'anno  1904 . 

per  l'anno  1905 . 

per  l 'anno  1906 j. 

per  l'anno  1907 

per  l'anno  1908 

per  l'anno  1909 . 

per  l'anno  1910 ^-  - 

per  l'anno  1911 

per  l'anno  1912 .. 

per  l'anno  1913 

per  l 'anno  1914 


Volume 


Pagina 


Idem, 

idem. 

Idem, 

idem, 

Idem, 

idem, 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem, 

Idem, 

idem, 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem, 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem, 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem, 

Idem. 

idem, 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem. 

Idem, 

idem, 

Idem, 

idem, 

Idem, 

idem. 

IV 

149 

V 

145 

IV 

145 

I 

I 

II 

IX  e  i-ix 

m 

VII  e  XXIX 

IV 

V  e  XXVII 

V 

159  e  327 

VI 

IX  e  XXXVII 

VII 

296  e  332 

VIII 

521 

IX 

323 

X 

305  e  337 

XI 

361 

XII 

299 

289 


1 

I.XXIH 

II 

XXVIII 

II 

LUI 

II 

I.XXIX 

III 

XXII 

III 

XXXIX 

IV 

XVIII 

IV 

XXXVII 

V 

IX 

y 

XII 

VI 

XXXIV 

Xl 

I.VIU 

VII 

317 

VII 

352 

vili 

543 

IX 

348 

X 

331 

X 

357 

XI 

390 

XII 

323 

XIII 

387 

XIV 

409 

XIV 

433 

XV 

213 

XV 

242 

XVI 

256 

XVI 

285 

—   XV   — 


Volume 
Briosi  G.,  Rassegna  generale  delle  ricerche  fatte  nell'anno  1915_     XVII 

—  Idem,  idem,  per  l'anno  1916 XVII 

—  Idem,  idem,  per  l'anno  1917 XVII 

—  La  Stazione  di  Botanica  Crittogamica  in  Pavia.  Rapporto 
sull'operosità  del  Laboratorio  Crittogamico  dalla  sua  fon- 
dazione sino  al  1897 V 

—  La  Stazione  di  Botanica  Crittogamica  di  Pavia  (Labora- 
torio Crittogamico  Italiano) VII 

—  La  Stazione  di  Botanica  Crittogamica  (Laboratorio  Critto- 
gamico Italiano)  in  Pavia,  dalla  sua  fondazione  (1871  ì  sino 
all'anno  1910 XIII 

—  Santo  Garovaglio  (biografia) II 

—  Guglielmo  G-asparrini  »  III 

—  Antonio  Scopoli  >•  IV 

—  Carlo  Vittadini  ..  V 

—  Giuseppe  Gibelli  »  VI 

—  Giuseppe  Moretti  » VII 

—  Agostino  Bassi  »  VII! 

—  Bonaventura  Corti  >-  ;_  IX 

—  Federico  Delpino  »  X 

—  Giovanni  Battista  Amici  »  XI 

—  Giuseppe  Gussone  »  XII 

—  Francesco  Ginanni  »  X III 

—  Luigi  Sodiro  »  XIV 

—  Abramo  Bartolomeo  Massalongo         »  XV 

—  Bartolomeo  Maranta  »  XVI 

—  e  Farneti  R.,  Intorno  all'avvizzimento  dei  germogli  dei 
gelsi.  Nota  preliminare VII 

—  e    —    Intorno  ad  un  nuovo  tipo  di  licheni  a  tallo  conidi- 

fero,  che  vivono  sulla  vite,  Un'ora  ritenuti  per  funghi  _  _       Vili 

—  e  —  Di  una  varietà  tardiva  di  Pioppo  (Poptilus  nigra  L.) 
tìnora  non  avvertita IX 

—  e  —  Sull'avvizzimento  dei  germogli  del  gelso.  Suoi  rap- 
porti col  Fusarium  laterìtium  Nees  e  colla  Gibberella  vio- 
ricola  (De  Not.)  Sacc.  Seconda  nota  preventiva X 

—  e     —     Sulla  moria  dei  castagni  (Mal  dell'inchiostro) XIII 

—  e  —  Intorno  alla  causa  della  moria  dei  Castagni  (Mal  del- 
l'inchiostro) ed  ai  mezzi  per  combatterla.  Seconda  nota  pre- 
liminare        XIV 

—  e  —  Nuove  osservazioni  intorno  alla  moria  dei  Castagni 
(Mal  dell'inchiostro)  e  sua  riproduzione  artificiale.   Quarta 

nota  preliminare XIV 

—  e  —  La  moria  dei  castagni  (Mal  dell'inchiostro).  Osser- 
vazioni critiche  ad  una  nota  dei  signori  Griffon  e  Maublanc         XV 

—  e  —  Il  mal  dell'inchiostro  nelle  giovani  pianticelle  dei 
castagneti  e  dei  semenzai XV 

—  e  —  A  proposito  di  ima  nota  del  dott.  L.  Petri  sulla 
moria  dei  Castagni  (Mal  dell'inchiostro) XVI 


Pa£;ina 

59 

81 

265 


321 
412 

1!1 

Il  I 

1 

III 

ni 
ni 

HI 

111 
III 
III 
III 
III 
III 
III 
III 

123 

103 

25 


65 
291 


47 

327 

48 

323 

213 


—    XVI    — 

Volume  Pagina 

Briosi  G.  e  Farneti  R.,  Ancora  sulla  moria  dei  Castagni  (Mal 

dell'inchiostro)  in  risposta  al  signor  dott.  L.  Petri XVI  221 

—  e     —     Sulla  moria  dei  Castagni  (Mal  dell 'inchiostro) XVIH  1 

—  e  Gigli  T.,  Su  la  composizione  chimica  e  la  struttura  ana- 
tomica del  frutto  del  pomodoro:  Lycopeisicum  esculentum 

Mill. ]I  5 

—  e    Pavarino  L.,  Bacteriosi  della  Matthiola  annua  L.  (Bacte- 

riiirii  Matthiolae  n.  sp.) XV  135 

—  e  ToGNiNi  F.,  Contributo  allo  studio  dell'anatomia  com- 
parata delle  Cannabinee Il  I 

—  e  —  Intorno  alla  anatomia  della  Canapa  (fiannabis  sa- 
tira L.).  Parte  prima:  Organi  sessuali HI  Iti 

—  e     —     Idem,  idem.  Parte  seconda:  Organi  vegetativi IV  155 

— ,  Menozzi  a.  e  Alpe  V.,  Studio  dei  metodi  intesi  a  com- 
battere il  Brusone  dei  Riso.  Prima  relazione IV  XLiv 

BusCALiONi  L.,  Ricerche  di  botanica  applicata.  Sulle  modifica- 
zioni provocate  dai  processi  di  mercerizzazione  nei  filati 
di  cotone VII  195 

—  e  PoLLACCi  G.,  L'applicazione  delle  pellicole  di  collodio 
allo  studio  di  alcuni  processi  fisiologici  nelle  piante  ed   in 

particolar  modo  alla  traspirazione VII  iS2 

—  e  —  Ulteriori  ricerche  sull'applicazione  delle  pellicole  di 
collodio  allo  studio  di  alcuni  processi  fisiologici  delle  piante 

ed  in  particolar  modo  della  traspirazione  vegetale VII  127 

—  e     —     Le   antocianine   e   il  loro  significato  biologico  nelle 

piante Vili  135 

—  e     PuRGOTTi   A.,    Studii    sulla    dissociazione    e    diffusione 

degli  joni.  Nota  preliminare IX  1 

—  e     —     Sulla  diffusione  e  sulla  dissociazione  dei  joni XI  1 

—  e     Traverso  G.  B.,  L'evoluzione  morfologica  del  fiore  in 

rapporto  colla  evoluzione  cromatica  del  perianzio X  l'i3 

Carbone  D.,  Descrizione   di   alcuni   Eumiceti    provenienti    da 

carni  insaccate  sane ^^l\  259 

Cattaneo  E.  e  Mameli  E.,  Sul  geotropismo  negativo  spon- 
taneo di  radici  di  Helianthus  anninm  e  di  alcune  altre 
piante XVII  9 

Cattorini  P.  e.,  Intorno  all'esistenza  delle  sfere  direttrici  o 
centrosfere  nelle  cellule  del  sacco  embrionale  della  Tulipa 
(Tiiìipa  Gesneriana  L.,   Talipa  Greigi  Regel) XIU  299 

Cavara  F.,  Sulla  vera  causa  della  malattia  dei  grappoli  del- 
l'uva, ecc. I  '-'*^ 

—  Intorno  al  disseccamento  dei  grappoli  della  vite.  Peronos- 
pora  viticola,  Coniothyriuiii  Diplodiella  e  nuovi  ampelomi- 

ceti  italici I  2"<5 

—  Sul  fungo  che  è  causa  del  Bitter-rot  degli  Americani I  359 

—  Appunti  di   patologia  vegetale.   Alcuni  funghi  parassiti  di 

piante  coltivate I  "^^^ 

—  Contribuzione  alla  Micologia  Lombarda II  '^' 


—     XVII    — 

Volume  l'agiiia 

Cavara  P.,  Una  malattia  dei  limoni  (Trichoseptoì-ia  Alpei  Ca.v .)         Ili  'ài 
---     Intorno  alla  morfologia  e  biologia  di  una  nuova  specie  di 

Hymenogaster : IH  -H 

—  Ulteriore  contribuzione  alla  Micologia  Lombarda III  ''^^'A 

—  Contributo  alla  morfologia  ed  allo  .sviluppo  degli  idioblasti 

delle  camelliee IV  CI 

—  Di  una  Ciperacea  nuova  per  la  flora  europea  (Cyperus  ari- 
status  Kottb.  var.  Bockeleri  Cav.) V  2i3 

—  Intorno  ad  alcune  strutture  nucleari V  1119 

—  Studii  sul  The.   Ricerche  intorno  allo  sviluppo  del  frutto 
della  Theo  Chinensis  Sims.  coltivata  nel  R.  Orto  Botanico 

di  Pavia V  265 

Cazzani  e.,  Sulla  comparsa  della  Peronospora  Cubensis  Berk.  et 

Curt.  in  Italia IX  SO 

—  Osservazioni  critiche  sopra  alcune  ricerche  microchimiche 

dell'esculina X  68 

Da  Pano  a.,  Sulla  germinabilità  del  riso  (Ori/za  sativa)  e  del 
granturco  (Zea  Mays)  in  rapporto  alla  temperatura  ed  alla 

umidità XVI  17 

Farnbti  R. ,  Muschi  della   provincia  di    Pavia.    Seconda   cen- 
turia    I  3-^ 

—  Idem,  idem,  terza  centuria -  II  .  175 

—  Idem,   idem,  quarta  centuria III  ''3 

—  Epaticologia  insubrica  -^ III  231 

Briologia    insubrica.    Prima   contribuzione:    Muschi    della 

provincia  di  Brescia IV  129 

—  Ricerche  di  Briologia  paleontologica  nelle  torbe  del  sotto- 
suolo Pavese  appartenente  al  periodo  glaciale V  47 

—  Nuovi  materiali  per  la  Micologia  Lombarda.  Funghi  della 

provincia  di  Cremona:  prima  centuria VI  95 

—  Aggiunte  alla  flora  Pavese  e  ricerche  sulla  sua  origine —  VI  123 

—  Intorno  ad  una  nuova  malattia  delle  Albicocche.   Eczema 
empetiginoso  causato  dalla  Stigiii/iia  Briosiana  n.  sp. VII  23 

—  Intorno  al  Boletus  Briosiamis  Farn.  Nuova   e   interessante 

specie  d'Imenomicete  con  cripte  acquifere  e  clamidospore-         VII  65 

—  Intorno  allo  sviluppo  e  al  polimorfismo  di  un  nuovo  Micro- 

micete  parassita VII  251 

—  Le  volatiche  e  l'atrofia  dei  frutti  del  fico Vili  513 

-  Di  una  nuova  specie  di  Giavone  che  da  alcuni  anni  ha  in- 
vaso le  risaie  della  Lombardia  e  del  Piemonte IX  33 

—  Intorno   alla  malattia  del   Caffè  sviluppatasi  nelle  pianta- 
gioni di  Cuicatlan  (Stato  di  Oaxaca)  nel  Messico EX  36 

—  Intorno  ad  alcune  malattie  della  vite  non  ancora  descritte 

od  avvertite  in  Italia X  72 

—  Il  marciume  dei  boccinoli  e  dei  fiori  delle  rose  causato  da 

ima  forma  patogena  della  Botrytis  vulgaris  (Pers.)  Pr.  _  _  X  77 

—  Intorno  al  hrusone  del  riso  ed  ai  possibili  rimedii  per  com- 

liatterlo.  Nota  preliminare X  203 


—   XVIIt   — 

Volinne  Pallina 

Farneti  e.,  Intorno   alla    comparsa    della    D/tis}ìis   peiifaffotni 

Targ.  in  Italia  e  alla  sua  origine XI  326 

—  Intorno  alla   cleistogamia   e   alla  possibilità  della  feconda- 
zione incrociata  artificiale  nel  riso  {Orijza  natica) XII  351 

—  Sopra  il  brusone  del  riso  {note  postume] XYIII  109 

—  e     Briosi  G.,  Intorno  all'  avvizzimento  dei    germogli    dei 

gelsi.  Nota  preliminare VII  123 

—  e     —     Intorno  ad  un  nuovo  tipo  di  licheni  a  tallo  coiiidi- 

fero,  che  vivono  sulla  vite,  finora  ritenuti  per  funghi    _  _        VIII  10:^ 

—  e     —     Di  una  varietà  tardiva  di  Pioppo  (Popidiisi  ìu'f/ni  L.ì 

finora  non  avvertita IX  25 

—  e     —     Sull'avvizzimento  dei  germogli  del  gelso.  Suoi  rap- 
porti col  Fusarium  lateritium  Nees  e  colla  Gibberelhi   mo- 

ricola  (De  Not.)  Saoc.  Seconda  nota  pi-eventiva X  65 

—  e     —     Sulla  moria  dei  castagni  (Mal  dell'inchiostro) XIII  291 

—  e     —     Intorno  alla  causa  della  moria  dei   castagni    (Mal 
dell'inchiostro)  ed  ai  mezzi  per  combatterla.    Seconda  nota 

preliminare XIV  47 

—  e     —    Nuove  osservazioni  intorno  alla  moria  dei  castagni 
(Mal  dell'inchiostro)  e  sua  vipi-oduzione  artificiale.   Quarta 

nota  preliminare XTV  327 

—  e     —     La    moria    dei   castagni  (Mal   dell'inchiostro).   Os- 
servazioni   critiche    ad    una    nota    dei    signori    Griffon    e 

ìlaublanc XV  43 

—  e     —     Il   mal  dell'  inchiostro  nelle  giovani  pianticelle  dei 

castagneti  e  dei  semenzai XV  323 

—  e    —     A   proposito   di   una   nota  del   dott.   L.  Petri    sulla 

moria  dei  castagni  (Mal  dell'inchiostroì XVI  213 

—  e     —     Ancora  sulla  moria  dei  castagni  (Mal  dell'inchiostro) 

in  risposta  al  signor  dott.  L.  Petri XVI  221 

—  e     —     Sulla  moria  dei  castagni  (Mal  dell'inchiostro) XVIII  1 

—  e     —     Sull'avvizzimento  dei   germogli   del  gelso XVII  185 

—  e     MoNTEMARTiNi  L.,  Intomo  alla  malattia  della  vite  nel 

Caucaso  (Physalospoì-a   Woroninii  n.  sp.) VH  33 

—  e     PoLLACCl  G.,  Di   uu   nuovo    mezzo    di    diffusione    della 

Fillossera  per  opera  di  larve  ibernanti X  95 

Gigli  T.  e  Bmosi  G.,  Su  la  composizione  chimica  e  la  strut- 
tura  anatomica    del    frutto    del    Pomodoro:    Lycopersìcum 

eseulentiim II  5 

Maffei  L.,  Sopra  una  nuova  specie  di  Ascomicete XI  325 

—  Contribuzione  allo  studio  della  Micologia  Ligustica.    Cen- 
turia prima XII  1 

—  Idem,  idem.  Secondo  contributo XIII  273 

—  Idem,  idem.  Terzo  contributo .,. XIV  137 

—  Idem,  idem.  Quarto  contributo XVI  225 

—  Aggiunte  alla  Flora  Pavese XVIII  137 

e     TuRCONi  M.,  Note  micologiche  e  fitopatologiche:   I,   Cer- 

cospora  lumbrìcoides  n.  sp.  sul  Frassino  e  Nectria  Castiltoae 


—    XIX    — 

Volume  Tai-'ina 

n.  sp.  sulla   CasfiUoa  elastica  nel  Messico.  II.  Steganospo- 
rium  Kosarofp.  n.  sp.  sul  Gelso  in  Bulgaria XII  329 

Maffei  L.  e  TuRCONi  M.,  Note  micologiche  e  fitopatologiche. 
Serie  II:  1.  Un  nuovo  genere  di  Ceratostomatacee.  2.  Due 
nuovi  micromiceti  parassiti  della  Sophora  japonica  L.    _  _         XV  143 

Mameli  E.,  Sulla  conducibilità  elettrica  dei  succhi  e  dei  tes- 
suti vegetali.  Nota  I_     XII  285 

—  Sulla  flora  micologica  della  Sardegna,  Prima  contribuzione-        XIII  158 

—  Idem,  idem.  Seconda  contribuzione XIV  1 

—  Sull'influenza  del  magnesio  sopra  la  formazione  della  clo- 
rofilla             XV  l.'-il 

—  Risposta  alla  nota  del  dott.  L.  Petri  <  Sul  significato  pato- 
logico dei  cordoni  endocellulari  nei  tessuti  della  vite  » XVI  41 

— •  Sulla  presenza  dei  cordoni  endocellulari  nei  tessuti  della 
vite  e  di  altre  dicotiledoni  ;  con  appendice  in  risposta  al 
dott.  L.  Petri XVI  47 

—  Note  di  Parabiosi  vegetale XVI  103 

—  Ricerche   anatomiche,  fisiologiche   e   biologiche  sulla  Mar- 

tynia  lutea  Lindi XVI  137 

—  Influenza  del  fosforo  e  del  magnesio  sulla  formazione  della 

clorofilla XVI  189 

—  Ricerche  fisiologiche  sui  licheni.  I.  Idrati  di  carbonio XVII  147 

—  Licheni  della  Sardegna XVII  159 

—  Licheni  della  Cirenaica XVII  175 

—  Note  critiche   ad  alcune  moderne   teorie   svilla   natura   del 

consorzio  lichenico XVII  209 

—  Ricerche  sulla  costituzione  chimica   della   membrana  delle 

Alghe  Cianoficee XVII  257 

—  e     AsCHiBRi    E.,    Ricerche    anatomiche    e   biochimiche   sul 

Lychnis  vìscaria  L. XVII  119 

—  e     Cattaneo  E.,   Sul   geotropismo   negativo  spontaneo   di 

radici  di  Heìianthus  annuus  e  di  alcune  altre  piante XVII  9 

—  e     PoLLACCi  G.,  Note  critiche   intorno  a   recenti   ricerche 

sulla  fotosintesi  clorofilliana XIII  257 

—  e    —    Ricerche  sull'assimilazione  dell'azoto  atmosferico  nei 

vegetali.  Nota  preliminare XIII  351 

—  e  —  Sull'assimilazione  diretta  dell'azoto  atmosferico  li- 
bero nei  vegetali XIV  159 

—  e  —  Metodo  di  sterilizzazione  di  piante  vive  per  espe- 
rienze di  fisiologia  e  di  patologia XIV  129 

—  e  —  Ancora  sull'assimilazione  diretta  dell'azoto  atmo- 
sferico libero  nei  vegetali XVI  197 

Magnaghi  a.,  Micologia  della  Lomellina VII  105 

—  Contribuzione  allo  studio  della  Micologia  Ligustica VIII  121 

Mariani  G.,  Intorno  all'influenza  dell'umidità  sulla  formazione 

e  sullo  sviluppo  degli  stomi  nei  cotiledoni VIII  67 

Mbnozzi  a.,  Alpe  V.  e  Bitio.si  G.,  Studio  dei  metodi  intesi  a 

combattere  il   Brusone  del  Riso.  Prima  relazione IV  XLiv 


—    XX 

Volume  Patena 

MoNTEMARTiNi  L..  Sull'influenza   di   atmosfere  ricche  di  bios- 
sido di  carbonio  sopra  lo  sviluppo  e  la  struttura  delle  foglie.  Ili  83 

—  Contributo  alla  ticologia  insubrica IV  43 

Intorno  alla  anatomia  e  fisiologia  del  tessuto  assimilatore 

delle  piante : IV  89 

—  Contributo  allo  studio  dell'anatomia  del  frutto  e  del   seme 

delle  Opuuzie \'  f)9 

—  Un    nuovo    mìcromicete    della    vite   (Aureobasidium    Vitis 

Viala  et  Boyer  var.  album) V  69 

—  Ricerche  intorno  all'accrescimento  delle  piante V  75 

Cloroficee  di  Valtellina V  249 

—  Contribuzione  allo  studio  del  passaggio  dalla  radice  al  fusto-  VI  1 
Seconda  contribuzione  allo  studio  del  passaggio  dalla  radice 

al  fusto VI  23 

—  Ricerche  sopra  la  struttura  delle  Melanconiee  ed  i  loro  rap- 
porti cogli  Ifomiceti  e  colle  Sferossidee VI  49 

—  Contributo  allo  studio  della  anatomia  comparata  delle  Ari- 

stolochiacee VII  229 

—  Nuova  Uredinea  parassita  delle  Orchidee  (  Uredo  aurantiaca 

n.  sp.) Vili  99 

—  Intorno  all'  influenza  dei  raggi  ultravioletti  sullo  sviluppo 

degli  organi  di  riproduzione  delle  piante . IX  13 

—  Note  di  fisiopatologia  vegetale .- IX  39 

—  Il  sistema  meccanico  delle  foglie  della  Victoria  regia  Lindi.  IX  253 

—  Note  di  biologia  dei  frutti IX  261 

—  Sulla  relazione  tra  lo  sviluppo  della  lamina  fogliare  e  quello 

dello  xilema  nelle  traccie  e  nervature  corrispondenti X  61 

—  Sull'origine  degli  ascidii  anormali  nelle  foglie  di  Samfraga 

crassi folia  L X  78 

—  Contributo  alla  biologia  fogliare  del  Buxus  sempervirens  L.  X  239 

—  Primi   studii   sulla  formazione   delle   sostanze  albuminoidi 

nelle  piante X  245 

—  Una  malattia  delle  Tuberose  (Polianthes  tuberosa  L.)  dovuta 

alla  liotrytis  vulgaris  Fr. XI  297 

—  Ricerche  anatomo-fisiologiche   sopra   le  vie  acquifere  delle 

piante.  Secondo  contributo XII  363 

—  Sulla  trasmissione  degli  stimoli  nelle  foglie  e  in  particolar 

modo  nelle  foglie  delle  Leguminose XIII  177 

—  Ancora  sulla   trasmissione  degli   stimoli   nelle  foglie  delle 

Leguminose . XIII  343 

—  Note  di  biologia  dei  semi XIII  213 

—  La  spiga  del  grano  in  rapporto  colla  selezione.  Osservazioni 

preliminari XIII  231 

—  Contributo   allo   studio    della   sensibilità    geotropica    delle 

radici XIV  43 

—  Sulla  nutrizione   e  riproduzione  nelle  piante.  Parte  I  e  II  XIV  65 

—  Idem,  idem.  Parti  III-VI XV  1 

—  Intorno  ad  una  nuova  mal.  deirolivo(Bacfer(«77ì  0/frne  n.sp.)  XIV  151 


XXI 


Volume  Pagina 

MoNTBMARTiNi  L.,  Ricerche   anatomo-tìsiolo(>;iche   soprii   le  vie 

acquifere  delle  piante XV  109 

—  Intorno  ad  alcuni  casi  di  simbiosi  autunnale  locale  e  tem- 
poranea         XVII  21 

—  Sopra  la  circolazione  delle  sostanze  minerali  nelle  foglie.      XVII  227 

—  Elmetti  della  senilità  delle  piante XVIII  133 

—  Farneti  Rodolfo ^ XVIII  in 

—  e     Farneti  R..  Intorno  alla  malattia  della  vite  nel  Caucaso 
(Physalospora  Woronìnii  n.  sp.ì VII  33 

MuTTO  E.,  Nuove  specie  di  micromiceti XVI  205 

—  e     PoLLACCi  G.,  Ricerche  intorno  alle  specie:  Cowio<Ai/)'jMHi 
pirimim  (Sacc.)  Sheldon,  Phyllosticta  pirina  Sacc.  e  Conio- 

thyrium  tirolense  Bubàk XYl  2(t9 

—  e     —     Ulteriori  ricerche  intorno  alla  variazione  di  alcune 

specie  di  micromiceti    ^ XVII  53 

NicotraL..  Ontogeuia  e  dignità  sistematica  delle  piante  vascolari         XI  299 

XoMURA  H..   Intorno   alla  ruggine   del  Rengesó  (Astragaliif:  si- 

ììicus  L.)  ed  a  due  nuovi  micromiceti  patogeni  del  gelso  _  IX  37 

—  Ulteriori  ricerche  sperimentali  sull'eziologia  della  malattia 

del  baco  da  seta  detta  Flaccidezza IX  229 

Oddo  B.  e  Pollacci  G.,   Influenza  del   nucleo  pirrolico   sulla 

formazione  della  clorofilla . XVII  131 

Pavarino  L.,  Influenza  della  Plasmopara  viticola  sull'assorbi- 
mento delle  sostanze  minerali  nelle  foglie XI  310 

—  La    respirazione    patologica  nelle   foglie    di    vite  attaccate 

dalla  peronospora XI  336 

—  Intorno  alla  flora  del  calcare  e  del  serpentino  nell'Appennino 

Bobbiese XII  21 

—  Sulla  Batteriosi  del  pomodoro  {Bacferium  Priosii  n.  sp.)  _        XII  337 

—  Intorno  alla  produzione  del  calore  nelle  piante  ammalate,       XIII  355 

—  Intorno  alla  flora  del  calcare  e  del  serpentino  nell'Appennino 

Bobbiese.  Seconda  contribuzione XIV  19 

—  Alcune  malattie  delle  Orchidee  causate  da  bacterii XV  81 

Intorno  alla  flora  del  calcare  'e  del  serpentino XV  89 

—  e     Briosi  G.,  Bacteriosi  della  Mattinola  annua  L.  (Bacfe- 
rium Matthiolae  n.  sp.) XV  135 

—  e     Turioni  M.,  Sull'avvizzimento  delle  piante  di  Capsicum 

anìiuum  L XV  207 

Pavesi  V.,  Studii  comparativi  su  tre  specie  di  papaveri  nostrali  _  IX  183 

POMTis  I.,  Sugli  elaioplasti  nelle  Mono-  e  Dicotiledoni.  Nota 

preliminare XII  345 

—  Sugli  elaioplasti  nelle  Mono-  e  Dicotiledoni . XIV  335 

—  Sopra  speciali  corpi  cellulari  che  formano  antocìanine XIV  363 

—  Sopra  uno  speciale  corpo  cellulare  trovato  in  due  Orchidee.       XIV  377 

—  Sulla  presenza  del  Glicogeno  nelle  Fanerogame  e  sua  rela- 
zione coll'ossalato  di  calcio XIV  .^85 

—  Sulla  presenza  di    amiloide   nelle    cellule   cristallofore  del 
Philoclendrou     Melanochrysum    Lind.    e   del    Ph.    Oxicar- 

dium  Schott.    XIV  397 


—   XXII    — 

Volume  Pafrina 
PoLiTis  I.,  SuH'origiue  e  sull'ufficio  dell'ossalato  di  calcio  nelle 

piante XV  63 

—  Sulla  flora  micologica  della  Grecia XV  73 

Polpacci  G.,  Contribuzione  alla  micologia  ligustica V  29 

—  Appunti  di   Patologia  vegetale  (Funghi  nuovi,  parassiti  di 

piante  coltivate) V  191 

—  Intorno  ai  metodi  di  ricerca   microcliimica   del  fosforo  nei 

tessuti  vegetali VI  15 

—  Intorno  alla  presenza  dell'aldeide  formica  nei  vegetali  _  _  VI  45 
11  biossido    di    zolfo   come   mezzo    conservatore    di    organi 

vegetali VI  165 

—  Intorno  all'  assimilazione  clorofilliana  delle  piante.  Me- 
moria I VII  1 

—  Sopra  una  nuova  malattia  dell'erba  medica   (Pleosphaeru- 

Una  Briosiana  Pollacci) VII  49 

—  Intorno  all'emissione  di  idrogeno  libero  e  di  idrogeno  car- 
bonato dalle  parti  verdi  delle  piante VII  97 

—  A  proposito  di  una  recensione  del  sig.  Czapek  del  mio  la- 
voro «Intorno  all'assimilazione  clorofilliana» VII  101 

—  Intorno  all'assimilazione  clorofilliana.  Memoria  II VIII  1 

—  Sulla  malattia  dell'olivo  detta  Brusca IX  26 

—  Nuovo  apparecchio  per  l'analisi  dei  gas  emessi  dalle  piante  IX  99 

—  L'isola  Gallinaria  e  la  sua  Flora IX  107 

—  Monografia  delle  Erysiphaceae  italiane IX  151 

—  Intorno  al  miglior  modo  di  ricerca  microchimica  del  fosforo 

nei  tessuti  vegetali X  80 

—  Azione  della  luce  solare  sulla  emissione  di  idrogeno   dalle 

piante .. . X  215 

Sulla  scoperta  dell'aldeide  formica  nelle  piante X  293 

—  Influenza  dell'elettricità  sull'assimilazione  clorofilliana  _.  XI  308 

—  Nuovo  metodo  per  la  conservazione  di  organi  vegetali  .  ^  Xi  308 

—  Sopra  i  metodi  di  ricerca  quantitativa  dell'amido  contenuto 

nei  tessuti  vegetali .. ^_-  XI  351 

—  Critica  alla   pubblicazione   del    dott.    S.    Nizza    intitolata: 

Il  problema  dell'Aldeide  formica  nelle  piante XII  17 

—  Elettricità  e  vegetazione.  Parte  prima:  Influenza  dell'elet- 
tricità sulla  fotosintesi  clorofilliana XIII  1 

—  Su    una    graminacea    nuova    infestante    il    riso    (Panicum 

erectìim  n.  sp.  i XIII  223 

—  Il  parassita  della  rabbia  e  la  Plasmodiophora  Brassicae  Wor. 
Ricerche  sui  loro  rapporti  di  affinità  morfologica  e  fisio- 
logica. Nota  preliminare XIV  403 

— •    Aggiunte  alla  flora  ticinese .. . XV  53 

—  Sulla  bioreazione  del  tellurio  e  sulla  sua  applicazione  pra- 
tica agli  studii  di  fisiologia  e  di  patologia  vegetale XV  281 

—  Studii  citologici  sulla  Plasmodiophora  Brassicae  Wor.  e 
rapporti  sistematici  coi  parassiti  della  rabbia  e  del  cimurro 

dei  cani XV  291 


—  xxrii  — 

Volnme  Pagina 

Poi.LACci  G.,   Suir.l/))((S  prccatoriìis  L. XV  -285 

—  Studio  sul  genere  Citromyces X^'l  l'21 

—  Briosi  Giovanili XVII  in 

—  Sul  carbonio  delle  piante  verdi XVII  29 

—  Studiisuiproteosomiesulla  reazione  vitale  di  Loew  eBokoi-ny  XVII  10:! 

—  La  sporotricosi  delle  pesche.  Nuova  malattia  manifestatasi 

in  Liguria XVll  -JO'à 

—  Rassegna    crittogamica    per    gli    anni    1918-19,  con  notizie 

sulle  malattie  del  pomodoro  dovute  a  parassiti  vegetali __  XMl  277 

—  Rassegna  crittogamica  per  l'anno  1920 XA'II  285 

—  Miceti  del  corpo  umano  e  degli  animali XVIII  123 

---     e     BusCALiONi  L.,  L'applicazione  delle  jiellicole  di  collodio 

allo  studio  di  alcuni  processi  fisiologici  nelle  piante  ed   in 

particolar  modo  alla  traspirazione VII  82 

—  e     —    Ulteriori  ricerche  sull'applicazione  delle  pellicole  di 
collodio  allo  studio  di  alcuni  processi  fisiologici  delle  piante 

ed  in  particolar  modo  della  traspirazione   vegetale VII  127 

—  e     —     Le  antocianine  e  il  loro  significato  biologico    nelle 

piante Vili  135 

—  e     Farneti  R.,  Di  un  nuovo  mezzo  di  difi'usione  della  fil- 
lossera per  opera  di  larve  ibernanti X  95 

—  e     Mameli  E.,    Note    critiche    intorno    a    recenti  .ricerche 

sulla  fotosintesi  clorofilliana XIU  257 

—  e     —     Ricerche    sull'assimilazione  dell'azoto  atmosferico 

nei  vegetali.  Nota  preliminare XIII  351 

—  e     —     Sull'assimilazione  diretta  dell'azoto  atmosferico  li- 
bero nei  vegetali XIV  159 

—  e     —     Metodo  di  sterilizzazione  di    piante  vive  per  espe- 
rienze di  fisiologia  e  di  patologia XI\'  129 

—  e     —     Ancora   sull'assimilazione  diretta  dell'azoto    atmo- 
sferico libero  nei  vegetali XVI  197 

—  e     Mi:tto  E.,  Ricerche  intorno  alle  specie:   Coniothyrinm 
pirìnum  (Sacc.)  Sheldon.   Phyllosticta  pirina  Sacc.  e  Conio- 

thyrimn  tirolense  Bubàk XVI  209 

—  e     —     Ulteriori  ricerche  intomo  alla  variazione  di  alcune 

specie  di  micromiceti XVII  53 

—  e     Oddo  B.,    Influenza   del   nucleo    pirrolico   nella    forma- 
zione della  clorofilla XVII  131 

Plrgotti    a.  e    Huscalioni   L.,    Studi    sulla   dissociazione    e 

diffusione  degli  joni.  Nota  preliminare IX  1 

—  e     —     Sulla  diffusione  e  sulla  dissociazione  dei  joni XI  1 

Rota-Rossi  G.,  Prima  contribuzione  alla  micologia  della  pro- 
vincia di  Bergamo IX  127 

—  Alcune  considerazioni  sull'ontogenia  delle  cormofiti  vascolari  X  88 

—  Seconda  contribuzione  alla    micologia    della    provincia    di 

Bergamo X  265 

—  Due  nuove  specie  di  micromiceti  parassite XI  807 

—  Terza  contribuzione  alla  micologia  della  provincia  di  Ber- 
gamo       XIII  195 


urne 

Pagina 

XI 

;ìiy 

11 

15iì 

Ili 

1 

III 

45 

V 

1 

IV 

1 

VI 

109 

—  XXIV   — 

Salvoni  M.,  Sul  significato!  fisiologico  della  trasformazione  au- 
tunnale degli  idrati  di  carbonio  iu  grassi 

ToGNiNi  F.,  Sopra  il  percorso  dei  fasci  libro-legnosi  primarii 
negli  organi  vegetativi  del  Lino,  Linuin  uùtatissunum  L. 

—  Ricerche  di  morfologia  ed  anatomia  sul  fiore  femminile  e 
sul  frutto  del  castagno  (Castanea  vesca  Gaertn.) 

—  Contribuzione  alla  Micologia  toscana -- 

—  Seconda  contribuzione  alla  Micologia  toscana 

—  Contribuzione  allo  studio  dell'organogenia  comparata  degli 
stomi 

—  Sull'embriogenià  di  alcune  Solanacee 

—  e  Briosi  G.,  Contributo  allo  studio  dell'  anatomia  com- 
parata delle  Camiahinee . __-  II 

—  e  —  Intorno  alla  anatomia  della  Canapa  (Cannabis  sa- 
liva L.).  Parte  prima  :  Organi  sessuali 

—  e     —     Idem,  idem.  Parte  seconda:  Organi  vegetativi 

Traverso  G.  B.  ,  Intorno  all'influenza  della  luce  sullo  svi- 
luppo degli  stomi  nei   cotiledoni 

—  e  BuscALiONi  L.,  L' evoluzione  morfologica  del  fiore  in 
rapporto  colla  evoluzione  cromatica  del  perianzio 

TuRCONi  M.,  Sopra  una  nuova  specie  di  Cylindrosporitim,  pa- 
rassita dell'/Zea;  furcata  Lindi. 

—  Un  nuovo  fungo  parassita  sulla  Chaqnirilìa.  pianta  mes- 
sicana  

—  Nuovi  micromiceti  parassiti 

—  Litorno  alla  Micologia  lombarda.  Memoria  I 

—  Intorno  ad  una  nuova  malattia  dei  bambù  [Bamìmsa  mitis 
Poir.,  B.  iiigra  Lodd.  e  B.  gracilis  Hort.). XVI 

—  Sopra  una  nuova  malattia  del  Cacao  {Theobroma  Cacao  L.) 

—  e  Maffei  L.,  Note  micologiche  e  fito-patologi che:  I.  Cer- 
cospora  1  umbri coides  n.  sp.  sul  Frassino  e  Nectria  Casiil- 
loae  n.  sp.  sulla  Castilluu  elastica  nel  Messico.  II.  Stegano- 

sporium  Kosaroffii  n.  sp.  sul  Gelso  in  Bulgaria XII  329 

—  e  Note  micologie  e  fito-])atologiclie.  Serie  II:  1.  Un 
nuovo  genere  di  Ceratostomatacee  ;  -■  Due  nuovi  micromi- 
ceti  parassiti  della  Sophora  japonica  L. XV  143 

—  e     Pavarino  L.,  Sull'avvizzimento  delle  piante  di  Capsi- 

ciim  annuum  L. XV  207 


III 

Ul 

IV 

155 

VII 

55 

X 

103 

IX 

28 

X 

91 

XI 

314 

XII 

57 

SVI 

245 

:vii 

1 

ISTITUTO  BOTANICO  DELLA  R.  UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

E 

LABORATORIO  CRITTOGAMICO  ITALIANO 


SULLA  MORIA  DEI  CASTAGNI 

(Mal  (leir Inchiostro) 

PER 

GIOVANNI  BRIOSI  e  RODOLFO  FARNETI 

icoìi  11  tnniìv  titoi/rafale) 


Tra  i  manoscritti  ancora  inediti  lasciati  dai  compianti  miei  maestri  Briosi 
prof.  Giovanni  e  Farneti  prof.  Rodolfo,  ho  trovato  e  potuto  ordinare  questi  pochi 
che  riguardano  uno  studio  cui  Essi  attendevano  da  parecchi  anni,  preparandosi 
a  scrivere  quella  che  sarebbe  stata  la  più  importante  e  più  completa  monografìa 
sopra  la  malattia  che  tanto  danno  ha  arrecato  e  continua  ad  arrecare  alle  selve 
di  castagni  in  Europa,  e  tante  volte  ha  richiamato  l'attenzione  degli  studiosi  in 
Italia  e  fuori. 

Dico  sarebbe  stata,  perchè  pur  troppo  non  solo  lo  studio  rimase  troncato, 
essendo  mancato  agli  Autori  la  forza,  il  tempo  e  l'occasione  di  conoscere  ed  esa- 
minare anche  le  più  recenti  scoperte  del  Petri  sopra  l'argomento  da  Essi  studiato, 
ma  rimase  incompleto  il  manoscritto,  proprio  nella  parte  che  riguarda  le  loro  osser- 
vazioni originali,  sulle  quali  però  per  fortuna.  Essi  avevano  già  pubblicato  diverse 
note  preliminari  che  tutte  vanno  qui  ricordate  '  perchè,  insieme  alle  bellissime 
tavole  che  trovai  già  stampate,  completano  e  sono  completate  da  questa  ultima 
e  postuma  pubblicazione. 


'  Le  note  già  stampate  dal  Briosi  e  Farneti  sono  le  seguenti: 

Stilla  Moria  dei  ca.ilaffni  (Mal  dell' inrìiiostroj  :  prima  uota;  in  «Atti  \s\.  Eot.  ili  Pavia», 
ser.  II,  voi.  XIII,  con  una  tavola,  1908. 

fntonw  alla  causa  della  Moria  dei  castanni  (Mal  dell' incUiustroJ  ed  ai  mezgi  per  combat- 
terla:  seconda  nota  preliminare;  ibidem,  voi.  xiv,  IDO'.I. 

Im  Moria  dei  caaUKjni  (Mal  dell' incliiostro) ;  osservazioni  critiche  da  una  nota  dei  signori 
(iriffon  e  Maublanc;  ibidem,  voi.  xv,  1910. 

Hiprodiisione  artificiale  della  Moria  dei  anitiiipii  (Mal  dell' iiichiostroj  ;  in  «  Rend.  d.  r.  Ac. 
d.  Lincei»,  classe  Scienze,  voi.  xx,  1911. 

Nuore  osserrazioni  intorno  alla  Moria  dei  castai/ni  (Mal  dell'  inchiostro)  e  sua  riprodasione 
artificiale:  quarta  nota  preliminare;  in  «Atti  Ist.  Bot.  di  Pavia»,  voi.  xiv,  1911. 

A  proposi to  di  una  nota  del  Dott.  Lionello  l'etri  sulla  Moria  dei  castagni  (Mal  dell'  in- 
chiostro) :  in  »  Rend.  d.  r.  Ac.  d.  Lincei»,  classe  Scienze,  voi.  xxii,  1913. 

Atn  dell'Istit.  Bui   dvll'ViiiversiUt  di  Pavia  —  Serie  II  —  Voi.  XVIII.  1 


—  2  — 

Si  devono  riconoscere  al  Briosi  ed  al  Farneti  due  meriti  nei  loro  studii  sulla 
Malattia  dell' inchiostro  del  castagno:  quello  di  avere  dimostrato  in  modo  indubbio 
che  nou  è  malattia  delle  radici  ma  delle  parti  aeree  della  pianta  e  di  avere  quindi 
richiamato  gli  studiosi  all'esame  di  queste;  e  quello  di  avere  dimostrato  con  cer- 
tezza, e  di  averne  dato  anche  la  prova  sperimentale,  la  natura  patogena  del  6?o- 
77/«e7«w  e  la  sua  grande  (secondo  Essi,  costante)  diffusione  sulle  piante  ammalate. 

Queste  due  constatazioni,  ormai  acquisite  alla  scienza,  pongono  i  nomi  del 
Briosi  e  del  Farneti  iu  prima  linea  tra  gli  studiosi  della  malattia  di  che  trattasi, 
epperò  mi  parve  cosa  utile  far  conoscere  tutto  quanto  Essi  hanno  scritto  e  si  pre- 
paravano a  pubblicare  con  tanto  corredo  di  tavole. 

Non  ho  tentato  di  completare  io  quello  che  ho  trovato  incompleto,  sia  per 
deferente  rispetto  verso  l'opera  di  Chi  mi  ha  insegnato,  sia  perchè  mi  sarebbero 
mancate  la  competenza  e  l'autorità  per  giudicare  anche  l'opera  d'altri  ed  entrare 
come  giudice  nelle  polemiche  che  si  sono  svolte  nelle  precedenti  note  preliminari. 
Mi  limitai  pertanto  ad  ordinare  quello  che  trovai  un  po'  sparso,  mettendovi  il  meno 
possibile  di  mio.  Piccola  fu  la  fatica  pei  primi  capitoli  che  erano  già  copiati  e 
pronti  per  la  stampa:  per  l'ultimo  mi  valsi  di  una  pubblicazione  già  fatta  dal  Far- 
neti e  di  note  da  lui  predisposte.  La  spiegazione  dettagliata  delle  tavole  era  stata 
preparata  dallo  stesso  Farneti. 

Devo  avvertire  che  gli  ultimi  manoscritti  risalgono  ai  primi  mesi  del  1917, 
si  che  non  è  a  meravigliarsi  se  non  si  trovano  in  essi  cenni  intorno  alle  più 
recenti  osservazioni  del  Petri  e  di  altri. 

Hai  Laborntorlo  Crittogamico  di  Paria  —  marzo  1921. 

Dott.  Luigi  Montemartini. 


Ancora  sulla  Moria  dei  castafftii  [Mal  delV  inchiostro)  ^  in  risposta  al  signor  Dott.  !..  Petri  : 
ibidem,  1913. 

//  «  Mal  dell'inchiostro  »  nelle  t/iorani  pianticelle  dei  castagneti  e  dei  semenzai  :  in  «  Atti 
Ist.  Bot.  di  Pavia  »,  voi.  xv,  1915. 

Va  pure  ricordata  (e  viene  più  avanti  riportata  integralmente  in  questa  pubblicazione)  la  se- 
guente nota  del  solo  Farneti  : 

Norme  pratiche  per  combattere  la  «Malattia  dell'inchiostro  >  nei  castagni  :  in  -  Rivista  di 
Patologia  Vegetale»,  voi.  vi,  Pavia,  1913. 

E  finalmente  va  tenuta  presente  la  seguente  che  ligura  in  collaliorazii>ne  icm  Munti'inarlini  i> 
bissone,  ma  per  la  quale  il  Farneti  fece  da  relatore: 

La  resistensa  del  castagno  giapponese  alla  «  Malattia  dell'inchiostro  »  .•  ricostituzione  dei 
castagneti  distrutti  dalla  moria:  relazione  al  Ministero  di  Agricoltura;  in  «Rivista  di  Patologia 
Vegetale  ».  t9l2. 


INTRODUZIONE. 

Gli  Autori  che  si  sono  occupati  della  Moria  dei  castagni  si  possono 
raggruppare  come  segue: 

a)  quelli  che  hanno  accettato  la  teoria  dell'esaurimento  del  suolo 
emessa  prima  dal  Gibelli  e  poscia  abbracciata  dall'Henry  ; 

b)  quelli  che  hanno  pensato  al  parassitismo  del  micelio  delle 
micorize  o  come  fenomeno  primario  (De  Seynes,  Gibelli,  Ducomet,  ecc.), 
0  come  fenomeno  provocato  da  mancanza  di  humus  (Gibelli,  Delacroix) 
0  da  condizioni  sfavorevoli  di  terreno  (Pestana); 

r)  quelli  che  attribuirono  il  male  alla  disti'uzione  delle  micorize 
per  opera  del  Mi/celopkagus  (Mangin),  o  di  altri  fanghi  parassiti,  quali 
Sphaeropsis  (Ducomet); 

d)  quelli  che  ritennero  come  causa  del  male  dei  bacteri  (Pestana); 

e)  quelli  che  diedero  importanza  ad  agenti  atmosferici  o  clima- 
terici (Criè  ed  altri). 

Tutti  ritennero  che  quale  si  fosse  la  causa  della  malattia,  essa 
agisse  sulle  radici  e  che  in  queste  se  ne  dovessero  cercare  le  prime 
manifestazioni. 

Nei  capitoli  che  seguono  sono  esaminati  separatamente  i  diversi 
fattori  chimici,  fisici  o  biologici  che  nel  suolo  possono  esercitare  un'azione 
sopra  le  radici  e  si  dimostra  che  da  essi  non  può  dipendere  la  Malattia 
dell'  inchiostro. 

Gli  ultimi  capitoli  sono  destinati  alle  nostre  osservazioni  originali 
sopra  la  sintomatologia,  la  patogenesi  e  la  cura. 

1.  —  Agaricus  melleus  e  Rizomorfe. 

Planchon  nel  1876  studiò  la  Moria  dei  castagni  nel  Gard  presso 
Anduze,  e  pubblicò  due  anni  più  tardi  una  memoria  '  nella  quale 
cerca  di  dimostrare  che  la  Malattia  dell' inchiostro  {Maladie  de  l'Encre), 
come  egli  per  il  primo  la  chiamò,  era  dovuta  ad  "  un  mycelium  ou  blanc 
'de  chnmpignon,  qui  prend  des  forines  imriées,  mais  qui  se  retrouve  toujours 
semblnble  à  lui-mi''ine  sur  diverses  portions  du  sijstème  souterrain  et  plus 
tard  du  tronc  de  la  piante  „. 


'  Planchon,  La  Maladie  des  cliàtaìgiiient  dans  les  Cévennes,  in  «  Compt. 
reud.  d,  s.  d.  l'Ac.  d.  So.  d.  Paris»,  1878;  e:  La  Maladie  des  rhàtatgnierx,  in 
«  Revue  des  eavix  et  forèts  »,  Paris,  1878,  T.  xvii. 


—  4  — 

Questo  micelio,  secondo  Planchon,  si  osserva  anclie  alla  superficie 
(ielle  radici  sotto  forma  di  piccoli  cordoni  biancastri  più  o  meno  rami- 
ficati con  tendenza  a  prendere  la  disposizione  a  ventaglio  obliquo,  ed 
è  simile  a  quello  che  fa  morire  i  gelsi,  1  meli,  ecc.  Evidentemente, 
dice,  è  un  agarico  del  gruppo  àe\VArmillai-ia  e  probabilmente  d'un  tipo 
vicino  liW Agaricus  melleus,  quantunque  non  corrisponda  con  esattezza 
alla  descrizione  datane  dall'Hartig. 

Più  tardi,  dopo  avere  constatato  il  polimorfismo  del  micelio  del- 
VAgaricus  melleus  e  i  rapporti  specifici  fra  la  Rhizomorphn  fragilis 
var.  subterranea,  il  micelio  flabelliforme  o  Rìiizomorpha  fragilis  var. 
subcortiealis  e  il  micelio  descritto  e  figurato  da  Hartig  come  apparte- 
nente aWAgaricus  melleus,  ed  essere  riescilo  ad  ottenere  gli  organi  di 
fruttificazione  di  questo  micelio,  non  ebbe  più  dubbio  che  non  si  trat- 
tasse A?i\Y  Armillaria  mellea. 

Anzi  tanto  si  convinse  che  la  causa  determinante  del  Male  del- 
l'inchiostro fosse  l'azione  parassitaria  di  questo  micelio,  che  non  esitò 
di  proporre  che  si  denominasse  tale  malattia  Male  del  fungo,  o  della 
Rizoctonia  bianca^. 

Il  dott.  Selva,  che  per  il  primo  studiò  la  malattia  nel  Biellese, 
vide  qualche  volta  dei  rivestimenti  di  miceli  sulle  radici  dei  castagni 
morti  ^,  onde  il  Gibelli,  fino  dalle  sue  prime  ricerche  si  propose  di 
studiare  se  la  causa  del  male  fosse  qualche  rizomorfa  come  "  era  lecito 
presumere  e  quasi  sperare  „  dopo  gli  studi  di  Roberto  Hartig,  sul 
marciume  radicale. 

In  seguito  per  altro  ad  accurato  esame  delle  radici  di  parecchi 
alberi  morti  o  languenti,  afferma  che  a  questi  miceli  non  si  poteva 
attribuire  la  causa  del  marciume  delle  radici  affette  dal  Male  delVIn- 
chiostro,  perchè  in  molti  casi  (60  per  cento)  non  se  ne  trovava  traccia. 
Tutt'al  più  il  parassitismo  di  tali  miceli,  secondo  lui,  doveva  conside- 
rarsi un  epifenomeno  frequente,  concomitante  alla  malattia,  ma  non  il 
vero  fattore  eziologico  di  essa. 

Per  maggior  sicurezza,  inviò  in  esame  radici  ad  Hartig  per  averne 
il  parere.  La  risposta  assai  laconica  era  contraria  al  suo  modo  di  ve- 
dere, onde  il  Gibelli,  scrupolosissimo,  ritornò  ad  osservare,  e  non  solo 
in    Piemonte,    ma  anche   in  Liguria    e    Toscana,    invocando   altresì  la 


'   Planchon,   La  Maladie  cles  clìàlaignient  iìa»s  les  Céveììyies,  in  «  Bull.  ti.  1.  . 
Soc.  Boi.  d.  France».  Paris,  1882. 

"  Selva  Fk.,  Memoria  per  seri-ire   alio  studio  della   Malaff/a  dei  castagni. 
Biella,  1872. 


—  5  — 

presenza  e  la  testimonianza  di  altri  botanici,  ma  fu  condotto  a  dover 
riconfermare  le  sue  precedenti  conclusioni  '. 

.  Aggiunse  anche  altri  argomenti  non  privi  di  valore  eziologico,  cioè: 
che  mentre  le  rizomorfe  attaccano  indistintamente  arbusti  ed  alberi 
di  qualsiasi  specie  facendoli  morire  tutti  nello  stesso  modo,  perchè,  egli 
si  domanda,  attaccherebbero  nel  caso  nostro  "  solo  i  castagni  e  non  le 
altre  essenze  arboree  colle  quali  sono  commisti?  „  ^. 

J.  De  Sej'nes  ^  trovò  pure  il  micelio  descritto  da  Planchon  nei 
castagni  infetti,  ma  molto  di  rado;  di  più  lo  studio  micrografico  non 
gli  permise  di  assodare  alcun  legame  fra  questo  micelio  e  la  morte 
delle  radici.  Quantunque,  egli  dice,  tale  micelio  si  trovi  applicato  contro 
le  radici,  non  le  penetra  e  sembra  non  avere  maggiore  attività  del 
micelio  conosciuto  sotto  il  nome  di  Hemantia  che  aderisce  sotto  le 
foglie  morte.  Questo  autore  trovò  anche  un  micelio  filamentoso  che 
forma  un  intreccio  superficiale  ed  un  intreccio  profondo,  che  distrug- 
gono i  tessuti  della  radice,  ma  non  potè  constatare  se  questi  filamenti 
si  riuniscano  per  formare  delle  rizomorfe,  quantunque  lo  ritenga  pos- 
sibile. 

Le  osservazioni  del  Gibelli  riguardo  &\YAgaricus  melleus  ed  ai 
miceli  che  si  osservano  qualche  volta  sulle  radici  dei  castagni,  furono 
pubblicate  anteriormente  alla  piiraa  memoria  del  Planchon,  onde  non 
potevano  essere  ispirate  a  spirito  polemico,  quindi  se  il  Planchon  le 
avesse  tenute  nel  debito  conto  e  fosse  stato  più  sereno,  forse  non 
avrebbe  persistito  nel  suo  errore;  tanto  più  che  anch'egli  nelle  radici 
dei  castagni  malati  non  aveva  sempre  osservato  il  micelio  rizomorfico 
à%\V AgaricHs  melleus. 

Molti  agricoltori  e  forestali  della  Fi'ancia,  del  Portogallo,  della 
Spagna  e  della  Svizzera  attribuirono  e  attribuiscono  -AWAgaricus  melleus 
0  al  comune  marciume  delle  radici  la  causa  del  Male  dell'inekiostro. 
Così  il  Goizet,  Chevalier,  D'Arbois  de  Jubainville,  Petit,  A.  Jeanieau; 
ma  essi  non  portano  fatti  od  osservazioni  cliniche  che  infirmino  le 
ragioni  del  Gibelli,  od  appoggino  quelle  del  Planchon. 

Invece  Delacroix,  Mangin,  Prunet,  Criè  e  molti  altri,  affermano 
che  VAgariais  melleus  e  le.  rizomorfe  non  hanno  alcun  rapporto  col 
Male  dell' indiiostro. 


'  Gibelli  G.,  Di  una  nuui-a  Malattia  dei  castagni,  in  «  Staz.  Sper.  Agrarie, 
1876  ;  e  Intorno  ad  una  nuova  Malattia  dei  castagni,  in  «  Eiv.  Scienze  Med.  e 
Naturali».  Modena,  1877,  anno  iv  (in  collaborazione  con  G.  Antonelli). 

''  GiBBLU  G.  e  Antonelli  G.,  Sopra  una  nuova  Malattia  dei  castagni,  in 
«Atti  R.  Ac.  Se,  Lett.  ed  Arti».  Modena,  1877,  T.  xvii. 

^  Db  Seynbs  J.,  Le  parasite  de  la  Maladie  des  chàtaigiiiers,  in  «  Compt. 
rend.  d.  s.  d.  l'Ac.  d.  Se.  d.  Paris  »,  1879. 


—  6  — 

Il  Criè  specialmente,  che  ha  visitato  le  stesse  località  del  Planchon 
e  molte  altre,  nelle  quali  la  malattia  era  stata  attribuita  dagli  agri- 
coltori 0  dai  forestali  a  questo  imenomicete,  riporta  parecchie  centinaia 
di  osservazioni  cliniche  e  contribuisce  a  risolvere  definitivamente  tale 
questione. 

Egli  dopo  aver  visitato  il  Morbihan,  la  Loir,  il  Finistère,  le  Ce- 
venne,  i  Pirenei,  la  Spagna,  il  Portogallo,  il  Vallese,  la  Savoia,  ecc. 
esclude  in  modo  assoluto  che  la  malattia  sia  dovuta  a.\V Agaricus  melleus, 
nonostante  che  qualche  volta  ne  abbia  osservato  anche  le  fruttificazioni 
sopra  i  castagni  malati.  Dal  fatto,  dice  egli,  che  in  alcune  radici  di 
qualche  castagno  malato  o  morente  vivono  le  ife  e  gli  stromi  dell'J- 
garicus  melleus  o  della  Rizoctonia,  non  ne  deriva  che  si  debbano  incri- 
minare questi  funghi. 

Le  nostre  i)ersonali  osservazioni  confermano  pienamente  quelle 
del  Gibelli  e  del  Criè.  Anzi  noi,  contraiiamente  a  quanto  afferma  il 
Barsali,  nei  castagneti  non  abbiamo  trovato  che  molto  di  rado  V Agaricus 
melleus,  mentre  vi  abbiamo  trovato  invece  frequentemente  sulle  ceppe 
dei  castagni  (affetti  o  no  dal  Male  delf inchiostro)  VHijpholoma  fasci- 
culare  ed  altri  imenomiceti. 

Non  è  raro  il  caso  di  vedere  castagni  morti  o  morenti  per  mar- 
ciume ordinario,  specialmente  nei  terreni  impermeabili  ed  umidi  e  ciò 
indipendentemente  dal  Male  dell'inchiostro,  ed  in  località  dove  questa 
malattia  non  era  ancora  comparsa. 

La  sintomatologia  esterna  dei  castagni  morenti  di  marciume  ordi- 
nario non  differisce  da  quella  che  presentano  gli  alberi  affetti  dal 
Male  dell'inchiostro  quando  sono  arrivati  al  secondo  stadio  della  ma- 
lattia. Ma  l'esame  delle  radici  e  la  mancanza  dei  cancri  caratteristici 
nei  rami,  nel  tronco  o  nella  ceppa,  può  distinguere  le  due  malattie,  le 
quali  del  resto  possono  trovarsi  contemporaneamente  sopra  lo  stesso 
albero. 

Conclusione.  —  h' Agaricus  melleus  e  in  generale  gli  imenomiceti, 
le  rizomorfe  ed  i  miceli  talloidi  o  bissoidi  non  sono  la  causa  determi- 
nante del  Male  dell'inchiostro. 


2.  —  Micocecidi  delle  estremità  radìcellari. 

Sappiamo  che  tra  i  micelii  fungini  ed  i  bacteri  fino  ad  ora  trovati 
sopra  le  estremità  radicellari  ve  ne  sono  di  quelli  che  provocano  note- 
voli ipertrofie,  cioè  micocecidi. 


Vedremo  in  altro  capitolo  se  queste  neoformazioni  favoriscono,  o 
no,  la  funzione  assorbente  della  radice;  qui  occupiamoci  di  esse  solo  come 
produzioni  patologiche,  analoghe  ai  micocecidi  prodotti  dalla  Plasmodio- 
phora  Brassicce  nelle  radici  delle  Crucifere,  agli  elmintocecidi  prodotti 
da.\V Heterodern  Schachtii  e  radicicola  in  diverse  piante  ed  ai  zoocecidi 
prodotti  nelle  radicelle  della  vite  dalla  Phylloxera  vastatrix,  ecc. 

Il  Boudier,  che  fu  il  primo  (nel  1876)  ad  osservare  queste  iper- 
trofie nelle  radici  di  varie  Cupolifere,  le  attribuisce  all'azione  di  paras- 
siti radicicoli,  ma  non  dà  loro  molta  importanza  patologica.  Prillieux, 
che  osservò  questi  cecidi  sopra  le  radicelle  di  pini  malati,  nel  1878', 
sembra  dar  loro  maggior  importanza.  P.  E.  Miiller,  che  osservò  pure 
nel  1878  -  queste  formazioni  ipertrofiche  nel  faggio,  vi  attribuì  (sette 
anni  prima  del  Frank)  funzione  simbiotica  mutualistica,  ma  per  altro 
egli   pure  non  accorda  loro  importanza  patologica. 

Planchon  osservò  questi  cecidi  pure  nel  1878,  ma  non  vi  diede 
importanza  ^ 

Nel  1879  furono  tali  produzioni  osservate  dal  De  Seynes,  il  quale 
le  considerò  come  causa  unica  determinante  del  Male  dell' inchiostro  del 
castagno. 

Il  Gibelli,  che  non  conosceva  il  lavoro  di  De  Seynes,  ne  parla  per 
la  prima  volta  in  una  pubblicazione  del  1879,  apparsa  per  altro  dopo 
quella  del  De  Seynes  *,  ma  riferentesi  a  studi  fatti  antecedentemente, 
cioè  nel  1877-78.  Non  vi  dà  importanza  e  ne  parla  unicamente  " /jer 
non  ammettere  nulla  di  quanto  ho  osservato  e  ci  possa  dare  gualche  luce 
sulla  causa  vera  della  malattia  „,  nonostante  le  avesse  osservate  nei  ca- 
stagneti malati. 

Planchon  nella  pubblicazione  del  gennaio  1882,  pure  ammettendo 
che  queste  ipertrofie  possano  attribuirsi  all'azione  parassitaria  di  un 
micelio,  non  crede  per  altro  siano  la  causa  diretta  od  indiretta  della 
morte  dei  castagni,  poiché  le  ha  osservate  altresì  sopra  un  castagno 
perfettamente  sano  e  lontano  da  tutti  i  focolai  della  malattia. 

Gibelli,  che  ormai  si  credeva  concorde  col  De  Seynes  e  che  igno- 
rava che  queste  ipertrofie  fossero  già  state  osservate  dal  Boudier,  dal 


'  Prillieux  T.,  Méinoire  sur  la  iiialailie  ronde  des  i>ìììs  mar/t/iiie  et  silvestre: 
ni.  Solngne,   in  «  Soc.  d'Agric.  ecc.  d'Orleans  »,   1878,  T.  XX. 

^  MiiLLEii  P.  E.,  FJiides  sur  l'humus  des  foréfs,  1878. 

'  Fece  menzione  di  queste  sue  osservazioni  solo  nel  gennaio  del  1882  per 
confutare  De  Seynes  e  cioè  un  anno  prima  dei  Nuovi  studi  sidla  Malattia  del 
rastaffuo  del  Gibelli. 

'  Gibelli  G.,  La  Malattia  del  castagno  ,  osservazioni  ed  esperienze.  Mo- 
dena, 1879. 


—  8  — 

Prillieux,  dal  P.  E.  Miiller,  dall'Hartig,  dal  M.  Reess,  dal  Planchon  sopra 
conifere,  querele,  faggi,  castagni  sani  e  malati,  nella  memoria  presentata 
alia  Accademia  delle  Scienze  di  Bologna  nel  dicembre  1882  ',  abbandona 
il  riserbo  tenuto  nella  pubblicazione  del  1879  e  confessa:  "  Da  questo 
apparato  di  forme  parassitarie  fungine,  massime  vegetative,  foggiate  a 
reticoli  più  o  meno  fitti,  che  strozzano  le  spugnole  e  i  ramuscoii  minuti, 
trovate  recentemente  per  tutte  le  centinaia  di  piante  morte  ed  amma- 
late da  me  esaminate,  io  fui  condotto  molto  naturalmente  a  supporre, 
essere  desse  esclusivamente  la  causa  diretta  della  malattia  „. 

Secondo  noi,  se  era  naturale  supporre  che  queste  ipertrofie  fossero 
un  prodotto  morboso  locale,  capace,  per  la  loro  localizzazione,  di  cagio- 
nare ai  castagni  gravi  disturbi  funzionali  ed  anche  la  morte,  come  fanno 
altri  cecidi  radicicoli,  non  era  per  altro  giustificato  di  ritenerli  come  la 
causa  di  una  malattia  che  presenta  i  caratteri  del  male  dell'inchiostro. 

È  vero  che  la  Moria  del  castagno,  giunta  alla  seconda  fase,  per  il 
modo  di  presentarsi  e  di  allargarsi  dei  focolai  infetti  nei  castagneti,  per 
la  clorosi  e  l'intristimeuto  delle  foglie,  dei  frutti  e  giovani  ramoscelli 
ed  anche  per  il  decorso  del  male,  presenta  indubbie  analogie  con  la 
Fillossera  della  vite,  talché,  in  parecchi  luoglii  fu  indicata  dagli  agri- 
coltori anche  col  nome  di  Fillossera  del  castagno;  ma  altresì  è  vero  che 
le  alterazioni  delle  estremità  radicellari,  qualunque  sia  la  loro  natura, 
non  possono  spiegare  tutto  il  quadro  clinico  del  Male  dell'inchiostro. 

Come  si  spieglierebbe  infatti  il  marciume  delle  grosse  radici  a  co- 
minciare dalla  loro  inserzione  nella  ceppa,  con  andamento  centrifugo, 
cioè  in  senso  inverso  di  quanto  dovrebbe  verificarsi,  se  il  processo  ne- 
crotico s'iniziasse  e  diffondesse  non  dalla  ceppa,  ma  dalle  estremità  ra- 
dicellari? 

Delacroix  ^  sostiene  che  nel  periodo  iniziale  della  malattia,  la  lesione 
ha  sede  soltanto  nelle  radicelle  o  nelle  radici  di  piccolo  diametro.  "  Plus 
tard  (dice  egli)  toitt  le  si/stème  des  racines  est  envahi,  mais  c'est  le  fait 
d'un  saprophytisme  vulgaire,  dont  les  agents  soiit  très  variés.  Daiis  ìes  ra- 
cines dont  le  fonctionnement  a  cesse,  oit  ménte  dans  celles  où  la  vie  est  lan- 
giiissante,  apparaissetit  des  bacteries,  des  myceìinms;  les  tisstis  ne  tardcnt 
pas  à  subir  une  pourriture  kumide,  à  la  suite  de  laquelle  les  racines  se 
desagregent  progressivement  „. 


'  GiBELLi  G.,  Nuoci  studii  sulla  malaflia  del  Castayiio  dei/a  dell'  imhioslro, 
in  «Atti  Acc.  d.  Se.  di  Bologna»,  1882. 

'  Delacroix  G.,  La  maladic  des  chàtaigniers  en  France,  in  «  Bull,  de  la 
Soc.  Myc.  de  France  »,  1897,  T.  xiii. 


Ciò  non  è  punto  conforme  ai  fatti.  Quando  il  male  comincia  a  ma- 
nifestarsi nelle  g-rosse  radici,  le  radicelle  assorbenti  con  le  loro  mico- 
rize  sono  sanissime  e  sana  è  pure  la  rimanente  parte  della  radice,  e 
ciò  dimostrano  altresì  la  reazione  del  tannino  e  dell'amido,  che  sono 
i  primi  a  scomparire  dai  tessuti  malati.  L'invasione  dei  saprofiti  è  un 
epifenomeno  frequente,  ma  non  costante,  che  si  verifica  quando  è  comin- 
ciato lo  sfacelo  generale. 

Infatti  non  è  infrequente  il  caso  di  vedere  lo  sfacelo  già  inoltrato 
nella  parte  grossa  della  radice,  mentre  nella  parte  sottostante  i  tessuti 
radicali  non  hanno  ancora  cominciato  ad  imbrunire,  né  è  ancora  comparsa 
la  vegetazione  niicrofitica  e  saprofltica;  ciò,  che  è  proprio  l'opposto  di 
quanto  dovrebbe  avvenire  se  fosse  vero  quello  che  afferma  il  Delacroix. 

Abbiamo  esaminate  le  radici  di  centinaia  di  castagni  malati  in  tutti 
gli  stadi  in  piante  vecchie  e  giovani,  ed  anche  in  castagnoli  di  pochi 
mesi,  ed  abbiamo  avuta  sempre  la  conferma  di  tale  fatto. 

Delacroix  dice  anche:  "  On  peni  remargiter  dans  guelques  cirronstances 
sur  les  radicelles  très  jeunes,  au  moment,  peut-élre,  oà  Venvahissement  du 
mycelium  commence,  la  formation  d'un  liège  cicatriciel  extérieur,  qui  pamU 
étre  un  fissii  de  protection  et  doni  la  conche  generatrice  est  tout  àfait  externe  „. 
Questo  fatto  anatomico,  che  potrebbe  avere  un  grande  valore  diagnostico 
ed  eziologico  e  venire  in  appoggio  della  tesi  del  Delacroix,  non  è  asso- 
lutamente vero,  né  per  le  radicelle  malate,  né  per  le  sane;  da  nessuno 
è  stato  osservato  e  non  si  comprende  come  il  Delacroix  sia  caduto  in 
tale  equivoco;  basta  confrontare  le  belle  figure  del  Gibelli  con  quelle 
del  Delacroix. 

Che  le  ipertrofie  radicellari  non  siano  per  sé  stesse  la  causa  della 
malattia,  ormai  è  fuori  dubbio. 

Gibelli,  nella  pubblicazione  sopra  citata,  dopo  aver  detto,  in  prin- 
cipio, che  fu  indotto  molto  naturalmente  a  supporle  la  causa  diretta  ed 
esclusiva  della  malattia,  sulla  fine  della  Memoria,  avendo  constatato  che 
si  trovano  sopra  radicelle  di  castagui  tanto  sani  che  malati,  ed  altresì 
in  altre  cupolifere,  fu  costretto  ad  escluderlo,  pure  ritenendo  ancora  che 
esse,  in  determinate  circostanze,  potessero  diventare  causa  del  male;  opi- 
nione questa  di  poi  condivisa  da  altri  e  che  noi  confuteremo  nei  pros- 
simi capitoli. 

Conclusione.  —  Le  ipertrofie  radicellari  non  sono  né  possono  essere 
per  sé  stesse  causa  del  Male  dell'inchiostro. 


10 


3.  —  Micelii  delle  estremità  radicolari. 

Quando  si  sradicano  colla  dovuta  precauzione  le  piante  morte  in 
modo  che  le  estremità  radicali  colle  loro  spugnole  rimangano  intatte, 
noi  vediamo,  dice  il  Gibelli,  clie  la  forma  loro  è  alterata:  queste  alte- 
razioni si  possono  distinguere,  secondo  lui,  in  coralloidi,  'piriformi,  digi- 
tiformi,  ecc.,  e  si  spiegano  per  opera  di  strozzature  prodotte  da  fila- 
menti miceliali. 

Il  Gibelli  non  le  attribuisce,  come  avrebbe  dovuto,  a  ipertrofie  pro- 
vocate dall'azione  irritativa  dello  stesso  micelio  fungine,  come  aveva 
dimostrato,  prima  di  lui,  il  Boudier.  Fa  notare  che  queste  deformazioni 
radicali,  che  egli  interpreta  come  produzioni  patologiche,  corrispondono 
alle  radicele  oUviformi  del  De  Seynes,  e  dice  che  sono  sempre  invase 
da  un  micelio  parassitario  biancastro,  bruniccio  o  piti  o  meno  nero. 

"  Questo  micelio  parassitico  assume  diversi  aspetti:  talora  è  bianco, 
quasi  candido  e  nelle  radicale  coralloidi  si  scorge  sotto  forma  di  fili  più 
0  meno  ramificati,  intrecciati  irregolarmente,  più  o  meno  attorcigliati  in 
cordicine,  che  passano  da  ramuscolo  a  ramuscolo,  da  grumo  a  grumo,  li 
ravvolgono  insieme  in  una  rete  intreccialissima,  in  veli,  in  falde,  in  fiocchi: 
poi  si  contorcono  di  nuovo  in  cordicine  più  o  meno  grosse,  che  si  scostano 
e  si  arrampicano  lungo  i  ramoscelli  più  grossi  e  li  collegano  fra  loro  „. 

Fa  notare  peraltro  "  che  molte  volte  i  micelii  a  barba  bianca,  ab- 
bondanti, diffusi,  che  olezzano  di  fungo  anche  a  distanza,  non  paiono  avere 
tutta  quella  esizialità  che  si  attenderebbe  „. 

Indi  soggiunge  "  che  è  difficile  decidere  se  esso  abbia  un  nesso  ge- 
netico colle  altre  forme,  che  sono  intimamente  adese  coi  tessuti  delle  spu- 
gnole e  delle  minime  ramificazioni  radicali.  Questo  micelio  bianco  si  trova 
ordinariamente  sui  grumi  radicali  delle  piante  ancor  vive  „. 

"  Le  altre  forme  di  micelio,  aggiunge  di  poi,  che  credo  essenzialmente 
inerenti  alla  malattia,  incappucciano  le  estremità  radicolari  sia  coralloidi, 
sia  piriformi  come  un  guanto  bene  attilato  sul  dito  formandovi  uno  stra- 
terello  di  uno  spessore,  proporzionalmente  al  diametro  della  radicala,  ab- 
bastanza notevole,,. 

"  Dalla  superficie  interna  del  guanto  miceliale  partono  dei  fili  minu- 
tissimi, che  compenelrano  nelle  cellule  della  spessore  della  spugnola  „. 

E  l)iìi  oltre:  "Sulle  radici  morte  da  parecchio  tempo  si  può  rilevare 
che  il  panno  miceliale,  tanta  feltrato  che  pseudoparenchimatoso,  s'avanza 
più  0  meno  in  su  delle  spugnole  abbracciando  ramuscali  di  due  o  tre  mil- 
limetri di  diametro,  d'onde   si  possano  staccare  falde  abbastanza  larghe  „ . 


-  11  — 

Avverte  di  poi  die  "  sulle  radici  più  grosse  di  tre  o  quattro  milli- 
metri di  diametro,  il  micelio  penetra  nei  tessuti  della  corteccia  al  disotto 
dei  primi  straterelli  snberosi,  o  anche  tramezzo  ad  essi  „. 

E  più  oltre:  "  Quando  poi  la  proliferazione  di  questo  micelio  oltre- 
passan.ìo  gli  strati  del  libro,  invade  la  zona  cambiale,  si  fa  dissecatore 
e  distacca  la  corteccia  secondaria  tutta  insieme  col  libro  dal  legno,  trasfor- 
mandola in  mi  astuccio  tubuloso  intorno  al  corpo  legnoso,  interponendovisi 
a  guisa  di  feltro  irregolare,  come  fanno  di  solito  le  rizomorfe  subcorticali  „. 

Sembra  auclie  che  il  Gibelli  voglia  conciliare  in  parte  le  sue 
osservazioni  col  modo  di  vedere  di  Planchon;  ed  altresì  trovare  un 
legame  fra  i  risultati  delle  sue  nuove  ricerche,  le  sue  precedenti  affer- 
mazioni e  quelle  di  De  Seynes.  Infatti  scrive:  "  Qualche  volta  molli 
articoli  del  micelio  penetrano  negli  strati  suberosi,  si  fanno  brevissimi, 
sub-rotondi,  ingrossano  un  pochino  più  dei  precedenti  e  dei  susseguenti,  si 
fanno  più  cupi  di  colore  e  perdono  ogni  trasparenza;  si  adunano  in  file 
di  tre,  quattro,  sei,  per  poi  riacquistare  la  forma  e  il  colore  dei  soliti 
articoli,  ai  quali  si  interpongono,  insomma  acquistano  il  carattere  di  conidii, 
e  più  precisamente  dei  conidii  di  una  Torula,  che  certamente  è  quella 
stessa  indicata  dal  De  Se!/nes  coli' appellativo  di  Torula  exitiosa,  come  egli 
stesso  me  ne  ha  assicurato  „. 

"  Più  spesso  invece  il  micelio,  sempre  nello  spessore  degli  strati  suberosi, 
s'agglomera  in  reticoli  fitti,  formando  delle  macchie  a  contorni  irregolaris- 
simi,  intramezzale  da  aree  piìi  chiare  come  fiiiestrine  interposte.  Le  intri- 
catissime ramificazioni  di  queste  macchie  progredendo,  si  addensano  in 
pulvicoli  amorfi,  talora  come  i  prodromi  o  gli  incunabuli  delia  forma  di 
fruttificazione  più  elevata,  i  picnidii,  da  me  trovata  nel  1878  e  già  indicati 
sotto  il  nome  di  Sphaeropsis  o  Diplodia  '  „. 

"  Da  questo  apparato  di  forme  parassitarie  fungine,  massime  vegetative, 
foggiale  a  reticoli  più  o  meno  fitti,  che  strozzano  le  spugnole  e  i  ramuscoli 
minuti,  trovate  recentemente  su  tutte  le  centinaia  di  piante  morte  od  am- 
malate da  me  esaminate,  io  fui  condotto  molto  a  supporre,  essere  desse 
esclusivamente  la  causa  diretta  della  malattia  „. 

Più  avanti  peraltro  fa  altre  osservazioni  e  constatazioni  che  sono 
pure  preziose  per  l'eziologia  della  malattia. 

"  In  tutto  questo  insieme  di  reticoli,  di  cuffie,  di  panni,  di  periteci 
picnidici  ed  ascofori,  di  coronane  di  Torula  c'è  quanto  basta  e  ad  esu- 
beranza da  soddisfare  le  esigenze  dei  più  guardinghi  parassitologi  fitopa- 
tologi.   E  anch'io  avrei  potuto  acquetarmivi;  tanto  più  che  mi  sentivo  con- 


'  Diplodia  custaneae  Sacc.  var.  radicicola  Sacc.  in  «  Michelia  »,  viii,  pag.  537. 


—  12  — 

fortato  dall'opinione  dell'eminente  micologo,  il  De  Seynes,  che  nei  suoi  scritti 
pubblicati  e  nella  corrispondenza  privata  con  me  non  esitava  minima- 
mente ad  attribuire  la  Moria  dei  castagni  al  complesso  di  questi  parassiti 
fungini  „. 

Ma  quale  non  fu  la  meraviglia  del  Gibelli  quando  trovò  che  le 
pianticelle  provenienti  da  semi  sanissimi  coltivate  in  vaso  nell'Orto 
Botanico  di  Modena,  presentavano  le  stesse  ra dicelle  coralloidi  e  piri- 
formi invase  dagli  stessi  micelii? 

Si  procurò  radici  di  castagno  di  località  sanissime  e  vi  trovò  le 
identiche  cose.  Allora  si  diede  ad  esaminare  radici  provenienti  dalle 
regioni  castanicole  di  tutta  Italia,  dal  Napoletano  all'estremo  Piemonte, 
e  sempre  ebbe  lo  stesso  identico  risultato. 

Nuove  ricerche  sopra  castagni  coltivati  in  miscela  di  quarzo  e 
terra,  in  miscela  di  quarzo  e  caolino  ed  in  quarzo  puro  gli  diedero 
risultati  non  diversi. 

Allora  estese  le  sue  ricerche  ad  altre  specie  della  famiglia  delle 
cupolifere  ed  in  tutte  rinvenne  gli  stessi  fatti.  E  se  queste  osserva- 
zioni egli  avesse  allargate  alle  specie  di  altre  famiglie  non  avrebbe 
in  parecchie  rinvenuto  cose  diverse,  giacciiè  questo  che  egli  trovava 
non  era  un  prodotto  patologico,  ma  un  fenomeno  simbiotico  naturale 
come  dimostrò  più  tardi  il  Frank  che  questi  prodotti  denominò  micorize, 
dandole  per  frutto  di  osservazioni  sue  originali,  mentre  la  scoperta 
loro  spettava  al  Gibelli,  che  mai  non  cita,  od  al  Boudier. 

Di  fronte  a  questi  nuovi  fatti,  Gibelli  fa  le  seguenti  considerazioni: 
"  La  malattia  non  è  evidentemente  eausata,  malgrado  le  prime  apparenze, 
da  depauperazione  di  materiali  nutritizi  del  terreno,  uè  da  mutate  con- 
dizioni climateriche.  Essa  dunque  non  può  essere  d'altra  natura  fuorché 
parassitaria  „.  E  siccome  secondo  lui  "  nessun  altro  parassita  può  acca- 
gionarsene, fuorché  il  micelio  che  attornia  le  spugnole,  ne  impedisce  l'ac- 
crescimento, le  trasforma  in  grumi  coralloidi,  piriformi,  ecc.  „  per  spie- 
gare 0  meglio  forzare  i  fatti,  secondo  il  suo  modo  di  vedere,  ricorre  ad 
una  ingegnosa  ipotesi. 

Tutto  questo,  dice,  «  mostra  ad  evidenza,  che  il  parassitismo  fun- 
gine non  è  per  nulla  accidentale,  né  dipendente  da  condizione  di  clima 
0  di  terreni  speciali,  ma  collegato  a  certe  condizioni  biologiche  „.  E 
,più  oltre  aggiunge:  "È  un  fatto  che  il  parassita  ha  un  indigenato  per 
così  dire  necessaria  sulle  radici  di  molte  cupulifere  „  ed  emette  il  dubbio 
"  che  certe  forme  parassitarie  potessero  avere  un  indigenato  tollerato  e 
tollerabile  sulle  radici  del  castagno  sano,  senza  suo  sensibile  detri- 
mento „. 

Ed  escogitò  allora  l'ipotesi,  che  più  o  meno  modificata  è  stata  poscia 


—  13  -- 

abbracciata  anche  da  altri  ',  che  i  miceli  micorizici  diventino  parassiti 
coll'indebolirsi  della  pianta  o  coll'esaurirsi  del  terreno. 

Boudier  fu  il  primo  ad  osservare  -  le  formazioni  ipertrofiche  delle 
radicene,  quelle  alle  quali  il  Gibelli  diede  poscia  il  nome  di  radici  co- 
ralloidi e  pirifùì-mi  e  il  De  Se}'nes  di  radici  oliviformi. 

Queste  ipertrofie  il  Boudier  le  trovò  sopra  le  betule,  le  querele  ed 
i  castagni  e  dimostrò  che  erano  dovute  all'azione  dei  micelii  di  diverse 
specie  di  tuberacee,  cioè  al  probabile  parassitismo  di  qualche  specie  di 
Elaphomi/ces:  E.  variegatus,  E.  as^penihts,  E.  echinntus,  E.  Leveillei,  E.  cija- 
nosporus  e  E.  granulatns. 

Secondo  il  Boudier,  le  ipertrofie  radicellari  sono  dovute  ad  un'a- 
zione  speciale  di  questi  miceli  sopra  le  radici. 

"  Se  si  esaminano,  infatti,  queste  radici  (dice  egli)  con  attenzione, 
si  vede  che  esse  sono  turgescenti,  irregolari  e  ramificate  in  modo  anor- 
male „ "  sono  numerose,  pressate  e  intricate  le  une  nelle  altre  „. 

Boudier  osserva  ancora,  che  se  si  mette  sotto  al  microscopio  una 
sezione  sottile  di  radicella  si  vede  che  la  superficie  esterna  è  ricoperta 
di  filamenti  miceliali  delicatissimi  settati  e  di  un  colore  giallastro. 

"  D'un  aiitre  coté  si  Von  examine  le  terreaii  qui  environne  le  reseau 
en  question,  oh  le  trotive  peti  riche  en  ces  filaments  „.  Secondo  il  Boudier 
il  micelio  degli  Elaphomyces  che  si  trova  sopra  queste  radicelle  è  pro- 
babilmente parassita,  poiché  le  modifica,  e  le  sforza  a  svilupparsi  in 
modo  anormale. 

Fa  notare  per  altro  con  acuta  osservazione  che,  quantunque  questo 
micelio  invada  la  superficie  delle  radicelle,  esso  non  le  penetra,  poiché 
il  primo  strato  di  cellule  solamente  sembra  attaccato,  ma  la  radice  nel- 
l'interno rimane  sana:  "  aussi  ne  détrnit-il  pas  la  vHaìité  de  la  racine,  au 
contraire  il  l'active  en  délerminant  taffliience  des  sucs  nourriciers  „.  Così  il 
Boudier  intravede  il  mutualismo  simbiotico. 

Parla  anche  delle  radicelle  fascicolate,  che  trentaquattro  anni  più 
tardi  furono  nuovamente  descritte  e  figurate  dal  Ducomet  come  cosa 
nuova. 

Il  Boudier  nota  ancora  che  alla  formazione  delle  cuffie  radicellari 
concorrono  diverse  specie  di  micelii  e  che  non  tutti  hanno  lo  stesso 
comportamento. 

Il  micelio  (]e\V  Elaphomyces  Leveillei  non  esercita,  dice  egli,  alcuna 
azione  modificatrice  sulle  radici  con  le  quali  viene  a  contatto;  le  cir- 


'  Delachoi.x,  Mangin,  Ca.mara  Pbstana,  Ducomet,  Salvi,  Barsali. 
^  Boudier  M.,    Du  parasitisma  probable  de  qiieìques  esp(''ces   dti  geiire  Ela- 
phomyces,  in  «  Bull.  d.  1.  Soc.  Bot.  d.  Fraiice  »,   187(5,  T.  xxili. 


—  14  — 

conda  senza  deformarle  e  senza  provocare  in  esse  le  caratteristiche  iper- 
trofie. 

Notò  anche  assai  spesso  in  radicelle  avviluppate  dal  micelio  ieWE- 
laphomijces,  altri  filamenti  miceliali  più  scuri,  più  ligidi  e  di  un  aspetto 
più  fragile,-  che  egli  ritiene  si  debbano  riferire  al  Genococcum  geophilum, 
comune  nelle  località  da  lui  visitate.  Questi  filamenti,  secondo  Boudier, 
sono  ben  distinti  da  quelli  dell' E.  Leveillei,  poiché  questi  ultimi  sono  meno 
rigidi,  più  pallidi  e  d'ordinario  coperti  di  granulazioni  verdastre. 

Non  si  deve  per  altro  concludere,  secondo  Boudier,  che  questo  fungo, 
cioè  V Elaphomyces  Leveillei,  non  sia  egualmente  parassita,  perchè  il  mi- 
celio suo  può  perfettamente  svilupparsi  sopra  le  radicelle  e  distruggerle, 
poscia  vegetare  da  solo. 

De  Seynes,  come  ricorda  anche  Gibelli,  aveva  parimenti  notato  le 
radici  bitorzolute  e  varicose,  ad  estremità  oliviformi,  ed  il  micelio  fitto, 
reticolato,  che  risale  verso  i  tessuti  sani  e  penetra  nel  tessuto  corticale; 
distinguendo,  come  vedremo,  due  sorta  di  micelii  con  diversa  azione  pa- 
rassitaria e  patogena. 

Malgrado  però  gli  sforzi  fatti  dal  Gibelli  per  combinare  le  proprie 
idee  con  quelle  di  Planchon,  quest'ultimo  respinge  tale  modo  di  vedere; 
infatti  Planchon  dice:  "Le  ramificazioni  coralloidi  delle  fibrille  del  ca- 
pillizio sono  frequentissime  nei  castagni.  Fino  dal  1878,  il  mio  collega 
Armando  Sabatier,  professore  alla  Facoltà  di  Scienze  di  Montpellier,  me 
le  aveva  fatte  notare  presso  Lassalle,  nello  stesso  luogo  dove  ho  osser- 
vato sopra  le  grosse  e  mezzane  radici  degli  alberi  malati,  i  micelii  rizo- 
morfici  che  io  pensai  e  penso  ancora  essere  la  causa  più  chiara  della 
malattia.  Che  queste  ipertrofie  siano  dovute  all'azione  parassitaria  d'un 
micelio  filamentoso,  è  cosa  possibile;  ma  che  siano  queste  gli  agenti 
diretti  della  morte  degli  alberi,  io  posso  tanto  meno  crederlo  che  ho 
visto  questi  stessi  rigonfiamenti  coralloidi  (circondati  alle  volte  d'un  in- 
treccio di  fili  miceliali  raniiiìcati)  in  un  castagno  perfettamente  sano, 
coltivato  lontano  da  tutti  i  focolai  della  malattia  „. 

R.  Hartig  non  è  per  altro  dello  stesso  parere;  e  ritiene  che  le  mi- 
corize  possono  produrre  la  moite  dei  tessuti  quando  i  filamenti  miceliali 
invadono  gli  strati  più  interni  della  corteccia. 

I  rapporti  che  passano  fra  certi  micelii  fungini  e  le  radici  di  alcune 
piante  sono  della  massima  importanza  biologica,  onde  .sono  stati  studiati 
da  una  eletta  schiera  di  studiosi,  i  quali  per  altro  non  si  trovano  in 
tutto  completamente  d'accordo. 

Per  rispetto  alla  malattia  del  castagno,  dopo  le  ricerche  del  Gibelli, 
Planchon,  De  Seynes,  Hartig,  Frank,  Ducomet  ed  altri,  la  questione,  se- 
condo noi,  deve  essere  posta  nei  seguenti  termini: 


^   15  — 

'  a)  Fra  i  micelii  delle  cufiBe  o  micorize  ve  ne  possono  essere  di 
quelli  che  si  comportano  come  veri  parassiti?  e  in  tal  caso  possono  essi 
produrre  la  morte  dei  castagni  con  tutta  la  fenomenologia  che  presenta 
il  quadro  clinico  del  Male  dell'inchiostro? 

b)  Le  ipertrofie  micoriziche  possono  per  sé  stesse  nuocere  alia 
vita  delle  piante  e  nel  caso  concreto  produrre  la  Moria  dei  castagni'^ 

e)  I  micelii  delle  micorize  possono  avere,  come  dubitava  Gibelli, 
un  "  indigenato  tollerato  e  tollerabile  xnlle  radici  del  castagno  „  per  un  certo 
tempo  e  fintanto  che  altre  circostanze  non  intervengano  a  determinare 
"  una  nnona  forma  di  concorrenza  citale  tra  la  pianta  del  castagno  ed  il 
suo  tenebroso  ospite?  „ 

d)  Il  mutualismo  simbiotico  fra  i  micelii  e  le  radici  del  castagno 
si  è  reso  per  adattamento,  ereditario  e  indispensabile  alla  vita  di  que- 
st'albero? e  ciò  fino  al  punto  da  cagionare  il  deperimento  e  la  morte 
dell'albero  quando  il  micelio  simbionte  manca  o  viene  distrutto  per  una 
qualunque  causa? 

Esamineremo  e  risponderemo  qui  solo  alla  prima  questione;  essendo 
le  altre  legate  intimamente  alla  natura  e  alla  biologia  delle  micorize  che 
studieremo  a  parte  nel  prossimo  capitolo, 

Gibelli  non  dice  se  nelle  cufiìe  miceliali  entrino  specie  diverse  di 
funghi.  Egli  li  attribuisce  tutti  alla  Tortila  exiiiosa,  forma  conidica  della 
sua  Diplodia. 

Nota  solo  differenze  di  colore,  attribuendo  al  micelio  bianco  un  com- 
portamento parassitario  più  debole  che  all'altro  (scuro),  perchè  quello 
cresce  anche  sopra  radici  sane.  Sembra  per  altro  che  voglia  attribuire 
le  differenze  a  diverso  stato  di  sviluppo  o  di  età. 

De  Seynes  invece  distingue  due  specie  di  micelii,  l'uno  bruno  nero 
a  pareti  grosse  e  ad  articoli  lunghi,  l'altro  più  pallido  con  articoli  più 
brevi. 

La  descrizione  che  i  due  autori  danno  della  forma  ed  il  colore  che 
indicano  non  è  sufficiente  per  identificare  i  micelii  di  De  Seynes  e  quelli 
di  Gibelli,  malgrado  che  ambedue  siano  concordi  nell'attribuirli  ad  una 
stessa  entità  fungina:  la  Tonda  exitiosa. 

Bisogna  notare  che  secondo  De  Seynes  il  micelio  pallido  penetra 
di  preferenza  nei  tessuti,  distruggendo  gli  strati  ricchi  di  protoplasma, 
lascia  intatte  le  fibre  del  libro  e  del  legno;  mentre  l'altro  si  mantiene 
superficiale. 

Ciò  che  è  perfettamente  il  contrario  di  quanto  avrebbe  osservato 
Gibelli. 

Secondo  Ducomet  la  malattia  avrebbe  origine  sotterranea;  infatti, 
egli  dice,  se  si  osserva  il  male  al  suo  inizio  "  on  voit  qtt'il  a  san  siège 


—  16  — 

dans  les  jeunes  racines,  dans  les  régions  correspondantes  ou  leiir  voisinage 
plus  ou  moins  immédiat  „  *. 

Parecchie  specie  dì  micelii,  secondo  lui,  possono  produrre  le  mico- 
rize,  ma  non  tutti  esercitano  la  stessa  azione  sulle  radici  e  non  tutti 
le  penetrano  ad  eguale  profondità  (ciò  che  avevano  già  notato  anche  Bou- 
dier,  Gibelli  ed  altri),  onde  la  forma  delle  micorize  varierebbe  secondo 
il  micelio  che  le  ha  provocate,  e  così  pure  varieiebbero  i  rapporti  fra  i 
due  simbionti.  Ciò  può  verificarsi,  secondo  Ducoraet,  non  solo  in  ambienti 
diversi,  ma  anche  nello  stesso  ambiente. 

Ducomet  distingue  nel  castagno  diversi  tipi  di  micorize  per  il  co- 
lore e  per  la  forma. 

Le  micorize  gialle  le  ha  trovate  solamente  nei  castagneti  malati;  ma 
questo,  secondo  noi,  non  prova  punto  che  esse  siano  la  causa  della  ma- 
lattia, tanto  più  che  egli  le  ha  osservate  anche  sopra  le  Sughere. 

Le  micorize  brune  ritiene  che  si  debbano  ad  un  micelio  parassita 
piuttosto  che  micorizico,  giacché  non  forma  micorize  che  accidentalmente. 
Non  le  ha  trovate  che  in  rami  radicellari  od  in  porzioni  loro  che  spesso 
si  trovano  ridotte  a  semplici  mammelloni  appena  sporgenti  sopra  le  ra- 
dicene assorbenti.  Il  manicotto  miceliale,  dice  Ducomet,  iia  uno  spessore 
variabile,  è  irregolarmente  formato  e  ricopre  delle  cellule  appena  defor- 
mate quantunque  a  contenuto  bruno.  Egli  dice  di  aver  trovato  questo 
tipo  distribuito  in  modo  irregolare  ed  esclusivamente  alla  periferia  delle 
aree  malate.  Questo  ci  sembra  troppo  poco  per  accagionarlo  della  Moria 
dei  casiagnil 

Altro  caso  di  parassitismo  trova  nelle  micorize  che  egli  chiama  aiirw- 
n  untisi. 

I  criteri  del  resto  sui  quali  il  Ducomet  si  basa  per  giudicare  il 
parassitismo  delle  micorize  sono  esclusivamente  anatomici.  Noi  ritorne- 
remo sopra  questo  argomento  in  altro  capitolo;  ora  seguiamo  le  argo- 
mentazioni del  Ducomet  solo  in  quanto  gli  servono  a  dimostrare  il  pa- 
rassitismo dei  .singoli  micelii. 

Le  micorize  del  castagno  sono  del  tipo  exotrofico.  È  vero,  dice  egli, 
che  la  maggior  parte  del  micelio  si  sviluppa  esternamente,  ma  esso  s'in- 
cunea anche  parzialmente  nei  tessuti  corticali  periferici. 

Nelle  radici  sane  il  micelio  è  sempre  intercellulare,  produce  il  cli- 
vaggio delle  membrane  senza  penetrarle.  Quando  si  verifica  la  penetra- 
zione entro  le  cellule  ed  ha  luogo  la  vita  endotrofica,  ci  sembra,  dice 
Ducomet,  che  essa  si  debba  considerare  di  natura  parassitaria. 

'  Ducomet  V.,  Coiifr/biifimi  ù  /'t-lmlo  lìc  l<i  maìdille  lìii  chàtaignier.  Ren- 
nes,  1930. 


—   17  — 

Nelle  luicoiize  del  castagno  si  distingue  nna  penetrazione  endogena 
ed  una  penetrazione  esogena. 

La  penetrazione  esogena  si  osserva  sopra  micorize  apparentemente 
normali.  In  esse  si  possono  vedere  dei  filamenti  profondamente  immersi 
nei  tessuti,  filamenti  che  sembrano  in  relazione  col  manicotto  micorizico. 
Il  micelio  parassita  appartiene  al  tipo  abòrunantesi,  ma  non  è,  dice  egli, 
di  calibro  costante,  e  sembra  appartenere  a  due  specie  distinte. 

"  Dans  certains  cas  il  nous  apparaU  camme  rertain  que  le  mycelium 
devenu  parasite  appartieni  au  tijpe  à  poils  ramifiés  „  '. 

La  regione  invasa  dal  parassita  si  distingue  presto  per  la  tinta 
bruna,  più  o  meno  sfumata  che  assume. 

I  peli  micelialì,  secondo  Ducomet,  che  presenterebbero  due  forme, 
l'una  di  setole  rigide,  acuminate,  l'altra  di  peli  ramificati,  si  sviluppe- 
rebbero più  abbondantemente  in  questa  regione,  anzi  di  frequente  non 
se  ne  ti  overebbe  che  in  essa  ed  il  resto  della  micoriza  ne  sembra  sfornito. 

Questo  micelio  tricomatoso  è,  dice  egli,  bruno  con  filamenti  tenui, 
ma  nodosi  e  di  diametro  molto  irregolare.  A  questo  micelio  bruno  tri- 
comatoso  apparterrebbero  dei  picnidi  di  200  jtt  di  diametro  con  spore  cu- 
biche, brune,  del  diametro  da  8  a  10  ,«,  a  membrana  ispessita,  provviste 
di  un  poro  a  ciascun  angolo  -. 

La  penetrazione  di  questo  micelio  sembra  limitata  al  parenchima 
corticale,  all'esterno  dell'endoderma;  ma,  dice  Ducomet,  se  ne  trova 
anche  nel  cilindro  centrale,  di  preferenza  nel  legno,  tanto  nei  vasi, 
che  nelle  fibre  e  nel  parenchima. 


'  Notiamo  ohe  questi  ptli  miceliali  ramificati  rassomigliano,  come  sono  stati 
descritti  e  figurati,  sempre  staccati,  dal  Ducomet,  a  quelli  di  alcune  piante  supe- 
riori, specie  castagno  e  querele.  Noi  non  li  abbiamo  mai  visti,  né  mai  furono  os- 
servati da  alcuno  degli  autori  che  hanno  studiato  la  malattia  del  castagno  e  si 
che  J)er  la  loro  forma  singolarissima  (un  micelio  tricomatoso  !)  non  potevano  sfug- 
gire alla  osservazione,  tanto  più  se  erano  frequenti  in  modo  da  essere  causa  della 
malattia. 

'  Notiamo  che  le  spore  di  questo  micete,  per  la  forma,  il  colore  e  le  dimen- 
sioni, corrispondono  perfettamente  a  quelle  del  Chaetoceratostoma  ìiispidum  Tur- 
coni  e  Mafiei  (Atti  Ist.  Bot.,  xv),  che  è  una  Ceratosi  orna  tacea  a  peritecio  irto  di 
.setole  rigide,  rette,  acuminate,  trovata  saprofita  ed  assolutamente  superficiale 
sulle  foglie  morte  di  castagno  in  Liguria. 

Se  nell'esaminare  micorize  si  trovano  delle  setole  rigide  e  delle  spoi-e  cubiche, 
come  quelle  figurate  e  descritte  dal  Ducomet,  si  dovrà  essere  cauti  nel  riferirle 
a  micorize  spinose,  perchè  tali  setole  rigide  e  tali  spore  cubiche  potrebbero  appar- 
tenere a  periteci  del  Chaetoceratostoma  hispidum  mescolati  al  terriccio  e  prove- 
nienti da  detriti  di  foglie  di  castagno  (confronta  le  figure  21,  22  e  35  B  della 
pubblicazione  del  Ducomet). 

Alti  delllsl.  Hot.  ielVUniiersilà  di  Paria  ~  Serie  II  -  Voi.  XVIII.  2 


—  IS- 
TI micelio  profondo  è  i)iù  grosso,  ma  il  suo  parassitismo  sembra  più 
debole,  e  non  pare  possa  arrivare  all'endoderma. 

Nella  maggior  parte  dei  casi,  dice  il  Ducomet,  non  vi  ha  penetra- 
zione miceliale  al  di  là  della  regione  stromatizzata  e  malgiado  ciò  i 
rami  micorizici  muoiono  presto  ! 

Il  Ducomet  non  si  occupa  soltanto  del  parassitismo  dei  micelii 
che  prendono  parte  alla  formazione  delle  micorize,  ma  anche  di  quello 
dei  micelii  e  d'altri  microrganismi  che  vivono  sulle  estremità  radicellari, 
raggruppandoli  come  segue: 

a)  parassiti  delle  estremità  assorbenti; 

b)  parassiti  delle  radici  porta-micorize; 
e)  parassiti  delle  radici  adulte; 

d)  organismi  avventizi  diversi. 

Seguiamo  l'Autore. 

a)  Parassiti  delle  estremità  assorbenti. 

Nelle  radicelle  normali  assorbenti,  dice  il  Ducomet,  si  vede  il 
parenchima  corticale  invaso  da  un  micelio  di  grosso  calibro  Inter-  ed 
intra-cellulare.  Sotto  l'influenza  di  questo  micelio  le  cellule  corticali 
perdono  rapidamente  la  loro  turgescenza  e  niuoioiio  senza  reazione 
apparente.  Ha  osservato  peraltro  tale  micelio  "  tnolto  raramente  „  ;  non 
può  affermare  se  si  tratta  dell'inizio  della  formazione  della  micoriza  o 
di  un' infezione  parassitaria  iniziale. 

Può  darsi,  dice  egli,  che  sia  un  micelio  normalmente  micorizico, 
il  quale  non  diverrebbe  realmente  parassita  che  in  certe  condizioni. 
Ma  confessa  che  questa  questione  resta  nel  dominio  delle  ipotesi. 

è)  Parassiti  delle  radici  porta-micorize. 

Le  porta-micorize,  allo  stato  giovane,  secondo  Ducomet,  possono 
essere  attaccate  dal  micelio  di  quattro  diversi  parassiti. 

Il  primo  è  un  grosso  micelio  molto  simile  a  quello  più  sopra  de- 
scritto, ma  che  penetra  anche  nel  cilindro  centrale.  Esso  si  vede  pure 
negli  elementi  del  legno,  vasi  e  fibre,  ma  è  più  frequente  nella  cor- 
teccia. 

La  struttura  degli  elementi  cellulari  e  la  costituzione  stessa  del 
sughero  che  produce  la  morte  della  corteccia  primaria  sembrano  essere 
la  causa  di  questa  localizzazione. 

Il  secondo  micelio  è  più  gracile  ed  irregolare,  ha  filamenti  più  o 
meno    varicosi;    si    riscontra    spesso    nella  stessa  regione  delle  porta- 


—   19  — 

niicorize,  solo  od  associato  al  precedente.  Vive  nell'interno  degli  ele- 
menti legnosi,  ed  anche  nella  corteccia,  ove  si  trova  tanto  entro  le 
cellule  quanto  nei  meati  intercellulari.  Sembra  al  Ducomet  che  questo 
si  debba  riferire  ad  uno  dei  due  micelii  gracili  delle  micorize.  Co- 
munque, sarebbe  meno  dannoso  del  micelio  a  grosso  calibro.  Resta 
spesso,  dice  Ducomet,  localizzato  nella  corteccia,  per  cui  venendo 
questa  sfogliata  per  l'azione  dello  sfrato  snherosofellodermico,  risulta 
poco  dannoso. 

Il  terzo  micelio  è  estremamente  tenue,  sembra  noduloso  per  ab- 
bondanza di  materie  di  riserva,  e  potrebbe  essere,  dice  Ducomet,  in 
certi  casi,  un  prolungamento  assorbente  di  uno  dei  tipi  precedenti  ai 
quali  è  sovente  associato;  specie  al  micelio  di  grosso  calibro. 

Esso  è  quasi  esclusivamente  intracellulare  ed  ha  anche  diversa 
composizione  chimica  perchè  il  grosso  micelio  si  colora  col  bleu  cotone 
ed  il  tenue  no. 

Questo  terzo  micelio  si  allontana  poco  dalla  corteccia,  benché  non 
sia  raro  trovarlo,  dice  Ducomet,  negli  elementi  del  cilindro  centiale. 
Verrebbe  introdotto  nelle  cellule  per  mezzo  del  grosso  micelio  o  vi 
penetrerebbe  per  l'apertura  formata  da  quest'ultimo. 

Il  quarto  micelio  è  decisamente  bruno  ed  il  Ducomet  lo  ha  di  già 
segnalato  nella  regione  delle  micorize;  esso  mostrerebbe  una  grande 
tendenza  ad  estendersi  in  senso  tangenziale,  ma  non  penetrerebbe  che 
assai  raramente  fino  nel  cilindro  centrale.  Rispetto  alla  malattia  del 
castagno  peraltro,  questo,  secondo  Ducomet,  è  poco  importante,  od  almeno 
la  sua  importanza  è  molto  minore  di  quella  degli  altri  tre. 

e)  Parassiti  delle  radici  adulte. 

Nelle  radicene  adulte,  quando  le  loro  ramificazioni  assorbenti  o 
micoriziche  sono  state  distrutte  in  seguito  a  parassitismo  o,  meglio, 
per  il  fenomeno  di  soppressione  naturale  del  quale  si  tiene  troppo  poco 
conto  quando  si  studia  la  patologia  generale  delV apparecchio  radicale,  il 
Ducomet  trova  due  micelii  parassiti. 

Il  primo  è  un  micelio  ocraceo  parassita  del  legno.  L'ha  trovato 
più  volte  in  radici  di  due  a  tre  millimetri  di  diametro,  localizzato  in 
aree  necrosate  per  la  morte  d'un  ramo  radicale;  e  si  irradia  nei  tes- 
suti attigui  apparentemente  sani. 

Il  suo  parassitismo  non  gli  sembra  dubbio,  ma  lo  ritiene  acciden- 
tale, di  poca  importanza  e  senza  interesse. 

Il  secondo  è  un  micelio  rizomorfico  di  maggior  importanza  del 
precedente,  ma  sempre    relativamente    piccola.   Esso    forma    rizomorfe 


—   20  — 

intercorticali,  visibili  anche  ad  oecliio  nudo  per  il  loro  colore  cliiaro, 
interposte  tra  lo  sughero  normale  e  lo  sughero  di  reazione  immediata- 
mente sottoposto,  le  cui  cellule  hanno  un  colore  molto  scuro. 

Da  queste  rizomorfe  partono  dei  rami  miceliali  clie  arrivano  ai 
tessuti  sottostanti,  penetrandovi  attraverso  lo  sughero  di  reazione  di 
invulnerabilità  molto  limitata. 

d)  Organismi  avventizi  diversi. 

Vi  sono  altresì  microrganismi,  funghi  e  bacteri,  che,  secondo  Du- 
comet,  possono  produrre  il  Male  dell'  inchiostro. 

Fra  questi  parassiti  avventizi  il  Ducomet  annovera  sette  diverse 
specie  di  funghi,  dei  quali  peraltro  due  soli  dotati  d'azione  attiva  e 
diretta. 

Dei  bacteri  l'Autore  non  dà  il  numero  e  attribuisce  loro  una  re- 
sponsabilità collettiva  !... 

Il  primo  micelio  avventizio  è  uno  dei  piìi  curiosi,  clie  entra,  dice 
egli,  nella  categoria  delle  false  micorize  del  Mangin.  E  bruuo  e  forma 
all'estremità  dei  rami  micorizici  delle  calotte  pseudoparenchimatose, 
irte  di  setole,  molto  più  lunghe  e  meno  rigide  di  quelle  delle  micorize 
spiìiose.  Queste  calotte,  dice  Ducomet,  si  distaccano  spontaneamente  per 
pressione  del  mantello  micorizico,  ma  possono  anche  contrarre  delle 
aderenze  col  rametto  micorizico  per  mezzo  di  rami  miceliali:  aderenze 
che,  secondo  lui,  si  possono  considerare  come  parassite. 

Il  secondo  è  un  micelio  bruno,  forse,  dice,  non  differente  dal 
precedente,  ma  die  può  essere  anche  identico  al  micelio  bruno  che 
entra  nella  costituzione  di  certe  micorize;  esso  può  penetrare  con 
dei  rami  entro  le  pareti  verticali.  Ducomet  fa  notare  anche  che  le 
micoiize  che  presentano  simili  lilamenti  sono  sempre  micorize  morte 
0  morenti  con  tessuto  corticale  imbrunito  e  si  domanda:  "  y-a-t-il  là 
une  cause  oii  une  conséqitence  de  V  intercaìation  des  filamenls  hrunes,  ou 
s'agiti/  d'ime  simple  coincidence?  r.-  Peraltro,  soggiunge,  è  permesso 
supporre  che  la  sua  presenza  non  possa  a  meno  di  produrre  qualche 
perturbamento  nell'insieme  della  formazione  micorizica. 

Ai  bacteri  il  Ducomet  attribuisce  un'importanza  particolare.  Questi 
bacteri  sono  costituiti  da  bastoncini  ad  estremità  arrotondate,  diritti 
0  leggermente  curvi,  in  generale  di  tre  ,«  di  lunghezza  e  talvolta  sino 
a  sette  e  più  ed  allora  si  fanno  flessuosi  e  passano  alla  forma  di 
spirilli.  Li  ha  osseivati  nelle  micorize  dei  rami  assorbenti  ed  anche 
nelle  radici  porta-micorize.  Se  ne  possono  trovare  in  tutto  lo  spessore 
delle  radici,  dalla  corteccia  al  cilindro  centrale.  Trovansi  nell'interno 
delle  cellule  ad  anche  nei  meati  intercellulari. 


—  21  — 

III  seguito  all'eccitazione  parassitaria  si  forma  al  posto  del  legno 
uu  tessuto  pareuchiniatoso. 

La  penetrazione  dei  bacteri  avverrebbe  quasi  sempre  per  mezzo 
di  altri  microrganismi.  Gli  strati  esterni  della  corteccia  sono  spesso 
invasi  da  bacteri,  ma  unicamente  in  seguito  alla  morte  dello  strato 
pilifero,  la  cui  disorganizzazione  permette  una  facile  penetrazione. 
"  Le  cellule  senza  micelio  sono  interamente  sprovviste  di  bacteri,  le  cellule 
con  micelii  ne  sono  abbondautemeute  provviste  „.  Del  modo  di  penetrazione 
di  questi  bacteri  non  sa  dare  una  spiegazione  precisa,  e  dichiara: 
"  Nous  entrons  là  dans  le  domaine  des  hypothèses  et  il  est  toujours  prudent 
de  ne  pas  s^y  aventurer  „. 

In  via  d'ipotesi  il  Ducomet  conclude  che  il  male  sia  prodotto: 

1)  dalla  cattiva  costituzione  delle  micorize  (vedi  pag.  16),  il  cui 
micelio  brnno  od  abbrunantesi  e  spinoso  gli  sembra  sempre  parassita; 

2)  dal  passaggio  al  parassitismo  di  uno  o  più  micelii  che  di 
regola  non  lo  sono  ed  entrano  nella  costituzione  normale  delle  micorize; 

3)  dall'introduzione  tra  il  micelio  delle  micorize  di  false  mico- 
rize costituite  da  un  pseudo-parenchima  tricogeno; 

4)  dal  parassitismo  nell'estremità  radicellare,  almeno  di  cinque 
specie  di  micelii,  dei  quali  due  gracilissimi  sembrano  essere  introdotti 
nei  tessuti  da  uno  degli  altri  tre; 

6)  dal  parassitismo  di  un  bacterio  che  ritiene  introdotto  da 
uno  dei  micelii  precedenti  o  da  un  micelio  micorizico. 

Ed  aggiunge  (si  direbbe  per  svalutare  le  sue  stesse  ipotesi): 

1)  che  il  micelio  bruno  interessante  alle  volte  le  micorize  nor- 
mali non  può  essere  diverso  da  quello  trovato  nei  tessuti  e  da  quello 
che  forma  le  stesse  micorize; 

2)  che  questo  micelio  bruno  gli  è  sembrato  sempre  poco  ab- 
bondante; 

3)  che  le  micorize  spinose,  che  egli  ritiene  nocive,  sono  sempre 

poco  diffuse; 

4)  che  lo  stesso  si  può  dire  delle  false  micorize; 

5)  che  all' infuori  delle  micorize,  i  micelii  ialini  ritenuti  come 
parassiti  (i  due  micelii  gracili  a  parte)  non  sono  forse  che  micelii  che 
entrano  nella  costituzione  delle  micorize; 

6)  che  dei  micelii  gracili,  il  più  tenue,  che  egli  ritiene  appar- 
tenere ad  una  Chi/tridiacea,  gli  sembra  il  più  importante. 

E   riassume   le    sue    conclusioni    affermando    che  la    malattia   del 
castagno  sarebbe  prodotta  essenzialmente: 

a)  dal  passaggio   alla  vita  parassitaria  del    micelio   micorizico; 


—  22  — 

è)  dal  parassitismo  di  una  Chytridiacea  filamentosa  introdottasi 
per  mezzo  del  micelio  micorizico  divenuto  parassita,  benciiè  viva  airinfuori 
delle  micorize  propriamente  dette; 

e)  dal  parassitismo  dei  bacteri  nella  regione  micorizica  o  non 
micorizica,  introdotti  sia  direttamente  dal  micelio  micorizico  o  normale  o  di- 
venuto parassita,  sia  dal  micelio  delle  Chytridiacee. 


Non  è  possibile  confutare  le  affermazioni  del  Dueomet,  riguardo  al 
parassitismo  dei  singoli  micelii  e  dei  singoli  microrganismi,  da  lui  men- 
zionati, perchè  li  presenta  per  così  dire  come  esseri  anonimi.  I  carat- 
teri che  assegna  loro  sono  così  scarsi  e  così  generici  che  potrebbero 
applicarsi  alla  maggior  parte  dei  microfiti  che  vivono  n%\Xhumus  o  nelle 
radici  vive  o  morte  di  tutte  le  piante.  Non  solo  egli  non  ha  tentato  di 
dimostrare  sperimentalmente  il  parassitismo  di  tali  miceti  e  di  questi 
bacteri;  ma  non  li  ha  nemmeno  coltivati,  per  conoscerne  i  caratteri  col- 
turali e  biologici  e  per  averne  o  gli  organi  riproduttori  od  almeno  tal 
copia  di  caratteri  vegetativi  da  rendere  possibile  la  loro  identificazione. 
Di  conseguenza  non  possiamo  confutare  le  singole  affermazioni  del  Du- 
eomet, ma  solo  contrapporvi  osservazioni  d'ordine  generale. 

Glie  vi  siano  rapporti  tra  i  micelii  umici  ed  ipogei  e  le  estremità 
radicolari  del  castagno,  è  un  fatto  innegabile. 

E  fuoii  dubbio  anche  che  tali  rapporti  non  sono  gli  stessi  per  tutte 
le  specie  fungine.  Alcuni  micelii  non  cercano  nella  radice  che  un  punto 
d'appoggio;  altri  cercano  nelle  cellule  periferiche  e  nei  rametti  delle 
radicelle  che  muoiono  e  si  disgregano  (per  processo  di  eliminazione  e 
rinnovazione  naturale)  il  loro  alimento;  altri  infine  si  uniscono  alle  ra- 
dici con  vincoli  simbiotici,  che  la  maggior  parte  degli  autori  ritengono 
mutualistici.  Non  è  il  luogo  di  discutere  sulla  natura  di  questa  simbiosi 
e  dei  limiti  del  mutualismo  che  alcuni  ritengono  facoltativo  per  il  mi- 
celio fungino  ed  invece  indispensabile  per  le  radici  del  castagno. 

Parleremo  di  ciò  in  altro  capitolo;  a  noi  qui  basta  constatare  il 
fatto  che  i  castagni  nonostante  le  micorize  possono  vivere  e  prosperare, 
senza  dar  segni  di  sofferenze,  in  tutte  le  regioni  castanicole  del  mondo. 
E  evidente,  invece,  che  il  micelio  fungino  trae  vantaggio  dalle  radici  del 
castagno,  nelle  quali  penetra,  vi  contrae  aderenze  e  vi  determina  la  for- 
mazione di  ipertrofie  aventi  i  caratteri  patognomonici  dei  micocecidi. 

Il  contatto  del  micelio  con  le  cellule  della  radicella  ospite  viene 
assicurato  mediante  la  penetrazione  per  entro  le  pareti  cellulari  radiali. 
Il  micelio  micorizico  non  differisce,  secondo  noi,  dai  parassiti  ipertrofiti 


—  23  — 

che  per  il  fatto  clie  i  suoi  filamenti  vivono  per  la  maggior  parte  della 
loro  lunghezza  liberi  all'esterno,  neWhumus,  quasi  saprofiti.  Essi  scom- 
pongono le  sostanze  organiche  ed  agiscono  da  niti  ificatori  e  nello  stesso 
tempo  funzionano  da  organi  assorbenti  in  sostituzione  dei  peli  radicali, 
fornendo  alla  pianta  ospite  l'azoto  da  loro  stesso  trasformato  e  reso  as- 
similabile ed  i  sali  minerali. 

In  cambio  ritraggono  questi  raicelii  dalla  pianta  che  li  ospita  gli 
idrati  di  carbonio  che  essa  elabora. 

Questi  rapporti  mutualistici  possono  variare  fino  a  diventare  anta- 
gonistici come  nel  parassitismo  vero;  il  che,  secondo  Gibelli,  Delacroix, 
Pestana,  si  verificherebbe  appunto  nel  castagno  affetto  dal  Male  del- 
l'inchiostro. 

L'alterazione  dei  rapporti  biologici  fra  i  due  simbionti  avverrebbe 
per  deficienza  o  per  mancanza  di  htmus  nel  terreno,  o  per  sfavorevoli 
condizioni  alla  nitrificazione  nel  terreno  stesso.  Nei  casi  di  parassitismo 
segnalati  dal  Ducomet,  tali  cause  sarebbero  assolutamente  da  escludersi, 
come  del  resto  le  esclude  lo  stesso  Ducomet;  giacché,  se  ciò  fosse,  esse 
dovrebbero  agire  non  solamente  sopra  alcuni  micelii  micorizici,  ma  sopra 
tutti  i  micelii  di  un'intera  pianta  o  almeno  di  una  delle  sue  radici;  mentre 
invece  il  Ducomet  afferma  che  il  parassitismo  di  tali  miceli  si  trova  anche 
limitato  ad  alcuni  rametti  ed  altresì  a  piccole  porzioni  di  questi. 

Se  la  causa  prima  della  trasformazione  del  mutualismo  in  parassi- 
tismo fosse  la  deficienza  di  alimento,  perchè  questi  micelii  simbionti  ca- 
paci di  trarre  dalle  cellule  vive  senza  ucciderle  le  sostanze  idrocarbo- 
nate non  potrebbero  ritraine  anche  le  sostanze  azotate?  Perchè  si  do- 
vrebbero trasformare  da  parassiti  ipertrofizzanti,  semplici  stimolatori  del 
plasma,  in  ctenofiti,  cioè  in  agenti  tossici,  i  quali  non  stimolano,  ma  uc- 
cidono il  plasma? 

Inoltre,  come  si  spiegherebbe  che  questi  micelii  del  Ducomet  a  com- 
portamento decisamente  ctenofitico  penetrano  e  si  spingono,  quando  di- 
vengono parassiti  per  mancanza  di  alimento,  anche  fuori  del  parenchima 
ipertrofizzato,  cioè  in  altre  parti  delle  radicelle  formate  di  tessuti  meno 
ricchi  di  sostanze  nutritive? 

Noi  riteniamo  che  il  Ducomet  non  sia  nel  vero  e  sia  invece  molto 
più  probabile  che  i  micelii  che  penetrano  nella  corteccia  senza  irritarne 
il  protoplasma,  che  non  formano  il  reticolo  raicorizico  entro  le  pareti 
cellulari  radiali  e  penetrano  conservando  la  forma  filamentosa,  non  siano 
micelii  micorizici.  Ci  sembra  anche  poco  probabile  che  questi  micelii  del 
Ducomet  siano  nella  maggior  parte  dei  casi  dei  parassiti  facoltativi  o  dei 
parassiti  delle  ferite  ;  pensiamo  che  siano  invece  dei  semplici  saprofiti. 

Invero  le  micorize,  non  va  dimenticato,  trovansi  nei  rami  radicel- 


—  24  — 

lari  assorbenti,  onde  sono  organi  temporanei,  cioè  con  accrescimento  e 
durata  limitata.  In  piena  vitalità  sono  bianchiccie  o  bianche,  come  fa 
notare  lo  stesso  Ducomet,  ma  di  mano  in  mano  che  la  loro  vitalità  s'af- 
fievolisce, diventano  sempre  più  scure  ed  anneriscono  del  tutto  quando 
sono  morte. 

Lo  stesso  Ducomet  fa  notare,  che  la  morte  e  la  caducità  delle  mi- 
corize  e  dei  ramuscoli  radicellari  è  un  fenomeno  di  soppressione  natu- 
rale ',  del  quale  si  tiene,  dice,  troppo  poco  conto  quando  si  studia  la 
patologia  generale  dell'apparecchio  radicale. 

Il  Ducomet  per  altro  tien  poco  conto  di  questa  sua  raccomandazione, 
poiché  di  questi  miceli  che  egli  chiama  parassiti,  ne  sono  prive  le  mi- 
corize  sane,  che  hanno  un  colore  bianco  pallido,  e  li  trova  solo  nelle 
micorize  abbrunantesi  e  brune,  colorazioni  che  sono  proprie,  secondo  lo 
stesso  Ducomet,  delle  micorize  morte  o  morenti. 

Secondo  noi  anche  questi  casi  citati  dal  Ducomet  non  debbonsi  at- 
tribuire a  parassitismo,  ma  a  semplice  saprofitismo.  Il  Ducomet  riconosce 
invero  che  nelle  micorize  più  vecchie,  il  primo  sviluppo  del  fungo  è  pu- 
ramente saprofiUco,  poiché  i  suoi  filamenti  miceliali  cominciano  a  pene- 
trare negli  elementi  morti  della  cufiBa,  ma  aggiunge,  "  que  btentót  les  cel- 
lules  sous-jaeentes  bien  vivantes  ne  tardent  pas  à  Mre  inléressées  à  leuv  tour 
dans  leurs  cloisons  radiales.  Celle  deuxième  phase  doit  écidemment  étre  con- 
sidèree  comme  parasitaire  „. 

Ciò  non  è  sufficiente,  a  parer  nostro,  per  dire  che  si  tratta  di  pa- 
rassitismo, poiché  sono  micorize  vecchie,  nelle  quali  la  vita  comincia  già 
ad  estinguersi. 

Anche  nei  casi  nei  ([uali  il  reticolo  miceliale  delle  micorize  penetra 
tra  le  pareti  cellulari  radiali  di  più  strati  di  cellule  ed  invade  anche  le 
pareti  tangenziali  profonde,  cosi  da  formare  talvolta  una  vera  stroma- 
tizzazione  intercellulare,  il  Ducomet  vede  un  caso  di  parassitismo.  Ma 
per  quale  ragione?  Non  viene  di  tale  maniera  ostacolata  od  impedita  la 
funzione  osmotica  tra  le  cellule  della  radicella  e  quelle  del  fungo,  né  fa- 
vorita l'azione  assorbente  di  quest'ultimo  a  danno  della  radice,  cosi  da 
alterare  i  rapporti  mutualistici  fra  i  due  simbionti. 

Fra  i  micelii  extramicorizici  che  il  Ducomet  considera  quali  paras- 
siti può  esservene  qualcuno  che  sia  da  considerarsi  come  parassita  delle 
ferite:  ad  esempio  il  micelio  ocracro  localizzato  alle  aree  necrosate  per  la 
molte  0  pel  distacco  di  qualche  ramuscoto,  cosi  pure  il  grosso  micelio  delle 


'  Fenomeno  che  aveva  notato  anche  il  Malpigli!  per  le  ipertroQe  radicellari 
dell'olmo  e  di  altri  alberi. 


—   25  — 

radicene  assorbi-uli  e   forse   qualche  altro,  ma  questi,  come   confessa  lo 
stesso  Ducomet,  son  sempre  poco  abbondanti  e  poco  difusi. 

Ora  è  cosa  seria  l'incolparli  d'essere  essi  la  causa  della  malattia  dei 
castagni?  Anche  i  bacteri  menzionati  dal  Ducomet  non  possono  essere 
parassiti  veri,  ma  tutt'al  più  parassiti  delle  ferite,  se  pure  non  sono  sa- 
profiti  banali.  Comunque  del  resto  la  loro  azione  è  tanto  localizzata,  che 
non  potrebbe  recare  alcun  nocumento  alla  pianta. 

Anche  il  micelio  tenuissimo,  che  al  Ducomet  sembra  appartenere 
ad  una  Cliitridiacea  e  che  secondo  lui  è  introdotto  nelle  cellule  dal  grosso 
micelio  delle  estremità  radicellari  assorbenti,  non  può  essere  perciò  con- 
siderato che  come  un  parassita  delle  ferite. 

Dobbiamo  per  altro  notare  che  esso  ha  molta  rassomiglianza  col 
micelio  fibrillare  del  Coryneum  da  noi  trovato  tanto  nei  rami  che  nei 
tronchi-ed  anche  nelle  radici  dei  castagni  malati  (tav.  X,  fig.  6,  12, 
16,  18).  Se  sia  esso  per  altro  identico  al  nostro  noi  non  possiamo  affer- 
marlo, perchè  il  Ducomet  non  lo  descrive  in  modo  sufficiente,  né  dice 
se  sia  unicellulare  o  settato. 

Come  vedremo  in  altro  capitolo,  questo  micelio  (che  noi  abbiamo 
ottenuto,  anche  in  coltura  pura,  dai  conidii  del  nostro  Coryneum)  non 
è  altro  che  una  ramificazione  di  un  micelio  più  gros.so,  che  pure  rasso- 
miglia (tav.  X,  fig.  1,  2,  3)  a  quello  che,  secondo  Ducomet,  aprirebbe 
la  via  per  la  penetrazione  della  sua  Chitridiacea. 

Nulla  per  altro  anche  qui  si  può  affermare  con  sicurezza  intorno 
all'identità  del  micelio  del  Ducomet  col  nostro  del  Coryneum,  perchè  il 
Ducomet  non  dice  di  avere  esaminata  la  radice  in  tutta  la  sua  lunghezza 
fino  alla  inserzione  ed  avervi  trovato  sempre  lo  stesso  micelio. 

Solo  nel  caso  che  la  radice  fosse  malata  in  tutta  la  sua  lunghezza 
si  spiegherebbe  come  il  nostro  micelio  si  potesse  trovare  nelle  estremità 
radicolari. 

È  un  fatto  bene  accertato,  che  fu  constatato  anche  dal  Gibelli  e  da 
altri  botanici  e  riconosciuto  pure  dal  Prunet,  che  il  marciume  nella  ra- 
dice degli  alberi  malati  comincia  dalla  ceppa  e  va  degradando  ed  atte- 
nuandosi col  procedere  verso  le  estremità  radicali,  cosi  che  le  parti  in- 
feriori delle  radici  possono  essere  tuttora  sanissime  mentre  si  trova  di 
già  affetta  da  marciume  tutta  la  parte  superiore  verso  la  ceppa. 

Ora  se  tali  sono  i  fatti,  come  si  può  andare  a  cercare  l'inizio  del 
Male  deW inchiostro  nelle  estremità  radicellari  •  ? 


'  Pruneti,  che  pure  riconosce  l'andamento  centrifugo  della  malattia,  ritiene 
cosa  strana  che  essa  si  inizi  con  la  necrosi  delle  giovani  radici,  per  causa  ignota, 
ma  in  tale  opinione  vi  è  un  controsenso  nella  interpretazione  dei  fatti  da  lui 
stesso  ammessi. 


—   26   — 

Qualunque  possa  essere  il  rapporto  individuale  di  qualciie  micelio 
niicorizico  con  la  radice  assorbente,  qualunque  sia  la  natura  dei  paras- 
siti che  possonsi  riscontrare  nell'estremità  radicellari,  non  si  potrà  per 
certo  incolpare  questi  microrganismi,  anche  se  fossero  patogeni,  di  pro- 
durre la  morte  e  lo  sfacelo  della  parte  superiore  della  radice,  dal  mo- 
mento che  nel  tratto  intermedio  non  si  trova  traccia  di  necrosi,  onde 
la  continuità  è  interrotta. 

Le  tossine  dei  ctenofiti,  invero,  uccidono  il  plasma  di  parecchi  strati 
di  cellule  anche  a  qualche  distanza,  ma  la  diffusione  della  necrosi,  anche 
se  rapidissima,  avviene  sempre  per  contiguità,  perchè  la  penetrazione 
delle  tossine  nei  tessuti  vivi  ha  luogo  per  osmosi  attraverso  le  pareti 
cellulari. 

Conclusione.  -  I  micelii  ed  i  bacteri  trovati  dal  Ducomet  e  da  altri 
nelle  estremità  radicellari,  anche  se  fossero  parassiti,  non  si  possono  rite- 
nere come  causa  del  Male  dell'inchiostro  dei  castagni. 

4.  —  Parassitismo  dei  micelii  micorizici, 
determinato  da  indebolimento  della  pianta. 

Al  Gibelli  venne  il  dubbio,  in  seguito  a  numerose  osservazioni  fatte 
sopra  castagni  tanto  sani  che  malati  ed  a  colture  sperimentali,  che  certe 
forme  parassitarie  "  potessero  avere  un  indigenato  tollerato  e  tollerabile 
sulle  radici  del  castagno  sano,  senza  suo  sensibile  detrimento  „. 

"  Fintanto  che  le  piante  soggetto  sono  in  buona  condizione  di  vege- 
tazione, dice  egli,  la  moltiplicazione  successiva  del  capillizio  radicale  non 
dà  tempo  né  modo  al  micelio  di  prendere  uno  sviluppo  minaccioso,  o  di 
invaderlo  al  punto  da  impedirgli  qualunque  funzione.  Se  avvenga  invece, 
che  per  qualunque  ragione  d'indebolimento  la  vegetazione  della  pianta 
illanguidisca,  allora  quella  del  micelio  diventa  tanto  piii  rigogliosa  e  in- 
veste tutta  la  nuova  radicola  „. 

"  La  pianta  può  tener  duro  contro  questo  devastatore  degli  organi 
d'assorbimento  per  due,  tre  anni  o  poco  più.  Ma  poi,  poco  nutrita  per 
difetto  d'organi  assorbenti,  la  pianta  svolge  uno  scarso  fogliame  durante 
l'estate,  cui  come  conseguenza  inevitabile  tien  dietro  una  più  scarsa  assi- 
milazione di  materiali  amilacei  e  di  riserva,  dei  quali  si  raccoglie  una 
quanti !à  sempre  più  deficiente  nei  serbatoi  naturali  durante  la  stagione 
estiva.  E  intanto  le  radicele  novelle  si  producono  in  numero  più  esiguo, 
e  anche  queste  poche  sono  più  facilmente  strozzate  dal  micelio.  In  questo 
modo  si  entra  in  un  circolo  vizioso,  che  finisce  colla  morte  della  pianta  „. 

"  Come  è  evidente,  si  avrebbe  qui  una  nuova  forma  di  concorrenza 


—    97   — 


vitale  tra  la  pianta  del  castagno  e  il  suo  tenebroso  ospite  „.  E  più  oltre 
soggiunge:  "  Ora  se  si  ammette  che  una  pianta  colle  radici  già  invase 
da  un  abbondante  micelio,  pronto  a  soffocare  le  novelle  che  si  attentano 
a  spuntare,  si  trovi  per  qualunque  ragione  in  istato  di  debilitazione,  dessa 
potrà  benissimo  all'incoarsi  di  uua  stagione  vegetativa  col  poco  materiale 
amiloproteico,  raggranellato  nell'anno  precedente,  svolgere  una  prima 
chioma  fogliacea.  Ma  frattanto  il  nemico  implacabile  non  dà  tregua  alle 
radici  teuerelie;  l'evoluzione  del  capillizio  radicale  è  interamente  inter- 
cettata, e  la  pianta,  esaurita  la  poca  provvigione  nutritizia  collo  svol- 
gimento delle  prime  frondi,  non  può  procedere  alla  seconda  fase  vege- 
tativa, durante  la  quale  deve  anche  produrre  fiori,  e  necessariamente 
inaridisce  e  muore  „. 

In  sostanza,  la  causa  determinante  della  Moria  del  castagno  sarebbe, 
secondo  Gibelli,  Vindebolimento  della  pianta  qualunque  sia  la  ragione  che 
lo  determina. 

Di  conseguenza  i  micelii  fungini  delle  estremità  radicellari  altro 
non  sarebbero  che  una  concausa  necessaria  a  produrre  la  malattia. 

È  in  fondo  l'ipotesi  alla  quale  ricorrono  non  pochi  fitopatologi,  per 
spiegare  in  molti  casi  la  causa  del  parassitismo  in  generale,  facendo  ap- 
punto risalire  all'indebolimento  della  pianta  attaccata  la  responsabilità 
di  un  gran  numero  di  malattie.  Non  di  rado  si  abusa  di  quest'ipotesi  per 
spiegare  le  malattie  che  non  si  conoscono,  o  per  comodità  di  polemica, 
essendo  argomento  facile  e  comodo.  È  per  cosi  dire,  non  di  rado,  un 
surrogato  moderno  delle  influenze  lunari  e  marine  d'altri  tempi. 

Nel  caso  della  Moria  del  castagno,  dimostreremo  l'infondatezza  del- 
l'ipotesi del  Gibelli,  piìi  o  meno  velatamente  vagheggiata  anche  da  altri, 
dei  quali  non  mette  conto  di  occuparsi,  perchè  non  apportano  alcun 
contributo  di  fatti  nuovi. 

Il  Gibelli,  del  resto,  emette  que.sta  sua  opinione  senza  nemmeno 
preoccuparsi  se  essa  si  trovi  in  contraddizione  con  la  realtà  di  fatti  da 
lui  stesso  accertati  e  la  giustifica  solo  per  esclusione  di  tutte  le  altre 
ipotesi  da  lui  prima  emesse  e  poscia  scartate. 

Ora  se  le  radici  del  castagno  che  si  trovano  in  "  istato  di  debilita- 
zione per  gualsi'isi  causa  „  determinassero  il  parassitismo  dei  micelii  mi- 
corizici,  sarebbe  facile  provocare  artificialmente  la  malattia,  ma  né  Gi- 
belli, né  altri,  con. tale  mezzo  vi  è  riescito. 

La  vecchiaia,  la  decrepitezza  sono  causa  di  debilitazione,  ma  non 
sono  la  causa  determinante  del  Male  dell'inchiostro,  giacché,  come  fa  riiie- 
tutamente  notare  lo  stesso  Gibelli,  questa  malattia  attacca  indifferente- 
mente i  castagni  di  qualunque  età,  non  risparmiando  i  più  vigorosi. 
Anche  Mangin,  come  vedremo,  riconosce  che  non  bisogna  confondere  la 
decrepitezza  col   Male  dell'inchiostro. 


—  28  — 

La  deficienza  di  materiali  alibili  nel  terreno  è  causa  indubbia  di 
debolezza  per  tutte  le  piante,  ma  tanto  Gibelli,  quanto  la  maggior  parte 
degli  autori,  escludono  che  questa  deficienza  possa  essere  la  causa  del 
Male  delVincliiostro.  Il  castagno  deperisce  nei  terreni  calcari,  né  prospera 
nei  terreni  argillosi,  ma  la  malattia  non  asseconda  ed  accompagna  i  de- 
perimenti dovuti  alla  varia  natura  del  terreno. 

Cause  di  debilitazione  per  le  piante  ve  ne  sono  in  tutti  i  casta- 
gneti, in  ogni  regione  ed  a  tutte  le  altezze  ;  ora  come  si  spiegherebbe 
che  le  micorize  che  si  trovano  in  tutti  i  castagni  diventino  micidiali 
solo  in  alcune  località  e  generalmente  solo  sotto  i  600  metri  d'altezza 
sul  mare,  quantunque  al  di  sopra  di  questa  quota  siano  più  frequenti  e 
più  gravi  le  cause  di  depauperamento  dei  terreni  e  di  debilitazione  delle 
piante? 

Come  si  spiegherebbe  il  modo  di  procedere  e  diffondersi  della  ma- 
lattia nei  castagneti  a  guisa  di  macchia  d'olio?  Quale  potrebbe  essere 
la  causa  di  debilitazione  che  progredisce,  s'allarga  e  procede  in  tale 
maniera? 

Se  la  malattia  fosse  dovuta  a  povertà  del  terreno,  perchè  essa  non 
incomincia  nell'alto  delle  pendici  e  non  scende  diminuendo  verso  il  fondo 
della  valle  per  ivi  arrestarsi  coU'aumentata  fertilità  del  terreno?  Perchè 
avviene  invece  l'opposto,  cioè  il  male  si  manifesta  generalmente  in  basso 
e  si  propaga  diminuendo  verso  l'alto? 

Nella  montagna  non  è  raro  il  trovare  castagni  selvatici  nati  e  stroz- 
zantisi  con  poca  terra  in  anguste  spaccature  di  roccia,  dove  sembrerebbe 
impossibile  che  un  albero  potesse  vivere;  essi  vi  crescono  invero  sten- 
tatamente, sotto  forma  di  poveri  sterpi,  che  si  spogliano  delle  foglie  a 
metà  dell'estate  per  deficienza  d'acqua  e  di  alimento,  ma  non  vengono 
per  questo  attaccati  dal  Male,  delt inchiostro. 

È  noto  che  le  Tuberacee  forniscono  un  contributo  notevole  alla  for- 
mazione delle  micorize;  ora  come  va  che  la  produzione  dei  tartufi  è  stret- 
tamente legata  alia  prosperità  delle  piante  tartufifere  e  che  col  languire 
di  queste  diminuisce  la  produzione  di  quelli?  Dovrebbe  avvenire  il  con- 
trario se  le  micorize,  col  languire  delle  piante,  prendessero  il  soprav- 
vento. 

Invece  tutto  ciò  che  può  servire  a  stimolare,  a  rendere  più  vigo- 
rosa la  vegetazione  dell'albero,  serve  a  rendere  più  produttiva  la  tar- 
tufaia, come  ciò  clie  contribuisce  ad  indebolire  la  vegetazione  dell'al- 
bero ne  diminuisce  la  sua  produttività. 

Parecchie  esperienze  fece  il  Gibelli  per  riprodurre  artificialmente 
il  Male  dell'inchiostro,  coltivando  pianticelle  in  terreni  artificiali,  poveri 
0  privi  di  elementi  indispensabili  alla  vita  del  castagno,  ma  non  vi  riesci. 


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Coltivò  castagnoli  nati  da  seme,  in  terra  grassa  di  giardino,  in  terra  di 
castagneti,  iu  sabbia  pura,  in  polvere  di  quarzo  e  caolino  ed  in  quarzo 
puro.  In  tutte  queste  colture  si  svilupparono  normalmente  le  micorize, 
ma  in  nessuna  pianta  esse  divennero  parassite;  e  si  che  le  cause  di 
debilitazione  [ler  la  composizione  chimica  e  fisica  del  terreno  erano  state 
spinte  ad  un  limite  tale,  quale  non  si  verifica  in  natura. 

Del  resto  il  Gibelli  stesso  in  altro  luogo  più  tardi  dichiara  clie  "  la 
malattia  non  è  evidentemente  causata,  malgrado  le  prime  apparenze,  da  de- 
paiiperaziove  di  materiali  nutritizi  del  terreno,  né  da  mutate  condizioni  cli- 
materiche „.  Ed  afferma  che  "  il  parassitismo  f angina  non  è  per  nulla  acci- 
dentale,nè  dipendente  da  condizioni  di  clima  o  di  terreni  speciali  „,  quantunque 
lo  supponga  collegato  a  certe  condizioni  biologiche;  supposizione  che 
esamineremo  nel  prossimo  capitolo. 

Non  si  capisce  quindi  perchè  il  Gibelli  negli  ultimi  suoi  studi  abbia 
supposto  che  la  causa  determinante  della  Moria  dei  castagni  sia  dovuta 
alla  debilitazione  delle  piante  per  qualsiasi  causa,  mentre  aveva  scartato 
tutte  le  ragioni  chimiche  e  fisiche  di  debilitazione  e  non  abbia  tentato 
di  rinvenirla  in  speciali  condizioni  di  biologia,  come  fecero  i  suoi  seguaci 
Delacroix  e  Pestana. 

Più  tardi  esamineremo  anche  quest'ultima  opinione  di  Delacroix  e 
Pestana  e  dimostreremo  come  essa  non  abbia  parimenti  alcuna  base  spe- 
rimentale, e  si  trovi  in  contraddizione  con  fatti  universalmente  rico- 
nosciuti ed  ammessi.  Qui  intendiamo  occuparci  solo  dell'ipotesi  del  Gi- 
belli e  degli  argomenti  ai  quali  egli  crede  poterla  appoggiare. 

Gibelli  dice  che  per  scarsa  assimilazione  si  raccoglie  nelle  piante 
ammalantisi  una  quantità  sempre  più  deficiente  di  materiali  amilacei 
nei  serbatoi  naturali.  Se  ciò  fosse,  si  avrebbe  una  prova  evidente  del- 
l'indebolimento generale  della  pianta  per  denutrizione;  ma  questo  è  smen- 
tito completamente  dai  fatti. 

Esaminando  infatti  qualunque  parte  d'una  pianta  malata  (ramoscelli, 
rami,  tronco,  radici)  in  qualunque  stadio  della  malattia,  si  trova  che 
l'amido  ed  il  tannino  vanno  scomparendo  col  progredire  del  male,  cosi 
che  non  se  ne  trova  più  traccia  nelle  parti  del  tessuto  necrosate,  mentre 
i  tessuti  circostanti,  ove  la  cancrena  non  è  arrivata,  hanno  le  cellule 
rigurgitanti  d'amido  e  di  tannino.  Ciò  dimostra  all'evidenza  che  la  ma- 
lattia non  è  generale  o  costituzionale  dell'albero,  ma  locale;  e  che  è  limi- 
tata ad  alcuni  organi,  i  quali  a  seconda  dell'importanza  della  loro  fun- 
zione determinano  l'intristimento  o  la  morte  dell'albero. 

E  questo  è  conforme  alla  sintomatologia  ed  al  quadro  clinico  del 
Male  dell'inchiostro. 

Gibelli  dice,  che  il  castagno  ammalato  "  esaurita  la  poca  provvigione 


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nutritizia  collo  svolgimento  delle  prime  frondi,  non  può  procedere  alla 
seconda  fase  vegetativa  e  naturalmente  inaridisce  e  muore  „  ;  ma  i  ca- 
stagni che  durante  l'estate  muoiono  di  apparente  forma  apoplettica,  non 
muoiono  d'esaurimento,  per  avere  consumato  tutti  i  materiali  di  riserva, 
ma  per  squilibrio  fra  l'assorbimento  dell'acqua  e  la  traspirazione  e  clo- 
rovaporizzazione  della  pianta.  Esaminando  i  vari  organi  dei  castagni 
che  muoiono  di  forma  apoplettica  durante  l'estate,  si  trova  che  in  essi, 
quando  non  sono  colpiti  direttamente  dalla  necrosi,  non  mancano  i  ma- 
teriali di  riserva. 

Conclusione.  —  Le  osservazioni  sul  procedimento  del  male  nei  ca- 
stagneti infetti,  e  l'esame  tanto  esterno  che  anatomico  delle  diverse 
parti  degli  alberi  malati,  come  altresì  le  colture  sperimentali,  escludono 
che  la  causa  determinante  del  Male  dell'inchiostro  sia  dovuta  a  debolezza 
della  pianta. 

5.         Fungili  che  vivono  nel  terreno  provocando  la  "  Morùi  „  nelle 
piante  o  che  contraggono  rapporti  colle  radici  del  castagno. 

Moltissimi  sono  i  funghi  i  cui  micelii  vivono  nel  terreno,  special- 
mente nell'humus,  e  non  pochi  fra  questi  sono  quelli  che  possono  con- 
correre alla  formazione  delle  micorize. 

P.  E.  Miiller  calcola  che  in  un  centimetro  cubo  di  terriccio  si 
trovino  tanti  filamenti  miceliali  che,  uniti  insieme,  arriverebbero  a  non 
meno  di  tre  chilometri  di  lunghezza. 

Sarauw  ritiene  con  Gibelli,  de  Seynes,  Lecompte  ',  Rostrup,  che 
i  micelii  delle  micorize  appai  tengano  alle  Sphaeriaceae,  che  avrebbero 
ordinariamente  per  forme  conidiche  dei  Cladosporium  e  degli  Helmin- 
thosporium. 

Alfredo  Moller  -  ha  fatto  delle  colture  con  piccole  porzioni  di 
micorize  di  diverse  conifere  e  di  quercia,  ed  è  riescilo  ad  ottenere  le 
fruttificazioni  del  Mucor  keterogamus  Vull.  e  di  altre  tre  specie  di  Mucor 
e  (li  un  altro  genere  di  Mucorinee  che  egli  ha  chiamato   Zi/gorfu/nciis. 

A  noi  sembra  peraltro  difficile  assicurarsi  della  purezza  di  tali 
colture,  quindi  i  risultati  di  esse  hanno  bisogno  di  conferma  e  di  con- 
trollo sperimentale. 


'  Lecompte  H.,  Note  sur  le  m.ycorhiza,  in  «Bull.  d.  1.  Soc.  Bot.  d.  France  », 
1887,  T.  XXIV. 

^  Moller  A.,  Untersucìiungen  ilber  ein  und  zweijiìtiriije  Kiefern  in  iiiirkischeii 
Sandhoden.  in  «  Ztsclir.  f.  Forst.  ii.  Jagdwesen  »,  1903,  Bd.  xxxv. 


—  si- 
li  maggior    numero    dei    micelii    die    concorrono   alla    formazione 
delle  niicorize  è  stalo   riferito  a   Tuheracee  (Vittadini  ',  Tuiasne  -,  l>on- 
dier^,  Mailer,    Kamdenski,    Grosglik,    Reess,  Frank*,  Mattirolo,  Dan- 
geard)  e  a  Basidiomiceti  (AVoronin,  Frank,  Noak  ^,  Cavara,  Crié). 

Sarauw  dice  che  è  molto  dubbio  che  i  Tartufi,  gli  Agaricini,  i 
Llcoperdacei,  gli  Imenogastrei,  ecc.  entrino  nella  formazione  delle 
micorize.  Non  nega  che  vi  siano  delle  niicorize  in  comunicazione  me- 
diante micelii  con  Basidiomiceti  e  Tubeiacee;  ma  dice  che  questi 
micelii  non  appartengono  a  tali  fungili,  ma  ne  sono  dei  parassiti  ;  vivono 
sopra  questi  funghi  ipogei  come  vivrebbero  sopra  le  radici  e  le  foglie 
cadute  o  morte. 

I  micelii  e  le  rizomorfe  che  involgono  i  tartufi  e  li  legano  alle 
radici  degli  alberi,  sono  stati  studiati  da  Tuiasne  ^  De  Ferry  de  la 
Bellone  ',  Grimblot  ^  Coudamy  ^  Chatin  '",  Hesse  ",  Shelesnow^-,  Matti- 
rolo, Dangeard  '■''  ed  altri. 

Mattirolo  ha  riferito  micelii  micorizici  al  Tuber  excavatum  Vitt., 
Dangeard  ha  confermato  l'opinione  di  Mattirolo,  sostenendo  che  le  ri- 
zomorfe appartengono  realmente  ai  tartufi:  le  incolori  sono  in  uno 
stato  più  avanzato. 

De  Ferry  e  Grimblot  sostengono  invece  che  il  micelio  bianco  che 
riveste  il  tartufo  è  estraneo  a  questo.  Della  stessa  opinione  sono  Hesse 
e  Bucholz. 


'  Vittadini  C,  Moiographia  Lycoperdiiieorum,  in  «  Mem.  E.  Ac.  d.  Se.  di 
Torino  »,  Ser.  ii,  T.  v,  1843. 

*  TULASNE  L.  &.  e  e,  Observations  sur  le  geitre  Elapbomyces,  in  «  Ann.  d. 
Se.  Nat.,  Bot.  »,  Ser.  li,  T.  xvi,  1841. 

'  BouDiER  M..  Dii  parasifisme  probable  de  qtiekjìies  esjjèces  (ìit  genre^la-Tpho- 
myce>i.  in  «Bull.  Soc.  Bot.  d.  Frauce  »,  1876,  T.  xxiil. 

*  Frank  B.,  Untersuchungen  il.  die ErnUhrung  der  Pflanze,  ecc.,  in  «  Nalnrw. 
Wochonbl.  ..,   1888. 

^  NOAK  Fr.,    Ueber  ìiiykorìiizenbildende  Filze,  in  •  Bot.  Ztg.  >,   1889. 

"  TuLASXE  Cb..  Fuìigi  liypogaei.  Paris,  186'2. 

'  De  Ferry  de  la  Bellone,  La  truffe.  Paris.   1888. 

*  Grimblot,  La  truffe  francaise,  in  «  Rev.  d.  eanx  et  des  forèts  »,  1887, 
T.  XXVI. 

"  CouDAMV  A..  Elude  sur  l'histoire  iiaturelle  de  la  truffe.  Angoulème,  187tì. 

'"  Chatin  A.,  Iai  truffe  :  Elude  des  conditions  yénérales  de  la  productiou 
frufph'e,  Paris,  1869;  e  Sur  les  ai-bres  et  arbustes  triiffìers,  in  «Bull.  d.  1.  Soc. 
Bot.  d.  Frauce»,  1869,  T.  xvi. 

"  Hesse  R.,  Zur  Entwickelungsgeschichte  der  Tuberaceen  und  Elapliomyceieu. 
in   "Bot.  Centralbl.  .,   1889,  Bd.  xxxviii  e  Bd.  xl. 

'-  Von  Shblesnow,  Ueber  das  Vorkommen  der  toeisseu  Truffel  in  der  Uvi- 
geìning  con  Moskou,  in  «  Bull.  d.  1.  Soc.  Imp.  d.  Natur.  in  Moscou  »,  1869,    T.  xlii. 

"  Dangeard  P.  A.,  I.a  truffe,  in  «Le  Botaniste  »,  4  Ser.,  1894. 


—  32  — 

Sarauw,  clie  ha  esaminato  il  materiale  inviatogli  dal  Mattirolo, 
sostiene,  contro  Mattirolo  e  Dangeard,  che  il  micelio  che  forma  le  mi- 
corize  penetra  bensì  nella  cavità  del  Ttiber  excavalum,  ma  che  non  vi 
è  relazione  intima  tra  i  filamenti  miceliali  delle  micorize  e  il  tessuto 
solido  del  tartufo.  Il  micelio,  dice  egli,  vi  penetra  come  penetrerebbe 
in  qualunque  altra  cavità  umida. 

Sarauw  afferma  di  avere  fatto  delle  analoghe  osservazioni  per  le 
micorize  del  faggio  e  il  Ehizopogon  luteolus  Fr.,  ed  Hesse  su  quelle 
delle  querele  e  dei  faggi  e  il  Leucogaster  floccosus. 

Anche  Ascherson  '  avrebbe  notato  alla  base  dei  Rhizopogon,  degli 
Hymenogaster  e  dei  Leucogaster  simili  ciuffi  di  filamenti  miceliali  che 
formano  rizomorfe. 

Sarauw  ha  osservato  parimenti  ciuffi  di  micelio  sopra  Tuber  aestivum 
e  Tuher  mesentericum  che  non  contraggono  però  legami  con  le  micorize 
di  faggio  sviluppantisi  nello  stesso  terriccio.  Dice  anche  di  aver  os- 
servato ife  del  Lycoperdon  Bocista  che  avviluppavano  le  micorize  del 
faggio,  ma  la  loro  guaina  miceliale  era  formata  da  un  altro  fungo. 

Secondo  Boudier,  Rees  ^,  Ball  ^,  Ludwig  *  ed  altri,  il  micelio  degli 
Elaphomyces  sarebbe  parassita  delle  radÌL-i  degli  alberi.  Ma  Sarauw 
non  crede  a  questo  parassitismo,  peraltro  ammette  che  la  Celtidia, 
scoperta  da  Janse  ',  sia  parassita  delle  radicelle  del  Celtis,  ma  ritiene 
che  le  ife  intracellulari  delle  micorize  di  questa  pianta  non  apparten- 
gano a  questo  fungo. 

Non  crede  nemmeno  al  parassitismo  daìV Hijmenogaster  Cerebellum 
del  Cavara,  mettendo  in  dubbio  che  le  "  ife  comunicanti  „  appartengano 
•à\V Hymenogaster,  perchè  dice  che  simili  filamenti  si  trovano  in  tutte 
le  terre  di  brughiera,  come  afferma  di  avere  egli  altra  volta  osservato 
e  figurato;  la  sua  figura  peraltro  non  dimostra  nulla,  anzi  con  essa  si 
può  escludere  che  si  tratti  delle  stesse  ife  figurate  dal  Cavara,  tanto 
per  la  forma  che  per  le  unioni  fibulaii  ciie  mancano  in  quelle  del 
Sarauw. 


'  AscHKii.so.N'  P.,  Uehcr  ilas  Yorkoiiiìiieii  voii  iSpeisetniffeln  ini  nonlisclten 
l)eitlsc/ìta7ìd,  in  «  Sitzb.   bot.  Ver.  Prov.  Brandenb.  :>,   1880. 

-  Rees  M.  e  Flscu  C,  Untersuc/mugen  iiber  Bau  und  Leijensgeschichte  der 
Il/rschtriiff'e!,  Elaphomyces,  in  «  Bibliotheca  Botanica».  Kassel,  1887,  vii. 

'  Bail  Th.,  in  ref'erat  del  lavoro  di  As(;her.-ion ,  in  «Bot.  Centralbl.  ».  1881. 
Bd.  V. 

■*  Ludwig  F.,  Einiye  intere><sante  Pilzfunde,  in  «  Verh.  d.  bot.  Ver.  d.  Prov. 
Brandenburg  »,  1880. 

'  Jan.se  J.  M.,  Les  endophytes  radicaux  de  quelques  plantes  javanaises,  in 
«Ann.  d.  Jard.  bot.  d.  Buitenzorg  »,  1897,  voi.  xiv. 


—  sa- 
li Sarauw  dice  anche  die  sopra  gli  E/aphomi/ces  vive  spesso  pa- 
rassita la  Tarrubia  ophiglossoides  Tul.,  la  quale  intreccia  le  proprie  ife 
con  quelle  dell'ospite  e  con  quelle  delle  micorize  degli  alberi,  le  quali 
ultime  peraltro  sono  formate  da  altri  funghi'.  Egli  non  crede  assolu- 
tamente al  parassitismo  delle  Tuberacee;  ed  esclude  in  generale  che 
i  funghi  simbiotici  delle  micorize  possano  nuocere  sensibilmente  alla 
pianta  ospite;  né  ammette  come  dimostrato  che  quest'ultima  ritragga 
un  vantaggio  qualunque  dal  fungo. 

Senza  entrare  nel  merito  di  tale  questione,  noi  osserviamo  che 
non  si  può  negare  un  rapporto  biologico  fra  i  tartufi  e  le  piante  tar- 
tufifere,  giacché  la  loro  esistenza  è  dimostrata  dalla  pratica  colturale 
delle  tartufaie  artiiìciali.  Da  lungo  tempo  è  dimostato  che  non  è  pos- 
sibile la  coltivazione  dei  tartufi  senza  la  coltivazione  delle  piante 
tartufifere  e  clie  la  produzione  delle  tartufaie  è  strettamente  legata 
alla  coltura,  al  governo,  alla  vegetazione  delle  piante  tartufifere,  ed 
alla  loro  specie  e  varietà.  Quando  l'albero  deperisce,  la  tartufaia  si 
esaurisce  e  la  produzione  dei  tartufi  cessa. 


I  micelii  che  concorrerebbero  alla  formazione  delle  micorize  del 
castagno,  secondo  i  diversi  autori,  apparterrebbero  alle  seguenti  specie 
fungine: 

A)  ASCOMICETI. 

Tuberacee:  Elaphomijces  granulatus  Fr. 

„  papillatus  Vitt. 

„  variegatns  Vitt. 

„  hirtus  Tul. 

„  Leveillei  Tul. 

„  ecliinatus  Vitt. 

„  citrinus  Vitt. 

„  ci/anosporus  Tul. 

Cenococcum  geophilum  Fr. 
Tuber  melanosporum  Vitt. 
„        rufutn  Pico 
„       macrospofum  Vitt. 


'  TuLASNE  Ch.,  Selecta  fangorum  carpologica,  1866. 
Atti  delllst.  Bot.  dell' Unli'ersUA  di  Paria  —  Serie  II   -  Voi.  XVII I. 


—  34  — 

Balsamia  vulgaris  Vitt. 
Genea  hispidula  Beik. 

„       verrucosa  Vitt. 

„      vagans  Matt. 
Pac/typhlaeus  Jigericus  Tul. 
DiscoMiCETi:  Hydnocystis  Beccavi  Matt. 

B)  BASIDIOMICETI. 

Imenogastree :  Hysterangiuiiì   Pompholyx  Tul. 

„  Fetri  Matt. 

„  siculutn  Matt. 

Hymenogasfer  arenaiius  Tul. 
LicoPERDEE:  Geaster  fìmhriatus  Fr. 

ScLERODERMEi :  Melatioguster  ambiguus  Fr. 

Polysaccum  crassipes  DC. 

„  Pisocar picum  Fr. 

Funghi  imperfetti:    Diplodia  Castaneae  Saci". 
Tonda  exifiosa  De  Seynes 
Cladospormm  sp. 
Helminthosporiitm  sp. 

Tutti  questi  funghi  peraltro  sono  stati  trovati  anclie  dove  non 
esiste  il  Male  deW inchiostro  e  in  castagneti  lontani  da  centri  infetti. 
E  non  solo  essi  trovausi  sopra  radici  di  castagno,  ma,  generalmente, 
anche  su  radici  di  altre  piante,  le  quali  non  ne  risentono  apparente- 
mente alcun  danno. 

Le  Tuberacee,  va  notato  inoltre,  sono  strettamente  legate  alla 
natura  iìsica  e  chimica  del  terreno,  mentre  il  Male  deW inchiostro  del 
castagno  ne  è  indipendente. 

È  noto,  e  da  antico  tempo,  che  dove  si  sviluppano  i  tartufi, 
muoiono  le  piante  erbacee  e  si  formano  chiazze  spoglie  di  ogni  vege- 
tazione. Marsigli  '  scriveva:  "' Quod  terra  uhi  tuberà  crescnnt  herbis  et 
graminibus  piane  sit  destituta  „. 

La  tartuficoltura  ha  confermato  questo  fatto,  dimostrando  che  tra 
i  filari  degli  alberi  tartutìferi  non  è  possibile  coltivare  piante  interca- 
lari, tanto  erbacee  che  arbustive,  che  nei    primi   anni  ;    perchè  quando 


Marsigli,  De  generatioue  fungonim.  fìoma,  1714. 


—   35  — 

il  micelio  ilei  tartufi  comincia  ad  espandersi,  invadendo  il  terreno  degli 
iuterfilari,  arresta  lo  sviluppo  di  qualsiasi  pianta.  Anche  le  viti  degli 
interfilari  cessano  di  vegetare  e  produrre. 

La  moria  delle  viti  si  estende  colla  produttività  delle  tartufaie  ; 
ed  in  quindici  o  venti  anni,  a  quanto  affermasi,  tutti  i  piedi  dei  vitigni 
periscono  in  conseguenza  dei  micelii,  come  muoiono  i  gelsi,  i  mandoili, 
gli  ulivi,  ecc. 

Anche  negli  alberi  tartufiferi,  dopo  una  cinquantina  d'anni,  si 
notano  segni  di  deperimento  accompagnati  dal  diminuire  e  cessare 
della  produzione  della  tartufaia. 

Come  si  possono  spiegare  questi  fenomeni  ?  Sono  essi  dovuti  al- 
l'azione parassitaria  del  micelio  dei  tartufi,  o  ad  intossicazione  od 
esaurimento  del  terreno  per  opera  del  micelio  stesso?  Fino  ad  ora 
non  si  è  dato,  né  ancora  può  darsi  risposta  precisa  a  tale  ■  domanda. 
È  certo  peraltro  che  la  moria  di  queste  piante  devesi  attribuire  all'a 
zione  diretta  o  indiretta  del  micelio  dei  tartufi,  come  i  cerchi  delle  fate 
che  si  disegnano  nei  prati  debbonsi  all'azione  dei  micelii  di  agaricini  e 
di  altri  funghi. 

Il  Male  dell' inchiostro  del  castagno  può  essere  prodotto  da  cause 
simili  od  analoghe  ? 

A  noi  per  varie  ragioni  non  sembra;  infatti  i  micelii  dei  tartufi 
uccidono  tutte  le  piante  erbacee  che  incontrano  sul  loro  cammino, 
qualunque  ne  sia  la  specie;  altrettanto  fanno  i  micelii  dei  Tricholoma  e 
di  parecchie  altre  specie  d'Imenomieeti  che  formano  i  cerchi  delle  fate. 

Ora  nulla  di  tutto  ciò  avviene  nei  castagneti  infetti  dal  Male 
deW inchiostro.  In  questi  castagneti  malati  le  erbe  tutte  come  i  muschi 
e  gli  arbusti  continuano  a  vegetare  come  nei  castagneti  sani,  senza 
mostrare  sofferenza  alcuna;  solo  il  castagno  deperisce  e  muore!  Questo 
fatto  solo  basterebbe  per  escludere  che  il  Male  delf  inchiostro  del  ca- 
stagno e  la  moria  della  pianta  prodotta  da  micelii  ipogei  abbiano 
origine  uguale  od  analoga. 

Inoltre,  se  i  micelii  sotterranei  esercitassero  un'azione  tossica, 
depauperante,  parassitaria  o  comunque  nociva  sui  castagni,  tale  azione 
si  dovrebbe  esplicare  di  preferenza  sopra  le  loro  giovani  barbicelle,  e 
non  attaccare  ed  incancrenire  anzitutto  le  grosse  radici  dell'albero  che 
pure  sono  protette  da  grossa  corteccia,  il  che  è  l'opposto  di  quello  che 
avviene  nelle  piante  che  muoiono  nelle  tartufaie  e  nei  cerchi  delle  fate. 

Ancora,  negli  interfilari  delle  tartufaie  muoiono,  come  si  è  detto, 
viti,  gelsi,  mandorli,  ecc.,  ma  nelle  radici  loro  non  si  produce  la  can- 
crena caratteristica  dei  castagni  presi  dal  Male  delV inchiostro,  cancrena 
che  dalla  ceppa  passa  prima  alle  grosse,  poi  alle  succe.ssive  radici. 


—  36  — 

Gli  alberi  delle  tartufaie  artificiali  dopo,  come  abbiamo  detto,  un 
cinquantennio  di  produttività  tartufieola  deperiscono,  ma  tale  deperi- 
mento si  può  attribuire,  come  generalmente  si  fa.  all'azione  dei  micelii 
dei  tartufi  ?  A  noi  non  sembra  per  il  fatto  che  tale  deperimento  si 
verifica  solo  nelle  tartufaie  artificiali  dove  le  querele  tartufifere  sono 
generalmente  disposte  in  filari  distanti  fra  loro  da  sei  a  dieci  metri, 
mentre  non  avviene  nelle  quercie  isolate  le  cui  radici,  libere  d'espan- 
dersi in  ogni  senso,  non  hanno  a  lottare  colla  concorrenza  di  quercie 
vicine.  Il  deperimento  delle  quercie  delle  tartufaie  artificiali  è  analogo 
aXVelaga^es  naturale  degli  alberi  nei  boschi  troppo  folti,  per  l'equilibrio 
necessario  che  deve  passare  tra  lo  sviluppo  delle  radici  e  quello  della 
chioma  dell'albero.  Ciò  è  confermato  dal  fatto  che  la  diminuzione  o 
cessazione  della  produzione  dei  tartufi,  ciie  segue  il  deperimento  del- 
l'albero tartnfifero,  si  verifica  qualunque  sia  la  causa  che  lo  produce, 
azioni  traumatiche,  potature  esagerate,  ecc. 

Il  Male  de!r inchiostro  non  aspetta  a  manifestarsi  nei  castagni 
quando  essi  abbiano  raggiunto  una  cinquantina  d'anni,  ma  li  attacca 
in  tutte  le  età  non  risparmiando  le  giovani  pianticelle,  e  tutte  colpisce 
le  piante  anche  se  isolate  o  distanti  parecchie  decine  di  metri  fra  loro. 

I  micelii  si  trovano  in  quantità  enorme  in  tutti  i  terreni  umiferi 
e  non  è  fenomeno  nuovo,  eppure  il  castagno  mai  ha  mostrato  di  risen- 
tirne danno,  anzi  secondo  molti  ne  ottiene  vantaggio  diretto  od  indi- 
retto e  le  sue  radici  reagiscono  al  contatto  dei  micelii  con  neo-forma- 
zioni (ipertrofiche).  Come  si  spiegherebbe  quindi  la  comparsa  relativamente 
recente  e  saltuaria  della  malattia  ed  il  suo  diffondersi  più  o  meno 
rapido  se  fosse  dovuta  all'azione  prolungata  dei  micelii  ipogei,  entrino 
essi  a  far  parte  o  no  delle  micorize? 

CoNCLUsiOKE.  —  Il  Male  deW  inchiostro  dei  castagni  non  può  attri- 
buirsi all'azione  diretta  od  indiretta,  anche  se  prolungata,  dei  micelii 
ipogei  e  delle  micorize;  nemmeno  esso  può  avere  rapporto  alcuno,  né 
analogia  con  quella  Moria  delle  piante  determinata  dai  micelii  delle 
Tuberacee  o  di  altri  funghi  che  producono  i  cerchi  delle  fate  nei  prati. 


37   — 


6.  —  Speciali  condizioni  pedologiche. 

A)  La  deficienza  o  sovrabbondanza 

DI    ALCUNE    SOSTANZE    MINERALI    NEL    TERRENO 
POSSONO    DETERMINARE    IL    "  MaLE    DELL'INCHIOSTRO,,? 

Gibelli  e  Antonelli  supposero  che  la  causa  del  Male  dell'  inchiostro 
fosse  da  rintracciarsi  nel  terreno  '. 

Questa  loro  opinione  si  basava  sopra  analisi  chimiche,  del  prof.  An- 
tonelli e  del  dott.  Maissen,  delle  ceneri  di  castagni  sani  e  di  castagni 
malati. 

Da  tali  analisi  si  possono  trarre,  secondo  Gibelli,  le  seguenti  de- 
duzioni: 

1.  "  La  quantità  di  ossido  di  ferro  contenuta  nelle  ceneri  delle 
radici  malate  è  assai  maggiore  che  in  quelle  delle  radici  sane.  Questo 
aumento  è  più  costante  nella  corteccia,  sorpassando  il  triplo  nelle  radici 
malate  (29,9  malate;  13,6  sane  di  Graglia;  24,2  malate  di  Pontede- 
cimo;  7,2  sane  di  Fiuraalbo).  Si  mantiene  evidentissimo  nel  legno  delle 
radici  di  Pontedecimo  in  confronto  di  quello  di  Fiumalbo  (14,5  ma- 
late; 4,4  sane).  Nel  legno  di  Graglia  malato  è  poco  meno  del  doppio 
(18,2  malato;  10,6  sano).  In  media  l'aumento  dell'ossido  ferrico  nelle 
radici  malate  è  del  triplo  „. 

2.  "  La  quantità  di  potassa  contenuta  nelle  ceneri  delle  radici 
malate  diminuisce  di  molto  in  confronto  con  quella  contenuta  nelle  ra- 
dici sane.  Nella  corteccia  si  può  calcolare  ad  un  terzo  la  proporzione 
fra  le  malate  e  le  sane  di  Graglia  (3,9  malate;  11,6  sane);  a  meno  di 
un  sesto  tra  le  malate  di  Pontedecimo  e  le  sane  di  Fiumalbo  (2,0  ma- 
late; 13,0  sane).  Nel  legno  le  differenze  sono  di  poco  meno  gravi  (9,9 
malate;  27,1  .sane  di  Graglia;  7,0  malate  di  Pontedecimo;  33,3  sane 
di  Fiumalbo).  In  media  dunque  la  quantità  di  potassa  nelle  radici  ma- 
late si  può  calcolare  ridotta  ad  un  quarto  del  normale  „. 

3.  "  L'anidride  fosforica  subisce  diminuzioni  parallele  a  quelle 
della  potassa  nelle  radici  malate.  Nella  corteccia  delle  radici  malate  di 
Graglia  la  troviamo  ridotta  ad  un  quinto  (0,.5  malate;  2,6  sane);  cosi 
pure  in  quella  di  Pontedecimo  in  confronto  di  quella  di  Fiumalbo  (0,7 


'  Gibelli  G.  e  Antonelli  G.,  Sopra  ima  nuova  Malattia  dei  castagni,    iii 
Atti  R.  Ago.  Scienze,  Lettere  ed  Arti  di  Modena»,  1877. 


—  38  — 

malate;  2,8  sane).  Nel  legno  di  Gragiia  malato  alla  metà  (4,6  ma- 
late; 11,1  sane);  nel  legno  di  PonteJecimo  a  quasi  un  quinto  (4,7  ma- 
late; 22,0  sane  di  Fiumalbo).  Anche  l'anidride  fosforica  dunque  troviamo 
ridotta  in  media  nelle  radici  malate  ad  un  quinto  del  normale  „. 

4.  "  La  silice  si  trova  naturalmente  aumentata  nelle  ceneri  delle 
radici  malate;  in  media,  portata  al  triplo  „. 

5.  "  Nei  tronchi  le  differenze  anzidette  sono  molto  meno  pronun- 
ciate. La  sola  che  si  mantiene  con  qualche  evidenza  è  quella  della  po- 
tassa, che  nella  corteccia  malata  si  trova  ridotta  quasi  ad  un  terzo  della 
quantità  contenuta  nella  corteccia  sana,,. 

"  Lasciando  a  parte  le  differenze  degli  altri  elementi,  tenendo  conto 
soltanto  di  quelle  della  potassa,  del  fosforo  e  del  ferro,  ognun  vede 
quanto  gravi  e  quanto  profonde  siano  le  alterazioni  indotte  dalla  ma- 
lattia nella  composizione  chimica  della  pianta,  e  quindi  nelle  sue  fun- 
zioni di  assimilazione  dei  materiali  utili  '  „. 

In  seguito  ai  dati  delle  analisi,  Gibelli  emise  la  seguente  ipotesi  : 
"  Nelle  regioni  castanicole,  dove  il  montanaro  asporta  tutti  i  pro- 
dotti del  castagno  sotto  forma  di  frutti,  di  rami,  di  foglie  e  perfino  delle 
erbe  che  crescono  sotto  la  sua  ombra  amica  -,  senza  mai  nulla  restituire 
sotto  forma  di  concime,  il  terreno  lentamente,  ma  inesorabilmente  viene 
depauperato  dei  sali  più  importanti  al  castagno,  potassa  e  soda.  E  na- 
turale che  questa  pianta  possa  resistere  ad  una  continua  sottrazione  di 
questi  elementi  anche  per  piìi  di  un  secolo.  Ma  quando  la  povertà  è 
giunta  all'estremo,  la  jìiù  lieve  causa  malefica  basta  ad  uccidere  la  pianta 
indebolita.  E  ciò  tanto  più  si  può  supporre  in  quanto  che  le  radici  del 


'  In  base  a  queste  analisi  il  Cugini  ritenne  di  poter  escludere  che  il  Male 
<leU' inchiostri)  fosse  di  origine  parassitaria.  «  Se  la  malattia  fosse  parassitaria,  i 
miceli  del  fungo  serpeggiante  tra  i  tessuti  della  pianta  sottrarrebbero  bensì  a 
questa  gli  elementi  nutritivi,  ma  questi  rimarrebbero  nei  miceli  immersi  nei 
tessuti:  e  l'analisi  chimica  delle  ceneri  non  rivelerebbe  alcuna  alterazione  nella 
loro  costituzione:  giacché  insieme  al  materiale  della  radice  del  castagno  verreb- 
bero analizzati  anche  i  parassiti  »  (Sopra  una  malattia  che  devasta  i  castagneti 
di  alcune  Provincie  italiane,  in  «Atti  Soc.  Agr.  di  Bologna»,  1878,  e  in  «Gior- 
nale di  Agricoltura  »,  Forlì,   1878). 

Anche  Gibelli  a  tale  proposito  nota  «  che  quando  veramente  i  miceli  doves- 
sero accagionare  tanto  squilibrio  negli  elementi  nvitritivi,  noi  dovremmo  trovarlo 
solamente  nella  corteccia,  che  talora  è  profondamente  compenetrata  dai  miceli  ; 
mentre  invece  si  incontrano  quasi  altrettante  differenze  di  composizione  anche  nel 
legno,  dove  pochissimo  o  punto  penetrano  i  parassiti  >. 

^  Avrebbe  potuto  aggiungere  anche:  l'asportazione    del   pulesco   e  di  tutto  il 
legno  degli  alberi  che  vengono  abbattuti  e  sostituiti  con  nuove  pianticelle. 


—  39  - 

castagno  si  dilatano  superficialmente,  ma  si  approfondano  pochissimo; 
per  cui  non  possono  trarre  dal  sottosuolo  i  materiali  alcalini  dei  quali 
è  ormai  esausto  il  soprasuolo  „. 

Per  corroborare  quest'ipotesi,  Gibelli  ed  Antonelli  fecero  analisi  di 
terre  di  castagneti  sani  e  floridi  e  di  castagneti  invasi  dalla  malattia, 
onde  vedere  se  la  quantità  di  ossidi  alcalini  che  contengono  i  sani  sia 
notevolmente  maggiore  di  quella  del  terreno  dei  castagni  malati. 

A  questo  scopo,  Maissen  fece  l'analisi  di  quattordici  terre,  undici 
di  castagneti  sani  e  tre  di  castagneti  invasi  dalla  malattia  (di  Graglia, 
di  Pontedecimo  e  di  Buti),  prendendo  in  considerazione  soltanto  il  fosforo 
e  la  potassa. 

Da  queste  analisi,  dice  Gibelli,  "  bisogna  confessarlo,  non  risulte- 
rebbe abbastanza  confermata  la  nostra  presupposizione,  che  cioè  sia  real- 
mente la  scarsezza  della  potassa  e  del  fosforo  nel  terreno  il  fattore  pri- 
mitivo della  malattia.  Infatti  se  noi  badiamo  alla  cifra  della  potassa  sola, 
troviamo  che  la  terra  malata  di  Buti  occupa  realmente  l'ultimo  posto, 
ma  che  quella  di  Graglia  occupa  l'undicesimo  e  quella  di  Pontedecimo 
il  decimo  „. 

"  Se  consideriamo  a  pai  te  la  cifra  del  fosforo,  troviamo  che  la  terra 
di  Graglia  occupa  il  sesto  posto,  quella  di  Pontedecimo  l'ottavo  e  quella 
di  Buti  il  tredicesimo  „. 

Le  analisi  del  terreno  quindi  non  confermavano  l'ipotesi  del  Gibelli, 
ma  egli,  pur  non  volendo  "  forzare  i  fatti  „  fa  notare  che  la  scelta  dei 
campioni  di  terre  non  è  facile  e  che  "  non  è  irragionevole  la  supposi- 
zione che  a  produrre  la  malattia,  la  scarsità  del  fosforo  concorra  in 
molto  minor  parte  di  quella  della  potassa  „.  Ma  anche  a  questo  riguardo 
le  terre  di  Pontedecimo  e  di  Graglia  sono  ancora  superiori  a  quelle  di 
Porretta  e  di  Treviso;  ma  Gibelli  osserva:  "  chi  può  assicurarci  che 
queste  regioni  immuni  oggi,  non  siano  domani  colpite  dal  malanno?  '  „ 

Gibelli  nel  1877  tentò  la  prova  sperimentale,  coltivando  giovani  ca- 
stagni in  terre  aitificialmente  depauperate  od  esageiatamente  aumentate 
di  alcuni  sali,  ma  i  risultati  furono  parimente  negativi. 

Nonostante  i  risultati  delle  analisi  del  terreno  e  delie  esperienze 
colturali,  Gibelli  non  si  persuade,  ed  osserva  ancora:  "  Noi  conosciamo 


'  Dal  tempo  nel  quale  Gibelli  scriveva  queste  rifiessioni,  sono  ormai  trascorsi 
38  anni  ed  a  Porretta  ed  a  Treviso  non  si  è  ancora  sviluppato  il  ALale  dell'in- 
chiostro, mentre  si  è  manifestato  a  Cuneo,  che  rispetto  alla  potassa  occupa  il  primo 
posto  e  il  nono  posto  rispetto  all'acido  fosforico;  si  è  pure  manifestato  a  Pinerolo 
che  occupa  il  nono  posto  rispetto  alla  potassa  ed  il  quarto  rispetto  all'  acido 
fosforico  ! 


-  40  — 

bensì  le  quantità  di  fosforo  e  di  potassa  che  si  contengono  nelle  terre; 
ma  noi  purtroppo  non  conosciamo  né  sotto  quale  formula  chimica,  né  in 
quale  stato  d'aggregazione  fisica  molecolare  si  trovino  insieme  agli  altri 
elementi  del  terreno  „  e  indi  aggiunge  che  1'  "  aggregazione  fisica  delle 
molecole  terrose  può  di  molto  modificare  il  valore  alimentare  del  ter- 
reno stesso  per  il  castagno  „. 

E  più  avanti:  "  Ammesso  anche  che  il  terreno  del  castagno  sia  ab- 
bastanza fornito  di  sostanze  minerali,  la  quantità  di  materia  elaborata 
nei  frutti  deve  dipendere,  come  per  tutte  le  piante  coltivate,  dalla  pro- 
porzione di  materie  azotate  assimilabili  che  gli  si  dovrebbero  sommini- 
strare con  una  ben  pensata  economia  „.  E  ricordato  ancora  lo  sfrutta- 
mento che  si  fa  del  castagno,  con  l'asportazione  di  tutti  i  suoi  prodotti, 
senza  compenso  di  concimazioni,  soggiunge:  "  E  dunque  naturale  l'indurre 
che  dopo  tanti  anni  di  sfruttamento  senza  discrezione,  anche  gli  elementi 
alibili  i  più  abbondanti  facciano  difetto  e  producano  nell'organismo  della 
pianta  uno  stato  di  debolezza,  che  la  predisponga  a  subire  l'influenza 
delle  diverse  cause  deleterie  e  tanto  più  di  parassiti  fungini  „. 

Gibelli  non  trovando  correlazione  fra  i  risultati  delle  analisi  dei 
castagni  malati  e  sani  ed  i  risultati  delle  analisi  dei  rispettivi  terreni, 
cerca  rendersi  ragione  di  tale  fatto  con  osservazioni  che,  per  quanto 
giuste,  non  valgono  a  spiegare  né  la  causa  della  malattia  (come  vedremo), 
né  le  contraddizioni  delle  analisi. 

Più  tardi  per  altro  il  Gibelli  abbandona  la  ipotesi  del  depaupera- 
mento del  terreno:  " Se  realmente  i  castagneti  periscono  per  de- 
ficienza di  potassa  e  di  fosforo,  coltivando  delle  piante  novelle  nelle 
regioni  infestate  dalla  malattia  e  addizionate  dei  materiali  anzidetti,  po- 
tremmo ottenerne  delle  piante  rigogliose  e  promettenti.  E  d'altra  parte 
se  noi  riuscissimo  a  coltivare  piante  di  castagno  giovani  e  ben  sane 
entro  terreno  artificialmente  depauperato  quanto  fosse  possibile  di  po- 
tassa e  di  fosforo,  potremmo  forse  in  certo  qual  modo  riprodurre  la  ma- 
lattia che  ci  occupa  e  far  perire  cosi  le  piante  sottoposte  alla  sperimen- 
tazione „. 

Ma  le  esperienze  gli  danno  risultati  assolutamente  negativi;  onde, 

il  Gibelli,  scrive:  "  nel  loro  insieme  ci  dicono  chiaramente,  non 

essere  la  Malattia  dell'inchiostro  causata  direttamente  dal  difetto  di  fosforo 
e  di  potassa  nei  terreni  castanicoli  „. 

Restano  per  altro  le  grandi  differenze  fra  i  risultati  delle  analisi 
delle  ceneri  delle  piante  sane  e  delle  piante  malate;  differenze  delle 
quali  né  Gibelli,  né  altri  danno  spiegazione  scientifica. 

In  tali  differenze  per  altro  alcuni  vedono  un  indizio  di  perturba- 
mento funzionale  e  di  denutrizione  delle  piante  malate. 


—  41  — 

Ora,  secondo  noi,  l'aumento  dell'ossido  di  ferro  nelle  ceneri  delle 
piante  inalate  (circa  il  triplo)  e  della  silice  in  realtà  non  è  che  appa- 
rente, come  vedremo,  e  la  diminuzione  della  potassa  e  del  fosforo  dipen- 
dono da  un  fenomeno  fisiologico  generale  e  non  particolare  ai  castagni 
malati  di   Male  dell'inchiostro. 

È  un  fatto  noto  che  l'amido,  il  glucosio,  le  sostanze  albumiuoidi,  fra 
i  principi  organici,  e  la  potassa  e  l'acido  fosforico  tra  gli  elementi  mi- 
nerali, emigrano  dalle  foglie  nei  rami  e  nel  tronco,  e  che  allorquando 
sul  principio  dell'inverno  le  foglie  si  staccano  dalla  pianta,  sono  ridotte 
pressoché  ad  uno  scheletro  di  membrane  cellulari  incrostate  di  silice  ed 
altre  sostanze  minerali. 

Gli  elementi  minerali  nelle  ceneri  delle  foglie  del  castagno  secondo 
le  analisi  di  Fleche  e  Grandeau  '  variano  dal  maggio  all'ottobre,  come 
segue: 

maggio 

Acido  fosforico.     .     .  19,31 

Potassa 31,85 

Ossido  di  ferro.     .     .  0,50 

Silice 1,59 

E  nelle  foglie  cadute  nel  novembre,  secondo  le  analisi  del  Trinci  - 
si  trova  acido  fosforico  0,1069,  potassa  0,2273. 

Ciò  che  avviene  nelle  foglie  accade  anche  nel  legno  e  nella  cor- 
teccia tanto  dei  rami,  che  del  tronco  e  delle  radici,  quando  essi  si  ap- 
prossimano alla  morte. 

Infatti,  anche  le  analisi  della  corteccia  morta  e  della  corteccia  viva 
d'abete  rosso  riportate  da  Henry  ^  danno  risultati  analoghi  a  quelli  tro- 
vati da  Antonelli  e  Maissen  nella  corteccia  del  castagno  sano  e  malato. 

Se  si  analizzano  due  rami  della  stessa  grossezza,  dei  quali  uno  sia 
vivo  e  l'altro  morto,  si  vede  che  la  potassa  e  l'acido  fosforico,  dice  Henry, 
sono  in  molto  maggiore  quantità  nel  legno  del  primo  che  del  secondo. 


settembre 

ottobre 

9,22 

8,35 

16,95 

10,52 

1,33 

2,17 

1,95 

4,67 

'  Fleche  L.  e  Grandeau  P.,  Recherches  chimiques  sur  la  compositiim  des 
f'millex  d'i'nji-  et  d'espéce  diffcrciits,  in  «Ann.  d.  la  St.  Agron.  de  PEst  »,  Nancy, 
1878. 

2  Trinci  C,  Le  foglie  di  castagno  considerate  come  lettiera  nella  bassa  mnii- 
tagiia  pistoiese,  in  «  Staz.  Sper.  Agr.  It.  »,  Modena,  1896,  voi.  xxix. 

Corteccia  viva  Coi-tecoia  morta 

'  Acido  fosforico 4, ri  1,30 

Potassa 1-2,L'  2,70 

Silice 2,5  26,00. 


—  42  — 

Nel  legno  morto  quindi  si  hanno  le  stesse  modificazioni  che  si  trovano 
nelle  foglie  che  cadono  all'autunno. 

Nel  caso  speciale  del  legno  e  della  corteccia  dei  castagni  morti  di 
Male  dell'inchiostro,  bisogna  tener  calcolo  ancora  di  un  altro  fatto. 

Dice  Gibelli,  che  "  il  legno  del  tronco  degli  alberi  morti,  o  anche 
solo  languenti  per  malattia,  a  detta  dei  periti  negozianti  di  legname,  è 
meno  denso,  pesa  un  terzo  del  sano  „. 

Ma  del  minor  peso  specifico  del  legno  malato  o  morto  non  hanno 
tenuto  conto  i  signori  Antonelli  e  Maissen  nelle  loro  analisi.  Eppure  è 
evidente  che  se  la  quantità  delle  cellule  necessarie  per  raggiungere  l'unità 
di  peso  doveva  essere  maggiore  pel  legno  malato  o  morto  di  quella  pel 
legno  vivo  e  sano;  nel  legno  malato  e  morto  maggiore  deve  essere  la 
silice  e  l'ossido  di  ferro  che  incrostano  le  pareti  cellulari. 

I  risultati  delle  analisi  sopra  citate  indicano  quindi  solo  che  le 
radici  analizzate  erano  morte  o  morenti,  ma  non  dicono  nulla  per  ri- 
spetto al  Male  dell' /iicìiiostro,  uè  sono  indizio  di  denutrizione  o  di  altra 
causa  speciale. 

Le  analisi  del  terreno  dei  castagneti  malati  e  dei  castagneti  sani, 
più  avanti  riportate,  e  le  esperienze  del  Gibelli,  dimostrano  dunque  che 
la  malattia  non  può  essere  dovuta  a  deficienza  di  acido  fosforico  o  di 
potassa,  né  a  sovrabbondanza  di  ossido  di  ferro  o  di  silice  nel  suolo. 

II  castagno  è  una  pianta  calcifuga  che  non  tollera  più  del  quattro 
per  cento  di  calce  nel  terreno,  come  l'hanno  dimostrato  Fleche  e  Gran- 
deau  \ 

Il  deperimento  del  castagno  nei  terreni  calcari  presenta  caratteri 
ben  diversi  da  quelli  del  'Mede  delV  inchiot.tro.  Del  resto  la  malattia  si 
manifesta  anche  in  terreni  poveri  e  poverissimi  di  calcare  '^. 

Gibelli  dice  che  il  terreno  di  castagneti  malati  non  conteneva  che 
il  0,10  per  cento  di  calce. 

Il  terreno  però  non  va  considerato  unicamente  dal  punto  di  vista 
della  composizione  chimica,  in  quanto  gli  elementi  indispensabili  alla 
pianta  vi  siano  contenuti  nelle  proporzioni  necessarie  all'alimentazione 
diretta  delia  pianta,  o  le  sostanze  nocive  non  vi  sorpassino  la  quantità 
tollerata  dalla  pianta  stessa;  ma  bisogna  considerare  anche  la  sua  com- 


'  Flechb  P.  e  Grandbau  L.,  Ehifliisx  iter  Hofìenbeschaffenheif  auf  die  Vege- 
tatioìi  der  Kastanie,  in  »  Ann.  d.  Chem.  et  Phys.  >•,  1874. 

'  La  povertà  di  calce,  secondo  il  Pestana,  sarebbe  anzi  una  causa  della  Ma- 
lattia dell'inchiostro,  perchè  impedirebbe  la  nitritìcazione  nel  terreno.  Questa  sua 
ipotesi,  come  vedremo,  non  ha  alcun  appoggio  nei  fatti. 


—  es- 
posizione chimica  e  fisica  in  quanto  essa  possa  produrre  utili  o  dannose 
reazioni,  cioè  essere  d'ostacolo  alla   nitrificazione   ed  alla   circolazione 
dell'aria  e  dell'acqua. 

Se  consideriamo  lo  strato  di  terreno  nel  quale  penetrano  le  radici 
del  castagno,  vi  troviamo  due  elementi  predominanti:  l'elemento  mine- 
rale proveniente  dalla  decomposizione  e  disgregazione  superficiale  delle 
rocce;  e  l'elemento  organico  formato  dai  cascami  della  vegetazione,  il 
quale  allo  stato  di  humus  intimamente  mescolato  all'altro  elemento,  forma 
la  tei'ra  vegetale.  Essi  poggiano  sopra  la  roccia  in  posto,  inalterata,  che 
costituisce  la  base  minerale. 

Dobbiamo  considerare  quindi  in  rapporto  alla  coltivazione  del  ca- 
stagno ed  al  Male  delT inchiostro: 

1.  la  base  mineralogica  die  fornisce  la  terra  minerale: 

2.  la  copertura  morta  e  la  sua  trasformazione  in  humus; 

3.  la  terra  vegetale  del  castagneto  formata  dalla  terra  minerale, 
modificata  nella  sua  composizione  chimica  e  fisica  dalla  mescolanza  e 
dall'azione  dei  prodotti  della  trasformazione  humica  della  copertura  morta. 

La  disgregazione  delle  zone  è  dovuta  ad  azioni  meccaniche  e  fisiche 
che  le  riducono  in  frammenti,  i  quali  hanno  la  composizione  della  roccia 
primitiva,  all'azione  meccanica  delle  radici,  dell'acqua,  specialmente  al 
gelo  e  disgelo. 

La  decomposizione  è  dovuta  ad  azioni  chimiche  dell'acqua,  dell'ossi- 
geno, dell'acido  carbonico,  ecc. 

* 


Per  rispetto  alla  costituzione  geologica  la  malattia  del  castagno  si 
è  sviluppata  in  Italia  nei  seguenti  terreni: 

Quaternario:   Puntocene  diluviale  a   Barga  (Lucca)  e 

Castelnnovo  Garfagnana. 
Terziario:        Pliocene  a  Barga  (Lucca)  e  Castelnuovo 
Garfagnana. 
Oligocene  a  Savonese. 
Eocene  a  Bartoniano,  a  Pistoia,  Villa  di 
Pitenio,  Borgo  a   Mozzano,  Ponte  a 
Moriano,  Valfreddana,  Villa  Basilica, 
Castelnuovo  Gaifagnana,  Cassio,  Pon- 
tremoli,  Lotta  (Fanano). 
Secondario:      Parisiano  a  Pistoia. 

Cretaceo  a  Vallonibrosa,  Pistoia,  Val- 
freddana, Villa  Basilica,  Pontedecimo, 
Lotta  (Fanano). 


—  44  — 

Giuraliassico  ad   Anchiano   in   vai    del 

Serchio  e  a  Villa  Basilica. 
Li/raliassico  a  Borgo  a  Mozzano. 
Triassico  a  Chiusa  di  Pesio  (Cuneo)  e 

Loano. 
Primario:  Permico- Carbonico  a  Buti  (monti  Pisani), 

Graglia,  Intra,  Ariano,  Fabbiana  (Pi- 

uerolo),  Barge  (Cuneo),  Savonese. 

Rispetto  alla  natura  litologica  la  Moria  è  comparsa: 

1.  In  terreni  alluvionali  ciottolosi,  sabbioso-terrosi  provenienti  da 
rocce  arenaceo-calcaree  plioceniche  (Piacenziano),  presso  Barga  (Lucca),  e 
d'origine  Eocenica  a  Castelnuovo  Garfaguana  (Massai; 

2.  In  terreno  di  natura  marnoso-sabbiosa  dell'Oligocene,  nel  Sa- 
vonese ; 

3.  In  terreni  arenacei  formati  dallo  sfacelo  dell'arenaria  macigno 
(Eocene),  nei  dintorni  di  Pistoia,  Villa  di  Piteccio,  Borgo  a  Mozzano, 
Ponte  a  Moriano,  Valfreddana,  Villa  Basilica,  Castelnuovo  Garfagnana 
Cassio,  Pontremoli,  Lotta; 

4.  In  terreno  misto  formato  da  detriti  d'arenarie  della  formazione 
precedente  e  da  calcari  del  Parisiano,  nei  dintorni  di  Pistoia; 

5.  In  terreno  formato  da  detriti  di  calcari  marnosi  e  arenaceo- 
psammitici  del  Cretaceo,  misto  non  di  rado  a  detriti  d'arenarie  eoceniche, 
a  Vallombrosa,  Pistoia,  Valfreddana,  Villa  Basilica,  Pontedecirao,  Lotta; 

6.  In  terreno  formato  da  calcari  Giurassici  ed  arenarie  eoceniche 
ad  Anchiano  in  Val  del  Serchio; 

7.  In  terreno  formato  da  detriti  di  calceschisti  dell' Infraliasico 
e  di  arenarie  eoceniche,  a  Borgo  a  Mozzano;. 

8.  In  terreni  formati  dallo  sfacelo  degli  Sciasti  triassici,  a  Chiusa 
di  Pesio  (Cuneo)  e  a  Loano  ; 

9.  In  terreni  provenienti  dallo  sfacelo  delle  rocce  gneissiche  e 
schistose  del  Pernio-Carbonifero,  a  Buti  (Monti  Pisani),  Graglia,  Intra, 
Ariano,  Fabbiana,  Barge  (Cuneo),  Savonese. 

La  terra  minerale  quindi  non  può  essere  priva  degli  elementi  ne 
cessari  alla  vita  del  castagno,  né  di  carbonati  alcalino-terrosi  alla  cui 
deflcenza  il  Pestaua  attribuirebbe  specialmente  la  causa  del  Mah  del- 
l'inchiostro per  ostacolata  ed  impedita  nitrificazione. 

È  ben  noto  che  i  depositi  plistocenici,  quando  non  sono  troppo  ciot- 
tolosi e  commisti  a  terriccio,  come  nei  castagneti  sotto  Barga  e  nella 
vallata  di  Pontremoli,  permettendo  la  penetrazione  delle  radici,  dell'aria 
e  dell'acqua,  costituiscono  buonissimi  terreni  per  la  coltura  del  castagno 
e  d'altre  essenze  forestali. 


—  45  — 

Il  Piacenziano  (Pliocene),  quando  assume  facies  sabbiosa,  rappre- 
senta terreni  sciolti,  assorbenti  avidamente  l'acqua  di  pioggia  e  l'aria 
atmosferica,  nei  quali,  oltre  la  silice,  per  le  alterazioni  dei  felspati,  vi 
si  trovano  abbondanti  traccia  di  ferro,  calce,  magnesia,  soda,  potassa,  ecc., 
quindi  una  quantità  notevole  di  elementi  utili  alle  piante,  per  la  qual 
cosa  vi  prosperano  meravigliosamente  anche  i  castagni,  come  nel  Bar- 
ghigiano  (Lucca)  e  a  Castelnuovo  Garfagnana. 

Non  improprio  alla  coltivazione  del  castagno  si  può  dire  parimenti 
il  mantello  sabbioso-marnoso  che  in  alcune  plagile  del  Savonese  ricopre 
le  formazioni  dei  terreni  cristallini  antichi. 

La  disgregazione,  lo  sfacelo  e  l'alterazione  delle  rocce  arenaceo- 
raarnose  dell'Eocene,  nell'Appennino,  son  ricoperte  di  rigogliose  selve 
di  castagno.  Queste  arenarie  (macigno  e  malosse)  composte  di  granuli 
di  quarzo,  pagliuzze  di  mica,  argilla,  qualche  volta  cori  granuli  di  fel- 
dispato,  sono  cementate  di  sostanza  calcare,  e  le  più  antiche  (del  Trias, 
Carbonifero  e  Devoniano)  da  cemento  siliceo. 

La  loro  composizione  chimica  è  variabilissima.  Contengono  acido  sili- 
cico in  quantità  variabile  da  1,64  a  76,86;  allumina  da  3,25  a  38,34; 
ossido  di  ferro  da  13,4  a  64,38;  calce  da  0,40  a  22,22;  magnesia  da 
0,08  a  20. 

Il  terreno  del  macigno  è  permeabile  all'acqua  e  all'aria  e  ricopre 
0  si  alterna  con  schisti  galestrini  eocenici  e  sovrasta  ad  argilloschisti 
del  cretaceo;  ciò  nonostante  vi  è  comparso  il  Male  deWincliiostro  a  Pi- 
stoia, Villa  di  Piteccio,  Borgo  a  Mozzano,  Valfreddana,  Villa  Basi- 
lica, Castelnuovo  Garfagnana,  Cassio,  Pontremoli,  Lotta  (Fanano). 

Nella  tabella  più  avanti  riportata,  i  dati  dei  terreni  analizzati  di  Fiu- 
raalbo,  Montese,  Porretta,  Serra  Mazzona,  si  riferiscono  a  questa  for- 
mazione arenacea. 

I  terreni  del  cretaceo  superiore,  dove  sono  alquanto  marnosi,  for- 
mano depositi  detritici  commisti  non  di  rado  a  frammenti  di  schisti  ar- 
gillosi e  detriti  arenacei  eocenici  di  trasporto. 

Quivi  si  ammantano  spesso  di  boschi  di  castagno  e  d'altre  essenze 
silvane.  In  terreni  di  tale  natura  la  malattia  è  comparsa  a  Vallorabrosa, 
Valfreddana,  Pistoia,  Villa  Basilica,  Pontedecimo,  Lotta. 

Gli  schisti  argillosi,  secondo  il  Bischof,  contengono  da  0,20  a  7,21 
di  potassa;  0,39  a  13,72  di  calce. 

Le  formazioni  schistose  del  Trias  alterandosi  facilmente  danno  ori- 
gine ad  un  terreno  argilloso  sabbioso  dove  vegetano  abbastanza  bene 
i  castagni.  Eppure  in  tali  terreni  si  è  anche  sviluppata  la  malattia  come 
a  Chiusa  di  Pesio  e  sopra  Loano. 

Nelle  regioni  schistose  e  gneissiche  del  Permo-Carbonifero  dove  le 


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rocce  si  presentano  profondamente  alterate,  si  osservano  prospere  selve 
di  castagni,  celebri  per  i  loro  prodotti  specialmente  in  provincia  di  Cuneo. 

Parecchie  località,  dove  la  terra  minerale  è  fornita  da  queste  rocce 
schistose,  da.\l' appenninite  ligure  piemontese  e  dal  Verrucano  dei  monti 
Pisani,  i  castagneti  pure  sono  stati  invasi  dal  Male  dell' inchiostro;  anzi 
in  questi  la  malattia  fu  avvertita  per  la  prima  volta  (a  Buti  nei  Monti 
Pisani  e  a  Graglia  nel  Biellese),  e  nei  Monti  Pisani  le  selve  di  castagni 
sono  state  quasi  interamente  distrutte. 

Più  tardi  in  terreni  di  tale  natura  si  è  manifestata  la  malattia 
anche  ad  Intra  sul  Lago  Maggiore,  a  Ariano  sopra  il  lago  d'Orta,  a 
Fabbiana  e  Barge   in   Piemonte  e  in   parecchie  località  del  Savonese. 

I  Gneiss,  quantunque  abbiano  struttura  schistosa,  hanno  la  stessa 
composizione  mineralogica  dei  graniti  (ortopo,  quarzo  e  mica)  e  secondo 
il  Bischof  contengono  da  58,98  a  76,55  di  acido  silicico;  da  10,83  a  21,14 
d'allumina;  da  0,82  a  9,49  d'ossido  di  ferro;  da  0,23  a  5,65  di  calce; 
da  1,2  a  2,65  di  magnesia;  da  0,65  a  5,29  di  potassa;  da  0,46  a  4,00 
di  soda  e  lino  a  0,58  di  ossido  di  manganese. 

I  micaschisti,  che  mancano  di  feldispati  e  sono  costituiti  essenzial- 
mente di  mica,  contengono  da  48,72  a  82,38  di  silice;  da  5,3  a  26,69 
d'allumina;  da  0  a  26,26  d'ossido  di  ferro;  da  0  a  4,90  di  calce;  da  0,27 
a  11,99  di  magnesia;  da  0,83  a  5,56  di  potassa;  da  0,36  a  4,02  di  soda. 

I  cloroschisti,  costituiti  essenzialmente  da  cloriti,  contengono  da 
41,54  a  42,08  di  acido  silicico;  da  3,51  a  19,81  d'allumina;  da  0  a  37,03 
d'ossido  di  ferro;  da  12  a  41,54  di  magnesia. 

La  terra  minerale,  qualunque  sia  la  sua  origine  e  la  sua  composi- 
zione, subisce  notevoli  trasformazioni  chimiche  e  modificazioni  fisiche 
per  l'azione  esercitata  sopra  di  essa  dalla  copertura  morta  e  dai  prodotti 
della  sua  trasformazione  Inimica. 

B)  L'humus 

HA  on'azione  nella  tìrtermimazione  del  Male  dell'inchiostro? 

La  maggior  paite  degli  Autori  che  si  sono  occupati  del  Male  del- 
l'inchiostro dei  castagni  hanno  voluto  vedere  nella  deficienza  deWhiimus 
0  nelle  incomplete  sue  trasformazioni  una  causa  diretta  o  indiretta 
della  grave  malattia. 

Non  solo  dei  castagneti  si  raccolgono  i  frutti  senza  dare  quasi 
mai  alla  pianta  alcun  compenso  di  concime,  ma  dal  castagneto  si 
asportano  altresì  tutti  gli  altri  cascami:  foglie,  ricci,  broccame  di  scalvo 
e  potatura,  ma  spesso  anche  la  copertura  viva,  costituita  dalle  felci  e 


—  47  — 

dalle  altre  erbe  che  vi  crescono  spontanee,  per  farne  lettiera  e  qnindi 
concime  da  servire  per  altre  colture. 

Per  alcuni  il  Male  dell'  inchiostro  del  castagno  non  sarebbe  altro 
che  conseguenza  del  depauperamento  del  terreno  per  una  inconsulta 
spogliazione  di  tutti  i  cascami,  che  dovrebbonsi  invece  lasciare  nel 
castagneto  onde  supplire,  almeno  in  parte,  alla  mancata  conciniazione. 

Altri  ritengono  indispensabile  Vhumus  alla  formazione  delle  mi- 
corize  0  alla  vita  saprofitica  dei  micelii  che  le  formano;  quando  esso 
manca  o  diminuisce  troppo,  le  micorize  non  si  formerebbero  o  i  loro 
rapporti  simbiotici  si  altererebbero  in  modo  da  diventare  parassitarie  . 
Infine,  alcuni,  pure  ammettendo  che  nel  terreno  dei  castagneti  malati 
vi  si  possa  trovare  sufficiente  quantità  di  materia  organica,  ritengono 
che  la  sua  nitrificazione  sia  in  alcuni  terreni  ostacolata  per  condizioni 
chimiche  e  fisiche  contrarie,  specialmente  per  mancanza  di  carbonati 
alcalini  e  di  ossigeno  per  insufficiente  permeabilità. 

Le  questioni  quindi  che  si  rannodano  direttamente  o  indiretta- 
mente dXVhumus,  per  ciò  che  riguarda  l'eziologia  del  Male  dell' incìiiostro, 
sono  molteplici  e  complesse. 

Tratteremo  perciò  separatamente: 

1)  della  copertura  morta  e  viva  e  della  sua  funzione  ed  influenza 
cititnica  e  fisica  sul  terreno; 

2)  dei  principi  fertilizzanti  che  si  sottraggono  annualmente  al 
castagneto,  mediante  l'asportazione  della  copertura  morta  e  viva  e  col 
raccolto  delle  castagne,  e  del  deterioramento  od  esaurimento  del  teireno 
che  ne  consegue; 

3)  della  decomposizione  della  copertura  morta,  umificazione  e  ni- 
trificazione della  materia  organica  in  rapporto  alla  simbiosi  micorizica  e 
alla  Moria  dei  castagni. 

1)  Copertura  morta  e  viva  nei  castagneti.  —  La  copertura  morta 
dei  castagneti  è  costituita  dai  detriti  più  o  meno  decomposti  delle 
foglie  e  dei  ricci  che  cadono  annualmente  e  da  pochi  frammenti  di 
rami  morti  o  di  placche  di  corteccia,  che. cadono  accidentalmente  per 
azioni  diverse;  la  copertura  viva  formata  da  ericacee,  ginestre  ed 
altri  piccoli  arbusti  e  da  erbe  d'ogni  altezza,  da  felci,  muschi,  licheni,  ecc. 

I  castagneti  rispetto  alla  copertura  morta  e  viva  non  si  trovano 
tutti  in  eguali  condizioni,  perchè,  a  seconda  della  specializzazione  della 
coltura  0  delle  usanze  colturali,  la  copertura  talora  si  rimuove  ed 
asporta,  tal'altra  si  lascia  sul  terreno. 

Nei  castagneti  da  frutto,  ogni  anno  si  raccolgono  le  castagne  od 
i  marroni,  privati  dei  loro  ricci  ed  il  resto  si  lascia  sul  terreno  per 
un  tempo  più  o  meno    lungo,  peraltro    non    oltre  i  nove  o  dieci   mesi; 


—  48  — 

giacché  prima  del  nuovo  raccolto  si  ripulisce  il  castagneto  dalle  felci 
ed  altre  erbacee  e  si  scopa  più  o  meno  accuratamente  onde  sul  terreno 
non  restano  clie  i  muschi  e  le  basse  erbe. 

Nei  castagneti  selvatici  da  legname,  invece,  specie  se  tenuti  a 
ceduo  0  palina,  nulla  si  raccoglie  o  solo  i  frutti;  e  tutta  la  copertura 
morta  e  viva  resta  e  si  accumula  sul  suolo,  fino  alla  fine  del  turno  di 
taglio,  poiché  il  ceduo  cresce  rapidamente  e  proteggendola  impedisce 
che  le  acque  od  il  vento  la  asportino. 

Devesi  anche  tener  conto  di  alcune  speciali  condizioni  intermedie, 
causate  dalle  diverse  usanze  colturali. 

Le  foglie  ed  i  ricci;  anche  nei  castagneti  da  frutto,  restano  sempre 
per  un  mese  o  due  sparsi  sul  terreno,  fin  quando  cioè  non  sono  com- 
pletamente secchi,  e  talora  anche  più  a  lungo  quando  la  stagione  e 
la  neve  non  ne  permettono  la  sollecita  raccolta.  In  parecchi  luoghi  non 
si  raccolgono  che  le  foglie  e  si  lasciano  i  ricci  sparsi  sul  terreno  o 
riuniti  in  piccoli  mucclii  detti  ricciaie  o  cardale^  fino  all'approssimarsi 
del  nuovo  raccolto;  peraltro  in  generale  si  asporta  il  tutto  per  farne 
lettiera  o  gettare  i  ricci  direttamente  nella  concimaia. 

Nel  Piemonte,  nella  Toscana,  ed  in  altri  luoghi  ancora  non  si 
potrebbe  rinunciare  alle  foglie  di  castagno  colle  quali  si  fa  lettiera; 
sarebbe  una  grave  perturbazione  nell'economia  agricola  dei  piccoli  po- 
deri; perché  senza  di  esse  diminuirebbe  la  già  scarsa  produzione  del 
concime  e  si  dovrebbe  ridurre  l'allevamento  del  bestiame,  non  poten- 
dosi più  destinare  la  paglia  al  foraggiamento.  La  Moria  del  castagno 
quindi  produce,  in  tali  regioni,  un  doppio  danno,  l'uno  diretto,  l'altro 
indiretto. 

In  alcuni  luoghi,  non  si  laccolgono  le  foglie  o  se  ne  raccoglie  solo 
una  parte;  ma  quel  che  rimane  non  resta  sparso  uniformemente  sul 
suolo,  ma  viene  portato  dai  venti  nelle  bassure  o  negli  avvallamenti, 
dove  rimane  fino  alla  prossima  castagnatura,  epoca  nella  quale  si  scopa 
accuratamente  il  castagneto  e  si  assetta,  per  il  raccolto  dei  frutti 
novelli. 

Quando  si  assettano  i  castagneti,  non  di  rado  anche  la  copertura 
viva,  0  parte  di  essa  falciata  od  arroncata,  si  asporta  oppure  si  am- 
mucchia e  si  brucia  sul  posto;  dove  si  ha  maggior  cura  del  castagneto 
e  sono  in  uso  ancora  vecchie  ma  buone  usanze,  si  sotterra  tutto  nelle 
roste,  formate  o  da  muricciuoli  semilunari  o  da  stecconato  e  rami  in- 
trecciati al  piede  degli  alberi,  negli  avvallamenti  e  dove  il  pendio  è 
più  forte. 

Di  tutti  questi  particolari  bisogna  tener  conto  quando  si  vuole 
trovare  nelle  sottrazioni  che  si  fanno  al  castagneto,  o  neir/«Mmi<s  o  nei 


—  49  — 

processi  di  umificazione  la  causa  prima  del  Male  dell'inchiostro,  perchè 
essi  contribuiscono  a  creare  condizioni  diverse  da  luogo  a  luogo,  per 
ciò  che  riguarda  il  bilancio  del  castagneto,  fra  sottrazioni  e  restituzioni 
dei  principi  utili  od  indispensabili  alla  vegetazione. 

In  generale,  nel  castagneto  da  frutto  si  hanno  condizioni  inter- 
medie fra  quelle  di  una  vera  foresta,  dove  tutta  la  copertura  morta  e 
viva  resta  e  si  accumula  sul  suolo  per  un  lungo  periodo  di  anni,  e 
quella  di  un  campo  coltivato  del  quale  ogni  anno  si  asporta  tutta  la 
parte  aerea  o  non  di  rado  si  tolgono  anche  le  radici. 

Nei  castagneti  a  ceduo  o  a  palina,  invece,  e  in  molte  selve  di 
castagno  selvatico  da  legname,  si  verificano  le  condizioni  generali 
delle  foreste  d'essenze  a  foglie  caduche,  perchè  quivi  non  si  raccolgono 
né  le  foglie,  né  gli  altri  cascami  e  nemmeno  si  falcia  la  copertura  viva. 

In  rapporto  al  Male  dell'inchiostro,  dobbiamo  esaminare  quindi 
separatamente: 

1)  i  castagneti  a  ceduo  o  a  palina  e  le  selve  nelle  quali  non  si 
raccoglie  annualmente  alcun  prodotto,  tranne  il  legname  alla  fine  del 
turno,  e  nelle  quali  tutti  i  cascami  delia  vegetazione  si  accumulano  e 
restano  sul  terreno; 

2)  i  castagneti  nei  quali  si  raccoglie  il  solo  frutto,  sia  a  mano, 
sia  per  mezzo  del  pascolo  dei  suini; 

3)  i  castagneti  in  cui  si  raccoglie  e  si  asporta  il  solo  frutto; 
ma  all'approssimarsi  del  nuovo  raccolto  si  falcia  la  copertura  viva  e 
si  scopa  il  terreno  dalla  copertura  morta;  distinguendo  quelli  in  cui 
la  spazzatura  si  brucia  sul  posto,  da  quelli  in  cui  si  sotterra  nelle  roste; 

4)  i  castagneti  nei  quali  tutta  la  copertura  od  una  parte  viene 
asportata;  distinguendo  quelli  nei  quali  si  tolgono  solo  le  foglie  e  le 
felci,  da  quelli  nei  quali  si  asportano  anche  i  ricci  e  tenendo  conto  anche 
della  durata  che  la  copertura  resta  giacente  al  suolo  (da  uno  a  dieci 
mesi)  ed  in  parte  si  decompone  arricchendo  in  proporzioni  il  terreno 
per  dilavamento  di  buona  parte  dei  principi  utili  che  nella  copertura 
morta  si  contengono. 

*  * 

La  composizione  chimica  del  fogliame  e  degli  altri  organi  che  si 
staccano  dall'albero  e  cadono  ci  permette  di  determinare  ciò  che  il 
castagno  sottrae  ogni  anno  al  terreno. 

La  composizione  dell'intera  copertura  morta  e  viva  ci  permetterà 
di  valutare  il  danno  che  si  causa  al  castagneto  con  la  sua  asportazione 
periodica. 

Alti  (teirisl.  Bai.  dell' l'iiiiii-siti'i  di  hirin  —  Serie  11  —  Voi.  .WIII.  4 


—  50  — 

Per  rispetto  alla  copertura  ed  al  terreno  che  essa  copre  si  deb- 
bono inoltre  fare  parecchie  altre  considerazioni. 

La  copertura,  avvertiamo,  non  è  solamente  un  concime,  nel  senso 
ristretto  della  parola,  ma  anche  un  correttivo  che  agisce  fisicamente 
e  elamicamente  sulla  terra  minerale  e  vegetale  del  castagneto  e  sugli 
elementi  mineralogici  che  la  compongono. 

La  copertura  morta  costituisce  una  specie  di  coltre  intessuta  di 
filamenti  miceliali  e  di  alghe  nella  quale  si  annidano  vermi,  insetti  e 
miriadi  di  microrganismi  vegetali  ed  animali  che  lavorano  alla  sua 
trasformazione  in  terriccio,  ed  alla  preparazione  meccanica  e  fisica 
della  terra  minerale,  scavandovi  gallerie  in  ogni  senso,  che  facilitano 
la  circolazione  dell'aria  e  dell'acqua  e  la  penetrazione  ed  incorporazione 
lìeWhutnus,  nello  stesso  tempo  che  l'arricchiscono  di  azoto  atmosferico. 

Nel  processo  di  decomposizione  della  copertura  morta  si  svolge 
acido  carbonico  che  agisce  chimicamente  sugli  elementi  minerali  del 
.suolo,  e  sui  composti  umici  che  legano  gli  elementi  terrosi,  disgregati 
del  terreno,  migliorandone  le  proprietà  fisiche  e  rendendolo  più  adatto 
alla  vegetazione. 

In  Germania,  dove  la  raccolta  della  copertura  morta  dei  boschi, 
in  parecchi  luoghi,  costituisce  un  diritto  d'uso  pubblico  (Streurecht), 
si  è  constatato  che  i  danni  di  questa  usanza  sono  molto  più  gravi  nei 
terreni  sabbiosi  e  sciolti  che  nei  terreni  argillosi  e  che  ciò  è  dovuto  in 
parte  al  maggior  bisogno  che  quelli  hanno  di  composti  umici  che  ne 
aumentino  la  coesione. 

Lo  strato  di  detriti  organici  che  ricopre  il  terreno  serve,  inoltre, 
a  proteggerlo  dall'azione  meccanica  esercitata  dalla  pioggia  che  tende 
a  comprimerlo  e  renderlo  impermeabile;  e  serve  inoltre  come  regolatore 
dell'umidità  e  del  calore. 

Queste  diverse  proprietà  AeW humus,  non  solo  hanno  importanza 
diretta,  poiché  alcuni  attribuiscono  il  Male  dell'  inchioalro  alla  .siccità, 
altri  alla  soverchia  umidità  ed  altri  ancora  al  freddo  e  agli  sbalzi  di 
temperatura;  ma  hanno  altresì  importanza  indiretta  perchè  contribui- 
scono a  mantenere  le  condizioni  fisiche  del  terreno  favorevoli  alla  vita 
dei  microrganismi  della  nitrificazione,  giacché  non  solo  forniscono  la 
materia  prima,  ma  altresì  favoriscono  in  essa  le  condizioni  utili  di 
umidità,  di  temperatura  e  permeabilità  indispensabili  alla  loro  vita, 
che  è  legata  altresì  alla  penetrazione  e  circolazione  dell'aria  nel 
terreno. 

L'acqua  non  é  distribuita  nel  terreno  dei  castagneti  come  nei 
campi  aratori  e  nei  prati.  Mentre  in  questi  l'umidità  va  aumentando 
con    la    profondità,   nei   boschi  la  zona  più  secca  si  trova,   secondo  la 


—  51  — 

natura  del  terreno,  la  profondità  e  la  direzione  delle  radici,  da  trenta 
a  quaranta  centimetri  sotto  la  superficie. 

Wollny  dice  che,  a  parità  di  composizione,  un  terreno  con  coper- 
tura è  notevolmente  più  umido  in  estate  d'un  terreno  ciie  ne  sia  privo; 
inoltre,  la  proporzione  dell'umidità  aumenta  con  lo  spessore  della  co- 
pertura, benché  non  in  proporzione  di  esso. 

Ciò  si  spiega  col  fatto  che  la  copertura  si  imbeve  come  una  spugna 
in  tale  misura  che,  secondo  Calas  e  altri  forestali,  la  copertura  morta 
può  trattenere  quattro  volte  il  proprio  peso  d'acqua;  ciò  che  corrisponde 
per   certi   boschi  ad   uno   strato  di  almeno  cento  millimetri  di  pioggia. 

Il  dott.  Ramaun  dell'Accademia  forestale  di  Eberswalde  aveva  tro- 
vato, peraltro,  che  la  differenza  d'umidità  fra  il  terreno  spogliato  dalla 
copertura  e  quello  non  spogliato,  nello  stesso  bosco,  era  piccola;  anzi 
che  quest'ultimo,  ad  una  profondità  fra  50  a  80  centimetri,  era  più  secco 
dell'altro;  alle  stesse  conclusioni  venne  lo  Schmidt,  ispettore  delle  fo- 
reste di  Meiningen. 

Fricke,  invece,  ha  trovato  che  i  terreni  con  copertura  contengono 
il  venti  per  cento  in  più  di  acqua  di  quelli  che  ne  sono  stati  privati 
e  spiega  i  risulati  ottenuti  da  Ramami  e  da  Schmidt  col  fatto  che 
essi  l'hanno  calcolata  riferendola  all'unità  di  peso  e  non  all'unità  di 
volume  come  egli  ha  fatto. 

Fricke,  peraltro,  si  è  limitato  ad  esaminare  il  terreno  soltanto 
fino  a  40  centimetri  di  profondità. 

L'umidità  superficiale  dei  boschi  protetti  dalla  copertura  si  spiega 
non  solo  per  l'alto  coefficiente  di  saturazione  di  quest'ultima,  e  per 
l'azione  moderatrice  che  essa  esercita  contro  l'evaporazione,  ma  proba- 
bilmente anche  per  il  comportamento  osmotico  del  terreno  ricoperto  di 
terriccio,  poiché,  secondo  le  ricerche  di  C.  J.  Lynde  ed  F.  W.  Bates, 
l'umidità  tei\derebbe  a  portarsi  dai  punti  dove  la  soluzione  del  suolo  é 
meno  concentrata  verso  quelli  dove  lo  è  di  più,  onde  lo  strato  terroso 
si  comporterebbe  come  una  membrana  semi-permeabile  '.  Ciò  spieghe- 
rebbe anche  i  risultati  ottenuti  da  Ramann  che  trovò  che  il  terreno 
protetto  dalia  copertura  morta  era  alla  profondità  di  .50  a  80  centi- 
metri più  secco  di  quello  spogliato. 


'  Muntz  e  Gandechon  constatarono  questo  fenomeno  fino  dal  1908,  ma  senza 
spiegarlo:  «  Lorsque  les  engrais  salins  sont  donnés  à  une  teri-e  d'un  état  di  sic- 
cité  relatif,  le  sei  attire  à  lui  l'eau  de  la  terre  et  forme  une  solution  qui  reste 
localisée  pendant  un  très  long  temps  sous  forme  d'un  noyau  humide,  et  que  la 
terre  placée  dans  l' intervalle  des  cristaux  de  sei  se  dessèche  au  profit  du  no3'au 
humide,  qui  s'agrandit  graduellement  à  mesure  qu'il  attire  à  lui  l'eau  des  parties 
avoisinantes  ». 


—  52  — 

Comunque,  il  maggior  tenore  di  acqua  nello  strato  superficiale  del 
terreno  dei  boschi  è  un  fatto  accertato,  e  ciò  spiega  la  tendenza  del 
castagno  a  cacciare  radici  superficiali;  fenomeno  che  alcuni  hanno 
litenuto  come  uno  dei  sintomi  della  malattia  e  come  prova  che  la 
Moria  dei  castagni  fosse  dovuta  ad  esaurimento  degli  strati  più  profondi 
del  suolo,  onde  la  pianta  fosse  costretta  a  cercare  negli  strati  superfi- 
ciali del  terreno  l'alimento  che  le  viene  meno.  Esso  sarebbe  l'ultimo 
sforzo,  secondo  questi  autori,  che  la  pianta  farebbe  prima  di  morire, 
mentre  esso  non  è  altro  che  un  fenomeno  generale,  indipendente  da 
qualunque  malattia  e  dovuto   probabilmente   a   semplice  idrotropismo  '. 

Per  rispetto  alla  temperatura  del  terreno,  le  ricerche  di  E.  Wollny 
e  di  E.  Ebermayer  condussero  alle  seguenti  conclusioni.  Il  terreno 
con  copertura  nella  stagione  estiva  è  più  freddo  del  terreno  nudo, 
altrettanto  avviene  in  qualunque  altra  stagione  quando  la  temperatura 
si  eleva  nelle  ore  più  calde  del  giorno;  in  inverno  invece  il  terreno  è 
più  caldo  quando  la  temperatura  ambiente  si  abbassa.  L'influenza  della 
copertura  è  tanto  più  sensibile  quanto  maggiore  è  il  suo  spessore. 

Perchè  il  terreno  possa  permettere  l'accesso  alle  radici  dell'aria, 
dell'acqua  e  dei  principii  fertilizzanti  che  loro  sono  necessari,  e  perchè 
in  esso  si  possano  compiere  i  processi  biologici  della  nitrificazione 
della  materia  organica,  bisogna  anche  che  esso  sia  permeabile.  Nei  campi 
aratori  questo  si  ottiene  con  le  periodiciie  lavorazioni  del  terreno;  nei 
castagneti  e  nei  boselii  in  genere  questo  ottiensi  per  mezzo  della  coper- 
tura e  della  lenta  incorporazione  AoiVlnimus  aiutate  dall'opera  degli  ani- 
mali *  (vermi,  insetti,  miriapodi,  ecc.)  che  sotto  la  copertura  lo  perfo- 
rano, lo  .solcano  e  per  così  dire  lo  lavorano  in  ogni  senso. 

Sono  ben  note  le  ricerche  di  Schloesing  circa  l'azione  degli  acidi 
umici  e  degli  uraati  .sopra  la  porosità  dei  terreni  argillosi  e  compatti, 
e  l'aggregazione  e  coesione  dei  terreni  soverchiamente  sciolti. 

La  copertura  morta,  decomponendosi,  fornisce  incessantemente  il 
cemento  umico  che  serve  a  legare  nei  terreni  sciolti  le  particelle  ter- 
rose, danilogli  una  struttura  grumosa;  e  fornisce  altresì  i  principii 
minerali,  specie  calce  e  potassa  (elementi  abbondanti  nelle  ceneri  delle 
foglie)  che  servono  a  coagulare  l'argilla  colloidale,  e  così  modificano 
favorevolmente  alla  vegetazione  lo  stato  fisico  del  terreno. 

"  I  montanari  delle  regioni  castanicole  (dice  Gibelli)  hanno  l'im- 
provvidissima abitudine   di    sottrarre    nella    primavera    e    nell'autunno 


'  Infatti  tale  fenomeno  si  verifica  tanto  nel  castagneti  malati  quanto  nei  aani, 
specie  ov'è  conservata  intatta  la  copertura  morta. 

'  Fra  i  quali  primeggia  ii   Lumbriots  terrestrix. 


—  53    - 

tutta  la  paglia  del  fogliame  e  dei  detriti  dal  piede  del  castagno.  Il 
quale,  invece,  pianta  più  che  generosa,  è  capace  di  fornire  per  più  di 
un  secolo  gran  copia  di  castagne  e  abbondanza  di  foglie,  senza  che 
l'ingrato  montanaro  lo  rimuneri  della  più  tenue  quantità  di  concime,,. 

•'  È  dunque  naturale  l'indurre  che  dopo  tanti  anni  di  sfruttamento 
senza  discrezione,  anche  gli  alimenti  alibili  più  abbondanti  facciano 
difetto  e  producano  nell'organismo  della  pianta  uno  stato  di  debolezza, 
che  lo  predisponga  a  subire  l'influenza  delle  diverse  cause  deleterie  e 
tanto  più  dei  parassiti  fungini  „. 

D'accordo  con  Gibelli  sopra  l'influenza  dannosa  della  cattiva  usanza 
d'asportare  il  fogliame  dal  castagneto;  ma  per  quanto  tale  pratica  sia 
dannosa,  per  quanto  possa  contribuire  a  far  deperire  i  castagni,  questo 
deperimento  non  costituisce  il  Male  dell'inchiostro,  né  questa  deplorevole 
usanza  ha  rapporto  alcuno  con  la  manifestazione  di  tale  malattia,  come 
più  oltre  dimostreremo. 

La  copertura  morta  non  si  esporta  soltanto  dai  castagneti,  ma 
anche  da  altri  boschi,  specialmente  in  alcuni  luoghi  della  Germania, 
dove,  come  abbiamo  detto,  costituisce  un  uso  civico  che  rimonta  a 
tempi  assai  remoti;  ed  altrettanto  si  fa  in  Francia  dove  questo  diritto 
d'uso  risale  al  XIV  secolo. 

Le  esperienze  e  le  ricerche  del  dott.  Schwappach,  continuate  per 
un  quarto  di  secolo  in  località  diverse  della  Prussia,  sopra  boschi  di 
faggio  situati  in  pianura  ed  in  montagna,  hanno  condotto  l'autore  alle 
seguenti  conclusioni: 

■'  Tutti  i  lotti  spogliati  della  copertura  accusavano  nettamente 
l'influenza  di  questa  operazione,  coli' indurimento  del  suolo,  che  si  copre 
di  muschi,  coli' ingiallimento    delle  foglie  e  il   deperimento   dei   fusti,,. 

"  Il  suolo  del  lotto  spogliato  annualmente  da  venticinque  anni  è 
tutto  coperto  di  muschi  e  il  popolamento  è  quasi  morto,  specialmente 
al  centro.  Nella  primavera  scorsa,  si  è  dovuto  in  questo  lotto  di  ven- 
ticinque are,  abbattere  46  tronchi  del  popolamento  dominante,  intera- 
mente secchi.  Nel  lotto  spogliato  ogni  due  anni,  il  rivestimento  di 
muschi  è  assai  notevole,  ma  non  ancoi-a  continuo,  e  un  certo  numero 
di  tronchi  sono  morenti.  Nel  lotto  spogliato  ogni  quattro  anni,  i  ca- 
ratteri sono  delio  stesso  ordine,  ma  attenuati  „. 

"  La  perdita  d'accrescimento  al  termine  di  venticinque  anni,  che 
tanto  hanno  durato  le  esperienze,  è  stata  in  media: 

"  Quando  la  spogliazione  ha  luogo  ad  ogni  anno  ....  25  "/„ 

,  n         «l'ie  anni.  .  15  °U 

quattro  anni  10  "io 

„  „         cinque  anni    5  7„ 


—  54  — 

"  L'influenza  nefasta  è  tanto  più  accentuata  quanto  da  più  lungo 
tempo  dura  la  spogliazione.  Così,  durante  l'ultimo  periodo,  cioè  durante 
il  venticinquesimo  anno,  la  depressione  dell'accrescimento  si  è  elevata 
in  media: 

"  Nel  caso  della  spogliazione  annuale  al    ...  40  % 

„  „                    biennale  al  .  .  .  2.5  7o 

„  „                    quadriennale   al  20  % 

„  „                   sessennale  al .  ,  12  "/(, 

"  In  cattive  condizioni,  la  spogliazione  annuale  può,  dopo  trenta 
anni,  condurre  al  deperimento  completo  del  bosco  „. 

Che  la  continua  asportazione  del  fogliame  possa  essere  causa  di 
lento  deperimento  anche  nei  castagneti  è  cosa  logica,  benché  non  sia 
ancora  dimostrato,  né  sia  facile  il  dimostrarlo.  Vi  sono  castagneti  se- 
colari, nei  quali  si  è  sempre  raccolto  il  fogliame  senza  che  in  essi 
siasi  potuto  notare  il  deperimento  trovato  dal  Schwappach. 

Noi  abbiamo  accuratamente  esaminato  le  sezioni  trasversali  dei 
tronchi  e  dei  rami  di  150  castagni  morti  pel  Male  dell'  inchiostro  in 
località  dove  si  raccoglie  il  fogliame  dei  dintorni  di  Fanano  ed  ove 
le  grossezze  variavano  da  10  centimetri  a  metri  1,20  di  diametro,  ne 
abbiamo  misurato  lo  spessore  degli  anelli,  e  lo  abbiamo  confrontato 
collo  spessore  degli  anelli  della  stessa  età  ed  anche  della  stessa  an- 
nata, di  castagni  sani  ;  ma  in  media  fra  sani  e  malati  non  abbiamo 
trovato  differenza  apprezzabile.  Abbiamo  esaminati  castagni  morti  di 
Male  dell' inchiostro  nel  pieno  vigore  del  loro  sviluppo,  e  trovato  che 
gli  anelli  d'accrescimento  del  legno  erano  normali,  sino  al  penultimo 
anno,  avevano  in  generale  sino  ad  un  centimetro  e  più  di  spessore. 
Abbiamo  esteso  l'esame  ed  il  confronto  a  castagni  posti  in  condizioni 
d'ubicazione  e  di  terreno  apparentemente  non  diverse  ed  appartenente 
ai  castagneti  nei  quali  non  si  leva  la  copertura,  ma  lo  spessore  degli 
anelli  (che  pure  varia  notevolmente  sotto  l'influenza  dell'ubicazione, 
della  natura,  della  fertilità  e  delia  freschezza  del  terreno)  non  ci  ha 
rivelato  il  deperimento  che  il  dott.   Schwappach  ha  trovato  nei   faggi. 

Una  depressione  d'accrescimento  del  25  al  40  per  cento  non  po- 
teva non  manifestarsi. 

Comunque,  la  morte  dei  castagni  causata  dal  Male  dell'inchiostro 
non  è  accompagnata  da  una  lenta  e  crescente  depressione  d'accresci- 
mento, come  avviene  negli  alberi  che  muoiono  in  seguito  alla  continua 
annuale  asportazione  della  copertura  del  bosco. 

La  copertura  viva  dei  castagneti  che  si  arroncano  ad  ogni  anno, 
quando   si   assetta  il  castagneto    prima   del    raccolto,    e    che   spesso  si 


—  55  — 

asporta  dal  castagneto  e  si  destina  ad  uso  di  lettiera,  è  quasi  intera- 
mente costituita  da  felci  {Pleris  aquilina,  Asplenium  Filix-fwminu,  Ne- 
phrodium  Filix-mas,  Aspidium  acideatum)  e  di  ericacee,  specialmente  di 
Calluna  vulgaris;  giacche  i  muschi  e  le  erbe  basse  non  si  estirpano, 
perchè  non  ostacolano  la  raccolta  delle  castagne.  Vedremo  in  altro 
paragrafo  la  quantità  presumibile  di  principii  fertilizzanti  che  si  asporta 
dal  castagneto  con  la  copertura  viva.  Qui  studieremo  solo  l'influenza 
indiretta  che  si  attribuisce  a  questa  parte  della  copertura  viva,  sopra 
le  proprietà  fisiche  e  chimiche  del  terreno. 

Ramann  riconosce  che  la  Pteris  aquilina  (la  più  comune  nei  ca- 
stagneti) esercita  un'azione  benefica,  ma  non  così  la  Calluna  vulgaris 
ed  i  mirtilli  che  deteriorano  il  suolo  con  le  loro  radici  e  formano  un 
humus  acido  (terra  di  brughiera),  mentre  che  Vhumus  che  si  forma  sotto 
alle  felci  non  è  acido  ed  oltre  a  ciò  il  terreno  si  mantiene  fresco  e 
permeabile. 

Secondo  Wolliiy,  sotto  la  copertura  viva  la  formazione  deWhumus 
avviene  più  lentamente,  perchè  è  più  lenta  la  decomposizione  della 
materia  organica  del  suolo,  la  quale  procede  in  ragione  inversa  della 
densità  della  copertura  viva  ;  quindi  sotto  tale  rapporto  la  copertura 
viva  eserciterebbe  un'azione  nociva. 

L'arroncatura  o  l'estirpazione  della  copertura  viva  non  può  nuo- 
cere quindi  al  castagneto,  anzi  può  essere  utile  se  essa  si  sotterra,  od 
anche,  benché  in  minore  misura,  se  si  brucia  sul  posto;  ma  vi  riesce 
di  danno  quando  si  porta  via  perchè  si  sottrae  annualmente  una  notevole 
quantità  di  principii  fertilizzanti  al  terreno. 

2)  Principii  fertilizzanti  che  si  sottraggono  annualmente  dai  casta- 
gneto, mediante  l'asportazione  della  copertura  morta  e  viva,  e  col  raccolto 
delle  castagne;  ed  esaurimento  e  deterioramento  del  terreno  che  ne  con- 
segne. —  Il  Vigiaui  studiando  i  castagneti  del  Casentino  calcola  che 
annualmente  si  asporti  dal  castagneto  per  ettaro: 

Kg.   13,80  di  azoto; 

Kg.  8,81  di  anidride  fosforica; 

Kg.  21,94  di  potassio; 

Kg.  36,72  di  calce; 

supponendo  che  nei  castagneti  della  Toscana  si  raccolgano  annualmente 
20  quintali  di  castagne  fresche,  7  quintali  di  rami  e  di  legno,  e  330 
chilogrammi  di  foglie  per  ettaro. 

Altri,  calcolando  in  base  ad  un  raccolto  annuale  di  22  quintali  di 


—  56  — 

castagne  fresche,  un  metro  cubo  di  legna  e  due  quintali  di  foglie,  com- 
putano pel  castagneto  le  seguenti  perdite  per  ettaro: 

Kg.  16,56  d'azoto; 

Kg.  9,07  d'anidride  fosforica; 

Kg.  23,23  di  potassa; 

Kg.  33,89  di  calce; 

in  questo  calcolo  di  sottrazione  annuale  al  terreno  non  è  compreso,  ben 
inteso,  quanto  occorre  per  l'incremento  legnoso  degli  alberi,  che  varia 
secondo  l'età,  la  specializzazione  della  coltuia,  la  località,  l'altitudine  e 
l'andamento  della  stagione;  sottrazione  anche  questa  non  trascurabile 
se  si  considera  che  il  faggio  (essenza  affine  al  castagno  e  fra  le  meno 
esigenti)  esige  per  l'accrescimento  legnoso  annualmente  per  ettaro,  se- 
condo il  Ramann: 


Età 

Azoto 

Potassa 

Anidride  fosforii  a 

Kg. 

Kg. 

Kg. 

a     20  anni 

9,88 

8,02 

4,51 

a     40      „ 

14,24 

1 1 ,58 

6,10 

a     60      „ 

12,74 

10,91 

4,79 

a     80      „ 

11,64 

10,66 

4,31 

a  100      „ 

11,73 

10,44 

4,11 

a  120      „ 

10,86 

9,80 

3,70 

media 

11,84 

10,23 

4,58 

Tutto  sommato,  se  si  confronta  l'esigenza  del  castagneto  con  quella 
del  prato,  secondo  i  dati  forniti  da  .Jolie  ',  emerge  che  il  castagneto 
sarebbe  sei  volte  meno  esigente  del  prato  per  l'azoto,  tre  volte  per  l'a- 
nidride fosforica  e  cinque  volte  per  la  potassa. 

Non  ostante  la  poca  esigenza  del  castagneto,  in  confronto  delle 
altre  colture  agricole,  è  logico  che  senza  restituzione  debba,  coll'andare 
del  tempo,  avvenire  la  depressione  della  produzione  castanicola  ed  anche 
il  deperimento  degli  alberi;  benché  ciò  non  sia  facile  dimostrarlo.  In- 
fatti vi  sono  castagneti  dai  quali  da  secoli  si  asportano  frutti,  foglie  e 
legna  senza  dar  loro  mai  concime,  i  quali  non  danno  segno  di  sofferenza 
né  di  diminuzione  nel  raccolto. 

Bisogna  quindi  ammettere  che  vi  debbano  essere  altri  fattori  che 
intervengono  a  riparare  le  perdite  dell'azoto  ed  a  facilitare  l'utilizza- 
zione delle  riserve  minerali  del  suolo. 


'  Secondo  Jolie   in   10000  Kg.  di  fieno  è  contenuto  azoto  Kg.  160,  anidride 
fosforica  Kg.  45,  potassa  Kg.  165. 


—  57  — 

Se  confrontiamo  i  risultati  delle  analisi  del  Maissen  (più  avanti 
ricordate)  delle  terre  di  14  castagneti  (fra  i  quali  tre  colpiti  da  Mule 
dell'inchiostro),  coi  risultati  delle  analisi  dei  terreni  di  92  foreste  fran- 
cesi (di  diverse  località  e  diversa  natura  geologica)  riportate  da  Henry', 
troviamo  che  rispetto  all'anidride  fosforica,  tre  dei  castagneti  analizzati 
ne  contengono  una  quantità  maggiore  della  massima  riscontrata  nelle 
foreste  francesi  e  che  solamente  nel  terreno  di  49  foreste  se  ne  sa- 
rebbe trovato  una  quantità  maggiore  di  quella  trovata  nel  castagneto  più 
povero. 

Rispetto  alla  potassa,  il  terreno  di  otto  dei  castagneti  esaminati  ne 
conteneva  una  quantità  maggiore  di  quella  della  foresta  più  ricca  della 
Francia,  anzi  due  ne  contenevano  più  del  doppio.  Solo  il  terreno  di 
undici  foreste  sarebbe  più  ricco  di  potassa  di  quello  del  più  povero  ca- 
stagneto analizzato  dal  Maissen, 

Ciò  dimostra  che,  non  ostante  che  nella  maggior  parte  dei  casta- 
gneti sopra  menzionati  si  raccolgano  frutti,  foglie  e  legna,  non  vi  è 
in  essi  maggiore  esaurimento  di  potassa  e  di  fosforo  che  nei  migliori 
forestali.  Anzi,  nei  castagneti  si  trova  una  riserva  di  tali  principi  mag- 
giore che  nelle  foreste  più  rigogliose  della  Francia. 

Secondo  Fliche  e  Grandeau  le  foglie  di  castagno  contengono  0,62 
d'azoto;  8,35  d'acido  fosforico;  10,52  di  potassa  sopra  mille  grammi  di 
sostanza  secca. 

In  quanto  alla  quantità  di  principi  utili  che  vanno  perduti  per  la 
pianta  quando  le  foglie  morendo  cadono  in  autunno,  gli  autori  non  sono 
d'accordo. 

Per  alcuni,  fra  i  quali  Sachs,  Kraus  ^,  Grandeau  e  Fliche,  Reinke', 


'  Gli  agi'onomi,  dice  Henry,  sono  concordi  nel  classificare  i  terreni  rispetto 
al  fosforo,  come  segue: 

a)  terreni  ricchissimi  quando  ne  contengono  più  del  due  per  mille; 

b)  terreni  ricchi  quando  ne  contengono  dall'uno  al  due  per  mille  ; 
e)  di  ricchezza  media  quando  ne  contengono  da  0,5  a  1  per  mille; 
</)  poveri  quando  non  ne  contengono  che  da  0,1  a  0,5  per  mille: 
o)  molto  poveri  quando  ne  contengono  meno  del  0,1  per  mille. 

Quattro  dei  castagneti  il  cui  terreno  fu  analizzato  da  Maissen  figurerebbero 
quindi  fra  i  ricchissimi;  due  fra  i  ricchi  (uno  dei  quali  affetto  dal  Male  tlel/'iii- 
chìosfrn);  cinque  fra  quelli  di  ricchezza  media  (uno  dei  quali  colpito  dal  Male  flet 
r inchiostro);  e  soltanto  tre  fra  i  terreni  poveri. 

'  Kraus  G.,  Einige  Bemerkungen  iiber  die  Erscheiminr/,  ecc.,  in  «  Bot. 
Ztg.  .,  1873,  n.  26. 

'  Reinke  J.,  Lekrbuch  der  allgem.  Botanik,  188(J. 


—  58  — 

Detmer  ',  Czapek  ^,  ecc.,  le  foglie  prima  di  cadere  nell'àutumio,  si  vuo- 
tano, cioè  tutte  le  sostanze  utili  che  contengono  vengono  immagazzinate 
negli  organi  viventi  della  pianta.  Per  altri  invece,  fra  i  quali  Combes  ^, 
Stalli*,  Dulk  ■',  Wehmer  ",  la  diminuzione  delle  sostanze  solubili  che  si 
verifica  nelle  foglie  cadenti  sarebbe  dovuta  a  dilavazione  operata  dalla 
pioggia  e  dalla  rugiada. 

Comunque,  tanto  che  la  scomparsa  o  diminuzione  della  potassa,  del 
fosforo  e  dell'azoto  si  debba  ad  emigrazione  negli  organi  permanenti 
della  pianta  o  sia  dovuta  in  parte  o  per  intero  alla  asportazione  ope- 
rata dalla  pioggia  e  dalla  rugiada,  queste  sostanze  non  andrebbero  per- 
dute, perchè  nel  primo  caso  aumenterebbero  le  riserve  della  pianta,  nel 
secondo  arricchirebbero  il  terreno. 

Malgrado  ciò  è  da  ritenersi  che  una  parte  non  trascurabile  di  so- 
stanze utili  per  la  pianta  venga  sottratta  con  le  foglie  che  cadono  e 
quindi  asportata  con  la  copertura  morta,  come  del  resto  dimostrano  le 
analisi  di  Wehmer,  Combes,  André  ed  altri. 

La  perdita  inoltre  per  dilavazione  continua  nelle  foglie  anche  dopo 
la  loro  caduta.  Ramann  ha  constatato  che  dopo  un  anno  le  foglie  di 
quercia  lasciate  esposte  a  tutte  le  intemperie  avevano  perduto  il  40  per 
cento  della  potassa;  cioè  le  foglie  che  alla  caduta  contenevano  0,487  di 
potassa,  dopo  due  anni  non  ne  avevano  più  di  0,133. 

Non  è  dunque  necessario  che  la  copertura  sia  decomposta  perchè  le 
sostanze  minerali  passino  nel  suolo.  La  potassa  è  quella  che  passa  più 
rapidamente;  poi  viene  la  magnesia  e  l'acido  fosforico. 

Le  esperienze  di  Schróder,  ripetute  e  confermate  dal  Ramann,  lo 
dimostrano  in  modo  evidente.  Un  chilogramma  di  foglie  di  faggio  rac- 
colte in  ottobre  prima  di  essere  state  bagnate  dalla  pioggia,  furono  messe 
in  tre  litri  di  acqua  distillata  e  lasciatevi  per  24  ore.  Indi  evaporando 
questo  liquido  si  ottenne  un  primo  estratto;  poscia  queste  stesse  foglie 
furono  rimesse  in  due  altri  litri  d'acqua  distillata  e  lasciatevi  per  due 


'  Detsier  W.,  Lehrb.  dei-  Pflanzenphysiologie,  1883. 

^  CzAPBK  Fr.,  Biochemie  der  Pflanzen,  1896. 

■  Combes  K.,  Les  opinions  actuelles  sur  les  phénom'enes  physiologiques  qui 
accompagnent  la  chtite  de-i  feui/les,  in  «  Rev.  gén.  à.  Hotauique>.  Paris,  1911, 

'  Stahl  e.,  Zur  Biologie  des  Chlorophylls  ecc.  Jena,   1909. 

^  Dulk  E.,  Unteisuchungen  der  Buchenblntler  in  ihren  verschiedenen  Wuchs- 
thumszeiten,  in  t  Land.  Jahrb.  »,  1875,  Bd.  xviii. 

"  Wbhmhr  C,  Die  dem  Laubfall  voraufgehende  vermeintliche  Blattentleerung, 
in  >.  Ber.  d.  d.  bot.  Ges.  »,  1892,  Bd.  x. 


—   59 


giorni,  e  da  tale  liquido  si  ottenne  per  evaporazione  un  secondo  estratto: 
e  le  analisi  diedero  i  seguenti  risultati: 


Mille  parti  di 
foglie  secche 

di  faggio 
contenevano 

Sopra  mille  parti  di  sostanza 
secca  furono  disciolte 

Totale 
per  cento 

1"  estratto 

2"  estratto 

Potassa            . 

Calce 

Magnesia     .   .  . 
Acido  fosforico 

Silice 

Cenei-e  pura  .   . 
Materia  organica 

i 

5,668 

20,858 

3,093 

4,233 

23.179 

60,300 

2,807 
0,657 
0,561 
0,592 
0,609 
5,576 
18,540 

1,285 
0,696 
0,428 
0,219 
0,612 
3,334 
8,450 

71,66 

6,26 
32,01 
19,18 

5,26 

14,77 

2,70 

Dunque,  dopo  tre  giorni  di  dilavazione,  le  foglie  secche  avevano 
perduto  il  71,66  per  cento  della  potassa  e  il  19,18  percento  dell'acido 
fosforico.  E  Ramanu  ha  dimostrato  che  tali  perdite  si  hanno  non  solo 
nelle  esperienze  di  laboratorio,  ma  anche  nelle  foglie  esposte  a  tutte  le 
intemperie. 

Di  ciò  bisogna  tenere  il  dovuto  conto,  quando  si  vuole  calcolare  la 
quantità  di  principi  utili  che  vengono  annualmente  sottratti  al  casta- 
gneto con  la  raccolta  delle  foglie. 

Come  è  stato  di  già  detto,  le  foglie  di  castagno  non  si  raccolgono 
immediatamente  dopo  la  loro  caduta,  ma  si  lasciano  nel  castagneto  fino 
che  sono  completamente  secche,  ciò  che  si  verifica  dopo  parecchi  giorni 
e  spesso  dopo  qualciie  mese,  nel  qual  tempo  rimangono  esposte  a  tutte 
le  intemperie  e  ciò  nella  stagione  più  piovosa  dell'anno.  Spesso  anzi 
esse  non  si  raccolgono  che  nella  primavera,  cioè  quando  le  nevi  sono 
scomparse.  Ammesso  che  le  foglie  al  momento  che  si  raccolgono  conten- 
gano ancora  il  15  per  cento  di  acqua,  i  tre  quintali  di  foglie  che  si  rac- 
colgono in  un  ettaro  di  castagneto,  secondo  i  dati  di  Grandeau  e  Fliche, 
conterrebbero  : 

Azoto Kg.  0,1581 

Potassa 2,6826 

Acido  fosforico ,     2,12925 

se  esse  fossero  raccolte  subito  dopo   la  caduta,  cioè  prima  di  essere 
bagnate  dalle  pioggie  e  dalla  rugiada;  ma  rimanendo  esse  esposte  per 


-    60  — 

pareccliio  tempo  alle  piogi^ie,  la  quantità  di  potassa  e  di  acido  fosforico 
che  si  asporta  annualmente  da  un  ettaro  di  castagneto,  con  la  raccolta 
delle  foglie,  deve  essere  evidentemente  molto  minore,  tale  da  non  dovere 
preoccupare  dal  momento  che,  come  si  è  dimostrato,  nel  terreno  dei  ca- 
stagneti esistono  notevoli  riserve  tanto  di  fosforo  che  di  potassa. 

Riserva  che,  secondo  i  dati  del  Maissen  sopra  riportati,  può  essere 
calcolata  ad  ettaro  da  un  minimo  di  Kg.  4530  a  un  massimo  di  Kg.  48.330 
per  l'acido  fosforico  e  tra  uu  minimo  di  Kg.  34.815  a  un  massimo  di 
Kg.  143.070  per  la  potassa,  nello  strato  di  terra  a  disposizione  delle 
radici  del  castagno,  e  che  viene  reso  poco  a  poco  assimilabile  sotto 
l'azione  dissolvente  dell'acqua,  dell'acido  carbonico  e  delle  radici. 

3)  Decomposizione  della  copertura  moria.  —  Per  quanto  riguarda 
l'asportazione  dell'azoto,  bisogna  notare  che  non  tutta  la  copertura 
morta  si  raccoglie  '  ;  anche  quando  si  scopa  accuratamente  il  casta- 
gneto, ne  resta  sempre  alla  superficie,  o  incorporata  allo  strato  superfi- 
ciale del  terreno,  una  quantità  sufficiente  per  ospitare  ed  alimentare 
miriadi  di  microrganismi;  bacteri.ifomiceti,  ed  altri  miceli  di  funghi  supe- 
riori, alghe,  ecc.,  ciie  hanno  la  proprietà  di  fissare  l'azoto  atmosferico. 

Gli  aerobionti  che  vivono  nella  copertura,  dice  Dezani  -,  utilizzano 
i  carboidrati  come  nella  respirazione  normale  fissando  azoto  atmosferico; 
il  Macrosporium  comune,  secondo  il  detto  Autore,  per  ogni  grammo  di 
zucchero  bruciato,  può  produrre  fino  mmg.  8,9  di  azoto. 

Secondo  Henry,  in  foglie  di  quercia  che  avevano  ancora  9,73  per  cento 
di  acqua  e  che  contenevano  1,108  per  cento  di  azoto,  dopo  un  anno  d'e- 
sposizione all'aria  l'azoto  era  salito  a  1,923  per  cento;  e  in  foglie  di  car- 
pino che  avevano  12,70  per  cento  di  acqua  e  0,947  per  cento  di  azoto, 
questo  dopo  un  anno  era  arrivato  a  2,246  per  cento. 

Il  guadagno  di  azoto  fu  dunque  di  grammi  0,815  per  ogni  cento 
grammi  di  foglie  di  quercia;  di  grammi  1,299  per  ogni  cento  grammi 
di  foglie  di  carpino. 

Supposto  che  la  materia  organica  che  rimane  nel  castagneto  sotto 
forma  di  foglie,  di  detriti  e  di  terriccio  fosse  distesa  in  uno  strato  uni- 
forme anche  di  soli  due  millimetri  di  spessore,  si  avrebbero  sempre  20 
metri  cubi  di  copertura  morta,  pari  a  circa  16  quintali,  capaci  di  ac- 
cumulare sotto  l'azione  dei  microrganismi  da  Kg.  13,05  a  Kg.  20,78  di 


'  Vigiani  ritiene  clie  .si  laccolgano  annualmente  solo  Q.li  3, .SO  di  foglie  di 
castagno  per  ettaro,  altri  calcolano  solo  due  quintali  ;  molto  meno  quindi  della 
intera  copertura  morta. 

*  Dezani  S.,  Sit  le  foglie  cadute,  studio  biochimico,  in  «  Staz.  Sper.  Agr. 
It.  .,  Modena,  1913. 


—  61    — 

azoto;  iinantità  che  può  ritenersi  sufficiente    o    quasi    ai   bisogni    del 
castagno. 

Non  intendiamo  impostare  queste,  cifre  (per  sé  stesse  incerte  e  va- 
riabili, dipendendo  da  fattori  biologici  e  fisici  variabilissimi  da  luogo  a 
luogo)  nel  bilancio  annuale  dell'azoto  del  castagneto,  per  contrapporle 
alle  cifre  più  sicuramente  ponderabili  e  costanti,  che  rappresentano  le 
sottrazioni  annuali  d'azoto  che  vengono  fatte  col  raccolto  delle  castagne, 
delle  foglie  e  del  legno,  ma  le  riportiamo  solamente  per  dare  una  pos- 
sibile spiegazione  del  fatto  che  vi  sono  castagneti  dai  quali  si  continua 
da  secoli  ad  asportare  annualmente  frutti,  foglie  e  legna,  senza  che 
diano  segno  di  stanchezza  o  di  deperimento. 

C)  Il  "  Male  dell'inchiostro  „ 

PDÒ    ESSERE    CADSATO    DIRETTAMENTE    0    INDIRETTAMENTE 
DA    ESAURIMENTO    0    STERILITÀ    DEL    SUOLO? 

Ripetiamo  :  il  Male  delt inchiostro  non  si  presenta  sotto  una  forma  di 
rachitismo  o  di  deperimento  cronico  degli  alberi.  La  malattia,  come  con- 
cordemente riconoscono  la  massima  parte  degli  autori,  sembra  anzi  col- 
pire di  preferenza  le  piante  più  giovani  e  vigorose,  ben  inteso  senza 
risparmiare  le  altre. 

Come  abbiamo  detto:  a)  vi  sono  castagneti  in  cui  le  foglie  nou 
restano  sul  terreno  che  per  una  ventina  di  giorni  o  per  qualche  mese; 
in  alcuni  di  questi  si  è  sviluppata  la  malattia  (p.  e.  a  Piteccio  nel  Luc- 
chese, a  Castelnuovo  Garfagnana,  a  Ariano,  Fabbiano,  Panano,  ecc.),  ma 
la  maggior  parte  dei  castagneti  così  trattati,  dai  quali  cioè  si  asporta 
la  copertura  morta,  non  presentano  alcun  segno  della  Malattia  dell'in- 
chiostro tanto  in  Toscana  e  nella  Liguria,  quanto  nel  Piemonte  e  nel- 
l'Emilia. 

b)  Vi  sono  castagneti  in  cui  la  copertura  morta  e  viva  non  si 
asporta,  ma  si  ammucchia  e  si  sotterra  o  si  brucia  quando  si  assetta  il 
castagneto  all'approssimarsi  del  raccolto  dell'anno  successivo.  In  alcuni 
di  questi  (p.  e.  pendici  dei  monti  di  Borgo  a  Mozzano  e  di  Vidiciatico) 
abbiamo  riscontrata  la  malattia. 

e)  Vi  sono  castagneti  selvatici  o  tenuti  a  ceduo,  in  cui  la  coper- 
tura non  si  tocca  mai,  e  rimane  sempre  sul  suolo.  Malgrado  ciò  essi 
pure  non  sono  risparmiati  dal  Male  delV inchiostro.,  tali  sono,  p.  e.,  alcuni 
cedui  dei  dintorni  di  Pistoia  e  il  ceduo  di  Sella  presso  Savona.  Anzi, 
mentre  la  Moria  va  distruggendo  quest'ultimo  ceduo,  la  selva  di  castagni 
da  frutto  che  vi  è  attigua,  e  che  si  scopa  accuratamente  per  trarne  let- 
tiera, è  fino  ad  ora  immune. 


—  62  — 

In  ciò  le  nostre  osservazioni  concordano  con  quelle  del  Crié,  del 
Delacroix  e  di  molti  altri  osservatori  francesi  '. 

Il  prof.  Celi,  che  fu  il  primo  a  studiare  la  malattia  del  castagno  a 
Graglia  nel  Biellese,  fa  notare  che  la  malattia  si  manifestò  per  primo 
nella  parte  bassa  tenuta  a  prato  e  periodicamente  concimata  e  lascia 
intravedere  il  dubbio  che  la  Moria  sia  provocata  e  favorita  dalle  con- 
cimazioni. 

A  Lotta  in  comune  di  Fanano  (Modena),  dove  abbiamo  esaminati 
e  curati  un  gran  numero  di  castagni  affetti  dal  Male  deW inchiostro,  ab- 
biamo constatato  che  la  lavorazione,  la  concimazione  del  terreno  e  la 
sua  coltura  non  esercitano  azione  preservativa.  Anzi,  nei  campi  conci- 
mati annualmente  ed  avvicendati  con  leguminose  foraggere  induttrici  di 
azoto,  si  osserva,  in  confronto  dei  terreni  incolti,  una  maggior  frequenza 
di  marciume  radicale  e  di  mortalità;  cosi  pure  nei  terreni  castagnati 
tenuti  a  prato  stabile,  specialmente  se  ricevano  acque  di  colature  miste 
a  colaticcio  di  stalla. 

Nelle  bassure,  ove  si  accumulano  le  foglie  portatevi  dal  vento  e  dove 
scolano  dalle  parti  soprastanti  le  acque  pluviali  cariche  di  sostanze  umiche, 
il  marciume  radicale  si  sviluppa  più  rapidamente  e  vi  s'affretta  il  de- 
corso della  malattia  e  la  morte  dell'albero;  senza  però  che  le  colature 
di  bosco  esercitino  nessuna  manifestazione  predisponente  all'infezione 
delje  parti  epigee  dei  castagni. 

Osservazioni  cliniche.  —  Riportiamo  qui  per  esteso  alcune  delle 
osservazioni  fatte  in  campagna  in  appoggio  delle  cose  sopra  esposte. 

a)  Nel  podere  di  Medoli,  a  levante  della  casa  colonica,  tra  il  fosso 
del  Borgo  e  quello  della  Riola,  vi  è  un  campo  castagnaio  di  circa  mq.  4000 
coltivato  a  cereali,  che  si  concima  con  letame  e  s'avvicenda  con  legu- 
minose da  foraggio.  In  esso  si  contarono  24  castagni  morti  del  Male 
dell'inchiostro:  15  avevano  parte  delle  loro  radici  marcescenti  e  2  soli  ave- 
vano le  radici  sane,  mentre  la  loro  chioma  era  pure  attaccata  dal  Co- 
ryneum  come  quella  dei  precedenti. 

b)  Tra  la  mulattiera  Fanano  Vesaro  e  la  mulattiera  dei  Medoli, 
a  settentrione  del  fosso  della  Riola,  vi  è  un  altro  campo  coltivato  a 
cereali.  In  esso,  quantunque  sia  alla  periferia  dell'area  infetta,  dei  12 
castagni  che  vi  si  trovano,  uno  è  morto,  tre  presentano  marciume  ra- 
dicale e  otto  hanno  i  soli  rami  ammalati. 


'  Uno  di  noi  lia  avuto  occasione  di  osservare  giovani  castagni  malati  e  morti 
nell'orto-pomario  della  Scuola  di  Villambits,  dove  il  Prunet  ha  fatto  le  sue  espe- 
rienze; essi  non  erano  morti  certo  per  esaurimento  del  suolo! 


—   63  — 

e)  Altro  piccolo  appezzamento  presso  la  casa  dei  Medoli  è  col- 
tivato ad  erba  medica.  In  esso  vi  sono  18  castagni  dei  quali  sette  morti, 
sette  con  marciume  nelle  radici  e  quattro  con  le  radici  sane  attaccati 
solo  nella  chioma  dal  Coryneum  come  i  precedenti. 

d)  Presso  il  campo  a  settentrione  del  fosso  della  Riola  vi  è  un 
altro  appezzamento  coltivato  a  lupinella,  posto  al  limite  estremo  dell'area 
infetta  e  della  zona  castanicola.  In  esso  non  vi  sono  che  nove  castagni, 
tutti  con  rami  più  o  meno  attaccati  da  Coryneum,  ma  colle  radici  fino 
ad  ora  sane. 

e)  Presso  la  casa  dei  Medoli  vi  è  un  prato  stabile,  che  nella  parte 
che  è  più  vicina  alla  casa  riceve  il  beneficio  delle  colature  di  acque 
pluviali  concimanti  per  l'aggiunta  di  colaticcio  di  stalla,  per  cui  esso 
ha  più  l'aspetto  di  un  verziere  o  di  un  pomario  che  di  un  castagneto, 
tanto  è  la  fertilità  del  suolo,  il  rigoglio  e  la  floridezza  della  vegetazione. 
Quivi  si  sono  osservati  48  castagni  morti  per  Male  delì'inchioslro,  36 
con  marciume  radicale  e  22  con  le  radici  ancora  sane,  ma  attaccati  nei 
rami  dal  Coryneum  come  tutti  i  precedenti. 

f)  Presso  la  casa  colonica  dei  Rodi  vi  è  un  altro  prato,  nel  quale, 
quantunque  si  trovi  alla  periferia  dell'area  infetta,  si  è  osservato  un 
castagno  morto  per  Male  dell'  indiiostro,  il  quale  era  posto  proprio  nel 
punto  più  fertile  dove  defluivano  le  pluviali  cariche  di  colaticcio  di  stalla; 
6  avevano  le  radici  malate  e  58  le  radici  sane,  ma  erano  tutti  attaccati, 
come  gli  altri,  nella  parte  epigea. 

ff)  Nell'orto  attiguo  alla  casa  colonica  vicino  al  fosso  dei  Rodi  vi 
era  un  castagno  morto  e  tre  con  marciume  radicale.  Un  altro  castagno 
morto  si  trovava  nella  siepe  dell'orto  medesimo. 

h)  Nel  castagneto  sopra  la  strada  dei  Medoli  vi  è  un  avvallamento 
0  depressione  longitudinale  nella  quale  scolano  le  pluviali  cariche  di  prin- 
cipi umici,  perchè  provenienti  dai  castagneti  soprastanti  e  in  cui  si  accu- 
mulano e  permangono  per  tutta  la  stagione  invernale  i  ricci  e  le  foglie 
portatevi  dal  vento  e  vi  abbandonano  per  liscivazione  la  maggior  parte 
dei  loro  principi  fertilizzanti.  Quivi  si  sono  osservati  40  castagni  morti, 
43  con  marciume  nelle  radici,  e  85  con  le  radici  sane,  ma  tutti  erano 
più  0  meno  attaccati  nei  rami  dal  Coryneum. 

i)  Nei  castagneti  di  Lotta,  facendo  il  confronto  fra  i  castagni 
cresciuti  in  terreni  coltivati  od  a  prato,  con  quelli  cresciuti  in  teireno 
incolto  e  magro,  sopra  1221  castagni  esaminati,  nei  primi  crescevano  612 
castagni,  dei  quali  140  erano  morti  (il  23,9  per  cento),  194  presentavano 
marciume  radicale  (il  33,1  per  cento)  e  252  avevano  ancora  le  radici 
sane  (il  43  per  cento);  nei  secondi  (cioè  nei  terreni  incolti),  nei  quali 
crescevano   675  castagni,  ve  n'erano  25  dei  morti  (il  3,93  per  cento), 


—  64  — 

74  con  marciume  radicale  (11,65  per  cento)  e  536  con  le  radici  sane 
(85,35  per  cento). 

Fra  questi  ultimi  se  ne  trovavano  40  nei  quali  non  si  osservarono 
cancri  nei  rami;  mentre  gli  altri,  nessuno  eccettuato,  erano  tutti  attac- 
cati dal   Coryneinn. 

CoNCLnsioNK.  —  Da  quanto  è  sopra  esposto  quindi  risulta: 

I.  —  La  scopatura  e  la  raccolta  delia  copertura  morta  e  viva, 
anche  se  sono  causa  di  deterioramento  del  terreno,  non  esercitano  al- 
cuna azione  sulla  manifestazione  del  Male  dell' inchiostro; 

II.  La  deficienza  tV/nimus  nel  terreno  non  è  causa  predispo- 
nente ttè  efficiente  della  Moria  dei  castagni; 

III.  —  La  povertà  del  terreno  in  principi  fertilizzanti  non  è  causa 
diretta  o  indiretta  del  male; 

V.  —  La  lavorazione  e  concimazione  del  terreno,  l'induzione 
d'azoto  atmosferico,  il  beneficio  di.  colature  pluviali,  ricche  di  principi 
umici  e  sali  ammoniacali,  non  preservano  i  castagni  dal  Male  delVin- 
cìiiostro;  al  contrario,  se  non  sono  causa  predisponente  dell'  infezione, 
sembrano  però  favorire  il  marciume  radicale  ed  affrettare  il  decorso  del 
male; 

V.  —  I  microrganismi  fissatori  di  azoto  non  preservano  i  castagni 
dalla   Moria. 

7.  —  Cause  fìsiche 
alle  quali  si  è  voluto  attribuire  la  moria  dei  casta^^ni. 

Furono  a  volta  a  volta  considerate  come  causa  della  moria  dei  ca- 
stagni il  freddo,  l'umidità,  la  siccità. 

a)  Freddo. 

Nei  Bassi  Pirenei,  come  riferisce  il  Journal  d' Agrìculture  pratique\ 
la  causa  della  Moria  dei  rastayni  fu  attribuita  ai  freddi  del  1879-1880; 
e  negli  à.Ui  Pirenei,  secondo  Crié,  furono  incolpate  le  correnti  d'aria 
fredda  "-. 


'  Paris,  1891,  T.  ii,  pag.  782. 

'  CiìlÉ  L.,  Rapporl  sur  la   maladie  des  chàtaigniers  daiis  les  Alpei  occiden- 
tales,  Savoie  ef  Valais.  in  «  Bull.  d.  Min.  d'Agrie.  »,  1900. 


—  65   — 

Questa  opinione,  come  giustamente  osserva  il  Cile,  è  assolutamente 
insostenibile.  Non  solo  la  malattia  esisteva  nei  Pirenei  prima  del  1879- 
1880,  ma  le  caratteristiche  lesioni  prodotte  dal  freddo  nei  tronchi  e  nei 
rami  degli  alberi  non  si  riscontrano  che  di  rado  nei  castagni  affetti  o 
morti  pel  Male  dell'inchiostro  come  la  gélivure,  la  roidure,  la  lunare  o  1» 
disquamazione  della  corteccia,  come  sarà  chiarito  nel  prossimo  capitolo. 

Ci  limiteremo  qui  ad  alcune  osservazioni  d'indole  generale  che  ci 
sembrano  decisive. 

1.  Quando  un  albero  muore  dal  freddo,  sia  che  la  morte  avvenga 
prima  dello  schiudersi  delle  gemme,  sia  che  si  avveri  nel  corso  dell'e- 
state, solo  la  parte  aerea  muore  e  fino  alla  morte  l'albero  mostra  tutte 
le  radici  sane  e  non  marcescenti  come  lineile  dei  castagni  che  muoiono 
pel  Male  deW inchiostro. 

2.  Il  Male  dell'  inchiostro  infierisce  più  nei  luoghi  bassi  e  caldi,  che 
in  quelli  alti  e  freddi;  generalmente  non  sorpassa  i  700  metri  d'altezza. 
Come  si  spiegherebbe  ciò?  Non  si  potrebbe  invocare  l'azione  del  gelo 
e  disgelo  come  per  l'esposizione? 

3.  Nel  Lucchese,  nel  Pisano,  nel  Pistoiese,  nel  Genovesato  si  ve- 
dono castagneti  distrutti  dalla  Moria  accanto  ad  oliveti  e  vigneti  ed 
anche  agrumeti  sani,  eppure  questi  sono  ben  più  sensibili  al  freddo  dei 
castagno. 

h)  Umidità. 

L'umidità  del  terreno  è  generalmente  la  concausa,  la  causa  predi- 
sponente del  marciume  micotico  delle  radici  degli  alberi;  e  nei  terreni 
argillosi  anche  la  causa  determinante  del  marciume  per  asfissia. 

Come  abbiamo  potuto  accertare  a  Fanano,  l'umidità  del  terreno  ac- 
celera pure  in  modo  evidentissimo  il  decorso  del  male  quando  questo  ha 
raggiunto  le  radici  ed  anche  solo  il  pedale  del  castagno,  anzi  sembra 
favorisca  l'attacco  al  piede,  come  sarà  detto  trattando  delle  cause  pi'e- 
disponenti  o  favorevoli  allo  sviluppo  della  malattia;  ma  non  predispone 
né  favorisce,  sembra,  la  corineosi  dei  rami. 

Non  si  può  attribuire  all'umidità  del  terreno,  anche  se  stagnante, 
la  causa  determinante  del  Male  deir inchiostro.  Il  secondo  stadio  della 
malattia,  caratterizzato  dalla  morte  e  putrefazione  delle  radici,  non  può 
assimilarsi  al  marciume  ordinario,  sia  che  provenga  da  micosi  o  da 
asfissia  delle  radici,  quantunque  gli  eff'etti  non  siano  diversi  e  non  sempre 
sia  facile  distinguere  le  due  alterazioni. 

Il  marciume  ordinario  si  manifesta  sempre  in  condizioni  speciali 
del  terreno.  Se  dovuto  a  micosi  nelle  radici,  in  esse  si  manifestano  le 

Mli  deU'InL  Bui.  ileirViiirei-Mii  dì  Parìa  —  Serii'  II  —  Voi.  .WIII.  5 


-    66   — 

caratteristiche  rizomorfe  (miceli  corticali);  se  dovuto  ad  asfissia,  è  sempre 
evidente  l'impermeabilità  quasi  assoluta  del  terreno;  ed  in  tali  condi- 
zioni, del  resto,  il  castagno  non  prospera,  ma  vive  difficilmente  e  sten- 
tatamente. Quando  poi  il  Male  dell'  indi  io  stro  non  è  unito  al  marciume 
ordinario,  manca  sempre  la  corineosi  della  parte  aerea  dell'albero. 

Quantunque  nel  resto,  la  sintomologia  del  secondo  stadio  della  ma- 
lattia Male  deiriìichiostro  sia  identica  o  poco  diversa  da  quella  del  mar- 
ciume ordinario,  il  modo  però  di  diffondersi  della  moria  a  macchia  d'olio 
e  il  suo  manifestarsi  tanto  nei  terreni  asciutti  e  leggeri,  che  nei  ter- 
reni umidi  e  argillosi,  bastano  a  distinguerla;  poiché  il  marciume  ordi- 
nario è  legato  all'ambiente  e  strettamente  confinato  nei  luoghi  ove  le 
condizioni  necessarie  si  avverano. 

Fu  appunto  la  mancanza  di  localizzazione  delia  moria  e  l'allaigarsi 
come  una  macchia  d'olio  dei  suoi  focolai  primitivi,  piìi  che  la  mancanza 
di  miceli  corticali,  ed  il  colore  d'inchiostro  delle  radici  malate,  che  nei 
casi  dubbi  la  fecero  distinguere  dal  marciume  radicale  ordinario;  distin- 
zione in  cui  ora  tutti  gli  Autori  convengono. 

e)  Siccità. 

Nei  me.si  più  caldi  ed  asciutti  si  hanno  i  maggiori  casi  di  morte 
repentina,  quasi  apoplettica  dei  castagni  affetti  dal  Male  deirinchiostro, 
come  degli  altri  alberi  attaccati  da  marciume  radicale  o  con  molte  ra- 
dici lesionate. 

Questo  fenomeno,  per  analogia  col  folletage  o  apoplessia  della  vite, 
fu  attribuito  da  alcuni  osservatori  anche  per  il  castagno  al  secco  e  al 
calore  dell'estate. 

Se  la  siccità  ed  i  forti  calori  estivi  possono  essere  la  causa  occa- 
sionale della  morte  repentina  di  castagni  già  affetti  dal  Male  dell'in- 
chiostro, come  vedremo,  non  ne  sono  però  la  causa  efficiente;  come  è 
facile  persuadersene  osservando  nelle  regioni  castanicole  la  distribuzione 
della  malattia,  che  non  si  limita  ad  attaccare  i  castagni  nei  luoghi  più 
asciutti,  ma  spesso  predilige  le  fonde  più  fresche  ed  anzi  è  favorita 
dall'irrigazione. 

Del  resto  le  perturbazioni  causate  dal  calore  e  dalla  siccità  pre-, 
sentano  anche  in  una  medesima  località  casi  molto  diversi  ;  l'intensità 
della  causa  agente  venendo  assai  modificata  da  condizioni  specialissime 
d'ambiente  ed  individuali  della  pianta;  onde,  secondo  l'intensità  e  la 
durata  del  suo  effetto,  mentre  in  alcune  piante  si  ha  la  soppressione 
definitiva  delle  funzioni  essenziali  alla  vita,  per  disidratazione  del  plasma, 
in  altri  individui  si  hanno  perturbazioni  soltanto  temporanee  e  passeg- 
giere,  ma  sempre  visibili  ed  evidenti. 


—  67   — 

Sono  appunto  questi  disturbi  passegg^ieri  e  la  periodicità  del  feno- 
meno, che  non  si  verificano  nei  castagneti  colpiti  da  Moria:  ciò  esclude 
che  essa  sia  dovuta  alla  siccità  o  ai  forti  calori  estivi. 

Aggiungeremo  ancora  che  quando  anche  la  siccità  ed  il  calore  sono 
tali  da  uccidere  un  albero,  non  producono  mai  uè  cancri  né  corineosi  sui 
rami,  né  il  marciume  nelle  radici,  ciò  che  non  manca  mai  nei  castagni 
che  muoiono  per  il  Male  dell' inchiostro,  il  che  è  la  prova  più  sicura  per 
escludere  che  la  siccità  ne  sia  la  causa  efficiente. 

Si  può  dunque  concludere  che  né  il  freddo,  né  l'umidità,  né  la  sic- 
cità possono  essere  indicate  come  causa  della  Moria  dei  castagni. 

8.  —  Funghi  parassiti  e  saprofiti 

clie  (làuuo  luogo  ad  alterazioni  secondarie  nel  castagno 

e  loro  rapporti  col  "Male  dell'inchiostro,,. 

a)  AaARicDS  melleus  Wallr.  Abbiamo  di  già  diffusamente  parlato 
deWAgaricus  melleus  la  quale  fu  attribuita  dal  Planchon  la  causa  della 
Moria  dei  castagni. 

Nei  casi,  non  frequenti,  in  cui  esso  concorre  ad  aggravare  od  ac- 
celerare il  decorso  del  male,  tale  fungo  non  si  può  assolutamente  rite- 
nere come  causa  efficiente  della  malattia,  ma  tutt'al  più  va  considerato 
come  una  concausa. 

Altri  hanno  sostenuto  che  VAgaricus  melleus  non  cresce,  o  solo 
raramente,  nei  castagneti,  ma  anche  questo  non  è  esatto.  Noi  l'abbiamo 
osservato  parecchie  volte  sulle  ceppe  e  sopra  le  radici  del  castagno, 
senza  peraltro  aver  potuto  notare  alcun  rapporto  fra  il  suo  sviluppo  e 
la  sua  frequenza  con  la  Moria  dei  castagni;  avendolo  trovato  quasi  uni- 
camente in  castagneti  sani  e  immuni  dalla  malattia; 

b)  Hypholoma  fascicolare  Huds.  È  frequente  sopra  le  grosse 
radici  scoperte  e  sulle  ceppe  dei  castagni  affetti  da  Moria  in  territorio 
di  Fanano;  non  abbiamo  peraltro  potuto  constatare  che  esso  concorra 
ad  aggravare  od  accelerare  il  decorso  del  male  né  come  concausa,  né 
come  causa  concomitante.  Si  trova  con  pari  frequenza  anche  nei  casta- 
gneti immuni  da  Moria  e  sembra  che  i  castagni  attaccati  da  questo 
agaricino  non  ne  risentano  danno  o  solo  in  modo  poco  apprezzabile. 
Diversi  autori  peraltro  affermano  d'averne  constatata  l'azione  dannosa! 

e)  PoLYPORns  sdlphureus  Fr.  E  abbastanza  frequente  nei  casta- 
gneti malati  dei  dintorni  di  Fanano  e  delle  varie  regioni  castanicole 
della  Francia  visitate  dal  Crié  ;  ma  non  attacca  solo  i  castagni  affetti 
da  Moria,  bensi  anche  i  sani  con  pari  se  non  con  maggior  frequenza. 


—  68  — 

Non  si  può  considerare  neanche  come  causa  concomitante,  solo 
contribuisce  insieme  ad  altri  saprofiti  allo  sfacelo  del  legno  degli 
alberi  attaccati. 

Qualche  volta  si  sviluppa  ntUa  parte  alta  degli  alberi  penetrando 
per  le  larghe  ferite  prodotte  dalla  rottura  o  dal  taglio  di  grossi  rami, 
ma  quasi  sempre  attacca  la  parte  più  bassa  del  tronco  se  vi  sono  ferite 
0  lesioni  profonde  che  mettano  allo  scoperto  il  cuore  del  legno. 

Produce  il  mairiumr  rosso  del  legno,  da  non  confondersi  col  cuore 
rosso.  È  la  causa  principale  della  carie  o  luna  dei  castagni,  cioè  della 
corruzione  della  parte  interna  del  tronco  e  dei  grossi  rami,  c.lie  li  rode 
e  riduce  in  frantumi  ed  in  polvere. 

Il  micelio  di  questo  fungo  penetra  tra  strato  e  strato  del  legno 
seguendo  gli  anelli  annuali  d'accrescimento  ed  i  raggi  midollari,  for- 
mandovi mediante  l'intreccio  dei  suoi  filamenti  una  specie  di  feltro  e 
delle  pellicole  che  dividono  la  massa  legnosa  infetta  in  tanti  prismi,  i 
quali  disseccando  si  staccano,  si  frantumano  e  si  riducono  in  polvere 
bruna  come  il  tabacco.  Questo  fenomeno  è  dovuto  ad  un  fermento  solu- 
bile {citoidrolitico)  che  viene  segregato  dal  micelio  del  fungo.  Questo 
fermento,  molto  attivo,  attacca  le  pareti  degli  elementi  legnosi  dei  quali 
scioglie  lo  strato  mediano,  per  cui  le  fibre  si  screpolano  e  si  rompono 
trasversalmente. 

A  Fanano  come  nel  Lucchese  e  nei  dintorni  di  Pau  nei  bassi  Pirenei 
si  vedono  parecchi  grossi  castagni  con  vecchi  cancri  prodotti  da  corineosi 
che  abbracciavano  un  quarto  o  un  quinto  della  circonferenza  dell'albero 
discendenti  dall'e.stremità  di  un  ramo  della  stessa  parte  lungo  il  tronco 
fino  a  terra.  In  corrispondenza  di  vecchi  cancri  longitudinali  la  cor- 
teccia era  caduta  ed  il  legno  morto  era  messo  a  nudo. 

A  distanza  hanno  l'apparenza  di  alberi  percossi  dal  fulmine. 

È  facile  distinguere  i  vecchi  cancri  di  corineosi  dalle  carie  pro- 
dotte dal  Polyporus  sulpìiureus  e  da  altri  funghi.  Quest'ultimo  procede 
dall'interno  verso  l'esterno  distruggendo  il  legno  mentre  i  cancri  del 
Coryneum  procedono  dall'esterno  in  senso  inverso  all'interno  :  in  questi 
la  corteccia  si  distacca  e  cade,  il  legno  muore  e  si  dissecca,  ma  non 
viene  intaccato  e  disfrutto  come  nella  carie. 

Polyporus  dryadeus  Fr.  Questo  fungo,  che  attacca  con  maggior 
frequenza  le  querele,  è  stato  osservato  dal  Crié  anche  nei  castagni 
affetti  da  Moria.  Produce  il  marciume  bianco  del  pedale,  detto  anche 
marciume  della  radice.  Noi  l'abbiamo  osservato  in  alcuni  castagni  mo- 
renti di  Fanano.  Penetra  per  le  ferite  della  corteccia  del  pedale  e  delle 
grosse  radici  scoperte. 

Non  è  una  concausa  della  Moria,  ma  ad  essa  si  trova  associato  solo 


—  69    - 

accidentalmeute.  È  indubitato  peraltro  che  contribuisce  ad  affrettare 
la  morte  dei  castagni  od  il  loro  deperimento.  Questo  marciume  si  ma- 
nifesta internamente  con  andamento  radiale  verso  il  centro  del  fusto. 
Propagandosi  secondo  le  fibre  del  legno  sale  lentamente  nel  tronco  e 
scende  molto  più  rapidamente  verso  le  radici.  Il  legno  visto  in  sezione 
longitudinale  si  mostra  percorso  da  strisele  bianchiccie  o  giallastre, 
prende  una  colorazione  brunastra,  indi  si  decompone  rapidamente  in 
una  sostanza  molle,  spugnosa,  d'un  giallo  rossastro,  con  cordoni  interni 
longitudinali  bianchi,  che  hanno  l'aspetto  dell'amianto  e  che  sono  for- 
mati da  fibre  delignificate  e  deformate. 

Col  tempo  questa  massa  si  disgrega  e  si  polverizza  in  un  tritume 
bruno  o  nerastro  e  la  ceppa  diventa  cavernosa. 

La  disorganizzazione  del  legno  è  dovuta  ad  un  fermento  che  scioglie 
la  lamella  mediana  e  trasforma  la  lignina  degli  elementi  del  legno. 

A  Fanano,  qualche  castagno  con  Male  dell'inchiostro,  scalzato  per 
l'esame  e  la  cura  delle  radici,  si  è  lovesciato  per  avere  il  fittone  e  le 
radici  della  parte  centrale  della  ceppa  ridotte  come  manelle  di  stoppa 
per  opera  di  questo  fungo. 

Completamente  estranei  alla  Moria  e  da  considerarsi  come  epife- 
nomeni accidentali  sono  parimenti  il  Pohjporus  (Fomes)  fulvus,  il  Po- 
lyporus  crijspus  e  la  Daednlea  quercina,  che  il  Crié  .dice  d'avere  osser- 
vato sopra  i  castagni  malati  o  deperenti.  Noi  in  Italia  non  abbiamo 
mai  avuto  occasione  di  vedere  tali  funghi  né  sui  castagni  malati  né 
sui  sani. 

Frequente  vi  è  invece  tanto  sugli  uni  che  sugli  altri  la  FistuUna 
hepalica,  che  pure  concorre  alla  produzione  della  carie,  ma  che  ben 
poco  può  aggravare  lo  stato  dei  castagni  affetti  dalla  Moria. 

Lo  stesso  dicasi  della  Lensites  betulinn  Fr.  e  dello  Schizophyllnm 
commune  Fr.,  quantunque  abbiano,  a  quanto  affermasi,  un  comporta- 
mento parassitario;  ma  essi  si  trovano  solo  accidentalmente  sopra  i  ca- 
stagni presi  dalla  Moria,  e  molto  meno  di  frequente  della  FistuUna 
hepatica. 

Nei  rami  uccisi  direttamente  dalla  corineosi  o  per  seccume  indiretto 
in  conseguenza  di  marciume  radicale  si  sviluppano  delle  Thelephoreaf, 
alcune  delle  quali,  come  lo  Stereum  liirsuium  Fr.  (nel  Borghigiano  ed  a 
Fanano)  e  lo  Stereum  pnrpureum  Pers.  (a  Fanano),  sono  da  considerarsi 
come  causa  concomitante  o  concausa  del  marciume  stesso,  poiché  dis- 
sociando gli  elementi  del  legno  modificano  la  composizione  chimica 
delle  membrane  lignificate  e  rendono  il  legno  friabile.  Nel  processo  di 
decomposizione  del  legno  possono  concorrervi  anche  il  Corticivtu,  il 
Chlorosplenium  aeruginosum  DeNot.  osservatovi  dal  Crié,  ed  altri  saprofiti. 


—  70  — 

I  rami  si  spogliano  della  corteccia,  cedono  sotto  il  pioprio  peso 
e  cadono  in  frantumi;  e  gli  alberi  morti  per  il  Male  dell'inchiostro,  de- 
nudati della  corteccia,  con  monconi  dei  rami  acquistano  l'aspetto  di 
grossi  pali  infissi  nel  terreno  pel  richiamo  degli  uccelli,  dando  un 
aspetto  di  desolazione  caratteristica  ai  castagneti  distrutti  che  riempie 
di  tristezza  e  non  si  dimentica. 

Nel  legno  dei  tronchi  e  dei  rami  dei  castagni  morti  del  Male  del 
rinchiostro  sono  stati  notati  diversi  saprofiti,  guali  la  Diplodia  Castaneae 
e  la  Nummularia  Bulliardi  osservativi  dal  Crié,  il  quale  peraltro  non 
trovò  che  avessero  alcun  rapporto  con  la  malattia;  mentre  invece  ha 
notato  una  certa  costanza  nella  presenza  di  due  altri  niiceti  che  at- 
taccano il  legno  dei  castagni  malati  (che  descrive  imperfettamente), 
lo  Sphaeroìiema  eìidoxylon  e  V Endoxylomijces  Castaneae,  i  quali  attac- 
cano il  legno,  ma  che  secondo  luì  *  costituiscono  un  fenomeno  secon- 
dario, un  epifenomeno  nel  processo  morboso  ,,. 

Lo  stesso  deve  dirsi  del  Melanomma  Gibellianum  notatovi  dal 
Gibelli. 

Ultimamente  si  è  voluto  attribuire  molta  importanza  tiW'FAidotia  ra- 
dicalis,  nota  da  lungo  tempo  quale  saprofita  o  leggero  parassita  di  azione 
molto  limitata  e  ristretta  nelle  radici  scoperte  e  ferite  del  castagno. 
Di  essa  abbiamo  già  detto  troppo  in  altre  Memorie  e  non  ne  riparle- 
remo, tanto  più  che  quello  stesso  (il  Petri)  che  l'aveva  preconizzata 
quale  causa  della  Moria,  non  ne  fa  più  menzione  in  un  suo  lavoro  di 
compilazione  apparso  più  tardi  intorno  al  Male  dell' inchiostro.  ' 

9.  —  La  sintomatologia  e  la  patogenesi  della  Moria  dei  castagni  *. 

1)  CoEYNEUM  PERNiciosoM  Briosi  c  Fameti,  in  Atti  del  li.  Istituto 
Botanico  di   Pavia;  ser.  II,  voi.  XIII,  pag.    291-298.  —  Acervulis  pul- 


'  Quando  comparvero  le  pubblioazioui  del  Petri  sopra  la  Dlepharospora  cam- 
bioora,  gli  Autori  non  ebbero  occasione  ne  modo  di  occuparsene:  le  loro  condi- 
zioni di  salute  già  gravi  non  consentivano  ad  essi  la  fatica  dello  studio.  Questo 
capitolo  rimane  dunque  incompleto  e  mancante  della  parte  che  più  interessa. 

ì.  m. 

-  Di  questo  capitolo,  che  doveva  essere  il  più  importante  e  nel  quale,  come 
già  fu  detto,  il  Farneti  stava  raccogliendo  ed  ordinando  tutte  le  osservazioni, 
ancora  inedite  o  già  rese  pubbliche  nelle  molte  note  preliminari,  non  si  trova, 
pur  troppo,  manoscritto  pubblicabile. 

Devo  pertanto  limitarmi  a  riportare  le  diagnosi  delle  forme  miceliche  nuove 
indicatedagli  Autori  come  causa  della  malattia  e  alcuni  fi-ammenti  di  descrizioni, 
insieme  a  un  gruppo  di  conclusioni  e  considerazioni  che  erano  state  formulate  da 
essi  ;  richiamando  lo  studioso  all'esame  delle  molte  e  bellissime  tavole,  delle  quali, 
per  fortuna,  il  Farneti  ha  lasciato  una  spiegazione  dettagliata.  l.  m. 


—  71   — 

vinatis,  enimpentibus,  alris;  conidiis  clavatis  vel  davato  fusoidein,  fuscis, 
40-50  X  13-15  '(  ;  basidiis  filiformibiis,  fasciciilatis,paraphysibtis  iutermixtis, 
conidia  superantibus. 

In  cortice  Castaneae  species  liaec  parasitica,  morbum  Moria  dei  ca- 
stagni vel  Male  dell' inchiostro  provocane. 

2)  FusicoccuM  PERNiciosDM  H.  sj).  —  Stromatibus  sparsis,  majasciiìis, 
innato-erumpentibus,  depresso  pidvinatis,  verruculosis,  fuligineis,  plurilocula- 
ribiis;  sporuUs  oblongo-fusoideis,  hyalinis,  continiiis,  utringue  oblnsiusculis, 
intiis  granidoso-multiguttulatis,  56-66  x  11-13  /t;  banidiis  aciadaribusi, 
diniidio  brevioribìis. 

In  cortice  Castaneae  species  haec  parasitica,  morbum  Moria  dei  ca- 
stagni vel  Male  dell'incliiostrc  provo<;ans. 

3)  Mklanconis  perniciosa  u.  S}).  —  Fseudosfromatibus  sparsis, 
majusculis,  peridermio  piistulnto  tectis,  deinde  enimpentibus,  peritheciis  ag- 
gregatis,  irregulariter  sparsis  vel  subcircinantibus,  majusculis,  ovatis,  in  colla 
convergentia  attenuatis;  ascis  cylindraceis,  stipitatis,  150-160  /i,  longis; 
paraph'jsibìis  fiUformibus,  ascos  longe  superantibus;  sporidiis  octonis.  mo- 
tiostichis,  raro  distichis,  elliptico-oblongis,  hijaliiiis,  medio  didi/mis  parum 
ronstrictis,   utrinque  ohtusiusculis,  35-38        15-18  /(. 

In  cortice  Castaneae  specie.--  haec  parasitica,  morbum  Moria  dei  ca- 
stagni vel  Male  dell'inchiostro  provocans. 

La  Moria  dei  castagni  presenta  due  fasi  perfettamente  distinte, 
caratterizzate  da  una  sintomatologia  propria. 

La  prima  fase,  durante  la  quale  la  malattia  è  localizzata  alla 
chioma  o  alla  parte  aerea  dell'albero,  finisce  quando  il  male,  giunto 
alla  regione  del  colletto,  invade  le  grosse  radici.  Essa  è  sfuggita  a 
tutti  gli  autori  che  si  sono  occupati  dell'argomento:  è  caratterizzata 
dal  seccume  di  estremità  dei  rami  e  dalla  comparsa  sulla  corteccia 
dei  rami  stessi  di  macchie  nere  cancrenose  che  si  estendono  verso  il 
basso. 

Quando  il  male  è  arrivato  alle  radici  e  comincia  ad  invaderle, 
comincia  la  seconda  fase,  che  termina  quasi  sempre  con  la  morte  del- 
l'intero albero.  È  questa  la  fase  della  quale  unicamente  si  sono  occu- 
pati i  diversi  autori  descrivendone  la  sintomatologia  che  nei  caratteri 
generali  corrisponde  perfettamente  a.  quella  delle  piante  arboree  che 
si  ammalano  e  muoiono  per  marciume  radicale,  da  qualunque  causa 
esso  sia  prodotto. 

Pei  caratteri  della  prima  fase,  un  occhio  esercitato  nota  facilmente, 
in  un  castagneto  infetto,  non  solo  gli  alberi  moribondi,  ma  anche  quelli 
destinati  a  morire  entro  parecchi  mesi  ed  anche  dopo  più  di  un  anno. 
Molte  piante  cominciano   eoll'apparire  languide   per  la   scarsezza  delle 


__  72  — 

foglie,  che  sono  anche  più  sottili  e  di  colore  più  pallido,  e  perchè  i 
lamoscelli  terminali  dell'anno  precedente  sono  già  inariditi  e  nudi.  La 
fioritura  ordinariamente  è  scarsa,  può  però  essere  anche  normale,  ma 
i  fiori  0  non  legano,  o  dopo  qualche  tempo,  p.  e.  in  agosto,  cessano 
di  ingrossare  e  rimangono  abortiti  sui  rami  ciie  alla  fine  di  settembre 
sono  già  sjìogli  di  foglie,  le  quali  invece  negli  alberi  sani  di  solito 
persistono  fino  alla  fine  di  ottobre. 

Ordinariamente  una  pianta  in  tre  anni  passa  dal  languore  alla 
morte  la  quale  avviene  per  lo  più  dall'agosto  all'ottobre.  Però  non 
sono  infrequenti  i  casi  di  alberi  d'apparenza  assai  rigogliosa  a  mezzo 
del  luglio,  sui  quali  in  poco  più  di  una  settimana  seccano  tutte  le  foglie 
che  rimangano  secche,  insieme  ai  frutti  incipienti,  '  sulla  intelaiatura 
dei  rami. 

* 
*  * 

In  valle  Freddana  (prov.  di  Lucca),  lungo  la  strada  provinciale 
per  Camajore,  esistevano  castagneti  che  furono  tutti  distrutti  dal  male; 
alcuni  grappi  di  alberi,  che  sono  stati  tagliati  ap[iena  si  mostrarono 
sofferenti,  allo  scopo  di  utilizzarne  almeno  il  legname,  ricacciarono  dalle 
ceppe  vigorosi  polloni  che  ora  contano  già  15  anni  e  sono  bellissimi, 
mentre  tutt'intorno  la  selva  è  scomparsa. 

Questa  è  la  prova  che  il  male  comincia  in  alto  e  che  durante  la 
prima  fase  può  essere  arrestato  coll'asportazione  delle  parti  infette, 
prima  che  il  contagio  sia  arrivato  alle  radici. 

* 
»  * 

A  Fanano  (prov.  di  Modena),  in  una  plaga  di  castagneto  larga- 
mente infestata  dal  male,  la  maggiore  mortalità  si  verifica:  1»  negli 
appezzamenti  coltivati  a  cereali  e  periodicamente  concimati  con  stal- 
latico; 2*  in  appezzamento  coltivato  ad  erba  medica;  3"  in  prato  na- 
turale. In  quest'ultimo  i  casi  più  numerosi  e  più  gravi  di  malattia  si 
verificano  dove  fluiscono  le  colature  di  acqua  e  di  stalla.  L'influenza 
dell'acqua,  sia  che  scorra  superficialmente,  sia  che  filtri  attravei'so  il 
terreno,  è  parimenti  manifesta  perchè  in  tutti  gli  avvallamenti  che 
ricevono  maggior  copia  di  acque  superficiali  si  osserva  il  maggior 
numero  di  casi,  ed  i  più  gravi,  di  marciume  radicale'. 


'  Ho  voluto  riportai'e,  tra  tante,  questa  osservazione  perchè  mentre  essa  si 
spiega  coll'azione  favorevole  dell'umidità  su  tutti  i  processi  di  marciume  delle 
radici  da  qualunque  causa  essi  derivino,  ricorda  anche  l'osservazione  del  Petri 
sopra  le  infezioni  nella  regione  del  colletto.  /.  ni. 


73   — 


Conclusioni  e  considkrazioni. 


Abbiamo  dimostrato: 

1."  Il  male  ha  la  sua  origine  nella  parte  aerea  e  non  nella 
radice.  Questo  fatto  ha  importanza  capitale  per  l'eziologia,  la  profilassi 
e  la  cura  della  malattia. 

2."  Quando  il  male  scende  alle  radici,  in  queste  procede  dal 
tronco  alle  estremità.  Questo  fatto  dimostra  l'infondatezza  dell'ipotesi 
del  Gibelli,  del  Lacroix  e  del  Mangin. 

3."  Il  male  che  si  osserva  nei  polloni  dei  cedui  è  perfettamente 
identico,  per  i  caratteri  patognomonici  e  per  la  sua  eziologia,  a  quello 
che  si  osserva  nei  lami  delle  piante  di  alto  fusto. 

4."  La  malattia  è  ovunque  fondamentalmente  la  stessa,  quan- 
tunque in  casi  eccezionali,  ristretti  e  limitati  ad  aree  ben  circoscritte, 
essa  si  complichi  per  il  concorso  d'altre  cause,  specialmente  del  mar- 
ciume fungino  ordinario  delle  radici,  già  constatato  da  Planclion,  e  del 
male  de!  rotolo,  constatato  da  altri. 

5."  Il  micelio  del  parassita,  non  facile  a  mettersi  in  evidenza 
nei  tessuti,  ma  facilmente  riconoscibile  per  i  suoi  rami  sottilissimi,  non 
settati  0  con  setti  assai  radi  ed  a  contenuto  finamente  granulare,  invade 
costantemente  il  tronco  ed  i  rami  delle  piante  ammalate,  ma,  a  quanto 
sembra,  non  penetra  mai,  o  solo  di  rado,  nelle  radici. 

6.°  Il  marciume  (non  fungino)  delle  radici  è  l'ultima  manifesta- 
zione della  malattia,  e  non  si  riscontra  mai  in  castagni  col  tronco  ed 
i  rami  sani,  come  abbiamo  potuto  constatare  a  Cadiboiia  e  nella  pro- 
vincia di  Lucca,  sradicando  parecchie  decine  di  castagni  secolari,  in 
ogni  stadio  di  sviluppo  del  male. 

7."  I  concettacoli  fruttiferi  del  Coryneum  non  si  manifestano 
che  nello  stadio  finale  della  sua  vita  vegetativa,  come  in  qualunque 
altra  specie  di  fungo;  ma  fino  dall'inizio  del  male  i  tessuti  si  trovano 
invasi  dal  micelio  del  parassita. 

a)  Che  diverse  forme  fungine  possano  provocare  quel  complesso 
di  alterazioni  che  si  comprendono  sotto  il  nome  generico  di  Male  dei- 
f  inchiostro,  non  possiamo  escludere,  quantunque  da  noi  non  siano  state 
osservate  sino  ad  ora  che  forme  di  sviluppo  di  un'unica  specie.  Esclu- 
diamo però  che  vi  sia  Male  d-lV  inchiostro  non  parassitario  e  comunque 
che  cominci  dalle  radici. 

b)  Che  il  Coryneum  perniciosum  non  sia  altro  che  il  Coryneum 
Knnzei  var.  Castaneae  Sacc,  e  quindi  la  Melanconis  perniciosa  sia  la 
Melanconis  modoniae  Tul.,   che  in  condizioni  speciali  diventa  parassita 


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e  si  comporta  come  patogena,  può  darsi;  ma  tutto  ciò  per  la  eziologia, 
la  profilassi  e  la  cura  della  malattia  lia  importanza  secondaria.  Cosi 
dicasi  dello  studio  della  biologia  e  del  polimorfismo  probabile  del  pa- 
rassita e  dello  studio  delle  alterazioni  anatomo-patologiche. 

e)  Che  vi  possa  essere  qualcuno,  che  non  riesca  a  trovare  il 
micelio  ed  i  concettacoli  fruttiferi  del  parassita  nelle  piante  ammalate, 
nessuna  meraviglia;  dal  momento  che  ciò  era  sfuggito  a  botanici  sommi, 
come  Gibelli,  Planchon,  De  Seynes,  Cornu,  Mangiu,  Delacroix,  Prillieux, 
per  tacere  di  molti  altri  minori.  Ed  è  confortevole  per  noi  che  altri 
(Ducomet,  Petri),  dietro  le  nostre  indicazioni,  siano  riusciti  a  constatare 
che  il  Coryneum  qualche  volta  c'entra  nella  malattia  del  castagno,  pur 
non  es.sendo  riusciti,  nelle  non  facili  ricerche,  a  confermarne  la  presenza 
costante. 

Noi  siamo  riusciti  ad  uccidere  un  grosso  castagno  nell'Orto  Bota- 
nico, inoculandovi  le  spore  del  Corì/neum  e  provocando  non  solo  la 
sintomatologia  e  l'intero  quadro  clinico  della  malattia,  ma  la  riprodu- 
zione dello  stesso  parassita  sulla  pianta  inoculata.  Nell'Orto  Botanico 
eonsei'viamo  ancora  l'albero  da  noi  inoculato. 

La  legge  ed  i  regolamenti  forestali  impediscono  di  togliere,  anche 
a  scopo  di  cura,  i  castagni;  per  cui  si  vedono,  specialmente  in  terreni 
vincolati  in  provincia  di  Lucca,  alberi  ammalati  o  morenti  che  restano 
in  piedi,  in  omaggio  alla  legge,  focolai  d'infezione. 

Cosi  pure  volendo  tagliare  al  piede  o  sradicare  i  castagni  amma- 
lati, per  estinguere  un  focolaio  d'infezione,  la  concessione,  quando  viene 
accordata,  è  sempre  accompagnata  dall'ingiunzione  di  ripiantare  gio- 
vani castagni  nello  stesso  luogo,  ed  entro  termine  breve;  per  cui  si 
viene  a  perpetuare  il  male. 

10.  —  Norme  pratiche  per  combattere 
la  "  malattia  dell'inchiostro  „  nei  castagni  *. 

La  cura  deve  variare  secondo  la  gravità  del  male  e  secondo  che 
si  tratta  di  piante  allevate  ad  alto  fusto  od  a  ceduo. 

La  prima  ispezione  da  farsi,  negli  alberi  d'alto  fusto,  è  quella  di 
vedere  se  il  male  è  giunto  alle  radici.  Quando  il  male  vi  è  giunto  ed 


'  Come  fu  già  detto,  la  prima  parte  di  questo  capitolo  è  presa  tutta  da  unii 
nota  del  Farneti  già  pubblicata  nella  Rivista  di  Patologia  vegetale;  la  seconda 
parte  riguarda  esperienze  da  lui  fatte,  d'accordo  col  prof.  Briosi,  a  Fanano  in  pro- 
vincia di  Modena  ed  in  Valle  del  Serchio  in  provincia  di  Lucca. 

/,  m. 


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ha  invaso  più  di  un  terzo  del  perimetro  in  cui  esse  si  estendono,  la 
cura  offre  poche  probabilità  di  successo,  e  vale  meglio,  per  limitare  l'in- 
fezione del  bosco,  abbattere  l'albero  e  possibilmente  estirpare  anche  la 
ceppa. 

Nel  caso  che  il  male  non  abbia  invaso  che  poche  radici,  si  può 
tentare  di  salvare  la  ceppa,  recidendo  il  tronco,  se  si  tratta  di  castagno 
d'alto  fusto,  il  più  rasente  terra  possibile.  Ciò  fatto  bisogna  scalzarla 
profondamente  dalla  parte  ammalata  ed  asportare  le  radici  ed  il  legno 
infetto;  disinfettando  poscia  ripetutamente  le  ferite  con  soluzione  acida 
di  solfato  di  ferro  al  30  per  cento  ed  1  di  acido  solforico,  la  cui  pre- 
parazione verrà  più  sotto  indicata;  o  con  soluzione  di  solfato  di  rame 
al  5  «/o- 

Se  la  ceppa  si  trovasse  internamente  cariata  o  cava,  si  dovrà  disin- 
fettare spandendovi  ed  introducendovi  abbondantemente  del  solfato  di 
ferro  o  di  rame  in  polvere,  in  quantità  proporzionata  alla  grossezza 
della  ceppa  e  all'ampiezza  della  cavità  o  della  carie. 

Questa  cura  si  dovrà  fare  solo  nei  casi  che  si  ritengano  pratica- 
mente ed  economicamente  utili;  a  meno  che  non  si  tenti  di  farla  a  scopo 
puramente  sperimentale  e  scientiiìco. 

Quando  il  male  non  è  ancora  sceso  alle  radici,  la  cura  riesce  più 
facile;  purché,  con  accurate  esplorazioni,  si  possa  stabilire  il  livello  più 
basso  al  quale  esso  è  arrivato  nei  rami  e  nel  tronco. 

Le  caratteristiche  strisele  livide  e  depresse  noti  sono  visibili  che 
nei  rami  a  corteccia  liscia;  ma  non  è  difficile  seguire  la  traccia  del 
cancro  anche  sotto  la  corteccia  grossa  e  vecchia,  ricoperta  di  ritidoma, 
tanto  sui  grossi  rami  che  nel  tronco,  purché  vi  si  pratichino  delle  pic- 
cole tacche  esplorative.  La  necrosi,  infatti,  è  ben  visibile  nella  faccia 
interna  della  corteccia,  nel  cambio  e  nell'alburno,  per  il  suo  colore  più 
scuro,  per  cui  è  facile  ai  potatori  distinguerla  a  prima  vista,  special- 
mente quando  hanno  fatto  un  po'  di  pratica  in  questa  esplorazione.  Giova 
avvertire,  nel  praticare  i  saggi  esplorativi,  che  tanto  nei  rami  che  nel 
tronco  la  striscia  necrosata  discende  sempre  dallo  stesso  lato;  a  meno 
che  non  vi  siano  più  infezioni.  Anche  i  ramoscelli  che  s'inseriscono  la- 
teralmente ai  rami  maggiori  ed  al  tronco,  possono  servire  di  guida; 
perchè  quelli  posti  dalla  parte  ammalata  sono  morti  o  languenti,  mentre 
quelli  dalla  parte  opposta  sono  sani  e  vegeti.  Si  può  quindi  avere  un 
indizio  della  via  percorsa  dal  male. 

Stabilito  con  molta  approssimazione  il  punto  più  basso  al  quale  si 
presuppone  giunto  il  processo  infettivo,  la  sezione  deve  farsi  almeno 
cinquanta  o  sessanta  centimetri  più  sotto,  scegliendo  la  posizione  più 
indicata  per  una  razionale  potatura  o  capitozzatura. 


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Malgrado  gli  scandagli  fatti,  non  è  improbabile  di  trovare  nel  cambio 
0  nell'alburno  che  il  male  scende  anche  più  sotto,  o  che  vi  è  un'infe- 
zione anche  da  un  altro  lato.  In  questo  caso  bisogna  seguire  questa 
traccia  con  gli  stessi  criteri  e  nello  stesso  modo  che  si  è  detto  sopra; 
imperocché  con  l'amputazione  si  deve  asportare  assolutamente  tutta  la 
parte  ammalata,  altrimenti  l'operazione  sarebbe  inutile. 

Trattandosi  di  castagni  selvatici,  se  il  male  giunge  al  tronco,  vi 
sarà  maggiore  convenienza  e  più  sicurezza  di  riuscita,  tagliandoli  il  più 
lasente  terra  possibile,  per  avere  una  migliore  e  più  vigorosa  cacciata 
dalla  ceppa.  Lo  stesso  dicasi  per  i  castagni  innestati,  quando  il  male 
giunge  più  basso  dell'innesto.  La  capitozzazione  del  tronco  è  consiglia- 
bile solo  per  non  procedere  ad  un  nuovo  innesto  e  per  avere  più  presto 
rami  da  frutto. 

Dei  numerosi  polloni  che  spunteranno  sulla  capitozza  si  sceglieranno 
i  tre  0  quattro  più  robusti,  sopprimendo  gli  altri;  cosi  pure  si  farà  per 
quelli  spuntati  sulla  ceppa,  avvertendo,  in  quest'ultimo  caso,  di  dare  la 
preferenza  a  quelli  inseriti  più  vicino  a  terra. 

Tutte  le  ferite  prodotte  dal  taglio  dovranno  essere  accuratamente 
e  ripetutamente  medicate  con  solfato  di  ferro  o  di  rame,  come  si  è  detto 
sopra.  La  soluzione  di  solfalo  di  ferro  per  la  disiufezione  e  la  medica- 
zione delle  ferite  si  preparerà  nel  modo  seguente: 

In  un  recipiente  di  legno  della  capacità  di  circa  15  litri,  comodo 
per  trasportarsi,  si  mettono  3  chilogrammi  di  .solfato  di  ferro,  poscia  vi 
si  versa  sopra  un  decilitro  di  acido  solforico  a  53"  Bé,  agitando  con  un 
bastone.  Ciò  fatto  si  versano  10  litri  di  acqua  calda  nel  recipiente,  e 
si  mescola  fino  a  completa  soluzione.  È  necessario  versare  prima  l'acido 
solforico  sopra  il  solfato  di  ferro,  per  evitare  che  il  liquido  lanci  degli 
spruzzi  pericolosi.  La  soluzione  si  applica  con  un  pennello  o  con  una 
spugna  fissata  ad  un  manico. 

Le  ampie  ferite  prodotte  dal  taglio  dei  grossi  rami,  dei  tronchi  o 
delle  ceppe,  dopo  la  disinfezione,  sarà  bene  ricoprirle  di  catrame;  atten- 
dendo ad  applicarlo  che  la  ferita  sia  bene  asciutta. 

In  qualche  località,  la  malattia  si  presenta  sotto  forma  diffusa  di 
soflferenza  ed  intristimento  generale;  ciò  è  dovuto  alla  concomitanza  del 
male  del  rotolo  o  ad  una  infezione  generale  che  si  propaga  per  l'alburno. 
In  questo  fenomeno,  forse  vi  contribuiscono  anche  condizioni  speciali 
dell'ambiente  e  la  varietà  del  castagno.  Non  è  sempre  facile  distinguere 
la  malattia  fino  dal  suo  primo  inizio;  spesso  accade  che  quando  compa- 
iono i  primi  sintomi,  il  male  ha  già  attaccate  parte  ed  anche  tutte  le 
radici.  Qui  si  rende  indispensabile  una  cura  preventiva  dei  castagni  che 
crescono  in  vicinanza  alle  aree  infette,  per  iinpedire  che  queste  si  allar- 
ghino e  il  male  si  diffonda. 


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A  questo  scopo  si  può  tentare  la  cura  interna  con  soluzioni  di  sol- 
fato di  ferro,  solfato  di  rame,  o  cou  altre  sostanze  che  la  esperienza 
potesse  dimostrare  efficaci.  Queste  iniezioni  potranno  avere  effetto  non 
solo  preventivo  sopra  piante  non  ancora  infette,  ma  probabilmente  anche 
curativo  sopra  gli  alberi  le  cui  radici  non  sono  che  in  piccola  parte 
ammalate.  In  quest'ultimo  caso  però,  la  cura  non  potrà  avere  in  alcun 
caso  effetto,  se  non  si  procura  nello  stesso  tempo  di  listabilire  l'equi- 
librio fra  il  ridotto  assorbimento  delle  radici  e  l'evaiiorazione  e  traspi- 
razione della  parte  aerea.  Nel  caso  contrario  sarebbe  inevitabile  la  morte 
di  qualunque  pianta,  indipendentemente  da  qualunque  alterazione  morbosa. 

Bisogna  quindi  ristabilire  l'equilibrio  fisiologico  interrotto  fra  le 
radici  e  la  chioma  dell'albero,  riducendo  quest'ultima,  mediante  lo  scalvo 
0  la  proporzionata  potatura,  nell'indispensabile  equilibrio  funzionale  delle 
rimanenti  radici. 

La  cura  interna  delle  piante  è  stata  altre  volte  tentata  da  Bon- 
chery,  da  Harting  e  da  altri,  senza  riescire  a  fare  assorbire  il  liquido; 
perchè  ciò  veniva  impedito  dall'aria  frapposta  nell'intenio  del  foro.  Il 
signor  Mokrzecki  riesci  felicemente  ad  applicare  questo  metodo  nella 
cura  della  clorosi  degli  alberi  da  frutto,  servendosi  di  un  apparecchio 
che  permette  l'introduzione  del  liquido  e  l'espulsione  dell'aria  nello  stesso 
tempo  che  si  pratica  il  foro.  In  questo  modo  egli  riesci  ad  iniettare  840 
alberi  con  soluzioni  di  solfato  di  ferro,  variabili  dal  0,5  al  0,25  per  cento, 
e  ciò  con  esito  felicissimo.  L'apparecchio  del  quale  si  servi  fu  quello 
inventato  e  descritto  da  Schewyrew. 

Questo  apparecchio,  senza  essere  troppo  complicato,  è  incomodo  ed 
imbarazzante,  per  persone  non  addestrate  come  i  contadini;  quindi  a 
me  sembra  conveniente  modificare  alquanto  l'apparecchio  e  procedere  in 
modo  alquanto  diverso,  per  ottenere  lo  stesso  scopo  pratico.  Con  un 
trivello  si  piatica  un  foro  di  circa  un  centimetro  e  mezzo  di  diametro, 
alquanto  inclinato  dall'alto  al  basso,  penetrante  attraverso  l'alburno.  Ciò 
fatto  vi  si  applica,  avvitandola,  una  cannula  del  diametro  voluto  e  di 
dieci  centimetri  circa  di  lunghezza.  Questa  cannula,  che  potrà  essere 
di  ferro  o  di  ottone,  a  seconda  che  si  desidera  iniettare  una  soluzione 
di  sale  di  ferro  o  di  rame,  dovrà  avere  tre  aperture,  una  all'estremità 
che  dovrà  avvitarsi  nel  foro  e  due  all'estremità  opposta:  una  centrale 
per  l'introduzione  del  liquido  e  l'altra  laterale  per  l'uscita  dell'aria. 
Quella  per  l'introduzione  del  liquido  dovrà  essere  munita  di  un  becco 
per  innestarvi  un  tubo  di  gomma;  la  laterale  di  una  imboccatura  da 
chiudersi  con  un  tappo.  Quest'  ultima,  quando  la  cannula  sarà  avvitata 
al  tronco  da  iniettarsi,  dovià  essere  rivolta  in  alto. 

Il  recipiente  contenente  la  soluzione,  oltre  la  capacità  necessaria, 


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dovrà  avere  in  basso  tre  o  quattro  fori  per  servire  in  ogni  caso,  mu- 
niti ciascuno  di  una  cannuccia  alla  quale  si  innesterà  un  tubo  di  gomma 
di  suflSciente  lunghezza  e  che  si  terrà  chiuso  inferiormente  con  una  mol- 
letta. Al  momento  di  usarlo,  questo  recipiente  verrà  sospeso  in  alto  ad 
un  ramo  od  al  tronco  dell'albero,  per  avere  una  certa  pressione;  poscia 
l'estremità  libera  dei  tubi  di  gomma  verrà  innestata  al  becco  di  ciascuna 
cannula  avvitata  nei  fori  praticati  nell'albero  da  iniettarsi.  Ciò  fatto  si 
leverà  il  tappo  della  bocca  d'uscita  dell'aria,  si  apriranno  le  mollette; 
ed  il  liquido  penetrerà  per  le  cannule  nei  fori,  riempiendoli  e  scaccian- 
done l'aria,  per  la  bocca  a  ciò  destinata.  Quando  il  liquido  uscirà  da 
quest'ultima,  non  vi  sarà  più  aria  nel  foro  né  nella  cannula;  allora  la 
bocca  per  l'uscita  dell'aria  potrà  chiudersi  col  tappo,  ed  il  liquido  verrà 
lentamente  assorbito  dall'albero  e  messo  in  circolazione  insieme  alla  linfa. 

Mokrzecki  dice  che  un  albero  di  20  centimetri  di  diametro  può  as- 
sorbire 8  litri  di  liquido  in  24  ore.  Quando  l'albero  è  grosso,  non  basta 
jìraticarvi  un  sol  foro,  ma  bisogna  farveue  tre  o  quattro  per  rendere 
più  perfetta  e  sbrigativa  l'operazione. 

Il  momento  più  propizio  [ter  la  cura  interna  si  ha  nei  mesi  di  raaizo, 
aprile  e  maggio,  quando  i  succhi  sono  in  movimento. 

La  quantità  di  sale  da  farsi  assorbire  agli  alberi  dovrà  variare  in 
proporzione  della  loro  grossezza,  avvertendo  di  procedere  con  molta 
prudenza.  Moki'zecki  è  riuscito  a  fare  assorbire  ad  un  albero  di  mediocre 
grossezza  fino  a  12  grammi  di  solfato  di  ferro  in  soluzione  anche  al  2 
e  mezzo  per  mille. 

Malgrado  i  buoni  risultati  ottenuti  dal  Mokrzecki,  non  bisogna  di- 
menticare che  il  Dementjew  li  nega  assolutamente  e  che  il  solfato  di 
ferro  nelle  piante  può  decomporsi,  dando  luogo  a  composti  insolubili  e 
mettendo  in  libertà  acido  solforico;  ciò  che  può  essere  tanto  più  facile 
nel  castagno,  albero  molto  ricco  di  tannino.  Secondo  esperienze  da  me 
fatte,  il  castagno  tollera  meglio  il  solfato  di  rame  del  solfato  di  ferro. 
Internamente  può  tolleiare  il  ^/.,  per  mille  di  solfato  di  rame,  mentre 
la  stessa  dose  di  solfato  di  ferro  può  produrre  bruciature  sulle   foglie. 

Per  evitare  le  conseguenze  di  intossicazioni  generali,  o  perturba- 
zioni osmotiche,  è  prudente  provare  prima  sopra  uno  o  pochi  alberi,  già 
compromessi;  iniettandovi  soluzioni  molto  diluite;  vale  a  dire  impiegando 
un  tempo  proporzionalmente  maggiore  per  fare  assorbire  all'albero  una 
stessa  quantità  di  sale.  Nel  caso  però  che  la  pianta  desse  segni  di  sof- 
ferenza, si  dovrà  immediatamente  sospendere  l'operazione. 

Le  iniezioni  col  solfato  di  ferro  si  dovranno  quindi  praticare  con 
maggiore  prudenza,  in  conseguenza  della  sua  maggiore  tossicità  per  il 
castagno.  Le  soluzioni  consigliabili  sono  al  2  per  10  mila,  quantunque 


I 


79 


il  castagno  sembri  tollerare  internamente,  senza  inconvenienti,  anche 
le  soluzioni  al  5  per  10  mila,  tanto  dell'uno  che  dell'altro  sale;  e  fa- 
cendo assorbire  al  massimo  10  litri  di  liquido  per  volta.  La  dose  potrà 
essere  aumentata  nel  caso  che  in  pratica  si  veda  di  poterlo  fare  senza 
inconvenienti  '. 


* 
*  * 


La  malattia  nei  cedui  è  la  stessa  di  quella  degli  alberi  di  alto  fusto, 
ma  può  presentarsi  alquanto  diversamente,  specialmente  nei  cedui  sopra 
ceppala. 

L'infezione  dei  polloni  sopra  ceppaia  avviene  più  di  frequente  alla 
loro  inserzione  con  la  ceppa,  in  conseguenza  della  loro  direzione  verti- 
cale, che  facilita  il  trasporto  dei  germi  per  mezzo  dell'acqua  di  pioggia 
che  scorre  lungo  di  essi,  più  facilmente  che  nei  rami  obliqui  ed  orizzon- 
tali; di  conseguenza  anche  il  loro  ammalarsi  all'ascella  da  essi  formata 
con  la  ceppa. 

Quando  il  pollone  è  attaccato  alla  base,  il  male  si  comunica  facil- 
mente alla  ceppa  e  da  questa  alle  radici,  per  cui  non  facile  riesce  la 
cura;  malgrado  che  la  striscia  livida  sia  sempre  visibile  sui  polloni. 

Non  di  rado,  il  cancro  non  arriva  fino  alla  base  del  pollone,  e  sem- 
brerebbe che  tagliandolo  alla  base  e  disinfettando  la  ferita  si  dovesse 
eliminare  il  male.  E  ciò  succederebbe  senza  dubbio  se  il  male  fosse  limi- 
tato al  pollone  che  si  taglia,  ma  spesso  si  trova  infetta  anche  la  ceppa, 
da  più  0  meno  lungo  tempo.  Non  già  che  il  male  si  sia  propagato  a 
questa  dal  pollone  in  discorso;  ma  da  polloni  che  sono  morti  fino  dai 


'  Il  Fariieti  ha  provato  a  far  assorbire  a  rametti  di  castagno  muniti  di  gio- 
vani fjermogli  soluzioni  di  solfato  di  ferro  e  di  solfato  di  rame  a  diversi  gradi  di 
concentrazione,  e  lasciò  delle  sue  esperienze  i  seguenti  risviltati: 

per  il  sol  fido  dt.fvrru. 

soluzione  al     5     per  1000:  dopo  48  ore  i  germogli  cominciavano  a  dar  segni  evi- 
denti di  sofferenza  e  dopo  68  ore  erano  morti  ; 
:.    '2,5     •  dopo  fi8  ore  cominciavano  a  dar  segni  di  sofferenza  : 

1  .       i  segni  di  sofferenza  si  avevano  solo  dopo  92  ore:  dopo 

130  ore  i  germogli  morivano  ; 

per  il  solfato  di  rame, 

ì  dopo  120  ore  non  si  avevano  ancora  segni  di  sofferenza  : 

.    0,.5     >         •  idem  idem. 


—  80  — 

primi  anni  del  loro  sviluppo,  od  anche  da  vecchi  polloni  del  taglio  an- 
tecedente; come  non  è  difficile  constatare  dalla  presenza  degli  speroni 
del  taglio  precedente  che  non  hanno  ricacciato  o  dai  germogli  dissec- 
cati già  da  tempo  ed  inseriti  appunto  dalla  parte  dalla  quale  il  male  si 
è  diffuso  alla  ceppa  ed  alle  radici. 

In  questi  casi  la  cura  è  assai  difficile  se  non  sempre  impossibile. 
Ciò  dipende  dall'estensione  che  il  male  lia  preso  nelle  radici. 

Si  potrà  tentare  di  scalzare  la  ceppa  ed  asportare  la  maggior  parte 
delle  radici  e  del  legno  guasto,  come  si  è  detto  per  gli  alberi  d'alto 
fusto,  disinfettando  abbondantemente  e  ripetutamente  le  ferite  prodotte 
col  solfato  di  ferro,  o  di  rame,  come  si  è  detto  sopra. 

Le  ferite  si  ricopriranno  in  seguito  di  catrame,  e  se  la  ceppa  è 
cariata  si  tratterà  come  quella  degli  alberi  di  alto  fusto. 

I  rimedi  curativi  nei  cedui  potranno  avere  sempre  un'efficacia  limi- 
tata; è  indispensabile  quindi  la  cura  preventiva.  Questa  cura  consiste 
iieli'irrorare  le  ceppate  in  primavera,  specialmente  alla  base  dei  polloni, 
con  poltiglia  bordolese  o  con  solfato  di  ferio  al  25  o  30  per  cento,  ma 
prima  che  le  piante  vadano  in  vegetazione  e  procurando  di  non  toccare 
le  gemme. 

Questa  cura  preservativa  potrebbe  applicarsi  anche  ai  polloni  delle 
capitozze  almeno  per  i  primi  anni. 

Spesso  al  Male  deV inchiostro  si  aggiunge  il  comune  marciume  radi- 
cale. In  quest'ultimo  caso  bisogna  risanare  il  terreno  col  drenaggio  e 
disinfettarlo  col  solfuro  di  carbonio,  prima  di  ripiantarvi  alberi  di  qua- 
lunque specie. 

Per  la  ricostituzione  dei  castagneti  distrutti  si  può  ricorrere  ai  ca- 
stagni giapponesi  ',  avvertendo  però  che  male  si  prestano  come  soggetto 
da  innesto  per  il  nostro  castagno,  e  che  comunque  non  potrebbero  pre- 
servarlo dalla  malattia  nella  parte  aerea. 

È  da  notarsi  ancora  che  i  castagni  del  Giappone  producono  poco 
legno,  quantunque  di  buona  qualità,  e  frutti  meno  apprezzati  dei  nostri. 

Dopo  la  potatura  dei  castagneti  infetti,  bisogna  asportare  tutto  il 
broccame  e  la  legna,  focolaio  d'infezione,  carbonizzandola  o  destinandola 
al  riscaldamento. 


'  I  castagni  giapponesi  per  la  ricostituzione  dei  castagneti  distrutti  dal  Male, 
dell'inchiostro .  furono  proposti  in  Italia  fino  dal  1892  dal  prof.  Vittorio  Perona. 


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81 


11.  —  Esperienze  per  combattere  il  "  Male  deiriuchiostro,, 
a  Lotta  (Fauano)  e  a  Lucca  ^ 

A  Lotta  in  comune  di  Fanano  (Modena)  in  mezzo  ad  una  plaga 
di  castagneti  perfettamente  sani  si  trova  un  focolaio  infetto  di  500  metri 
di  lunghezza  per  130  di  larghezza. 

I  lavori  di  estinzione  e  di  cura  che  stiamo  iniziando,  hanno  lo  scopo 
d'impedire  l'allargarsi  del  centro  infetto,  circoscriverlo,  salvando,  possi- 
bilmente anche  parte  dei  castagni  ammalati  del  focolaio. 

A  tale  scopo,  a  cominciare  dal  centro  dell'area  infetta,  si  scopre  il 
primo  palco  di  radici  di  ogni  castagno  in  un  raggio  di  uno  a  due  metri 
a  cominciare  dalla  ceppa.  Se  il  numero  delle  radici  affette  da  marciume 
è  tale  da  lasciai-e  poca  speranza  di  salvezza  per  l'albero,  questo  viene 
sradicato  e  carbonizzato.  Se  le  radici  ammalate  sono  invece  in  numero 
limitato,  queste  si  asportano  e  si  bruciano  e  in  corrispondenza  della  loro 
inserzione  si  scalfisce  la  ceppa  fino  a  trovare  il  legno  sano;  si  medicano 
le  ferite  con  ripetute  pennellature  di  una  soluzione  satura  di  solfato  di 
ferro  (40  a  45  per  cento),  con  aggiunta  dell'uno  per  cento  di  acido  sol- 
forico e  quando  le  ferite  medicate  sono  rasciugate  si  ricoprono  di  uno 
strato  di  catrame.  Si  disinfetta  la  terra  smossa  con  la  soluzione  sopra- 
detta allungata  con  due  terzi  di  acqua  e  si  ricolma  la  buca  ricoprendo 
tutte  le  radici. 

Ciò  fatto  si  passa  all'esame  dei  rami  e  del  tronco.  Si  dovranno  to- 
gliere tutti  i  rami  ammalati,  senza  eccezione,  recidendoli  almeno  20  cen- 
timetri più  basso  del  livello  al  quale  è  discesa  la  cancrena.  Non  basta 
però  limitarsi  all'esame  dei  rami,  specialmente  se  vi  è  marciume  radicale, 
ma  bisogna  seguire  i  cancri  nel  tronco,  nella  direzione  dei  rami  o  delle 
radici  ammalate  in  corrispondenza  dei  quali  o  delle  quali  discende. 

Siccome  però  i  cancri  non  lasciano  alcuna  traccia  sulla  corteccia 
vecchia,  bisognerà  fare  dei  saggi  con  delle  tacche,  ed  accertata  la  pre- 
senza del  male,  asportare  la  corteccia  che  lo  ricopre,  scalfendo  il  legno 
fino  a  trovare  il  sano.  Poscia  si  medicano  le  ferite  con  la  soluzione  di 
solfato  di  ferro  concentrata  come  si  è  detto  sopra  e  si  ricoprono  con 
uno  strato  di  catrame. 

'  Anche  qviesta  parte  del  lavoro  rimane  incompleta.  Ho  cercato  completarla 
coll'aggiunta  di  una  relazione  mandata  dagli  Autori  al  Ministero  di  Agricoltura 
nel  1915  e  con  notizie  avute  recentemente  dal  Sindaco  di  Fanano  e  dal  Direttore 
della  Cattedra  ambulante  di  Agricoltura  di  Lucca,  ai  quali  invio  sentiti  ringra- 
ziamenti. '■  "'■ 

Atti  dell' Ist.  Boi.  iletr  rrtirersiUi  ili  Paria  -  Serie  II    -  Voi.  XVIII.  tì 


—  82  — 

Se  i  rami  tagliati  non  si  giudicano  nell'insieme  sufficienti  a  rista- 
bilire l'equilibrio  in  proporzione  delle  radici  soppresse,  si  taglieranno 
altri  rami,  curando  possibilmente  la  forma  della  chioma  dell'albero,  av- 
vertendo che  una  potatura  eccessiva  non  nuoce,  mentre  se  deficiente 
può  essere  causa  della  morte  della  pianta,  indipendentemente  dalla  ma- 
lattia, per  semplice  squilibrio  funzionale. 

Verso  la  periferia  del  terreno  dell'area  infetta  il  marciume  radi- 
cale si  fa  sempre  più  raro  e  meno  grave  e  si  arriva  ad  un  limite  in 
cui  non  se  ne  trova  più  traccia.  Ciò  non  vuol  dire  però  che  i  castagni 
con  radici  sane  non  possano  essere  ammalati  nei  rami  ed  anche  nel 
tronco,  per  cui  è  necessaria  la  maggiore  attenzione  nell'esame  di  questi; 
esame  che  dovrà  essere  ripetuto  nella  primavera  e  nell'estate  e  per  più 
anni  di  seguito. 

Nel  luogo  dove  si  abbattono  castagni  e  rami  ammalati  e  dove  questi 
si  accatastano  prima  di  bruciarli  o  carbonizzarli,  si  dovrà  aspergere  il 
terreno  superficialmente  con  una  abbondante  irrorazione  di  una  soluzione 
di  solfato  di  rame  al  5  per  cento. 

In  valle  Freddana,  in  provincia  di  Lucca,  in  una  regione  castani- 
cola quasi  interamente  distrutta  dal  Male  dell'inchiostro  esiste  un  gruppo 
di  castagni  ammalati  in  vario  grado,  evidentemente  condannati  a  mo- 
rire fra  non  molto.  Quivi  si  vuole  applicare  il  sistema  di  cura  che  si 
pratica  a  Lotta  in  comune  di  Fanano,  per  vedere  se  si  riesce  a  salvare 
almeno  una  parte  dei  castagni  ammalati  e  vedere  quale  valore  curativo 
abbia  un  tale  trattamento.  A  Lotta  invece,  col  tentare  di  distruggere 
il  focolaio  infetto  si  tende  specialmente  a  dimostrare  il  valore  profilat- 
tico di  questo  sistema  di  cura. 

A  Borgo  a  Mozzano  e  ad  Anchiano  in  valle  del  Serchio,  provincia 
di  Lucca,  si  fanno  anclie  esperienze  di  inoculazione  con  solfato  di  rame, 
mediante  un  apparecchio  speciale  da  noi  ideato,  di  facile  applicazione. 
La  soluzione  al  due  per  mille,  contenuta  in  un  recipiente  fissato  al  tronco 
dell'albero,  viene  introdotta  nel  fusto,  mediante  una  cannula  a  doppia 
imboccatura,  una  nella  direzione  della  canna  stessa  cui  s'innesta  un 
tubo  di  gomma  (in  comunicazione  col  recipiente  soprastante  contenente 
la  soluzione)  e  l'altra  perpendicolare  a  questa  che  serve  per  l'espulsione 
dell'aria.  Scacciata  l'aria  dal  foro  e  dalla  cannula,  si  chiude  l'imbocca- 
tura superiore  ed  il  liquido  penetra  e  viene  messo  in  circolazione. 

Ad  Anchiano,  dove  si  verifica  una  forte  mortalità  anche  nei  casta- 
gneti nati  da  seme  o  trapiantati  nel  castagneto  infetto,  per  cui  essi 
muoiono  quasi  tutti  nel  primo  o  secondo  anno  e  raramente  raggiungono 
il  quinto  anno  d'età,  si  fanno  esperienze  dirette  a  dimostrare  che  l'in- 


—   83   — 

fezioiie  procede  per  via  epiia;ea  e  non  ipogea  e  che  la  malattia  non  è 
in  correlazione  con  la  natura  fisica  e  chimica  del  terreno  né  con  una 
misteriosa  intossicazione  del  medesimo. 

A  questo  scopo  sono  state  trasportate  ad  Anchiano  25  piccole  piante 
di  castagno  allevate  in  vaso  nel  nostro  Orto  Botanico  di  Pavia,  con  terra 
in  cui  non  è  mai  stato  coltivato  castagno  e  col  loro  vaso  sono  state  poste 
in  larghe  e  profonde  buche  entro  altri  vasi  più  grandi  isolati  dal  ter- 
reno circostante  con  spesso  strato  di  ghiaia.  Se  malgrado  questo  isola- 
mento con  doppio  vaso  e  drenaggio,  le  piante  muoiono,  la  loro  mortalità 
non  si  potrà  imputare  ad  infezione  ipogea,  né  alla  natura  o  tossicità  del 
terreno,  ma  ad  una  infezione  epigea. 


Breve  Relazione  delle  esperienze  iniziate  a  Fanano  per  la  cura  del 
Castagneto  ivi  fortemente  attaccato  dal  "  Male  dell'Inchiostro,,. 

{Mandata  al  Ministero  di  Agricoltura  il  16  novembre  1915). 

Come  è  noto,  nella  primavera  scorsa  si  iniziarono  per  ordine  di 
codesto  Ministero  a  Fanano  lavori  ed  esperienze  per  combattere  il 
Male  delV inchiostro  che  aveva  fortemente  attaccato  un  castagneto  in 
contrada  di  Lotta  sita  sotto  la  strada  che  da  Fanano  conduce  a  Sestole. 

Con  piacere  posso  annunciare  ora  che  i  primi  risultati  ottenuti  sono 
molto  promettenti,  anzi  superiori  alle  speranze. 

Furono,  come  di  già  scrissi  a  codesto  Ministero,  trattati  e  curati  col 
metodo  di  già  descritto  (nella  lettera  8  maggio  1915,  Num.  di  prot.  271) 
più  di  tremila  alberi,  dei  quali  1200  nelle  radici  e  circa  2000  nei  fusti 
e  nei  rami. 

Ebbene  nell'ultima  ispezione  (settembre  e  ottobre)  si  è  trovato  che 
nella  maggior  parte  degli  alberi  trattati  ove  era  stato  possibile  con- 
durre le  operazioni  colle  dovute  cure  ed  individualizzare  lo  stato  mor- 
boso dell'albero  con  precisione,  tutti  i  sihtomi  del  male  sono  scomparsi 
in  seguito  alla  cura.  Alberi  che  sarebbero  morti  con  certezza  durante 
l'estate  scorsa  poiché  avevano  di  già  l'aspetto  clorotico  e  cachettico,  con 
foglie  pallide  e  piccole,  ricci  rachitici  e  mal  sviluppati  e  non  avevano 
maturato  i  frutti  nell'anno  precedente,  in  questo  invece,  cioè  dopo  la 
cura,  l'aspetto  loro  è  interamente  cambiato,  le  foglie  hanno  raggiunto 
le  dimensioni  normali,  non  sono  più  pallide  ma  di  un  verde  sanissimo 
e  gli  alberi  si  sono  ricoperti  di  abbondanti  e  grossi  ricci,  pieni  di  ca- 
stagne perfettissime  ed  eccellenti. 


—  84  — 

Fra  i  malati  se  ne  erano  lasciati  sedici  a  titolo  di  esperimento  e 
per  desiderio  del  proprietario  e  del  contadino,  ma  senza  alcuna  nostra 
speranza  di  guarigione,  poiché  da  essi  avevamo  asportati  nove  decimi 
e  più  delle  radici;  questi  li  abbiamo  trovati  in  parte  morti,  in  parte 
morenti  nonostante  fossero  stati  (almeno  alcuni)  anche  capitozzati,  e  ciò 
non  perchè  il  male  in  essi  non  fosse  arrestato  dalla  cura,  ma  perchè 
le  radici  rimaste  non  furono  sufficienti  a  tenerli  in  vita. 

In  48  alberi  l'equilibrio  funzionale  fra  radici  e  chioma  non  era 
stato  ben  ristabilito,  onde  si  è  dovuto  procedere  a  nuovi  tagli,  poiché 
le  radici  lasciate  non  bastavano  a  mantenere  in  coudizioni  di  vegeta- 
zione normale  la  chioma  rimasta. 

In  alcuni  degli  alberi  curati  furono  trovate  ancora  altre  radici 
guaste  0  perchè  non  riconosciute  come  tali  nella  primavera  scorsa,  o 
perchè  sfuggite  all'esame  durante  la  prima  cura  ;  queste,  come  è  natu- 
rale, furono  ora  asportate.  Tolte  queste  poche  eccezioni,  tutte  le  piante 
curate  non  presentavano  differenza  alcuna  colle  piante  sane  dello  stesso 
castagneto  e  dei  castagneti  immuni  limitrofi;  l'aspetto  del  fogliame,  la 
grossezza  e  l'abbondanza  dei  frutti  non  differivano.  Anzi  ben  se.<santa 
alberi  fra  quelli  curati,  ai  quali  si  erano  non  solo  asportate  parecchie 
radici  marcescenti,  ma  altresì  intaccate  profondamente  la  ceppa,' presen- 
tavansi  più  rigogliosi  e  più  ricchi  di  frutti  dei  migliori  alberi  sani  : 
notisi  che  alcuni  di  questi  alberi  eransi  dovuti  puntellare  per  tenerli 
in  piedi,  tante  erano  le  radici  tagliate  e  così  forte  era  stata  la  porzione 
di  ceppa  scalfita  ed  esportata. 

In  generale  può  dirsi  che  si  è  riusciti  a  combattere  radicalmente 
il  male  anche  negli  alberi  che  avevano  attaccato  sino  *j^  delle  radici. 

Verso  la  fine  del  prossimo  inverno  si  faranno  nuove  ispezioni  per 
continuare  eventualmente  il  lavoro  e  meglio  assicurare  il  già  fatto. 


Da  una  lettera  delT avv.  Amato  Veggetti,  Sindaco  di  Panano: 

L'effetto  migliore  ottenuto  dalle  operazioni  fatte  dai  prof.  Farueti 
in  località  "  Lotta  „  di  Fanano  contro  la  Malattia  dell'inchiostro  dei  ca- 
stagni é  stato  l'isolamento  assoluto  della  malattia  che  non  si  è  propa- 
gata ai  castagneti  vicini  come  avrebbe  certamente  fatto  senza  le  cure 
di  Farneti  e  con  quale  danno  per  la  nostra  montagna  é  facile  immaginare. 

Panano,  2  aprile  1921. 

A.  Veggetti. 


85  — 


Da  una  lettera  del  prof.  Pio  Bonuccelli,  Direttore  della   Cattedra  ambu- 
lante di  Agricoltura  di  Lucca: 

Le  esperienze  furono  condotte  negli  anni  1912-13  e  1914;  ed  avreb- 
bero dovuto  continuare  nel  1915,  ma  tutto  il  personale  tecnico  di  questa 
Cattedra  fu  richiamato  alle  armi  e  non  risulta  che  il  prof.  Farueti  po- 
tesse in  quell'anno  recarsi  a  Lucca,  ove  invece  fu  nei  tre  anni  pre- 
cedenti. 

Nell'anno  1912  a  Borgo  a  Mozzano,  ad  Anchiano  e  a  Barga  si 
fecero  operazioni  di  scalzamento  delle  ciocche  di  castagno,  abbattimento 
delle  piante  che  avevano  le  radici  infette,  taglio  dei  rami  ammalati  per 
le  altre,  con  disinfezione  dei  tagli  fatti. 

Nel  1913  e  1914  si  continuarono  nelle  stesse  località,  e  poi  in  Valle 
di  Freddana,  e  a  Sesto  di  Menano  le  stesse  operazioni. 

Inoltre  a  Borgo  a  Mozzano,  ad  Anchiano  ed  a  Sesto  furono  fatte 
esperienze  di  inoculazioni  di  solfato  di  rame  e  di  solfato  di  ferro.  Le 
applicazioni  peraltro  furono  fatte  un  po'  tardive,  a  vegetazione  iniziata, 
e  nel  1913  nel  periodo  delle  esperienze  si  verificarono  anche  numerose 
pioggie,  per  cui  le  piante  assorbiiouo  poco  liquido,  dimodoché  non  si 
sono  notati  risultati  pratici.  Ad  Anchiano  nel  maggio  1914,  in  un  ca- 
stagneto già  molto  devastato  dalla  Moria,  furono  poste  20  piantine  di 
castagno  provenienti  dall'Orto  Botanico  di  Pavia. 

Durante  la  prima  estate  dette  piantine  vegetarono  bene.  Nell'in- 
verno successivo  alcune  furono  danneggiate  da  cause  estranee  :  le  altre 
successivamente  si  sono  perdute  tutte,  mi  diceva  il  proprietario,  forse 
per  siccità. 

Nella  mia  recente  ispezione  ho  constatato  che  un  beneficio  si  è 
ottenuto  colle  amputazioni  più  o  meno  grandi  dei  rami  grossi  delle 
piante. 

I  castagni  che  hanno  subito  questa  operazione  hanno  resistito  di 
più  di  fronte  all'invadenza  della  malattia,  e  ve  ne  sono  tuttora. 

Cosa  questa,  che  in  moltissimi  casi  era  stata  notata  da  molti  nostri 
selvicultori,  i  quali  sovente  ne  profittano  trasformando  in  boschi  cedui 
i  castagneti  ad  alto  fusto  presi  dalla  Moria,  sicuri  che  il  bosco  avrà 
cosi  una  vitalità  molto  lunga. 

Lucca,  m  ajyrile  1921. 

Più  Bonuccelli. 


—  87  — 


SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 


Tav.  I. 

Pianta  di  castagno  attaccata  dal  Male  dell'inchiostro  ed  ormai  perduta  nella  parte 
superiore. 

Tav.  11. 
Paesaggio  con  diverse  piante  di  castagno  morte  o  morenti  per  Male  dell'inchiostro. 

Tav.  iti. 

Piante  di  castagno  della  località  delle  precedenti,  e  che  al  pari  di  esse,  alcuni 
anni  or  sono,  si  ritenevano  perdute,  ma  che  il  proprietario  Cav.  Avvo- 
cato Lorenzo  Lorenzetti  di  Castelnuovo  Garfagnana  riesci  a  s  alvare 
recidendo  in  tempo  il  tronco. 

Ora,  come  si  vede  nella  figura,  hanno  ripreso  nuovo  vigore  e  si  trovano  in  piena 
e  vigorosa  vegetazione,  abbondantemente  cariche  di  irutti. 

Tav.  IV.  ' 

Fig.     1  e  2.  Parte   inferiore   di   due  giovani   polloni  attaccati   da  cancro   (e)    che 
scende  fino  nelle  radici. 
3.  Grosso  ramo,  preso  da  un  albero  d'alto  fusto,  in  cui   vedesi  il  cancro  (e) 

che  dalla  sua  estremità  scende  fino  alla  base. 
i.  Pollone  percorso  dal  cancro  (e)  in  tutta  la  sua  lunghezza. 

Tav.  V. 

Fig.     1.  Cancro   formatosi   nella  parte   inferiore  di   un  pollone  che  non   ha  rag- 
giunto ancora  il  piede.  Le  radici  sottostanti  si  trovano  ancora  sane. 
»       2.  Ceppala  con  vari  polloni,   dei  quali  solamente  quello  di  sinistra  ha  un 
cancro  (e)  alla  base  ;  gli  altri  sono  perfettamente  sani. 

Solo  le  radici  sottostanti  al  cancro  del  pollone  sono  ammalate  per 
un  breve  tratto,  a  partire  dalla  ceppa,  nel  resto,  fino  all'estremità 
delle  più  sottili  ramificazioni  e  delle  barbicelle  sono  ancora  sane.  Tutte 
le  rimanenti  radici  della  ceppa  sono  perfettamente  sane. 
3.  Pollone  con  cancro  che  discende  dalla  vetta;  ma  che  non  arriva  e  s'ar- 
resta prima  di  toccare  il  piede.  Le  radici  sottostanti  sono  tutte  sane. 


88  — 


Tav.  vi. 


Fig.  i.  Sezione  longitudinale  di  un  i-amo,  con  forme  miceliali  toruloidi  (m)  nella 
corteccia. 

»  2.  Porzione  di  ramo,  con  cancro  (e,  e).  In  essa  si  vedono  stromi  del  paras- 
sita (sf),  e  lenticelle  (Z). 

»  3.  Grosso  ramo  d'una  pianta  d'alto  fusto  con  cancri  (e)  che  dall'estremità 
dei  raini  di  primo,  secondo,  terzo  e  quarto  ordine  scendono  e  conflui- 
scono nel  principale,  fino  al  tronco,  formando  strisele  livide,  depresse, 
da  una  sola  parte  del  ramo. 

»  4.  Sezione  di  un  giovine  ramo,  praticata  in  con-ispondenza  di  una  macchia 
formata  da  recente  infezione  (e).  II  tessvito  è  invaso  dal  micelio  del 
parassita,  che  caccia  anche  rami  aerei  (??i).  In  essa  si  vede  che  per 
arrestare  il  processo  infettivo  si  è  formata  una  prima  diga  di  su- 
ghero (d)  ;  che  questa  non  è  stata  sufficiente  per  arrestare  le  infiltra- 
zioni tossiche,  segregate  dal  parassita,  per  cui  si  è  formata  una  seconda 
diga  (d'),  ed  in  fine  una  terza  cP. 

5.  Giovane  ramo  con  cancro  ellissoidale  localizzato  (e),  a  lento  sviluppo,  di 

circa  due  centimetri  di  larghezza;  in  cui  sono  già  comparsi  stromi  (st) 

del  parassita. 
»       6.  Altro  giovane  ramo  con   piccoli   cancri   (e)  a  lento  sviluppo,   di   recente 

formazione. 
»       7.  Porzione  ingrandita  di  un  cancro:  {st)  stromi,  (/)  lenticelle. 

Tav.  vii. 

Fig.  1.  Sezione  trasversale  e  longitudinale  di  un  ramo  con  cancro  :  (ca)  corteccia 
ammalata;  (cs)  corteccia  sana;  (la)  legno  ammalato;  (Is)  legno  sano; 
(m)  midollo. 
»  2,  4  e  5.  Sezione  trasversale  di  polloni  ammalati,  praticata  in  corrispon- 
denza del  cancro:  (ca)  corteccia  ammalata;  {cs)  corteccia  sana;  (la) 
legno  ammalato. 
3.  Cancro  (e)  arrestatosi  nel  suo  sviluppo  ed  oi'a  limitato  da  un  callo  di 
cicatrizzazione  (cc^:  (st)  stromi  del  parassita;  (/)  lenticelle. 

6.  9  e  10.  Forme  miceliali  che  si  riscontrano  nella  parte  superficiale  delle 

pustole  verruciformi  e  dei  cancri   in  foi-mazione. 

7.  Forme  di  micelio  nell'interno  dei  tessuti. 

»       8  e  11.  Pustole  verruciformi  riscontrate  in  alcvmi  rami  di  piante  languenti. 

Sono  formazioni  sugherose  localizzate,  provocate  dall'irritazione  d'un 

micelio  indeterminato  (fig.  6,  9,  10  e  12). 

12.  Forma  di  micelio,   che    ricorda  quello  dello   stroma  del  Coryneum,  che 

sembra  determinare  le  formazioni  verniciformi  sugherose  (fig.  H  e  11). 

Tav.  Vili. 

Fig.     1.  Sezione  di  un  picnidio  di  Fusicoccìim  perniciosum. 

2.  Sezione  di  uno  stroma  di  Melanconis  perniciosa. 

3.  Picnospore  di  Fusicoccum  perniciosum. 


—  89  — 

Fig.  4.  Aschi  e  paratisi  di  Melanconis  perniciosa. 

•  5.  Sezione  di  un  peritecio  di  Melanconis  perniciosa. 

»  6,  7  e  9.  Spore  di  Melanconis  perniciosa. 

»  8.  Gonidi  di  Cori/neìim  imrniciosum. 

»  10.  Sezione  di  un  acervolo  piatto  di  Coryneum  perìiiciosuni. 

Tav.  IX. 

Fig.     1.  Estremità  di  un  ramo  dell'annata  con  cancri  laterali  iniziali  (e'). 
•>       2.  Porzione  del  precedente  ingrandita.  % 

»       3.  Sezione  trasversale  di  un  ramo  dell'annata  in  corrispondenza  d'un  cancro 
iniziale  :  (p)  punto  in  cui  è  avvenuta  l' infezione  ;  (s)  diga  di  sughero. 

4.  Sezione  longitudinale  di  un  cancro  iniziale  più  ingrandita. 

5.  Altra  sezione  longitvidinale,  vista  a  minore  ingrandimento:  (p)  penetra- 

zione dell'infezione;  (s)  diga  di  sughero. 

6.  Micelio  toruloide  alla  superficie  di  una  pustola  iniziale. 

7.  Sezione  di  una  piccola  pustola,  in  cui  si   vede  il  micelio  (m)  e  il   punto 

iniziale  della  pustola  (p). 
»       8.  Sezioni  trasversali  di  giovani  rami    dell'annata,   praticate   in   corrispon- 
denza di  pustole  iniziali  (/)). 

Tav.   X. 

Fig,     1.  Grosso  micelio  non  settato,   varicoso-nodoso,  a  contenuto  granulare,  con 
numerose  bollicine  di  variahile  grandezza   disposte  in  serie  longitu- 
dinale mediana.  Questo  micelio  è  intercellulare  e  penetra  non  di  rado 
nelle  fibre  e    nei   vasi  attraversandoli,    avvolgendovisi   o   strisciando 
.  lungo  le  pareti. 
»       2.  Micelio  che  penetra  trasversalmente  nell'interno  di  un  vaso. 
»       3.  Micelio  che  si  avvolge  nell'interno  di  una  fibra. 

4.  Grosso  micelio  che  si  biforca  senza  segmentarsi,  dividendosi    in   lacinie 
sottili  ed  attenuate  all'apice. 
'>       5.  Micelio  che  attraversa  dei  vasi  penetrandovi  per  le  areole. 

6.  Micelio  esilissimo  di  1  '/j  millesimi  di  millimetro   di  diametro,  non  set- 

tato, che  penetra,  attraversa  e  s'avvolge  lungo  la  parete   interna  di 
un  vaso. 

7.  Micelio  sottile,  non  settato,  nell'interno  delle  cellule  del  libro. 

8.  Lo  stesso  più  ingrandito,  che  si  ramifica  senza  segmentarsi,  a  contenuto 

protoplasmatico  granelloso  e  bolloso. 

9.  Conidioforo  di  Cori/neum,  isolato  da  uno  stroma  ;  (a)  rami  ripetutamente 

biforcati,  composti  di  brevi  articoli  apofisati  :  (e)  conidio  in  via  di 
sviluppo;  (e',  e')  Gonidi  maturi. 
»  10.  Conidioforo  articolato  die  costituisce  la  parte  superiore  del  filamento 
miceliale  rappresentato  nella  figura  18. 
11.  Gonidio  di  Coryneum  in  via  di  germinazione  (stadio  più  avanzato  di 
quelio  rappresentato  nella  figura  14);  filamenti  miceliali  germinativi, 
di  diametro  notevolmente  variabile,  non  settati,  o  composti  di  articoli 
clavati,  indi  prolungati  in  filamento  esilissimo,  continuo,  lungamente 
attenuantesi  ;  questo  carattere  lo  caratterizza  e  può  essere  dovuto  alla 


—  90  — 

graduale  diminuzione  della  pressione  interna  del  plasma,  per  insuffi- 
ciente resistenza  apicale  della  cellula,  che    si   prolunga  e  si  ramifica 
senza  segmentarsi. 
Fig.  12.  Micelio  tenuissimo,  granuloso-vacuoloso  nell'interno  delle  cellule  del  libro 
(sezione  longitudinale). 

13.  Gonidio  di  Coryneum  in  germinazione.   I  singoli  articoli   si  sono  allun- 

gati. L'estremità  (a)  ha  cacciato  un  grosso  filamento  miceliale  ger- 
minativo, non  settato,  dapprima  varicoso,  poscia  gradatamente  atte- 
nuantesi.  L'estremità  (6)  ha  cacciato  tre  filamenti  miceliali  germina- 
tivi, ed  hanno  gergiinato  anche  gli  articoli  intermedi  del  conidio,  con 
filamenti  parimenti  attenuantisi  in  modo  caratteristico. 

14.  Altro  conidio  di  Coryneum  in  germinazione. 

Il  suo  successivo  sviluppo  si  vede  nella  figura  11. 

15.  Miceli  esili,  unicellulari,  isolati  per  lacerazione  e  disgregazione  dei  lembi. 

16.  Grosso  micelio  intercellulare,  a  plasma  finamente  granuloso,  con  processi 

laterali  clavati  (isolato  nel  modo  precedente). 

»     17.  Grosso  micelio  intercellulare,  a  parete  ondulata  (isolato  come  sopra). 

-  18.  Micelio  i-amificato,  isolato  per  lacerazione  e  disgregazione  in  vicinanza 
di  uno  stroma  di  Coryneum.  Nella  parte  inferiore  (m)  non  è  settato; 
ì  suoi  rami  laterali  (ci  sono  pure  unicellulari,  a  contenuto  granuloso- 
vacuoloso,  subramificati  in  rami  ancor  più  sottili  di  1  '/2  millesimi  di 
millimetro,  al  solito  caratteristicamente  attenuati  all'apice.  Questo 
micelio,  con  tutte  le  sue  ramificazioni  di  diametro  variabile  ed  atte- 
nuantisi gradatamente  verso  l'apice,  costituisce  un'unica  cellula.  Esso 
è  caratteristico  perchè  si  verifica  tanto  nei  tessuti  ammalati  che  nelle 
colture.  Il  filamento  principale  nella  parte  superiore,  in  vicinanza  dello 
stroma,  comincia  a  segmentarsi  in  articoli  che  diventano  sempre  più 
brevi  e  grossi,  di  diametro  disuguale,  ingrossati  a  clava  o  a  tronco 
di  cono  inverso,  spesso  apofisati  ;  precisamente  all'opposto  di  quanto 
avviene  nelle  ramificazioni  inferiori  unicellulari,  e  ciò  forse  per  la 
segmentazione  e  la  resistenza  apicale  della  cellula. 

Tav.  XI. 

Fig.  1.  Rami  con  estremità  rigonfiata  ad  ampolla  che  si  osservano  negli  sti'omi 
valsoidei  (materiale  di  Savona),  analoghi  a  quelli  ottenuti  in  coltura 
e  rappresentati  nelle  figure  9,   10,  16,  18,  23,  26,  35  e  36. 

^       2.  Ramificazioni  ottenute  in  colture  anerobiche. 

»  3  e  4.  Rigonfiamenti  apicali  dei  rami  che  si  osservano  nell'interno  delle 
cripte  di  stromi  valsoidei,  e  che  per  la  forma  ricordano  gli  oogoni  e 
gli  anteridi  (materiale  di  Savona). 

n       5.  Ingrossamenti  claviformi  con  strozzatura  mediana  (materiale  di  Savona). 

»  6.  Ingrossamenti  fusoidali  :  (e)  con  plasma  granulare  omogeneo  che  arre- 
standosi nello  sviluppo  costituisce  un  conidio  di  Fiisicoccum;  (b)  con 
masse  interne  di  plasma  più  denso,  più  differenziato  in  (a),  che  arre- 
standosi nello  aviluppo  e  cutinizzandosi,  costituiscono  conidi  di  Co- 
ryneum (materiale  di  Savona). 

»       7.  Conidi  di  Coryneum  in  via  di  formazione  (materiale  di  Savona). 
8.  Primo  stadio  della  ramificazione  del  micelio  in  coltura. 


—  91   — 

Fig.     9  e  10.  Rami  a  rigonfiamenti   ad   ampolla  che   ricordano  per  la   forma  gli 

oogonì  e  gli  anteridì  (materiale  di  coltura]. 
»     11.  Spore  germinanti  di  Coryneum  in  coltura. 
»     12.  Ramificazioni  mioeliali  a  pennello  da  materiale  in  coltura. 
»     13.  Gonidio  di  Corynvuin  in  germinazione  con  bolle  apicali. 
»     14  e  15.  Ingrossamenti  apicali  a  clava  (da  materiale  di  coltura). 
•     16  e  18.  Ramo  miceliale  a  bolla  apicale  (materiale  di  coltura). 
»     17.  Micelio  sviluppatosi  dalla  germinazione  di  un  conidio  di  Cori/neum. 
»     19.  Ramo  miceliale  con    due    bolle   sovrapposte   nell'  interno    di   una  cripta 

dello  stroma  valsoideo  (materiale  di  Savona). 

>  20.  Micelio  con  ramificazioni  a  scopazzi  (materiale  di  coltura). 

>  21  e  22.  Ulteriore  sviluppo  d'un  ingrossamento  apicale  claviforme  (vedi  fig.  6) 

con  difierenziazione  iniziale  delle  ascospore. 

»     23.  Rami  miceliali  con  ingros.samenti  apicali  ad  ampolla  (materiale  di  Savona). 

»  24  e  25.  Ingi-ossamento  claviforme  apicale,  con  iniziata  trasformazione  in 
conidio  di  Coryneum  (materiale  di  Savona). 

»  26,  35  e  86.  Rami  con  rigonfiamenti  ad  ampolla,  che  ricordano  per  la  forma 
oogonì  ed  anteridì. 

»  27,  32  e  33.  Ramo  di  micelio  con  protuberanze  e  processi  laterali  a  clava 
od  a  gozzo  (materiale  di  coltura). 

»  28,  29  e  31.  Conidio  di  Coryneum  ottenuto  in  coltui-a,  e  sua  successiva  ger- 
minazione con  produzione  di  bolla  apicale. 

»  30.  Micelio  sviluppatosi  dalla  germinazione  di  un  conidio  di  Coi-yneum  (ma- 
teriale di  coltura). 

»     32  e  33.  Vedi  fig.  27. 

»     34.  Stadio  intermedio  di  sporificazione. 

»     35  e  36.  Vedi  fig.  26. 

»     37,  38  e  39.  Ramificazione  a  pennello  ed  a  rampini  ^materiale  di  coltura). 

»  40,  41  e  42.  Aschi  di  Melancouis  in  vari  stadi  di  sviluppo  (materiale  di 
Savona). 

Tav.  XII. 

Fig.  1.  Giovane  ramo  dell'annata  con  cancri  iniziali  :  (e'.  <•')  cancri  formatisi  la- 
teralmente al  ramo,  non  in  corrispondenza  di  gemme  ;  (e'  e*  c^)  cancri 
iniziatisi  in  corrispondenza  di  cicatrice.  L'attacco  ha  luogo  sul  ger- 
moglio erbaceo  ed  il  cancro  esterno  vi  appare  solamente  nel  giovane 
ramo  lignificato.  Qualche  volta  il  germoglio  avvizzisce  e  muore  allo 
stato  erbaceo  ed  il  male  si  diffonde  nel  ramo  dell'anno  precedente, 
nel  quale  poscia  si  manifesta  il  cancro  (materiale  del  Biellese). 
2.  Altro  giovane  ramo  dell'annata  con  cancro  laterale  (e')  che  percorre  da 
un  sol  lato  tutta  la  parte  superiore  del  ramoscello,  mentre  dalla  parte 
opposta  resta  sano  con  cellule  piene  di  amido  ;  (e')  cancro  iniziatosi 
lateralmente  in  un  internodio  (materiale  del  Biellese). 
»  o.  Ramificazioni  sporifere  e  stato  iniziale  della  formazione  dei  conidi  e  degli 
aschi  (Coltura  anerobica). 
4.  Micro  e  macro  spermazi  assai  variabili  di  forma  e  dimensioni  che  si  for- 
mano dopo  la  sporificazione  del  Coryneum  o  della  Melanconis  per 
proliferazione  delle  ife  che  formano  il  contesto  dello  stroma,  sia  per 


—  92  — 

gemmazione  di  rami   speciali,   sia  per   segmentazione,   in  modo  ana- 
logo agli  Oidium,  come  è  indicato,  nelle  figure  5,  6,  7,  9,  10,  14,  19 
e  20.  Materiale  di  Savona  con  forma  conidica  ed  ascofora  nello  stesso 
cancro  ed  anche  nello  stesso  stroma  valsoideo. 
Fig.     5.  Conidioforo,  che  produce  microspermazi  rotondeggianti. 

»       6  e  20.  Formazione  di  macrospei'mazì  per  distacco  della  cellula  apicale. 

»  7.  Formazione  di  spermazì  ellissoidali  od  ohlunghi  sopra  cellule  davate  ba- 
sidiiformi,  lateralmente  ai  filamenti  che  formano  il  contesto  interno 
dello  stroma. 

»  8.  Acervulo  di  Melanconium  sp.:  (e),  conidì;  (e)  epidermide  suberificata; 
(s)  stroma.  In  materiale  di  Barga. 

«•       9.  Grappolo  di  microspermazi  globosi,  con  graspo  come  nella  fig.  5. 

10.  Formazione    di   conidì   di    Coryneum   e    contemporaneamente   di    macro- 

spermazì  ovali. 

11.  Stroma  conico  di   Coryneitvi:  (e)  conidì. 

»  12.  Stroma  valsoideo  di  Coryneum  che  produce  conidì  alla  superficie  estema 
erompente  (e)  e  nelle  cripte  interne  (e')  :  (s)  stroma  subepidermico  ; 
(»■',  s'j  stroma  intercorticale  ;  (e)  epidermide. 

»  13.  16,  18  e  22.  Rami  sporiferi  dell'interno  dei  concettacoli  conidiferi.  Gli 
ingrossamenti  ovoidali  o  clavati  ricordano  per  la  forma  qtielli  che  si 
ottengono  in  coltura  (vedi  tav.  XI,  fig.  1,  3,  4,  10,  16,  18,  26,35,  36). 
Essi  per  successiva  evoluzione  danno  luogo  ora  a  conidì,  ora  ad  aschi 
(materiale  di  Savona). 

«  14.  Formazione  di  spermazì  per  disgregazione  e  proliferazione  del  pseudo- 
parenchima dello  stroma. 

'  15.  Piccolo  stroma  intercorticale  di  Corynettm  con  conidì  maturi,  perfetta- 
mente conformati  e  cutinizzati.  All'esterno  non  si  scorge  ehe  una 
leggera  tumescenza  con  macchia  colore  arancio,  di  circa  un  millimetro 
di  diametro,  dovuta  alla  colorazione  dell'epidermide. 

y.     16    Vedi  fig.  13. 

•     17.  Conidì  di  Melanconium  (vedi  fig.  8). 

»     18.  Vedi  fig.  13. 

»  19.  Proliferazione  dello  strato  interno  di  un  concettacelo,  con  formazione 
contemporanea  di  conidì  di  Coryneum  e  spermazì  di  varia  forma. 

»    20.  Vedi  fig.  6. 

•>  21.  Stroma  valsoideo  che  produce  alla  superficie  esterna  erompente  conidì 
di  Coryneum,  e  nelle  cripte  interne  conidì  od  aschi  di  Melanconis. 

.     22.  Vedi  fig.  13. 

Tav.  XIII. 

Fig.  1.  Albero  (a)  dell'Orto  Botanico  di  Pavia  nel  quale  furono  inoculate  spore 
di  Melanconis  ottenendo  la  riproduzione  del  cancro  che  si  è  esteso 
fino  al  pedale;  a,  punto  nel  quale  venne  fatta  l'inoculazione;  e,  rimes- 
siticci del  piede  della  ceppa  raggiunti  ed  uccisi  dal  male:  b,  rimes- 
siticci della  parte  opposta  e  ancora  sana  dell'albero. 
»  2.  Porzione  più  ingrandita  dello  stesso  tronco  nella  quale  si  vedono  le  nu- 
merosissime pustole  del  parassita  che  ricoprono  il  cancro:  a,  rimes- 
siticci già  uccisi  dal  male;  b,  rimessiticci  ancora  vivi;  e,  estremità 
inferiore  di  un  cancro. 


—  93 


Tav.  XIV. 

Fig.  1.  Tronco  dello  stesso  albero  della  tavola  precedeute,  fotografato  dalla  parte 
opposta,  dove  si  erano  inoculate  spore  della  forma  conidica  del  pa- 
rassita (Coryneum):  il  cancro  si  era  esteso  in  basso  fino  a  50  centi- 
metri dal  terreno. 
•  2.  Un  giovane  ramo  con  due  cancri  iniziali  (e  e  o')  sviluppatisi  in  seguito 
ad  inoculazione  del  parassita. 

Tav.  XV. 

Fig.     1.  Giovane  castagno  di  tre  anni  morto  per  attacco  della  malattia  nel  fusto. 
•2.  Giovane   castagno    di   cinque   anni    morto   per  attacco  nella  regione   del 

colletto. 
3.  Giovane  castagno  di  pochi   mesi  attaccalo  nella  regione  del  colletto  (ti)  : 
il  fusto  è  morente,  la  radice  è  ancora  sana. 
»       4.  Castagni  con  applicazione  degli  apparecchi  di   inoculazione. 

Tav.  XVI. 

Fig.  1.  Giovane  castagno  di  tre  anni  attaccato  dal  male  nella  regione  del  colletto: 
a,  ramo  morto  da  poco  ;  b,  rimessiticcio  vivo  ma  languente,  sorto  dalla 
base  del  ramo  precedente;  e,  ramo  ancora  sano;  d,  punto  nel  quale  è 
avvenuta  l'infezione  che  si  è  estesa  fino  alla  base  del  ramo  a  ed  è 
discesa  nel  fittone  ;  f,  fittone  morto  dalla  parte  destra,  verso  il  punto 
di  attacco,  e  ancora  sano  nella  parte  sinistra,  opposta. 
»  '2.  Giovane  castagno  di  tre  anni,  ammalato:  a,  ramo  ancora  sano;  b,  lato 
della  ceppa  e  del  fittone  ancora  sano;  e,  ramo  morto  da  oltre  un  anno; 
d,  i-ami  morti  nell'annata;  e,  striscia  cancrenosa  che  scende  dalla  base 
del  ramo  e  nel  fittone  e  lo  percorre  in  tutta  la  svia  lunghezza  da  un 
solo  lato:  f,  estremità  del  fittone  già  morta. 

Tav.  XVII. 

Fig.  1-11.  Giovani  piantine  sviluppatesi  in  castagneti  infetti:  a,  foglie  e  parte 
superiore  del  fusticino  ancora  sane  ;  6,  regione  dei  cotiledoni  ;  f,  fit- 
tone; e.  e,  cancri  iniziali;  (?,  fusto  ancora  sano. 


ISTITUTO  BOTANICO  DELLA  R.  UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

E 

LABORATORIO  CRITTOGAMICO  ITALIANO 


RICERCHE  ANATOMO-FISIOLOGICHE  SULLE  FOGLIE 
DELLE  "  TILLANDSIA  „ 

per  la  Dott.  MARIA  BARBAINI 


Le  metamorfosi  meravigliose  clie  gli  organismi  subiscouo  per  met- 
tersi in  rapporto  armonico  cou  il  mondo  esterno,  cioè  per  giungere  a 
quelle  determinate  condizioni  che  sole  possono  mantenerli  in  vita,  sono 
molto  diflfuse  tanto  fra  gli  animali  quanto  fra  i  vegetali. 

Ne  sono  bellissimi  esempi  nella  flora  le  igrofite,  le  xerofite,  le  aero- 
fite  e,  fra  queste  ultime,  le  epifite  tropicali  e  in  modo  speciale  le  Til- 
landsia.  Queste  piante  vivono  aderendo  unicamente  per  mezzo  dei  loro 
fusti  0  di  ridottissime  esili  radici  (rizoidi)  ai  tronchi  e  ai  rami  di  altre 
piante,  che  fungono  semplicemente  da  sostegno. 

Strappiamo  questi  vegetali  dal  loro  ospite,  appendiamoli  alle  rin- 
ghiere dei  balconi  come  si  usa  nella  riviera  ligure,  o  a  un  fusto  morto 
come  usano  i  nostri  giardinieri  che  li  coltivano  nelle  serre:  purché  essi 
ricevano  ogni  tre  o  quattro  giorni  un  tanto  d'acqua  perchè  non  abbiano 
a  inaridire,  vivranno  rigogliosi  e  fioriranno.  I  nostri  marinai  clie  li  por- 
tano al  ritorno  dai  loro  viaggi,  li  chiamano  "  garofani  d'aria  „  o  "  ga- 
rofani d'America  „ . 

Donde  traggono  queste  piante,  nelle  condizioni  naturali  di  vita, 
l'acqua  e  le  sostanze  nutritizie,  dato  che  nulla  esse  sottraggono  agli 
alberi  delie  fitte  foreste  sui  quali  vivono?  E  come  avvengono  e  per  quali 
organi  l'assorbimento  e  l'assimilazione? 

Alcune  epifite  dei  tropici  (le  Aracee  ad  esempio)  emettono  radici 
aeree  che  si  dirigono  verso  il  basso  sino  a  raggiungere  il  terreno,  nel 
quale  si  ramificano  abbondantemente;  ma  la  maggior  parte  delle  epifite 
fa  assegnamento  sull'acqua  di  pioggia  che  esse  raccolgono  ed  assorbono 
per  mezzo  di  speciali  apparati. 

Le  Tillandsia,  tra  le  epifite,  sono  piante  generalmente  adattate  ad 
un  clima  secco,  con    struttura  xerofita.  Il  complesso  dei  caratteri  ana- 


—  96   — 

tornici  e  morfologici  di  queste  piante  raggiunge  meravigliosamente  lo 
scopo  di  moderare  la  traspirazione  eccessiva  da  parte  delle  foglie. 

Parecclii  sono  gli  autori  che  studiarono  l'anatomia  delle  Bromeliacee. 

Delle  radici  si  occuparono:  Mez  C. ',  Jorgensen  '  e  Wittmack  L.''; 
quest'ultimo  dice  che  nelle  Bromeliacee  epifite  le  radici  sono  poco  svi- 
luppate e  in  alcune  specie  allo  stato  adulto  mancano  affatto,  come  nella 
Tillandsia  argentea,  T.  striata,  e  in  modo  speciale  nella  T.  usneoides  che 
ha  radici  soltanto  nelle  piantine  di  pochi  giorni. 

Del  fusto  tratta  ancora  Mez  C.  e  pure  Ross  H.  *  e  Russow  E."^  che 
afferma  che  i  fasci  fibrovascolari  dei  deboli  fusti  delle  Tillandsia  hanno 
completamente  perduto  la  facoltà  di  funzionamento  fisiologico. 

Interessante  è  l'analogia  funzionale  che  Weddell  H.  A.  "  ed  altri 
riscontrarono  fra  questi  vegetali  e  la  maggior  parte  dei  Muschi  o  dei 
Licheni;   il  Weddell   paragona   appunto    la   T.  usneoides  a  dei  licheni. 

Dell'anatomia  delle  foglie  si  occupò  ancora  Mez  C.  nel  suo  ampio 
lavoro  sulle  Bromeliacee.  Fatta  qualciie  rara  eccezione,  ritiene  come  ca- 
rattere anatomico  assai  importante  della  famiglia  l'ispessimento  della 
parete  interna  delle  cellule  epidermiche,  e  con  ini  Linsbauer'  che  dice 
l'ispessimento  talora  cosi  forte  che  il  lume  cellulare  si  riduce  a  punti 
quasi  impercettibili. 

Una  formazione  epidermica  fisiologicamente  importante  e  caratteri- 
stica della  famiglia  è  quella  dei  "  peli  squamosi  „  che  ricoprono  fitta- 
mente l'epidermide  fogliare.  Mez  esaminò  in  molte  specie  di  Bromeliacee 
queste  squame  e  le  ricondusse  a  due  tipi  principali,  attribuendo  un 
primo  tipo  anche  alle  Tillandsiee.  Egli  dice  che  la  forma  di  queste  squame 
varia  più  o  meno  da  una  specie  all'altra,  ma  resta  costante  in  ogni  specie; 
aiferma  poi  che  nelle  Bromeliacee,  e  specialmente  nelle  Tillandsia,  le 
radici  servendo  solo  come  organo  di  sostegno,  l'assorbimento  delle  sostanze 
nutritizie  si  fa  per  mezzo  delle  foglie  e  per  l'intermediario  del  loro  rive- 
stimento squamoso. 


'  Mez  C,  Physiologisehe  Bromeliaceen  Studien.  Jahrb.  Wissen.  Bot.,  xi,  1904. 

*  JouGENSEN  A.,  Deitrage  zur  Naturgeschichte  cler  Wurzel.  Bot.  Tidiskrit't, 
Kopenhagen,  1878. 

s  Wittmack  L.,  «  Bromeliaceae  »  Engler  u.  Praììtl,  Xatiirl.  Fflcimen/am. 

'  Ross  H.,  Cenni  jyreliminari  suW anatomia  del  fusto  delle  Bromeliacee.  B.  S. 
Bot.  It.,  1895. 

^  Russow  E.,  Leitbundel  der  Monocotylen  Just.,  1876. 

"  Weddell  H.  A.,  Les  stibstratum  neutres.  Comp.  rend.  Acad.  Se.  Patis, 
t.  L.XXXI,  1875. 

'  LissBAUER  K.,  Zur  physiologischen  Anatomie  der  Epidermis  und  des  Durch- 
lilftutigsgeivebes  der  Bromeliaceen.  Auz.  Kais.  Akad.  Wiss.  Wien,  etc,  1911. 


—  97  — 

Dell'apparato  tegumentale  trattano  pure  Eichter  P.  '  e  Bulitsch  A.  *. 

Dell'apparato  aerifero  con  Mez  C.  tratta  Schimper  A.  F.  W.  ^  che 
ha  emesso  l'idea  che  i  tessuti  aeriferi  delle  piante-cisterna  siano  una 
specie  di  adattamento  alla  vita  acquatica. 

Anche  Linsbauer,  Arechong,  *  Ledere  du  Sablon  ^  accennano  alla 
presenza  di  questo  tessuto,  ma  non  si  occupano  della  sua  funzione  fisio- 
logica. 

Del  tessuto  assimilatore,  del  tessuto  acquifero  e  dell'apparato  di 
sostegno  parlano  Mez  C,  Richter  P.,  Pfitzer  ^  e  Westermaier  '. 

Oltre  i  sunnominati  autori,  accennano  a  caratteri  anatomici  generali 
delle  Bromeliacee  anche  Costantin  I.,  Steinbrinck  C.*,  Hansgirg  A.  e  altri. 

Avendo  a  mia  disposizione  nell'Orto  Botanico  rigogliosi  esemplari 
di  Tillandaia,  ad  esse  furono  rivolte  le  mie  ricerche  e  particolarmente 
a  due  specie:  la  Tillandsia  ixioides  Gris.  e  la  T.  dianthoidea  Ros. 

Tillandsla  ixioides  Gris. 

Nella  T.  ixioides  l'epidermide  fogliare  è  fittamente  ricoperta  dai 
caratteristici  peli  squamosi  che  C.  Mez  descrisse  e  dei  quali  io  feci  un 
disegno  meno  schematico  (Tav.  19,  fig.  5). 

Osservai  che  il  numero  e  la  forma  delle  cellule  costituenti  queste 
squame  è  piuttosto  costante  e  regolare;  nella  forma  complessiva  i  peli 
si    mostrano   talora  rotondeggianti  con  disco  centrale,  talora  irregolari 


'  RrciiTER  P.,  Die  Bromeliaceen  vergleichend  anatomisch  betrachtef.  Ein  Bei- 
tì-ufj  zur  Physiologìe  der  Gewebe.  Inaug.  Diss.,  Berlin,  1891. 

^  BuLiTSCH  A.,  Zur  Anatomie  der  Broiiieliaceae.  Ref.  in:  Ubers.  List.  Bot. 
Russland,  1892. 

^  Schimper  A.  F.  W.,  Ueber  Bau  und  Lebensiveise  der  Epiphyten  Westìn- 
dieiis,  1884. 

—  Ueber  die  Lebensiveise  der  Epiphytischen  Brovieliaceen  und  ihrem  natiir- 
lichen  Siaiidorfeiì.  Jahr.  f.  Gartenkunde  u.  Bot.,  2  Jahr.,  1885. 

■•  Arechong,  Vorlailfige  Mittheilinig  iiber  einige  Uiitersuchungen  der  Ana- 
tomie des  Blattes.  Bot.  Not.,  Nordstedt,  1874. 

'  Lbcleru  du  Sablon,  Sur  le  fonctioìììiement  des  réserves  d'eau.  Eevue  gén. 
de  Bot.,  1914. 

«  Pfitzer  E.,  Beitrage  zur  Kenntniss  der  Hautgeiuebe  der  Pflanzen.  Prings- 
heim  Jahr.,  vili,  1872. 

'  We.sterm.^ier  Max.,  Ueber  Bau  und  Function  des  pflanzlichen  Hautge- 
ivebesgstems.  Pring.  Jahr.  Bot.  xiv,  1883. 

«  Steinhuinck  C,  Einfìlhrende  Versuche  zur  Cohesionsmechanik  von  Pfian- 
zenzellen  uebst  Bemerkungen  iiber  den  Saugmechanismus  der  Wasserabsorbierenden 
Haare  von  Bromeliaceen.  Flora  der  Allgem.  B.  Zeitung,  1905. 

Alti  deirist.  Boi.  dell'Università  di  Pavia  —  Serie  II  —  Voi.  XVIII.  7 


—  98  — 

con  disco  eccentrico,  per  irregolare  ampiezza  dell'ala.  Notai  inoltre  che 
le  squame  sono  fittissime  nella  parte  basale  e  mediana  della  foglia  e  si 
fanno  man  mano  più  rare  ai  margini  e  all'apice. 

L'epidermide  mostra  una  struttura  del  tutto  caratteristica.  In  una 
sezione  trasversale  (Tav.  18,  fig.  2)  il  primo  strato  epidermico  è  costi- 
tuito di  cellule  allungate,  addossate  fittamente  le  une  alle  altre,  senza 
spazi  intercellulari  con  visibile  lamella  mediana;  le  pareti  sono  forte- 
mente i.spessite,  specialmente  le  laterali  e  l'interna. 

Il  lume  cellulare  si  presenta  abbastanza  largo  verso  l'esterno;  circa 
nel  mezzo  però  subisce  un  deciso  restringimento  e  si  allunga  verso  l'in- 
terno della  foglia  a  guisa  di  stretta  fessura. 

La  porzione  espansa  di  questo  lume  verso  l'esterno  si  restringe  an- 
cora a  guisa  di  coppa;  per  cui  se  —  dopo  aver  asportato  con  leggero 
raschiamento  le  squame  —  osserviamo  questo  strato  epidermico  in  sezione 
tangenziale,  fuocheggiando  possiamo  vedere  verso  l'esterno  uno  stretto 
lume,  poi,  procedendo  verso  l'interno,  la  parte  ampia  del  lume  e  infine 
r  imboccatura  della  parte  nuovamente  ristretta  e  allungata.  La  parte 
espansa  (Tav.  19,  fig.  4)  contiene  un  plasma  ialino  e  non  presenta  un 
contorno  spiccatamente  delineato,  poiché  in  questo  tratto  la  membrana 
cellulaie  si  inclina  come  a  formare  un  imbuto  verso  la  parte  centrale. 

Proprio  in  questo  restringimento  trovasi  incastrato  un  corpo  siliceo, 
che  appare  di  notevole  grossezza,  ben  evidente,  rotondo,  e  che  è  costan- 
temente presente  in  ogni  cellula  (Tav.  18,  fig.  2). 

L'aspetto  di  questo  corpo  può  <lapprima  traire  facilmente  in  inganno. 

Data  la  sua  rifrangenza  e  struttura  granulosa,  lo  supposi  a  piima 
vista  un  nucleo  o  almeno  un  corpo  di  natura  protoplasniatica;  tentai 
perciò  colorazioni  con  fucsina  e  con  eosina,  ma  ne  ebbi  risultati  nega- 
tivi: trattai  ripetutamente  le  sezioni  con  acqua  di  Javelle:  ottenni  lo 
spappolamento  dei  cloroplasti  del  tessuto  assimilatore,  ma  i  corpi  in 
questione  rimasero  inalterati. 

Pensai  allora  che  poteva  trattarsi  di  corpi  di  natura  silicea,  come 
Linsbauer  aveva  trovato  nelle  foglie  di  altre  Hromeliacee  {Bromelia,  ecc. . . 
non  però  del  genere  Tillandsia)  o  di  piccole  druse  silicee,  come  M.  Mo- 
bius  '  trovò  in  cellule  epidermiche  delle  foglie  e  del  fusto  di  CalHsia 
repens.  Questi  ultimi  sono  molti  simili  a  corpi  da  me  osservati,  ma  sono 
assai  numerosi:  in  una  sola  cellula  giovane  se  ne  trovano  da  sette  ad 
otto  e  in  una  vecchia  persino  cinquanta. 


MòBius  M.,  BeoÌMichfiuìi/cìi  aii  Bromeliaceen,  etc.  Frankfurt,  1899. 


—  99  — 

Trattai  quindi  le  sezioni  con  acido  fluoridrico:  e  le  trattai  a  lungo 
perciiè  i  corpi  si  mostravano  molto  resistenti  a  tale  azione,  e  ne  ottenni 
la  soluzione  che  mi  assicurò  della  loro  natura  silicea. 

Nelle  sezioni  cosi  trattate  e  poi  ben  lavate  in  alcool,  ho  osservato 
che  in  corrispondenza  al  corpo  scomparso  resta  un  foro  irregolare,  talora 
leggermente  quadrangolare,  talora  rotondo  con  piccole  incisioni  alla  peri- 
feria, provocate  dalle  sporgenze  appuntite  e  granulose  del  corpo  siliceo. 

Tale  foro  corrisponde  all'imboccatura  dell'ultima  parte  stretta  e 
allungata  del  lume  imbutiforme  che  si  vede  nella  sezione  trasversale  di 
queste  cellule  e  che  costituirebbe  la  parte  stretta  cilindrica  dell'imbuto. 

Una  sezione  nel  senso  trasversale  secondo  l'asse  della  foglia  pre- 
senta l'epidermide  con  aspetto  molto  simile  a  quella  di  una  sezione  tras- 
versale; soltanto  la  parte  del  lume  più  larga  che  si  stende  parallela  alla 
superficie  della  foglia  si  presenta  più  allungata. 

Da  questo  complesso  di  osservazioni  trarrei,  a  mio  parere,  la  con- 
clusione che  il  lume  di  queste  cellule  epidermiche  ha  nel  suo  insieme 
la  forma  di  un  imbuto  irregolarmente  ovoidale,  la  cui  parte  espansa  è 
allungata  nel  senso  longitudinale  della  foglia;  questa  parte  larga  del 
lume  non  è  però  aperta  completamente  verso  l'esterno,  ma  chiusa  in 
gran  parte  da  nn  coperchio  costituito  dalla  parete  esterna  cutinizzata. 

Aggiungerò  che  in  una  sezione  tangenziale,  ottenuta  dopo  raschia- 
mento delle  squame,  vediamo  l'epidermide  interrotta  da  zone  talora  vuote 
completamente,  talora  mostranti  le  quattro  cellule  centrali  del  disco 
sezionate  tangenzialmente,  a  seconda  della  porzione  maggiore  o  minore 
di  squama  che  è  stata  asportata  nel  raschiamento. 

All'epidermide  su  descritta  segue  un  secondo  strato  di  cellule,  quattro 
0  cinque  volte  più  grandi  di  quelle  epidermiche  e  ad  esse  saldamente 
unite  secondo  una  ben  delineata  lamella  mediana  (Tav.  18,  flg.  2).  In 
questo  strato  le  pareti  cellulari  sono  regolarmente  ispessite  e  attraver- 
sate da  numerosi  canalicoli  ben  evidenti;  lo  strato  si  mostra  interrotto 
da  cellule  isolate  rotondeggianti  a  parete  sottile  che  corrispondono  al- 
l'ultima cellula  dello  stipite  delle  squame.  Qua  e  là  si  può  trovare  qualche 
raro  cloroplasto. 

Un  terzo  strato  di  cellule  ovoidali  o  pentagonali  congiunge  gli  strati 
epidermici  con  il  mesofillo  (Tav.  18,  fig.  1). 

Il  tessuto  a  palizzata  manca  completamente;  esso  è  sostituito  (Tav.  18, 
fig.  1)  da  un  tessuto  acquifero  di  tre  o  quattro  strati  di  cellule  grandi 
ovoidali  0  prismatiche,  allungate,  a  pareti  sottilissime. 

Mez  C.  dice  che  questo  tessuto  manca  raramente  nelle  Bromeliacee; 


—  100  — 

e  quando  è  presente  non  manca  mai  nella  pagina  superiore  della  foglia 
—  e  afferma  essere  sviluppato  in  tutt'e  due  le  pagine  fogliari  nelle 
Tillandsia  e  nella  maggior  parte  delle  Pseudocatopsis.  Nelle  specie 
di  Tillandsia  da  me  studiate  solo  rarissimamente  notai  la  presenza  di 
tessuto  acquifero  verso  la  pagina  inferiore,  e  ciò  in  zone  t-istrettissime 
di  qualche  foglia.  Ho  osservato  inoltre  clie  questo  tessuto  è  maggior- 
mente sviluppato  nella  parte  basale  e  mediana  della  foglia,  mentre  ai 
margini  e  all'apice  si  riduce  fino  a  scomparire  o  quasi.  Si  comprende 
facilmente  come  tale  sviluppo  del  tessuto  acquifero  sia  in  rapporto  con 
la  sua  funzione,  dato  che,  per  la  disposizione  a  rosetta  delle  foglie  e  per 
la  loro  forma  scanalata  a  doccia,  l'acqua  si  raccoglierà  di  preferenza 
nella  parte  basale  e  mediana. 

L'analoga  distribuzione  delle  squame  conferma  questa  osservazione. 

La  rimanente  parte  del  mesofiUo  (due  quinti)  è  costituita  da  un 
tessuto  assimilatore  (Tav.  18,  fig.  1)  che  non  differisce  molto  da  un 
comune  tessuto  spugnoso;  soltanto  si  presenta  meno  lacunoso,  essendo 
le  caratteristiche  lacune  aerifere  di  cellule  stellate  (Tav.  19,  fig.  2)  loca- 
lizzate in  porzioni,  alternate  con  i  fasci  fibro-vascolari,  a  costituire  un 
sistema  respiratorio  quale  Linsbauer  riscontrò  in  altre  Bromeliacee:  costi- 
tuito cioè  di  speciali  cordoni  di  cellule  stellate  a  pareti  sottili  che  scor- 
rono parallelamente  ai  fasci  (Tav.  19,  fig.  1)  e  comunicano  per  dirama- 
zioni laterali  con  gli  stomi  (Tav.   19,  fig.  3). 

Abbondano  i  cloroplasti,  che  sono  molto  più  piccoli  nelle  cellule  stel- 
late del  tessuto  aerifero;  in  foglie  giovani  ho  osservato  accanto  a  mi- 
crocloroplasti dei  raegacloroplasti  (talvolta  in  via  di  divisione)  costituiti 
(ii  4-8  niicrocloroplasti  di  color  verde  chiaro;  questo  fatto  osservò  anche 
H.  Billings  *,  nella  T.  ustieoides,  ma  i  megacloroplasti  da  lui  osservati 
.si  dividevano  in  numerosissimi  microcloroplasti. 

Nelle  cellule  del  tessuto  assimilatore  di  foglie  ben  sviluppate,  ac- 
canto ai  numerosi  cloroplasti,  si  trovano  parecchi  elaioplasti  giallognoli. 

Nella  pagina  inferiore  della  foglia  si  ripetono  gli  stessi  strati  epi- 
dei'uiici  descritti  per  la  pagina  superiore. 

Noto  soltanto  la  presenza  degli  stomi  che  non  sono  molto  numerosi 
e  piuttosto  piccoli  e  contengono  qualche  cloroplasto  e  qualche  elaioplasta. 

Gli  stomi  giacciono  nel  piano  del  secondo  strato  epidermico.  Infatti 
in  una  sezione  trasversale  (Tav.  19,  fig.  3)  l'epidermide  in  corrispon- 
denza dello  stoma  si  invagina  a  formare  un'infossatura,  profonda  quanto 
lo  spessore  dell'epidermide  stessa,  in  fondo  alla  quale  giace  lo  stoma. 


BiLLiNCiS  H.,  A  tStudy  of  Tillandsia  usiieoidcs.  Bot.  gaz.,  xxxviii,  1904. 


—  101  — 

Ho  sempre  osservato  che  ogni  infossatura  corrispondente  allo  stoma 
porta  ai  lati  due  squame  inserite  nell'epidermide,  le  quali  stendono  le 
ampie  ali  sovrapposte  l'una  all'altra  a  ricoprire  l'infossatura. 

Io  penso  che  la  posizione  infossata  degli  stomi  ed  il  riparo  che  ad 
essi  fanno  le  ali  delle  squame  siano  condizioni  che  unite  al  numero  limi- 
tato degli  stomi  e  al  forte  ispessimento  dell'epidermide  impediscono  una 
eccessiva  traspirazione. 


Tillaudsia  dìantlioidea  Ros. 

La  struttura  generale  delle  foglie  di  Tillandsia  dianthoidea  differisce 
di  poco  da  quella  descritta  per  la  T.  ixioides. 

L'epidermide  è  pure  ricoperta  di  fittissime  squame  che  sono  soltanto 
meno  grandi,  più  regolari  e  rotondeggianti. 

Le  cellule  dell'epidermide  in  sezione  trasversale  mostrano  invece 
una  struttura  diversa. 

Sono  fittamente  addossate  come  nella  Tillandsia  ixioides,  ma  qui  la 
lamella  mediana  è  poco  visibile  (Tav.  18,  fig.  3). 

Inoltre  sono  irregolarmente  ispessite:  la  parete  interna  lo  è  forte- 
mente, le  pareti  laterali  vicino  alla  parete  interna  sono  pure  ispessite, 
ma  si  assottigliano  avvicinandosi  all'esterna,  che  è  di  medio  spessore. 

Per  questo  il  lume,  che  è  abbastanza  ampio,  presenta  press'a  poco 
la  forma  di  un  triangolo  con  un  vertice  volto  verso  l'interno  della  foglia 
e  il  lato  ad  esso  opposto  parallelo  al  margine  di  essa;  assai  spesso  l'an- 
golo interno  è  arrotondato  ed  allora  il  lume  assume  una  forma  semi- 
circolare. 

La  parete  esterna  di  queste  cellule  epidermiche  presenta  uno  strato 
di  cutina  ondulato,  talora  ben  evidente  anche  in  sezione  trasversale, 
ma  che  si  osserva  assai  meglio  in  una  sezione  taugenziale  all'epidermide. 

Nel  lume  vi  è  un  contenuto  protoplasmatico  ialino  granuloso;  manca 
assolutamente  qualunque  corpo  siliceo. 

Il  secondo  strato,  che  qui  già  serve  di  congiunzione  fra  l'epidermide 
e  il  mesofillo,  consta  di  cellule  pentagonali  o  quadrangolari  a  parete  di 
poco  ispessita,  molto  diverse  da  quelle  corrispondenti  nella   T.  ixioides. 

Questa  evidente  differenza  fra  le  epidermidi  delle  due  specie  di 
Tillandsia  (dianthoidea  e  ixioides)  è  di  una  importanza  non  trascura- 
bile poiché  può  servire  al  riconoscimento  ed  alla  distinzione  delle  due 
specie  che  sono  tanto  simili  nei  caratteri  morfologici;  tanto  più  se  si 
pensa  che  raramente  esse  fioriscono,  mentre  il  fiore  costituirebbe  l'unico 
carattere  morfologico  distintivo. 


—  102  — 

Nel  tessuto  assimilatore  trovatisi  abbondanti  cloroplasti  d' un  bel 
verde  e  insieme  ad  essi  elaioplasti  in  numero  assai  maggiore  che  nella 
Tillandsia  ixioides,  tanto  ciie  limitai  lo  studio  degli  elaioplasti  alla  TU- 
landsia  diantìioidea. 

La  Tillandsia  ixioides  non  era  stata  studiata  finora  in  modo  par- 
ticolare da  nessun  autore:  nella  Bibliografia  abbastanza  estesa  che  ri- 
guarda la  famiglia  delle  Bromeliee  trovai  soltanto  una  brevissima  nota 
del  Dr.  Tassi  ',  riguardante  la  Tillandsia  dianthoidea,  alla  quale  mi  per- 
metto fare  qualche  obbiezione. 

Contrariamente  alla  descrizione  data  dal  Tassi,  io  trovo  che  le 
squame  non  sono  attaccate  all'epidermide  direttamente  per  mezzo  delle 
quattro  cellule  mediane  che  converrebbero  alla  base  in  una  sola  piccola 
cellula  della  serie  epidermica;  noto  invece  che  esiste  un  vero  e  proprio 
pedicello  o  stipite  della  squama  formato  da  quattro  cellule  sovrapposte: 
tre  piccole,  una  molto  più  grande,  tutte  concresciute  con  l'epidermide 
(Tav.  18,  fig.  3). 

Inoltre  ho  osservato  che  le  pareti  delle  cellule  costituenti  l'ala  delle 
squame  sono  sottili,  non  "  relativamente  molto  spesse  „  come  scrive  il 
Tassi,  e  verso  l'apice  non  ho  potuto  confermare  la  presenza  di  un  poro- 
canale  neppure  in  squame  trattate  con  gli  opportuni  reattivi. 

Mentre  convengo  che  l'ala  delle  squame  possa  servire  di  protezione 
contro  una  troppo  rapida  evaporazione  del  succo  acquoso  contenuto  nei 
tessuti,  non  mi  pare  giusto  pensare  (come  il  Tassi),  localizzata  all'apice 
delle  cellule  dell'ala,  per  la  presenza  di  un  porocanale,  la  funzione  d'as- 
sorbimento dell'acqua  tanto  evidentemente  assunta  dalle  cellule  del  disco 
centrale  che  ne  posseggono  tutto  l'adattamento  anatomico,  come  del  resto 
ho  potuto  dimostrare  con  esperienze  di  fisiologia  che  descriverò  in  seguito. 

Il  Tassi  accenna  poi  ad  un  tessuto  acquifero  normalmente  presente 
oltre  che  verso  la  pagina  superiore  della  foglia  anche  verso  quella  in- 
feriore; tessut(0  che  avrebbe  la  particolarità  di  avere  pareti  ondulate. 

Io,  anche  in  foglie  molto  giovani,  ho  osservato  di  solito  un  solo  tes- 
suto acquifero,  posto  verso  la  pagina  superiore  della  foglia,  mentre  il 
rimanente  mesofillo  è  interamente  occupato  dal  tessuto  assimilatore;  solo 
in  qualche  raro  preparato  e  in  brevi  tratti  della  sezione  fogliare,  con- 
statai che  al  di  sotto  del  mesofillo  v'erano  due  o  tre  strati  di  nuovo 
tessuto  acquifero. 

Ciò  però  notai  solo  eccezionalmente  fra  le  centinaia  di  sezioni  fatte. 


'  Tassi  Fl.,  Struttura  delle  foglie  di  «  TUlandsia  diantìioidea  »  (Rossi)  in  ra])- 
porto  col  suo  modo  di  vegetazione.  Bull.  Lab.  Bot.  Siena,  1899, 


—  103  — 

La  diversa  constatazione  fatta  dal  Tassi  è  forse  basata  sull'esame 
di  piante  che  erano  state  sottoposte  naturalmente  o  artificialmente  ad 
un  particolare  regime  di  siccità,  e  nelle  quali  si  era  anormalmente  svi- 
luppato un  secondo  tessuto  acquifero. 

Quanto  all'aspetto  ondulato  delle  pareti  del  tessuto  acquifero  notato 
dal  Tassi,  obbietterò  che  non  si  tratta  di  una  particolaiità  anatomica, 
bensì  fisiologica,  poiché  le  pareti  di  queste  cellule  si  mostrano  stese  o 
ondulate  a  seconda  che  le  cellule  sono  ricche  o  povere  d'acqua. 

Il  Tassi  inoltre  trova  presenza  d'amido  nei  cloroplasti. 

Trattando  con  iodio  sezioni  di  foglie  in  diversi  periodi  di  sviluppo, 
a  me  si  è  rivelata  la  presenza  di  piccolissimi  granuli  di  amido  soltanto 
nei  cloroplasti  di  foglie  giovanissime.  Le  foglie  adulte  ne  mancano  total- 
mente. 

Elaìoplasti. 

Accennai  più  volte  alla  frequente  presenza  nelle  cellule  del  tessuto 
assimilatore  e  anche  talora  in  quelle  del  tessuto  acquifero,  di  elaioplasti 
simili  a  quelli  che  J.  Politis  ^  trovò  nel!'  epidermide  delle  squame  dei 
bulbi,  nelle  epidermidi  del  perianzio,  dell'ovario,  raramente  delle  foglie 
di  numerosi  generi  di  monocotiledoni  e  dicotiledoni,  non  di  Bromeliacee. 

In  foglie  giovanissime  non  ho  potuto  riscontrare  la  presenza  di 
questi  elaioplasti. 

In  foglie  giovani,  ma  abbastanza  sviluppate,  essi  si  presentano 
come  corpi  giallognoli  molto  rifrangenti,  talvolta  isolati  in  una  cellula, 
talvolta  in  gruppi  di  due,  sei,  otto. 

Essi  hanno  forma  di  grappolo  molto  irregolare  o  di  corpo  roton- 
deggiante bernoccoluto,  o  di  grossissime  goccie  oleose  (Tav.  18,  fig.  4). 

Si  trovano  di  preferenza  in  tutte  le  cellule  del  tessuto  clorofilliano, 
specialmente  nelle  cellule  poste  fra  l'epidermide  ed  i  fasci;  molto  grandi 
si  trovano  nelle  cellule  annesse  agli  stomi. 

Alcuni,  grossi  ed  isolati,  si  osservano  pure  nel  primo  e  nel  secondo 
strato  epidermico  inferiore  e  nel  tessuto  acquifero,  mentre  mancano 
quasi  assolutamente  negli  strati  epidermici  superiori. 

Esaminando  molte  foglie  ho  potuto  osservare  che  lo  stadio  di  elaio- 
plasti a  grappolo  si  presenta  solo  in  foglie  di  determinato  sviluppo, 
mentre  molto  frequenti  si  mostrano  rotondeggianti,  bernoccoluti,  o  a  forma 
di  grosse  goccie  oleose. 


'  Poi.i  l'is  I.,  Hiujli  c.liiioijldtiti  iivllr   MtiaocotikdoiiL  e  DicotHeiloiii.  Atti  Ist. 
Bot.,   vul.  XIV,  Pavia,  1911. 


—  104  — 

Ho  trattato  sezioni  di  foglie  di  Tillandsia  dianthoidea  con  Sudan  III 
in  alcool  a  75  "/^  ed  ho  ottenuto  una  bella  colorazione  rossa  quasi  istan- 
tanea di  goccie  piccolissime  evidentemente  di  pura  sostanza  oleosa  secreta 
dagli  elaioplasti,  mentre  questi  resistevano  all'azione  del  reattivo. 

Ritentai  dopo  aver  leggermente  riscaldate  le  sezioni,  poiché  la  so- 
stanza oleosa  degli  elaioplasti  è  facilmente  solubile  in  alcool  e  diventa 
quasi  insolubile  in  esso,  come  osservò  Raciborski,  dopo  il  riscaldamento. 

Le  sottoposi  quindi  a  un'azione  prolungata  del  reattivo  ed  ottenni 
cosi  una  bella  colorazione  rossa,  specialmente  nelle  cellule  stomatiche. 

Anche  con  acido  osmico,  dopo  vari  tentativi  ottenni  la  colorazione 
bruno-nera  degli  elaioplasti:  usando  una  soluzione  acquosa  al  2  "/^  di 
acido  osmico  preparata  di  fresco,  e  lasciandovi  le  sezioni  oltre  48  ore. 

In  foglie  più  sviluppate  e  specialmente  in  foglie  vecchie,  accanto 
agli  elaioplasti  descritti  se  ne  vedono  numerosi  in  stadii  più  avanzati; 
taluni  assumono  un  aspetto  più  o  meno  granuloso  e  sono  spesso  contor- 
nati da  goccioline  oleose,  altri  presentano  una  vacuola  rotonda  centrale 
più  0  meno  ampia,  altri  infine,  completamente  vuotati  della  sostanza  oleosa, 
si  mostrano  incolori  con  uno  stroma  granuloso  o  una  buccia  trasparente 
(Tav.  18,  fig.  5). 

A  quanto  mi  risulta,  questi  elaioplasti  non  furono  finora  osservati 
da  nessun  autore  nelle  foglie  delle  Bromeliacee.  Soltanto  Zimmermann  A.' 
li  trovò  nelle  cellule  del  perigonio  e  dell'ovario  di  Dyckia  remotifolia 
e  in  quelle  dell'ovario  di  Pitcairnia  lepidota. 

Esperienze  di  fisiologia  sulle  "Tillandsia,,. 

Due  soli  furono  gli  autori  che  cercarono  di  dimostrare,  per  via  di- 
retta, l'assorbimento  dell'acqua  e  delle  sostanze  nutritizie  da  parte  delle 
foglie  delle  Bromeliacee. 

Lo  Sciiimper  scelse  una  Bromeliacea  ejjifita  fornita  di  radici  de- 
bolmente sviluppate  e  staccò  la  rosetta  di  foglie  alla  base;  coperse  quindi 
la  ferita  con  balsamo  del  Canada  e  riempi  di  acqua  la  rosetta,  teneu- 
dovene  costantemente  una  certa  quantità. 

Le  piante  esaminate  restarono  fresche  per  tre  mesi  e  prosperarono. 

Con  ciò  l'autore  dice  di  aver  dimostrato  che  l'acqua,  posta  a  con- 
tatto delle  foglie,  giunge  attraverso  l'epidermide  nell'interno  della  pianta 
e  là  viene  consumata  per  i  processi  vitali. 


'  Zimmermann  A.,    Ucber  die  Elaioplasten ,  Tiibingen,  1893. 


—  105  — 

Egli  afferma  anche  che  le  squame  hanno  una  grande  importanza 
in  questo  assorbimento;  ma  non  indica  gli  esperimenti  sui  quali  basa 
quest'affermazione,  uè  fa  alcuna  osservazione  anatomica  sui  tessuti  assor- 
benti. 

M.  Eichter,  che  studiò  minutamente  l'anatomia  di  alcune  Bromeliacee, 
avrebbe  voluto  ripetere  le  esperienze  fisiologiche  di  Schimper,  ma  do- 
vette rinunziarvi  per  mancanza  di  materiale  vivo. 

Mez  ha  affermato  in  seguito  a  complicate  dimostrazioni  di  osmosi, 
che  le  squame  delle  Tillandsia  agiscono  come  pompe  e  possono  condurre 
l'acqua  nell'interno  della  pianta. 

Aso  '  ha  fatto  recentemente  delle  geniali  esperienze  per  vedere  se 
per  mezzo  di  questi  [)eli  squamosi  avvenga,  oltre  che  l'assorbimento 
d'acqua,  anche  l'assimilazione  di  sali. 

Egli  scelse  quali  soggetti  d'esperienza  alcune  Bromeliacee  (fra  le 
quali  non  sono  comprese  le  Tillandsia  da  me  studiate)  e  tentò  di  far 
loro  assorbire  per  mezzo  delle  foglie,  un  sale  di  litio  (Li  NO3  al  3  \), 
che  poi  cercava  nei  tessuti  spettroscopicamente. 

Egli  trovò  in  qualche  caso  traccie  di  litio  nelle  cellule. 

Ma  un  difetto  capitale  di  queste  esperienze  è  il  procedimento  usato 
dall'Aso;  egli  tagliava  infatti  le  foglie  alla  base,  poi  chiudeva  le  ferite 
con  miscela  di  colofonia  e  cera,  indi  le  immergeva  nella  soluzione  e  ve 
le  lasciava  una  settimana. 

È  evidente  che:  1»  le  foglie  non  erano  in  questo  caso  in  condizioni 
normali  e  il  loro  assorbimento  poteva  essere,  se  non  arrestato  del  tutto, 
almeno  molto  ostacolato;  2"  che  la  chiusura  della  ferita  poteva  non  es- 
sere sempre  tale  da  escludere  completamente  una  penetrazione  del  sale 
attraverso  i  tessuti  messi  allo  scoperto. 

Con  le  mie  esperienze  credo  di  esser  riuscita  a  risolvere  questo 
problema  di  fisiologia  vegetale,  evitando  ogni  causa  d'errore. 

Scelsi  fra  le  piante  di  Tillandsia  dianthoidea  e  T.  ixioides,  che  cre- 
scono rigogliose  e  fioriscono  nelle  serre  del  nostro  Orto  Botanico,  due 
esemplari  che  innaffiai  due  volte  al  giorno  con  una  soluzione  diluita  di 
bleu  di  metilene. 

Scelsi  questa  sostanza  perchè,  a  detta  di  parecchi  autori,  essa  pe- 
netra facilmente  attraverso  le  pareti  cellulari  e  viene  assorbita  dal  pro- 
toplasma, e,  se  è  convenientemente  diluita,  non  nuoce  punto  alle  piante. 

Infatti  in  parecchie  esperienze  di  fisiologia  vegetale,  l'uso  del  bleu 
di  metilene  permise  di  giungere  a  risultati  soddisfacenti. 


'  Aso  K..  Koniien  Bromeliaceeii  durch  die  Schu.ppeii  der  BlUtter  Salzeauf- 
nehmcìii  Flora,   100,  1910. 


—  106  — 

Il  liquido  veniva  somministrato  alle  piante  per  mezzo  di  una  pipetta, 
con  la  quale  si  lasciava  cadere  lentamente  entro  l'imbuto  formato  dalla 
rosetta  di  foglie  una  piccola  quantità  di  liquido  e  ciò  allo  scopo  di  im- 
pedire che  le  foglie  scanalate  e  ricurve  rivolte  verso  il  basso  funzio- 
nassero da  sifone  e  non  permettessero  lo  stazionare  dell'acqua  nelle  pic- 
cole gole. 

Ripetendo  a  distanza  di  pochi  minuti  l'aggiunta  di  piccole  quantità 
di  liquido,  si  riusciva  a  farne  stare  fra  le  foglie  da  uno  a  due  centimetri 
cubi. 

Una  parte  di  questo  liquido  andava  certamente  perduta  per  evapo- 
razione, ma  io  mi  accontentai  di  prolungare  piuttosto  l'esperienza  per 
qualche  settimana,  anziché  mettere  le  piante  in  condizioni  diverse  dalie 
normali,  coprendole  con  campane  di  vetro  per  ottenere  un  maggiore  as- 
sorbimento. 

Dopo  circa  10  giorni  staccai  da  una  pianta  una  foglia  adulta  ed  una 
giovanissima,  ne  feci  numerose  sezioni  ed  osservai  che  il  liquido  era 
penetrato  per  mezzo  delle  squame,  nelle  cellule  dei  peduncoli  di  esse,  e 
in  qualche  rara  zona,  anche  nelle  cellule  del  primo  e  del  secondo  strato 
epidermico. 

Ivi  si  notavano  granulazioni  bleu,  e  colorate  in  bleii  o  in  verde  bluastro 
le  goccie  oleose  derivate  dagli  elaioplasti. 

Continuai  l' inaffiamento  ancora  per  alcune  settimane,  in  capo  alle 
quali  esaminai  altre  foglie. 

Le  sezioni  di  queste  diedero  un  risultato  assai  più  soddisfacente: 
non  solo  i  peduncoli  delle  squame  e  gli  strati  epidermici  avevano  pareti 
e  contenuto  cellulare  colorati,  ma  anche  l'intero  "  tessuto  acquifero  „  si 
presentava  debolmente  ma  nettamente  colorato  in  cilestrino  e  qua  e  là 
anche  qualche  strato  delle  sottostanti  cellule. 

Aggiungerò  che  il  tessuto  acquifero  presentava  le  cellule  fortemente 
turgescenti,  a  pareti  ben  tese,  ciò  che  indica  che  l'assorbimento  del 
liquido  da  me  somministrato  (il  solo  che  sia  stato  dato  a  quelle  due 
piante  per  un  periodo  di  oltre  un  mese)  avveniva  realmente. 

Con  questo  credo  di  essere  riuscita  a  dimostrare  in  modo  sicuro, 
che  piante  epifite,  quali  le  Tillandsie,  assorbono  l'acqua  necessaria  alla 
loro  vita  esclusivamente  per  mezzo  delie  foglie. 

Non  vi  è  dubbio  che  le  piccole  quantità  di  sostanze  azotate  orga- 
niche che  la  pioggia,  gli  insetti,  il  vento,  trasportano  entro  le  piccole 
cisterne  delle  Tillandsie,  vengano  assorbite  ed  assimilate  allo  stesso  modo, 
come  Belt  suppose  fin  dal  1874. 

Dan'lstituto  Botanico  dell'Università  ili  Pavia.  Noveiiilire  1!»20. 


—   107 


SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 


Tavola  XVIII. 

Fig.  1.  —  Sezione  trasversale  in  foglia  di  TiUandsia  ixioides ;  t.  a.:  tessuto  acqui- 
fero; f:  fascio  fibro-vascolare ;  l.  a.:  lacuna  aerifera  (Kor.  oc.  4,  ob.  4). 

»  2.  —  Id.,  id.  in  corrispondenza  di  una  squama;  sq.:  squama  in  sez.  trasv.  ; 
ep.:  epidermide:  e.  s. ;  corpo  siliceo  (Kor.  oc.  4,  ob.  8). 

,  3.  —  Sez.  trasv.  dell'epidermide  fogliare  di  TiUandsia  dianthoidea  in  cor- 
rispondenza di  una  squama;  sq.:  squama  in  sez.  trasv.;  ep.:  epider- 
mide (Kor.  oc.  4,  ob.  8). 

»  4.  _  Elaioplasti  in  giovane  foglia  di  T.  dianthoidea;  ci.:  cloroplasti;  e/. ; 
elaioplasti  (Kor.  oc.  4,  ob.  8). 

„  5.  _  Id.,  id.  iu  foglia  vecchia;  ci.:  cloroplasti;  el.:  elaioplasti  (Kor.  oc.  4, 
ob.  8). 

Tavola  XIX. 

Fig.  1.  —  Sez.  long,  iu  foglia  di  T.  ixioides  in  corrispondenza  di  un  canale  aeri- 
fero  a  cellule  stellate;  e.  a.:  canale  aerifero  (Kor.  oc.  4,  ob.  b). 

„     2.  —  Sez.  trasv.  di  un  canale  aerifero  in  T.  ixioides  (Kor.  oc.  4,  ob.  8). 

»  3.  —  Sez.  trasv.  iu  foglia  di  T.  rf<V«jMo«riea  in  corrispondenza  di  uno  stoma; 
st.:  stoma;  e.  st.:  cellule  stellate  (Kor.  oc.  4,  ob.  5). 

„  4.  _  Sez.  tangenziale  dell'epidermide  fogliare  di  T.  ixioides;  e.  s.:  corpo  si- 
liceo (Kor.  oc.  4,  ob.  8). 

»  5.  —  Pelo  squamoso  di  foglia  di  T.  ixioides;  a.:  ala;  d:  disco  {Kor.  oc.  4. 
ob.  8). 


ISTITUTO  BOTANICO  DELLA  R.  UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

E 

LA.BORATOIIIO  CRITTOGAMICO  ITALIANO 


SOPRA  IL  "BRUSONE,,  Dl^X  RISO 

per    RODOLFO  FARNETI 

{con  IO  tavole  litografale) 
KOTE   POSTUME. 

Nel  settenibie  del  1904  quando  il  compianto  Prof.  Farneti  pubblicava 
la  prima  sua  nota  preliminare  '  sopra  il  briisone  del  liso,  gli  studiosi 
di  questa  gravissima  malattia  che  tanti  danni  iia  arrecato,  a  peiiodi, 
alle  risaie  dell'Alta  Italia,  non  erano  ancora  riusciti  a  formulare  alcuna 
ipotesi  die  avesse  fondamento  di  serietà  sulla  natura  e  causa  del 
morbo  -. 

Vero  è  che  il  Prof.  Garovaglio  fin  dal  1871  ',  e  poi  ancora  nel  1875 
insieme  al  Cattaneo  *,  aveva  creduto  potere  asserire  die  si  trattava  di 
malattia  di  natura  parassitaria  dovuta  precisamente  ad  un  ascomicete 
trovato  costantemente  sulle  piante  esaminate  e  descritto  col  nome  di 
Pleospora  OryzoR  {Sphierella  Oryzce-Gsitt.-  Sa.ce.,  SylL,  1,527);  ma  è  pur 
vero  che  in  seguito  lo  stesso  Cattaneo  "'  trovò,  sul  riso  brusonato  o 
sano,  insieme  alla  Pleospora  o  sole,  molte  altre  forme  fungine  che  fe- 
cero passare  in  seconda  linea  la  Pleospora  stessa,  senza  che  nessuna 
di  esse  potesse  venire  con  sicurezza  segnalata  se  non  come  causa, 
almeno  come  costante  compagna  della  malattia. 


'  Farketi  R.,  Intorno  al  hrusone  del  riso  ed  ai  possibili  rimedi i  per  com- 
batterlo; nota  preliminare,  in  Atti  Ist.  Bot.  di  Pavia,  serie  ii,  voi.  x,  1904. 

2  Veggasi  :  Montbmartini  L.,  Delie  ilirerse  niahittie  del  riso;  relazione  al 
Congresso  risicolo  di  Novara,   1901. 

3  Garovaglio  L.,  Del  brusone  o  carolo  del  riso:  in  Archivio  trienn.  d. 
Lab.  Crittogamico  di  Pavia,  voi.  i,  1871. 

*  Garovaglio  L.  e  Cattaneo  A.,  Nuove  ricerche  sulla  natura  del  brusone 
del  riso  fatte  nel  Laboratorio  Crittogamico  di  Pavia  nell'estate  1875;  in  Archivio 
trienn.  d.  Lab.  Critt.  di  Pavia,  voi.  ii,   1876. 

5  Cattaneo  A.,  Contributo  allo  studio  dei  niicefi  che  nascono  stdle  pianti- 
celle di  riso;  in  Archivio  trienn.  ecc.,  voi.  ii,  1876,  e:  iSullo  Sclerotiuni  Oryzae, 
nuovo  parassita  vegetale  che  ha  devastato  nel  corrente  anno  molte  risaie  di  Lom- 
bardia e  del  Novarese;  col  precedente,  1879. 


—  110  — 

La  stessa  Piricularia  Oryzm,  che  fu  più  tardi  descritta  da  Briosi  e 
Cavara  '  e  presentata  come  la  forma  più  diffusa  nelle  risaie  ammalate, 
non  potè  essere  messa,  dagli  autori  che  la  descrissero,  in  stretta  rela- 
zione di  causa  ad  effetto  colla  malattia,  e  la  Commissione  incaricata 
dal  Ministero  di  Agricoltura  di  studiare  l'argomento  ^  cosi  si  esprimeva 
a  proposito  di  tutte  queste  forme  fungine; 

"  Il  risaltato  dell'esame  microscopico  anche  per  l'ultimo  riso  bru- 

*  sonato  è  una  conferma  di  quanto  più  volte  siamo  andati  affermando, 
"  e  che  cioè  di  questa  malattia  non  si  possa  per  ora  affermare  la  na- 
"  tura  parassitaria  specifica,  e  che  le  entità  micologiche  le  quali  ac- 
"  compagnano,  sia  pure  con  certa  costanza,  le  piante  malate,  siano  da 
"  considerarsi  più  effetto  che  causa  del  brusone,  per  quanto,  come 
"  p.  e.  la  Piricularia  Oryzae,  costituiscano  dei  veri  parassiti  i  cui  effetti 
"  dannosi  non  sono  di  poco  rilievo  „  ^. 

Né  più  fortunate  ei'ano  state  le  lunghe  e  numerose  ricerche  fatte 
dalla  Commissione  stessa  per  trovare  la  causa  della  malattia  negli 
agenti  atmosferici  o  nelle  condizioni  esterne  di  coltura  della  preziosa 
pianta,  onde  essa  concludeva   le    sue   relazioni    colle   seguenti    parole  : 

*  la  natura  della  malattia  e  le  condizioni  nelle  quali  si  svolge  non  sono 
"  per  anco  accertate  „  ^. 

Alcuni  anni  dopo,  il  Voglino  "■  riprendendo  lo  studio  della  malattia 
credè  di  poterne  rintracciare  la  causa  in  bacterì  speciali  isolati  dalle 
radici  delle  piante  ammalate,  ma  la  cosa  non  era  sicura  e  quando  nel 
1901  si  riuni  a  Novaia  il  pritno  Congresso  risicolo  internazionale,  dopo 
riassunti  i  precedenti  della  questione  e  in  seguito  a  breve  discussione, 
si  addivenne  all'approvazione  del  seguente  ordine  del  giorno: 

"  Il  Congresso 

"  mentre  fa  voti  perchè  si  continuino  le  ricerche  scientifiche,  d'ac- 
"  cordo  con  quelle  fatte  negli  altri  paesi,  sopra  la  causa  determinante 


1  Briosi  G.  e  Cavara,  Fr.,  /  funghi  parassiti  delle  piante  coltivate;  fase,  viii, 
u.   1»<,  Pavia,  1892. 

2  Tale  Commissione  era  composta  dei  professori  Alpe  Vittorio  della  R.  Scuola 
Sup.  di  Agricoltura  di  Milano,  Briosi  Giovanni  del  Laboratorio  Crittogamico  di 
Pavia  e  Menozzi  Angelo  pure  della  Scuola  Sup.  di  Milano.  Le  sue  tre  relazioni 
furono  pubblicate  nel  Bollettino  di  Notizie  Agrarie  del  Ministero  di  Agricoltura 
negli  anni  1891,  92  e  93. 

3  Relazione  ili,  in  Boll.  Notizie  Agrarie,   1893. 
*  Loc.  cit..  Ili  Relazione,  1893. 

5  Voglino  P..  Ricerche  intorno  alla  malattia  del  riso  conosciuta  col  nome 
di  «  Brusone  »  ;  nota  preventiva,  Torino,  1897. 


—  Ili  — 

"  la  malattia  del  brnsone,  in  particolar  modo  sulla  cosi  detta  bacteriosi, 
"allo  stato  attuale  degli  studi; 

*  raccomanda  agli  agricoltori,  come  mezzo  per  evitarne  i  danni, 
"  di  perseverare  nel  lavoro  di  selezione  delle  nuove  varietà  che  pre- 
"  sentino  maggiore  resistenza  alla  malattia; 

"  plaude  al  concetto  manifestato  dalVOn.  Lucca  per  la  istituzione  di 
"  un  cospicuo  premio  per  lo  scopritore  delle  cause  e  del  rimedio  della 
"  malattia  detta  brusone  del  riso  nelle  sue  varie  manifestazioni; 

"  affida  al  Comitato  ordinatore  del  Congresso,  in  unione  alla  Pre- 
"  sidenza,  l'incarico  di  promuovere  adeguate  sottoscrizioni  dai  Comizii, 
'^  Associazioni  Agrarie  ed  altri  Sodalizii  Agrarii  interessati  „. 

Dopo  il  Congresso  di  Novara  si  occuparono  ancora,  da  noi,  della 
malattia  in  parola  il  Voglino  '  ed  il  Ferraris  ^.  Il  primo  precisò  meglio 
la  sua  idea  che  si  trattasse  di  un  bacterio  vivente  nelle  radici  delle 
(dante  ammalate  delle  quali  provocherebbe  la  necrosi;  il  secondo  con 
una  serie  di  accurate  osservazioni  dimostrò  che  il  micelio  della  Piri- 
ctdaria  Oryzae  Br.  et  Cavr.  ha  un  comportamento  distintamente  paras- 
sita ed  attacca  le  piante  ordinariamente  nella  regione  del  nodo  basale 
della  pannocchia  producendo  ivi  le  prime  e  più  sintomatiche  alterazioni 
che  caratterizzano  il  brusone. 

Anche  nel  Giappone  Maiyebe  ed  Hori  '  prima,  e  poi  Kawakami  * 
studiando  le  diverse  malattie  del  riso  che  si  presentano  là  coi  diversi 
aspetti  del  nostro  brusone,  si  dichiararono  per  la  natura  parassitaria 
di  esse  attribuendole  ora  alla  Pirictdaria  grisea  (CK.)  Sacc,  che  da 
noi  attacca  il  panico,   ora   a\V Helmintliosporium  Oryzae  Maiy.    et  Hori. 

Ma  tanto  gli  autori  giapponesi  che  il  Ferraris  basavano  le  loro 
affermazioni    unicamente   sopra   l'osservazione   diretta  e    mancando  la 


'  Voglino  P.,  Sul  brusone  del  riso;  in  L'Economia  rurale,  voi.  45",  1903. 
La  natura  bacterica  del  brusone  del  riso  è  stata  ammessa,  seguendo  il  Voglino, 
anclie  dal  dott.  Pirolini,  professore  di  agraria  nell'Istituto  Tecnico  di  Novara,  nel 
suo  giornale  11  riso  e  la  sua  coltivazione.  È  a  ricordarsi  in  ogni  modo  che  anche 
il  Voglino  ])iii  tardi  (/  funghi  più  dannosi  alle  piante,  osservati  nella  j^rovincia 
di  Torino  e  regioni  limitrofe  nel  1905  ;  in  Ann.  d.  R.  Ac.  di  Agric.  di  Torino, 
voi.  XLViii,  1905)  ammise  l'identità,  già  dimostrata  dal  Farneti,  della  Piricularia 
Oryzae,  P.  grisea,  P.  parasitans  e  Daedalea  parasitans. 

2  Ferraris  T.,  Il  brusone  del  riso  e  la  Piricularia  Oryzae  Br.  et  Cavr.;  in 
Malpighia,  1902. 

3  Maiybbe  K.  et  Hori  S.,  Uapjwrto  della  Staz.  Agr.  Sperimentale,  n.  18. 

*  Kawakami  T.,  La  maladie  Imotsi  du  ria;  in  Bull.  d.  1.  Soc.  Agron.  d. 
Sappox'o,  T.  II. 


—   112  — 

prova  sperimentale,  le  loro  affermazioni  rimanevano  solo  delle  ipotesi 
ed  urtavano  anche  contro  il  fatto  che  non  sempre  sopra  le  piante  am- 
malate si  trovava  una  medesima  forma  fungina. 

La  questione  era  a  questo  punto  quando  il  Farneti  cominciò,  nel 
nostro  Laboratorio  Crittogamico,  i  suoi  studi  sopra  la  malattia,  dei 
quali  pubblicò  i  primi  risultati,  nel  1904,  nella  nota  preliminare  sopra 
ricordata  cui  seguì,  a  distanza  di  due  anni,  la  più  lunga  ed  esauriente 
relazione  al  terzo  Congresso  internazionale  di  risicoltura  di  Pavia*. 

Dopo  avere  accertata  l'identità  della  malattia  in  Italia  e  nel 
Giappone  ed  avere  rilevato  i  diversi  aspetti  coi  quali  essa  si  presenta, 
che  le  valsero  pure  nome  diversi  -  {brusone,  brucione,  selone,  solone,  mal 
del  nodo,  mal  del  groppo,  caroeu,  carolo,  carolo  nero,  carolo  bianco,  carolo 
maggiore,  carolo  minore,  carbonchio,  crodalnra,  crollamento,  lùsaróla, 
costipazione,  bianchella,  biancona,  secchereccio,  marino,  marin,  sterilità, 
spica  falsa,  gentiluomo,  e,  in  Giappone,  hagare  e  naeyake,  che  corrispon- 
dono più  precisamente  al  nostro  carolo  minore)  e  che  dipendono  dal 
maggiore  o  minore  avanzamento  del  male,  o  dall'età  più  o  meno  inol- 
trata della  pianta  assalita,  o  dalla  parte  di  essa  che  fu  colta  la  prima 
0  di  preferenza;  il  Farneti  dimostrò  che  il  micromicete  che  la  accom- 
pagna e  che  esso  pure  si  presenta  in  forme  diiferenti  è  unico  e  assai 
polimorfo  e  tanto  nelle  colture  artificiali  che  sulle  piante  ammalate 
può  assumere  le  seguenti  forme  principali:  Piricidaria  Oryzae  Br.  et 
Cavr.,  P.  grisea  (Cooke)  Sacc,  Helminthosporium  Oryzae  Maiy.  et  Hori, 
H.  macrocarpum  Garov.  et  Catt.,  H.  sixmoideum  Cavr.,  Cladosporium 
sp.  Garov.  et  Catt.,  Hormodendron  sp,  Garov. 

In  seguito  a  tale  constatazione,  fu  possibile  al  Farneti  affermare 
che  sempre  il  brusone  del  riso  è  accompagnato  dal  medesimo  parassita, 
e  poiché  con  esperienze  molto  ingegnose,  che  sono  descritte  nella  rela- 
zione sopracitata,  egli  è  riuscito  a  riprodurre  artificialmente,  con  tutti 
i  suoi  diversi  caratteri,  la  malattia,  sia  a  mezzo  di  germi  del  fungo 
ottenuti  in  colture,  sia  con  spore  prodotte  in  natura  inoculate  o  sparse 
sull'acqua  nella  quale  crescevano  piante  sane,  sia  adoperando  frammenti 
di  organi  ammalati  portati  in  contatto  di  piante  sane,  concluse  affer- 
mando recisamente  la  natura  parassitaiia  del  morbo:  e  additò  anche 
i  mezzi  (disinfezioni  e  spostamento  del  livello  dell'acqua)  secondo  i 
quali  dovevasi  tentare  di  combatterlo. 


1  Farneti  K.,  Il  brusone  del  riso;  relazione  al  iii  Congr.  iut.  di  Risicoltura, 
Pavia,  1906,  e  in  Rivista  di  Patologia  Vegetale,  voi.  ii,  Pavia,  1906. 

2  II  Farneti  lia  lasciato  sulla  bibliografia  antica  del  brusone  una  quantità  di 
note  che  valgono  ad  illustrare  tale  sinonimia:  poiché  tu  ammessa  da  tutti  non 
mi  pare  necessario  pubblicarle. 


—    113    — 

Dei  lunghi  e  pazienti  studi  che  continuò  poi  il  Farneti  sopra  il  va- 
riare della  resistenza  delle  piante  alla  malattia-,  o  sul  comportarsi 
del  parassita  rispetto  ai  diversi  organi  attaccati,  al  loro  stadio  di 
sviluppo  ed  alle  condizioni  esterne  di  vegetazione,  come  pure  sopra  ai 
metodi  di  lotta,  non  rimasero  che  le  belle  tavole,  già  stampate,  con  la 
relativa  spiegazione,  nelle  quali  egli  fissava  di  mano  in  mano  il  risul- 
tato delle  sue  osservazioni. 

Gli  mancarono  il  tempo  e  le  forze  per  condurre  a  termine  il  la- 
voro, e  le  ricerche  furono  anche  troncate  perchè  dopo  il  1909,  forse 
per  l'introduzione  dall'estero  e  la  diffusione  di  nuove  varietà  di  riso 
resistenti  alla  malattia,  il  brusone  non  ha  più  devastato  le  nostre 
campagne  -. 

Il  lavoro  e  l'ipotesi  del  Farneti,  come  è  naturale,  non  andarono 
esenti  da  critiche,  né  mancarono  ad  essi  gli  oppugnatori,  come  però 
non  mancarono,  anche  all'estero,  valenti  sostenitori  ^-  non  è  compito 
mio,  senza  avere  fatto  osservazioni  mie  proprie,  entrare  come  giudice 
nelle  polemiche  che  ne  seguirono. 


1  Sopra  questo  argomento  il  Farneti  puliblicò  già  una  nota  preliminare  che 
qui  va  ricordata  :  Ricerche  sperimentali  ed  uiiatomo-fisiologiche  intorno  all'influenza 
dell'ambiente  e  della  sovrabbondante  concimazione  sulla  diminuita  resistenza  al 
brusone  del  riso  bertone  e  di  altre  varietà  introdotte  dall'estero:  in  Rivista  di  Pa- 
tologia Vegetale,  anno  ii,  Pavia,  1906. 

2  II  brusone  del  riso  ha  sempre  recato  i  suoi  danni  a  periodi,  cessando  di 
essere  dannoso  od  anche  scomparendo  affatto,  forse  coli'  introduzione  di  nuove  va- 
rietà o  di  metodi  nuovi  di  coltura,  a  dati  momenti,  per  tornare  poi  a  minacciare 
gravemente  i  raccolti,  come  accade  delle  gra)idi  calamità  anche  degli  uomini. 

3  Tra  gli  oppositori  va  anzitutto  ricordato  il  prof.  U.  Brizi  che  in  una 
serie  di  lavori  {Intorno  alla  malattia  del  riso  detta.*  brusone  »  ;  in  Read.  d.  r.  Ac.  d. 
Lincei,  Classe  Scienze,  voi.  xiv,  1905  —  Ricerche  sulla  malattia  del  riso  detta 
«■  bi-nso7ìe  t  :  primi  studi  eseguiti  nel  1904;  in  Annali  della  Istituzione  Agraria  A. 
Ponti,  voi.  V,  Milano,  190B  —  Ulteriori  ricerche  intorno  al  brusone  del  riso  com- 
piute nell'anyio  1905;  ibidem,  voi.  vi,  Milano,  1906 —  Terzo  contributo  allo  studio 
del  brusone  del  riso;  ibidem,  voi.  vii,  Milano  1908)  sopra  alcuni. dei  quali  intrat- 
tenne anche  il  Congresso  risicolo  di  Pavia,  sollevando  dei  dubbii  sopra  la  natura 
parassitaria  della  malattia,  cercò  la  causa  di  questa  in  disturbi  fisiologici  speciali 
delle  radici  e  precisamente  in  fenomeni  di  asfissia  dovuti  a  difetto  di  aerazione 
del  terreno  e  delle  acque. 

A  questo  modo  di  vedere  si  accostarono  anche  il  Soraueu  {Handbuch  der 
Pftanzenkrank-heifen ,  ni  Aufl.,  Heft  6-10,  Berlin,  1906)  e  Novelli  e  Giordano 
{Contributo  allo  studio  degli  effetti  dell'aerazione  artificiale  dell'acqua  e  indiretta- 
mente del  terreno  nelle  risaie;  Novara,  1909):  mentre  invece  si  dichiararono  per 
la  natura  parassitaria  della  malattia  e  per  il  polimorfismo  della  Piricularia  Vrgzae 
e  la  sua  identità  con  altre  forme  risicole,  M.  Schirai  {Supplemental  notes  on  the 

Atti  dell'Intit.  Boi.  dell'Università  di  Pavia  —  Serie  II  —  Voi.  XVIIl.  8 


—  114  — 

Comunque  se  ne  pensi,  è  fuori  dubbio  che  l'avere  dimostrato  un 
nesso  fra  i  vari  parassiti  che  erano  stati  riscontrati  sul  riso  ammalato 
è  fatto  di  grande  importanza  sia  dal  punto  di  vista  della  patologia  che 


fungus  ivhich  caiises  the  disease  so  called  imochyhio  of  Oryza  saiiva  L.  ;  in  Bota- 
nical  Magazine,  voi.  xix,  1905)  ed  H.  M.etc.alf  (A  prel/iiiìnary  reporf  of  the  blast 
of  rice,  with  notes  mi  other  vice  diseases  ;  in  South  Caiolina  Agricult.  Exper. 
Station,  Bull.  N.  121,  1906). 

A  proposito  del  Metcall'  è  interessante  riportare  la  lettera  da  lui  scritta  al 
Farneti  nel  dicembre  1908  e  da  questi  già  comunicata  al  giornale  l'Alba  Agricola 
di  Pavia  nel  gennaio  1909. 


Washington.  D.  C,  2ti  dicembre  1908. 


EoREfiio  Propkssoue, 


«  Il  ljl<ist  del  riso  negli  Stati  Uniti  è  una  malattia  cagionata  dal  parassitismo 
«  di  un  fungo  del  genere  Piricularia. 

u  Non  ho  mai  mancato  di  trovare  il  fungo  nelle  lesioni,  sebbene  sia  spesso 
«difficile  di  trovarlo  in  condizione  fruttifera.  Ho  prodotto  la  malattia  inoculando 
«  colle  pure  colture  del  fungo  piante  sane  che  si  trovavano  nella  risaia  ed  anche 
«  sotto  vetro.  In  questa  maniera  ho  prodotto  artiflcialmente  più  di  600  casi  della 
«  malattia.  11  blasf  del  riso  non  è  una  malattia  fisiologica,  ma  l'intensità  della 
«  invasiose  è  favorita  dalle  condizioni  del  terreno. 

»  La  malattia  si  manifesta  con  una  maggiore  intensità  nei  terreni  messi  di 
«  recente  sotto  coltivazione,  nei  terreni  riposati,  di  recente  sotto  l'acqtia,  o  nei 
«  terreni  fertilizzati  colle  sostanze  azotate.  Attacca  tanto  sovente  il  riso  cresciuto 
«  all'asciutto  (io  voglio  dire  sul  riso  cresciuto  senza  qualsiasi  irrigazione)  come  il 
«  riso  cresciuto  all'umido.  Per  quanto  ho  potuto  osservare,  il  blast  non  è  etìetto 
«del  contenuto  gasoso  del  terreno;  e' se  è  effetto  (favorito)  dalle  condizioni  cli- 
<i  matiche,  la  natura  di  questa  influenza  è  molto  oscura.  Le  radici  delle  piante 
e  ammalate  di  blast  sono  normali,  come  è  evidente  dal  fatto  che  le  piante  colpite 
«  dal  male  emettono  facilmente  nuovi  getti  in  pochi  giorni.  Quando  la  malattia 
«  attacca  la  pianta  prima  della  emissione  della  spiga,  tutta  la  pianta  è  distrutta. 
«  Ma  questo  avviene  raramente,  ed  è  la  sola  eccezione  al  potere  della  pianta  am- 
«  malata  di  blast  di  emettere  nuovi  getti. 

«  Per  quanto  ho  avuto  l'occasione  di  osservare,  il  brusoiie  in  Italia  è  esat- 
«  tamente  la  stessa  malattia  come  del  blast  in  America.  Può  essere  però  una  forma 
«  di  brusone  che  sia  difierente  dal  blast,  ma  non  la  ho  vista.  È  molto  evidente  che 
«  i  risicoltori  ed  i  contadini  usano  il  nome  brusone  per  descrivere  molte  differenti 
«condizioni  malsane  della  pianta  del  riso;  ed  il  nome  brusone  può  essere  dato  a 
«  certe  malattie  del  riso  che  non  sono  cagionate  dal  parassitismo  di  un  fungo  e 
«  che  sono  fisiologiche.  Io  posso  dire  solamente  che  non  vidi  nessuna  di  tali  malattie 
«  durante  il  mio  breve  soggiorno  in  Italia. 
«  Con  distinti  e  cordiali  saluti  devotissimo 

Haven  Metcalf., 


—  115  — 

da  quello  delia  micologia  pura,  e  che  costituiscono  uno  studio  di  mico- 
biologia  e  di  parassitologia  assai  interessante  le  osservazioni  lasciateci 
sopra  lo  sviluppo  delle  diverse  forme  e  le  loro  relazioni  colla  pianta 
ospite. 

Per  queste  ragioni  e  perchè  possano  servire  ai  futuri  studi  della 
malattia  se  disgraziatamente  si  presenterà  ancora  a  devastare  le  nostre 
campagne,  presento  ai  patologi  ed  agli  agricoltori,  con  affetto  di  amico 
e  con  ammirazione  di  studioso,  le  tavole  e  la  spiegazione  di  esse  che 
serviranno  a  completare  ed  illustrare  le  note  già  pubblicate  dall'estinto 
collega. 

Luigi  Montkmartini. 

Dal  Laboratorio  Crittogamico  di  Parìa,  ifio(riio  1921. 


—   116 


SPIEGAZIONE   DELLE  TAVOLE 


Tav.  XX. 

Fig.  1.  Cariosside  in  via  di  germinazione:  la  guaina  embrionale  ha  perforatiO  la 
glumella  e  preme  contro  la  gluma  interiore.  Le  spore  che  aderiscono 
all'esterno  della  glumetta  perforata  e  all'interno  della  gluma,  possono 
infettare  la  guaina  embrionale  con  la  quale  vengono  a  contatto. 

»  2.  Cario.sside  come  sopra.  La  gluma  interiore  divaricata  lascia  vedere  la 
guaina  embrionale  che  ha  appena  perforato  la  glumella  inferiore. 

»       3  e  4.  Cariosside  in  istato  più  avanzato  di  germinazione. 

»       5.  Cariosside  in  via  di  germinazione  spogliata  dalle  glumelle. 

»  6.  Cariosside  non  germinata,  spogliata  dalle  glumelle;  si  vede  che  la  guaina 
embrionale  non  è  riescita  a  perforare  la  glumella,  quindi  vi  si  è  svi- 
luppata sotto  avvolgendo  il  seme. 

»  7.  Cariosside  attaccata  leggermente  da  brusone.  Germinata  mostrava  all'a- 
pice della  guaina  embrionale  una  macchietta  bruna  dovuta  all'azione 
del  parassita,  in  seguito  ad  infezione  trasmessa  dal  seme.  La  presenza 
del  parassita  fu  constatata  al  microscopio. 

»  8.  Cariosside  come  quella  rappresentata  nella  tìg.  7,  che  all'inizio  dell'aper- 
tura della  guaina  per  l'uscita  della  prima  foglia  embrionale,  mostra 
lungo  i  margini  una  macchia  bruna  dovuta  ad  infezione  ti-asmessa  dal 
seme. 

»       9  a  14.  Cariossidi  attaccate  da  Helininthosporiitm  (Jryzce. 

»     15  a  18.  Cariossidi  attaccate  da  PiriciUaria  Oryzce. 

•  19.  Cariosside  fortemente  attaccata  da  Helminthosporium  OryzOB. 

•  20.  Cariosside  fortemente  attaccata  da  Pin'cular/a  Oi-yzm. 

»  21.  Cariosside  attaccata  da  Hebiihitìiosporium  germinando  ha  manifestato  al- 
l'apice della  guaina  embrionale  una  macchia  bruna  in  seguito  ad  in- 
fezione trasmessa  dal  seme. 

»     22,  24,  26,  28  e  30.   Cariossidi  attaccate  da  Helminthosporhim. 

»     23,  25,  27  e  29.  Cariossidi  attaccate  da  Piricularia. 

»     31.  Cariosside  ingrandita  con  macchiette  prodotte  da  Piricularia. 

»  32.  Cariosside  raccolta  nelle  risaie  di  Campomaggiore,  morta  durante  la  ger- 
minazione perchè  ricoperta  da  spore  germinanti  di  Helminthosporiinn. 

»  33.  Guaina  embrionale  che  non  avendo  potuto  perforare  la  glumella  si  è  svi- 
luppata all'interno  di  questa,  avvolgendo  il  seme.  Il  cotiledone  pre- 
senta in  m  una  macchia  bruna,  cos'i  pure  i  lembi  dei  tegumenti  che 
ricopri vaao  la  fessura  cotiledonale.  Tanto  il  cotiledone  che  i  tegumenti, 
esaminati  al  microscopio  si  mostravano  invasi  dal  micelio  del  parassita. 


—   117  — 

Pig.  34.  Giovane  pianticella  di  riso  raccolta  in  risaia  ai  primi  di  maggio:  in  a 
si  vedono  le  radici  perfettamente  sane  ;  in  6  la  guaina  embrionale 
aperta  ed  annerita  dal  brusone;  in  e  la  prima  foglia  morente  con  nu- 
merose macchie  di  bnisoue:  in  d  la  seconda  foglia  con  macchia  bruna 
all'apice  e  sana  nel  rimanente. 

»     35.  Seme  spogliato  dalle  glumelle  con  macchie  brune  prodotte  dal  parassita. 

>'  36.  Seme  come  sopra  d'un  colore  bruno  intenso,  completamente  invaso  dal  pa- 
rassita e  con  carie  profonda. 

»  S7  a  39.  Giovani  piantine  raccolte  in  risaia  ai  primi  di  maggio.  Il  loro  ger- 
moglio fortemente  attaccato  da  Hebninthoxporium  è  morto. 

»  -10  e  41.  Sezione  trasversale  di  giovane  germoglio,  tagliata  in  corrispondenza 
di  una  piccola  macchia  di  brusone,  manifestatasi  nella  parte  dorsale 
della  guaina  embrionale.  L'infezione  è  penetrata  nel  parenchima  sot- 
tostante e  si  è  propagata  lungo  la  lacuna  aerifera  come  lo  dimostra 
la  sezione  41  praticata  molto  più  in  basso  dove  all'esterno  non  si  scor- 
geva più  alcuna  macchia. 

Tav.  XXL 

■  Fig.  1.  Giovane  pianticella  di  riso  attaccata  da  Heìmìnthosporinm,  raccolta  in 
risaia  ai  primi  di  maggio.  In  a  si  vede  la  radice  vegeta  e  sana;  in  b 
la  guaina  embrionale  annerita  e  morta  ;  in  e  la  prima  foglia  morta 
parimenti  di  brusone;  in  d  la  seconda  foglia  con  macchiuzze  bruso- 
nate  sul  lembo  e  morente  perchè  fortemente  attaccata  nella  parte  guai- 
nante :  in  e  la  terza  foglia  morta;    in  f  la  quarta  foglia  ancor  sana. 

»  2.  Giovane  piantina  come  sopra.  In  a  si  vede  la  radice  sana  e  robusta;  in 
b  la  guaina  embrionale  morta:  in  e  la  prima  foglia  con  macchiuzze 
brusonate  prodotte  da  Helminthosporium;  in  d  la  seconda  foglia  av- 
vizzita perchè  foi-temente  attaccata  alla  base;  in  e  la  terza  foglia  at- 
taccata all'estremità. 

»  3.  Piantina  come  sopra.  In  a  si  vedono  numerose  radici  ben  sviluppate  e 
sane  :  in  b  la  guaina  embrionale  annerita  e  morta  per  attacco  del  pa- 
rassita; in  e  e  d  la  prima  e  la  seconda  foglia  morte  per  la  stessa  causa; 
in  e  la  terza  foglia  ancor  viva  ma  attaccata  all'apice. 

»  4.  Piantina  come  sopra.  In  a  si  vedono  numerose  radici  ben  sviluppate  e 
perfettamente  sane;  in  b  la  guaina  embrionale  morta  naturalmente; 
in  e  e  d  la  prima  e  la  seconda  foglia  morte  per  brusone;  in  e  la  terza 
foglia  con  macchie  di  brusone  verso  l'apice;  in  /" la  quarta  foglia  con 
macchie  oblunghe  brusonate  caratteristiche  ;  in  5'  la  quinta  foglia 
ancor  sana. 

»  5.  Giovane  piantina  raccolta  in  risaia  ai  primi  di  maggio,  morta  per  bru- 
sone. Ina  si  vedono  le  radici  che  non  presentano  alterazione  alcima; 
in  b  la  guaina  embrionale  morta;  in  e  e  (Ma  prima  e  seconda  foglia 
imperfettamente  sviluppate  e  morte:  in  e  ed  /"la  tei'za  e  quarta  foglia 
morte  e  macchiate  di  nero,  cosi  pure  la  loro  guaina, 
ti.  Piantina  come  la  precedente.  In  a  si  vedono  le  radici  che  non  presentano 
alterazione  alcuna.  Le  foglie  sono  morte  ed  annerite  perchè  fortemente 
attaccate  da  Uelininthosporium. 


—    118   — 

Fig.  7.  Pianticella  raccolta  in  risaia  ai  primi  di  maggio.  In  a  si  vedono  le  radici 
perfettamente  sane.  In  6  la  guaina  embrionale  morta  ed  annerita;  in 
e  e  d  la  prima  e  la  seconda  foglia  morte  brusonate;  in  e  la  terza  foglia 
con  macchia  bruna  lineare  che  dall'apice  scende  fin  verso  la  base  del 
lembo,  prodotta  da  Helmiììfhosporium;  in  /"la  quarta  foglia  ancor  sana. 
»       8.  Pianticella  come  sopra,  attaccata  nel  culmo  e  in  vxna  foglia  ialVHelmm- 

thosporium.  Le  radici  a  sono  perfettamente  sane. 
»  9.  Pianticella  come  sopra:  a  radici  perfettamente  sane;  S  guaina  embrionale 
morta:  e  prima  foglia  morta  in  seguito  ad  infezione  à' Helminthospo- 
rium;  d  seconda  foglia  attaccata  dal  parassita,  ma  non  ancora  morta; 
e  terza  foglia  morta  avvizzita  perchè  attaccata  alla  base;  /'quarta  fo- 
glia vegeta  e  sana. 
»  10.  Pianticella  coltivata  in  vaso  sopra  la  quale  si  è  riprodotto  artificialmente 
il  brusone  infettandola  con  spore  di  Helminthosporium  Oryzce. 

Ina  si  vedono  le  radici  sane  e  ben  sviluppate;  in  b  la  guaina  em- 
brionale morta  con  macchia  di  brusone  che  per  contatto  si  è  propa- 
gata anche  alla  base  del  culmo  :  in  e  il  resto  della  prima  foglia  il  cui 
lembo  è  caduto  in  seguito  alla  cancrena  che  l'aveva  colpito  alla  base; 
in  d  la  seconda  foglia  con  macchiuzze  prodotte  da  spore  di  Helmintho- 
sporium in  germinazione.  Il  giovane  culmo  presenta  diverse  macchie 
nere  di  brusone. 
»  11.  Altra  pianticella  coltivata  in  vaso  e  sopra  la  quale  si  è  riprodotto  arti- 
ficialmente il  brusone  infettandola  con  spore  di  Helminthosporium  del 
riso.  In  «  si  vedono  le  radici  sane  ;  in  6  la  guaina  embrionale  morta  ; 
in  e  la  prima  foglia  morta  di  brusone;  in  d  la  seconda  foglia  con  di- 
verse macchiuzze  di  brusone  sul  lembo;  in  e  la  terza  foglia  non  an- 
cora interamente  aperta  e  col  primo  inizio  di  una  macchia  di  brusone 
sul  lembo. 

Nel  culmo  si  osservano  diverse  macchiette  bruno-nerastre  di  brusone. 


Tav.  XXII. 

Fig.  1.  Pianticella  di  i-iso  attaccata  da  Helminthosporium  raccolta  in  risaia  alla 
fine  di  maggio,  all'epoca  della  prima  mondatura.  In  a  si  vedono  le 
radici  d'un  colore  bruniccio  ma  ancor  turgide:  in  e  e  d  la  prima  e 
seconda  foglia  annerite  e  morte  di  brusone;  in  e  la  terza  foglia  mo- 
rente con  diverse  macchie  di  brusone;  in  /"la  quarta  foglia  sana;  in 
g  la  quinta  foglia  brusonata  nella  metà  superiore  ;  in  /;  la  sesta  foglia 
che  spunta  sana. 
»  2.  Pianticella  come  la  precedente.  In  a  si  vedono  le  radici  sane;  in  m  e  )»' 
macchie  di  brusone  sul  culmo;  in  e  la  prima  foglia  brusonata  nella 
l)arte  superiore;  in  d  la  seconda  foglia  quasi  interamente  brusonata: 
in  e  la  terza  foglia  con  parecchie  macchie  di  brusone  ;  in  /■  la  quarta 
foglia,  non  ancora  spiegata,  sana. 

3.  Foglia  di  riso  raccolta  come  sopra  con  parecchie  macchie  oblunghe,  brune 

di  brusone  prodotte  àaW Helminthosporium. 

4.  Foglia  come  sopra  con  la  parte  superiore  del  lembo  interamente  bruso- 

nata per  attacco  di  Helminthosporium. 


—    119  — 

Fig.     5.  Foglia  come  sopra  con  parecchie  macchiuzze  oblunghe  di  brusone. 

'>  6.  Foglia  come  sopra  con  macchie  lineari,  alcune  marginali,  ed  una  larga 
macchia  bruno-nerastra  nella  guaina,  prodotte  parimenti  da  Helmin- 
ihosporìiiin. 

»       7.   Altra  foglia  come  sopra,  con  macchie  di  brusone  di  varia  forma  e  grandezza. 

»       8.  Foglia  come  sopra  con  numerose  macchiuzze  oblunghe  di  brusone. 

»  9.  Pianticella  di  riso  attaccata  da  Ilelmiìifhosporiuiii  raccolta  in  risaia  alla 
metà  di  maggio.  In  a  si  vedono  le  radici  sane;  in  6  la  guaina  embrio- 
nale morta;  in  e  la  prima  foglia  morente  per  brusone:  in  d  la  seconda 
foglia  con  larga  macchia  di  brusone  al  margine;  /"la  terza  foglia  sana. 

»  10.  Pianta  di  riso  attaccata  da  Helininthosporium  raccolta  in  risaia  all'epoca 
della  prima  mondatura.  In  a  si  vedono  le  radici  sane  ;  in  ?^  la  guaina 
embrionale  morta  ;  in  e  la  prima  foglia  morta  di  brusone  ;  in  d  la  se- 
conda foglia  morta  con  diverse  macchie  di  brusone  ;  in  e  foglia  con 
macchie  puntiformi  e  lineari  di  brusone  ;  in  /"  foglia  sana  non  ancora 
spiegata. 


Tav.  XXIII. 


Fig.  1.  Materiale  preso  dalla  piantina  rappresentata  nella  tavola  XXII,  fig.  10  e 
dalla  fogliolina  rappresentata  nella  figura  4  della  presente  tavola. 
Si  vedono  spore  germinanti  di  Helìninthosporium  il  cui  micelio  in  ger- 
minazione si  dirige  verso  un  punto  della  lamina  fogliare,  e  il  pro- 
toplasma, della  cellula  con  la  quale  viene  a  contatto  e  delle  attigue, 
prende  tosto  una  colorazione  brvina  che  si  propaga  rapidamente  in 
ampiezza  e  profondità  formando  una  macchia. 

»  2.  Ingrandimento  della  figura  3,  per  far  vedere  la  forma  delle  macchie  e  i 
conidiofori  formantivisi. 

»       3.  Fogliolina  infettata  artificialmente  con  spore  di  Helmhithosjìorium. 

X.  Estremità  fogliacea  di  una  guaina  embrionale  macchiata  in  più  punti  in 
seguito  ad  infezione  artificiale. 

»       5.  Riproduzione  artificiale  del  male  del  nodo,  per  semplice  contatto  con  por- 
zione di  foglia  infetta  da  Helminthosporiuni.  Il  nodo  e  le  parti  attigue 
del  culmo  sono  annerite. 
6.  Riproduzione  del  male  del  nodo  per  contatto  con  porzione  di  nodo  infetto. 

»  7.  Parte  superiore  di  una  guaina  embrionale,  con  diverse  macchie  di  bru- 
sone. In  alcune  di  queste  si  vedono  sviluppati  i  conidiofori  deWHel- 
minthosporhim. 

»  8.  Cariosside  di  riso  germinante,  infettata  con  spore  di  Helminthosporiuni 
del  Mays.  All'estremità  della  guaina  embrionale  si  vede  una  macchia 
bruna  prodotta  dalle  spore  germinanti  delV Helmmfhospormm. 

»  9.  Cariosside  germinante,  infettata  artificialmente  con  Piricularia.  In  essa 
si  vede  la  macchia  bruna  prodotta  dalle  spore  germinanti  di  Piricu- 
laria. 

»  In.  Cariosside  germinante  infettata  artificialmente  con  spore  di  Helminthospo- 
rium  del  Giavone.  Nella  parte  superiore  della  guaina  embrionale  si 
vede  una  macchia  bruna  prodotta  dall'infezione. 


—  120  — 

Tav.  XXIV. 

Fig.  1.  Foglia  adulta  di  Riso,  con  macchie  di  Ijrusoue  nei  primi  stadi  di  sviluppo, 
prodotte  da  Piricidavia. 

»  2.  Foglia  come  sopra,  con  maocliie  completamente  sviluppate  e  cai-atteristiche 
della  malattia.   . 

»       3.  Ingiallimento  del  lembo   fogliare   prodotto    da  infezione    alla  base    della' 
foglia. 
4.  Ingiallimento  della  foglia  non  dovuto  a  brusone. 

»  o.  Foglia  giovane  di  riso  con  l'estremità  ingiallita,  per  lesioni  trasversali 
(/«),  prodotte  da  insetti. 

»  6.  Foglia  marmorato-tigTata  per  causa  tisiologica,  cioè  non  dovuta  a  pa- 
rassitismo. 

»  7.  Pistillo  infetto.  Il  micelio  del  parassita  s'intreccia  e  s'insinua  nella 
parete  dell'ovario  che  prende  una  coloi-azione  bruna. 

Tav.  XXV. 

Fig.     1.  Micelio  (///)  che  penetra  attraverso  l'incastro  delle  glumelle. 
»       2.  Micelio  e  conidiofori  nel  filamento  di   uno  stame. 
■>       o.  Grani  di  polline  invasi  dal  micelio   del    parassita    che    li    avvolge    e    li 

compeuetra. 
>       4.  Micelio  che  s'intreccia  e  penetra  nello  stimma.  '- 

»       5.   Antera  prima  dell'antesi  attaccata  dal  parassita,  che  ne  invade  le  pareti 

dei  sacchi  pollinici,  il  connettivo  e  il  filamento  staminale. 

Tav.  XXVI. 

Fig.  1.  Figui-a  schematica  in  cui  è  rappresentata  la  superficie  fogliare  della 
pagina  superiore.  In  n'  è  rappresentata  una  nervatura  di  secondo 
ordine;  in  n"  le  nervature  di  terzo  ordine;  in  F  le  vallecole  o  solchi  ; 
in  s  le  serie  di  stomi;  in  p  una  serie  di  peli  alterni,  adunchi  rivolti 
verso  la  base  della  foglia,  che  proteggono  le  cellule  bulbiformi  (B 
poste  in  serie  longitudinale  in  fondo  alle  vallicelle)  lialle  goccie  di 
pioggia  e  di  rugiada,  le  quali  rotolano  in  basso,  senza  bagnarle;  in 
d  gli  aculei  delle  nervature  rivolti  verso  l'apice  della  foglia;  in  G 
goccie  di  rugiada  che  scendono  per  una  vallicella  trasportando  spore 
sp,  che  vengono  afferrate  e  trattenute  dagli  aculei  delle  nervature. 
Queste  ultime  germinando  cacciano  un  tubo  miceliale  che  si  di- 
rige verso  le  cellule  bulbiformi,  fortemente  traspiranti,  iniziando 
nel  punto  di  contatto  una  macchia  bruna  che  rapidamente  si  estende 
(Tav.  XXm,  fig.  1). 

»  2.  .Sezione  trasversale  di  una  foglia  di  riso.  Le  lettere  corrispondono  a 
quelle  della  figura  precedente. 

»  3.  Forma  miceliale  che  spesso  si  osserva  nei  tegumenti  del  seme,  che  passa 
dall'una  all'altra  cellula,  per  mezzo  di  rami  laterali  che  incontrandosi 
si  anastomizzano  («)  e  formano  un  reticolato  di  figura  variabile  a 
seconda  della  forma  delle  cellule  dello  strato   tegumentale    invaso. 


—  121   — 

Tav.  XXVII. 

Fig.  1  e  2.  Forine  di  micelio,  che  aderiscono  alla  guaina  embrionale  sotto  le 
glumelle,  asportate  dai  tegumenti  che  ricoprivauo  la  fessura  coti- 
ledoiiale. 
Fig.  3.  Figura  schematica  per  dimostrare  in  qual  modo  avviene  il  contagio,  e 
fornire  la  ragione  per  cui  l'infezione  resta  generalmente  localizzata 
in  alcuni  punti  del  culmo  e  della  pannocchia.  Essa  rappresenta  l'e- 
stremità di  un  culmo  di  riso,  mentre  la  pannocchia  sta  per  uscire 
dalla  guaina  delle  due  foglie  superiori. 

La  guaina  gu  della  foglia  superiore  comincia  ad  aprirsi  e  comin- 
ciano a  far  capolino  le  prime  spighette  della  pannocchia  p.  L'apertura 
si  trova  in  parte  ricoperta  dalla  guaina  gu  della  foglia  sotto.staute 
F  che  l'abbraccia.  Le  goccioline  di  rugiada  formatesi  nella  foglia  F 
sopra  la  macchia  brusonata  ma,  precipitano  in  basso  cariche  di  spore, 
parte  delle  quali  non  trattenute  dagli  aculei  delle  nervature  (vedi 
Tav.  XXVI,  fig.  1)  giungono  insieme  alla  goccia  all'ascella  della  foglia. 
Se  il  lembo  fogliare  forma  un  angolo  molto  acuto  o  se  le  goccie  sono 
troppo  gròsse,  queste  precipitano  con  troppa  velocità;  giunte  all'ascella 
urtano  contro  il  dorso  della  ligula  l  che  impedisce  loro  di  penetrare 
entro  la  guaina  fogliare  e  contro  le  appendici  semilunari  munite  di 
lunghe  ciglia  che  ne  allargano  lateralmente  il  riparo:  e  guidate  dalle 
doccie  laterali  spiovono  in  basso.  Se  in  questo  caso  le  goccie  cadono 
a  terra,  non  sempre  avviene  altrettanto  delle  spore  che  trasportano; 
perchè  queste  ultime,  spesso  vengono  trattenute  dalla  ligula  e  dai 
peli  delle  appendici  ascellari.       . 

Quando  invece  l'inclinazione  del  lembo  fogliare  form^  un  angolo 
|)Oco  acuto  o  le  goccioline  di  rugiada  sono  minute,  qvieste  scendono 
con  minore  velocità  e  giunte  all'ascella  vi  si  fermano  (<)  trattenute 
dalla  ligula  e  dalle  appendici  ascellari  insieme  a  tutte  le  spore  non 
lasciate  per  via. 

In  tal  modo  si  forma  all'ascella  delle  foglie  un  deposito  di  spore, 
le  quali  germinando  non  tardano  a  produrvi  una  macchia  infettiva 
mg,  mg'. 

Le  spighette  della  pannocchia  ]j  che  si  trovano  a  contatto  della 
macchia  infettiva  mg  o  delle  spore  o  miceli  aderenti  alle  ciglia 
delle  appendici  ascellari  o  alla  ligula,  contraggono  l'infezione,  la 
quale  sai'à  tanto  piii  grave  quanto  maggiore  sarà  l'infezione  ascel- 
lare o  il  deposito  di  geiuni,  ciò  che  dipende  a  sua  volta  dal  numero, 
dall'  ampiezza  e  dall'  età  delle  pustole  formatesi  sulla  foglia  corri- 
spondente. 

Se  le  macchie  brusonate  del  lembo  fogliare  sono  recenti  o  piccole, 
all'ascella  della  foglia  (all'epoca  in  cui  cominciano  a  far  capolino  le 
spighette  della  pannocchia)  non  si  sarà  ancora  formata  macchia  in- 
fettiva e  poche  saranno  le  spore  quivi  depositate,  per  cui,  poche 
saranno  le  spighette  che  contraggono  l'infezione,  e  la  maggior  parte 
la  contraggono  perchè  si  trovano  in  prossimità  dell'ascella  fogliare 
al  uiomento  che  precipita  dall'alto  una  goccia  infetta. 


—  122  — 

Fig.  4.  Come  la  pi-ecedente.  Rappresenta  uno  stadio  più  avanzato  della  spigatura. 
La  pannocchia  ha  sorpassato  in  parte  l'ascella  della  foglia  superiore 
ed  in  parte  si  trova  ancora  abbracciata  dalla  sua  guaina  semi  aperta. 
Le  spighette  infettate  all'ascella  della  foglia  F  sono  indicate  in  //'. 
Al  disopra  di  if  l'ascella  della  foglia  F  non  ha  potuto  produrre  al- 
cuna infezione  ;  ha  infettato  invece  le  spighette  sottostanti.  Il  tratto 
tra  if  e  l'ascella  della  foglia  F  si  troverà  ancora  immune  e  verrà 
infettato  solo  più  tardi  dall'ascella  della  foglia  soprastante,  come  è 
già  stata  infettata  la  parte  superiore  fino  all'estremità  della  pannocchia. 

Tav.  XXVIII. 

Fig.     1.  Forme  miceliali  che  si  osservano  nel  parenchima  cotiledonale. 

»      2,  3,  4  e  7.  Forme  miceliali  che  si  osservano  nei  tegumenti  del   seme. 

»  5  e  6.  Forme  miceliali  che  si  osservano  nei  tegumenti  che  ricoprono  l'em- 
brione. 

»  8  e  9.  Stadio  più  avanzato  della  spigatura  di  quello  rappresentato  nella 
fig.  4  della  tavola  XXVII.  L'ascella  della  foglia  F'  dopo  avere  infettato 
la  pannocchia,  infetta  anche  il  culmo,  in  prossimità  del  collaretto, 
dove  sosta  per  un  tempo  relativamente  lungo. 

L'ascella  della  foglia  i^  si  è  portata  intanto  ad  infettare  il  primo 
nodo,  e  contemporaneamente  l'ascella  della  foglia  sottostante  F' 
infetta  il  2"  nodo  col  quale  è  venuta  a  contatto. 

Tav.  XXIX. 

Forme  colturali  di  Piricularia,  in   cui  si  vedono   passaggi   a    forme   di    Cla- 
dosporium  e  di  Helminthos-porinm. 


ISTITUTO  BOTANICO  DELLA  R.  UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

B 

LABORATORIO  CRITTOGAMICO  ITALIANO 


MICETI  DEL  CORPO  UMANO  E  DEGLI  ANIMALI 

NOTA   I.* 

del  Prof.  GINO    POLLACCI 

{con  due  tarale  litografale) 


La  pubblicazione  che  inizio  con  la  presente  nota  ha  lo  scopo  di  fai 
conoscere  i  risultati  di  studi  sulla  flora  crittogamica  del  corpo  umano 
e  degli  animali  da  me  intrapresi  non  solo  per  portare  un  nuovo  contri- 
buto alla  micologia,  ma  anche  per  daie  un  vantaggioso  aiuto  alla  pato- 
logia umana  e  veterinaria. 

Il  numero  delle  malattie  dovute  a  miceli  è  certamente  molto  pivi 
grande  di  quello  che  attualmente  si  conosca.  Le  micosi  si  moltiplicano 
da  che  si  ricercano  sistematicamente;  non  tutte  le  forme  isolate  dal  corpo 
umano  e  dagli  animali  descritte  come  patogene  vanno  accettate  come 
tali,  varie  di  esse  vanno  considerate  come  semplici  saprofite;  ma  ciò 
non  toglie  che  molte  siano  certamente  parassite,  che  numerose  ma- 
lattie la  cui  eziologia  è  ancora  ignota  siano  dimostrate  col  tempo  es- 
sere causate  dall'azione  patogena  di  micromiceti  e  che  anche  comunis- 
simi ifomiceti  dotati  di  speciali  adattamenti  e  speciale  attività,  possano 
trasformarsi  in  parassiti  dannosi  all'uomo  ed  agli  animali  ^ 

Per  aumentare  le  nostre  cognizioni  in  proposito  è  indispensabile 
però  vagliare  quanto  è  stato  pubblicato  in  tale  campo  e  distruggere  tutto 
ciò  che  venne  creato  senza  basi  scientifiche  sperimentali  e  senza  suf- 
ficienti studi  comparativi  micologici.  Esaminando  le  numerose  pubbli- 
cazioni che  su  questo  argomento  sono  state  fatte  e  che  continuamente 
vengono  alla  luce,  si  constata  facilmente  quale  confusione  regni  in  tale 
campo  a  causa   sopratutto  di  una  infinità    di    generi  e  forme  che  sono 


1  Vedi  a  questo  proposito  la  interessante  nota  di  G.  Nkgri,  Ricerche  sulla 
Dtolofjia  dì  un  PeniciUo  Patogeno  {PeìiiciUium  mycetoviageuum  Mant.  et  Ngr.)  in 
Atti  della  Reale  Aoc.  Scienze  Torino,  Voi.  lvi,  1921. 


—   124  — 

date  per  nuove  senza  fondamento,  sia  per  la  diagnosi  delle  specie  per 
la  massima  parte  assolutamente  insufficienti  e  che  sovente  si  adattano 
a  tutti  i  tipi  del  genere  od  a  molti  di  essi,  sia  per  descrizioni  senza 
alcun  criterio  micologico,  sia  per  la  polimorfia  frequente  degli  iforaiceti 
in  mezzi  diversi  di  cultura  e  sopratutto  per  l'abitudine  che  ha  preso  il 
medico  di  dare  un  nome  ad  una  forma  di  micete  da  lui  isolato  da  un 
ammalato  senza  quelle  conoscenze  che  solo  uno  specialista  di  tale  ramo 
botanico  può  avere.  Quindi  è  necessaria  una  revisione  paziente  e  dili- 
gente di  tutte  le  specie  che  finora  sono  state  trovate  sul  corpo  del- 
l'uomo e  degli  animali.  Circa  poi  al  parassitismo  di  queste  forme  spetta 
al  medico  lo  stabilirlo  e  tale  suo  compito  sarà  di  molto  facilitato  dal 
micologo,  se  questo  gli  potrà  fornire  colture  pure  di  specie  ben  deter- 
minate e  ben  fissate. 

Tale  lavoro  di  revisione  l'ho  già  da  tempo  iniziato  ',  ma  ancora  di- 
versi anni  saranno  necessarii  prima  di  poter  aver  raccolto  i  materiali 
sparsi  e  poter  venire  a  delle  conclusioni  generali  sicure  su  tutte  le  specie 
trovate  sull'uomo  e  sugli  animali,  essendo  necessario  precipuamente  fare 
lo  studio  colturale  del  maggior  numero  possibile  di  forme  servendosi 
di  un  unico  terreno,  onde  diminuire  nel  miglior  modo  l'influenza  del  po- 
limorfismo sulla  classificazione  delle  specie. 

Durante  la  raccolta  e  lo  studio  di  questo  materiale  ho  trovato  di- 
verse specie  di  micromiceti  non  ancora  descritti  sopra  il  corpo  umano  ap- 
partenenti a  varii  generi,  parecchie  delle  quali  con  tutta  probabilità 
sembrano  patogene  e  cause  di  gravi  malattie.  Di  alcune  di  queste  specie 
a  solo  scopo  di  prendere  data,  pabblico  subito  la  dettagliata  descrizione 
e  la  figura,  riservandomi  di  dare  uno  studio  più  completo  quando  avrò 
ultimato  le  ricerche  su  tutte  le  altre  forme  e  quando  i  clinici  che  mi 
hanno  fornito  questi  micromiceti  avianno  completato  il  loro  studio  pa- 
tologico. 

Il  terreno  culturale  unicamente  adoperato  per  i  confronti  e  che 
propongo  come  tipo  di  substrato  nutritizio  da  essere  usato  da  tutti  quanti 
intendono  dedicarsi  alla  classificazione  degli  ifomiceti  è  preparato  e  co- 
stituito nel  seguente  modo  : 

A  gr.  500  di  polpa  di  manzo  ben  triturata  si  aggiungono  gr.  1000 
di  acqua  distillata,  si  fa  bollire  il  tutto,  si  filtra  e  si  aggiunge: 
Peptone    Wilte  gr.  10;  cloruro  di  sodio  gr.  5;  Agar-Agar  gr.  1.5. 

Si  fa  bollire  e  filtrare  a  caldo,  si  neutralizza,  si  fa  bollire  di  nuovo 
per   mezz'ora;  se  occorre   si    filtra  di  nuovo  e  si  aggiungono  gr.  70  di 


1  G-i:<o  Poi.LACCi,  studio  sul  genere   «  Citromyces  »  con  1  tav.    in    Atti    del- 
ritituto  Botanico  di  Pavia,  voi.  xvi,  1915. 


—  125  — 

glucosio.  Questa  miscela,  versata  in  recipienti,  viene  sterilizzata  frazio- 
natamente per  tre  volte  in  pentola  Koch. 

In  questo  terreno  vivono  gli  iforaieeti  ottimamente  e  tutte  le  dia- 
gnosi dei  microraiceti  descritti  da  me  nella  presente  nota  e  nelle  fu- 
ture, si  intendono  corrispondenti  ad  ifomiceti  coltivati  nel  terreno  so- 
p  radette. 

Di  tutte  le  specie  descritte,  io  conservo  in  vita  e  tengo  a  dispo- 
sizione degli  studiosi,  le  rispettive  colture.  Un  esemphue  di  queste  ho 
mandato  anche  al   Centmlhureau  voor  Schimtnelculturen  a  Baarn. 

* 

*  * 

Haplographium  De  Bella  Marengo  n.  sp. 

Dal  prof.  Aurelio  De  Bella  e  dott.  Giovanni  Marengo  della  Sezione 
Dermosifilopatica  diretta  dal  prof.  Sprecher  dell'Ospedale  Pamatone  di 
Genova  ebbi  due  culture  pure  di  miceti  trovati  costantemente  ed  iso- 
lati da  una  lesione  cutaneo-gommosa  che  da  diversi  mesi  era  com- 
parsa sulla  guancia  di  un  uomo  di  26  anni  che  anch'io  ho  avuto  occa- 
sione di  osservare.  Il  detto  individuo  non  era  né  sifilitico,  né  tuberco- 
loso e  la  piaga  si  rimarginò   solo  dopo  la  cura  con  joduro  di  potassio. 

Una  delle  culture  prese  in  esame  era  formata  da  PenicilUum  crii- 
staceum  (L.)  Fries.  ;  micete  che  il  dott.  Ramazzotti  ^  ha  recentemente 
trovato  in  un  caso  di  lesione  cutanea  dovuta  secondo  detto  Autore  al- 
l'azione patogena  di  questo  micromicete.  Ma  il  prof.  De  Bella  ed  il  dott. 
Marengo  hanno  inoculato  ripetutamente  sopra  topi  il  PenicilUum  rru- 
staceum  da  loro  isolato,  senza  ottenere  riproduzione  di  micetoma.  Eguali 
risultati  negativi  ho  avuto  io  operando  su  cavie,  su  scimmie  e  su  me 
stesso;  quindi  probabilmente  detta  comunissima  mufl"a  si  trovava  nella 
piaga  dell'ammalato  come  semplice  saprofita.  L'altra  coltura  invece  di 
colore  nero  era  costituita  da  un  micete  avente  caratteri  che  corrispon- 
dono a  quelli  del  genere  Haplographium  delle  Dematiaceae  che  si  av- 
vicina al  genere  PenicilUum  delle  Mucedinaceae,  ma  si  diflferenzia  per  i 
conidiofori  ed  i  conidii  bruni.  Con  microcolture  in  vetrini  porta  oggetti 
con  vaschetta,  che  permettono  l'osservazione  diretta  al  microscopio,  si 
può  seguire  tutto  lo  sviluppo  dell' ifomicete  e  stabilire  cosi  che  nessuna 
delle  poche  specie  di  questo  genere  descritte  finora  e  che  abbiano  una 
diagnosi  che  permetta  di  classificarli,  corrisponde  a  questa.  Nessun 
Haplographium  è  stato  finora  trovato  sul  corpo  umano  o  di  animali. 


1  VinciNio  RAJiAzzoi'Tr,  Dermatomicosi  innaiia  da  ifomicete  del  genere  «  Pe- 
nicillìum  »,   1920.  Milano  (Cooperativa  Grafica  Operai). 


—  126  — 

Dalle  spore  nasce  un  micelio  segmentato,  filamentoso,  abbondante, 
ramificato  come  è  riprodotto  nella  flgnra  1  della  tavola  XXX;  sopra  l'e- 
stremità della  massima  pai  te  di  questi  filamenti  dapprima  jalini  indi 
bruni  incominciano  a  formarsi  ben  presto  (circa  entro  iO  giorni  a  tem- 
peratura media  18°  C.)  gli  sterigrai  come  in  fig.  2  e  3.  Gli  sterigmi 
in  alcuni  casi  sono  numerosi  come  in  fig.  4.  L'insieme  della  coltura  as- 
sume ben  presto  un  colore  nero  carico  proprio  delle  Dematiaceae  con 
aspetto  vellutato  e  spesso  forma  dei  glumeruli. 

Intorno  alla  patogenesi  di  questo  ifomicete  stanno  occupandosi 
il  prof.  De  Bella  e  dott.  Marengo  e  il  risultato  delle  loro  osservazioni 
sarà  oggetto  di  pubblicazione.  Dedico  la  nuova  specie  al  prof.  De  Bella 
e  dott.  Marengo  che  sono  stati  i  primi  ad  isolare  questo  micete  del 
quale  dò  la  seguente  diagnosi: 

Haplogeaphidm  De  Bella  Marengo  n.  sp. 

Coloniis  in  agaro  cum  glucosio  cultis,  nigris,  zonatis.  orbiculatis ; 
hyphis  sterilibvs  repentibus,  ramidosis,  initio  hyalinis,  dein  fuscis,  3-4  jx 
diani.;  conidiopìioris  repentibus  ererlis,  simpìiciòuis,  septatis,  atris,  50-80  /t 
longis,  sursum  paucos  vel  multos  ramulos  10-12  /t  longos  gerentibus,  rumulis  in 
catenulas  conidiorum  abeuntibus;  conidiis  globosis,  nigris,  levibiis,  4-5  fi  diam. 

Habitat  in  imlnere  malae  hominis  -  Genua. 

Professori  A.  De  Bella  et   Doctori  I.   Marengo  dicatum. 

* 
«  * 

Acrenioniella  Berti  u.  sp. 

Dal  dott.  Giuseppe  Berti,  assistente  alla  Clinica  chirurgica  degli 
Istituti  di  studi  superiori  di  Firenze  diretta  dal  prof.  Burci,  ebbi,  per 
esame,  colture  di  miceti  da  lui  trovati  in  un  tumoretto  avente  l'aspetto 
di  un  granuloma,  asportato  dalla  gamba  di  una  donna;  tali  colture,  ino- 
culate in  cavie  producono,  mi  scrive  il  dott.  Berti,  dei  granulomi.  Esa- 
minate le  colture  inviatemi,  risultano  costituite  da  due  specie  di  mi- 
ceti,  una  appartenente  alle  Mucedicaceae  e  l'altra  alle  Dematiaceae  e 
precisamente  una  al  genere  PenicilHum  Link,  e  l'altra  al  genere  Acre- 
moniella  Sacc.  Tali  specie  le  ho  trovate  associate  in  ogni  tubo  di  col- 
tura. Coltivandole  nel  solito  terreno  sopradescritto  in  vetrino  con  va- 
schetta, ho  potuto  seguire  il  loro  sviluppo,  il  che  mi  ha  permesso  di 
studiare  in  ogni  particolare  la  loro  genesi  e  la  loro  struttura  e  di  sta- 
bilire che  sono   due  specie   non   ancora   state   descritte    dai    micologi. 


—  127  — 

Specie  nuove  quindi  clie  ho  dedicate  una  al  dott.  Berti  che  è  stato  il 
primo  ad  isolarle  e  l'altra  al  cliiar."  chirurgo  prof.  Burci  direttore  della 
Clinica  Chirurgica  di  Firenze.  Del  Penicillium  sono  riuscito  ad  otte- 
nere delle  colture  pure,  non  così  àé\V Acremoniella.  Nessuna  Acremoniella 
finora  era  stata  trovata  sul  corpo  umano  o  di  animali. 

Intorno  all'azione  parassitaria  di  tali  specie  sta  facendo  ricerche 
il  dott.  Berti.  Io  mi  limito  a  darne  la  figura,  la  diagnosi  e  la  det- 
tagliata descrizione. 

Nei  primi  stadi  di  sviluppo  il  micelio  piuttosto  granuloso  AeW Acre- 
moniella produce  dei  conidiofori  con  un  solo  conidio  all'apice,  dapprima 
pressoché  ialini,  tanto  che  parrebbe  si  trattasse  di  una  Mucedinacea  e 
precisamente  del  genere  Acremonium,  ma  ben  presto  i  conidi  si  colo- 
rano in  bruno  intenso  ed  il  micete  assume  tutti  i  caratteri  del  genere 
Acremoniella. 

Non  bisogna  confondere  gli  stadi  giovani  di  sviluppo  del  Penicil- 
lium Burci  con  quelli  à^W Acremoniella,  cui  spesso  vive  associata.  Mentre 
le  ife  fruttifere  del  Penicillitim  portano  all'apice  un  rigonfiamento  che 
rimane  ialino  e  poi  si  trasforma  in  sterigma,  il  rigonfiamento  dei  coni- 
diofori àeW Acremoìiiella  si  trasforma  in  spora  colorata  globosa  che  si 
distacca  e  riproduce  la  specie. 

I  conidiofori  non  ramificati  sono  generalmente  più  stretti  del  mi- 
celio, sono  spesso  settati  e  rimangono  ialini.  I  conidii  sono  sferici,  ra- 
ramente oviformi,  lisci;  rarissimamente  si  osserva  un  rigonfiamento  nel- 
l'apice del  conidioforo  come  in  fig.  10  della  tav.  XXX;  questo  caso  va 
considerato  come  un'anomalia.  Ogni  conidioforo  porta  solo  un  conidio 
bruno,  che  si  distacca  e  germina  producendo  dapprima  un  budello  mi- 
celico  come  in  fig.  9  (tav.  XXX),  poi  il  micelio  si  ramifica  e  dà  origine 
ai  conidiofori. 

Ecco  la  diagnosi  della  nuova  specie: 

Acremoniella  Berti  n.  sp. 

Coloniis  ■puris  non  obtentis;  hyphis  sterilibus  repentibus,  ratnosis,  sep- 
tatis,  hyalinis,  sparsis,  4-5  f^i  diam.;  conidiopìioris  erectis  vel  curvatis,  non 
ctispidatis,  hyalinis,  15'25  /.i  longis;  conidiis  globosis,  continuis,  6-7  fi  diam. 
fuscis. 

Habitat  in  parvo  tumore  muliebris,  socio  Penicillio  Burci  n.  sp.; 
Florentia. 

Doctori  Joseplio  Berti  dicala. 


128  — 


Peuicillium  Burci  u.  sp. 

Insieme  alla  specie  precedente  nelle  stesse  colture  si  scorgono 
abbondantissime  spore  continue  molto  più  piccole,  debolmente  colorate 
in  bruno,  che,  se  il  preparato  è  fatto  con  il  materiale  tolto  dai  tubi  di 
coltura,  difficilmente  si  presentano  disposte  a  catena  perchè  con  facilità 
si  distaccano  dai  brevi  conidiofori,  ma  se  si  osserva  una  microcoltura 
in  vetrino  da  microscopio  con  vaschetta,  esse  appaiono  tutte  in  fitte  e 
numerosissime  catenelle  alle  quali  è  dovuto  l'aspetto  cotonoso  della 
coltura.  Grli  sterigmi  sono  brevi  e  sottili  (vedi  fig.  4-5-6,  tav.  XXXI) 
ed  il  micelio  ramificato  è  nelle  vecchie  colture  spesso  nascosto  dal  gran 
numero  delle  catenelle  che  in  ogni  senso  lo  ricoprono.  Il  micelio  a  svi- 
luppo avanzato  è  grosso,  molto  settato  e  verrucoso  (fig.  1,  tav.  XXXI). 
Seguendo  lo  sviluppo  del  micelio  osservasi  facilmente  la  formazione 
dapprima  di  brevi  conidiofori  sui  quali  si  sviluppano  spore  minute  per 
lo  più  globose,  raramente  a  forma  di  botte,  disposte  a  catena;  in  questo 
stadio  il  micete  potrebbe  essere  determinato  come  un  Oospora  e  pos- 
siede infatti  i  caratteri  dati  dal  Wallr  per  tale  genere  (fig.  4,  tav.  XXXI), 
ma  ben  presto  i  conidiofori  formano  veri  sterigmi  e  talvolta  anche  nu- 
merosi che  portano  tutti  catenelle  di  spore.  A  completo  sviluppo  così 
il  fungo  acquista  la  forma  defiuitiva  caratteristica  di  Pemcillium  (fig.  .5-6, 
tav.  XXXI). 

Sovente,  se  non  sempre,  all'apice  dell' ifa  fruttifera  si  forma  un 
rigonfiamento  che  potrebbe  essere  confuso  con  uno  stadio  giovane  di 
Acremoniella  Berti;  ma  mentre  i  conidiofori  di  questa  specie  producono 
una  spora  globosa  colorata  che  si  distacca  viproducenJo  la  specie,  i  ri- 
gonfiamenti rotondi  che  si  formano  all'apice  dei  giovani  conidiofori  del 
PeniciUium  sono  jalini  e  si  trasformano  presto  in  sterigmi  sui  quali  si 
formano  catene  di  spore. 

Sul  corpo  dell'uomo  e  degli  animali  finora  sono  stati  trovati,  per 
quanto  io  sappia,  il  Pemcillium  crustaceum  (Link.)  Fries.  ;  il  P.  minimum 
Siebenmann,  il  P.  pictor  Naveau-Lamaise,  il  P.  brevicattle  var.  hominis 
Brumpt  et  Langeron,  il  P.  mycetomagenum  Mantelli  e  Negri  ed  il  P.  Ani- 
sopliae  Vuillemin.  La  specie  sopradescritta  oltre  che  per  la  novità 
ieW  habitat,  non  corrisponde  alle  descrizioni  date  dai  diversi  autori 
per  queste  specie  e  neppure  alle  numerose  altre  elencate  nella  Sylloge 


—  129  — 

Saccardo  ed  a  quelle  studiate  da  Dierckx  '  da  Tlioin  ^  e  da  Soop  ^  Ecco 
la  diagnosi  della  nuova  specie  : 

Penicillium  Bdrci  n.  sp. 

Coloniis  in  agaro  cum  glucosio  cultis,  albis,  floccosis,  dein  griseo-avel- 
laneis;  hijphis  sterilibus  ramulosis,  hi/aìinis,  septatis,  repentibus  vel  adscen- 
dentibus,  6-7  ^  diam.;  conidiophoris  erectis,  simplicibus,  septatis,  hyaìinis 
50-110  fi  longis,  sursnm  paucos  rainulos  gerentibus.  Raimdis  in  catenulas 
conidiorum  abeimtihus;  conidiis  globosis,  rariter  ellipsoideis,  levibus,  pallide 
fuligineis,  4-5  /.i  diam. 

Habit.  ili  parvo  tumore  mulieris,  socia  Acremoniella  Berti  n.  sp. 
Fìorentia. 

Clarissimo  Chirurgo  Biirci  dicatum. 


* 
*  * 

Torula  Pais  n.  sp. 

Nella  Clinica  Dermosifilopatica  dell'Università  ai  Sassari  diretta 
dal  prof.  Cosimo  Lombardo,  l'assistente  dott.  Luigi  Pais  ha  isolato  da 
nodosità  all'esterno  di  peli  delle  ascelle  di  un  soldato,  un  ifomicete 
a  me  consegnato  per  studio;  in  questo  caso,  pur  avendo  un  aspetto  di 
trichomitosi  palmellina,  pure  le  nodosità  presentavano  delle  differenze 
dal  comune  reperto  (simbiosi  di  schizomiceti  eromogeni  e  di  Trycho- 
myces  miiiutissimum  Duacq.) 

Il  dott.  Pais  sta  studiando  se  sia  da  escludersi  che  il  reperto  possa 
essere  accidentale,  poiché  questo  fungo  non  è  stato  ancora  isolato  da 
casi  consimili  e  poiché  non  é  stato  possibile  a  lui  finora  di  rivedere 
l'infermo  onde  riprendere  abbondante  materiale  per  controllo;  ad  ogni 
modo  il  micete  suddetto  appartiene  ad  una  specie  non  ancora  descritta 
di  Torula  Pers.  che  dedico  al  dott.  Pais.  Il  micete  presenta  le  seguenti 
caratteristiche: 


1  DiBRCKX,  Essai  de  revisiot)  du  genre  «  Penicillium  »    in  Aiiiiales  de  la  So- 
ciété  scientifique  de  Bruxelles,  1900. 

2  Ch.  Thdm,   Cultural  stud.  o/"  «  Penicillium  »  in  Bull.   118  Dep.  of  Agricul- 
tui-  Washington,  1910. 

*  0.  I.  0.  Soop,  Monographie  dei-  Pilzgnippe  Pciiici/lìiivi  in  A'idenskapssels- 
kapet  i  Ki-istiania,  1912. 

Jin  dell'Jst.  Boi.  dell' InircrsiUi  di  rafia       Serie  11  —  Voi.  XVIII.  9 


—  130  — 

Le  colonie  coltivate  nel  solito  tei'reno  glucosato,  assumono  presto 
un  colore  nero  intenso,  con  superficie  verrucosa,  lanugginose  ai  margini; 
il  micelio  osservato  nelle  microcolture  appare  ramificato,  jalino  all'estre- 
mità e  sottile  agli  apici  (fig.  7,  tav.  XXXI)  che  si  ingrossa  e  diventa 
brunastro  verso  il  centro  della  colonia;  sui  filamenti  niicelici  si  formano 
brevi  conidiofori,  uguali  per  aspetto  alle  altre  ife,  ed  all'estremità  di  queste 
si  formano  conidii  globosi,  neri,  riuniti  in  catene  lungiie,  per  lo  più  pie- 
gate a  falce  (fig.  7,  tav.  XXXI)  e  formate  da  una  sola  serie  di  spore; 
in  avanzato  sviluppo  è  frequente  il  caso  di  osservare  che  i  conidiofori 
portino  conidii  neri  formanti  dei  glomeruli  (vedi  fig.  8,  tav.  XXXI).  In 
questo  stadio  di  sviluppo,  se  si  osserva  la  coltura  con  piccolo  ingrandi- 
mento, il  micete  appare  di  forma  petiicilUare,  mentre  per  i  particolari 
di  struttura  e  di  sviluppo  descritti  prima  evidentemente  l'ifomicete  va 
ascritto  al  genere  Tortila  Pers.  Finora  nessuna  specie  di  questo  genere 
è  stata  trovata  sul  corpo  umano  o  di  animali.  Delle  numerose  specie 
descritte  a  conidii  lisci,  nessuna  presenta  i  caratteri  di  questo  nuovo 
interessante  ifomicete  del  quale  dò  la  seguente  diagnosi  : 

ToRULA  Pais  n.  sp. 

Coloniis  in  agaro  glucosato  cnltis  tiigris,  verrucosis,  margine  lamigi- 
ttosis:  hyphys  sterilibus  ramosix,  parce  septatis,  apice  hyalinis  et  subtilibus, 
dein  pallide  olivaceis  ac  crassiorihns  4-6  ;i  diam.,  conidiophoris  brevibus, 
parce  septatis,  olivaceis,  4-12  /.t  longis;  conidiis  globosis,  levibus,  in  catena 
digestis,  vel  glomeratis,  fuscis,  4-5  /(  diam. 

Habit.  in  pilis  axillae  hominis,  Sassari. 

Doctori  Aloysio  Pais  dicata. 


131 


SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE 


Tavola  XXX. 
Fìtì;.  1-6.  Ha]>lo^raphium  De  Bella  Marengo  n.  sj). 

Fig.     1  —  Estremità  di  ite  mioeliali  (obb.  C.  Zeis,  oc.  4  Koristka). 
»       2  —  Estremità  di  conidiotbro  con  4  sterigmi  (obb.  8*,  oc.  4  Kor.). 

3  —  Giovane  conidiotbro  (obb.  8,  oc.  4  Kor.). 
»       4  —  Conidioforo  con  numerosi  sterigmi  e  conidii  (obb.  8*  oc.  4  Kor.). 
•       .5  —  Conidiotbro  con  5  sterigmi  e  conidii  fobli.  8,  oc.  4  Kor.). 
»       6  —  Micelio,  conidiofori  e  conidii  visti  a  piccolo  ingrandimento  in   micro- 
colture (obb.  A  Zeis,  oc.  4  Kor.). 

Fig.  T  12.  Acremoniella  Berti  n.  sp. 

Fig.     7  —  Conidioforo  con  conidii  (obb.  8*,  oc.  4  Kor.). 
8  —  Conidii  isolati  (obb.  8*,  oc.  4  Kor.). 

>  9  —  Gonidio  in  germinazione  (obb.  9,  oc.  4  Kor.). 
»     IO  --    Conidioforo  anormale  (obb.  8,  oc.  4  Kor.). 

•>     11  —  Giovane  conidioforo  con  conidio  in  formazione  (obb.  8,  oc.  4  Kor.). 
»      12  —  Micelio,  conidiofori  e  conidii  a  piccolo  ingrandimento   in  microcolture 
(obb.  B  Zeis,  oc.  4  Kor.). 

Tavola  XXXI. 
Fig.  1-6.  Penicilliam  Bnrcì  u.  sp. 

Fig.  1  —  Micelio  a  completo  sviluppo  (obb.  8*,  oc.  4  Kor.). 

■>  2  —  Estremità  del  micelio  (obb.  8*,  oc.  4  Kor.). 

>  3  —  Diverse  forme  di  conidii  distaccati  dagli  sterigmi  (obb.  9,  oc.  4  Kor.). 

>  4  —  Formazione  dei  conidiofori  e  conidii  (stadio  di  pseudo   Oospora)  (obb. 

8*,  oc.  4  Kor.). 

»       .T  —  Conidiofori consterigiui  e  conidii  a  completo  sviluppo  (obb.  8,  oc.  4  Kor.). 

o       6  —  Micelio,  conidiofori  e  conidii  visti  a  piccolo  ingrp,ndiment.o,  in  micro- 
coltura Tobb.  A  Zeis,  oc.  4  Kor.). 

Fig.  7-9.  Tornla  Pais  n.  sp. 

Fig.     7  —   Micelio  con  couidiofuri  e  conidii   in  giovane  stadio  di  sviluppo  (obb.  8*, 
oc.  4  Kor.). 

>  8  —  Micelio  con  conidiofori  in  stadio  di  completo  sviluppo  (obb.  8*,  oc.  Kor.). 
»       9  —  Micelio  con  conidiofori  e  conidii  in  microcoltiira  visto  a  piccolo  ingran- 
dimento (obb.  A  Zeis,  oc.  4  Kor.). 

n»l  Lalioratorio  (ritto^siiiico  di  Pavia  —  giugno  1921. 


I 


ISTITUTO  BOTANICO  DELLA  R.  UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

LABORATOKIO  CRITTOGAMICO  ITALIANO 


EFFETTI  DELLA  SENILITÀ 
DELLE  PIANTE 

NOTA    PRELIMINARE 

del  Dott.  LUIGI  MONTEMARTINI. 

In  UQ  lavoro  pubblicato  nel  1915  nelle  memorie  della  Stazione  Spe- 
rimentale Agraria  di  Itliaca  ',  M.  B.  Harris,  con  una  serie  di  minute 
e  pazienti  osservazioni  fatte  su  foglie  di  Vitis  vulpina  e  di  qualche 
altra  fanerogama,  ha  dimostrato  che  le  zone  delimitate  dalle  ultime 
nervature  sono  della  medesima  grandezza  o  superficie  nelle  diverse 
parti  di  nna  foglia,  e  mentre  tale  grandezza  si  presenta  costante  né 
varia  col  variare  delle  dimensioni,  o  dello  spessore,  o  dell'esposizione 
delle  singole  foglie  di  una  stessa  pianta  o  di  piante  eguali  e  vicine 
tra  loro,  essa  cambia  invece  coll'età  della  pianta,  e  precisamente  è 
maggiore  nelle  foglie  delie  piante  più  giovani  e  diminuisce  in  quelle 
delle  piante  più  vecchie,  con  una  oscillazione  da  1  (media  di  mm.^  0,515 
nelle  foglie  di  una  vite  di  3  anni)  a  0,267  (media  di  mm.^  0,1376  nelle 
foglie  di  una  vite  di  70  anni). 

Questa  differenza,  secondo  l'Harris,  non  può  essere  attribuita  ciie 
alia  senilità  "  la  quale  ha  per  effetto  di  assicurare  uno  sviluppo  più 
"  denso  del  sistema  delle  nervature,  con  una  riduzione  delie  zone  com- 
"  prese  tra  le  nervature  stesse  „,  fino  a  potersi  determinare  l'età  della 
pianta  (computata  dalla  sua  derivazione  dal  seme,  perchè  la  moltipli- 
cazione vegetativa  per  innesto  o  per  talee  conserva  i  caratteri  della 
pianta  originaria)  dal  numero  delle  nervature  che  attraversano  una 
linea  retta  di  due  centimetri  di  lunghezza  tracciata  sulla  foglia. 


'  «  Cornell  University  Agricultiiral  experiment  Station  of  the  College  of 
Agriculture  » ,  Memoria  n.  7.  Itliaca,  New  York,  giugno  1915. 

Di  questa  Memoria,  della  quale  non  ho  potuto  avere  l'originale,  è  pubbli- 
cato un  largo  riassunto  nel  Bollettino  mensile  di  informazioni  agrarie  deìVIntitiifo 
Intern.  di  Agricoltura  di  lioma  (Anno  vii,  u.  9). 


—  134  — 

Non  può  sfuggire  a  nessuno  l'importanza  delle  osservazioni  del- 
l'Harris e  l'opportunità,  affermata  dallo  stesso  studioso  americano,  di 
confermarle  ed  ampliarle,  per  il  contributo  che  esse  possono  portare 
alla  soluzione  di  interessanti  problemi  teorici  e  pratici  quali  quelli  della 
senilità  e  della  degenerazione  delle  piante  che  da  secoli  sono  ripro- 
dotte solo  per  innesti  o  per  talee. 

Ond'è  che  mentre  affidai  alla  Signorina  G.  Varinelli,  che  studia  nel 
nostro  Istituto  Botanico,  il  compito  di  estendere  le  indagini  ad  altre 
specie  e  ad  altri  caratteri  anatomici  e  cercare  sperimentalmente  le 
cause  0  le  condizioni  del  fenomeno,  ho  voluto  intanto  vedere  l'effetto 
della  senilità  sopra  le  ceneri  contenute  nelle  foglie,  e  ciò  sia  per  por- 
tare anche  da  questo  lato  un  piccolo  contributo  alla  soluzione  del  pro- 
blema, sia  per  estendere  le  mie  precedenti  osservazioni  *  sopra  la  circo- 
lazione e  la  funzione  delle  sostanze  minerali  nelle  foglie. 

Per  ora  mi  limitai  a  fare  ricerche  solo  quantitative:  più  avanti 
comunicherò  i  risultati  di  analisi  qualitative  già  in  corso. 

Confrontai  foglie  di  alberi  vecchi  e  di  piante  giovani  derivate  da 
semi  caduti  da  esse  e  crescenti  nelle  vicinanze  di  essi.  Operai  sopra 
materiale  colto  sempre  di  mattino,  esposto  egualmente  alla  luce,  e  oc- 
cupante sul  ramo  che  lo  portava,  posizioni  analoghe. 

I  dati  che  comunico  rappresentano  la  media  di  almeno  due  de- 
terminazioni : 

La  percentuale  delle 'ceneri  rispetto  al  peso  secco  è  risultata: 

in  foglie  di  Platanus  occidentalis  vecchio  (oltre  1 20  anni),  1 1,20 

«       r      „         «               n           giovane           (1.5  anni),  10,32 

\ntog\\%'ììAesculushippocastanus\&cc\no           (40  anni),  8  78 

^       „         V               „            giovane             (4  anni),  7,43 

in  fogliedi.4escM/!<sA«p^jocas/«MKSvecciiio  (oltre  100  anni),  9,64 

giovane  (3  anni),  8,41 

in  iogW&AiAbiespectinata  vecchio!  circa  100 anni),  penult  raessa4,62 

"      ..       «      -,  n  giovane  (15  anni),      „         „      3,16 

n       n       »      ,,  1.  vecchio  —  ultimamessa3,34- 

"       "      .,  „  giovane  —  „  2,81 


>  Sopra  la  circolazione  delle  sosfaiize  minerali  nelle  /'oylie:  in  Atti  Ist.  Bot. 
di  Pavia,  Ser.  ii,  voi.  xvii. 

2  II  confronto  tra  le  foglie  della  penultima  e  dell'ultima  messa  delle  mede- 
sime piante  conferma  l'osservazione  del  Briosi  {Intorno  alle  sostanze  minerali  nelle 
foglie  delle  piante  sempreverdi;  in  Atti  Ist.  Bot.  di  Pavia,  Ser.  ii,  voi.  i,  1888) 
sopra  l'aumento  delle  ceneri  coU'età. 


—  135  — 

Si  vede  partauto  che  le  foglie  delle  piante  vecchie  contengono  una 
maggioi-  percentuale  di  ceneri  rispetto  al  loro  peso  secco. 

È  ciò  in  relazione  al  fatto  che  in  esse  il  sistema  delle  nervature 
è  più  fitto  e  che  le  nervature  contengono  una  maggiore  quantità  di  ce- 
neri del  mesiifillo?'  0  il  fenomeno  rivela  caratteri  speciali  di  senilità 
anche  nelle  cellule  del  mesofillo  ? 

È  quanto  si  dovrà  vedere  colle  analisi  qualitative  già  iniziate. 

haU'Istitnto  Itotiiairo  (1ell'('iiÌTersitù  <ii  Puviii.  ifititruo  lìt21. 


1  Sono  poche  le  osservazioni  che  si  hanno  in  proposito  (veggasi  la  Memoria 
del  Briosi  qui  sopra  citata  e:  Fr.  Czapek,  Bìocheniie  der  Fflanzeii,  Bd.  ii,  p.  788, 
Jena,  1905i,  ma  sufficienti  per  potere  asserire  che  le  nervature  delle  foglie  conten- 
gono una  maggiore  quantità  di  ceneri  del  mesofillo. 

Ho  voluto  rifare  qualche  osservazione  nuova  sopra  le  foglie  di  ippocastano 
isolando  le  nervature  mediane  delle  singole  fogliette  dal  resto  del  lembo  ed  ho 
visto  che  le  prime  contengono  il  10,32  per  cento  della  .sostanza  secca  in  ceneri, 
il  lembo  solo  il  10,03. 


ISTITUTO  BOTANICO  DELLA  R.  UNIVERSITÀ  DI  PAVIA 

K 

LABORATORIO  CRITTOGAMICO  ITALIANO 


AGGIUNTE  ALLA  FLORA  PAVESE 


NOTA 

del   Dott.    LUIGI    MAFFEI. 

Chi  osserva  la  carta  geologica  della  Provincia  di  Pavia  '  vede  a 
colpo  d'occhio  la  diversa  natura  dei  terreni  che  la  compongono,  la  loro 
conformazione  piana  o  montuosa  e  il  numero  non  lieve  dei  corsi  d'acqua, 
sia  naturali  che  artificiali,  che  l'attraversano.  Infatti  la  nostra  Provincia 
è  costituita  in  parte  dalla  pianura  formata  dalle  alluvioni  del  Po,  sol- 
cata da  diversi  fiumi,  primo  fra  questi  il  Ticino,  da  torrenti  e  da  altre 
correnti  minori;  dalla  collina,  ubertosa  in  quasi  tutta  la  sua  estensione, 
pure  attraversata  da  torrenti  e  torrentelli  diversi;  dalla  montagna  che 
in  certe  località  contrasta  maggiormente  con  la  collina  per  la  gran  vi- 
cinanza delle  due  formazioni. 

Ricorderò  che  nell'Appennino  Pavese  si  hanno  diverse  vette  che 
oscillano  tra  i  1200  e  1700  m.,  quali  sarebbero,  per  citare  le  più  impor- 
tanti, quelle  dei  massicci  calcari  del  M.  Penice  (1462),  del  Lesima  (1727), 
del  M.  Alfe  (16.51),  del  Boglelio  (1490),  ecc.  e  quelle  dei  massicci  ser- 
pentinosi  del  M.  Veri  (12^4),  dell'Oramala  (1525),  del  M.  Dego  (1407) 
del  Eoccabruna  (I419j,  ecc. 

Tale  varietà  di  costituzione,  oltre  che  dal  punto  di  vista  geologico, 
è  altrettanto  interessante  per  il  botanico  sia  per  la  diversità  dei  ter- 
reni e  le  specie  che  ospitano,  sia  per  l'abbondanza  d'irrigazione  data 
da  fiumi  e  canali  che,  scendendo  dalle  Alpi  da  disparate  altezze  e  per- 
correndo regioni  diverse,  diffondono,  col  dilagare  delle  proprie  acque, 
molte  specie  e  varietà  non  sempre  comuni. 

E  interessante  la  valle  del  Ticino  dove  questo  scorre,  si  può  dire, 
fra  boschi  di  querele   e    pioppi  che,  pur  troppo,  negli  ultimi  anni  per- 


'   Vedi  T.  Tahamei.li  ,  Descriz.  geologica  della  Provincia  di  Pavia.  Novara  1916. 
Atti  delflst.  Boi.  dell'Università  di  Pavia  —  Serie  n  -  Voi.  XVIU.  10 


—  138  — 

dettero  tutta  la  loro  maestosità  perchè  in  gran  parte  abbattati  lasciando 
alle  piene  del  fiume  ampia  libertà  di  espandersi  in  tutti  i  sensi  causando 
spesso  non  pochi  danni. 

Oltre  alla  ricca  flora  del  bosco  e  del  sottobosco  interessano  il  bo- 
tanico, per  l'aspetto  proprio  e  caratteristico  che  assumono,  le  diverse 
associazioni  delle  piante  acquatiche  delle  lanche  che  il  Ticino,  durante 
il  suo  corso  irregolare,  forma  e  periodicamente  distrugge. 

Mi  piace  ricordare,  per  esempio,  che  a  Nord  di  Pavia,  distante  due 
ore  di  barcheggio,  il  cosidetto  Canale  da  Riva,  segnato  nelle  carte  anche 
sotto  i  nomi  di  Venario,  Venerio,  Venera  e  le  lanche  laterali  della  Man- 
gialocca  sono  il  residuo  di  antichi  rami  del  Ticino.  Il  Canale  da  Riva 
sbocca  nel  fiume  a  poche  centinaia  di  metri  a  monte  dell'idrometro  del 
Canarazzo  ed  ha  un  percoiso  di  circa  sette  chilometri  di  lunghezza. 

La  flora  acquatica  in  detta  località  formata  da  Phragmites,  Scirpus, 
Typha,  Nasturtium,  Nymphaea,  Myriophylìam,  Vnllisneria,  Pofamogeton, 
Ranunculus,  Helodea,  ecc.,  ecc.,  è  tanto  abbondante  e  cresce  cosi  intensa 
che  tutti  gli  anni  si  deve  tagliare  per  dar  sfogo  alle  acque,  perchè  il 
Canale  da  Riva  funziona  da  collettore  di  quasi  tutte  le  acque  irrigatrici 
di  quella  zona.  Cosi  pure  interessano  tanto  le  lanche  che  si  incontrano 
risalendo  il  Ticino  fino  a  Vigevano  dove  la  flora  è  periodicamente  sog- 
getta all'influenza  delle  correnti,  quanto  quelle  che  si  possono  trovare 
ancora  qua  e  là  nell'antico  letto  del  fiume  e  ad  acqua  completamente 
stagnante. 

Ancora  nella  pianura  troviamo,  in  mezzo  a  colture  intensive,  loca- 
lità abbandonate  e  che  assumono  un  carattere  proprio.  Cito,  ad  esempio, 
le  sabbie  dei  dintorni  di  Gambolò  e  Remondò  ciie  sono  ricoperte  da 
ginestre. 

Interessante  per  il  botanico  è  anche  il  carattere  marino  di  talune 
piante  che  crescono  spontanee  in  alcune  località  dove  vi  sono  sorgenti 
di  acque  salse. 

Ricorderò,  ad  esempio,  riportando  quanto  scrive  il  prof.  T.  Tara- 
nielli  nella  Descrizione  geologica  della  Provincia  Pavese,  che  "  nelle  saline 
"  tra  Miradolo  e  Monteleone,  le  meglio  conosciute,  ed  a  quelle  di  Carapo- 
"  spinoso,  al  luogo  detto  il  Borone  od  il  Tombone  di  Roveda,  la  flora 
"  marittima  compare  manifestissima,  con  poche  specie,  è  vero,  ma  ben 
"distinte  e  caratteristiche.  Esse  sono:  Salicomia  herbacea  h.,  Aster  tri- 
"  polium  L.,  Bupleurum  ienuissimum  L.  e  Polypogon  monspelliense  Desf. 
"  Di  esse  però  sono  ordinariamente  inseparabili  compagne  alcune  poche 
"  specie  di  piante,  le  quali  tuttavia  non  si  riscontrano  esclusivamente 
"  alle  Saline  o  nei  dintorni,  benché  abbiano  habitat  assai  circoscritto, 
"  come  ad  esempio  le  sabbie  delle  sponde  e  delle  isole  del  Po.  Tra  le 


—  139  — 

"  piante  appartenenti  a  questo  gruppo  le  seguenti  furono  sino  ad  ora 
"  raccolte  alle  indicate  Saline:  Salsola  Kali  L.,  Coryspermum  hyssopifo- 
"  lium  L.,  Inula  graveolens  Desf.,  Scirpus  TaberncBmoutani  Gin.  e  Tragus 
"  racemosus  Desf.  , 

Di  particolare  interesse  è  poi  il  carattere  speciale  della  flora  del- 
l'Appennino Pavese  di  cui  si  occuparono  diversi  autori  e  specialmente 
il  Pavarino  che  studiò  la  flora  in  rapporto  con  l'ambiente  e  sopratntto 
con  le  condizioni  fisico-chimiclie  del  terreno. 

Molti  sono  stati  gli  autori  che  .si  occuparono  della  flora  faneroga- 
mica  del  Pavese,  per  cui  questa  è  fra  le  più  conosciute.  I  primi  lavori 
risalgono  alla  prima  metà  del  secolo  scorso  e  sono  quelli  ben  noti  del 
Nocca  e  Balbis,  del  Bergamaschi,  del  Rota;  seguono  i  più  recenti  del 
Traverso,  del  Farneti,  che  della  flora  ricercò  le  origini,  del  Pavesi,  del 
Pavarino,  del  Pollacci  e  ultimamente  del  Fiori.  Pur  tuttavia,  quantunque 
sia  un  campo  assai  studiato,  la  flora  del  Pavese  presenta  sempre  nuove 
attrattive  e  nuovo  materiale  di  studio. 

* 

*  * 

Consultando  gli  erbari  della  Flora  Pavese  esistenti  all'Istituto  Bo- 
tanico e  al  Museo  Civico  di  Pavia  ho  potuto  ricavare  parecchie  specie 
ivi  conservate  non  ancora  determinate  o  se  determinate  non  ancoia 
ascritte  alla  Flora  Pavese.  A  queste  ne  ho  aggiunte  altre  da  me  rac- 
colte formando  uu  piccolo  elenco  che  credo  utile  di  pubblicare  contri- 
buendo così,  sia  pure  con  poco,  alla  conoscenza  della  flora  fanerogamica 
del  Pavese. 

Le  piante  da  me  raccolte  fui'ono  pure  depositata  nell'Erbario  del- 
l'Istituto Botanico  di  Pavia. 

* 

*  * 

Presso  il  Museo  Civico  annesso  all'Istit.  Tecnico  di  Pavia  è  conser- 
vato un  erbario  della  Flora  Pavese  (Herbarium  Papiense  secundum  "Nocca: 
Flora  Ticinensis  „  ordinatum)  che  comprende  circa  1200  fanerogame  e 
pressoché  200  crittogame.  Qualche  anno  fa  quest'erbario  trovavasi  depo- 
sitato e  abbandonato  alla  rinfusa  presso  l'ex  Orto  Agrario  di  Pavia.  Di 
là  fu  levato  e  consegnato  al  Museo  Civico  dove  per  opera  volonterosa 
del  Conservatore  di  quel  Museo,  signor  Angelo  Carabelli,  fu  ripulito 
e  riordinato,  seguendo  le  indicazioni  che  portavano  i  cartellini,  secondo 
il  sistema  di  Linneo.  Pur  troppo,  a  detta  del  signor  Carabelli,  una  buona 
parte  andò  perduta  per  il  lungo  abbandono,  per  il  cattivo  stato  di  con- 


—   140  — 

servazione,  mancandovi  i  cartellini  di  determinazione,  il  nome  dell'autore, 
la  località  di  raccolta,  e  per  lo  stato  polverulento  in  cui  erano  ridotte 
le  piante  stesse. 

Pur  tuttavia  il  signor  Carabelli  è  riuscito  a  riordinarne  un  buon 
numero  formando  un  ricco  erbario  ricordo  di  illustri  Autori  che  primi 
si  occuparono  della  iìora  Pavese,  poiché  dette  piante  furono  raccolte  dal 
Nocca,  dal  Bergamaschi,  dal  Moretti,  dal  Rota.  La  maggior  parte  delle 
Crittogame  (muschi  e  licheni)  fu  raccolta  dal  Bozzi  '.  Ad  arricchire  poi 
detto  erbario  ha  contribuito  anche  il  Carabelli  aggiungendovi  esemplari 
da  lui  stesso  raccolti. 

L'erbario  conserva  esemplari  ancora  bellissimi  quantunque  siano 
raccolti  da  oltre  un  secolo,  altri  sono  incompleti,  alle  volte  ridotti  a  poche 
parti  di  pianta  e  talora  mancanti  delle  parti  più  necessarie  che  possano 
permettere  una  giusta  determinazione;  tuttavia  tutte  ne  portano  una  con 
la  località  di  raccolta  e  col  nome  dell'autore.  Quest'ultimo  fu  aggiunto 
dal  Carabelli  ricavandolo  dal  nome  che  portavano  i  pacchi  allorché  fu- 
rono trasportati  dall'Orto  Agrario  al  Museo  Civico.  Nell'elenco  non  figu- 
rano quelle  piante  che,  stando  alla  determinazione  che  portano,  sareb- 
bero nuove  per  la  Provincia  di  Pavia,  perchè  non  mi  riuscì  di  poterle 
controllare  per  mancanza,  come  ho  detto,  delle  principali  parti  indispen- 
sabili al  loro  riconoscimento. 

Con  questa  contribuzione,  frutto  dello  studio  delle  piante  esistenti 
nei  due  erbari  sopra  citati  e  di  altre  da  me  raccolte,  si  va  ad  arricchire 
la  flora  Pavese  di  circa  7.5  specie. 

Nella  disposizione  sistematica  ho  seguito  la  Flora  analitica  d'Italia 
di  A.  Fiori,  Gt.  Paoletti  e  Béguinot. 


'  Bozzi  L.,  Muschi  dulia  Provincia  di  Paria.  Milano,   1883. 


141  — 


BIBLIOGRAFIA 


Per  quauto  riguarda  la  Bibliogra6a  della  flora  tanerogamica  della  Provincia 
di  Pavia,  confronta  anche:  Pollac'Ci  G.,  Aggiiuìte  alla  flora  Ticinese,  in  Atti 
Ist.  Bot.  di  Pavia,  ser.  ii,  voi.  xv,  p.  5:-5,   1911,  dove  sono  citate  28  pubblicazioni. 

Béguinot  a.  e  Mazza  O.,  Le  avventizie  esotiche  della  flora  italiana  e  le  leggi 
che  ne  regolano  l'introduzione,  e  la  naturalizzazione,  in  Nuovo  Giorn.  Bot.  Ita!., 
nuova  serie,  tom.  23,  pag.  403  e  495.  Firenze  1916. 

Bbrtoloni,  Flora  Italica.  Bologna  1847. 

Cesati  V.,  Passerini  e  Gibelli,  Compendio  della  flora  italiana.  Milano  1886. 

Cesati  V.,  Sfirpes  italicae  rariores  vel  novae  descriptionibus  iconibiisque  illu- 
stratae.  Mediolani  1840. 

Cesati  V.,  Saggio  su  la  geografia  botanica  e  su  la  flora  della  Lombardia. 
Milano  1844. 

Fiori  A.,  [j  Elodea  canadensis  Michx  nel  Veneto  ed  in  Italia,  in  Malpighia  ix, 
189B,  p.  119. 

Fiori  A.,  Contribuziotie  alla  flora  dei  serpentini  del  Pavese,  in  Bull.  Soe.  Bot. 
Ital.,  n.  2-6,  pag.  39.  Firenze  1919. 

Pavesi  V.,  Studi  comparativi  su,  tre  specie  di  pajiaveri  nostrali,  in  Atti  Ist. 
Bot.  di  Pavia,  ser.  ii,  voi.  ix,  pag.  183,  1905. 

Pavesi  V.,  Intorno  ad  un  alcaloide  del  Papaver  dubium,  in  Rendiconti  Reale 
Ist.  Lomb.  di  Scienze  e  Lettere,  serie  ii,  voi.  xxxviil,  fase,  ii,  1905. 

PiROTTA  R.,  Sulla  presenza  in  Lombardia  della  Commelina  communis  L.,  in 
Nuovo  Giorn.  Bot.  Ital.,  voi.  22,  pag.  143,  1890. 

PoLLACCl  G.,  Aggiunte  alla  flora  Ticinese,  in  Atti  Ist.  Bot.  di  Pavia,  ser.  ii, 
voi.  XV,  pag.  53,  1911. 

PoLLACCi  G.,  Sulla  diffusione  del  Panicum  erectum  Pollacci  e  sul  preteso  Pa- 
nicum  phgllorgsoide  Novelli,  in  Alba  Agricola,  n.  261.  Pavia  1914. 

ScopoLi  I.  A.,  Deliciae  florae  et  faiinae  Insubricae,  etc.  Ticini  1785. 

Tarajielli  T.,  Descrizione  geologica  della  Provincia  di  Pavia.  Istitvito  geo- 
grafico De  Agostini.  Novara  1916. 


142 


ELENCO   DELLE   SPECIE 


MONOCOTILEDONES  ' 

Graminacecie. 

1.  Setaria  verticillata  (L.)  P.  B.  (i  ambigua  (Guss.) 

Nelle  aiuole  dell'Orto  Botanico  di  Pavia.  Agosto  1921. 

2.  Phalàris  canariensis  L. 

Lungo  la  strada  della  Cascina  Costantina  che  va  al  Ticino.  Nel 
prato  della  ex  Società  Canottieri  Colombo  esistente  prima  della 
strada  di  Circonvallazione  esterna,  1896.  Esistono  pure  esemplari 
neir  erbario  del  Museo  Civico  raccolti  da  A.  Carabelli  lungo  la 
strada  di  Circonvallazione  esterna  che  va  dal  Ponte  Ticino  a  Porta 
Cavour,  1909. 

3.**  Trisetuiii  argeuteuiu  (W.)  R.  et  S. 

Luoghi  sassosi  sul  M.  Calenzone  e  M.  Hoglelio.  (Raccolse  Ber- 
gamaschi). 

Cypevficeae. 

4.*  Cyperus  glaber  L. 

Lungo  le  rive  del  Po  (raccolse  G.  Moretti?). 

5.  Potaiiiogeton  pusilla  L.  /?  trichoides  (Chani.  et  Schl.)  b  tuberciilata 
(Ten.  et  Guss.). 
Nelle  lanche  del  canale   da    Riva  alla  Cascina   Arpasanta  (Zer- 
bolò.  Luglio  1921, 


1  Cou  *  sono  segnate  le  specie  ohe  si  trovano  nell'Erbario  della  Provincia 
di  Pavia,  esistente  all'Istituto  Botanico;  con  **  quelle  conservate  nell'Erbario 
della  Plora  Ticinese  che  trovasi  al  Mixseo  Civico  di  Pavia  ;  quelle  senza  segno 
furono  raccolte  dallo  scrivente. 


--   143  — 

OrchM^ciceae. 

6.**  Orchis  coriophora  L. 

Sul  Monte  Lesinia  raccolse  Bergamaschi  1823. 

7.**  Orchis  papilionacea  L. 

Nella  iiiiieta  di  Torre  d'Isola  raccolse  Carabelli  nel  maggio  1890. 

Salicareae. 

8.  Populus  uiouilifera  Ait. 

Coltivato  in  tutto  il  Pavese. 

Betul(u;e(ie. 

9.  Betula  alba  L. 

Nei  boschi  della  Cascina  Arpasanta  (Zerbolò)  dove  esiste  da  una 
quindicina  d'anni  un  esemplare  di  betula,  il  cui  fusto  avrà  10  cm. 
di  diametro,  cresciuta  in  luogo  sabbioso  e  ghiaioso.  È  località  sog- 
getta alle  piene  del  Ticino,  quindi  la  pianta  deve  essere  nata  da 
seme  ivi  trasportato  dalle  acque  del  fiume. 

10.'*  AIuus  viridis  (Chaix)  D.  C. 

Sui  M.  Boglelio  raccolse  Nocca? 

Polytfmuiceae. 

11.*  Polygonuin  arenarium  W.  et  K. 

In  luoghi  aridi  arenosi  della  campagna  pavese.  Nella  scheda  che 
accompagna  questa  specie  non  è  precisata  la  località  di  raccolta 
né  vi  è  il  nome  del  raccoglitore. 

12.*  Polygonuiii  lapathìfoliuin  L.  §  Persicaria  (L.)  e  incamim  (W.). 
A  Mairano  presso  Casteggio  raccolse  Cavara.  Giugno  1886. 

Anittì'antctreae. 

13.  Aiuarantus  deflexus  L. 

Nell'Orto  Botanico  di  Pavia  in  agosto  1921. 

Paronych  incede. 

14.*  Scleranthiis  aunuiis  L.  /S  verticillatus  (Tauscli.). 

Sul  M.  Oramala  scendendo  a  Rovegno,  raccolse  R.  Farneti. 
Giugno  1890. 


—  144  — 

Carifophyllaceae. 

15.*  Cerastium  arveuse  L.  e  hirsutuin  (Teu.) 

A  Corbesassi  raccolse  R.  Farneti.  Giugno  1890. 

16.*  Cerastium  carapanulatiim  Viv.  b  palustre  (Moris). 

Nei  dintorni  di  Pavia  raccolsero    Farneti  e  Bozzi.  Aprile  188  4 

17.**  Silene  gallica  L.  ,:?  ansjlica  (L) 

A  Mombolone  presso  Pavia  raccolse  Bergamaschi. 

18.**  Dianthiis  deltoide»  L. 

Sul  M.  Cesarino  di  C'asteggio  raccolse  G.  Moretti. 

Hypevicarecw. 

19.*  Hypericum  perforatum  L.  a  typicuin  e  microphylluni  D.  (J.  (Jord.). 
Tra  Varzi  e  Godiasco  (giugno  1890),  nei  boschi  del  Ticino  (lu- 
glio 1890)  raccolse  Farneti;  sull'argine   del   Ticino   presso  il  lan- 
cone  (agosto  1886),  a   Casteggio   (agosto  1887)   raccolsero   Cavara 
e  Baccarini. 

Ci'Staceae. 

20.  Helianthenium  Chauiaecistus  Mill.    a  vulgare  (Gaertn.)  a  obscu- 
riiiii  (Pers.). 
Nelle  ghiaie  del  torrente  Coppa  presso   Montalto  Pavese.   Mag- 
gio 1920. 

Ci'^ueiferae. 

21.*  Oardamine  pratensis  L. /S  Hayneana  (Welw.  ex  Rchb.l. 

Presso  il  cimitero  di  Pavia  (aprile  1887),  a  S.  Lanfranco  (aprile 
1888)  raccolse  F.  Cavara. 

22.  Lepidium  Iberis  L. 

Sui  bastioni  della  Villetta  (Pavia).  Luglio  1921.  Nell'Erbario 
Generale  dell'Istituto  Botanico  esistono  esemplari  raccolti  dal  Ber- 
toloni  nel  1796  sopra  ruderi  in  Pavia. 

23*  Thlapsi  virgatura  Gr.  et  Godr. 

Sul  M.  Lesima  raccolse  Farneti. 

Bfmuiiciilacefie. 

24.**  Anemone  horteusls  L. 

Sul  M.  Lesima  raccolse  Bergamaschi  (1822). 


—   145    — 

25.  Ranaaculus  repeus  L.  b  erectos  D.  C. 

In  Val  Torelli,  sulla  riva  sinistra  della  Trebbia,  raccolse  Far- 
neti  (giugno  1890). 

26.  Kauunculus  repens  L.  e  villosns  Lamotte. 

A  Orezoli  raccolse  Farneti  nel  giugno  del  1890. 

27.  Banunculus  aquatìlis  L.  e  trichophyllus  (Chaix). 

Nella  lanca  dei  barcaioli  (riva  destra)  e  in  quella  della  ex  Società 
Canottieri  Colombo  (riva  sinistra  del  Ticino)  nel  giugno  1920  (Ma- 
meli e  Maffei).  Esistono  anche  esemplari  tanto  nell'Erbario  della 
provincia  di  Pavia  dell'  Istituto  Botanico,  raccolti  da  Baccarini  e 
Cavara  nel  1886.  quanto  in  quello  del  Museo  Civico. 

Crassulacetxe. 

28.**  Sediim  dasyphylluiu  L.  y  brevifolium  (D.  C.) 

Eaccolse  Bergamaschi  nel  luglio  1822  sulla  sommità  del  Monte 
Lesima. 

Rosaceae. 

29.**  Putentilla  supina  L. 

Sui  Colli  di  8.  Colombano  (senza  nome  del  raccoglitore). 

30.**  Potentina  palustris  L. 

In  maggio  e  giugno  (1822)  raccolse  Bergamaschi,  sui  colli  sopra 
Retorbido  e  Godiasco. 

31.*  Alcheiiiilla  vugaris  L.  y  hibrida  (F.  W.  Schm.)  a  pubescens  (Lani.). 
Raccolse  Farneti  sul  M.  Tartago  nel  giufrno  1890. 

32.*  Rosa  graveolens  Gren. 

A  Ruino  raccolse  Farneti  nel  giugno  1888. 

Legumiitosae. 

33.  Gleditschia  trìachanthos  L. 

E  comune  nel  Pavese,  usata  per  far  siepi. 

34.*  Cytisus  Ardoini  Fourn. 

Raccolse  Farneti  tra  Ottone  e  Fabbrica,  in  giugno  1890. 

35.*  Genista  germanica  L.  jS  inerniis  Koch  b  subinermis  Rouy. 
Sul  M.  Lesima  raccolse  Farneti  nel  luglio  del  1888. 


—  146  — 

36.  Medicago  lupuliiia  Linn.  «  typica  h  Willdenowiana  Koeh. 

Sulle  mura  dei  bastioni  di  Pavia.  Giugno  1921.  Nell'Orto  Bota- 
nico (E.  Mameli,   1920).  A  Borgoratto  Mormorolo  (Farneti). 

37.  *  Medicago  scutellata  (L.)  Mill. 

In  campagne  sabbiose  della  Lomellina  e  specialmente  del  Pavese 
raccolse  Bergamaschi. 

38.**  Melilotus  italica  (L.)  Lam. 

In  località  umide  lungo  il  Naviglio  fuori  porta  Milano  raccolse 
Bergamaschi. 

39.  Trifolìuin  arvense  L.  a  agrestinum  (Jord.) 

Nel  prato  della  lanca  dei  barcaioli,  sulla  riva  destra  del  Ticino, 
in  giugno  1920  (E.  Mameli  e  L.  Maflfei). 

40.  Lotus  corniculatus  L.  y  decvinibens  Poli-. 

Sull'argine  del  lancone  (riva  destra  del  Ticino)  nel  giugno  del 
1920  (E    Mameli  e  L.  Maffei). 

41.  Amorpha  fruticosa  L. 

Si  trova  abbondante  nel  boschi  lungo  11  Po.  Al  lancone  del  Po, 
presso  la  ferrovia  Pavia- Voghera  raccolse  Carabelli  esemplari  con- 
servati nell'Erbario  pavese  del  Museo  Civico. 

42.*  Lathynis  pannonicus  (Jacq.)  Garcke. 

Raccolse  Farneti  nel  giugno  del  1890  scendendo  dal  M.  Oramala 
verso  Rovegno. 

43.**  Vicia  villosa  Roth. 

Raccolse  Bergamaschi  sul  M.  Giarolo. 

44.*  Vicia  hirsuta  (L.)  S.  F.  Gray. 

A  Miradolo,  a  Corteolona  (aprile  1884  raccolse  A.  Lodi).  Nei 
prati  e  boschi  presso  il  lancone  del  Po  raccolsero  Baccarini  e 
Cavara  (maggio  1886). 

Oenotheraceae. 

45.  Oenothera  rosea  Sol.  in  Ait. 

Nasce  spontanea  lungo  i  viali  dell'Orto  Botanico  di  Pavia. 

Umbelliferae. 

46.*  Seseli  iiiontauuiii  L. 

Raccolse  Farneti  nel  mese  di  luglio  del  1888  sul  M.  Lesima. 


—  147  — 

Geraniaceae. 

47.**  Geraniuin  pratense  L. 

In  luoghi  ombrosi  del  M.  Lesiraa  raccolse  Bergamaschi  nel  lu- 
glio del  1823. 

48.  Linuni  teniiifolium  L.  ^  salsoloides  (Lani.). 

8ui  pendii  dei  colli  sulla  sponda  destra  del  torrente  Coppa. 
Maggio  1920. 

Situar  ubareae. 

49.  Ailautus  glaiidulosa  Desf. 

Qua  e  là  inselvatichita  in  molte  località  del  Pavese  dove  diventa 
quasi  infestante  come  alla  Cascina  Arpasanta  di  Zerbolò.  Trovasi 
nei  dossi  della  Cascina  Grande  di  Zinasco;  nel  bosco  del  Rottone 
vicino  a  Pavia,  lungo  la  strada  per  Belgioioso,  ecc. 

Malvtvceae. 

50.  Hibiscus  sjTÌacHS  L. 

Trovasi  sui  bastioni  della  Villetta  (Pavia)  e  comune  in  molte 
altre  località  della  Provincia. 

EupJtorMaceae. 

51.  Euphorbia  maculata  L. 

Nei  cortili  e  nel  giardino  dell'Istituto  Botanico  di  Pavia. 

52.**  Euphorbia  palustris  L. 

Alla  Zelata.  Esiste  un  esemplare  nell'Erbario  della  Provincia 
di  Pavia  del  Museo  Civico,  ma  senza  nome  del  raccoglitore. 

53.**  Euphorbia  pilosa  L. 

Nell'Orto  Botanico  raccolse  Bergamaschi  in  aprile  del  1822. 

CallitrU-haceae. 

54.*  Callitriche  palustris  L.  6  haiiiulata  (Kuetz.) 

Nel  lancone  presso  Pavia,  raccolsero  Baccarini  e  Cavara  nel 
giugno  del  1886. 


—  148  — 

Asclepiadaceae. 

55.  Asclepias  syriaca  L. 

Raccolse  Carabelli  (1908)  nel  bosco  della  chiavica  del  Gravel- 
lone  presso  Pavia,  dove  cresce  abbondantemente.  Qua  e  là  in  di- 
verse località  della  Provincia.  A  Zerbolò. 

Bont'agituirefie. 

56.  Ueliotropiuin  auchusaefoliuni  Poir. 

Cresce  spontanea  nell'Orto  Botanico  di  Pavia;  a  Zerbolò  e  in 
diversi  giardini  nei  dintorni  di  Pavia. 

Convolvulaceae, 

57.  Cuscuta  racemosa  Mart. 

Sulla  Cicuta,  Dulcamara  e  altre  piante  nell'Orto  Bot.  di  Pavia, 
giugno  1921. 

Soltituieeae. 

58.  Datura  Stramoniuiii  L.  fi  Tatula  (L.K 

Cresce  spontanea  nell'Orto  Botanico  di  Pavia.  Luglio-agosto  1921. 

59.**  Atropa  Belladonna  L, 

Raccolse  Carabelli  nella  fossa  del  Castello  Visconteo  dove  passa 
la  ferrovia  tra  Poita  Cairoli  e  Porta  Milano. 

SrropJmlariaeeae. 

60.  Linaria  Pelisseriana  (L.)  Mill.  b  gracilis  Chav.  (F.  G.  Dietr.). 
Alle  Saline  di  Miradolo,  giugno  1921. 

61.**  Odontites  lutea  (L.)  Kchb.  e  linifolia  (L.) 

Alle  Cascina  Zerbo,  oltre  Gravellone.  Bergamaschi  (?). 

Ofofffineliueeae. 

62.  Orobanche  Hederae  Duby. 

Parassita  snWHedera  nell'Orto  Botanico  di  Pavia.   Luglio  1921. 

LabiftUie. 

63.*  A.juga  reptans  L.  b  rosea  Fiori. 

Nei  prati  sotto  il  Borgo  Ticino  raccolsero  Cavara  e  Farneti  nel 
maggio  del  1887. 


—  149  — 

64.**  Mentha  viridis  (L.)  L.  ;»  .j  e^b?c.ì?»sf?«ià  ?.hsfiì  .^1 

In  luoghi  umidi  nelle  vicinanze  della  G5ascina  Rottone  in  luglio 
e  agosto.  (Manca  il  nome  del  raccoglitore). 

Verbenareae. 

6.5.  Clerodendron  foetidum  Bunge. 

Cresce   inselvatichito   nell'Orto   Botanico   di  Pavia,  nel  giardino 
della  Cascina  Malpaga  (Zerbolò)  e  in  altri  della  Provincia  di  Pavia. 

Rubiacea^. 

66.**  Galiuiu  lucidum  Ali. 

Raccolse  Carabelli  alla  Cà  de'  Ratti  (presso  Pavia). 

67.*  Valeriana  offlcinalis  L.  /S  tenuifolia  Valil. 

Bosco  d'Arena  vicino  al  Borgo  Ticino  raccolsero  nel  maggio   188.5 
Lodi  e  Bozzi. 

I>i2>saeaeeae. 

68.**  Scabiosa  gramnntia  L. 

Lungo  le  rive  del  naviglio  presso  S.  Giuseppe,  raccolse  Berga- 
maschi (?)  in  agosto. 

Coniposìtfie. 

69.  Senecio  paludosus  L.  b  riparius  Wallr. 

Sopra  l'argine  di  rinforzo  della  lanca  dei  barcaioli,  sponda  destra 
del  Ticino,  nel  maggio  1920  (E.  Mameli  e  L.  Maffei). 

70.  Pilago  germanica  (L.)  L.  «  typica  b  canescens  (Jord.) 

Lungo    la    strada    verso    il    colle   alle   Saline  di  S.  Colombano, 
giugno  1921. 

71.  Gnaplialium  uligiiiosum  L.  ^  ramosnm  (Lam). 

Nei  boschi  della  Cascina  Malpaga  (Zerbolò),  luglio  1921. 

72.  Leontodon  Mrtus  L. 

Nel  prato  della  lanca  dei  barcaioli  nel  giugno  1920  (E.  Mameli 
e  L.  Maffei). 


—    150  — 

73.  Picris  hieracioides  L.  a  tipica  b  Pseudo-Villarsii  Caldesi. 

Nel  cortile  dell'Istituto  Botanico  di  Pavia,  luglio  1920. 

74.  Tragopogon  porrifolius  L.  e  eriosperinum  (Ten.) 

A  Montalto  Pavese  nel  maggio  1920. 

75.  Crepis  virens  L.  Vili    b  ruuciuata  Bisclioff. 

Nel  cortile  dell'Istituto  Botanico  di  Pavia,  giugno  1921. 


Dall'  Istitnto  Botanico  delI'Unirersità  <li  Paria,  agosto  19-.!l. 


Atti  deirist.  Botanico  Univ.  di  Pavia  Voi.  XV  m 


Tav.  I 


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Briosi  e  Fameli- Castagno 


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Atti  deirist.  Botanico  Univ.  di  Pavia  Vol.XVllI 


Tav.  IV 


Briosi  e  Farneti- Castagno 


Eliot.  Calzolari  e  FerrariorMilano 


Atti  deirist.  Botanico  Univ.  di  Pavia  Vol.XVllI 


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Atti  dell' Istituto  Botanico  di  Pavia  Voi.  XMII 


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Atli  dell  Istituto  Bobanifo  (li  Pax'iii         Voi.  XVIII 


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Eliotipia  Calzolari  e  Ferrar 


Alti  dell' Istituto  Botanico  di  Pavia         Voi.  XVllI 


Tav.  XVli 


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Briosi  e  Parneb  -  Castagno 


Eliotipia  Calzolerie  Ferrarlo 


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Atti  dell' lst° Botanico  Univ.  di  Pavia  Vol.XVJII 


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Atti  deirisb-Bobanico  Univ.  di  Pavia  VoI.?ffl.^^V'IiI. 


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Atti  deirisKBolanico  Univ.  di  Pavia  Voi.  ?ffI.XVlII 


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Srusone  del  riso 


AtU  deirisKBolanico  Univ.  di  Pavia  VoFR  X\lll. 


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AlU  deirJsK Botanico  Univ.  di  Pcivio  Voi  m  XVllI. 


TavJfc  XXVIII. 


R.  farneb  dis 


Ijllacchindidi  a  Ferrari  Pavia 


Brusone  del  Tiso 


AlU  delIMsK' Bolanico  Univ.  di  lavia  Voi  -^  -"^^^l"- 


Tav.F  XXIX. 


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Atti  dell'Ut" Botanico  l'niv,  di  Pavia  X'oI.XVflI 


Tav.XX.V 


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Alti  dell" Ist" Botanico  Univ.  di  Pavia  V'ol.  AAID 


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Miceti  del    corpo  umane 


1  FUNGHI  PARASSITI 

DELLE  PIANTE  COLTIVATE  OD  UTILI 

ESSICCATI,  DELINEATI  E  DESCRITTI 
per  Giovanni  BRIOSI  e  Fridiano  CATARA 

CONTINUATI  DA  F.  CAVARA  E  G.  POLLACCI. 

Sono  finora  usciti  18  fascicoli. 
Per  l'acquisto  rivolgersi   M'Mitafo  Botanico  di  Pavia. 


ATTI  DELL'ISTITUTO   BOTANICO 

dell'università    di    PAVIA 

REDATTI  DA  GIOVANNI    BRIOSI 

Volume  r  0O.1     fi  tavole  litografate  .  ■     '   |??^    ~  ^    ?„  ~ 

ed  un  ritratto   1892.  —         *0 


2"  •     29 

3"  ■>     2fi 

4"  'Vi 

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H"  12 

7"  2U 

8"  •     Ifi 

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1894.  40 

1897.  -  45  — 

1898.  —  35  - 
1900.  35 
1902.  40  — 
1P04.  —     •    40  — 
1911.  -  »0 

SERIE  II    /          ,:        10"           28       .                  .                        •^              ^    _  l  - 

1915.  •  40  -- 
1914.  —  40  - 
1914.  40  - 
191fi.  -  40  - 

1916.  -  40  — 
19-20.  40 
1921.  —  50 


11"  .     22 

12"  1 4 

13"  ■     13 

14"  .     20 

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Fanno  seguito  M'Archivio  Triennale  del  Laboratorio  Critfoffamico  di  Pavia. 
Per  l'acquisto  rivolgersi  alla  Direzione  dell'Istituto  Botanico  di  Pavia. 


ARCHIVIO  DEL  LABORATORIO  CRITTOGAxAIICO 

DI    PAVIA 

CON    MOLTE    TAVOLE 

Contiene  numerose  note  e    memorie    specialmente  di   patologia  vegetale  e  di 
crittogamia  del  Garovaglio,  del  Gibelli,  del  Cattaneo,  del  Pirotta.  ecc. 

Volume  I 1  .  30  -   1    Volume  IV L.  25  - 

Volume  II  e  III      ....      '30-1    Volume  V •    1°    " 


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New    York    Bolanical   Garden    Libra, 


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