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Full text of "Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino"

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FOR EDVCATION 
FOR SCIENCE 


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THE AMERICAN MUSEUM 
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NATURAL HISTORY 


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DELLA 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


PER ERE TINO 
PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


VOLUME TRENTESIMOOTTAVO 
1902-9083 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1903 


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ELENCO 


DEGLI 


ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI 


STRANIERI E CORRISPONDENTI 
aL 25 Gennaro 1903. 


NB. — La prima data è quella dell’elezione, 


la seconda quella del R. Decreto che approva l'elezione. 


PRESIDENTE 


D’Ovipio (Enrico), Dottore in Matematica, Professore or- 
dinario di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi 
superiore e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche 
e naturali nella R. Università di Torino; Uno dei XL della Società 
Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei 
Lincei, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di 
Napoli e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ono- 
rario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, 
Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di 
Parigi e Praga, ecc., Uffiz. &, Comm. ss. 

29 Dicembre 1878 - 16 gennaio 1879. — Pensionato 1° aprile 1889. 


Vice-PRESIDENTE 


Peyron (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario 
Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Socio Corrispon- 
dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. 
Uffiz. *, Uffiz. «s. 

15 Gennaio 1863 - 18 gennaio 1863. — Pensionato 28 novembre 1869. 


TESORIERE 


JADANZA (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore 
di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geo- 
metria pratica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri, 
Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli e della Società degli 
Ingegneri Civili di Lisbona, Uff. .... 

3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 17 ottobre 1902. 


CLASSE DI SCIENZE. FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Direttore 


SaLvaporI (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chi- 
rurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università 
di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di 
Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della 
Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di 
Catania, Membro Corrispondente della Società Zoologica di 
Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della So- 
cietà dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze 
di Liegi, della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie 
Neerlandesi e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed 
Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti 
di Mosca, Socio Straniero della British Ornithological Union, 
Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio 
Straniero dell’ American Ornithologist's Union, e Membro onorario 
della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordinario della So- 
cietà Ornitologica tedesca, Uffiz. ea, Cav. dell'O. di S. Giacomo 
del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). 


29 Gennaio 1871 - 9 febbraio 1871. — Pensionato 21 marzo 1878. 


Segretario 


CameRrANO (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di 
Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia 
comparata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella 
R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricol- 
tura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di 
Scienze, Lettere ed Arti, Membro della Società Zoologica di 
Francia, Membro corrispondente del Museo Civico di Rovereto, 
della Società Scientifica del Cile, della Società Spagnuola di 
Storia naturale e della Società Zoologica di Londra. 

10 Febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. 


ACCADEMICI RESIDENTI 
SALVADORI (Conte Tommaso), predetto. 


BerrutI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Ita- 
liano a. r. e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Socio della 
R. Accademia di Agricoltura di Torino, Gr. Uffiz. «; Comm. %, 
dell'O. di Francesco Giuseppe d'Austria, della L. d’O. di Francia, 
e della Repubblica di S. Marino. 

25 Giugno 1871 - 27 luglio 1871. — Pensionato 1° maggio 1879. 


D’'Ovipro (Enrico), predetto. 


Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di 
Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Uno dei XL 
della Società Italiana delle Scienze, Socio Corrispondente del 
R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Acca» 
demia dei Lincei, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di 
Catania e dell’Accademia Pontaniana, Uffiz. %, cs. 

5 Dicembre 1880 - 23 dicembre 1880. — Pensionato 8 giugno 1893. 


Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore 
di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale 
della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell’Isti- 
tuto di Francia (Accademia delle Scienze), della R. Accademia di 
Medicina di Torino, Uno dei XL della Società italiana delle 
Scienze, L. L. D. dell’Università di Worcester, Socio onorario 
della R. Accademia medica di Roma, dell’Accademia Gioenia 


VI 


di Scienze naturali di Catania, della R. Accademia medica di 
Genova, Socio dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bo- 
logna, Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze 
e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 
dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae 
Curiosorum, della Società Reale di Scienze mediche e naturali di 
Bruxelles, della Società fisico-medica di Erlangen, Socio stra- 
niero della R. Accademia delle Scienze di Svezia, Socio corrispon- 
dente della Società Reale di Napoli, Socio corrispondente della 
Società di Biologia di Parigi, ecc. ecc., *, Comm. es. 

11 Dicembre 1881 - 25 dicembre 1881. — Pensionato 17 agosto 1894. 


Spezia (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia e 
Direttore del Museo mineralogico della Regia Università di 
Torino, ess. 

15 Giugno 1884 - 6 luglio 1884. — Pensionato 5 settembre 1895. 


CameRrANO (Lorenzo), predetto. 


Sere (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geo- 
metria superiore nella R. Università di Torino, Socio Nazionale 
della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana delle | 
Scienze (dei XL), Corrispondente della Società Fisico-Medica di 
Erlangen e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ea. 

10 Gennaio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. 


Prano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Cal- 
colo infinitesimale nella R. Università di Torino, Socio della 
“ Sociedad Cientifica , del Messico, Socio del Circolo Matematico 
di Palermo «=. 

25 Gennaio 1891 - 5 febbraio 1891. — Pensionato 22 giugno 1899. 


JADANZA (Nicodemo), predetto. 


Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di 
Anatomia Patologica nella R. Università di Torino, Socio Nazio- 
nale della R. Accademia dei Lincei, Membro del Consiglio Su- 
periore della Pubblica Istruzione, Comm. es. 

8 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 9 novembre 1902. 


GuarescHI (Icilio), Dottore in Scienze Naturali, Professore 
e Direttore dell’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica 


VII 


nella R. Università di Torino, Direttore della Scuola di Far- 
macia, Presidente della R. Accademia di Medicina di Torino, 
Socio della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, Socio ono- 
rario della Società di farmacia di Torino, Membro anziano del 
Consiglio Sanitario Provinciale, Membro corrispondente dell’Ac- 
cademia di Medicina di Parigi, Socio della Deutsche Gesellschaft 
b. Geschichte d. Medizin. und Naturwissenschaften, Membro della 
Società Chimica di Berlino, ecc., amm, sg. 
12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. 


Gui (Camillo), Ingegnere, Professore ordinario di Statica 
grafica e scienza delle costruzioni e Direttore dell’annesso Laho- 
ratorio sperimentale nella R. Scuola di Applicazione per gl’In- 
gegneri in Torino, ese. 

81 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. 


Frei (Michele), Dottore in Chimica, Professore ordinario 
di Chimica generale e Rettore della R. Università di Torino, es, 
31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. 


Parona (Carlo Fabrizio), Dottore in Scienze naturali, Pro- 
fessore e Direttore del Museo di Geologia della R. Università 
di Torino, Socio residente della R. Accademia di Agricoltura di 
Torino, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, del 
R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto ve- 
neto di Scienze, Lettere ed Arti e Corrispondente dell’I. R. Isti- 
tuto Geologico di Vienna, ecc. 

15 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. 


MartIROLo (Oreste), Dottore in Medicina e Chirurgia e 
Scienze naturali, Professore ordinario di Botanica e Direttore 
dell'Istituto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazio- 
nale della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accademia di 
Medicina e della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio 
corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 
dell’Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bologna, della 
Società Imperiale di scienze naturali di Mosca, della Società 
Veneto Trentina, ecc., «sa, 

10 Marzo 1901 - 16 marzo 1901. 


VIII 


Morera (Giacinto), Ingegnere, Dottore in matematiche, Pro- 
fessore ordinario di meccanica razionale, ed incaricato di mec- 
canica superiore nella R. Università di Torino, Socio corrispon- 
dente della R. Accademia dei Lincei, Professore onorario della 
R. Università di Genova, ee. 

9 Febbraio 1902 - 23 febbraio 1902. 


Grassi (Guido), Professore ordinario di elettrotecnica» e 
Direttore della scuola Galileo Ferraris nel R. Museo Industriale 
Italiano in Torino. Comm. es. 

9 Febbraio 1902 - 23 febbraio 1902. - 


ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI 


Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di 
Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della 
Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Acca- 
demia dei Lincei e della Società Reale di Napoli, Socio Cor- 
rispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e 
del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio Corri- 
spondente dell’Istituto di Francia, Socio Corrispondente dell’Ac- 
cademia delle Scienze di Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, 
Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze di Baviera, 
della Società Reale di Londra, della Società Reale di Edimburgo 
e della Società letteraria e filosofica di Manchester, Socio ono- 
rario della Società chimica tedesca, di Londra e Americana, 
Comm. +*, Gr. Uffiz. «», ©. 

8 Luglio 1864 - 11 luglio 1864. 


ScRIAPARELLI (Giovanni), Uno dei XL della Società Italiana 
delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 
della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli 
e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio 
Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze), delle 
Accademie di Monaco, di Vienna, di Berlino, di Pietroburgo, di 
Stockolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de’ Naturalisti 


IX 


di Mosca, della Società Reale e della Società astronomica di 
Londra, delle Società filosofiche di Filadelfia e di Manchester, e 
di altre Società scientifiche nazionali e straniere, Gr. Cord. «sè, 
Comm. #; ‘Wi. 

16 Gennaio 1870 - 30 gennaio 1870. 


Sraccr (Francesco), Senatore del Regno, Colonnello d’Arti- 
glieria nella Riserva, Professore onorario della R. Università di 
Torino, Professore ordinario di Meccanica razionale ed Incaricato 
della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli, Uno 
dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale 
della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze 
Fisiche e Matematiche di Napoli, e dell’Accademia Pontaniana, 
Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e 
dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Membro 
del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Uff. #, Comm. «e». 

11 Giugno 1876 - 11 luglio 1876. — Pensionato 3 giugno 1884, 


Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Mate- 
matica superiore nella R. Università di Roma, Direttore della 
Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, Membro del Consiglio 
Superiore della Pubblica Istruzione, Presidente della Società 
Italiana delle Scienze (detta dei XL), Socio Nazionale della 
R. Accademia dei Lincei, Socio del R. Istituto Lombardo, del 
R. Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia delle 
Scienze dell'Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di 
Edimburgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi, di Svezia e di Cope- 
naghen, delle Società matematiche di Londra, di Praga e di Parigi, 
delle Reali Accademie di Napoli, di Dublino, di Amsterdam e di 
Monaco, Membro onorario dell’Insigne Accademia romana di Belle 
Arti detta di San Luca, della Società Fisico-medica di Erlangen, 
della Società Filosofica di Cambridge e dell’Associazione britan- 
nica pel progresso delle Scienze, Membro Straniero della Società 
delle Scienze di Harlem, e dell’Accademia Americana di Boston, 
Socio Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle 
Scienze), dell’Imperiale Accademia di Vienna, delle Reali Acca- 
demie di Berlino, del Belgio e di Lisbona, e dell’Accademia Ponta- 
niana in Napoli, Dottore (LL. D.) dell’Università di Edimburgo, 


x 
Dottore (D. Sc.) delle Università di Dublino e di Christiania, 
Professore emerito nell’ Università di Bologna, Gr. Uffiz. %, 
Gr. Cord. «2, Cav. e Cons. ©. 

1° Dicembre 1889 - 15 dicembre 1889. 


VoLrerrA (Vito), Dottore in Fisica e Dottore onorario in 
Matematiche della Università Fridericiana di Christiania, Pro- 
fessore di Fisica matematica e di Meccanica celeste nella R. Uni- 
versità di Roma, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, 
Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Accademico cor- 
rispondente della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di 
Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze 
e Lettere, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, 
Lettere ed Arti di Modena, Socio onorario dell’Accademia Gioenia 
di Scienze naturali di Catania, Membro nazionale della Società 
degli Spettroscopisti italiani, Membro titolare corrispondente 
della Società di scienze fisiche e naturali di Bordeaux, ess. 

3 Febbraio 1895 - 11 febbraio 1895. 


FercoLA (Emanuele), Professore di Astronomia nella R. Uni- 
versità di Napoli, Socio ordinario residente della R. Accademia 
delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, Membro della 
Società italiana dei XL, Socio della R. Accademia dei Lincei, 
e dell’Accademia Pontaniana, Socio ordinario del R. Istituto d’in- 
coraggiamento alle Scienze naturali, Socio Corrispondente del 
R. Istituto Veneto, Comm. £, e. 

12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. 


BrancHI (Luigi), Professore di Geometria analitica nella 
R. Università di Pisa, Socio ordinario della R. Accademia dei 
Lincei e della Società Italiana delle Scienze, detta dei XL; Socio 
Corrispondente dell’Accademia delle Scienze fisiche e matema- 
tiche di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di 
Bologna e del KR. Istituto Lombardo di scienze e lettere in 
Milano, #, e. 

13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. 


Dini (Ulisse), Senatore del Regno, Professore di Analisi 
Superiore nella R. Università di Pisa, Direttore della R. Scuola 
Normale Superiore di Pisa, Socio della R. Accademia dei Lincei — 


XI 


e della Società Italiana detta dei XL, Corrispondente della 

R. Società delle Scienze di Gottinga, dell’Accademia delle Scienze 

dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di scienze 

e lettere, Membro straniero della London mathematical Society, 

Dottore onorario dell’Università di Christiania, Uff..*, Cav. 2, =. 
13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. 


Gori (Camillo), Senatore del Regno, membro del Consiglio 
superiore della Pubblica Istruzione, Socio nazionale della R. Acca- 
demia dei Lincei di Roma, Dottore in Scienze ad honorem del- 
l’ Università di Cambridge, Membro onorario dell’ Università 
Imperiale di Charkoff, uno dei XL della Società italiana delle 
Scienze, Membro della Società per la medicina interna di Berlino, 
Membro onorario della Imp. Accademia Medica di Pietroburgo, 
della Società di Psichiatria e Neurologia di Vienna, Socio corri- 
spondente onorario della Newrological Society di Londra, Membro 
corrispondente della Société de Biologie di Parigi, Membro del- 
l’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina, Socio della R. Società 
delle Scienze di Gottinga e delle Società Fisico-Mediche di 
Wiirzburg, di Erlangen, di Gand, Membro della Società Anato- 
mica, Socio nazionale della R. Accademia delle Scienze di 
Bologna, Socio corrispondente dell’Accademia di medicina di 
Torino, Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere 
ed arti "di Padova, Socio corrispondente dell’Accademia Medico- 
Fisica Fiorentina, della R. Accademia delle Scienze mediche 
di Palermo, della Società Medico-Chirurgica di Bologna, Socio 
onorario della R. Accademia Medica di Roma, Socio ono- 
rario della R. Accademia Medico-chirurgica di Genova, Socio 
corrispondente dell’Accademia Fisiocritica di Siena, dell’ Acca- 
demia Medico-Chirurgica di Perugia, della Societas medicorum 
Svecana di Stoccolma, Membro onorario dell’ American Neuro- 
logical Association di New York, Socio onorario della Royal 
microscopical Society di Londra, Membro corrispondente della 
R. Accademia di medicina del Belgio, Membro onorario della So- 
cietà freniatrica italiana e dell’Associazione Medico-Lombarda, 
Socio onorario del Comizio agrario di Pavia, Professore ordi- 
nario di Patologia generale e di Istologia nella R. Università 
di Pavia, Cav. ‘, Cav. e, Comm. «». 

18 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. 


XII 


ACCADEMICI STRANIERI 


KeLvin (Guglielmo Thomson, Lord), Professore nell’Univer- 
sità di Glasgow. 
81 Dicembre 1882 - 1° febbraio 1883. 


"n 


GecenBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg. 
81 Dicembre 1882 - 1° febbraio 1888. 


KoeLLigER (Alberto von), Professore nell'Università di 
Wirzburg. 
11 Giugno 1893 . 25 giugno 1893. 


KLein (Felice), Professore nell'Università di Gottinga. 
10 Gennaio 1897 - 24 gennaio 1897. 


HaecKeL (Ernesto), Professore nella Università di Jena. 
13 Febbraio 1998 - 24 febbraio 1898. 


BertHELOT (Marcellino), Professore nel Collegio di Francia, 
Membro dell’Istituto, Parigi. a, 
13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. 


StoKes (Giorgio Gabriele), Professore nell’ Università di 
Cambridge (Inghilterra). 
14 Gennaio 1900 - 28 gennaio 1900. 


XIII 


CORRISPONDENTI 


SEZIONE 
DI MATEMATICHE PURE 


Tarpy (Placido), Professore emerito della 
R. Università di Genova 
16 Luglio 1864. 


Cantor (Maurizio), Professore nell’Univer- 
sità di NL 
25 Giugno 1876. 


ScHwarz (Ermanno A.), Professore nella 
Università di . 
19 Dicembre 1880. 


BertINnI (Eugenio), Professore nella Regia 
Università di . 
9 Marzo 1890. 


DaRBOUX (G. Gastone), dell’Istituto di Francia 
9 Marzo 1890. 


Porncaré (G. Enrico), dell'Istituto di Francia 
15 Maggio 1892. 


NoerHER(Massimiliano), Professore nell’ Uni- 
versità di 
3 Dicembre 1893. 


Jorpan (Camillo), Professore nel Collegio 
di Francia, Membro dell'Istituto 
12 Gennaio 1896. 


Firenze 
Heidelberg 
Berlino 


Pisa 
Parigi 


Parigi 
Erlangen 


Parigi 


XIV 


MrrtAG-LerrLER (Gustavo), Professore a 
12 Gennaio 1896. 


Picarp (Emilio), Professore alla Sorbonne, 
Membro dell'Istituto di Francia . 
10 Gennaio 1897. i 


Cesàro (Ernesto), Professore nella R. Uni- 
versità di 
17 Aprile 1898. 


CasteLNUOvo (Guido), Professore nella R.. Uni- 
versità di 
17 Aprile 1898. 


VERONESE (Giuseppe), Professore nella Regia 
Università di . 
17 Aprile 1898. 


SEZIONE 


Stoccolma 


Parigi 


Napoli 


Roma 


Padova 


DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA 
E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE 


TacoÒini (Pietro), Direttore dell’Osserva- 
torio del Collegio Romano 
14 Dicembre 1884. 


FaseLLa (Felice) 
14 Dicembre 1884. 


ZeuNER (Gustavo), Prof. nel Politecnico di 
3 Dicembre 1893. 


Ewin (Giovanni Alfredo), Professore nel- 
l’Università di . 
27 Maggio 1894. 


LorENZONI (Giuseppe), Professore nella Regia 
Università di 


3 Febbraio 1895. 


Roma 


Torino 


Dresda 


Cambridge 


Padova 


CeLorIA (Giovanni), Astronomo all’Osser- 
vatorio di 
12 Gennaio 1896. 


Hexmert (F. Roberto), Direttore del R. Isti- 
tuto Geodetico di Prussia . 
12 Gennaio 1896. 


Favero (Giambattista), Professore nella 
R. Scuola di Applicazione degli Ingegneri in . 
10 Gennaio 1897. 


SEZIONE 


XV 


Milano 


Potsdam 


Roma 


DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE 


BLASERNA (Pietro), Professore di Fisica spe- 
rimentale nella R. Università di . 
30 Novembre 1873. 


KonLrauscH (Federico), Presidente dell’Isti- 
tuto Fisico-Tecnico in 
2 Gennaio 1881. 


ViLLari (Emilio), Professore nella R. Uni- 
versità di 
12 Marzo 1882. 


Rorrt (Antonio), Professore nell’Istituto di 
Studi superiori pratici e di perfezionamento in. 
12 Marzo 1882. 


Rieni (Augusto), Professore di Fisica spe- 
rimentale nella R. Università di. 
14 Dicembre 1884. 


Lrippmann (Gabriele), dell'Istituto di Francia 


15 Maggio 1892. 


Roma 


Charlottenburg 


Napoli 


Firenze 


Bologna 


Parigi 


XVI 


RavLEIGH (Lord Giovanni Guglielmo), Pro- 
fessore nella “ Royal Institution , di. . . . Londra 
3 Febbraio 1895. 


TrHomson (Giuseppe Giovanni), Professore 
nell'Università di... . . . . Gissi i «Cambridge 
12 Gennaio 1896. 


BoLrzmann (Luigi), Professore nell’Univer- 
sità di''sstot”. 0 ai inogssnni ilash snorsastigriA Hana 


12 Gennaio 1896. 


Mascart (Eleuterio), Professore nel Col- 
legio di Francia, Membro dell'Istituto . . . . Parigi 
10 Gennaio 1897. 


PacinortI (Antonio), Professore nella Regia 
Università di une aan e dra 
17 Aprile 1898. 


LANGLEY (Samuel Pierpont), Segretario delle 
Smithsonian Institution di . . . ... . . . Washington 
11 Febbraio 1900. 


SEZIONE 
DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA 


PATERNÒ (Emanuele), Professore di Chimica 
applicata nella R. Università di. . . . . Roma 
2 Gennaio 1881. 


KoRrNnER (Guglielmo), Professore di Chimica 
organica nella R.. Scuola superiore d’A gricolturain Milano 
2 Gennaio 1881. 


BaryER (Adolfo von), Professore nell’Uni- 
versità bian - dba ib-olalierHWaf (ale ica 
25 Gennaio 1885. 


WiLLiamson (Alessandro Guglielmo), della 
R. Società di 
25 Gennaio 1885. 


THomsen (Giulio), Professore nell’ Univer- 
sità di . i 
25 Gennaio 1885. 


LieBEN (Adolfo), Professore nell’ Università di 
15 Maggio 1892. 


MeNnpELEJEFF (Demetrio), Professore nel- 
l’Università di. 
3 Dicembre 1893. 


Horr(Giacomo Enrico van’t), Professore nel- 
l’Università di. 
27 Maggio 1894. 


Fiscner (Emilio), Professore nell’ Univer- 
sità di 
24 Gennaio 1897. 


Ramsay (Guglielmo), Professore nell’Uni- 
versità di 
24 Gennaio 1897. 


ScHirr (Ugo), Professore nel R. Istituto di 
Studi superiori pratici e di perfezionamento in 
28 Gennaio 1900. 


Morssan (Enrico), Membro dell'Istituto di 


Francia, Professore nell'Università di 
28 Gennaio 1900. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 


XVII 


Londra 


Copenhagen 


Vienna 


Pietroburgo 


Berlino 


Berlino 


Londra 


Firenze 


Parigi 


XVIII 


SEZIONE 


DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA 


Striver (Giovanni), Professore di Minera- 
logia nella R. Università di . 
30 Novembre 1873. 


RosenBuscHa (Enrico), Professore nell’Uni- 
versità di 
25 Giugno 1876. 


ZiggeL (Ferdinando), Professore nell’Uni- 
versità di 
16 Gennaio 1881. 


CAPELLINI (Giovanni), Professore nella Regia 
Università di . 
12 Marzo 1882. 


TscHERMAK (Gustavo), Professore nell’ Uni- 
versità di 
8 Febbraio 1885. 


KLein (Carlo), Professore nell'Università di 
15 Marzo 1892. 


Gerkte (Arcibaldo), Direttore del Museo di 
Geologia pratica 
3 Dicembre 1893. 


FouQué (Ferdinando Andrea), Professore nel 
Collegio di Francia, membro dell'Istituto 
3 Febbraio 1895. 


GeMmMmELLARO (Gaetano Giorgio), Professore 
nella R. Università di 
13 Febbraio 1898. 


Roma 


Heidelberg 


Lipsia 


Bologna 


Vienna 


Berlino 


Londra 


Parigi 


Palermo 


Grora (Paolo Enrico), Professore nell’Uni- 
| versità di 
13 Febbraio 1898. 


TARAMELLI (Torquato), Professore nella 
R. Università di . 
28 Gennaio 1900. 


LieBiscn (Teodoro), Professore nell’ Uni- 
versità di 


28 Gennaio 1900. 


SEZIONE 


XIX 


Monaco 


Pavia 


Gottinga 


DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE 


Arpissone (Francesco), Professore di Bota- 
nica nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in 
16 Gennaio 1881. 


Saccarpo (Andrea), Professore di Botanica 
nella RK. Università di 


8 Febbraio 1885. 


Hooker (Giuseppe Daron), Direttore del 
Giardino Reale di Kew . 


8 Febbraio 1885. 


DeLpino (Federico), Professore nella R. Uni- 
versità di 
22 Febbraio 1885. 


PrrortA (Romualdo), Professore nella Regia 
Università di 


15 Maggio 1892. 


StRASBURGER (Edoardo), Professore nell’ Uni- 
versità di 

3 Dicembre 1893. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 


Milano 


Padova 


Londra 


Napoli 


Roma 


Bonn 


XX 


GoeBEL (Carlo), Professore nell’ Università di 
13 Febbraio 1898. 


Penzie (Ottone), Professore nell’ Università di 
13 Febbraio 1898. : 


ScHWENDENER (Simone), Professore nell’Uni- 
versità di 
13 Febbraio 1898. 


SEZIONE 


DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA 


PaiLipPi (Rodolfo Armando) 
24 Luglio 1842. 


ScLatER (Filippo LurLEY), Segretario della 
Società Zoologica di . 
25 Gennaio 1885. 


Faro (Vittore), Dottore . 
25 Gennaio 1885. 


Locarp (Arnould), dell’ Accademia delle 
Scienze di 
23 Giugno 1889. 


CaauveAU (G. B. Augusto), Membro dell’Isti- 
tuto di Francia, Professore alla Scuola di Medi- 
cina di 


1° Dicembre 1889. 


Foster (Michele), Professore nell’ Univer- 
sità di } 
1° Dicembre 1889. 


Monaco 


Genova 


Berlino 


COMPARATA 


Santiago (Chit) . 


Londra 


Ginevra 


Lione 


Parigi 


Cambridge 


WaLpEYER (Guglielmo), Professore nell’Uni- 
versità di 
1° Dicembre 1889. 


GuenTtHER (Alberto) 
3 Dicembre 1893. 


FLower (Guglielmo Enrico), Direttore del 
Museo di Storia naturale 
27 Maggio 1894. 


Roux (Guglielmo), Professore nella Uni- 
versità di 
13 Febbraio 18983. 


Mixor (Carlo RPSEREA i Prof. nell’“ Harvard 
Medical School , di . 


28 Gennaio 1900. 
BouLeNnGER (Giorgio Alberto), Assistente al 


Museo di Storia Naturale di . 
28 Gennaio 1900. 


XXI 


Berlino 


Londra 


Londra 


Monaco (Baviera) 


Boston Mass. 


(S. U. A.) 


Londra 


XXII 


CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE R FILOLOGICHE 


Direttore 


FerRrERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore ag- 
gregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Archeo- 
logia nella R. Università di Torino, Professore di Storia dell’arte 
militare nell'Accademia Militare, R. Ispettore per gli scavi e le 
scoperte di antichità nel Circondario di Torino, Membro della 
Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche 
Provincie e la Lombardia, Presidente della Società di Archeo- 
logia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Socio Corrispon- 
dente straniero onorario della Società Nazionale degli Anti- 
quarii della Francia, Socio corrispondente della R. Deputazione 
di Storia patria per le Provincie di Romagna e dell’Imp. Insti- 
tuto Archeologico Germanico, fregiato della Medaglia del merito 
civile di 12 cl. della Repubblica di S. Marino, %, «e. 

18 Maggio 1879 - 5 giugno 1879. — Pensionato 27 gennaio 1890. 


Segretario 

RenIeR (Rodolfo), Dottore in Lettere ed in Filosofia, Protes- 
sore di Storia comparata delle Letterature neo-latine nella R. Uni- 
versità di Torino; Socio attivo della R. Commissione dei testi 
di lingua; Socio non residente dell’I. KR. Accademia degli Agiati 
di Rovereto; Socio corrispondente della R. Deputazione veneta 
di Storia patria di quella per le Marche e di quella per l'Umbria, 
della Società storica abruzzese e della Commissione di Storia 
patria e di Arti belle della Mirandola, dell'Ateneo veneto e di 
quello di Brescia; Membro della Società storica lombarda e 
della Società Dantesca italiana; Socio onorario dell’Accademia 
Etrusca di Cortona, dell’Accademia Cosentina e dell’Accademia 
Dafnica di Acireale, Uffiz. &%, «so. 

8 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. 


XXIII 


ACCADEMICI RESIDENTI 


PeyRoNn (Bernardino), predetto. 


Rossi (Francesco), Dottore in Filosofia, Professore d’Egit- 
tologia nella R. Università di Torino, Socio Corrispondente della 
R. Accademia dei Lincei in Roma, es. 

10 Dicembre 1876 - 28 dicembre 1876. — Pensionato 1° agosto 1884. 


Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della 
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del 
Consiglio degli Archivi e dell'Istituto storico italiano, Commis- 
sario di S. M. presso la Consulta araldica, Dottore honoris causa 
della R. Università di Tiibingen, Gr. Uffiz. * e es, Cav. d’on. e 
devoz. del S. M. O. di Malta. 

17 Giugno 1877 - 11 luglio 1877. — Pensionato 28 febbraio 1886. 


BoLLATI DI SAINT-PIERRE (Barone Federigo Emanuele), Dot- 
tore in Leggi, Soprintendente agli Archivi Piemontesi e. Di- 
rettore dell'Archivio di Stato in Torino, Membro del Consiglio 
d'Amministrazione presso il R. Economato generale delle antiche 
Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Presidenté® 
della Commissione araldica per il Piemonte, Membro della R. De- 
putazione sopra gli studi di storia patria per le Antiche Pro- 
vincie e la Lombardia e della Società Accademica d'Aosta, Socio 
corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del R. Isti- 
tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di 
Scienze, Lettere ed Arti di Padova, della Società Colombaria 
Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria per le Pro- 
vincie della Romagna, della nuova Società per la Storia di Sicilia 
e della Società di Storia e di Archeologia di Ginevra, Membro 
onorario della Società di Storia della Svizzera Romanza, dell’Ace- 
cademia del Chablais, e della Società Savoina di Storia e di 
Archeologia ecc., Comm. *, ess. 

30 Giugno 1878 - 18 luglio 1878. — Pensionato 24 giugno 1888. 

Pezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Let- 
tere e Filosofia, Professore di Storia comparata delle lingue 
classiche e neo-latine nella R. Università di Torino, *, e. 

18 Maggio 1879 - 5 giugno 1879. — Pensionato 25 ottobre 1889 


FerrERO (Ermanno), predetto. 


XXIV 


CARLE (Giuseppe), Senatore del Regno, Dottore aggregato 
alla Facoltà di Giurisprudenza e Professore di Filosofia del 
Diritto nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della 
R. Accademia dei Lincei, Membro del Consiglio Superiore della. 
Pubblica Istruzione #, Comm. es. 

7 Dicembre 1879 - 1° gennaio 1880. — Pensionato 4 agosto 1892. 


Grar (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella 
R. Università di Torino, Membro della Società romana di Storia 
patria, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Let- 
tere ed Arti di Padova, dell'Ateneo di Brescia, ece., Uffiz. * e e». 

15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 20 maggio 1897. 


BoseLLi (Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di Giuris- 
prudenza della R. Università di Genova, già Professore nella 
R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Università 
di Bologna, Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia 
Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio Corri- 
spondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente della Società 
gi Storia patria di Savona, Socio onorario della Società Ligure 
di Storia Patria, Socio onorario dell’Accademia di Massa, Socio 
della R. Accademia di Agricoltura, corrispondente dell’Accademia 
Dafnica di Acireale, Membro del Consiglio degli archivi, Consi- 
gliere degli Ordini dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona 
d'Italia, Deputato al Parlamento nazionale, Presidente del Con- 
siglio provinciale di Torino, Gr. Cord. & e es, Gr. Cord. del- 
l’Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia, 
dell’Ord. di Bertoido I di Zàhringen (Baden), e dell'Ordine del 
Sole Levante del Giappone, Gr. Uffiz. O. di Leopoldo del Belgio, 
Uffiz. della Cor. di Pr., della L. d’O. di Francia, e C. O. della 
Concezione del Portogallo. 

15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 13 ottobre 1897. 


CrpoLLa (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore di 
Storia moderna nella R. Università di Torino, Membro della 
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche 
Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione 
Veneta di Storia patria, Socio Nazionale della R. Accademia 
dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle Scienze di 


XXV 


Monaco (Baviera), e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere 
ed Arti, Uffiz. em. 
15 Febbraio 1891 - 15 marzo 1891. — Pensionato 4 marzo 1900. 


Brusa (Emilio), Dottore in Leggi, Professore di Diritto e 
Procedura Penale nella R. Università di Torino, Membro della 
Commissione per la Statistica giudiziaria e della Commissione per 
la riforma del Codice di procedura penale, Socio Corrispondente 
dell’Accademia di Legislazione di Tolosa (Francia), ed effettivo 
dell'Istituto di Diritto internazionale; Socio Onorario della Società 
dei Giuristi Svizzeri e Corrispondente della R. Accademia di 
Giurisprudenza e Legislazione di Madrid, di quella di Barcellona, 
della Società Generale delle Prigioni di Francia, di quella di 
Spagna, della R. Accademia Peloritana, della R. Accademia di 
Scienze Morali e Politiche di Napoli, del R. Istituto Lombardo di 
Scienze e Lettere e di altre, Comm. «23 e dell'Ordine di S. Stanislao 
di Russia, Officier d’ Académie della Repubblica francese, Uff. *. 

13 Gennaio 1895 - 3 febbraio 1895. — Pensionato 18 aprile 1901. 


ALuievo (Giuseppe), Dottore aggregato in Filosofia, Profes- 
sore di Pedagogia e Antropologia nella R. Università di Torino, 
Socio Onorario della R. Accademia delle Scienze di Palermo, del- 
l'Accademia di S. Anselmo di Aosta, dell’Accademia Dafnica di 
Acireale, della Regia Imperiale Accademia degli Agiati di Rove- 
reto, dell'Arcadia, dell’Accademia degli Zelanti di Acireale e 
dell’Accademia cattolica panormitana, Uff. *, Comm. es. 

13 Gennaio 1895 - 3 febbraio 1895. — Pensionato 20 giugno 1901. 


Renier (Rodolfo), predetto. 


Pizzi (Nobile Italo), Dottore in Lettere, Professore nel Per- 
siano e Sanscrito nella R. Università di Torino, Socio corrispon- 
dente della Società Colombaria di Firenze, Dottore onorario 
della Università di Lovanio, Socio corrispondente dell'Ateneo 
Veneto, dell’Accademia Petrarchesca di Arezzo, dell’Accademia 
Dafnica di Acireale, dell’Accademia dell'Arcadia di Roma, *, @». 

8 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. 


Carroni (Dott. Giampietro), Professore ordinario di Diritto 
Civile nella R. Università di Torino, Dottore aggregato della 
Facoltà di Giurisprudenza nella R. Università di Cagliari, Socio 


XXVI 


corrispondente dell’Accademia di Legislazione di Tolosa (Francia), 
dell’Associazione internazionale di Berlino per lo studio. del 
Diritto comparato, Membro del Consiglio Superiore della Pub- 
blica Istruzione. 

20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. 


Savio (Sacerdote Fedele), Professore, Membro della R. De- 
putazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Pro- 
vincie e la Lombardia, Socio della Società Storica Lombarda e 
della Società Siciliana per la storia patria. 

20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. 


ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI 


CaruTTI DI CanToGno (Barone Domenico), Senatore del 
Regno, Bibliotecario di S. M. il Re d’Italia, Presidente della 
R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche 
Provincie e Lombardia, Socio Nazionale della R. Accademia dei 
Lincei, Membro dell'Istituto Storico Italiano, Socio Straniero della 
R. Accademia delle Scienze Neerlandese, e della Savoia, Socio 
Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco in 
Baviera, ecc. ecc., Gr. Gr. Cord. della Corona d’Italia, Uffiz. & e 
Cav. e Cons. =, Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e del- 
lO. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc. 

7 Giugno 1857 - 12 giugno 1857. 


Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore eme- 
rito, Primo Presidente della Corte di Cassazione di Firenze, 
Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Socio 
della R. Accad. delle Scienze del Belgio, di quella di Palermo, 
della Società Generale delle Carceri di Parigi, Consigliere del 
Contenzioso Diplomatico e dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro 
e della Corona d’Italia, Comm. %, e Gr. Croce es, Cav. £, 
Comm. dell’Ord. di Carlo III di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di 
Sant’Olaf di Norvegia, Gr. Cord. dell’O. di S. Stanislao di Russia. 


29 Giugno 1873 - 19 luglio 1873. 


XXVII 


ViLLari (Pasquale), Senatore del Regno, Presidente del- 
l’Istituto storico di Roma, Professore di Storia moderna e 
Presidente della Sezione di Filosofia e Lettere nell’Istituto di 
Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio 
residente della R. Accademia della Crusca, Presidente della 
R. Accademia dei Lincei, Socio nazionale della R. Accademia 
di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, Presidente della 
R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, Socio di quella 
per le provincie di Romagna, Socio Straordinario del R. Isti- 
tuto Lombardo di scienze e lettere, del R. Istituto Veneto di 
scienze, lettere ed arti, della R. Accademia di Baviera, Socio 
Straniero dell’Accademia di Berlino, dell’Accademia di Scienze 
di Gottinga, della R. Accademia Ungherese, Socio corrispondente 
dell'Istituto di Francia (Scienze morali e politiche), Dott. On. 
in Legge della Università di Edimburgo, di Halle, Dott. On. in 
Filosofia dell’Università di Budapest, Professore emerito della 
R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. * e e», Cav. ©, Cav. del Merito 
di Prussia, ecc. 

16 Marzo 1890 - 30 marzo 1890. 


ComparerTI (Domenico), Senatore del Regno, Professore 
emerito dell’Università di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, 
pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio Nazionale della 
R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di 
Napoli, Socio corrispondente dell’Accademia della Crusca, del 
R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto, Membro della 
Società Reale pei testi di lingua, Socio straniero dell’Istituto di 
Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e corri- 
spondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco, di 
Vienna, di Copenhagen, Uff. *, Comm. «®, Cav. ©. 

20 Marzo 1892 - 26 marzo 1892. 


D'Ancona (Alessandro), già Professore di Letteratura italiana 
nella R. Università e già Direttore della Scuola normale superiore 
in Pisa, Membro della Deputazione di Storia patria per la To- 
scana, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei e di quella 
di Napoli, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Aca- 
démie des Inscriptions et belles lettres), della R. Accademia di 
Copenhagen, dell’Accademia della Crusca, del R. Istit. Lombardo 


XXVIII 


di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto e della R. Accademia 
di Lucca, Cav. =, Gr. Uff. *, Comm. es. 
20 Febbraio 1898 - 3 marzo 1898. 


Ascori (Graziadio), Senatore del Regno, Insignito della Cit- 
tadinanza milanese, Socio nazionale della R. Accad. dei Lincei, 
della Società Reale di Napoli e del R. Istituto Lombardo di 
Scienze e Lettere, Membro straniero dell’ Istituto di Francia e 
della Società Reale svedese di Scienze e Lettere in Gotemburgo, 
Accademico della Crusca, Membro d’onore dell’Accademia delle 
Scienze di Vienna, Membro corrispondente delle Accademie delle 
Scienze di Belgrado, Berlino, Budapest, Copenaga, Pietroburgo, 
della Società orientale americana, degli Atenei di Venezia e 
Brescia, dell’Accademia d’ Udine, dell’I. R. Società Agraria di 
Gorizia, Socio onorario delle Accademie delle Scienze d'Irlanda 
e di Rumania, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti 
di Padova, della Minerva di Trieste, della Società asiatica ita- 
liana, della R. Accademia di Belle Arti e del Circolo filologico 
di Milano, della Lega nazionale per l’unità di cultura tra i 
Rumeni e dell’Associazione Americana per le lingue moderne; 
Dottore in filosofia per diploma d’onore dell’Università di Wirz- 
burgo, Professore emerito di Storia comparata delle lingue clas- 
siche e neolatine nella R. Accademia scientifico-letteraria di 
Milano; Cav. dell’Ord. Civile di Savoia, Gr. Cord. e, Comm. della 
Legion d’Onore, ecc. 

20 Febbraio 1898 - 3 marzo 1898. 


XXIX 


ACCADEMICI STRANIERI 


Moxmvwsen (Teodoro), Professore nella Regia Università di 
Berlino. 
3 Gennaio 1861 - 16 gennaio 1861. 


Meyer (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Diret- 
tore dell’ “ Ecole des Chartes ,, Parigi. 
4 Febbraio 1883 - 15 febbraio 1883. 


Paris (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi. 
3 Marzo 1889 - 15 marzo 1889. 


BéoanrLINGK (Ottone), Professore nell'Università di Lipsia. 
16 Marzo 1890 - 30 marzo 1890. 


ToBLer (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino. 
3 Maggio 1891 - 26 maggio 1891. 


Maspero (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, 
Parigi. 

26 Febbraio 1893 - 16 marzo 1893. 

WaLLon (Enrico Alessandro), Segretario perpetuo dell’Isti- 
tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). 

31 Gennaio 1897 - 14 febbraio 1897. i 


Bruomann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. 
31 Gennaio 1897 - 14 febbraio 1897. 


XXX 


CORRISPONDENTI 


SEZIONE 
DI SCIENZE FILOSOFICHE 


BONATELLI \inazonseo)i: Professore nella 
Regia Universitàadii: 0 ii i aan 
15 Febbraio 1882. 


PinLocHE (Augusto), Professore nel Liceo 
Carlomagno! di. #7:219vit 1ta/1 ptogsolone OUND45Mmage 
15 Marzo 1896. » 


Tocco (Felice), Professore nel R. Istituto di 
Studi Superiori pratici e di perfezionamento di Firenze 
15 Marzo 1896. 


CantoNI (Carlo), Professore nella R. Uni- 
ST ie rage ar cern se 
15 Marzo 1896. 


CaiaPPELLI (Alessandro), Professore nella 
Ri Unita ite I Ln TRO I 
15 Marzo 1896. 


SEZIONE 
DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI 


LampertIco (Fedele), Senatore del Regno. Vicenza 
5 Aprile 1881. 


Roprieuez De BerLanGa (Manuel) . . . Malaga 
17 Giugno 1883. 


ScHuPFER (Francesco), Professore nella Regia 
Università di . 
14 Marzo 1886. 


GasBA (Carlo Francesco), Professore nella 
R. Università di . 
3 Marzo 1889. 


Buonamici (Francesco), Professore nella 
R. Università di . 
16 Marzo 1890. 


DarestE (Rodolfo), dell'Istituto di Francia 
26 Febbraio 1893. 


SEZIONE 
DI SCIENZE STORICHE 


AprianI (P. Giambattista), della R. Depu- 
tazione sovra gli studi di Storia Patria . 
15 Dicembre 1853. 


BrrcH (Walter de Gray), del Museo Bri- 
tannico di PIT, DTA ) 
14 Marzo 1886. 


CHEvALIER (Canonico Ulisse) 
26 Febbraio 1893. 


DucH®esne (Luigi), Direttore della Scuola 
Francese in. 
28 Aprile 1895. 


Bryce (Giacomo) 
15 Marzo 1896. 


ParerTA (Federico), Professore nella R. Uni- 
versità di 
15 Marzo 1896. 


XXXI 


Roma 


Pisa 


Pisa 


Parigi 


Cherasco 


Londra 


Romans 


Roma 


Londra 


Siena 


XXXII 


SEZIONE 
DI ARCHEOLOGIA 


Parma di CesnoLaA (Conte Luigi), Direttore 
del Museo Metropolitano di Arti a 
2 Gennaio 1876. 


LartESs (Elia), Membro del R. Istituto Lom- 
bardo di Scienze e Lettere 
14 Marzo 1886. 


Poeai (Vittorio), Bibliotecario e Archivista 
civico a . Mi, 
2 Gennaio 1887. 


PLevre (Guglielmo), Conservatore del Museo 
BEziorare Ra e, 
2 Gennaio 1887. 


PALMA DI CesnoLa (Cav. Alessandro), Membro 
della Società degli Antiquarii di Londra . 
3 Marzo 1889. 


Mowar (Roberto), Membro della Società 
degli Antiquari di Francia 
16 Marzo 1890. 


NaparLLac (Marchese I. F. Alberto de) 
16 Marzo 1890. 


Brizio (Eduardo), Professore nell’Univer- 
sità di ; 
26 Febbraio 1893. 


BarnaABEI (Felice), Direttore del Museo 
Nazionale Romano 


28 Aprile 1895. 


GATTI (Giuseppe) 
15 Marzo 1896. 


New-York 


Milano 


Savona 


Leida 


Firenze 


Parigi 


Parigi 


Bologna 


Roma 


Roma 


XXXIII 


SEZIONE 
DI GEOGRAFIA ED ETNOGRAFIA 


Pigorini (Luigi), Professore nella R. Uni- 
Mn o )  Slermetin TOUS. - sro lioma 
17 Giugno 1883. 


DaLLa Vepova (Giuseppe), Professore nella 
meniiiversità. di. . FRI .194040 COD È... Roma 
28 Aprile 1895. 


SEZIONE 
DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE 


KreHL (Ludolfo), Professore nell’ Univer- 
eee 
25 Giugno 1857. 


Sourinpro Mogun Tagore . . . . . . Calcutta 
18 Gennaio 1880. 


Weger (Alberto), Professore nell’ Univer- 
aanidionionto . dsllebusimsbisat oivofonbbie Lì 0 Berlino 
20 Marzo 1881. 


KerBAKER(Michele), Professore nella R. Uni- 
ni re ci La pole 
17 Giugno 1883. 


Mare (Aristide) 1 (SUDinO e), . . Vaucresson 
(Francia) 
1° Febbraio 1885. 


OppeRT (Giulio), Professore nel Collegio di 
MR e gr 
3 Marzo 1889. 


Guipi (Ignazio), Professore nella R. Uni- 
0... + ‘ne 


3 Marzo 1889. 


XXXIV 


AweLinpaU (Emilio), Professore nella “ École 
des Hautes Etudes , di. . 900 . . . . Parigi 
28 Aprile 1895. 


FoerstER (Wendelin), Professore nell’Uni- 
versità. di Der e, VER, L'INBESINE  GIOE 
28 Aprile 1895. 


SEZIONE 
DI FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA 


BrfaL (Michele), Professore nel Collegio di 
UIL LITE E RR ARIE Pell PROG co 
1° Febbraio 1895. 


Nigra (S. E. Conte Costantino), Ambascia- 
tone: di, e ai ga rd e va CRE 
14 Marzo 1886. 


RaynA (Pio), Professore nell'Istituto di Studi 
superiori pratici e di perfezionamento in. . Firenze 
14 Marzo 1886. 


Der Lungo (Isidoro), Socio residente della 
R. Accademia della Crusca . . . .. . . Firenze 
16 Marzo 1890. 


XXXV 


MUTAZIONI 


AVVENUTE 


nel Corpo Accademico dal 17 Novembre 1901 
al 25 Gennaio 1903. 


ELEZIONI 


SOCI 


Morera (Giacinto). Eletto Socio nazionale residente della 
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza 
del 9 febbraio 1902 e approvata l'elezione con R. Decreto del 
23 febbraio 1902. 

Grassi (Guido). Id. Id. 

D’Ovipro (Enrico). Rassegna le dimissioni da Segretario 
della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 

D’Ovipio (Enrico). Eletto alla carica triennale di Presidente 
dell’Accademia nell’adunanza a Classi Unite del 14 dicembre 1902 
a complemento del triennio principiato dal compianto Socio 
A. Cossa e approvata l’elezione con R. Decreto 21 dicembre 1902. 

Camerano (Lorenzo). Eletto alla carica triennale di Segre- 
tario della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali 
nell'adunanza del 25 gennaio 1903 della Classe stessa a com- 
plemento del triennio principiato dal Socio E. D’Ovipio, e ap- 
provato con R. Decreto 1° febbraio 1903. 


XXXVI 


MORTI 


4 Agosto 1900. 

PeRRENS (Francesco), Socio corrispondente della Classe di 

scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di scienze storiche). 
22 Novembre 1901. 4 

KovaLEWSKI (Alessandro), Socio corrispondente della Classe 
di scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, 
Anatomia e Fisiologia comparata). 

12 Aprile 1901. 

Cornu (Maria Alfredo), Socio corrispondente della Classe di 
scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Fisica gene- 
rale e sperimentale). 

20 Luglio 1902. 


FeLici (Riccardo), Socio nazionale non residente della Classe 
di scienze fisiche, matematiche e naturali. 


5 Settembre 1902. 


VIircHoWw (Rodolfo), Socio straniero della Classe di scienze. 
fisiche, matematiche e naturali. 


21-22 Settembre 1902. 

Damour (Agostino Alessio), Socio Corrispondente della 
Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di 
Geologia, Mineralogia e Paleontologia). 

27 Settembre 1902. 

Reymonp (Gian Giacomo), Socio nazionale non residente 

della Classe di scienze morali storiche e filologiche. 
23 Ottobre 1902. 

Cossa (Alfonso), Socio residente della Classe di scienze 

fisiche, matematiche e naturali, Presidente dell’Accademia. 
6 Dicembre 1902. 


WisLiceNUSs (Giovanni), Socio corrispondente della Classe di 
scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Chimica ge- 
nerale ed applicata). 


23 Gennaio 1903 


Renpu (Eugenio), Socio corrispondente della Classe di scienze 
morali, storiche e filologiche (Sezione di scienze filosofiche). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 


quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


Dal 15 Giugno al 16 Novembre 1902. 


* Abhandlungen der Kònigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Géottingen. 
Mathem.-Physikalische Klasse. N. F., Bd. II, No. 8. Berlin, 1902; 4°. 

* Abhandlungen der naturhistorischen Gesellschaft zu Niirnberg. XIV Bd., 
1902;. 8°. 

Académie R. des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique. 
Annuaire, 1902; 8°. — Biographie Nationale, T. XVI, 2° fase.; 8°. — 
Bulletin de la Classe des Sciences, 1901; 1902, Nos. 1-5; 8°. — Mémoires, 
T. 54°, 1" et 4° fase; 4°. — Mémoires Couronnés et Mémoires des 
Savants étrangers, T. 59°, 1" et 2° fasc.; 4°. — Mémoires Couronnés et 
autres Mémoires, T. 56°, 61°; 8°. Bruxelles, 1900-1902. 

* American Chemical Journal. Vol. XXVI, Nos. 4-6; XXVII, 1-3. Baltimore, 

1901-1902; 8° (dall’Università John Hopkins di Baltimora). 
* American Journal of Mathem. Vol. XXIV, N. 1. Baltimore, 1902; 4°. 
* Analele Academiei Romane. Ser. IT, T. XXIII (1900-1901). Memoriile 
Sectiunii scientifice. 
Actività sciintificaà a lui Jon Ghica. Discursuri de receptiune de C.I. Istrati; 
cu réspuns de D. A. Sturdza. Bucuresci, 1901; 4°. 
* Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega 6*, t. LIII; 1, 2, LIV. 
Buenos Aires, 1902; 8°. 

* Anales del Museo Nacional de Montevideo. T. IV, 1* parte. 1902; 4°. 

* Annales de la Société géologique de Belgique. T. XXIX, 2° et 3° livr. 
Liège, 1901-1902; 4°. 

Annales de la Société d’Agriculture, Sciences et Industrie de Lyon. 
7° série, t. VII-VIII (1899-1900). Lyon, 1901; 8°. 

Annales de la Société Linnéenne de Lyon. Nouvelle série, t. 47° et 48°, 
Lyon, 1901; 8°. 

* Annales de l’Université de Lyon: N. S.; I. Sciences, Médecine, fasc. 8, 9. 
Lyon-Paris, 1902; 8°. 

Annales de la Faculté des Sciences de Marseille. T. XII. Paris, 1902; 4°. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. c 


* 


* 


XXXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Annales des Mines. 10° série, t. I, 4° livr.; II, 7°. Paris, 1902; 8°. 

* Annales de la Faculté des Sciences de l’Université de Toulouse pour les 
sciences mathém. et les sciences physiques. 2° Série, T. IV, 1", 2”© fasc., 
1902. Paris; 4°. 

Annals of the R. Observatory, Edinburgh. Vol. 1. Glasgow, 1902; 4°. 
Annuaire statistique de la ville de Buenos-Ayres. XI° année, 1901. Buenos- 
Ayres, 1901; 8° (dalla Direzione generale di Statistica municipale). 

* Archives du Musée Teyler, série II, vol. VIII, 1° partie. Haarlem, 1902; 8°. 

* Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles, publiées par 
la Société hollandaise des sciences è Haarlem. Sér. II, t. VII, 2° et 5° livrs. 
La Haye, 1902; 8°. 

* Archives (Nouvelles) du Museum d’histoire naturelle. 4"° série, t. III, 
2° fasc.; IV, 1" fasc. Paris, 1901, 1902; 4°. 

* Atti della R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze, 
4* serie, vol. XXV, disp. 2°, 1902; 8°. 

# Atti della Società Italiana di scienze naturali, vol. XLI, fasc. 2°, 3°. Milano, 
1902; 8°. 

* Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconto dell’Adunanza solenne 

del 1° giugno 1902; 4°. 

Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno LV, sess. IV-VII, 

1902. Roma; 4°. 

* Bergens Museum Aarbog 1902, Afhandlinger og Aarsberetning. Bergen, 
1902; 8°. 

* Beitriîge zur chemischen Physiologie und Pathologie. II Bd., 7 bis 12; II, 
1-3 Heft. Braunschweig, 1902; 8°. 

Boletim mensal do Observatorio do Rio de Janeiro. Julho-Dezembro de 
1901. Rio de Janeiro, 1902; 8° (dal Ministerio da Indus., Viagào e Obras 
Publicas). 

* Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia. Anno 1902. N. 2. Roma; 8°. 

* Buletinul Societatii de Sciinte din Bucuresci-Romania. Anul XI. No. 3, 4. 
Bucurescì, 1902; 8°. 

* Bulletin de la Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydro- 
logie. 2° Série, T. II, fasc. 4; VI, fasc. 2, 3. Bruxelles, 1902; 8°. 

* Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. 
Vol. XL, No. 2, 3; XLI, 1. Cambridge Mass., 1902; 3°. 

Bulletin of the Chicago Academy of Sciences. Vol. II, n. 3, 4, part I. 1900; 8°. 

* Bulletin of the Lloyd Library of Botany, Pharmacy and materia medica. 
Farmacy Ser. No. 1; Mycological Ser. No. 2, 9. Cincinnati, Ohio, 1902; 8°. 

Boletin de la Academia Nacional de Ciencias en Cordoba. T. XVII, entr. 1. 
Buenos Aires, 1902; 8°. 

* Bulletin international de l’Académie des Sciences de Cracovie. Classe des 
sciences mathématiques et naturelles. Nos. 6, 7, 1902; 8°. 

* Bulletin of the Scientific Laboratories of Denison University. Vol. XI, 
Art. 11; XII, Art. 1. Granville, O., 1902; 8°. 

* Bulletin of the American Mathematical Society. 2nd Ser., vol. VIII, No. 10; 
IX, 1, 2. Lancaster, Pa., and New York, 1902; 8°. 


* 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIX 


* Bulletin of the University of Kansas. Science bulletin. Vol. I, Nos. 1-4. 
Lawrance, Kan., 1902; 8°. 

* Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1902. 
Nos. 1, 2. Moscou, 1902; 4°. 

* Bulletin de la Société des Sciences naturelles de l’Ouest de la France. 
2me Sér., T. II, 1" trimestre 1902. Nantes; 8°. 

* Bulletin de la Société Neuchàteloise des sciences naturelles. T. XXVII 
(1898-1899). Neuchatel, 1899; 8°. 

* Bulletin de la Société Géologique de France. 4° série, T.I, N. 5 (1901); 
II, N.1(1902). Paris, 1902; 8°. 

* Bulletin de la Société Mathématique de France. T. XXX, fasc. 2. Paris, 
1902; 8°. 

Balletin de la Société Philom. de Paris. 9° Série, T. IV, N. 2. 1901-1902; 8°. 

* Bulletin de la Société Scientifique et Médicale de l’Quest. T. XI, Nos. 1,2. 
Rennes, 1902; 8°. 

* Bulletin du Muséum d’histoire naturelle. Année 1901, Nos. 7, 8; 1902, 
Nos. 1-4. Paris, 1902; 8°. 

* Cartes tectoniques des environs de Moutier, de Bellelay (Jura bernois) 
par L. Rollier. 1900; 2 f.' (dalla “© Commission géolog. Suisse ,). 

Centralbureau der internationalen Frdmessung. N. F. der Veròffentlich- 
ungen, No. 6. à i 

* Ceskà Akademie cisare Frantiska Josefa pro védy, Slovesnost a Uméni. 
IIl. Bulletin international. Résumé des travaux présentés. VI° année. 

Sciences mathématiques et naturelles; Médecine, 1901; 8°. 
Rozpravy. Trida II (Mathematiko-Prirodnick4). Rotnik, X (1901); 8°. 
Véstnik. Rocnik, X. Cislo 1-9. 1901. Praze; 8°. 

* Denkschriften des medicinisch-naturwissenschaftlichen Gesellschaft zu 
Jena; vol. IX, 1 Lief. Testo e tav. Jena, 1902; 4°. 

Erliuterungen zur geologischen Karte der Lagernkette in 1:25.000 von 
F. Mihlberg. Bern, 1902; testo in-8° e 1 c. in-f° (dalla “ Commission 
géolog. Suisse ,). 

* Field Columbian Museum. Anthropological Ser., Vol. III, No. 2; Geological 
Series, Vol. I, Nos. 9, 10. Report Ser., Vol. II, No. 1. Chicago, U.S. A., 
1900-1901; 8°. 

#* Fortschritte der Physik im Jahre 1901, Bd. LVII. 2,3. Abth. Braunschweig, 
1902; 8°. 

* Geological Literature added to the Geological Society's Library during 
the Year ended December 315'. 1901. London, 1902; 8°. 

* Geological Survey of Canada. Catalogue of Canadian plants. Part VII. 
— Lichenes and Hepaticae by J. Macoun. Ottawa, 1902; 8°. 

Geology (The) and Mineral Resources of the Copper River Districts, Alaska 
by F. C. Schrader and A. C. Spencer. Washington, 1901; 4° (dal De- 
partment of the Interior U.S. Geological Survey). 

* Giornale della R. Accad. di Medicina. A. LXV, n. 6-9. Torino, 1902; 8°. 

*Jahrbuch iber die Fortschritte der Mathematik. Bd. 31. Jahrg. 1900. 
Heft 1,2. Berlin, 1902; 8°. 


XL PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Jahresbericht der Naturhistorischen Gesellschaft zu Nirnberg fiir 1900. 
1901; 8°. 

* Jahreshefte des Vereins fiir vaterlàndische Naturkunde in Wiirttemberg. 
58 Jahrgang. Stuttgart, 1902; 8°. 

* Jenaische Zeitschrift fir Naturwissenschaft. herausg. von der medizinisch- 
naturwiss. Gesellschaft zu Jena; Bd. XXIX, Heft 3. u. 4; XXX, 1. Jena, 
1902; 8°. 

Informes presentados a la Secretaria de Fomento por el Director del Obser- 
vatorio astronomico nacional sobre los trabajos del Establecimiento 
desde Julio de 1899 hasta Diciembre de 1901. Mexico, 1902; 8°. 

* Journal of the Asiatic Society of Bengal. Vol. LXX, Part II, Natural 
science, No. 2 (1901); LXXI, No. 1 (1902). Calcutta; 8°. 

* Jonrnal of the Chemical Society. Vols. 81 and 82; August-November 1902. 
London; 8°. 

* Journal of the Linnean Society. Botany, Vol. XXVI, Nos. 179, 180; 
XXXV, No. 245. Zoology, vol. XXVIII, No. 185. London, 1902; 8°. 

* Journal of the R. Microscopical Society, 1902, part 4, 5. London; 8°. 

* Journal de l’École Polytechnique: II° série, 7° cahier. Paris, 1902; 4°. 

* Journal of the College of sciences, Imp. University of Tokio, Japan. 
Vol. XII, part 3* (1900); XVI, part 2*, art. 6°; XVII, p. 2°, 3°, art. 7-9. 
Tokio, 1902; 8°. 

* List of the Fellows and honorary, foreign, and corresponding Members 
and Medallist of the Zoological Society of London. London, 1902; 8°. 

* Matériaux pour la Carte géologique de la Suisse. N. S. XIII° livr. Étude 
géologique de la Còte-aux-Fées et des environs de St-Croix et Baulmes, 
avec 1 c. au 1:25.000 par Th. Rittener. Berne, 1902; 4° (dalla © Com- 
mission géolog. Suisse x). 

* Mémoires de la Société des sciences physiques et naturelles de Bordeaux. 
6° série, t. I. Observations pluviométriques et thermométriques faites 
dans le département de la Gironde, juin 1900 - mai 1901. Bordeaux, 
L90180 

* Mémoires de la Société de Physique et d’Histoire naturelle de Genève. 
‘l'on. 34, fasc. 2, 1902;.4°. 

* Mémoires de l’Académie des sciences, belles-lettres et arts de Lyon. 
Sciences et Lettres. 3° Sér., T. VI. Paris, Lyon, 1901; 8°. 

* Mémoires de la Société zoologique de France pour l’année 1901. T. XIV. 
Paris; 8°. 

* Mémoires (Nouveaux) de la Société Helvétique des sciences naturelles. 
Vol. 38®e, Zurich, 1901; 4°. 

* Memoirs of the National Academy of Sciences, Vol. VIII [Sixth Memoir]. 
Washington, 1902; 4°. 

* Memoirs of the Museum of Comparative Zoology at Harward College. 
Vol. XXXVII, No. 1. Cambridge U. S. A., 1902; 4°. 

* Memorias y Revista de la Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. T. XIII, 
Nos. 3 y 4; T. XVI, Nos. 2-6. Mexico, 1901; 8°. 

* Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Classe di scienze 
matematiche e naturali. XIX, fasc. 8°. Milano, 1902; 4°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLI 


# Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena, 
Ser. II, vol. XII, parte 2*; Ser. III, vol. III. Modena, 1901-1902; 4°. 

* Memorie descrittive della carta geologica d’Italia. Vol. XI. 1902; 8° 
(dal R. Ufficio Geologico). 

* Mittheilungen der Naturforschenden Gesellschaft in Bern aus dem 
‘Jahre 1901. Nr. 1500-1518. Bern, 1902; 8°. 

* Mittheilungen aus der medicinischen Facultàt der Kaisr.-Japanischen 
Universitàt zu Tokio. Bd. V, No. 4. Tokio, 1902; 4°. 

* Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LXII, No. 8,9, 
London, 1902; 8°. i 

* Nachrichten von der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòottingen. 
Mathematisch-physik. Klasse. 1901. Heft 4, 5» Gottingen, 1902; 8°. 

* Natuurkundig Tijdschrift voor Nederlandsch-Indié Uitgegeven door de 
konink. Natuurkundige Vereeniging in Nederlandsch-Indié. Deel LXI. 
Tiende Serie, Deel V. Batavia, 1902; 8°. 

Obserrations made at the Royal magnetical and meteorological Obser- 
vatory at Batavia. Vol. XXIII (1900). Batavia, 1900; f° (dono del Go- 
vernment of Netherlands India). 

* QOccasional Papers of the California Academy of Sciences. VIII. San Fran- 
cisco, 1901; 8°. 

** Palaeontographica. Beitrige zur Naturgeschichte der Vorzeit. Bd. 42. 
Stuttgart, 1895. 

Peabody Institute, of the city of Baltimore. Thirty-fifth Annual Report. 
June 1, 1902. Baltimore; 8°. 

* l'roceedings of the American Academy of Arts and Sciences. Vol. XXXVII, 
Nos. 15-22. Boston, 1902; 8°. 

* Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. Nos. IX-X, XI (Extra No); 
I-V (1902). Calcutta; 8°. 

* Proceedings of the Cambridge Philosophical Society; Vol. XI, Part 6°. 
Cambridge, 1902; 8°. 

DA Proceedings of the Linnean Society of London; 114th Session, From No- 
vember 1901 to June 1902. London, 1902; 8°. 

* Proceedings of the Royal Physical Society. Session 1900-1901. Part 4%. 
Edinburgh, 1902; 8°. 

* Proceedings of the R. Society. No. 463-468. London, 1902; 8°. 

Proceedings of the Royal Institution of Great Britain. Vol. XVI, Part III, 
n. 95. London, 1902; 8°. 

* Proceedings of the Zoological Society .of London for the year 1902. 
Vol. I, Part 2*; II, P. 1* and Index 1891-1900. London; 8°. 

* Proceedings of the Academy of Natural Sciences of Philadelphia. 1900, 
Vol. LIMI, Part III (1901). Philadelphia, 1902; 8°. 

* Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia. 
Vol. XLI, No. 168. Philadelphia, 1902; 8°. 

* Proceedings of the California Academy of Sciences. 3. Ser., Botany 
Vol. II, Nos. 3-9; Zoology II, Nos. 7-11; III, Nos. 1-4. San Francisco, 
1901-1902; 8°. 


XLII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Procès-Verbaux des Séances de la Société des Sciences physiques et na- 
turelles de Bordeaux. An. 1900-1901. Paris, 1902; 8°. 

* Poggendorff’s biographisch-literarisches Handwòrterbuch zur Geschichte 
der exacten Wissenschaften. IV Bd., Lief. 2. u. 3. Leipzig, 1902; 8°. 
Publicationen fir die Internationale Erdmessung. Die Astronomisch-geo- 
ditischen Arbeiten des k. k. und k. militàr-geographischen Institutes 

in Wien, XVIII Bd. Wien, 1902; 4°. 

* Pubblicazioni della Specola Vaticana. Vol. VI. Torino, 1902; 4°. 

* Quarterly Journal of the Geological Society. Vol. LVIII, Part 3. No. 231. 
London, 1902; 8°. 

* Rapport annuel de la Commission Géologique du Canada. N. S., Vol. XI 
(1898). Texte et Cartes. Ottawa, 1900-1901; 8°. 

Reconnaisanee in the Cape Nome and Norton Bay Regions, Alaska, in 
1900 by A. H. Brooks, G. B. Richardson, A. J. Collier and W. C. Men- 
denhall. Washington, 1901; 4° (dal Department of the Interior U. S. 
Geological Survey). 

Recueil d’études paléontologiques sur la Faune Crétacique du Portugal. 
Vol. I. Espèces nouvelles ou peu connues par P. Choffat. Lisbonne, 
1901-1902; 4° (dalla Commission du service géologique du Portugal). 

Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Serie II. 
Vol. XXXV, fasc. 14-16. Milano, 1902; 8°. 

* Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo. Tom. XVI, fasc. 3-5. 
Palermo, 1902; 8°. 

Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. 
Serie 3°, vol. VIII, fasc. 6° e 7°. Napoli, 1902; 8°. 

Report of the Superintendent of the U. S. Coast and Geodetic Survey 
showing the progress of the Work from July 1, 1899, to June 30, 1900. 
Washington, 1901; 4°. 

* Report (Annual) of the Board of Regents of the Smithsonian Institution 
....for the year ending June 30, 1900. Report of the U. S. National 
Museum. Washington, 1902; 8°. 

Report (wenty-first Annual) of the United States Geological Survey to 
the Secretary of the Interior 1899-1900. Ch. D. Walcott Director. Parts 5 
and 7. Washington, 1899; 2 vol. e Atl. 4°. 

Report of the Librarian of Congress for the fiscal year ending June 30, 
1901. Washington, 1901; 8°. 

* Royal Society. Reports to the Malaria Committee. Seventh Series. London, 
1902; 8°. 

* Sitzangsberichte der K. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu Berlin. 
1 Mai 1902, N. XXIII; 31 Juli 1902, N. XL. Berlin; 8°. 

* Sitzungsberiehte der physikalisch-medicinischen Societàt in Erlangen. 
33 Heft, 1902; 8°. 

* Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der k. b. Aka- 
demie der Wissenschaften zu Miinchen. 1902. Heft 2; 8°. 

* Smithsonian Institution. 


Smithsonian Contributions to Knowledge. 1309. Washington, 1901; 4°. 


* 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLIII 


* Transactions of the Cambridge Philosophical Society. Vol. XIX, Part 2°. 
Cambridge, 1900; 8°. 
* Transactions of the American Mathematical Society. Vol. 3°, No. 3, 4. 
October, 1902. Lancaster, Pa., and New York; 4°. 
* Transactions of the Linnean Society of London. 2nd Ser. Botany, vol. VI, 
p. 2, 3. 2nd Ser. Zoology, vol. VIII, p. 5-8. London, 1901-902; 4°. 
* Transactions of the Zoological Society of London. Vol. XVI, Part 6°, 7°. 
1902; 4°. 
Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXVII, Part X-XVI, 
1901-1902: 8°. ° 
* Travaux et Mémoires du Bureau international des Poids et Mesures. 
T. XII. Paris, 1902; 4°. 
Tufts College Studies, No. 7 (Scientific Series). Tufts College, Mass., 1902; 8°. 
* University of California. 
Agricultural experiment Station, E. W. Ihlgard Director, Bulletin, 
Nos. 131-139. Berkeley, 1901-1902; 8°. 
Agricul. exper. Station. Nature-Study bulletins. Berkeley, 1900; 8°. 
Annual Report o? the Secretary to the Board of Regents of the Univ. 
of California, for the year ending June 30, 1900. Sacramento, 1901; 8°. 
Bulletin of the Department of Geology. Vol. II, Nos. 8-12. Berkeley, 
1900; 8°. 
The University Chronich, an official Record; Vol. IV. Nos. 1-6. Berkeley, 
1899; 8°. 
Univ. of California. Bulletins. Issued Quarterly. N. S. Vol. IL Nos. 4; 
III, 1. Berkeley, 1900; 8°. 
** Verhandlungen der deutschen physikalischen Gesellschaft im Jahre 1902, 
Jahrg. 4, N. 12-13. Berlin; 8°. 
* Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt Bericht. N. 7-10, 
1902. Wien; 8°. 
** Verhandlungen der k. k. zoologisch-botanischen Gesellschaft in Wien. 
49, 50 Bd., 1899, 1900; 8°. 
* Verhandlungen der k. k. zoologisch-botanischen Gesellschaft in Wien. 
52 Bd., 6-8 Heft, 1902; 8°. 
Veròffentlichung des K. preussischen geodàitischen Institutes. N. F., No. 8, 9. 
Berlin, 1902; 8°, 
* Vjestnik kr. Hrvatsko-Slavonsko-Dalmatinskog Zemaljskog Arkiva. Go- 
dina IV. Svezak 4. Zagreb, 1902; 8°. 
* }KypHaxs pyccxaro pusmro-x1mntecgaro O6mecrBa pu IIMmepatoperomE, 
C. Ierep6ypreroms Yanpepenterh, T. XXXIV, n. 5, 6. 1902; 8°. 


* Dalla R. Biblioteca dell’ Università di Erlangen : 


Agricola (H.). Die thermoelektromotorische Kraft des Quecksilbers und 
einiger sehr verdiinnter Amalgame in ihrer Abhingigkeit von Druck und 
Temperatur. Leipzig, 1902; 8°. 

Baner (W.). Ueber die Entschwefelung von aryldithiocarbaminsauren Am- 
moniaksalzen. Bamberg, 1902; 8°. 


XLIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Bauereisen (A.). Die Nabelschnurrestbehandlung des Neugebornen. Weissen- 
burp-ca. So 1901;38% 

Becker (G.). Zur Kenntniss der sesquioxyd- und etti Augite. 
Erlangen, 1902; 8°. 

Behnke (A.). Studien iber die Entwickelung der Mundwerkzeuge der Hyme- 
nopteren. Berlin; 8°. 

Bencker (H.). Cystennieren einer Missgeburt. Erlangen, 1902; 8°. 

Berdel (E.). Beitrag zur Kenntnis der Legierungen. Erlangen, 1902; 4°. 

Berg (E. v.). Ueber Phosphate des Rubidiums und Caesiums. Erlangen, 1901; 8°. 

Beyer (A.). Untersuchuugen ‘tiber Umlagerungen an der Nordseekiiste in 
besonderen an und auf der Insel Sylt. Halle a. S., 1901; 8°. 

Béòck (F.). Ueber die Funtionsfàhigkeit nach Oberarmluxtionen. Metz, 
1902; 8°. 

Briicher (M.). Der Schichtenaufbau des Miisener Bergbaudistriktes; die 
daselbst auftretenden Ginge und die Beziehungen derselben zu den 
wichtigsten Gesteinen und Schichtenstòrungen. Minchen, 1901; 8°. 

Briigel (P.). Ein Fall von Pyaemie im Anschluss an einen subphrenischen 
Abszess bei chronischer Cholelithiasis. Braunschweig, 1902; 8°. 

Cohn (G.). Vergleichend-anatomische Untersuchungen von Blatt und Achse 
einiger Genistern-Gattungen aus der Subtribus der Crotalarieen Ben- 
tham-Hooker. Capel, 1901; 8°. 

Constantinides (J.). Klinische Beitrige zur Kenntnis der Dystrophia muscu- 
lorum progressiva. Erlangen, 1902; 8°. 

Deneks (E.). Zur Kenntnis der y-Diketone Erlangen, 1902; 8°. 

Doering (P.). Ueber die angoborene Haarlosigkeit des Menschen (Alopecia 
congenita). Erlangen, 1901; 8°. 

Dòriug (T.). Der Einfluss des Kobalthydroxyds auf die Einwirkung, der 
Halogene auf Kalilauge. Erlangen, 1902; 8°. 

Dorn (J.). Ueber die Bildung der Knochenabscesse. Wiirzburg, 1901; 8°. 

Eckert (A.). Untersuchung verschiedener Kasesorten auf Schweinerotlauf- 
bakterien. Erlangen, 1902; 8°. 

Enslin (E.) Fin Beitrag zur Kasuistik der Darm-Invaginationen infolge von 
Darmtumoren. Niirnberg, 1902; 8°. 

Euler (H.). Ueber den, Verlauf der Magenverdauung unter verschiedenen 
physikalischen Einfliissen. Erlangen, 1902; 8°. 

Fried (0.). Fin Fall von primàrem Sarkom des Meckelschen Divertikels. 
Bamberg, 1902; 8°. i 

Frischmnann (K. H A.) Spontanfraktur bei Osteomyelitis suppurativa. 
Erlangen, 1901; 8°. 

Fachs (R. F.). Zur Physiologie und Wachstumsmechanik des Blutgefàss- 
Systemes. Jena, 1902; 8°. 

Glanz (G. A.). Ueber medico-mechanische Nachbehandlung Unfallverletzter. 
Erlangen, 1901; 8°. 

Glatzel (B.). Quantitative Untersuchungen iiber Absorption und Reflexion 
im Ultraviolett. Burg, 1901; 8° 

Gorte (0.). I. Ueber das Vorkommen von Cholin und Betainen in Goffeîn 


TO reo , ————_y_m_——m—@—— 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLV 


und Theobromin enthaltenden Pfianzenteilen. II. Ueber das Vorkommen 
von Cholin in einigen essbaren Pilzen. Erlangen, 1902; 8°. 

Graf (G.). Ueber Additionsprodukte Schiffscher Basen und iiber Dimethyl- 
naphtosafranin. Erlangen, 1902; 8°. 

Gutbier (A.). Studien iiber das Tellur. Leipzig, 1901; 8°. 

Hackel (W.). Die Bauchnaht. Nirnberg, 1901; 8°. 

Hagen (W.). Ein Fall von fraumatischer-Erkrankung des unteren Ricken- 
marksabschnittes mit besonderer Beriichsichtigung der Lokalisation des 
Reflexcentrums fiir die Blase. Erlangen, 1901; 8°. 

Hamaji (W.). Ein Fall von doppelseitiger progressiver totaler Ophtalmo- 
plegie. Erlangen, 1902; 8°. 

Hardt (W.). Spektroskopisches Verhalten und elektrische Leitfihigkeit des 
Kobaltchlorids in verschiedenen Lòsungsmitteln. Braunschweig, 1901; 8°. 

Hart (C.). Fin Beitrag zur Struma suffocatoria. Erlangen, 1901; 8°. 

Hayashi (T.). Vergleichende Blutdruckmessungen an Gesunden und Kranken 
mit den Apparaten von Girtner, Riva-Rocci und Frey. Erlangen, 1901; 8°. 

Heh] (N.). Ueber die Dimensionen der Gebilde an der Kathode. Erlangen, 


L09001); (8°. 
Henrich (F.). Ueber die negative Natur ungestttigter Radikale. Erlangen, 
1900; 8°. 


Holm (R.). Ueber einen Fall geheilter Invagination. Bochum, 1902; 8°. 

Holzmann (H.). Ueber die Isomerieerscheinung bei den Thiosemicarbaziden. 
Erlangen, 1902; 8°. / 

Hubaleck (M.). Die Einwirkung von Amidosulfonsiure auf Pseudocumidin 
und Piperidin. Neuwied, 1901; 8°. 

Hiihner (P.). Vergleichende Untersuchungen tiber die Blatt- und Achsen- 
struetur einiger Australischer Podalyrieen-Gattunge@. Cassel, 1901; 8°. 

Hundt (P.). Ueber Adnexerkrankungen bei Uterusmyorhen. Erlangen; 8°. 

Kluge (A.). Statistische Untersuchungen iiber die Hiufigkeit von Fillen 
totlich verlaufender Gallensteinerkrankung vor und nach Finfilhrung 
der Gallensteinoperation. Erlangen, 1901; 8°. 

Knoesel (C.). Die Einwirkung einiger Antiseptika (Calciumbydroxyd, Natrium- 
arsenit und Phenol) auf alkoholische Girung. Jena, 1902; 8°. 

Kohler (G.). Die kiinstliche Deformation des Schiidels. Erlangen, 1901; 8°. 

Korezyiiski (A. v.). Studien iber Isatin. Krakau, 1902; 8°. 

Krauss (H.). Vergleichende Untersuchungen iber die Wirkungen der ein- 
fachsten Fett- und aromatischen Siuren, ihre Substitutionsproducte und 
Ester. Erlaugen, 1901; 8°. 

Krell (H.). Ueber die Finwirkung von Halogenalkylen auf die Alkalisalze 
der Amidophenole und Amidobenzolsulfosiuren. Erlangen, 1901; 8°. 

Lasker (E.). Ueber Reihen auf der Convergenzgrenze. London, 1900; 4°. 

Matsuura (S.). Ueber ausgedehnte Resektion der langen Réhrenknochen 
wegen maligner Geschwulst. Erlangen, 1902; 8°. 

Medicus (F.). Ueber hysterische Lihmungen der oberen Extremitit. Erlangen, 
1902; 8°. 

Meixner (E.). Ein Beitrag zur Kenntnis der Raupenhaar-Ophthalmie. Lich- 
tenfels, 1901; 8°. 


XLVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Model (R.). Der primàre Krebs der Gallenblase. Erlangen, 1901; 8°.. 

Moeller(E.).I. Ueber Derivate der o-Nitrobenzyl-o-aminozimmtsàure. IT. Ueber 
Umlagerungsprodukte der o-p-Azobenzoldikarbonsàure. Erlangen,1902; 8°. 

Paasch (P.). Ein Beitrag zur Kasuistik ilber klonische Accessoriuskràmpfe. 
Erlangen, 1901; 8°. P 

Pauselius (K.). Das Aneurysma popliteum. Niirnberg, 1901; 8°. 

Phol (W.). Ueber o-Nitrobenzyl-p-amidobenzoesiure und ihre Derivate. 
Erlangen, 1901; 8°. 

. Pilgram (H. J.). Die Schaarschaar der Kegelschnitte, die ein gegebenes 
Tangenten-Dreieck haben. Remscheid, 1902; 8°. 

Plitt (W.). Weiter Mitteilungen iiber den queren Fundalschnitt. Nirnberg, 
1900; 8°. 

Prenger (A.). Systematisch-anatomische Untersuchungen von Blatt und 
Achse bei den Podalyrieen-Gattungen der nòrdlichen Hemisphàre und 
des Kapgebietes, sowie bei den vier australischen Podalyrieen Gattungen 
Brachysema, Oxylobium, Chorizema und Mirbelia. Erlangen, 1901; 8°. 

Radicke (P.). Schiitzt das Emphysem vor Erkrankung an Lungentuberkulose ? 
Erlangen, 1902; 8°. 

Reiger (R.). Innere Reibung plastischer und fester Kérper. Braunschweig, 
1901; 8°. 

Richter (J.). Vergleichende Untersuchungen iiber den mikroskopischen Bau 
der Lymphdriisen von Pferd, Rind, Schwein, und Hund. Bonn, 1902; 8°. 

Rigaud (M.). Ueber B-substituierte N-Methyl-Pyridone und Dimethyl-N- 
Methy]-Chinolon. Erlangen, 1902; 8°. 

Rhodius (0.). Ueber die Finwirkung von salpetriger Sure auf Resorcinmo- 
nomethylàther. Bamberg, 1902; 8°. 

Rose (J. A.). Beit:®ge zur Kenntniss der Borsàure und ilber eine direkte 
gewichtsanalytische Bestimmung derselben. Bonn a. Rh., 1902; 8°. 
Sakamoto (J.). Ueber zwei Falle von Weil’scher Krankheit. Erlangen, 1902; 8°» 
Sammet (P.). Die in der Sammlung des mineralogisch-geologischen Instituts 
der Universitàt Erlangen enthaltenen Silicate. Erlangen, 1901; 8°. 
Scharff (P.). Beitrige zur Frage der Ernihrung des Neugebornen in den 

ersten Lebenstagen. Erlangen, 1901; 8°. 

Schmidt (W.). Untersuchungen tiber die Blatt- und Samenstruktur bei den 
Loteen. Jena, 1902; 8°. 

Schneider (S.). Zur Kenntnis der Isodithiobiazolone. Erlangen, 1902; 8°. 

Schroeder (A.). Anatomische Untersuchung des Blattes und der Axe bei 
den Liparieae und Bossiaeae. Cassel, 1902; 8°. 

Schuh (H.). Zur Diagnose und Pathologie der Perikarditis. Niirnberg, 1901; 8°. 

Schulze (W.). Beitràge zur vergleichenden Anatomie der Genisteengattungen 
Genista, Adenocarpus und Calycotome. Chemnitz, 1901; 8°. 

Senft (0.). Die Metallspielwarenindustrie und der Spielwarenhandel von 
Niirnberg und Firth. Erlangen, 1901; 8°. 

Spitta (A.). Zur Kenntnis des Diphenylisodithiobiazolon. Erlangen, 1902; 8°. 

Stelzner (K.). Ueber den Dampfdruck fester Koòrper. Braunschweig, 1901; 8°. 

Stoess (L.). Ein Fall von Cysticercus racemosus des Gehirns. Erlangen, 
1901; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLVII 


Thiele (W.). Ueber einen Fall von Gliom und Sarkom des Riickenmarks 
mit Hohlenbildung und sekundîren Stringdegenerationen. Leipzig, 
1902; 8°. 

Tsuchida (U.). Ein Fall von diffuser Sklerodermie mit ungewòhnlich starker 
Pigmentierung der Haut und Schleimbàute (Morbus Addison?). Erlangen, 
1902; 8°. 

Ulmer (T.). Ueber die Produkte der Finwirkung von Hydrazinhydrat auf 
Thioharnstoffe. Erlangen, 1901; 8°. 

Walter (A.). Ringsynthetische Versuche in der Carbazid-Reihe. Sulbach i. O., 
1901; 8°. 

Werner (J.). Statistischer Beitrag zur Therapie der Unterschenkelsarkome. 
Koln, 1901; 8°. 

Werner (M.). Drei Fille von primàrem Nierensarkom. Erlangen, 1901; 8°. 

Westrum (W.). Klinische Beitrige zur Kenntnis der Syringomyelie. Erlangen, 
1901; 8°. 

Winkler (F.). Beitràge zur vergliechenden Anatomie der Gattungen Crota- 
laria und Prioritropis. Bromberg, 1901; 8°. 

Yukawa (G.). Untersuchungen iber den Fusssohlentrichreflex in der grossen 
Zehe (Rabinski’scher Reflex) bei Gesunden und Kranken. Erlangen, 
1902; 8°. 

Zahn (H.). Ueber Protoplasmagifte. Erlangen, 1901; 8°. 


* Dall’ Università di Giessen: 


Anna (A.). Ein Fall von Tumor cerebri ohne Stauungspapille. Giessen, 1902; 8°, 

Bartels (E.). Cysticercus fasciolaris. Anatomie, Beitriàge zur Entwicklung 
und Umwandlung in Taenia crassicollis. Jena, 1902; 8°. 

Becker (A.). Ueber den Zusammenbang von Katarakt und Struma. Giessen, 
1902; 8°. 

Behr (F. G. v.). EFinfluss von Zusàtzen auf die Hydrolyse von Natrium- 
phenolatlòsungen bei der Siedetemperatur. Giessen, 1902; 8°. 

Bischoff (A.). Beitrag zur Frage der Gastrostomie. Giessen, 1901; 8°. 

Blum (D.). Zur Casuistik der Geschwulstbildungen der Conjunctiva mit 
besonderer Beriicksichtigung der Neubildungen in der Carunkelgegend. 
Giessen, 1902; 8°. 

Brand (K.). Ueber die elektrochemische Reduktion von Ketonen. Giessen, 
1901; 8°. 

Branekmann (F.). Zur Casuistik der Behandlung der Kniescheibenbriiche 
mittelst Naht. Giessen, 1902; 8°. 

Briihl (A.). Zur Casuistik der Ectropium-Operationen. Giessen, 1901; 8°. 

Causé (F.). Zur Casuistik des intermittierenden Exophthalmus und der 
varikisen Venenerweiterungen in der Umgebung des Auges. Giessen, 
1902; 8°. 

Curschmann (F.). Bietet der quere Fundalschnitt bei der Sectio caesarea 
(G. Fritsch) gegeniiber dem Lingsschnitt durch dei Corpuswand Vorteile ? 
Berlin, 1902; 8°. 

Dilger (W.). Uterus bicornis septus cum Vagina septa. Wiesbaden, 1902; 8°. 


XLVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Dillmaun (H.). Ueber Leukoplakia linguae mit besonderer Beriicksichtigung 
ihrer Histologie und Aetiologie. Berlin, 1902; 8°. 

Eichler (A.). Fin Fall von einem Caneroid der Orbita beim Pferde und 
statistiche Zusammenstellung von Carcinomen bei Pferden. Jena, 1901; 8°. 

Faller ‘(E.). Ueber die Totalinkrustation der Pferdeleber. Giessen, 1902; 8°. 

Flath (H.). Ein Fall von doppelseitiger Mucocele des Siebbeinlabyrinths. 
Giessen, 1902; 8°. 

Fuhrmann({M.). Analyse des Vorstellungsmaterials bei epileptischem Schwach- 
sinn. Berlin, 1902; 8°. 

Gminder (H.). Versuche zur Darstellung nitrierter Thioharnstoffe. Giessen, 
1901; 8°. 

Grips (W.). Ueber einen pyogenen Mikroorganismus des Schweines. Han- 
nover; 8°. 

Hansen (A.). Die Entwicklung der Botanik seit Linné. Giessen, 1902; 4°. 

Heinsberger (P.). Zur Casuistik der retrobulbàren Neuritis optica auf here- 
ditààrer Grundlage. Giessen, 1902; 8°. 

Helwig (0.). Ueber einen Fall von Osteogenesis imperfecta. Giessen, 1902; 8°. 

Hil) (T.). Ueber Residuen des Dotterganges in der Darmwand. Giessen, 
1901; 8°. 

Hobstetter (K.). Die Hufknorpelfistel des Pferdes und ihre Behandlung. 
Berlin, 1901; 8°. 

Hommel (W.). Ueber die quantitative Trennung von Wolfram und Molybdiîn. 
Zùrich, 1902; 8°. 

Habert (R.). Ueber Ovarialgeschwiilste bei Kindern. Giessen, 1901; 8°. 

Kéolle (H.). Ein Fall von Lidgangrin nach Scharlach mit Conjunctivitis 
diphtheritica. Giessen, 1902; 8°. 

Krautstrunk (T.). Beitràge zur Entwickelung der Keimblatter von Lacerta 
agilis. Wiesbaden, 1901; 8°. 

Krombach (C.). Beitrag zur Frage der Ovariotomie in der Schwangerschaft. 
Giessen, 1902; 8°. 

Kutscher (F.). Ein Fall von subcutaner totaler Ruptur der Arteria poplitea. 
Strassburg, 1902; 8°. 

Linkenheld (F.). Zur Casuistik der Geschwiilste der Schideldecken. Giessen, 
1902; 8°. 

Logemann (F.). Ein Beitrag zu den Missbildungen der Ureters. Giessen, 
1902; 8°. 

Mehring (W.). Versuche zur elektrochemischen Oxydation organischer Stoffe. 
Giessen, 1902; 8°. 

Meyer (J. A.). Ueber Zerfallsvorginge an ovarialeiern, von Lacerta agilis. 
Wiesbaden, 1901; 8°. 

Nieberle (C.). Ueber die Nierenpapillennekrose bei Hydronephrose. Giessen, 
1901; 5°: 

Ohly (0.). Beitrag zur Lehre der tragfihigen Amputationsstiimpfe. Giessen, 
1902; 8°. 

Ostermaun (A.) Ueber die Sonderstellung der Chloride in dem Verhalten 
der roten Blutkòperchen gegen Salzlésungen. Giessen, 1901; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLIX 


Pullmann (W.). Beitrag zur Casustik der Elephantiasis Penis. Giessen, 
1902; 8°. 

Rixen (P.). Bietet der quere Fundalschnitt bei der Sectio caesarea gegen- 
îiber dem Lingsschnitt durch die Corpuswand Vorteile? Jiichen, 1902; 8°. 

Riither (A.). Ueber die mit dem Behring’schen Diphtherie-Heilserum in der 
chirurgischen Klinik in Giessen in der Zeit vom 1. I. 1897 bis 31. 
XII. 1901 erzielten Erfolge. Giessen, 1902; 8°. 

Riither (R.). Davainea mutabilis. Hannover, 1901; 8°. 

Schmidt (E.). Beitrag zur Behandlung der chronischen Empyeme. Giessen, 
1902; 8°. 

Schopp (L.). Zur Casuistik der primàren Sarkome der Ileocoecalgegend. 
Giessen, 1901; 8°. 

Schultz (C.). Zur Casuistik der Endocarditis und Insufficienz der Pulmonal- 
arterienklappen. Giessen, 1902; 8°. 

Schulz (P.). Verhalten von Salzen in Aceton. Giessen, 1901; 8°. 

Schumacher (G.). Ueber die elektrochemische Reduktion der Nitroanissàure. 
Giessen, 1902; 8°. 

Siegler (C.). Beitràge zur puerperalen Statistik. Material aus den Jahren 1872- 
1900 aus der Entbindungsanstalt zu Fulda. Giessen, 1902; 8°. 

Spiegelhoff (J. H.). Beitrag zur Lehre von der Conjunctivitis blennorrhoica. 
Giessen, 1902; 8°. 

Terbriiggen (W.). Ueber die eitrigen Mittelohrentziindungen im Kindes- 
alter. Giessen, 1902; 8°. 

Treiber (G.). Ueber den Wert der Mischnarkosen. Giessen, 1902; 8°. 

Ubbels (D. G.). Vergleichende Untersuchungen von miitterlichem Blute, 
fitalem Blute und Fruchtwasser. Utrecht, 1901; 8°. 

Ulmer (0.). Ueber einen Fall von schnellendem Finger. Giessen, 1902; 8°. 

Vichausen (M.). Ueber einen Fall von cholaemischer Blutung in die Gallen- 
blase. Giessen, 1901; 8°. 

Volhard (F.). Ueber das fettspaltende Ferment des Magens. Berlin, 1901; 8°. 

Wagner (E.). Zur Casuistik der Perforation des Oesophagus durch Fremd- 
kòrper und konsekutiver Lungengangrin. Giessen, 1902; 8°. 

Weber (0.). Casuistische Beitrige zur Hysterie im Kindesalter. Grinberg, 
1902; 8°. 

Wohlfahart (Th.). Ueber einige Benzidine. Giessen, 1902; 8°. 

Wolff (W.). Die Bewegungen des Duodenums, nebst Bemerkungen iiber 
einzelne Bewegungsformen des Diinndarms Ueberhaupt. Giessen, 1902; 8°. 

Zehrlaut (H.). Die Maximalstromdichten bei der Reduction aromatischer 
Nitrokérper in alkalischer und saurer Lòsung. Mainz, 1901; 8°. 

Zohlen (0.). Ueber die Einwirkung von Dimethylsulfat auf Michlersches 
Keton und Auramin. Giessen, 1902; 8°. 


* Dalla * Grossh. Technischen Hochschule zu Karlsruhe , : 


Bragstad (0. S.). Theorie des rotierenden Feldes mit Anwendung auf die 
Bestimmung des Stromdiagrammes der asynchronen Maschinen. Stutt- 
gart, 1902; 8°. 


L PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Brunner (K.). Die Entwicklung des Schulwesens in den badischen Mark- 
grafschaften (1453-1803). Karlsruhe, 1902; 8°. 

Eitner (P.). Untersuchungen iber die Explosionsgrenzen brennbarer Gase 
und Dimpfe. Minchen, 1902; 8°. 

Fridericiana. Programma fir das Studienjahr 1902-1903. Karlsruhe, 1903; 8°. 

Fiinfzigjihriges Regierungs-Jubilium seiner k. Hoheit des Grossherzoges 
Friedrich. Karlsruhe, 1902; 8°. 

Haid (M.). Die modernen Ziele der Erdmessung. Karlsruhe, 1901; 8°. 

Heymann (S.). Ueber die Xylylnitrophenylketone. Karlsruhe, 1900; 8°. 

Kager (F.). I. Ueber die Finwirkung von Knallquecksilber und Aluminium- 
chlorid auf Toluol, o- m- und p-Xylol und auf Mesitylen. II. Ueber die 
Einwirkung von Knallquecksilber auf Phenol. Karlsruhe, 1901; 8°. 

Kriemler (C. J.). Labile und stabile Gleichgewichtsfiguren vollkommen ela- 
stischer auf Biegung beanspruchter Stiàbe mit besonderer Beriicksich- 
tigung der Knickvorginge. Karlsruhe, 1902; 4°. 

Muth (F.). Untersuchungen iber die Finwiekelung der Inflorescenz und der 
Bliitthen, sowie iiber die angewachsenen Achselsprosse von Symphytum 
officinale. Miinchen, 1902; 8°. 

Schlenning (W.). Velia in Lucanien. Berlin, 1902; 4°. 

Wéohler (L.). Die pseudokatalytische Sauerstoffaktivieruang des Platins. 
Karlsruhe, 1901; 8°. 


* Dalla Biblioteca aell’ Università di Upsala: 


Andersson (J. G.). Ueber die Stratigraphie und Tektonik der Bàren Insel. 
Upsala, 1901; 8°. 

Bjerke (K. R.). Ueber die Verinderung der Refraktion und Sehschirfe nach 
Entfernung der Linse. Leipzig, 1902; 8°. 

Ekman (V. W.). Om jordrotationens inverkan pà vindstrimmar i hafvet. 
Kristiania, 1902; 8°. 

Grònberg (G.). Die Ontogenese eines niedern Sàugergehirns nach Unter- 
suchungen an Erinaceus europaeus. Jena, 1901; 8°. 

Goransson (E.). Om periodiska lésningar till lineàra differentialekvationer. 
Upsala, 1901; 4°. 

Rinman (£. L.). Om triazol-, bistriazol- och tritriazolforeningar. Upsala, 
1902; 8°. 

Rudberg (T. A.). Nagra bidrag till kinnedomen om vàitskornas emission 
och reflexion. Upsala, 1902; 8°. 

Zachrisson (L. J. F.). Experimentella studier éfver den intravenòsa och 
subkutana saltvatteninfusionens vàrde vid akut animi. Upsala, 1902; 8°. 


Abbe (C.). The physical basis of long-range Weather Forecasts; 4° (dalla 
“ Johns Hopkins University ,, Baltimore). 

Abderhalden (E.). Ueber den Finfluss des Héhenklimas auf die Zusammen- 
setzung des Blutes. Minchen, 1902; 8°. 

— Das Verhalten des Himoglobins wàhrend der Siuglingsperiodé. Strass- 
burg, 1902; 8°. 

— Weitere Beitrige zur Frage nach der Einwirkung des Hòhenklimas auf 
die Zusammensetzung des Blutes. Miinchen, 1902; 8° (dall’A.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LI 


* Afzelius (H.). Erik Benzelius D. A. En kyrkohistorisk lefnadsbild Fran 
Sveriges Storhetstidehavarf. II. Stockholm, 1902; 8° (dalla ©“ K. Univer- 
sitets- Biblioteket ,. Upsala). 

Backhouse (T. W.). Publications of West Hendon House Observatory, Sunder- 
land. Sunderland, 1902; 4° (dall’A.). 

#* Bastian (H. C.). Ueber Aphasie und andere Sprachstòrungen. Leipzig, 
1902; 8°. 

** Bellini (C.). Trattato elementare teorico pratico di ragioneria generale. 
Milano, 1901; 8°. 

** Beltrami (E.). Opere matematiche. T. 1°. Milano, 1902; 4°. 

Bigelow (F.). Line integral in the atmosphere; 4° (© Johns Hopkins Univer- 
sîity ,, Baltimore). 

Bjerknes (V.). The Dynamic principle of circulatory moviments in the 
Atmosphere; 4°. 

— The circulatory moviments in the Atmosphere; 4° (Id.). 

Cavazzutti (E. M.). Projet d’organisation du mouvement scientifique uni- 
versel en anglais, espagnol, frangais, allemand, italien. Buenos Aires, 
1902; 8° (dall’A.). | 

Celoria (G.). Il concetto del mondo nell’astronomia moderna. Roma, 1902; 
4° (dall’A. Socio corrispondente). 

Ceresole (G.). Di un caso di ossificazione completa del pericardio di un’anitra 
domestica. Padova, 1899; 8°. 

— Gli erbaggi del mercato di Padova in rapporto alla diffusione delle ma- 
lattie infettive e parassitarie. Padova, 1900; 8°. 

— Esame batteriologico dell’acqua dei “ Tonfi , sul monte Frontal in co- 
mune di Crespano Veneto. Padova, 1900; 8°. 

— Difendiamoci dall’ Anchylostoma duodenale! Venezia, 1900; 8°. 

— Un caso di ascessi splenici multipli nella capra prodotti dal Bacterium 
coli coninunis. Milano, 1900; 8°. 

— Analisi batteriologica dell’acqua di “ S. Gottardo ,, salso-bromo-iodica- 
solforosa. Padova, 1901; 8° (dall’A.). 

Gramme (Z.). Les hypothèses scientifiques. Paris, 1902; 8° (dalla vedova 
A. Gramme). 

** Gross (Th.). Robert Mayer und Hermann v. Helmholtz. Eine Kritische 
studie. Berlin, 1898; 8°. 

** — Kritische Beitràge zur Energetik. II H. v. Helmholtz und die Erhaltung 
der Energie. Berlin, 1902; 8°. 

Haasemann (L.). Der Pendelapparat fiir relative Schweremessungen der 
deutschen Siidpolarexpedition. Charlottenburg, 1902; 4° (dall’A.). 
Heeres (J. E.). Rumphius Gedenkbock (1702-1902). Haarlem, 1902; f° (Id.). 
In Memoria di Giuseppe GrseLLi (1831-1838). Genova, 1902; 4° (dono del 

Socio Mattirolo). 

Macchiati (L.). Sulla fotosintesi fuori dell'organismo e sul suo prodotto. 
Napoli, 1902; 8° (dall’A.). 

Me Adie (A. G.). Fog Studies on Mount Tamalpais; 4°. 

— Photographs of fog billows; 4° (dalla “ Johns Hopkins University ,, Bal- 
timore). 


LII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Mac Donald (A.). A plan for the Study of Man. Washington, 1902; 8° 
(dall'A). 

** Meyer (A. B.) and Wiglesworth (L. W.). The Birds of Celebes and the 
neighbouring Islands. Berlin, 1898; 2 vol. 4°. 

** Ostwald (W.). Lehrbuch der allgemeinen Chemie. II Bd., II Liefg. Zweite 
umgearb. Auf. Leipzig, 1902; 8°. 

Petraroja (L.). Sulla struttura e sullo sviluppo del rene. Napoli, 1902; 8° 


(dall’A.). 
** Reichenbach (L.) et (H. G.) fils. Icones florae germanicae et helveticae 
simul terrarum adjacentium ergo mediae Europae opus..... conditum, 


nunc continuatum D.'e G. Beck de Mannagetta. Tom. 22. Decas 30. 
Lipsiae et Gerae; 4°. 

** Reichenow (Ant.). Die Végel Afrikas. II. Bd., I. Hailfte, Dritter Halbband. 
Neudamm, 1903; 8°. 

Rieciardi (L.). La coltivazione del tabacco indigeno. Napoli, 1902; 8°. 

— Sulla genesi delle bombe quarzose e delle lave vulcaniche. Napoli, 
1902; 8°. 

— Dalle rocce acide alle basiche e loro classificazioni. Napoli, 1902; 8° 
(dall A.). 

Righi (A.). Sui fenomeni acustici dei condensatori. Bologna, 1902; 8° (dall’A. 
Socio corrispondente). 

Ronna (A.). Léonard de Vinci, peintre-ingénieur-hydraulicien. Paris, 1902; 
8° (dall'A... 

Saint-Lager. Histoire de l’Abrotonum. — Signification de la désinence ex 
de quelques noms de Plantes. Paris, 1900; 8°. 

— La perfidie des Synonymes dévoilée è propos d'un Astragale. Lyon, 
1901; 8° (Zd.). 

Sars (G. 0.). An account of the Crustacea of Norway. Vol. IV. Copepoda 
Calanoida. Part VII-X, Centropagidae, Diaptomidae, Temoridae, Metri- 
diidae, Heterohabdidae. Bergen, 1902; 8° (dul Museo di Bergen, Norvegia). 

Schlagdenhauffen (F.). Titre et publications scientifiques. 

— Nouvelles recherches sur les eaux de Nancy. Nancy, 1882; 8°. 

— Recherches sur la présence du mansinèse dans les végétaux. Nancy, 
1885; 8°. 

— Sur quelques plantes toxiques des Légumineuses, et un nouveau poison 
du coeur provenant du genre Coronilla. Nancy, 1902; 8° (dall’A.). 

— et Braun. Étude comparative des réactifs indicateurs employés dans les 
titrages alcalimétriques. Paris, 1901; 8°. 

— — Emploi des réactifs indicateurs pour la détermination de la capacité 
de saturation des acides gras. Paris, 1901; 8°. 

— — Sur la solubilité relative de l’iode dans l’iodure de potassium, le 
chloroforme, le sulfure de carbone, l’éther, la benzine, l’éther de pétrole, 
l’essence de térébenthine et l'alcool amylique. Strassburg, 1901; 8° 
(dal sig. Schlagdenhauffen). 

— (Freyss und). Ueber den allgemeinen Fortschritt der Fransen in diinnen 
Quarz- und Kalkspathplatten, welche unter einem beliebigen Winkel 
mit optischen Axe zugeschnitten sind. 1857; 8° (I4.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LIII 


Schlagdenhauffen et Garnier. Sur l’analyse de quelques terrains des Vosges. 
Nancy, 1882; 8°. 

— — Empoisonnement par l’acide sulfurique de commerce. 1884; 8°. 

— — Intoxication par un extrait d’opium. Affaire instruite contre X..... 
pharmacien inculpé d’homicide par imprudence. Paris, 1901; 8° (/d.). 

— (E. Heckel et). Nouvelles recherches chimiques et physiologiques sur 
le M’ Boundon. Paris, 1880; 8°. 

— — Des Kolas africains au point de vue botanique, chimique et téra- 
peutique. Paris, 1884; 8°. 

— — Du Doundaké et de son écorce dite “ Quinquina africain ,. Paris, 
1886; 8° (dal sig. Schlagdenhauffen). 

— et(E. Heckel et). Sur la galle de 1’* Acacia spirorbis , Labill. Bordeaux, 
1887; 8°. 

— — Note sur un faux Kola. Paris, 1887; 8°. 

— — Du café du Soudan fourni par le fruit alimentaire du Houlle (Parkia 
biglobosa, Benth.) dans l’Afrique équatoriale. Paris, 1887; 8°. 

— — Nouvelles recherches sur le vrai et sur un faux Jéquirity. Genève, 
1887; 4°. 

— — Sur le Bakis (Tinospora Bakier Miers) et le Sangol (Coeculus Leaeba 
G.-P. et Rich.) du Senegal et du Soudan. Lille, 1895; 8°. 

— — Sur les Psathura des îles de la Réunion et sur le P. Angustifolia J. 
de Cordemoy en tant que plantes aromatiques et exitantes. Paris, 
1900; 8°. 

— — Sur la Copaifera Salikounda Heckel, de l’Afrique tropicale et sur ses 
graines è Coumarine (Salikounda des peuples Sousous) au point de vue 
botanique et chimique, comparaison avec la Fève de Tonka; 4° (/d.). 

— et L. Planchon. Sur un Strophanthus du Congo frangais. Marseille, 
1897; 8°. 

— — Nouveau procédé de destruction des matières organiques applicables 
aux recherches toxicologiques. Paris, 1898; 8°. 

— — Sur une cause d’erreur dans le dosage de l’iode dans les tissus et 
glandes de l’organisme. Paris, 1900; 8°. 

— — Contribution è l’étude des composés glycérinés des acides phospho- 
rique et arsénique. Paris, 1901; 8°. 

— — Contribution à l’étude du dosage de iode dans l’organisme. Paris, 
1901; 8°. 

— — Sur la genèse des glycéro-arséniates et leur emploi thérapique. 
Naney, 1902; 8°. 

— — Sur l’étude comparée des glycérophosphates et des glycéroarsé- 
niates; 8° (Id.). 

— et E. Reeb. Note sur la solubilité des arséniates et arsénites de fer. 
Strassburg, 1888; 8°. 

— — Fleurs de Pyrètre; leur principe toxique. Strassburg, 1890; 8°. 

— — Faits pour servir à l’étude chimique et physiologique de l’Artichaut 
(Cinara Scolymus L.). Strassburg, 1894; 8°. 

— — Contribution è l’étude du genre Coronilla au point de vue botanique, 
chimique, physiologique et thérapeutique. Strassburg, 1899; 8°. (Zd.). 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. D 


LIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Schlagdenhauffen et E. Reeh. Contribution è l’étude chimique et physio- 
logique du genre Érysimum. Mulhouse, 1900; 8°. 

— — Note sur un glucoside nouveau extrait des graines d'Érysimum de la 
famille des Crucifères. Paris, 1900; 4°. 

— — Sur un cas supposé d’empoisonnement par l’acide cyanhydrique. 
Mulhouse, 1901; 8°. 

— — Note sur le Fenugrec et son éemploi dans la thérapeutique vétéri- 
naire. Paris, 1902; 8°. 

— — Contribution è l’étude du genre Linaria au point de vue botanique 
et chimique. Mulhouse, 1902; 8° 

— — Du ròle de la Lécithine dans les plantes. Nancy, 1902; 8°. 

— — Sur la présence de la Lécithine dans les végétaux. Paris, 1902; 4° 
(dal sig. Schlagdenhauffen). 

Stiattesi (R.). Bollettino Sismografico dell’Osservatorio di Quarto-Castello 
(Firenze). Mugello, 1902; 8° (dall’A.). 

Veronese (G.). Les postulats de la géometrie dans l’enseignement. Paris; 
8° (dall’A. Socio corrispondente). 

** Vinci (Leonardo da). Il codice Atlantico; fase. 27°. Milano, 1902; fe. 

#* Weierstrass (K.). Mathematische Werke. 4. Bd. Berlin, 1902; 4°. 


Dal 22 Giugno al 23 Novembre 1902. 


* Abhandlungen der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen. 
Historisch-Philologische Klasse. N. F., Bd. V, No. 4. Berlin, 1902; 4°. 

* Academiei Romane. Acte si documente relative la istoria renascerei 
Romaniei. Vol. IX (1857-1858). 

Analele Ser. II: T. XXIII (1900-1901). Memoriile Sectiunii istorice. 
XXIII, Memoriile Sect. literare. XXIV (1901-1902) Partea administrativà 
si desbaterile; 4°. 

Istoria romana de Titus Livius traducere inceputà de N. Barbu con- 
tinuatà de Nd. Locusteana si I. S. Petrescu; 8°. 

Memoriu despre Starea Moldovei la 1787 de Comitele D’Hauterive; 8°. 

Monumentele epigrafice si Sculpturali ale Musevlvi National de an- 
tichitati din Bucuresci ecc. de Gr. G. Tocilesev. Part. 1; 4°. 

Operele principeluî Dimitre Cantemir. T. VIII; 8°. Bucuresci, 1901-1902. 

** Allgemeine Deutsche Biographie. Bd. XLVII, Lfg. 231. Leipzig, 1902; 8°. 

* American Journal of Philology. Vol. XXII, Nos. 2-3. Baltimore, 1902; 8° 
(dall’ Università John Hopkins di Baltimora). 

* Analecta Bollandiana. T. XXI, fasc. 2°. Bruxelles, 1902; 8°. 

* Annales de la Faculté des Lettres de Bordeaux et des Universités du 
Midi. 4®e série. Bulletin italien, T. II, N. 3. Revue des études anciennes. 
T. IV, N. 3. Bordeaux, 1902; 8°. 

* Amnales du Musée Guimet. Revue de l’ Histoire des religions. T. XXX, 

1ère et 2%e partie. Nos. 1, 2. Paris, 1902; 8°. 

Annales du Midi. Revue de la France méridionale fondée sous les auspices 
de l’Université de Toulouse. XIV® année, N. 54. Toulouse, 1902; 8°. 
Annali della R. Scuola Normale superiore di Pisa. Filosofia e Filologia. 

Vol. XV. Pisa, 1902; 9°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LV 


Annali di Statistica. Atti della Commissione per la statistica giudiziaria 
e notarile. Sessione del giugno 1901. Roma, 1902; 8° (dalla Direzione 
generale della Statistica). 

— — Notizie sùlle condizioni industriali della provincia di Livorno. 2* ed. 
Roma, 1902; 8°. 

Annali di Statistica. — Statistica industriale. Fasc. 64. L'industria del co- 
tone in Italia. Roma, 1902; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria 
e Commercio). 

Annuario Accademico della R. Università degli studî di Siena per l’anno 
1901-1902; 8°. 

* Atti della R. Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e 
filologiche. Serie V, vol. IX. Notizie degli Scavi; fasc. 4-8. Roma, 1902; 4°. 

* Atti della I. R. Accademia di Scienze, lettere ed arti degli Agiati in 
Rovereto. Ser. III, vol. 8°, fasc. 2°, An. 1902. Rovereto; 8°. 

* Atti del Municipio di Torino. An. 1900. Vol. I, II. Torino, 1902; 4°. 

* Atti del R. Istituto Veneto ‘di Scienze, Lett. ed Arti. T. LXI, disp. 7°-10*. 
Venezia, 1902; 8°. 

** Bibliographie der deutschen Zeitschriften-Litteratur, mit Einschluss von 
Sammelwerken und Zeitungen. Bd.IX, Liefg. 3-5; X, 1, 2. Supplementband, 
Liefg. 3-5. Leipzig, 1902; 4°. 

* Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the 
Asiatic Society of Bengal. New ser., Nos. 1005-1014. Calcutta, 1902; 8°. 

** Bibliotheca Philologica Classica. Vol. XXIX. 1902. Trimestre secundum. 
Lipsiae ; 8°. 

* Bibliothèque Méridionale. 1° Série. Tom. VII. Le Troubadour Bertrand 
d’Alamanon par J.-J. Salvedra de Grave. Toulouse, 1902; 8° (Faculté des 
Lettres de V Université de Toulouse). 

* Boletin de la Real Academia de la Historia. T, XLI, cuad. 1-5. Madrid, 
1902; 8°. 

* Bollettino della Società Pavese di Storia patria. Anno II, fasc. 3, 4. Pavia, 
1902; 8°. 

* Bollettino della Società Umbra di Storia Patria. Anno VIII, fasc. 2°, 3°. 
Perugia, 1902; 8°. 

* Bulletin international de l’Académie des sciences de Cracovie. Classe de 
philologie. Classe d’histoire et de philosophie. N. 6, 7. 1902; 8°. 

* Bulletin de la Société des Hautes-Alpes. 21° ann., 3° série. No. 2. Gap, 
1902; 8°. 

* Bulletin historique du Diocèse de Lyon. 3° An., No. 17, 18. Lyon, 1902; 8°. 

Bulletin de l’Institut International de Statistique. T. XII, 2° et dern. livrs. 
Rome, 1902; 8°. i 

* Bullettino dell’Istitato di Diritto Romano. Anno XIV (1901), fasc. 2-4. 
Roma, 1902; 8°. 

Calendar 2561-62 (1901-1902). The Kyoto Imp. University. Kyoto, 1902; 8°. 

Campagne del Principe Eugenio di Savoia. Vol. XVIII, XIX, XX e Atl. 
Torino, 1901-1902 (dono di S. M. iL Re D'ITALIA). 


LVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Ceské Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, slovesnost a uméni. 
Almanach. Rocnik XII (1902); 8°. È 
Archiv pro lexikografii a dialektologii. Cislo 3. (1901). 


Historicky Archiv. Cislo 21 (1901); 8°. 
Rozpravy. Trida I (Pro vèdy filosofické, pràvni a historické) (1901); 8°. 


Spisy J. A. Komenského. Cislo 4 (1901); 8°. 

Fr. Bartos. Narodni pisnè moravské v novè nasbirané (1901); 8°. 

E. Ott. Soustavnf rvod ve studium nového tizenl soudniho. Dil III 
(1901); 8°. 

A. Pavlitek. Chek ve vedé a v zAkonodarstvi (1902); 8°. Praze. 

Comercio exterior y Movimento de Navegacion de la Republica Oriental 
del Uruguay, etc. Montevideo, 1900; 8° (dalla Direccion de Estadistica 
General). 

*#* Consulente legale (Il mio). Manuale teorico-pratico per la propria di- 
fesa. 5° ediz. Milano; 8°. 

** Dictionnaire des sciences philosophiques par une Société de professeurs 
et de savants sous la direction de M" Ad. Franck. 3"© tirage. Paris, 
1885; 8°. 

* Eranos. Acta philologica Suecana. Edenda curavit Vilelmus Lundstròm. 
Vol. IV, fasc. 3-4, 1900-1902. Upsaliae; 8°. 

* Giornale storico e letter. della Liguria. An. III, fasc. 5-7. Spezia, 1902; 8°. 

* Goteborgs k. Vetenskaps-och Witterhets Sambhilles Handlingar. Fjirde 
foljden, IV. Goteborgs, 1902; 8°. 

* Journal of the Asiatic Society of Bengal. History, Literat., etc. Vol. LXX, 
Part I, No. 2; Extra Nos. 1, 2 (1901); LXX, Part III, Anthropology and 
cognate subjects, Nos. 1, 2 (1902). Calcutta; 8°. 

* Katalog literatury naukowej polskiej wydawany przez Komisye Biblio- 
graficzna Wydzialu Matematyczno-Przyrodniczego Akademii Umiejet- 
nosci w Krakowie. T. II, Rok 1902, Zeszvt 1. Krakéw; 8°. 

Inventario del R. Archivio di Stato di Cagliari e notizie delle carte con- 
servate nei più notevoli archivi comunali, vescovili e capitolari della 
Sardegna. Cagliari, 1902; 4° (dono del Direttore dell’ Archivio). 

* Johus Hopkins University Studies in Historical and Political Science. 
Ser. XIX, 10-12; XX, 1. Baltimore, 1901-1902; 8°. 

* Jugoslavenska Akademija Znanosti i Umjetnosti. Ljetopis. Godinu 1901. 
Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium. Vol. XXX, 2, 
Scriptores, vol. 4°. Rad.-Knjiga 148, Filol.-histor. etc. Zbornik za narodni 
Zivot i obitaje juZnih Slavena. Svezak VII., 1. Zagrebu, 1902; 8°. 

* Mémoires et Documents publiés par l’Académie Chablaisienne fondée è 
Thonon le 7 décembre 1886. Tome XII. Thonon-les-Bains, 1902; 8°. 

* Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Classe di scienze 
storiche e morali. Vol. XXI, fasc. 4°. Milano, 1902; 4°. 

** Minerva. Jahrbuch der Gelehrten Welt. 12°. Jahrg. Strassburg, 1903; 8°. 

** Monumenta Germauiae histerica. Epistolarum tomi VI, pars prior; 
Scriptorum rerum Merovingicarum. T.IV; Scriptoram, T. XXXI, p. I. 
Berolini, 1902; 4°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LVII 


Movimento commerciale del Regno d’Italia nell’anno 1901. Roma, 1902; 4° 
(dal Ministero delle Finanze). 

* Nachrichten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòottingen. 
Philologisch-historische Klasse, 1902, Heft 3,4. Geschtftliche Mitthei- 
lungen, 1902. Heft 1. Gòttingen; 8°. 

* Notulen van den Algemeene en Directievergaderingen van het Bataviaasch 
Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XL. 1902. Aflev. 1. 
Batavia; 8°. 

Nuovi Saggi della C. R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova. 
Vol. 6-9, p.I. Padova, 1847-83. 3 vol. 4°. 

** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes’ Geographischer Anstalt. 
Erginzungsheft N" 139. Gotha, 1902; 8°. 

Petersen (E.), Domaszewski (A. v.), Calderini (G.), Die Marcus-Stiule auf 
Piazza Colonna in Rom. Miinchen, 1896; 1 v. 4° testo e 2 Atl. fol. 

* Primo (Il) secolo dell'Ateneo di Brescia. 1802-1902. Brescia, 1902; 4°. 

* Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia, 
Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., Anno XVI, 
Gennaio-Aprile 1902. Napoli; 8°. 

* Rivista Ligure di scienze, lettere ed arti. Organo della Società di letture 
e conversazioni scientifiche. An. XXIV, fasc. 4,5. Genova, 1902; 8°. 
Rivista periodica dei lavori dell’I. R. Accademia di scienze, lettere ed arti 
di Padova. Vol. 1°, 3-4; 2, 14-27, 1-2; 29, 3-4; 30, 1-2; 33, 3-4; 34. Padova, 

1853-84. 

* Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen 
Classe der k. b. Akad. der Wissenschaften zu Minchen. 1902, Heft 1, 2. 
Miinchen; 8°. 

Statistica della Popolazione. Movimento dello Stato Civile. Anno 1900. 
Roma, 1902; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). 

Statistica degli scioperi avvenuti nell’Industria e nell’Agricoltura durante 
l’anno 1900. Roma, 1902; 8° (dal Ministero di Agrie., Ind. e Commercio). 

Statistica delle cause di morte nell’anno 1900. Roma, 1902; 8° (Id.). 

* Statistica giudiziaria penale per l’anno 1899. Roma, 1902; 8° (Id.). 

* Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door 
het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen ete.; 
Deel XLV, Aflev. 4. Batavia, 1902; 8°. 

* Tridentum. Rivista mensile di studi scientifici. An. V, fasc. 5-8. Trento, 
1902; 8°. 

* Verhandelingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Weten- 
schappen. Deel LIV, 1" Stuck; LV, 1" Stuck. Batavia, 1902; 8°. 

* Vocabolario degli Accademici della Crusca. 5% impressione, Vol. IX, 
fasc. 2°. Firenze, 1902; 4°. 


Dalla R. Biblioteca dell’ Università di Erlangen. 


Autenrieth (E.). Der Untergang der Regress-Verbindlichkeit beim Wechsel. 
Strassburg i. E., 1902; 8°. 

Barbarino (0.). Die Rechtskraft des Strafurteils und ihre Wirkungen. 
Wiirzburg, 1902; 8°. 


LVII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Belaa (K.). Ueber die Grenzen des mechanischen Geschehens im Seelen- 
leben des Menschen nach Lotze. Flatow, 1901; 8°. 

Beschiitz (M.). Finfluss der Falschung von Unterschriften auf Wechseln auf 
die Wechselverbindlichkeiten; Bedeutung des nachtriglichen Verspre- 
chens desjenigen, dessen Namen falschlich geschrieben wurde, die 
Falschung nicht geltend machen zu wollen. Hamburg, 1902; 8°. 

Bretzfeld (F.). Beitrige zum Rechte des Differenzgeschiftes. Miinchen, 
1902; 8°. 

Brunner (G.). Geschichte der Reformation des Klosters url Stiftlandes 
Waldsassen bis zum Tode des Kiirfiirsten Ludwig VI (1583). Erlangen, 
1901 ;..8°. 

Bullemer (K.). Quellenkritische Untersuchungen zum I. Buche der Rhetorik 
Melanchthons. Wiirzburg, 1902; 8°. 

Burdorff (E.). Ist die rechtliche Natur des obligatorischen Vorkaufsrechts 
und Wiederkaufsrechts im biirgerlichen Gesetzbuche getîndert gegen- 
iiber dem genuinen Rechte? Altona, 1902; 8°. 

Chone (H.). Die Handelsbeziehungen Kaiser Friedrichs II. zu den Seestàdten 
Venedig, Pisa, Genua. Berlin, 1902; &°. 

Clausen (F. W.). Inwieweit schliessen gegen die Forderung bestehende 
Einreden die Verjihrung aus nach gemeinem Rechte und nach B. G. 
Buche? Gotha, 1902; 8°. 

Cramer (A.). Das Verlòbnis nach dem B. G. B. Wiirzburg, 1902; 8°. 

Daumling(C.). Minderheitsrechte in der Aktiengesellschaft. Bayreuth, 1902; 8°. 

Dirr (P.). Zur Geschichte der Reichskriegsverfassung und der Larenburger 
Allianz. Miinchen, 1901; 8°. 

Ehrenhard (H.). Finfluss des biirgerlichen Gesetzbuchs auf die Verbre- 
chensbegriffe Diebsthal, Unterschlagung und auf die Besitzentziehung. 
Ingolstadt, 1902; 8°. 

Geiger (W.). Die kulturgeschichtliche Bedeutung des indischen Alterthums. 
Erlangen, 1901; 4°. 

Graff (H.). Die konstitutive Wirkung der Firmeneintragung nach dem Handels- 
gesetzbuche von 10. Mai 1897. Berlin, 1902; 8°. 

Greiff (J.). Das staatliche Reformationsrecht nach seiner geschichtlichen 
Entwickelung und heutigen praktischen Bedeutung. Posen, 1902; 8°. 

Hackenberg (K.). Non usus und libertatis usucapio als Aufhebungsgrund 
der Servituten. Dresden, 1901; 8°. 

Hannk (M.). Die Unterhaltspflicht im birgerlichen Recht. Halle a. S., 1901; 8°. 

Hoppe (G.). Die Psychologie des Juan Luis Vives nach den beiden ersten 
Biichern seiner Schrift “ De anima et vita, dargestellt und beurteilt. 
Berlin, 1901; 8°. 

Hével (0.). Der Artikel 376 des H.-G.-B. und die' Aenderung desselben durch 
die neue Gesetzgebung. Kòln a. Rh., 1899; 8°. 

Hiineberg (A.). Der Finfluss der Eròffnung und Beendigung des Konkurses 
auf das Anfechtungsrecht und die Anfechtungsanspriiche der Konkurs- 
Gliubiger. Hamm i. W., 1901; 8°. 

Jacob (L.). Ueber die Grundbegriffe der Wissenschaftslehre Bernard Bol- 
zano’'s. Minchen, 1902; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LIX 


Jacobi (H.). Der Schadensersatz wegen Nichterfillung nach $ 325, 826 B. 
G. B. unter besonderer Beriicksichtigung der Lehre vom Kaufvertrage. 
Wiirzburg, 1902; 8°. 

Karnstidt (C.). Die stillschweigenden Willenserklirungen im Fenerver- 
sicherungsgeschift. Koln, 1901; 8°. 

Kertscher (F. C.). Der Finfluss des Bestehens einer Streitgenossenschaft auf 
die Pflicht zur Tragung und Erstattung der Processkosten. Altenburg, 
1901; 8°. 

Kiefer (A.). Die Verinderungen der Volksdichtigkeit im Kéònigriech Bayern 
von 1840 bis 1895. Leipzig, 1902; 8°. 

Kleemann (J.). Die Pflegschaft fiir ein Sammelvermògen. Berlin-Rixdorf, 
1902; 8°. 

Knischewsky (P.). Das preussische Gesamtministerium. Bartenstein, 1901; 8°. 

Koeltz (B.). Wie haftet der vertragsmissige Uebernehmer eines Vermigens 
den Glaiubigern des Veràusserers? Berlin, 1901; 8°. 

Kopp (0.). Die Aufnahme eines neuen Gesellschafters nach B. G. B. unter 
besonderer Beriicksichtigang der Subsidiaritàt dieser Vorschriften fiir 
die offene Handels- und die Kommanditgesellschaft. Elberfeld, 1902; 8°. 

Krauss (I.). Das Portrait Dantes. Berlin, 1901; 8°. 

Kroidl (N. L.). Der Hamfang der Polizeigewalt aus Art. 102 Abs. 1. des 
bayer. Ausfiihrungsgesetzs zur Reichs-Strafprozessordung. Nirnberg, 
1902; 8°. 

Lazarus (A.). Zur syrischen Uebersetzung des Buches der Richter. Kirchhain 
N.-L., 1901; 8°. 

Leibel (R.). Das Pflichtteilsrecht der entfernteren Verwandten nach dem 
biirgerlichen Gesetzbuche. Berlin, 1902; 8°. 

Mal]lmann (K.). Der $ 1244 des biirgerlichen Gesetzbuchs nach Inhalt und 
Bedeutung. Metz, 1901; 8°. 

Mang (E.). Die Anweisung. Wiistegiersdorf, 1902; 8°. 

. Martin (M.). Johann Landtsperger. Die unter diesem Namen gehenden 
Schriften und ihre Verfasser. Augsburg, 1902; 8°. 

Nebel (C.). Vauvenargues’ Moralphilosophie mit besonderer Beriicksichtigung 
seiner Stellung zur franzoòsischen Philosophie seiner Zeit. Leipzig, 1901; 8°. 

Neubiirger (F.). Verfassungsrecht der gemeinen Judenschaft zu Firth und 
in dessen Amt im achtzehnten Jahrbhundert. Firth, 1902; 8°. 

Orthal(H.). Die Schadenersatzpflicht des Auftraggebers nach dem biirgerlichen 
Gesetzb. nebst einer rechtsvergleichenden Uebersicht. Miinchen, 1901; 8°. 

Pape (M.). Die Vormundschaft der Mutter nach dep deutschen Rechten des 
Mittelalters bis zur Mitte des 15. Jahrhunderts. Wolfenbiittel, 1902; 8°, 

Petersen (H.). Grundziige der Ethik Jakob Bòhme's. Erlangen, 1901; 8°, 

Porger (G.). Johann Stuve's Leben und Wirken. Halle a. S., 1901; 8°. 

Rohé (H.). Das kausminnische Auskunftswesen. Miinchen, 1901; 8°. 

Samson (M.). Das sog. Selbstkontrahiren nach gemeinem Recht und biirger- 
lichem Gesetzbuch. Neumiinster, 1901; 8°. 

Schaefer (G.). Dissertatio de tertio Bacchylidis carmine. Erlangen, 1901; 8°. 

Schaumann (G.). Religion und religise Erziehung bei Rousseau. Leipzig, 
1902; 8°, 


LX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Schiedermair (L.). Kiinstlerische Bestrebungen am Hofe des Kurfiirsten 
Ferdinand Maria von Bayern. Freising, 1902; 4°. 

Schill (E.). Der Postscheck nach dem Entwurfe der deutschen Postscheck- 
ordung vom Jahre 1899 und dem Rechsetatgesetze vom 30. Marz 1900. 
Miinchen, 1901; 8°. 

Schlachter (F.). Spottlieder in franzésischer Sprache, besonders auf die 
Franzosen, aus dem Beginne des siebenjàhrigen Krieges. Erlangen, 
190189. 

Schneiner (C.). Die Abnderung der Anrechnung einer auf mehrere Schuld- 
posten geleisteten Zahlung. Erlangen, 1902; 8°. 

Silberberg (R.). $ 111 des Strafgesetzbuches fiir das Deutsche Reich in 
seinem Verhàltnis zur Lehre von der Teilnahme. Gratz (Posen), 1902; 8°. 

Stein (J.). Die Finwirkung des neuen birgerlichen Rechts auf das Anwen- 
dungsgebiet des $ 289 des Reichstrafgesetzbuches. Erlangen, 1902; 8°. 

Strauss (H.). Niessbrauch an einem Verméògen. Kaiserslautern, 1902; 8°. 

Tetzlaff (0.). Das kommunale Steuerwesen der Stadt Halle a. S. Berlin, 
1902; 8°. 

Thimme (G.). Die religionsphilosophischen Pràmissen Schleiermacherschen 
Glaubenslehre. Hannover und Leipzig, 1901; 8°. 

Thomas (G.). Die staatsrechtliche Stellung des Statthalter von Elsass-Loth- 
ringen. Kéònisberg i. Pr., 1901; 8°. 

Uebersicht des Personal-Standes bei der k. bayerischen Friedrich-Alexanders- 
Universitàt Erlangen nebst dem Verzeichnisse der Studierenden im 
Winter-Semester 1901/1902 und Sommer-Semester 1902. Erlangen; 8°. 

Ulmer (F.). Die semitischen Figennamen im Alten Testament auf ihre 
Entstehung und Elemente hin untersucht. Leipzig, 1901; 8°. 

Varnhagen (H.). Prolegomena ad editionem fabulae romanensis quae in- 
scripta est: Pier Plainnes seaven yeres Prentiship. Erlangae, 1901; 4°. 

Verzeichnis der Vorlesungen welche an der k. bayerischen Friedrich-Ale- 
xanders-Universitàt Erlangen im Winter-Semester 1901-1902 und Som- 
mer Semester 1902. Erlangen; 8°. 

Vonschott (K.). Beitrige zur Lehre vom Blancoaccept. Bielefeld, 1902; 8°. 

Weber (F.). Die staatlichen Betriebe und die Reichsgewerbeordnung unter 
besonderer Beriicksichtigung Bayerns. Leipzig, 1902; 8°. 

Weichert (A.), Die legio XXII Primigenia. Trier, 1902; 8°. 

Weyl (F.). Die Standesherrnqualitàt der Grafen von Altleiningen-Westerburg 
zu Ilbenstadt. Giessen, 1901; 8°. 

Will (J.). Quae ratio intercedat inter Dionis Cassii de Caesaris bellis Gallicis 
narrationem et commentarios Craesaris de bello Gallico. Bambergae, 
1901; 8°. 

Willweber (P.). Das Recht der Untermiethe nach dem gemeinen Recht und 
dem Recht des birgerlichen Gesetzbuches. Berlin, 1901; 8°. 

Wohlberg (R.). Grundlinien einer talmudischen Psychologie. Berlin, 1902; 8°. 

Zimmermann (G.). Die Beendigungsgriinde der Gewerkschaft nach dem 
Allgemeinen Berggesetz fiir die preussischen Staaten vom 24. Juni 1865. 
Mtiinster i. W., 1901; 8°. 

Zoepfl (G.). Nationalskonomie d, technischen Betriebskraft. Erlangen, 1903; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXI 


* Dall Università di Griessen: 


Biirger (0.). Beitràge zur Kenntnis des Teuerdank. Strassburg, 1902; 8°. 

Eise (H.). Der Gemeindewaisenrat im deutschen Recht. Alsfeld, 1902; 8°. 

Esselborn (K.). Die Ministerverantwortlichkeit im Grossherzogtum Hessen. 
Leipzig, 1902; 8°. 

Kallner(A.). Mischnah-Commentar des Maimonides zum Traktat Taanith I. IL 
Leipzig, 1902; 8°. 

Koch (G.). Manegold von Lautenbach und die Lehre von der Volkssouve- 
rinitàt unter Heinrich IV. Berlin, 1902; 8°. 

Koenig (R.). Statistiche Mitteilungen aus 62. Kleinbàuerlichen Betrieben 
iber Erzeugung, Verbrauch, Verkauf und Zukauf von Getreide. Jena, 
1901; 8°. 

Kraus (J.). Beitrige zur Kenntnis der Mundart der nordòstlichen Cham- 
pagne im 13. und 14. Jahrhundert. Giessen, 1901; 8°. 

Leist (A.). Die Strafgewalt moderner Vereine. Giessen, 1901; 8°. 

Mattes (H.). Das Gemeinschaftliche Testament nach dem burgerlichen 
Gesetzbuche. Worms, 1902; 8°. 

Molz (H.). Die Substantivflexion seit Mittelhochdeutscher zeit. Halle a. S., 
1902; 8°. 

Nehb (G.). Die Formen des Artikels in den franzòsischen Mundarten. Berlin, 
1901; 8°. 

Northoff (T.). Die landwirtschaftliche Betriebsweise auf einem westfàlischen 
Einzelhofe des Kreises Liidinghausen um das Jahr 1900. Miinster, 1902; 8°. 

Personalbestand der Grossherzoglich hessischen Ludwigs-Universitàt zu Giessen. 
Winterhalbjahr 1901-1902, Sommerhalbjahr 1902. Giessen, 1901; 8°. 

Pfanumiiller (G.). Die kirchliche Gesetzgebung Justinians hauptsàchlich auf 
Grund der Novellen. Berlin, 1902; 8°. 

Scheffer (A.). Die Hebung der Leistungsfahigkeit des Milchviehes durch 
Griindung von Kontrollvereinen nach dinischem Muster. Giessen, 1902; 8°. 

Schmitt (E.). Die Surrogation im biirgerlichen Gesetzbuch. Giessen, 1902; 8°. 

Schwarz (J. F.). Lotzes Geschichtsphilosophie in ihrem Verhàltnis zu seiner 
Religionsphilosophie und Metaphysik. Mainz, 1901; 8°. 

Thomas (W.). Die Anschauung der Reformatoren von geistlichen Amte. 
Leipzig, 1901; 8°. 

Volsing (K.). Das Vereins- und Dersammlungsrecht im Grossherzogtum 
Hessen. Seine geschichtliche Entwichelung und gegenwàrtige Gestaltung. 
Giessen, 1902; 8°. 

Vorlesungsverzeichniss der Grossherzoglich hessischen Ludwigs-Universitàt 
zu Giessen. Sommerhalbjahr 1902, Winterhalbjahr 1902-1903. Giessen, 8°. 

Wolf (P.). Ueber das schlichte Mobiliarmiteigentum unter dem Rechte des 
biirgerlichen Gesetzbuchs fiir das Deutsche Reich. Giessen, 1902; 8°. 


LXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Dalla Biblioteca dell’ Università di Upsala : 


Arsskrift, Upsala Universitets. 1901. Upsala [1900-1901]; 8°. 

Barkman (H.). Bidrag till den transscendentala kategorilàran. 1. Upsala, 
1901; 8°. 

Bjòrkegren (0. R.). De sonis dialecti Rhodiace. Upsalie, 1902; 8°. 

Carlbom (J. L.). Magnus Dureels negotiation i Képenhamn 1655-57. Sveriges 
och Danmarks inbérdes férhallande under àren nirmast fore Karl X:s 
forsta danska krig. Goteborg, 1901; 8°. 

Collijn (I. G. A.). Les suffixes toponymiques dans les langues frangaise et 
provengale. P. 1. Développement des suffixes latins -anus, -inus, -ensis. 
Upsala, 1902; 8°. 

Edling (E. G.). Priscillianus och den aldre priscillianismen. 1. Upsala, 1902; 8°. 

Forelisningar och é©fningar vid Kongl. Universitetet i Upsala hòst-ter- 
minen 1901. Upsala, 1901; 8°. 

— — vàr-terminen 1902. Upsala, 1902; 8°. 

Hammarsten (0.). Om nàringsàmnenas betydelse for muskelarbetet. Inbjud- 
ningsskrift. Upsala, 1901; 8°. 

Hamnstròm (E. A. D.). Freden i Fredrikshamn. Upsala, 1902; 8°. 

Hesselman (B. I.). Stafvelseférlingning och vokalkvalitet i éstsvenska dia- 
lekter. Upsala, 1902; 8°. 

Hjertén (N. I. F.).. De loco Poetice Aristotele» 1449 b 13-16 cum tragoediis 
collato. Upsalie 1901; 8°. 

Huss (E. G). Undersékning òfver folkmingd, àkerbruk och boskapsskitsel 
i landskapet Visterbotten aàren 1540-1571. Upsala, 1902; 8°. 

Kallstenius (G. G.).. Varmlandska birgslagsmàlets ljudlira. Stockholm, 
1902; 8°. 

Matrikel, Uppsala universitets, pà uppdrag af Universitetets Rektor utgifven 
af AxseL Anpersson. 2. 1632-1650. Inbjudningsskrift. Upsala, 1902; 8°. 

— — 3. 1650-1665. Inbjudningsskrift. Upsala, 1902; 8°. 

Mellén (L. G.). De Ius fabula capita selecta. Upsalia, 1901; 8°. 

Paues (A. C.). A fourteenth century English biblical version consisting of 
a prologue and parts of the New Testament edited from the manuscripts 
together with some introductory chapters on Middle English biblical 
versions (prose-translations). Cambridge, 1902; 8°. 

Stjernberg (N. F.). Till fràgan om de s. k. rent ekonomiska kategorierna. 
Upsala, 1902; 8°. 

Stròmberg (E. V.). Studia in panegyricos ueteres latinos. Upsalie, 1902; 8°. 

Torbiòrnsson (T.). Die gemeinslavische Liquidametathese. Upsala, 1901; 8°. 

Wejle (C. M.). Sveriges politik mot Polen 1630-1635. Upsala, 1901; 8°. 


Dono del Socio Boselli: 
André (G.). Nizza, 1792-1814. Nizza, 1894; 8°. 


Annuario della R. Università degli Studi di Genova 1893-94, 1895-96, 
1899-900. Genova, 1894-1900; 6 vol. 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXIII 


Atti del Congresso agrario nazionale inaugurato in Roma il 15 aprile 1894. 
Roma, 1894; 8°. 

Bentivegna (R.). Trattato della fognatura cittadina. Milano, 1889; 8°. 

Berchet (F.). IV-V Relazione (1896-1901) dell'Ufficio regionale per la con- 
servazione dei monumenti del Veneto. Venezia, 1899-901; 2 vol. 8°. 

Bertarelli (P.). Sui fatti principali riguardanti l'igiene e la sanità pub- 
blica del Regno dal 1° gennaio al 30 novembre 1897. Roma, 1897; 4°. 

Boccardo (G.). Trattato teorico-pratico di economia politica. 6* ediz. 
Torino, 1879; 3 vol. 16°. 

Bollettino della Società di Storia patria Anton Ludovico Antinori. Aquila, 
1889-901; 13 vol. 8°. 

Borromeo (C.). Dante personificato nel Veltro con Appendice sulle finte 
epistole ai principi e popoli d’Italia, ai fiorentini, ad Arrigo VII. Torino- 
Palermo, 1901; 8°. 

Brusaferro (S.). La tubercolosi negli animali domestici. Torino, 1890; 8°. 

Carutti (D.). Storia della città di Pinerolo. Pinerolo, 1893; 8°. 

Congrès géologique international. Compte rendu de la 8° session. Berlin, 
1888; 8°. 

Courrier (Le) d’Italie. Rome, 1879-80; 2 vol. 4°. 

Dacci (G.). Cenni storici e statistici intorno alla R. Scuola di musica in 
Parma. Parma, 1888; 4°. 

Diritti (I) della scuola. Milano, 1899-902. 3 vol. 4°. 

Discorsi pronunziati a commemorazione del conte professore Cesare Albicini 
raccolti e pubblicati nel 1° anniversario della sua morte. Forlì, 1892; 8°. 

Drochi (L.). Lorenzo Bruno. Cenni biografici. Torino-Roma, 1894; 12°. 

— Patria. Versi. Torino, 1895; 8°. 

Économiste (L’) frangais. Années 13-25. Paris, 1885-97; 25 vol. 8°. 

Fettarappa (G.). Nozioni di economia politica. Principii di economia appli- 
cati alle stime e conteggi ad esse relativi. Torino, 1887-90; 2 vol. 8°. 

Fighiera (L. S.). La lingua e la grammatica di C. Crispo Sallustio. Savona, 
1900; 8°. 

Gandoglia (B.). La città di Noli. Savona, 1885; 8°. 

Gelli (J.). Bibliografia generale della scherma. Firenze, 1890; 4°. 

Giglioli (E. H.). Avifauna italica. Elenco delle specie di uccelli stazionarie 
o di passaggio in Italia. Firenze, 1886; 8°. 

— — Primo resoconto dei risultati della inchiesta ornitologica in Italia. 
Firenze, 1889-90; 2 vol. 8°. 

Intermezzo. Direttore dr. G. Canti. Alessandria, 1890; 8°. 

International law Association. Report of the 14th, 15th, 18th, 19th Con- 
ference. London, 1891-901; 4 vol. 8°. 

Johnston-Lavis (H. J.). Monograph of the earthquakes of Ischia. London- 
Naples, 1885; 4° con tav. 

Leva (Della) sui giovani nati nell’anno 1870, 1873-74, 76. Roma 1893-98; 
4 vol. 8°. 

Loria (L.). Le strade ferrate. 2* ediz. Milano, 1890-92; 2 vol. 8°. 

Marzorati (E.). Elementi di economia ed estimo rurale, cadastro e stima 
di miniere. 2* ediz. Milano, 1884; 2 vol. 8°. 


LXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Memoria (In) del marchese Giulio Dragonetti. Roma [1896 c.]; 8°. 

Molmenti (P. G.). La storia di Venezia nella vita privata dalle origini alla 
caduta della Repubblica. Torino, 1880; 8°. 

Musatti (E.). Guida storica di Venezia. Padova-Venezia, 1890; 16°. 

Palomba (S.). Della preminenza della legge naturale nel diritto umano. 
Cagliari, 1897; 8°. 

Parola (F.). Decemviri. Drama. Albae, 1887; 16°. 

Pensiero (Il) italiano, repertorio mensile di studi. Milano, 1891-98; 22 vol. 8°. 

Pigorini-Beri (C.). Costumi e superstizioni dell'Appennino marchigiano. 
Città di Castello, 1889; 8°. 

Pinna (M.). L'archivio del duomo di Cagliari. Cagliari-Sassari, 1899; 4°. 

Pinnaferrà (G.). Orientazioni sociologiche dalla Sardegna. Bari, 1898; 8°. 

Pompei (A.). Studi intorno all’anfiteatro di Verona. Verona, 1877; 4°. 

Rassegna di scienze sociali e politiche. Firenze, 1883-90; 15 vol. 8°. 

Relazione statistica intorno ai servizi postale e telegrafico, 1895-96—1898-99. 
Roma, 1897-1901; 4 vol. 4°. 

Revue politique et parlementaire. Paris, 1894-96; 7 vol. 8°. 

Ricordo pittorico militare della spedizione sarda in Oriente (1855-56). 
Torino, 1884; 4° obl. 

Rivista di diritto internazionale. Napoli, 1899-902; 4 vol. 8°. 

Rota (G.). La vasca per le esperienze di architettura navale nel R. Arse- 
nale di Spezia. Genova, 1898; 4°. 

Saechi (V.). Lucca e la sua provincia. Impressioni. Roma, 18983; 4°. 

Santa Rosa (H.) e Fidanza (F. A.). Album do Parà em 1899. Berlin; 4°. 

Sapeto (G.). Grammatica araba volgare ad uso delle scuole tecniche. Fi- 
renze-Genova, 1866; 8°. 

Scuola (La) nazionale. Torino, 1890-901; 12 vol. 

Verzellino (G. V.). Delle memorie particolari e specialmente degli uomini 
illustri della città di Savona. Savona, 1891; 8°. 


* Bonnet (É.). Catalogue de la Bibliothèque de l’Académie des sciences et 
lettres de Montpellier. 1ère partie. Montpellier, 1901; 8° (dono dell’Accad.). 
** Cheickho (P. L.). [Magànî ou fleuves de la littérature arabe; Beyrouth, 
impr. Catholique, 1882-96; 6 vol. 8°. 
Notes sur le Magànî. Beyrouth, 1886-88]; 4 vol. 8°. 
Cortellini Diaz del Alcazar (D. J.). La Belleza. Disertaciòn filos6fico-histé- 
rica con un prologo de D. E. de Obregén. Madrid, 1902 (dall’A.). 
Dalla Yedova (G.). Annibale Ferrero. Gotha, 1902, 1 c. (dall’A. Socio cor- 
rispondente). 

Gambèra (P.). M. Porena. Commento grafico alla Divina Commedia per uso 
delle scuole. Salerno, 1902; 8° (dall'A.). 

Gerola (G.). Lavori eseguiti nella necropoli di Phaestos dalla Missione ar- 
cheologica italiana dal 10 febbraio al 22 marzo 1902. Relazione. Roma, 8° 
(dal Presidente della Scuola italiana). 

Halbherr (F.). Id. ld., dal 15 maggio al 12 giugno 1902 (I4.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXV 


** Litta. Famiglie celebri italiane (2* serie): Caracciolo di Napoli di 
F. Fabris. Parte 2*. Napoli; f°. 

Meerens (C.). La science musicale è la portée de tous les artistes et ama- 
teurs. Bruxelles, 1902; 8°. 

Merkel (C.). L’opuscolo © De Insulis Nuper Inventis , del messinese Nicolò 
Scillacio. Milano, 1901; 4° (dono del R. Istituto Lombardo di scienze e 
lettere). 

Nadaillac (de). L’age de cuivre. Louvain, 1902; 8° (dall'A. Socio corrispon- 
dente). 

— Voyage du Duc et de la Duchesse d’ York à travers les Colonies an- 
glaises. Paris, 1902 (Jd.). 

Peixotto (J. B.). The French Revolution and modern French Socialism. 
New York, 1901; 8° (dall’Università di California). 

Poggi (V.). Gli antichi statuti di Carpasio (21 luglio 1433). Torino, 1902; 8° 
(dall’A. Socio corrispondente). 

Rigobon (P.). Studii antichi e moderni intorno alla tecnica dei commerci. 
Bari, 1902; 8° (dall’A.). 

Simonetti (N.). L’epistola a Cangrande non è di Dante. Spoleto, 1902; 8° (Jd.). 

* Stornaiolo (C.). Codices Urbinates latini. T. I (Codices 1-500). Accedit 
appendix ad descriptionem picturarum cum exemplari f. 2 codicis 464 
phototypice expresso. Romae, 1902; 4° (dalla Bibliot. Apost. Vaticana). 

* Vattasso (M.) e Franchi de’ Cavalieri (P.). Codices Vaticani latini. T. I. 
Codices 1-678. Romae, 1902; 4° (Id.). 


Dal 16 al 80 Novembre 1902. 


* Geological Map of Dominion of Canada (Western Sheet, No. 783; f° 
(dal Geological Survey of Canada). 

Naegamvala (K. D.). Report on the total Solar Eclipse January 21-22, 1898, 
as observed at jeur in western India, vol. 1°. Bombay, 1902; 4° (dall'A. 
Direttore dell'’Osservatorio Maharaja Takhtasingji, Poona). 

Chiarugi (G.). L'insegnamento dell’anatomia dell’uomo secondo i nuovi re- 
golamenti universitari. Firenze, 1902; 8° (dall’A.). 

Rossi (F.). Traité de l’art des accouchements (1796-99). Fragments d’après 
le ms. inédit de la Bibliothèque de la R. Académie des Sciences, 
publiés par le prof. Dr. J. CarsoneLLi. Turin, 1902; 8° (dono del 
Dr. J. Carbonelli). 


* Dall’ Università di Basel: 


Abderhalden (E.). Ueber den Finfluss des Hòhenklimas auf die Zusammen- 
setzung des Blutes. Miinchen, 1902; 8°. 

Akerberg (T.). Ueber die Geschwindigkeit der elektrolytischen Zersetzung 
von Oxalsiure bei Gegenwart von Schwefelsiure. Fin Beitrag zum 
Studium der elektrolytischen Reaktionsgeschwindigkeit bei einem sekun- 
diren Prozesse. Leipzig, 1902; 8°. 

Auerbach (M.). Das braune Fettgewebe bei schweizerischen und deutschen 
Nagern und Insektivoren. Bonn, 1902; 8°. 


LXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Banning (F.). Zur Kenntnis der Oxalsiurebildung durch Bakterien. Jena, 
1902; 8°, 

Biumlin (J.). Ueber familiare Erkrankungen des Nervensystems. Leipzig, 
T90180 

Beisswenger (A.). Ueber die Reduktion einiger Anhydride der Bernstein- 
siure- und Glutarsiuregruppe zu Lactonen. Tiibingen, 1902; 8°. 

Blumer (S.). Zur Entstehung der Glarnerischen Alpenseen. Lausanne, 1902; 8°. 

Bossart (A.). Zur Chemie der Verfettung in krankhaften Neubildungen und 
im tuberculòsen Gewebe. Aarau, 1902; 8°. 

Breustedt (G.) Beitrige zur Kenntniss der aromatischen Hydantoine. 
Braunschweig, 1902; 8°. 

Burtolf (J.). Verengerungen und Verwachsungen in der Pars laryngea pha- 
ryngis. Basel, 1901; 8°. 

Buxtorf (A.). Beitrige zur Kenntnis der Sedimente im Basler Tafe]jura. 
Bern, 1901; 4°. 

Clauditz (J.). Blattanatomie canarischer Gewdchse mit Bertcksichtigung 
von Standort und Klima. Hildesheim, 1902; 8°. 

Czerkis (M.). Oxydationen von Amido- und Nitrophenolen. Ziirich, 1902; 8°. 

Damm (0.). Ueber den Bau, die Entwicklungsgeschichte und die mecha- 
nischen Eigenschaften Ci Pra Epidermen bei den Dicotyledonen. 
Cassel, 1901; 8°. 

Fabricius (M.). Beitràge zur Laubblatt-Anatomie einiger Pflanzen der 
Seychellen, mit Berticksichtigung des Klimas und des Standortes. Jena, 
1902; 8°. 

Farine (G.). Ueber einige Acidylderivate des 0-Amidobutyrophenons und 
deren Uberfihrung in a- und Y-Oxychinoline. Porrentruy, 1902; 8°. 
Flachs (A.). Ueber das Bitumen des Reutlinger Schiefers, ein Beitrag zur 

Theorie der Erdòlbildung. Basel, 1902; 8°. 

Fleischer (J.). Ueber den Reactions-Verlauf bei der Einwirkung von Di- und 
Trinitrochlorbenzol auf mehrbasische Amine und Phenole. Boskowitz, 
1901;: 8°: 

Gonser (R.). Ueber acute Osteomyelitis im Kindesalter mit besonderer 
Beriicksichtigung der EÉndresultate. Berlin, 1902; 8°. 

Gough (L. H.). The development of Admetus pumilio Koch. A contribution 
to the embryology of the Pedipalpi. Strassburg, 1901; 8°. 

Graefe (E.). Ueber Einwirkungsproducte des Chlorkohlenoxydes auf einige 
aromatische Alkohole und Phenole. Liebertwolkwitz-Leipzig, 1901; 8°. 

Hagenbach (E.). Beitrag zur Kenntniss der angeborenen Sacro-coccygeal: 
tumoren. Berlin, 1902; 8°. 

Huber (0.). Die Kopulationsglieder der Selachier. Leipzig, 1901; 8°, 

Huber (T.). Das Verhalten des Gedachtnisses nach traumatischen Kopf- 
verletzungen. Basel, 1901; 8°. 

Klut (H.). Beitràge zur Kenntnis substituierter Thiodicyandiamine. Friedrichs- 
hagen, 1902; 8°. 

Mathé (E.). Ueber Einwirkungsproducte von Diazokòrpern auf Phenylhydra- 
zine. — Ueber einige beizenziehende Orthochinolinderivate. — Ueber 
einige neue Orthotoluchinolinderivate. Colmar, 1901; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXVII 


Merckens (0.). Ueber die a-Pheny]glutarsiàure und ihre Kondensation mit 
Benzaldehyd. Die yòd-Diphenyl]- Yò-Pentensàure. Basel, 1902; 8°. 

Miihlhauser (B.). A. Ueber Untersuchungen in der Acridinreihe. B. Zur 
Kenntniss der a-Aethylidenglutarsàure. Augsburg, 1902; 8°. 

Miiller (A.). Hundert Falle von Perityphlitis aus der Basler chirurgischen 
Klinik. Berlin, 1902; 8°. 

Pfisterer (G.). Ueber Pneumokokken-Gelenk- und Knocheneiterungen. Beo- 
bachtungen aus dem Kinderspital in Basel. Berlin, 1902; 8°. 

Pollitt (G. P.). Ueber die Kontaktwirkung des Eisenoxyds bei der Umwand- 
lung von Schwefeldioxyd und Sauerstoff in Schwefeltrioxyd. Ziirich, 
1902; 8°. 

Preiswerk (F.). Ueber die Einwirkung aromatischer Amine und des Natrium- 
malonesters auf dibromsubstituierte Siuren. Basel, 1902; 8°. 

Preiswerk (H.). Ueber Dunitserpentin am Geisspfadpass im Oberwallis. 
Basel, 1901; 8°. 

Probst (0.). Finfluss des Stickstoffs auf die Pfhanzenentwicklung mit beson- 
derer Beriicksichtigung des Wurzelsystems. Bonn, 1901; 8°. 

Reber (M.). Ueber eine bisher nicht beschriebene Form von Rektalstrikturen 
und eine neue Behandlung derselben. Tibingen, 1901; 8°. 

Reis (F.). Zur Kenntniss der Condensationsprodukte der a-Ketonsàuren und 
ihrer Umwandlungsprodukte. Strassburg i. Els., 1902; 8°. 

Roth (K.). Ueber Metalldestillation und iber destillierte Metalle. Leipzig, 
1902; 8°. 

Rouus (M.). Ueber Cineolsiure. Basel, 1901; 8°. 

Sauerbeck (E.). Ueber die Verkiirzung der Hirnhéhlenhérner, ihr Vorkommen 
und ihre Fntstehung. Berlin, 1901; 8°. 

Sehmidt-Nielsen (S.). Studien iiber chemischen und mikrobiologischen 
Vorgànge beim Reifen des gesalzenen Fischfleisches (speziell von Clupea 
Harengus). Throndhjem, 1902; 8°. 

Schròder (L.). Entwicklungsgeschichtliche und anatomische Studien iber 
das minnliche Genitalorgan einiger Scolytiden. Berlin, 1902; 8°. 

Schwyzer (J.). Zur Kenntnis der bromierten Xylidine. Zurich, 1902; 8°. 

Sonneborn (F.). Zur Kenntnis der Vinylessigsiiure. Basel, 1902; 8°. 

Spiess (0.). Die Grundbegriffe der Iterationsrechnung. Basel, 1902; 8°, 

Staehelin (R.). Der Gaswechsel des Menschen im Héhenklima. Leipzig, 
1901; 8°. 

Striibiu (K.). Beitrige zur Kenntnis der Stratigraphie des Basler Tafeljura. 
Speziell des Gebietes von Kartenblatt 28, Kaiseraugst (Siegfriedatlas). 
Basel, 1901; 8°. 

Suter (F. A.). Beitrag zur Statistik des Mastdarmcarcinomes und Uebersicht 
tiber die hauptsichlichsten Operationsmethoden. Ziirich-Oberstrass, 
1900; 8°. 

Thesmar (G.). Contribution è la connaissance des Xylènes. Bale, 1902; 8°, 

Thommen (J.). Klinische und experimentelle Beitrige zur Kenntniss der 
Bauchcontusionen und der Peritonitis nach subcutanen Darmverlet- 
zungen. Berlin, 1902; 8°. 


LXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Van der Sleen (G.). Ueber die a-Oxybutensiure (Vinyl-glycolsàure) und 
ihre Umlagerungen. Haarlem, 1901; 8°. 

Vortisch (R.). Ueber die Einwirkung aromatischer Amine auf die drei iso- 
meren Dibrombrenzweinsàuren. Basel, 1902; 8°. 

Waldenberger (Ch. A.). Ueber die Elektrolyse der Estersalze der Phenyl- 
bernsteinsàure mit fettsauren Salzen. Basel, 1901; 8°. 

Wannier (A.). Experimentelle Untersuchungen iber die baktericide Wirkung 
einiger Harndesinficientien. Berlin und Leipzig, 1901; 8°. 

Wenner (P.). A. Ueber Alkylirungen mittelst Dimethylsulfat und p-Toluol- 
sulfosàureester. B. Ueber Phenylisocrotonsiureanilid. Basel, 1902; 8°. 

Wessel (L.). Ueber einige Derivate des Ditolyls. Kòln, 1902; 8°. 
Wetter (A.). Ueber Aposafranine und Azoniumverbindungen aus Tolusa- 
franin. Beitràge zur Kenntnis der Phtalamidone. Basel, 1902; 8°. 
Wille (L.). Ueber die psychophysiologischen und pathologischen Beziehungen 
des Gedachtnisses. Basel, 1901; 4°. 

Wright (R. G.). Zur Kenntnis des Auramins G. Ziirich, 1902; 8°. 

Zeltner (A.). Beitriàge zur Kenntniss der Beziehungen zwischen Constitution 
und Drehungsvermògen. Freiburg i. Br., 1902; 8°. 

Zschoche (R.). Ueber die elektrolytische Ospatition von Metvle i in 
aromatischen Verbindungen. Basel, 1902; 8°. 


Dal 28 Novembre al 7 Dicembre 1902. 


Anzilotti (D.). Teoria generale della responsabilità dello Stato nel diritto 
internazionale. Parte prima. Firenze, 1902; 8°. 

— I mutamenti dei rapporti patrimoniali fra coniugi nel diritto interna- 
zionale privato. Firenze, 1900; 8° (dall’A.). 

Beyssae (J.). Le Prieuré Saint-Hilaire-de-Nus au diocèse d'Aoste. Lyon, 
1902; 8° (Zd.). 

* Elenco dei doni 1898-1901 [fatti alla Biblioteca Palatina di Modena]; 8° 

Del Lungo (I.). San Francesco alla Verna. Firenze, 1902; 8°. 

— Tommaseo e Capponi da lettere inedite d’ottobre-novembre 1833. Roma, 
1902; 8°. 

— Il Tommaseo e Firenze. Roma, 1902; 8° (dall’A.). 

Fubini (R.). La dottrina dell'errore in diritto civile italiano. Torino, 1902; 
8° (Id.). 

Peyre (R.). Une princesse de la Renaissance. Marguerite de France duchesse 
de Berry, duchesse de Savoie. Paris, 1902; 8° (Zd.). 

Serafini (E.). Le obbligazioni divisibili ed indivisibili. Modena, 1902; 8° (Zd.). 

Toesca di Castellazzo (C.). L'offerta al pubblico. Contributo alla teoria 
dell'Offerta contrattuale “* ad incertam personam ,. Torino, 1903; 8° (I@.). 

Tordi (D.). Il codice autografo di rime e prose di Bernardo Tasso. Appen- 
dice al libro terzo degli Amori. Firenze, 1902; 8°, 

Trojano (P. R.). La filosofia morale e i suoi problemi fondamentali. Torino, 
1902; 8° (dall’A.). 


pet 7 


PUBBLICAZIONI; RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXIX 


* Dall Università di Basel: 


Bock (E.). Florentinische und venezianische Bilderrahmen aus der Zeit der 
Gotik und Renaissance. Minchen, 1902; 8°. 

Catalogue des écrits académiques suisses 1901-1902. Basel, 1902; 8°. 

Fricke (E.). Der Einfluss Shakespeares auf Alfred de Mussets Dramen. 
Basel, 1901; 8°. 

Hassler (0.). Ein Heerfiihrer der Kurie am Anfang des XIII, Jahrhunderts, 
Pelagius Galvani. Kardinalbischof von Albano. Berlin, 1902; 8°. 

Meyer (J.). Die Holle im Islam. Basel, 1901; 8°. 

Personal- Verzeichnis der Universitàt Basel fiir das Winter-Semester 1901/1902 
und Sommer-Semester 1902. Basel, 1901; 8°. 

Reiff (P.). Der moderne psychophysische Parallelismus. Heilbronn, 1901; 8°. 

Verzeichnis der Vorlesungen an der Universitàt Basel im Sommer-Seme- 
ster 1902, und Winter-Semester 1902-1903; 49. 


dal 30 Novembre al 14 Dicembre 1902. 


Alasia (C.). Saggio terminologico-bibliografico sulla recente Geometria del 
triangolo. Bergamo, 1902; 8° (dall’A.). 

Borredon (G.). La Luna è la sorgente fisica del freddo; 8° (Zd.). 

** Eneyclopaedia Britannica. Vol. 25-29. Edinburgh & London, 1901-1902; 
5 vol. 4°. 

Galilei (G.). Le Opere. Edizione Nazionale sotto gli auspicii di S.M. il 
Re d’Italia; Vol. XII. Firenze, 1902; 8° (dono del Ministero dell’I. P.). 

Giuliano (S.). Descrizione del doppio freno idropneumatico S. Giuliano. 
Testo e tav. Torino, 1902; 8° (dall’A. pel 1° Premio Vallauri). 

Guareschi (I.). Storia della Chimica. II. Faustino Malaguti e le sue opere. 
Torino, 1902; 4° (dall’A. Socio residente). 

Kòolliker (A.). Ueber die oberflîîchlichen Nervenkerne im Marke der Vogel 
und Reptilien. Leipzig, 1902; 8° (dall’A. Socio straniero). 

Majocchi (G.). Trisezione dell'angolo colla riga e col compasso. Milano, 
1902, 1 c. (dall’A.). 

Marini (A.). Note sericole e cenni sulla campagna bacologica 1902. Torino; 
8° (Id.). 

Pascal (E.). I gruppi continui di trasformazioni. Milano, 1903; 16° (Zd.). 

Ricci (G. B.). La via ai rapporti melodici della musica naturale. Indagine 
critica. Savona, 1902; 8° (dall’A. per il 1° Premio Vallauri). 

Richards (T. W.). Further investigation of the atomie weight of copper. 
Boston, 1887; 8°. 

— A determination of the relation of the atomic weights. of copper and 
silver. 1887; 8°. 

—:The analysis of cuprie bromide, and the atomie weight of copper. 
1890; 8°. 

— On cupric oxybromide, 1890; 8°. 

— A revision of the atomic weight of copper. 1891; 8°. 

— Ueber Cupriammonium-Acetobromid, 1892; 8°. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. E 


LXX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Richards (T. W.). A revision of the atomic weight of barium. First and 
second paper: The analysis of baric bromide, and baric chloride. 1893; 8°, 

— A revision of the atomic weight of strontium. First paper: The ana- 
lysis of strontic bromide. 1894; 8°. 

— On the temperature coefficient of the potential of the calomel electrode, 
with several different supernatant electrolytes. 1897; 8°. 

— Note on the rate of dehydration of crystallized salts. 1897; 8°. 

— On the cause of the retention and release of gases occluded by the 
oxydes of metals. 1898; 8°. 

— Die Uebergangstemperatur des Natriumsulfats: ein neuer Festpunkt in 
der Thermometrie. 1898; 8°. 

— A convenient gas generator, and device for dissolving solids. 1898; 8°. 

— Note on the Spectra of hydrogen. 1899; 8°. 

— An electric drying oven. 1899; 8°. 

— Ueber die Bestimmung von Schwefelsiure bei Gegenwart von Eisen; 
eine Notiz liber feste Lòsungen und die Hydrolyse von Chrom- und 
Eisensalzen. 1900. 

— Bemerkung iber eine Methode zur Aichung von Gewichten. 1900; 8°. 

— Report. International atomic weights. 1900; 8°. 

— The driving energy of physico-chemical reaction, and its temperature 
coefficient. 1900; 8°. 

— The relation of the taste of acids to their degree of dissociation, II. 
1900; 8°. 

— Modifications of Hempel’s Gas-apparatus. 1901; 8°. 

— Suggestion concerning the nomenclature of heat capacity. 1901; 8°. 

— The Standard of atomic weights. 1901; 8°. 

— Neubestimmung des Atomgewichtes von Calcium. 1902; 8°, 

— The possible significance of changing atomic volume. 1901; 8°. II. The 
probable source of the heat of chemical combination and a new atomic 
hypothesis. 1902; 8°. III. The relation of changing heat capacity to 
change of free energy, heat of reaction, change of volume, and chemical 
affinity. 1902; 8°. 

— Note on the application of the Phase Rule the fusing points of copper, 
silver, and gold. 1902; 8°. 

— Concerning gas-analysis by measurement in constant volume under 
changing pressure. 1902; 8°. 

— A Table of atomie weights. 1898, 1901, 1902; 8°. 

— and Archibald (E. H.). A study of growing crystals by istantaneous 
photomicrography. 1901; 8°. 

— — The decomposition of mercurous chloride by dissolved chlorides: A 
contribution to the Study of concentrated solutions. 1902; 8°. 

— and Baxter (G. P.). A revision of the atomic weight of cobalt. 1° The 
analysis of cobaltous bromide. 1897; 8°. 2° The determination of the 
cobalt in cobaltous bromide. 1899; 8°. 3° The analysis of cobaltous 
chloride and oxyde. 1899; 8°. 

— — Revision des Atomgewichtes von Fisen. 1900; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXI 


Richards (T. W.). Me Caffrey (C. F.) u. Bisbee (H.). Die Okklusion von 
Magnesiumoxalat durch Calciumoxalat und die Lòsliehkeit von Calcium- 
oxalat. 1901; 8°. 

— Collins (E.) u. Heimrod (G. W.). Das elektro chemische Aequivalent 
des Kupfers und des Silbers. 1900; 8°. 

— and Cooke (J. P.). The relative values of the atomie weights of hydrogen 
and oxygen. 1887; 8°. 

— and Cnshman. A revision of the atomic weight of nikel. I. The analysis 
of nikelous bromide. 1897; 8°. II. The determination of the nikel in 
nikelous bromide. 1899; 8°. 

— and Forsythe (R.J.). On the action of ammonia upon cupriammonium 
acetobromide. 1897; 8°. 

— and Fraprie (F. R.). The solubility of manganous sulphate. 1901; 8°. 

— und Harrington (W. L.). Bemerkungen iber den Siedepunkt von ge- 
mengten Lòsungen. 1898; 8°. I. Chlorwasserstoffsiure neben Kadmium- 
oxalat und citrat. II. Natriumchlorid und Kadmiumsulfat von C. M. 0. 
Gordon, L. J. Henderson und W. L. Harrington. 

— und Heimrod (G. W.). Ueber die Genauigkeit des verbesserten Volta- 
meters. 1902; 8°. 

— and Lewis (G. N.). Some electrochemical and termochemical relations 
of zine and cadmium amalgams. 1898; 8°. 

— and Merigold (B. S.). On the cuprosammonium bromides and the cupram- 
monium sulphocyanates. 1897: 8°. 

— — Anevw investigation concerning the atomie weight of uranium. 1902; 8°. 

— and 0Oenslager (G.). III. On the cupriammonium double salts. 8°. 

— and Parker (H. G.). On the occlusion of baric chloride by baric sul- 
phate. 1894; 8°. 

— — A revision of the atomic weight of magnesium. 1896; 8°. 

— and Rogers (E. F.). On the occlusion of gases by the oxydes of metals. 
1893; 8°. 

— — A revision of the atomic of zinc. First paper: The analysis of zinc 
bromide. 1895; 8°. 

— and Shaw (H. G.). On the cupriammonium double Salts. 1893; 8°. 

— and Singer (S. K.). The quantitative separation of hydrochloric and 
hydrocyanie acids. 1902; 8°. 

— and Stull (W. N.). The speed and nature of the reaction of bromine 
upon oxalic acid. 1902; 8°. 

— (J. Trowbridge) und. The temperature and ohmic resistance of gases 
during the oscillatory electric discharge. 1897; 8°. 

— — The effect of great current strength on the conductivity of electro- 
lytes. 1897; 8°. 

—.und Whitridge (A. H.). II. On the cupriammonium double salts. 1894; 8° 
(dal sig. T. W. Richards per il 1° Premio Vallauri). 

Trabucco (G.). La geologia e l’agricoltura. Firenze, 1902; 8° (dall’A.). 


LXXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Dal 7 al 21 Dicembre 1902. Tei 


* Bidrag till Sverges Medeltidshistoria tillegnade C. G. Malmstròm den 
2 November 1902, af historiska Seminariet vid Upsala Universitet. Upsal, 
1902; 8° (dall’Univ. di Upsala). 

Calendario del Santuario di Pompei. Basilica pontificia del SS. Rosario. 
Valle di Pompei, 1903; 16°. 

* Censimento della Popolazione del Regno al 10 febbraio 1901. Vol. I. Po- 
polazione dei comuni e delle rispettive frazioni divisa in agglomerata 
e sparsa e popolazione dei mandamenti amministrativi. Roma, 1902; 8° 
(dalla Direz. Gen. della Statistica). 

** Encycelopaedia Britannica. Vol. 30, 31. Edinburgh & London, 1902; 4. 

Ferri (A.). Antichità. Rieti. 1898; 8°, 

— Antichità. — In Sabina. Rieti, 1898 ; 8° (dall A. per il XIII premio Bressa). 

Finocchiaro-Sartorio (A.). La comunione dei beni tra coniugi nella storia 
del diritto italiano. Palermo, 1902; 8° (dall’A.). 

Manno (G.). Lettere inedite del barone G. Manno a Pietro Martini (1835-66). 
Cagliari, 1902; 4° (dal sig. Cav. Dott. Silvio Lippi Direttore del R. Ar- 
chivio di Stato di Cagliari). 

Masi (E.). Asti e gli Alfieri nei ricordi della Villa di San Martino. Firenze, 
1903; 8° (dall’A. per il premio Gautieri per la Storia). 

Power (M.). Anglo-Jewish Calendar for every day in the Gospels. London, 
1902; 8° (dall'A. per il XIII premio Bressa). 

* Urkunder och Féòrfattningar angàende Donationer vid Upsala Kongl. Uni- 
versitet. Pà uppdrag af det stòrre Akademiska Konsistoriet' samlade 
och utgifna af Th. Brandberg och J. von Bahr. Upsala, 1902; 8° (dal- 
V Università di Upsala). 


Dal 14 al 28 Dicembre 1902. 


Colomba (L.). Sulla presenza della dispersione nei pirossenigiadeitoidi in 
rapporto colla loro composizione chimica. Padova, 1902; 8° (dall’A.). 

Dichiara (F.). La cura elettrica dei fibromi dell’utero. Palermo, 1902; 8°(7d.). 

Helmert (F. R.). Ueber die Reduction der auf der physischen Erdoberflàiche 
beobachteten Schwerebeschleunigungen auf ein gemeinsames Niveau. 
Berlin, 1902; 8° (dall'A. Socio corrispondente). 

Penzig (0.). I prodotti vegetali del Mercato di Buitenzorg (Giava). Genova, 
1898; 8°. 

— Sopra una falsificazione singolare osservata nel cavolfiore. Genova, 1900; 8°. 

— Cenni storici sull’Orto èd Istituto Botanico della R. Università: di Genova. 
Genova, 1900; 8°. 

— Note sul genere “ Mycosyrinx ;. Genova, 1900; 8°. 

— Cenni sulla vita e sulle opere di Antonio Piccone. Genova, 1901; 8°. 

— Beitrige zur Kenntniss der Gattung Epirrhizanthes Bl. Leide, 1901; 8°. 

— Die Fortschritte der Flora des Krakatau. Leide, 1902;. 8°. 

— Note di Teratologia vegetale. Genova, 1902; 8° (dall’A. Socio corrisp.). 

— et Saccardo (P. A.). Diagnoses fungorum novorum in insula Java Col- 
lectoram. Genuae, 1902; 8° (Id.). 

Petraroja (L.). Metamorfosi del modello cartilagineo primitivo delle ossa. 
Napoli, 1902; 8° (dall’A.) 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXIII 


Dal 21 Dicembre 1902 al 4 Gennaio 1903. 


Busch (W.). Die Beziehungen Frankreichs zu Oesterreich und Italien 
zwischen den Kriegen von 1866 und 1870-71. Tiibingen, 1900; 4° (dal- 
V Università di Tiibingen). 

Dareste (R.). Le Code babylonien d’ Hammourabi. Paris, 1902; 4° (dall’A. 
Socio corrispondente). 

Beauvoir (J. M.). Pequetio diccionario del idioma Fueguino-Ona. Con su cor- 
respondiente Castellano. 1° y 2* parte. Por un Misionero Salesiano de 
la Terra del Fuego. Buenos Ayres; 8° (dal Sac. Paolo Ubaldi). 

Einaudi (L.). Questioni intorno all'imposta delle aree edilizie. Torino, 1900; 
1 fasc. 8°. 

— Un Principe mercante. Studio sulla espansione coloniale italiana. l'orino, 
1900; 1 vol. 8°. 

—.La rendita Mineraria. Torino, 1900; 1 vol. 8°. 

— Salvatore Cognetti de Martiis. Bologna, 1901; 1 fasc. 8°. 

— Studi sugli effetti delle imposte. Contributo allo studio dei problemi tri- 
butari municipali. Torino, 1902; 1 fasc. 8° (4dall’A.). 

Gramantieri (D.). Raffaello. Pesaro, 1902; 8° (I4.). 

Jannacone (P.). Sullo sciopero nei servizi pubblici. Torino, 1902; 8° (Id.). 

Lange (K.). Der schlafende: Amor des Michelangelo. Tibingen, 1898; 4° 
(dall’ Università di Tiibingen). 

Sehleich (G.). Burkard David Manchart. Tibingen, 1897; 4° (Id.). 

Sehwabe (L.). Die kaiserlichen decennalien und die alexandrinischen Miinzen. 
Tiibingen, 1896; 4° (Id.). 


Dal 28 Dicembre 1902 all’11 Gennaio 1903. 


Allievi (L.). Teoria generale del moto perturbato dell’acqua nei tubè in 
pressione. Roma, 1902; 4° (dall'A. per il premio Vallauri). 

Borredon (G.). La legge del sistema planetario o l’ armonia del moto dei 
suoi corpi. Napoli, 1902; 8° (dall’A.). 

Hagues (L.). Un seul champignon sur le Globe. Port-Louis, Maurice, 1902; 
8° (Id.). 

Koelliker (A.). Die Golgifeier in Pavia. Jena, 1902; 8° (dall’A. Socio stra- 
niero dell’Accademia). 

Lemoine (E.). Géométrographie ou art des constructions géométriques. Paris, 
1902; 8° (dall’A. per il premio Bressa). 

Olivero (G. B.). Trattato di astronomia basato sul sistema solare stabilito 
dalla curva 8 (meridiana del tempo medio). Torino, 1902; 4° (dall'A. 
per il premio Vallauri). 

Pirotta (R.) e Chiovenda(E.). Illustrazioni di alcuni erbarii antichi Romani. 
Genova, 1902; 8° (dal sig. R. Pirotta Socio corrispondente dell’ Accademia). 

Spoltore (N.). La trisezione dell'angolo. Vasto, 1901; 8°. 

— Il moto perpetuo ossia guadagno contemporaneo di forza e velocità nei 
movimenti delle leve. Vasto, 1902; 8° (4all’A. per il premio Bressa). 


LXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Dal 4 al 18 Gennaio 1903. 


Boselli (P.). Discorso d’inaugurazione pronunziato al IV Congresso Nazio- 
nale delle Società Economiche, tenutosi in Torino il 14 ottobre 1902. 
Torino, 1902; 8° (dall’A. Socio residente). 

Flasch (A.), Heinrich von Brunn. Miinchen, 1902; 4° (dalla %. d. Akademie 
der Wissenschaften zu Miinchen). 

Giusta (A.). Inchiesta sul riposo festivo. Torino, 1902; 8° (dall’A.). 

Phohlmann (R.). Griechische Geschichte im neunzehnten Jahrhundert. 
Miinchen, 1902; 4° (dalla k. b. Akademie der Wissenschaften zu Miinchen). 

Savio (F.). Le origini del Monastero di S. Stefano d'Ivrea. Pinerolo, 1902; 8° 
(dall’A. Socio residente). 


Dall’11 al 25 Gennaio 1903. 


Macchiati (L.). Sur la photosynthèse en dehors de l’organisme. Paris, 1902; 4° 
(dall A.). 

Voit (C. v.). Max von Pettenkofer zum Gedàachtniss. litri 1902; 4° 
(dalla R. Accad. delle Scienze). 


Dal 18 Gennaio al 1° Febbraio 1903. 


** Encyclopaedia Britannica. Vol. 32, 33. London, 1902; 4°. 
Schuyten (M. C.). Paedalogisch Jaarbock. 3%e en 4% Jaargang, 1902-1903. 
Leipzig, 8° (dall’A.). 


* Dall Università di Heidelberg : 


Anzeige der Vorlesungen, welche im Sommer-Halbjahr 1902, u. Winter- 
Halbjahr 1902/1903 auf Grossh. Badischen Ruprecht- Farei 
zu Heidelberg. Heidelberg, 1902; 8°. 

Baer (A.). Ueber die Entwickelung der Mannheimer Fisen- und Maschinen- 
industrie mit besonderer Beriicksichtigang der Arbeiterverhàiltnisse. 
Heidelberg, 1901; 8°. 

Baur (P.). Eileithyia. Tibingen, 1901; 8°. 

Becker (C. H.). Beitràge zur Geschichte Aegyptiens unter dem Islam. 
Strassburg, 1902; 8°. 

Bergmann (R.). Geschichte der ostpreussischen Stinde und Steuern von 1688 
bis 1704. Leipzig, 1901; 8°. 

Brach (A.). Giottos Schule in der Romagna. Strassburg, 1902; 4°. 

Damnitz (G. v.).. Die volkswirtschaftliche Bedeutung der Feldbahnen. 
Berlin; 8°, 

Daur (A.). Das alte deutsche Volkslied besonders des 16 Jahrhunderts nach 
seinen formelhaften Elementen betrachtet. Berlin, 1902; 8°. 

Delpy (E.). Die Legende von der heiligen Ursula in der K5lner Malerschule. 
Koln, 1901; 8°. 

Dohm (R.). Beitrige zum Aktienwessen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Ernst (Ph. G.). Die Heroide in der deutschen Litteratur. Heidelberg, 1901; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXV 


Eichhorst (M.). Die Lage der Bergarbeiter im Saargebiet. Eisleben, 1901; 8°. 

Ellering (B.). Die Allmenden im Grossherzogtum Baden. Tiibingen, 1902; 8°. 

Flecken (F.). Der Selbstschutz der Landwirte bei zunehmender Industrie. 
Heidelberg, 1901; 8°. 

Forkert (F. M.). Beitrige zu den Bildern aus dem altfranzòsischen Volks- 
leben auf Grund der “ Miracles de Nostre Dame , par personnages. 
Bonn, 1901; 8°. 

Giitche (M.). Das haufminnische Auskunftswesen in den Vereinigten Staaten 
von Amerika und in Grossbritannien. Hamburg, 1901; 8°. 

Gerzon (J.). Die judisch-deutsche Sprache. Kéòln, 1902; 8°. 

Greiss (0.). Die wirtschaftliche und sociale Bedeutung der Latifundien 
unter besonderer Bezugnahme auf Bòhmen. Heidelberg, 1902; 8°. 
Grosse (R.). Das Postwesen in der Kurpfalz im 17. und 18. Jahrhundert. 

 Tiibingen, 1902; 8°. i 

Hamilton (N.). Die Darstellung der Anbetung der heiligen drei Kònige in 
der toskanisken Malerei von Giotto bis Lionardo. Strassburg, 1901; 4°. 

Hausratli (A.). Geschichte der teologischen Facultàit zur Heidelberg im 
neunzehnten Jahrhundert. Heidelberg, 1901; 4°. 

Hechtenberg (K.). Das Fremdwort bei Grimmelshausen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Hennemann (H.). Die Mundart der sogenannten Grunddérfer in der Graf- 
schaft Mansfeld. Heidelberg, 1901; 8°. 

Héoxter (J.). Die Vorgeschichte und die beiden ersten Jahre des “ immer- 
wihrenden , Reichstags zu Regensburg. Heidelberg, 1901; 8°. 

Jaffé (E.). Die Arbeitstheilung im englischen Bankwesen. Heidelberg, 1902; 8°. 

Kanter (H.). Die Entwicklung des Handels mit gebrauchsfertigen Waren 
von der Mitte des 18. Jahrhunderts bis 1866 zu Frankfurt a. M. Tii- 
bingen, 1901; 8°. 

Klee (A.). Die Landarbeiter in Mittel- und Niederschlesien nach den Erhe- 
bungen des Evangelisch-sozialen Kongresses. Tibingen, 1902; 8°. 
Knapp (0.). Die Ausbreitung des flektierten (Genitivs auf -s im Mittelen- 

glischen. 1902; 8°. 

Kohlraasch (E.). Die Lehre vom Rechtsirrtum in Theorie und Praxis des 
heutigen Strafrechts. Potsdam; 8°. 

Kopp (H.). Die Biihnenleitung Aug. Klingemanns in Braunschweig. Hamburg 
u. Leipzig, 1901; 8°. 

Krug (M.). Die Kartographie der Meeresstròmungen in ihren Beziehungen 
zur Entwicklung der Meereskunde. Bremen; 8°. 

Lilienfein (H.). Die Anschauungen von Staat und Kirche im Reich der 
Karolinger, ein Beitrag zur mittelalterlichen Weltanschauung. Hei- 
delberg, 1902; 8°. 

Manes (A.). Die Geschichte der deutschen Haftpflichtversicherung. Leipzig, 
1902; 8°. 

Miessner (W.) Ludwig Tiecks Lyrik. Berlin, 1902; 8°. 

Munzinger (L.). Die Entwicklung des Inseratenwesens in den deutschen 
Zeitungen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Nugel (0.). Der Schéppenmeister Hieronymus Roth. Leipzig, 1901; 8°. 


LXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Rehm (V.). Die Palatalisierang der Gruppe ‘sc’ im Altenglischen. Hei- 
delberg, 1901; 8°. i 

Richthofen (E. v.). Ueber die historischen Wandlungen in der Stellang der 
autoritàren Parteien zur Arbeiterschutzgesetzgebung und die Motive 

dieser Wandlungen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Rodakiewiez (A.). Die galizischen Bauern unter der polonischen Republik. 
Briinn, 1902; 4°. 

Roedel (Ph.). Victor Hugo und der Conservateur littéraire. Heidelberg, 
1902; 8°. 

Rose (E.). Danziger Getreidehandel vom Beginn bis zur Mitte des XIX. 
Jahrhunderts. Heidelberg, 1901; 8°. 

Rothes (W.). Die Darstellungen des Fra Giovanni Angelico aus dem Leben 
Christi und Mariae. Ein Beitrag zur Ikonographie des Meisters. Strass- 
burg, 1902; 4°. 

Sachse (P.). Fichte’s nationalòkonomische Anschauungen. Heidelberg, 1902; 8°, 

Scherer (V.). Die Ornamentik bei Albrecht Diirer. Strassburg, 1902; 8°. 

Snyder (H. A.). Thoreau's Philosophy of Life with special consideration ot 
the influence of Hindoo Philosophy. s. a. 1.; 8°. 

Stòpel (K. T.). Reformvorschlàge zur Organisation der deutschen Kaliin- 
dustrie. Heidelberg, 1902; 8°. 

Sutro (E.). Die kaufmannische Krediterkundigung. Heidelberg, 1902; 8°. 

Uhde (H.). Der Mannheimer Shakespeare. Fin Beitrag zur Geschichte der 
ersten deutschen Shakespeare-Uebersetzungen. Berlin, 1902; 8°. 

Veltman (C.). Unsere Holzzollpolitik. Heidelberg, 1902; 8°. 

Wahl (G.). Johann Christoph Rost. Leipzig, 1902; 8°. 

Weymann (K. J.). Die aethiopische und arabische Uebersetzung des Pseu- 
docallisthenes. Kirchhain N. L., 1901; 8°. 

Wittichen (F. K.). Preussen und England in dereuropàischen Politik 1785-1788. 
Heidelberg, 1902; 8°. 

Zorell (S.). Die Entwicklung des Parochialsystems bis zum Ende der Ka- 
rolingerzeit. Mainz, 1901; 8°. 

Zwiklitz (L.). Die Bestrebungen zur Hebung des Brennereigewerbes im 
deutschen Reich durch Gesetzebung und genossenschaftlichen Zusam- 
menschluss. Heidelberg, 1901; 8°. 


Dal 25 Gennaio all’8 Febbraio 1903. 


Giorgi (G.). Unità razionali di elettromagnetismo. Napoli, 1901; 8°. 

— La trazione elettrica sulle ferrovie. Torino, 1902; 8°. 

— Il sistema assoluto M. KG. S. Roma, 1903; 8°. 

— Il funzionamento del rocchetto di Rumhkorff. Roma, 1903; 8° (dall’A.). 

Grassi (G.). Sul calcolo delle dinamo e degli alternatori. Torino, 1902; 8° 
(dall’A. Socio residente). 

Libellus post saeculum quam Joannes Bolyai de Bolya anno 1802 A. D. 
18 Kal. Januarias Claudiopoli natus est ad celebrandam memoriam 
eius immortalem etc. Claudiopoli, 1902; 4° (dono dell’Università di 
Klausenburg). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXVII 


Dall Università di Heidelberg : 


Adams (H.). Ueber Fremdkòrper in der Speiseròhre. Heidelberg, 1901; 8°, 

Amburger (N.). Zur operativen Behandlung der Brustwand- und Mediasti- 
nalgeschwòlste. Tibingen, 1901; 8°. 

Amos (M.). Ueber Diamidolutidin und Dioxylutidin. Heidelberg, 1902; 8°. 

Arndts (J.). Beitràge zur Kenntnis des Benzoins. Heidelberg, 1901; 8°. 

Arnsperger (L.). Ueber den Rose’schen Kopftetanus. Heidelberg, 1901; 8°. 

Aufhiuser (D.). Ueber die Hydrazide. der beiden Oxypropionsàuren. Hei- 
delberg, 1902; 8°. 

Baermann (A.). Beitràge zur Kenntnis der aromatischen Aldehyde. Berlin, 
1902; 8°. 

Beck (C.). Zur Sauferleber im Kindesalter. Berlin, 1901; 8°. 

Beindl (C.). Untersuchungen iber hochmolekulare Amidosiuren, Minchen, 
1901; 8°. 

Becker (A.). Interferenzròhren fiir elektrische Wellen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Benrath (A.). Ueber die Umsetzung von Metallverbindungen des Dibenzoyl- 
hydrazins mit Jod und halogenhaltigen Substanzen. Heidelberg, 1902; 8°. 

Bopp (K.). Antoine Arnauld der Grosse Arnauld als Mathematiker. Leipzig, 
1902; 18°. 

Bosch (W.). Organische Quecksilber-Verbindungen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Broichsitter (G.). Ueber die Einwirkung von Aether und Aluminiumehlorid 
auf Pseudocumidin sowie tiber einige neue Derivate des 3-5-Diaethyl. 
phenol-1. Heidelberg, 1901; 8°. 

Caldemeyer (H.). Ueber die osteoplastischen Operationen bei Empyem des 
sinus frontalis. Lengerich i. W., 1901; 8°. 

Cisar (W.). Einwirkung von Hydrazinhydrat auf alkyl-substituierte Malo- 
nester. Heidelberg, 1901; 8°. 

Dallwig (G.). Ein Beitrag zur Kenntnis der Chinole. Marburg, 1901; 8°. 

Darmstaedter (E.). Ueber das Hydrazid der n-Tetramethylendicarbonsàure. 
Heidelberg, 1902; 8°. 

Dick (J. W.) Zur Casuistik traumatischer Pankreascysten. Heidelberg, 
1902; 8°. 

Ebler (E.). Ueber die Anwendbarkeit der Hydroxylamin- und Hydrazinsalze 
in der qualitativen Analyse. Heidelberg, 1902; 8°. 

Franzen (H.). Ueber 2, 4, 5 Trimethyldibenzylamin und 2, 4, 5 Trimethyl. 
dibenzylhydrazin. Heidelberg, 1901; 8°. 

Friedmann (C.). Beitrige zur Casuistik und Statistik der extragenitalen 
syphilitischen Primiraffekte. Heidelberg, 1902; 8°. 

Friedrich (H. A.). Beitrige zur Blattanatomie der Acanthaceen. Heidelberg, 
190184 

Fuchs (J.). Ueber Wasserstoffabspaltung aus Dihydrolutidindikarbonstu- 
reester dur Erhitzen bei Gegenwart von Palladiummohr sowie eine 
Umlagerung desselben Esters mittels konzentrierter Salzsiure. Hei- 
delberg, 1902; 8°. 

Fuchs (W.). Ueber direkte Anlagerung von getrocknetem Brom an Kohlen- 
hydrate. Heidelberg, 1902; 8°. 


LXXYVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Gierke (E.). Ueber den Eisengehalt verkalkter Gewebe unter normalen und 
pathologischen Bedingungen. Berlin, 1902; 8°. 

Goldschmidt (R.). Untersuchungen iber Eireifung, Befruchtung und Zell- 
theilung bei Polystomum integerrimum Rud. Leipzig, 1902; 8°. 

Gruschwitz (W.). Ueber die Darstellung ‘Athylierter Aniline durch Ein- 
wirkung von Aether und Aluminiumehlorid auf Anilin. Heidelberg, 
1901; 8°. 

Heckel (W.). Ueber das Verhalten des Benzhydrols und Benzoins bei 
héheren Temperaturen. Heidelberg, 1902; 8°. 

Heimaun (J.). Beitrige zur Kenntnis der Ortho- und Metaphosphorsàure. 
Heidelberg, 1902; 8°. 

Herz (K.). Ein Fall von Sklerodermie. Schwelm i. W., 1902; 8°. 

Herzog (E.) Beitrige zur Kenntnis der hochmolekularen ungesàttigten 
Fettsàuren. Heidelberg, 1902; 8°. 

Hesse (F. H.). Zur Kenntniss der Granula der Zellen des Knochenmarkes, 
bezw. der Leukocyten. Berlin, 1902; 8°. 

Heynemann (L. H.). Ueber das Hydrazid der Pyrazol-3, 4, 5-Tricarbonsàure. 
Hannover, 1901; 8°. 

Hirschel(G.). Ueber Strumitis bey Typhus abdominalis. Heidelberg, 1901; 8°. 

Hoedt (W.). Beitrige zur Kenntnis der fettaromatischen Ketone. Heidelberg, 
1901; 8°. 

Horowitz (A.). Ueber den anatomischen Bau und das Aufspringen der 
Orchideenfriichte. Cassel, 1902; 8°. 

Joseph (E.). Die Morphologie des Blutes bei der akuten und chronischen 
Osteomyelitis. Tùbingen, 1902; 8°. 

Keller (H.). Dynamische Untersuchungen iiber die Bildung von Azofarb- 
stoffen. Heidelberg, 1902; 8°. 

Keuthe (W.). Ueber Entwicklungshemmung pathogener Bacterien insbeson- 
dere von Typhus durch Medikamente. Heidelberg, 1902; 8°. 

Klenk (K.). Untersuchungen iber Bromderivate des Safrols. Heidelberg, 
1901;..8°. i 
Knothe (E.). Vergleichende Anatomie der unbenetzbaren Blatter. Berlin, 

1902; 8°. 

Kohen (W.). Quantitative Trennungen mit Wasserstoffsuperoxyd Persulfat 
und Hydroxylamin. Heidelberg, 1902; 8°, 

Kiippers (G.). Ueber die Reduktion von m- und o- Oxybenzaldazin in alka- 
lischer Lòsung. Heidelberg, 1901; 8°. 

Laan (B. v. der). Ueber die Hydrazide und Azide von Alkylglycolsàuren. 
Heidelberg, 1902; 8°. 

Laske (V.). Ueber die Einwirkung von Hydroxylamin und Saurehydraziden 
auf Carbodiphenylimid, Carboditolylimid, Phenylcyanamid und Dieyan. 
Wien, 1901; 8°. 

Lossen (H.). Ueber das primire Carcinom und Sarkom der Vagina. Minchen, 
1902; 8°. 

Lòw-Beer (0.). Studien tiber die Constitution der Oxyazokérper. Heidelberg, 
1901; 8° 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXIX 


Marschall (F.). Ueber die Finwirkung von Hydrazin auf Bakterien. Hei- 
delberg, 1902; 8°. 

Marx (H.).. Ueber Fettgewebs-Nekrose und Degeneration der Leber bei 
Pankreatitis haemorrhagica. Berlin, 1901; 8°. 

Merk (A.). Beitràge zur Pathologie und Chirurgie der Gallensteine. Jena, 
1902; 8°. 

. Mott (0. E.). Ueber Benzylmalonhydrazid. Heidelberg, 1900; go, 

Mottek (S.). Beitràge zur Kenntnis der kondensierenden Wirkung orga- 
nischer Amine. Heidelberg, 1902; 8°. 

Miiller (K.). Die Einwirkung von VA auf Mandelsàureaethylester. 
Heidelberg, 1902; 8°. 

Miiller (0.). Untersuchungen tber die Abh&ngigkeit des Pseudophenol-Cha- 
rakters von der Stellung der Halogenatome in der Seitenkette. Hei- 
delberg, 1901; 8°. 

Miindler (M.). Ueber Aminolyse. Heidelberg, 1901; 8°. 

Nehrkorn (A.). Histologische und Experimentelle Beitrige zur Frage der 
Schnittfihrung und Nahtmethode bei laparotomien. Tiibingen, 1902 ; 8°. 

Neumayer (T.). Ueber die Reindarstellung der Monoglyceride, C:Hx(0.Cn 
Han-10)(0H). Heidelberg, 1902; 8°. 

Noethlichs (R.). Ueber Condensationen von Oxymethylenkampher mit Acetes- 
sigester. Heidelberg, 1901; 8°. 

Nohl (E.). Zur Kenntnis der Chininamaurose. Hamburg u. Leipzig, 1901; 8°. 

Otte (F.). Zur Kenntnis ungesàttigter Phenolàther. Heidelberg, 1902; 8°. 

Page (T. Y.). Ueber den Nachweis von Tuberkelbacillen in den Faeces. 
Heidelberg, 1902; 8°. 

Pagenstecher (A. H.). Ueber Opticustumoren. Lepizig, 1902; 8°. 

Pauli (H.). Ueber Orthochlorbenzylhydrazin. Heidelberg, 1901; 8°. 

Pfeil (K.). Ueber die Aufschliessung der Silikate und anderer schwer zer- 
setzbarer Mineralien mit Borsàureanhydrid. Heidelberg, 1901; 8°. 
Pfister (M.). Ueber die reflektorischen Beziehungen zwischen Mammae und 

Genitalia muliebria. Berlin, 1902; 8°. 

Pierstorff (H.). Zur Kenntnis der Styrole. Heidelberg, 1901; 8°. 

Preiss (P.). Beitrag zur Casuistik der neuropathischen Fracturen. Heidelberg, 
1901; 8°. 

Pringsheim (H.). Ueber das Hydrazid der Pentamethylendicarbonsiure. 
Heidelberg, 1901; 8°. 

Pugin (M. H.). Ueber das Hydrazid der Picolinsiure und das a-Amidopy- 
ridin. Heidelberg, 1901; 8°. 

Riedel (A.). Ueber die FEinwirkung von Hydrazinhydrat auf 3, 5 Dinitro- 
benzoésiure-Aethylester. Heidelberg, 1902; 8°. 

Riffart (J.. Ueber Einwirkung von Aethylnitrit auf Amidoacetylaceton. 
Heidelberg, 1901; 8°. 

Roediger (K.). Weitere Beitrige zur Statistik des Zungencarcinoms. Tii- 
bingen, 1901; 8°. 

Rubin (A.). Beitrige zur Anwendung des Murphy’schen Darmknopfes. 
Karlsruhe, 1901; 8°. 


LXXX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Schilling (J.). Beitrige zur Chemie des Thoriums. Kéln, 1901; 8°. 

Schmidt (W.). Ueber den schnellenden Fingers. Heidelberg, 1902; 8°. 

Schròder (B.). Untersuchungen îiber Gallertbildungen der Algen. Heidelberg, 
1902; 8°. 

Schulze (H.). Beitrige zur Blattanatomie der Rutaceen. Halle a. s., 1902; 8° 

Sichling (H.). Die Reaktionsgeschwindigkeit bei der elektrolytischen. Re- 
duktion. Heidelberg, 1902; 8°. 

Simonsohn (M.). Ueber den Gefàassbiindelverlauf in den Blumenblàttern der 
Liliaceen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Soetbeer (F.). Die Secretionsarbeit der kranken Niere. Strassburg, 1902; 8°. 

Speyer (E.). Zur Kenntnis der Additionsfahigkeit ungesittigter Verbin- 
dungen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Spuler (R.). Ueber die feinere Histologie der Chondrome. Jena, 1902; 8°. 

Starck (H.). Die Divertikel der Speiser6hre. Leipzig, 1900; 8°. 

Stern (J.). Beitrige zur Kenntnis einiger Diketone. Heidelberg, 1902; 8° 

Steudel (H.). Eine neue Methode zum Nachweis von Glukosamin und ihre 
Anwendung auf die Spaltungsprodukte der Mucine. Strassburg, 1902; 8°. 

Stoecker (M.). Untersuchungen uber Phenilseleninsàure CH; .Se03H und 
Phenylselenosiure CyH; . Se03H. Heidelberg, 1901; 8°. 

Storp (W.). Ueber den Einfluss von Alkylgruppen auf die Abspaltung der 
Halogene aus dem Benzolkern. Kettwig, 1901; 8°. 

Strasser (P.). Beitrag zur Kenntnis der systematisierten Naevi. Heidelberg, 
1901; 8°. 

Tetzner (F.). Ueber die Salzsànre-Additionsprodukte der Alkyliden-Desoxy- 
benzoine. Heidelberg, 1902; 8°. 

Thaler (0.). Ueber in die in der Heidelberger chirurgischen Klinik des 
Geh. R. Czerny 1889-1899 Behandelten Fille von Carcinoma penis. 
Salzungen, 1901; 8°. 

Valdek (H. Ostersetzer gen.). Dynamische Untersuchungen tber die Bildung 
von Azofarbstoffen aus einigen Naphtylaminsulfosiuren und Diazoben- 
zolsulfosiure. Darmstadt, 1901; 8°. 

Véòlcker (F.). Das Caput obstipum eine intrauterine Belastungsdeformitàt. 
Tilbingen, 1901; 8°. 

Wagner (Ed.). Ueber Condensation vom Dekamethylendiamin mit Aldehyden 
und Ketonen. Heidelberg, 1901; 8°. 

Weber (R.H.). Elektromagnetische Schwingungen in Metàllròhren. Leipzig, 
1902; 8°. 

Witkowski (A.). Ueber Mycosis fungoides. Heidelberg, 1902; 8°. 

Wolfel (G.). Beitrige zur vergleichenden Anatomie der Polemoniaceen. 
Heidelberg, 1901; 8°, 

Woltze (K.). Ueber ithyliertes m-Kresol. Heidelberg, 1902; 8°. 

Wright (E.). Die foyaitisch-theralitischen Eruptivgesteine der Insel Cabo 
Frio, Rio de Janeiro, Brasilien. Wien, 1901; 8°. 

Zinsser (G.). Ueber die Ueberfiihrung der Hydrazide der n-Buttersàìure und 
a-Naphtoésàure in heterocyklische Verbindungen. Heidelberg, 1901 ; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXI 


Dal 1° al 15 Febbraio 1903. 


Brandileone (F.). Note sull’origine di alcune istituzioni giuridiche in Sar- 
degna durante il Medio Evo. Firenze, 1902; 8° (dall'A.). 

Cais de Pierlas (E.) et Saige (G.). Chartrier de l’Abbaye de. Saint-Pons 
hors les murs de Nice publié par ordre de S. A. S. le Prince Albert I" 
de, Monaco. Monaco, 1903; 4° (dono di S. A. S. il principe Alberto I di 
Monaco). 

Goncalres de Magalhaes (D. J.). A Confederagào dos Tomoyos. Poema. 
Rio de Janeiro, 1856; 4° (dalla Bibliotheca Nacional). 

Govone (U.). Il generale Giuseppe Govone. Frammenti di memorie. Torino, 
1902; 8° (dall’A.). 

Lilla (V.). Filosofia del diritto. Milano, 1903; 16° (Id.). 

Maltese (F.). La filosofia in rapporto alla vita sociale. Prolusione. Catania, 
1902; 8°. 

— Scienza dei poteri. Catania, 1903; 8° (Id.). 

Manara (U.). Delle Società e delle Associazioni commerciali. Vol. 2*, sez. 1*. 
La pretesa Personalità giuridica delle società commerciali. Torino, 
1902; 8° (Id.). 

Peregrino da Silva (M. C.). Relatorio apresentado ao Sr. Dr. Epitacio da 
Silva Pessoa Ministro de Estado da Justica e Negocios Interiores (1900). 
Rio de Janeiro, 1901 (dalla Bibliotheca Nacional). 

Polacco (V.). La famiglia del naturalizzato secondo il codice civile del 
Regno. Padova, 1882; 8°. 

— L'obbligo della restituzione dei frutti nella garantia per evizione. Bo- 
logna, 1884; 8°. 

— Prelezione ad un Corso di Istituzioni di diritto civile letta nella R. Uni- 
versità di Padova. Padova, 1885; 4°. 

— Luigi Bellavite. Bologna, 1885; 8°. 

— La funzione sociale dell’ odierna legislazione civile. Camerino, 1885; 8°. 

— Della divisione operata da ascendenti fra. discendenti. Verona-Padova, 
1885; 1 vol. 8°. 

— Ancora sull’apparente antinomia fra l’art. 1400, 1° comma e l’art. 1969, 
n. 4 del Codice civile. Bologna, 1885; 8°. 

— 6. P. Chironi. Sociologia e Diritto. civile. Recensione. Milano-Torino, 
1885; 8°. 

— Una questione in materia di subingresso ipotecario legale. Venezia, 1886; 8°. 

— Garanzia di evizione nelle espropriazioni forzate. Milano, 1887; 8°. 

— F. Cimbali. Della capacità di contrattare secondo il Codice civile e di 
commercio. Torino, 1887; 8°. 

— Sulla misura del contributo dei coniugi ai domestici bisogni secondo 
l’art. 138, 1° capov., 1423, 1426 Cod. civ. Torino, 1887; 8°. 

— Della dazione in pagamento. Vol. 1°. Padova-Verona, 1888; 8°. 

— H. Fitting. Die Grundlagen der Beweislast. Bologna, 1889; 8°. 

— N Diritto romano nel recente progetto di codice civile germanico. Pa- 
dova, 1889; 8° (dall’A.). 


LXXXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Polacco V.). Sull’interpretazione della legge e sulle obbligazioni naturali. 
Milano, 1890; 8°. 

— Note ed appunti sulle Istituzioni di Diritto civile italiano. Roma, 1890; 8°. 

— La nuova legge sui Probi-Viri e la capacità giuridica delle donne e dei 
minorenni. Milano, 1893; 8°. 

— Leone Bolaffio. Saggio di una teoria generale dei contratti commerciali 
secondo il Diritto positivo italiano. Milano, 1894; 8°. 

— La questione del divorzio e gli Israeliti in Italia. Padova-Verona, 1894; 
1 vol. 8°. 

— La “ culpa in concreto , nel vigente diritto civile italiano. Padova, 
1894; 8°. 

— Note ed appunti sul sistema di diritto civile italiano di E. Gianturco. 
Milano, 1896; 8°. 

— Del matrimonio contratto sotto condizione od a termine. Venezia, 1896; 8° 

— Di un caso singolare di successione fra coniugi. Padova, 1896; 8°. 

— Antonio Pertile. Commemorazione. Venezia, 1897; 8°. 

— Le eleggibilità nei Concorsi universitari. Rocca San Casciano, 1897; 8°. 

— Pareri e voti sul disegno di legge per la conservazione della Laguna 
di Venezia. Padova, 1898; 8°. 

— L'’unicità di stirpe in rapporto al diritto di rappresentazione. Torino, 
1898; 8°. 

— Le obbligazioni nel diritto civile italiano. Padova-Verona, 1899; 1 vol. 8°. 

— Note sulle perizie civili comparate alle penali. Venezia, 1900; 8°. 

— Il progetto di legge sull' emigrazione, e l’art. 11, 1° comma, n°383 del 
Codice civile. Venezia, 1901; 8°. 

— La dispensa dalle tasse nelle Università. Padova, 1902; 8°. 

— Sul numero legale dei professori ordinari nella R. Università di Padova. 
Padova, 1902; 89. i 

— Contro il divorzio. Lezione. Padova-Verona, 1902; 8° (dall’A.). 


Dall’8 al 22 Febbraio 1903. 


Castelnau (M.). Nouvelles machines à vapeur à très hautes tensions système 
Castelnau. Paris, 1903; 8° (4 all’A.). 

Donnadieu (A.-L.). L’eil et l’objectif. Étude comparée de la vision naturelle 
et de la vision artificielle. Paris; 8°. 

— La photographie des objets immergés. Paris; 8° (Jd.). 

Gautier (R.). Résumé des Observations météorologiques faites au fortifi- 
cations de Saint-Maurice pendant l'année 1901. Genève, 1902; 8°. 

— Résumé météorologique de l'année 1901 pour Genève et le Grand Saint- 
Bernard. Genève, 1902; 8° (/d.). 

Grohmann (J. C.). Recueil de dessins d’une exécution peu dispendieuse. 

. Venise, 1805; 4° (dono dell'Ing. E. Brunati). 

Lebon (E.). Sur un manuscrit d’un Cours de J.-N. Delisle au Collège Royal. 
Paris, 1902; 8° (dall’A.). 

Lyon (T. L.). Alfalfa experiences. Lincoln, Nebr., 1902; 8° (Id.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXIII 


Mannoury (G.). Over de beteenkenis der wiskundige logica voor de philo- 
sophie. Rotterdam; 8° (dall’A.). 

Nòther (M.). Ueber die singulàren Elemente der algebraischen Kurven. 
Leipzig, 1902; 8°. 

— Rationale Reduction der Abel’schen integrale. Stockholm, 1902; 4° (dall’A. 
Socio corrispondente). 

Oddone (E.). Sui deflettometri. Modena, 1902: 8°. 

— Su di un apparecchio per lo studio sperimentale delle onde meccaniche 
longitudinali nell’aria, nel suolo e nell'acqua. Modena, 1902; 83°. 

— Esiste una periodicità nei fenomeni sismici? Modena, 1902; 8° (dall A.). 

Schott (Chas A.). The Eastern oblique arc of the United States and oscul- 
tating Spheroid. Washington, 1902; 4° (dal U. S. Coast and Geodetic 
Survey O. H. Tittmann Superintendent). 

Taramelli (T.). Di alcune condizioni tectoniche nella Lombardia occiden- 
tale. Roma, 1902; 8° (dall’A. Socio corrispondente). 


Dal 15 Febbraio al 1° Marzo 1903. 


Benedetti (V.). La pedagogia della volontà. Studii filosofici. Milano, 1900; 
8° (dall’A. per il premio Gautieri di Filosofia). 

Bruchi (A.). Le basi naturali della politica e del diritto. Pitigliano, 1902; 
8° (Id.). 

Cantarelli (L.). La Diocesi Italiciana da Diocleziano alla fine dell’impero 
occidentale. Roma, 1903; 4° (dall'A. per il premio Gautieri di Storia). 

* Catalogo della Biblioteca del Ministero di Agricoltura, Industria e Com- 
mercio; 1 vol. e 1-3 supplemento. Roma, 1889-1902; 4 vol. 8°. 

Cocchia (E.). Di una riforma razionale del nostro presente sistema di esami. 
Napoli, 1902; 4° (dall’A.). 

D’Alfonso (N. R.). Il re Lear. Roma, 1900; 8°. 

— Le anomalie del linguaggio e la loro educabilità. Roma, 1902; 8° (dall’A. 
per il premio Gautieri di Filosofia). 

De-Nardi (P.). L’intuito giobertiano esaminato e discusso. Forlì, 1901; 9°. 

— Sguardo sintetico alla figura di Vincenzo Gioberti. Forlì, 1901; 8°. 

— Vincenzo Gioberti, 28-29 aprile 1901: Genesi, esposizione e varia fortuna 
della formola suprema Giobertiana. Forlì, 1901; 8°. 

— Vincenzo Gioberti ed il panteismo. Forlì, 1901; 8°. 

— Della psicologia cerebrale. Tre letture fatte nella Università di Bologna 
nel marzo 1890. Forlì, 1902; 8°. 

— Meriti e demeriti del positivismo nel metodo, nella gnoseologia, logica, 
psicologica ed etica. Forlì, 1902; 8°. 

— Rosmini e Kant. Studio comparativo e critico. Forlì, 1902; 8°. 

— La filosofia come scienza nei suoi rapporti col positivismo francese, in- 
glese ed italiano. Forlì, 1902; 8° (Id.). 

Falchi (A.). Il pensiero giuridico d'Epicuro. Sassari, 1902; 8° (Jd.). 

Martini (A.). Fatti psichici e fatti fisiologici. Spirito e corpo. Ascoli Piceno, 
1901-1902; parte I, 3 fasc. 8° (Id.). 


DXXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Pernier (L.). Lavori eseguiti dalla Missione archeologica italiana nel pa- 
lazzo di Phaestos dal 10 febbraio al 28 maggio 1902. Relazione al 
prof. L. Pigorini. Roma, 1903; 8° (dal sig. L. Pigorini, Socio corrispondente). 

Puccini (R.). La morale studiata nei suoi fondamenti. Siena, 1902; 8° (dall’A. 
per il premio Gautieri di Filosofia). 

Salvadori (G.). Herbert Spencer e l’opera sua. Firenze, 1900; 8°. 

— La scienza economica e la teoria dell'evoluzione. Saggio sulle teorie eco- 
nomico-sociali di Herbert Spencer. Firenze, 1901; 8°. 

— L'etica evoluzionista. Studio sulla filosofia. morale di Herbert. Spencer. 
Torino, 1903; 8° (Jd.). 


Dal 22 Febbraio all’8 Marzo 1903. 


Grassi (B.). Documenti risguardanti la storia della scoperta del modo di 
trasmissione della malaria umana. Milano, 1903; 8° (dall’A.). 

roth (H.). Zur Dynamik des Himmels. Hamburg, 1901; 8° (dall'A. per èl 
premio Vallauri). 

Gaidi (C.). Sulla opportunità di una vigilanza del Municipio sulle costru- 
zioni in “ Beton, armato e modo di esercitarla. Torino, 1902; 8° 
(dall’A. Socio residente). 

Haedicke (J.). Die Lòsung des Ritsels von der Schwerkraft durch die 
Versuche von Huyghens. Leipzig, 1902; 8° (dall’A. per il premio Bressa). 

Klein (C.). Totalreflectometer mit Fernrohr-Mikroskop. Berlin, 1902; 8°. 

— Die Meteoritensammlung der Kònigl. Friedrich-Wilhelms-Universitàt zu 
Berlin am 5. Februar 1903. Berlin, 1903; 8° (dall'A. Socio corrispondente). 

Sars (G. 0.). An Account of the Crustacea of Norway. Vol. IV, Copepoda 
Calandoida, Parts 13% & 148 Bergen, 1903; 8° (dalla Direzione del 
Museo di Bergen). 

** Savoia (S. A. R. Lurcr Amepro), Cagni (U.) e Cavalli-Molinelli (A.). 
La “ Stella Polare , nel mare artico, 1899-1900, 3* ediz., Vol. 1°. Milano, 
1903; 8°. 

— Osservazioni scientifiche eseguite durante la spedizione della * Stella 
Polare ,, Vol. 2°, 1899-1900. Milano, 1903; 8°. 

Tommasina (Th.). Sur le mode de formation des rayons cathodiques et 
des rayons de Réontgen. Paris, 1902; 4°. 

— Constatation d'un champ tournant électro-magnétique, produit par une 
modification hélicoidale des stratifications, dans un tube è air raréfié. 
Paris, 1903; 4° (dall’A.), 

* Year-Book of the Royal Society of London (1908). London; 8°. 


Da 1° al 15 Marzo 1903. 


D’Alfonso (N. R.). Elementi di grammatica logica per la 5* Classe ele- 
mentare e per la 1% ginnasiale complementare e tecnica, Roma, 1900; 
8° (dall’A.). 

De Seta (D.). Il fondamento etico del diritto. Girgenti, 1902; 8° (dall’A. per 
il premio di Filosofia Gautieri). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXYV 


** Justinian-Augusti. Digestoruam seu Pandectarum codex Florentinus olim 
Pisanus phototypice expressus. Vol.I, fasc. 1, 2. Roma, Danesi editore, 
1902; fol. 

Martinetti (P.). Introduzione alla Metafisica. Torino, 1902; 8° (dall'A. per 
il premio di Filosofia Gautieri). 


Dall’.8 al 22 Marzo 1903. 


Fatio (V.). Sur un nouveau Corégone frangais (Coregonus Bezola) du lac du 
Bourget. Paris, 1888; 4°. 

— Distribution, adaptation et variabilité des poissons en Suisse. Paris, 
1898; 8°. 

— Deux petits vertébrés nouveaux pour la Suisse. Genève, 1900; 8°. 

— Trois exemplaires d’une forme particulière de “ Tetrao Tetrix famelle , 
peut-ètre femelles de “ Tetrao medius ,. Paris, 1901; 8°. 

‘— Quelques vertébrés de Poissons provenant des fouilles du Schweizersbild. 
Ziirich, 1901; 4°. 

-— Nouveautés mammalogiques tessinoises. Genève, 1902; 8°. 


Dal 15 al 29 Marzo 1903. 


Bonolis (G.). Salvemini Gaetano. La dignità cavalleresca nel Comune di 
‘Firenze. Firenze, 1896; 8°. 

— Contributo alla storia delle assicurazioni in Firenze. Firenze, 1898; 8°. 

.— Sull’estrazione dei manoscritti antichi dalla Toscana. Firenze, 1899, 8°. 

— Le associazioni in Italia avanti le origini del Comune. Torino, 1899; 8°. 

— Sull’uso del “ Tocco , nelle esecuzioni personali dell’ antico diritto fio- 
rentino. Firenze, 1901; 8°. 

— Intorno all’offerta reale. Notizie storiche. Modena, 1901; 8°. 

— La giurisdizione della mercanzia in Firenze nel secolo XIV. Firenze, 
1901; 8°. 

— ‘Svolgimento storico dell’assicurazione in Italia. ‘Firenze, 1901; 8°. 

‘'— ‘Les ‘assurances sur la vie en droit international privé. Ouvrage traduit 
et annoté par J. Valery et J. Lefort. Paris, 1902; 8°. 

— A proposito di alcuni documenti (“ Lettres de Foire ,) dell'Archivio di 
Ypres. Firenze, 1902; 8° (dall’A.). 

Nigra (C.). La rassegna di Novara. Milano, 1903; 4° (dall’A. Socio corri 
spondente). 

Pascal (C.). Studi critici sul poema di Lucrezio. Roma-Milano, 1903; 8° 
(dall’A.). 

** Poole’s Index to periodical literature. Fourth supplement. From January 
1 1897 to January 1 1902. London, 1903; 4°. 

Tarozzi (G.). Idea di una scienza del bene. Firenze, 1901; 8° (dall'A. per il 
premio Gautieri di Filosofia). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. F 


LXXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Dal 22 Marzo al 5 Aprile 1903. 


Boggio (T.). Sull’integrazione di alcune equazioni lineari alle derivate 
parziali. Milano, 1902; 4° (dall'A.). 

Celani (E.). Sopra un Erbario di Gherardo Cibo conservato nella R. Biblio- 
teca Angelica di Roma. Genova, 1902; 8° (Id.). 

Gola (G.). Lo zolfo e i suoi composti nell'economia delle piante. Genova, 
1902; 8° (Id.). 

Reynolds (0.). The sub-mechanics of the Universe. Cambridge, 1903; 8° (Zd.). 

Weinek (L.). Definitive Resultate aus den Prager Polhòhen-Messungen von 
1899 bis 1892 und von 1895 bis 1899. Prag, 1903 (Z4d.). 


Dal 29 Marzo al 19 Aprile 1903. 


Alessio (F.). Controversia intorno a San Marziano primo Vescovo di Tor- 
tona. Pinerolo, 1903; 8° (dall’A.). 

Avetta (A.). Di un interessante tema d’esame per aspiranti bibliotecari. 
Firenze, 1903; 8° (Id.). 

Carbonelli (G.). Un sigillo medico valdostano del secolo XIV. Pinerolo, 
1908; 8°. 

— Testina di terracotta romana trovata in Asti. Torino, 1903; 1 ce. 89. 

— Orecchino barbarico d’oro trovato a Vignale Monferrato. Torino, 1903; 
Poi 82). 

Gatti (G.). Iscrizione onoraria di Termanzia madre dell’imperatore Teodosio. 
Roma, 1902; 8° (dall’A. Socio corrispondente). 

Graziano (G.). Umberto I di Savoia. Bio-bibliografia con ritratto. Torino, 
1902; 8° (dall’A.). 


Dal 5 al 26 Aprile 1903. 


Ahlenius (K.). Angermanilfivens flodomràde. En geomorfologisk-antropo- 
geografisik undersòkning. Uppsala, 1903; 8° (dono del Museo di Bergens). 

Alberti (V.). Riassunto delle osservazioni meteorologiche fatte nella R. Spe- 
cola di Capodimonte nell’anno 1901 e 1902, Napoli, 1902, 1903; 8°. 

— Su la determinazione grafica dell’ orbita reale nella teoria delle stelle 
doppie. Napoli, 1902; 8° (dal prof. E. Fergola Dirett. dell’ Osservatorio). 

Cavani (F.). Biografia del Prof. Ing. Matteo Fiorini. Bologna, 1903; 8° (da/l4.). 

Contarino (F.). Determinazioni assolute dell’ inclinazione magnetica nel 
R. Osservatorio di Capodimonte eseguite negli anni 1898, 1899 e 1900. 
Napoli, 1902; 8° (dal prof. E. Fergola Direttore dell’Osservatorio). 

** Eneyclopaedia Britannica. Vol. 34. Edinburgh et London; 1903. 

Millosevich (E.). Commemorazione del P. Angelo Secchi. Roma, 1903; 8° 
(dall A.). 

Morera (G.). Sulla trasformazione delle equazioni differenziali di Hamilton. 
Roma, 1903; 8° (dall’A. Socio residente). 

Peano (F.). Formulaire mathématique. T. IV. Turin, 1903; 8° (Id.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXVII 


Tedeschi (V.). Variazione della declinazione magnetica osservata nella 
R. Specola di Capodimonte nell’anno 1901. Napoli, 1902; 8° (dal prof. Fer- 
gola Direttore dell’Osservatorio). 

Taramelli (T.). Di alcune sorgenti nella Garfagnana e presso Gorizia. 
Milano, 1903; 8° (dall'A. Socio corrispondente). 


Dal 19 Aprile al 3 Maggio 1903. 


Gallucci (G.). Saggio di una introduzione alla filosofia delle matematiche. 
Caltanissetta, 1902; 8° (dall'A. per il premio Gautieri di Filosofia). 
Garelli (A.). Le imposte nello Stato moderno. Vol. I. L’imposizione perso- 

nale secondo il diritto finanziario positivo. Milano, 1903; 8° (dall’A.). 
Levi (A.). Apofonia consonantica. Torino, 1903; 8° (Id.). 
Mazzarella (G.). L'origine delle ordalie nel diritto Siamese. Roma, 1900; 8°. 
— Sulla condizione del marito nella famiglia primitiva. Roma, 1900; 8°. 
— L’Esogamia presso i popoli semitici. Roma, 1901; 8°. 
— Le istituzioni giuridiche di una tribù dell'America settentrionale. Roma, 
1902; 8°. 
— Studi di etnologia giuridica. Vol. I, fasc. 1°. Catania, 1903; 8° (Id.). 
Milesi (G. B.). La riforma positiva del Governo parlamentare. Roma, 1900; 
8° (dall'A. per il premio Gautieri di Filosofia). 
Traglia (A.). Organismo e Coscienza. Ancona, 1902; 8° (I4d.). 


Dal 26 Aprile al 10 Maggio 1903. 


Beceari (0.). L'Istituto di Studi Superiori di Firenze, la chiusura del Museo 
Botanico e le sue peripezie. Osservazioni e critiche. Rocca S. Casciano, 
1903; 8° (dall’A.). 

Bechterew (W. v.). Les voies de conduction du cerveau et de la moelle. 
Lyon-Paris, 1900; 8° (dall’A. per il premio Bressa). 

Betti (Mario). Renaftossazine e composti affini contenenti radicali aldeidici 
e chetonici misti. Roma, 1903; 8° (dal Direttore del Laboratorio di Chi- 
mica dell'Istituto di Studi Superiori di Firenze). 

— Reazione generale di condensazione fra $ naftolo, aldeidi e amine. Roma, 
1903; 8° (Id.). 

— Sulla funzione delle basi f naftolo-aldaminiche. Roma, 1903; 8° (I@.). 

Ceresole (G.). Della necessità di modificare il sistema di pulizia stradale 
di Venezia in riguardo all’igiene. Nota critico-sperimentale. Venezia, 
1903; 8° (dall’A.). 

D’Ocagne (M.). Exposé synthétique des principes fondamentaux de la No- 
mographie. Paris, 1903; 4° (I@.). 

** Encyclopedia Britannica. Index vol. 35°. London, 19083; 4°. 

Grassi (B.). Studi di un zoologo sulla malaria. 2* ediz. Roma, 1902; 4°. 

— Come si propaga la malaria. Milano, 1903; 8°. 

— Documenti riguardanti la storia della scoperta del modo di trasmissione 
della malaria umana. Milano, 1903; 8° (dall’A.). 


LXXXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Gaareschi (I.). Notizie biografiche su Roberto Bunsen. Torino, 1903; 8° 
(dall’A. Socio residente). 

Mosso (A.). Mens sana in corpore sano. Milano, 1903; 8° (J4.). 

Righi (A.). Il moto dei ioni nelle scariche elettriche. Bologna, 1903 (dall'A. 
Socio corrispondente). X 

Schiff (U.). Separazione delle funzioni basica ed acida della formaldeide. 
Roma, 1903; 8° (dall'A. Socio corrispondente, Direttore del Laboratorio 
Chimico dell'Istituto di Studi Sup. di Firenze). 

Speroni (C.). Di alcuni derivati aldeidici del solfito di anilina. Roma, 1903; 
8° (Id.). 


Dal 3 al 17 Maggio 1903. 


Augeli (U.). Due conferenze lette nel R. Convitto Nazionale Cicognini. 
Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta. Vincenzo Gioberti. Prato, 1903; 8°. 

Avetta (A.). Contributo di notizie bibliografiche per una bibliografia dei 
codici mss. della Biblioteca Nazionale di Torino. Leipzig, 1903; 8° (dall’A.). 

Bosco (A.). La delinquenza in*varîì Stati d'Europa. Roma, 1903; 8° (I@.). 

Nadaillae (de). Du Cap au Caire. Paris, 1903; 8° (dall'A. Socio corrispondente). 

Fiorini (V.). Dei lavori preparatorì alla nuova edizione dei Rerum Itali- 
carum Scriptores. Comunicazione al Congresso internazionale di scienze 
storiche (Roma, 2-9 aprile 1908). Città di Castello, 1903; 4° (dall’A.). 

Savio (F.). La pretesa inimicizia del papa Niccolò III contro il Re Carlo 
d'Angiò. Palermo, 1903; 8° (dall’A. Socio residente). 


Dal 10 al 24 Maggio 1903. 


Alla memoria del prof. Antonio d’Achiardi xvi gennaio MCMIII. Pisa, 1903; 
8° (dalla Società Toscana di Scienze naturali). 

Borridan (G.). La legge del sistema planetario o l’ armonia del moto dei 
suoi corpi. Napoli (Ischia), 1903; 8°. 

— Dell’attrazione planetaria, forza centripeta o gravitazione universale. 
Napoli (Ischia), 1903; 8° (dall’A.). 

Clemm (W.N.). Die Gallensteinkrankheit, ihre Haufigkeit ihre Entstehung, 
Verhiitung und Heilung durch innere Behandlung. Berlin, 1903; 8° (7d.). 

Colomba (L.). Cloromelanite e pirosseni cloromelanitoidi. Padova, 1903; 8°. 

— Zeoliti dell’isola del Principe Rodolfo. Milano, 1903; 8° (Id.). 

** Decombe (L.). La compressibilité des gaz réels. Paris, 1903; 8°. 

Morera (G.). Sulla trasformazione delle equazioni differenziali di Hamilton. 
Roma, 1903; 8° (dallA.). 

Traschio (G. B.). Un caso di macrosomia. Roma, 1903; 8° (Id.). 


Dal 17 al 31 Maggio 1903. 


Indice-Guida delle tombe e dei monumenti del Giardino del Museo Archeo- 
logico, costituenti la nuova sezione architettonica etrusca. Firenze, 
(MUSO. 
Jandelli (G.). Dell’ unità delle scienze pratiche. 2* ediz. Milano, 1902; 8° 
(dall’A. per il premio Gautieri di Filosofia). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXIX 


Dal 24 Maggio al 14 Giugno 1903. 


Abderhalden (E.). Familiàre Cystindiathese. Berlin, 1903; 8°. 

— Zusammensetzung des Kochsalzsurrogates der Fingeborenen von Ango- 
niland (British-Centralafrika), Bonn, 1903; 8° (dall’A.). 

Articoli generali del Calendario ed effemeridi del Sole e della Luna per 
l'orizzonte di Milano e per l’anno 1904. Milano, 1903; 8° (dal E. 0s- 
servatorio di Milano). 

Caracciolo (R.). L’ etere formil-monometilbiossibenzina sulla tubercolosi. 
Messina, 1903; 8° (dallA.). 

Carnazzi (P.). Influenza della pressione e della temperatura sul coefficiente 
di compressibilità del mercurio. Pisa, 1903; 8° (Z4.). 

Guidi (C.). Prove alla compressione sulle murature di granito d’Alzo e gneiss 
di Borgone. Torino, 1903; 8° (dall'A. Socio residente). 

In onore di Galileo Ferraris inaugurandosi il monumento in Torino, 
17 maggio 1903. Torino; 8° (Dono della Presidenza del R. Museo Indu- 
striale Italiano). 

** Laurent (H.). Sur les principes fondamentaux de la Théorie des nombres 
et de la Géométrie. Paris, 1902; 8°. 

Lussana (S.). Proprietà termiche dei solidi e dei liquidi. Parte 1° e 2°. 
Pisa, 1908 (dall'A.). 

Malnta (G.). Principii di suggestione terapeutica. 2° ediz. Padova, 1903; 
8° (Id.). 

Memorie di Anatomia e di Embriologia dedicate al prof. Guglielmo Romrri 
in Pisa. Firenze, 1903; 8° (dono del Prof. G. Romiti). 

Mottareale (G.). Per la lotta dei viticultori contro le gelate. Portici, 1903; 8°. 

— Per combattere la clorosi delle viti americane. Portici, 1903; 8° (dall’A.). 

Pascal (E.). Resumé de quelques uns de mes récents travaux sur la théorie 
des groupes de Lie. Wargawa, 1903; 8° (Id.). 

** Reichenow (A.). Die Vogel Afrikas. 2. Bd., 2 Hafl. 4° Halbband. Neudamm, 
1903; 4°. 

Relazione della Commissione e della Giuria sul Concorso internazionale 1902 

pel premio Galileo Ferraris. Torino, 1903; 8°. 

Schuyten (M. C.). Over de snelheid der uitstralingswarmte van het lichaam. 
Kortrijk, 1902; 4° (dall’A.). 


Dal 31 Maggio al 21 Giugno 1903. 


Ambrosoli (S.). Una medaglia poco nota di Papa Pio IV. Milano, 1903; 8°. 

— A proposito delle cosidette “ restituzioni , di Gallieno o di Filippo. Mi- 
lano, 1903; 8° (dall’A.). 

Atti del IV Congresso delle Società Economiche tenutosi in Torino. 1* Ses- 
sione ottobre 1902, 2° gennaio 1903. Torino; 8° (dono del Socio BoseLLI). 

Carta (F.). Bernardino Peyron. Firenze, 1903; 1 c. 8°. 

Bosco (A.). I divorzi e le separazioni personali dei coniugi. Roma, 1903; 8°. 

* Coppieters (H.). Historia textus actorum Apostolorum. Lovanii, 1902; 8° 
(dall’Univ. catholique de Louvain). 


XC PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* De Sarlo (F.). I dati della esperienza psichica. Firenze, 1903; 8° (Dal- 
l’Istituto di Studi Superiori di Firenze). 

* Gollier (Th.). Essai sur les Institutions politiques du Japon. Bruxelles, 
1903; 8° (Dall’Univ. catholique de Louvain). 

Gor (N.). Considerazioni preparatorie ad uno studio dei processi di forma- 
zione dei vocaboli. Torino, 1900; 8° (dall’A.). 

Halbherr (F.). Resti dell’età Micenea scoperti ad Haghia Triada presso 
Phaestos. Rapporto delle ricerche del 1902. Roma, 1903; 4° (Id.). 

* Henry (J.). L'impòt sur les revenus professionnels. Réforme de la législation 
des patentes en Alsace-Lorraine et à Liège. Louvain et Paris, 1903 
(dall’Univ. catholique de Louvain). 

Massa (C.). Filippo Briganti e le sue dottrine economiche. Trani, 1897; 8°. 

— Il prezzo e il commercio degli olii di oliva di Gallipoli e di ‘Bari. 
Trani, 1897; 8°. 

— L'industria della pesca. Trani, 1900; 4°. 

— La Marina mercantile e la Società “ Puglia ,. Trani, 1900; 4°. 

— Saggio di bibliografia della provincia di Terra di Bari. Trani, 1900; 4°. 

— Venezia e Gallipoli. Notizie e documenti. Trani, 1902; 8°. 

— Bari nel secolo XVII. Bari, 1903; 8° (dall’A.). 

Mathis (A. M.). Gli scrittori braidesi. Bra, 1903; 8°. 

Palma di Cesnola (L.). A descriptive Atlas of the Cesnola Collection Cy- 
priote antiquities in the Metropolitan Museum of Art New York. 
Vol. III. New York, 1903; fol. (Zd.). 

Protocarta Comitale Sabauda. Torino, 1903; 4° (Dono della Deputazione di 
Storia Patria di Torino). 

Ramos-Coelho (J.). L'ombra di Carlo Alberto in Campidoglio. Traduzione 
dal portoghese del sig. Solone Ambrosoli. Milano, 1902; 8° (dal Tra- 
duttore). 

Savignoni (L.). Il vaso di Haghia Triada. Roma, 1903, 4° (dall’A.). 

Statistica della Emigrazione italiana per l’estero negli anni 1900 e 1901 e 
Notizie sull'’emigrazione in alcuni altri Stati per gli anni dal 1890 in 
poi. Roma, 1903; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria e Com- 
mercio). 

— dell'Emigrazione italiana per l'estero avvenuta nel 1902 (Id. Id.). 

Zaccaria (A.). I due primi Re dell’Italia unita. Bologna, 1903; 8° (dall’A.). 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 16 Novembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ERMANNO FERRERO 
DIRETTORE ANZIANO DI CLASSE 


Sono presenti i Soci: 
della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: 
SaLvaporIi, Direttore della Classe, BeRRUTI, SPEZIA, CAMERANO, 
SEGRE, PrANO, JADANZA, GuAREScHI, Gui, PARONA, MATTIROLO 
e MoRERA; 
della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
Rossi, Grar, CrpoLLa, Brusa, Pizzi e RENIER Segretario. 

È approvato l’atto verbale dell'adunanza a Classi Unite del 
25 maggio 1902. 

Il Presidente annuncia con parole di rimpianto il decesso 
del Presidente Alfonso Cossa, la cui commemorazione sarà de- 
gnamente fatta da qualcuno dei suoi colleghi di Classe; rife- 
risce le onoranze tributate ai suoi resti mortali, e dà conto 
delle condoglianze di autorità, di corpi scientifici, d’istituti e di 
private persone pervenute in questa luttuosa occasione all’Ac- 
cademia. Le parole pronunziate dal Socio D’Ovipio ai funerali 
sono inserte negli Atti. 

Su proposta del Presidente, l'Accademia delibera a voti 
unanimi: 

1° che l'Ufficio di Presidenza mandi una lettera di con- 
doglianza alla famiglia dell’estinto; 
2° che in segno di lutto si tolga l'adunanza presente. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 1 


) ENRICO D'OVIDIO 


Parole pronunziate ai funerali del Presidente A. Cossa 
dal Socio ENRICO D'OVIDIO. 


Porgo l'estremo saluto alla salma di ALronso Cossa, a nome 
dell’Accademia delle Scienze che egli degnamente presedeva. 

Altri, di me più competente, in più tranquilla sede, descri- 
verà le importanti ricerche del Cossa nel campo delle scienze 
chimiche; ricerche che resero illustre il suo nome e che gli pro- 
cacciarono l’alta estimazione dei dotti in Italia e fuori, cosicchè 
i principali sodalizi scientifici nazionali e parecchi stranieri lo 
vollero loro socio: quali 1° Accademia delle Scienze di Torino, 
quella dei Quaranta, quella dei Lincei, quella di Napoli, quella 
di Bologna, l’Istituto Lombardo e il Veneto, e più recentemente 
l'Accademia delle Scienze di Berlino. Tutti codesti sodalizi hanno 
appreso con vivo dolore la grave perdita che han fatta, e sono 
qui rappresentati. 

Io mi appagherò di porre in rilievo le cospicue doti d’inse- 
gnante del compianto estinto. Le sue dense e dotte lezioni erano 
preparate con la più scrupolosa diligenza, e di tratto in tratto 
ravvivate da qualcuna delle sue originali ed argute uscite; mi- 
gliaia di giovani gustarono quelle lezioni e le ricordano con 
piacere. Egli amò i suoi alunni di affetto paterno: talora potè 
loro parere burbero, ma era il burbero benefico, ed io posso at- 
testare per lunga esperienza come egli cercasse di agevolarli in 
tutte le forme compatibili con la serietà degli studî, come della 
loro buona riuscita fosse orgoglioso, e quanto s’industriasse di 
cooperare ad essa in. tutti i modi. Il laboratorio e la scuola 
erano i due poli della sua nobile mente; anche poche ore prima 
di spegnersi, vaneggiando, egli si credeva in iscuola e con in- 
terrotte parole richiamava l’attenzione dei giovani sulla lezione 
che gli pareva d’incominciare. E del resto si può dire che egli 
sia morto sulla breccia; poichè si pose a letto, per non più rial- 


PAROLE PRONUNZIATE AI FUNERALI DEL PRESIDENTE A. COSSA 3 


zarsi, non appena ritornato da Roma, ove erasi recato, benchè 
infermiccio, a giudicare di un concorso, per sentimento di dovere 
e per generoso desiderio di spingere innanzi i giovani. 

Non dimentichino i giovani il loro verace amico. E ricor- 
dino pure che molti anni fa egli, già maturo ed illustre, volle 
tornar loro compagno e confondersi fra loro, assistendo alle mie 
lezioni universitarie di Geometria analitica, presago della stretta 
connessione, che si è andata in questi ultimi tempi affermando 
tra la chimica e la matematica: mesto e pur dolce ricordo questo 
per me degli anni più belli, nobile esempio a chiunque voti al 
progresso della scienza le forze del proprio ingegno. 

Le prestanti doti di ricercatore e di maestro che spiccavano 
in Arronso Cossa furono di buon’ora riconosciute da QuINTINO 
SeLLA, onore della gente subalpina; e quando le provincie ve- 
nete entrarono a far parte del nuovo regno italico, il SELLA 
confidò al Cossa l’instaurazione dell’Istituto tecnico di Udine, e 
da allora lo ebbe sempre in gran conto e dimestichezza. Il Cossa 
andò poi a fondare la Scuola di Agricoltura di Portici, ma non 
vi rimase che un solo anno. Indi venne a dirigere la Stazione 
agraria di Torino; nè volle più muoversi da questa città a lui 
cara, ad onta delle offerte che gli vennero d’altronde. Qui egli 
esplicò la sua grande operosità, specie quando successe all’ in- 
signe Ascanio SoBrERo nella cattedra del Valentino. 

Nella nostra città l’egregio uomo fu tosto pregiato dai mi- 
gliori, e l'Accademia delle Scienze lo ascrisse fra i suoi soci, 
auspice FepERIGO ScLopis. Ai lavori accademici recò frequente 
e notevolissimo contributo con le sue importanti ricerche, e in- 
tanto con la bella e gioviale franchezza, che era la nota carat- 
teristica della sua bontà, conquistò la stima e la simpatia dei 
colleghi; i quali gliene diedero solenni prove, eleggendolo prima 
Direttore di classe, poi Vice-presidente, e da ultimo or son circa 
due anni Presidente; ufficì ai quali attese con fervore e con 
assiduo studio di affratellare sempre più gli animi dei compagni ; 
le nostre severe adunanze accademiche erano, specialmente per 
sua iniziativa, sempre seguìte da una gaia conversazione privata. 

Oh! la inaspettata, dolorosa dipartita dell'amato Presidente 
lascia un gran vuoto nelle nostre file, e più nei nostri cuori. 
Noi non rimpiangiamo soltanto lo scienziato eminente ed auto- 
revole, ma anche l’amico schietto e leale, il collega desidera- 


4 ENRICO D'OVIDIO — PAROLE PRONUNZIATE, ECC. 


tissimo, il cittadino integerrimo e forte, sempre pronto all'opera 
quando si trattava di combattere per una giusta causa. 

Ed è a nome dei tuoi colleghi, o anima eletta di ALFonso 
Cossa, che io m’inchino qui riverente innanzi alla tua spoglia 
mortale; io, che da più di trent'anni ti ebbi fido amico, che ti 
amai come un fratello maggiore, che ho assistito con l'animo 
straziato a questa tua estrema settimana, ben sapendo quel che 
ero, per perdere irreparabilmente, mentre tu ti andavi a poco 
a, poco estinguendo, senza sentir dolore, sognando di scuole e 
di libri, avendo ancora presenti alla mente ed al cuore i tuoi 
alunni, circondato dalla tua affettuosa e degna famiglia. Oh! la 
tua fu la morte del giusto; moristi come vivesti. 

Addio, amico, addio. La tua cara e venerata memoria ri- 
mane scolpita nei nostri cuori, per sempre. 

Gli Accademici Segretari 
Enrico D’Ovipro. 
RopoLro RENIER. 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 16 Novembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO CONTE TOMMASO SALVADORI 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Soci: BERRUTI, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, 
Pirano, GuarescHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MaATTIROLO, MoRERA 
e il Socio JADANZA, che funge da Segretario in assenza del Socio 
D’Ovipio Segretario della Classe. 

Si legge e si approva l’atto verbale dell’adunanza precedente. 

Il ff. di Presidente, accennando alla perdita fatta dall’Ace- 
cademia nella persona del compianto prof. Alfonso Cossa Pre= 
sidente dell’Accademia, prega la Classe di designare il Socio 
per la commemorazione dell’illustre estinto. 

La Classe incarica il Socio GuaAREscHI, il quale accetta. 

I Soci che intendano presentare lavori per gli Atti o le 
Memorie, sono pregati di depositarli in Segreteria. 

L'adunanza è sciolta in segno di lutto per la morte del 
Presidente dell’Accademia. 


6 GIUSEPPE PEANO 


LETTURE 


La Geometria basata sulle idee di punto e distanza. 
Nota del Socio GIUSEPPE PEANO. 


L'analisi delle idee fondamentali o primitive della Geometria, 
cioè di quelle che non si possono definire ma che dobbiamo 
ricavare dal mondo fisico; diede luogo a numerosi lavori, spe- 
cialmente in questi ultimi tempi. 

Il sig. M. Pasch, nelle sue Vorlesungen iiber Geometrie del- 
l’a. 1882, espresse tutte le idee geometriche mediante quattro : 
punto, segmento, piano, moto. 

Nel 1889, nell’opuscolo I principiî di Geometria, io applicai 
la Logica matematica, allora eretta a sistema, per analizzare i 
fondamenti della Geometria. Eliminai dal gruppo delle idee pri- 
mitive quella del piano; scomposi gli assiomi introdotti dal 
Pasch nei loro elementi. Risultò così che una gran parte della 
Geometria, cioè quella che si suol chiamare Geometria di posi- 
zione, si può sviluppare con due sole idee primitive, quelle di 
punto e di segmento. In un successivo articolo, comparso nella 
Rivista di Matematica, a. 1894, p. 51, espressi le idee della Geo- 
“ metria metrica colle precedenti e con quella di moto. 

Il prof. M. Pieri, in una serie di lavori pubblicati dal 1897 
in poi, di cui parecchi nei volumi delle nostre “ Memorie ,, 
analizzò dapprima le idee primitive della Geometria projettiva, 
e in seguito quelle della Geometria elementare. Ed arrivò al 
risultato, notevole sotto ogni aspetto, che la Geometria si possa 
costrurre con due sole idee primitive, quelle di punto e di distanza 
di due punti. E anzi che questa seconda idea non sia necessario 
di assumerla come una relazione fra quattro punti a, 6, c, d sotto 
la forma “ la distanza da a a 5 è eguale a quella da cad,, 
ma basti assumere come primitiva la relazione fra tre punti 
a,b,c: “i punti a e 5 sono equidistanti da c ,. Veggansi gli 


LA GEOMETRIA BASATA SULLE IDEE DI PUNTO E DISTANZA 7 


atti del Congrès de Philosophie tenutosi nel 1900 a Parigi, t. 3°, 
pag. 386. Uno sviluppo completo della idea geniale del prof. Pieri 
è vivamente a desiderare. 

Seguendo un altro indirizzo, nel mio articolo: Analisi della 
teoria dei vettori, pubblicato negli “ Atti , di questa Accademia 
nel 1898, sviluppai una parte della Geometria colle idee primi- 
tive di punto e vettore; per completarla occorreva un’altra idea 
primitiva, che assunsi sotto la forma di prodotto interno di due 
vettori. Questo lavoro è riprodotto nel Formulaire Mathématique, 
a. 1902, p. 253 e segg., insieme alle citazioni di altri autori, 
quali Scnur, Moore, PapoA, e altri che si occuparono dello 
stesso soggetto. 

Qui mi propongo di collegare il sistema di idee primitive 
del Pieri con quello della mia teoria dei vettori. 

Continuerò a far uso delle notazioni della Logica matema- 
tica, le quali vanno sempre più diffondendosi, e recentemente 
per opera dei sigg. RusseLL e WHITEHEAD furono applicate alle 
più astruse teorie matematiche (“ American Journal of Mathe- 
matics ,, a. 1902, fascicolo 4°). 


Idee primitive. 


“ 


p si legge “ punto ,. 

Essendo a, d,c dei punti, d(a, c) =d(b,c) si legge “ la di- 
stanza da « a c è eguale a quella da da c ,. 

Queste idee si assumono come primitive. 

La relazione d(a, c) = d(b, c) si può risolvere rispetto ad 
uno qualunque dei punti che contiene, e sì ha: 


b,cep.9.poaa[d(a, e) = d(b, c)] = (sfera di centro c passante 
per 5). 


“ Dati due punti d e c, il luogo dei punti @ che soddisfano 


alla relazione considerata, è la sfera indicata ,. 


a,bep.9.pnc>[d(a, ce) = d(6,c) | =(piano normale al segmento 
ab nel suo punto medio). 


Quindi la relazione primitiva considerata si può sostituire 
con quella sfera o con questo piano. Sono diverse forme di una 
stessa idea. 


8 GIUSEPPE PEANO 


Definizioni della retta per due punti 
e del piano per tre punti. 


Queste definizioni devonsi a LEIBNIZ, che ne vide l’impor- 
tanza, e parlando della seconda dice esplicitamente: “ Haec de- 
finitio mihi est , (Veggasi il Formulaire, p. 265). Esse sono: 


a,bep,a-=b.").recta(a, 6) = pnx3|yep.d(y,a)= 
lia, bid. Velli A Df 


“ Essendo a e 5 due punti distinti fra loro, per retta (a, 5) 
si intende l'insieme dei punti x tali che, comunque si prenda 
il punto y che disti da a quanto x, e da è pure quanto «, ne- 
cessariamente questo y coincida con x ,. 

Si può anche dire che la retta (a, 3) è il luogo dei punti 
di contatto delle sfere di centri a e bd. / 


aep.bep-ta.cep-recta(a, db). . plan (a, b,c) = 
poralyep.d(y,a)=@(x,a).d(y,0) = d(2,0). 
d(y,0e)=d(, bra Df 


“ Dato un punto a, un punto d distinto da @, e un punto e 
non sulla retta (a, 8), per piano (a, d, c) si intende l'insieme dei 
punti x aventi la proprietà che ogni punto y che disti da a,b, 
quanto x, necessariamente coincida con x. 


Definizione del punto medio di due punti 
e dell’eguaglianza di due vettori. 


Il punto medio dei punti « e è si indica con (a + b)/2, se- 
condo Mé6Brus, GRASsMANN e altri. Esso si definisce: 


a,bepa-=b .9.(a+5)/2 = ?recta(4,5) n ra[d(r,a) =d(x,5)]  Df 
acp.9. (a+ a)/2 = a. Df 


“ Dati due punti a, 5, se essi sono distinti, il loro punto 
medio è per definizione quell’elemento (punto) della retta (a, 8) 
equidistante da a e da 5. Se essi coincidono, il loro punto medio 
è la loro posizione comune ,,. 


LA GEOMETRIA BASATA SULLE IDEE DI PUNTO E DISTANZA 9 
a,b,;c,dep.g:a—-b=c—-d.=.(a+d)/2=(6+ c)/2. 


“ Dati quattro punti a, d, c,d, si dice che il vettore che va 
da a a d è eguale al vettore che va da c ad, quando il punto 
medio di a e 4 coincide col punto medio di d e € ,. 


Così, partendo dall’idea di distanza, essendo giunti a definire 
l'eguaglianza dei vettori, che nel Formulaire era assunta come 
idea primitiva, possiamo supporre trascritte le definizioni suc- 
cessive contenute nel Formulaire, e basate su quella sola idea 
(p. 255-259); e precisamente il simbolo v per indicare “ vettore ,, 
il vettore nullo ($ vetP3:0-1), la somma d’un punto con un vet- 
tore (P4:0), la somma di due vettori (P5‘0), il prodotto d’un 
vettore per un numero razionale (P6 — 9), e il baricentro di più 
punti con masse razionali (P10). 

Per procedere oltre senza introdurre alcuna altra idea pri- 
mitiva (quale quella di prodotto interno, assunta nel Formulaire 
a p. 260), occorre costrurre una nuova via. 


Definizione dell’eguaglianza dei valori assoluti 
o moduli di due vettori. i 


u,vev.)..modu=modv.=:4€p.9a-da,a + = d(a,a + 2). 


“ Dati due vettori « e v, diremo che essi hanno egual 
lunghezza, se, comunque si prenda il punto a, la sua distanza 
dal punto a + « eguagli quella da a+ » ,. 

La Prop($vcetP22-1) 


a, bep .9 . d(a, 6) = mod(5 — a) Df 


unita colla precedente, ci dà il significato della relazione “ la 
distanza da a a 5 eguaglia quella da c a d ,, che non si è as- 
sunta come primitiva. 


Definizione della perpendicolarità fra due vettori. 


Per non introdurre simboli nuovi, consideriamo la scrittura 
uXv=0 (seguendo le notazioni del Calcolo geometrico), come 
un simbolo per dire che i vettori u e v sono perpendicolari; lo 
si definisce come segue: 


10 GIUSEPPE PEANO — LA GEOMETRIA BASATA SULLE IDEE, ECC. 
u,vev.g.r.uXxv=0.=:aep.Ia-da+u a+ =d(a+u, a—0). 


“ Due vettori « e v diconsi perpendicolari, quando comunque 
si prenda il punto a, il punto a + « è equidistante da a + v e 
da a—%v,. 


Relazione > fra lunghezze. 


u,vev 1): modu>modv.==.3v 0 w>[wXv=0.modu=mod(v+w)] Dt 


“ Dati due vettori x e v, dire che la lunghezza del primo 
è maggiore o eguale a quella del secondo, equivale a dire che 
si può determinare un vettore w tale che esso sia normale a ®, 
e tale che la lunghezza di « eguagli quella di v+ w ,. 

Definita la relazione =, risulta definita la relazione >, esclu- 
dendo l'eguaglianza. 

In altri termini, la proprietà che la perpendicolare abbas- 
sata da un punto su d'una retta è minore dell’obliqua, oppor- 
tunamente trasformata, acquista la forma d’una definizione. 

Se a e b sono punti, si può definire l’insieme dei punti 
interni alla sfera di centro a e passante per 6 come 


= prcal[d(ce, a) < d(c, d)], 


e il segmento di retta compreso fra « e è come la parte della 
retta interna alla sfera di centro « passante per e alla sfera 
di centro 5 e passante per a. 

È per noi interessante l’osservare che colla relazione < fra 
distanze risulta senz’altro definita la figura limite d’una data 
figura o complesso di punti, e quindi il prodotto d’un vettore 
per un numero reale, anche irrazionale ($ vet P25-26), e le coor- 
dinate cartesiane dei punti e dei vettori (P 33), sicchè si può 
continuare colla Geometria analitica. 

Del resto sussistono inalterate le definizioni, contenute nel 
Formulaire, della projezione d’un punto su d’una retta, o su di 
un piano ($vetP 43), delle simmetrie centrali, assiali, ecc. e in- 
fine quella del Movimento (P 67), risultando distinta la con- 
gruenza diretta di due figure dalla congruenza inversa o spec- 
chiamento. 


L’ Accademico Segretario 
Enrico D’Ovipro. 


bl 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 23 Novembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ERMANNO FERRERO 


DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Soci: Rossr, Manno, BoLLaTI DI SAINT-PIERRE, 
CarLE, CrroLLa, Brusa, ALLIEvo, CHIRONI e RENIER Segretario. 

È approvato l'atto verbale dell’ adunanza antecedente, 
22 giugno 1902. 

Dopo aver informata la Classe intorno alla salute del Vice- 
presidente PryRon, che continua a migliorare, il Presidente par- 
tecipa con parole di rimpianto la morte del prof. Gian Giacomo 
Reymonp, Socio nazionale non residente dell’Accademia, seguìta 
il 27 settembre 1902. Indi il Presidente comunica: 

1°, una lettera del Socio corrispondente Michele BrÉAL, 
che invitato a rappresentare l'Accademia al Congresso interna- 
zionale degli Orientalisti di Hanoî (Tonchino), declina l’incarico 
non potendovisi recare e scrive d’aver fatto noto il desiderio 
dell’Accademia agli organizzatori del Congresso; 

2°, una lettera del Presidente della Scuola di Archeologia 
della R. Università di Roma, con la quale accompagna due 
nuove relazioni sugli scavi praticati nell’ isola di Creta dalla 
Missione archeologica italiana. 

Sono presentate le pubblicazioni seguenti pervenute in dono 
all'Ufficio di Presidenza: 


12 


1°, da ‘parte di S. M. il Re, i volumi 18, 19, 20 (con 
Atlante) dell’opera: Campagne del principe Eugenio di Savoia; 
2°, da Soci corrispondenti: 

a) Giuseppe DALLA Vepova, Annibale Ferrero, cenno necrolo- 
gico; Gotha, 1902; 

b) Vittorio Poggi, Gli antichi statuti di Carpasio, Torino, 1902; 

c) Marchese de NaparLLAo, Voyage du Duc et de la Duchesse 
d’ York à travers les colonies anglaises, Paris, 1902, e L’age de 
cuivre, Louvain, 1902. 

Il Segretario fa noto che durante le ferie accademiche 
l'Ateneo di Brescia invitò l’Accademia a farsi rappresentare alla 
solennità del centenario dell’Ateneo, celebratasi nel passato set- 
tembre. Il rimpianto Presidente nostro designò a tale rappre- 
sentanza il Presidente dell’Ateneo. Ora il Segretario presenta 
il suntuoso volume pubblicatosi in questa congiuntura col titolo: 
Il primo secolo dell’ Ateneo di Brescia (1802-1902), Brescia, 1902, 
con la targhetta in bronzo da cui fu accompagnato il dono di 
quel volume. 

Seguono altre presentazioni di libri. 

Il Socio Manno offre con lodi: 

1°, Roger Peyre, Une princesse de la Renaissance, Mar- 
guerite de France duchesse de Berry, Paris, 1902; 

2°, opuscoli di Isidoro DeL Lunco, San Francesco alla 
Verna, Prato, 1902; I Tommaseo a Firenze e Tommaseo e Cap- 
poni, Roma, 1902. 

Il Socio CHIROoNI fa omaggio, con parole d’encomio, di due 
volumi giuridici: Carlo Torsca pi CAsTELLAZZO, L'offerta al pub- 
blico, contributo alla teoria dell'offerta contrattuale, Torino, 1903, 
e Riccardo FuBINI, La dottrina dell’errore in diritto civile italiano, 
Torino, 1902. 

Il Socio Brusa presenta il libro di Dionisio ANZILOTTI, 
Teoria generale della responsabilità dello Stato nel diritto inter- 
nazionale, Firenze, 1902, dandone giudizio favorevole con una 
nota che è pubblicata negli Atti. — Il Socio CHIRONI si associa 


13 


al parere favorevole sull’opera dell’Anzilotti, pronunciato dal 
Socio Brusa, ma si propone di esporre in seguito alcune sue 
osservazioni e riserve, rispetto alla teoria propugnata dall’autore. 

Il Presidente FERRERO offre: 

1°, Domenico Torni, Il codice autografo di rime e prose 
di Bernardo Tasso, Firenze, 1902; 

2°, P. R. TroJaNno, La filosofia morale e è suoi problemi 
fondamentali, Torino-Napoli, 1902; 

8°, Arthur Macponarp, A plan for the Study of man, 
Washington, 1902. — Su quest’ultimo volume si trattiene, av- 
vertendo che il sig. Macdonald ne ha inviato altra copia al 
defunto Presidente Cossa, ed ha mostrato il desiderio d’avere 
il parere dell’Accademia nostra, intorno al disegno da lui esco» 
gitato d’instituire in America uno speciale laboratorio per lo 
studio della delinquenza, particolarmente nelle classi misere. 
Dopo qualche discussione, alla quale prendono parte i Soci Brusa 
e RENIER, il Presidente conclude che è più prudente tenersi sulle 
generali e rispondere al sig. Macdonald ringraziandolo del dono 
e riconoscendo in modo generico l’utilità e la importanza delle 
osservazioni ed indagini di cui egli si è fatto promotore. 

È inserita negli Atti una nota che presenta il Socio ALLIEVO: 
Il testamento filosofico di Herbert Spencer. 

Il Socio ALLIEvo espone pure il contenuto di un altro suo 
scritto più ampio: La pedagogica di Emanuele Kant. Appartatosi 
il Socio proponente, la Classe accoglie unanime, con votazione 
segreta, il suo scritto per l'inserzione nelle Memorie accademiche. 

Negli Atti è aceolta una nota del Socio CHTRONI, che ha il 
titolo: D’una petizione intorno al divorzio presentata alla Camera 
francese. 

Il Socio Brusa dà notizia della prima sentenza che, in base 
al compromesso stipulato il 22 maggio 1902 a Washington fra 
gli Stati Uniti d'America e gli Stati Uniti messicani, fu profe- 
rita testè, e precisamente il 14 ottobre di quest’ anno, da un 
tribunale d’arbitrato costituito in conformità della Convenzione 


14 


per il regolamento pacifico dei conflitti internazionali firmata 
all’Aja il 20 luglio 1899 in seguito alle deliberazioni della Con- 
ferenza detta della pace, riunita colà sulla ben nota iniziativa 
dell’imperatore delle Russie. 


L'importanza di questa sentenza arbitrale non consiste tanto 
nell’avere essa il privilegio d'inaugurare l’attività della Corte 
permanente d’ arbitrato fondata all’Aja a termini della detta 
Convenzione, quanto ancora nel suo stesso valore intrinseco per 
la felice e logicamente esatta applicazione ch’essa fece del prin- 
cipio della regiudicata alla controversia sottoposta al giudizio 
degli arbitri. 

Tutti giureconsulti di alti meriti e di universale reputazione, 
questi erano: designati dal presidente degli Stati Uniti d'America, 
Edwin Fry, membro del Consiglio privato di S. M. britannica, 
e De Martens, Consigliere nel Ministero degli esteri di Russia; 
designati dal presidente degli Stati Uniti messicani, T.M.C. Asser, 
Consigliere di Stato dei Paesi Bassi, e A. F. Savornin Lohman, 
già Ministro dell'Interno dei Paesi Bassi, e quale superarbitro 
dai medesimi eletto e presidente di diritto del tribunale d’ar- 
bitrato, Henning Matzen, Presidente del Landsthing danese. 

La controversia era nata per il rifiuto del Messico a cor- 
rispondere un’annua rendita perpetua gravante il suo tesoro @ 
favore di una fondazione pia dell’Alta California (America set- 
tentrionale), cui era devoluta per effetto del trattato di Guadalupa 
Hidalgo del 30 maggio 1848, che aveva fatto passare l’Alta 
California sotto la dominazione della bandiera stellata conser- 
vando al Messico la Bassa California, alla quale una parte sol- 
tanto di tale fondazione pia doveva rimanere attribuita. 

Lunga fu la discussione e l’onore di essa è in particolare 
toccato al valoroso professore belga Descamps, rappresentante 
della parte richiedente, gli Stati Uniti d'America, il quale fu 
prima, qual relatore sulla citata Convenzione per il regolamento 
pacifico dei conflitti internazionali, uno dei più cospicui coope- 
ratori della Conferenza dell'Aja. La sua arringa pubblicata col 
titolo: Les fondations californiennes et la question de la chose 
jugée en droit international (Bruxelles, Guyot, 1902, pp. 50) è un 
modello di scienza, di precisione e di abilità oratoria. La que- 


15 


stione della cosa giudicata ebbe occasione dalla decisione emessa 
dal superarbitro Edw. Thornton, l'11 novembre 1875, con la 
quale la controversia era già, secondo la parte attrice, stata 
risolta definitivamente. 

Il tribunale arbitrale, premesso doversi la controversia, per 
il suo carattere eminentemente internazionale, decidere sulla 
base dei trattati internazionali e dei principii del diritto inter- 
nazionale; premesso inoltre che tutte le parti di una sentenza 
sui punti discussi nella causa si schiariscono e si completano a 
vicenda, servendo tutte a precisare il senso e i termini del 
dispositivo e a fissare i punti sui quali evvi cosa giudicata, onde 
non potrebbero essere rimessi in questione; afferma con testuali 
parole “ che questa regola non si applica solamente alle sentenze 
dei tribunali istituiti dallo Stato, ma del pari a quelle arbitrali 
proferite nei limiti delle competenze fissate dal compromesso ,, 
e “ che questo stesso principio deve a più forte ragione (à plus 
forte raison) essere applicato agli arbitrati internazionali ,. 

I cultori del diritto delle genti che aspirano seriamente ai 
suoi sempre più notevoli progressi, si rallegrino e si confortino 
nelle loro speranze. Lunge dall’ esser dubbia l'estensione del 
principio della regiudicata alle controversie internazionali sot- 
toposte al giudizio degli arbitri, in questa specie di conflitti 
tale principio acquista invece un titolo più gagliardo alla sua 
piena e indefettibile osservanza. Già il sagace oratore per gli 
Stati Uniti dell'America settentrionale aveva con molta bene- 
volenza ricordato una osservazione che il Socio Brusa riconosce 
per sua (p. 27). L'osservazione si esprime così: “ Quelque con- 
“ troverse que l’on puisse soulever dans les divers pays, quelque 
“ subtilité que l’on puisse invoquer, la présomption dans les 
“ arbitrages internationaux doit toujours étre que les États en 
cause ont engagé la question et que le juge l’a résolue dans 
“ des conditions qui permettent d’en finir. Toute autre suppo- 
“ sition est ‘inadmissible en matiòre de procédure arbitrale in- 
“ ternationale ,. 

Lode ai sapienti arbitri del Tribunale permanente dell'Aja, 
i quali hanno per tal modo mostrato quanto debba tenersi alto 
l'interesse di prevenire fra Stati diversi ogni specie di dissensi, 
conflitti, pericoli di rappresaglie e peggio nel consorzio pacifico 
delle genti. 


K 


16 EMILIO BRUSA 


LETTURE 


Sulla responsabilità dello Stato nel diritto internazionale. 


Nota del Socio EMILIO BRUSA. 


Sulla responsabilità dello Stato nel diritto interno le ri- 
cerche degli studiosi abbondano, non così invece su quella che 
sorge nel diritto internazionale. Non già che le occasioni man- 
chino o scarseggino; ma sino ad ora le empiriche e oscillanti 
regole della politica hanno in generale tenuto luogo delle dot- 
trine maturate per l’opera critica dei giuristi. Però cominciano 
adesso i più acuti e solerti a metter mano all’aspra materia sfor- 
zandosi di elaborarla scientificamente. Fra costoro va segnalato 
a titolo d’onore l'italiano Dionisio Anzilotti, professore di diritto 
internazionale privato nella Scuola Cesare Alfieri di scienze so- 
ciali in Firenze e ben noto scrittore di opere lodate nella scienza 
che insegna e nella filosofia giuridico-sociale che pure ha inse- 
gnato. Sono assai lodati i suoi scritti: Studi critici di diritto 
internazionale privato (Rocca San Casciano, Cappelli, 1898); I 
mutamenti dei rapporti patrimoniali fra coniugi nel diritto inter- 
nazionale privato (Firenze, tip. Bonduceciana, 1900); La filosofia 
del diritto e la sociologia (ib., id., 1892). 

Nella parte prima della sua Teoria generale della responsa- 
bilità dello Stato nel diritto internazionale, testè pubblicata a Fi- 
renze (F. Lumachi, 1902), egli affronta il grave e fondamentale 
problema della responsabilità in diritto internazionale, riservan- 
dosi nelle parti successive, che è desiderabile abbiano a non 
tardare, di svolgerne poi le svariate e molteplici applicazioni al 
soggetto responsabile, alle cause che diminuiscono o tolgono la 
responsabilità, e agli effetti che ne derivano. 

Avendo questa pubblicazione influito molto nel giudizio del 
concorso alla cattedra di diritto internazionale di Palermo, nel 
quale l’ autore ha riportato la vittoria sopra altri valenti pro- 


e, 


SULLA RESPONSABILITÀ DELLO STATO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE 17 


fessori, come il Diena e il Fedozzi, sembra particolarmente op- 
portuno richiamare su di essa l’attenzione degli studiosi. 

Si tratta di questioni che sorgono frequenti non solo fra 
gli Stati per gli atti da essi in tale qualità compiuti e per quelli 
dei loro funzionari, ma altresì per gli atti dei loro appartenenti, 
individui o enti collettivi del diritto privato. L’Anzilotti in questa 
prima parte si limita a porre ed esaminare il problema ne’ suoi 
elementi fondamentali, cioè nelle norme giuridiche internazio- 
nali, negli effetti della violazione di queste norme implicanti la 
responsabilità, e nei due estremi della responsabilità di diritto 
internazionale che sono la violazione ingiusta del diritto altrui 
e la imputabilità della medesima. 

A un tale lavoro di carattere generale egli si è visto con- 
dotto dalle difficoltà di risolvere, nell'attuale mancanza di una 
base giuridica sicura, alcuni problemi speciali di responsabilità 
internazionale, sopratutto quella conseguente dai danni recati a 
privati stranieri, della quale chi scrive la presente nota si era 
pure occupato, prima da solo in un rapporto all’Istituto di di- 
ritto internazionale ( Annuaire de l’Institut de droit international, 
t. 17, an. 1898, pp. 96-137), poi insieme al collega von Bar di 
Gottinga, nella sessione di Neuchatel di quell’Istituto (op. cit., 
t. 18, an. 1900, pp. 233-256). Data codesta origine, si spiega 
come il processo logico abbia invitato l’Anzilotti a saggiare in 
applicazioni concrete il valore delle linee fondamentali e diret- 
tive della sua costruzione generale. Per siffatta guisa egli è 
anche riuscito a dare alla trattazione una forma sistematica e 
veramente più rigorosa di quella che si riscontra nei lavori 
de’ suoi precursori. 

L'indirizzo seguìto è prettamente giuridico e positivo, quale 
si conviene in particolar modo alle teorie di diritto internazio- 
nale, che l’esperienza dimostra quanto facilmente si smarriscano 
nelle pure astrazioni filosofiche quando non rifuggano dalle con- 
cezioni meramente soggettive .delle norme da osservarsi e farsi 
osservare. “ Vi sono ,, com’egli formula subito (p. 26) la que- 
stione fondamentale, “ vi sono norme regolatrici dei rapporti fra 
gli Stati che sieno venute assumendo caratteri tali da non do- 
verle più confondere con l’etica e col costume? ,. “ Il momento 
essenziale per l’esistenza di una norma giuridica sta in ciò, 
ch'essa è la manifestazione di una volontà capace d’imporsi alle 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 2 


18 EMILIO BRUSA 


singole volontà a cui si rivolge, imprimendo alla norma un ca- 
rattere obbligatorio ,. Ciò posto, come nè la scienza nè la così 
detta coscienza giuridica universale potrebbero imporre autori- 
tativamente agli Stati le regole della loro condotta, così soltanto 
la volontà degli Stati stessi ha il potere di dar vita a norme 
giuridiche regolatrici dei rapporti interstatali; la volontà di uno 
Stato ben può dar vita a norme di diritto pubblico esterno 
dello Stato medesimo, non però a norme di diritto internazio- 
nale. Il diritto interno è quindi incapace di limitare le obbliga- 
zioni internazionali degli Stati, come viceversa il diritto inter- 
nazionale nel riferirsi talora al diritto interno lasciando allo 
Stato una certa libertà di statuizioni, non può con le proprie 
obbligazioni infirmare le dette statuizionì. 

Or come si forma e si manifesta la volontà collettiva di 
più Stati ? 

Respinta l'opinione secondo la quale esisterebbe una volontà 
superiore creatrice del diritto, perchè implicherebbe un potere 
supernazionale, l’autore si attiene al concetto tradizionale, ma, 
sulle orme delle profonde analisi germaniche, spogliandolo di 
ciò che ha di vago, di estraneo e di trascendentale. La norma 
giuridica si forma dunque nel momento stesso nel quale la vo- 
lontà collettiva si manifesta nella sua pienezza. Sol questa volontà 
è capace di formare il diritto fra gli Stati. Data la comunanza 
internazionale, un diritto che la regoli è senza dubbio necessario, 
ma questa necessità non basta di per sè a farla esistere. La 
distinzione dei critici alemanni fra volontà contrattuale e volonta 
normativa in forma di ciò che dicesi accordo, viene qui spon- 
taneamente in aiuto del pubblicista. Perocchè, ritenuto per in- 
concusso il principio che il fondamento di ogni diritto subiettivo 
sia riposto nel diritto oggettivo che a quello preesiste e che da 
potere fisico lo trasforma in diritto, se ne deduce in diritto 
internazionale, che gli Stati ora operano come semplici soggetti 
di diritto e ora invece come organi per la formazione della 
volontà normativa che presiede e dirige la condotta della comu- 
nanza. Nel primo caso essi si propongono soltanto di conciliare 
e appagare bisogni o interessi particolari, nel secondo invece 
intendono a conseguire un comune fine identico mercè un’unica 
volontà comune. Mentre là basta l’accordo delle volontà rispetto 
al fine propostosi, qua occorre la loro unione nella identica cosa 


SULLA RESPONSABILITÀ DELLO STATO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE 19 


voluta: là abbiamo il contratto che lega le sole parti contraenti, 
qua l’accordo di membri di una vera e propria comunità; e 
mentre le paci, le alleanze, le successioni, le servitù internazio- 
nali, le mutazioni di territorio, e similmente, si attuano sulla 
base di volontà contrattuali, generando diritti e obblighi subiet- 
tivi, per contro per dare norma al diritto di guerra, ai diritti 
e doveri dei neutri, all’estradizione, alla protezione internazio- 
nale dei diritti di autore, al protettorato collettivo, alle comu- 
nioni fluviali, alle garanzie collettive, alle unioni politiche o 
amministrative (blocco pacifico, intervento collettivo, ecc.) e, in 
generale, a ogni attività giuridica che oltrepassi la cerchia dei 
paciscenti, si provvede mediante convenzioni nelle quali una 
volontà unica comune è aggiunta o sostituita alle volontà par- 
ticolari degl’ interessati. 

Resta dopo ciò a vedersi se la volontà comune possa real- 
mente dar vita a regole di diritto, qual sia il fondamento della 
loro obbligazione e quali i caratteri di codesto diritto fra gli 
Stati. Un semplice contratto non possederebbe di certo quella 
virtù creatrice, ma un accordo normativo sì. Infatti, se ogni 
diritto soggettivo in ultima analisi si risolve in una potestà 
concessa o riconosciuta dal diritto oggettivo e, d’altro canto, 
se gli accordi normativi mirano soltanto a regolare la condotta, 
non evvi una necessità assoluta che porti a confondere insieme 
questi accordi col diritto oggettivo inteso nel senso più rigoro- 
samente preciso di legge. Mancherebbe sempre l’autorità supe- 
riore, sola capace di trasformare quelli in questo o sostituirveli : 
se fosse vera legge nel senso ordinario della parola, sarebbe 
munita delle sanzioni ordinarie e applicata con le consuete ga- 
ranzie di giurisdizione e di esecuzione. E qui sta pertanto il 
motivo che spiega come dagli accordi normativi non sempre 
discendano diritti subiettivi. Onde, “ mentre è inconcepibile ,, 
come testualmente si esprime l’Anzilotti (p. 62), “ una manifesta- 
zione di volontà diretta a creare diritti subiettivi, la quale non 
dipenda dal diritto oggettivo, non è affatto inconcepibile, nelle 
stesse condizioni, una manifestazione di volontà diretta alla for- 
mazione di una norma giuridica ,. 

Questa distinzione fu combattuta dal Nippold, il quale crede 
che qualunque trattato internazionale crei, al pari di ogni negozio 
giuridico, diritti e doveri reciproci dei contraenti, per modo che 


20 “EMILIO BRUSA 


a ciascuno di questi ne derivino diritti soggettivi di pretendere 
dagli altri una prestazione, e che nei cosidetti accordi normativi 
la prestazione consista nell’uniformare la propria condotta alle 
regole stabilite. 

Non entra nel disegno della presente nota il discutere la 
distinzione accolta dal giurista italiano e le obiezioni contro di 
essa sollevate. Coloro che delle differenze caratteristiche che 
contradistinguono il diritto pubblico dal privato in generale, e 
specialmente il diritto internazionale dal diritto interno, hanno 
fatto oggetto di studî accurati e profondi, non esiteranno a rico- 
noscervi la materia più spinosa per difficoltà di sottile analisi 
e più feconda di larghe applicazioni nel campo delle costruzioni 
dottrinali e delle deduzioni pratiche. In questo luogo sembra 
sufficiente dire che l’Anzilotti si giova del suo consueto acume e 
sicuro criterio giuridico, segnatamente dimostrando che le norme 
di condotta stabilite nei trattati internazionali il più delle volte 
limitano la libertà di azione dei singoli Stati nell'interesse ge- 
nerale, senza che al tempo stesso creino una potestà determinata 
a vantaggio di alcuno di essi in particolare. E opportunamente 
cita quale esempio le regole stabilite nella dichiarazione di 
Parigi del 1856 circa la guerra marittima. Se il divieto della 
corsa ivi proclamato implicasse un diritto subiettivo di uno 
Stato a che gli altri si astengano da questo mezzo di difesa, 
tutto quanto il diritto internazionale si risolverebbe in una 
somma di diritti e di doveri subiettivi a cui mancherebbe ogni 
fondamento di diritto oggettivo (p. 67). 

Ma la difficoltà si ripresenta per trovare il fondamento 
dell’obbligazione contenuta negli accordi normativi. Risalendo 
oltre la fonte diretta dell’obbligazione giuridica si giunge sempre 
in definitiva a un'idea etica: ciò è inerente alla natura stessa 
del diritto; e d’ altra parte sembra avvolgersi in un cerchio 
vizioso quella fonte dell’obbligazione che non esca dal soggetto 
che si obbliga verso di un altro col puro e semplice rivolgere 
a se medesimo un comando. Fra i due scogli l’autore fa 
prova di grande virtuosità d’ingegno osservando che l’auto-ob- 
bligazione morale si esaurisce subito nel soggetto che se la 
impone da sè, perchè lo Stato non trova poi dinanzi a sè per 
obbligarlo quella stessa volontà, quel comando che si era rivolto 
di riconoscere codesta obbligazione; una volontà egli si vede 


SULLA RESPONSABILITÀ DELLO STATO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE Z1 


dinanzi, ma diversa e quindi un comando diverso. L’auto-obbli- 
gazione ha esistito nel momento iniziale, pre-giuridico, e non 
più. Solo la volontà collettiva degli Stati, nella quale si confonde 
e scompare la volontà del singolo Stato, spiega la forza obbli- 
gatoria del diritto internazionale senza che vi sia bisogno di 
ricorrere alla auto-obbligazione. Rincalzando aggiunge che questa 
è condizione perchè lo Stato sia tenuto all’ osservanza di certe 
regole di condotta verso gli altri Stati, ma non causa della obbli- 
gatorietà di queste regole. Lo Stato poteva non ammettere 
quelle regole e così non limitare la sua libertà; ma una volta 
che le ha ammesse, l'obbligo di osservarle deriva dalla natura 
stessa delle regole, che esprimono una volontà superiore a quella 
dello Stato (p. 71). Insomma aveva ragione Aristotele di riporre 
nella comunanza del fine o del bene agognato dai singoli nella 
consociazione la trasformazione delle volontà particolari per 
modo, che in tanto esse vengano manifestandosi in quanto cospi- 
rino al fine o bene comune. Così il diritto internazionale rimane 
bensì quello che è, un diritto fra Stati da essi formato per via 
di contratto nei loro particolari interessi e costituito di facoltà 
soggettive, ma anche obbiettivo perchè superiore agli Stati per 
la volontà collettiva di questi d’imporsi norme per la loro 
condotta reciproca in considerazione. dell’ interesse collettivo. 
Manifestata che sia tale volontà, non è più lecito a nessuno di 
essi di sciogliersi dal vincolo di quelle norme. 

Mentre da un canto per le facoltà subiettive derivanti dal 
contratto si possono in qualche modo invocare le regole del 
diritto privato, però, in difetto di giurisdizione e per il conse- 
guente ricorso ai mezzi. del diritto internazionale, in via mera- 
mente analogica, d'altro canto al diritto obiettivo nascente da 
accordi o consuetudini normative, gli Stati si uniformano col 
reagire per la riparazione delle offese da essi in particolare 
risentite, salvo da parte loro spiegare, come singoli o collettività, 
un'azione fondata nell'interesse comune per far rispettare i 
principii del diritto internazionale. Nel far valere questo inte- 
resse il giudizio rigorosamente giuridico sarebbe fuor di luogo, 
e decisivo è invece un giudizio discrezionale e di opportunità, 
similmente a ciò che accade in tema d'interesse nei rapporti 
con la pubblica amministrazione. 

La fallace giustificazione offerta dalla famosa dottrina del 


22 GIUSEPPE ALLIEVO 


diritto naturale esula del tutto ormai dalla ragione del diritto 
internazionale; pur nondimeno se un pregio essa aveva, ed ebbe 
di certo, quello si fu appunto di avere affermato questo diritto 
quale un’autorità, un potere sopra gli Stati: autorità e potere 
astratti e determinati dal criterio soggettivo, variabile e arbi- 
trario, di coloro che erano assunti all’ufficio di suoi interpreti; 
autorità e potere che ora qui, mediante un lavoro indefesso di 
critica giuridica, appariscono nella loro realtà salda, concreta e 
oggettiva. E tali sono i caratteri che lo distinguono e ne pre- 
cisano la natura. 

Sarebbe lungo seguire il valente giurista nelle severe inda- 
gini che tengono dietro nei tre ultimi paragrafi sulla responsa- 
bilità per le violazioni delle norme giuridiche internazionali. 
Quello che si è accennato dell’opera sua è sufficiente a porre in 
rilievo l’importanza e le asperità del tema, e a far intravedere 
il valore delle discussioni e dottrine contenute negli altri pa- 
ragrafi. 


Il testamento filosofico di Herbert Spencer. 
Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


Fatti e Commenti: con questo titolo lo Spencer pubblicava 
testè a Londra l’ultimo de’ suoi volumi. Solenne, commovente 
spettacolo è questo di un vegliardo più che ottantenne, che 
tenendo rivolto lo sguardo sui grandi volumi, dove ha raccolto 
tutto il suo lavoro mentale proseguito per più di mezzo secolo 
con infaticabile lena, scrive e fa di pubblica ragione il suo testa- 
mento filosofico. Anche la vita mentale del genio nel suo suc- 
cessivo esplicamento percorre un duplice periodo di espansione 
e di concentrazione. Durante la gioventù e la virilità il pensiero 
fiorisce, matura, scopre, inventa, crea le sue sublimi teoriche nel 
campo immenso del sapere: nella vecchiaia si ritira dalla realtà 
esteriore, si raccoglie in se stesso, rivede il suo lavoro e lo sug- 
gella colla propria impronta. Però non a tutti i grandi pensatori 
la sorte concede una longeva esistenza, e nel finale raccogli- 
mento delle idee vi ha chi sconfessa l’opera propria continuata per 


IL TESTAMENTO FILOSOFICO DI HERBERT SPENCER 23 


anni ed anni vedendo lampeggiare la luce della verità da altri 
orizzonti, quasi operaio, che avendo compiuta la sua giornata 
si accorge di aver fallito il lavoro e si conforta colla speranza 
di un giorno migliore. Così sappiamo di Augusto Comte, che 
coll’originalità del suo genio creava in Francia la nuova dot- 
trina del positivismo, ma presso il fine di sua vita ne rinnegava 
il dogma fondamentale sostenendo che lo spirito umano è neces- 
sariamente teologico e non positivistico (1). Ed ora noi assistiamo 
alla solenne metamorfosi mentale del principe dei positivisti 
contemporanei, Herbert Spencer, che solleva il suo pensiero più 
in alto, e ripete le parole di Goethe morente: Luce! più luce! 

Il suo nuovo volume non possiede un organismo logico, per 
manco di un concetto unificatore supremo. È un lavoro fram- 
mentario, composto di note svariatissime e di idee, che non gli 
era riuscito di incorporare nel suo vasto sistema positivistico. 
Lo Spencer nasconde in sè due sorta di pensatori, che non po- 
tendo convivere insieme per la contradizion, che nol consente, si 
contendono l’uno all’altro il dominio della sua mente, il meta- 
fisico ed il positivista. In sull’esordire della sua vita scientifica 
lo Spencer metafisico riconosce l’esistenza dell’Assoluto, che in- 
| finitamente sovrasta a tutto il mondo della realtà sensibile, non 
percepito dalla facoltà dell'esperienza, ma intuito dalla ragione. 
Poi il positivista sopraggiunge a tenere il campo e si adopera 
intorno l’ardita impresa di raccogliere in una vasta sintesi scien- 
tifica tutto quanto apparisce sulla superficie dell'immenso mare 
dell’essere. Giunto alla sua tarda età, lo Spencer ridiventa me- 
tafisico. Le idee, che gli erano spuntate su’ suoi passi durante 
il suo fervido lavorìo positivistico, e che aveva notate a parte, 
perchè non potevano entrare logicamente nella compagine del 
suo sistema, ora risorgono davanti al suo pensiero e lo illumi- 
nano di nuova luce. Egli raccoglie quelle pagine qua e là sparse 


(1) “ Ne” suoi concepimenti presso al fine di sua vita il Comte confessa 
apertamente, che lo spirito umano non può passarsi dal credere a volontà 
indipendenti, le quali intervengono negli eventi mondiali. Se ciò è vero, 
lo spirito umano è necessariamente teologico. Ma allora non mai colpo più 
mortale fu menato alla filosofia positiva. Essa riposa su questo dato, che 
lo spirito umano non è necessariamente nè teologico, nè metafisico, ma 
solo transitoriamente , (E. Limrri, Aug. Comte et le positivisme, pag. 578-79). 
Anche in Italia Ausonio Franchi sconfessava il suo razionalismo. 


24 GIUSEPPE ALLIEVO 


e ne compone il suo ultimo volume facendolo di pubblica ra- 
gione. Così i Futti e Commenti vengono non già a coronare il 
suo splendido edificio positivistico, bensì a serollarne le fonda- 
menta: sono il canto del cigno, che manda la flebile nota della 
sua ora estrema e rinasce dalle sue ceneri. La sua intelligenza 
era.troppo potente, troppo vasta, perchè potesse starsene rin- 
chiusa nella bassa e nuda cerchia dell'esperienza sensibile senza 
innalzarsi più su. Il mondo positivistico, da cui ora risorge a 
vita novella, ci ricorda la caverna da Platone (1) immaginata, 
dove gli uomini rinchiusi sin dall’infanzia e stretti fra le catene 
vedevano scorrere sulle pareti le ombre dei corpi riflesse da 
uno spiraglio di luce, che brillava alle loro spalle, poi ne usci- 
rono a contemplare la realtà sussistente, illuminata dal sole 
della verità. 

Non è mio animo discorrere in tutte le sue parti questo 
rilevantissimo volume del pensatore inglese, bensì rilevare il 
nuovo spirito, che lo informa, notandone i punti più salienti e 
riscontrandoli coi principii fondamentali del suo sistema positi- 
vistico. La società umana abbrutisce e ritorna alla primitiva 
barbarie: ecco il gran fatto, che colpisce la mente osservatrice 
del nostro autore e dà alle sue pagine l'impronta di una pro-. 
fonda tristezza. Davanti a questo deplorabile fatto egli si arresta 
confuso e sfiduciato, vedendo crollare d’un colpo il principio 
dell'evoluzione progressiva indetinita, da lui posto a caposaldo 
di tutto il suo maestoso sistema scientifico. Quando egli dettava 
i suoi Principii di Psicologia, mostrava una fede incrollabile nel 
graduale progresso umano da lui riposto nella “ sempre crescente 
corrispondenza tra i cangiamenti psichici interni e le circostanze 
esterne, corrispondenza che debbe divenire sempre più compiuta 
e precisa coll’acconciare di continuo l’attività vitale all'attività 
del mondo circostante... La vita deve diventare più elevata 
e la felicità più perfetta: ciò debb essere, perchè le relazioni 
interne sono determinate dalle esterne , ($ 220). Egli salutava 
con entusiasmo “ questo gran movimento progressivo, che ora 
conduce l’ umanità verso un’ intelligenza più elevata, verso un 
carattere più nobile ,, e tanta era la sua fede in questo prin- 
cipio dell'evoluzione, che rigettava ricisamente la libertà dello 


(1) La Repubblica, libro settimo. 


IL TESTAMENTO FILOSOFICO DI HERBERT SPENCER 25 


“K 


spirito umano, siccome quella, che “ sarebbe in aperta contrad- 
dizione con la benefica necessità manifestata nel progressivo 
sviluppo della corrispondenza tra l'organismo ed il suo mezzo 
circostante , ($ 220). Ed ora la libera potenza da lui fiera- 
mente scongiurata gli si affaccia inesorabile come l’ ombra di 
Banco spezzando quell’armonica e progressiva corrispondenza 
tra la vita psichica interiore e la vita cosmica esteriore, che 
egli reputava 2ndestruttibile come la ferrea necessità. Poichè gli 
è appunto all’arcana, ma indestruttibile }ibertà del volere, che 
l'umanità nel suo secolare cammino deve le sue glorie e le sue 
infamie, i suoi trionfi e le sue sconfitte, gli splendori della sua 
civiltà e le tristizie della sua barbarie: gli è in virtù di questa 
libertà che l’io individuo è fatto arbitro delle sue sorti, spezza 
e ricompone la catena dei fenomeni, che lo avvolgono, ed ora 
si innalza, ora si abbassa fra i due estremi della santità e della 
colpa. 

Con una profonda e spassionata analisi l’autore va deli- 
neando le forme diverse, sotto cui si manifesta il rimbarbari- 
. mento sociale contemporaneo e risale alle sue origini, rispon- 
dendo così al titolo del suo libro: Fatti e Commenti. Studiando 
la società inglese in particolare, egli manda un potente e nobile 
grido di protesta contro il militarismo e l'imperialismo di quella 
nazione, la quale colle armi in pugno e col diritto della forza 
intima ai Boeri: “ Sottomettetevi: i dominatori siamo noi e ve 
lo faremo riconoscere ,. Questa esaltazione della forza bruta 
egli non la riscontra soltanto nelle sterminate falangi degli 
eserciti permanenti e nella prepotenza soldatesca, dominanti in 
tutti gli Stati d’Europa, ma altresì nella smania signoreggiante 
dell'educazione fisica, e della ginnastica, la quale rasenta il de- 
lirio ed accusa una certa quale idolatria dell'organismo corporeo. 
“ Un valente atleta (sono sue parole) è più onorato nelle Uni- 
versità, che il più erudito sapiente. L’ Università di Londra ha 
scelto, per essere rappresentata in Parlamento, quello dei can- 
didati, che meglio giuoca al cricket ,. A canto del milita- 
rismo e del culto della forza egli colloca, altro sintomo del 
decadimento sociale, la statolatria, la crescente fede nell’onni- 
potenza dello Stato, il quale nell’ordine sociale gravita su tutte 
le espiicazioni della vita pubblica assorbendo in sè le singole 
attività individuali, nell'ordine pedagogico poi imprime a tutte 


26 GIUSEPPE ALLIEVO 


le menti un procedimento monotono, meccanico, uniforme, fog- 
giandole sul medesimo stampo e comprimendo l’elaterio dello 
spirito. Ma la piaga più profonda, che ammorba e consuma la 
società contemporanea, sta ai suoi occhi, nel delirio della scienza, 
nella smania dell'istruzione, alla quale viene sacrificata la col- 
tura di tutte quante le altre attività e potenze umane. Da per 
tutto si grida: istruite, studiate, meditate. Da per tutto si va 
ripetendo, che le scuole aprono davanti al pensiero nuovi e su- 
blimi orizzonti, e che a volere ed operare il bene basta cono- 
scerlo, sebbene la quotidiana esperienza protesti in contrario, 
ed ancora di recente nell’ America si è sentito solennemente 
proclamare che solo moltiplicando le scuole si riesce a scemare 
il numero dei delitti. Questa prepotente invasione dell’enciclo- 
pedismo nel campo pedagogico, questa smodata ed esorbitante 
coltura dell’intelligenza ci ha condotti ad identificare lo spirito 
col pensiero, a rompere il necessario equilibrio fra la potenza 
conoscente e la potenza affettiva e morale, fra la vita specula- 
tiva e la operativa. Secondo l’autore, la facoltà del sentimento, 
dell’affetto, della moralità è dessa l’arbitra e suprema modera- 
trice della vita umana: l'intelligenza non è che la sua ancella. 
È sovratutto il sentimento, che va potentemente coltivato e 
svolto colla massima possibile accuratezza, perchè è desso che 
forma gli uomini forti, virtuosi, felici. 

Intorno a questo gravissimo punto non posso rimanermi dal 
notare le due opposte e contrarie correnti, che agitano il campo 
della pubblica educazione contemporanea, voglio dire la duplice 
smania dell’enciclopedismo e dell'educazione fisica. La società 
non si avvede che lo studio intemperante, sconfinato, faticoso, 
imposto alla puerizia ed all'adolescenza sciupa l’organo cere- 
brale, sfibra il sistema nervoso nel suo progressivo sviluppo e 
manda a male tutto il còmpito dell’educazione fisica, e che per 
altra parte la coltura eccessiva dell'organismo corporeo com- 
prime e soffoca la vitalità del pensiero. Si direbbe che la società 
corra dietro a questo ideale pedagogico: fare del pensiero di 
ciascun fanciullo un Apollo, che tutto conosce, e del corpic- 
ciuolo di lui un Ercole, che sulle robuste sue spalle sostiene 
il cielo. 

Uopo è riconoscere, che questa critica sociale dello Spencer, 
per quantunque possa parere rigida ed alquanto severa, è tut- 


IL TESTAMENTO FILOSOFICO DI HERBERT SPENCER 27 


tavia irrepugnabile e conforme a verità. A questo riguardo a me 
sia concesso di avvertire che tutte le censure da lui ora mosse 
alla civiltà contemporanea, già erano state da me ripetutamente 
fatte parecchi anni or sono alloraquando la sua dottrina positi- 
vistica da me combattuta era menata in trionfo. Già nel 1873 
io notava, che la civiltà verace di un popolo mal si estima dal 
numero delle sue falangi o dal rombo de’ suoi cannoni, e che il 
vedere la civiltà dell'Europa puntellarsi sopra una spaventevol 
caterva di armi e di armati, non porge argomento del suo felice 
avvenire (1). Sei anni dopo io faceva di pubblica ragione il mio 
opuscolo: La riforma dell'educazione mediante la riforma dello 
Stato, col fermo proposito di combattere a tutt'uomo l’enciclo- 
pedismo e la statolatria. “ L’enciclopedismo (io scriveva) è il 
verme roditore delle nostre scuole, il cancro dell'educazione mo- 
derna..... Sacrificata al passivo meccanismo la libera attività 
del pensiero. Prostrata e conquisa sotto il cumulo delle materie 
scolastiche l’intelligenza, epperò non arbitra e donna di sè, ma 
dominata, trascinata, rapita in vorticoso giro dall’ incalzarsi delle 
lezioni. Inaridita la vena del sentimento e della immaginativa, 
che fecondano ed avvivano le idee della severa riflessione... In- 
sieme colla vita intellettiva anche la vita fisica e la operativa 
patiscono naufragio nell’attuale ordinamento dei nostri studi. Il 
peso dell’enciclopedismo gravita tutto quanto sul cervello giova- 
nile, che affaticato dalla soverchia applicatezza di mente, viene 
dalle troppe e troppo disparate materie posto a sì terribil pres- 
sura da rimanerne scosso e svigorito il sistema nervoso (pa- 
gine 10-12) , (2). Passando poi alla statolatria, io deplorava che 
lo Stato odierno, rompendo la sua orbita, intenda ogni dì più 
ad assorbire in sè la libertà collettiva della nazione e l’auto- 
nomia personale de’ singoli individui, proclamandosi il supremo 
ed assoluto educatore de’ cittadini, la forma più sintetica e più 


(1) La scuola e la famiglia, Torino, 1873, pag. 8. Il generale Ferrero, 
Ministro della Guerra, in un suo discorso pronunciato al Senato nel 
giugno 1894 e pubblicato nel giornale “ L'Esercito Italiano ,, disse: * Nes- 
suna migliore educazione può essere data all'infuori dell'esercito ,. Bisogna 
ben dire che queste parole gli siano uscite fuori dalla punta della spada, 
anzichè dalle pieghe del suo cervello. 

(2) Vedi pure la mia opera Del positivismo, pag. 237, ed. 2*. 


28 GIUSEPPE ALLIEVO 


perfetta dell'umanità. Contro questa manìa enciclopedica io in- 
sorgeva nuovamente nella mia Prolusione universitaria del 1881, 
La scienza e la vita, dove io avvertiva che a’ dì nostri la scienza 
attrasse dentro la sua orbita l’arte, la religione e la morale; 
deploravo che l’indirizzo de’ nostri istituti educativi fosse tutto 
quanto rivolto alla coltura esclusiva del pensiero sino ad assor- 
bire nell'istruzione ogn’altra attività dello spirito, mentre l’uomo 
non vive di sola conoscenza, ma altresì di virtù e di amore, e 
la scienza è sibbene una splendida manifestazione dell’umana 
essenza, ma non è punto l’umanità tutta quanta. 
Quanto alla educazione fisica in particolare, già da qualche 
tempo io segnalava alla pubblica considerazione (1) l’attività 
febbrile, con cui i nostri novatori si adoprano a propagarla al 
di là de’ suoi naturali confini, esaltandola fuor di misura e pro- 
clamandola quale un oggetto di una disciplina nuova e distinta, 
che si regge da sè, come se le altre parti dell’umana educa- 
zione, .la intellettiva, la estetica, la morale e la religiosa non 
potessero reggere al suo paragone o contassero poco meno che 
nulla. Nel che costoro si mostrano per certo conseguenti al loro 
principio positivistico, secondo cui dall’organismo fisiologico ger- 
mina ed irraggia la vita umana sotto tutte le sue forme, in 
tutte le sue manifestazioni; ma insieme colla logica dovrebbero 
pure rispettare la verità storica, e non immaginarsi di avere 
essi introdotto in Italia il concetto e l’arte dell'educazione fisica, 
come se prima di loro nulla di buono e di commendevole si 
fosse fra di noi nè pensato, nè fatto intorno a questo punto (2). 
Io ho accompagnato fin qui il nostro autore nella successiva 
esposizione dei fatti e dei commenti, che formano l’oggetto del 
suo volume. A questo punto viene spontanea una domanda: A 
quale conclusione mette capo la critica sociale dello Spencer? 
Se gli è vero, che l'esaltazione della forza bruta, il militarismo, 
la statolatria, la manìa dell’istruzione, la coltura smodata del- 
l'organismo fisico accusano .un decadimento di civiltà ed un 


(1) Dell’educazione umana in generale e dell'educazione fisica in partico- 
lare. Asti, tip. Brignolo, 1898, pag. 14-18. 

(2) Un intelligente e fervido cultore della storia della pedagogia ita- 
liana, G. B. Gerini, sta appunto raccogliendo i pensamenti de’ nostri sommi 
pedagogisti intorno l'educazione fisica. 


IL TESTAMENTO FILOSOFICO DI HERBERT SPENCER 29 


ritorno alla barbarie, quale sarà il concetto tipico, su cui deve 
modellarsi la civiltà vera, quale il principio supremo informa- 
tore del perfezionamento umano? Da quale fonte provengono 
tutti questi elementi morbosi e corrompitori della social convi- 
venza, a qual nuovo ideale occorre risalire per venirne al riparo? 
Disaminiamo per bene i pervertimenti sociali da lui deplorati 
e saremo condotti a riconoscere, che essi hanno la loro ragione 
spiegativa nel suo sistema positivistico: egli stesso mostra di 
essersene accorto, sebbene non ne faccia una confessione espli- 
cita ed aperta. E veramente se, giusta il determinismo dell’autore, 
i fenomeni psichici interni ed i fenomeni cosmici esterni, quasi 
anelli di una catena.indissolubile, si succedono e si corrispon- 
dono con tale irrefrenabile necessità, che nessuna forza vale ad 
arrestarli o mutarne l'indirizzo, ne consegue che tutti e quali 
che siano i fatti della vita umana individua e sociale avven- 
gono a tenore delle leggi della natura, e quindi tutti hanno lo 
stesso valore e vanno apprezzati ad un modo: quindi cade ogni 
differenza intrinseca ed essenziale tra l’onesto ed il turpe, tra 
l’incivilimento e la barbarie. Tutto è quale debb’essere, tutto è 
a suo posto: impotente, anzi insensato ogni conato di rigenera- 
zione personale e sociale: non evvi più ragione di maledire la 
tirannide della spada o dello scettro ed esaltare l’eroismo del 
martire, che muore per il trionfo della giustizia. Dacchè l'io 
umano conscio e libero di sè è un'illusione, dacchè non ha niente 
di suo, che gli appartenga, non possiede una sostanzialità sua 
propria individua ed incomunicabile (1), epperò i suoi fenomeni 
interni, i pensieri, i desiderii, i sentimenti non sono veramente 
cosa sua, essendo egli medesimo niente più che una successione 
di fenomeni, ne consegue che non ha diritto ad una sfera di 
attività sua propria, trascinato nel vortice del fenomenismo 
universale; epperò non si ha ragione di detestare e combattere 
la statolatria la quale invade ed assorbe la cerchia di attività 
riservata alla personalità individua de’ singoli cittadini. Nel suo 


(1) “ Per quantunque la credenza nella realtà dello spirito individuale 
sia inevitabile, e benchè sia raffermata non solo dall’unanime consenso del 
genere umano ed adottata da tanti filosofi, ma ben anco dal suicidio del. 
l'argomento scettico, tuttavia non può per nulla venir giustificata dalla 
ragione , (Spencer, Primi Principii, $ 20). 


30 GIUSEPPE ALLIEVO 


volume: Educazione intellettuale, morale e fisica, lo Spencer fa sua 
la sentenza, che a riuscire nella vita occorre primamente essere 
un buon animale, e delineando il concetto organico dell’educa- 
zione ripone il sommo problema pedagogico nel determinare il 
valore relativo dei diversi ordini di cognizioni, e quindi riguarda 
il sapere come la norma direttiva della vita, riguarda la scienza 
siccome essenzialmente religiosa e maestra di moralità. Questo 
concetto già lo aveva espresso ne’ suoi Primi Principii, dove 
scrisse: “ Sapere è prevedere: ogni conoscenza ci giova in ultimo 
più o meno ad acquistare il bene e scansare il male , ($ 5). 
Ed ora egli deplora la smania dell’ educazione fisica, la quale 
intende appunto a fare dell'alunno un duon animale, e protesta 
contro il grido universale istruite, studiate, proclamando che cono- 
scere il berte è altra cosa dal volerlo e dall’operarlo, e che la 
maestra suprema della vita è la facoltà affettiva e volontaria, 
maestra di cui l'intelligenza conoscente non è che un’ancella. 

Gli accennati Commenti dell'autore riguardati nel loro in- 
trinseco significato mettono capo a questa conclusione: bando 
al positivismo fenomenistico, ritorno allo spiritualismo tempe- 
rato. Il soggetto umano è mente sostanziale informante un. or- 
ganismo corporeo, ossia è persona individua, che mediante la 
virtù intellettiva ha coscienza di sè e conoscenza della realtà 
esteriore, mediante la libertà del volere aspira ad un ideale 
divino di perfezione, da cui ha diritto di non essere deviata. Su 
questo principio fondamentale posa la dottrina dello spiritua- 
lismo, e solo in virtù di questo principio la società può venire 
al riparo dei mali dall'autore deplorati e risorgere dalla. bar- 
barie alla civiltà. Infatti l’incivilimento essendo un lavorìo dello 
spirito collettivo, libero e conscio di sè e rivolto ad un ideale 
preconosciuto di perfezione, può soltanto fiorire da soggetti do- 
tati di personalità. La persona ha un valore assoluto e divino, 
perchè appartiene anzi tutto a sè medesima ed ha diritto alla 
libertà ed al rispetto; epperò apparisce detestabile la statolatria, 
che toglie ai singoli cittadini quell’autonomia personale, a cui 
hanno diritto, convertendoli in altrettanti mancipii del potere 
governativo. Nel fanciullo medesimo già rifulge la dignità e 
l'eccellenza propria della persona umana, e su questa persona- 
lità sì regge e si muove tutta la scienza e l’arte educativa. In 
lui la mente personale sovrasta all'organismo corporeo infor- 


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IL TESTAMENTO FILOSOFICO DI HERBERT SPENCER hs) 


mandolo di sè ed atteggiandolo in ordine al suo ideale di per- 
fezione; dunque male adoperano quei novatori, che esaltano fuor 
di modo l’educazione fisica come se potesse reggersi da sè so- 
verchiando tutte le altre parti più elevate dell'umana coltura, 
e peggio adoperano i fautori del militarismo, i quali alla forza 
bruta, che viene dall’addestrato e robusto organismo, sommet- 
tono il diritto, che vien dalla ragione. L’io umano personale è 
una sintesi vivente di mente e di cuore, di pensiero e di azione, 
di ragione e di affetto insieme contemperati con tale armonia, 
che la sovrana facoltà del libero volere attinge dal sentimento 
l'energia, dall’intelletto la conoscenza per assorgere all’ideale 
della vita; epperciò nulla vi ha di più contrario all'ordine in- 
trinseco della natura umana quanto l’ idolatria dell’ enciclope- 
dismo e dell'istruzione, che fa dell’uomo una mera intelligenza 
e sacrifica al culto della scienza il principio della vita affettiva, 
morale e religiosa. 

L'uomo non vive solo del Vero conosciuto, ma altresì ed 
assai più del giusto e dell’onesto rispecchiato nelle sue libere 
azioni. Il nostro filosofo tiene in altissimo conto la moralità 
della vita. ma ad un tempo reputa la coltura intellettuale im- 
potente a generarla; quindi vede affacciarsi al suo pensiero il 
gravissimo problema: su quale altro fondamento, che non sia 
la scienza, potremo noi edificare l'educazione morale e religiosa ? 
Anche su questo rilevantissimo punto la mente dell’autore si 
innalza ad un nuovo ordine di idee, che trascende il suo sistema 
positivistico. Ricisamente egli pronuncia, che nessuna dottrina 
morale foggiata dalla pura ragione e posata sulla mera natura 
può tanto valere sulle anime da sostituire l’antica morale reli- 
giosa fondata sulla rivelazione e sulla fede positiva. Nessun 
codice naturale può somministrare all’universale degli uomini 
una sicura ed efficace norma direttiva della vita. Egli deplora 
siccome insana e crudele l’opera di que’ pensatori, che colle loro 
scettiche discussioni perturbano e spengono la credenza di certe 
anime nella felicità avvenire, unico e supremo conforto nelle 
sventure e nelle lotte dolorose della loro vita. 

Qui ci troviamo condotti all'ultimo capitolo del volume, che 
porta per titolo: Questioni supreme. E sono davvero supreme le 
questioni ivi discusse. Leggendo queste ultime pagine vi si sente 
il soffio di una nuova vita, il risveglio di una sublime intelli- 


32 GIUSEPPE ALLIEVO — IL TESTAMENTO FILOSOFICO, ECC. 


genza, che s'innalza alla intuizione di nuovi cieli e nuova terra, 
l’anelito di una grand’anima, che sente pesare sopra di sè il 
mistero della vita e cerca la luce che lo riveli. 

Il grande pensatore, stanco del lungo e profondo medi- 
tare, prossimo al tramonto de’ giorni suoi, contempla lo scio- 
glimento del dramma della sua longeva esistenza ed interroga 
la propria coscienza intorno l’ora estrema, che lo attende. Es- 
sere 0 no: ecco il sommo problema. Chi mi dirà l’ultima parola 
intorno al grande mistero ? La fede o la ragione ? La religione 
o la scienza ? Il cuore o la mente? Che sarà di me al di là di 
questo mondo, che va scomparendo da’ miei occhi? Se l'io 
umano fosse niente più che una fantasmagoria di fenomeni, che 
spuntano e scompaiono come i flutti del mare, che si inseguono 
e svaniscono, la sua esistenza oltremondana non avrebbe ra- 
gione di essere. Ma chi sente di essere una realtà vivente, 
conscia e libera di sè, e nota le sue infinite aspirazioni, chi rico- 
nosce il valore assoluto della vita umana fondata sulla dignità 
della persona, costui scorge che al di là dei confini della vita 
presente si stendono nuovi e più sublimi orizzonti. Ed in questo 
al di là lo Spencer spinge il suo sguardo, sente la vanità del 
suo fenomenismo positivistico e riconosce che nell'intimo fondo 
di questo universo, in cui ci muoviamo e siamo, vive non già 
un Assoluto inconoscibile ed inpensabile, quale lo aveva conce- 
pito ne’ suoi Primi Principii, una specie di caput mortuum 
estraneo al mondo reale, bensì l’Infinito sussistente, motore su- 
premo ed intelligente di quanto esiste. Il nostro Leopardi aveva 
immaginato l’ Infinito siccome un oceano senza riva e senza 
fondo, dove sarebbe andato ad annegarsi il suo pensiero, e con- 
chiudeva : 


««E il naufragar m'è dolce in questo mare (1). 
Lo Spencer impaurisce davanti al naufragio della sua esi- 
stenza, e confessa che da parecchi anni l’idea dello spazio infi- 


nito ed eterno suscita in lui un'impressione di brivido e di 
sgomento, ripugnandogli che in quella indefinibile immensità 


(1) La poesia intitolata L’Infinito. 


GIAMPIETRO CHIRONI — DI UNA PETIZIONE, ECC. 33 


vada a smarrirsi l’individualità del suo io. Un altro poeta ita- 
liano ricordando il trapasso della sua compagna, cantava: 


O sotto a qual sembianza, e in quai contrade 
Dell’universo nuotino disgiunti 

Quegli atomi, ond’Elisa era composta, 
Riuniransi e torneranno Elisa? 

Chi seppe tesser pria dell’uom la tela, 
Ritesserla saprà (1). 


Io mando un riverente saluto ad Herbert Spencer, che nei 
Fatti e Commenti illuminò di nuova, splendida luce il lungo e 
glorioso suo lavorìo scientifico e lo coronò col presentimento di 
una vita, che non conosce tramonto. 


Di una petizione intorno al. divorzio 
presentata alla Camera francese. 


Nota del Socio GIAMPIETRO CHIRONI. 


A chiunque abbia pensato con sincerità intorno l'argomento 
del divorzio, s'è certo addimostrata in tutta la vanità sua la 
considerazione che si fa dell’essere questo istituto eccezione do- 
lorosa sì, ma necessario correttivo al concetto della indissolubilità 
del matrimonio. Or s’intende che tale riflesso sia usato, e molto, 
nel dibattito puramente dottrinale tra chi al divorzio asserisce 
così grande virtù da levare l’ordinamento famigliare a quell’al- 
tezza d’ideale che vorrebbe la società odierna, e chi lo avversa 
quale offesa al sentimento morale del nostro paese, qual peri- 
colo minacciante d’ immane rovina le ancor salde istituzioni 
famigliari nostre, s’ intende; nella lotta, anche l’ infingersi può 
parere buon accorgimento: può parere, diciamo, non essere, 
perchè l’indagine condotta a servigio di preconcetti onde sia 
già occupata la mente di chi la move, e con l’ animo fatto di 


(1) IeproLito Pinpemonte, I Sepoleri, a Ugo Foscolo. 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 3 


34 GIAMPIETRO CHIRONI 


DI 


voler dimostrare che il preconcetto è verità, non è ricerca 
onesta, nè buona. Ma che quel riflesso sia con serietà esposto 
in lavori legislativi vòlti a procacciare sollievo alle cosidette 
“ vittime dell’indissolubilità matrimoniale , (e più vero sarebbe 
dirle vittime di lor condannevole imprudenza, o dei loro vizî), 
non s'intende, non si giustifica: l’opera legislativa non dev'essere 
opera di parte disserente di questioni teoretiche, e deve svol- 
gersi, a ragion del fine suo, secondo criterì obbiettivi, fissati con 
l'osservazione profonda, sicura, dei bisogni della collettività. 
Or come si può, con severa maturità di convinzione, dire 
del divorzio ch'è soltanto mezzo di temperare il principio del- 
l’indissolubilità, il quale riman sempre elemento essenziale, costi- 
tutivo, del matrimonio? Ma certo, a parole si riesce a coordi- 
nare i due concetti, ponendoli nel rapporto di eccezione a regola: 
in realtà, se l'eccezione si riferisce alla regola, nel senso che in 
riguardo di speciali condizioni si hanno stati o momenti del- 
l'oggetto regolato ai quali non si può senza danno applicare la 
regola nella sua interezza, altrimenti avviene quando quel che 
si dice eccezione contiene invece un concetto al tutto opposto 
alla presunta regola. Allora s’' ha un principio contrastante ad 
altro principio: e se nel regolare il medesimo obbietto penetri 
dapprima con la veste bugiarda dell’ eccezione, in seguito, per 
necessità di cose, e in specie per la resistenza del mezzo in cui 
o su cui opera, può rimanere confinato nel breve termine con- 
cessogli: ma può anche per la modificazione che rechi al mezzo, 
render questo così consenziente a sè, da rimanerne scosso ed 
eliminato l’ altro principio di cui pur avrebbe dovuto soltanto 
limitare la virtù. Nè altra è, e nel fatto può essere, la rela- 
zione tra i due concetti dell’ indissolubilità e della dissolubilità 
del vincolo matrimoniale: il primo non è eccezione in riguardo 
al secondo, contenendo essi due affermazioni opposte, contraddi- 
centisi nell’ essenza loro, due principî contrarî cioè, i quali si 
potranno ben trovare e tenere in equilibrio nella legge, per 
matura sapienza di governanti e per virtù di governati; ma 
quest'armonia formata dall’arte di governo, non toglie l’incom- 
patibilità che ne separa la natura. E per tale intima ragione di 
disparità, l’equilibrio artificiosamente mantenuto è sempre gra- 
vemente minacciato da qualunque agente esterno che per poco 
vi operi su; e frutto com'è della politica, di quella, s’ intende, 


DI UNA PETIZIONE INTORNO AL DIVORZIO, ECC. i 35 


che si riduce ad essere arte di governo, ogni mutazione che ne 
cangi la instabile direzione, può romperlo. 

Quest’ urto, questa lotta è tra 1 due concetti su ricordati: 
non è possibile, secondo la logica ch'è nei fatti, tenere la dis- 
solubilità qual rimedio a certi casi in cui, per triste necessità 
di cose, pel profondo dissidio tra i coniugi, pare che alla società 
matrimoniale non si possa dar altro risanamento che sopprimen- 
dola; non si pensa che la ragione stessa cui s’informa la pretesa 
eccezione, l'ampiezza della finalità sociale che vi si contiene, im- 
porrà che non pel dissidio tra i coniugi secondo apparisce in date 
circostanze, ma ogni volta che questo profondo dissidio sia con- 
statato, la dissolubilità s’ impone. Quando si consideri che il 
carattere essenziale dell’indissolubilità data al matrimonio signi- 
fica, con alto fine di etica sociale, educazione dei coniugi a 
quell’intimità di vita onde le facoltà loro s’integrano, e si con- 
fondono poi in servigio della società famigliare constituita se- 
condo l’intento della civile convivenza: necessariamente si dovrà 
escludere che, pur com’ eccezione, il vincolo matrimoniale sia 
dissolubile. Ma quando invece si pensi, che la società famigliare 
è determinata dal reciproco affetto, vivo e profondo così, da 
indurre l’ intima consuetudo tra i coniugi; che tal sentimento, 
come cosa umana, può essere non perenne, e che mancando, 
per qualsivoglia causa venga meno, toglie la ragion della co- 
munanza; dove ciò si affermi, si potrà dir cosa che lascia 
un'istituzione di così grande importanza sociale com'è il matri- 
monio, in balìa allo spensierato capriccio, al freddo egoismo 
degl’individui, ma si dirà certo cosa ch'è illazione giusta, perchè 
diretta e necessaria, del concetto onde l’istituto del matrimonio 
trarrebbe la sua ragion di essere. Si potrà e dovrà condannare 
tal modo d’intendere la società coniugale, ridotta per esso a sem- 
plice unione secondo lo stato di natura; si potrà opporre, che 
la volontà sociale ha in sè il potere di regolare secondo il ge- 
nerale interesse la famiglia, e quindi il matrimonio per cui vien 
constituita; e sia: ma dicendo così, non si può impedire che 
accolto quel concetto non si cerchi di estenderlo giusta la na- 
tura intima sua, che non si combatta per esso, e pel rispetto mag- 
giore alla libertà individuale, l’artifiziosità di ogni limite imposto 
a frenarlo, e non s’insorga a proclamare la cessazione dell’affetto 
reciproco qual fine necessario della società coniugale, qual 
causa di divorzio. 


36 GIAMPIETRO CHIRONI 


Onde a chi scrive avvenne già di pensare (1), che il giu- 
stificare il divorzio ristringendolo a pochi casi, sia argomento 
errato, se prodotto onestamente, e peggio, se messo avanti ad 
arte. E se ne avea già prova nel fatto, che in occasione della 
formazione del Codice civile germanico, ogni accenno a limitare 
il novero dei casi determinanti lo scioglimento del matrimonio 
per divorzio, suscitò gravissime ire, d’indole a mezzo tra reli- 
giosa-storica e sociale; miglior dimostrazione se n’ ha ora, per 
quel che avviene in Francia. Dove un giudice, già noto pel suo 
atteggiamento curioso di vindice dell’equità naturale contro la 
legge positiva, che pur dovrebbe applicare, il Magnaud, pensò 
potersi, in contrario alla legge, provvedere il divorzio per mutuo 
consenso; e adesso è una petizione che, specialmente a cura dei 
fratelli Margueritte, letterati di noto valore, vien presentata. 
alla Camera francese: con la qual si chiede si possa pronunziare 
il divorzio non soltanto per mutuo consenso dei coniugi, ma 
per la unilaterale volontà di ognun di essi. 

Sarà accolta la petizione? Non pare: e ha sollevato anche 
tra i fautori del divorzio a termini ristretti, preoccupazioni 
gravi, e critiche acerbe. E, affrettiamoci a dirlo, in queste tarde 
paure, in queste postume resipiscenze, il torto è loro: la peti- 
zione è pur troppo lo sviluppo necessario del concetto della disso- 
lubilità, e mostra ch'è inganno il considerarla qual breve ecce- 
zione, con l’ estesa virtù che ha di principio presiedente alla 
costituzione del matrimonio. Ed è fatto storico che insegna ed 
ammonisce: chi ha finora tenuto per vero che il divorzio ben 
possa conciliarsi al concetto della indissolubilità, cui sarebbe 
sempre serbata generalità e dignità di regola, non può più 
illudersi, nè illudere: non v’è artificio di frase o elocuzione 
studiata che tolga il pericolo di agitazioni o di petizioni chie- 
denti sia riconosciuta la intera libertà di divorziare. Pericolo 
non vano, e che si svolge con la logica fatale che s’osserva nello 
svolgersi d’ogni errore iniziale: insito com'è nel principio stesso, 
che pur s’asconde sotto le apparenze insidiose di semplice ec- 
cezione. 

Or la speciale gravità della question del divorzio, esige 


(1) V. in “ Memorie della R. Acc. delle Se. ,, s. II, vol. LII, sed. 16 feb- 
braio 1902. 


DI UNA PETIZIONE INTORNO AL DIVORZIO, ECC. 37 


s’eviti di porla su termini equivoci: i quali potrebbero giovare 
non poco a far accogliere una riforma (chè tale, e non eccezione 
è il divorzio) contro di cui invano con grande difficoltà si ten- 
terebbe d’insorgere poi. Perchè la ripugnanza a mutar leggi 
come questa, è alimentata da due forti considerazioni dedotte 
dalla natura della legge, e dal carattere speciale che a tal ri- 
forma s’attribuisce: la legge, come freno all’arbitrio individuale, 
quando abbia allentato la sua stretta non può senza scosse e 
senza reazione della libertà, cui allargò il dominio, riprendere 
l’antica virtù: la riforma poi del divorzio, assunse, e male, il 
carattere di questione politica, quando è soltanto di etica sociale. 

Ai quali due ostacoli or s’abbatte il movimento che vor- 
rebbe insorgere ‘in Francia contro di essa: eccitato dai lavori 
del maggior istituto scientifico francese (1) e dalle considera- 
zioni che intorno all'applicazione della legge del 1884 son fatte 
da alti magistrati (2), richiamanti i giudici a tener l’istituto 
entro quei netti termini che il legislatore volle. Ed è bene che 
in Italia a questo grave movimento s’avverta, poichè vi passa 
inosservato, o quasi, e si sappia che mentre da noi si cita, 
tra gli altri, l'esempio della Francia per dire che anche nella 
sua legislazione civile venne introdotto il rimedio del divorzio, 
non sì tien poi conto delle ricerche recentissime che appunto 
in Francia si fanno intorno ai risultati della riforma: risultati 
tutt'altro che favorevoli, e sconsiglianti dall’ introdurla i paesi 
che ancor non l’avessero. 

Lo studio sul delicato argomento venne condotto dall’ Ac- 
cademia di scienze morali e politiche con metodo rigorosamente 
obbiettivo, col raffronto cioè dei motivi che nella formazione 
della legge del 1884 s’esponevano in favore della riforma, alle 
statistiche dal 1884 al 1900, rivelanti se in realtà quelle consi- 
derazioni avessero buona consistenza: e l’esperienza ne dimostra 
ora l’intera ed assoluta fallacia. Si credeva, come si crede da 


(1) “ Acad. des Sc. mor. et polit. ,, séances 17 et 24 mai 1902. Commun. 
de M" Lécranp et observ. de GLasson, in © Compt. rend. ,, 62° année, 1902, 
p. 335 et suiv. 

(2) © La Réforme soc. ,, 16 déc. 1895; Morizor-TarsauLt, La femme et 
le divorce (“ Congr. d’écon. soc. ,, séance 8 juin 1901); in “ Compt. rend. , 
cit., pp. 352, 353. 


38 GIAMPIETRO CHIRONI 


quanti reclamano la riforma in Italia, che il divorzio avrebbe 
e terrebbe sempre la natura di rimedio all’imperfezione della 
separazione, nè si cangierebbe mai in deplorevole abuso pertur- 
bante l’ordine delle famiglie; si diceva, con espressioni che si 
leggono ripetute, pressochè alla lettera, nei documenti parla- 
mentari accompagnanti la presentazione del progetto sul divorzio 
alla Camera italiana, essere il provvedimento “ stato di eccezione 
indispensabile sebbene dolorosa ,; si riteneva che i magistrati 
influissero coi loro giudizî a fissare negli animi l’eccezionalità e 
la severità del penoso, ma salutare rimedio; si sperava, s'avea 
certezza, che il divorzio non avrebbe aumentato sensibilmente 
il numero delle separazioni coniugali. Parole e speranze vane! 
be cifre mostrano come l’assai doloroso e niente’ salutare rimedio 
operò: le domande di divorzio da 1773 nel 1884 salirono nel 1900 
a 9309; le domande accolte da 1657 nel 1884 si accrebbero a 
7820 nel 1900. Vero è che una leggerissima diminuzione s’av- 
vertì nel confronto di questa cifra a quella riferentesi all'anno 
precedente, ma s’osserva a ragione, che il fenomeno nulla di 
costante può significare davanti ad un fatto nuovo: che, cioè, se 
diminuì il numero dei divorzi nella provincia della Senna, au- 
mentò invece in tutte le altre provincie della Francia, dove, 
tenendolo in rapporto ad ogni 10.000 abitanti, dal 3,8 ch'era 
nel 1885, si elevò al 5,3 per la popolazione urbana, e dal 0,70 
al 2,02 per la rurale. Ed altro fatto, socialmente gravissimo, è 
pure posto in risalto: che in confronto alle altre classi della 
popolazione, il numero dei divorzi si è considerevolmente accre- 
sciuto nella classe operaia, elevandosi da 1,666 ch'era nel 1885 
a 4,890 nel 1899, e in quella dei coltivatori della terra, che 
da 397 ch'era nel 1885 s’'innalzò a 837 nel 1891. 

Al qual fenomeno pauroso ch'è la facile dissoluzione delle 
famiglie degli operai e dei coltivatori, che dalla saldezza loro 
attingono i mezzi più efficaci per resistere alle strettezze e dif- 
ficoltà che le premono, altri risultati s’aggiungono, dimostranti 
come i rimedi attesi dal divorzio all’assetto dell’ordine fami- 
gliare, abbian fallito ad ogni speranza: per esso non aumentò, 
secondo si credeva, il numero dei matrimonî e delle nascite le- 
gittime; non diminuì il numero delle nascite dei figli naturali; 
non diminuì il numero delle condanne per adulterio, che anzi 
s'accrebbe da 371 ch’era nel 1883 a 1175 nel 1900; non di- 


DI UNA PETIZIONE INTORNO AL DIVORZIO, ECC. 39 


minuì il numero dei suicidi (pensandosi avrebbe il divorzio dato 
rimedio ai dolori famigliari), chè anzi s’elevò da 7,267 ch’era 
nel 1883 a 8,926 nel 1900. Ed è notevole che questo numero 
aumenta, dove è in aumento il numero dei divorzi (1). 

Nè meno grave è poi il fatto dell’esser venuto meno quel 
che s’era sperato fosse il miglior presidio volto ad impedire la 
degenerazione del divorzio da rimedio (!) in abuso: il contegno 
cioè dei Tribunali, che applicando severissimamente la legge, 
avrebbero fatto rilevare quanto penoso fosse l'estremo provve- 
dimento del divorzio. In realtà, questo “ rimedio , penetrò tal- 
mente nei costumi, che i Tribunali vennero indotti ad applicare 
la legge non interpretandola, ma estendendola a casi che pur non 
v'erano compresi: e trascorrendo a sentenziare il divorzio con 
così grande facilità, e quasi indifferenza, da parer cosa strana 
allo stesso Guardasigilli. Al qual riguardo, non si può trascu- 
rare la testimonianza, autorevolissima, di Morizot-Thibault (2), 
che per più anni tenne officio di pubblico ministero alla IV sez. 
del Tribunale civile della Senna, ove in una sola udienza ven- 
nero pronunziati 294 divorzi (3): osserva egli, che i Magistrati 
accolgono quasi con fretta le domande di divorzio, e respingono 
facilmente quelle di semplice separazione: e del procedimento 
giudiziale nelle cause di divorzio, e dell'importanza grave che 
dovrebbe avere, dice, che se nel discutere di muri comuni i 
patrocinanti sviluppano a lungo le proprie ragioni di contesa, 
altrimenti avviene delle cause di divorzio, dov’è semplicemente 
question di rompere un'unione, e di sciogliere una famiglia (4). 

Dinanzi ai quali risultati, così fatali all'ordine famigliare ed 
alla civil comunanza, parrebbe condannevole esitanza quella di 
non chiedere senz'altro l’abrogazione della legge del divorzio: 
eppure si constata che quest’abrogazione non è possibile, e s’os- 
serva “ che uno tra i maggiori mali del divorzio è questo del non 
“ poter un paese liberarsene quando lo si è inoculato nella legge, 
“ ed è poi passato nel costume , (5). 


(1) Léeranp, Commun. cit. 

(2) Morizor-Tarraurr, Commun. cit. 
(3) Ibid. 

(4) Ibid. 

(5) Léeranp, Commun. cit. 


40 GIAMPIETRO CHIRONI — DI UNA PETIZIONE, ECC. 


Gioverà la conoscenza di questi studî e voti al paese nostro, 
dove la questione del divorzio è discussa nei lavori legislativi 
iniziati su di essa, coi medesimi termini che valsero alla Francia 
la legge del 1884, dimostrata, dopo un ventennio di prova, 
esizialissima? Speriamolo: e speriamo pure, per giusta estima- 
zione nostra, che conoscendoli si smetta di sostenere come buona 
la riforma del divorzio con gli argomenti retoricamente falsi 
del trattarsi di una “ mera eccezione ,, di un “ rimedio doloroso, 
ma salutare ,: nè s’asserisca più, secondo da qualcuno s'è fatto, 
che nei paesi dov’ è in vigore il divorzio, mai s'è pensato a 
reclamarne l’abolizione. E dire, che ben facilmente si potrebbe 
conoscere perchè ciò non s'è fatto e non si può fare in Francia, 
e come tuttavia gli studiosi francesi pensino e propongano mezzi 
di riparo: e che si potrebbe pur inferire dalle statistiche della 
Germania, dell’Inghilterra, della Svizzera, e ancor del Belgio e 
dell’ Austria, che il numero dei divorzi vi è in continuo aumento: 
basterebbe a ciò, potere e saper studiare con animo scevro da 
preoccupazioni politiche. ; 


L’Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


41 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 30 Novembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO CONTE TOMMASO SALVADORI 


DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Soci: Berruti, NaAccaRrI, Mosso, SPEZIA, 
CamerANO, Segre, Foà, GuarescHI, Gui, FrLeti, MATTIROLO, 
MoreRrA e D’Ovipio Segretario. 

È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente. 

Il Segretario comunica una lettera del Socio non residente 
VoLTERRA, che accettò l’incarico di rappresentare l'Accademia 
alle feste centenarie in onore di Henrik ABeL in Cristiania, e 
che infatti ivi si recò all'uopo dal 5 al 7 settembre u. s. 

Indi partecipa la morte del Socio non residente prof. Ric- 
cardo Felici, avvenuta il 23 luglio u. s.; del Socio straniero 
Rodolfo VircHow, avvenuta il 5 settembre u. s.; e del Socio 
corrispondente Agostino Alessio DAamouR, avvenuta il 22 set- 
tembre u. s. Questi insigni scienziati appartenevano all’Acca- 
demia rispettivamente dal 1896, dal 1889 e dal 1898. 

Pervennero in omaggio all'Accademia: 

dal Socio MattIRoLo un opuscolo: In memoria di Giu- 
seppe Gibelli; 

dal Comitato per le onoranze a Francesco BrroscHi, il 
secondo volume delle Opere matematiche di esso BRIoscHI: 

dal Socio corrispondente CeLorIA un discorso: I? concetto 
del mondo nell’astronomia moderna; 

dal Socio corrispondente RienHi una memoria: Sui feno- 
meni acustici dei condensatori; 


42 


e dal Socio corrispondente Veronese una nota: Les po- 
stulats de la Géométrie dans l’enseignement. 
Il Socio Foà, avendone avuto invito dalla Presidenza, pre- 
senta e legge la commemorazione di Rodolfo VircHow da lui 
scritta, e che sarà pubblicata nel volume delle Memorie. 


Il Socio SeerE offre, a nome dell’ autore prof. E. PAScAL, 
il manuale: / gruppi continui di trasformazioni: parte generale 
della teoria, e ne discorre. 


Lo stesso fa il Socio Foà della nota: Ueber die oberflcichlichen 
Nervenkerne im Marke der Vogel und Reptilien, di A. K6LLIKER, 
Socio straniero dell’Accademia. 

Ed il Socio GuaREscHI fa omaggio del suo scritto: Faustino 
Malaguti e le sue opere, ricordando che MALAGUTI fu Socio dell’Ac- 
cademia di Torino. Fa notare l’importanza di alcune lettere di 
MaLaGuTI a GeRHARDT, che ora egli pubblica per la prima volta; 
rileva inoltre l’ importanza dei lavori di MaLaGuTI sugli equi- 
librii chimici, e come in questo campo di studii, che ora ha 
assunto fondamentale importanza, il MaLaGuTI abbia precorso i 
tempi. Questo nostro connazionale ha esercitato una notevole 
influenza sui progressi della Chimica dal 1835 al 1860. 

Il Segretario comunica che dopo l’ adunanza precedente, 
tolta in segno di lutto per la morte del compianto Presidente 
Cossa, furono consegnate alla Segreteria: 

una nota del Socio PrANo: La Geometria basata sulle idee 
di punto e distanza; 

una memoria del Socio Foà: Sulla produzione cellulare 
nell’infiammazione e in altri processi analoghi; 

una memoria del Socio Gurpi: L'arco elastico senza cerniere; 

ed una memoria del Socio MoreRrA: Sull’integrazione delle 
equazioni ai differenziali totali del secondo ordine. 

La Classe accoglie a voti unanimi queste tre Memorie nelle 
sue pubblicazioni. 

Finalmente viene accolta per l'inserzione negli Atti la nota: 
Sulla rappresentazione delle forme, ed in particolare della cubica 
quinaria, con una somma di potenze di forme lineari, del profes- 
sore Fr. PALATINI, presentata dal Socio SEGRE. 


I Te 


FRANCESCO PALATINI — SULLA RAPPRESENTAZIONE, ECC. 43 


LETTURE 


Sulla rappresentazione delle forme 
ed in particolare della cubica quinaria 
con la somma di potenze di forme lineari. 


Nota del Prof. FRANCESCO PALATINI. 


Della generalizzazione del pentaedro di Sylvester nello 
spazio a quattro dimensioni si è occupato il prof. E. Ascione (*), 
il quale trova che il luogo dei punti di S,, la cui quadrica polare 
rispetto ad una data varietà cubica U di dimensione 3 degenera 
in un l-cono, è una curva y di ordine 20 (**) doppia per la 
Hessiana della varietà, e che gli assi degli 00! 1-coni così risul- 
tanti sono quadrisecanti della y e formano una rigata È appar- 
tenente alla Steineriana, che nel nostro caso coincide con la 
Hessiana. Per ogni punto di y passano quattro rette di R. Nella 
presente Nota, premesse alcune considerazioni generali, che po- 
trebbero servire di base a più ampie ricerche sulla rappresen- 
tazione delle forme con la somma di potenze di forme lineari, 
e fatto notare come il metodo qui esposto si presti comoda- 
mente alla trattazione dei casi finora risolti relativamente a 
questo argomento, mi propongo in ispecial modo di esaminare 
quale sia il minimo numero di cubi con la somma dei quali 
possa rappresentarsi la cubica quinaria generica. 


1. — Nello spazio S, si considerino le varietà V di dimen- 
sione r— 1 ed ordine x, le quali formano un sistema lineare di 


(*) Sulla Hessiana di una varietà nello spazio a quattro dimensioni, 
“ Giorn. di mat. ,, vol. XXXI, 1893. 

(**) Cfr. anche Srare, Gli ordini delle varietà che annullano i determi- 
nanti dei diversi gradi estratti da una data matrice, “ Atti Ace. Lincei ,, 1900. 


44 ° FRANCESCO PALATINI 


(41)... (+7) 

rl 
mente coi punti di S,. Allora i punti di Sn che corrispondono 
alle o” varietà che si riducono ognuna ad un iperpiano di $S, 
contato n» volte, formano una varietà (normale, razionale) di 
dimensione » e ordine n", che indicheremo con M, la quale altro 
non è che la varietà di S,, rappresentata in S, da tutte le va- 
rietà di dimensione r — 1 e ordine » di questo spazio (cioè la 
varietà le cui sezioni iperpiane hanno per corrispondenti in $, 
le varietà di dimensione » — 1 ed ordine x). Ora l'equazione di 
una V generica si potrà porre sotto la forma 


dimensione m = — 1, e si rappresentino linear- 


(1) a, A" _ Ao 9 _ coSC - ax Ai =.0 


dove le A sono forme lineari di dimensione r (cioè di r 4 1 
variabili) fra loro indipendenti, quando (e solo allora) conside- 
rando tutti i sistemi lineari della forma 


(2) NAT A+... 4 Xk =0 


essi comprendono tutte le V. Riferendoci alla rappresentazione, 
menzionata in principio, delle forme V coi punti di Sn, al si- 
stema (2) corrisponde in Sn uno spazio di dimensione & —1 
determinato dai % punti della M corrispondenti alle varietà 
Xi=0, ..., Xx =0, ed al fatto che considerando tutti i sistemi 
della forma (2) essi comprendono tutte le V, corrisponde il fatto 
che gli spazi di dimensione % -— 1, ognuno dei quali è determi- 
nato da % punti della M, riempiono l’S,; dunque l'equazione di 
una V generica si potrà porre sotto la forma (1) quando (e 
solo quando) per ogni punto di S, passa almeno un $$, che 
sia secante della M (*). i 

Il metodo qui esposto conduce nel caso delle forme binarie 
subito alle note conclusioni, come si vede applicando il teorema 
sugli spazi secanti delle curve razionali normali. “ Per un punto 
di un S, passano co"! spazi S,_, secanti di una C? normale; 
ciascuno di questi spazi è determinato da p — 2s + 1 delle sue 


(*) In questo scritto per spazio di dimensione / secante una data varietà 
qualsiasi intenderemo sempre uno spazio che abbia con questa 741 punti 
in comune. 


SULLA RAPPRESENTAZIONE DELLE FORME, ECC. 45 


intersezioni con C?, essendo 28 — 1<p , (*). Per far vedere 
poi come esso sì presti comodamente alla trattazione dei casi 
fin qui risolti della possibilità di esprimere una forma generica 
di ordine » come somma di un dato numero di ®© potenze, mi 
limiterò ad accennare al caso che apparisce meno facile. Si 
faccia "= 3, n= 4, quindi m = 34; la M è dell'ordine 64. Con- 
sideriamo la rappresentazione univoca dei punti di M con quelli 
di Ss. Ad una superficie del 4° ordine di S3 corrisponde allora 
una sezione iperpiana di M; se quella superficie si scinde in due 
quadriche @, 0', aventi perciò in comune una C4 di prima specie, 
la corrispondente sezione iperpiana di M si scinde in due su- 
perficie Y, F' di ordine 32 e aventi in comune una C'5 ellittica 
normale appartenente ad un $;;. Se sono di dimensione « gli 
spazi cui appartengono /, E, dev'essere 2r—33=15 e quindi 
x= 24. Ora presi sulla M nove punti generici, essi individuano 
in questa una F?? corrispondente ad una quadrica di S} é ap- 
partenente ad un Ss. Ne viene che gli spazi ad 8 dimensioni 
che sono secanti della M, essendo situati negli 00° spazi S,, che 
contengono le #3? corrispondenti alle quadriche di 8} e che com- 
plessivamente hanno 0083 punti, non riempiono $34, e perciò ne 
segue che la forma biquadratica quaternaria generica non è 
rappresentabile con la somma di 9 quarte potenze (quantunque 
questa somma contenga una costante di più di quelle che en- 
trano nella espressione di una forma biquadratica quaternaria 
generica), come per altra via ha dimostrato il Reye. Non mi 
fermo poi qui a considerare il caso della quartica ternaria, 
giacchè questo si tratta in modo identico a quello che ora se- 
guiremo per la cubica quinaria. 


2. — Prendiamo adesso il caso, che forma l’oggetto prin- 
cipale di questa Nota, di r=4, n=3, quindi m =34; la M è 
dell'ordine 81. Parrebbe che la forma cubica quinaria generica 
fosse rappresentabile con la somma di 7 cubi (stantechè sono 35 
le costanti arbitrarie che entrano in questa somma, come ap- 
punto nell’espressione d’una cubica quinaria generica), come la 


(*) CasreLnuovo; Studio dell’'involuzione generale, ecc., “ Atti Ist. Ven. ,, 
1886. V. anche F. Deruyrs, Sur la théorie de l’involution, “ Bull. de VAc. 
royale de Belgique ,; 1887. 


46 FRANCESCO PALATINI 


cubica quaternaria generica lo è con la somma di 5 cubi; ve- 
dremo però tosto che ciò non avviene. Considerando la rappre- 
sentazione univoca dei punti della M con quelli di $,, e preso 
in S3 un & determinato da 7 punti generici di M, questi 
7 punti individuano sulla M una curva normale di ordine 12 
corrispondente alla quartica determinata in S, dai 7 punti che 
corrispondono a quelli sopra fissati. Ne segue che gli Sy che sono 
secanti di M trovansi contenuti negli c0?! spazi di dimensione 12 
cui appartengono le curve normali di ordine 12 di M corrispon- 
denti alle 00?! quartiche normali di S,. Si vede adunque che 
gli S; in discorso riempiendo soltanto quegli 00?! Ss (per ogni 
punto di uno di questi passano 00! S; seganti la C!? che gli appar- 
tiene), i quali contengono complessivamente 0083 punti, non riem- 
piono $34. Possiamo così concludere che la forma cubica quinaria 
generica non è rappresentabile con la somma di sette cubi. 

Preso un punto dell’S,, in cui è immersa una delle 0021 C12 
sopra considerate, per esso passano rispettivamente 001, 008, 


00 5; ..., co! spazi Sg, 97, Sg, -.., Si, secanti di quella C!2, e gli 
00 !, 008, ... gruppi di 7, 8, ... punti che così risultano sulla C12 
formano involuzioni dei ranghi 1, 3, ..., come tosto risulta dal 


teorema sugli spazi secanti delle curve razionali normali men- 
zionato poco sopra. Interpretando ciò in S,, considerando i punti 
di M come corrispondenti alle cubiche ridotte a iperpiani tripli, 
si ha che la varietà cubica 


(3) ai + a, A+... +43 =0 


si può rappresentare rispettivamente in 00!, 008, ..., c0!! modi 
con un'equazione il cui primo membro sia somma di 7, 8, ..., 12 cubi 
di forme lineari che uguagliate a zero rappresentino iperpiani 
osculatori alla curva del quarto ordine a cui sono osculatori gli 
iperpiani rappresentati dalle equazioni A,=0, A3=0, .... A4A7=0(?). 


(*) Chi volesse fare su questo argomento uno studio analitico non ha 
che da seguire la via tenuta dal prof. BeLtrAMmi nella Nota: Sull’equazione 
pentaedrale della superficie di terz’ordine, “ Rend. Ist. Lombardo ,, serie 2°, 
vol. 12, 1879, via che può anche seguirsi per la quartica ternaria. I risul- 
tati poi che abbiamo ottenuto per la cubica quaternaria rappresentabile 
con la somma di 7 cubi sono suscettibili di una generalizzazione immediata, 
giacchè applicando senza modificazioni di sorta la via da noi seguita, si 


SULLA RAPPRESENTAZIONE DELLE FORME, ECC. 47 


Il caso di r= 2, n=4 si tratta in modo completamente 
analogo, arrivando tosto alla nota conclusione che la forma 
quartica ternaria non è rappresentabile con la somma di 5 bi- 
quadrati (*). Si ha poi che la quartica per la quale si annulla 
l’invariante B di Clebsch, si può rappresentare rispettivamente 
in c0!, 005, 005 00° modi con un'equazione il cui primo membro 
sia la somma di 5, 6, 7, 8 biquadrati di forme lineari, le quali 
eguagliate a zero rappresentano rette di un medesimo inviluppo 
di seconda classe, ecc. (**). 

Tornando al caso della cubica quinaria abbiamo che la (3) 
ha per Hessiana una varietà H del quinto ordine passante per 
i 35 spigoli dell’ettaedro A,= 0, A43=0,..., A7=0, spigoli che 


giunge subito alla conclusione: Nello spazio Sa si considerino le varietà /_, 
di dimensione d — 1 e ordine x; allora: 1° se nd è pari ogni F_; che sia 


£ . nd , i } 
rappresentabile con la somma di 5 +1 potenze n®° di forme lineari che 


eguagliate a zero rappresentino iperpiani osculatori ad una data C°, è rap- 
presentabile rispettivamente in 00', pi ri ui modi con un'equazione il 


cui primo membro sia la somma di —-- CINE “—“ cpp 2,..., nd potenze n° 
di forme lineari tali che eguagliate a zero Mitac iperpiani oscula- 
tori a quella C4, ed i gruppi di E 1, ..., nd iperpiani che così risultano 


formano rispettivamente involuzioni di rango 1, 3,..., nd — 1; inoltre 
questa F”_, è rappresentabile mediante la somma delle n®® potenze di un 


gruppo di qualsiansi forme lineari che eguagliate a zero rappresentino iper- 
piani osculatori alla C°, quando questo gruppo si componga di più di nd 
forme; 2° se nd è dispari, ogni F}_, che sia rappresentabile con la somma 


nd +1 
2 

sentino iperpiani osculatori ad una C°, è pure rappresentabile rispettiva- 

mente in 00%, 00%, ..,, co”! modi con la somma delle »®® potenze di 


sit marci up srl 


cn ‘ceto alla €“; ecc. Come si vede siamo nel caso contemplato 
dal teor. delle pag. 378-79 della Apolaritàt und Rationale Curven di F. Meyer. 
(*) CLessca, Ueder Curven vierter Ordnung, * Crelle ,, vol. 59; Liirora, 
Einige Eigenschaften einer gewissen Gattung von Curven wierter. Ordnung, 
“ Math. Ann. ,, I; ScnerrER, Ueder tern. big. Formen, * Ann. di mat. ,, 
serie 2*, vol. 10. 
(**) Liirorg, l. c. 


delle potenze n°° di forme lineari che eguagliate a zero rappre- 


+2, ..., nd forme che eguagliate a zero rappresentino 


48 FRANCESCO PALATINI 


sono rette della superficie È, nella quale sono inscritti, allo stesso 
modo di quello, co! ettaedri le cui facce inviluppano una curva 
normale del quarto ordine, formando un’involuzione di grado 7 
e rango 1, per cui mai due di quegli ettaedri hanno una faccia 
comune. I vertici di tutti questi ettaedri sono punti della Y 
nella quale dunque questi trovansi tutti inscritti (*). Fissata 
una faccia piana dell’ettaedro 4,= 0,..., A7.=0 (comune a due 
suoi iperpiani), o di uno qualsiasi degli co! sopra trovati, i ri- 
manenti cinque iperpiani la segano in un pentalatero completo; 
dunque le rette di & trovansi distribuite 5 a 5 in co! piani; 
le 5 rette poste in uno di questi costituiscono la completa in- 
tersezione di esso con la H, la quale ammette quindi co! piani 
decatangenti coi punti di contatto vertici di un pentalatero com- 
pleto. Uno degli iperpiani dei nostri ettaedri contiene 20 vertici 
(in conformità col fatto che la y è di ordine 20), per un ver- 
tice passano 4 spigoli (in conformità col fatto che per ogni 
punto di y passano quattro rette di È) e ogni spigolo contiene 
4 vertici (in conformità col fatto che ogni retta di È è quadri- 
secante di vY). 

Dopo queste considerazioni è facile vedere che soltanto gli 
co! ettaedri sopra trovati esistono analoghi ad Aj=0,..., 47=0, 
giacchè altrimenti per ogni punto generico di y verrebbero a 
passare più di 4 quadriseganti della medesima; cosicchè risulta 
"che ad ogni varietà cubica del tipo (3) riesce associata un’unica 
quartica normale, e che tutte le varietà di quel tipo che sono 
associate ad una data C* formano un sistema lineare di dimen- 
sione 12 (corrispondente all’ S,3 cui appartiene la C!? che su M 
rappresenta quella C4). Di qui deriva ancora che per ogni punto 
generico di uno dei nostri 00?! S,, non passano altri di sif- 
fatti S,s (altrimenti alla cubica del tipo (3) corrispondente a 


(*) Tutto ciò discende dalle considerazioni precedenti insieme al fatto 
che la quadrica polare di un vertice dell’ettaedro A,="0, ..., A;="0 rispetto 
alla a4%, +... + 474%= 0 è un 1-cono avente per asse lo spigolo opposto. 
Difatti la quadrica polare di un punto x; ha per equazione 444% +... 
+ a; A4'34°;= 0, indicando con A" il valore che prende Ax per ri= i. 
Prendendo per punto xi quello comune ad Ayj=0,..., A4=0, la quadrica 
polare di esso ha per equazione a; 45 4°; + ag454% + @74'74%=0, che rap- 
presenta appunto un cono di seconda specie avente per asse la retta co- 
mune ad A;=0, 4=0, 4,=0. 


SULLA RAPPRESENTAZIONE DELLE FORME, ECC. 49 


quel punto riuscirebbero associate più quartiche), il che prova 
che gli 0083 punti di tutti questi Ss formano una varietà K di 
dimensione 33. 


3. — Si abbia ora un punto generico X della M, al quale 
corrisponderà dunque in $, una varietà Xî =0, essendo X, 
una forma lineare, ed un punto generico A della KX, a cui cor- 
risponde quindi una varietà l'equazione della quale può porsi 
sotto la forma a; Aî + .. + a; Af = 0; ed alla retta XA corri- 
sponde il fascio 


(4) a: 4° +... + a 49-+XX3=0 


essendo ) un parametro. Affinchè una varietà di questo fascio, 
diversa da quella che si ha per \==0, sia tale che la sua equa- 
zione possa ridursi sotto la forma 0,Bî + ...+è;Bî =0, bisogna 
che gli iperpiani A,=0,..., A;= 0, X,=°0 siano osculatori ad 
una medesima quartica normale, cioè che i punti corrispondenti 
ad Aî= 0,..., A=0, Xî=0 appartengano alla C!? che  cor- 
risponde a quella quartica, e che quindi il. punto di 83, che 
rappresenta l’anzidetta varietà si trovi nell’ 5,3 cui quella C1? 
appartiene; allora in questo 8,» trovasi la retta XA. Dunque 
se la retta XA ha, oltre ad X, A, un altro punto sulla K, essa 
appartiene a questa. Ne segue che ogni retta generica uscente 
da un punto della M incontra la X ulteriormente in un solo 
punto. 

Data ora una varietà cubica generica U, = 0, sia U il 
punto che le corrisponde in Sy e sulla M si fissi ad arbitrio 
un punto generico X; allora la retta XU incontra X in un solo 
punto A, cioè incontra in un punto A uno solo dei nostri Sg 
cui appartiene una determinata Cl! Se per A si conduce uno 
degli 00! S; secanti di questa C!, esso con X determina un S, 
passante per U, cosicchè la U,=0 è rappresentabile con un’equa- 
zione del tipo i 


(5) a dî È eso L ar di d mXî — 0 


essendo Aî=0,..., 4Aj=0, Xî=0 le forme corrispondenti ai 
7 punti d'incontro del detto S con C12 ed al punto X. Dopo 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 4 


50 FRANCESCO PALATINI — SULLA RAPPRESENTAZIONE, ECC. 


ciò si può raccogliere immediatamente la conclusione: Una cubica 
generica di S, è rappresentabile con un'equazione della forma (5); 
uno degli 8 iperpiani, p. e. X1=0 dell’ottaedro di riferimento può 
esser preso ad arbitrio (in modo generico), dopo di che resta de- 
terminata la forma Xî che deve entrare nell'equazione ed una quar- 
tica normale alla quale devono essere osculatori gli altri 7 iper- 
piani (i quali possono esser fissati in 00! maniere, cosicchè gli 
co! gruppi che in tal guisa si ottengono formano un’involuzione), 
e fissato uno di questi, p. e. A7= 0, restano pure determinati gli 
altri sei Ag==0, A5=0,..., Ay}=0 ed anche i coefficienti che de- 
vono avere nell'equazione Aî, Aî, ..., A}, quando siasi fissato quello 
che vuolsi attribuire alla Xî (*). 

Se poi non è fissato nessuno degli iperpiani A4j=0,..., 
Ax= 0, Xx=0, allora una data cubica generica può rappre- 
sentarsi in 00° modi con un’equazione della forma (5). Ognuno 
degli ottaedri di riferimento è inscritto nella Hessiana per guisa 
che questa passa per i suoi vertici, poichè la quadrica polare 
di ognuno di questi è un cono di prima specie il cui punto 
doppio è il vertice dell’ottaedro opposto a quello considerato. 

Finirò col notare che il metodo seguito in questa Nota, 
sull'argomento principale della quale attirò la mia attenzione 
il prof. Segre, fa sperare, data la speditezza con la quale con- 
duce alle conclusioni ottenute, di poter raggiungere risultati di 
una qualche generalità sul numero di potenze n° necessario e 
sufficiente per esprimere una forma generica di ordine n. Al 
conseguimento di questo scopo non mancherò di rivolgere qualche 
tentativo. 


Torino, novembre 1902. 


(*) Si noti l'analogia di questo risultato con quello cui arriva il Reye 
per la forma quaternaria biquadratica (Darstellung quat. big. Form, ece., 
“ Crelle ,, vol. 78). Di più si osservi che risultato affatto analogo vale per 
la forma ternaria biquadratica nel senso spiegato nel n° 2. A questo riguardo 
sì confronti ScHERRER, l. c. 


L’Accademico Segretario 
EngrIco D’Ovipio. 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 7 Dicembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ERMANNO FERRERO 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Soci: Rossi, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, CARLE, 
Brusa, CHIRONI e ReNIER Segretario. 

È approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 23 no- 
vembre 1902. 

Il Presidente è lieto di annunciare che il Vice-presidente 
PeyRron può dirsi ristabilito in salute e che ha solo bisogno di 
tenersi riguardato in casa ancora per qualche giorno a motivo 
della stagione inclemente. 

Il Socio CHironi chiede che dall’ufficio di Segreteria del- 
l'Accademia sia richiesta al Ministero di Grazia e Giustizia la 
relazione sul progetto di legge riguardante il contratto di lavoro 
ed i contratti agrari. — Il Presidente accoglie la domanda. 

Il Socio Brusa, informato che il Dr. Dionisio ANZILOTTI 
fece omaggio all'Accademia del libro: I mutamenti nei rapporti 
patrimoniali fra coniugi nel diritto internazionale privato (Firenze, 
tip. Bonducciana, 1900, pp. xt, 196), stima opportuno dirne le 
seguenti parole. 


Anche in questa opera l’autore fa prova del suo acuto in- 
gegno, della sua coltura giuridica e del rigore logico de’ suoi 
ragionamenti. In sostanza egli si propose di sottoporre a una 
revisione critica i principii o criterii fondamentali della compe- 
tenza legislativa, specialmente in tema di mutamenti nei rap- 
porti patrimoniali fra coniugi, ponendo mente a che giammai 


52 


le idee e i criterii del diritto privato interno s’intromettano 
nel diritto internazionale privato, intromissione abituale ancora 
e nella dottrina e nella pratica; nelle quali genera confusioni 
e presupposti contrari a una giustificazione veramente giuridica 
della regola della immutabilità del regime patrimoniale legale 
nei cangiamenti che tengano dietro alla celebrazione del matri- 
monio, sia nella cittadinanza de’ coniugi oppure nel loro domicilio. 

Questa regola non può dunque trovar base nè nella teoria 
del contratto tacito, nè in quella che considera i rapporti pa- 
trimoniali legali fra coniugi, quale un effetto immediato e ne- 
cessario della legge: le sono teorie prese a prestito dal diritto 
interno e inette alla giustificazione di una regola di diritto in- 
ternazionale. Ben è vero che una parte notevole dei contem- 
poranei giuristi italiani (e l’autore ne fa richiamo a loro onore) 
hanno utilmente preso questa seconda teoria, come punto di 
partenza per un criterio fondamentale di competenza legislativa 
vero e fecondo, qual è quello dell’unità organica e indissolubile 
della famiglia. Ma ciò non basta ai bisogni scientifici e pratici, 
ove non siano invocate in appoggio della tesi anche le ragioni 
storiche e teoretiche della formazione di codesto criterio, e so- 
pratutto ove non siano impedite le indebite filtrazioni del diritto 
interno nel diritto internazionale. 

Bandita la teoria contrattuale e quella della volontà impe- 
rativa della legge, e del pari messi in disparte i sistemi misti 
o intermedii, ripudiata tanto la pretesa di applicare la legge 
regolatrice della forma del contratto matrimoniale, quanto l’o- 
pinione che riduce la questione a un caso di capacità personale, 
l’autore passa a dimostrare l’efficacia esterritoriale delle leggi 
che permettono o vietano le modificazioni convenzionali dei rap- 
porti patrimoniali fra coniugi, tenendo conto delle disposizioni 
del diritto italiano, e discorre poscia degli effetti del cambia- 
mento di cittadinanza dei coniugi sulla mutabilità convenzionale 
di tali rapporti, e più specialmente del valore che va attribuito 
non alla sola teoria contrattuale posta a giustificazione della 
immutabilità del regime patrimoniale nonostante quei cambia- 
menti, ma altresì alle ragioni di ordine pratico addotte spesso 
in difetto di profonde indagini scientifiche, 

Giunto per tal modo a conchiudere negativamente sui fon- 
damenti giuridici razionali che alla regola dell’immutabilità ven- 


93 


nero e vengono dati dalle teorie della sottoposizione volontaria 
e della presunta volontà della legge, l’autore con sottile e sicura 
analisi dimostra che la regola stessa non ha valore scientifico 
di per sè, ma unicamente alla condizione di tradursi in que- 
st'altra: “ dovere la legge posteriormente acquistata dai coniugi 
rispettare i diritti acquisiti in conformità della legge, o delle 
leggi, a cui i coniugi stessi furono soggetti nel tempo anteriore, 
secondo i principii del diritto internazionale , (p. 106). 

Tale conclusione racchiude a un tempo quel concetto che 
è l'essenza vera della immutabilità e il limite giuridico entro 
cui questa va contenuta affinchè non degeneri in un rigido 
formalismo. Infatti fra i suoi effetti l'impero di una legge im- 
plica pur quello di attribuire agli individui taluni diritti il cui 
disconoscimento è poi vietato alla legge stessa, dal momento 
ch'essi si sono tradotti in realtà pratica; da quel momento per 
ragione di giustizia essi vengono considerati come irrevocabili 
di fronte ai subietti che ne furono investiti. Sono diritti che la 
legge dello Stato del quale i coniugi sono diventati cittadini, 
deve rispettare quali diritti ormai acquisiti, e ciò non solamente 
perchè altrimenti agendo violerebbe il diritto subiettivo dei pri- 
vati, quanto piuttosto perchè ne verrebbe offesa a quello stesso 
diritto internazionale, il quale affermando la competenza della 
legge anteriore, impone altresì di riconoscere tutti gli effetti 
giuridici che legalmente ne derivarono. Ed è la legge dello 
Stato al quale i coniugi appartengono o in cui sono domiciliati 
al tempo in cui sorge la questione circa l’esistenza o meno del 
diritto acquisito, quella appunto che ne deciderà, senza che per 
questo abbia da escludersi la possibilità che in uno svolgimento 
ulteriore del diritto internazionale abbia questo stesso diritto 
a determinare direttamente quali debbano dirsi diritti acquisiti. 

È una conclusione semplice che sembra intuitiva, tanto è 
chiaramente dedotta dalla natura e funzione del diritto inter- 
nazionale. Pur nondimeno l’autore nel pervenirvi fu costretto 
ad allontanarsi ben di frequente da opinioni quasi universal- 
mente accolte; ciò che spiega quella stessa apparenza d’incon- 
tentabilità ipercritica che taluni vollero scorgere ne’ suoi ragio- 
namenti rigorosi e serrati. 


L’ Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


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CLASSI UNITE 


Adunanza del 14 Dicembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ERMANNO FERRERO 
DIRETTORE ANZIANO DI CLASSE 


Sono presenti i Soci: 

della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: 
SaLvaporIi, Direttore della Classe, BerRutI, D’Ovipio, NACCARI, 
Mosso, Spezia, CAmerANO, SEGRE, Prano, JADANZA, Foà, Gua- 
REscHI, Guipi, FrLeti, PARONA, MATTIROLO, MorERA e GRASSI; 

della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
Rossi, BoLLati pi SAIrNnT-PrerrE, Pezzi, CARLE, GRAF, CIPOLLA, 
Pizzi, CHIRONI e RENIER Segretario. 

È approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 16 no- 
vembre 1902. 

Il Vice Presidente PeyRon si scusa di non poter intervenire 
per motivi di salute all’adunanza ed invia un saluto ai colleghi. 

È comunicata la lettera di condoglianza che in nome del- 
l'Accademia fu fatta pervenire alla famiglia del rimpianto Pre- 
sidente ALronso Cossa, e la lettera con cui la signora Gina Cossa 
Panizza, vedova del defunto, ringraziò l'Accademia. Sono pure 
comunicate altre condoglianze per la perdita del Presidente Cossa, 
pervenute dopo l’ultima adunanza plenaria. 

Il Socio Grar legge la relazione della Commissione per il 
premio Gautieri di Letteratura (triennio 1899-1901). La rela- 
zione, che è inserita negli Atti, propone la divisione del premio 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII, 5 


56 


in due parti uguali, di cui luna sia conferita a Francesco 
D’'Ovipio per gli Studi sulla Divina Commedia e 1 altra ad 
Antonio BeLLoxI per il volume: Il Seicento. 

Il rimpianto Presidente Cossa, giusta il R. Decreto 24 gen- 
naio 1901, che lo nominava a quella carica, avrebbe terminato 
il triennio della sua Presidenza il 3 febbraio 1904. A norma 
dell'art. 13 dello Statuto, l'Accademia deve procedere alla ele- 
zione del nuovo Presidente, che giunga al compimento di detto 
periodo. Si procede alla votazione e riesce eletto, salvo l’ap- 
provazione Sovrana, il Socio prof. comm. Enrico D’OviIpio, Segre- 
tario della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 


57 


Relazione della Commissione 
per il premio Gautieri di Letteratura (triennio 1999-1901). 


ONOREVOLI COLLEGHI, 


La Commissione chiamata a farvi proposte pel conferimento 
del premio Gautieri di letteratura, assegnato al triennio 1899-1901, 
avendo compiuto l’opera sua di esame e di giudizio, viene ora 
a darvene conto. Ma essa vuole sia mandata innanzi un’avver- 
tenza, la quale dissipi, sin dal principio, se non tutti i dubbii 
che possono nascere in sì fatta materia, almeno taluno di essi. 
Generalmente parlando, e astraendo da ogni particolare consi- 
derazione di merito, la Commissione fu d’avviso che le opere 
aventi più risoluto e pieno carattere letterario dovessero essere 
anteposte a quelle nelle quali sì fatto carattere fosse reso vacil- 
lante e perplesso dalla commistione, oltre certa misura, con la 
materia più propriamente letteraria, di una materia, sia filosofica, 
sia di storia civile. 

Ciò premesso, la Commissione dichiara che parecchie furono 
le opere ravvisate da essa come degne d’encomio, ma che l’at- 
tenzion sua ebbe a fermarsi più particolarmente su due, le quali 
sono : 


1° Studii sulla Divina Commedia, di FrANncESco D’OvipIo, Palermo- 
Milano, Remo Sandron, 1901; 


2° Il Seicento, di Antonio BeLLonI, Milano, Casa editrice Dottor 
Francesco Vallardi, s. a., ma 1899. 


Il nome di Francesco d’Ovidio è così universalmente noto, 
in Italia e fuori, tra quanti sono cultori della filologia romanza, 
e della classica ancora, che qui non accade di doverne fare altro 
ricordo. Nel volume testè indicato, e di cui discorriamo, è rac- 
colto il frutto degli studii intorno a Dante, iniziati dall'autore 
ora è un terzo di secolo, e da lui con perseverante amore ma- 
turati e non mai pretermessi. Porgere di tali studii una precisa 
e particolareggiata notizia; dire quali ragioni di assenso o di 


58 

dissenso essi, a volta a volta, suscitino nell'animo del lettore; 
fare, sia pure in iscarsa misura, una critica di tutta quella critica, 
non sarebbe, nella presente occasione, per nessun modo oppor- 
tuno, nè possibile. Ciò che ora importa e deve farsi, è rilevare 
il carattere del libro, e il suo valore, e il beneficio che per esso 
è recato agli studil. 

Innumerevoli sono, per così dire, le questioni di ermeneu- 
tica ed esegesi dantesca ventilate e discusse in quelle secento 
pagine; alcune da gran tempo vessate, altre quasi o del tutto 
nuove. Nessuno certo dirà che tutte vi sieno solute; nè il pre- 
tende l’autore, il quale anzi (possa giovare l'esempio!) è, con 
liberalissimo animo, sempre disposto ad esaminar l’obbiezione, 
a fornir le seconde prove a chi non s’appaghi delle prime, a ret- 
tificare il proprio asserto, e, dove occorra, a ricredersi; nè poi 
è da dissimulare che alcune, se non molte questioni dantesche, 
sono forse destinate a rimanere insolute in perpetuo. Quella che 
Giovanni Boccacci chiamò Minerva oscura non diverrà del tutto 
chiara giammai. 

Ma checchè sia o abbia ad essere di ciò, gli è certo che 
Francesco D’ Ovidio molte cose definisce e chiarisce, perch’ ei 
s'addentra, oltrechè nella sostanza del poema, anche nell’animo 
del poeta; e non sarà nessuno che dopo aver letto e meditato 
il suo volume, non senta d’intendere e conoscere meglio così 
l’uno come l’ altro. A intender Dante per davvero si richiede, 
non solo molta e ben fondata coltura, e senso vivo d’innume- 
revoli cose, ma ancora molta pieghevolezza e acuità d’ ingegno, 
e ùn pensiero agile e vigilante, che sappia volgersi tutto intorno, 
e continuamente elevarsi dal fatto all'idea e ridiscendere da 
questa a quello, essendo il poeta, com’ egli stesso ebbe a dire 
di sè, trasmutabile per. tutte guise, ed essendo la ragion sua, 
nel poema e altrove, non solo meravigliosamente profonda, ma 
ancora singolarmente complicata. 

Cotali doti e attitudini Francesco D'Ovidio possiede in alto 
grado. Egli speditamente sì muove per tutti i meandri di quel 
duplice mondo, reale e fantastico, sensibile e soprassensibile, e 
per tutti i meandri ancora di quella vasta e multiforme coscienza. 
La critica ch'egli sperimenta è critica in massima parte con- 
gettutale; e se l’uso di tale critica è legittimo ‘e approvabile 
ogni qual volta non sia possibile altra, bisogna poi riconoscere, 


59 


nel presente caso, che essa non può fare meglio di così, e che 
assai difficilmente anzi può riuscire a fare altrettanto. Il metodo 
che egli adopera è un metodo nel tempo stesso rigoroso e di- 
sinvolto, circospetto e intraprendente; agevole a lui; non agevole 
ad altri: e consiste, si può dire, nel far convergere sul punto 
controverso tuttii possibili elementi di conoscenza e di giudizio, 
e nel gittar quasi sul dubbio una viva rete di accertamenti, di 
congetture e di ragioni, dalla quale se il dubbio in ultimo sguizza 
fuori senza lasciarsi risolvere, ne sguizza, non perchè le maglie 
non siano abbastanza serrate, ma perchè esso il dubbio è di 
troppo sottile e fluida, per non dire volatile essenza. Il frutto, 
che di quella critica e di quel metodo si coglie, è, oltre al notato 
di sopra, di veder fatte molto probabili e accettevoli alcune 
opinioni, raddrizzati molti storti giudizii, dissipati molti precon- 
cetti. Per giunta il libro di Francesco D’Ovidio è scritto con 
rara lucidità ed eleganza di pensiero e di parola; e gli va in- 
nanzi una prefazione la cui lettura dovrebbe essere raccomandata 
a quanti giovani, e anche non giovani, si affaticano negli studii. 
Ivi è, tra l'altre, questa salutare avvertenza, che senza equani- 
mità, come non si fa nessun’altra cosa buona nel mondo, così 
. non si fa neanche buona critica. 

In tanta colluvie di scritti danteschi, dei quali troppi arruf- 
fano e intorbidano, anzichè giovare, lo studio del nostro massimo 
poeta, il volume di Francesco D’Ovidio dev'essere accolto con 
riconoscenza e con plauso, e additato con orgoglio agli stranieri, 
i quali gareggiando con noi anche in questo studio, ch'è nostro 
prima d'essere loro, tentano di vincerci, e qualche volta ci 
vincono. 

Gli Studii sulla Divina Commedia sono l’opera di un insigne 
maestro; il Seicento è l’ opera di un giovane erudito di molto 
valore, titolare di lettere italiane nel R. Liceo di Verona, libero 
docente di letteratura italiana nell'Istituto di studii superiori e 
di perfezionamento di Firenze, e fattosi conoscere assai favore- 
volmente sin da quando, nel 1893, pubblicò il suo primo lavoro, 
dal titolo Gli Epigoni della Gerusalemme Liberata. 

Per lungo tempo usò in Italia, fra gli stessi storiografi della 
nostra letteratura, anzi più particolarmente fra di essi, di guar- 
dare al secolo XVII come a secolo di massima e quasi totale 
depravazione, nel quale pressochè nulla fosse di sano e di buono, 


60 


e troppo di deforme e di reo, e di cui convenisse, per l’onor 
nostro, parlare il meno possibile e solo con indignazione e dis- 
gusto. Lo stesso temperante e sensato Tiraboschi, sebbene giu- 
dicasse in proposito assai rettamente, pur costringeva, all’atto 
pratico, entro termini molto angusti il discorso di quel secolo; 
così che, mentre nella edizion milanese della monumentale sua 
Storia il discorso del secolo XVI occupa non meno di 2498 pa- 
gine, quello del secolo XVII ne occupa solamente 974. Dopo lui 
le cose, per questo rispetto, non fecero se non peggiorare. Si 
ripeterono, come se fossero passati in giudicato inappellabile, 
gli antichi giudizii; si rinnovarono, innasprendole ancora, le an- 
tiche accuse, e fu stimato superfluo ogni nuovo esame ed ogni 
nuova discussione. Onde, se il libro che Bernardo Morsolin com- 
pose intorno a quel secolo tanto disdegnato, e pubblicò nel 1880, 
riuscì così manchevole come sanno i cultori della nostra storia 
letteraria, non è da meravigliarsene troppo, nè se ne deve fare. 
troppo gran carico a chi lo scrisse. 

Da parecchi anni s'è preso anche in ciò migliore avviamento. 
Alla sdegnosa negligenza succedette una curiosità operosa. Si 
disprezzò un po’ meno e si studiò assai più. Si moltiplicarono 
le indagini e le trattazioni particolari, si discusse e si disputò. 
Molte e diverse cose apparvero spiccatamente colà dove non se 
n’era veduta, troppo in confuso, se non una sola. Il lavoro, che 
richiede assai tempo e pazienza, è lunge dall’ esser compiuto, 
ma continua e si fa più intenso. I frutti che esso aveva dati 
ora è un lustro, erano già tali da inanimare, chi avesse la pre- 
parazion necessaria, a comporre un nuovo libro di trattazione 
ordinata e generale. Antonio Belloni compose tale libro. 

Intorno al quale non è ora da entrare in particolari. Basterà 
avvertire che esso è tutt'altro che una compilazione meccanica; 
che nei dodici nodriti capitoli in cui la copiosa materia è spar- 
tita e ordinata l’autore reca, non solo una conoscenza amplis- 
sima di quanto era già stato fatto da altri, ma ancora, frutto 
di lunghe, laboriose e ben condotte ricerche, una non meno ampia 
informazione propria e diretta, e una severità di metodo e una ret- 
titudine di giudizio meritevoli di ogni lode. Certo il libro non è 
senza mende; e come potrebb’essere, se la elaborazione parti- 
colare e minuta che per fatto di molti deve precedere e pre- 
parare l’opera sintetica, è ancora così inadeguata al bisogno? 


61 


Facilmente si può notare in esso qualche omissione; facilmente 
ancora qualche sproporzione. È nelle singole parti miglior compa- 
gine che nel tutto. Quello che chiamiam secentismo vi è descritto, 
ma non definito. E il problema delle origini e delle cause di 
questo medesimo secentismo non si può dire che vi sia risoluto. 
Ma riman dubbio se del fatto, oltre ogni dire complesso, sia 
possibile una definizione; e se del tanto contrastato problema, 
psicologico, storico ed estetico‘insieme, sia possibile una soluzione. 

Se di chi ha condotto a termine un libro si può dir con 
ragione ch'egli è il maestro di colui che lo cominciò, altrettanto, 
con più ragione ancora, può dirsi di chi faccia del proprio libro 
una seconda edizione. Antonio Belloni migliorerà di molto, quando 
gli avvenga di ristamparlo, il suo libro: sia perchè gli saran 
cresciuti tutto intorno gli ajuti; sia perchè, durando nello studio 
e nella meditazione, egli avrà fatta sempre più sua quella vasta 
e riluttante materia. Egli promise, è già più tempo, un saggio 
sulla psicologia del secentismo, e in certi suoi Frammenti di 
critica letteraria, pubblicati testè, è anche la prova ch’egli perse- 
vera in quello studio e in quella meditazione. Tale qual esso 
è, il libro di cui abbiamo discorso è, in argomento difficilissimo, 
un libro eccellente. 


ONOREVOLI COLLEGHI, 


La Commissione vi propone di onorare un maestro e di 
premiare e incoraggiare un valoroso. La Commissione vi pro- 
pone di dividere il terzo premio Gautieri per la Letteratura in 
due parti eguali, e di conferire la prima a Francesco D’Ovidio 
per gli Studu sulla Divina Commedia, e di conferire la seconda 
ad Antonio Belloni per il Seicento. 


: B. PEYRON, 
R. RENIER, 
A. GRAF, relatore. 


Gli Accademici Segretari 
Enrico D’OvipIo 
RopoLro RENIER. 


62 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 14 Dicembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. CONTE TOMMASO SALVADORI 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Soci: Berruti, NaccarI, Mosso, SPEZIA, 
CameRANO, SEGRE, Peano, JADANZA, Foà, GuAREScHI, GUIDI, 
FiLeri, PARONA, MarTIROLo, MorEerA, Grassi e D’Oviprio Se- 
gretario. 

È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente. 

Si dà partecipazione del decesso del Socio corrispondente 
nella Sezione di Chimica Giovanni WisLicenus, il quale appar- 
teneva all'Accademia dal 1900, e delle condoglianze inviate alla 
famiglia di lui. 

È fatto omaggio dal Socio Spezia, a nome dell’ autore 
Dr. Luigi CoLomBA, dell’opuscolo: Sulla presenza della dispersione 
nei pirosseni giadeitoidi în rapporto colla loro composizione chimica. 

Con voto unanime viene accolta nei volumi accademici la 
Memoria del Socio SALvADORI: Contribuzioni alla ornitologia delle 
Isole del golfo di Guinea; uccelli dell'Isola del Principe. 

Ed alla inserzione negli Atti vengono ammesse le tre se- 
guenti note: 

Passaggi dei lembi della Luna, e determinazione dell’ascen- 
sione retta del cratere Mosting A., osservato al circolo meridiano 


63 

di Torîno negli anni 1901 e 1902, di Vittorio BaLBI e Luigi 
VoLrta, presentata dal Socio JADANZA (1); 

Sul calore di dissociazione elettrolitica, del Dr. Adolfo 
CAMPETTI, presentata dal Socio NACCARI; 

Sulla costituzione dei cosidetti dinitroidrocarburi primarî 

R.CHN;0,, del Dr. Giacomo Ponzio, presentata dal Socio FILETI. 


In seduta privata si addiviene alla votazione per eleggere 
un membro della Giunta per la Biblioteca, avendo il Socio SEGRE 
compiuto il triennio in tale qualità; e riesce nominato il Socio 
prof. Icilio GUARESCHI. 


(1) Questa Nota comparirà in un prossimo fascicolo. 


- 


64 ADOLFO CAMPETTI 


è 


LETTURE 


Sul calore di dissociazione elettrolitica. 
Nota del D' ADOLFO CAMPETTI,. 


1. — È noto che la dissociazione elettrolitica in una solu- 
zione è, in alcuni casi, accompagnata da sviluppo di calore; e 
poichè tale dissociazione è, in fondo, un fenomeno di scompo- 
sizione delle molecole in atomi (sebbene una speciale decompo- 
sizione), un tal fatto sembra senz’ altro in contradizione col 
principio dell’equivalenza, dovendosi, ad eseguire una tale de- 
composizione, fornire una certa quantità di lavoro. 

È mia intenzione di esaminare qui la questione in modo un 
po’ più esatto di quel che di solito si faccia, partendo, in fondo, 
dalle idee del Nernst relative al legame tra la costante dielet- 
trica di un solvente ed il suo potere dissociante: e più special- 
mente sarà mio scopo il ricercare come il lavoro corrispondente 
alla dissociazione di un dato elettrolito in un determinato sol- 
vente dipenda dal valore che assumono la costante dielettrica 
del solvente e dell’elettrolito disciolto stesso. 


2. — Senza occuparci qui della nuova teoria degli elet- 
troni, formulata in prima dal Drude, prenderemo il modello 
della dissociazione elettrolitica sotto la forma semplice e sche- 
matica data in origine dall’Arrhenius. Osserveremo anche che, 
secondo le idee di Helmholtz, le forze che agiscono tra i due 
atomi di una molecola, ad esempio di un elettrolito binario, 
devono ridursi, almeno come prima approssimazione, alla forza 
attrattiva che, secondo la legge di Coulomb, esercitano tra di 
loro i due ioni costituenti la molecola stessa e il cui valore è 
dato da: 


se indichiamo con m la massa elettrica concentrata in ciascun 
ione, con € la loro distanza (costante o media) e con K' il va- 
lore della costante dielettrica per la molecola stessa. 


SUL CALORE DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 65 


Sul valore di questa costante dielettrica niente possiamo 
dire per ora; sia che si ammetta per il valore della costante 
dielettrica del mezzo che separa i due atomi nella molecola un 
valore poco differente da quello del vuoto, sia che, come ha de- 
dotto il Reiff (*) con considerazioni teoriche, partendo dalla teoria 
di Helmholtz sulla polarizzazione dei dielettrici, la costante 
dielettrica di una sostanza dipenda dal mezzo in cui si trova e 
possa quindi assumere, a seconda dei casi, valori molto diversi 
ed in certi casi anche assai elevati. 


3. — Ad ogni modo, indicando con X la costante dielet- 
trica dal mezzo nel quale la dissociazione ha luogo, supponiamo 
che una soluzione avente la concentrazione c, e contenente un 
grammo-molecola di elettrolito disciolto passi alla concentrazione 
C°<C,, venga cioè diluita da c, a co. 

Per questo fatto una parte delle molecole ancora indecom- 
poste si dissocia, vale a dire passa da un mezzo di costante 
dielettrica KX' ad un mezzo di costante dielettrica K, (essendo Kg 
il valore della costante dielettrica della soluzione alla concen- 
trazione cs»); in secondo luogo tutti gli ioni, che già prima erano 
presenti nella soluzione di concentrazione c,, passano da un 
mezzo di costante dielettrica X, a un mezzo di costante dielet- 
trica K,, essendo generalmente (e sempre se si tratta di solu- 
zioni diluite) K,<XK,. 

È dunque prima di tutto importante per noi il saper cal- 
colare il lavoro consumato o fornito, allorquando due ioni, l’uno 
positivo e l’altro negativo, carichi rispettivamente delle quantità 
di elettricità + m e —wm e situati alla distanza e, passano da 
un mezzo di costante dielettrica K, in un mezzo di costante 
dielettrica K,. 

Fra i varii modi con cui si può immaginare che questo 
passaggio si effettui, consideriamo un caso speciale e precisa- 
mente, se A e B (Fig. 1) sono i due ioni situati sul mezzo di 
costante dielettrica XK, e a tal distanza dalla superficie di sepa- 
razione dei due mezzi (PQ) che si possano (relativamente alla 
loro distanza e) considerare come immersi in un mezzo indefinito 
di costante dielettrica X,, supponiamo dapprima che essi ven- 


(*) Rerer, “ Wied. Annalen ,, 1895. 


66 ADOLFO CAMPETTI 


gano allontanati in questo mezzo a tale distanza che sia trascu- 
rabile la loro mutua azione (per il calcolo da eseguire, a distanza 
infinita) e poi così separati vengano introdotti nel mezzo di co- 
stante dielettrica Ks, ove mantengono la loro distanza e quindi 
la loro azione mutua si considera come nulla. 


Fig. 1. 


Per la prima operazione si deve fare dunque (approssima- 


m? 
Lp essendo € 
1 


l'originaria distanza degli ioni nella molecola; per la seconda 
operazione il lavoro consumato o fornito sarà il doppio del la- 
voro che corrisponde al passaggio di una particella carica della 
quantità di elettricità + m dal mezzo di costante K, a quello 
di costante X,. 

Per calcolare un tale lavoro, e nel modo più elementare e 
semplice, ricordiamo (Vedasi ad es.: DrupE, Physik des Aethers, 
pag. 266) alcune proprietà del potenziale delle forze elettriche, 
allorquando il mezzo nel quale si trovano i punti elettrizzati non 
è continuo. In tal caso si sa che il potenziale si può calcolare 
come se il mezzo fosse continuo, con questo però che non esi- 
stessero soltanto le masse elettriche nei punti che supponiamo 
dati come carichi di elettricità, ma si avesse anche una distri- 
buzione superficiale di elettricità sulle superficie limitanti i di- 
versi mezzi. Ed in particolare (Vedi DruDE, l. c.) la presenza di 
un dielettrico in un mezzo di costante dielettrica più bassa della 
sua, agisce come se la sua superficie fosse carica di elettricità 
negativa in quei punti in cui la forza elettrica è diretta verso 
l’interno del dielettrico stesso, e viceversa. 

Una carica apparente di nome contrario si manifesta, se 
l’isolatore ha una costante dielettrica inferiore a quella del 
mezzo in cui si trova; e si sa che l’azione di queste cariche 
apparenti spiega analiticamente il modo di agire dei conden- 
satori. 


tivamente) contro le forze elettriche il lavoro 


SUL CALORE DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 67 


Per studiare la distribuzione di questa carica apparente, 
supponiamo di considerare dapprima un punto M a distanza fi- 
nita è da un piano indefinito AB, che rappresenti la superficie 
di separazione tra l’aria (o meglio il vuoto) e un mezzo inde- 
finito conduttore e nel punto .M sia concentrata la quantità di 
elettricità + m (Fig. 2). 


M 
+m: 


Fig. 2. 


La distribuzione dell'elettricità in equilibrio indotta sul piano 
dal punto .M è un problema comune di elettrostatica e può fa- 
cilmente essere dedotta dalla distribuzione dell’elettricità indotta 
da un punto sopra una sfera (*). In quest’ultimo caso, se si 
indica con m, la carica data ad una sfera isolata di raggio A, sot- 
toposta inoltre all’azione di un punto elettrizzato di massa elet- 
trica + wm, sulla superficie della sfera avrà luogo una distribu- 
zione di elettricità, di cui la densità è data da: 


1 


TREE Mi m\_m »_ dl aepoi 
Ee=az4 | PAL va 4TA (Ai 4). Ga 


mentre se la sfera è in comunicazione col suolo 


tha m Mit il 
P= qa di 4) pa 


essendo A, la distanza del punto elettrizzato dal centro della 
sfera ed E la distanza di questo stesso punto da quel punto 
della superficie sferica per cui si calcola p. 

Se indichiamo con è la distanza del punto elettrizzato della 
superficie sferica, siccome allora A, = A+ ò le due formule 
precedenti divengono 


(*) F. Neumann, Vorlesungen itber die Theorie des Potentials, pag. 180. 


68 ADOLFO CAMPETTI 


TRATTE. My m.\._m yi l 
pl (mel iena and (24 + 2°) pa 


1 
p=— LiiAdi- di) 


Ambedue queste formule per A= co ci dànno il medesimo 
limite: cioè la densità della elettricità indotta sopra un piano 
conduttore indefinito da un punto a distanza d da esso, in cui 
sia concentrata la quantità + m di elettricità, è data da 


Perciò, se indichiamo con r la distanza di un punto @ del 
piano da P (Fig. 3) e con @ l’angolo che la retta PQ fa con 


AM 
7 I 
4.d1 
/ 
sa 
VÀ IÒ 
7 I 
Ld I 
dr r I 
bi dd. js B 
Fig. 3. 


una posizione fissa della retta stessa, la quantità di elettricità 
che si trova sopra l’elemento do di superficie che ha il suo centro 
in Q, sarà 

mò 1 


pdo=—gr pr rdrdo, 


la forza che essa quantità eserciterà sul punto mm 


2 
djs o a rdrdo 


e la sua componente secondo MP normale al piano 


2 
gr Mo i rdrd@ 


SUL CALORE DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 69 


e supposto d = 0) 


Ri = n r= dtangg 
per cui 
2 
dl= a cos?g . senp do de 
onde 


Va 


mi fio DI 
PRES and | de | cos’p sengd@ = 
0 0 


mi 
40? 


Si trova così (Vedasi anche BetTI: Teorica delle forze New- 
toniane, pag. 220) che l’azione del piano indefinito è la stessa 
di quella che si avrebbe, se nel punto fosse concentrata la 


{ 


m . . 
massa + > ed una massa uguale e di segno contrario fosse 


concentrata nel piede della perpendicolare condotta dal punto 
sul piano. Se supponiamo allora che il punto, partendo da di- 
stanza infinita, si porti a distanza e dal piano, il lavoro fatto 
dalle forze elettriche sarà 


m 
ri 


Noi supponiamo ora (e qui sta l’arbitrarietà del nostro cal- 
colo) che quando il piano AB in luogo di separare l’aria (o 
meglio il vuoto) da un conduttore indefinito, divide invece lo 
spazio occupato da un dielettrico di costante dielettrica XK, dallo 
spazio occupato da un dielettrico di costante X,, la densità elet- 
trica superficiale di quella carica apparente di cui abbiamo par- 
lato si possa dedurre da quella p ora trovata, moltiplicando p 
per una funzione molto semplice f(K,, K.), delle due costanti 
dielettriche. Siccome per queste considerazioni si sa che un con- 
duttore può riguardarsi come un dielettrico di costante dielet- 
trica infinitamente grande, così questa funzione dovrà essere 
uguale ad 1 per Ks=", ed essere poi evidentemente nulla per 
K,= K3. Noi prenderemo f(K,, Kj= 7% 


2 
il lavoro che sarà compiuto dalle forze elettriche, mentre un 


punto in cui sia concentrata la quantità + m di elettricità 
(e lo stesso anche se la quantità di elettricità è — m) viene 


e in tale ipotesi 


70 ADOLFO CAMPETTI 


portato da distanza infinita a distanza e dal piano AB, sarà 
dato da 
m? Ko — K, 


(1) Leg KE 


Questa formula è applicabile, non solo ad un punto in cui 
sia concentrata la massa + m di elettricità, ma anche ad una 
sferetta conduttrice, sin che il rapporto tra il raggio della sfera 
e la sua distanza dal piano è tale che se ne possano trascurare 
le potenze superiori alla terza. E del resto per e=0 la (1) ci. 
darebbe per ZL un valore infinito, mentre sappiamo che la forza 
e il lavoro devono restare finiti; noi possiamo però girare la 
difficoltà in questo modo. La carica superficiale sul piano AB 
non dobbiamo effettivamente pensarla distribuita in modo con- 
tinuo, bensì sulle particelle (molecole od atomi) del mezzo cui 
il punto si avvicina; e potremo dire che il punto M è giunto 
nel mezzo di costante X,, quando la sua distanza dalle parti- 
celle del mezzo stesso sia divenuta la minima possibile. Ora la 
minima distanza di due molecole assume valori differenti da so- 
stanza a sostanza; per considerare un caso particolare potremo 
supporre di calcolare il lavoro dalla (1), prendendo, ad esempio, 
per € il valore 


e= 1,1 X 107° centimetri 


che è quello assegnato da Rutherford (*) per la distanza delle 
cariche degli ioni in una molecola, senza escludere per altro 
che il valore di e nella molecola del corpo che si dissocia possa 
essere differente da quello di e esprimente le distanze tra gli 
ioni nel mezzo di costante X, e le molecole od ioni del mezzo 
stesso. 

Indicando per ora quest’ultimo valore di e con ei, se si 
moltiplica per 2 l’espressione (1) avremo il lavoro corrispon- 
dente al passaggio di un solo ione dal mezzo di costante K, a 
quello di costante K,; e se moltiplichiamo ancora per 2, il la- 
voro corrispondente al passaggio dei due ioni, l'uno positivo, 
l’altro negativo, costituenti la molecola che si dissocia. 


(#) Rurnerrorp, “ Proceeding of the R. S. of London ,, 1900, T. LXVII. 


SUL CALORE DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 71 


Riassumendo dunque, allorquando una molecola, per la quale 
il valore della costante dielettrica nello spazio occupato dalla 
molecola stessa è X', si dissocia in un mezzo di costante die- 
lettrica XK secondo il processo da principio indicato, viene con- 
sumato il lavoro 


m 
(a) Ke 


corrispondente ad allontanare i due ioni a distanza infinita e 
viene invece fornito il lavoro 


(9) Eb: "i ( 1 1 


RESA, en Ao “E 


e sarà quindi infine consumato il lavoro 


CIEIX 4g 1 
(e) mi è eK' e K' + €,K 
il cui segno dipende dai valori di e, ex, K, K'. 
La quantità di calore 9 espressa in piccole calorie equiva- 
lente al lavoro (c) sarà quindi 


ed cc a 1 1 
ITUAITAN RT a + € K 


e per conseguenza il calore @ corrispondente alla dissociazione 
di un grammo-molecola si otterrà moltiplicando per il numero N 
di molecole contenute in un grammo-molecola: onde 


vrrisiiNatdintà d 1 i ed 
ina VT ER 1 7 ui GEA” 


Occupiamoci intanto di calcolare il coefficiente numerico 
Nm? 
4,17 +.107 
metro cubo di un gas a 0° e 760 contiene 


e per questo basiamoci sui dati seguenti. Un milli- 


4 Xx 1016 
molecole e quindi un litro 


5,4 X 1022 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 6 


32 ADOLFO CAMPETTI 


molecole; e: poichè un grammo-molecola: di gas: occupa: in: quelle 
condizioni litri 22,4 sarà; 


N.=22,4XK5;4 XX 102% =.12,1 X. 1023, 
D'altra parte in unità elettromagnetiche assolute 
i A Li 
e perciò in elettrostatiche 
mi ="8 IEL0ZIRTIRA0 ESSO 


e per conseguenza infine il valore di quel coefficiente sarà 


24 10-22 X 12,1 X 10? 24 LA) Arte = 

LIT N10 = 417 MO7Tt=.167 208 
e quindi ” 
î atotità ristiala. ncssdia le 4 
(Gp tn  €K' e,K' iva eK | 


ci rappresenterà il lavoro che si. deve impiegare per la disso- 
ciazione di un grammo-molecola, supposto che questa dissocia- 
zione avvenga in una quantità tanto grande di solvente che la 
sua, costante dielettrica resti costante; nel. caso. particolare 
di e= 


data Soli sì 
(3) b=167 x 10 a 
4. — Prendiamo ora a considerare una soluzione conte- 


nente un grammo-molecola. di sostanza. disciolta e supponiamo 
che la sua concentrazione varii da c, a cs essendo cs < cy 
Per tale diluizione avverrà un continuo aumento nel grado 
di dissociazione e precisamente, se mentre la concentrazione 
varierà di dec il grado di dissociazione varierà di da, il lavoro 
corrispondente espresso in piccole calorie sarà dato da 


da 


rt . de 


da = 


SUL CALORE DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 73 


e se ammettiamo l’ipotesi corrispondente all’equazione (3) 


__ 167X.10-5 da 
dq= e K de de 


essendo K la costante dielettrica del liquido nel quale la dis- 
sociazione la luogo. Se si suppone che le concentrazioni c, e cs 
non siano troppo grandi e principalmente non troppo distanti, 
di guisa che si possa ritenere che in quell’intervallo a e K si 
possano rapprésentare comé funzioni! linéari di c, sia cioè: 


a=:1 — Xe K=XK,4 de 
ove K, è la costante dielettrica del solvente puro, sarà 


167.106 


ABI. ALA 


dqi= 
onde integrando 


45 Wo. 10-® Kt be 
Lutt ed \log K,+ bc, i 


5. — D'altra parte conviene tener conto’ del fatto: che, 
mentre la dissociazione cresce per il crescere della; diluizione, 
la costante dielettrica della soluzione va diminuendo e tende ad 
accostarsi a quella del solvente puro; onde tutti gli ioni clie 
già in un dato istante si trovano nella soluzione passano da un 
mezzo ad un'altro di costante dielettrica minore. Se ammettiamo 
che sia applicabile anche a questo caso la formula prima trovata 
per il calore corrispondente ad un tale passaggio e cioè 


6 î 
n o) 


relativamente a un grammo-molecola e KX' e XK" rappresentino 
le costanti dielettriche dei due mezzi, nel nostro caso, per una 
variazione 4 di costante dialettrica; il calore corrispondente al 
lavoro impiegato sarà 


Lit X 10 Su 
de = in 9 A ad K 


74 ADOLFO CAMPETTI 


e colle solite ipotesi sulle espressioni valevoli per a e X 


167 X 10-9(1 — \e)bdc 


dei e(Ko+ bo)? 


e integrando fra c, e cs 


_0167X.10-5f B+ XA Xig_ai ca 
Legea son MARRA i E bolina 


Per conseguenza la quantità di calore consumato nella dilui- 
zione da c, a cs sarà data da 


sa __ 167 XxX 10% (60+KA)(cr— c9) 
Qi agi È a € (K0+ be) (Ko+ dea) 


e se per € poniamo il valore 1,1 X 107° e indichiamo con K, 
e K, i valori delle costanti dielettriche alle concentrazioni c; e cs 


E 2 ((+KM (a 
(4) Q,=1,52x 105 SE SM na), 
6. — Vediamo ora di trarre da ciò che precede alcune con- 


seguenze. Intanto osserviamo che per il calcolo della (4) con- 
verrebbe conoscere come varia la costante dielettrica col variare 
della concentrazione, al qual riguardo non abbiamo per ora dati 
sufficienti. 

Ad ogni modo (sempre nell’ipotesi di e= €,, con cui sono 
state dedotte le (3) e (4)) alla dissociazione corrisponde sempre 
un consumo di lavoro e perciò si avrà nella soluzione un assor- 
bimento di calore: con questo però che mentre il calore di dis- 
sociazione per un grammo-molecola, quando la dissociazione av- 
venisse in un mezzo di dielettricità costante e per esempio = 1, 
sarebbe dato da 


Q= 1,52 X 10°= 152000. piccole calorie, 


quando avviene invece in un mezzo di costante dielettrica ele- 
vata, per e.: l’acqua (per cui approssimativamente K = 80), si 
riduce a: 


O= —: = 1900 piccole calorie. 


SUL CALORE DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 75 


L'esame delle formule (2) e (3) ci dice che Q è sempre po- 
sitivo quando e, = e, vale a dire che nella dissociazione viene 
assorbito calore: ed è questo infatti il caso più comune: per es., 
per le soluzioni saline nell'acqua; @ potrà essere negativo, cioè 
la dissociazione sarà accompagnata da sviluppo di calore, solo 
quando sia e, differente da e e propriamente sia 


K-K 
€ -<@ Cocoa ni 


Per conseguenza nei casi nei quali il procedere della dis- 
sociazione è accompagnato da sviluppo di calore, non si può 
anche dal nostro punto di vista, fare a meno di ammettere una 
azione particolare delle particelle (molecole od ioni) del solvente 
sugli ioni della sostanza disciolta, dando, per es., luogo a nuove 


molecole o ioni più complessi, come si ammette in alcuni casi. 


7.—Irisultati ottenuti sono stati dedotti con ipotesi molto 
particolari, scelte tali appunto per rendere il problema più sem- 
plice e naturalmente le formule ottenute sono legate al modo 
particolare col quale noi abbiamo supposto avvenire il passaggio 
di una molecola allo stato di dissociazione: per conseguenza non 
si può asserire che il nostro modo di rappresentazione ci dia 
il modello più conveniente o corrispondente del fenomeno che 
ha effettivamente luogo. 

Tuttavia quello che mi sembra essere il punto fondamen- 
tale della discussione fatta sta nell'avere stabilito esistere un 
legame tra il calore di dissociazione elettrolitica e i valori delle 
costanti dielettriche del solvente e della molecola che si dissocia e 
di avere introdotto, nel calcolo relativo al calore di dissociazione, la 
considerazione del lavoro corrispondente al passaggio del sistema dei 
due ioni costituenti la molecola da un mezzo ad un altro di diversa 
costante dielettrica. 


Torino, Istituto di Fisica dell’Università. 
Dicembre 1902. 


76 GIACOMO PONZIO 


Sulla costituzione 
dei cosidetti dinitroidrocarburi primarî R.CHN0, (1). 
Nota del Dott. GIACOMO PONZIO. 


I risultati delle esperienze che formano oggetto della pre- 
sente Nota dimostrano che per azione dell’ acqua sui sali potassici 
dei cosidetti dinitroidrocarburi primarî R.CHN;0, si formano 
ammoniaca, nitrito potassico ed il sale di potassio dell’ acido 
kR.COOH. 

D'altra parte nei miei precedenti lavori avevo già dimo- 


(1) R. Scnotr (Journ. fir Prakt. Chemie (2), 66, 206 (1902)) trova in- 
fondati i dubbi che io avevo espresso nella mia nota Sulla riduzione dei dini- 
troidrocarburi primarî RCHN;0, con amalgama d'alluminio (Gazzetta Chim. 


32, 1, 461 (1902) riguardo alla formola R. CHX NO; generalmente usata 


pei cosidetti dinitroidrocarburi primarî, dubbi che io avevo già manifestato 
da oltre un anno anche nel mio lavoro Sul fenildinitrometano (Gazzetta 
Chim. 32, II, 133 (1901)). 

Egli in sostanza dice che, siccome i dinitroidrocarburi secondarî con- 
tengono due gruppi NO», perchè risultano come prodotto di ossidazione dei 
pseudonitroli: 

Na 0 No 
Ba. CO ere Ra . & No, , 


così anche i dinitroidrocarburi primgrî devono contenere due nitrogruppi, 
(Questa conclusione è assolutamente infondata, perchè, quando anche si yo- 
lesse ammettere (cosa che io non voglio qui discutere), che i dinitroidrocar- 
buri secondarì contengano due gruppi NO3, non ci sarebbe motivo per 
attribuire una analoga formola di struttura ai primarî, i quali non hanno 
alcun rapporto coi pseudonitroli. Inoltre la formazione di aldossime nella 
riduzione dei dinitroidrocarburi primarî si può spiegare con diverse formole 
di struttura, senza che sia necessario di ammettere la presenza di due. 
nitrogruppi; ed infine, l'analogia di comportamento fra i dinitroidrocarburi 
secondarî e quelli primarî non è in realtà così completa da portare una 
conseguenza anche ad una analogia di struttura: basterebbe il fatto, che 
soltanto i secondi sono capaci di formare dei sali, per dimostrarne la di- 
versa costituzione. 


SULLA COSTITUZIONE DEI :COSIDETTI DINITROIDROCARBURI, ECC. 77 


strato, mediante l’impiego di una soluzione ititolata .di cloruro 
stannoso (1), che nei cosidetti dimitroidrocarburi primarî (come 
anche nei loro sali) esiste un solo gruppo NO; e che per ridu- 
zione con amalgama di alluminio, in mezzo neutro (2), essi danno 
le monoamine R.CHsNH, passando, come prodotto intermedio, 
per le aldossime R.CH(NOH). 

Inoltre dal fenildinitrometano C;H; .CHN;0, avevo ottenuto 
benzaldeide per la semplice azione del calore ed acido benzoico 
per azione dell'acido solforico concentrato (loc. cit.). 

Tutti questi fatti permettono di conchiudere che i cosidetti 
dinitroidrocarburi primarî contengono : 

1° un solo nitrogruppo, dosabile con una soluzione titolata 
di cloruro stannoso, 

2° un solo atomo di azoto legato direttamente al carbonio, 
come appare dalla formazione delle amine primarie per riduzione, 

3° un atomo di ossigeno unito direttamente al carbonio, come 
appare dalla formazione di aldeidi per azione del calore o di 
acidi per azione degli acidi minerali, 

4° un gruppo ossimico >NOH, dal quale deriva l’ammo- 
niaca che si forma nella reazione coll’acqua. 

Le formole di costituzione finora proposte da ter Meer (3), 
Chancel (4), V. Meyer (5) e Nef (6) pei cosidetti dinitroidro- 
carburi primarî: 


saro N04 ga /0N0 
RICH NG, R.CHC ONO 
ter Meer Chancel 
70H ZN0; 
R.CGNONO, R.C NOOH 
V. Meyer Nef 


non si accordano troppo colle conclusioni alle quali mi hanno 
portato i risultati delle mie esperienze, le quali invece si spie- 


(1) “ Gazz. Chim. , 32, II, 133 (1901). 
(2) * Gazz. Chim., 32, I, 461 (1902). 

(3) “ Annalen , 187, 1 (1876). 

(4) © Comptes Rendus ,, 86, 1407 (1878). 
(5) “ Lehrbuch ,, 1, 623 (1893). 

(6) “ Annalen ,, 280, 282 (1894). 


78 GIACOMO PONZIO 


gherebbero bene ammettendo che i cosidetti dinitroidrocarburi 
primarî siano acidi nitroidrossamici : 


/Z0N0; 


R.CH won 


Anche V. Meyer (loc. cit.) riteneva che i cosidetti dinitro- 
idrocarburi primarì fossero derivati degli acidi idrossamici 


emi ma era d’opinione che il gruppo NO, sostituisse 


l'idrogeno del gruppo ossimico, con formazione di eteri nitrici di 
acidi idrossamici, mentre a me sembra invece più probabile che 
il nitrogruppo si trovi al posto dell'idrogeno dell’ ossidride al- 
coolico. 


Dinitropropanpotassio CHy . CH, . CKN,0,. — Gr. 5 di sale 
purissimo si scaldano per un’ora a 105°-110° in tubo chiuso con 
10 cc. di acqua distillata, per il che si origina nell’interno una 
discreta pressione. La soluzione limpida ottenuta si lava ripe- 
tutamente con etere (il quale asporta un po’ di acido propionico 
ed una piccolissima quantità di una sostanza azotata, probabil- 
mente propionaldossima), quindi si divide in due parti. Nell’una 
si constata la presenza dell’ammoniaca, distillando con idrato 
potassico, raccogliendo in acido cloridrico e trasformando il clo- 
ruro d’ammonio così ottenuto in cloroplatinato. 


Gr. 0,1955 di sostanza fornirono gr. 0,0853 di platino. 
Cioè su cento parti: 
Trovato Cale. per PtClk(NHy); 
Platino 43,63 43,89. 


L’altra porzione si tira a secco a bagno maria ed il residuo 
si esaurisce con alcool assoluto, per il che rimane indisciolto 
del nitrito potassico che si trasforma in nitrito d’argento, il 
quale si analizza dopo cristallizzazione dall'acqua. 

Gr. 0,2884 di sostanza riscaldata dentro un crogiolo di Rose 
in una corrente di cloro fornirono gr. 0,2678 di cloruro d’argento. 

Cioè su cento parti: 

Trovato Cale. per AgNO; 
Argento 69,89 70,13. 


SULLA COSTITUZIONE DEI COSIDETTI DINITROIDROCARBURI, ECC. 79 


Dall’alcool si ha del propionato potassico, il quale si tras- 
forma in propionato d’argento che si analizza dopo cristalliz- 
zazione dall’acqua. 

Gr. 0,3043 di sostanza fornirono gr. 0,1808 di argento. 

Cioè su cento parti: 


Trovato Cale, per C3HyOsAg 
Argento 59,41 + 59,06. 


Da gr. 5 di dinitropropanpotassio si ebbero così gr. 0,1 di 
cloruro d’ammonio, gr. 0,5 di nitrito potassico e gr. 1,8 di pro- 
pionato potassico. 


Dinitrobutanpotassio CN . CH, . CH, . CKN30,. — Operando 
come nel caso precedente si ottiene ammoniaca, nitrito di po- 
tassio e butirato di potassio, che si trasformano rispettivamente 
in cloruro d’ammonio, nitrito d’argento e butirato d’argento i 
quali si analizzano dopo cristallizzazione dall'acqua. 


I. Gr. 0,0882 di sostanza fornirono gr. 0,2327 di cloruro 
d’argento. 
Cioè su cento parti: 


Trovato Cale. per NH,Cl 
Cloro 66,39 66,35. 


II Gr. 0,2234 di sostanza, scaldata dentro un crogiolo di 
Rose in una corrente di cloro, fornirono gr. 0,2080 di cloruro 
d’argento. 


Cioè su cento parti: 
Trovato Calc. per AgNO; 
Argento 70,04 70,13. 


III. Gr. 0,4074 di sostanza fornirono gr. 0,2257 di argento. 
Cioè su cento parti: 


Trovato Cale. per C,H30;Ag 
Argento 55,40 55,98. 


80 GIACOMO PONZIO — SULLA COSTITUZIONE, iECC. 


Nell’etere, col quale si lava il prodotto della reazione, si 
ritrova un po di acido ibutirico ed una piccola quantità di un 
liquido azotato, bollente attorno a 150°, e che è probabilmente 
butiraldossima. 

Da gr. 5 di dinitrobutanpotassio si ebbero gr. 0,2 di clo- 
ruro di ammonio, gr. 0,8 di nitrito potassico e gr. 1,7 di buti- 
rato potassico. 


Dinitrononanpotassio CH3 .(CHs),.CKN30,. — Anche da questo 
sale si ottennero nitrito potassico ed ammoniaca che furono ri- 
conosciuti nel solito modo. 

Torino, Istituto Chimico della R. Università, 


dicembre 1902. 


L’Accademico Segretario 
Enrico D'Ovipio. 


81 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 21 Dicembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. BERNARDINO PEYRON 
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: 

della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: 
BerrutI, NAccARI, CAMERANO, SEGRE, JADANZA, Foà, GUARESCHI, 
Guipi, FiLeti, PARONA, MarTIROLO e MoRERA; 

della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
FeRRERO, Direttore della Classe, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, PEZZI, 
Grar, CrpoLLa, ALLIEvo, Pizzi, CHIRONI, SAvIO e RENIER Segre- 
tario. — Il Socio CARLE scusa l’assenza. 

È approvato l’atto verbale dell’ adunanza plenaria 14 di- 
cembre 1902. 

Il Vice-Presidente Peyron ringrazia l'Accademia per le pre- 
mure addimostrategli durante la sua infermità, e mentre deplora 
l’immatura dipartita del rimpianto Presidente Cossa, manda un 
saluto affettuoso al nuovo Presidente D’Ovipio. — Il Socio FER- 
RERO, interpretando i sentimenti dei colleghi, manifesta viva 
soddisfazione per la salute ricuperata dal Vice-Presidente PeyRoNn 
ed augura che per molti anni ancora egli sia conservato al- 
l'Accademia di cui è decoro. 

Il Presidente partecipa che a varie riprese il Socio BosELLI 
ha fatto dono all'Accademia di 953 volumi e di circa 3700 opu- 


82 


scoli. Della singolare liberalità l'Accademia vuole sia ringraziato 
il Socio BosELLI. 

Si procede al conferimento del premio Gautieri per la let- 
teratura (triennio 1899-1901). Giusta la proposta fatta nella 
relazione, l'Accademia, con votazione palese unanime, vota la 
divisione del premio in due parti uguali; quindi, a schede se- 
grete, conferisce la prima parte del premio al prof. Francesco 
D'Ovipio per i suoi Studi sulla Divina Commedia, e la seconda 
parte al prof. Antonio BeLLoNI per l’opera Il Seicento. 

Gli Accademici Segretari 
Enrico D’Ovipro. 
RopoLro RENIER. 


__°°—Tr_rrF-_ 


83 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 21 Dieembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. BERNARDINO PEYRON 
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: FeRRERO, Direttore della Classe, BoL- 
LATI DI SAINT-PrERRE, Pezzi, GRAF, CipoLLa, ALLIEVO, Pizzi, 
CaironI, SAvio e RenIER Segretario. — Il Socio CARLE scusa 
l'assenza. 

È approvato l'atto verbale dell'adunanza 7 dicembre 1902. 

Sono presentati alla Classe il Regolamento e le Istruzioni 
per il Congresso internazionale di Scienze storiche, che si terrà 
in Roma nel prossimo aprile, e nel quale l'Accademia ha già 
designato a suo rappresentante il Socio BosELLi. 

Con elogi il Socio CHtRronI fa omaggio all'Accademia delle 
seguenti pubblicazioni del prof. Luigi ErnAuDI: 1° Un principe 
mercante (Torino, Bocca, 1900); 2° La rendita mineraria (Torino, 
Unione tip.-editrice, 1900); 3° Questioni intorno all'imposta sulle 
aree edilizie (Torino, Bocca, 1902); 4° Studi sugli effetti delle im- 
poste (Torino, Bocca, 1902); 5° Salvatore Cognetti de Martiis: la 
vita e le opere (Bologna, 1901). — Il medesimo Socio CHIRONI 
presenta la pubblicazione del Prof. Pasquale JANNACONE, Sullo 
sciopero nei servizi pubblici (Torino, tip. Camilla e Bertolero, 1902) 
e ne loda il contenuto, riservandosi di tornarvi sopra in seguito 
per discutere l’importante quesito giuridico ivi svolto. 


84 

Il Socio Pizzi dona un opuscolo stampato a Buenos Aires 
(senz’anno), Pequefio diccionario dell’idioma Fueguino-Ona con su 
correspondiente Castellano. Autore ne è un anonimo Missionario 
Salesiano alla Terra del Fuoco. 

Il Socio Savio espone il contenuto d’una nota su L'origine 
della Diocesi di Tortona, che è inserita negli Atti. 

In seduta privata l'Accademia, in conformità dell’art. 3° 
del Regolamento interno: pel coriferimento dei premii di fonda- 
zione Vallauri, procede alla nomina della Commissione giudi- 
catrice del premio Vallauri relativo alle opere di critica della 
letteratura latina. Oltre al Presidente dell’Accademia, che è 
membro nato, la Commissione risulta composta dei Soci PEYRON, 
Prezzi, FERRERO e CARLE. 


FEDELE SAVIO — LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI TORTONA 85 


LETTURE 


Le origini della diocesi di Tortona. 
Nota del Socio FEDELE SAVIO. 


L, 


Nell'anno 1896 pubblicai negli Analecta Bollandiana (tomo XV) 
la leggenda latina primitiva dei Ss. Faustino e Giovita ch’ero 
riuscito di ritrovare a Brescia in una copia recente, ma che da 
varii argomenti dedussi provenire da un codice molto antico (1). 
Era la prima volta che la detta leggenda compariva intera alla 
luce nella sua lingua originale; poichè prima non ne esisteva a 
stampa che una traduzione italiana, composta nel secolo XV (2), 
stampata alla fine di quel secolo e divenuta rarissima. Se ne 
conoscevano inoltre degli estratti o compendii, ch’erano stati 


(1) Il Brunati, Vita 0 Geste di Santi bresciani; Brescia, Venturini, 1854, 
vol..1°, pag. 184, attesta. l’esistenza della leggenda primitiva ini un Pas- 
sionario pergamenaceo, che dal. march. Scipione Maffei era'stato giudicato 
del secolo XIII. Ma» nè egli dice dove stesse, nè a me fu possibile rin- 
tracciarlo. Fu visto però e copiato in Brescia. dall'abate D. Tomaso Bor- 
gondio, e forse la: copia, dond’io trassi la. mia edizione, è la copia del 
Borgondio;. Finora il codice più antico noto, in cui si.trovi la detta leggenda 
primitiva; è il codice G. 5. 1212, Conventi soppressi, della biblioteca nazio- 
nale di Firenze; gentilmente indicatomi dal R. P. Ippolito Delehaye bollan- 
dista: È un leggendario appartenuto al convento di Camaldoli, e scritto, 
come mi. pare, nel secolo XIV alla fine, o nel secolo XV in principio. La 
Passione dei Ss. Faustino e Giovita vi si legge da pag. 180» a pag. 188 r. 
Avendolo diligentemente confrontato coll’edizione da me pubblicata, non 
vi trovai varianti meritevoli di nota, se non questo, che qua e là sono 
omessi o abbreviati gl’interminabili discorsi dei varii protagonisti. La se- 
poltura di S. Marziano!vi è pure notata VI kall. aprilium. 

(2) Da un anonimo francéscano, dice il Brunati, opera citata; pag. 184, 
il quale aggiunge d’aver visto una copia a stampa di questo libro col titolo: 
Leggenda. ovvero. Passione de li saneti Martiri saneto Faustino et saneto Jovita, 
Brescia per. Pre Baptista da Farfengo de l'anno 1490. Altre edizioni, legger- 
mente cambiate nella lingua, se ne fecero in Brescia nel 1534 e 1588. 


86 I FEDELE SAVIO 


stralciati dalla leggenda primitiva con lo scopo di formarne 
delle leggende particolari di alcuni dei Ss. in essa menzionati, 
quali i Ss. Faustino e Giovita, S. Calocero e i Ss. Secondo e 
Marziano. Insieme con la leggenda pubblicai pure uno studio 
critico della medesima. 

Ciò che mi spinse alla ricerca della leggenda primitiva ed 
al suo esame critico fu l’assunto, che m’ero addossato, di stu- 
diare le origini delle diocesi piemontesi. Poichè, mentre in 
tutte le altre diocesi non trovavo nulla che contradicesse alle 
conclusioni ammesse fin da un secolo e mezzo fa dal Maffei, 
dai Bollandisti, dal Zaccaria e da altri eruditi, i quali, eccetto 
per Milano, Aquileia e qualche altra città, non ammisero origini 
di sedi vescovili nell’Italia superiore prima del secolo IV, mi si 
presentava a Tortona una tradizione, che diceva S. Marziano 
protovescovo martire di quella città esser vissuto al tempo di 
Adriano imperatore, ossia nel secolo II. Era per me indispen- 
sabile di ricercare se questa tradizione fosse legittima ed avesse 
tali caratteri di verità da doverla ammettere, a costo anche di 
rovesciare il principio, già stabilito come certo dal Maffei (1), 
dal Zaccaria, e da altri. 


(1) Se, dietro agli antichi Bollandisti, diedi tanta importanza alle asser- 
zioni del Maffei, non fu solo per l’ autorità d’un tanto scrittore, chiamato 
dal De Rossi, il maggior polistore d’Italia nel secolo XVIII (“ Bullettino di 
Archeol. crist. ,, del 1876, pag. 137), ma sì ancora perchè la convinzione, 
che il Maffei s'era formata in seguito alle proprie indagini, fu quella altresì 
a cui giunsero molti altri eruditi, studiando la storia di varie chiese parti- 
colari. Poichè è da sapersi che nel corso del secolo XVIII e sui principii 
del XIX fiorirono tra noi eccellenti eruditi, che con animo sincero e spas- 
sionato attesero a scrivere la storia delle loro città, e in particolare le 
origini delle diocesi. Costoro non temettero di proclamare altamente ciò che 
apprendevano dai genuini documenti, essere cioè insussistenti certe opinioni, 
radicatesi da secoli tra i loro concittadini, e credute da essi in buona fede, 
solo perchè non se n’era mai fatto un serio esame, le quali facevano rimon- 
tare le loro sedi vescovili ai tempi apostolici od agli stessi Apostoli. In ciò 
oltre al dar prova di essere storici veritieri e leali, diedero prova altresì di 
schietto amor patrio, impedendo che i loro concittadini continuassero a van- 
tarsi di glorie non mai esistite, con pericolo d’essere a giusta ragione derisi 
dagli stranieri, e tenuti siccome ignoranti millantatori. Così, tra gli altri, 
fecero due dotti vercellesi, il p. Trivero domenicano e l’abate Frova, insor- 
gendo contro il can. Fileppi, il quale avrebbe voluto considerare S. Eusebio 
non già come il 1°, ma come il 5° vescovo di Vercelli. Così fece per parecchi 


LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI TORTONA 87 


Dopo parecchi studi e ricerche, mi persuasi: 

1° Che la tradizione tortonese era provenuta dalla leg- 
genda primitiva da me trovata e pubblicata; 

2° Che alla leggenda primitiva, siccome scritta da per- 
sona ignorante, niente sollecita del vero, sollecita solo di rac- 
conti meravigliosi, e vissuta parecchi secoli dopo gli avvenimenti, 
non si poteva dare alcun valore storico, tanti sono gli anacro- 
nismi, le favole, le sconvenienze che la deturpano (1). Quindi 
non poteva credersi sulla sola sua autorità ad un fatto tanto 
contrario ad altri fatti, oramai messi in sodo dagli eruditi, 
quale sarebbe che al tempo di Adriano si trovasse già nell'Italia 
superiore un numero così grande di Cristiani, da meritare che, 
non solo a Milano, ma anche a Brescia ed a Tortona si stabi- 
lissero dei vescovati, e che quell’imperatore, di cui non è neppur 
certo che perseguitasse i Cristiani, ne facesse uccidere tanti 
nelle suddette province. Onde, anche dato, e non concesso, che 
S. Marziano fosse primo vescovo di Tortona, non si potrebbe 
ammettere ch’egli vivesse al tempo di Adriano; 

3° Eziandio riguardo alla dignità vescovile di S. Marziano 
in Tortona trovai molti e assai gravi argomenti, che mi spin- 
sero al dubbio ed alla negazione. Ne enumero qui i principali: 

a) La lettera che S. Eusebio vescovo di Vercelli scrisse 
nel 356 dall’esiglio di Scitopoli ai suoi diocesani, tra i quali 
nomina i Tortonesi. Se nel 356 Tortona non aveva ancora un 
proprio vescovo, meno si può concedere che l’avesse al tempo 
di Adriano, mentre è certo che non l'avevano nè Vercelli, nò altre 
diocesi dell’Italia superiore, non esclusa forse la stessa Milano; 


vescovi di Padova il padovano Dondi Orologio, prima canonico, poi vescovo 
della sua patria; così per Pavia i pavesi p. Capsoni domenicano e il Robo- 
lini; il can. Lupi bergamasco per Bergamo, Gerolamo Tartarotti di Rovereto 
per Trento, il conte Giulini milanese per Milano e lo stesso marchese Mattei 
veronese per Verona. Per incidenza poi noto, che costoro e parecchi altri, 
sì ecclesiastici che laici, furono tutti eccellenti cattolici, ed esperti eziandio 
nelle scienze sacre, come appunto il Maffei, che sebbene laico, scrisse opere 
teologiche «di molto valore. 

(1) Tali sono i lunghi discorsi in favore della religione, che si mettono 
in bocca a tigri ed onagri, le conversioni per le prediche dei Ss. Faustino 
e Giovita d’uno sterminato numero di pagani, per es. di 42.000 a Lubras, 
22.000 al Ponte Molle, 73.000 a Roma, 53.000 a Napoli, l'incendio a Roma 
in uno stesso tempo di tutti i templi idolatrici ed altri. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. ti 


88 FEDELE SAVIO 


5) Il fatto che la leggenda, sebbene avesse lo scopo di 
esaltare S. Marziano, pure tace della sua qualità di vescovo, e 
di primo vescovo di Tortona; 

c) L'affermazione di uno storico ravennate del secolo X 
sull'identità di S. Marziano sepolto in Tortona con S. Marziano 
quarto vescovo di Ravenna. Quest’ identità fu ammessa da sto- 
rici posteriori, tra cui dal ravennate Gerolamo Rossi, scrittore 
per i suoi tempi diligentissimo. Ecco le parole dello storico ano- 
nimo del secolo X: Martianus vero post pontificalem infulam ec- 
clesine Ravennatis Terdonae martyrio coronatus est. 

A conferma di quest’identità faccio qui ora un’ osservazione 
non fatta prima. Essa riguarda l'identità del nome che tanto a 
Ravenna come a Tortona sempre si scrisse in latino Martianus 
ed in italiano Marziano. Per il nome latino vedasi Agnello (1) 
ed altri scrittori antichi ravennati, editi dal Muratori, nei Rerum 
Italicarum Scriptores, vol. I, parte 12, e vol. II, parte 22. Per 
il nome italiano basti citare il Fabri, Sagre Memorie di Ravenna, 
pag. 402 e altrove; 

d) Il fatto che mentre i Tortonesi nei più antichi secoli 
veneravano con grandi significazioni di onore S. Innocenzo loro 
vescovo, e, com'io credo, loro primo vescovo, conservandone in 
luogo distinto il corpo nella cattedrale, lasciarono il corpo di 
S. Marziano in una chiesa campestre (2), finchè i monaci addetti 


(1) Nell'edizione di Agnello in M. G. Hist. Script. Rerum Langob. si 
legge Marcianus; ma altri codici antichi portano esattamente Martianus. 

(2) La chiesa e il monastero stavano nella regione detta 7! Ronco, alla 
distanza di un chilometro e mezzo dalla città. Si veda Lucano, Origine e 
vita storica dell'Abbazia di S. Marziano di Tortona, Firenze, Pellas, 1902, 
pag. 55, 56. In un mss. intitolato: Cenni storici risguardanti li vescovi di 
Tortona da S. Marziano sino a Carlo Settala, 1653, scritti nel 1671 dal 
p. Tinti barnabita (nella biblioteca nazionale di Torino, Bc. 58, 1, Vescovi), 
indicatomi cortesemente dal cav. Benedetto Vesme, si legge: “ Nel sito ove 
“ era stato decapitato S. Martiano fu dal medesimo Santo (Innocenzo) edi- 
“ ficata una chiesa del suo titolo, che per lungo tempo fu abbatia nobile 
“ dei PP. Benedittini, dove fu collocato il suo corpo; ma dopo per la revo- 
“ lutione de’ tempi, e per le guerre fu destrutta assieme al Monastero 
“ del 1333, restandone le vestigia, che si veggono sino al dì d’hoggi, e 
“ trasferito il titolo in un’altra chiesa dentro della città all’istessa dicitura, 
“ data (poi) da Pio V con tutte le ragioni dell’antico Monastero ai PP. di 
© S. Domenico, che oggi l’offitiano, et ivi ogni anno nel giorno della sua 


LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI TORTONA 89 


a questa stessa chiesa e abitanti nel contiguo monastero nol 
trasportarono dentro la città nel secolo XIV. 

Del medesimo $S. Innocenzo si celebravano a Tortona tre 
feste, e sempre con rito doppio, quella dell’ordinazione (24 set- 
tembre), quella della morte (17 aprile) e ai 22 maggio la tras- 
lazione delle sue reliquie (1), mentre S. Marziano veneravasi 
soltanto il 27 marzo (2); 

e) Il fatto che S. Marziano fu posto tra i patroni o tito- 
lari della cattedrale solo nella seconda metà dell’anno 945 o 
nella prima metà dell’anno 946, come consta dal confronto di 
due atti del vescovo tortonese Giseprando, il medesimo che ac- 
canto alla chiesa campestre dedicata ai Ss. Pietro e Marziano 
fece costruire, o come a me sembra, ricostruire un monastero. 
Mentre il 5 giugno del 945 Giseprando considerava come pa- 
troni della sua chiesa solo i Ss. Lorenzo e Innocenzo, in un 
altro atto, che è forse dei primi mesi del 946, vi aggiunge anche 
S. Marziano. 


Posti questi fatti (e qui si tratta di fatti e non di sole 
congetture), cercai di spiegare in qual modo, nonostante che la 
diocesi di Tortona sia posteriore al 356, che S. Marziano dalla 


“ festa va processionalmente il vescovo con tutto il suo clero, portando le 
“ sue reliquie con molta divotione. Qual processione crediamo che fosse 
“ istituita anticamente e si praticasse nella chiesa monastica fuori delle 
“ mura, e sia restata hoggi per degna consuetudine consecrata nella nuova. 
“ Il corpo di S. Marziano traslatato prima nella chiesa episcopale, che già 
“ fu sopra il monte, e fu prima ristretta per la fabbrica del castello, e poi 
“ diroccata quasi ai giorni nostri dal fulmine, e d’indi trasportata nella 
“nuova cathedrale edificata in Porta S. Quirino in capo della Piazza della 
“ Città, dove hoggi riposa in luogo decente e è honorato e venerato dai 
“ cittadini ,. 

(1) Così dice il Tinti sotto S. Innocenzo nell’ opera testè citata; indi 
soggiunge: Adesso però si fa una festa sola per decreto della S. Congregazione. 

(2) La festa per decreto del vescovo tortonese Cosimo Dossena (1612-1628) 
venne trasferita dal 27 al 6 marzo; ma è falso quanto scrisse un biografo 
di quel vescovo: Dilatum in aliam sine causa diem D. Martiani, civitatis 
patroni, festum proprio tempori restituit; Lepesma, Cosmas Dossenius, Tortona, 
Viola, 1659, pag. 77. Il giorno anniversario del martirio fu sempre consi- 
derato il 27 marzo, come vedesi dagli Atti di S. Marziano che si trovano 
nel codice bobbiese F. 11. 10 della biblioteca nazionale di Torino, scritto 
nel secolo X. Ivi dopo le parole: Secundus..... rapwuit corpus eius et cum omni 
studio sepelivit eum, leggesi: VI kalendas aprilis, cioè il 27 marzo. 


90 FEDELE SAVI0 


stessa sua antica leggenda non sia detto vescovo, e da uno 
scrittore antico sia detto vescovo di Ravenna, pure si radicasse 
trà i Tortonesi la credenza che S. Marziano, di cui essi posse- 
devano il corpo, fosse primo vescovo della loro città e martire al 
tempo di Adriano. 

La spiegazione migliore mi parve la seguente: 

Ammisi quanto alla sostanza l’asserzione dell’ahonimo ra- 
vennate del secolo X sull’ identità di S. Marziano ‘di Tortona 
con S. Marziano quarto vescovo di Ravenna. Non però ammisi 
che S. Marziano venisse a Tortona vivente, perchè questa mi 
parve una congettura arbitraria dell’anonimo per spiegarsi come, 
mentre tutti gli altri vescovi Santi di Ravenna furono seppelliti 
in quella città, S. Marziano fosse sepolto in Tortona. Questo 
fatto a me parve di spiegarlo meglio dicendo che S. Marziano 
fu portato a Tortona morto, e qualche secolo dopo la sua morte, 
cioè nel secolo VIII. 

Questa, è bensì una semplice congettura, ma non punto ir- 
ragionevole e temeraria, anzi pienamente conforme a tutte le 
circostanze storiche di quel tempo. 

È noto che gli ultimi re longobardi si mostrarono grande- 
mente solleciti di possedere dei corpi di Santi. In tale impegno 
superò forse ogni altro il re Astolfo, il quale venuto nel 755 
ad assediar Roma, spogliò interamente le catacombe, tanto che, 
a detta del De Rossi (1), da quel tempo le catacombe cessarono 
d'essere la meta di pietosi pellegrinaggi, ed a poco a poco cad- 
dero in dimenticanza, dalla quale le tolse poi lo stesso De Rossi 
nel passato secolo XIX. 

Lo stesso impegno di rapire corpi santi aveva dimostrato 
Astolfo, allorchè due anni prima era entrato in possesso di Ra- 
venna, e consta in particolare che ne portò via il corpo del 
vescovo S. Eleocadio, ‘che stava in una chiesa a lui dedicata. 
Ora, come da buoni indizii si può ritenere che nella stessa 
chiesa di S. Eleocadio stesse anche il corpo di S. Marziano, 
nulla di più verosimile che Astolfo portasse via eziandio il corpo 
di S. Marziano. Di poi, egli ritenendo presso di sè ‘a Pavia il 
corpo di S. Eleocadio (che in seguito rimase sempre in questa 


(1) Roma sotterranea cristiana, vol. I, pag. 220; II, pag. 123; “ Bullettino 
d’Archeol. cristiana ,, passim. 


LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI TORTONA 91 


città), avrebbe dato il corpo di S. Marziano ad una comunità 
religiosa, che viveva presso Tortona, ed il corpo di S. Calocero 
successore di S. Marziano nella sede vescovile di Ravenna ad 
un'altra comunità monastica di Albenga (1). Così certamente 
egli fece riguardo al corpo di S. Silvestro papa, che portò via 
da Roma e poi diede all’abazia di Nonantola fondata da lui. 

Poco tempo dopo le suddette traslazioni fu composta la 
leggenda primitiva, nella quale si narrano le geste, evidentemente 
favolose, di un gruppo di Santi, Faustino, Giovita, Apollonio ed 
Afra di Brescia, Marziano di Tortona, Secondo d’Asti, Calocero 
d'Albenga, Calimero di Milano. Dall'esame della leggenda si 
scorge indubitato l'intento del leggendista di attribuire ai sud- 
detti Santi ancora viventi delle relazioni, che essi non ebbero, 
con i luoghi dove stavano i loro corpi, cioè Brescia, Milano, 
Tortona, Asti ed Albenga, e di più relazioni vicendevoli tra 
loro e relazioni di tutti con Milano. Interessato com'era il leg- 
gendista a far credere che S. Marziano, il cui corpo veneravasi 
a Tortona, fosse un Santo vissuto in questa città, doveva neces- 
sariamente tacere la sua provenienza da Ravenna e quindi anche 
la sua qualità di vescovo. Tuttavia quest’ultima qualità non si po- 
teva ignorare dal popolo, per cagione specialmente del culto, che 
già rendevasi pubblicamente in Tortona al Santo, come a vescovo 
e martire, prima ancora che venisse composta la leggenda. Onde 
ne accadde, che mentre a Tortona continuossi a venerare S. Mar- 
ziano qual vescovo e martire fin dal primo giorno che vi fu 
trasferito il suo corpo da Pavia o da Ravenna, col diffondersi 
della leggenda si aggiunse ch'egli era stato vescovo e martire 
al tempo di Adriano. Nello stesso tempo perdutasi per mezzo 
della leggenda ogni traccia della sua provenienza da Ravenna, 
divenne sempre più facile il crederlo vescovo della stessa città, 
in cui giaceva il suo corpo, cioè Tortona. Infine, non essendovi 
memoria di vescovi tortonesi più antichi, lo si disse primo ve- 
scovo di Tortona. 

Così e non altrimenti mi parve di conciliare tra loro i fatti, 
che ho ricordati qui sul principio. 

In particolare per ciò che riguarda l’esito delle mie ricerche 


(1) Si veda quanto ne ho detto nel mio studio sulla Léyende de S. Paustin 
et Jovite in Anal. Boll., XV, pag. 63. 


92 FEDELE SAVIO 


in raffronto alle tradizioni antiche ed ai Tortonesi, fui lieto che 
mentre prima delle mie ricerche non avevasi intorno a S. Mar- 
ziano, che la sua leggenda, la quale porgeva occasione ai critici 
più rigorosi di dubitare non solo dell’autenticità del suo corpo, 
ma anche della sua stessa esistenza, le testimonianze nuove da 
me trovate posero questi due punti sostanziali quasi interamente 
al sicuro. Tra siffatte testimonianze metto in prima fila il passo, 
già citato qui sopra, dell’anonimo ravennate del secolo X, poichè 
avendo il Muratori per svista letto tandem in luogo di ter- 
done, nessuno se n’era mai potuto valere in riguardo al nostro 
S. Marziano. 

Tuttavia, com'era da prevedersi, le mie conclusioni non piac- 
quero a tutti i Tortonesi, e vi fu, non è molto, tra loro chi 
prese ad impugnarle, del resto con molta cortesia e modera- 
zione (1). Non intendo ora di esaminare le ragioni addotte dal 
mio oppositore, tanto più che, neppure nella sua intenzione, 
esse non hanno un carattere strettamente scientifico. Ma credo 
possa tornare utile agli studiosi per la soluzione della pre- 
sente controversia e di altre ad essa affini, presentare qui il 
risultato d'una scoperta, che feci allorchè l'opuscolo che ho ricor- 
dato mi costrinse a ritornare per breve tempo sul punto storico 
di cui ragiono. Ho scoperto cioè una falsificazione d’un testo di 
S. Eusebio vescovo di Vercelli, la quale secondo tutte le appa- 
renze deve aggiungersi a quelle tante, che già si conoscono del 
celebre falsario piemontese, il Meyranesio. 


Di. 


Come dissi, uno tra gli argomenti onde presi a dubitare, che 
S. Marziano non fosse stato primo vescovo di Tortona al tempo 
di Adriano, fu la menzione dei Tortonesi, che trovasi nella let- 
tera scritta da S. Eusebio di Vercelli ai suoi diocesani nel 356. 
Aggiungo ora che questo argomento lo ritengo tra i più validi, 
essendo per me della massima evidenza che S. Eusebio non 
avrebbe scritto a fedeli d’un’ altra diocesi, senza ricordare il loro 


(1) P. MicaeLE DA CARBONARA, S. Marziano martire primo vescovo di Tor- 
tona, tradizione tortonese, Tortona, Rossi, 1902, un opuscolo in-8° gr. di 
pagg. 31. 


LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI TORTONA 93 


vescovo, qualunque ei si fosse, o cattolico, o ariano, o presente 
o lontano dalla sua diocesi, o anche testè defunto, e ciò per il 
principio rigorosamente e costantemente osservato nella disci- 
plina ecclesiastica, che niun vescovo s’ingerisca in una diocesi 
non sua senza darne ragione. Quindi dal modo con cui S. Eu- 
sebio nomina i Tortonesi tra gli altri suoi diocesani, tacendo 
d’un loro vescovo; giustamente dedussi che Tortona nel 356 non 
era ancora sede vescovile, nè perciò potevasi credere all’episco- 
pato di S. Marziano nel secolo II. 

Contro quest’ argomento, così decisivo, sì oppose che nella 
lettera di S. Eusebio non deve leggersi la parola Dertonensibus, 
gli abitanti di Tortona, ma Testonensibus, abitanti cioè del pic- 
coro villaggio di Testona, presso Moncalieri. Di qui per me la 
necessità di verificare siffatta lezione. 

Dirò subito (come già osservai altrove (1)), che il primo ad 
introdurre la lezione Testonensibus in luogo di Dertonensibus fu 
mons. Agostino Della Chiesa nella Descrizione del Piemonte, 
scritta da lui verso il 1640, che ancora manoscritta conservasi 
nella biblioteca di S. Maestà in Torino. Prima del Della Chiesa 
tutti coloro, che riportarono la lettera di S. Eusebio, sempre la 
riportarono con la parola Dertonensibus, cominciando dal Mom- 
brizio, che, verso il 1475, per l’edizione del suo Sanctuarium 
adoperò in generale codici molto esatti. Dopo il Mombrizio e 
probabilmente copiando da lui, riferirono la lettera di S. Eusebio 
con la parola Derthonensibus il Lipomano, il Surio, mons. Bo- 
nomi vescovo di Vercelli (1581), il Baronio (Annales ad an. 356, 
n. XCII) e mons. Giov. Stefano Ferrero nella prima edizione 
della sua Vita di S. Eusebio, stampata in Roma nel 1602. Nella 
seconda edizione della stessa Vita, che uscì in Vercelli nel 1609 
(apud Hieronymum Allariam et Michaelem Martam socios) il Fer- 
rero a p. 56, riportando la lettera, ai quattro popoli nominati 
per primi da S. Eusebio, cioè i Vercellesi, i Novaresi, gli Epo- 
rediesi ed i Tortonesi, aggiunse anche gli Aostani, gli Industriesi 
e gli Agamini al Palazzo (abitanti di Ghemme). Quest’aggiunta, 
come ivi afferma a pag. 63, la trasse da un codice antico della 
sua chiesa vercellese, nè vi è punto luogo a dubitare della sua 
affermazione. 


(1) Antichi Vescovi d’Italia, IV Piemonte, Torino, Bocca, 1898, pag. 4. 


94 FEDELE SAVIO 


Ma se giusta e doverosa si deve ritenere l'aggiunta fatta/ 
da mons. Ferrero, interamente arbitrario fu il cambiamento ché 
volle introdurre mons. Della Chiesa sul solo fondamento della 
credenza, in cui egli ed altri molti al suo tempo erano, che 
S. Marziano fosse stato vescovo di Tortona al tempo di Adriano (1). 
Ma questo fondamento è troppo vacillante perchè dia diritto a 
correggere i codici antichi, lasciando stare che di Testona, pic- 
colo villaggio presso a Torino, non v’è memoria alcuna che ne 
attesti non dico l’importanza, ma l’esistenza al tempo dell’im- 
pero romano, mentre tante ve ne sono che ci ricordano Tortona. 
E dico i codici antichi al plurale, perchè almeno due furono i 
codici antichi, che servirono per le edizioni della lettera di 
S. Eusebio, quello di cui si valse il Mombrizio, e quello adope- 
rato dal Ferrero per la sua 2* edizione. 

A questi codici, recanti la parola Dertonensibus, qualcuno 
vorrebbe ora opporne un altro, anch'esso assai antico, tratto da 
un transunto della cattedrale di Embrun, nel quale non solo si 
trova la parola Testonensibus, ma vi si leggono molti altri nomi 
di popoli non seritti nei codici adoperati dal Mombrizio e dal 
Ferrero. Ma di questo codice o transunto di Embrun nè il Du- 
randi, che lo citò per il primo nel 1766, diede nessuna informa- 
zione, nè altri o prima o dopo di lui ebbe la minima notizia. 
Onde tutto induce a credere che esso altro non sia che un’in- 
venzione ed una falsificazione del Durandi stesso o del Meyra- 
nesio suo amico o di entrambi insieme. 

È noto come Giuseppe Francesco Meyranesio (nato nel 1728, 
morto parroco di Sambuco nel 1793) sia stato uno dei più attivi 
falsificatori di storia piemontese. Egli inventò iscrizioni, cro- 
nache, documenti, e persino, come dimostrai nella mia, opera 
sugli Antichi Vescovi del Piemonte, pag. 569, omelie di S. Mas- 
simo. Giustamente il Mommsen lo chiamò il Pirro Ligorio del 
Piemonte (2). Uno dei suoi amici e corrispondenti fu Jacopo 


(1) Dopo aver riferito l'indirizzo della lettera, quale si trova nelle due 
edizioni del Ferrero, il Della Chiesa soggiunge: “ Nec non etiam Testonen- 
“ sibus e non Dertonensibus, come malamente leggono le due allegate im- 
“ pressioni ,. E ne dà la seguente ragione: “la città di Tortona a quel 
“ tempo aveva vescovi ,. 

(2) Corp. Inscript. Latin., vol. V, parte 2*, pag. 776, n. XXV. 


LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI TORTONA 95 


Durandi, nato nel 1739 a Santhià, morto nel 1817, che nei suoi 
libri pubblicò molte iscrizioni inventate dal Meyranesio. 

Il Mommsen nota che queste falsificazioni meyranesiane 
nelle opere del Durandi cominciano a comparire nell'opera: Delle 
antiche città di Pedona, Caburro, ecc., stampata in Torino nel 
1769 (1). Però discorrendo dell’opuscolo del Durandi intitolato: 
Dell’antica condizione del Vercellese e dell’antico borgo di Santhià, 
stampato in Torino tre anni prima, cioè nel 1766, osserva bensì 
che vi sono qui pure nove iscrizioni false, ma soggiunge non 
sapersi se esse gli fossero comunicate dal Meyranesio, perchè 
nè il Durandi lo nomina, come poi fece in seguito, nè di quelle 
iscrizioni si trovò copia nelle schede meyranesiane. Onde con- 
chiude che vi è molto a sospettare dello stesso Durandi, che 
non solo fosse connivente alle falsificazioni altrui, ma ne potesse 
inventare egli stesso: Quam ob rem non propter socium tantum, 
sed per se quoque testis iste suspectus est. 

L’intitolazione più copiosa della lettera di S. Eusebio, di cui 
ho parlato, comparve appunto nell'opera suddetta del Durandi, 
Dell’antica condizione del Vercellese, stampata nel 1766 (2). Essa 


(1) Ibid. 

(2) Ecco le parole testuali del Durandi, comprese le parentesi: “ La cui 
intitolazione, secondo un antico Transunto esistente nell'Archivio della Cat- 
tedrale di Ambrun, è questa: Direcrissimis FrATRIBUS et satis desideratis- 
simis Presbyteris, Diaconibus et Subdiaconibus, et omni Clero et Sanctis in 
fide consistentibus Plebibus Vercellensibus, Novariensibus, Hypporegiensibus, 
Augustanis Industriensibus et Agaminis ad Palatium, nec non etiam Testo- 
nensibus..... (io leggo Taurinensibus) Alben. Asten. Intimilien..... (evvi qui 


(4 


u 


“ 


un intervallo, che dimostra mancarvi un nome, che secondo l’ordine delle 
Città nominate deve essere Ingaunensibus) Aquen..... ensibus (leggo Januen- 


sibus) Eusebius Episcopus in Domino aeternam salutem. Le parole sottose- 
gnate sono scritte in carattere più minuto. Di qui apparisce, che Eusebio 
amministrava anche le città della Provincia delle Alpi Cozie, secondo la 
distribuzione civile fattane dal gran Costantino, perocchè le medesime 
non avevano ancora il. proprio Vescovo. Questa lettera fu primieramente 
rapportata dal Baronio sotto l’ anno 356. Ma nè il Baronio, nè quelli 
che rapportaronla dopo lui, vi copiarono fedelmente il titolo della mede- 
sima: tutti vi hanno ommesso le parole da Augustanis inclusivamente 
fino a Januensibus. Inoltre invece di Testonensibus tutti fin qui lessero 
Derthonensibus. Ma però Francesco Agostino Della Chiesa (Descrizione ma- 
“ noscritta del Piemonte, part. IV, cap. 24) lesse il primo nell'antico Tran- 


» 


96 FEDELE SAVIO 


fu giudicata senz’ altro una falsificazione meyranesiana dal 
ch."° Carlo Promis, il quale fu uno dei primi e più benemeriti 
smascheratori dei Meyranesio e compagni. Presentando egli il 
dì 24 novembre 1867 alla nostra Accademia delle Scienze uno 
scritto di Giovanni Franc. Muratori sopra un codice d’iscrizioni 
falsificato dal Meyranesio, così si esprimeva: “ Nè restossi quel- 
“ l’uomo dal metter mano anche nelle cose ecclesiastiche. ..... 
“ Nella celebre epistola, che S. Eusebio nel 336 mandò da Sci- 
“ topoli alle sue pievi di Vercelli, Novara, Ivrea e Tortona, pa- 
“rendo al Meyranesio che quelle quattro fosser poche, da un 
“ antico transunto dell’archivio della cattedrale di Ambrun compiè 
“ il periodo, interpolandovi nulla meno che undici altre pievi, 
“ fra le quali son sette moderne città vescovili. Il qual cimelio 
“ egli comunicò al Durandi, che fu sollecito a stamparlo (Antica 
“ condizione del Vercellese, pag. 37) , (1). 

Prima ancora del Promis parecchi scrittori di cose piemon- 
tesi, che parlarono della lettera di S. Eusebio, quantunque co- 
noscessero l’intitolazione più lunga, messa fuori dal Durandi, 
non ne tennero conto alcuno, il che dimostra ch’essi non la 
credevano autentica. Così fecero, per es., nel secolo XVIII il 
Terraneo, contemporaneo ed amico del Durandi, e nel XIX il 
Cibrario nella sua Storia di Torino (2) ed il Semeria nella Storia 
della Chiesa metropolitana di Torino (3). 

Grandemente significativo è il silenzio che intorno all’indi- 
rizzo della lettera tenne l'abate Costanzo Gazzera. Egli fu uno di 
quelli che più ingenuamente credettero e seguirono le falsifica- 
zioni meyranesiane, siccome ne fa ampia prova tutto il capitolo 


“ sunto di quella lettera Testonensidbus ,, pag. 37. Oltre alla falsificazione 
principale vi sono in questo tratto varie asserzioni erronee, di cui rilevo 
solamente l’ultima che il Della Chiesa /esse ecc. Non lesse, ma vi sostituì 
di suo arbitrio Testonensibus. 

(1) “ Atti dell’Accad. delle Scienze ,, vol. III, anno 1867-68, pag. 48. 
Il Promis però si sbaglia quando attribuisce al Meyranesio l’ introduzione 
dei tre nomi Augustanis, Industriensibus et Agaminis ad Palatium. Questa 
fu fatta assai prima del Meyranesio da mons. Ferrero, il quale la trasse 
da un codice di Vercelli, nè v’è la minima ragione di negar fede al Ferrero. 
Vedi Promrs, Storia di Torino antica, pag. 17. 

(2) Fontana, 1846, pag. 59, 60. 

(3) Torino, 1840, pag. 15. 


LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI TORTONA 97 


delle iscrizioni cristiane d'Alba, che il De Rossi prima e poi 
tutti gli altri scrittori riconobbero come indubbie falsificazioni 
del Meyranesio. Con tuttociò, sebbene egli certamente conoscesse 
la pretesa intitolazione tratta dall'archivio di Embrun (1), non 
la nominò, nè se ne servì. Anzi neppure accettò la lezione Testo- 
nensibus in luogo di Derthonensibus (2), sebbene già accettata da 
alcuni prima di lui, come anche fu accolta da altri dopo di lui. 
Cosicchè tra i tanti scrittori, che trattarono di storia piemontese 
dal Durandi alla fine del secolo XIX, pochissimi furono quelli 
che accettarono la lezione messa fuori dal Durandi come pro- 
veniente dal codice di Embrun. Anzi io non ne conosco che due, 
Vincenzo Malacarne, che la trascrisse nel suo articolo Della città 
e degli antichi abitatori d’ Acqui, stampato nel vol. II degli Oz 
letterarii, l’anno 1787 (3), ed il Biorci (4), nella sua Storia d’ Acqui, 
vol. I, pag. 103 (Tortona, 1818). Questi, essendo acquese, seguì 
il Malacarne, che, sebbene saluzzese di patria, dimorò lungamente 
ad Acqui, e scrisse varie memorie sulla storia di quella città. 

Ai suddetti non aggiungo il Casalis, poichè sì gli articoli 
composti da lui nel suo Dizionario geografico-storico degli Stati 
Sardi, sì quelli che gli furono comunicati da altri seguono le 
tracce degli storici locali. Così sotto Acqui, seguendo il Biorci, 
ammise la falsa intitolazione della lettera eusebiana. Al con- 
trario, sotto Vercelli seguì la lezione del Ferrero. Ne tacque 
poi del tutto sotto Alba, Albenga, Asti, Ventimiglia, Genova, 
che sarebbero le altre città nominate nel supposto codice d’Em- 
brun, e non nominate nei codici del Mombrizio e del Ferrero. 


(1) La conobbe, perchè cita il Biorci nello stesso tratto, dove questi 
riporta la suddetta intitolazione. Vedi Iscrizioni cristiane del Piemonte, in 
“ Memorie dell’Accademia delle Scienze ,. 2* serie, tomo XI, Torino, 1851, 
pag. 187. 

(2) Ibid., pag. 182. Nella dissertazione I! castello di Bodincomago diverso 
dalla città d’Industria, in “ Memorie, ecc. ,, vol. XXXIV, Torino, 1830, non 
parla della lettera di S. Eusebio. 

(3) Pag. 127 in nota. 

(4) Egli aggiunge che mons. Buronzo del Signore vescovo d’Acqui in 
riconoscenza a S. Eusebio, che secondo la falsa intitolazione sarebbe stato 
vescovo anche degli Acquesi, volle che si celebrassero nella sua diocesi le 
due feste di S. Eusebio del 1° agosto e del 16 dicembre. Si noti che 
mons. Buronzo era vercellese, e quindi particolarmente devoto di S. Eusebio. 


98 FEDELE SAVIO 


Questo silenzio di quasi tutti gli storici piemontesi, anzi di 
tutti, eccetto del Malacarne, e dei due che lo copiarono, il Biorci 
e il Casalis, è, come ognun vede, un altro forte argomento a ri- 
tenere per lo meno sospetta la lezione del codice di Embrun, 
la cui esistenza venne affermata dal solo Durandi, testimonio 
così mal sicuro in questa materia. 

Un nuovo argomento di falsità lo ricavo da un catalogo 
di tutte le carte dell'archivio capitolare d’Embrun, scritto nel 
1790-91, cioè pochi anni dopo l’opera del Durandi, e pub- 
blicato dal can. Paolo Guillaume in appendice all’Histoire gé- 
nérale des Alpes Maritimes del P. Marcellino FoRrNIER (Paris, 
1890-92, vol. III, pag. 33). Nè da esso, nè dalla storia del For- 
nier, nè dalle diligenti ricerche dell’editore, il can. Guillaume, 
che essendo archivista del dipartimento delle Hautes-Alpes, e 
diligente storico, ha una piena conoscenza dei codici e delle 
carte più antiche della sua regione, si ha il menomo indizio del- 
l’esistenza di un codice antico, il quale contenesse la lettera di 
S. Eusebio con un’ intitolazione così diversa dalla volgata. 

Resta adunque che una tale intitolazione si deva ritenere 
come falsa ed inventata. 

Quanto all’autore della falsificazione, sebbene non si possa 
affermare con assoluta certezza che sia il Meyranesio, tuttavia 
ne recherò qui alcuni indizii assai gravi. Premetto che egli verso 
il 1755 aveva fatto un viaggio in Francia ad Aix ed a Gre- 
noble nel Delfinato, e che dipoi più d'una volta diede carte e 
documenti di sua invenzione, come provenienti dagli archivi di 
quelle province (1). Di più v'è una sua lettera al Vernazza, 
nella quale dice d'aver una copia della lettera di S. Eusebio, 
presa da un codice antichissimo. 

Essa è la 17? tra le lettere del Meyranesio al Vernazza, 
che si conservano presso la nostra Accademia e porta la data 


(1) Il giorno 12 settembre 1779 così scriveva al Vernazza: “ Circa alle 
“cose d'Alba ho veduto molte cose negli archivj della Provenza e del Del- 
“ finato, cioè nelli archivj di Aix e di Grenoble saranno circa 25 anni fa. 
“ Di alcune carte ne ho preso copia, e delle altre, perchè non avevo tanto 
“ di tempo, ne ho ricavato le memorie più interessanti. Avendo al presente 
‘le mie carte ed i miei libri in una estrema confusione, non posso dar- 
“ vene distinta notizia, il che farò altra volta ,. 


LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI TORTONA 99 


di Sambucco, 8 febbraio 1780: “ Io ho, serive il Meyranesio, 
“una copia della di lùi (S. Eusebio) lettera scritta da Scitopoli 
“a varie città del nostro paese, e dei vicini, collazionata con 
“ un antichissimo codice, la quale commumicherò ben volentieri ,. 
Evidentemente questa lettera, tratta da ùn ‘codice antichissimo, 
doveva avere qualche cosa di diverso dalle edizioni già note, 
altrimenti sarebbe stato ridicolo intrattenerne il Vernazza. In 
effetto in altra lettera, scritta il 6 del seguente mese di marzo, 
dice chiaramente che quel poco ch'egli aveva di S. Eusebio (cioè 
la lettera suddetta o meglio l’intitolazione della lettera) era ine- 
dito: “ Copierò poi quanto ho d’inedito di S. Massimo e quel 
“ poco io tengo di S. Eusebio vescovo di Vercelli, e secondo 
“ me, sicuramente maestro del nostro S. Vescovo (Massimo) ,. 

A questo primo indizio che la lettera pubblicata dal Du- 
randi sia quella di cui parla il Meyranesio, si aggiunga quest'altro. 
Il Durandi nel pubblicarla non disse che gli fosse stata trasmessa 
dal Meyranesio. Ora appunto il Meyranesio, scrivendo, il 12 set- 
tembre 1779, al Vernazza, che s’era lagnato del Durandi, perchè 
avendogli trasmesse certe notizie, le aveva pubblicate senza ci- 
tarlo. così gli rispondeva: “ Circa al sig. Durandi voi avete tutte 
“ le ragioni del mondo, nel fatto del quale mi scrivete. Altri, 
“ oltre Voi, ancora vi sono, i quali in leggendo i suoi libri vi 
“ ritrovano pagine intiere di cose, a lui communicate, senza 
“ che essi vi siano nominati ,. E finisce: “ A buon conto state 
“ sicuro, che quello mi avete scritto resterà appresso di me ,. 

Tenuto conto ancora del fatto certo, che il Durandi fu l’or- 
gano, del quale si servì il Meyranesio per spargere nel pubblico 
le sue invenzioni, e che l’opera dell'Antica condizione del Ver- 
cellese è la sola, come afferma il Mommsen, dove il Durandi non 
cita il Meyranesio, sebbene ivi pure metta fuori varie iscrizioni 
false e la falsa intitolazione della lettera eusebiana che ha 
tutta l'impronta della fabbrica meyranesiana, pare potersi con- 
chiudere che a quest'opera appunto alluda il Meyranesio quando 
si lagna del Durandi, e che perciò la suddetta falsificazione 
provenga dal Meyranesio. Al quale tuttavia se do la colpa 
maggiore, non credo si possa assolvere il Durandi da una co- 
sciente e colpevole connivenza, poichè, formito di criterio e di 
erudizione com’ egli era, doveva pur accorgersi che l’intitola- 
zione della lettera eusebiana non poteva essere genuina. Eppure 


100 FEDELE SAVIO 


egli non solo la pubblicò, ma in un'altra sua opera, stampata 
18 anni appresso, cioè nel Piemonte Cispadano antico, Torino, 
1784, pag. 306, volle mantenuto l’inganno, rimandando il let- 
tore all’intitolazione della lettera da lui pubblicata nell’ Antica 
condizione del Vercellese. È pure da notarsi che il. Meyranesio 
nello stesso anno 1784, nel suo Pedemontium Sacrum, unica opera 
da lui direttamente edita per le stampe, e dove (forse perchè 
la compose in compagnia del Nasi, onestissima persona) non: 
intruse che pochissime sue falsificazioni, non parla nè punto nè 
poco della lettera di S. Eusebio. Tanto forse gli parve audace 
il metter fuori una sì evidente falsificazione ! 

Quanto alla lezione Testonensibus in luogo di Derthonensibus, 
essa fu generalmente seguita, sull’autorità di mons. Della Chiesa, 
dagli storici di Torino, o delle provincie più vicine a Torino. 
Probabilmente per alcuni di costoro il pensiero di comprendere 
Torino nei confini della diocesi di S. Eusebio (e vi sarebbe stata 
compresa se si fosse estesa fino a Testona al sud di Torino) li 
rese per lo meno non molto solleciti di appurare se la lezione 
proposta dal Della Chiesa fosse più conforme al vero. Il fatto 
fu che, oltre il Terraneo, il Cibrario e il Semeria, già nominati, 
accettarono la detta lezione anche alcuni moderni, quali il 
Chiuso (1) ed il Fabretti, che nel suo lavoro Dell’antica città 
d’Industria, sta a quanto ne avevano scritto il Terraneo ed il 
Chiuso (2). 

Però gli scrittori vercellesi (per quanto mi consta) riten- 
nero sempre la lezione Derthonensibus (3); e questa lezione fu 
pure seguita dal più recente storico della chiesa cattedrale di 
Tortona, il can. primicerio Pollini (4). Essa, da quanto ho detto, 
si deve ritenere come l’unica vera, poichè è la lezione dei 
codici antichi, visti e copiati dal Mombrizio e dal Ferrero, ed 


(1) La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, Torino, Speirani, 
1887, vol. I, pag. 2. 

(2) Negli “ Atti della Società d’Archeologia di Torino ,, Anno III, 
Torino 1880, pag. 25. 

(3) Per es. il Frceppr nella sua Storia dei Vescovi di Vercelli, scritta 
nel 1755, mss. presso l'Accademia delle Scienze, n' 41 e 43. 

(4) Memorie storiche della chiesa cattedrale di Tortona, Tortona, Rossi, 
1889, pag. 19. 


LE ORIGINI DELLA DIOCESI DI: TORTONA 101 


è interamente arbitraria la mutazione voluta introdurvi dal 
Della Chiesa (1). 


(1) Come il Della Chiesa pretese di correggere Derthonensibus in Testo- 
nensibus, così il can. Bosio con pari autorità, congetturò che la vera lezione 
fosse Taurinensibus. Nelle note al Pedemontium Sacrum del Meyranesio, in 
Mon. Hist. Patr. Script. IV, pag. 1559, scrive: “ Bisogna osservare che la 
“ parola Testonensibus non dev'essere molto chiara e leggibile, mentre fu 
“ letta da altri per Testonensibus e da altri in altre maniere..... ,; e soggiunge: 
“ Quindi si potrebbe anche leggere Taurinensibus in vece di Tortonensibus 
“o Testonensibus ,. 


L’Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


102 


PREMII DI FONDAZIONE GAUTIERI 


L'Accademia Reale delle Scienze conferirà nel 1903 un 
premio di fondazione Gautieri all'opera di Filosofia, inclusa la 
Storia della filosofia, che sarà giudicata migliore fra quelle pub- 
blicate negli anni 1900-1902. Il premio sarà di L. 2500, e sarà 
assegnato ad autore italiano (esclusi i membri nazionali residenti 
e non residenti dell’Accademia) e per opere scritte in italiano. 

Gli autori, che desiderano richiamare sulle loro pubblica- 
zioni l’attenzione dell’Accademia, possono inviarle a questa. Essa 
però non farà restituzione delle opere ricevute. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 28 Dicembre 1902. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. CONTE TOMMASO SALVADORI 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Soci: NaccarI, Mosso, CAMERANO, SEGRE, 
Peano, JADANZA, Foà, GuaRrEscHI, GumI, FrLeti, PARONA, MORERA 
e D'Ovipro Segretario. — Scusa l'assenza il Socio MaTtTIROLO. 

È letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente. 

Il Segretario comunica una lettera di ringraziamento del 
Prof. Francesco D’Ovipio pel premio Gautieri conferitogli, ed 
una lettera che invita ad aderire alle onoranze al p. Angelo 
Seccni nel 25° anniversario della sua morte, promosse da un 
Comitato costituitosi in Roma. 

Il Socio Seere a nome del Socio non residente BIANCHI, 
presenta una memoria del Dr. Guido FuBinI: Sui gruppi di 
trasformazioni geodetiche. Essa sarà esaminata'da apposita Com- 
missione. 

Il Socio PARONA presenta per l'inserzione negli Atti una 
nota intitolata: Nuove osservazioni sui massi di calcare rosso @ 
branchiopodî del Lias medio compresi nelle argille scagliose. di 


‘ Lavriano. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 8 


104 CARLO FABRIZIO PARONA 


LETTURE 


Nuove osservazioni sui massi di calcare rosso a brachiopodi 
del Lias medio 
compresi nelle argille scagliose di Lauriano. 


Nota del Socio CARLO FABRIZIO PARONA. 


Nell’adunanza del 10 maggio 1901 comunicai alla R. Ac- 
cademia l'elenco dei fossili lamellibranchi e, in maggior copia, 
brachiopodi del Lias medio, compresi in un blocco di calcare 
a crinoidi, trovato da A. Sismonpa in un conglomerato presso 
Lauriano (regione roncheja) (1). In quella nota io riferiva, che 
erano rimaste infruttuose le ricerche fatte per rintracciare altri 
pezzi dello stesso calcare ed il conglomerato nel quale il Sismwonpa 
aveva raccolto il blocco suaccennato. 

Ma nella primavera scorsa il collega Sacco avvertì la pre- 
senza di un altro masso di calcare fossilifero, identico a quello 
del Srsmonpa, nelle argille scagliose dei dintorni di Lauriano e 
gentilmente me ne portò un frammento. Allora si rinnovarono 
le ricerche; ed il dott. PREVER, da me mandato sul posto, trovò 
un rilevante deposito di blocchi del calcare in discorso, che più 
tardi rivedemmo insieme, in una gita fatta con i professori VIr- 
ciLto ed ArrAGHI e con qualche studente. 

Nelle colline che si innalzano dietro Lauriano si sviluppano 
largamente le argille scagliose eoceniche, che si stendono allo 
scoperto appunto verso il borgo suddetto e verso Mezzana. 
Queste argille inglobano, come già dissi nella nota precedente, 
massi e frammenti di rocce diverse e numerosissimi pezzi di 


(1) C. F. Parona, Fossili del Lias medio nel conglom. terziario di Lau- 
riano (Colli di Torino). 


NUOVE OSSERVAZIONI SUI MASSI DI CALCARE, ECC. 105 


calcare alberese, che sono attivamente ricercati e trasportati 
alla grande fornace da calce di Lauriano. 

In uno scavo per l’estrazione di questi calcari da calce, e 
per consecutivo smottamento, venne messo a giorno nella massa 
delle argille scagliose, che affiora sotto C. Boggetta, un depo- 
sito formato da massi angolosi del calcare rosso a crinoidi e 
brachiopodi, accatastati con altri massi, meno comuni, di altro 
calcare rosso cristallino. 

Si presenta come un grande cumulo della larghezza appa- 
rente di circa 20 m., alto sul piano della cava una quarantina 
di metri e che a monte della cava stessa si può seguire per un 
centinaio di metri, finchè scompare sotto i campi coltivati so- 
vrastanti. Le argille scagliose, variamente ed intensamente co- 
lorate, lo avvolgono all’ingiro completamente e, nelle condizioni 
attuali della cava, non è possibile verificare come e dove spinga 
le sue radici e quali siano precisamente i rapporti del cumulo 
descritto colle argille stesse; se cioè tutto il cumulo sia com- 
preso nelle argille o se ne sia soltanto avvolto, giacendo esso 
sopra un substrato di rocce diverse. L’ammasso non ha i carat- 
teri di conglomerato; ha piuttosto l'aspetto di frana o di gros- 
solano detrito di falda e, nella parte esterna visibile, l’ argilla 
sì interpone, rilegandoli incompletamente, fra i massi, tutti an- 
golosi e voluminosi così, da misurare spesso oltre mezzo metro 
di diametro. Notevole è inoltre il fatto che, all’infuori di questa 
cava, le nostre indagini non riuscirono a rinvenire altri pezzi 
di calcare liassico in questo e negli altri affioramenti visitati 
di argille scagliose. 

Le descritte condizioni di giacitura della massa detritica 
mi confermano nell’idea, già da me espressa, sulla provenienza 
del masso o dei massi riscontrati da Sismonpa, nel senso di 
escludere una provenienza lontana, quale sarebbe quella dei 
noti giacimenti di Gozzano e di Arzo, e di ritenere ch’essi siano 
derivati da qualche terra o scogliera bagnata dal mare eocenico, 
situata sull’area stessa ove ora si elevano i colli torinesi, o in 
regione attigua lungo il piede attuale delle Alpi e scomparsa 
di poi, perchè distrutta dall’erosione o sepolta dal potente man- 
tello di terreni cenozoici e neozoici. 

Fatte le dovute proporzioni, questo piccolo deposito sembra 
paragonabile a certe brecce esotiche del Flysch nel versante nord 


106 C. F. PARONA — NUOVE OSSERVAZIONI SUI MASSI, ECC. 


delle Alpi (1). Un caso analogo è offerto dall’eocene friulano, 
che nella regione da Gemona a Cividale ingloba “ dei massi, 
anche grandiosi, di calcare cretaceo con specie e con un genere 
di rudiste non rinvenuti in alcun punto delle regioni a calcare 
cretaceo, che stanno a levante ed a ponente di questo tratto 
di monti , (2). Frammenti esotici di rocce giuresi fossilifere 
si trovano anche nel calcare marnoso della barriera, che separa 
il lago di Varese dal laghetto di Biandronno; ma in questo caso 
i frammenti sono arrotondati, allo stato di ciottoli, ed eviden- 
temente accennano all’ intervento dell’ azione fluviale nel loro 
trasporto (3). Per l'Appennino settentrionale, sono noti i ritro- 
vamenti, entro le argille scagliose, di pezzi di rocce fossilifere 
di diversa età mesozoica. Così è nota la dispersione erratica di 
calcare a rudiste, riconosciuta molti anni or sono dal prof. SaL- 
moyragHi nella zona ad argille scagliose di Ariano-Puglia nel- 
l'Appennino meridionale; e recentemente si riconobbe, che non 
tutti i massi sono di calcare cretaceo, essendovene altri, che 
contengono distinta fauna liassica-domeriana (4). 

La spiegazione della presenza di questi blocchi ‘esotici di 
rocce di varia età nelle argille scagliose evidentemente non è 
ovvia, tanto più se si considera, che non si è ancora detta l’ul- 
tima parola circa l’ origine delle argille stesse. È tuttavia in- 
discutibile l'utilità di tenere nota esatta dei fatti, che possono 
interessare il problema delle argille scagliose e la storia geo- 
logica delle regioni dove esse si trovano; ed io colla presente 
comunicazione mi sono proposto appunto di registrare uno di 
questi fatti, in attesa di comunicare i risultati dello studio, che 
converrà di fare sui fossili compresi nei massi ora scoperti, ma 
che richiede un preventivo lavoro, lungo e paziente, di estra- 
zione dei fossili stessi dal calcare compatto e tenace. 


(1) H, Scuarpr, Les régions exotiques du versant nord des Alpes Suisses. 
“ Bull. Soc. Vaud. d. Sc. nat. ,, 1898. 

(2) T. TarameLLi, Consid. a propos. della teoria dello Schardt sulle regioni 
esotiche nelle Prealpi. © Rend. R. Ist. Lomb. ,, 1898. 

(3) E. Marrant, Sul calcare marnoso puddingoide pseudo-giurese di Bian- 
dronno. “ Rend. R. Ist. Lomb.,, 1899. 

(4) G. BowareLLI, Blocchi domeriani nelle argille scagliose dell’ Appennino 
meridionale (Miscell. di note geol. e paleont.). “ Boll. Soc. Geol. It. ,, 1901. 


L’ Accademico Segretario: E. D’'Ovipro. 


107 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 4 Gennaio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. BERNARDINO PEYRON 
VICE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, 
Manno, BoseLLi, CipoLrLa, Brusa, ALLIEVO, SAVIO e RENIER Se- 
gretario. 

È approvato l'atto verbale dell'adunanza antecedente, 
21 dicembre 1902. 

Sono comunicati i ringraziamenti dei professori Francesco 
D’Ovipio e Antonio BeLLoni per il premio Gautieri di lettera- 
tura loro conferito. 

Dalla Segreteria accademica è presentato un opuscolo del 
Socio corrispondente Rodolfo DARESTE, Le code bdabylonien d’ Ham- 
mourabi, Paris, 1902, estratto dal Journal des Savants. 

Il Socio Savio fa omaggio di una sua recentissima pub- 
blicazione su Le origini del Monastero di S. Stefano d'Ivrea, Pine- 
rolo, 1902. 

Il Socio BoseLLI presenta per gli Att una nota del Prof. Gio- 
vanni ZANNONI, Federico II da Montefeltro e G. A. Campano. 


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108 GIOVANNI ZANNONI 


LETTURE 


Federico 1I di Montefeltro e G. A. Campano. 
Nota del Prof. GIOVANNI ZANNONI. 


Il codice vaticano-urbinate 1022 contiene, scritto di mano 
del secolo XV, il primo frammento, abbastanza copioso (1), d’un 
compendio della vita di Federico conte, che fu poi duca d’Urbino. 
Non v'è alcuna indicazione di titolo o d’autore, nessun proemio, 
nessun esordio, ma soltanto questo principio improvviso: 


Federici pater fuisse Guidantonius, unus inter clarissimos Italiae 
duces, vulgo traditur, Montefeltrensium familia. Pauci non ex hoc filium 
genitum, sed ex Aura filia susceptum, nepotem primum, mox propter | 
eximiam spem indolis ascitum in familiam ac filium dictum malunt: 
patremque illi fuisse Bernardinum (sic) gente Ubaldina (2), Guidantonii 
generum et ipsum militiae domique clarum virum. Sed vulgatior fama 
hoc habet, eodem prope tempore natos, Guidantonio ex concubina feminam, 
Berardino masculum ex Aura uxore susceptum. Ita cum esset. Guidan- 
tonius sine stirpe certa, clam in spem regni prolem commutatam, et 
Federicum in avi familiam suppositum nothi filii loco concessisse. 

Mox Guidantonius, uxore ex Columnensium familia ducta, An- 
tonium (sic) filium genuit: se Federicum in secundis haeredibus nomi- 


(1) Descrissi questo codice nella mia edizione dei Commentarii della vita 
e delle imprese di Federico di Montefeltro, di Francesco Filelfo, cfr. pag. vir 
dell’estr. dagli “ Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per 
le Marche ,, vol. V. Il frammento vi comprende le carte 67-84. Un breve 
cenno ne comunicai a Giuseppe Cugnoni, che lo divulgò in una Memoria 
defensionale nella causa Tacchi-Cugnoni, per dimostrare che non tutto il 
materiale dei preziosi fondi vaticani è, nè può essere stato messo a cata- 
logo. Cortesemente annunziò le mie conclusioni G. ZaccaGnIini nella nota 
Il petrarchista Agostino Staccoli, in “ Studi di letteratura italiana ,, IV, 
pag. 19 n. dell’estr. 

(2) Più oltre, parlando di Ottaviano conte di Mercatello, è scritto 
Octavianum Balduinum, che poi altra mano corresse in Ubal- 
dinum. 


FEDERICO II DI MONTEFELTRO E G. A. CAMPANO 109 


natum ut, ita tum demum succedere regno, si superstes Antonio foret, 
hoc constantius traditur; et negligentior in puerum factus avus post 
novam prolem; et quia conditione positus puer in testamento, ac po- 
sterior in tabulis habitus, qui prior natus esset, ut minus patrem exi- 
stimare, suadent. Coeterum, neutra familia in obscuro habetur. Materna 
tamen, et gloria rerum in Italia gestarum, et ducum numero, atque 
opibus illustrior fuit: quorum unus Guido fertur Gallorum ingentem 
manum, qui incertum seditione pulsi patria an quaerendae sedis et pro- 
ferendi imperii studio in Italiam venerant, magna ad Forum Julii strage 
delesse, quae res adeo Italiam liberasse externae servitutis metu visa 
est, ut publice Guidoni decreti honores referantur; et proelium magni- 
tudine discriminis insigne cum aliis in locis, tum praecipue pisano in 
templo, quod est in Italia percelebre, ligustico exculptum marmore aspi- 
ciatur. Imperasse quod etiam Pisanis Guidonem ipsum, et mox et Fede- 
ricum filium constat. 


A questo brano, non privo d’importanza per la biografia 
di quel principe, segue il racconto dei primi anni di lui sino 
alle nozze precoci, che furono un cospicuo contratto politico per 
la casata dei Montefeltro; quindi, dopo breve narrazione della 
parte che egli ebbe nelle vicende civili e militari del tempo, 
l'anonimo autore espone i fatti d'arme compiuti da Federico, 
in quei primi anni giovanili, e agli ordini di Filippo Maria 
Visconti, e sotto la condotta del Piccinino; poi la fortunosa 
giornata di Roada, le imprese di Bergamo, che fra tutte più ne 
sollevarono il nome e la fama. Così narra il biografo: 


Inde, relicto ad Athesim Federico, Picinini exercitus (1) ad oppu- 
gnationem Bergami conversus: quae res multi temporis futura videbatur, 
et praestare eodem exercitus propter cibariorum inopiam et situm urbis 
asperrimum, ut qui ferro statim non possent, fame tandem domarentur; 
et hiemem iam appetentem, consilium fuit, quoquo penetrari armis 
dabatur, igni ferroque agrum omnem vastare. Oppidani, re per transfugas 
cognita, quia omnem non poterant, propinquiorem, abditioremque partem 
subiacentem urbi defendere conabantur. Quare noctes ac dies in armis 
erant. Transitus qua qua non erant permuniti occupaverant; multis in 
locis fossa valloque communierant; diligentiam, ut solet, exacuebat pe- 
riculi magnitudo. Picininus utrique operi simul intentus continuare 
obsidionem et interea parte copiarum corrumpere agrum statuebat; 


(1) Ml brano è a c. 71+: prima il testo aveva Picininus: poi fu cor- 
retto nel genitivo, per l'aggiunta marginale della parola exercitus. 


110 GIOVANNI ZANNONI 


utramgque rem multitudo gentis difficilem faciebat, et resistere. oppu- 
gnantibus posse, et comprimere populatores; videbantur, tum praesidia 
et in urbe et per singula castra disposita iam inde ab initio belli co- 
natum utrinque irritum faciebant; praelia interdum prope eventu pari 
committebantur. Hos pudor cedendi ac imperatoris praesentia instigabat; 
alteri munitione et propugnaculis, plerique etiam metu direptionis accen- 
debantur; et, quod erat longe gloriosissimum, pro sua quaque fortuna 
in oculis suorum dimicabant. 

Denique ventum eo iam erat ut audentiores viderentur facti qui 
obsidebantur. Cohortes aliquot inter oppugnandum lacessebant equitum 
turmas pabulatum egressas, interceperant denique plerumque obsessorem: 
carpentes semper fere superiores proelio discedebant, herentem castris 
invadebant;; impetumque ex locis urbi subiectis repellebant. Cum militum 
stationes aberant, muris et in agro gerebatur res: in agrum usque de- 
cursitabant. 

Picininus, ubi videt vel contemni paucitatem suorum, vel praefe- 
ctorum ignavia segniter rem procedere, Federicum ex Athesi revocat. 
Mutatur eius adventu fortuna belli. Altero quo castra ingressus est die, 
initur proelium: hostes haud multo labore superati intra urbem com- 
pelluntur: praesidia per agrum imposita castellis se continent, ager usque 
quaque libera manu defendente nemine incenditur. Apparuitque statim 
omnibus quantum momenti fuisset in Federici adventu; et ipse eximius 
ostentator virtutis suae primum saepe locum sibi in acie poposcit, pri- 
musque auctor ineundi certaminis fuerat; repulsoque intra moenia cive, 
insultare muris, territare hostem, primus in agri populationem decur- 
rere. Jam non hostium modo castris efferebatur perstrenui iuvenis 
nomen, sed Italiam omnem magna gloria compleverat; et initia externae 
militiae satis prospere cessisse videbantur. 


Seguono le guerre di Romagna e la lotta contro Sigismondo 
Malatesta (il biografo, naturalmente, da devoto cortigiano fel- 
tresco, è di una estrema deplorevole parzialità a danno del 
signore di Rimini), con la immancabile tregenda del Passo di 
Alberico, il sacco di Tavoleto, la sconfitta di Rupolo; poi la 
campagna contro i fiorentini e l’assalto notturno di $S. Leo; in- 
fine le imprese di Sassoferrato e della Genga. E fin qui, meno 
qualche audacia d’apprezzamento o qualche inesattezza di par- 
ticolari secondari, il racconto procede ordinato, cronologicamente 
esatto: da questo punto, invece, precipita in una completa con- 
fusione di fatti, di luoghi e di date. 

All’impresa della Genga (1442) lo scrittore fa subito tener 
dietro la campagna di Ascoli (1460) trovando, nientemeno, nel 


FEDERICO II DI MONTEFELTRO E G. A. CAMPANO 111 


tumulto che ne derivò (1) le cause della guerra, che ebbe la 
sua piena catastrofe a Monte Luro (1443). Intricatosi in questa 
selva d’errori, non si arresta più, tratto fatalmente a narrare 
come avvenimenti contemporanei, fatti distanti per molti anni, 
trasportando come posteriore al combattimento della Novel- 
lara (1443) (2), la morte del duca Guidantonio (20 febbr. 1442) 
e la successione del disgraziato Oddantonio, che chiama costan- 
temente e unicamente Antonio. 


Statura pregrandi, mansuetudine inaudita, gratia in universos 
quanta nemini gentilium suorum maiorem fuisse memoretur. Celebratum 
est illius funus permagnifice, provincialibus luctum ad dies multos pro- 
rogantibus. Eius testamentum ita erat conditum ut Federico locus in 
secundis esset, Antonius priorem obtineret. 


E sono le ultime parole della biografia: le ultime giunte 
fino a noi. 

Poichè il lembo di quest’ultima pagina ha una parola di 
richiamo, se ne può dedurre, e con certezza, che l’autore con- 
tinuò ancora la narrazione (3) che ci manca: tuttavia, per quanto 
possiamo giudicare con sufficiente cognizione, non c'è da rim- 
piangerla troppo. È evidente che siamo di fronte a uno dei so- 
liti scrittori, o cronisti, o biografi, o storici cortigianeschi del 
quattrocento: uno di coloro che offrivano ai principi più cospicui 
o più ricchi l'ingegno e la penna, ma senza convinzione, senza 
ammirazione talvolta, spessissimo senza entusiasmo, vòlti invece 
sempre al solo scopo di un ragionevole compenso. E questi, 
benchè, come appare dai brani citati, abile nel maneggiare il 
latino classico, e abbastanza efficace quantunque un po’ prolisso, 
mancò poi di quell’ acume critico, di cui altri dette prova, ad 
esempio lo stesso Francesco Filelfo, quando, già vecchio, prese 
a scrivere le gesta dello stesso conte d’ Urbino. Si vede age- 
volmente che, fin quando lo soccorsero numerosi i particolari 
sicuri, si limitò ad ampliarli, adornandoli di tutti i fiori della 
sua retorica; quando, poi, fonti e notizie gli scarseggiarono, si 


(1) Il solito revisore, accortosi dell’errore, ha aggiunto una piccola 
striscia di carta, con le parole: Non fuit tune temporis defectio civitatis Asculi. 

(2) Novellara diventa Numeralia! 

(3) È la parola “ Prospere, con la quale doveva evidentemente co- 
 minciare la pagina o il libro seguente. 


112 GIOVANNI ZANNONI 


trovò a disagio, errò, spropositò, e procedette a fatica, più cu- 
rando d’arrivare al fine, che di arrivarvi bene. î 

Quanto ai caratteri esterni, basta anche un rapido acchito 
a convincere che la scrittura è autografa: ne fanno prova le 
correzioni, benchè rare, gli scarsi pentimenti, i richiami, qualche 
cancellatura, alcune sviste ortografiche, e qualche scorrettezza 
grammaticale, dovuta probabilmente alla fretta del comporre. 
Di più, come la grafia rivela uno scrittore che ha un carattere 
proprio personale, non un copista, così la carta accenna che si 
tratta unicamente d’una bozza — come si suol dire — una di 
quelle donde poi gli amanuensi traevano gli splendidi codici in 
pergamena della biblioteca principesca. 

Ora, di quanti ebbero a scrivere sulle imprese di Federico, 
tutti ci sono noti per i nomi e per le opere, o che i loro 
scritti siano editi o restino tuttora inediti; pochi ce ne sono 
sfuggiti: d’uno solo, forse, era dubbio se avesse o no davvero 
composta la biografia del Duca. Egli è Giovanni Antonio Cam- 
pano. Certamente Michele Ferno, suo primo e diligente biografo, 
non ne fa parola(1); nessuno storico della letteratura, dal 
Mencken, che ne curò la ristampa di alcune operette (2), sino 
ai più recenti che di lui si sono particolarmente occupati (3), 
ha potuto darne notizia esatta; ma già, dal 1832, il Palma ac- 
cennava che l’opera, da lui giudicata una Storia d’Urbino, era 


(1) Mi valgo della copiosa edizione milanese del 1495. 

(2) J. A. Campani episcopi aprutini Epistolae et poemata una cum vita 
auctoris: recensuit Jo. Burchardus Menckenius, Lipsiae, 1707. 

(3) La bibliografia del Campano non è copiosa per scritti recenti. Par- 
ticolarmente se ne è occupato G. Lesca, G. A. Campano detto l’episcopus 
aprutinus, Pontedera, 1892; e, a proposito di questo libro, C. Ricci, in 
“ Nuova Antologia ,, I. x1., 1892; e F. FLamni, Spigolature di erudizione e 
di critica, Pisa, 1895, pagg. 54 sgg. Notevoli particolari aggiungono C. Sror- 
natoLO, Alcune ricerche sulla vita del card. Bessarione, nella rivista “ Bes- 
sarione », 1897, e F. Savini, Il tesoro e la suppellettile della cattedrale di 
Teramo nel secolo XV, in È Arch. stor. ital. ,, 1899, t. XXIV, pag. 21 del- 
l’estr., e L. Pastor, Storia dei Papi, Trento, 1891, II, passim. Delle relazioni. 
di lui col conte d’Urbino, parla brevemente il Lesca, Op. cit., pag. 100-102, 
che invano cercò nella raccolta Urbinate Vaticana, questa Biografia: 
V. anche pag. 180. Cfr. anche P. Brrancini, La guerra di Braccio contro 
l'Aquila nella letteratura abruzzese, Aquila, 1901, pag. 19 sgg.; e F. MonnIER, 
Le quattrocento, Paris, 1901, I, nr, passim. 


FEDERICO II DI MONTEFELTRO E G. A. CAMPANO 113 


stata compiuta (1). Le ragioni del Palma, quantunque dotto, 
erudito, esatto, non parvero sufficienti ai più: eppure nulla fa- 
ceva apparir strano che il Campano avesse scritto una vita di 
Federico da Montefeltro, che, per molti rispetti, può conside- 
rarsi anche una storia d’Urbino nella seconda metà del sec. XV. 

Anzitutto i rapporti fra il vescovo e il principe furono nu- 
merosi e intimi. Quando, a’ 6 luglio 1472, Battista Sforza, moglie 
di lui, morì, il Pontefice inviò alle esequie, che furono solen- 
nissime, Nicolò Ubaldi da Perugia, uditore di Rota, quale am- 
basciatore, ma volle che suo oratore straordinario, per esprimere 
pubbliche condoglianze, fosse il Campano: e per tale circostanza, 
questi compose e recitò l’orazione funebre (2), che dovette sem- 
brare un gioiello di forma e di pensiero, se quattro anni dopo 
veniva stampata a Cagli (3) — incunabolo oggi rarissimo e pre- 
zioso — in un opuscolo, riprodotto nelle varie edizioni, e poscia 
più volte tradotto in volgare (4). 

Nella dimora in Urbino, di cui non è possibile nemmeno 
con la scorta del suo epistolario precisare la durata, ma che 
non dovette essere breve, a giudicarne dalle molte persone che 
conobbe, e con le quali rimase in relazioni epistolari amichevoli, 
il Campano seppe ottenere l’affetto e la stima di quel signore, 
che amava essere liberale e generoso. Gli offrì tutti i suoi scritti, 
che il Conte fece trascrivere dai migliori copisti e ornare dai 
migliori maestri di miniatura (5); prese a cantarne in tutti i 


(1) Cfr. N. Parma, Storia ecelesiastica e civile della regione più setten- 
trionale del Regno di Napoli, Teramo, 1832, II, 156: “ morì ai 15 luglio 1477, 
“ dopo avere ultimata la storia d’Urbino ,. 

(2) Cfr. Rami, Della famiglia Sforza, Roma, 1725, II, 124 sgg. 

(3) “ Joannis Antonii Campani | Funebris Oratio pro Bap | tifta Sphortia 
“ Ur | bini Comitiffa ac | Principe Illu | striffima ,. L'ultima carta (14) 
ha sotto otto righe di testo la data: “ Callii Anno Salutis Meccerxxvi In 
“ kn Mar. ,. È rara edizione di Roberto da Fano e Bernardino da Bergamo : 
di stampa alquanto rude, ma assai chiara. Un esemplare è nella Casa- 
natense di Roma, segnato di n° 1506. 

(4) Due versioni in volgare sono contenute nei codici vaticano-urbinate 
1236 e 1272, che, per la grafia, mi sembrano del secolo XVI avanzato. 

(5) Le opere di G. A. Campano sono contenute nei codici Vat. Urb. 324, 
325, 326, 338, pregevolissimi tutti per bellezza di grafia e di miniature; 
ed ora egregiamente descritti da C. SrornarvoLo, Codices Urbinates Latini 
Bibliothecae Vaticanae, I, Romae, 1902, ad n. ove, pag. 642, del Campano 
sono segnalati anche due ritratti; e che ha con somma diligenza rilevato 
quanta parte è in essi di edito, e di inedito ancora. 


114 GIOVANNI ZANNONI 


metri gli elogi, e non di lui solo, ma di tutti i suoi famigliari 
e parenti: infine domandò e ottenne l’incarico di scrivere la 
storia della vita e delle imprese del cospicuo mecenate. 

È veramente a stupire come ai biografi del Campano sia 
sfuggita tutta questa serie di particolari sull'opera sua, e che 
pure emergono dalle stesse sue lettere, ormai stampate da oltre 
quattro secoli. 

Partito da Urbino il Campano, che già s’ era messo con 
fervore al suo lavoro, si avvide che non poteva continuarlo, per 
mancanza di fonti sicure e di particolari, che solamente chi 
aveva seguìto il Conte nelle guerre o lo avvicinava poteva 
dargli. Ed eccolo rivolgersi ad Agostino Staccoli, il poeta gen- 
tile, uno delle più belle e nobili figure nel luminoso quadro della 
civiltà urbinate di quel tempo (1); quindi a Federico Galli (2); 
forse anche a Pierantonio Paltroni, che scriveva i Commentari 
(di ciò tuttavia non resta traccia), domandando istruzioni a com- 
piere l’opera. E, poichè costoro non erano abbastanza zelanti e 
diligenti, eccolo rivolgersi allo stesso principe (3): 


Historiam tuam non mea culpa — gli scrive la prima volta — sed 
potius dicam pace omnium vestrorum negligentia, non continuavi. 
Scripsi .....mittere reliqua documenta. Non miserunt. Ita et opera et 
tempus deperierunt. Res in eo est, ut simus adhuc in expeditione 
Tuscorum, ubi Florentiae cum Sigismundo convenisti. Post conventum 
illum admodum pauca enarrantur. Cura ut ad me quamprimum mit- 
tantur. Non ero negligens. Ubi erunt missa, statim resumetur materia 
cum omni dignitate, cum omni conatu..... 


Era dunque giunto con il racconto appena al finire del 1447. 
Di lì a breve, di nuovo gli si rivolge, dolendosi che, quantunque 


(1) A questa lettera accenna G. Zaccaenini, Op. cit., 19. Non è sfuggita 
nemmeno a P. Provasi-E. Scarassa, Agostino Staccoli da Urbino e le sue 
rime inedite 0 poco note, Urbino, 1902, pag. 20-21, ma con soverchia incer- 
tezza di deduzioni. 

(2) Le edizioni hanno costantemente “ Federigo d’Angeli de Urbino ,. 
Il cod. Vat.-Urb. 325, assai più autorevole, corregge in “ Federico de Gallis 
“ Urbinat ,. È ovvio, quindi, riconoscere quel Federico, di Angelo Galli, 
che è rammentato fra i Secretari in casa nella Memoria felicissima da me 
edita in “ Rendiconti della R. Acc. dei Lincei ,, III, 9, pag. 668. 

(3) Le lettere a Federico sono nel nono, e ultimo libro dell’Epistolario. 


FEDERICO II DI MONTEFELTRO E G. A. CAMPANO 115 


vivamente raccomandato da lui, la Corte di Napoli non gli sia 
benevola che di promesse per il cambio della sua chiesa in unà 
diocesi più produttiva: non gli resta che partire. 


Quamobrem nune Teramum redeo... Si mittes illa documenta histo- 
rica, Teramum mittes. Si fortasse iam misisti et sunt in itinere, iubeas 
quamprimum ad me deferri... 


Alfine, siccome è umano e universale, per luoghi e per 
tempi, che gli ostinati vincano gli avari, il Campano, più for- 
tunato in ciò del Filelfo, ottenne le informazioni che desiderava, 
e potè compiere l’opera sua. Ma, nel frattempo era avvenuto 
un grave mutamento: Sisto IV aveva, nell’ agosto 1474, solle- 
vato alla dignità di Duca il conte d’ Urbino. Al Duca, quindi, 
manda il Campano il suo lavoro; ma egli non ne è contento: 
ha fatto il possibile per essere storico veritiero, e degno di 
tanto eroe e di tanto generale, ma sa bene che res quamquam (1) 
magna ex parte assolutae, maiores tamen ad talem relinquantur. 
Magnum studium, vehemens desiderium, voluntatem tamen aequare 
non potuerunt. E se ne scusa, attestando che, per quanto si 
possa celebrarlo, la fama, i pregi, i meriti del Duca sono sempre 
superiori a qualunque elogio. 

A questi particolari, che facilmente emergono dalle lettere 
edite, un altro se ne può aggiungere: ed è la lettera, con la 
quale il Campano offrì a Federico di Urbino di narrare la storia 
della sua vita, lettera sfuggita a chi raccolse l’epistolario che 
abbiamo a stampa (2). 


Federico illustri Urbinatium comiti salutem. 

Et ceteri quidem Italiae duces fortunas rapere hominum, tu animos 
didicisti: nec ullum est pectus tam munitum, in quo tu gratia veluti 
ferro non penetras; et mihi tanta est insita cupiditas gloriae ut libenter 
quam meis rebus parere mihi laudem non possum, comparem alienis. 


(1) Le edizioni antiche hanno quaequam magna; il Mencken legge: 
quaedam magna. Preferisco la lezione quamquam del cod. Vat.-Urb. 325. Si 
noti che con questa lettera al Duca Federico si chiude, l’ epistolario, sia 
nelle edizioni che nei codici. 

(2) Questa minuta è in un codice conservato nell’Archivio Vaticano, 
Armadio XXXIX, t. 10, ed occupa la c. 145: pregevole manoscritto, ricco 
di lettere autografe al cardinale Ammannati, dei maggiori umanisti, e fra 
essi del Campano, e per la massima parte inedite. 


116 GIOVANNI ZANNONI 


Ita quod iam receperam me facturum, ut res gestas tuas commendarem 
‘ posteritati, ad id sic tuae quoque literae incenderunt, ut ferre diutius 
cunctationem non possim, et perire putem quicquid non acceleretur. 
Veniunt in mentem non quae militiae gesseris solum, quamquam ea 
maxima, sed eximia etiam vitae tuae domesticae ornamenta, ut nulla in 
re minora pacis opera constitisse quam belli videaris; eritque utrobique 
argumentum gloriae, et quod multa gesseris praeclare, et quod nihil a 
te factum est quod non et summo duce et optimo principe dignum 
existimetur: quorum alterum belli studii constat, alterum pacis. Est qr 
unde aperta et dicere fronte ne in posteritatem possis nullam reformida- 
turus hominis labem. Quae res vel prima me impulit, quod erit mea 
gloria coniuncta cum tua, ut, quum negatum est mihi gerere praeclara 
atque fortia, quod proximum est ad eam laudem, illorum facta scribam, 
qui gesserunt. 

Par itaque utrique nostrum proposita spes est: nisi quod aliquanto 
plus habet laudis qui sua ipse fecit, quam qui scripsit aliena. Sed nescio 
an minoris sit industriae polire quam pingere, donare quam cedere. 
Vendicabo et ipse quoque mihi aliquid, si a me, quaecumque tu ges- 
seris, ornabuntur. Tu, vero, cura ut omnia tua facta, etiam cum potes 
dicta ad me deferantur, ea fide ut neque detraxisse tibi de tuis lau- 
dibus quicquam, neque arrogasse quae ad te non pertinent, videaris. 
Danda est militi etiam et tironi sua laus. Imperator exercitus summam 
sibi vendicat rerum, non res singulas assumit; nec minor est commen- 
datio clari ducis in sua quam in suorum re bene gesta, quia nihil gerunt 
illi, quin sub duce ipso gessisse referantur. 

Provide vel minima quaequae erunt colligenda, ut sit unde ampu- 
tare aliquid liceat, desiderare non sit necesse: habebis me non modo 
auctorem scribendis rebus tuis, sed etiam testem probandis. De priscis 
nihil est quod in praesentia respondemus quos reverentia prosequendos 
ita censeo, ut nostris non detrahatur, et nostrorum res sunt in oculis 
atque aspiciuntur; illos tuetur antiquitas, ut quanto haec certiora tanto 
illa plus habere opinionis existimentur. Vale. 


Importante è questa lettera — che ha inoltre sommo valore 
per chi esamini le vicende e le tendenze della storiografia nel 
periodo del Rinascimento — anche perchè ci conserva l’ auto- 
grafo certo del Campano: è una minuta, e ben si comprende 
dalle varie correzioni e dai richiami marginali. Chi ne confronti 
la grafia con quella del frammento di biografia prima esaminato, 
ne riconosce l’affinità; con un attento esame può anche trarre 
la certezza che sono opera della medesima mano: ma un dubbio 
può rimanere, data la differenza della carta, dell’ inchiostro, 


FEDERICO II DI MONTEFELTRO E G. A. CAMPANO 117 


nonchè del tempo in cui i due testi furono scritti. Ma il dubbio 
scade per un’altra lettera, che lo stesso codice ci ha conservata, 
dello stesso Campano, e diretta a Jacopo Ammannati, cardinale 
di Pavia, uno dei più cospicui e solerti protettori del povero 
vescovo. Essa, che è tra le edite, ed ha nelle edizioni, come 
nel codice, la data di “ Assisi 1° marzo 1474 , (1), è tale che, con- 
frontandola con la biografia, bisognerebbe volere esser ciechi 
per non convincersi, e quasi di primo acchito, della completa 
identità delle scritture: tutto è preciso, carta, inchiostro, for- 
mato; perfino ne corrispondono i margini, il numero delle righe, 
i tratti di filograna, ogni peculiarità, infine, del foglio e della 
mano stessa. 

La conclusione emerge da sè: il Campano è certamente 
l’autore del frammento, e questo è — finora almeno — la sola 
parte che ci resta della sua Storia di Federico. 

Ed a un’altra conclusione la stessa lettera ci conduce, 
rispetto al tempo in cui questo commentario fu scritto, cioè sul 
finire del 1473 e i primi mesi del 1474: nell’ agosto di tale 
anno, come ho detto, il conte d’Urbino fu da Sisto IV promosso 
al ducato; talchè duca egli era quando il Campano gli inviò 
l’opera compiuta — ciò che dovette avvenire sul finire del 1474 o 
nei primi mesi del 1475 — perchè gli se ne desse un giudizio. 

Ma ben altro avevano che fare i dignitari della Corte di 
Urbino! Il lavoro ebbe, sì, un rapido lettore, che notò gli errori 
e lo trattenne per correggerlo; ma, tenuto in scarsa conside- 
razione, parte dell’opera andò smarrita: e solamente più tardi 
questo solo frammento rimasto fu unito al frammento inviato 
dal Filelfo, che tuttora nel 1476 si lagnava di non ricevere do- 
cumenti e notizie per continuare la biografia del Duca. 

Nel 1477 il Campano moriva; e nulla ci attesta delle sue 
relazioni con Federico e con la Corte Urbinate, negli ultimi 
anni di vita. Al suo lavoro, non abbastanza gradito, e fin d’al- 
lora trascurato e dimenticato, il tempo distrusse la prima pagina, 
e cancellò col proemio il nome dell'autore: così nessun elenco 


(1) Occupa la c. 119; ed è una delle ultime, a stampa, nel libro ottavo. 
Ine.: ©“ Quod Assisiatibus meis... ,. Nessuna differenza fra la stampa e l'auto- 
grafo, se non in quanto questo ha come firma la parola “ Mancipiolum ,. 


118 GIOVANNI ZANNONI — FEDERICO II DI MONTEFELTRO, ECC. 


ne tenne conto, nessun catalogo lo segnalò (1). E se oggi, per 
un caso, ne torna alla memoria, gli è perchè tale frammento, 
pur difettoso e di scarso pregio, riflette un principe che ebbe 
somma fama, e fu scritto da un valentuomo. che il recente rifio- 
rire degli studi umanistici ha ridesto dal secolare sepolcro. 


(1) Una eccezione c’è. Questo primo foglio, col probabile proemio, e 
forse tutta la biografia, dovevano esistere tuttora, oltre la metà del sec. XVII, 
quando l’Olstenio tracciò l’elenco, edito da F. RarrArLLI, La imparziale e 
veritiera istoria della unione della Biblioteca Ducale d’ Urbino alla Vaticana 
di Roma, Fermo, 1877, pag. 14, ove è citata una Vita D. Federici 
Auctore Capicij, nome che è agevole riconoscere un errore di lettura 
per Campano. 


L’Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


119 


CLASSE 


SCLENZE; FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza dell’11 Gennaio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANDREA NACCARI 
SOCIO ANZIANO 


Sono presenti i Soci; Spezia, CAMERANO, SEGRE, PEANO, 
JADANZA, GuaRrEscHI, PARONA, MartIROLO, MoRrERA, GRASSI, 
D’Ovipro Segretario, ed a seduta già aperta sopravvengono 


BerrutI, Guipi, FILETI. 


È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente. 
È fatto omaggio all'Accademia: 
dal Socio straniero Prof. A. von KoELLIKER della sua.nota: 
Die Golgifeier in Pavia; 
dal Socio corrispondente Prof. R. PrrortA dell’opuscolo: 
IMustrazione di alcuni erbari antichi romani, scritto da lui e da 
R. CHIOVENDA; 
dal Socio residente Grassi degli Atti dell’ Istituto botanico 
dell’Università di Pavia, redatti da G. Brrosi, 2% serie, vol. 7°. 
Sono accolte per l’inserzione negli Atti le seguenti note: 
Sulle equazioni dinamiche di Lagrange, del Socio MoRERA; 
Contributi alla cristallografia zonale; nota 1%: L’omologia 
e la cristallografia zonale, del Dr. Ugo PANICHI, presentata dal 
Segretario a nome del Socio corrispondente RòITi; 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 9 


120 


Sulle superficie algebriche possedenti due fasci di curve al- 
gebriche unisecanti, del Dr. Arturo MARONI, presentata dal . 
Socio SEGRE; 

Sul moto di un corpo rigido, del Prof. Cesare BuURALI- 
Forti, presentata dal Socio PFANO. 

Sullo sviluppo in serie di alcune funzioni trascendenti ele- 
mentari, del Dr. Tommaso Boesro, presentata dal Socio PEANO. 


GIACINTO MORERA — SULLE EQUAZIONI DINAMICHE DI LAGRANGE 121 


LETTURE 


Sulle equazioni dinamiche di Lagrange. 
Nota del Socio GIACINTO MORERA. 


CLeBscH in una celebre memoria inserita nel LV volume 
del “ Giornale di Crelle , (*) ha mostrato come le equazioni dif- 
ferenziali che si ottengono annullando la variazione prima di un 
integrale definito, a limiti fissi, il quale contenga quante sì vo- 
gliano funzioni sconosciute legate fra loro ed alla variabile 
indipendente da equazioni differenziali del primo ordine, si inte- 
grino conoscendo un integrale completo d’una equazione alle 
derivate parziali del primo ordine, e cioè, col classico procedi- 
mento di Hamilton-Jacobi. Ciò equivale in ultima analisi, come 
insegna la nota teoria di Jacobi, a porre le anzidette equazioni 
differenziali sotto la forma data da Hamilton alle equazioni di- 
namiche. Il punto di partenza delle deduzioni di Clebsch è quel 
metodo dei moltiplicatori che da Lagrange fu trasferito, senza 
dimostrazione, dalla meccanica nel calcolo delle variazioni. 

La giustificazione di tal procedimento fu data dal Mayer, 
prima nella nota: Begriindung der Lagrange schen Multiplicatoren- 
methode in der Variationsrechnung (“ Berich. der k. Sch. Gesell. 
der Wiss. zu Leipzig ,, B. 37, 1885, p. 1) ed in un’altra poste- 
riore, avente il titolo: Die Lagrange sche Multiplicatorenmethode 
und das allgemeinste Problem der Variationsrechnung ecc. (ibid., 
B. 47, 1895, p. 129), ove vien considerato un problema più ge- 
nerale, di cui le equazioni differenziali vengono dal Mayer pure 
ridotte alla forma Hamiltoniana. 

Il principio di Hamilton lascerebbe a tutta prima supporre 
che le equazioni di ogni problema dinamico, ove sussista la fun- 
zione delle forze, fossero sempre riducibili, mercè il procedi- 


(*) Ueber diejenigen Probleme der Variationsrechnung welche nur eine 
unabhiingige Variable enthalten, 1. c., p. 335. 


122 GIACINTO MORERA 


mento di Clebsch-Mayer, alla forma canonica di Hamilton, ma 
una più attenta analisi mostra che così non è in generale, a 
cagione del differente modo con cui le variazioni vanno prese 
nella dinamica e nel problema degli isoperimetri. 


1. — Indicati con: pi, pa, ..--.9w 1 parametri di posizione, 
nella dinamica la variazione prima dell’integrale di Hamilton 
dò {(7 + U)dt è da annullarsi ritenendo le dp legate da un certo 
numero di equazioni lineari ed omogenee: 


(1) pu= sa PMdp, + PNdPs +... + Mopy=0 (v=1,2...N—n), 


mentre le p e le loro derivate d sono legate da equazioni dif- 


ferenziali della forma: 
(v) 

@) ema Lomo de pap pp lento, 
t 


Nei problemi degli isoperimetri invece si ritiene che, posto 


pi = di , le è sieno legate da equazioni del tipo: 


Fit), 


1 


le quali pel caso della dinamica sarebbero: 
do — dii er cò dp! RI VM 
p JV RO cala Py + Pi pit... + PV dp . 


Queste equazioni moltiplicate per dt si possono serivere più 
concisamente: 


(A dp”) — () 
ritenendo dt = 0; però esse sono in generale inconciliabili colle (1), 
le quali invece dànno: 


(1)) dp) = 0. 


SULLE EQUAZIONI DINAMICHE DI LAGRANGE 123 
Se le equazioni ai differenziali totali : 
(2') pM= @Mdt + PMdp +... + PWdpy = 0 
fossero completamente integrabili, per un noto teorema i covarianti 
bilineari: 
dp) — dp) (dt = 0) 
a cagione delle (1) e (2) riuscirebbero identicamente nulli, e 


però anche pel problema dinamico sussisterebbero le (2"'). 
Allora, seguendo il procedimento di Clebsch-Mayer, si ponga: 


QETHPUH 9" + Ap +... + My pt"; 


a queste equazioni si aggiungano le (2), cioè le: 


PN (Pi ». PN; Di e D'N} t) == 0) 


e si risolvano le 2N — » equazioni così formate rispetto agli 
N—n moltiplicatori \ e rispetto a p;'...p'w;} i quali risulte- 
ranno espressi in funzione di t, pi, qi» 

Si trasformi in queste variabili la funzione: 


Ya _Q= v.. —(74- D), 
«=1 a=l 


che così trasformata indicheremo con |H]; caleolata in duplice 
modo è[H] facilmente si trova dal paragone: 


“= LI2:A] : d9 — — dA] sg 


d9i 


—_ 


dpi dpi 
sicchè le equazioni differenziali del moto assumono l'aspetto: 


dpi __ OH], dii __ , OLA] 


dt dgi * dt dpi 


(*) Mayer, “ Leipziger Berichte ,, 1895, p. 141. Le equazioni differen- 
ziali Lagrangiane sono: 


124 GIACINTO MORERA 


Se le equazioni (2') fossero integrate i loro N— n integrali 
sarebbero pure integrali del precedente sistema Hamiltoniano. 

Nella dinamica di regola si profitta dell’ arbitrarietà dei 
moltiplicatori per ridurre le equazioni differenziali del moto al 
minimo numero possibile e non già per porle col procedimento 
di Clebsch-Mayer sotto la forma canonica di Hamilton. Si noti 
tuttavia che con questo si viene bensì ad accrescere di N—w 
il numero delle incognite, ma in compenso si ha il vantaggio 
che la teoria dei gruppi di integrali di Lie permette di trarre 
nella integrazione del sistema canonico il massimo partito dagli 
integrali di esso già conosciuti (Cfr. Mayer, Veber die allgemeinen 
Integrale der dynamischen Diff. gleichungen, ecc., “ Math. Ann. ,, 
B. 17, pag. 332 e seg., $ 3). 


2. — La forma Lagrangiana delle equazioni dinamiche si 
può ottenere per trasformazione diretta dell'equazione dei lavori 
virtuali, come fu fatto da Lagrange nella Mécanique analytique 
(Nouv. édit., T. I, pag. 304 e seg.) o, come oggidì meglio si può 
fare, per così dire con un tratto di penna, ricorrendo alla teoria 
invariantiva delle forme quadratiche. 

Usate le notazioni della Mécanique analytique, e considerate 
le dr, dy, de funzioni del tempo, continue, derivabili e soddisfa- 
centi ad ogni istante alle equazioni dei vincoli, l'equazione dei 
lavori virtuali, come fu osservato dallo stesso Lagrange, si può 
scrivere: 


n (cdr + y'dy + 2'd2)=dT+d%, 


ove: 
gi = n, T=3 3) ma + y+ ila 
de=) (Xda + Ydy + Zòe). 
Adunque l'equazione dei lavori si può porre sotto la forma: 
(9T dT <p Va, 
(3) L (57 de 1 +55 dy +5 2 de) =dT+0£ 


Si dimostra ovviamente il seguente teorema di algebra: 
La polare di una forma quadratica omogenea è un covariante, 


SULLE EQUAZIONI DINAMICHE DI LAGRANGE 125 


qualunque sia il numero delle nuove variabili che per trasforma- 
zioni lineari, omogenee, cogredienti si introducono in. luogo delle 
primitive. 

Se ora tutte le x,y, compatibilmente. coi vincoli si espri- 
mono in funzione di quante si vogliano nuove variabili o para- 
metri di posizione: 


Pi Pay +» Px, e del tempo t, 


avremo: 
#DS de ’ da , 
x da 2 i sr gt 000... 
er da dx 
De == dei dp; + di [0 1/ANNI 2,1 CASES , 


dovendosi a trasformazione compiuta porre: 
Wta = 


Espressa adunque la forza viva 7’ in funzione delle p;, p;' 
e di t, la trasformata della forma polare: 


dT dT ÒòT 
Bet ai 


è senz'altro: 
dT 
i dpi °pi 


e per conseguenza la trasformata della (3) è: 
(II) LV II p=b1T +39, 


ove con 7 si deve intendere la forza viva espressa come or 
ora si è detto e con d< la espressione del lavoro virtuale delle 
forze applicate e cioè una espressione della forma: 


N 


de= i 


i=l 


D 


70 pi. 


126 . GIACINTO MORERA 


L'equazione (III) ci dà la più generale espressione analitica 
del principio dei lavori virtuali e noi la denomineremo il prin- 
cipio di Lagrange; essa equivale al principio di Hamilton. 

In generale le equazioni dei vincoli sono date in parte sotto 
forma finita ed in parte sotto forma di equazioni ai differenziali 
totali fra le coordinate ed il tempo. Scelti i parametri p in 
guisa che le equazioni finite sieno tutte soddisfatte identica- 
mente ed operata la trasformazione nelle p, secondo il principio 
di Lagrange la (III) dovrà essere verificata da tutte le dp che 
soddisfanno ad un certo numero N —» di equazioni ai diffe- 
renziali totali (1), mentre i differenziali dei parametri e del 
tempo sono legati da N — x equazioni ai differenziali totali del 
tipo (2'). 


3. — Sia @ una funzione lineare nelle p', a coefficienti e 
termine noto funzioni delle sole p e #; cioè: 


®= o + pp: + Pope +... + vp'x. 


Si ponga: 
Pa = Podt + padp, + Pedpo +... +. Pwdpxy; 
Pò = Pidp; t Poòpa EE > Pyòpy; 


la (III) si può scrivere: 


d d(T+ | da — dp 
(IV) SI Sw o) dp,= d(T+@)+ a 


ove nel covariante bilineare: 


1 o) lo) i D) "i 
6 sn-ds= 3 LE(- 22 )lnam — dna 
i k 


D) dor 
+ (ie "Pe (dip: — dpdò) 
E 


è da porsi: 
dit=0. 


Se © è la derivata totale rispetto al tempo di una qua- 
lunque funzione U delle p; e di #, di guisa che 


Pa =4dU, 


SULLE EQUAZIONI DINAMICHE DI LAGRANGE 127 


il covariante bilineare di ©, è identicamente nullo ed allora 
la (IV) diviene: 


ò 
sa), SEO dp, PLL 8A 


e per conseguenza: le equazioni dinamiche di Lagrange riman- 
gono inalterate aggiungendo alla forza viva la derivata totale di 
una funzione arbitraria dei parametri di posizione e del tempo. 

Questo teorema implicitamente si trova già nella Mécanique 
amalytique (T. I, pag. 311, 8). 


4. — Se alcune fra le equazioni differenziali dei vincoli (2), 
ovvero alcune loro combinazioni lineari, sono integrabili com- 
pletamente, si ponga: 

en? di 
(lo 
essendo f un integrale qualunque e ) un moltiplicatore arbitrario. 


Allora: @; = \df, e siccome df e df si annullano per le 
equazioni (1) e (2), la (IV) dà: 


d Serra p= d(T+ 9) +0 L_ Ritardi 


=d(T+9)+d£ 


Questa equazione sussiste ancora se per \ si assume una 
funzione qualunque non solo delle p, e # ma anche delle p;'. 

Dunque concludiamo il teorema: le equazioni dinamiche di 
Lagrange rimangono inalterate se alla forza viva si aggiunge il 
prodotto per un moltiplicatore arbitrario della derivata totale di 
un integrale delle equazioni dei vincoli. 

Dall’ultimo teorema e dal precedente segue il teorema ge- 
nerale seguente. Se fi, fa, f3 ... sono întegrali delle equazioni dif- 
ferenziali dei vincoli, od anche di quelle del moto ma non conte- 
nenti le pi, posto: 


papa L..., 


ove U è una funzione arbitraria delle p, e di t e \,, Na, da, . 


128 GIACINTO MORERA 


sono funzioni arbitrarie delle pi, pi' e di t, le equazioni dinamiche 
di Lagrange rimangono inalterate aggiungendo ® alla forza viva. 
Osserviamo che la (IV) può essere scritta: 


d òd(T d(T+ Spa — Rsa 
(4°) VAI pagg PER) di “Sa 
Supponiamo le equazioni differenziali dei vincoli completa- 
mente integrabili: allora le f sono in numero N—n e però 
immaginando alla maniera di Lagrange determinati gli N— n 
moltiplicatori \ in guisa da annullare nella (4') i coefficienti di 
altrettante fra le dp,, le quali in forza delle (1) sono funzioni 
delle rimanenti, si giunge al sistema di equazioni differenziali: 


a d° _d2__g 


di dpi' Tago 1 0 = ad 0. N), 
ove: 
= dU dh dfn ? 
Q=T+ di +), ni +... + Axa = 
5. — Nelle (1) riguardiamo # come un parametro costante 


e supponiamo che quest’equazioni ammettano parecchie combi- 
nazioni lineari integrabili. Sieno : P, Q, R tre integrali qualunque; 
posto : 

Pa = PdQ + Bat, 
avremo: 


do, — dpy= dPdQ — dPdQ + dRadt, 


e siccome per le equazioni (1): dP=dQ=dE=0 concludiamo 
che il covariante bilineare di ®@; è nullo per identità. Dunque: 
le equazioni differenziali di Lagrange rimangono inalterate quando 
alla forza viva si aggiunga ® =p + È, essendo P, Q, R tre 


integrali qualunque delle equazioni differenziali dei vincoli, fissati 
nel loro stato al tempo t. 


6. — Si ponga in (IV): 
Nn 
= =dU +Y i, pO 
dio = PRA vPi 


v=1l 


8 


SULLE EQUAZIONI DINAMICHE DI LAGRANGE 129 


ove \,, a, ... indicano delle funzioni arbitrarie delle p;, pi e 
di t; allora, secondo quanto abbiamo precedentemente veduto, 
risulta ovviamente: 


N N-n 
(6) dY TT Vopaad(T+9)+2£]-Y dol" — d90). 
= 


V=1 


In generale supporremo che le (2’) non ammettano combi- 
nazioni lineari integrabili. 

Il sistema (1), di equazioni lineari ed omogenee nelle òp, 
ammetterà sempre n soluzioni linearmente indipendenti (*): 


19) E113 E12; OE] Zy 


29) E91, E99, DIOIE] Zen 


n°) En , Zn2, DEE) EN 


sicchè la soluzione più generale delle equazioni stesse sarà: 


(7) òpx “a d E, dTI, (K pe 1, 2, OPE) N), 


real 


ove i dr, sono dei moltiplicatori infinitesimi arbitrari. 
Sia poi: 


Eo1) E02; 0009 Zon 


una soluzione particolare qualunque del sistema di equazioni 
lineari, non omogenee (2); sicchè: 


Eo1 PM + For PM... + Eovp) = — ©” 
vali a, Nn 


(*) Non può darsi che le pî) non siano linearmente indipendenti, 


giacchè se ciò fosse dalle (2°), che devono essere indipendenti, eliminando 
le dp risulterebbe almeno un’equazione finita fra le pi e #. 


130 GIACINTO MORERA 


La più generale soluzione delle (2’) sarà: 


(8) dp, -y sd, |-Endi.  (k=1,2, 000 


Tenendo presente la (5), ove siasi fatto dt —=0, avremo 


ovviamente: 


N-n 
pai \v (do) — dp”) 
v=l 


N-—n 
luca RR (dm, dr, — inn) +, P0 din] 


= 


ove per brevità si è posto: 


N 
i, PR dpi) = dp (Vv). 
Pe _ SÙ E. | so dpi )= A 9 


dpr 


(E0:En ta EoeEri) ( dpr Teri dpi 


+X (ee) g 
den dpi de 


È noto che le condizioni necessarie e sufficienti affinchè il 
sistema delle equazioni ai differenziali totali (2') sia completa- 


mente integrabile sono le: 


L’ultimo termine al secondo membro della (6) si potrà far 
svanire identicamente, a cagione delle (1) e (2’), quando sia 
possibile determinare le \ in guisa che riescano soddisfatte le 
n(n+ 1) age 
= equazioni: 


N-n 


N-n 
VPM= 0; PM, 
v—_I Lul 


SULLE EQUAZIONI DINAMICHE DI LAGRANGE 491 


nelle prime delle quali per r e s sono da prendersi tutte le com- 
binazioni binarie degli indici 1, 2, ..., n. Se i vincoli sono indi- 
pendenti dal tempo si ha: 


dx” 
dt 


U_=0, F1 = 09, = fav = 0, =0; 


quindi: Pi? =0, sicchè allora le precedenti equazioni si ridu- 


n(n 


cono alle prime ne 1) A queste si può sempre soddisfare, de- 


terminando in ff216hé delle p; e t i rapporti delle X, quando 


n(n nr 1) 


sia N> —. Allora esistono delle combinazioni lineari delle 


PN), Ze ha moltiplicate per moltiplicatori arbitrarì si possono 
aggiungere alla forza viva senza alterare le equazioni dinamiche 
di Lagrange, come fu messo in luce dal sig. HADAMARD in una 
sua interessante memoria: Sur les mouvements de roulement 
(“ Mém. de la Société des Sciences phys. et nat. de Bordeaux ,, 
t. V, s. IV, p. 397), riprodotta nel 4° N° della Collezione: 
Scientia. 

Se invece i vincoli dipendono dal tempo ma son tali che 
fissati nel loro stato ad un istante £ qualunque le loro equazioni 
differenziali divengano completamente integrabili, allora delle 
precedenti equazioni le prime divengono identiche, mentre le 
ultime » si potranno sempre soddisfare, determinando in fun- 
zione delle p e # i rapporti delle X, allorquando sia 


N>2n. 


Per conseguenza allora vi sono almeno N —2n combinazioni 
lineari delle ®), che, moltiplicate per moltiplicatori arbitrari, sì 
possono aggiungere alla forza viva senza alterare le equazioni di- 
namiche. 

In generale vi saranno poi sempre di tali combinazioni allor- 


quando: N > Dei — 3 ed il loro numero è di almeno: N— cin 
7. — Il sistema di equazioni lineari, omogenee alle deri- 


vate parziali, aggiunto o reciproco di (2°) è (*): 


(*) Cfr. Pascar, I gruppi continui di trasformazioni, cap. V, $$ 2, 3 
(Manuali Hoepli, Milano, 1908). 


132 GIACINTO MORERA 
(9) X,f = e “ra ù Li rl a ili = af Z,N » ==0 


(er 42,1. 


ove per simmetria abbiamo scritto: po invece di #; E invece 

di 1; 10, 520, ---: &,0 invece dello 0. Com'è noto le condizioni di 

completa integrabilità delle (2') sono quelle perchè le equazioni 

lineari alle derivate parziali (9) costituiscano un sistema com- 

pleto, ossia le (X,X,)f sieno combinazioni lineari delle Xf stesse. 
Alle (9) uniamo le: 


(10) (X,X)f=0 


che in generale non tutte sono una conseguenza delle (9); si 
avrà così in generale un sistema non completo che comprende 
m equazioni distinte, essendo: 


O ll dt sie dt 
Supposto N>wm, il reciproco di questo consterà di 


BON: ped LE mnt3). 
” > 2 


n(n-+ 3) 
> 


equazioni, e cioè, di almeno N — — equazioni ai differen- 


ziali totali. 

Queste equazioni sono combinazioni lineari omogenee, indi- 
pendenti, delle primitive (2’). Infatti alle (9) si soddisfa nel modo 
più generale ponendo: 


= “i Q, = Pi t Na pi” == pro t Mara PE 
l/=D£ 12; N 


sostituendo nelle (10) avremo m—x — 1 equazioni lineari ed omo- 
genee nei moltiplicatori ), le quali ammetteranno H=<N—m+1 
soluzioni distinte, ad ognuna delle quali corrisponderà nel sistema 
reciproco un’equazione: @,= 0. 


SULLE EQUAZIONI DINAMICHE DI LAGRANGE 133 


È ora facile dimostrare il seguente teorema, che è un’ovvia 
generalizzazione di un altro pubblicato dal sig. Hadamard nella 
nota: Sur certains systèmes d’équations aux diff. tot. (“ Procès- 
verbaux de la Société des Sciences phys. et nat. de Bordeaux ,, 
Année 1894-95, pag. 17). 

Il covariante bilineare di ®; a cagione delle (1) e (2') è iden- 
ticamente nullo. 

Infatti, essendo per identità: 


ù 
VED: “0 (= 0, 1, .., %), 
=0 

sarà anche: 

N N 
dpi Jtapioi % j diri dla da 
Dn Eri dpr so do Ò pi (fo 2200) È; 2; USE) N), 


i=!) i=0 


e quindi: 
on TLLu(E varo ut) 
rs risk dpr dpi i Pi - rk pr sk dpr ’ 


la quale espressione si ottiene dalla (X,X,)f sostituendovi in 


luogo delle >” rispettivamente le g; e perciò è nulla identica- 


mente. 
Di qui reciprocamente apparisce che se ©, appartiene alla 
schiera Z\v@”), affinchè il suo covariante bilineare sia nullo per 
v 


identità è necessario che ®a faccia parte del sistema aggiunto 0 
reciproco di (9) e (10). Formato adunque il sistema di equazioni 
ai differenziali totali aggiunto alle (9) e (10), che indicheremo con: 
(11) = a dl 


e posto: 
Q=THt urp + urrp! ih ur P”, 


ove i moltiplicatori u sono funzioni arbitrarie delle p;, p; e #, 
l'equazione (4’) diviene: 


Di 


(12) ada 


154 GIACINTO MORERA — SULLE EQUAZIONI DINAMICHE, ECC. 


Ritenute le (11) risolvibili rispetto alle pi', po, ..., pu i 
moltiplicatori u si possono evidentemente determinare in guisa 
che S non contenga p;', ..., pp; per il che le u risulteranno fun- 
zioni lineari della p;'. Ciò fatto avremo: 

dL de dL 


dpi del 7 dp 0 


così dalla (12) si potranno eliminare le p;', ..., pr. 


Espressi poi le dp, per mezzo delle (7) in funzione dei pa- 
rametri infinitesimi indipendenti èr,, la (12) si spezza in n equa- 
zioni differenziali del secondo ordine, nelle quali più non com- 
paiono le derivate rispetto al tempo delle pi, ..., pu. 

La stessa cosa dicasi di quelle N —n — H fra le equazioni 
differenziali dei vincoli (2) che non si sono utilizzate per la eli- 
minazione delle pi', ..., pp. 

Nel caso particolare poi che le (11) fossero completamente 
integrabili per mezzo dei loro integrali dalla (12) e dalle anzi- 


dette N — n» — H equazioni dei vincoli si potrebbero eliminare 


anche pi, Pa, -..: PH- 

Dell'arbitrarietà dei moltiplicatori u si può invece profittare 

per annullare H termini della (12), ossia per soddisfare alle H 
equazioni : 

a 02. da 

dt. dpi dpi 


— P (i=1,2,... HI). 


L'equazione dei lavorî diviene così: 


hi 
È >, d d2 dQ 73 \ 
(12) | dt dp; Si }dbp=0 


dpi 
j=H+1 5 


Alle prime H equazioni associamo le H equazioni che si 
ottengono risolvendo le (11) rispetto a »;', ..., pr; all’equazione 
dei lavori virtuali associamo quelle altre N —n—H equazioni 
dei vincoli, che sono indipendenti dalle (11), e dalle quali per 
mezzo delle precedenti intendiamo eliminate p;', ..., pr. Allora 
le mancanti n equazioni dinamiche sono da dedursi dalla (12') 
coi soliti procedimenti, ritenendo le p; legate fra loro ed al 
tempo # da quelle N—n—H equazioni ai differenziali totali 
che si ottengono moltiplicando le anzidette equazioni per dt. 


U60 PANICHI — CONTRIBUTI ALLA CRISTALLOGRAFIA ZONALE 135 
e I RL 


Contributi alla cristallografia zonale. 


L’omologia e la cristallografia zonale. 


Nota 1* del Dott. UGO PANICHI. 


(Con una Tavola). 


Nel 1897 il Goldschmidt mostrava che mediante una legge 
esprimibile matematicamente, si può “ dedurre, da alcune poche 
faccie, lo sviluppo di tutte le forme osservate in una specie cri- 
stallina , e che al processo geometrico dello sviluppo di forme, 
si può far corrispondere un processo fisico di scomposizione di 
forze (complicazione), una volta ammesso il principio delle forze 
normali (*). 

I risultati del Goldschmidt aprivan la via allo studio di 
molti problemi risguardanti i collegamenti zonali; e in questo 
senso appunto sì è svolta in questi ultimi anni la cristallografia, 
per opera specialmente del Goldschmidt e del Fedorow. — Seguo 
anch'io da qualche tempo questo nuovo indirizzo degli studi cri- 
stallografici e in questa Nota preliminare, già in gran parte 
composta e argomento di alcune lezioni durante l’anno scola- 
stico 1898-99 (**), comincio a trattare del concetto geometrico 
dell’omologia, in quanto esso può giovare allo studio degli svi- 
luppi di forme e in quanto trova la sua effettiva corrispondenza 
nei legami zonali dei cristalli. 


L’omologia e la notazione milleriana. — Fissiamo di 
chiamare semplicemente diedro di due piani qualunque, l’angolo 
da essi formato, nel quale giace l'origine degli assi coordinati; 
l'angolo supplementare di esso lo chiameremo sempre il diedro 
(*) “ Zeitschr. fiir Kryst.,, XXVIII, pag. 1 e 414. 

(**) Vedi “ Annuario del R. Istit. di Studii Sup. in Firenze ,, pag. 115: 
Panicni U., Lezioni sulle proprietà e sul calcolo delle forme dei cristalli, con 
introduzione geometrica. Litogr. Dolfin, 1899. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 10 


136 UGO PANICHI 


supplementare. — Se poi, invece di due piani qualunque, consi- 
deriamo due faccie di cristallo, il loro diedro sarà quello che 
esse formano realmente incontrandosi o che formerebbero se 
fossero estese fino a incontrarsi; il loro diedro supplementare 
avrà quindi per misura l’angolo delle normali alle faccie. 

Si abbiano ora due piani e, e' qualunque, riferiti a un si- 
stema di n assi: come è noto le intersezioni dei piani cogli assi 
determinano i vertici di due poligoni omologici; l'origine degli 
assi è il centro di omologia; la retta ee' appartiene al piano 
d’omologia w (vedi fig. 1, in cui n=4, e= MNPOQ, e'=M'N'P'Q', 
k=.ee = RSTU, u=k. R'S'T'U'). 

Sopra uno qualunque degli assi, che porremo = %, i punti 
O, xe, xe', cw formano un gruppo armonico, e perciò, dati xe, xe', 
è subito trovato rw. Se i punti xe, xe' son situati dalla stessa 
parte rispetto all’origine O, il punto xw è pure situato dalla stessa 
parte e compreso fra essi; se poi xe e xe' si trovano da parti 
opposte rispetto a 0 (fig. 2: OP, OP’), il punto xw si troverà 
dalla parte di quello dei due punti xe, xe', che è più vicino a 0; 
e quel punto rimarrà compreso fra O e xw. Infatti poniamo 


O.xe=e, O.xe' =e', 0.xw=u, intendendo che e, e', « espri- 
mano il valore dei tre segmenti, in grandezza e segno. Se il 


’ 


; e È È È . aa e 
valore assoluto di e' è maggiore di quello di e, sarà glia np. 
+ — % 
= - È e e È ; 

se è minore, sarà ;——> =, _7} e in ogni caso avremo: 

Dee' 

Uu = sr Ri 
ete (1) 


relazione, da cui, dati e ed e', si ricava in grandezza e verso 
il parametro «. 

Nel caso in cui uno dei parametri e, e' sia infinito, v risulta 
eguale al doppio dell’altro parametro; infatti 


limu= lim ; =2e; limuw=2e'. 
e'=o e'=00. È 1 e=% 
e' al 


Se il piano e è fisso ed e' si muove parallelamente a sè 
stesso, la intersezione dei due piani descrive evidentemente il 
piano €, e in questo moto si conserva parallela a sè stessa; ora, 


CONTRIBUTI ALLA CRISTALLOGRAFIA ZONALE 137 


in ogni posizione di e’, essa appartiene al piano w, e perciò 
mentre e’ scorre parallelamente a sè stesso, il piano d’omologia 
scorre mantenendosi parallelo ad una determinata direzione, la 
‘ direzione di % = ee'w. 

Se poi, sempre restando fisso e, il piano e’ ruota intorno 
a k, anche il piano w ruoterà intorno alla stessa retta #, asse 
dei due fasci descritti da e' e da w. 

Aggiungendo ai tre piani finora considerati, il piano t= Ok, 
il gruppo (mewe') sarà in ogni caso un gruppo ‘armonico. 

Siano ora i piani e, e' rappresentati mediante i simboli mil- 
leriani (mn p...), (m'n'p'...) e quindi: 


=" oe N-% op =. 
Mm n n 


ben inteso che gli indici saranno affetti da segno eguale a quello 
dei corrispondenti parametri. Allora, per la (I), gli indici di w 
saranno : 


mt m' nt p+p 
0. ta 3 VA de pn E 


e il suo simbolo sarà: 
5 (m+4m nt4+n' ptp' ...). 


Trasportiamo questo risultato in cristallografia e supponiamo 
date due faccie a indici interi (mmnp), (m'n'p'); il piano d'omo- 
logia costruito rispetto agli assi cristallografici, sarà una nuova 
faccia, determinata in giacitura (direzione) dal simbolo 


(m+m' n+4a' p+p’) 


e nella sua vera posizione dal simbolo stesso affetto dal coeffi- 


È 1 
ciente Coi 


Quindi possiamo concludere che: alla esistenza di due faccie 
qualunque e, e', è omologicamente collegata l’esistenza di una 
terza faccia w, che passa per lo spigolo 4=€e' e che determina 
sopra gli assi i quarti armonici rispetto alle intersezioni degli 
assi colle faccie date e all'origine; mediante i simboli milleriani 
sì esprime in modo semplice la relazione fra le giaciture di €, e' 


138 UGO PANICHI 


e di w: basta fare la somma algebrica degli indici delle faccie 


date, asse per asse; il simbolo ottenuto, moltiplicato per + 


esprime non soltanto la giacitura, ma anche la vera posizione 
della faccia w. 
Così ad es. dalle faccie (111), (100) si ottiene la faccia (211), 


la quale perciò tronca lo spigolo 111:100; la faccia 7(211)è 


tangente allo spigolo stesso e noi la chiameremo omologica 0 ar- 
monica della coppia (111), (100). Potremo scrivere simbolica- 
mente 


111) 


dtt 1 
| )--3 @1 o anche 2 (100) 


| 100 20>-{2F1) 


e in generale: 


{m n r) at 3 (mm ntn' ptp'). 


\m' n' p' 


L’omologia e il principio delle forze normali. — Il le- 
game geometrico fra una coppia di piani (riferiti a un dato 
sistema di assi) e il loro piano d’omologia, trova una reale cor- 
rispondenza nei legami zonali dei cristalli. La relazione trovata 
teoricamente fra gli indici di due faccie e quelli della loro faccia 
omologica è verificata dall’esperienza; infatti la faccia che 
Junghann chiamò “ die krystallonomische Abstumpfung , (*) di 
una data coppia di faccie, è parallela al piano d’omologia della 
coppia, essendo centro d’omologia l’origine degli assi cristallo- 
grafici. 

La faccia armonica di una coppia di faccie dipende dunque 
da esse geometricamente e fisicamente; ora se supponiamo che 
la normale alla faccia armonica coincida colla direzione di una 
forza e che questa possa considerarsi come la risultante di due 
forze normali alle faccie date, per le proprietà armoniche sur- 
riferite si può subito stabilire in qual rapporto le intensità delle 
componenti debbano stare fra loro. Infatti conducendo dall’ori- 
gine degli assi le normali alle faccie date e, e' e alla loro armo- 
nica w, le tre rette appartengono al medesimo piano a, normale 


(*) “ N. Jabrb. ,; Beil. Bd. I, 1881, pag. 345. 


CONTRIBUTI ALLA CRISTALLOGRAFIA ZONALE 139 


allo spigolo #X=€ee'w; poniamo 0'=a% e (come a pag. 3) t= 0%; 
e poichè il fascio (mewe') è armonico, sarà armonico il fascio 
dei raggi intersezioni di t, e, w, e' con a. Nella fig. 3, in cui 
per semplicità a coincide con uno dei piani assiali, è dunque 
armonico il fascio 0’. M'’,P,N,0. — Ora, se alle tre normali 04, 
OC, 0B aggiungiamo la 0H normale ad 0'0, il fascio 0..A,C,B,H 
sarà non soltanto proiettivo del fascio 0". M,P,N,0, ma anche 
direttamente eguale ad esso; e perciò il fascio 0 . A,C,B,H è ar- 
monico e la conica passante pei punti 0,B,C,4,0' è una cir- 
conferenza e la retta OH le è tangente in 0. — Se tagliamo 
il fascio O. A,C,B,H con una retta parallela ad OH (per es. BF, 
che sarà quindi perpendicolare ad 00'), avremo 


BE = ED 


e perciò 0B, OD sono i lati di un parallelogrammo che ha per 
diagonali BD, 2(0£); quindi le intensità delle forze agenti nor- 
malmente alle faccie e, e' stanno fra loro come 0B sta ad OD. 

Se le faccie e, e' son faccie di pinacoide, supponendo dap- 
prima che il piano 0, normale allo spigolo £, coincida col piano 
di due assi cristallografici (fig. 4: OG, OG’), per la similitudine 
dei triangoli 0BD, 00'G, avremo 


OD _ 06 
OB 0G 


e questa è la condizione affinchè le forze normali alle faccie 
date possano comporsi in una forza normale alla faccia armo- 
nica; esse debbono star fra loro come i parametri cui rispetti- 
vamente sono perpendicolari. 

Se poi a non coincide col piano di due assi, le forze sa- 
ranno proporzionali alle proiezioni dei parametri sul piano a, 
alle quali esse forze sono rispettivamente perpendicolari. 


Sviluppi per faccie omologiche. — 1° Il simbolo della 
1 
pi 
e abbiamo visto ora come alla posizione individuata da tal coef- 
ficiente, corrispondano notevoli proprietà armoniche. Prescin- 
diamo ora dal coefficiente, ossia, come suol farsi in cristallo- 


faccia omologica di due faccie date è affetto dal coefficiente 


140 UGO PANICHI 


grafia, riferiamoci alla sola giacitura delle faccie, che possiamo 
per esempio immaginar rappresentate in proiezione stereografica. 
Consideriamo le due coppie di faccie 


mn p (aa nt pi 


m+m nn pipi (mm n4n pt; 


esse dànno luogo a due nuove faccie omologiche, espresse in 
giacitura dai simboli 


(Qm+m' 2n4n' 2p+p'), (m+2m' n+2n' p+2p') 


e si vede subito che costruendo con esse e colle faccie date 
nuove coppie, per ottener nuove faccie colla stessa operazione, 
e così continuando fino all’infinito, si costruirebbe uno sviluppo 
di infinite faccie in zona, di cui una qualunque faccia (rs?) sarà 
legata con (mnp), (m'n'p') dalla relazione 


(st) = (Hm+Km' Hn+Kn'  Hp+Kp') 


essendo H e K numeri interi e positivi. Tutte le faccie dello 
sviluppo hanno le giaciture comprese nel diedro supplementare 
delle due prime faccie e quindi i loro poli situati sull’arco di 
zona contenuto fra i poli delle faccie date. 


Così per es., partendo dalla coppia gh: 


fase dello sviluppo corrisponderà il gruppo: 


ad una prima 


100 110 010 
alla 2° fase il gruppo: 

100 210 110 120 010 
alla 3? fase il gruppo: 

100-310-210-320-110-230-120-130-010 
e così di seguito. 

Ma anche ogni faccia esterna al diedro supplementare delle 
‘faccie date e in zona con esse, può essere espressa per mezzo 
dei loro simboli; basta considerare una delle faccie date, come 
appartenente al sistema costruito colle altre due. E in generale 
il simbolo di ogni faccia @ in zona con (mnp), (m'n'p') è sempre 


CONTRIBUTI ALLA CRISTALLOGRAFIA ZONALE 141 


esprimibile in funzione di questi simboli; secondo che la faccia g, 
oppure (mm n p), oppure (m'x' p'), giace nel diedro supplementare 
delle altre due, abbiamo tre casi, cui rispettivamente corrispon- 
dono le tre seguenti forme di simboli per @: 


(a) Hm+Km' Hn+Kn' Hp+Kp' 
(8) Hm—-Km' Hn—Kn' Hp—Kp' 
(8‘) Km'—Hm Kn'-Hn Kp' —Hp. 


Queste espressioni possono applicarsi nella ricerca della 
faccia (7y2) comune a due zone; infatti, date due coppie di 


È abe mn i È I 

faccie ( d9; ) Î Mi sé la faccia comune alle due zone o è 
a be mn p 

comprésa nei diedri supplementari di ciascuna coppia, o è com- 

presa in uno ed esterna all’altro, o è esterna a tutti due; nel 


primo caso serve per ambedue le zone la (a) e avremo 
x = Hm + Km =Ua + Va' 
y= Hn + Kn' =Ub+ Vv 
ze = Hp + Kp =Uc+ Ve' 


e dividendo i due membri di ogni equazione per una qualunque 
delle quattro incognite H, X, U, V, si risolveranno le equazioni 
rispetto ai rapporti di tre incognite alla quarta, ciò che ci dà 
subito gli indici Qr, Qy, Qe. 

Nel secondo caso per una zona serve la (a), per l’altra una 
delle (8); nel terzo servon solo le (8) e si opera poi come nel 
1° caso: 

Es. del 1° caso: si conoscano in un cristallo di pirite, le 


nidi pi AA I 
coppie di faccie (arohi (81015 


U=2, V=bò, è quindi: 


posto H= 1, si troverà K=5, 


102 2(111) 
5(210) 3(310) 
11.52. 11.52 


142 UGO PANICHI 


Es. del 2° caso: si abbiano ora le coppie (550) (8681) ; si 


troverà analogamente: 
7(321) 2(632) 
321 2(210) 
) 


4(632)  4(421 


e la faccia comune alle due zone sarà (632). 


2° Io mi ero proposto di mostrare come gli sviluppi per 
faccie omologiche corrispondano alle Complicazioni di Goldschmidt, 
quando lo sviluppo parta da faccie opportunamente scelte: e 
come queste possano corrispondere ai nodi terminali del tratto 
di zona nel quale si verifica la complicazione; ma recenti e pre- 
gevoli lavori del Fedorow mi hanno preceduto. 

Nel Quinto contributo alla cristallografia zonale (*) il sig. Fe- 
dorow mostra infatti che per tratto di zona (Zonenstiick di Gold- 
schmidt), deve intendersi un lato di un triangolo elementare, 
nello sviluppo di forme ideate dal Fedorow stesso (**) e che i 
punti nodali terminali del tratto di zona, corrispondendo a due 
vertici del triangolo, sono, come questi, soggetti a determinate 
condizioni. — Ora lo sviluppo esposto dal Fedorow è fondato 
sulla seguente proprietà: 

“Da tre faccie date (in proiezione lineare o gnomonica) 
a= (4,4903), db = (d;b2b3), c = (€10303), dedotto il simbolo della 


a+b+e=(a4d,+c1 @4+d9tc0  a34d531t63), 


il cui polo giace nel triangolo ade (fig. 5), se si congiunge questo 
polo coi vertici a, 9,c mediante linee di zona, si ottengono nelle 
intersezioni di queste linee coi lati del triangolo «bc, tre nuovi 
poli, i cui indici sono la somma degli indici corrispondenti alle 
estremità del lato su cui ogni polo si trova ,. 

Questa proprietà, verificata in casi semplici, vien dimostrata 
in generale coll’aiuto dei determinanti. Pertanto il triangolo ade 
vien diviso in 6 triangoli e sopra ognuno di questi si può ripe- 


(*) “ Zeitschr. fir Kryst. ,, 1901, XXX Bd., pag. 25. 
(**) I Beitrag, “ Zeitschr. fi Kryst.,, 1900, XXXII, pag. 446. 


CONTRIBUTI ALLA CRISTALLOGRAFIA ZONALE 143 


tere la medesima operazione; si otterranno nuovi triangoli e 
ripetendo la costruzione su questi si può continuare ancora ad 
estendere lo sviluppo indefinitamente. 

Ora è chiaro che sopra ognuno dei lati del triangolo dato abc, 
sì ottiene uno sviluppo identico a quello che si ottiene nel modo 
esposto a pag. 138, dalle coppie di faccie ad, de, ac; e lo stesso 
si può dire dei lati dei triangoli che via via si ottengono collo 
sviluppo di Fedorow; quindi possiamo concludere che lo svi- 
luppo per faccie omologiche corrisponde alla legge delle com- 
plicazioni. 


Forme armoniche. — 1° Consideriamo ora più particolar- 
mente coppie di faccie appartenenti ad una stessa forma di cri- 
stallo; e, per fissar le idee, supponiamo di riferirci a forme del 
sistema monometrico. 

Sia data quindi in generale la forma }mnp{ e supponiamo 
costruite tutte le possibili coppie delle sue faccie; il numero di 
queste coppie sarà eguale al numero delle combinazioni Cg,8=1128; 
e da esse risulteranno perciò altrettante faccie armoniche; queste 
faccie potranno riunirsi in gruppi, ognuno dei quali contenga 
faccie della stessa forma, essendo evidente che, se una coppia 
di faccie della forma data dà luogo a una faccia appartenente 
a una nuova forma, tutte le altre faccie di questa forma devon 
potersi ottenere da convenienti coppie di faccie della forma data; 
il numero di queste coppie, che dànno luogo a faccie di una 
stessa forma, sarà dunque eguale o al numero di faccie della 
forma o a un multiplo di esso. 

Il numero dei gruppi formati colle 1128 faccie coinciderà 
col numero delle forme, differenti fra loro, derivate dalla forma 
data; e noi considereremo come differenti fra loro anche le forme 
i cui simboli differiscano solo pel coefficiente; tali forme si pos- 
sono chiamare forme simili. 

Tutte le forme derivate omologicamente da una stessa 
forma si chiameranno le sue forme armoniche. 

Se poi sian date le forme }mmnn}, }mnp{, )mn0}, ognuna 
di esse darà luogo a Cxys=276 combinazioni di coppie di faccie 
e potremo, con considerazioni analoghe alle precedenti, dedurre 
da queste le rispettive forme armoniche. 

Nel seguente prospetto sono indicate le forme armoniche 


144 UGO PANICHI 


di }mnp{, )mnn{, }mmp}, jmn0}; accanto a ogni forma è posto 
il numero di volte che essa viene ottenuta; moltiplicando questo 
numero rispettivamente pel numero di faccie della forma e poi 
sommando tutti i prodotti, si ottiene evidentemente, per la 
1à colonna, 1128; per le altre, 276. 


\mnp| Imnn \mmpi 
"1 LS mtn m4n 0: 2 
Ù addii 2 ERO 2 m0 0 4 
n n+pn+p0 |2 n00 2 p0o00 2 
n mnm_n î ; (a) im+n mn 0} 2 (}m+p m+p 0} 2 
dA AEON PET nm_nm_n0|2 | sm_pm—p0|2 
, n_pn—p0 2ll nn0 1 mmo0 ;1 
fi PO 1 mno 1 mpo 1 
46.0 1 3jmtn m_n 0) 2 am+p m—-p 0} 2 
14 TILtAOI, s 2nmtnmtn|1|,2mm+pm+p|1 
"3 dra dirai AE è i 1|,2m ini pe 1 
9 2n mipm_—p 1 ,2nm_nm_n|1|,2mm—-pm—p|1 
DIO ARTO RI 000 ‘ne (12/1e0 00060 de e 
, min n+p mp |1 | 
» mt+pmt+n n—p |1|- 
nytp.imtp_m—n | 1 | 
|m00 4 jmn0| 
in00 + 
100 4 
3) mt+n mn 0} 2 3 m00 2 
sl @00--po mp0 8 ani n00 à 
smtp np 0 |2 sig mtn 01 
s. 2mn—p n—p |l n mandi 
nix, 32 Mm_—-p m_-p| 1 | ù mm0 2 
n Qp m_-n,mM_n |l R nno 2 
» m+n n_—p mp |1 5 2mnn 1 
s mtp m_—n n—p |1 5 2nmm i 
s nt+p m—p m—-n |1 s m+nm_n 0 |1 
, m_n m—p n—p.|l s mtn mn 1 
n dm ntp. i n+p |1 s, Man mn 1 
n 2n mp mtp 1 000 12 
» GP, Mw mM 
s mtn m+p n+p |1 
000 124 


CONTRIBUTI ALLA CRISTALLOGRAFIA ZONALE 145 


Il prospetto mostra che, prescindendo dalle faccie all’infi- 
‘nito 000, ogni esacisottaedro ha 32 forme armoniche differenti 
fra loro; ogni tetracisesaedro ne ha 11; e le altre forme di 
24 faccie ne hanno 10. (Ritenendo eguali fra loro le forme si- 
mili, ogni esacisottaedro avrebbe 25 forme armoniche e ogni 
forma di 24 faccie ne avrebbe 7). 

Tutte le forme hanno per armonici l’esaedro e il rombodo- 
decaedro. Sono armonici di } mn pi 12 cubi e 12 rombododecaedri; 
e si osservi che coi coefficienti dei loro simboli si possono co- 
struire i simboli di tutte le altre forme armoniche di }mmp{. 
Analogamente si hanno 6 cubi e 5 rombododecaedri armonici 
di })mnn e {mmp{; e tutti i simboli delle altre forme armo- 
niche si posson costruire coi coefficienti di } 100{, } 110}. Lo stesso 
dicasi dei 4 cubi e dei 6 rombododecaedri armonici di }mn0|{. 

Delle forme armoniche di una forma data alcune hanno le 
loro faccie tangenti a spigoli realî della forma, altre le hanno , 
tangenti a spigoli virtuali. Sono del 1° genere: 


BEI 04, 3)2m n+pn+p|, 3)m+n mn 2pi armoniche di } mernpi; 


im n 000%, uu , sjmtnmtn Qnm, 3 }mnak; 
im n 03}2mmtpmtp}, — no n )mmpi. 
g)m+n mn 0,3) 2m n ini, _ a nino: 


da cui si vede che ogni icositetraedro ha per armonico del 
1° genere un triacisottaedro e ogni triacisottaedro ha un icosi- 
‘tetraedro; che l’esacisottaedro ammette un icositetraedro e un 


triacisottaedro; la forma + }2n m+p m+p| è sua armonica del 


2° genere e può essere un triacisottaedro o un icositetraedro 
secondo che m + p  2n; quando poi m + p= 2%, l’esacisot- 
taedro ha per armonico l’ottaedro. Osservazione analoga per- 


1 : È 
mette la forma > }2n mm armonica di }mn0, potendo essere 


2° Le cose ora dette mostrano che dai valori numerici par- 
ticolari assegnabili agli indici #w,,p, dipendono le relazioni ar- 
moniche esistenti fra la forma data }mnp{ e le sue armoniche. 


146 UGO PANICHI 


Una data armonica, per es.}m—p m—» n—p|, in cu m>n>p, 
sarà in generale un esacisottaedro; ma può essere un icosite- 
traedro quando m —n=n— p. Così dalla forma }321} si ha 
l’armonica } 211, mentre la corrispondente armonica di }421{ 
è }321{. Se si imporranno condizioni alla variabilità di una 
forma }mnp}{, rimarrà condizionata la variabilità delle sue ar- 
moniche e perciò possiamo proporci di ricercare le proprietà 
armoniche di un dato tipo di forme. 

Supponiamo ad esempio che gli indici della forma data }mmp| 
soddisfino alla condizione particolare m=wn+p. In tal caso sarà 


}mnpi=}n+p m_—p m—n| 


È 
2 
}mnpi è armonica di sè stessa; ma invece diremo, più esatta- 


e, se non tenessimo conto del coefficiente —, potremmo dire che 


mente, che la forma 3 in+p m—p m—n!, armonica di }mnpi, 


è simile ad }mnp{. Reciprocamente si può affermare che se 
}mnpî ha per armonica una forma simile, i suoi indici soddi- 
sfano alla condizione m=n+- p: infatti una forma armonica 
di }mnp{, simile ad essa, deve avere il simbolo del tipo 


1 
gimEn mEp nt pi 


in cui solo il 1° indice può essere eguale a p, solo il 2° può 
essere eguale ad n, solo il 3° può essere eguale ad m. E dovendo 
essere m>n>p, potrà essere soltanto 


m—-n=p, m—-p=n, n4+p=m 


le quali tre espressioni coincidono colla condizione cercata. 
Nel caso che fosse n=p dovrebbe essere m=2n, e poichè 
allora }2n n n= }211{, ne segue che fra gli icositetraedri sol- 
tanto }211{ ha per armonica una forma simile a sè stesso. Se 
fosse m=n, dovrebbe essere p=0 e quindi solo }110} ha per 
armonica una forma simile. Tutte le altre forme soddisfacenti 
alla condizione posta sono esacisottaedri (321, 431, 532, .....). 


CONTRIBUTI ALLA CRISTALLOGRAFIA ZONALE 147 
Le tre espressioni identiche: 
pem_ 
n=M-=p 
m=n+ p 


sommate due a due, dànno luogo-a 3 forme armoniche di } mp { 
tutte soddisfacenti alla condizione data 


1 1 1 
3 M+p m—p m_n, )m+pnt+pm_n,, > ìmtn n+p m—p|. 


La prima di esse, come abbiamo visto, è simile ad }mnp{ 
e può dar luogo a una nuova forma simile a sè stessa e ad }mnp{; 
anche le altre due dànno luogo a una forma simile ad } mn pi, e 
infatti basta far la differenza degli indici due a due per ottenere 


il simbolo } mmp{. Così ad es. }321{ avrà per armoniche 3 1321}, 


3-}481l, 51532; le quali hanno tutte per armonica i 3321} 


ro] 
boa 
DO 
(ar 
INI 
(vl) 
a 


83 
De 


ie 
da E 


DO <«-— 
DO 
nr 


In generale (convenendo di dire una forma B compresa 
armonicamente fra le forme A e C, quando A-+-B-C), po- 
tremo dire che ogni forma che segue la condizione m=n+p 
è compresa armonicamente tra due forme simili fra loro e sod- 
disfacenti alla medesima condizione. 


3° Quando interessi di conoscere non soltanto le forme ar- 
moniche di una forma data, ma anche tutte le forme di cui essa 
è armonica, si può ancora ricorrere al prospetto della pag. 12, 
ritenendo le quantità m, n, come incognite e cercando le con- 
dizioni cui esse debbono soddisfare affinchè il simbolo di ogni 
armonica di } mnp{ possa coincidere col simbolo della forma data. 
Per ogni armonica di }m7p{ che si considera, tali condizioni o 


148 UGO PANICHI — CONTRIBUTI ALLA CRISTALLOGRAFIA ZONALE 


non si potranno soddisfare per nessun valore intero e positivo 
di m, », P, oppure si potrà in un sol modo, oppure in infiniti 
modi. Se per es. è data la forma }211{, le armoniche di }mnp|{ 
che posson coincidere con essa sono le seguenti: 


Condizione Quindi 

=;2mn+pn—p|} m=n, p=0 }110{ > }211 

=imtnn—p m—p, È 3 is 

=imtantpmtpi  » > TO 

=im+pm_—nn—p} m=2n , ;210> |, 

=intpm—Pmon %, > nta: 

=" m+% m—t m=3n=3p 31 > , 

=: mm m=n+p 211,321,431,...;532,752,...; 

743,853, aaa 

=}2m n+-p n+ pj 5 ; ; 

=im+nn+pm—pi m=n+2p 100,311,421,531,...; a 
T92, 9023 e 


=intpm+pm_—ni m=p+2n. 311,521,731,...;:932,12°5°2...; 
=im-nm—pn—pi m=2n—p 321,521,741,...:432,852,...5.. 


e nessun’altra armonica di }mnp{ può coincidere con {211{. 

Mediante il prospetto di pag. 144 si possono in generale 
scoprire i legami armonici esistenti fra due o più forme; e se 
noi immaginiamo che queste forme appartengano a un medesimo 
sviluppo, ottenuto con una legge determinata, potremo ricercare 
in quale dipendenza i legami armonici che vincolano le forme 
combinate, stiano colla legge fondamentale dello sviluppo. Questo 
studio è del massimo interesse quando si abbiano in vista gli 
sviluppi di forme di cristallo offerti dalla natura e merita un 
lungo e ponderato esame. Riserbandomi di parlarne in una pros- 
sima Memoria, chiuderò la presente Nota con un’ultima osser- 
vazione. 

Se immaginiamo uno sviluppo di forme a indici interi che, 
partendo da quelle a indici non diversi da 1 e 0, proceda per 
fasi verso forme a indici sempre più alti e complessi, in questo 


Atti R. Accad. delle Sc. di Torino - Vo. XXXVIII. 


ARTURO MARONI — SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE, Ecc. 149 


sviluppo le forme armoniche di una forma qualunque si trove- 
ranno tanto più vicine ad essa, quanto più piccoli sono i valori 
dei suoi indici; e perciò considerando una combinazione di forme 
appartenenti alle prime fasi dello sviluppo, esisteranno fra queste 
forme più numerosi legami armonici che non tra forme appar- 
tenenti alle fasi ulteriori dello sviluppo. Se dunque si potrà 
asserire che alla reale esistenza di combinazioni di forme pre- 
siedono legami armonici, si dovrà arguire che la maggior pro- 
babilità di numerosi legami si avrà in generale quando le forme 
combinate hanno indici piccoli e quindi queste forme debbono 
avere la maggior probabilità di esistenza. Dalla completa veri- 
ficazione di questa ipotesi discenderebbe che la legge di Haiy 
è una conseguenza del principio fondamentale dell’omologia. 


Museo e Laboratorio di Mineralogia del R. Istituto di Studii super. in 
Firenze. Novembre 1902. 


Sulle superficie algebriche 
possedenti due fasci di curve algebriche umisecantisi. 
Nota del Dott. ARTURO MARONI, a Pisa. 


1. — Sia / una superficie algebrica possedente due fasci, 
K, e Ka, di curve algebriche unisecantisi. Il primo di tali fasci, 
considerate in esso le curve come elementi, sia di genere ri, 
il secondo di genere 3: per modo che saranno rispettivamente 
ts, t, i generi delle curve di X, e di K.. 

Ci proponiamo di esprimere i caratteri invariantivi della 
superficie F. A questo scopo supporremo di aver preparata la 
F stessa in modo che non contenga curve eccezionali, il che è 
possibile se escludiamo che essa sia riferibile ad una rigata. 

Nel fascio K, si consideri una 9}, e nel fascio K, una gi, 
poi si riferiscano proiettivamente i gruppi di curve di queste 
due serie lineari rispettivamente alle generatrici g e alle diret- 
trici d di una quadrica Q di S3. Preso un punto A sulla qua- 
drica, consideriamo le rette 9 e d passanti per esso e i gruppi 


150 ARTURO MARONI 


di curve delle serie gm; 9; che loro corrispondono: questi si 
incontrano in 7, punti della Y, che diremo corrispondenti 
del punto A. Così possiamo considerare la quadrica Q come 
una quadrica mwrs-upla riferita birazionalmente alla superficie 7, 
senza elementi eccezionali. 

Determiniamone la curva di diramazione. È facile vedere 
che, essendo la priva di curve eccezionali, due fra gli mjms 
punti della / corrispondenti ad un punto A della Q vengono 
a coincidere allora e solo allora che uno dei due gruppi relativi 
delle serie gm; 9, viene ad avere un elemento doppio. Ne segue 
che la curva di diramazione cercata è costituita dalle 2w;+2m7;—2 
rette 9g corrispondenti ai gruppi della 9g», aventi un elemento 
doppio, e dalle analoghe 2m3+ 2m9—2 rette d. 


2. — Si consideri, sulla quadrica multipla @, la rete di 
curve |C| determinata dalle coniche passanti per un punto 7 
arbitrario. La jacobiana di questa rete è costituita dalle rette, 
g* e d*, passanti per 7° (ciascuna contata m, ms volte) e dalla 
curva di diramazione sopra determinata. 

Il sistema canonico sulla @ si ottiene togliendo dal  si- 
stema |C;|, individuato da tale jacobiana, tre volte il sistema 
individuato dalla rete |C| (#), il quale ultimo si può anche con- 
siderare individuato dalla coppia di rette g* e d*. Per ottenere 
tale sistema canonico basta dunque togliere dal sistema indivi- 
duato dalla curva di diramazione, due volte i sistemi individuati 
dalle generatrici g e dalle direttrici d. Il sistema corrispondente, 
cioè il sistema canonico sulla , è dunque il sistema somma 
delle due serie lineari che si ottengono togliendo dalle serie 
lineari dei fasci XK, e XK, individuate dai gruppi degli elementi 
doppi delle gì.,, gin, rispettivamente due volte le gi, 9%», mede- 
sime. Concludiamo che (**): 

Il sistema canonico della superficie F si ottiene aggiungendo la 
serie canonica del fascio K, alla serie canonica del fascio Ks. 


(*) V. Enriques, Intorno ai fondamenti della geometria sopra le superficie 
algebriche, “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, 1901. 

(**) V. il lemma sulle curve adoperato dal prof. Enriques al $ 18 della 
nota sopra citata. 


SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE, ECC. 151 


8. — Veduto ciò si calcola subito il genere delle curve 
‘canoniche, cioè il genere lineare pl della superficie. Si ha: 


pt AR pS229) (fe 1 {AS 1) 
qa, — (ana 2) 1 
cioè: 


(1) p'= 8(m1_-1)(m_-1)+1. 


Ponendo mente che i fasci K, e K, non possono contenere 
curve con punti doppi (altrimenti la / conterrebbe curve eccezio- 
nali), mediante una formula dei proff. Enriques e Castelnuovo (*) 
possiamo calcolare, servendoci di uno qualunque dei due fasci, 
l’invariante / di Zeuthen-Segre, il quale risulta: 


(2) I=4(t,—1)(m—1)—A. 


Poichè la F è priva di curve eccezionali, abbiamo la re- 
lazione : 


I+p"=12ps+9 
dalla quale, sostituendo per / e per p! i valori trovati, si ricava: 
(3) Pa=(t1— L)(m—- 1) 1. 
Il confronto delle formole (1) e:(3) ci dà la relazione: 


pU= 8pa +9. 


4. — Quando i fasci XK, e X,. sono .ambedue ellittici (nel 
qual ‘caso la superficie / è una di quelle determinate dal 
prof. Amaldi (**)), allora, rifacendo il ragionamento del n° 2 


7 


(*) Sopra alcune quistioni fondamentali, ecce., “ Annali di Mat. ,, t. VI, 
s. INI, $ 6. 

(**) IT prof. Amaldi, in una sua nota pubblicata recentemente nei “ Rend. 
dei Lincei.,, determina le superficie algebriche possedenti più di due fasci 
di curve algebriche unisecantisi, e dimostra che tali superficie sono tutte e 
sole quelle possedenti due fasci (e quindi necessariamente anche altri) di 
curve razionali od ellittiche ‘unisecantisi. 


Atti della RP. Accademia — Vol. XXXVIII. 11 


152 ARTURO MARONI 


vediamo che il sistema canonico della Y si riduce ad una curva 
di ordine zero (per cui p,= 1). In tal caso il pl non può più 
calcolarsi come al n° 3. Ma se consideriamo l’espressione del p!! 
data p. es. mediante il genere mt di un sistema lineare e i ge- 
neri n’, n’ del suo aggiunto e del suo secondo aggiunto: 


pPU=Z1+(m_n)-(m- n") 


poichè sulla F ogni sistema è ora aggiunto di sè stesso, si 
ottiene: 
p'=1. 


Valore dato anche dalla (1). Vale quindi, anche per queste 
superficie, la (3), la quale dà: 


Pa= — 1. 


5. — Ritorniamo alla nostra superficie # generale e pro- 
curiamo di determinare la dimensione del sistema completo |C] 
ottenuto sommando una serie lineare g©» di K, ad una serie 
lineare 9g di Ks. 

Cominciamo dall’osservare che se una di queste due serie 
lineari ha un elemento (curva) fisso, tale curva risulta fissa 
anche per il sistema somma. Infatti, sia ad es.: %, una curva 
di K, fissa per la g@!: il sistema |C| sega su ogni curva di K; 
appunto la serie g©, quindi tutte le curve di |C| debbono pas- 
sare per il punto ove la considerata curva di X, è segata 
dalla %;; e da ciò segue che la %, è fissa per |C|. 

Sia ora G,= (ki, KÒ, ...,k") un gruppo della 99 ed ag- 
giungiamo alla g successivamente le curve di questo gruppo 
nell'ordine in cui le abbiamo scritte (che del resto è qualsiasi). 
Finchè le curve sommate individuano nel fascio K, una 9°, la 
dimensione del sistema somma rimane sempre uguale a ps. 

Supponiamo che il gruppo (k, KP, ..., #4) (4 < m;) indi- 
vidui una serie g,,, mentre il gruppo (k{”, k%, ..., X(4-1) indi- 
vidui una 9,1, e vediamo quale è la dimensione del sistema 
ottenuto aggiungendo alla g8 le curve KW, XD, ..., 4. Tale 


SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE, ECC. 153 


sistema sega sulla &{" la serie g:, mentre le curve di esso pas- 


santi per la %(4 medesima sono cv; detta quindi r la. sua 
dimensione, salina: 


ri — po —1= ps; cioè: ri = 2p9 + 1. 


Seguitando ad aggiungere le curve %,, finchè non ne ab- 
biamo sommate tante che individuino nel fascio K, una serie 00°, 
la dimensione del sistema somma rimane sempre uguale ad r'! 
La prima volta che il gruppo delle curve %, sommate alla 99 


individui nel fascio K, una g?, avvenga quando si è ag ggiunto 
la curva X(! (u1< ug<m;). Il sistema così ottenuto sega sulla X{# 
stessa la serie 99, e le curve di tale sistema passanti per la X{4®) 


sono 00”: detta quindi r® la sua dimensione, abbiamo: 
rp, — L=" =2p34-.1; (1 cioè: = 3pa +2. 


Così proseguendo si vede subito, col mezzo dell’ induzione 
completa, che la dimensione r del sistema ottenuto aggiungendo 
tutto il gruppo G, (cioè del sistema |C|) è data da: 


(4) r=(p1+ 1)pa + p1= P192 + PL +4 Pe: 


6. — In particolare, la dimensione p, — 1 del sistema ca- 
nonico si otterrà, per quanto abbiamo veduto al n° 2, ponendo 
nel secondo membro della (4) pyr=T, — 1 e po.=m— 1; quindi: 


Pio (mara) 1) tte dea 


da cui: 


(5) Pa Ty Ta (È) 


(*) Questa formula si trova nel 1° volume (pag. 197) della TAéorie des 
fonctions algébriques de deux variables indépendantes, di Picarp et Srmarr. 
Ivi essa è dedotta con metodo trascendente, determinando, cioè, il numero 
degli integrali doppi di prima specie linearmente indipendenti che appar- 
tengono alla superficie. 


154 ARTURO MARONI — SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE, ECC, 

TI sistema ?-canonico sulla 7 si ‘ottiene aggiungendo ‘alla 
‘Serie ;-upla délla ‘série canonica del fascio K,, la ‘serie i-upla 
della serie canonica del fascio K,. Queste due ‘serie harino rispet- 
tivamente le dimensioni: 


pr= im —-2)— 1; pa= i(2m — 2) — mo. 


Sostittiendo Questi valori nella (4) ‘si ‘ottiene l'espressiche 
dello igenére ‘P;, che risulta: 


(6) Pi= (2i—1)(m—-1)(m_1) (î > 1) 
Tenendo conto delle (1) e (3) si hanno anche le espressioni: 
P,=(2i—1)(p.+1) (> 


Pl rt ppi (> 1) 


Evidentemente le formole (5) e (6) non valgono quando uno 
dei due fasci sia ellittico. Ma si vede subito che se uno solo 
dei due fasci, ad es.: K,, è ellittico, si ha (*): 


p,=t9; Pi=2n; —2)— tm FI=(2i" 1)(m—-1) (ST. 


Se poi ambedue i fasci sono ellittici, come abbiamo già 
osservato, è 7, = 1 ed anche si ha P,= 1 per tutti i valori di è. 


(*#) A proposito di queste superficie, vedi il lavoro del prof. Enriques: 
Sui piani doppi di genere lineare pl) =1(“ Atti della Acc. dei Lincei ,, 1898). 


C. BURALI-FORTI — SUL MOTO, DI UN CORPO RIGIDO 155 


Sul moto di un corpo rigido. 


Nota di C. BURALI-FORTI in Torino. 


Non può essere sfuggito ai cultori, della matematica come 
le più semplici proprietà di Geometria differenziale e di Mecca- 
nica esigano bene spesso dimostrazioni lunghe, e. complicate:, e, 
ciò non perchè così richieda la natura della questione, ma a, 
causa, degli; strumenti di ricerca di cui si fa uso. Più volte, ho, 
avuto occasione di: far vedere con esempi (*) come il, metodo di 
Grassmann rende le dimostrazioni, delle citate. proprietà di una, 
semplicità pari a quella del loro enunciato. Nella speranza di 
far cosa grata a coloro che tendono continuamente e costante- 
mente a semplificare (**), nella scuola, le forme espositive, porto 
ora un altro esempio relativo alla Meccanica. Il moto generale 


(*) C. Burari-FortI, IZ metodo del Grassmann nella Geometria protettiva 
(“ Rend. Circe. Palermo ,, 1896, 1897, 1901). — Introduction è la Géométrie 
différentielle (Gauthier-Villars, 1897). — Sopra alcune questioni di Geometria 
differenziale (Palermo c. s., 1898). — Sur la for mule de Ta ylor pour les 
formes géométriques (È Zeitschrift fir Mathematik und Physik di 1899). — 
Sur les rotations (* Bulletin des Sciences mathématiques ,, 1899). — Sopra 
alcuni punti singolari delle curve (“ Atti Acc. Torino ,, 1901). — Le formule 
di Frenet per le superfici (Idem, 1902). — Applicazioni del metodo di Grassmann 
(© Le matematiche pure e applicate ,, vol. I, II.) — Sulle radiali (Palermo, 
c. s., 1902). — Ingranaggi piani (“ Atti Acc. Torino ,, 1902). — Formulaire 
Mathématique par G. Peano ($$ gl, 92, 93; 1909). — Sillle linee funicolari 
(‘ Le matematiche..... ,, 1902). — I vettori nella Geometria elementare (* Il 
Pitagora x» Palermo, 1903). 

Let) Si intende che tale semplificazione richiedo la conoscenza del me- 
todo di Grassmann. E poichè tale metodo; è basato sulle più semplici no- 
zioni di Geometria elementare; fa uso di un algoritmo identico a quello 
dell'analisi; contiene come casì particolari tutti gli altri. metodi noti, coor- 
dinate, omografie, baricentri, equipollenze, quaternioni; è puramente geome- 
trico in ogni suo particolare; tratta con la stessa semplicità questioni di 
Geometria finita o infinitesimale e di Meccanica; — non si comprende come 
esso non sia ancora sostituito agli ordinari metodi straordinariamente com- 
plicati. 


156 C. BURALI-FORTI 


di un corpo rigido ha proprietà semplicissime; eppure le trat- 
tazioni analitiche o geometriche ordinarie sono di una compli- 
cazione eccessiva; da. una parte i moti relativi, dall’ altro i 
momenti, rendono, a colui che inizia i suoi studi, grandemente 
difficile ciò che è grandemente facile. Il metodo di Grassmann 
permette di sopprimere i moti relativi, poichè ogni ente geo- 
metrico può esser considerato indipendentemente da elementi 
fissi; nella mia nota Ingranaggi piani, ho appunto ottenuti tutti 
i possibili ingranaggi, con calcoli elementari, e sopprimendo ogni 
considerazione di moti relativi. Lo stesso metodo permette di 
sopprimere i momenti (*) poichè la condizione di eguaglianza di due 
formazioni geometriche dice, in sostanza, che due certi momenti 
sono eguali: e non si creda che con la soppressione del termine 
momento si venga a perdere un qualche concetto meccanico; 
sì perderà solamente una complicazione di forma con grande 
vantaggio della semplicità e della chiarezza. 


1. — Se P, Q sono due punti qualunque del solido (o corpo 
rigido), la loro distanza non varia col tempo t, cioè 


(P— Q)?= cost, 


che derivata rispetto a t dà (p. 67) (**) 
(1) (P_@Q|[(P'-9')=0, ovvero (P_0Q)|P'=(P_0)|Q', 


la quale esprime che (p. 29): 


(*) Ciò non è egualmente possibile facendo uso dei quaternioni (Cfr. For- 
mulaire Mathématique, 1. c., p. 285) o dei soli vettori, bivettori e trivettori 
di Grassmann. 

(**) Le notazioni (p. ...) si riferiscono al mio libro: Introduction à la 
Géometrie différentielle. È appena necessario ricordare che: ogni punto P 
di un solido (o corpo rigido) in movimento, è una determinata funzione 
aP i WF 
do. ni 
spettivamente la welocità e l'accelerazione (geometrica, vale a dire con dire- 
zione, verso e grandezza) del punto P nel tempo #: se P'=-0 allora il vet- 
tore P' è parallelo alla tangente in P alla traiettoria di P; e se P'P"=*+0 
allora il bivettore P'P" dà la giacitura del piano osculatore in P alla stessa 
traiettoria (p. 65, 78). 


della variabile numerica #, tempo: i vettori P'= sono, ri- 


SUL MOTO DI UN CORPO RIGIDO 157 


Le proiezioni delle velocità dei punti P, QQ, nel tempo t, sulla 
retta PQ sono eguali. 

Risulta di qui l’ordinaria costruzione grafica della velocità 
di un punto qualunque essendo date le velocità di tre punti, 
non collineari del corpo (*). 


(*) Le condizioni d’invariabilità delle aree e volumi sono 
((Q—P)(R— P)°= cost, —PQRS= cost, 


ove P, Q, R, S sono punti qualunque del corpo. 
Derivando la prima si ha 


(Q— P(ER—P)|}(@0—P(R—-P)+(9—P)(R—- P){=0, 
che assume le due forme 


(Q0—P)(R—P)|}(Q0— RP'+(R—P)2+(P_QE){=0, 
(Q—P(R—D|}P(Q@—R)+ R—P)+E(P_Q){=0, 


le quali esprimono che: 

La somma delle proiezioni sul piano PQR dei parallelogrammi formati 
con un lato del triangolo e la velocità del vertice opposto è nulla. 

La resultante delle forze applicate ai vertici del triangolo PQR e i cui 
vettori sono le differenze delle velocità agli estremi dei lati opposti è una coppia 
il cui asse momento è parallelo al piano PQR. 


Dall’identità (p. 48) 
(PQR . w)S= PQRS. w-+ PQR 


si ha per derivazione, e tenendo conto della seconda condizione: 


d d 

7) SPOR.w{=-7 (POR) 
d° d° 

ag | S(POR.w){= 5 (POR), 


le quali dimostrano che: 

I piani paralleli al piano PQR, e invariabilmente collegati al solido, de- 
scrivono inviluppi le cui caratteristiche, al tempo t, sono complanari e i cui 
punti di regresso sono collineari (p. 84, 85). 

In modo analogo il lettore può ottenere molte altre proprietà. Non 
vogliamo tralasciare di indicare come dalla considerazione dell’omografia 0, 
tale che 
d'P 
1 pt 


oP=P+- 


si possano trarre molte proprietà del moto, anche supposto il corpo non 
rigido. In particolare per n= 2 si ha il centro delle accelerazioni, ecc. 


158. C.. BURALI-FORTI 


2. —. Sieno P,,é=1,2,3,4, quattro punti, del: solido. tali 


che i vettori 


I=P—- Pi, irta, 
sieno unitari e due a due ortogonali. Si hanno allora le relazioni 
Iî= 1, (i=1;2;9); L|&=0, (;;j=1,2;3; +)  (p. 29) 
che per derivazione dànno 
L'\Lk=0; LIL+IF|E=0: 


quindi, se essendo %, j, &, una permutazione dei numeri 1, 2, 3; 
sì pone 


L'|\I=-—-J{|IL=m (per î=2,3,1, e j=38,1,2) 
si avrà, ricordando, che 


tel |DLh+W|DLDL+ |), 
I'=m;1 — mol, L= ml — m31,, I3'= mlt, 


dalle quali 
myli' + mol + mg13'=0, 


la quale esprime che: è vettori I/ sono complanari (*). 
Se, ora, P è un punto qualunque, del solido, sono deter- 
minate (p. 13) le costanti x;, î = 1, 2,3, tali che 


P= Pi + xl 4 2314 2313: 
(*) Cfr. la mia nota: Le formule di Frenet per le superfici, p. 9. 
Il piano che contiene. i vettori I' è parallelo al bivettore 
L'h=m myIaI3 + maI31, + m31,6 { 
cioè tale piano è normale al vettore (supposto 1,213 positivo) 
mil, + mola + mgIg 


parallelo al vettore V che definiamo nel n° 3. 


SUL MOTO DI UN CORPO RIGIDO 159 


essendo dunque, 0, un, punto fisso arbitrario si avrà 
O+ P'=(0+.Po)i ta 4.013 4 0813, 


ed essendo /’,i= 1,2,3, vettori complanari:; 

Gli estremi, con una stessa origine, delle velocità di tutti i 
punti del corpo, nel tempo t, sono punti complanari. 

Per un punto qualunque P della retta generica P,/, si ha 
P=P,+x;1,, con x, costante, e quindi da 0+P'=0+P;'+@,1;" 
risulta che: 

Gli estremi; con una stessa origine, delle velocità dei: punti di 
una retta, nel tempo t, sono collineari. 


8. — Per il luogo dei punti 0 + P' occorre considerare i 
due casi seguenti: 

A. — Esistono tre punti P,, Po, P3 del solido tali che, nel 
tempo t, i punti O + P;, i= 1,2,3, non sono collineari. 

B. — Comunque si fissino tre punti P; del solido sempre 
st ha che, nel tempo t, i punti O + P;' sono collineari; ovvero, 
il che equivale; nel tempo t le velocità di due punti qualunque 
del corpo sono parallele. 


Esaminiamo subito il caso B. Se P, P,,î= 1, 2, 3, sono 
punti non complanari, allora 0 + P', 0+ P/ sono collineari, 
cioè i tre vettori P' — P/ sono paralleli; ma essendo questi (n° 1) 
normali alle tre rette, non complanari, PP, deve essere 
P' —.P/=0; cioè: 

Se nel tempo t le velocità di due punti qualunque del corpo 
sono parallele, allora tutti î punti hanno la stessa velocità e il 
moto del corpo nel tempo dt è una traslazione istantanea. 


Consideriamo ora il caso A e siano P,, P., P3 i tre punti 
dei quali abbiamo affermata l’esistenza. Il luogo dei punti 0 + P! 
è il piano 


a=(0+ P(0+ P;(0+ P/) = 
O} Ps'Py {-Py'P, + Pi Py' | + P,'Py Py = 
OP, turi Py)(Ps' mu P;') + P,' Py Ps'. 


160 3 C. BURALI-FORTI 


Da queste espressioni risulta che il piano a è ben deter- 
minato e contiene o no il punto O secondo che il trivettore ‘ 
. P,'P,'P;' è nullo o no. Dal n° 2 risulta pure che il piano a di- 
pende da # e dal moto, ma è affatto indipendente dai punti P.. 

Il vettore unitario 


(2) pi aw SA P, Py + PsP\ + Pi Py 
mod(aw) —| mod(P;'P; + PP + PP) 


(ove w è il trivettore unitario (p. 18)) dà la direzione della nor- 
male al piano o che è pure indipendente dai punti P;. Si noti, 
però, che il verso di V dipende dalla successione P,, Po, Ps. 

Se P è un punto qualunque del solido, 0+ P' sta in a cioè 


a(0+P')= 0) P'(P.'P'4 Py'P,'+ P;'P.')-P.!P Ps {=0, 
vale a dire 
(3) PPP) = Hb: 
Dalle formule (2), (3) si ha subito 


(4) P,'|V= Py |V=Ps'|V=P|V, 
cioè: 


Nel caso A le velocità di tutti i punti del solido hanno, nel 
tempo t, egual proiezione nella direzione V. Nel caso B qualsiasi 
direzione gode della stessa proprietà. 

Se poniamo 


6) T=P'|V, 


allora ®T ci dà in grandezza e segno la proiezione in V della 
velocità di un punto qualunque del solido. Il valore assoluto 
di T è la distanza di O dal piano a. 

Da quanto abbiamo detto fin qui risulta la costruzione gra- 
fica di V e . Infatti: scelti i tre punti P; del caso A si co- 
struisce a mediante i punti 0 + P/; la normale al piano a dà 
la direzione di V e il senso è dato dal bivettore (P.'— P;/) 


SUL MOTO DI UN CORPO RIGIDO 161 


(P3'— P;'); il valore assoluto di T è la distanza di O da a e 
il segno è dato dal senso di V. 


4. — In questo numero consideriamo il caso A. 

Fissiamo due punti P,, P. del solido tali che P,P.V==0, 
cioè distinti e su di una retta non parallela a V. Vogliamo di- 
mostrare che: Comunque si fissi il punto Pz che con P,, Ps deter- 
mina un piano non parallelo a V, P,P,PsV == 0, esiste un 
numero R tale che P;' — Pj/=R|V(P,— P.), comunque vartino i e j 
tra è numeri 1, 2,3. 

Per le formule (1), (4) si ha 


(Pi BI)I(E—B)=0,., (P!—P)IV=0; 


e poichè il vettore P,— Pi}, per î==), non è parallelo al vet- 
tore V, devono esistere tre numeri m,, #2, 3, tali che 


Fc KE) 


essendo ijk una permutazione qualunque dei numeri 1, 2,3. Se 
sommiamo le eguaglianze che si ottengono dalla precedente per 
i=2,3,1,j=3,1,2, si ha 


Vi(m3— mo) P.+(m—m3)P.+(m°—-m)P3{=0; 


moltiplicando per P. P3, o P; Pi o P, Ps e ricordando che 
P,PsP3V==0 si ottiene 


My = Mg = Mg 


che dimostra il teorema. 

Siano ora P,Q due punti qualunque del corpo e per 
P,, Po, Ps, conserviamo le ipotesi precedenti. Uno almeno fra 
i numeri P;P,PV e uno almeno fra i numeri P;P;QV non è nullo. 
Se, ad es., P;P,PV==0 e P,P,QV==0, allora il teorema pre- 
cedente dà 


P' Pi =R|V(P— P;'); PilorQ"=RV(Pi— Q); 


162 C. BURALI-FORTI 
che, per somma, dànno 


vale a dire: 
Nel caso A esiste uno, ed un solo, numero R funzione di t, 
tale che per qualunque coppia di punti, P,Q del solido si ha 


(6) P'_Q=R|IVP_ Q). 


Si può determinare graficamente il numero R. nel modo se- 
guente. Si fissino P e Q in modo che la retta PQ sia normale 
a V,(P_Q)|V=0, e che la loro distanza sia l’unità (P— Q=1; 
allora dalla (6) si ha _ 


mod f = mod(P'— Q'), 


il segno di restando determinato dalla (6). 

Se PQV=0 allora, per la (6), P'— Q'=0, cioè: 

Tutti i punti di una retta parallela a V hanno, nel tempo t, 
equal velocità. 


5. — Dalla formula (6) operando con îndice (p. 27) sui due 
membri si ha 
|P] =RVP_RVO, 


ovvero 


(7) RPV+|P'=ROV+|0! 
Risulta da questa formula che la forma di seconda specie 
(8) s=RPV+|P' 


dipende da # e dal movimento ma è affatto indipendente dal 
punto, P. 
Osservando che 


Ps= P|P' ) e Ps.w=|P 
(*) La forma s è dunque anche il simbolo dell’omografia che ad ogni 


punto P del solido fa corrispondere il piano sP= P| P' normale in Palla 
traiettoria di P. L’omografia s non è una polarità poichè il suo determi- 


SUL MOTO DI UN CORPO RIGIDO 163 


si ha, qualunque sia P, 
ba — Ag 


e per conseguenza la forma s rappresenta completamente, nel 
‘caso ‘A, le velocità di ogni punto del corpo. E poichè nel caso B 
il vettore P' non varia col variare di P, è chiaro che la stessa 
forma nella quale si supponga R= 0, o anche V=0, rappre- 
senta le velocità anche nel caso B. Dunque: 

Essendo dato il movimento di un ‘solido è determinata una 
sola forma di secondo ordine s, funzione di t, tale che per qua- 
lunque punto P del solido si ha 


(9) P'—=|Ps.w; 


s essendo data dalla ‘formula (8) ove si deve supporre R=0, 0 
V=40, nel caso B (*). 

TI numeri 'f, T, che sono molto importanti nel moto del 
corpo, sono determinati dalla forma s. Si ha, infatti, dalla (8), 


1 


(10) MO epoca 


la prima delle quali determina se il senso di V si fissa eguale 
o contrario al senso di sw, e la seconda determina ‘®. 


nante è emisimmetrico; è invece il così detto sistema nullo dal quale deriva 
immediatamente il complesso lineare di rette di velocità nulla. La trattazione, 
puramente meccanica, da noi indicata, si collega così, sotto forma semplicis- 
Sima, alle ordinarie considerazioni proiettive che si pongono a base del moto 
del corpo per semplificare la trattazione analitica. 

(*) Questo teorema è stato enunciato sotto tale forma dal Prof. G. PrAno 
(Calcolo geometrico, Torino, 1888), che ha chiamato la s velocità del solido 
nel tempo t (Sopra lo spostamento del polo sulla terra, “ Atti Acc. Torino ,, 1895). 

In quest'ultima nota si trova pure l’espressione della quantità di ‘moto 
mediante i momenti principali d'inerzia, e del lavoro elementare che Tianno 
grande importanza pratica e semplificano notevolmente lo studio di tutto 
ciò che si riferisce al moto di un corpo (Cfr. n° 8 ultima nota). 

Se 0,1, J, K è un sistema cartesiano ortogonale di riferimento, allora 


P=0+xI+yJ+ z<K 
s=p01+g0J+r0K +EIK+NKI+s1J 


e, dalle formule precedenti si ottengono le ordinarie formule analitiche 
(Cfr. ad es. G. KoewiGs, Lecons de cynématique, 1897). 


164 C. BURALI-FORTI 


Si osservi che dalla (8) si ha pure 
Ps =PVIP VP % 


6. — Esaminiamo ora la natura del moto istantaneo del 
corpo nel tempo dt, a seconda della natura della forma s. 

Ricordiamo intanto (p. 36) che: se l’invariante, ss, di s è 
nullo allora s è una linea o un bivettore secondochè sw==0 o 
sw= 0: se ss#+0 allora s è, in infiniti modi, riduttibile alla 
somma di una linea con un bivettore, potendosi della linea fis- 


sare ad arbitrio un punto e dipendendo da questo e da s il 
bivettore. 


Sia ss=0 e sw=#0. Allora (10), ®==0 e V==0, e siamo 
nel caso A. Per qualunque punto M della retta s, Ms=0, la (9) 
dà M'=0, vale a dire: la retta s è immobile durante il tempo dt. 
Se M è la proiezione di P sulla retta s allora, dalla (6), 
P'=NR|V(P— M)e 


mod dP= modî . mod(P— M).dt, 


vale a dire: ogni punto P_ ha una rotazione istantanea intorno 
all’asse s, di cui R è la velocità angolare. 


Sia ss=0 e sw=0. Allora s è un bivettore e per la (9), 
P'=0'=... e si ha il caso B, cioè: il corpo ha la traslazione dP. 


Sia ss=#=0. Qualunque sia O si ha s= ROV H+ « ove « è 
un bivettore che dipende da O e da s, quindi: i moto durante 
il tempo dt si compone di una rotazione istantanea di velocità an- 
golare N intorno all'asse OV e di una traslazione istantanea di 
cui il vettore |udt dà la grandezza, la direzione e il senso. Dalla 
formula (8) risulta che: se l’asse di rotazione è PV allora | dP è 
la traslazione. 


7. — Supponiamo in questo n° che ss==0, vale a dire che 
R*0 e T+0. 
Dalla formula (8) si ha identicamente 


s=RPV+|(P'—®VM)+3]V. 


SUL MOTO DI UN CORPO RIGIDO 165 


Essendo P'—&V la proiezione di P' sul piano a normale 
a V, il bivettore |(P' —TV) è parallelo al vettore V, vale a 
dire, la forma di seconda specie, 


(11) r=RPV+|(P'— 7) 


è una linea parallela al vettore V, cioè r è l’asse centrale della 
forma 


(12) sa=r+3|V. 


Il movimento nel tempo dt si compone di una rotazione 
intorno ad r e di una traslazione parallela allo stesso asse, vale 
a dire: 

Nel tempo dt il moto è elicoidale, r ne è l’asse e R, I le ve- 
locità di rotazione e traslazione. 


Se P,, P. sono punti distinti del solido, le formule (8) e (11), 
dànno 


Pie = Pi|(P\ —èY), Par = Pa|(P — SV): 


se riprendiamo la costruzione di V fatta nel n° 3 e chiamiamo H 
il piede della perpendicolare condotta da O ad a, le formule 
ora scritte dicono che: l’asse elicoidale è la retta comune ai piani 
condotti da P, e P, perpendicolarmente alle rette H(O + P.'), 
H(0 + Pi). 


Sia P un punto dell’asse elicoidale, Pr = 0, allora da (12) 
e (9) si ha 


Ps=%P|V, Ps.w=%|V, P'=3V, 


vale a dire: 
La velocità di ogni punto dell'asse elicoidale, nel tempo t, è TV. 


Se M è la proiezione sull’ asse » del punto generico P, 
allora, essendo M’'=®V, si ha, per la (6), 


P'=3V+®|VPT_ M);: 


166 C. BURALI-FORTI 


il mod P' dipende dunque dal mod(P— M) e non ‘dalla dire- 
zione di P— M;'in‘eonseguenza: 

Le velocità, nel tempo t, di tutti ‘i ‘punti di un cilindro cir- 
colare avente per asse l’asse elicoidale, hanno egual modulo ed 
eguale inclinazione ‘sull'asse. 


‘Si può, in infiniti modi, ridurre s alla somma di due linee ‘1, $9, 


d’una delle quali si può fissare ad arbitrio la retta che la con- 
tiene purchè non parallela all'asse r (*). 

Il movimento si riduce allora alla somma di due rotazioni 
intorno agli assi sj, ss delle quali i vettori sw, ssw dànno le 
velocità angolari. Essendo ss = 2553, risulta che i tetraedro 8189 
non muta di volume e di senso col variare dei due assi di ro- 
tazione. 


8. — Il corpo € che si considera sia il sistema (rigido) 
dei punti P, con le masse m; e sia: m= Xm; la massa del si- 


stema; G= " > m;P, il baricentro e © =} >m;P/? la forza 


viva ‘del' sistema nel. tempo +. 
Se 4, B sono ‘punti e ‘Z;/ vettori unitari, i numeri 


(13) zm.(P,— A)I|(P.--B)J; > m,})(P.— A)T{? 


(*) Infatti. Sia 0 un Dub dell’ asse arbitrario non parallelo al vet- 
tore sw e sia / un vettore unitario parallelo a questo asse. Perla forma s 
sì ha 

s=0.sw4+4 


ove « è un bivettore, ben determinato, che dipende da O e da s. 
I due piani (0.sw)I, Ou, hanno, per le ipotesi fatte, una retta a conìiune. 
Sia J'un vettore unitario parallelo a questa retta. Allora sono determinati 
i numeri m, » tali che 
su=mI+ nJ, 
e per s sì ha 


s=0(mI+nJ)+u=m0I4}n0J+u}; 


ma J è parallelo ad'w, e quindi mOJS+4 è una linea, c. d. d. 


—____— rr ——r rr e n tTem,N”"  £5UOug Y? poet P PZ ET ne e Phh=—. .©*».IEI...IIEI.IPSSVK SS VU UgiO©0@>©@eenee—e—ee">———re>>wu TT 


SUL MOTO DI UN CORPO RIGIDO 167 


sono, rispettivamente, il momento d’inerzia misto rispetto agli 
assi AI, BJ, e il momento d'inerzia rispetto all'asse AI. I numeri (13) 
li indicheremo con le notazioni 


MomIner(C; s1, s2); MomIner(C; s3)= MomIner (C; si, s1), 


essendo s;, s3 linee qualunque delle rette AI, BY, o le rette 
stesse, e sopprimeremo il simbolo C considerando un solo corpo (*). 
Se nella (6) poniamo P; e P al posto di P e @Q si ha, 


Ì 


Pi SR} V(P,— P)(? + P°>° L'2RPVP— P), 
e quindi 


(14) @=- R°Momner PV + 3 mP? + mP'V(G — P). 


Se, nel tempo dt, il moto si riduce alla sola rotazione in- 
torno all’asse PV (cioè P'= 0), ovvero si riduce ad una sola 
traslazione (cioè R=0 e V=0), allora dalla (14) si ha 


= 23 RA? MomIner PV, ovvero = - m P'? 


che esprimono relazioni note. 
Risulta subito dalla (14) che: se la velocità P' di P_ sta nel 
piano PGV (**) allora la forza viva del sistema è la somma della 


(*) Risulta immediatamente che: essendo 0 un punto qualunque, il 
punto X estremo del raggio d'inerzia relativo all'asse OX, soddisfa all’equa- 


zione intrinseca mod(X — 0), Y MomIner(C;.X0)= 1, cioè per le (13) 
(a) mi}(P;r- 0)(X— 0){3=1. 


Risulta subito che il luogo del punto X è una quadrica e precisamente un 
ellissoide di centro 0. Dalla (a) si ottengono facilmente le ordinarie pro- 
prietà dell’ellissoide d’inerzia. 
(**) Se il piano a, (a forma di 8* specie non nulla), è invariabilmente 
collegato col solido, allora i punti della retta comuni al piano a e al 
. i da 
piano 0 Gr 
si ha Pa=0 e Pa =0; derivando la prima si ha P'a + Pa'= Pa=0, che 
dimostra quanto abbiamo affermato. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 12 


hanno velocità sul piano a. Infatti: se P sta sulla retta aa' 


168 C. BURALI-FORTI 


forza viva dovuta alla sola rotazione intorno all'asse PV con la 
forza viva di un punto qualunque dell'asse cui si intenda affissa 
la massa totale del sistema. 

Nel caso particolare P= G si ha 


p= 3 NR? MomIner GV + 3 mG'? 


e il teorema dato da questa formula si esprime, di solito, con- 
siderando il moto relativo del sistema rispetto al baricentro; la 
considerazione di tal moto relativo è dunque inutile. 

Se la forma s= RPV+|P' si decompone nella somma di 
due linee s,, ss (Cfr. n° 7), cui possiamo dare la forma gene- 
rica R,A/, R,BJ/, dalla (9) si ha 


Pi = Ra |(P,— A)I + Ro] (Pi B)S 


e quindi 


p= 3 Ri MomIner s, + d R$} MomInerss+R,R:MomIner(s1,89) (*). 


(*) Per fare lo studio completo del moto di un corpo giova conside- 
rare gli elementi: 


quantità di moto =q=Zmi;P;Pi'; 


" di 
forza motrice =f= mi Pi P;" = - 
lavoro elementare = dl = E mi Pi” | dP;= dg. 


Ricordando che s=P; V+ | Pi’, qualunque sia Pi, si ha 


, I ch RI do 
sq=ZmiP;Pi' | Pi = 23m °= 5 9, cioè p= 359 
e la forza viva vale il prodotto di 3s per la quantità di moto. 
Analogamente 
" 1 " . 
SPP" PS Emi | Pi', cioè dt = 6sfdt= 6sdq 

e il lavoro elementare è il prodotto di 6s per la forza motrice e per dt 
ovvero #2 prodotto di 6s per l'incremento della quantità di moto. 


SUL MOTO DI UN CORPO RIGIDO 169 


9. — Un punto P, funzione di #, descriva una curva gobba. 
Noi vogliamo studiare il moto di un solido legato invariabil- 
mente al triedro principale della curva descritta da P (*). 

Sieno 7, N, B i vettori unitari paralleli alla tangente, nor- 
CE 
tu 


male principale e binormale in P (p. 106, 107, 119); 5 ; la 


prima, seconda e terza curvatura in P (p. 120-123). 
Per i punti P,, P., P; considerati al n° 3. poniamo 


P.=P, P.--P+T, P-=P+ N; 


se v= mod P', dalle formule di FrENET (p. 121) si ha 
finti Lepri geo Lopiea pel po Lp: 
-— P'=T, RL LD a bet oi Bi 
e, in conseguenza, per il vettore V si ha. 


V=\| 


| 
[ear 


l’asse elicoidale è parallelo alla generatrice della rettificante in P 
(p. 134). i 
Per la formula (5) 


t=P|V=orh(jB-7T)=-% 


la traslazione del moto elicoidale è il prodotto della grandezza della 
velocità nel punto P_per il rapporto della seconda alla terza curva- 
tura, cambiata di segno, in P. 

Essendo, (6), 


Ps —P/ = R|V(P,—P,) 


(*) Il sig. Darsoux applica la teoria del movimento di un corpo rigido 
per studiare le proprietà delle curve. Noi facciamo l’ applicazione inversa 
perchè lo studio diretto, fatto con metodi convenienti, delle curve, è più 
semplice dello studio del movimento (Cfr. C. Burari-Forti, Le formule di 
Frenet per le superfici, seconda nota). 


170 C. BURALI-FORTI — SUL MOTO DI UN CORPO RIGIDO 


“ida T N=R|X (18-47) r= "| Br= pae, 
p p T p p 
e quindi 
RES; 


la velocità angolare di rotazione del moto elicoidale è il prodotto 
della grandezza della velocità in P per la terza curvatura. 
Osservando che 


Prarinifità (5 fiere 
si ha per l’asse elicoidale r, 


ii 


l’asse elicoidale passa per il punto centrale (0 di stringimento) della 
generatrice PN della rigata delle normali (p. 137). 


Torino, Dicembre 1902. 


TOMMASO BOGGIO — SULLO SVILUPPO IN SERIE, ECC. 171 


Sullo sviluppo in serie di alcune funzioni trascendenti. 


Nota del Dott. TOMMASO BOGGIO. 


Il Prof. PrANo nelle sue: Lezioni di Analisi infinitesimale (*), 
ha dimostrato con metodo assai semplice la seguente notevole 
proprietà: 

Se x è una quantità positiva, senx è maggiore della somma 
di un numero pari e minore della somma di un numero dispari 
di termini del suo sviluppo în serie. Lo stesso avviene per cosx. 

Questo teorema trovasi dimostrato in alcuni trattati sotto 


la condizione x < a la quale è affatto inutile. 


In questa Nota mi propongo di stabilire l’analoga proprietà 
per le funzioni di Bessel, per la serie ipergeometrica e per le 
funzioni : 


e, log(1+%), tette, (1+)", loglr+V1+?), 


ove x, m sono quantità positive qualunque. 

Tale proprietà è senz'altro evidente se x <1, come si ri- 
conosce subito partendo dallo sviluppo in serie di quelle fun- 
zioni; però essa sussiste senza questa restrizione, cioè è valida 


per un valore positivo qualunque di x. 


1. — Sia x una quantità positiva, si ha evidentemente 
e7< 1, cioè: 
Loeb 


Ora il primo membro è la derivata di —1+x e”, dunque, 
per un noto teorema di Calcolo, questa funzione è crescente, e 
poichè si annulla per x=0, sarà per x > 0: 


(1) —1+o+e7>0, 


(*) Torino, a. 1893, vol. I, pag. 83. 


172 TOMMASO BOGGIO 


ossia: 
est —% 


Il 1° membro della (1) è la derivata di 1 — r + Te 


quindi questa funzione sarà crescente, e siccome si annulla per 
x=0, avremo per x > 0): 


(2) 1-x+f e >0 
cioè: 
Si A 
Ci i e eri 


Il 1° membro della (2) è la dfn di: 
x° x bc 


dunque questa funzione sarà crescente, e poichè si annulla per 
x 0, sare De € > VU; 


a 3 ta, 


da cui: 


ca x 2x3 


Così continuando a passare dalle derivate alle funzioni pri- 
mitive e prendendo queste in modo che si annullino per €. = 0 
sì otterrà: 

2n+1 


reQuneNo.9. Die ri a ya 


cioè: 

Se x > 0, la funzione e" è maggiore della somma di un nu- 
mero pari e minore della somma di un numero dispari di termini 
del suo sviluppo în serie. 


2. — Occupiamoci ora della funzione log(1 + <), ove x è 
una quantità positiva. Si potrebbe procedere come dianzi; però 
sarà forse più semplice applicare quest’altro metodo che diffe- 
risce dal precedente più per la forma che per la sostanza. 


SULLO SVILUPPO IN SERIE DI ALCUNE FUNZIONI, ECC. 173 


Si ha evidentemente, per x > 0: 


a 
1 
Tra al _® 
(1) 
Li gua 
ee ie e|£ 
1 _—- _— 
ani ata 


e in generale .. 


2n+1 


reQ.neNs.9.) (7 > 4 > DL, 
() 0 


onde moltiplicando per dx ed integrando fra 0 ed un valore qua- 
lunque « positivo, avremo per un noto teorema di Calcolo: 


log(1+2)<% 
log(1 + 2) vel 
log | ace te 
x° cs a 
log(1+x)> x — e pei ge 
e in generale: 


2n+1 


2n 

=" r+1 r+1 
reQneNo.d. ) (rad RI > log(1+2) > ) hi ne E 

1 T 


onde: Se x > 0 la funzione log(1+ x) è maggiore della somma 
di un numero pari e minore della somma di un numero dispari 
di termini del suo sviluppo în serie. 


8. — Leggendo nelle (1) $ 2 «? al posto di «, poi molti- 
plicando per dx ed integrando fra 0 ed un valore positivo qua- 
lunque , si ottiene: 


174 TOMMASO BOGGIO 


terte<a 
3 
lena 
3 5 
1 432€ A ila 
A 3 5 
3 5 Li 
1 RT E IT 
tgle>e 3 5 3 


e in generale: 


2n+1 
rtl gertl 


2n 
veQneNo 9 VA > LAN 


onde si ha per arco-tangente x un teorema analogo a quello 
del $ precedente. 


4. — Siano m ed x due quantità positive; si ha: 
(1) dead 
ovvero leggendo m + 1 al posto di m: 
(1+97<1 


moltiplicando per dx ed integrando fra 0 ed un valore positivo 
qualunque x, si ha: 


—La+a9t+1<», 
vale a dire: 
(2) (1+2)”>1—- ma, 
e ponendo m + 1 al posto di m: 
1+a*>1—-(m+1x 
ed integrando, come dianzi, fra 0 ed «: 


og. 940 


m 


GL +1 35, 


SULLO SVILUPPO IN SERIE DI ALCUNE FUNZIONI, ECC. 175 


ossia: 


(3) 1+29<1-mxax + —>—- illo Cet) Ape 2, 
sostituendo m + 1 ad m, poi integrando fra 0 ed x si deduce: 


LI La , n1 2) 2 
DI 1) pp gp ulivo pl 1) EL pp e Diete, 
cioè: 
(4) (+2) > 1 me EMEL ge Li 


e in generale: 


(5) m,ceQ.neN.9 a 1) Papa la >(1+2)-"> 


2n+1 


> Ye] ce ar. 


Si conclude pertanto: 

Se m ed x sono quantità positive, (14- x)" è maggiore della 
somma di un numero pari e minore della. somma di un numero 
dispari di termini del suo sviluppo în serie. 


5. — Ponendo m = 7 nelle (1), (2), (3), (4) del $ prece- 


dente, poi integrando fra 0 ed un valor positivo qualunque x 
si ottiene: 


reQ.o. logl(r+V1+28)<x 


logle+V/I+2)>e-% 
“er ape a 
logle+V1+2a)<e—5 +37 35 
1 Vota bada al 
log(ekydi 4a) otra 


e così via; onde si conclude un teorema analogo a quello del 
$ precedente. 


176 TOMMASO ROGGIO 


6. — Consideriamo ora la funzione di Bessel: 


IT 0 
ONTO pel 11; 2r 
(1) Il@=È (? costesenu)du = UR (SP 
0 
ove x è una quantità qualunque (xe q). 
Indicando con x,w due quantità qualunque si ha, dal teo- 
rema del Prof. Peano enunciato in principio di questa Nota: 


cos(esenw) < 1 


x°sen?w 


cos(esenw) > 1 — dì 


ax*senîw n 
2! 


cos(esenw) < 1 — 


ax*sen'w 
4! : 


e in generale: 


z,weq.neNo.9. Y,nipare > cos(esenw) > 


2n+1 


er er 
Lr 


moltiplicando per “ dw, poi integrando fra 0 e -- ed osser- 


2 
vando che: 
r_1 
Li Ti; (2r—-2i-1) 
5 (? sen’wdu= - = ST 
 t T(2r2) 
si ha: 
2n+1 
) 2r * 2 
xceq.neN,.9 Di: o Pad > Jo2) > Fi 1) 2 6 
r(e0)° | 2 - r (e)? \ 2 


quindi confrontando collo sviluppo in serie (1) abbiamo il 
teorema: 

La funzione di Bessel Jo(x) è maggiore della somma di un 
numero pari e minore della somma di un numero dispari di ter- 
mini del suo sviluppo în serie. 

(*) Cfr. ad es.: H. Weser, Die partiellen Differentialgleichungen der ma- 
thematischen Physik; Braunschweig, a. 1900, 1. Bd., pag. 157. 


SULLO SVILUPPO IN SERIE DI ALCUNE FUNZIONI, ECC. 177 


Analogamente si può procedere per la funzione di Bessel 
più generale: 


N 
In) =+ Î cos(esenw — nw)dw, 
ove n è un intero positivo qualunque. 


- 7. Consideriamo la serie ipergeometrica F(a,8,Y,x) che, 
come è noto (*), può porsi sotto le forme seguenti: 


Pupnga tree 


a(a+1)(a+-2) B(B+1)(B+2) 
gt CES r(M+1L(r+2) po: 


TY1) Ta+r-1)TT(8-+r—1) 
(1) Fo, B,1,9)=HT edi Tri e 


Ty-1 
@ F@6rd= mn, 


ove TT(a) rappresenta l’integrale euleriano di 2* specie: 
TT(a) rallo e7e'dx; 


affinchè poi l'integrale che figura nella (2) abbia un valor finito 
bisogna che B eyv—f siano quantità positive; noi supporremo 
inoltre a > 0. 

Ciò posto, se sc >0, dalla (5) $ 4 si deduce facilmente, 0s- 
servando che se a è un intero positivo si ha TT(a)=a!: 


(LITHa+r1) 571 Li ) (D'To+r-1) ur 
> TATA—1) >(14sx)7®> Zu Tinfia=i) sa”. 


Moltiplicando per s?-!(1—s)?_#-!ds, poi integrando fra 0 
ed 1 e ricordando, come è noto, che: 


ue 
fea-gpas=te zl,  (6>—-1) 


(*) Cfr. H. Weser, Op. cit.; 2. Bd., pag. 13, 33. 


178 TOMMASO BOGGIO — SULLO SVILUPPO IN SERIE, ECC. 


si ottiene: 


1)"TT MAI Ty 1 
‘; s8-1(1—s)?-8-1(1+sx)-%ds ax Sn Aia E; 


Nm+1 


SR 
”. >) ” ” 
r 
0 


Sostituendo nella (2) ove vi si ponga — al posto di x 
sì ricava: 


=DTY=1), TMatr-MME+1) 
F(0, by} d<Y, Ma=DM@=I) Morri ” 


2n+1 
” = fr » ” 
0 


perciò confrontando collo sviluppo in serie (1), dopo avervi cam- 
biato « in — 2, si ha la proprietà: 

Se x<0 la funzione F(a,B,Y,x) è maggiore della somma di 
un numero pari e minore della somma di un numero dispari di 
termini del suo sviluppo in serie. 


L’ Accademico Segretario 
Enrico D’OvIpro. 


179 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 18 Gennaio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. BERNARDINO PEYRON 
VICE. PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, MANNO, 
BoLLati pi SaArntT-Prerre, BoseLLi, Brusa, ALLIEVO e RENIER 
Segretario. 

Approvasi l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 4 gen- 
naio 1903. 

Il Socio ALLEVo presenta una sua Memoria su La vita 
oltremondana, di cui espone il contenuto in un sunto pubblicato 
negli Atti. Assentatosi momentaneamente il Socio ALLievo, la 
Classe, con votazione segreta unanime, accoglie la sua mono- 
grafia tra le Memorie accademiche. 


Raccoltasi la Classe in seduta privata, alla quale interviene 
anche il Socio CARLE, si procede alla nomina della Commissione 
per il premio Gautieri di Filosofia (anni 1900-1902) e riescono 
nominati i Soci CARLE, ALLIEVO e CHIRONI. 


180 


LETTURE 


Sunto di una Memoria intitolata: La vita oltremondana; 


del Socio Giuseppe ArtiEvo. 


La Memoria è preceduta da una introduzione avente per 
oggetto il mutabile umano, dove io chiamo ad una generale ras- 
segna i cangiamenti continui che si avvicendano nell’io umano, 
distribuiti in tre classi, secondochè originano dalla potenza del 
sentimento e dell’affetto, o dalla potenza intellettiva o dall’at- 
tività volontaria. L'introduzione mette capo a questa dimanda: 
se l’io umano scompaia affatto in mezzo a’ suoi mutamenti, op- 
pure mantenga in sè alcunchè di immutabile e di perenne. Così 
sorge il problema della vita futura oltremondana. 

Aecennando l’origine, l’importanza e la difficoltà del pro- 
blema, ne delineo il concetto generale formolandolo e ponendo 
in chiaro come esso si connetta con tutte le diverse potenze 
dell'io, ma segnatamente colla ragione. 

Venendo di proposito alla discussione del problema, esor- 
disco con una esposizione storico critica dei diversi sistemi che 
lo riguardano, e li divido in negativi ed in affermativi, secon- 
dochè rigettano od ammettono l'immortalità dell'io umano. Alla 
prima classe io riferisco il panteismo ed il materialismo. I sistemi 
affermativi li suddivido in compiuti ed incompiuti: compiuti se 
ammettono che l’io umano prosegue al di là non solo la sua vita 
puramente mentale, ma altresì la vita fisica ; incompiuti se so- 
stengono l'immortalità dell'anima sciolta da ogni involucro cor- 
poreo, da ogni contatto colla materia. 

Dal campo storico critico passo al campo teorico studiando 
il problema in sè stesso. Anzi tutto io ricerco le condizioni ne- 
cessarie per la vita oltremondana, distinguendole in intrinseche, 
se riguardano l’intrinseca vita dell'io umano, estrinseche se si 
riferiscono al tempo ed allo spazio; dopo ciò passo a determi- 
nare il metodo conveniente allo scioglimento del problema, ri- 
cercando se l'immortalità dell'io debba essere dimostrata dalla 
natura pura dell'anima, o dai fatti psichici e sociali. Instituisco 
la critica di questi fatti e chiudo considerando il problema del- 
l'immortalità nelle sue attinenze colle diverse scienze filosofiche 
e sotto il suo aspetto soggettivo. 


L’ Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


181 


PROGRAMMA 
PER IL 


XIV PREMIO BRESSA 


La Reale Accademia delle Scienze di Torino, uniformandosi 
alle disposizioni testamentarie del Dottore CesARE ALESSANDRO 
Bressa, ed al Programma relativo pubblicatosi in data 7 Di- 
cembre 1876, annunzia che col 81 Dicembre 1902 si è chiuso il 
Concorso per le scoperte e le opere scientifiche fatte nel qua- 
driennio 1899-1902, al quale concorso erano chiamati Scienziati 
di tutte le nazioni. 

Contemporaneamente essa Accademia ricorda che, a comin- 
ciare dal 1° Gennaio 1901, è aperto il Concorso per il quattordi- 
cesimo premio Bressa, a cui, a mente del Testatore, saranno 
ammessi solamente Scienziati ed Inventori italiani. 

Questo Concorso ha per iscopo di premiare quello Scien- 
ziato italiano, che durante il quadriennio 1901-1904, * a giudizio 
“« dell’Accademia delle Scienze di Torino, avrà fatto la più in- 
“ signe ed utile scoperta, o prodotto l’opera più celebre in fatto 
“ di scienze fisiche e sperimentali, storia naturale, matematiche 
“ pure ed applicate, chimica, fisiologia e patologia, non escluse 
“la geologia, la storia, la geografia e la statistica ,. 

Questo Concorso verrà chiuso col 31 Dicembre 1904. 

La somma destinata al premio, dedotta la tassa di ricchezza 
mobile, sarà di lire 9600 (novemila seicento). 

Chi intende presentarsi al Concorso dovrà dichiararlo, entro 
il 31 Dicembre 1904, con lettera diretta al Presidente del- 
l'Accademia, ed inviare l’opera con la quale concorre. L’opera 
dovrà essere stampata; non si terrà alcun conto dei mano- 
scritti. Le opere presentate dai concorrenti non saranno re- 
stituite. 

Nessuno dei Soci nazionali, residenti o non residenti, del- 
l'Accademia Torinese potrà conseguire il premio. 

L'Accademia dà il premio allo Scienziato che essa ne giudica 
più degno, ancorchè non si sia presentato al Concorso. 


Il Presidente dell’ Accademia 
E. D’Ovipio. 


Il segretario della Giunta 
A. NACCARI. 


182 


PROGRAMMA DEI PREMI 


DI 


FONDAZIONE VALLAURI 


PEI 


Quadrienni 1903-1906 e 1907-1910. 


L'Accademia delle scienze di Torino annuncia che, in esecu- 
zione delle disposizioni testamentarie del Socio Senatore Tom- 
maso VarLaurI, ha stabilito un premio da conferirsi a quel 
letterato italiano o straniero che nel quadriennio decorrente dal 
1° gennaio 1903 al 31 dicembre 1906, avrà stampato la migliore 
opera critica sopra la letteratura latina. 

Similmente ha stabilito un altro premio da conferirsi a 
quello scienziato italiano o straniero che nel quadriennio decor- 
rente dal 1° gennaio 1907 al 31 dicembre 1910 abbia pubblicato 
colle stampe l’opera più ragguardevole e più celebre su alcuna delle 
scienze fisiche, interpretando questa espressione di scienze fisiche 
nel senso più largo. 

Ciascuno di questi premi sarà di lire italiane trentamila 
nette (Lire it. 30.000), fatta riserva soltanto per il caso che 
abbia a mutare il reddito delle cartelle di rendita italiana. 

I premi saranno conferiti un anno dopo le rispettive scadenze. 

Essi non potranno mai essere assegnati ai Soci nazionali 
dell’Accademia, residenti e non residenti. 

Le opere, che venissero inviate all'Accademia perchè siano 
prese in considerazione per il premio, non verranno restituite. 

Non si terrà alcun conto dei manoscritti. 


Il Presidente dell’ Accademia 
Enrico D’OvIpro. 


Il Segretario della Commissione 
A. NACCARI.. 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 25 Gennaio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: SALvapori, Direttore della Classe, 
Berruti, Mosso, Spezia, CAMERANO, SEGRE, PEANO, JADANZA, 
Foà, GuarescHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MarTIROLO, MORERA, 
Grassi. Funge da Segretario il Socio JADANZA. 

Si legge e si approva l’atto verbale della precedente adu- 
nanza. — Il Socio NaccarI scusa per indisposizione la sua 
assenza. 

Il Prof. D’Ovipio annunzia alla Classe essere giunto il 
Decreto Reale che lo nomina Presidente dell’Accademia e rivolge 
parole di sentito compianto per la perdita del suo predecessore 
nella carica di Presidente, il prof. A. Cossa, e parole di vivo 
ringraziamento ai colleghi che lo designarono ad occupare l’alta 
carica. 

È fatto omaggio all'Accademia dal Socio residente pro- 
fessor Guido Grassi del suo lavoro intitolato: Sul calcolo delle 
dinamo e degli alternatori, Torino, 1902. 

Sono accolte per l’inserzione negli Atti le seguenti note: 

Sulle superficie che rappresentano le coppie di punti di una 
curva algebrica, del prof. Francesco SEVERI, presentata dal 
Socio SEGRE; 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 13 


184 


Su un nuovo metodo di preparazione degli acidi mitrolici, 
del dott. Giacomo Ponzio, presentata dal Socio FILETI; 

Alcune osservazioni sui protozoi fossili piemontesi, del 
dott. Alfredo SiLvestRI, presentata dal Socio PARONA. 

Il Socio SALVADORI presenta per l’inserzione nei volumi delle 
Memorie un suo lavoro intitolato: Contribuzione all’Ornitologia 
delle isole del golfo di Guinea; Parte Il: Uccelli di San Thomeé. 
La Classe ad unanimità dei votanti approva la stampa di questo 
lavoro nel volume delle sue Memorie. 

Il Presidente prof. D’OvIipio presenta per l’inserzione nei 
volumi delle Memorie, a nome del Socio NaccarI, un lavoro del 
prof. Antonio GaARBASsO intitolato: Teoria elettromagnetica dell’e- 
missione della luce. Sarà esaminato da apposita Commissione. 


La Classe, raccoltasi in adunanza privata, procede all’ele- 
zione del Socio Segretario, e riesce eletto, ad unanimità di voti, 
il Socio prof. Lorenzo CAMERANO, salvo l’approvazione Sovrana. 


FRANCESCO SEVERI — SULLE SUPERFICIE, ECC. 185 


LETTURE 


Sulle superficie che rappresentano le coppie di punti 
di una curva algebrica. 


Nota di FRANCESCO SEVERI, a Bologna. 


Lo studio delle superficie che rappresentano serie alge- 
briche 00? di gruppi di punti di una curva algebrica, è un argo- 
mento interessante perchè abbraccia una vasta classe di superficie 
irregolari, le quali, se la serie di cui si tratta non è contenuta 
in una serie lineare, ammettono integrali di differenziali totali 
di 1% specie. Questa Nota contiene i risultati che ho ottenuto 
relativamente alla classe più semplice di superficie che si pre- 
sentano in quest'ordine di ricerche: quelle che rappresentano 
coppie di punti di una curva (*). A. questo lavoro spero di po- 
terne far seguire altri sopra le superficie che rappresentano 
serie algebriche 00? qualsiansi di gruppi di punti (**). 

Giacchè le proprietà delle superficie che nascono dalle coppie 
di punti di una curva del genere due (superficie iperellittiche), 
sono state oggetto di ricerche esaurienti, specialmente da parte 
del sig. HumBERT, in questa Nota io inizierò lo studio delle su- 
perficie che rappresentano le coppie di punti di una curva di 
genere T- 3. 


(*) Mentre stavo redigendo questo scritto, ho saputo indirettamente 
che il sig. M. De FrancHIS, verso la fine del 1901, si era occupato della 
stessa questione e che aveva determinato i caratteri invarianti delle su- 
perficie in discorso, senza però pubblicare i suoi risultati, che io non co- 
nosco affatto. Pensando che un lavoro del sig. De Franchis sull'argomento, 
per la indipendenza delle nostre ricerche, potrebbe differire dal mio nei 
metodi ed in qualcuna delle questioni trattate, non stimo inopportuna la 
pubblicazione di questa Nota. 

(**) Su questo argomento ha richiamata la mia attenzione il chiar."° 
prof. F. Enriques al quale rendo qui vivissime grazie pei consigli datimi. 


186 FRANCESCO SEVERI 


I caratteri invarianti di queste superficie, dei quali assegno 
i valori, sono: il genere geometrico P,, il genere aritmetico P, 
e il genere lineare p', che vengono espressi dalle formole: 


P=3"(m—1), P=3m(m_1)—m, p"=(m—2)4r—5) 


Prendendo come immagine delle superficie che rappresen- 
tano le coppie di punti di una curva di genere r, la congruenza 
delle corde di una curva canonica Y?7? dello spazio $,_,, trovo 


che sulla congruenza suddetta il sistema canonico completo vien 
segato dai complessi lineari di rette dello S7_1. 

Stabiliti i risultati precedenti per via puramente geometrica, 
passo ad alcune brevi corfsiderazioni sugli integrali di differen- 
ziali totali di 1% specie annessi alle varietà che rappresentano 
le coppie, le terne, ..., le m-ple di punti di una curva di ge- 
nere t, e trovo che la superficie delle coppie di punti possiede tr 
di questi integrali, cioè tanti quant'è la differenza P, — Pi. 

Coll’uso degli integrali doppî di 1% specie ritrovo rapida- 
mente la generazione delle curve canoniche per le superficie 
delle coppie di punti; e quindi accenno all’uso che si può fare 
degl’integrali multipli di 1% specie per dimostrare una proprietà 


analoga sulle varietà delle terne, delle quaderne, ... di punti. 

1. — Cominceremo dal fare un’osservazione che ha per 
iscopo di ben definire le superficie delle quali ci vogliamo. oc- 
cupare. 


Considerando le coppie di punti di una curva possiamo con- 
venire di riguardare come identiche due coppie che differiscano 
solo per l’ordine, oppure possiamo fare la convenzione opposta. 
Se pensiamo la nostra curva riferita birazionalmente ad una 
curva C dello spazio S,, ogni corda di C rappresenterà in modo 
sensibile una coppia di punti considerata indipendentemente dal- 
l’ordine, sicchè una immagine ® delle superficie che rappresen- 
tano le coppie non ordinate, si otterrà segando la varietà delle 
corde di C con uno $S3. Invece una superficie Y che nasca dalla 
considerazione delle coppie ordinate, si potrà riferire alla super- 
ficie ® contata due volte, e la curva di diramazione sarà segnata 
su © dalle tangenti di C. Una superficie Y si può anche riguar- 


SULLE SUPERFICIE CHE RAPPRESENTANO LE COPPIE, ECC. 187 


dare come immagine delle coppie di punti di due curve distinte, 
razionalmente identiche. 

La rappresentazione analitica nello spazio a 4 dimensioni 
(€13 %3 1) di una superficie in corrispondenza biunivoca colle 
coppie ordinate della curva piana f(En)= 0, si può ottenere 
considerando due punti &;;, Ze variabili sulla curva e ponendo: 


ci= E, to N1; Xg= a, Xa=M2; 


e la rappresentazione nello stesso spazio, di una superficie in 
corrispondenza biunivoca colle coppie non ordinate, si otterrà 
p. e. ponendo: i 


wo = E, +9, wa = Ei, = N + Mo, da = MM. 

In questa Nota mi occuperò delle superficie che rappresen- 
tano coppie non ‘ordinate, e perciò nel seguito quando si parlerà 
di coppie di punti di una curva, si sottintenderà “ non ordi- 
nate ,. Un’osservazione analoga deve farsi per le varietà delle 
terne, delle quaderne, ... di punti. 


2. — Prendiamo come modello projettivo dell’ente 00! del 
genere t (non iperellittico), la curva canonica Y?7-? dello spazio 


Sz-1. Se rappresentiamo le rette di questo spazio coi punti di una 


2 

dimensioni, assumendo come coordinate di un punto dello spazio X 
le coordinate Grassmanniane di una retta dello spazio Sz-1, un 
complesso lineare di rette, cioè l'insieme delle rette di S7_1 le 
cui coordinate soddisfano un’equazione lineare, verrà rappresen- 
tato da una sezione iperpiana di V; un complesso quadratico, 
cioè l’insieme delle rette le cui coordinate soddisfano un’ equa- 
zione di 2° grado, dalla sezione di V con una quadrica, e così via. 

In questa rappresentazione la congruenza delle corde di y ha 
per immagine una superficie Y di V,i cui punti corrispondono 
biunivocamente senza eccezione alle corde di y. Tenendo conto 
di ciò e del fatto noto che sulla curva Y, non iperellittica, non 
ci sono serie razionali di gruppi di 2 punti, si conclude che la 
superficie F è priva di curve eccezionali. 


dia . . sido . . T 
varietà V a 2m —4 dimensioni immersa in uno spazio X a | )L 1 


188 FRANCESCO SEVERI 


Ad una rigata generata dalle corde di y che appartengono 
ad un dato complesso lineare, rispondono su / i punti di una 
sezione iperpiana, sicchè l’ordine p® di  uguaglierà il numero 
delle corde di y appartenenti a due dati complessi lineari. Se 
assumiamo come complessi lineari seganti quelli (speciali) costi- 


tuiti dalle rette che si appoggiano a due dati S_3 incidenti 
2r—3 


o pica corde appoggiate allo 


secondo uno S7_4, sì hanno | 


ih î 2-2 è È 
spazio intersezione, e 9 corde giacenti nello S7-s con- 


gilungente. 
Sarà dunque: 


p= Fi De fivipg som eli Iii 


Fissiamo uno spazio a mt — 3 dimensioni, a, e consideriamo 
la rigata T delle corde di y appoggiate ad a. Gli S7_s per a se- 


È r CRAST di vidi Qmn—-2 Ue 
gano su una serie Imeare di gruppi 1 9 genera r1C1, e 


su quella sezione iperpiana f di F che rappresenta F, si ha in cor- 
rispondenza una serie lineare 001, della quale A indicherà un 
gruppo generico. Con | A| s'indicherà la serie stessa, e quando 
occorra anche la serie completa da essa individuata. 

Fra gli Sz_s per a ce ne saranno 6(m — 1) tangenti a Y, 
e ciascuno di questi S7_s segherà y ulteriormente in 2n—4 punti. 
Le corde che congiungono il punto di contatto di ogni tale Sz_e 
coi 2n—4 punti ulteriori, son rappresentate su f dai punti doppi 
della serie |-A|. Siechè dicendo p' il genere di f avremo: 


2-2 i; 
9 | +29" -2=6m_-1)n—4), 
donde: 
p'=(m— 2)(4n — 5). 
8. — Per un punto di y passano 2m—3 generatrici dil’, a 


ciascuna delle quali risponde un punto su f; viceversa ad un 
punto di f rispondono due punti di y. Mediante la corrispon- 
denza fra Y ed f i gruppi canonici di y si trasformano in gruppi 
di (2rm—2)(2r—3) punti di f, che appartengono ad una me- 
desima serie lineare di ordine (2 —2)(2mr—3). Per caratteriz- 


SULLE SUPERFICIE CHE RAPPRESENTANO LE COPPIE, ECc. 189 


zare questa serie lineare si osservi che un gruppo canonico se- 
gato da uno Sz-s per a, dà luogo, trasformandosi mediante la 
corrispondenza, ai punti di un gruppo A, ciascuno da contarsi 
due volte, perchè rappresenta due punti del gruppo canonico 
dal quale siamo partiti. Dunque i gruppi canonici di f dànno 
gruppi 2A. 

Ciò posto diciamo B il gruppo dei punti di f che rappre- 
sentano le tangenti di y appoggiate ad a. Queste tangenti coi 
loro punti di contatto segnano su y un gruppo jacobiano della 
serie canonica, il quale, essendo equivalente al triplo di un 
gruppo canonico, trasformandosi nel passaggio da y ad f, dà 
luogo ivi ad un gruppo 6A. D'altra parte le generatrici di l che 
passano pei punti del gruppo jacobiano suddetto, sono le tan- 
genti a y in questi punti, e le rette che congiungono ciascuno 
di essi alle ulteriori intersezioni dei rispettivi Sz-s tangenti a Y e 
passanti per a. Queste ultime generatrici di [sono rappresen- 
tate su f dal gruppo jacobiano della serie | A|, ossia da un 
gruppo K + 24, ove | K] indica la serie canonica di f. Dunque : 


(1) |64A|=|B+K+24]|: 


La varietà delle corde di y taglia a in una curva @, in 
corrispondenza biunivoca con l (nel caso n=4, « sarà una retta 
sestupla). La serie segata su « dagli Sz_4 del suo spazio si 
è ra Paga É - 2r—-3 È ° 
rispecchia in una serie lineare di ordine Î 9 )n di gruppi 
di generatrici della F, e quindi in una serie lineare | C| sopra la f. 

Consideriamo una quadrica Q fra quelle che passano per Y. 
Il complesso quadratico delle tangenti a @ taglia f in 2p° ge- 


neratrici, che sono le tangenti di y appoggiate ad a e le rette 


di T che escono dai cd 
scuna da contarsi due volte. Poichè i punti di f che rappresen- 
tano le generatrici di [uscenti dai punti aQ, costituiscono evi- 
dentemente un gruppo 2C, le generatrici di l appartenenti al 
complesso quadratico, saranno rappresentate su f da un gruppo 
B+ 2.2C. D'altronde le sezioni di { coi complessi quadratici 
sono rappresentate su f da gruppi che appartengono al doppio 
della serie | A-+ C| segata dagli iperpiani; quindi avremo: 


(2) |[2A+ 20|=|B+4C]. 


— 2r punti in cui @ taglia a, cia- 


190 FRANCESCO SEVERI 


Dal confronto delle (1) e (2) segue: 
|K|={2A+ ©)|. 


Dunque la serie canonica di f è il doppio della serie indi- 
viduata da una sua sezione iperpiana. 

Poichè evidentemente la superficie / non possiede punti 
multipli isolati, in forza di quanto ora abbiamo dimostrato, il 
doppio del sistema |f| delle sue sezioni iperpiane, costituirà il 
sistema aggiunto ad |f|. Da ciò segue che: 

Le sezioni iperpiane di E sono curve del sistema camnomico. 


4. — Nel corso del ragionamento svolto al n° precedente 
abbiamo tacitamente ammessa la proposizione seguente, che ora 
dimostreremo : 

Se fra due curve C, C' si ha una corrispondenza algebrica 
d’indici qualunque, ad una serie lineare di C rispondono su C' gruppi 
di una serie algebrica contenuti in una medesima serie lineare. 

Supponiamo prima che fra C, €’ si abbia una corrispon- 
denza (1, x’), cioè ad un punto di C ne rispondano x’ di 0" e 
ad un punto di C' uno di C. È ben noto allora che ad una serie 
lineare di C risponde su €’ una serie lineare. Prendiamo invece 
su C' una serie lineare g, e rappresentiamo con Y, la serie alge- 
brica che si ha su C come trasformata di gn. Se facciamo ve- 
dere che due gruppi qualsiansi di Yn stanno sempre in una serie 
lineare d’ordine 2, potremo asserire che Yn è contenuta in una 
serie lineare dello stesso ordine. 

Ora, se diciamo [Fs due gruppi di n e G,Gs due gruppi 
di 9, costituiti rispettivamente da punti omologhi a punti di FM's, 
a ciascun gruppo della gi, congiungente G, e Gs risponde un 
gruppo di una serie razionale Y} contenente T, e Ts. 

Da ciò, profittando di una proposizione del prof. EnRIQUES (*), 
si deduce che vr}, è contenuta in una serie lineare. 

Il caso in cui fra C, €’ si ha una corrispondenza (x, 2'), si 
riconduce al precedente considerando l’ente ausiliario D costi- 


(*) Un’osservazione relativa alla rappresentazione parametrica delle curve 
algebriche (£ Rendiconti di Palermo ,, t. 10, 1896). 


SULLE SUPERFICIE CHE RAPPRESENTANO LE COPPIE, ECC. 191 


tuito dalle coppie di punti omologhi nella corrispondenza fra C, C”, 
ed osservando che fra C.e D si ha una corrispondenza (1, x’) 
e fra D e C' una corrispondenza (x, 1). 


5. — Ritorniamo adesso alla superficie Y della quale ci 
siamo occupati ai ni 2, 3, e proviamo anzitutto che essa è 
normale. 

I coni che projettano la curva y dai suoi punti, son rappre- 
sentati su F da un sistema co! di curve 7, razionalmente iden- 
tiche a Yy, e di ordine 2n — 3. Per ogni punto di / passeranno 
due curve %, e due qualunque di queste curve si taglieranno in 
un punto. Alle rette dello spazio S7_1 passanti per un dato punto 
rispondono sopra V punti di uno spazio S7-2, sicchè ogni curva 7 
appartiene ad un tale spazio. Di più giacchè i complessi lineari 
di rette dello Sz_1 segano sopra un cono projettante y da un 
suo punto, la serie completa che vien segata sul cono stesso 
dagli Ss pel vertice, sopra ogni curva % gli iperpiani di X ta- 
glieranno una serie completa; ossia le curve % saranno normali. 
Da ciò si trae che ogni curva canonica di / taglierà una è in 
2r —3 punti appartenenti ad uno spazio S7_.3, 

Sopra una curva % consideriamo t — 2 ‘punti indipendenti 
e diciamo 4, , hs, ..., hrs le altre curve 4 uscenti dai punti scelti. 
Poichè queste % si segano a due a due in un punto, potremo 
condurre per esse uno S(m)_a: e quindi esisterà almeno una 


curva canonica contenente 4,, Xs,..., 72. Dicasi £ il resto di una 
tal curva canonica quando se ne tolgano le 4. Pel modo col quale 
abbiamo scelto le curve %,, X9, ..., Ar-o esse tagliano una 4 ge- 
nerica in t —2 punti indipendenti, e quindi la % sega una % 
generica in un gruppo dit —1 punti ben determinati, che stanno 
nello Sz_3 congiungente i punti in cui la % stessa è segata dalle 
hi, ho, «4 hrs Giacchè, variando la % nel sistema 0c0!, questo 
gruppo di t-—1 punti descrive una curva, sarà unica la curva 
canonica che contiene come parti %,, le, ..., 7-2; il che non 
avverrebbe se / non fosse normale. 

Combinando questo risultato con quello ottenuto al n° 3, 
potremo enunciare: 

La superficie F è una superficie canonica, ossia il sistema 
delle sue sezioni iperpiane costituisce il sistema canonico completo. 


192 FRANCESCO SEVERI 


Sotto altra forma potremo dire che: 


Sulla congruenza delle corde di una curva canonica VT7® 


T 
dello Sx-1, il sistema canonico completo è segato dai complessi 
lineari di rette dello spazio Sx-1. 

Siccome i punti d’appoggio su y di una corda incidente a 
un dato S7_3, a, fanno parte di un gruppo della 937-—s canonica 
segata su Y dagli Sz_s per a, e inoltre alle corde di y appog- 
giate ad a rispondono, come s'è visto, i punti di una sezione 
iperpiana di /, la proposizione precedente si potrà presentare 
sotto forma invariantiva nel modo che segue: 

Sopra una superficie rappresentante le coppie di punti di una 
curva di genere ti, il sistema canonico è individuato da ogni curva 
che provenga dalle coppie appartenenti ad un gruppo variabile di 
una giro canonica. 


6. — Poichè Y è normale nello spazio 2, avremo subito 
l’espressione del suo genere geometrico : 
T 
p,= | ; ) 


Il genere p' delle sue sezioni iperpiane non sarà altro che 
il genere lineare di Y : 


p =(n—- 2)(4Amn— 5) 


Passiamo a calcolare il genere aritmetico P,. Consideriamo 
perciò il fascio di sezioni iperpiane di /, che rappresentano le 
rigate delle corde di Y appoggiate ai varì S7_3 di un fascio, 
cioè agli Sy_3 che giacendo in un dato S7_2, 0, passano per un 
dato Sz_4, w. I punti doppi staccati di curve del fascio si ot- 
tengono in due modi : 

a) Considerando le rigate che hanno per Sz-3 direttori 
quelli che congiungono w coi punti ov. Le sezioni iperpiane cor- 
rispondenti si spezzano in curve 4, le quali rappresentano i coni 
che dai punti oy projettano Y, e in parti residue di ordine 
p°—2n+3. Sia H, un punto or, e sia 4%, la curva % corri- 
spondente. I punti comuni ad 4, ed alla relativa parte residua, 
rappresentano le rette che vanno da H, ai punti ove lo Sz_g 
per w e tangente a Y in H,, sega ulteriormente y. Sicchè per 
ognuna di quelle sezioni iperpiane spezzate si ottengono 2r—4 
punti doppi staccati. 


SULLE SUPERFICIE CHE RAPPRESENTANO LE COPPIE, ECC. 193 


5) Considerando le rigate che hanno per S7-3 direttori 
le traccie sopra o degli S7z_s bitangenti a Y e passanti per w. 
Sopra ogni sezione iperpiana di / rappresentante una tale ri- 
gata, si ha un punto doppio. In questo modo si ottengono dunque 
2(x — 1)(9mt — 20) punti doppi staccati, tante essendo le bitan- 
genti della projezione generica di 1 sopra un piano. 
Chiamando I l’invariante di Zeuthen-Segre relativo ad #, 
avremo perciò: 


I=2(m— 1)(Ir—- 20) + (2mr — 2) (2r — 4) — pîù — 4dpU — 
— (n 1)(@m-—-3) A. 


Applicando la relazione fondamentale di NòrHER (*): 
pUYI=12P,+9, 


facilmente trarremo che il genere aritmetico di F è espresso dalla 
formola: 


7. A prima vista può sembrare che i ragionamenti svolti 
per la superficie F che rappresenta, nel modo projettivamente 
fissato, le coppie di punti della y,, non valgano più nel caso t=3; 
ma è facile persuadersi che interpetrati convenientemente essi 
continuano a sussistere. La curva canonica Y del genere 3 è una 
quartica piana generale, della quale diciamo p il piano. Rappre- 
sentando le rette di p coi punti di un secondo piano, poichè 
sopra ogni retta di p si trovano 6 coppie di punti di y, la su-. 
perficie F che rappresenta le coppie di punti di y, si ridurrà in 
tal caso ad un piano sestuplo. Sopra Y avremo come curva di 
diramazione una curva y' del 12° ordine (duale di Y) da contarsi 
due volte, perchè sopra ogni tangente di y due delle 6 coppie 
di punti coincidono fra loro, e così pure altre due. Le coppie di 
punti di y allineate con un punto a di p, son rappresentate su { 
dai punti di una retta sestupla f. Per ogni retta di p passante 
per a si hanno 6 punti di f; sicchè sopra f nasce una serie 


(*) Cfr. p. e. CasreLyuovo-EwrIQques, Sopra alcune questioni fondamentali 
nella teoria delle superficie algebriche (£ Annali di Mat. ,, (3), t. VI, 1901, n° 6). 


194 FRANCESCO SEVERI 


lineare di 6° ordine, la sori ha i suoi punti doppi nei punti 
comuni ad f ed alla curva y', ciascuno da contarsi due NOA 
Dicendo p' il genere di f avremo dunque: 


2.64 29! —2= 24, 
donde: 
PO = % 


I ragionamenti dei n' 3, 5 non subiscono che modificazioni 
formali per essere applicati al caso attuale, e si giunge alla 
conclusione che: 

Il sistema canonico completo del piano sestuplo F è il sistema 
delle sue rette. 

Sicchè il genere geometrico P, di F è: 


di, 
ed il genere lineare è: 
de 


Per calcolare il genere aritmetico P, si applica il ragiona- 
mento del n° precedente e non è forse inutile riprodurlo breve- 
mente colle opportune modificazioni. 

Per ogni punto di una retta 0 del piano p, otteniamo sopra F 
una retta sestupla f, che varia in un fascio. I punti doppi stac- 
cati delle curve f si ottengono in due modi: 

a) Considerando i punti comuni a 0 e a Y. Al fascio di 
rette avente il centro in uno H, di tali punti, risponde una 
certa curva f, la quale si spezza in due rette triple sovrapposte; 
l'una di queste rette triple rappresenta le coppie di y di cui un 
punto è H,, l’altra le coppie di y allineate con H,. Le due rette 
triple hanno comuni i punti che rappresentano le coppie di Y si- 
tuate sulla tangente in H,, e di cui uno dei punti è H,. Dunque 
per ogni curva come fi si hanno 2 punti doppi staccati. 

b) Considerando i punti comuni a 0 ed alle 28 bitangenti 
di y. Al fascio di rette avente il centro in uno di tali punti 
risponde una f, che ha un punto doppio in un punto doppio di y'. 

Indicando come al solito con I l’invariante di Zeuthen-Segre, 
avremo: 


TS/20M + BB4 Bedi] 


SULLE SUPERFICIE CHE RAPPRESENTANO LE COPPIE, ECC. 195 


e usando della relazione di Néther, otterremo il genere aritme- 
tico di F: 
i gaezSii a 


Si può mettere in relazione il modello projettivo qui consi- 
derato per studiare le coppie di punti di una curva del genere n, 
con quello dato dal sig. HumBeRT in due Note dei Comptes- 
Rendus (*). 

Ad ogni coppia di punti di y se ne può associare un’altra: 
quella in cui la. retta congiungente i punti della prima coppia, 
taglia ulteriormente y. Questa 00? di coppie di coppie, ai cui 
elementi corrispondono su Fi gruppi di un’involuzione quadra- 
tica, si può rappresentare sopra un piano triplo 7. Orbene, il 
piano triplo 7 non è altro che la projezione fatta sopra un piano, 
dal punto triplo della superficie di 6° ordine S, che il sig. Humbert 
definisce geometricamente così: Si prenda una superficie di 
Kummer K ed un punto generico O dello spazio. Una retta 
per O taglia X in quattro punti e ad ognuna delle 3 possibili 
distribuzioni di quei quattro punti in due coppie, corrispondono 
3 involuzioni quadratiche sulla retta segante. Se si prendono i 
3 coniugati di O in quelle involuzioni, al variare della retta se- 
gante il luogo dei punti costruiti è la Sdi Humbert, la quale 
ha in O il punto triplo. 


8. — Passiamo ora ad alcune considerazioni sugli integrali 
semplici e multipli annessi alle varietà delle coppie, delle terne, ..., 
delle m-ple di punti di una curva Y di genere n. 

Immaginiamo la varietà algebrica V7 a dimensioni, i cui 
elementi (punti) sono le m-ple di punti della curva y. Fissando 
sopra y t—g punti arbitrarii e considerando tutte le m-ple di 
cui fan parte i punti fissati, ad esse corrisponderanno su Vx i 
punti di una varietà algebrica V, che rappresenta le g-ple di punti 
di y. Sopra V_ si hanno 00”-? varietà V, razionalmente identiche, 


. . TT . x 
e per ogni punto di V- passano | varietà V,. 
\q 


Supponendo che la varietà V sia immersa in uno spazio S+.11, 


(*) Anno 1895, 1° semestre, pag. 365 e pag. 425. 


196 FRANCESCO SEVERI 


le coordinate x, 23... £r-41 dei suoi punti si esprimeranno come 
funzioni abeliane a 27 periodi degli argomenti w, wa ... Ur: 


= Mu); tra = Mara (iv 
legate dall’equazione di VW: 
H(x, Lg 0 741) _ 0. 


Se l'equazione della curva piana y è f(£n)=0, dicendo 
1, Is ...I, gli integrali abeliani di 1° specie annessi a Y, cioè 
ponendo: 


Pi (EN) 1 
I, [ pitti dz (a== Loc. SHANE 
avremo: 


u= (Em) +... 4+-L(E,0,), 


ove E, n, ..., £,N, sono T punti variabili di y. 
Poichè il differenziale algebrico: 


__ Pi(Em) _PilEz Ma) n) 
du; = fa deri rato fa dé, 


Tr 


è funzione simmetrica dei t punti variabili su y, e ad una m-pla 
generica di punti di y risponde un sol punto di V_, e vice- 
Versa, sarà: 


(1) du, = A,;dx, +... + Aridtr, 


ove le A,; son funzioni razionali di x, > ... Lr.1. 
Ne viene che: 
U, — Î Ada, — ei — Aridta 


sarà un integrale di differenziale totale ovunque finito sopra V_. 
Viceversa sia: 


dv= P,de, +... + P, de, 


un differenziale totale di 1% specie annesso a V_. Passando dalle 
variabili x; ...x alle variabili «, ... v,, avremo: 


sl dr dr do D drk o 
dv = du, e Pi Sul + dus Dar na TAILE a du, Da Pi va 


SULLE SUPERFICIE CHE RAPPRESENTANO LE COPPIE, ECC. RE 


Le espressioni pà; P.-- risultano a priori funzioni abeliane 


di v; ... Ur; ma se LIRE dipendessero da queste varia- 
bili l'integrale © non sarebbe dovunque finito sopra Vz. Dunque 
sarà: 

dv= du, +... + Mx dur, 


ove le \ sono costanti. 

La varietà, Vx ammette n integrali distinti di differenziali 
totali di 1% specie. 

Ogni integrale di differenziale totale annesso a V7, consi- 
derato sopra una varietà subordinata V,, dà luogo ad un inte- 
grale analogo relativo a questa. In particolare si hanno così r 
integrali di differenziali totali sopra le superficie V, che rappre- 
sentano le coppie di punti della y. È facile vedere che una tal 
superficie V, non può ammettere integrali distinti da quelli. 
Infatti sopra Vs si ha un sistema co! d’indice 2, di curve V, 
che a due a due sî tagliano in un punto. Un integrale di V, di- 
verso dai precedenti, essendo costante sopra ciascuna delle V,, 
è perciò costante su tutta la superficie. 

Riandando alla immagine projettiva £ delle coppie di punti 
della curva di genere m, considerata ai numeri precedenti, po- 
tremo dire: 

La superficie F, che rappresenta le coppie di punti di una 
curva del genere t, ammette tanti integrali di differenziali totali 
di 1° specie, quant'è la differenza fra il suo genere geometrico e 
il suo genere aritmetico. 


9. — Studiamo ora gl’ integrali doppî. Se nell’ integrale 
{[du,dus passiamo dalle variabili « alle x, avremo: 


[l du, du, = [{ A) da;dxy. 


ik D(xiar:) 


Giacchè, come rilevasi dalla (1): 


verrà: 
Sfdu,dus = |{Z (A Ax — Ag An) dx;day, 


198 FRANCESCO SEVERI 


la quale ci dice che {{du,dus è un integrale doppio di 12 specie 
relativo a Vr. 
Viceversa sia: 
({Z Pa da;da, (Pa = Pi, Pa =0) 


un tale integrale. Passando dalle variabili x alle «, otterremo: 


[[ LA Pdx;da,= fl è 6,00: A pei on08 A 


Ora se le P,, DUE 


U) ... Ur, Come a priori risultano, l'integrale del 2° membro non 
sarebbe finito per tutti i valori di w, ... 7, e quindi non po- 
trebbe esserlo l'integrale del 1° membro. Potremo dunque porre: 


fossero effettive funzioni abeliane delle 


[(xPde;dx,= XX, {{du,du,, 
ove le ) sono costanti. Quindi: 
La varietà Vx possiede ben integrali doppî di 1% specie. 
Così proseguendo si trova ché 


La varietà Vx possiede pe integrali q-pli di 1% specie. 


Gl'integrali doppî di 1* specie annessi a. Vx interpetrati 
sopra una V, subordinata, dànno ivi integrali. analoghi: in par- 
A elle. 1 È (TT o n " 
ticolare così si ottengono sopra ogni V, 1 | sg integrali doppî 


ad essa relativi. — Così per gl’integrali tripli, ecc. Dunque: 
I generi geometrici delle varietà che rappresentano le coppie, 
le terne, ..., le (m—1)-ple, le m-ple di punti di una curva del 


genere n, sono rispettiramente (5), (3): (253): * 


10. — Vediamo come con l’uso degli integrali doppî sì ri- 
trovi facilmente la generazione delle curve canoniche per le su- 
perficie che rappresentano coppie di punti di una curva. 

Consideriamo una V, contenuta in V- e projettiamola gene- 
ricamente sopra lo spazio ordinario (€ y 2). Avremo una. certa 
superficie Y di ordine x, [Y(xyz)= 0], la quale sarà riferita 


SULLE SUPERFICIE CHE RAPPRESENTANO LE COPPIE, ECC. 199 


birazionalmente a V,, e non ci saranno elementi eccezionali per 
la trasformazione nè su V, nè su Y. 
Sopra la Y sarà: 


uu = ACETO, [[anaw= || dady , 


ove le A,;, B; sono polinomii aggiunti di ordine n—2 in «ye, 
e Q,, è un’aggiunta di ordine n—4 (*). Riguardando w,, v come 
funzioni di un punto di Y, avremo: 


[{ dudus = [ft Dita drdy = | f I) 


La superficie V, dalla quale siamo partiti, sia ottenuta con- 
siderando le m-ple di punti di y di cui fan parte mt — 2 punti 
fissati &3N3, ..., &N7. Nei punti di Y sarà allora: 


du, = ceto di, SPIGA SI di, 
ove En, EN indicano due punti variabili di y. In particolare 
se questi due DEORI li supponiamo appartenenti ad un gruppo 
variabile di una 9-2, formata da gruppi canonici di Y, la quale 
sia segata dal fascio: 


Qi(EN) + \po(En) = 0, 
avremo : 


Pa (EM) + Apa (Emi) = 0, @;(£200) + Apa(E203) = 0. 


Sicchè dicendo % la curva di Y che rappresenta le coppie 
EM, EN variabili nel modo detto, nei punti di /% sarà: 


du dus Ro ge cas 
ot +4 peo #7 0, unga 
Moltiplicando la prima di queste per È) <=, la seconda per di - 


e sommando viene: 


di gno ma if 


(*) Cfr. ad es. Prcarp et Smart, Théorie des. fonctions algébriques de 
deux variables indépendantes (Paris, Gauthier-Villars, 1897, t. I). 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 14 


200 FRANCESCO SEVERI — SULLE SUPERFICIE, ECC. 


In modo analogo: 


du, dv I 
Va \ cina 0. 


Ossia avremo: 


Ai + MA, =0, B, + AB, =0, 
donde: 
A;B, rente AB, na 0, 


dio = 0 


Viceversa se si considera la curva che Q,»= 0 sega sopra Y, 
fuori delle linee multiple, risalendo si vede che essa coincide 
colla curva %. Ritroviamo così la proposizione del n° 5. 

Il procedimento attuale si estende anche alle varietà che 
rappresentano terne, quaderne, ... di punti di una curva, e per- 
mette di affermare che sopra la V, delle g-ple di punti di una 
curva del genere m, le varietà a 9g —1 dimensioni che rappre- 
sentano g-ple di punti appartenenti ad un gruppo variabile di 
una 9471, canonica, appartengono al sistema canonico di V, (*). 

Se si assume come modello projettivo della varietà V, che 
rappresenta le g-ple di punti di una curva del genere r, la va- 
rietà costituita dagli S,_, g-secanti della curva canonica y?7-® 
dello S_1, siccome gli iperpiani passanti per uno spazio Sz-y-1 
segano su y una 971, canonica, gli spazi Sy-19-secanti appog- 
giati al dato Sz_y-1 costituiranno nella varietà di tutti gli Sq 
q-secanti, una varietà appartenente al sistema canonico. E giacchè 
fra i complessi lineari di S,-1 dello spazio Sz-1, cioè fra i si- 
stemi di S,-1 le cui coordinate Grassmanniane soddisfano ad 


e quindi: 


; n 5 A T 3 
un'equazione lineare, ve ne sono precisamente ( 2 linearmente 


indipendenti, avremo che: 

Sopra il sistema degli spazì S,-,q-secanti della curva cano- 
nica del genere n, i complessi lineari di spazì S,-, segano il sistema 
canOMEO. 

Bologna, gennaio 1903. 


(*) Il sistema canonico di una varietà a 9g dimensioni (che fu consè 
derato per la prima volta da Nérner) si può introdurre estendendo la de- 
finizione data da Enriques pel sistema canonico di una superficie (Cfr., p. e., 
Intorno ai fondamenti della geometria sopra le superficie algebriche, “ Atti 
della R. Ace. di Torino ,, 1901), oppure mediante la considerazione degli 
integrali q-pli di 1* specie annessi alla varietà. 


GIACOMO PONZIO — SU UN NUOVO METODO, ECC. 201 


Su un nuovo metodo di preparazione 
degli acidi mitrolici. 
Nota del Dott. GIACOMO PONZIO. 


I metodi finora conosciuti per la preparazione degli acidi 
nitrolici R.CHN,0; richiedono tutti molto tempo, dovendosi 
partire da composti difficili ad ottenersi, come sarebbero i mono- 
nitroidrocarburi R.CH,NO; od i loro dibromoderivati R.CBrsNO., 
sui quali si fa poi rispettivamente agire l’acido nitroso o l’idros- 
silamina. 

Nella presente Nota espongo una reazione molto semplice 
la quale permette di preparare rapidamente, ed anche in grande 
quantità, gli acidi nitrolici, con un rendimento quasi teorico. 

Il nuovo metodo di preparazione consiste nell'azione del 
tetrossido d’azoto N,0, sugli a-isonitrosoacidi della serie grassa 
R.C(NOH).COOH (ossime degli acidi a-chetonici R.C0.C00H). 
A tale scopo gli isonitrosoacidi vengono trattati colla quantità 
equimolecolare di tetrossido d’azoto sciolto in etere anidro: la 
reazione comincia tosto con regolare svolgimento di bollicine 
gassose incolore, e l’isonitrosocomposto, generalmente insolubile 
nell’etere, a poco a poco scompare. Se la reazione diventa troppo 
viva, la si può moderare immergendo nell’acqua fredda il pal- 
loncino ove si opera, senza però raffreddare al disotto di 0°, 
perchè allora cessa lo sviluppo gassoso. Quando la reazione è 
terminata e l'etere, che prima era colorato in rosso-bruno, è di- 
ventato quasi incoloro, lo si Java con poca acqua e poi lo si 
agita con soluzione di idrato potassico al 10 °/,. La soluzione 
alcalina, avente la colorazione rosso-sangue caratteristica dei 
sali degli acidi nitrolici, si lava con etere, si acidifica con pre- 
cauzione mediante acido solforico diluito ed il liquido, così di- 


202 GIACOMO PONZIO 


ventato incoloro, si estrae con etere ripetute volte. Questo si 
secca su solfato sodico anidro, si distilla a bagno maria per 
la maggior parte, e poi si elimina completamente con una cor- 
rente d’aria secca. Si ottiene così come residuo l’acido nitrolico 
quasi puro. 


La formazione degli acidi nitrolici dagli a-isonitrosoacidi 
per azione del tetrossido d’azoto: 


> 


R. C(NOH).COo.H R.CHN0; 


è dovuta evidentemente alla trasformazione del gruppo isoni- 
troso NOH nel gruppo N50, ed alla successiva rottura del le- 
game fra due atomi di carbonio; fatto molto notevole, che io 
però ho già osservato in un altro caso e precisamente per l’amil- 
chetopseudonitrolo (1) CH;. CO . C(N,0;) . CH,. CH; che ottenni 
dall’isonitrosometilpropilchetone per mezzo del tetrossido d’azoto 
e che per azione degli alcali dà acido propilnitrolico C3H;. CHN0;. 

Che il tetrossido d’azoto possa facilmente provocare la rot- 
tura di una catena aperta di atomi di carbonio risulta poi anche 
da altri miei lavori sugli isonitrosochetoni (2), i quali per azione 
del tetrossido d’azoto si trasformano prima negli acilderivati dei 
cosidetti dinitroidrocarburi primarî e poi, per idrolisi, in questi 
ultimi ed in acidi grassi: 

R.C0 R.C0 ah R. COOH 


N 204 


inte» zo 
R'.C(NOH) R'.C(N30,) R'.CHN,0, 


Anzi la reazione è generale ed io l'ho applicata con sue- 
cesso alla preparazione di dinitroidrocarburi (p. es. del fenildi- 
nitrometano CH; . CHN30,) i quali non si potevano ottenere coi 
metodi soliti. 


E probabile che anche nel caso degli a-isonitrosoacidi si 
formino prima, per azione del tetrossido d'azoto, dei composti 


(1) Gazz. Chim., 29, I, 358 (1899). 
(2) Gazz. Chim., 27, I, 271 (1897) e 37, II, 183 (1901). 


SU UN NUOVO METODO DI PREPARAZIONE DEGLI ACIDI NITROLICI 203 


intermedì R.C(N0;). COOH i quali poi per idrolisi dànno gli 
acidi nitrolici ed acido carbonico: 


R.C(NOH) ..;. R.0(N,03) ,,, | R.CHN:0; 
stai | PRE 
COOH © C00H ” Hy00, 
H,0-F00, 


ma su questo argomento mi riservo di ritornare quanto prima; 
come pure mi riservo di studiare l’azione del tetrossido d’azoto 
sui B- e vY-isonitrosoacidi della serie grassa. 


Acido metilnitrolico — CHy. N03. — Si forma facendo agire, 
nel modo sopra descritto, il tetrossido d’azoto sull’acido isoni- 
trosoacetico CH(NOH).CO;H, ottenuto dall’acido bicloroacetico 
ed idrossilamina secondo le indicazioni di Hantzsch (1). Cessato 
lo svolgimento gassoso bisogna, in questo caso, aver cura di 
fare i successivi trattamenti con idrato sodico e con acido solfo- 
rico sempre raffreddando bene con ghiaccio, a causa della poca 
stabilità del prodotto, ed allora si ha un rendimento quasi teorico. 

L’acido metilnitrolico si può avere in lunghi aghi appiat- 
titi aggiungendo alla sua soluzione eterea una quantità suffi- 
ciente di eteri di petrolio bollenti fra 50° e 80°, e si fonde a 
68° con decomposizione. Tscherniak (2) aveva dato come punto 
di fusione 64°, però riferendosi al prodotto ottenuto dalla solu- 
zione eterea per svaporamento del solvente e non purificato 
colla cristallizzazione. 


Acido etilnitrolico — CHy .CHN0;. — Fu ottenuto facendo 
agire il tetrossido d’azoto sull’ acido isonitrosopropionico CH;. 
C(NOH) .COOH, il quale si prepara facilmente trattando l’acido 
piruvico con cloridrato di idrossilamina e carbonato sodico, se- 
condo le indicazioni di V. Meyer e Janny (3). Da 10 gr. di ossima 


(1) Annalen, 289, 294 (1896). 
(2) Annalen, 180, 168 (1875). 
(3) Berichte, 15, 1527 (1882). 


204 GIACOMO PONZIO 


si ebbero gr. 8,1 di acido nitrolico (80 °/ del teorico) il quale, 
dopo cristallizzazione dagli eteri di petrolio bollenti fra 50° e 80°, 
si presenta in splendidi aghi, lunghi parecchi centimetri, di sa- 
pore dolce e fusibili a 87-88° con decomposizione (1). 


Gr. 0,1170 di sostanza fornirono cc. 26 di azoto (Ho= 749,11, 
t = 8°), ossia gr. 0,031146. 
Cioè su cento parti: 
Trovato Calcolato per C3H,N303 
Azoto 26,72 26,92 


Che si tratti realmente di acido etilnitrolico l’ho confermato 
trasformandolo nel suo denzodderivato: 


/N03 
CHa. CS N0CH0 
il quale cristallizzato dal toluene, come consiglia V. Meyer (2), 
o meglio dall’alcool (dove è poco solubile a caldo e pochissimo 
a freddo) si presenta in larghe lamine fusibili a 131°. 


Gr. 0,1509 di sostanza fornirono cc. 17,5 di azoto (H==739,04, 
t = 8°), ossia gr. 0,020602. 
Cioè su cento parti : 


Trovato Calcolato per CsHyN30, 
Azoto 13,67 13,47 


Acido propilnitrolico — CHsz . CH, . CHN0:.— Fu ottenuto 
per azione del tetrossido d’azoto sull’acido a-isonitrosobutirico 
CH; . CH,. C(NOH).C00H, preparato facendo agire l’idrossila- 
mina sull’acido a-monobromobutirico CHz.CH,.CHBr.COO0H se- 
condo le indicazioni di Hantzsch e Wild (3). Da 10 gr. di ossima 
si ebbero gr. 5 di acido propilnitrolico, il quale cristallizzato 
dagli eteri di petrolio bollenti fra 50° e 80° si presenta in aghi 
splendenti fusibili a 66° con decomposizione. Questo punto di 


(1) Il punto di fusione da me trovato per l’acido etilnitrolico, concorda 
coi dati di Nef (Annalen, 280, 283 (1899)) e non con quelli di V. Meyer 
(Annalen, 175, 98 (1875)) il quale aveva trovato 81-82°. 

(2) Berichte, 27, 1600 (1894). 

(3) Annalen, 289, 297 (1896). 


SU UN NUOVO METODO DI PREPARAZIONE DEGLI ACIDI NITROLICI 205 


fusione è superiore di 6° a quello dato da V. Meyer (1), ma è 
lo stesso di quello da me trovato per l’acido propilnitrolico ot- 
tenuto dall’amilchetopseudonitrolo (2). 


Gr. 0,1263 di sostanza fornirono cc. 25,2 di azoto (Ho= 752,5, 
t = 12°), ossia gr. 0,029795. 
Cioè su cento parti : 
Trovato Calcolato per C3HjN30; 
Azoto 23,60 8 


Il denzoilderivato dell'acido propinitrolico: 


ZN0, 


CH; . CHy b Ù NNO hi C,H50 


non è ancora descritto nella letteratura chimica: io l'ho otte- 
nuto col metodo di Schotte e Baumann sciogliendo gr. 1,8 di 
acido propilnitrolico in gr. 1,1 di idrato sodico (soluzione al 5 °/o) 
ed aggiungendo gr. 2,1 di cloruro di benzoile. Dopo breve agita- 
zione, il colore rosso-sangue della soluzione scompare e si separa 
una sostanza solida la quale, cristallizzata dall'alcool, sì presenta 
in larghe lamine leggermente giallognole e fusibili ad 85°. 

I. Gr. 0,2455 di sostanza fornirono gr. 0,4820 di anidride 
carbonica e gr. 0,1083 di acqua. 

II. Gr.0,1900 di sostanza fornirono ce. 20,4 di azoto(Ho=753,6, 
t= 10°), ossia gr. 0,024281. 

Cioè su cento parti: 


Trovato Calcolato per 
6 
I II CioHioNa0, 
Carbonio 53,96 _ 54,05 
Idrogeno 4,90 — 4,50 
Azoto -- 12,75 12,61 


Detto benzoilderivato è abbastanza solubile a caldo e poco 
a freddo nell’alcool e negli eteri di petrolio bollenti fra 80° e 
110°; è pochissimo solubile nell’etere, solubile invece nel clo- 
roformio. 


Torino, Istituto Chimico della R. Università. Gennaio 1903. 


(1) Annalen, 175, 114 (1875). 
(2) Gazz. Chim., :29, I, 358 (1899). 


206 ALFREDO SILVESTRI 


Alcune osservazioni sui Protozoi fossili piemontesi. 
Nota di ALFREDO SILVESTRI. 


Secondo l'importante riassunto dei risultati relativi alle nu- 
merose ricerche paleontologiche eseguite nel bacino terziario 
piemontese, dovuto al prof. Sacco (1), la fauna protistologica di 
esso comprendeva nel 1890 il numero di 293 forme distinte, di- 
stribuite dal liguriano all’astiano, e più abbondanti nell’ elveziano 
che nelle altre formazioni geologiche, consistendo esclusivamente 
di Rizopodi reticolari; detto numero venne poi un po’ aumen- 
tato pei successivi studî dello stesso Sacco, di Dervieux, Di Ro- 
vasenda, Tellini, e Schlumberger, ma in seguito alle attive inda- 
gini del dott. Prever e ad alcune mie recenti ricerche, ho motivi 
serî per ritenere che il ramo al quale m’interesso sia stato ap- 
pena sfiorato (2), con cattiva interpretazione di talune delle forme 
già elencate. A sostegno di queste mie asserzioni intendo ora 
produrre qualche argomento, il quale sarà in pari tempo un 
piccolo, anzi un piccolissimo contributo allo studio assai inte- 
ressante della microfauna fossile del Piemonte. 


A) Esistenza di una fauna a Radiolarii. 


Il collega prof. Dervieux mi favorì gentilmente in esame 
l’anno scorso (1902) certa singolare roccia, che mi scrisse d’aver 
raccolta a Marmorito (Colli torinesi), nelle formazioni dell’elve- 
ziano superiore; roccia bianco-giallastra, tenera, friabile, aspra 
al tatto, schistoide, la quale dapprima dubitai fosse un calcare 
marnoso a Rizopodi radiolarii e reticolari, quindi silicifero per 
la presenza in esso dei Radiolarii stessi, ma però dall'analisi mi- 


(1) Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte, in * Boll. Soc. 
Geol. It. ,, vol. VIII (1889), pag. 281-356; vol. IX (1890), pag. 185-340 (Con- 
tinuazione e fine). Roma, 1890. 

(2) Opinione del resto espressa dal prof. Sacco fin dal 1890 (1. c., pag. 284). 


ALCUNE OSSERVAZIONI SUI PROTOZOI FOSSILI PIEMONTESI 207 


neralogica (1) resultommi così povera di calcare e tanto ricca di 
silice, da poter essere classificata come una varietà di tripoli a 
Radiolarii. Pel contenuto poi d’enorme quantità di questi, splen- 
didamente conservati e costituenti una bellissima faunula con 
predominio di SpHarRoIDEA e Discormea (Haechel), che darà da 
lavorare a parecchi studiosi, discreta copia di Rizopodi retico- 
lari o Foraminiferi, pochissimi frustoli di Diatomacee (2), qualche 
spicula di Silicospugna, e la facies litologica della roccia, non 
esitai a rilevarne l’analogia coi ben conosciuti tripoli della Sicilia 
(Caltanissetta, Licata, Grotte, Monte Cannatone, ecc.), studiati 
da Hoffmann, Ehrenberg, Fischer, Parodi e Mottura, Sauvage, 
Frémy, Schwager e Stohr, De Bosniasky, ecc., e l’affinità con 
quello del giacimento classico di Grotte (tripoli, come si sa, at- 
tribuiti da St6hr al tortoniano, e da Baldacci, ecc., al sarma- 
tiano, per me sinonimo di tortoniano); anzi a causa d’ alcune 
forme contenutevi l'avrei giudicato se non addirittura coetaneo a 
quest’ultimo, almeno più recente dell’elveziano. Ma il prof. Sacco, 
alla cortesia del quale mi son rivolto per un parere, ritiene in- 
vece che il tripoli di Marmorito provenga dall’elveziano medio 
superiore, e tale autorevole opinione debbo oggi rispettare, pur 
attendendone la conferma dal resultato d’uno studio completo 
della importante fauna la quale esso ricetta, e dal confronto di 
quest'ultima con l’altra determinata da Stòhr nel tripoli di 
Grotte (3), non essendone, lo confesso, pienamente convinto (4). 


(1) Sommaria, non avendo potuto disporre di sufficiente quantità di 
materiale, già per la maggior parte adoprato alla ricerca. dei fossili. 

(2) Vi ho potuto riconoscere i generi Coscinodiscus ed Actinocyelus di 
Ehrenberg. 

(3) Sulla posizione geologica del tufo e del tripoli nella zona solfifera di 
Sicilia, in È Boll. R. Comit. Geol. It. ,, vol. XI, pag. 498-517. Roma, 1878. 
— Die Radiolarienfauna der Tripoli von Grotte, Provinz Girgenti, in Sicilien, 
in “ Palaeontographica ,, vol. I. Miinchen, 1880. 

(4) Interessante sarà pure il confronto, malgrado la poca comunanza 
di forme, della faunula a Rizopodi e Diatomacee del tripoli di Marmorito 
con quelle del tufo tortoniano di Stretto presso Girgenti, del calcare (o tri- 
poli) probabilmente elveziano di Montegibio e Baiso nel Modenese, e del- 
l'argilla marnosa tortoniana del Capo S. Marco in Sardegna, studiate rispet- 
tivamente da Schwager (1878; “ Boll. R. Comit. Geolog. Ital. ,, vol. IX, 
pag. 519-531, tav. I), Pantanelli (1883; “ Boll. Soc. Geol. It. ,, vol. I (1882), 
pag. 142-155), Mariani e Parona (1887; “ Atti Soc. It. Se. Nat. ,, vol. XXX, 
pag. 101-191). 


208 ALFREDO SILVESTRI 


L'esistenza di Radiolarii e della relativa roccia nelle for- 
mazioni terziarie piemontesi mi resulterebbe un fatto completa- 
mente nuovo, sul quale di conseguenza mi riservo d’ insistere; 
però sarà bene accenni fin d’ora la mia opinione, fondata sempre 
sul contenuto in fossili, che il sedimento marino di cui trattasi, 
malgrado la presenza dei Radiolarii, non sì sia costituito a gran- 
dissima nè a grande profondità: piuttosto a profondità media. . 


B) Forme poco conosciute. 
Pleurostomella brevis, Schwager. 


(Fig. 1a, lato sinistro X 50; fig. 15, lato anteriore XK 50; 
fig. le, sezione principale X 80). 
Pleurostomella brevis, Schwager, 1866; “ Novara-Exped., geol. Theil ,, vol. II, 
pag. 239, tav. VI, fig. 81. 
Pleurostomella rapa, Gimbel, 1868; “ Abth. m.-ph. C1. k.-bayer. AK. Wiss. ,, 
vol. X (1870), pag. 630, tav. I, fig. 54. — Brady, 1884; “ Foram. Chal- 
lenger ,, pag. 412, tav. LII, fig. 12 e 13. 
Pleurostomella acuta, Hantken, 1875; “ A magy. kir. fòldt. int. evkònyve ,, 
vol. IV (1876), pag. 37, tav. XIII, fig. 18. — 1875; “ Mitth. Jahrb. 
k. ungar. geol. Anst. ,, vol. IV (1881), pag. 44, tav. XIII, fig. 18. — 
Schlumberger, 1883; “ Feuille Jeun. Nat.,, pag. 119, tav. II fig. 5, 5a. 
Peurostomella rapa, (Gimbel; var. recens, Dervieux, 1899; “ Boll. Soc. Geol. 
It. ,, vol. XVIII, pag. 77. 


Specie dimorfa, la di cui forma A era conosciuta sotto il 
nome di /. brevis e la B sotto quelli di Pl. acuta e PL. rapa, 
la quale ultima era l’unica fin qui rinvenuta nel terziario 
piemontese (elveziano di Sciolze, collezione Di Rovasenda) e 
Dervieux aveva voluto farne, ad ogni modo a torto a parer mio, 
una varietà recens “ perchè appartenente al terziario superiore 
ed all’epoca attuale , (pag. 77, 1. c.). Le unite figure 1a-18 il- 
lustrano la forma megalosferica da me raccolta assieme alla 
microsferica, ed in rarissimi esemplari dal nicchio calcareo, liscio, 
spulito, biancastro, opaco, poroso ma non perforato, in una marna 
grigio-chiara dell’elveziano di Marmorito (1). La sezione di tal 


(1) Anche questa favoritami dal chiar.®° prof. Dervieux; è una roccia 
sedimentaria ricchissima di Rizopodi reticolari, in cui dubito esista dello 
zolfo allo stato libero o facile a rendersi tale (Fe S3?), il residuo della la- 
vatura per staccio della quale resulta costituito quasi esclusivamente da 
detti esseri, con enorme predominio del genere Globigerina: può dunque 
dirsi “* marna a Globigerine ,. 


ALCUNE OSSERVAZIONI SUI PROTOZOI FOSSILI PIEMONTESI 209 


forma (fig. 1c) mi ha messo in evidenza una cosa assai interes- 
sante, e cioè che nell’interno essa contiene un sifone flessuoso, 
dall’ aspetto tubulare e privo longitudinalmente di soluzioni di 
continuità, il quale va dalla faccia esterna dell’orifizio della prima 
a quella interna dell’orifizio della seconda loggia, e così via; ma 
l'esiguo numero degli esemplari in mio possesso, distrutti per 
sopraggiunta in parte internamente, per invasione di minuti 


cristalli di calcite, pirite, o d’entrambi i minerali, mi ha vietato 
di scoprire maggiori dettagli. Sono però affatto sicuro dell’esi- 
stenza del detto sifone, il quale, pel tramite d’una nuova forma 
da me ultimamente scoperta nella marna ricordata, ma che ho 
appurato già superficialmente conosciuta da Schlicht, e la quale 
denomino dedicandola a questi: E/lipsopleurostomella schlichti, mi 
ha schiarito la derivazione del genere Meurostomella dall’ Elli- 
psoidina, già sospettata, è doveroso ricordarlo, da Guppy in se- 
guito allo studio di forme del gruppo lipsoidina (1). E mi ha 
fatto poi capire che: 


(1) 1894; “ Proc. Zool. Soe. London ,, vol. IV, pag. 651: “ Ellipsoidina 
may be found to bear a somewhat similar relation to Pleurostomella that 
Glandulina does to Nodosaria ,. 


210 ALFREDO SILVESTRI 


Polymorphina labiata, Schwager (1); Dimorphina deformis 
(Costa) Fornasini (2); Dimorphina Capellini, De Amicis(3); EWlipso- 
polymorphina deformis (Fornasini) Silvestri (4); sono tutte varietà 
pleurostomelle attribuibili a dimorfismo (5), variazioni, ecc., di 
specie unica, Zabiata (Schwager), da assegnarsi ad un nuovo ge- 
nere, e cioè l’E/lipsopleurostomella sopra nominato. Ripudio con- 
seguentemente il genere Elipsopolymorphina, n. (6), il quale non 
ha ragione per esser mantenuto; nè l’avrebbe poi a causa d’altro 
fatto nuovo pur venuto alla luce dalle ricerche sulla marna di 
Marmorito, e consistente in una forma bulimina derivante indu- 
bitatamente dalla Ellipsoidina ellipsoides : legame fra le Buliminae 
attuali, anche queste dotate di sifone interno, e la stessa /lipsot- 
dina, il quale mi fa escludere la derivazione di Polymorphina da 
Ellipsoidina, inducendomi a riferirla invece a Lagena, associando 
Polymorphina a Glandulina (sensu stricto). Chiamo tale forma 
Ellipsobulimina seguenzai, in onore di chi fondò lo stipite della 
famiglia, ossia del compianto prof. G. Seguenza. 

Illustrerò a suo tempo con descrizioni e disegni dette due 
nuove ed importanti forme, sperando di trovare in seguito anche 
la varietà di passaggio da E/lipsoidina a Chilostomella; e termi- 
nerò quest’argomento esponendo che a mio avviso la Pleurosto- 
mella alternans, Schwager (7), non è, zoologicamente parlando, se 
non una buona varietà della P/. brevis, anch'essa dimorfa, come 
risulta dalle figure di Schwager stesso (8). 


(1) 1866; “ Novara-Exp., geol. Theil ,, vol. 1I, pag. 246, tav. VII, fig. 50. 

(2) 1890; “ Mem. R. Acc. Sc. Bologna ,, ser. 4%, vol. X, pag. 471, tav., 
fio. 35-37. 

(8) 1895; “ Naturalista Siciliano ,, anno XIV, pag. 45 estr., tav. I, 
fig. 18 a-b. 

(4) 1901; “ Boll. Acc. Gioenia ,, n. s, fase. LXIX, pag. 5 estr., fig. 1 e 2 
di pag. 2. 

(5) P. es.: Dimorphina deformis = forma A; D. Capellinii = forma B. 

(6) Istituito nel 1901, 1. ce. 

(7) 1866; “ Novara-Exp., geol. Theil ,, vol. II, pag. 238, tav. VI, fig. 79-80. 

(8) Fig. 79 (1. c.)= forma B; fig. 80= forma A. — È probabilmente 
sulla presenza d’un avanzo di tubo interno in esemplare di Pleurostomella 
alternans mancante dell’ ultimo segmento, che io fondai nel 1896 (© Mem. 
Pontif. Acc. N. Lincei ,, vol. XII, tav. II, fig. 9a-c) la var. ftubulata di essa. 


ALCUNE OSSERVAZIONI SUI PROTOZOI FOSSILI PIEMONTESI 211 


Glandulina laevigata, d'’Orbigny. 
(Fig. 2a e 3a, lati maggiori X 50; fig. 20 e 35, lati superiori X 50; 
fig. 2e e 3c, sezioni principali X 957). 
Nodosaria (Glandulina) laevigata, d'Orbigny, 1826; “ Ann. Sc. Nat. ,, vol. VII, 
pag. 252, tav. X, fig. 1-3. — Brady, 1884, “ Foram. Challenger ,, 

pag. 490 e 493, tav. LXI, fig. 17-22. 

Giandulina laerigata, d'Orbigny, 1846; “ Foram. foss. Vienne ,, pag. 29, 
tav. I fig. 4 e 5. — Sacco, 1889; “ Boll. Soc. Geol. It. ,, vol. VII, 
pag. 306, n° 516. 

Nodosaria laevigata, d'’Orbigny. — Dervieux, 1894; “ Boll. Soc, Geol. It. ,, 
vol. XII (1898), pag. 597, tav. IV, fig. 1e 2. 

Sacco la ricorda dell’elveziano in generale, Dervieux precisa 
la provenienza dall’elveziano di Sciolze, io ne ho trovato due 
forme pure elveziane: la prima (fig. 2a-20) dal nicchio calcareo, 
levigato, biancastro, subopaco, non 
perforato ma poroso, nel tripoli a 
Radiolarii di Marmorito, dov'è rara; 
e questa non differisce nella strut- 
tura, caratteristica pei segmenti in- 
ternamente incompleti, dalle Glan- 
duline che illustrai nel 1900 (1) che 
per la mancanza d’introflessione tu- 
bulare orale. Vi si scorge invece 
bene (fig. 2c) l’orifizio pileato, od 
in altri termini su cui sta un cap- 
puccio conico, il quale è guarnito 
esternamente di costicine lungo le generatrici, 

La seconda forma di Glandulina laevigata (fig. 3a-30), prov- 
veduta di conchiglia calcarea, liscia, spulita, biancastra o sub- 
opaca, porosa e non perforata, l’ho raccolta nella marna a Glo- 
bigerine di Marmorito (v. la nota a pag. 208): essa presenta 
internamente (fig. 3c) segmenti completi e quindi logge distinte; 
l’orifizio si mantiene pileato. Ebbi dunque torto ad asserire nel 
1900 (1. c.) che la costruzione a segmenti internamente incom- 
pleti fosse comune a tutte le Glandulina laevigata plioceniche e 


(1) Intorno alla struttura di alcune Glanduline siciliane, in “ Atti e Rendic. 
R, Acc. Se. Lett. Arti Acireale ,, n. s., Mem. CI. Se., vol. X (1899-900), 
pag. 1-12, tav. — Acireale, 1901 (gli estratti furono pubblicati nel 1900). 


212 ALFREDO SILVESTKI 


recenti (1), ed ho piacere di poterlo qui constatare, perchè in 
ciò trovo la spiegazione della fig. 2, tav. X (1826; “ Ann. Se. 
Nat. ,, vol. VII) di d’Orbigny, fin qui rimastami oscura, ma dalla 
quale mi sì dimostra oggi chiaramente come l'autore avesse vo- 
luto rappresentare la sezione di forma glandulina dai segmenti 


internamente completi, e mi rimane in parte giustificata la dia- 
gnosi originale del genere Glandulina, d'Orbigny (del 1826, come 
sottogenere del Nodosaria; portato poi a genere nel 1846, l. c.), 
che dice testualmente così: “ Loges globuleuses, partiellement 
enchaàssées les unes dans les autres et formant par leur réunion un 
ovoide; axe central et droit: ouverture au bout d’un prolongement 
de la dernière loge et terminale , (1. c., pag. 251). Ho detto 
però parzialmente giustificata, ed invero le annesse figure 3a e 3c 
dimostrano che la disposizione assiale delle logge può in talum 
casi iniziarsi curva (var. dentalinoides), nè Vorifizio è visibile 
perchè coperto del pileo (ciò che si osserva nella fig. 35 non è 
l'apertura, ma un’areola limitata da leggiero rilievo prodotto da 


(1) Ciò che feci fidandomi delle molte e molte sezioni praticate su 
esemplari pliocenici di svariate località del Senese, della Sicilia, di S. Pietro 
in Lama presso Lecce (cava Paladini), di Savona, ece.; del terziario di 
Baden (Austria) e di Buda (Ungheria), ecc.; recenti dell'Adriatico e Medi- 
terraneo, e di più in base a figure di varî autori, dalle quali avevo potuto 
intravedere la costruzione interna degli esemplari rappresentati. 


ALCUNE OSSERVAZIONI SUI PROTOZOI FOSSILI PIEMONTESI 213 


fusione delle costicine); anzi sotto quest’ultimo riguardo sembrami 
evidente che d’Orbigny (se ne confronti la fig. 2 con la mia 3c) 
abbia fondato il genere G/andulina e la specie laevigata proprio 
su individuo incompleto, per mancanza dell’ultimo segmento, nel 
quale perciò l’orifizio, non terminale, era sprovveduto del pileo. 

Dunque si hanno in conclusione due tipi di Glandulina lae- 
vigata, l’uno a segmenti internamente incompleti, e l’altro a seg- 
menti completi, i quali finchè non avrò accertato o mi venga 
dimostrato siano un caso semplice di nutazione, ho il diritto ed 
il dovere di mantenere distinti, anche poi nella considerazione 
che mi risultano dare origine in modo indipendente a forme no- 
dosarie (1); al tipo illustrato per la prima volta da d’Orbigny 
(fig. 3a-3c) mantengo necessariamente il nome da lui assegna- 
togli; all’altro attribuisco in via provvisoria quello di Glandu- 
lina simulans (fig. 2a-2c). 


C) Forme nuove. 
Ellipsoglandulina labiata (Schwager), var. ciofaloi, n. 
(Fig. 4a, lato sinistro X 50; fig. 45, lato superiore X 50). 


Glandulina labiata, Schwager, 1866; © Novara-Exped., geol. Theil ,, vol. II, 
pag. 23, tav. VI, fig. 77. 

Rostrolina (pars), Schlicht, 1870; “ Foram. Pietzpuhl ,, pag. 73, tav. XXVI, 
fig. 19-24. 

Lingulina brevis, Reuss, 1870; “ Sitzungsb. k. Ak. Wiss. Wien ,, vol. LXII, 
pag 478 (figure di Schlicht, l. c.). 

Nodosaria (Gland.) abbreviata, Neugeboren. — Sherborn et Chapmap, 1866; 
“Journ. R. Micr. Soc. ,, ser. 2°, vol. VI, pag. 745, tav. XIV, fig. 20a, d 
(fide Rzehak). 

Ellipsoidina exponens, Brady in: Jukes-Browne et Harrison, 1892; * Quart. 
Journ. Geol. Soc. ,, pag. 196. — Guppy, 1894; “ Proc. Zool. Soc. 
London ,, vol. IV, pag. 650, tav. XLI, fig. 13. 

Dimorphina (?) cfr. deformis (Costa). — De Amicis, 1895; “ Naturalista $i- 
ciliano ,, anno XIV, pag. 47 estr. 

Glandulina laevigata, d'Orbigny; var. chilostoma, Rzehak, 1895; “ Ann. k. k. 
naturhist. Hofmuseums ,, vol. X, pag. 219, tav. VII, fig. 6a-d. 
Ellipsoglandulina laevigata, Silvestri, 1900; “ Atti R. Accad. Lincei ,, Rendic. 

C1. Sc. Fis. Mat. Nat., ser. 5*, vol. IX, sem. 2°, pag. 19. — 1900; 


(1) Esistono Nodosarie e Nodosaridi a segmenti completi o incompleti ; 
anch'essi con orifizio pileato. — Il pileo è una produzione assai singolare 
e caratteristica. 


' 


214 ALFREDO SILVESTRI 


“ Atti e Rendie. R. Acc. Se. Lett. Arti Acireale ,, n. ser, Mem. CI. 
Se., vol. X (1899-900), pag. 1 e seg., tav., fig. 3-10, 12-13. — 1900; 
“ Atti Acc. Pontif. N. Lincei ,, anno LIII (1899-900), pag. 219. —- 
1900; “ Mem. Acc. Pontif. N. Lincei ,, vol. XVII, pag. 247, tav. VI, 
fig. 25, 26-29, 31-33, 37-39, 47-48, 53. — 1901; “ Atti Ace. Pontif. 
N. Lincei ,, anno LIV (1900-901), pag. 104, fig. 1@-b. 


Questa forma notevole, di cui oggi restituisco allo Schwager 
la priorità che riconosco spettargli, era fin qui affatto sconosciuta 
nel terziario piemontese, ed il suo. rinvenimento nella marna 
elveziana di Marmorito è molto interessante, in primo luogo per 
la filogenia di certe Nodosarie, e poi perchè permette di preve- 
dere a breve scadenza quello della EMlipsoidina ellipsoides, Se- 
guenza, forma stipite, in piani più antichi dell’elveziano, ma forse 
addirittura in esso, sembrando che tale specie sia diffusa da 
un'epoca geologica ancora indeterminata quantunque probabil- 
mente da ricercarsi al principio dell’era 
terziaria, se non al di là, fino al plio- 
cene inferiore; almeno a giudicare per 
quest’ultimo dalla figura 134-5 (tav. II, 
vol. XII, “ Mem. Pontif. Acc. N. Lincei ,) 
da me pubblicata nel 1896, e relativa ad 
esemplare del Senese (di Pienza nella 
provincia di Siena) in allora attribuito 
alla Lagena apiculata, Reuss (1. e., p. 107), 
perchè mi parve mancante d’un conte- 
nuto interno, mentre, e l’ho riconosciuto 
con l'esperimento, un giuoco di luce ri- 
flessa potrebbe avermi ingannato. Certo 
si è che dalla sua forma esterna, dise- 
gnata esattamente come l’osservai, oggi 
mi risulta assai sospetto, ma per disgrazia 
non ho più mezzo di sottoporlo ad esame 
avendolo smarrito e forse addirittura per- 
duto, in uno dei tanti viaggi cui è andata incontro la mia colle- 
zione micropaleontologica. i 

La varietà ciofaloi della Ellipsoglandulina labiata, qui ripro- 
dotta con le figure 44-45, e della quale ho accertato la specie 
mediante sezione, non figurata perchè incompleta.a causa delle 
solite cristallizzazioni interne di calcite, sebbene sufficiente per 


ALCUNE OSSERVAZIONI SUI PROTOZOI FOSSILI PIEMONTESI 215 


x 


me all’identificazione, è estremamente rara nella marna sopra 
citata, ha un niechio calcareo, biancastro; spulito, opaco e, come 
al solito, poroso ma non bucherellato; offre una notevole varia- 
bilità di forma, pur mantenendosi nei limiti di varietà ad asse 
curvo nell’inizio, del tipo specifico di Schwager. Essa già la cono- 
scevo (1900; “'Mem. Acc. Pontif., ecc., , tav. VI, fig. 38 e 39) 
fossile della marna giallastra di Sansepolcro (Arezzo) attribuita 
da me al miocene superiore, ma che dopo questa comparsa nel- 
l'elveziano della varietà in discorso sono costretto a ritenere più 
antica e riferire all’epoca mediomiocenica; ma soprattutto poi 
l'avevo riscontrata comune (figure inedite) nei trubdi di Bonfor- 
nello (Termini-Imerese), tantochè mi piace ora dedicarla al 
chiar.®° prof. S. Ciofalo, il quale così cortesemente mi diede 
mezzo di studiarvela. 

Gli esemplari di Marmorito, come del resto quelli di Bon- 
fornello, hanno le pareti così sottili o così fragili, da non per- 
metterne l’isolamento dalla roccia che li racchiude senza il sus- 
sidio d'opportuni artifizi tecnici; e ciò forse spiega come mai 
sia sfuggita ad altri ricercatori (Fuchs, Sacco, e Dervienx), che 
pur trovarono nell’elveziano piemontese l’E/lipsonodosaria rotun- 
data (d’Orbigny), e pare anche nella var. ladiata, chiamandola 
ora Lingulina rotundata, d’ Orbigny, ed ora Nodosaria radicula 
(Linné), var. annulata (Terquem et Berthelin), la quale E/lpso- 
nodosaria io ho dimostrato esser la forma nodosaria dell’ EMZipso- 
glandulina labiata (1). 

Il ritrovamento di quest’ultima dovrà ripetersi nel bacino 
piemontese anche in sottopiani più antichi dell’elveziano, essen- 
dovi probabilità che sia apparsa in Inghilterra nel suessoniano 
(London clay; secondo Sherborn e Chapman, 1. c., e sulla fede (2) 
di Rzehak), e certezza circa la sua esistenza nel bartoniano della 
bassa Austria (Tegel di Bruderndorf); anzi mi pare opportuno 
riportar qui un brano di chi la rinvenne in Austria (Rzehak, 
1895; I. e.), reputando che, s'intende con le debite modificazioni, 
possa applicarsi in seguito al bacino terziario del Piemonte: 


(1) 1901; “ Atti Ace. Pontif. N. Lincei ,, anno LIV (1900-901), pag. 103, 
fio. 1-4. 
(2) In questo momento non sono in possesso del lavoro di Sherborn e 
Chapman, nè mi è possibile consultarlo per altra via. 
Atti della R. Accademia — Vol, XXXVIII. 15 


216 ALFREDO SILVESTRI 


“die Formen mit spaltfirmiger Mindung dort, wo die typische 
Glandulina laevigata hàufig vorkommt, nimlich in den miocinen 
Ablagerungen, anscheinend fehlen oder wenigstens sehr selten 
vorkommen, wàhrend merkwiirdigerweise im bartoniscken Thone 
von Bruderndorf gerade diese Formen ausschliesslich auftreten 
und mithin eine gewisse Selbstàndigkeit zu besitzen scheinen , 
(1. c., pag. 220). 

Altra forma nuova è pure l’EWpsobulimina seguenzai della 
marna a Globigerine di Marmorito già ricordata, ma ho detto 
precedentemente di volerla illustrare in seguito. 


I)) Forme male interpretate. 


Una di queste è quasi con certezza l’ Ellpsopleurostomella 
schlichti n. (v. ante), essendochè, se si possono generalizzare per 
altre località i resultati ottenuti dalla marna testè nominata, 
sarebbe la forma pseudoglandulina meno infrequente nell’ elve- 
ziano; trovasi di solito rovinata nell'apertura, in mancanza dei 
connotati della quale, malgrado la disposizione alternante ed in 
doppia serie delle sue prime logge, è estremamente facile scam- 
biarla, in seguito ad esame superficiale, con la Glandulina lae- 
vigata, d’Orbigny, o con certe varietà dell’ Eipsoglandulina labiata 
(Schwager). Ed ecco qui una riprova dell’assoluta necessità di 
trascurare un po’ nello studio dei Rizopodi reticolari quelle mi- 
nuzie e minuziosaggini esterne innumerevoli, derivanti da varia- 
zioni d'ornamentazione, da maggiore o minore accrescimento di 
qualche segmento per un verso o per l’altro, da figure acciden- 
tali causate dalla luce in conseguenza a modificazioni nella tra- 
sparenza od opacità del nicchio, ecc., per dedicarsi preferibil- 
mente alla ricerca della loro struttura, di cui finora si sa così 
poco, da riuscire necessariamente manchevole qualunque tenta- 
tivo di classificazione veramente naturale, e cioè basata su rap- 
porti accertati e non supposti di parentela e affinità delle sin- 
gole forme. 

Anche l’Ellipsopleurostomella schlichti verrà, ripeto, e spero 
fra breve, da me descritta e figurata, meritando uno studio a sè, 
perchè per essa, l’Ellpsoglandulina labiata e l’Ellipsobulimina 
sequenzai, parmi possa stabilirsi Ja successione delle ellissoforme 


ALCUNE OSSERVAZIONI SUl PROTOZOI FOSSILI PIEMONTESI 217 


descritte o dichiarate in questa ed altre precedenti note, nel 
seguente modo: 


Ellipsoidina 
(ellipsoides) 

Veio | | 
Ellipsopleurostomella Ellipsoglandulina Ellipsobulimina 
(schlichti e labiata) (labiata) (seguenzai) 
Pleurostomella Ellipsonodosaria Bulimina 

(brevis e alternans) (rotundata) (le forme recenti). 


Insisto però sul fatto che non tutte le forme pleurostomelle 
conosciute appartengono all'importante gruppo ora indicato (1), 
che certamente si complicherà sempre più, come non vi appar- 
tiene la Polymorphina subeylindrica, Hantken (2), la quale, pur 
essendo Pleurostomella, è da dirsi Glandulopleurostomella subey- 
lindrica, appartenendo invece al gruppo delle glanduloforme, che 
per ora comprenderebbe: Lagena (entosoleniana), Glandulina 
(sensu stricto) e Glandulonodosaria, Glandulopleurostomella e Poly- 
morphina. 

E qui sospendo temporaneamente la presente breve serie 
d’osservazioni, porgendo sentiti ringraziamenti a quelle gentili 
persone che per l’una o l’altra via, materiali da studio, parerì 
od altro, mi hanno dato mezzo di compilarla e pubblicarla: al- 
ludo in particolar modo ai sigg. Dervieux, Fornasini, Millet. 
Parona, Sacco, e Wright. 


(1) Sì, nel caso delle: Pleurostomella eocaena, Giimbel, 1868 (1870), è 
Hantken, 1875 (1876); PI. Barroisi, obtusa e Reussi, Berthelin, 1880; tutte 
forme che per la specie difficilmente saprei distinguere dalla PI. alternans, 
ad eccezione forse della PI. Barroisi, d'altronde più nodosaria che pleuro- 
stomella. 

(2) 1875; ©“ A _magy. kir. fold. int. évhònyve ,, vol. IV (1876), pag. 51, 
tav. XIV, fig. 14. — 1845; “© Mitth. Jahrb. k. ungar. geol. Anat. ,, vol. IV 
(1881), pag. 60, tav. XIV, fig. 14. 


L’ Accademico Segretario 
LorENZO CAMERANO. 


218 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 1° Febbraio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: PevRon, Vice-Presidente dell’Acca- 
demia, CARLE, Pizzi, CHIRONI e RenIeRr Segretario. — Il Direttore 
della Classe FerRERO ed il Socio Brusa scusano l’assenza. 

È approvato l'atto verbale dell’ adunanza antecedente, 
18 gennaio 1902. 

Il Presidente, comunicando il decreto 21 dicembre 1902 
col quale fu approvata la sua nomina, saluta i colleghi presenti 
ed assenti della Classe ed augura in particolar modo prosperità 
al venerando Vice-Presidente, il quale risponde ringraziando in 
nome proprio e della Classe. 

Quindi il Presidente comunica il decesso del Socio corrispon- 
dente della Sezione di Filosofia Eugenio ReNDU, seguìto il 23 gen- 
naio u. s. Egli era Socio corrispondente dell’Accademia dal 
30 giugno 1859. Il Presidente lo commemora brevemente. . 

Il Segretario fa omaggio del vol. II, sez. 12 dell’opera del 
prof. Ulisse MANARA, Delle società e delle associazioni commer- 
ciali, Torino, Unione tip.-editrice, 1902. Il Socio CaIRoNI, che 
ha già presentato il I vol. dell’opera del Manara, mentre si ri- 
serva di ritornare su di essa, ne dice parole di elogio. 


219 


.Il Socio CarLE fa omaggio alla Classe del Manuale di filo- 
sofia del diritto, del prof. Vincenzo Lira, Milano, 1903, esponen- 
done brevemente il contenuto ed i pregi col seguente giudizio : 


Il Prof. Vincenzo Lilla della R. Università di Messina, già 
noto alla Classe per altre sue pubblicazioni filosofiche, mi ha 
incaricato di presentare un suo recente volume col titolo: Ma- 
nuale di filosofia del diritto, Milano, 1903, Società Editrice Li- 
braria, pagg. 612. 

Nota l’autore che la filosofia del diritto in questi ultimi 
tempi ha attraversato una lunga crisi, la quale ha posto a repen- 
taglio la sua esistenza come insegnamento speciale nella Facoltà 
giuridica: ma che essa è pervenuta ora a superarla, uscendone 
rinvigorita e ringiovanita mediante il contatto fecondo cogli studii 
storici e sociologici. Ormai scompare il preteso antagonismo fra 
la filosofia del diritto e la sociologia contemporanea e si viene 
riconoscendo all’una e all’altra un proprio còmpito ed una propria 
funzione. Ne consegue che la filosofia del diritto nel suo indi- 
rizzo odierno non deve più fondarsi esclusivamente sul ragiona- 
mento astratto, ma deve valersi largamente degli studii storici e 
sociologici e tener anche dietro allo studio del diritto positivo, 
cercando di metterne in rilievo il fondamento etico o razionale 
(pag. 11). Il Lilla quindi si dichiara seguace convinto della scuola 
filosofico-storica di Giambattista Vico e ritiene con questo che il 
diritto naturale e positivo, anzichè essere in antagonismo fra di 
loro, si debbono reciprocamente integrare e convertirsi l’uno nel- 
l’altro. 

Per quanto breve e concisa la trattazione del Lilla appare 
organica e coerente in tutte le sue parti. — Essa comprende: 

1° una introduzione generale in cui egli discorre del con- 
cetto, del metodo, dell'importanza della filosofia del diritto, ed 
espone la sua dottrina circa il fondamento etico e l’origine del 
diritto ed intorno ai rapporti fra diritto naturale e positivo; 

2° la teoria filosofica del diritto privato, in cui parte dal 
concetto di persona e dall’analisi dei diritti spettanti alla me- 
desima, per venire alla teoria della persona giuridica, arrestan- 
dosi poi più specialmente alla trattazione del diritto di proprietà 
e del diritto di famiglia; 


220 


3° e infine la teoria filosofica del diritto pubblico, la 
quale, ancorchè meno sviluppata, contiene però una esposizione 
chiara ed ordinata delle idee dell’autore circa la teoria generale 
dello Stato, e circa al fondamento razionale del diritto costitu- 
zionale, amministrativo, penale ed internazionale. 

Il lavoro del Lilla, pur essendo di carattere elementare, è 
dettato con grande coscienza ed amore, e dimostra il lungo studio 
che l’autore ha fatto intorno ai problemi filosofici del diritto. 
Egli ha cercato di richiamare la filosofia del diritto al suo vero 
còmpito senza perdersi in divagazioni troppo astratte, ha cercato 
di integrare la trattazione del diritto privato con quella del 
diritto pubblico; e, senza avversare le tendenze scientifiche con- 
temporanee, si è proposto di rannodarle alle tradizioni del pas- 
sato nella parte in cui queste meritavano di essere mantenute. 

Il piccolo volume del Lilla è grandemente opportuno e potrà 
essere utile non solo alla gioventù studiosa, ma anche ai pro- 
vetti in quest'ordine dj studii. 


Il Socio Carroni tributa molta lode agli scritti del prof. Vit- 
torio PoLacco, che presenta, e le parole da lui pronunziate sa- 
ranno in seguito inserite negli Atti. Le opere del Polacco presen- 
tate sono le seguenti: Della divisione operata da ascendenti fra 
discendenti, Verona-Padova, 1885; Della dazione în pagamento, 
vol. I, Padova, 1888; La questione del divorzio e gli Israeliti in 
Padova-Verona, 1894; Le obbligazioni nel diritto civile italiano, 
Italia, Padova-Verona, 1899; più trenta opuscoli d’argomento giu- 
ridico, i cui titoli figurano specificati nell’elenco a stampa dei doni. 

Il Socio Pizzi presenta per la inserzione negli Atti una sua 
nota col titolo: Il trattato persiano “ Esposizione delle Religioni ,, 
di Abi 1-Madli. 


ITALO PIZZI — IL TRATTATO PERSIANO, ECC. 221 


Il trattato persiano “ Esposizione delle Religioni , 
di Abà’l-Madli. 


Nota del Socio ITALO PIZZI. 


Avvertenza. — Il regno dei Califfi Abbassidi (750-1258 d. €.) 
va segnalato in particolar modo per le lunghe e frequenti dispute, 
| tenute alla loro corte di Bagdad e altrove, in materia di reli- 
gione e di filosofia, e per le numerose opere, in arabo e in per- 
siano, che in quel tempo furon composte intorno a questi due 


|. gravi argomenti, laddove il regno dei loro predecessori di Da- 


masco, i Califfi Ommiadi (661-750 d. C.), più che della religione si 
curò della politica e dell'’amministrazione dello Stato. Questi furono 
Musulmani nel vero senso della parola, perchè il Profeta aveva 
detto: “ Voi dovete obbedire a Dio, non disputare intorno alla 
essenza di Dio ,. Quelli invece, avendo accolto tra i loro studi 
anche la teologia e la filosofia, di credenti ciechi si fecer teologi 
capziosi e filosofi sillogizzanti, per cader poi nel panteismo e nel 
materialismo. E appartengono appunto al loro tempo le dottrine 
panteistiche che vennero da noi nel Medio Evo sotto il nome di 
filosofia araba (1). Dilettavansi, questi Abbàssidi, del far dispu- 
tare in lor presenza non solo i cultori delle scienze esatte e 
delle naturali, ma anche i filosofi e i teologi professanti or questa 
or quella religione, musulmana, cristiana, giudaica, zoroastriana, 
e uno dei più celebri esempi si è quello di Abàlîsh, che fu sa- 
cerdote zoroastriano, disputò in favore della sua fede nel co- 
spetto del Califfo Al-Mamàn (813-833 d. C.), e, ridotto al silenzio, 


(1) Non era araba che nella lingua (lingua dotta di quel tempo era 
appunto l’araba), ma d'origine greca o alessandrina. La maggior parte dei 
così detti filosofi arabi sono, invece, persiani, come p. e. Avicenna. Vedi la 
mia Storia della Poesia persiana, cap. IX. 


392 ITALO PIZZI 


ebbe in pena la morte. Veggasi appresso, poichè l’autore di cui 
intendiamo ora parlare, ne fa un cenno, una nota in proposito. 

Copiosissima poi, per non dire infinita, è la letteratura che 
si connette a tutto questo movimento intellettuale. Prevalgono 
di numero e d’importanza i libri scritti in arabo, sebbene quasi 
tutti di scrittori persiani, come, per esempio, quello di Al-Shah- 
ristàni ch'era del Khorassan, morto nel 1153: i Libro delle re- 
ligioni e delle sette (1). Ma non mancano quelli scritti in per- 
siano come quello attribuito ad un Murtadha della prima metà 
dell'XI secolo che reca in arabo (secondo l’uso dei libri persiani) il 
seguente titolo: Ciò che drizza lo sguardo ai più nella conoscenza 
delle dottrine religiose delle diverse genti (2). Al quale sta degna- 
mente accanto quest'altro di cui parliamo e che gli è contem- 
poraneo: i Libro della esposizione delle religioni (3). Queste due 
sì possono considerare come le più antiche opere persiane che, 
pur con molti errori, si sono provate a ricompor la storia delle 
religioni passate e delle contemporanee per soddisfare ai bisogni 
ognor crescenti della indagine teologica e filosofica; e se ne com- . 
posero molte altre nei secoli susseguenti, e taciamo delle altre 
innumerevoli, o mistiche e ascetiche, o razionaliste e panteiste, 
che si dilungano da queste essenzialmente storiche, sebbene con 
intento di disputa. 

L'autore della Esposizione delle religioni era Abù ’1-Maàli 
Muhammed Ibn Obeyd-allàh, onorato del titolo d’imém, parola 
araba che denota dignità e autorità in materia religiosa, discen- 
dente da Alì, genero del Profeta. Pare ch’egli vivesse alla corte di 
Ghasna nel Khorassan, alla celebre corte. persiana che già aveva 
veduto la gloria militare e civile di Mahmùd e la poetica di 
Ruùdeghi e di Firdusi, e che ora, verso la fine del secolo XI, occu- 
pavasi di lunghe discussioni teologiche nel cospetto d'uno dei di- 
scendenti di esso Mahmùd, cioè Abù Saîd Masùd, che regnò dal 
1089 al 1099. In servizio del principe e de’ suoi filosofi e teologi 
disputanti, il nostro Abù ’1-Maàli compose il suo libro dividen- 
dolo in cinque parti. 


(1) Im arabo: Kitéb al-milal va ’I-mihal (Ed. W. Cureton, London 1846; 
trad. tedesca dell’Haarbriicker, Halle 1850). 

(2) Tabsirat al-avvàm fi ma‘rifat magdlàt al-anim. 

(3) Titolo arabo: Kitdb bayàn al-adyàn. 


IL TRATTATO PERSIANO <« ESPOSIZIONE DELLE RELIGIONI », ECC. 223 


Nella prima, egli intende di assodare questo principio: che 
ogni gente umana ha ammesso l’esistenza di Dio. Nella seconda, 
alquanto troppo alla breve va esponendo le opinioni religiose 
degli Arabi prima dell’Islamismo, quelle dei Giudei, dei Samari- 
tani, dei Cristiani, dei Zoroastriani, degli Indiani, dei filosofi atei, 
dei sofisti. Daremo appresso, sebbene non per intero, la tradu- 
zione di questa seconda parte. La terza è intesa a dichiarare 
quale sia il vero senso di quelle parole che la tradizione attri- 
buisce a Maometto e che suonano: “ Dopo di me, il popolo mio 
sarà diviso in settantatrè sette religiose ,. La quarta tratta delle 
due principali sette musulmane, della sunnitica o ortodossa e 
della shiitica o dei partigiani di Alì. La quinta, secondo l’inten- 
dimento espresso dall'autore stesso, doveva dar notizia di tutti 
quelli che vollero farsi credere o profeti, o una incarnazione di 
Dio, o Dio stesso, o il Messia; in una parola, degl’impostori. 
Ma o essa è andata perduta, o Abù ’1-Maàli, per qual ragione 
non si sa, non l’ha composta. E sarebbe per noi documento pre- 
zioso per questa materia veramente molto oscura e controversa. 
Certo è che non si trova nel manoscritto su cui lo Schefer (1) 
ha fatto l’edizione dell'importante operetta, che è anche la prima 
edizione europea. 

Quantunque l'illustre editore ne parli con molta lode, noi 
non crediamo ch’essa abbia molto merito in sè. È valevole do- 
cumento per sapere qual conoscenza si aveva in Oriente, in ge- 
nerale, ai tempi dell’autore, della storia delle religioni; come 
se ne apprezzavano e giudicavano le dottrine; che stima si fa- 
ceva dei loro fondatori e dei loro libri sacri. Ma, al di là di tanto, 
non è essa, a parer nostro, che una povera e smunta compila- 
zione (la forma poi vi è misera e pedestre, senz’alcun pregio 
d’arte) dalla quale appare che le. scarse notizie, accattate qua e 
là, sono rese anche più misere dalla fretta e dal desiderio di 
abbreviare e di raccorciare. Che poi Abù ’l-Maali fosse uomo 
erudito e dotto, s'intende dalle fonti che cita, dai giudizi che 
dà, dal riferire qualche volta i testi sacri d’altri popoli nella lor 
lingua originale, la Bibbia in ebraico, l’Avesta in zéndo, certe 
preghiere cristiane in siriaco; ma ciò non lo scusa dell’aver con- 
fuso molte cose, dell'essere incorso in molti errori, ripetuti anche, 


(1) Nella sua Chrestomathie persane (vol. I, pag. 132-171), Parigi 1883. 


224 ITALO PIZZI 


dell’aver tenuto conto di fatti minimi e trascurato molti altri 
importanti, dell’aver messo insieme cose che insieme non stanno. 
Ciò si vedrà manifesto dal saggio che sotto riferiremo tradotto. 
Forse lo scusa, ma in parte soltanto, perchè egli, dotto, poteva 
informarsi meglio, il fatto che la conoscenza sua della storia 
delle religioni e il modo suo di giudicarne sono quelli stessi 
degli altri dotti del suo tempo, nè egli poteva far di più, nè a 
noi è lecito pretender troppo. Quanto poi a certo disordine del 
suo scrivere, potrebbe darsene la colpa ai copisti. Il testo, infatti, 
sembra esser guasto in più d’una parte. Ad ogni modo, giudi- 
chino gli studiosi. L’opera non fu mai tradotta, ch'io sappia, in 
alcuna lingua europea, e questo mio, benchè modesto, è il primo 
saggio d’una traduzione. 


Opinioni religiose anteriori all’Islamismo 
(dal cap. II del Trattato persiano Esposizione delle religioni di Abù ’1-Maàli). 


Opinioni religiose degli Arabi. — Abù Isa ’1-Varràq (1) asserisce, nel 
libro suo, che una parte degli Arabi antichi credeva nel Creatore e nella 
risurrezione dei morti, ma non già nei profeti (pace a loro!) e che il 
figlio di Zobeyr Ibn Abî Solma argomentava così: “Si procrastina e 
si affretta in ogni libro religioso; ma si procrastina per il giorno del 
giudizio ovvero si affretta. La punizione però toccasi nel mondo pre- 
sente! , (2). Altri invece adoraron già gl’idoli, nè stimarono essere stato 
Creator del mondo nessun altro fuor che un idolo. Altri tenevano cotesti loro 
idoli nel santuario della Kaaba (3) e a ciascun d’essi avevan posto un nome. 
Iddio altissimo ha riferito il nome d’alcuni d’essi nel suo Corano glo- 
rioso. Dice infatti: “ Voi non dovete abbandonare le divinità vostre; non 
abbandonate nè Vadd nè Suva‘, non Yaghùth, non Yaùq, non Nasr! , (4). 


(1) L’autore qui citato era apparentemente musulmano, ma segreta- 
mente manicheo (Kitàb al-Fihrist, pag. 338, Schefer). 

(2) Non so se io abbia inteso a dovere l’oscura argomentazione, in 
arabo, del miscredente figlio di Zobeyr, cioè Kaab, che fu poeta come suo 
padre, e poi, fattosi musulmano, compose una celebre canzone in lode del 
Profeta. 

(3) È il celebre santuario alla Mecca che Maometto mantenne e rispettò 
pur atterrando di sua mano gl’idoli ivi già posti dagli Arabi. 

(4) Corano, 71, 22-23. Son parole poste in bocca a certi capi d’idolatri 
come rivolte da loro ai loro soggetti. Gli strani nomi son nomi d’antichi 
idoli dei quali si sa ben poco. 


IL TRATTATO PERSIANO « ESPOSIZIONE DELLE RELIGIONI », ECC. 225 


E in altro luogo dice: “ che vi pare di Al-Làt e di Al-Uzza e di Manàt, 
terzo fra loro? ., (1). Poichè Iddio altissimo ha rammentato qualche 
nome di tali idoli, noi pure rammentiamo il nome degl’idoli d’ogni tribù 
secondo che son rimasti noti, acciocchè sappiasi dal lettore che Suvà' 
era la divinità dei Benî Hudheyl (2), che Vadd era quella dei Benî Kalb, 
che Yaghùth era di quelli di Hamdaàn, Nasr dei Benî Kila‘; che, nel 
territorio di Himyàr (3), Yaùq era di quei di Madhig e del Yemen, e 
Dùmat al-Gandal (4) n'era il confine; che Lat era di quei di Thagîf, 
che, nel territorio di Tàif, Uzza era di quei di Qoreysh e di quei di 
Kinàna, che Manat era di quei di Aus, di Khazrag e di Ghassan. So- 
levasi porre nella Kaaba l’idolo di Hubal che era il maggiore dei loro 
idoli. Asàf, invece, e Naila li avevan posti in Safa e in Marva. Sa‘d 
era l'idolo dei re di Kinàna. Oltre questi ve n’erano altri molti, proprî, 
ciascuno, di ciascuna tribù, come ora abbiam detto. 

Invece, altre fra le tribù arabe professavano l’ateismo ed erano ta- 
taliste secondo che Iddio altissimo ha pur notato di loro nel Corano: 
“Non v'è altra vita se non questa del mondo. Noi moriamo, noi viviamo, 
e nulla ci fa perire se non il Fato , (5). Disse già un loro poeta, ne- 
gando la riunione dei morti per il giudizio finale e il giorno della ri- 
surrezione: 

Noi rivivrem! l’Apostol (6) ci assicura. 


Ad ossa e a cranì come mai si addice 
Vita futura? 


Alcuni altri poi fra loro adoravano gli Angeli e asserivano ch’essi 
sono le figliuole di Dio altissimo. Iddio, invece, dice: “Oh! Egli è 
ben più alto e più grande di ciò che affermano! ,. Iddio altissimo ha 
fatto menzione di loro dicendo: “ Essi attribuiscono a Dio delle figliuole! 
Ohi gloria a Lui! , (7). Altri, invece, credevano nella risurrezione come 
già ebbe a dire uno dei loro poeti: 


(1) Altri nomi d'’idoli. Corano, 53, 19-20. 

(2) Cioè dei figli (benè) di Hudheyl. Questo e i seguenti son nomi d’an- 
tiche tribù dell'Arabia centrale, tribù beduine. 

(3) Dell’Arabia meridionale. 

(4) Nome d’un castello a sette giornate da Damasco, detto dall'autore 
erroneamente (o è errore del copista) Rumat al-Gandal. 

(5) Corano, 23, 39. Parole poste in bocca a questi atei. Veramente il 
testo comune, in ultimo, ha: * Noi non sarem punto risuscitati! ,. 

(6) Maometto. i 

(7) Corano, 16, 59. “ Gloria a Lui! ,, nel senso ch’'Egli è superiore a 
tante favole. 


226 ITALO PIZZI 


Figlio mio, quand’io muoia e tu sollecito 
Provvedi al caso mio! 

Comodi arcioni manda e una cammella 
Appo il sepolcro mio. 

Al levarsi dei morti, io vo’ montarla 
Quando dirassi: Uscite, 

Uscite insieme tutti, all'assemblea 
Partecipi di Dio (1). 

Alcuni, tuttavia, furon di fede musulmana (2), e fra le tradizioni (3) 
trovasi pur questa, secondo cui fu già un uomo che chiamavasi Tobba* 
Ibn Koleybkarib di Himyar, anteriore al profeta Maometto (a lui la 
pace!), che pur credeva in lui e che, appunto in questo senso, aveva. 
composto certa poesia. Essa diceva: 


Testifico d'Ahmèd (4) ch’egli è di Dio 
L’apostol genuino. 

Se al viver suo toccasse il mio, sarei 
Suo ministro e cugino (5). 


Di tutti questi fu pure Quss Ibn Sàida Al-Iyàdi che fu giudice fra gli 
Arabi. Il Profeta (a lui la pace!) diceva: “ Io l'ho veduto, nel mercato di 
Okaz, montato su di un cammello rosso, ed egli pure predicava alla gente ,. 
Ma questo racconto è troppo lungo (6). Ci basti che il Profeta (a lui la 
pace!) ne fece l’elogio. Abù Qeys Sarma Ibn Abî Anas era dei Benî Nag- 
giàr. D’adorare gli idoli, non voleva saperne. Ridusse a moschea la sua 
propria casa e soleva dire: “Io adoro il Dio d’Ibràhîm , (7). Quando 
poi venne il Profeta (a lui la pace!), credette in lui ed ebbe alto grado 
nell’Islamismo (8). Che Iddio si compiaecia di lui! Khalid Ibn Sinàn era 


(1) Son versi di Khudheyma Ibn al-Eytham, da lui rivolti a suo figlio 
Saad (Sa'd) a modo di esortazione e di testamento. 

(2) Prima ancora dell’Islamismo. Cioè vi credettero in antecedenza e 
aspettarono un Profeta come i Patriarchi della Bibbia, aspettando il Messia, 
mostrarono di credervi. 

(3) Parole e sentenze del Profeta che non sono nel Corano, ma che, 
accertate da autorevoli mallevadori, hanno valore dogmatico per i Musul- 
mani. D’esse, in gran parte, è costituita la sunza o dottrina ortodossa, fon- 
damento della giurisprudenza musulmana. 

(4) Nome equivalente a quello di Muhammed o Maometto. 

(5) Nel senso di amico, consigliere, compagno. 

(6) Quss era un vescovo dei Cristiani del Negràn in Arabia, celebre 
per la sua eloquenza, divenuta proverbiale tra gli Arabi. Non era adunque 
musulmano. 

(7) Abramo Patriarca. 

(8) Aveva abbandonato il culto degl’idoli per farsi cristiano, ma poi si 
fece musulmano. È noto che, poco prima di Maometto, molti personaggi 
eminenti tra gli Arabi s'eran dati attorno per cercare una religione più 
razionale, stanchi omai dei loro idoli. 


IL TRATTATO PERSIANO « ESPOSIZIONE DELLE RELIGIONI », ECC. 227 


dei Benî Abs Ibn Bueyth (1). Anche prima del Profeta (a lui la pace!) 
egli ne professava la fede, mentre esso Profeta (a lui la pace!) non era 
ancor nato dalla madre sua quand’egli credette in lui. Fu ucciso, ma la 
figlia di lui, come vide il Profeta (a lui la pace!), gli credette. Anche 
Nabigha Ibn Abî Salb Al-Thagifi (2) non voleva saperne del culto degl’idoli 
e andava dicendo: “ Apparirà un Profeta, ed è prossimo il tempo della 
sua venuta! ,. Sahbàn (3) pensava d’essere egli appunto quel profeta, e 
però quando apparve l’Apostolo nostro (piacciasi Iddio di lui e gli dia 
pace!) e si rese pubblica la sua vocazione alla profezia, n’ebbe invidia, non 
volle credere e morì senza religione (4). Altri lesse nel cospetto del Pro- 
feta (pace a lui!) le poesie di lui, ed egli disse: “ Oh costui! La sua lingua 
è credente, ma il cuore n’è miscredente! , (5). Omar Ibn Nufeyl, Amir 
Ibn al-Zarb al-Advani il saggio, e Amr Ibn Yazîd al-Kalbi (6), questi tre 
desideravano che la durata della lor vita potesse protrarsi di tanto da 
giungere al tempo del Profeta (a lui la pace!) perchè essi potessero cre- 
dere in lui. Tutti e tre però moriron prima. 

Alcuni altri degli Arabi erano indovini, quali Satîh e Shiqg (7), e 
son noti a tutti i loro casi. Altri erano giudei come gli abitanti di 
Kheybar, e altri erano cristiani come i Benî Ghassàn e i Benî Thalab, 
e altri erano zoroastriani come i Benî Temîm e i Benî Abs. 

Poichè abbiam terminato di enumerar tutte queste opinioni reli- 
giose, esporremo ora, se Iddio eccelso e glorioso vorrà, le opinioni dei 
filosofi. 

i Opinioni religiose dei filosofi. — Aristotele, a proposito di Platone 
suo maestro, riferiva ch'egli era stato discepolo di Socrate. Il quale so- 
leva dire che opinione dei maggiori e più illustri filosofi che furon già 
i Savi del tempo antieo, quali Aghadîmùn, Hermes, Pitagora (8) e altri 
ancora, asserivano che Iddio altissimo è un Essere eterno, perfetto, in- 


(1) Il vero nome è Gheyth. Errore o dell'Autore o del copista. 

(2) Nome errato. Trattasi, invece, del poeta Omeyya Ibn Abì Salt, che 
da alcuni si crede cristiano. 

(3) Costui era reputato l’uomo più eloquente degli Arabi. 

(4) Senza religione vera, che, secondo l’Aufore; è la musulmana. 

(5) Parole in arabo, come le altre di sopra poste in bocca al Profeta. 

(6) Vedi, intorno a questi personaggi che ebbero alte cariche civili e 
militari, Caussiv pe PercevaL, Essai sur l Histoire des Arabes, I, p. 323; 
II, p. 259-262. 

(7) Satîh, celebre indovino, che visse, si dice, 300 anni. Shiqq predisse 
la venuta d'un profeta che avrebbe assoggettato tutti gli Arabi. 

(8) Aghadîmin è il greco ’Arafodaiuwy, il buon Genio, qui diventato un 
sapiente. Hermes, s'intende, è Mercurio, diventato anche lui un sapiente. 
Il nome di Pitagora è reso, nel testo, per Feythaqurs ‘ 


228 ITALO PIZZI 


defettibile, causa delle cause, origine delle origini, Essenza pura, facitore 
delle cose tutte, Iddio vero, tutto benefico, increato, non rappresentabile, 
incomprensibile, senza contrapposto, senza uguale, senza pari, non biso- 
gnoso di compagni. Reputavano esser dovere di ciascun uomo di favel- 
lare di Dio altissimo con l’atto della maggiore glorificazione ed esalta- 
zione, e ritenevano per necessaria l’abluzione con acqua dopo un bisogno 
corporale quando non ne venga danno alla salute, obbligo tuttavia per 
i sani in quanto conferisce al buono stato della persona. Stimavano 
esser cosa degna della gente per bene l’agricoltura e onoravano assai 
chi l’esercita. Avevano fra lor leggi e costumi quello anche dell’imparar 
le scienze e la sapienza (1). Non uccidevaîno alcun animale se non quello 
da cui vengon danno e offesa alla gente. Onoravano i principi e pagavan 
loro il decimo e il quinto delle rendite. La loro opinion religiosa era 
una credenza negli spiriti asserendo che l’Essere universale è uno spi- 
rito e che ogni spirito umano n’è una particella. Questo spirito, ch'è 
una particella, entra in un corpo umano per esservi purificato, indi ne 
esce e ritorna all’Essere universale. Quello che ne esce ancora impuro, 
resta nell’atmosfera e non può ritornare all’Essere universale (2). 
Opinioni religiose dei Giudei. — I Giudei s’accordano in ciò che 
il Creatore è uno solo; ma alcuni fra essi, in riguardo a Dio, sono an- 
tropomorfisti e professano l’antropomorfismo mentre altri non lo pro- 
fessano. Credono nella profezia di Mosè, di Aronne e degli altri profeti 
(a loro la pace!) che li precedettero, e credon pure in quei profeti che, 
come Giosuè e altri come lui, furon della religione di Mosè e di Aronne. 
Ma negan fede a Gesù e a Maometto (ad ambedue la pace!) e .credono 
nel libro della legge mosaica, nei salmi e nei diciannove altri libri di 


Dio (insigne la gloria sua!). — Opinioni dei Samaritani. Questi non 
credono che nella legge mosaica e in tre profeti: Mosè, Aronne e Giosuè 
figlio di Nùn (a loro la pace!) — Gli Andnei (8). Fu già un tale della 


famiglia di Davide (a lui la pace!) che era chiamato Anàni il pio; altri, 
invece, lo chiamava Aani (A‘ani). Attirò a sè molta gente dei Giudei. 
— I Pastorali (4). Questa setta ebbe origine da uno di essi Giudei che 
comparve fra loro e sì riprometteva di far gran cose. — L’Esilarca (5). 


(1) Scienze esatte e naturali, e scienze morali, Così all'ingrosso. 

(2) Gran confusione e disordine! Si vede che il nostro Autore e le sue 
fonti ne sapevan ben poco dei filosofi greci. 

(3) Non ho trovato nulla intorno a questa setta religiosa, e l'Autore 
mostra di saperne ben poco. 

(4) Chi sono? Ripeto ciò che ho detto nella nota antecedente. Il titolo 
della setta è arabo : A/-Ré4yyah. 

(5) È il capo dei Giudei nel Medio Evo in Oriente, detto con locuzione 
caldaica: Résh galàthà, cioè il capo degli esuli, esilarca. 


IL TRATTATO PERSIANO <« ESPOSIZIONE DELLE RELIGIONI », ECC. 229 


È questo il nome del Capo dei Giudei che credesi aver origine nella 
discendenza di Davide (a lui la pace!). Il segno peculiare di lui presso 
di loro si è ch’egli abbia tanto lunghe le braccia che la punta delle dita 
oltrepassi la sommità del ginocchio quand’ egli stende in giù le mani. 
— Habr. È questo il nome dei loro maestri (1). — Réhib. È un mo- 
naco (2). Il plurale, in arabo, dei due nomi è aQbar e rulbîn. I qissìs 
sono come i ruAbîn. Iddio altissimo dice: “ Hanno assunto per lor si- 
gnori lor rabbini e lor monaci , (3). — La Bibbia degli Ottanta (4). 
È la Bibbia per la quale un re de’ Giudei raccolse ottanta tra dottori 
e monaci e li richiese poi di tradur la Bibbia. Assegnò a ciascuno; per 
cotesto, un luogo separato. Quando poi quella versione fu al termine, 
sì trovò che gli ottanta interpreti s'accordavano perfettamente l’uno con 
l’altro e che non v'era differenza alcuna fra loro, I Giudei la dicono la 
Bibbia degli Ottanta, ne fanno una gran stima ed essa è per loro il loro 
giuramento più solenne (5). 

Opinioni religiose dei Cristiani. — Essi affermano che il Creatore 
è una Sostanza unica in tre Persone, e queste tre Persone distinguono 
così: Padre, Figliuolo, Spirito Santo (6). Si dividono in tre sètte: Gia- 
cobiti, Nestoriani, Melchiti. — Giacobiti. Questi provengono da un tale 
che aveva nome Yaqib (7), ma chi illustrò e dichiarò la dottrina di lui, 
fu un loro vescovo chiamato Matta Ibn al-Temîm Giacobita (8). Sosten- 
gono essi che il Creatore, sotto un aspetto, è eterno; sotto altro aspetto, 
è creato. Nella prima qualità, è una /@/hdt, cioè una Divinità; nella se- 
conda, è una néstt, cioè una umanità (9). Iddio altissimo è ben supe- 


(1) I Rabbini, ma la parola kabr è araba e significa sapiente. 

(2) Anche réhkib è parola araba. Si noti la confusione delle cose. Gli 
Ebrei non ebbero mai monaci, e r@hib designa sempre il monaco cristiano. 
Ma l'errore dell’Autore proviene da un passo del Corano, da lui citato e 
riferito appresso. Veggasi, inoltre, come egli attribuisca agli Ebrei anche 
i gissîs (parola d’origine siriaca, gashiîshà, lett. anziano, © TpeoRùtepoc), che 
sono i sacerdoti cristiani. / 

(3) Corano, 9, 31. 

(4) Altro strafalcione. È la Bibbia dei Settanta. E ne segue un altro 
maggiore, quello del re dei Giudei, promotore della versione. 

(5) Vedi CasreLLi, Gli Ebrei, pag. 196, che conferma questa grande 
stima da parte degli Ebrei per questa versione. 

(6) L'Autore riferisce nel testo, per designar le tre Persone della Tri- 
nità, le tre parole siriache usate dalla Chiesa cristiana d'Oriente, essendo 
la siriaca la lingua liturgica di questa Chiesa. 

(7) Giacomo, vescovo di Edessa nel 541. 

(8) Matteo, vescovo di Aleppo nella prima metà del VII secolo. 

(9) Altre due parole siriache sebbene alquanto storpiate. 


230 ITALO PIZZI 


riore a tutto ciò e più grande! (1). — Nestoriani. Questi provengono 
da un tale che era chiamato Nestorio (2). Asseriscono che il Figliuolo 
è nato dal Padre non per modo di generazione, ma come la luce pro- 
cede dal sole mentre il sole non scema mai di luce. Altri fra loro so- 
stengono che il Messia era un Essere (3) nel cui spirito era discesa la 
potestà angelica di Dio altissimo e la virtà di Lui, ch’Egli era dio e 
uomo, ungente insieme e unto, e che perciò appunto era detto il Messia (4). 
— I Melchiti. Questi provengono da un certo Malka (5), e la maggior 
parte dei Cristiani sono di questa setta dei Melchiti. Sostengono che il 
Messia è una unica sostanza pura quale entrò per un orecchio nel seno 
di Maria e ne uscì dal fianco destro, nè fece con essa alcuna azione men 
bella. Asseriscono perciò che lo Spirito Santo entrò in Maria allo stesso 
modo con cui entra l’acqua in un acquedotto, e che chiunque di noi si 
astiene da ogni cibo corporale, vede Iddio, di cui ben grande è la gloria! 
— Heykal (6). Così chiamano il luogo in cui vanno ad adorare, e in esso 
hanno dipinto le immagini dei Profeti e l’immagine di Gesù (a lui la 
pace !). — Lor modo di operare in riguardo alla religione e alla guerra. 
Le dignità più ragguardevoli presso di loro sono i Patriarchi (7), e ne 
hanno avuto sempre quattro, dei quali il primo risiede a Costantinopoli, 
il secondo a Roma, il terzo ad Alessandria, il quarto ad Antiochia, e 
chiamano cattedre (8) questi quattro luoghi. Il Metropolitano (9), invece, 
è da meno del grado di Patriarca, e la sua residenza è nell'Impero mu- 
sulmano, cioè a Bagdad, sede del Ualiffato. È soggetto al Patriarca di 


(1) Espressione (in arabo) di orrore per le cose dovute dire, da un 
musulmano, sul conto di Dio. 

(2) Eresiarca, patriarca di Costantinopoli nel 428, siro di nazione. 

(3) Così per congettura. Il testo ha una parola araba: nubdhat, fram- 
mento, particella, atomo. 

(4) È noto che Messia (ebr. mashîah) significa l’Unto di Dio. 

(5) Altro sproposito. Un Malka non è mai esistito, ma è nome siriaco 
per dire re, imperatore, e i Melchiti sono Cristiani scismatici d'Oriente che 
seguono i canoni del Concilio di Calcedonia, radunato nel 451 dall'impera- 
tore Marciano. Da ciò il loro nome. O forse la fonte siriaca da cui venne 
questa notizia, diceva soltanto malkkd, cioè l'Imperatore, e non altro; e la 
parola fu intesa come nome proprio. 

(6) Parola araba, ma venuta in arabo dal siriaco (XayX4). In ebraico, 
è pure Aékhal, tempio. 

(7) L'Autore confonde datrîg, patrizio, generale bizantino, con datrak, 
patriarca. Da ciò lo strano titolo del paragrafetto e la confusione in ciò 
che vi si legge. i 

(8) Così, alla lettera. S'intende chiesa cattedrale. 

(9) Il Metropolitano caldeo. Nel testo è detto Gathalig, cioè xaBo\xòc. 


IL TRATTATO PERSIANO <« ESPOSIZIONE DELLE RELIGIONI », ECC. 231 


Antiochia. Il Primate è soggetto al Metropolitano, e sua residenza è nel 
Khorassan, e da lui son creati i vescovi d'ogni paese (1). I diaconi sono 
i discepoli dei preti. L'Imperatore poi lo chiamano ora il grande del- 
l’Impero romano, ora il tiranno di esso, ora il cane (2). Bisogna ch'egli 
tenga seco dodici Patrizi (8), cioè dodici Generali, che comandano a do- 
dicimila uomini. Sei di essi stanno sempre al suo fianco, mentre gli altri 
sei vanno attorno per le terre dell’Impero. Il Turungaàr dipende dal Pa- 
trizio, e lo chiamano anche Fistiyàr. Ha con sè mille uomini a lui sog- 
getti. Il Qumis gli sta sotto, e ha al suo comando duecento uomini. 
Gli sta di sotto l’Istartig con quaranta uomini al suo comando, e a lui 
sottostà il Zauc che ha sotto di sè dieci uomini (4). 

Opinioni religiose dei. Magi (5). —. Fra le tradizioni trovasi pur 
questa secondo cui il Profeta (a lui la pace!) disse un giorno: “ Dovete 
riconoscere nei Magi una dottrina religiosa quale di gente che ha rice- 
vuto una rivelazione; ma non sposate le lor donne, non mangiate ani- 
mali stati uccisi da loro , (6). La loro fede è questa, ch’essi dicono che 
tutte le cose buone(7) vengono da Dio e tutte le cattive da Satana. Iddio 
altissimo essi chiamano Yezdàn, e Satana chiamano Ahriman (8). A ffer- 
mano che Yezdàn è eterno fin dal principio e che Ahriman è creato. Il prin- 
cipio del genere umano dicono esser venuto da Gayùmerth (9), e rac- 
contano che il Creatore, essendo sapiente, pensò a questa sua sapienza, 
e che da questo pensiero Ahriman ebbe origine (10). Oh! Iddio altissimo 


(1) Cosa strana che, nell’Iran più orientale, fosse allora e prima un 
arcivescovo cristiano da cui dipendessero i vescovi del paese. Ma forse la 
notizia è erronea. 

(2) Probabilmente altra confusione. O, piuttosto, il testo è guasto. 

(8) Vedi una delle note antecedenti. 

(4) L'Autore ha qui ricordato diverse dignità e cariche bizantine, cioè: 
il Ttatpikiog, il Apourfapioc, il Beotidpic, il Koung (il Conte, Comes), lo 
Zrtpatnyòc, il TZaovoroc. Quest'ultima è parola Ot caush. 

(5) Cioè dei seguaci di Zoroastro. A 

(6) Parole in arabo che l'Autore traduce nel suo persiano. Ommettiamo, 
s'intende, di ritradurre questa traduzione. 

(7) Aggiungo questa parola: buone, di cui manca la corrispondente nel 
testo. 

(8) È Anra Mainya, il genio del male secondo l’Avesta. Il Dio del bene, 
qui detto Yezdàn (Iadio), nell’ Avesta è Ahura Mazdào, cioè Ormuzd. 

(9) Il Gaya-meretan dell’Avesta, primo uomo. V. anche Firpusr, 12 Libro 
dei Re, vol. I, pag. 123-129 (della mia trad.). 

(10) Ciò si riferisce (senza che l'Autore, come pare, lo sappia) ad un 
postulato della setta zoroastriana dei Zervaàniti secondo i quali il Tempo 
Infinito (2ervine alkerene) esisteva a principio. Da un suo pensiero dubbioso 
fu prodotto Ahrimane. Ciò non è zoroastrismo ortodosso, ma l’ Autore 
l’ignora. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 16 


232 ITALO PIZZI 


è ben superiore e più grande di cotesto!(1). Onorano e venerano il 
Fuoco e gli prestano culto. Non offendono l’acqua, cioè non la intor- 
bidano d’alcuna cosa nè l’adoperano se non per bere. Fare allegria e ber 
vino reputano esser atto d’obbedienza a Dio. Inchinano il sole tre volte 
al giorno volgendosi verso quella parte in cui esso si trova. Quando 
mangiano, non dicon parola, ma pensano essere opera meritoria mormorar 
preghiere nel momento del mangiare. Si guardano dal toccar cadaveri. 
Credon leciti i matrimoni coi congiunti, con la madre, con le sorelle, 
con le figlie (2). Lapidano i sodomiti. Non pongono i morti nel sepolero, 
ma li espongono all’aria in certi recinti. Chiamano herbedh il sacerdote 
addetto in particolare al culto del Fuoco (3). 

Opinioni religiose di Zerdusht (4). — Dicono i Magi: “ Noi abbiamo 
avuto un profeta di nome Zerdusht che ci ha dato le nostre leggi e 
recato tre libri che si chiamano Zend, Pizend, Avesta , (5). Sono, in 
questi libri, certe parole oscure, ma molti di essi vi hanno apposto un 
commento e una interpretazione. 

Religione di Mazdak (6). — Fu già un tale che apparve al tempo 
di Qobad figlio di Fîrùzaàn (7), della città di Nasà, detto Mazdak. Si 
vantò d’aver la profezia; abrogò parte delle leggi di Zerdusht e voleva 
comunanza di beni e di donne. Molta gente gli credette, e sua massima 
era questa, che i beni e le ricchezze, in origine, erano in comune per 
tutti, e che anche ora dovrebbe esser così. Ma Anùshirvaàn (8), venuto 
a disputar con lui, lo confutò e fece morire. 

Religione di Mani (9). — Costui era maestro nell’arte della pittura 


(1) Solite esclamazioni in arabo di buon musulmano scandalizzato. 

(2) Questi matrimoni erano inculcati appunto dall’Avesta come opera 
meritoria. Cambise aveva sposato una sua sorella. L'uso, contro cui tuona- 
rono i Padri della Chiesa, procedeva dal desiderio di mantenere intatta da 
elementi stranieri la famiglia. 

(3) Asserzione erronea, perchè l’#erbedh persiano non è che l’aéthrapaiti 
dell’Avesta e significa maestro spirituale. 1l sacerdote del Fuoco è, invece, 
l’atharvan. 

(4) Cioè Zoroastro che è il Zarathustra dell’Avesta. 

(5) L'Avesta è il libro sacro di Zoroastro. Per Zend (erroneamente poi 
applicato da noi alla lingua dell’ Avesta) s'intende il commento. Dicesi Pàzend 
ogni testo pehlevico trascritto in caratteri avestaici. Ma l’A. sembra voler 
dire tutt'altro. 

(6) Vedi: E. Fr. De SaLres, Mazdac réformateur socialiste de la Perse 
Sassanide, Paris, 1840; e Spiecer, Eranische Alterthumskunde, II, p. 232. 

(7) Re di Persia dal 488 al 531 d. C. 

(8) Cioè anima immortale, soprannome di Chosroe il grande, re di Persia 
dal 531 al 578 d. C. 

(9) Manete, capo dei Manichei, penetrati nel Medio Evo fino in Occidente. 


IL TRATTATO PERSIANO « ESPOSIZIONE DELLE RELIGIONI », ECC. 235 


e apparve tra i Magi al tempo di Shapùr figlio di Ardeshîr (1). Si vantò 
di esser profeta, e per prova di ciò recava innanzi l’abilità sua nello 
scrivere e nel dipingere. Raccontasi ch’egli, sovra un drappo bianco di 
seta, tirò una linea in modo che, detrattone un solo filo del tessuto, 
quella linea non fu più visibile (2). Compose anche un libro con diverse 
specie di figure che si chiamò poi Arzheng i Manîì e che ora si trova 
nei tesori regali di Ghasna (3). La sua dottrina è quella stessa di Zerdusht, 
ed egli professava il dualismo. 

Religione dei dualisti. — Questi tutti sostengono Zerdusht avere 
affermato che due sono i Creatori; uno, la luce, che è il Creatore del 
bene; l’altro, la tenebra, che è il Creatore del male. Quanto di lieto, 
di splendido, di pio, di buono, v'ha nel mondo, va riferito al Creatore 
del bene, e quanto v'ha di reo, di turbolento, d’infermo, di tenebroso, 
va riferito al Creatore del male. Dicono però che ambedue i Creatori 
sono eterni fin dal principio. Stimano doveroso pagar la decima di ciò 
che ognuno possiede. Portano una veste per tutto un anno. Stimano ille- 
cito ritenere il cibo rimasto d’un sol giorno. Digiunano una settima parte 
della vita (4). Fanno quattro preghiere. Credono nel libro (5) di Adamo 
(a lui la pace!), in quello di Seth e in quello di Noè (a loro la pace!) 
e anche in quello d’un uomo d’India che chiamavasi Badavah (6), mentre 
il libro di Zerdusht era di Persia. Dicono che Mani è il suggello dei 
profeti (7). Onorano però grandemente questo Badavah. I Sabei hanno 
le stesse opinioni religiose (8). + Amneddoto. Al tempo di Al-Mamùn (9) 
avvenne ch’egli permise che tutte le religioni si disputassero in sua pre- 
senza. Si presentò allora anche un teologo che professava questa dottrina 
del dualismo, e venne a disputare in favore della sua fede. Comandò Al- 
Mamîùn di radunare tutti i teologi e dottori musulmani perchè disputas- 
sero con esso lui, ed egli, quando incominciò a parlare, disse: “Io penso 
che esista un Creatore del bene e uno del male, uno della luce e uno 


(1) Cioè Sapore I, re di Persia dal 241 al 272 d. C. 

(2) Espresso male per dire che, trattone quel solo filo di seta su cui 
Manete aveva tirato la linea, essa linea non fu più visibile. 

(3) Vedi: FLùceL, Muni, seine Lehre und seine Schriften, Leipzig, 1862 ; 
e SereceL, Eranische Alterthumskunde, MI, p. 195. 

(4) Così, mi pare, alla lettera; ma non son certo d’aver colto nel segno. 

(5) Credo si tratti di libri apocrifi. 

(6) Nulla ho trovato intorno a questo personaggio. 

(7) Cioè l'ultimo, talchè non ne verrà nessun altro dopo di lui. Espres- 
sione araba ‘khdtam al-nabiyyîna) che i Musulmani applicano, invece, a 
Maometto. 

(3) Confusione e spropositi su spropositi. 

(9) Califfo Abbasside. Vedi l’ Avvertenza premessa a questa traduzione. 


234 ITALO PIZZI 


delle tenebre. Di cose buone o ree d’ogni specie, di queste così opposte 
fra loro, è necessario che differente sia anche il rispettivo Autore, perchè 
la ragione non può ammettere che uno stesso Creatore faccia il bene e 
faccia anche il male ,. E seguitava a dire con simili argomenti. Da tutto 
il consesso, allora, si levò un grido: “O Principe dei credenti (1), con 
un uomo simile non si deve disputare se non con la spada! ,. Al-Mamùn, 
invece, stette qualche tempo in silenzio, quindi gli domandò: Qual'è 
la tua dottrina? ,. Rispose: “ La dottrina mia è che vi son due Crea- 
tori, uno del bene, l’altro del male, e l’azione e creazione di ciascuno 
son manifeste in ciò che quale d’essi crea il bene, non crea il male, e 
quale d’essi crea il male, non crea il bene ,. Disse Al-Mamùn: “ Cia- 
scuno dei due ha o non ha potere nell’azione sua? ,. Rispose: “ Am- 
bedue hanno potere, ciascuno nell'azione sua, nè un Creatore può esser 
mai impotente ,. Disse Al-Mamùn: “ Dunque nessuna impotenza s’insimua 
in loro ,. Disse: “ No. Come potrebbe un Ente a cui si presta culto, 
essere impotente? ,. Disse Al-Mamùn: “Gran Dio! Se il Creator del 
bene desidera che ogni cosa facciasi per lui e che il Creator del male 
non sia, ovvero se il Creator del male desidera che il Creator del bene 
non sia, possono essi toccare il fine di questo lor desiderio e intento, 
o no? ,. Disse: “ Non possono, perchè l’uno non ha potere sull’altro ,. 
Al-Mamîn disse: “ È manifesta adunque in ambedue certa impotenza, e 
l'impotenza non si addice alla Divinità ,. Il teologo del dualismo rimase 
confuso, e allora Al-Mamaùn comandò di metterlo a morte. Gli astanti 
gli fecer plauso (2). 

Opinioni religiose degl’idolatri. — Quantunque già avanti siasi fatta 
menzione degl’idolatri e siansi ricordati alcuni nomi degl’idoli che son 
più celebri fra gli Arabi, intendiamo assegnare un paragrafo a parte per 
trattarne, perchè non v'è gente più stolida di questa che con le mani 
proprie tagliasi o legno o pietra e ne fa una immagine e poi la prende 
per sua propria Divinità e l’adora. Le loro sette sono molte fra gli In- 
diani, fra gli Arabi e altre genti. Dicono che principio del culto degli 
idoli fu questo, cioè che Hosheng (3) ebbe già una figlia della cui bel- 


(1) Titolo assunto dai Califfi da Omar I (634-644 d. C.) in poi. 

(2) Non v'ha dubbio che questo è un ricordo, per quanto confuso e 
manchevole, d’una celebre disputa sostenuta appunto nel cospetto di Al- 
Mamùn da un sacerdote zoroastriano detto Abàlîsh. Se n’è conservato un 
testo in lingua pehlevica pubblicato dal BartRELEMY, Gujastak Abalish, re- 
lation d’une conférence théologique présidée par le Calife Mamoun, texte pehlvi, etc. 
Paris, F. Vieweg, 1887. Vedine una mia trad. ital. nel Bessarione (a. VII, v. II). 

(3) È il re di cui Firdusi (vol. I, pag. 129-133 della mia traduzione) 
racconta l'invenzione del fuoco e di molte arti. Nell’ Avesta è detto Haoshyanha. 


IL TRATTATO PERSIANO <« ESPOSIZIONE DELLE RELIGIONI », ECC. 235 


lezza egli erasi invaghito. La fanciulla morì ed egli comandò che se ne 
dipingesse l’immagine in un tempio. Andava poi ogni giorno a contem- 
plarla finchè gli venne necessità di far certo suo viaggio. Non potendo 
omai fare a meno di quella immagine della figlia, comandò che si facesse 
una statua conforme ad essa immagine; quindi, dovunque andava, la por- 
tava con sè. Quando venne il tempo suo ed egli morì, quest’uso dell’ado- 
rare immagini si sparse per il mondo (1). 

Affermano gl’Indiani che coteste immagini ch’essi si son fatte nei 
loro monasteri (2) e nei loro templi, son fatte per dar modo di avvici- 
narsi (3) agli Angeli e ai Pianeti rappresentati da essi nelle immagini 
stesse, e però le adorano. Secondo ciò che dicono, il Santuario della 
Mecca è sotto l’influenza di Saturno; quello di Nav-behar (4), in Balkh, 
sotto quella della Luna, e così nominano sette santuarî, ciascuno dedi- 
cato ad uno dei sette pianeti. Chiamano pertanto adoratori degl’idoli 
quelli che son dati al culto degl’idoli (5). Un giorno, ve n’eran pure 
fra gli Arabi, ma oggi, a gloria di Dio, non v'è presso loro altra reli- 
gione all'infuori della musulmana. Il Profeta (a lui la pace!) disse già: 
“ Non accoglierai nella terra degli Arabi due religioni! , (6). E però, 
necessariamente, gli Arabi son stati purificati d’ogni bruttura, e ciò per 
l'intimità con Dio e per l’intercessione del Profeta (a lui la pace!). Ma, 
in India, gl’idolatri son molti, e noi intendiam qui di accennare alla loro 
religione e alle loro sètte. 

Sette degl Indiani. — Niuna gente ha tanta perspicacia e tanto in- 
gegno per le cose anche le più opposte quanta ne hanno gl’ Indiani, 
perchè nessuno è che sappia la medicina, l’astronomia, il calcolo così come 
essì conoscon queste discipline. Di queste, anzi, la medicina in parti- 
colare e la conoscenza dei semplici e delle varie specie dei medicinali e 
dei veleni e dei contravveleni, e l'astronomia e fa scienza degli oroscopi 
.e dei pronostici (7), tutto ciò dall’ India è passato nel Khorassan e nel- 


(1) Nulla di questa fandonia nel Libro deî Re di Firdusi e nell’ Avesta. 

(2) Intendasi monasteri buddhistici (pers. behdr dal sanser. vihéra). 

(3) Termine del misticismo musulmano (arab. tagarrub) nel senso di 
elevarsi in santità come accostandosi a Dio. 

(4) Celebre tempio del fuoco a Balkh, già governato dai Barmekidi, 
nobile famiglia persiana che poi sì fece musulmana e diede ai Califfi Ab- 
bàssidi i suoi più gloriosi ministri. 

(5) L'osservazione è molto ovvia per non dir puerile. 

(6) Precetto attribuito dalla tradizione al Profeta ed eseguito poi dal 
Califfo Omar I discacciando d’Arabia Cristiani e Giudei. Il testo delle pa- 
role di Maometto è, s'intende, in arabo. 

(7) Se pure il testo va inteso così. 


236 ITALO PIZZI 


l'Iràga (1) e in altri luoghi. È poi tutta loro propria la scienza della 
fisiognomonia e del penetrare nel pensiero altrui a tal grado che fanno 
impazzire un loro nemico e lo fanno morire (2). Io ho letto, a questo 
proposito, molte storie e racconti, ma non v'è utilità alcuna nel riferirle, 
massime in questo libro. Il loro ingegno adunque e la loro scienza sono 
a questo punto, mentre la stoltezza loro in fatto di religione e di legge 
divina è di tal misura che una gran parte di essi è idolatra, ed essi, 
per i loro idoli, si ammazzano e si gettano nel fuoco. Credono nella 
profezia di Adamo (a lui la pace!) e alcuni anche in quella d’Ibràhîm 
(a lui la pace!). Altri negano il Creatore e sono fatalisti in religione. 
Altri adorano i Pianeti, e altri prestano culto a tutto ciò che si mostra. 
piacevole ai loro occhi. Altri professano la dottrina della metempsicosi, 
e affermano che l’anima umana da un corpo passa in un altro. Abù 
Zeyd il sapiente (3) dice che, nella lor lingua, idolo si chiama qdgalît (4). 
Essi poi si fanno illecita la carne, in particolare quella di bue, e molti 
di loro non bevon vino, anzi lo credono illecito. Ciò di cui si cibano, 
sono erbaggi, non carni. Tengon però molto alla lealtà e alla giustizia. 
I loro asceti diconsi Brahmani. 

La dottrina della metempsicosi. — Quelli che la professano, asse- 
riscono che tutte le anime umane sono tutte uguali e che la metempsi- 
così è di quattro maniere, cioè per trasmigrazione, per metamorfosi, per 
degradazione, per materializzazione (5). Per ogni anima che esce da un 
corpo umano ed entra in altro corpo umano, dicono che ciò è trasmigra- 
zione. Per ogni anima che esce da un corpo umano ed entra in un corpo 
di bruto, dicono che ciò è metamorfosi. Per ogni anima che esce da un 
corpo umano ed entra in un rettile della terra o in un insetto, dicono 
che ciò è degradazione; e per tutto ciò che entra in alberi o vegetali, 
dicono che ciò è materializzazione. Dicono infine che il mondo è infinito 
e divino (6) e che la punizione delle anime è in ragione delle colpe, 


(1) L'antica Mesopotamia. 

(2) Ora si direbbe per ipnotismo o per suggestione. 

(3) Abù Zeyd Ahmed, della città di Balkh, del secolo X d. C., autore 
d'un’opera storica: A4/-badé va ’I-tarîkh (titolo arabo), cioè: la Creazione e 
la storia. 

(4) Non so a quale vocabolo della sanscrita o di quale altra lingua in- 
diana corrisponda questo strano nome. 

(5) Non so se così vadano intese le quattro parole arabe (nask4%, mask, 
faskh, raskh, di strana assonanza) usate dall'autore nel suo persiano. Mi 
sono aiutato con ciò che viene appresso. Nè son certo che la traduzione 
mia: le anime umane son tutte uguali, vada bene. Il testo ha: în jinha yakîst, 
alla lettera: queste anime sono una sola (sì pronunci il j alla inglese). 

(6) È la dottrina panteistica indiana. 


IL TRATTATO PERSIANO « ESPOSIZIONE DELLE RELIGIONI », ECC. 237 


onde avviene che, se accade che muoia un violento, essi affermano che 
l’anima di lui entra in un giumento o in un topo o in una belva. Se 
invece il morto era di vita intemerata, l’anima sua entra in un uomo 
pio o diventa un Angelo. E questa è la peggiore di tutte le dottrine 
religiose. 

Religione dei Sabei. — Professano questa religione alcuni dell’Im- 
pero greco che si chiamano Sabei (1), e sabeo, nella loro lingua, signi- 
fica colui che passa da una religione all’altra (2). Tutti insieme però si 
dicono Sabei, ei loro capi furono Adani, Aghadîmùn, Hermes e Solano, 
che fu avolo di Platone da parte di madre 3). D’essi tutti ha trattato 
Abù ’l-Hasan Nuveyzi (4) nei suoi Compendi. Fanno tre preghiere al 
giorno: la preghiera dell'alba, quella della mattinata, quella della sera. 
Fanno alle stelle fisse adorazione di devozione spontanea, ogni giorno a 
quella stella a cui quel tal giorno è consacrato, come, per esempio, il Sa- 
bato che appartiene a Saturno (5). Il lor digiuno dura trenta giorni interi 
per ogni anno..... Ogni quattro mesi sacrificano un gallo in onore degli 
astri; versano il sangue del gallo in una fossa, ma ne ardono le ossa e le 
penne. Non mangiano carne di cammello, di pernice, di colombo, e nem- 
meno pesci. Ammettono la pena delle anime per le colpe commesse se- 
condo che già abbiam detto parlando della religione dei filosofi. 

Opinioni religiose dei Varmathi e dei Zindîg (6). — In ogni tempo 
sono stati uomini che, per leggerezza e stoltizia, hanno professato l’irre- 
ligione e hanno negato tutto. I Qarmathi appunto e i Zindîq e i Libe- 
rali (7) hanno pur tenuto parola per negare l’esistenza di Dio (che Dio 


(1) Erano, cioè, della Mesopotamia o dell'Arabia, ma soggetti a Costan- 
tinopoli. 

(2) Dev'essere una falsa etimologia volgare, tratta forse dall’arabo cadd, 
inclinar dell'animo ad alcuna cosa; ma erronea sempre. 

(3) Vedi una nota antecedente. Ma chi è Adani? 

(4) Chi sia questo scrittore, non so. Non c'è da pensare, per difetto di 
scrittura nel testo, a Nuveyri, posteriore all’ Autore di quasi tre secoli 
(m. nel 1332). 

(5) Che invece è un pianeta, non una stella fissa. Solita confusione di 
cose. Ma il testo probabilmente è guasto, massime in un passo che segue 
e che è inintelligibile, almeno per me, e però, al suo posto, ho messo dei 
puntini. 

(6) Qarmathi, contadini socialisti di Mesopotamia dell'VIII secolo, che 
volevano la division delle terre e la comunanza delle donne. Furon fatti 
sterminare dai Califfi. 

(7) Veramente si dovrebbe tradurre, se fosse in uso questa parola, 
Licitari, perchè la parola del testo ib@hatì è un aggettivo persiano formato 
sul nome arabo ib@hat che significa far lecito ciò che altri crede illecito. Io 
ho tradotto Ziberali nel senso cattivo di questa parola (come a dire i nostri 


238 ITALO PIZZI — IL TRATTATO PERSIANO, ECC. 


li maledica !). I Qarmathi si riferiscono ad un tale che chiamavasi Ahmed 
Tbn Qarmath (1), e i Zindiq a un Zindîq di Persia (2). Chiamano zindîg 
chiunque è della religione di lui (3). Così i Khurremdiîni (4) sono una 
setta che s'è data ai piaceri e al vivere allegro e fra tutte le religioni 
si hanno scelta quella che a loro è piaciuta di più, e i Liberali son pure 
di questa opinione, eccetto che sono anche più sfrenati degli altri eretici 
da che dànno in comune anche le loro famiglie. Gli altri poi son pure 
una sètta, che, per questa stessa via, nega la Divinità. 

I Sofisti. — I maestri di logica e di filosofia riferiscono nei loro 
libri che certi studiosi diconsi Sofisti, i quali credono che tutto ciò che 
noi vediamo, non abbia alcuna consistenza, ma ciò che vediamo nella 
veglia, sia uguale a ciò che vediamo nel sonno. Io poi, alla mia volta, 
ho udito che questo principio fu già posto dai maestri di logica, e che, 
in altri tempi, nessuno professò mai una simile opinione. 

Tali erano i postulati, in materia di religione, dei popoli anteriori 
all’Islamismo. Ebbero, come si vede, opinioni diverse. 


liberaloni). Aveva anche pensato di tradurre liberi pensatori, ma me lo ha 
vietato ciò che si legge appresso. Nè il tradur libertini andava del tutto bene. 

(1) Contadino di Mesopotamia a cui un settario di tra gl’Ismailiti in- 
segnò le dottrine socialistiche. Lo seguiron gli altri contadini. Vedi sopra. 
Ma questo punto storico è oscuro e controverso. 

(2) Errore. La parola zindîX pers. (zindig presso gli Arabi) viene dal 
greco YvwoTtikdòg e significa eretico. È noto che la filosofia gnostica, pene- 
trata da Alessandria in Siria e in Persia, vi ebbe molto seguito. 

(3) Ciò conferma la nota antecedente. 

(4) Settarî persiani (khurrem-din significa, in persiano, religione allegra; 
da ciò il loro nome) che si rivoltaron più volte ai Califfi, che poi li ster- 

—minarono. La loro setta sembra essere uno svolgimento di quella di Mazdak. 
Vedi sopra. 


L’ Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza dell’8 Febbraio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: Berruti, Naccari, Mosso, SPEZIA, 
Segre, Prano, JADANZA, Foà, GuarEscHI, FiLeTI, PARONA, 
MartiroLo, MorerA, GrASssI e CAMERANO, Segretario. 

Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente. 

Il Socio Gurpi scusa la sua assenza. 

Il Socio CAMERANO presenta a nome del Socio Barone An- 
tonio Manno le opere seguenti inviate dall’ Autore in dono all’Ac- 
cademia: A. L. Donnapieu, Professore alla Facoltà libera di 
Scienze dell’Università di Lyon: L’esl et l’objectif, Paris, C. Mendel 
Editeur; La photographie des objets immergés, Paris, Mendel éd. 

Il Socio NaccaRI presenta per l'inserzione negli Atti accade- 
mici le: Osservazioni meteorologiche fatte nell’anno 1902 all’ Osser- 
vatorio della R. Università, calcolate dal Dr. Efisio FERRERO. 

Il Socio Grassi presenta per l'inserzione nel volume delle 
Memorie accademiche un suo lavoro intitolato: Sugli effetti della 
dispersione e della reattanza nel funzionamento dei trasformatori 
a corrente alternata. La Classe all'unanimità dei votanti approva 


la stampa di questo lavoro nel volume delle sue Memorie. 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 17 


240 


Il Socio MorEeRA, a nome anche del Socio NaAccari, legge 
la relazione intorno alla memoria del Prof. Antonio GARBASSO, 
intitolata: Teoria elettromagnetica dell'emissione della luce; la 
relazione è approvata all'unanimità, e la Classe, pure a voti 
unanimi accoglie la memoria del Prof. GARBASSO per la stampa 
nel volume delle Memorie. 

Raccoltasi poscia la Classe in seduta privata, procede alla 
nomina di un membro della Giunta per il premio Bressa e di 
un membro della Giunta per il premio Vallauri, in sostituzione 
del Socio D’Ovipio nominato Presidente dell’ Accademia. Nella 
Giunta del premio Vallauri viene nominato il Socio Grassi e in 
quella del premio Bressa viene nominato il Socio Foà. 


V. BALBI - L. VOLTA — PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 241 


LETTURE 


Passaggi dei lembi della Luna e determinazione dell’ Ascen- 
sione retta del cratere Mosting A. osservati al Circolo 
meridiano di Torino negli anni 1901 e 1902 

da VITTORIO BALBI e LUIGI VOLTA. 


È noto come sia difficile osservare con precisione il pas- 
saggio del lembo illuminato della Luna; la difficoltà proviene 
per una parte dalle irregolarità della superficie lunare, per l’altra 
dall’ inesattezza del valore del diametro da impiegare nelle ri- 
duzioni. 

Per ovviare a questi inconvenienti il Maedler aveva pro- 
posto fin dal 1837 di osservare piuttosto un punto convenevol- 
mente scelto della superficie lunare. Se questa proposta non ha 
trovato l’ accoglienza che meritava è senza dubbio perchè la 
riduzione delle osservazioni di un cratere lunare sembrava cosa 
troppo delicata, a causa dell’insufficienza dei dati che si posse- 
devano a quell'epoca sopra la grandezza della librazione fisica. 

Ma quest’ostacolo non esiste più dopo le ricerche del Franz 
dell’ Osservatorio di Koenisberg, ed a questo proposito non 
sarà inutile un breve cenno sulla teoria della librazione fisica 
della Luna. 


È noto che se noi prendiamo a seguire le posizioni delle 
diverse irregolarità della superficie lunare, tosto ci si convince 
che la Luna rivolge sempre verso la Terra la medesima faccia, 
poichè le sue diverse particolarità conservano la stessa posi- 
zione rispetto al suo centro apparente. Ne consegue immediata- 
mente da questo fatto reso facilmente manifesto dall’osservazione, 
che la Luna, contemporaneamente al suo moto di traslazione in 
virtù del quale compie la sua rivoluzione intorno alla Terra, è 
pure sollecitata da un moto di rotazione intorno ad un asse che 


242 VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


passa per il suo centro, intorno al quale compie una rotazione 
in un tempo uguale a quello impiegato per compiere una rivo- 
luzione periodica. 

Questo è un fenomeno stato riconosciuto da lungo tempo, 
ma non è che dopo l’invenzione del cannocchiale, che si è potuto 
determinare le leggi della librazione, cioè a dire di quelle oscil- 
lazioni che la Luna pare subisca attorno al suo centro, e per 
la quale, nel corso di ciascun mese, essa ci nasconde e ci scopre 
alternativamente, verso i suoi bordi, qualche parte della sua 
superficie. Galileo fu il primo ad accorgersi di questi movimenti 
libratorî e, pure dandone una plausibile spiegazione, pare non 
ne abbia conosciuto che una parte, quella che si fa perpendi- 
colarmente all'eclittica e che si chiama librazione in latitudine. 
Heéveélius scoprì in seguito la librazione in longitudine; ma era 
riservato a Domenico Cassini di dare una spiegazione generale 
e completa di questo fenomeno. Egli trovò che si poteva sod- 
disfare a tutte le apparenze della librazione supponendo: 1° che 
la Luna roti uniformemente attorno ad un asse i cui poli, fissi 
sopra la sua superficie, sieno costantemente elevati sopra l’eclit- 
tica di 87° 30’ e sopra il piano dell'orbita di 82°30', e sieno 
sempre posti sopra un circolo massimo che giace nel piano del 
circolo massimo determinato dal polo dell’eclittica e dall’orbita 
lunare; 2° che la rotazione della Luna attorno al suo asse si 
compia nello spazio di 25 giorni e 5 ore, con un periodo eguale 
a quello del ritorno della Luna al nodo della sua orbita con 
l’eclittica. 

In seguito ad una serie di osservazioni di diverse macchie 
della Luna, fatte durante gli anni 1748 e 1749, il Mayer trovò 
che il piano dell’equatore lunare è inclinato sul piano dell’eclit- 
tica di 1° 29’, che la sezione di questi due piani è sempre ap- 
prossimativamente parallela alla linea dei nodi medî dell’orbita 
della Luna, in modo che il piano dell’ eclittica cade tra i due 
piani dell'equatore e dell’orbita della Luna, e che la Luna rota 
sopra l’asse del suo equatore d’ occidente in oriente, in modo 
che ciascun punto di quest’equatore ritorna al punto equinoziale 
lunare, in un tempo precisamente eguale a quello nel quale la 
Luna ritorna al nodo in virtù del suo movimento medio, cioè 
a dire nello spazio di 1 mese draconitico. (Queste determinazioni, 
a parte i valori numerici, s'accostano con quelle del Cassini. 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 243 


Tali sono le leggi della rotazione della Luna che il Cassini 
e il Mayer hanno dedotte dalle osservazioni, e che, essendo 
combinate con quelle del movimento attorno alla Terra, sono 
sufficienti per determinare in ciascun istante la porzione appa- 
rente del disco lunare. i 

Ma, come osserva il Lagrange, se la conoscenza di queste 
leggi basta per i bisogni dell’astronomia, l'astronomia fisica esige 
inoltre la conoscenza delle loro cause; e quest’ultima conoscenza 
è tanto più interessante, poichè darà i mezzi non solamente di 
constatare e rettificare le leggi già conosciute, ma ancora di 
scoprirne delle nuove. L'accordo dei nodi dell'equatore della 
Luna con quelli della sua orbita, e l'eguaglianza tra la rivolu- 
zione di questo satellite nella sua orbita rispetto ai nodi di 
quest’orbita, sono a rigore i fenomeni più singolari del sistema 
del mondo. Poichè dalla loro combinazione risulta che la durata 
della rotazione intiera della Luna deve essere perfettamente 
eguale a quella del suo tempo periodico; e di quest’'eguaglianza è 
evidentemente conseguenza necessaria il fatto che la Luna ci 
mostra sempre la medesima faccia. 

Ma la vera teoria della librazione della Luna si deve al 
Lagrange il quale nelle sue due memorie: 

1° Recherches sur la libration de la Lune, nella quale egli 
cerca di risolvere la questione proposta dall’Accademia Reale 
delle Scienze per il premio dell’anno 1764. 

2% Théorie de la libration de la Lune et des autres phéno- 
mènes qui dépendent de la figure non sphérique de cette planòte 
(“ Nouveaux Mémoires de l’Académie royale des Sciences et 
Belles-Lettres de Berlin ,, année 1780). 

Il Lagrange, in queste due memorie, e segnatamente nella 
seconda, diede le formule generali della librazione, deducendole 
dalle formule generali di meccanica per i movimenti rotatorî 
introducendo nel calcolo tutte le forze di attrazione che possono 
fare oscillare la Luna intorno al suo centro di gravità. 

Allo scopo di verificare le leggi del Cassini e le divergenze 
numeriche trovate dal Mayer, il Lalande intraprese a sua volta 
una verifica e trovò a sua volta dei valori un po’ diversi. Queste 
divergenze si spiegano facilmente data l’imperfezione degli stru- 
menti e dei metodi d'osservazione d'allora. 

Più tardi, nel 1806, furono intraprese dal Bouvard e dal- 


244 VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


l’Arago delle misure più precise allo scopo della determinazione 
della librazione reale. 

Su questo argomento intrapresero delle misure il Nicollet, 
il Kreil e lo Stambucchi; ma era riservato al Bessel di esporre 
un metodo di misure fondate sopra l’impiego dell’eliometro. 
Dietro l’eccitamento del Bessel, lo Schliiter intraprese una serie 
di misure eliometriche del cratere Mòsting A., che durarono dal 
29 aprile 1841 al 6 novembre 1843. Questa serie fu continuata 
dal Wichmann dal dicembre 1844 al gennaio 1846. 

L’Hartwig pubblicò poi, nel 1881, i risultati di misure ana- 
loghe fatte da lui stesso coll’eliometro di Strasburgo. 


Sulle misure dell’ Hartwig il Franz pubblicò nelle A. N., 
N. 2761, la sua prima memoria: Neve Berechnung von Hartwig's 
Beobachtungen der physischen Libration des Mondes. 

In questa memoria il Franz riduce nuovamente le osser- 
vazioni dell'’Hartwig ricavandone valori assai differenti. 

Più tardi il Franz pubblicò nel tomo XXXVII delle osser- 
vazioni di Koònigsberg la notevole memoria: Die Konstanten der 
physischen Libration des Mondes abgeleitet aus Schliiters Kénigs- 
berger Heliometer Beobachtungen (Koònigsberg, 1887). 

In questa memoria si prendono in esame le determinazioni 
del cratere Mòsting A., verificando dapprima i calcoli, prelimi- 
nari del Wichmann pubblicati nei tomi XXVII e XXXIII delle 
Osservazioni di Konigsberg e nelle A. N. 

Dapprima però il Franz prende ad esporre in modo com- 
pleto la teoria della librazione reale, sotto una forma più sem- 
plice di quella adottata dal Wichmann. Espone egli in seguito 
la determinazione delle costanti dell’eliometro, il calcolo delle 
coordinate x, y, del cratere, riferite al centro del disco, e quello 
delle coordinate selenocentriche che se ne deducono. La compa- 
razione di queste ultime coi numeri dedotti dalla legge di Cassini 
ha procurato le equazioni di condizione che hanno servito a deter- 
minare le correzioni 4) e 48 delle coordinate selenografiche del 
cratere e le correzioni dI e df dell’inclinazione dell’equatore e 
della costante f relativa ai momenti d'inerzia. 

Per una sintesi più completa di questa memoria, basta con- 
sultare la notevole Informazione storica del Prof. 0. Lorenzoni, 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 245 


che precede la Memoria del Dott. A. Antoniazzi, Passaggi dei 
lembi della Luna, e posizioni del cratere Misting A. osservato al 
circolo meridiano di Padova negli anni 1897 e 1898. 


L'importante Memoria del Franz offre non solo un interesse 
teorico, ma può servire, come fa notare l’A., di base ad un 
nuovo procedimento d’osservazione. Perchè difatti, in luogo di 
osservare sempre il bordo più o meno regolare del disco lunare, 
sì può prendere l’abitudine di puntare il cannocchiale sopra un 
oggetto facile ad identificarsi, come il cratere Mosting A., la cui 
posizione è oramai determinata con un’approssimazione più che 
sufficiente. 

L'ostacolo che s'opponeva a tale procedimento, cioè a dire 
l'incertezza sopra l’esistenza e la grandezza della librazione reale, 
può essere considerata come definitivamente eliminata; le costanti 
di questa librazione sono ora assai bene note perchè se ne possa 
tener conto nel calcolo delle effemeridi. 


Nei Ni 2917, 2927, 2948, 2952, 2966, 2973, 2994, 2997 
delle “ Astr. Nach. ,, sono date dal Franz istesso le effemeridi 
che determinano la posizione del cratere lunare Mosting A. 
per l'intervallo dal settembre 1889 fino alla fine del 1890 per 
mezzo della posizione selenografica 


\= — 5° 10' 19”.0, p= —8011'24”.0 


rispetto al centro del disco lunare apparente. 

Dopo il principio dell’anno 1892 le effemeridi sono apparse 
in appendice del “ Berliner Astronomischen Jahrbuch , pel 1894 
e seguenti. 

Queste effemeridi, come dice l’autore, sono date allo scopo 
di promuovere le osservazioni in meridiano del cratere lunare, 
e di rendere esenti le osservazioni della Luna dalle incertezze 
che scaturiscono: dall’ineguaglianza dei bordi, dall’insufficiente 
conoscenza di un raggio lunare medio, dalle equazioni personali, 
particolarmente messe in evidenza a Greenwich, circa l’apprezza- 
mento del contatto di un bordo lunare coi fili, e dall’irradia- 
zione variabile dovuta allo splendore dello sfondo. 


246 VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


Il Franz, perciò, s'augura che per mezzo dell’osservazione 
di questo cratere, di piccole dimensioni, luminoso, circolare, 
affatto paragonabile ad una stella, la Luna possa essere osser- 
vata con maggior sicurezza e minor fatica, che non per mezzo 
del contatto dei bordi. 

Le effemeridi forniscono inoltre il mezzo più conveniente per 
collegare, mediante l’eliometro, altri crateri col Mosting A., e 
determinare così le loro coordinate selenografiche. 

Il Franz poi nella sua Memoria: Darlegung der Ephemeriden- 
rechnung von Mosting A., espone brevemente i metodi di calcolo, 
principalmente pel fatto che questi hanno subìte varie sempli- 
ficazioni, benchè le basi siano rimaste le medesime. 

Per queste ricorda egli come la librazione « in longitudine, 
dI in inclinazione dell’ equatore lunare sull’eclittica, e 4% del 
relativo nodo sono date dalle equazioni 


\ u=+2'.2sino —0/4(m — n) + 0.3 sin2w 
“de dI = — 1’.6 cos(m — n) 
sin/d®5 = — 1'.6 sin(m — n) 


e termini più piccoli, che, computati dalla Terra non supe- 
rano 0.05. 
Quivi è 
© l'anomalia media del Sole 
m la longitudine media lunare 
Tr A del Perigeo dell’orbita lunare 


e quindi m — mt l'anomalia media della Luna; infine w=nm—S 
la distanza del Perigeo dell’ orbita lunare dal suo nodo ascen- 
dente sull’eclittica. Le grandezze sono ridotte all’equinozio ap- 
parente del giorno. 


I= 1°81'22".1 è l'inclinazione costante dell’equatore della 
Luna sull’eclittica,; 

£è = longitudine del nodo ascendente dell’orbita lunare, con- 
tata sull’eclittica dell’equinozio di primavera; 

65 == &+180°= longitudine del nodo ascendente della Luna 
contata sull’eclittica secondo la legge del Cassini. 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 247 
Sia inoltre, per uniformità di notazioni: 


i= l'inclinazione dell'equatore lunare sull’equatore terrestre; 

53' = la longitudine del nodo relativo contata dall’ equinozio 
di primavera; 

A=l’arco di equatore lunare tra l’equatore terrestre e l’e- 
clittica; 

e= obbliquità apparente dell’eclittica; 

m = longitudine media della Luna secondo gli Annuari; 

) e B la longitudine e la latitudine selenografiche del cratere 


(A=— 5°10/19"0  B=— 3°11'24”.0); 


a e d l’ascensione retta e la declinazione selenocentriche di 
esso cratere. 


Sia inoltre % l'angolo secario selenocentrico: 

cratere — centro della Luna — luogo d’osservazione; 
o= l’angolo visuale: 

cratere — luogo d'osservazione — centro della Luna; 


t=angolo di posizione del cratere al centro del disco lunare. 


Finalmente il Franz nella memoria citata pone: 


a, de 4 i valori affetti dalla parallasse dell’ ascensione retta 
e della declinazione e dal raggio lunare secondo le effe- 
meridi; 

0, e è, l’ascensione retta apparente e la declinazione appa- 
rente del cratere. 


Secondo (1) sono ora: 


+ BERT O +40, 


i valori, affetti dalla librazione fisica, della longitudine seleno- 
grafica del cratere, dell’obbliquità e della longitudine del nodo 
dell'equatore lunare coll’eclittica. 

Per determinare da questi la posizione dell'equatore della 
Luna rispetto all'equatore terrestre, si consideri il triangolo sfe- 
rico, i cui lati giacciono: $8' sull’equatore terrestre, 5 sull’eclit- 
tica e A sull’equatore lunare, ed hanno come angoli opposti 


248 VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


rispettivamente I, 180°—i, e. Rappresentano di, d 53, dA V'ef- 
fetto della librazione fisica su è, 6’ e A; si ha inoltre: 


ii=i+di G',= SÙ + dB, A, =A4+ dA. 


Si ottengono allora, pel calcolo di 2, $3', e A;, dal triangolo 
sferico alterato della librazione fisica le equazioni: 


'*‘sinAySinî, =  sinesinv, 
cosÀ, sinîij = — sine cos, cos /, + cose sin /, 
(2) così, = — sine cos 5, sin /, 4 cose cos /, 
cos 53, sini, = cose cos, sin/, + sine cos J 
sin$', sing; = . sin%; sin],. 


Si ottiene inoltre la longitudine selenocentrica \, del cera- 
tere, contato lungo l’equatore lunare dal nodo ascendente del- 
l’equatore lunare sull’equatore terrestre dalla: 


(3) \,=m+ 180°4 A, — G,+X4 . 


Nel triangolo sferico che ha per vertici: il luogo seleno- 
centrico del cratere, il polo dell'equatore terrestre, ed il polo 
dell'equatore lunare, ed in cui sono contrapposti a questi vertici 
i lati è,, 90°— B, e 90°— d; l'angolo al polo dell’equatore ter- 
restre è 90° + a — $8',, quello al polo dell’ equatore lunare 
90°— 4A. Si ha perciò per il calcolo di a e d: 


cos(a — 53',) cosd = cosf così, 
(4) < sinla — &',)cosd = cosf sin), così, — sinf sini; 
sind = cosf sin), sini, + sin 8 così. 
Considera finalmente l’A. il triangolo sferico coi vertici nel 
luogo selenocentrico del cratere, nel polo dell'equatore terrestre e 


nel luogo selenocentrico del luogo d'osservazione: a questi vertici 
stanno opposti rispettivamente i lati 9094 ò, KX e 90°—d, 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 249 


mentre gli angoli agli ultimi due vertici sono 180° a — a, 
360°— t. Si ricavano così t e K dalle equazioni: 


sint sinkK=  cosdsinla—a) 
(5) cost sin K = — cosd cos(a — a)sind + sind cosò 
cosk = — cosd cos(a — a) cosd — sind sinò, 


delle quali poichè K è sempre minore di 17°, le due prime sono 
sufficienti al calcolo. 

Nel triangolo piano del luogo d’ osservazione, del centro 
della Luna e del cratere si hanno, nei rispettivi punti gli an- 
goli 0, K e 180° — K — 0; il rapporto del raggio lunare alla 
distanza del centro della Luna al luogo d’osservazione è sinà. 
Si ha quindi: 

(6) sino = sinà sin(K + 0), 


o risolvendo quest’'equazione rispetto a 0: 


sin A sin A 
1— sinkceos A © 


tgg= 


Ora si ha esattamente: 


| sin(ag — a)cosdr = sino sint 
cos(ax — a) cosdyx = —— sino cost sinò + coso cos ò 
sindg =  sinocostcosò + coso sind, 


e, essendo 0, ax — 0, dg — è assai piccoli, si trova la riduzione 
al: centro del disco lunare da applicarsi alle osservazioni meri- 
diane del cratere Mosting A. della forma: 


o — ag = — Osint secdk 
(7) 


ò — dgr = — OCcOST 


e si trova così il luogo lunare per l'istante della culminazione 
del cratere, affetto dalla parallasse in è ed anche in a. 

In tal modo il Franz calcola le effemeridi delle “ Astr. 
Nach. , e le effemeridi pel 1892, nel “ Berliner Jahrbuch ,. Solo 
furono, invece delle soprascritte, adoperate formole equivalenti 
onde facilitare il calcolo logaritmico. 


250 VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


Il calcolo vale per l’istante della culminazione della Luna in 
Greenwich, che può ritenersi valevole per l’istante della rispet- 
tiva culminazione del cratere, poichè le variazioni della librazione 
ottica e fisica nel breve intervallo di tempo sono insensibili. 

Il Franz dà in seguito il modo per applicare le effemeridi 
in qualunque altro luogo. 


Tralasciando ora di parlare delle diverse modificazioni in- 
trodotte nelle effemeridi per gli anni 1895, 1896, 1897, pubbli- 
cate in Appendice al “ Berliner Astronomischen Jahrbuch , degli 
anni 1897, 1898 e 1899, ci limiteremo a far notare come l’Effe- 
meride per il 1895 si distingua da quella dell’anno precedente 
in questo, che invece di fornire le quantità a, — ox, di — di; 
da applicare alle a, è, osservate dal cratere alla sua culmina- 
zione al meridiano di Greenwich, onde ottenere le coordinate 
apparenti og, è del centro della Luna nell’istante della pre- 
detta culminazione, ed invece di dare a lato a quelle differenze 
i quozienti differenziali rispetto a @ del primo ordine per aq — % 
e di primo e secondo ordine per dr — di; essa dà le differenze 
ag — %, dc — è» Sempre per l'istante delle culminazioni a 
Greenwich, ma geocentriche, e, accanto ad esse, dà il logaritmo 
del seno della parallasse orizzontale equatoriale p, del cratere, 
con la quale, con il raggio p e con la latitudine @ si calcola 
la riduzione al centro della Terra di qualunque è, osservato 
sotto il meridiano di Greenwich. Naturalmente l’a, osservato in 
meridiano eguaglia l'a, geocentrica. Per un altro meridiano non 
si ha che a trasportare ad esso l’effemeride con la interpola- 
zione, prendendo per argomento di questa la differenza di longi- 
tudine con il meridiano di Greenwich e tenendo conto rigoroso 
delle differenze seconde. 

Per notare le ulteriori modificazioni e semplificazioni com- 
parse nelle effemeridi del 1896 e 1897, diremo che queste non 
sono più calcolate per il meridiano di Greenwich, ma invece per 
quello di Berlino; le effemeridi per gli anni 1898, 1899, 1900, 
1901, 1902, non presentano più nessuna differenza con quelle dei 
due anni superiormente citati. 

Le osservazioni meridiane del cratere Mosting A., s’inizia- 
rono col 2 agosto 1901 e furono alternativamente fatte, come 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 251 


si vede dalle note in piede della pagina, dal D" Balbi e dal 
D' Volta. 

L’istrumento adoperato è il circolo meridiano di Reichen- 
bach. Questo strumento ha la forma e le dimensioni di quello 
dell’ Osservatorio di Koenigsberg, descritto particolareggiata- 
mente dal Bessel nella VI sezione delle sue osservazioni. 

Questo strumento ha un circolo fisso del diametro di m.0.95 
diviso su argento di 3 in 3 minuti, il circolo alidada porta 
quattro nonii che, divisi in 90 parti, dànno per conseguenza i 
2 secondi. Il cannocchiale ha un obbiettivo di mm. 109,4 ed 
una lunghezza focale di m. 1,624; per uso dell’istrumento si 
hanno quattro oculari cogli ingrandimenti 60, 107, 129, 182; 
quello adoperato nell’osservazione del cratere Mésting è il 3°. 

Il cannocchiale è provvisto nel suo piano focale, di 9 fili 
verticali, e di due fili orizzontali tra i quali si porta l'oggetto che 
sì vuole osservare. 

La parte ottica è del celebre Fraunhofer, ed è notevole 
il potere penetrante del cannocchiale. 

Il meridiano nel quale deve rotare l’asse di collimazione 
del cannocchiale è stato fissato dal Plana con 3 mire. La più 
vicina è al Nord, a m. 223.215 dal centro del circolo, sopra un 
arco della chiesa del S. Sudario. La mira intermedia è a Sud, 
a m. 1895 dal centro del circolo, sui tetti’ del Castello del 
Valentino; la mira più lontana è al Sud, sopra le antiche mura 
che formano la cinta di un giardino di Cavoretto. 

Il Plana istitu una piccola triangolazione e trovò che la 
distanza di quest’ultima mira dal centro del circolo è di m.4488,91, 
ciò che corrisponde ad un arco terrestre di 146",1. 

Per gli errori d’inclinazione dell’istrumento si ha un grande 
livello a braccia, e per misurare l'ampiezza delle divisioni del 
livello esiste un verificatore della livella. 

N pavimento della Sala del Circolo Meridiano ha l’altitu- 
dine di m. 275,75 ed è a m. 86,171 al disopra delle soglie del 
portico del Palazzo Madama. La Sala è prossimamente cilindrica, 
col diametro di m. 7,10 e coll’altezza di m. 4,20. 

A questo circolo il Plana ed il Capelli, mediante osserva- 
zioni della Polare, determinarono la latitudine; in seguito de- 
terminarono la longitudine rispetto a Milano; osservarono inoltre 
dei passaggi meridiani di stelle fondamentali. Questa prima serie 


252 VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


x 


d’osservazioni è stata pubblicata in Torino nel 1828, sotto il 
titolo: Observations astronomiques faites en 1822, 1823, 1825 à 
l’Observatoire Royal de Turin. Queste osservazioni furono ese- 
guite dal 9 ottobre 1822 alla fine del 1825 (20 dicembre). 

In seguito quest’istrumento fu adoperato per la determina- 
zione del diametro orizzontale solare; questa serie d’osservazioni 
fu iniziata il 15 ottobre 1822 e fu continuata con diverse inter- 
ruzioni, sino alla fine del 1886. Dal 10 giugno 1901 si è riat- 
tivata nuovamente quest’operazione, col proposito di stabilire una 
serie di osservazioni a termini continui. Inoltre lo strumento servì 
all’ osservazione meridiana di stelle per la determinazione del 
tempo, e servi pure al Dott. Aschieri per le sue osservazioni 
sul cratere Mòsting A. pubblicate nel n° 3037 delle “ Astr. Nach. ,. 

Certamente le condizioni presenti del Circolo di Reichenbach 
non sono tali da permettere determinazioni di posizioni, ma, nul- 
lameno, imitando l'esempio di altri osservatori che non dispon- 
gono di strumenti migliori, furono in questo tempo intraprese le 
seguenti osservazioni : 

1° Determinazione del tempo, 

2° Determinazione del diametro solare, 

3° Osservazione di stelle di culminazione lunare, osser- 
vazioni del bordo illuminato della Luna ed osservazione del cra- 
tere Mosting A. 

Le osservazioni di cui pubblichiamo i risultati in questa 
nota comprendono tutte quelle fatte dal 2 agosto 1901 al 16 no- 
vembre 1902: sono in numero di 55, tante quante le condizioni 
del cielo permisero di effettuare: in questo periodo quelle in cui 
il numero delle stelle di culminazione lunare non arrivasse a 2 
furono escluse come incomplete. 

Sebbene le condizioni sopraddette del Circolo meridiano non 
ci abbiano consentito di rendere complete queste osservazioni 
colle misure di declinazione, tuttavia crediamo opportuno di por- 
tare il nostro modesto contributo al già abbondante materiale 
in argomento, sia pel carattere di continuità delle osservazioni, 
sia per le cautele e la cura con cui esse furono condotte allo 
scopo di poter ottenere i migliori risultati che l’istrumento ci 
potesse dare. 

Perciò contemporaneamente alle stelle di culminazione lu- 
nare si osservò sempre un numero sufficiente di stelle, atte a 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 253 


fornire con bastante sicurezza gli errori istrumentali e la cor- 
rezione dell'orologio: l'errore d’inclinazione si deduceva colla let- 
tura delle livelle sopraddette, in principio ed in' fine dell’osser- 
vazione. Solo nel caso di osservazioni comprese tra due contigue 
si ritenne legittimo di poter rinunciare ad un’ apposita deter- 
minazione di tempo. 

Le stelle di culminazione lunare osservate sono tra quelle 
portate dal Nautical Almanac e dalla Connaissance des Temps; 
alcune furono tolte dal Catalogo del Berl. Jahrbuch; una sola dal 
catalogo fondamentale dell’A. G. che si trova nell’annata 1901 
del B. A, I. 

Per le posizioni loro si fece ricorso naturalmente alle effe- 
meridi date da questi Annuari: noteremo solo che nel caso di 
posizioni comuni al N. A. ed alle C. d. T. preferimmo, per va- 
lori differenti nei c®' di secondo, quelle del primo: nel caso di 
posizioni comuni anche al B. A. I. si adottarono queste ultime, 
effetto delle correzioni dell’Auwers. 

Si procurò altresì che le serie di stelle di culminazione 
lunare si collegassero, quand’era possibile, una sera coll’altra, 
per modo che le ultime osservate una sera entrassero tra le 
prime da osservarsi la sera seguente, come appare nelle tavole 
che seguono. Nella preparazione del programma di osservazione 
si procurò di ottenere la maggior simmetria nella disposizione e 
nella distribuzione sia delle stelle per la determinazione di tempo, 
sia per quelle di culminazione lunare, per modo che l’istante del 
passaggio in meridiano della luna fosse prossimamente l’istante 
medio dei passaggi delle une e delle altre. 

Le stelle di culminazione lunare naturalmente servirono 
anche da stelle orarie nel calcolo della determinazione di tempo, 
e, quando si prestarono, entrarono esse stesse nella deduzione 
degli errori istrumentali. 

Le riduzioni al filo di mezzo furono eseguite separatamente 
per ogni appulso, escludendo quelle stelle per le quali la ridu- 
zione al filo di mezzo, per le cattive condizioni di osservazione 
o per altre cause non dessero un accordo soddisfacente : così 
furono eseluse quelle per le quali non fosse stato possibile dare 
un numero sufficiente di appulsi. 

Seguendo il metodo tenuto dal Dr. Antoniazzi, nella citata 
memoria, le riduzioni si fecero nel modo seguente. 


254 VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


Dal tempo del passaggio di ciascuna stella confrontata colla 
ascensione retta ricavata dal catalogo originario, col mezzo della 
nota formola di Mayer 


a=T+k+ bi + ae + ce 


si ottenne nella Tab. I un valore della correzione dell’orologio. 
Mediante le due formole i 


1- psenTcos(p — d) 1- psentcosgsecò 
(1 — Meosd La di icon Lal (m+ntgd'4 csecd') 


si sono ridotti i tempi registrati dei passaggi del cratere per i 
fili del reticolo al filo di mezzo e la riduzione al meridiano. 

Nella Tab. II si trova l’ascensione retta del cratere ottenuta 
dal tempo del suo passaggio e applicando la media delle corre- 
zioni dell’orologio determinate nella sera; lo stesso procedimento 
sì seguì per la riduzione delle osservazioni del lembo lunare. 

Dalla ascensione retta del cratere, determinata nel modo 
sopra descritto, si ottenne poi l’ascensione retta geocentrica del 
centro della luna, per l'istante del passaggio del Mésting A., 
aggiungendo a quella la differenza ag — o desunta con la in- 
terpolazione nell’effemeride di Mosting A. 

Aggiungendo o togliendo, secondo che trattavasi del primo 
o del secondo lembo, il tempo del passaggio del raggio della 
luna dato nelle effemeridi lunari, si ottenne l’ ascensione retta 
della luna come desunta dall’osservazione del lembo. 

Il valore risultante corrisponde all’ istante del passaggio 
del centro della luna. 

I valori O — C che si trovano nella Tab. III, sono il risul- 
tato dei confronti con le effemeridi contenute nella Connaissance 
des Temps: rappresentano quindi gli errori delle Tavole origi- 
narie di Hansen. Sottraendo da quelli i valori della correzione 
di Newcomb, che si estraggono nelle Tabelle date dalla C. d. 7., 
si hanno i valori 0 — €, che si otterrebbero confrontando di- 
rettamente le osservazioni con le effemeridi del Nautical Almanac. 


Le osservazioni nell’anno 1901, del 2, 24, 27, 28, 31 Agosto, 
del 28, 29, 30 Novembre; 1, 30, 31 Dicembre; e nell’anno 1902, 
quelle del 17, 18, 19, 20, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30 Marzo; 23, 24, 
25 Maggio, sono state eseguite dal Dr. Balbi, le altre invece 
lo furono dal Dr. Volta. 


255 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 


6. 
708 
Dpee — 


928 
gog = 


666 

cO°07T 

09°0I 
BOL = 


668 
cc 8 
018 
RERSG. — 
60°L7 
Db INCI — 


L8"SF 

GV'SF 

TESS — 
s_ uu 


0180[010,[19P 
QUOIZIIIO) 


e “n 


‘011998 OIT9P IUOIZEAJOSSO eTTEP 0F9OPep 0180]030,[[9p IUOIZe1IO) — ‘] ‘AVI 


PL'98 EP L91 60°8F St 9 umiostq 9 

03'1% 26 31 GL'L6 6% WMIOST]T TS 

089 60 ZII + 7: GIO UMIOSIT GE ‘ 0gs08y 1g 
8I°8 8 FRI OT'ST 0 37 9°G menby 0g 

Ee'9T-Pe1% 891 + PR'8C 9 I 9 Imenby A ‘ 09S08Y 97 
96€ 8 SL ib TE G9 IT "W888o 

98°9I F IZ OL'T 895% 9 IZ 9 Inenby A 

ISF 87 891 824 0g D V*d' 2802 

68'8I ZI 07 ET + OL'8% FI 07 uiootIdE) » ‘ 098087 1% 
GL'9% e t8°0 8958 97 LG ‘0 ‘VA 4839 

I8I8 61 970 2368 1% ST 6% IIVNSEg 17 

89°88 LE 330 9STF 68 rado) 8g 

POL STILI t60 + R&:ep DELI PuNYdO 3 ‘ qSOSy 5% 
89°0% 230 #00 + 89° 61 JRE UMIOSIT TS 

PISS To ec ei LT FIO 0°S UDIOSIT © ‘ 0gs08y g 
« GL'83 18 87 30 I8°6 730 9°G UMIOSIT OL 

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VBYJOI QUOISUIISY pig 


18 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 


VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


256 


| 60'69 0678 87 196 PI CE 88 
G0°6S 090.17 69°6 6855 06 

| 96:89 G9°0F_ 96 98/6 68/26 91 6 

|  TO'89 96/23 6 6 786 T9'°FC 6G 

i = T0F99 02°8. 69 06°6 68'S 67 

1 68806 + OF6r 268 0606 = 6597 408 
76 GG EE Lo C 6 IT 6696 IS 
18°GG 6978 69 677 668 67 
68/6G LE 67 269 GY 9687 108 
pESSO + 6P9G GGL 997 + GO'9G GT L 
G819G 88096 ISL 9T°8 2896 IFL 
62°9G 8661 8S SPE OT'6I 87 
T8'9S6 1 60'SF 969 L6'8 TO'S7 979 
G6'S8 OT'FE IF | F6I IG9G OP 
88/66 9GGG Te i FI 68/21 IG 
98°G6 cL9 GI 66 661 66/8 SI 66 
L8'68 9CLE GS (GARA! 09°6S FS 
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257 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 


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L4"96 8966 06 7a0 19786 G6 OT LATO. 
L9°96 09°89 GG L9°0 OG'FE SG 96 Doha 
6996 LL'TG LI GO I8/2S 61 07 LWEL 9 
6196 60'8F FI 9e°0 CEE LI 6° o8LtT NQ 769 
LE96G — GBL SEE c90 + P8'09 466 io 
GL'96 IG'EC 06 65°0 L0°89 66 OT DSL 
GC'9E 8489 GG c9°0 ITFE SG VE DIO 3 
GG9E GL'TG LI 09°0 0729 6I 0% HRET € 
GV96 L0'8F FI 7 c9°0 0666 LI P 679 o8I + "N'O #39 
1696 TORE Sd 19°0 POS 29 ‘O VA OF4I 

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GG'9E PE GE SG peo G08 86 une], / 
TG'96 IT 68 IG c9°0 06° PE 99 "9 Va 7901 
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geco EjZOI QUOISUISY odusy, 
‘T'AVI 2699 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 


269 


Tav. II — Ascensioni rette osservate del cratere Moesting A. 
e ascensioni rette dei lembi. 


Data 


1901 
2 Agosto 
3 


» 


DI 
<% 
SS it 


1° Settembre 


24 Ottobre 


1° Novembre 


28 È 
29 È 
30 a 


1° Dicembre 


30 si 

31 J 
1902 

17 Gennaio 

18 ? 

19 È 

20 j 


Oggetto 
osservato 


Tempo 
dell'orologio 


Moesting A 
Moesting A 
Lembo E 

Moesting A 
Moesting A 
Moesting A 
Moesting A 


Moesting A 
Lembo E 


Moesting A 
Lembo E 


Moesting A 
Lembo E 
Moesting A 
Lembo E 
Moesting A 
Lembo E 
Moesting A 
Lembo E 


Moesting A 
Lembo E 
Moesting A 
Lembo E 
Moesting A 
Lembo E 


Moesting A 
Lembo W 
Moesting A 
Lembo W 
Moesting A 
Lembo W 
Moesting A 


het nta 


58.55 
37.58 
42.17 
20.92 
22.77 
50.75 
59.45 


0.82 
4.09 


34.11 
26.79 


59.78 
56.01 
34.63 
33.10 
15.40 
12.80 
94.52 

9.21 


5.78 
0.41 
46.54 
41.50 
7.47 
2.18 


4.82 
38.38 
53.20 
43.74 

1.54 
48.67 

8.58 


(bitaz+ ce) 


2071 
0.43 
0.43 

+ 0.25 
1.63 
1.79 
1.01 


+ 1.00 
1.00 


+ 1.83 
1.83 


+ 3.40 
3.40 
3.32 
3.32 
4.69 
4.69 
3.90 
3.90 


+ 8.76 
3.76 
0.64 
0.64 
0.98 
0.98 


+ 0.28 
0.88 
0.88 
0.63 
0.63 
0.63 
0.63 


Correzione 
dell'orologio 


, Ascensione 
retta 
osservata 


m 8 
— 52 45.81 


+10. 1.82 
10 1.82 
12 8.26 
12 8.26 
12 15.67 
12 15.67 


+14 4.79 
11 35.67 
11 35.67 
11 31.25 
11 31.25 
11 26.54 
11 26.54 


Ss 
12.08 
90.17 
04.81 
13.00 
14.14 
43.56 
02.45 


veg 
22 58 
23 47 
23 48 
17 58 
20 39 
21 34 

022 


120 
121 


94.56 
57.83 


29 25 
23 26 


11.80 
4.48 


744 
745 
717 
7 18 
817 
8 18 
915 
tz 


97.54 
33.42 
34.77 
33.24 
15.92 
12.82 
57.38 

8.07 


11.86 

5.99 
05.44 
50.40 
23.92 
18.88 


(10 5 
10 6 
1128 
1124 
1212 
12 12 


9.89 
14.43 
29.25 
15.62 
33.41 
15.84 
35.75 


(Dai 


UT Ot + CON 
DIAMO 


270 


Data 
1902 
21 Gennaio 
25 f: 
07 Fi 
28 £ 
29 P 
18 Febbraio 
22 Ls 
25 a 
17 Marzo 
Rcs £ 
19 A 
20 È 
2400, 
25 5 
26 fl 
27 È 
28 î 
29 È 
30 È 
16 Aprile 
15 Maggio 
197 h 


VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


Segue Tav. ILL 


Oggetto Tempo .|;z. 
dossiftaio Hall'izilonio (bit-aet-ce) 
Hi 1 
Lembo W 555 17.96| + 0.63 
Moesting A| 556 38.32 0.63 
Moesting A| 953 29.92 0.56 
Lembo E 954 27.96 0.56 
Moesting A|11535 46.44 0.61 
' Lembo E 936 42.48 0.61 
Moesting A |1224 48.25 1.57 
Moesting A | 1313 24.87 1.63 
Lembo E |1314 20.46 1.63 
Moesting A| 681 55.16 | + 1.59 
Moesting A | 1018 87.50 1.53 
Lembo E |1019 35.86 1.53 
Moesting A |11 9 51.82 1.57 
Lembo E |1110 48.89 1.57 
Moesting A| 610 28.35| — 0.14 
Moesting A| 710 17.38 0.26 
Moesting A| 8 7 46.64 0.34 
Moesting A| 9 2 49.48 0.50 
Moesting A |1226 23.72 0.38 
Moesting A | 1815 51.08 0.71 
Lembo E |1316 47.69 0.71 
Moesting A 14 5 38.44 1.08 
Lembo E |14 6 35.50 1.08 
Moesting A | 1455 58.97 2.05 
Lembo E 1456 57.15| 2.05 
Moesting 15 46 55.57 2.01 
Moesting A | 1688 23.26 1.55 
Lembo E |1639 24.52 1.55 
Moesting A | 17 380 12.01 1.56 
| Lembo E 1781 15.09 1.56 
Moesting A|1745 1.26| — 0.94 
Lembo W |1087 13.18] — 1.24 
Moesting A |1038 26.32 1.24 
Lembo W |1216 8.47 1.42 
| Moesting A | 1217 19.48 1.42 


Correzione 
dell’orologio 


m g 
(+ 14 32,50 
14 82.50 
14 58.83 
14 58.88 
15 11.63 
15 11.63 
15 16.74 
15 22.34 
15 22,34 


17 48.69 
17 48.69 
17 56.13 
17 56.183 


| 4 19.55.66 
19 59.72 
20 3.14 
20 6.35 
20 22.44 
20 26.68 
20 26.68 
20 30.01 
20 30.01 
20 32.88 
20 32.88 
20 85.34 
20 37.79 
20 37.79 
20 41.07 
20 41.07 


\ 4 2112.54 


— 327.48 
3 27.48 
3 26.39 
3 26.39 


+ 17 22.78 | 


Ascensione 
retta 
osservata 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 


Segue Tav. II 


271 


- Ascensione 
Oggetto Tempo 4 Correzione 
Data osservato dell'orglagio (bitazt-ce) dell'orologio Fota 
osservata 
1902 Li ReNDIG; ms h mes 

19 Maggio Lembo: W -.| 18.58-29.08.| —. 1.56... |— 832427 |1350 3.25 

Moesting A |1354 39.74 1.56 3 24.27 |13 51 13.91 

7-2 Saba Moesting A |1625 36.54 1.59 3 23.56 | 16 22 11.39 

Lembo E 16 26 35.24 1.59 3 23.56 | 16 23 10.09 

ade, Moesting A | 1717 19.50 1.68 3 24.57 | 17 13 53.25 

Lembo E 17 18 19.91 1.68 3 24.57 | 17 14 53.66 

ca Moesting A|18 9 5.90 1.74 325.01. 18.5 39.15 

Lembo E 1810 7.88 1.74 325.01 | 18 6 41.18 

morto, Moesting A|19 0 39.22 1.68 3 25.69 | 18.57 11.85 

Lembo E 19 1 42.96 1.68 3 25.69 | 1858 15.59 

14 Giugno Lembo W |1249 8.25] — 2.81 |— 8 8.14|1245 57.30 

Moesting A |1250 20.25 2.81 . 3 8.14|1247 9.80 

#65 —, Lembo W |16 0 44.06 2.74 |+ 340.10 16 4 21.42 

| Moesting A |16 1 55.56 2.74 340.10 | 16 5 32.92 

i, Moesting A | 1836 51.40 1.74 3 55.11 1840 44.77 

Lembo E 18 37 53.35 174 355.11 | 1841 46.72 

d. , Moesting A | 1928 12.49 1.70 4 0.80 1982 11.59 

È Lembo E 1929 15.80 1.70 4 0.80 1933 14.90 
i 

15 Novembre | Moesting A| 341 40.64| +0.61 | — 236.81| 339 4.94 

1 Lembo E 942 47.37 0.61 236.81 | 340 11.67 

N16 3 Moesting A| 447 0.61 0.58 256.60 | 444 24.59 

Lembo E 448 6.46 0.58 236.60 | 445 30.44 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 19 


VITTORIO BALBI — LUIGI VOLTA 


272 


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| 


278 


PASSAGGI DEI LEMBI DELLA LUNA, ECC. 


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276 


Relazione sulla Memoria del prof. Antonio GarBasso, inti- 


tolata: Teoria elettromagnetica dell'emissione della luce. 


Il prof. GARBASSO immagina la perturbazione elettromagne- 
tica, che propagandosi per onde costituisce la luce, generata da 
un oscillatore complesso, e' cioè, da un oscillatore costituito da 
più corpi conduttori elettrizzati, comunque congiunti da fili con- 
duttori, lungo i quali hanno luogo scariche oscillatorie. 

Ammesso per semplificazione che i corpi conduttori non 
esercitino influenza gli uni sugli altri e che i fili conduttori non 
abbiano capacità, lA. svolge matematicamente la sua concezione 
e mostra come un tal oscillatore possa emettere vibrazioni ele- 
mentari le quali presentano tutte quelle particolarità, in rela- 
zione colla costituzione molecolare od atomica dei corpi, che 
l’analisi spettrale della luce ha rivelato. 

Specialmente degno di menzione è il risultato cui giunge 
PA. come dall’affaceiarsi di sistemi identici nasca una pertur- 
bazione nell’oscillazione propria a ciascuno di essi, la quale si 
manifesta collo scindersi della corrispondente riga spettrale in 
più righe. 

La novità e l'interesse che offrono questi studî, a parere 
dei sottoscritti, raccomandano all'Accademia l'accoglimento della 
memoria del prof: Garbasso nella raccolta delle memorie acca- 
demiche. 

A. NAOCARI, 
G. MorEraA, Relatore. 


L’ Accademico Segretario 
LorENZO CAMERANO. 


277 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 15 Febbraio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Pevron, Vice-Presidente dell’ Acca- 
demia, FERRERO, Direttore della Classe, MANNO, BOLLATI DI SAINT- 
Pierre, CARLE, Brusa, CHiRrONI e CrpoLLa ff. di Segretario. 

Il Presidente apre la seduta ricordando la morte della 
madre del Socio Segretario RENIER, e aggiungendo che inter- 
prete dei sentimenti della Classe, presenterà le dovute condo- 
glianze al Socio stesso. i ; 

Nel tempo medesimo invita il Socio CrpoLLa ad assumere, 
per la seduta odierna, l’officio di Segretario. 

Letto il processo verbale della seduta precedente, risulta 
approvato. 

Sono presentati dalla Presidenza i seguenti volumi giunti 
in dono: E. Cars pi PirrLas et Gustave SarcE, Chartrier de 
l Abbaye de Saint-Pons hors les murs de Nice , publié par ordre 
de S. A. S. le prince Albert I" de Monaco (Imprimerie de Mo- 
naco, 1903) e Uberto Govone, I generale Giuseppe Govone: 
Frammenti di memorie (Torino, F. Casanova, edit., 1902). Si rileva 
l’importanza dell’ una e dell’altra opera, notando che la prima 
di esse fu regalata da S.A. S. il principe di Monaco. 

Il Socio FERRERO presenta, con parole di elogio, un volume 
di Luigi CANTARELLI, che si intitola: La Diocesi Italiciana da 


278 


Diocleziano alla fine dell’impero occidentale (Roma, tip. Poliglotta, 
1903, estr. dagli “ Studi e documenti di storia e diritto ,). 

Il Socio CaIRronI presenta l'opuscolo di Enrico CoccHra, Di 
una riforma razionale del nostro presente sistema di esami (Napoli, 
Stabil. tip. della R. Università, 1902, estr. dagli “ Atti della 
R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli ,) 
e ne rileva l’importanza. 

Il medesimo Socio CatRronI richiama l’attenzione della Classe 
sul progetto di riforma giudiziaria testè presentato dal Ministero 
alla Camera dei Deputati: crede utile che l'Accademia se ne 
occupi, e osservando come in esso si possa notare una lacuna 
nella parte penale, esprime il desiderio che il Socio Brusa faccia 
in proposito qualche comunicazione all'Accademia. 

Il Socio Brusa dà su questo argomento qualche comuni- 
cazione di fatto, ma soggiunge che le sue molte occupazioni 
gli impediscono d’accettare l’invito del Socio CHIRONI, e prega 
quest’ultimo ad occuparsene egli stesso. 

Il Socio CatronI dice che entrerà egli in materia, augu- 
randosi che il Socio Brusa voglia poi riprendere l’ argomento. 

Il Socio FerRERO legge la commemorazione del compianto 
Socio CLARETTA, di cui era stato incaricato dalla Presidenza. 
Il Presidente ringrazia il Socio FERRERO per tale commemora- 
zione, la quale sarà inserita negli Atti. 


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E. FERRERO — GAUDENZIO CLARETTA - PAROLE COMMEMORATIVE 279 


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LETTURE 


GAUDENZIO CLARETTA 


PAROLE COMMEMORATIVE 


DEL SOCIO 


ERMANNO FERRERO 


Era finita l'adunanza della Classe del 21 gennaio 1900. 
Gaudenzio Claretta, uscito con parecchi di noi, si accomiatò an- 
nunciandoci la sua prossima partenza per Roma, chiamatovi a 
dirigere certi esami ad archivisti. Contro la sua abitudine, quel 
giorno egli era sopra pensiero per il suo viaggio. L'influenza era 
riapparsa: qui, altrove, anche nella capitale, molti i colpiti. Egli 
chiese nomi di medici a Roma: triste presentimento! Un mese 
dopo giungeva fulminea la notizia che là, il 17 febbraio, era 
caduto vittima della fatale malattia. Un nuovo gravissimo lutto 
per l'Accademia, specialmente per la nostra Classe, la quale, 
orbata l’anno prima di due suoi membri operosi, Cesare Nani 
e Domenico Perrero, ora vedeva sparire il suo Direttore, da 
ventotto anni in essa esempio di lavoratore infaticabile e di ot- 
timo collega (1). 

Lavoratore infaticabile: ecco ciò che fu il Claretta. A lui 
il censo avrebbe consentito i molli ozii: egli avrebbe potuto, 
come si dice, godersi tranquillamente la vita, facendo solo quel 
tanto, che è necessario, per non divenir preda della noia. Al- 
l'opposto egli, dotato di un’ attività, che non è esagerato chia- 


(1) Fu eletto accademico nell’adunanza del 26 maggio 1872; l'elezione 
ebbe la sovrana approvazione il 3 giugno. Direttore della Classe di scienze 
. morali, storiche e filologiche il 24 febbraio 1895 (elezione approvata con 
R. decreto 7 marzo), confermato per un secondo triennio il 20 febbraio 1898 
(appr. R. decr. 3 marzo). 


280 ERMANNO FERRERO 


mare straordinaria, di un’ attività, che, anzichè diminuire, pa- 
reva crescere con gli anni, consacrò moltissima parte di questa 
attività ai pubblici uffici, portando nelle amministrazioni di 
comuni, di opere pie e, sullo scorcio della vita, anche in quella 
della provincia di Torino (1), la sua opera retta, intelligente, co- 
scienziosa. Sapeva di sciupar tempo, di affaticarsi, di logorarsi 
in mezzo alle noie, ai fastidii, specialmente fra gli elettori e gli 
eletti rurali: ma sapeva che la sua presenza era utile, ed egli 
rimaneva. E qui, in questa Accademia, dove l’uomo di studio 
era al suo posto, noi lo ricordiamo non solo assiduo alle adu- 
nanze e largo de’ suoi scritti per i nostri volumi, ma non rifuggir 
mai da incarichi amministrativi (2), di commissioni per premili, 
per giudizii sopra lavori presentati, dando in una parola l'esempio 
del modo migliore, con cui si manifesta l’affetto e la stima per 
una Società, a cui si è onorati di appartenere. Ed egli, Piemon- 
tese di vecchio stampo, sopra ogni altra cosa, sì onorava di 
essere ascritto al maggiore degli istituti scientifici del Piemonte, 
come era lieto della lunga appartenenza alla. Deputazione di 
storia patria, in cui tenne l’ ufficio di. segretario, insieme con 
un collega (3). 

Quando nel 1874, un manipolo di studiosi, il fiore di coloro, 
che attendevano ad investigare le memorie archeologiche, arti 
stiche, storiche della nostra contrada, costituì la Società di ar- 
cheologia e belle arti per la provincia di Torino, il Claretta fu 
tra questi. Nel 1894 (4) succedette al Fabretti nella presidenza. 
Questa Società fu sempre carissima al suo cuore; per essa egli 
aveva l'affetto e le cure, che un padre ha per la sua creatura; 


(1) Fu eletto consigliere della provincia di Torino nel 1898, rieletto 
nel 1899; quando morì, faceva parte dei consigli comunali di Grugliasco, 
di Rivalta e di Beinasco, della direzione dell'Opera pia di San Luigi Gon- 
zaga, del R. Ricovero di mendicità, del Collegio degli Artigianelli. 

(2) Resse la tesoreria accademica col titolo di tesoriere aggiunto dal 1875 
(12 marzo) al 1879 (7 ottobre). 

(3) Membro corrispondente della R. Deputazione di storia patria 
(el. 1° luglio 1860); membro effettivo (elezione 22 gennaio 1863, appr. con 
R. decreto 29 gennaio): segretario (el. 21 aprile 1874, appr. con R. decreto. 
15 maggio). 

(4) El. 20 dicembre. Dal 28 giugno 1888 il Claretta era vicepresidente 
della Società (confermato 31 dicembre 1891). 


GAUDENZIO CLARETTA — PAROLE COMMEMORATIVE 281 


dolevasi che mal giustificati pretesti di economia le avessero 
fatto perdere quei mezzi pecuniarii, avuti al suo sorgere, dalla 
provincia e dal municipio di Torino, obbligandola a restringere 
i suoi lavori e le sue pubblicazioni. Indarno si adoprò per riot- 
tenere questi mezzi. 

Erano molti i suoi ufficii; ad essi va aggiunta l’amministra- 
zione di ricco patrimonio con case e terreni. Il tempo, che gli 
rimaneva libero, fosse pure un briciolo della sua lunga giornata, 
era dato allo studio. Studiava nella sua libreria, che aveva fatta 
ricca di opere rare e di manoscritti; studiava negli archivii e 
nelle biblioteche pubbliche e private; leggeva, prendeva note, 
correggeva stampe sempre, dovunque. Per la cura de’ suoi pos- 
sedimenti agricoli dimorava parte dell’anno in una sua villa al 
Gerbido degli Amoretti: spesso doveva venire in città o recarsi 
nei vicini comuni; nel tragitto in vettura aveva ognora con sè 
libri e carte. Sempre affaccendato, mai uno svago, salvo qualche 
passeggiata a cavallo o, al mattino, a piedi per la. città, seguìto 
dal suo cane (amava le bestie, indizio di animo gentile); ma 
allora finiva per lo più dai venditori di libri vecchi. Recavasi 
nella calda stagione, con la famiglia, in collina od in montagna. 
In vece di godersi poche settimane di ben meritato riposo, con- 
tinuava a frugare negli archivii locali. 

Il nostro collega Antonio Manno indicò la mole del lavoro 
letterario del Claretta, la cui “ vita negotiosa , ben disse “ più 
“ che colla biografia si spiega e si elogia colla bibliografia ,. Sono 
185 fra libri, parecchi voluminosi, opuscoli, memorie accademiche, 
articoli di rassegne e di giornali, anche di giornaletti di piccole 
città, all’incirca più di 14800 pagine (1), stampate in quarant'anni, 
a partire dal 1859, quando il Claretta ne aveva ventiquattro (2) 
e da due anni aveva terminato gli studii universitarii (3). 

Il Claretta indagò soltanto la storia piemontese, sopra tutto 
dei secoli XVI, XVII e XVIII: quella di altri paesi appena 
sfiorò ove potesse aver tratto con la nostra. Un libro sul sog- 


(1) Il lavoro quadragenario del barone Gaudenzio Claretta, nella Miscel- 
lanea di storia italiana, serie III, t. V, 1900, pag. xLu-1x. 

(2) Gaudenzio Claretta nacque in Torino da Fedele e da Paolina Spanna 
il 21 novembre 1835. 

(3) Conseguì la laurea in giurisprudenza il 19 luglio 1857. 


282 ERMANNO FERRERO 


giorno di Cristina di Svezia in Italia (1), qualche aneddoto di 
storia ligure (2), una notizia sopra una famiglia patrizia di Mi- 
lano (3) sono forse le sole sue pubblicazioni, che escano dalla 
cerchia della nostra regione. 

Le due opere principali del Claretta per la mole e per la 
larghezza dell'argomento, comprendenti circa quarant’ anni della 
nostra storia generale, di cui 1 primi tempestosissimi, sono quelle, 
in cui narrò la reggenza di Cristina di Francia (4) ed il regno 
di Carlo Emanuele II (5), entrambe ricche, potrei dire straricche 
di documenti e di particolari di ogni maniera. Ma più che i 
grandi quadri storici, il nostro collega amò la monografia, la bio- 
grafia, la ricerca aneddotica e curiosa. E descrisse fatti speciali 
della nostra storia politica o ‘della vita dei nostri principi (6), 


(1) La regina Cristina di Svezia in Italia (1655-1689), memorie storiche 
ed aneddotiche con documenti, Torino, 1892; 8°, pp. xvr-456. 

(2) Un'impresa contro Genova sotto il regno del duca Lodovico di Savoia 
(1449) (Atti della Soc. lig. di st. patria, vol. XIII, Genova, 1879, p. 339-361). 
— Il doge di Genova alla corte di Versailles nel maggio dell’anno 1685 (Giorn. 
ligustico, anno XII, 1885, p. 336-346). — I Genovesi alla corte di Roma negli 
anni luttuosi delle loro controversie con Luigi XIV (1678-1685), nota storica 
ed aneddotica (Ibid., a. XIV, 1887, p. 3-28) e qualche altro. 

Alla vita di Liguri venuti al servizio di principi di Savoia si riferiscono 
gli scritti: Sulle avventure di Luca Assarino e Gerolamo Brusoni chiamati 
alla corte di Savoia nel secolo XVI ed eletti istoriografi ducali (Atti della 
R. Acc. delle sc. di Tor., vol. VIII, 1872-73, p. 112-141, 303-343, 385-409, 
512-571). — Il genovese Negrone di Negro, ministro di finanze di Emanuele 
Filiberto duca di Savoia, memorie storiche e biografiche (Riv. europea, n. s., 
a. XII, vol. XXVI, Firenze, 1881, p. 204-228, 379-402, 513-538, 681-694, 
853-889). 

(3) Sugli Assandri patrizi milanesi, dissertazione storico-genealogica 
(Arch. stor. lomb., a. X, 1883, p. 683-735). 

(4) Storia della reggenza di Cristina di Francia duchessa di Savoia con 
annotazioni e documenti inediti, Torino, 1868-69; 8°; 3 vol., pp. xv-895, 
793, 313. 

(5) Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele IT duca di Savoia, 
Genova, 1877-79; 8°, 3 vol., pp. xrv-922, 772, 408. 

(6) Spigolature sul regno di Carlo III duca di Savoia (Arch. stor. it., 
s. III, t. XVIII, 1876, p. 441-468). — La mission du seigneur de Barres en- 
voyé extraordinaire de Frangois I roi de France à la cour de Charles III 
due de Savoie d'après des documents inédits (Mém. de l’Acad. des sciences, 
belles-lettres et arts de Savoie, s. III, t. VIII, Chambéry, 1880, p. 347-376). 
— Relazione della morte di Carlo III duca di Savoia (Riv. contemp. naz. ital., 
vol. LII, Torino, 1868, p. 417-432). — La successione di Emanuele Filiberto al 


GAUDENZIO CLARETTA — PAROLE COMMEMORATIVE 283 


illustrò quella di luoghi e di famiglie (1), dei nostri ordini 


trono sabaudo e la prima ristorazione della casa di Savoia, narrazione storico- 
critica, Torino, 1884; 8°, pp.464. — Il duca di Savoia Emanuele Filiberto e la 
corte di Londra negli anni 1554 e 1555, reminiscenze storico-diplomatiche 
raccolte su documenti inediti, Pinerolo, 1892; 8°, pp. 76, 4. — Giacomina 
d’Entremont ammiraglia di Coligny ed Emanuele Filiberto duca di Savoia (La 
Nuova Rivista, vol. III, Torino, 1882, p. 361-369, 378-380, 395-397, 411-413, 
vol. IV, p. 11-13, 25-27). — Il principe Emanuele Filiberto di Savoia alla 
corte di Spagna, studi storici sul regno di Carlo Emanuele I, Torino, 1872; 
8°, pp.376. — Ferrante Vitelli alla corte di Savoia nel sec. XVI (Atti della 
R. Acc. delle scienze di Torino, vol. XIV, 1878-79, p. 673-689, 773-803, 975-984, 
989-1001, 1278-1301). — La principessa Maria Colonna-Mancini nelle parti- 
colari sue relazioni col duca di Savoia Carlo Emanuele II (Arch. della R. Soc. 
romana di storia patria, vol. XX, Roma, 1897, p. 95-175). — Ennemond de 
Servient ambassadeur de France à Turin (1648-1676), anecdotes inconnues 
recueillies (Bull. de l’Acad. delphinale, 4° série, IX, Grenoble, 1896, p. 503-531). 
— Sulla legazione a Roma dal 1710 al 1714 del marchese Ercole di Priero, 
studio storico-biografico (Giorn. ligustico, a. XIV, 1887, p. 321-360). — Le rela- 
zioni politiche e dinastiche dei principi di Savoia coi margravi di Baden dal 
secolo XV al XVIII narrate su documenti storici, Torino, 1887; 8°, pp. 254. 

(1) IZ municipio torinese ai tempi della pestilenza del 1630 e della reg- 
gente Cristina di Francia duchessa di Savoia, Torino, 1868; 8°, pp. 256. — 
L'edificazione della cittadella di Torino, 1564-1573 (Atti della Soc. di arch. e 
belle arti, vol. V, 1887, p. 219-246). — Sull’antichissimo monastero torinese 
di S. Pietro dell’ordine benedettino, notizia storico-critica (Atti della R. Ace. 
delle sc., vol. XXIV, 1888-89, p. 672-693). — I marmi scritti della città di 
Torino e de’ suoi sobborghi (chiese, istituti di beneficenza, palazzi, ecc.) dai 
bassi tempi al secolo XIX con copiose annotazioni storiche, biografiche e 
necrologiche, Torino, 1899; 8°, pp. xvi-716 (in parte pubblicato negli Atti 
della Soc. di arch., vol. I e segg.) — Di Giaveno, Coazze e Valgioie, cenni 
storici con annotazioni e documenti inediti, Torino, 1859; 8°, pp. xvrr-350. 
— Cronistoria del municipio di Giaveno dal secolo XVIII al XIX con molte 
notizie relative alla storia generale del Piemonte, Torino, 1875; 8°, pp. 724. 
— Il comune di Giaveno nel medio evo. In quali modi il comune di Giaveno 
giungesse a conservare la propria autonomia (Atti della R. Acc. delle sc., 
vol. XXI, 1883, p. 507-530). — Storia diplomatica dell’ antica abbazia di 
San Michele della Chiusa con documenti inediti, Torino, 1870; 8°, pp. xv1-369. 
— L'abbazia di S. Michele della Chiusa nel medio evo, notizia storico-critica 
e sfragistica (Atti della R. Acc. delle sc., vol. XXII, 1886-87, p. 371-391). — 
Notizia storica sulla più antica carta di franchigia e sui primi statuti con- 
ceduti ad Avigliana dai conti di Savoia (Atti della R. Ace. delle sc., vol. IX, 
1873-74, p. 898-944). — Sugli antichi signori di Rivalta e sugli statuti da loro 
accordati nel secolo XIII a Rivalta, Orbassano e Gonzola, memoria storico- 
critica compilata su documenti inediti (Ibid., vol. XIII, 1877-78, p. 567-586, 
925-951, 1197-1283). — Sulle antiche società dei nobili della repubblica di 


284 ERMANNO FERRERO 


equestri (1), dell’arte (2), dei costumi (3); scrisse biografie di 
principesse di casa Savoia od in essa entrate (4); radunò me- 


Chieri e del suo patriziato sotto il dominio della R. Casa di Savoia (Ibid., 
vol. XX, 1884-85, p. 444-461, 569-592). — Sulle principali vicende della Ci- 
sterna d’ Asti dal sec. XV al XVIII (Mem. della R. Acc. delle sc., s. II, 
t. XLVIII, 1899, p. 165-238). — Reminiscenze antiche di Verrua di Monfer- 
rato (Arch. stor. lomb., a. VIII, 1881, p. 225-245). — Clemente V. papa ed 
Enrico VII imperatore di Germania al castello di Rivoli secondo un docu- 
mento dell'ottobre 1310 (Giorn. araldico-genealogico-diplomatico, a. XII, 1885, 
p. 101-110). — / signori di Montafia, Tigliole, Varisella e Maretto, disserta- 
zione storico-critica e genealogica (2bid., a. X, Pisa, 1882, p. 1-14, 33-41, 61-68, 
134-141, 229-237, 305-310; XI, 1883, p..30-35). — Sulle liberalità compiute 
dagli aviglianesi de Thoet, ciumbellani e guardasigilli dei primi conti di Savoia 
nei secoli XII e XIII(Atti della R. Acc. delle sc., vol. XVII, 1881-82, p. 497-518), 
— Gli Alfieri ed il vescovo d’ Asti Baldracco Malabaila, 1349-1354 (Ibid.,vol.XXVI, 
1890-91, p. 773-790). —- Della tirannia dei Ferrero Fieschi principi di Mas- 
serano (Ibid., vol. XXVII, 1891-92, p. 415-436). — Dell’origine fiorentina 
de’ Boncompagni del Piemonte (Giorn. arala., a. XXVII, 1899, p. 121-182, 174). 

(1) Statuti antichi inediti e statuti recenti dell'Ordine supremo della SS. An- 
nunziata con motizie storiche relative al medesimo, Torino, 1881; 4°, pp. 84. 
— Memorie risguardanti l’ordine cavalleresco del Collare di Savoia nel primo 
secolo della sua fondazione (Atti della R. Acc. delle sc., vol. XVIII, 1882-83, 
p. 806-834). — Sulla vera patria e sulle principali vicende di Riccardo Musard, 
uno dei primi cavalieri dell’ordine savoino del Collare (Ibid., vol. XIX, 
1883-84, p. 952-974). 

(2) Inclinazioni artistiche di Carlo. Emanuele I di Savoia e de’ suoi figli 
(Atti della Soc. di arch., vol. V, 1894, p. 339-360). — Il pittore Federigo 
Zuccaro nel suo soggiorno in Piemonte e alla corte di Savoia (1605-1607) se- 
condo il suo “ Passaggio per l’Italia , con annotazioni artistiche, Torino, 1895; 
8°, pp. 84. — Notizie artistiche sul regno di Carlo Emanuele II ricavate da 
documenti inediti (Atti della Soc., vol. I, 1875, p. 58-84). — Le peripezie del 
celebre quadro di Van Dyck “il ritratto equestre del principe Tommaso di 
Savoia ,, e dei famosi arazzi “ gli amori di Mercurio ,, (Atti della R. Acc. 
delle sc., vol. XXV, 1889-90, p. 548-561). — I Reali di Savoia munifici fautori 
delle arti, contributo alla storia artistica del Piemonte del secolo XVIII 
(Misc. di st. ital., t. XXX, 1893, p. 1-307). 

(3) Un ballo di nobili datosi a Carignano nel carnevale del 1524, schizzo 
storico dei costumi piemontesi nel secolo XVI (Riv. europea, n. s., a. XI, 
vol. XIX, 1880, p. 225-257). — La corte e la società torinese dalla metà del 
sec. XVII al principio del XVIII, reminiscenze storiche ed aneddotiche, 
edizione ritoccata ed accresciuta, Firenze, 1894; 8°, pp. 266 (estr. dalla Ras- 
segna nazionale, vol. LKXII, LXXIV). 

(4) Notizie intorno alla vita ed ai tempi di Beatrice di Portogallo duchessa 
di Savoia, Torino, 1863; 8°, pp. 196. — Vita di Maria Francesca Elisabetta 


GAUDENZIO CLARETTA — PAROLE COMMEMORATIVE 285 


morie su piemontesi chiari nella politica e nell’amministra- 
zione (1), nelle lettere, nella storiografia, nell’erudizione (2); com- 
memorò compagni di studio ed amici (3); pubblicò lettere di 
uomini illustri (4). 

Il Claretta, che avrebbe potuto con calma scrivere e stam- 
pare i suoi lavori, non sapeva resistere alla brama di dar fuori 
subito il frutto delle sue ricerche e delle sue scoperte, alla 
brama, sto per dire alla smania, di far succedere senza tregua 
pubblicazioni a pubblicazioni, quasi a destare stupore per tanta 
fecondità. E ciò nocque ai suoi scritti. Spesso si desidererebbe 
in essi ordine, collegamento, chiarezza migliori. Non tutti i suoi 
libri maggiori sono opere organiche con proporzione fra le varie 


di Savoia Nemours regina di Portogallo con note e documenti inediti, To- 
rino, 1865; 8°, pp. 312. — Adelaide di Savoia duchessa di Baviera ed i suoi 
tempi, narrazione storica scritta su documenti inediti, Torino, 1877; 8°, 
pp. x-226. — L’arrivée d’Anne d'Orléans épouse de Victor-Amédée II à la 
cour de Savoie en 1684 (Mém. et doc. publiés par la Soc. savoisienne d’hist. et 
d’arch., t. XXXIV, Chambéry, 1893, p. 97-142). 

(1) J2 presidente Gianfrancesco Bellezia torinese, monografia storica con 
documenti, Torino, 1866; 8°, pp. 182. — Notizie per servire alla vita del 
gran cancelliere di Carlo V Mercurino di Gattinara, memoria I (Mem. della 
R. Accad. d. sc., s. II, t. XLVII, 1897, p. 67-147). 

(2) Memorie storiche intorno alla vita ed agli studi di Gian Tomaso Ter- 
raneo, di Angelo Paolo Carena e di Giuseppe Vernazza con documenti, To- 
rino, 1862; 8°, pp. xv-303. — Swi ‘principali storici piemontesi e particolar- 
mente sugli storiografi della R. Casa di Savoia, memorie storiche, letterarie 
e biografiche (Mem. della R. Acc. delle sc. di Tor., serie II, t. XXX, 1878, 
p. 261-512; t. XXXI, 1879, p. 1-336). 

(3) Carlo Promis (Arch. stor. it., serie III, t. XVIII, 1878, p. 503-515). 
— Il conte e senatore Lodovico Sauli, necrologia (Ibid., t. XX, 1874, p. 511-516). 
— Commemorazione del conte Alessandro Franchi-Verney (Mise. di st. ital., 
t. XXI, 1883, p. 249-270). — Antonio Bosio ne’ suoi scritti, nelle sue opere 
di beneficenza e nelle sue relazioni sociali, memorie biografiche e letterarie, 
Torino, 1883; 8°, pp. 78. — Il conte Edoardo Arborio Mella (Arch. stor. it., 
s. IV, t. XIV, 1884, p. 112-122). — Alfonso Corradi ricordato ne’ suoi lavori 
scientifici in relazione alla storia (Mem. della R. Acc. delle sc.,s. II, t. XLIV, 
1894, p. 89-114). — Filippo Linati, commemorazione (Atti della R. Acc. 
delle sc., vol. XXXI, 1895-96, p. 775-796). — Cornelio Desimoni, commemora- 
zione (Ibid., vol. XXXV, 1899-900, p. 106-111). 

(4) Lettere scelte di illustri personaggi tratte dai manoscritti legati dal 
cav. abate Costanzo Gazzera alla R. Accademia delle scienze (Miscellanea di 
storia italiana, t. I, Torino, 1862, p. 373-429). — Lettere inedite di Silvio 
Pellico (Riv. europea, n. s., a. X, vol. XII, 1879, p. 210-230). 


286 E. FERRERO — GAUDENZIO CLARETTA - PAROLE COMMEMORATIVE 


parti, con sentimento della misura: notizie di valore disugualis- 
simo s'intrecciano insieme; il racconto è tratto tratto fermato 
da considerazioni, che appaiono fuor di luogo; ovvero si estende, 
si dilunga in minuzie; il lettore si affanna nel seguirlo e, chiuso 
il libro, non gli rimane quell’imagine netta degli uomini e dei 
fatti, che si vuole dal libro, il cui titolo è storia. E storia è 
ricostruzione, per quanto è possibile, esatta dei tempi, che fu- 
rono, non solo raccolta di materiali per tale ricostruzione. Nè 
gli stessi documenti, riprodotti nella massima parte delle pub- 
blicazioni del Claretta, sono sempre stampati in quella guisa, 
che esonera chi se ne serve dall'obbligo di riprendere in mano 
gli originali. 

Il Claretta inoltre non era convinto che nello scrivere sem- 
plicità è vera eleganza, e questa si avvisò di trovare (special- 
mente per i suoi lavori più recenti) nelle parole e nelle frasi 
studiate, in artificii retorici, in citazioni classiche incastrate con 
isforzo. 

Tali difetti offuscano certamente il merito del Claretta come 
scrittore; ma ciò che sarà per il suo nome lode, e lode grande, 
si è la faticosa indagine dovunque sperava trovar documenti 
ignorati, e quindi anche ove i più non sarebbero andati a rin- 
tracciarli. Moltissimo egli ha veduto, moltissimo ha fatto cono- 
scere. La storia politica, civile, letteraria, artistica del Piemonte 
in grazia sua si accrebbe di un gran numero di fatti nuovi. Chi 
ritornerà sugli argomenti da lui trattati non dovrà, senza venir 
meno alla giustizia, mancargli di gratitudine per averlo posto 
sulla strada e munitolo largamente di mezzi per percorrerla. 

Sempre poi in lui nello scrivere la più scrupolosa onestà. 
E come nello scrivere, onestissimo in tutte le sue azioni. Mite, 
affabile, pronto a render servizio, senza rancori; marito, padre, 
amico, collega, gentiluomo esemplare, lasciò di sè quel desiderio, 
che lasciano soltanto coloro, la cui vita fu una vita nobilmente 
vissuta. 


L’ Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 22 Febbraio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA © 


ai 


Pa 


Sono presenti i Soci: BerruTI, NACCARI, SPEZIA, SEGRE, 
JADANZA, Foà, GuarescHI, Guini, PARONA, MATTIROLO, MoRERA 
e CAMERANO Segretario. 

Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente. 

Il Presidente annunzia alla Classe la morte dell’ accade- 
mico straniero prof. Giorgio Gabriele Stoges dell’ Università di 


Cambridge. 
Il Socio NaccaRI pronuncia in commemorazione dell’illustre 


defunto le seguenti parole: 


Giorgio Gabriele Strokes nacque a Skreen in Irlanda nel 
1819. Entrò a 18 anni nel collegio Penbroke a Cambridge. Co- 
minciò a sperimentare con semplicissimi apparecchi quand’ era 
ancora studente, e applicò le sue vaste cognizioni matematiche 
allo studio di complicati fenomeni. 

La sua prima memoria pubblicata a 23 anni trattava del . 
moto dei fluidi incompressibili e fu seguita in breve da altre 
memorie sullo stesso argomento. Con questi scritti lo Stokes po- 
neva le basi dell’idrocinetica moderna. Lord Kelvin disse che fin 
d'allora lo Stokes osava affrontare dei problemi che superavano 
le forze di tutti i matematici del suo tempo. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 20 


288 


Più tardi lo Stokes volse la mente alla teoria delle ondu- 
lazioni luminose. Dell’opera sua su questo argomento basti il 
dire che essa fu paragonata a quelle del Young e del Fresnel. 

Quando lo Stokes cominciò ‘a studiare i fenomeni, cui egli 
diede il nome di fluorescenza, essi erano ancora mal noti. Con 
ingegnose esperienze ne chiarì l'essenza e stabilì la legge che porta 
il suo nome. 

Il principio dell’inversione dello spettro apparve chiaro allo 
Stokes fin dal 1850, ma egli non vi porse l’attenzione che l’ar- 
gomento meritava. 

Le memorie scientifiche dello Stokes non contengono, al 
dire di chi ebbe dimestichezza con lui, se non una piccola parte 
di ciò che egli fece per la scienza, perchè come professore e 
come segretario della Società Reale fu prodigo a moltissimi di 
consigli e di aiuti. 

Ebbe le medaglie Rumford e Copley. Fu nominato baronetto 
nel 1899. Fu segretario dapprima e poi presidente della Società 
Reale, tenendo tali uffici per 36 anni. 

Nel 1899 fu festeggiato a Cambridge il cinquantenario della 
sua nomina a professore. V’intervennero molti scienziati inglesi 
e stranieri. Il Cornu vi tenne una conferenza. Fu in quell’occa- 
sione che Giuseppe Giovanni Thomson, parlando dello Stokes lo 
comparò al Newton. Ambedue tennero la cattedra Lucasiana di 
matematica a Cambridge, ambedue furono presidenti della Società 
Reale, ambedue rappresentarono l’ Università in Parlamento. 
“ E una somiglianza, aggiunse il Thomson; esiste anche fra gli 
ingegni dei due grandi scienziati. Nel leggere le memorie dello 
Stokes, spesso sentiamo che il Newton avrebbe trattata quella 
questione allo stesso modo, sentiamo che le conclusioni son quelle 
stesse che il Newton ne avrebbe tratte ,. 


Il Presidente presenta in omaggio all'Accademia, a nome 
del Socio residente Gui: Sulla opportunità di una vigilanza del 
Municipio sulle costruzioni in “ Beton , armato e modo di eser- 
citarla (Torino, Camilla e Bertolero, 1903); a nome del prof. Tor- 
quato TarameLLI, Socio corrispondente: Di alcune condizioni 
tectoniche nella Lombardia occidentale (Roma, 1902); a nome del 
prof. Massimiliano NòTHER, Socio corrispondente: Uebder die sin- 


289 


guliren Elemente der algebraischen Kurven (Leipzig, 1902); 
Rational Reduction der Abel’schen Integrale (Stockholm, 1902). 

Vengono presentati e accolti per la stampa negli Atti ac- 
cademici i lavori seguenti: 

1) Condensazione delle aldeidi coll’ etere cianacetico, del 
Socio Icilio GUARESCHI; 

2) Proprietà relativa ad una speciale forma di prisma ri- 
frangente, dell'ing. Enrico GATTI, presentata dal Socio JADANZA; 

3) Sulla prospettiva parallela, del sig. Domenico REGIS, 
presentata dal Socio JADANZA. 

Il Socio SEGRE a nome anche del Socio nazionale non re- 
sidente prof. Luigi BrancHt legge la relazione sulla memoria del 
Dr. Guido Fusini, Sui gruppi di trasformazioni geodetiche. La 
relazione è approvata all’unanimità, e la Classe pure a voti una- 
nimi accoglie la memoria del Dr. FuBINI per la stampa nel vo- 
lume delle Memorie. 


290 ICILIO GUARESCHI 


LETTURE 


Condensazione delle aldeidi coll’etere cianacetico. 


Nota II del Socio ICILIO GUARESCHI. . 


In una mia nota presentata a questa Accademia nell’adu- | 


nanza 15 giugno 1902 ho dimostrato come si comportano le 
aldeidi coll’etere cianacetico in presenza di ammoniaca ed ho 
fatto vedere che l’idrogeno che si stacca in questa reazione, va 
a ridurre la cianacetamide monoalchilsostituita non satura che 
si forma prima, quale prodotto di 1 mol. di aldeide su una moe- 
lecola di etere cianacetico, per dare una cianacetamide monoal- 
chilsostituita satura. 

Ho generalizzato questa reazione a diverse aldeidi grasse 
ed ho ottenuto anche qui due serie di prodotti: sali ammonici 
di diciandiossipiridine: 

OnH®nti 


e cianacetamidi della forma: 


n[qT2n+t /C0N 
"H+, CH? . HCK CONE: 


Tutti composti questi stupendamente cristallizzati. 

I sali ammoniacali precedenti mi servono per ottenere gli 
acidi monoalchilcianvinilacetici di cui ho preparato già un gran 
numero e che descriverò in una prossima memoria. 

Ora descrivo i prodotti che ho ottenuto dalle aldeidi iso- 
butilica, propilica, isovalerianica ed enantilica o eptilica. 


CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI COLL'’ETERE CIANACETICO 291 


I 
Aldeide isobutilica ed etere cianacetico. 


Mescolando 19 gr. di aldeide isobutilica, bollente a 62°-65° 
con 45 cm? di etere cianacetico e 60 cm3 di ammoniaca a 0.900, 
si osserva vivissima reazione ed il liquido si fa omogeneo e di 
colore giallognolo. Si sviluppa molto calore. Il prodotto, anche 
dopo molte ore, rimane liquido ed incoloro, ma versato in una 
cassula ed agitato si solidifica completamente in massa cristal- 
lina bianca, che dopo aggiunta di un poco di acqua, viene rac- 
colta su filtro e lavata. 

Il residuo secco esaurito con etere, fornisce una parte so- 
lubile che è la dsobutilcianacetamide, ed una parte insolubile che 
è il sale di ammonio: 


CH(CH?) 


| 
CO Co 
Oa. 
N.NH° 


già stato preparato in questo laboratorio (1). Dalle prime acque 
madri si ha dell'altro prodotto cristallino che pure trattato con 
etere fornisce isobutilcianacetamide ed il sale ammonico sud- 
detto. Di questo sale ammonico mi varrò per preparare l’acido B 
isopropilcianvinilacetico : 


COOH 


(1) Alcuni derivati delle aldeidi propilica ed isobutilica, © Atti R. Accad. 
delle Scienze di Torino ,, 1899, t. XXXIV. 


292 ICILIO GUARESCHI 
L’isobutilcianacetamide: 


/C0N 
(CH*)?CH . CH?. HC < CONH? 
cristallizza dall'acqua calda in larghe lamine e si ha facilmente 
purissima: 
I. Gr. 0.1858 fornirono 0.4076 di CO? e 0.1443 di H?0, 
II. Gr. 0.1604 diedero 27.8 di N a 16° e 752 mm. 


Da cui: 
trovato calcolato per C'H!°N°0 
—_ ———rrr se o 
I I 
Ca 59.84 _ 60.00 
hs 8.62 —_ 8.56 


NS È 19.94 20.00 


Ne fu determinato il peso molecolare col metodo ebulliosco- 
pico (apparecchio di Riiber) e si ebbero i risultati seguenti: 

Sostanza = 0.7303; acetone 15.5587; A=0°.57; cioè: Peso 
mol. trovato 137.5 e peso mol. calcolato 140. 

Questo bellissimo composto fonde a 104°-104°.5 in liquido 
incoloro e bolle a 275°-280° sotto 745 mm. alterandosi un poco; 
il prodotto distillato cristallizza facilmente ed è bianchissimo. 
È solubile nell’alcol, nell’etere, nel cloroformio. Non assorbe il 
bromo. 

Questa cianamide dovrebbe essere identica a quella stata ot- 
tenuta da P. Henry (1) in un altro modo, cioè trattando con am- 
moniaca l’etere isobutilcianacetico ; ma i caratteri della isobutil- 
cianacetamide descritta da quest’autore non corrispondono in tutto 
a quelli da me osservati. L’isobutilcianacetamide è descritta da 
Henry come fusibile a 93°, insolubile nell’etere e nel cloroformio. 
Questo punto di fusione è troppo basso. Il mio prodotto era pu- 
rissimo e non dubito che il suo punto di fusione sia 104°-1049,5, 
Non posso spiegare queste discordanze nel punto di fusione e nella 
solubilità se non ammettendo che i prodotti ottenuti dal chi- 
mico belga non fossero proprio puri. Io ho preparato altre cian- 
acetamidi monoalchilsostituite ed ho trovato per esse un punto 


(1) “ Bull. de l’Acad. Roy. de Belgique ,, 1889 (3), t. XVIII, p. 684. 


CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI COLL'ETERE CIANACETICO 293 


di fusione superiore a quello indicato da Henry. Già si osserva 
una differenza nel punto di fusione della cianacetamide, la quale 
quando è purissima fonde a 12057 124° e non a 118° come am- 


mette Henry ed altri. 


La metilcianacetamide o a cianpropionamide CH?. AC iui 


non fonde a 81°, come crede Henry, ma bensì a 100°, come 
lo dimostrano le determinazioni fatte nel mio laboratorio dal 
dott. Beccari. 

CON 


Così è della propilcianacetamide CH?.CH2, CH*?HC oto 


che ora descriverò, la quale fonde a 124°-124°5 e non a 118°, 
come indica il sig. Henry; ed è inoltre solubile nell’etere e nel 
cloroformio e non insolubile, come vorrebbe il sig. Henry. 

Le relazioni dunque fra la fusibilità delle amidi quale risul- 
tano dalla tabella data nel lavoro di Henry a pag. 699 (loc. cit.) 
dovranno essere modificate. 


II. 
Aldeide propilica ed etere cianacetico. 


Mescolando 6 gr. di aldeide propilica con 22.6 cm8 di etere 
cianacetico e 30 cm? di ammoniaca a 0,900 si ha reazione vi- 
vissima, il liquido diventa omogeneo e di colore giallognolo, e 
dopo pochi momenti tutta la massa è cristallizzata. Tratto il 
prodotto come ho indicato precedentemente ed ottengo un sale 
di ammonio insolubile nell’etere : 


CH°. CH* 


7° a 


già descritto e del quale mi occuperò per preparare l’acido cian- 
vinilacetico corrispondente, e la propilcianacetamide solubile nel- 
l’etere. Essendochè questa amide è molto solubile nell’acqua, 
così si ha specialmente, quando si concentrano le prime acque 
madri da cui fu separato il sale ammonico. 


294 ICILIO GUARESCHI 


Gr. 0.1001 diedero 19.2 cm? di N a 14°.5 e 751 mm. 


Da cui: 
trovato calcolato per C°H!°N°0 
rr —__s—. —— ——., 
N % 22.22 22.27 


La propilcianacetamide CH*CH®CH?, HO PO NH? cristallizza 


dall’etere in larghe lamine brillanti, leggiere; è più solubile nel- 
l’acqua, nell’alcol e nel cloroformio. Volatilizza senza scom- 
porsi. Fonde a 124°-124°.5. 

Questa amide è descritta da Henry come fusibile a 118° 
ed insolubile nell’etere e nel cloroformio. 


TI: 


Aldeide isovalerianica ed etere cianacetico. 


Mescolando 17.2 gr. di (CH?)?CH . CH?CHO con 45 em8 di 
etere cianacetico e 6 cm? di ammoniaca a 0.900, si osserva una 
vivissima reazione con sviluppo di calore; la miscela si fa su- 
bito omogenea, limpida e gialla, e dopo pochi istanti il tutto si 
trasforma in una massa cristallina bianca, compatta. Dopo 24 ore 
aggiungo un poco di acqua, lascio a sè, raccolgo su filtro, lavo 
e asciugo bene il prodotto; questo, esaurito con etere, lascia un 
residuo del sale ammonico C!!H!°(NH4)N®0? e per evaporazione 
coll’etere si ha l’isoamilcianacetamide. 

Gli stessi prodotti ottengo facendo agire 1 mol. di isova- 
leraldeide su 2 mol. di cianacetamide, poi circa 2 mol. di am- 
moniaca in soluzione a 0.900. Si ha anche qui quasi subito una 
massa compatta, bianca, con sviluppo di calore. 

La reazione è la seguente: 


CH?. CH(CH?)° CH°CH(CH?) 
CHO Cc 
do 
CNH°C _CH°CN =H°0+ CNHC C.CN 
| abi 
sa 00 CO Co 
NH® NH? N.NH* 


e poi: 
(CH?°CH. CH= SRI + H?= (CH*fCH . CE? HOC Cona 


CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI COLL'’ETERE CIANACETICO 295 


Isobutildicianglutaconimide (ossia Yyisobutil BR' diciandiossipiri- 
dina). Il sale ammonico, che è il prodotto principale della rea- 
zione, si ottiene purissimo ricristallizzandolo dall'acqua o anche 
dall’alcol. È anidro. 

Gr. 0.6317 di sale disseccato a 110°-120° fornirono 0,0458 
di NH?. 


Cioè: 
trovato calcolato per C''H'°(NH*)N?0? 
NH* °/ 7.24 1.26 


Questo sale ammonico cristallizza dall'acqua in lunghi aghi 
incolori, leggieri, setacei; cristallizza bene anche dall’alcol a 
caldo. È insolubile, o quasi, nell’etere. 

Questo sale ammonico non è molto solubile nell’acqua. La 
sua soluzione acquosa precipita con quasi tutti i sali metallici 
ed anche con molti alcaloidi. 

Il sale potassico è meno solubile del sale ammonico e ben 
cristallizzato. 

Il sale di conîina è pure assai bene cristallizzato e poco so- 
lubile. 

Col solfato di nikel si ha un bel sale di nikel in cristalli di 
color verde chiaro. 

Il sale di argento è insolubile nell’acqua fredda, a caldo sì 
scioglie e poi cristallizza in bellissimi prismi. 

Gr. 0.5605 di sale secco all’aria scaldati a 110° perdettero 
0.028 di H?0. 


Gr. 0.5335 di sale secco fornirono 0.1800 di gno 


Da cui: 
trovato calcolato per C'EÒN'AgO++H°0 
H?0.9/% 4.95 5; Tr 
e per: 
trovato calcolato per C'HSN*Ag0? 
—! 
Ag % 33.60 33.33 


L’argento, che era bianchissimo e ben calcinato, sciolto în 
acido nitrico dimostrava di contenere traccie di carbone. 
Il sale di rame è un precipitato di un bel colore verde, po- 


296 ICILIO GUARESCHI 


chissimo solubile nell'acqua, in cristalli riuniti a rosetta. Anecto 
sale è anidro. Anche a 140° non perde di peso. 

Gr. 0.5868 di sale secco a 140° fornirono gr. 0.1711 di 
Cu0 corrispondente a 0.1366 di Cu. 


Da cui: 
trovato calcolato per C''H°CuN?0? 
— — e. ——_ 
Cu % 23.20 22.81 


E dunque un sale neutro o basico, che si può rappresen- 
tare con: 


CH?. CH(CH?) CH?. CH(CH*)? 
© 6 
> Ala, / N 
Clrat dala Lodi ni ai 
Cut | oppure Î 
Cc co 0.C Cr 
NY TORA 140] 
N ace Nssig 
Cu 


La soluzione ammoniacale del sale ammonico dà coll’ ace- 
tato di rame ammoniacale un bel sale cuproammonico cristalliz- 
zato in aghi prismatici di colore azzurro violaceo, poco solubili 
nell'acqua. 

I sali di calcio, bario, magnesio; di cinconina e di chinina 
sono ben' cristallizzati. 


Sale di cobalto (C!*H!°N30?)?Co 4- 7H?0. Quando si aggiunge 
alla soluzione del sale ammonico, una soluzione di nitrato di 
cobalto al 5 °/,, si ha a poco a poco una massa cristallina for- 
mata da lunghi aghi, rosei, assai belli. 

I. Gr. 0.5553 di sale secco all’aria, scaldati prima a 
105°-110° poi a 130°-135° perdettero 0.0953; il color roseo del 
sale diventa molto pallido. Lasciato il sale all’ aria riprende 
dopo più giorni 13.3 °/ del proprio peso, e 0.5048 del sale 
che ha riassorbita l’acqua fornirono 0.0675 di Co804, 

II. Gr. 0.6288 di sale asciutto all’aria lasciati per 13-14 giorni 
nel vuoto (20 mm.} sull’acido solforico perdettero 0.106 (16.8 %) 
e dopo 3 ore a 110°-130° ancora 0.0021 cioè in totale 0.1081 
(lz14f/o Lasciato all’ aria, dopo 5 giorni riassorbì 0.0678 


CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI COLL'ETERE CIANACETICO 297 


(circa 13 °/). Gr. 0.5860 del sale che ha riassorbita l’acqua scal- 
dato a 125°-130° perdette 0.0706 di acqua e poi a 200°-205° 
sino a peso costante perdette ancora 0.0184 (3.5 °/) ed il sale 
anidro 0.4972 fornì gr. 0.0786 di Co?04. Il sale anidro a 200°-205° 
ha ancora colore rosa pallido. 

Da cui: per il sale (C!!H!°N30?)?Co + 7H?0 che perde 6H?0 
sino a 185° si ha: 


trovato calcolato 
© H20 DR LE 17.4 


Per il sale (C!1H!°N302)?Co +H?0 


trovato calcolato 
H?0 1% n }5) ft, > 
E pel sale anidro: 
trovato calcolato 
Co .0/ L'L:GI 12.00 


Il sale (C!!H1!0N30?2)?Co+H?0 stando all’aria assorbe TON 
4 mol. di acqua: 


assorbita calcolata per 4H°O 
—_ — —__—T— in È 
H?0: %/o 13.3. 13.0 3 12.4 
trovato calcolato per (C''H!°N30*?Co+5H*0 
Co % 9.8 9.86 9.8 


i dit grin) 
IsoamrLeranaceramIDE (CH*)?CH . CH?CH?HCc CONH® 


Questa amide estratta dall’etere (V. sopra) cristallizza bene 
dall’alcol diluito. 

Dall’alcol diluito cristallizza in lunghi aghi incolori brillanti, 
fusibili a 142°.5; bolle inalterata. Sublima in lamelle sottilis- 
sime. È poco solubile nell'acqua, con reazione neutra. Solubilis- 
sima nella piridina. Non assorbe il bromo. 

I. Gr. 0.0696 fornirono 10.6 cm* di N a 15°.5 e 752 mm. 


II. Gr. 0.1373 fornirono 0,3140 di CO? e 0.1129 di H?0. 


298 ICILIO GUARESCHI 


Da cui: 
trovato calcolato per C*H!*N?®0 
I II 
08 n 62.37 62.33 
= _ 9.13 9.09 
N°== 17.0 _ 18.18 
IV. 


Aldeide enantilica ed etere cianacetico. 


L’aldeide enantilica adoperata, o enantolo, era l’aldeide 
normale 
CH?. CH?CH?CH?CH?CH8 
Y 
CHO 


che bolliva a 1520-1549. 
11.4 gr. di aldeide enantilica, o enantolo, furono mescolati 
con 22.6 cm? di etere cianacetico e 30 cm? di ammoniaca a 


x 


0.900. La reazione è vivissima, si produce molto calore e dopo 


aver agitato per pochi istanti il liquido omogeneo, si solidifica _ 


in massa cristallina bianca compatta. Dopo 24 ore aggiungo 2 
a 3 volumi di acqua, poi dopo alcune ore raccolgo e lavo il 
prodotto bianco. Anche quando è ben asciutto si esaurisce con 
etere che scioglie benissimo la eptilcianacetamide e lascia il sale 
ammonico della essildicianglutaconimide. Non trovai nessun pro- 
dotto analogo a quello di Carrick. 


EssILDICIANGLUTACONIMIDE. — Il suo sale ammonico ottenuto 
come fu detto: 


‘ail 


COCO 
NA 
N.NH* 


sì ha purissimo per cristallizzazione dall'acqua. È anidro. 


CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI COLL'ETERE CIANACETICO 290 


Gr. 0.1580 fornirono 30.6 cm3 di N a 260,3 e 723.5 circa. 


Da cui: 
trovato calcolato per C!*H!(NH*)N?0? 
N °% 21.03 21.96 


Questo sale ammonico cristallizza dall'acqua in aghi leggeri 
brillanti, solubili anche nell’alcol e solubilissimi nella piridina. 
La sua soluzione acquosa precipita colla maggior parte de’ sali 
metallici e degli alcaloidi. La soluzione acquosa-ammoniacale 
del sale ammonico dà coll’acetato di rame ammoniacale un bel 
precipitato di color azzurro d'oltremare, cristallino; anche questo 
bel sale cupro-ammonico non fu ancora analizzato. 

La soluzione del sale ammonico dà un precipitato cristal- 
lino bellissimo nelle soluzioni di cloruro potassico anche diluite. 
Col cloruro di bario si ha un precipitato che a caldo cristallizza 
in bellissimi aghi, lunghi. Colla soluzione del cloridrato di nico- 
tina dà un precipitato bianco costituito da aghetti prismatici 
anche con soluzioni molto diluite; le soluzioni a 1:2000 e 1: 4000 
dànno bellissimi cristalli; anche con soluzioni di cloridrato di 
nicotina a 1:5000 e 1:6000 si hanno cristalli ben visibili. 
L'aspetto del precipitato visto al microscopio è sempre lo stesso. 
Il sale di nicotina si scioglie al caldo e ricristallizza per raffred- 
damento. Fonde verso 260°, scomponendosi. 

Invece il bromidrato di conina CH!" NHBr dà colla soluzione 
acquosa di questo sale ammonico un precipitato oleoso che len- 
tamente cristallizza in lunghi aghi incolori. 

Potrà essere dunque un reattivo utile per distinguere le so- 
luzioni diluite di nicotina e di conina. 

Il solfato neutro di chinina dà un abbondante precipitato che 
a caldo si scioglie e ricristallizza benissimo. 

Il solfato di cinconina dà pure un precipitato abbondante che 
a caldo si scioglie e ricristallizza benissimo. 


/C0N 
Sconue — 0% 


tenuta come fu detto, si purifica ricristallizzandola dall’alcol, od 


n. EPTILCIANACETAMIDE CH8,(CH?)9, CH2, HC 


anche dall’acqua bollente; dall’alcol si ha in larghe lamine ma- 
dreperlacee, sottili, leggiere. Solubilissima in piridina. La solu- 


300 ICILIO GUARESCHI — CONDENSAZIONE DELLE ALDEIDI, ECC. 


zione acquosa ha reazione neutra. Fonde a 137°.5 in liquido in- 
coloro che cristallizza facilmente. Sublima inalterata. 

Gr. 0.1874 di sostanza fornirono 0.4541 di CO? e 0.1714 
di H20. 


Da cui: 
trovato calcolato per C'°H!8N°0 
Gia= ini66110l0 65.93 
PE 10.23 9.90 


Non assorbe il bromo. 
Le cianacetamidi descritte in questa breve nota sono dunque 
le quattro seguenti: 
Punto di fusione 


Propilcianacetamide ‘CH'CHP CHI Hog ENTE 1240.124°,5 
<CONH 


Isobutilcianacetamide (CH3)°:CH.. CH? HCKCONE® 104°-104°5 
/0N 


Isoamilcianacetamide (CH*)°CH. CH?CH?. HCC GONE? 142°.5 
n. Eptilcianacetamide CH°(CH°)"CH?, RICK CONE? 137° 


Nessuna relazione si scorge fra questi dati sperimentali. 
Come, sino ad un certo punto, si poteva prevedere, la isobutil- 
cianacetamide (f. 104°-104°.5) ha un punto di fusione di circa 22° 
inferiore a quello della n. butilcianacetamide (f. 126°-126°.5) de- 
scritta nella precedente nota. 

In una terza nota descriverò i prodotti che ho già ottenuti 
dalle aldeidi: formica, acrilica, furfurolica e dal citrale. 


Torino, R. Università, Febbraio 1903. 


e 


ENRICO GATTI — PROPRIETÀ RELATIVA, ECC. 301 


Proprietà relativa 


ad una speciale forma di prisma rifrangente. 


Nota dell'Ing. ENRICO GATTI. 


(Con una Tavola). 


1. — Il prisma rifrangente, preso in esame, ha per sezione 
retta un trapezio rettangolo del quale, il lato obliquo, fa colla 
base maggiore un angolo di 45° (*). 

Rappresenti ABCD (Fig. 1) una simile sezione: sieno rispet- 
tivamente » SE e 0 l’indice di rifrazione e l'angolo limite 
relativi al vetro che costituisce il prisma. Tracciata l'altezza CP, 
si conducano nel piano della sezione e per un punto X del seg- 


mento PB, la normale LX ad AB e l’obliqua VX tale che sia: 
(1) sen VXL = nsen (45° — 0). 


Supposto, secondo VX, un raggio luminoso che ruoti così da 
generare l’angolo VXB, è noto che ogniqualvolta il raggio stesso 
acquista una posizione tale da dar luogo, nel propagarsi, ad 
un raggio riflesso dapprima su BC, indi su 4B o su DC, a cia- 
scuna di dette posizioni corrisponde un raggio emergente da AD, 
nel piano della sezione, con direzione normale a quella del 
raggio incidente dal quale deriva. È pure noto che il fenomeno 
si avverte nel caso in cui il raggio incidente coincide colla nor- 
male LX: allora la riflessione ha luogo soltanto su BC. 


2. — Nel piano della sezione retta di un tale prisma (Fig. 2) 
e della quale sezione non si tiene conto pel momento della di- 
mensione AB, si considerino tre raggi incidenti nello stesso 


(*) MagwnacHI, Gli strumenti a riflessione per misurare angoli, $ 107. 


302 ENRICO GATTI 


punto X del segmento PB. Sia l'uno rappresentato dalla nor- 
male LX ad AB, l’altro V'X scelto nell'angolo VXL (1) ed il 
terzo WX nel quadrante LXB per modo che il raggio rifratto 
a lui corrispondente incontri il lato BC. 

In tali condizioni i raggi V'_X, WX, nel propagarsi, subi- 
ranno una doppia riflessione: l’uno secondo KG' e G'v', l’altro 
secondo HG e Go. 

Si indichino con R' ed Ri punti di incontro dei raggi G'o', 
Gv col raggio riflesso EL' corrispondente all’incidente LX. 

Le rette GH, G'K incontrano, nello stesso punto Y, la 
retta L'E e ciò perchè i triangoli XEH, XEK, sono rispetti- 
vamente uguali ai triangoli HEY, KEY. 

Per l’uguaglianza dei segmenti XE, EY, il punto Y cadrà 
sulla normale condotta dal punto B alla direzione Ab, e sarà 
il punto di concorso dei raggi riflessi come HG, KG' relativi 
alla posizione scelta pel punto X. Di più: 


ni = "i si 
GYR=.HXE; G'YR'= EXK. 


Detti rispettivamente a, a' ed % gli angoli HXE, EXK ed 
il segmento CP, i valori forniti per RY ed R'Y dai triangoli 
isosceli RGY, R'G'Y si possono scrivere: 


pr= 938 
tang @ 
(2) 
B'KW=2=St0 
tanga 
I punti È ed È' coincideranno ogniqualvolta : 
h—- XB 
(3) tanga = sl tanga' 


od ancora quando, indicati con i ed è’ gli angoli di incidenza 
corrispondenti ad a ed a', si verificherà la relazione: 


(4) seni __ h— XB seni ; 
V n° — senti XB V nè — sen?i 
8. — Si determinino î punti del segmento PB pei quali 


possono venire a passare raggi incidenti che soddisfanno alla 
relazione (4), e le regioni degli angoli VXL, LXB nelle quali 
tali raggi vengono a cadere. 


PROPRIETÀ RELATIVA AD UNA SPECIALE FORMA, ECC. 303 


Scelto un punto X (Fig. 3) del segmento PB e consider a» 
nel piano della sezione retta del prisma il raggio incidente in X 
normale ad AB ed il suo riflesso EL', dal noto punto Y ($ 2) 
corrispondente ad _X si conducano le rette YK, YM tali che: 


i g ni 
L'YA=>=0 e L'YM=45°— 0. 


Proiettati i punti X ed M rispettivamente in F e G sulla YL' 
risulta : 


È dive 
dr tang0 


(5) 
GY = XB dia 
— tang0 © 
I segmenti FY e GY assumono lo stesso valore, che è 
maggiore di 4: 


nt, 1-4 tango 
(6) EP 1% tang'0 
| per 
__, 1 tango. 
(7) er 14 tang”0 
Risulterà poi (5) 
RY:GY 
secondochè 
> — tang 08 
ra) 


e sarà GY>h nella prima ipotesi e YY>} nella seconda. 
Si osservi inoltre che costrutto sul segmento PB il trian- 


= i 
golo PBQ, per modo che QPB=45°—0 e PBQ=0 e proiet- 
tato il vertice Q su PB in Z, risulta: 


(A — ZB)tang(45° — 0) = ZBtang®. 
Tale equazione risoluta rispetto ZB dà: 


7% 1—- tang@ 
ZB=h Totianett 


e però sarà Z il punto del segmento PB, il quale ha da B la 
distanza rappresentata dalla (7). 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 21 


304 ENRICO GATTI 


Immaginata ora la rotazione dei raggi YM, YK così da 
generare rispettivamente gli angoli MYL'/, KYL', si può dire: 
1° Che per i punti, come X, del segmento PB pei quali 
1— tang@ 
XB>h Pie i 

ad ogni posizione YM' del segmento YM, escluse le posizioni 
limiti, corrisponde una posizione YK' del segmento YK, tale 

che fra gli angoli M'YL', L'YK' passa la relazione (3). 

Ne segue che se, come è lecito il fare, si riterranno l’una e 
l’altra delle posizioni accennate rappresentanti raggi riflessi do- 
vuti rispettivamente ai rifratti XH', XH, i raggi M'v K'v dop- 
piamente riflessi, allora risultanti, sì incontreranno nello stesso 
punto di YL'. 

La regione dell'angolo L'YK nella quale cadranno i raggi 
aventi la proprietà di YK' è L'YK" determinata da (3): 
bh w-Xp 


(8) tangL'&ki= i 


tang(45° — 0). 


2° Che pel punto Z vale la stessa proprietà e la regione 
utile dell'angolo L'YK è l'angolo stesso. 
3° Che per i punti (Fig. 4), come X, del segmento PB 
pei quali 
1— tang0 
XB < h ses) 
ad ogni posizione YK' del segmento YK, escluse le posizioni 
limiti, corrisponde una posizione YM' del segmento YM avente 
con YK' la proprietà accennata e la regione dell’angolo L'YM, 
nella quale cadono raggi come YM', è L'YM"' determinata da (3) 


XB 


o ' Li Anna 
(9) tang L'YM" = e 


tang0. 


4. — Segnati adunque (Fig. 5) sul segmento PB della se- 
zione considerata i punti X,Z,° per modo che: 


l—tangò . Rca =-tanp 9 l—-tangò . 
AB>h 1-4 tang°0 ’ 4B—=h 14 tang°0 ’ X'B<h 14 tang?0 ’ 


condotti nel piano della sezione per X e Z i raggi incidenti VX, 
VZ.tali che: 


sen VXL=sen VZL'=n sen (45° [on 0); 


Cosio 
“ 


APT 4° cnr cr ee 


PROPRIETÀ RELATIVA AD «UNA SPECIALE FORMA, ECC. 305 


e fatto passare per .X, il raggio XW e per X°, il raggio VA” così 
che essendo XH, X'Q' i raggi rifratti rispettivi sia (8), (9): 


h—- XB 
tang HXE= ona tang(45° — 6) 


I | aree x'B 
tang E"X"Q = tang0 
la discussione porta a concludere: 
VX 
a) che supposto il raggio VZ rotante per modo da ge- 
V'X' 
VAL 
nerare l'angolo VZL' a ciascuna sua posizione in detto angolo, 
VIX'L!' A 
LXW 
escluse quelle limiti, una ne corrisponde nell’angolo L'ZB tale 
L'' X'B 


che i due raggi doppiamente riflessi corrispondenti l’uno all’una, 
l’altro all'altra delle due posizioni accennate, incontrano nello 


EL, LX 
stesso punto il raggio riflesso £"L,'" dovuto all’incidente L'Z 
VO VALI a 1 


ò) che se la dimensione AB della sezione retta conside- 
rata, verrà a determinarsi colla perpendicolare condotta a PB 
per uno di tali punti di concorso, che si dirà È,, nel piano 
della sezione e nel punto del segmento PB, al quale il punto È, 
si riferisce, potranno farsi incidere tre raggi a ciascuno dei 
quali corrisponderà un raggio emergente da £,, con direzione 
normale all'incidente dal quale deriva. 


5. — Può chiedersi se fra i raggi scelti (Fig. 5) l’uno nel- 
VXL LXW 
l'angolo VZL', l’altro nell'angolo L'XB incidenti nello stesso 
RT PX 
X 


punto, come Z, del segmento PB ed aventi la proprietà ora 
JV 


accennata ($ 4) ne sussistano di quelli fra loro normali. 
Si osservi anzitutto che, se tal fatto può accadere, detti 
ed è gli angoli di incidenza dovuti ad una coppia di tali raggi, 


306 ENRICO GATTI 


ed a' ed a i corrispondenti angoli di rifrazione, dovrà verificarsi. 


la relazione (4) ed essere: # > dj; a > a’ e quindi (3) 


(10) 2 31 

Sia X° (Fig. 6) il punto di incidenza scelto sul segmento PB 
della sezione retta considerata e tale da soddisfare la (10). 

Tracciati nel piano della sezione due raggi incidenti V'X', 
WX' fra loro normali, l’uno appartenente all'angolo VAL (1), 
l’altro al quadrante LX'B, si prolunghino fino ad incontrare 
in M ed N la semicirconferenza di raggio X'O=1. Le tan- 
genti in M ed N ad essa determineranno sulla retta AB i punti 
P',Q' i quali varrebbero a tracciare, colla nota costruzione di 
Huyghens, i raggi rifratti corrispondenti agli incidenti consi- 
derati. 

Detto È il punto di intersezione di tali tangenti, è chiaro 
che nota la posizione di esso, pure saranno noti i raggi incidenti 
WX°,V'X' ed i rifratti a questi dovuti. 

A ciascuna coppia di raggi incidenti fra loro normali come 
WX', V'X', corrisponde un punto È, e il luogo di tali punti è 
la circonferenza di centro A” ed avente per raggio X"R = V2. 

Perchè la coppia di raggi incidenti tracciata goda della 
‘ proprietà in questione è necessario che (4): 


senLX'W e dbrrn&G B sen V'X'L 
Vnî— sen L'X'W x'B. Vu —seniVX'L. 


Tale scrittura si trasforma nella: 


2 ® 2 . 

sen?; costi 
11 —— T—-—< ct 4°--—T_;- 
(11) n° — sen?i n° — costi 


quando, indicati rispettivamente con i ed è' gli angoli di inci- 


denza LX'W, W'X'L, si faccia: 


hT_- X'B 
(11’) Feg =4 
e si tenga conto che gli angoli i ed #' sono complementari. 
Supposto che i raggi WX', V'X' soddisfacciano alla (11), 
il punto ÈR che a loro corrisponde, sarà determinato, note che 
sieno le sue distanze RS, RK dagli assi X°S, X'A, scelti come 
direzioni positive di due assi coordinati ortogonali. 


N N LTT n N Tn n —'—’'''''''+Fooeo 7) 


PROPRIETÀ RELATIVA AD UNA SPECIALE FORMA, ECC. 307 


Indicate rispettivamente con X ed Y le distanze stesse, il 
triangolo X' RS fornisce: 


X= X'Rsen(i — 45°) 
(12) | 
Y= X'Ecos(i — 45°). 


Sviluppate, le (12) si trasformano nelle: 
X= seni — così 
(12°) 
Y= senz + così 


dalle quali: 


Y+X 
seni = —3— ” 
(13) 
PA) + 
così = —— 


Sostituito il risultato delle (13) nella relazione (11) e tenuto 
conto che XA? + Y? — 2, la relazione stessa liberata dalle fra- 
zioni ed ordinata secondo le potenze decrescenti di XY diviene: 


+ (14) (A2—1) X2Y°—2n2(A2+1)XY+(2n®—1)(A2—1)=0. 


L'equazione (14) la quale ($ 1), (10) porge per XY valori 
reali e positivi, può scriversi: 


gin 2 (A? tt Va A°-+1P_ (2a? — LD(A°— 1} ) 


A — 1 
(15) te n: 
( peo: ssi Veri nie ire 


Tale scrittura dice che i punti come È sono quelli di inter- 
sezione della semicirconferenza tracciata con raggio AR, coi 
rami racchiusi nel quadrante AX°S di due iperboli equilatere 
aventi per assintoti gli assi coordinati considerati. 

I semiassi dell’ iperbole, rappresentata dal primo fattore 
uguagliato a zero della (15), hanno manifestamente un comune 
valore maggiore di V2 ei punti di intersezione della curva colla 
semicirconferenza di raggio X'È sono immaginari. 


308 ENRICO GATTI 


Uguagliando a zero il secondo fattore della (15) il sistema : 


XE Me +1) Va +1 Da 1 _ 


A°-1 
(15') 
X+Y=2 


porge: 


yet 9 SO) Peet VAT 4-1 


A°—-1 
(16) 
RR PT 
L'espressione 


(A — 1) — n?(4°+ 1) + Vni(A* + 1P— (20? — D(d°— DI 


si annulla per valori di A="*+1: le coppie quindi di valori (16) 

trovati sono (10) reali e da esse possono dedursi tanto le coor- 

dinate dei punti di intersezione dell’iperbole considerata colla 

circonferenza di raggio X'PR, quanto (13) quelli di seni, sen?’. 
Scrivendo appunto tali ultimi valori si ha: 


di DAT Vai an nai 


seni= © XA — 1) 
(17) 
LIO ei CRE E LE Du — 1)(A=1}. 


Se si tiene conto del quadrante al quale gli angoli è ed è' 
appartengono, e si osserva che nella generazione degli angoli 
stessi si deve assumere come primo lato l’asse XS, è a dirsi 
che nelle (17) sarà il valore positivo del radicale quello da sce- 
gliersi. 

Ne segue che il punto È corrispondente ad i ed #' sarà quello 
più prossimo all'asse X”S, cioè quello che ha per coordinate (12°): 


onori V (1) AAP VA FI TT 
uu i ‘agatel 1) Ì 


n y LOLLI 2 
AA°-1) 


PROPRIETÀ RELATIVA AD UNA SPECIALE FORMA, ECC. 309 


ui Ve —1)+a4°+41) _y n'(A° + 1° — (2n° — 1)(A°— 1)? 
wi: dA°— 1) fit 


ui SS 1)-n(4+1)+Va'(4F1?=@n—1)(4°-1? 
2(ATT1) : 


Nello stabilire le (17), le quali avrebbero potuto dedursi 
direttamente dalla (11), non si è fatta alcuna ipotesi sul valore 
dell'angolo è oltre quella accennata con i>?'. 

Perchè le relazioni stesse valgano nel caso nostro, deve 
essere: 


seni’ <nsen(45° — 0) 
ossia : ) 


(18) sen? <3 (Va — 1-1. 
Fatto nella (18) 
Wa 1-1P=M 
si determinino i valori di A che rendono 
(18’) sen? < M. 


Dovrà (17) scriversi la relazione: 


(A°-1)—n2(42+1)4+Vn'(42+1)?—(2n2—1)(A°-1)?<2(42—1)M 


ossia: 


Vni(A°+1)?— (2n2—1)(A°—1)?<2(42—1)M—(A?2—1)+n?(A2+1). 


Elevando a quadrato i due membri positivi della disugua- 
glianza e riducendo si ottiene: 


A?(2M — 1)? + 2à°— 1+ 2n?(2M— 1)] — 
19 
pei +[(2M— 1) + 2n° — 1— 2n°(2M — 1)]>0... 


La condizione (19) sarà verificata per valori di A maggiori 
della maggior radice, o, minori della minore, dell'equazione, riso- 
luta rispetto ad A, che risulta uguagliando a zero il primo mem- 
bro della disuguaglianza. 


310 ENRICO GATTI 


E siccome le radici dell’ equazione accennata sono rappre- 
sentate da: 


(2M — 1° +22 —1T—- 2#*(2M — 1) 


(20) —Y @M=-1f+2n#—-1+2#2M— 1) 


e del radicale si deve scegliere il valore positivo (10), così sod- 
disferanno la disuguaglianza (19) i valori di 


@M_ 1° Fa 1 2@M=1) 
(20') A> y CM_1f +2 —142w(2M— 1) 


pei valori di » che rendono reale quello del radicale (20). 
E tali sono appunto i valori ammessi per x, imperocchè, va- 


riando » da v2 a V5, il valore del radicando (20) varia da co ad 1. 
Indicato con V il valore reale e finito assunto dal radi- 
cale (20) corrispondentemente ad un valore di 


>V2 
"<V5 
la (19) e quindi la (18') saranno verificate quando (11)' 


h-X'B 


ossia quando: 
7" h 
6. — Concludendo si dirà: 


1° Che segnato il punto U del segmento PB (Fig. 6) tale 
che, corrispondentemente ad un determinato valore di x, sia 


h 
(22) vB FILI! 
fra le infinite coppie di raggi, incidenti nel piano della sezione, 
che si possono immaginare passanti per ciascun punto del seg- 
mento UB — esclusi gli estremi — ed aventi la proprietà nota 
($ 4), una ve ne ha della quale i raggi, costituenti la coppia, sono 
fra loro normali. 


PROPRIETÀ RELATIVA AD UNA SPECIALE FORMA, ECC. S11 


2° Che rappresentati con o’ ed ? gli angoli in tal modo 
designati nel ($ 5), la dimensione AB della sezione considerata e 
tale da permettere che alla coppia di raggi fra loro normali, in- 
cidenti in un punto A” del segmento UVB (23), corrisponda una 
coppia di raggi emergenti da uno stesso punto del lato AB 
(Fig. 1) potrà indicarsi con 


AB= Sb 
tang a 


ossia con 
‘4-2 P Va — senti | 


sent 
/ 

7.— Venendo ad esaminare un prisma già costrutto, si con- 
siderino nel piano della sua sezione retta 4'B'C'D' (Fig. 7) un 
raggio incidente WX' appartenente al quadrante LX'B' ed un 
raggio incidente V'X,' nell'angolo VX,'L' (1), e si supponga che 
tali raggi ammettano raggi emergenti passanti rispettivamente 
per Fk, ed l'. 

Detti a ed a’ gli angoli di rifrazione corrispondenti agli an- 
goli di incidenza LXA'W, V'X;'L' sarà (2): 


SE O, 
s 37 A'B' 
2X,B' 
AZIO. 
tang TE 


Ma poichè deve essere a<0 ed a'<45°—0, i segmenti X' B' 
ed X,'B' debbono rispettivamente soddisfare alle relazioni: 


2A D'— X'B) 


Var < tangò 
2XB 4 
AB < tang(45° — 0) 
ossia alle: 
X'B' > d'D' - #2 tango 
(23) 


Ra A4°B 1— tango 
AB < 2 14 tang®0 


Perchè esistano punti del segmento PB' tali da ammettere 
contemporaneamente raggi incidenti, compresi l'uno nell'angolo 


312 ENRICO GATTI 


come VX,'L' (1), l’altro nel quadrante come LX B', così che, nel 
propagarsi, i raggi stessi emergano da uno stesso punto — come 
R,, od R'— del lato A'D', dovrà essere: 


Dad 
ossia (23) 


24) dl 


1) 1 14 tang0 
a >AD 1+tang®0 


Quando adunque le dimensioni A4'B', 4'D' di un prisma ri- 
frangente della sezione retta considerata, soddisfano alla rela- 
zione (24), i punti del segmento X,"B' — X'B', esclusi gli estremi, 
determinati dalle relazioni 


(25) x'B=A4D 4 tango 
BIZ 7 PLAB 1— tang0 
(25) Xx B 2 14 tang0 


godono della proprietà accennata. 

Tutti i punti del segmento X,'B' determinato dalla (25), 
esclusi gli estremi, avranno tale proprietà quando, per un dato 
valore di n, A'B' ed A'D' sieno tali da rendere (25) 


X'B'=0. 


8. — La coppia di raggi incidenti che passa per ciascun 
punto @ (Fig. 8) del segmento X,'X' definito dalle (25-25') e che 
dà luogo a raggi emergenti uscenti dal punto È,, corrispondente 
a 0, può graficamente determinarsi, perchè in simile modo pos- 
sono tracciarsi i raggi rifratti rispettivi. 

Segnati infatti: i punti Y ($ 2) ed È, corrispondenti a @; la 
normale MN ad A4'B' nel suo punto di mezzo M; le congiun- 
genti MY, NY; e, detti rispettivamente H' ed H i punti di in- 
contro di tali congiungenti col lato B'C', i segmenti QH' e QH 
rappresenteranno i raggi rifratti dovuti all’accennata coppia di 
raggi incidenti. 


9. — Fra le coppie di raggi ora considerate, talune possono 
esisterne delle quali i raggi componenti sono fra loro normali. 


LN 


Anatra Scienze dilonno- 10000 


E.GATTI- Proprietà relativa ad una speciale forma di prisma rifrangente. Atti dRAccad.d.Scienze di Torino.- 102.38 


2 
| 
| 
Ì 


Fig. 5 
B 
A = = fr: = / A — — 
=== Li 
i PZ E Li Eac;Gs= 
vw 2 
na, = == 
D 7 È D = = T 
AV in 
È di 
Ì \ | 
Fig.3 | \ | w Fig. 6 
9: | \ | sar 4: 
| \ Cai 
\| 
È x A Di P_K n gp 
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Lit.Salussolia Torino 


PROPRIETÀ RELATIVA AD UNA SPECIALE FORMA, ECC. 513 


I punti di incidenza corrispondenti a ciascuna di tali coppie, deb- 
bono soddisfare alla (21) ed appartenere al segmento XX 
(Fig. 8) e quindi è possibile che punti simili sussistano solo 
quando il punto UV del segmento PB', il quale punto soddisfa 
alla (22), riesce compreso fra i punti X,'X' o fra i punti P, X;'. 
Ammesso che in Q cada uno di tali punti di incidenza e, 
indicato con ?' l’angolo di incidenza del raggio della coppia ap: 


ni 
partenente a VQL (1), sarà (2): 


A'B' P9 2 2Q0B' V n° << sen?4' 
mn send ‘ 
e poichè si pose (11'): 
AD —QE 


Gd = ya 


la relazione scritta diviene: 


__ BAD Vu sen 


! DI 
(27) Abr A+1 sen ?/ 


Sostituendo nella (27) il valore stabilito per sen?’ dalla (17’), 
essa può esser trasformata in una equazione rispetto ad A a 
coefficienti reali. Il numero di radici reali di tale equazione com- 
prese fra: 


yi Sep 


A'D'- X{B' 
Ai —_ XB ed Ag — 1 


Xx B 


7 3 VA A 


indicherà il numero di punti del segmento X,'X" che hanno la 
proprietà attribuita al punto Q. Riconosciuta l’esistenza di essi 
punti, la distanza di ciascuno, dal punto B’, potrà numericamente 
determinarsi ‘colla (11’) ricercate che sieno le radici reali della 
equazione accennata e comprese nell’intervallo A4;, 43. 


Dall’Istituto professionale Omar, Novara, gennaio 1903. 


314 _ DOMENICO KEGIS 


Sulla Prospettiva parallela. 


Nota di DOMENICO REGIS. 


(Con una Tavola). 


1. — Molto sovente l’Ingegnere desidera rappresentare un 
oggetto, come un edifizio od una macchina o semplici particolari 
di costruzioni, con una proiezione che ne conservi l'apparenza; 
una tale proiezione si distingue praticamente chiamandola una 
prospettiva; se l'oggetto da rappresentarsi è di dimensioni piut- 
tosto grandi, come un ponte o la riunione di più edifizi, la proie- 
zione più conveniente è la proiezione centrale; ma quando l’og- 
getto ha piccole dimensioni, come una macchina o particolari di 
costruzioni, si applica abbastanza bene una proiezione parallela, 
la quale ha il vantaggio sulla proiezione centrale, che si disegna 
più presto. 

Negli oggetti che l’Ingegnere o l’Architetto deve rappresen- 
tare in disegno, sì distinguono generalmente tre direzioni prin- 
cipali di linee, una verticale e le altre orizzontali, fra di loro 
perpendicolari; le dimensioni di questi oggetti si hanno in ge- 
nerale parallelamente a queste tre direzioni; e perciò la rappre- 
sentazione di questi oggetti per mezzo di due piani coordinati 
ortogonali si ottiene più facilmente quando si scelgono i piani 
di proiezione paralleli a quelle direzioni, e le proiezioni così fatte 
servono anche meglio a far conoscere le relazioni di posizione e 
di grandezza delle varie parti di questi oggetti; ma raramente 
una sola proiezione è in grado di dare all’occhio dell’osserva- 
tore l'apparenza dell’oggetto che sì rappresenta; ciò perchè l’og- 
getto ha in generale faccie piane principali parallele a quelle 
dimensioni, le quali vengono rappresentate da una semplice 
retta; così un esaedro regolare viene proiettato ortogonalmente 


SULLA PROSPETTIVA PARALLELA SIE 


su di un piano parallelo a due spigoli secondo un semplice qua- 
drato: se invece si fa una proiezione parallela, ortogonale od 
obliqua, su di un piano scelto in modo, che le faccie principali 
di quell'oggetto vengano tutte rappresentate coi loro contorni, 
ancorchè questi in proiezione risultino sformati, l'osservatore 
tuttavia li restituisce alquanto mentalmente nella loro forma e si 
immagina più facilmente l'oggetto che è rappresentato. 

A questo scopo serve il disegno assonometrico, per il quale 
sì collocano gli assi di coordinate nelle direzioni secondo le quali 
si hanno le dimensioni dell’oggetto; ed in disegno si preferisce 
generalmente di fissare arbitrariamente le direzioni delle proie- 
zioni degli assi e scegliere anche arbitrariamente le scale asso- 
nometriche; cercando, per mezzo di tentativi, di ottenere il 
miglior effetto di apparenza, con un disegno alquanto spedito ; 
poco importa se in fine la proiezione risulta rettangolare od 
obliqua. Esempi bellissimi di tali disegni si hanno nelle tavole 
delle opere di CHorsy, L'art de batir chez les Romains, e chez les 
Bizantins. 

Il teorema di Pohlke ci fa conoscere come scegliendo arbi- 
trariamente le direzioni delle proiezioni degli assi, e le scale 
assonometriche si ottiene sempre una proiezione geometrica; il 
che è già bene; ma talvolta è necessario di avere una rappre- 
sentazione completa di grandezza e posizione, se non di tutto 
l’oggetto almeno di una particolare figura che ad esso si riferisca, 
sulla quale sia da risolvere qualche problema; ora quando la 
proiezione è ortogonale ciò si ottiene aggiungendo alla proiezione 
assonometrica della figura obbiettiva quella di una delle sue tre 
proiezioni coordinate sopra i piani determinati dagli assi; e si ha 
così una teoria soddisfacente per il caso in cui la proiezione sia 
ortogonale; ma questa teoria non può applicarsi completamente 
nella proiezione obliqua. i 

In questo breve scritto mi propongo di dimostrare come, 
nel caso della proiezione assonometrica obliqua per ottenere una 
rappresentazione completa di una figura, sia conveniente aggiun- 
gere alla proiezione obliqua la proiezione ortogonale della stessa 
figura sullo stesso piano di proiezione; colle quali due proiezioni 
coordinate risultano facili e brevi le soluzioni dei problemi che 
si hanno ordinariamente da risolvere nelle applicazioni della Geo- 
metria Descrittiva. 


316 DOMENICO REGIS 


2. Teorema di Pohlke. — Tre segmenti di lunghezza e di- 
rezione arbitrarie che partono da un punto e sono in un piano (cioè. 
OA OB OC, fig. 12) possono sempre considerarsi come la proiezione 
parallela sul piano di tre segmenti eguali, partenti da uno stesso 
punto, situati sopra tre assi fra di loro perpendicolari. 

Di questo teorema si sono già date più dimostrazioni, tut- 
tavia io ne indico ancora una, meno semplice di quelle date fi- 
nora, ma che io preferisco perchè le operazioni grafiche che con 
essa si fanno per la determinazione della direzione dei raggi 
proiettanti e della lunghezza dell’unità lineare, conducono a ri- 
sultati pratici più soddisfacenti, perchè di essi si può sempre 
verificare l’esattezza in più modi. i 

Osservo innanzi tutto che i tre segmenti obbiettivi eguali, 
partenti da uno stesso punto, possono considerarsi come raggi 
di una sfera che ha il centro in quel punto; la quale viene ta- 
gliata secondo tre circoli massimi dai piani determinati dai tre 
segmenti, combinati a due a due. Le proiezioni di questi tre 
circoli sopra di un piano, fatte con raggi proiettanti fra di loro 
paralleli, sono in generale tre ellissi: e siccome i tre segmenti 
obbiettivi s'intendono fra di loro perpendicolari, le loro proie- 
zioni, combinate due a due, sono semidiametri coniugati delle 
ellissi secondo cui si proiettano i circoli. Queste ellissi poi sono 
inscritte nella proiezione del contorno apparente della sfera; e 
questa proiezione è ancora un’ altra ellisse, il cui semiasse mi- 
nore è eguale al raggio della sfera ed il semiasse maggiore è 
tale, che il rapporto dei semiassi è eguale. al seno dell’angolo 
che i raggi proiettanti fanno col piano di proiezione. 

Ora se le tre ellissi costruite sopra i segmenti dati 04.08, 
OA 0C, 0B0C come semidiametri coniugati risultano inscritti- 
bili in un’ altra ellisse, non vi ha dubbio che quelle tre. ellissi 
possono considerarsi come le proiezioni di tre circoli massimi di 
una sfera, situati in piani fra di loro perpendicolari; la direzione 
dei raggi proiettanti essendo tale, che l’ellisse circoscritta sia 
la proiezione del contorno apparente della sfera. 

E ciò avviene realmente nel caso nostro, perchè le tre el- 
lissi che abbiamo nel piano sono concentriche; ed in generale 
basta che nel piano di esse vi sia un punto che abbia la stessa 
polare relativamente a ciascuna delle tre ellissi, perchè a queste 
possa circoscriversi un’ altra ellisse (V. CHasnes, Traité des sec- 
tions coniques, 1° partie, n. 490). 


» dita cotanta & 


SULLA PROSPETTIVA PARALLELA Sii 


8. Costruzione dell’ ellisse. circoscritta (fig. 1). — 
Dicansi S S' S'” le tre ellissi che hanno rispettivamente per 
semidiametri coniugati i segmenti dati 0A .0B, OA 0C, OB 00, 
e dicasi X l’ellisse circoscritta. Si trovino i punti C; €; dell’el- 
lisse S nei quali le tangenti sono parallele al segmento dato 
OC, così si trovino i punti B, B, dell’ellisse S' dove le tangenti 
sono parallele al segmento OB e finalmente i punti A, A; del- 
l’ellisse 5" dove le tangenti sono parallele al segmento 0A; si 
avrà per ciascuna delle tre ellissi una seconda coppia di dia- 
metri coniugati. Queste tre coppie di diametri, cioè OC, 0C, 0B, 0B 
ed OA, OA, considerati solamente nella loro direzione, \sono tre 
coppie di diametri coniugati dell’ellisse circoscritta X: ed è diametri 
C,C, B,B, ed A, A, delle ellissi inscritte sono rispettivamente le 
corde di contatto di queste ellissi coll’ellisse circoscritta. 

Per dimostrare questa proposizione premetto che se in un’el- 
lisse (fig. 5) si hanno due coppie di diametri coniugati 0.4 0B 
ed OM ON, e, prendendo i primi 0A 0B come assi di coordinate, 
si dicono «'y' ed x'' y" le coordinate dei punti estremi M ed 
N degli altri due, di più si dicono a e è i due semidiametri 0A 
ed 0B, le equazioni dei due diametri OM ed ON possono scriversi 


pesce ed "= 


e perchè i due diametri OM ed ON sono coniugati, si avrà il 
prodotto dei coefficienti angolari 


inoltre dai due triangoli OMP' ed ONP" ricavasi 


Le ——=  — 


x sen MB © sen NB 


j MA di sen N. 
Y sen sà 1 sen NA 


per cui può scriversi 


(1) senMA © senNA4 _ b° 
senMB © senNBo a? 


Si applichi questa formola successivamente alle tre ellissi 
S S' ed S” considerando nell’ellisse S le due coppie di diametri 


318 + DOMENICO REGIS 


coniugati 0.4 0B ed 0C0C,, nell’ellisse S' le due coppie 0A 0C 
ed 0BOB,, e nell’ellisse 5" ie due coppie 0B OC ed 0A04;, 
si avranno le tre eguaglianze 


senCA  senCA __ db senBC  senBiC ___ a 
senCB © senC(,B a? senBA4 © senB;A e? 
sen AB, sen AB. 0. 
sen4C © sen 410 I at 


Ora moltiplicando queste tre eguaglianze membro a membro ed 
omettendo di scrivere i fattori che si elidono, si ottiene l’e- 
spressione 


(2) sen (4A senBiC sen 44B 
senC,jB © senBiA sen 4,0 


la quale fa conoscere che le tre coppie di diametri 0A 04,, 
0B 0B, ed 0C0C; sono in involuzione e possono perciò essere 
tre coppie di diametri coniugati di una stessa ellisse; gli assi es- 
sendo quella coppia di raggi che sono fra di loro perpendicolari 
nel fascio in involuzione determinato dall’espressione (2) (Vedi 
CHasues, Traité des sections coniques, n. 172-173 e Géometrie su- 
périeure, n. 249). 

Infinite ellissi possono costruirsi che abbiano quelle tre coppie 
di diametri coniugati; le quali ellissi sono tutte simili. Una di 
queste, passante per i punti C; C; dell’ellisse S, passa anche per 
i punti B, B, dell’ellisse S' e per i punti A, A; dell’ellisse S'' 
e trovasi circoscritta a queste tre ellissi, perchè ha con ciasche- 
duna di esse un diametro comune colle tangenti comuni nei 
punti estremi. 


4. — Per riconoscere come effettivamente quelle tre coppie 
di punti appartengano ad una stessa ellisse X, si determinino i 
semidiametri c' d' a’ che trovansi nelle direzioni 0C 0B 0A, ri- 
spettivamente coniugate alle direzioni 00, 0B, 0A.. 

Si cerchi il semidiametro c’, coniugato alla direzione OC; 
considerando l’ellisse Z come determinata dal semidiametro ce, e 
dalle due coppie di direzioni coniugate 0C 0C, ed 0A 0A,. Per 
la formola (1) si avrà l'equazione 


(3) sen 40) sen A4;G __ IC 
ì sen AC © sen 4,0 ci 


vol 1 


‘ SULLA PROSPETTIVA PARALLELA 319 


e si può anche scrivere l'equazione 


(8 ) sen BC, senBiCi __ Ba 
È sen BC * senB,C ci 


considerando l’ellisse come determinata dalle due coppie di dia- 
metri coniugati OC OC, ed 0B OB,, colla lunghezza del semi- 
diametro conosciuto c,; le quali due equazioni dànno lo stesso 
valore per il rapporto c' :c,. Infatti se si elimina l’incognita c' 
- fra le due equazioni col dividere l’equazione (3) per la/ (3,), il 
quoziente dei due primi membri può scriversi 


sen AC; sen 44C 
sen4C . senA;Gi 
sen BC, © senB;C 
sen BC senB, Ci 


la quale espressione rappresenta il quoziente fra il rapporto anar- 
monico dei quattro diametri (0 A4BC;C) e quello dei loro co- 
niugati (0 4,B,CC;), rapporti che sono eguali per la involuzione 
determinata dall’espressione (2). 

Così supponendo conosciuto il semidiametro 8, oppure il 


L.;.£ { . AR a' 
semidiametro a, si possono trovare i rapporti -- ed -— con 
1 1 


considerazioni analoghe a quelle ora fatte, e colle seguenti 
equazioni : 


sen CB, senC,Bi #4 b? 


(4) sen CB © senC;,B DE 
(4,) sen AB, sen A4;Bi __ oi 
1 sen AB © sen 4,B b,} 
6 senBdi  senBidi _ a 
A sen BA © senB;A4 a 
(5 ) sen CA, sen CjAi IO: a 
1 sen CA © senCA4 dalai 


Determinato il valore di uno dei tre rapporti As; È ed 
1 LI 


’ 


î si possono con quello trovare i valori degli altri due colle 
1 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 22 


320 DOMENICO REGIS 


stesse equazioni: si divida perciò l'equazione (3) per l'equazione 
(5), omettendo di scrivere i fattori che si elidono, si troverà: 


ea A Tai 


| sen (4A pe c3. Dia? 
e, successivamente, dividendo l'equazione (4) per l'equazione (3) 
e l'equazione (5) per l'equazione (4;), si troveranno ancora le 
seguenti : 


| sen B,C Ik "O 


sen CB pi; by? x ci 


| sen AB ) ina 
sen BA bed Pai 3 b?, £ 


Eliminando ora fra le tre ultime equazioni i rapporti 
» 3 ed = col moltiplicarle membro a membro, si giunge 
1 1 1 


all’espressione 


sen*C, A . sen?B,C . sen° 44B 
sen? 4,C . sen*C;B . sen? Bj A 


che è ancora una conseguenza dell’espressione (2), e fa cono- 
scere che queste equazioni sussistono, e, dato uno dei tre rap- 
porti, bastino due di esse per determinare gli altri due rapporti. 


5. — Per quanto è detto al N. 2 è necessario di avere gli 
assi dell’ellisse circoscritta Z, che si trovano avendo due diametri 
coniugati di quest’ellisse determinati in direzione e grandezza; 
ora non sarebbe perciò necessario di costruire le quattro ellissi 
SS'S" x; e basterebbe avere due dei tre diametri C,C, BB, 
A,A;, che sono pure i diametri di contatto delle ellissi S S' S" 
coll’ellisse circoscritta. I punti C; C, dell’ellisse S, dove le tan- 
genti sono parallele al segmento dato OC, si possono trovare 
considerando l’affinità che vi è fra l’ellisse S ed un circolo de- 
scritto col centro in 0 e raggio 0A, oppure 05. In tal modo 
si possono avere i punti B,B, dell’ellisse S', dove le tangenti 
sono parallele al segmento dato 08, considerando l’affinità che 
l’ellisse S' ha con un circolo descritto sul diametro A A, op- 
pure CC. 


sa a 


SULLA PROSPETTIVA PARALLELA 321 


Avendo due coppie di diametri coniugati 0C; 00" ed 0B, 0B' 
e conoscendo le grandezze dei due semidiametri 0C; ed 05,, si 
può trovare il semidiametro OC’ con una costruzione grafica 
semplice, e finalmente avendo i due diametri coniugati OC, ed 
OC' determinati in grandezza e direzione, si determinano gli 
assi EE ed FF, che è ciò che si cerca. Per la soluzione di 
quest’ ultimo problema vedasi la fine di questa nota. 

Tuttavia, quantunque non sia necessaria la costruzione delle 
quattro ellissi S/S' S"" e X, è però utile, sia perchè con essa si 
evitano più facilmente errori grafici che possono occorrere, sia 
principalmente perchè si può sempre meglio verificare bea 
delle costruzioni grafiche che si sono fatte. 


6. Direzione delle rette proiettanti. — Lunghezza 
dell’unità lineare in disegno. — Dalla fig. 1 si sono tras- 
portati nella fig. 2 i tre segmenti dati OA 0B OC e l’ellisse X 
che si è trovata, circoscritta alle tre ellissi che hanno per se- 
midiametri coniugati i tre segmenti dati combinati due a due. 
Le rette EE ed FF sono gli assi dell’ellisse X, collocati relati- 
vamente ai tre segmenti dati come sono nella fig. 1. Si assumano 
ora due piani ausiliarii di proiezione, fra di loro ortogonali, uno 
dei quali sia lo stesso piano di proiezione assonometrica (che 
dicesi quadro), l’altro passi per l’asse maggiore dell’ellisse FF, 
che forma la linea di terra. Questo piano si trasporti paralle- 
lamente a se stesso, trasportando la linea di terra da FF in 
F'P'; e poi si ribalti sul quadro con una rotazione intorno alla 
linea di terra FF". Si disegni la proiezione del contorno ap- 
parente della sfera sul quadro e sul piano 2° di proiezione, cioè 
si segnino i due circoli che hanno il centro l’uno in O e l’altro 
in 0" e raggio OE. Si proiettino sulla linea di terra i punti 
FF in F'F'; la tangente F"f condotta da F' rappresenta in 
proiezione 2? la direzione dei raggi proiettanti; l’ angolo 6 che 
questa tangente fa colla linea di terra rappresenta l’inclinazione 
dei raggi proiettanti col piano di proiezione assonometrica; il 
rapporto 0": 0"f", eguale al rapporto dei semiassi dell’ellisse 
circoscritta, è eguale al seno di quest’angolo. 

Il raggio della sfera OE è la lunghezza che rappresenta in 
disegno l’unità lineare; i tre segmenti dati OA 0B OC sono le 
unità delle scale assonometriche relative ai tre assi. 


322 DOMENICO REGIS 


7. Proiezioni ortogonali dei tre assi. — Si proiettino 
sulla linea terra FF" i punti ABC in A"B"C", e da questi 
punti conducansi rette parallele ai raggi proiettanti, prolungate 
finchè incontrino la superficie sferica; i punti d’incontro si tro- 
vano sui circoli della sfera che hanno i centri rispettivamente 
nei punti a’ d' e’ e per raggi le semicorde del circolo di contorno 
apparente della sfera a'a b'è c'e. Questi punti d’incontro trovansi 
proiettati in proiezione 2* in A4"B;"C;" ed in proiezione orto- . 
gonale sul quadro in A; B, C;; le rette 0A, 08, 0C; sono le 
proiezioni ortogonali e le 0" A," 0"B," ed 0"”C;'" sono le proie- 
zioni 2° dei tre segmenti obbiettivi eguali che si proiettano obli- 
quamente sul quadro secondo i segmenti dati OA 0B 0C, i raggi 
proiettanti essendo paralleli alla retta fP". 


8. — Sono due i triedri trirettangoli i cui spigoli si proiettano 
secondo i tre segmenti dati. Ciò si riconosce osservando che ciasche- 
duna delle tre ellissi S S' S" (fig. 1) è proiezione di due circoli 
massimi della sfera citata al N. 2. 

Il cilindro che ha per direttrice una delle tre ellissi, per es. 
la S, e le generatrici parallele ai raggi proiettanti, ha colla sfera 
due punti comuni, quelli cioè che sono proiettati in C, C,, e 
trovansi sul contorno apparente della sfera, proiettato in Z; ed 
in questi due punti la sfera ed il cilindro hanno anche i piani 
tangenti comuni; i quali piani sono fra di loro paralleli, e perciò 
la congiungente gli stessi punti è un diametro della sfera; ed 
è pure un diametro comune delle due linee piane secondo cui 
s'incontrano le due superficie; le quali linee sono perciò due cir- 
coli massimi della sfera, simmetrici rispetto al piano perpendi- 
colare alle generatrici del cilindro. 

Nella figura 7 sono rappresentati i due triedri 0 ABC ed 
OA'B'C", con una proiezione ortogonale su di un piano perpen- 
dicolare al quadro e parallelo ai raggi proiettanti, la quale pro- 
iezione si ricava dalla fig. 1, nello stesso modo col quale si è 
ottenuta la fig. 3. La retta ff è la direzione dei raggi proiet- 
tanti; la retta ff perpendicolare alla ff è la proiezione del con- 
torno apparente della sfera relativo alla proiezione obliqua, pro- 
iettato sul quadro in X. Nelle due semiellissi C, ABC; e C, A4'B'C, 
sono rappresentate in proiezione ortogonale, metà per ciascuna, 
le due circonferenze secondo cui la sfera è incontrata dal cilindro 


SULLA PROSPETTIVA PARALLELA 323 


di traccia S; così le altre quattro semiellissi B, ACB, B,A'C'B,, 
A,BCA, ed A,B'C'A rappresentano in proiezione ortogonale una 
metà di ciascuna delle circonferenze di circolo massimo secondo 
cui la sfera è incontrata dagli altri due cilindri che hanno per 
traccia sul quadro le ellissi S' ed S". Vedonsi infine i due trian- 
goli sferici che chiudono i due triedri: uno di essi corrisponde 
alla direzione dei raggi proiettanti indicata dalla freccia f#, 
l’altro alla direzione opposta. 


9. Direzione secondo la quale si proiettano le 
perpendicolari al quadro. Scala relativa (fig.3). — Tirisi 
il raggio della sfera 0"% perpendicolare al quadro; questo raggio 
si proietta in proiezione ortogonale sul quadro nel punto 0; ed 
obliquamente, cioè con raggi proiettanti paralleli alla f/”, si 
proietta sulla retta OH. Il raggio 0"% si riduce in proiezione 
obliqua nella lunghezza OH. Il rapporto OH:0"% è il rapporto 
di riduzione per le perpendicolari al quadro ; e colla lunghezza 
OH per unità si forma la scala e,, colla quale si può conoscere 
la lunghezza di una perpendicolare al quadro. 


10. Elementi fondamentali del disegno (fig. 2 e 4). 
— Le direzioni OX OY 0Z delle proiezioni oblique dei tre assi, 
colle rispettive scale assonometriche e, e, e. (fig. 4), le direzioni 
OX, OY, CZ; delle proiezioni ortogonali degli stessi assi sullo 
stesso piano di proiezione; e la direzione OH delle proiezioni 
delle perpendicolari al quadro colla relativa scala e, costituiscono 
relazioni fra le due proiezioni, per mezzo delle quali una è le- 
gata all'altra. 

‘La proiezione obliqua è fatta nello scopo di fare una pro- 
spettiva dell'oggetto che si vuol rappresentare; le due proiezioni 
coordinate servono, quando sia necessario, « determinare di forma 
e posizione una figura, ed a risolvere, con facile soluzione, problemi 
che possano occorrere sulla figura così rappresentata. 


11. Verificazione dell’esattezza del tracciato di 
tali elementi. — Per l'esattezza di un lavoro è necessario di 
verificare l'esattezza grafica di questi elementi; ciò si fa nel se- 
guente modo: Si consideri un piano n parallelo al quadro, rap- 
presentato nella fig. 3 dalla sua traccia P.P., parallela alla 


324 DOMENICO REGIS 


PP"; si trovino le proiezioni ortogonali XK, II, L'L, dei 
punti d’incontro del piano m coi tre assi; e si riconosca se le 
tre rette che congiungono due a due i tre punti KX, / ed Lj 
sono rispettivamente perpendicolari alle proiezioni ortogonali 
OX, OY, 0Z; degli assi. Ciò deve essere, perchè le tre rette 
K,I, IL, ed L,K, formano il triangolo delle traccie del piano 
coi piani determinati dai tre assi di coordinate presi due a 
due, e perchè questi tre assi sono fra di loro perpendicolari e . 
la proiezione è ortogonale, un lato di questo triangolo deve es- 
sere perpendicolare alla proiezione dell’asse opposto. Inoltre si 
trovino ancora le proiezioni oblique degli stessi punti, cioè i 
punti X I ed L, seguendo le rette K,K /,I ed L,L parallele 
alla 0H; i segmenti KK, II; ed LL, debbono essere fra di loro 
eguali, ed eguali alla 0"p' (fig. 3), perchè tutti rappresentano 
nella scala e, la distanza del piano t dal quadro. 


12. Proposizioni elementari più frequentemente 
applicate. — Le due proiezioni ortogonali ed oblique di un punto 
trovansi allineate nella direzione secondo cui si proiettano le perpen- 
dicolari al quadro, cioè OH (fig. 2). La loro distanza rappresenta 
nella scala relativa a queste perpendicolari, cioè er, la distanza del 
punto dal piano di proiezione. Così i due punti L ed L della fig. 2 
sono le proiezioni ortogonale ed obliqua di un punto  dell’asse 
delle x; il segmento L,L portato sulla scala e, fa conoscere la 
distanza del punto obbiettivo dal piano di proiezione, che in 
questa figura s'intende passare per l’origine delle coordinate. Se . 
portando il segmento /,L sulla scala e, si legge (suppongo) 0,21, 
si dirà che la distanza del punto obbiettivo dal piano di proie- 
zione è 0,21 X e. 

Se si suppone che il piano di proiezione si trasporti paral- 
lelamente a se stesso, la proiezione ortogonale non cambia di 
posizione e la proiezione obliqua si trasporta nella direzione OH 
per modo, che la sua distanza dalla proiezione ortogonale rap- 
presenta sempre nella scala ridotta e, la distanza del punto ob- 
biettivo dal piano di proiezione. 


13. — Le due proiezioni ortogonale ed obliqua di una retta s’in- 
contrano nel punto che è la traccia della retta sul piano di proie- 


ala e ur 


SULLA PROSPETTIVA PARALLELA 325 


zione, perchè questo punto è proiezione ortogonale e proiezione 
obliqua di se stesso. 

Se una retta è parallela al quadro le sue due proiezioni sono fra 
di loro parallele; e viceversa: Se le due proiezioni ortogonale ed 
obliqua di una retta sono fra di loro parallele, la retta obbiettiva è 
parallela al piano di proiezione. La sua traccia è a distanza infi- 
nita nella direzione delle due proiezioni della retta. Si dice in 
tal caso che la retta è collocata di fronte. 

Se una retta parallela al quadro è anche parallela pal piano 
determinato da due dei tre assi di coordinate, le sue A proie- 
zioni sono perpendicolari alla proiezione ortogonale del terzo asse. 
(V. n.11). 


14. —- La traccia di un piano sul quadro o su di un piano 
di fronte passa per le traccie delle rette che giacciono nel piano. 
Una retta di fronte giacente in un piano ha le sue due protezioni pa- 
rallele alla traccia del piano. 

Se un piano è parallelo a due degli assi di coordinate, la 
sua traccia sul quadro, o su di un piano di fronte, è perpendicolare 
alla proiezione ortogonale del terzo asse, perchè questo è perpen- 
dicolare al piano. 


15. — La traccia del piano che passa per due dei tre assi di 
coordinate è perpendicolare alla proiezione ortogonale del terzo asse. 
Le traccie dei tre piani determinati dai tre assi combinati due 
a due formano il triangolo delle traccie degli stessi piani sul 
quadro o su di un piano di fronte; nel quale triangolo la proie- 
zione ortogonale del punto d’incontro delle tre altezze deve coin- 
cidere colla proiezione ortogonale dell’origine delle coordinate 
(n. 11). 

Se il piano di proiezione passa per l'origine delle coordinate, le 
traccie dei tre piani determinati ciascuno da due dei tre assi, passano 
anche per l'origine delle coordinate, e sono perpendicolari ciascuno 
alla proiezione ortogonale dell'asse che non giace in quel piano. 


16. — Le due proiezioni, ortogonale ed obliqua, di una figura 
piana sono affini, coi raggi di affinità paralleli alla direzione OH, 
secondo la quale sì proiettano le perpendicolari al quadro, ed hanno 


326 DOMENICO REGIS 


per asse di affinità la traccia del piano della figura. La dimostra- 
zione di questa proposizione risulta dalle proposizioni indicate 
ai ni 12, 13 e 14. 

Questa proprietà esiste qualunque sia il piano di fronte che 
è preso come piano di proiezione, sul quale cioè cade la proiezione 
obliqua della figura e la traccia del piano. 

Come caso particolare si ha che: Le due proiezioni ortogo- 
nale ed obliqua del triangolo delle traccie di un piano n coi tre 
piani coordinati, determinati cioè dai tre assi di coordinate presi 
due a due, sono figure affini, coi raggi di affinità paralleli alla di- 
rezione OH e l’asse di affinità sulla traccia del piano n (V.n.11). 
Per questa proprietà data una delle proiezioni ortogonale od 
obliqua del triangolo delle traccie di un piano coi tre piani coor- 
dinati si trova facilmente l’altra. 


17. — Se una fiqura piana rota intorno ad una retta di 
fronte, situata nel piano della figura, finchè lo stesso piano trovisi 
parallelo al quadro, le due proiezioni della figura, fatte una prima 
e l’altra dopo la rotazione, sono affini coll'asse di affinità nella 
proiezione dell'asse di rotazione; la direzione dei raggi di affinità 
si conosce quando si abbiano le due proiezioni di un punto; ciò 
che è ordinariamente facile ad aversi. Questa proprietà esiste 
sia per una proiezione ortogonale come per una proiezione obliqua. 
Si applica molto questa proposizione per risolvere problemi di 
grandezza, come per avere la proiezione assonometrica (obliqua) 
di una figura piana, o per avere la forma e la grandezza di una 
figura rappresentata in disegno assonometrico. 


18. — Le proposizioni elementari ora. dette si applicano 
facilmente alla soluzione dei problemi che occorrono più so- 
vente nelle applicazioni della Geometria descrittiva; per dare un 
esempio, io risolvo qui un problema, nel quale applico la pro- 
posizione del n. 17. | 

ProBLEMa. Disegnare la prospettiva parallela di un circolo, 
essendo dato il piano del circolo, il centro ed il raggio (fig. 6). 
— Gli elementi della rappresentazione sono quelli stessi che si 
vedono nelle fig. 2 e 4 (n. 10); dei quali però in questa figura è 
segnata solamente la direzione delle proiezioni delle perpendico- 


SULLA PROSPETTIVA PARALLELA 327 


lari al quadro, cioè OH, colla scala relativa e, e la scala delle 
lunghezze e, non essendo necessarii gli altri elementi per la so- 
luzione del problema proposto. 

Il piano del circolo a è dato per mezzo della sua traccia a, 
sopra di un piano di fronte o, sul quale si fa la proiezione 
obliqua del circolo; di più sono date le due proiezioni del centro 
del circolo sullo stesso piano 0, cioè sono dati i punti 0, e C 
proiezioni ortogonale ed obliqua sullo stesso piano 0; per modo 
che il segmento CC, parallelo alla retta OH, rappresenta la 
distanza del centro del circolo obbiettivo dal piano o sul quale 
si fa la proiezione (n. 12). 

Per la proiezione C del centro si tiri la retta ACB parallela 
alla a,, e si porti su di essa da una parte e dall’altra del punto C 
la lunghezza del raggio dato, presa nella scala e; sarà questa 
la proiezione del diametro del circolo che è parallelo al piano 
di proiezione (n. 14); e sarà facile di trovare la proiezione del 
diametro coniugato a questo : 

Si consideri un piano @ perpendicolare alla traccia a, del 
piano del circolo; la traccia di questo piano sul piano o è la 
retta C,7, condotta per la proiezione ortogonale C;, del centro 
del circolo perpendicolare alla a,. Il piano ©, perpendicolare alla 
retta a, è perciò perpendicolare al piano a ed al piano di proie- 
zione 6; la sua intersezione col piano a passa per il centro del 
circolo, è perpendicolare al diametro di fronte proiettato in AB, 
e forma con questo una coppia di diametri coniugati del circolo, 
1 quali si proiettano in prospettiva sulle rette ACB e TCF, e 
risultano due diametri coniugati dell’ellisse che si cerca. 

Si ribalti il piano @ sul piano di proiezione o con una ro- 
tazione intorno alla sua traccia T°C, il centro del circolo si porta 
sulla retta C,c perpendicolare alla 7°0,, alla distanza C;c eguale 
alla distanza del centro del circolo dal piano 0, la quale distanza 
è rappresentata in figura dal segmento C;C (n. 11). Preso per- 


e . DI 
tanto Cic=C;C X 2 O segnata la retta Te, si avrà su questa 


il ribaltamento della retta obbiettiva che congiunge il punto 7° 
col centro del circolo. (Osservo qui che l'angolo C Te rappresenta 
l'angolo che il piano a fa col piano di proiezione). Sulla retta c 7° 
a partire dal punto c si portino Je lunghezze ce e ef eguali 
al raggio dato CA, si segnino le rette proiettanti eE, ed fF, 


328 DOMENICO REGIS 


perpendicolari alla 7°0;, indi le E,E ed F,F parallele alla 0H, 
sì avrà in proiezione obliqua la lunghezza del diametro EF co- 
niugato ad AB. 

Avendo ora due diametri coniugati si può con questi trac- 
ciare l’ellisse; ma dirò invece come si possano trovare alcuni 
punti e tangenti, applicando la proposizione del n. 17, nello 
stesso modo che si farebbe se si trattasse di una figura piana 
qualunque; poi troverò gli assi dell’ellisse semplicemente appli- 
cando la proposizione del n. 17. 

S'intenda che il piano del circolo roti intorno ad una retta 
di fronte finchè sia parallelo al quadro, si disegni la proiezione 
del circolo in questa posizione, la quale sarà un circolo eguale 
al circolo obbiettivo; con questa proiezione si troverà la proie- 
zione che si cerca mediante l’affinità spiegata al n. 17. 

Scelgo per asse di rotazione la tangente al circolo nel punto 
E, cioè la retta proiettata in proiezione obliqua in £D. Rotando 
il piano a intorno .a questa retta, il raggio del circolo passante 
per £ si mantiene perpendicolare all'asse di rotazione, e, quando 
si trova parallelo al quadro, la sua proiezione obliqua è in EY 
perpendicolare ad £D. Il circolo in questa posizione viene proiet- 
tato obliquamente secondo il circolo, che vedesi tracciato, de- 
scritto cioè col ceùtro in Y e raggio in YE. Questo circolo e l’'el- 
lisse che si cerca sono affini coll’asse di affinità in ED, essendo 
due punti corrispondenti i punti y e C; e mediante questa affinità 
sì possono trovare punti e tangenti per costruire l’ellisse. 

Per trovare gli assi dell’ellisse si descriva il semicircolo che 
ha centro sull’asse di affinità e passa per i punti C e Y; si 
uniscano i punti y e Cl coi punti r ed s in cui il semicircolo ora 
descritto incontra l’asse di affinità; le rette Cr e Cs sono gli assi 
dell’ellisse. Infatti queste rette sono corrispondenti ai diametri Yr 
e Ys del circolo perchè incontrano questi sull’asse di affinità in 
r ed s; questi del circolo sono coniugati perchè l’angolo rys è 
retto, essendo inscritto in un semicircolo; perciò i diametri del- 
l’ellisse "C ed sC sono anche coniugati, ma anche l'angolo r0s 
è retto, perciò sono assi. Le lunghezze di questi assi si deter- 
minano coll’affinità fra le due linee, conducendo cioè dai punti 
i'l'n'n' del circolo i raggi di affinità paralleli alla retta YC pro- 
lungati finchè incontrino gli assi rC ed sC. 


- 1 N at 0 NIRO tia pe fai 
: > da Ù ac & 


Atti dR.Accad.d Scienze di Torino - VoZ.3E 


DD 
[urta] 
[e 


REGIS D. Sulla prospettiva parallela. Atti dRAccad.d.Scienze di Torino - 192.36 


Fig. 4 


Scale 


Lit,Salussolia,Torino 


SULLA PROSPETTIVA PARALLELA 329 


In quest’ultima parte della soluzione del problema vedesi la 
soluzione di un altro problema: Dati due diametri coniugati di 
un'ellisse trovarne gli assi. La soluzione che ho qui applicata è un 
po’ diversa da quella data da Chasles (Traité des sections coniques, 
n.205) e da quella data dal Mannheim nelle Nouvelles Annales 
de Mathématiques, anno 1857, p. 188; io l’applico sovente e da 
parecchi anni nel mio corso, e trovo facile di applicarla perchè 
si dimostra facilmente colla semplice considerazione dell’affinità 
fra l’ellisse ed un circolo convenientemente scelto. 


Relazione sulla memoria del Dr. Guido Fumi: Swi gruppi 


di trasformazioni geodetiche. 


Questo lavoro del Dr. Fubini è dedicato allo studio di quei 
problemi dinamici che ammettono un gruppo continuo di trasfor- 
mazioni in sè medesimi, limitandosi l’autore in queste prime 
ricerche al caso che siano nulle le forze impresse. In tal caso il 
problema equivale geometricamente alla ricerca di quegli spazîì $, 
a n dimensioni, definiti dal loro ds?, che ammettono un gruppo 
continuo di trasformazioni per le quali le geodetiche si cangiano 
in geodetiche; un tale gruppo viene detto brevemente un gruppo 
geodetico. Il problema enunciato venne affrontato, pel caso n = 2 
delle superficie, da S. Lie nella memoria: Classification der Fli- 
chen nach der Transformations-gruppe ihrer geodiitischen Curven 
ed i risultati del Lie vennero poi completati dal Kénigs e dal 
Raffy. 

Il Dr. Fubini, che in recenti memorie, inserite negli Anmali 
di matematica, aveva completamente esaurita la ricerca degli 
spazîì a n dimensioni con un gruppo continuo di movimenti, ha 
potuto ora trattare e risolvere il problema dei gruppi geodetici 
che include, come caso particolare, quello dei gruppi di movimenti. 

A base delle sue ricerche l'A. pone un notevole sistema di 
formole generali (che potranno riuscire utili anche per altre 
questioni) le quali assegnano, per una data trasformazione infi- 


un 
. . ® . . . = . A . 
nitesima Xf = ) E; do, le variazioni subìte dai coefficienti a, 
1 
t=1 


330 


dell'elemento lineare e dai simboli a tre indici di Christoffel e 
da quelli a quattro indici di Riemann. Si presenta qui il fatto, 
degno di nota, che mentre le variazioni dei simboli a tre indici 
dipendono dalle derivate seconde delle z, quelle dei simboli Rie- 
manniani (ih, #7) e degli associati }ik, 42} dipendono solo dalle 
derivate prime; ed è da questa circostanza che deriva massima- 
mente la semplificazione della ricerca. 

Esprimendo che la trasformazione infinitesima Xf conserva 
le geodetiche, si ottiene un sistema caratteristico di equazioni 
alle derivate parziali del secondo ordine per le incognite € per 


I 
equazioni fondamentali del problema giacchè, insieme alle loro 
conseguenze differenziali, esse dànno le equazioni di definizione 
(secondo Lie) pei gruppi geodetiei. 

L’A. dimostra che dalle equazioni fondamentali possono 
trarsi tutte le derivate terze delle £ espresse per quelle d’ordine 
inferiore, onde segue che le dette equazioni formano un sistema 


mezzo di relazioni fra i simboli variati } i Queste sono le 


di Mayer, entrando nell’integrale generale un numero finito di 


costanti arbitrarie. Per uno spazio S,il massimo di questo nu- 
mero è n(n +2) e viene raggiunto soltanto quando lo spazio è 
geodeticamente rappresentabile sullo spazio Euclideo, cioè quando 
la curvatura Riemanniana è costante. Allora il più ampio gruppo 
geodetico coincide col generale gruppo projettivo G,n4s- 

Per la trattazione generale del problema lA. considera par- 
ticolarmente le equazioni del 7° ordine per le E, conseguenze 
differenziali delle equazioni fondamentali, la cui formazione è 
essenziale per semplificare la ricerca. Un primo gruppo di sif- 
fatte equazioni deducesi dal confronto colle formole precedenti 
relative alle variazioni dei simboli di Christoffel e di Riemann, 
e se ne trae subito l'importante conseguenza che una trasforma- 
zione geodetica conforme è necessariamente simile. 

Con metodo totalmente diverso viene poi dedotto un secondo 
gruppo di equazioni del 1° ordine per le £ utilizzando, con un’in- 
gegnosa osservazione, i risultati generali ottenuti dal prof. Levi- 
Civita sulla rappresentabilità geodetica degli spazi. È noto come 
gli elementi lineari degli spazî che ammettono una rappresenta- 
zione geodetica (non simile) sopra altri spazî si riducano a forme 
tipiche, che pel caso n= 2 corrispondono alla forma tipica di 


391 


Lionville ritrovata dal prof. Dini nel lavoro fondamentale sulla 
rappresentazione geodetica delle superficie. Il Dr. Fubini, serven- 
dosi dei risultati ora accennati, osserva che ad una trasforma- 
zione geodetica non conforme corrisponde così una certa forma 
tipica del ds?, e quindi un certo sistema coordinato che egli dice 
il sistema canonico, e ne trae il nuovo gruppo di equazioni del 
1° ordine per le €, che restano essenzialmente legate a quelle 
forme tipiche del ds?. 

Servendosi di questi mezzi di ricerca, e coll’aiuto di molti 
altri interessanti teoremi, che sarebbe qui troppo lungo il rias- 
sumere, il Fubini riesce a risolvere il problema proposto. E dap- 
prima, pel caso delle superficie, egli accenna come si possono 
dedurre completamente e con rapidità i risultati di Lie, Konigs 
e Raffy. 

Tratta poi il nuovo caso degli spazi a tre dimensioni, clas- 
sificando completamente i possibili tipi di ds? che ammettono un 
gruppo geodetico. Si volge da ultimo al caso generale degli spaziì 
a n dimensioni, ove le ricerche attuali, congiunte a quelle ante- 
riori sugli spazî con un gruppo di movimenti, permettono di 
esaurire quasi completamente l’argomento, lasciando solo qualche 
caso eccezionale che domanderebbe ricerche speciali. 

Gli importanti ed originali risultati conseguiti cal Dr. Fu- 
bini nell’interessante problema qui trattato, le difficoltà vinte 
con nuovi ed efficaci mezzi che permettono di raggiungere una 
semplicità insperata, rendono molto pregevole questo lavoro ed 
i sottoscritti credono per ciò che la memoria presentata dal 
Dr. Fubini possa degnamente figurare nei volumi della nostra 
Accademia. 

C. SEGRE. 
L. BIANCHI, relatore. 


L’ Accademico Segretario 
LorENZO CAMERANO. 


352 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 1° Marzo 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Pevron, Vice Presidente dell’Acca- 
demia, Rossi, Manno, BoLLati DI SAIn-PrerRrE, Pezzi, CARLE, 
BoseLLi, Brusa, ALLIEVO, Pizzi, CHIRONI e RENIER Segretario. — 
Il Direttore della Classe FERRERO, scusa l’assenza. 

È approvato l'atto verbale dell’ adunanza antecedente, 
15 gennaio 1903. 

Il Socio ReNIER ringrazia la Classe per la parte da essa 
gentilmente presa alla gravissima sciagura domestica che lo ha 
colpito. 

Il Presidente fa omaggio all'Accademia delle seguenti pub- 
blicazioni: 

1° da parte del Socio corrispondente Luigi PrGorINnI, un 
opuscolo del Dr. Luigi PeRNIER, Lavori eseguiti dalla Missione 
archeologica italiana nel palazzo di Phaestos dal 10 febbraio al 
28 maggio 1902 (Roma, Tip. dei Lincei, 1903); 

2° da parte del prof. Ireneo Lamerre dell’ Università di 
Lyon, un suo volume intitolato: Les occupations militaires en 
Italie pendant les guerres de Louis XIV (Paris, Rousseau, 1903). 
Il Socio Brusa si propone di esporre in seguito qualche sua 
idea su questa pubblicazione, che sin d’ora dichiara notevole. 


333 


Il Socio ALLiEvo presenta una memoria del Dr. Stefano 
GRANDE, intitolata: I pensiero pedagogico di Ludovico Antonio 
Muratori. Il Presidente designa a riferirne i Soci ALLIEVO 
e CARLE. 

Sono presentate per gli Atti le seguenti note: 

1° dal Socio Rossi, che ne dà un breve riassunto, Gio. Batt. 
GERINI, L'educazione fisica secondo alcuni pedagogisti italiani del 
secolo XIX; 

2° dal Socio CaironI: Pasquale JANnnACccoNE, Un. econo- 
mista piemontese del secolo XVIII (Donaudi delle Mallere) a pro- 
posito di alcuni suoi manoscritti inediti. 


334 G. B. GERINI 


LETTURE 


L'educazione fisica 
secondo alcuni pedagogisti italiani del secolo XIX. 
Nota del Prof. G. B. GERINI. 


Fu già un tempo nel quale la coltura dell’organismo corporeo 
costituiva pressochè tutta l'educazione. Allora il primo e precipuo 
intendimento dei legislatori e de’ governi consisteva nell’allevare 
cittadini sani e vigorosi, esplicando e perfezionando di preferenza 
le forze fisiche. Vigendo il diritto del più forte, era necessario 
che così fosse. Ma corse pure un’età nella quale si spregiava 
come vile il culto del corpo, e nulla si faceva per rinvigorirlo 
cogli opportuni esercizi: anzi lo si opprimeva, credendo che in 


siffatto modo sarebbe stato più docile strumento dello spirito. Ma. 


questi due estremi, il sistema di Licurgo e l’ascetismo medio- 
evale (1), irrazionali entrambi ed esclusivi, vanno ripudiati in 
virtù di quel principio, che stabilisce dovere l'educazione fisica 
essere bensì subordinata a quella della mente, ma non sacrifi- 
cata alla medesima, essendo destinate l’una e l’altra a proce- 
dere in armonico accordo, pure tenendosi ciascuna entro i pro- 
prii confini. Se l'educazione è “ l’opera della natura disciplinata 
dall’arte, mercè di cui una persona autorevole coopera a svol- 
gere e dirigere armonicamente le potenze dell’alunno, in ordine 
al suo fine, rendendolo atto a perfezionarsi da se medesimo , (2), 


(1) L’ascetismo dominava nei conventi e nelle private famiglie, anzichè 
nei pochi ed umili istituti educativi del medio evo. 

(2) La definizione da me proposta, ha, se l'amor proprio non m’inganna, 
il vantaggio su altre non poche, di tenere conto tanto dell'educazione an- 


teriore all’arte (come quella impartita dai popoli primitivi e dai genitori, ‘ 


i quali educano guidati dal buon senso) quanto dell’educazione continuata 
dall’alunno, fatto arbitro di sè. Nè solo comprende l’educazione in tutta la 
sua durata, ma dichiara ancora il carattere dell’educazione educativa, e 
colla parola armonicamente, accenna alla legge secondo la quale le potenze 
umane vanno disvolte e coltivate. Poichè io tengo coll’ALLievo (Studi peda- 
gogici, ecc., 1892, parte I, sez. XI) che l'armonia è la legge suprema del- 
l'educazione. 


I MR E nn 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 335 


non si può nè si deve affatto trascurare alcuna parte della me- 
desima, o comunque coltivare l’una in modo siffatto che impe- 
disca ovvero danneggi l'esercizio dell'altra. Del resto in quella 
guisa, che si ammette universalmente dovere il corpo riuscire 
uno strumento abile per la mente (1), si conviene del pari es- 
sere funestissimo errore credere, che un organismo debole ed 
infermiccio obbedisca più docilmente allo spirito, giacchè la sa- 
nità dell'anima dipende da quella de’ suoi organi. Il mens suna 
in corpore sano del poeta’ satirico romano, è detto antico ma 
pur sempre vero. | 

Ciò posto, in che consiste l'educazione fisica e quale parte le 
spetta nell'àmbito della scienza pedagogica? L'educazione fisica 
intende a conservare e rendere sano il corpo; a sviluppare, cre- 
scere ed addestrare le membra; a perfezionare i sensi. Il quale 
triplice scopo si raggiunge con tre mezzi adeguati e convenienti, 
quali l'igiene, la ginnastica e la coltura de’ sensi fisici. Ora sic- 
come l'educazione umana è retta da leggi, a tenore delle quali 
deve procedere l’istitutore per conseguire la meta a cui è in- 
dirizzata l’opera sua, di cui alcune riguardano l'educazione uni- 
versa, altre invece le singole parti, così le leggi proprie del- 
l'educazione fisica si possono riassumere nella seguente: £ Si 
lasci liberamente operare la natura, rimuovendo gli ostacoli 
che si oppongono alla sua azione e favoreggiando lo sviluppo 
delle forze fisiche, in guisa che l'organismo diventi uno stru- 
mento vigoroso e docile della mente , (2). Se da tutti si con- 
viene, che la vita corporea rettamente sviluppata, esercita una 
benefica influenza sulla vita mentale, è verità assiomatica del 
pari quest'altra, che lo spirito avrà nel corpo, con cui è indis- 
solubilmente congiunto, uno strumento atto e pronto ad ese- 


(1) G. Locke (Pensieri sull'educazione dei fanciulli, c. 2) avverte, che vo- 
glionsi usare tutte le precauzioni per conservare sano il corpo, affinchè sia 
capace di obbedire all'anima. Il che consona col concetto platonico (Pro- 
tagora 0 i Sofisti, XV): * Inoltre li mandano dal maestro di ginnastica, af- 
“ finchè con migliori corpi servano alla mente già avvalorata e non siano 
“ costretti per la cagionevolezza de’ corpi, o nelle guerre o in altro atto, 
“a scorarsi ,. 

(2) Questa legge rientra in quella più generale, che fa precetto all’edu- 
catore di conformare l’opera sua alla natura dell'alunno, quale uomo e 
quale individuo, e di aiutare lo svolgimento delle ingenite attitudini. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVII. 28 


336 G. B. GERINI 


guirne i comandi, solo quando mediante una coltura conveniente, 
siasi fatto sano e vigoroso. Ma mentre l’igiene si adopera perchè 
l'organismo si trovi in grado di adempiere le funzioni della vita 
vegetativa e lo premunisce contro tutto ciò che possa alterarlo 
o nuocergli, e la ginnastica intende a sviluppare le funzioni 
della vita animale locomotrice col rinvigorire ed addestrare il 
sistema muscolare, la coltura de’ sensi fisici mira a rafforzare 
gli organi che vegliano alla nostra salute ed a cui dobbiamo 
la conoscenza del mondo esteriore. Sé così stanno le cose, age- 
volmente si vede l’importanza e la necessità di perfezionare i 
sensi, rendendoli mediante un’accurata e razionale coltura, atti 
all'adempimento dei loro uffici. 


Questi pochi ed incomposti pensieri sull’educazione fisica, cre- 


detti opportuno premettere al breve cenno, che mi propongo 
di porgere intorno alle idee, di cui, riguardo all'educazione delle 
potenze animali, si fecero banditori alcuni de’ pedagogisti fioriti 
in Italia nel secolo decimonono, i quali informarono la loro dot- 
trina allo spiritualismo, ch'è il carattere dominante e distintivo 
della pedagogia nazionale da Vittorino da Feltre a G. A. Rayneri. 
Io non esordirò dal Feltrense (1) per giungere sino a’ nostri 
tempi, poichè de’ pedagogisti vissuti a tutto il secolo XVIII, 
discorsi diffusamente altrove (2), nè qui voglio ripetermi, pago 


(1) Poichè mi venne fatto di menzionare il Feltrense, a cui spetta il 
merito d’avere insegnato all'Italia ed agli altri paesi il vero metodo peda- 
gogico, col mostrare, che l'educazione vuole essere una, molteplice ed ar- 
monica e col disposare gli esercizi fisici con quelli della mente, non so 
ristarmi dal notare, ch’egli esperimentò pure l'influenza della ginnastica sulla 
salute degli allievi. Raccontano infatti i biografi dell’insigne educatore, che 
essendo i principi da lui tolti ad educare, tozzo e pingue il primo, magro 
e quasi disfatto l’altro, con razionali e convenienti esercizi, seppe così bene 
emendarne i difetti, che con alta compiacenza soleva poi chiamarli il suo 
Ettore l'uno, il suo Achille l’altro. Così anche in questo precedeva G. Lock; 
il quale essendo istitutore del figlio di lord Shaftesbury, piuttosto gracile 
di salute, lo rese sano e robusto, ed E. Lixe, di cui è noto, che alla gin- 
nastica dovette la guarigione d’una semi-paralisi al braccio destro. Per la 
verità storica, non va tuttavia dimenticato, che secondo alcuni serittori, più 
secoli innanzi, G. Cesare, per mezzo della ginnastica, aveva rassodato ed 
ingagliardito il corpo estremamente debole. 

(2) Veggansi i quattro volumi da me pubblicati su: Gli scrittori peda- 
gogici italiani dei secoli XV, XVI, XVII e XVIII. 


——— e  —_ Ter 


î 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 337 


di menzionare in questo scritterello alcuni di quelli, i quali 0 
scrissero sul cadere del secolo decimottavo o nel seguente. 

Primo nella serie di coloro, il cui pensiero mi sono proposto 
di brevemente riassumere, è il famoso lessicografo Fr. Alberti, 
così benemerito della lingua italiana e francese (1). Egli nel 1767, 
trentenne, compose un’opera inscritta: Dell’educazione fisica e 
morale ossia doveri dei padri, delle madri, dei precettori. 

Quivi muovendo dal principio, che il corpicciuolo de’ bam- 
bini è tenero e delicato e che le ossa de’ medesimi, se fortemente 
compresse, possono cambiare figura e direzione, ripudia l’uso 
delle fascie come causa di deformità (2): ed insistendo perchè 
alla natura si permetta di operare liberamente e senza impacci, 
proscrive i busti e gli abiti stretti, i quali nuocono alle membra 
di cui impediscono il libero esercizio. Così in mezzo a molti e 
savii consigli igienici, raccomanda di abituare i fanciulli a tol- 
lerare la fame e la sete, a sostenere la fatica e gradatamente 
all’acqua fredda “ immergendoveli con tutto il corpo dopo repli- 
cate prove ,.. 

L’anonimo religioso dell’ Oratorio, autore del volume: Del- 
l'educazione spregiudicata, ecc. (Carmagnola, 1789), il quale loda 
l’Alberti per essersi segnalato nobilmente ed avere apprestato 
ai genitori, ai maestri ed alle direttrici abbondanti ed agevoli 
mezzi, onde promuovere la savia educazione della gioventù (3), 
raccomanda di allevare i bambini, cui vuole, per considerazioni 
fisiologiche e morali, nutriti col latte materno, con moderata 
durezza, affinchè a poco a poco si avvezzino a soffrire le vi- 
cissitudini dell'atmosfera, la veglia, la stanchezza ed i cibi poco 


(1) Qualche cosa sull’educazione fisica leggesi pure nel poemetto del- 
l'abate Grroramo Ruagiu, La coltura del cuore, della mente e del corpo (in 
Poemetti didascalici, t. VII). 

(2) Tutti i filosofi, scrive il Parravicini (Manvale di Pedagogia e Meto- 
dica, ecc., vol. I, Livorno, 1850, p. 4), da Plinio a Rousseau, hanno biasi- 
mato l’uso delle fascie, ed altrettanto hanno fatto i medici che scrissero 
d’educazione fisica. Veggasi in proposito il Saggio sull'educazione fisica dei 
fanciulli del Rarrrer, Venezia, 1805. i 

(3) Nel volume: Gli scrittori pedagogici italiani del secolo XVIII, tacqui 
dell'Alberti, perchè il cenno riserbato a lui, doveva associarsi collo studio 


intorno all’anonimo, il quale farà parte del prossimo volume riguardante il 
secolo XIX. 


338 G. B. GERINI 


geniali. Seguano, egli scrive, una regola nelle refezioni, sia ri- 
spetto alla qualità sia rispetto alla quantità de’ cibi e delle he- 


vande, poichè se l’età loro richiede che si nutriscano più volte. 


al giorno, l’ eccesso potrebbe cagionare danni gravissimi. Li 
vuole lontani dal fuoco (1) e provvisti di vesti atte a ripararli 
dal freddo, ma comode e sciolte per tutti gli esercizi di moto, i 
quali devono avere luogo all’aperto, dove l’aria giuochi libera- 
mente e sia immune da ogni nociva esalazione. 

Il ligure Niccolò Olivari (1748-1820), intorno al quale ho re- 
centemente dettato un breve studio (2), nell’opera: L'educazione 
fisica ‘e fisico-morale, ece. (Genova, 1786), discorre copiosamente 
della coltura delle potenze fisiche, nella quale pel primo, se non 
m'inganno, distinse tre parti, l'igiene, la ginnastica e l’educa- 
zione de’ sensi. Egli che voleva iniziate le cure educative prima 
ancora della nascita, porgendo saggi ed opportuni consigli alla 
futura madre, riconobbe negli esercizi ginnastici il lato morale; 
perchè, secondo lui, devono promuovere l'ordine, la disciplina e 
l'obbedienza de’ fanciulli: de’ quali fino al settimo anno, senza 
distinzione di sesso, richiede che dopo il cibo ed il sonno, il 
trastullo sia la naturale e precipua occupazione. Nè l’Olivari 
cessa d’insistere perchè l’arte favorisca l’istinto al moto, con- 
fortandolo ove illanguidisca e moderandolo qualora trasmodi. 
Si consenta, egli scrive, ai bambini, ora di stare in piedi, ora 
di passeggiare, ora di saltare, ece., secondo che ai medesimi 
piace, provvedendoli di palle, di racchette, di carrozzini e d’altri 
giuochi. 

Il barone Ferdinando Malvica, pubblicava nel 1827 a Rieti 
un discorso: Sopra l'educazione, ove tra le altre cose, perchè i 
figliuoli sì procaccino una vigorosa complessione, raccomanda 
di lavarli prima nell’acqua fredda, e di condurli appena sve- 
gliati a passeggio fuori della città, o, data l'occasione, in riva 
al mare, facendoli quivi camminare, correre e giuocare libera- 
mente. Fra gli esercizi fisici, raccomanda il giuoco della palla, 


(1) Anche il Fonrana, di cui dirò tra breve, (Dell’edue. fis., e. VI) scrive: 
“ Non si conceda mai che impigriscano intorno al focolare. Il continuo moto 
“a cui sospingeli la natura, scalderà la persona quanto basta , 

(2) Vedi il mio articolo sull’Olivari, pubblicato nel Caronda — Rivista 
di pedagogia e scienze ausiliari, Acireale, anno I, n' 1 e 2. 


de °° <= è dee 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 399 


il nuoto, l’equitazione, ed afferma, che, come la sapienza rende 
lo spirito saggio, la ginnastica fa sano il corpo. 

Ma sovra tutti gli scrittori, i quali fiorirono nella prima 
metà del secolo, sovrasta in ordine all'educazione fisica, il conte 
G. B. Carrara-Spinelli (1779-1842), il quale, nel secondo dei 
quattro dialoghi: Dell’educazione privata (1827), discorre diffusa- 
mente e con vero intelletto d’amore del nostro argomento. Egli 
non solo esorta a ristabilire la ginnastica nelle scuole, convinto 
della grande utilità, la quale potrebbe provenirne all’individuo 
ed alla società, ma tratta dell’igiene ne’ suoi rapporti coll’edu- 
cazione e della razionale coltura de’ sensi fisici vuoi rispetto 
alla sanità del corpo vuoi rispetto a quella dell'anima. Nè tace 
de’ mezzi atti ad agguerrire i fanciulli contro la paura, la quale 
suole cagionare molte affezioni morbose. Pigliando le mosse dal 
concetto, che il moto è naturale, e per conseguenza necessario; 
che senza del medesimo, specialmente nel crescere, perdiamo 
l'energia di cui ci ha la natura fornito pel nostro perfezionamento, 
scrive queste assennate parole: “ Quando tutti i muscoli pren- 
dono parte al movimento energico e prolungato della persona, 
allora la circolazione è attiva non solamente per l’esercizio del 
celabro, il quale ad agire vigorosamente ha bisogno del mag- 
gior concorso di sangue che nello stato ordinario; ma è attiva 
ancora per la contrazione dei muscoli sopra quei canaletti che 
sono ne’ muscoli stessi, e si diffonde quindi fino ai vasi minimi: 
laonde il sangue fa arrossare la pelle, che lascia fuggire la 
parte più fluida del sangue istesso, che poi sudore diciamo. In 
grazia di questa circolazione tanto attiva anche la respirazione 
è aumentata, tutto il sistema vasculare si dilata, fino a che la 
fatica sottentrando pone termine a questi fenomeni. L'azione 
nervosa si spossa, il sangue cessa d’abbondare al cervello, e 
modera quell’elemento di cui ha fatto straordinario dispendio 
nei muscoli: diventa necessario il riposo: la circolazione ancor 
pronta a poco a poco si rallenta; tutto rientra nell'ordine: un 
generale benessere sopravviene alla fatica: si fa vivo il bisogno 
del cibo: lo stomaco agisce e sollecitato dal bisogno compie 
egregiamente le sue operazioni: un chilo abbondevole ripara le 
perdite della traspirazione e dell’azione nervosa, e rimane al 
giovinetto la voluttà innocente della perfetta sanità ,. E quan- 
tunque si dolga che la ginnastica non esista come istruzione, 


340 i G. B. GERINI 


avverte il Carrara che può tuttavia praticarsi: laonde discorre 
della corsa, del salto, il quale “ ha la virtù di accostumare i 
muscoli a contrazioni forti e rapide, e procurare così l’agi- 
lità , (1): del giuoco della palla e del pallone, che tanto giova 
alla sveltezza delle gambe, alla prontezza ed alla vigoria del 
braccio e finalmente alla sicurezza dell'occhio. Nè basta. La- 
sciando da parte il volante ed il trucco, come giuochi non fa- 
ticosi e proprii del fanciullo convalescente, inculca l’esercizio 
della caccia, del nuoto e dell’equitazione. Per tacere de’ bagni 
tiepidi e d’acqua corrente, di cui il dotto gentiluomo rileva gli 
effetti fisiologici, giova riportare un passo che tratta del nuoto. 
“ Il moto alterno di flessione e di estensione di tutte le parti 
esige la cooperazione di tutti i muscoli, e a cui non sia avvezzo 
produce stanchezza: perciò senza ripetere l'esercizio non può il 
fanciullo trascorrere nuotando lunghe distanze, ma perchè a tale 
arrivi, è bene che nella stagione opportuna il fanciullo vi si ad- 
destri ogni giorno, chè oltre al vantaggio della sanità, apprende 
un'arte di somma importanza, e che può riuscirgli proficua nei 
molti accidenti, dei quali assai uomini, ignari del nuoto, riman- 
gono vittima ,. Il discorso riuscirebbe soverchiamente prolisso 
s'io volessi dire degli altri esercizi, da lui raccomandati, come 
la danza, l'equitazione e la scherma, ed esporre le idee dell’au- 
tore sulla coltura dei sensi fisici. Qui basti l’aggiungere come il 
nostro pedagogista voglia favorito l’ insegnamento delle arti 
meccaniche, cui reputa d’incontestato vantaggio morale e fisico. 

L’abbate Antonio Fontana (1784-1865) non dev'essere dimen- 
ticato in questa brevissima rassegna. Egli nel libro Il dell’o- 
pera: Manuale per l'educazione umana, edita fin dal 1834, dopo 
di avere accuratamente discorso del matrimonio de’ genitori, 
della gravidanza, dell’allattamento (2), delle nutrici e dell’igiene 
riguardante l’aria, la luce, i cibi, le bevande e le vesti, trat- 
tiensi intorno agli esercizi della persona, facendoli seguire da 
alcune considerazioni sul sonno, sulla nettezza e sulla cura dei 


(1) L’arte del saltare, oltre al riuscire vantaggiosa in molti casì, è anche 
un esercizio utilissimo degli arti inferiori. 

(2) Tutti i pedagogisti, da Plutarco a Rousseau, inculcano alle madri il 
dovere th’esse hanno di nutrire col proprio petto i figli ai quali diedero 
la vita. 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 341 


sensi. Limitiamoci a vedere che cosa pensi intorno alla ginna- 
stica. Incomincia lo scrittore ticinese col dichiarare, che il fan- 
ciullo va sempre lasciato libero a’ suoi trastulli, per quanto lo 
comporti la convenienza, dilettandosi egli di correre, di saltare e 
di adoperarsi liberamente colle mani, colle braccia e con tutta la 
persona, a quelle cose in cui si prova. 1 quali movimenti, egli 
soggiunge, sono bisogni della natura, cui giova tuttavia mode- 
rare mercè dell'educazione a convenevoli misure, perchè non sì 
formi l'abitudine ad obbedire sempre e ciecamente ad ogni na- 
turale impulso come ne’ bruti. Entro tali misure siffatti esercizi 
riescono del tutto necessarit: del che sono prova manifesta la 
contentezza la quale appare sul volto, il desìo del cibo che au- 
menta e la salute che fiorisce. Chè se quando spunta la ragione, 
gli atti voglionsi a poco a poco informare alla convenevolezza, 
e l'esercizio della persona va perciò determinato a tempi, a 
luoghi, a modi che meglio si convengono, il medesimo non deve 
essere affatto trascurato (1). 

Ma quali sono le esercitazioni adatte ai nostri costumi, da 
cui si possono ottenere quei vantaggi stessi cui gl’ingenui gio- 
vinetti ritraevano dalle arti ginnastiche antiche? In primo luogo, 
risponde l’autore, il passeggio, la corsa, il salto: secondaria- 
mente i giuochi delle pallottole, della palla e del pallone, i quali 
“ promuovono ad un tempo il corso, il salto, il molteplice e 
prontissimo atteggiare di tutta la persona; onde i muscoli acqui- 
stano mobilità e forza; le membra si fanno agili e vigorose; e 
l’anima si abbandona alla gioia innocente, onde libera e vivace 
pare poi più pronta e più sottile alle esercitazioni dell’intel- 
letto ,. E dopo alcune osservazioni sull’arte del cavalcare, sulla 
caccia e Sul ballo, l'A. parla del nuoto che per duplice modo 
procaccia forza e salute, muovendo ed esercitando non solo 
tutte le membra, ma nettandole ed ammorbidendole. Nè il Fon- 
tana dimentica l’educazione fisica delle fanciulle. Anch’esse nella 
prima età vanno lasciate convenevolmente libere al moto, ai 


(1) Vuole che i trastulli siano all'aperto, in luoghi ampii e sieuri, e che 
non sì badi troppo al caldo ed al freddo, poichè i fanciulli stessi “ senza 
“ altrui precetti si ritrarranno all'ombra negli infuocati meriggi d'estate ; 
“ ricovreranno alle stanze ne’ più duri giorni dell'inverno ,. FownraNnA, Op. cit., 
Gi VI, 


342 G. B. GERINI 


trastulli ed a tutto il travaglio irrequieto e perenne a cui le 
spinge natura. Nè fatte grandicelle voglionsi tenere rinchiuse in 
casa: bensì devono trovare spassi che le muovano, che le sol- 
levino, che le rallegrino. Laonde raccomanda che si conducano 
sovente alla campagna: che si guidino a lunghi e rapidi pas- 
seggi: che si accompagnino per istrade montuose ed aspre, af- 
finchè per tal modo si stanchino e sudino nell’aria libera e 
pura. Anche il ballo, il quale vuole essere per altro argomento 
di gravissime meditazioni, può dare salute, grazia e leggiadria 
alle fanciulle (1). 

Pochi anni dopo e precisamente nel 1842 il marchese Ales- 
sandro Parravicini, pubblicava il suo Manuale di Pedagogia e 
Metodica. dove trattò pure in modo conveniente dell’educa- 
zione corporea. Egli infatti non solo trattiensi diffusamente 
sull'igiene, esponendo i precetti più notevoli riguardanti la sa- 
lute e la vigoria del corpo, ma discorre ancora degli esercizi 
fisici ponendo il seguente principio fondamentale, che se questi 
saranno moderati, gradualmente più difficili e convenienti alle 
forze ed all’età degli alunni, renderanno certo più libera la cir- 
colazione del sangue, più forte la parte esercitata, più facili 
tutte le funzioni corporee, meno faticoso ed affatto innocuo il 
lavoro della mente. Così raccomanda, non senza rilevarne i be- 
nefici effetti, gli esercizi delle marce, della corsa, del salto, nelle 
sue varie specie, l’arrampicarsi ed il nuoto. 

Tra i fautori della fisica coltura piacemi menzionare l’apo- 
stolo dell’infanzia, l’ab. Ferrante Aporti, che gli avversarii della 
pedagogia italiana soltanto possono posporre al Froebel. Egli 
pertanto negli Elementi di Pedagogia (Roma, 1847), dopo avere 
accennati gli errori relativi all'educazione del corpo e le norme 


(1) Non so astenermi dal ricordare, che dell'educazione fisica femmi- 
nile, fanno motto l’anonimo più sopra menzionato, l’Olivari ed il Malvica. 
Aggiungerò ancora, che il p. Gioachino Trioli, nelle Lettere sull'educazione 
fisica e morale delle fanciulle, Venezia, 1763 (cfr. il mio volume: Gli scrît- 
tori pedag. ital. del sec. XVIII), a chi gli obbiettava essere l’educazione 
fisica da lui propugnata, più consentanea a soldati che a donne, rispon- 
deva: © La bellezza, la sanità, il coraggio sono senza dubbio tre beni, che 
“ invano si ricercano nella mollezza e negli agi, e si acquistano soltanto 
‘ per un’educazione, che sembra severa, ma non lo è che per coloro che 
“ sono allevate nelle morbidezze ,. 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 343 


da seguirsi per evitarli, prescrive al maestro di procurare che 
l’aria delle aule scolastiche sia sempre pura e sana, eliminando 
le cause di qualsivoglia esalazione: che i fanciulli s’abituino 
alla nettezza: che venga escluso dalla scuola chi fosse affetto 
da efflorescenza attaccaticcia, e di valersi inoltre d’ogni occa- 
sione per ammonirli intorno a tutto quello che potesse recare 
nocumento alla loro salute e di guardarsi infine dall’ impedire 
che facciano all'aria un conveniente moto tanto necessario alla 
sanità, sia trattenendoli oltre il tempo consueto in classe, sia 
assegnando soverchio lavoro. Nè voglio omettere come l’illustre 
cremonese plaudisce alla Società ginnastica, sorta sotto gli au- 
spizi d'insigni e benemeriti personaggi, qualche anno prima (1844), 
in una lettera indirizzatale in data del 20 novembre 1848 nel 
Risorgimento, dopo di avere assistito agli esercizi ginnastici della 
Scuola gratuita e alla distribuzione de’ premi. Ivi egli non solo 
loda la Società torinese, la prima e l’unica fino allora in Italia, 
che volgesse cure e dispendii a fondare e sostenere istituzioni 
ginnastiche, ma fa voti con tutti i buoni, perchè “ trovi imitatori 
in ogni città, in ogni borgata, in ogni istituto a necessario 
compimento di quella maschia educazione di tutte le umane fa- 
coltà, della quale abbisogna supremamente l’Italia nostra, onde 
risorgere dagli errori e dai vizi che la conturbano e l’avvili- 
scono , (1). 

Dall’Aporti non possiamo disgiungere un insigne gentiluomo 
subalpino, il conte C. Boncompagni, fautore d'ogni savia e libe- 
rale riforma nell’ordine pedagogico non meno che nel politico, che 
tanto s'adoperò perchè si costituisse la Società promotrice degli 
Asili infantili in Torino e perchè il grande educatore, cui ospitò 
per qualche tempo nella sua casa, fosse chiamato tra noi a det- 
tare pubbliche lezioni di Pedagogia. Il nostro patrizio adunque, 
il quale non disdegnò di farsi maestro ai parvoli (2), oltre al 


(1) Dalla Società ginnastica, per opera di R. Obermann, di F. Riccardi 
di Netro, che ne furono i benemeriti fondatori, di Cesare Caveglia, di 
A. Gamba e di F. Valletti, trasse origine l’attuale indirizzo pedagogico, 
scientifico e nazionale della ginnastica italiana. Vedi l’art.: Palestra di 
M. Jerace, nel Dizionario illustrato di Pedagogia. 

(2) “ Nelle scuole infantili passai alcuni de’ migliori momenti della mia 
“ vita, e talvolta dimandai a me stesso se, invece di partecipare agli aftari 
* politici, non avrei fatto meglio di spendere tutta l’opera mia nell’educa- 


9344 G. B. GERINI 


volumetto Sulle scuole infantili (1839), ove discorre pure dell’e- 
ducazione fisica, nelle Letture di famiglia dirette dal Valerio 
(anni 1842-43-44-45), pubblicò una serie di articoli intitolati: 
Pedagogia dell'infanzia, in uno de’ quali (1843, n. 11), dopo di 
avere detto, che l'educazione fisica non consta della sola igiene, 
e che in molte occasioni tornano utili ed in altre necessarie le 
attitudini, cui la ginnastica sviluppa, avvisa che il moto scuote 
gli animi dalla mollezza e dall’inerzia e dispone la gioventù ad 
un nobile e generoso ardimento, mentre la vita molle ed effe- 
minata contribuisce alla fiacchezza della volontà e de’ pensieri. 
Voleva perciò che a rinvigorire gli animi, si desse larga parte, 
segnatamente nell'educazione popolare, alla ginnastica. 

Il concetto del B., d’ istituire gli esercizi fisici, affinchè nei 
giorni festivi i contadini de’ villaggi e gli artigiani della città 
potessero, in luogo aperto, dare prova di destrezza e di vigore, ci 
richiama alla memoria il Saggio sui pubblici divertimenti del sommo 
Roveretano, che leggesi quale appendice alla Filosofia della po- 
litica (2* ediz., Milano, Pogliani, 1858). Quivi il grande pensatore 
avverte, che i pubblici giuochi di moto e di agitazione corporea, 


promossi saviamente, oltre al rinforzare la salute ed al fornire. 


soldati più robusti, porrebbero qualche equilibrio tra lo sviluppo 
dello spirito e quello del corpo e le loro mutue forze. Rinvigo- 
rite le fibre rilassate coll’accresciuta attività in giuochi ginna- 
stici ed altri esercizi, si ristorerebbero anche le forze della 
mente e si rimetterebbe tra i due elementi costitutivi dell’umana 
natura, l'equilibrio violato anche in parte dai modi d’istruire la 
gioventù. E poco prima aveva più chiaramente ancora ripro- 
vato il precoce sviluppo voluto imporre agli spiriti fanciulleschi 
coi medesimi sistemi d’educazione e coll’abbondare nelle cogni- 
zioni meno necessarie, perchè ciò determina non solo lo squili- 
brio tra la scienza della virtù e le altre discipline, ma dà ben 
anco un tracollo all’equilibrio tra il corpo e lo spirito. Così il R., 
condannava come funesta l’istruzione scolastica senza ritegno (1) 


“ zione popolare ,. Così il Boncompagni di sè nello scritto del professore 
L. Amedeo di Lamporo: Della vita e delle opere di Carlo Boncompagni. Casa 
editrice di F; Vallardi, Milano, 1881. 

(1) Sull'argomento vuolsi menzionare l’opuscolo del Cantù: Doveri di 
scuola, in cui lo storico illustre alza la voce contro l’abuso dello studio nelle 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 845 


e senza misura e prevedeva le gravissime conseguenze più tardi 
disvolte dallo Spencer, il quale, com’ è noto, attribuisce alla 
scienza un'efficacia educativa sovrana. 

Il Roveretano non è il solo de’ filosofi a cui siasi palesata 
la necessità dell’ educazione fisica. Gian Domenico Romagnosi 
(1761-1835) ha diritto ad essere menzionato pure in questo 
luogo. Egli invero pone per principio che l'educazione corporea 
è indispensabile alla mentale, e nella prefazione alle Vedute 
fondamentali dell’arte logica, $ 20, riprova la violenza siccome 
quella che guasta i cervelli e rende odiosi gli studi, molto più 
se vi si aggiungono i castighi corporei. Che anzi nell’opuscolo: 
Educazione mentale, III, ponendo in sodo, che l'educazione vuole 
essere soddisfacente allo sviluppo dell’allievo, avverte che ogni 
metodo deve riuscire opportuno: che l'opportunità è logica, mo- 
rale e fisica ad un tempo, e che l’opportunità fisica “ consiste 
nell'essere proporzionata al grado d'intelligenza portato dallo 
stato necessario dell’età e dello sviluppamento della mente , (1). 

Veniamo ora a Vincenzo Gioberti. Questi avvisa nei Prole- 
gomeni al Primato, che la trascuranza del corpo, è una delle ca- 
gioni per le quali, rispetto al valore personale, l’età presente 
sottostà di gran lunga ai popoli antichi. Perciò vuole che i gio- 
vani si disciplinino al moto ed all’ esercizio, ch'è quanto dire 
all’azione in universale, “ giacchè come il muscolo è quasi l’e- 
steriorità del nervo, così l'energia dell'anima è l’essenza recon- 
dita e l’esteriorità del movimento ,. Ed esagerando consiglia di 
inspirare fin dagli anni primi ne’ bambini l'affetto per gli eser- 
cizi militari, facendo in guisa che i trastulli ed i giuochi ser- 
vano di preparazione alla vita militare (Rimn., lib. 2, c. 11). 

Niccolò Tommaseo, del quale gli Italiani hanno ne’ giorni 
trascorsi celebrato il primo centenario della sua nascita, è quegli 


scuole, dimostrando, dice S. GrursrIDA (Storia della Pedagogia, parte 2°, Torino, 
Scioldo. 1901), i funesti effetti che derivano al corpo ed allo spirito, prima 
ancora che in Italia e fuori si gridasse contro il sovraccarico intellettuale. 

(1) Il nome del R. ci ricorda il cremonese B. Poli, il quale in una 
lettera diretta ai colti e dotti italiani ( Biblioteca italiana, fase. di luglio 1829, 
vol. LV, p. 128), proponevasi di raccogliere con apposito modulo la stati- 
stica degli usi pedagogici, fisici, intellettuali e morali, per fissare “ le mas- 
“ sime irrefragabili d'una scienza applicata immediatamente al nostro vero 
“ perfezionamento ,. 


346 G. B. GERINI 


che più eloquentemente dichiarò i vantaggi della coltura cor- 
porea ed in peculiare maniera degli esercizi ginnastici. Mentre 
infatti ne' Nuovi scritti sull'educazione (Venezia, 1844), ripone il 
concetto dell'educazione civile nell’abituare la gioventù agli eser- 
cizi troppo ancora disusati, scrive, di destrezza e di forza, i 
quali la rendano paziente del continuo regolare lavoro e le fac- 
ciano meno pauroso il pericolo coll’apprestarle gli espedienti del- 
l’evitarlo e del vincerlo, nell’opera inscritta: Dell'educazione, 


desiderii e saggi pratici (Torino, Paravia, 1856), dedica un intero ca- 


pitolo all'Educazione ginnastica. Quivi, pure avvisando, che prima 
d’ampliarne i confini, conviene combattere gli usi, i quali in luogo 
di aggiungere alle membra vigore e destrezza, la scemano, af- 
ferma che la più sicura e dolce di tutte le medicine consiste negli 
esercizi fisici da cui, colla forza, proviene la mondezza, la quale 
dal corpo passa allo spirito serenando la vita. Però vuole che il 
fine della ginnastica s’intrecci con altri più nobili, variandola 
a norma delle condizioni sociali. Così gli esercizi dell’agiato do- 
vrebbero versare segnatamente sopra un’arte proficua e prati- 
cabile in ogni parte del mondo, della quale potrà forse un giorno 
sentire necessità, mentre quelli del povero dovrebbero riguardare 
arti dilettevoli e liberali. In questo modo insinuerebbesi nei 
primi l’amore e la stima del lavoro manuale e si appagherebbe 
negli altri il senso del bello (1). Nè solo consiglia di congiun- 
gere le esercitazioni della mente e del cuore con quelle cor- 
poree, ma di unire ancora varii esercizi fisici, e pensa si debbano 
prendere i fanciulli, quando le membra sono più docili e la 
natura comanda di esercitarsi, quanto più si possa, le facoltà del 
corpo, addestrandolo a tutti i movimenti che li rendano un 
giorno non solo soldati valenti, ma bravi artigiani, viaggiatori 
idonei, uomini potenti a superare il pericolo ed a trarre vantaggio 
dal male stesso. 

Dal Tommaseo non vuolsi dissociare R. Lambruschini (1788- 
1873), il quale benchè non abbia discorso di proposito il nostro 
argomento, trattando con singolare competenza de’ castighi, con- 


(1) Il Parravicini seguendo la massima, che l’istruzione deve essere 
preparazione alla vita civile, voleva che i fanciulli nella scuola imparassero 
qualche mestiere; ciò che serve ad innamorare i figli del popolo delle arti 
meccaniche, le quali devono essere più tardi gli uffici ed il pane della 
loro vita. 


vice nnt 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 347 


siglia di abolire tutti quelli che in qualche modo possono nuo- 
cere alla salute degli alunni. Il medesimo poi favorendo già, 
fino dal 1837 (Guida dell’educatore, parte II, pag. 117), l’intro- 
duzione del lavoro manuale come un sussidio all'educazione mo- 
rale, avvertiva che lo stesso conferisce all’acume de’ sensi e 
quindi all'intelligenza. | 

Ultimo nella serie dei pedagogisti italiani, di cui mi sono 
proposto di fare cenno, ci si presenta G. A. Rayneri (1810-1867), 
al quale senza manifesta ingiustizia non si può niegare il vanto 
di avere tra noi dato forma rigorosa di scienza alla Pedagogia. 
Egli trattiensi diffusamente sulle cure igieniche da apprestarsi 
ai bambini e su quelle da praticarsi più particolarmente dalle 
donne “ .....cui desta il subito Balzar del pondo ascoso ,, come 
serive il Manzoni, ed espone i più importanti principii riguar- 
danti il regime dietetico dei fanciulli; fa precetto all’ educa- 
tore di studiare la scienza fisiologica (1), e distinguendo una 
ginnastica naturale da quella artificiale, avverte come tanto l'una 
quanto l’altra abbiano quattro fini comuni: crescere le forze 
fisiche, addestrare le membra, perfezionare i sensi ed agevolare 
il dominio di noi stessi. Sicchè egli riguarda l’esercizio corporeo 
quale mezzo indiretto di educazione intellettuale e morale. Fi- 
nalmente, avvisa il Rayneri che il lavoro moderato del pensiero 
giova alla salute, mentre una soverchia contenzione di mente 
rende torpidi i muscoli volontarii e rallenta le funzioni nutritive. 

Taluno lo incolpa d'avere rimandato alla fine dell’opera, il 
discorso sull’educazione fisica, la quale dovrebbe precedere l’in- 
tellettuale e la morale. Ma egli pure riconoscendo che la sanità, 
a cui le cure fisiche mirano, è la condizione senza di cui riesce 
vana e priva di fondamento ogni coltura dello spirito, quasi avesse 
preveduta l’obbiezione, dichiara di non avere preposta questa 
parte dell'educazione umana alle altre, per essere la medesima 
più opera della famiglia che degli istitutori, a cui il suo lavoro 
è indirizzato. Ad ogni modo questo appunto bisognerebbe a più 
forte ragione rivolgerlo allo Spencer, il quale solennemente so- 
stiene, che a riuscire nella vita occorre prima essere un duon 
animale, giacchè la duona animalità non si ottiene che coll’edu- 
cazione fisica. 


(1) Anche il già citato Parravicini consigliava agli educatori di procac- 
ciarsi una chiara idea del corpo umano e delle sue principali funzioni. 


348 “ G. B. GERINI 


CONCLUSIONE 


Qui faccio punto: il discorso protrarrebbesi di troppo; qua- 
lora volessi ricordare tutti coloro che scrivendo d’educazione, 
sull'esempio de’ pedagogisti menzionati, assegnarono alla coltura 
delle potenze fisiche il posto conveniente (1). Tra questi dovrei 
in modo peculiare esporre il pensiero di G. Allievo, che in non 
pochi lavori e specialmente negli Studi pedagogici (Torino, 1892), 
discorre di proposito e molto diffusamente siffatto argomento; 
pago di avvertire come, da 25 anni, non cessi egli di alzare la 
voce contro il sovraccarico intellettuale. “ Insieme colla vita in- 
tellettiva anche la vita fisica e la operativa patiscono naufragio 
(scriveva in La riforma dell'educazione moderna mediante la ri- 
forma dello Stato, 1879, p. 12) nell’attuale ordinamento dei nostri 
studi... il cervello giovanile... viene posto a sì terribile pressura 
da rimanerne scosso e svigorito il sistema nervoso ,. Nè dovrei 
dimenticare i fisiologi, che consacrano le loro cure a riformare 
l'educazione fisica, come l’ illustre prof. A. Mosso, nè i cultori 
dell’arte ginnastica, quali ad esempio, E. Baumann e F. Val- 
letti (2), discepolo di quel R. Obermann, che col farsi maestro 
de’ bimbi raccolti negli asili, diede chiaramente a vedere, ove 
ciò non fosse confermato dagli scritti (3), ch'ei vagheggiava una 
ginnastica scolastica, come sussidio all’ educazione intellettuale 
e morale: ma de’ viventi è mio proposito tacere. 


(1) Gli è perciò, che non possiamo approvare la sentenza di Ausonio 
Frawncui, il quale, nel suo corso di Lezioni di Pedagogia (Siena, 1898), asse- 
risce che “ l'educazione fisica non è veramente una parte della pedagogia ,. 
Se la pedagogia mira alla maggiore perfezione possibile dell’uomo, come 
scrive il Rosmini (Scritti variù di Metodo e di Pedagogia, Torino, 1883, let- 
tera, n° 25), mediante lo svolgimento bene ordinato e la coltura armonica 
di tutte le sue facoltà, non è lecito all’educatore omettere l'educazione 
fisica. 

(2) Del V. gioverebbe rilevare l’opera intelligente ed indefessa al Mi- 
nistero della P. I., ove diede un grande e razionale impulso all’ordinamento 
delle ginniche discipline. 

(3) Veggansi dell’Obermann gli articoli pubblicati da G. Botta nella 
Antologia ginnastica, ecc., Torino, G. Candeletti, 1871, e l'opuscolo postumo: 
Cenni sullo sviluppo dell’istruzione ginnastica nella città di Torino dal prin- 
cipio dell'anno 1833 al 1865, Torino, tip. Candeletti, 1870. 


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iti 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 349 


Tuttavia non tornerà inutile avvertire che male si appongono 
coloro i quali tutta l'educazione fisica fanno consistere o nella 
sola igiene o nella sola ginnastica: imperocchè essa vuolsi ri- 
porre nell’una e nell'altra non disgiunte dalla coltura de’ sensi: 
Coltura che è l'anello di congiunzione tra l'educazione corporea 
e quella spirituale, dappoichè i sensi ci si presentano come gli 
organi dell’intelligenza e dell’attività volontaria. Così mentre 
sono nel vero i fisiologi quando richiedono che la ginnastica non 
proscriva alcun esercizio, di cui non siasi mostrata l'utilità fisio- 
logica, errano a mio credere, quando dichiarano di loro esclu- 
siva spettanza l'educazione fisica. 

Certo il pedagogista attinge dalla fisiologia, dall’anatomia e 
da altre discipline, i risultati più sicuri ed incontrastati, valen- 
dosene nello studio dell'educazione fisica, cui peraltro connette 
colla spirituale, da cui è inseparabile, come il corpo dallo spi- 
rito, giacchè l'una deve armonizzare coll’altra. Il che non mo- 
strano di fare sempre i cultori della fisiologia, a cui dovrebbe 
essere presente, che l'educazione umana è una nella sua essenza, 
e che le parti, onde si compone, vanno tra loro così concertate, 
da costituire un tutto armonico. Se voi stralciate dalla coltura 
umana la parte che concerne le potenze animali, per farne una 
disciplina a sè, altri potrebbe fare altrettanto delle altre parti; 
e così verrà a scindersi l’unità della scienza pedagogica, e l’e- 
ducazione fisica e l'educazione spirituale tenteranno di sover- 
chiarsi a vicenda. 

Gli scrittori superiormente ricordati, convengono pertanto 
nell'ammettere, che quantunque distinte per natura e per in- 
dole, l'educazione corporea e la mentale denno procedere con- 
cordi, non potendosi l’una dall'altra disgiungere: riconoscono la 
reciproca influenza dello spirito e dell'organismo e la necessità 
d’iniziare l'educazione dalla nascita, e taluni dal periodo che 
precede la natività medesima: l'opportunità d’indurire i bam- 
bini per gradi al freddo, al caldo, alle intemperie, alle fatiche, 
alle privazioni, al dolore. Che se alcuni imitando Rousseau, il 
quale alla sua volta seguiva G. Locke (1), pretendono erronea- 
mente che l’uso de’ bagni freddi valga a rinforzare il tenero or- 


(1) Cfr. il mio opuscolo: Le dottrine pedagogiche di G. Locke, Torino, 
Paravia, 1893. 


350 G. B. GERINI 


ganismo de’ bambini appena nati, non manca però chi mette in 
guardia contro questa pratica funesta. “ L'uomo nella prima 
età, scriveva il Parravicini, abbisogna di calore, essendo che 
nel grembo materno godeva d’una temperatura non inferiore ai 
36 gradi ,. Concordano inoltre nel riguardare quali mezzi della 
coltura organica, l'igiene, la ginnastica e l'esercizio dei sensi 
fisici. Così anteponendo all’artificiale la ginnastica naturale, da 
praticarsi all'aperto, in luoghi ombreggiati dagli alberi, vogliono 
non solo che quella non si discosti da questa, ma che s’informi 
ognora alla medesima. Perciò li vediamo vivamente raccoman- 
dare i giuochi, i quali, siccome quelli che lasciano agli alunni mag- 
giore libertà d'azione, sono più conformi a natura degli esercizi 
voluti e precisati dal maestro. L'arte non deve mai sopraffare 
la natura in cui ha il suo fondamento. Tra gli esercizi più comu- 
nemente raccomandati sono le passeggiate, le quali riereano l'or- 
ganismo e la mente nell’atto stesso che conferiscono alla coltura 
de’ sensi: la corsa e le marce, che i fisiologi riconoscono. quali 
mezzi efficacissimi per lo sviluppo de’ muscoli delle gambe non 
solo, ma anche per l'aumento dell’attività polmonare e cardiaca: 
il pattinare sul ghiaccio, così vivamente raccomandato dal Tom- 
maseo : il salto, il nuoto, l'equitazione, il giuoco della palla e del 
pallone, ecc. Oggidì si conviene dai più doversi curare l’intro- 
duzione del lavoro manuale nella scuola, anche come sussidio 
all'educazione fisica, servendo esso allo sviluppo del corpo ed al 
perfezionamento del sentire: e di tale avviso si mostrano per 
l'appunto alcuni degli scrittori da noi menzionati. Nè manca 
tra di loro chi riprova il peso opprimente dell'istruzione e gli 
intemperanti programmi che riescono esiziali alla salute fisica 
ed al naturale sviluppo dell’intelligenza. 

Da qualcuno si accusa la grande scuola pedagogica nazionale 
di avere trascurato l’educazione fisica. Se l’accusa sia fondata, lo 
giudichi il cortese lettore. Per parte mia aggiungerò un'osser- 
vazione: ed è che se tra noi non difettano pedagogisti, i quali 
si dimenticarono affatto dell'educazione fisica, questi vanno ri- 
cercati piuttosto in mezzo agli evoluzionisti, che ad essere lo- 
gici, dovrebbero collocarla nel primo luogo. Citiamo il Siciliani 
e l’Angiulli. 

Che se gli scrittori ricordati più sopra ben poco ottennero 
in vantaggio della coltura organica per le condizioni politiche 


L'EDUCAZIONE FISICA SECONDO ALCUNI PEDAGOGISTI, ECC. 351 


e sociali del tempo in cui vissero, meritano tuttavia lode in- 
condizionata per avere richiamato l’attenzione delle famiglie, 
degli istitutori e delle autorità sul bisogno della medesima. 

Ma dirà taluno: i pedagogisti de’ quali tu facesti menzione, 
su per giù ripetono gli stessi precetti e raccomandano i mede- 
simi esercizi. Ma, per non ridire qui quanto scrive G. P. Richter 
nella prefazione alla Levana, essere cioè cosa buona che in libri 
nuovi diasi luogo a pensieri vecchi, anche perchè i libri antichi; 
dato che si trovino, più non si leggono, dimando alla mia volta: 
Forse che i più ardenti fautori dell'educazione fisica de’ giorni 
nostri, aggiungono cose nuove a quelle ripetute dagli scrittori 
ricordati? Ecco: io tengo sott'occhio la relazione ufficiale, pub- 
blicata dalla Commissione per la riforma dell'educazione fisica 
(18 novembre 1893), e trovo, che vi si propone di lasciare larga 
parte a’ giuochi ginnici, e di conservare della ginnastica, fin qui 
praticata, quel che v’'ha di meglio, come gli esercizi di locomo- 
zione, e più specialmente la corsa, la marcia, le passeggiate, il 
salto nelle sue varie forme, l’arrampicarsi, ecc. Che se fa cenno 
degli esercizi di sospensione, d’appoggio e di equilibrio, giusta- 
mente raccomanda, che i medesimi abbiano luogo ne’ modi più 
semplici e naturali. Nè basta. L’autorevole Commissione, alla 
quale non apparteneva alcun pedagogista, contemplava ancora 
quali mezzi di educazione fisica, il bagno, il nuoto, nonchè il 
canto ed il lavoro manuale. Or bene se i pedagogisti di tutti i 
tempi hanno riguardato il canto, come mezzo acconcio alla col- 
tura del sentimento morale ed estetico, non sono mancati di 
quelli i quali lo ritennero quale esercizio utilissimo non solo alla 
salute ma ancora all’udito ed alla voce (1). 

La sullodata Commissione conveniva coi pedagogisti italiani 
ed in peculiare modo con quelli del secolo XIX, nell’avvertire 
che i mali della vita sedentaria peggiorano somministrando il 


(1) Veggasi Ravneri, Della pedagogica, libro III, e. 1, art. 4, $ 2. Del 
resto è noto come Plutarco negli Avvertimenti di Sanità, che il CenroranTI 
(Saggio sulla vita e sulle opere di Plutarco) chiama ° antico manuale o saggio 
“ d’igiene domestica ,, consigliasse, non solo ai giovanetti ma pure agli 
uomini maturi, di rendersi famigliare la declamazione delle private letture, 
parendogli che oltre alla chiarezza ed alla forza della voce, dovesse anche 
derivarne salute e vigorìa di petto. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 24 


352 PASQUALE JANNACCONE 


movimento a rare ma alte dosi, e che perciò gli esercizi vogliono 
essere frequenti ma moderati. 

Per questi motivi siamo ben lieti che i precetti degli scrit- 
tori italiani, da noi studiati con affetto non comune, intorno 
alla coltura fisica siano da parecchi valentuomini trovati con- 
formi agli ultimi risultati della scienza, e siamo convinti che 
nessuno di costoro vorrebbe dare lo sfratto alla Pedagogia, la 
quale in mente de’ suoi cultori intende all’armonica coltura di 
tutte le potenze umane, fisiche e spirituali. 


Di un economista piemontese del secolo XVIII 
(Donaudi delle Mallere). 


A proposito di alcuni suoi manoscritti inediti. 
Nota del Prof. PASQUALE JANNACCONE. 


I. — Letteratura cameralistica in Piemonte 
sulla fine del sec. XVIII. 


Mentre il Napoletano, la Toscana, la Lombardia e l'Emilia 
davano, nella seconda metà del secolo XVIII, copioso contributo 
d’opere e d’ingegni alla nascente scienza economica, il Piemonte 
non aveva quasi alcun nome da porre accanto a quelli di Ge- 
novesi, Beccaria, Verri, Ortes, Filangieri e tanti altri. ‘ 

Tralasciando il Botero, assai più antico, la storia dell’eco- 
nomia politica non ricorda in questo scorcio di secolo nessun 
altro piemontese fuori di Giambattista Vasco (1733-96), il quale, 
se non scrisse alcun trattato sistematico d’economia, pure, per 
la varietà delle questioni discusse e per la originalità di alcune 
idee, poco conformi allo spirito dei tempi e alla comune opi- 
nione corrente nella sua patria, merita d’essere onorevolmente 
annoverato fra i più acuti scrittori italiani di materie economiche 
d’allora. 

Fra i trentadue scrittori, le cui opere o monografie furono 
pubblicate dal Custodi, e di cui il Pecchio, nel 1829, espose bre- 
vemente la vita e le idee, appartengono al Piemonte soltanto il 
Vasco ed il ‘Solera, ideatore, questi, nel 1784 di un immaginoso 
piano di emissione di biglietti di credito garentiti sul valor 
delle terre. 


I e I A I A I TT 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 353 


E in verità, la letteratura economica del Piemonte in quel- 
l'epoca è oltremodo scarsa. Non solo non vi si trovano opere 
sistematiche, nè precorritrici di quelle che in Francia e in In- 
ghilterra andavano costituendo la nuova scienza, nè ispirate a 
queste e dominate da qualcuno dei sistemi che allora tenevano 
il campo, — ma neppure gli argomenti speciali più vivamente 
disputati in quel tempo, come il libero commercio dei grani 0 
il mantenimento delle corporazioni d'arti e mestieri, vi sono 
trattati con l'abbondanza, l'interessamento e il calore che trova- 
rono in altre parti d’Italia. 

Soltanto le questioni concernenti l’industria della seta, la 
principal fonte di ricchezza dello Stato, attrassero maggiormente 
l’attenzione degli studiosi; e la disputa, se dovesse permettersi 
la libera estrazione delle sete greggie e dei bozzoli, che in Pie- 
monte durò vivissima sin quasi alla metà del secolo XIX (1), già 


(1) N periodo di maggior fervore fu dal 1832 al 1834. Il movimento 
in favore dell'abolizione del regime vincolista per le sete greggie e i boz- 
zoli, cui già accennano le memorie del 1788, cominciò a ridestarsi nel 1820 
con la pubblicazione del primo volume della Raccolta di opere di economia 
politica di Autori piemontesi; tutto dedicato a tal questione (vedi la nota 3* 
a pag. seg.), e fu ripreso nel 1829 col Discorso sopra V industria delle sete 
nei Regii Stati del Lencisa, Intendente della provincia di Novi; discorso be- 
nevolmente accolto dalla Accademia delle Scienze nelle sue Memorie, su 
proposta di una commissione della quale faceva parte appunto uno degli 
autori delle memorie del 1788, il GareAnI Naprone (“ Memorie della R. Ac- 
cademia delle Scienze di Torino ,, t. XXXIV, pp. r-xrr e 99-150). 

Nel 1832-33, nella temuta imminenza di un provvedimento legislativo 
in senso liberista, un anonimo Ragionamento sull’esportazione della seta 
greggia dal Piemonte (Torino, 1832) e l’opera del MartInENGO, Del sistema 
proibitivo dell'estrazione delle sete greggie dallo Stato (Torino, Stamperia 
Reale, MDCCCXXXIII) sorsero a combattere le argomentazioni che a favore 
della libera estrazione avevano portate il Lewcisa, il Naprone, il Vasco, e 
l'Autore delle Osservazioni sulla proibita estrazione della seta greggia dal 
Piemonte (vedi nota 3" a pag. seg.) pubblicate senza nome nella Raccolta di 
opere di economia politica di Autori piemontesi e pur anonimamente ristam- 
pate dal Pomba nel 1833. 

Le ragioni dei vincolisti, sostenute ancora dal MArtINENGO, Lettera eco- 
nomica sulle cause che resistono all'incremento della produzione serica in Pie- 
monte (Torino, Stamperia Reale, 1834) e dal Sarvarezza, L'industria e il 
commercio delle sete in Piemonte (Torino, Pomba, 1833) e Schiarimenti sulla 
questione serica che riguarda la famiglia piemontese (Torino, Pomba, 1834, 
in risposta al Giovanetti), furono valorosamente ribattute dalle Osservazioni 
sul Ragionamento sull’esportazione della seta greggia dal Piemonte, dalla bella 


b1:7 PASQUALE JANNACCONE 


in quegli anni cominciava ad essere agitata. Nel 1788, avendo 
l'Accademia delle Scienze di Torino messo a concorso il quesito: 
Quels sont les moyens de pourvoir à la subsistance des moulimiers 
dans le temps que cette classe d’hommes sì précieux au Piémont se 
trouve réduite aux horreurs de l’indigence par le manque de soie ? 
tre fra le memorie presentate, delle quali una del conte Galeani 
Napione (1) ed una dell'abate Vasco (2), sostenevano appunto 
che nell’interesse del paese e delle persone occupate nell’indu- 
stria e nel commercio delle sete, dovessero togliersi i vincoli 
alla libera estrazione della materia greggia. Ma l'Accademia, pur 
riconoscendo i pregi di quegli scritti, dichiarò non reputar con- 
veniente di premiare dissertazioni direttamente contrarie agli 
usi vigenti sull’esportazione dei bozzoli e delle sete (3). 


memoria del GrovanertI, Della libera estrazione della seta greggia dal Pie- 
monte (Torino, Fodratti, 1834) e dal SaccHni, Sulla discussione promossa in 
Piemonte per la libera estrazione della seta greggia, con osservazioni di G. D. 
Romagnosi (Milano, Lampato; e Torino, Pomba, 1834). 

(1) Discorso intorno al quesito proposto dalla Reale Accademia delle 
Scienze, ecc. (Torino, Stamperia Reale, MDCCLXXXIX, senza nome d'autore 
e pur senza nome ristampato nella Raccolta di opere di economia politica 
di Autori piemontesi). 

(2) Risposta al quesito proposto dalla Reale Accademia delle Scienze, ecc. 
(Torino, Stamperia Reale). 

(3) “ Mém. de l’Acad. , etc., vol. IV, p. xLr. Le memorie del Napione 
e del Vasco e quelle del Marchese Incisa della Rocchetta, anch’essa pre- 
sentata nella stessa occasione all'Accademia e favorevolmente giudicata; 
insieme con le già citate Osservazioni sulla proibita estrazione della seta 
greggia dal Piemonte, faron poi ristampate nel Tomo I, fasc. 1°, della Rac- 
colta di opere d’economia politica di Autori piemontesi, cominciatasi a pub- 
blicare a Torino, sotto gli auspicii del Conte Balbo, nel 1820 coi tipi di 
Domenico Pane. L'intento di questa Raccolta di completare e continuare, 
pel Piemonte, quella del Custodi e il suo spirito liberale l'avrebbero resa 
una pubblicazione preziosa, ma pur troppo essa non ebbe seguito oltre il 
primo fascicolo, forse per gli avvenimenti dell’anno successivo. 

Le Osservazioni sulla proibita estrazione ecc., comprese in quel primo 
volume, sono dal GrovawerTI (op. cit., p. 15) attribuite con molta lode a 
Francesco Gamgini, notando che “ quell’egregio autore non si nominò nella 
stampa, ma il pubblico riconobbe di leggieri la modesta penna e non s’in- 
gannò ,. E il nome del Gambini ritorna infatti così nella memoria del 
SaccHi (p. 11) come negli Schiarimenti sulla questione serica del SaLvaREZzzA 
(pag. 4). 

Il Manno e il Promrs, invece, nelle addizioni e variazioni al I volume 
della loro Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia (Torino, 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 355 


La Biblioteca oltremontana e piemontese (1), fondata nel 1787 
con lo scopo di diffondere la conoscenza delle opere più impor- 
tanti pubblicate all’estero e in Piemonte, nei sei anni di sua 
vita, non registra nella rubrica dei libri stampati in Piemonte 
quasi nessuno scritto d’argomento economico, fuori delle mono- 
grafie sulle sete cui ora s'è accennato e di qualche altra riguar- 
dante l'agricoltura. Il che nei primi volumi di quella Rivista, 
quand’essa aveva l’operosa collaborazione del Vasco, fa vivo con- 
trasto con la ricchezza delle informazioni su opere economiche 
forestiere, che vi erano diligentemente sunteggiate e criticate. 

Nè pare, infine, che il movimento d’idee intorno a questioni 
economiche teoriche e pratiche dalle altri parti d’Italia sì pro- 
pagasse facilmente in Piemonte, e che le nuove vedute vi fos- 
sero prontamente accolte, poichè manca nella pur scarsa lette- 
ratura del tempo qualsiasi traccia di quelle molteplici influenze, 
e di quella lotta d’opinioni e di quei varii commenti che le opere 
e le idee nuove sogliono suscitare in tempi e luoghi aperti e 
disposti a riceverle. Le Meditazioni sull’ Economia pubblica (1771) 
del Verri, che fra i primi trattati italiani di questa scienza oc- 
cupano uno dei posti più eminenti per novità e per vigore d’idee, 
non ebbero in Piemonte nè seguaci nè fortuna, ma, al loro 
primo apparire, il rude assalto di uno che dicea di parlare a 
nome di una “ società di galantuomini , (2); e per assai gran 


Bocca, 1884) pongono quelle Osservazioni sotto il nome del Segretario di 
Stato Rosasco. Ma le fanno credere del Gambini: e il comune consenso dei 
contemporanei e la franchezza dello stile e le idee di libertà economica 
che animano quelle Osservazioni come l’altra sua bella opera Delle leggi 
frumentarie in Italia, pubblicata anch'essa senza nome in Torino nel 1819. 

(1) Biblioteca Oltremontana ad uso d'Italia, colla notizia dei libri stampati 
in Piemonte (Torino, Stamperia Reale). 

(2) Cfr. Esame dell’opera intitolata “ Meditazioni sull’Economia pubblica , 
(Vercelli, 1771). È detto nell’introduzione: “ Il desiderio del pubblico bene, 
“ ed il soggetto di cui si tratta, e che tanto interessa la pubblica causa, 
“ ha mosso una piccola società di galantuomini impegnati a promuovere, 
“ per quanto sia fattibile, le viste dei Governi presenti dirette a sollevare 
“i popoli, e render migliore la loro costituzione, a prendere in esame 
“ un’opera sortita di fresco alla luce col titolo di Meditazioni sulla Economia 
“ pubblica ,, ecc..... “ Risultati però dall'esame intrapreso gli enormi ab- 
“ bagli, nei quali è incorso l'Autore di tali Meditazioni, la fallacia dei suoi 
“ principii e delle sue massime, e l'insufficienza dei suoi progetti, si sono 
* creduti in dovere di similmente dare alla pubblica notizia le riflessioni, 


356 PASQUALE JANNACCONE 


tempo l’eccletismo a base mercantilistica di Melon e di Geno- 
vesi, segnò il punto più avanzato cui parea che la dottrina eco- 
nomica potesse arrivare (1). 


* 
* * 


Della cultura economica in Piemonte in quello scorcio di 
secolo e della penetrazione in esso delle idee novatrici non bi- 
sogna però giudicare sul solo fondamento delle opere a stampa. 
Se gli studi economici non v’ebbero il rigoglio che in altre re- 
gioni italiane, se la censura vi era particolarmente avversa alla 
pubblicazione di scritti che proponessero mutamenti nel reggi- 
mento e nella politica dello Stato e suscitassero nei sudditi de- 
siderii di novità, è notevole, d’altra parte, che l’amministrazione 
finanziaria dello Stato era sapientemente congegnata, buone le 
condizioni della pubblica ricchezza ed incessante la cura dei so- 
vrani e dei loro consiglieri ad emanare e suggerire provvedi- 
menti di carattere economico. Il che vuol dire che, come in quasi 


tutti rami della pubblica amministrazione, anche per la parte 


economica e finanziaria, il Piemonte aveva uomini di singolare 
valor pratico, la cui azione intellettuale non usciva d’ordinario 
fuori dell’àmbito degli ufficii pubblici cui erano addetti, ma, 
educandosi e svolgendosi là dentro, vi acquistava una non co- 
mune precisione e finezza di vedute (2). 

Ma questi uomini, dalla cui schiera uscirono di tratto in 
tratto personalità davvero eminenti, anche a considerarle sol- 


“ che sono loro occorse nel scrutinio di detta opera, acciò il pubblico resti 
“ disingannato, e insieme istrutto del vero valore non solo di questo, ma 
“ d'una gran parte degli altri libri moderni, e di quanto pesino i soggetti, 
che li compongono, lo studio dei quali è unicamente diretto ad abbattere 
il Vero e la Ragione colla vernice di uno stile nuovo e seducente, e in 
“ tal forma attirarsi degli ammiratori, e dei seguaci alle loro novità, ed ai 
“ loro mal fondati Progetti , ecc. 

(1) Cfr. Il plagio confessato: Elementi di Economia politica, estratti 
dalle lezioni dell’Ab. Genovesi ad opera d’un antico impiegato piemontese 
(Torino, 1802). 

(2) Questo apparente contrasto fra la scarsezza degli studii economici 
e la buona costituzione economico-finanziaria dello Stato piemontese si 
ripete pure fra tutti gli altri rami del diritto pubblico e i corrispondenti 
rami dell’Amministrazione dello Stato: cfr. Bronpi, Gl'inizi dell’insegnamento 
di Diritto Amministrativo in Piemonte nel volame per le onoranze al pro- 
fessore Francesco Pepere (Napoli, 1901). 


“ 


“ 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 357 


tanto nei riguardi dell'economia e della finanza, non avrebbero 
certamente potuto elevarsi e mantenersi al disopra del livello 
comune degl’impiegati dello Stato se non si fossero nudriti di 
una coltura superiore all’ordinaria, e se di queste loro speciali 
conoscenze ed attitudini non avessero date bastevoli prove. È 
queste prove, nel ramo almeno dell'amministrazione economica 
e finanziaria, consistevano sopratutto in rapporti e relazioni, 
progetti di riforme, esposizioni di pareri, indagini statistiche, 
critiche di ordinamenti vigenti, non però diffuse, col mezzo della 
stampa, nel pubblico; ma, anche quando non avevano ii 
d’ufficio, presentate al sovrano o ai capi supremi dei corpi am- 
ministrativi. V'è quindi nelle biblioteche e negli archivi del Pie- 
monte una larga raccolta di scritti inediti, i quali sono ad un 
tempo documenti delle condizioni economiche e finanziarie del 
paese, e del movimento del pensiero e della cultura economica. 

Fra le opere di Gianfrancesco Napione, enumerate dal Mar- 
tini nella vita di questo fecondissimo e versatile scrittore e 
uomo di Stato (1), appaiono inediti circa una cinquantina di 
scritti attinenti alle più varie questioni dell'economia e della 
finanza: da dissertazioni sui principii fondamentali della pub- 
blica economia (1773) e della scienza di finanze (1798) a memorie 
sulla mercede e le condizioni dei contadini (1778 e 1796), sulla 
gabella del sale (1785) e sui prestiti forzati (1795); da riflessioni 
sullo stato delle finanze in Piemonte (1796 e 1797), sui sistemi 
di riscossione dei tributi (1789) e di amministrazione delle finanze 
(1815, 1816 e 1821), sui biglietti di credito e sulle monete (1793, 
1796, 1797, 1799, 1800, 1814, 1816, 1826), sull’annona (1797) ecc., 
sino alle Note sulla Ricchezza delle nazioni, di Ad. Smith (1826). 

Ed alcuni di questi scritti si riannodano a loro volta ad 
altre opere inedite di altri funzionarii piemontesi, come la me- 
moria Sui principiù fondamentali della scienza delle finanze al 
Pensamento politico-economico sopra il commercio e le finanze (1749) 
del conte di Salmour, già presidente del Consiglio di Commercio, 
e alle annotazioni che a questa scrittura appose il cav. Damiano 
di Priocca, ministro di Carlo Emanuele IV (2). E così pure alcuni 


(1) Vita del Conte Gian-Francesco Napione per Lorenzo MarmtINI (Torino, 
presso Giuseppe Bocca, MDCCCXXXVI). 

(2) Cfr. MartINI, op. cit., pp. 133-354 e Ricca SaLerno, Storia delle dot- 
trine finanziarie in Italia (Palermo, Reber, p. 343). 


358 PASQUALE JANNACCONE 


degli altri molti manoscritti di simil natura, esistenti nelle bi- - 
blioteche e negli archivii, come, fra i tanti, il Trattato politico 
ed economico delle Finanze (1759) del conte Maistre di Castel- 
grana (1) e il trattato sui Tributi negli Stati di S. M. (1818) del 
Petitti di Roreto (2), contengono frequenti riferimenti e richiami 
ad altri volumi di questa letteratura cameralistica e burocra- 
tica piemontese. Oltre al già citato Pensamento politico ed eco- 
nomico del conte di Salmour, il Petitti ricorda, ad esempio, con 
lode, fra altri scritti minori o di carattere più strettamente 
tecnico ed ufficiale, le Pensées diverses sur les moyens de rendre 
le commerce florissant en Piémont et d’acquitter les dettes du Roi 
en les rendant en attendant utiles è l’Etat (1751) del conte Per- 
rone, ambasciatore di Carlo Emanuele III a Londra, ed una me- 
moria del conte San Martino della Motta al Consigliere di Stato 
francese Degerando, sulla Celebrità dell’antico sistema di finanze 
piemontese, opere manoscritte esistenti, a detta del Petitti, l'una 
negli Archivi di Corte, l’altra nella biblioteca del conte Caissotti 
di Chiusano. 

Onde appare davvero strano che, fra gli antichi Stati ita- 
liani, il Piemonte sia quello la cui storia economica e finanziaria, 
nel campo dei fatti e nel campo delle idee, è meno nota e stu- 
diata, mentre questa ricchezza di documenti d’archivio, l’in- 
teresse che offrono alcuni suoi antichi istituti amministrativo- 
finanziarii giunti insino a noi, la continuità del regime, e infine 
l’ordinatissima raccolta delle leggi e degli editti, nella quale non 
meno di dodici volumi si riferiscono a materie economiche, 
avrebbero dovuto eccitare ed agevolare ogni sorta di ricerche, 
e tentare più d’uno studioso ad una descrizione della vita eco- 
nomica del Piemonte in correlazione alle sue varie e fortunose 
vicende politiche. 


II. I manoscritti del conte Donaudi delle Mallere. 


Il nome del conte Donaudi delle Mallere è appena noto nella 
storia delle scienze economiche in Italia per un Saggio di Eco- 
nomia civile (3), compreso dal Cossa nella sua Bibliografia dei 


(1) Ms. n. 484 della Biblioteca del Re in Torino. 

(2) Ms. della Biblioteca Nazionale in Torino (P. I, 15). 

(3) Saggio di economia civile del Conte DoxAupr npeLLe MALLERE, Torino 
presso gli eredi Avondo), È senza data. Il Cossa gli attribuisce quella del 


eg pene 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 359 


trattati e compendii d’ Economia politica scritti da Italiani (1), ma 
nemmen ricordato da lui, classificatore pazientissimo d’uomini e 
d’opere, nella parte storica dell’Introduzione allo Studio dell’ Eco- 
nomia politica (2). Eppure, il Saggio del Donaudi, essendo stato 
pubblicato nel 1776, a poca distanza dei trattati di Genovesi 
(1765), Beccaria (1769), Verri (1771) e Ortes (1774), sta con 
questi fra i più antichi trattati d’economia italiani del periodo 


| presmithiano; ed essendo l’unica opera sistematica d’economia 


| 
| 


1776; e giustamente, sia perchè a p. 41 è detto “ recentemente emanato 
“un editto del 24 settembre 1776, sia perchè io stesso ho potuto leggere 
nell’Archivio di Stato una lettera, in data 18 gennaio 1776, nelia quale il 
Conte Morelli dice esser “ stato richiesto della permissione della stampa 
“d'un manoscritto che ha per titolo “ Saggio di Economia civile del 
“ Conte Donaudi delle Mallere ,. E prosegue: “ Le differenti materie che 
“ ivi sì trattano hanno per oggetto il pubblico bene delle Nazioni e sono 
trattate con quella precisione che è propria d’un'opera che ne pro- 
mette altra più estesa, con relazione in gran parte alle Regie Costitu- 
zioni ecc...... e non si può negare che vi siano forse anche novi pensa- 
menti dell'Autore, e che sia molto lodevole questo studio che tende a 
giovare al pubblico, di maniera tale che meritino piuttosto d’essere ani- 
mati coloro che seriamente si applicano per il bene pubblico. 

“ Siccome però le stesse materie del pari interessano i diritti dei So- 
vrani, come sono le gabelle, le finanze, la monetazione e simili, e potreb- 
bero i sentimenti dell'Autore talvolta opporsi alle massime del Governo 
ed alle leggi che attualmente esistono, non ho creduto essere in grado a 
poter permettere la stampa senza un ordine preciso di S. M., quand’anche 
si volessero considerare in figura di semplici progetti, massimamente che 
venendo approvati dal Revisore potrebbero credersi approvati dal Governo 
e rendere talvolta gelose le vicine potenze. 

“ Che però mi credo in dovere di far pervenire alle mani di V. E. lo 
stesso manoscritto, e pregarla d’umiliare questi miei deboli riflessi ai 
piedi della M. S. per averne le reali sue determinazioni ,. 

(1) Nel Giornale degli Economisti, settembre 1891. Nelle Nuove aggiunte 
alla bibliografia dei trattati e compendii di Economia politica (ibid., marzo 
1893), il Cossa cita anche una ristampa (Palermo, 1787) del Saggio del Do- 
naudi. Non ho però potuto rinvenire questa ristampa palermitana in varie 
Biblioteche, cui l’ho chiesta; nè essa esiste nella ricca Biblioteca privata, 
lasciata dal Cossa, come gentilmente m’informa il Prof. Emilio Cossa, suo 
figliuolo. 

(2) Milano, Hoepli. Ricordano però il Saggio il Ricca SaLerno nella sua 
Storia delle dottrine finanziarie in Italia (Palermo, Reber, 1896, pp. 337-39) 
e il Gossi, La concorrenza estera e gli antichi economisti italiani (Milano, 
Hoepli, 1884, pp. 155-57). 


“ 


R 


R 


R 


“ 


360 PASQUALE JANNACCONE 


pubblicatasi in Piemonte a quel tempo, meriterebbe un men fug- 
gevole ricordo, se non pei suoi meriti intrinseci, almeno per 
questo suo valor di rarità in rispetto al tempo e al luogo in 
cui apparve. 

L'importanza scientifica di questo Saggio non è certo grande, 
non essendo esso, in fondo, che un compendio dei principii del 
mercantilismo, con speciali riferimenti alle condizioni e alle leggi 
del Piemonte, e con qualche sagace riflessione, ma senza che 
neppur vi baleni qua e là qualcuna di quelle vedute teoriche, 
per le quali altri economisti italiani dello stesso tempo acqui- 
starono giusta fama di precursori, se non di fondatori, della 
scienza economica. 

Lo scrittore piemontese non va però giudicato unicamente 
sul fondamento del Saggio dato alle stampe. Anch’egli appar- 
tenne a quella schiera di funzionarii, nei quali lo studio delle 
dottrine scientifiche si temperava all’esercizio dei pubblici ufficii, 
e questo si affinava per opera di quello; e anch'egli ha lasciati 
scritti inediti, completamente ignoti agli studiosi della storia 
delle dottrine economiche, i quali sono un necessario comple- 
mento al Saggio stampato, e sono in generale a questo superiori 
per una maggior larghezza di vedute e per qualche idea origi- 
nale o qualche buona critica d’opinioni correnti. 

I manoscritti del Donaudi che ho trovati e riscontrati sono 
i seguenti: 


Mss. nella Biblioteca Nazionale di Torino. 


A) Saggio d’Economia politica e pratica delle arti fon- 
damentali (non numerato)  [pp. 67] 

B) Saggio d’Economia politica e pratica sovra lo stato 

presente delle Finanze e Commerzio del Re di 
Sardegna pp. 274 

C) Saggi sovra il commerzio del Paese relativamente 
agli editti emanati dall’ (sic) 1680 a questa parte pp. 67 

D) Saggi sovra il commerzio del Paese relativamente 

agli editti emanati dall’ (sic) 1680 a questa parte 
(duplicato del precedente) pp. 67 

E) Considerazioni sovra le Finanze e il Commercio in 

generale con due trattati, l’uno delle sete, e l’altro 
dei grani pp. 94 


e- © ARA gl 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 


F) Riflessioni teoriche e pratiche sovra I Amministra- 
zione delle Finanze con alcune osservazioni parti- 
colari riguardanti le Finanze e il Commerzio negli 
Stati di S. M. 

G) Relazioni e pareri su alcuni affari che si sono trat- 
tati nelle adunanze del Consiglio di Commercio 


Mss. nella Biblioteca Civica di Torino. 


H) Riflessioni sopra varii rapporti delle Finanze col 
Commercio con alcune osservazioni riguardanti le 
Finanze e il Commercio negli Stati di S. M. 

(duplicato del Ms. 7, salvo le differenze di cui 
in appresso) 

I) Abbozzo ragionato d’un Catastro politico, parte 1* 

L) Abbozzo d’un piano in cui si disaminano alcuni 
mezzi per istabilire un fisso e regolare commercio 
tra la Sardegna e gli altri Stati di terraferma di 
S. M. e si prendono a un tempo stesso in consi- 
derazione quei rami di traffico che sembrano i più 
conducenti ad ottenere un sì rilevante oggetto 


Mss. nella Biblioteca del Re in Torino. 
M) Abbozzo ragionato d'un cadastro politico, parte 1* 
(duplicato del Ms. /) 

N) Altro duplicato dei Mss. { ed M 

O) Abbozzo d'un piano in cui si disaminano ecc. 
(duplicato del Ms. L) 

P) Riflessioni teoriche, pratiche sovra l’amministra- 
zione delle Finanze ecc. (duplicato del Ms. F) 
Insieme legati : 

P, Abbozzo ragionato d’un cadastro politico, parte 1* 
(duplicato dei Mss. /, M, N) 


P, Delle cose militari e delle fortificazioni 

P; Del lusso e delle leggi suntuarie ossia disamina di 
quanto abbiano inteso per lusso diversi Autori 

P, Osservazioni sopra l’editto della nuova monetazione 
delli 15 febbraio 1755 

P; Degl’inconvenienti che deriverebbero dal rendere i 
beni feudali allodiali 

complessivamente 


Pp. 


PP. 


PP. 
PP. 


PP. 


PP. 
Pp. 


PP. 


PP. 


361 


157 


314 
147 


415 


Il Ms. A, salvo qualche differenza di parole e qualche lieve 
variante, non è che la copia del capo 4° “ Dell’Agricoltura , 


del Ms. 5. 


362 PASQUALE JANNACCONE 


Il Ms. C (e il D che ne è un duplicato senza nessuna va- 
riante) contengono sette saggi: 1° del commerzio che non de- 
roga alla nobiltà; 2° del commercio oltre mare; 3° delle sete ; 
4° del Magistrato del Consolato e della fede pubblica; 5° del 
Magistrato del Commerzio; 6° della libertà e licenza; 7° delle 
lane. I quali saggi son tutti testualmente riprodotti nei capitoli 
del Ms. B portanti identico titolo, salvo il 3° che nel Ms. B è 
rifatto, e il 6° che non vi si trova per disteso. 

Il Ms. E contiene tre saggi: 1° delle Finanze e del Com- 
mercio in generale; 2° del commercio delle sete; 3° dei grani. 
I due ultimi sono quasi identici ai capitoli sulle sete e sui grani 
del Ms. B, e il primo è riprodotto in parte nei capitoli primo 
e secondo del Ms. 5 intitolati: “ Delle forze naturali del Re di 
Sardegna rispetto alla Finanza ed al Commerzio , e “ Dei ri- 
pieghi di Finanze ,, e in parte nel capitolo dello stesso Ms. che 
tratta “ dei cambi ,. 

Questo Ms. E è certamente anteriore ai quattro precedenti: 
Anteriore di poco ai Mss. C e D, perchè a p. 16 vi si legge: 
“ Questo..... è uno dei principali motivi, per cui appresso di noi 
le manifatture ed arti non sono giunte a quel grado di perfe- 
zionamento, che sarebbe desiderevole, ed a cui pare, che avreb- 
bero dovuto pervenire, quando passati non fossero in trascuranza 
alcuni eccellenti editti, che sono emanati dall’ (sic) 1680 a questa 
parte, dei quali mi riserbo a dimostrarne il vantaggio grandis- 
simo, che ne sarebbe derivato, quando fossero stati osservati; 
e ciò eseqguirò in alcuni saggi che sto travagliando sopra il com- 
mercio del Paese relativamente a detti editti ,. 

E anteriore anche al Ms. B, non soltanto perchè questi 
“ Saggi sovra il Commerzio del Paese , furono evidentemente 
incorporati di poi nella trattazione più ampia e sistematica con- 
tenuta nel Ms. B; ma anche perchè nel Ms. A (1), di cui il ca- 
pitolo “ Dell’Agricoltara , del Ms. B è una copia, è detto: “ la 
materia dei grani deve considerarsi come oggetto di commercio, 
cosa che ho evidentemente dimostrato în un trattato particolare dei 


(1) Il Ms. A è del 1773. Infatti, a p. 48 del Ms. I si legge: “... come 
“ ho altrove dimostrato in un saggio politico e pratico sovra le arti fonda- 
“ mentali, rassegnato nel 1773 a S. M. ,. 


FEO  —— re — _—_.,  _—v. 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 363 


grani , (1). Il: quale trattato dei grani altro non è che il saggio 
“dei grani, del Ms. £. 

Sembra, insomma, che i saggi contenuti nei Mss. 0, (D) ed 
E siano come la trama su cui s'è poi venuta intessendo l’opera 
posteriore, e nella quale essi furono incorporati come capitoli 
distinti. E quest'opera riesce a due trattati, uno di Economia 
politica (Ms. B) ed uno di Scienza della Finanza (Mss. F, H, P). 

Tutti gli altri Mss. formano un gruppo a parte, avendo un 
più spiccato carattere di scritture d'ufficio e di ordine pratico. 
E di essi si parlerà dopo d’aver esaminate le due opere che 
hanno maggior valore ed interesse teoretico. 


II. — Il trattato d’Economia politica (Ms. B). 


Importa innanzi tutto stabilire in che rapporto di tempo e 
in che connessione logica questo “ Saggio d’Economia politica e 
pratica , stia col Saggio d’Economia civile dato alle stampe nel 
1776. Il manoscritto non è di certo il copione dell’opera stam- 
pata: ha i capitoli disposti in ordine diverso, e non sempre cor- 
rispondenti fra loro per la materia trattata, è più ampio e ab- 
bonda di osservazioni pratiche e di riferimenti alle condizioni e 
alle leggi del Piemonte: osservazioni e riferimenti che non sono 
riportati per disteso nell'opera a stampa, la quale ha andatura 
più succinta e carattere più teorico. 

Potrebbe affermarsi che il libro a stampa sia un sunto di 
questo Ms., anche perchè in quello è più logico l’ordine dei ca- 
pitoli, se le parole con cui esso ha termine: — “ In questo saggio 
ho esposti alcuni principii generali, che riguardano l'economia 
civile. Da essi ho dedotte per ora quelle conseguenze, che parse 
mi sono le più giuste. Sto lavorando per ampliare il presente 
libro, e per corredarlo di quelle più ampie cognizioni ed osser- 
vazioni che solo una più lunga ed esatta esperienza può som- 
ministrare , — non facessero invece pensare che i due Mss. B 
ed Y (H, P) siano l’opera più ampia annunciata in quell’ultimo 
paragrafo. 


(1) Nel capitolo “ dell'Agricoltura , del Ms. B, quella frase è mutata 
così: “ La materia dei grani deve considerarsi come oggetto di commercio, 
“ cosa che dimostrerò appresso ,. Ma qui ]’“ appresso , ha significato locale 
e non temporale, perchè è un rimando al capitolo “ dei Grani , che imme- 
diatamente segue. 


364 PASQUALE JANNACCONE 


Se, però, si può con tutta certezza affermare che le Rifles- 
sioni sovra l’amministrazione delle Finanze siano posteriori al 
Saggio a stampa, poichè in fronte al Ms. H è scritto: “ Il pre- 
sente libro è stato rassegnato a S. M. in Gennaio 1779 , (1), 
manca pel Saggio d’Economia politica e pratica una così esplicita 
prova. E mentre degli altri scritti frequentemente si hanno ri- 
chiami con l'indicazione dell’anno in cui furon pubblicati o com- 
posti o presentati al Re o trasmessi alla Segreteria di Stato, 
questo Saggio d’Economia politica e pratica non è mai nominato 
in verun altro manoscritto. L'unico rimando che potrebbe rife- 
rirsi ad esso è quello che si trova a p. 48 del Ms. / (vedi nota 
a p. 13), nel quale è detto che nel 1773 fu presentato al Re 
un Saggio politico e pratico sulle arti fondamentali. Si dovrebbe 
cioè concludere che il Ms. A e il Ms. B siano un’ opera sola con 
titolo alquanto mutato (2), appoggiando quest’ argomentazione 
anche sul fatto che il Ms. A non consta che di un saggio sul- 
l'Agricoltura, il quale, salvo qualche variazione di parola e 
qualche riga di più o di meno (3), è in tutto identico al capitolo 
dell'Agricoltura del Ms. B; di guisa che, così argomentando, il 
Ms. A verrebbe a considerarsi non come un’ opera a sè, ma 


(1) Il Ms. 7, che fu quello ch'io vidi pel primo, quand’ancora non co- 
noscevo l’esistenza delle copie H e P, è senz’alcuna data. Ma io ero riuscito 
a determinarne la data precisa in base ai criterii seguenti. Che dovesse essere 
posteriore al 1776 si deduceva dalla p. 386, ov’è detto: “ vedansi gli Editti 
“ citati a questo proposito nel mio saggio d’economia civile ,. Che fosse 
anteriore al 1781 l'avevo argomentato dalla p. 266, dove, citando una 
lunga serie di editti sulla gabella del sale, l'A. non nomina quello del 
21 settembre 1781, il quale è di singolare importanza, avendo mutato l’or- 
dinamento di quel tributo, col sostituire la quota per comunità alla quota 
individuale. E che fosse precisamente della fine del 1779 o del principio 
del 1780, lo avevo desunto dalla pagina 335, ove si consiglia di occupare 
nella manifattura del cotone “le figlie dei militari le quali per sovrana 
“ disposizione si ritirano nell'opera non ha guari eretta ,, poichè il Regio 
Ritiro per le figlie dei Militari, fusosi dappoi col presente Istituto Nazio- 
nale, fu appunto fondato con RR. PP. 6 luglio 1779. 

(2) Così è, ad esempio, del Ms. F (P), il quale è identico al Ms. H, 
salvo in quest’ultimo una lieve variazione nel titolo e un’aggiunta al prin- 
cipio ed alla fine. 

(3) A p. 105 del Ms. B dieci righe che non si trovano in A — a pp. 56-7 
del Ms. A ventiquattro righe che non si trovano in B— a pp. 1837-38 del 
Ms. B quattordici righe mancanti in A. 


et" 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 365 


come una copia di una parte dell’opera contenuta nel Ms. £. 
Riducendo così ad un’ unica opera i Mss. A e B, si potrebbe 
attribuire ad essa la data del 1773, e quindi stabilire l’anterio- 
rità del Saggio d’ Economia politica e pratica al Saggio d’ Economia 
civile, stampato nel 1776. 

Ma ciò non regge per la ragione che or ora sì esporrà, e 
per quanto possa parer strano che s’intitolino Saggio d’Economia 
politica e pratica delle arti fondamentali poche pagine sull’agri- 
coltura, pure non è dubbio che questo scritto è distinto dal 
Saggio d’Economia politica e pratica (Ms. B), e che ad ésso sol- 
tanto, e non pure a questo si riferisce il richiamo del Ms. / e 
va quindi attribuita la data del 1773. 

E infatti, a pp. 137-38 del Ms. B v'è un periodo che co- 
mincia; “ E riguardo alla garanza nell’ (sic) 1773 si è fatta 
l’esperienza di tingere panni ed altre stoffe di lana con questa 
radice ,, ecc., il qual periodo manca nel Ms. A; dimodochè la 
menzione di quella data nel Ms. B può servire a stabilire la sua 
posteriorità a quell’anno, come la mancanza di quella menzione 
nel Ms. A può suffragare l’anteriorità di questo al Ms. 5. 

Fissato da una parte che il Saggio d’Economia politica e 
pratica è posteriore al 1773, determinato d'altra parte che è 
anteriore al 1785, perchè a p. 130 è invocata l'istituzione di 
un’Accademia d’Agricoltura, che appunto in quell’anno ebbe vita, 


, rimarrebbe pur sempre a stabilire se la sua composizione pre- 


cede o segue il Saggio d’Economia civile pubblicato nel 1776. Sul 
qual punto bisogna rispondere che, se non la materiale forma- 
zione del manoscritto, certo la elaborazione della materia in 
esso contenuta è in gran parte anteriore al 1776. Infatti, come 
s'è già accennato (p. 13), i capitoli VI, VII, VIII, IX, X e XI del 
Ms. B altro non sono che i Saggi primo, quarto, quinto, terzo, 
settimo, e secondo sovra il commerzio del paese relativamente agli 
Editti emanati dall’ (sic) 1680 a questa parte. E siccome questi 
Saggi sono quasi contemporanei al Ms. E (cfr. p. 13) e questo è 
di certo anteriore al 1776 se non pure al 17783 (idid.), così è 
evidente che molta parte della materia contenuta nel Saggio di 
Economia politica e pratica (Ms. B) fu raccolta ed elaborata ante- 
riormente alla stampa del Saggio di Economia civile (1). 


(1) Dippiù, il cap. IV del Ms. 2 è il saggio sull’agricoltura del Ms. A 
(1778), e il cap. V è quasi identico al saggio dei grani del Ms. E. 


366 PASQUALE JANNACCONE 


Pare dunque che il Ms. B non sia proprio l’opera di maggior 
mole annunciata e promessa nell’ultimo paragrafo del Saggio 
a stampa (cfr. p. 14), tanto più che di esso non si fa punto men- 
zione in nessun altro manoscritto, e neppure nella prefazione al 
Ms. H(1), dalla quale risulterebbe invece che il trattato di Scienza 
della Finanza (Mss. F, H, P) era destinato ad essere la continua- 
zione del Saggio di Economia civile, e in particolare lo svolgi- 
mento della materia abbozzata nel suo ultimo capitolo. 


* 
* * 


Ma se il Ms. B è anteriore al Saggio di Economia civile, po- 
trebbe a prima vista riuscir difficile a comprendere perchè l'A., 
nel dare alle stampe la sua opera di economia politica, le abbia 
fatto subire una nuova elaborazione, e non abbia invece pub- 
blicato lo scritto che già teneva in pronto, e che era in molte 
parti più diffuso e più nuovo. Le ragioni di ciò mi sembrano 
due, e proprio corrispondenti ai due caratteri suaccennati, pei 
quali il Ms. B differisce dal Saggio stampato. 

In primo luogo, licenziando al pubblico il suo Saggio di 
Economia civile, VA. volle, com’egli stesso dice, esporre alcuni 
“ principii generali , e quindi dal Saggio di Economia politica 
e pratica (Ms. B) tolse e riprodusse a parola quanto aveva ca- 
rattere più generico e teorico, ed omise o rigettò in nota tutto 
ciò che aveva interesse prevalentemente pratico o locale. E così, 
ad esempio, nel testo del Saggio a stampa più non si trovano, 
come nel Ms. B, le lunghe esposizioni e commenti della legisla- 
zione piemontese sulle varie materie d’industria e commercio, 
ma per ogni argomento le note contengono copiosi richiami alle 
costituzioni, agli editti, ai manifesti, viglietti e patenti. 


(1) Nella prefazione al Ms. H (mancante in F e P) è detto fra altro: 
“ Nel saggio di Economia civile da me pubblicato nel 1776, ricercai quai 
‘ fossero i mezzi più valevoli a promuovere il Commerzio. Accennai nel- 
“ l'ultimo capo il rapporto che il Commerzio ha colle Finanze scorrendone 
“e bilanciandone le principali osservazioni. Colla quale discussione avendo 
“ conosciuto quanto possano influire le operazioni delle Finanze sull’avvan- 
“zamento del Commerzio, mi sono proposto di esporre nel presente libro 
“ quali sieno i principii, da cui pare che si abbia a dedurre la vera scienza 
“ delle Finanze e per ottenere un fine vantaggioso ,. 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEI: SECOLO XVIII 367 


Ma più importante mi par l’altro motivo: quello di non 
voler pubblicare cosa alcuna che fosse in troppo aperto contrasto 
con le opinioni predominanti o con la politica dello Stato. 

Il Governo piemontese — e lo dimostrò più volte — non 
era avverso alle riforme, sia politiche che amministrative, fi- 
nanziarie od economiche, ma voleva che l’idea e l’azione rifor- 
matrice uscissero dalle sfere governative stesse, e non che giun- 
gessero a queste venendo su dal popolo. È per ciò anche che il 
Piemonte, come già addietro fu notato, in tutt'i rami dell’am- 
ministrazione dello Stato ebbe eccellenti uomini pratici, ma 
pochi scienziati; per ciò, che è ricca e degna di studio la sua 
letteratura burocratica, povera e quasi senz’interesse scientifico, 
in queste materie, la produzione per il pubblico. Nè la cen- 
sura era larga nel permettere che fossero stampate e diffuse 
opere contenenti critiche agli ordinamenti vigenti e progetti di 
riforme o soltanto attinenti all’ economia e alle finanze pub- 
bliche. Il che abbondantemente traspare dalla lettera su ripor- 
tata (p. 10) nella quale il revisore non osa assumere la respon- 
sabilità di dare il permesso di stampa al Saggio di Economia 
civile del Donaudi, perchè, le materie che vi son trattate “ in- 
“ teressano i diritti dei sovrani, come sono le gabelle, le fi- 
“ nanze, la monetazione e simili, e potrebbero i sentimenti del- 
“ l'Autore talvolta opporsi alle massime del Governo ed alle 
“ leggi che attualmente esistono ,. E si trattava dell’opera di 
un funzionario, dedicata al Principe ereditario, e per ogni verso 
prudentissima ! 

Volendo dunque dare alle stampe il suo trattato d’economia 
politica, il Donaudi, da tutte queste ragioni, dovette esser con- 
dotto a purgare il suo manoscritto di tutto ciò che, pubblicato, 
avrebbe potuto apparire troppo nuovo e disforme dai principii 
cui la politica del Governo s’informava, e quindi poco confa- 
cente per una edizione ad usum Delphini. 


* 
* >* 

Sono parecchi i punti in cui il Saggio d’ Economia politica e 
pratica (Ms. B) apparisce invero informato a spirito più largo e 
ad idee più nuove e di maggior consistenza scientifica che non il 
Saggio d’ Economia civile. Notare i più rilevanti fra questi punti 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 25 


368 PASQUALE JANNACCONE 


equivarrà a dar contezza del Ms. B e a radunar gli elementi neces- 
sarii per determinare il suo valore scientifico e in sè e di fronte 
al Saggio a stampa, poichè pel rimanente non si discosta gran 
fatto da questo. 

Il primo punto è quello della politica frumentaria. Benchè 
il Donaudi si fosse di quest’argomento occupato già nei suoi 
primissimi scritti (cfr. p. 12-13) e benchè la questione annonaria 
fosse fra le più dibattute in quei tempi, e la legislazione pie- 
montese offrisse abbondante materiale a commenti e raffronti, 
essendo oltre a quattrocento gli editti, manifesti, patenti, cir- 
colari ed altre provvidenze emanate per restringere, allargare 0 
regolare la libertà del commercio dei grani — dal Decretum 
Comitum Sabaudiae, et Gebennarum, quo vetant frumentarias fruges 
ertra Sabaudiam trahere del 15 dicembre 1346 all’Editto di Vit- 
torio Amedeo III del 24 settembre 1776 — un sol breve paragrafo 


è dedicato a tale notevolissima questione di politica e di scienza. 


nel Saggio di Economia civile. E questo paragrafo dice soltanto: 
“ Non vi ha dubbio che i grani considerar si possono come der- 
“rata di prima necessità. Lo stesso Melon che riguardava la 
libertà, come l’anima del commercio, ne eccettua quello dei 
grani, ch’egli pensa dover essere soggetto ad alcune restri- 
zioni. Hanno presso che tutte le nazioni provveduto a un sì 
importante oggetto con leggi particolari. Esse però nè sono, 
nè esser possono uniformi. La varia posizione dei paesi, ed 
altre circostanze naturalmente suggeriscono mezzi diversi per 
conservare in una nazione l'abbondanza dei grani, e per al- 
lontanare il più che si possa il pericolo di penuria. Con ot- 
timi stabilimenti si è appresso di noi rettificato questo ramo 
della pubblica amministrazione , (1) (In nota: Editto del Re 
Vittorio III delli 24 settembre 1776): “ Con essi procurati si sono 
“ allo Stato, e maggiori, e più sicuri vantaggi, che se si fosse 


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“ lasciato affatto libero il commercio dei grani. Quando le parti 


“ tutte dell’editto recentemente emanato con attenzione si disa- 
“ minino, chiaro sì comprenderà, ch’esso altro non lascia a de- 
“ siderare, se non che pienamente se ne compia l’oggetto , (1). 

Ora, quest’editto del 24 settembre 1776 è uno dei più no- 
tevoli anelli di quella lunga catena di provvedimenti proibitivi 


(1) Op. cit., pp. 40-41. 


RT e n m— 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 369 


e protettivi sul commercio dei grani, appena per breve tempo 
interrotta sotto Emmanuel Filiberto e Carlo Emmanuele I. In- 
nestandosi sull’editto del 1° luglio 1773, il quale proibisce l’e- 
strazione dagli Stati di “ frumento, barbariato, segale, avena, 
meliga, spelta, miglio, marsaschi e legumi di qualunque sorta, 
e le farine di essi grani ,, l’editto del 1776 commette all’Uf- 
fizio generale del Soldo di fare “ col mezzo dei suoi ministri 
compra e provvigione di grani, per essere conservati di scorta 
ad universale benefizio, indi venduti su mercati, quando così 
richiederà il bisogno del pubblico, ovvero la convenienza di 
mantenere la moderazione dei prezzi ,. Per provvedere ai fondi 
occorrenti, l’editto ordina la creazione di nuovi biglietti di cre- 
dito verso le finanze per la somma di un milione e mezzo di 
lire, importanti ciascuno un capitale di lire cento, aventi va- 
lore di moneta effettiva e corrente, e commutabili dalla zecca 
in danaro nella misura di lire quindicimila per settimana. Ec- 
cettuata la città di Torino, è proibito ad ognuno di fare per 
mezzo di compera o di qualsivoglia altro contratto, cumulo, 
ammasso, o magazzino di granaglie (1) dello Stato per riven- 
derle, e di accaparrarle a tal fine senza il permesso del Vicario 
della città in Torino o dei prefetti nelle Provincie, dai quali 
non potrà esser conceduto se non ricevuti gli ordini del Re per 
mezzo della Segreteria di Stato per gli affari interni. E per 
accumulamento o magazzino di grani è considerato il ritrovar- 
sene “ una quantità eccedente l’uso della famiglia per un anno, 
presso chi non gli avrà raccolti o ricavati dai beni, dritti e 
redditi proprii o tenuti per altro titolo di affitto, coltura, pegno, 
sequestro od economato, sia che le granaglie esistano presso di 
lui o di altri, per il di lui conto o caparramento. Ed è reputato 
per bastevole all’additato uso della famiglia il numero di sacchi 
tre di frumento in misura di Piemonte per ognuna delle per- 
sone, ond'è composta, e delle altre granaglie una quantità pro- 
porzionale, giusta la qualità e condizione di ciascuno. 

Ai panettieri e fabbricanti di paste, abitanti a distanza 
maggiore di dieci miglia dai paesi esteri, è permesso tenere 


(1) Oltre ai grani, legumi e farine indicati nell’editto del 1773, la proi- 
bizione dell’editto del 1776 si estende anche ad ogni qualità di castagne 
(art. 7). 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 204 


370 PASQUALE: JANNACCONE 


tanto grano quanto occorre al loro abituale smaltimento per un 
anno; ai pubblici granaiuoli quella quantità solamente che 
“ avuto riguardo ai bisogni del minuto commercio verrà permessa 
dal Vicario, Prefetto e ordinario rispettivamente ,. Ma ciascuno 
di coloro cui in tali limiti è concesso di tener provviste di 
grani, non potrà comperarli sui pubblici mercati “ se non dopo 
spirato il tempo che in essi verrà riservato a coloro che prov- 
vedonsi pel proprio uso ,, e dovrà fare mensilmente una con- 


segna di quanto tiene in magazzino o a suo conto esista altrove, 


ed avrà obbligo di vendere in ogni tempo agli accorrenti e man- 
darne sui pubblici mercati la quantità che gli fosse ingiunta. 

E così, quest’editto del 1776, messo accanto a quello del 1773, 
dal quale l'estrazione dei grani viene proibita e severamente 
punita, ed accanto a quelli degli anni immediatamente‘ prece- 
denti, che ora chiudono, ora disserrano le porte del Regno al- 
l'uscita dei principali prodotti agricoli, segna uno dei punti 
culminanti di quella viziosa politica annonaria, la quale conti- 
nuamente ed agitatamente si dibatteva fra le due imperiose 
esigenze dell’impedire che il prezzo dei grani salisse di troppo, 
seontentando il popolo, e dell’impedire che di troppo calasse, 
scontentando i proprietari di terre. È questa una lotta di op- 
posti interessi che ha dovuto esercitare un’influenza notevolis- 
sima non solo sulla politica frumentaria — tutta dominata da 
essa — ma benanche talvolta sulla politica generale interna del 
Piemonte. Si vedono di ciò segni d'importanza non disconoscibile 
nelle due solenni promesse, fatte e non potute mantenere, da 
Emmanuel Filiberto e da Carlo Emmanuele I. 

L'uno, nelle Lettere Patenti del 29 luglio 1572, richiedendo 
dai feudatari ed altri sudditi il due per cento di ogni sorta di 
grani e marzaschi per uso dei presidii e sovvenzione dei poveri 
proclamava che “ per riconoscere tale amorevolezza usata da detti 
“ nostri cari et bene amati vassalli et sudditi verso di noi, con 
“ qualche sorte di gratitudine, gli promettiamo in fede et parola di 
« Principe, che da mo’ avanti non servaremo li grani, marzaschi 
“ et vittovaglie, nè impediremo il negozio et commercio pubblico di 
“ essì, perchè si possa ognuno valere de’ suoi raccolti secondo le 
“ piacerà, salvo che il grano ascendesse a più alto prezzo di quattro 
“ scudi d’oro in oro d’Italia il sacco; nel qual caso per la .com- 
“ passione che dobbiamo havere alla miseria di tante povere 


n° a 


1 


atea dti 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 371 


“ persone, che perirebbono di fame se non se. gli provvedesse in 
“ vietare che il grano non montasse più alto; non potremo a 
“« manco di serrarlo per l'indennità di essi poveri ,. 

L'altro, ancor più recisamente e senz'alcuna subordinazione a 
limiti di prezzo, dichiarava nel proemio dell’Editto del 20 ag. 1604 : 
“ Essendo sempre stato uno delli maggiori nostri desiderii di 
“ mantenere conforme all'obbligo che teniamo da Dio della cura 
“ et amministratione di questi Stati, il più che sia stato possi- 
“ bile, l'abbondanza in essi come da gli anni passati (benchè 
“ molto penuriosi) da ogni uno è stato conosciuto e provato; la 
“ qual cosa però non s'è potuta fare senza il serramento dei grani 
“ nel paese, da cui n'è proceduto e procede la strettezza del danaro 
* e lo sviamento del commercio che s'è patito, non potendo li ben 
“« amati nostri popoli per altra via più comoda aver danaro che col 
“commercio dei grani: ci siamo risoluti dopo longa e matura 
“ eonsideratione, et udito anco il parere del nostro Consiglio, 
“ nel quale è stato longamente et con molte sessioni trattato 
“ e discusso questo fatto, dî concedere l'esito generale delli grani 
“ in ogni tempo et in qualunque annata 0 abbondante o sterile che 
“ sia permettendone l’estrattione fuori dello Stato nostro dove tor- 
“ narà commodo ad essi popoli, con ampia licenza, la qual mai si 
« revocarà per qualsivoglia causa o pretesto, come così promettiamo 
“ in fede e parola di Prencipe, et în forza di contratto; la qual però 
“ estrattione dei grani et vittovaglie non vogliamo habbi luogo 
“ prima di tutto il mese di novembre prossimo, nel qual tempo 
“ dovrà esser fatta la provvisione che segue per l'abbondanza 
“ di questo primo anno: che per ciò e per mantenere la detta 
“ abbondanza (alla quale, come habbiamo detto, siamo obbli- 
“ gati e ne habbiamo sempre avuto tanta cura) si faccia dalli 
“ben amati nostri popoli il cumulo di grano in, et da ciascuna 
“ terra et luogo, sì mediato che immediato, et per manco loro 
“ incommodo in quattro annate, et a ragione di due per cento 
“ l'anno; li quali grani però s'intenderanno di essi luoghi e 
* città respettivamente, et siano da-loro conservati, acciocchè 
con tal preventione si possa continuare l'abbondanza in questi 
“ Stati, e tener a freno l’ingordigia delli granatieri e cumula- 
tori de’ grani, di modo che se il prezzo del grano venesse ad 
eccedere l’honesto corso, sì possa col vendere di questi cu- 
mulati abbassar il prezzo et soccorrere di questa maniera al- 


372 PASQUALE JANNACCONE 


“ l'indennità dei poveri e bisognosi. Et ciò facendo, promettiamo 
“ in oltre alle dette città, terre e luoghi mediati et immediati, sotto 
la medesima fede e parola di Prencipe di non chiamar loro mai 
più per l'avvenire li detti due per cento, meno impedire che possano 
vendere i grani tanto dentro che fuori dello Stato ad arbitrio loro 
et che li detti grani, come sopra cumulati et da loro conser- 
vati non si venderanno, salvo in caso di necessità et secondo 
le occasioni che di buon concerto delli Deputati delle Comu- 
nità et nostri sopra essi grani saranno giudicate ,. 

Ma le promesse dei due Duchi, intese a placar l’animo dei 
proprietarii di terre, vessati dai divieti dell’esportazione, dalla 
determinazione dei prezzi, dai contributi straordinarii, si rup- 
pero, l’una volta e l’altra, dopo pochi anni, innanzi alla paura 
che l’elevamento del prezzo del grano potesse cagionare turba- 
menti interni. E quindi una interminabile fila di provvisioni, 
seguentisi a poca distanza l’ una dall’altra, per rinforzare, per 
correggere, per temperare, per contraddire le precedenti, se- 
condo che le circostanze del momento pareva che richiedessero. 
E quindi una legislazione minutissima, mutevole ad ogni mutare 
di condizioni economiche: libertà di esportazione appena che le 
raccolte sovrabbondassero, subitaneo divieto quando pareva che 
della libertà s’abusasse per far incette e vendere all’estero; or- 
dini di far la consegna di tutte le derrate; proibizioni di com- 
perar più che abbisognasse al consumo familiare; imposizioni 
alle comunità di far provviste per gettar grani sul mercato a 
sollievo dei più poveri, quando i prezzi crescessero; fissazioni 
di prezzo; comandi di vendere la parte sovrabbondante a cia- 
scuno; divieti di alienare a forestieri; determinazione del ne- 
cessario al consumo individuale; obbligo di tener invenduta una 
certa quantità sull’ eccedente all’uso proprio; ecco le provvi- 
denze che non solo d’anno in anno, ma più volte nell’anno si 
succedevano l’una all’ altra, oppure erano mescolate insieme, 
nella fallace speranza di contemperare la libertà del commercio 
con la determinazione auteritativa del prezzo; l'abbondanza for- 
zosa delle derrate col loro smaltimento naturale. 

Ora, mentre nel saggio a stampa, col paragrafo sopra ri- 
portato e con la lode all’editto del 1776, si dà approvazione e. 
plauso a siffatta politica annonaria, altre idee sono espresse al 
riguardo nel capitolo sui grani del Ms. B. Non è che qui il 


“ 


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(14 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 373 


Donaudi si dichiari schiettamente favorevole alla libertà del com- 
mercio; ma, pur facendo distinzioni e restrizioni, lascia compren- 
dere che da essa soltanto può aspettarsi sollievo all’agricoltura, 
giovamento alla riechezza nazionale, freno a violente oscilla- 
zioni dei prezzi. Egli ammette l'intervento dello Stato a serrare 
i grani e a fissarne il prezzo quando i raccolti siano scarsi, 
giacchè in tali congiunture, dice, la ragion di Stato vuole che 
a tali provvidenze si abbia ricorso. Ma combatte l’opinione di 
coloro che vorrebbero tener i grani rinchiusi e vincolarne il 
commercio, pel timore che l'esportazione ne cagioni la carestia 
e ne impedisca il buon mercato, il quale favorisce la popola- 
zione, chiama gli stranieri ad abitar nel paese, contribuisce al- 
l’avvanzamento delle manifatture, rende la mano d’opera a minor 
prezzo (Ms. B, p. 142). Egli osserva che solo la libertà è “ capace 
di far fiorire il commercio e metterlo in istato di spandere con 
uguaglianza le produzioni proprie a ciascun luogo e più abbon- 
danti in uno che in un altro ,; che l'abbondanza dei grani, 
quando ne sia impedito lo smaltimento fuori della Nazione, sarà 
non giovevole ma nociva e all'agricoltura, e ai proprietarii e 
alle altre classi di cittadini. Perchè chi coltiva le campagne o 
possiede fondi dovrà vendere il grano che gli avanza a basso 
prezzo, e quindi venderne una maggior quantità per supplire 
ai suoi bisogni, onde non sarà in grado di conservarne. “ Che 
se poi gli anni di abbondanza venissero a seguitarsi saranno i 
granai dei mercanti ripieni, nè volendo impiegare maggiori somme 
in questo negozio diverrà il grano inutile ai coltivatori, i quali 
non ritroveranno a venderlo, nè avranno per conseguenza i 
mezzi di supplire a’ loro bisogni, ed alle spese della coltivazione ; 
questo produrrà la perdita sopra li altri prodotti, che si sareb- 
bero comprati colla permuta nello stato di libertà, la diminu- 
zione di tutte le parti sopra le rendite, e per conseguenza sovra 
le manifatture e salarii , (i0îd., pp. 145-46). Ed osserva ancora 
che non deve considerarsi come cosa pericolosa che i grani si 
sostengano ad un certo prezzo proporzionato al valore dei fondi, 
alle spese dell’agricoltura, ai bisogni dei coltivatori ed alle im- 
poste che pagano. Poichè il forte rinvilìo dei prezzi distoglie 
dalla fatica i lavoranti, i quali guadagnando in due giorni quanto 
li abbisogna per vivere tutta la settimana, ricusano il travaglio 
e preferiscono lo starsene oziosi, e scoraggia l'agricoltore che 


374 PASQUALE JANNACCONE 


non ritrova più il suo conto nella coltura della terra; mentre, 
se la derrata si sosterrà a un certo prezzo, sarà allontanato il 
pericolo di carestie, perchè i proprietarii “ useranno ogni mezzo 
per far rendere le loro terre di più, si adopreranno di render 
colti i siti gerbidi, e con questo assicureranno nel paese la 
quantità necessaria per sussistere negli anni di cattiva raccolta ,. 
E dippiù la libertà del commercio farà sì che molti si potranno 
dare al negozio dei grani e con piccoli capitali; onde, conten- 
tandosi di un discreto profitto e vedendo subito che hanno qualche 
poco di guadagno, terranno in soggezione i grossi negozianti, i 
quali, impiegando somme ragguardevoli e conspicue, non ven- 
dono se non trovano un vantaggio considerevole. Di guisa che 
“ questi piccoli magazzeni impediscono che il prezzo dei grani 
aumenti fuori misura, entrando in concorrenza con li altri; e 
tutti uniti facendoli fronte, dispensano per così dire il Governo 


dal dovere invigilare, mentre fanno che tutto circoli, tutto sia 


in vendita, si oppongono ai monopolii, non essendovi allo Stato 
cosa più vantaggiosa che il grano non solo esista nel paese, 
ma sia diviso fra molti , (idid., p. 152). 1 


Queste idee non hanno certo alcuna grande originalità, 


poichè discendono direttamente da quelle espresse sulla stessa 
materia dal Melon (Essai politique sur le Commerce, 1734) e par- 
ticolarmente dal Genovesi. È dalla lezione dell’economista na- 
poletano Sulla libertà dell’annona siecome principal fondamento 
della libertà del commercio (1) che il Donaudi trae evidentemente 
la sostanza dei suoi argomenti contro il regime vincolista dei 
grani, i divieti di uscita, la determinazione dei prezzi, la for- 
mazione di pubblici magazzini. Al Melon (2) e al Genovesi 
appartiene la dimostrazione della inutilità e del danno dei ma- 
gazzini di grano stabiliti con pubblico danaro; e l'affermazione 
che la libertà del commercio alletterebbe anche i piccoli colti- 
vatori a negoziare in quella derrata, onde “ le case di tutti po- 
trebbero essere magazzini di grano , (3). 


(1) GewovesI, Lezioni di Economia civile (Scrittori Classici Italiani di 
Econ. polit., t. VII, pp. 82 e segg.). 

(2) Op. cit., cap. II, du bled. 

(3) Gewovest, op. e loc. cit. Alcuni passi del Donaudi sono tolti dal Geno- 
vesi. — Cfr. DowxaupiI (Ms. B, pp. 147-48): “ ...egli è massima, che l'avidità del 


MER È + __—————m6———————_o 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII Izb 


Ma quel che importa di più affermare è che l’Autore pie- 
montese esponesse in quel Ms. idee contrarie alla politica se- 
guìta nel suo paese, ch'egli trattasse la materia con assai mag- 
giore libertà e veracità che non, nel Saggio dato alle stampe; 
che. egli, sopratutto, apertamente condannasse il sistema dei 
pubblici magazzini, mentre nell'opera pubblicata dà poi lode a 
quell’editto del 1776, per il quale lo Stato dovè contrarre un 
grave debito per far incetta di grani allo scopo di poterli get- 
tare sul mercato quando paresse opportuno di deprimere È prezzi: 
la qual operazione cagionò al Governo piemontese in un de- 
cennio una perdita di circa mezzo milione di lire (1). 


Ae 

Un altro punto, che merita d'esser. messo in rilievo, ed 
anch'esso per la discrepanza significativa che a suo riguardo si 
riscontra fra opera a stampa e manoscritto, è il giudizio in 
questo contenuto sovra una parte del clero e all'influenza sua 
sulla vita economica del paese. 

Nel capo “ della Popolazione ,, dopo d'aver discorso dei 
vantaggi e danni d’ una popolazione densa o scarsa, del rap- 
porto fra il numero d’abitanti e le sussistenze, dei metodi d’in- 
vestigazione; del provvedimenti per rimuovere le cause di spo- 
polamento e così via, il Ms. B (pp. 71 e segg.) contiene questo 


guadagno è uno dei più forti motivi, che solletichi e spinga gli uomini 
alla fatica, all’arti, ed alle imprese più difficili; ora non vi ha dubbio 
che la libertà di questo commercio è giovevole, come quella che procu- 
rando guadagno, anima le arti; quando libero sia il commercio dei grani, 
più non si temeranno monopolii, il grano correrà dappertutto con incre- 
dibile prestezza, trovandovi tanti asili da ricoverarsi, e starvi bene; l’in- 
dustria prenderà forza e vigore ,. 

E Gexovesi (op. e loc. cit.): “ Allora i popoli non temeranno più il 
monopolio; il grano correrà per tutto con incredibile prestezza trovando 
tanti asili da ricoverarsi e starvi bene; la fatica si animerà e la fame 
per disperazione di non potersi ficcare in un paese così industriale e savio, 
dimagrerà , (p. 101). 

“ Ma affinchè non paia ch'io farnetichi riflettiamo a quel ch'è detto, 
che l’avidità del guadagno è uno dei più forti motivi che solletichi e 
spinga gli uomini alla fatica, all’arti e all’imprese le più difficili , 
(pag. 102). 

(1) Cfr. su ciò Nricomene Brancm, Storia della Monarchia Piemontese dal 
1773 al 1861 (Torino, Bocca, 1877, vol. I. p. 109). 


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376 PASQUALE JANNACCONE 


passo: “ Non basta avere gli uomini, se non si procura di ren- 


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derli utili alla Patria; perciò due sono gli oggetti, che de- 
vono in questo fissare le cure del Governo, cioè che tanto 
che si può, niuno abbracci uno stato, in cui si metta a peri- 
colo o di essere inutile alla società, o di vivere mal contento, 
e perturbatore della quiete altrui, e che molti sani e robusti 
non rubino col mendicare quella sussistenza, che lavorando 
sono in caso di guadagnarsi. i 

“ Il Prencipe, e come Prencipe, e come difensore e protettore 
de’ sacri Canoni e della Chiesa, deve invigilare che le leggi 
Ecclesiastiche sieno con esattezza osservate; perciò ordinando 
il Concilio di Trento nel cap. XIV, sess. XXIII, che niuno 
debba essere promosso ai sacri ordini, se non l’esige o la ne- 
cessità o l'utilità della Chiesa, non so comprendere qual van- 
taggio apporti alla Chiesa l’imporre così facilmente le mani 
sovra molti i quali, ancorchè abbiano vestito l’abito chieri- 
cale, non danno, nè per i loro talenti nè per la vita che hanno 
menata, la menoma speranza che l'ordinazione loro al sacer- 
dozio possa essere di qualche utilità. | 

“ Questo fa che riescono preti dati al bel tempo, ed in 
molte famiglie la vanità d’avere un prete è causa che il padre 
si priva della miglior parte del suo per formare il patrimonio 
ecclesiastico ad un figlio con pregiudizio molte volte de’ fra- 
telli; invece, che se a suo tempo fosse stato rimosso dal 
Clero, il bisogno di lavorare per guadagnarsi la sussistenza 
lo avrebbe costretto ad applicarsi a qualche arte meccanica 
e rendersi utile in qualche maniera alla società ed alla pro- 
pria famiglia. 

“ Non so poi comprendere, come i Principi ne’ loro Stati 
non abbiano ancora con pubblica legge ordinato, che alcuno 
non possa fare la professione religiosa prima degli anni venti 
compiti, mentre la disciplina della Chiesa non tollera che un 
chierico, se non ha ventun anno, promosso sia al subdiaco- 
nato, nè le leggi prima degli anni venti dichiarano alcuno 
maggiore, massime che il Concilio di Trento non prescrive 
che si debba la professione religiosa assolutamente fare agli 
anni sedeci, ma solo la dichiara nulla, se fatta prima di 
tale età. 

“ Con simil legge si eviterebbe di scorgere tanti frati mal 


ee eee® 


DI UN ECONOMISTA PIEMONTESE DEL SECOLO XVIII 377 


“ contenti, mentre conoscendo in età più matura cosa fanno, 
“ abbraccierebbero un tale stato guidati dal vero spirito di re- 
“ lJigione, nè vi sarebbero tanti perturbatori della quiete e tran- 
«“ quillità monastica ,. 

Questo passo manca affatto nel corrispondente capitolo sulla 
popolazione del Saggio a stampa. E se pur questa volta le idee 
‘(espresse sono ricalcate su quelle di Melon e di Genovesi (1), 
non è già l’originalità loro ma l’essere state energicamente riaf- 


| fermate in quel luogo e in quel tempo che le fa degne di nota. 


Bisogna infatti ricordare che all’ incirca in quello stesso torno 
di tempo veniva composta e pubblicata quell’operetta Dell’im- 
piego delle persone (2), la quale suscitò contro il suo autore, l’a- 
bate Carlo Denina, le ire della censura ecclesiastica, e gli costò 


. la perdita della cattedra d’eloquenza e l’arresto e quindi il vo- 


lontario esilio. Ora, non sono punto dissimili da quelle del Do- 


naudi le idee che il Denina esponeva intorno al numero degli 


ecclesiastici ed alle loro occupazioni. 

Il rimedio di ordinar pochi religiosi osservando le norme 
dei sacri canoni è pur da lui indicato (3); il lamento che ogni 
famiglia volesse avere fra i suoi un ecclesigstico è ripetuto; e 
lo sdegno per la rilassatezza del costume e l’apprensione del 
danno derivante dalle numerose ordinazioni e dall’ozio dei re- 
ligiosi al patrimonio familiare ed alla economia del paese, non 
è meno vivo nel passo del Donaudi, or riportato, che in pa- 
recchi capitoli della franca e ragionata opera del Denina (4). 


(1) Personne n’ignore da quelle utilité seroit la Loi qui défendroit 
l'État Monastique avant l’àge de vingt-cinq ans, c'est-à-dire qu'on ne pùt 
aliéner sa liberté qu’è l’àge où l'on peut aliéner son bien (MeLon, Essai 
politique sur le Commerce, Nouv. édit. MDCCXXXVI, p. 30) — cfr. anche Gr- 
NOVESI, Op. cit., cap. V, $ 23. 

(2) Fu pubblicata a Firenze nel 1777 ma composta nel 1773, come 
afferma un amico dell'Autore, Carlo Marco Arnaud, nella sua prefazione alla 
ristampa del 1803 (Torino, Morano). 

(3) Op. cit., p. 60. 

(4) Op. cit., p. 61. Anzi il Denina si limitava a chiedere che fosse per- 
messo agli ecclesiastici l'agricoltura e l'esercizio di altri lavori manuali per 
campar la vita e non essere a carico degli altri (cfr. anche pp. 68 e segg.), 
mentre il Donaudi consigliava di non ordinar sacerdoti i cadetti, acciò non 
fossero sottratti uomini e capitali alle industrie ed ai commerci. 


L’Accademico Segretario: R. ReNIER. 


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CLASSI UNITE 


Adunanza dell’8 Marzo 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: 
della Classe di Scienze. fisiche, matematiche e naturali: 
Sarvapori, Direttore della Classe, NAccaRrI, Mosso, CAMERANO, 
Segre, PrANo, JADANZA, Foà, GuaREscHI, Gum, Frreri, MarTI- 
roLo, MorERA e Grassi. — Il Socio PARONA scusa l’assenza; 
della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
Peyron, Vice-Presidente dell’ Accademia, FerRERO, Direttore 
della Classe, Manno, BoseLLi, CrpoLLa, Pizzi e RENIER Segre- 
tario. — Il Socio Brusa scusa l’assenza. 
È approvato l’atto verbale dell'adunanza plenaria antece- 
dente, 21 dicembre 1902. 


Invitato dal Presidente, il Socio GuarescHI legge la com- 
memorazione del defunto Presidente Cossa, la quale sarà inse- 
rita nelle Memorie accademiche. -— La commemorazione è accolta 
da vivi applausi ed il Presidente, mentre ringrazia l’ oratore, 
comunica che fra alcuni amici, colleghi ed estimatori del rim- 
pianto Cossa si sta concretando il disegno di porre alla sua 
memoria un ricordo nella Scuola degli ingegneri. 

Il Tesoriere JApANZzA dà lettura della partecipazione con 
cui l’11 nov. 1902 il notaio Pietro Aimone informava l’Acca- 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 26 


380 


demia che il sig. dott. cav. Giacomo PoLLini, deceduto in Torino 
il 19 ott. 1902, avea fatto nell’art. 6 del suo testamento il 
seguente legato: 


“ Lascio alla R. Accademia delle Scienze di Torino una 
rendita annua di L. 250, Consolidato 5 °/, i cui redditi an- 
nuali capitalizzati dovranno servire per dare ogni tanti anni, 
nella cifra che essa crederà, un premio alla migliore mono- 
grafia storica, sul genere della mia di Malesco pubblicata a 
Torino nel 1896, manoscritta od anche stampata, degli attuali 
Comuni italiani delle antiche provincie piemontesi, da cui però 
ne escludo quelli delle città capoluogo di provincia e circon- 
“ dario, ad eccezione di quelli di Domodossola e Pallanza. A 
“ tale premio potranno concorrere solamente scrittori di dette 
“ provincie ,. 


» 


x» 


» 


» 


Lai 


K 


4 


L'Accademia, informata che il Consiglio d’ Amministrazione, . 
in sua adunanza del 23 dicembre 1902, mostravasi favorevole 
all'accettazione, autorizza la Presidenza a chiedere il R. Decreto 
che le consenta d’entrare in possesso del lascito. 


Gli Accademici Segretari 
LoRENZO CAMERANO. 
RopoLro RENIER. 


381 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza dell’8 Marzo 1903. I 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: SALvapori, Direttore della Classe, . 
NaccarI, Mosso, Segre, PeANO, JADANZA, Foà, GuARESCHI, GUIDI, 
FiLeti, MartTIROLo, MorERA, GrASssI e CAMERANO Segretario. — 
Il Socio Parona scusa la sua assenza. 

Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente. 

Il Presidente comunica: 1° una lettera del Socio nazionale 
non residente Prof. Vito VoLtERRA, il quale rende conto del- 
l’opera sua quale rappresentante dell’Accademia delle scienze 
di Torino alla commemorazione del P. Angelo Seccni tenutasi 
in Roma nel 25° anniversario della sua morte; 

2° il Decreto Reale in data 8 febbraio col quale è ap- 
provata la nomina del Socio CameRANO a Segretario della Classe. 

Il Presidente presenta in dono all'Accademia a nome del 
Socio corrispondente Carlo KLEIN di Berlino le pubblicazioni se- 
guenti: 1° Totalreflectometer mit Fernrohr-Mikroskop (Berlin, 1902); 
2° Die Meteoritensammlung der Koniglichen Friedrich- Wilhelms 
Universitit zu Berlin am 5. Februar 1903 (Berlin, 1903). 

Vengono accolte per la pubblicazione negli Atti accademici 
i lavori seguenti: 

1° Determinazione di gravità relativa nel Piemonte, Nota 
del Dr. Cesare ArmoneTtI, presentata dal Socio JADANZA; 


882 


2° Sulla teoria degli spazi che ammettono un gruppo con- 

forme, Nota del Dr. Guido FuBINI, presentata dal Socio SEGRE. 
Sono accolte all'unanimità dei votanti per l'inserzione nei 

volumi delle Memorie i lavori seguenti: 

1° Alcuni sistemi diottrici speciali ed una nuova forma di 
Teleobbiettivo, Memoria del Socio JADANZA; 

2° Contribuzione all’Ornitologia delle isole del Golfo di 
Guinea; Parte IM: Uccelli di Annobom e di Fernando Po, Me- 
moria del Socio SALVADORI. 


Per ultimo il Socio MorERA presenta a nome del Socio na- 
zionale non residente Vito VoLreRrRA una Memoria del sig. Giulio 
Bisconcini, intitolata: Sulle vibrazioni delle membrane elastiche. 
Il Presidente nomina una Commissione coll’ incarico di esami- 
narla e di riferirne poscia in una prossima adunanza della Classe. 


_—_——————— no 


CESARE AIMONETTI — DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ, Ecc. 383 


LETTURE 


Determinazioni di gravità relativa in Piemonte 


eseguite coll’apparato pendolare di Sternek. 


Nota del Dott. CESARE AIMONETTI. 


Continuando l'esecuzione del programma propostomi, di de- 
terminare le anomalie della gravità terrestre nel Piemonte, ho 
eseguito nell'estate dell’anno 1902 altre 8 stazioni, a Pinerolo, 
Carmagnola, Demonte, Mondovì, Ormea, Cairo Montenotte, Acqui 
e Novi Ligure. 

Siccome in queste determinazioni ho assunto come stazione 
fondamentale o di riferimento Torino, R. Osservatorio, così nel- 
l’anno precedente ho misurato di nuovo la differenza di gravità 
fra Torino e Padova, onde potere più sicuramente riferire le mi- 
sure fatte a quest’ultima stazione. 

Nel rendere conto delle osservazioni fatte, sento il dovere 
di ringraziare l'On. Presidenza della Commissione Geodetica Ita- 
liana, che mi fornì i mezzi per compiere tale lavoro, l'On. Di- 
rezione delle Ferrovie della Rete Mediterranea, per le agevolezze 
accordatemi nel trasporto degli strumenti, l’egregio professore 
Jadanza, direttore di questo Gabinetto di Geodesia, che mise a 
mia disposizione tutto il materiale scientifico che mi potesse 
occorrere, il prof. Lorenzoni ed il dott. Antoniazzi, che nella sta- 
zione di Padova si incaricarono delle osservazioni del tempo e 
delle altezze barometriche, i dott. Balbi e Volta del R. Osserva- 
torio di Torino, che mi fornirono i dati relativi al tempo, e 
tutte le gentili persone che con indimenticabile premura e cor- 
tesia mi agevolarono il mio còmpito. 


384 DU © CESARE AIMONETTI 


id 
Nuova determinazione della gravità relativa a Torino. 


Questa nuova determinazione fu eseguita nel 1901, adope- 
rando l’apparato di Sternek N. 12, fornito di quattro pendoli 
n.i 41, 42, 45, 46, e del sostegno a pilastro. Nella stazione di 
Padova le osservazioni furono fatte nella sala destinata ad osser- 
vazioni pendolari, e nel medesimo luogo in cui il prof. Lorenzoni 
determinò la gravità assoluta col pendolo reversibile negli 
anni 1885 e 1886. Senonchè, per evitare un inutile trasporto di 
strumenti, mi sono servito dell'apparato delle coincidenze e del 
pilastro che fanno parte dell’apparecchio pendolare della R. Com- 
missione Geodetica Italiana e che, trovandosi in quell’Osser- 
vatorio, l’egregio Direttore mise gentilmente a mia disposizione. 
Riguardo al pilastro, essendo esso, sia per la forma, sia per le 
dimensioni, eguale press’a poco a quello posseduto da questo Gabi- 
netto di Geodesia, è lecito ammettere che la sostituzione non 
abbia potuto portare errori sensibili nei risultati. 

Come cronometro d’osservazione adoperai il cronometro 
Nardin N. 32 a tempo siderale, il cui andamento fu determi- 
nato con numerosi confronti fatti durante le osservazioni col 
pendolo normale Frodsham, per mezzo del quale si dedussero 
gli stati assoluti e quindi gli andamenti orari del cronometro. 

A Torino l'apparato pendolare fu montato sul pilastro tras- 
portabile nei sotterranei del Palazzo Madama, sede dell’Osser- 
vatorio astronomico. Ivi si adoperò come orologio di osserva- 
zione il cronometro Frodsham N. 3576 a tempo siderale. Il suo 
andamento si ebbe per mezzo di numerosi confronti col pendolo 
Martin a tempo medio dell’Osservatorio, di cui le correzioni 
furono determinate dai dott. Balbi e Volta, astronomi-in quel- 
l'Osservatorio. 

I risultati relativi a queste due stazioni trovansi registrati 
nelle seguenti tavole. 


Andamento dei cronometri. 


Variazione oraria del cronometro Nardin N° 32 dedotte dai 
confronti col pendolo Frodsham a Padova: 
Settembre 4 Variazione oraria + 05,0088 
7 5 b g + 05,0079 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, ECC. 385 


Variazione oraria del cron. Frodsham N. 3576 dedotta dai 
confronti col pendolo Martin dell’Osservatorio di Torino: 


Dicembre 12 Variazione oraria + 05,5173 
a 13 ” ” + 0,5236 
s 14 a Ù + 0,5366 
3 15 a : + 0,5352 


Durate di oscillazione dei 4 pendoli, ridotte al vuoto, a 0° 
ed all'ampiezza infinitesima. 


| 
| 


PENDOLI 


STAZIONI 


N. 41 N. 42 N. 45 N. 46 


Padova . .|05,5080056 |05,5076713 |05,5080159 |05,5083166 


62 04 62 45 
63 23 64 61 
69 07 62 50 


Medie | 0,5080062 | 0,5076712 0,5080162 | 0,5083155 
Torino Oss. | 0,5080320 | 0,5076956 | 0,5080426 | 0,5083455 


d5 94 24 11 
26 72 32 25 
47 98 46 42 


Medie | 0,5080837 | 0,5076980 | 0,5080432 | 0,5083433 


Da questi valori, assumendo come valore della gravità a 
Padova 
vir 


sì dedussero dai quattro pendoli i seguenti 
valori di 9, — Yi 


Pendolo N° 41:+- 0",001062 


” nio 42 1035 
’ » 45 1042 
4 n» 46 1073 


Media A Qu 00105. 


386 CESARE AIMONETTI 


Questo valore differisce di 0,00002 da quello trovato nel 
1898 (1) cogli stessi pendoli. Ora, se sì pone mente che in queste 
determinazioni l’error medio a temersi sui risultati è di circa 
0,00005 (2), i due valori trovati si possono ritenere concordanti, 
e si può assumere come valore di 9, — g; la media dei due va- 
lori, cioè 

I + 0",00106 
da cui si ha 
di ABI AL 


II 


Osservazioni fatte nell’estate 1902. 


Per le osservazioni fatte nell’anno 1902, servi lo stesso 
apparato accennato precedentemente, munito del sostegno a 
mensola da fissare al muro. 

In tutte le stazioni si scelse come luogo di osservazione 
una camera situata possibilmente al Nord, per avere tempera- 
ture poco variabili, ed il più che fosse possibile lontana da 
strade frequentate, per evitare scuotimenti nei muri, e quindi 
nel sostegno dei pendoli. 

Nelle osservazioni ho seguìto lo stesso metodo già tenuto 
in tutte le altre determinazioni di gravità eseguite finora. 


Le temperature venivano lette prima e dopo ogni osserva- 


zione su due termometri a lungo bulbo del costruttore Woy- 
tacek e segnati coi N! 37 e 39. Essendo a scala arbitraria, ne de- 
terminai nuovamente le equazioni paragonandoli in un bagno ad 
acqua con tre termometri Baudin N! 11594, 10887 e 10888, pre- 
ventivamente campionati e confrontati tra loro. Essi erano im- 
mersi nel bagno ad acqua in modo che i loro bulbi corrispon- 
devano rispettivamente ai due estremi ed alla parte centrale 
del lungo bulbo dei termometri Woytacek. 


(1) Cfr. Determinazione della gravità relativa nel Piemonte, di C. Armo- 
nerTI, “ Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino ,, vol. XXXIV. 

(2) Cfr. A. VentuRI, Determinazioni di gravità relativa nella regione occi- 
dentale della Sicilia, pag. 51, “ Atti della R. Acc. delle Sc. di Palermo ,, 
vol. VI, 3* serie. . 


E E RR 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, ECC. 387 


I confronti furono fatti alle temperature di circa 5°, 10°, 
14°, 22° e 82°, e da essi si dedussero le due equazioni per i due 
termometri 37 e 39: 


Tui = (Li 4,258) 11,795 
T39 — (L rr 5,211) 2,132 


in cui Z'è la temperatura in gradi centigradi, e L la lettura del 
termometro in centimetri. 

Le altezze barometriche furono lette su di un barometro 
aneroide di grande modello, che, prima e dopo il viaggio, fu 
confrontato col barometro normale dell’Osservatorio astronomico 
di Torino. 

Il tempo fu determinato in ogni stazione col metodo delle 
| osservazioni del passaggio di stelle orarie nel verticale della 
polare. Per questo adoperai un teodolite Troughton e Simms 
con circoli orizzontale e verticale del diametro di cm. 21 e mu- 
nito di microscopi micrometrici ai quali si legge direttamente 
il secondo. Il cannocchiale è centrato, ed ha un obbiettivo del- 
l'apertura di mm. 47 e distanza focale cm. 35, e tre oculari po- 
sitivi, ai quali corrispondono rispettivamente gli ingrandimenti 
16, 24, 50, ed uno spezzato a cui corrisponde l’ingrandimento 25. 
Nelle osservazioni mi servii esclusivamente dell’oculare spezzato. 

Il reticolo, finmamente inciso su una lastrina di vetro, è for- 
mato di 5 fili verticali equidistanti e di un filo orizzontale: le 
loro distanze furono determinate disponendo l’istrumento in me- 
ridiano, ed osservando i passaggi di parecchie stelle culminanti 
al nord dello zenit. La livella mobile, per determinare l’incli- 
nazione dell’asse di rotazione del cannocchiale ha il valore di 
una parte eguale ad 1’,48 + 0.02, misurato ad un esaminatore 
di livelle Salmoiraghi. 

In ogni stazione l’istrumento veniva montato su di un so- 
lido pilastrino costruito con mattoni cementati insieme con gesso 
per ottenere una più rapida presa e quindi maggiore stabilità. 

Il tempo fu determinato nelle sere precedenti e seguenti i 
giorni di osservazione pendolare, e, tutte le volte che fu pos- 
sibile, anche nelle sere intermedie. In ogni sera si osservarono 
da 6 ad 8 stelle, metà col cerchio ad est, metà ad ovest, facendo 
precedere di pochi minuti all’osservazione del passaggio di ogni 


388 CESARE AIMONETTI 


stella oraria, il puntamento alla polare, per evitare il più che 
fosse possibile ogni causa di errore proveniente da qualche even- 
tuale spostamento dell’istrumento, e l’influenza dell'andamento 
del cronometro. 

Le formole usate pel calcolo furono le seguenti: 


v_t=(P- 0)—(T- 0) 


tangò cotgd'sen(f— #) 
1 -- tangò cotgd'cos(t — è) 


tang.x = 


sen m = tang ® cotgò sena 


i 1 (x) cerchio ad E. 
At=za—T+ il i ) 7 

15 cos 3 (+) ( Nip + 
nelle quali 7 e 7” sono gli istanti dei passaggi al filo di mezzo 
della stella oraria e della polare; a, è; o'e d' le ascensioni rette 
e declinazioni rispettive, è l'inclinazione dell’asse in secondi, po- 
sitiva quando l’estremo W dell’asse è più alto, c l'errore di col- 
limazione, e A7' la correzione dell’orologio. 

Applicando queste formole si ottennero per ogni sera da 6 
ad 8 equazioni, dalle quali si dedussero i valori più probabili 
di AT. 

Le posizioni apparenti delle stelle si ricavarono dalla Con- 
naissance des temps, riducendole al luogo ed all’ora di osserva- 
zione, e correggendo inoltre le ascensioni rette delle stelle orarie 
dell'influenza dell’aberrazione diurna. 

Per ciò che riguarda l’influenza di questa sulla polare, ho 
applicato al valore di A7' la correzione 

2%) 


s021 sen 
SRL 


Come orologio d'osservazione tanto nelle determinazioni del 
tempo, quanto nelle osservazioni pendolari, servì il cronometro 
Frodsham N° 3576 a tempo siderale ed a contatto elettrico. 
Però, per evitare errori provenienti da eventuali cambiamenti 
nell’andamento del Frodsham, dovendosi esso trasportare da un 
locale all’altro, mi servii come orologio regolatore del crono- 
metro Plaskett N° 5190 a tempo medio. Questo in ogni stazione 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, ECC. 389 


veniva collocato nel locale delle osservazioni pendolari, e non 
ne veniva rimosso che a stazione compiuta. 

Mediante confronti presi col Frodsham immediatamente 
prima e dopo ogni determinazione del tempo si dedussero le cor- 
rezioni e quindi l'andamento del Plaskett; mediante poi numerosi 
confronti presi durante le osservazioni pendolari col Frodsham, 
si dedusse l'andamento orario di questo in ogni giorno di os- 
servazione. 

Tanto i confronti tra i due cronometri, quanto gli appulsi 
delle stelle ai fili del reticolo nelle determinazioni del tempo, 
furono presi ad orecchio. 

In tutte le stazioni i pendoli si fecero oscillare tre volte 
ciascuno, tranne nella stazione di Cairo Montenotte, in cui, per 
mancanza di tempo, si fecero oscillare due volte solamente. 

Le durate d’oscillazione s dei pendoli furono ridotte all’am- 
piezza infinitesima, alla temperatura di 0° ed al vuoto mediante 
le correzioni: 


Correzioni per l'ampiezza @ di oscillazione 


go 


, 


= 


Correzione per la temperatura 
t= — 45,47 unità della 7 decimale di s per ogni grado centigr. 
Correzione per la densità dell’aria D: 


ò=—555D in unità della 7? decimale di s. 


Nelle seguenti tavole sono registrati tutti i dati relativi ai 
luoghi di osservazione, ed i risultati ottenuti sia nelle determi- 
nazioni del tempo, sia nelle osservazioni pendolari. 


CESARE AIMONETTI 


390 


SG GL 
9° 9LL 
c'G OPE 
9% OLE 
CE GuB8E 
SG L'uG88 
0]0N80Y90s QICUI 
T9p ns 
MIPROI 2ZZ9%Y 
eHSUA(] 


626% == 
get = 


8 © 


0°66 60 GS — 
0'6F SI Fy 


Il JI 
SD 


0977 — =90 
21808 =® 


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u80,7009% = 


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* ‘OUIQue[gA OULIO], 


OLIOFBAIOSS() OULIO], 


QUOIZBAI9SSO IP_OSON]T 


QUOTZEJS 


391 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, ECC. 


“(OLTENI ‘TI) VUTOY TP _OWETPIIOUI qu aquIozia OWOs IUTPuySUO] ag ‘00008/, pe Iquespenb rep ounoqe 10d a ‘ 00098) pe 


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_1———-—r-r-- rr. o w*-hh—|eze!e myCmF- E_r.rrrrr_r,; ——————1—11—1——111————————m@mmu@mqm’ "Ia 


392 


Stazione 


Torino Valentino 


Pinerolo 


Carmagnola 


Demonte 


Mondovì 


Ormea . 


Cairo Montenotte 


Acqui 


Novi Ligure . 


Torino Valentino 


2 Dicembre 


3 


CESARE AIMONETTI 


» 


» 


» 


N. di stelle 
osservate 


Osservazioni per la correzione del e 


Tempo 


cronometr. | 


& i 00.0 SS. ali astolbii., ©. © Sì su Lc 0 e eno e ove 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, Ecc. 393 


> Frodsham e del cronometro Plaskett. 


Correzione AT 
del Frodsham 


9»50m808,54 


3.50 
3 49 
3.50 
3.50 
3.52 

+ 352 

+ 351 

+ 351 

+ 351 
3.54 
3 54 
3.54 
355 
355 
3.55 
3.57 
3.57 
3 58 
3 59 
3.59 
4.00 
401 
005 
005 


57,12 
53,05 
03,18 
25,26 
09,76 
31,71 
10,85 
21,23 
31,62 
11,41 
99,23 


‘32,35 


14,65 
24,24 
34,06 
31,46 
49,44 
50,44 
01,63 
12,06 
49,16 
20,88 
23,48 
25,15 


Errore 


medio 


Correzione 
del Plasket 


— 0°40"035,70 


+ 
| 


040 
041 
041 
042 
0 40 
0 40 
042 
0 42 
0 42 
0 40 
0 40 
040 
040 
0 40 
040 
039 
039 
0 38 
0 38 
0 39 
037 
0 38 
030 
030 


16,25 
48,72 
53,19 
01,70 
32,53 
40,78 
32,68 
36,22 
40,60 
45,10 
48,86 
53,42 
39,95 
44,02 
47,46 
32,80 
37,01 
55,76 
59,82 
03,90 
56,30 
07,34 
04,53 
04,58 


T Andamento 
qRDI orario 
eronom. | del Plaskett 

29% 35 

— 0,175 
922,25 
22,69 

— 0,190 
922,25 

IT 
22,46 
92.28 

— 0,173 
21,88 
22,80 

— 0,154 
21,77 

210/180 
22,05 
92,53 

— 0,159 
22,13 

200787 
29,45 
23,10 

LD 
23,06 

— 0,151 
21,85 
29.02 

— 0,176 
21,94 
92,42 

= 0,178 
21,84 

— ‘00870 
21,78 
21,88 

— 0,154 
21,44 
17,46 

— 0,040 
17,43 


394 CESARE AIMONETTI 


Mediante l'andamento orario del cronometro Plaskett così 
determinato, e prendendo in ogni giorno di osservazioni pen- 
dolari 4 o 6 confronti col cronometro Frodsham, uniformemente 
distribuiti durante le osservazioni stesse, si dedussero gli anda- 
menti orarii del Frodsham, coi quali si calcolarono le corre- 
zioni Av da farsi alle durate d’oscillazione dei quattro pendoli. 

Qui sono registrati i dati relativi ad un giorno di osser- 
vazione; per gli altri, essendosi sempre proceduto nell’identico 
modo, sono riferiti soltanto i risultati ottenuti. 


Confronti cronometrici del cron. Frodsham col cron. Plaskett. 


Stazione: Torino Valentino. 
Giorno d'osservazione: 23 luglio 1902. 


Intervalli 


—TT "un  t_  1see — __ 
Plaskett Frodsham 


N. d’ordine 


Plaskett Frodsham 


Combinazioni 


| 


1| 7°05225,00 | 22234m595,00 | 4—1 | 7201m025,50 | 7202m085,00 
2) 851 29,50.| 021 16,00 |5—2|711 01,00 | 712. 08,00 


S| 1040 42,50 | 210 46,00 |6—3]| 717 54,00 | 719 02,00 


4| 1406 24,50 | 537 00,00 | somma 2129 57,50 
5| 1602 30,50 | 733 24,00 | core. = — 3,75 


riduz. a 


17 58 36,50 929 48,00 tempo sid. + 3 31,90 


= 
Là 


2133 25,65 


Interv. Frodsham . . . 2133 18,00 
Correz. Frodsham . . . + 7,65 
Variazione oraria. . . . + 05,355 


Correzione Au=+501 in unità della 7° cifra decimale. 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, Ecc. 395 


E "PE E CRE 
Data È SE È Au Data $ E È È Au 

CA et S| 5453 

Fa Uu=) 2 Le) 
28 Luglio | 4 |-+-0,444/+ 626|14 Agosto | 4 (+ 05,416 |+ 587 
m9S., 4|4 0,475) 67015, |4]|-4-0,462| 652 
1° Agosto | 4|+-0,475| 670119 , |6}|-+0,462| 652 
da, | (Ae 0,471 069522 ob | 4 4 045M _ 696 
Bo IGIE 0;462)00652,)23. 088 14 | -L 0,447/0n 691 
6, {6|-+0,445|/ 628/26, |4]|-4- 0,434) 612 
dust "ianel 068 Te psaa7 Ve £| A7I8 4665 
ill, |4|=- 0,428] 604) 3 Dicembre] 6 | —0,071|— 100 


Nella stazione di Torino Osservatorio, l’ andamento del 
Frodsham fu determinato mediante confronti presi col pendolo 
Martin dell’Osservatorio astronomico, le cui correzioni furono 
determinate dai dott. Balbi e Volta. 


Durate di oscillazione in tempo siderale dei quattro pendoli 


ridotte a 0°, al vuoto ed all’ampiezza infinitesima. 


DAL Pendcli 
Stazioni 
41 42 45 46 
Torino Osserv. | 05,5080261 | 05,5076876 05,5080341 | 08,5083355 
301 _879 365 389 
Medie 281 877 353 372 
Torino Val. (1) 283 895 375 358 
259 878 362 346 
274 889. 362 342 
306 | 867 368 | 355 
Medie | 280 | 882 | 366 352 


(1) Nella stazione di Torino Valentino, i pendoli si fecero oscillare 
due volte il giorno 23 luglio, prima di partire, e due volte il 3 dicembre, 
dopo il viaggio, onde verificare se i pendoli avessero subìto qualche mo- 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 27 


396 CESARE AIMONETTI 


Pendoli 
Stazioni scprta zioni Seen 
Ajo: 41 42 45 46 
Pinerolo . . | 0,5080300 | 05,5076872 | 05,5080366 | 05,5083383 
281 6915 357 368 
303 6941 424 415 
Medie 295 6909 382 389 
Carmagnola . 460 7083 979 543 
474 7070 527 525 
442 dei i 7057 543 912 
Medie | 459 7070 550 527 
Demonte... 820 7426 901 893 
895 dado 900 889 
i 791 | 7411 900 fab 890 
Medie 815 (421 900 891 
Mondovì . . 646 1225 714 713 
649 1234 686 671 
| 603 7198 639 pprs: 661 
Medie 633 7219 696 682 
Ormea . . 696 | 7316 801 813 
740) | 1334 8357 827 
750 7343 846 824 
Medie 729 7381 828 821 
Cairo Mont.® 424 7039 505 501 
461 7058 524 526 
Medie 442 7048 514 515 
Acqui: 512 | 7072 559 57i 
510 7084 548 548 
483 7034 589 579 
Medie 502 | 7065 565 564 
Novi Ligure 548 7111 653 611 
548 | 7078 647 640 
578 7113 651 654 
Medie 558 7101 650 628 
dificazione. Le medie dei valori ottenuti nei due giorni sono le seguenti 
41 42 45 46 
23 luglio s= 0,5080271 0,5076886 0,5080368 0,5083352 
8 dicembre 0290 6878 0365 3348 
Diff. + 19 8 e 8 lot 


Da queste differenze si vede che i pendoli non hanno subìto altera- 
zione alcuna. 


e e" 


Ie TS TM" eee" 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, ECC. 397 


Compensazione delle osservazioni. . 


Il prof. A. Venturi in una sua memoria (1) ha stabilito le 
formole che servono a compensare le osservazioni pendolari, de- 
terminandone col metodo dei minimi quadrati le correzioni in 
modo, che siano verificate le rigorose condizioni di eguaglianza 
fra i rapporti delle durate di oscillazione di due pendoli in due 
luoghi differenti. Nella stessa memoria l’egregio A. ha dimo- 
strato anche che, nell’ipotesi di pendoli aventi lunghezze sen- 
sibilmente eguali, il valore più probabile della gravità in un 
luogo è dato dalla media aritmetica dei quattro valori risultanti 
separatamente da ciascuno dei quattro pendoli. Benchè adunque 
sembri superfluo applicare tale metodo di compensazione per 
avere il valore della gravità nelle diverse stazioni, nondimeno 
mi parve utile il farlo, sia per avere i valori più probabili delle 
durate di oscillazione dei pendoli nei differenti luoghi, sia per 
avere l’error medio che compete ad ogni valore definitivo di 
esse, e quindi l’error medio relativo ai risultati. 

In questo calcolo ho ritenuto le osservazioni tutte di egual 
peso; mentre nelle stazioni ‘di Torino Osservatorio, e Cairo 
Montenotte, essendosi fatti oscillare i pendoli due volte sola- 
mente, le osservazioni dovrebbero avere peso minore: ho cre- 
duto bene nondimeno di ritenerle del medesimo peso, a cagione 
delle condizioni eccezionalmente buone in cui le due stazioni 
furono eseguite. 

Ritenendo gli stessi simboli adottati dal prof. Venturi nella 
sua memoria, ricorderò soltanto che, dicendo 


Si,m Sz,m S3,m S4m 
le durate di oscillazione dei pendoli 1, 2, 3, 4 nella stazione m?, 
si calcolano dapprima le quantità 
Wam-a = St,m Semi — Si;mt1 Sem} Wam-1=" S1,m $3,m+1  Stmt1 S3,m 
Wsm = S1,m Si,m+1 — Si,mt1 84m 
indi i tre gruppi di quantità 


Wi,mo Wam, Wsmi Vam-2, Vam_t13 Vam; Vam=gs V Im—2 3 Vam=1 
» 
(1) Cfr. A. VentuRI, Sulla compensazione dei risultati nelle misure di gra- 
vità relativa terrestre, © N. Cimento ,, serie IV, Gennaio 1900. 


398 


CESARE AIMONETTI 


dati dalle formole ricorrenti 


(1) 


(2) 


(3) 


Wi,m = Wam-2 + 
Wa,m = W3m-1 + 


Ws3,m == W3,m + 


Vama = Wi,m 


Vim3 = Usm=3 do 


Var ai + 


Mm 


mM 
li 


m_— 1 
m 


Shi 
n 


m_l 


Wim 


Wo,ma1 


Ws,m- 


1 
Usma = Wa,m 77 9 Wi,m 


Se 1 Î 
Usm = W3 m uri 3 (Wam Fiv Wi,m) 


Mm 
CES Vanni 
m--1 


Le m 
Ven Una o im TEN | 


osservando che, se r è il numero delle stazioni, compresa la 
fondamentale, m va da 1 ad » — 1 nei gruppi (1) e (2), e da 


9 


re] 


r—la 


nel gruppo (3), e che inoltre si ha: 


Vele Vsr35 Mappe Usy—43 Vis = Ugr5 


dovelki==s#== 


i. 


Assumendo come stazione fondamentale, Torino Osserva- 
torio, si ottengono i seguenti valori numerici delle quantità 
sopra considerate, espressi in unità della 7* decimale. 


Valori di wWan-o, Wsm-1y Wime 


m I 1 Z 9 4 5 
De ni Î da 
| 
Wsn- |+3,15}4 6,11|— 1,47/—242;—-10,22 
Win, |+7,12|+ 0,51|+ 2,09/—3,05|—11,18 
0m |—9,65|+11,18|—13,26|--3,96|—13,66 


+ 8,16 
+18,29 
21,81 


7 8 9 
+ 1,98|—-22,84/— 9,12 
—13,72|—. 4,57|+14,78 
—10,58|— ‘4,59|+ 4,05 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, ECC. 399 


Valori di Wimz Wamy Wsm. 


m 1 2 3 4 5 6 Ti 8 9 
Wim |+-3,15| +7,63 | +3,62/4-0,30/— 9,98) —0,16 | 41,79 |—21,27 — 28,03 
Wom |+-7,12| +4,07 | +-4,74/4+-0,51|—10,77| +9,32 | —5,73|— 9,58/4- 6,21 
Wim |—9,65| +-6,36 | —9,02|—2,81|—15,91|+-8,55 | —3,25|— 7,438|.— 2,55 

Valori delle v, e V,. 

i v V 0) v Vv 0) | v V 

1| + 3,05 | — 3,19 |10| 4 0,30 | —382,84 [19] + 1,79 | — 39,54 
2/4 5,60 | + 10,74 |11| + 0,36 | + 8,81 |20| — 6,63 | 4 10,48 
8| — 13,04 | — 18,89 |12| — 3,08 | —:3;92 [21] — 1,94|+4 4,37 
4| + 7,63) — 9,36 |13| — 9,98 | —39,77 |22| — 21,27.| — 46,50 
5| +0,23 | + 7,71 |14) — 5,78 | +10,14|23| + 1,05. + 19,25 
il 42,43 | — 68,78 [15] 18,99 | =\.1901 ||24| + 2,85ybi4- 7,10 
7 + 3,62 | — 22,65 |16| — 0,16 | — 34,76 [25] — 28,03 | — 28,03 
8 | + 2,93 | + 9,98 [17 + 9,40 | + 18,57 ||26| + 20,22 | + 20,22 
9) — 11,81 | — 14,95 |18| + 5,49] + 9,31 ||27| + 4,72]+ 4,72 


Con questi valori si calcolarono le correzioni delle durate 
di oscillazione per ognuno dei pendoli nelle varie stazioni, in 
unità della 72 decimale del minuto secondo. 


Correzioni delle durate di oscillazione. 


| 


2 A 2 
SE | 320 & SULA 
Hm |a $ = È 
Ep È) 
+ 2,7+-3,0+ 11,91+ 5,5/+4,8 
| 0,5|—6,3|-— 9,7|— 13,0.—8,9 
+ 11,9._2,1.+ 5,8— 4,6,+-0,7 
— 14,2+-5,4/— 8,1|+ 12,1]+-3,4 


E 6; o$ | E a 

S Ebbare 

ù S. > Ss < 5 

= s mE 
— 12,8/4+-.11,4|+ 0,2|— 15,8|.— 11,0 
— ‘6,14 .1,8|— 13,8|-+ 16,414 39,5 
Lalla 23,1 
+ 13,2|— 6,3|+ 3,7,— 8,1 64 


400 


CESARE AIMONETTI 


Applicando le precedenti correzioni si hanno le seguenti 
durate di oscillazione corretta. 


Durate di oscillazione corrette. 


Stazioni 


Torino Oss. . |05,5080284 | 05,5076877 


Torino Valent. 


Pinerolo . 
Carmagnola . 
Demonte . 
Mondovì . 
Ormea . 

Cairo 

Acqui . 


Novi 


Pendoli 
41 42 45 46 

05,5080365 | 05,5083358 
0283 6876 364 307 
0307 6899 388 | 381 
0465 7057 D4O 539 
0820 7412 901 894 
0620 7213 702 695 
0740 7333 821 815 
0442 7035 023 517 
0486 7079 568 561 
0547 7141 628 622 


Con questi valori si calcolarono i residui di osservazione, 
che risultarono sensibilmente nulli. 


1 2 3 4 5 6 7 
sms |— 0,05 |— 0,10 (+ 0,10|+ 0,02/+ 0,13|— 0,11}— 0,05 
0.1 (—0,10| 0,00) 0,00|— 0,01/4+ 0,10|—0,20|+ 0,20 
tm |+0,15|= 0,20 |-+ 0,20 |— 0,08|+ 0,15|— 0,22/— 0,20 


8 9 
+ 0,30/+ 0,17 
+ 0,05/— 0,10 
+ 0,05|— 0,07 


L’error medio unitario e, e quindi l’error medio £ che eom- 
pete ad ogni valore definitivo delle durate di oscillazione, dati 


dalle formole: 


rl 


1 m 
Lira 12,5%e—1) È mt+1 |4(wînt Wîmt Wim) (W,m DN Wrmt t03,m)?] 
i 


- 3 
E Vers 
F 4y 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE, Ecc. 401 


ponendo 


r=10 S= 05,508 


risultano rispettivamente 


e = 05,0000013.2 
E=05,0000007.5 . 


Quindi l’error medio My da cui può essere affetto il valore 
di 9g, dato dalla formola 
Mg = ni EV8 
risulta 
Mg = 0”,00004. 
Calcolo dei valori di g. 
Dalle durate di oscillazione corrette, applicando la formola: 


Fede) 
Gg (s ale st 


in cui g, è il valore della gravità a Torino Osserv., e 9; quello 
nella stazione i, s, ed s; le durate di oscillazione di un pendolo 
nelle due stazioni, si deducono, considerando p. es. il pendolo 41, 
ed assumendo 


qi= 9,80571 


i seguenti valori di 9, — gi: 


Valori di g.— gi. 


Stazioni qa Yi Stazioni gia gi 
Torino Valent. | —0,000004 || Ormea . + 0,001760 
Pinerolo . ; | + 0,000089 || Cairo Monten. | + 0,000610 
Carmagnola + 0,000699 | Acqui + 0,000780 
Demonte + 0,002069 | Novi Ligure . | + 0,001015 
Mondovì. + 0,001297 


402 


CESARE AIMONETTI 


Mediante i valori di 9g, — g; dati nella precedente tavola, 


ed applicando inoltre le correzioni: 


2H 
Lar 


dovute all’altezza H del luogo di osservazione 


dovuta all’attrazione delle masse sottostanti alla stazione, e la 
correzione topografica calcolata col metodo solito (1) si otten- 
nero i risultati segnati nella seguente tavola, in cui sono pure 
registrati i valori della gravità teorica al livello del mare, cal- 
colati colla formola: 


Yo = 92,780 (1 4 0,005310 sen? @) 


e le anomalie di gravità corrispondenti. 


Stazioni 


Gravità 
osservata 


Torino Valent. 
Pinerolo 
Carmagnola 
Demonte 
Mondovì 
Ormea . 
Cairo Monten. 
Acqui 

Novi Ligure . 


gm. 80571 
562 
501 
364 
441 
395 
510 
493 


469 | 


oe | 985 | Gravità 
(hi i E = ridotta 
è LE “Z| © |al livello 
se 0 #2, | del mare 
CILE 

(+ 72). 24| — |9",80619 
114 40| + 3 639 
74 25| — 550 
239 89| +11 591 
146 49] 4 1 539 
223 78| +12 552 
101, 84| + 1 578 
48 | 16.0 525 
60 | Zola at 509 


Gravità 
teorica 


Yo 


9®,80603 
586 
982 
954 
541 
519 
542 
567 
975 


Anomalie 
di gravità 


Go-Yo 


| 
| 


++ 
due 


RE 
I 
DU N 


+ 33 
+ 36 
— 42 
— 66 


(1) Cfr. Rosert v. SreRNECK, Die Schwerkraft in den Alpen, “ Mitth. des 
k. u. militàr-geograph. Instit. ,, XI Bd. 


DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA IN PIEMONTE ECC., 403 


Adoperando invece pel calcolo di Yo la formola data dal 
Prof. Helmert (1): 


Yo=978°,075}1 + 0,005287 sen2p — 0,000018sen?29 | 


ed applicando in seguito ai valori di Yo trovati, la correzione 
— 0,015 si avrebbero i seguenti valori di Yo e di Go— Yo: 


Yo Go-Yo 

per Torino 9, 80623 — 4 
» Pinerolo 606 + 33 
s Carmagnola 602 — 52 
s Demonte 554 — 23 
s Mondovì 561 — 22 
s Ormea i 539 ario 
» Cairo Montenotte 562 + 16 
» Acqui 587 — 62 
» Novi Ligure 595 — 86 


Dal Gabinetto di Geodesia della R. Università. 
Torino, Marzo, 1903. 


(1) Cfr. F. R. HeLmert, Der normale Theil der Schwerkraft im Meeres- 
niveau, “ Sitzungsberichte der K. Preuss. Akad. der Wissenschaften zu 
Berlin ,, XIV, 1901. 


404 GUIDO FUBINI 


Sulla teoria degli spazii 
che ammettono un gruppo conforme. 


Nota di GUIDO FUBINI. 


In una memoria pubblicata negli Annali di Matematica (1902) 
e in altre due che spero presto pubblicate ho trattato della 
teoria degli spazii che ammettono un gruppo di movimenti, o un 
gruppo di trasformazioni geodetiche. Nel presente lavoro trat- 
terò la teoria dei gruppi conformi, che è assai intimamente con- 
nessa con la teoria dei gruppi di movimenti. 


$ 1. — Se un gruppo G è un gruppo di trasformazioni con- 
formi per uno spazio Sn e se ammette delle V,, come varietà (a m 
dimensioni) minime invarianti (m<n) il gruppo si può ridurre 
con un cangiamento di variabili0a un gruppo su m variabili con 
sole m trasformazioni linearmente indipendenti. 

E di più: 

Se m< n, lo spazio S, è rappresentabile conformemente su 
un altro spazio S,' per cui G è un gruppo di movimenti. 

La prima parte è evidente se m = n. Sia dunque m < w. 
Con le varietà V, invarianti noi certamente potremo formare 
almeno oc! V,_, invarianti (se m=n —1 già le V, stesse ci 
dànno un tale sistema). Prendiamo queste V,_, come varietà 
x,= cost. e consideriamone le traiettorie ortogonali (ciò ch’ è 
sempre possibile a meno del caso, che escludiamo, che queste 
V.,-, siano tangenti in ciascun loro punto A al cono di linee di 
lunghezza nulla uscenti da A). 

Prendiamo ora come per superficie coordinate 3, €3, ..., Za 
delle varietà formate con queste traiettorie ortogonali. Siccome 
il gruppo è conforme e le V,_, sono invarianti, queste traiet- 
torie ortogonali formeranno certamente un sistema d’imprimiti- 
vità. Se una trasformazione infinitesima del nostro gruppo è 


E ta +53 Pri PE d 


SULLA TEORIA DEGLI SPAZII, ECC. 405 


dovrà dunque essere &,=0; di più le &, ...., non potranno che 
dipendere dalle x3, €3,...,7,. Il gruppo è perciò un gruppo sun — 1 
variabili, che trasforma conformemente in sè non solo lo spazio 
S,, ma una qualsiasi delle V,_, considerate. Di più le varietà 
minime invarianti sono delle V,,. Se m<n—1 applicando a 
una qualsiasi delle V,_, precedenti il ragionamento ora appli- 
cato a S, dimostreremo che il nostro gruppo si può ridurre 
operante su sole n — 2 variabili e così via. Il nostro teorema 
è con ciò senz'altro dimostrato. Ma di più si è fatta l’impor- 
tante osservazione: 

Se m< n, ossia se il gruppo è intransitivo, esso si può im- 
maginare operante soltanto su n—1 variabili x3, X3,;..,.Xn e di 
più si può supporre che le x,= cost. siano ortogonali alle x°= cost., 
Xg= cost., ..., Xn=" Cost. 

Ossia, indicando al solito con ° 


n 
dst= Z.x Aix dx; dx, 
1 


l'elemento lineare del nostro spazio si potrà supporre 
desde Re, 
e perciò poichè (1) si suppone non degenere sarà 
d4,3= 0. 


Passando perciò dal nostro spazio a uno spazio rappresentabile 
su esso conformemente, potremo supporre 


41 1. 


Prima ora di dimostrare la seconda parte del nostro teo- 
rema scriviamo le equazioni che ci esprimono che la trasfor- 


mazione 
a , 
dA __ 5. lr" 
x, XCr 


1 


è conforme per lo spazio (1). Dovremo perciò esprimere che 


X(Zaxdx;dxx) 


406 GUIDO FUBINI 
è, a meno di un fattore, identica con 


a Uik da; day. 


Indicando con & una funzione arbitraria delle x, avremo 
perciò : 
5 ddik dE, ab ; 
(2) Da (E, i + @r "IO ba,=—i==ka; (i,k=1,3;.0;n) 


dxi | 


r=l 


Nel caso attuale scriviamo la (2) per î=%==1. Notiamo 
che dig — È dj9 == d43 =... = Un = 0, E _ 0. La (2) diventa: 


Oi 


e le (2) si riducono alle equazioni di Killing che esprimono es- 
sere le nostre trasformazioni dei puri movimenti del nostro 
spazio. f Gud di 


$ 2. — Abbiamo perciò un primo risultato: Se un gruppo G 
st può considerare come gruppo conforme di due spazii a un nu- 
mero differente di dimensioni, allora G si può considerare anche 
come gruppo di movimenti di uno spazio a m dimensioni (se il 
gruppo G ha delle V,, per varietà minime invarianti) e quindi 
anche di uno spazio a “ m+-t , (t intero positivo qualsiasi) di- 
mensioni (Cfr. la mia Mem. cit., pag. 48). 

Abbiamo perciò: 

Quei gruppi di trasformazioni conformi che non si possono 
considerare come gruppi di movimenti godono della proprietà ca- 
ratteristica (tra i gruppi conformi) di non poter essere considerati 
come gruppi di trasformazioni conformi che di spazii, le dimen- 
sioni dei quali sono în numero uguale alle dimensioni delle varietà 
minime invarianti del gruppo. 

Noi sappiamo infatti (loc. cit.) che per i gruppi di movi- 
menti la cosa è assolutamente l’opposta. 

Di gruppi conformi di tale specie offrono un esempio il 
gruppo delle similitudini e quello delle inversioni per raggi vet- 
tori reciproci dello spazio euclideo. 

Essi sono però transitivi e quindi si potranno pure, come i 
gruppi di movimenti, determinare tutti risolvendo equazioni finite; 
e sole quadrature permetteranno di ottenerli sotto forma finita (Cfr. 
mia Mem. citata, $ 5). 


SULLA TEORiA DEGLI SPAZII, ECC. 407 


$ 8. — Dimostreremo ora il seguente teorema, analogo a 
quello del $ 6 della mia Memoria citata: 

Condizione necessaria e sufficiente affinchè un gruppo imma- 
ginato operante in uno spazio euclideo si possa considerare come 
gruppo conforme, è che quel suo sottogruppo T che lascia fisso un 
punto generico A lasci fisse le direzioni uscenti da esso poste sopra 
un cono quadrico. 

Da cui dedurremo: 

Le direzioni uscenti dal punto A generico sono trasformate 
dal sottogruppo che lascia fisso À mediante un gruppo simile a un 
sottogruppo del gruppo dei movimenti di uno spazio non euclideo 
a “nl, dimensioni (che sarà ellittico se il nostro spazio è 
reale). 

La condizione testè enunciata è certamente necessaria; di- 
mostreremo ora che è sufficiente; di più dimostreremo, poichè 
tutti i gruppi conformi si possono ottenere per quadrature sotto 
forma finita, che anche tutti gli spazii corrispondenti si possono 
ottenere per quadrature e vedremo quale è l’indeterminazione che 
resta nell'elemento lineare. Per semplicità supporremo senz’altro 
il gruppo transitivo in » variabili, notando esplicitamente che 
se il gruppo fosse intransitivo, si dovrebbe verificare la condi- 
zione enunciata almeno in un punto di ciascuna varietà minima 
invariante. 

Una trasformazione qualsiasi del nostro gruppo che porti 
un qualsiasi punto B in un punto C si può sempre immaginare 
ottenuta come prodotto di una trasformazione che porti B in A 
e di una che porti A in C. Basterà perciò dimostrare che esiste 
uno spazio tale che se una trasformazione qualunque porta A 
p. es. in €, gli intorni di A e di Cl si corrispondono in guisa 
che due direzioni uscenti da A e le due corrispondenti da © 
formano angoli uguali. Prendiamo ora in A i valori dei coeffi- 


cienti dell'elemento lineare 


Landx;dx, 


uguali o proporzionali ai coefficienti corrispondenti di quel cono 
quadrico (oppure di uno di quei coni quadrici) che T lascia fissi. 
Prendiamo ora o” trasformazioni del nostro gruppo tali che 
nessuna di esse lasci fisso A (eccetto l’identità) e che due distinte 


408 GUIDO FUBINI 


portino A in punti distinti. Questo insieme S di trasformazioni 
insieme a T genera il nostro gruppo. 

Una trasformazione di S è individuata dalle coordinate 
x;!.... x, del punto, in cui essa trasporta il punto A. Ognuna di 
esse dovrà essere conforme per lo spazio cercato, ossia ne mol- 
tiplicherà l'elemento lineare per una certa funzione (x; .... &,) 
variabile caso mai con x;'.... n, che noi potremo indicare con 
k (1,09... Cn .... tn). Io dico che, scelti nel modo su scritto i va- 
lori delle a, nel punto A si può scegliere ancora a piacere la fun- 
zione h(x; .... Xn) (purchè nel punto A questa funzione sia uguale 
a 1) che si deduce dalla k ponendovi 


PES . . RES 
i o A: 


Tutto il resto resta allora determinato senza ambiguità. 

(Nel caso di gruppi intransitivi si dovrebbe ripetere questo 
ragionamento per un punto A di ciascuna varietà minima inva- 
riante; la scelta dei valori delle a, in questi punti A porta al- 
l'introduzione di nuove funzioni arbitrarie). 

Infatti con tale scelta noi sappiamo che quella trasforma- 
zione di 7° di S che porta A in un punto C=(x°.... 2,9) deve 
moltiplicare Zagdr;de, per 4(x,0.... 21°). E poichè i valori di 
a; in A sono noti, 7° si suppone conosciuto (e quindi è anche 
conosciuta la corrispondenza tra l’intorno di A e quello di C, 
ossia tra i differenziali delle x neì punti A e €) si ottengono 
subito delle relazioni lineari che dànno i valori di «a, nel 
punto ©. Fissate così le ax in tutto lo spazio, è ben chiaro che 
lo spazio ammette allora il nostro gruppo come gruppo conforme. 
Basta infatti che dimostriamo che una trasformazione del gruppo 
che porta A in un punto C stabilisce una corrispondenza con- 
forme tra gl’intorni dei due punti. Ciò che è evidente, poichè 
una tale trasformazione è prodotto di una trasformazione di T 
per 7. Ora i valori di a, in A furono scelti in guisa, che T 
trasformi in modo conforme l’intorno di A in sè stesso e i va- 
lori delle ay in C furono scelti appunto in modo che 7° sta- 
bilisse una corrispondenza conforme tra gl’intorni di A e di C. 

Tutte le nostre asserzioni sono così dimostrate. Noteremo 
che il cono lasciato fisso da T non deve essere degenere, perchè 
altrimenti l'elemento lineare sarebbe degenere, ecc. ecc. 


SULLA TEORIA DEGLI SPAZII, ECC. 409 


Come si esprime analiticamente la condizione suaccennata? 
Noi seguiremo perciò un procedimento già usato nella mia Mem. 
cit. e supporremo per brevità il gruppo transitivo. 
Se 
ni _d x 
Xi ci (rbt) 
dr 
r=l 
sono le trasformazioni linearmente indipendenti del gruppo dato 
e le altre trasformazioni sono: 


Xx = EPUX, ((=0) ....m) 
I 


se il gruppo è a n+ m parametri, dove le @) sono funzioni 
delle x;, scriviamo le equazioni (2) indicando con ki, ks, ..., &ny 
nsr3 «+» Fntm i valori che si devono intendere sostituiti a % 
nelle (2), secondo che si scrivono per la X, o per la X., ecc. 
o per la Xin. Sottraendo dall’equazione relativa a X,, quelle 
relative a X, moltiplicate per 9} (4 = 1,2,..., n) otteniamo: 


n (£ (8) 
OY [sere pae) era, 


k 


Ur 


dove #, è una funzione delle x; .... #,. La risolubilità di queste 
equazioni rispetto alle «, in un punto generico A (quando al 
posto delle Y, si pongano costanti pure da determinarsi) traduce 
analiticamente la nostra condizione. Le (3) ci dànno nello stesso 
tempo a quali relazioni devono soddisfare i valori da scegliersi 
per le a, in A. 


$ 4. — Dalle precedenti considerazioni si può trarre una 
notevole conseguenza. Consideriamo un sottogruppo del gruppo 
proiettivo di uno spazio a n — 1 dimensioni, in cui indicheremo 
con %;, %9,.... t, le coordinate omogenee. Una trasformazione 


(4) (bi12:+dotr ta +dntm) Pr + A+ (dt + On) Pr (>= 


lascierà fissa una quadrica 


Za Xi 


410 GUIDO FUBINI 


Z(4,% 533 _ UinCn) (dai L 3A _ dinCn) ==kX Hi CiVk 
(Ke , dip s 4ik costanti). 


Se perciò quelli tra i polinomii dix, +... + dt, non iden- 
ticamente nulli sono proporzionali (o in particolare se ve n'è 
uno solo) in modo che si possa porre 


bi 1 + E _ Dinta n k; (0,2, a HA - Bbnn) 


sì avrà 
(01%, - co + Dbntn) = ki(0ix%1 + DA + UinEn) —=- kZax% Le 
Se dunque non è identicamente 


batt (8) dista 0 


allora X 4; €; %x 0 è un cono sdoppiato in due iperpiani, oppure 
(se 4 = 0) Zk;(a,, c1+.... + @in%) = 0 e perciò esso è a di- 
scriminante nullo e quindi degenere. Se noi escludiamo questo 
ultimo caso, il cono si sdoppia in due iperpiani senza essere 
degenere; perciò n= 2. Dunque se in (4) indichiamo con x, .... Xn 
le coordinate delle direzioni uscenti da un punto A di S, e (4) 
indica come esse sono trasformate da una trasformazione infinite- 
sima di un gruppo conforme di S, che lasci fisso A, allora se (4) 
non è identicamente nulla, non possono i coefficienti di pi, pa; +». Pa 
essere proporzionali, se n>2. In particolare dedurremo: 

Uno spazio ‘a più che 2 dimensioni non può ammettere due 
trasformazioni infinitesime conformi distinte con le stesse traiettorie. 

Indicando con Y; ...Y» le coordinate dello spazio in discorso, 
le due trasformazioni infinitesime si potrebbero immaginare ri- 


dotte alla forma soia bide tra le trasformazioni che 
Y1 YA 


lasciano fisso un punto generico A = (yî... y?) vi sarebbe la: 
i OLIO (MI ed 
My: VARA 


e usando le precedenti notazioni per. le direzioni uscenti da A 
si avrebbe che esse dovrebbero essere permutate dalla trasfor- 
mazione infinitesima: 


Mot: [IDA 
PUT Au di \4gt | dyi ‘merito: 


SULLA TEORIA DEGLI SPAZII, ECC. 411 


Questa dovrebbe lasciar fisso un cono, che per il teorema pre- 
cedente sarebbe per n>2 degenere a meno che b5,=0, ossia a 
meno che le derivate prime di À in un punto generico fossero 
nulle, ossia che \ fosse costante e quindi le due trasformazioni 
iniziali non fossero distinte. 

È ben chiaro che per n= 2 il teorema non vale più. Infatti 
per una superficie 


ds? = 2a;s dx, dxs 


le due trasformazioni dò fa: 
di dz; 


Per il caso di movimenti questo teorema fu già dimostrato dal 
Prof. Bianchi. 

Ricordiamo ora che già Lie dimostrò (Lre, Transformations- 
gruppen, 1893, Bd. 3, Kap. 17-18) che uno spazio S, (n>2) am- 
mette solo gruppi finiti di trasformazioni conformi e che per 
n= 2 i gruppi finiti di trasformazioni conformi non hanno più 
di 6 parametri. Egli trovò poi che un gruppo conforme, che 
permuti le direzioni uscenti da un punto nel modo più generale 
possibile, è sempre identico (simile) col gruppo dei movimenti 
di uno spazio a curvatura costante, o delle similitudini di uno 
spazio euclideo, o del gruppo dei movimenti, delle similitudini e 
delle inversioni per raggi vettori reciproci di uno spazio euclideo. 


formano un gruppo conforme. 


$ 5. — Sia ora un gruppo G, generato dalle X, X,.... X, 
conforme per lo spazio 


n 
ds? — 2. ali dx; dry. 
1 


Avremo, indicando con X;(î= 1, 2, ..., r) delle funzioni di 
$% Ftiodote: 
(a) X;(ds°) PF; (FESNOIE]. 
Sia. poi: 
(3) (XX =Zcm 


Dalla (a) si deduce: 


X,[X;(ds)] =" X(F) ds? + F;(Xds) = Xx (1) dst +,F,k ds? 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 28 


412 ‘ GUIDO FUBINI 


donde, scambiando è, % e sottraendo membro a membro: 
(XK; Xx) (ds?) = [X; (4) 177 X(F;)] ds? 
ossia per (a), (8): 


| ew F.| (4) = [X(P) — K(A]ds 
Gt 
Ossia: 


(1) Ze A) 


$ 6. — Noi dimostreremo ora il seguente teorema; 

Se un gruppo G conforme si può considerare come gruppo . 
reale di movimenti, uno spazio S che ammette & come gruppo con- 
forme è conformemente rappresentabile su un altro che ammette G 
come gruppo di movimenti. 

Siano delle V, le varietà minime invarianti di G. Se S è 
piu che a mm dimensioni, il teorema ci è già noto ($ 1). Possiamo 
dunque senz'altro limitarci al caso che S abbia proprio m di- 
mensioni. Se G fosse in un tale S,, semplicemente transitivo, la 
dimostrazione sarebbe senz’altro compiuta per mezzo delle (y). 
Infatti se ds? è l'elemento lineare dello spazio ed M una fun- 
zione qualunque delle coordinate x, xa .... Cm e Se X, .... An sono le 
trasformazioni definenti G, avremmo 


X;(ds?) = F;ds? ((= 1,2000606 
donde: 
X;|[Mds|=[F+X;(M)]ds. 


Le equazioni F;+ X;(M)=0 (î=1,2,....m) dànno le de- 
rivate prime di M in funzione di M e formano un sistema com- 
pleto per le (1). La M così definita a meno di un fattore costante 
è tale che per l'elemento lineare ds'* = Mds? il gruppo G è un 
gruppo di movimenti. 

Nel caso generale indichiamo con ds'? quella forma qua- 
dratica differenziale in M variabili, per cui G si può considerare 
come gruppo di movimenti. Noi potremo chiaramente con una 
trasformazione reale di variabili fare sì che ds'? in un punto 


SULLA TEORIA DEGLI SPAZII, ECC. 413 


generico, che potremo supporre a coordinate nulle, assuma la 
forma : 


(òd) de 4 das + ... + dai, 
ossia, se ds'? = Puo dx;dx, che sia: 
1 
c;(0,...0) = 1 ca(0, ...0)=0 (i==%) 


G è transitivo nelle »m variabili x; .... ©» ed è un gruppo di mo- 
vimenti per ds'?. Quindi, indicando con p; le i (i=1;2,4900) 
r 


il gruppo conterrà m trasformazioni infinitesime del tipo 
(A) Pesa. oi (i==109; #:/m) 


dove i termini trascurati contengono termini almeno del prim’ or- 
dine nelle x;. Conterrà poi eventualmente delle trasformazioni 
con dei termini di primo ordine nelle x; che per la forma (ò) 
dell'elemento lineare presso all'origine, dovranno essere del tipo 


(B) 2 bixtiPx +... ! (da = — bag) 


dove i termini trascurati sono almeno di second’ordine nelle . 
Nè potrà contenere altre trasformazioni comincianti con termini 
di second’ordine nelle x, perchè una trasformazione d’un gruppo 
di movimenti che lasci invariati un punto e le direzioni uscenti 
da esso sì riduce chiaramente all'identità. Sia ora ds? l'elemento 
lineare dello spazio S, per cui G è un gruppo conforme. Nel 
punto 4= (0, 0, ...., 0) questo elemento lineare divenga: 


x dik dx, dxy. 


Le trasformazioni che si ottengono da (B) trascurando i termini 
di ordine superiore al primo devono trasformare in sè il cono 


Vavit==‘0! 
Sia 
Zby%, Pi (dir = di) 


una di queste trasformazioni. Dovrà essere: 


pa z Uik Li 2 dig "| — h x Aix L, Ly 


h| è i 


Li 


414 GUIDO FUBINI 

dove % è costante. Donde in particolare: 
Tai ba =ha; 

e sommando rispetto a i 


Lia ba _ hZ a; . 
i,k i 


Ora, scambiando i,% il primo membro cangia segno perchè 
Udi = Urig dir. = by. E perciò: 


h Za; = 0. 


Se noi ci limitiamo a spazii reali, deve essere Za, 0. È 
dunque X= 0. Ora ricordiamo che lo spazio S è ($ 3) definito, 
quando oltre al dare i valori iniziali a, nel punto (0, ...,0) dei 
coefficienti del suo elemento lineare, si dia la funzione (cfr. $ 3) 
h(£,, x3....%,) a cui si riduce la X(x;...%,%;"...x,'). La serie G 
del $ 3 rispetto a cui si calcolava la £ si può ora immaginare 
quella generata dalle (A). Io dico che se noi moltiplichiamo l’ele- 
mento lineare ds? per questa funzione %(; .... x,) io ottengo 
effettivamente uno spazio per cui G è un gruppo di movimenti. 
Sia infatti ds? l'elemento lineare così ottenuto. Una trasforma- 
zione che porti il punto (0,..., 0) nel punto generale (x, %3....%») 
e che appartenga alle trasformazioni generate dalle (A) porta 
infatti la forma quadratica cui si riduce l'elemento lineare ds? 
nel punto (0, 0,....0) alla forma quadratica cui si riduce ds? nel 
punto (x; ....x,) moltiplicata per / (x, .... £n), ossia appunto alla 
forma quadratica cui si riduce ds''2 nel punto (x; ....&m). Di più 
osserviamo che per quanto abbiamo dimostrato più sopra una 
trasformazione che lasci fisso il punto A = (0, 0, .... 0) lascia in- 
variata (moltiplica proprio per 1) la forma quadratica, cui si 
riducono ds? e ds''2 nel punto (0, ...., 0). Basta allora ripetere i 
ragionamenti del $ 3 per riconoscere che G per ds''? è un gruppo 
di movimenti. E di più noi abbiamo dimostrato che se i gruppo 
G è transitivo, quello spazio S' su cui S è conformemente appli- 
cabile e per cui G è un gruppo di movimenti è definito a meno di 
una similitudine. 


$ 7. — Noi dunque abbiamo con questo teorema esaurita 
la ricerca degli spazii S che ammettono un gruppo conforme G 


SULLA TEORIA DEGLI SPAZII, ECC. 415 


che si possa considerare come gruppo di movimenti; e ci rivol- 
geremo allo studio degli spazii S, che ammettono un gruppo G 
che non si può considerare come gruppo di movimenti. Per 
il teorema del $ 1 il gruppo G@ dovrà essere transitivo nello 
spazio S,. Nel punto generico A di S potremo con un cangia- 
mento di variabili supporre nulle le coordinate x; .... x, e l’ele- 
mento lineare ridotto alla forma: 


A det + dai +... + daî.. 


Avremo poi m trasformazioni infinitesime di ordine nullo 
nelle x; 


(0) Asti Lasa ita 


dove i termini trascurati sono almeno del primo ordine. Il gruppo 
non potendo essere semplicemente transitivo (chè allora potrebbe 
anche considerarsi come gruppo di movimenti), avremo delle 
trasformazioni di prim'ordine, che per la forma che ha in A 
l'elemento lineare, saranno del tipo 


(D) a(v1P1+r2P2 + ++ CmPm) + Zoadipit.. (ba = bi) 


E potranno esistere anche delle trasformazioni del secondo 
ordine o di ordine superiore. Notiamo che se esiste una trasfor- 
mazione U del second’ordine, le (X;U)(i==1,..., m) dànno ori- 
gine a trasformazioni del prim'ordine che devono essere del tipo 
precedente; quindi (Lie, loc. cit.) esse saranno del tipo: 


> by 2xyZx,p— Zap, +... 
V=1 1 1 ] 


Le a, dix, by Sono costanti. 
Se il gruppo contiene una trasformazione del prim’ ordine 


1 PL 1 cn 1° da Pm | decse 


lo spazio è rappresentabile conformemente sullo spazio euclideo. 
Infatti (Lie, Bd. 1, Teor. 111) in tal caso il gruppo con una 
trasformazione di coordinate si può ridurre a contenere il sot- 
togruppo 
Pi: P23 060.3 Pmo 


416 GUIDO FUBINI 


che è chiaramente a trasformazioni permutabili e transitivo sem- 
plicemente e che quindi si può considerare come gruppo di mo- 
vimenti. Uno spazio che lo ammetta come gruppo conforme è 
conformemente applicabile su uno spazio S che lo ammette come 
gruppo di movimenti. Ma (Branca, Su gli spazii a tre dimensioni 
che ammettono un gruppo di movimenti, “ Memoria della Società 
dei XL ,, 1897, pag. 297) un tale spazio S è euclideo;  c. d. d. 

Se il gruppo contiene qualche trasformazione di ordine supe- 
riore al primo, lo spazio è conformemente applicabile sullo spazio 
euclideo. 

Infatti in tal caso il gruppo conterrebbe una qualche tras- 
formazione del second’ ordine del tipo 


a }Zaev Zap — pvZaitbvt... 
1 


Essendo di più transitivo, esso conterrebbe una trasforma- 
zione del tipo: 


Ji 2 bi Pr + vee 


e quindi anche la trasformazione: 


m 


(TU) =2ZbZx,p, +... 
1 


e per il teorema precedente è dimostrato il nostro asserto. 
Esclusi dunque il caso ben noto di spazii applicabili con- 
formemente sull’euclideo, il nostro gruppo non conterrà nè una 
trasformazione x,p,1+ .... + &m Pn +... nè una trasformazione 
di ordine superiore al primo. Se dunque il gruppo non si può 
considerare come gruppo di movimenti, esso non potrà contenere 
che trasformazioni dei tipi (C), (D). Im una almeno delle (D) 
dovrà essere a=-0. Anzi potremo senz'altro supporre che in una 
sola delle (D) sia a=#=0; perchè se ciò avvenisse in X delle (D), 
esisterebbero K —1 loro combinazioni lineari indipendenti, in 
cui a = 0. Il gruppo delle (D) è perciò isomorfo a un sotto- 
gruppo di movimenti di uno spazio a curvatura costante a m — 1 
dimensioni; se per es. questo sottogruppo ha s parametri, esso 
deve contenere un sottogruppo invariante a “ s —1, parametri, 
generato da quelle s—1 trasformazioni infinitesime per cui a=0. 


SULLA TEORIA DEGLI SPAZII, ECC. 417 


Lo studio dei gruppi conformi è così ricondotto alla ricerca di 
siffatti sottogruppi di movimenti di uno spazio a curvatura 
costante. 


$ 8.— Per vedere la potenza del nostro metodo, studiamo 
il caso particolarmente interessante degli S;. Escluso il caso 
degli spazii applicabili conformemente su spazii a curvatura 
costante, ogni gruppo conforme sarà imprimitivo (Cfr. Lie, 
Bd. 3, S. 139) e quindi il sottogruppo G' che lascia fisso un 
punto A dovrà lasciare fissa almeno una direzione per esso. Se 
anche essa fosse immaginaria, il gruppo lascierebbe fissa anche 
l'immaginaria coniugata e la direzione reale coniugata a queste 
due direzioni rispetto al solito cono quadrico. Nella metrica 
della stella definita da questo cono, considerato come assoluto, il 
gruppo G’ sarà dunque una rotazione attorno a una direzione 
reale; e perciò il gruppo conforme totale avrà al più 4 para- 
metri, e si potrà immaginare del tipo 


DO Pi + nasa Ng ==#j/ LL seta Xy = P3 da 009 
X,= %1p1 + capa +.£3p3 + b(eipo — dop.) + ... 
Sarà quindi: 


(XK +0 + MX (XX) = BA + nX 
(AX)=AZ + 


dove m, n, r sono costanti. Aggiungendo a X,, X, X; conve- 
nienti multipli di X, si potrà fare evidentemente m=n=r=0. 
Le relazioni tra le costanti di composizione di un gruppo di- 
mostrano allora che (XX) =(X3.X3)=(XX;)=0. Ossia le 
X,, X3, X3 generano un gruppo semplicemente transitivo a tras- 
formazioni permutabili e lo spazio sarebbe conformemente ap- 
plicabile sull’euclideo. 

Dunque: Gli spazii S a tre dimensioni non conformemente ap- 
plicabili su spazii a curvatura costante che ammettono un gruppo G 
conforme sono conformemente applicabili su spazii S' che ammet- 
tono ( come gruppo di movimenti. 

Questo teorema esaurisce la ricerca per gli spazii a tre 


418 GUIDO FUBINI — SULLA TEORIA DEGLI SPAZI, ECC. 


dimensioni (*). Per vedere quanto complicata sarebbe la ricerca 
diretta, basta p. es. cercare di determinare direttamente il gruppo 
conforme più ampio, che possa ammettere uno degli spazii, de- 
terminati dal Prof. Bianchi, che ammettono un G, di movimenti. 

Se il nostro teorema valga anche per n>3, non pare una 
cosa molto facile a verificarsi, La ricerca prima che si dovrebbe 
fare in questo senso sarebbe la ricerca dei sottogruppi di mo- 
vimenti degli spazii a curvatura costante a n —1 dimensioni; 
per n==4 la ricerca è già compiuta dal Lie (Bd. 3, S. 209). 
Lo studio di questa questione certamente potrebbe illuminare 
assai anche la teoria dei gruppi di movimenti: e su essa spero 
di poter ritornare. Osserviamo intanto che si può dalle nostre 
considerazioni dedurre subito il risultato che él gruppo conforme 
di uno spazio a n dimensioni non applicabile conformemente su uno 


n(n +41) 
2 


spazio a curvatura costante non può avere più di para- 


metri. Questo limite superiore si può assai probabilmente ancora 
abbassare; in ogni modo però esso è assai minore del limite “ n? , 
dato dal Lie. 


(*) Esso si potrebbe anche dedurre facilmente dai risultati del Corron 
(£ Thèses de la Faculté des Sciences ,, 1899). 


L’ Accademico Segretario 
LorENZo CAMERANO. 


_DAMNDNNANNNNa____ 


CLASSE 


DI 
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Fa 


Adunanza del 15 Marzo 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Perron, Vice-Presidente dell’ Acca- 
demia, FerrERO, Direttore della Classe, Rossi, ManNOo, BOLLATI 
DI Saint-Pierre, Pezzi, CARLE, GrAFr, BoseLLI, CipoLLa, Brusa, 
Arnievo, Pizzi, CaIRONI, SAVIO e RenTER Segretario. 


Viene approvato l’atto verbale dell’ adunanza antecedente, 
1° marzo 1903. 

Il Presidente comunica la morte dell’illustre Socio straniero 
Gastone Paris, avvenuta il 6 marzo 1903 in Cannes, e legge il 
dispaccio con cui egli inviò al Collège de France le condoglianze 
dell’Accademia, pregando ch’essa fosse rappresentata ai funerali, 
non che la risposta gentile della Segreteria del Collège. 

Il Segretario, a nome del Socio corrispondente Costantino 
Nigra, fa omaggio della nuova edizione splendidamente illustrata 
del poemetto di lui: La rassegna di Novara, Milano, Menotti e 
Bassani, 1903. 

Il Socio CHIRONI presenta 10 pubblicazioni giuridiche del 
Dr. Guido BonoLis, stampate fra il 1896 ed il 1902, tra le quali 
specialmente notevoli: a) La giurisdizione della mercanzia in Fi- 
renze nel secolo XIV, Firenze, Seeber, 1901; 6) Svolgimento sto- 
rico dell’assicurazione in Italia, Firenze, Seeber, 1901; e) Les 
assurances sur la vie en droit international privé, Paris, Fonte- 
moing, 1902, e colle seguenti parole elogia il contenuto di esse: 


Gli scritti che il dott. Guido Bonolis offre alla nostra Acca- 
demia, per due diverse maniere di considerarne i risultati me- 
ritano speciale segnalazione: il pregio ch'è in essi, se difatti 


420 


procura liete accoglienze all'autore, dà nuova testimonianza del 
consolante progredire che da noi fanno gli studì del diritto 
commerciale, ravvivati da quello splendente faro che fu nei se- 
coli la tradizione giuridico-mercantile italiana, e che, fino a poco 
or è, parve fosse destinato soltanto a illuminare le ricerche dei 
dotti d’oltr’alpe. 

Ben vengano dunque tra gli altri dei maestri, ancor questi 
lavori dei giovani studiosi, che son ricerca ed illustrazione dei 
fonti della profonda dottrina e della savia pratica mercantile 
italiana nei tempi di mezzo, come la monografia su La giuris- 
dizione della mercanzia in Firenze nel secolo XIV; 0 che concor- 
rono a dar notizia dell’origine e dello sviluppo che da noi ebbero 
istituti penetrati poi largamente, a ragion della previdenza, nella 
vita sociale, com'è la monografia sulla Storia dell’assicurazione 
in Italia; a tacer di altri contributi minori, d'importanza varia, 
ma che per vari aspetti hanno interesse per chi studî la storia 
del diritto patrio. 

E si deve pur aggiungere, per chi studî il diritto patrio. 
Perchè il Bonolis non rinserra le sue ricerche nel passato, ma 
con savio processo vuol indagare e dichiarare gl’istituti nella for- 
mazione prima e nelle successive trasformazioni loro, segnalando 
così le fasi per cui passò e si compiè la vita di essi come orga- 
nismi giuridici viventi: e talvolta alla comparazione con le leggi 
straniere chiede materiali d'indagine, così ben scelti e così sa- 
viamente adoperati, da ricavarne risultanze notevoli. 

Di tale attitudine sua come giurista, il Bonolis dà saggio 
nella monografia su Le Assicurazioni della vita nel diritto inter- 
nazionale privato, condotta con dottrina, con buona critica, con 
eleganza di costruzione: e basterebbe a segnalarne il merito, la 
collaborazione che Giulio Valery, noto pei suoi studîì commer- 
cialistici, e professore di diritto all'università di Montpellier, 
volle dargli qual collaboratore ed annotatore. E questa qualità 
ben si unisce all’altra che il Bonolis ha di studioso della storia 
del diritto, e la compie: perchè segnala ciò che dei fatti storici 
importi scrutare e cogliere, per fissare e descrivere il movi- 
mento degl’istituti giuridici. 


Lo stesso Socio CHTRONI presenta per le Memorie uno scritto 
del Prof. Romualdo Bospa, Da Kant a Nietsche a proposito di 
un libro recente. Il Presidente designa a riferirne il Socio propo- 
nente in unione col Socio ALLIEVO. 

Per gli Att il Socio FERRERO presenta una propria nota 
intitolata: Una nuova iscrizione d’ Industria ed una nota del 
Prof. Luigi Varmaegi, Per la novella nell'antichità. 


ERMANNO FERRERO — UNA NUOVA ISCRIZIONE D'INDUSTRIA 421 


LETTURE 


Una nuova iscrizione d' Industria. 


Nota del Socio ERMANNO FERRERO. * 


A levante della strada comunale, che dalla provinciale 
Torino-Casale conduce al villaggio di Monteu da Po, passando per 
il piano, su cui sorgeva l’antica Industria, e a mezzodì di una 
vecchia stradicciuola, parallela alla provinciale ora menzionata, 
furono scoperti, nello scorso febbraio, avanzi di costruzioni e di 
un pavimento a mosaico, una tomba in parte fatta con pezzi di 
laterizii romani, ma che evidentemente non era dell’età romana, 
ed un cippo quadrangolare di marmo bigio destinato a sorreggere 
un’ erma di bronzo ora scomparsa. Di questa e di altre recenti 
scoperte industriensi si parlerà nelle Notizie degli scavi e negli 
Atti della Società di archeologia e belle arti per la provincia di 
Torino, ove il Fabretti pubblicò la sua bella illustrazione della 
vetusta città e de’ suoi monumenti (1). Qui riferisco soltanto, 
con qualche nota, l'iscrizione del cippo (2), acquisto abbastanza 
notevole per il corpo epigrafico piemontese. Il cippo è simile ad 
altri rinvenuti ad Industria (8): è provvisto in basso di un’ ap- 
pendice, che serviva ad infiggerlo nel terreno. 

L'iscrizione è incisa con lettere regolari di forma allungata: 
la prima linea rimane fuori di una cornice, di un semplice listello, 


(1) Dell’antica città d'Industria detta prima Bodincomago e dei suoi ino- 
numenti (Atti, vol. II, p. 17-115, tav. I-XXVII.. 

(2) Delle recenti scoperte industriensi debbo la notizia alla cortesia 
dell’avv. Edoardo Durando, il quale mi accompagnò a visitarle, ed ha rac- 
colto parecchie anticaglie della scomparsa città. 

(3) Fabretti, tav. VII, n. 5, 7, 8, 9, 10; tav. VIII, n. 17, 20. Specialmente 
sì avvicina al penultimo. 


422 ERMANNO FERRERO 


parallela ai lati del cippo e racchiudente tutta la sua faccia 
anteriore (1). 


GRATTIA.-T.F. RESSERLYAILA 
SIDI EST 


M-.-APONIOPRSCOo 
VIVIROEPORE 
DITA R-VICRO ET 

®© M-APONIORESTITVTO 


F|]LIOVIVIROEPOR 


AEDIL]IIVIRO]NDVS 
TRIAE 
V $ F 


In questo titolo abbiamo la terza menzione epigrafica (2) 
d’Industria, il cui nome negli scrittori non si trova che presso 
il solo Plinio seniore (3), e la duodecima di Eporedia (4), più 
volte ricordata nei libri dell’antichità (5). Finora ignoti nell’una 
e nell’altra città gli Aponii, comparsi però ad Augusta Tauri- 
norum (6), vicina ad entrambe, e ad Augusta Praetoria (7), confi- 
nante con Eporedia, dove si era già trovata un’altra donna di 
nome Grattia (8), come quella che inalzò il monumento funerario, 


(1) Alt. del cippo m. 1,36, largh. media m. 0,28, spess. m.-0,16. Alt. delle 
lett., lin. 1° m. 0,031, 2-5* m. 0,025, 6* m. 0,018, 7? e 8° m. 0,015, 9* m. 0,027. 

(2) Le altre due sono in C. I. L., III, n. 10877 (Pettau); V, n. 7496 (Chieri). 
Aggiungansi in epigrafi del luogo la menzione degl’Industrienses (C. I. L., V, 
n. 7468, 7469, 7483), del inunicipium Industriense (C. I. L. Suppl. It., T, n. 958) 
ed il gentilizio Industrius (C. I. L., V, n. 7474). 

(3) N. H., III, 5, 16. 

(4) Le altre si hanno in C. I. L., IMI, n. 2711 (Gardun); V, n. 6771 (Dor- 
zano), 6955, 7016, 7033 (Torino); VI, n. 1858, 2375 a, 23795 (Roma); XI, 
n. 3110 (Civita Castellana); Brambach, Z .RA., n. 1192, 1224 (Zahlbach). Un 
Eporediensis si ha in C. I L., IU, n. 6413 (Scardona). 

(5) Holder, Altcelt. Sprachsch., I, c. 1450 e segg. 

(6) SE LV, ‘n 7060. 

(7) Ibid., n. 6844. Si ha anche un Aponius a Saluzzo (n. 7688). 

(8) Ibid., n. 6805. 3 


UNA NUOVA ISCRIZIONE D'INDUSTRIA 423 


ora tornato alla luce, al marito ed al figlio. Entrambi furono 
seviri ad Eporedia (1): il figlio tenne anche l’edilità ed il duo- 
virato ad Industria (2). 

Il suolo d’Industria ha ridato monumenti. Ripeto un voto: 
sì riprenda presto l’esplorazione regolare di questo suolo, che 
ha fornito bronzi preziosi per l’ arte, epigrafi di valore. Sia 
questa un’ esplorazione compiuta, che ponga termine ai fruga- 
menti, che da secoli colà si sono fatti e sembra si rifacciano 
al solo scopo di trar guadagno dalle anticaglie dissepolte; fru- 
gamenti, in cui si rovinano ruderi di costruzioni, si perde l’oc- 
casione di osservazioni importanti per la scienza, si disperdono, 
sì portano lontano, si sottraggono allo studio monumenti. Chissà 
che con gli avanzi del municipio romano non si rinvengano me- 
morie di Bodincomago, del borgo che lo ha preceduto, facendoci 
così penetrare nella conoscenza della civiltà anteriore alla romana 
nella nostra regione. Era questo il voto del Fabretti (3), costretto 
con dolore ad interrompere gli scavi industriensi, quando man- 
carono i mezzi necessarii alla Società di archeologia e belle arti, 
la quale, al suo sorgere, tosto si era rivolta a questa impor- 
tante investigazione. 


(1) Altri seviri di Eporedia: C. I. L., V, n. 6786, 6789, 6792, 6793, 6794, 
6821, 7033; Suppl. It., I, n. 906. 

(2) Un altro edile e duoviro della stessa città: C. I L., V, n. 7468. 

(3) Atti della Soc., vol. III, p. 71. 


424 LUIGI VALMAGGI 


Per la novella nell'antichità. 


Nota di LUIGI VALMAGGI. 


È opinione comune che, all'opposto di quel che accadde 
nell'antico Oriente, e poi di nuovo e non men largamente nel 
Medio Evo e nei tempi moderni, ai Greci e ai Romani sia man- 
cata ogni vera e propria inclinazione e disposizione per la no- 
vella. Certo di raccolte di novelle, quali sono ad esempio le 
indiane, o le latine del Medio Evo, non v'è traccia alcuna né 
nella letteratura greca né nella romana; e se qualcosa si trova 
che pare accostarsi in parte a questo genere, non può reggere 
il paragone che molto stentatamente. Cosî le Passioni amorose 
di Partenio, che molti citano come saggio, sia pure imperfetto 
e sporadico, di novellistica classica, hanno in realtà carattere 
affatto diverso, e sono piuttosto da considerare come opera esclu- 
sivamente di erudizione. 

Ma se ai Greci e ai Romani mancò la novella, come genere 
speciale di letteratura, non si può dire che sia loro mancata del 
pari la tendenza al novellare; di che fanno fede non solamente 
le cosi dette favole milesie, e quelle numerose narrazioni, alle 
quali si suol dare assai impropriamente il nome di romanzi, ma 
anche alquanti racconti, di più modesta estensione, e perciò, assai 
più vicini al tipo della novella propriamente detta, che troviamo 
qua e là inseriti in opere di maggior mole e di varia natura, 
cosi in prosa come in poesia. Gli esempî di questa sorta di rac- 
conti sono più frequenti, che per consueto non si creda, e com- 
paiono anche in scritture assai differenti da quelle, in cui gli 
studiosi della materia (1) sono soliti cercarli. 


(1) V. ad esempio DunLor-LieBrecat, Gesch. der Prosadichtungen (Berlino 
1854), 3 sgg.; Crassano, Histoire du roman et de ses rapports avec l’histoire 
dans l’antiquité grecque et latine (Parigi 1862), passim; Ronpe, Der griech. 
Roman? (Lipsia 1900), 578 sgg.; Susemiar, Gesch. der griech. Litter. in der 


Alerxandrinerzeit, II (Lipsia 1892), 574 sgg.; ecc. 


PER LA NOVELLA NELL'ANTICHITÀ 425 


Nel breve spazio di questa nota io non intendo che delibare 
l'importante materia, richiamando l’attenzione su alcuni notevoli 
esempî di questo genere di narrazioni, che ci si offrono presso 
Ateneo. La messe riuscirebbe molto copiosa, se si volesse tener 
conto anzitutto dei brevi racconti con fondamento di arguzia, 
quali sarebbero, per citare un solo saggio, i due aneddoti rife- 
riti in X, 420 c sgg., a proposito dei banchetti di Arcesilao. 
Nel primo è occasione al racconto di motti piacevoli la mancanza 
di pane; nel secondo è messa in ridicolo la balordaggine di un 
servo. Siffatti aneddoti in Ateneo sono in buon numero: se non 
che, quantunque abbiano frequentissimi riscontri nella novellistica 
antica e moderna, vogliono considerarsi piuttosto come semplici 
schemi o abbezzi di racconti, e mancano di quel certo sviluppo 
dei particolari, senza il quale non vi può essere novella vera e 
propria. 

Similmente passeremo sotto silenzio le narrazioni che hanno 
fondamento nella storia, perché si tratta di un genere divulga- 
tissimo nelle letterature classiche. Vuolsi nondimeno avvertire 
che anche alcuni di questi racconti appaiono rifoggiati con in- 
tendimento addirittura novellistico, quale sarebbe quello attri- 
buito a Xanto in X, 415 c (= FHG. I, 38), relativo al voracissimo 
Camblete, re di Lidia, il quale una notte tagliò a pezzi la 
moglie, se la mangiò, e poi si nccise. L'episodio è riferito eziandio 
da altri (1); ma nella redazione di Ateneo, qual che ne sia l’au- 
tore, ci si presenta, benché in iscorcio, coi veri earatteri di una 
novella. 

Gli stessi caratteri appaiono in altri racconti di origine 
leggendaria: ragguardevolissimo tra tutti è quello di Menodoto 
Samio, in XV, 672 a (= FHG. III, 103), dove si narra la storia 
di Admeta, figlia di Euristeo, la quale, fuggendo da Argo, giunta 
a salvamento in Samo, per gratitudine verso Era, prende in 
custodia il tempio della dea. Quei di Argo, per perderla, indu- 
cono i pirati a rapire certa statua che si conservava nel tempio : 
ma ecco che, deposta la statua sulla nave dei pirati, questa non 
può più muoversi, e i pirati stessi per partire sono costretti a 


(1) V. Eustazio ad Odiss. IX, p. 356: qui però l’ aneddoto, anziché a 
Camblete, è riferito a Cambise. Della voracità di Camblete fa cenno anche 
Erano, Var. Hist., I, 27. 


426 LUIGI VALMAGGI — PER LA NOVELLA NELI ANTICHITÀ 


sbarcarla. Anche qui lo svolgimento dei singoli particelari è il 
proprio della novella. 

Ma l'esempio piu insigne di tal sorta di svolgimento l’ab- 
biamo in XII, 554c sgg., dove è un racconto che ha per tema 
la gara di due ragazze, che contendono motépa ein xaX\imuyoTtépa. 
Il tema non è nuovo: qualche cenno ne abbiamo nei giambografi 
Cercina e Archelao (presso Ateneo, ib., 554d ed e); di più compare 
nella poesia epigrammatica (Anth. Gr. vol. I p. 95 Stadtmiiller), 
ed è trattato con molta crudezza di tinte in una nota. lettera 
di Alcifrone (IV, 11 Schepers=1I, 39 vulg.). Se non che i par- 
ticolari di quest’ultimo sono puramente descrittivi, laddove quelli 
introdotti da Ateneo hanno carattere apertamente narrativo. Lo 
scrittore espone in breve la contesa delle due fanciulle; poi le 
fa imbattersi in un giovine, al quale viene sottoposto il giudizio 
definitivo. Il giovine esamina e sentenzia; ma si innamora di 
una delle due ragazze, mentre in seguito il fratello di lei sì in- 
namora dell’altra. Dopo qualche peripezia, le fanciulle finalmente 
sì sposano, e in memoria della gara e della lieta sorte, dedicano 
un tempio a Venere Callipigia. Il racconto può essere derivato 
dai due giambografi dianzi menzionati, come suppose lo Schweig- 
haeuser, o anche dalla tradizione popolare: se non che ciò che 
pit importa al nostro proposito è constatare come lo svolgimento 
datogli da Ateneo è in tutto conforme ai procedimenti tecnici 
del genere novellistico, talché lo scrittore, sia Ateneo stesso, o 
altra fonte dalla quale egli attingesse, pare avere l’intendimento 
precipuo di esilarare e dilettare i lettori, secondo il carattere 
che fu ed è tuttavia proprio della novella, 

L’ Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 22 Marzo 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: BeRRUTI, Mosso, Spezia, SEGRE, PEANO, 
JapANZA, Foà, GuIipi, FrLeti, PARONA, MaArTIROLO, MoRERA, 
Grassi e CAMERANO, Segretario. 


Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente. 

Il Presidente presenta in dono all'Accademia a nome del 
Socio corrispondente Victor FATIO sei note di argomento zoo- 
logico. 

Il Socio MorERA presenta in dono all'Accademia a nome 
dell’autore Dr. Tommaso Boero una memoria intitolata: Sul- 
l'integrazione di alcune equazioni lineari alle derivate parziali, 
Milano, 1902. 

Il Socio MartIROLO presenta in dono all'Accademia a nome 
dell'autore Dr. Giuseppe Gora una nota intitolata: Lo zolfo ed 
i suoi composti nell'economia delle piante, Genova, 1902. 

Vengono accolti per la pubblicazione negli Atti accademici 
i lavori seguenti: 

1° Ricerche petrografiche sulle valli del Gesso (Valle del Sab- 
bione), del Dr. Alessandro RoccatI, presentata dal Socio SPEZIA; 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 29 


498 

2° Risoluzione del problema generale dell’induzione elettro- 
dinamica nel caso di un piano conduttore indefinito, del Dr. Tom- 
maso Bogaro, presentata dal Socio MorERA. 

Viene accolto all'unanimità dei votanti per l'inserzione nei 
volumi delle Memorie il lavoro seguente: / funghi Ipogei italiani 
raccolti da ‘0. Beccari, L. Caldesi, A. Carestia, V. Cesati, P. A. 
Saccardo, del Socio MarTIROLO. 

Il Socio PARONA presenta per l'inserzione nel volume delle 
Memorie un lavoro del Dr. Carlo ArrAGHI intitolato: G% Echini 
della scaglia cretacea veneta. 

Questa Memoria viene affidata ad una Commissione costi- 
tuita dai Soci PARONA e CAMERANO, affinchè ne riferisca al- 
l'Accademia. 

. Il Socio Fox presenta pure per l'inserzione nel volume 
delle Memorie un lavoro del Dr. Alfonso Bovero intitolato : 
Canali venosi emissari-temporali. 

Questa Memoria viene ‘affidata ad una Commissione .costi- 

tuita dai Soci Foà e CamerANO, affinchè ne riferisca .all’Acca- 


demia. 


__TTrTTT<L.«*WWWar-- 


ALESSANDRO ROCCATI — (RICERCHE ‘PETROGRAFICHE, Ecc. 429 


—_: + — SS 


LETTURE 


Ricerche petrografiche sulle Valli del Gesso 
(Valle del Sabbione). 
Nota del Dott. ALESSANDRO ROCCATI. 


(Con una Tavola). 


Colla presente nota inizio uno studio petrografico sulle roccie 
cristalline delle valli del Gesso nelle Alpi Marittime. 
Quantunque la zona cristallina, conosciuta sotto il nome di 
massiccio del Mercantour e dell’Argentera, nella quale si aprono 
le dette valli, presenti un potentissimo sviluppo e molto si sia 
pubblicato sulla sua orografia e stratigrafia, pure come fa giu- 
stamente rilevare il Franchi (1) mancano ancora studi petrografici 
particolareggiati sulle numerose roccie che con i gneiss ed i graniti 
costituiscono la zona in questione. A mia conoscenza i lavori 
che danno qualche cenno petrografico sulle roccie della regione 
sono quelli di Franchi (2), di Viglino (3) e di Zaccagna (4). 
Feci le mie ricerche in tutte le valli che confluiscono al 
Gesso di Valdieri a monte di questo comune, le quali tutte, 
almeno nella loro parte superiore, sone incise nelle roccie cri- 
stalline; però in questa nota mi limito alla valle del Sabbione. 
Questa si inizia poco sopra il comune di Entraque, punto 
ove il suo torrente si congiunge al Gesso di San Giacomo, e 
si continua per un’estensione di parecchi chilometri limitata 
quasi sempre regolarmente a destra da schisti, calcari, dolomie 


(1) Relazione sui principali risultati del rilevamento geologico nelle Alpi 
Murittime eseguito nelle campagne 1891-92-98, © Boll. R. Comit. Geolog. ,, 
anno 1894, N. 3. 

(2) Lavoro citato e Sull’età mesozoica della zona delle pietre verdi nelle 
Alpi Occidentali, È Boll. R. Com. Geol. ,, anno 1898, ni 3 e 4. 

(3) Escursioni e studi preliminari sulle Alpi marittime, “ Boll. del C. A. I. ,, 
anno 1897, vol. XXX, N. 63. 

(4) Sulla Geologia delle Alpi occidentali, “ Boll. R. Com. Geol. ,, a. 1887, 
ni 11 e 12. 


430 ALESSANDRO ROCCATI 


ed altre rocciè sedimentarie o metamorfiche riferite al Trias ed 
al Permiano e che la dividono dalla valle della Vermenagna. 
A sinistra è invece limitata da roccie cristalline, le quali comin- 
ciano ad affiorare presso Entraque, sebbene ricoperte alla base 
da potenti formazioni moreniche, e si proseguono formando una 
catena che in varî punti supera i 2500 metri fino al Colle del 
Sabbione dividendo la valle da quella di San Giacomo. La zona 
cristallina sul lato sinistro è ininterrotta e solamente in alcuni 
punti passa al lato destro della valle, come ad esempio avviene 
alla Rocca dell’Abisso dove essa è a contatto colle roccie. 
permiane. 

Queste roccie cristalline sono essenzialmente costituite da 
gneiss, graniti e dioriti, essendo queste ultime assai sviluppate 
sotto forma di diechi e stratificazioni in diretto rapporto con i 
gneiss e graniti per modo che si hanno numerosi ed evidenti 
termini di passaggio, come potei osservare fra le altre località 
presso al ponte Soffiet lungo la mulattiera reale che da Entraque 
risale la valle fino al colle del Sabbione. Si ha quindi un’as- 
sociazione di roccie intimamente collegate per cui da graniti e 
gneiss tipici si passa rispettivamente a graniti e gneiss anfibolici 
ed a dioriti compatte e schistose. 


Diorite. — (Questa roccia presenta uno sviluppo molto po- 
tente poichè non è limitata esclusivamente alla valle del Sabbione, 
ma è anche assai diffusa in altri punti del massiccio; così la 
incontrai abbondante nella valle di San Giacomo nel versante 
opposto alla catena divisoria della valle del Sabbione; nella 
parte inferiore del vallone delle Finestre e con minor frequenza 
nel vallone delle Rovine in prossimità del lago omonimo, più 
in alto salendo al colletto di Laura, nei dintorni del lago Brocan 
e lungo la mulattiera che per il colle delle Fenestrelle fa comu- 
nicare l’alto vallone delle Rovine con quello delle Finestre. 

Una grandissima quantità di frammenti provenienti dalla 
diorite s'incontrano sotto forma di massi e ciottoli nelle morene 
e nelle alluvioni sia antiche che recenti non solo nei dintorni 
di Entraque e Valdieri, ma ben anche di Cuneo. Infatti il letto 
del Gesso presso questa città. contiene abbondanti ciottoli di 
tale roccia, la cui presenza mi fu segnalata dal prof. F. Sacco 
anche a Morozzo, a circa 10 km. dal punto attuale di confluenza 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 431 


del Gesso colla Stura; fatto questo che può aver importanza per 
la determinazione della direzione che in altri tempi doveva avere 
il corso del fiume Gesso. 

Malgrado questo potente sviluppo non mi risulta che finora 
alcuno abbia accennato alla presenza di diorite nelle dette località; 
soltanto trovai nella collezione litologica del Museo di Geologia 
di Torino un campione di questa roccia raccolto presso San Gia- 
como da Bartolomeo Gastaldi e da lui indicato appunto come 
“«“ diorite nel gramito ,. 

Il Franchi nel citato lavoro (1) enumerando le roccie del 
massiccio cristallino dell’Argentera non parla di diorite; però 
dopo aver distinto i gneiss in acidi e basici secondochè “ hanno 
la composizione mineralogica normale degli gneiss o presentano 
questa più o meno profondamente modificata dalla presenza come 
elementi costituenti, subordinati, importanti o prevalenti, di gra- 
nato, orneblenda, pirosseno, o calcite ,, parlando dei rapporti 
stratigrafici fra queste due serie di roccie così si esprime (2): 

«“ Queste roccie (le basiche) sono intercalate in quelle (le 
€ acide) in zone, in banchi, in lenti ed in amigdali o rognoni. 
“ Le intercalazioni variano da zone potenti centinaia di metri 
ed estese dei chilometri alle amigdali rigonfie grosse qualche 
metro e lunghe poco più ed ai rognoni grossi pochi centimetri. 

“ Il passaggio dalle roccie acide alle basiche è in generale 
brusco, e la zonatura delle amigdali di queste è sovente al 
contatto discordante con la stratificazione dello gneiss che lo 
include. Allo stesso modo si trovano inclusi basici che risve- 
“ gliano l’idea di inclusi di frammenti di roccie anteriori. Però 
«“ questa ipotesi è finora eliminata dal resto delle osservazioni ,. 

Siccome Franchi non accenna in modo preciso a località 
determinate, ma si limita ad indicare questo fatto in modo gene- 
rico, rimane dubbio se egli con queste sue parole intende real- 
mente di riferirsi alle roccie studiate da me, tanto più che come 
già ho fatto rilevare egli non accenna a dioriti. 

Nel caso in cui realmente ciò fosse, come può lasciar sup- 


“ 


“K 


« 


“ 


(1) Relazione sui principali risultati del rilevamento geologico nelle Alpi 
Marittime eseguito nelle campagne 1891-92-93, © Boll. R. Com. Geol. ,, a. 1894, 
N. 3, pag. 4. 

(2) Id., pag. 11. 


432 ALESSANDRO ROCCATI 


porre il fatto che i caratteri da lui rilevati sono appunto quelli 
in modo: speciale proprî delle dioriti da me studiate, io non credo 
di poter condividere questa sua opinione di un'associazione molto 
intima di due roccie, l’una acida e l’altra basica, perchè dal com- 
plesso delle osservazioni, risulta piuttosto trattarsi di una unica 
roccia.la cui struttura presenta come particolarità l’avere gli ele- 
menti non distribuiti in modo regolare, ma variamente dissemi> 
nati ed accentrati, risultandone quella variabilità di tipo che 
in alcuni punti potrebbe far supporre la presenza di varie roecie 
intercalate. 

Volendo accettare la. mia idea che si tratti realmente di 
una diorite occorre: di ammettere che l’anfibolo sia sempre: origi- 
nario e componente essenziale, cosa questa che sembra pure con- 
traria all’opinione di Franchi, secondo il quale, almeno in parte, 
l’anfibolo deriverebbe dalla uralitizzazione di un pirosseno. Ora 
io ritengo che nella roccia da me studiata un tale fenomeno non 
si manifesti in modo sensibile e che quindi la orneblenda sia 
sempre da considerarsi come minerale originario ed essenziale. 
È bensì vero che in qualche punto nel gneiss ho constatato là 
presenza, di pirosseno, ma non l’ho mai trovato nella diorite e 
dove esiste nulla vi è che accenni ad una sua trasformazione 
in orneblenda. 

La diorite si presenta con due strutture fondamentali distinte; 
l’una di aspetto granitoide, l’altra eminentemente schistosa. 

Quando ha struttura granulare oltre al tipo compatto rego- 
lare ove i componenti hanno proporzioni pressochè costanti e 
sono per lo più isodiametrici, per cui assume tinta biancastra 
o grigiastra in cui spicca il color verde scuro dell’orneblenda, 
la roccia presenta anche in molti punti un curiosissimo aspetto 
dovuto alla disuguale distribuzione dei componenti ed alla varia- 
zione della loro grossezza, avendosi passaggi graduati da: struttura 
macromera a struttura micromera ed afanitica. 

La roccia macromera ha; color bianco latteo in cui si possono 
distinguere granuli con aspetto vetroso di. quarzo e cristalli 
prismatici fibrosi di orneblenda verde scura con lucentezza subme- 
tallica sparsi nella massa feldepatica. 

Il quarzo è molto disugualmente distribuito, poichè si trova 
accentrato in plaghe o sparso in granuli ed anche mancante del 
tutto in molti punti. Pure l’anfibolo ha distribuzione molto irre- 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 493 


golare. Vi sono zone in cui manca si può dire totalmente, altre 
ove: è sparso: in rari individui, altre poi ove è concentrato abbon- 
dantemente formando plaghe irregolari a tinta scura. Talvolta 
è disposto in letti e strati, o. paralleli gli uni agli altri, oppure 
variamente contorti, sinuosi con direzioni irregolarissime a zig-zag, 
ripiegati su se stessi od. intersecandosi vicendevolmente; la potenza 
di questi strati è pure molto, variabile poichè si ha. passaggio 
anche repentino da strati di pochi millimetri ad altri di diecine 
di centimetri. 

Sonvi nella massa delle grandi zone irregolari dove la roccia 
assume la struttura granulare: regolare, circondate all’ intorno 
da una massa quasi priva di anfibolo. Non raramente la diorite 
assume aspetto porfiroide dovuto alla presenza. di grossi cristalli 
di plagioclasio, compiuti o in forma: di mandorle ed in cui net- 
tamente sono visibili le linee di geminazione, sparsi in una massa 
ove abbonda l’anfibolo mierocristallino, oppure di grossi cristalli 
di orneblenda. (ne: osservai di quelli lunghi fin 3. cent.) sparsi 
in punti ove invece scarseggia. l’anfibolo. 

Entro alla roccia compariscono di frequente noduli di gros- 
sezza molto variabile da pochi centimetri fino. a mezzo metro 
e più di diametro; tali noduli sono di diorite a struttura mi- 
cromera e presentano: tale abbondanza di anfibolo da assumere 
una tinta scura che spicca nettamente nel rimanente della roccia. 
a tinta chiara; in essi manca normalmente il quarzo che si trova 
invece abbondante nelle zone macromere circostanti. 

Intorno ai noduli gli strati di anfibolo prendono un aspetto 
fluidale evidentissimo ; i noduli poi hanno forma molto variabile: 
aleuni sono sferoidali, altri allungati in grosse mandorle, altri 
sono poligonali od a contorno irregolare quasi di frammenti bree- 
ciati a spigoli vivi oppure come smussati da. principio di fusione. 
A primo aspetto la roccia in molti punti sembra veramente una 
breccia in cui si avrebbero frammenti di una diorite più antica 
micromera inglobati in una massa costituita dalla diorite. ma- 
cromera. L'esame microscopico però dimostra trattarsi di una 
roccia unica poichè è evidente il graduale passaggio da un tipo 
all’altro; d'altronde vi sono punti ove sottili striscie. macromere 
fanno comunicare i moduli brecciformi ; in altri si ha inversione 
del fenomeno, cioè noduli macromeri inclusi nella roccia miero- 
mera, per cui l’aspetto è allora di una breccia formata. da fram- 


434 ALESSANDRO ROCCATI 


menti della roccia che nel primo tipo sembrava funzionare da 
cemento. La fig. 1 può dare un’idea della intricata struttura 
della roccia. Talvolta i noduli micromeri presentano la loro parte 
centrale di color verde-giallo omogeneo con aspetto compatto, 
oppure il nodulo è formato da strati alternati di questa massa 
apparentemente compatta giallo-verde con strati della solita 
diorite micromera, Lo stesso fenomeno si nota pure nei letti 
di anfibolo che, come dissi sopra, s'incontrano nella massa a 
struttura micromera. 

Una struttura molto curiosa osservata in un masso erratico 
mi sembra degna di nota; si hanno cioè strati di ugual spessore 
a struttura micromera alternanti, gli uni scuri ricchissimi in 
orneblenda con poco quarzo, gli altri chiari privi quasi di orne- 
blenda e molto ricchi di quarzo i cui granuli vetrosi sono visibili 
anche ad occhio nudo nella massa (fig. 2). i 

L'aspetto della roccia è allora schistoso, ma il fenomeno è 
solo apparente, poichè l’esame microscopico rivela il passaggio 
graduato da l’un tipo di roccia all’altro e si possono osservare 
cristalli di orneblenda giacenti parte in una zona, parte nell’altra, 
e lo stesso si dica per individui di quarzo. 

L'abbondanza del quarzo mi fa supporre esser questo uno 
dei termini di passaggio dalla diorite al gneiss; però per quante 
ricerche abbia fatto non essendomi riuscito di trovare tale tipo 
in posto mi limito ad indicarlo come una delle molteplici strut- 
ture della roccia. 

Nella diorite schistosa si possono avere come in quella com- 
patta due tipi distinti. L'uno è dato dalla diorite tipica in cui 
però i componenti e specialmente l’anfibolo disponendosi in strati 
regolari assumono struttura schistosa più o meno netta. 

L’altro tipo è eminentemente schistoso ed è dovuta tale 
schistosità alla presenza di abbondantissimo anfibolo disposto 
in strati regolarissimi di prismi allungati fibrosi. In questo caso 
la roccia osservata parallelamente alla schistosità si presenta 
di color nero o verde scuro omogeneo a seconda della qualità 
dell’anfibolo, che sembra essere l’unico componente; osservando 
però normalmente alla prima direzione si vedono fra gli strati 
di anfibolo sottili strati biancastri dovuti a feldspato plagioclasio, 
il quale forma anche venuzze che ‘attraversano la massa anche 
in direzioni normali alla schistosità. 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 435 


Queste varietà schistose della diorite sono piuttosto rare 
e formano intercalazioni frammezzo al gneiss; i due tipi di roccia 
presentano sempre distacco ben netto e solo l'esame microsco- 
pico rivela il passaggio dalla diorite al gneiss. 

La roccia deve esser stata sottoposta a potenti azioni mec- 
caniche, come dimostrano le numerose fessure che esistono nella 
massa e che furono per lo più riempite da quarzo granulare in 
alcuni punti associato a clorite in lamine esagonali od a epidoto 
in lungi prismi sottili di color verde giallognolo. Conseguenza di 
tali azioni meccaniche sono le frequenti traccie di rottura che 
si osservano nei componenti, i quali talora presentano sposta- 
menti nei frammenti, talora invece si presentano nettamente 
separati, ma non spostati (fig. 3). 

Una conseguenza notevole delle azioni meccaniche a cui fu 
sottoposta la roccia si è di trovare dei cristalli di' plagioclasio 
che furono contorti ed incurvati (fig. 4) senza che però com- 
pariscano traccie evidenti di rottura. 

Componenti della roccia sono: plagioclasio, anfibolo, quarzo, 
ortosio, epidoto, apatite, sfeno, ematite e zircone; come prodotti 
di alterazione o di formazione posteriore si hanno epidoto, zoizite, 
calcite, clorite, e limonite. 

Il plagioclasio è l'elemento predominante nelle varietà com- 
patte; si presenta al microscopio talora in individui che presentano 
sezione cristallina ben distinta, ma più comunemente in granuli 
a contorno irregolare, modellati gli uni sugli altri o sugli altri 
componenti. 

Esso presenta tre geminazioni ben evidenti: la più comune 
è secondo la legge dell’albite che si manifesta in finissime linee 
parallele, sulle quali misurai l’angolo di estinzione che da un 
minimo di 2° a 3° sale in certi casi fino a 15° e 19°. Questo 
valore dell’angolo di estinzione mi fa ritenere trattarsi di oli90- 
clasio, ma a composizione variabile, poichè nei termini in cui 
detto angolo raggiunge i massimi indicati si avrebbe un oligo- 
clasio fortemente calcico e quindi più basico dell’ altro a angolo 
minore. 

Associata alla geminazione secondo la legge dell’albite non 
è rara quella del periclino, le cui traccie si incontrano con quelle 
della prima con un angolo quasi retto. Più raramente potei 
osservare l’associazione di due individui geminati secondo la 


436 ALESSANDRO ROCCATI 


legge di Karlsbad e presentanti alla loro volta la geminazione 
dell’albite. 

Non manca il plagioclasio inalterato limpido: ed incoloro; 
esso però è comunemente alterato in una massa bianca lattigi- 
nosa, granulare, semiopaca con colori di polarizzazione quasi 
nulli e dove o nom compariscono più o soltanto confusamente 
le linee di geminazione. Un altro. prodotto di alterazione fre- 
quente è la zoisite in granuli o aghetti finamente intrecciati, che 
se talora non formano se: non un nucleo nell’interno delle sezioni, 
in altri punti le riempiono del tutto. 

Non: di rado trattando con acido cloridrico il plagioclasio 
si ha notevole effervescenza dovuta alla presenza di calcite, la 
quale, quantunque date le condizioni della roccia non si possa 
escludere assolutamente che provenga da infiltrazioni, pure 
ritengo piuttosto dovuta ad alterazione del feldspato, poichè se 
l'alterazione in calcite non è comune nei plagioclasi acidi, non 
è però da escludersi, tanto più nel caso mio in cui si tratta di 
un oligoclasio. relativamente molto basico. 

Nel plagioclasio notai inclusioni di un altro fel@spato, analo- 
gamente a quanto: avrò: occasione di accennare più a lungo par- 
lando del granito, di quarzo in granuli che nei cristalli porfirici 
del feldspato raggiungono tali dimensioni da potersi scorgere ad 
occhio nudo, di ematite in laminette e di 2ircone im prismetti 
per lo più tozzi ma in generale ben definiti. 

Associato al plagioclasio, ma come minerale accessorio, si 
nota l’ortosio sempre in granuli a contorni indistinti e più piccoli 
di quelli del plagioclasio ; all'opposto di questo è normalmente 
inalterato o presenta solo: un nucleo torbido interno dovuto ad inci- 
piente alterazione. È limpido, incoloro:con colori di polarizzazione. 
grigio-azzutri e caratteristica estinzione ondulata; rari sono gli 
individui geminati e questi secondo la legge di Karlsbad. Talvolta 
i cristalli furono rotti ed i frammenti spostati e ricementati fanno 
assumere all’ortosio struttura a. mosaico. 

Si hanno qui inclusioni analoghe a quelle incontrate nel 
plagioclasio. 

L'anfibolo, che nelle varietà schistose della roccia predo- 
mina sugli altri componenti, è in cristalli prismatici allungati, 
fibrosi che a seconda del taglio dànno sezioni allungate a ter- 
minazioni indistinte o come sfilacciate, striate longitudinalmente 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 437 


e non di rado con i margini corrosi, oppure sezioni rombiche a 
contorno ‘ben netto e che presentano le linee di sfaldatura 
intrecciate a. reticolo. L’anfibolo è generalmente ben conservato 
limpido; però in alcuni punti esso forma plaghe a contorno 
irregolare di color verde cupo torbido, senza linee di sfaldatura 
e con debole pleocroismo. 

Si notano nella roccia tre varietà di anfiboli: la più comune 
è orneblenda tipica di color verde cupo con pleocroismo verde 
scuro, verde bruno; bruno; non sono rari i geminati secondo 010 
e l'angolo di estinzione oscilla fra 17°, 19° e 21°. 

l’altra varietà è pure orneblenda, ma di color verde azzurro 
con pleocroismo azzurro, verde-azzurro, verde carico e angolo 
di estinzione identico a quello della prima varietà. In alcuni 
punti l’anfibolo è più chiaro ed ha pleocroismo verde azzurro, 
verde-giallo e bruno chiaro. ed il suo angolo di estinzione 
misurato sulle linee di geminazione mi diede un valore di 15°, 
il che non esclude che sia ancora da considerarsi. come orne- 
blenda. 

Finalmente havvi un terzo anfibolo con caratteri analoghi 
ai due primi, ma perfettamente incoloro con angolo di estinzione 
identico o di pochissimo inferiore all’orneblenda tipica, dotato 
di altissimi colori di polarizzazione e non raramente di notevole 
dispersione. Questi caratteri mi fanno ritenere che possa trat- 
tarsi di edenite che appunto presenterebbe tali caratteri. 

Interessanti sono i rapporti fra i tre anfiboli: anzitutto si 
possono trovare isolati e ben distinti ed anche prevalenti or 
l’uno or l’altro nei varì punti della roccia; più abbondante è 
però sempre l’orneblenda tipica e solo localmente sono diffusi 
l'azzurro e la varietà incolora. 

Più comunemente i tre anfiboli sono associati dando luogo 
a molteplici e curiose strutture; così si possono incontrare sezioni 
di anfibolo verde che contengono nel loro interno plaghe irre- 
golari incolore od azzurre (più raramente queste ultime), od 
inversamente cristalli incolori che hanno internamente zone di 
color verde, oppure azzurre con nuclei o verdi od incolori. In 
altri individui l’interno. del cristallo è di um colore mentre i 
bordi o le terminazioni sono di altro. Sì hanno anche cristalli a 
striscie alternate verdi od incolore con passaggio graduato da 
una tinta all'altra oppure distacco ben netto; più raramente si 


438 ALESSANDRO ROCCATI 


hanno contemporaneamente le tre colorazioni alternanti rego- 
larmente in uno stesso individuo. 

Notevole è il fatto che in grossi cristalli costituiti appunto 
di zone alternate incolori e verdi le linee di sfaldatura si con- 
tinuano esattamente da una zona all'altra ed a luce polarizzata 
soltanto si distinguono le zone per i diversi colori d’interferenza 
essendo identica l'estinzione. 

Havvi pure accrescimento parallelo con isorientazione di 
individui a colorazione differente ma sempre con estinzione per- 
fettamente uguale e solo in pochi casi notai cristalli incolori che 
presentano nell’interno fibre di orneblenda verde con differente 
orientazione dell’individuo maggiore. Interessante è il caso di 
cristalli allungati presentanti una fessura normale all’allunga- 
mento nella parte mediana ed ai lati della fessura con distacco 
netto senza passaggio o sfumature da una parte il color verde 
e dall’altra l’azzurro. Caratteristica è poi l'associazione indicata 
dalla fig. 5, ove un grosso cristallo incoloro ben definito si con- 
tinua con netto distacco in orneblenda tipica. 

In certi punti finalmente l’anfibolo osservato con forte ingran- 
dimento risulta formato da fibre distinte dei varì anfiboli disposte 
parallelamente od intrecciate od anche su ogni singola fibra si 
possono vedere alternare le tre colorazioni. 

Le stesse varietà di anfibolo con i medesimi caratteri e le 
identiche associazioni si hanno nelle varietà schistose della roccia, 
soltanto in esse i diversi anfiboli sono meglio individualizzati, 
poichè si hanno punti ove predomina or l’una or l’altra specie 
di orneblenda, essendo l’altra solo più accessoria o mancando del 
‘ tutto; conseguenza di questa distribuzione dell’anfibolo si è una 
variazione nella tinta della roccia che prende color verde più 
o meno intenso a seconda del prevalere dell’orneblenda tipica o 
della varietà verde-azzurra. Quantunque l’anfibolo incoloro sia 
per lo più nella roccia schistosa associato all’orneblenda, trovai 
in un campione di tale roccia una disposizione regolare fra anfi- 
bolo incoloro ed orneblenda tipica, che stanno in strati alternati; 
per cui tagliando nella roccia preparati parallelamente alla schi- 
stosità ne ebbi di molto chiari con prevalenza dell’anfibolo incoloro 
ed altri scuri ove predomina invece l’orneblenda. 

Per quanto riguarda l’anfibolo incoloro, che ho riferito ad 
edenite, mi pare fuori di discussione che si tratti di una specie 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 439 


minerale distinta formatasi contemporaneamente all’orneblenda; 
infatti esso è sempre limpido, per lo più con distacco ben 
netto dalle due altre varietà quando ad esse è associato, ed è 
importante che lo si trova anche isolato in molti punti della 
roccia. 

In quanto alla varietà di orneblenda azzurra non credo 
neppure che si possa ammettere la sua provenienza da altera- 
zione dell’orneblenda tipica e ritengo più logico l ammettere 
l’esistenza di due varietà di orneblenda con differente tenore in 
ferro, che porterebbe la variazione nel colore. Infatti se in alcuni 
punti vi è associazione intima fra i due anfiboli e passaggio 
graduatissimo dall’uno all’altro, sta però il fatto che per lo più 
il distacco negli individui ben conservati è netto; così pure si 
hanno individui dell’anfibolo azzurro isolati ed anzi esso entra 
come componente quasi esclusivo insieme al plagioclasio in 
certe varietà della roccia schistosa. 

Prodotti di alterazione dell’anfibolo, oltre al minerale verde 
torbido non pleocroico a cui ho sopra accennato, sono clorite e 
limonite; quest’ultimo minerale sì trova a formare come un orlo 
giallastro ai cristalli o si trova insinuato fra le fibre dell’anfibolo. 

Comuni negli anfiboli sono inclusioni di quarzo, di apatite, 
di ziîrcone e di feldspato triclino, generalmente però alterato analo- 
gamente a quanto accennai per il plagioclasio della roccia. In 
qualche punto notai pure inclusioni di ematite in laminette rosso- 
vive talora con un orlo giallo di limonite. 

Notevole infine è il fatto che certe fessure esistenti nella 
massa laddove attraversano l’orneblenda furono riempite da un 
anfibolo secondario più chiaro. 

Sparsi nella massa si trovano grani irregolari o fibre allun- 
gate di epidoto incoloro o giallo chiaro verdognolo. L’epidoto è 
anche in certi punti prodotto d’alterazione dell’orneblenda ed 
allora si trova in fibre associate a quelle dell’anfibolo o forma 
le terminazioni dei cristalli di questo. 

L’epidoto come prodotto di alterazione dell’orneblenda è 
comune nei nuclei di color giallo verde che ho detto incontrarsi 
nei noduli brecciformi della roccia macromera; infatti al micro- 
scopio questi nuclei risultano formati da grani e fibre di color 
verde giallognolo di epidoto associato a fibre di orneblenda o 
di anfibolo incoloro; alcuni dei noduli poi sono esclusivamente 


440 ALESSANDRO ROCCATI 


formati da intreccio di fibre di epidoto che è quello che dà: il 
colore alla roccia. 

Il quarzo ha diffusione molto irregolare; esso in certi punti 
della roccia manca del tutto, mentre in altri è abbondantissimo, 
sparso nella massa in granuli irregolari od accentuato a formare 
plaghe vetrose che si scorgono facilmente ad occhio nudo. Il 
quarzo ad ogni modo è sempre molto più abbondante nelle varietà 
compatte che nelle schistose, ove, specialmente nelle varietà 
molto ricche in anfibolo, manca si può dire del tutto. 

Esso è incoloro, limpido con frequenti traccie di rotture ed 
abbondanti inclusioni di zircone sotto forma di prismi a termi- 
nazioni indistinte, e più raramente di cristalli perfetti prismatici 
con terminazioni ottaedriche. Altre inclusioni in finissimi aghetti 
riferisco ad apatite. 

Il quarzo non di rado forma il riempimento delle fessure 
esistenti nella roccia. 

Abbondante ma anch'esso molto disugualmente distribuito è 
lo sfeno; infatti mentre in taluni punti manca del tutto, in ‘altri 
punti va gradatamente aumentando fino ‘a raggiungere tale dif- 
fusione da potersi in qualche zona considerare come elemento 
accessorio caratteristico. Si presenta per lo più in cristalli che 
danno sezioni rombiche ‘allungate acute, triangolari o cuneiformi, 
oppure in granuli sferoidali; gli individui sono talora così volu- 
minosi da raggiungere le dimensioni dei cristalli di anfibolo. 

Ha color bruno chiaro e per lo più sono ben evidenti le linee 
di sfaldatura; il pleocroismo va dal bruno chiaro all’incoloro, i 
colori di polarizzazione sono poco vivi e la dispersione è sensibile. 

Abbondante è pure l’apatite in grossi granuli a contorno 
sferoidale ed ovoidale, oppure in cristalli che dànno sezioni ret- 
tangolari allungate od \esagone; le dimensioni degli individui 
sono talora così rilevanti da potersi osservare ad occhio nudo 
nei preparati. 

L’apatite o è inclusa nei componenti o sparsa nella massa; 
è incolora, ha estinzione retta e colori di polarizzazione grigio- 
azzurri; le sezioni esagone si mantengono estinte a nicols in- 
crociati. 

La roccia ridotta in polvere e trattata con acido nitrico mi 
permise di ottenere ben evidente la reazione caratteristica col 
molibdato ammonico. 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 441 


Nei granuli maggiori di apatite notai talvolta inclusioni 
di quarzo. 


Gneiss. — Il gneiss è la roccia più diffusa nella località; 
non presenta tipi molto variati per struttura e la schistosità è 
sempre ben evidente. 

Se la struttura è poco variabile, varia invece molto la com- 
posizione, poichè da gneiss anfibolici in cui manca totalmente 
la mica si passa per termini intermedî ove havvi contempora- 
neamente anfibolo e mica a gneiss tipici con mica, biotite e 
muscovite. Fra questi ultimi osservai due notevoli varietà: L’una 
comparisce verso la sommità del colle del Sabbione; è molto 
compatta e dura quantunque eminentemente schistosa; ha color 
nero se osservata parallelamente alla schistosità, nella qual di- 
rezione la roccia sembra formata quasi esclusivamente da lamelle 
di biotite; normalmente a questa direzione si notano straterelli 
di color biancastro che alternano molto regolarmente con quelli 
di biotite e che hanno pressochè lo stesso spessore. Questi stra- 
terelli sono costituiti da quarzo e plagioclasio con rara mica. 

L’altra varietà s'incontra come accidentalità nel gneiss nor- 
male. È un gneiss del tipo di quelli che il Franchi (1) menziona 
sotto il nome di gneiss laminati; esso presenta la superficie di 
schistosità di color nericcio lucente con aspetto sericitico. Al 
microscopio compariscono fascie sottili parallele formate da bio- 
tite, fra le quali sono accentrati gli altri componenti. 

Minerali componenti del gneiss sono: quarzo, ortosio, micro- 
clino, plagioclasio, anfibolo, mica (biotite, muscovite), epidoto, sfeno, 
apatite, ematite e zircone. 

Il quarzo è sempre ‘abbondantissimo in granuli irregolari 
modellati sugli altri componenti; è limpido, incoloro, per lo più 
minutamente fessurato; non è rara in esso l’estinzione ondu- 
lata; abbondanti sono inclusioni di ‘microliti ed altre facilmente 
discernibili di eircone, talora in cristalli perfetti costituiti da 
prismi quadrati terminati da ottaedri. 


(1) Relazione sui principali risultati del rilevamento geologico nelle Alpi 
Murittime eseguito nelle campagne 1891-92-93, “ Boll. R. Com. Geol. ,, a. 1894, 
N. 3, pag. 6. 


442 ALESSANDRO ROCCATI 


Il quarzo si trova anche in minuti granuli associati all’or- 
tosio, assumendo caratteristica struttura a mosaico. 

Pure in granuli irregolari è l’ortosio ben conservato, limpido, 
incoloro, o che presenta nell'interno un nucleo torbido dovuto 
ad incipiente alterazione. È raramente geminato secondo la legge 
di Karlsbad, presenta talvolta struttura zonata ed ha per lo più 
estinzione ondulata. 

Non rare nell’ortosio sono inclusioni di dimensioni variabili, 
alcune sferoidali, altre a contorno irregolare e con varie dimen- 
sioni, di plagioclasio per lo più alterato, ma che in alcuni punti 
lascia ancora scorgere le linee della geminazione polisintetica. 
Altre frequenti inclusioni si hanno di quarzo, apatite e zircone. 

Spesso frammezzo all’ortosio trovasi del microclino, poco 
abbondante, in stato abbastanza buono di conservazione e che 
a luce polarizzata presenta evidente la caratteristica struttura 
a reticolato. 

Il plagioclasio è molto meno abbondante dell’ortosio ed 
ha distribuzione irregolare, poichè mentre è scarso in taluni 
punti, diventa in altri frequente, specialmente nei termini di pas- 
saggio alla diorite; è sempre in granuli irregolari; presenta la 
geminazione secondo la legge dell’albite, con angolo di estinzione 
oscillante fra 4° e 13°; meno comune è la geminazione del pe- 
riclino associata alla prima. 

Quantunque non sia raro incontrare il plagioclasio abba- 
stanza ben conservato, esso è per lo più alterato in una massa 
biancastra, torbida, semiopaca, analogamente a quanto dissi per 
il plagioclasio della diorite. 

Come prodotto di alterazione si ha frequentemente della 
zoîsite in minuti aghetti. 

L'anfibolo che o accompagna la mica o localmente la sosti- 
tuisce, è l’orneblenda tipica di color verde scuro con pleocroismo 
dal verde scuro al verde bruno, al bruno; i caratteri sono ana- 
loghi a quelli indicati per l’orneblenda della diorite. Nel gneiss 
manca la varietà di orneblenda azzurra, non è però raro l’an- 
fibolo incoloro che ha le associazioni descritte sopra con l’or- 
neblenda. 

Sparse nelle masse della roccia si hanno fibre allungate di 
epidoto di color giallognolo od incoloro con distinte le linee di 
sfaldatura; ha forti colori d’interferenza. 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 443 


L’epidoto esiste pure in fibre associate a quelle di orneblenda 
di cui talora forma le terminazioni; in questo caso è logico am- 
mettere trattarsi d’un prodotto d’alterazione. 

La biotite è in scaglie o laminette irregolari od esagonali 
con i margini netti o corrosi ed evidenti finissime strie di sfal- 
datura; sovente le lamine sono deformate o contorte. 

Ha color bruno con forte pleocroismo dal giallo bruno, al 
bruno-nero, all’opaco. 

Come prodotto di alterazione la biotite dà una sostanza 
verde, torbida, non pleocroica; frequentemente contiene del- 
l’ematite in laminette o grani di color rosso vivo, nòn di rado 
alterati in limonite. i 

In qualche punto associata alla biotite trovasi della clorzte 
in laminette verdi chiare con evidente pleocroismo. 

La muscovite è meno abbondante della biotite, colla quale 
è sempre associata; manca poi del tutto nelle varietà di gneiss 
anfibolici. Essa è in laminette minute con caratteri analoghi a 
quelli della biotite; sono esse incolore e leggermente giallognole 
con alti colori d’interferenza madreperlacei. Entrambe le miche 
sono fortemente biassiche. 

Spesso nella massa della roccia, ma non mai molto abbon- 
dante, havvi dello sfeno in minuti cristalli, che dànno sezioni 
rombiche allungate di color bruniccio. 

L’apatite, sempre presente, è molto disugualmente distribuita, 
per cui mentre in alcuni punti si presenta in rari individui sparsi 
sporadicamente nella roccia o inclusi negli altri componenti, in 
altri punti è così abbondante ed in individui così voluminosi da 
potersi considerare, analogamente a quanto notai nella diorite, 
come elemento accessorio caratteristico. I caratteri sono quelli 
già indicati. 


Granito. Il granito forma come il gneiss una serie di 
tipi per cui da graniti anfibolici in cui manca assolutamente la 
mica si ha, per termini intermedì con mica ed anfibolo, passaggio 
al granito tipico dove più non esiste l’anfibolo. 

Delle miche si hanno biotite e muscovite associate, oppure 
solamente biotite, la quale in certi punti della roccia associata 
a plagioclasio in quantità rilevante, dà passaggio alla granitite. 

Ii granito è fra le roccie della valle la meno diffusa, non 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. i 30 


444 ALESSANDRO ROCCATI 


comparendo che come accidentalità fra i gneiss, nei quali si pre- 
senta in dicchi di varia potenza. 

Componenti sono: quarzo, ortosio, mica (muscovite e biotite), 
anfibolo, microclino, plagioclasio, epidoto, pirosseno, apatite, sfeno, 
zircone, ematite e pirite. 

Il quarzo è sempre granulare, modellato sugli altri compo- 
nenti; è incoloro, limpido; presenta talvolta estinzione ondulata; 
frequenti sono le traccie di rottura e le inclusioni specialmente 
di 2ircone. 

Forma anche filoncini sparsi nella massa con direzioni molto 
irregolari; contiene sovente dei cristalli prismatici allungati di 
epidoto verde giallognolo. 

L’ortosio, per lo più in buono stato di conservazione, è 
anch'esso granulare, limpido, incoloro; talora leggermente tor- 
bido per incipiente alterazione. Rari sono i geminati e questi 
sono secondo la legge di Karlsbad; presenta estinzione ondu- 
lata e non raramente struttura a mosaico. 

In qualche punto associato all’ortosio notasi un feldspato 
triclino, reso evidente dalla geminazione polisintetica, le cui la- 
mine sono interposte nell’ortosio in modo che le loro linee di 
geminazione sono normali a quella dell’ortosio, non potendosi 
quindi riferire il fenomeno ad un accrescimento micropertitico, 
nel quale le dette linee dovrebbero esser parallele. 

Notevole nell’ortosio è la presenza di abbondanti inclusioni 
sferoidali od a contorno irregolare di quarzo o di un plagioclasio 
che le geminazioni e l’angolo di estinzione mi portano a riferire 
ad albite; queste inclusioni presentano generalmente un nucleo 
interno scuro e sono attraversate per tutta la lunghezza dalle 
linee di geminazione che compariscono ben evidenti anche sopra 
il nucleo interno. Questo a forte ingrandimento presenta strut- 
tura granulare e lo ritengo dovuto ad un inizio di alterazione. 

Dette inclusioni sono in alcuni punti abbondantissime tanto 
da gremire l’ortosio; non rare sono anche inclusioni di apatite 
e di 2ircone. 

L’ortosio si trova anche associato al quarzo con struttura 
microgranulitica; tale associazione occupa i vani frammezzo ai 
grandi individui di quarzo ed ortosio. 

Uniti all’ortosio, ma con distribuzione molto irregolare, sono 
grandi individui per lo più ben conservati di microclino. 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 445 


Oltre ai feldspati sopra menzionati si ha del plagioclasio con 
abito granulare o cristallino più o meno distinto; i caratteri e 
le alterazioni sono analoghi a quanto ho descritto per quello 
della diorite. 

La distribuzione del plagioclasio è molto irregolare; mentre 
in aleuni punti della roccia manca si può dire del tutto, in altri 
aumenta fino a prevalere sull’ortosio, dando passaggio dove vi è 
la biotite ad una granitite e, dove abbonda l’anfibolo, alla diorite. 

Dell’anfibolo si trova quasi esclusivamente l’orneblenda tipica 
verde bruna con i caratteri sopra indicati; solo raramente notai 
la presenza dell’orneblenda azzurra, mentre manca del tutto la 
edenite. 

Talvolta nei cristalli di orneblenda le estremità si presen- 
tano con colore verde più chiaro e pleocroismo meno sensibile; 
in altri punti l’orneblenda si è ridotta in aggregati filamentosi 
che i colori e l'esame a luce polarizzata rivelano formati da un 
intreccio di fibre di attinoto con epidoto; il primo di color verde 
erba, il secondo verde giallognolo chiaro. 

Accentrate specialmente in vicinanza dei filoncini di quarzo 
che attraversano la massa si hanno laminette di clorite con co- 
lore verde chiaro ed evidente pleocroismo; con analoga giacitura 
esistono prismi allungati fibrosi di epidoto. 

La mica è duplice: biotite e muscovite. La prima non manca 
mai, per cui la si trova da sola od associata all’orneblenda od 
alla muscovite, dando passaggio alla diorite ed al granito nor- 
male. Ha color verde bruno con forte pleocroismo ed in certi 
punti è quasi opaca; talora ha colore bruno rossastro. 

È in lamine isolate od associate, variamente deformate, pie- 
gate, corrose; per lo più sono ben evidenti linee finissime di 
sfaldatura. Prodotti d’alterazione sono clorite, limonite, oppure 
una massa torbida verde scura senza pleocroismo. 

Frammezzo alle lamine di biotite si hanno talora liste inco- 
lore con alti colori d’interferenza di epidoto. 

La muscovite, che è associata alla biotite e talvolta prevale 
su questa, è in minute lamelle variamente aggregate, incolore o 
giallognole e che a luce polarizzata presentano vivissimi colori 
d’interferenza madreperlacei. 

Accessoriamente s'incontrano nella roccia piccoli individui 
prismatici allungati di pirosseno con color verde e sensibile pleo- 


446 ALESSANDRO ROCCATI 


croismo ; notevole è la fortissima dispersione che inni. 
non essendo mai completamente estinti. 

Raro è lo sfeno; abbondante invece l’apatite, sia inclusa nei 
componenti, che sparsa nella massa; i caratteri dei due minerali 
sono quelli già indicati. 

Nella roccia s'incontrano anche ematite e pirite; questa in 
laminette di color rosso vivo, quella in granuli che a luce riflessa 
hanno il caratteristico color giallo ottone; entrambi i minerali 
possono esser alterati in limonite. 

In zone ristrette della roccia il granito normale dà passaggio 
a noduli di identica composizione, ma a struttura nettamente 
macroscopica, raggiungendo i i componenti diametri fin di Lp ig 
centimetri. 

Nei detti noduli il quarzo è in grossi granuli vetrosi. con 
lucentezza grassa e frattura concoide; forma anche grosse inclu- 
sioni visibili ad occhio nudo nel feldspato. 

L’ortosio è in cristalli prismatici ben definiti o mancanti di 
terminazione distinta; ha color bianco latteo; comuni sono grandi 
geminati secondo la legge di Karlsbad. 

Grossi granuli si hanno di microclino e plagioclasio; quest’ul- 
timo è per lo più caolinizzato e solo in alcuni individui sono 
visibili le geminazioni secondo le leggi dell’albite e del periclino. 

Biotite e muscovite formano ampie lamine facilmente sfal- 
dabili; la muscovite è bianca argentea o giallognola con lucen- 
tezza madreperlacea: la biotite verde scura (bruno-rossastra al 
Tmnicroscopio) ha lucentezza submetallica; entrambe le miche sono 
fortemente biassiche. sf 

Non raro è l'accrescimento parallelo di biotite e muscovite, 
per cui frammezzo a lamine incolori ne compariscono altre brune 
con netto distacco fra le due varietà. Prodotto. di alterazione 
della biotite è in molti punti limonite. 

Nei feldspati macrocristallini sono abbondanti inclusioni gra- 
nulari di apatîte, che manca invece nei feldspati della roccia 
microcristallina circostante. 


Termino menzionando alcuni filoncini che spesso attraversano 
il gneiss ed il granito con direzioni molto irregolari e potenza 
variabile da pochi millimetri a pareccHi centimetri. 

Essi sono formati esclusivamente da quarzo granulare o da 


‘ROCCATI - Ricerche petrografiche Uti R. Accad. delle Scienze 
} > - 
di Forino . Vol. XXXVIII. 


— entra 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 447 


associazione granulare di quarzo, ortosio e plagioclasio; in altri 
il quarzo è accompagnato da cristalli allungati e finamente 
striati di epidoto e molto comunemente da abbondante clorite in 
laminette di color verde scuro di forma romboidale, talvolta con 
struttura vermiculare; tale clorite è pure inclusa nel quarzo e 
riveste pure in alcuni casi dei piccoli cristalli di quarzo ben 
definiti che si osservano in alcune minute geodi che si incon- 
trano nei filoncini. La clorite poi forma da sola alcuni dei filoncini 
e non di rado è alterata assumendo una tinta bruna per forma- 
zione di limonite. 

Filoni più complessi sono costituiti da quarzo, ortosto, clorite, 
epidoto in grossi prismi di color giallo miele, sfeno discretamente 
abbondante, ma sempre in individui microscopici, ed ematite in 
grossi granuli, talora alterati in limonite. 


Istituto Mineralogico della R. Università di Torino. 
Marzo 1903. 


—_— —ILBIEE»BL©Il'— 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Fig. 1*. — Particolarità di struttura nella diorite. Grandezza naturale. 
Fig. 2°. — Id. Id. Id. Id. Id. 
Fig. 3*. — Linee di frattura nella diorite senza spostamenti. 


Fig. 4. — Cristalli di feldispato plagioclasico contorti. 
Fig. 5°. — Associazione di edenite e di orneblenda. 


448 * TOMMASO BOGGIO 


— = 


Risoluzione 
del problema generale dell’induzione elettrodinamica 
nel caso di un piano conduttore indefinito. 


Nota di TOMMASO BOGGIO a Torino; 


In due importantissime Memorie (*) il Prof. Levi-Civita de- 
terminò l’influenza di un piano conduttore indefinito sul campo 
elettromagnetico generato o dalla traslazione uniforme di una 
carica elettrica parallelamente al piano conduttore, o da una 
corrente alternata, pure parallela allo stesso piano, ottenendo 
risultati notevolissimi sì dal punto di vista teorico che pratico. 

In questa Nota risolvo il problema generale di determinare 
l'influenza di un piano conduttore indefinito sopra un campo 
elettromagnetico qualunque: suppongo dapprima ($ 2) che il 
campo elettromagnetico inducente sia sinusoidale, poi considero 
($ 6) il caso generale. 


1. — Consideriamo un dielettrico indefinito, isotropo, im> 
polarizzabile, e in quiete, la cui omogeneità sia interrotta sol- 
tanto da alcune sedi X (isolate, a una, o a due dimensioni) di 
cariche e di correnti elettriche, e indichiamo con F, e (U, V, W) 
rispettivamente i potenziali elettrico e vettore ritardati (cioè 


(*) Levi-Crvira, Sur Ze champ électromagnétique engenadré par la trans- 
lation uniforme d’une charge Éélectrique parallèélement à un plan conduceteur 
indéfini (£ Annales de la Faculté des Sciences de l’Université de Toulouse ,, 
III série, t. IV, a. 1902). 

Ip., Influenza di uno schermo conduttore sul campo elettromagnetico di una 
corrente alternativa parallela allo schermo (“ Rendiconti della R. Accademia 
dei Lincei ,, serie 5, vol. XI, 1° semestre 1902). 

Cfr. anche: Levi-Crvira, La teoria elettrodinamica di Hertz di fronte ai 
fenomeni di induzione (Id., id., 2° semestre 1902). 

Picciari, Campo elettromagnetico generato dal moto circolare uniforme di 
una carica elettrica, ecc. (Id., vol. XII, 1° semestre 1903). 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 449 


Nella loro qualità di potenziali ritardati, FX, U, V, W verificano 
le equazioni: 


MT —0, LIU "0 [id Posse ]W=0 


fraz) 
e si comportano nei punti delle X come potenziali ordinarî delle 
distribuzioni corrispondenti. A priori queste possono essere qua- 
lunque, purchè soltanto (oltre a ovvie condizioni di continuità, 
di derivabilità, ecc.) sia soddisfatto il principio di conservazione 
dell'elettricità, che si traduce pan 


SE dU dW 


(11) A — “a de +9 “oo 0. 


Per tenere poi conto degli effetti prodotti dalla presenza 
di un conduttore, sopra un campo elettromagnetico assegnato, 
basta evidentemente aggiungere ai potenziali del campo i con- 
tributi provenienti dalle distribuzioni (di cariche e di correnti) 
che si destano per induzione sul conduttore. 

Designino F', U', V*, W' i potenziali del campo dato |[i quali 
devono naturalmente soddisfare alle equazioni (1), (1I)], F,, U,, 
V,, W, quelli (a priori incogniti) che provengono dalle distri- 
buzioni indotte. 

Per determinare #1, U,, V,; W, — oltre a ovvie condizioni, 
iniziali o qualitative, di continuità, di regolarità, di comporta- 
mento all’infinito, ecc. — abbiamo: 

a) le equazioni (I), (II); 
6) le equazioni che esprimono la legge di Ohm per la 
superficie conduttrice. 

Supponendo che quest’ ultima sia addirittura il piano con- 
duttore ==), che indicheremo anche con 0, è chiaro che sarà 
intanto W,=0, e le equazioni relative a tale piano potranno 
porsi sotto la forma: 


foedF die tiga Uil i dd dU' 
ani \ da +4 di h dia] — | da +4 dé 
) 0 
dr al terno retata ear 
dy TA dé 9* ù dle] | dy tA dt f 


450 TOMMASO BOGGIO 


ove — è una costante che dipende dalla resistenza dell'unità di 
superficie del piano conduttore, e |2| indica il valor assoluto 
di 2; poichè è chiaro che Y,, U,, V, possono riguardarsi come 
funzioni di |2| anzichè di 2, a causa della necessaria simmetria 
di queste funzioni rispetto al piano 0. 

Sicchè, in conclusione, si tratta di determinare tre fun- 
zioni regolari di , y, |2|,t che verifichino le (1), (Il), si annul- 
lino per |2|= 0, e per 2=0 verifichino le (III) 


2. — Supponiamo che 1 potenziali del campo (inducente) 
dato siano della forma: 


1) F=f0F", U=uQ)U", V'=9V", W=wd)W" 


ove f, u,v,w sono funzioni solo di t ed F", U”,V", W" dipen- 
dono solo da x, y, 2. 

È chiaro che queste funzioni non possono essere affatto ar- 
bitrarie, perchè infatti esse devono, come si disse, soddisfare 
alle (I), (II). 

Sostituendo le (1) nelle (I) si trova facilmente che le fun- 
zioni f, u,v,w devono essere integrali dell’equazione: 


dl i'av)li 
dei \9p? (ama non ? 


cioè devono essere della forma: 
Dren ori. 


ove m, c;, ca sono costanti arbitrarie (reali o complesse); ne viene 
poi subito che le funzioni F",U",V",W" devono soddisfare 
all’equazione: i 


‘Am A3.=.0. 


Un'altra condizione si otterrebbe sostituendo le (1) nelle (II). 

Ciò posto, supponiamo dapprima che i potenziali (inducenti) 
F',U',V' siano le parti reali (o immaginarie) di espressioni 
della forma: 


F'=étF" VU =etU", V'—=eity", (i=y-1), 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 451 


ove a è una costante reale, ed #",U",V" sono funzioni sol- 
tanto di , y, 2, aventi derivate dei primi 5 ordini finite; è 
chiaro allora che le posizioni precedenti rientrano nelle (1) e che 
il campo inducente considerato è sinusoidale. 

Proponiamoci, in conseguenza, di determinare (i potenziali 
indotti sul piano 0) F,, U,, V; nel caso che i potenziali indu- 
centi abbiano l’ espressione precedente. È chiaro che trovati 
F,,U,,V, basterà prenderne la parte reale (o immaginaria 
rispettivamente) per avere i potenziali indotti, sul piano 0, dal 
campo dato. 

Vediamo se si possono assumere #1, U,, V, sotto la forma: 


(2) F,= e! Fg, U, = e! U,, Vi, = 9, 


ove o è una costante reale da determinarsi, ed , Us, V3 sono 
funzioni solo di x,y, |2|, pure da determinarsi. 

Sostituendo le (2) nelle (I), (II) si trova intanto che le fun- 
zioni F3, Usa, V, devono soddisfare alle equazioni: 


(8) A, + a?1*=0 


(4) ia AF, + dia ale n ci 


Sostituendo poi le (2) nelle (IIl) si ha, per a=0: 


\ gie Sha + ia Aei98TT,— heiat DI isù 2h gia di — ia Aeit YU!" 
N L d S 7. A 7a ni 3 
Î Lidia + iaAeiV,— hei TI ==— gia “î — ia dei V"', 
cioè: 
\ e Lia4U, —H Ti = ela +ia AU") 
(5) |< 
Î ri +ic4V,— RIA = — gite) (LE +iadV") 


derivando rispetto a # si ha: 


\ (a—a)(Î +iad0”")=0 


Î (a — a) (SE +iadV") =0, 


452 TOMMASO BOGGIO 


onde, supponendo che le funzioni 


dF" ; 7 de" ; 
(6) bs, + ia AU" , dy + ia AV! 


non si annullino entrambe per 2=0, dovrà essere: 
aa 


così la costante a è già determinata, e le equazioni (8), (4), (5) 
possono perciò scriversi: 


(31) A, + a2A°?=0 
4' Una Va 
(4°) ia AF3+ da dy = 0 
dF3 , dUg dA” 
da TIGAU:Th dz] = —_ p 
6) de: dU tati 
2 D sgamme — 
Ù +19 AVA q, 


ove p,q sono quantità conosciute, e precisamente rappresentano 
il valore delle funzioni (6) per 2=0. 

Dall’ipotesi fatta sulle funzioni F", U”, V", segue che le 
funzioni p, g, e le loro derivate parziali rispetto ad ,y dei 
primi 4 ordini, sono funzioni finite, e noi supporremo inoltre che 
nei punti all’ infinito del piano 0 si annullino di ordine supe- 
riore al secondo. 

Ora, in virtù di un teorema del Prof. Picciati (*), esiste 
una sola funzione che soddisfa all’ equazione A, + 4? = 0, per 
z=0 assume valori dati, e inoltre soddisfa alle condizioni se- 
guenti, che, per brevità, chiameremo condizioni fondamentali i 

a) è regolare per tutti i valori reali di «,y, e positivi 
di |2| (cioè è regolare nel semispazio in cui 2 > 0); 
5) si annulla, colle sue derivate prime, per |2]= 00, come 
1 
GP almeno. 
Perciò, nel caso nostro, se indichiamo con P, @ le funzioni 


(*) Piccrati, Nota citata. 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 453 


che soddisfano alla (3'), alle condizioni fondamentali, e per 
=0 diventano rispettivamente eguali a —p e a — g, tali 
funzioni sono uniche; allora considerando le coppie di funzioni: 


(av eo, eclop) 
i dF; a dV: 
| eri +ia AV, —h ale] 9 0) ’ 


le (5') mostrano che, per == 0, le funzioni della prima coppia, 
e così pure quelle della seconda, assumono valori eguali; e 
poichè, pel teorema sopra ricordato del Picciati, non vi possono 
essere due integrali della (3'), che verifichino le condizioni fon- 
damentali, e prendano gli stessi valori per 2=0, così dobbiamo 
concludere che si ha identicamente (e non soltanto per 2=0): 


d U3 


ape nb 
0A da AVI (ea g 
* 


dle] 


Siamo pertanto ridotti a integrare il sistema (3'), (4), (7), (8) 
mediante funzioni Fs, U2, Va di x,y, |z| regolari per tutti è va- 
lori reali di x,y, positivi di |2| e nulle per |e|=. 


3. — Per ciò fare incomincieremo a dedurre da queste 
equazioni un’altra contenente solo la funzione 7). 

Deriviamo perciò la (7) rispetto ad «, la (8) rispetto ad y, 
e sommiamo, si ha: 


si dti dU, dV, d dU, AV | dQ , 

tatidlataà ala taanta 
ora dalla pr si ha: 

cli d°F, A d°F, 2 42 
3 + dy? e "Ti d[z|} ana A Fs, 
perciò si può scrivere: 
d?F; dF 

(9) er al: ti 1ha A d|z ni nn 


dU, | dVa QU, | dVa\__aP_; de 
diad(iadr + TR tata 


454 TOMMASO BOGGIO 
e, ricordando la (4'): 


ST 
alzP 


dig te e LIE 


(10) d|z] da dy ’ 


che è l'equazione che volevamo ottenere. 

Ciò posto, io dico che il sistema (3'), (4/), (7), (8) è equi- 
valente al sistema (3'), (10), (7), (8); basterà dimostrare che da 
quest’ultimo sistema si può ricavare la (4'). 

Orbene la (9), ricordando la (10) diventa: 


iaA (\a4r+ 7? dai n Lo |iadF:+ “2 + i = 0, 


dz] 
sn d dia 1 > - È ve 
che, ponendo c — =“? puo ScrIiversi: 


(11) Ta (iaAF,+ 92 dl La vd i ici lia AF,+- 52 _ ca )=0 


e l’integrale generale di quest’equazione è della forma: 


(aAF3 ++ 7 — pel, 


ove @ è una quantità indipendente da |2]; ora per |2|= co il 
secondo membro è indeterminato, mentre il primo deve annul- 
larsi, bisogna perciò che sia ®=0, e quindi 


dVa _ 


dU: 
IRAP, SaS pe 


che è precisamente la (4'). 

Basterà dunque integrare il sistema (3'), (10), (7), (8) me- 
diante funzioni Fs, Us, Vs di x,y, |z|, regolari per tutti i valori 
reali di x,y, positivi di |2|, e nulle per |a|= 0. 

Dalla (10) integrando rispetto a |2| fra un valore Benerioo 
ed co si deduce: 


(12) Fre idr,=f (SE +e) dla], (6=ha 4); 


se ora si considera la funzione: 


a 1000 ‘biz =00 dP d 
(13); «E, == e4M1 TR alz1f,.($7 so 7 )%21; 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 455 


(nella quale le integrazioni fra |2| e co hanno effettivamente 
senso, per le ipotesi fatte circa il comportamento di P e @ 
per |2|= 00), essa soddisfa alle (3’), (12), è regolare per tutti 
i valori reali di x,y e positivi di |2|, e si annulla per |2|]= 0; 
orbene io dico che tale funzione è anche l’unica che soddisfa a 
tutte queste condizioni, perchè se esistessero due di tali fun- 
zioni, la loro differenza ® verificherebbe intanto l’equazione 
d® 


e si annullerebbe per |z|= 00; ora, l'equazione precedente es- 
sendo dello stesso tipo della (11), si conclude, come in quel 
caso, che deve essere identicamente ® =0, e ciò prova il nostro 
asserto. 
Perciò la funzione cercata F, rimane definita dalla (13). 
Ponendo poi: 


l e ld 
Pilasy leb==f, (+), 


sì può ancora porre F. sotto la forma: 
F,=i Kote, (2, y, |2j/— 1M)dX. 


Per determinare U;,, V, consideriamo le (7), (8) che pos- 
sono scriversi: 


dUg ? ste f. Alci np) 
(14) i d[z| -niletiira h | dx si) 
dV, 


(15) ima 0); 


Ser 
i secondi membri sono ormai noti, perciò da esse si possono ri- 
cavare le funzioni Us, V con formole analoghe alla (13), e si 
ottiene così: 


Lia: Hicati==zkdF 

(14,) Ea > gicli | Isl© cl Pd|2| "7" 0A ei°le | ll è E F peg d|2| 
»0 
|a 


1 cicke 19 —icje 1 icj: —ic|z dF 
‘11 le Cra E Ein) Ri 


456 ; TOMMASO BOGGIO 


ovvero, sostituendo ‘ad F, il suo valore (13) e poi integrando 
per parti: 


(14) = c eiclz] Se x e Pd|z] ale 
1 ib|a —ibjs] d°Q 
Tino-a° Lie 8 al) f,; da SSA bdo 
1 ic|z etielz! 2A) d°Q » 
U in6—0)- nf. d'a1f, È x +aedy 121, 


ed una formola analoga si ha per V,. Anche in queste formole 
sono effettivamente legittime le integrazioni fra |2| ed oo. 

Le espressioni così ottenute per 3, U», Vs verificheranno 
pure, come si dimostrò dianzi, l'equazione (4'). 

Prendendo poi, come si disse, le parti reali dei secondi 
membri delle (2) si avranno i potenziali indotti, sul piano 0, dal 
campo sinusoidale dato. 

Supponiamo ora invece che le funzioni (6) si annullino per 
2=0 (*); allora le funzioni P, Q sono identicamente nulle, perciò 
dalla (13) risulta F,=0, e quindi dalle (14,), (15,); Us,=V3=0; 
in tal caso si avrebbe dunque: 


Fietyolboyia g, 


cioè i potenziali delle correnti indotte sul piano 0, sarebbero 
nulli in ogni punto dello spazio, e quindi non esisterebbero cor- 
renti indotte. 


4. — Per ciò che dovremo dire in seguito, conviene tras- 
formare le espressioni ora ottenute di /, Us, V.. 

Cerchiamo dapprima l’ espressione effettiva delle funzioni 
P, Q che soddisfano alla (3') e per #==0 assumono rispettiva- 
mente gli stessi valori dei secondi membri delle (5'). 

Poniamo perciò: 


= —-8+Y—-n*+(lel—2P, 
ri=le-&*+y_n?+([2:]+5?, 


(*#) E chiaro che dall’annullarsi di queste funzioni per 2=0, non segue 
il loro annullarsi per ogni valore di [2]. 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 457 


allora r indica la distanza del punto (e, y,|2|), del semispazio 
2>0, dal punto arbitrario (£, n, 2) ed r; è la distanza del punto 
(2,4, —|2|) [simmetrico del punto (, y, |2|) rispetto al piano 0] 
dallo stesso punto (E, n, 2). Allora le funzioni. P,Q sono. 
espresse da (*): 


(eye fre [eta ta 


7 v4 


Î Q(x, Y, (e) = So q(E, n) Pa TEA di i de 


? 4 


in questi integrali le variabili di integrazione sono z,n; e si 
intende bene che, una volta calcolata la di, 
t=0. 

Osservando che nei punti di 0, cioè per Z=0, si ha r7;="r, 


è facile avere, per Z= 0: 


bisogna poi fare 


o (2 iter i cotedri! Lu A [uArsen(à4r) +-cos(aAr)]( QUER 


dabag fi Ù \dz id 
a 2a} 
= [a Arsen(a Ar) + cos(a A47)|] —_ 
= i [a Ar sen(a Ar) + cos(aAr) | I pa 2 Sa COL 47) , 
quindi: 
e 1... d, (_ coslaA4r) 
— \ Play b= gle do 
16 
toy dl g) (a47) 
O(2, Y; |2]) —> 92 an 29 = si do. 


Come si vede, questi integrali sono affatto analoghi all’in- 
tegrale dell'equazione di Laplace, che soddisfa alle condizioni. 
fondamentali, e assume dati valori sul piano 0; e si può per- 
tanto fare, relativamente ad essi, uno studio analogo a quello 
che si fa per l’integrale anzidetto dell'equazione di Laplace, 


(*) Prccranr, Nota citata. 


458 TOMMASO BOGGIO 


Calcoliamo ora siria Si ha: 


dx 
Apia: 10iNG48P d cos(aAr) p og d cos(aA4r) 
de Ser ali da sio A 0 anali. bar ole. in 


d » 00 
Ta al 


Ta i e 


n d  coslaAr) all 
n I ao A de r de | 8: 


Db: 1 d ° dp cosfaAr) 
ta ar dif; d Fr dé r do; 


formole analoghe si hanno per le derivate successive di P, @ 
rispetto ad x, y. Si deduce quindi che per prendere le derivate 
di un ordine qualunque, rispetto ad «,y, delle funzioni P, @, 
basta prendere le derivate, dello stesso ordine, rispetto a &, n, 


delle funzioni p, g sotto il segno f o” 


Poichè le funzioni p, g, date su 0, sono funzioni finite e 
continue dei punti del piano 0, aventi derivate parziali dei 
primi quattro ordini rispetto a Z,n pure finite, e nei punti 
all'infinito ui stesso piano si annullano di ordine superiore a 


quello di LI ne segue che gli integrali 


Ù costa Ar) ( cos(aAr) , 
si P r do, J PR; r do 


e le loro derivate dei primi 4 ordini soddisfano alle condizioni 
fondamentali, e tendono a limiti finiti quando ci avviciniamo ai 
punti di 0; e allora le funzioni P, Q date dalle (16) soddisfano 
alle condizioni fondamentali, verificano identicamente la (3'), e 
quando ci avviciniamo ai punti di 0 tendono ai corrispondenti 
valori assegnati in questi punti. 

È poi chiaro che: 


90 4 40 q diro dp dg\ cosa 4r) 
di il Feo dy ) ii Rara iz 


quindi la (13) può scriversi: 


2 (13’) F, Sola — eidiz] fe 


Ù |g 


sigla sed dq | cos(a Ar) 
iblelglo Lp q S 
e-ld[2] j_(SE +3 200, 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 459 


Dalla (14') si ha poi: 


1 o Pe? * coslaAr) 
i See | le] dd. 
MR JE a Reti a h 100 
SI ibjz| to e-'ibizl > d°q cos(a Ar) 
uu Je Pe die] J "Ti ragni È do + 
SA RA ic|e| sa —ic|z } dp Te COS conteso) 
:s manzo j Ri alal f_(S2 ua i do; 


eseguendo una integrazione per parti nel 1° integrale, si può 


| scrivere: 
ia e ei e 
| . 
i ala cl ("e e—idle| dle1f_ (S SA n di) ne do + 
©) 
Sa 05 oe fe eniclel d|e| fi (I do _la di) cota4r do; 
analogamente: 


laziali gA) ic ala £ PORRI " cosfaAr) 
(15”) Vo= a] pil, ie do — Om J ita l:ld | ® 1} q POTEVA do — 


cApnliband ib|e] eil] È a \coade) 
Irinb—o) © Se ls d || J co ql ln, I 


sid ic|z| enielel alt rg vesta) 
2rin(b—0) © fre dz] f gi de 


Poichè le funzioni p, g hanno derivate dei primi 4 ordini, 
ne viene che le funzioni F3, U,, V, date dalle (13'), (14"), (15") 
ammettono derivate dei primi 2 ordini, che soddisfano a tutte 
le condizioni richieste; perciò tali funzioni risolvono la que- 
stione proposta. 


5. — Consideriamo ora un campo inducente i cui poten- 
ziali F', U', V', siano le parti reali di espressioni del tipo: 
F= ei F/' 4 ei Fy"! 
U! = ei 7!" A cit Ty"! 
DV! _ eiat i + gibt Da 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 31 


460 TOMMASO BOGGIO 


con a, è costanti reali ed F,", F", U,', Us", Vi", Va! funzioni 
soltanto di x, y, 2, aventi derivate dei primi 5 ordini finite. 
Vediamo se si può porre, per i potenziali indotti sul 
piano 0: i 
F, = 05%, + ei! Fg, 


U, = e! Us; +e!" Ugg 
Vi =! | eV, 


ove a, 8 sono costanti reali da determinarsi, ed F3;, Fra; as Van 
sono funzioni solo di «, y,|2|, pure da determinarsi. È chiaro 
che dopo aver determinati /,, U,, V, basterà prenderne la parte 
reale per avere effettivamente i potenziali indotti sul piano 0 dal 
campo dato. 

Sostituendo nelle (I) si ha: 


(A, + 0249) Fay + ci8-0l(A, + p°4°) Fo =0, 
quindi: i 
(A) + a? 4°) Fa, =0, (As + B°A°) Fo = 


ed. equazioni analoghe alle due precedenti sono verificate rispet- 
tivamente dalle funzioni Us;, Va1; Use, Vos. 
Dalla (II) si ricava poi: 


ia AF, + (a 4 da L gilemo |BA Fà» + AU ira 2a)=0, 
cioè: 
ia A Fai - Sa pira Si — (0) 
ipA Foo sg da d Sp —_ 
Dalle (III), supponendo che le funzioni 7", ..., Vs" siano 
generiche, si ricava: 
o'=='a#b==%; ovvero oe= db, BU 


questa seconda soluzione però non differisce sostanzialmente 
dalla prima, onde attenendoci alla prima, le condizioni per 2«=0, 
potranno scriversi: 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 461 


dPu . dUy dEi. " 
a + ia AU, — h ille — ia A40, 
dFy l e UE ” 
dFxo . Bhe dU» dF," . " 
\ TE + iDAU, — AT TE ib AU, 


dla Ad 
deli, dy 


—— 


TE ViBbAV 3h — ibAV,"; 
col procedimento dei $$ 2, 3 si possono determinare separata- 
mente dapprima le funzioni #1, Fs, e poi le funzioni Ua, Va; 
Us, Vs9; e con ciò il problema è risolto. 

Analogamente si può procedere se i potenziali inducenti 
F',U',V' sono le parti reali di espressioni della forma: 


m m m 
F'= Letta tono Ze! Ul. Vi de 
0 
con 4,,0,,6, costanti reali, ed F,", U,!",V," funzioni solo di x,y, 2. 


6. — Consideriamo infine il caso di un campo elettroma- 
gnetico qualunque. 
Applicando il noto sviluppo di Fourier possiamo sempre 
ritenere che i potenziali inducenti #', U', V' siano le parti reali 
delle serie dei secondi membri delle eguaglianze: 


uf X gini F,', U'= pa ent TT. V'! DS: SU'ALA 
0 0 0 


ove F,',U',V,' sono funzioni di x, y, 2. 

Supporremo che le serie precedenti abbiano derivate suc- 
cessive dei primi 5 ordini, rispetto ad 2, y, 2, t. 

Proponiamoci di trovare /, U,, V, nel caso che i poten- 
ziali inducenti siano quelli espressi dalle (17); è allora evidente 
che, una volta determinati F,, U,, V,, basterà prenderne la parte 
reale per avere effettivamente i potenziali indotti sul piano 0 dal 
campo dato. 

Vediamo se è possibile porre: 


ur I, = 2, e! Ko Ue 2, en! Di 
) 0 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. dle 


462 TOMMASO BOGGIO 


con Fzn; Uxn; Vin funzioni soltanto di x, y, |2j. 
Le (I), (II), (III) diventano allora: 


Zeit (A, + n 4) F,,=0 


Lei (A, + n2 42) U,, = 
Ze!"(As 4- n°? 42) Va,=0 


eint ( So dVan na 
ye IMAFn+ 3 na sù =" 
\ N gine LE Lin AUn hm) Vem( lE cd nAU;") 


VAI \ djel 
| Doe drinA Va AS )=- DX Calista da; nari imaV,"); 


. . . . CS . . x . . (eo) 
in queste equazioni si è scritto, per brevità X invece di X,; le 
0 


ultime due equazioni hanno luogo naturalmente per 2=0. 
Le equazioni LE risultano soddisfatte determinando 
le funzioni fa, Un; V: a, in modo da soddisfare all’equazione: 


(19) A; + nt 4° 
e alle seguenti: 
ì dUan dVan 
(20) in AF + Ùù; + "n = 
vr cm To <= mind! 
(2 =0) 
i dala + in AVan di c= Si —inAV,!'; 


indicando con — p,, — @, i secondi membri di queste due equa- 
zioni possiamo scrivere: 


AF . d Un patta. 
\ dà Lin AU, — h ‘dle Le 
(21) 
GPL inAVyih deg 


Segue, dalle ipotesi fatte sulle serie (17), che le fun- 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 463 


zioni Pa, I hanno derivate dei primi 4 ordini, finite, e noi sup- 
porremo inoltre che nei punti all'infinito di o si annullino di 
ordine superiore al secondo. 

Le equazioni (19), (20), (21) sono dello stesso tipo delle (3), 
(4'), (5’), perciò le funzioni Fn; Usn, Va, saranno date da for- 


4 


mole analoghe alle (13’), (14”), (15"), e precisamente si avrà: 


s_noi. Inerala 17 —ibja] " {dpn | dqn\ costnAr) 
ang fr mae f, (tr te) ed 


U= | né cos(nAr) de — “Ri SE ell fe 


enicls! COSMA) ani 
mil ot" dlelf_P. pi Rita 


8] 


uno... dal lia " {d'pn 1 d’an) coslnAr) 
Mile) J te di dlz|}, i i Deb TICO do + 


ta fa eticll dll ; | d°pn d°gn | costnAr) 
SR 2rih(b— c) x 1 [2] di2/}, d&° va ce r do 
1 (  costrAr) ic ielb e_iclel cos(n Ar) 
Van dali Quote dirt AA NC del f_ dui pi 
sasa L ib|z| na eis "| d°pù d°gn cos(nAr) 
mik b=0 © opt in ai de] Ja \dedn 1° dn? 7 O 
1 ic|s| (8 —ic|e] la i dpr d°gn cos(n.A4r) 
+ mig È ) edi 4, ant dn? mera LL 


Sn ci 
(b=hnA, == L) 
‘ Occupiamoci ora della convergenza delle serie (18). 
Indicando con D' una qualunque delle derivate d’ordine è 
rispetto ad # e ad y, e osservando che: A(b — c)=nA(h°— 1), 
si ha: 


î Retetncià 3 ib|z| sa) —ib|e] i dpn dqn cos(nA7) 
2) D'I=— 0% ( è dal {, D'( A do, 


de Rscedn v 
(i<3) 
i "hi COS(n Ar) "TR eil: " ni cOS(nAr) 
(28) D'U,=;}: SP ti ao go af eneeldlal (DA 0a 
1 ib|a| etid * Ù i d° A Pn dn cos(nAr) 

— 2rinA(h — 1) Le A | '‘dia|j PD \ at dé? * dai wivoa do + 
i 1 î sat 4 i d’, n d? n cos(nAr) 

Ibn 0 opmaingielsi ic|£] p qu \l 
+ Srimd( — 1) © gii a ere alel] D (ae + piper Ber at 


(i<2). 


464 TOMMASO BOGGIO 


Ora, per l'ipotesi fatta che le serie (17) abbiano derivate 
successive dei primi 5 ordini rispetto ad , y, 2, t, ne viene che 
saranno soddisfatte delle disuguaglianze della forma: 


IDR, RO, Dino (i<5), 
perciò per le funzioni p,, q, si avranno delle diseguaglianze 
del tipo: 


Din. D'al< LE, G=<4); 
d'altra parte dovendo le fiat Pn: I e loro derivate annul- 


larsi all’infinito d'ordine superiore al secondo, potremo supporre 
soddisfatte le diseguaglianze: 


RC i K NA, 
ID'pal; |D'al< ata (i<4), 
ove a? è un conveniente numero fisso positivo. 
Dalla (22) si ricava nie 
i . =00 ETA | 
ID'Em < Fari muii AA |sl A+? 
ora l’integrale ha un valore finito, perchè ponendo 
p=(e-&°+y—n°, 
si ha: 
i “° _dle] î © d[z] "2. dea 
S599) ret CHI la 7° = ‘dS, 980) lst ([28] + p9? 
"O "00 T A [e] gn; è LE 
Ve 2) 0 AAP lap 2p*((2P+p°) 2p’ are tespagi 
che è una quantità finita. Si può PTT scrivere: 
(24) Li (i<3). 


Per quanto riguarda le derivate di /,, rispetto a |2| si os- 
servi che dall’equazione seguente, analoga alla (12), 


dFan . ee ve dPn d@» \ 
d[2] — ibfa=(. da i dy Jala el, 


(*) In questa disuguaglianza e nelle seguenti conveniamo di indicare 
colle lettere H, XK, munite di apici, od indici, delle quantità positive fisse, 
convenientemente grandi. 


RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 465 


sì ricava: 
dFen Î (dee se 
dz] <b1Ex1+|f, E * 7) 
quindi: 
dirsi 
(25) dz] < n3 Lap it re 


siccome poi, per la (19): 


d° Fan PURI d° Fan d3Fan DIE 


d[al} — a/4}-de%, ig dy° NA” Fa 
‘ne viene: 
a Bid} _ 2A nntellaa RE E 
(26) ie ARA pi 


Le (24), (25), (26) ci assicurano pertanto che la prima delle 
serie (18) è assolutamente ed uniformemente convergente colle 
sue derivate dei due primi ordini rispetto ad %, y, |2|,t. 

Occupiamoci ora della funzione Ugn. 

Dalla (23) si ha: 


i Kali do ni: I O 7 do 
ee e aa tit 
1 K =» 00 ° do . 
"n mn A(f?—1) ni J lal da aa 5 (#59 


e poichè gli integrali hanno un valor finito (come già vedemmo), 
sì può scrivere: 


DU, < -& vr ? (i=2). 


Dall’equazione seguente analoga alla (14), 


. Bardi dFan gu \ 
ale — Um al ae In]: 
si ha poi: 
d Uan ni di 1 
| dj} SA dana È ni + a Pal 
quindi : 
dUan | 11 


dz] 


466 TOMMASO BOGGIO — RISOLUZIONE DEL PROBLEMA, ECC. 


Essendo poi, per la (19): 


d? Un ao d? U2n ad? U?n 242 
dle 39 ge gg AT 
è facile trarne: 
d° Uan Kg 
d|2]? n? 


Disuguaglianze analoghe alle precedenti si hanno per le 
derivate di V,,. Si conclude quindi che anche le ultime due 
delle serie (18) sono assolutamente ed uniformemente convergenti. 
colle loro derivate dei due primi ordini rispetto ad «, y, |2], t. 

Perciò le serie (18) soddisfano a tutte le condizioni  ri- 
chieste, e per conseguenza risolvono effettivamente la questione 
proposta. 


L' Accademico Segretario 
LoRrENZO CAMERANO. 


e gn Veeno © == 


- 


a °° 4 


ria 1 Lin ni ii nn nic 


467 


«CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 29 Marzo 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: PevRon, Vice-Presidente dell’Acca- 
demia, FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, BOLLATI DI SAINT- 
Pierre, CArLE, GRAF, BoseLLI, CreoLLa, Brusa, CHIRONI e RENIER 
Segretario. — È scusata l'assenza del Socio ALLIEVO. 

Si approva l’atto verbale dell’ adunanza antecedente, 
15 marzo 1903. 

È fatto omaggio delle seguenti pubblicazioni: 

1° da parte del Direttore della Classe FERRERO, l'opuscolo 
del Socio corrispondente Giuseppe GartI, Iscrizione onoraria di 
Termanzia madre dell’imperatore Teodosio, Roma, 1902, estratto 
dai Rendiconti dell’Accademia dei Lincei; 

2° da parte del Socio Renier il volume di Giuseppe 
Graziano, Umberto I di Savoia, bio-bibliografia, Torino, Sacer- 
dote, 1902. 

Per l'inserzione nelle Memorie sono presentate le seguenti 

monografie: 

1° dal Socio Grar: Emilia RecIs, Studio intorno alla vita 
di Carlo Botta tracciato con la guida di lettere in gran parte 
inedite; 

2° dai Soci Carre e Ferrero: Maria Beeey, Per un’opera 
inedita di Pietro Giannone; 

3° dal Socio CrpoLa: Domenico VanLa, I Collegio Puteano. 


468 


Il Presidente designa a riferire intorno alla memoria della 
signorina ReeIs i Soci GrAF e RENIER; intorno a quella della 
signorina Beeey i Soci FerRERO e CARLE; intorno a quella del 
signor VALLA i Soci CrpoLLa e. FERRERO. 


Costituitasi quindi la Classe in seduta privata, procede alla 
elezione di quattro Soci nazionali non residenti e di due stra- 
nieri. Riescono eletti, salvo l’approvazione sovrana: 

a Soci nazionali non residenti: 

Comm. Giovanni Battista GanpINo, professore di lettera- 
tura latina nella R. Università di Bologna; 

S. E. il conte Costantino Niera, ambasciatore ‘di S. M. il 
Re d’Italia a Vienna; 

Comm. Vittorio ScrALOJA, professore di Diritto romano nella 
R. Università di Roma; 

Cav. Pio RAJNA, professore di lingue e letterature neo- 
latine nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di perfezio- 
namento di Firenze; 

a Soci stranieri: 
.. Michele Giulio Alfredo BréaL, membro dell’ “ Académie 
des inscriptions et belles-lettres , dell’Istituto di Francia e 
Guglielmo WuwprT, professore nell'Università di Leipzig. 


L’ Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


CE ___ e _ 


© E 


è, TE + 


- 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 5 Aprile 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. BERNARDINO PEYRON 
VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: SaLvapori, Direttore della Classe, 
Berruti, NaAccaRrI, Secre, PrANO, Foà, PARONA, MoRERA e 
JADANZA, che funge da Segretario. — Scusano l’assenza i Soci 
CameRrANO, (Guipi, MATTIROLO. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente, 
22 marzo 1903. 

Il Socio Prano presenta il 4° volume del suo Formulaiîre 
Mathématique, Turin, Bocca frères-Ch. Clausen, 1903. Questo vo- 
lume contiene circa 10.000 formole, ognuna delle quali esprime 
una proposizione completa, spesso accompagnata dalla sua dimo- 
strazione e dalla sua storia. Il campo di queste proposizioni si 
estende dalla Matematica elementare all’Analisi infinitesimale, 
e alla Geometria differenziale. 

Il Socio MorERA presenta una sua nota che ha per titolo: 
Sulla trasformazione delle equazioni differenziali di Hamilton. 

Il Socio PARONA, anche a nome del Socio CAMERANO, legge 
la relazione sulla memoria del Dr. Carlo ArraGHI, intitolata: 
Echinidi della scaglia cretacea veneta. La relazione è approvata 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 32 


470 


all'unanimità, e la Classe, pure a voti unanimi, accoglie la me- 
moria del Dr. Carlo ArraGHI per la stampa nel volume delle 
Memorie. 

Il Socio Foà, anche a nome del Socio CamERANO, legge la 
relazione sulla memoria dei Dottori Alfonso Bovero e Umberto 
CAaLAMIDA, avente per titolo: Canali venosi emissari temporali 
squamosi e petrosquamosi. La relazione è approvata all'unanimità 
e la suddetta memoria è accolta per la stampa nel volume delle 
Memorie. 

Infine il Socio NAccaRI presenta a nome del Socio FILETI 
una nota del Dr. CoLonna, intitolata: Composizione chimica di 
una cenere del monte Pelée (Martinica). Questa nota sarà inserita 
negli Atte. 


IL_LL_--___- 


ETTORE COLONNA — COMPOSIZIONE CHIMICA, ECC. 471 


LETTURE 


Composizione chimica 
# 
di una cenere del Monte Pelée (Martinica). 


Nota di ETTORE COLONNA. 


A richiesta del compianto Prof. Cossa, direttore di questa 
R. Scuola, S. E. il Ministro della Marina faceva pervenire a 
questo laboràtorio, nel luglio del 1902, una cenere vulcanica del 
Monte Pelée, raccolta a Saint-Pierre, dal Comandante della 
R. Nave Calabria, il 5 giugno. 

Il prelodato professore avrebbe eseguite lui stesso delle 
ricerche analitiche sulla medesima, se la repentina morte non 
glielo avesse impedito. 

Qualche tempo fa, io mi assunsi l’incarico di procedere al- 
l’analisi chimica della suddetta cenere. 

Essa presenta un colore grigiastro; scaldata in un tubo d’as- 
saggio non dà indizio sensibile di alterazione; colora la fiamma 
in giallo e fonde in parte al cannello. 

Sul carbone, con una goccia di un sale di cobalto, non dà 
colorazione. 

Sulla lamina di platino, con carbonato di sodio e nitrato 
di potassio, non dà massa colorata. 

Col sale di fosforo e col borace dà una perla gialla a caldo 
ed incolora a freddo, alla fiamma ossidante; verdognola alla 
fiamma riducente. 

Alla calamita si separano dei frammenti di magnetite. 

La cenere è affatto insolubile nell’acqua calda; si scioglie 
in parte negli acidi minerali, mentre si separa della silice e si 
svolge una piccola quantità di acido solfidrico. 

È assolutamente esclusa la presenza di acido fluoridrico. 

Nella parte solubile nell’acido cloridrico risulta la presenza 


472 ETTORE COLONNA 


di poca silice; di ferro ed alluminio, in gran parte; di poco 
calcio e tracce di magnesio, di sodio e di potassio. 

Nella parte insolubile notansi molta silice, contenente tracce 
di acido titanico; tracce di acido fosforico ; ferro ed abbondante 
quantità di alluminio, con tracce di acido titanico; tracce pic- 
colissime di manganese; calcio, con tracce di bario e stronzio ; 
magnesio, sodio, poco potassio, tracce piccolissime di litio. 

Vi sono anche nella cenere delle piccole quantità di acido 
solforico e cloridrico. 

Della presenza di tracce di bario, stronzio e litio mi sono 
assicurato con lo spettroscopio. 


* 
* *K 


Ho, eseguito le determinazioni sulla cenere -porfirizzata, 
senza preoccuparmi di dosare separatamente i componenti solu- 
bili ed insolubili negli acidi minerali. 

Solo per determinare la quantità di ferro al massimo ed al 
minimo col metodo del Marguéritte ho operato in soluzioni sol- 
foriche, riservandomi, poi, di determinare la quantità totale di 
ferro contenuto nella cenere e di dedurvi la quantità allo stato 
ferrico già nota. 

Salvo che per la determinazione del sodio e del potassio, 
ho, disaggregato coi carbonati alcalini: la disaggregazione si 
compie con una certa difficoltà, che, del resto, si riesce a supe- 
rare con l'aggiunta di maggior quantità di miscela e con pro- 
lungata fusione alla lampada a soffietto. 

Nel dosamento della silice ho tenuta presente la memoria 
di M. W. Hillebrand (1), la quale conclude che la silice non può 
essere resa completamente insolubile per mezzo di una sola o 
più evaporazioni seguite da una sola filtrazione; ma che sono 
necessarie due o più evaporazioni alternate con. filtrazioni. 

Non seguendo il criterio suddetto, mi è accaduto di ritro- 
vare in seguito una discreta quantità di silice (che non si era 
resa insolubile), specialmente quando ho dovuto operare sopra 


(1) © Journ. Amer. Chem. Soc. ,, gennaio 1902, p. 362, e “ Mon. scient. ,, 
febbraio 1905, p. 128. 


COMPOSIZIONE CHIMICA DI UNA (CENERE DEL MONTE PELÉEE 473 


una quantità di sostanza maggiore di quella ordinaria, per do- 
sare, cioè, i componenti esistenti in piccola quantità. 

Ho dosato l’acido titanico contenuto nella silice, volatiliz- 
zando questa con fluoruro d’ammonio. 

Nel precipitato ottenuto con l’acetato di sodio, ho deter- 
minato complessivamente l’acido titanico, l'acido fosforico, il 
ferro e l’alluminio. 

Ho poi dosato l’acido titanico disaggregando un nuovo ed 
identico precipitato, essiccato, con bisolfato di potassio, scio- 
gliendo in acqua, riducendo il ferro con acido solfidrico e facendo 
bollire in presenza di CO: l'acido titanico si è separato sotto 
forma di idrato, che ho poi calcinato e pesato. 

Ho sciolto un nuovo precipitato nell’acido nitrico: ho divisa 
la soluzione in due parti: in una ho dosato l’acido fosforico, 
trasformandolo in pirofosfato di magnesio; nell'altra, dopo avere 
scacciato l’acido nitrico con l'acido solforico, ho dosato il ferro 
totale col metodo del Marguéritte. 

L'allumina l’ho determinata per differenza. 

Il calcio ed il magnesio li ho trasformati rispettivamente 
in ossido (dalla calcinazione dell’ossalato ad alta temperatura) 
ed in pirofosfato (dal fosfato ammonico magnesiaco). 

Gli alcali li ho determinati complessivamente sotto forma 
di cloruri, in seguito a disaggregazione con tre parti di carbo- 
nato e due di cloruro di bario (che si è compiuta facilissima- 
mente) e successiva separazione delle basi. Ho precipitato poi 
il potassio con cloruro di platino, e dalla differenza ho calcolato 
la quantità di cloruro .e quindi di ossido di sodio. 

Ho dosato lo zolfo contenuto sotto forma di solfuro e di 
solfato complessivamente, mediante una disaggregazione, ripresa 
gon HCI più acqua di bromo e precipitazione con Ball, all’e- 
bollizione. 

In un secondo saggio (2 gr. di sostanza), ho decomposto il 
solfuro con HCl, ho separato la parte insolubile, nella quale, 
lavata e disaggregata come dianzi, ho determinato l’acido sol- 
forico: dalla differenza ho calcolato lo zolfo contenuto sotto 
forma di solfuro. 

Ho dosato le piccole quantità di ‘cloro precipitandole con ni- 
trato d’argento, dopo aver disaggregato 2 gr. di sostanza coi 
carbonati alcalini e trattato con acido nitrico anzichè con acido 
cloridrico, ecc. 


474 ETTORE COLONNA 


L'analisi mi ha dato i risultati seguenti: 


Sio, 59,60 

Ti0, 0,55 

A130g 17,40 

Fes0, 3,94 

Fe0Q 4,50 

Mn0 tracce piccolissime 
Cao 6,70 

Ba0 tracce 

SrO id. 

Mg0 2,29 

Nas0 9,99 

K,0 0,54 

Li30 tracce piccolissime 
CI 0,10 

S (sotto forma di solfuro) 0,31 

SO; 0,48 

P0; 0,11 
Perdita per calcinazione 0,50 

100,23 \ 


Fo notare che la cenere diminuisce di peso per calcinazione; 
ma con una calcinazione prolungata il peso riaumenta in parte, 
in seguito all’ossidazione dei composti ferrosi. 


* 
* * 


Non mi consta che in Italia sieno state eseguite analisi di 
ceneri vulcaniche della Martinica. . 

In Francia (1) fu eseguita un’ analisi da M. Pisani sopra la 
cenere caduta nella notte del 2-3 maggio, raccolta da L. Lacroix. 

Quel chimico ottenne una perdita per calcinazione molto 
elevata, dovuta, secondo il Lacroix, in gran parte all'acqua igro- 
scopica ed in parte a sostanze organiche che non si poterono 
separare. 


(1) “ Compt. Rendus ,, 2 giugno 1902, n. 22, pag. 1328. L. Lacrorx, Sur 
les cendres des éruptions de la Montagne Pelée. 


COMPOSIZIONE CHIMICA DI UNA CENERE DEL MONTE PELEE 


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#S‘0 G9‘0 | 85°0 #60 98°0 O°îM 
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0L°9 FL'L 97°8 LI | 28°9 089 
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476 ETTORE COLONNA — COMPOSIZIONE CHIMICA, ECC. 


L. Schmelck (1) analizzò in Cristiania una polvere del Monte 
Pelée raccolta a bordo del vapore inglese Coya, a 200-250 miglia 
marine dalla Martinica, nell'8 maggio 1902. Più tardi analizzò 
un campione di cenere vulcanica raccolta nell’isola dal viaggia- 
tore polare Carsten Borchgrevink. 

Anche W. F. Hillebrand (2) eseguì un’ analisi di cenere 
vulcanica del monte Pelée. 

Non conosco i varî metodi seguiti dagli analisti nelle rispet- 
tive determinazioni. 

Nella tabella a pag. precedente riporto i risultati ottenuti 
da loro e da me. 

I risultati ottenuti dai vari analisti non concordano fra di 
loro; e ciò si comprende facilmente, quando si pensi che le de- 
terminazioni furono eseguite su campioni che non hanno sempre 
la stessa composizione, essendo stati raccolti in epoche e in 
località differenti. 


Torino - Laboratorio di chimica docimastica 
della R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. 


(1) “ Chem. Zeit. , di Còthen, n° 4, 14 gennaio 1903, pag. 34. L. ScAMELCK, 
Untersuchung von vulkanischem Staub aus Martinique. 
(2) Lavoro citato di L. Schmelck. 


Relazione sulla memoria: Echinidi della scaglia cretacea 


veneta, del Dr. CarLo ArrAGHI. 


La cosidetta scaglia veneta in gran parte appartiene al 
sistema della Creta superiore ed in parte all’Eocene, ed è imper- 
fettamente conosciuta nei suoi caratteri paleontologici, perchè i 
fossili vi sono rari ed in generale mal conservati: ne viene che 
molte sono le incertezze relative alla determinazione cronologica 
ed alla distinzione dei sottopiani in essa rappresentati. Gli echinidi 
sono i fossili più frequenti e meglio conservati di questo ter- 
reno ed opportunamente il Dr. ArragniI, già noto per le sue 
ricerche sulle echinofaune terziarie, si propose la revisione degli 
echinidi della scaglia veneta adunati in diverse collezioni pub- 
bliche e private, prendendo come base dello studio la raccolta 


477 


CarurLo del Museo di Padova, che conserva preziosi tipi di 
specie, i quali, essendo stati in origine inesattamente illustrati, 
furono erroneamente interpretati dagli autori che, dopo CATULLO, 
si occuparono dell'argomento. L’AtrAGHI precisa i caratteri di 
queste forme in minute descrizioni col controllo di fotografie e 
discute il loro significato in rapporto all’età degli strati che le 
comprendono, e che ritiene senoniana; colle sue ricerche egli 
arricchisce inoltre notevolmente l’echinofauna della scaglia cre- 
tacea, portando così un importante contributo alla migliore co- 
noscenza di una formazione geologica caratteristica e largamente 
sviluppata nelle Prealpi venete e nell’Appennino centrale. 

La Commissione, giudicando favorevolmente il lavoro del 
Dr. Airaghi, propone alla R. Accademia di accoglierlo per la 
stampa nei volumi delle Memorie. 


L. CAMERANO, 
C. F. PARONA, relatore. 


Relazione sulla memoria dei dottori Alfonso Bovero e 
Umberto Caramma, intitolata: Canali venosi emissari 
temporali squamosi é petrosquamosi. Ricerche morfo- 
logiche. 


È noto per recenti ricerche come la partecipazione della 
vena giugulare esterna al deflusso del sangue venoso endocra- 
niano per mezzo di un ramo che, attraversando la porzione di 
rivestimento della capsula labirintica, la riunisce alla porzione 
ventrale del sinus transversus si stabilisca, nella ontogenesi dei 
Mammiferi, in un periodo successivo a quello in cui tale ufficio 
compete invece alla vena giugulare interna: astrazion fatta dai 
periodi affatto primitivi, lo sviluppo di quest’ultima precede cioè 
quello della giugulare esterna. 

Ora mentre nell’Uomo e nei Primati superiori a completo 
sviluppo il còmpito di esportare il sangue refluo compete quasi 
esclusivamente alla giugulare interna, quanto più discendiamo 
nella serie dei varî ordini di Mammiferi, tanto più vediamo cre- 


478 


scere, salvo eccezioni secondarie, l’importanza della giugulare 
esterna per tale ufficio e diminuire quello dell’interna. 

Anche nell’ Uomo possono abnormemente comparire nel- 
l'ambito dell'osso temporale dei canali venosi, i quali rappresen- 
terebbero appunto un’ evoluzione ulteriore del sistema venoso, 
ricordando in certo qual modo la via o le vie tenute dal sangiie 
venoso endecraniano nei varì Mammiferi a completo sviluppo, 
e che si sono stabilite in periodi relativamente più tardivi che 
non quella alla quale nell’Uomo è adibita tale funzione. Per la 
considerazione che le conoscenze su questo argomento sono rela- 
tivamente scarse ed anche non concordanti, fondate quasi gene- 
ralmente su una non esatta e non completa conoscenza dell’evo- 
luzione del sistema venoso dei Mammiferi, quale solo gli studî 
ultimi hanno dimostrato, i D" B. o C. hanno istituito una serie 
di ricerche allo scopo di stabilire il significato da attribuirsi ai 
detti canali anormalmente occorrenti nell’Uomo, di verificare tutte 
le modalità possibili e le ubicazioni differenti con le quali pos- 
sono comparire, dimostrandone ad un tempo il valore morfologico 
con la comparazione delle disposizioni proprie dei Mammiferi 
inferiori all'Uomo. 

Gli AA. hanno cercato di rispondere ai varî quesiti pro- 
postisi collo studio di un grande numero di temporali umani 
(2472) o di tutti gli altri ordini di Mammiferi, lasciando le dette 
vie venose delle traccie evidenti del loro passaggio attraverso 
la squama temporale od attraverso le suture della squama con 
le ossa vicine, sotto forma di canali più o meno ampî e più o 
meno numerosi a seconda dell'importanza assunta dalla giugulare 
esterna al deflusso del sangue venoso endocraniano. 

Gli AA. riportano minutamente i reperti delle loro osser- 
vazioni, comparando volta a volta fra loro quelli ottenuti nei 
differenti generi e nelle varie famiglie dei singoli ordini, corre- 
dando la loro descrizione con le considerazioni morfologiche che 
loro paiono più opportune. 

Essi dimostrano complessivamente come la via principale di 
deflusso del sangue endocraniano vada gradatamente spostandosi 
dalla v. giugulare interna alla esterna nella serie stessa dei Pri- 
mati: la diminuzione di importanza della prima va di pari passo 
parallelamente alla maggiore ampiezza ed alla maggior fre- 
quenza ed anche al maggior numero dei canali venosi attraver- 


479 


santi l’osso temporale; questi nell’ Uomo, occorrendo solo even- 
tualmente, rappresentano solo delle vie ausiliarie, mentre negli 
Arctopiteci rappresentano già delle vie quasi equipollenti alla 
giugulare interna. 

Ciò si esagera anche di più negli altri ordini di Mammiferi 
inferiori ai Primati, in guisa che accanto ad un canale -princi- 
pale (canale temporo-parietale) a traverso cui passa l’origine 
della giugulare esterna, si manifestano altre vie puramente au- 
siliarie ed attraversanti pure l’osso temporale. 

In altre parole, ammessa la successione cronologica dei vari 
periodi di sviluppo del sistema venoso della cavità cranica, alla 
quale abbiamo sopra accennato, nell’Uomo e nei Primati supe- 
riori si mantengono, come in altro modo nei Monotremi, delle 
condizioni che appartengono ad un periodo più primitivo dello 
sviluppo, mentre nei Primati inferiori e nella massima parte 
degli altri Mammiferi acquistano carattere permanente di fissità 
delle disposizioni che rappresentano nella storia dello sviluppo 
un periodo più evoluto. 

I canali destinati a dar ricetto alle vene, attraversanti l’osso 
temporale, siano esse rudimentali ed anche abnormi come nei 
Primati superiori, oppure a completo sviluppo, come ad es. nei 
Ruminanti, sono possibili di una schematizzazione abbastanza 
facile in quanto le varietà della loro ubicazione esterna si pos- 
sono nella serie di tutti i Mammiferi ricondurre, come fanno gli 
AA. di questo lavoro, ad alcuni tipi fondamentali (forami emis- 
sari sottozigomatici mediali, e f. e. sottozigomatici laterali — 
f. emissari soprazigomatici posteriori ed anteriori — f. emissari 
prezigomatici superiori ed inferiori — forami postsquamosi, sub- 
squamosi) a seconda dei rapporti che dette aperture contraggono 
con il processo zigomatico. 

E nell’Uomo è dimostrato come, sia in ciascuno dei tipi fon- 
damentali considerato in sè e per sè, sia nelle varie suddivisioni 
in sottotipi, le oscillazioni di frequenza e di posizione riprodu- 
cono esattamente le uguali condizioni di ubicazione e di frequenza 
che si hanno negli altri Mammiferi: ciò si verifica in modo ca- 
ratteristico per tutti i forami occorrenti nell’Uomo, per i più 
frequenti (sottozigomatici), come per i più rari (prezigomatici, 
postsquamosi): per tutti poi vi hanno delle modificazioni occor- 
renti nella serie dei varîì ordini, fatta qualche eccezione, in modo 
quasi perfettamente scalare. 


‘480 


Gli AA. dimostrano anche come le dette aperture possano 
andare soggette a variazioni non solo da famiglia a famiglia, 
ma anche da genere a genere, da razza a razza, in modo vera- 
mente strano e caratteristico (Cinghiale). 

Molti dati riferiti dagli AA. sono semplicemente confer- 
mativi: altri invece sono affatto nuovi e nella descrizione e nella 
interpretazione morfologica; ciò vale specialmente per tutti i 
forami emissari posti superiormente alla base del processo zigo- 
matico nell’Uomo e negli altri Primati (Semnopithenes, Mycetes, 
Cercocebus). All’occorrenza di forami emissari nei Pinnipedi, ecc. 

Oltre alle considerazioni morfologiche sparse in tutto ‘il 
lavoro e più strettamente connesse all'argomento in studio, gli 
AA. si fermano anche a dimostrare l’importanza pratica even- 
tuale dei canali emissari temporali abnormi nella specie nostra: 
similmente descrivono alcuni rarissimi casi di anomala origine 
dell’arteria temporale profonda posteriore dall’arteria meningea 
media, disposizione questa già nota nell’Uomo (Gruber, 1852) e 
da essi riscontrata pure in alcune Scimmie, ricercandone un’in- 
terpretazione morfologica. 

Il lavoro è corredato da una doppia tavola con 34 figure. 

I Relatori sono d’avviso che il presente lavoro sia degno 
di essere pubblicato nelle Memorie della nostra Accademia delle 
Scienze. 

L. CAMERANO, 


Pro Foà, relatore. 


L’ Accademico Segretario 
LoRENZO CAMERANO. 


481 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 19 Aprile 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Peyrow, Vice-Presidente dell’Acca- 
demia, FeRRERO, Direttore della Classe, Rossr, Pezzi, CARLE, 
Grar, Bosetti, CrpoLrra, Brusa, ArLievo, CHIRONI e RENIER 
Segretario. 

È approvato l'atto verbale dell’ adunanza antecedente, 
29 marzo 1903. 

Il Socio CARLE fa omaggio dei seguenti scritti di Giuseppe 
MAZZARELLA, sui quali pronuncia parole di elogio: 1° Origine 
delle ordalie nel diritto Siamese (Roma, 1900); 2° Sulla condizione 
del marito nella famiglia primitiva (Roma, 1900); 3° L’esogamia 
presso i popoli semitici (Roma, 1900); 4° Le istituzioni giuridiche 
di una tribù dell’ America settentrionale (Roma, 1902); 5° Studi 
di etnologia giuridica, vol. I, fasc. I (Catania, 1903). 

Il Socio CHIRronI offre all'Accademia un volume di Ales- 
sandro GaARELLI, Le imposte nello Stato moderno, vol. I: La im- 
posizione personale secondo il diritto finanziario positivo (Milano, 
Hoepli, 1900), di cui segnala l’importanza. 

Il Socio Pezzi presenta con encomio un opuscolo di Attilio 
Levi, Apofonia consonantica (Torino, Clausen, 1903). 

Il Socio Bosetti, che rappresentò l'Accademia nel Congresso 
internazionale di scienze storiche, tenutosi in Roma, riferisce 


482 


intorno ai lavori della sezione di storia del diritto e delle isti- 
tuzioni economiche e sociali, a cui prese parte. Il Presidente lo 
ringrazia della rappresentanza e delle informazioni. 

Il Socio ALLIEVO, incaricato col Socio CARLE, di esaminare 
lo scritto di Stefano GRANDE, /l pensiero pedagogico di L. A. 
Muratori, legge la relazione che compare negli Atti. Approvasi 
unanimamente la relazione e quindi con votazione segreta, pure 
unanime, l'inserzione della monografia nelle Memorie acca- 
demiche. 

È pure approvata, a grandissima maggioranza, la stampa 
nelle Memorie del lavoro di Maria Brary, Per un’opera inedita 
di Pietro Giannone, su cui riferisce verbalmente il Socio FERRERO, 
incaricato di darne parere col Socio CARLE. 

Dello Studio ‘intorno alla vita di Carlo Botta tracciato con la 
quida di lettere in gran parte inedite, di Emilia REGIS, si occu- 
pano, per delegazione del Presidente, i Soci Grar e ReENIER. Il 
Socio Grar legge la sua relazione, che è approvata e si pub- 
blica negli Atti. Con votazione segreta unanime è deliberata 
l’inserzione dello studio della signorina ReeIs nelle Memorie ac- 
cademiche. 

Il Socio RENIER presenta per gli Atti una serie di consi- 
derazioni di Emilio BERTANA, intitolata: Di una nuova estetica. 
Esse riguardano il recente libro di Benedetto Croce. 


EMILIO BERTANA — DI UNA NUOVA ESTETICA 483 


LETTURE 


Di una nuova. estetica. 


Nota di EMILIO BERTANA. 


L'estetica di B. Croce (1) è già stata ormai più e più volte 
esposta e riassunta dai molti che in giornali o in riviste parla- 
rono del volume in cui si contiene; ed esporla qui nuovamente 
non gioverebbe. 

Inoltre essa fu tanto stringata e condensata dall’ Autore, 
che farne più ristretto compendio, a scopo di divulgazione, è 
cosa del tutto superflua. 

Un trattatello teorico di cencinquanta non grandi pagine non 
dovrebbe davvero spaventare nessuno; perciò non è il'caso di 
soccorrere con altri sunti ed estratti alla pigrizia dei lettori 
italiani; e neppure è il caso d’aggiungere altre lodi alle molte 
che il dotto, baldo e ingegnoso libro ha riscosse; più importe- 
rebbe invece — ciò che non si è fatto abbastanza — discuterlo, 
e a fondo. 

Impresa questa da non pigliarsi a gabbo; soprattutto perchè 
involgerebbe la necessità di rifarsi dal sistema filosofico in cui 
cotesta nuova estetica rientra, e che in essa si riflette. Come il 
Croce avverte, “la filosofia è unità, e quando si tratta di este- 
tica o di logica o di etica, si tratta sempre di tutta la filosofia, 
pur lumeggiandosi più vivamente e minutamente (per conve- 
nienza didascalica) un lato determinato di quell’unità inscindi- 
bile , (p. vini). Io mi varrò peraltro del mio speciale criterio 
di convenienza, e lascerò in disparte le molte questioni non pro- 
priamente estetiche che s’annidano, coperte o scoperte, nel libro 
del Croce, così da sembrare (se non si ricordi quella certa 
inscindibile unità, propria della filosofia, da lui allegata a sua 
scusa) superfetazione ed ingombri. 


(1) Bexeperto Croce, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica 
generale, Milano-Palermo, Sandron, 1902. 


484 ; EMILIO BERTANA 


Nonostante le parecchie digressioni (sia pure apparenti) e 
le frequenti incursioni in territorì extra-estetici, la trattazione 
riuscì al Croce brevissima. Egli la semplificò fino all’ estremo 
limite, escludendone ogni ampio svolgimento dimostrativo ana- 
litico, ed escludendone molte di quelle materie che i più finora 
avevano considerate pertinenti all’ estetica, mentr’egli invece le 
considera estranee ad essa. Ridotti a pochi i “ problemi pro- 
priamente estetici , sui quali “ sentì il dovere di travagliarsi ,, 
parvegli di poter dire verso la fine (p. 143) che se il suo trat- 
tato sembrasse “assai scarno, in confronto di tant’altri più 
ponderosi e farraginosi trattati congeneri, ciò sarebbe errore 
prodotto dalle apparenze. L'ampiezza d’un trattato non sì mi- 
sura dalla corpulenza del volume; e quel del Croce non riuscì 
corpulento appunto perchè ne furono escluse le solite zeppe 
psicologiche (l’arte infatti — importa avvertirlo subito — è, per 
il nostro Autore, pura funzione teoretica dello spirito, e non ha 
nulla da spartire colla. sensazione, col sentimento), le solite 
zeppe storiche, ecc., e i soliti inutili discorsi intorno a “ con- 
cetti pseudoestetici ,. 

Tali sono “i concetti del tragico, comico, sublime, patetico, 
commovente, triste, ridicolo, malinconico, tragicomico, umoristico, 
maestoso, dignitoso, imponente, decoroso, grazioso, attraente, stuzzi- 
cante, civettuolo, idillico, elegiaco, allegro, violento, ingenuo, crudele, 
turpe, disgustoso, nauseante; e chi più ne ha, più ne metta ,, dei 
quali il Croce non volle far cenno se non per “ giustificarne il 
risoluto discacciamento , (p. 89) (1). Ma qui si potrà domandare: 


(1) Noto che però d’aleuno di “ cotesti concetti , il Croce ha: voluto 


anche espressamente occuparsi. Così, p. es. (pp. 91-92), egli ci ha data una 
definizione del comico; quella che “fra le tante escogitate, sembra a lui la 
più plausibile, la meno incompleta ,. Come nascerebbe il comico, secondo 
il Croce? “ Perchè si abbia il comico è necessario che l’uomo si metta in 
disposizione di contemplatore che attende e prevede una data percezione. 
Nell’ascoltare un racconto che ci descrive il proposito magnifico ed eroico 
di una determinata persona, noi dobbiamo con la fantasia anticipar l'ay- 
vento di un'azione magnifica ed eroica e prepararci ad accoglierla, ten- 
dendo le nostre forze psichiche. Ma, di un tratto, in luogo dell’azione ma- 
gnifica ed eroica, che il tono e le premesse del racconto ci annunziavano, 
con una voltata improvvisa, l’azione che sopravviene, è invece piccola, stolta, 
meschina, impari all’attesa. Noi ci siamo ingannati, e il riconoscimento del- 


Mi 


DI UNA NUOVA ESTETICA 485 


in qual canto mai troveranno rifugio adesso cotesti poveri con- 
cetti scacciati dall’estetica, dove stavano a pigione? Il Croce fu 
inesorabile come un usciere che intima lo sfratto a degli inqui- 
lini morosi; bisognerà, se non muoiono, che qualche anima 
pietosa o li provveda d’un nuovo alloggio o li faccia rientrare 
(e forse sarà il meno peggio) nel vecchio. 

La brigata non è poi tanto numerosa come il suo perse- 
cutore l’ha fatta parere a furia di sdoppiamenti, ma un certo 
numero di quei concetti esiste da tempo immemorabile, e nes- 
suno ha colpa se esiste. Li han prodotti le cose; ci sono al 
mondo perchè nella natura e nell'arte c'è qualche cosa che li 
ha fatti nascere; sono indispensabili a distinguere dei gemeri, 0 
a caratterizzare certe impressioni ed espressioni estetiche; non 
appartengono a un'arte singola, ma a tutte in comune; che 
male c'è dunque se la scienza dell’arte ne tien conto e li studia ? 
Sarebbe male se li studiasse per trarne delle regole da imporre 
agli artisti, ma l’estetica ormai (sia detto a suo onore) non ac- 
campa più di tali pretese. 

Ho detto generi; ma che sono essi poi se non “ vuote fan- 


l'inganno non può non essere accompagnato da un attimo di dispiacere. 
Ma quell’attimo di dispiacere è presto soverchiato dal momento seguente, 
in cui possiamo far gettito dell’attenzione preparata, liberarci della prov- 
vista di forza psichica accumulata ed ormai superflua, sentirci leggieri e 
sani: che è il piacere del comico, col suo equivalente fisiologico, il riso ; 
— Non è difficile accorgersi che “la meno incompleta , definizione e spie- 
gazione del comico offertaci dal Croce riguarda un caso, che sarà, magari, 
frequentissimo, ma che è particolare. Sonvi altri casi, certo non infrequenti 
— in cui si ride senz’esserci prima disposti ad ascoltare o a vedere qualche 
cosa di magnifico e d’eroico; e se fosse vero che a produrre il comico 
quella certa aspettazione fosse necessaria, certi personaggi di commedia e 
di romanzo, 0 certe persone reali, non ci farebbero ridere che una volta, 
la prima che ci si presentano; perchè, dopo averli conosciuti, l’aspettazione 
supposta sarebbe impossibile. Da Don Abbondio, p. es., chi s’aspetta mai 
qualche cosa di magnifico e d’eroico? Nemmeno la prima volta ch’egli 
entra in scena; l’atteggiamento, l’aspetto, il passo, lo sguardo, ecc., tutto 
in lui annunziano già prima ch’egli parli ed agisca un personaggio non 
eroico; e tuttavia noi ridiamo, Gli è — e valga l’osservazione non pel solo 
concetto estetico (0 pseudo-estetico) di cui discorriamo, ma per tutti gli 
altri — che v'ha comico di diversi gradi, di diverse specie, di diversa ori- 
gine; e il meglio che resti da fare è ancor lo studio di cotesti diversi 
gradi, specie ed origini, piuttosto che la ricerca di un problematico prin- 
cipio comune. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII, 


(46) 
(vb 


486 EMILIO BERTANA 


tasime ,? (p. 41). Vuote fantasime, senza dubbio, se, per il gusto 
di metterli in fuga, ce li figuriamo costituiti da schemi, da 
formole, da precetti; oppure ce li figuriamo così rigidamente 
delimitati e chiusi, che l’uno non possa mai in nulla parteci- 
pare dell’altro; non però vuote fantasime, se ce li figuriamo 
formati da gruppi d’opere in cui variamente si ripete un mede- 
simo conato d’arte. Certo sarebbe assurdo parlar di generi per 
prescrivere come debbano trattarsi, e non per vedere come fu- 
rono trattati; ma per buona sorte la precettistica oggi non è più 
in grado di far paura. 

Come non è più in grado di farne la rettorica o la dottrina 
dell’ornato, contro la quale il Croce dichiara di scendere in 
campo perchè “noi non possiamo dimenticar senz'altro gli er- 
rorì del passato, nè le verità possiamo tenere in vita se non 
facendole battagliare contro gli errori , (p. 76). Sono assai 
lontani i tempi in cui il Patrizio (1) formulava un principio 
d’arte conveniente all'essenza del più puro secentismo, ponendo 
nell’ornato il maggior pregio di ogni discorso, sostenendo che 
“ per avventura l’ornamento, o tutto o la più eccellente parte 
di lui, istà ne’ traslati e nelle figure ,. Que’ bei tempi sono — 
dicevo — assai lontani, nè accennano a tornare, che io m’avveda. 

Del resto — conveniamone — la povera rettorica, che adesso 
tutt'al più insegna o dovrebbe insegnare a distinguere i modi 
diversi dell’elocuzione, i proprii dai figurati, e questi nella mol- 
teplice loro varietà allargata o ristretta, secondo la sottigliezza 
o l’arbitrio dei grammatici (2), non ha mai fatto più male di 


(1) V. il V dialogo Della Rettorica di Messer Francesco PATRIZIO ecc., 
intitolato Il Sansovino 0 vero degli ornamenti oratorî. Mi valgo della rac- 
colta Degli autori del ben parlare, Venezia, 1646, T. IV, p. 678. 

(2) È inutile richiamare le distinzioni, divisioni e suddivisioni pedan- 
tesecamente minute, così frequenti ne’ vecchi trattatisti, quali, p. es., GruLio 
CamriLo DeLminio (Za Topica, in Autori del ben parlare cit., II, 337 sgg.), 
BernarpINo DanisLLO (Trattato delle parole proprie e trasportate e delle figure 
del parlare, ivi, ivi, 387 sgg.), ed altri che andarono anche più oltre nel 
moltiplicare le distinzioni. Ricorderò piuttosto Jacopo Mazzoni (Dei Tropi, 
in Autori del ben parlare ‘cit., IT, 79 sgg.); îl quale dopo aver definito il © 
tropo “ una mutazione nella parola dalla propria significazione ,, fatta “ per 
comune consentimento dei retori, in tredici modi , (veramente i retori ne 
distinsero di solito quattordici), aggiunge: “ Ma io credo che questa opi- 


DI UNA NUOVA ESTETICA 487 


quanto ne ha fatto e ne fa quell’altra perniciosa rettorica, che 
non conosce e non cura i posticci ornamenti accattati nell’ ar- 
senale della topica, e intanto adultera in tanta prosuccia disa- 
dorna, che oggi si scrive o si declama, la sincerità del pensiero 
e del sentimento. 

Il Croce ha ragione da vendere quando sostiene che, a rigore, 
in estetica è impossibile distinguere il proprio dal traslato, poichè 
l’espressione estetica non ammette che parole proprie, e che dove 
il traslato non ha valore di proprio, esso è viziosa superfluità 
che guasta; ma ciò concesso — poichè metafore, sineddoche, me- 
tonimie, ecc. esistono e, fuor d’ogni disegno di usarle ad ornare 
il discorso, possono render qualche servigio a chi parla o a chi 
serive, come mezzi opportuni d’espressione (il Croce stesso di- 
chiara d’aver talvolta voluto deliberatamente giovarsene) (1) — 
che male ci sarà ad imparare a conoscerle? 

Non attardiamoci su queste o su altre simili questioni la- 
terali e secondarie; veniamo a ciò che più importa di rilevare 
e di discutere. 

Il Croce ha “ evitato studiosamente ,, fin oltre la metà del 
suo lavoro, “ di usar la parola dello , (p. 81); e in tutto il la- 
voro non l’usò mai che in unico senso. Che cosa è per. lui il 
bello? È “l’espressione riuscita, o meglio, l’espressione senz'altro ,; 
mentre il “ brutto è l’espressione sbagliata , (ivi). Infatti la sua 
estetica (scienza del bello) fa concepita “ come scienza dell’espres- 
sione ,, soltanto. 

Egli ha voluto così semplificarla, e di tutte le semplificazioni 
da lui tentate questa, ch'è certamente la più ardita, è, in un 
certo senso, anche la più legittima. Troppe volte invero è dello 
d’arte (e chiamiamolo pure anche noi bello d'espressione 0 espres- 
sione) è stato confuso col dello di natura o bello fisico (2), e dalla 


nione calpestata da tutta la scuola dei retori dica molte cose superflue in 
questo proposito. Perciocchè i tropi non sono, & mio giudizio, più che 
quattro, i quali tutti nascono da quattro luoghi topici ,; secondo le idee 
di causa ed effetto, tutto e parte, comparabilità ed opposizione. 

(1) “ Allorchè si è detto parola, si è voluto usar da noi una sineddoche 
e intendere genericamente espressione , (p. 26). 

(2) La confusione presso molti scrittori d’ estetica continua ancora. 
Vedasi p. es. il saggio su Le sentiment du beau (in C. R. HercxeNRATE, Pro- 


488 EMILIO BERTANA 


confusione sono nati deplorevolissimi errori. Ciò che in natura 
a nessuno par bello può essere bello in arte; e non c'è nessun 
bisogno che, per esser bella, l’arte ritragga esclusivamente, come 
dicevasi un tempo, la bella natura; ma anche là dove ritrae la 
bella natura, l’arte non si confonde con essa. Dinnanzi al ri- 
tratto di una bella donna da noi conosciuta, noi diremo con un 
senso di soddisfazione estetica profondo: è lei, par viva! — però 
non è certo la bellezza della donna che farà la bellezza del ri- 
tratto, e nemmeno la perfetta rassomiglianza; chè, in tal caso, 
le più semplici fotografie mon ritoccate sarebbero opere d’arte 
per eccellenza. 

La bellezza di natura, per diventare bellezza d’arte, ha bi- 
sogno d’essere sentita, interpretata (diciamo pure espressa); ar- 
monia di colori e di linee, e proporzione di parti, ecc., possono, 
in natura, non dirci nulla, non interessarci, non destare in noi 
nessun senso di meraviglia e di piacere; ma ciò non porta di- 
rettamente a negare che. quegli oggetti naturali, che noi chia- 
miamo belli perchè spesso la loro contemplazione genera in noi 
un diletto, abbiano una loro bellezza; ciò non porta a concludere 
che “il bello naturale è un semplice stimolo della riproduzione 
estetica, che presuppone l'avvenuta produzione , e che “ senza 
le precedenti intuizioni estetiche della fantasia, la natura non 
può risvegliarne alcuna , (p. 99). 

Se così fosse (se cioè il dello fisico — come il Croce so- 
stiene — non avesse alcuna esistenza), perchè mai vi sarebbero 
in natura alcuni spettacoli che hanno in grado eminente cotesta 
virtù di stimolare la riproduzione estetica, ed altri che l'hanno 
in grado assai più scarso o non l'hanno nè punto nè poco? 
Perchè mai noi ci fermiamo a contemplare e un artista si mette 
volentieri a ritrarre, poniamo, un bel viso di donna (uno di que’ 
visi che si sogliono chiamar belli) e non una faccia ròsa dal 
lupus? Perchè l’istesso effetto non è indifferentemente prodotto 
da un gruppo di peschi e di mandorli fioriti, e da una catasta 
di fascine; da un prato ove bruchino de’ buoi, e da una con- 
cimaia dove s’imbrodino il grifo dei porci? Se poi fosse vero 


blèmes d’esthétique et de morale, Paris, Alcan, 1898) condotto sull'idea di 
P.-J. HeLwre (Eine Theorie des Schònen), che il bello nella natura e nell’arte 
sì trova da noi in ciò che risponde a un tipo medio ideale. 


DI UNA NUOVA ESTETICA 4899 


che “ la riproduzione estetica presuppone l'avvenuta produzione ,, 
e cioè che la natura ha solo la bellezza da noi creata e da noi 
prestatale; che non essa, ma l’imagine d’essa, latente nel nostro 
spirito, è bella, come si spiegherebbero il nostro stupore e la 
nostra ammirazione dinnanzi a cose non mai vedute, e talvolta 
neppure mai imaginate, o imaginate assai diverse da quel che 
sono? Se poi la bellezza della natura fosse semplicemente un pro- 
dotto della nostra fantasia, lo spettacolo delle cose già prima 
imaginate non potrebbe oltrepassare o deludere la nostra aspet- 
tazione, come talvolta la oltrepassa o la delude. 

Era giusto distinguere il bello d’arte dal bello di natura, 
era magari possibile trattar di quello senza occuparsi di questo 
(benchè in realtà l’uno trapassi talvolta nell’altro, e certe con- 
dizioni ed effetti dell'uno si ritrovino pure nell’altro); non era 
però lecito spingersi nel processo di semplificazione tant’oltre da 
‘negar la bellezza alla natura fisica e perfino a quelle-che “ si di- 
cono cose belle ,, cioè agli stessi “ monumenti dell’arte , (p. 97). 
» Bello fisico e cose belle sono pel Croce non sensi o “ paradossi 
verbali ,, poichè il bello è spiritualità immaterializzabile; e se 
cotesta estetica trascendentale incontrerà fortuna, l’abbracce- 
ranno per prime con gran fervore le cosidette donne brutte, 
alle quali sarà d’immenso conforto il ritener dimostrato scien- 
tificamente, cioè filosoficamente, che le cosidette donne belle 
non esistono. 

Uno dei capisaldi della teoria del Croce è il principio della 
identità e simultaneità assolute dell’intuizione e dell'espressione, 
in modo che “ l’attività intuitiva tanto intuisce quanto esprime ,, 
e “l'una viene fuori con l’altra, nell’attimo stesso dell'altra, perchè 
non son due ma uno ,, (p. 11). Dunque non si può intuire senza 
esprimere, perchè l’intuizione è l’atto stesso creativo, formativo; 
tutto ciò che nella pienezza della sua luce balena alla fantasia, 
contemporaneamente si traduce in una espressione, cioè in un 
prodotto d’arte. Intuire, p. es., un quadro equivale così a farlo; 
anzi non si potrebbe intuirlo e non farlo. 

Cotesta necessaria concomitanza dei due atti, intuitivo ed 
espressivo, che non sarebbero poi due, ma uno, e solo verreb- 
bero ad essere arbitrariamente distinti nel comune uso verbale, 
è ben lungi dall'avere quel valore assiomatico che il Croce le 
attribuisce. 


490 EMILIO BERTANA 


Al Faggi, che osservavagli che si può anche “ intuire senza 
esprimere , o “intuir bene, compiutamente, ed esprimere male, 
inadeguatamente , (1), egli replicava (2) che quando ci sembra 
d’intuire senza esprimere, “ ci aggiriamo in una illusione psico- 
logica ,; od altrimenti — come aveva già detto nell’ Estetica 
(p. 11) — che ciò che a noi pare intuizione (fatto spirituale) è 
mero “ fatto psichico, o naturale..... sensazione e naturalità ,. Si 
può concedere che molte volte ciò avvenga; ma non sì dovrebbe 
in nessun modo negare che tante e tante imagini che si for- 
mano vive, chiare, concrete nella nostra fantasia, che le va- 
gheggia, possano rimanere inespresse, come infatti rimangono. 
Io ho, p. es. (e chi vorrebbe contestarmelo?), l'intuizione d'un 
luogo, d’una persona, a me famigliari, a me noti; cioè nel mio 
interno me li rappresento così vivamente, 


Che se l’error durasse altro non chieggio. 


Ebbene, sarò io in grado per questo di esprimere con qua-. 
lunque mezzo d’esteriorizzazione (parole o colori, poniamo) quelle 
mie intuizioni? Sarò io per questo necessariamente poeta 0 
pittore? Il Croce me ne assicura; e così fosse! — ma in realtà, 
anche in quei casi, in cui l'intuizione non si può dire che mi 
manchi, ahimè, io non sarò nè poeta nè pittore. 

La teoria del Croce mi par fatta per creare molte beate 
illusioni. 

Nell’ Estetica (p. 12) egli scrisse: “ Una Madonna di Raffaello 
— si crede — avrebbe potuto immaginarla chiunque; ma Raf- 
faello è stato Raffaello per l’abilità meccanica dell’averla por- 
tata sulla tela. Niente di più falso ,; Raffaello è stato Raffaello 
unicamente perchè egli solo ha avuto quella tale intuizione. 

La tecnica qui non c'entra (e alla tecnica il Croce non 
attribuisce mai alcuna importanza, considerandola come un coef- 
ficiente esteticamente trascurabile); la preparazione e l'educazione 
artistica non c'entrano; s'anche Raffaello non fosse stato alla 
scuola del Perugino, la sua Madonna l’avrebbe fatta lo stesso, 
così, data l’intuizione di cui essa è l’espressione esteriorizzata; 
appunto come potremmo farla pur noi, se la intuissimo a quel 


(1) “ Rivista Filosofica ,, 1902, fasc. IV. 
(2) Ivi, 1902, fase. V. 


DI UNA NUOVA ESTETICA 491 


modo; o come almeno saremmo tutti in grado almeno di co- 
piarla, se intuissimo il quadro da lui fatto. 

Questo non lo dico io, ma l’afferma il Croce là dove, nella 
replica al Faggi, pone il seguente quesito: — 1“ Con l’intuire 
un quadro siamo noi perciò solo capaci di portarlo sulla tela? , 
— ed al quesito egli risponde con imperturbabile sicurezza: — 
“ Se voi l’intuite davvero, se cioè la vostra fantasia rivive dav- 
vero ogni minimo tocco del pennello del pittore, siete poten- 
zialmente in grado di portarlo sulla tela, siete ottimamente 
disposti a farne una copia ,. 

Quel cauto “ potenzialmente , vuol salvar varie cose, le 
quali sarebbero state assai compromesse da un risoluto. effetti 
ramente che, a rigor di logica, avrebbe dovuto sostituirlo; ma 
siccome della potenzialità, di cui sono troppo dubbîì e non spe- 
rimentabili gli effetti, sarebbe vano discorrere, tiriamo via, ac- 
contentandoci d’osservare che a far una buona copia d'un quadro 
di Raffaello, tre o quattr’anni d’ Accademia aiutano forse più di 
ogni possibile intuizione. 

Ma, per tornare al primo esempio, che cosa ha voluto dire 
il Croce affermando che se noi non siamo in grado di produrre 
una Madonna di Raffaello, gli è solo perchè ci manca “ quella 
tale intuizione ,? Che noi non siamo tutti dei Raffaelli?... D’'ac- 
cordo; anzi è fin troppo chiaro, fin troppo semplice. Ora, chi non 
fa nè quadri nè poemi nè statue, ha o non ha intuizioni? L'im- 
tuizione è attività comune, o è attività speciale di coloro che il 
mondo chiama artisti? Fra le intuizioni di costoro e le intuizioni 
degli altri v'è solo differenza quantitativa o qualitativa? Lo 
domando perchè v'è un luogo (p. 73, 1. 23) in cui il Croce sosti- 
tuisce all’intuizione l'ispirazione, che da tanti anni si suole at- 
tribuire agli artisti, anzi soltanto ai grandi. 

Ne’ casi di cui abbiamo fin qui discorso, l’espressione con- 
comitante all’intuizione s’esteriorizzerebbe in un modello o in una 
copia; ma non è punto necessario — secondo il Croce — che 
l’esteriorizzazione avvenga perchè il fatto estetico si compia. “ Il 
fatto estetico si esaurisce tutto nell’elaborazione espressiva delle 
impressioni. Quando abbiamo conquistato la parola interna, con- 
cepito netta e viva una figura o una statua, trovato un motivo 
musicale, l’espressione è nata ed è completa. Non ha bisogno 
d'altro , (pag. 53). 


492 EMILIO BERTANA 


Nel caso della musica sono pronto a concederlo, perchè se 
— come dice altrove il Croce — “ l’intuizione del Beethoven 
non fosse il suo pezzo musicale, e il pezzo musicale la sua in- 
tuizione , (p. 13), non saprei davvero che cosa sarebbe. Tutt'al 
più il pezzo musicale avrà bisogno di chi lo canti o lo suoni 
meglio del maestro, ma il maestro lo trova di solito esterioria- 
zandolo per proprio uso come può, in qualche modo; anzi l’in- 
tuizione e l’espressione nella musica si identificano tanto che una 
concezione musicale muta non è pensabile se non come un eser- 
cizio algebrico, un calcolo di combinazioni acustiche. 

Ad ogni modo, in altri casi, cioè in altre arti, l’espressione, 
secondo il Croce, potrebbe non esteriorizzarsi e tuttavia essere 
“ completa ,; e se ciò è, chi sa quanti bei quadri, mirabili statue 
e stupendi poemi vi furono al mondo, che non furono mai di- 
pinti, scolpite e scritti; chi sa quanti grandi artisti passeggiano 
per le nostre vie in strettissimo incognito! Io credo piuttosto 
che vi sia sempre stato e vi sia una quantità d’intuizioni, ossia 
di concezioni estetiche, abortite per mancanza d’espressione, ch'è 
quanto dire di formazione o di concretezza. Con qual ragione si 
parli di un'espressione interna “ completa , e non esteriorizzata, 
davvero non so intenderlo. Se quell’espressione, che si suppone 
“ completa , è interna, e tale rimane, che ne sappiamo noi? 
Che cosa sappiamo delle concezioni artistiche che non ci si ma- 
nifestano? Come possiamo giudicare del loro grado d'espressione? 

Ma un’altra cosa più importa. Le parole del Croce che più 
su ho riferite tendono a ribadire la sua tesi fondamentale della 
assoluta interiorità del fatto estetico e della identità della intui- 
zione coll’espressione (interna). Ora cotesta tesi — astraendo dalle 
esagerazioni e dai paradossi che ne possono germogliare — ha 
molto del vero, ma ha molto poco del nuovo. Che non si possa 
intuire senza vedere, che non si possa concepire, per es., nè una 
statua nè un quadro senza che entri in azione la facoltà nostra 
formatrice d’imagini, senza che la figura, da noi concepita, abbia 
un'espressione, è tanto vero che nessuno potrebbe dire e nessuno 
ha mai detto il contrario; però, si badi: cotesta espressione, 
cotesta parola interna — come il Croce la chiama — non è 
propria esclusivamente dell’attività intuitiva, ed appartiene anche 
all'attività intellettuale. Che cosa è infatti il pensiero se non un 
tacito discorso? Posso io pensare senza che il mio concetto si 


as 


DI UNA NUOVA ESTETICA 493 


concreti in una parola interna, prenda dei contorni e un atteg- 
giamento, abbia una espressione?... 

Per questa via non è possibile raggiungere la differenza 
necessaria tra arte e scienza; e per questa via il Croce non la 
cerca. Egli la pone invece nel'contenuto diverso della intuizione 
(estetica), ch'è l’individuato, il concreto, e del concetto, ch’ è 
l’astratto: un uomo, e l’uomo (cfr. p. 25); ma poichè poi è co- 
stretto a riconoscere che anche il concetto richiede la sua espres- 
sione, egli, che concepisce il fatto artistico solo come un fatto 
d'espressione, indifferenziabile, va diritto a concludere che “ ogni 
opera di scienza è anche opera d’arte , (pag. 27). 

Eppure non è così; e lo sa benissimo il Croce stesso il 
quale più oltre avverte: “ La forma logica o scientifica, in quanto 
tale, esclude la forma estetica. Chi si fa a pensare scientifica- 
mente ha cessato di contemplare esteticamente , (pag. 39). Se 
questo è, che importa che un trattato abbia — poniamo — 
qualche felice pagina descrittiva e che uno scienziato possa pos- 
sedere anche qualche attitudine d’artista? Il trattato — se è 
opera vera di scienza, e non amabile chiacchiera di divulgatore 
— resterà trattato, nè lo renderà mai opera d’arte “il pen- 
siero , che vi si volga “ limpido, netto, ben contornato, senza 
parole superflue, senza parole mancanti, con ritmo e intonazione 
appropriata , (pag. 28). Io vorrei mettere innanzi al Croce più 
d’un trattato di meccanica razionale o d’elettrotecnica o di pa- 
tologia, in cui (a giudizio dei competenti ed anche degli incom- 
petenti) il pensiero corre limpido, netto, ben contornato, senza 
parole superflue (quanto al ritmo ed all’intonazione appropriata, di 
cui sarebbe troppo difficile formarsi un’idea, non garantisco di 
niente); e poi dirgli: m’usi la cortesia di farmi un poco gustare 
cotesti libri anche come opere d’arte! 

Non lo inviterei però tanto facilmente alla stessa prova 
mettendogli innanzi qualunque libro di filosofia, di politica, di 
storia e, in genere, di quelle che si chiamano scienze morali. 
So benissimo ch’egli non avrebbe fatica a convincermi che, tra 
i cultori di quelle scienze, qualche “ gran pensatore , merita 
anche il nome di “ grande scrittore ,, e può parlare, oltre che 
all’intelletto, anche alla fantasia e al sentimento; ma io allora 
dovrei domandargli : se proprio crede che “ ogni opera di scienza , 


.— qualunque ne sia la materia — possa effettivamente pren- 


404 EMILIO BERTANA 


dere aspetto (ch'è quanto dire aver l'efficacia e produrre gli ef- 
fetti) dell’opera d’arte. 

Basti quest’accenno, perchè — risoluto come sono a non en- 
trare nè punto nè poco nella grossa questione dell’indifferenza 
del contenuto (ch'è un altro dei capisaldi dell’estetica del Croce) 
— voglio astenermi da ogni discorso che potrebbe trascinarmi in 
qualche modo a toccarla (1); ma un’altra cosa qui m'importa di 
avvertire. 

V'è un momento in cui il concetto d'espressione (cioè il con- 
cetto in cui dovrebbe contenersi tutta. la propria essenza del 
fatto estetico). s'adegua pel Croce (p. 28) al comune concetto 
letterario della forma, anzi della elocuzione; confina — come 
abbiamo veduto — con le idee di chiarezza, proprietà, conve- 
nienza,, efficacia, ece.; l’arte è ridotta allo scriver bene, cioè allo 
esprimere adeguatamente e perspicuamente non importa che cosa, 
qualunque conoscenza. Ora. se questo non ha nulla che vedere 
con la indifferenza del contenuto ammessa dal Croce, contrasta 
però con la natura del fatto estetico, ch'è per lui pura cono- 
scenza intuitiva col suo equivalente: l’espressione, o — com’egli 
anche la chiama — la “ conoscenza espressiva , (p. 14). Ciò po- 
stula la incertezza e la insufficienza di un’estetica semplicemente 
concepita come scienza dell'espressione. 

Data l’equipollenza dei due termini inscindibili (intuizione 
ed espressione), ne consegue anche la loro simultaneità. L’intui- 
zione pel Croce non è un antecedente dell'espressione; l’una e 
l’altra si producono “ nell’attimo stesso ,. 

In un certo senso ciò è vero, anzi incontrastabile; ma il 
Croce c’insegna rettamente (p. 94 sg.) che non ogni espressione 
è estetica. 

Delle espressioni in senso naturalistico è inutile discorrere; 
badiamo invece alle estetiche (che son poi quelle destinate ad 
esteriorizzarsi nelle opere d’arte) e vediamo s'’esse si progucano 
nel modo da lui indicato. 

Qualche volta, sì; l'intuizione e l’espressione hanno talora 
una formazione affatto istantanea, una concomitanza assoluta; 
l'artista intuisce ed esprime, vede e fa; ma qualche altra volta 


(1) Ne ho già toccato altrove, polemizzando, anni or sono, amichevol- 
mente col Croce, e mi basta. 


DI UNA NUOVA ESTETICA 495 


invece (anzi il più delle volte) l’artista intuisce, sente, e non 
riesce ad esprimere; ha qualche cosa che gli si agita dentro e 
che invano domanda d’essere espresso; sa ciò che vuol fare, sa 
dove vuol riuscire e non trova la via. Tenta e ritenta, muta e 
rimuta, è costretto ad accontentarsi d’espressioni anche per lui 
insoddisfacenti, provvisorie, messe lì quasi a sussidio della me- 
moria, quasi a richiamo di un'idea, di un’imagine ribelle, che 
non si lascia imprigionare nell’espressione. 

Ora che mai può essere l’intuizione di cui parla tanto il 
Croce se non fosse la concezione di cui si è sempre parlato? Se 
fosse altra cosa, e fosse tutt'uno con l’espressione, la formola 
che “ l’attività intuitiva tanto intuisce quanto esprime , sarebbe 
la più vuota cosa del mondo, un giro vizioso di parole. Imvece 
l’espressione, nel senso suo più virtuale, è spessissimo, nell’arte, 
non l'immediata conseguenza della concezione (o intuizione, se 
così si vuol dire), ma il lento prodotto della elaborazione; di 
quella lunga elaborazione, di cui nei manoscritti dei grandi poeti 
o negli schizzi e cartoni de’ grandi pittori restano le tracce, i 
documenti irrecusabili. 

Sennonchè — qui si potrebbe dirmi — voi vi riferite alla 
espressione esteriorizzata invece che all’interna; mentre “ l’opera 
d’arte (l’opera estetica) è sempre interna ,, e “ quella che si 
chiama esterna non è più opera d’arte ,, come il Croce intre- 
pidamente sostiene (p. 54). 

Io prendo solo ciò che posso prendere, ciò che sta in fatto, 
ciò ch'è in qualche modo controllabile e tangibile; prendo il 
fenomeno; e cotesto fenomeno è d’altra parte il chiaro riflesso 
dei fatti estetici interni da cui dipende. Qual differenza infatti 
può passare (non di natura, ma di forma) tra l’espressione in- 
terna e la esterna? Nessuna; la seconda è lo specchio della 
prima, anche quantitativamente. 

Che l’espressione il più delle volte si trovi provando e ri- 
provando, lo sa benissimo il Croce, che ha descritto molto esat- 
tamente il processo della ricerca di essa, in un luogo che gioverà 
riferire: “ L'individuo A cerca l’espressione di un’impressione 
che sente, ma che non ha ancora espressa. Eccolo a tentare 
varie parole e frasi, che gli diano l’ espressione cercata, che 
dev’esserci, ma ch'egli non possiede. Prova la combinazione w, 
e la rigetta come impropria, inespressiva, manchevole, brutta: 


496 EMILIO BERTANA 


prova la combinazione n, e col medesimo risultato. Non vede 
punto o non ci vede chiaro. L'espressione gli sfugge ancora. Dopo 
altre vane prove, nelle quali ora s’accosta ora si discosta dal 
segno cui tende, d’un tratto forma (par quasi che gli si formi da 
sè spontaneamente), l’espressione cercata, e lux fucta est. Egli 
gode per un istante il piacere estetico o del bello , (p. 119). 

È di qui che il Croce prende le mosse ad affermare l’iden- 
tità di gusto e genio, e il valore assoluto del giudizio estetico. 

Intorno alla prima di coteste affermazioni non occorre spen- 
dere molte parole; per quanto discretamente la si voglia inten- 
dere e per quanto se ne voglia restringere il senso, essa non 
regge. 

Il gusto attivo (produttore) proprio dell’artista e il gusto pas- 
sivo (riproduttore) proprio del critico, non sono la stessa cosa, 
perchè sostanzialmente diverso è il loro prodotto. Il De Sanctis 
diceva, è vero, che l’opera del critico è una creazione sopra 
un’ altra creazione; ma nessuna opera di critica è equivalente a 
un’opera d’arte. 

Se genio è attività, e gusto è passività (come concede il Croce 
medesimo, p. 121), perchè vorremmo identificarli? Tanto sarebbe 
identificare, p. es., la voce vibrante al cilindro del fonografo che 
riceve le impronte delle vibrazioni. 

Certo, è facile concedere che il gusto, sentendo, apprezzando, 
valutando la bellezza, partecipa in qualche modo della natura 
del genio, il quale la crea; e perciò, in certo senso si potrà pur 
dire che il critico è, o dovrebbe essere, artista; allo stesso modo 
che l'artista, in quanto opera coscientemente — cioè esperimenta, 
riflette, sceglie — è o dovrebbe essere critico; ma la differenza 
tra l’uno e l’altro rimane sempre qualitativa. 

Or se — per dirla col Croce — il genio ci dà la produzione 
e il gusto la riproduzione, questo, rispetto a quello, rappresenta 
una passività sollecitata da uno stimolo del tutto esterno, non 
un'energia spontanea; esso si riduce ad una semplice ricettività. 

Inoltre, l’attività vera e propria del gusto, in quanto è gusto 
(cioè funzione critica), non consiste nella riproduzione, ma nel 
giudizio; e la critica — anche la pura critica estetica — non crede 
mai d’avere con la semplice riproduzione esaurito il suo còmpito, 
nè crede che la intuizione le basti, se a ciò che l’intuizione (in 
senso estetico) le porge non aggiunge — palesemente o coper- 


DI UNA NUOVA ESTETICA 497 


tamente, direttamente o indirettamente — ciò che le viene dalla 
riflessione, dall’associazione, dal confronto, dall'analisi. Il genio 
(arte) è sintesi, mentre il gusto (critica) è essenzialmente analisti, 
anche quando sembra che il suo processo sia affatto intuitivo; 
perciò l'identità dell’attività colla passività, della sintesi coll'ana- 
lisi è un paradosso. 

Meno paradossale, ma non più sicura, è l'affermazione del- 
l'assolutezza del giudizio estetico. Il Croce non ne è il primo e 
forse nemmeno — aggiungo — il più convincente banditore; 
quantunque egli, che divide il suo tempo tra molteplici studi, 
e accoglie nel capace suo spirito tante pugnaci preoccupazioni 
così letterarie come scientifiche, avesse speciali ragioni di met- 
tere ogni impegno nel difenderla vigorosamente e nel dimostrarla 
trionfalmente. Dimostrando infatti l’assolutezza del giudizio este- 
tico, egli sarebbe riuscito ad accrescere l’importanza e — sto 
per dire — la dignità di quella specie di critica letteraria che 
a lui da molti anni sta tanto a cuore. 

Ma la dimostrazione era possibile? Ne dubito assai; certo 
intanto il Croce non l’ha data, come del resto non l’ha mai 
:data nessuno; e la storia dell'estetica è lì a dimostrarlo. L’im- 
potenza della filosofia s'è in ciò tradotta nell’adagio volgare: 
De gustibus non est disputandum, oppure nelle contraddizioni in 
cui s'avvolse. P. es., il Kant (1), dopo aver concesso, nella Cri- 
tica del giudizio, l’arbitrio completo del gusto, è poi ricorso ad 
una specie d’imperativo estetico, secondo il quale il gusto veniva 
a trasformarsi in una facoltà di giudicare del bello in maniera 
universale e necessaria. Quando, secondo il Kant, il giudizio este- 
tico assume cotesta validità e riveste cotesto carattere d’uni- 
versalità e necessità? Quando esso sia tale da poter pretendere 
(ma quale è il giudizio che non lo pretenda?...) d’essere accet- 
tato dai più, quand’esso riscuota il suffragio della maggioranza. 

} Soluzione di fatto, e non di ragione; concessione a convenienze 
e ad esigenze meramente pratiche. 

Il consenso di molti costituisce una probabilità di rettitu- 

ti dine, ma non una prova. Infatti, a certe epoche, la maggioranza, 

e magari la totalità, segue dei gusti, ammette dei giudizî che 


(1) Cfr. Vicror Basca, Essai critique sur l’Esthétique de Kant, Paris, 
Alcan, 1896, pp. 208 sgg., 385 e 387 sgg. 


498 EMILIO BERTANA 


poi destano universale esecrazione ed orrore. Il consenso — ch'è 
ancora il più forte argomento (non filosofico, sì bene storico) in 
favore dell’assolutezza del giudizio estetico, contro il quale è 
facilissimo accumulare i sospetti — è soggetto a variare anch'esso; 
e chi non se ne fidasse, dovrebbe andare in cerca d’una dimo- 
strazione dell’assolutezza del gusto, alla quale, sperando di rag- 
giungerla speculativamente, non mi pare che s’arrivi. 

Il Croce intanto ha creduto d’arrivarci; ed ecco come. 

Dopo avere descritto, colle parole più su riferite, il processo 
mediante il quale “ l'individuo A , persegue e trova l’espressione 
estetica, cioè crea la bellezza, descrisse anche il processo me- 
diante il quale “ l'individuo B , giunge a formulare su quella 
espressione un giudizio che escluda ogni possibilità di divergenze, 
un giudizio infallibile. 

Che fa dunque “ l'individuo B ,? Questo: “ Egli non potrà 
se non mettersi nel punto di vista di A, e rifare, con l’aiuto del 
segno fisico prodotto da A, il suo processo. Sa A ha visto chiaro, 
B (che s'è messo nel punto di vista di lui) vedrà anch'egli chiaro 
e sentirà quell’espressione come della. Se A non ha visto chiaro, 
non vedra chiaro neanch’egli, e la sentirà, d’accordo con lui, 
come più o meno brutta , (p. 120). 

È destino che, in filosofia, per ispiegarsi, bisogni continua- 
mente avvolgersi nelle ambagi del parlar figurato e far uso 
continuo di metafore, d’allegorie, di paragoni; ma poichè a co- 
testa risorsa nessuno — nemmeno il Croce — rinunzia, me ne 
varrò anch'io per discutere in breve il caso interessante di A 
e di B. 

Dunque A trovavasi, press’a poco, nella penosa condizione 
di chi, vedendo confuso, vuol veder chiaro. Piglia una lente, e 
non gli serve; ne piglia un’altra, e peggio che mai; finalmente 
ne trova una che fa meravigliosamente per lui: lue facta est; 
egli vede distinta, nitida l’imagine che prima stavagli innanzi 
incerta ed informe. Cotesta lente metaforica, che, dopo tanti 
stenti, l’ha servito a dovere, è l’espressione; attraverso ad essa 
egli ha avuto (o gli è parso; il che per lui torna poi lo stesso) 
la pienezza della visione, la visione beatifica della bellezza. Sta 
bene. 

Poniamo che “ l’individuo A, sia io; venga pure adesso il 
signor B a controllare se ho veduto chiaro, e faccia il dover suo. 


È DI UNA NUOVA ESTETICA 499 


Figli dunque comincierà dal “ mettersi nel punto di vista , in 
cui io m’ero messo; ed osservando cotesto precetto datogli dal 
Croce (un ragionevolissimo precetto, che adombra un canone 
fondamentale della critica storica) sarà certo in grado d’adempier 
meglio, o meno peggio, il suo ufficio. Egli però mon rifà intero 
il mio processo; egli piglia, senz'altro, “ il segno fisico da me 
prodotto ,, la lente che gentilmente gli presto, e guarda. Se io 
ho visto chiaro, anche B vedrà chiaro; il Croce almeno l’assi- 
cura. Ma, per combinazione (una combinazione tutt’ altro che 
rara!), B non vede chiaro, anzi non vede nulla, e ne leva un 
grande scalpore. Ebbene, che farci?... 

È impossibile che ci mettiamo d’accordo; nè io, se ci ho 
veduto (o mi è parso), posso dichiarare che mi sono sbagliato; 
nè B, se non ci vede, può ammettere di vederci; perciò tronco 
la disputa alzando le spalle, e gli rispondo: — Caro signore, 
posso prestarle bensì la mia lente, ma non i miei occhi. — Lo 
stesso contrasto può poi ripetersi tra B e un altro B, ecc. 

Così è; a rigore, per vedere ciò che uno vede e come l’altro 
lo vede, occorre non solo il medesimo strumento ottico, ma il 
medesimo organo visivo; bisogna che i due siano uno. 

Per togliere ogni possibilità di divergenze, bisognerebbe che 
chi giudica un artista fosse non solo un po’ artista, ma quel- 
l'artista; e se, prescrivendogli di mettersi nel punto di vista del- 
l'artista da giudicarsi, pretendiamo ch’egli si transustanzî in 
esso, rinunzî affatto alla propria personalità, sopprima tutte le 
proprie disposizioni soggettive, noi pretendiamo l’ impossibile; 
e posto ch'egli avesse tanta facilità d’adattamento, cioè cotesta 
completa mancanza d’individualità, egli, per ciò stesso, non po- 
trebbe essere nè artista nè critico. La frase adoperata dal Croce 
è ambigua; perchè mettersi nel punto di vista di un altro può 
voler dire anche mettersi nell’impossibilità di discernere s’egli 
abbia fatto male e di condannarlo. Quante birbonate andrebbero 
impunite, se i giudici si mettessero proprio nel punto di vista di 
chi le ha commesse! 

Tornando al nostro caso, la disputa tra me che pretendo 
d’aver veduto chiaro e B che sostiene il contrario, poichè lui 
non ci vede, potrebbe durare all’infinito, esaurendosi tutta nel 
cozzo continuo di due affermazioni contrarie, delle quali nessuna, 
per sè stessa, può trionfare sull’altra. Perchè l’una finisca col 


500 EMILIO BERTANA 


prevalere, occorrerà che dopo B venga C, e poi D, E, F, G, 
H, ecc.; e che, fatto ciascuno il debito saggio della lente, get- 
tino, l’uno dopo l’altro, sulla bilancia il peso del loro voto. Di 
due affermazioni opposte: è bello, è brutto, prevarrà quella che 
incontri più facile l’assenso e che riesca ad imporsi con l’auto- 
rità e la forza d’una tradizione, oppure quella che riesca a tro- 
vare nell’ingegno dei critici che la sostengono dei sufficienti rin- 
calzi teorici, filologici, psicologici, storici, morali, logici, ecc., che 
le acquisteranno credito e le daranno apparenza di ragionevo- 
lezza. 

Una cosa qui importa d’aggiungere. Alcune volte il gusto 
giudica indipendentemente, ingenuamente, sotto l’impressione 
schietta e viva della bellezza, ch'egli riconosce ed afferma senza 
altri aiuti; ma più spesso anche il giudizio estetico non è che il 
riflesso d’una speciale educazione artistica, di speciali assuefazioni 
e convenzioni, di certe disposizioni morali, di preconcetti dottri- 
nali, che concorrono a determinarlo, e che non sono, tutti e 
sempre, eliminabili (1). 

Inoltre, il cosidetto giudizio estetico, in quanto è puramente 
estetico, nel senso più genuino del vocabolo, e contiene solo, nella 
sua forma primigenia, la constatazione d’una sensazione o im- 
pressione o modificazione gradevole del soggetto (il piacere — 


(1) Quanto difficilmente sieno eliminabili, potrei dimostrarlo con l’e- 
sempio del Croce stesso, che, standosene a cavaliere di quattro vasti ter- 
ritorî (filosofia, letteratura, sociologia e storia) guerreggia or nell’ uno or 
nell’altro; e, come tratta d'’estetica pura, così fa, all’ occorrenza, e brava: 
mente, della critica estetica. Ne ha dato testè qualche ‘saggio anche nella 
sua rivista La Critica; ma leggendo ciò ch’egli vi ha scritto del Fogazzaro 
(a. I, fasc. 2°), m'è subito venuto in mente di domandarmi s’egli ne avrebbe . 
discorso a quel modo senza la sua non dissimulata antipatia per le opinioni 
filosofiche, sociali e religiose del romanziere vicentino, e soprattutto per 
certa specie di “ esaltazione religiosa ,, di cui gli spiace il rifiorire, e 
ch'egli chiama senz’ ambagi “roba da ospedale , (Estetica, p. 67). Ebbene, 
io sono persuaso che se nel pensare e nel credere egli non si fosse trovato 
così lontano dal Fogazzaro, il suo giudizio sarebbe stato parecchio diverso, 
o almen tale da non urtare i nervi d'un mio buon amico, entusiasta del 
Fogazzaro per ragioni opposte a quelle che rendono lo stesso scrittore tanto 
poco simpatico al Croce. Abbiamo un bel fare e un bel dire, ma di pre- 
concetti extra-estetici i nostri giudizî estetici sono sempre impregnati; e 
poichè il fatto — a nostra insaputa e contro la nostra voglia — accade, 
è onesto e filosofico il non ostinarci a negarlo. 


re gn e 9° 


pr 


DI UNA NUOVA ESTETICA 501 


anche pel Croce, che pur è così fiero avversario d’ogni edonismo 
— è poi sempre uno dei “ quattro lati , del fatto estetico — 
p. 95), non è nemmeno giudizio (1), e come tale non ha valore 
alcuno. — Questo mi dà piacere; io sento ch'è bello?... Ciò ch'io 
sento appartiene solo a me, è insindacabile, incomunicabile ; quindi 
si suol dire che il bello st sente e non si dimostra. Ma, come ho av- 
vertito più su, non si può sostenere che l’intelletto sia del tutto 
estraneo a quella che pare sensazione e impressione; nè, se ori- 
ginariamente vi è estraneo, essò rinunzia a trasformarla in mo- 
tivato giudizio; seguendo, anche qui, fin dove è possibile, un 
processo di riduzione dal soggettivo all’oggettivo, dal sensibile 
all’intelligibile. 

Finchè io ripeterò asseverantemente: questo è bello, e lo ri- 
peterò con tutta la forza de’ miei polmoni e tutta la sincerità 
della mia coscienza estetica, nessuno mi prenderà per giudice 
competente, per critico d’arte. Perchè cotesta qualità mi sia ri- 
conosciuta, bisogna che io m’ingegni non solo a far nascere in 
altri la stessa mia impressione, ma a far comprendere anche 
perchè essa nasce e deve nascere, analizzando e ragionando. Gli 
elementi concettuali che spesso si mischiano alle intuizioni del- 
l’artista (quanto pensiero vi può essere infatti nell’arte!) sono 
inseparabili dalle intuizioni del critico. 

Ma torniamo a noi. 

Il Croce dunque sostiene che come A vede, così dovrà ve- 
dere anche B; e dà per “ impossibili i casi che A abbia visto 
chiaro e B veda buio; o che A abbia visto buio e che B veda 
chiaro , (p. 120). Sonvi, è vero — egli soggiunge — “ dei fatti 
che paiono contradire ,; sonvene anzi tanti e tanti ch’ è su- 
perfluo venire agli esempi; ma che importa? “ Ciò non vuol dir 
altro che una delle due parti ha torto ,. È probabile; ma come 
dirimere la controversia, come sapere chi abbia ragione? Ecco 
il punto; un punto scabrosissimo che in teoria non ammette. 
soluzione, e che in pratica ammette solo le modeste soluzioni 
del senso comune. 

Intanto il Croce concede che possono sbagliarsi o l’artista 
o il critico, oppur magari tutt'e due; e questo non soltanto par 


(1) Cfr. J.-P. Duranp (De Gros), Nouvelles recherches sur l’esthétique et 
la morale, Paris, Alcan, 1900. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 34 


502 EMILIO BERTANA 


contradire, ma contradice, anzi cancella, distrugge l'impossibilità 
che B non veda chiaro quando ha veduto chiaro A. 

Il fatto succede; sarebbe vano dissimularlo, negarlo; e tanto 
basterebbe. Ma al fatto il Croce contrappone le ragioni. Perchè 
dev'essere impossibile che B non veda chiaro dove ha veduto 
chiaro A, se costui proprio ha veduto chiaro? O in altre parole, 
perchè l’espressione bella trovata da A non può parere mai brutta 
a B? È semplicissimo: perchè “ l’attività espressiva, appunto 
perchè attività, non è capriccio ma necessità spirituale ,, e perchè 
cotesta attività “ un medesimo problema estetico non può risol- 
verlo se non in un sol modo, che sia buono , (p. 120). 

Se questo in filosofia fosse dogma (e formulato così, ne ha 
tutta l’aria), mi si bruci per -eretico: io non ci credo. 

Chiamando indifferentemente attività espressiva tanto quella 
propria del critico quanto quella propria dell'artista, cioè dando 
per dimostrato (mentre di dimostrazione non v'è neppur l’ombra) 
che “ l’attività giudicatrice, che critica e riconosce il bello, è 
la medesima attività che lo produce , (p. 121), non si taglia 
la testa al toro, di certo; non si pone in sodo la mnecessaria in- 


fallibilità della prima, alla quale — s’essa è poi tutt’una cosa 
con la seconda — si concederebbe per giunta un privilegio in- 
giusto. 


Ma che importerebbe, s’anche l’attività spirituale che giu- 
dica fosse la medesima che produce? In certi casi è proprio 
l'artista stesso che giudica; e non l’opera altrui (nel che gli 
artisti non sono, a dir vero, molto di frequente felici), sì bene 
l’opera propria; e dopo aver risoluto un problema estetico in 
un modo, lo risolve poi in un altro. Delle due o più soluzioni, 
che possono essere di fatto e di giudizio, l'una non esclude as- 
solutamente l’altra; e quella stessa che l’artista rigetta, finchè 
egli non l'abbia rigettata, ci appaga. 

Cioè date due espressioni, non ne consegue che se una è 
bella l’altra deva essere necessariamente brutta; fuori d’un hello 
— ch'è sempre relativo — non sta sempre il brutto, come fuori 
del vero sta per necessità logica il falso. 

Supponiamo che il Furioso fosse a noi pervenuto in quel- 
l'assetto ch’esso ebbe nella prima edizione del ’16, oppure in 
quella ritoccata del ’21. Secondo ogni probabilità noi adesso non 
supporremmo possibile una diversa espressione della mirabile én- 


tetta zzz sn er cia dir 


DI UNA NUOVA ESTETICA 503 


tuizione ariostesca; seguiteremmo a veder chiaro, cioè a giu- 
dicar bella l’opera che il poeta rimaneggiò poi così profonda- 
mente nella edizione del ’32, in cui ci pare recata all’ultimo 
segno della perfezione espressiva. Eppure è noto che l’Ariosto 
non se ne accontentava ancora, e che, se fosse vissuto più oltre, 
avrebbe fatto del poema una quarta edizione differente dalle 
precedenti. Può darsi ch'egli l'avrebbe guasto, e può darsi che 
egli l'avrebbe migliorato: non ne sappiamo nulla; ma. questo 
sappiamo: che l’attività espressiva d'un grandissimo artista si 
esercitò tre volte a produrre e tre volte a giudicare il poema 
che pure fin da principio parve una meraviglia. 

Nei capolavori sembra necessario ciò che per noi è definitivo, 
ma per gli artisti era ancora provvisorio. Chi oggi non s’accon- 
tenta del Mattino e del Mezzogiorno quali furono pubblicati dal 
Parini? Ma chi vorrebbe sostenere che necessariamente così, e 
non altrimenti dovessero rimanere, nell'insieme e nelle parti, per 
esser belli? Se si getta lo sguardo sul ricco e importantissimo 
materiale adunato dal poeta per riformare e compiere l’opera 
rimasta imperfetta, è facile convincersi ch’essa era destinata a 
un vero e proprio rifacimento. Con vantaggio o con iscapito? 
Non lo sappiamo; sappiamo soltanto che la bellezza d’alcuni 
materiali adunati dal poeta per la ricostruzione dell’edificio, in- 
vogliò più d’un editore a metterli in opera; e sappiamo che il 
problema del Giorno dalla incostante e incontentahile attività 
espressiva dell'autore fu avviato a soluzioni diverse, delle quali 
a noi è impossibile indicare l’unica Buona. 

“ L'attività espressiva, appunto perchè attività, non è ca- 
priccio ma necessità spirituale , — dice il Croce; e sia che si 
prenda l’espressione nel senso più largo e vi si assommi tutta 
l’opera della creazione artistica (contenuto e forma, come usasi 
dire), o sia che si prenda nel senso più stretto e comune (forma, 
anzi lingua, parola; perchè la “ scienza dell'espressione , è anche 
una “ linguistica generale ,), la necessità assoluta a cui essa 
soggiacerebbe, non appare evidente a guisa del ver primo che 
l’uom crede. Non è evidente, dico, appunto perchè l’espressione, 
in qualunque senso la si prenda, non ha sempre la medesima 
scaturigine, e può essere spontanea o riflessa. 

In certi casi tra le molte espressioni che. si possono esco- 
gitare o che l’uso ci offre, una sola soddisfa, una sola rende 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 34% 


504 EMILIO BERTANA 


davvero l’imagine, l’idea che ci sta nello spirito, e non potremmo 
adoperarne un’altra; ma quante volte l’ espressione non ci è 
suggerita da motivi affatto estrinseci d’opportunità, di conve- 
nienza, di tradizione, ecc.? In altri casi la scelta si compie con 
piena indifferenza, parendoci che ciò che a noi preme d’espri- 
mere possa essere sufficientemente ed egualmente espresso in 
più d’un modo. Il Parini, per dare un esempio, aveva scritto, 
nel primo testo del Mattino, 


Tra una pagina e l’altra indice nastro; 


poi mutò, e scrisse: 


Tra l’uno e l’altro foglio indice nastro; 


ebbene, l’attività espressiva che non è capriccio, ma necessità spi- 
rituale, qui s'esplica in due modi; quale è il necessario? Potremmo 
cavillare per sostenere la prima o la seconda lezione; ma tutte 
le ingegnose ragioni che riuscissimo a mettere in campo per 
quella o per questa, non dimostrerebbero mai esaurientemente 
l'assoluta necessità di quella da noi preferita. 

Sottilizzando sì può giungere a concludere che non vi sono 
espressioni equipollenti (come, sottilizzando, il Croce arriva per- 
fino a concludere che non vi sono parti del discorso: nomi, 
verbi, ecc.; che non vi sono sillabe, che non v'è grammatica 
normativa; che il vocabolario “ per quanto lo si faccia progres- 
sivo e dell’uso vivo, è sempre cimitero di cadaveri più o meno 
abilmente inbalsamati ,, od anche una “ raccolta d’astrazioni , 
— pp. 147-152); in realtà però non s’arriva sempre a scorgere 
la diversità delle cose sotto la diversità delle espressioni. Vi 
sono cose che noi tutti esprimiamo, ma diversamente, senza me- 
cessità, appunto perchè può aver luogo la scelta. Ora se 5 tante 
volte non s'appaga della espressione d’A, ciò non vuol dire che 
A non abbia usata l’espressione che necessariamente avrebbe do- 
vuto, ma che B, nel caso di A, ne avrebbe preferita un'altra. 
Questione di gusti; poichè (e possiam dirlo con que’ versi di 
Dante scritti senza intenzione d’adombrarvi una dottrina este- 
tica dell’espressione): 


x 


Opera naturale è ch'uom favella, 
Ma così o così, natura lascia 
Poi fare a voi, secondo che v’abbella. 


DI UNA NUOVA ESTETICA 505 


Io non ho fatto altro fin qui che trascrivere alcune delle 
postille e tradurre alcuni dei punti interrogativi di cui ho se- 
minato (leggendolo mesi or sono) il libro del Croce, il quale m’è 
parso certo assai più ingegnoso e più ardito, ma non più con- 
vincente di tanti altri libri d’estetica che si sono fin qui scritti. 

Rinunzio anche ad accennare gli altri dubbî e l’altre osser- 
vazioni che, leggendolo, mi sono sorti in mente, ma non tacerò 
una domanda che più volte — ripensandoci — mi sono fatta; 
e la domanda è questa: Semplificata l'estetica nel modo corag- 
gioso che al Croce parve opportuno; rigettati sdegnosamente gli 
aiuti che altri cercarono nella psicologia e nella storia; ridotta 
tutta la somma del fatto estetico all’intuizione colla conseguente 
espressione; messi in disparte tutti i fatti che potrebbero sup- 
porsi concomitanti, antecedenti o susseguenti, qual maggior luce 
piove sull’oscuro problema della natura dell’arte e del bello? 

Il bello è pel Croce unicamente — ormai lo sappiamo ab- 
bastanza — “ l’espressione riuscita ,. Ma quando è riuscita? 
Quando piace?... Se tutto dovesse ridursi a questo, e l’estetica 
nuova — scendendo “ dalle stelle della metafisica ,, ch'essa deride, 
e uscendo “ dalle stalle del positivismo , (1), ch'essa dispregia — 
non fosse in grado di dirci altro, noi potremmo ringraziarla una 
volta per sempre, e dirle: — sapevamcelo! 


(1) Sono espressioni del Croce. 


506 


Sunto della Memoria delia Prof. Maria Brecer: 


Per un’opera inedita di Pietro Giannone. 


Questa Memoria ha per oggetto l’esame di un’opera di 
Pietro Giannone (inedita nell'Archivio di Stato di Torino), opera 
che ha importanza grandissima in sè, e come documento neces- 
sario a spiegare il pensiero del suo autore, specialmente circa 
il punto più controverso della sua vita: l’abiura. 

Movendo dal concetto che la sincerità di questa, come del 
resto tutta la vita dello storico napoletano, fu sinora oggetto 
dei più disparati giudizi, l’A. della Memoria cerca la soluzione 
delle questioni che intorno al Giannone si fanno, non tanto nelle 
lettere e nei documenti ufficiali che possono non essere l’espres- 
sione sincera dell'animo di lui, quanto nelle opere che nel car- 
cere egli scrisse, ed in particolar modo in quella che, composta 
in prova della sua conversione e dedicata al Padre Prever, s’in- 
titola: Apologia dei Teologi scolastici, ovvero Avvertenza che dee 
aversi nel leggere î Padri antichi. Che cosa rappresenta quest'opera 
nel pensiero del suo autore? 

E anzitutto: quali le idee e i sentimenti del Giannone prima 
della sua abiura? L’A. segue passo passo lo svolgersi del pen- 
siero del Giannone, dai suoi primi studi a Ischitella e a Napoli, 
fino agli ultimi ch'egli compieva in terra straniera; lo segue 
attraverso le opere sue, dalla Storia civile al Triregno — il frutto 
della piena maturità del suo ingegno, da cui attinge tutto il 
credo filosofico, politico e religioso del Giannone. Il racconto del 
suo arresto e della prigionia a Miolans compiono questa prima 
parte. , 

La seconda tratta dell’abiura, e ne studia il valore, vaglian- 
done l’atto stesso, dal Giannone steso dinanzi all’Inquisitore e 
al Padre Prever, e poi cercando spassionatamente perchè essa 
fu fatta, e se fu sincera. 

Considerati tutti i giudizi che varì scrittori esposero in- 
torno a questo fatto, alla spiegazione del quale lA. si è spe- 
cialmente rivolta, trova che, mossi quasi sempre da due opposti 


507 


preconcetti, essi non hanno valore di fronte a ciò che è la 
verità. 

Appoggiandosi alle parole stesse del Giannone, combatte 
ugualmente la creduta irreligiosità del Giannone, come pure la 
possibilità d’una sua conversione. 

Seguendo il suo pensiero essa ha già antecedentemente no- 
tato come nel Giannone la ribellione alla Chiesa, anche in ma- 
teria religiosa, movesse essenzialmente dal principio di opposizione 
politica, che forma il principale capo d’accusa della condanna 
della Storia Civile, poichè tale ribellione non ha radice in un 
dubbio suscitato dal razionalismo filosofico, bensì dal crollo che 
gli studî storici hanno dato alla legalità del potere temporale, 
sì che egli, nell’avversione sua per quanto da questo potere 
nacque, nega tutto ciò che dalla Chiesa fu fatto nel corso dei 
secoli. Ma accanto a questa opposizione, perdurava in lui, sia 
pur anco errata, una fede religiosa. Pietro Giannone credeva in 
Dio; tutte le sue opere lo attestano; era convinto di essere nella 
verità; sicchè l’abiura non è psicologicamente spiegabile, e VA. 
la ritiene una debolezza, che i tempi, e più ancora la grande 
infelicità del povero storico perseguitato, gli fanno perdonare. 
A conferma delle asserzioni, l'A. porta una prova non ancora 
citata dagli studiosi del Giannone: ed è la continuità del pen- 
siero del Giannone, che dopo aver seguito negli anni di libertà 
un cammino ascendente, acquistando sempre nuovo vigore dagli 
studî, s'allarga ora, nel carcere, a dimostrare ciò che preceden- 
temente ha appreso. i 

Difatti i capitoli seguenti della Memoria (IV-VIII) ritrovano 
nelle opere ultime del Giannone le caratteristiche notate nelle 
prime. Nei Discorsi sugli Annali di Tito Livio rivive il concetto 
politico espresso nella Storia Civile; e nella Apologia dei Teologi 
scolastici, che VA. esamina minutamente, sta raccolta tutta la ma- 
teria che informava gli abborriti volumi del Triregno, come lo 
dimostra il parallelo delle due opere. La forma soltanto (più 
mite nell'opera dedicata al direttore di coscienza del Giannone) 
è subordinata ad un’altra idea qualunque; il pensiero non ha 
mutato in nulla. Lo confermano pure la Storia della Chiesa sotto 
il pontificato di Gregorio Magno, svolgimento di una parte incom- 
piuta del Triregno, di cui il Giannone aveva a Vienna abbozzato 
l'indice, come molte pagine dell’ Ape ingegnosa, l’ultima opera del 


508 


Giannone, scritta a Ceva, delle quali opere l'A. riassume ugual- 
mente la materia. 

La Memoria si chiude col breve racconto degli ultimi anni 
della dolorosa prigionia del Giannone e della sua morte nella 
cittadella di Torino. 


Relazione intorno la Memoria presentata dal Dr. Stefano 
Granpe col titolo: Il Pensiero pedagogico di L. A. 
Muratori. 


Il lavoro esordisce con alcune osservazioni generali intese 
a ribattere l’accusa che gli stranieri fanno agli italiani di non 
avere prodotto nella storia della scienza e dell’arte educativa 
altro pedagogista che Vittorino da Feltre, ed avverte che Lu- 
dovico Antonio Muratori non ebbe sinora fra i molti suoi stu- 
diosi e critici chi raccogliesse ad organica unità le idee peda- 
gogiche sparse qua e là ne’ suoi numerosi volumi. 

Così l’autore entra in argomento e divide il suo lavoro in 
tre parti corrispondenti al triplice aspetto dell'educazione con- 
templata nella sua essenza universale, nelle sue parti e specie, 
nella sua sintesi finale. 

Nella parte prima egli va rintracciando il concetto pedago- 
gico quale traspare dalle opere filosofiche del Muratori, e sopra- 
tutto si ferma sulla distinzione tra educazione ed istruzione e 
ad un tempo sulla necessità, che entrambe siano coltivate e 
procedano di pari passo nella scuola, nella famiglia, nel mondo. 
Studia il metodo educativo di lui e lo riattacca a quello dei 
grandi pensatori antichi e moderni, italiani e stranieri; passa 
quindi in rassegna i diversi mezzi educativi consigliati qua e là 
dal Muratori nelle svariate sue opere, dividendoli logicamente 
in due categorie: gli uni mirano alla formazione del carattere, 
quali i premî ed i castighi, la lode ed il biasimo, l’imitazione, 
l'emulazione, la conversazione coi dotti, ecc., gli altri sono dal- 
l’uomo adulto ricercati e messi in atto per raggiungere la sua 
finale destinazione, come la lettura, le pubbliche adunanze, i 
teatri, ecc. 


509 


Nella seconda parte il Grande considera l'educazione nello 
sviluppo delle sue parti secondo il pensiero del Muratori, ed 
anzi tutto muovendo dall’educazione fisica ne dimostra la somma 
importanza, e ponendo in chiaro la corrispondenza operativa 
fra l’anima ed il corpo ne arguisce che lo svolgimento dello 
spirito abbisogna del sussidio de’ sensi fisici esterni. Igiene, gin- 
nastica, coltura de’ sensi fisici, sono i tre precipui mezzi, che 
a tal uopo egli prende in attento esame. 

Passando alla educazione intellettuale, l’autore vi si ferma 
più a lungo, dimostrando anzitutto la relazione, che collega fra 
di loro le scienze tutte e le disamina ad una ad una sotto gli 
aspetti più attinenti alla pedagogia. E siccome il Muratori è 
sommo storico italiano, così la storia riguardata sotto l’aspetto 
pedagogico occupa giustamente nel lavoro del Grande parecchie 
pagine, dove il concetto storico muratoriano è ricondotto a quattro 
leggi supreme. E qui giova notare come il lavoro, di cui ci oc- 
cupiamo, mostra una vera e spiccata originalità, essendochè 
nessuno prima dell’autore aveva fatto tesoro delle lettere pub- 
blicate di recente nell’ epistolario muratoriano del Marchese 
Matteo Càmpori, non prima conosciute, o difficili ad essere con- 
sultate. 

Dalla storia passa ad esaminare lo studio delle lingue clas- 
siche, delle leggi, delle scienze fisiche, mediche, matematiche, 
che tutte mettono capo allo studio dell’uomo, ed alla filosofia, 
mostrando come secondo il concetto del Muratori il filosofo ed 
il pedagogista armonizzano insieme e si sorreggono. 

Alla educazione intellettuale sussegue la estetica, la morale 
e la religiosa, e sotto questo riguardo l’autore mette in bella 
mostra la sincera religiosità e l’alta moralità del carattere del 
Muratori. All’educazione estetica egli consacra un articolo spe- 
ciale, ponendo in chiaro come essa non sia, come alcuni opinano, 
una mera coltura di lusso, ma un bisogno della natura del- 
l’uomo, e con accenni altrettanto nuovi, quanto inconfutabili, 
dimostra il profondo convincimento del Muratori su questo punto. 

Viene infine la terza parte della Memoria, che riguarda 
l'educazione nella sua sintesi finale, che è rappresentata da due 
fattori principali, il collegio e la scelta dello stato. Seguono a 
mo’ di appendice due ultimi Capitoli riguardanti l’educazione 
della donna e l’educazione del Principe. 


510 


Riguardo all'educazione della donna, osserva l’autore, due 
correnti sì contendono il campo; l'una rappresenta il richiamo 
alla società antica, l’altra il grido della moderna. Il Muratori 
non trascorre nè all’uno nè all’altro estremo: il suo disegno di 
educazione femminile è il più semplice ed il più ragionevole 
che dir si possa. La donna non va snaturata: essa ha un campo, 
dove apparisce veramente grande, veramente insuperabile, la 
casa, che il Muratori appella la scuola della fanciulla, il san- 
tuario della sposa, il regno della madre; e la società moderna, 
osserva egli, che la spinge in un arringo, che non è il suo, non 
la pensa dirittamente. 

Ma dove il Muratori si mostra davvero sotto un punto di 
vista del tutto nuovo, osserva l’autore della Memoria, è nel Ca- 
pitolo ultimo, che ha per oggetto l'educazione del Principe. La 
storia annovera fra gli educatori di principi il Fénélon, il Bossuet, 
il Condillac, il Gerdil. Fra costoro va meritamente annoverato 
L. A. Muratori, che fu precettore del primogenito del Duca di 
Modena, Francesco I. In servizio del suo reale discepolo egli 
dettò un Trattato di filosofia morale, che vide la luce qualche 
secolo dopo la morte dell’autore. Quell’opuscolo contiene i pen- 
sieri pedagogici e filosofici svolti dall’autore nel suo insegna- 


mento, ed il Grande ci si ferma sopra con singolare compiacenza . 


ponendone in bella luce il grande valore scientifico. 

Ludovico Antonio Muratori fu sin qui tenuto in conto di 
grande storico, di letterato insigne, di non mediocre filosofo. Il 
Dottor Grande merita lode di avere segnalato in lui il pensa- 
tore pedagogista, a cui spetta un posto cospicuo nella storia 
italiana della scienza educativa, raccogliendo e componendo in 
bell’ordine le idee pedagogiche sparse ne’ suoi numerosi volumi. 
Per queste ragioni la Commissione propone all’approvazione del- 
l'Accademia la Memoria da lui presentata. 


GIusEPPE CARLE, 
Giuseppe ALLIEVO, relatore. 


ed dia. è inni a 


RR IO N Ina e 


TR o, n em 


511 


Relazione sopra uno scritto della Dott. Emilia Reers, 
intitolato: Studio intorno alla vita di Carlo Botta. 


Lo studio di cui diamo breve notizia è condotto su tutto 
l’epistolario conosciuto di Carlo Botta, ma più specialmente su 
quella gran parte di esso, che posseduta un tempo dall’insigne 
e venerato collega nostro Giovanni Flechia, passò, dopo la morte 
di lui, tra le mani del nipote suo Dott. Giuseppe Flechia, dal 
quale è custodita inedita, ma promessa, per un giorno che vo- 
gliamo sperare non troppo lontano, alla stampa. 

Sono ben 580 lettere, disugualmente distribuite nello spazio 
di quarant'anni compiuti, e che vanno dal 1796 al 1837, anno 
della morte dello storico. Vario è il loro carattere, come quello 
delle molte persone a cui sono dirette; e così, mentre alcune 
trattano di negozii, altre narrano casi, esprimono sentimenti, 
opinioni e giudizii. 

Di esse la Dott. Regis si giovò più di proposito per due 
fini: chiarire alcuni punti della biografia del Botta e gettar luce 
sugli aspetti spesso mutevoli di lui, vissuto in tempi mutevolis- 
simi; far conoscere le idee dello scrittore sulla letteratura con- 
temporanea e su molti tra’ più cospicui rappresentanti di essa. Di 
qui la divisione dello studio in due parti, delle quali la seconda 
molto più lunga della prima. Più lunga, e più curiosa e impor- 
tante. Vi si trovano riferiti i biasimi che il Botta non si stancò 
di avventare contro la scuola romantica, e i giudizii ch'egli ebbe 
a recare di molti scrittori, diversissimi per indole e per valore, 
quali il Foscolo, il Monti, il Cesarotti, il Cesari, il Grassi, il 
Marchisio, il Nota, il Testa, e degli stranieri il Goethe, lo Cha- 
teaubriand, lo Scott, e Beniamino Constant, e Vittore Hugo e 
Alfonso di Lamartine. Curiosa, dicevamo, questa parte; perchè 
mostra sino a quale pressochè incredibile segno la critica let- 
teraria possa essere viziata e resa assurda dal preconcetto e 
dall’avversione. Quasi sistematicamente il Botta deprime i mi- 
gliori per esaltare i peggiori. Basti dire, ad esempio, che, non 


512 


contento di criticare acerbissimamente i “ Promessi Sposi ,, egli 
trascende sino ad anteporre loro la sciagurata “ Monaca di 
Monza , del Rosini, e pone il “ Telemaco , accanto all’ “ Iliade ,. 

Carlo Botta non fu nè un grande critico, nè un grande sto- 
rico, e nemmeno un grande scrittore, sebbene Vincenzo Gioberti 
lo annoveri, con giusto plauso, tra i restauratori della lingua, 
e il Tommaseo gli confermi questa lode; ma errerebbe di molto 
chi credesse che gl’Italiani non abbiano con esso lui nessun de- 
bito; o questo solo d’avere aiutato a restaurare la lingua: e 
veramente, egli che un tempo empiè del suo nome l’Italia, e non 
solamente l’Italia, è ora un po’ troppo dimenticato, e un, po’ 
troppo trascurata riman l’opera sua. A quella non giusta dimen- 
ticanza volle in parte riparare la Dott. Regis col diligente e 
assennato suo studio. Del quale i sottoscritti fanno questo giu- 
dizio, ch’'esso meriti d’essere inserito nei volumi delle Memorie 
accademiche, e che però sia da proporne la lettura alla Classe. 


R. RENIER, 
A. GRAF, relatore. 


L’Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


—__—————— >-— a =»————————8—z 


Ivrino, Vincenzo Bona, Tipografo di S, M. e de RR. Principi. 


| 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 26 Aprile 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Berruti, Naccari, Mosso, SPEZIA, 
Segre, Foà, GuarEescHI, Guipi, FrLeti, PARONA, MaTTIROLO, 
MoreERA e JADANZA che funge da Segretario. — Scusa l'assenza 
il Socio CAmeRANO Segretario della Classe. 

Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente, 
5 aprile 1903. 

Il Presidente presenta alla Classe le seguenti pubblicazioni: 

1° Mens sana in corpore sano, Milano, 1903, omaggio del 
Socio Mosso; 

2° Sulla ionizzazione dell’aria prodotta da una punta elet- 
trizzata, Bologna, 1903, omaggio del Socio corrispondente RIGHI; 

5° Di alcune sorgenti nella Garfagnana e presso Gorizia, 
Milano, 1903, omaggio del Socio corrispondente Torquato Ta- 
RAMELLI; 

4° Notizie biografiche su Roberto Bunsen, Torino, 1903, 
omaggio del Socio Icilio GuARESCHI. 

Vengono accolte per l’inserzione negli Att le seguenti note: 

1° Intorno alle superficie applicabili sui paraboloidi ed alla 
loro trasformazione, del Socio nazionale non residente Luigi 
BrANcHI, presentata dal Socio SEGRE; 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 35 


514 


2° Congetture intorno all'influenza di Gerolamo Sacheri sulla 
formazione della Geometria non Euclidea, del Socio SEGRE; 
3° Sulla reazione dell’ etere a-cianpropionico con aldeide 
benzoica, del Dr. Lodovico BeccARI, presentata dal Socio Gua- 
RESCHI. 
Viene in ultimo accolto per l’inserzione nei volumi accade- 
mici delle Memorie, ad unanimità di voti, lo scritto del Socio 
Mosso avente per titolo: Fisiologia dell’Apnea studiata nell'uomo. 


—_————CT__TCCCTCT&CT&kk;K&&<k%î 


LUIGI BIANCHI — INTORNO ALLE SUPERFICIE, ECC. 515 


LETTURE 


Intorno alle superficie applicabili sui paraboloidi 
ed alle loro trasformazioni. 


Nota del Socio non residente LUIGI BIANCHI. 


1. — In una memoria: Sulla deformazione delle quadriche, 
pubblicata l’anno scorso nei “ Rendiconti del Circolo matematico 
di Palermo , (t. 16), il D" P. Calapso ha posto sotto una nuova 
e notevole forma l'equazione a derivate parziali da cui dipende 
la ricerca delle superficie applicabili sulle quadriche. Egli si 
fonda per ciò sulla considerazione del sistema coniugato perma- 
nente, vale a dire di quel sistema coniugato che è comune ad 
una superficie S e ad una sua qualunque superficie applicabile. 
Tale sistema, sempre reale se la S è a punti ellittici, può essere 
reale od immaginario quando la S è a punti iperbolici; ed, in 
quest’ultimo caso, ci conviene distinguere le deformazioni di S 
in due specie, dicendo di prima specie quelle a sistema coniugato 
permanente reale, di seconda specie le altre. 

Qui ci interessano particolarmente i teoremi del D" Calapso 
relativi alla deformazione dei paraboloidi (*). Per il generale 
. paraboloide ellittico il problema della deformazione si riduce ad 
integrare l'equazione a derivate parziali: 


2 2 


Fra rta 


(*) Questi risultati, come l'A. stesso osserva, possono anche dedursi con 
acconcia trasformazione, ed opportunamente distinguendo il reale dall’im- 
maginario, dalla memoria del sig. A. Taysaur: Sur la déformation du pa- 
raboloide (* Annales scientifiques de l' École Normale Supérieure ,, s. III, 
t. XIV (1897)). 


516 LUIGI BIANCHI 


ed alla successiva integrazione di equazioni differenziali ordi- 
narie. Analogamente, pel generale paraboloide iperbolico, le de- 
formazioni di 18 specie vengono a dipendere dall’equazione: 


LL Ago 
(8) dadh — senhw . 
e quelle di seconda specie dall’altra 


(e) Ta = coshw. 

Esaminando attentamente le circostanze che permettono 
questa trasformazione del problema dell’applicabilità, si scorge 
che esse sussistono più in generale per tutte quelle superficie 
di traslazione il cui ds? = Edu? + 2Fdudv + Gdr è dato dalla 
formola: 


(1) ds? = (@,30? + 20,34 + 439) de? £ 
£ 2(a1100 + az + 0190 + a93) dudv + (110? + 2a,30 + 433) do?, 


dove le a, (i, k =1, 2,3) sono costanti arbitrarie, che assog- 
gettiamo soltanto alla condizione di avere il determinante: 


411 d19 413 | 

A | 
dii fis A99 433, | 
| 

' 

d13 d93 433 | 


diverso da zero, a fine di escludere il caso ovvio di superficie 
sviluppabili. In questa forma (1) del ds? rientrano in particolare 
i due paraboloidi reali 

p q 


sè 


quando si ponga 
«=Vpu, y=Vqv, e= 3 (+ 09), 
ed il paraboloide immaginario 


e=Vpu, y=Vqv, 2=3 (+09). 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 517 


Per tutte le superficie d’elemento lineare (1) il problema 
della deformazione si riduce ad equazioni di tipo (a), (5), (c) 0 
di tipo analogo, come dimostrerò nella presente nota. Ma il mio 
scopo principale è quello di richiamare le ricerche analitiche 
sulle equazioni di questi tipi da me esposte in una memoria 
del 1888 (*), per applicarle all'attuale problema geometrico. Per 
tutte le equazioni di questi tipi si può infatti stabilire una 
teoria di trasformazioni affatto analoga a quella nota per l’equa- 
zione: 

dw 


da d 


= senWw, 


da cui dipende la ricerca delle superficie a curvatura costante. 
E come quest’ultima teoria trova la sua interpretazione geome- 
trica nelle trasformazioni delle superficie applicabili sulla sfera 
(reale od immaginaria), così anche per le superficie d’elemento 
lineare (1), in particolare per quelle applicabili sui paraboloidi, 
si può stabilire un'analoga teoria di trasformazioni geometriche, 
che permette di dedurre da una tale superficie nota infinite 
nuove della medesima specie. 

In questa nota preliminare debbo del resto limitarmi a sta- 
bilire il principio fondamentale per queste trasformazioni geo- 
metriche, il cui studio richiederà ricerche più accurate e profonde 
per portarne la teoria al punto che ha ora raggiunto quella delle 
superficie a curvatura costante. 


2. (#*) — Per l’elemento lineare (1), ponendo : 


H= EG— F*, 
si ha: 


(2) H= As9u° + Azz? + 2Azzuo — 2Axgu — 2A:30 + An; 


dove, colle solite notazioni, indichiamo con A; il complemento 
algebrico di a, nel determinante A. Se calcoliamo i valori dei 


(*) Sulle forme differenziali quadratiche indefinite (* Atti dei Lincei ,, 
Serie IV, Vol. V, 1888), vedi particolarmente $ I. 

(**) Le notazioni usate in questo numero e nei seguenti sono quelle 
delle mie Lezioni di geometria differenziale, a cui si riferiscono i richiami. 


518 LUIGI BIANCHI 


simboli Ti è di Christoffel per la forma quadratica (1), troviamo 


\ 
le formole seguenti (*): 
\ Le dea 1 dlogH Li iena) gilt dlogH 


i 2" 
| 


dove il doppio segno corrisponde al doppio segno nella (1). 
Se si prendono ora le equazioni di Codazzi (Lezioni, p. 91 (IV)), 
si vede che si possono soddisfare ponendo: 


(4) D=ra: Diani D'iazdi 


indicando con e una costante. Se vogliamo poi soddisfare anche 
l'equazione di Gauss (Lezioni, pag. 90): 


DD'— D? 
rp 3: 


dovremo determinare la costante c in guisa che ne risulti sod- 
disfatta la seguente: 


H è°H 1 dHdH 
32 / ; a — 
c2(a13uv + d,30 + 4190 + 493) + miao TRI-PREY a: 0, 


il che dà per la costante c la determinazione: 


| dii 419 413 
(5) czA= | 419 d99 493 
| 413 093 433 


Secondo che A>0, ovvero A<0, risulterà c reale o pura- 
mente immaginaria e la curvatura 


(*) Lezioni, ece., pag. 66. 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 519 


sarà corrispondentemente positiva o negativa nel caso dei segni 
superiori, ed invece negativa o positiva per i segni inferiori. 

Alle due forme quadratiche fondamentali, la prima delle 
quali è data dalla (1) e la seconda da 


i a; (du? + de), 


appartiene una superficie Sdi traslazione sulla quale il si- 
stema («,v) è quello delle curve coniugate di traslazione. La S 
è reale nel caso A>0, immaginaria quando A<0; ed in questo 
ultimo caso per le coordinate x, y,z di un punto mobile sopra S 
possiamo prendere le due prime x, y reali, la terza 2 puramente 
immaginaria. 


3. — Si consideri ora una qualunque superficie reale S di 
elemento lineare (1), e sia: 


Ddu? + 2D'du dv + D' di 


L) 


la sua seconda forma quadratica fondamentale. Le linee (a, B) 


che formano il sistema coniugato comune alle due superficie S, S 
sono le linee integrali dell'equazione differenziale: 


du, + dv 
E: sa La. __ |=90, 
Ddu+ D'di, D'du+ D' dv 
ossia : ; 
(6) D' du? + (D" F D) dudvF D' dv = 0. 


Questo sistema (a, 8) è dunque sempre reale nel caso dei 
segni superiori. E se valgono gli inferiori, poichè il discrimi- 
nante della (6) è: 


4A 


D'+D»-4D*—(D-D"-|4(DD'_ D)—(D_ DM E, 


vediamo che il sistema coniugato permanente (a, B) può essere 
immaginario nel solo caso di A>0, cioè quando la curvatura 
dell'elemento lineare (1) è negativa. 


- 520 LUIGI BIANCHI 


Cominciando dal trattare il caso dei segni superiori, avremo: 


(49) Dpepraetz, 


e le linee (a, 8) saranno reali. Siano: 
Lido u(a, 8) ’ Ag v(a, 8) 


le formole di passaggio dalle coordinate «, v alle a, 8; ed indi- 
chino frei i simboli di Christoffel pel ds? in coordinate a, f. 
Siano poi: 

Ada? + A" dp? 

Ada? + A" dp? 


le due seconde forme fondamentali di S, S rispettivamente, rife- 
rite al sistema coniugato comune (a, B). Avendosi: 


"I Ti 9 
Ada? + A" d& == (du? + do), 


si traggono in primo luogo le formole: 


(0) "i e ATI dv 
az tl) 
(8) i ner 


Ora, ricorrendo alle formole fondamentali di Christoffel rela- 
tive alla equivalenza di due forme differenziali quadratiche 
(Lezioni, pag. 42, formole (1)), ed avendo riguardo alle (3) ed 
alla (8), abbiamo in particolare le formole: 


du __ (12) du 12) du 
\ dadf — E 
dv (12) de , (127) do 
| sg = dI a't2) 98° 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 521 


dalle quali, osservando la (8), deduciamo: 
(9) | 230} = Aloe] (%)+ (2) 
aT9= &e((8)+ (8) 


Prendansi ora le due prime formole di Codazzi relative 
alla S, S: 


( da fa Tar 
Sa Re 


dB 1 
CATTIVO I. 
e =113A—{2A7: 


e moltiplicando la prima per 4A, la seconda per A, e sottraendo, 
col ricordare che AA” — AA", se ne trarrà : 


cioè per la prima delle (9) (*): 
ò A i pe, du\° do \ 
ap los (@ — A9)= log] (2) + (&)] 
Di qui integrando abbiamo: 


&=A°+w(a)[(3)+(%])]. 


dove y(a) è una funzione (non nulla) della sola a. Cangiando 
il parametro a, possiamo rendere |y(a)|=1, e così avremo: 


essendo € l’unità positiva o negativa. Similmente, utilizzando le 


(*) Naturalmente escludiamo il caso A? = A?, ove S, S coinciderebbero, 


522 LUIGI BIANCHI 


due seconde formole di Codazzi, otterremo una formola analoga 
per A” ed avremo quindi: 


ae [(T+(R1] 
| senato [8] + (611 


confabef==|«ij == 
Dalla equazione di Gauss 


(10) 


ANTSAA" 


segue ora, per sa (10) e per le (7): 


00. [gt leale re 


Inversamente, soddisfatte le (8), (11), i valori di A, A” 
tratti dalle (10), colla determinazione dei segni che risulta da 


AAU=AA", soddisfano le equazioni di Codazzi e di Gauss. Ne 


risulta quindi individuata una superficie S, applicabile sulla S, 
ed avente a comune con questa il sistema coniugato (a, 8). 

Ci resta ora da tener conto delle condizioni che debbono 
verificarsi affinchè la deformata S sia reale, per la qual cosa è 
necessario e sufficiente che risultino A, A” reali. 


4. — Per la indicata discussione dobbiamo separare i 
due casi: 


(a) A>O, A<O0. (5) 

1° Caso: A>0. In tal caso bisognerà evidentemente (es- 
sendo H< 0) che nella (11) abbiano e, e' segni contrarii; e, 
senza alterare la generalità, potremo supporre: 


ei ne 1, 


bastando nel caso contrario scambiare @ con f. 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 523 


Così le equazioni fondamentali pel nostro problema d’appli- 
cabilità si scrivono: 


du du | dv der: 
\ da dB * da de — 


(-C691+-(-C(97+ (72% 


Adoperando l’analisi stessa usata dal D" Calapso pel caso 
particolare dei paraboloidi, riduciamo il sistema (a) ad un si- 
stema lineare ed omogeneo nel modo seguente. Poniamo: 


Rat (el (al 


indi alla prima delle (a) potremo sostituire, denotando con w un 
angolo ausiliario, le seguenti: 


(0) 


du = — Xsenw, = \eosw 
da da 
(12) 
—“ — Ucosw de Luzon 
. O: Pe i, dp. TX | 


Dalle condizioni d’integrabilità: 
de (Asenw) + af (Lcosw) = 0 
dB da 


D) Dì) 
d (A cosw) — a (usenw) = 0 
sì trae: 


di __ dw IRR dw 

(13) dB Sa da 4, da == dB 
Ora dalla seconda delle (0): 

2 densi, 

PN 


‘ derivando rapporto ad a, 8 e ponendo: 


E da H,=È 


524 LUIGI BIANCHI 


coll’osservare le (12), (13), deduciamo i valori di di di Le 
formole così ottenute, riunite alle precedenti, dànno luogo al 
sistema lineare omogeneo seguente per le quattro funzioni inco- 


gnite , v, À, 4 di a, B: 


du ia do __ di _ si Ha, __dw 
fai \senw, " =\cosw, da > 94 SENW 5 Cos Hi 
du dw 
È da Da 
LA cOSwW di sen dI po dl 
dB A ’ dB =; W, dR da M, 
du H, 


\ 


dove w è riguardata dapprima come funzione nota di a, f. Ora 
se formiamo le condizioni d’integrabilità del sistema (1), osser- 
vando che le derivate seconde di H 


d?H d°H d*H 
Ha=g: ls asddo' Ho,= dai 
hanno, per la (2), i valori costanti . 


Hi = 2Ag9, His = 2A93, Hsy = 233; 


troviamo che w deve unicamente soddisfare la seguente equa- 
zione a derivate parziali del. 2° ordine: 


d%w d?w — A 9. 
* soa 33 MA LC 
(1°) 3a — + n= —— 77 senwcosw 7 0082w. 

Inversamente, se w è una soluzione di questa, il sistema (1) 
è illimitatamente integrabile, ed ammette l'integrale quadratico 


u? — 1° i == \C08Ì: 


Basta dunque scegliere i valori iniziali arbitrarii di w,v,), 
in guisa che si annulli la costante del secondo membro, e ne 
risulterà individuata una superficie S d’elemento lineare (1) dalle 
formole: 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 525 


che seguono dalle (10). Di qui vediamo che: in tutte le defor- 
mazioni della nostra superficie S il sistema coniugato permanente 


(a, B) è isotermo-coniugato sulla superficie deformata S. 
In particolare si osservi che pel paraboloide ellittico: 


posto : 

PISTA IRIS 
si ha: 

ds? = (u? + p)du? + 2uvdudv + (02° +- 9) de? 


e la (I*) diventa: 


d°w day VA | 1 


dai + Fora iRL senw cosuw. 


p q 

Se p=q il paraboloide è di rotazione e la ricerca delle 
superficie RO dai sl riduce, come del resto è ben noto, alla 
equazione cea 5 Lp Tan» = 0 (Lezioni, pag. 310-313). 


2° Caso: A<0. Qui, essendo per le (7) A, A” puramente 
immaginarii, dobbiamo fare, a causa delle (10), e=+1, '=+-1, 


e ponendo A= — a?, resta quindi la relazione: 
val 
2 PERE 
XxX + yu = n 


Procedendo come sopra, troviamo il sistema completo se- 
guente: 


du __ do _ 044. Mia: du 
Ja = \SENW; 7 3a =\cosw, — ue" a 1SnNWH- > 37 cosw+ di u, 
du dw 
i di 
(II) 
du — vi, de — peer, I DU 
Tae ugo Ue da Hi» 
(0 Le 


dw 
dA = 5 COSW+ Da Ha senw — Fa 


526 LUIGI BIANCHI 


colla condizione d’integrabilità data dall’equazione a derivate 
parziali per w: 


d?w d?w fa an Ag 5 Agg 


01). codice naso na a 


Agg 
senuw cCosw — or cos2w. 


Questa si riduce evidentemente all’equazione stessa da cui 
dipende la ricerca delle superficie pseudosferiche. 
In particolare per il paraboloide immaginario: 


s=Vpu, y=Vqgo, = (+09) 
si ha: 
ds? == (p — u)du? — Quvdudv +- (q — +?) de? 
e la (II*) diventa: 


dîw d°w 


1 1 
= ni senuw cosw. 


Osserviamo che se p=g questa si integra completamente 
e se si fa, come è lecito, p=gqg=" 1, il ds? ponendo u=pcos@, 
v= psen0, prende la nota forma: 
ds? = (1 — p?)dp° + p° de? 
delle superficie evolute di quelle di Weingarten per le quali: 


rà, —r,=sen(ra + ri), 


(cfr. Lezioni, pag. 309). 


5. — Esaurita così la trattazione del caso in cui si assu- 
mano nelle nostre formole i segni superiori, passiamo a trattare 
quello corrispondente ai segni inferiori, cioè alla ricerca delle 
superficie d’elemento lineare: 


dst= (4,14? + 20,9 + U99) du? — 2(a,1uvt-a,zu + 4,90 +93) dudvt+ 
+ (0,102 + 24,30 + 433) do. 


Allora abbiamo: 


D= DI SE SEZI 
VE VA” 


ed essendo: 


Ada? + A'dp® = Ta (du? — de?), 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 527 


ne deduciamo le formole: 


du du _ do do 
(14) da dB da dh 


labels 
In Va | da \ da 
ia) doti (1 SP | 
a] (47) | n) 
Procedendo come al n° 3, si trovano ora le formole: 
I rx pa e) do \? 
TESE 


(16) | 1 AO 
| zarte[(@} (2) 


(15) 


è 


e l’altra: 


ani[(&)=(3Y]+<[(2)- EV ]+e gno 


Cominciamo dal trattare nel presente numero il caso di un 
sistema coniugato permanente (a, B) reale. Per avere riguardo 
alle condizioni di realità della deformazione, conviene osservare, 
che, a causa della (14), i due binomii: 

(Se 
e) 


ole 


hanno segno opposto. Possiamo evidentemente supporre che il 
primo sia positivo, negativo il secondo, e poniamo: 


(18) 
do \? da (289. U 
( (ot tt 
dopo di che le (16) diventano: 


AGI 4): | any] È SAGA. 
A=RM|Fr+e], Aa=u?| Sy? e |, 


528 LUIGI BIANCHI 
e.la;(17): 

(173) N° — eu? + ee — 0, 
onde le precedenti si scrivono: 


(16*) | A° — N° = ee app, 


L’ulteriore discussione porta nuovamente a distinguere due 
casi, a seconda del segno di A 

1° Caso: A>Q0. Allora, per le (16*), dovranno essere e, e' 
concordanti, e si potrà fare: 


e=+ 1, e=+A 
Dopo ciò la (17*) si scrive: 


ud Ja 


A 


e, con un processo analogo a quello del n° precedente, troviamo 
il sistema completo seguente: 


d — \ cosh0 Up \senh0, 


da ? da 
dI H, ii du __ d0 
“iodttai 4 coso —_ - Senho +0 L: gar ) 
(III) < 
du _ de _ dn _d0 
Con usenh0Q, Ti ucosh98, i = aa Ma 
| sa DI Ha senh@ + - 5 cosh 0 + 


colla condizione d’integrabilità: 


de. dle 
de dat — 


(1118) dun + Am sonh@cosh9 + “2 cosh? 


Si osservi che nel caso del paraboloide iperbolico : 
ia V pu, y=V qv, e=1 (u? — vd), 


coll’elemento lineare: 


ds? = (u? + p)du®? — Quvdudv + (12 +- qa, 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 529 
la (III*) diventa: 


20 29 
ee = n + “) senh0 cosh9, 


e prendendo per variabili indipendenti a+ f, a — B assume la 


forma d) n° 1 
‘2° Caso: A<0.A causa delle (16*), (17*) bisogna prendere: 


e=-+1, e=— 1, 
e, posto A=— da?, si avrà: 
par. 


a 


In questo caso troviamo il sistema completo: 


/ 


ig ® \cosh 0 = Tsenhò, 


da da 
moi du _ dO 
n a cosh6 +5 senh@ — vu Fa 7 360 
(IV) 
du __ dv fr ci dA Ea do 
ga Hsenho, a == MSOShO, dR pi, 
du __ H, ee 
sh da senh @ +È dg? > cosh6 — 2 A 


colla condizione d’integrabilità per 0: 


(IV*) ta IAT cr = = char A senh 6 cosh 0 cre: © da cosh2 0. 


Notevole nelle equazioni (III*"), (IV*) è il caso in cui: 
Az9 + 433 = + 2493; 


allora esse si riducono alla nota formola di Liouville e si inte- 


grano completamente. 


6. — Veniamo da ultimo a trattare delle deformazioni di 
seconda specie, le quali possono presentarsi soltanto (n° 3) nel 
caso dei segni inferiori con A>0 (curvatura negativa). 

Il sistema coniugato permanente (a, 8) essendo allora imma- 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 36 


5590 LUIGI BIANCHI 


ginario, mentre la deformazione è per ipotesi reale, potremo 
assumere i parametri a, 8 coniugati immaginarii e porre: 


a = | #81} B=0o,— dB, 


con che i parametri reali a,, 8, verranno ad essere quelli delle 


linee assintotiche sopra $. 
Posto : 


o=()-(2) 0=(3)- (3). 


saranno 92,2 immaginarie coniugate e la (17) diventerà: 


(20) Q+ed+ ee do, 

indi le (16): 

(21) A°— Ala= — e 429, 
Ma si ha: 


Ado? + A" dg*=(A+ A")daî + 2i(A — A")da,dB, — (A + A") dg}, 
e dovendo risultare: 
Rqgria {A 7) 


reali, saranno A, A” puramente immaginari coniugati, indi 
A?= A"? reale negativa. Le (21), essendo 9, 2 coniugate ed 
A>0, H>0, dimostrano che e, e' debbono avere segno FODUO ENEA 
e possiamo fare: 


e=— 1, esige; 


così la (20) diventa: 


(22) Quo. d. 
D'altronde la 

du du _ do de 

da dB da dB 


ci dà: 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 531 


e la (22): 


onde si trae: 


Ponendo ora: 
a (077 
du dv 
— — eu —'e-0 = sup: 
pd ice da 3R, eudeà, 


la relazione fra ), u diventa: 


Derivando questa e le precedenti rapporto ad a,, f, e con- 
frontando, ne deduciamo il sistema completo: 


dv 


| du A i sig - 
dA era ar 
dA H, — H3 0 do du H+ Hi, 6 do 
da, eee ot 4A # dali 
(V) : è 
SL pun A 
VI E ge 0 
di Brio n e Lo 
| di 7 44 i dR dB TA .È Li 98, > 
colla condizione d’integrabilità : 
d°0 Asa + 43 + 243 9 As3 + Asgi—24; 
* pento 33 23,29 Ar 33 23 ,—20 
WI) Gasli u ee 


Nel caso del paraboloide iperbolico essa diventa: 


MRO VAI ICARO 
dani = 2 [va + r cosh2 0, 


che ha appunto la forma c) n° 1. 


- 


532 LUIGI BIANCHI 


Si osserverà anche qui, come al n° precedente, che se è 
soddisfatta la condizione: 


Agg "i Az3= + 2A9g ’ 


la (V*) si riduce alla forma di Liouville e si integra comple- 
tamente. 


7. — Passiamo ora alla seconda parte della ricerca, a sta- 
bilire i principii per una teoria delle trasformazioni delle super- 
ficie d’elemento lineare (1). Fisseremo l’attenzione sul caso par- 
ticolare più interessante del paraboloide ellittico od iperbolico. 
Sostituendo al paraboloide ellittico. un conveniente paraboloide 
simile | con +; —_ Ss = 1) potremo ridurre l’equazione (1*) n° 4, 
da cui dipende la ricerca delle sue deformazioni, alla forma: 

d°w d°w 


(VI) FE + age > SenWw cos. 


Conviene associare alla considerazione della (VI) quella del- 
l’altra equazione: 


d°0 
da? 


(VI) + dì = senh@ cosh0@, 


la quale, secondo la (IV*) n° 5, appartiene come equazione del- 
l'applicabilità, ad una classe di superficie d’elemento lineare (1), 
p. e. a quelle per le quali: 


(23)  de@=(12+1)du — 2uodudo + {è — ca de, 


Ora fra le soluzioni w,69 delle (VI), (VI*) può stabilirsi una 
semplice relazione contenuta nel sistema di formole: 


\ De = 5a = cosccoswsenh — seno senw cosh@ 
(24) pi 
dw | d6 
Î RT da SENI COSWw senh9 + coso senwcoshé , 


dove 0 indica una costante arbitraria. Supposto infatti che @ sia. 
una soluzione della (VI*), le (24) costituiscono per w un sistema 
illimitatamente integrabile, e l’integrale generale w, contenente 


INTORNO ALLE SUPERFICIE APPLICABILI SUI PARABOLOIDI, ECC. 533 


un’altra costante arbitraria oltre 0, è una soluzione della (VI). 
Inversamente se w è una soluzione della (VI), l’integrale gene- 
rale 6 delle (24) soddisfa la (VI*). 

A queste equazioni ai differenziali totali per w (o per 0) si 
può dare la forma di un’equazione del tipo di Riccati per l’in- 


cognita tg 5 w {o tgh 3 8); dopo di ciò, conosciutone un inte- 


grale particolare, se ne avrà il generale con quadrature. 

Sussiste ancora per le equazioni (24) un teorema di permu- 
tabilità (Lezioni, pag. 435 e seg'), mediante il quale, se per una 
data soluzione 0 della (VI*) sappiamo integrare completamente 
le (24), per qualunque valore della costante 0, l'applicazione 
successiva del metodo di trasformazione non richiederà più alcuna 
quadratura. È ora evidente come questi risultati analitici tro- 
vano un’interpretazione geometrica nel problema d’applicabilità 
che qui ci occupa. Nota p. e. una superficie applicabile sul pa- 
raboloide ellittico, conosceremo w in funzione di a, 8, e dalle (24), 
integrando, avremo 0, che ci determinerà così infinite superficie 
d’elemento lineare (23). Da ciascuna di queste, integrando le cor- 
rispondenti equazioni (24) in w, dedurremo infinite superficie 
applicabili sul paraboloide e così di seguito. 


8. — Veniamo in fine al paraboloide iperbolico, le cui de- 
formazioni di prima specie dipendono, come si è visto, dall’e- 
quazione: 


d%0 d°0 


DE — dal senh@ cosh@; 


(VID 


quelle di seconda specie dall’altra: 


al 
(VIII) “ag cosh2w. 


Anche in questi due casi possiamo stabilire un sistema di 
formole di trasformazione come le (24), ma questa volta in modo 
che da una soluzione 0 della (VII) si passa ad un’altra. solu- 
zione 0, della stessa (VII), e similmente da una soluzione w 
della (VIII) ad un’altra tale soluzione wi. 


5594 LUIGI BIANCHI — INTORNO ALLE SUPERFICIE, ECC. 


Le formole corrispondenti, di costruzione e proprietà ana- 
loghe alle (24), possono assumersi date per la (VII) da: 


do se do __ senh0 cosh6, + seno cosh@senh0, ; 
sa; coso 
(25) 
do cosh0senh0, + seno senh@ cosh0, 
n +3 sa (ag coso ’ 


indicando o una costante arbitraria; per la (VIII) invece da: 


\ Aa = 2asenh(w, — w) 
(26) 
ut). 1 cosh(w;+w), 


essendo qui a costante arbitraria. 

L'interpretazione geometrica è chiaramente la seguente. - 
Ogni deformazione del paraboloide iperbolico, sia la deforma- 
zione di prima ovvero di seconda specie, ne determina infinite 
altre della medesima specie, dipendenti da costanti arbitrarie. 


CORRADO SEGRE — CONGETTURE INTORNO ALL'INFLUENZA, ECC. 535 


Congetture intorno all'influenza di Girolamo Saccheri 
sulla formazione della geometria non-euclidea. 


Nota del Socio CORRADO SEGRE. 


1. — L’opera del SaccHerI “ Euclides ab omni naevo vin- 
dicatus, etc. ,; pubblicata a Milano nel 1733, è ora universal- 
mente apprezzata, dopo che E. BeLtRAWI ebbe richiamata l’atten- 
zione degli scienziati su di essa, facendone un’accurata analisi, e 
giustamente proclamando l’autore “ un precursore di LEGENDRE € 
di LOBATSCHEWSKY , (*); e dopo che dell’opera stessa venne data 
una traduzione inglese da G. B. HarsreD (**), ed una tedesca 
da F. ExeeL e P. SrAckeL in un volume di grandissima im- 
portanza (***). Tutti riconoscono ormai che con essa ha vera- 
mente principio la geometria non-euclidea: poichè in essa per 
la prima volta viene svolta una lunga serie di proposizioni, che 
hanno luogo, se si nega il postulato 5° d’Euclide. E sebbene le 
ultime pagine, che intendono dimostrare l’assurdità della ipotesi 
dell'angolo acuto, siano errate, pure le prime 70 pag? (tolte poche 
frasi isolate), fino alla prop. 32 inclusa, costituiscono un insieme 
di logica e di acume geometrico che può dirsi perfetto. Agli elogi 
che già ne furon fatti da tanti scrittori non occorre qui ag- 
giunger altro! (*). 


(*) Rendic.i R. Accad. Lincei (4) 5, 1889. 

(**) The American Mathematical Monthly, 1894 e segi. 

(***) Die Theorie der Parallellinien von Euklid bis auf Gauss, Leipzig 1895. 
— Nel seguito questo volume, arricchito dallo SricgeL con una gran copia 
di notizie storiche e critiche, alle quali dovremo attingere continuamente, 
sarà indicato per brevità con P. Th. 

(*) In varie note della P. 7%. è rilevato come il SaccaerI adoperi il 
teorema dell'angolo esterno di un triangolo (Euclide, lib. 1°, prop. 16), e 
quindi il postulato della retta infinita, anche guando tratta l'ipotesi dell’an- 
golo ottuso. Ciò spiega come poi il Saccrneri giunga alla conclusione che 
questa ipotesi è assurda: allo stesso modo come, molto tempo dopo, LEGENDRE 
dimostrava, ammettendo il postulato della retta infinita, un fatto equiva- 


536 CORRADO SEGRE 


Il sig. SrAcgeL nella P. 7”. p. 38-39 osservava — e ri- 
cerche posteriori hanno vieppiù confermato — che il libro del 
SACCHERI è stato, subito dopo la sua pubblicazione, abbastanza 
diffuso. Lo si trovava in molte biblioteche, italiane e straniere; 
e si leggeva il suo titolo in varie altre opere del sec. 18° e della 
1° metà del 19°, sebbene con giudizî quasi sempre superficiali 
od ingiusti (i tempi erano tutt’altro che maturi per apprezzare 
le ricerche non-euclidee!). Malgrado quella diffusione, vi è og- 
gidì, nelle pubblicazioni relative alla storia della geometria non- 
euclidea, una certa tendenza, che non mi pare pienamente giu- 
stificata, a negare ogni influenza di quel libro sulla costituzione 
definitiva della geometria non-euclidea. Così F. EnceL nel suo 
lavoro su LoBATSCHEFSKIJ (*), meraviglioso per l'accuratezza e 
per le fatiche ad esso dedicate, a pag. 377 scrive: 

“ Allerdings miissen wir gleich hinzufiigen, dass SACccHERI's 
und LamBeRT's Arbeiten sehr bald in Vergessenheit geriethen und 
erst vor wenigen Jahren wieder entdeckt worden sind, sie scheinen 
daher auf keinen der sptitern Entdecker der nichteuklidischen Geo- 
metrie Einfluss ausgeibt zu haben. Hochstens bei GaAUSS ist es 
nicht gane ausgeschlossen, dass er das Buch von SAccHERI oder 
wenigstens die Abhandlung von LamBERT gekannt hat, doch wissen 
wir dariber gar nichts (**). TauRrINUS hatte 2war aus CAMERER’S 
Ausgabe der Euklidischen Elemente ersehen, dass SAccHERI und 
LamBerT Untersuchungen iiber die Parallelentheorie angestellt hatten, 
aber diese Untersuchungen selbst kannte er jedenfalls zu der Zeit 
nicht, wo er seine “ Geometriae prima Elementa , schrieb; cihnlich 


lente alla detta conclusione, cioè che la somma degli angoli di un triangolo 
non può superare due retti. Le accennate note della P. T%., per es° a pag. 52 
e 62, non vanno intese nel senso che i ragionamenti del dotto gesuita ita- 
liano pel caso della anzi detta ipotesi siano insufficienti o sbagliati! Essi 
ricorrono ad un postulato, che non occorreva per giungere a talune di quelle 
proposizioni, e che poi si rivela in contraddizione coll’ipotesi stessa. Ma 
ciò nondimeno son ragionamenti pienamente esatti! 

(*) N. I. LosarscHEFSsKIJ, Zwei geometrische Abhandlungen, Leipzig 1899. 

(**) Su ciò si può ora dire qualcosa di più preciso: Gauss ha certa- 
mente conosciuto l’esistenza delle ricerche di Saccmeri e di LamgerT; poichè 
fra i libri da lui posseduti e annotati se n’è trovato uno (di Lenmans, 
del 1829), nel quale si parla con lode speciale di quelle ricerche. V. Sricket, 
Frane Adolph Taurinus, Abhandlungen z. Gesch. d. Mathematik, t. 9, 1899, 
p. 399: v. pag. 427. 


CONGETTURE INTORNO ALL'INFLUENZA DI GIROLAMO SACCHERI, ECC. 537 


wird es sich mit ScawrIKART verhalten haben. LoBATSCHEFSKIJS 
und J. Boryvar endlich haben SAccaERrI schwerlich jemals auch nur 
dem Namen nach gekannt, und von LamBERT's » Parallelentheorie 
haben sie vermuthlich ebensowenig etwas erfahren ,. 

Ora sulla parte principale di queste asserzioni mi pare si 
possano avere dei dubbi. Le congetture che si posson ragione- 
volmente fare condurrebbero a modificarle alquanto, attribuendo 
all'opera del SAccHERI una sensibile influenza, diretta od indi- 
retta, sui posteriori scopritori della geometria non-euclidea. Esse 
portano ad augurare che, per decidere la questione, sian fatte 
delle ulteriori ricerche locali, nei manoscritti lasciati da quegli 
scienziati e fra i volumi che essi ebbero modo di consultare! 


2. — Una congettura che non parrà avventata è questa: 
che coloro, i quali nel campo delle parallele tentarono vie as- 
solutamente nuove, abbian cercato, prima di esporsi al giudizio 
del pubblico, di conoscere quanto di più importante s'era fatto 
per dimostrare il postulato V! A tal fine un mezzo che si pre- 
sentava spontaneo consisteva nel consultare una storia delle 
matematiche. Orbene vi erano (come pure è detto nella P. Th.) 
due tali storie, ben note ed apprezzate, nelle quali l’opera Sac- 
cheriana era nominata tra gli scritti su EucLipE: la Historia 
matheseos di J. C. HerLBRONNER publicata a Leipzig nel 1742; 
e il 1° vol. della Histoire des mathématiques di J. E. MonTUCLA 
publicato a Parigi nel 1758, e ivi ristampato in edizione accre- 
sciuta nel 1799. In questa Histoire (*), parlando di coloro che 
si occuparono di dimostrare l'assioma 11° d’EucLipe, MontUCLA 
nominava soltanto cinque autori (**), e poi citava l’ opera del 
P. SaccrerIi. Come ho ricordato, la Histoire era molto diffusa. 
Il MontucLA era molto stimato, in Francia e fuori (***). Per 
mezzo di questa Storia l’indicazione dell’Ewuclides ab omni naevo 
vindicatus dev’esser passata sotto gli occhi di molti e molti! È 
egli probabile che, per esempio, LeGENDRE non abbia letto quelle 


(#) 1° ed. pag. 222; 2* ed. pag. 209-210. 

(**) ToLomeo, ProcLo, NassirenpIN, CLavius e WALLIS. 

(***) Era stato nominato membro dell’Accademia di Berlino nel 1755, 
e poi dell’Institut, appena questo fu fondato. V. Biographie universelle, 
t. 30, Paris 1821, pag. 44-45. 


538 CORRADO SEGRE 


pagine, e che, occupandosi, come fece così a lungo, dal 1794 
fino alla morte (1833), di dimostrare il post. V, non abbia ten- 
tato di conoscere quei pochi Autori citati dal MoxrucLA? Con- 
verrebbe che a Parigi si facessero delle ricerche per stabilire 
se LecenDRE conobbe l’opera del SaccHERI! (*). 


3. — Un altro scritto, di cui si fa cenno nella P. Th., e 
che può aver contribuito moltissimo a far conoscere quello Sacche- 
riano, 0 almeno a divulgarne alcuni risultati essenziali, è la dis- 
sertazione di G. S. KLuereL “ Conatuum praecipuorum theoriam 
parallelarum demonstrandi recensio , (Gottinga, 1763) (**). In 
quest’opuscolo, che ha 30 pagine di testo, vengono analizzati 
poco meno che altrettanti lavori sulle parallele: ma l’analisi 
più lunga (di quasi 5 pag.°) è quella dell’opera del SAccHeRI! 

Da prima enuncia brevemente il contenuto della prop. 1 e 
delle prop. 5, 6, 7 relative alla distinzione delle tre ipotesi del- 
l'angolo retto, ottuso, acuto; e spiega come, colle prop. 11 e 12, 
si giunga a dedurre dalle prime due ipotesi la validità del 
post. V, e quindi che l’ipotesi dell'angolo ottuso distrugge sè 
stessa. 

Riguardo alle numerose proposizioni seguenti, per l'ipotesi 
dell’angolo acuto, il KLòùeEL fa varie critiche, non tutte giuste (***). 
Ma — ciò che più importa! — egli rileva ancora chiaramente: 


(#) Si sa che dai tentativi di LecenprE due teoremi risultarono dimo- 
strati, i quali poi divennero notissimi, prendendo posto in molti trattati di 
geometria. Ma fu poi rilevato, per esempio nella Nota del BeLrRAMI, e nella 
P. Th., che essi erano già pienamente stabiliti nel libro del SaccHERI. Dopo 
ciò, non sembra giusto che quei due teoremi siano chiamati © teoremi di 
LeGeNDRE ,, come ancora si fa da taluni, ad es° da M. Drrn nell’importante 
scritto “ Die Legendre’schen Stitze iiber die Winkelsumme im Dreieck ,, Math. 
Annalen 53, 1900. 

(#*) L’esemplare da me consultato appartiene alla Biblioteca Vittorio 
Emanuele di Roma, e proviene dalla Biblioteca privata di M. Cmastrs. 

(##*) Già in principio della sua analisi era detto così: “ Fucile vero est 
ad iudicandum, fieri non posse, quin humani aliquid patiatur, qui in demon- 
strando theoremate, quod notioni communi aequiparandum est, tantis ambagibus 
utitur, ut demonstratio plus quam 100 paginas impleat ,. E qui, a proposito 
delle proposizioni relative all'ipotesi dell'angolo acuto: “ In his plura su- 
perflua reperiuntur, omnia vero longe absunt ab ca elegantia, quae in demon- 
strationibus geometricis recte requiritur, cuiusque exempla optima veteres 
dederunt Geometrae ,. Etc. 


CONGETTURE INTORNO ALL'INFLUENZA DI GIROLAMO SACCHERI, ECC. 539 


la prop. 23, la quale, nell'ipotesi dell’angolo acuto, stabilisce 
che tre casi posson presentare due rette complanari, cioè o am- 
mettono una perpendicolare comune, o s'incontrano, oppure in 
un determinato verso si avvicinano sempre più; la prop. 25, da 
cui deriva che in questo 3° caso la distanza fra le due rette 
[parallele!] diventa minore di qualsiasi lunghezza assegnata; 
infine la prop. 28, che, al diminuir di quella distanza, l’angolo 
acuto che essa fa colla retta da cui è calata [angolo di paral- 
lelismo!| cresce continuamente tendendo a un angolo retto. — 

Ognun vede che, se anche queste citazioni fatte dal KLiGEL 
sono lungi dal rappresentare tutta la copia di risultati del Sac- 
CHERI, pure costituiscono già, da sè, una solida base per la geo- 
metria non euclidea! Un ingegno potente, che, a quei tempi, 
si fosse messo a lavorare intorno al vecchio enigma delle paral- 
lele, leggendo le proposizioni citate poteva ben trovare in esse 
(se pur non ricorreva alla fonte prima, al libro di SAccHERI) un 
forte ajuto per costruire la nuova dottrina! — 

Molti anni dopo (1808) il KriereL ebbe occasione di ritor- 
nare su quest’'argomento nell’articolo relativo alle parallele del 
suo Mathematisches Worterbuch (*). Ivi è di nuovo citata la sua 
dissertazione, e ad essa si rimanda (pag. 739) per l’estratto re- 
lativo al libro del SAaccHERI (**). 


4. — La dissertazione di KLicEL si trova pure citata e 
lodata nella Theorie der Parallellinien che J. H. LAMBERT scrisse 


(*) 3° Theil, pag. 727; publicato a Leipzig. 

(*#*) In quell’art°, a pag. 730-731, vi è un cenno contro la possibilità 
delle parallele non-euclidee (le quali, secondo KriceL, dovrebbero riescire 
in pari tempo secanti e non-secanti!), che prova come il KLiùeL non avesse 
ben capito quell’importante concetto del Saccueri. 

Ivi è pure citato (p. 739) un opuscolo del 1787 di £ FrancescHINI ,, @ 
questo stesso nome si ritrova nella P. T%. pag. 214 e 300. Si deve leggere 
invece “ FRANCESOHINIS ,. 

Un altro matematico italiano, &. M. Pagxninr — che in una “ Theoria 
rectarum parallelarum ete. (auctore J. M. P. C. P.), publicata a Parma 
nel 1788, e poi in una supplementare “ Epistola ad... H. C. Saladinum , 
(Parma 1794), ha dato parecchie pseudodimostrazioni del post. V, — parla 
nella Epistola (pag. 6 e 7) dell’opera del Saccnerr, enuncia la distinzione 
che questi fa delle tre ipotesi e come distrugga quella dell'angolo ottuso, 
maravigliando poi che impieghi 80 pag° a rigettare l'ipotesi dell'angolo acuto! 


540 CORRADO SEGRE 


(pare) nel 1766, ma non publicò mai, probabilmente perchè egli 
stesso non ne era soddisfatto (*). Oggidì è usanza di metterla 
insieme coll’opera del SaccHERI, quasi che fosse indipendente 
da questa: allo stesso modo, pare, come si mettono insieme 
LoparscHErsK1 e Boryar! Così si suol dire che “ SACcHERI € 
LamBeRT avevan riconosciuto la possibilità di 3 ipotesi , (**). 
A me sembra che ciò non sia giusto: poichè LAMBERT aveva ap- 
preso dal Conatuum di KLùGEL iteoremi del SAccHERI più sopra 
ricordati! Anzi: è probabile — come già avvertì, fra altri, 
M. Simon — che il matematico svizzero abbia anche preso co- 
noscenza diretta dell’opera del dotto italiano (***). Ora nelle 
prime due parti del lavoro di LamseRT non vi è nulla di essen- 
ziale; importante sarebbe solo la 3%, e questa procede in modo 
molto affine al libro di SaccÒeri. Vi è la stessa distinzione delle 
tre ipotesi, e la trattazione di queste procede molto analoga- 
mente a quella di Saccneri. Alcuni ragionamenti sono simili; 
in qualche questione Lamsert ottiene qualcosa di più; ma varie 
proposizioni importanti che si trovano in quello mancano in 
questo. Chiunque si provi ad esporre, nell'ordine storico, la geo- 
metria non-euclidea, dopo che avrà esposto i principali teoremi 
del SaccHERI troverà in LamBERT poco da aggiungere! (*). 


(*) Lamsert morì nel 1777. Quel suo lavoro fu poi stampato nel 1786 
nel Magazin fiir die reine und angewandte Mathematik di J. BernouLLI e 
C. F. Hinpensure; e riprodotto da SricgeL ed Encer nella P. Th. 

(**) V. ad es° S. Lie, Theorie der Transformationsgruppen, 3* Abschnitt, 
Leipzig 1893, pag. x. n 

(***) Max Simon, Euclid und die sechs planimetrischen Biicher (Abhand- 
lungen zur Geschichte der Math., t. 11, 1901), pag. 36: “ Abe» LamBeRT 
wurde durch KriceL wieder an die Parallelentheorie erinnert, bei Kriicer ist 
SaccHErI desprochen; das Werk SaccaerI's war schon durch seine Stellung 
im Orden ein verbreitetes; es ist eigentlich stets erwihnt worden, ... LAMBERT 
lebte in Chur in engstem Zusammenhang mit der gelehrten Welt Churs, wo 
er den eigentlichen Grund zu seiner wissenschaftlichen Bedeutung gelegt hat; 
es wire sehr unwahrscheinlich, dass in dieser speziell von jesuitischer Gelehr- 
samkeit durchtrinkten Atmosphire den Saccueri nicht kennen gelernt hiitte ,. 

Lo Sricker nella P. Tr. p. 148 aveva espresso l'opposto parere, senza 
giustificarlo. 

(*) Con ciò non intendo scemare il merito di LamserT, per quanto 
riguarda le intuizioni geniali rilevate dallo SrickeL nella P. TA. pag. 145. 
Piuttosto mi permetto di aggiungere che forse qualcuno dei raffronti fatti 


“ 


CONGETTURE INTORNO ALL'INFLUENZA DI GIROLAMO SACCHERI, ECC. 541 


5. — Sebbene il Kriicer poco abbia prodotto di originale, 
pure ai suoi tempi passava per uno dei maggiori matematici 
viventi (*). Dal 1760 al 1765 aveva studiato all’ Università 
di Gottinga; e l'influenza di A. G. KarstxER (1719-1800) lo 
aveva spinto a dedicarsi agli studì matematici; e sotto la guida 
del KAESTNER stesso aveva composto la sua dissertazione. Poi 
era divenuto professore nelle Università di Helmstedt e Halle, 
membro delle Accademie di Pietroburgo, Berlino, Gottinga e 
Francoforte. 

Tanto la dissertazione quanto il vocabolario matematico 
dovettero diffondersi molto, specialmente in Germania, e venir 
consultati da coloro che si occupavano della teoria delle paral- 
lele: la quale a quei tempi, e poi per tutta la 1° metà del se- 
colo 19°, era, per così dire, all’ordine del giorno in tutto il mondo 
scientifico (**). 

A Gottinga in particolare il ricordo del Conatuum di KLiGEL 
sarà durato a lungo. Il KAESTNER insegnò ivi fino alla morte, 
ed era insegnante efficacissimo. Egli s'era sempre interessato 
in modo speciale alla teoria delle parallele; anzi era stato lui, 
coi suoi scritti e colle sue lezioni, a risvegliare in Germania 
l'interesse per quell’argomento (***); ed aveva raccolto nella sua 


a p. 144 della P. Th. fra Saccneri e Lamsert è favorevole a questo ultimo 
più del necessario. Così non mi pare esatto che la trattazione di LamBeRT 
dell'ipotesi dell'angolo ottuso sia “ almeno in parte indipendente dal teo- 
rema dell'angolo esterno ,. Mi sembra invece che, già al principio di quella 
trattazione, cioè nel $ 53 che è fondamentale per tutto il seguito, si am- 
metta tacitamente quel teorema! 

Nel $ 57 di Lamserr occorre una rettifica. Egli dovrebbe dimostrare 
che sono incompatibili le due disuguaglianze AB> EF, GH> EF; e invece 
pone subito, insieme con queste, la ipotesi non giustificata AB> GH (colla 
quale si potrebbe procedere più semplicemente che là non sia fatto: poichè 
da quelle tre disuguaglianze ne seguono rispettivamente altre tre ‘fra gli 
angoli in B, F, H, le quali risultan subito incompatibili), senz’ avvertire 
che il suo ragionamento si applica anche nell’ipotesi contraria. 

(*) Allgemeine Deutsche Biographie, Bd. 16, Leipzig 1882, pag. 253. 

(**) P. Th., pag. 147 e 211. 

(***) P. Th., pag. 139 © ... und zwar war es A. G. KaestNER, der die Wich- 
tigkeit der Untersuchungen iiber die fiinfte Forderung erkannte, die Aufmerk- 
samkeit der Mathematiker auf diesen Gegenstand lenkte und damit eine 
Bewegung einleitete, die erst in diesem Jahrhunderte ihren Abschluss. ge- 
funden hat. , 


542 CORRADO SEGRE 


biblioteca quasi tutto ciò che intorno ad esso era stato publi- 
cato fin verso il 1770 (*). Inoltre vi era a Gottinga, dal 1789 
al 1804, un altro ottimo conoscitore delle ricerche sulla teoria 
delle parallele: K. F. Sevrrer (1762—1822), professore di astro- 
nomia e direttore dell’ osservatorio astronomico (**). Se, verso 
la fine del secolo 18°, un giovane intelligente che studiasse in 
quell’Università veniva a parlare di quella teoria col KAESTNER 
o col Sevrrer, niun dubbio che costoro gli avrebbero subito in- 
 dicato il lavoro di KrLii6eL, come pure quello, da poco comparso, 
di LamBeRT! (***). E se pure nè l’un professore nè l’altro non 
indicava anche allo studente il libro del SAaocHERI, la disserta- 
zione di KLiGEL poteva servire per dare quell’indicazione: ed 
il giovane poteva poi consultare quel libro nella biblioteca uni- 
versitaria! 


6. — Queste considerazioni si possono applicare anzitutto 
a Gauss ed a WoLranco BoLyAI, i quali studiarono appunto 
nell'Università di Gottinga, il 1° dal 1795 al 1798, l’altro dal 
1796 al 1799. È notissimo che essi strinsero colà una profonda 
amicizia; e che entrambi in quegli anni si occuparono delle pa- 
rallele (*). I sig.i StAckeL ed Encer (nel lavoro ora citato in 
nota) rilevano appunto la spinta che a W. BoLyAr può esser 
stata data per occuparsi di ciò, più che dal vecchio KAESTNER, 
dal giovane professore SeyFFER, con cui BoLyar aveva relazioni 
amichevoli. La stessa cosa vale per Gauss. Gli studî astrono- 
mici e geodetici di questo dovevan metterlo in speciale relazione 
col Sevrrer. E del resto, secondo narra Giovanni BoLyar (*'), 


(*) P. Th., pag. 140. 

(**) P. Th., pag. 214-215. 

(***) È forse superfluo avvertire che nella biblioteca di Gottinga si tro- 
vava sia la dissertaz. di KLùceL, sia (man mano che usciva) il Magazia in 
cui comparve la Theorie di Lamserr (il Simon, loc. cit., chiama quel Magazin 
“ das angesehenste deutsche wissenschaftliche Journal der Zeit ,). — Quanto 
all'opera del SaccH®eri, già in P. Th., pag. 38, è detto che essa si trovava 
in quella biblioteca fin dal 1770. 

(*) V. per es. Sricger-EnceL: Gauss, die beiden Bolyai und die nicht- 
euklidische Geometrie, Math. Ann. 49 (1897), pag. 149. 

(#*) SricxeL, Die Entdeckung der nichteullidischen  Geometrie' durch 
Johann Bolyai. Math. und naturw. Berichte aus Ungarn 17 (1901); v. a pag. 10. 


CONGETTURE INTORNO ALL'INFLUENZA DI GIROLAMO SACCHERI, ECC. 5433 


suo padre e Gauss si conobbero appunto in casa di SEYFFER, € 
poco dopo presero a parlare insieme dell'assioma 11°. — Quindi 
è naturale il supporre che in quegli anni i due valorosi stu- 
denti abbian conosciuto le cose del SAccHeRI, in tutto od in 
parte! (*). 

Quanto a W. BoryAr in particolare, si potrebbe dedurre 
che egli ha veramente preso cognizione di quanto s'era fatto 
prima di lui intorno alle parallele — o almeno di ciò che egli 
aveva, per così dire, a portata di mano — dal modo come scri- 
veva nel 1820 al figlio, per dissuaderlo dall’occuparsi di quel- 
l'argomento. “ Versuche die Parallelen auch Du nicht... Ich kenne 
alle Wege bis ans Ende; ich habe keine Idee angetroffen, die ich 
micht schon bearbeitet hétte... Ich lieferte weit  Besseres, als bis 
dahin geleistet wurde... ,; ed altre frasi analoghe (**). — D'al- 


(*) Per quel che riguarda Gauss non si vede, in ciò che di lui fu pu- 
blicato finora, nulla che contraddica a questa supposizione. Così l’accenno 
al triangolo di area massima, contenuto nella lettera di Gauss a W. BoLyar 
16 dicembre 1799 (Math. Ann. 49, pag. 157, oppure P. Th., pag. 219), può 
essere un frutto delle meditazioni sulle parallele di SaccÒeri (che permet- 
tono di concludere l’esistenza di triangoli coi 3 vertici all’infinito) e sulle 
aree triangolari di LamBERT. 

Il fatto che Gauss, in quella lettera e in altre posteriori relative alla 
geometria non-euclidea, non nomini mai nè SaccHnerI, nè LamBeRT non prova 
nulla contro la suddetta supposizione: poichè quei nomi non si trovano 
nemmeno nelle lettere di Gauss finora publicate, posteriori al 1829, e quindi 
appartenenti a un’epoca in cui Gauss conosceva certamente (n. 1) l’esistenza 
déi lavori di quei due scienziati! 

Si confrontino poi — come già è stato fatto, ad esempio dal sig. SrAcket 
a pag. 409 dell’articolo citato su Taurinus, — le seguenti parole che (nella 
Theorie der Parallellinien $ 80; P. Th., pag. 200) Lamsert scriveva, dopo 
d’aver dedotto dall'ipotesi non-euclidea l’esistenza di una misura assoluta 
per le lunghezze: “ Diese Folge hat etwas Reizendes, welches leicht den Wunsch 
abdringt, die dritte Hypothese mbchte doch wahr seyn!, — sì confrontino, 
dico; con queste altre che Gauss scriveva a Taurinus l’8 novembre 1824, 
dopo d’aver rilevato egli pure che l'ipotesi non euclidea conduce all'esistenza 
di una lunghezza assoluta (P. T'h., pag. 250): “ Ich habe daher wohl zuweilen 
im Scherz den Wunsch getiussert, dass die Euclidische Geometrie nicht die 
Wahre wire, weil wir dann ein absolutes Maass a priori haben wiirden. , Non 
si direbbe che su Gauss agisse inconsciamente un lontano ricordo delle 
parole di Lawsert? 

(#*) Sricger, Die Entdeckung u. s. w., pag. 3,4. — Nella stessa lettera 
(pag. 3) W. BoLyar nominava la teoria delle parallele come un “ Flecken der 


544 CORRADO SEGRE 


tronde si sa che Worranco istruì egli stesso il figlio nella ma- 
tematica, e richiamò la sua attenzione sulle lacune esistenti nella 
teoria delle parallele. “ Hinst diusserte er, derjenige, der einen Beweis 
fiir das elfte Axiom fiinde, verdiente einen Diamanten, so gross 
als der Erdball. Ein anderes Mal: dem dieses einst gelingen wird, 
setet, Sterbliche, ihm ein ewiges Denkmal ,. Così accadde — sceri- 
veva, molto tempo dopo, il figlio — che questi, “ durch die gana 
eigene Vortrefflichkeit und hohe Wichtigkeit der Aufgabe gereizt ,, 
dal 1817 in poi fece della teoria delle parallele la sua oc- 
cupazione prediletta (*). Da ciò, e particolarmente dalle frasi 
citate, si può arguire che WoLran6o non si sarà limitato col 
figlio a poche parole su quella teoria! Nulla esclude invece che 
gli abbia comunicato alcune delle cose che egli stesso può aver 
serbato in mente dalla lettura di SAccHERI, o di KLiGeL, o di 
LAMBERT! (**). 


7. — Anche su LoBarscHersK1 è probabile che abbia in- 
fluito l’opera di SACCHERI, sia pure indirettamente! LoBATSCHEFSKIJ 
all'università di Kasan ebbe prima (fin verso il 1812) a maestro, 
poi (fino al 1820) a collega il tedesco J. M. C. BartELS (***). Anche 
questo scienziato aveva studiato all’università di Gottinga (in- 
torno al 1790), acquistando sotto la guida del KAESTNER pro- 
fonde cognizioni matematiche. Era compaesano ed amico di Gauss, 
che aveva ajutato nei primi studì matematici (*), e col quale 


Geometrie ,: frase che ricorda il titolo del libro di SaccHERI, come rileva 
L. ScaLesincer nella Festrede: Johann Bolyai, Jahresbericht d. Deutschen 
Mathemat.-Vereinig. 12, 1903: v. pag. 166. 

Nel Tentamen di W. Bonyar, dove si parla dell'assioma XI, non è citato 
alcuno degli scrittori che se ne occuparono. 

(*) Die Entdeckung u. s. w., pag. 2. 

(**) Invece il sig. ScaLesincER nel discorso dianzi citato, parlando dei primi 
tentativi di J. BoLyart (come già SricgeL in Die Entdeckung u. s. v., pag. 2-3); 
dice (pag. 173) che questi “ schlégt dabei einen cihnlichen Weg ein wie 1733 
Saccneri und 1766 Lamsert, deren Arbeiten ihm iibrigens unbekannt geblieben 
waren y. L'ipotesi che io pongo è di una conoscenza indiretta, passando 
pel padre. 

(***) Cfr., qui e nel seguito, la biografia di LosAarscaFrsK1J nel libro citato 
dell’Encer, pag. 349 e seg! (nella quale è pur tenuto conto di alcune recenti 
importanti notizie dovute ad A. WassiLier). 

(*) Sarrorrus von Warrersmausen: Gauss eum Gedéichtniss, Leipzig 
1356, pag. 13. 


anta dadi 


feti RR A e e IT 


CONGETTURE INTORNO ALL'INFLUENZA DI GIROLAMO SACCHERI; ECC. 045 


poi aveva trascorso due anni (1805-1807) in Braunschweig 
nella massima intimità, prima di recarsi ad insegnare a Kasan. 
Tenendo sempre presente il fatto già menzionato che la teoria 
delle parallele era all’ordine del giorno, è supponibile che BARTELS 
abbia ignorato l’esistenza della dissertazione di KLùGEL, per non 
dire dei lavori di SaccHERI e di LawBerT? Ora BarrELS, inse- 
gnante valorosissimo, esercitò la massima influenza su LoBars- 
CHEFSK1J, il quale ne ebbe sempre la massima stima. LoBars- 
cHEFSK1J fin dagli anni 1815-1817, se non prima, si occupò 
delle parallele, secondo l’indirizzo delle ricerche di LEGENDRE. 
È possibile che non abbia mai parlato di quella teoria con 
BarrELs, e che questi non gli abbia indicato, per lo meno, la 
dissertazione di KLijceL? Un uomo serio e prudente quale era 
LoBATScHEFSKIJ puo aver publicato una geometria che osa ne- 
gare il post. V, senza prima aver fatto quanto era in lui per 
conoscere i principali tentativi di dimostrazione di quel postu- 
lato? Ora, se anche BarTELS non avesse potuto ajutarlo in ciò, 
non mancavano altri mezzi! A quei tempi erano pienamente ap- 
prezzate in Russia, e all’Università di Kasan in particolare, la 
produzione scientifica tedesca e quella francese. La Histoire di 
MoxrucLa, la dissertazione ed il. Worterduch di KLiGeL (*), 
ecc. ecc., non saran mai andati fra le mani di LoBATSCHEFSKIJ, 
conducendolo alla conoscenza, diretta od indiretta, del SAccHERI? 
— A Kasan si dovrebbero fare delle ricerche per risolvere la 
questione! (#*), 


(*) Come già s'è ricordato, KLiceL apparteneva all'Accademia di Pie- 
troburgo. 

(**) L’affinità tra alcune cose di LosarscHErsK1J e le analoghe di SAccHERI 
è notevole. Per es° nel $ 102 dei Neue Anfangsgriinde u. s. w. (ediz. di Encrt, 
pag. 174) LosarscHEFSKI1J, per dimostrare che si può dare ad arbitrio l’an- 
golo di parallelismo, fa un ragionamento affine a quello che aveva fatto 
SaccHERI (prop. 27) per lo stesso scopo, con una figura che ricorda pure le 
fig 9 e 10 di SaccWÙeri (prop. 11 e 12). Del resto il ragionamento di Lo- 
BATSCHEFSKIJ @ la relativa figura sì trovavano già in Taurinus, Theorie der 
Parallellinien, 1825 (P. Th., pag. 264-265): come Encet ha rilevato. E questi 
ha pur notato che LosarscaersK1s nel $ 106 dei Neve Anfangsgriinde (pag. 179, 
efr. p. 333) adopera tacitamente, senza dimostrarle, le due prime propo- 
sizioni di SAccRERI. 


Atti della k. Accademia — Vol. XXXVIII. 37 


540 CORRADO SEGRE — CONGETTURE INTORNO ALL'INFLUENZA, ECC. 


8. — Infine, anche riguardo alle scoperte di ScHWEIKART 
e di TAURINUS sarebbero da fare ulteriori ricerche! Lo ScHwEIKART 
aveva seguito (*) dal 1796 al 1798 nell’ Università di Mar- 
burg lezioni matematiche da J. K. F. HAurF, autore di varî scritti 
sulle parallele; ed aveva a sua volta publicato nel 1807 un libro 
sullo stesso argomento (**). Se dall’ esame di questi scritti, 
o da altre circostanze, si potesse dedurre che egli ha conosciuto 
la dissertazione di KLieEeL e il lavoro di LAMBERT, rimarrebbero 
così spiegati i suoi risultati. Infatti questi — quali sono esposti 
nel foglio datato “ Marburg, dicembre 1818 , e inviato da 
SCHWEIKART a Gauss per mezzo di GerLING (***), e nelle lettere 
al nipote TauRrINUS del 1820 e 1824 (*) — derivano tutti, quasi 
immediatamente, dalle proposizioni di SAccHERI contenute nel 
Conatuum di KrieeL e dal teorema di LamBeRT sull’area del 
triangolo. Rimarrebbe sempre a ScHwrerxaRT il grande merito 
di aver saputo emanciparsi dal preconcetto euclideo, anzi che 
ostinarsi, come SaccHERI e LamBERT, a ritenere assurda l’ipotesi 
non-euclidea ! 

Quanto a TaurINUS, egli dice nella prefazione agli Elementa 
del 1826 (**) che nella sua già citata Theorie del 1825 era 
venuto, senza saperlo, a concetti molto simili a quelli che poi 
[nell'edizione di Camerer degli Elementi d’Euccipe, 1824 (*!*)] 


(*) P. Th., pag. 243. V. anche, pel seguito, l'articolo di Sricger su 
TaurInus già citato. 

(**) Die Theorie der Parallellinien, nebst dem Vorschlage ihrer Verbannung 
aus der Geometrie. Non son riuscito a procurarmi questo libro. Si sa però 
(P. Th., pag. 248) che esso non parla ancora di geometria non-euclidea; 
ma “ attesta (art° di SricxeL su Taurinus, pag. 403) un profondo studio 
della letteratura relativa alle parallele. , Per esempio vi è riportata (2. T%., 
pag. 141) l'opinione di KarsrNer su questo soggetto. 

(*#*) Gauss’ Werke, 8°" Band, Leipzig 1900, pag. 180. 

(*) P. Th., pag. 248 e 245. 

(**) P. Th., pag. 247-248. Qui è anche da notare la frase di Taurinus 
relativa all'influenza esercitata su lui dal libro di Scaweikart. Dice di 
avervi imparato “ alle die. Methoden zum Beweise. der Parallelentheorie, die 
bis dahin bekannt geworden waren. , Quali? 

(*#*) Riguardo all’Excursus ad ElementorumI,29 di quell’edizione, SrickEL 
(art. su TaurInus, nota a pag. 414) dice che esso “ mit grossem Nachdruck 
und tiefem Verstindnis auf die Untersuchungen von Saccueri und LamBeRT 
hingewiesen hat. ,, È 


LODOVICO BECCARI — SULLA REAZIONE DELL'ETERE, ECC. 547 


aveva visto appartenere a SaccHerI e Lamert. Effettivamente 
le cose non-euclidee di quella Theorie (riportate nella P. Th., 
pag. 262-266) si trovan già tutte, a un dipresso, in SACCHERI; 
come affini a SAccHERI e LAMBERT sono altre considerazioni con- 
tenute in una lettera del 1824 di Taurinus a Gauss (*). Non 
potrebb’ essere che TaurINUS fosse stato condotto a queste 
cose dalle notizie contenute nel libro dello zio, e dalle comu- 
nicazioni avute direttamente da questo (**) (se pure, durante i 
suoi proprî studi a Gottinga intorno al 1820, non ebbe a rice- 
vere qualche altra influenza antieuclidea)? 


Sulla reazione dell'etere a-cianpropionico 
con lValdeide benzoica. 


Nota del Dr. LODOVICO BECCARI. 


L’etere cianacetico dà con le aldeidi grasse ed aromatiche 
in presenza. di ammoniaca una serie di prodotti di condensa- 
zione molto interessanti, studiati dal prof. Guareschi (1): come 
prodotto principale si ottengono le diciandiossipiridine, e secon- 
dariamente le cianacetamidi monoalchilsostituite. Per consiglio del 
prof. Guareschi studiai il modo di comportarsi di un omologo 
dell'etere cianacetico, dell'etere cioè a-cianpropionico o metilcia- 
nacetico con l’aldeide benzoica in presenza di NH? acquosa con- 
centrata, nell’intento di vedere se si ottenessero da esso prodotti 
di condensazione analoghi a quelli sopra ricordati. Operando 
nelle stesse condizioni tenute per l’etere cianacetico, l’etere 


a-cianpropionico reagisce abbastanza prontamente con la benzal- 


(*) SricgeL su Taurinus, pag. 404 e segi. Vi è dimostrato che, nella 
ipotesi dell'angolo ottuso, due rette complanari perpendicolari a una terza 
devon necessariamente incontrarsi: donde il rigetto di quell’ipotesi. 

(**) Si noti che la considerazione (P. T%., pag. 265, n. 6) che dà nella 
Theorie di Taurinus il parametro non-euclideo coincide con quella di 
ScaweIKART, indicata con c) nel foglio inviato a Gauss! 

(1) Sulle diciandiossipiridine, © Atti della R. Acc. delle “Scienze di l'o- 
rino », 1899, Vol. XXXIV, e Condensazione delle aldeidi con Vetere cianacetico, 
“ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, 1902, Vol. XXXVII. 


548 LODOVICO BECCARI 


deide, ma dà origine ad un composto del tutto differente per 
proprietà e composizione dalle diciandiossipiridine. 

Le ricerche eseguite allo scopo di chiarire la natura della 
reazione e del prodotto ottenuto mi condussero anzi ad uno 
studio sulle reazioni delle idramidi con l'etere cianacetico (1), 
che già pubblicai e che si collega perciò alla presente nota. 

Preparai l’etere a-cianpropionico col. metodo descritto da 
Henry (2), partendo dall’etere cianacetico: preparai cioè da prima 
il derivato monosodico dell’etere cianacetico sciogliendo un atomo 
di sodio in 10 mol. di alcol etilico e versando l’alcolato sodico 
a goccia a goccia nell’etere cianacetico (1 mol.); appena avve- 
nuta la reazione aggiunsi a piccole porzioni ioduro di metile in 
lieve eccesso (poco più di 1 mol.) e riscaldai la miscela su b. m. 
a ricadere per alcune ore (3 ore circa), fino a che la reazione 
alcalina fosse scomparsa. Scacciata allora. per distillazione la 
maggior parte dell’alcol, trattai la massa residua con acqua che 
disciolse il ioduro di sodio e separò il prodotto come olio gal- 
leggiante; questo venne separato, la soluzione acquosa venne a 
più riprese estratta con etere etilico, la. soluzione eterea eva- 
porata ed il residuo, oleoso fu riunito alla prima porzione di 
prodotto, seccato su cloruro di calcio fuso e rettificato con ri- 
petute distillazioni. L’etere a-cianpropionico puro bolle a 198°; 
il rendimento della preparazione condotta con ogni cura fu in 
media del 70-75 °/o. 

Come ho accennato, nello studiare la reazione fra l’etere 
a-cianpropionico e la benzaldeide in presenza di NH? acquosa 
usai lo stesso metodo e le stesse proporzioni tenute. dal profes- 
sore Guareschi per l’etere cianacetico; posì infatti a reagire una 
mol. di benzaldeide con due mol. di etere e poco più di due 
mol. di NH? in sol. acquosa concentrata, in vaso a tappo sme- 
rigliato e a piccole porzioni e cioè: gr. 5 di aldeide con gr. 13 
di etere e cc. 13 di ammoniaca acquosa a 0,914. Agitando di 
continuo la miscela, dopo due ore circa cominciò a separarsi un 


(1) Sulle idramidi e sulle loro reazioni con Vetere cianacetico, “ Atti della 
R. Ace. delle Scienze di Torino ,, 1902, Vol. XXXVII. 

(2) L. Henry, Sur. l’acide cyano-acétique, “ Compt. rend. ,; Vol. 104, 
pag. 1618 e seg., 1887. — P. Hexry,.‘ Bull. de. l’Ac. roy. de Belgique ,, 
1889, pag. 680 e seg. 


ei. iii ai tecn 


SULLA REAZIONE DELL'ETERE 0-CIANPROPIONICO, ECC. 549 


prodotto amorfo, viscoso, che mano mano andò aumentando, tras- 
formandosi molto lentamente in una massa solida, friabile. Dopo 
3 giorni, agitando vigorosamente ad intervalli, ottenni un pro- 
dotto bianco, cristallino, che' venne raccolto e lavato con acqua 
bollente; il peso del prodotto greggio, secco all’aria fu di gr. 6,6. 
Lavato ancora con poco alcol a 90° a freddo e con etere etilico, 
per togliere le tracce di aldeide benzoica, venne cristallizzato 
dall’alcol a 90° bollente, da cui separasi in bei cristalli aghi- 
formi, bianchi, leggeri; la sostanza, riscaldata con precauzione, 
dà già qualche segno di rammollimento sotto i 798°, alla quale 
temperatura fonde poi nettamente con decomposizione ed ingial- 
limento. Essa è insolubile in acqua, solubile alquanto in alcol, 
meno solubile in cloroformio, etere etilico e benzene. 

Cristallizzando dall’aleol il prodotto di questa e di altre 
preparazioni eseguite negli stessi rapporti, potei sempre sepa- 
rare una seconda sostanza pochissimo solubile in alcol, in tenue 
quantità e costituita da piccoli aghetti bianchi, pesanti e aventi 
p. f. 210-212°. Le acque madri delle singole preparazioni poi, 
evaporate a b. m., lasciarono un discreto residuo cristallino, 
misto a sostanza oleosa, il quale venne spremuto tra carta da 
filtro e studiato a parte. 

Le analisi del prodotto principale, avente p. f. 198°, diedero 
i seguenti risultati: 


I. Gr.0,1442 di sostanza diedero gr. 0,3912 CO? e gr. 0,0754 H?0 


LI: è Gr..0,1334 3 A y.:0,3616 CO? e gr. 0,0712 H20 
III. Gr. 0,1109 i 3 ocec: 13,8 Na 139,5 e 748,3. mm. 
I Il III 
CP ARZA 73,99 19,93 — 
5 i 5,85 5,97 — 
N’, all LiÒ 14,46. 


Da questi dati analitici si può ricavare la formola (18H!7N50, 
per la quale si calcola: 


C/o 74,2 
EL, 4 5,84 
Ni} 14,4 


550 LODOVICO BECCARI 


Le proprietà principali del prodotto analizzato sono le se- 
guenti: è insolubile in acqua anche bollente, solubile discreta- 
mente in alcol dal quale si ottiene ben cristallizzato, meno so- 
lubile nell’etere etilico, cloroformio e benzene. La sostanza ha 
carattere di composto neutro ed è insolubile sia negli acidi che 
negli alcali diluiti. Essa non è molto stabile e si decompone 
abbastanza facilmente; già l'ebollizione prolungata della sua so- 
luzione alcolica determina svolgimento di ammoniaca; riscaldata 


con soluzione diluita di alcali caustici si scinde con sviluppo di 


ammoniaca e svolge odore spiccato di mandorle amare; tale 
scomposizione avviene pure per ebollizione con acidi minerali 
diluiti. Ho potuto anzi riconoscere che, bollita con acido clori- 
drico diluito, la sostanza si scinde prontamente dando aldeide 
benzoica, che si separa come olio alla superficie della soluzione, 
ed ammoniaca, che resta combinata con l’acido cloridrico. Ese- 
guendo questa ricerca e dosando la quantità relativa dei pro- 
dotti di scissione, ho potuto ottenere dati, che chiariscono i 
rapporti di combinazione dell'etere a-cianpropionico e della ben- 
zaldeide nel formare il composto C!8H!"N30. Trattai gr. 1,2 di 
sostanza con gr. 80 di acido cloridrico diluito (D = 1,006) al- 
l'ebollizione; in pochi minuti la sostanza solida si disciolse con 


formazione di gocciole oleose galleggianti sulla soluzione. Non. 


si ebbe svolgimento di C0?. Dopo un'ora di. ebollizione mode- 
rata, la soluzione raffreddata venne ripetutamente estratta con 
etere etilico; questo, separato ed evaporato in matraccino ta- 
rato lasciò un residuo oleoso quasi incoloro, con odore caratte- 
ristico di benzaldeide, che dopo pochi minuti si trasformò in 
una massa cristallina bianca; posi il matraccino ad essiccare sul- 
l’acido solforico fino a peso costante: il residuo completamente 
cristallizzato pesava gr. 0,908. Questo, oltre che in etere, si 
scioglieva con effervescenza nella soluzione di carbonato sodico, 
dalla quale con acido cloridrico diluito veniva precipitato in 
masse voluminose cristalline; cristallizzato dall’ acqua bollente 
si presentava in pagliette cristalline, bianche, fondenti a 120° 
e sublimabili completamente. L’acido benzoico in tal modo iden- 
tificato permetteva di calcolare la quantità di aldeide corrispon- 
dente dalla quale proveniva per rapida ossidazione all'aria e di 
stabilire quindi un rapporto fra la sostanza decomposta e la 
benzaldeide formatasi; questa infatti risulta di gr. 0,788, e, rife- 


SULLA REAZIONE DELL’ETERE @-CIANPROPIONICO, ECC. 551 


rita a gr. 1,2 di sostanza impiegata, corrisponde con sufficente 
approssimazione al rapporto di 2 mol. di benzaldeide per 1 mol. 
del composto C!8H!N80, essendo in tal caso la quantità calco- 
lata di benzaldeide gr. 0,874. — La soluzione acquosa cloridrica 
d'altro canto venne evaporata nel vuoto su calce, e nel residuo 
determinai la quantità di ammoniaca formatasi, distillando con 
latte di magnesia e dosando l’NH? come cloroplatinato : 

Pt trovato gr. 0,8176, corrispondente a gr. 0,1432 NH?3. 

L’azoto corrispondente all’NH® formatasi nella decomposi- 
zione della sostanza corrisponde perfettamente ai ?/; dell’azoto 
totale contenuto nel composto C!8H!N80, infatti: 


N totale N dell’NH? 

—rr—T. —T T'T.———rr —___|n_T  _ 
trovato calcolato per i ?/; 

14,4% 9,8% 96 9 


Dal che appare evidente che due dei tre atomi di N della 
molecola sono facilmente scindibili e probabilmente vi sono con- 
tenuti come residui dell’ammoniaca, mentre il terzo, resistente 
all’azione dell’HCl diluito, corrisponde senza dubbio al gruppo 
CN del residuo dell’acido a-cianpropionico. 

Da tali risultati si può anche dedurre che la reazione, che 
dà origine al composto C!8H!"N®0, avviene non già nel rapporti 
impiegati nelle predette preparazioni, ma bensì tra due molecole 
di benzaldeide, una molecola di etere a-cianpropionico e due 
di NH. Eseguendo infatti la preparazione in questi ultimi rap- 
porti ottenni l’identico prodotto. La reazione può quindi essere 
espressa assai completamente con la seguente equazione: 


2C6H° . CHO + CH? . CH(CN). CO?2C?H5 + 2NH8 = 
= C!8H!7N30 + C?*H°. GH L 2H°0, 


Come ho accennato, ottenni dalla stessa preparazione due 
altri prodotti, di cui farò breve cenno. 

Cristallizzando il prodotto principale dall’alcol ho potuto 
sempre separare una seconda sostanza cristallina, bianca, assai 
poco solubile nell’alcol e meno ancora negli altri solventi, ma 
in quantità così scarsa, che non mi è stato possibile farne uno 
studio abbastanza approfondito. Riunendo le diverse porzioni 


552 LODOVICO BECCARI 


ottenute da parecchie preparazioni, e cristallizzandole dall’alcol 
bollente, ottenni il prodotto in polvere cristallina, sottile, mi- 
croscopica, pesante, fondente a 210° con decomposizione. L’ana- 
lisi elementare mi diede i seguenti risultati: 


I. Gr. 0,1126 di sostanza diedero cc. 14,2 N. a 8°,7 e 740 mm. 


II. Gr. 0,1174 Y s  gr.0,3176 CO? e gr. 0,0618 H20 
I II 
C% cita codaglg 
H ” "gna, 5,9 
N, 14,7 — 


La composizione di questa sostanza corrisponde quasi esat - 
tamente a quella del primo prodotto studiato; solo il C presenta 
una piccola deficienza, dovuta forse alla grande difficoltà di pu- 
rificare abbastanza il materiale di analisi. Tale concordanza 
di composizione farebbe pensare ad un isomero del composto 
C!8H!N80, ma, ripeto, il rendimento scarsissimo di tale prodotto 
secondario mi impedì di approfondire le ricerche in questo senso. 

Evaporando le acque madri delle singole preparazioni ot- 
tenni infine una massa cristallina, mista ad olio più o meno co- 
lorato; spremuta fra carta bibula la sostanza si presenta in 
lamelle bianche solubilissime nell’acqua e nell’ alcol, insolubili nel- 
l’etere etilico, che può servire a lavarla dalle tracce di olio mesco- 
lato; fonde greggia a circa 93-94°, ma ripetute cristallizzazioni 
dall’alcol diluito fanno salire mano mano il p. f., che infine di- 
viene costante a 105-106°. Dalle proprietà generali e dall’analisi 
potei identificare in tale prodotto l’amide a-cianpropionica pre- 
parata già da Henry (1): 


I. Gr. 0,1345 di sostanza diedero cc. 32,8 N a 10°,5 e 740 mm. 
II Gr. 0,1335 n s; gr. 0,2376 CO? e gr. 0,0737 H?0 
trovato calcolato per C*H°N?0 
- et. TP — 
I II 
UO RIa — 48,61 48,9 
Lee _ 6,18 6,1 
TCS 28,4 — i Mp1} 


(1) P. Hexrr, l. c., pag. 680 e seg. 


& i EN | 


SULLA REAZIONE DELL'ETERE 0-CIANPROPIONICO, ECC. 553 


Un solo dato non trovai concordare con quelli di Henry, 
cioè il punto di fusione. Henry dà per l’amide a-cianpropionica 
il p. f. 85°; io l'ho trovato assai superiore e fisso a 105-106° 
solo dopo ripetute cristallizzazioni. Ho pure preparata l’amide 
dall’etere a-cianpropionico e dall’NH? acquosa direttamente, ed 
ottenni la sostanza con l’identico punto di fusione 105-106°; ad 
esso si perviene solo dopo diverse cristallizzazioni dell’alcol di- 
luito, e forse in ciò sta la ragione della discrepanza coi dati di 
Henry. 


I rapporti di combinazione della benzaldeide e dell’etere 
a-cianpropionico nel descritto composto C!8H! N30, i caratteri 
di questo posti a confronto col modo di reagire dell’etere cia- 
nacetico con le idramidi, da me già studiato in una nota prece- 
dente, mi indussero ad ammettere come probabile la seguente 
costituzione per il prodotto in parola: 


CH? 


Ivi i due residui della benzaldeide sarebbero tra loro col- 
legati dalle tre valenze dell’azoto terziario in un gruppo di co- 
stituzione simile alle idramidi, il quale sarebbe pure unito 
all’amide oa-cianpropionica per sostituzione dell’ H metinico di 
questa. Tale struttura, oltre a presentare stretta analogia con 
quella dei composti ottenuti dall’etere cianacetico e dalle idra- 
midi, risponde bene alle proprietà della sostanza, e cioè al ca- 
rattere di composto neutro, alla poca stabilità, alla facile scissione 
per opera degli acidi diluiti con formazione di aldeide benzoica 
ed ammoniaca; ed anzi l’ammoniaca, che in tal modo si forma, 
corrisponde appunto ai ?/; dell'azoto totale e con certezza pro- 
viene dall’atomo di azoto terziario e dal gruppo amidico del 
composto (!8H!N30, A conferma di tale ipotesi ho tentato me- 
todi differenti di preparazione dello stesso composto, i quali 
hanno corrisposto appieno. Anzitutto ho fatto reagire sull’aldeide 


554 LODOVICO BECCARI 


benzoica l’amide a-cianpropionica in luogo dell'etere corrispon- 
dente in presenza di NH? acquosa .od alcolica; sì nell’un caso 
che nell'altro la reazione si compie con lo stesso risultato, ma 
avviene assai più prontamente in soluzione alcolica. Disciogliendo 
in pochi cm.? di alcol concentrato 1 mol. di amide a-cianpro- 
pionica e 2 mol. di benzaldeide ed aggiungendo ammoniaca al- 
colica in lieve eccesso, dopo pochi minuti la miscela si converte 
in una massa bianca compatta e cristallina; raccolto e cristal- 
lizzato dall’alcol il prodotto fonde a 198° con decomposizione. 
L'analisi elementare ha fornito i seguenti risultati: 


I. Gr. 0,2015 di sostanza diedero gr. 0,5480 CO? e gr. 0,1090 H?20 


II. Gr. 0,1500 L x ce. 19,1 N a 15° e 745 mm. 
trovato calcolato per C!*H!"N?0 
id Galdo eutaitat i; 01988 
Brei9Yo 14,17 _ 74,2 
Biu;; 6,05 — 5,8 
Le — 14593 14,4 


Infine a rendere più verosimile l’esistenza di un gruppo 
idramidico nel composto studiato e la probabile formazione in- 
termedia di idrobenzamide durante la reazione, tentai di fare 
reagire l’amide a-cianpropionica sull’idrobenzamide stessa diret- 
tamente. Già a proposito delle ricerche sulle idramidi e l'etere 
cianacetico io aveva potuto’ verificare che anche l’etere a-cian- 
propionico reagiva direttamente con le idramidi in soluzione 
alcolica, dando però scarsissimo prodotto (1). 


(1) Ritengo opportuno riferire qui gli scarsi risultati di tali prove. 
L’etere a-cianpropionico e l’idrobenzamide in soluzione alcolica reagiscono 
lentamente con leggera colorazione gialla del liquido e svolgimento di NH?; 
pure molto lentamente si separa un prodotto in piccoli aghi bianchi; la 
quantità del prodotto è minima e pare cresca alquanto coll’aumentare della 
proporzione dell’etere impiegato. La sostanza separata è insolubile in acqua; 
cristallizza dall’aleol in cristalli sottili, fondenti a 195° con sviluppo di 
bollicine gasose. La scarsezza del prodotto non mi concesse di raggiungere 
forse il grado di purezza necessario, e l’analisi elementare diede valori che 
sì scostano un po’ (specie per il C) ma pur sono abbastanza prossimi @ 
quelli che si caleolerebbero per la formola C®H®N?20? Questo sarebbe il 
composto corrispondente a quello studiato C!H'"N"0, in cui al posto del- 


N E I e 


SULLA REAZIONE DELL'ETERE Q-CIANPROPIONICO, ECC. 555 


La reazione tra l’amide a-cianpropionica e l’idrobenzamide 
avviene abbastanza facilmente: lasciai reagire una mol. di amide 
con una molecola di idrobenzamide a freddo in una quantità 
di alcol concentrato appena sufficiente a disciogliere l’idramide 
stessa; a poco a poco si andò separando un prodotto cristallino, 
bianco, che, raccolto e cristallizzato più volte dall’alcol, presen- 
tava il p. f. 198° e gli altri caratteri del composto C!8H!"N80. 
L'analisi dell’azoto confermò l’identità del prodotto: 


Gr. 0,1568 di sostanza diedero ce. 20,4 N a 15° e 740 mm. 


trovato calcolato per C'*H!"N°0 
i RRERECA 14,4. 


Tali risultati rendono, a mio parere, molto probabile la 
formola di costituzione da me proposta per il composto ottenuto 
dalla reazione dell’etere a-cianpropionico con la benzaldeide in 
presenza di NH? acquosa concentrata. 


Dal Laboratorio di Chimica farmaceutica e tossicologica 
della R. Università - Torino - Novembre 1902. 


l’amide starebbe l’etere a-cianpropionico, ed avrebbe perciò la struttura 


seguente: RIE 
(CEL o. N 
C°H? CH; 
XC(GNY CO*C*R° 
CH? 


Per tali rapporti ho voluto rammentare i seguenti risultati, quantunque 
imperfetti e soltanto approssimativi: 
I. Gr. 0,1261 di sostanza diedero gr. 0,3418 CO? e gr. 0,0691 H?0 


LIS 01297 = L: cc. 9,8 N a 15° e 741 mm. 
III ,-0,1823 a 4 gr. 0,4943 CO? e gr. 0,0974 H°0 
trovato calcolato per C*°H°°N?®0? 
TT mni__a--—Prrr ————_ <er- 
I II III 
C/o 73,99 _ 73.95 75, 
TO e on 6,25 
N, — 8,63 _ 8,75 


L’Accademico Segretario 
LorENZO CAMERANO. 


556 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 3 Maggio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: 

della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: 
baLvapori, Direttore della Classe, NACCARI, SPEZIA, CAMERANO, 
Segre, PeANO, JADANZA, GuarEscHI, Gurpi, FiLeri, MATTIROLO, 
MorERA. — Scusa l’assenza il Socio PARONA; 

della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
Pevron, Vice Presidente dell’Accademia, FerRERO, Direttore 
della Classe, Rossi, Manno, BoseLLi, CrpoLLA, Brusa, ALLIEVO, 
Pizzi e RenIER Segretario. — Il Socio BoLLari pi SAINT-PIERRE 
scusa l’assenza. 

Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente. 

Il Presidente legge una lettera del Socio PARONA, che scusa 
l'assenza per un grave lutto domestico. Egli crede di interpre- 
tare il desiderio dell’Accademia facendogli pervenire le più vive 
condoglianze. 

Quindi il Presidente dà conto di ciò che ha fatto sinora il 
Comitato costituitosi per porre un ricordo alla memoria del rim- 
pianto Socio Alfonso Cossa, nella Scuola di Applicazione degli 
Ingegneri. 

Il Socio Tesoriere JADANZA, invitato dal Presidente, pro- 
cede all’ esposizione finanziaria per il passato esercizio 1902 e 
presenta il bilancio preventivo dell’anno 1903. 


SI ETC o vv r_—_—z — ——- 


997 


L'Accademia approva tanto il conto consuntivo, quanto il. 
bilancio preventivo. Approva pure i resoconti delle gestioni del- 
l’eredità Bressa, Gautieri e Vallauri, scarica il Tesoriere d’ogni 
contabilità passata e gli dà carico per l’ esercizio del corrente 
anno 1903. 

Il Socio Naccari legge la relazione della prima Giunta per 
il premio internazionale Bressa (quadriennio 1899-1902). Essa 
indica le opere e le scoperte sulle quali la Giunta crede sia da 
richiamare specialmente l’ attenzione dell’Accademia. Il Presi- 
dente dichiara aperta la discussione in proposito con facoltà di 
fare nuove proposte. Siccome nessuno chiede la parola, il campo 
delle proposte resta chiuso, ed il Presidente ringrazia la prima 
Giunta, specialmente il relatore NACccARI, per l’opera prestata. 

Si passa alla elezione di cinque membri per Classe, che 
costituiscono col Presidente, membro nato, la seconda Giunta 
pel premio Bressa. Le Classi votano divise, a schede secrete. 

Della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali rie- 
scono eletti: NAccaRI, Foà, CAMERANO, SPEZIA, GUARESCHI. 

Della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche otten- 
gono l’elezione: CrpoLLa, BoseLLi, Manno, CARLE, FERRERO. 


Gli Accademici Segretari 
LorENZO CAMERANO. 
RopoLro RENIER. 


998 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 3 Maggio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: PevgRon, Vice Presidente dell’Acca- 
demia, FerrERO, Direttore della Classe, Rossi, Manno, BosELLI, 
CreoLLa, Brusa, ALLievo, Pizzi e ReNIER Segretario. — Il Socio 
BoLLATI DI SAINT-PIERRE, scusa l’assenza. 

Approvasi l'atto verbale dell'adunanza antecedente, 19 a- 
prile 1903. 

1° Il Socio BoseLLi mette in rilievo con molti elogi i 
pregi del volume che presenta di Augusto Bosco, La delinquenza 
in varî Stati d'Europa, Roma, 1903. Si associa il Socio Brusa 
che pone in evidenza altri lati delle risultanze di quell’opera e 
segnala le difficoltà felicemente in essa superate dall’autore. 

2° Il Direttore della Classe FERRERO fa omaggio di un 
opuscolo di Ubaldo AnGELI, che contiene due conferenze, l’una 
su Amedeo di Savoia duca di Aosta, l’altra su Vincenzo Gioberti, 
Prato, 1903. 

3° Il Socio CipoLLa presenta a nome del Socio Savio 
una pubblicazione di lui su La pretesa inimicizia del papa Nic- 
colò ILI contro il re Carlo I d’ Angiò, Palermo, 1903. 

4° Il Presidente fa omaggio d’un opuscolo inviato dal Socio 
corrispondente pe Naparrrac, Du Cap au Catre, Paris, 1903. 


559 


Per la inserzione negli Atti sono presentate le seguenti note: 
1° dal Socio ALLievo: Lo spirito e la materia nell’ Universo. 
L'anima e il corpo nell'uomo; 
2° dal Socio Direttore della Classe, FERRERO: Spada di 
bronzo scoperta in Moriana; 
3° dal Socio Brusa: Francesco RurrINnI, A proposito di 
alcuni recenti scritti di Ireneo Lameire. 

Il Socio CiponLa legge la sua relazione intorno alla breve 
monografia di Domenico VaLLa, Vita di Carlo Antonio Dal Pozzo, 
arcivescovo di Pisa, fondatore del Collegio Puteano, ch’ egli fu 
incaricato di esaminare insieme col Direttore di Classe FERRERO. 
La relazione è approvata ed è parimenti approvata a voti una- 
nimi l’inserzione dello scritto suddetto nelle Memorie accademiche. 

Il Presidente rammenta ai Soci che con gli scritti appro- 
vati e con quelli già presentati, resta occupato lo spazio dispo- 
nibile nel volume attuale delle Memorie. Quindi per ora è desi- 
derabile non si presentino altre monografie di estranei. 


TT CTTFPrgzc<<x—TT/T_T-- 


560 GIUSEPPE ALLIEVO 


LETTURE 


Lo spirito e la materia nell'universo. 
L'anima ed il corpo nell'uomo. 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


Nel mondo del pensiero primeggiano certe idee così ampie 
e comprensive, che rispecchiano esse sole l’ immenso sistema 
della realtà universa e ad un tempo stanno come centri motori 
della sapienza comune egualmente che della speculazione scienti- 
fica. Tali sono le idee di spirito e di materia, di anima e di 
corpo; idee supreme e dominanti su tutte le altre, idee non già 
meramente fittizie, o superlativamente astratte, quale sarebbe 
l’idea dell’esistenza in generale, bensì sovranamente concrete e 
rappresentative di quanto realmente sussiste in natura. Esse ci 
raffigurano gli esseri dell'universo siccome anelli formanti una 
interminabil catena, la quale muove dallo spirito infinito divino 
e discende giù giù al più impercettibil atomo di materia. 

A questa ordinata gerarchia degli esseri dell’universo fa bella 
corrispondenza il sistema armonico delle scienze, le quali muo- 
vendo da quelle supreme idee siccome dal loro centro di unità 
sì diramano in classi distinte, ma pure armonicamente connesse, 
secondochè hanno per oggetto di studio il mondo trascendente 
della spiritualità, o il mondo corporeo della materialità, o le in- 
time e vitali attinenze dell’uno coll’altro. Nel regno immenso 
dell’enciclopedia umana le scienze tutte quante stanno armoni- 
camente composte a stupenda unità, ma pure ciascuna ha una. 
impronta sua propria, che la distingue da ogni altra e si muove 
in una cerchia sua propria, determinata dalla natura del suo 
oggetto, ed in tutto il lungo corso del suo progressivo sviluppo 
sì è sempre conservata conforme alla natura sua propria senza 
confondersi con verun’altra, perchè il suo oggetto non muta 
natura. L’ordine vuole che ogni cosa sia quello, che è; e per 
ciò stesso una scienza non è l’altra. 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 561 


Oggidì il pensiero speculativo ha perduto di vista le due grandi 
idee di spirito e di materia, di anima e di corpo, su cui posa 
l’ordine dell'universo e l'armonia delle scienze. La confusione 
di quelle due supreme idee ha perturbato e sconvolto da cima 
a fondo tutto lo scibile. Da per tutto vi domina il disordine e 
lo scompiglio. Ogni scienza è spostata fuori della sua propria 
orbita sicchè più non si scorge il punto, dove comincia e dove 
finisce. Mentre le due supreme realtà dello spirito e della ma- 
teria, distinte ed unite, formavano il grande argomento della 
meditazione scientifica, ora il pensiero si muove intorno la ma- 
teria, siccome suo centro di gravità, e riguarda lo spirito quale 
una fioritura della materia e niente più. Le scienze della na- 
tura hanno usurpato il posto delle scienze dello spirito: la psi- 
cologia, la morale, la filosofia in genere non hanno più una 
esistenza loro propria e distinta, ma sono trasformate in altret- 
tanti rami delle scienze naturali. Negli intimi processi delle 
funzioni fisiologiche si vanno rintracciando le ragioni, che spie- 
ghino le più alte idealità dello spirito. L’antropologia non è più 
la scienza, che contempla il soggetto umano nella universalità 
della sua immutabile e costitutiva essenza, la quale rimane iden- 
tica ed una presso tutte le genti, attraverso tutti i secoli, bensì 
è diventata uno studio descrittivo delle razze umane sparse 
sulla faccia della terra, riguardate nei loro caratteri dominanti 
quali risultano dalla diversa struttura del cranio, dalla dimen- 
sione dell'angolo facciale e dalla configurazione esteriore. Simil- 
mente la psicologia non è più una scienza filosofica, che studia 
l’anima umana nella sua intima natura, nelle sue vitali atti- 
nenze coll’organismo corporeo, nel vario atteggiamento delle 
sue potenze, nella sua suprema destinazione: essa si è trasfor- 
mata in una disciplina tutta sperimentale, che indaga i feno- 
meni della psiche umana coll’opera di macchine e strumenti 
antropometrici, ed ha il suo laboratorio come la fisiologia, l’a- 
natomia, la chimica e qualsiasi altra scienza della natura. 

Questa violenta invasione delle scienze naturali nel dominio 
delle scienze filosofiche ha talmente contraffatto l’indole pro- 
pria di ciascuna, che torna pressochè impossibile il potersi orien- 
tare nel mondo della speculazione scientifica. Voi mi parlate di 
biologia e di fisiologia, come mi parlate di psicologia, di an- 
tropologia, di filosofia: ma in che si distinguono l’una dall’altra? 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 38 


562 GIUSEPPE ALLIEVO 


Qual è l'oggetto ed il còmpito di ciascuna ? Quali questioni en- 
trano nella cerchia della biologia e quali no? Nè a voi, nè a 
me più non riesce di saperlo. Poniamo ad esempio un problema 
di psicologia o di antropologia. Voi me lo portate nel campo 
della fisiologia o me lo rinchiudete nei cancelli del vostro labo- 
ratorio; e qui mettete in moto le correnti nervose, i processi 
fisiologici, le cellule cerebrali, il valore degli sperimenti sino al 
termine delle vostre indagini. Che se si tratta di problemi così 
elevati, che si ribellano ai vostri apparati meccanici, e sfuggono 
alla cerchia delle vostre osservazioni sensibili, quali sono quelli, 
che riguardano l’intima natura dello spirito umano, la sua li- 
bera attività morale, la sua suprema destinazione oltremondana, 
voi li rigettate senza più fuori dal dominio della scienza, sic- 
come destituiti di ogni valore oggettivo e razionale. 

I seguaci dell’idealismo assoluto avevano sacrificata la ma- 
teria alla concezione dello spirito universale, che vive e si muove 
in tutte le cose. I novatori de’ giorni nostri, balzando all’estremo 
opposto, hanno sepellito lo spirito sotto la mole della materia, 
e rinnegando in nome della modernità tutta la filosofia spiri- 
tualistica hanno ricostrutto sulle sue ruine una scienza nuova 
di tutto punto, che non ha più nulla di comune coll’antica. Ma 
il moderno, che non si addentella coll’antico, manca di fonda- 
mento: spunterebbe dal nulla e si risolverebbe nel nulla (1). I pro- 
pugnatori del fisiologismo contemporaneo (con siffatto nome io 
appello tutte le nuove dottrine) muovono da un duplice precon- 
cetto: essi s'immaginano di avere aperto alla scienza una nuova 
via, la vera e sicura via dell’esperienza sensibile, e di averla 
ad un tempo richiamata dalle vuote astruserie idealistiche allo 
studio della realtà, quale sussiste e vive nell'organismo cor- 
poreo umano in particolare, e negli organismi della natura in 
universale. Ma in ciò mostrano di non avvedersi, che la vera 
e costante filosofia da essi ripudiata, quella che il Leibnitz ap- 
pellava perennis quaedam philosophia, non ha mai nè respinta, nè 
trascurata l’esperienza sensibile, siccome fonte di quelle cogni- 
zioni, che riguardano il mondo fisico e fisiologico, non ha mai 
nè rigettato, nè trascurato lo studio dell'organismo corporeo 
umano nelle sue vitali attinenze collo spirito, che lo informa. 


(1) Vedi Appendice A. 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 563 


La novità, che essi proclamano, risiede nell'avere esagerata la 
virtù dell'esperienza sensibile ed esclusa la ragione speculativa, 
la quale scorge e contempla quello, che vi ha di assoluto, di 
immutabile, di perenne nell’universo; risiede nell’avere esagerata 
la virtualità fisiologica della materia ed escluso quanto si stende 
oltre il mondo dei sensi corporei; risiede insomma in una mera 
negazione. 

Giusto è riconoscere che i seguaci delle nuove dottrine 
hanno dato al processo sperimentale un più potente impulso, 
che si desiderava, ed allargando il campo dell’osservazione sen- 
sibile hanno saputo arricchire di importanti notizie la scienza 
dell’uomo e della natura vivente; ma essi non ci potranno mai 
dare che una scienza mutilata e troncata della sua parte più 
nobile e sostanziale, una scienza che si ferma alla parvenza delle 
cose, e non risale dalla meccanica della materia alla dinamica 
della vita. Colla loro antropometria non giungeranno mai a mi- 
surare le profondità dell'anima, a scandagliare gli immensi pro- 
blemi, che si agitano nelle intimità dello spirito umano. Già 
i fatti stanno lì a provare, che le nuove dottrine male adem- 
piono le grandi speranze, che hanno suscitato, e che il positi- 
vismo va ogni dì più eclissandosi. Francesco Bacone richiamando 
il pensiero sulla via dell’osservazione e dell’esperienza lasciava 
scritto che “ occorre aggiungere piombo e pesi, non ali all’in- 
telletfo umano , (1). Oggidì vale la sentenza opposta: necessita 
ridonare le sue ali al pensiero, affinchè dalle angustie dell’esor- 
bitante empirismo risalga al cielo della scienza. Vera ed integra 
scienza è quella sola, che investiga entrambi i due mondi dello 
spirito e della materia mediante l’opera concorde della ragione 
speculativa e della esperienza sensibile (2). + 


Il significato dell'argomento ed i problemi. 


L'argomento, che imprendiamo a discorrere, merita uno studio 
accurato e profondo pari alla sua somma importanza, giacchè 
tocca i più elevati e vitali interessi della scienza e della vita. 
La scienza nel suo sviluppo storico si trovò sempremai in lotta 


(1) Nuovo organo, libro I, aforisma 104. Vedi pure l’aforisma 124. 
(2) Vedi Appendice B. 


564 GIUSEPPE ALLIEVO 


coi due opposti sistemi dello spiritualismo smodato e del mate- 
rialismo, che si contendono il campo. La vita morale presente 
è una lotta continua, che si agita in fondo della coscienza, tra 
lo spirito e la carne, e la vita religiosa futura importa che 
l’anima sopravviva al dissolvimento del corporeo organismo. La 
stessa nostra vita intellettiva, estetica e sociale non può pro- 
cedere sicura nel suo progressivo sviluppo, se e mente e corpo 
non armonizzano insieme nell'acquisto delle cognizioni, nel culto 
dell’arte, nella convivenza umana. 

Io ho preso le mosse dalla dualità di spirito e di materia, 
di anima e di corpo, ed intorno ad essa ho raccolto quanto real- 
mente sussiste fuori di noi, quanto idealmente esiste dentro il 
nostro pensiero e si estende nel campo della scienza. Ora en- 
trando nell'argomento ci si affaccia sin dalle prime una gra- 
vissima questione pregiudiziale, che ci attraversa la via. Voi 
partite da una dualità di principii entrambi supremi: ma la dua- 
lità presuppone anteriore a sè la unità, il due non si dà senza 
l'uno, che lo preceda. Dunque lo spirito ‘e la materia, l’anima 
ed il corpo non sono due realtà entrambe assolutamente su- 
preme, ma debb’esserci un principio superiore ed assolutamente 
unico, in cui si contengano ed abbiano la loro ragione; ed è 
da questo unico principio che occorre prendere le mosse. Dunque 
il punto di partenza sta non nella dualità ma nel monismo. 
Ecco la questione pregiudiziale. Lo scioglimento di tale que#tione 
ci porta ad altri problemi. Poichè io posso supporre che questo 
principio supremo non sia nè spirito, nè materia, ma un'entità 
superiore, assolutamente indeterminata, priva di ogni qualità, 
che la distingua, di ogni modo particolare di esistenza, quale 
sarebbe l’essere-nulla di Hegel; oppure che sia uno spirito, il 
quale sussista esso solo e non comporti l’esistenza della ma- 
teria; ovvero anche sia materia universale, esistente per sè ed 
esclusiva dello spirito. Nel primo caso il monismo è indeter- 
minato; nel secondo supposto è uno spiritualismo assoluto, 
nel terzo un materialismo. Il monismo della prima specie non 
regge; poichè un Assoluto, di cui nulla si conosce, di cui non 
sì può dire che cosa sia, è un nulla; non esiste in realtà, perchè 
ogni realtà è determinata così e così; è una mera astrazione, 
che ci formiamo togliendo a. ciascuna cosa le sue qualità di- 
stintive e ristringendoci alla nota comunissima dell’esistenza 


nr 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 565 


universale; è una mera creazione del pensiero, epperò importa 
superiore a sè una mente che la produca. 

I seguaci del monismo indeterminato potrebbero dimandare: 
forsechè ripugna l’esistenza di nature, che intermediino tra lo 
spirito e la materia, pur non essendo nè l'uno, nè l’altra? Gio- 
vanni Clerico non iscorge in ciò ripugnanza di sorta. È bensì 
vero, egli avverte, che tutti gli esseri da noi conosciuti sono o 
spirituali, o materiali; ma noi non abbiamo ragione di affer- 
mare che non esistono altre sostanze se non quelle, che cono- 
sciamo. Poichè la virtù creatrice di Dio si stende infinitamente 
al di là dei limiti del nostro intendere, epperò può creare so- 
stanze, di cui non abbiamo la menoma idea (1). Il ragionamento 
di questo filosofo regge alla critica, ma non conforta punto il 
monismo, di cui parliamo, bensì lo infirma. Poichè egli stesso 
conviene, che noi non possiamo logicamente dimostrare, che 
Dio abbia effettivamente creati siffatti esseri a lui possibili ed 
a noi affatto ignoti, mentre la nostra questione attuale riguarda 
non il campo della possibilità, ma il mondo della realtà. Inoltre, 
stando alla proposta.ipotesi, l’unità suprema, di cui discorriamo, 
non andrebbe più riposta nelle nature intermedie tra lo spirito 
e la materia, vuoi possibili, vuoi reali, bensì in Dio, dove avreb- 
bero la loro ragione di essere. 

Venendo alla seconda forma del monismo, che è lo spiritua- 
lismo assoluto ed esclusivo, occorre fare una distinzione. Il mo- 
nismo spiritualistico è vero, quando si riferisca a Dio, falso se 
si applica agli esseri finiti, all’ universo creato. Dio è spirito 
infinito, che basta a sè, indipendente dalla materia; e come 
tale è la vera unità suprema, il principio di ogni realtà finita, 
sia spirituale, sia materiale. Ma parlando degli esseri creati, 
non è punto vero che lo spirito sia esso solo tutta la realtà 
cosmica ed esista per sè solo disgiuntamente ed indipendente- 
mente dalla materia. Nell’universo creato lo spirito sussiste in 
contatto colla materia; nell'uomo l’anima vive congiunta col 
corpo. È noto nella storia della filosofia l’idealismo di Giorgio 
Berkeley (1684-1753), il quale coll’ intendimento di dare allo 
spiritualismo un incrollabile fondamento trascese all’estremo di 


(1) Il passo del Crerico è citato dal Cupwort nel Systema intellectuale, 
tom. I, pag. 224, e si legge nelia Bibliothèque choisie, tom. 2, art. 2, pp. 107-108. 


566 È GIUSEPPE ALLIEVO 


negare la realtà sostanziale della materia considerando i corpi 
siccome idee fittizie del nostro spirito, e niente più. “ La terra 
(egli scrive al $ 6 della sua Teoria dei principii della conoscenza 
umana), e tutto ciò, che adorna il suo seno, in una parola tutti 
i corpi, il cui complessivo insieme compone questo magnifico 
universo, punto non esiste fuori dei nostri spiriti ,. Ma egli non 
avvertiva, che al nostro spirito non verrebbe fatto di acquistare 
le idee dei corpi, se essi non producessero sui nostri sensi una 
conveniente impressione, e conseguentemente già non esistes- 
sero in realtà fuori di noi. 

Il monismo materialistico pone la materia siccome l’unico e 
suprenìo principio originario di quanto esiste. Nella storia della 
filosofia esso apparve fin dai primi tempi della speculazione, e 
mutando forme ed indirizzo continuò il suo processo evolutivo 
fino a noi. Già l’antica scuola sankya indiana concepiva la ma- 
teria siccome l'essere universale indeterminato, informe, che con- 
tiene in sè tutte le forme particolari dell’esistenza, sia corporee, 
sia spirituali, senza rivestirne alcuna. Questo concetto monistico 
della materia fu riprodotto presso i Greci da Talete, Anassi- 
mandro, Eraclito, che ricercarono il principio originario di tutte 
le cose in un elemento materiale. Nei primi secoli del Cristia- 
nesimo il concetto materialistico vuolsi professato da non pochi 
fra gli stessi Padri della Chiesa (1). Ai dì nostri il monismo ma- 
terialistico, facendo suo pro dei grandi e svariati progressi, che 
da Galileo a noi fecero le scienze naturali nello studio dell’uni- 
verso materiale, assunse una forma affatto nuova ed un esor- 
bitante atteggiamento, sino ad invadere il dominio proprio delle 
scienze dello spirito. Prendendo le mosse dalla materia elemen- 
tare, esso venne a specificarsi in due scuole. L’una considera il 
movimento come intrinseco alla materia e cerca di spiegare tutti 
i fenomeni della natura e dello spirito mediante il congegno di 
movimenti molecolari; è la scuola materialistica meccanica. 
L'altra riguarda la forza vitale come intrinseca alla materia e 
sì argomenta di ritrovare in essa la ragione spiegativa di tutto, 
assegnando a ciascun fenomeno fisiologico o mentale il suo or- 
gano corrispondente: essa è la scuola vitalistica o dinamica. Ma 
il monismo materialistico, di qualunque specie esso sia, si trova 


(1) Vedi il mio opuscolo La vita oltremondana, pag. 46. 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 567 


di fronte a queste difficoltà, che mostrano la sua debolezza, 
perchè dovrebbe e non sa risolverle. Come mai ed in qual parte 
dell’organismo ‘umano l’impressione materiale esterna si cangia 
in sensazione animale? Come e dove mai la sensazione animale 
si muta in immagine fantastica e questa in concetto od idea 
della mente? Come mai l’unità semplicissima del nostro io, che 
ci è attestata dalla coscienza, potrà risiedere nella moltiplicità 
degli organi formanti il nostro corpo, o in ciascun organo, che 
è pur sempre divisibile in parti? Del resto poi la distinzione 
medesima dei fenomeni vitali in fisiologici e psichici non è punto 
un argomento favorevole al monismo materialistico. Questo si- 
stema ha varcati i limiti proprii della fisiologia e delle scienze 
naturali, ed in ciò sta la sua insussistenza: esso è un fisiolo- 
gismo, non la scienza fisiologica, nè psicologica. Il fisico, il chi- 
mico, il fisiologo nei loro laboratorii, muniti di macchine e di 
acconci strumenti, investigano la natura e le ragioni dei fenomeni 
della materia vuoi inorganica, vuoi animata e vivente, e non 
pretendono punto di spiegare i fenomeni mentali proprii dello 
spirito, perchè trascendono la loro cerchia sperimentale. Siffatta 
pretesa è tutta propria del materialista, il quale confonde in- 
sieme due specie di scienze affatto distinte, la fisiologia e la 
psicologia. 


Il concetto della materia ed il concetto dello spirito. 


‘ Questo rapido esame del monismo ci conduce a riconoscere 
nell’universo la dualità dello spirito e della materia, nell'uomo 
la dualità dell'anima e del corpo. Ma in qual rapporto stanno 
fra di loro queste due specie di sostanze cosmiche? Hanno esse 
fra di loro un vincolo di attuosa colleganza, oppure vivono e si 
svolgono in due mondi affatto estranei e separati? È chiaro, 
che torna impossibile scoprire il giusto rapporto tra l’una e 
l’altra, se dapprima non avremo fermato per bene il loro con- 
cetto e determinata la natura propria di ciascuna. 

Che cosa è adunque lo spirito, che cosa è la materia ? 
Ognuno riconosce la somma importanza di tale inchiesta, la quale 
a tutta prima potrebbe a taluno parere un’astruseria della sco- 
lastica del medio evo. Basti avvertire, che dal giusto concetto 
dello spirito e della materia dipende il vero e sicuro progresso 


568 GIUSEPPE ALLIEVO 


delle scienze filosofiche e naturali ed il componimento della lotta 
che si dibatte tra lo spiritualismo ed il materialismo. Però 
quanto è grave ed importante la proposta dimanda, altrettanto 
è ardua e difficile ad essere satisfatta. Poichè la storia della 
scienza ci presenta diversi e discordi concetti intorno la natura 
propria di queste due sostanze, perchè le riguardarono chi sotto 
un aspetto, chi sotto un altro. 

Anzi tutto ci si presenta l’opinione di que’ filosofi inglesi, 
i quali sentenziano che la natura propria dello spirito e della 
materia ci è affatto inconoscibile. Bacone afferma, che la ragione 
non può stabilire nulla di vero e di certo intorno la natura del- 
l’anima umana, e che tutto quel po’ che ne sappiamo, lo dob- 
biamo alla rivelazione divina. Locke sostiene essere lecito il 
dubitare, se la materia possegga la virtù del pensare, val quanto 
dire se materia e spirito siano tutt’ uno. La scuola scozzese pro- 
nuncia, che della materia e dello spirito conosciamo soltanto i 
fenomeni e le manifestazioni esteriori, ma ne ignoriamo l’intima 
costitutiva natura (1), sicchè non ci è dato di rilevare se il nostro 
io pensante sia una sostanza spirituale, o materiale. Ma questa 
pretesa inconoscibilità assoluta della materia e dello spirito posa 
sull’erroneo principio, che si possono conoscere i fenomeni ed 
ignorare la sostanza a cui appartengono e che essi rivelano. 

Che cosa è dunque la materia? Gli antichi sapienti, che 
filosofarono assai prima di Platone e di Aristotele, concepirono 
la materia siccome incorporea, ossia diversa dal corpo. Materia 
appellavano quella natura universale, che entra a comporre tutti 
i corpi, corpo invece una porzione di materia, che ha certe qua- 
lità speciali, come una figura, una grandezza, un peso, e va 
discorrendo, sicchè la materia non avendo qualità di sorta, non 
cade sotto i sensi, mentre il corpo è sensibile (2). Questo con- 
cetto ricomparve in Aristotele, il quale vi aggiunse quello di 


(1) “ La materia, del pari che lo spirito, non ci è conosciuta se non 
in virtù delle sue qualità ed attitudini : ciò, che costituisca l'essenza dell’una 
e dell’altro, lo. ignoriamo assolutamente ;, (DucaLp SrewART, Filosofia dello 
spirito umano, introduz., parte II). 

(2) Vedi Mosemro presso Cupwort, Systema intellectuale, ecc., tomo 2, 
pag. 274 e seg.; Trmro pi Locri, nel De anima mundi, $ 22; S. AGostINO, 
Le Confessioni, lib. 12, cap. 3 e 6. 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 569 


forma siccome vincolo tra la materia ed il corpo, poichè egli 
concepiva la materia siccome una entità indeterminata, informe, 
passiva, inerte, ma capace di essere investita dalla forza o 
forma e quindi ricevere da essa il moto, la vita, le determina- 
zioni particolari costitutive dei singoli corpi. 

Questa distinzione tra la materia considerata nel suo aspetto 
universale, indeterminato, ed i corpi particolari, ha un fondo di 
verità. Poichè è bensì vero, che l'ossigeno ad esempio, il piombo, 
il fiore sono corpi specificamente diversi, ma sono tutti materia, 
posseggono tutti la nota comune ed universale della materialità. 
Però in che consiste questa materialità? Qual è il concetto che 
possiamo formarcene? Ecco quel che ci importa di sapere, e 
che rimane in perfetto buio. Io sono di avviso, che a determi- 
nare la natura propria della materia occorre distinguere ciò, 
che vi ha in essa di essenziale e necessario, da ciò che vi ha 
di estrinseco e di accidentale, e lasciare da banda quanto vi 
ha di incerto e disputabile su questo punto. 

Ciò posto, la materia si presenta alla nostra osservazione 
sotto due grandi specie: evvi una materia inorganica, inani- 
mata, bruta, ed una materia organica, animata, vivente. La prima 
è dominata dalla forza fisica motrice, in virtù della quale i corpi 
inorganici gravitano verso un centro, si attraggono e si respin- 
gono, si muovono da un luogo all’altro, si compongono e si scom- 
pongono nelle loro molecole; la seconda è governata dalla forza 
vitale, che produce le funzioni fisiologiche negli organismi vi- 
venti siano vegetali, siano animali. Diremo noi che l’essenza 
della materia risieda nella forza fisica motrice? Non abbiamo 
ragione di asserirlo, sia perchè si danno corpi inanimati, che 
non sono mossi, ma stanno in assoluto riposo, e sia perchè colla 
sola forza fisica motrice torna impossibile spiegare le funzioni 
fisiologiche della materia organica vivente. Ad ogni modo è pur 
sempre una questione controversa, se il moto sia intrinseco ed 
essenziale alla materia, oppure la forza motrice sia estrinseca 
e distinta dalla materia, quantunque da essa inseparabile, e 
questa controversia già per sè sola non ci consente di riporre 
l'essenza della materia nella forza motrice. Risiederà essa nella 
forza vitale? Se così fosse, tutta quanta la materia sarebbe vi- 
vente, organica, animata, e dovremmo perciò niegare l’esistenza 
del mondo inorganico ed inanimato, che pure è un dato incon- 


570 i GIUSEPPE ALLIEVO 


trastabile dell’osservazione. Nessuno dirà mai, che un pezzo di 
granito, di marmo, di piombo sia un organismo, in cui circoli 
la vita. Ed anche qui può sorgere la questione discutibile in 
sensi diversi, se la forza vitale sia intrinseca ed essenziale alla 
materia, o no. 

Affermando che l'essenza della materia non va riposta nella 
forza, non intendo di separare l’una dall’altra come se ciascuna 
potesse stare da sè, bensì voglio dire che l’una non è identica 
coll’altra. Distinzione non vuol dire separazione. L'occhio è in- 
separabile dalla luce, ma tuttavia non è la luce, è distinto da 
essa. In che adunque dimora l’essenza della materia presa in 
sè stessa, distintamente dalla forza? Noi non possiamo conce- 
pire la materia sia essa inorganica o dominata dalla forza mo- 
trice, sia organica. o governata dalla forza vitale, senza consi- 
derarla come estesa nello spazio, e quindi divisibile, impenetrabile, 
per guisa che i punti, o gli atomi, che la compongono, occupano 
ciascuno un proprio luogo e sono posti l’uno fuori dell’altro. 
Senza estensione non si dà materia, dunque l'estensione è essen- 
ziale alla materia, giacchè l'essenza di una cosa è ciò, senza di 
cui essa non sarebbe quello, che è. Nè mi si dica che gli atomi 
sono inestesi, eppure sono materia. Poichè se fossero davvero 
inestesi, si ridurrebbero ad un punto matematico semplicissimo, 
e quindi.ad una entità meramente astratta, che non ha punto 
da fare colla realtà della materia, la quale essendo. essenzial- 
mente estesa, non può di sicuro emergere da elementi inestesi, 
quali si suppongono gli atomi. Le forze della natura sono sem- 
plici ed inestese, ma per ciò appunto si distinguono dalla 
materia. 

Dal basso e scuro mondo della materia innalziamoci al mondo 
dello spirito, dove l’aria è più spirabile, la luce più limpida e 
più pura. Qui veramente siamo, possiam dire, a casa nostra, 
poichè questo nostro corporeo organismo, che fa parte dell’uni- 
verso materiale, è un abitacolo, dove alberga un'anima spiri- 
tuale. Quindi è che deve tornare più facile al nostro io l’inten- 
dere sè stesso, che è spirito, che non l’intendere cosa, che non 
è lui, cioè la materia. Alcuni sostengono, che dello spirito ab- 
biamo un concetto meramente negativo, sappiamo cioè che esso 
non è materia e niente più: opinione insussistente, poichè il 
concetto negativo presuppone sempre un certo qual concetto 


seit i n i tri 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 571 


positivo. Io non avrei ragione di affermare che lo spirito non 
è materia, se ignorassi affatto la sua natura, se non conoscessi 
di lui quel tanto, che occorre per distinguerlo dalla materia. 
Che esso non sia materia, sta bene: in che dunque risiede la 
sua natura ? 

A scansare ogni equivoco giova far distinzione tra spirito 
e anima razionale. Ogni anima dotata di ragione, quale appunto 
è l’anima umana, ha una natura spirituale, ma è vitalmente 
congiunta con un organismo corporeo, e per ciò appunto sì ap- 
pella anima, perchè esercita sopra di esso una virtù animatrice, 
per cui non è uno spirito puro. Ma noi abbiamo altresì il con- 
cetto di nature spirituali riguardate nella loro purezza, sciolte 
da ogni contatto colla materia, quale è Dio e gli spiriti ange- 
lici, che formano oggetto delle credenze religiose dei popoli. Il 
concetto della nostra anima razionale ci fornisce il punto di 
mossa da cui dobbiamo esordire per iscoprire la natura costi- 
tutiva dello spirito. Ognuno di noi porta con sè la storia della 
sua vita intima, e raccogliendo la sua attenzione sulle pagine 
di questo libro può rilevare il fondo spirituale della sua natura. 
Il mondo interiore della coscienza è un teatro, dove lo spirito 
nostro è attore e spettatore ad un tempo. Egli non ha che da 
interrogar sè medesimo e vedrà rispecchiato sè stesso nei fatti 
suoi. Dal come egli vive ed opera, si arguisce ciò, che esso è. 

Rientriamo in noi stessi, chiamiamo a rassegna i fenomeni 
più salienti e più sostanziali, che si avvicendano nella sfera della 
nostra coscienza e formano il tessuto della nostra vita psichica, 
lasciando da banda quelli, che appartengono più propriamente 
alla nostra vita animale. Io penso, e pensando conosco: pensieri 
e conoscenze, ecco una prima e rilevantissima categoria di fatti 
interni. Senza pensare e conoscere non si vive la vita dello spi- 
rito. Immensa è la distanza, che corre tra i pensieri e le idee 
dell’idiota e quelli del genio; tuttavia non evvi anima umana, 
che non pensi e non conosca alcunchè nell’immenso mare del- 
l’essere, e se non altro, non abbia l’idea di sè. 

Non solo io penso e conosco, ma altresì liberamente voglio 
quello, che ho pensato e conosciuto e volendo opero. Ecco una 
seconda e singolarissima classe di fatti interni, che si appellano 
azioni o voleri liberi, e che si mostrano sotto svariatissime 
forme, quali sono l'integrità e la colpa, l’amore e l’odio, le spe- 


572 GIUSEPPE ALLIEVO 


ranze ed i disinganni, la pace ed il rimorso, insomma tutto quel 
flusso e riflusso di passioni morali, che formano il dramma della 
nostra povera vita. In queste due supreme categorie di fatti 
interni si esplica tutta quanta la vita del nostro spirito, e da 
ciò, che esso fa, sì arguisce ciò, che è. 

Esso pensa e conosce, dunque è fornito di intelligenza co- 
noscitiva; esso vuole ed opera intelligentemente; dunque è do- 
tato di libera attività volontaria: in questi due attributi risiede 
l'essenza costitutiva dello spirito umano e della nostr’anima ra- 
zionale. In virtù dell’intelligenza egli ha la coscienza di sè, af- 
ferma sè medesimo e distingue il proprio io da tutto ciò che 
non è lui; in virtù dell’attività volontaria possiede il libero 
dominio di sè ed è arbitro del proprio operare. La coscienza di 
sè ed il dominio di sè fanno di lui un essere personale; onde 
possiamo altresì affermare, che la personalità costituisce l’es- 
senza dello spirito. 

Questo concetto dello spirito, che abbiamo attinto dall'esame 
della nostra anima razionale, abbraccia nella sua estensione qual- 
siasi specie di spirito, e quindi conviene altresì agli spiriti puri, 
quali sono Dio e le creature angeliche. Dovunque c’è la persona, 
cioè un soggetto dotato di intelligenza ed attività volontaria, 
là vi è lo spirito. La persona è una energia, un’attività, una 
forza, non cieca, ma intelligente e conscia di sè, non fatale e 
necessitata, ma libera e signora di sè. Di qui la dignità tutta 
propria dello spirito, e la sua eccellenza sulla materia. Lo spi- 
rito pensa e conosce il mondo della materia e lo ricostruisce 
mentalmente entro di sè, lo domina e lo trasforma informan- 
dolo giusta il suo ideale: la materia non conosce: nè sè stessa, 
nè lo spirito, non domina sè medesima, ma è irrepugnabilmente 
dominata dalle forze, che la investono. Direi che la materia è 
un corpo opaco, il quale riflette la luce dello spirito, che la 
illumina. Quindi ancora lo spirito percorre tutta la distesa dei 
secoli e dei luoghi, mentre ogni corpo è circoscritto ad un punto 
del tempo e dello spazio. Parlando in particolare dello spirito 
umano, esso ha doveri da adempiere, diritti da esercitare, è 
conscio della sua finale destinazione, e gli ripugna essere ado- 
perato come strumento ai voleri altrui, perchè ha un carattere 
sacro ed inviolabile, mentre le sostanze materiali non hanno nè 
doveri, nè diritti, ignorano il perchè esistano e sono ordinate 
a servire di strumento allo spirito. 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 573 


Attinenze tra lo spirito e la materia. 


Determinata la natura propria dello spirito e quella propria 
della materia, e riconosciuta la dualità dei termini, in cui sì 
specifica la realtà universa, occorre ricercare in quale rapporto 
essi stiano l’un verso l’altro. Sono essi affatto isolati ed affatto 
estranei l’uno all’altro per guisa che ciascuno sussista e si muova 
in un’orbita solitaria senza punto comunicare fra di loro? Noi 
sappiamo che secondo Aristotele Dio e la materia sussistono 
isolati senza verun punto di contatto fra di loro. Dio è spirito 
infinito, che non pensa il diverso da sè, la materia, non ha altro 
oggetto del suo pensigro, che sè medesimo; è il pensiero del 
pensiero, è atto purissimo. Alla sua volta la materia esiste e 
vive per virtù sua propria e racchiude in sè il principio delle 
sue trasformazioni, de’ suoi fenomeni. Nella storia della filosofia 
moderna Cartesio interpose anch'egli un abisso tra lo spirito e 
la materia: l’uno è fornito di attributi assolutamente opposti 
ed inconciliabili con quelli dell’altra: lo spirito è essenzialmente 


‘pensiero, la materia essenzialmente estensione. 


A questo concetto di Cartesio si accostarono Spinoza e 
Leibnitz, i quali sostennero che le sostanze non hanno fra di 
loro nessuno scambio di attività e di vita. Se applicassimo 
questo principio alla pedagogia, saremmo per logica necessità 
condotti a negare quel vincolo di armonia, che deve collegare 
l'educazione fisica con la coltura mentale. 

Diremo noi che spirito e materia, se non sono affatto 
isolati e solitarii, siano l'uno e l’altro in perpetuo antagonismo 
e dissidio di loro propria natura? Tale è la sentenza di Platone. 
Egli contrappone la materia allo spirito come il non ente al- 
l'ente, come le tenebre alla luce, il male al bene; e sebbene 
l'artefice divino si giovi della materia per improntare in essa 
i suoi eterni archetipi, pur tuttavia esso la trova ribelle e sorda 
a rispondere all’ideale della sua mente. Questo antagonismo tra 
la materia e lo spirito nell'universo si riproduce sotto forma 
speciale nell'uomo. Platone riguarda la vita psichica dell’io 
umano siccome una continua lotta tra l’anima, che aspira alla 
contemplazione della verità pura, al possesso del Bene sommo, 


574 GIUSEPPE ALLIEVO 


ed il corpo, che la aggrava e la trascina all’ingiù nel basso 
mondo della materia. 

È sentenza universalmente ammessa, che lo spirito e la ma- 
teria, malgrado la loro essenzial differenza, abbiano fra di loro 
un intimo vincolo di colleganza, per cui si corrispondono e si 
richiamano a vicenda. Già gli antichi Caldei, seguiti in ciò dai 
filosofi pitagorici e platonici, insegnavano che anche gli spiriti 
così detti puri, ossia differenti dalle anime umane, hanno un 
corpo loro proprio formato di una materia sottilissima, eterea, 
tenuissima ed impalpabile che non è il nostro corpo grossolano 
e pesante, ed aggiungevano che anche le anime umane nella 
vita futura rivestono un involucro etereo sottilissimo, che terrà 
luogo di questo corpulento organismo disfatto da morte. 

Il filosofo pitagorico Jerocle opinawa, che tutte quante le 
sostanze intelligenti, quali i genii, gli angeli, i demoni, sono 
animi ragionevoli congiunti con un corpo etereo invisibile (1). 
Questa antica sentenza intorno l'involucro corporeo degli spiriti 
puri venne seguita da non pochi scrittori cristiani primitivi e 
da alcuni scolastici, e pare a me che abbia potuto aver origine 
dalla somma difficoltà, che prova la mente nostra nel concepire 
uno spirito in tutta la sua assoluta purezza, giacchè anch'essa 
la nostra mente pensa ed intende congiunta con un organismo 
corporeo: di qui la sentenza di Aristotele, che l’anima nulla può 
pensare senza fantasmi. 

Dallo spirito e dalla materia coesistenti nell'universo pas- 
siamo all'anima ed al corpo coesistenti nel nostro essere. Qui 
ci si rivela a caratteri evidenti ed in tutta la sua potenza l’in- 
tima colleganza tra le due nature. Noi siamo una vivente ar- 
monia di spirito e di materia. Fuori di noi Dio, spirito infinito, 
agita e muove, e governa la gran mole della materia da lui 
creata: in noi lo spirito avviva l’organismo corporeo e lo atteggia 
a norma de’ suoi intendimenti e voleri. In sentenza dello Stahl 
l’anima crea il proprio corpo, lo muove, lo informa, lo governa. 
L’io umano armonizza nella sua unità personale la dualità delle 
due sostanze, fisica e mentale. Esso è consapevole che entrambe 
gli appartengono, che sono sue, e che la sua vita circola dal- 
l'una all’altra con perpetuo movimento; ma ben sa ad un tempo 


(1) Vedi la mia opera La vita oltremondana, pagg. 20, 21, 45, 46, nota 3. 


e ‘Recco. — 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 575 


che ciascuna ha natura sua propria ed inconfondibile, siechè 
l’una primeggia sull'altra come più nobile e più prestante senza 
che l'armonia personale venga menomamente offesa. Quindi egre- 
giamente scrisse Sallustio in sull’inizio della sua Catilinaria : 
4 Nostra omnis vis in animo et corpore sita: animi imperio, 
corporis servitio, magis utimur ,; e nel numero secondo della 
Giugurtina, accennando al diverso operare delle due sostanze 
lasciò scritto: “ Nam uti genus humanum compositum ex anima 
et corpore; ita res cunctae, studiaque omnia nostra, corporis 
alia, alia animi, naturam sequuntur ,. 


La materia ed il male. 


Unde malum? È questo uno dei più gravi ed ardui pro- 
blemi, che si agitino in metafisica. Suolsi distinguere differenti 
specie di mali. Evvi un male, che tocca gli esseri sensitivi ed 
animati, il dolore. Si dà un male, che offende le nature intel- 
ligenti, l'errore. Altra specie di male è quello, che deturpa le 
nature fornite di libera volontà, la colpa. Alcuni ammettono un 
male così detto metafisico, riposto nella limitazione inerente ad 
ogni cosa creata, essendochè ogni essere finito possiede gli at- 
tributi proprii della sua specie, manca di quelli, che apparten- 
gono ad esseri di specie diversa; ma la limitazione non può 
costituire un male propriamente inteso, perchè tolti questi limiti 
distintivi delle singole specie, si ruinerebbe in un male uni- 
versale, tutti gli esseri finiti si confonderebbero in un immenso 
disordine. Il pessimismo antico e moderno reputa un male l’esi- 
stenza medesima ed in tutto l’immenso universo non iscorge 
altro che male. 

Io non intendo di discorrere questo gravissimo argomento 
in tutta la sua ampiezza, ma mi ristringo a considerar il male 
nelle sue attinenze colla materia. Platone, rintracciando l’origine 
del male, la ripose nella materia prima universale. Essa non ha 
veruna forma particolare, che la rivesta, nessuna qualità, che 
la determini, nessuna attività od energia, per cui si manifesti 
e si muova, nessuna luce, che la illumini. Se il male sta nel 
difetto, nella privazione, nell’incoscienza, la materia ne mostra 
tutti i caratteri, essendo una entità priva di ogni forma, man- 
cante di ogni qualità, inerte, passiva, cieca, tenebrosa, vuota di 


576 GIUSEPPE ALLIEVO 


realtà: non è nessun essere particolare, è un non ente. Questo 
concetto platonico del male apparisce più manifesto se. dalla 
materia ascendiamo a Dio. Secondo il filosofo ateniese, Dio ha 
formato l’universo improntando nella materia già esistente le 
idee archetipe delle cose, presenti alla sua mente, sicchè egli 
non ha creato il mondo dal nulla, ma lo ha tratto dalla ma- 
teria, a guisa di un artefice umano, che impronta nel marmo 
o nella tela il suo ideale. Però la materia oppose all’artefice 
supremo una resistenza insuperabile, per cui l’idea divina mai 
non può essere improntata in tutta la sua purezza; laonde anche 
sotto questo riguardo la materia è il principio del male.. 

Questa teoria platonica del male si riscontra altresì nella 
sua dottrina psicologica. Quello,, che è la materia riguardo a 
Dio nell'universo, lo è il corpo riguardo all'anima nell'uomo. 
L'organismo corporeo è un’oscura prigione, dove l’anima geme 
sotto il peso della schiavitù: i sensi la acciecano e le conten- 
dono la visione della verità, le passioni la tiranneggiano, i fan- 
tasmi materiali le impediscono la contemplazione del bello, essa 
allora soltanto sarà libera e beata di sè, quando uscirà dall’in- 
volucro corpulento, che la avviluppa. Così il corpo è il principio 
del male per l’anima. Di qui la sentenza platonica, che la filo- 
sofia è la meditazione della morte. 

Ii Cristianesimo (sentenziano alcuni) impone a’ suoi credenti 
di odiare la carne, abbominarla, detestarla siccome peccaminosa 
per sè stessa, il sommo dei mali, sicchè lo spirito debb’esserne 
il carnefice, martoriandola e sacrificandola in omaggio alla grazia 
santificatrice. Quest’accusa è affatto infondata. Il Cristianesimo 
non impone a nessuno il rigido ascetismo del convento, maim- 
pone a tutti come dovere questo solo, che lo spirito tenga 
freno e domini la parte animale dell’uomo. Il peccato non istà 
nella carne (1), bensì nello spirito, che abdica al suo impero e 
si abbassa sino al fango dell’animalità. Il corpo non ha nulla 
in sè di colpevole e di abbominabile, purchè sia tenuto a suo 


(1) Aueusro Sasatier nella sua Questione dell'origine del peccato nel si- 
stema teologico di San Paolo scrive: * Il desiderio della carne diventa mal- 
vagio e colpevole solo allora che è venuta la legge, e che la volontà ha 
dato la sua espressa adesione all’istinto della carne, ossia che l’istinto è 
divenuto atto volontario, e però morale ,. 


ln misti 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 577 


posto. La materia non va esaltata sino ad essere spiritualiz- 
zata, nè lo spirito depresso sino ad essere materializzato. La 
carne va tenuta a freno, ma non distrutta. Anche la vita ani- 
male ha il suo proprio pregio, perchè fa parte essenziale della 
natura umana. Il Redentore dell'umanità ha sortito egli stesso 
membra umane, ed il Cristianesimo è tanto lontano dal negare 
alla materialità umana il suo pregio e dal detestarla come 
un male, che proclama il dogma del finale risorgimento dei 
corpi umani. 

“ Sì (scrive a questo proposito Tertulliano nel cap. VII 
della sua opera De resurrectione carnis) la carne ha la sua di- 
gnità. Infatti non è forse mercè del suo ministero che l’anima 
gode de’ beni della natura, delle ricchezze del mondo e dell’in- 
canto degli elementi? Non è forse mediante la carne che essa 
è provveduta dell’apparecchio de’ sensi della vista, dell’udito, 
dell’odorato, del gusto, del tatto? Col mezzo di essa è armata 
di una potenza divina, capace di tutto operare colla parola, ed 
anche col muto linguaggio del gesto e dello sguardo. Di certo 
la parola è uno degli organi della carne. La carne! Essa è il 
veicolo delle arti, il sostegno della scienza e del genio, la con- 
dizione dell’industria, della società, dell’attività tutta quanta. 
La vita dell’ anima è la vita della carne a tal segno, che la 
morte è niente più, per l’anima, se non la sua separazione 
dalla carne. Quando l’anima è consacrata al servizio di Dio, è 
la carne, che la pone in grado di ricevere quest’onore. È la 
carne che è lavata, perchè l’anima sia purificata: è sulla carne, 
che si fanno le unzioni, perchè sia consacrata: la carne è im- 
prontata del sacro segno, perchè sia fortificata: la carne è co- 
perta della imposizione delle mani, perchè sia dallo spirito illu- 
minata: la carne si nutre del corpo e del sangue di Cristo, 
perchè s’ingrassi della divina sostanza ,. Di qui l’illustre scrit- 
tore cristiano trae argomento per conchiudere che l'immortalità 
dell'anima importa con sè l'immortalità del corpo. 

Platone ripose nella materia la fonte originaria del male, 
ma se noi poniamo ben mente alla natura propria di essa e la 
raffrontiamo con quella propria dello spirito, ci troviamo con- 
dotti ad una sentenza affatto opposta. Platone concepiva la ma- 
teria siccome una entità destituita di forma, di qualità, di atti- 
vità, epperò identica col non ente, e come tale la reputava 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 39 


578 GIUSEPPE ALLIEVO 


l'essenza del male; ma di tal modo la riduceva ad un concetto 
meramente astratto, immaginario, vuoto di realtà, e per conse- 
guenza non racchiude in sè nessuna ragione nè di bene, nè di 
male. La materia essendo correlativa allo spirito, va anch'essa 
riguardata quale una realtà, come è una realtà anche lo spirito, 
e considerata sotto questo aspetto esclude dalla sua natura il 
principio del male. Infatti in che dimora l’essenza del male? 
Non certo nella limitazione, nella mancanza, nella privazione 
metafisica, poichè l'ordine vuole che gli esseri dell'universo si 
distinguano gli uni dagli altri sicchè ciascuno sia limitato nella 
propria specie e manchi dell'essenza propria delle altre nature. 
È forse un male, che un macigno non viva, che un fiore manchi 
delle qualità caratteristiche del cavallo? Dovremmo dunque af- 
fermare che il male sta nell'ordine? Che anzi la verità sta nella 
sentenza diametralmente opposta: il male preso nella sua vera 
essenza risiede nel disordine. 

Ciò posto, paragoniamo questo concetto del male con quello 
della materia e troveremo che si escludono essenzialmente. In- 
fatti il mondo della natura fisica materiale è governato da leggi 
ineluttabili e costanti, da cui non può deviare giammai: la na- 
tura fisica non è è&rbitra di sè e conscia del suo operare, ma 
in tutte le sue mutazioni, in tutti i suoi fenomeni, in tutti i 
suoi lavori è inconsciamente dominata da una ferrea necessità. 
Essa ignora il disordine, epperò rimane estranea al male. Ecco 
il perchè la natura circostante ci apparisce arcanamente bella 
nell'ordine meraviglioso de’ suoi movimenti, e nonchè suscitare 
nell'animo di chi la contempla sentimenti malvagi ed ignobili, 
innalza il pensiero ad un mondo ideale soprasensibile. Vero è 
che il regno della natura animata e vivente ci presenta tal fiata 
i suoi mostri, ma sono eccezioni rarissime, che non isconvolgono 
l’ordine universale. 

Dalla natura propria della materia passiamo a considerare 
la natura propria dello spirito, ed è qui che ci si fa manifesta 
la possibilità del male. Poichè come fornito di intelligenza si 
forma il concetto del bene e del male, dell’ordine e del disor- 
dine, dell’onesto e del disonesto, come dotato di libera volontà 
ed arbitro del suo operare può conformarsi alla legge del do- 
vere o violarla. Se dunque gli è certo, che il vero male sta 
nel disordine ossia nel traviar dalla legge, esso ritrova la sua 
origine nella libertà propria dello spirito. 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, Ecc. 579 


Quindi la storia delle religioni ci apprende, che tutti i po- 
poli credettero all'esistenza di spiriti malefici e riferirono la ro- 
vina ed il pervertimento del genere umano all'opera nefanda di 
un demone antico. Lucifero è additato siccome il genio del male 
personificato. Platone stesso, mentre ripone il principio del male 
nella materia, insegna ad un tempo che le anime umane nella 
loro vita beata anteriore alla presente si ribellarono alla Divi- 
nità, che le puniva intrudendole come in un carcere nell’orga- 
nismo corporeo. 

Nell’universo esteriore il mondo della materia si muove e 
si svolge in armonico accordo collo spirito divino, che lo go- 
verna a tenore delle sue leggi cosmiche: non vi è ombra di 
disordine, non vi è traccia di male: ogni cosa è a suo posto. 
In noi lo spirito e la carne, l’anima ed il corpo sono in con- 
tinua lotta e generano il male. L'anima tal fiata si innalza nel- 
l'estasi tanto sublime, che quasi si scioglie dal suo corporeo 
organismo per entrare nel regno degli spiriti; tal altra volta 
discende dalla sua spirituale altezza, si abbassa sino al fango 
dell’animalità e si rassegna fra i bruti. Questo antagonismo fra 
i due principii costitutivi dell'umano soggetto non è conforme 
all’ordine voluto dalla natura. L'uomo sorse composto ad armonia 
in tutto il suo essere: il disordine fu opera sua, voluta da lui: 
egli si corruppe, perchè volle, abusando della sua libertà. Però 
la libertà del volere spiega bensì la possibilità del male, ma 
non il male esso stesso effettivo e reale, giusta l’adagio: « posse 
ad esse non valet illatio. Il disordine, sebbene nasconda le sue 
origini nei penetrali dello spirito, rimane pur sempre un impe- 
netrabil mistero. 


La ragion d’essere della materia e lo spirito. 


La materia è il perpetuo inconscio, che non giunge mai alla 
coscienza di sè, è l’assoluto non pensante, che nulla conosce, 
nulla può conoscere. Ora l'inconscio non ha la sua ragion d’es- 
sere in sè stesso, non rivela il perchè esso esista, ma presup- 
pone anteriore e superiore a sè una coscienza effettiva e reale, 
come principio spiegativo della sua sussistenza. La materia non 
è un soggetto pensante e conoscente, ma è pur pensabile e co- 
noscibile, perchè tutto quanto l'essere, di qualunque specie sia, 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 39% 


580 GIUSEPPE ALLIEVO 


è intelligibile, non si dà entità di sorta, che non sia oggetto 
del pensiero. Dunque la materia importa un soggetto pensante 
da essa distinto, che lo conosca. Questa coscienza effettiva e 
reale, questo soggetto pensante e conoscente è lo spirito, il 
quale perciò contiene in sè la ragion d’essere e la finalità della 
materia. Poniamo, che tutta quanta la realtà cosmica fosse ri- 
dotta al mondo della materia, distruggiamo coll’immaginazione 
tutti quanti gli spiriti esistenti, l'universo si muterebbe in un 
cieco caos, dove non risplende raggio di luce intellettuale, e 
non porterebbe l’impronta del pensiero divino, che l’ha costrutto. 
Fénélon lasciò scritto nella sua Réfutation du systòme du Père 
Malebranche che la creazione di un mondo privo di esseri intel- 
ligenti, anzi la creazione di un solo atomo di polvere non sa- 
rebbe opera indegna della divinità: sentenza insussistente, perchè 
interpone un abisso tra Dio e le sue creature, ignare di lui 
tutte quante. Che se la materia gravita verso lo spirito come 
suo centro e termine finale, questo a sua volta rinviene in quella 
l'organo necessario del suo esplicamento, la condizione essen- 
ziale della sua manifestazione. Infatti la coscienza psicologica, 
propria dello spirito, è l'affermazione del proprio essere identico 
con sè medesimo, e quindi la sua distinzione da ciò, che non 
è lui, dal diverso da sè. L’io importa il non io, l’identico ri- 
chiede il diverso, come suo correlativo. Ora il non io contrap- 
posto all’io, il diverso opposto all’identico è la materia opposta 
allo spirito. 

Nè solamente nel puro campo teoretico lo spirito importa 
la materia per affermare e conoscere sè stesso, ma altresì nel- 
l'ordine operativo essa gli torna necessaria per esercitare fuori 
di sè la sua attività. Qui lo spirito spiega tutta la dovizia della 
sua potenza, giacchè impronta nel mondo della materia quelle 
forme dell’esistenza, che sono tutte proprie della medesima, e 
che egli possiede in sè nella loro mera idealità, imitando così 
l’Artefice sovrano (1). 


(1) Questa dualità cosmica dello spirito e della materia, armonizzante 
nell'unità dello spirito divino, venne avvertita da DemocgIro, secondochè 
interpreta il Can. Dottor Antonino Russo a pag. 120, 167, 186 della sua 
opera Vita di Democrito e scienza paragonata ai moderni, con risposte ad un 
hegelianista 0 positivista, pubblicata da SaLvatore DrsrerAno. In questo ampio 
volume pregevole per molti lati e ricco di erudizione filosofica l’autore 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, Ecc. 581 


Questa finale corrispondenza tra la materia e lo spirito 
nell'universo mostrasi in forma più spiccata ed intima tra il 
corpo e l’anima nell'uomo. Queste due sostanze in lui riunite 
sono fatte l’una per l’altra. L'anima umana non sarebbe più tale, 
se non informasse un organismo materiale, ed il corpo da essa 
separato non apparterrebbe alla specie umana. Hanno la loro 
ragione teleologica l’uno nell’altra, sicchè si prestano vicendevoli 
servigi, e pur compiendo ciascuno diverso ufficio hanno comuni 
le sorti della loro esistenza. “ Dio vuole che tra questi due as- 
sociati siavi comunanza di vita, di fine, di destinazione, e che 
questa comunanza giunga sino ad un certo segno fino all’iden- 
tità. Infatti l’anima ed il corpo non facendo che un medesimo 
essere, a cui si attribuiscono egualmente e le affezioni dell'anima 
edi movimenti del corpo, i ragionamenti e le sensazioni, l'inerzia 
e l’attività, non ne consegue forse, che tutto questo composto 
abbia la medesima sorte ed uno scopo unico? Non è forse ne- 
cessario che vi regni una specie di armonia e di simpatia tra 
tutto ciò, che concerne l’uomo, e che ne sia del suo fine e del 
suo destino quello, che ne è della sua nascita, della sua natura, 
della sua vita animale, delle sue azioni, delle sue passioni, cioè 
che tutto ciò sia comune a tutto l’uomo, e che il fine di lui sia 
proporzionale alla sua natura? Non vediamo forse che l’armonia 
risultante da tutte le operazioni dell'anima e da tutto il mec- 
canismo del corpo non è che una sola e medesima armonia, che 
lo spirito non ha la sua parte, e la materia ancor meno? , (1). 
Da questo intimo ed essenziale rapporto teleologico tra l’anima 
ed il corpo nell’umano soggetto Atenagora dirittamente arguisce 
la perenne coesistenza di queste due sostanze non solo nella vita 
presente, ma altresì nella futura, e quindi l'immortalità di tutto 
l’io umano. 


lumeggia la grande tigura del filosofo abderitano, difendendone le dottrine 
dalle ingiuste accuse e riscontrandole con quelle dei filosofi posteriori an- 
tichi e moderni. 

(1) ArenAGORA, De resurrectione mortuorum, XV. 


582 GIUSEPPE ALLIEVO 


APPENDICE 


a 
L’antropologia metafisica e lo spirito della modernità. 


L’antropologia è scienza metafisica, filosofica, tradizionale, che ha esor- 
dito sin dalle più vetuste speculazioni greche, ed attraversando i secoli è 
giunta sino a noi. A’ giorni nostri si grida e si ripete che l’antropologia 
metafisica deve scomparire al soffio della modernità per trasformarsi in 
tutt'altra da quella di prima, che lo spirito nuovo l’ha proscritta siccome 
rancida, vuota, stantìa, una scienza che ha fatto il suo tempo. Raccogliamo 
questo grido e dimandiamo: la verità, a cui tutti teniamo rivolto lo sguardo 
della mente, dipende forse dalla modernità, dalla novità ? No certo: la 
verità è antica, eppur sempre nuova, è indestruttibile, non patisce le in- 
giurie del tempo, nè mai si dirà che essa ha fatto il suo tempo. Son più di 
venticinque secoli che si è scoperta la verità del teorema detto di Pita- 
gora; quella verità rimane tuttora e nessun soffio di modernità varrà a 
distrurla. Una dottrina non diventa vera, perchè appartiene al tal secolo, 
al tal luogo, ma lo è di sua intrinseca natura. Non è adunque in nome 
della modernità, che voi potete rigettare l'antropologia metafisica, bensì 
vi corre l'obbligo di dimostrare che è falsa. 

Voi abborrite dall’antropologia metafisica come il diavolo dall’acqua 
santa, la rigettate siccome un tessuto di aberrazioni e di fantasticherie. 
Eppure Platone ed Aristotele in Grecia, Bacone in Inghilterra, Cartesio e 
Malebranche in Francia, Leibnitz e Kant in Germania, Spinoza in Olanda, 
Vico, Rosmini e Gioberti in Italia, tutti questi immortali rappresentanti 
della metafisica, non erano mica pensatori dozzinali, pasciuti di vane chi- 
mere. Voi v’'immaginate che questi giganti del pensiero abbiano a cadere 
distrutti al vostro soffio di modernità. Ancora prima che sorgessero i nostri 
novatori, la metafisica nel suo secolare cammino ha incontrato avversarii, 
che la combatterono, eppure non è ancora scomparsa dal mondo scientifico. 
Stando alla loro sentenza bisognerebbe dire che nel giro dello scibile è 
falso tutto e solo ciò, che è antico, vero tutto e solo ciò, che è moderno. È 
sia pure; ma in tal caso essi pronunciano la propria condanna, perchè 
insieme col tempo, che passa, anche la loro nuova dottrina diventa anti- 
quata, eppercidò falsa. Hodie mihi, cras tibi; oggi voi cantate le esequie 
alla metafisica perchè vecchia; dimani si canteranno le esequie alla vostra 
dottrina perchè invecchiata anch'essa. 

Ancora una dimanda: Poniamo che tutta quanta la metafisica sia di- 
strutta dalle fondamenta e dell’antico mondo scientifico, niente più rimanga 
in piè: voi vi mettete a soffiare su quella ruina per suscitare una nuova 
vita, ma da qual punto dell’universo può essere spirato il vostro soffio della 
modernità? Dal nulla; ma (e chi nol sa?) dal nulla esce nulla. È una legge 


LO SPIRITO E LA MATERIA NELL'UNIVERSO. L'ANIMA, ECC. 583 


metafisica universale, che il moderno fiorisce dall’antico, il nuovo si radica 
sul yecchio, il progresso spunta da un germe preesistente, tutto si tras- 
forma. Quindi il vero concetto della modernità importa non già che si 
faccia tavola rasa dell’antropologia metafisica per edificare sulle ruine, 
bensì che sì secerna il vero dal falso in mezzo alle svariatissime teorie e 
sistemi metafisici e che agli elementi di verità sincerati per mezzo della 
critica sì imprima una forma muova rispondente alle esigenze de’ nuovi 
tempi e dalle verità riconosciute si svolga il maggior numero possibile di 
verità. Inoltre anche lo spirito del tempo va sottoposto alla critica ed ab- 
bisogna di un criterio superiore per sincerare le parti sane ed incorrotte 
dalle parti malsane, guaste e morbose. 


B. 
Il positivismo e le idee di spirito e di materia. 


Ricercando le attinenze, che intercedono tra le nuove dottrine positi- 
vistiche e le idee di spirito e di materia, viene spontanea la dimanda: il 
positivismo è una dottrina materialistica? No, rispondono i suoi seguaci : 
esso non è nè materialismo, nè spiritualismo, ma affatto estraneo all'uno 
ed all’altro. Poichè questi due sistemi presuppongono l’esistenza di due 
sostanze specificamente diverse, spirito e materia, mentre il positivismo 
ha appunto questo di proprio, che rigetta il mondo degli esseri forniti di 
sostanzial sussistenza e riduce l’universalità delle cose a meri fenomeni; 
epperò il problema, se vi esistano sostanze spirituali e materiali, non ha 
più ragione di essere. Poniamo che sia così; ma vi si potrà pur sempre 
dimandare: fate voi essenzial differenza tra i fenomeni psichici relativi allo 
spirito, ed i fenomeni fisiologici animali proprii della materia? Se sì, voi 
non potete sfuggire allo spiritualismo riguardato nella generale ampiezza 
del suo concetto; se no, non iscampate dal materialismo. 

To ho riconosciuto, che il positivismo procedendo per la via dell’esperienza 
sensibile e seguendola con retto discernimento ha saputo compiere impor- 
tanti ricerche nella scienza dell’uomo e della natura vivente. Ora aggiungo, 
che tutte le verità sperimentali, a cui è pervenuto, l'antropologia spiritua- 
listica le accoglie senza punto contraddire a sè medesima e venir meno 
ai proprii principii, giacchè anch’essa riconosce l’esperienza siccome una 
delle fonti necessarie dell'umano sapere. Ma intendiamoci intorno il con- 
cetto dello spiritualismo. Molti lo avversano e lo respingono, perchè se ne 
sono foggiati un concetto affatto erroneo. Essi intendono per spiritualismo 
una dottrina, che in tutto l’universo non vede e non apprezza altro che lo 
spirito, e rigetta il mondo della materia siccome privo di ogni ragione di 
essere, immeritevole di venir preso in seria considerazione, anzi siccome la 
ruina ed il naufragio di tutte le più nobili aspirazioni, di tutte le più alte 
idealità dello spirito. Per lo contrario lo spiritualismo veracemente inteso 
non risiede nel disconoscere la materia, ma nell’ammettere una sostanzial 
differenza tra essa e lo spirito, e ad un tempo un'’intima colleganza fra 
l’una e l’altro, e così si denomina non già perchè escluda la materia, bensì 
perchè oltre le sostanze corporee ammette sostanze immateriali. Esso ac- 


584 GIUSEPPE ALLIEVO — LO SPIRITO E LA MATERIA, ECC. 


coglie come importanti alla perfetta conoscenza della natura umana le ri- 
cerche etnografiche, e ne fa suo pro; ma siccome in fondo a tutte le stirpi 
umane giace identica ed una l'essenza specifica dell'umanità, così al di 
sopra del mero studio descrittivo ed inquisitivo delle razze umane colloca 
l'antropologia filosofica siccome scienza, che ha per oggetto l’uomo contem- 
plato nella sua astratta e costitutiva essenza. Negherete voi ogni pregio, 
ogni valore, ogni importanza allo studio dell’uomo astrattamente conside- 
rato, ossia della essenza umana nel suo aspetto generalissimo, quale esiste 
in tutti e singoli gli uomini, in tutte le genti sparse sulla faccia della 
terra? Tanto varrebbe disconoscere l’importanza scientifica della geometria, 
siccome quella, che fa astrazione dalle svariatissime qualità geologiche, 
fisiche, chimiche e fisiologiche, le quali caratterizzano i singoli corpi sus- 
sistenti nella natura, e tutta si raccoglie nel contemplare le forme geome- 
triche astratte, che essi assumono dalla diversa loro positura nello spazio. 
Eppoi come mai vi verrà fatto di determinare per bene i caratteri delle 
stirpi umane rispetto ai loro sentimenti, all’intelligenza, alla potenza della 
volontà, alle tendenze istintive, all’immaginativa, alle credenze, se dalla 
scienza antropologica non avrete attinto un giusto e ben determinato con- 
cetto di tutte queste facolta fondamentali, che costituiscono l’essenza spe- 
cifica ed astratta dell'umanità ? 

Similmente la filosofia SpiritunRHca fa tesoro dei risultati a cui riesce 
la psicologia sperimentale ne’ suoi laboratorii, quando essi siano governati 
da una seria osservazione, informata da uno schietto amore della verità, 
solidamente accertati, sicchè contribuiscano ad una più ampia e più pro- 
fonda conoscenza dell'anima umana; ma non perciò si ferma a questa vita ‘ 
meramente esteriore de’ sensi, bensì risale alla vita interiore dello spirito, 
poichè l’uomo interiore non è punto quello, che sta nascosto sotto l’epi- 
dermide. 

Mi sia qui lecito di chiudere quest'appendice ricordando che già nel 1868 
io aveva rilevata questa virtù comprensiva tutta propria dello spiritua- 
lismo. Nel Periodico da me diretto I Campo dei filosofi italiani a pagina 8 
del tomo IV io scriveva: “ Noi siamo col teismo e collo spiritualismo, e 
conseguentemente colla filosofia tradizionale italiana formalmente innovata 
e progrediente, perchè la reputiamo feconda di tanta novità di vita e di 
tale dovizia di idee da rispondere a tutte le giuste aspirazioni del tempo, 
a tutte le ragionevoli esigenze della moderna civiltà o Tra itese o mal 
sodisfatte dall’Hegelianismo e dal positivismo ,. 


ERMANNO FERRERO — SPADA DI BRONZO, ECC. 585 


Spada di bronzo seoperta nella Moriana. 
Nota del Socio ERMANNO FERRERO. 


(Con una Tavola). 


Il generale conte Paolo D’Oncieu de la Baàtie acquistò, nel- 
l’anno passato, per l’Armeria Reale affidata alla sua direzione 
una spada di bronzo scoperta nel 1901. a Thil (cantone di 
Saint-Michel) in Moriana (1), e gentilmente consentì che la fa- 
cessi conoscere, riproducendo la fotografia da lui favoritami (2). 

La spada, di buona conservazione e con bella patina, è lunga 
m. 0,70, di cui m. 0,60 per la lama a foglia di salice con co- 
stola nel mezzo arrotondata e terminante in punta, fiancheggiata 
da ciascuna parte da due fasci paralleli di cinque filetti cia- 
scuno. La lama (la cui larghezza massima è di m. 0,05, e presenta 
in alto in ciascun filo un piccolo intaglio) entra col codolo nel 
manico fuso separatamente, e vi è fermata da due perni riba- 
diti. Il manico, diviso in tre parti da quattro coppie di filetti in 
rilievo, si allarga in alto in un’ovale concava, la cui superficie 
presenta ornamenti riprodotti nella tavola unita. I due corti 
rami dell’elsa s’incurvano leggermente verso la lama. Il peso 
dell'arma è di chil. 1,10. 

Mentre io stava ricercando spade simili in libri ed in periodici, 
è uscita l’opera accuratissima del dott. Julius Naue sulle spade 


(1) La scoperta della spada in questo piccolo comune, in un fondo acqui- 
stato dall’impresario Battista Mosca da Pralungo, locatario di cave di pietre, 
è attestata da una dichiarazione del maire. 

(2) L’Armeria keale possedeva già alcune spade di bronzo, ma di tipi 
diversi, fra cui una bellissima ad antenne, disgraziatamente d’ ignota pro- 
venienza. Sono descritte dall’Angelucci, Catalogo della Armeria Reale, Torino, 
1890, p. 19 e seg.) e rappresentate nelle incisioni in legno, che illustrano 
tale volume; due si hanno nella tavola 12* (fototip.) della splendida pub- 
blicazione ordinata dal compianto re Umberto I: Armeria antica e moderna 
di S. M. il Re d'Italia in Torino. 


586 FRANCESCO RUFFINI 


preromane di rame, di bronzo e di ferro (1). Il tipo, a cui ap- 
partiene la nostra, è dall’illustre archeologo bavarese designato 
col nome di Morges o del Rodano (Mòriger- oder Rhone-Typus) 
dagli esemplari trovati in quella stazione lacustre del Lemano 
ed in altri luoghi della regione del Rodano. In questo tipo egli 
distingue ancora le spade, che segnano il passaggio da un altro 
tipo anteriore, e due classi per le forme più recenti (2). La nostra 
spetta alla prima rappresentata da esemplari dell’Italia setten- 
trionale, della Svizzera, della Francia centrale ed orientale (3), 
della Germania meridionale, dello Schleswig-Holstein e della 
Svezia. 


Teoria e pratica della Conquista nel Diritto antico. 


A proposito di alcuni recenti scritti di Ireneo Lameire (4). 


Nota di FRANCESCO RUFFINI. 


Il signor Ireneo Lameire, professore di storia del diritto 
pubblico alla facoltà giuridica dell’ Università di Lione, ci ha 
dato in due anni consecutivi due notevolissimi saggi di un’opera 
di vaste proporzioni, ch’egli ha intrapresa, intorno alla Teoria 
e alla pratica della Conquista nel diritto antico. 

In un luogo della Introduzione (p. 13) l’autore dice che al 
suo libro non si accompagna nessuna bibliografia; perchè — fe- 
nomeno ben raro — non esiste affatto una qualunque lettera- 
tura dell'argomento. Ed ha pienamente ragione. Ma se questo 


(1) Die vorròmischen Schwerter aus Kupfer, Bronze und Eisen, Miinchen, 
1903; 4°, pp. vir-126, album di 45 tavole. 

(2) Pag. 76 e segg., tav. XXI, XXII. 

(3) La Savoia ne ha fornito un'altra, trovata nel lago di Bourget 
(tav. XII, n. 8). 

(4) Lawemre, Théorie et pratique de la Conquéte dans l’ancien Droit (Étude 
de droit international ancien). I. Introduction, pp. 84: Paris, Arthur Rousseau, 
éditeur, 1902. — II. Les Occupations militaires en Italie pendant les guerres 
de Louis XIV, pp. virr-400, ibid., 1903. 


. 


TEORIA E PRATICA DELLA CONQUISTA NEL DIRITTO ANTICO 587 


basta di già a mostrare l’assoluta novità ed originalità di con- 
cezione del lavoro, non ne dice però ancora nè la difficoltà di 
esecuzione nè la importanza dei risultati, che sono l’una e l’altra 
davvero eccezionali. 

Raramente altro libro ha offerto allo storico del diritto ed 
al pubblicista una copia maggiore di fatti, tutti giuridicamente 
rilevanti e altamente significanti e quindi pronti a generare un 
più intenso e fruttuoso lavorìo di idee. Ma v'è di più. Questo 
libro ha — indipendentemente dall’argomento particolare che v'è 
trattato — una portata generale assai più larga, come quello che 
segna un indirizzo del tutto nuovo, anzi, per usare una frase 
non immodesta dello stesso autore, un indirizzo per lo innanzi 
davvero insospettato degli studì di diritto internazionale. Ed è 
un indirizzo storico-positivo. Nè si potrebbe dire che non sia in 
esso un qualche grave insegnamento anche per i cultori di tutte 
le altre parti del diritto pubblico e della loro storia. Poichè — 
in tanto imperversare di pretesi rinnovamenti positivistici delle 
scienze morali e giuridiche a base di sociologia e di materia- 
lismo storico e a forza di illazioni arbitrarie e di analogie inna- 
turali sopratutto dalle scienze biologiche — questo libro dimostra, 
come non si potrebbe meglio e cioè con l'esempio, quale unica- 
mente possa e debba essere il vero ed il sano positivismo negli 
studî storico-giuridici. 

Gli scrittori antichi di diritto internazionale — osserva il 
Lameire — intesi a gettare le basi della scienza, badano unica- 
mente a mettere insieme un corpo di dottrine, composto per lo 
più di reminiscenze classiche e magari bibliche e di concetti 
filosofici, e appoggiato più sul diritto naturale, da essi appunto 
messo in voga, che non sul diritto positivo. Gli internazionalisti 
moderni guardano più al futuro che non al passato, curanti più 
di prevenire gli abusi del diritto di conquista nei tempi avve- 
nire che non di studiarne gli effetti nei secoli trascorsi. Egli 
invece si propone di studiare nelle guerre dell’antico regime i 
rapporti di diritto internazionale generati dalla conquista, e di 
chiarire i modi con cui la sovranità si spostava, esaminando gli 
effetti giuridici complessi e complicatissimi, così di diritto pub- 
blico come di diritto privato, che nella vita reale, nella pra- 
tica, hanno fatalmente tenuto dietro alle fortunose vicende del- 
l'occupazione bellica; quando i confini dei due Stati belligeranti 


LA 


588 FRANCESCO RUFFINI 


sono in continuo movimento, fluttuando e spostandosi incessan- 
temente a seconda del successo di una carica di corazzieri o di 
una incursione di foraggiatori o di una punta di pattuglia. L’au- 
tore quindi vuole lasciar parlare i fatti stessi; proponendosi — 
com'’egli dice immaginosamente — di raccogliere la teoria giuri- 
dica, non sotto la penna dei pubblicisti, ma sotto quella degli 
intendenti, dei commissarii di guerra, dei generali, dei sindaci 
e dei segretarii comunali. 

Ma, si domanderà, che cosa si può apprendere dai rapporti 
così precarii e transitorii che nascono da una condizion di cose 
tanto anormale come è lo stato di guerra? Qui, vorremmo dire, 
si tratta di patologia e non di fisiologia del corpo sociale, se 
quanto abbiam osservato più sopra contro le illazioni e le ana- 
logie non ci facesse un po’ guardinghi anche circa le similitudini 
tratte da altre scienze. Ma lo stesso Lameire obbietta innanzi 
tutto che durante i secoli XVII e XVIII (entro cui è compresa 
la sua trattazione) gli anni di guerra furono quasi altrettanto 
numerosi quanto gli anni di pace. Si tratta quindi di una anor- 
malità persistente e di una precarietà duratura. E si potrebbe 
ancora soggiungere, massime dallo storico del diritto, che è 
appunto a quella prova del fuoco che i principii giuridici dimo- 
strano la loro tempra, che è dal cozzo delle due sovranità con- 
trastantisi il medesimo territorio che si sprigiona la scintilla 
onde si illumina la intima struttura degli ordinamenti pubblici, 
che è in quei momenti di anarchia o di convulsione sociale che 
gli istituti del diritto privato spiegano la loro ultima resistenza. 

Abbiamo accennato poco fa ad un limite di tempo della 
trattazione del Lameire. Essa ha di più anche un limite di spazio. 
Ristretti l’uno e l’altro per modo, che a prima giunta può sor- 
prendere, ma che, a ragion veduta, non può non far ammirare 
il sicuro, corretto e penetrante criterio giuridico dell’autore. 
Dato che tutta la sua trattazione si impernia nel concetto di 
sovranità, ne discende per logica inesorabile che se ne debbano 
escludere tutti quei casi in cui il concetto medesimo appaia in- 
fetto di quella, che il Lameire designa in genere come preca- 
rietà. La quale può derivare da tre fonti principalmente, e cioè 
o dal vincolo feudale finchè esso conserva importanza, politica, 
o dalla egemonia imperiale così persistente in tanti paesi come 
è troppo noto, o dalle pretensioni successorie a una medesima 


TEORIA E PRATICA DELLA CONQUISTA NEL DIRITTO ANTICO 589 


sovranità di entrambi i belligeranti. Di qui i limiti di tempo e 
di spazio. Il primo esclude tutta la conquista medioevale, che 
non avrebbe per noi nessuna virtù educativa, e ci porta al prin- 
cipio del secolo sedicesimo. Il secondo taglia nettamente fuori 
così le guerre degli Stati tedeschi fra di loro e contro lo stra- 
niero, perchè viziate di precarietà imperiale, come pure le guerre 
dell’Inghilterra contro la Francia, e per quanto si attiene al- 
l’Italia, tutte le imprese di conquista da Carlo VIII a Luigi XII, 
a Francesco I, a Enrico II, a Luigi XIII; perchè tutte inquinate 
di precarietà successoria, oppure addirittura perchè dal punto 
di vista giuridico la guerra aveva il carattere di guerra civile. 
E di fatti la varia fortuna delle armi di Luigi XII in Piemonte 
e quella delle truppe spagnuole belligeranti nel nostro paese in 
quel medesimo tempo, poteva, considerata giuridicamente, costi- 
tuire un successo od un disastro per Madama reale o per il prin- 
cipe Tommaso, ma non faceva diventare nessun territorio imme- 
diatamente francese o spagnuolo. La possibilità di studiare il 
fenomeno in tutta la sua purezza si restringe pertanto a poche 
guerre e anzi a parti di poche guerre, data la loro lunga durata 
e il diverso carattere delle loro fasi successive; e per di più 
alle guerre fra poche potenze, fra quelle cioè che nel momento 
delle ostilità si considerano come investite di una sovranità as- 
solutamente indipendente e distinta. 

Per questo, come anche in considerazione della portata 
giuridica molto varia, che il trattato internazionale può avere 
ed ebbe di fatto nelle varie guerre di fronte alla occupazione 
bellica, e che qui sarebbe troppo lungo chiarire, e infine per 
altre ragioni di carattere puramente esteriore, lo studio del 
Lameire quanto all'Italia non comprende in una prima sezione 
che la guerra della lega di Augsburgo e la guerra della suc- 
cessione di Spagna per la sovranità francese in territorio pie- 
montese; e in una seconda sezione la sola occupazione piemon- 
tese di territorio francese. dopo la battaglia di Torino, per il 
fatto inverso. 

Va per altro avvertito, che questa prima parte di tratta- 
zione speciale riguardante l’Italia è stata preceduta dal volume 
della Introduzione, di cui difficilmente si potrebbe desiderare 
cosa più succinta e insieme più succosa, e in cui l’autore, deli- 
nean'do il piano dell’opera, fa vedere chiaramente che le sue ri- 


590 FRANCESCO RUFFINI 


cerche hanno già toccato, oltre al nostro paese, anche le Fiandre 
e altre regioni; e dei risultati di esse egli si vale appunto per 
istituire dei proficui raffronti e per fare delle opportune illa- 
zioni quanto al nostro paese. 

Quali i metodi seguiti dal nostro autore nell’attuazione del 
suo non meno singolare che vasto programma? I più semplici 
e naturalmente perciò i più sicuri, ma al tempo stesso anche i 
più faticosi. Poichè le storie militari, non potevano fornire che 
dei punti di appoggio, come del resto le generali e le locali, 
e stante la insufficienza delle pubblicazioni di atti ed ordi- 
nanze, nonchè la manchevolezza degli archivi centrali, era 
d'uopo ricorrere direttamente agli archivi di vario genere delle 
città e delle comunità occupate. Nè esisteva una guida sicura 
per entro ad essi; poichè, è pur necessario riconoscerlo di fronte 
alle vivaci critiche del Lameire, il lavoro del Bianchi sulle Carte 
degli Archivi piemontesi è assolutamente impari a tale ufficio. 

Investigare tutto l'immenso materiale troppo spesso disor- 
dinatamente affastellato negli archivi di tutte le terre piemontesi 
occupate dalle armi di Francia, e di tutte le francesi occupate 
dalle nostre: ecco la immane fatica, di fronte a cui il forte pro- 
fessore di Lione non sì è spaurito, ecco l’impresa ch'egli ha 
condotta vittoriosamente a termine! 

Ma, dopo la ricerca, quali i metodi di elaborazione dell’e- 
norme materiale raccolto? Ogni idea di ordinamento sintetico 0, 
per dirla con frase giuridica, sistematico, è stata giustamente 
scartata dall’autore. Studiare separatamente gli effetti della con- 
quista sulle giurisdizioni sovrane o inferiori, sulle giurisdizioni 
signorili, sugli Stati generali, sulle Comunità ecc., abbracciando 
con un solo colpo d’occhio a volta a volta tutto il paese occu- 
pato nelle guerre successive, si sarebbe potuto fare con profitto 
quando si fosse trattato di un paese veramente unitario e retto 
da una legislazione pienamente uniforme. Ma sarebbe stato su- 
premamente antiscientifico, trattandosi dei paesi dell’antico re-. 
gime, forniti di istituzioni e di privilegi giuridici svariatissimi. 
Come di fatti equiparare, ad esempio, la valle d'Aosta, in cui 
l’occupante si trova di fronte gli Stati, e il restante Piemonte, 
in cui egli prende senza più contatto con le Comunità? Diver- 
sità di condizioni giuridiche che induce una diversità grande di 
modi, con cui la sovranità si sposta. La sovranità, dice & ra- 


TEORIA E PRATICA DELLA CONQUISTA NEL DIRITTO ANTICO 591 


gione il Lameire, non si sposta a Carmagnola, come a Vercelli, 
nè a Mondovì come a Susa. Lo studio dell'occupazione comune. 
per comune diventava adunque una necessità; e l’ autore non 
esitò un momento a mettersi per questa via. I concetti direttivi 
sono fissati nelle prime pagine del volume, le correlazioni sono 
segnate con opportune note, le parche e prudenti generalizzazioni 
stanno ad ogni inizio e ad ogni chiusura delle varie parti, con 
frequenti richiami fra di loro. 

Ma detto ciò, è detto del pari come sia pressochè impossi- 
bile anche un riassunto sommario di tutti i dati che in folla 
erompono dalla esposizione. La vita amministrativa locale, i rap- 
porti finanziarii, l'ordine delle giurisdizioni quando l’occupazione 
abbia tolto ai tribunali inferiori la possibilità di far capo alle 
giurisdizioni superiori di appello, le giurisdizioni e prerogative 
feudali incastrate nella organizzazione ordinaria e rispettate a 
differenza di questa dall’invasore, le immunità ecclesiastiche e i 
diritti maiestatici sulla Chiesa, la forma e la intitolazione degli 
atti notarili tra vivi e per causa di morte, la loro insinuazione, 
fino alla lingua delle ordinanze e dei proclami e ai bolli delle 
carte, tutto si muove in questo quadro e vi acquista un rilievo 
dei più significativi e dei più istruttivi. 

Le conclusioni dell'autore sono altrettanto misurate quanto, 
ci si passi il gioco di parole, smisurato è stato il lavoro di docu- 
mentazione. Eccone alcune nella precisa formulazione del libro 
(pag. 116): “ Le caractère juridique des occupations en Italie 
“se métamorphose complètement entre la guerre de la ligue 
d’Augsbourg et celle de la sficcession d’Espagne: la première 
a, dans cet ordre d’idées, un caractère beaucoup plus moderne, 
la seconde un caractère beaucoup plus archaîque; et placer 
les théories archaiques après les théories modernes n'a rien 
d'un paradoxe: il s'agit ici simplement de la constatation 
d’une double évolution en sens inverse ,. E più sotto (p. 379 sg.): 
L’occupation militaire dans l’Italie des XVII et XVIII siècles, 
a, dans la plupart des cas, déplacé la souveraineté, qu’il s’a- 
gisse du roi de France ou du duc de Savoie. Pour les années 
de 1703 à 1713 notamment, de très curieuses frontières se 
sont dessinées, qui ne sont marguées sur aucune carte. Mais 
ce déplacement de souveraineté ne s’est manifesté dans tous 
les ordres d’idées ni dans toutes les campagnes de cette époque. 


K 


“ 


(‘4 


“K 


“ 


592 FRANCESCO RUFFINI — TEORIA E PRATICA DELLA CONQUISTA, ECC. 


“ Au contraire, la souveraineté s’est souvent décomposée, se 

.“ déplagant è certains égards, ne se déplagcant pas è d'autres: 
“ il en est résulté de curieuses superpositions de souveraineté, 
“ rentrant dans des types non encore classés. C'est ici le domaine 
“ de la complexité ,,. 

L'autore dice in un luogo del suo libro che la trattazione 
di un tema come il suo presuppone l’esatta conoscenza tanto 
della storia generale, quanto della storia locale in tutti i suoi 
più piccoli particolari, e altrove che per trattarlo bisogna essere 
del tutto al corrente della storia del diritto pubblico interno di 
ogni circoscrizione: questa duplice conoscenza egli ha dimostrato 
luminosamente di possedere per rispetto alla nostra regione, 
insieme a quella dei luoghi e dei costumi, della lingua attuale 
e dell'antica. Poche e non sostanziali davvero le rettificazioni 
che a tal riguardo gli si potrebbero suggerire (per es. a p. 83 
un autorevole tradotto per autorîtaire, e ap. 189 un misterioso 
Vikieppo inferiore, che non è altro che Occhieppo e un Corila 
invece di Cossila). 

Ma sono inezie. Sta il fatto che — a parte anche il valore 
del libro come lavoro giuridico — questo dotto francese ha bene 
meritato dei nostri studî per il contributo validissimo portato 
alla storia del nostro paese. Gli studiosi delle nostre antiche isti- 
tuzioni potranno ricavare dal suo libro più di un insegnamento. 
La storia militare del Piemonte nel tempo da lui studiato potrà 
trovarvi la soluzione di più di un punto oscuro. E da pochi 
altri libri la vita del popolo nostro in quei momenti di crisi 
politica balza fuori con una evidenza più immediata, più per- 
suasiva e più commovente. 


e 


VT. 


7,7 9% 


I e è 


Gi 


ERRERO - Spada di Bronzo 


Atti R. Accad. delle Scienze 
di Sorino, Vol. 38 


CA 


Relazione intorno alla Memoria del Dr. Domenico VALLa, 
intitolata: Vita di Carlo Antonio Dal Pozzo, arci- 


vescovo di Pisa, fondatore del Collegio Puteano. 


Il Collegio Puteano di cui narra le origini, ed alle cui 
successive vicende stringatamente accenna il dr. Domenico Valla, 
venne fondato a Pisa nel 1604 dall'arcivescovo Carlo Antonio 
Dal Pozzo. | 

L’arcivescovo Dal Pozzo era uomo fornito di rare qualità. 
Consigliere del Granduca di Toscana, ebbe parte non lieve nelle 
cose di governo. E il Granduca lo rimeritò dandogli modo di 
compiere quelle opere di beneficenza e di pubblica utilità, alle 
quali egli volentieri applicava l’animo e l’ingegno. La massima 
fra queste opere fu appunto la fondazione del Collegio, che da 
lui trasse il nome. 

Il Dal Pozzo nacque a Biella nel 1547. Morì arcivescovo di 
Pisa nel 1607. 

Le notizie sulla sua vita furono dal Valla diligentemente 
raccolte, sia da libri a stampa, sia da molte fonti manoscritte, 
ch'egli rinvenne nelle biblioteche e negli archivi di Firenze e 
di Pisa. L'archivio del Collegio gli offerse molto materiale. 

La Memoria, di breve mole, è lodevole per contenuto e 


«per metodo. La Commissione ne propone quindi la lettura alla 


Classe. 
E. FERRERO. 
C. CrpoLLa, relatore. 


L’Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. 


: s° 


Mt te NERA 

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alla itilito avifddug ib 60 esnsoftaned ib e10g0 viari > 

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Sglvaiv® Hi eb è, è 1d vtergogiT samoti pamzoniV ovi1ot le ba 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 10 Maggio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Naccari, Mosso, SPEZIA, SEGRE, 


4 


JADANZA, GUARESCHI, Gui, FrLeTI, PARONA, MarTIROLO, MORERA, 
Grassi e CAmeRANO Segretario. 
Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente. 
Il Presidente con sentite parole di compianto annunzia la 
morte del Comm. Prof. Bernardino PevRon vice Presidente del- 
l'Accademia e propone si tolga la seduta in segno di lutto. 
La Classe unanime accoglie la proposta del Presidente. 


—__TT—T—_<_——— 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 40 


596 LUIGI BIANCHI 


LETTURE 


Sur gruppi continui finiti di trasformazioni 
che conservano le aree od i volumi. 


Nota del Socio LUIGI BIANCHI. 


1. —— Riguardando le » variabili (reali) indipendenti: 
L1,T9, 0003 Un 


come coordinate Cartesiane ortogonali in uno spazio Euclideo S, 
a n dimensioni, consideriamo una trasformazione data dalle 
formole: 


(1) CI AR i - rr) 
= 


come una rappresentazione dello spazio sopra sè stesso. Diremo 
che essa conserva i volumi (o le aree se » = 2) quando il mo- 
dulo della trasformazione (1), cioè il determinante funzionale 
delle x' rapporto alle «, sia eguale all’unità: 


(2) ò (03), a, CONO] L'n) —_ 1 ; 


d(2,, Ta, ce 0g Xn) 


più brevemente diremo allora che la (1) è una trasformazione 
equivalente. 
In effetto l'elemento di volume o d’area: 


0 POI (PARI (38 


conserva in tal caso lo stesso valore, passando dalla figura pri- 
mitiva alla trasformata; e per ciò si conservano anche i volumi 
finiti corrispondenti. 

La totalità delle trasformazioni (1) equivalenti è un gruppo 
continuo infinito G nel senso preciso di Lie, colla equazione di 


. 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI, ECC. 597 


definizione (2) per le trasformazioni finite. Possiamo invece de- 
finire il gruppo G per mezzo delle trasformazioni infinitesime: 


QeIin 
Ò 
(3) Xf=) tw; Laz +.) Cn) na 


che lo generano. Condizione necessaria e sufficiente, affinchè la 
trasformazione infinitesima (3) appartenga a G, è che le E sod- 
disfino la condizione : 


LIRA 
C*' de; abi gro de 
(4) È, dzi 2 


diremo allora che la .Xf è una trasformazione infinitesima equi- 
valente. Inversamente , se la _Xf soddisfa la (4), le trasforma- 
zioni finite : 


xi = fi(1, %2, ..° - gati] 


del gruppo G, ad un parametro generato da _Xf conservano i 
volumi. Queste sono infatti gli integrali del sistema differenziale: 


dx; 
(5) = san) 


fissati dalle condizioni iniziali: 


di = x; per:f&= 0 


Ora il determinante funzionale: 


d (24, 23, -..,%n) 
= Va = 


derivato rapporto a #, con riguardo alle (5) ed alla (4), dà: 


dit 5 PED 
Lac Di LE 


LI 


e poichè per t=0 è I=1, sarà identicamente I= 1. 


2. — Ci proponiamo di studiare i gruppi continui finiti di 
trasformazioni equivalenti, avendo di mira il problema della de- 


598 LUIGI BIANCHI 


terminazione di tutti î possibili sottogruppi di G che dipendono 
da un numero finito di parametri. 

Sia G, un tale gruppo con r parametri. 

Se eseguiamo una trasformazione di variabili: 


y=Pi(21, Lg, .. vo Ta) 


a modulo costante %: 


dv, Ya, +. .,Un) == k 
d (21, La, fe, n) i 


il gruppo G, si trasforma in un altro G,, che sarà ancora evi- 
dentemente di trasformazioni equivalenti. Riguardiamo due tali 
gruppi G,, G, come appartenenti ad un medesimo tipo, ed il 
nostro problema si riduce a trovare tutti i tipi possibili distinti, 
assegnando per ogni tipo un rappresentante. Dobbiamo per ciò 
risolvere la questione preliminare seguente: 

Data una trasformazione infinitesima qualunque: 


xf Yz d, 


quali sono i cangiamenti di variabili che la traducono in una 
trasformazione infinitesima conservante i volumi? 
Supponiamo che sia: 


ya dba; Lg; 0.03 ds) 


una tale trasformazione. Essa cangia Xf in: 


LR 
6A ba dYi ? 
posto: i 
e 6 a ì dyi 
(6) n= SI dr, ’ 


e si dovrà quindi avere: 


(6*) y mi rg 


rr —__——gp —— 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI, ECC. 599 


Se poniamo: 


(7) de I - 


Tk 
. € nel determinante funzionale: 


d(21, Ca, 223 Cn) 


pz Ò.(Y13 Ya bt Yn) | " 
| Ani Ang è » Ann 


indichiamo con a, il complemento algebrico di a, diviso per I 
stesso, avremo, come subito si vede: 


(7%) dri= = Aki. 


La condizione (6*) si scrive ora: 


di we ) Lote 
) rs A ) E =0 
dyi di, à c) 
i aj LI 


od anche: 
l. .n VISBIECO 
DO d 
Ve (Qi) =0, 
ik DI 
cioè: 
) han ) VT. 
di) i 
© Fyn Vine 
kl DI 
Ora si ha: 


0,04, =0 per k==) 


z 


Qi, ='1 ‘per’ N; 


e d’altra parte si ha: 


OR; "n n N rg 
Vs TRVTRI ILE A pa = ik derde, a Th, dr, ’ 


600 LUIGI BIANCHI 


e l’ultima somma, per la regola di derivazione dei determinanti, 


x 


è eguale a 
dlogI , 
da, A 


la (8) si scrive quindi: 


a bad — da 


[N 


Come è ben noto, le soluzioni / di questa equazione a de- 
rivate parziali sono i moltiplicatori di Jacobi per l’ equazione 
Xf=0. Risponde dunque alla questione proposta il teorema: 

La trasformazione infinitesima Xf si cangia in una trasfor- 
mazione che conserva i volumi per tutte e sole quelle trasformazioni: 


Yi = fi, Lg; +.) das 
nelle quali il determinante funzionale: 


da d(21, La, aa In) 


eguaglia un moltiplicatore della Xf = 0. 


8. — Sia ora dato un gruppo G, generato dalle r trasfor- 
mazioni infinitesime: 


Hof, Soft I 


sulle » variabili x,, £9,..., %,. Il risultato sopra stabilito ci dà 
immediatamente il teorema: 

Affinchè il gruppo G,= (Xif, Xof,..., X,f) sia simile ad un 
gruppo di trasformazioni equivalenti è necessario e sufficiente che 
le r trasformazioni infinitesime posseggano un moltiplicatore co- 
mune. Le trasformazioni y;= f;(x1, Xo, ..., Xn) che cangiano G, 
in un gruppo di trasformazioni equivalenti sono tutte e sole quelle 
d (Yi, Ya > Yn) 
Ò (24, a, ..., n) 
moltiplicatore comune di X,f,Xof,...,X,f. 

Conviene ora che esaminiamo a quali condizioni dovranno 
soddisfare X,f, Xsf, ..., X,f perchè esista effettivamente un mol- 
tiplicatore comune I. 


per le quali il determinante funzionale equaglia un 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI, ECC. 601 


Se poniamo come al solito: 
E 
Lf = E, “inci Ln) L 
ER 1° 


le equazioni simultanee cui deve soddisfare / sono per la (1): 


l...n 
\ dE; 
(II) Vir a 


Hi =24 at. NT. 
ovvero, posto: 
y=logI, 
n ÒEri reni 
(11°) Ent ny — 
{le —X1,1%- Lage: 


A questo sistema di r equazioni lineari non omogenee con 
n variabili indipendenti sostituiamo, con un noto processo, un 
sistema omogeneo colle » + 1 variabili: 


Lis La, + + +3%n3Y 


riguardate come indipendenti. Per ciò si assuma come funzione 
incognita una funzione (1, %3, ..., 2» y), che eguagliata a zero 
dia la y espressa per le x; così avremo il sistema: 


(9) Dad ca PX a o 


Di bond di 


Agi VS LI 


Siamo per tal modo condotti, molto naturalmente, ad inter- 
pretare i primi membri delle (9) come simboli di trasformazioni 
infinitesime Y.F in n+4- 1 variabili, dove dunque: 


dl di; 
(10) VE=XF_MON E, 


602 LUIGI. BIANCHI 


Ora dimostreremo che queste r trasformazioni generano un 
gruppo ampliato G, nelle n +1 variabili 2,, x3,...,%» Y, che è 
oloedricamente isomorfo col primitivo. G,. 

Per ciò osserviamo che, indicando al solito con cy le co- 
stanti di composizione del gruppo G,, si ha: 


Lap 
(11) (x) = Yu, 
e quindi l’identità: 
l...n 
(11%) X.(&) — L(E) = Venta. 


s 


Ora la (10) ci dà: 


È » \ 
Yr= AF gl did 
\ dt dr 1° dy 


RE: dEx\ dF 
| PP =() Ss). i 
onde deduciamo subito: 


Li, in 


(12) (1) = (2) +Y [x e AS), 


dx, / dy 


Ma dalla identità (11*), derivando rispetto a x, e som- 
mando da \=1 a X\=7, abbiamo: 


LE 


* dER, era - der A dERR di nie 
Sui a ci » dr, der dei vani pa 


== pra dx, = 


La somma doppia nel primo membro è nulla, perchè cangia 
di segno permutando le lettere di sommazione \, up; ne segue 
che la (12) si scrive: 


L= 


(XY) = Don} XF — di dati 


do dr, 


CA LARE E° 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI, ECC. 603 


oOVVero : 
LIA 


di, 
(129) ILLEPIILI 
anfts 
Queste ci dimostrano quanto sopra abbiamo asserito. Così 
si è trovato incidentalmente il teorema: 
«Se le r trasformazioni infinitesime sulle n variabili x,,X9 Xn: 


Ù 1 
L vi Ò 
af = Dia - 


generano un gruppo G,, le altre r: 


I n 


Ti 7 rat "E La QdEN QEki 
Vea xp ty de 


generano un gruppo G, oloedricamente isomorfo sulle n +1 varia- 
DIRI ER Ly: 

In questo modo d’ ampliamento di un gruppo G, (che non 
so se sia stato da altri considerato) il gruppo ampliato G, agisce 
imprimitivamente sulle rette: 


L= C1, Lo == C9, +. 003 Cn Cn 


dello spazio S,., permutandole fra loro secondo le trasforma- 
zioni del gruppo dato G,. 


4. — Dopo ciò è chiaro che /e condizioni d’ integrabilità 
del sistema (9) sono identicamente soddisfatte e non resta più 
altro che a considerare le condizioni algebriche di compatibilità 
del sistema lineare (9) nelle n + 1 incognite: 


ddr dF dr 
dx; , dx, [RAMON dxn ’ dy b} 
da risolversi inoltre in modo che sia ai ==0. Abbiamo quindi: 


Affinchè il gruppo: 
G.,=(X,f, Xof, ale 09 X,f) 


sia simile ad un gruppo di trasformazioni equivalenti è necessario 
e sufficiente che, essendo: 


L 4 
af 43 DE , 


604 LUIGI BIANCHI 


la matrice: 
DL; nà 
E 
113 E19; a | O Îù 
N 
| Leti 
dE: 
E91, E99, ONGSDI) En, da dai 
LN 
ù Lia lot 
Vi 
Ea Z,9, DE NI ia, 
x 


non abbassi di caratteristica togliendo l’ultima colonna. 

È questo, come si vede, un criterio molto semplice, che 
permette, per ogni gruppo dato, di risolvere subito la que- 
stione proposta. Se si ricorda poi il significato della caratte- 
ristica della matrice costruita coi coefficienti delle trasformazioni 
infinitesime di un gruppo G,, si può dare a questo criterio 
l’altra forma: 

Il gruppo G, è simile ad un gruppo di trasformazioni equi- 
valenti solo quando le minime varietà invarianti di G, hanno lo 
stesso numero di dimensioni di quelle appartenenti al gruppo am- 
pliato G, del n° 3. 

Ciò ha sempre luogo in particolare se la caratteristica 
della matrice: 


k—|D_& gr 


| Z1, Ex2, DONO) Sin 


eguaglia il numero r dei parametri; più in particolare ancora 
si ha il risultato: 

Qualunque gruppo semplicemente transitivo è simile ad un 
gruppo di trasformazioni equivalenti. 

In questo caso è da notarsi ancora che il moltiplicatore 
comune di X,f, Xsf, ..., Xf è determinato con una quadratura 
dalle (II), a meno di un fattore costante. Più in generale ciò 
accade ogni qualvolta il gruppo è transitivo, e per ciò: 

Due gruppi transitivi simili di trasformazioni equivalenti ap- 
partengono sempre al medesimo tipo. 


5. — Una considerazione diretta molto semplice ci fa ri- 
conoscere, indipendentemente dai risultati superiori, l’esistenza 
di una classe molto estesa di gruppi simili a gruppi di trasfor- 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI, ECC. 605 


mazioni equivalenti. Supponiamo che una forma differenziale 
quadratica : 
1...» 
p=Zaz(x) .de;da,, 
Tak 
alla quale imponiamo la sola condizione di avere il diserimi- 
nante a =|a,| non nullo, ammetta un gruppo continuo G, di 
trasformazioni in sè stessa. Se facciamo una tale trasformazione 
di variabili: 
r LI] ‘ 
Li sua Gaitclità 


d (21, £2, —YJa] 


d(2,, 72. 3 


che sia: 


il gruppo G, si cangierà, come subito si vede, in un gruppo di 
trasformazioni equivalenti. In altre parole: Se una forma diffe- 
renziale quadratica in x variabili X1, Xa, «+, Xn3 @ discriminante 
a==0, ammette il n 


(Ah Xof + AP) 


sarà I=V|a] un moltiplicatore comune di X,f, Xof, ..., X,f. 
Ciò si conferma anche direttamente dalle note formole di 
Killing (*): 


"= daik dE dE, 
(13) VA dz, A Kin sa + (02158 a a 
LO 


o i Me A 


che dànno le equazioni di definizione per le trasformazioni infi- 


nitesime: 
she Lar 3 


di un tale gruppo. Moltiplicando infatti la (13) per Ax (**) e 
sommando rispetto ad i, £X si deduce facilmente: 


Ve a dlog VIa] TT dei a 
PA rr 
ciò che fa riconoscere appunto in V|«| un moltiplicatore di Xf. 
(*) Ueber die Grundlagen der Geometrie, “ Crelle's Journal ,, Bd. 109, 


pag. 121. 
(*#*) Ai: indica il complemento algebrico di «ix diviso per «. 


606 LUIGI BIANCHI 


In particolare le forme differenziali quadratiche (definite 0 
indefinite) a curvatura Riemanniana costante dànno luogo a 


nn +4 1) 


gruppi di trasformazioni equivalenti con 5 


parametri. 


6. — Ritornando alla questione generale, osserviamo che 
ove si conoscessero tutti i tipi di gruppi ad » variabili si po- 
trebbe, applicando i criterii stabiliti, discernere fra questi quelli 
che possono cangiarsi in gruppi di trasformazioni equivalenti, e 
classificare quindi completamente questi ultimi gruppi. Le ri- 
cerche complete di Lie pei casi n= 2, n=3 ci dànno in par- 
ticolare il modo di risolvere la nostra questione pei gruppi di 
trasformazioni equivalenti del piano e dello spazio. Qui ci occu- 
peremo specialmente del primo caso ed osserveremo prima 
un’altra forma notevole che si può dare al problema. 

Supposto che sia: 


xp=t Sl + 


una trasformazione infinitesima del piano che conservi le aree, 
deve essere: 


da so Sii 2) 
ne risulta quindi determinata, a meno di una costante additiva, 
una funzione /, (x, y) dalle formole: 


dI dI 


de A hg rate 


Diremo 1, la funzione generatrice di X,f, che si scrive 
allora: 


0 MID. 
tali de, y) 


Si vede subito che se /,, Is sono le funzioni generatrici 
di X,f, Xsf, la generatrice dell’alternata (X, X3) sarà precisa- 
d1,, 1) 
dc, y) 


mente Per ciò ad un gruppo: 


G, 3 (AP Xof, ...,Xf) 


‘0 PA pro 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI, ECC. 607 


di trasformazioni equivalenti corrispondono » funzioni genera- 
trici: 

(14) desde Ape, 

dotate delle proprietà caratteristiche seguenti : 


1° Fra le funzioni del sistema (14) non ha luogo alcuna 
relazione lineare a coefficienti costanti: 


. Cit + Cola + ese _ CL. - Crui 0; 


2° Tutti i determinanti funzionali : 


dk, 1) eco 
3@) kiJ4=1,/2,085)r 
sono combinazioni lineari a coefficienti costanti di 1,,13,..., L. 
E chiaro che una trasformazione di variabili a modulo 


d(21', 9, ..., Cn) 
Ò(x,, 2, ..., Cn) 
stesse proprietà, che riguardiamo appartenente al medesimo tipo 

(cfr. n° 2). 
Le ricerche che eseguiamo nei n' seguenti, appoggiandoci 
sui risultati di Lie, risolvono dunque il problema di trovare tutti 


= cost cangia il sistema (14) in un altro colle 


i possibili tipi di sistemi (14) di funzioni dotati delle proprietà 


enunciate. 


7. — Prendiamo ora le tabelle date da Lie per i varî tipi 
possibili di gruppi finiti del piano a pag. 71-73 del Vol. II 
(Transformationsgruppen). Per altro, siccome qui vogliamo trat- 
tare di gruppi reali, dobbiamo intendere completate queste ta- 
belle nel modo che il Lie stesso assegna a pag. 380 (Vol. III) 
pei gruppi reali. 

Incominciando dai gruppi primitivi, troviamo nelle tabelle 
di Lie $ tipi distinti, tre dei quali sono dati a pag. 71 (1. c.) 
e gli altri cinque a pag. 380. Quelli di questi tipi che sono 
simili a gruppi conservanti le aree, debbono avere un moltipli- 
catore comune per le loro trasformazioni infinitesime (n° 3). Ora 
i primi 6 tipi contengono tutti il sottogruppo delle traslazioni: 


\D: dl» 


608 LUiGI BIANCHI 


onde le (II) ci dicono che pel moltiplicatore / comune supposto 
si deve avere: 


cioè [= cost. I gruppi cercati fra i primi 6 tipi sono dunque 
soltanto quelli che sono già di trasformazioni equivalenti, e si 
riducono ai due seguenti: 

1° Il gruppo lineare speciale secondo Lie: 


(a) |p, ds, Xq, YP, PT yg | , 


cioè il gruppo delle sostituzioni lineari intere a determinante =1 | 
gruppo delle affinità speciali). Le rispettive cinque funzioni I 
generatrici (n° 6) sono: 


(0') -=-% b=% I:=%, ar bg 


2° Il gruppo dei movimenti del piano: 


(8) lp, 4, ra — yp| (8) 
con 
(81) L=, L=%, Ii=ax + y°. 


Restano da considerarsi i due ultimi tipi: 


(a) |cg—yp, 14° —y)p+2xyg, 2ayp+(14+y°—a?)g] 


(0) |eg—-yp, (144° —2°)p — 2xyg, — 2xyp+(1+x°2—y)g|, 


1 quali, secondo i criterî stabiliti al n° 4, sono traducibili in 
1 


fresa ee RL moltiplicatore comune delle 


rispettive trasformazioni infinitesime. La stessa cosa risulta, 
applicando le considerazioni del n° 5, dall’osservare che il 


gruppi conservanti le aree, essendo per il primo /= 


e per il secondo I/= 


(*) Corrisponde al terzo tipo di Lie, pag. 380, ove si faccia c=0. 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI, ECC. 609 


gruppo (a) è il gruppo delle trasformazioni in sè della forma 
differenziale quadratica: 
da? + dy° 


che dà il ds? della sfera, cioè (a) è il gruppo dei movimenti 
della sfera. Similmente (0) è il gruppo dei movimenti delle su- 
perficie pseudosferiche, ove se ne assuma il ds? sotto la forma: 
de 4- dy? 


)a 


Dis pren ll a -— 
dst'== re; 


Per gruppi di trasformazioni equivalenti in cui si tradu- 
cono (a) (5) possono prendersi rispettivamente i due seguenti : 


XCOSY 
Vi—x? 


(1) UA a Yy? cosy.p+ SEZ VIa? seny.p— 


Via? 


colle funzioni generatrici: 
I° L= L= sony.vl Sg, = cosyl — #3, 


e l’altro: 


{1 
(è) ds ®D_YY: 2ayp+{G — y)q| 


colle funzioni generatrici: 
(è) L=, L=, h=t+og. 


Il primo appartiene, come gruppo di movimenti, al ds? sfe- 
rico sotto la forma: 
ax 
1—a° 


ds? = +(1—-2°)dy, 


il secondo in modo analogo al ds? pseudosferico: 
ds? — de - 2dy? 
sit x? q YyY ’ 


ambedue le volte il discriminante della forma essendo reso =1. 


610 LUIGI BIANCHI 


Riepilogando, abbiamo: 
Esistono quattro soli tipi distinti di gruppi continui finiti pri- 
mitivi di trasformazioni del piano che conservano le aree, e sono: 
1° Il gruppo lineare speciale G; (a). 
2° Il gruppo Gz dei movimenti del piano (8). 
3° IL gruppo Gz dei movimenti della sfera (1). 
4° Il gruppo Gz dei movimenti della sfera (è). 
Un risultato perfettamente analogo vale nello spazio ordi- 
nario pei gruppi di trasformazioni che conservano i volumi. 


8. — Passiamo ora ai gruppi imprimitivi che distinguiamo 
in due specie secondo che possono contenere un numero illimi- 
tato di parametri, ovvero ne contengono un numero limitato. 
Alla prima specie appartengono solo i due tipi seguenti: 


(A) Ip, q, 09; x°q, Fe% L'q, xp — 79 | r>0 


i == i = l = 
di; lo=">; Iy=x% Tia a L.s=0 


(B) |g, TI, F,(2)4 LAT.) 7 >0 


hes,l=i b=|/M0)4%; 0, AZ 


essi corrispondono rispettivamente al 5° tipo di Lie a pag. 71 
(per c= — 1) ed al 2° tipo, pag. 73. 

I gruppi della seconda specie hanno 3, 2, o infine un solo 
parametro, e sono: 


1° | |p, 2xp + y9, 2p+ 249) 


corrispondente al 10° tipo di Lie, pag. 72, che si traduce in un 
gruppo di trasformazioni equivalenti, p. e. colla trasformazione: 


ciò che dà il gruppo: 


(0) |p, <p — yq, &p—2xyg | 
con: 


(0°) I=y, L=; Te=wy, 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI, ECC. 611 


indi: 


2° Ip+9, <p+y4, 2p+y°9|, 


che è il 4° tipo di Lie, pag. 73. Esso è il gruppo delle trasfor- 
mazioni in sè della forma differenziale quadratica (indefinita) a 
curvatura costante: 

da dy 

(@— y} 


Lo trasformiamo in un gruppo che conserva le aree p. e. 
colla sostituzione: 


otteniamo così: 


(D) |P, «p—y4, &p+(1— 2ay)q| 


h=%, b=%y, lif=x— xy. 


In fine un terzo tipo a due parametri corrispondente al nono 
di Lie, pag. 73, con e=— 1: 


(E) (Ps 4 Ep 49 | 
1.9, =, I, DI. 


Questo è il gruppo delle trasformazioni in sè della forma 
quadratica dedy a curvatura nulla. 
Abbiamo poi i tipi a due parametri: 


{F) \g, «p—yq| ip, gl (6) 


ed in fine il gruppo ad un parametro: 
(H) gl, 


sottogruppi dei precedenti. 

Determinati così tutti i tipi possibili di gruppi continui 
finiti del piano che conservano le aree, si osserverà che di questi 
soltanto i tipi (B) (G) (H) sono Abelianiî, cioè costituiti di tras- 
formazioni due a due permutabili. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 41 


612 G. B. RIZZO 


Sopra èl ‘calcolo della Costante solare. 


Nota di G. B. RIZZO. 


(Con una Tavola). 


Il Signor K. Angstròm, direttore dell'Istituto fisico dell’Uni- 
versità di Upsala, ha ripreso da alcuni anni lo studio della 
radiazione solare con un suo strumento, che è dotato di una 
grande sensibilità e insieme di una grande esattezza. Lo stru- 
mento, chiamato dall’Autore “ pireliometro:a compensazione elet- 
trica , (1), consiste essenzialmente in un sistema di due lastrine 
sottilissime di platino o di manganina, le quali sono annerite sopra 
le faccie che possono essere esposte alla radiazione del sole: sulle 
faccie opposte si appoggiano le saldature di una coppia termo- 
elettrica avente nel suo circuito ùn galvanometro molto sensibile. 
Quando si protegge una delle lastrine con uno schermo e l’altra 
viene irradiata dal sole, allora quest’ultima si riscalda; e se si fa 
passare nella prima lastrina una corrente elettrica, data da una 
pila indipendente, e si regola questa corrente (che si misura con 
un reometro di conveniente sensibilità), in modo da ottenere la 
medesima temperatura nelle due lastrine, l'intensità della radia- 
zione solare che cade sopra l'una è evidentemente uguale al 
calore di Joule svolto nell’altra al passaggio della corrente. 


Nell’apparecchio N° 29, che il Signor Angstrom ha avuto 
la bontà di far costruire per me, si hanno le costanti seguenti: 


larghezza delle lastrine 0.1498 cm. 
resistenza elettrica (a 17°) 0.07933 ohm per cm. 
potere assorbente 0.98 


coefficiente di temp. della resistenza 0.00045. 


Se si indica pertanto con è l’intensità della corrente che com- 
pensa il calore dovuto alla radiazione solare, l'intensità @ di 


(1) “ Ann. d. Phys. u. Chem. ,, 67, pag. 633, 1899. 


SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 613 


quest’ultima, espressa in piccole calorie per centimetro quadrato 
e. per minuto primo, alla temperatura di 17°, è data dalla formola:: 


60 X 0.07933 
Q= 


RSS ;2 
= T19X 0980.1498 È = hè. 


Il fattore 4 varia alquanto colla temperatura e si ha: 


RELA Ri 7:69 
10° ) TAL 
20° 7.75 
30° 7.78 
40° 7.81 


Come si vede dalla semplicità della teoria di questo stru- 
mento e dalla concordanza dei risultati che si ottengono, col 
pireliometro a compensazione elettrica si può determinare l’in- 
tensità della radiazione del sole con molta esattezza; perciò i 
risultati ottenuti meritano la più grande fiducia e possono for- 
nire un prezioso contributo per determinare la legge dell’assorbi- 
mento atmosferico, e il modo col quale si debbano coordinare fra 
loro le osservazioni per dedurre il valore della costante solare. 

In un lavoro precedente (1) ho cercato di dimostrare che il 
metodo ordinariamente seguito per calcolare la costante solare, 
il quale consiste nell’ esprimere con una formola di interpola- 
zione l’intensità della radiazione solare in funzione dell’altezza 
del sole sull’orizzonte, per assumere poi come costante solare il 
valore che prende quella espressione, quando si ponga uguale 
a zero lo spessore atmosferico attraversato dai raggi, non può 
eondurre ad un risultato esatto. Le ragioni che adducevo erano 
in sostanza le seguenti: se si indica con €, come si suole, lo spes- 
sore atmosferico attraversato dai raggi del sole (prendendo per 
unità lo spessore medesimo secondo la verticale), l'intensità @ 
«della radiazione solare si può esprimere in funzione di e con 
diverse formole, le quali sono ugualmente adatte per e > 1, ma 
nulla dimostra che si possano applicare nel caso in cui € < 1, 
e tanto meno nel caso in cui e=0. 

In secondo luogo ho dimostrato che applicando ad una me- 
desima serie di misure diverse formole di interpolazione; le quali 


(1) G. B. Rizzo, Sopra le recenti misure della Costante solare, * Mem. 
della R. Ace. delle Sc. di Torino ,, Ser. II, XLVIII, 1898. 


614 G. B. RIZZO 


le rappresentano per lo più con la stessa esattezza e perciò hanno 
lo stesso grado di precisione, ciascuna di queste formole, po- 
nendo e= 0, dà un valore differente della costante solare. 

Perciò io proponevo di adoperare codeste formole di inter- 
polazione soltanto per dedurre il valore più probabile della ra- 
diazione solare riferita allo zenit, cioè il valore della radiazione 
corrispondente ad e = 1, a diverse altezze sul livello del mare, e 
di dedurre poi il valore della costante solare da una formola, la 
quale rappresenti l'intensità della radiazione solare riferita allo 
zenit in funzione della pressione atmosferica, che misura lo spes- 
sore atmosferico attraversato in questo caso dai raggi del sole. 
E applicando questo metodo alla discussione delle più notevoli 
serie di osservazioni fatte a diverse altitudini avevo trovato per 
la costante solare il valore di circa 2.6 piccole calorie per centi- 
metro quadrato e per minuto primo. 

Molti cultori della fisica terrestre, fra i quali il Violle (1), 
l’Angstròm (2) e l’Arrhenius (3), accolsero questi risultati; ma la 
lunga abitudine induce ancora alcuni sperimentatori a calcolare 
questo elemento coll’ antico metodo che dà ordinariamente dei 
valori più elevati. 

Ora questo è un errore, perchè nessuna formola di interpo- 
lazione, nella quale sia espressa l’intensità della radiazione so- 
lare in funzione dell’altezza del sole sull’orizzonte, può farci 
conoscere, se non forse per caso, il valore della costante solare. 
La dimostrazione che ne avevo data nella Memoria citata più 
sopra era una dimostrazione indiretta, e perciò mi propongo di 
provarlo più direttamente in questa nota, facendo una ulteriore 
discussione delle ottime misure eseguite dall’Angstròm a diverse 
altezze sul livello del mare nell’isola di Teneriffa e aggiungen- 
dovi alcune altre considerazioni. 

La spedizione di Angstròm, generosamente sussidiata dal 
Governo e dai principali Istituti scientifici della Svezia, ha por- 
tato un notevolissimo contributo allo studio della trasmissione 
della radiazione solare attraverso all'atmosfera terrestre. 


(1) J. VioLce, “ Annales de Chimie et de Physique ,, s. VII, t. XXII, 
pag. 329, 1901. 
(2) K. Anesrròm, Intensité de la radiation solaire è différentes altitudes, 


pag. 81. Upsala, 1900. 
(3) S. ArrmenIvs, Lehrbuch der Kosmischen Physik, 165, Leipzig, 1903. 


ene AI 


SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 615 


L’Àngstròm ebbe per collaboratore nella sua spedizione il 
signor 0. Edelstam; e, senza trascurare alcuna delle ordinarie 
osservazioni meteorologiche, misurarono con tutta l’ esattezza 
desiderabile l'intensità della radiazione, facendo delle osserva- 
zioni simultanee a diverse altezze sul livello del mare, con due 
esemplari del pireliometro a compensazione elettrica che ho de- 
scritto in principio. 

Dopo aver eseguito una serie di osservazioni di confronto 
fra i due strumenti ad Alta Vista, dove era stato l’antico osser- 
vatorio di Piazzi Smith, fecero delle serie di osservazioni simul- 
tanee al Picco di Teyda (m. 3683) e ad Alta Vista (m. 3252), 
ad Alta Vista e al piano di Canada {(m. 2125), ad Alta Vista 
e nella piccola città di Guimar (m. 360). 

Ecco i risultati delle misure fatte il giorno 3 luglio in 
queste due ultime stazioni, che sono quelle le quali offrono una 
maggiore differenza di livello. Il valore della distanza zenitale 
del sole 2 fu calcolato dall’Angstròm mediante le osservazioni 
orarie, e il valore di e fu calcolato da me colla formola nota 

s 
€ 58”.865en2 ’ 
dove s è la rifrazione atmosferica corrispondente alla distanza 
zenitale 2. 


Gurmar (m. 360) Arta Visra (m. 3252) 
| P=731.3 P= 518.9 
ipo ne (2609 2 € Q 


81044". 6.631 | 0.721 85034" 11.258 | 0.819 
80,29 .|..5.828 -|,,0,795 79 52, | 5.550 1.138 
| 73.36 | 3.499 0.994 3 24.0] 3.460 Jl 1.340 
67,28 | 2.593 | 1.105 67 03.| 2.547 1.421 
61 15 2.070 | 1.190 60 11. | 2.004 1.488 
54.33. .| 1.720 .|. 1.251 54 07 1.702 1.525 
41 26 .| 1.333..| 1.292 Adi 1.327 1.578 
28100. i:1:131 1361 26 28 Put, 1.609 


5g" 11008 | 1384 584 | 1.007 | 4618 
27:08 | 11.122 | 1.325 26 02 1.109 | 1.609 
4020 


1.810. | 1.275 40 20 1.312 1.579 
53 02 | 1.658 | 1.219 47 54 1.478 1.540 
59 45.00; 1.978 | 1.150 52 36 1.641 1.520 
65 46 2.421 1.070 60 11 1.964 1.479 
72 383 3.330 0.943 65 46 2.420 | 1.439 

69 37 2.848 | 1.396 


616 


G. B. RIZZO 


Le formole di interpolazione più usate per rappresentare 
l'intensità della radiazione solare in funzione dell’altezza del 


sole sull’orizzonte sono quelle di 


Lambert-Pouillet: O= Apf, (1) 
>» . _—_ A 

Crova: Q= dior (2) 

Bartoli e Stracciati: ent. (3) 


ed ho applicato il metodo dei minimi quadrati al calcolo delle 
costanti di queste tre formole per entrambe le serie di osser- 


vazioni (1). 


Ecco i risultati ottenuti. Per le osservazioni di Guimar si ha: 


Colla formola del Pouillet: 


A=1.485 


p= 0.893 


a di., Crova: A=1,932 = 0460 
i del Bartoli: OC 1490 n =094 
GuUIMAR 
Q Q o" Q d d' USA 
0.721 | 0.703 | 0.747 | 0.769 0.018! — 0.026 | — 0.048 | 
0.795h| 07:70) 010x787 00.802 0.025 0.008 | — 0.007 
099250 A20011+.0.957, 0948402007 0.037 0.046 
L105-.1.110..|1.063.|-_1.046 | —.0.005.. —.0.058. 0044 
1.190 (RESI are 14440 1.127 0.014 0.046 0.063 
P251 12240210] 15197 0.027 0.041 0.054 
12920278 71930077902 0.014 | — 0.018 | — 0.010 
1.361 1380/716856. 4.374 0.054 0.005 | — 0.013 
L39400 Zi eZ 0,057) —.0.012, a 
1.024 1.909-1* L13599 0E3771 0.016 | — 0.034| — 0.048 
1.275 | 1.281 | 1.306 | 1.309 | — 0.006|— 0.031 | — 0.034 
1.219-'| 1.232-| 1.223 | 1.212 | — 0.013 | — 0.004 | ©“ 0.007, 
1.150:4 1.188 1.160 \L.144 | —-0/038 | 4‘0:010 0.006 
1.070 | 1.130.| 1.087 | 1.070 | —0.060| — 0:017 0.000 
0.943. | 1.024 | 0.977 | 0.967 | — 0.081 | — 0.034 |— 0.024 
u= +0.038 +0.031 + 0.038 


(1) L'Angstròm non crede che valga la pena di applicare il metodo 
dei minimi quadrati per il calcolo delle costanti delle formole di interpo- 
lazione; ma ho ricorso a questo metodo, in verità alquanto laborioso, per 
raggiungere la massima esattezza possibile e mettere in evidenza la discor- 
danza dei risultati che si ottengono, per e= 0, applicando delle formole, 
che per e > 1 sono ugualmente attendibili. 


SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 617 


E per le osservazioni di Alta Vista: 


Colla formola del Pouillet: A II VI 
L di Crova: Ai —>"2E1 810 m=0306 
7 del Bartoli: C= 1.724 m=0.258 


Arta Vista 


Q ) o o” ò d" ò” 


0.819 | 0.801 | 0.899 | 0.924 0.018 | — 0.080 | — 0.005 
fon | L.149 1.099 | L.ITL | — 0.041 0.039 0.027 
1.340 | 1.352 |_1.261 | 1.252 |— 0.012 0.079 0.088 
1.421 | 1438 | 1.341 | 1.355 |— 0.017 0.080 0.066 
1.488 | 1.491 | 1.458 | 1.441 | — 0.003 0.030 0.047 
1.525 | 1.522 | 1.515 | 1.503 0.003 0.010 0.022 
1.578. 1.561.| 1.601... 1.603 0.017 | — 0.023 | — 0.025 
1.609 |.1.583 | 1.657 | 1.675 0.026 | — 0.048 | — 0.066 
ia L90121 0.023 | — 0.072 | — 0.003 
1.609 | 1.584 | 1.660 | 1.679 0.025 | — 0.051 | — 0.070 
1.579 | 1.562 | 1.605 | 1.608 0.017 | — 0.026 — 0.029 
1.540, 1.545 | 1.564 | 1.559 | — 0.005; — 0.024 | — 0.019 
1:520| 1.528 | 1.528 | 1.518 |— 0.008|— 0.008] 0.002 
1.479 | 1.495 | 1.465 | 1449 |— 0.016 0.014) 0.030 
1.439 | 1.450 | 1.390 | 1.405 |— 0.011 0.049) 0.034 
1.896 1.409 | 1.381 | 1.817 |— 0.013 0.065 0.079 


ue + 0.019 *# 0.052 201068 


I due specchi precedenti contengono, insieme ai valori Q 
osservati, i valori Q', Q”, 0" calcolati rispettivamente con le tre 
formole, le corrispondenti differenze d', d”, è’ fra i valori os- 
servati e i valori calcolati e gli errori medii yu => per le 
due serie di osservazioni. 

Come si vede le tre formole rappresentano bene ciascuna 
serie di misure; ma le due prime dànno per la costante A, che 
dovrebbe essere uguale alla costante solare, dei valori differenti, 
senza che dalle osservazioni si possa decidere quale sia quello 
che più si avvicina al vero; nella formola del Bartoli e dello 
Stracciati, col tendere di e verso 0, il valore di @ cresce inde- 
finitamente. 

Queste osservazioni confermano adunque che non si può de- 
durre la costante solare da una formola d’interpolazione, la qua le 
esprime semplicemente la legge con cui varia l'intensità della 


- 


618 G. B. RIZZO 


radiazione col variare dell’ altezza del sole sull’orizzonte, come 
gia avevo dimostrato nella memoria citata. 


Discutendo ora il complesso delle determinazioni fatte dal- 
l’Angstròm nelle sue ‘quattro stazioni all’isola di Teneriffa si 
trova la ragione di codesta impossibilità. 

Le misure fatte nelle diverse coppie di stazioni, in giorni 
differenti, sono rese comparabili fra loro, riducendole tutte al 
valor medio della radiazione ad Alta Vista, per le diverse altezze 
del sole sull’orizzonte; e qui riassumo codesti valori medi nelle 
quattro stazioni, quali risultano dalle misure di Angstròm in- 
sieme coi valori che ho calcolato colla formola di Crova. 


Picco Di Teypa; altezza m. 3863; P—= 492. 


2 | € I Y oss. Q calc. Oss.-calc. 
80° som erto L198 1.200 — 0.016: | 
70° 2,902 «nio 1388 1.375 0.013 
60° 1.995.400 14905 ;|} od:474 0.016 
500 1555 af o _15534|1-244587 0.016 
40° 1.806 ;:d > 1.585 1.579 0.006 
30° 1.156 xd) 1.606. |. rd 608 — 0.002 | 
900. 1.065 1.619 1.626 — 0.007 
Jgox eay1016 1:624: | 4688 — 0.014 
Bo (.00S+a fol 3887 ele 609 — 0012 
1.967 
VE) Li 
Arra Visra; altezza m. 3252; P—= 518. 

| 5 e Di Q oss. Q cale. Oss.-cale. 

| 

| 800 5.567 | 01.156 1.171 —20/015 
70° 2,902 dn 11,370 1.851 0.019 
60° 1.995 60; or «1:468 1.452 0.016 

| 500 L555phE «1 B27 1.517 0.010 

|, 400 1.806 1.565 1.560 0.005 
300 1.156 1.583 1.589 — 0.006. 
20° 11065) 1.595 1.604 — 0.009 
L0noì |uscdrl0 b6r 11 pelonti 0 1.619 — 0.009 
50 > nor 10085; nb 1618) v|o 1.622 — 0.009 


= TLgm (11) 


SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 


619 


Prano DI CANADA; altezza m. 2125; P= 597. 


z € | Q oss. I Q cale. Oss.-cale. 
80° 5.567 | 1.055 | 1.077 III 
70° 9902" | 1.288 | 1.268 0.020 | 
60° 1.995 1402... | 876 00) 0.024 
50° TA6b5 1.472 1.448 0.024 
40° 1.306 | 1.508 1.495 0.013 
30° 1.156. 1.529 1.527 0.002 
D0P5 | 1.065 | 1.530 1.548 — 0.018 
si ag E | 1.540 1560 | — 0.020 

DO 1.003 1.542 L5608 — 0.021 

1.942 
Q= TE g0 (III) 
GuimAR; altezza m. 360; P—= 7834. 

2 € Q oss. Q cale. Oss.-cale. 
80° 5.567 0.780 0.806 —- 0036 
70° 2.902 1.049 1.028 0.021 
60° 1.995 1.189 "164 0.025 
50° doo 1.269 1.25 0.014 
40° 1.306 (RITI 1.318 — 0.004 
30° 1.156 13357 1.360 — 0.003 
AO. .| 1.065 1.975 1.388 — 0.013 
10° 1.016 1.391 1.404 — 0.013. | 

bo 1.003 1.401 1.408 — 0.007 | 

1.955 
Q (1 + e)172 (IV) 


La legge con cui varia l’ assorbimento atmosferico nelle 
quattro stazioni considerate si può mettere in evidenza espri- 
mendo con le corrispondenti formole di Crova l’intensità della 


fadiszione per e =D, ie=4, e—9, e=2, ec. 


Intensità della radiazione 


Picco Alta Vista | Caîiada Guimar 
5 1.097 1.202 | 1.108 0.839 
4 1289 1.262 | 1173 0.914 
3 1.367 1.342 1.258 1.016 
9 1.474 1.452 1.377 1.164 
1 1.640 1.622 1.564. 1.388 


620 G. B. RIZZO 


Questi risultati sono anche rappresentati graficamente nella 
figura I; nella figura II i punti. A, B, C, D rappresentano l’in- 
tensità della radiazione solare riferita allo zenit, cioè per e= 1, 
nelle quattro stazioni, in funzione dello spessore atmosferico 
attraversato dai raggi, prendendo come misura di questo spes- 
sore atmosferico il valere corrispondente della pressione riferita 


alla pressione normale, cioè il rapporto = a. 

Supponiamo ora che l’intensità della radiazione solare si 
possa esprimere in funzione di a con una formola analoga a 
quelle che servono per rappresentare l’intensità della radiazione 
in funzione dell’altezza del sole sull’orizzonte, la qual cosa si 
potrebbe fare, se queste formole, che esprimono la radiazione in 
funzione di e, fossero ancora applicabili per e< 1: allora l’in- 
tensità della radiazione riferita allo zenit si potrebbe esprimere 
con la formola: 


di a (1 Lam (V) 


nella quale, determinando le costanti A ed m col metodo dei 
minimi quadrati, si troverebbe: 


A = 2.655 


m= 0.946. 


Nella tabella seguente sono posti a confronto i valori os- 
servati con quelli ottenuti mediante la formola (V): 


Stazione Pie Q; 088. Qi cale. Oss.-cale. 

| Pico =". aida | 0.647) 1.640 1.660 | — 0.020 
Alta Vista .| 518 | 0.682) 1.622 | 1.623. |.— 0.001 
Canadas . è. 59%. 04/86 1.564 1.594 0.030 
LG di 94 a | 0.966 1.388 1.400 | — 0.012 


r 


SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 621 


Applicando la formola del Pouillet: 
Q=Ap", (V') 


si otterrebbero i risultati seguenti: 


A = 939 
p = 0.5861 
Stazione lE d Q, oss. Qi cale. Oss.-cale. 

Pieed:ni0. ii .c | 492 0.647 1.640 1.655 = 0015 
AltaVista. . |0518 0.682) 1.622 1.625 — 0.003 
Canada...... 1. 597 0.786| 1.564 1.530 0.034 | 
Ginar,. + 1. 1194 0.966 1.988 1.596 — 0.008 

u'a=#0.022 


Le curve MN ed MO della figura 2* rappresentano l’inten- 
sità della radiazione solare riferita allo zenit in funzione dello 
spessore atmosferico, quali vengono espresse dalle formole (V) 
e (V'). 

Come si vede dalle curve stesse e come si può facilmente 
dedurre da note proprietà analitiche delle formole che le rap- 
presentano, queste curve volgono la loro concavità verso la di- 
rezione delle ordinate positive; laddove risulta evidente che i 
quattro punti A, B, C e D, i quali devono appartenere alla 
curva che rappresenta codesta intensità in funzione dello spes- 
sore atmosferico e che sono determinati, come abbiamo veduto, 
con procedimenti rigorosi, stanno invece sopra una curva che 
volge la concavità verso la direzione negativa delle ordinate. Da 
questo solo si potrebbe concludere che le formole, le quali rap- 
presentano l’intensità della radiazione solare per €>1, non sono 
più applicabili per e<1. 

Ma lo stesso si può dimostrare considerando il valore del 
coefficiente di trasmissibilità della radiazione solare attraverso 
all'atmosfera. 


622 G. B. RIZZO 


La formola del Pouillet Q = Apf è stata dedotta partendo 
dall'ipotesi che il coefficiente di trasmissibilità rimanga costante, 
e si ha: 


LA 
ibaigei pr de 1 Sed 1 
so dir Q sottotangente 


Ora l’esperienza dimostra che rappresentando con una curva 
la variazione dell'intensità della radiazione solare col variare 
dello spessore atmosferico, quando questo è maggiore dell'unità, 
cioè col variare della distanza zenitale del sole, la lunghezza 
della sottotangente va crescendo col crescere dello spessore 
atmosferico; perciò la formola del Pouillet, a rigore, non è ap- 
plicabile se non in un intervallo di e, nel quale il coefficiente 
di trasmissibilità rimanga costante. E da questa proprietà, che 
nella curva dell'intensità della radiazione la lunghezza della sot- 
totangente cresce col crescere di e, il Crova dedusse la sua 
formola: 

A 
OR 
(A="costante solare; a, d,p costanti empiriche) 
e poi quella semplice: 
% 
ara: 


Nella curva rappresentata da questa equazione si ha: 


z 1 I € 
sottotangente = “e 
e perciò: 
ideegize m 
Update are 
ossia: 
m 
alici 
PEd } 


Calcolando con questa formola il coefficiente di trasmissi- 
bilità della radiazione solare riferita allo zenit nelle quattro 
stazioni di Guimar, Canada, Alta Vista e Picco di Teyda si 
avrebbero i risultati seguenti: 


SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 625 


I | Coefficiente 
Stazione Altezza metri | di trasmissibilità 
Lain ERRE 360 0.618 
II RA dl RE | 2125 0.588 
MiibanVista . ora 3252 0.570 
Picco.-di Teyda. .... 3865 0.565 


Laonde, affinchè la formola di Crova potesse anche rappre- 
sentare la legge con cui varia la radiazione del sole per e<1, 
la trasparenza dell’aria dovrebbe andare diminuendo col crescere 
dell'altezza sul livello del mare (1). 

L'esperienza dimostra invece precisamente il contrario: con- 
sideriamo infatti le stesse osservazioni dell’ Angstròm e appli- 
chiamo la formola del Pouillet per determinare la trasparenza 
media dell’aria fra Guimar e Canada, Canada e Alta Vista, Alta 
Vista e Picco di Teyda. 

Ecco i risultati che si ottengono: 


| Altezza media Coefficiente medio 

Intervallo I metri di trasmissibilità 

| Guimar - Canada . . 1242 | 0.515 
Canada - Alta Vista . 2688 0.702 | 
Alta Vista - Picco. . 3557 0.740 | 


Dalla serie più completa delle misure fatte dal Langley 
nella sua memorabile spedizione al monte Whitney si ricava: 


Altezza media KorFAcientg 
Intervallo menti di traemisaibbilità 
Lone Pine - Mountain Camp | 2500 | 0.513 
Mountain Camp - Whitney Peak | 3984 0.729 
| | 


(1) Affinchè si potesse applicare la formula del Bartoli per € < 1, il 
coefficiente di trasmissibilità dovrebbe diminuire ancora più rapidamente, 
n 


i 
essendo p= e ) 


624 G. B. RIZZO 


E dalle mie misure al Monte Rocciamelone (1): 


Altezza media Ci 
Intervallo metri ditrosmia 
| Trucco - Cà d'Asti. . 0°. 92780 0.470 
Ca d'Asti - Punta Rocciamelone 3185 0.726 


Le osservazioni attinometriche fatte a diverse altezze, nelle 
circostanze più svariate, dimostrano pertanto il principio gene- 
ralmente ammesso, che la trasparenza dell'atmosfera, almeno fino 
ad un limite altissimo, cresce coll’aumentare dell’altezza sul li- 
vello del mare. 

Perciò nessuna delle formole finora impiegate, che espri- 
mono l'intensità della radiazione solare in funzione dell’altezza 
del sole sull’orizzonte, si può applicare alla determinazione della 
costante solare, facendo uguale a zero lo spessore atmosferico 
attraversato dai raggi; infatti codeste formole suppongono che 
la trasparenza dell’aria diminuisca col diminuire dello spessore 
atmosferico, e soltanto nella formola del Pouillet si ammette che 
la trasparenza rimanga costante. 

La curva che esprime la legge colla quale varia l’intensità 
della radiazione solare riferita allo zenit, col variare dello spes- 
sore atmosferico, si può rappresentare convenientemente colla 
formola: 

Q= A+ (760 — PE 


dove A e bd sono due costanti e P la pressione atmosferica nel 
luogo considerato, oppure colla formola: 


Q= A+ B(1— a (VI) 
P 


dove a = 760 * 


(1) Ho escluso da questo calcolo la stazione di Mompantero, vicino @ 
Susa, perchè si trova in fondo alla valle in cui scorre la Dora, e, anche 
nelle giornate che in apparenza sono serene, è quasi sempre occupata, fino 
all'altezza delle montagne che la racchiudono, cioè fino all’ altezza del 
Trucco ed anche più in alto, da una finissima caligine che ne diminuisce 
la trasparenza. 


, 


SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 625 


Ecco i risultati ottenuti, calcolando le costanti A e B me- 


. 
diante le osservazioni di Angstròm: 


A==1,276 
B= 0,614. 

Stazione E° a Q; oss. Q cale. Oss.-cale. | 
i ZO RL L64001. 1.64%, ce 0 0000 
Alta Vista | U| 518 | 0.682] 1622 | 1628 0.001, 
Canada “00597 | 0786/1564 | 1561 0.008 
Guimar ; (0/| 734 | 0/966| ‘1,388 | 1.390 | 0,002 

I 
u= + 0.002 


Seguendo lo stesso procedimento che ha seguito il Crova, 
si potrebbe dedurre la formola dell’intensità della radiazione, 


anche in funzione di a = mediante l’equazione della sotto- 


sir 
760? 
tangente. Basterebbe costruire ad occhio la curva della radia- 
zione, quindi misurare la sottotangente in diversi punti ed 
esprimerla con una equazione in funzione di a. Si troverebbe 
che, contrariamente a quello che si ha nel caso esaminato dal 
Crova, in cui. si considera l’intensità della radiazione in. fun- 
zione della distanza zenitale del sole, la sottotangente cresce 
col diminuire dello spessore atmosferico, tuttavia, mediante una 
integrazione, si potrebbe determinare l'equazione della curva. 
Ma, oltre che questa integrazione può presentare delle difficoltà 
non leggere e conduce generalmente a delle formole troppo 
complicate per il calcolo pratico, non mi sembra che il metodo 
possa dirsi rigoroso, perchè l’ equazione che noi otteniamo per 
questa via non può essere altro che l' espressione della curva 
che noi abbiamo prima costruita, e la formola, conterrà gli 
stessi errori che abbiamo potuto commettere nel tracciare la 
curva e nel misurarne le sottotangenti. Credo invece più oppor- 
tuno ricorrere ad una formola empirica, calcolandone i coeffi- 
cienti in modo che la medesima rappresenti bene i valori osser- 
vati: e così ho ottenuto la formola (V)). 


626 G. B. RIZZO 


Come si vede dallo specchio precedente, l’ accordo fra i 
valori osservati e quelli calcolati con questa formola, è tale che 
non si potrebbe desiderare maggiore, perciò è lecito concludere 
che, anche secondo le determinazioni dell’ Angstròm, V intensità 
della radiazione solare riferita allo zenit si può esprimere in funzione 
dello spessore atmosferico attraversato dai raggi mediante la formola : 


Q=A+B(1—a 


dove a è la pressione atmosferica riferita alla pressione normale: 

Non si può affermare che il valore della costante solare sia 
esattamente uguale a quello che si ottiene ponendo a=0. nella 
formola (VI), perchè nella radiazione del sole vi sono probabil- 
mente dei raggi (fra i quali alcuni raggi attinici e quelli che 
cadono nel campo d’assorbimento dell’anidride carbonica) i quali 
vengono completamente assorbiti nei primi strati dell'atmosfera, 
senza arrivare alle nostre più elevate stazioni d’osservazione ; 
ma, osservando la curva probabile della radiazione del sole, si 
vede che la radiazione compresa in quel campo è molto piccola, 
rispetto alla radiazione totale, e possiamo considerare come suf- 
ficientemente approssimato il valore della costante solare calco- 
lato con questo metodo. 


Qui si deve avvertire che i valori della radiazione trovati 
dall’Angstròm darebbero per la costante solare 


Oa _- 1589, 


poichè esprimendo la radiazione solare riferita allo zenit in 
funzione di a nelle quattro stazioni di Angstròm si ottiene: 


Q,= 1.276 + 0.614(1— ap, 


e questo valore della costante solare è certamente troppo piccolo, 
perchè si hanno molte determinazioni dirette della radiazione del 
sole, nelle quali questa risulta già più grande di due calorie. 

L'essere così piccolo il valore della costante solare, che si 
deduce dalle determinazioni dell’Angstròm, dipende probabilmente 
dalle condizioni, nelle quali sono state fatte le misure. 

Non credo che il vapor acqueo, allo stato di vapore invi- 
sibile, produca un notevole assorbimento sulla radiazione solare; 


SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 027 


ma l'abbondanza dell'umidità, specialmente in presenza delle par- 
ticelle saline che i venti trasportano dal mare fin nelle regioni 
elevate dell'atmosfera, agevola la formazione delle goccioline 
liquide, le quali, rimanendo sospese nell’aria, ne diminuiscono 
la trasparenza anche per i raggi provenienti dal sole; e perciò 
‘in un clima eminentemente marittimo, come quello dell’isola di 
Teneriffa, la radiazione che giunge a 3683 metri sul livello del 
mare (altezza della più elevata stazione d'osservazione) è già 
stata totalmente privata di una buona parte della sua energia. 
Il valore della costante solare si deduce pertanto con maggiore 
approssimazione dalle misure fatte nei climi continentali. Dal 
complesso di queste misure, come risulta dalla discussione che 
ne ho fatto nella memoria citata, si ottiene: 


Qu = 1.324 + 1.268(1 — a) 


e quindi si ha per la costante solare un valore prossimo a 2.6 pic- 
cole calorie per minuto primo sopra ogni centimetro quadrato. 


Lo Stankevitch (C. R., t. 131, p. 879, 1900), durante un suo 
viaggio all’altipiano di Pamir nell'Asia Centrale, fece due serie 
di misure della radiazione solare, a diverse altitudini, con lo 
stesso attinometro a compensazione elettrica dell’Angstròm. 
Ecco i risultati che ho ottenuto calcolando le osservazioni dello 
Stankevitch colla formola del Pouillet e con la formola del Crova, 
per dedurne la radiazione riferita allo zenit Q,, in entrambe le 
stazioni. 

Passaggio di Taldik: @ = 39° 44', XY== 72° 13' E. Gr. 
Altit. sul livello del mare m. 3590; Pressione atm. P= 491 mm. 

12 Giugno 1900, 


Ora (t. m. l.) 2 € Q 
g* 12m 38° 52’ 1.284 1.81 
DI 47 16049’ 1.044 1.93 


Colla formola del Pouillet: Q = 2.552 X 0.765£; Q,= 1.953 
3 Urova: - Q== Don O; = L954 


{EL eguaTe ’ 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 42 


628 G. B. RIZZO — SOPRA IL CALCOLO DELLA COSTANTE SOLARE 


RIS At SIDE NET LTO DS 
Altit. sul livello del mare m. 4220; Pressione atm. P=452 mm. 
. 17 Giugno 1900. 


Ora 2 € Q 
| 
92 182 37054 1.268 1.89 
11853 | 16° .06' 1.041 2.02 


Colla formola del Pouillet: Q = 2.744 X 0.745f; Q,= 2.044 


3.175 
Crova: Q = (1-+ 9g s Qi —='Ri04T: 


n 
Queste osservazioni sono poco numerose e oltre a questo 
non sono simultanee nè possono rendersi comparabili mediante 
il confronto coi risultati ottenuti in una stazione fissa, perciò i 
valori della radiazione solare riferita allo zenit: 


01953 nella stazione di Taldik 
Q, = 2.045 % Kisil Art 


a rigore non possono impiegarsi per dedurne i coefficienti della 
formola che esprime la legge colla quale aumenta l’intensità 
della radiazione col crescere dell’altezza sul livello del mare, 
tanto più che un’altra determinazione fatta il giorno 21 Giugno 
ad Ak Baital, all’ altezza di m. 4650, diede un valore legger- 
mente più basso di quello ottenuto a Kisil Art, e si vide chia- 
ramente che la trasparenza dell’atmosfera era turbata da un 
fine pulviscolo. Tuttavia possiamo vedere che i valori della ra- 
diazione osservati al passaggio di Taldik e a Kisil Art diffe- 
riscono per poco da quelli che si ottengono con la formola: 


Q, = 1.824 + 1.268(1 — a. 
Infatti questa formola darebbe per la prima stazione: 
Q,= 2.078 invece di 1.958 
e per la seconda: 


Q, = 2.132 invece di 2.045. 


Atti dRAccad 


v YA LA 


d.Scienze di 


Fié.2 
la radiazione solare riferita allo zenit i 
sul livello del mare 
IRTRTE 
RE RERCTT CRT 
} 
b, 


AGAIN 


CIUnI 


INERTE 


ti 
Ì 


id #9 


BERN a le 


FASSA + 
tidtt+tit 


gp RIZZO - Calcolo della Costante Solare. 


Fig.1 


Blazione fra l'intensità della radiazione e l'altezza del sole sull’orizzonte 


(secondo le misure di Angstrom nell Isola di Tenerifià) 


2.0 


Intensità della radiazione solare riferita allo zenit 


6 
Pe794 ù 
a 2.0 3.0 40 5.0 È 
15 
Valori di € 
1A 
18 


LitSalnssolia 


Abrino 


0.1 


0.2 


Atti dRAccadd.Scienze di Torino- 102,38 


Fi 


so 


o 


e l'altitudine sul livello del mare 


0.3 


04 0.5 0.6 


Spessore atmosferico A-P: 700 


Relazione fra l'intensità della radiazione solare riferita allo zenit 


0.8 


0.9 


10 


EFISIO FERRERO — LE CONDIZIONI CLIMATICHE, ECC. 629 


Le condizioni climatiche di Torino durante l'anno 1902. 


Nota del Dott. EFISIO FERRERO. 


Il presente studio venne composto sui dati delle osserva- 
zioni fatte, come per lo addietro, alle ore 9, 15 e 21. I risultati 
di queste sono pubblicati nelle Osservazioni Meteorologiche edite 
negli “ Atti della R. Accademia delle Scienze , e si riferiscono 
sempre ad ore di tempo medio dell'Europa Centrale. 

Non si tenne qui conto delle osservazioni delle 7 e delle 12, 
che vengono trasmesse telegraficamente all'Ufficio Centrale di 
Meteorologia e Geodinamica di Roma, Amburgo, Budapest, Pa- 
rigi, Pietroburgo, Sofia, Trieste, Vienna e Zurigo, per il servizio 
dei presagi; come pure di quella delle ore 18 che fu introdotta 
a cominciare dal 15 Maggio di quest'anno. 

I valori normali dei diversi elementi meteorologici sono, 
come negli anni precedenti, quelli calcolati dal Dott. Rizzo nel 
suo “ Clima di Torino ,. 


Osservazioni generali. 


L’anno meteorologico testè trascorso incomincia con un 
mese bello per la quasi totale assenza di giorni piovosi e per 
la mitezza della temperatura, benchè il 1° Gennaio si sia os- 
servata la minima assoluta temperatura dell’anno. 

Non fu però così il mese seguente: umido, piovoso, carat- 
teristico per la pressione atmosferica di molto inferiore alla 
normale e per la quantità d’acqua caduta; notevole è l’abbon- 
dante ed eccezionale nevicata dei primi giorni. 

Il Marzo fu un mese asciutto -e quasi normale; mentre 
l’Aprile, pur mantenendosi nei principali elementi meteorologici 


630 EFISIO FERRERO 


poco discosto dai valori normali, fu anch'esso umido, ricco di. 
giornate piovose e d’acqua caduta. 

Nel mese di Maggio l’umidità relativa è di molto inferiore 
alla normale, e questa diminuzione si protrae decrescendo nei 
mesi successivi sino a raggiungere quel valore nel mese di 
Ottobre. In questo periodo i principali elementi meteorologici si 
mantennero di poco differenti dai corrispondenti normali. È però 
importante notare: le basse temperature nei primi di Maggio, 
e la frequenza dei venti forti del 3° quadrante ; la mitezza della 
temperatura in Giugno, quindi l’eccessive temperature di Luglio. 

Nel Novembre poi si riscontra: un periodo relativamente 
caldo dal 1° al 18, nel quale la temperatura conservò un valore 
superiore al normale; quindi un periodo piuttosto freddo dal 18 
al 28 che anticipò così l'inverno ; a questo si aggiungano fre- 
quenti, benchè non intense, nevicate; molta umidità e una lunga 
serie di giornate nebbiose. 

Il Dicembre invece si presentò sotto migliori auspicî: tem- 
peratura mite e talvolta primaverile; fu relativamente secco, con 
qualche nebbia eccezionale; è notevole in questo mese il mas- 
simo assoluto di 16.2 osservatosi il 18 Dicembre; esso è dovuto 
ad un vento caldo fortissimo di S e di W, che ha dominato in 
quel giorno e nel successivo. 

In complesso l’anno 1902 si presentò con buoni caratteri 
meteorologici. 


Temperatura. 


Per la misura della temperatura si è osservato il termo- 
metro centigrado asciutto del psicrometro posto sul terrazzo 
nord dell’Osservatorio. Nella tabella seguente sono esposte le 
temperature medie annuali, gli estremi termometrici osservati 
e le loro deviazioni dai rispettivi normali, nell'ultimo decennio, 
facendo notare che per Torino si hanno i seguenti valori medî 
normali, dove le medie delle minime e massime annuali si rife- 
riscono al periodo 1866-1902: da 


( media ‘anmudle'%) ‘0/0 è Pi 
media delle minime annuali — 8.8 
Î media delle massime annuali 32.5 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 *631 


eric Temp. mass. osserv. | Temperat. minima osserv.| Escursione 
fino : 13 annua 

m. |n Data | 

Tm (In-Tnl M | dell'osa| MM aell'ezttre. ica i eg > 
1893/12.3|+0.6/31.6/20 VIII|—0.9 dig 19I —6.2) 46.6 
1894/12,2/+-0.5/32.5] 3 VII|. 0.0/--10.2/15I —1.4| 42.7 
1895/11.8|-+-0.1|38.4| 9IX |4+-0,9|—13.019II |—42] 464 
1896/11.814+-0.1|34.2/11 VII |+1.7.— 7.5113I +1.3| 41.7 
1897|12.8/4-1.1|32.1) 2 VII (-—0.4/-— 5.928 XII |4-2.9| 38.0 
1898/12.6/+-0.9/31.8/21 VIII —0.7/— 3.8| 28 XII |4-5.0| 35.6 
1899!/12.5/+0.8!31.1/21 VII | —1.4/— 7.5)13 XII |+1.3! 38.6 
190012.5 +-0.8/33.1 17 VII |+0.6|— 5.1 1II |+38.7|) 382 
1901)11.2-—0.5/30.5/10 VII |—2.0.—10.4) 21, 22 II—1.6|] 40.9 
1902!11.5|—0.2/33.5|15 VII |4+-1.0|— 4.8|11I, 611|+4.0| 38.3 


L’anno 1902 e l’anno precedente sono notevoli per aver in- 
terrotta la lunga serie d’anni in cui la media annuale della 
temperatura si mantenne al disopra del valore normale. Nell’ul- 
timo decennio la massima temperatura assoluta annuale fu di 
‘34°.2 l'11 Luglio del 1896, mentre la minima fu di — 15°.0 il 
19 Gennaio 1893. 

Esaminando invece i massimi annui osservati a Torino nel 
periodo 1753-1902, troviamo come estremi i valori 389.1 il 
9 Agosto 1771 e 27°.0 il 14 Giugno 1824. In questo periodo, nel 
quale le osservazioni ebbero una interruzione di 4 anni, la mas- 
sima si formò 21 volte in Giugno, 86 in Luglio, 38 in Agosto 
e 1 volta in Settembre. In quanto ai minimi annui nello stesso 
periodo 1753-1902, gli estremi si verificarono il 3 Febbraio 1754 
con il valore — 17°.7 ed il 30 Gennaio 1756 con il valore — 39.1. 
La minima annua si formò S1 volta in Gennaio, 30 in Febbraio, 
2 in Marzo e 88 in Dicembre. 

Per la tabella seguente è necessario notare che per Torino 
i valori normali delle temperature nell’ Inverno, Primavera, 
Estate, Autunno sono rispettivamente: 1.6; 11.7; 21.6; 11.9 e 
le stagioni risultano così composte: 


i Dicembre Giugno 
Inverno $ Gennaio Estate ‘è Luglio 
| Febbraio Agosto 
\ Marzo Settembre 
Primavera | Aprile Autunno $ Ottobre 
Maggio | Novembre 


632 EFISIO FERRERO 


Temp. invernale | Temp.primaver.| Temp. estiva | Temp. autunn. 
Vas “media media media media 
Tm T*- Tia Pro TTT PP Te 
1893 | — 0.2| — 1.8| 13.4 141.7] 22.1/+ 0.5] 12.9/+1.0 
1894 \+1.2|—0.4| 128 |/+ 11) 22.7/14+11| 12.64 0.7 
1895 | —14|—3.0| 115 |— 0.2] 22.1]1+ 0.5! 14.0/4- 2.1 
1896 | +2.2|/4+ 0.6) 12.6 |+0.9| 210|—0.6| 12.0}4+ 0.1 
1897 |1+3.7]+2.1| 13.0 |+1.3| 22.8]+1.2] 11.5/|_0.4 
1898 |+3.0|+ 14 11.3 |—0.4| 21.5| —0.1| 14.3/4- 2.4 
1899 |-+4.2|-+2.6| 121|+04|21.9|-4+0.3|12.8]4-0,9 
19007) 4-26 40°. TI0: |—-20,7:/721,97 205 IS 
1901 |+0.9|[—0.7) 11.1) —0.6|22.11+-0.5| 11.4)— 0,5 
1902 | + 2.0|1+ 0.4) 11.4 |—0.3//21.31— 0.8| 11.2 n 0.7 


Veniamo ora, per mezzo della tabella I, a studiare più par- 
ticolarmente l’andamento della temperatura diurna, osservata in 
corrispondenza al suo rispettivo andamento normale. Il mese di 
Gennaio presenta un periodo continuato di deviazioni positive 
dal 2 al 21, al quale segue un periodo fino al 1° Marzo con pre- 
dominio rilevante di deviazione negativa. Quindi una serie di 
periodi alternati dal 1° Marzo al 28 Aprile, di cui i più notevoli 
sono quelli compresi fra il 27 Marzo e il 7 Aprile, dal 13 al 
22 Aprile a deviazioni positive. Notevolissimo, e per la durata, 
e per lo scostamento, è il periodo di deviazioni negative che co- 
minciò il 28 Aprile e terminò il 25 Maggio. In Giugno vi è da 
notare un periodo distinto di deviazioni negative dal 9 al 21; 
mentre i mesi di Luglio, Agosto, Settembre offrono periodi alter- 
nati di corta durata. Dal 23 Settembre al 10 Ottobre riscontrasi 
di nuovo un notevole periodo a deviazione positiva, seguito da 
altri due di minore estensione, uno positivo e l’altro negativo. 
In Novembre si distinguono due periodi: il primo a deviazioni 
positive dal 4 al 13, il secondo a deviazioni negative dal 16 al 29. 
E infine in Dicembre dal giorno 9 al 31 predomina, quasi total- 
mente, un periodo positivo. 

La tabella II ci dà le escursioni diurne osservate nel- 
l’anno 1902 e le loro differenze dall’escursione normale; in essa 
osserviamo: 263 deviazioni negative, 93 positive e 9 deviazioni 
nulle. La massima escursione diurna si ebbe il 18 Dicembre e 


IE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 633 


fu di 15°.4; la minima di 0°.7 si è formata l’1 e il 2 Febbraio e il 
23 Settembre. 


Media escursione della temperatura diurna nell'anno 1902 6.3 
Escursione normale della temperatura... . ... 7.5 


i gl TA TO pa ener alli ied ale ivrea gi e 


Pressione atmosferica. 
(L'unità adottata è il mm... 


Nella tabella seguente sono dati la media, gli estremi e 
l'escursione annua della pressione atmosferica dell’ ultimo de- 
cennio, nonchè la data nella quale si verificarono gli estremi. 


Massimo Data Minimo Data | 
Anno | Media osservato |dell’osser-| osservato |dell’osser- | HM -wm 
M vazione Mm vazione 


1893 | 737.49 753.22 ‘|'90' XII |:‘716.65 22 II | 36.07 
1894| 37.72 50.44 |26 XII 18.13 30 XII | 32.31 
1895| 36.06 51.74 2 XI 18.00 16 V| 33.74 


1896 | 37.40 54.74. {80 18.17 6 XII | 36.57 
1897| 37.08 53.64 .| 22 XI 10.15 23 I 43.49 
1898| 37.55 53.96 | 29 I 14.51 4 I | 39.45 
1899 ‘38.21 50.20 |20 X POLO 14 XII| 81.10 
1900|. 38.21 50.60 |10 HI 15.14 28 I 35.46 
1901| 36.73 51.982 |23.I 15.02 20 II | 36.30. 
1902) 37.04 53.20 |15.I 17.81 30 XII | 35.39 


Nell'ultimo decennio la massima pressione fu di mm. 754.74, 
osservata nel 1896; mentre la minima di 710.15 si ebbe nel- 
l’anno seguente. Dal 1787, anno in cui cominciarono regolar- 
mente le osservazioni sulla pressione atmosferica, al 1902, tro- 
viamo che la massima media annua fu di mm. 740,8 nel 1790, 
e la minima nel 1842 di mm. 735.1. Così pure nella serie degli 
estremi barometrici assoluti, in questo lungo periodo abbiamo 
un massimo di mm. 759.9, osservato il 16 Gennaio 1882, ed un 
minimo di mm. 709.4 il 19 Marzo 1797. Tenuto conto dell’interru- 
zione di un anno nel periodo 1787-1902 il massimo barometrico 
si riscontrò 40 volte in Gennaio, 21 in Febbraio, 16 in Marzo, 1 in 


634 EFISIO FERRERO 


Aprile, 2 in Settembre, 6 in Ottobre, 10 in Novembre, 19 in Di- 
cembre; e nello stesso periodo senza alcuna interruzione, il mi- 
nimo assoluto dell’anno si formò 25 volte in Gennaio, 23 in Feb- 
braio, 19 in Marzo, 5 in Aprile, 1 in Maggio, 1 in Settembre, 6 in 
Ottobre, 9 in Novembre, 27 in Dicembre. 

Analogamente a quello che si è fatto per la temperatura 
esaminiamo ora particolarmente la tabella III che ci dà le devia- 
zioni giornaliere delle medie pressioni barometriche dai corri- 
spondenti valori normali. In essa osserviamo che la massima 
deviazione è di 12.12 il 24 Dicembre; e il 30 dello stesso mese 
sì nota anche la minima di — 18.05. 

Il Gennaio è distinto per un periodo, dal 6 al 24, in cui la 
pressione si mantiene costantemente e notevolmente superiore 
alla normale; a questo periodo di alta pressione corrisponde in 
generale un periodo di belle giornate. Nei mesi seguenti di note- 
vole non abbiamo che le forti depressioni dal 1° al 19 Febbraio, 
con giornate coperte, abbondanti nevicate e pioggie; dall’8 al 20 
Maggio e dal 6 al 21 Giugno, alle quali corrisposero in generale 
brutte giornate. In Novembre invece riscontriamo un lungo pe- 
riodo di deviazioni positive dal 1° al 24, accompagnato da gior- 
nate umide e miste. Delle variazioni repentine, le più notevoli 
sono tra il 24 e il 25 Gennaio, in cui il barometro si abbassò di 
mm. 13.70; e quella dal 29 al 30 Dicembre, in cui discese di 
mm. 11.09: tanto l’una che l’altra furono, si può dire, l’estin- 
zione di una .serie di belle giornate e ci portarono rispettiva- 
mente la prima e l’ultima neve dell’anno. 


Direzione e forza del vento. 


I numeri che rappresentano la frequenza dei venti durante 
l’anno 1902 sono rappresentati nella prima tabella della pagina 
seguente. 

Riducendo ai quattro venti principali le cifre relative al- 
l’intero anno, ed instituendo le proporzioni per 1000 avremo: 


N E S W Totale 
376 197 271 156 _ 1000 


in cui è evidente il predominio del N, cui segue il S. 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 6835 


Numero delle volte è 
in cui fu osservato il vento da = 
Mesi E 

N |\NE| E SE S SW|,W\|\NW 
Gennaio . . . BROS: Mo 3° | 3970502) La 
Febbraio. . . 8| 4 2 € |\(1B) 28 4 Di ||-A2Z 
Marzo. .C.13910 7 4 | 10) 19 6 8| 16 
Aprile. . . .| 20/15 | 13 1 8 ld 2 4| 22 
Maggio . . .| 16| 18 | 17 2. do 58 | 13 4 5 
filari 20.0.) 20070110. SCSI 8 | E B (016 
iunotio.O L0..0.0 d.@67.090/0 (61. + 9 010.6. B' (182 
Agosto . . .| 44| 8 2 6 dD| — 2 5| 21 
Settembre . .| 36| 18 5 4 Zil&1 2 6| 21 
sertabrei 0 lL 12/_6 8 i RIA CO dI 5 PAR 
Novembre . . OT" 3 ghi ri L:39 baoailea i op ig a. 
Dicembre . .| 12| 5 4 3) 16| 4|10|— | 39 
Anno 213 | 114.181.129... (1152.1.185.4,,00 1; 40.1.3239 


Riaggruppando nei quattro quadranti dominanti, se ne de- 
duce la prevalenza dei venti del 1° quadrante, a cui seguono 
quelli del 3°. 
1° Q. (N-E)  2°Q.(E-S) 3°Q.(S-W) 4°Q.(W-N) Totale 

337 189 246 228 1000 

Nella tabella che segue sono esposti i venti predominanti 
negli ultimi 10 anni. 


Numero delle volte in cui fu osservato il vento da 
Anno ——_—TFT€€___——€@—@.._________—T€m________6mwwwsw. ___ 


Calma 


1898 | 117 | 238| 71) 21|124|150) 65) 30|279 
1894 | 117 | 304| 66) 24|105| 156) 51) 81241 
1895 | 101| 239) 89) 31|106| 174) 89) 19) 247 
1896 | 229 | 191| 50| 21) 244|113]| 60| 42148 
1897 | 197 | 227) 92| 27|165| 98) 65) 40|184 
1898 | 146 | 141 | 114) 14|111| 77 | 106 10) 376 
1899 | 114 | 127) 84| 14|119|123]| 95| 24| 395 
1900 | 66| 76|103| 23) 87) 86| 53| 21580 
1901 | 173 | 26 325 
1902 | 213 | 114 | 181.|,29.|.152.|.85 |.58.| 40 |:323 


fi 
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UU! 
90 
00 
LAS) 
(ri 
eri 
Dì 
00 
“JJ 
Pa 
=J 
ve 
(de) 
2 


636 EFISIO FERRERO 


Si vede quindi che a Torino i venti dominanti sono quelli 
di N e NE, S e SW, cioè del primo e del terzo quadrante. 

La forza del vento si apprezza a stima nella scala da 0 a 4, 
e per l’anno 1902 essa è indicata nella tabella seguente: 


-2 3 o © 5 So E ba S 

Ore TELL CE | vat (e ST, S.. 8 lega 
cele Elle PI al |. 5 Mae 
SGl&lsl<«<|S3|/S5/a|l<|è|o|2/Bhg 

9 |0.9/1.0|1.1|1.0|1.6|1.1|0.8|1.0|0.8 |0.5./0.4 0.6 0.9 
15 |1.3[1.3|1.7|1.5/2.0|1.61.3|1.10.9|0.7.(0.6 |0.8|1:2 
21 |1.1|1.0|1.0|0.8|1.3|1.0]0.6 0.7 | 0.6 [0.5./0.3 (0.9:|.0.8 
Media |1.1|1.1|1.3|1.1|1.6 11.2|0.9|0.9 10.8 0.6 10.4 0,8 | 1.0 


La forza media del vento ha una massima principale nel 
mese di Maggio, ed un secondo massimo nel Marzo; un minimo 
notevole in Novembre ed un secondo in Aprile. Nel 1902 il mese 
nel quale il vento ha soffiato con più forza fu dunque il mese 
di Maggio, nel qual mese, e precisamente il 18, soffid per tutto 
il giorno un vento violentissimo di W che produsse parecchi 
danni ai fabbricati e alle persone. 

Indico qui il significato di ciascuna delle cifre della scala 
suddetta e della velocità oraria approssimativa del vento, espressa 
in chilometri, corrispondente a ciascuna di esse cifre. 


Notazione Velocità Km. per ora 
0 calma Dad ala 
1 debole i Reni: Pre 
2 moderato sx 9 748 
5 forte - 181-530 
4 fortissimo » 30 e più. 


La media velocità oraria del vento nell’anno, desunta dal- 
l’Anemografo negli ultimi 4 anni, è per Torino di Km. 4.41. 


Tensione del Vapor acqueo ed Umidità relativa. 


Per il 1902, la tensione media del vapore acqueo T7=7.5, è di 
— 0.6 differente dalla rispettiva normale 7,; l'umidità rela- 
tiva U, paragonata colla normale annua U,, dà U—-U,=— 3. 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 637 


Tensione del vapore Umidità relativa 
Anno d- La | __|U—- Un 

Massima | Minima Media Massima | Minima | Media 
1893 |.17.9 | 1.4 82 |+0.1 98 17 68 —s 
1894 16.8) 1.2 7.8.) — 0,3]. 100 10 70 — 1 
#95 [10.7] LI 8.0 | — 0.1] 100 11 72 +1 
1896| 18.3 | 0.8 Si U.0sllo CEOD en 74 + 3 
1897| 18.6 | 1.8 8.3 | + 0.2] 100 15 69 — 2 
1898 | 16.9 | 1.2 8.3 | + 0.2 99 10 69 — 2 
1899| 17.6.) 1.3 | 7.9 | — 0.2) 100 LI 67 — 4 
1900 | 17.0 | 13 8.2 | + 0.1] 100 12 69 — 2 
ROOR| 49 1.2 7.9 | — 0.2] 100 11 74 +3 
902 SIA 1.7 7.5 | — 0.6] 100 5) 68 — 3 


La tensione del vapore è espressa in millimetri; l’umidità 
relativa in gradi centesimali, ossia in centesimi di saturazione. 
In generale l’anno 1902 fu abbastanza asciutto. 


Stato dell’atmosfera, precipitazioni d’ogni forma, 
fenomeni meteorici diversi. 


La nebulosità del cielo si apprezza in decimi di cielo co- 
perto. O rappresenta un cielo senza nubi, 10 un cielo comple- 
tamente coperto. Il quadro seguente dà i dati relativi allo stato 
di nebulosità osservato nelle varie ore, per i diversi mesi del- 


l’anno. 

® Duiluol| I 

O = s | le) ° a D 2 5 | 
dio EE e E a 
osservazione | &| 2 | &| &| #| s| | & È | 8, 6 «9 |.E 
CR i fi AA i I e e 
9. 4.6| 7.5) 4.6|/7.5| 4.2) 4.8] 3.5) 4.9 5.1| 5.9 7.6|5.615.5 
15. | 4.3) 6.5 3.5| 6.5] 4.6| 4.8| 2.6| 4.1|4.6| 5.5| 6.6| 4.4|4.9 
21 4.1) 6.4) 2,5] 7.0| 4.9 4.2 3.1| 4.3) 3.7| 4.5| 6.3| 4.7|4.6 
Media |43/6.83.5)7.0 4.646 3.1| 4.4 4.5/5.3 6.8 495.0 


Se consideriamo come giorni sereni quei giorni in cui la 
somma dei decimi della nebulosità ottenuta dalle tre osserva- 


638 EFISIO FERRERO 


zioni non sorpassa il numero 3, misti quelli nei quali detta 
somma varia da 4 a 26, coperti se la somma è di 27 a 30, otter- 
remo per l’anno 1902 la tabella seguente. In questa è pure ripor- 
tata la quantità d’acqua espressa in millimetri caduta all’al- 
tezza dell’Osservatorio sotto forma di pioggia e di neve, come 
pure il numero dei giorni nei quali avvennero questi fenomeni, 
nonchè il numero dei giorni con fenomeni meteorici diversi. 


Giorni Precipitazioni in mm. | SO | Giorni con 
ar ‘RE ® i .8 S| ® 
mesi |'83|S8| | S| 81 s | wie BS S| a 
s°lsslal Sugli AS | SaS 
D è Z o E = fu È in A 
Gennaio 9 Vol ri barste/1.7R1 di Fira A 
Febbraio 4 | 12 \_12/1445/40.3) 16 8| 6—|—{17| 2| 1 
Marzo 11 bi 15| 12.6 103) 22 ol, —| II-| 9 
Aprile 213 | 15]|120.4| 29.8] 24 | 19—| 2/—|3|—|—- 
Maggio 6 4| 21| 77.0/35.8| 9 | 15|--| s|1| 1.—|= 
Giugno "{ 6| 17] 77.6/20.2) 5 | 14/—-| 9[1| 1-4 
Luglio 11 Slo LISEIZIAR AO 8—| 5|11[—-|=|— 
A gosto 6 4 21) 60.3)875/| 3 | 11|-| 4—-|—|—|— 
Settembre 5 6 |..19 54.0 24.8) 30 8|—| 2-—| 1_-|— 
Ottobre 4 6 | 21| 87.4/26.4| 11 | 10.) 38|| 7i--|— 
Novembre, 3 | 15.) 12] 42.7|13.3]_ 7 6| 51 —|—|16| 4| — 
Dicembre | 7 9.| 15] 17.4) 5.930 7 5-—|—|10| 6|— 
Anno 75 | 89 |201]|797:9 71.731 I|112|19/29/3 |73|23| 1 


Rilevante è il numero dei giorni con nebbia, specialmente 
nei mesi di Febbraio e Novembre. Sono da rilevarsi, per la loro 
intensità, alcune nebbie di Gennaio e Dicembre e più ancora 
quelle di Novembre. 

La massima quantità d’acqua caduta si ebbe in Febbraio, 
mentre la massima giornaliera fu il 31 Gennaio. Le maggiori 
nevicate dell’anno furono quelle degli ultimi due giorni di Gen- 
naio e dei primi di Febbraio. Incominciò a nevicare nel pome- 
riggio del giorno 30 Gennaio e continuò, quasi senza interru- 
zione, sino all’ indomani alle ore 18; quindi si ebbe un po’ di 
pioggia, ma nella notte riprese a nevicare e continuò fino al 
pomeriggio del giorno 2 Febbraio. 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 639 


Misurata la neve in altezza si ebbero i seguenti valori: 


31 Gennaio ore 20... . . . cm. 36 
Pea RA ORO Sl RTRT 1 


Bisogna notare però che l’altezza misurata il 31 Gennaio 
è certamente minore di un terzo di quella che si sarebbe otte- 
nuta alle 18 ore, prima cioè che incominciasse la pioggia. 

In quest’ultima tabella ho confrontato i dati relativi allo 
stato del cielo, precipitazioni e fenomeni diversi del 1902 con 
quelli degli ultimi 10 anni. 


Stato del Cielo Fenomeni diversi Re i a 
kg OA Precipi n 7 
Giorni Giorni con ecipitazioni in mm 
e rt __nt——__ — T_T.  _T__ gen ____ 
A - a a S Sla 
nno|-2| 2 : : «SHI:9 
S| | | ‘&l2|ws| S|S/S/S . 
5 SS do = E Di S|-2|vg| Totale [Massimo Data 
(©) bri è 
DI DB L e i È cale 


1393/93) 641208) 86| 8| 92/17 
1394/94 66/205) 84/14| 97/12 
1895/89] 64/212) 83/17| 9512 
1396/78) 85/203/120| 9|128/23 
1897(90) 82/193/100| 7107/18 
1898/98/101|166/123| 4|123/25 
1399/92) 83/190) 87|11| 98|15 
190073] 89/203/121| 6|126|24 
1901/65) 92/208/119)17/127]37 
1902/75] 89/201/113|19|125/29 


11/18| 858.1| 72.0) 11 VII 
31/17 493.3| 29.3] 23 IV 
1412) 778.9] 48.7] 12 HI 
21|19|1170.6.| 101.8| 20 VII 
1010/1000.9|  88.5| 27 IV 
15/1088.8| 60.8 7 II 
88/20| 612.3) 60.9) 24 V 
38/33) 959.9| 60.9] 14 V 
46|37/1482.8| 83.1) 24 IX 
73128] 797.91. 71.7]. 21 I 


VUIAaWNDE-HHnH | 
DI 
Db 


Benchè i giorni di pioggia e di neve siano stati in quest'anno 
abbastanza numerosi, pur tuttavia la precipitazione totale fu di 
molto inferiore a quella dell’anno precedente, anno eccezionale 
per la quantità grandissima d'acqua caduta; e difatti nel lungo 
periodo dal 1803 in poi, una volta sola nel 1810, la precipita- 
zione totale raggiunse un valore (mm. 1497.2) un po’ superiore 
a quello dell’anno scorso. 

Nel 1902 i temporali furono abbastanza frequenti; il loro 
numero fu di 34 circa, i più notevoli distribuiti in 29 giorni, 
ma in generale di poca intensità. 

La tabella VI riassume le osservazioni meteorologiche fatte 
nelle stazioni Termo-Udometriche che trasmettono le loro osser- 
vazioni all'Osservatorio di Torino. 


640 EFISIO FERRERO 


RIASSUNTO delle Osservazioni fatte nell'a 


Pressione atmosferica Temperatura 
| M MEDIA DELLE MASSIME || MEDIA DELLE MI 
! DA EDIA GIORNALIERE \ GIORNALIERE 
MESI i US La 
S 1902 s ® | $ ®© | 108 
5 | & | vs refiine lla"LI F 
Zi A 8 |1902)/& II E 11902) 5 
ess L=| 
Z VR E LA 


| 


I I I 
| Gennaio. {739.78 741.77 |4+1.99] 0.4|"13'4t0.9]| 3.6! 41/405! 


| Febbraio. | 38.57| 3449|-408| s1| 19-12 67 -41|-26 


| Marzo. . | 85.26] 85.14|--0.12] 7.8] 79 +06||114) 12.1|+0.7 


| Aprile. . | 34.85! 85.73|41.38|11.7| 12.7 +10! 16.1! 159|-—02 


| Maggio . | 85.96) 3460 —1.86|16.2| 13.7 —25| 205 17.5|-30 
| Giugno . | 86.74! 35.37|—1.37|20.3| 190 —13||24.7: 22.6|-21 


Luglio. . | 36.68 | 37.26 +-0.58|22.6| 23.6/+1.0| 27.3 27.6|4+0.8 


Agosto. . | 37.15 | 36.86 |—0.29 | 21.9 


21.3 /—0.6| 25.4, 249-055 
Settembre | 37.85 | 38.52 |4-0.67 |18.0| 17.7|—-0.3| 22.1 21.4|—-0.7 
‘| Ottobre . | 37.73| 37.23|_0.50]120| 115/—-0.5|| 15.7! 145|—12 


| | 
Novembre { 37.08 | 38.70 -+1.62| 5.7) 45 —1.2| 9.0: 6.8|—2.2 


(0) 


| È | 
| Dicembre | 38,01| 38.82 (4-0.81| 1.2 2.8 +16] 42) 5.5/+18 


Anno . . 1737.09 |737.04 | —-0.05 { 11.7 | 11.5 ‘_0.2|| 15.6| 148|—08 


| | 
| | 


I valori normali sono ridotti tenendo conto che le osservazioni sono fatte in ore di 


. _3 
Valori est 


Pressione atmosferica Temperatura | 


i 
Massimi 753.20 il 15 gennaio 33.5 il 15 luglio i 
Minimi 717.81 il 30 dicembre —4.8 il 1° gennaio, 6 febbre 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 641 


e confronto coi valori normali. 


sione del vapore Umidità relativa Precipitazioni in mm. Giorni con pioggia 
O NEVE 
Ss a ee “ID OE | g | MESI 
1902 | 3 |1902| £ È i TUTI = 
el il ab È 
|A zz, A 2 fan) Zi A 


7| 42\+05] 88) 79] —4| 48] 769)-+381| 7] 3|-4| Gennaio 
8| 46/408] 77 84] +7] 297] 144541148] 5| 12 +7] Febbraio 
9 


maltLofp-eo || ci. 8 | 620.) 106) —dolel-8 | 5ii3| Mato 


82/411] 661 72) +6|1221]|1204| —1,7] 12) 19/,+7]| Aprile 
64|—33] 66) 53 |-18|1088 770 -318/13| 15 +2 | Maggio 
| 94|-23f 641 561 —8| 795/776. —19| 10 1444 | Giugno 


1 

7 

7 

5| 11.9 —0.6 61 52 | —9 | 58.5 27.1. —31.4| $ 8 0 | Luglio 
6| 120 —0.6 64 | 60. —4 68.3 603 —8.0 8° 11 | +3 | Agosto 
0 


68.5 AO SEISIE8 8 0 | Settembre 


Di 

3 
| 
(vel 


10.7 0.8] 70° 
6| 79 —o7f 75) 75 ol 836| s74 +38l10 10) 0]| Ottobre 


5| 5.8.—0.7|] 78) 86 | +8 | 69.1 42.7. —26.4| 9 11 | +2 | Novembre 
dl 43/06] 83) 76 i —7| 418 174 —244f 7 9 | +2 | Dicembre 


di 7.5 —0.6] 71 68 | —3 | 835.7 | 797.9. —37.8/105 | 125 |+-20 | Anno 


| 


dell'Europa centrale, e non di tempo locale. 
ervati. 
Tensione del vapore Umidità relativa Pioggia in mm. 
97.7 18 e 27 luglio 100 il 18 novembre 71.7 il 81 gennaio Massimi 


1.7 V'11 luglio 5 l’11 luglio _ Minimi 


EFISIO FERRERO 


642 


TapeLa I. — Deviazione della media temperatura diurna 


dalla normale 


Le differenze T — Tn so 


Lib SSIS NC Orrori 


ae I] EI al el 1E+-EH +44 


lan en 0 cm Mm ano wr 029 + 0 #0 #99 MIMO RNINNL 


n Ae o. 0: 


eiiiiinndiizinidrtiogozz dt cc ass cicà 


es al E 8 #1 Fat el RE AAT 


Nan aqosadisosqoncs+shannonzstoosqenaun 
Qqektdeosgdaacscadiaictcingiettirtcaccdtilii TTI 


PA ALA IH++H++H+++ ++ 11444111 


CI <Hi cf) 10 MW DIVI IH 00M 00 + MMM FOONLLA 


S ll ga eef cei Sen SH#qaSs scs reiscaidqdciiscscrcrmneéon 

= [P44++ 11 A+++++1 1+4+4++1 1441 At44+ 

3 Hiaoaosornmnw cm ann Ho + 0nImMmmMmNAIONnO 

È fece and Sf go na ge eo e SA 

: IeRaeReS A 0 eee 

R=: MINO GONO HOOHINOTONIAIAG9MO MINOLI 

S Sci ocicirni n DD IS SIIT AHNHOoOHOoOHOoOSO 

si 

3 DH++++++++H+++ ++4H++++ 11 IALIA] 
IULIOT) | Ham dnonodortcdio dinonopnoTdInzH non LDLH 
OPE iii Hi TINI 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 643 


icolata sulle osservazioni di 9°-21°, massima e minima, 


ciascun giorno. 


resse in gradi centigradi. 


tanti min +vMeon DOHA den HIMSHIONODOr 
STO) HIEIFHTHAINT AF QININIATIAIA Mn 
pe d = 
È SEATTLE TITATHTNNONMEIRONILAMT 
E anne rssssgseiciicsrfsngsassdsaszicagscsarzoci 
v 
| FELL ELI AAA 1444444 
È SII E AMO GIWUIN FRA THA VIII 09 0 MI HAN 
| Rn A ISO Aa : 
D ba 
++ HHAHHH+H+H++I+FFEEEPERIEPEEI+ {E 
È 7 
{È 
® To somnonqaqonnorogornidtnaoaonaoanononzirn a 
= cinbrdodicra aa E E. = 
È (EEEEREFEPIFH+++H++IPERELE 1444 Ji 
È 
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i STRIFZIANITZISCFINNTOILIOIMFANAIGA K: 
E iii ai ie SS $ 
È | iter RI ci 
N 
È 
IS 
2 RON MIA a LAN MMI ARIANITIN a 
5 SFr rocsaghetnarococsracdcscocssrHaizoso &S 
< IMPRESA A A+A 
.2 TnonntaNOonn AMO #00 IVIVIIVIIVIMION 
"Bò dune cicnzidrccirciciciaci ico rdrzcoo 
ld pe PR Peer pra) | MOR: L 


EFISIO FERRERO 


644 


TapeLLa II. — Escursione diurna della temperatura 


osservata (E), e deviazione dall’escursione nor- 


male (E,). 


Le differenze E-En sono espresse in gradi centigradi. 


Marzo 


E-En 


Tara ei gg TATE RE ee e e en a ee 


pri ri arnie prim 


0 argo +M MO IIMNINOHO On HOSONNOONONT 


tin nooninnSsnscinos ssi ima 
= Mara 


AMMETTERE noRTA RO 
CjEINESELELNEELNELEEEEEESECCESNECEEscEEcEEEEErosoen 


Febbraio 


DONNINO NONINnITTOAIRAS MEO 
OSTIA Hg diddl drm mo 


e ali a pece pi pi i pe N i a 5 5 


7.81 02 


LR A, 


e Sf am 00 ia MNT Ya I 009 CI 00 II II 
Seniga da MOI A #40 MIAMI 


OE Sd vi mera e een 0 TI 


4.0 


Gennaio 


E-En 


ONTHONNAANAaArnaudtonnqonaonmrnstonsonawn 
virare ne n Ra 


+ 94] AIA PASAAFPIAIAFAA AA 


21019. .B47 


-LERLA SENSE e pre peg pie 


4.9 


En 


GIMME OHHAAAIAI 
aiar ooo o 


TUIOtE) 


eee e II GIN À<la0o Or DO DON eo dae 
ee eee eee GI GI GI COM 


gdr rd ri GIGI GS 


2a 
sh 


Media| 5.8 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO: DURANTE L'ANNO 1902 645 


Segue TABELLA II. 


E-En 


MONHINOBITICHAHNAFTNASCMNATANATA 


si Haebtbbttet+£+ +e 


O mn 90 dini HH + O 0 ar n I aaa 0 


oo tornio iii scimoncsignao so 
— 


— 14 


7.6 


an DI DI DHMIHIHIKRHKHKNIAIAIANAAINAINA 
vii iii iii ciccione iiia aida 


PAPA, e Pi e ea Via, 


Cr er peri 


NL a e a a e HH R ERA 


Maggio 


snnIvVaditnoconmnanitovoonoonsonaano 


Suddivisioni nonsrosoéoson 
ri veleni 


—.0,7.9,0 


7.9 


CIRIE 


00 00 00 00 00 dd 00 00 ad 00 d0 00 d0 00 00 00 vv dd ad dd dd vd dd ad ad ad dd dd dd 0 dv 


E-En 


Aprile 


Cei, et CI CTOE #1 le 


IIS doi dda dibhdétaosaicscibisascdicairziono 


TRANS TSETA Hai 


NOA F+FMINMNDONnNLONnHOIO4#DLHOMMNIN ARI 
ii cinnmidoiogledtdgadaonaigrnatsddgadnocigiodardiiidier 


2.3| 8.6, 


5.8 


RO IIISIIIIIIAHMTHEHHANAAA II INI MMI NM 
PE 0 PI 9. 00 00 OR 0 105 MII 09-00: 00: 0019: 00-00: 00:09:00 


sm I CO tino O > 00 DO GI cv Hlav o 


[D> 
QI pl SAR gf 


Media 8.1 


EFISIO FERRERO 


646 


Segue TageLna II. 


Settembre 


Agosto 


E-En 


19 0 SM NI HH NQOLQL-e << no NSODIMMPOML-O 


pe ta i ida ia 


FATA HAHA A+APAT-H AAA AAHAA4A4A 


E 


En 


oa rn ida22 NIH QLLROILIDTLoL Dunn #00 # 
cionci dedi davi door niro ci 


MIO DO DIRI --r-r-r 9 Oda VIA A 
0 00 dd dd 00 dd DDNLNNSNESNLKLELLEEFKLELKKKE 


SSA RISRE ARI ISE TE PS TPE OO 


PR Teetr +41 HAAS RAS 


diri #00 © AI AA 00 #00 10 #00 tFnanNOON 


biennio ocoainonaonogoigoninte 


| 


Mo DO I 00.00.00 0000. pr (O DO O aa Fd 
DÌ) Dì i ci ci 00 cd 00 dd 00 ad 00 vd 00 ad 00 dd 00 dv 0 dd ad vd 0 dd dv vd dvd ud 


L| 


v- | 
d | 


Luglio 


E E-En 


ISTRIA DRITTE 


ARRESE TA ASSAI ARIIRR 


> 


S | 


i 
| 


29 74.001 <I GI SOI 00 00 <i 69109 S M 00.10 ai AIM OH 


SH iiaciaotirinnocibtioirnoagdoirnsainoo 
_—| — 


En 


TUTOTE) 


GIGI AIA AI MIA IVI MII I NI 


29 | 
00 | 


GI 
DITE ITIiI TI III IUII0 cì Sì 
;[—®) 
GI 


ealkea Sealk nare Reale aan ra 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 647 


Segue TaseLLA II. 


Dicembre 


E-En 


ie dette e di Ww ] 


TPPECIETTI TIE -LeGELoe 


— 048 


E 


En 


OHO0W0OTSt4TN DOISNONnHTON GROMMONMNATM 
CECI RIN E IE SS i ii 


4.6 


29 VIVAI dd di td 9 ddu did daddi i dii 
aaa ara ra YYY 


Novembre 


= O 0INaN MF MH QI MIL II 00 0 NY © Na 
incsrns sere E Re EEMECRELZRi: 


eg svi tr FSB EECESRERCEELCE 


2.0 | 5.4 


MIO DIN Dn +0 MOMNnMnad IA MnIaL IH da 
ENCISIHOTRIT FARAI AAMIAA 


FOTI HH AH DLPLLQONnnERnRQOQSLSG9 
e e e e ee e eee dirla 


Ottobre 


CO ri cm I co O CO M A I 00 Td 00 0 00 GT 00 MII IAN IMITA 
TOTRRSS ss Enea ESSER 


(RSS SE Sete Te Rie PR 


Pr ——_—_ | _— P——____s—_______ .— —°Ct10_TPT.-- 
E-En 


poneoesn-s6ALTBNANTONnHAHNFHGINnNNOMNHKHKNA2nNA 
riioonirnididibliitrriiindrioaontoidrghto+0eMedon 


— 1.5] 6.0 | 4.0 


-jt< fio bi bibi > bi de dote br ar ho 9 19 19 o ee ee ee 


ci a <i 


mado DL DON GINnAMONnIOOA ai ian din On DODO 
irradia GI GIGI GI GI GIGI GI GIM Mm 


Media| 6.9 | 5.4 


648 EFISIO FERRERO 


TapELLA III. — Deviazione della media pressione atmosfer 
dalla normale 


Le differenze P— Pn s 


È I 
© Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugn 
o, 
1 + 4.56 9.60.36 — 4.17 — 0.15| —494| +24 
2 LA. 4.20 Ed. + 0.26 + 0.74| —347| +24 
3 LO 4.76 — 1.69 + 0.86 +.1.93 | (E 4240: 
4 + 3.33 — 5.72 LIMP + 1.01 — 119 | +2. 
5 — 0.90 — 1.27 + 3.86 + 0.95 | —1.384| +0. 
6 6.03 2.05 + 6.15 — 0.54| +0.81 — 94 
7 + 6.42 CO56 4029 20,1} + 1.12 — 6. 
8| +10.27 | — 10.70 — 6.92 + 5.04 | — 8.04) — IN 
9 + 8.92 | — 10.08 — 9.22 + 5.18| — 8.01 — 604 
10 + 6.71 | — 10.61 — 6.33 + 5.84 | — 5.68 | — Gi 
11 + 3.75 — 6.02 — 0.84 3,52 | = 20570 (— lg 
129) -+453 |. —3.80| — 0.54| +2.03| —3.16 | il 
13 + 2.74 —- 9.92 + 5.70 — 0.34 | — 3.91 — i 
14 + 3.55 — 9.75) + 11.08 — 0.65.) =5.14| (Sd 
15 | + 11.63 — 7.80 + 7.56 — 0.69| — 38.09) —4 
16 + 5.05 2 .6.70 + 1.90 — 123 — 0.04| —4 
17 + 2.26 — 4.49 + 2.77 + 1.28 — 4.07 — 2 
18 + 2.35 — 3.68 + 5.79 |- 3.27 | —8.88|) —2 
19 + 5.67 —£.k,92 + 4.49 — 6.00 | — IO.71 — 3! 
20 + 7.50 + 2.32 + 1.78 +747| —5.28| — 4i 
21 + 5.07 + 3.39 IO + 5.91 +1.43|] —L 
22 + 6.13 + 3.82 +3/6.95 + 1.24 + 3.41 +3. 
23 + 4.63 + 2.82 221018 + 1.20 + 2.52] +3 
24 + 1.18 2320 — 413) +4.46 + 649 | +0 
25) += 12.51 — 6.66 CAL89 + 3.17 + 4.88 | —0 
26 — 9.00 Am06 + 0.36 13.17 + 3.12 +3 
27 -26.95 —} 3.92 + 1.75 — 4.91 + 2.42 + 6 
28 —-7.25 +S#.98 — 1.24 — 2.12 + 2.21 +7 
29 — 7.65 — 0.13 — 8.12] +2.74| + 
30 — 2.49 — 5.20 — 1.56 | +2.95| +2 
31 + 0.69 — 3.29 + 2.06 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 649 


resse in millimetri. 


Agosto 


0.82 
£::8.67 
+ 0.63 
+ 1.25 
+ 2.55 
+ 1.05 
— 1.50 
— 2.20 
— 0.02 
— 4.86 
— 2.68 
+-0.50 
— 1.27 


+ 1.86 
— 0.79 
+ 1.26 
+ 1,52 
+ 2.85 
- 0.23 


+ 2.15 


|+ 0.41 
— 1.50 


— 0.17 


— 0.53 
—.2.28 | 


+.2,39 | 


+.0.09 | 


+2,84 | 


£198 
+ 1.00 | 


+.0.79 | 


Settembre 


+++ 1+++++ 
A RAR: oa 
uPnoosopnDOSODSY 
PNAaPDONDDIH 


5 
n 
Sì 


— 0.05 


I 
90 
<J 


| V+++++++++ 
SONE NRO DAI 


DO 0 Woo ZUJIlRO 
19 HS © da CI Ut i = cò 00 DI 


Ottobre 


Novembre 


Dicembre 


n P calcolata sulle osservazioni di 9°, 15°, 21°, 
ciascun giorno. 


Giorni 


| +++44+4++4+++++++++++++++++ 
DWVWI TO Hp NDONJDARWHONHNWoODUH 
aio vwWo stona wWvioroonwiianiao 
VIVRPPONHA GIOIE JIJNTOROHNDOOO 


— 0.04 


Do 0 LOD UV 0 


EFISIO FERRERO 


650 


— Deviazione della med 


Taserca IV. 


dalla rispettiva norma: 


Le differenze Tn— 7 sol 


TOSO LEE O OE OE AR RT TOR TS 


pot e e apt drei dio 15414 ho EA Es Pt 


DO NMNNnINOINN TIMO + dI MONA 


ci cis gia gici ici ima cionNardridvrvidairoaoracs 


Rec Si RE SR] 


MIRI MAVIATNETOIALIHANLA ALI THVONATWO 
miriade ninfee de dtd pra anta zietede iddate te 


444444 AA AHH++AAAA++HH+4H44+ 111 


Marzo 


TISANA MINA NOHOINILTANLIFINMITT 
sirf O O SO DS SO __ TO SII Sori a SD SO o DO NONNO 


SPA EI STARETE LASA 


Febbraio 


Gennaio 


mono) 


DINnNHNONRHOMMNITISLIRMNOPOOnHTtTPoNmMIHtnN 
ilbrbellilobilioecreo risdcerdoeocrzae 


+4++1 ++4+++4++++4++444+444+ +4+4++ 


SISSI t i ict le clst 


DO+H++ 4444 ++ +++ HH HHH44+++ 1 1444+ 


mi GI O <iauò Ob DODO GIN EMO ES 
ia (ap) 


23 
24 


Ne) 
dI 


26 


Pc 
dI 


2) 


ri I e br] 
NINNI cp 


FICETOO Ham dnonoogoordozsdnonowoo e 
TULLOTO) e e e 


Il ISSIIIIISIISSSST i iiiisccrtco 


PITTI RR 


Dicembre 


-onogoio eo noOoLO GI Id 990 vr dn II 
SOSFPRELERPPEETT PERITI RARE 


e RE ia 


Novembre 


DONLlRNANAITHTI_-TAaNNNNnNIND Dì +0 dI ONT 


SD xo sod ce. 


ice rire ie ie Re 


CROCI IT I 


Ottobre 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 651 


msione quotidiana T, del vapor acqueo 
di ciascun giorno. 


ì 


presse in millimetri. 


TTT NAaNONFTTO NONNI 
ri IGI MmMmoOoD DD DS GM DPI SOMMO NIN NMII 


A PURI ERI e SO dI ga GO Sg E PZA TRA PRA 


Settembre 


QUIOnNO NNO TrHniISINro+n-norINFS NANO 
TRALSEZEIPLATAIPERTEE PLIoE 


[FI+TF4+4+1 IV TT T++++1 [14 14++++ 


Agosto 


HO H NH LD +10 Dr <d0 SO 7 DO ADMUOSNINnOaIDO n 


RATE E ERRE 


Luglio 
— 1 
0. 
4. 
f. 
0. 
0. 
dò: 
4. 
0. 
0. 
9, 
— 6. 
3. 
0. 
0. 
I. 
0. 
s. 
d, 
0. 
DL. 
3 
2 
1 
0 
1 
- 3 
8. 
2. 
2. 
0. 


652 EFISIO FERRERO 


TaseLLa V. — Deviazione della med 
dalla rispettiv 


I valori di Um — Un sono espressi in gr 


[© 

$ Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio 

Lil) 16 +46 + 13 Lf L17 Lia 
| Qui (L06 ILA7 £.9H SG —=.D2 204408 
| 8%) +N6 Adl19 WI Lt 2.03 15 
[aa LOR + 14 #19 EB +09 | 
641 04 #08 La 4 E 2,29 +06 
60! 90 -L.13 £. 05 L0 L40 LE 
VI 09 +18 Ere — 20 2.98 e 68 
SS. 06 ALI Lg L07 + 19 2.270 
90) L00 Lg 08 £L.09 L£9 & te 
100} 0g PR LR | ia L88 +09 
iti) doge || +09 || 81 | P4H || eee 
18L| 2-00 408 L.21 Lia Dad +33 
180} 0% {a ig £.42 +. 12 +.88 + 3. 
|] 08 RG +18 AI +64 — 43 
(ISO 0 LA LD. 14 4S8 2.88 09 
168) | 208 7 LA6 LA 08 La 
IND) 61 -b.18 2.81 +18 LIÙ =» 9° 
18 0 18 LI +12 — 50 — 32 
100} 16 Lia Le Lt 19 —= 208 
200) 4EI3 10 L.t3 bb 26 + 24 
DIS! SLO7 18 -+ 10 SLTY, L15 L16 
Oni Lao +10 + 25 LA 2,80 2.88 
OgUii 4-04 L.95 203 + 25 —.86 03 
(DST 403 LG 95 +. 92 LB L 24 
250 +04 Li Lo REI.) 88 — 15 
26| —40 + 6 .18 LEE 2.08 2.188 
Vs 98 L14 LD 83 L04 —t99 
Ds 0a + 19 .28 + 26 +08 —_.158 
(1298) LIS LO PS7 07 —.103 
900) }. 4.06 £.19 LA 13 L.00 
(31) +13 L15 +15 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 653 


imidità relativa Un, di ciascun giorno 
ormale quotidiana U,. 


entesimali, ossia in centesimi di saturazione. 


[ei 

Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre | Dicembre S 

I DA 
E: 16 SSIS + 18 0 0 SO; 1 
1 -13 ala: 9 24 3 PR4 a 2 
30 447 (3 sue SE 12505 3 | 
6-7 4.8 ELI Le Sin sd 4 
15 e Sw + 19 0 So, 5 
‘— 19 dP4 5 A 6 Ù36 415 SEE 6 
2 dd DITE: | cds. di + 19 I 7 
pe 7 0 LD. G Aa SAETÒ Lia 4 8 
È 19 —7 Re 4 Hi “La DIO, 9 
È 11 143 13. 3 +14 SESTO agis Mg dI. 
È 47 DI SIVE 14 SI fig SIR 
— 34 240 SE usi 8 doik L96801 8 
È 14 =D E aL 18 Lib e e 
e 9 — 10 ei È AU E Et, p: Si 
È 15 82 SLA al tf — 10 ‘i ee 
Bi 6 2 SI) DA My; SITI SARO 0 
E 4 +8 3 48 2 LIS Lc 
e 5 ee 19 i 9 — 30 + 16 598. d|'W8 
+10 =—W5 SIE — 29 Li 9 -— 55 .| 19 
+ 7 Eb UBI 7 ad 3456 —9 att} 20 
ti 1 —P0 SH L49: — 10 ® 10: dB 
E 14 219 SA e 2 MSAB — Wa | (028 
È 4 #7 SAI pi dl di: + di 
CL 1 — 14 LD 2 2312 414 1A ARRE 
È UNI 0 AR + 18 L_d5 (NDS 
i 4 Pile ME 8 LI] 411 SIBA DO 
+9 | +4 —i28 Ao Le 1a LG: NT 
È 24 di lla 017 VEE 81} iii dg 
12 | +11 sita Li + 18 LE 1429 
— 8 HW 5 Bot pes i DI -T8 PANI 00 
to 5 Haia 4a 3 att 81 


(RS 


EFISIO FERRERO 


Caivasso 
Osservatore: A. Derossi| Oss.: Prof. Ramoino 


TapeLLa VI. — Riassunto delle Osservazio 
fatte nelle Stazioni Termo-Udometriche che trasmettono 


Cuoranè È 
Oss.: C. Cami Oss.: Bisio Gerola 


Ivrea 


28 dia lg Sl DI 
se | ss | sf |. cs] sf |osl 8| s8 [3.0 8) Sé 
al en |a sol [al sw a |a shl # 
28| $g| ss [Ss z| 85 |sa| 33] 85/38 Se 
sa #5 f |a SELE [sets | (È ian 

S| UE a SP dA 8 E 

Gennaio 120,5 —-2°.7 59.9) 0e.ll — 5.6.-—1°2) 21 
Febbraio 3.2|— 19 4.5 0.3| 165.7] 5.6 0.0) 317 
Marzo 12.38) 2.9 10.4 4.0| 48:5|12.9 4.6) 98 
Aprile 16.9] 9.7 14.2) 9.0| 145.9|16.9| 10.1] 302 
Maggio 19.0| 8.8 15.1) 9.1] 107.4/18.9 10.0| 148 
Giugno 24.5] 18.7 20.0) 13.6| 96.9/23.1| 14.8| 26 
Luglio 30.4| 17.2 ? ? ? | [28.5] 18.6| _9I 
Agosto 25.5| 16.6 23.1 16.6| 78:9|25.6| 17.8| 256 
Settembre 19;6ì 153 2 2» || pef214| 143028 
Ottobre 132 72 13.0| 10.0| 188.:4|14.7|  8.3| 354 
Novembre 5.7 14) 474|99 10) 704/71] 20) 188 
Dicembre 3.9. 1.2: 5.8] 5.7} 0.7] 23.2] 6.0) 0.1k 4 
Anno lam (Va 15.5| 8.3/249 


LE CONDIZIONI CLIMATICHE DI TORINO DURANTE L'ANNO 1902 655 
, 


eteorologiche del’anno 1902 
ro osservazioni all’Osservatorio Astronomico di Torino. 


IZzza MonFERRATO 


: 5 PERRERO FENES CA "As 
LATE Oss.: Sani Giuseppe Pr i an Virgilio a 
fa pori diga quest rrtinalo 7 ngn 
i iglozio dre toa 8 1) badibitong z Bilro-E | 
ESE LE E 3 PI Dir PARA I 
S| s6| s8]lso Ss Salso sel Sal £ 135/85) Sé 
© sol as so Ea ol A i; ala) A 
8) SPRINT SE] SE S Sgr Ss 
a [Sf aa do Sg Fid Lo ARA È 
Bi 8 Si livodfi EMP < S|. A 
.4|—4°.1| 18.5] 5°.8/—2%6| 83.6.110°.3|—3°.9] — 69 |.60.1/—0.4| 3.0 
.2|— 1.1/102.91 4.5|—3.3| 147.3] 91/—638| — 262 SRO Ii 
en e so dg] 9807) 90-27). — 15 ‘isa 4.2) 22.5 

8.9 36.2/ 13.5) (6.5) ‘11.2|11.5).:0.9| 55.0 817.5H09.7 | 171.9 
M7\17.0/ 15.9) 8.2|:149.6|1120" 183) 15,01 _35_ 1200] 95) 1475 
13.1) — [197] 1100] 55016.) ‘6.2) ‘830 24.5 | 14.1| 112.7 
16.8] 14.8|24:8| 15/1) 33,5|25.3] 18.0| — d12 | 18.3] — 
12.4) 9.1{22.2| 14.0] 74.4|21.0 11.4| 29.0 25.0. 193| — 
10.5] -14:2| 18.1} 11.2.|:180.9|17.8|  7.6| 156.0, Q1.d albe 
7.3|:37.0| 12.2) .3.7.| 78:2.|.12:2|. 3.7] 97.0 14.6,;| 8.8| 23.8 
3 — 0.8| 12.0] 6:8|—1.1;| 58.8] 5.5|-—14| 22.0 5.6..1.:8.6| 70.5 
MO | 63 1.#65129M 342/29 08 > LAGAMO 1 97 
5:9/261:7| 13.8) -5.6.11054,7|:12:8| (2:2|-407;0.| 481 #|16.1.| 8.6| 8298 


656 CARLO JORIO 


Contributo allo studio delle curve di raccordo a due centri. 


Nota dell’Ing. CARLO JORIO. 


(Con una tavola). 


Il problema di raccordare due rette con una curva circo- 
lare a due centri può ricevere varie applicazioni, sia nella co- 
struzione di grandi volte (*), sia, e più specialmente, nel trac- 
ciamento delle strade ferrate, strade ordinarie, canali, ecc., quando 
i punti di contatto non possono essere, per condizioni speciali, 
equidistanti dal punto di incontro delle due rette a raccordarsi. 
Questo problema venne trattato da molti autori (**), fra i quali 
merita special menzione il Prof. Hammer di Stuttgart (***), il 
quale volle applicare alle svolte stradali alcune belle proposi- 
zioni già enunciate dall’Ing. D’Ocagne (****). Egli è venuto alle 
notevoli conclusioni: 

1° La linea dei centri dei due archi circolari di rac- 
cordo è sempre tangente ad un cerchio di raggio noto. 

2° L’inviluppo delle tangenti ai due archi nel punto co- 
mune è pure un cerchio noto. Î 

3° Il luogo dei punti di raccordo dei due archi circo- 
lari è ancora un cerchio di determinato raggio. 

Ultimamente il Biickle (*****) volendo risolvere il problema 


(*) Cfr. Risar, Sur la forme de l’intrados des votites en anse de panier, 
“ Comptes rendus de l’Académie Frangaise ,, 1895. — MannzEM, Sur le 
tracé de l’anse de panier, “ Nouvelles Annales de Mathématique ,, 1897. 

(**) Veggasi anche Jorpan, Korbbogen, “ Handbuch der Vermessungs- 
kunde ,. Stuttgart, 1897. — LaunzARDT, Theorie des Tracirens, Hannover, 1888. 

(***) Hammer, Ueber den aus zwei kreisbbgen bestehenden Korbbogen zur 
Verbindung zweier gegebener Tangentenpunkte, © Zeitschrift fiur Vermessungs- 
wesen ,, 1900. Di questo lavoro si ha una pubblicazione italiana fatta dal 
Prof. Bacci, “ Rivista di Topografia e Catasto ,, 1899. 

(*#*) D'Ocacne, Sur Ze raccordement par arc de cercle, “ Nouvelles An- 
nales de Mathématique ,, 1898. 

(##***) Biicgre, Verbindung zweier konzentrischer Kreise durch einen aus 
zwei Kreisbùgen bestehenden Korbbogen, “Zeitsch. fir Vermessungswesen,, 1902. 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, ECC. 657 


di aumentare la distanza fra gli assi di due binarii di ferrovia 
in curva quando si passi dal tratto di campagna a quello nelle 
stazioni risolve pure implicitamente il problema di raccordare 
con due archi circolari due cerchi di diverso raggio. 

Il principio qui seguito può venire con vantaggio appli- 
cato alla soluzione del problema che ci occupa, anzi ordinandolo 
e proseguendolo ulteriormente esso dà luogo a delle importanti 
conclusioni pratiche che assieme a quelle già note e più sopra 
riportate servono a completare questa interessante trattazione. 
Come si vedrà più sotto, alla soluzione analitica di questo pro- 
blema di geometria pratica faccio pure seguire quella grafica, 
cosa che, per quanto,a me consta, finora non fu fatta e che tut- 
tavia, credo, può avere molta importanza specialmente nel campo 
pratico, a causa della sua semplicità, anzi può venire preferita 
per la sua speditezza quando specialmente si studi in linea di 
massima il tracciato della curva di raccordo. In questa tratta- 
zione ho evitato il tracciamento di rette tangenti a cerchi, ciò 
che in pratica dà sempre luogo a delle incertezze tanto più 
trattandosi di operare su disegni fatti per la maggior parte in 
piccola scala (*). 


I 
(Fig. 1). 


1. — Si abbiano i due rettifli MA ed NB da raccordarsi 
con una svolta circolare a due centri nei punti A e B: si im- 
maginino prolungati i due rettifili fino al loro incontro in V e 
nei punti A e B innalzate le perpendicolari che si incontrano 
in 0, diciamo w l’angolo A0B ed E la lunghezza OB (la mag- 
giore fra OA e OB), quantità che occorre conoscere a priori. 


2. — Determinazione di w. — L’angolo w (od il suo supple- 
mento in V) in pochi casi si ha direttamente: in generale si 
ricava misurando gli angoli VAB, VBA quando i punti A e B 
sono visibili fra loro 


w= VAB+ VBA 


(*) Il presente studio non riguarda il tracciamento delle curve sul ter- 
reno, per il quale si adotteranno i metodi noti. 


658 CARLO JORIO 


oppure mediante una ‘poligonale che solleghi fra loro i punti 
A e B 
w= Za —(n —2)t 


ove siano a gli angoli misurati «della poligonale ed x il numero 
delle stazioni comprese quelle in A e B. 


3. Determinazione di R. — ‘Anche per ciò che riguarda la 
quantità ‘0B essa difficilmente si può ‘avere direttamente: ‘in 
generale sono note le quantità VA =t,, VB=%, (indicando 
con t, la lunghezza maggiore fra le VA e VB). 

A partire da O nella direzione OA prendasi 0A4'= 0B e 
si tiri la 4'B che incontra in 7 la AV. Essendo per  costru- 
zione il triangolo 0A'B isoscele su A'B sarà pure tale il trian- 
golo VT'B sopra 7°B, per cui, quando non si abbia il punto 0, 
basterà prendere AT =t, — #3, la retta che unisce B con 7 pas- 
serà per 4’. Nel triangolo ABA' si ponga: 


4 BA=% 
AA=R-40=d 
dal triangolo ATA' si ha: 
d= (t, — ty)tang > (1) 
Dal triangolo BAV si ricava: 


sen (7 a o) 


La] 


7 w 
sen (5 che o) 


da cui dividendo e componendo: 


UREZIo w d 


146 bang 2° &F% (2) 


tangv = 
analogamente dal triangolo ABO si ricava: 


cotang - : (3) 


tang® = Mindy Si 
ECT SEN 


Paragonando la (2) con la (3) e tenendo conto della (1) si 
ricava successivamente: 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 659 


2R-d=(4& +t,)c0tg 2 


aa w @ i; 
hi 3 cotg > 9 (4) 


stra tang — (4') 
& 1 + facotgw (4) 


sì può per tal modo avere il valore numerico di R: la for- 
mola 4") ci permette di aver facilmente la rappresentazione gra- 
fica di & nel modo seguente: si traccino (fig. 2) le direzioni Ox, 
Oy formanti fra loro l'angolo w noto, si innalzino in 0 le OH, 
OK rispettivamente perpendicolari alle Ox ed 0y e si prenda 
OH=t,, 0K=-t,, le rette condotte dai punti H e K paralle- 
lamente alla Ox intercettano sulla direzione 0y il segmento 
H'K'= R: infatti dalla figura sî ricava: 
H'K'=H'0—K'0=-" — tscotgw (*). 


senwW 


E evidente che si avrà H'K' con la stessa approssimazione 
con cui saranno riportati i segmenti i, e #,. Questa soluzione 
grafica torna utile, quando non si voglia tracciare sulla plani- 
metria il punto 0. 


4. Determinazione dei raggi dei due cerchi. — Riferendoci 
alla figura 1 supponiamo che la retta C0,0, rappresenti una 
soluzione del problema, pongasi: 

hi = A0,= (0, a, = 40,C 
i R>— BO, (03 0, =:;C0,B 
le quantità £,, Es, a, as rappresentano le incognite del pro- 
blema: fra le due ultime esiste però la relazione: 
a, + og =w. (5) 

Assumiamo come nuove incognite le variazioni x ed y, da 
portare alla quantità nota £ per ottenere. i valori È,, &,, po- 
niamo cioè: 


Ri=fR4+x ) 
(*) La formula (4’) è generale: nel nostro caso, essendo w > = il se- 


condo termine del.secondo membro ha segno negativo. 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 44 


660 CARLO JORIO 


Considerando il triangolo 000; si ricava facilmente: 


00, = y 
CT: 1) 
0,0,=x+ y 


Sul lato 0,0; si prenda il segmento 0,P= 0,0=y, sarà 
PO,=, e quindi dal triangolo OPO, si ha: 


00; __e+d da sen OPO, 


PO, TG x 6° sen POO; 

Node 

2+d _ "i cos —> 
x SA 
COS--asre 
da cui: 
Se w Gi pig 
e=- cotg > cotg > ò (8) 


con procedimento analogo considerando il triangolo OP0:, ove 
sia 0,P'= 0,0, si ha: 
y= 4 cotg a cotg a È (8') 
Queste relazioni abbastanza semplici assieme alle (6) rap- 
presentano la soluzione ani del problema. Si ha infatti: 


d 
a 
i 0) 
Rì,=R—- 5 cotg 5 9 > cotg > i.) sn» \ 


ha, = +S 3 cotg 5 3 cotg > 


facciamo osservare che se nelle precedenti formole si introdu- 
cono per R e d i valori dati dalla (1) e dalla (4’) si ottengono 
le relazioni: 


pito Atei cotg > + n cotg 3 


Pr APASHNE ta La) e Si ig Dana 


2 cotg = 
che sono quelle n dal Prof. Hammer (*). 


(*) Vedi HamweR, l. c., pag. 238. — Baer, 1. c., pag. 89. 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 661 


Noti numericamente £,, È, si porteranno rispettivamente 
sulle normali in A e B alle MA ed NB, si avranno così i 
punti O,, 0, centri dei due archi e si potrà tracciare la svolta. 
In pratica però è difficile che si assuma come variabile indi- 
pendente uno dei due angoli a,, a»: generalmente si fissa uno dei 
raggi: in questo caso si otterrà il valore degli angoli mediante 
le relazioni seguenti che si ricavano dalle (9): 


cotg LG 2(R— R)4d DO 2(Ri— R) + tang ® 
2 w ti — ta 2 
deotg CE 
a | ARL EJeLa DO ARC) O 
2 w ta, —% 2 
dceotg — 
2 
5. — Anzichè trovare i valori numerici di R, e PR, e ri- 


portarli sul disegno può tornare alcune volte comodo di costruire 
direttamente il triangolo 00,0;: tenendo conto delle (7), (8), (8/) 
sì possono avere facilmente le lunghezze dei lati, si ha infatti: 


\ 


d : d 
00, =-5 cotg > cotg 2.4 £ | 
d d 
UOT= > og 5 cotg 4 + a (10”) 
d : 
Choa > cotg - | cotg - + cotg a 


La considerazione del triangolo 00,0, torna più utile, quando 
si voglia graficamente risolvere la questione con via più spe- 
dita, come succede per i progetti di massima. Si consideri il 
triangolo AA4'7 (*): in questo si ha per costruzione AA'= d e 


ATA=35. Sarà quindi: 


AT = dceotg — 
e quindi, essendo S il punto medio di AT: 


cen v 
AS=<5 cotg 9 


(*) Per questa determinazione il triangolo AA'7' può essere disegnato 
a parte ed in scala maggiore. 


662 CARLO JORIO 


si segnino a partire da A le rette AE, AF che facciano colla AO 
prolungata rispettivamente gli angoli n) = (*), queste rette in- 


contrano la normale in S alla AT in E, F che si proiettano 
normalmente in £', #" sulla AA': sia D il punto di mezzo 
della AA' e si prenda AD'= AD, F'D' = E'D; si avrà: 


peg 
E'DIS00OE y 
D'D'=0,0,=% + y 
E'D'=00,=x + d. 


Ciò risulta evidente osservando che per costruzione è: 


ff d w 
pred w do 
ONES. NE moi cotg 5 cotg o 


Sarà quindi facile costruire il triangolo 00;0, ed avere la 
direzione 0,0 su cui deve trovarsi il punto C di raccordo dei 
due archi: prendendo 0,C = 0,B si avrà senz'altro il punto C. 


6. — Tutte le costruzioni finora viste sono applicabili ogni 
qualvolta si voglia o si possa operare sul foglio della planime- 
tria, poichè occorre tracciare sopra di esso linee rette ed avere 
la posizione esatta del punto O. Quando l’ angolo w è piccolo, 
il punto O si porta lontano dai punti A e B e quindi riescono 
meno esatte le determinazioni grafiche sopra viste. In questo 
caso, poichè il punto C cade relativamente vicino alla AB torna 
più comodo ottenere detto punto mediante le coordinate riferite 


utt ° , A sip: 
(*) L'angolo 3 = RL — si può tracciare facilmente quando si sia 


Da: 
2 2 


segnato l’angolo "E Si abbassi infatti da A la AQ normale alla A'7, sarà 


A440=53. Si segni un arco di raggio arbitrario, per es. d, e si prenda 


Leki 9 î A 
A-II= I-II. La retta I/-A farà colla AA' l'angolo # . 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 663 


per es. alla AB come asse delle x ed alla normale in A come 
asse dell’y. Si immaginino tirate le rette AC e CB, si ha: 


AC=2R;sen-5- 


BC=2R;sen #* 
Dalla figura si ricava: 
I pe LA Mhita a LI 
Aa = Xi= 2, sep 9 00 | ( 3 o) 3 
Le, = 2Ap6n sen (9 — v) si 3 


assumendo invece il punto B come origine degli assi si ha: 


Bo X!=2Rssen 2 cos| (4 si o) pa Gol 


de= Y! = 2Rssen-$ sen| (5 +) i 


da queste relazioni si ha: 


CA pad 
(SR; 2R,sen 9 COS |( 9 
1-00 vg da pe w 

2Ra3sen 9, 008 |{ 9 


Siccome però deve essere: 


elio 
sarà: 
Lac RTF RI ALIADIO. a Du bilico Jhe 
R,sen 9 sen|(5 o) 2 |= Rssen5) sen |( a _ 2) 4 
Da cui: 
LA EnloP ta pra 
Py sen 9 “ den[o( +) 1 | 
RAI: Fare \($- S| 
25en 5 sen È e] 7ssy 
son[ (940) |ien® 
R; van) 2 2 2 ti 
Ri (5) CANALI (11) 
sen i 2 Vi 9 sen 9 


664 CARLO JORIO 


che dà il rapporto dei raggi: 


w 
Zedin sen] ($+ 
XE "mn [($ 
senl |-£-® 


2 
uf ctens| (F+9)-3] (12) 
Hassi 


LT 
dpi 


ed - 
r0|.£ | to] 


che dà il rapporto dei segmenti in cui la AB è divisa dal punto C. 
Componendo si ottiene: 


G, — 0g w 
x, aa sen | 20 + 9 +e 9 
{EPEXI] SID LAB 


2sen = 
E poichè: 
w 
sen A 
AB= (ti ra t3) sen®v 


si ottiene (*): 


De sen (+o)cos| 3— (3 +») | I 


La determinazione del punto C mediante le coordinate qui 
scelte è più esatta, nel caso che consideriamo, di quella otte- 
nuta assumendo il punto A come origine e la AV come asse 
della x, poichè queste ultime riescono di dimensioni maggiori 
delle prime e quindi il punto C determinato meno esattamente. 

Nota la posizione del punto C, le curve di raccordo saranno 
gli archi che insistono rispettivamente sulle corde AC e CB e 
quindi sul disegno si possono, volendo, tracciare per punti questi 
archi riferiti alle corde (**) senza tracciare le rette 40, BO e 
senza conoscere la posizione del punto 0. 


(*) Si possono ottenere le quantità X. ed Y: con metodo più breve 
ricavando l’espressione del lato AC dal triangolo ABC. Il metodo seguìto 
ha il vantaggio di fornire le relazioni (11) e (12). 

(*#*) Ricordo le relazioni che dànno la saetta s e le ordinate y di altri 
punti dell’arco rispetto alla corda come asse ed al suo punto medio come 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 665 


7.— Se si immaginano tracciate le bisettrici degli angoli 
0, e 09, queste si incontreranno in un punto / giacente pure sulla 
‘bisettrice dell'angolo in V.Il punto / dista egualmente dai tre 
punti A, B, 0, cioè il punto C giace sopra la circonferenza che ha 
per centro il punto / e per raggio p, distanza comune dei tre 
punti A, B, Cda I. 

Le coordinate del punto / rispetto al punto A come ori- 
gine ed alla 40 come asse delle x sono rispettivamente: 


2 
(14) 
PARERI 
Far 5 
da cui: 
dito a a ici 
p=vX+ Mie (15) 


Essendo .X, Y indipendenti dall’angolo a, si deduce che la posi- 
zione del punto I non dipende da quella del punto C cioè il 
cerchio di centro I e raggio p (che indicheremo d’ora innanzi col 
simbolo (I, p)) è è luogo geometrico dei punti C (*). 

Il punto / si può ottenere sul disegno mediante le sue coordi- 
nate X, Y o più facilmente conducendo dal punto S medio di A7 
la parallela alla 40 fino ad incontrare la bisettrice dell'angolo V 
od ancora dividendo per metà il segmento mn intercetto su 
detta bisettrice dalle direzioni 40, BO. 

La considerazione del cerchio (/, p) può avere qualche im- 
portanza, p. e. quando si voglia che il punto C cada in un punto 


origine, in funzione della semicorda ce, del raggio R e di una ascissa arbi- 


traria x: 
e 
Ri a 


s 


i ci La 


Sartor © sp 


Facendo x sottomultiplo di c la seconda si semplifica nei singoli casi: 
le formule riportate non sono rigorose, però in pratica quando sia c rela- 
tivamente piccolo rispetto ad R si può anche trascurare il secondo termine 
dei secondi membri, tanto più trattandosi di riportare graficamente tale 
quantità sul disegno ed in piccola scala. 

(*) Vedi Hammer e D'OcaGNe, l. c. 


666 CARLO JORIO 


assegnato compatibilmente colle condizioni geometriche del pro- 
blema, il che può succedere quando il terreno su cui si ha da 
tracciare la curva sia tale da richiedere la svolta con. curva= 
tura maggiore ‘0 minore. Scelto in questo caso sul cerchio (4, ip) 
il punto € si tireranno le rette 40, CB: le perpendicolari nei 
loro punti di mezzo daranno i punti 0; ed 0, e passeranno per 4; 
oppure graficamente si ricaverà una delle coordinate X,, Y, e 
quindi mediante le relazioni (13) si ricaverà il valore di @a;. 


8. — Per avere graficamente la retta dei centri, quando 
si sia fissato un determinato valore ad uno dei raggi si può proce- 
dere nel seguente modo: Sia fissato p. e. R,, si riporti questa 
quantità nella scala del disegno sulla BO a partire da B, si avrà 
il punto 03, si tiri la retta /O, e su di questa come diametro si 


; ; : x . tt 
descriva un semicerchio: con centro in /e raggio ‘dg =A8 


sì segni un altro semicerchio, questo taglierà il primo nel punto £ 
che starà sulla retta dei centri, la quale sarà tangente in 2 al 
. cerchio descritto con centro in /: la 0,2 prolungata darà sulla 
A0 il punto 0, : la dimostrazione di questa costruzione si fonda 
sulla prima conclusione del prof. Hammer e riportata in prin- 
cipio di questo lavoro. 


9. — Si segni la retta ZZ' normale alla C0}0, e quindi 
tangente ai due archi di raccordo nel punto C. Essendo le rette 
00,, 003, 0,0; rispettivamente perpendicolari alle VZ, VZ e ZZ° 
i due triangoli 00,0, e VZZ' sono simili, per cui: 


COS 
FAZI GRA TAB III Fini I ci o 


Ù cos Si co da 
CAIO SE 
2 2 
e di 
Neg 
VZ ___ send, VIA eni ta + ta 2 
ila ie 2sen a cos da 
2 2 
sen 
Varsste a A se ty + to î Z 
Rep 2sen È, i cos da 
2 2 
V£ nbagrnserioag 


VZ © sen 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, ECC. 667 
Si ha poi: 
tt 
VA Rtang 5 a. cr | cotgotang 5° + 1 | 


AZ = Ratang > = siena | cotge tang È — 1 | 


a 
R,tang 2 tang — + tangv 
CZ 2 2 
og = — gHe (16) 
CZ Ag dd, 
Ratang > tang get? tang v 


che dà il rapporto dei segmenti secondo cui la tangente è divisa 
dal punto C. 


EI. 
(Fis. 3). 

10. — Le quantità È,, RF. date dalle relazioni (9) possono 
assumere valori massimi e minimi per determinati valori di a;. 
Poichè in ogni caso è R, > È, si avranno i valori massimi 
quando sia: i 

be; = 000 
Affinchè sia verificata questa condizione deve essere: 
Ai — 0) . 


In questo caso il punto O va all'infinito e dicendo £', il valore 
che assume PR, per aj =0 si ha: 


do =W 
d A a d 
Ri =R_-3 cotg? + 1 =R_-1| cotg? 3 + 1| 
E per la (4"): 
Ry = tscotg = (17) 


che ne rappresenta il valore massimo. 
Si ricava pure: 
AE: 
Om = R—- Rf = —— 


sen WwW 


cioè la parallela condotta dal punto 7 alla AO incontra la BO 
nel punto m per cui è appunto verificato: 


ti —% 
Om= Sd 
senW 


668 CARLO JORIO 


si conclude quindi che il primo arco si riduce al segmento retti- 
lineo AT ed il secondo è un arco di cerchio tangente in T ed in B 
alle direzioni MA ed NB avente il centro in m e per raggio R'. 
Poichè i punti 7 e B sono equidistanti da m ne segue che il 
punto m si può ancora ottenere come intersezione colla BO 
della normale alla 7B nel punto c di mezzo che passerà pure 
per V. 


11. — L'altro caso limite si ha quando £, abbia il suo 
minimo valore cioè: 


di 0 . 
Dalla seconda espressione delle (9) si ricava: 


d w Cia 2 detonile 
5 cotg 5 cotg 9 =£ D 


t1 + t° = dcotg - 


e tenendo conto della (1) e della (2) si trova: 


w a w ttt 
tane — cotg è = tang — cotev = 
Bis 0048 p ta 83 olor ti ta 
cioè : 
Go, = 2v 


In questo caso sarà: 
ABm' = ABO + 2v= BAm'. 


Il triangolo ABm' è isoscele sopra AB: essendo R,=0 il 
punto 0, cade in B: si deduce che è primo arco appartiene al 
cerchio di centro m' tangente in A alla MA e passante per B: il 
secondo arco sì riduce ad un punto coincidente con B. Si otterrà 
molto facilmente il punto m' come intersezione colla AO della 
normale alla 4B nel punto d di mezzo che passerà pure per / 
(si osservi l'analogia dei due casi limiti). 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 669 
Dal triangolo 0Bw' si ricava: 


dip 000 | re SOR (18) 


sen(w— 20) — senlw — 2v) 


che ne rappresenta il valore minimo. 


II. 
(Fig. 4). 


12. — Quando trattasi di strade o di canali è conveniente 
molte volte che È, riesca per quanto possibile poco diverso da 
R., affinchè i due archi che si susseguono non presentino un 
cambiamento di raggio troppo sentito e ciò sia per agevolare 
sulle strade il transito dei veicoli, sia per diminuire nei canali 
in curva il rigurgito prodotto dall’urto della massa liquida contro 
le pareti delle sponde. Sarà quindi necessario che si verifichi: 


R, — Rf, = minimum 


dalle relazioni (9) si ricava: 
R, — Ro = i cotg a | cotg = + cotg #] 


Affinchè questa funzione sia minima dovrà essere (ricor- 
dando a, =w— 0;) (vedi nota a pag. 22): 


d(Ri put. Ra) SA 0 
: da, a 
cioè: 
1 1 
— £ cotg È — 10 
s Ù be crea 
== 5 (19) 
13. — In questa ipotesi si ottiene: 


d w d 
x=3 | cotg gu 1|=>i | cotg? + _ 4 (20) 


È d 1 d 
tpatò $|cotg 4 cot, 4 +1|=4| cor? P+1])=— * (21) 


670 CARLO JORIO 


Le (9) diventano: 


x | 
R=R+ | cotg4 —3| | 
ar (22) 
d 
Ri=R— | cotg® + 1 | 


Il valore minimo che può assumere la differenza dei due 
raggi sarà data dall’espressione: 


Ri — Rs= (1 — ta)cotgy. (23) 


Il procedimento per ottenere graficamente gli elementi del 
triangolo 00,0, riesce in questo caso alquanto semplificato. 


Conducendo la AF bisettrice dell'angolo A"A0 = = che incontra 


a normale SE alla A7 nel suo punto di mezzo S si ha: 


d w w 
AE'= > 0otg 9 cotg 1% 


E, ove sia D il punto di mezzo della AA4' ed AD'= AD sarà: 
ED"= 00%= 00; 


coi quali elementi si potrà avere i centri e quindi i raggi dei 
due archi di raccordo. Prendendo D'"E'= E'D il segmento D'D" 
rappresenterà il minimo della differenza dei raggi. 


14. — Poichè il punto / è intersezione delle bisettrici 
degli angoli in O; ed 0, (vedi n° 7) la retta 0,0, sarà normale 
t1—t9 

a * 
Di qui una seconda costruzione molto facile della retta 0,03. 
Si segni il punto C medio della 7°B, si prenda verso B il seg- 
ht 
va 
alla TB, essa incontrerà le BO ed A0 nei punti 0, ed 0g. 


alla OI, parallela alla bisettrice VI e ne disterà della quantità 


mento cel = = AS e si innalzi in c' la perpendicolare 


15. — Qualora per non sciupare il disegno col tracciare 
le rette 40, BO ed 00; si volesse avere il punto C diretta- 
mente, si può procedere nel seguente modo. Si osservi che i 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 671 


triangoli ART ed ECB sono isosceli rispettivamente sulle 
basi AR e BR, anzi sono simili, avendo gli angoli in A, R, B 


eguali ad n Sarà perciò TR—TA=t;— ts, RC=CB, e poichè 


per costruzione è: 


pra w_ tt 
ec B=7tsc08 > Tao 
sarà: ei 
Ce' È bity cos=3— È 5 c_ | tang — (24) 
preso sulla 7B il segmento ce' = ae sì porti sulla normale 


alla 7°B ind la quantità Ce' data dalla (24), si otterrà il punto C, 
quindi le due eurve di raccordo saranno gli archi che insistono 
sulle corde AC e CB, di cui si potrà avere altri punti mediante 
ascisse ed ordinate riferite alle rispettive corde. 


16. — Volendo invece avere le coordinate del punto C rife- 
rite al punto A come origine ed alla AB come asse dell’ X si 
potrà seguire il metodo tenuto al n° 6 per il caso generale, si 
arriva alle seguenti relazioni finali: 


xa | sens + sen2o | 2a 1° + (t,1 — t3) cosv 


—— 2senv 
L : AR Ì (25 
Y, ich ta 0820 — cos i ta : cos2v AB ) 
2senv ppi 2 senv w 
2tang — 
2 
17. Graficamente si potrà avere il punto € anche nel 


seguente modo: si prenda Tk = TA: la bisettrice dell’angolo 
VBT e la AR prolungata si incontreranno nel punto C voluto. 
La dimostrazione di questa costruzione appare evidente da 
quanto fu più sopra detto. 


IV. 
(Fig. 5). 
18. — Talvolta si presenta la convenienza che R, assuma 
il valore massimo rispetto ad È, compatibilmente con le con- 


dizioni geometriche del problema, cioè sia minimo il rapporto de 
2 


Questo caso si verifica, quando, per esempio, si avesse a co- 
struire una grande arcata a due centri, per la quale i piedritti 


672 CARLO JORIO 


siano verticali ed il piano stradale faccia in certo modo angolo 
coll’orizzonte. Il problema si riduce quindi a trovare il valore di a, 


ci . E 
che renda minimo il rapporto -- 
2 


Dalle formole (8) si ricava: 


d w 04 d 
PA at xi 
Sogni | STI o Podi dirt 
RH 9 cotg 9 cotg 9 9 
Ponendo: 

d 

te Ta 

d w 

k=-5 cotg 3 

si ha: 
i 
h+ keotg > 
= 
h—kootg > 


Derivando si ha: 
CL pe fr k 


da; 2sen? - |a — k cotg 2] 
U 
" “200 h+ kceotg 9 L 
da, pa (L5) 2008 2 (LI i 
| 1 kootg 3 2 sen 3 
Poichè H deve essere minimo sarà: 
dH _ dH 
; da, = do” 
cloè: 
h+ keotg CI h— keotg È 
2 2 
[Ed fi Dresda (26) 
sen? da sen? A 
2 2 
Di qui si ricava: 
_k __ OSO — COS 
h © sen + send 
+ Lang e 
Gode tang 9 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 673 


Sostituendo ad 4, & le loro espressioni in funzione di È 
ed w si trova: 


dcotg = 
5 - tan (F_0 | — tango 
aper = 0a CITA 
or ei 
der © 2 Î 
(27) 
w 
0, = 9 - v \ 
che rappresentano i valori cercati. 


Poichè 


si deduce che la 0,0, è perpendicolare alla AB ed il suo piede d' 
per le ragioni dette nel paragrafo precedente disterà dal punto d, 


medio di AB, della quantità aa 


facile segnare in questo caso la retta dei centri e quindi risol- 
vere direttamente il problema. Si ha pure: 


Ri=R+ 5 cotg 3 cotg(4-3)— 1 Î 


, per cui graficamente riescirà 


(28) 
d w w v d 
Ri=R— > 0088 > cotg (Spe) e \ 
18. — Graficamente si potrà costruire il triangolo 00,0, 


secondo quanto venne detto al n° 5. Si osservi però che in 
questo caso la retta AH normale alla AB farà colla AQ per- 
pendicolare alla A7 l'angolo v e quindi la retta AF sarà la 
bisettrice dell’angolo A'AH e la AY bisettrice dell'angolo A'AH' 
ove sia QH' = QH. 


19. — La posizione del punto C gode pure in questo caso 
di un’altra proprietà: esso sta sulla bisettrice dell'angolo V. Infatti 
essendo le rette AC e CB rispettivamente bisettrici degli an- 
goli VAB, VBA esse si incontreranno sulla terza bisettrice. La 
dimostrazione analitica di tale proprietà può farsi nel seguente 
modo (*): 


(*) Un'altra dimostrazione di tale proprietà venne data dall’Ing. Daviso, 
Le svolte stradali (* Rivista di Topografia e Catasto ,, 1902). 


674 CARLO JORIO 


Si abbassino le perpendicolari CC,, CC, dal punto C sulle VA 
e VB, si ha: 


== 2) Ra 
CC, = 2k;sen? (i 5) 
pas ra CAR 
CC, = 2R,sen? G dI s) 
Per cui: 
w v 
00 Ri sen (7-5) 
CG Ra sen? ti; st 


(29) 


quindi: 
CC; _ CCs. 


Si potrà ottenere graficamente il punto C dividendo per 
metà la retta AB nel punto d, prendere dd'= ‘= 48 ed 
innalzare in d' la perpendicolare alla AB fino all'incontro della 
bisettrice dell'angolo in V. Analiticamente facendo a, = 5 — v 
nelle formole (11) e (12), si hanno i seguenti valori per le coor- 
dinate di C in questo caso: 


{ 
A40 pi 
A gii | seno + sen 3 |= ni +5 


2senv 
(30) 

2senv 2 2tangv Ww 

2tang — 

2 

La differenza dei raggi è data dalla relazione: 
2sen n 
R, — Ro°= (31) 


w 
COSV — COS -- 
2 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 675 


V. 
(Fig. 6). 


20. — Si sa che quando un tratto di ferrovia è in curva 
si dà alla rotaia esterna una sopraelevazione rispetto alla ro- 
taia interna, affinchè la componente orizzontale del peso faccia 
equilibrio alla forza centrifuga; detta % questa sopraelevazione 
sì ha: 

1 
h se k . Fia , 
2 
ove È è il raggio della curva e K = - essendo s lo scartamento 


del binario, v la velocità del treno al 1’ e g la gravità. Quando 
il raccordamento si fa con due archi si avrà una diversa sopra- 
elevazione nei due tratti in curva e nel punto Cl di raccordo 
un passaggio brusco dall’ una all’ altra sopraelevazione. Nello 
studio quindi del nostro problema possiamo proporci la que- 
stione di trovare i valori che rendono minima questa differenza 
di sopraelevazione. 
Per il primo tratto la sopraelevazione è data da: 


ha =Wa i 3 
pel secondo tratto: 
ho _ k si” Y 


quindi: 
Ma 1 LE, nce 
ho -h=k | R, eu dii 


Potendosi nel nostro caso considerare £ come una costante, 


4 A cv G R,—L: 
dovremo trovare il valore di a, che rende minimo -1_? 


cioè che 
kR, R. 


soddisfa alla relazione (*): 


dò RR 


i — RI} 
do, R,Rg 


(*) Venne assunta la lettera è come segno differenziale per distinguerla 
dalla quantità d che entra nei calcoli. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 45 


676 CARLO JORIO 


Dalle relazioni (9) si ha: 


R,—R:=3 cotg $|co6% + cotg pù. — 2) | 


cotg a — cotg È 


2dcotg 7 a 


2% 


i ( cot$ — cotg55) sen? 2 
Dalle relazioni (9) si ricava pure: 
d d 
Ra = (+3 cotg 7 cotg = — 3 | X 
du a 
\R-î —3 cotg 3 5 cotg (5 — ni _ s| 
Sviluppando ed ordinando: 
(2R—deotg? È —d) cotg 5 cotg? 3 + 


Il 
Bilan pai 


|(eR- d)’—(4R+-d)dcotg? 7 |coteg— (33) 
4(cotggi—cot O) 


2R(2R — d)cotg 3 
Facendo il rapporto tra la (32) e la (33), ponendo: 
A=2R— dootg?* 3 — d 


= \eR — d)? — (4R +4- d) dcotg? 5] tang 5 


C=2R(2R-- d) 
20 du ron pet Sk 
D= Acost-+ bj Bsen È 2 cos È Di Csen? 9 
si ottiene: 
Riso 6 a 


R;Bs D 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 677 


da cui: 


ALE PERLE % cos®! —_B(cos*f' —_sen*5) dios 
i Rai D [2Asen 3085 —B|cos?5 —sen?5°]) +-2Csenz'coss 


=> La (la + C)sena, — B cosa, | (34) 
Questa espressione sarà nulla se: 
B 
tanga, = PETÀ 
Sostituendo ad A, B, Ci valori più sopra riportati si ottiene: 


(2R — dtang > — d(4R — d)cotg Di 
bang og Sa 8_154-statosts0te ea 
(@R + 4) (2 — d)— @cotg* 3 


Il numeratore del 2° membro può essere scritto sotto questa 
forma: 
LA 


ai 
9 9 


— d Pri vi os 
(2R — d)tang 9 d° cotg a 


tang = — 2R(2R — d)d cotg 
od ancora: 
| er — d) — d° cotg?) S tane = — 2R(2R — d)acotg 3 3 


ed il denominatore? 


Ul 


| er — d) — d° cotg* d + 2R(2R — d)acotg 7 tang 7 a 


e dividendo entrambi i termini per la quantità | | si ha: 


2R(2R — d)deotg È 
w 2 
tang 3-— A 
(2R — d° — d° cot? "3 
tango, = E. 
2R(2R — d)dcotg = 
w 2 
1-+ tang sa) 


(2R — d)° — d°cotg* - 
Ma per la (3): 
2R(2R — d)deotg — 


pusoo ifava D 3 w = tang2v. 
(2R —d) — d*cotg tI 


1678 CARLO JORIO 


Quindi : 
SUL 


9 tang2v 


tang 


Va wi e 1A 0 
14 tang 3 tang2v 


(35) 
= +:20 


che sono i valori cercati. 


21. — Sarebbe facile esaminando ila seconda derivata che, 
supposto w<qT, il valore trovato per a, rende minima la fun- 


RF, — Ra 
E, Ra 
espressioni (9) si ottengono le relazioni \seguenti: 


zione ; sostituendo i suddetti valori di a, ed @, nelle 


m° cotg + + n° 


Ri — 
2|meote È — n cotg ba 
af 4 
(36) 
m° cotg nl + n° 
2 
fis = w w 
ag. Ss 
2 [m cotg 9 + ncotg Pi | 
da cui: 
2ncotg si 
1 de Poi 4 (87) 
È, Ra ! 


w 
mi cotg° 5 + n° 
ove si sia posto per brevità: 


m=t, + to 
isla 


22. —Il triangolo 00,0, può essere costruito col metodo 
generale spiegato al n° 5. Nella figura sono riportate le costru- 
zioni necessarie: segnate le rette AH ed AH' che fanno colla AQ 
l'angolo 2v si sono tracciate le ‘rette’ A-V-E, A-IV-F biset- 
trici degli angoli A'AH, A'AH' ed avuti così i punti E, F, E, F' 
e gli elementi del triangolo 00,0,. 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 679 


28. — Anche in questo caso il punto € gode di una pro- 
prietà che serve a determinarlo direttamente. Si ha infatti: 


caB=l—-v)-(1-)=% 


cioè il triangolo ACB'è isoscele sopra AB. Il punto C giace sulla 
normale alla AB innalzata nel suo punto medio d. Si immagini 
prolungato l’arco ATCB fino ad incontrare in 7" la retta. 7"B 
che faccia l'angolo ABT' = (basterà a questo scopo prendere 
arco AT"—= arco AT), si divida per metà il segmento 7'B nel 
tt 
1 ù 2 
nel punto e' incontrerà la 4dC nel punto Cl voluto. Qualora 
non si potesse avere il punto 7 si osservi che il punto e è 
piede della perpendicolare abbassata da / sulla BH; ove sia 
AH,= AH (AH perpendicolare alla AB). 

Il punto e si può anche ottenere ricordando che è luogo 
geometrico dei punti medi. delle corde di un cerchio passanti per 
un suo punto è un cerchio avente per diametro il raggio del cerchio 
passante per quel punto, quindi il cerchio costruito sulla B/ come 
diametro taglierà la B7' nel punto e. 


punto. e, si prenda ee' = . La normale innalzata sulla 7"B 


24. — Per completare lo studio di questo caso occorrerà 
conoscere le coordinate di C rispetto al punto A come origine 
ed alla AB come asse dell’x, come fu detto precedentemente. 
Tenendo conto di quanto è più sopra detto si ricava facilmente: 


Lit gg 4 

A. = da, "NONA ba 
(38) 

VICI ud a 

Ho= 2 sen (1-cos5)=>= 2 senv w \ 

2tang 5 
VI. — Applicazioni. 
A) Metodo numerico. — Si abbia a raccordare i due retti- 
fili MA ed NB, per cui sia: 
t, = 442,94 to =278,51 


w=102°56' 00". 


680 CARLO JORIO 


L'ordine dei calcoli è il seguente: 
1° Determinazione di d, v, R (formole 1, 2, 4"): 


Logaritmi. Logaritmi. 
t, — ty |2.2159811 t, |(2.6463449 
nia atei t,:senw |2.6575046 454,469 
d |2.3148574 |\Aa= 206,470 t> (2.4448408 
t1 + ta |7.1417938 cotw 19.3610531x 
tango |9.4566512 \o=15°58 14" cotgw—|1.8058939n| — 63,958 
| R=390,511 


2° Determinazione dei valori massimi e minimi di È, e PR 
(formole 17 e 18): 


Logaritmi. Logaritmi. 

to |2.4448408 R, |2.5916333 

w senw |9.9888408 
cotg 719.9011287 (mass. Rs) |sen(w—-20){0.0243502| . (min. .R;) 


2.3459645|] = 221,802 2.6048238|] = 402,554 


si assuma P, = 150,00 


3° Determinazione di a, e È, (formole 10 e 9): 


Logaritmi. Logaritmi. 

mo on 2.4386246 ni cot 3 | * 1,9149511 
tang > 10.0988763 Leto 

d |7.6851426 cot 3 Ve 


d 
cot > |0.2226435|a==61°50'06"| > cot-> cotz'| 2,3410784 
a,=41°05'54" R, = 506,596 


4° Determinazione dei lati 00,, 00, 0,0; (formole 10’): 
00, = 822,555 
00,= 240,511 
0,0,= 356,596. 


ini 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RACCORDO, Ecc. 681 
5° Determinazione di FR, ed PR, nel caso di minima dif- 
ferenza “di.—'a = 7 : 
Logaritmi. 
d w | n 
- cot + 1.9149511 RI=457:852 


2 2 
cot 7: 0.3169672 | R,=116,700. 


d w w 
ot 007 2.2319183 


6° Determinazione di R, ed È, nel caso di minimo rap- 


w wW 
porto a,.= > — 0, a=>+v: 


2 

Logaritmi. Logaritmi. 

d w d w 
3 cot-y | 1.9149511 2 cot3 | 1.9149511 
cot-5 | 0.4951970 cot 3 | 0.1756226 

eroe top a Magi 

got 3eot S| 2,4101481 -cot 5 cot | 2,0905737 

R, = 544,403 R, = 164,086. 


7° Determinazione di R, ed PR, nel caso di minima va- 


. . . w w 
riazione di curvatura aj = + — 20, 0°= Ci +20: 


2 
d w d w 
co > | 1.9149511 ot 5 | 1.9149511 
cot $- 0.7643175 cot 5 0.0500788 


d w Ch ni d w 09 
TT) cot Îa) cot #7) 2.6792686 32 cot 9 0018 9 1.9650299 
ii 05001 Rs = 195,012 


8° Calcolo delle coordinate dei punti C nelle varie ipotesi 
(A origine, AB asse delle x, formole 13): 
a) Caso generale È, = 150,00 


di 


qiAl005/54" di Lo —3698111" (+0) = 1405649” 


682 GARLÒ JORIO' 


Logaritmi. Logaritmi. 

t, — ty |2.2159811 t, —t,|2.2159811 

seno |0.5604410 seno (0.5604410 

sen (4 +v)|9.7745895 sen (“+0 )[9.7745895 

cos|5—(3'+e)||9.9850514 son| 5—(5+-e]](9.4414926 
Xx |2.53606305843,608 Y. |1.9615026/91,729 


In modo analogo si trova: 


b) Caso di minima differenza (formola 25): 


X= 391,825 Y = 67,418. 


c) Caso di minimo rapporto (formola 30): 


X = 315,956 Y— 101,127. 


d) Caso di minima variazione di curvatura (formola 88): 


X = 233,741 Y=112,660. 


Prospetto riassuntivo. 


R, PR? (Rd _ x Y 


1° Caso/506,596/150,000|356,596| 3.38 | 0,0047 |348,608| 91,729 


20, |457,852/116,700|341,152| 8.92 | 0,0064 de 67,418 


3°; |544,403/164,086:380,317| 3.31 | 0,0043 |315,956/101,127 


4°, |765,101195,012/570,089| 3.92 | 0,0038 [233,741 


112,660. 


B) Metodo grafico. — Questo metodo si vede applicato nella 
fig. 7 che corrisponde (1:5000) alla solazione numerica. Si ab- 
biano sul disegno segnati i due rettifili MA, NB da raccordarsi 
in A e B con una curva a due centri. Per maggior generalità 
supporremo che il vertice V cada fuori del foglio. Si innalzino in 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE CURVE DI RaccoRDO, ECC. 683 


A e B alle MA ed NB le perpendicolari che si incontrano in 0, 
si prenda 0A4'=0B e si tiri la A'5B che incontra la MA in 7. 
Volendo risolvere il problema col fissare il valore di È, se ne 
determina il valore massimo. A. questo scopo basta innalzare la 
perpendicolare nel punto C di mezzo della 77B, essa dà sulla BO 
il punto m, Bm= Tm sarà l’espressione grafica del massimo 
valore di R,: qualora si volesse fissare f, si abbassi dal punto d 
medio di AB la perpendicolare che incontra la 40 in m', 
Am' = Bm' rappresenterà il minimo valore che può assu- 
mere R,. Si prenda p. e. &, = 150 m. = BO,: la retta cm. pro- 
lungata dà il punto n, si divida mm» per metà, si avrà. il punto /, 
si descriva l’arco di cerchio di centro / e raggio ASSE ed 
il semicerchio sulla /0, come diametro, i due cerchi si incon- 
treranno in 9, la retta 0, è la retta dei centri che prolungata 
dà il punto O,, questa retta incontra il cerchio (/, p) nel punto C 
di raccordo. 

Volendo la, curva per cui sia minima la differenza dei raggi 
si procede in questo modo: si prenda ce = AS, la normale in e’ 
alla 7°B incontra il cerchio (/, p) in C', se non è segnato detto 
cerchio, il punto C' starà pure sulla AK prolungata ove sia 
TR = TA,la C'c' prolungata dà i punti 0’, 0',. 

Volendo la curva per cui è minimo il rapporto dei raggi 
si prenda dd' = AS (d punto medio di 45), si innalzi la per- 
pendicolare alla A5, essa incontra la perpendicolare alla 7°B in c 
nel punto C", la C' d' prolungata dà i punti 0", 0",. 

Volendo la curva per cui è minima la differenza di curva- 
tura si innalzi in A la normale alla AB che incontra la A'B in K, 
si prenda AK' = AK e da I si abbassi la perpendicolare su AK', si 
avrà il punto e, prendasi cel = AS, la normale in e' alla AK' in- 
contra la normale in d alla AB nel punto Cl, la C'e" prolun- 
gata dà i punti 0”, 0". Volendo avere contemporaneamente i 
punti c,d,e, si descriva il semicerchio sulla IB come diametro: 
esso taglierà rispettivamente le rette BK,, BA, BK nei punti 
cercati. 

Per dimostrare l’importanza di tali costruzioni ne faremo 
un’altra applicazione ad un caso particolare che può verificarsi 
sovente nella pratica. Sia w=0 cioè le direzioni MA ed NB 
siano parallele (caso p. e. degli archi rampanti). In queste ipo- 


684 CARLO JORIO — "CONTRIBUTO ALLO STUDIO, ECC. 


tesi i punti O ed A' vanno all’infinito, il punto 7 si troverà sulla 
normale in B alla BN: divisi per metà i segmenti 7/B ed AT' inc 
ed S, le parallele rispettivamente alle AM e TB per i punti e 
ed S dànno il punto / che è pure punto di mezzo del segmento AB. 
Il valor minimo che può assumere È; è m'B, m' essendo l’incontro 
della normale in A alla AM colla normale alla AB in /, è segnata 
in figura la curva di raccordo in questo caso: è il cerchio che 
ha il centro in m' e passa per A e 5. Il valore massimo di È, è 
dato da dB, la curva di raccordo in questo caso è costituita dal 
segmento rettilineo AT e dal semicerchio T'HB. In figura sono 
segnate quattro curve di raccordo seguendo il procedimento più 
sopra spiegato, la curva ACB corrisponde al caso di avere scelto 
per R, un valore arbitrario BO,, le curve AC"B, AC"B, AC"'B 
sono quelle che hanno rispettivamente minima differenza, mi- 
nimo rapporto e minima differenza di curvatura. 


Maggio 1903. 


E, 


i.0-0e Srcare cetona 


JORIO - Contributo allo studio delle curve. 


Fig. 1 


Tit Salussotia «Torino 


Atti dR.Accad.d.Scienze di Torino - 


GIOVANNI BOERIS — APPUNTI DI MINERALOGIA PIEMONTESE 685 


Appunti di mineralogia piemontese. 


Nota di GIOVANNI BOERIS. 


Zircone e idocrasio di Comba Robert. 


Ai minerali del giacimento di Comba Robert presso Avi- 
gliana, dei quali già ebbi occasione di dare qualche notizia in 
due Note comparse negli “ Atti, di questa Accademia (1), re- 
centi osservazioni mi permettono di aggiungere lo zircone e 
l’idocrasio. 

Lo zircone e l’idocrasio, a Comba Robert, sembrano essere 
rari: in fatti finora, sebbene abbia ripetutamente e minuta- 
‘mente esplorato il giacimento, una sola volta mi riuscì di ve- 
dere tanto l’uno che l’altro di questi minerali. 

Riferisco allo zircone alcuni pochi e minuti cristalli, torbidi 
nella loro massa, di colore bruniccio, con lucentezza adaman- 
tina, i quali rigano il vetro e non sono punto attaccati dall’a- 
cido cloridrico. Mostrano le facce delle forme }110} e }111{, ma 
sempre poco perfette, e, misurandoli, si ebbero i risultati che 
qui di seguito vengono messi a confronto coi valori angolari 
calcolati dal rapporto parametrico di Kupffer (2). 


| Angoli Mis. Cale. 
(111) : (111) 56° 45° 56 40 
(111) (111). 84 3 8420 
(111) :(110) 4800 47 50. 


(1) Vol. XXXII, p. 670 e vol. XXXIV, p. 609. 
(2) Preisschrift iiber genaue Messungen an Krystallen. Berlin, 1825, p. 72. 


686 GIOVANNI BOERIS 


Tali cristalli di zircone erano accompagnati da epidoto e 
da qualche cristallino di titanite bianca. 

Per quello che riguarda l’idocrasio dirò che si tratta di una 
generazione di piccoli cristalli di color verde, in generale di 
una certa lunghezza nel senso dell’asse verticale, impiantati 
quasi tutti con questo asse molto inclinato sulla matrice, e fitta- 
mente cresciuti a formare una incrostazione limitata ad un solo 
tratto della superficie di un piccolo blocco d’idocrasio compatto. 

Essendo poi parecchi dei detti cristalli terminati da un 
buon numero di facce assai brillanti e ordinariamente ben piane, 
mi parve conveniente sottoporli ad una indagine goniometrica 
che mi permise di constatare la presenza delle seguenti forme: 
3001} }110} 3b00} 3210} }L11{ }331{ }L01} }201{ }211} }311{ }3121. 

La base è costante e, nei diversi cristalli, diversamente 
sviluppata; ma solo per eccezione lo è tanto da predominare di 
molto sulle altre forme che le si accompagnano a terminarli. 

I prismi }110{ e }100{ sono pure costantemente presenti e 
con facce più o meno striate secondo |001]; }110{ poi è di so- 
lito a facce largamente predominanti su quelle di }100}, e solo 
in casi eccezionali ambedue i prismi hanno le loro facce presso 
a poco della stessa estensione. 

Il prisma ottagono }210| fu determinabile con sicurezza solo 
in pochi cristalli a cagione della strettezza grande delle sue 
facce e per la forte striatura che abitualmente presentano: una 
sola volta ne osservai una faccia assai grande e pochissimo 
striata. 

La bipiramide di primo ordine }111{ si riscontra su tutti 
i cristalli e con facce ovunque ben piane e di notevole esten- 
sione; estesa poi in special modo è nei cristalli più poveri. 

Non molto frequente invece è l’altra delle bipiramidi di 
primo ordine osservate, cioè }331}, le cui facce variano molto 
di estensione fino ad essere, almeno alcune, in certi cristalli, 
assai larghe. Mutabile è pure il loro aspetto anche sullo stesso 
cristallo, mostrandosi alcune volte nette e lucenti, altre ruvide 
e opache. 

La forma }101{ è abbastanza frequente e si trova sopra- 
tutto nei cristalli dove }111{ è più sviluppata che le altre forme 
contemporaneamente presenti, ma ha facce sempre ristrette che 
riflettono immagini scadenti. 


APPUNTI DI MINERALOGIA PIEMONTESE 687 


La }201: fu osservata sopra un solo cristallo, rappresen- 
tato a modello dalla figura 1, sul quale si presentava.con un’u- 
nica faccetta di poca perfezione. 

Forma piuttosto rara è la }211{ le cui facce lasciano sempre 
molto a desiderare, perchè poco piane, poco splendenti e ri- 
strette. 


Frequentissime invece sono }311} e }312f, con facce molto 
nette e lucenti: di queste due forme l’ultima è quella che ha 
facce d’ordinario meno estese. 

Si trovano poi ancora, su diversi dei nostri cristalli, delle 
facce ;hhl in cui 2 > A, lucenti ma ridottissime, tolti alcuni 
casi in cui raggiungono una certa estensione, ma hanno po- 
chissimo splendore. La misura di queste facce sulle adiacenti 
viene sempre a dare pertanto risultati ben poco attendibili che 
stimo inutile di riportare. 

I cristalli misurati sono in numero di dodici, terminati, come 
del resto tutti gli altri, ad una sola estremità. Dei quattro mi- 
gliori riporto integralmente i valori ‘ottenuti per i quattro an- 
goli della base colle quattro facce della }111{, e per i quattro 
angoli che queste ultime intercettano tra loro, notando che di 
ogni spigolo fu fatta una sola lettura, ;e :-che detti valori si pos- 
sono ritenere tutti dello stesso peso, perchè la perfezione delle 
immagini che le facce riflettono è prossimamente ‘uguale. 


688 


GIOVANNI BOERIS 


Cristallo I. 


(001) : (111) = 37° 14' 
(001) : (111) =37 10 
(001) : (111) = 37 10 
(QOEpirtti SSA 

media = 37° 11' 45" 


(111) :(111) = 50° 36 
(111) :(111) = 50 38 
(111): (111) =50 36 


(111) :(111)=50 36 
media = 50° 36' 30” 


Cristallo II. 


(001) : (111) = 37° 15’ 
(001): (111)=37 15 
(001) : (111) = 37 16 
(001) : (111) =37 14 


(111) : (111) = 50° 41' 
(111): (111) = 50 36 
(111) :(111) = 50 41 
(111) :(111)=50 38 | 


media: = 37° 15/ 


media = 50° 39’ 


Cristallo III 


(001) : (111) = 37° 12' 
(001): (111)=37 12 
(001): (111) =37 13 
(001) : (111) =37 26 


media = 37° 15' 45" 


(111) (111) ="50°36' 
(111):(111)=50 39 
(111)(111), AL 
(111) :(111)=50 40 


media = 50° 38' 


Cristallo IV. 


(001) : (111) = 37° 12 
(001) : (111) =37 13 
(001) : (111) = 36 58 
(001): (111) =37 13 


media = 37° 9' 


(111) :(111) = 50° 39' 
(111):(111)=50 81 
(111): (111)=50 38 
(111) :(111)=50 30 
media = 50° 34' 30” 


APPUNTI DI MINERALOGIA PIEMONTESE 689 


Se si scorrono i valori angolari riportati di sopra, che sono 
tutti assai buoni, e, come si disse già, di egual peso, si può 
osservare che il migliore accordo, per gli spigoli omologhi, lo 
si ha nel primo cristallo. Nel terzo e nel quarto uno degli spi- 
goli fatti da una faccia di }111: sulla base, varia notevolmente 
dagli altri tre, ciò che accenna ad uno spostamento della base 
stessa, nel caso nostro essendo invece abbastanza vicini i valori 
degli spigoli culminanti di }111{. Complessivamente poi si rileva 
che anche nell’idocrasio di Comba Robert si hanno differenze 
rimarchevoli tra gli angoli omologhi non solo dei diversi eri- 
stalli, ma anche di un medesimo cristallo, analogamente a quanto 
si conosce per l’idocrasio delle varie località note. 

Se poi per ognuno dei quattro anzidetti cristalli, dal valore 
dell'angolo (001):(111) si deduce quello dell'angolo (111):(111), 
si ha che questo è 


50° 36" 54” nel I° cristallo 
baie Ira 
odi 681, III° , 
bilia ai IV° >, 


L’accordo per tanto più soddisfacente tra osservazione e 
calcolo ci è mostrato dal primo cristallo, in cui la differenza 
tra il valore trovato e il valore dedotto per lo spigolo (111):(111) 
è di 24' mentre nel terzo arriva a 3' 53". 

Nella tabella che segue sono riportati tutti i risultati delle 
letture fatte sui quattro cristalli di cui si tenne parola. Quelle 
dei primi otto spigoli, tutte di egual peso, servirono a deter- 
minare la costante più probabile del nostro idocrasio, la quale è: 


a:c=1:0,5369349. 


Le forti divergenze tra i valori angolari, alle quali si ac- 
cennò più sopra, rendono opportuna così fatta ricerca: calco- 
lando poi in base a tale costante, tra osservazione e teoria si 
ha un errore medio di 1’ 9”, 


690 GIOVANNI BOERIS 


Limiti 


Angoli delle osservazioni 


Osserv. media Calcolato N 


(001): (111) 36058" — 37026"| 3701252” | 37°12’39" | 116 
(111) (dib1) (50, Bas b0sdlvl; 50,37. 0.0 88 11 bad 
(111) ::(811) |29,29—29 33.| 129 31,10 | 29,30 48..| dl 
(312)::;(001)..\40 15—40:24.| 40 21 12..| 40.19 49. | 15 
(31811) 9108 (8200149 12223 (4 19,10,26 
(312) :(111),.|16 40— 16,55 | 16,480. | 16 49 27 
(311) :(811).J8k 96:o$1 40al 3188.0891 37 27 
(812) i(811)183,33:+133138011483135.145,,,,11 83185 188 
(331) e (1119/490677 291097 Or PO en 


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(001) : (101) Og: he 26.130 1 
(101) : (201) 1858 (0 | 18 48 26 1 
(201) : (100) 142152 0 | 42 57 36 1 
(311): (100) obo 0040 6 104 1 
(311) :.(211) 1123 OR dal 26708 1 
(211):::((111) 18:33 440 (.41.,4.8,15.450 1 
(111): (100), [64 30 — 64 37 | 64 33 30. | .64 41 0 2 
(111): (101) (25-18-2521 | 25 19 30. .| 25.19 (0 2 
(331): (211) HER ORO o 1 
(211): (111) PAIA Vola MAI 1 
(312): (3121.1238 96 29,38.) 29 96 dla, 1-09, 27 0 3 
(311): (131) |45 24—45 32.) d5 27 30. | 45.19 51 4 
(312) : (132) 7044 00 | 70 44 29 1 
(311): (110) (39 30=89%;35- |) 39.32.40 | 39 35.1 3 
(311): (110) ORI de 67 2000 1 
(211) :1(410) 48 21 0904801204 1 
(211) ::(812) 1dol6r00od 41525 40 1 
(111)::(311) 50.25.10: .| 5025: 0 1 
(111) : (312) 38/841 0 .ik38e 2227 1 
(210): (100) |26 32—26 38.| 26 95 30° | 26 33 54 4 


APPUNTI DI MINERALOGIA PIEMONTESE 691 


Magnetite del monte Pian Real. 


Anche nelle serpentine del monte Pian Real, in valle di 
Susa, si trovano, con una certa frequenza, cristalli di magne- 
tite non di rado abbastanza grossi. Sono ordinariamente dei 
semplici rombododecaedri, ma non mancano esempi di cristalli 
con una certa ricchezza di forme; il che non è privo d’ inte- 
resse, perchè malgrado la diffusione grande della magnetite nelle 
Alpi, i giacimenti con cristalli ricchi di forme, come è noto, 
sono nelle Alpi stesse relativamente rari. 

Voglio qui pertanto ricordare in modo speciale alcuni cri- 
stalli di magnetite che mi occorse di raccogliere al Pian Real, 
i quali, oltre all’ottaedro sviluppato tanto da dare l’abito alla 
combinazione, al rombododecaedro con facce poco estese, pre- 
sentano pure faccettine del cubo, dell’icositetraedro }311{ e del 
triacisottaedro }331(, forma che, almeno finora, è da mettersi 
tra le rare della magnetite. Ecco i risultati delle misure: 


Angoli Mis. Cale. 


(331) :(111) 21° 57 290 0' 
(311) : (100) 25 13 25 14 
(311) :(111) 29 29 29 30. 


La forma }331{, tempo addietro, e cioè nel 1898, fu pure 
riscontrata sopra un cristallo di magnetite dei fossi di Acqua- 
cetosa presso Roma, e data come nuova, da F. Zambonini (1), 
perchè non indicata, così egli assevera, nel trattato del Dana. 
Ma veramente nella sesta edizione di questo trattato, comparsa 
nel 1892, tra le forme date per la magnetite vi è pure la {331{, 
che, del resto, già nel 1888, il Brugnatelli (2) per il primo 
aveva osservato sopra cristalli provenienti da Rothenkopf nella 
Zillerthal. 


(1) Magnetite dei fossi di Acquacetosa e del Tavolato, “ Rivista di min. 
evcrist:s, XXI, 21. 

(2) Ueber fliichenreiche Magnetitkrystalle aus den Alpen, * Zeitschr. ftir 
Kryst. und Min. ,, XIV, 237. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 46 


692 GIOVANNI BOERIS 


Titanite di Trana. 


A breve distanza dall’abitato di Trana, in valle del San- 
gone, alle falde del monte Pietraborga, venne attivata da non 
molto tempo una cava di scisto serpentinoso, il quale è in con- 
tatto con una roccia prasinitica. 

Nei rottami di detta cava rinvenni diversi massi di uno 
scisto cloritico, qua e là passante a prasinite cloritica, nei quali 
sono disseminati numerosissimi cristallini di pirite, e si hanno 
inoltre venette di epidoto, noduli di apatite addensati in qualche 
punto dei massi stessi, e molti cristalli di titanite, là dove lo 
scisto è nettamente cloritico. 

I cristalli di quest’ultimo minerale che mi riuscì di met- 
tere insieme, e sono parecchi, sono tutti, uno eccettuato, gemi- 
nati ad asse normale a }100|; presentano poi tutti quanti la sem- 
plice combinazione }111}, }001|. 

Per la massima parte sono discretamente grossi, raggiun- 
gendo i più i 15 millimetri in larghezza e i 12 in altezza. 

Di completamente limpidi non se ne ebbe alcuno: solo po- 
chissimi sono subtrasparenti e abbastanza vivamente colorati 
in giallo traente al verdognolo, mentre i rimanenti sono tor- 
bidi, o affatto opachi e tinti, o nello stesso colore, ma più pal- 
lido, o decisamente in verde per la molta clorite interclusa. 

Solo per eccezione sono rotti in due o più pezzi, che ri- 
mangono tuttavia aderenti insieme, in generale senza che fra 
essi venga ad interporsi clorite od altro. 

Per la paragenesi adunque non presenterebbero questi cri- 
stalli nulla di nuovo, e per la povertà loro di forme non sa- 
rebbero gran fatto rimarchevoli dal lato cristallografico, ma 
credo che meritino di essere menzionati per la costante pre- 
senza su di essi di interessanti facce di corrosione. 

L'angolo tra le facce }111} dei due individui dalla cui 
unione i nostri cristalli risultano, simmetriche rispetto al piano 
;010f, è ognora modificato da due facce quanto mai scabre è 
spesso anche incurvate. Per la posizione che queste facce hanno 
rispetto a quelle di ;111{, si dovrebbero indicare col simbolo 
;htk}. Di solito ogni gruppo ne presenta precisamente quante 
ne richiede la simmetria della classe cristallina della titanite. 


LEV Sv -_—_ Pm _————_m@ 


APPUNTI DI MINERALOGIA PIEMONTESE 693 


Nei gruppi più perfetti poi, dove le facce }111{ dei due individui 
sono egualmente estese, anche le facce di cui si discorre sono 
ampie ad un modo. Il loro limite colle facce }111| in generale 
ha l'andamento ritratto dalla figura 3; qualche volta per altro 
è segnato da una curva poco marcata a convessità rivolta verso 


lo spigolo [111 :111], e qualche altra volta ancora, nel tratto 


Fig. 3. 


più vicino al vertice in cui concorrono le quattro facce }111{ 


dei due individui, si mantiene parallelo allo spigolo |111 : lb; 
almeno per quanto si può giudicare ad occhio, poi si incurva 
nel modo detto più sopra. Tali facce si tagliano fra loro con 
spigoli abbastanza netti: talora però si confondono in una su- 
perficie curva. Delle tante osservate una sola diede un riflesso 
abbastanza sicuramente centrabile, tenendo conto del quale si 
ebbero questi valori: 


(42%): (111) = 7049 
(11k):(111)=36 6 


Portandoli in calcolo si arriverebbe al simbolo }18 11 17/, 
ma di così fatto simbolo, in tal modo ricavato, non ho natu- 
ralmente tenuto conto se non per tratteggiare le facce }% / ki 
sulla figura 3 il più esattamente possibile. Adottando il detto 
simbolo i valori calcolati per i due spigoli trascritti di sopra 
sarebbero rispettivamente 7°48’' e 36°4'. Una faccia poi di sim- 
bolo (323) farebbe con (111) un angolo di 6954’. 


694 GIOVANNI BOERIS — APPUNTI DI MINERALOGIA PIEMONTESE 


Dai miei cristalli ottenni pure i seguenti valori: 


Angoli Mis. Cale. 
(111):(111) 43° 48' 43° 49' 
(111): (111) 110 6 109 53 


È da notarsi ancora che le facce della }111{ sono di so- 
vente molto corrose; quelle poi che non lo sono affatto, o sol- 
tanto poco, lasciano vedere delle fine e numerose strie che sono 
nell'angolo piano degli spigoli [111 :111], [111:111] e paiono 
sensibilmente inclinate su quest’ultimo, ma di quanto non è 
mai possibile determinare direttamente, perchè tale spigolo, 
come si disse, è sempre modificato da facce }h 7 k}. L'angolo che 
fanno sullo spigolo [111 :111}| si può in più casi misurare con 
una certa approssimazione: ritenendolo di circa 40° non si è 


forse lontani dal vero. 


L’Accademico Segretario 
LoRENZO CAMERANO. 


VIVIANI 


— mn 


695 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 17 Maggio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF, ENRICO D’OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


% 


Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, Pezzi, 
CarLE, BoseLLi, Brusa, ALLievo, CHIRONI e ReNIER Segretario. 

Viene approvato l’atto verbale dell’ adunanza antecedente, 
3 maggio 1903. 

Il Presidente annunzia la morte improvvisa del Vice presi- 
dente Peyron, seguìta il 9 maggio corrente e lo commemora 
con affettuose parole. Egli dà conto dei funerali e dei discorsi 
pronunciati sulla tomba del defunto. Quello tenuto dal Presi- 
dente stesso è inserito negli Atti. Quindi riferisce le condo- 
glianze giunte dalle Autorità, dai Corpi scientifici, dalle Biblio- 
teche, da singoli personaggi e prega il Socio Pezzi di redigere 
una commemorazione ufficiale del defunto e venerando uomo. 
Il Socio Pezzi accetta. 

Dopo aver comunicato i ringraziamenti che per le loro re- 
centi elezioni inviarono i Soci nazionali non residenti NIGRA, 
ScraLoza, RAJNA e i Soci stranieri BréaL e Wunpr, il Presi- 
dente propone che sia levata l'adunanza in segno di lutto. La 
Classe approva unanime. 


696 


Parole pronunziate ai funerali del Vice Presidente B. Peyron 


dal Socio Presidente ENRICO D’OVIDIO. 


Dopo appena sei mesi dalla morte del suo compianto pre- 
sidente Alfonso Cossa, la Reale Accademia delle Scienze di 
Torino è ora colpita da nuova gravissima perdita: quella del 
venerato vice-presidente BernARDINO PeyRron. Anch’egli è sparito 
inaspettatamente dal novero dei viventi! 

Era giunto, è vero, alla grave età di poco meno che 85 anni; 
ma conservava tutta la limpidezza della mente, tutta l’arguzia 
del suo amabile conversare, tutta la innata cortesia del tratto, 
tutta quella benevola disposizione dell’animo, che rendeva gra- 
dita e desiderata la sua presenza anche in mezzo a coloro cui 
ancora sorridesse la gioventù. Con l’inoltrarsi negli anni egli 
non aveva perduta la gioventù del cuore. 

Educato alla scuola del suo illustre zio Amedeo Peyron, il 
nostro rimpianto collega aveva di buon’ora date salde prove di 
ingegno sagacissimo, e si era affermato con poderosi lavori nel 
campo degli studî classici ed orientali. Profano come sono a co- 
tali studì, non a me si addice di valutare i meriti scientifici di 
Bernardino Peyron; il che altri farà con la debita scienza e co- 
scienza. Ma la ricca natura sua non era chiusa a nessuna mani- 
festazione di dottrina e di bellezza; e perciò, com’egli era alta- 
mente stimato dai cultori degli studî da lui prediletti, così era 


riverito ed amato da tutti coloro che avessero consuetudine 


con lui. 

E particolarmente careggiato era il dotto e simpatico ve- 
gliardo dai suoi colleghi dell’Accademia delle Scienze, i quali 
ammiravano in lui l’indole mite e gioconda non meno dell’ampia 
e profonda cultura. Egli era il nostro Nestore, e per l'anzianità 


I | |Pont ryr:©e:” x: 57 ]_ AC 


697 


e pel savio consiglio. Ritrovandolo sempre alacre e sorridente, 
ci eravamo avvezzi a considerarlo come destinato a secolare 
longevità; ma codesta illusione del nostro cuore ci fa oggi più 
amaro il separarci per sempre da un così buono ed autorevole 
compagno. Dura legge, ma legge, cui è forza piegare il capo. 

Addio, dunque, venerato Collega nostro, che hai nobilmente 
fornita la tua giornata. Ti sia lieve la terra, e la tua memoria 
duri sempre onorata fra noi, indissolubilmente congiunta a quella 
di Amedeo Peyron. Con esso tu formi ormai una stella doppia 
nel firmamento della scienza italiana. 


L’Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de* RR. Principi. 


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CLASSI UNITE 


Adunanza del 24 Maggio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: 

della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: 
BerRuTI, NAccARI, SPEZIA, CAmeRANO, SEGRE, JADANZA, Foì, 
GuarescHI, Guini, FiLeTi, PARONA, MaTTIROLO, MorERA e GraAssI. 

della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
Rossi, Manno, Pezzi, Grar, BoseLLI, CrroLLa, Brusa, Pizzi e 
RenIiER Segretario. — Il Direttore della Classe FERRERO ed il 
Socio CarLE, avendo dovuto allontanarsi da Torino, scusano 
le loro assenze. 

È approvato l’atto verbale dell’ adunanza antecedente, 
3 maggio 1903. 

Il Presidente rammenta la perdita del Vice-Presidente 
PeyRon, per cui furono tolte le ultime sedute d’entrambe le 
Classi, a manifestazione di lutto, e comunica che ha assunto 
l’incarico di commemorare l’estinto il Socio Pezzi. 

Si addiviene quindi alla elezione del nuovo Vice-Presidente 
e riesce eletto, salva l'approvazione sovrana, il Socio Bosett. 

Il Presidente si rallegra con lui. 

Il Socio BoseLL1 ringrazia, e le sue parole sono accolte da 
unanimi applausi. 


Gli Accademici Segretari 
LoRENZO CAMERANO 
RopoLro RENIER. 


—____T_° °—«AlAr_T---< 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 47 


700 


CLASb5E 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 24 Maggio 1903. | 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti î Soci: BeRRUTI, SPEZIA, JADANZA, GUIDI, 
Naccari, Foà, Firetr, PARONA, MATTIROLO, GUARESCHI, SEGRE, 
Morera, Grassi e CameRANO, Segretario. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

Il Presidente comunica la lettera d’invito del Comitato ad 
assistere all’inaugurazione del monumento a Kekulè in Bonn. La 
Classe dà mandato alla Presidenza di provvedere a che l’Acca- 
demia viî sia rappresentata. 

Comunica quindi la scheda di sottoscrizione inviata dal Co- 
mitato per l'erezione di un ricordo nel Museo Mineralogico del- 
l'Università di Pisa al compianto Prof. Antonio D’ACCRIARDI. — 
La scheda verrà depositata in Segreteria a disposizione dei Soci. 

Il Socio GvuarescHI fa omaggio della sua commemorazione 
del compianto Presidente Alfonso Cossa. 

La Società Toscana di Scienze Naturali di Pisa manda in 
dono la commemorazione del Prof. Antonio D’AccHrarpI letta 


dal Prof. Giovanni ARCANGELI. 
Vengono presentate per l’inserzione negli Atti le Note se- 


guenti: 

1° Sui gruppi continui finiti di trasformazioni proporzionali, 
del Socio nazionale non residente Prof. Luigi BrANncHI, presen- 
tata dal Socio SEGRE. 


701 


2° Sulla differenza di potenziale tra liquidi e gaz, del 
Dott. Adolfo CamperTI, presentata dal Socio NACccaRI. 

3° Effemeridi del Sole e della Luna e dei principali pianeti 
per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1904, del Dott. Vittorio 
Bani, presentata dal Socio JADANZA. 

4° Acidi 1.2didroftalici esasostituiti, del Socio GuARESCHI. 

5° Metodo grafico di calcolo degli alberi a gomito con più 
di due appoggi, dell’Ing. Elia Ovazza, presentata dal Socio Gui. 

Il Socio Srere a nome anche del Socio MorerA legge la 

relazione intorno alla Memoria del Dott. Francesco Severi inti- 
tolata: Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica e 
sopra certe classi di superficie. La Classe approva all'unanimità 
la relazione e con votazione segreta accoglie pure unanimemente 
la Memoria del Severi per la stampa nei volumi delle Memorie 
accademiche. 


Il Socio MoreRA a nome anche del Socio VorrteRRA legge 
la relazione sulla Memoria del Dott. Giulio Brscowcrni intitolata: 
Sulle vibrazioni di una membrana che si possono far dipendere da 
due soli parametri. La relazione viene approvata all'unanimità, 
e così pure, dopo votazione segreta, la stampa del lavoro del 
Dott. Bisconcini nei volumi delle Memorie accademiche. 


La Classe con votazione segreta approva unanimemente la 
stampa, nel volume delle Memorie, del lavoro del Socio Mosso 
intitolato: L’apnea quale si produce nei cambiamenti di posizione 
del corpo -— Ricerche suî movimenti respiratori del torace e del 
diaframma. 

1l Segretario comunica che dopo l'adunanza precedente, tolta 
in segno di lutto per la morte del compianto Vice-Presidente 
Bernardino PeyRon, pervennero in dono all'Accademia le opere 
seguenti: 

Sulla trasformazione delle equazioni differenziali di Hamilton. 
Nota III del Socio MorERA. 

Zeoliti dell'Isola del Principe Rodolfo, del Dott. Luigi Co- 


702 


LomBa — Cloromelaniti e Pirosseni cloromelanitoidi, dello stesso, 
presentate dal Socio SPEZIA. | 

Il moto dei ioni nelle scariche elettriche, presentata dal Socio 
corrispondente Prof. A. Ricu. 

Separazione delle funzioni basica ed acida per mezzo della 
formaldeide, presentata dal Socio corrispondente Prof. Ugo ScHIFF, 
unitamente a quattro altre note di argomento chimico eseguite 
nel suo laboratorio. 

Pervennero alla Segreteria per l'inserzione negli Atti le 
note seguenti: i 

1° Sopra il calcolo della costante solare, del Prof. G. B. Rizzo, 
presentata dal Socio NACccARI. 

2° Le condizioni climatiche di Torino durante l’anno 1902, 
del Dott. Efisio FERRERO, presentata dal Socio Naccart. 

3° Appunti di mineralogia piemontese, del Dott. Giovanni 
BoERIs, presentata dal Socio SPEZIA. 

4° Contributo allo studio delle curve di raccordo a due 
centri, dell'Ing. Carlo Jorto, presentata dal Sociò JADANZA. 

5° Sui gruppi continui finiti di trasformazioni che con- 
servano le aree. od i volumi, del Socio nazionale non residente 
Prof. Luigi BrancHI, presentata dal Socio SEGRE. 

Per l’inserzione nel volume delle Memorie furono presentati 

1 lavori seguenti: 

1° L’apnea quale si produce nei cambiamenti di posizione 
del corpo — Ricerche sui movimenti respiratori del torace e del 
diaframma, del Socio Mosso. 

2° Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica 
e sopra certe classi di superficie, del Dott. Francesco SEVERI, pre- 


sentata dal Socio SEGRE. 


LUIGI BIANCHI — SUI GRUPPI CONTINUI FINITI, ECC. 703 


LETTURE 


Sui gruppi continui finiti di trasformazioni proporzionali. 


Nota del Socio LUIGI BIANCHI. 


1. — In una nota precedente inserita negli Atti di questa 
R. Accademia (*) ho studiato i gruppi continui finiti di trasfor- 
mazioni che conservano le aree od i volumi. Una estensione 
molto naturale di queste ricerche si riferisce al caso in cui cia- 
scuna trasformazione del gruppo altera i volumi (le aree) in un 
rapporto costante, nel qual caso diremo per abbreviare che la 
trasformazione è proporzionale. La presente nota ha per iscopo 
di mostrare come la nuova ricerca si riconduce alla primitiva. 


Una trasformazione: 
(a ee 
Li =, La, ng n) 


ili 


altera i volumi in un rapporto costante se ha un valore costante 
il determinante funzionale : 


WE ta d(£,, %a, DLL] Xn) A 
d(1, L3; +00) Xn) 1 


questo valore è allora appunto il modulo d’alterazione dei volumi. 


Siano ora: 
(1) xi e) fi(21, Lay +10) n3 413 A9) +» Ar) 
de 0, 
le equazioni finite di un gruppo G,, con 7 parametri @;, 43, ...: 4 


di trasformazioni proporzionali. Cerchiamo le condizioni neces- 


(*) Adunanza del 10 maggio 1903. 


704 LUIGI BIANCHI 


sarie e sufficienti cui debbono soddisfare i coefficienti ,;(x) 
delle r trasformazioni infinitesime generatrici di G,: 


3.. im 
ò 
(2) Ag == ua Zri(21, Lo, ‘009 Ca) dL 
ke=1, 2: NAT, 


Ricordiamo perciò che le (1) dànno gli integrali x;', €9/, ..., &y 


delle equazioni differenziali fondamentali del gruppo: 


Lar 
dai I 
(3) wa id E. (1) ya (0) 
s 

r=eihbcwurksal, Ancan 
definiti dalle condizioni iniziali: 

x/=%; per aes 
ove con a, ax, ..., @,U si indicano i valori dei parametri « 


che corrispondono alla trasformazione identica. 
Se si deriva il Jacobiano: 


d(x1, x2, n) 
I= 19402 ’ 
(21, £2, «1, Ln) 


rapporto ad «,, coll’osservare le (3), si ottiene la formola: 


dl Vital E, pa 
(4) ()-3 SA dEsn(a) le Da ue È ero ci 


da n ya(2), 


che, ponendo per abbreviare: 


13. 
pa” dEsi(x) 
6) ola= VS, 
scriviamo: 
1... 
dlogI 
(#9) SY (0) (0). 


Il secondo membro deve, per ipotesi, essere una funzione 


/ 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI PROPORZIONALI 705 


delle sole a; e poichè il determinante w delle y, non è nullo, 
ne risulta che tutte le 9, debbono essere costanti, diciamo: 


VERA 


Inversamente se tutte le £, sono costanti, dalle (4*) segue 
integrando: - 


logI= F(a;, 08, :.., 0) + P(r1, 4) è. da); 


e poichè per a.=ay), riducendosi le «' alle #, diventa Z=1, ne 
risulta : 
— I, { 
D(21, L9, 000) Xn) = sac F(al, ad, 2009 a), 
cioè: 


I= el(01,9%-:9)) F4D4O ,..a V) 


dipende dai soli parametri 4 ed il gruppo G, consta di trasfor- 
mazioni tutte proporzionali. Concludiamo adunque: 
Affinchè il gruppo: 


Gr (XKf, Xsf, g*<I AF) 


sia un gruppo di trasformazioni proporzionali è necessario e suf- 
ficiente che per ogni sua trasformazione dig h 


4 xa I 4a n ca PL 
l’espressione: 


Ri sa dia Di poli. ca 


dra 


sia una costante Y. 
In particolare, quando tutte le costanti y sono nulle il 
gruppo consta di trasformazioni equivalenti (efr. n° 1, nota I). 


2. — Alle equazioni (4%): 
bh. 
? dlogI 
= = YO valor. 


possiamo dare un'altra forma introducendo le trasformazioni in- 


finitesime: 
lia <P 
dF 
A;F = » dx: (4) piva 
k 


706 LUIGI BIANCHI 


del primo gruppo parametrico TT, di G,, dove ax indica il com- 
plemento algebrico di y, nel determinante w, diviso per y stesso. 
Le (4*) si scrivono così infatti sotto la forma equivalente: 


A;(logI)="Y; (=1, 2008 
Se si prendono due di queste formole: 
Ai(logI)= Ti, Arx(logI1) = Yx 


e si ricorda che identicamente: 


URI 


(A, A)F=Y Cas AsF, 


s 


dove le c,, sono le costanti di composizione di G, (o di TT,), po- 
nendo in questa identità F = log /, deduciamo che le costanti Y, 
sono legate alle costanti di composizione dalle 7? relazioni lineari 
omogenee: 


LEI. 


(5°) » Calbta 20 


s 


AR ri PROEL PPM CI 


Il numero % delle relazioni (5*) indipendenti fra le y eguaglia 
la caratteristica della matrice delle costanti di composizione: 


| Cis Ca, LE) Cikr I 


a de cado 


con 7 verticali ed r? orizzontali; questo numero £ indica altresì 
il numero dei parametri del primo gruppo derivato di G,(*). 

Supponiamo ora che il gruppo G, di trasformazioni propor- 
zionali non si riduca a trasformazioni tutte equivalenti; allora 
non saranno nulle tutte le y e perciò si deve avere %< r, Ab- 
biamo dunque questo primo risultato: 


(*) Si ricordi che le trasformazioni infinitesime generatrici del gruppo 
derivato sono le alternate: 


Lo 
(X:Xx) = X ciks X;sf, 


che sono appunto £ indipendenti. 


è 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI PROPORZIONALI 707 


Un gruppo di trasformazioni proporzionali, che non siano tutte 
equivalenti, non può mai coincidere col suo gruppo derivato (non 
è mai un gruppo perfetto). 

Ritorniamo ora alle equazioni (4*) che definiscono il mo- 
dulo I d’alterazione dei volumi e trasformiamole nei parametri 
canonici: 


ei= ht, E =, ‘009 6. = RC 


I parametri @ risultano, com'è noto, definiti in funzione dei 
parametri canonici e dalle equazioni differenziali: 


MP 
dax 
va ua ;3; \; Gy; (a) 
Î 


colle condizioni iniziali: 
40, petrt=0. 
Dalle (4*) deduciamo: 


een 


dlogI _ dlogI dar __ 5a 
CO i” SE Tar 
k 


ed integrando: 


I= eME+y:E+...4Yr€r ; 


poichè per t=0 è I=1. Otteniamo così la semplice propo- 
sizione : 

In un gruppo G,=(X,f, Xof, ..., X,f) di trasformazioni pro- 
porzionali il modulo I d’alterazione dei volumi per la trasforma- 
zione finita: 


€Xf + e9Xf +... + Aff 
è dato da: 
I= else 


Vediamo ora che saranno equivalenti tutte quelle trasfor- 
mazioni di G, che sono definite dalla relazione : 


Ya, + TafggntiotMrfe=30; 


708 LUIGI BIANCHI 


esse costituiscono in G, un sottogruppo G,_, invariante (supposte | 
le y non tutte nulle) (*). Si ha quindi il teorema: 

Un gruppo G, di trasformazioni proporzionali 0 consta di 
trasformazioni tutte equivalenti, ovvero contiene un sottogruppo G,_, 
invariante di tali trasformazioni. 

Nell'ultimo caso diremo che G, è un gruppo proprio di tras- 
formazioni proporzionali. 

8. — Deduciamo in altro modo i risultati superiori colle 
considerazioni seguenti. 


Essendo: 
faan I...n 
Ò Ò 
RA: = Doni 


due trasformazioni infinitesime qualunque, pongasi: 


n ln 
_ N di e hi 
ig dr; Me dai 
e si calcoli l’espressione analoga: 
l...n 
Ki dLi 
Que xi 


1 


per la trasformazione alternata: 


da n 
D) 
Z=(XY)= pt 


Poichè si ha: 
Lora 


P Ary pa gni 
=) (A dr, Mir 4 


À 


(*) La stessa cosa segue anche dall’osservare che applicando le trasfor- 
mazioni infinitesime : 


E, f= 2 Gjis €; De 
VS) des 


del gruppo aggiunto alla funzione U=Z6;Ys si ottiene: 
s 
EU= x CijsYsEj; 
J,S 


e a causa delle (5*) EU= 0. Dunque l'iperpiano U=0 è trasformato in 
sè stesso da tutte le trasformazioni del gruppo aggiunto e rappresenta 
perciò un sottogruppo Gr-1 invariante di Gr. 


SUl GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI PROPORZIONALI 709 


derivando rispetto a «,, indi sommando rispetto ad è, otteniamo: 
l...n 


dE, dni doni dii 
d= >» | ri fi de cri 


dri dx, 


DES 


Ma ' la somma doppia è nulla perchè cangia segno permu- 
tando gli indici di sommazione è, \; resta dunque la formola 
— semplice: 

(6) Qg= AQ) — Y(29). 


Ne risulta in particolare che se 92£, ®, sono costanti sarà 
Qe= 0, cioò se i gruppi ad un parametro [Xf], [Yf] sono di 
trasformazioni proporzionali, l’altro (XY) è di trasformazioni 
equivalenti. Ne deduciamo quindi il teorema: 

Il gruppo derivato di un gruppo di trasformazioni propor- 
zionali è formato da trasformazioni tutte equivalenti. 

La stessa cosa segue anche da una proposizione di Killing (*) 
secondo la quale ogni trasformazione finita del gruppo derivato 
ha la forma: 


STS+T-, 


essendo S, 7" due convenienti trasformazioni del gruppo primitivo. 
Se infatti /, I, sono i moduli d’alterazione dei volumi delle S, T° 
rispettivamente, quello delle STS7 TT sarà I.IL .IT.IT=1 

Supponiamo ora che il gruppo G, sia un gruppo proprio 
di trasformazioni proporzionali e siano: 


Yl Ya, DOC) Yr 


dEsi 


. È facile ve- 
dxi 


i valori costanti delle corrispondenti £ = 


dere che, prendendo convenientemente le trasformazioni gene- 
ratrici X,f, si possono rendere nulle tutte le Y tranne una. Infatti 
finchè vi sono due ‘ non nulle, p. e. Y1, Ya, possiamo rendere 
nulla una di esse senza alterare le altre, sostituendo alla Xf 


laikifedf*; A Xsf. Supponiamo dunque già: 
ia=f= a 0, #0. 


(*) Lre-Excer, Bd. II, pag. 770. 


710 LUIGI BIANCHI 


Le relazioni (5*) fra le costanti y dimostrano che sono nulle 
tutte le c,,, cioè: 


Caf, Xsf, dr ok) Aohif 


generano un G,_; invariante in G,, che ne contiene tutte e sole 
le trasformazioni equivalenti. Così siamo pervenuti in altro modo 
al teorema finale del n° 2. 


4. — Vogliamo ora invertire qui l’ultimo teorema, ciò che 
conduce a riconoscere le condizioni necessarie e sufficienti affinchè 
un dato gruppo G, sia traducibile in un gruppo di trasforma- 
zioni proporzionali. Dimostreremo per ciò che: Un gruppo G, è 
simile ad un gruppo di trasformazioni proporzionali se possiede 
un sottogruppo invariante G,_, simile ad un gruppo di trasforma- 
zioni equivalenti. 

Supponiamo già eseguito un cangiamento di variabili tale 
che G,_, consti di trasformazioni equivalenti e sia: 


Gi wi (X.f, Xof, DIGI) Ash 3 


avremo: 


Q= Ut = 0. 
Ora, poichè ogni trasformazione alternata (X;X.) per 


i= 1, 2, .... rv —1 appartiene a G,_, e quindi la corrispondente 2£ 
è nulla, risulta dalla (6) che si avrà: 


X;(2)=0, X(2)=0, ..., X(Q)=0; 


di qui risulta che £, è una costante ovvero un invariante di G,_,. 
Nel primo caso 


Ill 


ls (Aff, Xof, EE X,f, Xf) 


è già un gruppo di trasformazioni proporzionali come è enun- 
ciato nel teorema. 

Nel secondo caso dimostriamo che si raggiungerà lo scopo 
con una conveniente trasformazione di variabili: 


(7) at fe 23915 eg 


Per ciò osserviamo che se per questa trasformazione la 
trasformazione infinitesima qualunque: 
df 
Xf= Va 
f vale, 


i dxi 
‘ 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI PROPORZIONALI 711 


Cia pio i ala 


il calcolo eseguito al n° 2 della nota precedente dimostra che, 


si cangia in: 


posto : 
dii LINE dz 
doit dari adi dg 
sì avrà: 
Qae= Le + X(log1), 
dove T= è) è il modulo della trasformazione (7). Se 


d(21, La, Xn) 
sarà adunque possibile determinare / in guisa che si abbia: 


(8) X;(log1)=0, Xs(log7)=0, ..., X,_.(l1og1)=0, X,(log))=1Y—®, 


con y costante, il gruppo G, per la trasformazione (7) di mo- 
dulo I si tradurrà in un gruppo di trasformazioni proporzionali, 
restando il G,_, costituito di trasformazioni equivalenti. 

Ora nel caso attuale il gruppo G,_1, possedendo un inva- 
riante effettivo £,, è certamente intransitivo ed ha quindi un 
certo numero s1 di invarianti indipendenti: 


dI a I) 


di cui £, sarà una funzione. Affinchè M= log/ soddisfi le 
prime » — 1 equazioni (8) è necessario e basta che sia una fun- 
zione di w}, Us, ..., %;, diciamo: 


Me WU, Un, Ual 
Dopo ciò l’ultima delle (8) diventa: 
O) SEX+ SEX) +.+ TE AL 
e siccome G,_; è invariante in G, i coefficienti: 


X(1); Xi(o), ..., X.(u.) 


712 LUIGI BIANCHI 


sono essi stessi invarianti di G,_,, cioè funzioni di w,, %a, ..., Us 
come ,. La (9) è adunque un’equazione lineare alle derivate 
parziali per w con s variabili w,, o, ..., v e può quindi sempre 
soddisfarsi, c. d. d. 


5. — È chiaro come si possono applicare i risultati pre- 
cedenti per ridurre la determinazione di tutti i possibili tipi di 
gruppi di trasformazioni proporzionali nello spazio a n dimen- 
sioni all’altra, supposta già risoluta, dei gruppi di trasforma- 
zioni equivalenti. Basterà per ciascuno di questi ultimi tipi 
cercare di ampliare il gruppo in guisa che il gruppo ampliato 
possegga un parametro di più e contenga il primitivo come 
sottogruppo invariante. 

Applichiamo p. e. questo processo alla determinazione di 
tutti i possibili tipi di gruppi proprii di trasformazioni propor- 
zionali nel piano, utilizzando la classificazione ottenuta nei ni 7, 8 
della nota precedente di gruppi di trasformazioni equivalenti 
nel piano. i 

Cominciamo dal ricercare se si possono ampliare i quattro 
tipi (a) (8) (7) (d) (n° 7, 1. e.) dei gruppi primitivi equivalenti. Il 
tipo (a) è dato da: 


(0) | pd, ©4, yP, p_yd) 
ed è il gruppo lineare speciale. Se con: 
Xf= Ep + nq 


indichiamo la sesta trasformazione di ampliamento, debbono in 
primo luogo le alternate: 


(p, £P+ n9); (g, EP+n9) 


comporsi, con coefficienti costanti, colle 5 trasformazioni di (a); 
dovranno per ciò sussistere formole del tipo: 


| 


dE ò 

da ++ e, dn = 0 +0 — y 

dE r Ò ' 
nnt +d'y+e'a, x =b'+4c'e—-eYy 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI PROPORZIONALI 713 


dove a, d, c, d, e; a', d', e', d', e' sono costanti. Intanto le condi- 
zioni d’integrabilità dànno: 


ed integrando risulta: 
= ar +a'y+dey+et+d'& Bai 
n=be+8y— ey +e dat +f, 


con f, f' nuove costanti. Togliendo da Xf una conveniente com- 
binazione lineare delle 5 trasformazioni (@) possiamo rendere, 
senza alterare la generalità: 


ed = =? Di 
onde resta: 


l 2 2 
\ E= an | doy puote È 


2 2 
| vi liga gio 
Ulteriormente dovendo anche le due trasformazioni: 


dE Lig 
(cg, + n= 2 + (235 sara 


= (dx + d'xy)p — lar +2d2y +3 e +3 Sg dI ve q 
fe GE ) ò 
(Up, +nd=|u37—N)p+v 1" 

3 9 1 
F (ay + 2exyt.3 dy — ged PH (coy —ey)q 

appartenere al gruppo (a), ne deduciamo: 

cad = d' nta" I 
La trasformazione d’ampliamento resta così determinata 
nella Xf = xp o, ciò che è lo stesso, nella xp + yq. Così per 


primo tipo di gruppi proprii di trasformazioni proporzionali nel 
piano otteniamo il: 


Tipo (a') |P, Q €49; YP, EP_ YI Pt ydl, 


714 LUIGI BIANCHI 


che è il G4 delle sostituzioni lineari intere ossia il gruppo delle 
affinità. Prendendo ora il secondo tipo (8) (1. c.): 


(8) Ip, 9, *q_-YP!, 


che è il gruppo dei movimenti del piano, si vede subito, pro- 
cedendo come sopra, che si può ampliare in un sol modo e si 
ottiene così il secondo tipo: 


Tipo (89) lp, 9, <a —yp, *p+y2|, 


cioè il gruppo dei movimenti e delle similitudini. 

Quanto agli altri due tipi (Y) (è) di gruppi primitivi di 
trasformazioni equivalenti nel piano (1. c.) si vede subito che non 
sono suscettibili d’ampliamento perchè il gruppo ampliato sa- 
rebbe un G, primitivo e di tali gruppi nel piano vi ha il solo 
tipo (8') già sopra considerato. 


6. — Procediamo ora nel medesimo modo per l’amplia- 
mento dei gruppi imprimitivi di trasformazioni equivalenti che 
si ripartiscono nei tipi da (A) a (H) del n° 8 (I. c.). 

1° Per il tipo: 


(A) | Big 09,80, Sag, dp yard 


la trasformazione d’ampliamento: 
Xf= pt 9, 


combinata dapprima con p, qg, deve soddisfare in primo luogo 
alle condizioni: 


SE on r 
\ 3 30t% da =b_-cy+ ca + ca +... + ce 
dove a, b, c, c1, ...,cr e le stesse lettere cogli accenti indicano 
costanti. Le condizioni d’integrabilità dànno intanto: 


QQ 


==g'+c'x, ii) =b'—'y4e'r+ ese +... +02", 


Q 
< 


da ler=i = Silicone 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI PROPORZIONALI 715 


e togliendo da .X7 una conveniente combinazione lineare delle (A), 
sì può prendere: 


E 704 ay, n=d'y4 603 Sa — cay. 
Combinando ora colla x*g (a= 1, 2, ..., r), viene: 
(e +) = ale p+ ja" (8 — co) —aat1 (La + ay} q 


e questa deve pure appartenere ad (A). Così pure deve appar- 
tenere ad (A) la: 


PARI 
pp cy) q, 


xp—y4, E+n=(2°—2ay)p+ (0, 


onde deduciamo: 
elmo ict; 
Resta quindi semplicemente Af=yg, che si può sostituire 
con xp + yg; si ha così come gruppo di trasformazioni propor- 
zionali il tipo: 


(A') |D; q, xq 2g, —.,.07g, ep—yg, *p+yg|. 


2° Prendendo ora l’altro tipo (B) di trasformazioni equi- 
valenti: 


(B) | q, 29, Fi(2)q, Fo(2)q, ..., Fd) 


vediamo che si può in ogni caso ampliare ad un gruppo di tras- 
formazioni proporzionali coll’aggiunta della trasformazione: 


Xf= y4; 
si ha così il tipo: 


(B') 1g, 9g, Fi(0)9, F:(09, ..., F:(09, 49 | 


nel quale le funzioni F,, Fs, ..., 7, restano funzioni arbitrarie 
della x. Altri ampliamenti sono possibili soltanto quando si vin- 
colino le F,, F., ..., 7, a soddisfare ad equazioni differenziali 
lineari di cui tralasciamo qui la considerazione. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 48 


716 LUIGI BIANCHI 


3° Il tipo (C) è quello di un gruppo a tre parametri 
colle trasformazioni infinitesime: 


Xf.=pyAsf pet yg Asfe= Pp°=_Zay 
di composizione: 


(Xx Xo) = Af (XX) = 2X0f, (Ag Ag) = Acf. 
Se diciamo Xf la trasformazione d’ampliamento: 


Xf= Epi nq 
dovranno: 


(XX), (A9X), (A34) 


comporsi linearmente ed omogeneamente con X,, X3, X3. Tenendo 
conto delle superiori formole di composizione e delle identità 
Jacobiane, si vede facilmente che deve essere: 


(Xx X)=@Xf+20Xpf, (A3X)=0Xf4+-bX;f, (X3X)=20Xf_aXf 
con a, d, c costanti, onde si deduce integrando che vi ha in so- 


stanza un unico modo d’ampliamento colla trasformazione Af=y9. 
Si ha quindi il tipo di un gruppo di trasformazioni proporzionali: 


(0°) | p, xp —yq9, c°p — 2ayg, ygl. 


4° Il tipo (D): 


(D) | ps cp —49, ePp+4+(1—- 2ey)g | 


possiede la medesima composizione superiore, e procedendo come 
sopra si trova che non è qui possibile l'ampliamento cercato. 

5° I seguenti tipi (E), (F) si trovano ciascuna volta amplia- 
bili in un solo modo e si hanno così i tipi di gruppi di trasfor- 
mazioni proporzionali : 


(E) | d, q xp —y9, tp +yq | 


(F') | q, €P YI (y - ti q | c costante. 


SUI GRUPPI CONTINUI FINITI DI TRASFORMAZIONI PROPORZIONALI 717 


Il tipo (G), gruppo delle traslazioni p, g, si amplia con una 
trasformazione della forma: 


AXf = (ax + BY)p + (12 + dy)g 


(a, 8, y, è costanti) nel gruppo: 


(G') |, 4 (e + BM)p+ (e + dg |, 


che è un gruppo proprio di trasformazioni proporzionali se : 


ad d==0. 


In fine l’ultimo tipo (H) [gl si amplia nel tipo: 


(H') | + y2| 


Si osserverà che tutti i tipi di gruppi di trasformazioni 
proporzionali trovati nel presente numero sono imprimitivi, le 
rette x = cost dando una divisione d’imprimitività. Fa eccezione 
solo il tipo (G') il quale è imprimitivo, dal punto di vista reale, 
nel solo caso che sia: 


(a + d)? — 4(ad — Br) 20 


e nel caso contrario primitivo. 


718 ADOLFO CAMPETTI 


Sulla differenza di potenziale tra liquidi e gas. 


Nota del Dott. ADOLFO CAMPETTI. 


1. — Le presenti esperienze non riguardano un problema 
nuovo, ma si limitano a considerare un caso particolare di una 
questione già studiata da Lenard, J. J. Thomson, Lord Kelvin, 
e più recentemente, e con esperienze più numerose da Kenrik. 

Il caso che io ho inteso di considerare è quello nel quale tra 
il gas ed il liquido esista un’azione chimica, vale a dire in cui 
il gas agisca chimicamente sul liquido o sopra una sostanza di- 
sciolta nel liquido stesso. 

Che una differenza di potenziale possa esistere tra un liquido 
ed un gas risulta da molte delle esperienze sopra accennate ed 
in particolare Lord Kelvin (1) e Galt hanno osservato che se 
si fa gorgogliare un gas attraverso ad un liquido, il liquido 
stesso si porta ad un potenziale variabile specialmente a seconda 
della natura del liquido. Tali esperienze; se pure dimostrano la 
possibilità dell’esistenza di una differenza di potenziale tra un 
liquido ed un gas, non sono atte a dare in tutti i casi una mi- 
sura di tale differenza di potenziale, anche perchè è molto proba- 
bile che l’elettricità dovuta all’attrito per il moto relativo del gas 
rispetto al liquido abbia una parte importante nel fenomeno os- 
servato. Il Lenard (2) e posteriormente con esperienze analoghe 
l’Usener (3) e così pure J. J. Thomson (4) si occuparono pure 
della stessa questione, ma con metodo diverso e precisamente 
essi osservarono che se le goccie di un liquido, dopo avere at- 
traversato l’aria od un altro gas, urtano contro un ostacolo, 
questo ostacolo e il gas attraversato si caricano a potenziali 
differenti, dipendenti dalla natura del liquido, del gas, ecc. È 


(1) L. KeLvin e Gacr, “ Nature ,, 51, 1895. 

(2) Lenarp, “ Wied. Ann. ,, 46. 

(3) UsenER, Dissertation Bonn, 1895. 

(4) J. J. THoxsown, “ Philosophical Magaz. ,, 1895. 


SULLA DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LIQUIDI E GAS 719 


tuttavia da osservare che anche in tal modo il fenomeno si pre- 
senta assai complicato, specialmente dal punto di vista della 
moltiplicità delle cause che possono produrre quella carica elet- 
trica sul liquido gocciolante e nel gas. 

Un metodo il quale evita, almeno in parte, tali obiezioni, 
per quanto le misure relative siano sempre assai difficili è quello 


usato dal Kenrik (1) e derivato direttamente dal metodo ado- 
perato da Bichat e Blondot (2) per determinare la differenza di 
potenziale tra due soluzioni. Ricordiamo che il Bichat e Blondot 
procedevano così (Vedasi la figura): I due bicchieri B, e Bs 
contengano una delle due soluzioni P, e nel liquido siano im- 
messi due elettrodi. di platino H e K in comunicazione con le 
coppie opposte di quadranti dell’elettrometro E. Il liquido con- 
tenuto nel vaso B, per mezzo del tubo s si riversi nel reci- 
piente A che attornia un largo tubo cilindrico T e scorra così 


(1) Kexrrk, “ Zeitschrift fiir phys. Chemie ,, 1896. 
(2) Bicnar e BLoxpor, “ Journal de Physique ,, 1883, 2. 


720 ADOLFO CAMPETTI 


lungo le pareti interne del cilindro stesso, bagnandole continua- 
mente. Il liquido Q contenuto nel bicchiere Bs, posto in comu- 
nicazione col liquido in Bj a mezzo del tubo ad U, #, passando 
per il tubo r terminato in apertura sottile al suo estremo in- 
feriore M, formi qui un getto continuo per due o tre centimetri 
di lunghezza, getto che si divide poi in minute goccioline. Se 
allora facciamo astrazione dalle cariche elettriche che possono 
essere dovute all’attrito e supponiamo che si possa applicare il 
principio di Thomson, secondo il quale un liquido isolato che 
esce in forma di getto, che poi si spezza in goccioline, in una 
data regione finisce per assumere il potenziale che vi è in quella 
regione e se il potenziale in M è lo stesso di quello del liquido 
in A e nel tubo T, è evidente che l’unica differenza di poten- 
ziale esistente nel sistema è quella tra i due liquidi P e Q. Ma 
intanto il principio di Thomson, se è probabilmente applicabile 
in modo esatto al caso in cui il liquido gocciolante sia il mer- 
curio nell’aria (sia perchè in tal caso non ha luogo alcun assor- 
bimento di gas per parte del liquido, nè alcuna azione chimica, 
sia perchè le esperienze che lo suppongono verificato portano @ 
risultati concordanti con quelli di esperienze fondate su diverso 
principio), non si può ammettere senz'altro come esatto in ogni 
caso, come d’altra parte il potenziale in M non è necessaria- 
mente lo stesso di quello del liquido in A e nel tubo T. 

Tenendo conto di queste osservazioni e indicando, come si 
usa comunemente, col simbolo A | B la differenza di potenziale 
tra A e B, la differenza di potenziale esistente nel circuito in- 
dicato nella figura sarà data dalla somma: 


n=Pt|P+-P|Q4+Q]Aria + Aria | P+P |Pt 


e poichè la prima ed ultima differenza di potenziale. sono uguali 
e di segno contrario, se si determina con un metodo qualunque 
la differenza di potenziale P | Q risulta determinata pure la 
somma 


(1) e=Q | Aria + Aria | P. 
Ed inoltre, se per qualche ragione particolare all'esperienza 


che si eseguisce, è nota, oppure si può considerare come nulla 
una delle due differenze di potenziale del secondo membro 


SULLA DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LIQUIDI E GAS 721 


della (1), l’altra risulta determinata; nel caso generale non si po- 
tranno determinare queste differenze di potenziali se non a coppie. 


2. — Allorquando si vogliano eseguire esperienze con questo 
metodo, si nota subito che, se le comunicazioni con l’elettro- 
metro sono stabilite mediante lastre o fili di platino immerse 
nei due bicchieri, i risultati non sono ben concordanti e si ri- 
scontra facilmente che ciò dipende dal fatto che la differenza 
di potenziale fra il platino ed il liquido assume valori un po’ 
diversi a seconda dello stato della superficie della lastra, anche 
se si adopera la precauzione di ricoprire la lastra stessa di nero 
di platino e di togliere l’aria aderente alla superficie con ebol- 
lizione nell’acqua distillata. Per conseguenza, non potendosi ri- 
tenere che nella somma che ci dà il primo ed ultimo termine 
si annullino, la disposizione dell'esperienza è un po’ variata e 
diversa da quella della figura. 

Il bicchiere B, è soppresso edi liquidi contenuti in B, e Bs 
sono posti in comunicazione (mediante tubi ad U capovolti e 
ripieni dei liquidi Q e P rispettivamente) con due bicchierini 
contenenti una soluzione normale di cloruro potassico: ed in 
questa soluzione pescano i tubi di due elettrodi normali di 
Ostwald, il mercurio dei quali è in comunicazione con i qua- 
dranti dell’elettrometro. 

Il vantaggio di una tale disposizione consiste in questo che 
la differenza di potenziale corrispondente all’elettrodo normale 
di Ostwald si mantiene perfettamente costante durante tutto il 
corso delle esperienze. In questo modo la catena delle forze 
elettromotrici misurata dall’elettrometro è: 


(2) El. Ostwald | soluzione KCI | liquido Q | gas 
liquido P | soluzione KCI | El. Ostwald 
ed in conseguenza, affinchè si possa conoscere la somma 
liquido Q | gas | liquido P 
è necessario determinare separatamente le due quantità: 


m,= El. Ostwald | soluzione KCI | liquido Q 
(3) 
t, = El. Ostwald | soluzione KCI | liquido P 


come verrà detto poi. 


722 ADOLFO CAMPETTI 


3. — Prima di passare alla descrizione delle esperienze, 
converrà fare un'osservazione di indole generale. Allorquando si 
parla di differenze di potenziale tra un liquido L ed un gas G, 
e che noi abbiamo riconosciuto che tra un punto posto nell’in- 
terno di L e un punto preso nell’interno di G esiste una diffe- 
renza di potenziale e, si può ammettere che tale salto di poten- 
ziale abbia luogo alla superficie di separazione tra il liquido e 
il gas, oppure sì può supporre che la differenza di potenziale si 
stabilisca tra lo stato superficiale del liquido e l’interno del li- 
quido stesso, restando così la superficie esterna del liquido o il 
gas allo stesso potenziale, come anche si può fare una ipotesi 
intermedia fra le due. 

L'osservazione ora fatta può valere del resto per la diffe- 
renza di potenziale tra due corpi qualsiasi A e B: ma acquista 
nel caso nostro maggiore importanza per il fatto che nel caso 
di un liquido o un gas, questo sciogliendosi o reagendo col li- 
quido, potrebbe esistere in quest’ultimo uno strato superficiale 
di composizione diversa dall’interno. Tuttavia data la rapidità 
con cui in un getto liquido e nelle goccie cui esso dà luogo si 
rinnova la superficie libera, vi è grande probabilità che le dif- 
ferenze di potenziale che noi misuriamo esistano effettivamente 
tra il liquido ed il gas ed alla superficie loro di separazione. 


4. — Fatte queste osservazioni ritorniamo ad occuparci 
delle esperienze da eseguire: come si è detto, l’apparecchio ado- 
perato corrisponde (colle modificazioni accennate) a quello della 
figura: il tubo r era lungo 80 cm., ma la sua lunghezza poteva 
essere variata; il tubo T aveva il diametro di circa 6 cm., e 
alla sua parte superiore si restringeva sino al diametro di 1 cm. 
e a quest’altezza terminava il tubo r; nel vaso A era capovolta 
una campanella di vetro B chiusa superiormente da un disco di 
ebanite paraffinata €, attraverso al quale passava il tubo r. 

L’elettrometro adoperato era un comune elettrometro a qua- 
dranti; l’ago veniva caricato mediante una pila secca e tenendo 
questa in un’atmosfera ben asciutta si otteneva per l’elettro- 
metro una sensibilità pressochè costante da un giorno all’altro 
e precisamente di 200 divisioni all’incirca per un Volt. 

In tali condizioni di sensibilità assai elevata lo zero dello 
strumento si manteneva ben fisso, purchè i fili che pongono in 


SULLA DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LIQUIDI E GAS 723 


comunicazione l’elettrometro con il resto dell'apparecchio fos- 
sero circondati da un largo tubo metallico posto a terra; senza 
questa precauzione anche i movimenti di una persona in vici- 
nanza del filo producevano deviazioni nell’elettrometro. 

Per determinare le differenze di potenziali mt, e m, trascritte 
nella (3) si ricorse all’uso dell’elettrodo a goccie, unito, come 
di solito, all’elettrometro Lippmann. Conosciuta con questo mezzo 
la differenza di potenziale Mercurio | liquido Q si formava la 
combinazione 


Mercurio | liquido Q | soluzione KCI | El. Ostwald 


e se ne misurava la forza elettromotrice: restava così determi- 
nato per differenza il valore di mr, ed analogamente si proce- 
deva per tr. 

Ciò essendo noto, ecco come si eseguiva l’esperienza. Mi- 
surata la deviazione data all’elettrometro da una pila Clark si 
mettevano in comunicazione coll’elettrometro î due elettrodi di 
Ostwald: allora si faceva scorrere il liquido P nel tubo T, che 
restava così, nella sua superficie interna, completamente bagnato 
da esso, e il liquido Q si faceva effluire dall’apertura inferiore 
del tubo 7; quindi si osservava la deviazione ottenuta all’elet- 
trometro; il rapporto delle due deviazioni ci dà il valore della 
forza elettromotrice totale in frazione di Clark. 

È conveniente ripetere per la stessa coppia di liquidi P' 
e diverse esperienze variando l'altezza della colonna liquida 
del tubo r (il che corrisponde a diminuire la lunghezza e la 
velocità del getto liquido che da esso sgorga), per assicurarsi 
se si ottengono sempre i medesimi valori per la differenza di 
potenziale, in guisa che si possa da questa ricavare effettiva- 
mente la somma delle forze elettromotrici alle superficie di con- 
tatto tra i liquidi ed il gas. 

Poichè durante l’esperienza il liquido @ è in moto nel tubo r 
ed esce poi in getto sottile dalla apertura praticata alla sua 
estremità inferiore, era anche opportuno di ridurre al minimo 
l'elettricità svolta per attrito: per conseguenza, in luogo di affi- 
lare direttamente alla fiamma il tubo di efflusso r, lo si chiu- 
deva in modo che terminasse con una superficie emisferica a 
parete sottile, nella quale si praticava un foro di circa due de- 
cimi di millimetro di diametro. 


724 ADOLFO CAMPETTI 


5. — Daremo qui la descrizione dettagliata di una prima 
esperienza che ci servirà per intendere tutte le altre. In questa 
i liquidi adoperati sono: una soluzione normale di solfato di 
ammonio (L,) e una soluzione normale di solfato di ammonio, 
cui è stata aggiunta una soluzione di ammoniaca; e precisamente 
a 300 centimetri cubi di soluzione di solfato ammonico sono 
stati aggiunti 60 centimetri cubi di soluzione ammoniacale con- 
tenente il 24 °/, di ammoniaca: questa soluzione la chiamerò Lo. 
Allora trovo col mezzo dell’elettrodo a goccie ed esprimendo 
sempre le forze elettromotrici in frazione di Clark: 


Hg | LL = 0,4098 Hg|L=0,1732 
e di qui deduco: 


El. Ostwald | KCI | L, = 0,318 
EI. Ostwald | KC1 | L, = 0,297. 


Riferendoci allora alla figura per il significato delle let- 
tere P e Q si eseguiscono queste esperienze: 


liquido Q=L, liquido P=L, V,=0,014 
liquido Q=L, © liquido P=L, = V.= 0,078 


essendo V, e V, le differenze di potenziale misurate coll’elet- 
trometro nei due casi e nel senso che verrà poi indicato. 

Ora nella prima esperienza la differenza di potenziale esi- 
stente nel circuito può essere dovuta in parte alla non perfetta 
uguaglianza delle forze elettromotrici alle superficie di separa- 
zione di due elettroliti teoricamente in identiche condizioni ed 
in parte all’attrito del liquido nel tubo »; indicandola con #, 
poichè nella combinazione 


EI. Ostwald | KCI | L, | Aria | L, | KC1 
EI. Ostwald + x = 0,014 


le altre forze elettromotrici sono, per coppie, uguali o di segno 
contrario, risulta 
x=0,014. 
Nella seconda esperienza si ha: 


El. Ostwald | KCI | L, | Gas | Ls | KCI 
El. Ostwald + x = 0,078 


SULLA DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LIQUIDI E GAS 725 
e perciò 
L; | Gas | La = 0,043 
ossia 


L, | Gas + Gas | La= 0,062 Volt. 


Ora la differenza di potenziale Gas | Ls è molto probabil- 
mente nulla, giacchè, una volta che lo spazio nel tubo T attorno 
al getto liquido sia, in quelle condizioni, saturo di vapore di 
ammoniaca proveniente dal liquido Ls, da questo non avviene 
più emissione, nè assorbimento di gas, potendosi ritenere tras- 
curabile la quantità di gas ammoniaco assorbita dal getto li- 
quido: in tale ipotesi sarebbe: 


L, | Gas= 0,062 Volt. 


Una seconda esperienza dette il valore 0,054, sicchè come 
media, secondo ogni probabilità: 


L, | Gas= 0,058 Volt. 


Esperienza 2°. — Adopero come liquidi una soluzione nor- 
male di acido solforico, che indicherò semplicemente con H3S0,, 
la soluzione L, e la soluzione Ls. Trovo prima, col metodo già 
indicato nell’esperienza precedente: 


El. Ostwald | KC1 | H,S0, = 0,239 
ed eseguisco le due esperienze: 


liquido Q=H,90, liquido P=L, V,=0,015 
liquido Q=H;S0, — liquido P=L, V°=0,112. 


Queste due esperienze corrispondono agli schemi s eguenti 
El. Ostwald | KCI | HSO, | Aria | L, | KC1 
El. Ostwald = 0,015 
El. Ostwald | KCI | H,SO, | Gas | Ls | KCI 
El. Ostwald = 0,112 


in cui non si è tenuto conto dell’elettricità che potrebbe essere 
dovuta all’attrito del liquido. Di qui segue: 


H.SO, | Aria + Aria | LL=0,072= 0,104 Volt 
H,S0, | Gas + Gas | La=0,170= 0,245 Volt. 


726 ADOLFO CAMPETTI 


Una seconda esperienza dette: 


H,SO, | Aria + Aria | L= 0,120 Volt 
H,S0, | Gas - Gas | Ls = 0,243 Volt. 


Esperienza 3°. — Adopero come liquidi una soluzione nor- 
male di HCI, che indico semplicemente con HCI, la soluzione Ly 
e la soluzione Ls. Come nel caso precedente eseguisco due espe- 
rienze, che corrispondono agli schemi seguenti: 

El. Ostwald | KCI | HCI | Aria | L, | KCI | EI. Ostwald = 0,034 
El. Ostwald | KCI | HCI | Gas | Ls | KCI | El. Ostwald = 0,109. 


Avendo trovato prima: 


El. Ostwald ! KC1 | HCl = 0,397 


ricavo dalle precedenti: 


HCI | Aria4+Aria | L\ = — 0,087 = — 0,054 Volt 
HCI | Gas + Gas |] Ly=— 0,010 =0,014 Volt. 


Una seconda esperienza dette: 


HCI | Aria + Aria | Lt. = — 0,057 Volt 
HCI | Gas + Gas.| La= 0,010 Volt. 


Esperienza 4. — I liquidi sono in questo caso una solu- 
zione normale di CuSO,, che indico semplicemente con CuS0,, e 
al solito le due soluzioni L, e Ls. Essendo le esperienze ese- 
guite nel modo stesso che per l'acido solforico, esse corrispon- 
dono ai seguenti schemi: 

El. Ostwald | KCI | CuSO, | Aria | Li | KCI 
El. Ostwald = — 0,015 

EI. Ostwald | KCI | CuSO, | Gas | La | KCI 
El. Ostwald = 0,056, 


In questo caso però le esperienze dirette a ricavare la dif- 
ferenza di potenziale corrispondente al sistema: 


El. Ostwald | KCI | CuSO; 


SULLA DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LIQUIDI E GAS 127 


non dànno risultati ben concordanti ed in conseguenza il calcolo 
non può eseguirsi come nel caso precedente: solo si può otte- 
nere questo che, indicando tale differenza di potenziale con e, 
restano determinate le somme 


e + CuSO, | Aria + Aria | LtL= 0,433 Volt 
e + CuSO, | Gas + Gas | La = 0,494 Volt. 


6. — Dopo le esperienze ora riportate se ne eseguì un’altra 
serie con metodo un poco diverso. In queste il liquido P rimaneva 
sempre il medesimo ed era costituito da una soluzione acida ca- 
pace di dare vapori (acido cloridrico e acido acetico) e si ado- 
perava successivamente come liquido Q una soluzione neutra 
(cloruro di ammonio o cloruro di potassio) e una soluzione al- 
calina (soluzione ammoniacale o soluzione di idrato potassico). 
Seguendo tale procedimento si ha il vantaggio che nel calcolo 
definitivo figura tra le differenze di potenziale un’ incognita di 
meno: si avrebbe d'altra parte l'inconveniente che, cambiandosi 
dall’una all’altra esperienza il liquido nel.tubo r, potrebbe anche 
variare lo sviluppo di elettricità per attrito nel tubo stesso. Se 
non che esperienze apposite eseguite adoperando la medesima 
soluzione come liquido P e liquido Q, mostrarono che gli errori 
portati da questa causa rientrano (almeno per le soluzioni ora 
adoperate) nei limiti degli errori sperimentali. 

Non resta quindi che riferire i risultati delle esperienze 
eseguite. 


Esperienza 58. — Adopero come liquido Q una soluzione 
normale di cloruro d’ammonio (soluzione $,) e una soluzione 
normale di cloruro d’'ammonio mescolata con una soluzione nor- 
male di ammoniaca nella proporzione di "/;jo della prima e ?/10 
della seconda (soluzione Ss): il liquido P_è una soluzione nor- 
male di acido cloridrico, che indicherò senz'altro con HCOI. 

Determino intanto col mezzo dell’elettrodo a goccie e l’elet- 
trometro Lippmann le differenze di potenziale 


EI. Ostwald | KCI | S = 0,868 


El. Ostwald | KCI | Sy= 0,386 
El, Ostwald | KC1 | HCI = 0,397 


728 ADOLFO CAMPETTI 


quindi l’esperienza coll’elettrometro mi dà, corrispondentemente 
agli schemi sottosegnati, i resultati seguenti; 


El. Ostwald | KCI | S, | Gas | HC1 | KCI 


El. Ostwald = — 0,040 
El. Ostwald | KCI | Ss | Gas | HCI | KC1 
El. Ostwald = — 0,032. 


Di qui si deduce: 
S, | Gas + Gas | HCl = — 0,011= — 0,016 Volt 
Ss | Gas + Gas | HC1= — 0,020= — 0,029 Volt. 


Se si ammettesse che Gas | HCl = 0 le differenze di poten- 
ziale scritte nei secondi membri ci rappresenterebbero le forze 
elettromotrici. ai contatti S, | Gas e Ss | Gas: altrimenti dalle 
due precedenti uguaglianze si può ricavare la differenza: 


Ss | Gas—S, | Gas=— 0,013 Volt. 
Ripeto l’esperienza e trovo: 


S, | Gas + Gas | HCl = — 0,014 Volt 
Ss | Gas + Gas | HCl = — 0,030 Volt. 


Esperienza 6%. — Le condizioni dell'esperienza sono: 
liquido P = soluzione trinormale di HCl = 3HC1 
liquido Q= soluzione S, e quindi = soluzione Ss. 


Qui non ho nemmeno determinato la differenza di potenziale 
della combinazione: 


El. Ostwald | KC1| 3HCI1 = — e 


e per conseguenza dalle due esperienze eseguite ricavo: 


e + S; | Gas 4- Gas | 3HC1= — 0,443 
e + Ss | Gas + Gas | 8HC1= — 0,492 


e quindi infine: 
Ss | Gas—S, | Gas= — 0,049=— 0,071 Volt. 
Ripeto l’esperienza e trovo: 
Ss | Gas — S, | Gas=— 0,051= — 0,073 Volt. 


SULLA DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LIQUIDI E GAS 129 


Esperienza 7%. — In questa esperienza e nelle seguenti ado- 
pero come liquido P una soluzione trinormale di acido acetico e 
una normale di acido cloridrico, quindi una soluzione sei volte 
la normale di acido acetico e una trinormale di acido clori- 
drico. Come liquido Q adopero una soluzione normale di cloruro 
potassico (soluzione T,) e una soluzione normale di idrato po- 
tassico (soluzione T.). 

Riferisco, come al solito, i risultati della prima esperienza 
eseguita con queste soluzioni: 


liquido P= HCI liquido Q = soluzione T, e soluzione T.. 
Determinate prima le differenze di potenziale 


El. Ostwald | KC1 | T, = 0,370 
El. Ostwald | KC14 T, = 0,313 


ed avendo trovato: 


El. Ostwald | KCI1 | T, | Gas | HC1 | KCI 


El. Ostwald = — 0,026 
El. Ostwald | KCI | T; | Gas | HCI | KC1 
El. Ostwald = — 0,041 
ricavo: 
T, | Gas + Gas | HC1=0,001= 0,001 Volt 
T; | Gas + Gas | HCl = 0,041 = 0,050 Volt 
e di qui: 


T, | Gas — T, | Gas= 0,049 Volt. 
Ripetendo l’esperienza, trovo: 
T, | Gas—-T, | Gas= 0,055 Volt. 
Esperienza 5*. — Liquido P = soluzione trinormale di 


HC1= 3HCI. Liquido Q = soluzione T, e soluzione T),. 
L'esperienza dà i risultati seguenti: 


EI. Ostwald | KCI | T, | Gas | 8HCI | KCI 
El. Ostwald = — 0,077 


El. Ostwald | KCI | T, | Gas | 3HC1 | KCIl 
El. Ostwald = — 0,112. 


730 ADOLFO CAMPETTI 


Senza determinare a parte la differenza di potenziale 


El. Ostwald | KC1 | 3HC1= — e 


ricavo: 
e + T, | Gas + Gas | 3HC1= — 0,447 


e +4 T, | Gas + Gas | 8HC1= — 0,425 
e di qui: 
T, | Gas— T, | Gas=0,022= 0,032 Volt. 
Una seconda esperienza dette: 
T, | Gas— T, Gas= 0,023 = 0,033. Volt. 


Esperienza 9, — Liquido P = soluzione trinormale di acido 
acetico = 3C0,H,0. Liquido Q = soluzione T, e soluzione T,. 
I risultati delle esperienze sono: 
El. Ostwald | KCI | T, | Gas | 303H,0> | KCI 
El. Ostwald = 0,166 
EI. Ostwald | KC1 | T, | Gas | 30,H,0; | KCI 
El. Ostwald = 0,123 
e ponendo al solito: 
El. Ostwald | KCI | 3C4H,0, = — e 
sì ottiene: 
e + Ts | Gas + Gas | 3C5H,03 = — 0,189 
e di qui: 
T, | Gas— T; | Gas=0,075= 0,022 Volt. 
In una seconda esperienza trovo: 


T. | Gas—T; | Gas=0;023 Volt. 


Esperienza 10°. — Liquido P = soluzione 6-normale di acido 
acetico = 6C,H,0,. Liquido Q= soluzione T; e soluzione T.. 
L'esperienza dette: 
El. Ostwald | KCI | T, | Gas | 6C.H,Os | KCl 
El. Ostwald = 0,138 


El. Ostwald | KCI | T; | Gas | 6C,H,0s | KCI1 
El. Ostwald = 0,111 


SULLA DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LIQUIDI E GAS 731 
e indicando con e la differenza di potenziale 
EI. Ostwald | KC1 | 6€,H,0, 

sì ottiene: 

e + T, | Gas 4 Gas | 6C3H,0, = — 0,231 

e + T, | Gas +4- Gas | 6C,H,0,= — 0,201 
e di qui: 

T, | Gas— T, | Gas= 0,031 = 0,045 Volt. 

In una seconda esperienza trovo: 


T, | Gas—T, | Gas= 0,043 Volt. 


7. — Se ora diamo uno sguardo alle esperienze eseguite, 
si vede come in generale le forze elettromotrici che si cercano 
non restino determinate isolatamente, ma a coppie, e cioè siano 
determinate o la somma o la differenza di due di tali forze 
elettromotrici. 

Solo ammettendo, in alcuni casi, che una delle due diffe- 
renze di potenziale sia, per le particolari condizioni dell’espe- 
rienza, nulla o trascurabile rispetto all’altra, quest’ultima resta 
isolatamente determinata. Ad esempio, nell'esperienza eseguita 
con soluzione normale di acido solforico (Esperienza 2*) in cui 
sì è trovato (come media di due esperienze): 


H,SO, | Aria + Aria | LL= 0,112 Volt 
H,S0, | Gas + Gas | La= 0,244 Volt 


le differenze di potenziale scritte nel secondo membro sono, se- 
condo ogni probabilità da attribuire (per gran parte) al primo 
termine del primo membro dell’ uguaglianza; cosicchè, se non 
una misura esatta, abbiamo almeno un'idea del valore di tali 
forze elettromotrici. È anche notevole il valore elevato di tali 
differenze di potenziale per la soluzione di acido solforico, mentre 
le altre esperienze dànno somme o differenze dell’ ordine di 
grandezza di centesimi di Volt. 

Com'era facilmente prevedibile, la differenza di potenziale 
che, secondo ogni probabilità, sussiste tra la soluzione normale 
di solfato di ammonio (soluzione L;) e i vapori ammoniacali. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 49 


732 ADOLFO CAMPETTI — SULLA DIFFERENZA DI POTENZIALE, ECC. 


emanati dalla soluzione Ls, non equivale nè in grandezza, nè in 
segno alla differenza di potenziale L; | Ls tra le due soluzioni, 
che fu misurata con esperienza apposita e risultò : 


e un fatto analogo si verificherebbe per i casi corrispondenti; 
tal fatto non deve meravigliarci, giacchè, mentre la differenza 
di potenziale tra due soluzioni dipende specialmente dalla con- 
centrazione e dalla mobilità degli ioni nelle soluzioni stesse, non 
è possibile di spiegare la differenza di potenziale tra una solu- 
zione ed un gas con un modello così semplice. 

Ad ogni modo è interessante l’ avere, anche con queste 
esperienze, constatato che tale differenza di potenziale può, nei 
casi qui considerati, assumere qualche volta anche valori abba- 
stanza elevati: e non è inutile l’osservare che queste differenze 
di potenziale devono di frequente presentarsi ed avere probabil- 
mente un’influenza non trascurabile in alcuni fenomeni naturali. 


Torino. Istituto di Fisica della R. Università. Maggio 1903. 


VITTORIO BALBI — EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA, ECC. 733 


EFFEMERIDI 


del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l'anno 1904 
calcolate dal Dottore VITTORIO BALBI 


Astronomo aggiunto all'Osservatorio della R. Università di Torino. 


AVVERTENZA 


Queste effemeridi furono calcolate valendosi dei dati della 
Connaissance des Temps di Parigi, del Nautical Almanac di Green- 
wich e del Berliner. Astronomisches Jahrbuch: delle norme con- 
tenute nelle Istruzioni e tavole numeriche per la compilazione 
del calendario ‘del. Dott. Michele Rajna (Milano, Hoepli, 1887): 
e finalmente delle tavole ausiliarie contenute nelle Effemeridi 
del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1889 
del Prof. Francesco. Porro (Torino, Loescher, 1888). 

Le ore, i minuti ed i secondi sono espressi in tempo medio 
civile del meridiano di 15° all’Est di quello passante per Green- 
wich, cioè in tempo medio civile dell'Europa centrale. 


Posizione Geografica del R. Osservatorio Astronomico 


di Torino. 
Batitudine Kbreale (... .0.... 45° 4.779 
Longitudine da Greenwich . . . . 7041’ 4872 Est. =0h 30%47521 E 
A da Berlino . . . . . 5°41;54-.9 Ovest = 08 22247.66 W 
A enni N... "5° 21 3950 86 — VE SEE 
n da Roma (Coll. Romano)  4°47’ 57.8 Ovest=0% 19% 8535 W 
È da Milano . . 0000 :1029'41"1 Ovest= 0h 50 58574 W 
x dal meridiano dell’ Eu- 
ropa centrale... 7°18' 117.8 Ovest=01 29% 125.79 W 


Altitudine sul livello del mare (al pozzetto del barometro) 276"4. 


PRINCIPALI ARTICOLI DEL CALENDARIO 
PER L'ANNO BISESTILE 1904 


Relazioni cronologiche. 


L’anno 1904, del calendario Gregoriano, stabilito nell’Ottobre 1582, 
incomincia. Venerdì 1° Gennaio e corrisponde 
all'anno: A 
6617, del periodo Giuliano; 
2680, delle olimpiadi (od al IV anno della 670? olimpiade) 
comincia in Luglio 1904, essendo assunta l’ èra 
delle olimpiadi 775,5 anni a. G. C.; ovvero il 
1° Luglio dell’anno 3938 del periodo Giuliano; 


734 


VITTORIO BALBI 


2657, della fondazione di Roma secondo Varrone; 

2651, dell’éra di Nabonassar, fissata il mercoledì 26 Feb- 
braio dell’ anno 3967, del periodo Giuliano, o 
747 anni avanti G. C. secondo i cronologisti, o 
746, secondo gli astronomi; 

1904, del calendario Giuliano o russo, il quale comincia 
13 giorni più tardi, il 14 Gennaio; 

112, del calendario Repubblicano francese, comincia Gio- 
vedì 24 Settembre 1903, e l’anno 113, comincia 
Venerdì 23 Settembre 1904; 

5664, dell’ èra Israelitica, il quale incomincia Martedì 
22 Settembre 1903, e l’anno 5665 comincia il 
Sabato 10 Settembre 1904; 

1321, dell’éra Maomettana (Egira), il quale comincia La- 
nedi 30 Marzo 1903, e Vanno 1322 comincia 
Venerdì 18 Marzo 1904, seguendo l’uso di Co- 
stantinopoli; 

40, del 76° ciclo del ealendario Chinese, il quale co- 

mincia Giovedì 29 Gennaio 1903, e Vanno 41 
comincia Martedì 16 Febbraio 1904. 


Computo Ecclesiastico. 


de pipi Tera dg dite tria da Et 
Mipatba i 0, + OMINDA M. . 1a 
Ciclo Solare UT.‘ «ou. a | dfaor@ 
Indizione Ramafa 15. >. -. . SOrwnsoto a 
Letiera Dameniealo, 3:0 10.00 Lal 


Quattro Tempora. 


Di primavera... . 24, 26 e 27 Febbraio 
Degale. «lire ld 0.2 Magia 
D’autunno . . . . 21,23 e 24 Settembre 
D'inverno . . . . 14,16 e 17 Dicembre 
Feste Mobili. 
Settuagesima . .. . . . 81 Gennaio 
Le Ceneri i fa . 17 Febbraio 
Pasqua. di Risurrezione . . 9 Aprile 
eran, ne arno Fonda LU, O di, MARIO 
Ascensione PR N rest Venise Rie E 
Pentecoste . .-. . . . .22 Maggro 
Ss. Tamil tto ec Ea 
Corpus Domini. . 2° Giugno 


1* Domenica dell’ TURE 27 Novembre 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 735 


ECLISSI 


Nell'anno 1904 avranno luogo due Eclissi di Sole, nessuno 
di Luna. 


I. Eclisse anulare di SoLe: 17 Marzo 1904 
invisibile in Italia. 


L'Eclisse sarà visibile nella parte orientale dell’Africa, nel 
Sud-Est dell’Asia, nell'Oceano Indiano, e nella parte Occidentale 
del Grande Oceano. 


II. Felisse totale di SoLe: 9 Settembre 1904 
invisibile in Italia. 


L’eclisse sarà visibile nel Grande Oceano e nella parte oc- 
cidentale dell'America del Sud. 


736 VITTORIO BALBI 


Gennaio 1904. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL’EUROPA CENTRALE È 
sla ll SOLE La LUNA E: 
sisi a | | É 
E=biba CE= passa: | = passa ti 
dui # [nasce al 6 nasce al tramonta | .e 
=; Td D meridiano E meridiano A 
hm] hm Ss h m h m h m h m i 
1 1 V_.|8 10|12 32 23,31 [1656] 15 44 | 23 14,6 5 44 14 | 
2 2 S 10 32 51,78 57| 16 42 —— 6 47 15 
348. | 4 10 38 19,93 58|| 17 49 0 15,4 746 15 
4 = L 9 33. 47,73 59] 19 00 1I16,0 8 39 17 
590 è M 9 84 15,16 |17 0) 20 14 2 16,9 925 18 
6 6.|:M 9 54 42,19 1.21 29 3 14,9 10 6 19 
fi 7 G 9 89 8,80 2] 22 4l 4 10,1 10 42 20 
8 8 V 9 35 84,96 8| 23 5l 5 3,0 11 14 21 
9 9 S 9 36 0,65 4 = 5 54,0 11 47 22 
10 | 10 D 8 36 25,89 6 dg 6 43,9 12 20 23 
DI DI L 8 36 50,52 7 23346 7 33,2 12 54 24 
dosi is. M 7 37 14,65 8 310 8 22,9 13 30 25 
133|13| M 7 37 38,18 9 4 11 9 12,0 14 9 26 
14.| 14 G 6 38. 1,14 10 olj@ 10 1,6 14 52 27 
15 | lo V 6 35 235,46 12 6 1 10 51,0 15 41 28 
16 | 16 S 5 38. 45,14 13 6 49 11 39,7 16 32 29 
1A BRITA D 5) 39 6,16 14 732 12 27,4 17 26 30 
13 | 18 L 4 39 26,47 16 869 13 13,8 18 23 1 
19. | 19 M 3 59 46,08 17 8 43 13 58,9 19 20 2 
20 | 20 M 3 40 4,95 18 9 14 14 42,7 20 18 3 
2. 24 G 2 40 23,09 20 9 42 15 25,6 21 15 d 
22 | 22 V 1 40 40,46 21 1010 16 8,2 22 14 5 
239|23| S 0 40 57,06 220 LO 37 16 51,1 23 14 6 
24|24| D |7 59 41 12,84 24| 11 4 17 35,0 _— 7 
29. 28. 58 41 27,84 25) 11 84 18 30,9 0 15 8 
26 | 26| M 57 41 42,02 27, 12 8 19. 9,2 1 16 9 
27 | 27 M SH 41 55,88 28) 12 46 200010 2 19 10 
28 | 28 G 56 42 7,92 29|| 13 30 | 20 56,0 3 23 11 
29 | 29 V 54 42 19,44 sl 14 22 21 54,3 4 27 12 
30 | 30 S 58 42 .30,52 82] 15 23 | 22 54,8 9 27 13 | 
s1 | 31 D 92 42 40,56 34| 16 32 23 55,9 6 23 14 
FabbadelloiLanos Il giorno nel mese cresce di Of 56m 
. ice go VV. Ras 
i MRI L0O e n si 4 La Luna è in Perigeo alle 14h 
n o h 
17 Luna nuova n 160 47m A 1a Appare lie 
25 Primo quarto , 21h 41m Il Sole entra nel segno Acquario 
il giorno 21 alle ore 11 min. 58. 


EFFEMEKIDI DEI SOLE E DELLA LUNA 197 


Febbraio 1904. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
A 
2» E; II SOLE La LUNA = 
E \S\Sî "AI a o 
s |= cf passa = passa ua 
S omo [nasce al, 2 | nasce al, tramonta| £ 
3 = D meridiano E meridiano [25] 
h m himg' $ h m h m h m h m 
32 1 L |751|12 42. 49;79 |1735| 17 46 e 7183 15 
35 2|.M 50 42. 58,19 87 ||:019 2 0 56,2 757 16 
84 | 8|- M 49 43. 5,78 38 || 20 18 1 54,7 8 37 17 
35 4 G 47 45. 12,54 39||.21 33 2 50,9 9 13 18 
36 5) V 46 43. 18,51 41||122 45 3 45,0 9 48 19 
37 6 S 45 43 23,69 42] 23 54 4 37,4 10 21 20 
38 7 D 44 43 28,07 44 gi 5 28,6 10 56 21 
39 8 L 42 43. 31,66 45 de li 6 19,1 11 81 22 
40 9 M 4l 43 84,48 47 2 4 1 9? 12 10 23 
4110) M 39 43. 36,51 48 ||ag 8 8 7 58,9 12 52 24 
42 | 11.) G 38 43. 37,78 49 3:57 8 48,2 13 38 25 
43 | 12 V 37 43. 38,28 51 | 4146 9 37,0 14 28 26 
44|13|_S 85 43. 38,02 52 bi 3lee| 10 24,7 15 21 27 
45 | 14 D 33 43.837,02 | 54 610) 11 40,3 16 16 28 
46 | 15 L 32 43.989,27 55 6 45 11 56,6 713 29 
47 | 16 M 30 43. 32,78 57 716.) 12 40,9 18 11 30 
48 | 17 M 29 45. 29,57 58.7 7.460! 13 24,2 19% 9 1 
49 | 18 G 27 43. 25,63 59 8 14 14 7,0 20 8 2 
50 | 19|.V 26 43 20,99 |18 1 841 | 14 49,9 2a 3 
51 | 20 S 24 43. 15,66 2 9 8 15 33,3 22 6 4 
99 | 21 D 23 43. 9,62 4]. 9.87 16 17,9 Pili 5) 
53 | 22 L 21 43... 2,91 5||o 10 9 17 44 a 6 
94 | 23 M 20 42. 55,99 6| 10 44 | 17 53,5 0 8 7 
5o*| 24 | M 18 42 47,52 8||::11.24:| 18 45,2 110 8 
56 | 25 G 17 42 38,86 90 1211 19 39,9 2 12 9 
57 | 26 V 15 | 42 29;59 10:|{y1b. 20 37,0 s 11 10 
58 | 27 S 13 42 19,78 11| 14 8 21 36,0 4.7 1l 
59 | 28 » 12 42. 9;27 13|| 15 17:.| 22 35,3 4 59 142 
60 | 29 L 10 41 58,26 14|| 16 532 23 34,9 5 45 13 
Fasì della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1l 29m 
i h 99m 

3 ua "sp id ig 2 La Luna è in Perigeo alle 1% 

8 Ultimo quarto , 10h 56m 16 la Apogeo ., 1h 
16 Luna nuova , 122 5m ———_—_—_—_—_ 
24 Primo quarto =, 12h gm Il Sole entra nel segno Pesci il 

giorno 20 alle ore 2 min. 25. 


738 VITTORIO BALBI 


Marzo 1904. 
GIORNO ‘TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È | 
Si 
° I 3° Hi SOLE La LUNA e | 
Si 2 3.5 passa È assa ni 
= |a | PE nasce al È nasce al tramonta] £ 
mu a D meridiano È meridiano R 
hm) hm 8 h m h m h'iofm h m 
61 1 M |7 9/12 41 46,71 1815) 17 48 —_— 6 28 14 
62| 2 M 7 41 34,64 17| 19 4 0 31,9 75 15 
63| 3| G 5 41 22,08 18| 20 20 1 28,1 741 16 
64| 4| V 3 41 9,06 19) 21.33 2 22,9 8 16 17 
65| 5 S 1 40 55,59 21) 22 44 8 16,6 8 52 18 
66| 6) D 0 40 41,70 22] 2951 | 49,2 9 28 19 
67 | 7/UL /6.58 40 27,41 23 (RU e 5 1,6 10 7 20 
68| 8| M 56 40 11,75 24 0 54 5 52,9 10 50 21 
69 | 9 M 54 39 57,72 26 151 6 43,5 11 85 22 
70/10) G 52 389 41,34 27 2 42 7 83,1 12 24 23 
7144 19 V 51 39 26,65 28 8 29 8 21,5 13 16 24 
72 | 12/05 49 39 10,66 80 4 10 9 8,5 14 11 25 | 
73 | 13 D 47 38 54,87 sl 4 46 9 54,1 154 Sf 26 | 
74|14| L 45 38. 37,82 32 5.19 | 10 88,7 16 4 27 | 
75|15| M 43 88 21,01 34 549 | 11 2238 7 2 28 | 
76 | 16) M 41 388 8,99 35 53 17 12005,8 18 1 29 | 
TT 17 (eG 39 37 46,74 36 6 44 | 12 48,4 18 59 
78 418 [N 87 37 29,30 38 €12-%| 13 82,0 | 3201 0 21 
794.19 [US 36 87 11,67 39 741 | 14 16,4 21 4 3 
80|20| D 84 86 53,88 40 110€) 155295 02 2 4 
81|21 L 32 36 35,94 41 8 45 15 50,5 23 4 5 | 
82|22| M 80 36° 17,89 43 9 24 | 16 40,9 ida 6 
83 | 23 M 29 85 59,71 44) 10 7 17 33,6 0 4 V 
84|24| G 26 85 41,44 | 45] 10 58 | 18 28,3 +) & 8 
85 | 25 V 24 35 23,10 46 11 55 19 24,5 159 9 
86 | 26| S 22 35. 4,71 48° 1259 | 20 21,5 2 51 10 
87 | 27 D 21 34 46,29 49| 14 9 21 18,4 8 47 1l 
88 | 28 L 19 54 27,85 50| 15 21 22 14,8 4 19 12 
89| 29] M 17 84 9,48 52|| 16 86 | 23 10,5 4 58 13 
90 | 30) M 15 33 51,04 53 || 17 52 -—_ 5 35 14 
91 433 G 13 38 31,72 54| 19 6 0 5,5 (UR 15 
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 87m 

2 Luna piena alle 3h 48m 1 La Luna è in Perigeo alle 14 

9 Ultimo quarto. , 2% 11m 14 Id. Apogeo , 7 

17 Luna nuova , 6h 89m 29 Id. Perigeo n 23% 

24 Primo quarto .,, 22 87m Il Sole entra nel segno Ariete il 

31 Luna piena aloe giorno 21 alle ore 1 min. 59. 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 739 


Aprile 1904. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
cala da PE a 
2 PA È Hi SOLE La LUNA = 
s è | ge dc ta i 
«© Rc passa È passa pe: 
= cerniere al E 1 ‘8 
w o 2 |nasce al E nasce al tramonta | & 
Ue) Ue) te) meridiano n meridiano [ca] 
| | h m hm 8 hm Hey i h m h m 
92| 1) V |6 11/1233 14,48 |1855| 20 19 0 59,9 6 45 16 
93 | 2|.S 9 32 56,35 57) 21 30 1 54,0 722 17 
94|3| D 7 32 38,94 58|| 22 37 247,9 9.0 18 
9| 4| L 6 382 20,49 59|| 23 38 3 41,9 8 42 19 
96| 5S/M|_4 326,4. 8879 19. Oli 4 33,9 9 27 20 
97 | 60M 2 81 45,35 2 0 34 o 25,9 10 16 21 
98 | 7) G 0 81 28,10 3 124 6 15,9 11 8 22 
99 | 8.|(V |5.58 31 11,07 4 2.7 7 03,5 12 2 23 
100 | 9... S 56 380. 54,30 6 2 46 750,0 12 59 24 
101)10) D 55 80 37,79 È 3 20 8 35,0 13 56 25 
102 {10:|CL 53 80 21,56 8 3 51 9 19,0 14 54 26 
103 | 12| M 51 30. 5,64 9 4> 196%) .10162,2 15 52 27 
104 | 13| M 49 29 50,03 11 4 48 10 45,2 16 50 28 
105 | 14| (G 47 29 34,73 12 5.15 | 11 28,8 17 51 29 
106| 15) V 46 293119,79 13 5:43 | 12 13,2 18 52 30 
107 | 16.) S 44 29. 6,19 14 6 13 | 12 593 19 58 1 
108| 17) D 42 28. 50,95 16 6 46 13 47,3 20 56 2 
109 {18| L 41 28 37,09 17 -723 | 14 37,6 21 58 3 
110|19| M 39 28. 23,61 18 8 7 15 80,1 22 59 4 
111|20| M 37 28 10,53 19 854 | 16 243 23 56 5 
112 | 21 G 35 27 57,85 21 949 | 17 19,7 ——i 6 
113] 22\\V 34 27 45,59 22] 10 50 | 18 15,5 0 48 7 
114| 23| S 32 27 33,75 23 1149 -| 19 11,0 136 8 
115124 | D 81 27eL 22/35 24 13 5 | 20 5,7 2 18 9 
B16 25: |€ L 29 27 11,41 26|| 14 18 | 20 59,7 2 56 10 
117 | 26|}M 27 27. 0.92 27| 15 30 | 21 53,1 3 32 11 
118/27 M 26 26 50,91 28|| 16 43 | 22 46,3 4 6 12 
RI9 1.280} G 24 26 41,59 29|| 17 56 | 23 39,5 4 40 13 
1201 29 |. V 23 26 32,33 30] 19 7 peli: SI 5 15 14 
121|30|-S 21 26 23,89 32 ||‘ 20 17 0 38,1 d 52 15 
Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 30m 
7 Ultimo quarto alle 18% 53m ss Nena: TOR 
5 Pri, a Luna è in Apogeo alle 
15 Luna nuova n 22% 58 96 Ia. Pesigen: msi 
23 Primo quarto , 5h 55m alal in 
29 Luna piena » 23% 36m Il Sole entra nel segno Toro il 
giorno 20 alle ore 13 min. 42. 


740 VITTORIO BALBI 


Maggio 1904. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
= 
° è È II SOLE La LUNA 3 
s n E ni 
s © | Se e © 
Ss |B|SS passa È passa La 
d |a nasce al E nasce al tramonta] £ 
mu vu D meridiano Di meridiano Ri 
h m h m Ss h m h m h m h m 
122 1 D |5 20/12 26. .15,91 |1933] 21/22 14.264 6 32 16 
129 2 L 18 26. 8,49 34|| 22 22 2 20,6 71% 17 
124 | 3 M 17 267 1;62 85 || 128/15 8 13,7 8 4 18 
125 4 M 15 250155;82 37 seno 4 5,5 8 56 19 
126 ò G 14 25. 49,59 38 0 3 4 55,6 9 51 20 
127 6 V 12 25, 44,42 39 0 44 5 43,6 10 47 21 
128 7 S 1l 25. 39,84 40 Je19 6 29,7 11 45 22 
129 8 D 10 25, 35,35 42 1152 714,3 12 43 23 
130 | 9 L 9 25. 32,45 43 2721 757,7 13 40 24 
131 | 10 M 7 25, 29,62 44 2 50 8 40,6 14 39 25 
132 | 11 M 6 25, 27,40 45 SC17 9 23,7 15 39 26 
183 | 12 G 5 25. 25,76 46 3 44 10! 172,6 16 40 27 
154 | 18 V 3 25 24,71 48 | 4 13 10 58,2 17 41 28 
135 | 14 S 2 25, 24,23 49 4 45 11 40,8 18 45 29 
186 | 15 D 1 25: 24,33 50 5/21 12 30,9 19 48 1 
19% | 162) 0 0 25. 25,00 5I 6-2 13 23,6 20 50 2 
138 | 17 M |4 59 25. 26,24 92 6 49 14 18,5 21 ol 3 
199 | 18 M 58 25 28,09 58 742 15 14,8 22 46 4 
140 | 19 G 57 25. 30,35 d4 8 43 16 11,4 23 35 d 
141 | 20 V 06 251 83,21 55) 9 48 17 74 =. 6 
142 | 21 S DD 25. 36,59 56 || 10 56 18 2,8 0 20 7 
143 | 22 D d4 25. 40,50 580/12 7 18 55,7 0 59 8 
144 | 23 L 59 25. 44,91 59! av18817 19 47,9 1 35 9 
145 | 24 M 52 25, 49,81 |20 0). 14 29 20 39,6 28 10 
146 | 25 M 51 25. 55;21 1||:.15 40 21 81,1 2 41 11 
147 | 26 G 51 Deng dil0 2||C 116 50 22 23,1 3 14 12 
148 | 27 V 50 26. 7,46 3.||{ll759 23 15,6 3 48 13 
149 | 28 S 49 26. 14,28 3||0gl9x 05 EI 4 26 14 
ls0 | 29 ©» 49 26, 21,56 4.20. 8 0 8,7 ò òd 15 
151 | 30 L 48 26, 29,29 5.121 5 1..12;0 5 54 16 
152 | 81 M 47 26 37,46 6 21 55 1 54,6 6 44 17 
Fade Tubi. Il giorno nel mese cresce di 1h 8 
7 Ultimo quarto alle 122 50m 8 La Luna è in Apogeo alle 17% 
15 Luna nuova —, 11° 58% 23 Id. Perigeo , . Ol 
29 -j h n 
gi SAURO quarto È sE tao Il Sole entra nel segno Gemelli il 
29 Luna piena sì oHa W giorno 21 ad ore 13 min. 29. i 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 741 


Giugno 1904. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
I TA = 
© © a Il SOLE La LUNA 2 
(ni n s = = È a 
E|S|SS "a =| $ 
n = ds passa ca passa = 
S || nasce al È nasce al tramonta| £ 
=] mi DN meridiano ‘S meridiano [ca 
h m hm s hm h m h m h m 
153 | 1| M |447|12 26 45,06 [20 7] 22 40 2 46,0 7 38 18 
154 | 2:/\G 46 26 59,08 8| 23 19 8 35,6 8 34 19 
155 | 8| V 46 27. 4,50 9123 52 4 29,1 9 32 20 
156 | 4| S 45 27 14,81 9 —— 5 8,7 10 30 21 
157 | 5:|-D 45 27 24,48 10 0‘23:| 5 52,7 11 (29 22 
158 | 6:|-L 44 27. 35,01 11 045155 688,7 12 [29 pet 
159 | 7:| M 44 27 46,87 11 bè19 7 18,4 13 26 24 
160) 8| M 44 27 57,05 12 146 81,5 14 26 25 
dol | 9! /(G 43 28 8,51 13 2 13 8 45,7 15 26 26 
162 | 10) V 45 28. 20,25 13 244: 932,0 | ‘16 29 27 
163 | 11 S 43 28 32,23 14 3.18 | 10 20,8 17 33 28 
164 |12|) D 43 28 44,45 14 3 56 11 12,8 18 36 29 
165 | 13| L 43 23 56,85 15 4 40 12 7,5 19 359 30 
166|14| M 48 29.0 9,43 || 15 532 13 4,5 20 37 1 
167 | 15| M 43 290822,15 16 6 31 14 72,7 21 81 2 
168 | 16) G 43 29 34,98 16 7 36 15 0,7 22 19 3 
169 |17| V 43 29 47,89 17 8 45 15 57,4 23 0 4 
170/18) S 43 30 0,86 17 9 57 16 52,4 23 98 5 
171/19) D 43 30. 13,87 17) 181.9 17 45,5 ca 6 
#72 | 20---L 43 50 26,89 18] 12 20 18 37,2 0 12 7 
173 | 21 M 43 30. 39,88 18|| 13 31 19 28,1 0 45 8 
174|22| M 44 30 52,84 18] 1450 | 20 19,0 117 9 
175 | 23 G 44 sl 5,74 18] 1548 | 21 10,1 150 10 
176|24| V 44 81 18,55 18] 16 54 | 22 1,9 2 26 11 
177 | 25 S di S1 31,26 18|| 17 57 22 54,0 31 S 12 
178 | 26) D 45 81 43,84 18|| 18 55 | 23 46,2 3 48 18 
179|27| L 45 81 56,29 18] 19 48 ALL 4 36 14 
180 | 223| M 46 32 8,56 18) 20 36 0 37,8 5 28 15 
181 |29| M 46 382 20,66 18| 21 17 1 28,0 6 25 16 
182 | 30 G 47 32 32,57 18| 21 58 2 16,6 720 17 


Fasi della Luna. 


6 Ultimo quarto alle 6* 53m 
13 Luna nuova ,» 22% 11m 
20 Primo quarto , 16h 11m 
27 Luna piena » 21° 23m 


Il giorno nel mese cresce di 0h 12m 


5 La Luna è in Apogeo alle 12% 
i7 Id. Perigeo , 18h 


Il Sole, entra nel segno Cancro il 


giorno 21 ad ore 21 min. 51. 


742 VITTORIO BALBI 
Luglio 1904. 
GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
È a ara ae > =] 
2 Pi SI li SOLE La LUNA s 
s |ola È 5 © 
s = de passa È passa » 
è | #|7# nasce al È nasce al tramonta| £ 
U=) 3 n meridiano sa meridiano (cal 
hm] hm Ss h m h m Dh m h m | 
183 | 1) V |447|12 32. 44,25 [2018] 22 24 8 3,2 8 19 18 
184 | 26S 48 32. 55,71 18|| 22 54 8 48,1 SUE 19 
185 | 3| D 48 33 6.90 17|| 23 22 4 31,4 10 15 20 
186 | 4. L 49 33 17,82 17| 23 48 5 14,0 11 14 21 
187| 5 (M 50 33. 28,25 17) —— 5 56,5 12 13 22 
183 | 6] M 50 89. 38,76 16 0 15 6 39,6 13 12 23 
189 | 72) G 51 33 48,75 16 0 43 724,0 14 13 24 
190 | 8| V 52 83 58,38 16 110 8 10,8 15 15 25 
191 | 9° &S 52 84 7,65 15 1 50 9 04 16 18 26 
192 | 10|D 55 34. 16,52 15 2 81 9 53,3 17 21 27 
£93 | 1£2| VI 54 d4 24,98 14 8 19 | 10 49,8 18 22 28 
194 | 12| M 55 34 33,02 13 4 14 | 11 47,5 19 19 29 
195 | 13) M 56 54 40,60 13 5 18 | 12 46,9 20 11 l 
196 | 14) G 57 84 47,71 12 6 27 | 13 45,9 20 57 2 
097 I182/Ty 58 34 54,393 11 740 | 14 43,6 21 351 | 198 
198 | 16.|S 59 55 0,45 11 8 54 4 
199 (“1g RD 59 85. 6,04 10). 10. 8 5) 
200 | 18|}L [5.00 85 11,08 godi 21 6 
201 | 19) M 1 85. 15,57 8| 1231 7 
202 | 20) M 2 85. 19,50 7, 13 39 8 
203 | 21) G 3 385 22,85 6] 14 46 9 
204 | 22| V 4 85. 25,60 5| 15 49 10 
205 | 23| S 5 35 27,82 4| 16 49 11 
206 | 24| D 6 35 29,41 3| 17 43 12 
207/25) L 8 85 8041 2] 18 32 13 
208 | 26.|\M 9 35. 30,83 1|| 19.14 14 
209 | 27. M 10 35 530,64 0| 19.53 15 
210 | 28] G 11 385 29,85 (1959) 20 27 16 
211 | 29. V 12 35. 28,48 98 || 20 55 17 
212 | 80) S 13 385. 26,50 57 ||v.21:25 18 
9139438 |" D 14 s5 23,92 55 || 21 52 19 
Fasi della Luna. Il giorno nel mese diminuisce di 
oh 50m. 
5 Ulti uarto all h 54m 
13 di ani da dl 3 La Luna è in Apogeo alle 6h 
DA DUET ni 1063687 15 Td. Perigeo ,  5ì 
19 Primo quarto , 21h 49 30 Ia. Apogeo, 21U 
27 Luna piena n 108 490 fi ni di” 
Il Sole entra nel segno Leone il 
giorno 22 alle ore 8 min. 50. 


EFFEMERIDI 


DEL SOLE E DELLA LUNA 743 


Agosto 1904. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE 

(8 © = H SOLE La LUNA 

oi 5 & [si * —TTT—n __ Ts 
= = Gi passa = passa 

= | “ai nasce al E nasce al tramonta 
parent | of te 3) meridiano FS meridiano 

hm|j him s h m h m h m h m 

| 264 | | L [5 15|12 85 20,76 [1954] 22 19 3 53,4 10 3 
2f5 | 2| M 16 85 17,01 53 || 22 46 4 35,9 (1. È 
816) 3} M 17 85 12,67 52|| 23 15 5 19;1 12 0 
227 | 4| G 18 d9 7,75 50 23 48 6 4,0 13 1 
388 | S| V 20 35 2,24 49] — |. 6 561 14 2 
I2R9 1) 6 US 21 84 56,16 48 0 25 741,0 15 83 
220 | 7] D 22 84 49,50 46 I 8 8 34,2 16 4 
221 8| L 23 34 42,26 45 1 48 9 30,4 173 
222 | 9, M 25 84 34,45 43 2 57 10 28,8 17 57 
223 | 10| M 26 34 26,09 42 4 4 | 11 28,1 18 46 
224 | 1B1 @ 27 84 17,15 40 5 16 12 27,3 19 30 
225 | 19 V 28 84 7,64 39 6 30 13 25,4 20 10 
226 |13| S 29 33 57,57 87 746 14 21,8 20 46 
227 |14| D 31 33 46,94 | 36 G< 83 15 16,6 21 20 
228 | 15| L 32 33 35,71 | 34 1017 16 10,2 21 55 
229 | 16| M 33 83 24,04 | 32] 11 28 17049 22 30 
230 | 17} M 34 83 11,76 81|| 1237 17 505,1 33 7 
2351 | 18| G 35 382 58,96 29) 3 41 18 47,1 23 48 
232 | 1®| V 37 82 45,63 28|| 14 43 19 38,7 ei 
2953 | 20) S 38 32 81,80 26) 15 39 | 20 29,7 0 32 
4 |2Y| D 39 32 17,47 24) 1629 | 21 198 119 
295 | 2% L 40 32 2,67 22] 17 14 | 22 8,7 211 
2396 | 23| M 41 81 47,40 21| 17 51 22 56,0 3 6 
237 |24| M 43 81 31,70 19] 18 28 | 23 41,9 4 83 
238 | 25 G di 31 15,56 17] 18 59 _— 5 1 
239 | 261 V 45 30 59,01 16| 19 28 0 26,2 5 59 
240 | 27| S 46 80. 42,07 14 19 55 1 ‘(94 6 57 
241 |28| D 47 30 24,74 12] 20 23 1 51,8 7 55 
242 | 29| L 49 30 7,06 10 20 50 2 34,1 8 59 
243 | 580| M 50° 29 49,05 8|| 21 18 3 16,9 9 52 
244 | 381) M 51 29 50,72 6| 21 49 4 10 52 


- Fasi della Luna. 


4 Ultimo quarto alle 15% 3 
11 Luna nuova , 182 58m 
18 Primo quarto , 5h 27m 
26 Luna piena ,, 22 2m 


| Il giorno nel mese diminuisce di 
1h 260, 


12 La Luna è in Perigeo alle 10% 
27 Id. Apogeo , 5 


| Il Sole entra nel segno Vergine il 
| giorno 23 alle ore 15 min. 37. 


Età della Luna 


Fasi della Luna. 
3 Ultimo quarto alle 3% 59m 
9 Luna nuova so 21° 48m 
16 Primo quarto , 16% 18m 


24 Luna piena s 18b-50m 


744 VITTORIO BALBI 
Settembre 1904. 
| 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
i HR 
o © do Il SOLE La LUNA 8 
s o | e@ == se i ei 
S ci È passa È passa Lo 
@ | ra0|:/Por |nasce al E nasce al tramonta | ‘£ 
3 (=) Pa) meridiano [a meridiano R 
h mj è m hm h m h m h m 
245 1 G |5.52:|12 290/12;07 |19 GB 02223 4 46,2 11 52 21 
246 2 V 55) 28. 53,16 8 || 123183 5 34,0 12 52 22 
247 3 S 55 28 € B3:97 1| 23 48 6 24,3 13 bl 23 
248 4| D 56 28 14,54 |18 59 cli 7 17,8 14 49 24 
249 b) L 57 27 _54,87 57 0 41 812,9 15 43 25 
250 6 M 58 27 35,00 59 143 9 10,3 16 83 26 
251 7 M 59 27 14,93 54 2:50 10 8,5 14 19 fi 
252 8 G | 6h. 26. 54,68 52 4.8 1167 13 0 28 
253 9 V 26 34,26 50 5 18 12 4,2 18 39 29 
254 | 10 S 3 26 > 13,68 48 6 38 13130:7 19 15 1 
259 | 11 » 4 25 1 52,96 46 7 52 13 56,4 19 51 2 
256 | 12 L 5 25 00312 44 9 7 14 51,3 202% 3 
257 | 13 M 6 25 11,16 42|| 10 20 15 45,7 21 4 4 
258 | 14| M 8 24. 50,11 40] 11 29 16 39,7 21 45 5 
259 |\15 G 9 24 28,99 39|| 12 85 17 32,9 22 29 6 
260 | 16 V 10 247,80 37| 13 84 18 25,2 23 16 7 
261 | 17 S 11 23 46,57 85 ||. 14 26 19 16,3 e 8 
262 | 18 D 12 23 125,33 38 || 15 13 20 5,9 0: 7 9 
268 || 19 L 14 23. 4,09 81|| 15 54 | 20 53,6 1 1% 10 
264 | 20| M 15 22, 42,87 29 16:29 | 21 39;7 1 57 11 
265 | 21 M 16 22 2g 27 v1% 2 22 24,4 2 50 12 
266 | 22 G 17 22. 0,62 25|| (17 32 23 7,8 8 59 13 
267 | 23 V 19 21 39,62 23|| (18,0 23 50,5 4 50 14 
268 | 24 S 20 21 18,74 21) 18 26 ei 5 48 15 
269 | 25 D 21 20. 57,99 19] 18 58 0 32,9 6 47 16 
270 | 26 L 22 20 37,42 18| 1921 1 15,7 7 46 17 
290 1127 M 23 20. 17,02 16 19 51 1 59,3 8 46 18 
272 | 28 M 25 19 56,84 14| 20 24 2 44,2 9 45 19 
273 | 29 G 26 19 36,90 12 a2lg SI 3 31,0 10 45 20 
274 | 30 V 27 19 17;23 10) 21 44 4 19,8 11 44 21 


Il giorno nel mese diminuisce di 


1h 32m, 
9 La Luna è in Perigeoalle 20% 
23 Id. Apogeo.., 7h 


Il Sole entra nel segno Libra il 
giorno 283 alle ore 12 min. 40. 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 745 


Ottobre 1904. 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE | È 
(sa 

2 25 È fl SOLE La LUNA @ 

3 È ini S RI PS E E 

S |a Ds passa 0 passa = 

mi | FRUIS nasce al E | nasce al tramonta | £ 

do ei D meridiano a meridiano | (cal 

hm | m Ss hm h m h m h m 

275 1 E l'as M:2.718 5790 18-08. || 12293 5 11,0 12 41I 22 
276 2 »D 30 18. 38,72 62329! 6/41 13 39 25 
277 9 L 31 18 19,95 4| Code 6 58,8 14 26 24 
273 4 M 82 18° 1,592 2 0 32 7 54,6 15-11 25 
79 ò M 33 17 43,45 1| 140 8 50,8 15 58 26 
280 6 G 35 17! 25,76 11759| 252 9 46,9 16 82 27 
281 7 V 36 17. 8,48 57) OL 10 42,8 179 28 
282 8 S 37 16 51,62 55] 3524 11 38,5 1743 29 
283 9 D 98 16 35.18 53] ‘6 40 12 34,1 15 19 1 
284 | 10 L 40 16 19,18 52] ©9255 1312957 18 57 2 
285 | 11 M 41 16° 3,64 50|(:9' 8 14 25,4 19 86 3 
286 | 12 M 42 15 48,57 48| 1017 15 20,8 20 20 4 
287 | 13 G 44 15 83,99 46| (1121 16 15,4 QI 5) 
288 | 14 V 45 15 © 19,91 44 12 18 17 8,7 21 58 6 
289 | 15 S 46 15. 6,35 43| 1309 180,0 22 53 7 
290 | 16| D)| 47 140 53,33 | \41| 18 52 | 18 49,3 | (23 49 8 
SAL 117 L 49 14 40,87 99] 14 31 19 36,4 == 9 
292 | 18 M 50 14 28,98 38 || VID 4 20 21,6 0 46 10 
293 |: 19 M 52 14 17,68 36 | l5*35 21 5,4 144 11 
294 | 20 G 58 14 6,99 354|| 16 5 21 48,3 242 12 
995 21 V 54 13 57,54 BY. 16 30 22130;7 5 41 13 
296 | 22 S 56 13 ‘47,53 81 16 56 23 13,4 4 40 14 
297 | 23 D 57 19 1599,79 29 17 24 23 57,0 5 89 15 
298 | 24 L 58 13 €80,73 27) 17 58 ona 6 38 16 
299 | 25 M |7-0 13. 23,38 26 || 18 26 0 41,5 7 88 17 
300 | 26 M 1 13 ©16:73 24. || 19 2 1 28,4 8 39 18 
AOL 127 G 2 13 “10,83 23|| 19 42 2 17,0 9 39 1 

3802 | 28 V 4 13“ 5:68 21 || ‘20 29 STATS 101137 2 

303 | 29 S 5 13. 1,30 20] S21°22 4° 053 11 399 Cp 
304 | 830| D 7 12 “5771 18|| ‘2222 | 4 5359 12 23 22 
305 | 81 L 8 12 54,91 17| DINT 5 48,9 1349 23 


Fasi della Luna. 


24 Luna piena 


2 Ultimo quarto alle 14h 52m 
9 Luna nuova sn 60 25m 
16 Primo quarto , 6% 54" 
.0 11 56m 


Il giorno nel mese diminuisce di 
Jh 84m, 
8 La Luna è in Perigeo alle 7° 

20 Id. Apogeo , 150 


Il Sole entra nel segno Scorpione 
il giorno 23 alle ore 21 min. 19. 


746 


GIORNO 


dell'Anno 


1 Ultimo quarto alle 0% 13m 


del Mese 


CO 00 ST GUIDI 


della 
Settimana 


SEVEVNIQBENBRIOFEHSRIOZEZi Evo eE 


VITTORIO BALBI 


Novembre 1904. 


TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE 


ll SOLE La LUNA 
= — ——_—_—_—___me " 
passa E passa 
nasce al E nasce al tramonta 
meridiano £ meridiano 

hm hm 8 h m h m h m h m 

70.9 42012%:52;91./b7.56 A 6 42,7 13 51 
ll 12. 51,74 14 0 35 7 36,8 14 30 
2 12 51,39 13 146 8 30,7 150 5 
19 12. 51,87 11 2 59 9 24,4 15 39 
15 12. 58,18 10 4 14 10 18,2 16 13 
16 12. 55,99 9 b 29 11 12,8 16 49 
18 12 58,94 7 6 43 12 (81 D7 29 
19 19 ge:27 6 7 54 131 wsl 18 8 
20 13... 6,85 5) We 3 14 0,2 18 45 
22 13 12,36 4] 10 4 14 55,5 19 45 
28 13% 1874 Shtadk: 0 15 49,4 20 39 
25 13. 25,90 1 11 48 16 40,9 21 47 
26 13 33,91 O; 02:29 17 30,1 22 35 
217 13. 42,75 |1659|| 13 5 18 16,7 23 34 
29 13. 52,48 58.|| 13 37 19515 ent 
80 14. 2,94 57) 14 5 19 44,7 0 33 
Sl 14 14,26 56) 14 38 20 27,1 18 
83 14 26,40 56 14 59 21m 229 
94 14 39,95 55|| 15 26 21 52,6 91274 
‘39 14. 53;13 54 15 54 22 36,9 4 27 
87 15 6g 800 58 || 16 25 23 23;2 5 28 
38 15 23:07 DI DERA:0 ESS 6 29 
89 15 39,24 52 || 17 40 0 11,7 7 3 
41 15. 56,18 51| 18 25 1:36 831 
42, 16 153,90 50|| 19 17 1 55,6 9 28 
49 16 32,39 50) 20 15 2 49,8 10 22 
44 16 51,69 49|| 21 18 3 44,8 314 
46 17 11,60 49 22 25 4 39,4 tl 53 
47 17. 8332 48 23 85 5 33,8 12 32 
48 17. 53,73 483 STE 6 26,2 13.17 


Fasi della Luna. 


7 Luna nuova 


15 Primo quarto 


23 Luna piena 


30 Ultimo quarto 


jh 9g. 


5 La Luna è in Perigeo alle 18h 


Età della Luna 


san SVLIZÀE 


Il giorno nel mese diminuisce di 


n 168 37m 17 Id. Apogeo , 8h 
a 1h 86m ni _ ae 
4h 19m Il Sole entra nel segno Sagittario 


» 


n° 81 38m 


il giorno 22 ad ore 18 min. 16. 


EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 


Dicembre 1904. 


747 


GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È 
3 

sent le ll SOLE La LUNA È 
[e n ri —_. 
Z A si E n “| > ce ra 
S Als ASS® È passa Î di 
Sola | # [nasce al E nasce al tramonta | £ 
Uu=] L=) n meridiano E meridiano (es 

hm hm Ss h m h m hm h m 

836 1 G |7 49/12 18 15,84 [16.47 0 46 Ta ter. 13 4l 24 
337 2 V 50 18. 38,62 47 2 8 8 10,2 14 14 25 
988 8 S ol 19 2,04 47 5 10 Diego 14 46 26 
339 4 D 52 19 26,09 46 4 22 9 55,6 15 22 7, 
340 | 5 L 58 19 50,73 46 5 33 10 49,8 16 0 28 
341 6 M d9 20 15,93 46 6 42 11 45,0 16 48 29 
342 7 M 56 20 41,65 46 748 12 40,5 17091 1 
343 8 G 57 2 7,88 46 8 47 13 34,5 18 25 2 
544 9 V 7) 21 34,58 46 9 39 14 29,1 19 21 3 
845 | 10 S 59 22... 1,72 46| 10 24 15 20,3 20 20 4 
946 | 11 D 59 22 29,27 40021164 16 9,1 21 19 5 
94701 12 D-|8'°0 22 57,17 46| 11 38 16 55,3 22 19 6 
948 | 13 M 1 23 25,42 46|| 12 8 17 39,6 283 18 7 
349 | 14 M 2 23 53,98 46| 12 38 18 22,4 == 8 
350 | 15 G 3 24 22,80 461181 2 19 4,6 OUIT7 9 
951. | 16 V 8 24 51,87 46| 13 28 19 47,0 1 15 10 
9520 17 S 4 25 21,14 47. 13.56 20 30,4 2 14 11 
3583 | 18 D 5 25 50,60 47 || 14 25 21 15,9 5 14 12 
354 | 19 L 5 26 20,21 47| 14 57 22 2,7 4 15 15 
355 | 20 M 6 26 49,91 48| 15 34 22 52,7 5 16 14 
356 | 21 M 6 27 19,70 48 || 16 18 23 45,5 6 18 15 
357 | 22 G 7 27 49,54 49 17.7 TP 718 16 
858 | 283 V ti 28. 19,41 49] 18 4 0 40,5 8 14 17 
359 | 24 S 8 28 49,27 Ol L907 1 36,8 96 18 
960 | 25 D 8 29 19,08 50|| 20 16 2 33,3 9 53 19 
361 | 26 L 9 29 48,83 51|| 21 26 3 28,9 10 34 20 
362 | 27 M 9 30. 19,50 51| 22 37 4 23,2 11 ll 21 
363 | 28 M 9 30. 48,02 52|| 23 48 5 16,0 11 45 22 
364 | 29 G 9 81 17,38 58 PIL 6 7,8 12 18 23 
365 | 30 V 9 31 46,57 d4 L70 6 59,1 12 50 24 
366 | 31 S 9 82 , 15,52 55 210 7 50,6 15225 25 


Fasi della Luna. 

4h 46m 
23h 7m 
19h Im 
16h 46m 


7 Luna nuova alle 
14 Primo quarto , 
22 Luna piena = 


29 Ultimo quarto , 


Il giorno nel mese diminuisce di 
Oh 14m, 


3 La Luna è in Perigeo alle 1h 
15 Id. Apogeo , 5h 
27 Id. Perigeo , 18h 


Il Sole entra nel segno Capricorno 
il giorno 22 alle ore 7 min. 14. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 50 


748 


Effemeridi 
calcolate per l’orizzonte di Torino in ten 
dal dr. VITTORIO BAI 


Mercurio $ Venere $ Marte d 


Labsus leer ultra e) ESS: i 7 _ 
= 2 E 
GIORNO a S| arola £ -$ 
Alii Sì Qua S Qua 
Nasce | fi 2 E | Nasce È È 3 Nasce] È 5 
ES) d è 
h m h m|h mfh m|h m|h m J hm ho m 
Gennaio 1 {10 26 | 14 57/19 28] 4 34|.9 27/14 20|10 14|15.4 
11 | 8 42 [13 27/18 12], 4.54|,9 35|14 16| 9 54|14 56 
21 {7 16.12 0/16 44] 5 14|.9 46/14 18| 9 33|14 47 
Febbraio . ...1 | 6 27.11 4/15 41|f 5381|.9 59|14 2709 8]|14'36 
11 | 6 23 |10 58/15 33| 5:43|10 12|14 41] 8 44| 1425 
214 6 29 | 11 11/15 54f 5 47/10 24/15 1| 8 21/1414 
Marzo . . 1} 6.32,|11 29/16 274 5 48/10 35/15 22| 8 8|14_ 4 
114 6 51.|11,52/17 14] 5,44|10 45/15 47]. 7 36) 13.53 
21 | 6 28.| 12 20/18 14] 5 36/10 53|16.10|, 7 11|13.41 
Aprile . . 1 6 27 |12.56|19 27j 5 24|11 1/16 38] 6 46|13-29 
11 | 6 2113 28/20 86] 5 11|11 7|17 34 6 23113017 
21 | 6 12:13 44/21 17] 45811 13|17 28] 6 1|13 6 
Maggio . 1 |5 50.|18,27|21 4 445|11 19|17 54] 5 40|12 56 
| 11 | .5 16.|12.38|19 59] 4 32|11 26/18 21] 5 20|12.45 
21 |,4 39-|11,41|18 438] 4 23|11 34/18 46|.5 2/12 35 
Giugno 1{4 1|11 1/18 1| 417/11 45/19 14| 4 45|12:25 
11 | 3 40 {10 53|18 7f 4 16|11 56|19 37|J 4 30|12 15 
21 | 8 85.|11 8/18 45| 4 23/12 10/19 57] 4 16/12 5 
Luglio , 1| 3 58 | 11,49/19 40] 4 87/12 25/20 13| 4 4|11.59 
11 | 4 54. | 12. 43|20 32] 4 55|12 39/20 23|.3 56|11 45 
21 6 1.13 29/20 55| 5 18/12 52/20 25| 3 51|11,35 
Agosto. -. 17 5.|14 0/20 58| 5 46|13 4|20 21| 3 401|11 23 
11 [{ 7 45'|14 12|20 88f 6 12|13 13/20 13|/3 3S4\11011 
21 #8 8 |14 11/20 138] 6 41|13 21|/20 0| 3 29/10 59 
Settembre » 18. 1|13 4719 32] 7. &|13 27/19 44] 3 22|10.44 
117 212 53|18 45f 7 34/13 32/19 29| 3 17/10 30 
21 | 5 26 11 43/18 1| 8 2/13 39/19 15] 3 I1|10 16 
Ottobre 1|452 |11 15/17 37] 8 28/13 45/19 1| 3 5/10 0 
11. 5.25 | 11 28|17 30| 8 55|18:53|18 50| 2 58| 9 44 
21 | 6 17 [1D.51|17 24| 9 23/14 3|18 43] 2 ol|. 9 28 
Novembre . 71.4; 7 14,12. 16|17 17] 9 52|14 16/18 40|J 2 44| 9 10 
11|8 0,12 39/17 17] 10.15 |14 3018 46] 2.35| 8 52 
21 | 8 44 (13 4|17 24J10 3314 44/18 55| 2 27| 8 34 
| Dicembre. 1| 9 20 |13 30|17 40|10 44|14 59|19 14| 2 18| 8 16 
11:{ 940 |13 51|18 2|10:46|15 11|19 86] 2..9| 7 58 
21 | 9 22 (13 45|18 8|[10 43/15 22/20 1| 158) 7 39 


ineti principali 


dio dell’ Europa centrale, per l’anno 1904. 


ronomo aggiunto. 


Giove 


al meridiano 
Tramonta 
IZ, 
DI 
(7) 
(e) 
D 
Passa 


al meridiano 


Saturno b 


T'ramonta 


Urano Hi 


Nasce | 
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al meridiano 


‘l'ramonta 


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VON 159 Ùùl pBHo be 00 608 


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Nasce 


10 25 


Passa 
al meridiano 


A 
=) 


DO 
(ui) 
DO 


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DI DDA AUTO D-1090 0.05 
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DD 


749 


Tramonta 


J 


_. 


DD 
Fat. DD Puoi bielle” 
N 
D 


750 ICILIO GUARESCHI — ACIDI 1.2.DIFDROFTALICI ESASOSTITUITI 


Acidi 1.2 diidroftalici esasostituiti. 
Nota preliminare del Socio ICILIO GUARESCHI. 


Già da alcuni anni io ho preparato una serie di nuovi acidi 
ycianvinilacetici mono e bialchilici della forma: 


I II III 
i R R' 
| 

6 CHON C= CHON C# CHON 

SEA: SERRE | SR Loy BUT 
H°C, ida R Hoa 

| 
COOH COOH COOH 


che descriverò in una prossima memoria. 

Gli acidi Bmonoalchilici (1) per l’azione del FeCl? si colo- 
rano in violetto oin azzurro, ecc.; invece gli acidi a8dialchilici 
si colorano fugacemente col cloruro ferrico, poi dànno un pre- 
cipitato bianco cristallino, ed il sale ferrico rimane ridotto allo 
stato di sale ferroso. I nuovi acidi che si formano, stabilissimi, 
hanno la composizione: 


Si possono denominare acidi 1.2.3.6.tetraalchil -4,5.dician- 
ortodiidroftalici; e corrispondono ad un nucleo ortodiidroftalico 
o meglio ad un ortodiidrobenzene o cieloessadiene : 

H°C— CH=CH 
CL 0A = Ch 

Gli acidi che sino ad ora ho ottenuto derivano dagli acidi 
aBdialchilycianvinilacetici rispondenti alla forma (I) in cui 
R= CH? ed R' = CH, C?2H5, C3H", ece. 

È questo un elegante e semplice metodo di sintesi di com- 
posti ortodiidroaromatici sul quale mi intratterrò quando in 
un’altra nota descriverò i composti che qui ora ho voluto sola- 
mente accennare, per prender data, essendo occupato anche in 


altre ricerche. 
Torino, 23 maggio 1903. R. Università. 


TI LT A I 


<= POSI) 


di il dirai 


ELIA OVAZZA — METODO GRAFICO DI CALCOLO, ECC. 751 


Metodo grafico di calcolo 
degli alberi a gomito con più di due appoggi. 


Nota dell'Ing. Prof. ELIA OVAZZA. 
(Con una Tavola). 


1. — La sconoscenza di un metodo comodo per il calcolo 
di stabilità degli alberi a gomito con più di due appoggi porta 
sovente ad assumere ipotesi troppo lontane dalla realtà ovvero 
ad operare a buon senso, onde è dubbio se sieno soddisfatte le 
condizioni di sicurezza contro eccessivi sforzi, contro eccessive 
deformazioni e contro riscaldi eccessivi, condizioni che con quella 
della economia sono tutte essenziali quando si tratta di organi 
resistenti in movimento. Per altro è dimostrato mercè faticosi 
calcoli (*) che non lievi errori si commettono non solo quando 
per semplificare si suppone sciolta sopra i sopporti la continuità 
dell’albero, per modo che vi si annulli la resistenza a flessione, 
ma pure quando, sobbarcandosi all’onere di calcoli non semplici, 
si parte dalla equazione dei tre momenti per travi rettilinee, 
come consiglia taluno, illuso circa la applicabilità di questa 
equazione. 

Avendo dovuto, per la risoluzione in linea tecnica di certa 
controversia, valutare la deformazione di alberi a gomito stati- 
camente determinati, chi scrive ebbe porta l'occasione d’imma- 
ginare un metodo grafico facile per il calcolo della stabilità degli 
alberi a gomito con più di due appoggi, estendendo il noto pro- 
cedimento CuLmann-RirtER per lo studio delle travi continue, 
che qui supponesi noto al lettore (**). La esposizione di tal 
metodo di calcolo e la sua applicazione, fatta per modo da met- 
tere in risalto l’entità degli errori che con esso senza difficoltà 
si evitano di commettere, è l'argomento della presente nota. 


(*) Cfr. Max Exsstina, Mehrmals gelagerte Kurbelwellen mit cinfacher und 
doppelter Kripfung. Stuttgart, Kroner, 1902. 

(#*) Al riguardo qui seguiamo tutte le notazioni e denominazioni adot- 
tate dal Prof. C. Guipi, Lezioni sulla Scienza delle Costruzioni, Parte 2°. 
Torino, Camilla e Bertolero. 


752 ELIA OVAZZA 


Deformazioni di alberi a gomito 
con due soli sopporti. 


2. — Consideriamo anzitutto un albero con due soli sopporti 
ed un solo gomito con braccia rettilinee normali all’asse di ro- 
tazione, comunque carico da forze agenti normalmente al piano n 
della fibra media A,C,D,DsCs As. 

Per concretare le idee, il piano mt suppongasi normale al 
piano del foglio, paralleli al quale sieno i carichi e perciò le 
reazioni d'appoggio. 

Per le varie sezioni dei tronchi A4,C;, DiD:, As (fig. 12), 
aventi assi nella direzione dell’asse di rotazione, i momenti flet- 
tenti come gli sforzi di taglio hanno quei medesimi valori che 
avrebbero qualora il tronco DjD, fosse in C,0, a formare coi 
tronchi A,C, e CsA, un albero ad asse rettilineo — trave diritta 
— ed i carichi fossero trasportati sulle loro proiezioni sopra il 
piano del foglio. I diagrammi di tali sollecitazioni si tracciano 
in modo noto, o per integrazioni successive ovvero mediante 
funicolari. 

Detti 7, ed M; lo sforzo di taglio ed il momento flettente 
per la sezione Ci di tale trave diritta, sarà T, sforzo di taglio 
ed M, momento torcente per tutte le sezioni trasversali del 
braccio C.D; del gomito; analogamente sforzo di taglio 7, e 
momento flettente MM, per la sezione C, della trave diritta im- 
maginata sono sforzo di taglio e momento torcente per tutte le 
sezioni del braccio C.D. 

Si determinino gli angoli ®,' e ®' di cui per torsione ruo- 
tano la sezione D, rispetto alla C; del braccio CD; e la sezione 
O rispetto alla Ds del braccio C,D,; si tracci della trave diritta 
A:C,CsAs la linea elastica Z. Spezzata questa linea / in Ci e Co, 
se ne girino di ©," e di ®,' attorno a €; e C, rispettivamente 
i tronchi A; A; ed A3Cs, portando i centri di appoggio, Bi, Bs, 
al dislivello voluto; evidentemente la linea spezzata /' che così 
risulta è proiezione, sopra il piano del foglio, della fibra media 
deformata dell'albero a gomito, con la quale proiezione si con- 
fonde per gli archi estremi A4;C; ed A43Cs. 


8. — Per ottenere direttamente la linea /’ coi suoi. punti 
angolosi, Cj e Cs, basterà nello applicare il. metodo di  MogR 


METODO GRAFICO DI CALCOLO DEGLI ALBERI A GOMITO, ECC. 755 


per tracciare la linea elastica /, oltre i carichi elastici ripartiti 
di cui la linea / è funicolare, immaginare concentrati in Ci, e C4 
due carichi elastici P,' e P,' che misurino le forze H®,' ed HD,' 
rispettivamente, quando H sia la tensione orizzontale del secondo 
poligono funicolare e ®,', ®,' si misurino nella scala in cui risul- 
tano rappresentate le inclinazioni della 2 dietro la scelta fatta 
delle singole basi di operazione. 

Le rotazioni ®,' e ®," hanno per effetto di produrre in Ci 
e Cs nella curva ?’ angoli la cui concavità è rivolta nel verso 
stesso della concavità che la linea / piglia ivi per i momenti 
flettenti M, ed M;; quindi è carichi elastici P,' e Ps" dovranno avere 
i medesimi versi dei carichi elastici infinitesimi misuranti le aree 
delle adiacenti striscie infinitesime del diagramma delle curva- 
ture; con ciò non si lascia adito ad ambiguità, perchè se segni 
opposti corrispondessero alle striscie infinitesime adiacenti da 
parti opposte di C,, per es., sarebbe nullo M, e quindi ®;' e 
perciò anche P,'. i 

Se, com’ è 0 può supporsi sovente, le braccia della manovella 
a gomito sono prismatiche (*) ed abbastanza corte per rispetto 
alle loro dimensioni trasversali, sicchè sia ammissibile che per 
torsione non se ne ingobbino le sezioni trasversali, detta £ la 
lunghezza comune dei due bracci (raggio della manovella a go- 
mito), G il modulo di elasticità tangenziale, J, il momento 
d'inerzia polare della sezione trasversale Sisplotto n proprio ba- 
ricentro, si ha: 


y MR © ER 
(1) d, TÀ GI, ’ Do rasi GI 


Detto £ il modulo di elasticità normale, /, il momento 
d’inerzia di riferimento pel tracciamento della linea elastica /, 
dette \.la base di riduzione dei momenti, g, e qs le misure dei 
momenti M, ed M, in unità di forza, posto 


(2) G=BE 

(3) P IRSA: TTI 
è:: 

(4) Mq Ms =q3\, 


(*) È ovvia la modificazione da introdursi in caso diverso. 


754 ELIA OVAZZA 


e quindi dovrà essere: 


ti Prodi! 2 SAURO ae 077 ORRORI 
(5) Pi=H®, =H BEabedZey" * ia H REabc0Za," 


Assunte per basi: 


peri eZ” 
(6) ) "ij 1 ’ 
(7) H= Eab 


per ottenere le ordinate della linea elastica nella stessa scala 
delle ascisse, fatto: 


(8) B0 =i (057 , 
dovrà essere: 


IVA R 
(9) Pia pa Pa Gaga 


Ne segue che, comunque siensi scelte le basi di operazione per 
esagerare le ordinate rispetto alle ascisse, basterà immaginare 
sul diagramma dei momenti flettenti sovraposto un rettangolo 
lungo & ed alto la ordinata misurante 9,, ridurne l'altezza nel 
rapporto a, come se se ne volesse dedurre un tratto di diagramma 
delle curvature; la misura del rettangolo così risultante, concen- 
trata sulla verticale di C,, sarà il carico elastico P;'; analoga- 
mente dicasi per P.'. 


4. — Supponiamo ora che le forze esterne caricanti l’albero 
sieno parallele al piano n della fibra media, coincidente col piano | 
del foglio (fig. 22). 

Ancora non variano gli sforzi di taglio ed i momenti flet- 
tenti delle singole sezioni dei tronchi 4jC,, DD», CsA; (i cul 
assi han la direzione dell’asse di rotazione), quando il tronco | 
D,Ds si sposti in CjCs a formare con gli altri tronchi A;( 
e CsA, una trave rettilinea — la trave diritta — edi carichi 
si trasportino sulle loro proiezioni sopra il piano del foglio ; 
invece lo sforzo di taglio 7, per la sezione C; di tale trave di- 
ritta è sforzo normale per tutte le sezioni trasversali del braccio 
CD, (di tensione o di pressione secondo che il gomito è dall’una 
ovvero dall'altra parte dell’asse A; 4»), ed il momento flettente 


METODO GRAFICO DI CALCOLO DEGLI ALBERI A GOMITO, ECC. 7595 


M, per la stessa sezione C, è momento flettente per tutte le 
sezioni del braccio CD; analogamente sforzo tagliante 7, e 
momento flettente M, della sezione 0, della trave diritta sono 
sforzo normale e momento flettente per tutte le sezioni del 
braccio CsD.. 


5.— Tracciata la linea elastica / per la trave diritta 4,C; C5 45, 
si calcolino gli angoli ®," e ®," di cui ruotano una rispetto 
all'altra le sezioni estreme dei bracci CjD, e CsD; spezzata la 
linea in €, e C;, se ne girino i tronchi esterni 4,0, ed AC, 
attorno a C, e Cs di ®," e ®," rispettivamente, riportando ad 
un tempo i centri di appoggio B, e B. ai dovuti livelli; la linea 7 
che risulta si confonderà per gli archi suoi esterni AC; e Cs 43 
con la linea elastica dell’albero a gomito. 

Nelle fatte ipotesi, detto /, il momento d'inerzia della se- 
zione trasversale dei bracci rispetto all’asse baricentrico nor- 
male al piano m (qui piano del foglio), sarà 


r_ MR n__ MR 
(10) d, Aa Ek ’ d, aa PE 


Se ora osservasi che, comunque si trovi il gomito rispetto 
all'asse di rotazione (al di sopra o al di sotto in figura), le ro- 
tazioni ®,"' e ©," hanno per effetto di produrre in Ci; e C; nella 
curva /’ angoli con la concavità rivolta nel verso stesso della 
concavità che la linea elastica / soffre in C, e ©, pei momenti 
flettenti M, ed M,, concludesi, come già a numero 3, che per 
ottenere direttamente la curva /' basta, procedendo col metodo 
MoHR come per ottenere la linea elastica /, aggiungere in C, e 
Cs due carichi elastici concentrati P,'" e P.'" che misurino rispet- 
tivamente i prodotti H®," ed H®," (quando H sia la tensione 
orizzontale della seconda funicolare e +" e ®»" si misurino nella 
scala delle inclinazioni, dipendente dalla scelta fatta delle basi 
di operazione), dando ai carichi elastici P,"" e P."” i versi dei 
carichi elastici infinitesimi misuranti le aree delle striscie infini- 
tesime del diagramma delle curvature della trave diritta, adia- 
centi alle ordinate corrispondenti alle sezioni C, e Cs rispettiva- 
mente. Con ciò non lasciamo ambiguità di verso per le ragioni 
dette a numero 3. 


756 ELIA OVAZZA 
Fatto: 
(11) = Uto 
con le notazioni e posizioni a numero 3, si ha: 


a . 
03. 1» 


È 
bi Ga 


(12) reed ’ 2 

6.— Più in generale, supposte le forze esterne ancora pa- 
rallele al piano del foglio, e .su questo, piano l’asse. Ax 4g; dl 
piano n della fibra media dell'albero a ‘gomito sia inclinato dell’an- 
golo Y al piano del foglio. 

Il momento flettente M;, per la sezione Ci; della trave diritta, 
ottenuta trasportando il tronco DD, in CC, equivale al com- 
plesso del momento torcente M, sen Ye del momento flettente 
M, cos Y, costanti per tutte le sezioni trasversali. del: braccio 
C,D,, essendo per quest’ultimo momento asse di flessione la ba- 
ricentrica normale al piano m. Il momento torcente per la sezione 
C;, della trave diritta contribuisce a costituire momento flettente 
per dette sezioni del braccio CD, con asse di flessione parallelo 
all'asse di rotazione; questo momento fiettente va variando da 
sezione a sezione del braccio, ma a noi non occorre di consiì- 
derarlo, perchè dei tronchi 4}C;, DD, CsA; non produce che 
rotazioni attorno ai loro assi, che non influiscono sulla forma . 
delle loro linee elastiche. 

Applicando il principio della sovraposizione degli effetti, tro- 
viamo che i momenti M; sen Y_ ed M; cos Y producono rotazioni 
misurate rispettivamente da 


®,seny e ©)" cos 


attorno all'asse del braccio C,D;, ed alla normale per €, al 
piano ; onde risulta una rotazione attorno all'asse in C, nor- 
male al piano del foglio: 


, r MR ay ay 
(13) ©, = © sent +90" cost =T7 (een + na 


Attorno all'asse in Cs normale al piano del foglio avrassi un’ana- 
loga rotazione 


___MR | senY cos°Y | 
(14) Mita To) Poni ali: è ss a, 


METODO GRAFICO DI CALCOLO DEGLI ALBERI A GOMITO, ECC. 757 


E di tali rotazioni terremo conto direttamente quando, ap- 
plicando il metodo di MonR come per dedurre la linea elastica / 
della trave diritta, si aggiungano in Cj e Cs due carichi elastici 
concentrati, che con le solite notazioni e posizioni sieno misu- 
rati da i 


R R 
(15) livio Fa (amano: 
essendo: 
1.0 sen?Y cos° 
(16) a Ba Sa a 


Le (9) e (12) sono comprese in queste (15) e (16). 


7. È facile estendere quanto fu detto al caso in cui Val- 
bero sia provvisto di più gomiti, ma soggetto sempre a forze di- 
rette secondo una stessa normale all’asse di rotazione. 

Spostati idealmente i colli DD; (fig. 4°) delle singole mano- 
velle a gomito fino ai piedi C; e Cs delle loro braccia, formando 
così un’unica trave rettilinea — la trave diritta —, se ne traccierà 
il diagramma dei momenti flettenti; dalla ordinata g di tal dia- 
gramma per ogni sezione C, fra le varie C, e Cs, si ricaverà il 
corrispondente carico elastico P_mediante le (15) e (16) o le più 
semplici (9) e (12), quando ne sia il caso; indi si procederà col 
metodo di MonxR aggiungendo tali carichi elastici concentrati P 
nei punti € ai carichi elastici ripartiti la cui funicolare costi- 
tuirebbe la curva elastica / della trave diritta. E così diret- 
tamente si ottiene la curva /” coincidente, pei tratti di albero 
compresi fra i successivi gomiti, colla linea elastica dell’albero 
a gomito o la sua proiezione sul piano delle forze, quando, 
ben inteso, si portino i centri di appoggio ai dovuti livelli. 


8. — Quando le forze esterne, pure essendo normali all’asse 
di rotazione, abbiano direzioni differenti, converrà considerare 
separatamente quelle aventi direzione comune, e poi dalle defor- 
mazioni parziali risalire alle totali, applicando il principio della 
sovraposizione degli effetti. 


9. — Sopra casi speciali è facile verificare che le rotazioni 
®, e ®, facilmente assumono grandezze notevoli rispetto a quelle 
che soffrirebbero le sezioni della trave diritta da noi immagi- 


758 ELIA OVAZZA 


nata per artifizio di calcolo, anche qualora, per tener conto delle 
solidarietà delle braccia con le parti contigue dell’albero, si ri- 
duca la lunghezza £ opportunamente, p. es. della media arit- 
metica dei raggi di dette parti (*). Tutt'altro che trascurabile è 
quindi l'influenza dei gomiti sulla deformazione dell’albero, ep- 
perciò sulle anomalie di accoppiamento fra gli organi di trasmis- 
sione ed i conseguenti logoramenti e riscaldi. E quindi ancora 
è prevedibile che ad errori gravissimi si è condotti applicando 
le formole valevoli solo per travi rettilinee al calcolo di stabi- 
lità di alberi a gomito con più di"due appoggi, la cui statica 
indeterminazione richiede appunto la considerazione delle defor- 
mazioni elastiche, tenuto conto delle condizioni di sostegno. 


Alberi a gomito con più di due appoggi. 


10. — Supporremo ancora tutte le forze esterne con dire- 
zione comune normale all’asse di rotazione dell'albero e, per con- 
cretare le idee, parallele al piano del foglio, su cui si trovi 
detto asse, 

Al solito immaginiamo i colli dei singoli gomiti trasportati 
ai piedi delle relative braccia, sicchè risulti, astraendo da dette 
braccia, una trave rettilinea — la trave diritta —; di più ogni 


(*) Sieno, per esempio, rettangolari (fig. 3°) le sezioni trasversali con 
lato 12 cm. parallelo all'asse di rotazione, di 24 cm. normale; del resto la 
sezione sia circolare di diametro 20 cm. Al gomito, con braccia equidi- 
stanti e=20©M dagli appoggi prossimi, sia applicato un carico Q=12tonn. 
Distanza dei centri d'appoggio: 2a=700m; R=38em, E= 2400 t00/im?, 
G LR 908 ton/cm?, Riduciamo a 18€ per quanto fu detto, esage- 


rando a sfavore della nostra tesi. Si ha: 
In= 9840 em$, I,= 34560, Ji =51I ="172800m°. 
Onde: 


? È 
d/= dj; pra Qc 


2GJ; 


QcR 


== " _ i. tn 
= 0,000135, d, Da 2EI, 


= 0,000260. 


Trascurando, sempre a sfavore di nostra tesi, la ripartizione del ca- 
rico Q e delle reazioni di appoggio sui corrispondenti perni, le sezioni 
estreme della trave diritta ruoterebbero di: 


È; Qa* Moi il ALA rn 
O 1EI, =;.0,000138=—®,.= Drii 


METODO GRAFICO DI CALCOLO DEGLI ALBERI A GOMITO, Ecc. 759 


forza esterna si immagini trasportata sulla propria proiezione 
sopra il piano del foglio. I momenti flettenti e gli sforzi taglianti, 
per le singole sezioni trasversali della trave diritta risultante, 
coincidono con quelli che le stesse sezioni hanno nell’albero a 
gomito, ma, per quanto fu detto, la linea elastica / per una cam- 
pata qualunque della trave diritta differisce dalla /’ per la cor- 
rispondente campata dell'albero a gomito per altrettanti punti 
angolosi ai punti C, dovuti alle rotazioni ® che si originano 
per flessione o torsione o flessione e torsione delle corrispon- 
denti braccia CD. 


11. — La trave diritta suppongasi di sezione costante. Quando 
fosse noto il diagramma dei momenti flettenti per caduna cam- 
pata, procedendo col metodo di MoxR, si otterrebbe la linea /', 
anzichè la /, qualora, oltre ai carichi elastici infinitesimi susse- 
guentisi con continuità di cui la ! è funicolare, si considerino 
ai singoli punti C applicati i noti carichi elastici concentrati 


(17) =qui, 
detta 9g la misura del momento flettente in C' per la trave diritta 
e conservando per altro le già assunte notazioni. 

Ora considerando, come nel procedimento CuLMANN-RITTER, 
per ogni campata B,B. il diagramma del momento flettente (trat- 
teggiato in fig. 5*), comune per la trave diritta e per l’albero 
a gomito (esclusine i bracci dei gomiti), qual differenza fra la 
superficie semplice dei momenti ed il trapezio avente per ordinate 
estreme le misure dei momenti flettenti agli appoggi, potremo 
q considerare quale differenza fra la corrispondente ordinata 9, 
della superficie semplice dei momenti e la somma delle corrispon- 
denti ordinate x ed y dei due triangoli = ed H, in cui il tra- 
pezio negativo è diviso da una qualunque delle sue diagonali. 
Segue che il carico P può considerarsi come risultante di tre 
forze, Py; X, Y, aventi comune con Pla retta d’azione, essendo 


e 
R : R R 
(19) Pozza ASTRA DE 


760 ELIA OVAZZA 


Le £», note in grandezza e linea d’azione, dovranno com- 
porsi tutte con la misura n, dell’area della superficie semplice 
dei momenti per la costruzione delle incrociate. Le forze X ed 
Y sono incognite in grandezza ma definite în linea d’azione e pro- 
porzionali alle misure E ed n delle aree dei triangoli negativi =. ed 
H, pur esse incognite in grandezza, ma che devono applicarsi 
come pesi elastici alle trisecanti t' e t'', verticali baricentriche di 
detti triangoli. = ed H rispettivamente. 

Partendo da altezze arbitrarie g1' e 91" dei triangoli negativi 
= ed H, se ne dedurranno i corrispondenti valori di zed. me 
delle forze X e Y da applicarsi provvisoriamente ai singoli punti 
C. corrispondenti ai varî bracci di manovella a gomito; si com- 
porranno le forze £ con tutte le _X insieme, le forze n con tutte 
le Y insieme; le rette d'azione, (t’), (t'’), delle risultanti (indi- 
pendenti di posizione dalla scelta fatta per q;' e 9") si  sosti- 
tuiranno alle trisecanti corrispondenti, t' e t'" (lungo cui agiscono 
le.sole £ ed n) per la costruzione del 2° poligono funicolare. 

Tale costruzione seguirà, del resto, come se non esistessero 
i gomiti, tenuto conto però che la controverticale ad un appoggio 
è retta d’azione della risultante dei pesi elastici n4+- XY, £+ XY, 
applicate alle verticali (t'’) e (t') corrispondenti alle due campate 
adiacenti a sinistra ed a destra di quell’appoggio. 


12. —— Il secondo poligono funicolare risulterà ancora così 
di 4 lati per le campate intermedie (fig. 6°), di tre lati per le 
campate estreme, avendo i suoi vertici sulle verticali è pei punti 
d’intersezione delle incrociate e sulle (#) e (#), anzichè sulle 
trisecanti #' e #”; i suoi lati passanti pei centri d’appoggio sa- 
ranno in quegli appoggi le tangenti alla linea l' per l'albero a 
gomito. 

Siccome però sono le z ed n, agenti lungo le trisecanti #' 
e t", proporzionali alle vere ordinate g' e 9g" che voglionsi de- 
terminare, dovremo spezzare il secondo poligono funicolare per 
dedurne quello che si ha considerando la £ separata dalla XX e 
la n separata dalla XY. Perciò, determinata la retta di azione 
(x) della risultante XX, i punti d’incontro della (x) e della # 
coi lati concorrenti su (t') basterà unire con una retta r', ed 
analogamente, determinata la retta d’azione (y) della risultante 
XY, i punti d’incontro di (y) e # coi lati concorrenti su (t') 


METODO GRAFICO DI CALCOLO DEGLI ALBERI A GOMITO, Ecc. 761 


unire con altra retta 7”. Le rette »'.ed +" prolungate fino alle 
verticali degli appoggi B, e B» vi intersecheranno con le tan- 
genti d'appoggio i segmenti B,M, e B,Ms che stanno alle vere 
ordinate g' e g'' in noto rapporto dipendente dalla scelta fatta 
delle basi di riduzione. E precisamente, se. è la lunghezza della 
campata e si sono assunte per base di riduzione delle aree della 
superficie dei momenti e per distanza polare. del secondo. poli- 


gono funicolare due distanze il cui prodotto sia ul risulta, 
com'è noto: 


2 


—_——— / 2 prin 
(20) = (7) , BM =" (1) | 
1 


ml 
a 


18. — Molte semplificazioni si offrono per l'applicazione a 
casi. particolari. 

Così, assunta per un medesimo appoggio la stessa ordinata 
per la q,.'". provvisoria della campata adiacente a sinistra e per 
la. g;' provvisoria della campata adiacente a destra, uno stesso 
poligono funicolare, collegante le. Y e la n della detta campata 
a sinistra e le X e la E della detta campata a destra, dà. le 
verticali. (y) e (#’) per.la campata adiacente a sinistra, le ver- 
ticali (a) e (t) per quella adiacente a destra, nonchè la contro- 
verticale di appoggio. 

Volendo, alle due forze X; ed X, corrispondenti alle braccia 
di uno -stesso gomito (fig. 7?) si può sostituire la risultante, 
eguale al. doppio della forza X corrispondente alla ordinata x 
sulla mezzeria del gomito ed applicata lungo la retta. p facile 
a determinarsi; Basta invero segnare il punto £ d’inerocio delle 
diagonali del trapezio avente «, ed xs per basi; p dista da ws 
di quanto D risulta distante da x,. Analogamente si dica per i 
pesi elastici Y, ed Y.. 

Se anzi il gomito è in mezzeria della campata, il punto D 
sulla risultante delle Y, ed Y;; la risultante delle X, ed X, 
sulla simmetrica per rispetto alla mezzeria (fig. 8°). 

Se poi; come è frequente, qualche campata è priva di go- 
miti, converrà' assumere per /; la lunghezza di essa; per tale 
campata non occorre spezzare il secondo poligono funicolare, e 
quindi senz'altro le ordinate B,M, e B.M. intercette sulle ver- 
ticali d'appoggio sono le ordinate-momento cercate agli appoggi. 


tr 


762 ELIA OVAZZA 


14. — Di eventuali cedimenti piccolissimi degli appoggi si 
tien conto all’atto del tracciamento del secondo poligono funi- 
colare, segnando i centri d'appoggio nei voluti dislivelli. 

Della ripartizione dei carichi sulle lunghezze dei relativi 
perni si può aver riguardo arrotondando gli angoli della super- 
ficie semplice dei momenti. 

Della forma non prismatica della trave diritta si tien conto 
sostituendo alla superficie semplice dei momenti la superficie 
semplice delle curvature e procedendo analogamente per i triangoli 
negativi, precisamente come si fa per travi continue a sezione 
variabile, salvo l'aggiunta dei pesi elastici concentrati positivi o 
negativi P,, X ed Y. 


15. — Esempro. Albero motore di motrice verticale Diesel 
da 30 cavalli-vapore (*). Gli appoggi sono tre, due agli estremi 
B, e B;; l’intermedio Bs determina due campate di cui la B3B3 
porta la manovella motrice a gomito, l’altra, diritta, sorregge 
il volante e la ruota di trasmissione in Sj e S,. La fig. 9* dà 
in millimetri le distanze ed in chilogrammi i carichi trasmessi, 
essendo verticale il piano m della fibra media dell’albero. 

La trave diritta è prismatica (astraendo da lieve rastrema- 
zione al perno B;, di appoggio) con sezione circolare di diametro 
160 millimetri, le braccia della manovella a gomito hanno se- 
zione rettangolare di 85®m > 200", essendo il Rig minore pa- 
rallelo all'asse di rotazione. 

Disegnata sulla verticale « la retta delle forze, con poli Pi 
a distanza polare 50°" deducemmo le funicolari e’ e c'’ limitanti 
le superficie semplici dei momenti per le due campate (fig. 9°). 

Misurate le aree delle superficie semplici dei momenti con 


base 3, essendo / la lunghezza della campata B,B;, portate 


le misure sulle verticali 5, con poli P, a distanza = î, deducemmo 


(*) Pigliamo i dati da un esempio svolto dallo Exssrinc, l. c., affinchè, 
avendosene desiderio, si possano, dal paragone dei calcoli numerici fatti da 
detto autore col calcolo grafico qui esposto, rilevare i vantaggi del metodo 
grafico, pure astraendo dalla minore probabilità di commettere errori gros- 
solani, mentre, operando in scala maggiore da quella qui concessa, più che 
sufficiente approssimazione può garentirsi dei risultati. 


GS 


cv 


Do 


Scala per le fig.9 


ur an 2009 


METODO GRAFICO DI CALCOLO DEGLI ALBERI A GOMITO, ECC. 763 


a fig. 9° le incrociate i, è per la campata sinistra e le incro- 
ciate î,, i per la destra della trave diritta. Per avere le incro- 
ciate is, i» della campata destra per il calcolo dell’albero a gomito, 
lette le ordinate go, o Sulle verticali CjD,, CD, calcolammo 
i pesi elastici: 

Xe, =, 


ai PILE 


essendo: 


ioni dei, 
(o I 


Assunta in figura 9° un’ordinata momento g'=g" provvi- 


soria= B,' E all'appoggio B., desuntene le ordinate x, ed xs, cor- 
rispondenti alle sezioni C, e C,, nonchè le misure dei triangoli 
B,' B,' E e By B;'E (En e &,') in base 7, e le misure in stessa 


; sv B R PARE : 
base dei rettangoli ti» tao (X,', X3'), abbiamo collegato 


queste misure come se fossero forze (retta delle forze c, polo P;) 
con poligono funicolare, deducendo così la verticale (#) per la 
campata destra, nonchè la controverticale (cv). 

A fig. 9° coi noti quadrilateri completi deducemmo i punti 
fissi (7) e (K), ed a figura 9 il secondo poligono funicolare. 


Avendo scelte le basi per modo che il prodotto loro faccia È RR, 


e non occorrendo di spezzare il 2° poligono funicolare per la cam- 
pata sinistra (priva di gomiti), abbiamo senz'altro in B.M a 
fig. 9° l’ordinata-momento all’appoggio centrale; onde a fig. 9° si 
può completare il diagramma dei momenti flettenti. 


16. — Le linee punteggiate nelle figure 9°, 9°, 9°, 9’ si rife- 
riscono alla trave diritta, cioè ‘all'ipotesi che si trascuri la esi- 
stenza del gomito. È notevole che con tale ipotesi si commette 
un errore intorno al 40°/, circa il momento all'appoggio B., 
pur notando che nei nostri calcoli abbiamo ridotto da 230%" a 
150%" — R la lunghezza delle parti deformantisi delle braccia 
della manovella a gomito. 

Tracciate dai poli P, le parallele alle rette di chiusa dei 
diagrammi dei momenti flettenti, così ottenute per le due cam- 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 51 


764 ELIA OVAZZA — METODO GRAFICO DI CALCOLO, ECC. 


pate, si intercettano sulla retta a delle forze le misure delle 
reazioni di appoggio B,, B. B:; il disegno pone in evidenza gli 
errori che si fanno circa tali reazioni, trascurando l’esistenza 
del gomito. 

Merita osservare che molte delle operazioni fatte servono 
pel calcolo dell'albero quando il piano m della sua fibra media 
si sposti girando attorno all'asse di rotazione. 


Palermo, 12 maggio 1903. 


Relazione sulla memoria del Dott. Fraxcesco SeverI, in- 
titolata: Sulle corrispondenze fra è punti di una 


curva algebrica, e sopra certe classi di superficie. 


La 1? Parte di questa Memoria è dedicata principalmente 
ad una ricostruzione, per via geometrica semplice ed elegante, 
della teoria delle corrispondenze soprà una curva algebrica, che 
il sig. Hurwitz aveva svolta tempo fa, per via trascendente, in 
una Memoria fondamentale. i 

Indicando con .4= Bla equivalenza di due gruppi A, B di » 
punti sopra una curva C, ne deriva un significato ovvio per la 
notazione 


MA, + \3A4g +...= MB, + bsB>a + ..., 


ove A;, 43... B,, Bs... son gruppi di punti di C, e le X e u son 
numeri interi positivi. La stessa notazione, quando fra questi 
interi ve ne sian dei negativi, significherà la relazione che si 
deduce da essa col trasportare i termini corrispondenti nel- 
l’altro membro. Ciò premesso, si dice che una corrispondenza 7° 
fra i punti di Cè a valenza Y, ove Y è un intero positivo o nega- 
tivo o nullo, quando, chiamando Y, Y' i gruppi dei punti omo- 
loghi in 7 di due punti qualsiansi @, a', sempre si ha: 


VY+ra=Y'+ va'. 


Servendosi di convenienti sommazioni di corrispondenze, par- 
tendo da certe corrispondenze particolari, si giunge a dimostrare 


ia ent. 


765 


il seguente teorema (che dà, ove lo si traduca in numeri, l’in- 
tima ragione del principio di corrispondenza CAvLev-BrILL): Se 
nella corrispondenza 7) di valenza y, al punto @ corrispondono i 
punti del gruppo Y, mentre nella inversa 7 allo stesso punto 
corrispondono i punti del gruppo X, si ha la relazione: 


U=X+Y+2ra+ xK, 


ove U rappresenta il gruppo dei punti uniti di 7, e K un gruppo 
canonico di C. 

Per passare poi alle corrispondenze prive di valenza, l’Au- 
tore introduce il concetto di corrispondenze dipendenti. Date su 
C k corrispondenze qualunque 7’, ... 7, si dirà che esse sono 
dipendenti, se esistono £ interi (positivi o negativi) ),, ...), non 
tutti nulli, tali che indicando con Y; Y; i gruppi degli omologhi 
nella 7; (@(=1,...%) di due punti qualsiansi « a’, sempre si 
abbia 

Vita. += UV +4... + MY. 


In particolare dunque una corrispondenza dotata di valenza è 
una corrispondenza dipendente dalla identità. Sopra ogni curva 
vi è un numero finito di corrispondenze indipendenti, per modo 
che tutte le altre corrispondenze sono dipendenti da queste. Se 
le 77,,... 7; sono dipendenti nel modo detto, e se gli omologhi 
del punto « in queste corrispondenze, e nelle loro inverse, for- 
mano risp. i gruppi Y,,... Ye X, ... Xx, avrà luogo la relazione 


BRA LF o 


ove U, ...U, indicano i gruppi dei punti uniti nelle 77, ... 7;. Ne 
segue subito il principio generale di corrispondenza di HuRrwITZ. 

Nella 2? Parte della Memoria l'A. applica i risultati esposti 
a due classi molto ampie di superficie, sulle quali in questi ul- 
timi mesi furon pubblicate delle ricerche simultaneamente da tre 
giovani geometri italiani: De FrancHIs, Maroni e Severi. Son 
le superficie che rappresentano biunivocamente le coppie di punti 
di due date curve, o di una sola curva. Sia F una superficie che 
rappresenti le coppie di punti di due curve (€, C': vale a dire 
una superficie che contenga due fasci K,, K, di curve unise- 
cantisi, corrispondenti rispettivamente alle coppie di punti che 


766 


han fisso il punto di C, o quello di C'. Ogni corrispondenza (a, 8) 
fra i punti di C, C”, e quindi anche fra X,, K,, dà origine, colle 
intersezioni delle curve omologhe di questi fasci, ad una curva 
di F segante in f punti le X, e ina punti le X,. Viceversa ogni 
curva 7 di F rappresenta in questo senso una corrispondenza 
fra C, C'. 

Ciò posto, e adottando per curve A, 4, ... Bj, Ba,... di F 
la notazione 


MA, +. \sA42 +... = WB1+ MoBa +... È 


ove le ) e le u sono interi, positivi o negativi, in senso analogo a 
quello accennato in principio nel caso dei gruppi di punti di una 
curva, il SeveRrI conviene di dire che più curve l'.., [* tracciate 
su # sono dipendenti, se esistono degl’interi (positivi o negativi, 
ma non tutti nulli) \, ...\,, tali che la curva (virtuale) \}M! + 
+... + Mf* si componga per somma e sottrazione colle curve 
dei fasci X,, K,. Egli dimostra allora che su Y si può fissare 
un numero finito di curve indipendenti (una dase) per modo che 
ogni altra curva di F sia dipendente da quelle. Ne segue per 
questa superficie una proprietà importantissima: che cioè tutte 
le questioni relative alle curve tracciate su di essa si risolvono 
quando sian noti i caratteri delle curve rispetto a quelle fisse 
costituenti una base. Così si può calcolare il numero dei punti co- 
muni a due date curve di F (l'analogo del teorema di Bézout); 
come anche il genere ed il grado di una curva tracciata su F. 

Una ricerca analoga vien fatta per la superficie che rappre- 
senta le coppie di punti, non ordinate, di una curva C. Al posto 
dei due fasci unisecantisi K,, X, si ha in essa un sistema co! 
d’indice 2 e grado 1 di curve, corrispondenti risp. ai punti di (. 

Per non dilungarci troppo, ci limitiamo a questi cenni, i quali 
ci pajon già sufficienti per dimostrare la speciale importanza 
della Memoria del Dott. Severi. Concludiamo quindi col proporre 
che essa venga accolta nei volumi accademici. 


G. MorERA. 
C. SEGRE, relatore. 


767 


Relazione sulla memoria del Dott. Giulio Bisconcini, in- 
titolata: Sulle vibrazioni di una membrana che si 
possono far dipendere da due soli parametri. 


Nella meccanica dei sistemi continui e nella fisica matema- 
tica si incontrano frequentemente equazioni lineari alle derivate 
parziali del secondo ordine. 

È di grande importanza per le applicazioni di queste equa- 
zioni la ricerca sistematica di tutte quelle soluzioni che dipen- 
dono da parametri in numero inferiore a quello delle variabili 
indipendenti. 

La famosa Commentatio mathematica di Riemann, che diede 
luogo a tante ricerche sulla trasformazione delle espressioni dif- 
ferenziali quadratiche, aveva appunto per oggetto di rispondere 
ad una questione di tal natura, proposta nel 1858 dall'Accademia 
di Parigi come tema di un concorso a premio. 

La ricerca in parola fu compiuta per l'equazione di Laplace 
dal prof. Levi Civita in una memoria apparsa nel tomo XLIX 
della nostra raccolta accademica. 

Il Dottor Bisconcini fa la stessa ricerca per l'equazione a 
derivate parziali che determina gli spostamenti trasversali di 
una membrana elastica vibrante. Sebbene tale equazione si de- 
duca da quella di Laplace con una semplicissima trasformazione, 
tuttavia pensano i sottoscritti che i risultati conseguiti dal 
dott. Bisconcini pur meritino di essere pubblicati e per ciò pro- 
pongono l'accoglimento del suo lavoro nelle Memorie dell’Ac- 
cademia. 

V. VOLTERRA. 
G. MorERA, Relatore. 


L’Accademico Segretario 
LorENZo CAMERANO. 


768 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 31 Maggio 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Rossi, MAnNo, CARLE, Brusa, CHIRONI 
e RenIER Segretario. — Scusano l'assenza i Soci BosELLI e Pizzi. 

Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 
17 maggio 1903. 

Il Presidente comunica il nuovo lutto dell’Accademia, do- 
vuto alla morte del Socio Federigo Emanuele BoLLaATI DI SAINT- 
PIERRE, e ricorda con sentite parole i meriti del defunto. Il 
Socio Manxno, al quale il Presidente manifesta a nome proprio 
e della Classe le condoglianze per la recente sventura dome- 
stica che egli pure ebbe a soffrire, è pregato di commemorare 
il rimpianto Socio pi SArnt-PrerrE. Ringrazia il Socio Manno 
accettando, quando altri della Classe non desideri fare tale com- 


memorazione, nel qual caso egli commemorerebbe il defunto alla 


Società di Storia Patria. 

È letta la lettera di ringraziamento del Prof. G. Batt. Gax- 
pINO, eletto accademico nazionale non residente. 

Il Presidente comunica l’invito di un Comitato costituitosi 
in Bari per commemorare colà in modo solenne, il 7 giugno pros- 
simo, il rimpianto Socio Salvatore CoeneTTI pe MARTIS. Saranno 

“incaricati di rappresentare l'Accademia il Direttore di quella 
Scuola di Commercio Carlo Massa, unitamente al Prof. Sabino 
FIORESE. 

Per gli Attî sono presentate le seguenti note: 

1° Dal Socio CaIroni: Luigi ABELLO, Condizione giuridica 
delle confraternite di mero culto; 

2° Dal Segretario a nome del Socio CrpoLLa: Arturo SEGRE, 
Emanuele Filiberto in Germania e le ultime relazioni del Duca 
Carlo IT di Savoia con Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto 
(1544-1546). 


LUIGI ABELLO — CONDIZION GIURIDICA, ECC. 769 


LETTURE 


Condizion giuridica delle confraternite di mero culto. 


Nota di LUIGI ABELLO. 
e 

Il principio di sociabilità, qual forma d’esprimere la natural 
tendenza dell'individuo a raggrupparsi alla specie nel genere, si 
manifesta in ogni aggregato vivente: si rivela meramente istin- 
tivo, e contenuto sempre nei limiti della semplice convivenza, 
negli esseri sub-umani per quanto possa aversi, anche tra essi, 
un qualche lontano indizio od idea rudimentale d’ordinamento 
collettivo (1); s'eleva invece nelle società umane, svolgendosi 
colla riflessione e col libero volere in modo più complesso, alla 
dignità di elemento e fattore sociale acquistando valore e forza 
d’elemento dell’ordine giuridico, di diritto soggettivo. L’insuf- 
ficienza individuale ad attingere tutti i fini della vita, il prin- 
cipio d’autarchia cui tende ogni persona perchè tale e come parte 
del tutto etico, e la funzione integratrice dello Stato, come spie- 
gano il diritto del privato ad associarsi onde provvedere all’at- 
tività deficiente della persona singola, ne giustificano e designano 
i limiti in cui va ristretto. Chè se non si può, logicamente e giu- 
ridicamente, contrastare od ostacolare lo spirito d’associazione 
rispondente ad una necessità dell’umana natura e ragion prima 
d’ogni società civile (2), se non par per sè legittimo quel senso 
‘ di diffidenza che nella storia del diritto s’osserva contro le as- 
sociazioni, se l'intervento dello Stato deve pur esser contenuto 


(1) Cons. Seencer, Justice (trad. frane. di Castelot, 2* ed., Parigi, 1893), 
cap. II, p. 6 e segg.; v. pure Dusr, Il diritto subiettivo e la legge, Camerino, 
1896, p. 5. 

(2) V. Brice, Le droit d’association et l’EÉtat, Paris, 1893, p. 26, ove s’av- 
verte, rispetto allo spirito d’associazione, che l’arréter net serait, de la part 
de VÉtat, faire preuve d'une suspicion injurieuse, s'attaquer aux sources de 
son principe vital et heurter de front un des penchants les plus profonds de 
la nature humaine; cfr. pure Lops, Le droit d’association et la liberté reli- 
gieuse d'après la 1. 1 juil. 1900, Paris, 1901; BoLcHini, Per una legge sulle 
associazioni, Varese, 1901. 


770 LUIGI ABELLO 


in dati limiti nel regolamento e nella soppressione loro, non si 
può però ammettere come sconfinata e sottratta alla vigilanza 
ed all'autorità della potestà civile la facoltà dei privati di riu- 
nirsi in associazione per qualsiasi fine o con qualunque mezzo. 
A ciò s'oppone lo stato stesso della coscienza delluomo che in 
sè riflettendosi, a sè rivelandosi, gli dà la ragion del suo diritto 
e la prova dell’esser suo come persona, come soggetto di di- 
ritto (1): la facoltà che in astratto gli spetta di volgere l’at- 
tività sua verso i fini che vuole"e valersi perciò dei mezzi tutti 
di cui può disporre, tra cui certo non ultimo l’associazione, qual 
potentissimo modo di moltiplicare e rafforzare l'energia umana, 
dev’esser limitata, temperata o modificata, nella sua estensione, 
dalle esigenze della consociazione in cui vive e dalla quale at- 
tinge quella forza che tutelandola la converte in diritto. 

Ond’è che il diritto d’associazione va sempre razionalmente 
contenuto nei limiti determinati dal principio stesso che l’in- 
forma, dalla socialità ch'è pur fatto naturale e perciò necessario : 
il sentimento e il fenomeno della consociazione inducente adat- 
tamento dell’individuo all'ambiente in cui è destinato a vivere 
ed a perfezionarsi, e la funzion regolatrice dello Stato, qual rap- 
presentante della vita politica e sovrana degli associati, vòlta 
all'equilibrio delle diverse forze sociali, impongono una legge di 
condotta che ne regoli il movimento e lo temperi in modo che 
coll’integrazione degli individui si promuova il maggior benes- 
sere della collettività sociale, conferiscono allo Stato il potere 
ed il dovere di vigilare od impedire che aggruppamenti minori 
sorgano o vivano in offesa od in pericolo dell’interesse generale 
della maggior collettività. Quindi è che, se pur s'ammette do- 
versi favorire, anzichè intralciare o negare, la natural tendenza 
dell’uomo ad associarsi perchè nello svolgimento parallelo dello 
Stato e delle associazioni s'ha la maggior garanzia della libertà 
individuale (2), se pur si riconosce l'opportunità 0, meglio, la 
necessità di norme certe negli ordinamenti giuridici d’una so- 
cietà politica che valgano a contenere nei giusti termini la fun- 
zione dello Stato e a garantire l’esistenza e la vita del diritto 
individuale di fronte al continuo accrescersi, in contenuto ed ef- 


(1) V. Carroni, L'individualismo e la funzione sociale, Torino, 1898, p.3. 
(2) V. Brice, op. cit., prefaz. di GoBLeT, pag. I. 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 771 


ficacia, di quello statale (1), non si può disconoscere, finchè tali 
norme difettano nella legge positiva, il diritto dello Stato a vi- 
gilare ed intromettersi nella costituzione e vita d’ogni associa- 
zione, benchè non si possa neppur affermare che l’esistenza loro 
dipenda dal consenso dell’ autorità sociale in modo da non 
poter sussistere senza espresso riconoscimento. Perciò se pur, in 
omaggio ai dogmi fondamentali della società nuova, superba 
conquista dello spirito scientifico moderno (2), e alla soluzione 
data dalla storia e dal diritto al grave problema della libertà 
religiosa (3), non par potersi negare ai privati la facoltà d’as- 
sociarsi per un fine meramente religioso, qual uno dei molti pos- 
sibili fini ideali della vita, non sembra d’altra parte si possa 
contestare allo Stato il diritto, anzi il dovere, d’interessarsi al 
sorgere ed allo svolgersi di tali associazioni onde indagare e 
decidere se le pratiche cui attendono o debbono attendere gli 
associati, i vincoli cui devono assoggettarsi, lo scopo ultimo, 
diretto od indiretto, al quale manifestamente tendono, i mezzi 
di cui si valgano o dichiarino volersi valere a conseguirlo, non 
urtino contro i principî d’ordine pubblico ed interesse generale, 
di cui è non solo supremo vigile e tutore ma ancora supremo 
interprete e moderatore. Il che, se val in genere per tutte le 
associazioni religiose che la Chiesa, punto avversa al concetto 
di fratellanza universale, favorì in modo d’averne reali e nume- 
rose manifestazioni in tutte le forme con le quali spiega la sua 
attività (4), val pure in particolar modo per quelle tendenti a 
qualche scopo ecclesiastico, note di regola col nome di confra- 
ternite (5), distinte dalle congregazioni e dalle altre associa- 


(1) Argom. art. 82, Statuto it. e v. Frromusi GueLri, Enciclopedia giuri- 
dica, 4* ediz, Napoli, 1902, $ 121, p. 517, nota 8* ed autori ivi citati tra 
cui ArcoLro, Riunioni ed associazioni, Napoli, 1878. 

(2) V. Mancini, Dei progressi del diritto, Torino, 1859, pp. 42-43. 

(3) V. Rurrini, La libertà religiosa, Torino, 1901 e s’avverta con lui 
(pag. 18 in-f.) che in Europa, ove secolari discrepanze storiche e immani 
sproporzioni sociali dividono le varie Chiese, è a tener fermo il sistema che 
per ciascuna in modo proporzionato commisura l’azione regolatrice della pub- 
blica autorità. 

(4) V. Scniappori, Condizione giuridica delle confraternite ecclesiastiche 
(Estr. della Giurispr. ital., 1900), p. 11. 

(5) V. FriepBere-Rurrini, Trattato di diritto ecclesiastico, Torino, 1893, 
$ 90, p. 378, nota 3*; v. pure Scanuro in Digesto ital., voce confraternita. 


772 LUIGI ABELLO 


zioni (1) essenzialmente per ciò ch’esse non richieggono la vita 
in comune ed, in genere, i loro membri non pongono a disposi- 
zione dello scopo ecclesiastico l’intiera personalità e l’ intiero 
patrimonio (2). 

Posto quindi — e si vedrà in appresso come non par si 
possa decidere altrimenti — che il diritto positivo odierno più 
non consenta o riconosca la personalità giuridica alle confra- 
ternite senza far loro inerire quel carattere caritativo che tutte 
le assimila od equipara, almeno, agli istituti pubblici di bene- 
ficenza, non si potrà tuttavia negare senz'altro la possibilità di 
esistenza delle confraternite di mero culto: esse potranno con- 
tinuare ad esistere, ed anche costituirsi in avvenire, allo stato 
di semplici associazioni, purchè s’assoggettino all'impero ed al- 
l'osservanza di quelle norme o condizioni che l'autorità sociale, 
sia in virtù di legge, sia qual potere esecutivo, in adempimento 
dell’alto ufficio suo di polizia e sicurezza generale, imponga alla 
loro capacità d’agire e quindi alla possibilità di loro esistenza, 
come avviene, o dovrebbe avvenire, segnatamente quando il fine 
religioso servisse ad eludere i principî sommi di diritto pubblico 
e di legge positiva in tema d'istruzione e manomorta (3). 

Si spiega perciò come possano ancor oggi esistere enti laicali 
di culto che, pur non essendo persone giuridiche, non avendone i 
diritti nè gli obblighi, nè potendo agire legalmente quali sog- 
getti di diritto, quali enti a sè separatamente dai membri che 
li compongono, sussistono come riunione d’individui, soggetti, per 
quel che riguarda il fine spirituale loro comune, all’autorità della 
Chiesa cui volontariamente subordinassero la ragion di loro esi- 
stenza e l’ultima loro finalità, senza che però questa possa influire 
sull'esistenza o capacità giuridica, attributo essenziale dello Stato, 
alla cui sorveglianza ed autorità son pur sempre soggetti (4). 


(1) Argom. art. 1,1. 7 luglio 1866 (n. 3096) sulla soppressione delle 
corporazioni religiose in tutto il Regno. 

(2) V. FriepBERe-RurFFINI, op. cit., $ 90, 1, p. 373. 

(3) V. Rurrini, La lotta contro le congregazioni religiose in Francia nella 
Rivista d’Italia, ottobre 1902; PresuTTI, Le associazioni religiose in Francia, 
Napoli, 1903; v. però sulla manomorta come necessità sociale, VARRILLES- 
Somwrères, Les personnes morales, Paris, 1902, pag. 453 e segg. e cfr. pure 
Garcin, La main morte, Paris, 1903. 

(4) Argom. art. 2, 1. 17 luglio 1890 e cfr. art. 3 e 20, 1. 3 agosto 1862. 


TTT tm Tr r——_——_——T—_—_——_—— 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 773 


Non è però a dire che le confraternite di tal specie siano 
assolutamente incapaci di diritto e non abbiano, in un certo 
senso, una qualche personalità giuridica. Lo svolgimento, logico 
e storico, ch’ebbe il fenomeno dell’ associazione nelle dottrine 
delle collettività giuridiche, l'indagine approfondita (1) non solo 
delle analogie colla società civile e coll’istituto della corpora- 
zione, ma ancora della condizion giuridica dei beni sociali, per 
cui la considerazione dello scopo serve a determinare, qual na- 
tural effetto del patto d’associazione, il vincolo imposto ai beni 
spettanti alla società, nen qual ente differenziato, ma qual unione 
delle persone strette dal patto, sembra permettere di fissare 
con rigore scientifico l’entità giuridica dell’associazione e il con- 
tenuto della sua capacità di diritto (2). 

Verò è che l’associazione, come istituto a sè, non è persona 
distinta da quella degli associati, non è per sè soggetto di di- 
ritto; ma la legge dell’ unione, specializzando lo scopo cui si 
connette la volontà dei singoli nel costituirla, designando il modo 
col quale ognuno concorre ad esercitare la propria attività giu-. 
ridica, mostrando come l'interesse d’ogni singolo debba procedere 
insieme con quello identico degli altri (3), ne determina la con- 
dizion soggettiva in quanto associati e dà modo all’unione di 
agire, quasi come se fosse unità, benchè veramente non agiscano 
se non i singoli, în quanto associati, in quello stato cioè da essi 
voluto e risultante dall’ unione onde la loro attività assume 
forma di organica (4). E la possibilità d’agire giuridicamente 
non può esser ostacolata o impedita dal mutarsi che avvenga 
delle persone degli associati: difettando nel diritto patrio, a 


(1) V. Camroxi, Personalità giuridica delle associazioni in Legge, 1901, 
ae 

(2) V. Grerke, Vereine ohne Rechtsfihigkeit, 1900, in Berl. Festgab. f. 
Dernbury; Rousse, De la capacité juridique des associations en droit civ. frane., 
Paris, 1897; Brice, op. cit., pag. 30 e segg.; VarEILLES-SommiÈRES, Le contrat 
d’association, Paris, 1892; Les personnes morales, Paris, 1902, pag. 416 e segg. 

(3) Cfr. KarLowa, Zur Lehre v. d. juristisch. Personen in Griinhut's 
Zeitschrift, 1888, pag. 381 e segg. 

(4) V. Carroni, Personalità giur. delle associazioni, pag. 10 (estratto dalla 
Legge, 1901); cfr. pure Vavasseur, Sociét6s, syndicats, associations devant la 
justice, Paris, 1901. 


774 LUIGI ABELLO 


differenza di quello germanico (1), una norma che imponga l’ap- 
plicabilità delle disposizioni relative alla società (2), par ben si 
possa, a cagion della volontà determinante lo stato d’unione, 
ritenere che, senza bisogno di special clausola statutaria, l'uscita 
d’un associato dall’unione non altera lo stato d’associazione, non 
dà diritto all’uscente d’instare per la divisione del patrimonio 
sociale e pel conseguimento della sua quota sui beni, tranne che 
pel suo modo speciale d’essere, per la considerazione stessa dello 
scopo cui fosse vòlta l'associazione, apparisse chiaramente che 
l'interesse individuale esiste contemperato nel collettivo sì da 
assumere il carattere di società (3). Così, costruendo sull'entità 
della corporazione, qual sostrato di fatto e ragion prima della 
persona giuridica, in cui lo scopo comune prevale, anzi s' im- 
pone all’individuale, e sulla struttura e funzione del voler dei 
singoli nel contratto di società, si può fissare la vera condizione 
giuridica delle associazioni, estendere ad esse le norme regolanti 
la corporazione e non del tutto ad esse speciali, non esclusa 
però, anzi riconosciuta, l’applicabilità del regolamento ordinato 
alle società civili, quando s’appalesi nel patto d’associazione il 
concorso d’un fine od interesse individuale degli associati, per 
cui non siasi altrimenti disposto nella legge stessa dell’unione. 
Onde ne consegue che una confraternita di mero culto, quale 
associazione, può sussistere e continuare a sussistere, nonostante 
il rinnovarsi o mutarsi dei confratelli, e l’azion sua si svolgerà 
come azione dei singoli suoi membri, în quanto associati, e che 
son tali al momento in cui sorge il rapporto giuridico cui l’azion 
sua si riferisce. Nè v’ha ragion d’escludere la possibilità d’una 
legittima rappresentanza della confraternita per ciò solo ch’'essa 
non esiste, qual ente a sè, distinto dalle persone dei singoli che 
la compongono. 

Anche una semplice associazione può avere un rappresen- 
tante ed agire giuridicamente per mezzo di lui, nel senso che 


(1) V. Cod. civ. germ., $ 54, per cui è espressamente sancito che alle 
associazioni prive di capacità giuridica sono applicabili le disposizioni in- 
torno alle società. Cfr. Crowe, System d. deutsch. biirg. Rechts, Tùbingen, 
1900, vol. I, $ 55, pag. 258 e segg.; EwpemanN, I, $ 44, in-f.; HòLDER, Comm. 
2. b. Gb., Miinchen, 1900, I, $ 54, pag. 169 e segg. 

(2) Argom. art. 1729, cod. civ. 

(3) V. CatronI, mon. cit. sulla personalità d. associazioni, pag. 13, nota 2*. 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 775 


l’azione sua va riferita alle singole persone che la costituiscono, 
non però come individui, assolutamente distinti ed indifferenti 
tra loro, ma come associati, come persone cioè unite dall’identità 
di scopo che li fa agire nella condizion giuridica particolare che 
loro asserisce la legge dell'unione ch’essi hanno stipulata e sa- 
rebbe perciò pur opponibile ai terzi che ne avessero avuta co- 
noscenza (1). 

E neppur si può ammettere se ne debba restringere la capa- 
cità alle relazioni non direttamente patrimoniali, come se una 
confraternita asssociativa, e, più in generale, un’ associazione 
fosse del tutto incapace d’acquistare e possedere un patrimonio 
proprio; l'incapacità vi è ed assoluta se all’acquisto od al pos- 
sesso si vuol dare un unico soggetto di diritto, non però se lo 
s'intende nel senso sopra esposto di patrimonio spettante per 
parti indivise agli associati per raggiungere lo scopo per cui il 
patrimonio appunto si costituì, che, per l'origine sua e lo scopo 
cui è volto, è sottratto alla piena disposizione dei singoli asso- 
ciati. La restrizione del potere spettante ad ognuno d’essi deve 
reputarsi effetto necessario del patto sociale, considerato come 
legge presiedente alla creazione del patrimonio, qual conseguenza 
del fine cui l’associazione tende, precisamente come si costruisce 
in tema di società civile (2), senza ricorrere alla figura della 
persona giuridica, che ripugna all’essenza del contratto (3), per 
spiegare il divieto fatto ai soci di disporre dei beni sociali (4). 
La caratteristica dell’associazione, differenziata dalla persona giu- 
ridica, non è già nell’esistenza o meno di patrimonio, ma nel 
difetto di personalità distinta, nella carenza di riconoscimento 
che solo la legge o lo Stato, per l’esser e per l'ufficio suo, può 


(1) Alla costruzione sui poteri e sugli effetti degli atti compiuti dai 
rappresentanti l'associazione conferirono assai le gravi ricerche dello JaERING 
intorno la natura giuridica dei comitati (Jahrb. f. d. Dogmat., 1880, pag. 1 
e segg.); v. SciaLoza, Sunti di scrittori tedeschi in Archivio giurid., 1881, 
pag. 17 e segg.; v. pure Carroni, mon. cit., pag. 7, nota 2 e testo relativo. 

(2) V. CarronI, mon. cit., pag. 3 e segg.; Manara, Le società di com- 
mercio irregolari in Giurispr. ital., 1898, pag. Iv. 

(3) V. però SarerLes in Ann. de dr. comm., 1895, IL pag. 10 e segg. 
e 1897, II, pag. 20 e segg.; Merniar in Journ, d. Palais, 1892, I, pagg. 73 
e 497; MoxeIn in Rew. critig. de législ. et jurisprud., 1890, pag. 697 e segg. 

(4) V. art. 1724, Cod. civ. 


776 LUIGI ABELLO 


dare così alle semplici corporazioni mancanti di patrimonio co- 
mune (1), come a quelle che ne siano provviste qual mezzo di 
raggiungimento del fine cui tendono i corporati. Non par quindi 
corretto asserire il carattere associativo o personale alle confra- 
ternite secondochè hanno un patrimonio proprio, a sè stante, che 
ne assicuri la perpetuità oppure vivono per le oblazioni o con- 
tributi dei confratelli (2); par meglio argomentare dalla consi- 
derazione del fine, e, procedendo per eliminazione, affermare che 
le confraternite in esame, quelle cioè aventi mero scopo di 
culto, non possono esistere che quali associazioni, non come per- 
sone giuridiche, perchè il riconoscimento, loro necessario per 
acquistare tal personalità, ne implica, nel diritto positivo patrio, 
l'assimilazione agli istituti pubblici di beneficenza e la sogge- 
zione loro alle norme di legge che li regolano. 

È ben vero che ancor oggi in dottrina (3) si dubita assai 
del principio, e, nonostante il recente contrario avviso della giu- 
risprudenza (4), si tende a perseverare, anche nei rapporti della 
legge positiva, nella distinzione fondamentale tra confraternite 
miste, aventi, oltre ai fini spirituali, destinazione caritativa per 
esser pur volte al compimento di azioni di pietà temporale a 
sollievo fisico e materiale dei miseri e sofferenti, e confraternite 


(1) V. ScHiapPoLI, mon. cit., pag. 16 ed autori e sentenze ivi citate e 
specialmente Atti parlamentari, Sess. 1889-1890, pagg. 228-461. 

(2) V. Cons. Stato, 6 ottobre 1898 in Giurispr. ital., 1899, pag. 24 e in 
Riv. dir. ecclesiast., 1899, pag. 154. 

(3) V. ScHiaPPoLI, mon. cit., che discorre a lungo dell'argomento, esa- 

minando in ben oltre 200 pagine la condizione giuridica delle confraternite. 
V. pure, sostanzialmente nello stesso senso, MagnANI, ‘Le confraternite in 
Boll. d. Opere pie, 1898, pag. 689 e segg.; Scapuro, Diritto ecclesiast., To- 
rino, 1893, I, n. 176*, pag. 581; Musotino, Le confraternite e la nuova legge 
sulle Opere pie, Noto, 1893; Rizzarpi, Le confraternite laicali in rapporto 
alla 1. sulle Opere Pie, Trani, 1898; Barrarini, Le Opere pie nella legge, nella 
dottrina e nella giurisprudenza, Schio, 1902. 
(4) V. Cons. Stato, 22 dicembre 1897 e 28 gennaio 1898 e 29 novembre 
1900 in Rio. dir. ecclesiast., 1898, pagg. 612-615, in Legge, 1898, II, pag. 279 
e in Foro it., 1898, III, pag. 116 e 1901, III, pag. 20; cfr. parere 16 maggio 
1897 in Giust. amm., 1897, pag. 232 e in Riv. dir. ecclesiast., 1897, pag. 615 
e parere 22 dicembre 1893 (sez. int.) in Legge, 1898, II, pag. 279; cons. pure 
Cons. Stato, 12 settembre, 7 novembre, 28 marzo, 11 gennaio 1902 in Riv. 
amministr., 1902, disp. 636, pag. 981; disp. 635, pagg. 865-866; disp. 632, 
pag. 639; disp. 627, pag. 219. 


TR — 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 777 


di puro culto tendenti unicamente all’esercizio di semplici opere 
religiose e di pratiche ascetiche, considerando queste ultime 
come del tutto sottratte ad ogni ingerenza del potere civile. Ma 
le argomentazioni addotte, essenzialmente d’ordine storico, non 
par abbiano inoppugnabile fondamento, chè, nella stessa origine 
e storia loro (1), le confraternite mostrano aver quasi sempre 
avuta natura mista ed esser state considerate, pur nei tempi an- 
tichi, dai dottori e dalle leggi canoniche (2), quali enti sorti ad 
hoc ut confratres in misericordiae et caritatis operibus se exer- 
ceant (3), in cui il fine di mutuo soccorso o di beneficenza, in 
via principale od accessoria, inerisce così alla ragion di loro 
formazione da doversi considerare come un elemento naturale, 
se non essenziale, alla loro esistenza. E non diversamente avviene 
nella considerazione, diretta od indiretta, che di esse ebbero a 
farne in tempi remoti le leggi civili, tendenti appunto per ciò 
ad assoggettarle sempre più rigorosamente al loro impero. Così 
si spiega, limitando per ora le indagini a quel diritto positivo 
ch’'ebbe vigore in Italia prima della sua ricostituzione ad unità, 
come in quegli Stati dell’Italia centrale e meridionale, ove eb- 
bero special importanza e maggior sviluppo, sian state o sop- 
presse o ritenute, ad ogni effetto giuridico, come istituti laicali 
e sottratti all'osservanza delle disposizioni del diritto canonico 
che le faceva unicamente dipendere dai vescovi, a cui gli ammi- 
nistratori, così ecclesiastici che laici, eran tenuti reddere ra- 
tionem et singulis annis (4). Certo nella legislazione vigente nel 
Regno delle due Sicilie, anteriormente alla dominazion francese, 
appar netta la condizion giuridica delle confraternite, accumu- 
nate tutte in una medesima categoria e annoverate tra le opere 


(1) Sulla natura ed origine storica delle confraternite e sullo svolgi- 
mento loro negli antichissimi tempi, in particolare nei secoli XIII, XIV e 
XVI (che segna l’epoca culminante di lor vita). Vedi Tamassra, L’affratella- 
mento, Torino, 1886; CaLisse, Le associazioni in Italia avanti le origini del 
Comune in Riv. intern. di scienze sociali, 1898; SoLmr, Le associazioni in Italia 
avanti le origini del Comune, Modena, 1898; ScaraPPoLI, mon, cit., pagg. 9-15. 

(2) V. Cone. Trid., sess. 22, e. VIII, de reform. e const. 115, quaecunque, 
7 dicembre 1604 di Clemente VIII. 

(3) V. Bassi, Tract. de sodalitiis seu confratern. eccles. et laical., Roma, 
1739, quaest. I, n. 7. 

(4) V. Conc. Trid., sess. 22, e. IX. 


778 LUIGI ABELLO 


pie laicali: non solo non è possibile dubitarne, ma rileva, per la 
dichiarazion dei principî contenutivi, avvertire che per esse fu 
esplicitamente affermato “ essere un abuso l’ingerenza della giu- 
risdizione ecclesiastica negli affari e pendenze delle confraternite, 
poichè tali adunanze riconoscono non da altri la loro sussistenza 
ed unione che dalla potestà del principe, la quale solo può ca- 
nonizzarle per collegi leciti e permetterle nello Stato, che perciò 
il diritto «di visita del vescovo deve per esse restringersi quoad 
spiritualia tantum e in tutto il resto devon esser soggette al 
magistrato laico, cui spetta esaminare le regole ed i capitoli di 
tali unioni senza che possa intromettervisi la Corte vescovile e 
conoscere delle cause di elezione o cancellazione dei procura- 
tori od ufficiali delle medesime e di ogni altra che riguardi le 
adunanze e ciò anche nell’ipotesi che nell’atto di fondazione fosse 
statuito doversi tal elezione confermare dalla Corte ecclesiastica, 
essendone persino esclusa la partecipazione degli ecclesiastici se 
non all’unico oggetto di godere dei suffragi e delle indulgenze , (1). 
Ed il regolamento non fu mutato dalle leggi francesi che segui- 
rono e neppur dal restaurato Governo borbonico, che anzi lo 
confermò affidando la tutela di tali enti alle Intendenze cui oggi 
subentrarono le giunte provinciali amministrative e i consigli 
di prefettura (2). E se in seguito s’accolse la distinzione tra 
confraternite ecclesiastiche e laiche, concedendo che quelle di- 
pendessero unicamente dai vescovi, ciò fu per brevissimo tempo, 
poichè coi decreti prodittatoriali del 22 ottobre 1860 e 17 gen- 
naio 1861 fu nuovamente esclusa ogni ingerenza ecclesiastica 
nell’amministrazione e restituito loro l'antico carattere laicale (8). 
Agli stessi principî, sostanzialmente, sebbene in diverso grado 
e modo, s’informarono la maggior parte delle legislazioni che 


(1) V. Concordato del 1741 tra il Re di Napoli e la S. Sede, e su esso 
Nussi, Convent. de rebus ecclesiast. inter S. Sedem et civilem potestatem, Mogunt. 
1870 e quanto alla Sicilia il R° dispaccio dell’11 febbraio 1781. 

(2) V. Istruzioni per l’amministrazione degli stabilimenti di beneficenza 
e dei luoghi pii laicali in data 28 maggio 1826; cfr. pure Istruzioni del 
20 maggio 1820, art. 158; v. specialmente il lavoro amplissimo dello Scapuro, 
Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Normanni ai nostri giorni, Palermo, 1887 
(segnatamente il $ 13 e segg.) e FriepBERG, Die Grenzen 2wischen Staat u. 
Kirche und die Garantien gegen deren Verletzung, Tiibingen, 1872, parte V, 
pag. 654 e segg. 

(3) Frienpsere-RueFINI, op. cit., $ 90, nota 3*, pag. 374. 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 779 


ebbero vigore negli altri Stati d’Italia sino a decretarsene in 
alcuni di essi la soppressione totale o parziale: così in Toscana, 
dove pur fu per tanto tempo tradizionale la devozione alla Santa 
Sede, le confraternite, che già nel periodo repubblicano non si 
potevano istituire senza permesso del Governo e sotto Cosimo I 
neppur adunare (1), furono tutte abolite da Pietro Leopoldo col 
motu-proprio del 21 marzo 1785 e, benchè in seguito abbian po- 
tuto ricomparire coi loro abusi, non mancarono i governanti di 
mostrar l’intenzione loro d’impedirli e di non abbandonarle, in 
ogni ipotesi, alla giurisdizione ecclesiastica (2). Così avvenne nella 
Lombardia, nel Veneto, nel ducato di Modena, nell’ex-ducato di 
Guastalla, dove, col sopravvenire della dominazione francese fu- 
rono proibite le confraternite tutte, eccettuate quelle sotto la 
denominazione del Santissimo, delle quali una se ne permetteva 
per ciascuna parrocchia, sotto la direzione e dipendenza dell’or- 
dinario e del parroco per quanto concerneva l’esercizio delle 
sacre funzioni e delle fabbricerie quanto all’amministrazione dei 
beni e delle rendite (3). 

Chè se in alcune regioni, come in Liguria, dove si ebbe 
costante e compiuta sottomissione alla Santa Sede, dovuta, in 
gran parte, al governo che in antico ne ebbero i vescovi, alla 
autorità eccezionale ed ai privilegi importantissimi che sempre 
si conservarono in seguito (4), ed in Piemonte, ove le istituzioni 
ecclesiastiche, segnatamente per la pietà dei primi governanti, 
ebbero il maggiore e più completo sviluppo (5), le confraternite 
poterono rivivere, quali enti ecclesiastici soggetti alle disposi- 
zioni del Concilio Tridentino, colla restaurazione dei poteri che 
abolirono ogni traccia della legislazione francese, ciò non è do- 


(1) Scapuro, Stato e Chiesa sotto Leopoldo, n. Po. 

(2) V. Zosi, Storia civ. della Toscana, Firenze, 1852, II, pag. 543. 

(3) V. decreto italico del 26 maggio 1807; cons. GrovaneLLI e CALvANUS, 
Regolamenti per l’amm. delle proprietà ecclesiast. vigenti nelle prov. Lombardo- 
Venete e Parm., Milano, 1889, pag. 200. 

(4) Lastie, Entwickelungswese u. Quelles d. Handelsr., Stuttgart, 1897, I, 
c. 1; Canate, Storia civile dei genovesi, Genova, 1846, I, pag. 264 e segg. 

(5) Cfr. RR. Patenti del 19 maggio 1831, n. 2394 in Raccolta degli atti 
del Governo, ed. Torino, 1847, vol. XXI, pag. 94; ScLoprs, Storia dell'antica 
legislazione in Piemonte, Torino, 1858, cap. VIII, pag. 438 e segg., e segna- 
tamente Boero, La Chiesa e lo Stato in Piemonte, Torino, 1854. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 52 


780 LUIGI ABELLO 


vuto alla considerazione della natura oggettiva dell’istituto, ma 
piuttosto a ragioni d’opportunità politica in riguardo ai rapporti 
intercedenti tra Stato e Chiesa (1) e alla possibilità d’indole pri- 
vata della beneficenza pubblica non assunta ancora a funzione 
sociale dello Stato. 
Ma quando s’incominciò a riconoscere il dovere dello Stato 
di provvedere alla soluzione del grave problema del pauperismo 
e a vigilare, circondando di solenni garanzie l'istituto della pub- 
blica beneficenza, a che il patrimonio destinato a sollevare le 
miserie e a limitare la mendicità fosse veramente erogato allo 
scopo suo e le istituzioni, per cui lo si doveva attingere, non 
fossero occasione di sperpero, motivo di discredito, fomite di 
male contentezze e rancori, si dovette naturalmente pensare a 
tutti quegli enti che eran volti ad esercitare la beneficenza e 
ad essa potevano utilmente tendere. È perciò che, pur riservando 
ad apposita legge il regolamento ed il riconoscimento delle con- 
fraternite, quali istituti di mero culto, l'indagine e la decisione 
sulla necessità loro come tali, si richiamarono tutte intanto alla 
osservanza dell’autorità civile (2), riconoscendosi così implicita- 
mente che solo potevano avere personalità giuridica in quanto 
avevano quel carattere caritativo laicale che d’ordinario loro 
inerisce e pel quale, già nello spirito se non nella lettera della 
legge precedente (3), erano state classificate tra le istituzioni di 
beneficenza insieme colle congregazioni, cogli eremi e colle cap- 
pellanie laicali non erette in titolo. Il fatto stesso per cui non 


(1) V. Rurrini, Lineamenti storici delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa 
in Italia, Torino, 1891, e sulla storia in genere del diritto degli ex-Stati 
italiani sulle confraternite cfr. ScniaPPoLI, mon. cit., cap. II, pagg. 51-66, ed 
autori citati in nota; ScApuro, voce confraternita in Digesto ital. 

(2) V. art. 1, n° 6, 1. 15 agosto 1867, n° 3848, sulla soppressione degli 
enti ecclesiastici; v. pure su esso la relazione della Commissione della Ca- 
mera che, occupandosi del cap. XIII della l. 17 luglio 1890, disse che l’art. 6 
della 1. 15 agosto 1867 tolse valor giuridico alle norme dei sacri canoni 
riguardanti l’amministrazione delle confraternite, ma che la disposizione 
vaga ed incompleta non bastava a dar norma per l’esercizio della vigilanza 
da parte dell’autorità civile. 

(3) V. 1. 3 agosto 1862, n° 753 e cfr. l. 20 nov. 1859; v. specialmente 
art. 2, regolam. 27 nov. 1862, n° 1007, per l’esecuzione della 1. sulle Opere 
Pie, 3 agosto 1862; cons. pure sulla parificazione delle confraternite alle 
Opere Pie di fronte alle 11. del 1862 e 1867, Cass. Torino, 12 dicembre 1883 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 781 


furon soppresse e i beni loro non furon sottoposti a conversione 
mentre vi furon assoggettati i beni immobili d’ogni altro ente 
ecclesiastico (1), a parte le critiche possibili in #ure condendo (2), 
conferisce a mostrare come nella mente del legislatore esse furon 
considerate quali enti laicali con scopo di beneficenza. E se ne 
ha una conferma pur nelle leggi più recenti, nell’obbligo im- 
posto ad ognuna di esse, senza accenno alcuno alla classica di- 
stinzione tra confraternite miste e di mero culto, di concorrere 
col proprio patrimonio al mantenimento degli individui del 
comune inabili al lavoro (3), e nell’equiparazione fattane agli isti- 
tuti pubblici di beneficenza in quelle disposizioni che concernono 
la possibilità di loro concentramento e trasformazione (4). Vero 
è che appunto da ciò parrebbe potersi argomentare in contrario 
affermando che quando il legislatore volle estendere alle con- 
fraternite di mero culto un istituto proprio degli enti di bene- 
ficenza lo fece con testo esplicito di legge e non si può quindi 
estendere l’equiparazione, fatta al solo scopo di poterle trasfor- 
mare in istituzioni vere ed utili di beneficenza pubblica, ad ogni 
altro effetto. di legge (5). Ma, a prescindere da mere argomen- 
tazioni letterali, che pur parrebbero sorreggere la contraria opi- 
nione in quanto nella legge si assimilano, con locuzion generica, 
le confraternite alle congregazioni e altri simili istituti e si equi- 


in Foro ital., 1884 (Repertorio, v. confraternite, n. 7); Cass. Roma, 26 maggio 
1879 in Foro ital., 1879, 1, pag. 1029; Cass. Roma, 30 giugno 1888 in Legge, 
1888, II, pag. 688; v. anche Cass. Roma, 27 novembre 1893 in Legge, 1894, 
I, pag. 779, Foro ital., 1894, I, pag. 7 e segg.; App. Palermo, 18 aprile 1896 
in Legge, 1896, I, pag. 768; Cass. Palermo, 9 agosto 1898 in Riv. Amministr., 
1899, pag. 108. 

(1) V. art. 11, 1. 7 luglio 1866 e comb. art. 1, n. 6, 1. cit., 1867; v. pure 
art. 11, 1. 20 luglio 1890 sull’indemaniamento dei beni delle confraternite 
e congregazioni romane e su esse ScHrapPoLi, mon. cit., pag. 183 e segg.; 
Camuno, Le confraternite e le leggi sull’asse ecclesiastico, Torino, 1873. 

(2) V. Fiorese, Le confraternite e la loro trasformazione civile; Scuiar- 
POLI, mon. cit., pag. 8 e segg., pag. 74 e segg. i 

(3) V. art. 81, l. 23 dicembre 1888 sulla pubblica sicurezza e i RR. dd. 
19 nov. 1889 e 12 gennaio 1890; cons. GrusrinianI, IZ concorso delle Opere 
Pie e confraternite alle spese pel mantenimento degli inabili al lavoro in Riv. 
dir. ecclesiast., VII, pagg. 65-75; v. però App. Torino, 28 ottobre 1898, in 
Giurispr. Torino, 1898, pag. 1627. 

(4) Argom. art. 91 e 92, 1. 17 luglio 1891, n° 6972. 

(5) V. ScniapPoLI, mon. cit., pag. 36; MaGxaANI, mon. cit. 


782 LUIGI ABELLO 


parano tutte espressamente alle istituzioni pubbliche di benefi- 
cenza, il che non sarebbe stato necessario, e neppur utile, pel 
solo fine della trasformazione, convien considerare che la legge 
non designa la trasformabilità di enti che siano di mera indole 
privata, esclusi perciò, per loro natura, dal novero delle istitu- 
zioni pubbliche di beneficenza, che debbano avere per contenuto 
sostanziale lo scopo di beneficenza pubblica, se non per l’origine, 
almeno per l’erogazione (1), ma piuttosto d’istituti di beneficenza 
che non sono solamente tali per natura (2). E l'essersi avvertito 
che debbon rimaner ferme le leggi relative agli enti ecclesia- 
stici conservati e alle loro dotazioni e mantenute le soppressioni 
e devoluzioni dalle leggi stesse ordinate, non infirma la norma 
sopra posta, riconoscendosi soltanto la possibilità di enti misti, 
in cui il culto s'accompagni alla beneficenza e ribadendosi uno 
dei principii fondamentali del diritto pubblico odierno, informato 
a giurisdizionalismo separatista per cui la giurisdizione della 
Chiesa vien ristretta a quello che si riferisce alle semplici fun- 
zioni spirituali, alle statuizioni relative ai sacri riti, alle ceri- 
monie del culto, ai sacramenti ed al mantenimento della purezza 
della sua dottrina (3). Anzi il difetto di una legge che in par- 
ticolare riguardi le confraternite toglie ogni rilevanza all’avver- 
timento fatto per quanto ne concerne la natura giuridica, quali 
persone giuridiche; e il nessun accenno fatto ad esse, come enti 
necessarî al culto, induce a ricercar la ragione del loro ricono- 
scimento per parte dello Stato non nel fine unico o prevalente 
di culto ma in quello, civile e sociale, di beneficenza cui lo Stato 
le assoggetta. L'ampiezza stessa colla quale il diritto odierno 
dichiara la nozione delle istituzioni pubbliche di beneficenza (4) 
non solo consente ma impone l’inclusione tra esse delle confra- 


(1) V. Mortara in Legge, 1898, II, pag. 337; cfr. Luccaini, Le istituzioni 
pubbliche di beneficenza, $ 1306, pag. 1076 e sulla trasformazione in genere 
delle confraternite, v. ScHIAPPoLI, mon. cit., cap. V, pagg. 145-207. 

(2) V. Scnanzer, La trasformazione delle confraternite nel diritto pubbl. 
ital., Roma, 1899, pag. 108, n. 1: v. contro ScHrapPpoLI, mon. cit., pag. 179. 

(3) Sulla condizione giuridica delle confraternite secondo il diritto della 
Chiesa, v. ScHraPPoLI, mon. cit., cap. II, pagg. 45-50. 

(4) Nelle leggi precedenti si usa l’espressione opera pia che però l’equi- 
vale: la differenza di locuzione par unicamente dovuta all’intenzione di non 
escludere la beneficenza preventiva; v. ScHiaPPoLI, mon. cit., pag. 87 e Luc- 
CHINI, Op. cit., $ 4, pag. 45. 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 7883 


ternite, come quelle che hanno pur sempre; almeno in parte, il 
fine di prestare assistenza ai poveri e procurarne in qualche modo 
il miglioramento morale ed economico (1), non distinguendo la legge, 
e non autorizzando quindi a distinguere, tra parte principale od 
accessoria, maggiore o minore, come se l’esistenza accanto ad 
uno seopo caritativo, quale sempre in qualche modo inerisce 
all'ente, d'un fine prevalente di culto, bastasse a far ritenere 
meramente ecelesiastico l'istituto, con l’onere di adempiere i 
pesi della beneficenza (2), il che solo potrebbe avvenire quando, 
per la concezione odierna del diritto pubblico e in virtù delle 
norme che ne formano il contenuto sostanziale non fosse tenuto 
in conto lo scopo della beneficenza per non esser esso la ragion 
d’'esistenza dell'ente, come sarebbe delle parrocchie, nonostante 
che pur ad esse, secondo la tradizione ed i sacri canoni, inerisca 
una funzione: caritativa, la quale è insita nel concetto cristiano (3). 
E se, per la comprension lata dei termini adoperati, non si può 
dubitare, come non si dubitò, doversi le confraternite tutte ri- 
guardare come istituzioni pubbliche di beneficenza. in quelle re- 
gioni, in cui, per precedenti leggi e consuetudini, già eran come 
tali ritenute e soggette perciò alla tutela dell’autorità civile, 
non par potersi accogliere diversa soluzione per alcune regioni 
soltanto sia per la necessità di legislazione e criterì uniformi in 
materia sì delicata, sia per la cessata ragione del diverso ordi- 
namento imposto solo dalla preesistente division di Stati, indu- 
cente diversità di rapporti tra Stato e Chiesa (4). Nè varrebbe 
invocare in contrario esenzioni o restrizioni parziali consacrate 
da lunga pratica, segnatamente dalla giurisprudenza subal- 
pina (5); chè se il potere esecutivo, preoccupato forse da tali 


(1) V. art. 1, 1. 17 luglio 1890; cfr. art. 1, lì. 3 agosto 1862, la cui dif- 
ferenza di forma, come fu rilevato (v. Riv. amm., 1902, disp: 634, pag. 804), 
non vale a far mutare la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha 
sempre ritenuto opere pie pur le fondazioni per patrimonî ecclesiastici. 

(2) V. però Cons. Stato, 23 maggio 1893 in. Riv. benef.. pubbl., XXI, 
pag. 963. i 

(3). V. Cons. Stato, 17 luglio 1902 in Riv. amm.,.1902, disp. 634; pag. 803: 
y. pure Rurrini, La rappresentanza giuridica delle parrocchie, Torino, 1896. 

(4) V. però ScrnrapPoLi, mon. cit.,, pag. 38. 

(5) V. App. Torino, 28 ottobre 1898 in Riv. dir. eccles., 1899, pag. 430 
e in Giurispr. ital., 1898, pag. 1627; Cass. Torino, 8 maggio 1895, in Riv. 
dir. eccl., V, pag: 612; Cass. Torino, 12 aprile 1897, ibidem, VII, pag. 694; 


784 LUIGI ABELLO 


inveterate consuetudini o speranzoso di scioglier presto la ri- 
serva fatta al tempo dell'emanazione della legge fondamentale 
sulle Opere pie, di risolvere cioè legislativamente i problemi 
tutti relativi alle Confraternite ed alla possibilità di lor rico- 
noscimento legale, anche come enti di mero culto, richiamò 0, 
meglio, mantenne dapprima in vigore taluni ordinamenti spe- 
ciali alle confraternite di qualche regione (1), in seguito si ri- 
credette intieramente ed in modo più consono allo spirito e al 
contenuto generale della legge ed ai bisogni del tempo, rilevato 
giustamente da elaborati pareri del supremo consesso ammini- 
strativo, non si limitò ad emanar circolari ministeriali che ve- 
ramente non potrebbero aver forza di vincolare (2), ma emanò 
un decreto che, abrogando i precedenti, riconfermò doversi ap- 
plicare a tutte indistintamente le Confraternite esistenti nel 
Regno, anche se di mero culto, le disposizioni legislative con- 
cernenti la vigilanza e la tutela sulle istituzioni pubbliche di 
beneficenza e dover, per conseguenza, i detti sodalizî dipendere 
esclusivamente dall’autorità civile, limitandosi l’ingerenza del- 
l'autorità ecclesiastica alla parte meramente spirituale e reli- 
giosa (3). E questa par di fatto ragion decisiva ed irrefutabile 
in rispetto al diritto positivo odierno, sia che s’argomenti dal 
modo con cui si deve procedere per riconoscersi ad un’Opera 
pia od altro ente morale i caratteri d’istituzion pubblica di he- 
neficenza (4) oppure dalla funzione e dal diritto dello Stato nel- 


App. Genova, 7 maggio 1892 in Riv. dir. eccles., III, pag. 172; App. Genova, 
2 settembre 1890 in Riv. dir. eccles., I, pag. 473. 

(1) V. R. decreto 19 ottobre 1893, n° 586 in Riv. dir. eccles., vol. IV 
pag. 59, ove sono espressamente richiamate in osservanza le RR. Patenti 
del 19 maggio 1831 per i casì in esse previsti; v. però Ricnano, in Riv. 
dir. eccles., vol. V, pag. 205 e segg. che ne afferma l’incostituzionalità. 

(2) V. circolare del Ministero dell'interno, n. 25298, in data 24 agosto 
1898, riconfermante la circolare 17 luglio, n. 26055, 11, 66945, ai Procuratori 
Generali presso le C. d'Appello e ai Prefetti. Notisi però — come fu ben 
avvertito — (v. OrLanno, La condizione giurid. delle istituzioni di beneficenza 
in vantaggio di stranieri in Archiv. di dir. pubblico, 1902, vol. I, pag. 22) ch'è 
inutile insistere, fra giuristi che si rispettano, sull'impossibilità della circo- 
lare a valere come fonte di diritto. 

(3) V. R. decreto 8 nov. 1901 in Gazz. Ufficiale del Regno, 1902, n° 8 
(11 gennaio). 

(4) Argom. art. 1-8, regolam. 5 febbraio 1891, n. 99, per l’esecuzione 
della 1. 17 luglio 1890; cfr. art. 2, regolam. 23 nov. 1862 e argom. pure 


SL ROTTA TZ 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 785 


l'attribuzione e nel riconoscimento della personalità giuridica. 
È ben vero che, per quanto non si possa dubitare della neces- 
sità del riconoscimento legale onde le Confraternite possano esi- 
stere quali persone giuridiche (1), non sembra sia sufficiente ar- 
gomentare da essa e, tanto meno, dalla sanzione sovrana data 
ai loro statuti (2), per inferirne la necessità di loro soggezione 
all'autorità civile in tutti gli atti di lor vita. Sia pure che non 
esistendo tali enti se non nello Stato e per lo Stato, questo 
abbia il diritto di invigilare affinchè la loro vita civile si esplichi 
in conformità della legge del patto o delle tavole di fondazione, 
condizioni essenziali di loro esistenza giuridica; ma vigilanza 
non è tutela (3) e ciò non spiegherebbe ancora le limitazioni 
di capacità che loro s’infliggerebbero e il trattamento speciale 
che se ne farebbe, diverso da quello tenuto per le altre persone 
giuridiche. Diversa dunque dev'essere la ragion di decidere e 
d’argomentare per giungere a tal risultato: i termini e le con- 
dizioni della personalità e l’ingerenza diretta dello Stato nella 
determinazione loro vanno desunti non dalla funzione del rico- 
noscimento in genere ma dalla ragion sua d’essere particolare, 
dal modo e dal fine per cui esso è dato a tali enti. Qualunque 
sia la teorica che in ordine alla struttura ed entità delle per- 
sone giuridiche si voglia accogliere, non si può disconoscere che 
intanto una persona giuridica può esistere ed esplicare la sua 
attività in quanto soddisfa e si contiene nelle peculiari condi- 
zioni poste all’esistenza sua ed all'esercizio dei diritti di cui la 
si riconosce capace. E come queste condizioni possono essere 
espresse o tacite, generali o speciali, così, a prescindere da quelle 
particolari che imponesse l’atto del potere sovrano con cui si 
conferisce la personalità, di cui non sarebbe qui questione perchè 


art. 51, 1. 17 luglio 1890. Cons. Cass. Roma, 26 marzo 1895 in Foro ital., I, 
pag. 651; Cons. Stato, 22 novembre 1901 in Ri». amministr., 1902, disp. 628, 
pag. 298. 

(1) Scapuro, op. cit., n° 178; RivaroLo, IZ governo delle parrocchie nei 
suoi rapporti con le leggi dello Stato, Vercelli, 1872, p. 343; BerroLoTTI, Il 
parroco italiano nei suoi rapporti con le leggi dello Stato, Torino, 1899, 
p. 677; v. pure Ferri, Le confraternite di mero culto e la l. 17 luglio 1890, 
in Riv. dir. ecel., 1902, pag. 54. 

(2) V. Cons. Stato, 28 gennaio 1898, sulla motivazione. 

(3) V. GrerkE, Die Genossenschaftstheorie u. d. deutsche Rechtssprechung, 
Berlin, 1887, pag. 641 e segg.; SawsowertIi in Foro ital., 1893, II, pag. 277. 


786 LUIGI ABELLO 


basterebbe esaminare il titolo stesso in virtù del quale esistono 
e possono agire, non si può affermare, per le considerazioni 
sopra svolte e cioè per la natura e la storia dell’ istituto in 
esame, che, per non essere il culto una funzione sociale, lo Stato 
deve disinteressarsi, del tutto o quasi, dal modo di vivere e 
funzionare delle confraternite che non abbiano altro scopo all'in- 
fuori del culto, occorrendo preliminarmente decidere se il diritto 
attuale, consentendo loro la personalità giuridica, non ritenen- 
doli enti necessarî di culto, li consideri come mere persone giu- 
ridiche private (1) o non piuttosto quali istituzioni cui inerisce 
necessariamente uno scopo di beneficenza e perciò una finalità 
d'ordine pubblico o d’interesse generale ch'è la ragion prima di 
loro riconoscimento. 

Vero è che oggi, a differenza di quel che avvenne in qualche 
legislazione passata, in cui la forte organizzazione ed autorità 
della Chiesa s'era imposta in modo così prevalente alla forza 
ed all'autorità dello Stato da ottenerne od arrogarsi diritti 
maiestatici e dominare o, sottrarre al suo impero il regolamento 
d'ogni specie di gruppi ed aggregati sociali (2), le confraternite 
ecclesiastiche, per non aver alcun diritto. d’impero nè godimento 
od esercizio, di diritti pubblici soggettivi, non possono conside- 
rarsi quali corporazioni di diritto pubblico. Vero è pure che le 
origini dell'istituto, per. quanto, incerte e controverse (3), rian- 
nodandosi alla figura dell’ affratellamento, più o meno a tipo 
strettamente famigliare, parrebbero attribuir loro un carattere 
meramente privato. Ma le mutate condizioni dei tempi, il tra- 
sformato concetto della beneficenza legale (4), l’accresciuto po- 
tere dell’autorità sociale, la potestà giurisdizionale dello Stato 
sulla Chiesa in genere e sui singoli enti ecclesiastici sarebbero 
sufficienti a far ritenere mutata la natura giuridica dell'istituto, 
la cui determinazione, se, nel dubbio, può esser rimessa all’au- 


(1) V. ScarappoLI, mon. cit., pag. 18; Fanpa e Bensa, Note alle Pandette 
del, Wixpsc®erp, vol. I, pag. 798. 

(2) V. ScHraPPoLI, mon, cit., pag. 10. 

(3) FriepBERa e RureInI, op. cit., $ 90, pag. 873 e Scapuro, op. cit., I, 
n. 173, pag. 572. 

(4) V. Browpr, La beneficenza legale, in Primo tratt. compl, di diritto am- 
ministr., Milano, 1902. 


CONDIZION GIURIDICA DELLE CONFRATERNITE DI MERO CULTO 787 


torità amministrativa (1), @ fortiori può esser decisa dal potere 
esecutivo in virtù dell'ufficio d’alta polizia e tutela pubblica che 
gli incombe, il cui contenuto è appunto determinato dalla ragion 
precipua cui attinge la sua autorità, dalla necessità di ordinare 
non solo l’esistenza ma ancora l’attività d'ogni persona in modo 
che armonizzino con l'utile pubblico e concorrano al retto fun- 
zionamento della vita sociale. 

Nè varrebbe affermare, argomentando dalle relazioni e di- 
scussioni parlamentari che prepararono o susseguirono di poco 
la legge fondamentale sulle istituzioni di pubblica beneficenza (2) 
o dall’equiparazione assoluta dell'autonomia degli enti morali 
alla libertà delle persone fisiche (3), che, ove si voglia in qual- 
siasi modo limitare o restringere la capacità delle persone giu- 
ridiche e perciò delle conhfraternite, occorre una special dispo- 
sizione legislativa, come se il riconoscimento o le condizioni di 
esso dipendessero esclusivamente dal potere legislativo. Fu già 
ampiamente dimostrato che, parlandosi delle persone giuridiche 
come enti riconosciuti dalla legge, non s’intese accennare alla 
necessità di riconoscimento per mezzo o per virtù di legge, ma 
unicamente secondo le norme di legge (4), tale essendo invero 
l'ampio significato ordinario del termine /egale quando non vi 
sia ragione, come nell’ipotesi in esame, d’intendere il vocabolo 
nel senso stretto (eccezionale) di ministerio legis (5). E per quelle 
persone che, come avvien delle confraternite, non hanno piena 


(1) V. specialmente Mortara, Nuove considerazioni sulla competenza, giu- 
risdizionale in tema di concentramento e trasformazione di Opere Pie in Legge, 
1898, II, pag. 532 e segg.; ScHanzER, mon. cit., pag. 188 e segg.; SarEDO 
in Legge, 1898, I, pag. 32; cfr. c. OrLanpo in La giustizia amin., ni 235-241 
in Primo tratt. completo di dir. ammn., vol. III, Milano, 1899, pag. 885 e segg. 

(2) V. progetto Grorirti, 23 novembre 1893, per cui l’art. 91 doveva 
stabilire che, finchè non sia provveduto con una legge speciale le confra- 
ternite, confratrie, ecc., non potranno compiere alcun atto eccedente la 
semplice amministrazione senza l'approvazione dello G. P. A. in Atti par- 
lamentari, Camera, legisl. XVIII, sess. 1892-93, doc. n. 234. 

(3) V. ScaraPPOLI, mon. cit., pagg. 38-34. 

(4) V. Winpscnem, Pandette (ed. FappA e Bensa), 1902, vol. I, nota V, 
pag.811 e segg.; CHironi, e ABeLLo, Trattato di diritto civile, Torino, 1903, 
vol; I, cap. VIII, $13, pagg. 149 e segg. 

(5) V. GroreI, Teoria delle obbligazioni, vol. VII (5* ediz., 1900), n. 188, 
pag. 218 a proposito della surrogazione Zegale. 


788 ARTURO SEGRE 


ed intera norma nel diritto oggettivo positivo, soccorre l’azione 
dello Stato, qual potere esecutivo, vòlto com'è alla difesa del- 
l’ordine ed interesse generale (1). 


Emanuele Filiberto in Germania e le ultime relazioni del 
Duca Carlo LI di Savoia con Alfonso d’ Avalos, mar- 
chese del Vasto (1544-1546). 

Nota del Prof. ARTURO SEGRE. 


Sommario. — 1. Ostilità francesi nella fine del 1544 in Piemonte. Malanimo 
di Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto, contro il Duca Carlo. Altre 
difficoltà sabaude ed urgenza di un'efficace azione imperiale. — 2. Invio 
di Em. Filiberto a Worms. Il viaggio. Affronto e scortesia di Em. Fili- 
berto col marchese. Buona accoglienza dell’imperatore al giovane prin- 
cipe. — 8. Nuove e maggiori ostilità del Vasto contro il Duca e la- 
gnanze di questo. Ottime disposizioni di Carlo V verso il Duca e pratiche 
imperiali colla Francia a favore degli interessi sabaudi. — 4. Dispetto 
del re francese. Incidente ed ostilità di Paolo di Thermes contro i mi- 
nistri piemontesi. Vana intromissione del Pontefice, Paolo III, a favore 
d’una pace generale. Morte del marchese del Vasto. 


» 


1. — La pace, che Carlo V, vittorioso sul re francese nel- 
l'autunno 1544, firmava presso Crépy, ben dimostrava all'Europa 
come il potente monarca riconoscesse impossibile la restituzione 
del cognato, Carlo II, Duca di Savoia, negli stati aviti senza la 
consegna della Lombardia o dei Paesi Bassi all’ardito rivale 
sotto forma di dote pel secondogenito della Maestà cristianis- 
sima, Carlo, Duca d'Orléans (2). Solo alcune terre occupate dopo 
la tregua di Nizza del 1538 venivano da ambe le parti resti- 
tuite. Ma come gli imperiali, prima della catastrofe di Ceresole, 
eransi insignoriti di Mondovì e d’altri luoghi non privi d’impor- 


(1) Sulla condizione delle confraternite efr. pure QuerinI, La deneficenza 
romana dagli antichi tempi fino ad oggi, Roma, 1892; v. specialmente pag. 447, 
ove s' oppugna la condanna in blocco di queste associazioni che sono in 
Italia 11707 con una rendita di circa dieci milioni. 

(2) V. il trattato di Crépy in Dumont, Corps universel diplomatique du 
droit des gens, vol. IV, parte 2*, pagg. 280, 285. — Sulle trattative e sugli 
avvenimenti di quegli anni vedi il mio: Carlo II di Savoia, le sue relazioni 
con Francia e Spagna e le guerre piemontesi dal 1536 al 1545 (estr. dalle 
“ Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, serie II, tomo Il), 
Torino, Clausen, 1902. 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 789 


tanza, la reciproca restituzione procurò al Duca ed ai suoi al- 
leati danni superiori ai vantaggi (1). 

D’ogni parte sorgevano lagnanze contro l’apparente pieghe- 
volezza di Carlo V. Il re dei Romani, Ferdinando, il principe 
di Spagna, D. Filippo, fratello il primo, figlio il secondo della 
Maestà cesarea, non risparmiavano osservazioni e critiche al 
grande imperatore. Questi stesso non voleva spogliarsi dei Paesi 
Bassi, dove era nato e pei quali sentiva affetto, nè della Lom- 
bardia, base della sua potenza nella penisola nostra (2), ed era 
così afflitto dalle umilianti condizioni del trattato, che n’aveva 
riportato grave scossa alla salute (3). Solo l’agitazione dei lute- 
rani, il timore d’una guerra religiosa in Germania e la debo- 
lezza delle forze cesaree nella Lombardia avevano piegato la 
naturale sua avversione ad una pace che non ripristinava la 
condizione d’Italia prima del 1536. 

Queste circostanze non isfuggirono naturalmente ai Fran- 
cesi, che ben certi delle strettezze imperiali, ne approfittarono 
a spese dello sventurato Duca di Savoia, tanto bersagliato dalla 
fortuna, che mai saziavasi di perseguitarlo. Se infatti sulle prime 
i governanti regi sgombrarono le terre del contado di Nizza (4) 
ed altre del Piemonte, come Cherasco, Crescentino, Verrua, 
S. Germano e qualche altro luogo di là della Dora Baltea e nel 
marchesato di Ceva, presi dopo la tregua di Nizza, se resero al 
Duca di Mantova, signore del Monferrato, Alba, infinite diffi- 
coltà sollevarono per la consegna di altre terre importanti, come 
il castello e luogo di Cavour, presi a tradimento dopo la tregua (5), 


(1) La sconfitta di Ceresole non ebbe le conseguenze immediate che 
sulle prime si temevano: vedi Desyarpins, Négociations diplom. de la France 
avec la Toscane (in Collection de docum. inéd. sur l’hist. de France), III, 105, ecc. 
Cristiano Pagni a Cosimo I. Venezia, 23 aprile 1544. — Carlo II ecc., pag. 56. 

(2) De Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, 
vol. IV (Padova, Sacchetto, 1881), pagg. 40-41. 

(3) Za., IV, 40. 

(4) Arch. di Stato di Torino, Protocolli ducali, reg. n. 176 (1543-49), 
fol. 10. Patente del Duca al gran priore di Lombardia e ad Andrea di 
Monfort governatore di Nizza. Vercelli, 28 ottobre 1544, pubbl. dal Gror- 
FREDO, Storia delle Alpi marittime (in Mon. hist. patriae, Scriptores II), 
col. 1449-50. Vedi a col. 1446-54 altri documenti su tale restituzione. 

(5) Aleramo signore di Cercenasco, governatore di Cavour a nome del 
Duca, aveva consegnato a Renato, sigt di Montéjehan, a tradimento la 


790 ARTURO SEGRE 


perchè quel castello dominava il piano sul quale sorgevano Cari- 
gnano, Pinerolo, Fossano ed altri luoghi. La malavoglia loro era 
tanta e così manifesta, che Niccolò Balbo, presidente patrimo- 
niale, sconsigliò il Duca dall’eseguire i capitoli del trattato che 
lo riguardavano, finchè il re dal canto suo non avesse soddi- 
sfatto al dover suo (1). Ma Carlo non voleva dare ai suoi nemici 
nuova occasione di guerra, mentre le notizie da Milano gli dimo- 
stravano quanto grande fosse l’avversione di Alfonso d’Avalos, 


marchese del Vasto, e luogotenente imperiale in Lombardia, per 


le cose sue (2). Egli quindi non si oppose allo sgombro di Mon- 
dovì (3), ma la sua acquiescenza lungi dall’indurre a miti pro- 
positi i Francesi, accrebbe la loro baldanza e li convinse che 
la moderazione imperiale e sabauda era solo conseguenza delle 
difficoltà politiche di Carlo V (4). In conclusione dopo tanti sa- 


piazza di Cavour per 10 m. scudi e terre in Delfinato nell’ottobre 1538. 
V. LamperT, Mémoires (in Mon. hist. patr. Scriptores, I), coll. 5893-94. — Grax- 
vere, Papiers d’État (in Collection de documents inédits sur l’histoire de 
France), II (Paris, 1842), pagg. 46-47. Granvelle (Nicola Perrenot di) al 
Saint-Mauris, Gand, 15. gennaio 1544 (45). 

(1) Archivio di Stato di Torino, Lettere particolari. Niccolò Balbo al 
Duca. Milano, 10 giugno 1545. 

(2) Id. Lettere principi, Duchi di Savoia, m. 4°. 11 Duca ad Ugo Michaud, 
controllore della casa del principe di Piemonte. Vercelli, 20 ottobre 1544. 
Ha inteso dalla lettera d’esso Michaud che gli affari suoi a Milano “ sont 
si pitoyables quen avons grande compassion ,. Perciò ne ha scritto de 
bon encre , al Vasto. 

(3) Grorrrepo, col. 1446. Il governatore di Mondovì, Francesco sig.® di 
Bourges, dall'agosto 1544 era passato al governo di Nizza (v. Arch. di Stato 
di Torino. Protocolli ducali, cit. fol. 77. Vercelli, 24 agosto 1544), al posto 
di Erasmo Galléan Doria, morto nel luglio precedente (v. GrorrREDO, col. 1444, 
Arch. cam. di Torino, Conto tesorieri generali di Savoia, reg. 205; fol. 119 -20. 
Ordine. del gran priore di Lombardia, fra Paolo. Simeone dei Balbi, 
gover" del castello di Nizza, 25 luglio 1544. Si paghino 22 fiorini, moneta 
di Nizza, a Gio. Maglon, farmacista di Nizza, © pro viginti quatuor torchijs 
seu facieris munitis de tantis parmis, seu excussionibus crucis albe duca- 
libus, per eundem appoticarium expeditis pro obsequijs quondam Mage 
Domini herasmj Doria collonellj comitatus nycie ,). Ma durò poco, poichè 
nell'ottobre vi si ritrova il Monfort. Vedi n. 4; a pag. 2. 

(4) FriapenssuRre, Nuntiatur des Verallo (1545-46) [vol. VIII dei Nun» 
tiaturberichte aus. Deutschland; 1533-59], pag. 109 (Gotha, Perthes, 1898). 
Mignatello ai legati del Concilio di Trento. Worms, 20: aprile 1545. “ In- 
tendo di buon luogo che li Francesi in Piemonte fanno portamenti molto 


pr 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 791 


crifizi, dopo otto anni di guerre e di sofferenze fisiche e morali, 
il Duca nostro, abbandonato, temporaneamente, dall’ impera- 
tore (1), sembrava alla mercè dei Francesi nemici e di un pro- 
tettore ostile e mal fido. 

Il marchese del Vasto, bisognoso di danaro, gravava di 
tasse gli abitanti del Piemonte, nè valevano a temperare i hal- 
zelli le lagnanze ducali, a cui il marchese rispondeva con pro- 
testa che senza mezzi non gli era possibile frenare i disordini 
e le angherie militari (2). Allora la città d’Asti, per sgravare 
almeno i cittadini ed il contado dalle molestie continue, pattuì 
col Vasto il pagamento di 4000 scudi a sovvenzione delle genti 
durante il trimestre gennaio-marzo 1545 (3), ed i presidîì che 
infestavano quella regione cominciarono a ritirarsi con grande 
sollievo degli abitanti. Ma tosto il marchesato di Ceva, il quale 
certo non offriva agli imperiali un adeguato compenso, pretese 
anch’esso lo sgombro delle guarnigioni spagnole (4), ed il mar- 
chese, non sapendo come uscire dalla situazione assai grave, 
timoroso certo che anche l'apparenza d’un favoritismo ad alcune 
città provocasse disordini nelle altre e rendesse facile qualche 
sorpresa dei Francesi, dispose perchè l’Astigiano riavesse le mi- 
lizie allontanate da due mesi (5). Il Duca ne rimase profonda- 


rigorosi verso li subditi del signor duca di Savoia, il che non arguisce 
exequution de la pace ,. 

(1) Gli inconvenienti della pace di Crépy riguardo al Duca erano ve- 
duti pure dal cancelliere imperiale, Nicola Perrenot di Granvelle, vedi Graw- 
veLLE, Papiers d’État, III, 78 e ss. “ Ce que lon doibt considérer sur la dé- 
claration de l’alternative contenue au traité de Crespy ,. Bruxelles, fine 
di febbraio, 1545. 

(2) Arch. storico Gonzaga in Archivio di Stato di Mantova, E. esterni 
N. XLIX, n. 3, b. 1667. Vincenzo della Valle. Milano, 21 dicembre 1544. 
I soldati che presidiavano Tricerro eransi ammutinati per difetto di paghe 
e pretendevano contribuzioni dal Vercellese. 

(3) Arch. di Stato di Torino. Memorie politiche relative all’estero in ge- 
nere, m. 1°. Ordine del Vasto ai capitani spagnuoli. Milano, 20 die. 1544. 

(4) IA. Lettere particolari. Niccolò Balbo al Duca. Milano, 22 dicembre 
1544. — V. anche ivi notizie sulla miseranda condizione di Asti. Per Ceva 
v. le lagnanze del governatore Giulio Cesare Pallavicino al Duca in Prowrs: 
Cento lettere concernenti la storia del Piemonte dal 1544 al 1592 in Miscellanea 
di storia italiana, vol. IX (1870), pag. 521-26. Ceva, 3 gennaio 1545. 

(5) Biblioteca di S. M. in Torino. Manoscritti di storia patria, n. 1072. 
Il Vasto al Duca. Milano, 4 marzo 1545. 


792 ARTURO SEGRE 


mente accorato. Il marchese più volte aveva con lui ostentato 
pubbliche mancanze di riguardo (1), come se le sorti sabaude 
fossero del tutto in sua mano. D'altro canto l’imperatore, as- 
sorto negli affari di Germania e nelle pratiche del matrimonio 
tra Maria, sua figlia, ed il Duca d’Orléans, pareva scordare le 
cose della penisola e del Piemonte in particolare. Carlo, pur 
inviando a Vigevano, dove nella seconda metà di febbraio tro- 
vavasi il marchese, il vescovo di lvrea, Filiberto Ferrero, e Tom- 
maso Valperga, commissario imperiale, colla domanda (2) che 
il Piemonte e l’Astigiano fossero liberati delle milizie che ne 
divoravano le risorse, decise di attuare un disegno, certo da 
tempo accarezzato, la spedizione cioè dell’unico figlio, Emanuele 
Filiberto, alla. corte cesarea (3). L'utile grande che al ducato 
poteva venire dalla presenza di Emanuele Filiberto in Germania 
fu compreso senza difficoltà dai Piemontesi, che durante il feb- 
braio stesso 1545, nell'assemblea dei tre stati tenuta a Vercelli, 
votarono un sussidio di 7000 scudi pel viaggio del giovane prin- 
cipe (4). 

Occorreva infatti che l’imperatore pensasse, e con solleci- 
tudine, agli affari sabaudi, occorreva il Vasto sapesse che alla 
corte cesarea si faceva conto del Duca e come parente e come 
alleato. Già nel 1543 Carlo V, di passaggio per l’Italia setten- 
trionale, erasi sforzato di provvedere alle modalità delle rela- 


(1) V. Carlo II, ecc., pag. 14. 

(2) Arch. storico Gonzaga, loc. cit. Vigevano, 27 e 28 febbraio 1545. 
“ In quest’hora ho inteiso come heri sira al tardi gionse el vescovo de 
Inverea (sic) et m" Thomasso Valperga, mandati qua da la Ecctia del st Duca 
di Savoya a negotiare con lo Illmo St marchese per levarli soldati del Pie- 
monte et Astesano. Questa matina debbeno havere audientia da la Ecctia 
del st marchese. M'è stato detto se lamentano molto del pocho rispetto ussa 
il s" Marchese al stato del s" Duca di Savoya et tengono in commissione 
de dirlo al pto sr Marchese ,. 

(3) Tonsi, De vita Emanuelis Philiberti. Milano, 1596, pag. 85. — Rr- 
corti, Storia della monarchia piemontese, vol. I (Firenze, Barbera, 1861), 
pag. 275. 

(4) Arch. storico Gonzaga, loc. cit. “ In Vercelli sè fatto li tre stati per 
trovare denari aciò il s" Principe di Piemonte possa andare da la Mtàè Ce- 
sarea a negotiare le cose del suo stato. S'è detto s'è stabilito nelli tre stati, 
como lo Illm© st Duca trova li denari, che li populli li restituerano con uno 
pocho di tempo, s'è resolto dar al s" Principe sette milia scuti con el modo 
detto di sopra ,. 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 793 


zioni tra il cognato suo ed il Vasto, specie circa l'applicazione 
dei balzelli occorrenti alla tutela del Piemonte, ed aveva ele- 
vato la pensione annua, fissata da tempo al Duca sulla camera 
di Milano e pagata a spizzico e talora sospesa, da 20 a 25 mila 
scudi annui (1). Ma i buoni intenti di Carlo V erano stati inef- 
ficaci, e le sgarberie ed insolenze dei suoi ufficiali, la tardanza 
continua nel pagamento della pensione, e gli arbitrii dei soldati 
avevano spinto il Duca fin dalla primavera del 1544 a supplicare 
l’imperatore con un lungo memoriale, perchè togliesse di mezzo 
in forma definitiva tanti malanni coll’accordargli il godimento 
delle rendite di Como e delle terre dipendenti. Carlo II voleva 
fossero insediati ufficiali sabaudi, e così le orribili strettezze in 
cui egli ed il principe di Piemonte coi pochi fedeli versavano, 
se non fine intiera, avrebbero ricevuto grande diminuzione. Erano 
quelli i giorni in cui la battaglia di Ceresole aveva per un mo- 
mento fatto temere la perdita di tutta la Lombardia. Carlo V, 
pur reiterando al Vasto l'ordine di soddisfare al possibile il 
cognato suo, in forma garbata erasi rifiutato di consegnare al 
Duca Como (2). Ma nel 1545 la pace durava con Francia. La 
presenza di Em. Filiberto poteva ottenere dall'imperatore quanto 
i memoriali, le lettere e gli ambasciatori non valevano a strap- 
pare dai ministri cesarei. 

Un altro benefizio poi e di non piccola entità il viaggio del 
giovane principe forse avrebbe recato al Duca. Tra le tribola- 
zioni di maggior conto che affliggevano il Piemonte meritavano 
posto segnalato i molti resti, anzi l’esistenza tenace, dell’ordi- 
namento feudale nella patria nostra. Il conte di Crescentino, 
Gio. Andrea Tizzone, superbo ed ambizioso signore, ribelle al- 
l'autorità ducale, come altrove narrammo (3), aveva ottenuto dal 
Vasto, sempre nel febbraio 1545, il consenso, a lungo dibattuto, 


(1) V. Carlo II ecc., pagg. 38-39. — Nel 1536 la pensione era di 40 m. 
scudi, vedi id., pag. 3, nota 2. 

(2) Arch. di Stato di Torino. Materie politiche. Negoziazioni con Svizzeri, 
mazzo 2° da ordinare. In un registro col titolo “ Historia di trattati di- 
versi de Duca di Savoia con i..... cantoni , (i puntini sostituiscono una 
raschiatura nel manoscritto). Spira, 9 giugno 1544. 

(3) La politica sabauda con Francia e Spagna dal 1515 al 1533 (estr. 
dalle “ Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, serie II, 
tomo I). Torino, Clausen, 1900, pagg. 66-67. 


794 ARTURO SEGRE 


di erigere una fortezza a Crescentino (1) per imbrigliare i suoi 
sventurati dipendenti e vendicarsi di essi, che avevano in una 
sommossa massacrato il precedente signore della terra, nipote 
suo. La questione del conte cogli abitanti di Crescentino si di- 
batteva da lunghi anni, fin da quando nel 1529 aveva il Duca 
assunto la protezione della sventurata città, che era stata assolta 
da ogni pena per le cose passate (2). Il Tizzone, nonostante la 
fermezza dimostrata allora dal Duca, pretendendo che solo spet- 
tasse a lui il diritto di grazia ai suoi dipendenti (3), aveva 
inveito contro gli sventurati con maggiore accanimento e s'era 
appellato all'imperatore. La causa era durata lunghi anni (4), 
durante i quali la Duchessa Beatrice e l'ambasciatore imperiale 
a Torino, Gutierrez Lopez de Padilla, d’accordo con Antonio de 
Leyva, allora governatore della Lombardia, avevano dato sentenza 
molto conciliativa (5). Ma questa al Tizzone non era piaciuta. 
Esso aveva quindi interposto nuovo appello alla Maestà ce- 


(1) Biblioteca di S. M. in Torino, loc. cit. Vasto al Duca. Milano, 14 
febbraio 1545. 

(2) BurraA, Breve cenno storico della città di Crescentino con appendice e 
documenti, Torino, Arnaldi, 1857, pag. 56. — La politica sabauda, loc. cit. 

(3) Tarcone, Un vercellese illustre del sec. XVI, Gian Tomaso Langosco di 
Stroppiana, gran cancelliere di Em. Filiberto in “ Bollettino storico-biblio- 
grafico subalpino ,, V (1900), edito nel 1901, pagg. 158-59, dove si discorre 
sulla questione crescentinese. Al TarLone sfuggirono i documenti da me editi 
sul Tizzone in La politica sabauda, loc. cit. 

(4) Arch. di Stato di Torino, Vienna, Lettere ministri, m. 1°. Balbo & 
Bartolomeo Riquier. Il Duca e la Duchessa Beatrice a id. Torino, 29, 30 
marzo, 23 aprile e 22 maggio 1535. 

(5) Za., Niccolò Balbo al Riquier. Torino, 1° maggio 1535. “ Ceterum 
dum nuper Il]mus Dus noster atque rarissimus (?) hominum Anthonius Leyva, 
suis satelitibus stipatus, Vercellis convenissent, ita actum est ut res prefati 
crescentini comitis cum prefato Illm°o Domino nostro recte fuerint compo- 
site, intercedente Illma D. nostra atque mag°° Cesareo legato. Qua propter 
agentibus pro ipso comite apud Cesarem ultro insistendum non erit, nec 
tibi obsistendum. Jussu enim Illumi D. nostri comes ipse in possessione iu- 
risdictionis et imperij crescentinarum opidi ceterorumque bonorum sibi 
spectantium nune deffenditur ac, ut agunt, manutenetur ,. — Il Duca a id. 
(1545). La sentenza sull’affare venne data “ plus en la faveur du conte, que 
de mon procureur, reservé le point des gres, de la quelle neantmoins fust 
appellé de sa part et interiecté lappel par devant mon conseil resident, là 
ou la cause est pendant et lon y procède juridisquement ,. 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 795 


sarea (1) e la questione era continuata e continuava senza che 
mai si venisse a conclusione. Nel gennaio 1538 da una commis- 
sione di giudici composta di Pietro Gazino, del gran cancelliere 
Girolamo Aiazza e di Carlo di Mombello, conte di Frossasco, era 
stato concesso al Tizzone il permesso d’innalzare una fortezza 
nel paese. All’opposizione che tosto avevano fatto Crescentino 
ed il Duca (2), il conte erasi ancora rivolto a Carlo V ottenendo 
che l’azione nuova d'appello fosse rimessa al senato di Milano (3), 
dove il Balbo, il chiavaro Gringallet e Gio. Girolamo Bulgaro 
si erano recati a sostenere gli interessi ducali (4). Infine nel 1545 
aveva il conte strappato all'imperatore un ordine pel Vasto, nel 
quale la costruzione della fortezza presso la porta di Crescentino 
detta di Verrua era concessa. Le proteste del Duca non avevano 
potere sul marchese (5), e come l’imperatore era la causa prima 
della vittoria di Gio. Andrea Tizzone, anche in tale materia il 
viaggio di Em. Filiberto in Germania poteva risollevare il pre- 
stigio assai scosso del nostro principe. 

Infine era importante che l’imperatore si risolvesse ad 
eseguire in qualche modo i capitoli di Crépy, dai quali soli il 
Duca sperava il ricupero dei suoi Stati. Fin dagli ultimi del 
1544 il signore di Bressieu, Lodovico Gallier, principale favorito 
della corte ducale, era andato in ambasciata alla corte francese 
e poi a quella cesarea (6), dove poco prima l'avevano prece- 
duto il maresciallo di Savoia, Renato di Challant, e Gio. Tom- 
maso Langosco, conte di Stroppiana (7). Ma come il Challant ed 


(1) Burra, pagg. 58-59. — Arch. di Stato di Torino, lett. cit. del Duca 
al Riquier. 

(2) Burra, pag 59. TaLLone, pag. 159. 

(3) Id. 

(4) Arch. camerale di Torino. Conto tesor. e ricev. di Piemonte, reg. n.85, 
fol. 166 #., 167 #., 1694. 

(5) Bibl. di S. M. Ms. n. 1072. Vasto al Duca. Milano, 14 febbraio 1545. 
Da questa lettera parrebbe il Vasto alquanto indeciso sul da fare. — Sui 
Tizzoni di Crescentino vedi anche DrowisortI, IZ comune di Desana e la fa- 
miglia patria dei Tizzoni, Torino, Bocca, 1895, pagg. 72-74. | 

(6) Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Mss. italiani, classe VII, 
cod. DCCCC XCII, fol. 170. Bernardo Navagero al Doge. Bruxelles, 8 feb- 
braio 1545. “ Partì già doi giorni mons" di Bussì, che fu prima in Franza, 
et poi è venuto a questa corte per nome dell’Illmo di Savogia ,. 

(7) Arch. camerale di Torino. Conto tes. e ricev. di Piemonte, reg. n. 35, 
fol. 166% e 167. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 53 


796 ARTURO SEGRE 


il compagno suo non erano riusciti a risultato alcuno, così il 
Bressieu non potè scoprire le intenzioni del grande monarca (1). 
La dieta raccoglievasi allora a Worms, e Carlo V col suo can- 
celliere, Nicola Perrenot, signore di Granvelle, più non atten- 
deva che alle pratiche coi tedeschi. Lo Stroppiana seguì il 
Granvelle, che precedette l’imperatore a Worms (2), mentre il 
Challant rimase in osservazione presso Carlo V. Egli aveva ùn 
buon sostegno nel gran maggiordomo imperiale, Filiberto de la 
Baume, signore di Montfalconnet, suddito ducale, il quale mo- 
strava sempre alle cose del suo principe naturale interesse sin- 
cero (3). Ma nessun avvenimento lasciava supporre che la corte 


(1) Biblioteca cit., lett. cit. del Navagero. “... nè ha portato altro che 
buone parole di questa Mtè et di mons” di Granvelle, piene di speranza ,. 

(2) Arch. di Stato di Torino. Vienna. Lettere ministri, m. 1°. Challant 
al Duca. Bruxelles, 23 marzo 1545. — Il Duca munì lo Stroppiana di una 
credenziale per l’elettore di Brandeburgo, Gioacchino di Hohenzollern. Vedi 
id. Lettere principi, Duchi di Savoia, m. 3°. Il Duca a Gioacchino. Vercelli, 
1° febbraio 1545. Alla dieta di Worms “ hune Thomam Stropiana de In- 
dustria adlegamus, primum ut officio serviamus nostro, deinde ut mise- 
randas fortunas nostras, que nondum in tranquilium collate sunt, Illme et 
Excellme Dominationi vestre commendet, quam supplex oro, ut eidem Thomè 
parem ae nobis fidem adhibere dignetur, quemadmodum confidimus ,. — 
Circa il viaggio del Granvelle con suo figlio, Antonio, vescovo di Arras, a 
Worms, vedi FriepenssuRe, Nuntiatur des Verallo, cit. pagg. 73-74. Girolamo 
Verallo;, arcivescovo di Rossano, al card. Alessandro Farnese. Bruxellès, 
22 febbraio 1545. 

(3) Archivio cit. Vienna. Lettere ministri, m. 1°. Montfalconnet al Duca. 
Bruxelles, 28 marzo 1545. Lett. cit. del Challant. — Il Montfalconnet aveva 
più volte dato prova del suo affetto al Duca. Tra l’altro dal 1535 ‘erà cre- 
ditore di 200 scudi imprestati a Gio. Bartolomeo Riquier, amb"? del Duca 
presso l’imperatore, durante l'impresa di Tunisi, e per 5 anni, fino al 1540, 
ne aveva pazientemente atteso la restituzione. V. Arch. camerale di Torino. 
Conto tes. e ricev. di Piemonte, reg. 322, fol. 164t—65. Ordine del Duca ‘da 
Bruxelles, 25 settembre 1540. “ Comme soit que pieca et durant le voyage 
de lempereur è thunes le baron de montfalconet, nostre chambellain ‘et 
gouverneur de bresse, ait presté la somm'è de deux cens escus dor au col- 
lateral Riquier, suyvant alors sa Mté pour noz affairez, ainsy quappert pàr 
quattre de cedules que ledict baron a remys entre mains du s° de belle- 
garde du temps quil estoit nostre ambassadeur auprès de sadicte Mté en 
espaignée, comme il nous a faict apparoir par une certiffication dudict st dé 
Bellegarde soubz ‘escripte de sa miaîn a tolledo le vJ° joùr de juing en lan 
mil cinq ‘cèns trente heufz, La quelle il nous a remise, affin de par vertu 
dycelle retirer les susdictes pollice. Or est il que veuillant Icellùy baron 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 797 


imperiale eseguisse i capitoli di Crépy, per quanto dalla Francia 
le sollecitazioni fossero incessanti, desideroso com'era il re Fran- 
cesco che suo figlio, il duca d’Orléans, ricevesse finalmente i 
Paesi Bassi o la sospirata Lombardia (1). Il Challant adunque, 
persuaso anch'egli che solo qualche potente stimolo poteva su- 
perare le difficoltà di quei giorni, sollecitò per lettera il viaggio 
di Em. Filiberto. La corte cesarea attendeva, dopo molti in- 
dugi, il duca d'Orléans. La presenza del figlio di Beatrice di 
Portogallo, amata così teneramente da Carlo V, avrebbe potuto 
nell’animo dell’imperatore meglio di qualunque ambasciata (1). 
Carlo Solaro, signore di Moretta, oratore francese, lasciò 1124 marzo 
Bruxelles portando al suo re la promessa, che i capitoli riguar- 
danti il matrimonio e la dote dell’Orléans sarebbero stati pun- 
tualmente eseguiti. Il Montfalconnet traeva da queste promesse 
buona speranza che il Duca in epoca non lontana fosse reinte- 
grato (2). 


2. — La partenza di Emanuele Filiberto venne stabilita 
allora per gli ultimi di aprile (3). Il marchese del Vasto ne 
prese tosto ombra: cosciente dei numerosi affronti e delle umi- 
liazioni imposte al Duca, temeva le conseguenze che dalle la- 
gnanze dirette del principe sarebbero nate a suo danno nelle 
deliberazioni imperiali. Cercò di rabbonire il Duca, e mentre 
durante l’intiero anno precedente mai aveva contentato lo sven- 
turato sovrano, lasciandosi vanamente supplicare dallo stesso 
principe di Piemonte, che più volte era andato da Vercelli a 
Milano (4), dispose tosto perchè le milizie alloggiate nell’Asti- 


de montfalconet estre dheuement satisfaict, mous vous ordonnons et 
mandons ... x». 

(1) Lett. cit. del Challant. — Arch. di Stato di Torino, loc. cit. Rebuffi 
al Duca, Bruxelles, 23 marzo 1545. 

(2) Lett. cit. del Montfalconnet. — Sui risultati avuti dal Moretta, vedi 
Desyarpins, IlI, 149. Bernardo de’ Medici a Cosimo I, Amboise, 27-30 marzo 
1545. — FrrepensBuRre, Nuntiatur des Verallo, pagg. 76, 79. Verallo a Far- 
nese, Bruxelles, 27-28 febbraio 1545. 

(3) Arch. storico Gonzaga, loc. cit., b. 1667. Vincenzo della Valle. Ca- 
sale, 20 aprile 1545. “ Lo Illmo sr Principe di Savoya se partirà fra otto 
giorni per andar da sua Mtè, secondo a scritto allo Illmo Sr Marchese ,. 

(4) Vi andò Em. Filiberto nell'agosto 1544. V. Carlo II, ecc., pag. 57. 
— Vi ritornò nell’ottobre, secondo appare dal contenuto della lettera del 


798 ARTURO SEGRE 


giano, nel Vercellese e nel Monferrato, salvo 1000 uomini, par- 
tissero dalle regioni subalpine e riparassero su quel di Lucca 
e Siena (1). Mai Lucchesi protestarono (2), ed il marchese contro 
sua voglia dovette restituire all’Astigiano quasi tutte le genti 
tolte o pronte alla partenza, avviando il resto sul Biellese (3), 
sola regione che meno profonde recasse le vestigia dell’occupa- 
zione straniera. Gli abitanti di Asti e del contado, vieppiù esa- 
sperati dall’amaro disinganno, fecero minaccia di negare al 
principe di Piemonte, loro signore, un donativo promessogli di 
1200 scudi (4). 

Riusciti vani i suoi disegni, il Vasto, desideroso di sorve- 
gliare le mosse del principe alla corte cesarea, gli fece inten- 
dere che avrebbe provato contento di accompagnarlo nel lungo 
viaggio. Em. Filiberto non nascose, sembra, in pubblico la ri- 
pugnanza sua e l’avversione che sentiva pel marchese in modo, 
che il Vasto ne rimase ferito. Il vescovo d’Aosta, Pietro Gazino, 
allora in missione a Milano, suggerì al Duca di accelerare la 
partenza del principe, allo scopo che il disdegno e l’affronto 
fatto al marchese non apparissero così manifesti (5). Sembra che 


Duca al Michaud del 20 di quel mese, di cui vedi a pag. 3, n.2. — Un'ul- 
tima volta andò il 30 novembre, vedi Arch. storico Gonzaga, loc. cit., b. 1666. 
Vincenzo della Valle, Milano, 1° dicembre 1544. “ Lo Ilmo sr principe di 
Savoya gionse heri sera a Milano. Se dice è venuto per visitar lo Illmo s” 
Marchese. Niente di meno tengo con pretexto di visitatione negotiarà al- 
chuno particulare per il stato suo. Et con sua Ecetia gli è venuto il vescovo 
di Vercelli ,. 

(1) Arch. cit., b. 1667, Genova, 10 e 15 aprile 1545. 

(2) Arch. cit., Pavia, 2 maggio 1545. 

(3) Id. Vespasiano Bobba, Milano, 4 giugno 1545. — Il commissario 
Tommaso di Valperga rinviato al marchese per intendere la conferma dello 
sgombro dall’Astigiano, ebbe la sorpresa di una risposta scoraggiante. Disse 
il Vasto “ molto caldamente che havevano refferito la bugia, per che non 
vedeva forma per puoter cussì far, dil che assai se ne doleva ,. Arch. di Stato 
di Torino, Lettere particolari. Valperga al Duca. Pavia, 8 maggio 1545. 

(4) Bibl. di S. M., loc. cit. Oddone Provana al Duca. Asti, 26 giugno 
1545. — Il governatore d’Asti, Giacomo Folgore di Piossasco, sig” di Sca- 
lenghe, in fin di vita, raccomandava nel mese di maggio al Duca la sua 
famiglia, ed il giorno dopo il figlio Carlo annunziava che il padre era mo- 
rente, vedi Arch. di Stato di Torino, Lettere particolari. Giacomo e Carlo 
al Duca. Asti, 7 e 8 maggio 1545. 

(5) Arch. di Stato di Torino. Lettere vescovi. Aosta. Gazino al Duca, Mi- 
lano, 24 aprile 1545. © Hogi parlando con un mio grande amico, mi ha 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 799 


invece il Duca siasi appigliato al rimedio opposto, abbia atteso 
cioè la partenza del marchese, che andò a Worms accompagnato 
dai principali signori da lui dipendenti, il conte Filippo Tor- 
niello, Gio. Battista Speciano, Lodovico Vistarino, D. Garcia 
Manrique, Pirro Colonna, Cesare Maggi ed altri (1), avviando 
in seguito il figlio suo. 

Em. Filiberto lasciò dunque Vercelli il 27 maggio. I mezzi 
suoi erano scarsi tanto, che il Duca raccomandava gelosamente 
ad Ugo Michaud, controllore della casa del principe, di evitare 
con cura le spese non indispensabili (2). La sua missione aveva un 
fine elevato ed importante, come gli avvenimenti narrati già 
fanno supporre. Egli doveva, in presenza del Challant, racco- 
mandare a Carlo V le cose sabaude, ed il vescovo di Nizza, 
Gio. Battista Provana dei signori di Leynì, che lo accompa- 
gnava insieme ad Amedeo di Ginevra, signore di Lullin, gover- 
natore, e con altri, aveva speciale incarico di offrire all'impe- 
ratore i servizi del nipote nel suo esercito. Nessuna deliberazione 
tuttavia era lecito agli ufficiali suddetti di prendere senza 


detto chel s" marchese non he troppo contento di quello che il s" principe 
non si contenti vadi di soa compagnia alla corte. Così mi hè parso aver- 
tirne V. Ex* afin che vollendo expedir esso s° principe, V. Ex* lo expedisca 
al più presto che poterà et partendosi presto il s" marchese non poterà 
esser presto per viagiare, si haverà legitima scusa non andar seco ,. — 
Arch. storico Gonzaga, loc. cit., Casale, 29 agosto 1545. © Il s" Principe di 
Savoya se dice partirà sey giorni avanti o vero doppoy, come meglio sarà 
a satisfactione de lo Ill° s°r Marchese ,. — Se il Duca avesse saputo che 
l'ambasciatore imperiale in Francia, il Saint-Mauris, in quei giorni comu- 
nicava all'imperatore l’invio d’un messo regio a Vercelli e assicurava che 
vi era “ peu d’assurance du due de Savoye , (GranveLLE, Papiers d'Etat, 
III, 145 e 148), si sarebbe guardato dal permettere col Vasto sì aperta 
scortesia. 

(1) Arch. storico Gonzaga, lett. cit. 

(2) Sul viaggio di Em. Filiberto, vedi Tonsi, De vita, ecc., pagg. 35-36. 
— Caxgrano, Historico discorso (in Mon. hist. patr., Seript., I.), col. 1096. — 
RicortI, Storia mon. piem., loc. cit. e II, 10-11. — Secre, Un gentiluomo pie- 
montese della prima metà del secolo XVI, Giacomo Provana di Leynì (estr. 
dal “ Giornale Ligustico ,). Genova, Sordomuti, 1897, pag. 19. — Vaccaroxe, 
Em. Filiberto, principe di Piemonte, alla corte cesarea di Carlo V imperatore 
(1545-51) in “ Miscellanea di storia italiana ,, serie 3* tomo V (1900), 
pag. 279. Colpisce in quest'ultimo studio, pur utile, la quasi assoluta igno- 
ranza delle pubblicazioni recenti sull’età dei personaggi dall'autore studiati. 


800 ARTURO SEGRE 


l'intervento dell’'ambasciatore residente alla corte cesarea, 
Gio. Tommaso Langosco di Stroppiana (1). A Milano Em. Fili- 
berto si trattenne alcuni giorni con dispiacere del buon Duca, 
che mandò rimproveri al Lullin ed al vescovo di Nizza. Non 
ignoravano essi, così era scritto nella lettera ducale, che il te- 
soriere Rebuffi teneva danaro solo fino agli ultimi di giugno. 
Ora “ seroit bien mal seant que le filz allast contre la voulunté 
et les parolles du père , (2). Oltre all'economia finanziaria im- 
portava al Duca che il principe giungesse alla corte non più 
tardi e forse prima del marchese del Vasto (3). Il viaggio venne 
quindi accelerato; passata la Lombardia entrò il principe negli 
Stati della Repubblica Veneta, ed ebbe a Brescia onori e feste 
notevoli. Quindi per Lonato, Desenzano, Peschiera e le Chiuse 
di Verona entrò nel Tirolo (4). Fu sventura che un’indisposi- 
zione lo trattenesse prima ad Innsbruck (5) e quindi presso Ulm, 
a Kempten (6); il Vasto riuscì così a precederlo nella corte im- 


(1) Arch. di Stato di Torino. Materie politiche relative all’estero in genere, 
m. 1°. Memoriale al Michaud, Vercelli, 23 maggio 1545. Il principe si con- 
tenti del danaro fissatogli pei minuti piaceri, non cerchi di più, perchè è 
difficile trar danaro “ mesmes de ceulx de ceste ville, qui se font tiré 
l’oreille ,. — Oltre ‘al Lullin, al vescovo di Nizza ed al Michaud, i princi- 
pali ministri di Em. Filiberto erano Giacomo Provana dei sig" di Leynì, 
maggiordomo del principe, Carlo di Mombello, conte di Frossasco, gran 
scudiere, e Gio. Francesco Rebuffi, tesoriere, vedi le op° cit°, a n. (3). — 
Vedi sullo Stroppiana, id. Lettere principi. Duchi di Savoia, m. 4°. Il Duca 
al Michaud, Vercelli, 14 giugno 1545. 

(2) Za., Vercelli, 30 maggio 1545. — Dai Conti del tesoriere appren- 
diamo che a Milano il principe fece un debito di 500 scudi d’oro. Vacca- 
RONE, pag. 280. 

(3) Zd., lett. cit. del 28 maggio. — Il principe era atteso a Worms fin 
dall'aprile, v. Arch. storico Gonzaga, Esterni, N. II, n. 8, b. 442. Capilupi 
al card. Ercole Gonzaga, alla Duchessa Margherita Paleologo ed a Ferrante 
Gonzaga. Worms, 28 aprile 1545. “ Hoggi si è presa la casa per lo card!° 
Farnese. Se verrà il Marchese del Vasto et Mons" de Orlièns, e ’l principe 
di Savoia, come senza fallo egli s’aspetta, non si sa anchora dove sì pos- 
sano accommodar, tanta carestia ci è di bone stanze ,,. 

(4) Vaccarone, pagg. 280.81. 

(5) Zd., pag. 282. 

(6) Id., pag. 283. — Arch. storico Gonzaga, loc. cit. Capilupi ad Ercole 
Gonzaga ed alla Duchessa. “ Il principe di Savoia è anchora di là da Olma 
ad un loco detto Schempt (Kempten) verso Ispruch, dove dal male fu sfor- 
zato affermarsi, nè anchora si metteva in camino ,. — Arch. di Stato di 


Pe y 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 801 


periale di cinque giorni (1). Il 23 luglio al suo arrivo, Em. Fi- 
liberto fu ricevuto alle porte di Worms dal marchese in persona 
coi principali della corte di Carlo V, del re dei romani, Ferdi- 
nando, e degli altri principi tedeschi (2). L’abito suo era così 
‘sontuoso che tutti ne rimasero colpiti, ma i presenti notarono 
anche la freddezza che Em. Filiberto dimostrò al Vasto. Il 
giovane principe anzi, giunto al palazzo imperiale, mentre il 
Vasto teneva sempre la sinistra, scese da cavallo ed entrò senza 
volgersi a fare un cenno solo di commiato al luogotenente di 
Carlo V (3). Em. Filiberto nella sua giovane età ancora igno- 
rava la dissimulazione. Egli non riusciva a frenare lo sdegno 
contro il marchese, che riteneva causa principale delle sofferenze 
paterne. Giustizia avrebbe voluto ch'egli riconoscesse pure le 
condizioni difficili cui il governo di Lombardia, tenuto dal mar- 
chese, versava da lunghi anni, e non vedesse nel contegno del 
Vasto sola manifestazione d’antipatia verso il Duca ed i Pie- 
montesi. Non foss’altro, la prudenza avrebbe potuto suggerirgli 
atteggiamento cortese verso chi poteva fare altro male al padre 
suo. Gli anni e le traversie guarirono in seguito il giovane ed 
intelligente principe dalle manifestazioni subitanee. 

Carlo V accolse il nipote con molta affabilità (4), gli ac- 


Torino, lett. cit. Il Duca al Michaud, Vercelli, 19 luglio 1545. Esprime il 
rammarico per la malattia del figlio. 

(1) Gaczarp, Collection des voyages des souverains des Pays-Bas, vol. II, 
(VanpenEsse, Journal des voyages de Charles-Quint de 1514 è 1551). Bru- 
xelles, Hayez, 1874, pag. 309. Il 18 luglio “ arriva audict Wormes le marquis 
del Gasto, gouverneur pour sa Mté de l’estat de Milan ,. 

(2) Gacmarp, loc. cit. VAccarone, pag. 284. — Sull'arrivo ed accoglienza 
ricevuta dal principe a Worms, vedi anche Toxsi, pagg. 35-36. — 11 ritardo 
di Em. Filiberto fu veramente grande. V. FriepensBuRGE, Nuntiatun des Ve- 
rallo, cit., pag. 615. Il vescovo di Tortona al Duca Cosimo de’ Medici. 
Worms, 29 maggio 1545, e pag. 667. Navagero e Morosini al Doge di Ve- 
nezia. Worms, 27 giugno 1545. — Infine ricorda l’arrivo un dispaccio 
particolare del Navagero stesso. V. Biblioteca Marciana di Venezia, cod. cit., 
fol. 230. Worms, 23 luglio 1545. ‘ È gionto a mezogiorno il principe di 
Savogia ,. i 

(3) Arch. storico Gonzaga, loc. cit. Worms, 24 luglio 1545. V. App. 
Doe. 1°. 

(4) Toxsr, loc. cit. e Arch. storico Gonzaga, loc. cit. Worms, 27 luglio 
1545. Diede Carlo V una caccia per festeggiare il nipote, ed alla mede- 
sima intervennero il re dei Romani, gli altri principi, il cardinale vescovo 


802 ARTURO SEGRE 


cordò subito una pensione di 500 scudi mensili (1), ed il 28 luglio 
ricevette dal medesimo un ampio memoriale, dove erano esposte 
le lagnanze tutte contro i ministri cesarei e le angherie sofferte. 
L'imperatore promise di esaminare e por mente al contenuto, 
ma la presenza del marchese temperò l’efficacia dello scritto (2). 
Il Duca quando conobbe le prime risposte del cognato si lagnò 
amaramente. Perchè, scrisse al Michaud, non aveva suo figlio 
presentato all'imperatore una lettera datagli nel punto di par- 
tire, e detto senz'altro: “ Sire, je ne vouldroyt pour chose de 
ce monde importuner v. M., mais la paouvreté ou se trouvent 
les subgectz de mons” père, le travail et le poigne ou il est, me 
constrainct supplier trèòshumblement v. M. il vouloir prouveoir 
et avoir tousiours le père et le filz en vostre bonne grace et 
recommandès ,? (3). Non di promesse abbisognare egli, ma di 
pronta azione! 


3. — Il marchese del Vasto fece ritorno a Milano, non 
poco indispettito contro il principe e pieno di maltalento verso 
il Duca. Gravò la mano sui Piemontesi ed alle lagnanze di 


di Augusta ed il Vasto. — Il BrantòME [Oeuvres, ed. LaLanNE, vol. 2° (Paris, 
Renouard, 1866), pag. 143], notò anch’esso l’amore di Carlo V ad Em. Fi- 
liberto e malignamente fece questa chiosa: “(j’en dirois bien aucunes 
raisons secrettes, mais je m’en passeray bien),, accennando senza dubbio 
alcuno alle note simpatie di Carlo V per la bella e defunta madre di Em. 
Filiberto, Beatrice di Portogallo, sua cognata. — Sulle male voci corse intorno 
alle relazioni di Beatrice con Carlo V, vedi Luzio, Un pronostico satirico 
di Pietro Aretino (MDXXXIII) Bergamo, Istituto Italiano di arti grafiche, 
1900, pagg. 66-67. 

(1) V. App. Doe. 1°. 

(2) V. il testo del memoriale in Arch. di Stato di Torino. Registri let- 
tere della corte, m. 1545-1550. Registro di lettere dirette al Duca, 7 giugno 
1545-19 dicembre 1547, fol. 7-13? pubbl. dal RicortI, Degli seritti di Em. 
Filiberto, Duca di Savoia, in “ Memorie della R. Accad. delle Scienze di To- 
rino ,, serie 2*, tomo XVII, pagg. 105-6 (doc. 3), e id., Storia mon. piem., I, 
275-76. Il Ricotti crede che il marchese sia andato in Germania dopo l’ar- 
rivo del principe. — Durante l'assenza del Vasto da Milano, D. Raimondo 
di Cardona, che teneva l’interim del governo, lasciava crescere le angherie 
militari in Piemonte, anzi dava autorità ai soldati di vivere a discrezione 
nelle terre da essi presidiate. V. Promrs: Cento lettere, pag. 528. Il Duca 
ad Em. Fil. Vercelli, 19 giugno 1545. 

(3) Arch. di Stato di Torino. Lettere Principi, Duchi di Savoia, loc cit., 
Vercelli, 9 agosto 1545. 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 803 


Carlo I[, che voleva diminuite le imposte dei suoi sudditi, co- 
stretti a mantenere i soldati in tutto, rispose in forma tale che 
il Duca, fuori di sè dallo sdegno, ne mandò notizia in Germania, 
chiedendo se era proprio volontà dell’imperatore ch’egli fosse 
ridotto a simili estremi e mancasse d’ogni cosa più necessaria (1). 
Ma non fu quello l’ultimo affronto del Vasto. Aveva questi 
stabilito di ridurre nella cittadella di Vercelli artiglieria e sol- 
dati tolti da S. Germano. Il Duca si oppose. Il Vasto allora ri- 
spose con marcata freddezza che era bene ordinasse ai suoi di 
conformarsi alla volontà da lui manifestata, poichè in caso di- 
verso avrebb’egli agito di suo arbitrio (2). La oltracotanza del 
marchese oltrepassava i limiti! Pareva ch’esso ritenesse onnipo- 
tente la sua autorità e che l’opera di Em. Filiberto e dei mi- 
nistri sabaudi in Germania fosse nulla. Carlo indirizzò allora al 
potente cognato una protesta sollecitando provvedimenti (3). 

Il memoriale del Duca non giungeva a Worms in tempo 
inopportuno. Carlo V da alcuni mesi sembrava abbracciare con 
calore più intenso gli interessi del cognato. Era morto il 9 set- 
tembre 1545 il duca d'Orléans, Carlo (4), sicchè d’ogni impegno 
matrimoniale e della conseguente dote rimaneva libero l’impe- 


(1) /d., m. 3°. Il Duca ad Em. Filiberto. Biella, settembre 1545. Co- 
munichi all’imper. quanto ha esposto nella lettera, “du quel Je ne croy 
estre lintention que mes subgectz doibient continuer è donner entretene- 
ment aux soldatz, comme ledict s" marquis fait mention par sadicte lettre ,. 

(2) Bibl. di S. M., loc. cit. Il Vasto al Duca. Milano, 1° dicembre 1545. 

(3) Arch. di Stato di Torino. Materie politiche. Negoziazioni con Vienna, 
m. 35 (da ordinare). Istruzione del Duca ad un inviato presso l’imperatore. 
Vercelli, 30 dicembre 1545, vedi App., Doc. 2°. — Il risultato delle lagnanze 
riusciva però sempre nullo, nonostante la buona volontà dell’imperatore. 
V. Arch. cit. Registri lettere della corte. Registro cit., fol. 45-46. Il consiglio 
di Em. Filiberto al Duca. Maéstricht, 22 febbraio 1546. ©... Mais le mal 
est quon se remect à mons" le marquis, oultre ce, monseigneur, que pen- 
dant ces Jours quon ne trectoit oultre que de la paix, dont doibt proceder 
la restitution de vostre estat, il nestoit trop à propoz importuner sa Mté de 
telles particularitez, encoures quelles soyent insupportables ,. 

(4) Credette il Duca nostro opportuno inviare colle sue condoglianze 
al re il vescovo di Vercelli, Pier Francesco Ferrero, e ne informò il prin- 
cipe di Piemonte e l’imperatore per mezzo del segretario Boursier. Egli 
chiese al re apertamente la restituzione di Cavour. A Carlo V poi fece 
presenti le oppressioni del Vasto, che toglievano a lui il mezzo di ottenere 
dai sudditi il pagamento dei sussidi. V. Arch. cit. Negoziazioni con Spagna, 
m. 11 (da ordinare). Memoriali al Boursier, Vercelli, 14 ottobre 1545. 


804 ARTURO SEGRE 


ratore. “ Mon nepveu ,, disse egli al principe di Piemonte, 
quando il medesimo gli espresse la speranza che trovasse buon 
mezzo per la restituzione del padre suo, “jay heu toujours les 
affèores de mon cousin vostre père en bonne souvenance et ne 
fault que vous doubtez, que je ne les aye en telle recomman- 
dation que les myens propres. Desja jay interpellé le Roi à la 
restitution de lestat de vostre dict père àè la forme de la cap- 
pitulation de la paix. Lequel ma faict response, que estant failli 
le moyen de mons” dorléans, qui empeche lobservation de mon 
cousté, quil ne pense point destre tenu par vertu de ladicte 
capittulation è ladicte restitution. Si ledict Duc dorleans heust 
vescu , continuò la Maestà cesarea, “ je luy heusse donné lestat, 
de millan. Il me semble quilz ne doibvent reffuser de lobserver 
de leur costé ce que leur concerne et quilz ont promis. Reste 
que maintenant ladmiral de France (Claudio d’Annebaut) doibt; 
venir. Je verray ce quilz vouldront dire, et sellon ce je me con- 
duyray ,. Allora il vescovo di Nizza ed il Lullin osservarono 
che nel trattato di Nizza del 1538 vi erano articoli, i quali Ja- 
sciavano facoltà al re di Francia di elevare pretese sulle terre 
sabaude in via giuridica. Questo inconveniente procurava al 
Duca continue agitazioni e travagli e poteva esser causa di 
qualche torbido. Volesse la Maestà sua in caso di pace defini- 
tiva non lasciare la questione sabauda indecisa. Carlo V in ri- 
sposta garantì che la clausola ostica al Duca non aveva nulla 
di gravoso agli interessi sabaudi, ma lasciò sperare che all’ar- 
rivo dell’Annebaut verrebbe dato assetto definitivo alla que- 
stione (1). Di fatto era voce che il re francese fosse incline ad 
un accordo più stabile e duraturo della pace di Crépy (2), e 
come nella primavera aveva offerto di unire il principe di Pie- 
monte colla figlia del re Enrico di Navarra, Giovanna d’Albret, 
erede di tutti i diritti navarresi, in compenso della Savoia (3), 
così ora, spento l’Orléans, mandava a Bruges, sede della corte ce- 
sarea, l'ammiraglio Claudio d’Annebaut col cancelliere Francesco 


\1) Arch. cit. Registri lettere della corte (1545-50), cit., fol. 29t-31#. Me- 
moriale al Frossasco, Gand, 31 ottobre 1545. 

(2) Friepenssure, Nuntiatur des Verallo, pag. 307, n. 63. Verallo al card. 
Farnese, Bruxelles, 27 settembre 1545 e 338-39, n. 68; Bruxelles, 8 ot- 
tobre 1545. 

(3) Id., pagg. 156-57, n. 27. Dandino a S. Fiore. Speier, 16 maggio 1545. 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 805 


Olivier ed il segretario Gilbert Bayard, proponendo il matri- 
monio tra la figlia Margherita ed il principe di Spagna, D. Fi- 
lippo, vedovo da alcuni mesi di Maria di Portogallo, con ces- 
sione di Hesdin e d’ogni diritto sul ducato milanese. Voleva 
però conservare il Piemonte e la Savoia. Non era condizione 
accettabile, e l’Annebaut dovette subito far altre offerte. Pro- 
pose l’unione del principe di Piemonte con Maria, figlia dell’im- 
peratore, e la Lombardia in dote, con promessa in tal caso pure 
di restituire Hesdin, non il Piemonte. Infine parlò del matri- 
monio tra il principe e Giovanna d’Albret con dote superiore a 
70 m. scudi d’entrata ed i ducati d'Orléans, Bourbon, Chàtel- 
lerault ed Angoulème in compenso della Savoia e del Piemonte. 
Quelle regioni fruttavano non meno di 100.000 ducati annui (1), 
ma non rendite chiedeva il Duca sabaudo, bensì la restituzione 
del suo stato. Le proposte dell’Annebaut riuscirono quindi una 
amara delusione a tutti, e Carlo V, che non intendeva cedere 
Milano, e neppure tollerava che un pollice di terreno restasse 
ai Francesi di qua delle Alpi, rispose con fermezza che il re 
pensasse a maritare la figlia sua, e non s’occupasse dei figli 
altrui, e che se voleva la pace, sgombrasse prima l’Italia e re- 
stituisse il mal tolto. L’Annebaut tentò ancora un ultimo par- 
tito. Offrì la restituzione della Savoia, non del Piemonte e della 
Bressa, allegando la necessità di queste regioni per la difesa e 
sicurezza del Delfinato. Carlo V rimase inflessibile “ et ha re- 
plicato che bisogna che il re restituisca quel che non è suo, et 
che non ha bisogno di disegnare nova condutta de Svizzeri, nè 
temer del Delfinato, se ha animo di far buona pace , (2). A 


(1) Z4., pagg. 409-11, n. 85. Verallo e Dandino. Bruges, 8 novembre 
1545. — Al Duca era venuto pensiero di trattare matrimonio tra il figlio 
suo e Margherita, che divenne poi nel 1559 sposa di Em. Filiberto, ma i 
suoi ministri stimarono non fosse pel momento il caso di farne parola, ve- 
dendo che si parlava di essa solo come possibile fidanzata di D. Filippo. 
V. Arch. di Stato di Torino. Memoriale cit. 

(2) FriepensBURe, pagg. 424-26, n. 90. Verallo e Dandino, Bruges, 16 
maggio 1545 e pagg. 622-23. Bartolomeo Concino a Cosimo de’ Medici, An- 
versa, 28 novembre 1545. — Sull’attività della diplomazia francese in Isviz- 
zera vedi Rott, Histoire de la représentation diplomatique de la France auprès 
les cantons suisses, de leurs alliés et de leurs confédérés, vol. 1° (1430-1559). 
Berne-Paris, 1900, pag. 330. 


806 ARTURO SEGRE 


compimento di questa risposta veramente confortante per gli 
interessi sabaudi disse ad Em. Filiberto che stesse “ di buon 
animo, perchè o esso era per haver tutto il suo stato senza 
perder un palmo di terra, o esso imperatore era per perdere la 
corona et tutti li suoi stati! , (1). Belle parole che onorano il 
grande monarca! Troppo spesso la condotta di Carlo V fu og- 
getto di critiche ed accuse dagli storici piemontesi, i quali, ve- 
dendo solo le tristi condizioni del ducato in quegli anni dolo- 
rosi, non hanno pensato che l’imperatore aveva altri e ben 
maggiori interessi da custodire e che spesso versava esso pure 
in angustie di danaro. Ma l’opera e la volontà sua non furono 
mai aliene, nè dimentiche del cognato, così oppresso dalla sven- 
tura. Si dirà che lasciare il Piemonte in mano alla Francia era 
un pericolo per Milano e che nel volere la restituzione totale 
del cognato l’imperatore curava solo i suoi interessi, ma si con- 
sideri anche che, quando nella fine del 1545 Carlo V respingeva 
le offerte dell’Annebaut (2), la condizione politica della Germania 
era poco sicura in mezzo alle ostilità dei principi luterani. L’im- 
magine di Carlo V a chi bene studia gli avvenimenti del du- 
cato sabaudo dopo il trattato di Crépy riesce simpatica. Sembra 
che per reintegrare il Duca nelle sue terre abbia esso offerto 
persino al re matrimonio di suo figlio D. Filippo con Marghe- 
rita di Valois senz’altra dote che la restituzione della Savoia e 
Piemonte al Duca stesso ed anche proposto, a garanzia della 
Maestà cristianissima, che Em. Filiberto vivesse nella corte 
francese e colà si accasasse a piacere del re (3). Ma Francesco 
non voleva assolutamente cedere e restituire il Piemonte. Sicchè 
il 25 novembre l’Annebaut coi suoi compagni lasciò la corte 
imperiale (4). 


(1) FrrepenseuRe, pag. 425, nota. Dispaccio del Navagero del 23 no- 
vembre 1545. — Ildispaccio del Navagero era già noto al De Leva, IV, 42-48. 

(2) L’Annebaut usò anche termini altieri, v. FriepENSBURG, pag. 52 e ss. 
Verallo e. Dandino al card. Farnese, Utrecht, 7 gennaio 1546. 

(3) FriepEnseuRe, pag. 447, Anversa, 25 novembre 1545 e pagg. 677-78. 
Navagero al Doge. Anversa, 80 novembre 1545. — Il Navagero stesso fin 
dal 1544 aveva annunziato proposte francesi a Carlo V molto simili a quelle 
recate dall’Annebaut. V. Bibl. Marciana di Venezia, cod. cit., fol. 30. Spira, 
30 gennaio 1543 (s. v.). 

(4) Id., pag. 455, n. 97. Verallo e Dandino, Anversa, 29 novembre 1545. 
— Biagio di Monluc quindi s’ingannava nel febbraio 1546, quando in oc- 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. S07 


4.-— Il dispetto del re fu vivissimo. Aveva Francesco I 
nutrito speranza che l’imperatore si fosse lasciato intimidire 
dalle condizioni della Germania, ed invece trovava il rivale più 
fermo che mai nel reclamare l'esecuzione intiera del trattato di 
Crépy, anche mancando il duca d'Orléans. Il suo sdegno, come 
sempre, trovò sfogo a danno del Piemonte con mille dimostra- 
zioni ostili. I suoi ufficiali per trovare qualche appiglio ai danni 
del principe nostro, inventarono pretese violazioni del trattato 
da parte del Duca e dei ministri piemontesi. Era luogotenente 
regio nell’assenza di Francesco di Bourbon, duca d’Enghien, 
Paolo de la Barthe, signore di Thermes, quando negli ultimi di 
novembre fu scoperta a Torino una congiura che mirava a dare 
la città in mano agli imperiali. Arrestati i presunti colpevoli (1), 
il Thermes si lagnò aspramente col Duca, asserendo che la 
corte di Vercelli era piena di nemici del nome francese ed ac- 
cusò fra gli altri il presidente patrimoniale, Niccolò Balbo, di 
aver tenuto pratiche segrete coi rei. Questa essere violazione 
aperta dei trattati: si arrestasse dunque e venisse punito senza 
ritardo il colpevole (2). Il Duca fece venire a sè il Balbo in 
presenza del signor de la Mòle, che aveva portato la lettera del 
Thermes. L’illustre presidente respinse energicamente l’accusa, 
ed il Duca rinviò il de la Mòle con una risposta severa al 
Thermes. Essere la terza volta ch’egli accusava suoi ufficiali di 
false colpe e menava lamento col re stesso, del quale il de la Mòle 


casione della prossima nascita di un figlio al Delfino Enrico, pronosticava 
la consegna di Milano al nuovo principe francese, che avrebbe portato il 
titolo di Duca d'Orléans, e la restituzione al Duca di Savoia d’ogni sua 
terra mediante le nozze di Em. Filiberto con Margherita di Valois. Vedi 
Arch. di Stato di Venezia, Capi Cons° dei Dieci, b. 10. Lettere di ambi in 
Francia. Marino Cavallo ai Capi, Saint-Cloud, 11 febbraio 1545 (s. v.). 

(1) Arch. storico Gonzaga. E. esterni, N. XLIX, n. 3, b. 1667. Vespa- 
siano Bobba, Milano, 1° dicembre 1545. 

(2) Arch. di Stato di Torino, Lettere particolari. Thermes al Duca. To- 
rino, 27 novembre 1545. — Arch. storico Gonzaga, loc. cit. Milano, 5 di- 
cembre 1545. “Il detto mons” dalla Molla è statto anche dal s® Duca di 
Savoya con un’altra lettera de mons" di Thermes, qual pare le habbia scritto 
che già più volte li servitori et ministri d’esso s" Duca hanno trattato delle 
insidie de far robare Turino et darlo in mano desso s" Duca, come hano 
trattato anche de novo, bem che non è parso a esso Mons® di Termes di 
scriverne più presto a sua Ecc*, nè volerle nominar salvo che un de Prin- 
cipali, qual è il presidente d’Albi (sic) ,. 


808 ARTURO SEGRE 


aveva osato dire come in forma minacciosa, che presto si sareb- 
bero intese novelle. Ch’egli Duca per conto suo riteneva la pace 
tra il re e l’imperatore ben salda e quindi era convinto che le 
invenzioni non avrebbero rotto certo l'accordo. Quanto al punire 
i suoi ministri, dichiarava che mai sarebbesi piegato a tanta 
ingiustizia, non avendo colpevole alcuno nella sua corte. Se il 
Thermes aveva nelle prigioni di Torino gente traditrice, agisse 
come gli pareva meglio (1). La verità era che di fatto un ca- 
pitano Damiano Curiale di Napoli era andato due mesi prima 
a Milano offrendo al Vasto di strappare Torino ai Francesi. Il 
marchese dichiarò al de la Mole ch’egli aveva respinto l’offerta, 
non volendo rompere la pace, ma non escluse la possibilità che 
il Curiale allora si fosse rivolto a soldati spagnuoli licenziati e 
con essi avesse intessuto la trama (2). Del resto se Je insidie 


non mancavano contro la dominazione francese in Piemonte, il 


re dal canto suo praticava col Turco ai danni generali della cri- 
stianità (3); fortunatamente l’insuccesso dell'impresa di Nizza 
ed il malcontento del Barbarossa contro i Francesi lasciava spe- 
rare che non si sarebbero rinnovate le calamità del 1543: 
Venne il 1546 ed il pontefice Paolo IH, bisognoso d’una 
pace stabile e della benevolenza ad un tempo dei due massimi 
sovrani d'Europa pei suoi interessi particolari, diede commis- 
sione ai suoi nunzi nella corte imperiale di sollecitarla con nuovi 
sforzi. Carlo V rispose di nulla meglio desiderare, ma d’essere 
stomacato dal contegno del re francese, che in conclusione si 


(1) Arch. di ‘Stato di Torino. Registri lettere della corte, reg. 1536-50. 
fol. 117. Il Duca al Thermes. Vercelli, 4 dicembre 1545. — Arch. storico 
Gonzaga, lett. cit. “ Anche esso s" Duca, per quanto ha avisato qua al s% 
Marse J}mo ha rispuosto ‘al detto Monsore di Termes, che questa è già la 
terza invencione che hano trovata et falsa informacione ch’esso Mons® di 
Termes ha mandata al Re per disturbare li acordi della pace, acciò non 
sia rimesso in casa esso s" Duca. Ma che, dio laudato, le cose al presente 
fra sue Mtà Ces® et xM2 .sono in tal buona intelligencia et stabilimento che 
queste false informacioni mon harano luoco ,. 

(2) Arch. storico Gonzaga, loè. cit. Milano, 5 dicembre 1545 (2* lett.). 
— Del Curiale ho pubblicato una lettera a Chiaffredo Pasero in Documenti 
di storia sabauda dal 1510 al 1536, preceduti da un’introduzione (estr. dalla 
Miscellanea di storia ‘italiana, serie 3*, vol. VIII). Torino, Stamperia Reale, 
1902, pag. 230, Doe. 56. 

(3) Arch. di Stato di Torino. Lettere principi, Duchi di Savoia, m. 3°. 
Il Duca ad Em. Filiberto. Vercelli, 30 dicembre 1545. 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 809 


riduceva solo a voler tutto prendere e nulla restituire (1). Paolo III 
si interessava ‘alla sorte del Duca sabaudo, nè aveva rinunziato 
all’antico disegno di unire la nipote Vittoria o al Duca stesso (2) 
od al principe del Piemonte (3), sebbene ormai più non fosse 
il caso di parlare nè dell’uno, nè dell’altro, data l’età ormai se- 
nile di Carlo II e gli impegni di Em. Filiberto con Maddalena 
d'Austria. L’intromissione costante del Pontefice nelle trat- 
tative imperiali colla Francia riusciva sospetta, perchè nessuno 
ignorava la smodata ambizione di Paolo, e Francesco I stesso 
conosceva la segreta speranza del Farnese che l’imperatore per 
necessità economiche concedesse in ultimo Milano al nuovo duca 
di Parma e Piacenza, a Pier Luigi, figlio della Santità Sua (4). 


(1) FrrepexsBuRe, pag. 512 e ss., lett. cit. del 7 gennaio 1546. 

(2) Arch. storico Gonzaga, E. esterni, N. XXV, n. 8, b. 888. Lodovico 
Strozza. Roma, 18 nov. 1545. “ Ho inteso che tuttavia si prattica il matri- 
monio della s"? Vittoria col duca di Savoya vecchio et col re di Pollonia ,. 

(3) FarepeNssuRre, pag. 551. Dandino al card. Farnese. Utrecht, 4 feb- 
braio 1546. — Sulle pratiche matrimoniali di Vittoria Farnese coi principi 
sabaudi, vedi Carlo II, ecc., pag. 24, ecc. 

(4) Arch. di Stato di Venezia, Capi Consiglio dei Dieci, b. 10 cit. Marino 
Cavalli ai Capi. Saint-Dizier, 29 ottobre 1546 (cifrata): “ ... et per consequente 
di conceder Milano alla casa Farnese. Nondimeno si trova mo anche lui 
tanto impegnato et obligato, che convien esser quello che facci il latino 
a cavallo .,. 

Un sonetto di Cesare Marcello da Fano, indirizzato da Roma, 20 feb- 
braio 1540 alla corte mantovana, ritrae, in forma certo poco elevata, le con- 
dizioni tristi della moralità nella capitale dello stato ecclesiastico in quei 
giorni (Arch. storico Gonzaga, loc. cit... Da 16 mesi, scrive il Marcello, 
trovavasi egli a litigare “ in guell’arca de miseria et non più roma, anzi vero 
albergo de tutti e viti, sola nemica di qualche virtute, di modo che tutte 
si moiano di fame et la mia peggio che le altre: 

“ Nella vitiosa Babilonia avara, 
Già Roma detta, ove ogni mal se cria 
Per causa de una infernal fernesia, 
Pàsco mia vita de vivanda amara. 
Tanto mi accoglia può più me discara 
Quanto la mente la memoria invia 
Lanima a lalma corte sua natia, 
Dove belle virtù sol ve si impara. 
Qui le vertà moian di fame 
Per il misero esempio del maggiore 
Qual tien la vita et farà il fin di Crasso. 
Seguon la prima laltre corte infame 
Fatti omicida del più eterno onore. 
Perciò signor soccorri al crùdel passo. 


nato alimproviso per ciò non merita nè gastigo, nè laude ,. 


810 ARTURO SEGRE 


Gli uffici di Paolo riuscirono quindi vani (1) ed il re continuò 
le ostilità più o meno palesi contro i ducali in Piemonte senza 
riflettere che la sua condotta doveva raffermare maggiormente 
il nostro principe nell’alleanza coll’ imperatore, e questo nella 
sua decisione di allontanare in ogni modo i Francesi dall’Italia. 
Carlo V infatti non solo gradì i servizi di Em. Filiberto nella 
lega smalkaldica (2), ma trattenne il nipote per tempo indeter- 
minato in Germania, fiducioso che in epoca non lontana la stella 
sabauda sarebbe risorta (3). Le strettezze economiche opprime- 
vano il giovane principe, nè l’imperatore, spesso anch'egli privo 
di mezzi, poteva sopperire ai bisogni del nipote. Il buon Duca 
faceva del suo meglio, perchè il figlio non vivesse nella neces- 
sità, ma anch’egli trovavasi alle prese di continuo coi creditori. 
Nel 1545 Carlo II aveva sborsato 50 m. scudi circa per com- 
pensare quanti creditori tenevano in pegno gioie sue (4). Pure 
si sforzò sempre di sopperire ai bisogni del figlio, al quale non 
era sufficiente la pensione che l’imperatore aveva stabilito, e 
non si perdette d’animo in quegli anni sventurati. 


(1) Se ne discorreva molto, specie nel luglio 1546. Si diceva pure che 
un corpo di truppe al servizio del Pontefice minacciasse Ginevra. Vedi 
Hauser, Correspondance d'un agent genevois en France sous Frangois I, 
1546 in “ Revue historique ,, 1900, vol. III, pag. 321 e 325. Gio. Arpean 
ai ss" di Ginevra, Annecy, 19 luglio, e Lione, 24 luglio 1546. — Anche 
parlavasi di offerta matrimoniale tra Em. Filiberto e Margherita di Valois, 
fatta dal Duca al re. Id., pag. 328. La Charité, 3 agosto 1546. 

(2) RicortI, Storia mon. piem., II, 12. — Em. Filiberto era allora de- 
corato del Toson d’oro, vedi id. e Arch. di Stato di Torino. Registri lettere 
della corte, ecc., fol. 129-30. Il Duca al Granvelle ed all’imper. Vercelli, 
20 luglio 1546. — V. su Em. Filiberto in Germania il mio Un gentiluomo, ece., 
pag. 23 e ss., TaLLone, Un vercellese, pagg. 174-80, e Vaccarone, Em. Fili- 
berto, ecc., pag. 287 e ss. Altre notizie trovansi in FriepENsBURG, Nuntiatur 
des Verallo, vol. II, (1546-47). Gotha, Perthes, 1899 (vol. IX della serie 
“ Nuntiaturberichte aus Deutschland ,, 1583-59), pag. 189, n. 205. Serristori 
al Duca di Firenze, Landshut, 17 agosto 1546. Il card. Farnese a S. Fiore. 
Neustadt, 25 agosto 1546. — La fonte principale sono pur sempre i Registri 
di lettere, cit. di Em. Filiberto e dei suoi consiglieri, dei quali pubblicò 
estratti il RicortI, Degli scritti di Em. Filiberto, ecc., pag. 119 e ss. 

(3) Arch. di Stato di Torino. Lettere principi, Duchi di Savoia, m. 4°. 
Il Duca al Michaud. Vercelli, 9 novembre 1546. 

(4) Arch. camerale di Torino. Conto tesor. gen. di Savoia, reg. n. 206, 
fol. 169-70, fol. 15t. 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 811 


Ma era destino ch'egli non dovesse rivedere giorni felici. 
Nella primavera del 1546 Gio. Caracciolo, principe di Melfi, fuo- 
ruscito napoletano, scendeva luogotenente del. re in Piemonte 
e metteva subito in ordine un esercito. di parecchie migliaia 
d’uomini. Era evidente che nei Francesi si rinnovavano le vel- 
leità guerresche (1). I timori crebbero quando improvvisamente 
il marchese del Vasto cadde infermo a Vigevano di malattia (2), 
che in pochi giorni (3) lo condusse al sepolcro, il $1 marzo 1546, 
mentre la sventurata marchesa ed i figli in tenera età strug- 
gevansi in lagrime (4). La fine rapida del marchese avveniva in 
un momento difficilissimo, quando i Francesi ingrossavano in 
Piemonte (5) e l’imperatore era assorbito nella nuova guerra di 


(1) Vaccarone, pagg. 286-87. — Sul Caracciolo v. D’ Ayara: Giovanni 
Caracciolo, principe di Melfi, duca d’Ascoli, in Archivio storico italiano, 
serie 8°, vol. XV (1872). 

(2) Arch. storico Gonzaga. E. esterni, N. XLIX, n. 3, b. 1667. Galeazzo 
Nuvoloni al card. Ercole Gonzaga ed alla Duchessa Margherita Paleologo. 
Milano, 18 febbraio e 24 marzo 1546. 

(3) Ja. Vigevano, 26 marzo 1546 (cifrata). “ Ognuno insomma è fuori 
di speranza, vedendo mass! che sua Ex* non si è anchor confessata nè 
communicata. Onde si teme che ei non se ne mora senza aspettare le cose 
sue nè dello spirito, nè del mondo ,. 

(4) Id. Vigevano, 27 e 30 (2 lettere) marzo 1546. — La rapida fine del 
marchese commosse forse il principe di Piemonte, che nell’anno prima aveva 
mostrato sdegno contro il defunto. Egli indirizzò allora una lunga lettera 
di condoglianza alla giovane vedova, offrendo i suoi servigi. — Arch. di 
Stato di Torino. Registri lettere della corte. Registro cit., fol. 52. Em. Fi- 
Hberto alla marchesa, Ratisbona, 14 aprile 1546. L'imperatore non dimen- 
ticherà certo i figli del marchese “ et quando lopera mia puotesse far 
effettual dimonstratione nelli rimasti successori di la voluntà et affettione 
chio portavo al deffuncto, si conoscerebe quanto desideroso sia di laugu- 
mentatione loro ,. 

(5) FrorentIno, Donna Maria d'Aragona, marchesa del Vasto, in “ Nuova 
Antologia, serie II, vol. XLIII (1884), pag. 227. — Arch. storico Gonzaga. 
Milano, 4 aprile 1546. Gio. Maria Luzzara a Sabino Calandra, castellano di 
Mantova. Milano, 8 aprile 1546. La marchesa è addoloratissima. “ Il mar- 
chese di Pescara (Francesco Ferrante, primogenito del Vasto) non ne fa molto 
lutto et puoco mostra di dolersine, il che è imputato all’età puerile in che 
egli è, ma Dio sa quanto nuocerà anco a lui l’haver perso un'indirizzo et 
una sponda tali. Don Cesare, suo fratello, di qualche dieci anni, è in una 
smania grandissima, et non fa altro che dire: “ voglio morire anch’ io, 
puoichè ho perso il mio s" Padre, in cui consistea ogni mia speranza et 
ogni mio bene ,. Et per quanto mi dice uno c'ha il suo governo, l’altro 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 54 


812 ARTURO SEGRE 


Germania contro i protestanti. Si facevano molti nomi per la 
successione del Vasto; chi parlava del duca d’Alba, Ferdinando 
Alvarez di Toledo, chi di D. Ferrante Gonzaga (1). La sorte 
cadde su quest’ultimo, che da lunghi anni aveva desiderato l'alta 
carica. Egli godeva fama di valentissimo capitano. Adoperando 
il duca d’Alba nella guerra coi protestanti, parve naturale al- 
l’imperatore di affidare al Gonzaga la direzione delle cose ita- 
liche. Ma questa scelta riuscì ben dolorosa agli interessi sabaudi! 


APPENDICE 


Doo: 1° 
1545 24 luglio, Worms. 


.CapIiLuPI CamiLLO AL carp. Gonzaga ED ALLA DucHessa MarGHERITÀ 
PareoLoco. Ingresso del Principe di Piemonte a Worms, incontrato 
fra gli altri dal marchese del. Vasto. Contegno freddo del principe 
col marchese. Feste date dall'imperatore per la sua venuta. 

(Arch. storico Gonzaga di Mantova, E. esterni, N.II, n. 3b. 442). 


“ Hebbe laltro heri di notte il s' Marchese un poco di gotta. Tut- 
tavia stette poi heri di notte assai bene, et heri fu ad incontrar il Prin- 
cipe di Savoia a mezzo il borgo, il quale venne alle 4 hore dopo il 
mezzo dì. L’imp° gli mandò mons” lo grande (2) et Monfalconetto con 
la corte, et il Re il conte di Salina, et tutti i principi del impero che 
qui sono vi mandorno le lor case incontro per essere anch’esso principe 
del Impero. Il Principe andava a man destra, e ’1 Marchese a sinestra. 
Il Principe vestito tutto di cremosino con cordelle di oro fatte ad ago, 
al giuppone, a cosciali, et al manto da cavalcare, il quale era fodrato 
di raso. Io l’andai ad incontrar più d’un miglio dicendogli che per saper 
io l’affinità et l’affettione di V. R®® et Ill Sti* verso sua Ecc* mi era 
paruto di andar affar mio debito. Di che mi ringratiò mostrandolo haver 
hauto a caro. Esso ha bonissima ciera et buon colore, nè pare di esser 
stato infermo. Andò a smontar diritto dal Imp° accompagnato sempre 
dal s°* Marchese, verso il quale parve ad alcuno non usasse quelle ce- 
rimonie che si desideravano. Perciochè senza fargli troppe parole egli 


dì il povero puttino si volea giettar giù d’una finestra di disperatione. Egli 
è maravigliosa cosa a sentirlo ragionare. Non si vede in lui altro che vero 
ingegno ,. — I figli del Vasto erano Francesco Ferrante, Inigo, poi cardi- 
nale, detto di Aragona, Cesare, Giovanni, Carlo, Beatrice ed Antonio. 

(1) Arch. storico Gonzaga, lett. cit. del 27 marzo 1546. 

(2) Il s" de Bossu, gran scudiere cesareo. 


stette 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 813 


se ne andò innanzi a smontar da cavallo presso la scala, e lasciò il 
s" Marchese a dietro, al quale, da ch’ei fu smontato, non si voltò manco 
a dirgli cosa alcuna, ma se ne saliò suso per la scala. Il Marchese stava 
a cavallo, overo aspettando che ei si voltasse per torne commiato, overo 
irresoluto se doveva smontare anch’esso, o pure aspettarlo così a ca- 
vallo che descendesse. Finalmente sì risolse di smontar, che già il Prin- 
cipe era tanto innanzi che più nol poteva veder. Et così io li lasciai 
andar et me ne venni a casa. Furono poi amendui la sera a cena con 
l’Imp"* et col Re et con li figliuoli, con mons" di Agosta (1), con li 
Nonti], gli ambasciadori di Francia, di Portogallo et credo anche di Po- 
lonia, et col gran mastro di Prussia a cena a casa del conte Palatino, 
perchè l’imperatore si trovò là, quando gli venne la nova del parto della 
ser"* Principessa (2). Eravi anco la moglie del conte con alcune (credo) 
sue nipoti piccole, et la moglie del secret° Naos (3) et una sua nipote in 
compagnia della s"* Contessa. Non scriverò come fussero vestite, nè come 
sedessero a tavola, perchè io non vi fu a vederli mangiar. Nè ho hauto 
tempo di informarmene. Dopo cena intendo che il conte fece venire un 
gran cervo nella sua corte, al quale lasciorno non so che bracchi grandi, 
con li quali il cervo scherzava di zampate, et i bracchi fecero una dolcis- 
sima musica già gran tempo fra loro concertata. La corte non è grande 
come è la metà del patro del castello da Mantova, il che giovava a 
tener più unite le voci. Finita questa un’altra se ne fece, la quale sentì 
anch'io da casa mia et tutta la terra; et infin la guarda della piazza 
armata vi corse. Et questa fu di uno foco arteficiato apparecchiato in- 
nanzi alla porta sulla strada, nel qual foco era una infinità di facelle, 
che in un punto con uno splendore grandissimo et con una salva bel- 
lissima di rumore molto maggior che d’archibugi, tutte ad un tratto 
scoppiano et s’inalzorno fin alle stelle. Lo splendore e ’1 rumore sì ‘vide 
per tutta la città, et se pur ci fu parte alcuna, dove non arrivasse, vi 
arrivò poi lo strepito de cavalli che stavano sulla strada intorno al loco 
dove si accese questo foco, li quali smarriti da così subito rumor et 
splendore si misero in fuga, et chi di qua, chi là. Io vidi il cap®° Chin- 
cichilara (?) et altri cap” che non potevano ritener i lor cavalli. Se ne 
tornorno poi a casa che poteva esser presso ad un’hora di notte. Et 
qui finio la festa, della quale se intenderò poi qualche altra particola- 
rità, non lascierò di scriverla... 

Ho inteso che l’Imp"° ha constituito provisione al Principe di Savoia 
di cinquecento scudi al mese per lo suo piatto ,. 


(1) Otto Truchses, vescovo di Augusta. 

(2) Maria di Portogallo, prima consorte di D. Filippo, principe di Spagna 
defunta in seguito al parto. Il neonato fu D. Carlos. 

(3) Naves. 


814 ARTURO SEGRE 


Doc. 2°. 


1545 80 dicembre, Vercelli. 


IstTRUZIONE DEL DucA AD UN INVIATO (1) PRESSO L'IMPERATORE. S. Ecc. è 
grata a S. M. Ces* del buon ricordo che serba delle cose sabaude, 
ma S. M. Ces* deve provvedere che i ministri imperiali abbiano 
maggior rispetto all'autorità di S. Ecc." e che i sudditi ducali non 
siano così di continuo rovinati e spogliati dalle milizie. Se quelli 
che attualmente ubbidiscono a Francia, vedessero meglio trattati i 
pochi rimasti fedeli, avrebbero un incentivo a ritornare sotto il do- 
minio sabaudo. Voglia quindi S. M. adoperarsi al rimedio dei mali 
presenti e ricordarsi, delle necessità che affliggono il ducato. 


[Arch. di Stato di Torino. Materie politiche. Negoziazioni con 
Vienna, mazzo 35 (da ordinare)]. 

Memoyre. 

Premierement. avoir presenté è sa maté la lettre de monseigneur 
aveques les accoustumeez treshumbles Recom®* Dira que, par les advys 
que luy donne continuellement monseigneur le prince son filz et ces 8" qui 
sont auprès de luy, tousiours myeulx Il sapperoit de la. bonne souve- 
nance que plaist è sa maté avoir de luy et de ses afferez Et la bonne 
protection en quoy luy plaist de le tenir, tout mondict seigneur ne le 
scauroit asses treshumblement Remercier. Quest conforme au bon et 
ferme expoir que dez tous temps Il a heu en sa maté. Et puisque les 
afferez sont è present aux termes de resoulution, Il a expressement 
despeché ledict gentilhomme pour luy supplier avoir è ce coup la sou- 
venance de luy, telle que pourte lentière fiance quil a tousiours  cons- 
stitué en sa mat$, Et quil a telle, que soit par paix, ou par guerre elle 
ne vouldra labandonner a une si bonne et Juste occasion de le resti- 
tuer en son bien. Car mondiet seigneur soy persuade toutellement et 
tel en a son expoir que, si les afferez se decident par paix, cella ne se 
puisse fère sinon moyennant son entière reintegration pour estre pre- 
sentement toutes chouses dependantz du pauvoir et bon plaisir de sa maté. 

Si aussi que Dieu ne vueille les afferez tomboyent en roupture, Plaira 
à sa Mt entendre que aux adversitez passeez mondict seigneur à esté 


(1) Il Duca sulle prime voleva mandare realmente un gentiluomo per 
compiere gli uffici indicati nell'istruzione. Poi inviò soltanto un corriere 
(‘ Charles le lacquaix , secondo la lettera. del 30 dicembre (2°) del Duca 
ad Em. Filiberto, vedi Arch. di Stato di Tor. Lettere principi, Duchi di 
Savoia, m. 3°), ritenendo il figlio ed i gentiluomini del seguito sufficienti 
all’azione presso l’imperatore ed i suoi ministri. Raccomandò però ad Em. 
Filiberto di consigliarsi sempre col s" di Leynì, Giacomo Provana, e con 
Luigi s' di Chatelard prima di agire, #d., loc. cit., Vercelli. 


EMANUELE FILIBERTO IN GERMANIA, ECC. 815 


si peu respecté et mal trecté par ses ministres, que luy seroit impos- 
sible de pouvoir plus avant continuer aux termes de subgection ou Il 
a esté reduit Jusques à maintenant. Car de voir ses subgectz paouvres 
foullez et Ruynez, de se veoir aussi mondict seigneur sans aulcun 
moyen de pouvoir aidez et soubvenir aux grantz afferez, facheries et 
travaulx que supportent ses subgectz, Si par le passé luy a esté dur à 
les suppourter, moins luy sera il comportable è ladvenir, Joint que 
lesdicts subgectz se trouveront en tout frustrez de lespoir quilz ont 
destre aidez et soubvenuz par mondict seigneur, Silz voyent quil ne 
soit aultrement favorisé de sa diete maté. 

Et quant sa Maté prendroit tant de fiance de mondict seigneur quil 
lui pleust lui donner' charge, par laquelle Il puisse fère entendre è ses 
subgectz l’asseurance quelle a de luy, Il se parforerait è tellement les 
disposer è se mectre hors de la captivité des ennemys ou Ilz sont, que 
sa Mat en seroit myeulx servie, Et tant plustost mondict seigneus se 
trouveroit hors de la poyne ou il est. Et est à croyre que, si par le 
passé on les heust tenuz en lestime et reputation que lon debvoit. Je 
dis ceulx que pour la devotion quilz ont è sa maté et pour lamour et 
affection quilz pourtent è leur seigneur et prince, ont laissez leurs biens 
et fortunes pour suyvre leur debvoir, les afferez heussent aultrement 
succedez et plus è la satisfaction de sa mat consolation et repos de 
mondict seigneur et de ses subgectz. 

Pourquoy mondict seigneur supplie sa maté comme que ce soit que 
les afferez ayent è prendre fin quil plaise lavoir en telle recommandation 
que merite la longue patience quil a heu lamoff: et singulère affection 
quil luy a porté et pourte continuellement, Que fait quil soy persuadé 
toutellement que sa maté ne le mectra en aoubly, Ains jouxte la bonne 
coustume en aura bonne souvenance en temps et lieu, Quil luy plaise 
aussi ordonner a mondict seigneur ce quil aura a fère. Car comme 
Jusques cy Il set tousiours guidé soulz lombre, protection et bon plaisir 
dicelle, Il ne sera Jamais recreu dy continuer à ladvenir et obeyr a 
tout ce que plaira è sadicte maté luy commander, Et oultre le bien et 
faveur que plaira à sa Mt! luy fere, Il se parforera tellement de son 
cousté cellon sa pauvreté, quelle cougnoistra le desir quil a de luy fere 
service et de liberer luy de ses subgectz de la captivitè ou Ilz sont. 

Fait è Verceil le devant dernier de decembre mil v° quarante cinq. 


Charles. Valliet. 


L’Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi. 


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CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 14 Giugno 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Berruti, NACCARI, SPEZIA, SEGRE, 
Peano, JADANZA, Foà, GuarEscHI, Guipi, FrLeTI, PARONA, MAT- 
TIROLO, MorERA, GRASSI e CAMmERANO, Segretario. 

Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente. 

Il Presidente annunzia la morte del Senatore Luigi CREMONA 
Socio nazionale non residente, e comunica di avere incaricato 
il Socio nazionale non residente Senatore CanwIZzARO di rap- 
presentare l'Accademia ai funerali e di porgere condoglianze 
alla famiglia. 

Legge la lettera dell'Istituto Lombardo colla quale si an- 
nunzia la morte del Senatore CreMoNnA suo Socio effettivo. 

Comunica inoltre la lettera del Preside della Facoltà di 
Scienze dell’ Università di Roma, con cui annunzia che detta 
Facoltà unitamente alla Scuola di Applicazione per gl’Ingegneri 
in Roma hanno preso l’iniziativa per una sottoscrizione interna- 
zionale per onorare la memoria del compianto Senatore CREMONA. 
Le modalità della sottoscrizione verranno comunicate in seguito. 

Il Presidente D’Ovipro legge un cenno necrologico del com- 
pianto Socio nazionale non residente Senatore Luigi CREMONA 
che verrà inserito negli Aftî accademici. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 55 


818 


Il Socio Gui fa omaggio della sua pubblicazione intito- 


lata: Prove alla compressione sulle murature di granito d’ Alzo e 


gneiss di Borgone. 


Vengono presentati per l’inserzione negli Atti i lavori 

seguenti : 

1° Alcune proprietà delle funzioni simmetriche caratteri- 
stiche, del Dr. G. Z. GIrAMBELLI, presentata dal Socio SEGRE; 

2° Sopra alcuni avanzi di Cervidi pliocenici del Piemonte, 
del Dr. G. De ALESSANDRI, presentata dal Socio PARONA: 

3° Contributo allo studio della dispersione elettrica nel- 
l'atmosfera, del Prof. G. B. Rizzo, presentata dal Socio NACCARI; 

4° Comportamento dell’ossido di carbonio nell'organismo, 
del Prof. Piero Giacosa, presentata dal Socio GUARESCHI; 

5° Ricerche sull’acido colico, del Dott. Lodovico BEccARI, 
presentata dal Socio GUARESCHI; 

6° Condensazione dell’etere cianacetico coll’aldeide cinna- 
mica ed il piperonalio, del Dott. Galeazzo PiccinINI, presentata 
dal Socio GUARESCHI; 

7° Sulla amidrite micaceo dolomitica e sulle roccie  decom- 
poste della frana della galleria del Sempione, nota del Socio SPEZIA; 

8° Ricerche petrografiche sulle Valli del Gesso (Valle della 
Meris e Rocca Val Miana), del Dr. Alessandro Roccati, pre- 
sentata dal Socio SPEZIA; 

9° I sistemi canonici d’equazioni ai differenziali totali nella 
teoria dei gruppi di trasformazioni, del Socio MoRERA; 

10° Sopra alcune equazioni fondamentali nel problema degli 
n corpi, del Prof. Paolo PizzertI, presentata dal Socio MorERA: 

11° Sulla integrazione per sostituzione, del Dr. Francesco 
GruDICE, presentata dal Socio PEANO; 

12° Sulla rigenerazione dell'epitelio intestinale nei pesci, 
del sig. Enzo Bizzozero, presentata dal Socio Foà;. 

Il Socio CAMmERANO presenta per. l'inserzione nel volume 

delle Memorie accademiche un. suo lavoro intitolato: Ricerche 


MI n 


819 
intorno alla Talpa romana, Orfield Thomas, ed altre forme di 
talpe europee. La Classe con votazione segreta all’unanimità dei 


votanti approva l’inserzione di detta Memoria nei volumi delle 
Memorie accademiche. 


Raccoltasi quindi la Classe in seduta privata procede alla 
elezione di Soci stranieri e di Soci corrispondenti, e riescono 
eletti, salvo l'approvazione Sovrana, i seguenti signori: 


A Soci stranieri: 


Prof. Giovanni Gastone canne 
» Giulio Enrico PorncaRÉ dell'Istituto di Francia: 
s Enrico MoIssan 


Prof. Dr. Federico Roberto HeLMERT, Direttore del R. Istituto 
Geodetico di Prussia in Potsdam. 


A Soci corrispondenti: 


1) nella Sezione di matematiche pure: 
Gerolamo Giorgio ZEUTHEN prof. nell’ Università di Copenhagen; 
Davide HrLBERT, prof. nell'Università di Gottinga; 
Adolfo MAvyER, prof. nell'Università di Lipsia; 


2) nella Sezione di matematiche applicate, astronomia . 
e scienza dell’ingegnere civile e militare: 


Paolo PizzertI, prof. nella R. Università di Pisa; 


3) nella Sezione di fisica generale e sperimentale: 


Guglielmo Corrado RonteEN dell’Università di Monaco; 
Enrico Lorentz dell’Università di Leida; 


4) nella Sezione di chimica generale ed applicata: 
Giacomo DewaAr dell’Università di Cambridge (Inghilterra); 
Giacomo Cramrcian della R. Università di Bologna; 
Augusto Picci del R. Istituto di studi superiori pratici e 

di perfezionamento di Firenze; 


820 


5) nella Sezione di mineralogia, geologia e paleontologia: 
Francesco Bassani della R. Università di Napoli; 
Arturo IsseL della R. Università di Genova; 

6) nella Sezione di botanica e fisiologia vegetale: 
Giulio WiesnER dell’Università di Vienna; 
Giorgio KLeBs dell’Università di Halle; 
Saverio BeLLi dell’Università di Cagliari; 

7) nella Sezione di zoologia, anatomia e fisiologia 

comparata: 

Felice MarcHAND dell’Università di Lipsia. 


ENRICO D'OVIDIO — LUIGI CREMONA - CENNO NECROLOGICO 821 


LETTURE 


LUIGI CREMONA 


Cenno necrologico letto dal Socio ENRICO D'OVIDIO. 


Al profondo rinnovamento degli studî di Geometria avvenuto 
nella prima metà del secolo decimonono mediante il metodo pro- 
lettivo, per opera principalmente di PonceLET, M6BIUS, STEINER, 
ChasLes, PLickeR, StAUDT, l’Italia prese splendida parte nella 
seconda metà di esso secolo, e primi ad entrare nel nuovo ar- 
ringo furono tra noi Giuseppe BartAGLINI e Lurgi CREMONA. 
Quegli già da nove anni è sceso onorato nel sepolcro, ed ora 
questi lo segue fra il compianto di tutti gli scienziati del mondo 
civile, e particolarmente della nostra Accademia, che si onorava 
di annoverarlo fra i suoi Soci nazionali non residenti. 

. Il nome illustre di Lurer CreMoNA rimane registrato negli 
Annali della Scienza come quello del più originale e più potente 
geometra, in senso stretto, che abbia avuto l’Italia nel secolo 
decimonono, e come uno dei primeggianti nella nobile schiera 
internazionale guidata dai sommi dianzi nominati, e nella quale 
militarono CLeBscH, Hesse, CAyLey, KumwmER ed altri insigni. 

I caratteri più spiccati della figura scientifica del CREMONA 
sono: una grande chiarezza ed eleganza di idee e di esposizione, 
un sapiente e felice connubio fra i procedimenti analitici e i 
sintetici con predominio di questi ultimi, un concetto ampio ed 
organico delle alte questioni geometriche. Ne fanno testimonianza 
tutte le sue pubblicazioni, fra le quali sono ormai classiche: 
l’Introduzione ad una teoria geometrica alle curve piane e i Preli- 
minari ad una teoria geometrica delle superficie, due brevi trat- 
tati fondamentali, mirabili per unità ed agilità di metodo; il 
Memoire de Géométrie pure sur les surfaces du troisiòome ordre, 
che ottenne il gran premio Steiner dall'Accademia di Berlino; 
le memorie sulle Trasformazioni razionali nel piano e nello spazio, 
le quali introdussero nella scienza un concetto nuovo, di capitale 


822 ENRICO D’'OVIDIO — LUIGI CREMONA - CENNO NECROLOGICO 


generalità ed importanza, d’inesausta fecondità; le ricerche sulle 
Figure reciproche nella Statica grafica, che bellamente adattano 
dottrine geometriche a scopi pratici; gli Elementi di Geometria 
proiettiva. Furono specialmente codesti lavori che, tradotti in 
molte lingue straniere, procacciarono al CrEMonA una fama mon- 
diale; ma accanto ad essi vogliono esser ricordati quelli sulle 
curve sghembe di 3° e 4° ordine, sulle superficie sviluppabili di 
4° e 5° ordine e gobbe di 3° e 4° ordine, sull’ipocicloide tricuspi- 
dale, sull’esagramma mistico, ed altri molti che non ho qui agio 
di enumerare. 

Nato a Pavia il 7 dicembre del 1830, Lurcr CrEMoNA in- 
terruppe gli studî nel 1848, ed infiammato di amor patrio mi- 
litò per un anno e mezzo nelle file dei volontarî, prendendo 
parte all’ eroica difesa di Venezia sino alla capitolazione. Si 
addottorò poscia a Pavia, dov’ebbe maestro il BrioscHI e com- 
pagni BeLTRAMI e CasoRATI; insegnò nel Ginnasio di Cremona 
e nel Liceo Beccaria di Milano; nel 1860 ebbe la nuova cat- 
tedra di Geometria superiore a Bologna, donde nel 1866 passò 
al Politecnico di Milano insegnandovi pure Statica grafica, e di 
là nel 1873 si trasferi a Roma come professore di Geometria 
superiore all’Università e direttore della riordinata Scuola per 
gl’ingegneri. 

Fu insegnante assai efficace; fra i suoi discepoli, oltre i 
compianti CaporaLi e De PaAoLIS, contiamo il BertINI, il VeRo- 
nese ed altri valenti. Come membro e vice-presidente così del 
Consiglio superiore della pubblica istruzione come del Senato 
del Regno, come ministro (purtroppo per meno di un mese), il 
CREMONA esercitò continua, salutare ed autorevolissima azione 
a prò delle scuole medie e superiori, difendendone sempre la 
dignità e promuovendone il progresso. Il suo contro-progetto di 
legge sull'istruzione superiore è opera in molte parti egregia e 
degna di attuazione. A lui si deve l'introduzione della Geometria 
proiettiva e della Statica grafica nel pubblico insegnamento. 

Uomo integro, rigido, ebbe forte il sentimento del dovere 
e per sè e per gli altri. Si potè dissentirne in qualche giudizio 
su persone o cose, ma non mai misconoscerne la buona fede. 
Entrandogli in familiarità si osservavano in lui impeti di espan- 
siva ammirazione o di sdegnoso disprezzo, che rivelavano una 
natura ricca di sensibilità, avida del bello, insofferente di ogni 


GIOVANNI ZENO GIAMBELLI — ALCUNE PROPRIETÀ, ECC. 823 


meschinità. Molti lontani ricordi mi si affacciano alla mente di 
belle ore trascorse presso lui e la sua buona famiglia lassù a 
S. Pietro in Vincoli, con Beltrami, Casorati, Cossa, ..... Quante 
morti, quanti rimpianti! 

Da parecchi anni, prima perchè assorbito dalle cure dei varî 
ufficì, poi perchè indebolito di salute, egli erasi arrestato nella 
produzione scientifica; ma gli effetti della precedente geniale 
operosità perduravano. Da qualche tempo si temeva che egli 
potesse mancare da un giorno all’altro, e ciò purtroppo è se- 
guìto il 10 di questo mese. Gravissimo è il lutto della scienza 
e della scuola, della famiglia e degli amici. Ma la morte per 
Luis: Cremona non è V'oblio, è l'ingresso glorioso nella Storia 
della Geometria. i 


Alcune proprietà delle funzioni simmetriche caratteristiche. 
Nota di GIOVANNI ZENO GIAMBELLI. 


Analoga alla questione risoluta dal teorema fondamentale 
sulle funzioni simmetriche è quella che si propone di poter fis- 
sare delle funzioni simmetriche di grado d nelle xo, x, ...,%, le 
quali siano linearmente indipendenti e tali che ogni funzione 
simmetrica razionale intera di grado 4 nelle x si possa espri- 
mere linearmente in esse. Dalla nota fatta nella pagina 6 risul- 
terà che il problema proposto è risolubile in infiniti modi e che, 
per esempio, un gruppo di funzioni soddisfacenti al problema 
sono quelle funzioni simmetriche, quozienti di un determinante 
di Vandermonde generalizzato per il determinante di Vander- 
monde (semplice), che per tale ragione noi chiameremo funzioni 
simmetriche caratteristiche. 

Scopo principale di questo lavoro è però quello di dimostrare 
un principio di dualità relativo a tali funzioni simmetriche carat- 
teristiche, principio che fornisce il modo di costruire delle identità 
tra le dette funzioni, identità che hanno una speciale importanza 
nella Geometria Numerativa. Questo principio di dualità, come 
risulta dall’osservazione relativa al $ 11 di una mia memoria (*), 


(*) Risoluzione del problema degli spazì secanti, “ Memorie della R. Acc. 
delle Scienze di Torino ,, (2), 52, 1902. 


824 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


i 


non è altro che l’interpretazione simbolica della legge di dualità 
applicata alle condizioni caratteristiche imposte agli spazîì a più 
dimensioni di un dato iperspazio. Dalla mia memoria ora citata 
e specialmente dal $ 13 è facile dedurre altre notevoli proprietà 
delle funzioni simmetriche caratteristiche, che per brevità omet- 
.teremo. Per l’importanza di alcune applicazioni fatte nei $ 5 e 6, 
come per la dimostrazione, fatta nel $ 7, di una notevole for- 
mola dello ScHuBERT si confronti il $ 8. 


1. — Definizioni. — Simboli sommatorii. 
Con }Ho, Ri, «ht (essendo le & numeri interi positivi o 
nulli) indicheremo la funzione simmetrica 


peer Motte IUglo 
sa iuruov ile 

SCA 
DIR OLE, IE, Rn 


ove X è il determinante di Vandermonde 


» 4 1 
delli teoria sil 
x5 3 xi 

5 Lato ; 


relativo alle lettere x, x1, ...,0,. Se si ha 0O<RM<h1<...<hsa<h, 

allora la funzione simmetrica } ho, Ri, ..., 2,4 sarà chiamata fun- 

zione simmetrica caratteristica. 
Indicheremo poi con ‘S) (i=0, 1, .... s+1) la funzione sim- 


Ce 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 825 


metrica fondamentale Xxo x... Xi, con VE! (i =0, 1, 2,...) la 
funzione aleph (secondo WrRoxsKI) di ordine è delle 0, 1, ...%,; Cioè 
la funzione simmetrica che risulta dallo sviluppo (ro+x1+...+%,)î, 
quando in luogo di ciascuno dei coefficienti polinomiali si ponga 
l’unità, Per convenzione Sî = VE = 1; inoltre valgono le re- 
lazioni: 


SO =}0,1,...8s—-d4s—0+2,..,s+ 1 {i=0,1,...,5+1), 
VEA—:0, 1,51, 8410) G=0,1,2, ..). 


Essendo @ un simbolo funzione di certe variabili è, iu, 
«+ i (p= 0), indicheremo con 


2; © 

(7;p;1) 
la somma di tutte le ©, nelle quali è, è, ..., i, sono numeri, la 
cui somma è r e ognun dei quali vale zero oppure uno. 

Se poi @ è un simbolo funzione di certe costanti 4o,/,,...; ty 
(0<M<h<...<hp1<hp) e di certe variabili î, î, ....%, allora 
h 
Zi © 

(7;p) 
indicherà che la sommatoria è estesa a tutti i valori interi 
positivi o nulli delle è per cui 


enni] weeudio.,p_-1), iotàt.. + b=r. 


ul 


2. — Relazioni fondamentali sulle funzioni simme- 
triche caratteristiche. 
Evidentemente si può scrivere: 


(1): }r0, lying dat SAS is rta, yi 


(r;s;0) 
Indichiamo ora con A un simbolo operativo tale che, detto gp‘? 
un qualsiasi polinomio (funzione razionale intera) nelle #0 £1;...4%s, 
PP AV Hos hi, see, hs! 
indichi ciò che diventa gp’, quando in luogo di ogni suo ter- 


mine x; xf ... ef» si ponga |lo + cor 1 +01 leto. 
Quindi la formola (1) si può scrivere: 


troy i SASHA rh dal 


826 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


Osservando che se più funzioni 9! soddisfano all’equazione 
simbolica 


(2) hoy hi, sta) kh, i pi né pl A lo hi, Per h;i ’ 


soddisfa pure all’equazione (2) ogni funzione uguale alla somma, 
oppure al prodotto, delle dette funzioni, per una nota proprietà 
delle funzioni simmetriche si concluderà che all’equazione sim- 
bolica (2) soddisfano tutte le funzioni simmetriche razionali 
intere (*). 


(#) Detta 9!) una qualsiasi funzione simmetrica di grado &@ nelle x, 
posto hi= è (i=0,1,...,s), dalla (2) si deduce: 


2) gl) = FIA }0,1,...,81, 


dalla quale relazione risulta che @!) si esprime linearmente nelle funzioni 
simmetriche caratteristiche di grado @ nelle «. 

La formola (2') è il teorema I (teorema attribuito a P. Gorpan) della 
nota di E. D. Ror [Note on Symmetrie. Functions È American Journal of 
Math. ,, 25, 1903, pag. 97]. L’altro teorema contenuto in questa nota del Roe 
segue subito dal teorema I, applicando la formola duale di quella del Trupi 
(cfr. pag. 16). Il metodo usato dal Roe è affatto diverso da quello seguito 
nel nostro lavoro. La relazione (2) poi, nel caso in cui g sia una funzione 
simmetrica razionale intera, costituisce una formola contenuta implicita- 
mente in Murr [Determinanten, 1882, pag. 176, $ 129]. 

Dimostriamo ora che le funzioni simmetriche caratteristiche di grado d 
nelle x, x, ..., s sono linearmente indipendenti. 

Siccome tale proprietà è evidente qualunque sia d, se s=1, come 
pure qualunque sia s, se 4=1, basterà dimostrare che essa vale per 
s=s-+1(s21) d=d'+1(d=1), ammettendola vera per s=s,d=d'+1 
e pers=s' +1, d=d'—s'. 

Perciò supponiamo che esista una identità Ix+1="0 relativa alle fun- 
zioni simmetriche caratteristiche di grado d' +1 nelle x0,% ..., &st, Lst+l. 
Decomponiamo in due parti I'at1, I"a+1 il primo membro L+1 di questa 
identità; nella 1* parte I'a+1 porremo solo le funzioni simmetriche carat- 
teristiche } o, 24, ...,4s', Wsr41{( nelle quali X0=0, nella 2* le rimanenti, 
cioè quelle in cui 2, >0. Ora se esiste effettivamente la /'a-+1, poichè 
la Ir4, per £y41=0 diventa la Z'a+1 per xs41=0, si trae che dovrebbe 
esistere una identità nel caso di s=s, d=d'+-1, il che è assurdo per 
ipotesi. Se invece non esiste effettivamente la I'a+1, allora si potrà divi- 
dere la Zr+r per 2% ... t1sds11 e quindi dovrà esistere una identità di 
grado d'— s' nelle x, 21; ...,£*, Xs+1, il che è assurdo per ipotesi. Dunque 
è provata l’indipendenza lineare delle funzioni simmetriche caratteristiche 
dello stesso grado. 

Di qui si trae poi che la quistione enunciata in principio di questo 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 827 


In particolare si trae: 
ire ere = PRA L90 Dali 


Supponendo ora che }ho, #i, ...,#} sia una funzione sim- 
metrica caratteristica, dimostriamo la formola: 


(3) {hoy hi, 009 ht) p Va) = 20 A6 — do hi - ds 009 h, -- Ù, pel. 


(755) 


Questa formola si verifica subito, quando s=1, qualunque 
sia 7, come pure qualunque sia s, se r == 1; quindi per provare 
che è sempre vera, basterà dimostrare che è tale per = r'+- 1 
(121), s=s# +1 (821), ammettendola vera per r= "+ 1, 
s=s' e perr=r’,s=s5+1 

Indicando semplicemente con V, ciò che diventa Y®, quando 
s=s"4+1, e con V, ciò che diventa V,, quando si faccia 
Xs4+1= 0, segue subito: 


Vorzi = Vo. Xs'+1 + LUART 
e quindi: 
tho, hi, DOGE) hs, hyi41 po È Ve4a csi Versi A )hos ha, 0009 hy, hs:41| ua 
= V, A sho; hi, ‘013 hs, hs41 ca f h — Viz1A}ho; hi, DIRTI RS hy41 } . 


Ora osserviamo che Vy A}ho, hi, ...: hg; hs+1-+ 1} è uguale a 


big, has + 1024 
cioè, per l'ipotesi fatta sopra, uguale a 


( Fa +io, ha tin n he Lins he +14 is41{"). 
r';8'+1) 


Decomponiamo i termini di questa sommatoria in due 
classi Y, Y,; nella prima, cioè nella Y, porremo i termini per 
cui i <hy41 — hy— 1, nell’altra i rimanenti, cioè quelli per cui 
is =hy+1—hy . Si vede poi facilmente che V,:41A}Roylt1,..hs'hs' +11 
è uguale al prodotto della funzione simmetrica caratteristica 


lavoro è risolubile non solo in un modo, cioè colle funzioni simmetriche 
caratteristiche, ma in infiniti altri modi. Dalla (2°) si deduce anche che se 
sono numeri interi i coefficienti della funzione simmetrica @!), sono pur 
tali i coefficienti dell’equivalente espressione lineare nelle funzioni simme- 
triche caratteristiche. 


828 ‘ GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


}hos hi +5 hs {® (nelle «0, &1, ..., %s) per V'y+1; quando però in 

luogo di ogni funzione simmetrica caratteristica } ho', hi", ..., H',}E° 

(nelle xo, %1; ..., €s) si ponga la funzione simmetrica 3}ho', k1', ...3 

hs, h's41® (nelle xo, 21, ..., 184, 1541). Cioè, tenendo anche conto 

dell'ipotesi fatta sopra, si potrà scrivere: 

V' 0418} ho, his, i hse, hg t= EM hot do, ha + 15 his 4 ig his 4AtA. 
(141; 8°) 

Decomponiamo i termini della sommatoria del secondo 
membro in due classi W, Y,'; nella prima porremo i termini 
per cui 2 < Ays41 — hy— 1, nell’altra, cioè nella Y,', i rimanenti, 
ossia i termini per cui îs > hy41— hs. Riassumendo si trae: 


ia; hi, ‘009 hy ’ hy41 (a) ° Veri _ y + Wi LL ue + LALA 


Siccome Y, + 9; = 0, si conclude che il secondo membro 
dell'ultima relazione è uguale a 


( prgn, + fo, ha dis i he 4 ds, hsga + î4149 c. v. d. 
r'dsl;:sì 


Trorema. — Indicando con 
ln; Mist st Ve (0=2<5) 
numeri interi positivi, tali che sia 
I<hi<hrs1<..<hs<hs, 
h+ hr + +hR<SHN+(0+1)+...+s]+s+1, 
vale la formola : 


(4) FORT Mah h,{? = 
i=h! 


—@ } (— 1)it1t0, i, vang 1-1 3 hi ==: Ti hirsis net ht 7 SO) a 
III 
+ (— tie d; 0, 1, 109 Ll- 1a A lisa + Ù141, 0009 h; + i, tl), 
1) 


(hs; 
Anzitutto si potrà scrivere: 


a=h,_1 


X (— 1)°}0, di 00; vas IL h, — i, ha; Ha ht 3 St) sue 


e=0 


i=h—l 
là | C{u, Miant-ti.80) AIA sdiarianla;ddttocsi 
t=0 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 829 


Se è X—=s+ 1, e quindi /=s (per la restrizione re- 
lativa alle 4), allora il secondo membro dell’ultima relazione è 
identicamente nullo, onde si conclude che in tal caso è vera la 


formola (4). . 
Se è ll — (<s+ 1 sarà 
i=h,-! 


2 (1fahrri. SAZ= Sh, 
i=0 


ove S'n-1indica ciò che diventa Sh,-,, quando si faccia 2,= 0. 
Procedendo in modo analogo a quello usato per eseguire l’espres- 
sione simbolica V',414 }Po; h1; «3 hs'; hy411, considerata per dimo- 
strare la formola (3), si conclude che $',-14}0,1,..../—1,2,Zu+1-Ms| 
è identicamente nullo, se X,>s, ed è invece uguale a 
(1); (0, 1, ..., 1,2; lt day a Ret, 


(h;-t;s;1+-1) 


se k,<s. Quindi anche nell’ipotesi 4, — (<s +1 è vera la for- 
mola (4). 


8. — Definizione del gruppo duale d’un gruppo di dati 
numeri — Proposizioni relative alla ricerca del principio di 
dualità nelle funzioni simmetriche caratteristiche. 

Se ho, hi, .... hs sono s+ 1 numeri interi tali che 


O0<hR<h<..<hsa<hZ8+t+ 1, 
diremo che TREE come #*"° sruppo duale, il gruppo dei 
numeri £o, ki, .... 7, soddisfacenti alle disuguaglianze 
Osk<k<..<k-<k5S84t4+1 
e inoltre tali che la serie dei numeri 
ko, ki, «sky s+t+1—h, s+t+1—h, ....85+t+1—-%, 


sia una permutazione dei numeri 0, 1,...,8+#+1. Quando i 
numeri ho, 4, ..../, non soddisfano alle disuguaglianze di sopra, 
allora non esisterà il #"° sruppo duale, se poi non sono soddi- 
sfatte le disuguaglianze 


0<ho<hi <il <hr <a; 


830 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


allora non esisterà nessun gruppo duale. Evidentemente se 
korki, «sk è il #° gruppo duale del gruppo %o, 4; ...,%, allora 
l’gsimo eruppo duale di Xo, &1, 34, Sarà il gruppo Vox H1y «5 Ls. 

Premesso questo, se }ho, h1, ..., 7,{9 è una funzione simme- 
trica caratteristica tale che X,<s+t+1, allora, detto Ko, k1,..., 4 
il #5m° eruppo duale dei numeri o, hi, ..., 7, il simbolo 


3-85 ko; ki, SOCI) kt 
designerà la funzione simmetrica caratteristica }Mo, Ri, +, 2}. 
Quindi si può dire che il simbolo }s; Xo, k1, ..., &,}? designa la 
funzione simmetrica caratteristica }Ho, #1, ...:/4 (ove Royhti;-;h, 
è ]'ssimo eruppo duale del gruppo Xo; #1; ...; #;), se sono soddisfatte 
le disuguaglianze 
O<k<k<...<ka<k<s4t4 1; 


altrimenti }s; ko k1, ...+%;{ designa una funzione identicamente 
nulla. 

Lemma. — Indicando con ko; ki; ««., Ki dl t9° gruppo duale dei 
numeri ho, hi, ... bs, se bh +r<sS+t + 1, vale la formola: 


(5) 385 osti, a Va = Zi; ko + do kr 4iss ke 49. 
(r:t:0) 


Rappresentiamo col simbolo (7, /u41; è) (V=0, 1, ..., s) la 
serie dei numeri 
s+t+1-lhnt 1h s+t+1-h%ayut 2, st++1- Ah], 
s+t+1—-, 
quando si tolga il numero s+t#+1—/4,— (essendo l’in- 
tero è, tale che 0 £è, ln — ln —-1). Analogamente (4,; è,) rap- 
presenterà la serie dei numeri 
0,1,...Ss+t+1T-%,, 
quando si tolga il numero s+t41— 4, —i (essendo l'in- 
tero i, tale che 0<i,<“s+t#+1— 4), infine con (4) 8 indi-. 
cherà la serie dei numeri i 
s+t+1—-hk+1s+t#+1—-Wh%h+2; ... S+t#+1. 
Quindi si trae che il secondo membro della (5), esclusi i ter- 
mini }5; fo t-éo, E14-î1; + rt, | identicamente nulli, è uguale a 
20 is; (45; i), (hr h,: iu), "0° (Ko, hi; io), (ho). 


(135) 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 831 


Siccome tra i termini di questa sommatoria e quelli del- 
l’altra 


20 ho + dor hy HH î1 Dic) hs Cc 0° 


(55) 


è individuata una corrispondenza biunivoca senza eccezione, 
quando si considerino come corrispondenti due termini aventi 
gli stessi valori per le do; t, ..., è, si conclude subito che la 
formola (5) è conseguenza immediata della (3), essendo due ter- 
mini corrispondenti uguali tra loro. 

TroRrEMA. — Considerando le funzioni simmetriche caratteri- 
stiche di t 4-1 lettere yo, Yu --,Y se indichiamo con hi, hi, +. Ds 
(0 <2<s) numeri interi positivi, tali che sia 


l<h<hij < ARS ZIT) 


pla Pia FRE (+1) Lt +41, 
allora vale la formola : 


(6) 3t; 0, i, DINT 1-1, hi, hi or hi —_ 
i=h,1 


= X(—1)°}t;0, 1,..,/—-1, i, lag i RIO. VO + 
i=1 


ETA Mot LIL Gr. 


(h-4s;141) 
Eseguendo i due prodotti 
30, 1... 2-1, nd, ray, +05 My 100 + 87) 


305 0, ‘la 0009 L--1, hi, lisa 2009 ht. VAL 


rispettivamente per mezzo delle formole (1) e (5), ed escluse le 
funzioni caratteristiche identicamente nulle, si trae che ad ogni 
funzione simmetrica caratteristica }Xo', #4, ..., 2 | risultante dal 
primo prodotto si può associare nel secondo prodotto la funzione 
simmetrica caratteristica }t; #0", A", ..., h'{). Tenendo conto delle 
disuguaglianze relative ai numeri /o, 41, ...:5y si ricava che la 
corrispondenza così definita è biunivoca senza eccezione; quindi, 
siccome per la (4) vale: 


832 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


i=h—! 


(a 1)f#1}0, 1, .) l — l, h—î, hizr ris ht È St) == 
i=1 cai 
P } 0, È; DOLL) Ll—- :R hy hi L13 +00 ha 


== { )}= x; 30, R nb Sori L, A ha - Ù41 «009 hs + it), 
(h—s; H1) 


si conclude subito una formola equivalente alla (6). 


4. — Il principio di dualità nelle funzioni simmetriche 
caratteristiche. 
Teorema. — Essendo t<s, le relazioni 


sa 7W (i=1,2,..,t+1), 


considerate come atte a definire le Yo,Y1,--+Y1 mediante le Xo,X13--:+Xs 
(e non viceversa in generale), mutano ogni funzione simmetrica ca- 
ratteristica 3ho,h1;...,h,{® (relativa alle x) tale che 


hot hi +. +) < ee) +t+1 


nella funzione simmetrica caratteristica }t; ho, hi, ..., h:|! (rela- 
tiva alle y). 

Il teorema enunciato sarà vero, se si dimostra che per le re- 
lazioni SP = VY (= 1, 2,...,4, t + 1) ogni funzione simmetrica 
caratteristica }0, 1, ...,/—1, 7, la; -.., h{®, tale che 
h+hx+.+h50+ (+1) +...4+s]+#+1 (0</<5s), si muta 
nella funzione simmetrica caratteristica }t;0,1,...1—1,lyl4y-ht®. 
Questa proprietà si verifica subito quando = s, perchè basta 
osservare che è vera per A,=a-+1, quando si supponga tale 
per A,<@. Quindi la proprietà in considerazione risulterà vera 
in qualunque caso, se si dimostra vera per fr=a+1 (20), 
supponendola tale per 4 <@ e supponendola pur vera per / mag- 
giore di l'. Tenendo conto di tale ipotesi, per la formola (4) si 
trae che le relazioni S® = V® mutano la }0,1,...,/—1,a+1, 
hir41 0-5 hi in 
i=a+l— 

E Jen 1)î41}t; 0, 1, ....l —1,a+1—î, Hr41, 4, ht) VOL 
da (— 1)941- X;}t; 0, 1, ..,. 0/1, hrs + ir, gti, 
(a+1—l;s;7+1) 
cioè per la formola (6) in 


}t;0, 1, a, l —1,0+1, rt, h {© CIV, 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 833 


Coi simboli /,, Li, ecc. indichiamo funzioni razionali intere 
nelle funzioni simmetriche caratteristiche di s+1 lettere x0,%1;...,%,, 
oppure di d +1 lettere xo, 21, ..., vi, ecc. 

Sia /J=0; se in luogo di ogni funzione simmetrica caratte- 
ristica } lo; Hi; +..,%:{ contenuta in /, si pone la funzione sim- 
metrica caratteristica }0,1,..,.d—s—1, h+-d—s, h+d—s, ..., 
h4d—s{©) relativa alle d+1(4=s) lettere x, %,,..., 4, la 
funzione /, si muterà in un’altra /;. Se la /; risulta identica- 
mente nulla, allora l'identità 4y7=0 sarà chiamata l’identità I,=0 
estesa a d +1 lettere, oppure, più brevemente, l’identità estesa 
della ,,=0. Inoltre se /j=0 è l'identità Z=0 estesa a d+1 
(4=s) lettere, diremo che Z,=0 è Videntità JZ;=0 ridotta a 
S+1 lettere. Evidentemente poi la /,= 0, identità ridotta della 
li= 0, non è altro che la ZL =0, quando si faccia 


Coi Cats — et =. 


Dimostriamo la seguente proposizione: 

Se di un’ identità I, =0 di grado d nelle XG, Xi; As 6849Ì0 
l’identità estesa I_1=0, allora esisterà qualunque identità estesa 
Ig4,=0, essendo d'Zd — 1. 

Basterà provare che esiste l'identità estesa Iy11=0(d'2d—1), 
quando si ammetta l’esistenza dell’identità estesa Lr=0. Sia 
I6., ciò che diventa Ir, quando in luogo di ogni funzione sim- 
metrica caratteristica }/o, #1, ..., ha{ si ponga la funzione simme- 
trica caratteristica }0, ;o +1, R1+-1, ..., Ra: + 1{®, onde I‘), sarà 
una funzione simmetrica razionale intera nelle x0,x1,...,07, &241, 
che si annulla per x7+1= 0. Siccome il grado di /%); è minore 
di d'+2, si trae che non potrà esser divisibile per «741, perchè, 
essendo la /{., simmetrica nelle xo, x, ...; 221; t2-+1, dovrebbe 
esser pure divisibile per xo, per x, ecc.; quindi sarà identica- 
mente nulla, cioè l'identità I}, = 0 si potrà pensare come l’i- 
dentità estesa Zr41 = 0. 

Diremo che un'identità /,=0 di grado d nelle x0, 21,...,%; è 
indipendente, quando esiste l’identità estesa Z._,=0, e; di con- 
seguenza, quando esistono tutte le identità estese a qualsiasi 
numero di lettere. 

Quando è X,<s+#+1, diremo che la funzione simmetrica 
caratteristica }Mo, 7, ..., (4 nelle xo, 21, ...,7, ammette, quale 
funzione simmetrica caratteristica duale relativa alle t 4-1 lettere 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 56 


834 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


Yos Yi, «4 Ye la funzione }#5; 7; My, <., 140, cioò la }Xo,t1,4., AD, 
essendo Ko, ky... ky il #®° gruppo duale del gruppo Ho;l1, «ly 
Se non è h,<s ++ 1, considereremo lo zero quale funzione 
simmetrica duale relativa alle # +1 lettere %0, Y1, «Ye 
Principio DI DUALITÀ. — Se I=0 è n identità indipen- 
dente (relativa alle funzioni simmetriche caratteristiche di s+1 let- 
tere Xoy X1y ++ Xs); allora esiste anche l'identità I" =0, relativa alle 
t +1 lettere Yo,Yi Yi, ottenuta dalla I, = 0, quando in luogo 
di ogni funzione simmetrica caratteristica }ho, hi, ..., 5A) si ponga 
la funzione simmetrica caratteristica duale nelle t 4-1 lettere 
Yor Vir «n Ye î 
Sia d il grado di I, nelle x0, 2, ....2 Se è #<s, d<t+1, 
per il primo teorema di questo $ segue che le relazioni SV = VW 
(i=1,...,t,t+1) mutano l'identità I = 0 nell’identità duale 
/=0. Se è #<s, d>t+ 1, si consideri la /..;__1="0 identità 
estesa della I=0; per le relazioni SV = V® (i=1,..., d) re- 
lative ai due gruppi di lettere 


Loy Ls «009 Vstdt1y Yor Y19 ++» Ya 


l'identità I,.,1_;-1==0 si muterà nella J',_1=0 relativa alle 
Yo; Yis + Yi È facile vedere che la I!=0, identità ridotta 
della /',_x=0, non è altro che la /7'/=0, identità ottenuta 
dalla J,,=0 col principio di dualità. Quindi si è dimostrato il 
principio di dualità, quando è #3 s. 

Se poi è #2 s, sia L= 0 l’identità estesa della I, =0; per 
quanto si è già dimostrato si potrà considerare l'identità duale 
IU=0 della Z,= 0. È facile vedere che la I0= 0 è la stessa 
I =0, identità ottenuta col principio di dualità dalla L=0; 
onde, anche quando è #2s, si può applicare il principio di 
dualità. 

Osservazione. — Il principio di dualità è anche applicabile 
alle identità I, = 0 non indipendenti, ma tali che nella forma 
in cui sono scritte valgono anche, quando il grado 4 delle I, 
nelle xo, %1, ..--+%; non sia maggiore di s + 1. 

Infatti basta pensare che alla Z=0 si può applicare il 
principio di dualità quando s=d — 1 (perchè J,=0 è allora 
indipendente), e inoltre che applicando il principio di dualità 
alla LJ=0, tanto se s<d— 1, quanto se s=d — 1, si ottiene 
lo stesso risultato. 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 835 


5. — Applicazioni del principio di dualità. 

Se l'identità I,=0 nelle x0,,...,%; è indipendente e quindi 
ammette la Z"=0 come identità duale (cioè ottenuta col prin- 
cipio di dualità) nelle yo, %1; ---+4, allora la J/=0, se è indipen- 
dente, ammette la /,= 0 come identità duale relativa alle lettere 
Co, 1; +. %;. Per maggior uniformità nelle considerazioni seguenti 
diremo che la //=0 è una identità duale della I, =0, quando 
gode anche della proprietà di essere indipendente, oppure si 
trova nelle condizioni dell’osservazione fatta in fine al $ 4. Inoltre 
pure per uniformità potremo considerare, come identità duali 
tra loro, identità relative ad uno stesso gruppo di lettere, p. es. 
Co, Li; «+, d;; COSÌ il principio di dualità si può considerare come 
un'operazione simbolica ciclica di 2° ordine sulle identità sim- 
metriche di più lettere. 

Tenendo conto dell’osservazione fatta in fine al $ 4 è facile 
vedere che sono duali tra loro le due formole seguenti: 


VAR tal ù; (E Pen Àc (71 + ra + fa, — 541)! (SEYPA(SOY. (SA, 


tiro! .. rai! 


e e OT 


Tala ora! 


ove in entrambe le sommatorie si considerano tutti i valori po- 
sitivi o nulli delle variabili r per cui si ha 


rr4+2r°0 +... +(6$6+1)r41=%; 


nella prima formola % è un numero intero positivo qualunque; 
nella seconda invece deve essere 4 <= s + 1. Dalla seconda for- 
mola segue poi in particolare che essa vale anche se h>s+ 1, 
purchè si ponga lo zero in luogo di Sf); la prima formola si 
trova in un noto lavoro del Trupi (*). 

Per le ricerche del seguente $ è opportuno trovare la for- 


(*) Intorno ad un determinante più generale di quello delle radici delle 
equazioni ed alle funzioni omogenee complete di queste radici, © Giorn. di 
Matematiche ,, 2, 1864, Nota II, pag. 83. 


836 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


mola duale di un’altra nota formola del Trupi (*), cioè della 
formola: 


Via, VA VA 
(2) (2) (2) 
Vlazt Vitoa=3) RE è VOLE 
hoy hi, DELI h, }(@) = ’ 
) 
i re #1 U 


nella quale bisogna porre l’unità, oppure lo zero, rispettivamente 
al posto delle V® d’indice nullo, oppure negativo. La formola 
duale di quest’ultima del TRUDI si potrà così enunciare: 

Se ko; ki; ..: Ki sono numeri interi tali che 0<ki<k1<< 
<k._1<kS<s+t+ 1, indicando con ho, hi, ..., hs ciò che diventa 
la serie dei numeri 0, 1, ..., s+t+ 1, quando sì tolgano î numeri 


s+Et+1-%k,s+t+1-k.,...,.s+t+1—- ko, 


allora vale la formola : 


( 
a Sa not M#: SO 
(x) (2) (2) 
ORE SE Rd) sl SE, 


io is i 


sal so St) 


ko—(t-1) 099, ko 


nella quale bisogna porre lo zero in luogo delle SY), per cui non 
sî abbia 0<i<s + 1, e inoltre l’unità in luogo di S) (#*). 


(*) Intorno ad un determinante più generale, ecc., “ Giorn. di Matem. ,, 
2, 1864, Nota I, pag. 151-158. 
(**) Questa formola si potrebbe dedurre facilmente dalla relazione 
A(a)=(—1)'" .A..A(a), 
conseguenza immediata di queste altre: 
A(a)=(—1)'.p.Al(a), A4,=p, 
contenute a pag. 183, $ 171-72, nell’Invariantentheorie (Leipzig, B. G. Teubner, 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 837 


Per brevità non daremo altri esempi di formole duali 
tra loro. 


6. — Formole relative alla condizione perchè due equa- 
zioni abbiano più radici in comune. 

Facciamo ora alcune applicazioni della formola duale di 
quella del TRUDI. 

Indichiamo con M(s, t, p; ©, y), ove s2# pZ0, la matrice 
di s4+-t#4+ 2 —2p linee e s4+t#-+2—p colonne nella quale gli 
elementi della colonna (i +1)" ((=0,1,..,s+t+1—-p) 
sono rispettivamente 


SO, SA, DLE. 10): DO SI, UE] SR 


ove bisogna porre lo zero in luogo delle S per cui non si abbia 
O<i<s+1e delle S® per cui non si abbia 0£i<#+ 1, inoltre 
l’unità in luogo di SE e di SW. Per la formola duale di quella 
del TrupI si trae la seguente proposizione : 

Il determinante formato dalle colonne (ko 4-1)f!"*, (kx 4 1)99, 
2-9 (Kiri + 1) della matrice M(s,t,p; x,y) è uguale a 


E 2 Hoy sy a MX - hot. (0, 


ove la sommatoria è estesa a tutti î valori dei numeri interi h, h', 
per cui 
1° hihi 00 < ha hoch 2 SH 


2° p dei numeri h e p dei numeri h' siano uguali a 
ko", K1", .... ki, essendo ko', ki", ....k',_1 ciò che diventa la serie 
dei numeri 0, 1,...,8s+t4+1—p quando si tolgano i numeri 


S+t+1-p_ksptpiso, DE) 8-|+-&p1i-=p=k; ST PE pa; 


1885), vol. 1° di P. Gorpan. Il Gorpan deduce le due precedenti relazioni, 
con metodo affatto diverso da quello seguito nel nostro lavoro, da un teo- 
rema sulle matrici corrispondenti. Così si vede come il nostro principio di 
dualità, applicato in un caso particolare, permette di riunire in una sola 
due formole affatto diverse (almeno finora), quella del Trupr e la sua duale, 
cioè quella formola che si può dire contenuta implicitamente nell’Inva- 
riantentheorie del Gorpan. Quindi emerge l’importanza della Geometria 
Numerativa dello Scauserr, perchè lo studio puramente algebrico, che ci 
ha condotti al nostro principio di dualità, si sarebbe potuto sopprimere 
pensando all’interpretazione simbolica della legge (geometrica) di dualità 
nel problema degli spazî secanti, come è accennato nell’ osservazione del 
$ 11 della mia citata memoria (cfr. la prima nota del seguente $ 8). 


898 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


3° Za serie dei numeri ho, hi, <:-, hs; b'o; b'1;..., h' pri- 
vata dei numeri h uguali a ko', ki", ...,K'p-1 e dei numeri h' pure 
uguali a ko', ky", ...,k'p-1 sia una permutazione D del gruppo G 
di numeri che si ottiene dal gruppo 0,1,..,s+t+1—p esclu- 
dendo i numeri ko, ky", ..., K'p_1; @ ciascun termine si dà poi il 
segno +, oppure —, secondochè la permutazione D dei numeri 
del gruppo G è pari, oppure disparî. 
Ricordando la formola di W. ScHEIBNER (*) relativa alla 
condizione necessaria e sufficiente, affinchè due equazioni ab- 
biano più radici in comune dalla proposizione precedente si trae 


TroREMA. — Affinchè due equazioni 
i=s+1 : 1 i=t+1 i . 
5 (— yet A 0, ba ( 1) Sy == 0 
i=0 i=0 


abbiano p+1 radici in comune, è necessario e sufficiente che siano 
nulle le (5°?) funzioni Ri, is ...i, (Ove i, i9,...,1 è una qualunque 
combinazione di p dei numeri 0,1,...,s4t+1—p), essendo 


IAA x enti AN MN RIA ie, Ri A 


dove la sommatoria è estesa a tutti i valori interi delle h e delle h' 
per cui 


lo, Insiel h'<h'<..<Wix<h5 


2° p dei numeri h e p dei numeri h' siano uguali « 
i; argo 
3° la serie dei numeri ho, hi, ..., bs, ho, hu', ..., ly, privata 
dei numeri h uguali @ iz, ia, ...,i, e dei numeri h' pure uguali @ 
11, io, ...;i, sia una permutazione D del gruppo G di numeri, che 
si ottiene dal gruppo 0,1,...,.s+t+1—p escludendo i numeri 
11, lo, ...,1p; enoltre a ciascun termine si dà il segno +, oppure —, 
secondochè la permutazione D dei numeri del gruppo G è pari, 
oppure dispari. 
Ricordando una nota formola sulla risultante di due equa- 


(*) Mathematische Bemerkungen, “ Leipzig. Berichte ,, 40, 1888. — Una- 
semplice dimostrazione (che il Wererstrass accenna nelle sue lezioni) della 
formola citata si trova in GarEIERrI, Sulla teoria della eliminazione fra due 
equazioni, “ Ace. Gioenia di Catania ,, (4), 6, 1893. 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 839 


zioni ed applicando la proposizione precedente (oppure quella 
di pag. 18) per p=0 si ottiene la formola: 


(#0 + Yo) (04%) ».. (c04-%) * 


+ (214 %0) (21 ty). (£ ty): 
(3) 


= (2-4-yo) (&:4+-y1) -.. (e. + Yy) = 
<S > Vi 00:99 "Pi die Ù do, i, Quit) argnti 

ove la sommatoria del secondo membro è estesa a tutti i va- 
lori interi delle è e delle è’ per cui 

e ts (4; it des dI 
e inoltre tali che do, î,, ..., è, ©0301, ...,4 sia una permutazione 
dei numeri 0, 1, ...,s-+t+1. 

Rispetto all'importanza di questo risultato cfr. il $ 8. 


7. — Dimostrazione d’ una notevole formola (dello 
ScauBerT) duale di se stessa. i 

Considerando una funzione simmetrica caratteristica }o, 
hi, «.,h{® diciamo h,_, quella %,, d’indice minimo, maggiore di s; 
allora, posto a=A4,_;—s (i=0,1,...,)) e detto c, (r=0,1,...,1+1) 
il numero (può essere anche zero) delle %, per cui f,=î+r, 


col simbolo 
} do; A13 «003 Uri Citis Ci «003 Cop i 


s'indicherà la funzione simmetrica caratteristica }o;M, ..., A}! 
Indicando con bo, bi; ...:b, numeri interi, tali che sia 


b=8— 0. — C°Ì (= 
vale la formola (dello ScHUBERT): 
ATO TAI RES TA LE 
3 d05 dos Sd adi, sd... ao; di Sd 


}@15 do; s_bo}!® ta1; da, s_ bt ind 7a; da s_ bt 


taz do, S_- bot 3a; day SD di dA 


840 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


ove i numeri interi a sono tali che ag>d;>...>@_1>2,>0. (Non 
occorre osservare che è c1=b, bo>bi> ... > biu> biZ0). 

Per quanto diremo nel $ 8, abbiamo attribuito questa for- 
mola allo Scnusert. È facile vedere che la duale della formola 
dello ScauBeERrT è ancora la stessa formola dello ScHauBERT (cam- 
biate le lettere però); cioè la formola dello ScauBERT è duale 
di se stessa. 

Siccome la formola in considerazione è evidente quando 
1=0, per provare che è vera in qualunque caso basterà dimo- 
strare le seguenti due proposizioni: 

1° La formola dello ScuuBERT è vera per /=p (p=1) 
quando d3,=0/ +1 (i=0,1,...,p), 5 =0, se si ammette tale 
quando b;=b;/ (i=0; 1,...,P). 

2° La formola dello ScHuBERT è vera per /=p (p=1) 
quando b,=0, se si ammette tale per {=p— 1. 

Si dimostrerà solo la prima proposizione, perchè si accen- 
nerà anche al caso 8, = — 1 (limitandoci però in questo caso, 
per mancanza, di spazio, a mostrare solo le modificazioni prin- 
cipali); del resto si può far subito la dimostrazione della seconda 
proposizione, quando si conosce quella della prima. 

Posto 


c'r=b' +1, /=d'iabi-1 (i=1,..:p) 0 co =sd 1 
dalla formola del Trupi (cfr. $ 5) segue facilmente: 
nt dae e ro Mer (6) a 
= F(IIVE)ant LR 1 PI, 4 Le 
È Cn VC LI 
A(T1)YH Hat og db a Gta gdr coin 


Si deve osservare che nel secondo membro della relazione 
precedente manca il termine 


(1}PHa,+1;0,+1, 041; pu 1 0/01, 0 +19 


quando la funzione simmetrica caratteristica }@o, 01; - «+3 4; 
C'p413 0913 30011 scritta nella forma }Xo, Wi, ...:%:{9 è tale che 
non si abbia %,_,_,="s, e quindi non esista stante n, d’ indice 
minore di s—p per cui X=i+-p+1, cioè tale che sia c',,,=0. 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 841 


Per l’ipotesi fatta sì ricava: 
LÀ ' 
3a0t+1, seg @ia +1, dix tl, 009 ap+-1,1; c'riiul, Chigoer C13 Gal tf) = 


ia0t+-1;bo'; s_—bo' te) a+ 1;b;', si4b; (PIA iao+-1;dp', s_b, {12 


rai t1;dol as do fit 15b1 85 {..+15dy 50 {0 
_ ;Gigx +1 bo! ,s_do' lai +1; db, SD. H+ 150 80 s 


a t1;bo' sd {0 fa t+1b sd (A... fa +16, sd 
p p i p P 
St) S) (9) 


bo +1 by +1 bp +1 


dove non occorre osservare che SP —=)}1;h — 1, s+1_—-h9, 
(1<h<s+1) 
Dalla formola (1) del $ 2 risulta la relazione 


VEL 1;A,s MOVE; A+1,5-hR—19 (0<%<8, 621) 


(evidentemente se h=s, }k;K-4-1,s—-A—1{® è uguale a zero), 
la quale, applicata successivamente ai termini delle linee pSma, 
{p—1)5®2,..., (0 + 1)fima del determinante precedente permette 
di scrivere la relazione: 


po . }a0+1,....@1+ 1 Ga +1, LU 115 citi aiar 
1a0+-1; dbo', 5—bo' dl op 30/4 0a ‘0 0 ACI 1 a mel by, #04, po 
ini t-1; do sd fai14+-1303", 50" daga t+158 1 9245; ra 
1a; bo +1, sb 19 |a; dba'+1, sb '—1{0... light 41,s4y7 N 


\aizasdo' +1, s—bo' —1}4}a Qi3b' 41,50 1 cab 41580 1 


\apsbo' +1,5—- bo — LU )ap;b'+1,5d' 19... fap; 0g +1, 8/14 


842 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 


}t0t+-1; bo; s_bo® ;aot-1; bit: sb" bia ;ao tl; bi S= byte) 


sat 1;bo' sb" ‘dirt 1; di sb; 5 sai t1; by, sb; {9 
\a: +1; dos SD 1a:tli bi, Da sciita 1; dog 80 
\aipridol +1,5— do —1aisda +1,8—d'—1A...}0;4150,' +1,5— 8) 19 


\apisbo 41,5 bo 1 fapsd'+1,5—d/ —1(0.... \ap;by'+1,5—b)' —1{9 
(e=="0, L,,D 


(Quando c’,;;= 0 (e quindi 8, = — 1), se i=p, è identicamente 
nullo il 2° determinante della relazione precedente). 
Quindi per la formola 


\ Mu) Ù dii (2) 
TETI RAC AAT ti 
i=p 
dex iT7 (0) A 
fo (—1)'Va, y ld + 1, DO) dirt 1; artt SOLO ast di; k 
va 
Sé , / / { (1 
Cp Li Cos gni ia ni LE a 


Ma —1 PE dot I, at 1, 009 4 ant c' +17 Lo c' Tea, c'i, co +1 dr 
Da Pi P \ 


si conclude subito tanto se c’,,,="0, come se c',11> 0, la ve- 
rità della prima proposizione; e per quanto si disse sopra è 
vera la formola dello ScHuBERT. 


8. — Interpretazione simbolica dei risultati prece- 
denti nella Geometria Numerativa. 

Per l’ osservazione del $ 11 della mia citata memoria sì 
possono interpretare simbolicamente nel problema di Geometria 
Numerativa degli spazî secanti le formole relative alle funzioni 
simmetriche caratteristiche. Alcune delle formole trovate in 
questo lavoro daranno formole già note (*), altre no. Così è 
importante interpretare la formola, che noi abbiamo chiamato 
formola dello ScauseRT; essa ci fornisce una formola enunciata, 


(*) La formola duale di quella del Trupi, interpretata simbolicamente, 
dà la formola VI della mia citata memoria. 


ALCUNE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI SIMMETRICHE, ECC. 843 


senza dimostrazione, dallo ScHuBERT in un recente lavoro sulle 
formole di posizione speciale (*). Noi avendo dimostrato la for- 
mola corrispondente relativa alle funzioni simmetriche caratte- 
ristiche, abbiamo pure dimostrato questa importante formola 
sul problema degli spazì secanti. Essa si può così enunciare: 

Detto [n] lo spazio fondamentale, se conveniamo di indicare 
una condizione caratteristica (f£0,Î,;...,£,), imposta ad uno spazio [s], 
col. simbolo (20; 21, +:3%3 Cary Ct ++ Co), dove, essendo t l’ indice 
massimo delle f, per cui si ha f,<n—s, abbiamo posto a;=n — 
— f.—s (i=0,1,...,t) e abbiamo chiamato c, (r=0,1,...,t4+1) & 
numero (può essere anche cero) delle f, per cui f=n—s+i-r, 
vale la formola (#%): 


(40, d13 009 Ati Cio ly eee Co) Gi 


(dos do, s—bo) (40; di, s—-bi) Made (40; di s—b) 
(a13 do, sd) (0158, 8-01) ... (41; 0, 5-0) 


(,; bo, sd) (Ud, sb) ... (ab, 5—b) 
in cui 


bo=8—C0 1... — Cc 1 (i=0 kol 


Applicando poi opportunamente questa formola dello ScHu- 
BERT, si può eseguire qualsiasi prodotto di condizioni caratte- 


(*) Gleichungen zwischen Bedingungen bei specieller Lage linearer Riume, 
“ Mittheilungen der Math. Gesell. in Hamburg ,, 1903, pag. 104. 

(#*) In questa formola si sono usati simboli simili, ma non identici, a 
quelli dello Scausert; infatti lo ScHusERT rappresenta con (ana + 1,..., 
artt, ct1, c1, ..+, 60) la condizione caratteristica da noi indicata con (4, 4, ...» 
di; €141, Ct, «+3 Co); inoltre scrive (0, 100, 0s—%o), (41, 109, Os—do), (@1, 1, Os—%1), ecc. 
invece di (9; do, s—do), (415 do s—-da), (415 di, sd), ecc. Vi è poi anche qualche 
diversità rispetto alle lettere usate da noi e dallo ScnuseRt. 


844 G. ZENO GIAMBELLI — ALCUNE PROPRIETÀ, ECC. 


ristiche, cioè risolvere in un altro modo il problema degli spazî 
secanti. 

Ho creduto poi opportuno dimostrare direttamente il prin- 
cipio di dualità nelle funzioni simmetriche caratteristiche, perchè, 
essendo principio relativo alle identità algebriche, si deve poter 
dimostrare senza far uso di concetti geometrici e del principio 
della conservazione del numero, che non è ancora ben inteso. 

La formola (x) conseguenza della formola duale di quella 
del TrupI (cfr. $ 6) ci servirà per risolvere, in un prossimo 
lavoro, il problema della determinazione dell’ ordine della va- 
rietà rappresentata coll’annullare tutti i minori di dato ordine 
estratti da una data matrice di forme (*). Le altre formole rela- 
tive alla condizione, perchè due equazioni abbiano più radici 
in comune, saranno da noi applicate in una teoria generale 
sulle formole di incidenza e di posizione speciale. 

Osservo infine che occorre spingere convenientemente lo studio 
delle funzioni simmetriche caratteristiche, perchè esiste anche 
una interpretazione simbolica, che permette di semplificare qual- 
siasi ricerca sulla determinazione di una condizione imposta a 
più spazì contenuti in un altro spazio. 


(*) La formola, che risolve questo problema, sarà presto enunciata in 
una nota della R. Acc. dei Lincei. La dimostrazione di questa formola poi 
sì troverà il prossimo novembre negli Atti della R. Accad. di Torino. 


GIULIO DE ALESSANDRI — SOPRA ALCUNI AVANZI, ECC. 845 


Sopra alcuni avanzi di Cervidi Pliocenici del Piemonte. 
Nota del Dr. GIULIO DE ALESSANDRI. 
(Con una Tavola). I 


Gli autori che si sono occupati degli avanzi dei Cervidi, 
rinvenuti fossili nel Piemonte, s’intrattennero generalmente su 
quelli quaternarii. 

L’Allioni (1), il Faujas (2), il Brocchi (3), il Cuvier (4) ed il 
Breislak (5), fin dallo scorcio del secolo XVIII e sul principio del 
secolo XIX, illustrarono avanzi di Cervi delle alluvioni padane. 

Dopo di loro il Risso (6), prendendo in esame i fossili delle 
breccie ossifere di Nizza, annoverava denti e frammenti di corna 
spettanti a Cervidi, mentre, poco appresso, il Borson (7) illu- 
strava grandi esemplari di Cervi a corna gigantesche rinvenuti 
nelle alluvioni di Arena-Po, dei quali si erano già incidental- 
mente occupati il Brocchi ed il Breislak. 

Successivamente il Gastaldi, descrivendo nel 1858 1 verte- 
brati fossili del Piemonte (8), s'intratteneva sugli avanzi di C. ew- 
ryceros Aldov. di Arena-Po, e su parecchie altre specie di Cervi 
rinvenuti parte nelle formazioni sovrastanti alle alluvioni plio- 
ceniche dell’Astigiano, e parte nelle breccie ossifere di Nizza. 


(1) Arcioni C., Orictographiae pedemontanae spicimen exibens corpora fos- 
silia terrae adventitia. Parisiis, 1757. 

(2) Fausas M., Essai de Géologie, pag. 20. 

(3) Broccni G. E., Conchiologia fossile subapennina. Milano, 1808. 

(4) Cuvier G., Recherches sur les ossements fossiles, II° édit. Paris, 1822. 

(5) BrersLag S., Descrizione geologica della prov. di Milano. Milano, 1822. 

(6) Risso A., Histoire naturelle des princip. product. de V Europe mérid. 
et partie. de celles des environs de Nice et des Alpes maritimes. Paris, 1826. 

(7) Borsox L., Mémoire sur quelques ossements fossiles trouvés en Piémont, 
“ Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXVI, 1833. 

(8) GasraLpi B., Cenni sui vertebrati fossili del Piemonte, “È Mem. della 
R. Accad. delle Scienze di Torino ,, serie II, vol. XIX, 1858. 


846 GIULIO DE ALESSANDRI 


Più tardi il Cornalia (1), occupandosi dei mammiferi fossili 
della Lombardia, riprendeva l’esame dei resti di Arena-Po, ed 
il Gastaldi (2) illustrava minutamente un altro esemplare di 
C. euryceros Aldov. rinvenuto nel quaternario fra Crescentino e 
Fontaneto. 

Infine il prof. A. Portis descriveva nel 1883 una mandibola 
spettante al comune C. elaphus L. della torbiera di Trana (3), e 
recentemente il dott. Bogino (4), prendendo in esame una ricca 
fauna di vertebrati raccolta nella stessa formazione, dava minuti 
ragguagli sopra importanti resti di C. elaphus L. e di C. ca- 
preolus L. 

Gli avanzi raccolti nel Pliocene del Piemonte non furono 
mai oggetto di studi speciali. 

Solo il Boyd Dawkins citando in uno dei suoi elenchi (5) la 
specie pliocenica C. etuerianum Croiz. et Job., dice, che essa fu da 
lui determinata sul materiale del Museo di Bologna, e su quello 
del Valentino di Torino, senza ulteriori schiarimenti, ed il Sacco 
nel suo Catalogo paleontologico (6) annovera avanzi pliocenici di 
Cervus sp. dell’Astigiano, avanzi, che già Eugenio Sismonda 
aveva indicato negli stessi giacimenti molti anni prima (7). 

Io ho accolto quindi con vivissimo gradimento l’invito fat- 
tomi dal prof. Parona di prendere in esame le vestigia fossili 
dei Cervidi pliocenici del Piemonte, che si conservavano nel 
R. Museo Geologico dell’Università di Torino. 

Questi fossili provengono da due località differenti: la mag- 
gior parte di essi fu raccolta durante i lavori per la ferrovia 


(1) CornaLia E., Mammifères fossiles de Lombardie. Milano, 1871. 

(2) Gasrarpi B., Cenni sulla giacitura del “ Cervus euryceros ,, “ Atti 
della R. Accad. dei Lincei ,, serie II, t. II, 1875. 

(3) Portis A., IZ Cervo della torbiera di Trana, “ Atti della R. Accad. 
delle Scienze di Torino ,, vol. XVIII, 1883. 

(4) Bocrwno F., I mammiferi fossili della torbiera di Trana, © Boll. della 
Soc. Geol. ital. ,, vol. XVI, 1897. 

(5) Born Dawxins W., On the classification of the tertiary period by means 
of Mammatlia, “ Quat. Journ. ofthe Geol. Soc. of London ,, vol. XXXVI, 1880. 

(6) Sacco F., Catalogo Paleontologico del bacino terziario del Piemonte, 
“ Boll. Soc. Geol. Ital. ,, vol. IX, 1890, pag. 298. 

(7) Srswonpa E., Osteografia di un “ Mastodonte angustidente ,, “ Memorie 
della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, Serie II, vol. XII, 1851. 


eee! 6Òmmt 


SOPRA ALCUNI AVANZI DI CERVIDI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 847 


Torino-Genova, fra Dusino e San Paolo, nella Valle del Tanaro a 
breve distanza da Villanova; il rimanente proviene da Cortiglione 
Monferrato, presso Incisa, lungo la Valle del Tiglione. Quest’ul- 
timo materiale fu recentemente acquistato dal prof. Parona. 

Le località di San Paolo e di Dusino non hanno bisogno per 
i cultori della Paleontologia di nuova illustrazione. Il Borson, 
il Sismonda, il Gastaldi, il Baretti (1) ed il Sacco (2) se ne sono 
occupati con ispeciali cure, alcuni nell'occasione del rinveni- 
mento in esse di grandi Vertebrati, altri nello studio sistema- 
tico delle specie rinvenute. 

I grandi vertebrati che ivi furono raccolti spettano gene- 
ralmente a Proboscidei (Mastodon, Elephas), ma non mancarono 
anche esemplari di Rhinoceros, Hippopotamus, Equus e Bos. La 
formazione che li conteneva assieme ai Cervi è costituita da 
sabbie grigio-giallastre che in alcuni punti passano a ghiaie e 
ciottoli in istrati od in lenti e che superiormente sono ricoperte 
da strati di argilla o di marna tenera, friabile, di colorazione 
rossiccia (Loehm). Tale formazione costituisce un sedimento tipica- 
mente fluvio-lacustre, che in alcuni punti rappresenta veri delta 
deposti sul fondo marino. Lo attestano le conchiglie terrestri e 
lacustri che vi si rinvengono, conchiglie frammiste talora a 
quelle marine, alcune delle quali si raccolsero anche aderenti 
agli avanzi dei grandi Vertebrati. 

Cronologicamente queste formazioni rappresentano depositi 
simeroni a quelli delle sabbie gialle, marine, costituenti il Plio- 
cene superiore (Astiano) e ne attestano una facies speciale co- 
nosciuta col nome di villafranchiano. 

L’altra località di Cortiglione Monferrato è costituita da 
formazioni identiche: sabbie, argille e ghiaie, fra le quali in 
alcuni punti sono numerose concrezioni calcaree, a guisa di ag- 
glutinamenti compatti ed irregolari, simili a quelli che sulla col- 
lina di Torino si conoscono col nome di Mirs. 

L'età e l'origine di questi sedimenti sono identiche a quelle 
del villafranchiano di Dusino. 


(1) Barerri G., Sui resti fossili di Rinoceronte nel territorio di Dusino, 
“ Atti R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XV, 1880, pagg. 678-682 
e 731-734. 

(2) Sacco F., Le Rinoceros de Dusino (Rhinoceros etruscus Fale., var. 
astensis Sacco), © Arch. du Museum d'’Histoire natur. de Lyon ,, t. VII, 1895. 


848 


GIULIO DE ALESSANDRI 


Prima di chiudere questi brevi cenni mi sia dato esprimere 


vivissimi ringraziamenti al prof. C. F. Parona, al prof. L. Came- 
rano, ed al prof. G. Tuccimei, per gli aiuti ed i consigli dei quali 
mi furono cortesi. 


1828. 


1854. 


1859. 


1879. 


1883. 


1884. 


1893. 


1898. 


1898. 


1902. 


Milano, Museo Civico, 15 Aprile 1903. 


Cervus (Axis) pardinensis Croiz. et Job. 
Tav. I, figg. 1-2. 


Cervus pardinensis. Crorzer et JosERT, Recherches sur les ossements fos- 
siles du département du Puy-de-D0me, pl. VI bis, fig. 4, pl. XI, figg. 4-5, 
pl. XIII, fig. 5. 

Id. id. PomeL M., Catalogue méthodique et descriptif des vertébrés fos- 
siles découverts dans le bassin hydrograph. de la Loire, pag. 106. 

Id. id. Gervars P., Zoologie et Paléontologie francaises, pag. 148. 

Id. id. Born DAawxkins W., Contribut. of the hystory of the Deer of the 
European Miocene and Pliocene strata, © Quarterl. Journ. of the 
Geol. Soc. of London ,, vol. XXXIV, pag. 409, fig. 5. 

Id. id. Rùrimever L., Beitrig. zu einer natiirlich. der Hirsche, © Abhand. 
d. Schweiz. paliontol. Gesellsch. ,, vol. VII, VIII, X, pag. 104, tav. X, 
figg. 9 e 18-21. 

Id. id. Derérer C., Nouvelles études sur les ruminants pliocènes et qua- 
ternaires d’Auvergne, “ Bull. de la Soc. Géol. de France ,, serie III, 
t. XII, pag. 262, pl. VI, figg. 3 et 4. 

Id. id. DeLaronp F. et C. DepfreT, Les terrains tertiaires de la Bresse 
et leur gîtes de lignites et de minerais de fer. Études des gîtes 
minéraux de France. Paris, pag. 237, pl. XIII, figg. 5-7. 

Id. id. Tuccimer G., Sopra alcuni cervi pliocenici della Sabina e della 
provincia di Roma, © Mem. della Pontif. Accad. dei Nuovi Lincei ,, 
vol. XIX, pag. 11, tav. V, fig. 1. 

Id. id. Trovessart E. L., Catalogus mammalium tam viventium quam 
fossilium. Berolini, fasc. IV, pag. 877. 

Id. id. UcoLini R., Vertebrati fossili del bacino lignitifero di Barga 
(Val di Serchio), © Atti della Società Tosc. di Scienze naturali ,, 
Processi verbali, vol. XII, pag. 31. 


Gli avanzi che io riferisco a questa specie sono, relativa- 


mente agli altri, abbastanza rari, e rappresentano frammenti di 
corna, generalmente in buono stato di conservazione. 


Il pezzo più interessante consiste nella porzione inferiore 


del corno destro, il quale presenta anche il pugnale oculare e 
la rosetta. 


SOPRA ALCUNI AVANZI DI CERVIDI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 849 


Il peduncolo manca; la rosetta, larga, frastagliata, con tu- 
bercoli, è posta in un piano quasi perpendicolare all’asse prin- 
cipale. 

Il pugnale oculare è conico, breve, ha l'estremità lievemente 
ricurva in fuori, e fa un angolo di circa 20° col ramo principale 
al quale è unito con una larga palmatura. 

Il ramo principale è caratteristico per la sua linea quasi 
retta, spostata solamente un poco indietro ed in fuori nell’at- 
tacco del pugnale oculare. : 

La sezione tanto del ramo principale quanto di quello ocu- 
lare è ovunque suborbiculata. 

La superficie di questo frammento inferiore di corno è 
ovunque solcata da numerosi solchi ben distinti, ma poco pro- 
fondi, i quali sono più spiccati nella parte superiore. 

Riferisco pure a questa specie un frammento superiore del 
ramo principale di un corno, probabilmente spettante alla parte 
sinistra, il quale conserva completo il secondo pugnale. 

Esso si differenzia dal ramo già descritto per essere più 
sottile, e per avere la sezione ovunque circolare, meno presso 
alla congiuntura del secondo pugnale, ove è largamente palmato. 

Quest'ultimo è lungo, ricurvo all’indietro, ma ha l'estremità 
rivolta in fuori, forma col ramo principale un angolo alquanto 
maggiore di quello fatto dal pugnale oculare dell’altro fram- 
mento (25° circa). 


Dimensioni. 


1° esemplare. 


Circonferenza alla base del corno. . . . cm. 8 
Distanza della rosetta dalla forcatura del 
pussalo'loGularg:q08 4 (S/.394141 78 1} 15600 Le tasto nd: 


2° esemplare. 
Circonferenza alla forcatura del 2° pugnale , 7,5 
Lunghezza del 2° pugnale . . . ...., 14 circa. 


Le figure alle quali maggiormente corrisponde il mio esem- 
plare più grande sono quelle del Depéret, tav. V, figg. 3 e 4 e 
sopratutto a quest’ultima per la notevole rettezza del ramo prin- 
cipale, per la palmatura espansa e per la distanza ragguardevole 
fra la rosetta e la base del pugnale oculare. 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 97 


850 GIULIO DE ALESSANDRI 


Gli esemplari figurati dal Croizet et Jobert appartengono 
ad individui notevolmente più adulti; hanno meno evidente la 
palmatura, ma si accostano al mio esemplare per avere la ro- 
setta posta in un piano non perfettamente perpendicolare al 
ramo principale. 

L’esemplare figurato dal prof. Tuccimei corrisponde mag- 
giormente al frammento superiore da me illustrato, per l’appiat- 
timento considerevole di entrambi i rami presso alla  biforca- 
zione e per l'angolo fra loro interposto. 

Il C. pardinensis è specie essenzialmente pliocenica; esso fu 
raccolto nelle alluvioni rossastre della montagna di Perrier (Par- 
dines), di Cros-Roland, di Vialette (Bacino del Puy) ed a Issoire. 

In Italia un bellissimo esemplare consistente in una notevole 
porzione del corno sinistro, venne primieramente rinvenuto dal 
prof. Tuccimei nelle marne di S. Valentino (Sabina) e fu da lui illu- 
strato in un pregievolissimo studio sui Cervi dei dintorni di Roma, 

Alcuni altri avanzi di ossa mandibolari e frammenti di corna, 
provenienti dalle argille e dalle ligniti di Cava delle Fornaci e 
Grotta del Birro nel bacino lignitifero di Barga, furono recen- 
temente riferiti a questa specie dal dott. R. Ugolini. 

Gli esemplari da me descritti e numerosi altri frammenti, 
spettanti probabilmente alla stessa specie, furono raccolti nelle 
formazioni plioceniche fluvio-lacustri (villafranchiane) dell’Asti- 
giano fra San Paolo e Dusino. 

Fu già notato come in Italia si rinvenga di frequente un’altra 
specie pliocenica che ha strette affinità col C. pardinensis. Essa 
è il C. Perrieri Croiz. et Job. di Valdarno. 

Ed invero tanto gli esemplari che di quest’ultima specie si 
conservano al Museo Civico di Milano, quanto le figure tipiche di 
essa del Croizet et Jobert (Tav. IV, fig. 2) e sopratutto quelle del 
Depéret (Tav. VI, fig. 7) hanno grandi analogie col C. pardinensis. 
Ma gli esemplari di corna completi spettanti a queste due specie 
sono distinti dal numero dei pugnali, che è di tre nel C. Per- 
rieri e di due nel C. pardinensis. Se gli esemplari, come succede 
generalmente, sono incompleti, giova a distinguere la prima 
specie dalla seconda, la mancanza di palmatura fra i rami 
principali ed i pugnali, l'angolo quasi retto che nella prima il 
pugnale oculare fa con il ramo principale e la sinuosità dei 
pugnali stessi. 


SOPRA ALCUNI AVANZI DI CERVIDI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 851 


Cervus (Axis) etuerianum Croiz. et Job. 
Tav. I, fig. 3. 


1828. Cervus etuerianwn. Crorzer et JoseRT, Recherches sur les ossements fos- 
siles du département du Puy-de-DOme, pl. VI, fig. 1, pl. VI bis, figg. 1-2, 
pl. VII, figg. 1-5, pl. VIII, figg. 1-5, pl. IX, figg. 1, 2,3 e 6 et pl. X. 

1854. Id. id. Poxer M., Catalogue méthodique et descriptif des vertébrés: fos- 
siles découverts dans le bassin hydrograph. de la Loire, pag. 106. 

1859. Id. id. Gervars P., Zoologie et Paléontologie francaises, 2° édit. Paris, 
pag. 148. 

1878. Id. id. Born Dawkins W., Contrib. to the history of the Deer of the 
european miocene and pliocene strata, © Quat. Journ. of the Geol. 
Soc. of London ,, t. XXXIV, pag. 410, fig. 6. 

1880. Id. id. (?) Newron E. T., Notes on the Vertebrate of the Pre-Glacial 
Forest-Bed Series of the East of England, © Geol. Magaz. ,, t. VII, 
pag. 450. 

1884. Id. id. Derfrert C., Nouvelles études sur les ruminants pliocènes et qua- 
ternaires d’ Auvergne, “ Bull. de la Soc. géol. de France ,, s. III, 
t. XII, pag. 265, pl. VI, fig. 5. 

1885. Id. id. Lyoveger R., Catalogue of the fossil Mammalia in the British 
Museum, part II, pag. 107. 

1885. Id. id. (?) Forsyrra Mayor C. J., On the mammalian fauna of the Val 
d'Arno, “ Quat. Journ. of the Geol. Soc. of London ,, vol. XLI, p. 2. 

1893. Id. id. De Laronp F. et Deriret C., Les terrains tertiaires de la Bresse 
et leur gîtes de lignites et de minerais de fer. Études des gîtes mi- 
néraux de France. Paris, pag. 237, pl. XII, fig. 3. 

1898, Id. id. Tuccimer G., Sopra alcuni Cervi pliocenici della Sabina. e della 
prov. di Roma, “ Mem. della Pontif. Accad. dei Nuovi Lincei ,, 
vol. XIV, pag. 16, tav. IV, figg. 1-2. 

1898. Id. id. Trovessart E. L., Catalogus Mammalium tam viventium quam 
fossilium. Berolini, fase. IV, pag. 877. 


Questa specie è rappresentata nel Pliocene piemontese da 
numerosi frammenti di corna di diversa mole e spettanti ad 
individui di differente età e sviluppo. Tutti però sono in pessimo 
stato di conservazione, 

Il frammento principale consta della parte inferiore di un 
corno sinistro e presenta il pugnale oculare completo per circa 
2/3 della sua lunghezza. 

Sono caratteristici in questo esemplare l’angolo abbastanza 
aperto col quale il pugnale oculare si congiunge al ramo prin- 
cipale, la mancanza di palmature e la tendenza del ramo prin- 
cipale ad incurvarsi all’indietro. 


852 GIULIO DE ALESSANDRI 


La sezione è completamente circolare in ogni punto, meno 
presso alla forcatura del pugnale. 

La rosetta manca e la sua posizione sembra indicata dalla 
linea di rottura inferiore del ramo principale. 

La superficie del pugnale oculare è solcata da numerose 
strie, più spiccate ed irregolari nella parte basilare, strie che 
si osservano altresì nel ramo principale, sopratutto presso alla 
biforcazione, ove assumono più grandi dimensioni e passano a 
veri solchi. 

Questo modo di presentarsi della superficie del mio esem- 
plare sembrerebbe in piena contraddizione coi caratteri general- 
mente attribuiti a questa specie e ciò mi ha reso alquanto dubbio 
sul riferimento specifico. | 

Infatti il Depéret nella diagnosi del C. etuerianum osserva 
dapprincipio: “ il ramo è tondo, divergente e liscio ,; poc’ oltre 
però descrivendo un esemplare di perfetta conservazione della 
Montagna di Perrier, nota: “la superficie è liscia eccetto verso 
la base ove è un poco striata, come la parte inferiore del ramo 
oculare ,. 

Questi caratteri si osservano pure spiccatissimi nel grosso 
esemplare di questa specie proveniente dal terziario superiore 
de la Bresse (DeLAFonD et DePÉRET, op. cit., pl. XII, fig. 5) il- 
lustrato recentemente dal Depéret. 

Anche il Pomel, a proposito del C. etuerianum dice che il 
ramo è poco striato, quasi liscio, debole ed a forma tondeg- 
giante e le figure che di esso hanno dato i sigi. Croizet et Jobert 
confermerebbero la mancanza o meglio lo scarso sviluppo delle 
strie lungo il ramo. 

Il prof. Tuccimei tuttavia aveva già notato in proposito che: 
“ le strie del tronco principale di questa specie sono generalmente 
invisibili, e quando ci sono, appariscono scarse e poco profonde; 
non così nel ramo frontale dove le più grosse si alternano con 
le più sottili ,. 

Sembrerebbe quindi che il corno di questa specie presenti 
nel maggior numero dei casi la superficie liscia, meno nella 
parte inferiore ove non di rado si riscontrano strie. 

Il mio esemplare rappresentando appunto la parte inferiore 
del ramo è striato su quasi tutta la sua superficie. 

Non so d’altra parte se la presenza o la mancanza di strie 


SOPRA ALCUNI AVANZI DI CERVIDI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 859 


sulla superficie esterna delle corna possa costituire un carattere 
costante e di vero valore tassonomico. 

Ove si eccettuino queste piccole differenze della superficie, 
il mio esemplare, tanto per la forma, quanto per le dimensioni 
relative, corrisponde pienamente a quelli tipici della Montagna 
di Perrier (Etouaires), nonchè a quelli di ottima conservazione 
della Sabina. 

Assieme a questi esemplari, come già dissi, furono raccolti 
altri frammenti spettanti probabilmente alla stessa specie, ma 
il loro pessimo stato di conservazione non permette di pronun- 
ciarmi in proposito. 

Tutti provengono dalle sabbie wvillafranchiane poste fra 
Dusino e San Paolo (Astigiano). 

Il C. etuerianum fu rinvenuto abbondante in Francia nel- 
l’Alvernia presso Étouaires, come pure nelle ligniti della Bresse 
ed a Chany; in Inghilterra fu annoverato con dubbio dal Newton 
fra i Vertebrati pre-glaciali del Forest-Bed. 

In Italia fu già citato da parecchi anni fra i fossili di Val 
d'Arno, dal Boyd Dawkins; dal Lyddeker e dubitativamente dal 
Forsyth-Mayor. 

Recentemente il. prof. Tuccimei. rinveniva due corna di 
questa specie appartenenti ad uno stesso individuo, a Moronte 
presso Montopoli nella Sabina. 


Cervus pliotarandoides n. sp. 
Tav. I, figg. 4-5. 


Premetto che nella classificazione degli avanzi spettanti a 
questa specie io ho adottato il nome generico di Cervus nel suo 
senso più lato, indipendentemente dalle suddivisioni che i mo- 
derni sistematici hanno introdotto nei suoi vari gruppi. 

Ho adottato questo consiglio perchè i miei avanzi, per un 
gran numero di caratteri comuni, hanno grandissima affinità col 
gen. Rangifer, e probabilmente ad esso si devono riferire. Ma 
considerando che nella sistematica di questo genere è talora ne- 
cessario, oltre che ai caratteri delle corna, ricorrere a quelli del 
cranio, e non avendo io di quest’ultimo potuto rinvenire avanzi, 


854 GIULIO DE ALESSANDRI 


così ho dovuto accontentarmi di un riferimento meno deciso e 
di natura provvisoria. 

A ciò mi ha spinto anche la considerazione che il gen. Ran- 
gifer finora non fu raccolto fossile in formazioni anteriori al qua- 
ternario antico. 

D'altra parte, se dall'esame delle corna si può arrivare alla 
conclusione che esse sono affini per forma a quelle delle Renne 
attuali, non è escluso il caso, che le medesime abbiano appar- 
tenuto a forme notevolmente diverse, nelle quali il fenomeno 
della convergenza avesse fatto assumere caratteri simili a quelli 
delle Renne viventi. 

I resti più importanti che a questa specie riferisco con- 
stano di un grande corno destro di buona conservazione, il quale 
presenta quasi tutto il ramo principale, parte del primo pugnale 
e tutto il secondo. 

Il fusto principale: nella parte inferiore è leggermente 
ricurvo in avanti, poscia all’ indietro fino a ?/; circa della sua 
lunghezza ; da questo punto si piega quasi ad angolo retto nuo- 
vamente in avanti, fino alla sua estremità che è incompleta per 
rottura. 

In tutta la parte disposta verticalmente al cranio la sezione 
è circolare, mentre nella parte posta orizzontalmente ad esso e 
che rappresenta la regione distale, la sezione è notevolmente 
appiattita. 

Caratteristica è in questo corno la mancanza del pugnale 
oculare, il quale sembra rappresentato solo da un piccolo bitor- 
zolo intermedio fra la rosetta ed il primo pugnale. 

Il primo pugnale è incompleto, forma un angolo quasi retto 
col ramo principale, dal quale si distacca senza palmagure; esso 
si dirige orizzontalmente in dentro, è curvo a semicerchio ed ha 
ovunque sezione circolare. 

Il secondo pugnale è posto alla ripiegatura del ramo prin- 
cipale, è meno sviluppato del primo, diretto in alto, ed ha 
l'estremità ricurva in fuori. La sua sezione è pure circolare. 

Tutta la superficie di questo corno è solcata da scannellature 
irregolari, non molto fitte, nè profonde, ma però assai distinte. 

La rosetta alla base del corno è poco distinta, ed è posta 
in un piano obliquo all’asse del ramo principale. 


SOPRA ALCUNI AVANZI DI CERVIDI PLIOCENICI DEI. PIEMONTE 855 


Dimensioni. 
Lunghezza dalla base alla ripiegatura distale cm. 43 


si Wetta ‘regole “Histaloli ‘2 HOVAMI COMMA DIOI6 
i del primo pugnale (incompleto) . . , 154 
È del secondo , 41:19 15 AR, 94M: 
Circonferenza del ramo principale presso alla 
PORERURA AT 5101 400 0 ISTE 
n di base del primo pugnale . . .., 14 
È di base del secondo pugnale . . , 131/. 


Oltre a questo corno spettano alla stessa specie e furono 
rinvenute con essa, alcune punte ed una porzione notevole del 
ramo principale, porzione che con tutta probabilità spetta al 
ramo sinistro. 

Tutti questi resti, che si conservano al Museo Geologico di 
Torino, provengono dal villafranchiano di Cortiglione Monferrato, 
ove furono rinvenuti nell’aprile 1903. 


Già dissi che questi avanzi di corna hanno grandissima af- 
finità con quelli del gen. Rangifer, anzi a me sembra che in 
nessun altro gruppo essi riscontrino maggiori analogie. 

Al Museo Civico di Milano esiste un bellissimo esemplare 
di grandi dimensioni spettante a ‘ungifer tarandus L. e pro- 
veniente dalla Russia settentrionale, del quale ho riprodotto in 
fototipia il corno destro (Tav. I, fig. 6). 

Il semplice confronto col mio esemplare fossile, meglio di 
qualunque descrizione, ci mostra quanto queste corna corrispon- 
dano fra di loro nella forma, nelle dimensioni delle singole parti, 
nella posizione loro, nella caratteristica mancanza del pugnale 
oculare. Le dimensioni dell'esemplare vivente sono però meno 
sviluppate di quelle del fossile. 

Nella stessa raccolta del Museo di Milano si conserva un 
altro esemplare della stessa specie proveniente dalla stessa lo- 
calità, ma che visse lungamente in ischiavitù nel R. Parco di 
Monza. 

Esso ha dimensioni alquanto più piccole del primo, le sue 
corna sono meno sviluppate, hanno lungo peduncolo, ma nella 
forma loro, nella posizione e sviluppo dei pugnali corrispondono 


856 GIULIO DE ALESSANDRI 


assai bene sia a quelle del primo esemplare, come a quelle del 
fossile di Cortiglione. 

Delle Renne viventi, finora furono descritte pochissime 
corna e pochi sono i disegni che gli autori diedero di esse. Se ec- 
cettuiamo le figure del Cuvier (1), due disegni del Nitsche (2), una 
figura del Murray (3), noi dobbiamo giungere fino alla recente 
monografia del prof. Camerano (4) prima di aver sott’ occhio 
riprodotto un materiale abbondante e vario delle corna di questi 
ruminanti. 

Notiamo anzitutto come le corna delle Renne, nella loro 
forma generale, nello sviluppo e nella forma delle loro dirama- 
zioni, variino straordinariamente non solo da specie a specie, o 
da individuo ad individuo, ma financo in quelle dello stesso indi- 
viduo. Dimodochè non mi ha punto sorpreso il fatto che le figure 
date dagli autori sopracitati corrispondano assai poco al mio 
esemplare, come d’altronde corrispondono pochissimo fra di loro. 

Dal loro esame tuttavia (CuvieRr, tav. 165, figg. 1, 2, 4,6, e 
CAMERANO, tav. II, fig. 1) possiamo constatare come il ramo ocu- 
lare non di rado manchi e sia allora rappresentato da una breve 
espansione a guisa di bitorzolo del ramo principale, come appunto 
si verifica nel mio esemplare. 

Dalla pregiata monografia del prof. Camerano risulta altresì 
che “ nelle corna delle Renne in cui il terzo pugnale è svilup- 
pato si nota nel fusto principale una ripiegatura più o meno 
brusca verso lo innanzi, nella regione ove sorge il terzo pugnale 
stesso ,. Fatto che si osserva perfettamente nel corno fossile 
di Cortiglione. 

Un’ altra osservazione del distinto zoologo che pure con- 
corda assai bene coll’ambiente ove visse questo cervo pliocenico 
è questa: “ complessivamente considerate le corna di Renne si 


(1) Cuvier G., Recherches sur les ossements fossiles, t. VI, pag. 116, 
tav. 16, figg. 1-21. 

(2) Nrrscne H., Bemerkungen uber ewei aus Spitebergen stammende Ren- 
tierschéidel, “ Jahresh. des Vereins fir waterlandischer Naturkunde in Wur- 
temberg ,, 1883. 

(3) Murray A., The geographical distribution of mammals. London, 1866, 
pag. 154, fig. 9. 

(4) Camerano L., Ricerche intorno alle Renne delle isole Spitzberghe, 
“* Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, serie II, t. LI, 1901. 


SOPRA ALCUNI AVANZI DI CERVIDI PLIOCENICI DEL PIEMONTE 857 


possono dividere in due tipi: uno, nel quale il fusto principale 
tende ad allungarsi ed a divenire cilindrico per la quasi totalità 
della sua lunghezza, l’altro, nel quale il fusto principale tende 
ad accorciarsi e ad allargarsi a modo di lamina, per una mag- 
giore o minore parte della sua lunghezza. Al primo tipo spet- 
tano le Renne che abitano località a clima rigido e privo di 
foreste, al secondo quelle che abitano regioni a clima mite e 
ricche di foreste ,. 

Il mio esemplare notevolmente appiattito nella regione di- 
stale, visse appunto in un clima mite, anzi caldo, come si ritiene 
quello del Pliocene superiore. 

Sarebbe cosa oltremodo interessante poter confrontare questi 
avanzi di Cervidi con quelli delle Renne fossili rinvenuti nel 
quaternario dell’ Europa centrale e settentrionale. Purtroppo le 
pubblicazioni in proposito sono quasi sempre prive di illustra- 
zioni di corna. 

Gli avanzi così abbondanti delle alluvioni antiche dell’A]- 
vernia, che il Bravard (1) aveva descritto sotto i nomi di C. pa- 
rentignacus, C. rangiceros, C. tarandoides (pars) e che recente- 
mente il Depéret (2) dimostrò spettare a C. tarandus, constano 
generalmente di frammenti degli arti o di mascellari più o meno 
incompleti. i 

Anche quelli delle caverne della Francia (Bize, Sallères, Bru- 
 niquel, Aurignac, Lourdes, La Vache presso Tarascon, Espa- 
lungue, ecc.), che Marcel de Serres (3) e De Christol avevano 
riferiti a Cervus Rebouli, a Capreolus Leufroyi ed a Capreolus 
Tournali e che il Gervais (4) ritenne doversi ascrivere a C. ta- 
randus, constano quasi sempre di avanzi frammentizii, molte 
volte rotti e lavorati dalle industrie umane, primitive. 


(1) Bravarp A., Monographie de la Montagne de Perrier, 1828. — Con- 
sidérations sur la distribution des Mammifères terrestres fossiles du Puy-du- 
Dome, 1845. Lettre à M. Pomel sur les animaux fossiles de V’ Auvergne, © Bull. 
de la Soc. géol. de France ,, serie 1I, vol. III, 1846. 

(2) DerérET C., Op. cit., pag. 283. 

(3) MarceL DE SerrEs, Notices sur les cavernes à ossements du département 
de l’Aube, in-4°, Montpellier, 1839 e Recherches sur les ossements fossiles des 
cavernes de Lunel-Viel, 1832. 

(4) Gervars P., “ Compt. Rendus de l’Acad. des Sciences.,, Paris, t. LVIII, 
1864, pag. 230 et Zoologie et Paltontologie générales. Paris, 1867-69, pag. 57. 


858 GIULIO DE ALESSANDRI — SOPRA ALCUNI AVANZI, ECC. 


Gli avanzi di Cervus (tarandus) martialis Gervais (1) che 
già il De-Christol (2) aveva illustrato sotto i nomi di Cervus 
alces, C. tarandus e C. megaceros e provenienti dalle sabbie an- 
tiche del Riége presso Pézenas rappresentano porzioni più o meno 
incomplete di corna, che per il loro modo di ramificarsi e per 
l’appiattirsi rammentano quelle delle Renne; ma il loro pessimo 
stato di conservazione non acconsente proficui confronti. 

Uniche figure di corna ben conservate, spettanti a Renne 
fossili, che mi fu dato osservare, sono quelle del Cervus tarandus 
priscus Cuvier (3). Rappresentano esse individui di non grande 
sviluppo e si possono dividere in due gruppi assai distinti. Nel 
primo gruppo (tav. 167, figg. 10-13) si nota, oltre al ramo prin- 
cipale, traccie del pugnale oculare e del secondo pugnale; nel 
secondo gruppo (tav. 167, figg. 14-17) manca il ramo oculare e 
quindi in esso sono manifeste affinità più strette coll’esemplare 
da me illustrato. 

Gli avanzi illustrati dal Cuvier provengono dalle alluvioni 
quaternarie di Étampes; però, secondo il Cuvier stesso, altre corna 
della stessa forma e dello stesso sviluppo si sarebbero raccolte 
nella caverna di Brengues (Départ. du Lot). 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Fig. 1. Cervus pardinensis Croiz. et Job. Frammento inferiore del corno 
destro. Grand. ‘/3 circa del natur. 

Fig. 2. Id. id. Frammento superiore del ramo principale. Grand. */3 circa 
del natur. 

Fig. 3. Cervus etuerianum Croiz. et Job. Frammento inferiore del corno si- 
nistro. Grand. '/; circa del natur. 

Figg. 4-5. Cervus pliotarandoides n. sp. Corno destro visto dalla parte esterna 
e da quella interna. Grand. !/, circa del natur. 

Fio. 6. Cervus (Rangifer) tarandus L. Corno destro di un esemplare del 
Museo Civico di Milano. Grand. ?/, circa del natur. 


(1) Gerva1s P., Zoologie et Paléontologie frangaises, Paris, 1848, pag. 144, 
tav. 21, figg. 2-6. 

(2) De CarisroL, “ Ann. Soc. Scienze Nat. ,, 2* serie, t. IV, pag. 266. 

(3) Cuvier G., Op. cit., pag. 180, tav. 167, figg. 16-17. 


GD'E- ALES Atti R. Accad. delle Scienze 
di Sorino. Vol. 38 


G. DE- AL ESSANDRI. Cervidi plioo. del Piemonte 


E. Forma fot. 


Atti R. 


PRA RARI pr 
Accad. delle Scienze 
di Sozino. Vol. 38 


Stab, Eliotipico Ing. Moltese- Torino 


G. B. RIZZO — CONTRIBUTO ALLO STUDIO, ECC. 859 


Contributo allo studio 
della dispersione elettrica nell'atmosfera. 


Nota del Prof. G. B. RIZZO. 


(Con una Tavola). 


Lo studio dell’elettricità atmosferica, intrapreso in Italia 
dal Beccaria e dal Volta, ha fatto recentemente dei notevoli 
progressi; e le nuove ipotesi elettro-ioniche sembrano bene adatte 
per collegare insieme molteplici fenomeni che prima apparivano 
sconnessi o anche in contraddizione fra loro. In questo campo 
di ricerche sono importantissime le belle misure di Elster e 
Geitel (*) e di Ebert (**) sulla ionizzazione dell’aria racchiusa; 
‘ e siccome il Lenard (***), confermando un’antica esperienza del 
Volta, aveva dimostrato che intorno alle cascate d’acqua l’aria 
prende una forte carica negativa, mentre l’acqua medesima si 
elettrizza positivamente, mi parve bene di studiare la conduttività 
dell’aria in una grotta, nella quale vi sia una cascata d’acqua. 

A questo studio si presta mirabilmente la caverna di Bossea, 
nelle Alpi Marittime, presso Mondovì; la quale è una grotta che 
si apre nella roccia calcarea, per una lunghezza di oltre 500 m., 
ed è meritamente celebre, sia per le bellezze naturali che rac- 
chiude, sia per gli importanti resti fossili che vi furono scoperti: 
la pianta qui unita serve a dare un’idea della sua configurazione. 

La prima serie di misure si fece all'imbocco del corridoio 
per cui si entra nella grotta: un corridoio tortuoso, stretto ed 
irregolare, che ha la lunghezza di quasi 100 metri. 

Al termine di questa galleria la grotta si apre in una 
sala così grande che, con la ordinaria illuminazione a candele, 
stando nel mezzo, non se ne scorgono le pareti. All'ingresso di 


(*) ELsrer e Gerre, “ Phys. Zeit. ,, 2, 590, 1901. 
(**) Eserr, “ Ber. ii. Luftelektr. Arb.,, Gottingen, 1902. 
(***) Lenarp, “ Wied. Ann. ,, 46, 584, 1892. 


860 G. B. RIZZO 


questa sala, chiamata delle frane, il sentiero si biforca e un ramo 
sale verso la maggior lunghezza della caverna, l’altro ramo con- 
duce in basso verso uno scoscendimento, in fondo al quale rumo- 
reggia un torrente: nel punto dove avviene la biforcazione del 
sentiero fu fatta la seconda misura. 

Di qui il sentiero principale, con una serie di risvolti e di gra- 
dinate intagliate nella roccia, sale portando il visitatore fin presso 
alla parete opposta della sala; e quivi si fece la terza misura. 

Oltrepassato questo punto di un centinaio di metri la ca- 
verna si restringe di nuovo in modo che non presenta più se 
non una larghezza di dieci o dodici metri; ma si riapre poi al 
di là in una magnifica sala, detta la sala del tempio, dove si 
giunge per un sentiero tortuoso e ripido, fatto a gradini scavati 
nella roccia, al quale i primi visitatori della grotta diedero il 
nome di Monte Calvario: la quarta misura si fece all'estremità 
di quest’erta. 

Da questo punto il sentiero è più facile, e fra tranquilli 
laghetti di acqua limpidissima e ardite guglie calcari. con- 
duce ad un lago più grande, il così detto lago delle fate, che è 
come la mèta di chi visita la grotta di Bossea. In questo lago si 
precipita con una bellissima cascata l’acqua di un torrente che 
erompe da una stretta apertura, alta una quindicina di metri, 
e produce un misterioso fragore proiettando tutto all’intorno una 
nebbia di finissime goccioline d’acqua. Sulla riva di questo lago, 
alla distanza di circa 5 metri dalla cascata fu fatta l’ultima 
serie di misure. 

La dispersione elettrica fu determinata col metodo di Elster 
e Geitel e con un apparecchio portatile costruito dal Miiller-Uri. 
Nell’oscurità della grotta — dove i prodotti della combustione 
delle sorgenti luminose comunemente adoperate avrebbero alte- 
rata la conduttività dell’aria — le letture del cronometro e 
dell’elettrometro si fecero alla luce di una piccola lampada elet- 
trica portatile, alimentata da una pila chiusa. 

L’isolamento dell’elettrometro era sufficiente perchè si possa 
calcolare il coefficiente di dispersione colla formola: i 

va 1 1 Vo 


=_= __ o 
= x , log: K = 


dove a è il coefficiente cercato, 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA DISPERSIONE ELETTRICA, Ecc. 861 
n il rapporto fra la capacità dell’elettrometro e la capacità 
totale: nel caso nostro n = 0,5, 
t l’intervallo di tempo espresso in minuti primi, fra l’istante 


in cui il potenziale ha il valore V, e quello in cui ha il valore V. 
Ecco ora i risultati ottenuti: 


(I) Nell’imbocco del corridoio d’ingresso, a due metri dall'origine; 
poco lungi verso l'interno della grotta vi è un abbondante 
stillicidio: 

Temperatura 13°.0; umidità ass. 9"".2; stato igr. 83. 
Vo= — 145.7 PR —‘4307 


aa 4 0.012 


V,=+ 148.5 V=+ 130.5 


it “+ — 0.026. 


(II) Al principio della sala delle frane: 
Temperatura 10°.0; umidità ass. 89; stato igr. 94. 


V,= — 127.0 V=— 113.6 
t=1” (5) 


Va==.+ 1395 VP “703 


“LL ® L= 0,379. 


(III) All'estremità superiore della gradinata nella sala delle frane: 


Temperatura 9°.4; umidità ass. 8"%,7; stato igr. 97. 
Vo= — 135.5 V=—120.5 


O @_- 220906 


Vo=+ 133.5 V=»i103.0 ‘ 
4 = 0.518. 


(*) Facendo le letture coll’intervallo di 10”, l’elettrometro si scarica 
quasi completamente. 


862 G. B. RIZZO 
(IV) Nella sala del tempio: 


Temperatura 9°.4; umidità ass. 8®".7; stato ig. 97. 


Vo = — 136.7 V= — 960 
dual @_— 0,707‘ 
(V) Vicino alla cascata: 
Temperatura 9°.4; umidità ass. 8.7; stato igr. 27. 
Vo = — 170.0 V= 1434 
AA ea d_— (354 
Vi= + 1367 V=+ 785 
teri AL — 1109) 


Si ottengono presso a poco i medesimi valori calcolando la 
dispersione per 100 volta e riferendola al potenziale medio fra 
le due osservazioni; si avrebbero così i risultati seguenti : 


a—=1.3 per 100 volta e per minuto. 
(1) 
at = 2.6 
a-=22.3 


(11) 
a+ =.37.7 


i) 
a+ = 51.7 


a—==70.8 
(IV) 


I 
| \a-=205 
| 


a+ = 63,9 


a—= 354 
(V) 
a + = 108.8 


Atti R.Accad.delle Se. di Torino-Vo/.38 


G.B.RIZZO 


MONDOVI) 


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= = LEE , W/7> 
= S tI A LEA\\\W 7, 4 
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Lit. Salussolia «Torino 


GA.RIZZO - Dispersione elettrica nell'atmosfera. AttiR.Accad.delle Se. di Torino-V0/..38 


PIANTA DELLA GROTTA DI BOSSEA (MONDOVI) 


Metri 


la = si sz ir ——_ 


0) 10 20. 30 40 60 70 DO) so 100 


(1), (2),(3),(4),(5) Luoghi nei quali. si ficero le misure 


Lit Salussolia Torio 


CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA DISPERSIONE ELETTRICA, ECC. 863 


Le misure fatte nella grotta di Bossea dimostrano che quivi 
la conduttività dell’aria è molto grande, e, in generale, è tanto 
maggiore per l'elettricità positiva, quanto più ci troviamo vicini 
all'acqua che, nel movimento, si riduce in goccioline. 

Nella cantina di Monaco, dove fece le sue misure l’Ebert, 
egli aveva trovato, tenendo in comunicazione col suolo il cilindro 
che protegge il corpo disperdente: 


lese 25 o 


e =Ilr 


Insieme alla dispersione ho anche misurato la caduta di 
potenziale in diversi punti della grotta, ed ecco alcuni dei ri- 
sultati ottenuti. 

Nella sala del tempio si ebbe la caduta di potenziale di 


— 38" per metro. 


Nell'ultimo punto dove si misurò la dispersione, cioè a 
5 metri dalla cascata, l’aria presentava una fortissima carica 
negativa; alla distanza di 15 metri l’elettrometro si caricava e 
si scaricava ancora incessantemente: più indietro, alla distanza 
di 20 metri si aveva una caduta di 


— 240" per metro 


e a 30 metri di distanza dalla cascata si aveva 
— 38" per metro, 


come nel mezzo della sala del tempio. 

In un’altra gita alla caverna di Bossea mi propongo di stu- 
diare se vi si manifestino dei fenomeni di radioattività indotta. 
Qui mi è caro di ringraziare il Dott. A. Pochettino che mi fu 
compagno nell’escursione e mi ha efficacemente coadiuvato nelle 
misure. 


864 PIERO GIACOSA 


Sul comportamento dell’ossido di carbonio nell'organismo. 
Nota 1° di PIERO GIACOSA. 


Il modo con cui l’ossido di carbonio si elimina dall’orga- 
nismo dopo essersi fissato sulla sostanza colorante del sangue 
non è ancora perfettamente schiarito. È assodato che in un ani- 
male che sopravvive ad una intossicazione anche grave, il sangue 
dopo un periodo di tempo variabile, cessa di contenere emoglo- 
bina ossicarbonica (1). 

Questa scomparsa non avviene più quando il sangue avvele- 
nato estratto dal corpo si conservi ermeticamente chiuso, o ri- 
manga nel cadavere; essa è dunque legata ai fenomeni che hanno 
luogo durante la vita. Hoppe-Seyler (2) verificò questi fatti tanto . 
sul sangue ossicarbonico, quanto sulle soluzioni di emoglobina ossi- 
carbonica. Tuttavia le osservazioni accurate fatte posteriormente 
hanno assodato che una certa quantità di CO scompare anche nel 
sangue conservato in provette sul mercurio (3); la perdita è insi- 
gnificante rispetto a quella che si constata avvenire nel sangue 
ossicarbonico attraverso al quale si spinge una corrente d’aria 


(1) Questo periodo di tempo deve ritenersi superiore a 6 ore. Bernard 
(Lecons sur les anesthétiques, Paris, 1865, p. 452) constata che un coniglio 
che ha nel sangue 2 cc. °/ di CO, dopo sei ore ne ha ancora 1,33: tre giorni 
dopo ogni traccia è scomparsa. Gréhant (“ Compt. rend. ,, 76, p. 233 (1873)) 
constatò che quattro ore dopo l’avvelenamento il sangue di un cane aveva 
perduto 11 cc. di CO, ma ne conteneva ancora 4.7 cc. Altre esperienze di 
Gréhant (“ Compt. rend. ,, 183, p. 951 (1901)) dànno per risultato che un 
cane che ha 14,7 °/ di CO nel sangue, dopo 50 minuti ne contiene an- 
cora 10,2. Respirando ossigeno la eliminazione del CO è assai più rapida. 
De Saint-Martin (“ Compt. rend. ,, 115, p. 835 (1892)) trova che nei conigli 
che respirano nell’ossigeno per tre ore consecutive, non scompare tutto il 
CO del sangue: in un coniglio la quantità scese da 25,17 a 2,90; in un 
altro da 23,17 a 3,82. Cfr. quanto è detto a pag. 7 a proposito delle espe- 
rienze di Gaglio. 

(2) “ Medicin. chem. Untersuchungen ,, II, 1867, p. 202. 

(3) De Sr. MartIn, “ Compt. rend. ,, 112, p. 1232 (1891). 


SUL COMPORTAMENTO DELL'OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 865 


o d'ossigeno. In quest’ultimo caso la dissociazione della carbossi- 
emoglobina è assai rapida. Una corrente d’idrogeno e di protossido 
d’azoto o anche di anidride carbonica (1) agisce nello stesso modo; 
anche il vuoto dissocia la carbossiemoglobina (2). Ma per quanto 
rapido sia questo fenomeno, il sangue non riesce mai a spogliarsi 
dell’ossido di carbonio così rapidamente come quando circola in 
un animale vivente. 

Ho potuto constatare che anche la carbossiemoglobina cri- 
stallizzata lasciata a lungo all’aria si decompone. Una certa 
quantità di cristalli preparati nell'inverno 1901 e messi in un 
essiccatore su un vetrino d’orologio, in capo ad un anno si tro- 

*varono ridotti in una massa bruna, dura, friabile, senza strut- 
tura cristallina, solubile in acqua. 

La soluzione di color rosso brunastro allo spettroscopio si 
comportava come la metaemoglobina. Ho verificato che gr. 0,34 
di questa sostanza sciolti in acqua e fatti bollire con KHO fa- 
cendo passare una corrente d’aria non davano tracce di riduzione 
del cloruro di palladio. L’ossido di carbonio era completamente 
scomparso. Hoppe-Seyler (3) afferma che uguale trasformazione 
ha luogo nelle soluzioni di carbossiemoglobina conservate a lungo. 

Se lo scomparire dell’ossido di carbonio dal sangue o dalle 
soluzioni di sostanza colorante del sangue è un fatto indiscusso, 
non avviene così per quanto ha relazione alla modalità del fe- 
nomeno e sopratutto alla forma nella quale l’ossido di carbonio 
si elimina. Si svolge esso immutato dal sangue, oppure si ossida 
in tutto o in parte? La questione venne sopratutto studiata per 
la carbossiemoglobina circolante negli animali avvelenati, per 
constatare se l'organismo vivente avesse il potere di ossidare 
la molecola CO in CO?. 

L’ opinione prevalente da principio fu, che l'ossidazione 
potesse avvenire: Bernard (4), pur criticando le esperienze di 


(1) Donpers, “ Pfliiger's Arch. ,, 5, p. 20 (1872). Dal sunto in “ Maly’s 
Jahrsh., dello stesso anno, p. 81. 

(2) Vedi Zuxrz, in “ Maly's Jahrsb. ,, 1872, p.81, peri particolari del- 
l'eliminazione in questo caso. 

(3) Handb. der physiol. u. path. chemischen Analyse, VII ediz., 1903, 
p. 354. 

(4) Loc. cit., p. 458 e segg. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 58 


866 PIERO GIACOSA 


Pokrowsky (1) che dimostrerebbero tale ossidazione, tuttavia in- 
clina ad ammetterla e non accetta le conclusioni di Gréhant che 
la negherebbe; egli constata che il sangue ossicarbonico che pe- 
netra in un muscolo — sopratutto se è in contrazione — all’uscita 
è diventato venoso. Crede che l'ossidazione si compia nel cor- 
puscolo rosso stesso e sia più facile per il sangue contenente 
poco ossido di carbonio, che per quello che è saturato. 

Il metodo seguito dal Pokrowsky infatti si presta alla cri- 
tica; egli misura la quantità di anidride carbonica eliminata da 
un animale sano durante un dato periodo e la raffronta con 
quella eliminata nello stesso tempo dal medesimo animale avve- 
lenato con CO. In questo ultimo caso constata un lieve aumento 
nel CO? emesso, ch'egli attribuisce a quello formatosi per ossi- 
dazione ‘del CO. È chiaro che non esiste tale costanza e rego- 
larità nella eliminazione dell'acido carbonico per espirazione da 
poter dare una attribuzione così precisa ad un leggero aumento. 

La prova diretta della avvenuta ossidazione dell’ossido di 
carbonio in anidride carbonica è difficile a darsi in un animale 
vivente se si pon mente ai disturbi respiratorî e alle alterazioni 
del ricambio che caratterizzano l’avvelenamento per CO ; la tenue 
quantità di questo gaz sufficiente non solo a dare tali disturbi 
ed alterazioni, ma ad uccidere l’animale, non può dare per os- 
sidazione tanta anidride carbonica che esca dai limiti delle oscil- 
lazioni imputabili ai fenomeni dell’intossicazione. 

Ma per via indiretta può aversi con assai maggiori proba- 
bilità la prova della avvenuta ossidazione. 

Se si constata infatti lo scomparire della carbossiemoglobina 
nel sangue, mentre nell'aria espirata non si trova ossido di car- 
bonio o se ne trova assai meno di quanto corrisponde alla quantità 
scomparsa dal sangue, conviene ammettere che l’ossido di car- 
bonio si sia ossidato. Pokrowsky e in seguito Gréhant (2) non 
trovano ossido di carbonio nell'aria espirata da animali che ina- 
larono questo gaz o lo ebbero injettato sottocutaneamente, o nel 
retto. Risultati analoghi ottiene Kreis (3) che introduce insetti, 
rane, topi in atmosfere chiuse contenenti CO e lo vede scompa- 


(1) £ Virchow’s Arch. ,, vol. 30, p. 525 (1864). 
(2) BernARD, Lecons ete., p. 460. 
(3) “ Maly’s Jahresb. ,, 1881, p. 387. 


SUL COMPORTAMENTO DELL’OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 867 


rire in gran parte; che constata che il coniglio non espira CO 
benchè abbia avuto injettati 100 ce. di CO nelle vene; e che 
verifica cessare nelle rane ogni eliminazione di CO, quando il 
sangue spettroscopicamente lo rivela ancora. Anche Gruber (1) 
crede alla ossidazione del CO in CO?. 

Ma altre esperienze contraddicono a queste; Gréhant stesso 
nel 1893 (2) trova CO nell’aria espirata da un cane avvelenato 
per inalazione e da un altro a cui s'era injettato per la giugulare 
sangue carbossicarbonico. Ne conclude che il CO non si ossida, 
benchè, sia per il metodo da lui usato, sia per la mancanza di 
dati numerici, non possa affermare che tutto l’ossido di carbonio 
scomparso dal sangue sia stato eliminato inalterato. La presenza 
di CO nell’aria espirata da animali avvelenati con ossido di 
carbonio risulta anche da numerose altre esperienze che non sto 
a citare; le quali tuttavia non permettono di escludere che una - 
parte almeno dell’ossido di carbonio possa realmente ossidarsi 
nell’organismo. 

: Gaglio (3) ha posto dei conigli in un ambiente chiuso in 
cui immetteva quantità di ossido di carbonio oscillanti fra 2,4 
e 7cc. per litro; provvedeva a impedire l’accumularsi dell’ani- 
dride carbonica e a rinnovare l’ ossigeno necessario. Allorchè 
l’animale era profondamente avvelenato aspirava l’aria della 
campana, sostituendola con aria ed ossigeno puri; infine dopo 
che l’animale si era completamente riavuto egli aspirava in di- 
verse riprese tutta l’aria della campana. L'esperimento terminava 
circa 4 ore dopo manifestatisi i sintomi più gravi dell’avvele- 
namento. L’aria raccolta durante l’esperimento (60 a 75 litri) 
spogliata della anidride carbonica veniva fatta passare su ossido 
di rame rovente e l'acido carbonico formatosi si raccoglieva e 
pesava come nell’analisi elementare organica. 

I risultati del Gaglio sono concordi nell’indicare nell’atmo- 
sfera in cui visse l’animale una quantità di CO leggermente 
inferiore a quella introdotta (2,8 °/o in media in meno). L'espe- 
rienza di paragone dà lo stesso errore nello stesso senso. Queste 


(1) “ Arch. f. Hygiene ,, I, 145 (1883). 
(2) “ Compt. rend. ,, 76, p. 233 (1873). 
(3) “ Archiv fiir exp. Pathol. u. Pharmakol. ,, 22, p. 235 (1887). 


868 PIERO GIACOSA 


esperienze vennero considerate come probative ad escludere la 
possibilità d’ossidazione dell’ossido di carbonio nell'organismo. 

Ma deve notarsi che le differenze trovate e gli errori del 
metodo sono pressapoco nei limiti della quantità di CO che 
avrebbe potuto ossidarsi, sopratutto quando si considera che 
l’avvelenamento intenso, a cui gli animali erano stati assoggettati, 
fino quasi a morirne, poteva avere una influenza sulle funzioni 
dalle quali dipende l'ossidazione dell’ossido di carbonio. Gruber (1) 
ha constatato che il sangue in cui il CO è molto diluito se ne 
libera più presto che non nelle condizioni opposte; De Saint 
Martin (2) dimostra lo stesso fatto. Non risulta poi che Gaglio 
abbia constatato se i suoi conigli dopo ristabiliti avessero an- 
cora CO nel sangue, il che è quasi certo avvenisse, sapendosi 
che animali d’apparenza normale possono avere un sangue ricco 
d’ossido di carbonio (3) e se si tiene conto della durata delle 
esperienze del Gaglio (4). 

Ad onta della precauzione presa di adottare animali a di- 
giuno, altri gaz capaci di dare CO? per ossidazione potevano 
accumularsi nell’atmosfera. Il sangue stesso ne contiene (Desprez, 
Nicloux e De St. Martin (5)). L'anidride carbonica pesatasi non può 
dunque calcolarsi tutta in CO, ma è imputabile ad altri gaz eli- 
minati dai polmoni o dall’intestino. 

Haldane e Smith (6) che accettano i risultati di Gaglio, li 
confermano con un altro esperimento; essi radunano in una ve- 
scica tanto l’aria da inspirarsi, come quella espirata da un soggetto 
(gli autori non dicono di che soggetto si tratti) che ha il sangue 
saturato con CO al 80 o. 

Siccome, date le condizioni dell'esperimento, non poteva 
eliminarsi per i polmoni una quantità apprezzabile di CO, ne 
consegue che se tal saturazione del sangue diminuisce, si dovrebbe 
ammettere una ossidazione. In realtà però durante un’ ora in 
cui l’esperienza ha durato la saturazione del sangue fu sempre 


(1) ‘ Archiv f. Hygiene ,, I, p. 145. 

(2) “ Compt. rend. ,, 112, p. 1233. 

(3) Il fatto è già affermato da BernarDp, Legons etc., pp. 433-454. 

(4) Cfr. la nota 1, p. 1. 

(5) Vedi nei “ Compt. rend. , del 1898 i lavori di questi autori sulla 
questione. 

(6) “ The Journal of Physiology ,, vol. XX, p. 514, 1896. 


SUL COMPORTAMENTO DELL'OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 869 


costante. Appena il soggetto respirò all'aria aperta il conte- 
nuto del sangue in CO cominciò a scemare. 

Gli autori non si accertarono se nell’aria della vescica si con- 
tenesse in realtà ossido di carbonio e quanto; non determina- 
rono la quantità di questo gaz emessa dai polmoni quando 
l’animale respirava in aria libera. 

La loro osservazione può al più escludere che una ossida- 
zione abbia luogo nelle condizioni in cui essi si sono posti. La 
questione non può dunque considerarsi decisa dalle esperienze 
di Gaglio e di Haldane e Smith. 

De Saint Martin dal suo canto (1) aveva portato dati posi- 
tivi in favore della dottrina opposta; egli determina l’ossido di 
carbonio assorbito da un animale, quello eliminato colla respi- 
razione e quello residuo nel sangue, e trova un deficit conside- 
revole fra la cifra del primo e la somma dei due secondi. Un 
coniglio assorbe 25,17 ce. di CO; ne elimina per espirazione 14,44, 
ne rimangono nel sangue 2,90 cc. Totale 17,34. CO scomparso 
(ossidato) 7,83 cc., cioè circa un terzo della quantità assorbita. 

Un'altra esperienza in cui un coniglio riceve 23,17 cc. di CO 
dà un deficit di 5,03 cc.; la quantità ossidata è poco meno di 
un quarto. 

L’anno seguente De Saint Martin torna sullo stesso argo- 
mento e dimostra che tenendo dei conigli parzialmente avvele- 
nati in condizioni in cui l'eliminazione in natura è impossibile, 
si constata una distruzione parziale dell’ossido di carbonio, tanto 
più attiva quanto meno profonda è l’intossicazione (2). 

Nel 1899 Wachholtz (3) riprese le esperienze di Kreis: 
constatò che le larve della farina distruggono l’ossido di carbonio 
nell'atmosfera in cui sono messi e vide che i topolini che respi- 
rano (in una campana chiusa) ossigeno contenente da 1,9 a 3 
per mille di ossido di carbonio, in 24 ore fanno scomparire 
quest’ultimo ; la quantità di CO perduta corrisponde a. 60 °/o 
del volume del topo. Nelle rane avvelenate con ossido di car- 
bonio si elimina bensì una parte di questo gaz nella espirazione, 
ma questa eliminazione ben tosto cessa, benchè il sangue spet- 


(1) “ Compt. rend. ,, 115, p. 835, 1892. 
(2) “ Compt. rend. ,, 116, p. 260 (1893). 
(3) “ Pfliiger's Archiv ,, vol. 74, p. 174 (1899). 


870 PIERO GIACOSA 


troscopicamente mostri ancora di contenere carbossiemoglobina, 
la quale poco a poco scompare. 

In un lavoro uscito poco dopo quello del Wachholtz, Hal- 
dane ripete le stesse esperienze sui topi, tenuti in una cam- 
pana piena d’aria in cui si introduce una quantità indeterminata 
di ossido di carbonio e si fa giungere ossigeno a sostituire quello 
consumato. Dopo un’ora di soggiorno dell’animale nella campana, 
l’autore procede a una prima determinazione dell’ossido di car- 
bonio nell'atmosfera della campana e successivamente analizza 
altri campioni a distanza sempre maggiore (da 4!/, a 29 ore). 
Egli trova sempre la stessa percentuale di ossido di carbonio. 
Nel dar conto di questi risultati che sono in diretta contraddi- 
zione con quelli di Wachholtz, Haldane confessa di non sapersi 
spiegare la disparità dei risultati. Ma deve notarsi che egli non 
dosò l’ossido di carbonio appena introdotto, ma quello esistente 
un'ora ed anche più (after a delay of an hour or more) dacchè 
gli animali vi respiravano, e quando apparivano avvelenati. Non 
è dunque possibile determinare se una parte dell’ossido di car- 
bonio sia scomparsa. Di più nelle esperienze di Wachholtz i topi 
si introducevano in una atmosfera d’ossigeno puro contenente 
allo inizio 1,4 per mille di ossido di carbonio, mentre in quelle 
di Haldane dopo un'ora e più l’arîa conteneva ancora 1,7 a 3,1 
per mille di CO; in queste condizioni il sangue dei topi era sa- 
turato al 67°/ con ossido di carbonio, ed uno di essi morì, 
mentre gli altri mostravano i soliti sintomi di avvelenamento. 
Nelle esperienze di Wachholtz i topi vissero senza altro incon- 
veniente che un po’ di dispnea. La differenza di comportamento è 
certo in relazione colla presenza d’ossigeno e colla percentuale del- 
l’ossido di carbonio; Wachholtz osservò infatti, che se il tenore 
iniziale del CO nell’ossigeno sale a 4,2 per mille, esso non è più 
tutto distrutto. Come già dissi, anche De Saint Martin ha con- 
statato che la distruzione dell’ossido di carbonio è tanto più 
attiva quanto meno profonda è la intossicazione. 

Haldane stesso non esclude che nelle concentrazioni da lui 
usate una distruzione (ossidazione) possa aver luogo, ma la limita 
al massimo al 3 per cento della quantità contenuta nel sangue. 


SUL COMPORTAMENTO DELL’OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 871 


Da quanto sono venuto esponendo appare che la questione 
sulla ossidabilità dell’ossido di carbonio del sangue è ancora 
dibattuta, benchè parecchi, e fra questi distinti trattatisti, l’ab- 
biano risolta in senso negativo (1). 

Le mie esperienze al proposito vennero iniziate nel corso 
di indagini che da lungo tempo ho intrapreso sulla azione far- 
macologica dell’ossido di carbonio e di cui finora ho dato sol- 
tanto un breve cenno preventivo alla R. Accademia di medicina 
di Torino (2). Il metodo da me adottato fu il seguente: 

Estraevo una quantità di sangue per lo più di 50 ce. da un 
animale (cane o coniglio); defibrinavo immediatamente, poi vi 
facevo gorgogliare per 20 minuti circa una corrente di ossido di 
carbonio puro ben lavato. Durante il quale tempo il sangue 
rimaneva a 38°. 

Il sangue così saturato di CO si divideva in due porzioni 
di volume esattamente eguali e si metteva entro due tubi di 
vetro lunghi 32 cent., larghi 2,4, muniti al fondo di tre bolle. 
I tubi erano chiusi da tappi di gomma a due fori; per uno 
scendeva fino al fondo la canna di vetro destinata all’immis- 
sione dell’aria o dell’ ossigeno; un’altra canna corta serviva 
all'uscita, e per mezzo di un tubo di cautsciù metteva negli 
apparecchi d’assorbimento per l’ossido di carbonio. 

Adottai il cloruro di palladio e il dosaggio secondo il me- 
todo di Fodor (3) che se è ben eseguito è affatto sicuro. È bensì 
vero che il cloruro di palladio può esser ridotto da molte altre 
sostanze che non siano l’ossido di carbonio, come Hempel (4) fa 
notare. Ma nel caso presente, come già altri hanno constatato 
ed io stesso verificai con saggi diversi, non è da temersi questa 
causa d’errore. Aria fatta passare attraverso a sangue normale sia 


(1) Kobert nel suo Lehrbuch der Intoricationen (Stuttgard, 1893, p. 525), 
benchè cauto nello accettare le interpretazioni correnti sull’ azione farma- 
cologica del CO, pure afferma la inossidabilità del veleno nell’organismo. 
Egli scrive pure che l’azione tossica si sviluppa in egual modo sia che il 
gas sia inalato, o iniettato sottocutaneamente, o introdotto sotto qualsiasi 
altra forma, il che non è. 

(2) “ Giorn. dellà R. Acc. di Medicina di Torino ,, 1902. 

(3) “ Deutsche Vierteljahrsschrift fiir éff. Gesundheitspflege ,, vol. 12, 
p. 397 (1880). 

(4) Gasanalytische Methoden, III Aufl., p. 202. 


872 PIERO GIACOSA 


fresco che putrefatto non altera la soluzione di palladio: appena 
invece il sangue contenga una traccia di CO la riduzione ha 
luogo. Perchè il dosaggio sia esattamente quantitativo, cioè che 
la riduzione sia regolare e completa, sì da osservarsi regolar- 
mente progredire dalla prima alle altre bolle del tubo di Liebig 
e lasciare integro il secondo tubo fino a che il primo sia tutto 
saturato, conviene procedere di guisa che le bolle si seguano ‘ 
lente, a intervallo di cinque a sei secondi. Se si va più veloce- 
mente la riduzione non è regolare. 

L'aria che si faceva passare attraverso ai tubi contenenti 
il sangue avvelenato era affatto libera da ossido di carbonio. 
Essa era chiusa entro grandi damigiane di vetro sotto la pres- 
sione di circa m. 1,50 d’acqua regolando il deflusso allo scopo 
sopra indicato. 

I tubi di Liebig in numero di due, destinati a trattenere 
l’ossido di carbonio, erano preceduti da due boccie di lavaggio, 
la prima contenente una soluzione d’acetato di piombo, la se- 
conda acido solforico diluito. 

Le esperienze preliminari avevano confermato il fatto che 
il sangue ottenuto da un animale avvelenato con ossido di car- 
bonio, oppure saturato dello stesso gaz dopo estratto da un. 
animale sano e defibrinato in entrambi i casi, introdotto nei 
tubi tenuti a bagno maria in un grosso bicchiere a tempera- 
tura di 38°, emette ossido di carbonio per alcune ore, dapprima 
intensamente, poi con minore attività; finchè dopo 15-16 ore 
non si ha più traccia di CO nell’aria che esce dal sangue. Volli 
vedere quale influenza il tessuto polmonare fresco potesse eser- 
citare su questa dissociazione. 

I polmoni perfettamente sani si toglievano dal coniglio, 
immediatamente dopo averlo salassato per ottenerne il sangue 
da saturarsi poi con CO; l'estrazione si faceva con tutte le 
cautele operative; poi, con forbici sterilizzate si tagliuzzavano 
in minuti pezzi, i quali si introducevano in uno dei due tubi 
in cui si distribuiva in volumi eguali il sangue intossicato. 
L'altro tubo riceveva sangue solo; entrambi si collocavano 
nello stesso grande bagno a 38° e si faceva passare aria lenta- 
mente. La riduzione del palladio in queste circostanze suole 
osservarsi per lo più già dopo 15 a 20 minuti; per alcune ore 
essa progredisce visibilmente, finchè anche la prima bolla del 


SUL COMPORTAMENTO DELL’OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 873 


secondo tubo Liebig incomincia ad imbrunire. Allora si staccava 
il primo Liebig già ridotto, si metteva il secondo al suo posto 
aggiungendogliene un altro in coda. In questo modo sì poteva 
continuare l'operazione finchè i due tubi non si alterassero più 

Già al semplice aspetto le due prove di sangue, quella cioè 
contenente polmoni e quella contenente sangue puro, mostrano 
differenze notevoli. Anzi tutto la riduzione del palladio nelle 
prime ore è più viva nel tubo in comunicazione col sangue puro 
che in quello che comunica col sangue contenente polmoni. Passato 
qualche tempo questi fenomeni sembrano invertirsi; inoltre si 
osserva uno iscurirsi del sangue con polmoni, iscurirsi che esor- 
disce nelle porzioni che contorniano i singoli frammenti di pol- 
mone e poi si diffonde al resto del liquido. Il sangue puro invece 
conserva a lungo il suo colore rosso rutilante, che però perde 
la tinta ciliegia per passare in ultimo a quella del sangue ar- 
terioso. Se nel momento in cui non si osserva più riduzione 
della soluzione di palladio si esaminano i due sangui allo spet- 
troscopio non si scorge più lo spettro della CO emoglobina. Tut- 
tavia non è ancora scomparso tutto l’ossido di carbonio, perchè 
diluendo il sangue, aggiungendovi secondo il precetto di Gaglio (1) 
un pezzettino di KHO, scaldandolo ab. m. mentre lo si fa tra- 
versare da una corrente d’aria, si può avere ancora una riduzione 
del palladio. 

Un'altra differenza ancora deve notarsi: mentre il sangue 
ossicarbonico, solo, si mantiene inalterato, il sangue con polmoni 
si putrefà dopo poche ore continuando ancora a contenere CO; 
per conseguenza verso la fine del dosaggio dell’ossido di carbonio 
dal tubo contenente polmoni e sangue possono svilupparsi traccie 
di idrogeno solforato che imbruniscono leggermente il tubo che 
s'immerge nella soluzione di piombo, senza poter alterare il colore 
della soluzione stessa. La corrente d’aria che passa attraverso ai 
due tubi (sangue puro e sangue con polmoni) trascina ingenti 
quantità di CO? che intorbida la soluzione d’acetato di piombo. 

In alcuni casi invece di aria impiegai ossigeno, compresso 
in cilindri di ferro a pressione di 10 atmosfere; anch'esso esente 
da CO e da ozono. 

Ora ecco i particolari di alcune esperienze: 


(1) Loc. cit. 


874 PIERO GIACOSA 


I. — Il 30 gennaio 1903 al mattino avveleno un coniglio 
facendogli inalare ossido di carbonio; allorchè è presso a morire 
gli sottraggo il sangue dalla carotide, lo defibrino e ne peso 
52 gr. Osservato allo spettroscopio si dimostra ossicarbonico. Le 
mucose e gli organi del coniglio sono rosei. 

Due porzioni di 25 cc. ciascuna di questo sangue s’intro- 
ducono nei tubi appositi per il passaggio dell’aria; in uno dei 
quali s'aggiungono frammenti di tessuto polmonare dello stesso 
coniglio (tubo 4); nel tubo £ il sangue è solo. 

I due tubi sono a bagno maria nello stesso recipiente a 38°; 
la corrente d’aria si fa passare contemporaneamente nei due tubi 
e colla stessa pressione e velocità: dopo 30-40 minuti il passaggio 
di CO si fa evidente coll’oscurarsi del cloruro di palladio nella 
prima bolla di entrambi i tubi Liebig. 

L'esperienza continua per circa 12 ore; si sospende durante 
la notte per 10 ore, lasciando i tubi nello stesso bagno che man 
mano scende alla temperatura della stanza: si riprende il giorno 
seguente. 

Il tubo A dà debole riduzione che scompare affatto, dopo 
6 ore: il tubo B continua a ridurre energicamente per tutto 
quello e per due altri giorni. 

Allorchè la corrente d’aria ebbe cessato di ridurre il pal- 
ladio, entrambi i sangui fatti bollire con potassa in corrente 
d’aria non diedero più se non traccie insignificanti di riduzione. 

Il cloruro di palladio ridottosi durante l'esperimento si rac- 
colse su filtri, si lavò accuratamente e si sciolse in acqua regia 
a caldo, colla quale si lavarono anche i tubi Liebig per ottenere 
il palladio rimasto come specchio aderente al vetro. La soluzione 
in acqua regia si svaporò a secco a b. m., si riprese con qualche 
. goccia d’acido cloridrico e d’acqua, si riportò a secco onde cac- 
ciare ogni traccia d’acido nitrico, poi si disciolse in poca acqua 
con l'aggiunta di 2 goccie d’acido cloridrico. 

In questa soluzione acida di cloruro di palladio perfetta- 
mente limpida, nella stessa capsula tenuta a b. m. bollente si 
versò a goccie la soluzione di joduro di potassio 1,486 °/co colle 
cautele indicate da Fodor. Con un poco di pratica il dosaggio 
riesce facilissimo ed assai esatto. Il risultato fu che il palladio 
ridotto dall’aria passata nel tubo A, corrispondeva a 5,8 ce. di 
soluzione di KJ: quello del tubo B corrispondeva a 14,5 della 
stessa soluzione. 


SUL COMPORTAMENTO DELL’OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 875 


Ogni cent. cub. della soluzione di palladio corrisponde a 
0,1 cc. di CO a 0° e 760 mm. Hg: dunque 100 gr. di sangue in 
presenza di polmoni avevano emesso 2,32 cc. CO, mentre 100 gr. 
di sangue puro ne avevano emessi 5,8. Differenza 3,48 ce. CO 
(cioè il 60°/, della quantità emessa dal sangue) emessi in meno 
in presenza di polmoni. 

II. — 27 gennaio 1903; si salassa un cane dalla carotide, 
si estrae un 150 cc. circa di sangue che si defibrina tosto. Si 
mettono in una boccia in una stanza verso i 0°. Dopo due giorni 
si satura il sangue con CO, e lo si lascia in una atmosfera di 
questo gaz per altri quattro giorni alla stessa temperatura. Il 
3 febbraio il sangue non è per nulla alterato, i corpuscoli sono 
intieri, non c'è odor di putrido. Allo spettroscopio si constata 
carbossiemoglobina. 

Nello stesso giorno si procede come nelle esperienze pre- 
cedenti. A riceve 25.cce. sangue + 25 gr. polmone del cane 
sagrificato al momento; B riceve 25 cc. sangue. La riduzione 
avviene regolarmente circa !/, ora dopo avviata la corrente 
d’aria. L'esperienza cominciata alle 10 continua regolarmente 
tutta la giornata e tutta la notte e il giorno seguente. 

Il tubo A incomincia a dar segno di putrefazione il mat- 
tino del 4; una goccia di sangue diluita in acqua dà ancora lo 
spettro della carbossiemoglobina; sì continua la corrente d’aria 
finchè non si ha più traccia di riduzione. 

A ridusse tanto di palladio corrispondente a 15,5 ce. KI: 
cioè a 6,2 cc. CO per cento di sangue. 

B ridusse tanto di palladio corrispondente a 23,5 ce. di KI: 
cioè a 9,5 ce. di CO per cento. 

Differenza 3,3 cc. di CO emessi in meno da 100 cc. sangue 
in presenza di polmoni: cioè il 38 °/o circa della quantità emessa 
dal sangue. 

Ho già accennato che seguendo il corso delle esperienze si 
scorge un comportarsi diverso dei fenomeni di riduzione nei due 
sangui. Il sangue solo si conserva rosso rutilante; soltanto in 
fine la tinta porporina propria del sangue ossicarbonico passa 
al rosso arterioso: il sangue con polmoni in poche ore accenna a 
diventar venoso e i processi putrefattivi si iniziano assai presto. 
La riduzione poi del palladio dà questi risultati: comincia per 
lo più contemporaneamente, ma per il sangue solo appena ini- 


876 PIERO GIACOSA 


ziata prosegue rapida ed energica nelle prime ore, e continua 
poi per uno o due giorni sempre meno accentuata. Per il sangue 
e polmoni avviene un fatto inverso. Nelle prime ore riduzione 
scarsa, poi abbondantissima in modo da eliminare tutto il CO 
contenuto nel sangue in tempo assai più breve. Ecco una espe- 
rienza che illustra quantitativamente questo fatto. 

II. — 5 maggio. Coniglio: si salassa alla carotide, si de- 
fibrina subito e si satura il sangue con ossido di carbonio. 

A sangue ossicarbonico 17,5 cc. più 10 gr. di polmone fresco. 

B sangue ossicarbonico 17,5 cc. 

Corrente lenta d’aria temp. 38°. L’ esperimento comincia 
alle 9,25; alle 9,38 in B si ha già forte riduzione, nulla in 4, 
dove soltanto alle 10,30 si ha un debole specchio nel poco li- 
quido della prima bolla del tubo Liebig. Alle 11 tutto B è in- 
tensamente ridotto. Sì che è necessario sostituirlo con un altro: 
in A è appena ridotta la seconda bolla. Alle 18,45 si sospende 
la operazione, gli apparecchi si tengono chiusi in modo che del 
contenuto gassoso nulla può uscire. Il palladio ridottosi in questa 
giornata si dosa a parte. 

6 maggio. Si riprende l’operazione; si porta l’acqua a 38° 
e nei due tubi A e B si fa passare una corrente d'ossigeno 
puro compresso a 10 atmosfere, colla solita lentezza. L’ossigeno 
caccia con molta prontezza il CO dal sangue. L'operazione dura 
10 ore, dalle 9 alle 19. Riduzione del palladio pronta e contem- 
poranea nei due apparecchi. Malgrado la corrente d’ossigeno 
poco a poco in 4 il sangue s’oscura, in B si fà arterioso, non 
più porporino. Anche queste porzioni di palladio si dosano a 
parte. 

7 maggio. Per cacciare il CO residuo in A e B si diluisce 
il sangue di ciascuno, si aggiunge un frammento di KHO solido 
e si fa passare una corrente d’aria, scaldando a b. m. bollente: si 
continua finchè non c’è più traccia di riduzione del palladio, si 
raccoglie il palladio ridotto e si dosa a parte. 


Risultati: 
1? Giornata. A vuole 4,9 cc. KI pari a 2,8 ce. CO °/, emessi, 
è i B vuole 10,6 cc. KI pari a 6,08 ce, CO °/ emessi. 


Differenza 3,25 cc. CO emessi in meno in presenza di pol- 
moni; cioè 35,8 °/, della quantità emessa dal sangue. 


SUL COMPORTAMENTO DELL'OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 877 


22 Giornata. A vuole 21,5 cc. KI pari a 12,2 ce. °/o CO. 
$ L B vuole 16,00 cc. KI pari a 9,71 cc. °/, CO. 


Differenza 2,49 emessi in meno dal sangue puro; cioè 2,03 °/o 
del CO emesso dal sangue con polmoni. 

33 Giornata. 4 vuole 2 cc. KI pari a 1,14 ce. °/, CO. 

? = B vuole 5,4 cc. KI pari a 3,08 cc. °/, CO. 


Differenza 4,46 cc. CO emessi in meno dal sangue più pol- 
moni; cioè 82,5 °/, della quantità emessa dal sangue. 


Questa esperienza è molto istruttiva. Anzi tutto se per met- 
tersi nelle condizioni delle esperienze precedenti si sommano 
insieme le quantità di CO emesse da A e B si trova che A ha 
emesso in tutto 16,14 cc. CO °/; e B 18,84. 

Differenza 2,70; cioè 14,3 °/o del totale CO emesso dal ianani 
sono scomparsi. 

Se poi si viene ai particolari delle singole giornate si vede 
che nel primo giorno il sangue in presenza di polmoni emise 
assai meno ossido, che da solo. La differenza fra le due quan- 
tità emesse è di 53,8 °/,. Ma essa deve essere ragguagliata 
alla quantità totale emessa dal sangue che è, come si vide, di 
cc. 18,84 °/,. In tale modo si vede che nella prima giornata dal 
polmone si emisero in meno 17,2 cc. °/ di CO, quantità che dif- 
ferisce poco dal 14,3 °/, del totale, sul quale deve notarsi che 
tutti gli errori si accumulano. 

Nella seconda giornata la presenza dei polmoni inverte il 
fenomeno, e fa che il sangue si liberi di quasi tutto l’ossido di 
carbonio che contiene mentre nel sangue solo il fenomeno pro- 
cede più lentamente. 

Ecco ora un’altra esperienza che illustra e conferma la pre- 
cedente. 

IV. — 11 maggio. 12 cc. di sangue fresco di coniglio, 
saturati con CO si mettono nel solito apparecchio a 38° con 
corrente d’aria. La riduzione comincia dopo 10 minuti e prosegue 
| regolarmente. Dopo un’ ora, il tubo di Liebig è intensamente 

ridotto; lo stacco, apro l'apparecchio e scaccio con una corrente 
d’aria l’ossido di carbonio che contiene, aggiungo al sangue i 
polmoni dell'animale estratti sul momento, innesto un nuovo tubo 
Liebig e avvio di nuovo la corrente: dopo 14 minuti primo leggero 
imbrunimento ; seguito per un’ora nel qual tempo si è formato un 


878 PIERO GIACOSA 


sottile specchio di palladio sulla prima bolla. La differenza fra 
i due tubi è così manifesta che l'esperimento sarebbe raccoman- 
dabile per la lezione, se non vi fosse Postacolo della sua durata. 
Il risultato fu che nella prima ora il sangue puro ridusse tanto 
palladio da corrispondere a 9,3 cc. di KI; nella seconda ora, in 
presenza di polmoni, il palladio corrispondeva a 2,5 ce. KI: 
cioè nel momento in cui l’eliminazione d’ossido di carbonio inal- 
terato è più avviata, la presenza di polmoni basta a farla dimi- 
nuire del 73 °/,. È probabile che la eliminazione del CO avrebbe 
anche potuto scender più basso, quando, come nelle esperienze 
precedenti, i polmoni fossero immersi completamente nel sangue; 
ma per questo è necessario introdurre prima nel tubo i polmoni 
e poi versarci sopra il sangue, tenendoli fermi al fondo con una 
bacchetta. Nel caso presente i polmoni, introdotti più tardi, ad 
‘onta di ogni tentativo, rimasero solo in parte bagnati dal 
liquido sanguigno. 


Il deficit avutosi nelle esperienze che ho descritto non può 
interpretarsi se non come l’espressione di una ossidazione che 
ha luogo di una parte dell’ossido di carbonio. Le mie opera- 
zioni confermano i risultati ottenuti dal De Saint Martin e 
dagli altri già citati. 

La prova diretta della produzione di CO? a spese del CO, 
che Pokrowski aveva tentato di dare è fornita dalla seguente 
esperienza: 

V. — 13 febbraio 1903. Si salassa un cane dalla caro- 
tide: 55 cc. del sangue defibrinato si introducono nel solito tubo 
a bolle, aggiungendo 25 gr. del polmone fresco dello stesso cane, 
finamente tagliuzzato. 

Un'altra porzione dello stesso sangue è stata saturata con 
CO: 25 cc. si mettono in un altro tubo con 25 gr. polmone come 
sopra e 25 cc. si introducono in un terzo tubo senz’altra aggiunta. 
I tubi si mettono tutti a b. m. a 38° e si fanno traversare da 
una lenta corrente d’aria. L'esperienza dura dalle 9,20 alle 23. 

Alla fine dell’ esperienza, il sangue (solo) ossicarbonico è 
ancora rosso rutilante; così quello ossicarbonico con polmone : 
quello sano con polmoni è scuro: nessun indizio di putrefazione 
in nessuno dei tre tubi. 


SUL COMPORTAMENTO DELL’OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 879 


L’aria che penetra nei tubi è privata dell’acido carbonico 
coi soliti mezzi usati nell'analisi organica elementare; quella che 
ne esce traversa una boccia di Drechsel con acido solforico con- 
centrato, poi un tubo ad U contenente pietra pomice imbevuta 
d’acido solforico concentrato, poi un tubo Geissler contenente 
soluzione KHO come per le combustioni. 

Il risultato è che nello stesso periodo di tempo il sangue 
sano in presenza di polmoni produsse gr. 0,0558 di C02; il sangue 
ossicarbonico in presenza di polmoni gr. 0,0371 e quello ossi- 
carbonico solo gr. 0,0135. 

Anche qui dunque i risultati s'accordano colle ipotesi della 
ossidazione. Ma ripeto qui quanto dissi a proposito delle espe- 
rienze di Pokrowski, che cioè in esperienze di questa sorta 
concorrono molti elementi ignoti. È evidente che il sangue sano 
non deve comportarsi come quello avvelenato, e infatti messo in 
presenza di polmoni esso produce più CO? che non l’altro nelle 
stesse condizioni: ma noi non sappiamo come il polmone si 
comporti in contatto con sangue avvelenato; potrebbe anche 
succedere che si modificassero i fenomeni che conducono alla 
produzione di CO? indipendentemente da una ossidazione del CO. 
Il fatto è tuttavia poco probabile, e può ritenersi fino a prova 
contraria che il CO? emesso in più dal sangue ossicarbonico in pre- 
senza di polmoni derivi dalla ossidazione dell’ossido di carbonio. 

È importante il fatto che il potere ossidante del tessuto 
polmonare si manifesta solo per pochissimo tempo dopo che il 
polmone fu estratto dal corpo; ciò sta ad indicare che tale po- 
tere è in relazione con elementi i quali si alterano facilmente, 
e cessano di funzionare man mano che il polmone muore. 

Questa transitorietà della funzione può condurre nelle espe- 
rienze troppo prolungate a risultati erronei, in quanto che l’ec- 
cesso di ossido di carbonio che si emette in seguito per l’in- 
fluenza dissociante del tessuto polmonare copre il deficit primitivo 
dovuto alla ossidazione. Il 28 aprile una esperienza che durò 
14 ore consecutive diede 3,33 °/, di CO dal sangue solo e 2,76 
da quello con polmoni. 

In un’altra esperienza precedente (21 aprile) in cui avevo 
preso una piccola quantità di sangue, in 8 ore si eliminarono 
dal sangue puro 6,3 °/ di CO, da quello con polmoni 5,9. La dif- 
ferenza è sempre nello stesso senso, ma tende a farsi più piccola. 


880 ì PIERO GIACOSA 


Non ho stabilito se il potere ossidante sia in relazione con 
una ossidasi, la. quale si altererebbe in poco tempo. Una espe- 
rienza fatta sostituendo al tessuto polmonare quello muscolare (1) 
non ha mostrato che avesse le proprietà del primo. 

La dottrina della ossidabilità dell’ossido di carbonio mi pare 

possa ormai ritenersi assodata, almeno nelle circostanze delle 
esperienze degli autori citati e delle mie (2). Molto rimane an- 
cora a studiarsi sulla modalità di tale ossidazione: se essa si 
compia direttamente sulla carbossiemoglobina o si operi sul CO 
allo stato libero eventualmente dopo essere stato dissociato: 
come agisca su di essa la tensione del CO nell’atmosfera e nel 
sangue: come vi influisca l'ossigeno. Ho già intrapreso inda- 
gini a questo scopo sulle quali mi riservo di riferire quando 
saranno ultimate. 

Un'altra evidente azione del tessuto polmonare consiste nel 
favorire la dissociazione della carbossiemoglobina colla succes- 
siva eliminazione di ossido di carbonio. Oltre ai dati delle espe- 
rienze già citate che dimostrano in modo evidente tale azione, 
la quale, come dissi, può mascherare l’azione ossidante, ricorderò 
qui un’altra esperienza assai convincente e che si può fare in 
iscuola. Si fa un miscuglio di aria e ossido di carbonio (nel mio 
caso il CO rappresenta il 3,4 per mille); volumi eguali si fanno 
gorgogliare attraverso a sangue puro, e attraverso a sangue con 
polmoni, entrambi a 38°. Il sangue puro diventa rosso ciliegia; 
quello con polmoni si fa sempre più nero: esso si libera del CO 
assai più presto che il sangue puro. Il palladio si riduce rapi- 
damente in corrispondenza del tubo coi polmoni, lentamente in 
quello col sangue. È probabile che tale azione dissociante sia 
contemporanea alla ossidazione; certo essa ne è ben distinta ed 
è in relazione con elementi che non s’alterano così facilmente 
quando il polmone è esportato dal corpo. 

Già Gréhant aveva fatto circolare il sangue ossicarbonico 
nei polmoni e l’aveva visto riacquistare la sua capacità respi- 
ratoria (3). Montuoro (4) ripetè l’esperienza di Gréhant cogli stessi 


(1) Cfr. A. Bernarp, Lecons sur les anesthétiques, p. 463. 

(2) Come è noto, anche il dogma della inossidabilità dell’acido ossalico 
nell'organismo è sfatato. 

(3) “ Compt. rend. ,, 76, p. 233 (1873). 

(4) “ Rendiconti della R. Accad. delle scienze fis. e mat. di Napoli ,, 
1900, p. 17. 


SUL COMPORTAMENTO DELL'OSSIDO DI CARBONIO NELL'ORGANISMO 881 


risultati, poi la variò mettendosi nelle condizioni che io adottai 
in queste mie esperienze, cioè ponendo a contatto polmoni e sangue 
estratti dall’animale. 

Egli dimostrò che per ottenere la dissociazione è necessario 
il tessuto polmonare integro e non un estratto di esso. Espe- 
rienze di Nicloux (1) sul passaggio dell’ossido di carbonio dalla 
madre al feto dimostrano che la dissociazione può aversi per 
opera delia placenta: lo stesso autore (2) trovò che le branchie 
dei pesci agiscono nello stesso modo sulla carbossiemoglobina 
sciolta nell'acqua in cui nuotano. 

È ancora da stabilirsi se i tessuti che posseggono la pro- 
prietà di dissociare la carbossiemoglobina possano anche distrug- 
gere (ossidare) l’ossido di carbonio, almeno in parte. Per ciò che 
si riferisce al sangue, De Saint Martin dimostrò che il CO che 
vi è contenuto scompare anche quando lo si chiude sul mercurio; 
si avrebbe dunque una ossidazione che egli avrebbe trovato più 
manifesta nelle soluzioni più diluite di carbossiemoglobina (3). 

Wachholtz è di parere che se tale ossidazione pure si compie, 
essa sia scarsissima (4). 

Per contro il sangue possiede in alto grado la sud pietà di 
dissociare la carbossiemoglobina sì che essa può già osservarsi 
nel sangue chiuso in presenza d’una atmosfera limitata, sopra- 
tutto se è ricca d'ossigeno. Ma le quantità di CO che si libe- 
rano in queste condizioni sono senza paragone minori di quelle 
che s’ottengono facendo gorgogliare attraverso al sangue una 
corrente d’aria. Questa dissociazione è evidentissima nelle mie 
esperienze a cui rimando, e in numerose altre che .eseguii nel 
corso di mie indagini (5). 

Come era da aspettarsi, l'ossigeno, sopratutto ad alta pres- 


(1) © Compte rendu du cinquième congrès internat. de physiol. ,. Turin, 
1901, p. 101. 

(2) Ib., e “ Compt. rend. Soc. biol. ,, 58, 955. . 

(3) “ Compt. rend. ,, 112, p. 1232 (1891). 

(4) “ Pfliiger's Arch. ,, 74, p. 180 (1899). 

(5) Montuoro nelle sue esperienze citate non osservò la dissociazione 
nel sangue, ed ammette che si operì soltanto in presenza di polmoni. Ma 
il metodo da lui adottato di fare assorbire il CO emesso dal sangue, per 
osservarlo poi spettroscopicamente, è imperfetto, poichè la dimostrazione 
spettroscopica della COemoglobina in presenza di ossiemoglobina non può 
aversi se non in presenza di grandi quantità della prima. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 59 


882 LODOVICO BECCARI 


sione come io lo usai (cilindri d'ossigeno compresso a 10 atmo- 
sfere), agevola la dissociazione e scaccia pressochè tutto l’ossido 
di carbonio dal sangue. È una azione di massa, che venne studiata 
diligentemente da Hifner. Ho potuto osservare che in una cor- 
rente d'ossigeno alla pressione indicata non si ha più quel deficòt 
di CO nelle prime ore in presenza di polmoni, che ho attribuita 
ad una ossidazione. Non posso ancora avere dati sufficienti ad 
affermare se in queste condizioni la ossidazione si abolisca per 
una possibile alterazione degli elementi dei tessuti che la de- 
terminano o se sia solo mascherata dalla dissociazione intensa. 

Durante il passaggio della corrente d’ossigeno attraverso al 
miscuglio di sangue ossicarbonico e polmoni, si osserva il rapido 
scomparire della tinta caratteristica e l’oscurirsi del sangue, 
come se i processi riduttivi a cui tale iscurirsi è dovuto fossero 
intensificati dalla presenza dell’ossigeno. 


Ricerche sull’acido colico. 
Nota del Dr. LODOVICO BECCARI, assistente. 


L'acido colico, prodotto di scissione caratteristico degli acidi 
biliari, costituisce ancora uno degli argomenti più oscuri della 
chimica fisiologica; la sua genesi nell'organismo, le sue trasfor- 
mazioni e tutte le questioni, che a queste prime si connettono, 
sono evidentemente subordinate alla conoscenza esatta della 
struttura di questo corpo. Ora tali conoscenze mancano quasi 
totalmente o sono del tutto insufficienti a fornire una idea della 
costituzione dell’acido colico. 

Su questo corpo possediamo tuttavia una vasta letteratura, 
ma può dirsi che, eccettuati alcuni lavori fondamentali, essa non 
ha, al riguardo, che un valore storico o rappresenta una serie di 
tentativi più o meno infruttuosi. Un esame critico ed ordinato 
di tutte le ricerche su questo argomento non troverebbe qui 
luogo acconcio, nè porterebbe luce al problema. Il lavoro dello 
Strecker (1), che scoperse e studiò con rara perizia la compo- 


(1) “ Ann. ,, Bd. 67, s. 1-60. 


RICERCHE SULL’ACIDO COLICO 883 


sizione e le proprietà principali dell'acido colico, rimane anche 
oggi uno degli esempî classici nel campo della chimica fisiolo- 
gica, e, se poco si è aggiunto, assai meno si è corretto dei suoi 
risultati. La formola C?4H4°05 data dallo Strecker, e che diede 
pure luogo a lunghe discussioni, è quella che oggi deve accet- 
tarsi, perchè confermata dalle osservazioni più esatte. 

Lavori posteriori degni di particolare menzione sono quelli 
di Mylius (1), i quali stabiliscono con precisione alcuni fatti rela- 
tivi alla cristallizzazione dell’acido colico e dimostrano l’esistenza 
di tre gruppi alcoolici e di un carbossile nella molecola di questa 
sostanza. A questo possono compendiarsi i risultati fino ad oggi 
avuti sulla costituzione dell’acido colico, che, però, può rappre- 
sentarsi così: 

(CH?. OH)? 


C*H8!% CH. OH 
CO . OH 


Molti altri risultati interessanti si ebbero sui derivati più 
o meno immediati dell’acido colico, ma tutti o non fanno che 
confermare le precedenti conclusioni di Mylius o non portano 
alcuna luce nuova sulla oscura costituzione di questo acido. 

Altri autori, tanto in passato che negli ultimi anni, hanno 
tentato, con mezzi chimici estremamente energici, di studiare 
gli ultimi prodotti più semplici di ossidazione e di scissione del- 
l’acido colico, ma con fortuna troppo scarsa, poichè i risultati, in 
gran parte contraddittori o incerti, non recano nessun utile 
contributo alla conoscenza della natura di questo acido. 


L'acido colico, contenuto in quantità rilevante nella bile di 
parecchi animali, sarebbe un materiale di studio abbondante, se 
la preparazione sua allo stato di purezza non presentasse qualche 
difficoltà o non richiedesse notevole lavoro. I diversi metodi 
usati dai varîì autori, che più specialmente si occuparono dell’ar- 
gomento (Strecker, Mylius, Tappeiner, Hiifner, ecc.), si fondano 
tutti su la scissione degli acidi biliari (acido glico- e tauro-colico) 


(1) “ Ber. ,, Bd. XIX, s. 369 e s. 2000, 1886. 


884 LODOVICO BECCARI 


mercè l’ebollizione con alcali ;caustici. Dalla soluzione alcalina, 
che così si ottiene, dopo ‘separazione dell’omologo acido coleico 
e degli acidi grassi come sali insolubili di ‘bario, l’acido colico 
viene precipitato per acidificazione della ‘soluzione, e purificato 
per lo più mediante ripetute cristallizzazioni dall’ alcol. ‘Questa 
purificazione riesce più o meno ‘pronta ed ‘agevole a seconda che 
la saponificazione degli acidi biliari fu più 0 meno perfetta ‘ ed 
a seconda della quantità di impurezze, specie di materie coloranti, 
che l’acido colico ha somma tendenza ‘a ‘trascinare con ‘sè ‘dalle 
soluzioni. 

Nella preparazione dell’acido ‘colico dalla bile di bove, io 
non ho seguito ‘esclusivamente l’uno o l’altro dei metodi -@escritti, 
ma mi sono valso, a volta a volta, dei procedimenti che la pra- 
tica mi andava dimostrando più appropriati alle singole ope- 
razioni. 

Al trattamento diretto della bile di bove con alcali caustici, 
che, pure abbreviando il tempo necessario alla saponificazione 
degli acidi biliari, dà un prodotto greggio inquinato da troppe 
impurità, ho ‘preferito operare sull’estratto alcolico della bile 
stessa. A ‘tal fine la bile, mescolata a sabbia lavata ed a car- 
bone animale, ‘veniva evaporata ‘a ‘secchezza, ed il residuo, pol- 
verato grossolanamente, veniva esaurito con alcol a 95° all’ ebol- 
lizione; la soluzione alcolica, ancora colorata in giallo-bruno, 
veniva evaporata, ed il residuo sottoposto all’ebollizione con 
alcali caustici. In questa seconda operazione ho dato la preferenza 
alla barite, perchè, sebbene ‘essa richieda ‘una ebollizione più 
prolungata che non la potassa o la soda caustica, il prodotto 
che si ottiene riesce più puro e più agevolmente cristallizzabile: 
la soluzione baritica di acido colico così ottenuta viene filtrata 
e liberata dall’eccesso di barite mediante corrente di C0?, a 
caldo, indi resa acida con lieve eccesso di HCI, con che preci- 
pita l’acido colico in masse da prima amorfe e pastose, che poi 
divengono ‘friabili e cristalline. L'acido ‘greggio, lavato accura- 
tamente con acqua e seccato all’aria, è colorato più o ‘meno in 
giallognolo, e può essere direttamente purificato mediante cri- 
stallizzazione dall’alcol concentrato. 

In questa operazione è da aversi molta attenzione alla facile 
formazione di etere dell’acido colico, il che ostacola assai la 
separazione dei cristalli; la presenza di tracce di HCl agevola 


RICERCHE SULL’ACIDO COLICO 885 


assai l’eterificazione con l’ alcol etilico. Ho pure, con vantaggio, 
usato di purificare l’ acido greggio col trasformarlo in sale di 
bario, che può ottenersi dalle soluzioni concentrate in begli aghi 
cristallini bianchi, e poscia col mettere da questo in libertà l'acido 
colico per mezzo dell’acido cloridrico. 

Ma, sia l’uno o l’altro il mezzo impiegato, per ottenere un 
prodotto puro, occorre ripetere le cristallizzazioni dall’alcol con- 
centrato finchè l’acido colico si presenti in bei cristalli tetraedrici 
od ottaedrici, incolori, aventi i caratteri stabiliti esattamente da 
strecker e da Mylius, cioè il punto di fusione a 197° e una 
molecola di alcool di cristallizzazione, che perdono a 110°-115°. 


Nel determinare i caratteri di purezza dell’acido colico da 
me preparato ho avuto occasione di ripetere alcune osservazioni, 
che possono essere qui riferite a conferma di quelle antecedenti, 
e dî farne altre, che, se non di capitale importanza, pure pos- 
sono chiarire aleuni punti relativi alle proprietà generali di questa 
sostanza. 

L’acido colico preparato e cristallizzato dall’alcol presentava 
appunto il p. f. 197° e dava la seguente perdita di peso per 
riscaldamento a 110°: 

Gr. 1,2214 di sostanza perdettero a 110° gr. 0,1292, da cui 


trovato calcolato per C*H*°0%+4 C*H°0 
10.5 ; 10.13 


L'analisi elementare dell’acido seccato a 110° diede pure 
valori ottimi: 
I. Gr. 0,2424 di sostanza diedero gr. 0,6251 CO? e 0,2128 H?0 


I. , 0,1882 - y , 0,4867 CO? e 0,1676 H20 
trovato calcolato per C°*H*%0* 
I II 
IALIA 70.3 70.5 DU 1 


Hi, 9.8 9.9 9.8 


886 LODOVICO BECCARI 


Riconoscimento dell’alcool di cristallizzazione. — 
Mylius, correggendo le deduzioni errate di Strecker su dati 
analitici invero esatti, ha dimostrato che l’acido colico tetrae- 
drico (cristallizzato dall'alcol) contiene 1 molec. di alcol di eri- 
stallizzazione, rilevandone la presenza direttamente. Disponendo 
di sufficiente materiale ho potuto ripetere l’osservazione di Mylius, 
che qui riporto brevemente. 

Alcuni grammi di acido colico cristallizzato dall’ alcol fu- 
rono posti in una piccola storta, congiunta con un collettore 
raffreddato con ghiaccio; la storta venne riscaldata in bagno 
d’olio a 120° per due ore. Nel collettore si condensò circa 1 gr. 
di distillato limpido, incoloro, mobile, di grato odore alcolico 
caratteristico, intenso. 

Per la sua quantità, il distillato non bastava ad una deter- 
minazione del punto di ebollizione, ma diede tutte le altre rea- 
zioni proprie dell’ alcol: bruciava con fiamma. incolora, con 
spugna di platino dava immediatamente arrossamento della, 
carta di tornasole (ossidazione in acido acetico), dava la reazione 
del jodoformio, quella dell'etere acetico e si colorava in verde 
con bicromato potassico e acido solforico. 

C24H4005+H?0. — Lo Strecker, cristallizzando l’acido co- 
lico ancora umido dall’ etere etilico, ottenne cristalli apparte- 
nenti al sistema rombico, i quali all'analisi dimostravano un 
diverso contenuto di acqua di cristallizzazione. Questo contenuto 
corrispondeva ad 1 mol. di H?0, cioè al 4,29/, dell’acido colico 
così cristallizzato, che nella vecchia notazione chimica era rap- 
presentata da due così detti atomi o equivalenti di acqua (HO). 

Lo Strecker notò subito il diverso comportamento di questo 
acido colico tanto nel perdere quest’acqua di cristallizzazione, 
quanto nel punto di fusione: riscaldando i cristalli a 100° per 
lungo tempo, egli notò che essi perdevano per lo più solo un 
atomo ('/s molecola) di acqua, e non potè precisare a quale tem- 
peratura essi perdessero il secondo atomo (!/, mol.). Egli ebbe 
anzi risultati contraddittorî: così in un caso dopo 14 giorni di 
riscaldamento a 100° l’acido aveva perduto il 3,2, e solo a 
150° perdette fino al 4,0%. Nell’acido colico cristallizzato dal- 
l'alcool diluito lo Strecker notò un comportamento simile: in 
una prova l'acido perdette a 100° il 2,4°/, e successivamente 
a 140° il 4,89; al disopra di questa temperatura l'acido fon- 


RICERCHE SULL’ACIDO COLICO 887 


deva parzialmente colorandosi in giallo. Mentre adunque l’acido 
cristallizzato dall’ alcol concentrato (C?24H405+C?H60) perde 
già a 100° l'alcool di cristallizzazione e può essere riscaldato a 
temperature superiori senza che si alteri, fondendo solo a 197°, 
invece l’acido che cristallizza con 1 mol. H?0 (C?*H4°05+H20) 
perde a 100° solo una parte di questa e a 150° è già fuso. 

Lo Strecker, perciò, data l’identità dei due acidi, conside- 
rava le due forme come due modificazioni di uno stesso acido, 
analoghe a quelle da lui osservate per l’acido glico-colico. La 
forma con una molecola di acqua di cristallizzazione si ha sempre 
quando o si cristallizzi l'acido da liquidi acquosi, come l’ alcol 
diluito (30-50 °/;), l'acido acetico diluito (Mylius), ecc., o si pre- 
cipiti dalle soluzioni acquose dei suoi sali mediante acido acetico 
o cloridrico. Quest’ acqua di cristallizzazione non è perduta se 
non con estrema difficoltà e lentezza; anzi ho notato che l’acido 
fonde e ingiallisce anche sotto 150°, quando venga riscaldato 
troppo rapidamente al di sopra di 120°. A 115° non perde tutta 
l’acqua di cristallizzazione nè meno dopo 2 giorni (1). 

Ed ho pure notato che il punto di fusione della sostanza 
varia assai a seconda che essa ha perduto più o meno di acqua, 
potendo esso giungere talora a 160°, sempre però, come si vede, 
di molto al di sotto del p. f. dell’acido perfettamente anidro (197°). 

Mi sono occupato alquanto di questo punto non ancora ben 
definito, per vedere se l'acido con 1 mol. H?0, qualora sia disi- 
dratato completamente e senza alterazione, presenti lo stesso 
punto di fusione dell’acido anidro e di quello tetraedrico (con 
1 mol. C?H50), il che escluderebbe qualsiasi diversità di costi- 
tuzione fra le diverse forme di cristallizzazione. 

Come aveva verificato lo Strecker, e come io stesso ho sempre 
constatato, non solo l’ acido colico con 1 molecola H?0 perde 
quest’acqua con estrema difficoltà, ma se viene riscaldato un po’ 
rapidamente sopra 120°, ingiallisce e fonde in una massa ve- 
trosa, la quale non si discioglie più facilmente nè completa- 
mente nei carbonati alcalini ma soltanto negli alcali caustici 
all’ebollizione. Ciò dimostra un'alterazione dell'acido ed è pro- 
babile che dipenda da trasformazione parziale di questo in anidridi. 


(1) Questo fatto, che ho potuto accertare, contrasta assai con le deter- 
minazioni dell’acqua di cristallizzazione date da alcuni autori. Cfr. ad es.: 
Burwxnem, “ Zeitschr. f. physiol. Ch. ,, Bd. 25, s. 296, 1898. 


888 LODOVICO BECCARI 


Il mezzo migliore per sottrarre completamente ed in tempo 
abbastanza breve l’acqua di cristallizzazione all’acido colico senza 
alterazione alcuna di questo, si è il riscaldamento nel vuoto, 0, 
per essere più esatti, a pressione fortemente ridotta. A tale 
scopo mi valsi di una stufa apposita, a doppia parete, in cui la 
pressione interna era mantenuta al livello voluto mediante una 
pompa ad acqua; il riscaldamento facevasi mercè lo xilene, posto 
nel vano della doppia parete, e veniva graduato esattamente 
regolando l'ebollizione di questo liquido. La disidratazione del- 
l'acido si compiva così perfettamente in poche ore (2-4) con 
una temperatura costante di 115° ed una depressione di circa 
cm. 60 di Hg. L'acido disidratato poteva allora venire riscaldato 
a temperatura superiore senza subire più alcuna alterazione, ed 
il suo p. f. saliva esattamente a 197°, come quello appunto del- 
l’acido anidro e del tetraedrico. 

Delle molte prove fatte, tutte concordanti, riferisco le se- 
guenti : 

I. Acido colico cristallizzato dall’etere etilico, sciogliendo 
direttamente l'acido precipitato dalla soluzione acquosa dei suoi 
sali nell’etere stesso. 

Gr. 0,7010 di sostanza scaldati a 115° e alla pressione sud- 
detta fino a peso costante, perdettero gr. 0,0308 del loro peso. 


trovato calcolato per C**H*°0%+ H?O 
Had, 4,3 4,2 


Riscaldata ulteriormente a 120° e 130° la sostanza non perde 
più di peso, e fonde nettamente a 197°. 
II. Acido colico precipitato dalla soluzione acquosa di 
colato potassico, seccato all’aria; temperatura e pressione come 
sopra : 


1) Gr. 0,5656 di sostanza perdettero gr. 0,0248 


dio «n VINI Ù ì » 0,0414 
trovato 
H20 %, 4.3 4.15 


Il punto di fusione sale anche qui a 197°. 
Lo stesso acido con 1 molec. H?°0 può ottenersi dall’ alcol 
diluito o dall’acido acetico diluito. Si noti che, come ha fatto 


RICERCHE SULL’ACIDO COLICO 889 


osservare Mylius, dall’aleol diluito si possono avere miscele di 
cristalli in parte con alcol e in parte con acqua di cristallizza- 
zione, le quali possono trarre in errore nelle determinazioni per 
perdita di peso; di tali miscele parlerò più oltre. Qui voglio 
ricordare soltanto che si può avere il solo acido colico con 
1 mol. H?0 cristallizzandolo dall’ alcol a 30-40 °/ al massimo; 
allora esso si prepara in bei cristallini esagonali lamellari, co- 
stituiti da elementi rombici, come può vedersi con l’esame mi- 
croscopico. i 

È tolto così ogni dubbio sulla identità assoluta delle varie 
forme di cristallizzazione dell’acido colico; l’acqua di cristalliz- 
zazione è unita alla molecola molto solidamente, forse con legami 
speciali, tantochè, non solo essa si stacca con grande difficoltà 
e lentezza, ma quando ne venga sciolta rapidamente a tempe- 
ratura un po’ troppo elevata, si provocano contemporaneamente 
alterazioni di struttura dell’acido stesso. Da ciò dipende appunto 
la fusione dell’acido colico non disidratato a temperatura infe- 
riore al p. f. dell'acido anidro. 

C24H4005 anidro. — Una terza forma di cristallizzazione 
dell’acido colico è quella anidra, già notata da Mylius ed assai 
poco studiata. Questo autore attesta infatti, che, per raffredda- 
mento dall’acqua bollente, cristallizza l’acido colico in cristalli 
microscopici, che a 130° non perdono ‘affatto di peso, che fon- 
dono nettamente a 197° e che analizzati corrispondono alla for- 
mola C?*H*°05 perfettamente. 

Ho cercato di ottenere questo acido anidro nel modo indi- 
cato dal Mylius, cioè lasciando raffreddare una soluzione acquosa 
bollente di acido colico, ottenuto per cristallizzazione dall’alcol 
e seccato completamente a 120°. Ma le molte prove fatte mi 
hanno dimostrato, che per semplice raffreddamento della solu- 
zione acquosa satura bollente si ottiene non tutto acido colico 
anidro, ma una miscela di acido anidro e di acido cristallizzato 
con 1 mol. di H?O, in rapporti variabili a seconda della rapidità 
del raffreddamento della soluzione. Le determinazioni sulla per- 
dita di peso dell’acido così cristallizzato, fatte col metodo descritto 
sopra, cioè a 115° e a pressione ridotta, dànno sempre valori in- 
feriori al 4,2% come si calcola per C24H'°05-+H?0, ma tali da 
non potere ammettere che tutti i cristalli sieno anidri. I seguenti 
risultati servano di esempio: 


890 LODOVICO BECCARI 


I. Gr. 0,2314 di sostanza perdettero gr. 0,0060 = 2,5% 
Me 12080/9290 5 ’ n 0,0096 = 2,9% 
II. ” 0,3798 » » »” 0,0138 Ti 3,6 °/o 


Si noti ancora che l’acido così ottenuto presenta il fenomeno 
della fusione parziale al di sotto di 197°, mentre il suo p. f. sale 
esattamente a questa temperatura dopo completa disidratazione. 

L’acido perfettamente anidro non si ottiene che evaporando 
una soluzione acquosa satura bollente direttamente alla fiamma; 
con tal mezzo l’acido colico si separa lentamente in cristallini 
microscopici a forma di piccoli prismi esagonali piramidati, 
anidri e fondenti a 197°. 

Le osservazioni sopra riferite sulle condizioni e sui modi 
diversi di cristallizzare dell’acido colico vengono a completare 
in certo modo quelle già fatte per primo dal Mylius, e possono 
servire a spiegare razionalmente molti risultati ottenuti in passato 
nell’analisi di acido colico diversamente ottenuto, risultati che 
devonsi riferire certamente a miscele di queste diverse forme di 
cristallizzazione dell’acido stesso. 


Peso molecolare dell’acido colico. — Scarsissimi dati 
st hanno sul peso molecolare dell’acido colico. 

Bulnheim (1) ha applicato il metodo crioscopico per tale 
determinazione, valendosi dell'acido acetico glaciale come solvente. 
Quantunque il risultato di Bulnheim corrisponda abbastanza bene 
alla formola di Strecker, pure bisogna osservare, che il metodo 
crioscopico male si presta in questo caso per la poca solubilità 
dell'acido colico ed il suo elevato peso molecolare, il che porta ab- 
bassamenti troppo esigui per determinazioni attendibili. 

Meglio risponde il metodo ebullioscopico, ed io l’ho applicato 
impiegando sia l'alcol etilico sia l’acetone come solventi, ed 
usando l'apparecchio proposto da v. Ribber, e che ho trovato di 
facile ed utile impiego. Tanto con l'uno che con l’altro solvente 
l’acido colico si comporta normalmente, e si ottengono valori 
concordanti; l’acido colico puro, cristallizzato dall’alcol assoluto, 


(1) Loc. cit. 


RICERCHE SULL'ACIDO COLICO 891 


veniva seccato completamente a 120° prima di essere usato alla 
determinazione. 


I. Solvente: acetone. Apparecchio v. Ribber. 


Sostanza gr. 0,5640 | x ao 
Solvente, 13,9910 | orta lg 
trovato calcolato per C*H*°0 
Peso molecolare 407 40 


II. Solvente: alcol etilico. 
Sostanza gr. 1,1303 


rito 48, sea ig ae 1o5. 
trovato calcolato 
Peso molecolare 425 408 


Azione del bromo sull’acido colico. — Si è tentato 
da diversi autori di studiare l’azione degli alogeni sull’acido co- 
lico, ma con poco o niun successo. 

L'azione del bromo è stata studiata da Landsteiner (1) fa- 
cendo agire l’alogeno sia sull’acido colico secco sia sulla solu- 
zione di questo in acido acetico glaciale, ma senza ottenere ri- 
sultato. In verità il bromo agisce molto facilmente sull’ acido 
colico alla temperatura ordinaria; infatti facendo agire il bromo 
allo stato di vapore sull’acido secco, si ha sviluppo notevole 
di HBr, mentre la sostanza si converte in una massa amorfa, 
colorata in giallo-bruno, e da cui non si riesce a separare alcun 
prodotto analizzabile. Similmente facendo agire il bromo sull’a- 
cido colico disciolto in solventi anidri (acido acetico glaciale, 
etere etilico, ecc.), si osserva una rapida decolorazione parziale 
della soluzione, e da questa si separa una sostanza amorfa, re- 
sinosa, colorata in giallo-bruno ed incapace a cristallizzare. 
Tutti i tentativi da me fatti per ottenere bromurazione dell’a- 
cido colico senza alterazione della sostanza, riescirono vani; il 
bromo agisce energicamente sull’acido colico, dando HBr in copia 
e resinifica il prodotto, probabilmente per un’ azione anidrifi- 
cante di quest’ultimo. 


(1) “ Zeitschr. f. physiol: Ch. ,, Bd. 19, s. 288, 1894. 


892 LODOVICO BECCARI 


Per contro a Landsteiner riescì di ottenere facilmente il 
derivato bromurato dell’acido deidrocolico C?4H3305Br, il che 
mostra come si debba alla presenza dei gruppi alcolici dell’acido 
colico tale suo comportamento col bromo. 

Facendo, al contrario, agire il bromo in un mezzo acquoso 
sull’acido colico, si ottiene una reazione più complessa, la quale 
merita uno studio approfondito e che qui riferisco solo somma- 
riamente, riservandomi di trattare particolarmente la questione 
in una prossima nota. i 

Se si tratta l’acido colico secco e finamente diviso con acqua 
di bromo alla temperatura ordinaria in vaso chiuso ed agitando 
continuamente, si nota dapprima un lieve ingiallimento della 
sostanza, poi una decolorazione completa sia di questa che della 
soluzione; nel liquido, privo di bromo, si riscontra HBr. Ese- 
guendo l’operazione quantitativamente potei verificare che 1 mol. 
di acido colico è capace di reagire con ben 4 mol. di bromo; 
il prodotto della reazione, che va fatta assai lentamente ed 
aggiungendo il bromo a piccole porzioni, è bianco, e raccolto 
su filtro e lavato con acqua, indi seccato completamente, può 
essere cristallizzato dall’ alcol o dall’ etere, da cui si separa in 
piccoli cristalli prismatici incolori. Il rendimento della prepara- 
zione è più o meno abbondante a seconda che l'operazione è 
stata condotta con maggiore o minore diligenza. Il prodotto 
ottenuto è insolubile in acqua, è solubile discretamente in alcol 
e in etere. Esso contiene bromo e cristallizza anidro. Portato 
al grado voluto di purezza, esso fonde con decomposizione pro- 
gressiva verso 130° dando una massa giallognola che più non 
cristallizza. 

L’analisi del prodotto ha dato i seguenti risultati: 

I. Grammi 0,1720 di sostanza diedero gr. 0,3708 CO? e 
gr. 0,1090 H?20; 

I_. Grammi 0,1845 di sostanza diedero gr. 0,3942 CO? e 
gr. 0,1178 H20; 

II. Gr. 0,1669 di sostanza diedero gr. 0,0854 Ag Br; 


IV... 10,2200 n A » 0,1136 Ag Br. 
I II III IV 
Cad asl =" 


DI 10. a 


RICERCHE SULL' ACIDO ‘COLICO 893 


dai quali si perviene alla formula C!8H?5Br0?, per cui si calcola: 


C% 585 
Hiv} 658 
Br, 21.6 


Questo prodotto ha carattere acido e si scioglie agevolmente 
nei carbonati alcalini. Tuttavia per azione prolungata di questi, 
e ;sopra tutto per opera degli alcali caustici si altera facilmente, 
donde una certa difficoltà ad ottenere i diversi sali. Infatti, 
trattata con alcali caustici, specie se concentrati, la sostanza si 
colora in un bel giallo cromo, che lentamente svanisce; con 
KOH. alcolica questa reazione è evidentissima, la soluzione a 
poco a poco si fa incolora, mentre formasi un precipitato di KBr. 

Il bromo vi è debolmente combinato. 

La sostanza descritta merita, a mio parere, speciale atten- 
zione, perchè rappresenta un nuovo derivato dall’acido colico 
assai più semplice dei primi e più immediati prodotti di ossi- 
dazione o di riduzione finora ottenuti; esso differisce dall’acido 
colico per un gruppo di 6 atomi di :C, che non possono essere 
soltanto rappresentati dalle catene alcoliche laterali già note, 
ma che in parte appartengono al nucleo fondamentale di costi- 
tuzione ancora sconosciuto. 

L'andamento completo della reazione con l’acqua di bromo, 
lo studio dei prodotti secondarî dovuti a questi 6 atomi di © 
distaccati, le ulteriori ricerche sul composto da me ottenuto e 
sui suoi derivati, possono gettare luce sulla struttura dell’acido 
colico, ed è appunto su tale argomento che volgono ora le mie 
ricerche e che mi riservo di riferire. 


Dal Laboratorio di Chimica farmaceutica e tossicologica 
della R. Università - Torino - Novembre 1902. 


894 GALEAZZO PICCININI 


Condensazione dell'etere cianacetico 
con l’aldeide cinnamica ed il piperonalio. 
Nota del Dott. GALEAZZO PICCININI. 


Ho intrapreso, per consiglio del prof. Guareschi, lo studio 
dei derivati di condensazione dell’aldeide cinnamica e del pipe- 
ronalio con l’etere cianacetico, per riscontrare se anche nel caso 
di aldeidi non sature o diossigenate si formino, come già è noto 
per tutte le altre aldeidi provate, i sali ammonici della BB'-di- 
cianglutaconimide sostituita. 

Nella sintesi espressa dall’equazione: 


, I 
| 

CHO C 

N 
CN— CH, CH,— CN CN-HC CT_CN 

| | = 2C,H;0H + H30 + Ha + la 
No 

NH; N 


accanto ai sali ammonici di queste diciandiossipiridine si hanno 
come prodotti secondarii le amidi di formula generale 
[CC /CN 

alle quali dà origine, secondo Guareschi (1), l'idrogeno che si 
sviluppa per la chiusura dell’anello piridico; e alcuni composti 
non ancora ben definiti a funzione mista di etere e di amide, 
che possono considerarsi come l’unione di una molecola delle 
amidi 


ia AO 
con una molecola di etere: 
—_a/0N 
R_CH=CX c00C,;H; 


(1) I. GuarescnaI, Sulle diciandiossipiridine, “ Atti della R. Acc. delle 
Scienze di Torino ,, vol. XXXIV. 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 895 


In nessuna, però, delle reazioni provate si era verificato il 
caso che l'idrogeno si fissasse sul nucleo stesso del derivato idro- 
piridinico. 

Nella reazione, da me studiata, dell’aldeide cinnamica con 
etere cianacetico e ammoniaca, ho ottenuto un sale ammonico, 
che contiene due atomi di idrogeno in più del derivato cinna- 
mico, quale avevo pensato doversi ottenere, rispondente cioè alla 
formula C!5H!4N30? in luogo della formula C'5H!2N30?, 

Varie prove fatte con acqua di bromo, con bromo in solu- 
zione acetica han dimostrato che questo composto non addiziona 
il bromo. 

Con ciò resta stabilito che non esiste più legame doppio 
nella catena laterale cinnamica e si confermano i dati analitici, 
dimostrando trattarsi di una dicianglutaconimide sostituita in vy 
da un residuo saturo. 

Avviene dunque in questa reazione una trasposizione mo- 
lecolare, per la quale l'idrogeno, che si deve eliminare per la 
chiusura dell’anello, resta fissato nella molecola stessa, conver- 
tendo il doppio legame in semplice. 

L’equazione riportata sopra resta dunque trasformata nel- 
l’altra: 


lhi — CH; CH.— CH; 
| 
o CH; 
| 
CHO C 
pet 
CN—CH, CHs— CN CON-HC C—T— CN 
| | == 20,H;0H + H30 dn | | 
C:H;0 — CO. CO—-0C;H; HO—-C.. C0 
NA 
NHy N 


Contemporaneamente ho notato che in questa reazione non 
si forma come prodotto secondario l’amide: 


di (ie e iti uri 


ma soltanto una piccola quantità di etere cinnamenilcianacrilico 


Cr deere so RIGORE 
5 


896 GALEAZZO PICCININI 


già ottenuto da Fiquet (1) eterificando l'acido cinnamenilciana- 
crilico. 

Il meccanismo di questa reazione dunque conferma anche, 
indirettamente, che le amidi sature sono veramente . originate 
dall'azione dell'idrogeno che si separa nella chiusura dell’anello. 

Una preparazione fatta per mezzo della cianacetamide (2 mol.), 
aldeide cinnamica (1 mol.) in presenza di 1 mol. di ammoniaca, mi 
diede lo stesso sale ammonico contenente la stessa quantità d’idro- 
geno, ben cristallizzato e con rendimento assai vicino ‘al teorico. 

Sarebbe interessante lo studio di altre aldeidi non sature 
per riscontrare se il fatto, notato per l’aldeide cinnamica, sia 
suscettibile di generalizzazione. 

La reazione fra piperonalio etere cianacetico e NH; procede 
come in tutti i casi studiati dal prof. Guareschi; ho ottenuto il 
sale ammonico della y-piperonil-dicianglutaconimide 


CH:0YOHs 


22" 


Ve 
CN — HC CSC 
| 
NH,O—C CO 
A 
N 
e accanto 1a questo come prodotti secondarii l’amide satura, fon- 
dente a 186°, 


ZAGA Ru _ ca/ CN 


e un composto fondente a 209°, in piccoli cristalli gialli conte- 
nenti due atomi di idrogeno in meno del composto precedente 
e che si può considerare come l’amide non satura corrispondente. 

Però questa trattata con bromo in soluzione acquosa, ace- 
tica, cloroformica, con bromo puro o esposta ai vapori di bromo 
dà sempre un derivato di sostituzione monobromurato fondente 
a 245° e non il derivato d’addizione. 

Se dunque la sostanza fondente a 209° ha la costituzione 
indicata dalla formula: 


FU Cene CN 


(1) Frquer, “ Ann. de Phys. et Chim. ,, serie 6°, vol. 29°, pag. 495. 


CONDENSAZIONE DELL’ETERE CIANACETICO, ECC. 897 


come lo dimostrano le relazioni che ha con l’amide satura, l’ana- 
logo comportamento con la barite all’ebollizione, bisogna am- 
mettere che rispetto al bromo essa si comporti come un composto 
saturo. 

Del resto Carrick (1) ha descritto un etere fenilcianacrilico 


— cH= (CN 
CH; CH=C< 600C,H; 


non saturo, che non addiziona nè bromo nè idrogeno e le sue 
osservazioni sono confermate dal Fiquet (2). 

La vicinanza dei gruppi elettronegativi CN deve avere una 
notevole influenza sul comportamento di queste sostanze non 
sature verso il bromo. 

Infine decomponendo alcuni sali metallici della Y-piperonil-BB'- 
-dicianglutaconimide ho preparato il composto 


GS )01 
C 
/N 
CN — BE 7 — CN 
HO—-C (0,0) 
N 


che ha funzione acida assai spiccata e verso gli alcali energici 
si mostra monobasico. 
Riassumerò ora brevemente i dati sperimentali. 


I. 


Condensazione dell’aldeide cinnamica con Vetere cianacetico 
in presenza di ammoniaca. 


Ho fatto due preparazioni ripetendole nelle stesse condizioni. 
In boccia chiusa a tappo smerigliato a gr. 13,2 d’aldeide ag- 
giungo gr. 22,6 di etere cianacetico; nella soluzione limpida 
verso a poco a poco cc? 25 di NH; in sol. (4 — 0,900) agitando 
di frequente. Il liquido si riscalda fortemente, diviene rosso e 
per agitazione e poi ancor più per raffreddamento lascia deporre 


(1) “ Journ. fiir prakt. Chem. ,, anno 1890. 
(2) Loe. cit. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 60 


898 GALEAZZO PICCININI 


cristalli di una sostanza gialliccia. Il liquido sovrastante ammo- 
niacale è assai denso e vischioso. Lascio a sè per 24 ore, alla 
fine di questo tempo in fondo al recipiente noto un abbondante 
deposito di massa cristallina; il liquido colorato in rosso è sci- 
ropposo. Tratto con poca acqua (circa 2 vol. */») sbattendo for- 
temente. Si forma un liquido lattiginoso che tiene in sospensione 
una sostanza giallastra. Filtro alla pompa dopo riposo, lavando 
la sostanza finchè l’acqua passi incolora. La sostanza raccolta 
asciugata fra carta, indi all’aria pesa gr. 12. In un’altra prepa- 

razione dalle medesime quantità di aldeide ottenni gr. 16,7 di 

sostanza greggia. In questa avevo avuto cura di raffreddare, un 

poco il liquido con acqua a 15° evitando così in parte la forma- 
zione di sostanze resinose. 

Questo prodotto viene esaurito con etere e all’etere cede la 
massima parte della resina formata e un composto di cui par- 
lerò in seguito e che chiamerò (A). 

Dopo le estrazioni eteree lavo il prodotto più volte con 
alcool a 90°, con questo trattamento lo si ottiene quasi inco- 
loro e già fondente con decomposizione fra 208-210°. Ricristal- 
lizzo varie volte dall'alcool bollente (alcool a 90°/) fino ad 
ottenere una sostanza bianchissima pura, minutamente cristallina, 
in masse mamellonari e che fonde, decomponendosi, tra 215-220; 
svolge a questa temperatura bollicine gassose e imbrunisce 
assai notevolmente. i 

La sostanza così ottenuta trattata a freddo con latte di. 
magnesia sviluppa NH; lentamente, ma in modo assai netto. 
È pochissimo solubile in acqua. 

Gr. 16,3275 di soluzione a 15° evaporati lentamente a b. m. 
lasciarono come residuo gr. 0,0058 cioè 1p. si scioglie 
in 2814 p. di acqua a 15°. 

A caldo si scioglie un poco più; meglio ancora se è presente 
dell'alcool. Nell’alcool a 90°/ si scioglie bene a caldo, poco a 
freddo, nell’etere e cloroformio è quasi insolubile anche a caldo. 
Cristallizza anidra. 

All’analisi la sostanza secca a 100-120° ha dato: 


TI. Gr. 0,1127 diedero gr. 0,2629 di CO, e gr. 0,0555 di H;0. 
II. Gr. 0,1153 diedero gr. :0,2712 di. CO, .e gr..0,0566 di H,0. 
III. Gr. 0,1322 diedero -cm8 23,4 di. N a. 15° e 729 mm... 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 899 


IV. Gr. 0,8572 fatti bollire in corrente di vapor d’acqua con 
latte di magnesia diedero gr. 0,6715 di cloroplatinato 
ammonico corrispondenti a gr. 0,0515 di NH,;. 


trovato calcolato per 
C!5H!4N40? CIHI?N40? 
; I II III IV 
Mod .027. 6414... — —_ 63.82... 64,28 
H., . 5.47 5.45 ni —_ 4.96 4.28 
N, — _ 19.87 — 19.85 20.00 
NH} — — — 6.00 6.03 6.02 


Questi numeri sono stati calcolati per la formula del sale 
ammonico di una cinnamenil e di una idrocinnamenil -dician- 
glutaconimide. 

. La differenza che si riscontra solamente nell’idrogeno non 
può essere attribuita ad acqua di cristallizzazione, perchè il com- 
posto era stato seccato a. 100-120° e non aveva accennato a 
perdita di peso e poi già la presenza di ‘/, mol. di acqua por- 
terebbe una così forte differenza nella percentuale del carbonio 
da, far scartare subito questa ipotesi. Non è nemmeno ammis- 
sibile l’ ipotesi che questo idrogeno sia andato a. scindere uno 
dei doppi legami esistenti nel nucleo, perchè A, f-Y è resisten- 
tissimo agli agenti chimici, e se l’idrogenazione fosse avvenuta 
nel A, a'-n si sarebbe passati ad un composto che, oltre a con- 
tenere un doppio legame nella catena laterale del residuo cin- 
namico, avrebbe avuto tre funzioni distinte, chetonica, imidica 
e alcoolica secondaria. Questo si concilia male col carattere di 
forte stabilità di questo sale ammonico verso l’acido cloridrico 
anche fumante, col fatto ormai noto che la reazione acida delle 
glutaconimidi libere e la; facile formazione di sali è dovuta al- 
l’ossidrile fenolico in posizione a'; infine non si concilia col fatto 
che la sostanza nè in soluzione acquosa nè. in soluzione acetica 
assorbe bromo, come dovrebbe essere di un composto contenente 
ancora il doppio legame in una catena laterale. Restava dunque - 
come ultima ipotesi che questo idrogeno si fosse addizionato sul 
doppio legame della catena laterale. 

Allora ho sciolto gr. 1,1208 di sale ammonico in circa 120 ce. 
di acido acetico glaciale al quale ho aggiunto pochi centimetri 


900 GALEAZZO PICCININI 


cubi di acqua. Poi ho trattato questa soluzione a freddo con 
una soluzione pure acetica di bromo (gr. 2;4648 di Br. in 21 cc.) 
aggiungendo cc. 5,4 di detta soluzione. 

Il liquido rimane colorato ‘in un bel giallo ranciato per 
qualche tempo, poi a poco a poco si scolora, dopo 3 ore la de- 
colorazione è completa. Riduco tutto a volume di cc. 250 e 
sopra 100 cc. di questa soluzione doso l’acido bromidrico libero 
col nitrato d’argento. 

Ottengo gr. 0,2966 di Ag Br. 

Cioè in 250 ce. è contenuto gr. 0,3194 di HBr, da cui 


trovato 


°/ HBr 28.49 


Se un solo atomo di bromo si è sostituito nella molecola 
si deve sviluppare gr. 0,3222 di HBr cioè: 


HBr °/o 28.72. 


L'accordo completo mostra che il bromo non si è addizio- 
nato ma solo sostituito. Se si nota che l’aldeide cinnamica as- 
sorbe avidamente il bromo, si capisce come questo derivato possa 
considerarsi come un prodotto non contenente più il doppio le- 
game cinnamico. 

Per quanto abbia cercato di ottenere questo bromoderivato, 
il cui studio sarebbe stato certamente interessante, non ho po- 
tuto ottenere che una massa plastica, amorfa, resinosa, rossa, 
che non cristallizza da nessuno dei comuni solventi organici. 
L’alcool la scioglie bene, l’acqua produce nella soluzione alcoo- 
lica un liquido lattescente. 

Forse la lunga evaporazione a bh. m. del liquido acido che 
lo conteneva ha resinificato il prodotto. 

Dai dati che ho qui riportati risulta chiaro che al sale am- 
monico fondente tra 215-220° con decomposizione è da asse- 
gnarsi la formula di un derivato idrocinnamico, cioè 


(6; mA CHs— CH, = CH; 
dan 
CN — HC C_- CN 


|--I 
NH,OC.. CO 
uc 


) 
CONDENSAZIONE DELL’ETERE CIANACETICO, ECC. 901 


Questo sale è molto stabile all’acido cloridrico anche fumante; 
questo non riesce a togliergli neppure una traccia di NH; lo 
scioglie bensì e l’acqua riprecipita dalla soluzione acida il com- 
posto primitivo. 

Meno stabile al calore, già a 120° comincia a svolgere NH3, 
lo sviluppo si fa più notevole coll’ aumentare la temperatura 
finchè a 215° si ha un abbondante sviluppo gassoso, mentre il 
sale fonde in un liquido rosso-bruno. 

Data la poca solubilità di questo sale in acqua, non mi è 
stato possibile preparare sali ben cristallizzati e definiti. 

Da tutto quel che ho fin qui detto risulta adunque che la 
reazione principale fra aldeide cinnamica, etere cianacetico e NH, 
è la seguente: 


G:H; — CH — CH — CHO +-2CAx0000,8, + NB: = 
5 


soia CH; CHa se CH; — 0 
4 


PAR 
CN-HC. C—CN 
|a aq + 20,H;0H 
\». NHOC . CO 
SZ 


N 


Gli estratti eterei, da cui venne ricuperato per distillazione 
l'etere, lasciano una sostanza (A) di color rossastro dall’aspetto 
resinoso, che si scioglie assai bene in poco alcool bollente in un 
liquido rosso, da cui per riposo e raffreddamento cristallizza in 
aghi uniti a forma raggiata una sostanza che purificata più 
volte per cristallizzazione fonde a 115-116°. E insolubile in acqua, 
solubile in acetone, alcool, etere. 

All’analisi ha dato: 


I. Gr. 0,1897 di sost. secca nel vuoto diedero gr. 0,5118 di CO, 
e gr. 0,1069 di H,0. 

II. Gr. @,1070 diedero gr. 0,2896 di C0, e gr. 0,0562 di Hs0. 

III. Gr. 0,1348 diedero cc. 7,8 di N a 17° e 743 mm. 

IV. Gr. 0,2047 diedero ec. 12,2 di N a 179,5 e 740 mm. 

V. Determinazione del Peso-molecolare. (Apparecchio Riiber. 
Solvente acetone). Sostanza gr. 0,6427. Solvente gr.12,6618. 
A —= 0°,37. Peso molecolare trovato = 229. 


902 GALEAZZO PICCININI 


trovato calcolato per C4*H!N0? 
I II III IV 
C°/ 73.58 73.81. — — 74.09 
Hi Ab CI — 5.72 
N, — — 6.58 6.61 6.17 
Peso molecolare — 229. Peso molecolare — 227. 


Questo prodotto alle proprietà ed all’analisi, è stato identi- 
ficato con l’etere etilico dell’ acido cinnamenil-cianacrilico, già 
ottenuto da Fiquet {1) facendo passare una corrente di HCl 
sulla soluzione alcoolica di acido cinnamenil-cianacrilico. 

L’ammoniaca diluita ha una certa influenza sulla condensa- 
zione diretta tra l’aldeide cinnamica e l’etere cianacetico; infatti 
mentre a freddo e per sè stesse le due sostanze non si combi- 
nano, appena si aggiunga anche una piccola quantità di NH, 
diluita si forma subito una sostanza cristallina gialla; così greggia 
fonde a 112-1183° e si dimostra identica all’etere cinnamiliden- 
cianfenilacrilico. L’etere da me ottenuto per quanto varie volte 
cristallizzato dall'alcool ha dato sempre come punto di fusione 


115-116° (termometro immerso), mentre il Fiquet indica per | 


questo composto 118-120°. 


Azione della cianacetamide sull’aldeide cinnamica 
in presenza di ammoniaca. 


Mi son servito in questa preparazione di aldeide cinnamica 


che avevo purificato distillandola in corrente d’idrogeno alla 


pressione di 20 cm. Ho mescolato intimamente 6 gr. di aldeide 
con 6,5 gr. di cianacetamide polverizzata finamente; ho ag- 


giunto quindi cc. 3,5 di NH; liquida (d — 0,900) cioè circa 1 mol. — 


per 1 di aldeide e 2 mol. di cianacetamide. 
Agitando, la massa diviene fluida, quasi incolora, a poco 


poco si depositano cristallini piccoli, finchè tutto il liquido si | 


rapprende in massa cristallina. 
Ho lasciato a sè per 16 ore, quindi ho trattato come pre- 
cedentemente. Il prodotto secco pesava gr. 11. 


Ho seguito nelle operazioni lo stesso metodo usato nelle 


(1) Frquer, loc. cit. 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 903 


preparazioni precedenti, ottenendo lo stesso sale ammonico fon- 
dente verso 220° con decomposizione. 
L'analisi ha dato: 


I. Gr. 0,1356 di sost. secca a 100-120° diedero cc. 23,6 di N 
a 16° e 750 mm. 
II. Gr. 0,1285 diedero gr. 0,3022 di CO; e gr. 0,0592 di H0. 


trovato calcolato % 
I II 
C9/o — 64.14 63.82 
Hi. — 5.12 4.96 
No 20.05 —_ 19.85 


Nella reazione precedente ho ottenuto dagli estratti eterei 
una piccola quantità di sostanza cristallina, che si è resinificata 
subito appena sciolta in alcool alla temperatura di 60° e che 
quindi non ho potuto analizzare. 

Il rendimento di sale ammonico greggio, partendo dalla 
cianacetamide è quasi quantitativo, mentre è assai minore quando 
si parta dall’etere cianacetico, in causa di una certa quantità di 
sostanza resinosa che si forma. 


II 


Azione dell'etere cianacetico sul piperonalio in presenza 
di ammoniaca. 


Ho adoperato etere cianacetico purissimo ridistillato e bol- 
lente a 206-207°. 

Come nelle preparazioni del derivato idrocinnamico pongo 
a reagire quantità di sostanze proporzionali ai pesi molecolari 
in modo che per 1 mol. di aldeide se ne trovino 2 di etere 
cianacetico e 3 di ammoniaca. 

Gr. 15 “di piperonalio sono disciolti in 22,6 gr. di etere cian- 
acetico; aggiungo, agitando, cc. 27 di NH; (sol. acq. d = 0,900); 
dal liquido omogeneo gialliccio, che si forma, per agitazione si 
depositano dei cristalli piccoli, poi tutto il liquido si rapprende 
in una massa cristallina di color giallo-chiaro. La reazione è 
accompagnata da sviluppo di calore. 

Dopo riposo (24 ore), diluisco con 2 vol. di acqua, filtro 


904 GALEAZZO PICCININI 


alla pompa asciugando poi fra carta e all'aria. La massa cristal- 
lina greggia secca all’aria pesa gr. 27 circa. 

Ho estratto con etere più volte la sostanza ottenuta finchè 
l’etere evaporato non lascia più residuo. Le estrazioni devono 
essere replicate molte volte per poter esser sicuri di aver tolto 
ogni traccia di amide. 

In un’ altra preparazione ho usato dell’estrattore Soxhlet, 
mettendovi la sostanza polverizzata e mescolata con vetro in 
pezzetti, ma il vantaggio non è grande ed è sempre difficile la 
separazione completa del sale ammonico della piperonil-dician- 
glutaconimide dalla miscela delle amidi e spesso, anche quando 
l'etere non estrae quasi più niente, rimangono traccie di amide 
nel prodotto, che sono assai difficili a togliersi per cristalliz- 
zazione. 

Ho trovato più vantaggioso sostituire l'etere con l’acetone; 
con questo solvente due o tre estrazioni sono sufficienti per 
togliere al sale di ammonio ogni traccia di amide e di colora- 
zione gialla. 

La sostanza bianca che lascia indisciolta, l’etere e l’acetone, 
si ricristallizza, dopo lavaggio con poco alcool assoluto, dall'acqua 
oppure dall'alcool diluito al 60 0/o. 

In tal modo si ottengono degli aghi setacei bianchissimi, 
lunghi, che non fondono sotto 300°, ma imbruniscono già a 250°. 
Il rendimento è di gr. 18 circa di questo composto per 15 gr. 
di aldeide, cioè un rendimento del 53 °/o. 

Trattata con latte di magnesia a freddo sviluppa ammo- 
niaca; anche per riscaldamento per sè stesso dà ammoniaca. 

Tutte le proprietà di questo composto hanno mostrato trat- 
tarsi del sale ammonico, della Y-piperonil-B8'  dicianglutaconi- 
mide, avente la costituzione: 


Varna 
cal CH g,70H2 
CN — HC C LION 
| 
NH, 0C CO 
id 
N 
L’analisi ha dato: 


I. Gr. 0,1146 di sostanza, secca nel vuoto e a 50-60°, diedero 
gr. 0,2361 di CO. e gr. 0,0345 di H,0. 


I SET ME 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 905 
II. Gr. 0,1252 di sostanza diedero gr. 0,2584 di CO, e grammi 


0,0406 di H,0. 
III. Gr. 0,1148 diedero cc. 18,8 di N a 149,5 e 742 mm. 


trovato calcolato per C!*H!'N'0* 
I II III silicati: 
C/o 50.19 ‘56.29 — leto 
His 3.94 3.60 — 3.36 
NO — — 18.87 18.79 


Questo sale è molto stabile, resiste energicamente anche al 
trattamento con acido cloridrico di densità 1,19. Non ugual- 
mente resistente all’azione del calore comincia a svolgere NH, 
già a 70-80°. Stando all’ aria e alla luce in parte si decom- 
pone ingiallendo; le soluzioni se mantenute vicino a 100° per 
qualche tempo, assumono una colorazione giallastra. Solubile in 
acqua a freddo, assai meglio a caldo. Solubile in alcool diluito 
a freddo e caldo, poco nell’alcool assoluto. L’etere e l’acetone 
non lo sciolgono quasi affatto. Le soluzioni acquose 1 :500 
trattate : 

Con nitrato d’argento precipitano un sale bianco caseoso:; 
insolubile anche a caldo. 

Con nitrato mercuroso dànno un sale bianchissimo insolubile 
a caldo; lasciato all’aria e alla luce si decompone rapidamente 
passando al grigio e poi al nero. 

Con acetato di rame (soluzione all’1 : 100) danno dopo riposo 
un sale cristallizzato verde solubile abbastanza a caldo. La so- 
luzione acquosa di questo sale si decompone per ebollizione, 
dando origine a un sale più intensamente colorato. 

Precipitato ‘a caldo il sale ammonico con acetato di rame 
al 5°/, si ottiene un sale pure verde insolubile di cui tratterò 
più innanzi. 

Con cloruro di bario (soluz. al 5°/) si ha un sale cristal- 
lizzato in begli aghi lunghi incolori splendenti, assai facilmente 
solubili a caldo. 

Con cloruro di calcio pure si ha un sale bianco solubile a 
caldo. 

Con nitrato di cobalto si forma un sale roseo-ranciato cri- 
stallizzato in piccoli aghetti setacei solubili assai facilmente a 
caldo. 


L. 


906 GALEAZZO PICCININI 


Con solfato di nickel si forma un precipitato dall’aspetto 
gelatinoso di color verde; si scioglie bene .a caldo e per lento 
raffreddamento si ottiene sotto forma di aghi verdastri. 

Con solfato di magnesio dà dopo lungo riposo dei cristalli 
duri prismatici assai belli. Questo sale è molto solubile in acqua. 

Con cloruro ferrico dopo qualche tempo si forma un sale 
colorato in rosso-bruno, solubile a caldo. 

Coi sali di piombo pure si hanno precipitati bianchi abbon- 
danti. 

La soluzione ammoniacale di acetato di rame trattata con 
soluzione ammoniacale di sale ammonico lascia deporre il sale 
cuproammonico azzurrastro. 

Prima di passare a descrivere i sali ottenuti accennerò al 
composto a funzione acida, che si ottiene per decomposizione di 
alcuni sali metallici cioè la -piperonil-88'-dicianglutaconimide. 


y-piperonil-BR'-dicianglutaconimide. 
O\ 
C GE 0%cg, 
Y LIE Sig 
CN — HC CT— CN 


HO—-C CO 


ÈVA 
N 


Il composto libero a funzione acida si ottiene decomponendo 
il sale d’argento in sospensione nell'acqua con una corrente di 
idrogeno solforato a caldo, separando il solfuro d’argento e con- 
centrando a b. m. a dolce calore. Si può ottenere più sollecita- 
mente ancora decomponendo la soluzione calda del sale baritico 
con la quantità calcolata di acido solforico. Ho provato tutti e 
due i metodi, ottenendo sempre lo stesso prodotto bianco a fun- 
zione acida spiccata. 

La sostanza secca a 130° diede all’analisi: 


I. Gr. 0,2568 diedero cm? 33 di N a 15° e 739 mm. 


trovato calcolato per C'*H"N?0* 
N° 14.65 14.94 


II. Determinazione del Peso-molecolare (App. Riiber. Solvente — 
Acetone). Sost. gr. 0,3424. Acetone gr. 15,5214, A = 00,13, - | 
Peso molecolare trovato = 283,4. Calcolato 281. 


CONDENSAZIONE DELL'’ETERE CIANACETICO, ECC. 907 


Non fonde sotto i 300°, ma già verso 150° comincia a ingial- 
lire; a 180° diviene bruno. 

Cristallizza male dall’acqua e dà facilmente nobili sovras- 
sature. È molto solubile in acqua a caldo, un po’ meno a freddo, 
ma le soluzioni acquose lo lasciano deporre in cristalli micro- 
scopici prismatici, che formano all’aspetto una massa gelatinosa. 

L’alcool lo scioglie bene ; dalle soluzioni alcooliche si può ot- 
tenerlo cristallizzato precipitandolo con un forte eccesso di etere. 
L’acetone, l’acido acetico lo sciolgono bene a caldo, pochissimo 
a freddo. 

Reagisce fortemente acido al tornasole, al metilorange e 
fenolftaleina. 

Le soluzioni acquose alla luce e all'aria si alterano alla 
lunga assumendo colorazione rosea. 


Ho determinato con una soluzione di di NaOH la basi- 


cità di quest’acido, impiegando come indicatori la fenolftaleina 
e il metilorange. 
Ambedue mostrano trattarsi di un acido monobasico. 


I. Indicatore fenolftaleina. — Gr. 0,10 di sostanza sono neutra- 


lizzati da cm3 3,5 di soluzione di di Na0OH e riportando 


ai pesi molecolari si ha: gr. 39,34 di NaOH per un peso 
molecolare di acido. Gr. 0,1287 di acido richiesero cc. 4,5 
di detta soda: da cui gr. 39,3 di NaOH per 281 di acido. 
II. Indicatore metilorange. — Gr. 0,1244 sono neutralizzati da 


cc. 4,4 di NaO0H dr: da cui per 281 di acido si richiedono 
gr. 39,75 di NaOH. 


» 
La media di queste determinazioni dà gr. 39,46 di soda 

per una molecola di acido mentre si calcolerebbe gr. 40. La com- 

binazione quindi colle basi avviene molecola a molecola. 

Il comportamento di acido monobasico, anche con un indi- 
catore quale il metilorange, mostra che l'acido è abbastanza 
energico. 

Le soluzioni acquose anche all’ 1:300 precipitano i sali di 
argento, i sali di bario e di calcio, un poco più lentamente il ni- 
trato di cobalto con formazione di un sale roseo tendente al 
color violaceo; con sali di rame e di nickel dopo qualche tempo 


908 GALEAZZO PICCININI 


si hanno precipitati cristallini verdi. I sali di sodio e di ammonio 
precipitano con.questa soluzione, quando sieno in soluzioni ab- 
bastanza concentrate. 

Precipitano pure le soluzioni di alcuni alcaloidi, come il 
solfato di chinina neutro e di cinconina, il primo in forma ge- 
latinosa, il secondo in polvere minutamente cristallina, formata 
da aghetti microscopici. 

Ma notevole è l’insolubilità dei sali di potassio e di nico- 
tina. Dalle varie prove posso concludere che una soluzione di 
acido 1:300 precipita abbondantemente il cloruro di potassio 
in soluzioni fino all’1:800; assai bene ancora quando questo 
sale sia diluito fino all’1:1000 (questa soluzione non è preci- 
pitata neppure dall’acido picrico). Con soluzioni di cloruro di 
potassio 1:2000 e 1:3000 si ottiene dapprima un intorbida- 
mento e dopo qualche tempo (circa 2 ore) si forma una notevole 
quantità di aghetti incolori. Come reazione qualitativa anche in 
tali diluizioni servirebbe egregiamente a svelare il potassio. La 
precipitazione è favorita da un eccesso di acido. A caldo questo 
sale si scioglie prontamente e torna a depositarsi per raffred- 
damento in piccoli aghi incolori. 

Le soluzioni di cloridrato di nicotina sono assai sensibili a 
questo reattivo in soluzione all’ 1:300. 


Trattando con questa, una soluzione di cloridrato di nicotina 


all’ 1° si ottiene sempre un precipitato voluminoso, dall’aspetto 
gelatinoso, che al microscopio si mostra formato di aghi incolori. 
Seguitano a precipitare prontamente le soluzioni di clori- 
drato all 1:2000, 1:4000, 1:6000. Le soluzioni 1:8000 e 
1:10000 dopo riposo dànno abbondanti fiocchetti bianchi. Si può 
giungere a svelare la nicotina anche in soluzione all’ 1 : 16000. 
Questo sale è solubilissimo in acqua a 70-80°; per raffred- 
damento cristallizza in aghi. Fonde verso 290° decomponendosi, 
già a 250° imbrunisce. 
Il sale seccato a 100-120° ha dato: 
Gr. 0,1183 diedero gr. 0,2741 di CO, e gr. 0,0447 di H,0. 


trovato calcolato per C'°H!N?,2C!*H"N?0* 
C% 63.19 62.98 
HS 4.19 3.86 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECO. 909 


Tre determinazioni della perdita in peso mi hanno dato ri- 
sultati concordanti e tutte fanno conchiudere che questo sale 
cristallizzi con !/, Hs0. 


Sale d’argento. C'+4HSN304Ag. — Si ottiene bianco trattando 
la soluzione acquosa a 30-40° del sale ammonico con nitrato 
d’argento; precipitando a freddo si ottiene sotto forma di pre- 
cipitato gelatinoso trasparente. È anidro. Alla luce si altera 
diventando un poco violaceo. 


All’analisi: 


I. Gr. 0,2440 di sale secco a 110-120° diedero gr. 0,0672 di Ag. 
II. Gr. 0,2704 diedero gr. 0,0740 di Ag. 


trovato calcolato per C!*H°N?0*Ag 
_— _—__ 
I II 
Ag lo 27.59 27.38 27.84 


Sale di bario (C**H6N30*)*?Ba + 4H,0. — Cristallizza be- 
nissimo in lunghi aghi brillanti incolori, lasciando raffreddare 
lentamente le soluzioni diluite di sale ammonico trattate con 
soluzione al 5°/ di cloruro di bario. Solubilissimo a caldo. Ho 
dosato il bario sotto forma di solfato. 

Diede all’analisi: 


I. Gr. 0,5460 di sale secco all’aria, persero a 100° gr. 0,0201, 
a 110-115° gr. 0,0288, a 130° non perdono più di peso. 

II. Gr. 0,2011 di sale anidro diedero gr. 0,0657 di BaSO, pari 
a gr. 0,0387 di Ba. 

III. Gr. 0,5974 di sale secco all’ aria scaldati a 130° persero 
gr. 0,0548. 

IV. Gr. 4,2884 di sale secco all’aria diedero gr. 1,2812 di BaSO, 
pari a gr. 0,747 di Ba. 


trovato calcolato per (C'*H°N°0')°Ba+4H,0 
Se — Pr 
I III 
Hs0 9% 8.95 9.17 9.34 


calcolato per (C'*H°N?0*°Ba+4H30 
II IV 


Ba °/ 19.24... 19.21 19.65 


s* 


910 GALEAZZO PICCININI 


Sale di calcio (C'4H5N304)?Ca +5H,0.— A una soluzione 
fredda di sale ammonico aggiungo un eccesso di soluzione al 
10° di cloruro di calcio. Si deposita un sale cristallino in aghi 
che, ricristallizzato dall'acqua calda e seccato all’aria, ha dato i 
seguenti risultati: 


Gr. 0,1784 di sale scaldato a 130°, indi a 150° persero in peso 


gr. 0,0240 
trovato calcolato per (C'*HSN?0*?Ca+5H30 
Hs0 % 13.4 13.04 


‘ Gr. 0,1544 di sale anidro diedero gr. 0,0138 di Ca0O pari a 
gr. 0,00985 di Ca. 


trovato calcolato per (C'*H°N°0‘)?Ca 
i ——_ r—. 
Ca-% 6.38 6.66 


Sale di rame C!4H5N®04Cu. — Cristallizza lentamente questo 
sale di un bel color verde, anidro, quando si aggiunga alla 
soluzione del sale ammonico a 30-40° un forte eccesso di solu- 
zione di acetato di rame all’.1 °,. È poco, solubile in acqua 
anche a caldo; seccato all'aria non perde di peso neppure riscal- 
dato a 150-160°. 

Non ho innalzato oltre la temperatura per timore di de- 
composizione. 


Gr. 0,1542 di sale diedero gr. 0,0366 di Cu0O pari a gr. 0,0292 


di Cu 
trovato calcolato per (C!*HSN?0*)Cu 
Cu. 9/0 18.93 18.51 


In altre condizioni, cioè precipitando verso 90° la soluzione 
di sale ammonico con la quantità calcolata di soluzione di ace- 
tato di rame ho ottenuto un sale insolubile verde, più scuro, 
che risponde alla costituzione di un sale complesso, formato 
dall'unione di 1 mol. di sale neutro per 2 mol. del sale basico 
suddetto. 

Qui deve avere una influenza notevole la temperatura, la 
concentrazione della soluzione di acetato di rame e la quantità 
relativa del sale di rame presente per una stessa quantità di 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 911 


sale ammonico. Di per sè stesso il fatto non è notevole perchè 
si hanno altri esempi di sali rameici neutri o basici a seconda 
delle condizioni in cui sono stati preparati. In fatto dalla gp'-di- 
cian-y-metilglutaconimide il dott. Quenda (1) ottenne con una 
soluzione di acetato di rame al 6 ° il sale basico, mentre il 
dott. Grande (2) ottenne un sale neutro trattando la soluzione 
del sale ammonico corrisponderfte con soluzione satura di sol- 
fato di rame. 

Del resto, molti di questi acidi derivati dalla glutaconimide 
sostituita mostrano la tendenza a combinarsi con un atomo di 
rame dando sali contenenti un eccesso di base, mentre poi sono 
monobasici rispetto alle soluzioni alcaline, ai sali d’argento e ai 
sali alcalino-terrosi. Questa tendenza resta ancor più accentuata 
se si considera il sale che si ottiene per ebollizione di questo 
sale complesso; si forma, come dirò più avanti, un composto 
contenente 3 mol. di base per 2 mol. di acido. 

All’analisi questo sale complesso ha dato: 


I. Gr. 0,2050 di sale diedero gr. 0,0375 di CuO pari a gr. 0,0299 
di Cu. 

II. Gr. 0,1257 diedero gr. 0,0227 di CuO pari a gr. 0,0181 di Cu. 

trovato calcolato per (C'*HSN°0*?Cu+-2C0'*HN30*Cu 


_ ——r!1ft9_—FP> a 
I II 


Cu °/o 14.58 14.39 14.55 


Questo sale bollito a lungo con acqua dà luogo a un sale 
basico contenente ancor più rame e che risponderebbe alla 
formula: 

ACEHSNSO* 


Cu — C'*H"N50* 
per la quale si calcola: 
Cu 9/0 ‘ 20.18 


(1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze ,, vol. XXXII. 
(2) Ibid. 


912 ' GALEAZZO PICCININI 


Gr. 0,1433 di sale, secco a 150°, diedero gr. 0,0471 di Cu0 pari 
a gr. 0,0376 di Cu; 


da cui trovato: 
Cu %o 26.23. 


Sale cupro-ammonico. — Alta soluzione fortemente ammo- 
niacale del sale ammonico aggiungo una soluzione pure ammo- 
niacale di acetato di rame (soluzione al 5 °/o). 

Temperatura delle soluzioni 30-40°. Lascio raffreddare len- 
tamente; si depone un sale azzurro chiaro. 

Seccato all'aria è di color azzurrognolo. Per riscaldamento 
a 100° passa al color verdastro; a 120° si fa color verde grigio; 
a 185-140° il color verde passa nettamente al grigio; a 150-160° 
diviene color caffè. 

All’analisi: 


I. Gr. 0,1749 di sale secco all'aria persero gr. 0,0103 a 100°, 
gr. 0,0013 a 125°, gr. 0,0016 a 140° e gr. 0,0060 a 150-160°. 
Totale: perdita in peso gr. 0,0192 e diedero per calcina- 
zione gr. 0,0261 di CuO pari a gr. 0,0208 di Cu. 

II. Gr. 0,2626 di sale secco all’aria, scaldati a 160°, persero 
gr. 0,0295 e diedero gr. 0,0387 di Cu0 pari a gr. 0,0310 di Cu. 

III. Gr. 0,1314 persero gr. 0,0147 e diedero gr. 0,0194 di CuO 
pari a gr. 0,0155 di Cu. 

IV. Gr. 0,1869 di sale secco all'aria decomposti, in corrente di 
vapor d’acqua, per ebollizione con latte di magnesia diedero 
gr. 0,2317 di (NH.)sPtCl, cioè gr. 0,0177 di NHs. 


da cui si ricava: °/o 

I II I’I IV 
Perdita a 150-160° 10.97 11.23 11.18 _ 
NH; totale _ _ 9.47 
Cu (del sale secco all’aria) 11. 1.89 11,79 11.80 —_ 
Cu (del sale secco a 160°). 13.35 13.28 13.29 —_ 


I dati analitici del sale cupro-ammonico descritto, come per 
un sale analogo ottenuto da Guareschi (1) dal sale ammonico 


(1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze ,, vol. XXXIV. 


1 — e > pv 


casier i Ab A na st 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 913 


della y-furfuril-B'-diciandiossipiridina, non concordano per un 
sale cupro-ammonico contenente il sale neutro (C!4H9N304)?Cu 
o il sale basico C!4HSN®04Cu, ma si accordano perfettamente alla 
formula: 

[(C!*HSN?0*?Cu + C!H°N?0*Cu + 6NH?. H30] 


per la quale si calcola °/: 


(GNH3. H30) | 11.08 % 
6NH,; 9.38... 
Cimz0p 11:69 vg 


e per il sale secco a 160°: 
(C'*H®N°0*)?Cu+- C!'*HSN*0*Cu 
Cu %o 13.15. 


A 100° esso perde 3NH;.H;0: infatti per 3NH3.H,0 si 
calcola una perdita in peso °/o 6,33 ed io ho trovato che gr. 0,1749 
persero a 100° gr. 0,0103, cioè 5,89 %o. 

L'altra ammoniaca se ne va a poco a poco coll’innalzarsi 
della temperatura ed è contrassegnata dall’alternarsi dei colori 
che assume il sale passando per il verde grigio fino al color 
bruno. 


Sale di cobalto. — Trattando una soluzione di 2 gr. di sale 
ammonico sciolti in 1250 cm? di acqua, a 70-80° con soluzione 
di nitrato di cobalto al 10 °/ e lasciando raffreddare lentamente 
si depongono degli aghi di color roseo tendente al ranciato assai 
solubili in acqua a caldo. 

Il sale ricristallizzato e asciutto all'aria perde una parte 
dell’acqua di cristallizzazione sul cloruro di calcio (1 mol.), un’altra 
parte (3 mol.) sull’acido solforico nel vuoto, nello stesso tempo 
si fa roseo tendente al violaceo; riscaldato a 100-130-150-170° 
perde ancora di peso diventando sempre più scuro, sino ad as- 
sumere una colorazione caffè. 

All’aria e assai rapidamente riprende parte della sua acqua 


. di cristallizzazione. 


sd 


All’analisi: 


I. Gr. 1,0000 di sostanza persero sul cloruro di calcio durante 
24 ore gr. 0,0150, nel vuoto su HS0, gr. 0,0393 durante 
Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 61 


914 GALEAZZO PICCININI 


96 ore; a 100° gr. 0,0464, a 150° ancora 0,0410, infine a 
180° gr. 0,0093. Totale perdita: in peso 0,1510. 
II. Gr. 0,2342 di sale a 160-170° persero gr. 0,0354. 


trovata 
I II 
Perdita di peso °/ 15.10 15.11. 


Il sale anidro diede all’analisi: 


I. Gr. 0,1332 diedero gr. 0,0096 di Cos0, pari a gr. 0,0070 di Co. 
II. Gr. 0,0816 diedero gr. 0,0059 di Cos0, pari a gr. 0,0044 
di Co. 


trovato 
I TI: 
Co 0% yeda 5.26. 


Per nessuna formula di sale neutro o basico corrisponde 
questa percentuale di cobalto trovata; però lo sviluppo di NH, 


quando il sale è trattato con latte di magnesia a freddo, mi 


fece supporre trattarsi di un sale doppio di cobalto e del sale 
ammonico. Allora veniva pure naturale pensare che la tempe- 
ratura elevata, in relazione al comportamento del sale ammonico 
verso il calore, dovesse eliminare ogni traccia di NH3 insieme 
con l’acqua di cristallizzazione. La perdita in. peso si accorda 
coll’eliminazione di. 10H,0 + 2NH; dal sale avente la costi- 
tuzione : 
[(C'*H°N?0*)?Co + 2C!*H!°N*0* + 10H30] 


per la quale si calcola: 


(10H,0 . 2NHs) ° 15.84. 


In fondo il prodotto ch'io ottenevo dopo l’essiccamento ‘a 
170-180° non doveva contenere più ammoniaca o solamente in 
traccie e in fatti trattato con latte di magnesia nelle stesse 
condizioni non diede sviluppo di NH3, 

Quindi il sale ch'io avevo analizzato aveva la costituzione: 


(C!'*HSN?0‘)?Co + 9C0!4*H7N30* 
per il quale si calcola: 
Co % 4.99. 


| 


| 
7 
. 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 915 


Questo sale acido, giacchè si può considerare come l'unione 
di 1 mol. di sale neutro con 2 mol. di acido, riprende soltanto 
parte dell’acqua di cristallizzazione primitiva, ripassando per toni 
di colore inversi a quelli osservati durante l’anidrificazione, se- 
nonchè si mantiene colorato in un roseo più intenso. 
Ricristallizzato dall'acqua ha dato: 


I. Gr. 0,5596 di sale persero sul cloruro di calcio gr. 0,0078, 
nel vuoto su H,S0, gr. 0,0266, a 100° gr. 0,0221 a 130° 
gr. 0,0167. Totale gr. 0,0736. 

II. Gr. 0,1552 di sale anidro diedero gr. 0,0108 di Cos0,. 


trovato calcolato per [(C'*H°N?0*)?Co + 2C!H"N*0*4+-10H30] 
Bs0" 9% 13.15 È J9,.22 
calcolato per (C'*H°N®0*)?Co+2C!'H"N?0* 
Col 8/3 5:11 4.99 


Anche questo sale perde 1 mol. di acqua sul cloruro di 
calcio e parte sull’acido solforico, la rimanente si svolge innal- 
zando la temperatura. 

Nel comportamento e nella disidratazione questi due sali 
mostrano qualche relazione. Circa 4 molecole d’acqua nel primo, 
4 1/) nel secondo vengono eliminate sul cloruro di calcio e sul- 
l'acido solforico; ciò sta ad indicare che quest’acqua è combinata 
meno intimamente e in relazione è anche il fatto che il sale 
acido ottenuto per riscaldamento a 170° riprende soltanto 7 mo- 
lecole d’acqua stando all’aria. 

Infatti gr. 0,6299 di questo sale restando all’aria riacqui- 
starono gr. 0,0612 in 7 giorni, cioè il 9,71%; mentre per 7H,0 
si calcola 9,64 °/o. 

Un’ altra considerazione su questi due sali: Il primo seguita 
a perdere in peso fino a 180° circa, il secondo a 140° non perde 
più di peso e questo dimostra che la presenza dell’ammoniaca 
nel primo rallenta in modo sensibile l'eliminazione dell’acqua ;. 
cioè quest’acqua di cristallizzazione nel sale doppio cobaltoso- 
ammonico pare più intimamente combinata di quello che non 
sia nel sale acido. 

Infine, trattando la soluzione acquosa della 1-piperonil-pR'- 
dicianglutaconimide con soluzione al 5 °/ di nitrato di cobalto 
si ottiene un sale colorato in roseo violaceo, il cui aspetto è 


916 GALEAZZO PICCININI 


assai diverso dai due precedenti e che, probabilmente, sarà il 
sale neutro (C,4H;N30)?Co, ma non l’ho analizzato. 


B-metilen-diossifenil-a-cianpropionamide. — L’etere che ha ser- 
vito per estrarre il sale d’ammonio, dopo evaporazione, lascia 
un residuo solido abbondante colorato in giallo; secco pesa gr. 7 
circa. Fonde in parte a 168-170°, in parte rimane non fuso fino 
a 194-195°. Evidentemente il residuo è formato da due sostanze. 

L’alcool a caldo scioglie tutto il residuo con colorazione 
gialla, per raffreddamento si depongono cristalli bianchi setacei 
bellissimi frammisti a sostanza cristallina gialla. 

Dall’alcool anche dopo varie cristallizzazioni ho ottenuto 
sempre un prodotto giallo impuro fondente a 174°. 

Per separare le due sostanze tratto tutta la massa con 
acqua bollente ripetendo due o tre volte l'operazione; resta indi- 
sciolta una sostanza gialla; la parte solubile, bianca, dopo varie 
cristallizzazioni dall’acqua e poi dall’alcool è bianchissima e fonde 
a 186-186°,5 in un liquido incoloro. 

La sostanza secca dall’analisi diede : 

I. Gr. 0,1411 di sostanza diedero gr. 0,3112 di CO, e gr. 0,0584 

di H30. ; 

II. Gr. 0,1644 di sostanza diedero gr. 0,3670 di CO, e gr. 0,0609 

di H0. 

III. Gr. 0,1387 diedero cc. 16 di N a 17° e 743 mm. 


ZON CEN 
trovato cale. per CH: CH3— CHa —CH 
I I III 
(0°, 60:05 10009 = 60.55 
Fhij 46599 (4-IL _ 4.58 
Na cs — 13.07 12.84 


La sostanza analizzata in II era ancora lievemente colorata 
in giallo e conteneva come impurità l’amide non satura corri- 
spondente: 

Determinazione del Peso-molecolare (App. Riiber - Solvente. 
Acetone). 

Sostanza gr. 0,5452 Acetone gr. 15,3432 
Innalzamento trovato = 09,28 
Peso molec. trovato = 212 Peso molec. calcolato = 218. 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 917 


Le soluzioni acquose del composto fondente a 186° reagi- 
scono neutre alle carte di tornasole. 

Quest’amide, fatta bollire in corrente di vapor d’acqua con 
acqua di barite, sviluppa NH; l’ammoniaca sviluppata, come 
ho potuto riscontrare in due esperienze, corrisponde a 2 mole- 
cole. Quindi la barite, oltre a idrolizzare il gruppo CONH,, sa- 
ponifica anche il gruppo CN, unito allo stesso atomo di carbonio. 
Ora sto studiando i prodotti che si ottengono decomponendo i 
sali baritici, dai quali spero ricavare allo stato puro l’ acido 
malonico sostituito corrispondente. 


Piperal-cianacetamide.— La sostanza cristallina gialla, estratta 
dall’etere e dall’acetone e separata dall’amide satura descritta 
per la sua poca solubilità in acqua, fu fatta cristallizzare varie 
volte dall’alcool a 90 °/o. 

Allo stato di purezza fonde costantemente a 209° ed è for- 
mata da cristalli piccoli splendenti, di color giallo chiaro. 

Pura e seccata nel vuoto e a 100° diede all’analisi: 

I. Gr. 0,1276 di sostanza diedero cc? 14,2 di N a 16° e 745 mm. 
II. Gr. 0,1499 di sostanza diedero gr. 0,3348 di CO, e gr. 0,0517 
di H.0. 


trovato calcolato per C11HSN?03 
I II 
© %Y — 60.92 61.11 
) 5 A —_ 3.89 3.70 
N, 12.74 — 12.99 


Raffrontando queste percentuali con quelle già date per la 
B-metil-diossifenil-a-cianpropionamide, si vede che esse differi- 
scono da queste per circa l’1 °/, in meno di idrogeno. Questa dif- 
ferenza, il punto di fusione diverso e più elevato, come è quello 
dei composti non saturi rispetto ai corrispondenti composti sa- 
turi, fanno supporre che questa sia un’ amide non satura avente 
la costituzione: 


(ON = /0N 


Per esser sicuro che realmente esistesse un doppio legame 
in questo composto ho tentato di prepararne il derivato d’addi- 
zione col bromo. 


918 GALEAZZO PICCININI 


La sostanza però non assorbe bromo in soluzione acetica, 
nò in soluzione di cloroformio; neppure in soluzione acquosa, a 
freddo, il bromo viene addizionato ; a caldo all’ebollizione sembra 
si addizionino, è vero, circa 2 atomi di bromo, ma il colore 
giallo della soluzione non permette di cogliere con precisione 
la fine della reazione; in fine si ottiene un prodotto di color 
giallo che fonde verso 235° decomponendosi e che sembra ana- 
logo al derivato, che ho ottenuto per altra via, contenente un solo 
atomo di bromo. 

Pensai allora di tentare un altro mezzo per provare se si 
forma il derivato dibromurato. 

Esposi la sostanza in ambiente secco all’azione dei vapori 
di bromo, durante due giorni. Sollevando la campana sotto la 
quale è la capsula, noto un abbondante sviluppo di HBr. 


Gr. 1,1681 di sostanza assorbirono gr. 0,4566 di bromo, mentre 
per un atomo di bromo sostituito si calcola 0,429 gr. 


Secco in stufa a 40-50° questo derivato per cacciare l’ec- 
cesso di bromo ; ricristallizzo dall’alcool. 

Ottengo così una massa setacea in cristalli minuti di un bel 
color giallo vivo, fondente, dopo varie cristallizzazioni a 245°: 
già fino da 235° comincia a imbrunire. Il dosamento del bromo 
in questa sostanza mi ha dato i seguenti risultati: 


Gr. 0,2625 di sostanza diederò gr. 0,1702 di AgBr pari a gr. 0,0724 


di Br. 
trovato calcolato per CASCO YO sr Uber sai 
Br 0); ‘27.58 2712 


Il bromo puro agisce energicamente sul composto fondente 
a 209°, formando una polvere cristallina gialla, che liberata 
dall’eccesso di bromo con ripetuti lavaggi con cloroformio, fonde 
a 235°, imbrunendo e decomponendosi. 

Anche il bromo dunque dà origine al medesimo derivato 
monobromurato ottenuto per l’azione dei vapori di bromo. 

Evidentemente il bromo non si addiziona, ma si sostituisce 
nettamente. E qui vengono naturali due ipotesi: o il composto 
non saturo si comporta verso il bromo come un composto sa- 
turo, e forse la vicinanza del radicale negativo CN rende im- 


CONDENSAZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 919 


possibile questa addizione, o se si ha un prodotto di addizione, 
questo è instabilissimo e nelle condizioni da me provate non si 
ottiene perchè si scinde in derivato monobromurato e HBr. 

Non è questo il primo caso di sostanze contenenti legami 
doppii, che rispetto al bromo si comportano come sostanze sa- 
ture. Nel 1890 Carrick:(1) aveva ottenuto un etere fenil-ciana- 
crilico che, egli notò, non fissava nè idrogeno nè bromo. 

Le osservazioni di Carrick furono più tardi confermate da 
Fiquet (2). Anche in questo caso si trattava di un composto 
avente il gruppo CN unito ad uno degli atomi di carbonio legati 
fra loro dal doppio legame. 

Recentemente Charon e Dugoujon (3) hanno osservato che il 
bromo-derivato .dell’aldeide cinnamica C;H; — CH = CBr — CHO 
non ostante la sua formula di composto non saturo è, rispetto al 
bromo, .un derivato saturo. 

Gli autori hanno osservato che neppure il bromo liquido, 
messo in contatto direttamente con la sostanza, si addiziona. 

Come unica spiegazione essi suppongono che il bromo unito 
ad uno degli atomi di carbonio del doppio legame annulli com- 
pletamente per il bromo il doppio legame stesso. Sotto questo 
punto di vista mi sarebbe permessa l'ipotesi che pure il derivato 
da me ottenuto fondente a 245° 


CN 


/0N Mr 
CH g7%Hs — CBr= ec co nai NH; 


si comporti verso il bromo come un composto saturo. 
Ne consegue allora che possiamo considerare la sostanza 
fondente a 209° come l’amide non satura avente la ‘costituzione 


/0Nq1 _ 0/7 CN 
CH, YO — CH=C 60 — NE, 


L’altra ipotesi di un prodotto intermedio dibromurato assai 
instabile, che si scinda nel monobromurato fondente a 245° e in 
HBr, è puramente teorica e non ha convalidazione nell’espe- 
rienza, almeno in quanto riguarda le condizioni in cui ho operato. 


(1) Loc. cit. 
(2) Loc. cit. 
(3) “ Compt. Rend. ,, t. CXXXVI, pag. 1072 e 44. 


920 GALEAZZO PICCININI — CONDENSAZIONE DELL’ETERE, ECC. 


Infine debbo notare che questa amide, bollita con acqua di 
barite in corrente di vapor d’acqua, svolge NH; anch’essa ab- 
bondantemente e sto studiando l’acido malonico sostituito che 
ne deve derivare per idrolisi del gruppo CONH,; e saponifica- 
zione del CN. 

Mi duole, causa la piccola quantità di sostanze avuta in 
esame e la difficoltà di ottenerne nella reazione generale, non 
aver potuto studiare più intimamente questo composto. 

Lo studio delle due reazioni mi porta dunque alle conclu- 
sioni seguenti: 


1° Non si ritrovano nella condensazione dell’aldeide cin- 
namica e del piperonalio i composti a funzione mista di etere e 
di amide, simili a quello ottenuto da Carrick (1) trattando l’etere 
a-cianocinnamico con ammoniaca acquosa e quelli ottenuti, per 
reazioni analoghe a quelle da me provate, da Guareschi (2) dal- 
l’aldeide benzoica, anisica ed altre. 

2° Nella condensazione dell’aldeide cinnamica si ottiene 
il sale ammonico dell’idrocinnamenil-8'8-dicianglutaconimide, 
perchè l'idrogeno che si separa nella chiusura dell'anello va a 
fissarsi sul doppio legame della catena laterale cinnamica. 

3° Come prodotto secondario non ho trovato l’amide 


CH, — CH = CH — CH; — e 


come avrebbe dovuto formarsi per analogia con altre reazioni 
dello stesso genere, ma soltanto una lieve quantità di etere cin- 
namenil-cianacrilico. 

4° Nella condensazione del piperonalio si ottiene un sale 
ammonico di una dicianglutaconimide sostituita in y- dal residuo 
dell’aldeide. 

5° Come prodotti secondarii in tale reazione ho osservato 
la f-metil-diossifenil-a-cianpropinamide, che facilmente si lascia 
idrolizzare e saponificare per dare origine ad acidi, su cui verte 
ora il mio studio; e la piperal-cianacetamide che ha la proprietà 
di non assorbire bromo,:ma di dare con questo un derivato di 
sostituzione monobromurato. 


(1) “ Journ. fiir prakt. Chem. ,, t. 45, pag. 500. 
(2) I. Guarescni, Sulle diciandiossipiridine, “ Atti della R. Acc. delle 
Scienze ,, vol. XXXIV. 


GIORGIO SPEZIA — SULLA ANIDRITE MICACEO-DOLOMITICA, ECC. 921 


6° Debbo notare il comportamento del sale ammonico 
della -piperonil- -BB'-dicianglutaconimide che forma sali ben ca- 
ratterizzati per doppia decomposizione, mostrandosi monobasico 
coi sali d’argento e colle soluzioni dei metalli alcalino-terrosi, 
mentre ha tendenza manifesta a dar sali contenenti due equiva- 
lenti di metallo o sali doppii o misti coi metalli a carattere 
elettro-positivo meno spiccato, quali il rame e il cobalto. 

7° Notevole infine la poca solubilità del sale di potassio 
di questa dicianglutaconimide e la solubilità ancora minore del 
sale di nicotina, che credo potrà forse riuscire di qualche van- 
taggio nell’analisi di queste sostanze. 


Torino, Giugno 19083. Laboratorio di Chimica farm. e tossicol. 
della R. Università. 


Sulla anidrite micaceo-dolomitica e sulle rocce decomposte 
della frana del traforo del Sempione. 


Nota del Socio GIORGIO SPEZIA 
Professore di mineralogia nell'Università di Torino. 


(Con una Tavola). 


Fra alcuni esemplari di rocce del traforo del Sempione, 
datimi dalla cortesia dell'ingegnere Lanino, tutti interessanti e 
meritevoli di studio, esamino in questo lavoro quelli apparte- 
nenti ad un banco di anidriti e quelli della roccia decomposta 
costituenti la grandiosa frana interna, che fu di serio ostacolo 
all’avanzamento dei lavori. 

L’esemplare di anidrite fu tolto nello strato incontrato fra 
4644 e 4839 metri dall’imbocco di Iselle e la proprietà che pre- 
senta è di essere un’anidrite assai ricca di dolomite e di mica. 
La roccia con struttura granulare schistosa e senza traccia di 
porosità è di colore bianco, talchè si distingue ad occhio difficil- 
mente l’anidrite dalla dolomite; mentre la mica appare evidente 
nei piani di schistosità. 

La disposizione della dolomite nell’anidrite si può facil- 
mente osservare, quando si riduca la roccia ad avere una su- 
perficie piana levigata e poi si sottometta tale superficie alla 


929 GIORGIO SPEZIA 


azione di un carbonato ‘alcalino. Allora l’anidrite mutandosi su- 
perficialmente in carbonato calcico, assume un colore bianco 
opaco e tale da differire dalla dolomite che mantiene il suo 
aspetto primitivo. 

La fig. 1 rappresenta in grandezza naturale una sezione 
della roccia normale alla schistosità ed in essa la granulazione 
oscura indica la dolomite sparsa nell’anidrite. Dalla figura \ap- 
pare evidente come la dolomite si trovi diffusa nell’anidrite, sia 
costituendo strati di maggior concentrazione, sia in granuli 
isolati. 

Anche la mica si presenta con analoga diffusione della do- 
lomite, trovandosi in maggior copia dove abbonda la dolomite. 

Trattando frammenti della roccia ripetutamente e alterna- 
tivamente con carbonato sodico e poi con acido cloridrico di- 
luito e a freddo, potei eliminare l’anidrite ed avere per residuo 
la dolomite e la mica accompagnate da piccole quantità di pirite 
e di quarzo. 

La pirite si presenta in minutissimi cristalli ed è sovente 
inchiusa sia nei granuli di dolomite sia nelle lamine di mica; 
i cristalli raramente sono perfetti con le forme del cubo e del 
pentagono-dodecaedro, in generale sono deformatissimi e si pre- 
sentano con superfici e striature irregolari e con l’aspetto proprio 
di cristalli allotriomorfi. 

Il quarzo che è in minore quantità «della pirite è pure in 
granuli cristallini in generale allotriomorfi. 

La mica si presenta in minute scaglie non molto elastiche, 
con splendore quasi perlaceo ed è leggermente ‘biassica. Io ne 
feci un saggio quantitativo col materiale lavato e scelto, ma 
ottenuto dal trattamento a caldo con acido cloridrico diluito 
del residuo avuto dalla soluzione dell’anidrite; inoltre dopo ri- 
dotto in polvere il residuo micaceo, dovetti trattarlo con acido 
nitrico per togliervi la pirite inchiusa nella mica. Tale pro- 
cedimento per isolare la mica dalla dolomite e dalla pirite avrà 
forse alterato un poco la mica; ad ogni modo un saggio quan- 
titativo di questo minerale mi diede: Si0? 43,30; A1.03 14,18; 
Fe?03 1,49; Mg0 26,66; K?0 3,65; Na?0 2,24; Li?0:0;725 F10,54; 
H20 5;88 = 98,66. Quindi si può ammettere che la mica sia 
flogopite. 

Per la composizione della dolomite cercai il rapporto fra la 


Bf 


f_hoeep ar 


è « 


SULLA ANIDRITE MICACEO-DOLOMITICA E SULLE ROCCE, ECC. 923 


calce e la magnesia nella soluzione ottenuta con acido cloridrico 
diluito caldo, pel quale sciogliendosi con effervescenza la dolo- 
mite, rimaneva il residuo di mica, di pirite e di quarzo. Il saggio 
quantitativo con detta soluzione, nella quale eranvi col magnesio 
e .col calcio anche tracce di ferro, stabilì che il rapporto fra i 
detti elementi corrisponde a quello di una dolomite normale leg- 
germente ferrifera. 

L’anidrite poi, che è il principale costituente della roccia, 
si presenta con struttura granulare e generalmente in granuli 
trasparenti nelle sezioni sottili. Sovente al microscopio si osser- 
vano le striature già ben descritte e discusse da F. Hammer- 
schmidt (1) ed interpretate per geminazione polisintetica. La 
fig. 2 rappresenta una sezione fra i Nicol incrociati e coll’in- 
grandimento di 20 diametri e la fig. 3 raffigura una sezione 
vista a luce naturale con ingrandimento di 48 diametri, e da 
essa appare evidente la posizione delle linee di geminazione 
rispetto a quelle della sfaldatura più facile dell’anidrite. 

In fatto d’inclusioni frequenti sono quelle di pirite e rare 
le inclusioni liquide e quelle a bolla semovente, le quali non 
stanno a confronto per bellezza e grandezza con quelle che si 
osservano abbondanti nella stupenda anidrite violacea che si 
trova fra 4492 e 4520 metri dall’imbocco d’Iselle e che per la 
sua associazione al quarzo, alla mica, all’anfibolo ed anche alla 
wernerite costituisce un interessantissimo studio di paragenesi, 
del quale farò argomento di altro lavoro; nelle lamine di sfalda- 
tura di tale anidrite violacea potei osservare inclusioni liquide 
del diametro di Mm. 0,009 e non riempienti il vano e nella inclu- 
sione la bolla, con rapido movimento, del diametro di Mm. 0,002. 

Convertendo l’anidrite in cloruro calcico ed esaminato questo 
allo spettroscopio vi si trova la presenza dello stronzio. 


Gli esemplari di roccia provenienti dalla frana incontrata fra 
4450 e 4492 m. dall’imbocco d’Iselle sono quattro; uno è un fram- 
mento di micaschisto ricchissimo di mica e perfettamente sano; 
invece negli altri tre la mancanza di coesione è tale da lasciarsi 
facilmente rompere e disgregare colle dita, ed a proposito di 
coesione debbo notare che gli esemplari tolti di recente dalla 


(1) G. Tsomermar's, “ Min. u. pet. Mitt. ,, 5 vol. N. S., pag. 251. 


924 , GIORGIO SPEZIA 


frana, essendo ancora umidi, erano meno coerenti di quello che 
fossero alcuni mesi dopo in cui si erano lentamente essiccati. 

Dei tre esemplari di roccia alterata, due sono eguali e di 
colore biancastro; l’altro è di colore più oscuro, e tale diffe- 
renza di colore è data essenzialmente dal diverso colore della 
mica abbondantissima nei tre esemplari. 

Da uno degli esemplari più biancastri, presi dei frammenti 
scegliendoli fra quelli staccati dalla parte interna di esso e, 
senza ridurli in polvere, li trattai a freddo con acido cloridrico 
diluito, che sciolse con viva effervescenza una grande parte del 
materiale lasciando un residuo grossolano ed uno finissimo, per 
cui il liquido diveniva torbido, rimanendo tale anche dopo mez- 
z'ora di quiete. 

Perciò separai con successivo lavaggio e decantazione la 
parte finissima in sospensione nel liquido dalla parte grossolana; 
in questa, facendo una separazione col joduro di metilene a 
massima densità, ottenni come minerali più pesanti, pirite e 
rutilo, e nel rimanente vi era, quale minerale principale, la 
mica e come accidentali trovai in ordine di quantità il quarzo, 
granuli bianchi isotropi che facilmente si schiacciavano se com- 
pressi ed infine cristalli di tormalina sia incolora che leggeris- 
simamente verdognola. 

La mica in pagliuzze di splendore perlaceo e colore giallo- 
gnolo sottoposta ad un saggio qualitativo presentava molta ma- 
gnesia e l’analisi spettrale rivelava il potassio, il sodio ed il 
litio; inoltre portata ad alta temperatura in un tubo di vetro, 
dava la reazione della presenza del fluorio. È certamente una 
mica magnesiaca e forse flogopite. 

Il quarzo è in granuli biancastri, talvolta in frammenti e 
raramente in cristalli idiomorfi. 

I granuli friabili bianchi sono di caolino, perchè dànno acqua 
se riscaldati, sono infusibili ed un saggio qualitativo non indicò 
in essi che silice ed allumina. 

La pirite si presenta raramente in cristalli perfetti e più 
sovente in cristalli molto deformati e con aspetto allotriomorfo; 
ma ciò che è importante, come si vedrà, si è che la pirite ha una 
perfetta lucentezza e assolutamente senza traccia di ossidaziorte. 

La tormalina è in cristalli terminati ma più soventi in fram- 
menti a rottura viva e senza traccia di alterazione. 


SULLA ANIDRITE MICACEO-DOLOMITICA E SULLE ROCCE, ECC. 925 


Il rutilo di colore rosso oscuro è in cristalli sia regolari 
sia deformati con spigoli arrotondati, ma perfettamente lucenti, 
talchè non si può ammettere, per causa di tale aspetto, una 
causa meccanica, come sarebbe una fluitazione, che rende la 
superficie poco riflettente anche in minerali più duri del rutilo. 

La formazione del rutilo deve aver preceduto quella della 
tormalina; perchè osservai casualmente un cristallo di tormalina 
con facce terminali e spigoli perfettissimi includenti in parte un 
cristallo di rutilo molto deformato. 

Esaminai anche la parte finissima che rimaneva in sospen- 
sione nel liquido. Nel filtrare il liquido torbido si osserva che 
sul filtro non rimane una sostanza prettamente polverulenta, ma 
bensì appare mista ad una piccola quantità di sostanza gelati- 
nosa. Posta una goccia del liquido torbido sopra un vetro, ed 
aggiuntovi soluzione di fuesina, si vede -che la tinta non è uni- 
forme nel liquido, ma maggiore in certi punti, i quali, visti al 
microscopio, appaiono come aggruppamenti di minutissimi fram- 
menti principalmente di mica ed anche di quarzo e di tormalina, 
riuniti come da una sostanza colloidale nella quale il colore 
rosso della fucsina è più intenso. E tale colore circonda di pre- 
ferenza i detriti micacei che non quelli di tormalina e quarzo. 

Di tale sostanza colloidale, che d’altronde è in piccola quan- 
tità diffusa nella roccia, non potei fare un'analisi per l’impos- 
sibilità di separarla dai minuti frammenti degli altri minerali 
e neppure separarla con processi chimici, perchè essendo essa 
difficilmente attaccata dagli acidi e dagli alcali potevano, nelle 
separazioni per via chimica anche decomporsi in parte i minu- 
tissimi detriti dei minerali, dando un risultato analitico erroneo. 
Io credo tuttavia si tratti di un idrosilicato d’allumina colloidale. 

L'altro esemplare di roccia della frana, avente un colore 
più oscuro, presenta nella sua essenziale composizione minera- 
logica molta analogia con quella descritta; e la differenza più 
notevole sta nel fatto che nella roccia oscura, sono rarità la 
pirite, il rutilo e la tormalina, mentre vi si trovano minuti ag- 
gregati fibrosi di anfibolo incoloro, minerale che io non osservai 
nella roccia biancastra. La mica poi, al saggio qualitativo, pre- 
senta gli stessi elementi di quella esistente nella roccia bian- 
castra e soltanto si mostra più ricca in ferro. In entrambi gli 
esemplari trovai tracce di acido solforico, dovuto alla presenza 
di solfato calcico. 


926 GIORGIO SPEZIA 


Esaminando poi meglio la coesione nei due esemplari, si 
scorge che la decomposizione non fu uniforme. In alcune parti 
la roccia si presenta bensì friabile, ma, con struttura. ancora; 
granulare e cristallina e senza aspetto di decomposizione chi- 
mica; pare cioè che la friabilità sia. dovuta soltanto ad una 
parziale solubilità di un minerale costituente principale. In altre 
parti invece il' distacco si opera con maggiore facilità e! sulle 
pareti di separazione vi ha un sottilissimo strato di una materia 
di colore verdognolo chiaro nell’esemplare di roccia biancastra. 
e più verde nell’esemplare a mica oscura. Tale materia è in parte 
solubile con. effervescenza negli. acidi ed è costituita da una 
miscela di carbonato calcico,. di. caolino. e di una sostanza’ pol- 
verulenta. cloritosa. che dà.il colore. Inoltre pare che in tali stra- 
ticelli e commisto alla sostanza. verdognola; sia specialmente 
localizzato l’idrosilicato d’allumina colloidale; perchè la sostanza; 
posta nell'acqua diventa glutinosa ed. appiccicaticcia. 

Io credo che tale idrosilicato d’allumina colloidale, che forse 
corrisponde alla argilla colloidale di Sehloesing; quantunque si 
troviin piccola quantità diffuso nel materiale della frana; sia detri- 
tico che melmoso, debba tuttavia, quando è umido, comportarsi: 
come un lubrificante, per cui, diminuendosi l’attrito interno nella 
massa della frana, si aumenta l’effetto enorme della pressione, 
che si osserva nelle tracce di deformazione della; provvisoria po- 
tente armatura in ferro posta nella galleria a difesa della frana. 

Se ora. dall'osservazione dei fatti si vuole entrare nel campo 
delle ipotesi per cercarvi la. più. probabile e soltanto. relativa 
agli esemplari da me esaminati, la quale serva-a. spiegare. la; 
decomposizione della roccia, bisogna anzitutto. stabilire quale! 
fosse la roccia:sana. 

La quantità. di carbonato che contiene ancora. la» roccia è 
rilevante; da un saggio quantitativo, fatto su. 37 grammi di 
sostanza della. roccia. biancastra, trovai che la. parte disciolta 
con effervescenza a freddo. dall’ acido cloridrico diluito. era, di 
68,30°/o. Ora. tale quantità non lascia dubbio, a mio avviso, che 
la roccia fosse un calcare micaceo'e cristallino; perchè si osserva 
ancora nella roccia. la calcite. cristallizzata. D'altronde non si 
potrebbe immaginare altra roccia. composta. cristallina la quale. 
supponendola anche tutta alterata. per. mezzo dell'acido. carbo- 
nico, potrebbe dare tale abbondanza di calcite. E. la piccola 


SULLA ANIDRITE MICACEO-DOLOMITICA. E SULLE ROCCE; Ecc. 927 


quantità di residui di caolino e di idrosilicato d’allumina colloi- 
dale, non permetterebbe di supporre fosse una roccia feldispa- 
tica, come il gneiss decomposto, costituente l’interna frana della 
galleria del Gottardo (1); neppure se fosse costituita da anortite, 
feldispato d'altronde che non costituisce roccia conosciuta avente 
per secondo costituente principale la mica; d'altronde la’ caoli- 
nizzazione è un processo comune non soltanto dei feldispati, ma 
di altri silicati contenenti allumina. 

Ammessa la preesistenza di un calcare cristallino micaceo, 
osserviamo le possibili cause di alterazione. 

Anzitutto conviene supporre che vi fosse una causa pre- 
disponente per spiegare anche l'estensione della frana interna. 
Essa è costituita da massi grandi e piccoli con melma, ossia 
presenta un aspetto brecciforme, talchè si può ritenere, quale 
causa predisponente, l’esistenza di una litoclasi riempita da de- 
triti i cui meati agevolarono l'introduzione delle acque ricche 
di agenti solventi e decomponenti. 

Passando ora: all'ipotesi di una causa diretta di alterazioni 
della roccia, si presenta anzitutto quella dell’ossidazione della 
pirite, trattandosi di un calcare micaceo contenente tale solfuro. 

A tale scopo cercai la. quantità di pirite esistente nella 
roccia alterata biancastra; nel residuo avuto dall'azione dell'acido 
sopra i 37 grammi di roccia, potei separare col joduro. di me- 
tilene, la pirite ed il rutilo; e trattando quindi. la miscela dei 
detti minerali con acido nitrico, ottenni, per differenza di peso, 
che la pirite vi si trovava nella roccia nella proporzione di 
1,95°/, e si noti che fu trascurata la piccola parte di pirite, 
la quale, essendo inchiusa nella mica, non potei separare col 
joduro di metilene. 

Ora la presenza di tale quantità di pirite sarebbe impor- 
tante quando la si volesse considerare come un residuo di quella 
che fosse entrata nel processo di decomposizione ed esportazione 
di una: parte del calcare. 

Ma il' supporre pel nostro caso che i frammenti di roccia; 
provenienti dal punto d'incontro della galleria colla frana, ossia 
all'incirca 1250 metri di profondità dalla superficie, fossero decom- 
posti per la: presenza della pirite, trova ostacolo nel fatto, che 


(1) “ Boll. R. Com. geologico ,, 1880, pag. 422. 


928. GIORGIO SPEZIA — SULLA ANIDRITE MICACEO-DOLOMITICA; ECC. 


tale minerale è, come sopra fu prenotato, perfettamente inalte- 
rato, nè si osserva nei frammenti di roccia esaminati, traccia 
di quel colore rossastro o giallastro, sia diffuso, sia a plaghe, 
che dovrebbe accennare la presenza o di ossidi di ferro o di car- 
bonato di ferro alterato. 

Per tali considerazioni, io credo più probabile l'ipotesi, Rae 
la decomposizione della roccia in profondità, ossia vicino al li- 
vello della galleria, sia avvenuta per l’azione di acque ricche 
di acido carbonico, il quale avrebbe sciolto parte del carbonato 
di calcio del calcare micaceo togliendogli la coesione, ed in pari 
tempo, avrebbe agito come decomponente, sia sopra alcuni sili- 
cati alluminosi accidentali che potevano esistere nella roccia, 
sia sopra il silicato alluminoso principale costituente la roccia, 
ossia la mica magnesiaca, dando luogo al residuo caolinico e 
cloritoso ed all’idrosilicato d’allumina colloidale. 

La provenienza poi di dette acque carboniche può supporsi 
in due modi: od esse si sono formate nella stessa litoclasi, con- 
tenente i detriti di calcari cristallini piritiferi, ma ad un livello 
superiore a quello della galleria, ossia a quella profondità dalla 
superficie, dove potevano giungere le cause di ossidazione della 
pirite, e discendendo abbiano prodotto la soluzione e l'alterazione 
delle rocce a maggior profondità; ovvero sì siano infiltrate nella 
litoclasi, a riempimento detritico, delle acque carboniche circolanti 
nell'interno della regione montuosa e della cui esistenza può 
essere prova l’acqua minerale dell’Alpe di Veglia assai ricca di 
acido carbonico libero. 

Un'altra ipotesi si potrebbe dedurre dalla presenza sopra- 
riferita di traccie di solfato calcico, supponendo che i detriti di 
roccia, costituenti la frana, fossero di un calcare micaceo con ani- 
drite diffusa in modo che scomparendo questa per la sola azione 
solvente di acque comuni venisse tolta la coesione della roccia. 

Ma con tale ipotesi riesce più difficile lo spiegare la pre- 
senza di prodotti di alterazione di silicati, alterazione più facile 
a comprendersi col concorso dell'acido carbonico. D'altronde la 
presenza del solfato calcico si connette di natura colla prima ipo- 
tesi, essendo tale composto chimico il predominante nelle acque 
ricche d’acido carbonico libero proveniente dall’ossidazione delle 
piriti in contatto coi calcari, e nella composizione della stessa 
acqua di Veglia, citata in esempio, prevale il solfato calcico. 


aim Pa 


Vol. 38 


otimo . 


MUti R. Accad. delle Scene 
di T 


PEZIAG. Sulla Anidrite 


o ie ii Atti a 


ALESSANDRO ROCCATI — RICERCHE PETROGRAFICHE, ECC. 929 


Ricerche petrografiche sulle valli del Gesso 
(Valle della Meris e Rocca Val Miana). 


Nota del Dott. ALESSANDRO ROCCATI. 


In una precedente nota iniziai uno studio petrografico sulle 
valli del Gesso (Alpi Marittime) descrivendo le roccie della Valle 
del Sabbione (1); colla presente nota continuo questo studio espo- 
nendo il risultato delle mie ricerche nella Valle della Meris ed 
alla Rocca Val Miana o Mena. 

La Valle della Meris, percorsa dal torrente omonimo af- 
fluente del Gesso della Valletta, incomincia presso Sant'Anna 
di Valdieri e risale ai due laghi Sottano e Soprano della Sella, 
al di sopra del quale termina limitata da un lato dalla Rocca 
del Matto e dall’altro dalla Rocca Val Miana (m. 2990). Dalla 
Rocca Val Miana poi per una parete ripidissima si discende al 
piano del Vallasco. 

La Valle della Meris è scavata essenzialmente nei gneiss 
che costituiscono pure i due massicci della Miana e del Matto. 
Tali gneiss, tranne alcuni tipi accidentali che indicherò in ap- 
presso, sono simili a quelli che già descrissi nella nota prece- 
dente, soltanto in questa località è caratteristica l’abbondanza 
di rocce verdi che si trovano intercalate fra i gneiss special- 
mente verso la sommità della Rocca della Miana e nella parete 
che scende al Vallasco. Ritengo però che le rocce verdi, come 
potei verificare in alcuni punti, affiorano anche sul versante di 
Sant'Anna; certo è che incominciano ad incontrarsi oltre il Lago 
Soprano salendo alla cima della Rocca della Miana. 


(1) Ricerche petrografiche sulle Valli del Gesso (Valle del Sabbione); “ Atti 
R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1903, vol. XXXVIII. — Noto qui a 
maggior chiarezza che col nome di Val del Sabbione non indicai soltanto 
la Valle del Sabbione propriamente detta, ma anche il suo prolungamento 
verso Entraque nel Vallone del Bousset. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 62 


930 ALESSANDRO ROCCATI 


Gneiss. — S'incontrano nella località i due tipi di gneiss, 
a biotite e ad orneblenda, già descritti nella Valle del Sabbione; 
è però in prevalenza il gneiss a biotite. 

Senza entrare nella descrizione particolareggiata di questi 
gneiss, mi limiterò qui ad accennare ad alcune varietà caratte- 
ristiche che si incontrano come accidentalità nella massa gneis- 
sica e sono: gneiss ghiandone, gneiss cloritico e particolarmente 
gneiss ad enstatite e gneiss labradorico ad iperstene. 

Una varietà di gneiss a biotite interessante per la sua re- 
golare struttura s'incontra poco sotto al lago Sottano della Sella. 
Esso è eminentemente schistoso essendo formato da straterelli 
bianchi di circa 1 cm. di spessore e costituiti da quarzo, ortosio 
ed abbondante plagioclasio, che all'opposto degli altri componenti 
ha contorno cristallino ben distinto; è in individui di maggiori 
dimensioni degli altri componenti e per lo più profondamente 
alterato. 

Gli straterelli bianchi sono limitati da letti sottilissimi di 
biotite, il quale minerale manca si può dire del tutto nel rima- 
nente della roccia. La biotite è in lamine distinte di color nero 
a riflessi rossastri e lucentezza metallica; ha pleocroismo for- 
tissimo giallo bruno, bruno rosso, bruno scurissimo. 

La roccia contiene abbondanti inclusioni di apatite. 

Il gneiss ghiandone ha pure struttura eminentemente schi- 
stosa con regolare disposizione dei componenti: quarzo, ortosio, 
microclino, biotite ed apatite. Disseminati fra i piani di schisto- 
sità ed allungati secondo essi si hanno grossi individui a man- 
dorla di ortosio bianco latteo. 

Questo gneiss proviene dal lago Sottano; noto qui come esso 
è molto abbondante anche in altri punti del massiccio e special- 
mente nel gruppo dell’Argentera salendo dal vallone delle Rovine 
al colle Chiapous e da questo scendendo alle Terme di Valdieri. 

I caratteri dei componenti sono i soliti, solo rilevo come la 
biotite è qui di color verde scuro con lucentezza submetallica e 
l’ortosio non è mai geminato e presenta caratteristica estinzione 
ondulata. 

Il gneiss cloritico proviene pure dal lago Sottano; ha strut- 
tura schistosa poco evidente dando quasi passaggio ad un gneiss 
granitico. Nella massa spiccano numerose macchiette rossiccie 
dovute a granuli di menaccanite parzialmente alterati. 


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RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 931 


Manca la biotite che è sostituita da minute lamine incolore 
di muscovite e da abbondante clorite in lamelle di color verde 
scuro con evidente pleocroismo. 

Fra i componenti è notevole la presenza di rutilo in grani 
indistinti accentrati presso la menaccanite; esso ha color giallo 
rossastro con leggero dicroismo. 

- Sparse irregolarmente nella roccia si hanno zone a tinta 
più scura nelle quali, diminuendo fin quasi a scomparire la clo- 
rite, abbonda invece la biotite. 

Un curioso gneiss cloritico, che potrei indicare col nome di 
gneiss azzurro, s'incontra in prossimità del lago Soprano, alle 
falde della Rocca del Matto. 

Ha colore azzurro chiaro in cui spiccano granuli di quarzo 
incoloro ed è percorso da abbondanti filoncini di clorite verde 
erba chiaro. La struttura schistosa è abbastanza evidente. 

Tagliando lamine sottili, quando la roccia incomincia a di- 

ventare trasparente si presenta di color violaceo chiaro; in la- 
mine sottilissime scompare ogni colorazione sia azzurra che 
violetta. 
Al microscopio la roccia si rivela come un gneiss a clorite 
con poca biotite; ortosio e quarzo sono in granuli perfettamente 
limpidi ed incolori, il plagioclasio invece molto abbondante si 
presenta tutto gremito da una sostanza granulare, torbida, semi- 
opaca, che mi pare esser quella che dà il colore alla roccia. 
Laddove tale sostanza è in minor quantità il plagioclasio lascia 
vedere distintamente le linee di geminazione le quali del rima- 
nente sono appena visibili, talora mascherate del tutto. 

Sparsa nella massa havvi una varietà di clorîte che si ri- 
trova poi molto abbondante nelle rocce verdi della località. È 
in lamine di color verde chiaro con forte pleocroismo dal verde 
cupo al quasi incoloro; ha estinzione retta e colori d’interfe- 
renza azzurri. Meno abbondante ed in lamine più piccole è la 
biotite, bruna, con i soliti caratteri. 

Interessanti sono i rapporti della clorite con la biotite, poichè 
si hanno aggregati di lamine dei due minerali ed in taluni casi 
lamine che risultano formate in parte da clorite e in parte da 
biotite con passaggio graduato o distacco netto. Mi pare logico 
ammettere una formazione contemporanea dei due minerali e 
non provenienza per alterazione dell’uno dall’altro, poichè i due 


932 ALESSANDRO ROCCATI 


minerali sono ben limpidi e nella roccia s'incontrano anche di- 
stinti e ben conservati. 

Non rare sono inclusioni di magnetite granulare e di ema- 
tite in laminette rosse; entrambi i minerali sono per lo più cir- 
condati di un orlo di limonite. 

La clorite dei filoncini è diversa da quella della massa; è 
in lamine esili quadrangolari od esagonali con color verde più 
chiaro e pleocroismo meno sensibile; dette lamine sono frequen- 
temente riunite con struttura vermiculare. 

Questa clorite forma anche strati intercalati nella roccia 
con potenza di parecchi centimetri ed allora è associata a gra- 
nuli di quarzo e di ortosio. Notevoli sono in essa abbondanti 
geodi di quarzo, i cui cristalli allungati per anormale sviluppo 
delle faccie terminali assumono una forma a scalpello caratte- 
ristica. 

Interessanti e certamente non comuni sono due tipi di gneiss, 
l'uno ad enstatite, l’altro labradorico ad iperstene. 

Il gneiss ad enstatite fu raccolto scendendo dalla Rocca della 
Miana al Vallasco; esso ha struttura finamente granulare e la 
schistosità ne è poco evidente. Ha color bianco grigiastro in 
cui spiccano laminette verdi scure di clorite. 

Componenti della roccia sono quarzo, ortosio, plagioclasto, 
clorite, enstatite, rare laminette di muscovite, e poca apatite. 

I caratteri dei componenti sono i soliti; tali componenti 
hanno abito granulare e sono abbastanza ben conservati, all’op- 
posto del plagioclasio la cui inoltrata caolinizzazione non mi 
permise una precisa determinazione. 

L’enstatite, poco abbondante, è in lamine allungate; è inco- 
lora e presenta le caratteristiche strie con estinzione retta ed 
alti colori di polarizzazione. 

Il gneiss labradorico ad iperstene si incontra con qualche 
frequenza intercalato nel gneiss a biotite salendo dal lago Sot- 
tano al lago Soprano della Sella. 

Ha color bianco e nella massa sta disseminata della biotite 
di color nero con riflessi rossastri e lucentezza perlaceo-metal- 
lica; quest’elemento è molto disugualmente distribuito essendo 
in alcuni punti abbondantissimo mentre poi va diminuendo fino 
a mancare del tutto in certe zone. In taluni punti la roccia as- 
sume struttura macrocristallina ed allora ad occhio nudo si 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 935 


scorgono grandi granuli di quarzo, altri bianchi lattiginosi di 
ortosio e cristalli voluminosi ed abbastanza compiuti di plagio- 
clasio; rilevante è poi lo sviluppo delle lamine di biotite, alcune 
delle quali raggiungono fin 3 e 4 cm. di lunghezza. 

Nella massa della roccia è caratteristica l'abbondanza del 
plagioclasio e la presenza di iperstene e di enstatite. 

Il plagioclasio, contrariamente a quanto osservai negli altri 
tipi di gneiss, è ben conservato e nettissime sono le linee di 
geminazione secondo la legge dell’ albite a cui non raramente 
si aggiunge quella del periclino ed eccezionalmente quella di 
Karlsbad. 

Se non tutto, in gran parte tale plagioclasio va riferito a 
labradorite come dimostra l'angolo di estinzione misurato = 14° 
a 19° sulle linee di geminazione secondo la legge dell’albite ed 
il comportamento chimico. È infatti completamente decomposto 
dall’acido cloridrico a caldo e presenta notevole abbondanza di 
calce. 

L’iperstene è in lamine associate per lo più alla biotite. I 
contorni non sono ben distinti, essendo i margini come sfran- 
giati; è però limpido, di color bruno con fortissimo pleocroismo 
rosso violetto, bruno giallo, giallo verdognolo molto chiaro: di- 
stinte sono le finissime strie parallele caratteristiche. 

Disseminata fra il plagioclasio havvi rara erstatite in sezioni 
irregolari, incolore, con le caratteristiche striature, alti colori 
d’interferenza. 

Il quarzo e l’ortosio che completano la composizione della 
roccia hanno i caratteri ordinari; l’ortosio, non geminato, pre- 
senta estinzione ondulata, 

Nella roccia non sono rare inclusioni minute di apatite. 

I due tipi di gneiss sopra descritti presentano qualche ana- 
logia con alcune varietà di gneiss a pirosseno descritti dal 
Lacroix (1). 


Come appendice al gneiss sono da menzionare numerose 
stratificazioni che s'incontrano in varì punti sparse nelle rocce 
della località e che hanno composizione molto varia. 


(1) Contributions à l’étude des gneiss à pyroxène et des roches à wernérite 
* Bull. Soc. Frans. de Minéralogie , (1899), Tome XII. 


934 ALESSANDRO ROCCATI 


Microclino. Forma straterelli della potenza di parecchi centi- 
metri e s'incontra scendendo al Vallasco. Ha color bianco latteo 
e lucentezza porcellanacea. 

Al microscopio la massa risulta formata da un aggregato 
di plaghe del minerale ben conservato ed in cui sono netta- 
mente visibili le caratteristiche striature reticolate. 

Frequenti sono le traccie di azioni meccaniche subite dalla 
roccia e rappresentate da pieghettature ed incurvature delle 
strie di geminazione; si hanno pure frequenti traccie di rottura 
con spostamento dei frammenti. 

Nella massa si hanno rare inclusioni granulari di quarzo; 
lungo le fessure poi si formò in qualche punto un minerale in 
prismi incolori che per il forte rilievo, l'estinzione retta ed i 
colori azzurri d’interferenza credo poter riferire a zoisite. 

Quarzite. Roccia compatta di color bianco latteo che forma 
fra il gneiss intercalazioni potenti fin !/, metro e più. La rac- 
colsi scendendo verso il Vallasco ma faccio notare esser essa 
diffusa in tutta la zona gneissica dell’Argentera; fra altre loca- 
lità la incontrai presso il Colle delle Finestre. 

Al microscopio si presenta come un intreccio di granuli riu- 
niti senza cemento e che hanno caratteristica estinzione ondulata. 

Notai qualche rara inclusione di 2zircone. 

Clorite interstratificata fra il gneiss in masse costituite da 
minute lamelle di color azzurro cupo con quarzo e cristalli cu- 
bici di pirite. 

Plagioclasio e Pirosseno. Quest’associazione, in cui prevale 
il plagioclasio, forma straterelli, in relazione con altri di orne- 
blenda e ortosio, che s’incontrano salendo dal lago Sottano al 
Soprano. 

Il plagioclasio è comunemente in via di caolinizzazione e 
solo in alcuni punti sono ben distinte le linee di geminazione 
secondo la legge dell’albite sulle quali misurai l’angolo di estin- 
zione oscillante fra 4° e 7°. Non raramente in seguito ad azioni 
meccaniche le dette linee di geminazione sono incurvate o va- 
riamente piegate. 

Il pirosseno forma liste a contorno abbastanza netto; è in- 
coloro con evidenti le linee di sfaldatura su cui misurai l’angolo 
di estinzione di circa 40°; ha forte dispersione ed alti colori di 
polarizzazione. 


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RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 935 


Nella massa si hanno granuli di apatite ed inclusioni prisma- 
tiche di 2<ircone; laddove poi quest’associazione di plagioclasio 
e pirosseno dà passaggio all'altra sotto descritta si notano gra- 
nuli di ortosio e di zoisite. 

Orneblenda ed ortosio. Quest’associazione è in relazione con 
la precedente a cui fa passaggio graduato. 

L'orneblenda è in lunghi individui fibrosi a terminazioni ab- 
bastanza nette, lunghi fin 2 cm. Trattasi di orneblenda tipica, 
sempre però associata alla varietà azzurra che ebbi già occa- 
sione di indicare come comune nella valle del Sabbione (1); cioè 
ogni individuo risulta diviso in zone a colori ben distinti e netta 
separazione. Notai anche la varietà di anfibolo incoloro pure 
menzionata nel precedente lavoro; forma questo piccole plaghe 
interne o striscie nettamente distinte. 

Frammezzo all’anfibolo sta l’ortosio granulare, non geminato 
con estinzione ondulata; in qualche punto havvi pure zoîsite e 
abbondante apatite in forma di granuli sferoidali od ovoidali. 


Rocce verdi. — Come dissi in principio della presente 
nota, è caratteristica specialmente nella parete che scende dalla 
Rocca della Miana al Vallasco la presenza di numerose rocce 
verdi intercalate fra i gneiss. Esse si possono ridurre a tre tipi: 
anfiboliti, granatiti e pirosseniti. Le anfiboliti sono però preva- 
lenti ed in nessuna delle rocce esaminate manca l’orneblenda. 

Anfiboliti. Sono roccie costituite essenzialmente da orneblenda, 
a cui si aggiungono clorite, ortosio, plagioclasio, pirosseno, calcite, 
apatite, sfeno, rutilo, magnetite ed ilmenite. 

Generalmente l'ornedlenda è in individui prismatici allun- 
gati a contorno più o meno distinto, che formano un intreccio 
fra le cui maglie sono contenuti gli altri componenti. Dà sezioni 
che a seconda del taglio della roccia sono allungate, fibrpse con 
terminazioni di rado definite, oppure rombiche, queste ben nette, 
in cui si ha l’incrociarsi caratteristico delle linee di sfaldatura. 
Rari sono gli individui geminati. Ha color verde scuro, pleo- 
eroismo molto forte verde scuro, verde bruno, bruno ed angolo 
di estinzione = 19°. Associata a quest'orneblenda s’incontra la 
varietà azzurra ed in qualche punto compare anche l’anfibolo 


(1) Lavoro citato. 


936 ALESSANDRO ROCCATI 


incoloro che fu da me riferito ad edemite (1). I rapporti fra i 
‘ tre anfiboli sono quelli che già ebbi occasione di accennare per 
la diorite della Valle del Sabbione; infatti si trova l'azzurro 0 
l’incoloro a formare le terminazioni di cristalli verdi, oppure 
plaghe interne o zone alternate sempre con distacco ben netto, 
oppure anche si hanno accrescimenti paralleli fra fibre a vario 
colore. Notai anche qui il caso di individui divisi per metà da 
una fessura e presentanti ai lati di questa due colorazioni (verde 
chiaro, verde azzurro) ben distinte. 

La clorite è sempre presente; trattasi della varietà accen- 
nata nel gneiss cloritico del lago Soprano della Sella. Ha strut- 
turî lamellare più o meno distinta, colore verde chiaro con pleo- 
croismo dal verde carico al verde chiaro all’incoloro ; estinzione 
retta e colori d’interferenza azzurri. È completamente decom- 
posta dall’acido cloridrico a caldo. 

Il quarzo e l’ortosio hanno abito granulare; così pure. il 
plagioclasio che è però poco comune e sempre profondamente 
alterato. Nell’ortosio non sono rare inclusioni irregolari o roton- 
deggianti di quarzo o di plagioclasio. 

In una varietà di anfibolite il feldspato forma nella massa 
delle piccole amigdale che alla superficie della roccia risaltano 
sulla massa scura per il loro colore chiaro. Sono esse costituite 
da associazione di ortosio con plagioclasio, quello sempre pre- 
valente, a cui si aggiungono anche laminette di clorite o fibre 
di orneblenda. In dette amigdale l’ortosio in alcuni casi è minu- 
tamente fessurato, assumendo struttura a mosaico. 

Non incontrai il pirosseno se non in una varietà che po- 
trebbe considerarsi come un’anfibolite pirossenica. 

Il pirosseno, riferibile a diopside, ha struttura granulare ed 
è interposto fra gli individui prismatici di orneblenda, col quale 
minerale presenta frequenti associazioni, avendosi compenetra- 
zioni di pirosseno nell’anfibolo o fibre di questo incluse in quello. 
È perfettamente incoloro; evidenti sono le strie di sfaldatura 
secondo 100, sulle quali misurai l’angolo di estinzione = 38%*839; 
ha dispersione notevole ed alti colori di polarizzazione. 

Malgrado l’associazione talora intima dei due minerali non 
mi pare razionale l’ammettere la provenienza dell’anfibolo per 


(1) Lavoro citato. 


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RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 937 


trasformazione del pirosseno, ma che si debba ritenerli come di 
formazione contemporanea. Infatti sono entrambi limpidi e rela- 
tivamente ben conservati ed avendo l’ orneblenda inclusa nel 
pirosseno contorno abbastanza nitido. 

La calette è poco abbondante, tranne in una varietà che co- 
stituisce una vera anfibolite calcifera, ove coll’orneblenda forma 
la massa della roccia. È in granuli irregolari, limpidi, priva di 
inclusioni e nettissime sono le strie dovute alla sfaldatura ed 
alla geminazione; tali strie in alcuni punti in seguito ad azioni 
meccaniche furono contorte od incurvate; è completamente de- 
composta dall’acido cloridrico. 

L'apatite è sempre presente e talora straordinariamente ab- 
bondante; ha contorno cristallino distinto presentandosi in sezioni 
rettangolari allungate od esagonali, oppure è in granuli sferoi- 
dali od ovoidali con dimensioni molto variabili. Oltrechè sparsa 
nella massa costituisce frequenti inclusioni nei componenti, spe- 
cialmente nell’orneblenda. 

Molto meno abbondante è.lo sfeno in granuli o sezioni rom- 
biche o triangolari; i caratteri sono quelli soliti del minerale. 

Abbondanti, ma disugualmente distribuiti, sono i minerali 
metallici: pirite, magnetite, ematite ed ilmenite. 

Raro è il rutilo in grani o prismi di color rosso giallo con 
dicroismo sensibile; noto finalmente come s’incontrano nei com- 
ponenti inclusioni di zircone che per lo più ha abito cristallino 
distinto, costituito da prismi allungati a terminazione indistinta 
od ottaedrica. 

Granatiti. Le granatiti sono rare riducendosi essenzialmente 
a due tipi: granatite anfibolica e granatite anfibolica calcifera; 
potrebbero considerarsi come varietà delle anfiboliti sopra indi- 
cate con aggiunta del granato. 

La granatite anfibolica proviene dalla sommità della Rocca 
Val Miana; essa però già s'incontra salendo dal lago Soprano, 
come anche la s'incontra pure scendendo al Vallasco. 

È roccia a struttura macrocristallina, in cui già ad occhio 
nudo si distingue l’orneblenda, che dà alla massa color verde 
scuro sul quale risalta il granato abbondante, di color roseo e 
di forma rotondeggiante; esso è spesso alterato ed allora assume 
un color verdognolo chiaro o bianco sporco. 

Componenti sono: granato, orneblenda, quarzo, ortosio, clo- 
rite, attinoto, magnetite. 


938 ALESSANDRO ROCCATI 


Il granato è abbondante; dà sezioni rotondeggianti, talora 
poco distinte; il colore è roseo chiaro; gli individui sono 
sempre minutamente ed irregolarmente fessurati. 

Per lo più ogni cristallo ha un nucleo più o meno esteso 
roseo od incoloro, isotropo, ove il minerale è inalterato, mentre 
la parte periferica si è ridotta ad una massa biancastra, gra- 
nulare, semiopaca, che ha azione sulla luce polarizzata. L’alte- 
razione in alcuni individui è completa. 

Prodotti d’alterazione, oltre la sostanza granulare indicata, 
sono abbondanti granuli di magnetite e lungo le fessure una so- 
stanza verde cloritosa; come formazione secondaria si nota del- 
l’attinoto in fibre di color verde chiaro con pleocroismo verde 
chiaro, verde giallo, verde ed estinzione = 9° a 10°. 

Frequenti sono inclusioni granulari di quarzo ed apattte, 
altre prismatiche di 2zircone. 

L’orneblenda è sparsa fra i granati ed ha struttura fibrosa; 
i suoi caratteri sono quelli indicati. Noto come in questa roccia 
all’orneblenda tipica si associa la varietà di orneblenda azzurra 
con i fenomeni di aggregazione già menzionati nelle anfiboliti. 

Non raramente poi l’orneblenda è compenetrata nel granato. 

Frequenti sono le inclusioni di magnetite in granuli o larghe 
plaghe opache, di quarzo, di apatite e di zircone. 

I caratteri degli altri componenti sono quelli già riferiti; 
da notarsi è l'abbondanza della solita clorite verde chiara, la 
quale frequentemente si trova inclusa nel granato. 

La granatite calcifera ha composizione analoga a quella 
sopra descritta; soltanto è caratteristica la presenza di abbon- 
dante calcite granulare. i 

Questa varietà di granatite fu raccolta scendendo dalla Rocca 
Val Miana al Vallasco. Il Franchi (1) descrivendo roccie di 
questa località accenna a pirosseniti granatifere, ammettendo 
che l’orneblenda provenga da alterazione del pirosseno. Negli 
esemplari da me raccolti però l’orneblenda si presenta perfet- 
tamente inalterata; per cui credo sia da escludersi una tale ipo- 
tesi e la roccia debba considerarsi come una vera granatite 
anfibolica. 


(1) Relazione sui principali risultati del rilevamento geologico nelle Alpi 
Marittime eseguito nelle campagne 1891-92-93, “ Boll. R. Com. Geologico ,, 
anno 1894, n° 3. 


Astro Miprte To diva delli tini nitriti nna 


RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 939 


Pirosseniti. Di roccie ove il pirosseno sia un costituente es- 
senziale prevalente non ebbi occasione d’incontrarne che un tipo 
al lago Soprano della Sella, ove è in rapporto col gneiss az- 
zurro a clorite descritto a pag. 5. Per la composizione la roccia 
si può considerare come una pirossenite anfibolica. 

Macroscopicamente la roccia ha color azzurro carico quasi 
nero, ove si scorgono cristalli fibrosi di orneblenda con lucentezza 
submetallica; nella massa poi compariscono ampie zone di color 
bruno caffè, nelle quali si scorgono cristalli cubici di pirite. 

Componenti sono: pirosseno, orneblenda, quarzo, ortosio, pi- 
rite, apatite e rutilo. 

L’orneblenda è il componente più abbondante nelle zone 
scure ed è in questa roccia esclusivamente la varietà a pleo- 
croismo giallo verde, verde azzurro, che trovasi associata in pic- 
cole quantità nelle altre roccie descritte. Forma un intreccio di 
prismi fibrosi, talora geminati, con estinzione=18°; i vani fra 
gli individui sono riempiti da quarzo ed ortosio granulare con i 
soliti caratteri. 

Le zone di color bruno caffè sono costituite essenzialmente 
da pirosseno con abito prismatico, non mai così netto come nel- 
l’ anfibolo; distinte sono le linee di sfaldatura con estinzione 
di 39°. È incoloro, ma inquinato da Zimonite, che appare essersi 
infiltrata lungo le linee di sfaldatura; si è appunto questa li- 
monite che imparte il colore alla massa. 

La limonite può provenire in parte dall’alterazione del pi- 
rosseno stesso, ma in maggior copia mi pare si debba riferire 
ad alterazione della pirite che vi è abbondante e che, come 
dissi, s'incontra in cristalli cubici abbastanza voluminosi. 

Dove il pirosseno sembra maggiormente alterato compare 
l’orneblenda che si dispone lungo le linee di sfaldatura o forma 
plaghe interne irregolari. Tale orneblenda è pure qui della va- 
rietà azzurra, ma non così limpida come nel rimanente della 
roccia. 

Sebbene l’orneblenda si possa ammettere come inclusione 
di formazione contemporanea al pirosseno in cui è inclusa, pure 
il suo modo di presentarsi potrebbe anche lasciare supporre una 
provenienza per uralitizzazione del pirosseno. Sarebbe questo 
allora l’unico caso in cui avrei incontrato il fenomeno che l’In- 
gegnere Franchi, nella sua descrizione del massiccio gneissico 


940 GIACINTO MORERA 


dell’ Argentera (1), indica invece come relativamente comune. 
Ammessa però la seconda ipotesi si tratterebbe sempre di un 
fenomeno molto locale, ed a ogni modo è escluso che tutto l’an- 
fibolo provenga dalla trasformazione del pirosseno, poichè nel 
rimanente della roccia non si ha presenza di pirosseno e l’or- 
neblenda non è mai notevolmente alterata. 

Frammezzo al pirosseno notansi granuli di quarzo ed or- 
tosto; quest’ultimo minerale, oltre al presentare estinzione on- 
dulata, è talora minutamente fessurato e viene ad assumere 
struttura a mosaico. 

Comune come inclusione o sparsa fra i componenti è l’apa- 
tite; meno abbondante il rutilo si presenta in rari granuli di 
color rosso o giallo rosso leggermente dicroico. Il quarzo final- 
mente riempie anche irregolari fessure esistenti nella massa. 


Istituto Mineralogico della R. Università di Torino. 
Giugno 1903. 


I sistemi canonici d’equazioni ai differenziali totali 
nella teoria dei gruppi di trasformazioni. 
Nota del Socio GIACINTO MORERA, 


È noto che la completa integrazione di un sistema involu- 
torio di equazioni alle derivate parziali del 1° ordine, non 
contenenti la funzione incognita, e la completa integrazione del 
sistema canonico associato d’equazioni ai differenziali totali del 
primo ordine sono problemi analitici equivalenti, come lo sono 
nella classica teoria di Hamilton-Jacobi la ricerca di una solu- 
zione completa d’una sola equazione a derivate parziali, risoluta 
rispetto ad una delle derivate, e la completa integrazione del 
sistema Hamiltoniano associato (*). 


(1) Relazione sui principali risultati del rilevamento geologico nelle Alpi 
Marittime eseguito nelle campagne 1891-92-93, “ Boll. R. Com. Geologico ,, 
anno 1894, N. 3, 

(*) Cfr. le mie seguenti note, inserite nei “ Rendiconti del R. Istituto 
Lombardo ,: I. IZ metodo di Pfaff per l'integrazione delle equazioni a deri- 
vate parziali del I. O. (1883; S. II, Vol. XVI, p. 687 e 691); II. Intorno dai 
sistemi d’equazioni a derivate parziali del I. O. in involuzione (1903; S. IL 
Vol. XXXVI, p. 775). 


I SISTEMI CANONICI D'EQUAZIONI AI DIFFERENZIALI, ECC. 941 


I sistemi canonici godono della proprietà di essere trasfor- 
mati gli uni negli altri da tutte le trasformazioni di contatto 
operate sulle variabili dipendenti, quand’anche tali trasformazioni 
contengano le variabili indipendenti. Nel gruppo infinito delle 
anzidette trasformazioni di contatto è contenuto un sottogruppo, 
pure di infinite trasformazioni, che lasciano invariato un sistema 
canonico arbitrariamente scelto; sicchè vi sono infinite trasfor- 
mazioni di contatto che convertono un sistema canonico proposto 
in un altro qualunque (*). 

Comunque si proceda all'integrazione di un sistema involu- 
torio d’equazioni alle derivate parziali del I. 0., o col metodo 
di Jacobi propriamente detto, oppure col metodo da me proposto 
nel 1883 all'Istituto Lombardo, come estensione del metodo di 
Mayer, o metodo di Cauchy che dir si voglia, si incontra sempre 
il sistema associato d’equazioni ai differenziali totali. Col primo 
procedimento di tal sistema occorre soltanto trovare un’integrale: 
proseguendo oltre collo stesso procedimento si formerà un altro 
analogo sistema involutorio con un’equazione di più, al quale è 
associato un sistema canonico con due variabili dipendenti in 
meno ma con una indipendente in più. Col secondo procedimento 
invece il sistema canonico associato è da integrarsi completa- 
mente. 

Colla considerazione del sistema canonico associato ad un 
sistema involutorio di equazioni a derivate parziali del I. O. anche 
il famoso teorema di Lie acquista la sua più generale, e contem- 
poraneamente più semplice, interpretazione. 

A parer mio la considerazione dei sistemi canonici introduce 
nella teoria delle equazioni a derivate parziali del I. O. una uni- 
formità e semplicità di metodo ed un’eleganza di forma che 
meritano di essere notate; per ciò mi permetto di segnalare 
all'Accademia i risultati delle mie ricerche sui sistemi canonici 
di equazioni ai differenziali totali, ponendoli in relazione colla 
teoria dei gruppi di trasformazioni. 


(*) Vi sono però anche infinite trasformazioni non di contatto che tras- 
formano in sè stesso, oppure in un altro qualunque, un sistema canonico 
proposto. Cfr. l’ultimo $ della seconda delle mie note ricordate e della 
presente. 


942 GIACINTO MORERA 


$ 1. — Consideriamo le m trasformazioni infinitesime sulle 
2n+m variabili: 


Pi; 915 Pa, Q2; DICE] Pns Qui ti, ta, 0009 5, 


aventi per simboli: 


(1) uf= 3 4 (f, f,) (=1,2,... m), 
ove le f. sono tali funzioni di tutte le variabili che verifichino 
identicamente le mm_1) relazioni: 

(2) sa sO n n Ult (r,s=1,2, wi 2) m). 


In queste formule il simbolo (f, g) indica la parentesi di 
Poisson, ossia: 
mi df9) 
(f, er di d( Di, gi) 


Poichè, come si verifica subito, risulta identicamente: 
Cop OrUil, ossia: (U,U.)f=0, 


le m trasformazioni infinitesime generano un gruppo ad m para- 
metri 2, ...2n; la cui più generale trasformazione infinitesima è: 


(o 25 3000 2, .., M). 


Se noi assumiamo per valori dei parametri corrispondenti 
alla trasformazione identica lo zero, avremo: 


t=t +2 


e le rimanenti formule della trasformazione si otterranno inte- 
grando il sistema di equazioni ai differenziali totali: 


(4) dp; FRI di da 


dpi 


mi ST trai le Reni dit acre 


I SISTEMI CANONICI D'EQUAZIONI AI DIFFERENZIALI, ECC. 943 


in guisa che per t,=tf le p;, gi divengano rispettivamente pi, gi. 
Questo sistema di equazioni ai differenziali totali che, a cagione 
delle (2), è completamente integrabile, verrà denominato un sistema 
canonico. 


Essendo: 


(4) \ Pi = pipi, 009 dr: È, 0009 baz ne dans ta); 
lidi 98 it) 


la soluzione generale di (4), avremo così un gruppo di trasfor- 
mazioni, due a due permutabili, ad » parametri essenziali, le cui 
equazioni sono: 


Pi ="Di(Pii i TT 2a; 
(5) Gi= Gi(PI, n PML Mt; 
| ito, 


Ora si ha: 


CVrada Lran}= Lt 


PIL 


ma a cagione delle (2) si ha pure identicamente: 


Lf f=t, 


e quindi: 
(6) U,}Y dpi — Vfatt) =d DI. si — fà. 


Consideriamo l’integrale: 


dl qdpi — fd) 


944 GIACINTO MORERA 


esteso ad una linea rientrante qualunque nel campo delle va- 
riabili p;, 9; #5 per la trasformazione infinitesima (3) essendo: 


Bree YI U.I.de,, 


avremo: 
dI==0. 


Dunque I è, relativamente alle linee chiuse, un’invariante in- 
tegrale del sistema di equazioni differenziali (4). 

Si noti che: ddt, = 0, e quindi: di,= dt. 

Integrato completamente il sistema canonico ed espressi i 
valori finali p;, gi, delle variabili dipendenti, in funzione. degli 
iniziali (arbitrari) p°, gi, delle #, e dei loro valori iniziali #}, sarà 
adunque identicamente: 


M Yad Y}fidb= Y tap) fra +2, 


ove £ indica una funzione di tutte le variabili indipendenti. 

Di qui in particolare segue che riguardate le variabili indi- 
pendenti t come parametri costanti, le equazioni integrali di un 
sistema canonico stabiliscono una trasformazione di contatto tra le 
variabili dipendenti ed i loro valori iniziali. 


$ 2. — Le equazioni integrali (4’) delle (4) si possono cer- 
tamente risolvere alle q; e pî; sicchè è lecito nell’identità (7) 
considerare come variabili indipendenti le p;, gi; #, e #?. Si noti 
inoltre che posto: 


la (7) si può scrivere: 


) adpi—) fol = — ) ped Y feat, +dV; 


r 


sicchè per poter essere quest’equazione identica la V è necessa- 
riamente esprimibile nelle sole pi, 0; #,, #, e si ha: 


I SISTEMI CANONICI D'EQUAZIONI AI DIFFERENZIALI, ECC. 945 


Job copi di. 
\ cada db de 


® o 
| ILA, ft 


Usando, come abbiamo già fatto, della caratteristica d per 
indicare le variazioni infinitesime lungo le traiettorie del gruppo, 
abbiamo, tenute presenti le (6): 


ddQ=d DICE Daf DT —f.) se, 


Integrando lungo la traiettoria del gruppo, che parte dal 
sistema di valori iniziali p°, gi, ©, avremo quindi: 


do=d|Y e f.)i,, 


ove l’espressione sotto il segno integrale mercè le (4’) diviene 

necessariamente un differenziale esatto nelle #,, le quali varia- 

bili sono le sole che nel corso dell’integrazione variano (*). 
Siccome nella (7) figura solo 42 possiamo senz’ altro as- 


sumere: 
(ts) 


ei 


(t0s) 8 È 


funzione che è da calcolarsi esprimendo colle (4') la funzione 
sotto il segno nelle t,, #}, pî, 9. 


(*) Del resto è facile verificare direttamente la cosa. Si indichino: con 
[pi] e [gi] le funzioni ai secondi membri delle (4); ed in generale con [g] 
il risultato della sostituzione (4) in una qualunque funzione g delle pi e gi; 
tenendo presenti le (4) si trova subito: 


ARIA Int -s= Dif n =[REl+ Di 


espressione che, a cagione dell'identità (2), non muta collo scambio degli 
indici , s. C. d. d. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 63 


946 GIACINTO MORERA 


Calcoliamo direttamente la variazione DQ della Q per va- 
riazioni infinitesime delle sole pî e qî. Si trova, mercè le (4): . 


Da=|} (d9;Dp; + q;Dòdp)= f ò È, dDp; 


= Di (9:Dp; — giDp?). 


Ritenendo poi variabili anche le #, si ha: 


DIAL di Uidpi — Vi fa 


r 


ove invece di Dpi abbiamo scritto dpî giacchè ciò ormai non 
può recare confusione, essendo le pî considerate come variabili 
indipendenti. 

Adunque, ritenute costanti le sole tî, si ha: 


dV =) dp: = de La DI f,dt,, 


e di qui segue: 


bi è.Fog acida, ON... dh 
di dpi? ri dh O 


Inoltre, paragonando coll’ultima delle (8), si ha: 


dprdisog 
fiori Ae 


x 


conclusione conforme, ma più generale, a quella cui è giunto 
Jacobi nella 19" delle sue celebri “ Vorlesungen iiber Dynamik , 
circa la seconda equazione a derivate parziali cui, secondo Ha- 
milton, deve soddisfare la funzione principale di un problema 
dinamico. 


I SISTEMI CANONICI D'EQUAZIONI AI DIFFERENZIALI, ECC. 947 


Calcolata come si disse la Q e poi la V; colle (4') del primo 
gruppo si eliminino le pî e così si ottiene, a meno della costante 
addittiva, una soluzione completa del sistema involutorio: 


dv dv dr 
O) O=IT+ felt a ), 
che è l’associato del sistema canonico (4). 
Questo è il procedimento di integrazione d’un tal sistema 
cui io giunsi nel 1883, nella prima delle mie note ricordate. 


$ 3. — Per integrare il sistema canonico (4) si fissi nel 
campo delle variabili indipendenti ?, il cammino d'integrazione; 
ponendo invece delle #, e dt. rispettivamente: 


e considerando le #, costanti (al pari delle #?) e facendo variare 
la sola #. 

In questa guisa le (4) si convertono nel sistema Hamil- 
toniano: 


dpi .dH.,. dii ___. dH 
(10) HE” di..-t. dpi 
OVE: 


H= di ATA tre: Bo Mm 


Questo va integrato in guisa che per #=0 le p;, g; diven- 
gano rispettivamente pî, gî; ad integrazione compiuta posto #=1, 
. le espressioni ottenute per le p;, gi ci dànno la soluzione gene- 
rale delle (4). 

Orbene, integrare le (10) è analiticamente equivalente al 
trovare una soluzione completa dell'equazione a derivate parziali: 


dv i quer ii 
(11) stata nl ALII ONE AR ER I) 


Conosciuta la soluzione generale delle (10), una soluzione 
completa della (11) è data, come è noto, da: 


r=Lpet+( (Lod na, 


948 i GIACINTO MORERA 


ove al solito la quadratura va eseguita esprimendo le p;,gq; in 
fumzione di #, pî, g per mezzo della soluzione generale delle (10) 
e poscia eliminando le pi col primo gruppo delle equazioni 
integrali: 

Di Pi(pî, (+. 49). 


Le equazioni integrali di (10) si possono porre. sotto la 


forma: 
SY. tan DE 
dpi ” cit d9°: 


qu 


e ‘quindi quelle delle {4) si ottengono immediatamente dale 
precedenti ponendovi #= 1. 

Di qui facilmente si conclude che la V sì converte în una 
soluzione completa del sistema involutorio (9), quando vi si faccia 
t=1; giacchè pel calcolo della £ del precedente $, fissando 
come sopra il cammino d'integrazione, si ha: 


pnl (Letter) 


e così si vede che la soluzione ottenuta nel precedente $ coin- 
cide con quella or ora indicata. 

Adunque: la completa integrazione del sistema involutorio (9) 
si riduce a quella dell'unica equazione (11); e cioè, trovata quella 
soluzione della (11) che per t=0 si riduce alla funzione lineare 
Z a°p., fattovi t=1, si ottiene una soluzione completa del sistema 


involutorio proposto. 


È questa una delle tante forme sotto cui si può porre il 


teorema di Lie (*). 
$ 4. — Tra due sistemi di variabili: 
(Pi; %); (A, qi*) (i a 1, 2, ORO, n) 


si stabilisca una trasformazione di contatto dipendente dalle #,, 
e cioè una trasformazioni tale che, ritenute le t, costanti, si abbia: 


Vqdp, = dd + atdpt. 


(*) Cfr. “ Rend. Ist. Lomb. ,, S. II, vol. XXXVI, p. 784. 


__——— va 


TTT ro 


I SISTEMI CANONICI D'EQUAZIONI AI DIFFERENZIALI, ECC. 949 


Ritenute variabili anche le #,, avremo: 


(12) Vadp—Y fdt = dd —Vfedt,, 


ove le f,* indicano delle funzioni delle p;*, gf e delle t,. 

Introducendo nel gruppo di trasformazioni (5), in luogo 
delle antiche p, g, le p*, g* sì ottiene un nuovo gruppo di tras- 
formazioni, simile all’ antico. E poichè il prodotto di trasfor- 
mazioni di contatto è sempre una trasformazione di contatto, 
concludiamo che il nuovo gruppo ha le stesse proprietà carat- 
teristiche dell’antico ed in particolare ogni sua trasformazione 
stabilisce una trasformazione di contatto tra le p;*, gif ed i loro 
valori iniziali. Adunque la più generale trasformazione infini- 
tesima del nuovo gruppo sarà ancora del tipo (3). 

Ciò fa prevedere che per qualsiasi trasformazione di con- 
tatto sulle pi, qi un sistema canonico d’equazioni ai differenziali 
totali si trasforma in un altro sistema pure canonico. 

Le (4) moltiplicate per le variazioni arbitrarie dg, — dpi e 
sommate insieme, tra di loro e per rapporto all’indice î, dànno: 


) gi dpi — dp:dg:) =) fdt, = dt,df,) ; 


quando si convenga di porre dt, = 0. 
Quest’equazione può scriversi: 


d i Vadp —Yfde, Sad Vac —Y fo 0 


e da essa si riottengono le (4) ponendo uguali a zero i coeffi- 
cienti di tutte le quantità dp,, dg; e di., giacchè quelle m equa- 
zioni che si ottengono dall’annullare i coefficienti delle òt, sono, 
a cagione delle (2), una conseguenza delle (4) (*). Di qui segue 


(*) Cfr. il $ 2 della mia Nota recente, già citata: Intorno ai sistemi di 
equaz. a deriv. parz. del I. O. in involuzione, nei “ Rend. dell'Istituto Lomb. » 
per l’annata in corso. 


950 GIACINTO MORERA 


che operata la trasformazione di contatto tra le (p;, 4) e (pò, 43), 
a cagione della (12), le (4) si trasformano nelle: 


dp; = Sa - dt; ; o = i lb dt... 


Per provare che questo sistema è pure canonico bisogna 
dimostrare inoltre che sarà identicamente: 


dfr* Si * *)}K — 
so «MANS O; 


ove la parentesi di Poisson ( )* si intende formata colle nuove 
variabili. 
Da (12) segue: 


rit EE dpi 
sati do pad ‘dpi ; 
ES + dpi. 
"e ai S ira dgi i 
LS «el dé 
\ E _ mA h°, 


e da queste, eliminando la ©; si ottiene: 


d( ul API e MP AM Ag AGIO pliA$ i 
d(pi, px) d d dd q) ì dpi, qr) Ù 
d(pi* 19%) 258 fo dfr se de: x A Di ag (più, d;*) 5 
(pi, di) "tan jesh dpi d(tr, pi) ’ 
i 
( ) dfr oa dfr dere wu d( (pi Bab ù 
da i — dai dt, i) ° 
dfr dfs ita dfr* | dfs* DA N° d(p;* » 5) F 


A logeadrde AG dd 4 dle ts) 
3 J 


Dalle prime quattro di queste equazioni si ottengono con 
un noto procedimento le notissime relazioni: 


(p*r pi) =(0; I) =0 @Uzs= 4/2). 2, )i 


< 


| 99 =0 (E; (=, 


: 
4 
È 
i 


I SISTEMI CANONICI D'EQUAZIONI AI DIFFERENZIALI, ECC. 951 


dalle quali segue che per trasformazioni di contatto le parentesi 
di Poisson sono invarianti, cioè: 


(0) (9 = (9° = ori 


ove nella seconda parentesi di Poisson le funzioni qualunque h59 
son ritenute espresse nelle p*, g*. 
Dalla 5% e 6% delle (A) segue: 


dfr dfs _N* df* ino. a: d(pi* gi) dpr", n°) 


= dpi dgi pi dgi d(tr, Pi) dts, di) 
DE dpi 5.95) ner are Api*, 9%) i; 
l dpi dts, vi) dg  dltrpi) I” 


dalla quale con facile calcolo, mercè le prime’5 delle (A), si 
ottiene: 


tdi ad ci Ò i}, È 
(n= ET e DLE vo 


d(pi, gi) 
dpi* d(g5”, fr) dg; dpi, fe) dg; d(p;*, fr*) 
2193 è. Ip, di) E la Qi) È) > Ta gi) 


Ma usando della (C), e designando pel momento con (f,#), 
(f.*) le espressioni di f;*, f,# nelle p;, gi e t,, abbiamo di qui: 


__(£* £* dpi 93) ( d(f:*) Leg d(fs*) digit | 
ARTO EEA De e e 
J 
(fr) dpi d(fr*) dgi* 
A dpi* dts na dgi* di 


(Pi: 9) sera __ dr | IE de 
ae) +5 po pih dt VaR ha toi; 


e per l’ultima delle (A) e la (0): 


dfr dfs r "> #6 5} * 
SES E + (ff) = La TL (f, a 


Dunque: qualsiasi trasformazione di contatto sulle pi, Qi con- 
verte un qualsiasi sistema canonico in un altro sistema parimenti 
canonico, ossia il trasformato del gruppo (5) è un gruppo simile, 
dotato delle stesse proprietà. 


952 GIACINTO MORERA 


$ 5. — Consideriamo la trasformazione di contatto: 
È 30 ialiggon pale 
(14) dii dpi ’ Yi ida ? 


ove £ indica una funzione delle p;, p;*, t,, comunque scelta in 
guisa che non sia identicamente nullo il determinante funzionale: 


"rt 
dp, PT, Opn* î 
d(Pi -..3 Dn) 


Per tal trasformazione la (12) diviene: 
> vr \ d9Q | 
td, sà fdt, = 09 — Dardi _Y° (f sn Ùte | dt,; 


per conseguenza, se £ è una soluzione completa, colle arbitrarie 
non aggiunte p,*, ...; 7%, del sistema involutorio (9), ossia se: 


dQ dQ 


Ù de s Sera ea 
(9°) dir 2g f (&, 2-3 tn Piz ++ Pa i)... n wi) e 9, 


risulterà: 


x qidpi — Di f,dt,.=dQ +4 Di qEdpè, 


1 


e quindi sarà: 


Dunque allora il trasformato del sistema canonico (4) avrà 
la forma risoluta, cioè allora gli integrali di (4) sono le p, gi. 
Abbiamo così il teorema: Con una trasformazione di contatto (14), 
che sì ottiene conoscendo una qualsiasi soluzione completa del si- 
stema involutorio associato (9'), il sistema canonico (4) viene inte- 
grato; e per tal trasformazione il gruppo (5) si trasforma in un 
gruppo di traslazioni, cui il gruppo dato, com'è noto, è simile. 
Siccome poi l’inversa di una trasformazione di contatto è pure 
una trasformazione di contatto, si conclude ovviamente che a 
proprietà di essere riducibili alla forma risoluta per trasformazioni 


x 


di contatto è caratteristica de’ sistemi canonici. 


I SISTEMI CANONICI D'EQUAZIONI AI DIFFERENZIALI, ECC. 9583 


Osserviamo che un sistema canonico (C) con meno di r va- 
riabili indipendenti si può sempre riguardare come un partico- 
lare sistema canonico con r variabili indipendenti: giacchè se 
s<r, supposto che fi, fa, ....f, non dipendano da #,.,1, ..., t, e che 
inoltre f..1="f.4:= ...=f-= 0, sì ha un sistema (C) con sole s 
variabili indipendenti. 

Si considerino due sistemi canonici (C;), (03) contenenti lo 
stesso numero di variabili dipendenti; essi possono ridursi alla 
forma risoluta con due trasformazioni di contatto 7’, 7». Ma un 
sistema di forma risoluta rimane invariante per una qualsiasi 
trasformazione S operata sulle variabili dipendenti, non contenente 
però le indipendenti; per conseguenza la più generale trasforma- 
zione che converte (C,) in (C3) è: 


LP, 8T;%: 


In particolare poi (C;) è trasformato in sè stesso dal gruppo 
infinito di trasformazioni, simile al gruppo delle $S: 


I dr 


Coi precedenti teoremi la teoria delle trasformazioni dei 
sistemi canonici, ed in particolare dei sistemi Hamiltoniani, 
acquista la massima semplicità (*). 


(*) Cfr. il mio lavoro: Sulla trasformazione delle equazioni differenziali 
di Hamilton, pubblicato in tre note inserite nei “ Rend. dell’Accademia dei 
Lincei , (Vol. XII, 1° sem., serie 5*, pp. 113-122; 149-152; 297-300). 


954 PAOLO PIZZETTI 


Sopra alcune equazioni fondamentali 


nel problema degli n corpi. 


Nota del $Praof. PAOLO NPIZZIE AZIONI 


Giova spesso, nello studio del problema degli » corpi, rife- 
rire i mobili, anzichè ad assi cartesiani fissi, ad una o più terne 
di assi aventi origine mobile e direzioni invariabili. Così p. es. 
si può assumere come origine delle coordinate il punto variabile 
che rappresenta la posizione di uno dei corpi del sistema; ov- 
vero il centro di massa dei varii corpi; oppure, scelto a piacere 
un ordine di numerazione dei corpi, riferire la massa 4959 ad 
una terna d’assi uscenti dal baricentro delle precedenti i— 1 
masse (coordinate Jacobiane). Le formole pel passaggio dall’un 
caso all’altro, e in particolare quelle esprimenti i così detti 
integrali delle aree, sono di solito, nei trattati di Meccanica 
Celeste, dedotte in un modo piuttosto prolisso, mentre si pos- 
sono ottenere senza alcuna fatica coll’impiego elementare delle 
trasformazioni lineari. Scopo di questa Nota è appunto una de- 
duzione semplice delle formole relative ai nominati cangiamenti 
di variabili Cartesiane. 


1. — Siano #0, #}, ..., m, le masse degli n-+-1 corpi com- 
ponenti il sistema che si studia, e siano @,,y,, 2, le coordinate 
cartesiane della massa mm, riferita ad una terna di assi fissi. 

Siano poi: 

Xi, ye Z; (#== 0, i4° 2, 009 n) 


8n +3 nuove variabili legate alle x,, y,, =, dalle relazioni: 
i do, Tordo + Tiri + nes no ‘O 


(1) Yy E YorTo nn vati _ ses + Tato 
&r — TorZo a TuZi t OL + Tala 


SOPRA ALCUNE EQUAZIONI FONDAMENTALI, ECC. 955 


dove i yY sono coefficienti costanti, dei quali il determinante si 
suppone differente da zero. 
Posto: 


(2) Oi = Mx; = ZYi:NMy, 


il doppio della forza viva del sistema sarà espresso da: 


dI'=Zm, (n° + w; e 22) =ZZ0, (XX + Vi Ya + LL) 
r i k 
dove gli accenti indicano derivazioni rispetto al tempo. Si avrà: 


dT LL 
dX; —_ nd (0.97 Xi 


k 


e altre due analoghe. Quindi con ovvie operazioni : 


mas = di (n 73 tel}, Zi # 
= du VII re da Fi: LE 


.In tutte le sommatorie scritte sin qui si intende che il 
rispettivo indice assuma tutti i valori 0, 1, 2, ..., w. Il primo 
integrale delle aree assumerà dunque la forma: 


(3) pa Ly, si CARA = costante. 


Generalmente, nelle applicazioni, la sostituzione (1) è scelta 
in guisa da ridurre l’espressione della 27" alla forma: 


(4) 29T=ZY (XX + VIVI + Z/Z) + costante 
1 


i=lk= 


nella quale entrano soltanto le 3n variabili Xx... Xy, Yy... Vl, 
Zy' ...Z ; il che si può ottenere in infiniti modi, valendosi del 
teorema del moto del centro di massa. Dovrà essere allora: 


(5) dg = Z Yo Tiri, =0 (K =1,2,.. n) 


956 PAOLO PIZZETTI 


e dovranno le Xo, Yo, Zo essere funzioni lineari del tempo. In 
questo caso il primo termine (é = 0) della somma nella. for- 
mola (3) si riduce a: 


oo0(Y, o4o' — Zo FA 0) 


ossia ad una costante; sicchè il primo integrale delle aree può 
scriversi più semplicemente così: 


n 
<a dT dT 
(6) 4g | Yag 3 = costante. 
= 
Osserviamo ancora che, ‘essendo X, funzione lineare del 
tempo, la (1) dà con una doppia derivazione: 


n 


d dx d° Xx 
(7) TA ‘a x Vir di 
k=l 
d° Xx ; ) 
ove le debbono supporsi generalmente diverse da zero; 


dt? 
altrimenti la 7° potrebbe esprimersi per un numero di variabili 
minore di 3n. Moltiplicando la (7) per #m, e sommando da e=0 
ad »= a, pel teorema del moto del centro di massa, abbiamo: 


(584) Z yi, =0 (=1,2; 4%): 
r=0 ‘ 


Queste n» condizioni, insieme colle (5), dimostrano (*) che 
deve essere: 


Yoo==:Nor==tga= ao 


Possiamo assumere questi coefficienti eguali all’unità; le 
Xy Yo, Zo esprimeranno allora le coordinate del centro di massa 
degli +1 corpi rispetto agli assi fissi, come facilmente si ve- 
rifica. Quando dunque la 27" si riduce alla forma (4) per mezzo 
della sostituzione (1), le X, Yo, Zo esprimono (a meno di un 
fattore costante) le coordinate del centro di massa, e i coeffi- 
cienti della 1° colonna nella (1) sono eguali fra loro. 


(*) Si tenga presente che il determinante della sostituzione (1) si sup- 
pone diverso da zero, e che, quindi, la matrice dei coefficienti Yxr nelle (5°) 
ha per caratteristica x. 


SOPRA ALCUNE EQUAZIONI FONDAMENTALI, ECC. 957 


1° Esempio. Coordinate riferite ad un'origine mobile qua- 
lunque, o in particolare alla massa m. Abbiamo, qualunque sia a: 


(8) x m,(e, — a) =X m,x,'? — 2ab 4 a? M 
r=0 


dove: 


n n 
M=%m,, =Zm,x,'" (quantità costante). 
0 0 


Posto a = x; e sommando rispetto all'indice è da 0 ad n, 
dopo aver moltiplicato per m; si ottiene: 
i n n n 


> Lmimy (0 — x) = 2MEm,€,72 — 26. 
0 0 L 


i=0r= 


Se si stabilisce che ognuna delle combinazioni (r) vada presa 
una volta sola, occorre dividere il 2° membro per 2. Cangiando 
x im y e in 2 e sommando: 


2MT= E mim, {[ (e, — e + (4° —y5? + (e, — 2/)?] 4 costante. 
(1) 


=D = 


In questa espressione della forza viva figurano solo le dif- 
ferenze delle coordinate; potremo dunque alle «,y,2, sostituire 
le coordinate X,Y,Z, riferite ad un unico sistema d’assi con 
origine mobile. Avremo allora: 


n 


SL Sk, x mr, (X;' — X;) ed analoghe. 


Sostituendo nella (3) ed osservando che: 
E ZIAIZ-Z\(FT_Y)(4'-e4i 
avremo il 1° integrale delle aree nella forma: 


(9) > x mim.[(Y_-Y)(4/+Z)-(Z-Z)(Y'—Y/)]= costante. 
i=0 r=0 


In particolare, se l’origine degli assi è nel punto occupato 
dalla massa w%, la (9) diverrà: 


Mo x mV — ZY{) + zi m,m,[...] = costante 
s=l i=lr=1 


dove la parentesi [...] è la stessa che figura nella (9). 


958 PAOLO PIZZETTI 


2° Esempio - Coordinate Jacobiane. Chiamiamo X;, Yi, Z le 
coordinate della massa 7; rispetto ad assi aventi origine nel 
centro di massa dei corpi mo, #1, ..., Mi. Posto: 


(10) M; = Mo + my en Ma _ 20 + Mi 

si ha: 

(11) -27= Ù (X/2 + Y./2 + Z/2) + costante, 
i=1 

e la (6) dà: 


n 


Dt (V;Z' — Z;Y;) = costante; 


s=l 


questa è la forma del 1° integrale delle aree nel sistema di 
coordinate ora definito. Il quale sistema fu introdotto da JAcOBI 
pel caso di tre corpi (*) e generalizzato poi dal sig. RADAU pel 
caso di un numero di corpi qualunque (**). 


2. — Vogliamo ora mostrare come, in base agli elementi 
della teoria delle trasformazioni lineari, si possa facilmente de- 
durre la espressione (11) della forza viva in coordinate Jacobiane. 

Osserviamo, innanzi tutto, che uno dei più semplici modi 
per ridurre la 27 alla forma (4) consiste nel porre: 


to =X — DI b; Mi ; 


Mao 
Li = Xo + Xb, 


dove le 5 sono costanti qualsiasi differenti da zero. Se si assu- 
mono le 5 uguali all’unità (nel qual caso X; è la coordinata 
di m; rispetto al comun centro di massa) si ha: 


n 


ey? N ga (mi o uma vr mymg 
smi +m)+2 Ma X Ng {SSA Mat 


Mo 
T=U 


(*) Sur l’élimination des noeuds dans le problème des trois corps, “ Journ. 
de Liouville ,, I° série, t. IX. \ 

(##) Sur une transformation des équations différentielles de la dynamique, — 
“ Ann. de l'Éc. Normale ,, 1868. 


SOPRA ALCUNE EQUAZIONI FONDAMENTALI, ECC. 959 


sicchè la 27" si riduce alla forma (4) ove si ponga: 


(12) a, = (mi4 mo), = cit (i 4). 


Mo Mo 


Si vogliono ora scegliere 3» coordinate &,, ni, Zi, «.. En Mn Zn 
in guisa che la 27 si riduca alla forma: 


Ag N;(&/? LA n? + 2/2) + costante. 
i=1 
Occorre, per questo, trovare una trasformazione: 
(13) X = CaÉi — Cra E 31%; vo. a c.oEg; 


la quale riduca la quadrica: 


Q _ >. bi AG; 
i k 


alla forma canonica X N; zi, dove le N, sono costanti differenti 
. 


da zero. I coefficienti c dovranno soddisfare alle sla) condi- 

zioni: 

(14) ZI Gip Cir Chs == 0 li s=1, 2, ..+3 
II r==s È 


Se, in particolare alle (13), si impone la forma: 
Xi= cut + cit 4 Cinta 
Za Co9 È9 -- cd. -- Gonzz 
(5) 


Aa Crala 


in modo che sia nullo ogni c,, per î > r, le (14) dànno luogo, 
per ogni valore di s> 1, alle s— 1 relazioni seguenti: 


s s s 
(15) 2g = 0, Eat =U., Lene 
k=1 k=l k=l 
le quali determinano i coefficienti di ogni colonna nella trasfor- 


mazione (S) in funzione del rispettivo coefficiente in diagonale 
principale. 


960 i PAOLO PIZZETTI 


Chiamiamo D» il discriminante della quadrica @: 


(16) D,= 
Cn + +0. Ann 
Poichè il modulo della sostituzione è c13C29..-Gm, dovrà 
aversi: 
Lele NNENS 
Ci Ca2 000 Conn 1 pil QeedVns 


e più generalmente, indicando con D, il determinante (16) limi- 
tato alle prime s linee e colonne: 


calce Bei Ala Mo 


Quindi : 


dà 
= Dai Car 


La quadriea Q è dunque ridotta alla forma: 


1 D: 2 Du 
(17) co DE + ca D- EL... + în i zi 
4 n—l 


Nel caso nostro, ricordando le (12) e usando la notazione (10): 


my + Mo mi RTLA 
m m Mot. + M 
D My Ma... Ms 3 2 si: a - ___ MaMg... Ms 
s —— O 3, g@2iro 7 . . . — SO fa a se 
0 È . : o 
My My Mn + Mo 
Quindi : 
Ds __ Msbs : 
Ds-1 Ms1 


Sono così determinati i coefficienti della forma canonica (17) 
restando tuttavia arbitrarii, com'è naturale, i c,. Per determi- 


SOPRA ALCUNE EQUAZIONI FONDAMENTALI, ECC. 961 


n(n — 1) 
-2 


uso delle (15) le quali dànno, nel caso nostro: 


(mi, + mo)cis + maca, + m303 +... + mes = 0 


miti: + (ma + Mo) 0a; + M303; +... + mx, = 0, ecc. ecc. ; 


nare gli coefficienti non arbitrarii nella (S) facciamo 


donde: 


Ms 


Cis = Cos >... Cs1,s = — 10 | 


sse 


Così tutti i c sono determinati in funzione di quelli in dia- 
gonale principale. Per avere le formole che propriamente val- 
gono per le coordinate Jacobiane, basta prendere: 


__ Hsl 


c 
ss U; 


Allora: 


Cis = (533. = Cs-1,5 NR ’ 


T —1 
N,=m =, 
u 


s 


e la 27" assumerà la forma (11). L’ultima delle relazioni (S) di- 
venta: 


OVVero: 
Xn : Za — Mnet: (Una n Mu) ; 


e, sotto questa forma, pone in evidenza come &, sia la coordi- 
nata della massa 7, rispetto ad un sistema d'assi che ha per 
origine il centro di massa dei corpi 0, #1, ...3 Mn 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 64 


962 FRANCESCO GIUDICE 


Sulla integrazione per sostituzione. 


Nota di FRANCESCO GIUDICE. 


Nel N. 1 del Tomo VII della “ Revue de Mathématique , 
(Turin, 1902), a pag. 10 in un confronto bibliografico del Pro- 
fessore Prano, relativamente all'integrazione per sostituzione, si 
legge: “ Dalla Dm. pare risulti che non è necessaria la conti- 
nuità di v', supposta dall'A. e nel Formul. Questione a studiarsi ,. 

In questa Nota io dimostro che, quando la derivata è limi- 
tata superiormente ed inferiormente da numeri d’ugual segno, 
la sua continuità è condizione sufficiente per la validità della 
trasformazione dell’integrale; ma non è condizione necessaria, 
bastando p. es. che essa derivata sia integrabile; e stabilisco 
la condizione generale di validità della formola di trasforma- 
zione: 


[fa [er 


Suppongo che le funzioni considerate siano funzioni reali 
di variabile reale ed abbiano unico valore (finito) per ogni va- 
lore considerato della variabile da cui dipendono. Suppongo 
inoltre che sian limitate, per non entrare nella questione degli 
integrali improprii, che attualmente non m'interessa. 


1. — Indichiamo, ordinatamente, con z,, 8», ..., &,_,1 punti 
dividenti in n parti uguali il segmento a — BR ed indichiamo a 
con Z, e p con &,. Generalmente, se x, = @(£,) ed a=@(0) e 
b= @(8), i punti x, ...,%,_, non divideranno il segmento a + d 
in » parti uguali nè s’incontreranno ordinatamente andando da a 
a b, e potrà pur avvenire che non sian tutti interni ad ad; 
però, aumentando » indefinitamente, tenderanno a zero anche 
gli intervalli parziali x, x, perchè tendono a zero i corri- 


spondenti intervalli z, &,,, e di ha un valor finito in ogni 


punto dell'intervallo &°-E,, che si considera. 


I 
i 
| 
i 
| 


\ 


SULLA INTEGRAZIONE PER SOSTITUZIONE 963 


2. — Osserviamo subito che potrebbe non esistere l'integrale 
trasformato, pur esistendo il primitivo; ciò si verifica p. es. se 
f(a)=1 e '(£) non è integrabile da a a Bf. 

Sussiste invece sicuramente l'integrale trasformato, se @'(£) è 
integrabile da a a B ed è limitata inferiormente e superiormente 
da numeri d’ugual segno. Essendo indifferente che '(z) abbia 
l’uno o l’altro segno, supponiamo infatti che @'(£) sia integrabile 
nell’intervallo a B e che suoi limiti inferiore e superiore, in 
quest’intervallo, siano i due numeri positivi ) e pu, per cui, se 
a<b, come supporremo, anche a<f£. Il limite superiore dei va- 
lori assoluti di f((£)) nell’intervallo a H+ f sia H. Pel teorema 
di LAGRANGE: 


Cmt1 — Ln = P'(0,m) (Eni AID fu) 
dove a, è un conveniente valore tra €, e En; Si ha quindi che: 


An 
Ata x sti 


E se fm®'m ed fnP'n sono i limiti superiore ed inferiore 
di f(9(£)) p'(£) nell'intervallo n Zn4 ed On, n ed €, son le 
oscillazioni di f(x) nell'intervallo 2n nu, di f(9(£)) p'(£) nel- 
l'intervallo €, — En41, e di @'() in questo medesimo intervallo, 
si ha che: 


pi A —_ fa i ga Tr fm Pm = 20 ini (ha. —fm) + Dm (Pm, “a P'm) 
hO naiea 
per cui: 


POLINI zt xo Api EL HZ} Agg 
Il primo termine del secondo membro tende a zero perchè 
f(x) è integrabile da @ a d, ed il secondo termine tende a zero 


perchè @'(z) è integrabile da a a 8; adunque: 


n_l 
imi, Az =0 
n=% 0 


| e così resta dimostrato che f(9(£)) p'(£) è integrabile da a a ft. 


Se '(#) è continua, i suoi limiti inferiore e superiore sono 


964 FRANCESCO GIUDICE 


suoi valori minimo e massimo, per cui, se non s'annulla, è limi- 
tata inferiormente e superiormente da numeri d’ ugual segno; 
ed è pur integrabile, essendo continua. Esiste dunque certamente 
l’integral trasformato se @'(E) è continua e non s'annulla nell’in- 
tervallo a B. 


8. —Ora supponiamo solo che @'(Z) non muti segno, per 
cui @(z) sarà monotona. Si ha che: 


Lmt1 = kn 7 P'(0n) (Enti ba EI 


dove a, è un conveniente valore tra E, e &n,,. Essendo mono- 
tona @(z), come fu detto, @(a,) è compreso tra @(Em) e P(Enu): 
cioè tra «n ed &Xn+1; per ciò: 


[i (2)de = lim x.f(@(0,)) (en — xp) 
dd limXf(9(4,)) P'(dn) (Enti = En) 


L'ultimo membro, se f(@(£)) p'(£) è integrabile da a a Bf, 
p. es. se p'(E) è continua oltre a non annullarsi, è 


[Eee 


Per quanto fu detto nel num. 2, si ha così che: Se f(x) è 
integrabile da a a b ed a= (0), b= 9(8) e p'(£) è integrabile 
da a a B ed i suoi limiti inferiore e superiore son numeri d’ugual 
segno, allora è certamente valida la formula di trasformazione 


5 8 
[a =[f@Mr e. 
4. — Passiamo ora al caso generale. 


A f(a)da a nc (0)da, 
ed 
[EMME (RE — 5), 


dove ({®'), è fissabile arbitrariamente tra i limiti inferiore e su- 


A 
4 
w | 
+ 


Agi 
» 


‘comi siti i a 


lp Lp Ei e e e 


"> 
- 


SULLA INTEGRAZIONE PER SOSTITUZIONE 965 


periore dei valori presi da f(9(£)) p'(z) mentre £ va da En a Ent 
Se ®'(£) non muta segno nell’intervallo E, Eni, 


ivo (e) da— AA, (08) 0' (AE 


Sm 


onde, per il primo teorema del valor medio, da applicarsi al 
secondo integrale, si può fissare (f@'), in modo d’avere che: 


[0 (de = (f0')n (En — Ha). 


E se 9’ muta segno nell’intervallo &, z,,,, allora vi si 
deve anche annullare perchè una funzione derivata, se ha valore 
finito in ogni punto d’un intervallo, nel medesimo non può pas- 
sare da un valore ad un altro senza prendere ogni valore inter- 
medio; per ciò si può porre zero per (f@').. E così: 


n 


2 [ml nel 7 P2r41 
z|" "far. (f0) E - = [ fd, 


la somma del secondo membro essendo estesa agli intervalli 
%, 14 X,41 Corrispondenti ai z,&,., nei quali muta segno ®'(£). 
Ne segue che: Se a = (a), b = (8) e sono integrabili f(x) dal 
minimo al massimo valore di (E) in aHp ed f(9(£)) p'(E) da 
a a B, allora per la validità della formula di trasformazione 


[/@a= [er va 


è necessario e sufficiente che, conurque sian dati un numero posi- 
tivo O ed un intero positivo m, si possa dare un intero n non mi- 
nore di m e tale che, essendo diviso l'intervallo a+ B in n parti 
uguali per mezzo dei punti E,, E2, ..., En, si abbia che: 

P(Sr-H1 


— 0< = | 


) 
DE) f(aA)de < 0, 


la somma riferendosi a quegli intervalli E, E, nei quali ®'(£) 
muta segno. 


966 ENZO BIZZOZERO 


Sulla rigenerazione dell'epitelio intestinale nei pesci. 
Nota di ENZO BIZZOZERO, studente. 


(Con una Tavola). 


Il tema della rigenerazione dell'epitelio intestinale fu già 
ampiamente trattato da molti ricercatori, tra i quali va in 
ispecial modo ricordato Giulio Bizzozero, che, per risolvere il 
quesito propostosi, diresse le sue osservazioni sopra numerose 
specie animali, dai mammiferi (cane, coniglio) agli insetti (melo- 
lontha, acridii, ecc.) e riscontrò in tutte questa medesima legge: 
la rigenerazione dell’epitelio intestinale avviene per scissione 
cariocinetica dell’epitelio stesso. 

Siccome però la struttura dell’intestino va sempre più com- 
plicandosi quanto più si sale nella scala zoologica, così il mec- 
canismo della rigenerazione, se da una parte ubbidisce ad alcuni 
principi generali, comuni a tutte le specie del regno animale, 
dall'altra presenta, corrispondentemente alla varia struttura, delle 
particolarità proprie a ciascuna specie. 

Ed infatti, passando in rapida rassegna i lavori di Bizzozero 
su questo argomento (1), vediamo che nell'intestino del Petro- 
myzon Planeri l’epitelio rivestente la valvola spirale (che non 
è altro che una duplicatura delle pareti intestinali ingrossata 
da tessuto cavernoso) ha il suo focolaio di rigenerazione nei 
fornici, in quei punti cioè in cui la plica si continua colla por- 
zione restante dell'intestino; da questi punti le cellule epiteliali 
che hanno avuto origine per mitosi dalle cellule preesistenti, man 
mano che invecchiano si spostano gradatamente in alto sulla 
valvola, cosicchè, se non si desquamano durante il cammino, 
arrivano sulla sommità della valvola stessa dove terminano la 
loro vita. 


(1) In questo riassunto mi sono scostato dall’ ordine della scala zoolo- 
gica ed ho creduto invece conveniente cominciare dall’animale in cui l’in- 
testino presenta la struttura meno complessa, per salire gradatamente a 
quella specie in cui l’intestino ha raggiuhto la massima differenziazione. 


Tru 


SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO INTESTINALE NEI PESCI 967 


L’intestino del tritone differisce dal precedente pel fatto che 
presenta in luogo della valvola spirale numerose pliche contigue 
l’una all’altra. La rigenerazione quivi avviene per mitosi di “ vere 
cellule di ricambio (Ersatzzellen) che, oltre all’occupare il posto 
lasciato libero tra le estremità inferiori delle cellule cilindriche, 
si spingono a gruppi nel tessuto connettivo della mucosa, e vi 
acquistano la forma di germogli e di zaffi sotto-epiteliari ,. 
Questi ultimi si trovano solamente nei fornici. 

Con un meccanismo abbastanza simile a quest’ultimo avviene 
la rigenerazione dell’epitelio intestinale degli acridi, della melo- 
lontha vulgaris e della rana. 

Nel Ditiscus marginalis i focolai di rigenerazione dell’ epi- 
telio si trovano invece nei fondi ciechi delle borse che in nu- 
mero notevole si staccano dall’intestino. 

Nell’Hydrophilus piceus la rigenerazione ha luogo tt sue 
linee generali in modo analogo a quella delle specie già descritte; 
da queste però si scosta per alcune particolarità piuttosto com- 
plesse che, appunto perchè tali, male si prestano ad un breve 
riassunto. 

Salendo nella scala zoologica, vediamo che la struttura 
dell’ intestino si complica colla formazione di vere ghiandole 
tubulari. 

Le osservazioni che Giulio Bizzozero fece sopra l'intestino 
del coniglio, del cane, del topolino grigio dimostrano chiara- 
mente che l’epitelio rivestente la superficie libera della mu- 
cosa ha il suo focolaio di rigenerazione nelle ghiandole tubulari, 
e che queste quindi non si debbono considerare affatto distinte 
dall’epitelio di rivestimento, ma come semplici infundibuli di 
quest’ultimo che è in continua desquamazione fisiologica. 

Finalmente dalle numerose osservazioni di cui egli fece og- 
getto le cellule mucipare, dedusse: 

1) non essere accettabile l’opinione di coloro che ammet- 
tono che le cellule mucipare sono il prodotto di una trasfor- 
mazione delle cellule cilindriche comuni dell’ intestino; 

2) che per le cellule mucipare esistono degli speciali fo- 
colai di produzione che, come nei batraci stanno nel profondo 
dello strato epiteliare (ed eventualmente dei germogli che ne 
dipendono), così nei mammiferi risiedono nel fondo cieco delle 
ghiandole tubulari. Egli è soltanto partendo di qui, che esse, 


968 ENZO BIZZOZERO 


salite gradatamente lungo il tubulo, riescono alla fine sulla su- 
perficie della mucosa. 

Sopra queste lunghe e diligenti ricerche, che in breve ho 
riassunto, si fonda la teoria che nella scienza passa sotto il nome 
di teoria di Bizzozero, la quale, se in qualche particolare non è 
conforme alle vedute di alcuni, pur tuttavia si può considerare 
come accettata nella massima parte da tutti. 

Però in questi ultimi lavori, mentre, come abbiamo visto, 
l’A. passò in rassegna numerose classi del regno animale, non 
si occupò di studiare il meccanismo della rigenerazione intesti- 
nale dei pesci. Non credendo pertanto privo d’interesse colmare 
questa lacuna, ho fatto delle ricerche di cui ora verrò esponendo 
i risultati. A tale scopo mi sono servito per la massima parte 
di alcune specie di pesci d’acqua dolce: Bardus plebejus (Val.); 
Barbus caninus (Cuv. e Val.); Cottus Gobio (Linn.); Alburnus Albo- 
rella (De Filippi); Squalius Cavedanus (Bonap.); in seguito anche 
di alcune di mare: (ScyIlium canicula (Linn.); Torpedo Marmo- 
rata (Risso) (1). 

Dopo d’aver sperimentato numerosi liquidi fissatori (Miiller, 
alcool, Hermann, Rabl) m’attenni per ultimo quasi esclusivamente 
al liquido di Zenker che, meglio d’ogni altro, conserva quasi 
inalterata la delicata struttura dell’epitelio. 

Fra gli svariati metodi di colorazione che oggidì annovera 
la tecnica istologica ne applicai un numero piuttosto ragguar- 
devole a seconda delle particolarità che mi premeva di mettere 
in evidenza. Così per porre in risalto le mitosi mi servii del 
metodo di Ramon y Cajal (fucsina basica, solfoindigotato di sodio 
e acido picrico), del metodo di Bizzozero all’acido cromico, 
della safranina, ecc.; per la colorazione del muco ricorsi con 
buon esito alla Vesuvina, alla tionina, all’ematossilina Bizzozero, 
alla safranina ed ematossilina pei pezzi fissati in Hermann. Ma 
il metodo che mi diede migliori risultati fu quello della doppia 
colorazione del carminio allume e del Victoria-Blau. Le sezioni 
si colorano per lo spazio 12-24 ore in Carminio allume; tras- 
corso questo tempo si lavano e si trasportano in una soluzione 


(1) La classificazione di questi pesci mi fu gentilmente eseguita dal- 
Il. Prof. L. Camerano, cui porgo i miei più sentiti ringraziamenti. 


7 "prg er 


SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO INTESTINALE NEI PESCI 969 


così composta: grammi 0,5 Victoria-Blau, cm? 1 acido acetico, 
cm 100 acqua. 

Ivi si lasciano da mezza a tre quarti d’ora, indi si sciac- 
quano in acqua e si decolorano negli alcool, avendo però l’avver- 
tenza di sorvegliare la decolorazione sotto il microscopio a debole 
ingrandimento. Quando la colorazione è schiettamente elettiva, 
quando cioè i nuclei si scorgono colorati in rosso dal carminio 
allume ed il muco in bleu cupo, si passa il preparato in xilolo, 
indi in balsamo. 

Il tubo digerente dei pesci che ho preso in considerazione 
varia di struttura e di lunghezza a seconda della specie e del- 
l’età dell’individuo. Fondamentalmente possiamo distinguerlo in 
tre porzioni: esofago, stomaco, e intestino. In sezione trasversa 
l'intestino dei teleostei appare costituito (Fig. 1*): 1° dalla sie- 
rosa, 2° da uno strato di fibre muscolari liscie longitudinali, 
8° da uno strato di fibre muscolari trasversali, 4° dalla mucosa. 
Questa consta: 

a) di uno strato connettivo che si dispone a fasci riuniti 
a rete, nelle maglie della quale si vedono cellule connettive e 
leucociti mononucleati in discreto numero (Fig. 2* g - Fig. 3? a). 
Esso forma numerose pliche lunghe, talora anastomizzate tra 
loro, che, a cagione del loro decorso onduloso, non appaiono 
sempre tagliate trasversalmente anche in sezioni esattamente 
perpendicolari all'asse maggiore dell’intestino, bensì sotto varì 
gradi di obliquità; 

5) di una membrana limitante che ricopre lo strato pre- 
cedente in tutta la sua estensione; 

c) dell’epitelio, che presenta a considerare diverse specie 
di cellule: le cellule protoplasmatiche e le cellule mucipare (1). 


(1) Il modo più conveniente di denominare le diverse specie di cellule 
epiteliali che si riscontrano nell’intestino, sarebbe quello di “ cellule muci- 
pare e cellule non mucipare ,; poichè se per le prime abbiamo un carat- 


| tere ben definito a cui riferirci nella loro denominazione, per le seconde 


questo carattere ci manca, essendo dimostrata per parecchie la funzione 
dell’assorbimento, ma non esclusa una funzione secernente. Però per non 
usare una nuova nomenclatura, ho adottato quella seguìta generalmente 
in Italia di “ cellule protoplasmatiche e mucipare ,. D'altra parte è fre- 
quente che per comodità vengano adottate in scienza delle denominazioni ar- 
bitrarie, non sempre esatte. Infatti, gli autori tedeschi chiamano le due specie 


970 ENZO: BIZZOZERO 


Cellule protoplasmatiche. — Le cellule protoplasmatiche, che 
in numero maggiore concorrono alla formazione dell’epitelio in- 
testinale, sono fornite di nucleo ovalare coll’asse maggiore pa- 
rallelo all'asse maggiore della, cellula. Verso il lume intestinale 
sono limitate da un orlo lucente che, per essere costituito da 
bastoncini giustaposti gli uni agli altri, appare finamente striato. 
Esse sono disposte in uno strato unico fuorchè nei fornici ed alla 
base delle pliche dove fra le loro estremità profonde racchiudono 
piccole cellule con scarso protoplasma e nucleo evidente (Fig 2%-a). 
Il citoplasma delle cellule protoplasmatiche contiene talvolta dei 
corpuscoli rotondeggianti, omogenei, che non si tingono coi co- 
lori nucleari e che sono separati dal protoplasma in cui sono 
allogati da una zona chiara regolare. La loro grandezza è molto 
variabile inquantochè mentre la maggior parte hanno un dia- 
metro di u 3, altri l'hanno di yu 6, altri infine appaiono sotto 
forma di granuli assai minuti. Questi corpicciuoli non sono altro 
che gli enclaves descritti da Lukianow, da Heidenhain, da Ni- 
colas. Di essi però non mi sono occupato in modo speciale perchè 
non hanno rapporto colla rigenerazione dell’epitelio. 

Degno di nota è il fatto che non tutte le cellule hanno le 
medesime dimensioni; ed invero, mentre quelle situate nei for- 
nici sono sottili e lunghe così da raggiungere u 50 (Fig. 2*) di 
lunghezza, quelle situate nella zona più alta della plica sono più 
larghe e più basse u 35-40 (Fig. 3?).. Questa differenza di lun- 
ghezza ci sarà spiegata in seguito dal modo con cui si rigenera 
l’epitelio protoplasmatico. 

Cellule mucipare (Fig. 22-06). — Le cellule  mucipare, che 
stanno interposte in numero variabile fra le cellule protoplasma- 
tiche, hanno la medesima lunghezza di quest'ultime e sono co- 
stituite da una porzione protoplasmatica contenente il nucleo e 
di una teca terminale, grande, ovale o rotondeggiante, contenente 
il muco che nei pezzi induriti in Hermann e in Zenker assume 
un aspetto reticolare. 

Questi caratteri non sono però comuni a tutte le cellule 
mucipare indistintamente, ma solo a quelle che hanno già rag- 


di elementi “ Cilinderzellen, Becherzellen , mentre, come è noto, le cellule 
cosidette “ cilindriche , non sono mai cilindriche, e le “ Becherzellen , non 
sempre hanno la forma di calice. 


uitunnéi 


ih cn diatetntntiint in ri 


SULLA RIGENERAZIONE DELL’EPITELIO INTESTINALE NEI PESCI 971 


giunto il completo sviluppo. Se invece esaminiamo quella por- 
zione di epitelio che è compresa fra la serie di nuclei e la 
membrana basale, vediamo non di rado dei piccoli elementi 
costituiti da scarso protoplasma, da nucleo assai evidente, e 
ricoperti a mo’ di cappuccio nel loro estremo rivolto verso il lume 
intestinale da un blocchetto di muco (Fig. 2?-c). E che si tratti 
effettivamente di muco e non di un’altra sostanza, lo attesta 
la sua struttura reticolare e il suo comportamento verso le ‘so- 
stanze coloranti specifiche pel muco. Esso si colora infatti in 
azzurro col Victoria-Blau, in bruno colla Vesuvina, in giallo colla 
Safranina ed in violetto coll’ ematossilina nei pezzi fissati in 
Hermann. Specialmente con quest’ultimo metodo esso rimane 
colorato più intensamente che non il muco delle cellule muci- 
pare adulte, ma questo ci vien subito spiegato, più che da una 
maggior affinità per le sostanze coloranti, da una maggior com- 
pattezza del reticolo apparente formato dal muco. 

Tra queste forme e le mucipare adulte troviamo tutti gli 
stadî di transizione, e così mentre alcune, pur conservando l’a- 
spetto di questi piccoli elementi, hanno protoplasma e muco più 
abbondante, altre sono modificate in guisa da riprodurre in pic- 
colo la forma delle mucipare adulte. Da queste naturalmente si 
differenziano perchè non sono ancora giunte a versare il loro 
secreto nel lume intestinale. 

Per ultimo debbo accennare a una specie di elementi che 
si riscontrano prevalentemente nei fornici, e che hanno un 
aspetto caratteristico che a prima vista li differenzia da quelli 
che sinora ho descritto. Essi hanno a un dipresso la forma di 
un fuso, e nella porzione che sta tra il nucleo e l’estremo 
superiore, contengono dei granuli sferici che, scarsi nei din- 
torni del nucleo, vanno sempre più addensandosi man mano 
che da esso si allontanano. In quella porzione della cellula che 
è in diretto rapporto col lume intestinale spesso l'accumulo di 
essi è talmente fitto che ad un esame superficiale sembrereb- 
bero formare un tutto omogeneo; se invece si pratica una 
attenta osservazione su sezioni sottili, ci si può facilmente con- 
vincere che i granuli stanno anche qui nettamente separati l’uno 
dall'altro (Fig. 6°). 

Trattando il preparato con safranina, ematossilina, Victoria- 
Blau i granuli si colorano come il muco delle solite cellule mucipare. 


972 ENZO BIZZOZERO 


Tutte queste varietà di elementi che ho descritto nell’in- 
testino dei telostei si riscontrano anche nello stomaco e nell’in- 
testino dei selacidi; l’unica differenza consiste in ciò che in questi 
ultimi gli elementi hanno una lunghezza un po’ minore, ma in 
compenso una maggiore larghezza, il che permette di meglio 
individualizzare, per così dire, ogni cellula, e distinguerne più 
nettamente i confini. 

Premesse queste nozioni, vediamo come avviene la rigene- 
razione dell’epitelio intestinale. 

Se si osserva solo la serie dei nuclei delle cellule sia pro- 
toplasmatiche che mucipare, non si trova alcuna figura di cario- 
cinesi. Se invece si rivolge l’attenzione alla metà esterna del- 
l’epitelio, a quella porzione cioè che sta fra la serie dei nuclei 
e l'orlo striato, vien dato frequentemente di trovare delle bellis- 
sime forme di mitosi (Fig. 22-e). 

Ma in qual periodo si effettua questo spostamento del nucleo 
verso l’orlo libero dell'epitelio? Come si comporta il protoplasma 
della cellula che entra in mitosi rispetto al nucleo? Esaminando 
accuratamente le varie forme di mitosi si può agevolmente ri- 
spondere a queste domande. 

In un primo stadio il nucleo della cellula che sta per scin- 
dersi si porta verso l’orlo libero di essa cosicchè il suo estremo 
inferiore è situato sopra l'estremo superiore dei rimanenti nuclei 
in riposo. Esso è leggermente ingrossato e presenta cromosomi 
più intensamente colorabili (Fig. 2*-d). In un periodo successivo il 
nucleo passa allo stadio di gomitolo, ma, nel mentre si compie 
questa modificazione, si verifica un fatto curioso già descritto da 
G. Bizzozero nell’epitelio intestinale del Petromyzon Planeri; la 
base della cellula, cioè quella porzione che sta in diretto con- 
tatto colla membrana limitante della plica, si allontana gradata- 
mente da questa seguendo lo spostamento del nucleo; cosicchè 
la cellula, mentre subisce una diminuzione del diametro longi- 
tudinale, aumenta nel trasversale, ed assume una forma dapprima 
ovale, indi rotondeggiante. L'elemento presenta così un aspetto 
caratteristico: il nucleo il più delle volte si trova spostato verso 
l’orlo libero della cellula, e il protoplasma, facendosi meno denso 
in quella parte che è in rapporto col nucleo, viene ad assumere una 
forma di mezzaluna colla concavità rivolta verso il nucleo stesso 
(Fig. 4%-a). Alcune di queste particolarità si conservano nello stadio 


SULLA RIGENERAZIONE DELL’EPITELIO INTESTINALE NEI PESCI 9783 


successivo in cui il nucleo si scinde per dare origine al diaster. 
Si scorge allora che nella parte esterna del protoplasma cellu- 
lare, ossia rivolta verso la membrana limitante della plica, va 
formandosi una insenatura (Fig. 4*-c), che sempre più si appro- 
fonda man mano prosegue il processo di scissione (Fig. 4°d), 
dimodochè ad un certo punto la cellula primitiva è divisa in 
due metà, riunite però ancora nel loro estremo superiore da un 
lembo di protoplasma (Fig. 4°*-e) che va sempre più assottiglian- 
dosi finchè scompare del tutto. Hanno così origine due cellule 
figlie le quali, spingendosi colla loro estremità inferiore fra gli 
elementi in riposo e divaricandoli, si avvicinano alla membrana 
limitante ed acquistano così gradatamente i caratteri di cellule 
adulte. 

Nella descrizione che sopra ho dato dell’ epitelio intestinale 
ho accennato a piccole cellule che stanno racchiuse tra l’estre- 
mità profonde delle altre cellule. Anche in questi elementi ho 
trovato delle bellissime forme di cariocinesi che si distinguono 
naturalmente dalle altre perchè non sono situate verso 1’ orlo 
striato dell’epitelio bensì aderenti quasi alla membrana basale 
(Fig. 23-f). 

Finalmente dall'esame di numerosissime sezioni ho potuto 
accertare, a piena conferma delle osservazioni di G. Bizzozero, 
che i focolai di rigenerazione dell’ epitelio risiedono esclusiva- 
mente nei fornici. E di questo ci si può facilmente convincere 
esaminando specialmente pezzi in cui attivi sono i processi di 
rigenerazione. Si vedono allora abbondantissime le figure di 
scissione nei fornici (persino 4 o 5 per ciascuna sottile sezione 
di essi) mentre invano si cercherebbero nelle porzioni più alte 
della plica. Solo in qualche raro caso mi accadde di imbattermi 
in mitosi situate verso il punto medio della plica, ma nel grande 
numero di pezzi da me esaminati questo rappresenta una ecce- 
zione. Al disopra di questo punto i processi di rigenerazione 
sono completamente spenti; ed infatti, per quanto io abbia ripe- 
tuto scrupolosamente le mie osservazioni, non ho riscontrato 
nemmeno in un caso una cellula in cariocinesi. 

Tutto ciò ci dà la ragione della differenza di dimensioni che 
esiste tra le cellule dei fornici e quelle delle porzioni alte. E 
per vero, avvenendo nei fornici la produzione di nuovi elementi, 
questi si trovano soggetti ad una pressione laterale la quale 


974 ENZO BIZZOZERO 


naturalmente è tanto maggiore quanto più attivo è il processo 
di proliferazione. È precisamente in conseguenza di questa pres- 
sione che essi sono costretti a prendere una forma stretta ed 
allungata. Quanto più invece si allontanano dai focolai di rige- 
nerazione tanto più diminuisce, pel continuo desquamarsi degli 
elementi vecchi, questa pressione e quindi, mentre il diametro 
longitudinale tende a diminuire, aumenta il trasversale. 

Da tutto questo si deduce che nei fornici si trovano esclu- 
sivamente cellule giovani, dotate di vivace attività proliferativa; 
che queste cellule, man mano che invecchiano, s'innalzano sulla 
plica, spinte dagli elementi più giovani che vanno continuamente 
formandosi per scissione, finchè, arrivate vicino o addirittura 
sopra la sommità della plica, per legge fisiologica muoiono, si 
desquamano e vengono sostituite dagli elementi immediatamente 
sottostanti. 

Supponendo che la rigenerazione delle cellule mucipare avve- 
nisse in modo analogo a quella delle protoplasmatiche, rivolsi 
dapprima la mia attenzione alla porzione che sta fra la serie di 
nuclei e l’orlo libero della cellula. Ed infatti in essa m'imbattei 
in alcune bellissime cellule mucipare in mitosi, specialmente evi- 
denti nell’epitelio dello stomaco dei selacidi (1) (Fig. 5*). Come 
per le protoplasmatiche, in esse notai in un primo stadio lo 
spostamento del nucleo verso l’orlo libero della cellula che con- 
serva sempre il suo blocco di muco nella sua estremità interna; 
ed in periodi successivi il suo passaggio allo stadio di gomitolo, 
di piastra equatoriale, e di diaster. Il muco, che in tutte queste 
fasi mantiene sempre la sua struttura reticolare. caratteristica 
nei pezzi fissati in Zenker ed in Hermann, in talune cellule è 
perfettamente separato dal nucleo, in altre è con esso in rapporto 
solo per un piccolo tratto, in altre infine lo circonda in tutta la 
sua estensione. Debbo però subito notare che queste forme di 
mitosi sono piuttosto scarse e che se conducono alla formazione 
di qualche cellula adulta, non sono da sole sufficienti a darci la 
spiegazione della rigenerazione delle cellule mucipare. 


(1) Credo opportuno insistere su quanto ho detto precedentemente, che 
cioè nei pesci, contrariamente a quanto si verifica nei mammiferi, non 
esiste apprezzabile differenza tra le cellule mucipare dello stomaco e quelle 
dell'intestino. 


SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO INTESTINALE NEI PESCI 975 


Una migliore spiegazione di essa l’abbiamo riferendoci alla 
descrizione che ho dato in addietro. Anche ad una osservazione 
non molto profonda risulta infatti evidente che le cellule adulte 
traggono la loro origine da quei pigcoli elementi forniti di una 
gocciolina di muco che stanno applicati sulla membrana basale, 
e sono situati tra le estremità profonde delle cellule adulte. E 
questo mio modo di vedere è diviso da A. Pilliet (1) che così 
si esprime : 

« On les trouve (cellules caliciformes) à tous les états de 
développement, étagées entre les cellules prismatiques; beaucoup 
ne sont pas arrivées à la surface libre et sont encore closes ,. 

Contro questa interpretazione si potrebbe bensì sollevare il 
dubbio che quelle piccole cellule non siano cellule mucipare in 
via di sviluppo, ma adulte, che, per aver svuotato il loro con- 
tenuto nel lume intestinale ed essere così rapidamente diminuite 
di volume, sono ricacciate dalla pressione delle cellule circo- 
stanti in basso verso la membrana limitante e costrette quindi 
ad assumere la forma degli elementi in parola. 

Ma contro questa ipotesi stanno tre fatti : 

1) Le cellule in questione si trovano quasi esclusivamente 
nei fornici ed alla base delle pliche là dove precisamente si tro- 
vano gli elementi più giovani; mentre, se fosse vera quell’ipotesi, 
dovrebbero trovarsi sparse indifferentemente per tutta la lun- 
ghezza della plica; 

2) Le numerose osservazioni che sono state fatte sulle 
cellule mucipare dimostrano che, una volta svuotato il loro se- 
creto, non vengono ricacciate in basso, bensì subiscono modifi- 
cazioni solo nella teca le cui pareti vengono a collabire più o 
meno intimamente ; 

8) Non si potrebbe in alcun modo spiegare come cellule 
mucipare adulte, le quali, come abbiamo visto, sono così rieche 
di protoplasma, possano ridursi ad elementi in cui il protoplasma 
è così scarsamente rappresentato. 

Un punto solo non ho potuto chiarire completamente, ed è 
questo: che non ho mai trovato alcune di tali cellule in mitosi. 

Ma questo fatto si può spiegare in due differenti modi: 


(1) © Bulletin de la Société zoologique de France ,, vol. X, 1885, p. 305. 


976 ENZO BIZZOZERO 


1) O le cellule in questione si rigenerano solo in deter- 
minati periodi ed io non ho avuto la fortuna di cadere in questi 
(e ciò è quanto accadde a G. Bizzozero studiando l’epitelio del- 
l'intestino del tritone, dove non potè mai scoprire alcuna cellula 
mucipara giovane in scissione (1); mentre Sacerdotti (2), ripren- 
dendo qualche tempo dopo i medesimi studî, potè sorprendere 
parecchie delle suddette cellule in scissione cariocinetica) ; 

2) Oppure non è escluso il caso che esse derivino alla 
loro volta da quelle piccole celluline situate fra l'estremità ba- 
sali degli elementi adulti, le quali, come cellule indifferenti, sa- 
rebbero comuni progenitrici sia delle cellule protoplasmatiche che 
delle cellule mucipare. “ Potrebbe darsi (per usare le parole di 
G. Bizzozero che molto bene si confanno al mio caso) che questi 
elementi indifferenti, vivacemente moltiplicandosi, forniscano delle 
generazioni di elementi, che pur continuando a moltiplicarsi, si 
avviano in due direzioni divergenti, e formano da una parte cellule 
protoplasmatiche, dall’altra cellule mucipare. A favore di questa 
supposizione ci sarebbe un argomento di analogia: nell’intestino: 
dell'embrione non ci sono che cellule protoplasmatiche, sicchè le 
cellule mucipare devono avere origine da un successivo differenzia- 
mento di alcune di queste , (3). 


2° 

Sulla natura di quelle cellule granulose che sopra ho de- 
scritte non sono riuscito a formarmi un concetto sicuro. L’affinità 
dei granuli per le sostanze coloranti il muco tenderebbe a far 
ritenere ch’esse sieno cellule mucipare in via di sviluppo, in cui 
il muco sarebbe costituito da granuli che poi, fondendosi in un 
tutto unico, darebbero origine al muco delle cellule adulte, ana- 
logamente a quanto G. Bizzozero vide nell'intestino del tritone. 
Ma questo comportamento verso le sostanze coloranti è per sè 
solo sufficiente a dimostrare tale rapporto tra le due specie di 


(1) Grucio Bizzozero, Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico, ece. 
“ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, Nota 8°, pag. 25, 
vol. XXVII, 1892. 

(2) C. SacerportI, Id., vol. XXXI, 1896. 

(3) G. Brzzozero, “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,; 
Nota 7*, pag. 17, vol. XXVIII, 1893. 


SULLA RIGENERAZIONE DELL'EPITELIO INTESTINALE NEI PESCI 977 


elementi? Ritengo questa ipotesi poco sostenibile. Anzitutto è 
bensì vero che detti granuli hanno affinità pei colori proprî del 
muco, ma occorre ancora notare che essi ordinariamente si co- 
lorano col Victoria-Blau con un’ intensità assai maggiore di 
quanto non avvenga pel muco delle cellule adulte; e neppure il 
fatto che granuli e muco si colorano ugualmente con dette so- 
stanze coloranti basta per far ritenere che quelli sono della stessa 
natura di questi; poichè i granuli che si trovano abbondanti nel 
pancreas dei medesimi pesci, quantunque di costituzione affatto 
diversa, si tingono col Victoria-Blau e colla Safranina nell’iden- 
tica maniera dei granuli delle cellule in parola. Ed ancora se 
questi granuli rappresentano del muco giovane perchè sotto la 
medesima forma non si presenta il muco di quei piccoli elementi 
che costituiscono il primo stadio delle mucipare adulte? Nè 
d'altra parte mi è stato dato di osservare il graduale passaggio 
da queste cellule alle comuni mucipare quale invece descrisse 
e disegnò G. Bizzozero nell’ intestino del tritone. Infine, se le 
cellule in parola sono per lo più situate nei fornici, accade 
qualche volta d’incontrarne qualcuna anche nella parte alta della 
plica, reperto che, per quanto sinora sono venuto esponendo, 
depone contro la giovinezza di quegli elementi. 

Pertanto, senza voler dare un giudizio definitivo sulla que- 
stione, ritengo come ipotesi non del tutto priva di fondamento 
che tali granuli rappresentano un fermento secreto da determi- 
nate cellule, simile a quello che si osserva nelle ghiandole 
salivari sierose e nel pancreas in alcuni periodi della loro fun- 
zionalità. 


Al Prof. Sacerdotti che, con affettuosa premura s’interessò 
a queste mie ricerche, esprimo pubblicamente i sensi della mia 
più profonda gratitudine. 


Istituto di Patologia Generale di Torino, 
diretto dal Prof. C. SacerDOTTI. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 65 


n 


978 ENZO BIZZOZERO — SULLA RIGENERAZIONE, ECC. 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 


Fig. 18. — Plica di intestino di Barbus plebejus: 
a) strato di fibre muscolari liscie longitudinali; 
b) strato di fibre muscolari liscie trasversali; 
c) connettivo della mucosa; 
d) epitelio. 
Liquido di Zenker. Carmino allume, Victoria-Blau. 150 diam. 
Fig. 2° — Epitelio intestinale di Barbus caninus alla base della plica: 
a) piccole cellule, a scarso protoplasma, situate fra le estremità pro- 
fonde delle cellule adulte, di cui una in mitosi (f); 
b) cellula mucipara adulta; 
c) cellule mucipare giovani, in via di sviluppo; 
d) nucleo di cellula protoplasmatica nel 1° stadio della scissione; 
e) mitosi di cellule protoplasmatiche; 
9) leucociti. 
Liquido di Hermann, Safranina ed ematossilina Bizzozero. 550 diam. 
Fig. 3*. — Epitelio intestinale di Barbus caninus sulla sommità della plica: 
a) leucociti. 
Hermann. Safranina, Ematossilina Bizzozero. 550 diam. 


Fig. 4*. — Varî stadî del processo di scissione della cellula protoplasmatica. 
1000 diam. 
Fig. 5*. — Mitosi di cellula mucipara. Stomaco di Scyllium canicula. 
Zenker. Carmino allume, Victoria-Blau. 500 diam. 
Fig. 6°. — Cellula a granuli. Intestino di Bardus plebejus. 


) Zenker. Carmino allume, Victoria-Blau.'550 diam. 


L’ Accademico Segretario 
. LorENZO CAMERANO. 


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979 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 21 Giugno 1903. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Rossr, Manno, Pezzi, CARLE, GRAF, 
BoseLLI, CrroLLa, Brusa, ALLievo, Pizzi, CATRONI, SAVIO e RENIER — 
Segretario. 

Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 
81 maggio 1903. 

Il Presidente partecipa le condoglianze pervenute da Auto- 
rità, Corpi morali e scientifici, private persone, per la morte 
del Socio BoLLati pr Sarnr-Prerre. Dà lettura d’una lettera del 
Socio Manno, con la quale comunica d’essersi inteso col Socio 
CIPOLLA, che commemorerà all’Accademia il defunto Socio 
pi Sarnt-PrerRRE, mentre egli lo commemorerà alla Deputazione 
di Storia Patria. 

Il Socio BoseLLI commemora il rimpiagto Socio non resi- 
dente Luigi CrEMoNA, considerando l’opera sua nel campo della 
pubblica istruzione, colle seguenti parole: 


L'altra classe della nostra Accademia onorò degnamente di 
compianto e di lode la memoria illustre di Lurei CkeMoNnA, mercè 
la parola dotta e perspicua del nostro illustre Presidente. Nella 
commemorazione del Presidente D’Ovipro si legge: “ Come 
membro e Vice-Presidente così del Consiglio Superiore della 
Pubblica Istruzione, come del Senato del Regno, come Ministro 
(pur troppo per meno di un mese) il CrEMONA esercitò continua, 


980 


salutare ed autorevolissima azione a pro delle scuole medie 
e superiori difendendone sempre la dignità e promovendone il 
progresso ,. 

Mi conceda la classe nostra aggiungere, nel consentire ap- 
pieno in simile giudizio, alcuni cenni i quali non toccano pro- 
priamente i meriti insigni e nuovi dello scienziato, ma sì quella 
parte dell’ingegno e dell’opera ch'egli rivolse in modo eminente 
all’elevazione e all'ordinamento degli studî nel nostro paese. Per 
quest’aspetto egli ci appartiene e il suo elogio si collega a quelle 
tradizioni che condussero spesso i nostri lavori accademici a 
illustrare la storia e le ragioni degl’istituti universitarî. Non 
solo io penso a ciò che egli fece sotto gli occhi di tutti, a ciò 
ch'egli sempre volle nel Consiglio Superiore, a ciò ch’egli disse 
in Senato, oratore creduto ed efficace: ma sento vivo il ricordo 
di ciò che vidi e seppi di lui in pubblici ufficî da me sostenuti. 
Per essi io conobbi quanto in quest'uomo, cui era presente ogni 
disciplina, cui era palese ogni intento dei buoni insegnamenti, 
valesse la scienza della scuola, quanto fosse lo zelo per renderne 
sicuri e vigorosi i progressi. Tornava prezioso il suo consiglio, 
porgevasi la sua cooperazione tanto sollecita, quanto sincera. 
Fra ad un tempo un conservatore esatto e un riformatore sa- 
gace. Ben osservò nella sua Commemorazione l’ esimio nostro 
Presidente: “ il Contro-progetto di legge del Cremona sull’istru- 
zione superiore è opera in molte parti egregia e degna di at- 
tenzione ,. Sulle sue traccie si sarebbe potuto raggiungere quel 
verace rinnovamento universitario ch’è troppo discusso e non è 
mai conseguito. Per ciò mi avviso potersi affermare che Lurei 
CREMONA fu, nei tempi nostri, colui che possedeva compiutamente 
le qualità più atte ad esercitare, in grado esemplare, la fun- 
zione di supremo reggitore degli studî, per la quale frettolosa- 
mente passò travolto in una crisi politica, che per niun modo era 
sua. Passò frettolosamente ma non senza far avvertire la sua 
presenza da quanti amano l'alta coltura e il forte ritemprarsi 
di tutte le esplicazioni che meglio la raffigurano. 

In lui la cognizione analitica e precisa delle instituzioni 
scolastiche appariva governata e illuminata da un’ intuizione 
complessiva ed armonica dei principî che distinguono, coordinano 
e afforzano i diversi rami di quell’unico tronco che rappresenta 
l'umano sapere. 


981 


A ben discernere lo conduceva l’acume pronto, a ben va- 
lutare la robusta coltura, a ben decidere un ponderato ed 
equilibrato criterio. Serbavasi rigido osservatore delle regole 
direttive dell’insegnamento perchè aveva l'ordine chiaro e saldo 
nel pensiero e perchè dell’insegnare sentiva il magistero in 
quanto è religione di scienza, dovere di vita civile, fonda- 
mento di pubblica dignità. Congiungeva all’idea scientifica la 
virtù patriottica. A significare come egli sentisse della patria, 
per la quale sempre valorosamente operò, rammentiamo con 
quale accento, dove vibrava tutta l’anima sua, nel 1898 (glorioso 
giubileo, tristi giorni)gegli abbia parlato nel Palazzo Madama, in 
nome del Senato del Regno, al cospetto dei Sovrani e dell’Italia. 


Lo stesso Socio BoseLti fa omaggio delle seguenti pub- 

blicazioni: 

1° Atti del IV Congresso nazionale delle Società economiche 
tenutosi in Torino, 1° sessione, Torino, 1902; 28 sessione, To- 
rino, 1903. 

2° Augusto Bosco, . divorzi e le separazioni personali. 
Studio di demografia comparata. Roma, 1903. 

Dalla Presidenza è presentato il 3° volume della suntuosa 
opera mandata in dono dal Socio corrispondente conte Luigi 
PaLma DI CESsNOLA: A descriptive Atlas of the Cesnola collection 
of Cypriotte Antiquities of the metropolitan Musewn of Art New 
York. New York, 1903. 

Il Socio Arnievo legge la relazione intorno al lavoro del 
prof. Romualdo Bossa, Esame critico dell’opera del sig. Jules 
Gaultier intitolata “ Da Kant a Nietasche ,, sul quale fu incari- 
cato di dar giudizio insieme col Socio CHIRonI. La relazione, 
favorevole, che è inserita negli Atti, è approvata. Approvasi 
pure l'inserzione dello scritto nelle Memorte. 

Per la pubblicazione negli Atti sono presentate le se- 
guenti note: 

1° dal Socio ALLievo alcune sue pagine intitolate: Oltre 
il mistero ; 


982 


2° dal Socio Camroni: Mario Ricca-BARBERIS, Sugli effetti 
della disposizione relativa al proprio cadavere ; 

3° dal Socio CrpoLra: Francesco Bazzi, Spigolature Pra 
riche sull’assedio di Verrua (1704-1705); 

4° dal Socio ReNIER, a nome del Direttore della Classe 
Ferrero: Ugo Giri, Valeriano juniore e Salonino Valeriano. 


Raccoltasi quindi la Classe in seduta privata, elegge a far 
parte della Giunta per la Biblioteca il Socio Manno. Quindi 
procede alla elezione di Soci residenti e di Soci corrispondenti. 

Riescono eletti a Soci nazionali residenti, salvo la Sovrana 
approvazione, i signori Gaetano De SanorIs e Francesco RUFFINI 
professori nella R. Università di Torino. 

A Soci corrispondenti vengono nominati i seguenti: 
nella Sezione di scienze filosofiche: 

Prof. Filippo Masci della R. Università di Napoli; 

nella Sezione di scienze giuridiche e sociali: 

Prof. Pietro BonrAntE della R. Università di Pavia; 

nella Sezione di scienze storiche: 

Prof. Andrea GLoria della R. Università di Padova; 

nella Sezione di geografia ed etnografia: 

Prof. Filippv PorenA della R. Università di Napoli; 

nella Sezione di filologia, storia letteraria e bibliografia: 

Prof. Francesco D’Ovipio della R. Università di Napoli; 

Prof. Francesco Novari della R. Accademia scientifico-let- 
teraria di Milano; 

Prof. Vittorio Rossi della R. Università di Pavia; 

Prof. Giuseppe Borriro nel Collegio della Querce in Firenze; 

Cav. Giuseppe BrapeGo bibliotecario della Civica di Verona; 

Prof. Vittorio Cran della R. Università di Pisa. 


Giga PIE 2 e — 


GIUSEPPE ALLIEVO — OLTRE IL MISTERO 983 


n LETTURE 


Oltre il mistero. 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


lie 
Romanzo di Enrico Sienkiewicz. 


Enrico Sienkiewicz va segnalato fra i più celebrati scrittori, 
che vanti la letteratura europea contemporanea. Il calore del- 
l’affetto, la potenza della fantasia descrittiva, la lucidità dell’in- 
tuizione, la nobiltà ed elevatezza del pensare e del sentire, sono 
i più cospicui pregi, che risplendono ne’ suoi lavori. Egli deve 
segnatamente al suo Quo vadis? la rapida. celebrità, che acquistò 
in Italia; ma fra i suoi romanzi psicologici tiene un cospicuo 
posto quello che è inscritto Oltre i mistero (1). 

Il titolo medesimo di questo libro mostra un altissimo si- 
gnificato psicologico e pedagogico, perchè accenna alle più intime 
profondità dell'anima ed alla sua destinazione suprema. Il mi- 
stero stende un certo qual velo su tutte le cose create e pro- 
ietta le sue ombre anche attraverso i più sereni avvenimenti 
della vita, le più limpide speculazioni della scienza. Da per tutto, 
in noi e fuori di noi scorgiamo la chiarezza frammista col- 
l'oscurità, la luce offuscata dalle tenebre. L’autore spinge il suo 
sguardo oltre il mistero, e ci ritrae in forma drammatica la lotta 
di un'anima, che sospesa tra il dubbio, che dissolve, e la fede, 
che conforta, va errando in cerca del suo ideale e non lo rag- 
giunge mai. 

Il protagonista del romanzo, Leone Ploszowski, è un gio- 
vane polacco dai nervi stanchi, dall'anima invecchiata. Egli, che 


(1) I due primi capi di questa monografia, riguardanti il romanzo del 
Sienkiewicz, appartengono ad un altro mio lavoro inedito intitolato: De? 
romanzo psicologico educativo. 


984 GIUSEPPE ALLIEVO 


ha perduta la fede nella felicità e sente la stanchezza della vita, 
ama Angela, anima tutta freschezza, tutta fede in Dio e nel- 
l'umanità, e si dimanda: ho io il diritto di sposarla? If questa 
interrogazione, che la coscienza del giovane muove a sè mede- 
sima, si nasconde tutto il significato del dramma psicologico, 
che si svolge nelle pagine del volume. Questa dimanda avrebbe 
un'alta ragione, che la giustifichi, se da quell’unione conjugale 
avesse da rifiorire la redenzione morale di Leone. Ma egli è con- 
sapevole, che anche vicino ad Angela il suo cuore non risor- 
gerà ad una seconda giovinezza, che la sua anima non ritornerà 
più dallo scetticismo alla fede, che il suo alito corrotto inari- 
dirà il fiore di quella vita angelica. Eppure vuol farla sua. Così 
il sacrificio di Angela va a perdersi nella tomba di due infelici 
e si risolve in un mostruoso connubio della fede, che non rige- 
nera, e dello scetticismo che trionfa. In questo conflitto tra l’im- 
potente idealità dell'amore e la persistenza dissolvente del dubbio 
sì scorge il concetto dominatore di questo romanzo. 

La lotta si svolge aspra, continua, disuguale, confortata 
talvolta dalla speranza nel meglio e dalla inspirazione dell’ideale, 
più spesso funestata dal disinganno e dal dubbio. Angela con- 
serva la purezza verginale dell'anima e la fede in Dio: davanti 
alla sua celestiale bellezza Leone si sente rinascere all’alito di 
una vita novella, e spera e crede; ma il dèmone dello scetti- 
cismo;, che gli sta accovacciato in fondo dell'anima, lo trascina 
al basso. In quest’alternata vicenda di generose aspirazioni e di 
infelici ricadute giunge per lui un momento di. diffidenza e di 
sospetto, di indifferenza e di lontano abbandono di colei, che 
pur voleva far sua, e parte per lontani paesi; fu questo un mo- 
mento psicologico decisivo nelle sorti della sua esistenza. Perchè 
la fanciulla così lungamente abbandonata si sentì da lui disa- 
mata e cedendo al cieco dispetto ed al dolore si lasciò andar 
sposa a Kromicki, anima volgare, chiusa ad ogni nobile e puro 
affetto, ignobile affarista, gaudente sfondolato. Anche per lei fu 
questo un solenne momento psicologico, perchè mentre ella con- 
sacrava la sua persona al dovizioso signore, il suo cuore batteva 
pur sempre secretamente pel giovane polacco, e questa unione 
conjugale spezzava la sua vita lacerata da un’atroce contraddi- 
zione. 

A questo punto il dramma psicologico tocca il parossismo 


OLTRE IL MISTERO 985 


della passione ed assume la forma tragica della catastrofe. L’abor- 
rito conjugio ridesta nel cuor di Leone l'antica fiamma. Egli 
discute tra sè e sè, se abbia diritto di deviar dal dovere la si- 
gnora Kromicki; ritorna jin paese e colla forza di un amor di- 
sperato tenta di conquistar la persona di Angela, che appartiene 
ad altri, la persegue, la raggira sino ad insidiare alla sua onestà 
conjugale, seminando nell'anima di lei l’idea dell’adulterio. Essa 
si mantiene moglie incolpabile, come si era serbata fanciulla 
pudica ed incorrotta; ma non si tiene chiuso nel secreto del 
cuore l’affetto sempre vivo pel giovane infelice, con lui si in- 
trattiene in solitarie passeggiate, in intimi colloquii, accoglie le 
sue confidenti aspirazioni e risponde con una parola d’amore. 

Mentre stanno così scherzando insieme sull’orlo dell’abisso, 
giunge notizia che Kromicki accusato di scrocco, colpito da pro- 
cesso si è troncata la vita. Angela è libera della sua persona; 
Leone sogna di celebrare sulla tomba del marito l’imeneo della 
sua felicità lungamente sospirata. Illusione! L’ infelice vedova 
cade affranta da morbo letale, che lentamente la consuma e la 
trae al sepolero. Angela non è più. Leone ripiomba nell’abisso 
del suo disperato scetticismo, e finisce col suicidio, a cui già 
altra volta aveva rivolto il pensiero. 

Tale è la generale orditura del romanzo condotto con tem- 
peranza di passione, con correttezza di pensiero, con soavità di 
affetto, che attrae e commuove. Le figure di Leone e di Angela 
rifulgono di tanta luce e spirano tanta naturalezza, che ci stanno 
davanti coll’atteggiamento di persone vive e parlanti. Dall’uno 
e dall'altra si muove uno spirito soave, che educa ed ammaestra 
per vie diverse ed in certa misura. Angela educa colla sua fede 
nel principio religioso della santità del conjugio, che la salva 
dalla caduta; Leone ammaestra coll’infelice esempio del suo 
dubbio, che gli tortura l’anima, che sofistica sull’amore, lo sna- 
tura e lo inaridisce. Egli non è nè uno scettico assoluto, nè uno 
schietto credente, ma dubita oscillando di continuo tra la fede 
religiosa ed il pessimismo disperato: ha de’ momenti, in cui il 
suo cuore sente in sè la divina presenza del Redentore dell’uma- 
nità e si apre alle speranze immortali, poi dispera di tutto. 
Nella sua ora estrema egli scrive: “ Avrei potuto esser la tua 
felicità, e non ti ho dato che pene!... Son io la causa della tua 
morte!... Lascio la mia fortuna a tua madre; a mia zia l’ima- 


986 GIUSEPPE ALLIEVO 


gine del Cristo, dalla cui misericordia infinita trarrà le supreme 
‘consolazioni ,. Anche questa preziosa confessione è una. voce 
della coscienza, che ammaestra col pentimento. Egli riconosce 
che coll’ anima inaridita dall’ egoismo, scettico qual’ era la sua, 
non aveva diritto di vincolare alla sua esistenza una fanciulla, 
che pur sapeva di rendere infelice, nè tanto meno di gettare il 
turbamento nel cuore di una giovane moglie, strappandole una 
parola di amore. 

L'autore avrebbe meglio provveduto all’efficacia educativa 
del suo romanzo, se l’amore di Angela avesse trionfato dello 
scetticismo di Leone riconducendolo alla fede nell’idealità. Ma 
anche il carattere di Angela, quale esempio di pudica fanciulla 
e di moglie incolpabile, è oscurato da qualche macchia. Essa 
sposa Kromicki per dispetto verso Leone, che si era da lei al- 
lontanato partendo per terre lontane. Ciò prova che il suo amore 
non era profondo e potente sino al sacrificio. Moglie altrui, vive 
in intimità di amore col giovane, mentre a quell’unione conju- 
gale nessuno l'aveva forzata. L'autore ce la ritrae come donna 
incolpabile, che non rompe la fede conjugale; ma egli spinge 
la sua confidente famigliarità ed intima convivenza con Leone 
a segno, che la sua caduta diventa inevitabile nel processo or- 
dinario della natura umana. Non si scherza impunemente sul- 
l'orlo di un abisso. Per questa ragione il carattere di Angela 
può compromettere il suo imitabile esempio, esercitando un’at- 
trattiva equivoca sull’animo del lettore. 

Il romanzo, che abbiamo rapidamente esaminato ne’ suoi 
punti più sostanziali, risplende di molti pregi psicologici e. pe- 
dagogici per il soave affetto, che traspare dalle sue pagine, per 
lo studio delle passioni, che agitano il cuore umano, e segnata- 
mente perchè vi si sente la solenne gravità del problema della 
vita futura. Ma la conclusione è veramente desolante. Leone 
termina violentemente la giornata della sua vita prima che sia 
suonata l’ultima ora, prima che il Signore lo chiami a sè. An- 
gela è morta, ed egli si precipita dietro a lei e la segue al di 
là della tomba, rivolgendole queste ultime parole: “ Credi che 
io non tema innanzi al trapasso? Oh, no: io ho paura. della 
morte. Ignoro che cosa è il di là: non vedo che tenebre senza 
fondo, e rabbrividisco innanzi a tale abisso. Non so se questo 
è 11 nulla, o qualche forma di esistenza fuor dei limiti di spazio 


OLTRE IL MISTERO 987 


e di tempo, o infine, un soffio interplanetario, che portando via 
le anime nostre di stella in stella, le inizii a novelli destini. 
Non so se vi troverò l’eterna disperazione o il riposo eterno, 
assoluto, infinito, come l’onnipotenza, l’ onnibontà divina ,. Il 
nostro autore pubblicava il suo celebratissimo romanzo Quo 
vadis? Dove vai? Questo altro romanzo Oltre il mistero risponde 
alla domanda: Dove io vada, non so. A Leone torturato dal 
dubbio di oltre tomba non regge l’animo di lasciare sola laggiù 
la sua Angela, e colla mano suicida sforza le porte dell’eter- 
nità, incerto se s’inabisserà nel nulla con lei, oppure seguirà 
insieme la stessa eterna via. 

Questa conclusione scettica consuona collo spirito pessimista 
di Leone, ma non si concilia punto, nè col culto devoto verso 
la sua amante, nè colla ragione. Il vero e costante amore, come 
ben disse la Stéel (1), si regge sulla credenza nell’immortalità; 
epperò Leone, in cui questa fede era corrosa dal dubbio, non 
poteva amare Angela di vero e profondo amore, non poteva te- 
nere in alto pregio la sua persona, incerto dove mai la mano 
della morte l'avrebbe travolta. La ragione poi non gli consen- 
tiva di avvolgere in uno scetticismo universale tutti i pensamenti. 
riguardanti la vita futura, poichè se gli è vero che essa si chia- 
risce impotente a porgerci un concetto lucido e sicuro della nuo- 
vissima forma di esistenza, che rivestirà l’io umano, non è men 
vero che può dimostrare fuor d’ogni dubbiezza la sua vita oltre- 
mondana (2). In questo solenne argomento è somma necessità 
sceverare quanto vi ha di vero e di sodo dall’incerto e dal pro- 
blematico, riconoscere il punto luminoso anche in mezzo alla 
caligine, che lo offusca, confortati dalla speranza che le ombre 
del mistero saranno dissipate dal sole della verità. 


TI. 
Il Cristianesimo e la vita oltremondana. 


Nel romanzo del Sienkiewicz Leone è la ragione umana, 
che sfiduciata delle proprie forze spinge lo sguardo oltre il mi- 
stero della tomba, e rimane incerta se la nostra personale esi- 


(1) Delfina, parte terza, lettera XIV. 
(2) Vedi la mia Memoria: La vita oltremondana, pag. 63. 


988 GIUSEPPE ALLIEVO 


stenza vada a perdersi negli abissi del nulla, oppure rivesta 
una nuova forma di vita indefinibile. Veramente la ragione anche 
abbandonata a se sola può spingersi più oltre, può pronunciare 
una parola la quale ci rassicuri che al di là di questo terreno 
orizzonte si stendono altre regioni, che ci attendono; ma se può 
intravedere da lontano la terra promessa, non le è dato di ri- 
trarne la topografia e misurarne l’ampiezza. Era necessario che 
l’uomo, creatura divina, apprendesse da Dio donde egli venga 
e dove vada: era necessario che la ragione umana venisse in- 
formata dalla ragione divina, che uomo e Dio si ricongiunges- 
sero insieme senza punto confondere le loro nature; era neces- 
sario che Cristo, l’Uomo-Dio, apparisse quaggiù, e Cristo apparve. 
La sua incarnazione è il ritorno dell’uomo a Dio suo creatore; 
la sua persona è il tipo vivente di ogni perfezione umana: la 
sua parola è la rivelazione della verità, che illumina ed in- 
fiamma; il sacrificio della sua vita è la redenzione della stirpe 
di Adamo; la sua risurrezione è la risurrezione e la vita del- 
l'umanità (1). Cristo discendeva nel sepolero per rialzarsi redi- 
vivo: epperò oltre il mistero della tomba non rimane il mulla o 
l'ignoto, ma sta la divina figura di Cristo risorto. Così il Cri- 
stianesimo illumina di nuova vivissima luce il grave problema 
dell’oltre tomba e proclama che morendo rinasceremo alla vita 
in tutta l'integrità del nostro io personale, come Cristo risorse 
tutto quanto, anima e corpo. Il Dio del Cristianesimo non è il 
Dio de morti, ma de vivi (2). 

Il concetto cristiano della vita futura oltremondana mo- 
strasi indissolubilmente intrecciato col concetto della vita pre- 
sente terrena; nel che apparisce la vasta comprensione e subli- 
mità della dottrina del Cristianesimo. Esso afferma il pregio 
infinito di un'anima umana, proclama la salute dell'anima sic- 
come cosa che sovranamente ed essenzialmente importa, e ripone 
la salute dell'anima nella vita eterna, val quanto dire nel vi- 
vere in Dio e con Dio senza punto cessare di vivere in noi e 
con noi, vivere quaggiù nella fede, che conforta e rassicura, nella 
grazia divina, che santifica, vivere lassù non più nella fede, ma 


(1) Ego sum resurrectio et vita, A Cristo di se medesimo. Vangelo 
di San Giovanni (XI, 25). 
(2) Vangelo di San Marco, capo XII, 27. 


OLTRE IL MISTERO 989 


nella visione divina, che bea, non più nella grazia, ma nella 
gloria, che india. Al futuro e perfetto possesso di Dio non si 
perviene, se di presente non si ama davvero Dio, il Padre nostro 
che è ne’ cieli, ed in Dio gli uomini tutti, nostri fratelli. La 
vita terrena è il passaggio del deserto, che mena alla terra pro- 
messa. 

La morale cristiana è la sacra carta itineraria, che guida i 
passi del pellegrino, il quale varca la terra dell'esilio, avvian- 
dolo alla patria. Essa attinge il suo alto significato da questa 
intima attinenza, che la intreccia colla vita futura, a cui va a 
mettere capo. Gli è sotto questo specialissimo aspetto che rivela 
il suo intrinseco contenuto, e che mostra la sua essenzial dif- 
ferenza dalla morale pagana. La morale cristiana va tutta in 
servigio della vita oltremondana, mentre la morale pagana 
andava tutta in servigio della vita terrena. Se non si con- 
templa da questa sua sublime altezza, non solo sì corre pericolo 
di fraintenderne la vera natura, ma non si sa più vedere il 
perchè essa prescriva la mortificazione della carne, proclami la 
necessità della grazia sopranaturale, consigli l’ascetismo e certe 
pratiche di pietà, che sono in aperto conflitto colla corrotta na- 
tura. Non per ciò essa disconosce o rinnega le giuste esigenze 
della vita presente; che anzi in certo qual modo le consacra e 
collegandole colla esistenza oltremondana conferisce ad essa un 
pregio ed un valore altissimo, che, riguardata esclusivamente 
in se stessa, non potrebbe avere. I liberi pensatori contemplando 
il Cristianesimo attraverso la lente della pura ragione pagana, 
ne vilipendono la dottrina dogmatica e morale; ma con ciò mo- 
strano di non averne penetrata con profondità di pensiero l’in- 
tima natura. Nello studio di questo altissimo problema, che 
interessa le sorti di tutta l’umanità, la ragione antica pagana 
si mostrò vacillante e discorde, perchè pressochè tutta intenta 
alle cose di quaggiù mal seppe scrutare le arcane attinenze, che 
collegano la vita presente colla futura. “ La storia ci mostra 
l’uomo dappertutto e sempre inquieto del futuro. Alle questioni 
fatte su tal proposito, il vasto Oriente ne ha data una risposta 
lugubre, nella quale in sostanza non abbiamo trovato altro che 
la speranza di riposo, di un sonno profondo non turbato da 
sogni e senza risvegliamento, In Grecia, oltre le leggiadre fan- 
tasie del popolo, noi abbiamo trovato la parola dei savi. Questi 


990 GIUSEPPE ALLIEVO 


hanno renduto alla natura umana de’ servigi segnalati; ed han 
pure messo in chiaro qualcuno dei titoli di nostra nobiltà e di- 
mostrato la natura spirituale del principio pensante; ma per 
rispetto a quel, che sarà dell’esser nostro personale, anzichè 
assentire a quanto se ne affermò in modo preciso, invece hanno 
esitato, ritenendo per ultimo spediente, l’idea che la vita futura 
ha sì poco valore che, dovendo ella terminare nel nulla, e’ sa- 
rebbe ancora dolce il morire. È Socrate, che parla così; ed io 
me ne sono sempre stupito... È ben l’istesso Socrate che dichiara 
come pochi tra i più bei giorni valgono quanto il riposo del 
sonno , (1). 

Il Cristianesimo presenta una dottrina così stupenda nella 
sua armonica struttura, così vasta nella sua comprensione, così 
profonda e sublime nella sua sapienza, che desta l'ammirazione 
ed impone il rispetto. Irraggiando dalla ragion divina e dalla 
ragione umana, esso ha dischiuso al pensiero speculativo nuovi 
e più luminosi orizzonti, ha ricreato il genio degli artisti, ha 
inspirato il cantore della vita oltremondana Dante Alighieri, che 
nel suo divino poema ritrasse con una potenza d’immaginazione 
insuperabile i nuovi cieli e la nuova terra, riservati alle anime 
dei trapassati. Certamente la luce divina del Cristianesimo non 
ha dissipati tutti i punti oscuri, che velano il problema dell’oltre 
tomba, nè la ragione umana, finchè si svolge entro l’ambiente 
di questo materiale universo, mai giungerà ad una lucida e com- 
prensiva conoscenza della seconda vita. Il Cristianesimo non 
esclude il mistero: la fede è lucerna lucens in caliginoso loco (2). 
E che perciò? Anche il cuore umano, anche la scienza hanno i 
loro misteri, tantochè percorrendo il mondo del pensiero e della 
vita ci troviamo ad ogni piè sospinto in faccia all’arcano ed 
all’ignoto. 

Il razionalista, pur costretto a riconoscere l’ignoto e l’incono- 
scibile, verrà fuori colla trita e ritrita e volgarissima distinzione 
tra i misteri della fede ed i misteri della scienza, quelli rigettando 
perchè contraddicono alla ragione, questi accettando perchè la tra- 
scendono, ma non la urtano, La distinzione non approda nè punto 
nè poco. Egli gratuitamente asserisce, ma non ha dimostrato, 


(1) Ernesto NoviLLe, La vita eterna, discorso sesto. 
(2) S. Pietro, Epistola 2, cap. 1, v. 19. 


OLTRE IL MISTERO 991 


che il dogma cristiano contraddice alla ragione tanto da esclu- 
dere ogni elemento intelligibile e riuscire assolutamente incon- 
cepibile od inconoscibile sotto ogni riguardo, quale sarebbe l’as- 
surdo di un triangolo di quattro lati, o di un circolo rotondo. 
Il mistero cristiano non è un assurdo, ma una verità in parte 
incomprensibile, e la verità non può essere contraria alla ra- 
gione. Leibnitz, quel gran metafisico, che tutti sanno, dettò un 
prezioso opuscolo intitolato Della conformità della fede con la 
ragione, nel quale lasciò scritte queste parole: “ Quando vien 
contrapposta la ragione a un articolo di nostra fede, non dob- 
biamo prenderci niuna briga delle obbiezioni, le quali non rie- 
scono in fine ad altro, che ad argomenti di sola verisimiglianza; 
e già tutti consentono, che i Misteri sono alle apparenze con- 
trarii, e non hanno, chi li riguardi dalla parte della ragione, 
nulla di verisimile; ma ben è sufficiente, che non ammettano 
in sè niun assurdo... Una verità non può all’altra essere con- 
traddittoria; e il lume della ragione è altrettanto un dono di 
Dio, quanto è quello della rivelazione ,,. 

Si va ripetendo dai razionalisti, che i risultati, a cui è per- 
venuta la scienza, sono inconciliabili colle credenze nell’ordine 
sopranaturale, su cui posa il Cristianesimo, e che la critica mo- 
derna ha sfatato la dogmatica cristiana intorno l’eternità della 
vita oltremondana, relegandola fra le fole della superstizione 
volgare, sicchè uno spirito colto, un serio pensatore disdegna di 
appartenere alla schiera de’ credenti. Ma di grazia non iscam- 
biate le vostre asserzioni gratuite, le vostre malferme ipotesi 
coi teoremi scientifici rigorosamente dimostrati, voi, che pre- 
tendete di rappresentare la vera e propria scienza, come se 
fosse vostro privilegio speciale, anzichè patrimonio di tutte le 
menti speculative. Quanto alla critica, statevene in guardia voi 
stessi; chè non èvvi sistema filosofico, il quale non sia caduto 
infranto sotto il suo martello demolitore (1). Infine voi guardate 
con aria di compassione il credente in Cristo come una povera 
ed idiota intelligenza; ma quanti spiriti di vasta e profonda 


(1) Intorno a quest'argomento merita di essere letto un opuscolo seria- 
mente pensato di Giuseppe Ghiringhello e pubblicato nelle “ Memorie della 
R. Accademia delle Scienze di Torino ,, col titolo: La critica scientifica ed 
il sovrannaturale. 


992 GIUSEPPE ALLIEVO 


coltura, quanti pensatori potenti ed originali non registra la 
storia, i quali riconobbero l'impronta divina nella dottrina del 
Cristianesimo e prestarono il loro riverente ossequio alla parola 
del Redentore dell'umanità! Quel forte e sereno pensatore, che 
è Ernesto Noville scrisse ed io ripeto con lui: “ Sento dire che 
in un’età a noi più vicina, alcuni tenenti la cima del sapere nel- 
l’istoria e nella filosofia, vollero discendere fino a credere, ado- 
rare e pregare con gli umili. Ora io mi dichiaro assolutamente 
di appartenere alla società di questi illustri trapassati, se mai 
qualche bello spirito o scienziato moderno, contrassegnandomi 
come uno di animo gretto, mi chiude, di sua propria autorità, 
la porta della scienza e mi dichiara indegno di sua dotta com- 
pagnia , (1). 


HI 
Il Cristianesimo e l’amore. 


Nel romanzo del Sienkiewicz Leone rappresenta lo scettico, 
che oltre il mistero non vede che fantasmi e buio. Angela per- 
sonifica l’amore, che tocca un cuore inaridito dal dubbio, ma 
non lo rigenera alla fede. Abbiamo veduto come il Cristianesimo 
diffondendo un raggio di luce divina sulle tenebre della tomba 
rassicuri l’esistenza della vita oltremondana contro la ragion 
scettica, che la mette in forse. Ora viene il considerare come 
l’amore informato dal Cristianesimo risalga alla sua celeste ori- 
gine e riacquisti una virtù rigeneratrice, che vien meno alla 
corrotta natura umana. S’ intende da sè, che qui prendiamo 
l’amore in senso proprio e stretto, qual è la corrispondenza di 
affetto tra l’uomo e la donna, inspirata dalla natura medesima 
de’ due sessi. 

Leone ama la donna altrui ed è riamato da Angela legata 
dal dovere del conjugale affetto. Se ciascuno avesse tenuto chiuso 
negli intimi penetrali dell'anima l’amore sentito, ma non espresso, 
chi oserebbe condannarli? Anche il cuore ha i misteri suoi proprì, 
come la ragione. Ma qui abbiamo un amore corrisposto, in cui 
i sensi esterni intervengono a mettere a contatto fra di loro 
due cuori ed alimentarne la fiamma, mentre l’affetto conjugale 


(1) La vita eterna, discorso IV verso il fine. 


OLTRE IL MISTERO 993 


ne rimane ferito. Certo è, che l’amore umano emerge dall’in- 
tima corrispondenza di un organismo sensitivo e di un principio 
spirituale, per cui essenzialmente si differenzia sia dall’amore 
dei bruti fondato sulla mera animalità, sia dall'amore degli an- 
geli, quale noi ce lo possiamo immaginare, alimentato dalla pura 
spiritualità. Quindi è che le anime anche pure non possono ri- 
velarsi il loro amore senza il ministero del loro organismo cor- 
poreo, nè mantenere la loro corrispondenza amorosa senza una 
certa qual convivenza esteriore delle persone (1). Ma entro quali 
confini va ristretto l'ufficio de’ sensi fisici, affinchè l’amore ri- 
sponda alla dignità della natura umana? Quali sono i diritti 
e le ragioni del cuore, e fin dove deve spingersi il sacrificio del 
piacere sensuale, affinchè la passione non trionfi sul dovere e 
l’amore si mantenga incolpabile ed immacolato? 

La filosofia platonica faceva distinzione tra la Venere celeste 
e la Venere terrena, ossia tra l’amore purissimo e l’amore sen- 
suale. Quello è l’amore della bellezza psichica riposta nella pu- 
rezza dell'anima, questo è l’amore voluttuoso della bellezza 
corporea. Questo concetto platonico della Venere celeste infor- 
mava l’amore cavalleresco del medio evo, in cui la bellezza della 
persona veniva spiritualizzata, e la donna, che rispondeva all’af- 
fetto ideale del suo innamorato, non era riguardata siccome colpe- 
vole di aver tradito la fedeltà conjugale. Dalle Mémoires de V Aca- 
démie des inscriptions, vol. XX, p. 413, apprendiamo che Agnese 
di Navarra, poetessa contemporanea del Petrarca, scrisse versi 
di amore al poeta francese Guglielmo di Mathaut; eppure con- 
servò agli occhi del mondo e del marito fama di virtuosa prin- 
cipessa. 

L'antica sapienza distingueva la Venere celeste e la Venere 
terrena o volgare. Noi moderni ammaestrati dalla sapienza di 
Cristo distinguiamo l’amore naturale e l’amore cristiano, come 
ammettiamo una ragione naturale ed una ragione cristiana. 


(1) © ...Im quelli, tra’ quali passa un reciproco amore onesto (così parla 
Socrate presso Senofonte nel Convito al cap. V), come mai non sarà una 
necessità di vedersi scambievolmente volentieri, di discorrere amorevol- 
mente insieme, di prestarsi una vicendevole fede, di provvedere l’un l’altro 
ai proprii bisogni, di compiacersi a vicenda delle loro obbligazioni, di 
rammaricarsi se incorrono in qualche sbaglio, di provar compiacenza quando 
si trovano insieme sani e salvi? ,. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 66 


994 GIUSEPPE ALLIEVO 


L'amore umano, di qualunque specie esso sia, importa sempre 
l’intima ed affettuosa corrispondenza dei due principî sostanziali, 
costitutivi dell’uomo, l'organismo corporeo e l’anima razionale, 
ed è generato dal sentimento della bellezza; ma nell’amor na- 
turale la còrruzione originaria della natura umana mostra la 
sua deformatrice potenza, la bellezza dell’anima è offuscata dal 
prevalere de’ sensi e più di una volta scompare affatto nella 
voluttà della passione animale. Per lo contrario nell’amore eri- 
stiano l’anima mostra tutta l’immacolata purezza, che fiorisce 
dalla natura redenta, pur mentre rimane in contatto colla ma- 
teria. L'organismo corporeo lascia trasparire attraverso il suo 
involucro la bellezza interiore dell'anima e la rispecchia nel 
volto, nello sguardo, nella voce; nell’atteggiamento, nelle mo- 
venze, in tutta la persona, che ne rimane per così dire spiri- 
tualizzata. La donna cristiana ama di santo affetto il compagno 
della sua esistenza; se mai sentisse il suo cuore palpitare per 
lo sposo altrui, tiene sepolto nel più profondo dell’anima il suo 
malnato amore; se soccombesse alla violenza della passione, si 
rialza fidando in Cristo, che ha perdonato alla Maddalena, perchè 
ha molto amato, ha convertito la Samaritana, ha assolto l’adultera. 

La virtù moralizzatrice dell'amore umano corre proporzio- 
nale alla sua purezza. L’amore meramente naturale, sempre 
difettoso ed offuscato da qualche macchia, perchè guasto nella 
sua radice, mal può ingenerare quello spirito sublime di sacri- 
ficio, quell’energia eroica ed invitta, che nelle lotte della vita 
assicurano all'anima il trionfo del dovere sugli ignobili istinti e 
le voluttà sensuali. Werther, Jacopo Ortis, Delfina cedettero 
alla loro passione amorosa, lucemque perosi proiecere animas (1). 
L'amore di Angela, sebbene si sforzi di mantenersi immacolato, 
troppo si risente della fiacchezza del cuore umano, non rialza 
Leone dal suo scetticismo, ma lo abbandona al suicidio. Faust, 
disperato nel suo tentativo di sfondar il mistero dell’universo, 
spaventato dell’orribile vuoto, che lo circonda, vede Margherita 
ed all’alito del suo amore sente una vita novella rifluire nel.suo 
spirito, ma quell'amore non lo rigenera. Egli profana il santuario 
di quell’anima pura e verginale, sacrifica alla sua voluttà sen- 
suale quella fanciulla, tutta candore, freschezza, ingenuità in- 


(1) Virertro, Aeneidos, lib. VI, vv. 435, 436. 


OLTRE IL MISTERO 995 


fantile, e ricade nella sua immensa tristezza. Talvolta l’amore, 
di cui discorriamo, ha degli slanci generosi, delle intuizioni su- 
blimi, dei lampi di verità, che gli schiudono nuovi e sereni oriz- 
zonti, ma le forze non lo reggono a raggiungere l’ intraveduto 
ideale. Leone ben conosce lo strazio di Angela, che lotta colla 
propria coscienza e coll’amore di lui, e candidamente afferma 
che “ l'amor della donna altrui o è una hbassezza o una grande 
sventura , (1); pure egli chiude gli occhi alla verità, che gli è 
balenata alla mente e non ha forza di sostenere la lotta. 

Ben altra è la tempra, ben più potente è la virtù rigene- 
ratrice propria dell'amore cristiano. La Venere celeste o Urania, 
generatrice dell'amore spirituale, era un mito, una mera idea, 
una pura concezione della fantasia, e niente più. La bellezza 
celestiale dell'anima redenta, generatrice dell’amore cristiano, è 
viva ed energica realtà. Onnipotente sul cuore dell’uomo è l’amore 
della donna cristiana. Omnia vincit amor (2). La casta bellezza, 
la serenità dell'anima, la calma dei sensi, lo spirito di sacrifizio, 
la pietà, il raccoglimento interiore, l’inspirazione dell’ideale, la 
delicatezza, la grazia, la rassegnazione, tutte queste doti della 
natura femminile esercitano sul cuore dell’uomo un’attrattiva 
potente, celestiale. La virtù medesima, se accompagnata dal- 
l’avvenenza della persona, viene più amabile e più cara (3). Tutte 
le anime generose, tutti i nobili cuori sentirono la forza rige- 
neratrice dell'amore cristiano. Dice Dante in sull’esordire della 
sua Vita Nuova, che sente la presenza di Beatrice come di un 
Dio forte, che viene a dominarlo: “ Ecce Deus fortior me, qui 
veniens dominabitur mihi ,; e altrove scrive: “ Oh! donna! 
nella quale fiorivano tutte le mie speranze, tu che ti sei degnata, 
per mia salute, lasciar l’ombra de’ tuoi passi sur la soglia del- 
l'inferno, tu m'hai tolto dalla schiavitù e dato alla libertà; 
la terra non ha più pericoli per me, io conservo viva nel mio 
cuore l’imagine di tua purezza, affinchè nell’ultimo giorno l’anima 
mia abbandoni il mio corpo, amabile a’ tuoi occhi ,. Petrarca 
nel suo Dialogo con Sant'Agostino dice, che il suo amore per 


(1) Traduzione di Domenico Crampora, pag. 276. 
(2) ViriLIo, Ecloga X, vers. 69. 
(3) Gratior et pulero veniens in corpore virtus (VireiLio, Aeneidos, lib. V, 


vers. 344). 


996 GIUSEPPE ALLIEVO 


Laura lo ha innalzato all'amore di Dio, e che di lei ama non 
il corpo, ma l’anima, sentendo tanto più raddoppiarsi il suo fuoco 
quanto più esso va invecchiando. 

Il mondo cristiano venera ed esalta in Maria il tipo vivente 
dell'amore innalzato al sommo della sua potenza, della sua san- 
tità e purezza. Maria e Cristo, Maria la donna più perfetta tra 
le creature, Cristo il perfettissimo tra gli uomini, anzi l’ Uomo- 
Dio, concentrano in sè e diffondono tutto l’amore, che può ce- 
mentare l'unione della specie umana nella duplice individualità 
dell’uomo e della donna. Il Goethe chiude la seconda parte del 
suo Faust con uno stupendo inno alla Mater gloriosa, ed il suo 
traduttore francese Enrico Blaze vi aggiunge un suo Studio sulla 
mistica, dove scrive: “ L’antichità, nel suo panteismo incompiuto, 
non riconosce che gli istinti; il bello morale le sfugge: essa ha 
Cibele, Iside, Giunone, cioè il principio della fecondità, la MADRE; 
ignora la VerGIne. Affinchè i due elementi si incontrino in questo 
EreRrNo FEMMININO, ideale di Dante e di Goethe, occorre che in- 
tervenga un Dio e che il Cristianesimo si riveli. Gli è in questa 
grazia divina, in questa inesauribile clemenza, retaggio dell’IDEALE 
FEMMININO de’ tempi nuovi, che riposa il secreto del culto di 
Maria. Principio di salvezza, di amore, di rassegnazione, non si 
può impegnare una lotta con lei. Faust e Don Giovanni possono 
abdicare ai suoi piedi; quando abbiamo resistito a Dio ed agli 
uomini, quando abbiamo tutto sfidato, tutto insultato, tutto spez- 
zato, non rimane più che un dominatore capace di trionfare di 
noi: la debolezza! Maria presiede alle conversioni, trascina dietro 
di sè le anime traviate attraverso gli ardenti labirinti del cielo ,. 
Maria e Cristo, la Madre ed il Figlio, ecco il cuore della famiglia 
umana, ecco il Cristianesimo e l’amore. 


IV. 
Conclusione. 


Chi prende a disaminare con animo attento ed imparziale 
il movimento del pensiero contemporaneo, non può non ricono- 
_scere che gran parte delle sue produzioni è viziata dal tarlo 
roditore della paganità. Si paganeggia in filosofia, dove la ra- 
gione abbandonata a se sola va errando entro un labirinto di 


OLTRE IL MISTERO 997 


sistemi e di dottrine opposte e contrarie, senza una guida sicura, 
che la scorga alla meta: si paganeggia in letteratura, dove 
manca la suprema idealità della vita e l’anima nulla vede, nulla 
desidera oltre l'orizzonte di quaggiù. I cuori ele menti sentono 
qua e là l’impotenza dell'umanità abbandonata alle sole sue forze 
ed il bisogno di rompere i cancelli della paganità per ritem- 
prarsi a nuova vita. Il Cristianesimo è il principio rigeneratore 
della scienza e dell’arte, come lo è della persona umana e della 
convivenza sociale. 

Il pensiero speculativo accenna al risveglio di una nuova 
_ vita, dacchè le recenti dottrine del puro fenomenismo si chia- 
riscono impotenti ad adempiere davvero le sue esigenze. 

Basta rivolgere uno sguardo allo stato attuale della scienza 
per rilevare, che il positivismo dopo un mezzo secolo di vita 
va dissolvendosi sotto i colpi della critica. 

Esso insorse colla dogmatica affermazione di se medesimo 
senza punto instituire la critica delle dottrine metafisiche e spi- 
ritualistiche, sentenziandole insussistenti e fallaci in ogni loro 
punto, invece di sincerare se e quanto vi fosse di vero o di 
erroneo. Fu questo il germe dissolvitore, che portò nascosto nel 
suo seno. Il concetto fondamentale su cui esso posa, viene dal- 
l’analisi critica disciolto in elementi contrarî e discordi. Dal 
dogma positivistico vanno pullulando opposte eresie, che ne ri- 
velano l’interior debolezza: ed i suoi seguaci si accorgono che 
inteso nel suo significato primitivo e quale lo avevano conce- 
pito i suoi primi fondatori, non regge più, e s’ingegnano di 
rifarlo di sana pianta su nuovo stampo. 

Che più, se lo stesso Augusto Comte, il quale creava in 
Francia il positivismo verso il 1840, lo sconfessava verso il 
termine della vita, ed Herbert Spencer, che qualche anno dopo 
lo fondava in Inghilterra, oggidì lo abbandona nel suo recente 
opuscolo Fatti e Commenti? Venendo alla nostra Italia, ci sì pre- 
senta quest'altro fatto non meno notevole, che i più insigni rap- 
presentanti del positivismo professavano da prima con fervido 
convincimento la filosofia metafisica tradizionale. Uno de’ più 
ardenti e valorosi sostenitori e propagatori delle nuove dottrine 
positivistiche è certamente Giuseppe Sergi. Ebbene egli pubbli- 
cava nel 1868 un volume intitolato Usiologia ossia Scienza del- 
l’essenza, Rinnovamento dell'antica filosofia italiana, in cui calorosa- 


998 GIUSEPPE ALLIEVO — OLTRE IL MISTERO 


mente professa il più puro idealismo platonico e lo spiritualismo 
teistico (1). Qualche tempo dopo mutò bandiera e dall’antichis- 
sima filosofia italiana, di cui egli predicava con tanto ardore il 
rinnovamento, passò al culto delle nuovissime dottrine, che da 
oltre monti ed oltre mari erano penetrate nella nostra Italia. 
In quel medesimo anno 1868 un altro pensatore italiano, Pietro 
Siciliani, pubblicava un opuscolo inseritto Sulle fonti storiche della 
filosofia positiva in Italia, dove inveisce contro i positivisti Comte, 
Littré, Stuart-Mill, perchè negano la metafisica come scienza 
suprema ed ogni verità, che non iscaturisca immediatamente dai 
fatti; poi passò anch’egli nel campo dei positivisti, negando ogni 
metafisica, ogni verità trascendentale. Anche Roberto Ardigò 
aveva già varcata la quarantina, quando dall’ortodossia catto- 
lica, che aveva professato come sacerdote, discese ad immergersi 
anima e corpo nelle fervide correnti del positivismo contempo- 
raneo. Egli ci tiene assai a dichiarare, che delle opere del Comte 
non ha letto una riga, e dello Spencer e di Mill poco meno che 
nulla (2), sicchè trasse il suo sistema dalle cellette del proprio 
cervello; e questa mia non è un’espressione metaforica, dacchè 
per lui il pensiero è una funzione organica cerebrale. 


(1) Vedi pagine 1x, x, 65, 91, 99, 104, 106, 108. 
(2) Vedi l'avvertenza alla sua opera: La psicologia come scienza positiva, 
ristampata a Cremona nel 1882. 


o —__ _'_1rr——————————e 


EFFETTI DELLA DISPOSIZIONE RELATIVA AL PROPRIO CADAVERE 999 


Sugli effetti della disposizione relativa al proprio cadavere. 
Nota del Dott. MARIO RICCA-BARBERIS. 


x 


Il diritto sul proprio corpo è certamente uno degli aspetti 
sotto cui l’Individualrecht, ossia il diritto della personalità, fu 
oggetto di maggiori e più speciose critiche. Già il KonLER (1) 
osservava, che la polemica contro i diritti individuali venne im- 
postata assai leggermente dai dottori, che, dimenticando il noc- 
ciolo della questione, si abbandonarono ad attraenti scaramuccie 
su punti accessori affatto irrilevanti. 

È perfettamente vero, che anche senza l'ordinamento giu- 
ridico col naso si fiuta, colla glottide si canta, nello stesso modo 
che senza di esso i preistorici abitatori del nostro pianeta go- 
devano la vita. 

V’ha qualcosa che di per sè non costituisce un atto illecito 
e nemmeno un diritto, perchè sta nella zona neutra, in cui non 
penetra l'impronta giuridica. 

Su di ciò si fonda il Ravà (2) per disconoscere il diritto sul 
proprio corpo. 

Ma di questa concezione appare manifesto il fondamento, 
non appena essa venga posta nei suoi veri e proprii termini. 

Il THox (3) ha giustamente osservato, che il diritto della 
personalità consiste nella protezione che i beni della persona 
godono dal lato esterno e non nell’uso che il soggetto fa delle 
sue forze fisiche ed intellettuali. | 


(1) Das Autorrecht, Jena 1880, p. 124 seg. 

(2) “ Riv. it. per le scienze giurid. ,, vol. XXXI, fasc. III, p. 290-378, 
vol. XXXII, fasc. I-II, p. 1-127, passim, ma specialmente in quest’ultima parte 
a p. 84 e 85. 

(3) Rechtsnorm und subjectives Recht, Weimar 1878, p. 288 seg. A p. 288: 
“ Der Genuss des rechtlich geschitzten Guts gehért niemals zu dem Inhalte 
des Rechts ,. A p. 293: “ Die Rechtsordnung kiimmert sich eben regelmiissig 
um den Genuss der Giiter nicht..... Ihre Aufgabe ist es, fir den etwaigen 
Genuss die Hindernisse hinwegzuràumen, die andere Personen unbefugt 
demselben stellen ,. 


1000 MARIO RICCA-BARBERIS 


Mentre le funzioni organiche degli animali, seguita il 
KoHLER (1), stanno al di fuori della cerchia del diritto, le funzioni 
organiche dell’ uomo si svolgono entro la sua zona, in quanto 
godono della protezione legale, in quanto l’ordinamento giuridico 
le circonda delle sue garanzie, le comprende nel magico suo 
bando e ne grida l’intangibilità contro ogni attacco. L’odorare 
ed il cantare sono cose comuni agli animali, ma chi offende il 
mio naso o la mia glottide deve risponderne (2). 3 

L’illazione tragica di un diritto al suicidio, messa innanzi 
dal Savieny (8), si evita facilmente quando si ricordi col Wixp- 
scHEID (4), che ogni diritto privato non si occupa che di risolvere 
la questione, fino a qual punto la volontà dell'individuo debba 
essere riconosciuta da quella degli altri. 

“ Quanto al diritto sul proprio corpo, afferma il grande 
“ Pandettista (5), tutto si riduce a vedere, se l’ordine giuridico 
“ dichiari, che la volontà del titolare è decisiva per la propria 
“ persona, munendola di divieti verso chi gli sta di fronte, come 
“ nel concedere un diritto reale dichiara, che la volontà di una 
“ persona è decisiva per una cosa ,. 

Ed aggiunge, che la questione non può essere risoluta in 
senso negativo (6). 

Nè essa può dar luogo ad alcun dubbio finchè nella persona 


(1) Loc. cit.; v. Taox, op. cit., p. 291: “ Das Recht der Persònlichkeit 
besteht, wie wir sahen, aus der Gesammtheit der jetzt weit zahlreicheren 
Verbote, welche gemeinsam die Unantastbarkeit der persònlichen Giiter 
bezwecken ,. 

(2) Mentre il KonLer si sofferma sulle facoltà naturali per porre in 
rilievo che esse, in quanto sono suscettive di offese per parte di altri, costi- 
tuiscono l'oggetto di un diritto, il Ravà le contempla in sè per poter dire 
che non lo sono. Come si vede, il dissidio è più di forma che di sostanza. 

(3) Traité de droit romain, traduit par M. Guenovx, Paris 1885, I, p. 326. 

(4) Pand. I, $ 40, nota 1 (trad. it., p. 178). 

(5) Pand. I, $ 40 (trad. it., p. 177). 


(6) Anche coloro che, scorgendo nella personalità soltanto una possi- 4 


bilità di estrinsecazione, non la considerano come oggetto di un diritto, 
riconoscono nel nostro elemento fisico e nelle nostre qualità personali delle 
posizioni concrete da essa assunte. V. Fanpa e Bensa nelle note al libro 2° 
del Wixpsc®erp, p. 601 seg. Quanto al diritto sul proprio corpo, come aspetto 
del diritto della personalità, v. CamronI, Questioni di diritto civile, Torino 1890, 
(IV, Quest. XXII) p. 400 e 401; Istituz. I, $ 22, p. 29. 


EFFETTI DELLA DISPOSIZIONE RELATIVA AL PROPRIO CADAVERE 1001 


perdura la vita. Nessuno può offendere l’integrità corporale del 
suo simile: all'individuo compete l’azione per la tutela di questo 
suo diritto, di fronte al quale può essere nulla la sua stessa 
rinunzia e può disconoscersi il principio “ volenti non fit in- 
juria , (1). La questione si presenta grave circa il vedere, se 
e quando il chirurgo possa operare senza o contro la volontà 
del paziente (2). 

Quanto alla disposizione concernente il proprio cadavere, 
una orinii avvertenza si impone per ciò che ha tratto al con- 
tenuto. 

Anche qui il giudice deve risalire ad un’indagine obbiettiva 
del modo di sentire proprio di un determinato momento storico 
per dedurne la validità o meno della disposizione (art. 849 cod. 
civile) (3). “ Improba, ci insegna la Glossa, (4), est voluntas 
. defuncti, qua mandat reliquias suas post mortem in mare 
projici ,. i 

Rispetto alla forma, giova esaminare, se la persona possa 
disporre del proprio cadavere, oltrechè per testamento (5), per 
atto tra vivi, e cioè mediante contratto. È questa l’ipotesi del- 
l’incarico, conferito ed accettato, di fare del cadavere un dato uso. 

In Firenze si erano, anni or sono, costituite delle associa- 
zioni aventi per iscopo di sottrarre alle cliniche i cadaveri di 


(1) CaironI, Quest., p. 402. 

(2) Cfr. Orrennemm, Fahrlissige Behandlung und fahrliissige Begutachtung 
von Ohrenkranken, in “ Zeitschrift fir Ohrenheilkunde mit besonderer Be- 
riicksichtigung der Rhinologie ,, vol. 35; p. 236. 

(3) Camroni, Lezioni di diritto civile dell’anno 1901-1902 (lit.) p. 284 seg., 
298 seg.; Quest., p. 402; Fappa e Bensa nelle note al libro 2° del WinpscHeIp, 
p. 615. L’art. 59 della legge 22 dicembre 1888 sulla sanità pubblica toglie 
ogni dubbio sull’ammessibilità della cremazione. 

(4) Al cap. I, De sepulturis, extrav. comm.; cfr. Gansa, in £ Foro it. ,, 
1885, I, col. 1252. 

(5) Che la legge ammetta la facoltà di disporre anche per quelle cose 
che non sono in bonis è dimostrato dai traduttori del WinpscHEID (Note al 
libro 2°, p. 615) e dal Curroni (Quest., p. 401) confutando il Gassa (* Foro 
it.,, 1885, I, col. 1251-1254). Il passo di Mopesrino (L. 27 D. De cond. 
instit., XXVIII, 7) citato da quest’ultimo nulla prova a suo favore. Dell’av- 
viso del Gassa è pure il Laurent (Principes, vol. 28, p. 98): “ ... il n'y a 
pas de testament quand le testateur ne dispose pas de ses biens ,. Cfr. KonLER, 
Jahrb. f. die Dogm., XXV, 105, nota 2; Giicxk, lib. XI, tit. 7, $ 789 e passi 
delle fonti ivi citati. 


1002 MARIO RICCA-BARBERIS 


coloro che vi aderivano. A parte l’illecità della causa inerente 
a queste associazioni, certo è che si trattava di un incarico re- 
ciproco da eseguirsi dopo la morte del conferente. Siamo di 
fronte alla figura giuridica del “ mandatum post mortem ,, che 
soccorre in modo così calzante alle varie estrinsecazioni del di- 
ritto della personalità (1). 

I dottori francesi distinguono, secondochè si tratti d’inearico 
conferito in vita ed accettato, ma avente per oggetto un’in- 
_ combenza da eseguirsi in tutto o in parte dopo la morte (2), o 
di incarico conferito per atto mortis causa. Nel primo caso si 
avrebbe un mandatum post mortem in senso stretto (3); nel se- 
condo esso si riscontrerebbe attraverso la figura giuridica del- 
l’esecutore testamentario (4). 


(1) Konrer, Das Autorrecht, p. 149 seg., colle sentenze ivi citate; giova 
pure ricordare la nota causa della Principessa di Linguaglossa, Giuseppina 
Crispi c. il Senatore A. Dasiani ecc. ed il Prefetto di Napoli. 

(2) Pornier, Du mandat, n° 108: “ Le principe que le mandat finit par 
la mort du mandant regoit nécessairement exception lorsque l’affaire qui 
en est l’objet est de nature è ne devoir se faire qu'après sa mort ,. — 
TropLone, Du mandat, n° 728, p. 225: “ Comment serait-il possible de faire 
finir par la mort du mandant un mandat qu'il n'a donné que pour ètrè 
exécuté après sa mort ?... La volonté des parties a pu déroger à la règle 
ordinaire qui attache la fin du mandat au décès du mandant ,. Cfr. Du- 
rANTON, Cours de droit civil suivant le Code frangais, X, n. 284, p. 100; 
Pont, Des petits contrats, I, n. 1145, p. 603; MoLrtor, Les obligations, II, $ 736, 
p. 404 e 405; Massé et Veraf, sopra ZacHariae, Le droit civil francais, V, 
$ 756, p. 56, nota 11: “... Le mandat donné pour étre exécuté après la 
mort du mandant, è moins qu'il ne constitue une disposition de dernière 
volonté exprimée dans la forme testamentaire, ne subsiste après le décès 
du mandant qu’autant qu'il n'est pas révoqué par les héritiers de celui-ci ,. 
Cfr. Ausry et Rav, sopra Zacmariar, Cours de droît civil frangais, II, $ 416, 
p. 57 testo e nota 1; GurLLovarD, Traité du contrat du mandat, n. 232, p. 537; 
Contro: Laurent, Principes, XXVIII, p. 95. Vedi DaLLoz, Répert. génér., XXVII, 
p. 129. Sulla communis opinio a questo proposito vedi anche Boxrante, parere 
nella causa Principessa di Linguaglossa c. Sen. Damiani, ecc., p. 110 e 111; 
Virari, in “ Foro it. ,, 1902, I, col. 1329 e 1330. 

(3) La dottrina e la giurisprudenza sono favorevoli tanto all'eventuale 
continuazione del mandato post mortem quanto al mandato del tutto post 
mortem exequendum. Cfr. BonrantE, loc. cit., p. 110. 

(4) Duranron, Cours de droit civil, X, n. 284, p. 100: “ Nos exécuteurs 
testamentaires ne son rien autre chose que des mandataires et leurs fon- 
ctions, loin de cesser par la mort de celui qui leur a donné la commission, 
ne peuvent mème commencer qu’après son décès ,. 


DE I I N N 


e f-Biiata er 


EFFETTI DELLA DISPOSIZIONE RELATIVA AL PROPRIO CADAVERE 1003 


Ma tra il mandato che si adempie quando di mandato non 
si può più parlare, e quello che sorge nel momento stesso in 
cui si avvera la causa della sua estinzione, non ci pare affatto 
di poter distinguere. 

Il mandatum post mortem, perciò stesso che è post mortem, 
cessa di essere un vero e proprio mandato e di valere giuridi- 
camente come tale (1). 

“ La sola menzione di una tale figura, dice il BonFANTE (2), 
fa arretrare; 1 contratti sono per i vivi, non per i defunti ,. 

Nè si invochi l'analogia coll’ esecutore testamentario, che, 
appunto perchè esecutore testamentario, non è più mandatario 
nel senso tecnico della parola (3). 

Non il contratto, ma l’atto mortis causa sarà il mezzo con 
cui verrà validamente conferito un incarico da eseguirsi quando 
il conferente abbia cessato di vivere. 

Appunto per ciò, ogniqualvolta non si riscontrino gli estremi 
e le condizioni poste dalla legge rispetto al testamento, non 
v'ha disposizione giuridicamente valida intorno al proprio cada- 
vere (4), ed il mandato conferito tra vivi, sia anche attraverso 


(1) La validità di questo mandato è effettivamente negata in modo 
espresso dalla L. 108 D. De solut. et lib. 46, 3 (PaoLo): “ Ei qui mandatu 
meo post mortem meam stipulatus est, recte solvitur: quia talis est lex 
obligationis, ideoque etiam invito me recte ei solvitur. Ei autem, cui jussi 
debitorem meum post mortem meam solvere, non recte solvitur (quia man- 
datum morte dissolvitur) ,. Si adducono in contrario le leggi 12 e 13 D. 
mand., 17, 1. V. BoncFantE, p. 109. 

(2) Loc. cit., p. 113; il mandatum post mortem exrequendum è un’impos- 
sibilità giuridica (p. 108). 

(3) Laurent, Principes, vol. 28, n. 88, p. 95: “ on cite d'ordinaire l’exé- 
cution testamentaire comme exemple d’un mandat qui commence seulement 
à la mort du mandant ,. Bonranre, p. 113: “... sarà un mandato in cui 
subentra come mandante l'erede? Ma allora, se si vuole che ci sia un man- 
dato assoluto e irrevocabile, regolato una volta per sempre dalla volontà 
del defunto, si viene a costruire uma figura di mandato mostruosa, senza 
controllo da parte del mandante, senza diritto di revoca ,. WinpscH®eEID, 
Pand., $ 567, nota 7: “... nel mandato dichiarato unilateralmente e non 
revocabile dagli eredi si ha il nome romano, e non la cosa romana ,. 

(4) Ciò non toglie che in questo caso non si avrebbe quella specie di 
signoria post mortem del proprio patrimonio economico ed intellettuale, di 
cui, col Laurent (vol. 28, p. 96), si vale il Bowranme (p. 111) per combattere 
il mandato cui si fece inerire un tale carattere. Ciò è rilevato dal Laurent 
(ivi, p. 98). — In senso contrario al testo: Cassaz. Torino, 13 marzo 1884, est. 
Perocchio, in causa Costa e. Scotti Anguissola; “ Foro it. ,, 1884, I, col. 871 seg. 


1004 MARIO RICCA-BARBERIS 


una serie di mandati reciproci, non può servire a tale scopo, 
perchè privo di ogni efficacia (1). 

Se la clausola, con cui il testatore dispone del proprio 
corpo, è accompagnata dalla nomina della persona tenuta a 
farla valere, questa avrà diritto di ottenere, di fronte a chiunque, 
il cadavere del defunto, affinchè riceva quella destinazione che 
è conforme alla sua volontà. 

Ma, in mancanza di una persona espressamente designata, 
chi sarà tenuto ad eseguire le disposizioni relative al cadavere? 
chi, in conseguenza di tali disposizioni, potrà intentare un’azione? 

La questione si riconnette ad un'altra più ampia: quali 
saranno gli effetti della morte di una persona sui diritti della 
sua personalità? 

Il KonLER ripone appunto la differenza tra i diritti indivi- 
duali ed i diritti patrimoniali in ciò, che i primi sono indisso- 
lubilmente connessi all'individuo ed i secondi sono liberamente 
alienabili (2), per cui si trasmettono colla morte del titolare. 

Ma l’ammessa validità delle disposizioni relative al cada- 
vere, importando di per sè come conseguenza la necessità, che 
ci sia qualcuno giuridicamente autorizzato a farle valere, accenna 
già ad una deroga all’assolutezza di questo principio: e la de- 
roga si avverte senz'altro nel caso dell’esecutore testamentario, 
a cui il de cujus trasferisce la possibilità di farsi vindice di una 
data estrinsecazione della sua personalità. 

La difficoltà si è presentata alla giurisprudenza tedesca 
nel noto caso dei due fotografi amburghesi, che, penetrati. di 
soppiatto nella casa del principe Bismarck, fotografarono l’ex- 
cancelliere sul letto di morte (3). 


(1) MenocHIUs, De presumptionibus, lib. II, XXXVI, n. 28 (ed. 1636, 
p. 187): © Mortem enim mandantis expirat mandatum, sic dicimus, morte 
finire et tolle voluntatem ,. 

(2) Das Autorrecht, p. 125 in fine e 126. 

(3) Cfr. Koncer, Autor- und ‘industrierechtliche Abhandlungen und Gu- 
tachten, Il Heft, p. 55 seg. e Das Eigenbild im Recht, p. 11 e 12; Conn, 
Neue Rechtsgiiter, Berlino 1902, p. 58 seg.; Gareis, in “ Verhandlungen des 
26 Deutschen Juristentages ,, 1902, I, p. 16; KevyssxeR, ivi, p. 75 seg.; 
GaLLengamp, in “ Die Umschau ,, 1° novembre 1902; articolo riassunto nella 
“ Minerva ,, 9 novembre 1902, p. 1135; NéLpecke, in “ Die Nation ,, 15 no- 
vembre 1902, p. 100 e 101; Von Brume, in “ Das Recht, 1903, p. 113 seg.: 
articolo riassunto nella “ Legge ,, 1903, n. 7, p. 725 seg. 


EFFETTI DELLA DISPOSIZIONE RELATIVA AL PROPRIO CADAVERE 1005 


Sul carattere ingiurioso dell’ atto non vi era dubbio (1). 
Tutto stava nel vedere, chi ed a quale titolo potesse promuo- 
vere il giudizio. Il Landgericht di Amburgo, nella sua sentenza 
dell’8 settembre 1898 (2), ammise un’ azione a favore degli 
eredi, non perchè tali nel senso giuridico, ma perchè apparte- 
nenti alla famiglia del defunto. 

In questa qualità colla lesione dei diritti individuali dell’e- 
stinto, verrebbero offesi direttamente essi stessi, si offenderebbe, 
cioè, il loro diritto personale, il loro sentimento di pietà. 

Secondo l’ HoeLDER (3), la successione nel diritto romano 
si estrinsecava anche in ciò che l’injuria arrecata al cadavere 
od alla memoria del defunto era injuria arrecata al suo erede. 
L’offendere un morto è un offendere chi è chiamato a succedervi (4). 

Ma la teoria che l'erede, rivendicando la memoria del de- 


(1) Keysswer, in “ Deutsche Juristen-Zeitung , del 1° dicembre 1898 
(n. 24, p. 488) ed in “ Verhandlungen des 26° deutschen Juristentages ,, 
1902, I, p. 76; Konrer, Autor- und industrierecht. Abh., p. 105. 

(2) Riferita dal KoHLER, op. cit., p.55. Vedi pure Kevsswer, in “ Verhand. ,, 
p. 75 e 76. 

(3) “ Zeitschrift der Savigny-Stiftung fir Rechtsgeschichte ,, 1895, vol. 2° 
(Die Stellung des ròmischen Erben, p. 221-229), parte 3°, p. 256: “ Die Rechts- 
nachfolge des Erben fiussert sich ausserdem darin, dass die dem Leichnam 
oder Andenken des Verstorbenen angethane Beschimpfung eine seinen 
Erben zugefiigte injuria ist ,. Ed aggiunge in seguito: “ Diese injuria ist 
dem Erben zugefiigt nicht als einer mit dem Verstorbenen identischen, 
sondern als einer vom Verstorbenen verschiedenen Person ,. 

(4) Fr. 1, $ 4, De injurtis, 47, 10 (Urprano). Cfr. sentenze del Tribunale 
e della Corte di Appello di Torino, 10 dicemb. 1889, est. LaGo, e 5 maggio 1890, 
est. Bozzi (° Giur. tor. ,, XXVII, 215 e 341), citate dai traduttori del 
Wixpsc#erp nelle note al libro 2°, p. 618 e 619. Ivi, p. 619: “ ... l’ingiuria 
fatta al cadavere del defunto attribuisce azione al successore universale a 
qualsiasi titolo ,. HoeLDER, loc. cit., p. 257: “ Die Stellung des Erben als 
Rechtsnachfolger des Verstorbenen ist somit die doppelte, dass sein Ver- 
méigen erweitert ist durch den auf ihn ibergegangenen Nachlass des Ver- 
storbenen und dass seine von den Rechtsgenossen zu achtende Personlichkeit 
erweitert ist durch die ihm geschuldete Achtung des -Leichnams und des 
Andenkens des Verstorbenen. Wie Object der durch Beschimpfung des 
Verstorbenen begangenen injuria, so ist der Erbe Subject der vom Verstor- 
benen hinterlassenen Rechtsverhiltnisse als eine von diesem verschiedene 
Person, was insbesondere auch gilt von denjenigen Rechtsverhiltnissen, die 
nothwendig auf den Erben ibbergehen, weil sie ein mégliches Object ihrer 
letztwilligen Zuwendung an Dritte nicht sind ,. 


1006 MARIO RICCA-BARBERIS 


funto, faccia valere il proprio diritto di personalità, ripugna al 
senso pratico. Ciò premesso, si viene sostanzialmente ad urtare 
in questo dilemma: o il diritto della personalità si estingue ed 
allora non si potrà parlare di un’ azione, o non si estingue ed 
allora si avrà un diritto senza soggetto, dal momento che la 
persona ha cessato di vivere. 

Il Reichsgericht (1) trovò modo di sfuggire ogni soluzione 
condannando i due fotografi per violazione di domicilio. 

Già nel 1880 (2) il KornLer osservava, che, per quanto 
l’Individualrecht in generale si connetta alla persona, tuttavia in 
certi rapporti sopravvive alla persona stessa. | 

Anche in questo senso vale il principio: non omnis moriar, 
e, come la potestà giuridica famigliare si estende oltre la morte 
di chi ne è investito, così il luogo in cui giace il cadavere, è res 
extra commercium (3). Un residuo del diritto individuale sus- 
siste pure in quella parte di vita intellettuale che si cristallizzò 
negli scritti non pubblicati (4). 

Ma con ciò non si spiega ancora la persistenza di questo 
diritto malgrado la morte del soggetto, cui si dice indissolubil- 
mente connesso. La ragione è indicata dal KeyssneR (5), il 
quale, a proposito della fotografia fatta a Bismarck, dopo aver 
osservato, che il concedere un'azione risponde alla coscienza 
giuridica popolare, aggiunge, che colla morte non cessa tutto 
ciò che riguarda l’ individuo; il corpo esanime non diventa 
senz'altro pari ad una cosa inanimata, tant’ è vero che si usa 
parlare dell’estinto come di una persona. L’ingiuria punita dal 
$ 189 del codice penale dell'impero non è rivolta a coloro cui 
il legislatore concede il diritto di reagire, ma alla memoria del 
defunto. Nè è ammissibile la scappatoia di un’ offesa al senti- 
mento morale e religioso, all’onore famigliare, ecc. La coscienza 
popolare trova il fondamento della disposizione nel fatto che la 


(1) Sentenza riferita dal KonLer a p. 28 seg. del suo Figendild im Recht. 

(2) Das Autorrecht, p. 147, i 

(3) WappAius, Zur Lehre von den dem Rechtsverkehr entzogenen Sachen, 
1867, p. 12 seg.; cit. in KonLER, op. cit., p. 148. 

(4) Op. cit., p. 149. 

(5) “ Deutsche Juristen-Zeitung ,, 1° dicembre 1898, n. 24, p. 488; 
anche in “ Verhand. ,, 1902, I, p. 76. 


Ln 


n: 


EFFETTI DELLA DISPOSIZIONE RELATIVA AL PROPRIO CADAVERE 1007 


persona del defunto vive nella memoria, la quale appunto perciò 
dev'essere mantenuta pura ed intemerata. | 

Non si tratta quindi di un diritto, che esiste senza soggetto; 
ma di un soggetto, che seguita ad esistere come tale, quando 
anche la vita materialmente gli sia venuta meno. 

Eccoci di fronte ad una prerogativa dell’uomo, che dalle 
leggi ineluttabili della natura è vinto, ma non domo, perchè, 
estinte le sue forze fisiche, vive e può vivere tanto maggiormente 
nella storia. Nè di questa idea della personalità sussistente come 
tale anche oltre i limiti della vita fisica si potrebbe trovare 
raffigurazione più espressiva dei “ dii manes , dell’ antica 
fantasia. 

A ragione quindi il Prof. KonLER affermava ripetutamente(1), 
che il diritto della personalità, estinguendosi colla morte nella 
sua manifestazione principale, lascia dietro di sè un residuo, 
che è garantito dall’ ordine giuridico e che vien esercitato dai 
relativi organi (eredi, famigliari) non come diritto personale 
loro proprio, ma come diritto di personalità del defunto (2). 
Tale è appunto quello che si esplica sul cadavere, sugli scritti 
non pubblicati, sulle lettere ecc. (3). 

Checchè dica il KeyssnerR (4), la comparazione ci pare per- 
fettamente calzante. Il GaREIS (5), uno dei più autorevoli fau- 
tori del Personlichkeitsrecht (6), dopo aver posto in rilievo, come 


(1) Autorrecht, p. 148 in fine; vedi pure p. 147 e 148; Autor- und in- 
dustrierechtliche Abhand. und Gutachten, II, p. 57, cit. anche dal KeysswneR, in 
“ Verhand. ,, 1902, I, p. 77; Zigenbild im Recht, $ 10, p. 26; cfr. anche 
Grirrerren, in “ Berl. Tageb., Jurist. Rundschau ,, v. 8 Januar 1903, ivi cit. 
dal Konter alla nota 2. 3 

(2) V. passi dell’HoeLper riferiti alle note 3 e 4 della p. 9. 

(3) Notisi che il KonLer nell’Autorrecht attribuisce la difesa del cada- 
vere agli eredi ed ai parenti, quella dei manoscritti e delle lettere agli 
eredi. Egualmente nell’Eigendild im Recht per ciò che ha tratto alle lettere. 
Nell’Autor- und indust. Abh. ecc. parla in genere di Hinterbliebenen; il caso 
però che aveva dinnanzi agli occhi è precisamente quello di Bismarck. 

(4) “ Verhand. ,; 1902, I, p. 77. 

(5) Das Recht am menschlichen Kéòrper (Festgabe der juristischen Fakultùt 
fiir ihren Senior Jonann Taropor ScHirmer), Kénigsberg 1900, p. 93-99; di 
cui dà un cenno sommario lo stesso Garris in “ Verhand. des deutschen 
Juristentages ,, 1902, I, p. 16. 

(6) Come lo chiamò più recentemente sulle orme del Gierke. V. Ravà, 
in “ Riv. it. per le scienze giurid. ,. 1901, XXXI, fasc. TIT, p. 342. 


1008 MARIO RICCA-BARBERIS - 


il cadavere non appartenga all’eredità, dopo aver ampiamente di- 
mostrato la persistenza del diritto dell’umana personalità oltre la 
morte (“ das iiber den Tod hinaus wirkende Personlichkeitsrecht ,) 
aggiunge, che ad esercitare questo diritto sono chiamati gli eredi 
o quelle altre persone cui compete l’ obbligo della sepoltura, 
in quanto non abbia avuto luogo rispetto al cadavere una dis- 
posizione analoga all’ occupazione nel senso del diritto civile 
(£ als nicht eine der Aneignung im biirgerlichrechtlichen Sinne 
analoge Disposition itber die Leiche stattgefunden hat ,). 

Prescindiamo dall’ offesa alla personalità in genere e spe- 
cialmente da quella contemplata dal codice penale, di fronte alla 
quale non può nemmeno sorgere il dubbio, che possano reagire 
solo gli eredi immediati (art. 400 cod. pen. $ 189 St. G. B.), e 
fermiamoci all’inosservanza delle disposizioni del defunto per ciò 
che ha tratto al proprio corpo. 

Qui non si tratta della protezione generica dell’ interesse 
morale contenuto nel diritto individuale dell’estinto, ma di una 
speciale estrinsecazione, che di sua natura è affidata ad una 
determinata persona. E per vero il diritto della personalità, 
imponendo il rispetto di una volontà priva di un contenuto 
patrimoniale, dà luogo ad un onere; ma l'onere importa la ne- 
cessità che esso esista a carico di una determinata persona, e 
cioè, che ad esso sia legalmente tenuto colui che della succes- 
sione ha pure i vantaggi: vale a dire, l'erede. Spetta all’erede 
di eseguire la volontà del de cujus quanto alla destinazione del 
proprio corpo. Ma a questo scopo, se compete a suo favore 
un'azione contro i terzi, competerà ai terzi un’azione contro di 
lui? Potrà alcuno costringerlo all’ adempimento della clausola 
testamentaria relativa al cadavere? 

La questione fu sollevata più di una volta per parte delle 
società di cremazione in seguito all’inosservanza del disposto di 
persone, che dichiararono di voler essere cremate. Il Tribunale 
di Bergamo (1) ammise nelle Società il diritto di agire, che 
giustamente negarono il Tribunale e la Corte d’Appello di 
Torino (2). 


(1) “ Foro it. ,, 1885, I, 1249 seg.; “ Legge ,, 1885, 2, 207. 
(2) App. Torino, 6 dicembre 1901; “ Giur. it. ,; 1902, I, 2, 386. 


EFFETTI DELLA DISPOSIZIONE RELATIVA AL PROPRIO CADAVERE 1009 


Causa d’ errore può essere la natura attribuita al diritto 
della persona sul proprio corpo. 

Come il KeyssnER confonde spesso il diritto all’ immagine 
colla proprietà della figura (1) dando luogo alle critiche del 
Von BLuwe (2), così il BEKKER (3) ritiene che il cadavere sia 
proprietà dell'erede, il quale, secondo le circostanze, avrebbe 
contro i terzi la rei vindicatio, l’actio legis Aquiliae, ‘ecc. 

Inteso in siffatta guisa il dominio sul proprio corpo, si viene 
facilmente al concetto di un legato. delle ceneri, invocato nelle 
note d’udienza davanti la Corte d'Appello dalla Società crema- 
trice di Torino (4). 

Ma nello stesso modo che la formula proprietà letteraria, 
come dice il Manzoni (5), è nata non da un intuito dell’essenza 
della cosa, ma da una semplice analogia, così l’idea di dominio 
è semplicemente un traslato rispetto al corpo: e, come tutti i 
traslati, per seguitare con quel Sommo, diventa un sofisma, 
quando se ne vuol fare un argomento. 

Se all'individuo compete un diritto sul proprio corpo, non 
è questo un diritto reale che passi ad altri colla sua morte. 

“ Nessuno, osserva il GABBA (6), è padrone del cadavere 
umano nel diritto odierno, come nessuno lo era nel diritto ro- 
mano, perchè il cadavere è dalla comune persuasione morale e 
religiosa tolto fuori dal novero delle semplici cose materiali, è 
res extra commercium e non soltanto sottratta alla proprietà dei 
privati, ma ad ogni e qualunque proprietà in modo assoluto per 
la stessa natura sua. Non appartiene il cadavere alla famiglia 
del defunto, non alla comunità civile -od allo Stato; non può 
appartenere a nessun altro superstite nè per atto tra vivi, nè 
per testamento ,. 

Oggetto della disposizione non è un interesse materiale (che 


(1) Das Recht am eigenen Bilde, passim e specialmente a p. 4 e 16. 

(2) In Das Recht, 1903, p. 113 seg.: articolo riassunto nella “ Legge ,, 
1903, N. 7; col. 723 e 724. 

(3) Pand. I, $ 77, app. I, B., p. 881; cfr. note dei traduttori al libro 
secondo del WixpscHÒEI, p. 615. 

(4) © Giur. it. ,, 1902, I, 2, col. 388. 

(5) Intorno ad una questione di cosidetta proprietà letteraria, lettera al 
Prof. GeroLaMo Boccarno, in “ Prose varie ,. Milano 1869. 

(6) “ Foro it. ,, 1885, I, col. 1253. 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 67 


1010 MARIO RICCA-BARBERIS 


sussistendo dopo la morte del de cujus, si trasmette), ma un 
interesse morale (che inerisce alla persona e che si attenua a 
poco a poco col suo scomparire nel passato) (1). 

Dal che risulta, come d’ altra parte dimostrano la stessa 
finalità della cremazione e l'intenzione di chi dichiara di vo- 
lervi sottoposto il proprio cadavere, che non si tratta di atto 
a favore di altri, ma di atto con cui il testatore dispone di ciò 
che riguarda sè. 

Nel determinare la potestà di agire occorre vedere a chi 
si è rivolta la volontà del defunto. Questa può essersi manife- 
stata espressamente colla designazione di una persona; altrimenti, 
siccome l’offesa alla personalità si afferma qui come la conse- 
guenza dell’inadempimento di un onere, così la corrispondente 
tutela si presume attribuita unicamente a colui su cui gravano 
‘tanto gli oneri quanto i vantaggi dell’eredità. 

Affinchè il diritto di agire sorga nel terzo, occorre, che esso 
gli sia esplicitamente conferito dal testamento: è la concezione 
del Koxter, che dei diritti della personalità fa vindice il Ver- 
trauensmann ed in sua mancanza l’erede (2): è quella dell’Huarp, 
per cui, se il testatore “ a désigné pour défendre ses intéréts 
moraux une personne, sa volonté doit étre respectée , (3), e del 
resto sono appunto gli eredi “les mandataires présumés du 
défunt , (4). La Società crematrice quindi non avrà azione 
verso il successore che quando sia stata nominata esecutrice 
testamentaria (5). 

D'altronde, non si potrà che imputare all’estinto di aver mal 
posta la propria fiducia nella persona dell’ erede, se pure egli 
dell'onere relativo al suo corpo non abbia fatto una vera con- 
dizione. 


(1) Das Autorrecht, p. 151 e 152. 

(2) Ivi, p. 147, 149. 

(3) Traité de la propriété intellectuelle, Paris 19083, I, n. 208, p. 298. 

(4) Ivi, n. 218, p. 807. 

(5) Vedasi in argomento la sentenza della Corte d’Appello di Milano, 
21 maggio 1895 (“ Giur. it. ,, 1895, I, 2, 715), la quale ritenne, che la per- 
sona delegata dal defunto per curare la cremazione del proprio cadavere 
può all'uopo spiegare azione in giudizio, purchè provi d'aver ottenuto an- 
tecedentemente dalle autorità amministrative l’assenso per la cremazione. 


FRANCESCO BAZZI — SPIGOLATURE STORICHE, ECC. 1011 


Una .diversa soluzione, e cioè, l’ammessibilità di un'azione 
per parte della Società crematrice implica il disconoscimento del 
diritto esercitato dal de cujus (interesse morale) e conduce alla 
confusione rimproverata dal Gassa al Tribunale di Bergamo tra 
le disposizioni d’ultima volontà relative ai beni e quelle rela- 
tive alla propria persona, o, come si esprimono i traduttori del 
WinpscHem (1); tra il legato di un cavallo e la disposizione data 
sul proprio cadavere. 


Spigolature storiche sull’assedio di Verrua, 1704-1705. 
Nota del Dott. FRANCESCO BAZZI. 


Dell’ eroico e memorando assedio, che, durante la guerra 
per la successione al trono di Spagna, sostenne la fortezza di 
Verrua contro le armi francesi del Maresciallo Duca di Ven- 
dome, discorre diffusamente e con giusto orgoglio la Storia del 
Piemonte. 

Il Duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, col grosso dell’eser- 
cito piemontese e con parecchi Austriaci, comandati dal Mare- 
sciallo imperiale Guido di Starhemberg, si era accampato a 
Crescentino: piazza forte posta non lungi dal sito ove la Dora 
Baltea versa le sue acque nel Po, nella pianura che si stende 
a sinistra di questi fiumi. Di fronte a Crescentino, sulla destra 
del Po, sorgeva la fortezza di Verrua sopra una rupe scoscesa 
a picco verso il fiume e difesa, nella parte meridionale, da. un 
triplice fronte bastionato a scala. I due luoghi forti erano tra 
di loro collegati per mezzo di un doppio ponte sul Po, che si 
appoggiava ad un isolotto sito in mezzo al fiume. Tra le diverse 
fortificazioni che incoronavano la rocca di Verrua, degnissimo 
di nota era il Fort-Royal, che sorgeva sull’altura, di Carbignano 
a poca distanza a sud-est della rocca stessa, colla quale comu- 
nicava mediante una ‘depressione del terreno. 


(1) Note al libro secondo, p. 615. 


1012 FRANCESCO BAZZI 


Il Maresciallo Francese assediante aveva fissato il suo quar- 
tiere generale sull’alture di Collegna, a mezzodì di Verrua, 
estendendo le sue truppe dalle colline verso Gabiano, ad est, alle 
pianure di Brusasco, ad ovest. 

L’assedio cominciò il 14 ottobre 1704 e, per l’eroica ed 
ostinata resistenza del valoroso presidio, fu protratto fino al 
9 aprile dell’anno successivo: giorno memorando in cui il fiero 
governatore di Verrua, dopo aver consumato tutte le munizioni 
e fatto saltar colle mine le opere di difesa, costretto dalla ne- 
cessità, si arrendeva a discrezione, consegnando in mano del 
nemico sè stesso, la stremata guarnigione e della fortezza non 
più che un ammasso informe di rovine (1). 


LE 


Nel 1901 (2) pubblicò il Barone Domenico Carutti una mo- 
nografia, che ha per titolo: “ Il Conte De La Roche d’Allery e il 
Colonnello Fresen all'assedio di Verrua, 1704-1705; colla quale 
egli ha il merito di esser riuscito a rompere una lunga e tra- 
dizionale leggenda d’eroismo, che si era venuta formando in- 
torno al Conte d’Allery, conosciuto finora, pressochè da. tutti, 
come l’unico comandante del valoroso presidio di Verrua, du- 
rante tutti i sei mesi d’assedio, dal 14 ottobre cioè, del 1704 al 
9 aprile del 1705. Riuscì il Carutti, basandosi sopra documenti 
finora inediti ed inesplorati, a dimostrare chiaramente che non 
già al De La Roche spetta l'onore d’aver eseguito con animo 
invitto gli ordini di Vittorio Amedeo II e del Maresciallo Guido 
di Starhemberg, negli ultimi ‘e terribili casi di quell’assedio, ma 
bensì al Colonnello Imperiale Von Fresen. 

Con tutto il rispetto dovuto all’illustre scrittore, tanto be- 
nemerito degli studi storici, sia lecito a noi di venir ora se- 
guendo a mano a mano la sua monografia e di fare ‘alcuni 


(1) Le notizie particolareggiate dell'assedio, a cominciare dal 7 novembre, 
sono registrate in un Diario, di cui si trova una copia ms. agli Archivi di 
Stato piemontesi - Materie militari, m. 10; ed un’altra alla Biblioteca del 
Re a Torino. Un terzo esemplare è posseduto dalla Biblioteca del Seminario 
di Casale Monferrato. 

(2) “ Miscellanea di Storia Italiana ,, vol. VI, 1901. 


SPIGOLATURE STORICHE SULL’ASSEDIO DI VERRUA 1013 


riscontri ed alcune osservazioni, collo scopo di esaminare se 
proprio tutti i dati fornitici dalla suddetta monografia, siano, a 
nostro debole parere, da accettarsi o meno. 

Orbene, nel suo studio il Carutti si propone di cercare chi 
fosse il governatore di Verrua durante i sei mesi d’assedio; ed 
osserva che, fino a ieri, tutti gli eruditi sarebbero stati d’accordo 
a rispondere a questo quesito: il Conte De La Roche d’Allery. 

Nella seconda parte infatti della sua monografia. fa una 
estesa citazione da parecchi storici: dal Denina, da Alexandre 
de Saluces, dal Botta, dal Frézet, dal Cibrario, da Antonio Gal- 
lenga e da altri; i quali tutti tributano il solito onore al valore 
del d’Allery e, quando in fin d’assedio il Maresciallo francese 
richiese al Governatore di arrendersi, ce lo dipingono eroica- 
mente seduto sopra di un barile di polvere, con una miccia ac- 
cesa in mano, in atto minaccioso di sfida. Anzi questa diceria 
fu accolta e ripetuta dal Carutti medesimo persino nella 3? edi- 
zione della sua “ Storia di Vittorio Amedeo II ,, stampata l’anno 
1397. E certamente, se v'era argomento che non gli. permet- 
tesse di abbandonare la prima sua opinione, questo  l’offriva, 
come egli stesso si esprime, un testimonio, per così dire, ocu- 
lare dei fatti: il Conte Solaro della Margherita; il quale nel 
suo “ Journal historique du Siège de Turin ,, al 21 maggio 1706, 
dice: “ Le méme jour S. A. R. déclara Gouverneur de la cita- 
“ delle de Turin, le Comte De La Roche d’Allery, officier d’une 
“ expérience consommée; qui avait. été Gouverneur de Verrue 
“ pendant le mémorable siège de cette place ,. 

Ma ciò che indusse il Barone Carutti a. mutar d'opinione 
ed.a far le ricerche che lo condussero. a questa monografia, fu 
la diversità, fattagli osservare a questo proposito, fra la tradi- 
zione usuale e ciò che ne dicono i Compilatori delle “ Campagne 
del Principe Eugenio , (1). 

Torna bene riprodurre qui un passo di quanto il Carutti viene 
esponendo nel terzo punto del suo studio, che suona così: “I Com- 
“ pilatori delle Campagne, vol. VI, pag. 233, premettono che nel- 
“ l'ottobre 1704, quando Vendòme pose l’assedio, piccolo era il 


(1) Le Campagne del Principe Eugenio. Opera edita per cura dello Stato 
Maggiore I. e R. di Vienna, 1881; e tradotta in italiano per ordine di S. M. 
il Re Umberto I, vol. VI, 1894. 


1014 FRANCESCO BAZZI 


“ presidio della Verrua, tutto di Piemontesi, e che il comando della 
“ fortezza era affidato al governatore de la Roche d’Allery: indi 
“ descrivono l’assalto del nemico al forte di Carbignano, che più 
“ non potendo esser difeso, fu abbattuto; dopo di che espongono 
“ il corso delle operazioni militari fino alla grande sortita del 
“26 dicembre, concordata fra il duca, il maresciallo di Sta- 
“ rhemberg e gli assediati, e riuscita assai molesta agli asse- 
“ dianti; ma nè in questo luogo, nè altrove nominano più il 
“ sovernatore. Nel vol. VII, pag. 88, dove ripigliano il racconto 
“ dell'assedio, scrivono: “ I presidio di Verrua, sotto gli ordini 
“ del colonnello imperiale von Fresen si difendeva sul principio del 
“ 1705 con quel valore che aveva sempre dimostrato ,. Cid detto 
“ narrano ifatti dal 2 gennaio 1705 sino al giorno della resa ,. 
Fin qui il Caratti. 

Esaminiamo il primo passo. Quanto in esso il Carutti fa 
dire alle “ Campagne ,, non ci pare strettamente ben inteso. 

Ricordiamo, innanzi tutto, che tre sono i punti essenziali e ben 
distinti della fortezza quando si parla di questo assedio di Verrua: 
1° Il Castello della Verrua, sul culmine della rocca. 2° Il Fort-Royal, 
sull’altura di Carbignano, a sud-est della rocca. 3° Lo spazio 
compreso fra questi due punti, ridotto a campo trincerato; ove il 
Duca faceva salire per turno le truppe, anche per toglierle dal- 
l’aria malsana, che si respirava nella pianura di Crescentino (1). 

Ora, quando il Compilatore delle “ Campagne , disse che 
“ piccolo era il presidio della Verrua, tutto di Piemontesi ,, si 
riferiva bensì al principio dell’assedio, 14 ottobre 1704; ma qui 
voleva indicare unicamente la Verrua propriamente detta (il 1° 
dei tre punti sopra indicati); e non dice punto che ora fosse 
governatore il De La Roche d’Allery. 

Del resto ci sia lecito di riferire il passo, non lungo, in que- 
stione: “ Fin dal 22 maggio (1704) il Fort Royal era presidiato 
“ soltanto da comandati del Reggimento Regal sotto gli ordini 
“del M. G. Conte Massimiliano Starhemberg. Piccolo era il 
“ presidio della Verrua, tutto di Piemontesi. Nel campo di Car- 
“ bignano si davano la muta le fanterie accampate presso Cre- 
“ scentino. Allorchè il Duca di Savoia vide il 14 ottobre ap- 


(1) Campagne citate, vol. VI. 


SPIGOLATURE STORICHE SULL’ASSEDIO DI VERRUA 1015 


“ pressarsi i nemici da sud, fece salire tutte le infanterie imperiali 
“ dal campo di Crescentino a quello di Carbignano, ove allora 
“ stavano gli ultimi quattro battaglioni piemontesi... Il L. M. Daun 
“ ebbe il comando del campo di Carbignano (il 8° dei tre punti 
“ sopra indicati) e del Fort Royal (il 2° punto); e sotto di lui 
“ il M. G. Massimiliano Starhemberg quello del Forte (2° punto), 
“ ed il general conte della Rocca quello del campo (3° punto) ,. 

Evidentemente qui non si fa parola del De la Roche: in 
quella vece le “ Campagne , parlano del De La Roche, come 
governatore di Verrua, non già prima dell’assalto e presa di 
Carbignano (avvenuta il 6 novembre), come loro fa dire il Ca- 
rutti; ma bensì dopo di questo fatto. Infatti a pag. 237, del 
vol. VI, esse ci riferiscono che, perduta Carbignano e “ tornato 
“a Crescentino il Duca, prevedendo. l’attacco della fortezza di 
“ Verrua ne rinforzò il presidio con uomini presi da varî corpi 
“ imperiali e piemontesi, quelli sotto il colonnello Regal, questi 
“ sotto il colonnello Blagnac. Il comando della fortezza fu affidato 
“al governatore de la Roche d’Allery ,. 

Nè vogliamo credere che il Carutti abbia qui potuto con- 
fondere il nome del General Della Rocca, a cui vedemmo affi- 
dato dalle “ Campagne , il comando del campo di Carbignano, 
con quello del General De La Roche, a cui, sempre secondo le 
“ Campagne ,, viene più tardi, cioè dopo la perdita di Carbi- 
gnano, affidato il comando della Verrua-rocca. Sarebbe facile 
dimostrare che qui non si tratta punto di una sola e medesima 
persona. Nel numero degli ufficiali componenti lo Stato Mag- 
giore del Duca di Savoia, datoci dagli Archivi di Stato (1), fi- 
gurano tutti e due i nomi dei nostri generali in questo modo: 

— General di Battaglia di Cavalleria, Conte La Roccia 
d'Alery. 

— General di Battaglia di Fanteria, Conte Della Rocca. 

In uno “ Stato degli ufficiali di S. A. il Duca di Savoia 
dell’anno 1703 ,, troviamo (2) i loro nomi in questo modo: 

— De La Roque, Colonnello del reggimento di Monferrato. 

— De La Roche d’Alery, Maggiore delle guardie del corpo. 


(1) Archivi di Stato piemontesi: Uffici generali del soldo, mazzo 6. 
(2) Archivi di Stato piemontesi: Id., id. 


1016 FRANCESCO BAZZI 


Dal che appare che al nome francese: De La Roche cor- 
rispondeva l’italiano: Della Roccia; ed al nome italiano: Della 
Rocca corrispondeva il francese: De La Roque. 

Stando alle “ Campagne ,, risulterebbe adunque: 1° ine- 
satto che tutta la fortezza fosse munita da soli Piemontesi. Di 
soli Piemontesi fu munita la rocca di Verrua, presa nello stretto 
senso, fino al 6 novembre; 2° che il comando della Verrua fu 
affidato al De La Roche il giorno 7 novembre. 

Del resto, pure ammesso che il De La Roche fosse già 
prima d’ora governatore di Verrua-rocca, non si può ammet- 
tere che fosse governatore di tutta la fortezza, presa in largo 
senso, e per tutti i sei mesi; perchè al comando di Carbignano 
troviamo il Daun. Ed è cosa molto difficile ad immaginare che 
il L. M. Daun, all'assedio di Verrua, dipendesse dal General 
De La Roche; mentre avremmo una prova del contrario all’as- 
sedio di Torino nell’anno 1706, in cui il medesimo Daun avrà 
il comando dell’intera città ed il medesimo De La Roche avrà 
il comando della sola cittadella. 

Di più, del De La Roche, come governatore, non troviamo 
alcun cenno in alcuna carta dell'Archivio di Stato, in nessuno 
storico (per quanto ci consti) prima del 7 novembre. La prima 
volta che compare come tale, è appunto in detto giorno, nel 
Diario dell’assedio; in cui si dice che Vittorio Amedeo “ fit le 
“tour de la place, donna toutes les dispositions au general 
“ comte de la Roche d’Allery pour une vigoureuse defense, qui 
“de son coté n’avait rien oublié pour assurer la place., (1). 

Quindi, ammesso pure che il De La Roche avesse conti- 
nuato a tenere il comando fino al 9 aprile 1705; cosa che il 
Carutti dimostrò, come vedremo, con documenti non essere af- 
fatto vera; sempre a torto però gli storici potrebbero dire che 
il De La Roche fu governatore di Verrua per tutti i sei mesi 
d'assedio, dal 14 ottobre cioè, al 9 aprile dell’anno successivo ; 
mentre invece sarebbe stato tale soltanto per cinque mesi; dal 
7 novembre cioè, al 9 aprile. Di questa opinione pare sia Luigi 


(1) Archivio di Stato: Materie militari, m. 10. “ Regolamento di quello 
che nell’avvenire si deve puntualmente osservare nella guarnigione di Verrua 
sotto il comando del Signor Generale di battaglia, il Signor Conte della 
Roche ,. 5 


SPIGOLATURE STORICHE SULL’ASSEDIO DI VERRUA 1017 


Cibrario, il quale nel suo “ Specchio cronologico di Storia na- 
zionale , cita “la bella difesa di La Roche d’Allery per cinque 
mesi interi ,. 

Il Barone Carutti, esaminando attentamente il Diario, trovò 
che al 7 gennaio, il De La Roche fu ferito al braccio da un 
colpo di moschetto e che poi il giorno 8 “ la blessure du Gou- 
“ verneur qui avec une fermeté très-grande avait voulu rester 
«“ dans la place, empira, et on le fit porter è Crescentino. M. le 
“ Baron de St. Remy, qui etait colonel du jour, resta chargé 
“du commandement ,. E qui, come a ragione osserva il Carutti, 
che fu il primo a farne la scoperta, finisce il governatorato del 
De La Roche; nè ci avviene d’incontrarci più oltre nel nome 
suo, per quanto riguarda questo assedio. È vero che il Carutti 
crede d’incontrare questo nome ancora, quando riferisce ciò che 
sta scritto nel Diario al 2 marzo, cioè che nella rottura del 
ponte e presa del ridotto dell’isola fatta dai Francesi, Vittorio 
Amedeo II “ eùt è ses cotés l’aide de camp du General de la Roche 
“ d’Allery tué ,; ma il fatto non ha, in verità, grande impor- 
tanza; nè pare che il Carutti glie n’abbia attribuita. Del resto 
abbiamo esaminato le due copie del Diario; e non sappiamo 
come il Carutti abbia potuto leggere “ de la Ioche d'Allery ,, 
mentre tutti e due i manoscritti portano registrato chiaramente 
“de la Roque , (1); che vedemmo essere altra persona. 

Passiamo quindi a quello che noi potremmo appellare il 
secondo governatore di Verrua: Filippo Guglielmo Pallavicino, 
detto il Barone di S. Remigio. Il Carutti asserisce recisamente 
che il S. Remigio, assunto il comando agli 8 di gennaio, lo 
tenne fin verso il 12 marzo, e subito dopo soggiunge che, dopo 
la rottura del ponte, “ Vittorio Amedeo riconoscendo che og- 
“ gimai la fortezza non potendo esser soccorsa, doveva in breve 
“ tempo arrendersi, prepose al comando dei presidio il colonnello 
“ Von Fresen, dichiarandogli che riposava in lui per la difesa 
“ fino agli estremi; il 7 marzo gli mandò l'ordine di far en- 
“ trare il luogotenente colonnello Chamousset nel mastio del 
“ castello con duecento uomini..... (2), il dì 11 gli spedì l’istru- 


(1) Anche l’esemplare della Biblioteca del Seminario di Casale registra 
La Roque e non La Roche. 

(2) Il Diario ha la data del 6 marzo. Agli Archivi di Stato: Materie 
militari, m. 10, vi ha una carta dell'8 marzo circa le riflessioni e memorie 


1018 FRANCESCO BAZZI 


“ zioni per la difesa (1) e il 13 il maresciallo Starhemberg gli 
“ ordinò di tener il fermo fino al 10 aprile, (2). Quindi mette 
in luce per la prima volta la lettera scoperta agli Archivi di 
Stato, che il Fresen scriveva il 12 marzo al Duca di Savoia: 


Monsegneur, Puisque V. A. R. veut bien se reposer sur moi pour 
la deffence de Verrue je respondrois si bien al honneur qu'elle me fait, 
qu'elle ne se repentira iammais de me l’avoir confié, et ie me crois par- 
faitement heureus de trouver une aussi belle occasion a lui temoigner 
le zele que j'ay pour son Royal service. Touts les officiers qui sont 
ici, me chargent d’asseurer V. A. R. quil feront leur devoir sans besoin 
d’estre animé par aucune esperance de recompense; je me croirez suffi- 
sament recompensé, si jay le bonheur de la servir utilement. Te repond 
dans la lettre que j’ecrits à Mons. le Marechal à touts les articles qui 
m’ont eté envoyé hier, et je prie V. A. R. d’etre persuadé que toute la 
garnison faira son devoir, et que je suis avec tout le zele et. tout le 
respect possible 

Monsegneur 


De V. A“ Ri; 
Tres humble et tres obeissant 


et fidelle serviteur 
De FRESSE. 


“ Questa lettera sembra certificare che Fresen assunse il co- 
“ mando quando la: capitolazione era considerata inevitabile ed 
“ imminente ,; il che equivale pel Carutti al 12 marzo: e poi 
sì chiede perchè sia stato preferito e perchè il Fresen abbia so- 
stituito il S. Remigio. 


per la guarnigione di Verrua, in cui si nomina il Chamousset destinato per 
il castello. Del 9 si ha la seguente lettera del Cavalier Chamousset al Duca: 


“ Monsegneur, 


“Il ma esté ordonné de la part de V. A. R. par Mons. le coronel Fresan 

“ dantrer dans le Chateaux de verruue, aujourdhuy il ma comuniqué ses 
“ intantions sur la magniere que je me doit conduire pour le deffendre ou 
“ pour capittuler. 

“Iasure V. A. R. que ie les suiurais exactemt et que iij perdray lame 
nayan dautre embission que de la sacrifier pour S. R. services ie suis 

“ Monsegnieur D. V. A. R. 

“ Son tres humble tres obeijssant et fidelle sujets 
De CHamosser. 


k 


“ Du Chateaux de Verruue ce 9 mars 1705 a 8 hor apres midy ,. 


(1) Il Diario dice il 10. 
(2) La stessa cosa gli aveva scritto il Duca l’11. 


SPIGOLATURE STORICHE SULL'ASSEDIO DI VERRUA 1019 


Quanto alla preferenza, non riuscimmo a scoprire documenti 
immediati; il Carutti osserva acutamente che, dopo le cattive 
prove date dagli ufficiali piemontesi nella resa di Susa, Vercelli 
e Bard, gl’Imperiali sospettavano. della fede di Vittorio Amedeo II. 

Non sappiamo se veramente gl’Imperiali temessero della fede 
del Duca di Savoja, o semplicemente non avessero un troppo 
buon concetto dei capitani piemontesi; il vero è che dopo la 
perdita di Susa e di Vercelli, troviamo (1) che gl’Imperiali, nel 
comando di Ivrea, avevano voluto che al governatore Barone di 
Perrone, fosse associato il Generale austriaco Kirkbaum. Ed a 
conferma di questa nostra ipotesi sta anche una lettera (2), che 
il Duca Vittorio Amedeo scriveva il 26 luglio 1704 al Principe 
Eugenio: lettera che certamente non deve suonar troppo gradita 
agli orecchi dei Piemontesi. Essa dice: “ Ho ragione di tutto 
“ temere dopo le deboli prove di valore e di fedeltà che gli uf- 
“ ficiali piemontesi hanno dato con la vergognosa capitolazione 
“ di Vercelli; tutta la mia, fiducia è posta ora nelle truppe del- 
“ l’Imperatore.... ,. 

Senonchè rimane a provarsi che il Fresen abbia sostituito 
nel comando di Verrua il Barone di St. Remy; e che, in caso 
affermativo, lo abbia sostituito il 12 marzo. 

Intanto, per via negativa, si può obbiettare al Carutti che 
(lui. consenziente) il giorno 7 marzo vi sono già scritti indirizzati 
al Fresen, i quali non si spiegherebbero se ancor fosse al co- 
mando il S. Remigio. Inoltre, agli Archivi di Stato (3), vi ha una 
lettera (che deve essere sfuggita al Carutti) del 2 marzo, con 
cui il Fresen, alle ore 11!/, di notte, rispondeva ad un’altra, 
che il Duca gli aveva. scritto un’ ora prima, La lettera. del 
Fresen dice: 


A. R., Ie viens de recevoir sa letre, et ie ne manqueres pas d’exe- 
cuter avec toutte d’exactitude ses ordres. Tout est issi en bon ordre et 
de la meilleure volontè du monde, Nous auons repoussè uigoureusement 
les ennemis qui estoent dans la faussebré et nous auons pris un gre- 


(1) AvexAnprE DE Saruces, Histoire Militaire du Piémont. Turin, 1818, 
tome V. 

(2) Citata dalle Campagne del Prince. Eugenio, vol. VI, pag. 221. 

(3) Materie militari, m. 10. 


1020 FRANCESCO .BAZZI 


nadier prisonier. l’ay fait munir le chastau de tout ce qui estoit  nec- 
cessaire. L’on a pris les precautions necessaires. pour la redoute de 
Vallis, ie prie V. A. R. de vouloir bien estre persuadè de mon zele, 
et que je me ferois un honeur de rependre mon sang pour son Royal 
service ie suis avec un tres profond respect 
De vostre A. R. 
Tres heumbe et trés obeissent serviteur 
FRESEN 
Oberst. 
A Verue ce 2%° mars 1705 
a onze heures et demi du soir. 


Un'altra prova poi, e di carattere positivo, ci pare di tro- 
varla nel Diario dell’assedio e precisamente al giorno 9 gennaio; 
il giorno successivo cioè, a quello in cui era stato assunto al 
comando il Barone di St. Remy. Orbene, in detto giorno il Diario 
con laconica brevità dice che “le comte de Frine releva Saint 
“ Remy , (1). Da questo punto intanto fino al 15 marzo, il Diario 
non solo non nomina più il governatore, ma nemmeno vi fa più 
allusione e gli ordini li cita con frase impersonale: dopo il 4 di 
marzo fa menzione del Colonnello e tutte le azioni attribuite dal 
Diario al Colonnello; vengono confermate dalle lettere inedite 
dell'Archivio di Stato che portano il nome del Fresen. 

Cosicchè, se non erriamo, è arbitraria la supposizione del 
Carutti che il Fresen abbia sostituito il St. Remy; non solo 
arbitraria, ma contradittoria quell’altra, che lo abbia sostituito 
il 12 marzo. 

Per il periodo, che va dal 9 gennaio al 2 marzo, non riu- 
scimmo a scoprire documenti che valgano a diradare l'oscurità 
che lo avvolge; si possono però, come ognun vede, stabilire con 
qualche certezza questi due limiti. Stando al Diario, il St. Remy 
depose il comando il 9 gennaio. Per altra parte il Fresen cer- 
tamente lo aveva già assunto il 2 marzo, secondo il documento 
da noi scoperto all’ Archivio di Stato, e che il Diario stesso 
conferma per via indiretta. 


(1) Questo Conte di Frinc, col titolo di Colonnello ed appartenente al 
Reggimento delle Guardie, lo troviamo registrato con il Colonnello di 
St. Remy, in uno “ Stato degli ‘ufficiali di S. A. il Duca di Savoia del- 
l’anno 1703 ,. Archivio di Stato: Uffici generali del soldo, mazzo 6. 


SPIGOLATURE STORICHE SULL'ASSEDIO DI VERRUA FUSI 


Sarebbe interessante conoscere su quali argomenti si ap- 
poggi il Compilatore delle “ Campagne , per asserire che fin 
dal principio del 1705 il Fresen aveva il comando di Verrua. 
Dall'esame attento del procedere della narrazione, parrebbe che 
il Compilatore proprio non avesse intenzione di attribuire a quel 
“ principio del 1705 , il significato di principio di gennaio. Il 
Compilatore del vol. VII al riprendere della narrazione che l’altro 
Compilatore aveva troncata nel precedente volume, caccia là, 
per così dire, quella frase in modo complessivo, senza aver la 
pretesa di specificare proprio il giorno dell’assunzione del Fresen 
al comando: tanto più che dopo quella frase, ricapitolando il 
detto, accenna ad un fatto del 22 dicembre, mentre la narra- 
zione dei fatti nell’altro volume si era protratta fino oltre la 
sortita del 26 dicembre. Ma il guaio si è che al 17 gennaio 
registra esplicitamente una sortita degli assediati ordinata dal 
Fresen (1). Il Compilatore non dice donde attinga: quindi non 
possiamo saper nulla di preciso. 

Una strana combinazione intanto si è che nessuno degli 
storici si occupi di tutti e tre i comandanti: De La Roche, Saint 
Remy e Fresen; anzi nessuno affatto (per quanto ci consta), 
eccettuato quel brevissimo cenno del Diario, parla del St. Remy, 
come comandante in Verrua. (Anche del Conte di Frine nessun 
altro fa cenno all’infuori del Diario). Per questa ragione forse 
e pel fatto, che quando il St. Remy fu assunto al comando di 
Verrua era “ colonel du jour ,, come registra il Diario, non 
parrebbe confermata un'ipotesi: che il comando del St. Remy 
sia stato effimero e di poca importanza? 

Il Carutti asserisce che uno solo fu il governatore in titolo; 
benchè in realtà il Diario dia il nome di governatore al Colon- 
nello Von Fresen, pur senza nominarlo; ma le lettere di Vittorio 
Amedeo lo dicono sempre colonnello e non mai governatore, 
come chiamavano invece il De La Roche. 

I soli intanto che nominino i due governatori, pur senza 
dirci perchè e quando cessasse il comando del Conte De La Roche, 
e cominciasse il comando del Colonnello Von Fresen, sono i Com- 
pilatori delle “ Campagne ,: del resto tutti gli altri che trattano 


(1) Il Diario la dice del 16 e composta di soli sei granatieri, senza 
nominare, al solito, il governatore. 


1022 FRANCESCO BAZZI — SPIGOLATURE STORICHE, ECC. 


di questo assedio (compreso l’autore del Diario), nominano ‘esclu- 
sivamente o l’uno o l’altro. Nè Francesco Maria Ottieri (1) si 
deve ritenere il solo che nomini il Fresen, benchè con. grafia 
inesatta “ Freiner ,; perchè in alcuni altri ancora si trova men- 
zione del bravo colonnello imperiale. 

Ma qui ci vien fatto di domandarci chi fosse questo Fresen. 
Di quanti trovammo che ne parlano, non due lo chiamano precisa- 
mente col medesimo nome. Le sue lettere stesse non sono sempre 
firmate allo stesso modo: “ Fresen ,, “ De-Fresse.,, “ De Frese.s. 
Nel vol. 2° dei “ Memoires du M. de Quincy ., è detto “ Frecset.y; 
nel “ Journal du Marquis de Dangeau ,, tom. X. “ Fresingueis; 
l’annotatore dei “ Memoires de Sourches ,, “ Frezen ,; l’autore 
dell’ “ Histoire militaire ,, “ barone di Freissing ,. Ma il Com- 
pilatore delle “ Campagne ,, che pare il più informato, perchè 
attinge dagli Archivi di Guerra, lo chiama: il Colonnello Barone 
Cristiano Ernesto Fresen del Reggimento Nigrelli. Governatore 
del Castello di Arco (sul lago di Garda) ed assediato dallo stesso 
M. di Vendòme, si era arreso il 17 agosto 1703, dopo aver anche 
allora resistito sino agli estremi: e ci narra il M. de Quincy che, 
uscendo prigioniero da quella piazza, rivolgesse al general fran- 
cese queste parole: “ Hodie mihi cras tibi ,; e che fatto poi 
di nuovo prigioniero a Verrua, il 9 aprile 1705, alcuni ufficiali 
francesi memori di Arco, gli rivolgessero:.“ Eh bien Monsieur, 
l’hodie mihi est toujours pour vous! ,. Del resto il Quincy stesso 
dice di lui che era “ un très brave homme , e ‘parole di lode 
ha pure per lui il Maresciallo imperiale Guido di Starhemberg 
nella relazione della resa. di Verrua, che mandava all'Imperatore 
il 15 aprile 1705. Lo stesso Principe Eugenio lo stimava, come 
appare da sua lettera del 3 settembre 1703 allo Starhemberg: 
(ARR On dit que Fresen a esté tué.... J'en serais fort faché.,. 
Il Fresen, dice il Carutti, morì poi di malattia a Torino, durante 
l'assedio del 1706; ove aveva avuto la. sorte di trovarsi. cogli 
altri due difensori di Verrua: il General De La Roche e il Barone 
di St. Remy. Il De La Roche morì a Torino governatore della 
cittadella l’anno 1714. 


(1) Istoria delle guerre avvenute in Europa e in Italia per la successione 
della monarchia di Spagna dal 1696 al 1725, 1758. 


UGO GIRI — VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 1023 


Concludiamo quindi alcuni punti : 

1° Ad esser governatore di Verrua, il Conte De La Roche 
d’Allery non cominciò che al 7 novembre 1704. Non si nega la 
possibilità ch’egli fosse già, prima d’ora, governatore di Verrua; 
ma non certamente di tutto il territorio che si suol designare 
con questo nome, quando si parla dell’assedio che durò dal 14 ot- 
tobre 1704 al 9 aprile 1705. Egli resse fino all’8 gennaio 1705, 
giorno in cui fu trasportato ferito al campo di Crescentino. 

2° L’8 gennaio 1705 viene assunto al comando di Verrua 
il Colonnello Filippo Guglielmo Pallavicino, detto il Barone di 
S. Remigio. Il giorno 9 gli sottentra nel comando il Colonnello 
Conte di Frinc. 

3° Per il periodo di tempo che corre dal 9 gennaio al 
2 marzo, non trovammo documenti che valgano a diradare la 
oscurità che vi regna: nulla però contraddice all’asserzione del 
Compilatore delle “ Campagne ,, il quale pone già il Colonnello 
Barone Von Fresen, il 17 gennaio. 

4° Ad ogni modo, al 2 marzo, al comando di Verrua tro- 
viamo di sicuro il Fresen, che vi rimase fino alla resa, avvenuta 
11 9 aprile 1705. 


Valeriano iuniore e Salonino Valeriano. 


Nota del Dr. UGO GIRI. 


Sostenne il Mommsen nel Corpus Inser. Latinarum (VII, 
p. 1051, Suppl. III, N. 6956) che l’imperatore Gallieno ebbe due 
figli, il primo dei quali sì sarebbe chiamato Licinio Cornelio Va- 
leriano, ed il secondo Salonino. Alle medesime conclusioni giunse 
il Dessau nella Prosopographia Imp. Rom. (Berlino, 1897, vol. 29, 
pagg. 272-73). Mi sarei anch'io volentieri inchinato innanzi al 
giudizio di sì illustri maestri, se un esame attento delle testi- 
monianze degli antichi storici, delle monete e principalmente 
delle epigrafi, non mi avesse dapprima gettato il dubbio nel- 
l’animo sulle conclusioni alle quali si era venuti intorno allo stato 
di famiglia dell’imperatore Gallieno, e quindi inculcata la per- 
suasione che esso stato non sia quello che s'è ritenuto. 


1024 UGO GIRI 


Uno studio, uscito testè alla luce nella Rivista di Numisma- 
tica (1902, pag. 19 e segg.), sulle monete alessandrine dei figli 
di quell’imperatore, invece di farmi credere ch'io era in errore, 
ha maggiormente rafforzato i miei convincimenti. Il Dattari 
in questo studio, se da un lato ha accettato le conclusioni ben 
altro che trascurabili dell’Eckhel, il quale nega che alcuna mo- 
neta vada attribuita ad un Valerianus iunior, fratello di Gallieno, 
e se ha pensato di dividere quelle monete fra i figli di Gallieno 
stesso, tuttavia non ha mostrato con argomenti nuovi che ve- 
ramente non debba entrare nella questione il fratello dell’impe- 
ratore e che le monete siano da distribuire proprio fra il primo 
e il secondo figlio di Gallieno. 


Li 

Si è generalmente accettata la notizia tramandataci dagli 
storici, che l’imperatore Gallieno abbia avuto un fratello, che 
Trebellio Pollione chiama Valerianus iunior. In base a questa 
notizia avevano classificato le monete i numismatici che prece- 
dettero l’Eckhel. Il grande maestro però non volle prestar fede 
ai pochi passi contraddittorì degli antichi storici su tale punto. 
Egli attribuendo al vecchio Valeriano le monete portanti questo 
nome, seguìto dal titolo d'Augusto, e a Salonino, figlio di Gal- 
lieno, le altre tutte, venne ad eliminare completamente la figura 
di Valeriano iuniore. 

Ma la classificazione eckheliana più tardi incontrò oppositori, 
e il Cohen in special modo non la ritenne esatta, e rimise in 
campo il Valerianus iunior, con non molto frutto. 

Recentemente ha ripresa la questione il Dattari, che ab- 
biamo ricordato più sopra. Egli, dopo aver negato che si possa 
attribuire alcuna moneta al fratello di Gallieno, divide le monete 
alessandrine in due categorie. Alla prima apparterrebbero quelle 
del figlio maggiore che portano la leggenda: 


TT. KOP. AIK. OYAAEPIANOC KAIC. CEB. 


alla seconda quelle appartenenti al figlio minore con la leggenda: 
TT. KOP. AIK. CA OYAAEPIANOC KAIC. CEB. 


E poichè il Dattari trova che le prime giungono fino al- 
l’anno 5°, mentre le seconde procedono dall’anno 5° all’anno 8°, 


rire inn citt. 


VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 1025 


stabilisce che l’anno 5° non può essere che il 258 (sappiamo per ‘ 
vero da Aurelio Vittore che Valeriano, salendo all'impero nel 
253, fece Augusto il figlio e Cesare il nepote), nel quale anno 
P. Cornelio Licinio Valeriano sarebbe morto lasciando, diremo 
così, il posto vacante per l’altro fratello Salonino Valeriano, le 
cui monete dal 258 andrebbero fino al 261. Senonchè l’esame 
delle fonti non ci permette di accettare queste conclusioni. Co- 
minciamo da quel Valerianus iunior. 


e 

Se il Dattari, conformemente a quello che su Valerianus 
imnior insegnò l’Eckhel, ha escluso che alcuna moneta possa at- 
tribuirsi a questo Valerianus iunior, tuttavia il generale silenzio 
intorno ad esso, il silenzio delle monete e delle epigrafi (dove 
Valeriano non è mai ricordato nè solo, nè accompagnato col 
presunto padre, nè col fratello, nè infine, ciò che più meraviglia, 
coi nepoti Cesari) non è sembrato sufficiente ragione per affer- 
mare che tale principe non sia mai esistito. 

Pare a me che il Dattari non voglia inimicarsi Trebellio 
Pollione, che difende anche dagli attacchi dell’Eckhel. Pollione 
afferma che a Milano esisteva una tomba su cui si leggeva il 
nome di Valeriano, al quale era unito il titolo di Imperator; e 
il Dattari, prestando fede a questa notizia, crede che appunto 
con essa possa spiegarsi il silenzio delle monete e delle epigrafi 
intorno al fratello di Gallieno; poichè questo tale fratello, se- 
condo il Dattari, non sarebbe stato mai nè Cesare, nè Augusto, 
ma avrebbe rivestito solamente la dignità d’imperator. Ed è cu- 
rioso, molto curioso, ch'egli venga a queste conclusioni, in special 
modo perchè precedentemente si era meravigliato che dal vecchio 
Valeriano fosse stato fatto Augusto il figlio, e Cesare il nepote, 
quando nessuno dei due onori sarebbero toccati all’altro figlio, 
al supposto Valeriano iuniore. 

Si può forse sfuggire alla difficoltà affermando che questo 
principe, presunto fratello di Gallieno, ebbe solamente il titolo 
d’imperator? E perchè mai non sarebbe stato trattato almeno 
come un figlio dell’Augusto Gallieno? E perchè nelle epigrafi, 
fosse anche come imperator, non compare affatto? E se anche si 
volesse pensare a un terribile odio paterno, noi non potremmoy 

Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. . 68 


1026 UGO GIRI 


mai comprendere, come dopo il 260, dopo la cattura e la morte 
del vecchio Augusto, il giovane Valeriano fosse rimasto sempli- 
cemente dnperator, e come Gallieno non avesse pensato di asso- 
ciare all'impero il proprio fratello, o almeno di crearlo Cesare. 

Nè le occasioni erano mancate; chè nel 257, assente dal- 
l’Italia il vecchio Valeriano, costretto Gallieno ad andare sul 
Danubio, è molto difficile a comprendersi come sul Reno, sul 
teatro delle continue lotte coi Franchi, si mettesse a rappresen- 
tare la imperiale autorità un ragazzo come Salonino, piuttostochè 
un uomo il quale per essere e figlio e fratello di. Augusti e per 
l’età e per il senno, doveva avere ben più autorità sui soldati. 
Tale difficoltà dunque rimane, e non mi pare così lieve. 

Io, da canto mio, ritengo fermamente che questo fratello 
di Gallieno, questo Valerianus iunior non sia mai stato nè Ce- 
sare nè Augusto nè imperator, per la ragione che non sia mai 
esistito, e che la notizia su di lui non sia nata che da un 
equivoco in cui cadde Trebellio o Celestino; da una confusione 
la quale abbia fatto scambiare il figlio per il fratello dell’im- 
peratore Gallieno. Prendiamo in esame ciò che attesta Trebellio. 
Kgli dice (Valeriani duo, 8, 1 segg.): Valerianus iunior alia 
quam Gallienus matre genitus.....a patre absente Caesar est appel- 
latus, a fratre (ut Celestinus dicit) Augustus — Et quoniam scio 
errare plerosque qui, imperatoris titulum in sepulcro legentes, iltius 
Valeriani redditum putant corpus qui a Persis captus; ne ullus 
obrepat error, mittendum ‘in litteras censui, hune Valerianum circa 
Mediolani sepultum addito titulo: Valerianus imperator. 

Se la notizia provenisse da uno storico degno di maggior: 
fede di Trebellio, l’assunto di mostrarla falsa non sarebbe troppo 
facile. Ma con Trebellio, non vero e superficiale (Pollio multa 
incuriose, multa breviter tradidit, scrisse Vopisco in Aurel., 2, 1), 
è ben altro che difficile. Quando anche tale notizia non sì vo- 
lesse ritenere addirittura per falsa (la qual cosa non sarebbe poi 
nuova in Trebellio, fabbricatore, per esempio, di un. Postumius 
iunior per completare il numero dei trenta tiranni), sarebbe molto 
agevole pensare ad una confusione. 

Ma prima di dimostrare che la notizia riferita da Trebellio, 
non è degna di fede, vediamo se le attestazioni di Eutropio e di 
Zonara circa l’esistenza di un fratello di Gallieno, meritino il vero 
pome di testimonianze o non siano piuttosto nate dalla notizia 
stessa tramandataci da Trebellio Pollione. 


VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 1027 


Chi bene consideri il racconto di questo storico, scorgerà 
di leggieri che, scontento delle varie versioni che si davano sulla 
fine di questa famiglia imperiale, vuole offrirci finalmente proprio 
lui la vera luce. Il suo modo di parlare è quello di chi ha sco- 
perta una novità ignota a tutti (e tutti egli intende dire con 
quelle parole: scio errare plerosque). Quel suo tono magistrale ci 
induce a credere, quasi con sicurezza, che nessuno aveva detto 
prima quello che egli dice; ciò che d’altra parte è ben logico, 
se riusciamo a dimostrare che la notizia da lui riferitaci non 
merita alcuna fede. Se è così, se Trebellio è il primo che, male 
interpretando Celestino, afferma che Gallieno ebbe un fratello 
morto a Milano, da chi può aver attinto Eutropio il quale 
dice (XI): Gallienus interea Mediolani cum Valeriano fratre 0c- 
cisus est? } 

Evidentemente da Trebellio Pollione: per fermo egli fu tratto 
in inganno da quel tono di grande maestro, col quale si espri- 
meva Trebellio. 

E che veramente sulla fine di questa famiglia d’Augusti 
corresse un’ altra versione di sicuro scartata da Pollione, ma a 
cui Pollione pare voglia alludere con quelle sue parole: scio errare 
plerosque, è prova la testimonianza di Zonara, che qui riporto 
(XXVI): ‘Ev ‘Pipn dé re i oÙrkANtog uadodoa tiv TOÒ FaXmvou 
àavaipeoiv, Tov ddeApòv ékeivoò kai tòv viòv édavatwoav. 

In questa notizia di Zonara, dunque, entra in scena il Se- 
nato Romano. Se il presente passo noi poniamo a confronto con 
quello di Aurelio Vittore, ove si dà la notizia medesima, restiamo 
subito colpiti dalla singolare simiglianza. Dice Aurelio Vittore 
(Caes., 31): At Senatus comperto tali exitio (Gallieni) satellites pro- 
pinquosque per scalas Gemoniae praeceps agendos decrevit. Che questo 
luogo sia stato la fonte di quello, su riferito, di Zonara, a me 
pare assai chiaro. V’è persino la medesima collocazione delle 
parole. 

Se Zonara adunque, che qui segue Aurelio Vittore, il quale 
a sua volta segue la tradizione esatta, cambia i propinquos della 
sua fonte, in tòv &delpòv kai tòv ùròdv, non può aver ricorso 
che a Eutropio, ossia a Trebellio stesso. 


’ 


1028 UGO GIRI 


Così la radice di tutti i mali sarebbe Trebellio Pollione, 
o per sua mala fede, o perchè veramente interpretò male ciò 
che aveva scritto Celestino, quando pure non voglia ritenersi 
che errasse Celestino stesso. 

E veniamo allora, poichè le testimonianze di Eutropio e 
Zonara nascono da Trebellio, ad un esame della notizia riferita 
da questo storico, per mostrare come essa non meriti fede, e 
come è possibile che sia venuto fuori l’errore. 


‘agi; 

Dobbiamo recare in mezzo due argomenti già addotti più 
sopra; il primo è nel silenzio delle epigrafi intorno a questo zio 
dei figli di Gallieno. Adunque Valeriano, il preteso fratello di 
Gallieno, non compare nelle iscrizioni come tale. Non v'è alcuna 
dedica a un fratello di Gallieno, nè, ch'io mi sappia, v'è epigrafe, 
in cui, ancorchè si dedichi al vecchio Augusto Valeriano o a 
Gallieno 0° a Salonino, sia ricordato Valerianus iunior, quale 
figlio, fratello, zio, rispettivamente, di questi principi. 

Il secondo argomento consiste in quell’affermazione di Au- 
relio Vittore (cap. XXXII), che Valeriano, salito all’ împero, 
abbia fatto Augusto il figlio e Cesare il nepote, mentre pure non 
si parla di altro figlio, nè di altre dignità date ad altri. Ma ben 
più importante è ciò che si legge in questa epigrafe (C. I. L., 
Suppl. III, 6956=12215): Imp. Caesari P. | Li(ci)nio Valer | iano 
et P. Licinino | (Gall)ieno et P. Cor | (nelio) Valeriano | (£. et nep.) 
piorum | (Augg.) et Cor | (nelio S)a(1)onino | (Valeria)no tundori| 
(nobiliss. Ca)e(s.) Avg. 

Da un’altra epigrafe (C. I. L., XI, 538) si raccoglie che il 
nome di Valerianus iunior spettava ad un figlio di Gallieno e 
non ad un fratello: P. Corneli(o) | Salonino | Valeriano | nobil. 
Caes. | principi ivventutis filio | imp. Gallieni | Aug. 

Chi è questo P. Cornelio Salonino Valeriano, che in questa 
epigrafe viene detto figlio di Gallieno, se non quel medesimo 
principe che nell’epigrafe precedente è chiamato Cornelio Salo- 
nino Valeriano iuniore? i 

Or dunque, poichè sarebbe strano, anzi addirittura impos- 
sibile, che due principi di una medesima famiglia avessero am- 


VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 1029 


bedue il nome e il soprannome di Valerianus iunior, e poichè è 
evidente che un figlio di Gallieno si chiamava P. Cornelio Licinio 
Salonino Valeriano iuniore, perciò è da ritenersi errata la notizia 
di Trebellio, che afferma esservi stato un fratello di Gallieno col 
nome di Valeriano iuniore. 

È da considerare ancora un’altra epigrafe (0. I. L., XI, 826): 

Imp.Caes. P. Licinius | Valerianus Pius Fel. Aug. pon. | max. 
Germ. max. trib. pot. VII, cos. ILII | p. p. proc. et imp. Caes. P. Li- 
cinius | Gallienus Germ. Pius Fel. Aug. pont. max. trib. | pot. VII 
cos. ILI, p. p., procos. et P. Cornelius Saloninus | Valerianus no- 
biliss. Caes...... 

Questa epigrafe, come mostra la TR. P. VII di Valeriano, 
appartiene al 259. In quest'anno dunque Salonino Valeriano, 0 
Valerianus iunior che ci piaccia chiamarlo, figlio di Gallieno, era 
ancora Cesare. Ma poichè la prima epigrafe riferita qui sopra 
dà a Salonino Valeriano il nome di Cesare Augusto, e non può 
essere ‘posteriore al 260, perchè è una dedica al vecchio Vale- 
riano, ne viene di conseguenza che Salonino Valeriano iuniore 
non può essere stato fatto Augusto che verso la fine del 259 o 
i primi del 260. 

Se si rammentano le parole che Trebellio Pollione disse in 
proposito del suo Valerianus iunior, fratello di Gallieno (a patre 
absente Caesar est appellatus, a fratre, ut Celestinus dicit, Augustus), 
si vede come Celestino o Trebellio, nel darci tale notizia, siano 
caduti proprio in una confusione. Queste parole di ‘Trebellio 
infatti converrebbero ottimamente a Salonino Valeriano, figlio 
dell’imperatore Gallieno. 

E Trebellio, parlando di questo Valeriano, il cui nome egli 
trova nei Fasti ancor dopo il 260, non sapendo chi possa essere, 
dice (Gallieni duo, 14, 9, 10):..... Valerianum, quem multi Au- 
gustum, multi Caesarem, multi neutrum fuisse dicunt. Quod quidem 
verisimile non est, si quidem capto iam Valeriano scriptum inve- 
nimus in fastis: Valeriano imperatore consule. Quis igitur alius 
potuit esse nisi Gallieni frater? 

Risulta da tali parole che l’illustre storico non conosceva 
che dovesse vivere dopo quell’anno, dopo cioè la cattura del 
vecchio Augusto, un Licinio Egnatio Valeriano ed un Salon. Va- 
leriano iuniore che abbiamo visto diventare Augusto proprio 
verso questo tempo, e le cui monete alessandrine, giungendo 


1030 UGO GIRI 


fino all'anno ottavo, ci dimostrano essere egli morto nel 268 
nel tempo stesso in cui veniva a morire Gallieno. 

È lecito supporre che, se Trebellio avesse a ciò pensato, 
se fosse stato meno ignorante di tutto quello che narrava, se 
cioè avesse saputo dell’esistenza, dopo il 260, di questo principe, 
forse si sarebbe accorto della confusione e dell'errore in cui ca- 
deva, e quindi, giova almeno sperarlo, non ci avrebbe traman- 
dato la notizia di questo fratello di Gallieno. Ora è assai pro- 
babile che sia vero ciò che racconta Trebellio, che esistesse a 
Milano una tomba con Ja leggenda Valerianus imperator; eccetto 
che tale tomba e leggenda, con ogni verisimiglianza, va riferita 
a Salonino Valeriano, morto nel 268, giusta l’autorità delle mo- 
nete alessandrine. Secondo le migliori ipotesi, questo principe, 
che muore in questo stesso anno in cui muore il padre Gallieno, 
chiuse gli occhi a Milano, dove Gallieno stesso finì la vita. In 
tal caso quell’imperator non ha un valore così ristretto, come 
vuol credere il Dattari, ma è l’espressione grandiosa della. di- 
gnità Augustea che Salonino Valeriano rivestiva già da otto 
anni. Diremo ancora che, per noi, il fatto che Trebellio, a di- 
mostrare l’esistenza di questo fratello di Gallieno, cita la leg- 
genda della tomba di Milano, prova come la ingenuità e la 
ignoranza dello storico, così pure che questa notizia del fra- 
tello di Gallieno era ben poco accreditata, se non addirittura 
nuova. 

Terminiamo col riportare qui un giudizio del Cohen, il quale 
giudizio è tanto più importante, inquantochè la sua tesi diffe- 
risce completamente dalla nostra. Egli descrivendo le monete 
N. 22 e 94 che portano la leggenda: IMP. SALON. VALE- 
RIANVS AVG., dice: “ Les traits sont ceux de Valérien jeune ,. 

La iconografia di queste monete dunque ci è di valido aiuto 
per sostenere che Valeriano iuniore altri non è che Salon. Vale- 
riano, e quindi è un figlio, non un fratello dell’ Augusto Gallieno. 

La confusione, come possa essere nata, a noi non interessa. 
È certo che il caso non è nuovo negli storici antichi. Qui, noi 
potremmo pensare che l’ equivoco sia nato, per esempio, dal 
fatto che gli Augusti chiamavansi reciprocamente fratres. Che 
da qualcuno si sia detto che a Milano morirono ambo i fratelli 
Augusti, e che poi questa frase abbia dato luogo alla confusione 
del padre col figlio, non pare affatto difficile. 


VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 103] 


* 


Eliminata completamente la figura del fratello di Gallieno, 
è evidente che le monete alessandrine in questione vanno di- 
vise tra i figli di quest'imperatore, come ha fatto il Dattari. 
Senonchè, io non sono convinto ch’esse vadano distribuite proprio 
nel modo medesimo, poichè ritengo che tre e non due siano i 
figli di Gallieno. 

Credo che le monete alessandrine si possano dividere fra 
due principi soltanto, ma non però, come si pretende, fra il 
primo e il secondo figlio di Gallieno (cfr. Dattari, pag. 20 e sgg.) 
bensì fra il secondo e il terzo; nè gli anni indicati dalle monete 
sono, a parer mio, quelli che si è supposto. 

Generalmente si ritiene che Gallieno abbia avuto due 
figli. Il primo sarebbe P. Cornelio Licinio Valeriano, morto nelle 
Gallie per mano di Postumio, e il secondo P. Cornelio Licinio 
Salonino Valeriano. Che il secondogenito si chiamasse Salonino, 
e non il primo, come pure gli storici affermano, è principalmente 
per ciò sembrato vero, perchè le monete alessandrine di questo 
principe giungono fino all'anno ottavo, che, computato dal 253, 
ci porta al 261. Ora in questo anno doveva essere assoluta- 
mente morto, e già da parecchio tempo, il figlio primogenito 
dell’imperatore Gallieno. E a far credere che i figli di questo 
principe fossero davvero due, ha avuto la sua parte il passo di 
Polemio Silvio in latere. (Chron. min. edit. Mommsen, I, pag. 521) 
ov'è detto: Gallienus cum Salonino et Licinio filiis occisi. E s'era 
citata ancora l'autorità di Aurelio Vittore il quale scrive 
(capit. XXXIII): Hic (Valerianus) filium suum Augustum fecit Gal- 
lienique filium Cornelium Valerianum Caesarem. 

Secondo noi i figli di Gallieno sono: P. Cornelio Licinio Sa- 
lonino Gallieno iuniore, morto nelle Gallie verso il 258, 259; 
P. Cornelio Licinio Egnatio Valeriano, morto forse di morte na- 
turale fra il 263-264; P. Cornelio Licinio Salon. Valeriano iu- 
niore, morto a Milano nel 268. Le parole di Pol. Silvio, a nostro 
avviso, non vogliono dire altro che, come Gallieno, furono uccisi 
i figli Salonino e Licinio Sal. Valeriano. E, notiamolo, il nome 
di Salonino, come quello del primogenito, è anteposto all’altro (1). 


(1) Con l'opinione del Dattari, che il primogenito di Gallieno si chia- 
masse Cornelio, e l’altro Salonino, noi non possiamo in alcun modo con- 


1032 UGO GIRI 


Ma procediamo all'esame delle fonti. Se non ci illudiamo, 
speriamo di dimostrare che le epigrafi confermano questa in- 
terpretazione. 


Dice Trebellio Pollione in Saloninus Gallienus (1, 2 e segg.): 
De huius nomine magna est ambiguitas; nam multi eum Gallienum, 
multi Saloninum in historiis prodiderunt. Et qui Saloninum, qui 
autem Gallienum patris nomine et avi Gallieni cognominatum 
PARTI Fuit denique hactenus statua in pedes montis Romulei...., quae 
habet inscriptum: Gallieno minori Salonino additum. E in Postu- 
mius (Trig. tyr., 3): hic vir in bello fortissimus..... usque adeo ut 
Saloninum filium suum eidem Gallienus in Gallia positum crederet 
quasi custodi vitae et morum et actuum imperialium institutori. 

Le notizie di Trebellio meritano qui fede. Infatti in più 
d’una epigrafe è scritto così: P. Licinio Salonino; e due monete 
in Mionnet, Suppl. II, pag. 433, nn. 1421-1422, recano la leg- 
genda: TTo Ax KopvfMtog FaXhanvòs Karo. 

Che veramente, come dice Trebellio, questo principe fosse 
conosciuto dagli storici o col nome di Gallieno minore o con 
quello di Salonino, lo conferma il fatto che Zosimo, oggi mas- 
simamente seguìto e accreditato, Salonino chiama il giovane 


sentire. Non crediamo che .si possa rispondere tanto facilmente alla ob- 
biezione che il Dattari stesso si fa a pag. 30: Come spiegare quei due nomi 
riuniti sulla stessa moneta dacchè un figlio si chiamava Cornelio, l’altro Salo- 
nino ? (!) Il Dattari medesimo così si risponde: La risposta più propria che 
possa dare è questa. Alla morte di un Augusto, il suo successore, fosse il figlio 
od altri, usava aggiungere al proprio nome quello del predecessore; è quindi 
probabile che in memoria di Cornelio, quando Gallieno investì Salonino della 
dignità di Cesare, gli imponesse il nome del defunto figlio. 

Non bisogna seguir troppo materialmente Aurelio Vittore, il quale 
parlando dei figli di Gallieno, chiama uno Cornelio, l’altro Salonino. Per 
troncare ogni questione, qualora davvero potesse nascere, riferisco qui sotto 
una epigrafe, dalla quale si vede che il nome di Cornelio era portato con- 
temporaneamente da due fratelli, e che non era proprietà esclusiva di uno 
di essi! 

(C. I. L., VIII, 8473): Divo Caesari | P. Cornelio Licinio Va | leriano 
nepoti | imp. P. Lic. Valeriani | Augusti filio imp. Caes. | Lic. Gallieni Augusti 
fra | tri P. Cornelii Licin. Sa | lonini Caes. Aug. 


VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 1033 


| principe affidato a Postumio e Zonara chiama questo medesimo 
principe Gallieno iuniore. Evidentemente qui i due storici segui- 
vano diversa fonte. Innanzi a testimonianze così chiare, così 
esplicite, come potrebbe ancora sostenere che il primo figlio di 
Gallieno si chiamava Valeriano? 

Nè basta l'autorità dell'’ambigua notizia di Aurelio Vittore, 
per farci scartare quelle, chiare e coerenti, di Trebellio Pollione 
e massime di Zonara e di Zosimo. E alle affermazioni di questi 
tre storici dobbiamo aggiungere quella, certo importante, di uno 
storico tenuto forse un po’ troppo in non cale, di Flavio Vopisco. 
In una lettera, inserita nella sua vita di Aureliano (Aurel., 8, 2 
e segg.), scritta da Valeriano imperatore al console Antonino 
Gallo, si dice: Cw/pas me familiaribus literis, quod Postumio filium 
meum Gallienum magis quam Aureliano commiserim, quod utique et 
severiori et puer credendus fuerit et erercitus..... Testor autem omnes 
Deos me etiam timuisse, ne quid Aurelianum etiam erga filium 
meum, si quid ille fecisset (ut est natura pronus ad ludicra) saevius 
cogitaret (1). 


(1) Questa lettera ha dato molto da fare alla critica. E chi, come il 
Duruy (Hist. des Rom. Paris, 1888, vol. III, pag. 38, nota), volle ritenere 
autentica la lettera riportata da Vopisco, poichè in essa Valeriano dice di 
aver affidato alle cure di Postumio Gallieno, che chiama puer, e nel tempo 
medesimo filius, pensò che il vecchio Augusto intendesse parlare del figlio 
(che da calcolo fatto non poteva aver meno di trentacinque anni), come di 
un ragazzone. 

Dice il Duruy: Son père avait peu de confiance dans ce grand enfant. 
E in nota: Puer - Le mot est dans une lettre citée par Vopiscus (Aur., 9) 
et dont on a révoqué en doute l’authenticité, sans motifs suffisants. 

Ma chi, come il Dessau (Prosopographia, parte II, pag. 272, sotto P. Li- 
cinius Cornelius Saloninus, e pag. 273, sotto a P. Licinius Cornelius Vale- 
rianus), non volle persuadersi di questo, e non potè comprendere come un 
Augusto, qual'era Gallieno, venisse chiamato puer non solo, ma fosse affi- 
dato alle cure di un generale, un Augusto che aveva trentacinque anni, 
che aveva moglie, che aveva figli, che era stato associato all'impero, ap- 
punto perchè questo era grandemente minacciato, oltre a ciò non potè 
comprendere come un tal Augusto non venisse neppure ritenuto adatto a 
comandare l’esercito, ritenne la lettera addirittura per falsa. Non mi pare 
che abbiano raggiunto il vero nè gli uni, nè gli altri. Se poniamo mente 
che negli ultimi tempi dell'Impero Romano, i vecchi senatori chiamavano 
filiiî giovani, che di ricambio patres dicevano quelli, e che gli Augusti, 
come fra loro si chiamavano fratres, così filii dicevano i Cesari, i quali 


1034 UGO GIRI 


Anche qui dunque il primo figlio di Gallieno viene chiamato 
Gallieno e non Valeriano. Ma più decisivo ancora a me pare un 
altro passo dello stesso storico Vopisco, perchè vi si accenna a 
due figli di Gallieno, il primo dei quali si chiama medesima- 
mente Gallieno e il secondo Valeriano, e perchè tale attesta- 
zione, come quella or ora riferita, ci si presenta in una lettera 
scritta dall’imperatore Valeriano ad Aureliano. Ecco le testuali 
parole: (Aurel., 11, 8): Consulatum cum codem Ulpio Orimito in 
annum sequentem a die undecimo kalendarum iumarum in locum 
Gallieni et Valeriani, sperare te convenit. Qui Gallieno e Valeriano 
non possono assolutamente essere gli Augusti, perchè qui non 
si parla che di consoli suffecti, perchè il nome di Gallieno non 
sarebbe stato anteposto al nome di Valeriano, padre di quello 
ed eletto anteriormente, infine perchè tale consolato non è com- 
putato affatto nelle epigrafi degli anni posteriori. Essi quindi 
non possono essere che i figli dell’imperatore Gallieno. E donde 
allora la facoltà di sostenere che il primogenito dell’Augusto si 
chiamasse Valeriano? : 

E vuolsi considerare che queste lettere, inserite da Vopisco 
nella sua storia, meritano considerazione non poca, anche per 
ciò, che ricorrono nella vita di Aureliano per ben altre ragioni 


patres appellavano gli Augusti, non possiamo trovare difficoltà alcuna nella 
interpretazione di questa lettera. 

Ricordiamo tutto ciò che abbiamo detto intorno al primo figlio di 
Gallieno, il quale si chiamava Salonino Gallieno iuniore, e non vi sarà 
dubbio, che nella lettera, riferita da Vopisco, il vecchio Valeriano inten- 
desse parlare del nipote Gallieno iuniore, che egli avrebbe potuto chiamare 
o con l'appellativo di nepote 0 con quello di figlio. È evidente che dette la 
preferenza a questo secondo, il quale, mentre da un lato ricordava al suo 
congiunto la dignità di Cesare onde era rivestito, dall’altro doveva sonare 
più dolce e gradito alle proprie orecchie di nonno. 

Noi adunque non ci occupiamo della questione della autenticità della 
lettera surriferita di Vopisco; sebbene pel fatto di averla interpretata, come 
riteniamo con sicurezza, giustamente, ci sembra che cada la ragione per cui 
essa era ritenuta falsa. Ma quando anche si volesse portare su Vopisco il 
giudizio che comunemente viene portato su gli altri Scriptores Hist. Aug., 
nonostante ch’egli non ne dia qui motivo, e si volesse dubitare della lettera, 
a noi rimarrebbe sempre questo a dire, che anche Vopisco, nel caso che 
avesse falsificato, avrebbe dovuto ciò fare in base a quello ch’egli conosceva 
ed aveva potuto sapere da altre fonti. I passi cioè della lettera rimarrebbero 
pur sempre una testimonianza per noi. 


VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 1035 


che non son quelle cui mira la nostra tesi. Le attestazioni sto- 
riche non sono più tre dunque, ma quattro 0, meglio ancora, 
cinque, se teniamo conto che due sono i passi della biografia 
d’Aureliano. 


Con le testimonianze degli storici pare a noi che vadano 
perfettamente d'accordo quelle delle epigrafi. E primieramente, 
perchè mai dovremmo confondere le epigrafi che portano il nome 
di P. Cornelius Licinius Saloninus con quelle ov’è notato P. Cor- 
nelius Licinius Salon. Valerianus, che, alla loro volta, si vuole 
che siano da distinguersi da quelle ov’è scritto P. Cornelius 
Licinius Valerianus? E per vero, se Salonino si chiamava Gal- 
lienus iunior, secondochè dicono gli storici (e abbiamo monete 
che portano la leggenda FANAIENOC KAIC.), come potrà volersi 
che si confonda col fratello Salon. Valeriano, il quale abbiamo 
già visto che si chiamava Valerianus iunior? 

Ma vediamo come dalle epigrafi si possa ricostruire lo stato 
di famiglia di Gallieno; e cominciamo col ricercare il primoge- 
nito di quest'imperatore. 

Una epigrafe (Eph. epigr.; IV, pag. 518) dice così: D.D. D. 
n.n.n. | imp. Caes. P. Licinio Vale(riano Pio Felici) | invicto 
Aug. pontifici [maximo] | Germanico maximo tr(ibun) | potestati V 
cosrdI1905 .4 et | (P) Cornelio Egnatio Valerian(o) | nobiliss. Caes. 
prinec. [iuventutis]. 

Questo P. Cornelio Egn. Valeriano può essere lo stesso 
principe che troviamo denominato P. Cornelio Salon. Valeriano? 
No certamente, sein una medesima epigrafe (Suppl.II 6956=12215) 
sono notati i nomi di P. Cornelio Valeriano e di Cornelio Salo- 
nino Valeriano iuniore. Quando volessimo sostenere che Egnatius 
Valerianus della prima iscrizione è uguale al Cornelius Salon. 
Valerianus di questa seconda, rimarrebbe sempre un altro prin- 
cipe col nome di Cornelio Valeriano. Se noi adesso esaminiamo 
l’epigrafe (VIII, 8473) riferita a pag. 11 e la poniamo a con- 
fronto con quelle addotte testò, veniamo subito alla conclusione 
che i figli di Gallieno non poterono essere che tre. Chi è infatti 
il Saloninus Augustus di quest’ultima iscrizione? Qui sono pos- 


1036 UGO GIRI 


sibili due ipotesi: o questo Salonino altro non è che Salonino 
Valeriano, ed allora Gallieno non avrebbe avuto che due figli, 
o è un terzo figlio di quest’'imperatore. In una epigrafe ripor- 
tata a pag. 8 (XI, 826) appare che Cornelio Salonino Valeriano 
iuniore è ancora Cesare nel 259. V’è infatti indicata la TR. P. VII 
del vecchio imperatore Valeriano. Nell’altra iscrizione nel me- 
desimo luogo addotta (Suppl. III 6956=12215) questo principe 
ha il titolo di Augusto. E poichè nel 259 era Cesare e qui com- 
pare come Augusto, senza che questa epigrafe col fatto che è 
una dedica a Valeriano padre possa essere posteriore al 260, 
ne viene che fu fatto Augusto o verso i primi di quest'anno, 0 
verso la fine del 259.Le monete alessandrine con CA.OYANEPIANOC 
KAIC. CEB. giungono fino all’anno 8°, che è evidentemente il 268. 
Emerge chiaro da ciò come l’anno 5° delle monete alessandrine 
di questo principe non possa essere, come ritiene il Dattari 
(p. 29), il 258. 

Se dunque il Salonino Augusto dell’ Renon (VIII, 8473) 
fosse Salonino Valeriano iuniore, poichè questi fu creato Au- 
gusto verso il 260, l’iscrizione ov'è notato Salonino Augusto, 
non potrebbe essere anteriore a quest'anno. Ma allora nel 260 
vivrebbe un altro figlio di Gallieno, Cornelio Valeriano, e sarebbe 
solamente Cesare (lo ricaviamo dall’epigrafe stessa): In tal caso 
chi sarebbe il primogenito di Gallieno? 

Salonino Valeriano no di certo, se le sue monete lo dichia- 
rano Augusto per otto anni. Cornelio Valeriano neppure; poichè 
non solo il principe ucciso nelle Gallie doveva nel 260 essere 
già morto da un pezzo, mentre questi invece indubbiamente vi- 
veva, ma ancora perchè le monete alessandrine di P. Cornelio 
Valeriano ce lo fanno conoscere Augusto per cinque anni. Ora 
come potrebbe essere costui il primogenito di Gallieno, se, Ce- 
sare nel 260, per le monete alessandrine non poteva esser morto 
prima del 265? Quale sarebbe allora la famosa vittima di Po- 
stumio? Evidentemente dunque Salonino non può confondersi 
con Salonino Valeriano, che alla sua volta non può confondersi 
con P. Cornelio Egn. Valeriano per ciò che più sopra abbiamo 
stabilito. E quindi i figli di Gallieno sono tre e non due, dei 
quali il primogenito è Salonino, detto altrimenti Gallienus iunior. 
E se così non avessimo concluso, ci sarebbe stata di non molto 
facile risoluzione la leggenda stessa dell’epigrafe riferita a pa- 


VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 1037 


gina 11 (nota) ove Salonino è detto Augusto, e l’altro fratello, 
il presunto primogenito, semplicemente Cesare. 

Vorrei finalmente fare osservare che se il primogenito di 
Gallieno fosse davvero Valeriano, di guisa che si dovessero a 
lui attribuire le monete alessandrine dal Dattari poste nella 
prima delle due categorie, allora il giovanetto affidato a Po- 
stumio, poichè nella lettera di Valeriano al console Gallo, riferita 
da Vopisco, è chiamato figlio dal vecchio Augusto, perciò nel 
256 o meglio 257 (e in seguito vedremo il perchè di tale data) 
sarebbe stato ancora solamente Cesare. Onde anche per que- 
st'altro argomento non potremmo spiegarci le leggende delle 
monete alessandrine, ponendo la data della morte di questo prin- 
cipe fra il 258 e il 259. 

Se nel 257, dunque, un figlio di Gallieno, che non è Salon. 
Valeriano, era semplicemente Cesare, ove si ammetta che i figli 
dell’Augusto furono due, tale figlio non potrebbe essere che il 
primogenito. Il quale, ritenendo anche che nel 257 stesso sia 
stato creato Augusto, se ad esso appartengono monete alessan- 
drine che lo dichiarano Augusto per cinque anni consecutivi, 
dovrebbe essere morto almeno nel 262. Ma non è possibile che 
questa sia la data della morte del primo figlio di Gallieno. E 
poichè il primo figlio non può essere neppure Salonino Valeriano, 
morto nel 268, io mi domando, chi sarà mai questo primogenito 
di Gallieno, se non quel Salonino Gallieno juniore, di cui parlano 
le epigrafi e gli storici. 

Infine, se Licinio Valeriano fosse, come è affermato comu- 
nemente, il primo figlio di Gallieno, ed il secondo fosse stato 
Salonino Valeriano, perchè mai il nome di Valerianus iunior 
sarebbe toccato a questo, invece che a quello? 

E sì che il primo figlio, se si fosse chiamato Valeriano, si 
sarebbe dovuto distinguere dal nonno, specialmente per questo, 
che per un certo spazio di tempo furono ambedue Cesari Au- 
gusti. Nè si comprenderebbe come questo secondo figlio avesse 
bisogno, per distinguersi dal primo, di aggiungere al suo nome 
un iunior; non bastava forse il chiamarsi Salonino per distin- 
guersi da tutti gli altri? 

Evidentemente non va così. Quell’appellativo iunior, dato a 
Salonino Valeriano, non è affatto ozioso; esso lo differenzia 
dagli altri principi; ed è manifesto che per distinguersi dali’uno 
e dall'altro era chiamato Salonino Valeriano iuniore. 


1038 UGO GIRI — VALERIANO IUNIORE E SALONINO VALERIANO 


A questo punto a me pare che noi possiamo stabilire la 
cronologia delle dignità di questi tre principi. 

Il primo figlio P. Cornelio Licinio Salonino Gallieno iuniore, 
fu fatto Cesare, per testimonianza di Aurelio Vittore, dal. nonno, 
quando questi salì all'impero, nel 253. 

La lettera di Valeriano al console Antonino Gallo, riferita 
da Vopisco, ove si dà notizia che Gallieno figlio di Gallieno: e 
Cesare viene affidato alle cure di Postumio, non può essere che 
del 256 o 257. In essa infatti Valeriano dice di aver affidato 
il nepote e l’esercito a Postumio piuttostochè ad Aureliano; il 
che vuol dire che quest’ultimo doveva essere salito in grande 
riputazione, tanto da meritare che fosse messo alla pari con 
Postumio, e gli si potesse affidare tutto l’esercito. 

Siamo dunque dopo il 256, dopo cioè che lo scontro dei 
Germani, così valorosamente rigettati da Aureliano, allora sem- 
plice tribuno, ricoprì questi di gloria. La lettera di Valeriano 
è dunque del 256 o 257: se in essa egli chiama figlio il nepote, 
ciò prova che Salonino verso quest'anno era Cesare ancora. 

Ma sappiamo che nel 257 Gallieno dovette accorrere sul 
Danubio, e lasciò in Agrippina il figliuolo maggiore quale 
rappresentante dell’imperiale autorità. È quindi molto logico 
supporre che Salonino Gallieno sia stato proprio in questo fran- 
gente creato Augusto, quando infuriava la guerra sul Reno, e 
quando, per l’irrompere dei barbari sul territorio romano, il 
vecchio Augusto era chiamato in Oriente e Gallieno sul Da- 
nubio, senza che sul teatro della guerra franca rimanessé alcun 
principe. 

Forse in questa medesima circostanza fu creato Cesare il 
secondogenito di Gallieno; e crediamo che proprio di quest'epoca 
sia la epigrafe riportata a pag. 11. 

Ma, ucciso nel 258 o 59 Salonino, Gallieno riempì il pioli 
lasciato vuoto, eleggendo Augusto il suo secondo figlio, il quale 
forse morì poi di morte naturale fra il 263 e 264 (le monete 
alessandrine di lui giungono, ricordiamolo, fino all'anno 59); e 
fece Cesare il terzo figlio Licinio Salonino Valeriano iuniore. 
Questi poi verso i primi del 260 veniva creato Augusto. 

In tal modo nella divisione delle monete alessandrine non 
andrebbe compreso nè il fratello dell’imperatore Gallieno, giammai 
esistito, nè Salonino. 


1039 


E a chi facesse l’obiezione, perchè di Salonino le monete 
alessandrine non parlino, noi risponderemmo che se la lettera 
riferita da Vopisco nella vita d’Aureliano, scritta da Valeriano 
imperatore al console Gallo, è stata da noi ben difesa e inter- 
pretata, essa ci dice che il primogenito di Gallieno nel 256 o 
257 era ancora Cesare. 

Ritenendo che verso la fine di quest'anno egli sia stato 
proclamato Augusto, se poi fra il 258 o 259, come è probabi- 
lissimo, venne messo a morte da Postumio, sarebbe stato Augusto 
un anno o poco più. 

Ed allora dov'è la difficoltà che proprio di quest'anno man- 
chino a noi le monete alessandrine? 


Relazione intorno Ja memoria presentata dal prof. Ro- 
mualdo Bossa col titolo: Esame storico-critico del- 
l’opera del signor Jules De Gaultier, intitolata: “ Da 
Kant a Nietesche ,. 


Giulio De Gaultier pubblicava nel 1900 un volume inscritto 
da Kant a Nietasche preceduto da una lunga introduzione, nella 
quale intende di dimostrare che la filosofia ha per unico suo 
còmpito di descrivere la forma ed i limiti della nostra facoltà 
conoscitiva, divisarne le conclusioni e definire l’ufficio del pen- 
siero disgiuntamente da ogni suo contenuto oggettivo. L'autore 
muove da questo concetto, che l’ istinto della vita el’ istinto 
della conoscenza stanno in perpetuo antagonismo fra di loro, 
sicchè la verità presa come fine della conoscenza favorisce uno 
stato contrario alla vita. Secondo l’autore, la vita non'si regge 
sulla verità, ma si nutre di illusioni, che vanno dissipate dalla 
conoscenza essenzialmente distruttiva e nichilista; fra queste il- 
lusioni e menzogne primeggiano le credenze del monoteismo sia 
filosofico, sia cristiano, che ammette un Dio estramondano, una 
legge rivelata sia sovranaturalmente, sia razionalmente alla co- 
scienza umana, a cui manifesta un bene da seguire, un male da 
evitare, un uomo fornito di libero arbitrio, responsabile degli 
atti suoi, suscettivo di merito e di demerito, di ricompensa e 
di castigo. 


1040 


La memoria presentata dal prof. Bobba è uno studio storico 
critico di queste idee esposte dal Gaultier nell’introduzione della 
sua opera. Egli segue passo passo l’autore mettendo in chiaro 
le sue ipotesi avventate, intorno l’origine del monoteismo, la sua 
ignoranza vera o simulata della storia della filosofia, le sue 
esposizioni monche e spesso errate di dottrine filosofiche notis- 
sime come la teoria delle idee di Platone e la dottrina fonda- 
mentale delle scuole indiane fino alla Critica della ragion pura. 
Pone in rilievo la falsità della supposizione ehe l’autore attri- 
buisce a Kant nello scrivere la Critica della ragion pura, e la 
calunnia di mala fede nel dettare la Critica della ragion pra- 
tica. Mette in evidenza la stranezza della morale estetica pro- 
posta dall'autore in un sistema, secondo il quale l’uomo come 
tutti gli altri corpi naturali opera sempre così come debbe ope- 
rare, ma che non lo crede punto, perchè alla vera causa, che 
lo necessita ad operare, sostituisce altri principii, che lo illu- 
dono. Per ultimo il prof. Bobba, esposta l’origine di ogni mo- 
rale secondo l’autore, ne mette in chiaro le contraddizioni pa- 
tenti nella stessa esposizione dell'autore e l'assurdità di stabilire 
una morale qualsiasi allorchè si professa il fatalismo, che in- 
forma tutta l’opera di lui. 

A dir vero il prof. Bobba ebbe buon giuoco nell’esercitare 
la critica sopra un’opera, in cui la ragion filosofica non fa gran 
bella mostra di sè, e che posa tutta quanta sull’infelice para- 
dosso, che la vita e la conoscenza si rinnegano e si respingono 
mutuamente. Ciò nullameno egli non ha lavorato indarno, giacchè 
alcuni punti della scienza non sono mai ripensati e discussi 
quanto basta; e la Commissione propone che la sua Memoria, 
ricca di erudizione, governata da buon criterio, dettata da lode- 
vole intendimento, sia ammessa alla lettura. 


G. CHIRONI, 
GirusepPE ALLIEVO, relatore. 


L’ Accademico Segretario 
RopoLro RENIER. 


—._ rex ——- 


WR O E I | n RR A A xxdO 


INDICE 


DEL VOLUNE XXXVEILE 


ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri 


e Corrispondenti al 25 Gennaio 1903 \ ; Re 07 Ai 
PussricazionI ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino 
durante l'Anno accademico 1902-1903 3 ; ; ) XXXVII 


Comunicazione della lettera della sig.* Gina Cossa che ringrazia l’Ac- 
cademia per le condoglianze fattele per la morte del com- 
pianto Presidente Alfonso Cossa i ? È 3 150 

Coneresso degli Orientalisti di Hanoî (Tonchino) : 5 “. ‘CEL 

ELezioni di Soci della Classe di scienze fisiche, matematiche e Jbitatrati > 819 

Etezioni di Soci della Classe di scienze morali, storiche e filologiche 468, 982 

ELezioni a cariche accademiche: 


Elezione del Presidente dell’Accademia : 5 E LN ROD 
Nomina di due membri della Giunta per la Biblioteca } 63, 981 
Nomina della Commissione per il premio Vallauri di critica della 
letteratura latina. È o! 
Nomina della Commissione per 55 premio di Weiiazione Gatibri 
(Filosofia) 1900-1902. 1 n' “78 
Elezione del Socio Segretario delli etide di scienze Reich! 
matematiche e naturali i; ò » . 184, 381 
Elezione del Vice Presidente dell’ aa ; ; ,s 699 
Inviro a farsi rappresentare alla solennità del Centenario dell Ateneo 
di Brescia . , SAT 
Invrro all'Accademia per le feste nane i in onore di mes ik sh 
in Cristiania , : ) : A) DATI 
Inviro -di aderire alle onoranze da p. Angolo Sevolti 3 } n 103 
Parrecipazione della morte del Socio corrispondente Giovanni Vera 
CENUS . É : : b È , 7 ; à ; sN 


Premio Bressa: 
Programma del XIV premio Bressa, quadriennio 1901-1904 A to) 
Comunicazione della relazione della 1% Giunta per il XIII premio 
Bressa (quadr. 1899-1902) . ; : 7 ; DA Dal 
Nomina della 2° Giunta per il XIII premio Beba È x n 9597 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 69 


1042 INDICE DEL VOL. XXXVIII 


Premio GAUTIERI: 
Relazione della Commissione per il premio Gautieri di Lette- 
ratura (triennio 1899-1901) . i È 2 «c. Posa bi 
Conferimento del premio Gautieri per la sta . : Co 
Programma del premio Gautieri per la Filosofia (trien. 1900-1902) , 102 
Nomina della Commissione per il premio Gautieri per la Filosofia 
(triennio 1900-1902). i : : ; £ > : sO T0 
Premio POLLINI: 
Comunicazione del testamento del Dr. Giacomo PoLtixi che lega 
all'Accademia l’annua rendita di L. 250 per un premio da con- 


ferirsi da essa I *OT9 
L'Accademia autorizza 1. missrdane dei Tardi le postino neces- 
sarie per entrare in possesso i » 380 


Premio VALLAURI: i 
Nomina della Commissione per il premio Vallauri di critica 
della letteratura latina : 84 
Programma dei premi di POLABIZIONE vasale CUOR ‘1903. 1906” 
e 1907-1910) 
Sunri degli Atti verbali delle slot della bas di Esiilie Gioni 


n ‘182 


matematiche e naturali pi 5 
41, 62, 103, 119, 188, 239, 287, 381, ‘427, 469, 518, 695, 700, 817. 
Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze mo- 
rali, storiche e filologiche . 4 s 3 7 } i ANA 
51, 83, 107, 179, 218, 277, 332, 419, 467, 481, 558, 595, 768, 979. 
Sunti degli Atti verbali delle Classi Unite . . 1, 55, 81, 379, 556, 699 


AseLLo (Luigi) — Condizion giuridica delle confraternite di mero culto, 769 
ArmonertI (Cesare) — Determinazioni di gravità relativa in Piemonte 


eseguite coll’'apparato pendolare di Sternek » 388 
AiragHi (Carlo) — V. Foà (Pio) e Camerano (Lorenzo). 
AvLievo (Giuseppe) — Espone il contenuto di un suo scritto: La pe- 

dagogica di Emanuele Kant, inserito nei volumi delle Memorie, 13 
— Il testamento filosofico di Herbert Spencer . È . Sane; 
— Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un suo scritto 

col titolo: La vita oltremondana . ee) 
— Nominato membro della Commissione per sa premio et ci 

per la Filosofia .. " , : 7 5 ‘ rali 
—. Sunto di una memoria isola La vita era ico 3 sre380 


— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie accademiche 
uno scritto del Dr. Stefano Grawpe, intitolato: Il pensiero pe- 
dagogico di Ludovico Antonio Muratori i È | n 993 
— e Carre (Giuseppe) — Relazione intorno la memoria pi 
dal Dr. Stefano Granpe col titolo: Il pensiero PERO REGAR 
L. A. Muratori... " n.908 
— Lo spirito e la materia nell universo. Magia ni il corpo eri 
l’uomo . : ; È 3 : È : ; È î 560 


”» 


INDICE DEL VOLUME XXXVIII 1043 


Actcievo (Giuseppe) — Oltre il mistero 5 : . Pag. 983 
— e Cuironi (Giampietro) — Relazione ite ila memoria del 
Prof. Romualdo Bo8Ba, intitolata: Esame critico dell'opera del 


sig. Jules Gaultier, intitolata: “ Da Kant a Nietasche , . » 1039 
Barsi (Vittorio) — Effemeridi del Sole e della Luna per l’orizzonte 

di Torino e per l’anno 1904 . : » 738 
— e Votra (Luigi) — Passaggi dei lembi dae Ta e Eroi 

nazione dell’ascensione retta del cratere Mòsting A. osservati 

al Circolo meridiano di Torino negli anni 1901 e 1902 . , 241 
Bassani (Francesco) — Nominato Socio corrispondente . 9 Re 
Bazzi (Francesco) — i ML storiche sull’assedio di Verrua 

(1704-1705) . } 6 ) : a 1011 
Beccari (Lodovico) — Sulla reazione dell’ ISAIA a- RO E con 

l’aldeide benzoica x : è ; ; ; - ' n DAL 
— Ricerche sull’acido colico . . 3 n 882 


Beeey (Maria) — V. CARLE (Giuseppe) e ARI fer RIARROI 
— Sunto della memoria: Per un’opera inedita di Pietro Giannone , 506 


Betti (Saverio) — Nominato Socio corrispondente . ; = DIO 
BeLLoni (Antonio) — Gli è conferito una metà del premio RARI 

per la Letteratura D a è 7 ; inning 
— Ringrazia per il conferitogli premio Guadiot : ; ° 3NIDO7 
Berrana (Emilio) — Di una nuova estetica . } 6 ) » 483 
Brapego (Giuseppe) — Nominato Socio detiene 4 1 n 982 
BrancHni (Luigi) e Segre (Corrado) — Relazione sulla memoria del 


Dr. Guido FuBini: Swi gruppi di trasformazioni geodetiche s 329 
— Intorno alle superficie applicabili sui paraboloidi ed alle loro 


trasformazioni . % 3 COTE 
— Sui gruppi continui finiti di Gherdrazioni nt conservano le 

aree od i volumi. : E < i l , s 996 
— Sui gruppi continui finiti di VETRATE TARE proporzionali . s 708 


— V. Secre (Corrado). 
Biscowcini (Giulio) — V. Morera (Giacinto) e Vorrerra (Vito). 
Bizzozero (Enzo) — Sulla rigenerazione dell’epitelio intestinale nei 


pesci . . ° 5 ; ? : è ‘ : ° 966 
Bossa (Romualdo) — V. ALLievo (Giuseppe) e Camroni (Giampietro). 
BorrIs (Giovanni) — Appunti di mineralogia piemontese . : n 685 
Borriro (Giuseppe) — Nominato Socio corrispondente a 3 » 982 
Boero (Tommaso) — Sullo sviluppo in serie di alcune funzioni tra- 

scendenti . 9 5. del 
—. Risoluzione del problema uclsiale della a lbtitatipaio 

nel caso di un piano conduttore indefinito È 7 4 n 448 
BoLtari pi SArnr-Prerre (Emanuele) — V. D’Ovipro (Enrico). 

BoxranteE (Pietro) — Nominato Socio corrispondente . 4 n -982 


BoseLLI (Paolo) — Riferisce verbalmente intorno ai lavori della se- 

zione di Storia del diritto e delle istituzioni economiche so- 

ciali del Congresso internazionale di scienze storiche . » 481 
— Nominato membro della 2* Giunta per il premio Bressa . n 557 


Atti della R. Accademia — Vol. XXXVIII. 69* 


1044, INDICE DEL VOL. XXXVIII 


BoseLLi (Paolo) — Eletto Vice Presidente dell’Accademia. .. Pag. 


— Breve commemorazione del Socio Luigi Cremona 
— V. Prrron (Bernardino). 


Bovero (Alfonso) e Caramipa (Umberto) — V. Foà (Pio) e CamerANO 
(Lorenzo). 


Bréar (Michele) — Invitato a rappresentare l'Accademia al Con- 


gresso degli Orientalisti di Hanoî (Tonchino) declina l’incarico , 


— Eletto Socio straniéro 4 E 
— Ringrazia per la sua nomina a Socio driaere 


Brusa (Emilio) — Dà notizia della prima sentenza arbitrale pronun- 
ziata fra gli Stati Uniti d'America e gli Stati Uniti Messicani 
in conformità della Convenzione per il regolamento pacifico dei 
conflitti internazionali . È 

— Sulla responsabilità dello Stato DEI ito O ; 

— Parole pronunziate sull'opera del Dr. Dionisio AnziLorTI: I mu- 
tamenti nei rapporti patrimoniali fra coniugi nel diritto inter- 
nazionale privato (Firenze, 1900). 

Burari-FortI (Cesare) — Sul moto di un corpo rigido 

Caramipa (Umberto) — V. Bovero (A.) e Caramipa (U.). 

Camerano (Lorenzo) — Eletto Segretario della Classe di scienze fisiche, 
matematiche e naturali ? i 4 

— Nominato membro della 2* Giunta per fi premio Bressa 

— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un suo seritto, 
intitolato: Ricerche intorno alla Talpa romana, Orfielda Thomas, 
ed altre forme di talpe europee 

— - V. Foà (Pio) e Camerano (Lorenzo). 

— V. Parona (Carlo Fabrizio) e Camerano (L.). 

Camperti (Adolfo) — Sul calore di dissociazione elettrolitica 

— Sulla differenza di potenziale tra liquidi e gas : 

Carre (Giuseppe) — Nominato membro della Commissione per il 
premio Vallauri di critica della letteratura latina 

— Nominato membro della Commissione per il premio Gautieri per 
la Filosofia . 

— Presentando il libro del Prof, Vialli Lao: Bronte di filo- 
sofia del diritto (Milano, 1903), ne espone brevemente il conte- 
nuto ed i pregi { 

— e Ferrero (Ermanno) — Pilasenttine per Lipari e@ ore nei v610%ì 
delle Memorie accademiche. un lavoro. della signorina Maria 
Becey, intitolato: Per un’opera inedita di Pietro Giannone 

— Nominato membro della 2% Giunta per il premio Bressa 

‘— V. Arvievo (Giuseppe) e Carre (Giuseppe). 

Crironi (Giampietro) — Di una petizione intorno al divorzio presen- 
tata alla Camera francese . 


— Nominato membro della Commissione per il premio Gautieri per 
la Filosofia 


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557 


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718 


84 


179 


219 


467 
557 


33 


179 


OE: 


INDICE DEL VOL. XXXVIII 1045 


Caironi (Giampietro) — Parole pronunziate presentando 10 pubbli- 
cazioni giuridiche del Dr. Guido BoxoLrs . è é . Pag. 419 
—. Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie accademiche 
uno scritto del prof. Romualdo Bo8ga, intitolato: Esame critico 
dell’opera del sig. Jules Gaultier, intitolata: Da Kant a Nietesche , 420 
— V. Artievo (Giuseppe) e Carroni (Giampietro). 
Cramician (Giacomo) — Nominato Socio corrispondente s' 819 
Crax (Vittorio) — Nominato Socio corrispondente I i n 982 
CrpoLra (Carlo) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Moinovt ie 
accademiche uno scritto del signor Domenico Varta, intitolato: 
Il Collegio Puteano è sn 467 
— Nominato membro della 2* Cia per È, premio ‘eda È 3 ODI 
— e Ferrero (Ermanno) — Relazione intorno alla Memoria del 
Dr. Domenico Varta, intitolata: Vita di Carlo Antonio Dal Pozzo, 
arcivescovo di Pisa, fondatore del Collegio Puteano . : s 593 
Crarerra (Gaudenzio) — V. Ferrero (Ermanno). 
Corownna (Ettore) — Composizione chimica di una cenere del Monte 
Pelée (Martinica). n BU 
Cossa (Alfonso) — V. D’Ovipio (Enrico). 
— V. Sarvapori (Tommaso). 
—  V. Ferrero (Ermanno). 
— V. Guarescai (Icilio). 
Cremona (Luigi) — V. D'Ovipro (Enrico). 
— V. Bosetti (Paolo). 
Damour (Agostino Alessio) — V. D’Ovipro (Enrico). 
Darsoux (G. Gastone) — Eletto Socio straniero . A : : s 819 
De AressanprI (Giulio) — Sopra alcuni avanzi di Cervidi pliocenici 
del Piemonte 7: - : i, È e 3 n 845 
De-Sancris (Gaetano) — Eletto Socio nazionale DO OI A > 982 
Dewar (Giacomo) — Nominato Socio corrispondente . ì n 819 
D’Ovipio (Enrico) — Parole pronunziate ai funerali del Basiiene 
Arronso Cossa. ; ; $ ui 2 
— Partecipa la morte del Socio pessimi non Nate Bicannià 
Fetrici, del Socio straniero Rodolfo Vircnow e del Socio cor- 


rispondente Agostino Alessio DamouR È a AI 
—. Eletto alla carica triennale di Presidente . x mu 96 
— Comunica il R. Decreto che lo conferma nella carica vi Paogià 

dente . ; ) . 183, 218 


— A nome del Socio mi nostre per linenain nelle Me- 

morie accademiche un lavoro del Prof. Antonio Garsasso, in- 

titolato: Teoria elettromagnetica dell'emissione della luce . s 184 
— Partecipa la morte del Socio corrispondente Eugenio Renpu , 218 
— Annunzia la morte del Socio straniero Giorgio Gabriele Sroges, 287 
—. Comunica una lettera del Socio Vito VoLrerRrA colla quale rende 

conto dell’opera sua come rappresentante dell’Accademia alla 


commemorazione del P. Angelo SreccnI s. B08 


1046 INDICE DEL VOL. XXXVIII 


D’Ovipio (Fnrico) — Comunicazione del R. Decreto che approva la 

nomina del Socio Lorenao Camerano a Segretario della Classe Pag. 381 
— Annunzia la morte del Socio straniero Gastone Paris. i s'| 419 
— Annunzia la morte del Vice Presidente Prof. Bernardino Perron , 595 
+ Parole pronunziate ai funerali del Vice Presidente Bernardino 


PevyROoN . : n» 696 
= Comunica la lettiera d'insiito da Comitatò De: at di pll'iname 

gurazione di un monumento a Keguré in Bonn : s 700 
— Comunica la scheda di sottoscrizione per un ricordo da etigàtei 

in Pisa al prof. A. D'AccHiarpr . , n OD 
+ Partecipa la morte del Socio Emanuele VO DI Sari Pitt 

e ne ricorda i meriti . 1 i ‘ s VI 768 


— Comunica l’invito di un Comitato SATA in Batl per com- 
memorare il rimpianto Socio Salvatore Coenerti De Martis , 768 

— Annunzia la morte del Socio nazionale non residente Luigi À 
CREMONA x ‘ 0.817 

— Comunica una a del Preside A RG, Facolt di Soliti del- 
l’Università di Roma circa alle onoranze da tributarsi al com- 


pianto prof. Senatore Luigi CrEMONA . : ; ; L n 46817 
—- Luigi Cremona. Cenno necrologico . - s7 884 
D’Ovipio (Francesco) — Gli si conferisce una metà udita premio ooGvabitiri 

per la Letteratura 2 iI} 1a : 82 
— Ringrazia per il conferitogli premio Cantieri / E î 103, 107 
— Nominato Socio corrispondente . 5 È ; ; ° dr 982 
FeLici (Riccardo) — V. D'Ovipro (Enrico). 
Ferrero (Efisio) — Le condizioni climatiche di Torino durante 

l’anno 1902 . È 3 ni 629 
Ferrero (Ermanno) — Annunzia la 6 AE del Piante RE ‘rn A 1 
— Annunzia la morte del Socio nazionale non residente Gian Gia- 

como Rermonp . s- TEA 
— Trattiene la Classe sul na del sig. Arthur lcontt og plan 

for the Study of man (Washington, 1902) . ; 3 ef 
— Nominato membro della Commissione per il premio Vallauri di 

critica della letteratura latina . È : 7 7 » x 1 SE 
— Gaudenzio Claretta - Parole commemorative ì : - se 279 
— Una nuova iscrizione d’Industria . È ; } o <A 
— Nominato membro della 2* Giunta per il pitti BA i, nei 
— Spada di bronzo scoperta nella Moriana . ; ; 4 s 585 
— V. Crporra (Carlo) e Ferrero (Ermanno). 
Fiorese (Sabino) — Incaricato di rappresentare l'Accademia alle onò- 

ranze che si tributeranno in Bari al compianto Socio Salvatore 

Coanerti De MaRTIIS . 7 n ‘708 
Foà (Pio) — Legge la commemorazione di Rodolfo Vaosib 6R8 è 

pubblicata nei volumi delle Memorie. > . n RR 
— Nominato membro della 1* Giunta per il premio Pipagdta ò n° 240 


— Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche 
uno scritto dei Dottori Alfonso Bovero e Umberto CaramiDA, 


INDICE DEL VOL. XXXVIII 1047 


intilolato: Canali venosi emissari temporali coaguri e petro- 

squamosi } i . Pag. 428 
Foi (Pio) e CameRrANO {Liiresiso} n Hislazibne sella memoria dei dot- 

tori Alfonso Bovero e Umberto Caramipa, intitolata: Canali 


venosi emissari temporali squamosi e petrosquamosi . ki n 477 
— Nominato membro della 2° Giunta per il premio Bressa . si 557 
Fusini (Guido) — Sulla teoria degli spazii che ammettono un gruppo 

conforme , 404 
— VV. BiancHi (Luigi) e gii (o APRI 
Ganpino (Gio. Battista) — Eletto Socio nazionale non residente , 468 
— Ringrazia per la sua nomina a Socio nazionale non residente , 768 
Garri (Enrico) — Proprietà relativa ad una speciale forma di prisma 

rifrangente . 5 » 301 
Gerini (G. B.) — (97 FIRMA fisica SR AO an ola ita- 

liani del secolo XIX . : = n 894 


Giacosa (Piero) — Comportamento dell’ossido di ail poll’ n 864 
GramseLLi (Gio. Zeno) — Alcune proprietà delle funzioni simmetriche 


caratteristiche . 4 3 i 3 » 823 
Giri (Ugo) — Valeriano juniore e Salinas Valesi { : s 1023 
Giupice (Francesco) — Sulla integrazione per sostituzione ‘ » 962 
Groria (Andrea) — Nominato Socio corrispondente . ‘ } » 982 


Grar (Arturo), Perron (Bernardino) e Renrer (Rodolfo) — Relazione 
della Commissione per il premio Gautieri di Letteratura 
(triennio 1899-1901) . _ sl OÙ 
— Presenta per l’inserzione nei alia delle Memori ie sccadiemine 
uno scritto della signorina Emilia ReGIs, intitolato: Studio in- 
torno alla vita di Carlo Botta tracciato con la guida di lettere 
in gran parte inedite . 4 ; 467 
— e Renier (Rodolfo) — Relazione br uno nt della dott. Bibia; 
Rees, intitolato: Studio intorno alla vita di Carlo Botta trac- 
ciato con la guida di lettere in gran parte inedite . : n ORE 
Granpe (Stefano) — V. Arrievo (Giuseppe) e Carre (Giuseppe). 
Grassi (Guido) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie 
accademiche un suo scritto; intitolato: Sugli effetti della disper- 
sione e della reattanza nel funzionamento dei trasformatori a 


corrente alternata . 9 3 P n 239 
— Nominato membro della Dita del premio Vallanzi È ‘ si SRO 
Guarescni (Icilio) — Incaricato della e del Presidente Alfonso 

Cossa . » s 5 
— Parole pronunziate facendo pnegnizia all panda deli suo actor 

Faustino Malaguti e le sue opere ; ; ‘ “a Rea 
— Nominato membro della Giunta per la Piblioteda i ‘ n 63 
— Condensazione delle aldeidi coll’ etere cianacetico ‘ : n 290 
— Legge la commemorazione del defunto Presidente Cossa, la quale 

è inserita nelle Memorie accademiche " . , si 379 
— Nominato membro della 2* Giunta per il premio Bréna 7 Pei; 


— Acidi 1.2diidroftalici esasostituiti . 1 è 1 : x 1190 


1048 INDICE DEL VOL. XXXVIII 


HeLmert (F. Roberto) — Eletto Socio straniero . 


HiLserr (Davide) — Nominato Socio corrispondente 
Japanza (Nicodemo) — Informa l'Accademia che il Dr. GinvorBe. Por- 


LINI, con suo testamento 19 ottobre 1902 legava all'Accademia 
un’annua rendita di L. 250 per un premio da conferirsi da essa 
Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un suo scritto, 
intitolato: Alcuni sistemi diottrici etielie ed una nuova forma 
di Teleobbiettivo 
Esposizione finanziaria per il Ino esercizio 1902 e bilaeadlo 
preventivo per l’anno in corso 


Jannaccone (Pasquale) — Di un economista pianino. dera sec. XVII 


(Donaudi delle Mallere). A proposito di alcuni suoi manoscritti 
inediti . 


Jorio (Carlo) — Contributo alla stadio: delle curve di sncchilie a 


due centri ee: 
Isser (Arturo) — Nominato socio bbesidbondbnten 
KLe8s (Giorgio) — Nominato Socio corrispondente 
Lorentz (Enrico) — Nominato Socio corrispondente 


Manvo (Antonio) — Nominato membro della 2* Giunta per il premio 


Bressa . 
Nominato membro della ima per la Biblioteei 


Marc®anp (Felice) — Nominato Socio corrispondente . . I 
Maroni (Arturo) — Sulle superficie algebriche possedenti due fasci 


di curve algebriche unisecantisi 


Masci (Filippo) — Nominato Socio corrispondente i 
Massa (Carro) — Direttore della Scuola di Commercio in Bari inca- 


ricato di rappresentare l'Accademia alle onoranze che si tri- 
buteranno al compianto Socio Salvatore Coewnerti pe MartIIS 


MarrIroLo (Oreste) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle 
Memorie accademiche un suo scritto, intitolato: I funghi ipogei 
italiani raccolti da O. Beccari, L. Caldesi, A. Carestia, V. Cesati 


e P. A. Saccardo . 


Mayer (Adolfo) — Nominato Socio scsi 
Morssan (Enrico) — Eletto Socio straniero . 
Morera (Giacinto) — Sulle equazioni dinamiche di tamil 


e Naccari (Andrea) — Relazione sulla Memoria del prof. Antonio 
GarBAsso, intitolata: Teoria og gates dell’emissione della 
luce 4 

Presenta a nome del cn Vito asania per lino nei 


volumi delle Memorie accademiche, uno scritto del sig. Giulio - 


Bisconcini, intitolato: Sulle vibrazioni delle membrane elastiche 

e VoLrerra (Vito) — Relazione sulla memoria del Dr. Giulio 
Bisconcini, intitolata: Sulle vibrazioni di una membrana che si 
possono far dipendere da due soli parametri 

I sistemi canoniei d’equazioni ai differenziali totali dielti tectiti 
dei gruppi di trasformazioni 

V. Secre (Corrado) e MorERA (Giacinto): 


Pag. 


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819 
819 


380 


382 


556 


352 
656 
819 
819 
819 
557 
981 
819 
149 
982 


768 


382 


940 


n L'A Re TT eovàT SS 


i, Catia 


fe e 


INDICE DEL VOLUME XXXVIII 1049 


Mosso (Angelo) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie 
accademiche un suo scritto, intitolato: Fisiologia dell’ apnea 


studiata mnell’uomo t : a 514, 701,702 
Naccari (Andrea) — Breve commemorazione del Socio straniero Giorgio 
Gabriele Sroges . 3 uniPag. 287 


— Comunica la Relazione della I° PURA per il XII premio Bressa i 
(quadriennio 1899-1902) , } i x 1957 

— Nominato membro della 2* Giunta per sil premio Bressa . » DDT 

—  V. D’Ovipro (Enrico). 

—  V. Morera (Giacinto) e Naccari (Andrea). 


Nicra (Costantino) — Eletto Socio nazionale non residente n 468 
— Ringrazia per la sua nomina a Socio nazionale non residente , 695 
Novarr (Francesco) — Nominato Socio corrispondente : i; n 982 
Ovazza (Elia) — Metodo grafico di calcolo degli alberi a gomito con 
più di due appoggi . Ì s_T59k 
Pararini (Francesco) — Sulla iupnii'aventtazione delia fotine De in 
particolare della cubica quinaria con la somma di potenze di 
forme lineari i ) std 
Panicai (Ugo) — Contributi alla faniziallogiafia diimale; L' ciali 
e la cristallografia zonale . i i 3 È , i s 185 
Parrs (Gastone) — V. D'Ovipro (Enrico). 
Parona (Carlo Fabrizio) — Nuove osservazioni sui massi di calcare 
rosso a brachiopodi del Lias medio compresi nelle argille sca- 
gliose di Lauriano F 3 s 104 


— Presenta per l’inserzione nei delamni delle Meina accadératehe 
uno scritto del Dr. Carlo Arracat, intitolato: Hchinidi della 


scaglia cretacea veneta . x È n 428 
— e Camerano (Lorenzo) — Relazione daltbi memoria: Echinidi della 

scaglia cretacea veneta, del Dr. Carlo Arracni J È » 476 
Prano (Giuseppe) — La Geometria basata sulle idee di punto e 

distanza È È ; 1 6 
— Preserta il 4° volute del suo L'ERA bath n; 409 
Pryron (Bernardino) — Partecipa che il Socio Paolo BoseLti fece 


dono all'Accademia di 953 volumi e di circa 3700 opuscoli 
— Nominato membro della Commissione per il premio Vallauri di 
critica della letteratura latina . : Penta. 
— V. Grar (Arturo), Perron (Bernardino) e Raiti (Rodolfo). | 
— V. D’Ovrpro (Enrico). 


RE 


Pezzi (Domenico) — Nominato membro della Commissione per il 

premio Vallauri di critica della letteratura latina st e8 
Piccini (Augusto) — Nominato Socio corrispondente . ; s. 819 
Piccinini (Galeazzo) — Condensazione dell'etere cianacetico coll'aldeide 

ed il piperonalio . } : È è , 894 
Pizzetti (Paolo) — Sopra alcune equazioni PIER del ERA n 

degli n corpi : : ; , : ; ; n 954 


— Nominato Socio Diispoadezia » (819 


1050. INDICE DEL VOLUME XXXVIII 


Pizzi (Italo) — Il trattato persiano “ Esposizione delle Religioni , di 


Abù "1 Maàli i ‘ \ : i . Pag. 
Porncaré (G. Enrico) — Eletto Solta VECI ; I 4 
Ponzio (Giacomo) — Sulla costituzione dei cosidetti PRE TOR ETtT 

primarî R.CHN,0, . ; È 3 
— Su un nuovo metodo di preparazione degli soldi misti È f 
Porena (Filippo) — Nominato Socio corrispondente . : : A 
Rayna (Pio) — Eletto Socio nazionale non residente . . J & 
— Ringrazia per la sua nomina a Socio nazionale non residente , 
Reis (Domenico) — Sulla prospettiva parallela . Y ) 9 N 


Reers (Maria) — V. Grar (Arturo) e Renier (Rodolfo). 
Renpu (Eugenio) — V. D'Ovipio (Enrico). 
Renier (Rodolfo) — V. Grar (Arturo), Perron (Bernardino) e Renrer 


(Rodolfo). 
— V. Grar (Arturo) e RenIER (Rodolfo). 
Ricca-BarserIs (Mario) — Sugli effetti della disposizione relativa al 
proprio cadavere . pi à ì È 
Rizzo (G. B.) — Sopra il calcolo della "Corta Maturo È . $ 


— Contributo allo studio della dispersione elettrica nell’atmosfera , 
Roccati (Alessandro) — Ricerche petrografiche sulle Valli del Gesso 


(Valle del Sabbione) . ; } 
— Ricerche petrografiche sulle Valli del osso (Valle della Maria 
e Rocca Val Miana) . i î | : È 
Ronreen (G. Corrado) — Nominato Socio cortispo siii : ; n 
Rossi (Vittorio) — Nominato Socio corrispondente . 1 x 
Rurrini (Francesco) — Teoria e pratica della conquista nel dro 
antico. A proposito di alcuni recenti scritti di Ireneo LAMEIRE , 
— Eletto Socio nazionale residente . i hi 
SaLvapori (Tommaso) — Accenna alla perdita fatta dall Ana 
nella persona del suo Presidente Alfonso Cossa } A 


— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie iecagle 
un suo seritto, intitolato: Contribuzione all’Ornitologia delle 
isole del Golfo di Guinea; Parte I: Uccelli dell'Isola del Principe , 
— — Parte II: Uecelli di S. Tomé : * i, 
— Parte III: Uccelli di Annobom e di E TR adi s sl 


Savio (Fedele) — Le origini della diocesi di Tortona ; x A 
ScraLosa (Vittorio) — Eletto Socio nazionale non residente 5 P 
— Ringrazia per la sua nomina a Socio nazionale non residente , 
Segre (Arturo) — Emanuele Filiberto in Germania e le ultime rela- 


zioni del Duca Carlo lI di Savoia con Alfonso d’Avalos, mar- 
chese del Vasto (1544-1546) î 

Secre (Corrado) — A nome del Socio nazionale non and Vili 
BrancHI presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie 
accademiche un lavoro del Dr. Guido Fugini, intitolato: Su? 
gruppi di trasformazioni geodetiche 

— Congetture intorno all'influenza di Girolamo Salfi ai 
formazione della geometria non-euclidea . 


n 


221 
819 


76 
201 
982 
468 
695 
315 


788 


103 


539 


© sei è daddi vo mn 


INDICE DEL VOL. XXXVIII :1USÌ 


Segre (Corrado) e Morera (Giacinto) — Relazione sulla memoria del 
Dr. Francesco Severi, intitolata: Sulle corrispondenze fra i 
punti di una curva algebrica, e sopra certe classi di superficie Pag. 764 
— V. Brancui (Luigi) e Segre (Corrado). 
Severi (Francesco) — Sulle superficie che rappresentano le coppie 


di punti di una curva algebrica » 185 
— V. Secre (Corrado) e Morera (Giacinto). 
Sruvesrri (Alfredo) — Alcune osservazioni sui Protozoi fossili pie- 
montesi } ? È 7 ; : , ; E - » 260 
Spezia (Giorgio) — Nominato membro della 2* Giunta per il premio 
Bressa . : PR 


— Sull’anidrite micaceo- pi deltition e e roccie dona della 
frana del traforo del Sempione . 4 

Strokes (Giorgio Gabriele) — V. D’Ovipro (Enricol, 

—  V. Naccari (Andrea). 

Varza (Domenico) — V. CipoLra (Carlo) e Ferrero (Ermanno). 

VarmagGi — Per la novella nell'antichità . : È P : 424 

Vircnow (Rodolfo) — V. D’Ovipro (Enrico). 

VisLicenus (Giovanni) — Partecipazione della morte . : n A RO 

Vorra (Luigi) — V. Basi (Vittorio) e Vorra (Luigi). 

VoLrerra (Vito) — Accetta l’incarico di rappresentare l'Accademia 


s 921 


alle feste centenarie in onore di Henrik Aser in Cristiania , 41 
— V. D’Ovipro (Enrico). 
—  V. Morera (Giacinto). 
— V. Morra (Giacinto) e Vorrerra (Vito). 
Wieswner (Giulio) — Nominato Socio corrispondente . . 3 s 819 
Wuwpr (Guglielmo) — Eletto Socio straniero n 468 
— Ringrazia per la sua nomina a Socio straniero E n 699 
ZawnonI (Giovanni) — Federico II di Montefeltro e G. A. custa s 108 
Zeurzen (G. Giorgio) — Nominato Socio corrispondente n 919 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo d di S. S. M e de' RR. Principi. 


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R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


PI FTORINO 
PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXXVIII, Disp. fl? e 2*, 1902-903. 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1903 


SOMMARIO 


ELenco degli Atcademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri 
e Corrispondenti al 25 Gennaio 1903 1g. 


Classi Unite. 


ADUNANZA del 16 Novembre 1902 . : ; Î 3 Pag. : 


D'Ovipro (Enrico) — Parole pronunziate ai funerali del Presidente 3 
ALronso Cossa 


i Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali 
DA ADUNANZA del 16 Novembre 1902 . 


nazionale 
Attievo (Giuseppe) — Il iena filosofico di -Bievbert Spenohi Ra 
Cuironi (Giampietro) — Di una petizione intorno al divorzio pressa 
tata alla Camera francese . 


ADUNANZA del 30 Novembre 1902 . ù i 
; PALATINI (Francesco) — Sulla rappresentazione delle forme ed in 
So particolare della cubica quinaria con la somma di potenze di 
DÈ forme lineari 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologic] 
A ADUNANZA del 7 Dicembre 1902 


ce pera Tip. Vincenzo Bona — Torino 


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R. ACCADEMIA DELLÈ SCIENZE 


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PUBBLICATI 


. DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXXVIII, Disp. 3*, 1902-903. 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1903 


SOMMARIO 


Classi Unite. 


ADUNANZA dol DE Dinvinbis 


Grar (Arturo) — Relazione della Commissione per il premio Gautieri 
di Letteratura (triennio 1899-1901) ; CETRA 


ADUNANZA ‘del 14 Diconibre 1009 20 0 Oa 
Camperti (Adolfo) — Sul calore di dissociazione elettrolitica. 


Ponzio (Giacomo) — - Sulla costituzione dei cosidetti dinitroidrocarburi 
primarî R. CHN;0; n Prot : e 


Classi Unite. S 
ADUNANZA del 21 Dicembre 1902 . RE è. 


ADUNANZA del 21 Dicembre 1900 i Tan e Ri 


Savio (Fedele) — Le origini della diocesi di Tortona î% & 
Premii di Fondazione Gautieri, . % È & x a 


Tip. Vincenzo Bona - Torina 


x. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXXVIII, Disp. 4 e 5*, 1902-903. 


TORINO 


CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1903 


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SOMMARIO 


x 


Classe di Scienze Fisiche; Matematiche e Naturali. 


ADUNANZA del 28 Dicenibre 1902/0006, n, agi 


Parona (Carlo Fabrizio) — Nuove osservazioni sui massi di calcare 
rosso a brachiopodi del Lias medio i nelle argille sca-- i 
gliose di Lauriano 5 È ; 3 i } oa aei a 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


ADUNANZA dell’11 Gennaio 1908 _ } : 7 ; Eu 
Morera (Giacinto) — Sulle equazioni si di Lagrange “ic 
Panicni (Ugo) — Contributi alla cristallografia zonale. L’ omologia 

e la cristallografia zonale. Nota 1° . —. de 
Maroni (Arturo) — Sulle superficie algebriche pain sat Hg 

di curve algebriche unisecantisi x : : : È usi 
Burari-Forti (Cesare) — Sul moto di un corpo rigido  .. ; 3 FASI 
Boero (Tommaso) — Sullo sviluppo in serie di alcune funzioni tra- 

scendenti . 5 o o ; i ; : IS TIIAIRE 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


ADUNANZA del 18 Gennaio 1903 . x . E ei 0 
ALLievo (Giuseppe) — Sunto di una memoria intitolata: La vita ol- 
tremondana 


n 

Programma per il XIV Premio Bio ; 

Programma dei Premi di Fondazione VaLLauri pei EA 1908. 1906. 
e 1907-1910 . 


n 


Tip. Vincenzo Bona — Torina 


Ù 


ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


PEBORINO:- 


PUBBLICATI 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R. Accudemia delle Scienze 


1903 


montesi 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologich 
ADUNANZA del 1° Febbraio 1908. I SET 


Pizzi (Italo) — Il trattato persiano “ Esposizione delle Religioni , 
Abù "1 Maali ò ‘ EIA È È A Na 


Tip. Vincenzo Bona + Torina 


\COADEMIA DELLE SCIENZE — 


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— DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 
| Vox. XXXVIII, Disp. 7°, 1902-903. 


RE > TORINO 


| CARLO CLAUSEN © 
Libraio della R. Accudemia delle Scienze 
Do 1903 


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SOMMARIO 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Natura 


ADUNANZA dell'8 Febbraio 1908... +. /‘..°0. Pag. 


Bari (Vittorio) e Vorra (Luigi) — Passaggi dei lembi della Luna 
e determinazione dell’ascensione retta del cratere Musting A. 
osservati al Circolo meridiano di Torino negli anni 1901 e 1902, 

Morra (Giacinto) — Relazione sulla Memoria del prof. Antonio 
GarBasso, intitolata: Teoria elettromagnetica dell “emissione della 
luce 4 ; ì a 3 È 5 ; ; i a 


ADUNANZA del 15 Febbraio 1908. Vos E Piani 
Ferrero (Ermanno) — Gaudenzio Claretta - Parole commemorative 


Tip. Vinoenzo Bona - Torino 


ACCADEMIA DELLE SCIENZE n 


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DI TORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


TORINO 


CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1903 


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SOMMARIO 


Si 


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Classe di Scienze Fisiche, Matematiche | e Ni 


ADUNANZA del 22 Febbraio 1903... 3 sia 


GuarescH (Icilio) — Condensazione delle aldeidi coll’ etere 
tico. Nota II i io s o ; 
Gammi (Enrico) — Proprietà relativa ad una speciale forma di 
rifrangente . . . : s 
‘ Reis i = Sulla iosa parallela. 


Su gruppi di trasformazioni geodetiche a 


Classe di Scienze Morali, Storiche e F. 


ADUNANZA del'1° Marzo 1908 gi“ hacrostaa 
- Gemmi (G. B.) — L'educazione fisica secondo. alcuni pedago; 
liani del secolo XIX . î : i ; . 04, 


JANNACCONE (Pasquale) — Di un economista piemontese del sec. 
(Donaudi delle Mallere). A proposito di aleuni suoi manoserì 
inediti. ra E I A E 


Tip. Vincenzo Bona — Torina 


DE FOREIENO 


PUBBLICATI 


Vor. XXXVIII, Disp. 9*, 1902-903. 


TORINO 


CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accudemia delle Scienze 


1903 


Ferrero (Ermanno) — Una nuova iscrizione d’Industria . î 


SOMMARIO 


Classi Unite. 
ADUNANZA dell’8 Marzo 1908... . 0, 


ADUNANZA dell'8 Marzo 1908 . Soa ; ; È 


ArmonertI (Cesare) — Determinazioni di gravità relativa in Piemonte. — 
eseguite coll’apparato pendolare di Sternek  . AREA 
Fusini (Guido) — Sulla teoria degli spazii che ammettono un gruppo 
conforme . È i È } : ; : " 7 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 
ADUNANZA del 15 Marzo 1908... . 


Varmacci — Per la novella nell'antichità . Z è È z 


a 


Tip. Vincenzo Bona - Torina 


. ACCADEMIA DELLE SCIENZE © 
DEC. EO: RINO 


PUBBLICATI 


— DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXXVIII, Disp. 10*, 1902-903. 


TORINO 


CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1903 


ADUNANZA del 29 Marzo 1908 . 


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Tip. Vincenzo Bona - Torino 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE — 


DI TORINO 


PUBBLICATI 


TORINO 


CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1903 


SOMMARIO 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali: 


ADUNANZA del 5, Aprile 1908 . : 3 TORE 3 Pag 46 
Coronna (Ettore) — Composizione chimica di una cenere del Monte . 

Pelée (Martinica). È È ; 1 ; È ; Rasa 
Parona (Carlo Fabrizio) — Itelazione sulla memoria: Eckinidi della 


scaglia cretacea veneta, del Dott. Carlo Anragni . . Dr, 
Foà (Pio) — Relazione sulla memoria dei dottori Alfonso Bovero e “a 

Umberto CaLAMIDA, intitolata: Canali venosi emissari temporali 

squamosi e petrosquamosi. Ricerche morfologiche... " > 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. i 


ADUNANZA del 19 Aprile 1908 Ì ; £ ; ; Pag. 
Berrana (Emilio) — Di una nuova estetica. ; Pi È al 
‘Suxro della memoria della Prof.* Maria Beory: Per un’opera ind 

di Pietro Giannone ; È : ) i ; ; di 


Arrievo (Giuseppe) — Relazione intorno la memoria SreRgtala dal 
Dr. Stefano Granpe col titolo: Il pensiero pedagogico di L. A. 
Muratori ; i 5 î x : È ; ; > 

Grar (Arturo) — Relazione sopra uno scritto dalia Dott. Emilia Recis, 
intitolato: Studio intorno alla vita di Carlo Botta -. ; Pigi 


i D.&- 


Tip. Vincenzo Bona - Torina 


PIRO ERIN O 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXXVII, Disp. 12*, 1902-903. 


TORINO 


CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accudemia delie Scienze 


1903 


ADUNANZA del 26 Aprile 1903. È - z ì Pigi 


Bianconi (Luigi) — Intorno alle superficie applicabili sui paraboloidi 3 
ed alle loro trasformazioni È ‘ DIGI 
Seere (Corrado) — Congetture intorno all influenza ‘di Girolemate 3: 
Saccheri sulla formazione della geometria non-euclidea , 
Beccari (Lodovico) — Sulla reazione dell’etere a-cianpropionico con 
l'aldeide benzoica ) s ; ; È } p 


Classi Unite. 
ADUNANZA del 8 Maggio 1908 È ù 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


ADUNANZA del 8 Maggio 1908... Pag. 


Artirvo (Giuseppe) — Lo spirito e la materia nell'universo. L'anima. Sc 
ed il corpo nell'uomo . I 
Ferrero (Ermanno) — Spada di fo oa Lr Moda 
Rourrini (Francesco) — Teoria e pratica della conquista nel diritto. 
antico. A proposito di alcuni recenti scritti di Ireneo Lamerre , _ 
Crporra (Carlo) — Relazione intorno alla Memoria del Dr. Domenico 
Varna, intitolata: Vita di Carlo Antonio Dal Pozzo, arcivescovo 
di Pisa, fondatore del Collegio Puteano 


Tip. Vincenzo Bona — Torina 


DEIELORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XXXVIII, Disp. 13*, 1902-9603. 


TORINO 


CARLO CLAUSEN 
Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1903 


SOMMARIO 


ADUNANZA del 10 Maggio 1908. . +... Pag 


BrancÒÙi (Luigi) — Sui gruppi continui finiti di trasformazioni cho È 
conservano le aree od i volumi . ; î ‘ ; : 

Rizzo (G. B.) — Sopra il calcolo della Costante solare —. —. )] 

Ferrero (Efisio) — Le condizioni climatiche di Torino durante 
l’anno:1902% ire e DER i III RI 

Jorro (Carlo) — Contributo allo studio delle curve di raccordo BI 
due centri . ; : ‘ : 5 ) s 

Borris (Giovanni) — SA di mineralogia dae ; È 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


ADUNANZA del 17 Maggio 1903. ; ? e 
D’Ovipro (Enrico) — Parole pronunziate ai funerali del Vice presi- 
dente Bernardino Perron . F x è : : È 
più 


Tip. Vincenzo Bona — Torino 


ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


Ddl CORINO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


. 


Voi, XXXVIII, Disp. 14*, 1902-903. 


TORINO 
| CARLO CLAUSEN 
| Libraio della R. Accademia delle Scienze 
1903 


SOMMARIO 


Classi Unite. 
ADUNANZA del 24 Maggio 1908 


ADUNANZA del 24 Maggio 1903. a A Re Pr 


Biaxc®i (Luigi) — Sui SCIpRÌ- CORIONI finiti di VIREFornin IERI pro- 
porzionali. «. |. : : ; È ; ; ni 
Camperti (Adolfo) — Sulla differenza di potenziale bia ian e ‘pas n° 
‘Bar8i (Vittorio) — Effemeridi del Sole, della Luna e dei princrpili 
Pianeti per l'orizzonte di ‘Torino e per l’anno 1904. 
GUARESCHI {lcilio) Si Acidi REI esasostituiti RETRO. 


più di due appoggi i MEA ‘ ; ; aa 
Segre (Corrado) — Relazione sulla . memoria del. Dott. Francesco 
- Severi, intitolata:» Sulle corrispondenze fra i punti di una curva 
Maroon e sopra certe classi di paperino di 


dipendere “da + soli parametri ; 


Classe di Scienze Morali, Storiche: e Filologiche 


ADUNANZA del 31 Maggio 1903... i 2 ; n 
AseLro (Luigi) — Condizion iaza delle confraternite di m 
culto. :. ; ; 1 x ; : 5 È 


marchese del Vasto (1544. 1940) oca 


Tip. Vincenzo Bona - Torina 


Vor. XXXVII, Disp. {5*, 1902-903. 


Ts 
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PUBBLICATI 


+ 


DI TORINO 


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+ DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


eri DI î 
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Classe di Scienze Fisiche, Matematiche. e Na 


ADUNANZA del 14 Giugno 1908 e A 
D'Ovipio (Enrico) — Luigi Cremona, canna necrologico dia i 
GramseLri (Giovanni Zeno) — Alcune. proprietà delle azioni sim 

triche caratteristiche .. : ' MiO da 5 VA 
De Aressanpri (Giulio) — - Sopra alcuni avanzi di Cervidi Plio 

del’ Piemonte = 2050 Ref c 
Rizzo (G. B.) — Contributo allo ‘studio della Mo, sn 

nell'atmosfera‘ |. î sani ti, TIENE \ è 
Giacosa (Piero) — ‘Sul comportamento dell’ossido di nicht nell’ 


ganiemo ©. lu RO È a gn x Rata 
Bxccari (Lodovico) — His sull'acido colico. 0 00; 
Piccinini (Galeazzo) —- Condensazione dell'etere cianacetico con 1 
deide cinnamica ed il piperonalio |... 
Spezia (Giorgio) — Sulla anidrite micaceo-dolomitica e sulle ro 
decomposte della frana del traforo del Sempione . Pa 
Roccati (Alessandro) — Ricerche petrografiche sulle valli del Ge 
(Valle della Meris e .Rocca Val Miana). GG. 0. 
Morera (Giacinto) — I sistemi canonici d’equazioni ai differenz 
totali nella teoria dei gruppi di trasformazioni bo 
Pizzetti (Paolo) — Sopra alcune equazioni fondamentali nel problem 
degli » corpi i È : ; È 3 RA 
Giupice (Francesco) — Sulla iano per sostituzione po 
Bizzozero (Enzo) — Sulla rigenerazione dell’epitelio intestinale n 
pesci . . Sr > È ; : | piaci 3 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologic | 


ADUNANZA del 21 Giugno 1903... e Pao Lt ; 
ArLievo (Giuseppe) — Oltre il mistero vo 3 ; Rs 
Rrcca-Barseris (Mario) — Sugli effetti della PT relativa 

proprio cadavere . o 7 a , wai 
Bazzi (Francesco) — Spigolature storiche sull’ Lala di Verr 

1704-1705... ) iv I 4 ; 
Giri (Ugo) — Valeriano iuniore e SA Valineno ; Be 


Aruievo (Giuseppe) — Relazione intorno la memoria presentata 
prof. Romualdo BoBza opi titolo; Esame AAT dell'og 


INDICE 


Tip. Vinoenzo Bona — Torina 


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