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Full text of "Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino"

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ATTI 


DELLA 


ACCADEMIA DELLE SCIENZE. 


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PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


VOLUME QUARANTESIMOTERZO 
1907-908 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R. Accademia delle Scienze 


1908 


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ELENCO 
ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI 


STRANIERI E CORRISPONDENTI 
aL 51 Dicemre 1907. 


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NB. — La prima data è quella dell'elezione, 
la seconda quella del R. Decreto che approva l'elezione. 


PRESIDENTE 


D'Ovidio (Enrico), Senatore del Regno, Dottore in Matematica, Professore 
ordinario di Algebra e Geometria analitica e incaricato di Analisi supe- 
riore, Direttore del R. Politecnico di Torino, Uno dei XL della Società, 
Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Cor- 
rispondente della R. Accademia delle Scienze di Napoli e del R. Istituto 
Lombardo di Scienze e Lettere, onorario della R. Accademia di Scienze, 
Lettere ed Arti di Modena, Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società 
matematiche di Parigi e Praga, Membro del Consiglio superiore della 
Pubblica Istruzione, ecc., Uffiz. #, Comm. aes. — Torino, Corso Oporto, 30. 

Rieletto alla carica il 17 marzo 1907 — 19 aprile 1907. 


VIcE-PRESIDENTE 


Boselli (Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Uni- 
versità di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Professore 
Onorario della R. Università di Bologna, Vice-Presidente della R. Depu- 
tazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio 
Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente della Società 
di Storia Patria di Savona, Socio onorario della Società Ligure di Storia 
Patria, Socio onorario dell’Accademia di Massa, Socio della R. Acca- 
demia di Agricoltura, Corrispondente dell’Accademia Dafnica di Acireale, 
Presidente Onorario della Società di Storia Patria degli Abruzzi in 
Aquila, Membro del Consiglio e della Giunta degli archivi, Presidente 
del Comitato Centrale della Società “ Dante Alighieri ,, Presidente del 
Consiglio di Amministrazione del R. Politecnico di Torino, Presidente 
del Consiglio Superiore della Marina Mercantile, Consigliere e Tesoriere 
generale degli Ordini dei Ss. Maurizio e Lazzaro e della Corona d'Italia, 
Deputato al Parlamento nazionale, Presidente del Consiglio provinciale 
di Torino, Gr. Cord. & e #9, Gr. Cord. dell’Aquila Rossa di Prussia, del- 
l'Ordine di Alberto di Sassonia, dell’Ord. di Bertoldo I di Zàhringen 
(Baden), e dell'Ordine del Sole Levante del Giappone, Gr. Uffiz. O. di Leo- 
poldo del Belgio, Uffiz. delia Cor. di Pr., della L. d'O. di Francia, e Ca 
della Concezione del Portogallo. — Torino, Piazza Maria Teresa, 3. 
Rieletto alla carica il 17 marzo 1907 — 19 aprile 1907. 


IV 


TESORIERE 


Parona (Carlo Fabrizio), Dottore in Scienze naturali, Professore e Direttore 
del Museo di Geologia e di Paleontologia della R. Università di Torino, 
Socio residente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio cor- 
rispondente della R. Accademia dei Lincei, del R. Istituto Lombardo di 
Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della 
R. Accademia delle Scienze di Napoli, e Corrispondente dell’I. R. Istituto 
Geologico di Vienna, Membro del R. Comitato Geologico, ece., Cav. es. 
— Torino, Museo Geologico della R. Università, Palazzo Carignano. 

Eletto alla carica 9 giugno 1907 — 30 giugno 1907. 


CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATRMATICHE E NATURALI 


Direttore 


Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale 
nella R. Università di Torino, uno dei XL della Società Italiana delle 
Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispon- 
dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell'Accademia 
Gioenia di Scienze naturali di Catania e dell’Accademia Pontaniana, 
Uffiz. &, Comm. €. — Torino, Via Sant’ Anselmo, 6. 

Eletto alla carica il 15 dicembre 1907. 


Segretario 


Camerano (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, mate- 
matiche e naturali, Professore di Anatomia comparata e di Zoologia e Di- 
rettore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Membro del Con- 
siglio e della Giunta Superiore della Pubblica Istruzione, Rettore della 
R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di T'o- 
rino, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed 
Arti, Membro della Società Zoologica di Francia, Socio corrispondente del 
Museo Civico di Rovereto, della Società Scientifica del Cile, della Società 
Spagnuola di Storia naturale, Socio straniero della Società Zoologica di 
Londra, Socio onorario della Società scientifica del Messico, &, Comm. ess. 
— Torino, Museo Zoologico della R. Università, Palazzo Carignano. 

Rieletto alla carica il 14 aprile 1907 — 25 aprile 1907. 


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ACCADEMICI RESIDENTI 


Salvadori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Diret- 


tore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di 
Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia 
di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze naturali, 
dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro della Società Zoologica di 
Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della Società dei 
Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, della 
Reale Società delle Scienze naturali delle Indie Neerlandesi e del 
R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della 
Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, Socio straniero della 
British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Orni- 
thological Club, Socio Straniero dell'American Ornithologist's Union, e 
Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordi- 
nario della Società Ornitologica tedesca, Uffiz. =, Cav. dell'O, di S. Gia- 
como del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). — Torino, 
Via Principe Tommaso, 17. 
29 Gennaio 1871 - 9 febbraio 1871. — Pensionato 21 marzo 1878. 


D'Ovidio (Enrico), predetto. 


29 Dicembre 1878 - 16 gennaio 1879. — Pensionato 28 novembre 1889. 


Naccari (Andrea), predetto. 


5 Dicembre 1880 - 23 dicembre 1880. — Pensionato 8 giugno 1893. 


Mosso (Angelo), Senatore del Regno, Dottore in Medicina e Chirurgia, Pro- 


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fessore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale 
della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell’ Istituto di 
Francia (Accademia delle Scienze), della R. Accademia di Medicina di 
Torino, uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, L. L. D. del- 
l Università di Worcester, Socio onorario della R. Accademia medica 
Gioenia di Scienze naturali di Catania, della R. Accademia medica di 
Roma, dell’Accademia di Genova, Socio dell’Accademia delle Scienze 
dell'Istituto di Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo 
di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed 
Arti, dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae 
Curiosorum, Membro onorario della Società imperiale dei medici di 
Vienna, della Societa Reale delle Scienze mediche di Bruxelles, della 
Società fisico-medica di Erlangen, Socio straordinario della R. Acca- 
demia di Scienze di Svezia, Socio corrispondente della Società Reale di 
Napoli, Socio corrispondente della Società di Biologia di Parigi, ece., 
Socio onorario della Boston Society of Natural History, Corrispondente 
straniero dell’Accademia R. di Medicina del Belgio, Membro onorario 
dell’Accademia Imperiale di Medicina di Pietroburgo, Socio corrispon- 
dente dell’Accademia Reale di Medicina del Belgio, Socio straniero del- 
l'Accademia medica di Parigi, Membro onorario della Società dei Natu- 
ralisti della Svizzera, #, Comm. @2. — Torino, Via Madama Cristina, 34. 

11 Dicembre 1881 - 25 dicembre 1881. — Pensionato 17 agosto 1894. 


VI 


Spezia (Giorgio), tit erafcasore di Mineralogia e Direttore del Museo 
mineralogico della R. Università di Torino, ee. — Torino, Via Acca- 
demia Albertina, 21. 


15 Giugno 1884 - 6 luglio 1884. — Pensionato 5 settembre 1895. 


Camerano (Lorenzo), predetto. 
10 Febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. 


Segre (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geometria superiore 
nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lin- 
cei e della Società Italiana delle Scienze (dei XL), Membro onorario della 
Società Filosofica di Cambridge, Socio straniero dell’Accademia delle 
Seienze del Belgio e di quella di Danimarca, Corrispondente della Società 
Fisico-Medica di Erlangen, del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Ve- 
neto di Scienze, Lettere ed Arti, em. — Torino, Corso Vittorio Eman., 85. 


10 Gennaio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. 


Peano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Calcolo infinitesi- 
male nella R. Università di Torino, Socio della “ Sociedad Cientifica ,, 
del Messico, Socio del Circolo Matematico di Palermo, della Società 
matematica di Kasan, della Società filosofica di Ginevra, corrispondente 
della R. Accademia dei Lincei, e. — Torino, Via Barbaroux, 4. 

25 Gennaio 1891 - 5 febbraio 1891. — Pensionato 22 giugno 1899. 


Jadanza (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica 
nella R. Università di Torino e di Geometria pratica nella R. Scuola 
d’Applicazione per gl’Ingegneri, Socio dell’Accademia Pontaniana di 
Napoli, dell’Accademia Dafnica di Acireale e della Società degli Inge- 
gneri Civili di Lisbona, Uff. #®. — Torino, Via Madama Cristina, 11. 

3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 17 ottobre 1902. 

Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Anatomia Pato- 


logica nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Acca- 
demia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio 


corrispondente del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto, . 


&%, Comm. €. — Torino, Corso Valentino, 40. 
3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 9 novembre 1902. 


Guareschi (Icilio), Dottore in Scienze naturali, Professore e Direttore del- 
l'Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica nella R. Università 
di Torino, Direttore della Scuola di Farmacia, Socio della R. Acca- 
demia di Medicina di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura 
di Torino, Socio della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, Socio 
onorario della Società di Farmacia di Torino, Membro anziano del Con- 
siglio Sanitario Provinciale, Cittadino Onorario di Crespellano (Bologna), 
Membro corrispondente dell’Accademia di Medicina di Parigi, Socio della 
Deutsche Gesellschaft b. Geschichte d. Medizin und Naturwissenschaften, 
Membro della Società Chimica di Berlino, della Ber?. Gesellsch. f. Gesch. 
A. Naturwiss., ecc., Uff. e, Y. — Torino, Corso Valentino, 11. 

12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. — Pensionato 28 maggio 1903. 


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Guidi (Camillo), Ingegnere, Professore ordinaàrie-di Statica grafica e scienza 
delle costruzioni e Direttore dell’annesso Laboratorio sperimentale nel 
R. Politecnico in Torino, Uff. & e ee». — Torino, Corso Valentino, 7. 
31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 11 giugno 1903. 
Fileti (Michele), Dottore in Chimica, Professore ordinario di Chimica gene- 
rale, suis. — Torino, Via Bidone, 36. 
31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 10 marzo 1904. 
Parona (Carlo Fabrizio), predetto. 
15 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. 
Mattirolo (Oreste), Dottore in Medicina e Chirurgia e Scienze naturali, 
Professore ordinario di Botanica e Direttore dell'Istituto botanico della 
R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, 
Socio della R. Accademia di Medicina e della R. Accademia di Agri- 
coltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di 
Scienze e Lettere, dell’Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bo- 
logna, della Società Imperiale di Scienze naturali di Mosca, della Royal 
Botanical Society di Edinburgh, della Società Veneto-Trentina, ecc., et, 
— Torino, Orto Botanico della R. Università al Valentino. 
10 Marzo 1901 - 16 marzo 1901. 


Morera (Giacinto), Ingegnere, Dottore in Matematiche, Professore ordinario 
di Meccanica razionale, incaricato di Meccanica superiore e Preside della 
Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali nella R. Università 
di Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Professore ono- 
rario della R. Università di Genova, €. — Torino, Via della Rocca, 22. 

9 Febbraio 1902 - 23 febbraio 1902. 


Grassi (Guido), Professore ordinario di Elettrotecnica e Direttore della 
scuola Galileo Ferraris nel R. Politecnico di Torino, Socio ordinario 
della R. Accademia di Scienze fisiche e matematiche di Napoli, del- 
l'Accademia Pontaniana e del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli, 
Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Comm. €22, — Torino, 
Via Amedeo Avogadro, 9. 

9 Febbraio 1902 - 23 febbraio 1902. 


Somigliana (nob. Carlo), Dottore in Matematiche, Professore ordinario di 
Fisica matematica nella R. Università di Torino, rappresentante del- 
l'Accademia nel Consiglio amministrativo del R. Politeenico di Torino, 
Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e del R. Istituto 
Lombardo di Scienze e Lettere. — Corso, Vinzaglio, 10. 

5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. 


Fusari (Romeo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore ordinario di 
Anatomia umana, descrittiva e topografica e Direttore dell’ Istituto 
anatomico della R. Università di Torino, Socio dell’Accademia di Me- 
dicina di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, fon- 
datore della Società medico-chirurgica di Pavia, onorario dell’Acca- 
demia delle Scienze mediche e naturali di Ferrara, ga. — Via Baretti, 45. 

5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. 


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ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI 


Di Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale 

: nella R. Università di Roma, uno dei XL della Società Italiana delle 
Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei e della Società 
Reale di Napoli, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze 
e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Cor- 
rispondente dell'Istituto di Francia, dell’Accademia delle Scienze di 
Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, Associato dell’Accademia Reale 
delle Scienze del Belgio, Socio straniero della R. Accademia delle 
Scienze di Baviera, della Società Reale di Londra, della Società Reale 
di Edimburgo e della Società letteraria e filosofica di Manchester, Socio 
onorario della Società chimica tedesca, di Londra e Americana, Comm. «, 
Gr. Cr. ex. &. — Roma, Istituto chimico, Via Panisperna, 89 B. 

8 Luglio 1864 - 11 luglio 1864. 


Schiaparelli (Giovanni), Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, 
Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia 
dei Lincei, dell’ Accademia Reale di Napoli e dell’ Accademia delle 
Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio straniero dell’Istituto di Francia 
(Accademia delle Scienze), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di 
Berlino, di Pietroburgo, di Stoccolma, di Upsala, di Cracovia, della 
Società de’ Naturalisti di Mosca, della Società Reale e della Società 
astronomica di Londra, delle Società filosofiche di Filadelfia e di Man- 
chester, e di altre Società scientifiche nazionali e straniere, Gr. Cord. e, 
Comm. &, <=. — Milano, Via Fate Bene Fratelli, 7 

16 Gennaio 1870 - 30 gennaio 1870. 


Volterra (Vito), Senatore del Regno, Dottore in Fisica, Dottore onorario 
A in Matematiche della Università Fridericiana di Christiania e Dottore 
onorario in scienze della Università di Cambridge, Professore di Fisica 
matematica e incaricato di Meccanica celeste e Preside della Facoltà 
di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Roma, 
Presidente della Società italiana di Fisica, Presidente della Società ita- 
liana per il progresso delle Scienze, uno dei XL della Società Italiana 
delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Accade- 
mico corrispondente della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di 
Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e 
Lettere, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed 
Arti di Modena, Socio onorario dell’Accademia Gioenia di Scienze na- 
turali di Catania, Membro nazionale della Società degli Spettroscopisti 
italiani, Socio corrispondente nella Sezione di Geometria dell’Accademia 
delle Scienze di Parigi, Socio corrispondente della R. Accademia delle 
Scienze di Gottinga, Membro onorario della Società Matematica di 
Londra e Membro onorario della Società di Scienze fisiche e naturali 

di Bordeaux, &, e. — Roma, Via in Lucina, 17. 

3 Febbraio 1895 - 11 febbraio 1895. 


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IX 


Fergola (Emanuele), Senatore del Regno, Professore di Astronomia. nello 
R. Università di Napoli, Socio ordinario residente della R., Accademia 
delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, Membro della Società 
italiana dei XL, Socio della R. Accademia dei Lincei e dell’Accademia 
Pontaniana, Socio ordinario del R. Istituto d’ incoraggiamento” alle 
Scienze naturali, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto, Comm. &, 
Gr. Uffiz. &2, — Napoli, Regio Osservatorio di Capodimonte.* 

12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. 


Bianchi (Luigi), Professore di Geometria analitica nella R. Università di 
Pisa, Socio ordinario della R. Accademia dei Lincei e della Società Ita- 
liana delle Scienze, detta dei XL; Socio corrispondente dell’Accademia 
delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, dell’Accademia delle 
Scienze dell'Istituto di Bologna e-del R. Istituto Lombardo di Scienze 
e Lettere in Milano, &, «2. — Pisa, Via Manzoni, 3. 

13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. 


Dini (Ulisse), Senatore del Regno, Professore di Analisi Superiore nella 
R. Università di Pisa, Direttore della R. Scuola Normale Superiore di 
Pisa, Socio della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana detta 
dei XL, Corrispondente della R. Società delle Scienze di Gottinga, del- 
l'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lom- 
bardo di Scienze e Lettere, Membro straniero della London mathematical 
Society, Dottore onorario dell'Università di Christiania, Membro del Con- 
siglio Superiore e della Giunta di Pubblica Istruzione, Uff. &, Cav. #22, =. 

13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. 


Golgi (Camillo), Senatore del Regno, Membro del Consiglio superiore di 
Sanità, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, Dottore 
in Scienze ad honorem dell'Università di Cambridge, Membro onorario 
dell’Università Imperiale di Charkoft, uno dei XL della Società italiana 
delle Scienze, Membro della Società per la Medicina interna di Berlino, 
Membro onorario della Imp. Accademia Medica di Pietroburgo, della 
Società di Psichiatria e Neurologia di Vienna, Socio corrispondente 
onorario della Neurological Society di Londra, Membro corrispondente 
della Société de Biologie di Parigi, Membro dell’Academia Caesarea Leo- 
poldino-Carolina, Socio della R. Società delle Scienze di Gottinga e 
delle Società Fisico-mediche di Wiirzburg, di Erlangen, di Gand, Membro 
della Società Anatomica, Socio nazionale della R. Accademia delle 
Scienze di Bologna, Socio corrispondente dell’Accademia di Medicina di 
Torino, Socio onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di 
Padova, Socio corrispondente dell’Accademia Medico-fisica Fiorentina, 
della R. Accademia delle Scienze mediche di Palermo, della Società 
Medico-chirurgica di Bologna, Socio onorario della R. Accademia Me- 
dica di Roma, Socio onorario della R. Accademia Medico-chirurgiea di 
Genova, Socio corrispondente dell’Accademia Fisiocritica di Siena, del- 
l'Accademia Medico-chirargica di Perugia, della Societas medicorum 
Svecana di Stoccolma, Membro onorario dell'American Neurological Asso- 


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ciation di New-York, Setio onorario della Royal Microscopical Society di 
Londra, Membro torrispondente della R. Accademia di Medicina del 
Belgio, Membro onorario della Società freniatrica italiana e dell’Asso- 
ciazione Medico-Lombarda, Socio onorario del Comizio Agrario di Pavia, 
Professore ordinario di Patologia generale e di Istologia nella R. Uni- 
versità di Pavia, Membro effettivo della Società Italiana d’'Igiene e 
dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Membro onorario dell’Uni- 
versità di Dublino, Socio corrispondente della Società medica di Batavia, 
Membro straniero dell’Accademia di Medicina di Parigi, Membro ono- 
rario dell’Imperiale Società degli alienisti e neurologi di Kazan, Socio 
emerito della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli, Socio corri- 
spondente dell’Imp. Accademia delle Scienze di Vienna, Socio onorario 
della R. Società dei Medici in Vienna, Cav. «tè, €, Comm. $. | 

13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. 


Lorenzoni (Giuseppe), Dottore negli Studi d’ Imgegnere civile ed Architetto, 


Professore di Astronomia della R. Università e Direttore dell’Osser- î 
vatorio astronomico di Padova, Socio nazionale della R. Accademia dei 
Lincei, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Socio effettivo 


del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di | 


Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio corrispondente della R. Acca- 
demia di Scienze ed Arti di Modena, Membro della Società Imperiale dei 
Naturalisti di Mosca, &, Comm. =. — Padova, Osservatorio astronomico. 
5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. 
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ACCADEMICI STRANIERI j 
| 
Klein (Felice), Professore nell'Università di Gottinga. — 10 Gennaio 1897 - ( 
24 gennaio 1897. à 
Haeckel (Ernesto), Professore nella Università di Jena. — 13 Febbraio 1898 i 
- 24 febbraio 1898. È 
Darboux (Giovanni Gastone), Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — ] 


14 Giugno 1903 - 28 giugno 1903. 

Poincaré (Giulio Enrico), Membro dell’Istituto di Francia (Parigi). — 14 Giu- 
gno 1903 - 28 giugno 1903. 

Helmert (Federico Roberto), Direttore del R. Istituto Geodetico di Prussia, 
Potsdam. — 14 Giugno 1903 - 28 giugno 1903. 

Hoff (Giacomo Enrico van ’t), Professore nella Università di Berlino. — 
ò5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. 


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CORRISPONDENTI % 


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Sezione di Matematiche pure. PA 


Tardy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova (Firenze). 
— 16 Luglio 1864. 

Cantor (Maurizio), Professore nell'Università di Heidelberg. — 25 Giugno 1876. 

Schwarz (Ermanno A.), Professore nella Università di Berlino. — 19 Di- 
cembre 1880. 

Bertini (Eugenio); Professore nella Regia Università di Pisa.— 9 Marzo 1890. 

Noether (Massimiliano), Professore nell’ Università di Frlangen. — 3 Di- 
cembre 1893. 

Jordan (Camillo), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto 
(Parigi). — 12 Gennaio 1896. 

Mittag-Leffler (Gustavo), Professore a Stoccolma. — 12 Gennaio 1896. 

Picard (Emilio), Professore alla Sorbonne, Membro dell'Istituto di Francia, 
Parigi. — 10 Gennaio 1897. 

Castelnuovo (Guido), Prof. nella R. Università di Roma. — 17 Aprile 1898. 

Veronese (Giuseppe), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di Padova. 
— 17 Aprile 1898. 

Zeuthen (Gerolamo Giorgio), Professore nella Università di Copenhagen. — 
14 Giugno 1903. 

Hilbert (Davide), Prof. nell'Università di Gòttingen. — 14 Giugno 1903. 

Mayer (Adolfo), Professore nell'Università di Leipzig. — 14 Giugno 1903. 


Sezione di Matematiche applicate, 
Astronomia e scienza dell’ingegnere civile e militare. 


Zeuner (Gustavo), Professore nel Politecnico di Dresda. — 3 Dicembre 1893. 

Ewing (Giovanni Alfredo), Professore nell’ Università di Cambridge. — 
27 Maggio 1894. 

Celoria (Giovanni), Astronomo all'Osservatorio di Milano. — 12 Gennaio 1896. 

Pizzetti (Paolo), Professore nella R. Università di Pisa. — 14 Giugno 1903. 

Newcomb (Simone), Professore di Matematica e di Astronomia nell’Uni- 
versità di Baltimora. — 5 Marzo 1905. 


Sezione di Fisica generale e sperimentale. 


Blaserna (Pietro), Senatore del Regno, Professore di Fisica sperimentale 
nella R. Università di Roma. — 30 Novembre 1873. 

Kohlraaseh (Federico), Presidente dell'Istituto Fisico-Tecnico in Marburg 
(Bezirk Cassel). — 2 Gennaio 1881. 

Roiti (Antonio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e di per- 
fezionamento in Firenze. — 12 Marzo 1882. 


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XII e 


Righi (Augusto), Senatore del Regno, Professore di Fisica sperimentale 
nella R. Università di Bologna. — 14 Dicembre 1884. 
Lippmann (Gabriele), dell'Istituto di Francia (Parigi). — 15 Maggio 1892. 
po (Lord Giovanni Guglielmo), Professore nella Royal Institution di 
ondra. — 3 Febbraio 1895. 
ad Thom (Giuseppe Giovanni), Professore nell'Università di Cambridge. — 
12 Bénnaio 1896. 
Mascart (Eleuterio), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto 
(Parigi). — 10 Gennaio 1897. 
Pacinotti (Antonio), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di 
Pisa. — 17 Aprile 1898. 
Rintgen (Guglielmo Corrado), Professore nell'Università di Miinchen. — 
14 Giugno 1903. i 
Lorentz (Enrico), Professore nell'Università di Leiden. — 14 Giugno 1903. 


Sezione di Chimica generale ed applicata. 


Paternò (Emanuele), Senatore del Regno, Professore di Chimica applicata 
nella R. Università di Roma. — 2 Gennaio 1881. 
Kéirner (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola supe- 
riore d'Agricoltura in Milano. — 2 Gennaio 1881. 
Baeyer (Adolfo von), Professore nell’ Università di Monaco (Baviera). — 
25 Gennaio 1885. 
Thomsen (Giuseppe), Professore nell'Università di Copenhagen. — 25 Gen- 
naio 1885. 
Lieben (Adolfo), Professore nell'Università di Vienna. — 15 Maggio 1892. 
Fischer (Emilio), Professore nell'Università di Berlino. — 24 Gennaio 1897. 
Ramsay (Guglielmo), Professore nell'Università di Londra. — 24 Gennaio 1897. 
Schiff (Ugo), Professore nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di per- 
fezionamento in Firenze. — 28 Gennaio 1900. 
dò Dewar (Giacomo), Professore nell'Università di Cambridge. — 14 Giugno 1903. 
d Ciamician(Giacomo), Professore nell'Università di Bologna.—14 Giugno 1903. 
Ostwald (Guglielmo), Professore di Chimica nell’ Università di Lipsia. — 
5 Marzo 1905. 
Arrhenins (Ivante Augusto), Direttore e Professore dell’ Istituto Fisico del- 
9 l’Università di Stoccolma. — 5 Marzo 1905. 
>» Nernst (Walter), Professore di Chimica fisica nell’ Università di Gottinga. 
È — 5 Marzo 1905. 


Lal 


Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia. 


Striiver (Giovanni), Professore di Mineralogia nella R. Università di Roma. 

.— 30 Novembre 1873. | 
Rosenbusch (Enrico), Professore nell’Univ. di Heidelberg. — 25 Giugno 1876. 
Zirkel (Ferdinando), Professore nell'Università di Lipsia. — 16 Gennaio 1881. 
Capellini (Giovanni), Professore nella R. Univ. di Bologna. — 12 Marzo 1882. i 
Tsehermak (Gustavo), Professore nell'Università di Vienna. —8 Febbraio 1885. 


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= XIII 


Geikie (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica (Londra). — 
3 Dicembre 1893. 
troth (Paolo Enrico), Professore nell'Università di Monaco.—13 Febbraio 1898, 


Taramelli (Torquato), Professore nella R. Univ. di Pavia. — 28 Gennaio 1900. 


Liebisch (Teodoro), Professore nell'Università di Gottinga. — 28 Gennaio:1900. 

Bassani (Francesco), Professore nella R. Univ. di Napoli. — 14 i di 1903. 

Issel (Arturo), Professore nella R. Università di Genova. — 14 Gi@@no 1905. 

Levy (Michele), dell'Istituto di Francia, Professore di Mineralogia all’Uni- 
versità di Parigi. — 5 Marzo 1905. 

Goldsehmidt (Viktor), Professore di Mineralogia nell’ Università di Heidel- 
berga. — 5 Marzo 1905. 

Suess (Francesco Edoardo), Professore di Geologia nell’ Imperiale Università 
di Vienna. — 5 Marzo 1905. 

Haug (Emilio), Prof. di Geologia nell'Università di Parigi. — 5 Marzo 1905. 


Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale. 


Ardissone (Francesco), Professore di Botanica nella R. Scuola superiore di 
Agricoltura in Milano. — 16 Gennaio 1881. 

Saccardo (Andrea), Professore di Botanica nella R. Università di Padova. 
— 8 Febbraio 1885. | 

Hooker (Giuseppe Dalton), Direttore del Giardino Reale di Kew (Londra). 
— 8 Febbraio 1885. 

Pirotta (Romualdo), Professore nella R. Univ. di Roma. — 15 Maggio 1892. 


Strasburger (Edoardo), Professore nell’Univ. di Bonn. — 3 Dicembre 1893. 


Goebel (Carlo), Professore nell'Università di Monaco. — 13 Febbraio 1898. 
Penzig (Ottone), Professore nell'Università di Genova. — 13 Febbraio 1898. 
Sehwendener (Simone), Professore nell’Univ. di Berlino. — 13 Febbraio 1898. 
Wiesner (Giulio), Professore nella I. R. Univ. di Vienna. — 14 Giugno 1903. 
Klebs (Giorgio), Professore nell'Università di Halle. — 14 Giugno 1903. 

Belli (Saverio), Professore nella R. Università di Cagliari. — 14 Giugno 1903. 


Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata. 


Selater (Filippo Lutley), Segretario della Società Zoologica di Londra. — 
25 Gennaio 1885. 


Chauveau (G. B. Augusto), Membro dell'Istituto di Francia, Professore “E 


Scuola di Medicina di Parigi. — 1° Dicembre 1889. 
Foster (Michele), Professore nell'Università di Cambridge.--1° Dicembre 1889. 
Waldeyer (Guglielmo), Professore nell’Univ. di Berlino. — 1° Dicembre 1889. 
Guenther (Alberto), Londra. — 3 Dicembre 18983. 


Roux (Guglielmo), Professore nell'Università di Halle. — 13 Febbraio 1898. 


Minot (Carlo Sedgwick), Professore nell’ “ Harvard Medical Schook, di 


: Boston Mass. (S. U. A.). — 28 Gennaio 1900. (N 
Boulenger (Giorgio Alberto), Assistente al Museo di Storia Naturale di 
Londra. — 28 Gennaio 1900. % : 
Marchand (Felice), Professore nell'Università di Leiffeig — 14 Giugno 1903. 

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XIV 


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Weismann (Augusto), Professore di Zoologia nell'Università di Freiburg i. Br. 
(Baden). — 5 Marzo 1905. 

Lankester (Edwin Ray), Direttore del British Museum of Natural History. 

«———«— 5/Marzo 1905. 

Engelm (Teodoro Guglielmo), Professore di Fisiologia nell'Università 
di lino. — 5 Marzo 1905. 

Dastre W8.), Profess. di Fisiologia nell'Università di Parigi. — 5 Marzo 1905. 


CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE B FILOLOGICHE 


Direttore. 


Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione 
sovra gli studi di Storia patria, Membro del Consiglio degli Archivi e 
dell'Istituto storico italiano, Commissario di S. M. presso la Consulta 
araldica, Dottore Ronoris causa della R. Università di Tiibingen, 
Gr. Uffiz. & e Gr. Cord. ae», Cav. d’on. e devoz. del S. M. O. di Malta, 
decorato di Ordini stranieri. — Torino, Via Ospedale, 19. 

Eletto alla carica il 17 marzo 1907 - 19 aprile 1907. 


Segretario. 


De Sanetis (Gaetano), Dottore in Lettere, Professore di Storia antica nella 
R. Università di Torino, Socio ordinario della Società Archeologica 
italiana e della Pontificia Accademia romana di Archeologia, «eg. — 
Torino, Corso Vittorio Emanuele, 44. 

Eletto ‘alla carica il 17 marzo 1907 - 19 aprile 1907. 


) ACCADEMICI RESIDENTI 


è 
n sr Dottore in Filosofia, Professore d’Egittologia nella R. Uni- 
e versità di Torino, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei 
» in Roma, €®, — Torino, Via Gioberti, 30. 
10 Dicembre 1876 - 28 dicembre 1876. — Pensionato 1° agosto 1884: 
Manno (Barone D. Antonio), predetto. 
» 17 Giugno 1877 - 11 luglio 1877. — Pensionato 28 febbraio 1886. 
Car (Giuseppe), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di 
urisprudenza e Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di 
Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uff. #, Comm. &®, 
»— Torino, Piazza Statuto, 15. 
7 Dicembre 187$:- 1° gennaio 1880. — Pensionato 4 agosto 1892. 


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Graf (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella R. Università di 
Torino, Membro della Società Romana di Storia patria, Socio onorario 
della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Palermo, Socio 
corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, 
dell'Ateneo di Brescia, della R. Accad. dei Lincei, ecc., Comm. # e em. 
— Torino, Via Bricherasio, 11. 

15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 20 maggio 1897 

Boselli (Paolo), predetto. 

15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 13 ottobre 1897. 

Cipolla (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore emerito nella R. Uni- 
versità di Torino, Prof. di Storia moderna nel R. Istituto di Studi Supe- 
riori in Firenze, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia 
patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. De- 
putazione Veneta di Storia patria, Socio nazionale della R. Accademia dei 
Lincei, Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Ba- 
viera), del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e della R. Deputa- 
zione Storica toscana, Comm. €. — Firenze, Via Lorenzo il Magnifico, 8. 

15 Febbraio 1891 - 15 marzo 1891. — Pensionato 4 marzo 1900. 

Brusa (Emilio), Senatore del Regno, Dottore in Leggi, Professore di Diritto 
e Procedura Penale nella R. Università di Torino, già professore di 
diritto internazionale nella R. Università di Modena e di diritto e pro- 
cedura penale e di diritto naturale nella Università di Amsterdam, 
Membro della Commissione per la Statistica giudiziaria e già membro 
delle Commissioni per la formazione e per la revisione del Codice pe- 
nale italiano e delle Commissioni e Sottocommissioni per la riforma 
del Codice di procedura penale, Socio corrispondente dell'Accademia 
di Legislazione di Tolosa (Francia), membro effettivo e già presidente 
dell'Istituto di Diritto internazionale, Socio onorario della Società dei 
Giuristi Svizzeri e Corrispondente della R. Accademia di Giurispru- 
denza e Legislazione di Madrid, di quella di Barcellona, della Società 
Generale delle Prigioni di Francia, di quella di Spagna, della R. Acca- 
demia Peloritana, della R. Accademia di Scienze Morali e Politiche di 
Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell’Accademia 
Ungherese di Scienze e di altre, Delegato governativo ai Congressi 
penitenziari internazionali dal 1878 (Stoccolma) in poi e presidente della 
4* Sezione dei Congressi medesimi di Bruxelles (1900) e di Budapest (1905), 
Gr. Uff. «= e Comm. dell'Ordine di S. Stanislao di Russia, Officier d’Aca- 
démie della Repubblica Francese, Uff. &. — Torino, Corso Vinzaglio, 22. 

13 Gennaio 1895 - 3 febbraio 1895. — Pensionato 18 aprile 1901. ‘ 

Allievo (Giuseppe), Dottore aggregato in Filosofia, Professore di Pedagogia 
e Antropologia nella R. Università di Torino, Socio onorario della ‘ 
R. Accademia delle Scienze di Palermo, dell’Accademia di S. Anselmo 
di Aosta, dell'Accademia Dafnica di Acireale, della Regia Imperiale 
Accademia degli Agiati di Rovereto, dell'Arcadia, dell’ rhcondieminBgti 
Zelanti di Acireale e dell’Accademia cattolica panormitana, Gr. Uff. &, 
Comm. «8. — Torino, Piazza Statuto, 18. }. 

18 Gennaio 1895 - 3 febbraio 1895. — Pensionato” 20 giugno 1901. 


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XVI 


Caratti di Cantogno (Barone Domenice), Senatore del Regno, Bibliotecario 
di S. M. il Re d@talia, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi 
. «li Storia patria per le Antiche Provincie e Lombardia, Socio nazionale 
p «lella R. Accademia dei Lincei, Membro dell'Istituto Storico Italiano, 
Accademico corrispondente della Crusca, Socio Straniero della R. Acca- 
7 lennia delle Scienze Neerlandese, e della Savoia, Socio corrispondente della 
R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ece., Gr. Cord. 25, 
Gr. Uffiz. & e Cav. e Cons. &, Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese 
e dell'O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc. — Torino, Via della Zecca, 7. 
4 Giugno 1857 - 12 giugno 1857. — Pensionato 10 dicembre 1905. 
Renier (Rodolfo). Dottore in Lettere ed in Filosofia, Professore di Storia 
comparata delle Letterature neo-latine nella R. Università di Torino, 
Socio attivo della R. Commissione dei testi di lingua; Socio non resi- 
dente dell’I. R. Accademia degli Agiati di Rovereto; Socio corrispondente 
del R. Istituto Veneto ci Scienze, Lettere ed Arti, della R. Deputazione 
Veneta di Storia patria, di quella per le Marche, di quella per l'Umbria, 
di quella per l Emilia e di quella per le Antiche Provincie e la Lom- 
bardia, della Società storica abruzzese e della Commissione di Storia 
patria e di Arti belle della Mirandola, della R. Accademia Virgiliana di 
Mantova, dell’Accademia di Verona, della R. Accademia di Padova, 
dell'Ateneo Veneto e di quello di Brescia; Membro della Società sto- 
rica lombarda e della Società Dantesca italiana; Socio onorario dell’Ac- 
cademia Etrusca di Cortona, della R. Accademia di scienze e lettere di 
Palermo, dell’Accademia Cosentina e dell’ Accademia Dafnica di Aci- 
reale, Uffiz. $. Comm. €, — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 90. 
$ Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 30 ottobre 1906. 


Pizzi (Nobile Italo), Dottore in Lettere, Professore di Persiano e Sanscrito 
nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della Società Colom- 
baria di Firenze, Dottore onorario dell’Università di Lovanio, Socio cor- 
rispondente dell'Ateneo Veneto, dell’Accademia Petrarchesca di Arezzo, 

}) dell’ Accademia Dafnica di Acireale, dell’ Accademia dell’ Arcadia di 

Roma, &, «2. — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 16. 
alata 8 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 16 giugno 1907. 


3 Chironi (Dott. Giampietro), Professore ordinario di Diritto Civile nella 
k. Università di Torino, Dottore aggregato della Facoltà di Giurispru- 
denza nella R. Università di Cagliari, Membro del Consiglio superiore 
h 9 dell’Istruzione pubblica, Socio corrispondente dell’Accademia di Legis- 
«+ lazione di Tolosa (Francia), dell’Associazione internazionale di Berlino 
per lo studio del Diritto comparato, dell’Accademia Americana di Scienze 

sociali e politiche, $&. Comm. €®, — Torino, Via Bonafous, 7. - 

20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. 


Dalle (Sacerdote Fedele), Professore di Storia ecclesiastica nella Pontificia 
. «Università Gregoriana, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di î 
Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio della 

Società Storica Lombarda. — Roma, Via del Seminario, 20. 
n 20 Maggiog190) - 31 maggio 1900. 


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XVII 


De Sanctis (Gaetano), predetto. 
21 Giugno 1903 - 8 luglio 1903. 


Ruffini (Francesco), Dottore in Leggi, Membro corrispondente del R. Isti- 
tuto Lombardo di Scienze e Lettere, Professore di Storia del diritto 
italiano, &, Comm. aes. — Torino, Via Principe Amedeo, 22. 

21 Giugno 1903 - 8 luglio 1903. 


Stampini (Ettore), Dottore in Lettere ed in Filosofia, Professore ordinario 
di Letteratura latina e Preside della Facoltà di Filosofia e Lettere 
nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della R. Accademia 
Peloritana e dell'Ateneo di Brescia, Membro del Consiglio e della 
Giunta Superiore di Pubblica Istruzione, Decorato della Medaglia del 
Merito Civile di 1° Classe della Repubblica di S. Marino, #, Comm. ess. 
— Piazza Vittorio Emanuele I, 10. 

20 Maggio 1906 - 9 giugno 1906. 


D’Ercole (Pasquale), Dottore in Filosofia, Professore di Filosofia teoretica 
nella R. Università di Torino, Membro della Società Filosofica di Ber- 
lino, Socio corrispondente .della R. Accademia delle Scienze morali e 
politiche di Napoli, Uff. &, Comm. giss. — Corso Siccardi, 26. 

17 Febbraio 1907 - 19 Aprile 1907. 


Brondi (Vittorio), Dottore in Legge, Professore di Diritto amministrativo 
e Scienza dell’Amministrazione nella R. Università di Torino, Membro 
del Consiglio Superiore di assistenza e beneficenza pubblica, &, Uff. cam. 
— Torino, Via Montebello, 21. 

17 Febbraio 1907 - 19 Aprile 1907. 


Sforza (Nob. Giovanni), Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia 
patria di Modena, per la Sotto-Sezione di Massa e Carrara, Socio effet- 
tivo di quelle delle antiche Provincie e della Lombardia, della Toscana, 
e di Parma, Corrispondente delia R. Accademia di Scienze, Lettere ed 
Arti di Modena, e della Società Ligure di Storia patria, Socio ordinario 
non residente della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, 
Socio onorario della R. Accademia di Belle Arti di Carrara, Membro 
d’onore dell’Académie Chablesienne di Thonon-les-Bains, Membro ag- 
gregato dell’ Académie des Sciences, Belles Lettres et Arts de Savoie, 
Socio della R. Commissione per i testi di lingua, Membro della Com- 
missione Araldica Piemontese, della Società di Storia patria di Vignola, 
della Commissione municipale di Storia patria e belle arti della Miran- 
dola, della Commissione senese di Storia patria e della Società storica 
di Carpi, Corrispondente della Commissione Araldica Toscana, della 
Società Georgica di Treia e della Colombaria di Firenze, ecc., ecc., Presi- 
dente onorario della R. Accademia dei Rinnovati di Massa, ecc., Direttore 
del R. Archivio di Stato di Torino, & e Uff, em. — Via Giusti, & 

17 Febbraio 1907 - 19 aprile 1907, 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. dg 2 


XVIII 


ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI 


Canonico (Tancredi), Presidente del Senato, Professore emerito, Primo Pre- 
sidente della Corte di Cassazione a riposo, Socio corrispondente della 
R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accad. delle Scienze del Belgio, 
di quella di Palermo, della Società Generale delle Carceri di Parigi, 
Presidente dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, della Corona d’Italia e 
Consigliere dell'Ordine del merito civile di Savoia, Gran Croce # e ati», 
Cav. <=, Comm. dell'Ord. di Carlo III di Spagna, Gr. Uffiz. dell'Ord. di 
Sant'Olaf di Norvegia, Gr. Cord. dell'O. di S. Stanislao di Russia. — 
Firenze, Via Lamarmora, 12 bis. 

29 Giugno 1873 - 19 luglio 1873. 


Villari (Pasquale), Senatore del Regno, Presidente dell’Istituto Storico di 
Roma, Professore di Storia moderna e Presidente della Sezione di Filo- 
sofia e Lettere nell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfeziona- 
mento in Firenze, Socio residente della R. Accademia della Crusca, 
Presidente della R. Accademia dei Lincei, Socio nazionale della R. Ac- 
cademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, della Pontaniana 
di Napoli, Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per la 
Toscana, Socio di quella per le provincie di Romagna, Socio straordi- 
nario del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto 
di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Baviera, Socio stra- 
niero dell’Accademia di Berlino, dell’Accademia di Scienze di Gottinga, 
della R. Accademia Ungherese, Socio corrispondente dell'Istituto di 
Francia (Scienze morali e politiche), Dott. on. in Legge della Università 
di Edimburgo, di Halle, Dott. on. in Filosofia dell’Università di Budapest, 
Professore emerito della R. Univers. di Pisa, Gr. Uffiz. & e Gr. Cord. «es, 
Cav. ©, Cav. del Merito di Prussia, ecc. . 

16 Marzo 1890 - 30 marzo 1890. 


Comparetti (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’ Uni- 
versità di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezio- 
namento in Firenze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, 
della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio corrispondente del- 
l'Accademia della Crusca, del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto 
Veneto, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio straniero 
dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e 
corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco, di Vienna, di 
Copenhagen, Dottore ad honorem dell’ Università di Oxford e di Cra- 
covia, Uff. *, Comm. es», Cav. =, — Firenze, Via Lamarmora, 20. 

20 Marzo 1892 - 26 marzo 1892. 

D'Ancona (Alessandro), Senatore del Regno, già Professore di Letteratura 
italiana nella R. Università e già Direttore della Scuola normale supe- 
riore in Pisa, Membro della Deputazione di Storia patria per la Toscana, 
Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente 


, 


XIX 


dell’Istituto di Francia (Académie des Inscriptions et Belles Lettres). 
della R. Accademia di Copenhagen, dell’ Accademia della Crusca, del 
R. Istit. Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto, della 
R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli e della 
R. Accademia di Lucca, Cav. della Legione d'Onore, Cav. =, Gr. Uff. &, 
Comm. ss. — Pisa, Lungarno Mediceo, Palazzo Mediceo. 

20 Febbraio 1898 - 3 marzo 1898. 

Scialoja (Vittorio), Senatore del Regno, Dottore in Leggi, Professore ordi- 
nario di Diritto romano nella R. Università di Roma, Professore onorario 
della Università di Camerino, Socio corrispondente della R. Accademia 
dei Lincei e della R. Accademia di Napoli, Socio onorario della R. Ac- 
cademia di Palermo, ecc., Comm. & e ess. — Roma, Piazza Grazioli, 5. 

29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. 

Rajna (Pio), Dottore in Lettere, Professore ordinario di lingue e letterature 
neo-latine nel R. Istituto di Studi superiori di Firenze, Socio nazionale 
della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente del R. Istituto Lom- 
bardo di Scienze e Lettere, della Società Reale di Napoli, della R. Acca- 
demia della Crusca, della R. Accademia di Padova, dell’Accademia 
R. Lucchese e della Società Reale di Scienze e Lettere di Goteborg, 
Uff. &, ee». — Firenze, Piazza d' Azeglio, 13. 

29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. 

Kerbaker (Michele), Dottore in lettere, Professore di Storia comparata delle 
lingue classiche e incaricato di Sanscrito nella R. Università di Napoli. 
Socio ordinario della R. Accademia dei Lincei, Socio residente della 
Società Reale di Napoli, della R. Accademia Pontaniana, Membro della 
Società Asiatica italiana di Firenze, Socio corrispondente del R. Istituto 
Lombardo di Scienze e Lettere, Comm. & e «2. — Napoli, Vomero, 
Via Scarlatti, 60. 

26 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. 


ACCADEMICI STRANIERI 


Meyer (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Direttore dell’ Ecole des 
Chartes (Parigi). — 4 Febbraio 1883 - 15 febbraio 1883. 

Tobler (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino. — 3 Maggio 1891 - 
26 maggio 1891. 

Maspero (Gastone), Professore nel Collegio di Francia (Parigi). — 26 Feb- 
braio 1893 - 16 marzo 1893. 

Brugmann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. — 31 Gennaio 1897 
- 14 febbraio 1897. 

Bréal (Michele Giulio Alfredo), Membro dell’Istituto di Francia (Accademia 
delle Iscrizioni e Belle Lettere) (Parigi). — 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1908. 

Wundt (Guglielmo), Professore nell'Università di Lipsia. — 29 Marzo 1903 
- 9 aprile 1903. 


XX 


CORRISPONDENTI 


Sezione di Scienze Filosofiche. 


Bonatelli (Francesco), Professore nella R. Università di Padova. — 15 Feb- 
braio 1882. 

Pinloche (Augusto), Prof. nel Liceo Carlomagno di Parigi, — 15 Marzo 1896. 

Tocco (Felice), Professore nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di 
perfezionamento di Firenze. — 15 Marzo 1896. 

Chiappelli (Alessandro), Prof. nella R. Università di Napoli. — 15 Marzo 1896. 

Masci (Filippo), Professore nella R. Università di Napoli. — 14 Giugno 1903. 


Sezione di Scienze Giuridiche e Sociali. 


Rodriguez de Berlanga (Manuel) (Malaga). — 17 Giugno 1883. 

Schupfer (Francesco), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di 
Roma. — 14 Marzo 1886. 

Gabba (Carlo Francesco), Prof. nella R. Univ. di Pisa. — 8 Marzo 1889. 

Buonamici (Francesco), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di 
Pisa. — 16 Marzo 1890. 

Dareste (Rodolfo), dell'Istituto di Francia (Parigi). — 26 Febbraio 1893. 

Bonfante (Pietro), Professore nella R. Università di Pavia. 

Toniolo (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Pisa. — 10 Giugno 1906. 

Brandileone (Francesco), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. 

Brini (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. 

Fadda (Carlo), Prof. nella R. Università di Napoli. — Id. id. 

Filomuso-Guelfi (Francesco), Prof. nella R. Università di Roma. — ld. id. 

Polacco (Vittorio), Prof. nella R. Università di Padova. — Id. id. 

Stoppato (Alessandro), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. 

Simoncelli (Vincenzo), Prof. nella R. Università di Roma. — Id. id. 


Sezione di Scienze storiche. 


Birch (Walter de Gray), del Museo Britannico di Londra. — 14 Marzo 1886. 
Chevalier (Canonico Ulisse), Romans. — 26 Febbraio 1893. 

Duchesne (Luigi), Dirett. della Scuola Francese in Roma. — 28 Aprile 1895. 
Bryce (Giacomo), Londra. — 15 Marzo 1896. 

Patetta (Federico), Prof. nella R. Università di Modena. — 15 Marzo 1896. 
Gloria (Andrea), Professore nella R. Università di Padova. 


XXI 


Sezione di Archeologia. 


Lattes (Elia), Membro del R, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere 
(Milano). — 14 Marzo 1886. 

Poggi (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a Savona. — 2 Gennaio 1887. 

Palma di Cesnola (Cav. Alessandro), Membro della Società degli Antiquari 
di Londra (Firenze). — 3 Marzo 1889. 

Mowat (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia (Parigi). 
— 16 Marzo 1890. 

Barnabei (Felice), Roma. — 28 Aprile 1895. 

Gatti (Giuseppe), Roma. — 15 Marzo 1896. 


Sezione di Geografia ed Etnografia. 


Pigorini (Luigi), Professore nella R. Università di Roma. — 17 Giugno 1883. 

Dalla Vedova (Giuseppe), Professore nella R. Università di Roma. — 
28 Aprile 1895. 

Porena (Filippo), Professore nella R. Università di:Napoli. — 21 Giugno 1903. 


Sezione di Linguistica e Filologia orientale. 


Sourindro Mohun Tagore (Calcutta). — 18 Gennaio 1880. 
Marre (Aristide), Vaucresson (Francia). — 1° Febbraio 1885. 
Guidi (Ignazio), Professore nella R. Università di Roma. — 3 Marzo 1889. 


Amelineau (Emilio), Professore nella École des Hautes Études di Parigi. — 
28 Aprile 1895. 

Foerster (Wendelin), Professore nell’ Università di Bonn, Comm. &. — 
28 Aprile 1895. 


Sezione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia. 


Del Lungo (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della Crusca (Fi- 
renze). — 16 Marzo 1890. 

Novati (Francesco), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di 
Milano. — 21 Giugno 1903. 

Rossi (Vittorio), Professore nella R. Università di Pavia. — id. id. 

Boffito (Giuseppe), Professore nel Collegio delle Querce in Firenze. — id. id. 

D’Ovidio (Francesco), Senatore del Regno, Professore nella R. Università 
di Napoli. — id. id. 

Biadego (Giuseppe), Bibliotecario della Civica di Verona, — id. id. 

Cian (Vittorio), Professore nella R. Università di Pisa. — id. id. 


XXII 


MUTAZIONI 


AVVENUTE 


nel Corpo Accademico dal 18 Novembre 1906 
al 51 Dicembre 1907. 


ELEZIONI 


SOCI 


Somigliana (Carlo), Eletto a rappresentare l'Accademia nel Consiglio d’Am- 
ministrazione del R. Politecnico di Torino (Adunanza a Classi Unite 
dei 21 ottobre 1906). 

Stampini (Ettore), Eletto membro della Commissione per il premio Val- 
lauri di Letteratura latina (Adunanza della Classe di Scienze morali, 
storiche e filologiche del 25 novembre 1906). 

‘ Rossi (Francesco), Rieletto delegato della Classe di Scienze morali, storiche 
e filologiche nel Consiglio di Amministrazione dell’Accademia (Adu- 
nanza del 9 dicembre 1906). 

È Eletti per comporre la Commissione del premio 

Ros ei ‘ * | Gautieri per la Storia (1904-1906). (Adunanza della 

VASI | Classe di Scienze morali, storiche e filologiche del 

\ 20 gennaio 1907). 

Naccari (Andrea) 1 \ Eletti delegati della Ciaspg di Scienze fisiche, ma- 

Morera (Giacinto). . ) tematinho U naturali al Consiglio di Amministra- 

. zione dell’Accademia. (Adunanza del 10 marzo 1907). 

D’Ercole (Pasquale), Professore di Filosofia teoretica nella R. Università di 
Torino, eletto Socio nazionale residente della Classe di Scienze morali, 
storiche e filologiche nell'adunanza del 17 febbraio 1907 e approvata 
l'elezione con R. Decreto 19 aprile 1907. 

Brondi (Vittorio), Professore di Diritto amministrativo e Scienza dell’Am- 
ministrazione nella R. Università di Torino, id. id. id. 

Sforza (Giovanni), Direttore del R. Archivio di Stato in Torino, id. id. id. 

D’Ovidio (Enrico), Rieletto alla carica triennale di Presidente dell’Acca- 
demia nell'adunanza delle Classi Unite del 17 marzo 1907, id. id. id. 

Boselli (Paolo), Rieletto alla carica triennale di Vice Presidente dell’Ac- 
cademia, id. id. id. 


De Sanctis (Gaetano) 


XXIII 


Manno (Antonio), Eletto alla carica triennale di Direttore della Classe di 
Scienze morali, storiche e filologiche, id. id. id. 

De Sanctis (Gaetano), Eletto alla carica triennale di Segretario, 1d. id. id. 

Carle (Giuseppe), Rieletto delegato della Classe di Scienze morali, storiche 
e filologiche al Consiglio di Amministrazione dell’Accademia (Adunanza 
del 7 aprile 1907). 

Camerano (Lorenzo), Rieletto alla carica triennale di Segretario della 
Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 
14 aprile 1907 ed approvata l’elezione con R. Decreto 25 aprile 1907. 

Naccari (Andrea), Eletto alla carica biennale di Direttore della Classe di 
Scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 15 di- 
cembre 1907. 


IM: Qui pe 


24 Ottobre 1904. 


Locard (Arnould), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, ma- 
tematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia com- 
parata). 


18 Ottobre 1906. 


Ritter (Guglielmo), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, 
matematiche e naturali (Sezione di Matematica applicata, Astronomia 
e Scienza dell'ingegnere civile e militare). 


29 Dicembre 1906. 
Favero (Gio. Battista), id. id. 
21 Gennaio 1907. 


Ascoli (Graziadio), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze 
morali, storiche e filologiche. 


2 Febbraio 1907. 


Mendelejeff (Demetrio), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, 
matematiche e naturali (Sezione di Chimica generale ed applicata). 


20 Febbraio 1907. 


Moissan (Enrico), id. id. id. 


XXIV 


18 Marzo 1907. 
Bertlelot (Marcellino), Socio straniero della Classe di Scienze fisiche, ma- 
tematiche e naturali. 
4 Maggio 1907. 
Brizio (Edoardo), Socio corrispondente della Classe di Scienze morali, sto- 
riche e filologiche (Sezione di Archeologia). 
81 Maggio 1907. 
Siacci (Francesco), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali. 
24 Giugno 1907. 
Klein (Carlo), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mate- 
matiche e naturali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia). 
1° Luglio 1907. 
Nigra (Conte Costantino), Socio nazionale non residente della Classe di 
Scienze morali, storiche e filologiche. 
18 Dicembre 1907. 


Kelvin (Guglielmo Thomson, Lord), Socio straniero della Classe di Scienze 
fisiche, matematiche e naturali. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXV 


PUBBLICAZIONI PERIODICHE RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 
Dal 1° Gennaio al 31 Dicembre 1907. 


NB. Le pubblicazioni seguate con * si hanno in cambio: 
quelle notate con ** si comprano: e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


# Aberdeen. Aberdeen University. Studies. N. 14, Researches in Organic 
Chemistry; N. 15, Meminisse Juvat; N. 16, The Blackalts of that Ilk 
and Barra; N. 17, Records of the Scots Colleges; N. 24, Records of the 
Sheriff Court of Aberdeenshire; N. 18, Roll of the Graduates of the 
University of Aberdeen 1860-1900; N. 19, Studies in the History and 
Development, etc.; N. 20, Studies in the History and Arts of the Eastern 
Provinces of the Roman Empire; N. 21, Studies in Pathology; N. 22, 
Proceedings of the Aberdeen University Anatomical and Anthropolo- 
gical Society; N. 23, Handbook to University of Aberdeen Quatercen- 
tenary. September, 1906. City and University; 8°. 

* Acireale. R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Zelanti. Rendi- 
conti e Memorie, serie 33, vol. V, (1905-1906). — Rendiconti, serie 3°, 
vol. I-IV, (1901-1904). 

Adelaide. Royal Society of South Australia. Transactions and Proceedings 
and Report, vol. XXX. — Index to the Transactions, Proceedings, and 
Reports, vol. I to XXIV, (1877-1900). 

Aix. Facultés de Droit et des Lettres. Annales, T. II, N. 2. (1906). Droit. 

Albuquerque. University of New Mexico. Bulletin, Catalogue, 1906-1907. 
— Bulletin, vol. I. Contributions from the University Geological survey 
and the Hadley Climatological Laboratory, 1899. — Bulletin of the 
Hadley Laboratory, vol. II, p. 1-2. — Bulletin Hadley Climatological 
Laboratory, vol. III, 1-11. — Bulletin. Educational Series, vol. I, art. 1-2. 

Amsterdam, Société mathématique. Nieuw Archief voor Wiskunde 
Tweede Reecks, Del. VIII, 1. Stuk. 8°. 

* Angers. Société d’Études scientifiques; Bulletin. N. S., XXXV an., 1905; 8°. 


* 


* 


* 


Austin. Texas Academy of Science. Transactions, vol. VII. 


* Baltimore. Johns Hopkins University. American Journal of Mathematics, 
vol. XXVIII, 2-4, 4°. — American Chemical Journal, vol. XXXV, 5-6; 


XXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


XXXVI, 1-6; XXXVII, 1. — General Index (vol. 11-20) to the American 
Chemical Journal, 1889-1898. — American Journal of Philology. XXVII. 
1-4; — Studies in Historical and Political science. Ser. XXIV, 3-10. — 
Johns Hopkins University. Circular 1906, N. 3-5; 7,9. 

Baltimore. Johns Hopkins Hospital Report, vol. XIII, XIV, (1906), 2 vol. 

— Peabody, Institute. Fortieth Annual Report. June I, 1897. 

* Basel. Naturforschende Gesellschaft. Verhandlungen, Bd. XVIII, Heft 3; 
XIX... 

* Bassano. Museo Civico. Bollettino, anno II, N. 4; IV, 1907; 1-3. 

* Batavia. Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. — 
Tijdschrift voor indische Taal-. Land- en Volkenkunde, Deel XLIX, 


Aflv. 1-4. L, 1. — Dagh- Register gehouden in Casteel Batavia vant pas- 
serende daer ter plactse als over geheel Nederlants India. An. 1678 ..... 
van Dr. F. De Haan, 1907. — Notulen van de Algemeene en direchie- 


vergaderingen, Deel XLIV, 2-4. — Verhandelingen, Deel LVI, 5 Stuk. 
— De Compagnie’s kamer van het Museum. Rapporten van de Com- 
missie in Nederlandsch-Indié voor oudheidkundig onderzoek. 1905-1906. 

— K. Magnetical and Meteorological Observatory. Vol. XXVII, 1904: Contain- 
ing meteorological and seismometrice observations made in 1904. Ba- 
tavia, 1906, fol. i 

— K. Magnetisch en Meteorologisch Observatorium. Regenwaarnenningen in. 
Nederlandisch-Indié; Zeven en twintigsth Jaargan, 1905. 


* Bergen. Bergens Museum. Aarsberetning for 1906; Aarbog 1906, 8die 
Hefte; 1907, 1ste., 2det Hefte. — An account of the Crustacea of Norway, 
vol. V, parts 15-20. 


* Berkeley. University of California. Bulletins, N.$S., vol. VII, 2. — Li- 
brary Bulletin, N. 15. — College of Agriculture. Agricultural experi- 
ment Station. Bulletin, N. 179-182. — Bulletin of the Department of 
Geology. Vol. IV, N. 16, 19; V, 1-5. — Botany, vol. II, 12. — Zoology, 
vol. III, 5-8, 12. 

* Berlin. K. Preussische Akademie der Wissenschaften. Abhandlungen, 
1906. — Sitzungsberichte, 1906, N. XXXIX-LII; 1907, I-XXXVIII, 8°. 

** — K. Preussische Geologische Landesanstalt u. Bergakademie. Abhand- 
lungen, N. F., Heft 47 u. Atl.; 49 u. Atl.; Erlàuterungen, Liefg. 127, 
Gradabteilung 55, 3, 9, 15, 21 u. Atl, 181; Gradabt. 57, 60; Gradabt. 
5$, 55; Gradabt. 72, 1 u. Atl. 


* Bern. Naturforschende Gesellschaft. Mitteilungen aus dem Jahre, 1905, 
N. 1591-1608; 1906, 1609-1628. 


* Beyrouth (Syrie). Université de St.-Joseph. Al-Machrig, revue catholique 
orientale bimensuelle (in lingua araba), 1907; 1-23. 


* Bologna. R. Accademia delle Scienze dell'Istituto. Memorie, ser. IV, vol. IMI 
—- Rendiconto, N. S., vol. X, (1905-1906). 

* — Biblioteca Comunale. L’Archiginnasio. Bullettino, anno I, (1906), N. 5-6; 
105 1-5. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXVII 


* Bologna, Società medico-chirurgica e Scuola medica. — Bullettino, 1906, 
Ser. 7°, vol. VI, fase. 12; 1907, vol. VII, 1-10. 

— Osservatorio della R. Università. Osservazioni meteorologiche dell’An- 
nata 1905. Bologna, 1906; 4° (Dal dirett. dell’Osserv. prof. M. Rajna). 


* Bordeaux. Société des sciences physiques et naturelles. Cinquantenaire 
de la Sociéte. 15-16 Janvier, 1906. — Proeès-verbaux des Séances. 
An. 1905-1906. 

* — Faculté des Lettres et Universités du Midi. Annales, 4°”° sér. Bulletin 
hispanique, T. XI, 1-4. — Bulletin italien, T. VII, 1-4. — Revue des 
études anciennes, T. IX, 1-4. 

— Académie Nationale des Sciences, Belles-lettres et Arts. Actes, 3°"° Sér., 
66° année, 1904; 8°. 

— Commission Météorologique de la Gironde. Ubservations pluviométriques 
et thermomeétriques. Juin 1905 è Mai 1906. 


* Boston. American Academy of Arts and Sciences. Memoirs, vol. XIII, 4-5. 
— Proceedings, vol. XLI, 35; XLII, 1-28. 

* — Boston Society of Natural History. Proceedings, vol. XXXII, Nos. 3-12; 
XXXIIT, 1-2. — Oceasional Papers, vol. VII, Nos. 4-7. 

— American Philological Association. Transactions and Proceedings 1905, 
vol. XXXVI; 8°. 

— Publications of the Massachusetts General Hospital, vol. I, N. 3 (1907). 


* Boulder Colo. University of Colorado. Studies. Vol. IV, 1-3. 
Bradford. Pa. Seventh Annual Report of the Carnegie Public Library, 8°. 
* Brescia. Ateneo. Commentari per l’anno 1906; 8°. 


* Brooklyn N. Y. Museum of the Brooklyn Institute of Arts and Sciences. 
Science Bulletin, vol. I, N. 4, 8-10. — Cold Spring Harbor Monographs. 


Bruxelles. Académie Royale de Belgique. Annuaire, 1907; 73°®° année. — 
Bulletin de la Classe des sciences, 1906, N. 5-12; 1907, N. 1-5. — 
Classe des sciences. Mémoires, Collection 8°, 2*®® sér., T. I, fase. 4-8. 
-- Biographie nationale. T. XIX, 1° fasc. 

— Musée Royal d’histoire naturelle de Belgique. Mémoires, T. III, 4°. 

* — Société Géologique de Belgique. Annales, T. XXX, 3*®© livr.; XXXIII, 
anna Liv SPANO CE 

* — Société Entomologique de Belgique. Annales, T. L, 1906. 

* — Société des Bollandistes. Analecta Bollandiana, T. XXV, fasc. 4; 
XXVI, 1-3. 

* — Société Belge de Microscopie. Bulletin, T. X1II*, N. 2; XXII°, — An- 
nales, XXVI, XXVII, N. 2; XXVIII, N. 1. 


* — Société d’Archéologie. Annales, Mémoires, Rapports et Documents, 
T. XX, 1906, livrs. 8-4; T. XXI, 1907, livrs. 1-2...— Annuaire, 
T. XVIII, 1907. 

* 


— Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydrologie. Célé- 
bration du deuxième décennaire et Manifestation E. van den Broeck, 
16 febbraio 1907. Bulletin. XX®"© An., T. XX, fasc. 3-5, 1906; XXI*®© An., 
T. XXI, Mémoires; XXI, Procès-Verbanx, Janvier-Avril, 1907. 


XXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Bruxelles. Observatoire Royal de Belgique. Annuaire astronomique 
pour 1907. Annales astronomiques, N. S., T. IX, fase. 2-3, — Physique 
du Globe, N. S., T. III, fasc. 2. — Annuaire météorologique 1901-1906. 
— Annales météorologiques, N. $S., T. V-XI, XII, XIV. — Observations 
météorologiques pendant 1900-1902. — Bulletin Climatologique, 1899, 
1° et 2° partie. — Les observatoires astronomiques et les Astronomes. 
Bruxelles, 1907; 8°. i 

# Bucarest. Academia Romana. Analele, Memoriile sectiunii istorice; li- 
terare ; stiintifice; Partea administrativà si desbaterile. Ser. II, 
T. XXVIII, 1905-1906. 4 vol.; 4°. — Discursuri de receptiune de 
prof. Dr. G. Marinescu cu ràspuns de prof. Dr. V. Babes: Discursuri 
id., id., Demitre Onciul cu ràspuns de Demitrie A. Sturdza. — Bibliografia 
Romnesci veche 1508-1830. T. II, fasc. II. — Astan (Th. C.), Studiu 
asupra Monopolurilor in Romania. — Daramerra (1.), Dietionar Macedo- 
Romàn. — Dosrescu (N.), Istoria Bisericii Rom?îne din Oltenia in 
(timpul) ocupatiunii Austriace. — Ficieescu (T.), Coloniile romane din 
Bosnia (Edizioni dell’Accademia di Rumania). — Sturpza (D. A.), L’Aca- 
démie Roumaine en 1905-1906. Deux rapports. —1 Cresterile Colectiunilor 
in Anul 1905-1907. 

* — Société des Sciences. Bulletin An. XV, N. 5-6; XVI, N, 1-4, 

Bucaresti. Institutul Meteorologie. Buletinul lunar al Observatiunilor Me- 
teorologice din Romania. An. XIV, 1905; 4°. — Meteorologia si Me- 
trologia in Romînia. 1906; 8°. — Analele, T. XVIII, 1902. 


* Budapest. K. Ungarische geologische Anstalt. Publicationen: Die Unter- 
suchten Tone der Linder der ungarischen Krone. Von A. v. Kalecsinszhy, 
1906; 8°. — Mitteilungen, XV Bd., Heft. 3-4; XVI Bd., Heft. 1. — 
Erliuterungen: Umgebungen von Krassova uud Teregova Sectionsblatt. 
Zone 25/kol. xxvi; Die Umgebung von Magura; Blatt. Zone 19/kol. 
xxvi. (1:75.000) — Jaresbericht... fiir 1905. 

* — Ungarische Geologische Gesellschaft Féldtani Kézliny, XXXVI Kétet, 
6-12 Fiizet; XXXVII, 1-5. 

* Buenos Aires. Sociedad Cientifica Argentina. Anales, 1906, T.LXII, entrega 
2-6; LXIII, 1-6; XLIV, 1. 

* — Museo Nacional. Annales, Ser. 3*, T. VI-VIII. 

* — (Ville de). Annuaire statistique de la Ville de Buenos-Ayres, XV®®, 
an. 1905; XVI®®, an. 1906. — Bulletin mensuel de Statistique Muni- 
cipale, XX®°, an. 1906, N. 8, 9, 12; XXI", an. 1907, N. 1-10. 


* Cagliari. Società storica sarda. Archivio, Vol, III, fase. 1-2. 


* Caleutta. Asiatic Society of Bengal. Journal and Proceedings, Vol. I, 
N. 4-10; III, 1.4. — Memoirs, vol: I, N. 10-19. Suppl. pp. r-x1; II, 1-4. 
— Bibliotheca Indica. Collection of Oriental Works. N. S., Ns. 1139, 
1142, 1147, 1148, 1150, 1153, 1155 al 1160, 1162, 1169, 1170. 

* — Geological Survey of India. Records, vol. XXXIV, part 8-4; XXXV, 1-4; 
XXXVI, I. — Memoirs (Palaeontologia indica). Ser. XV, vol. V, Me- 
Mmolr, NZ6N/5.; ‘vol. II, N:‘8° 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXIX 


Caleutta. Board of Scientific Advice for India. Annual Report for the year 
1905-1906. 
* California. V. San Francisco. 


* Cambridge. Cambridge Philosophical Society. List of Fellows Associates 
and honorary members. August, 1907; 8°. — Proceedings, Vol. XIV, 
part 1-3; 8°. — Transactions, Vol. XX, N. 11-14; 4°. 

* — Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Annual Report, 


1905-1906. — Bulletin, vol. XLIII, N. 5; vol. L, N. 6-9; vol. LI, N. 1-6. 
— Memoirs, vol: XXXIV, N. 1; vol. XXXV; N. 1. 

* Cape Town. South African Philosophical Society. Transactions, vol. XIII 
pp. 289-54; vol. XVI, part 4-5; vol. XVII, part 12, XVIII, 1°. 

Caracas (Venezuela). Universidad Central de Venezuela. Anales, ao VII, 
(1906), T. VII, N. 3. 

* Catania. Accademia Gioenia di scienze naturali. Atti, Ser. 4%, vol. XIX. 
— Boliettino delle sedute, 1907, fasc. 92-94. 

* — Società degli Spettroscopisti italiani. Memorie, 1907, vol. XXXVI, 
disp. 1-12. 

* Chambéry. Société Savoisienne d’histoire et d’archéologie. Mémoires et 
Documents: 2:Mser, IL XIX ‘fase. 1-43 Q80V, ML 

Charlottenburg. Physikalisch-technische Reichsanstalt. Die Tiitigkeit. im 
Jahre 1906. 

* Cherbourg. Société Nationale des Sciences naturelles et mathématiques. 
Mémoires, T. XXXV. 

* Chicago. Field Columbian Museum. Botanical Series, vol. II, N. 4-5. 
— Geological Series, vol. II, N. 8-9; III, 3-5. — Repotît Series, vol. III, 
N. 1. — Zoological Series, vol. VIT, N. 2-8; VIIL 

— John Crerar Library. 12° Annual Report for the year 1906, 1907; 8°. 

* Christiania. Videnskabs-Selskabet Forhandlinger. Aar 1905; 1906. — 
Skrifter, 1905; 1906: I. Mathemàtisk naturvidenskabelig Klasse. 

— Institut Meétéorologique Royal des Pays-Bas. Mededeelingen en Verhan- 
delingen, N. 5. 

# Cincinnati. Lloyd Library of Botany, Pharmacy and Materia medica. 
Mycological Notes. By C. G. Lloyd, N. 19-23. — Index of the Myco- 
logical Writings of C. G. Lloyd, vol. I, 1898-1905. — The Tylostomeoe. 
By C. G. Lloyd. 

* Cividale. Museo Civico. Bollettino, anno II, 1906; II, fase. 4°; III 1-2. 

* Clermond - Ferrand. Académie des Sciences, Belles-Lettres et Arts. 
Deuxième sér., fasc. 18 e 19; 8°. 

* Colorado Springs, Colorado College Publication, Science Ser., vol. XII, 
N. 47, 49, 50. — Engineering Ser., vol. I, N. 1-2. 

* Copenhague. Académie R. des sciences et des lettres de Danemark. 
Bulletin (Oversigt), 1906, N. 6; 1907, 1-4. — Mémoires. 7°" sér. Section 
des Sciences, T. III, N. 2; IV, 1-4; V, 1. — 6° sér. Section des Lettres, 
ves 4 78% aér Meli 


XXX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Cracovia. Akademii Umiejetnosci : Catalogue of Politic-scientific-literature. 
T. VI (1906), Zeszit 1-4; VII, 1-2. — Bulletin international: Classe des 
sciences mathématiques et naturelles, 1906, N. 4-10; 1907, 1-3. — Classe 
de philologie. Classe d’histoire et de philosophie, 1906, N. 4-10; 1907, 1-2. 
Rozprawy Wydziatu Matematyczno-przyrodniezego. Ser. III, T. V, A, B 
(1905). — Rozprawy wydziatu filologiczny. Ser. II, T. XXVI, XXVII. — 
Rozprawy wydziatu historyezno-filozoficzny, Ser. II, T. XXII, XXIV. — 
H. Zaparowrez, Conspectus florae Galiciae criticus, vol. I. — J. KARTOWICZ, 
Stownik Gwar polskich Tom Czwarty do druku przygolowal, T. IV, V. 

Danzig. Naturforschende Gesellschaft. Schriften, N. F. XII. Bd. 1 Heft. 

* Dijon. Académie des Sciences, Arts et Belles-Lettres. Mémoires, 4°2° Sér., 
T. X, (1905-1906); 8°. i 

* Dorpat. Acta et Commentationes Imp. Universitatis Jurievensis. 1905, 
T. XIII; 1906, XIV; 8°. 

* Dublin. Royal Irish Academy. Proceedings: Sect. A, vol. XXVI, N. 2,3; 
XXVII, 1-2; Sect. B. vol. XXVI, N. 6-10; Sect. C, vol. XXVI, N. 10-16. 

— Royal Dublin Society. Scientific Proceedings, vol. XI (N. S.), N. 13-20; 8°. 

— Economic Proceedings, vol. I, p. 9-11; 8°. — Scientific Transactions, 
vol. IX (ser. II) N. 4-6; 4°. 

Edinbargh. Edinburgh Geological Society. Transactions, vol. IX, part 1. 

— Royal Observatory. Annals, vol. II (1906). 

* — Royal Physical Society. Proceedings, vol. XVI, N. 8; XVII, 2-3. 

— Royal Scottish Society of Arts. Journal, vol. XVH, N, 7-12. 

* — Royal Society. Proceedings, vol. XXVI, N. 6; XXVII, 1-5. — Transac- 
tions, vol. XLI, part 3*; XLV, part 1-32. 

* Erlangen. Physikalisch-medicinische Sozietàt. Sitzungsberichte. 38 Bd.. 
(1906); 8°. 

* Firenze. R. Accademia della Crusca. Atti (Anno accademico 1905-1906), 


* 


* 


* 


Adunanza pubblica del 2 dicembre 1906. — Vocabolario (5* impres- 
sione), vol. X, fasc. 1. 
* — R. Accademia economico-agraria dei Georgofili. Atti, 5* serie, Vol. III, 


disp. 4*, suppl. alla 4%; IV, 1-38. 
— R. Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento. Pubblica- 
zioni: Sezione di scienze fisiche e naturali: Raccolte Planetoniche fatte 
dalla R. Nave “ Liguria ,, vol. I, fasc. 1-3. Sezione di Medicina e Chi- 
rurgia, Istituto fototerapico annesso colla clinica Dermosifilopatica, 
Resoconto dell’anno 1906. — R. Osservatorio di Arcetri, fase. 23-24: 
Osservazioni astronomiche. 
* — Osservatorio Meteorico del R. Museo. Pubblicazioni periodiche di Me- 
teorologia: Osservazioni dell’anno 1904-1906. 

* Frankfurt am Mein. Senckenbergische Naturforschende Gesellschaft. 
Abhandlungen, XX]X Bd., Heft. 2. 

* Freiburg i. Br. Naturforschende Gesellschaft. Berichte, Bd. XV; 8°. 

* Gap. Société d'Études des Hautes-Alpes, 3*m® sér., An. XXV (1906). 
N. 19-20; XXVI, 21-29. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXI 


* Genève. Institut National Genevois. Bulletin, T. XXXVII. 

* — Société de Physique et d’Histoire naturelle. (Euvres complètes de 
J.-C. Galissard de Marignac. (Hors sér. de Mémoires), T.1(1840-1860 ; 
II (1860-1887). — Mémoires, Vol. XXXV, fasc. 3. 

* Genova. Museo civico di Storia naturale. Annali, serie 3*, vol. II. 

* — Società Ligure di Storia patria. Vol. XXXV-XXXVI. 

* — Società di letture e conversazioni scientifiche. Rivista ligure. An. XXVIII 

(1906), fase. 6°; XXIX, 1-6. 3 

* Giessen. Universitàt-Bibliothek. Tesi N. 135, Die Universitàt Giessen 
1607-1907. Beitrige zu ihrer Geschichte. Festschrift zur dritten Jahr- 
hundertfeier herausgegeben von der Universitàt Giessen. Giessen, 1907; 
2 vol. in-4°. 

Goteborg. K. Vetenskaps och Vitterhets-Samhilles Handlingar, v. VIIL-IX; 8°. 

Gottingen. K. Gesellschaft der Wissenschaften. Abhandlungen, Matema- 
tisch-physikalische Klasse, N. F., Bd. V, N. 1-5. — Id., Philologisch- 
Historische Klasse, N. F., Bd. IX, 1-5. — Nachrichten: Mathematisch- 
physikalische Klasse, 1906; Heft 4,5; 1907; 1-3. — Id., Philologisch- 
historische Klasse, 1906, Heft 3, 4; 1907, Beiheft; 1907, Heft 1, 2. — 
Geschiftliche Mittheilungen, 1907, Heft 1. 

Granville Ohio. Scientific Laboratories of Denison University. Bulletin, 
Vol. XIII, Art. 3. 

* Habana. Academia de Ciencias Médicas, Fisicas y Naturales. Anales, 
Revista cientifica, T. XXXIX (1902-1903); XL (1903-1904); XLIII (Mayo- 
Diciember 1906); XLIV (Enero-Agosto 1907). 

Harlem. Société hollandaise des sciences. Archives néerlandaises des 
sciences exactes et naturelles. Sér. II, T. XII, 1-5 livrs. 

* — Musée Teyler. Archives. Sér. II, Vol. X, 3° et 4° partie. 

* — Fondation de P. Teyler van der Hulst: Verhandelingen van Teyler 

tweed Genootschap. N. R., DI. VII. 
* Heidelberg. Naturhistorisch-medizinisches Verein. N. F., VIII Bd., 3 u. 
4 Heft. 
Helsingfors. Société des sciences de Finlande. Observations météorolo- 
giques publiées par l’Institut Météorologique central: État des glaces 
et des neiges en Finlande pendant l’hiver 1895-1896. Acta, T. XXXII. 
— Ofversigt, XLVII (1904-1905). — Bidrag, 63; 4°. 
* Jena. Medizinisch-naturwissenschaftliche Gesellschaft. Denkschriften , 
Bd. Vi, 2 Teil; VII, 1. — Jenaische Zeitschrift fiir Naturwissenschaft, 
N. F., XXXV Bd., Heft 1-3; XXXVI, 1. 

** Inventari dei Manoscritti delle Biblioteche d’Italia. Vol. XIII; Forlì, 
1905-1906: 4°. 

* Kasan. Société Physico-mathématique. Bulletin, 29° sér., T. XV, N. 2, 3. 

* Kharkow. Société mathématique. Comunications, 2° sér., T. VIII, N. 6: 
IX, 1-6 1904-1906; 8°. 

* Kiel und Leipzig. Kommission zur wissenschaftlichen Untersuchungen der 

deutschen Meere in Kiel und der Biologischen Anstalt auf Helgoland. 


* 


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* 


XXXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Wissenschaftliche Meersuntersuchungen. N. F., VIII Bd., Abth. Helgoland, 
Heft 1; 1906. 

Kodaikanal, Observatory. Bulletin, N. VIII-IX-X-XI. — Annual Report of 
the Director, Kodaikanal and Madras Observatories for 1906. 

* Kònigsberg. Physikalisch-5konomische (Gesellschaft. Schriften, XLVII 
Jahrgang, 1906; 4°. 

Kyoto. College of Science and Engineering Kyoto Imp® University. Me- 
moirs, vol. I, N. II (1906-1907); 8°. 

* Lawrance. University of Kansas. Science Bulletin, vol. III. 


* Leipzig. K. Sichsische Gesellschaft der Wissenschaften. Mathematisch- 
physische Klasse; Abhandlungen, Bd. XXX, N. 1-3. — Berichte, 1906, 
N. 6-8; 1907, 1-3. — Philologisch-historische Klasse: Abhandlungen, 
Bd: XXIII, N. 3-4; XXV, 2-3-4-5; XXVI, 1. — Berichte, 1906, N. 3-5; 
1907, 1-3. 

— Fiirstlich Jablonowski sche Gesellschaft. Jahresbericht, 1906, 1907 (Mirz). 

— Verein fiir Erdkunde. Mitteilungen 1906. 

* Liège. Société Royale des Sciences. Mémoires, 8°M® sér., T. VI. 

Lima. Ministerio del Fomento. Cuerpo de Ingenieros de Minas del Peni. 
Boletin, N. 41, 44-49; 8°. 

* Lisboa. Commissào do Servigo Geologico du Portugal. Communigàes, T. VI, 
fasc. 2° (1906-1907); T. VII, 1 (1907); 8°. — Carta hypsometrica de 
Portugal, 1:500.000, 2 fol. 

# London. R. Astronomical Society. Memoirs. Appendix 2? to vol. LV. 
LVII, part. 1,2; Appendix. — Monthly Notices, vol. LXVII, N. 1-8 (1906- 
1907), 9 suppl. number, LXVIII (1907-1908). 

— British Association for the advancement of Science. Report of the Se- 
venty-Sixth Meeting of York. August 1906. London, 1907; 1 vol in-8°. 

* — British Museum (Natural History). History of the Collections, vol. JI, 
1906. — Illustrations of British Blood-Scuking Hies, 1906. — Catalogue 
of Moths, vol. VI. — Catalogue of Orthoptera, vol. II. Catalogue of 
Corals, vol. VI. — Guide to Exhibition of Old Natural History Books. 
— (Guide to History of Plant Classification. — List of Casts of Fossils. 

— Chemical Society. Journal, 1906, Supplementar Number Title: pages, 
contents, and Index, January-December 1907. — Proceedings, vol. XXII, 
N. 318; XXIII, 319-334. 

* — (teological Society. Quarterly Journal vol. LXIII, p. 1-4, N. 249-252, 
— (Geological Literature... during the Year ended December 31st. 
1906; 8°. 

* — Linnean Society. List (1907-1908). Journal of Botany, vol. XXXVIII, 
N. 263-64. — Journal of Zoology, vol. XXX, N. 195-96. — Transactions, 
Botany, vol. VII, part 4-5; Transaetions, Zoology, vol. IX, part 11; X, 6, 7. 
Proceedings, 119th Session. From November 1906 to June 1907. 

— Royal Microscopical Society. Journal, 1907, Part 1-6. 

— Royal Society. Year-Book 1907; 8°. — Proceedings, Ser. A, vol. 78, 
N.526; 19, 80, N. 535; Ser. B, vol. 99. 


* 


* 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIII 


* London. Royal Society. Report of the Commission appointed by the Admi- 


ralty, the War Office, and the Civil Government of Mylta, for the in- 
vestigation of Mediterranean Fever....., Part 5-7*. London, 1907; 8°. 


— Royal Society. International Catalogue scientific literature. (Third, Fourth 


* 


* 


* 


and Fifth annual issue): A. Mathematics; B. Mechanics; €. Physics; 
D. Chemistry; E. Astronomy; F. Meteorology including terrestial Ma- 
gnetism; &. Mineralogy including Petrology and Cristallography; H. Geo- 
logy; J. Geography mathematical and physical; K. Palaeontology ; 
L. General Biology; M. Botany; N. Zoology; 0. Anatomy; P. Anthro- 
pology; @. Physiology including Experimental Psychology, Pharma- 
cology and Experimental Pathology; È. Bacteriology. London, 1906- 
1907; 8°. 

— Royal Society of Literature. Transactions, 2d. ser., vol. XXIII, p. 2*; 
XXVII, 3%4% — Cristabel by Samuel Taylor Coleridge illustrated by 
a facsimile of the Manuscript and by textual and other notes by Er- 
nest Hartley Coleridge London, 1907, vol. I; 4° — Report and List 
of Fellows, 1907. 

— Zoological Society. Proceedings, 1906, pp. 759 in fine, 1907, January- 
June. — Transactions, vol. XVIII, part 1?. 


Louvain. Université catholique. Publications académiques de l’année 1905- 
1906. Annuaire 1907. — Programme des cours de l'année académique 
1905-1906. — T. Van Oppenraa1y, La doctrine de la prédestination dans 
l’église réformée des Pays-Bas. Louvain, 1906. — Ca. TertLinpen, Guil- 
laume I*, roi des Pays-Bas, et l’Église catholique en Belgique. Bruxelles, 
1906, 2 vol. — C. L. Houravysen, Het agrarisch vraagstuk in Neder- 
landsch Indié. Antwerpen, 1906. — R. Lemarre, Les origines du style 
gothique en Brabant. Première partie. Bruxelles, 1906. 


Laxemboarg. Institut Grand-Ducal. Archives trimestrielles (Section des 
Sciences naturelles, phys. et mathém.), fase. ITI et IV. 1906. 


Lyon. Académie des Sciences, Belles-lettres et Arts. Mémoires, Sciences 
et Lettres, 3° sér., T. IX, 8°. 
— Diocèse de Lyon. Bulletin historique, 7° année, 1906, N. 42-47. 


* — Société Linnéenne. Annales, 1906, N. S., t. LIII. 


— Université. Annales, Nouvelle Série: I. Sciences, Médecine, fasc. 19. — 
II. Droit, Lettres, fasc. 16-18. 


Madison. University of Wisconsin. Publications of the Observatory. 
Vol. X, p. 3. 


Madrid. R. Academia de Ciencias Exactas, Fisicas y Naturales: Revista, 
T. V, N. 1-12. — Anuario, 1907. — Memorias; T. XXV. 
— R. Academia de la Historia. Boletin, T. L, cuad. 1-6; LI, cuad. 1-6. 


Magdeburg. Museum fiir Natur- und Heimatkunde: Abhandlungen und 
Berichte, Bd. I, Heft 2, 3. 


Manila. Philippine Ethnological Survey. Publications, vol. I: The Bontoc 
Igorot by A. E. Jenks, 1905, 8°. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 5. 


XXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Messina. R. Accademia Peloritana. Atti, vol. XXI, fasc. 2°. -— Resoconti 
delle tormate delle Classi (luglio-dicembre 1906). 

— Osservatorio. Istituto di fisica terrestre e Meteorologia della R. Univer- 
sità. Annuario dell’anno 1906 (An. III); 8°. 


* Mexico. Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. Memorias y Revista, 
T. XXII, Nos 7-12; XXIII, 5-12; XXIV, 1-9. 

— Observatorio Meteorologico magnético Central. Mes de Diciembre, 1902. 
— Servicio Meteorolégico. Tempo probable en la Repriblica durante 
el mes de Enero-Julio, Septiembre, Octubre 1907. — Boletin mensual. 
Mes de Enero 1903; Julio-Septiembre 1904. — El Servicio Meteorol6- 
gico de la Repriblica Mexicana, por el Director Ing. Manuele E. Pastrana. 

— Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya y Cuajimalpa. Anuario 
para el aîio de 1907; 16°. — Observaciones Meteorolégicas practicadas 
en los observatorios durante el aîo de 1904; 4°. 


Milano, R. Commissione Geodetica italiana. Processo verbale delle sedute. 
Bologna, 1906; 4°. 

* — R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Classe di lettere, scienze 
morali e storiche. Vol. XXI, fasc. 4°. — Rendiconti, Ser. II, Vol. XXXIX, 
fasc. 19-20; XL, 1-18. 

— Reale Osservatorio di Brera. Pubblicazioni N. XL, p. 2*, Ai-Battani sive 
Albatenii opus astronomicum. Anno 1908, Articoli del Calendario ed 
effemeridi del sole e della luna per l’orizzonte di Milano. Con appendice. 
Milano, 1907; 8° (dal Direttore Prof. G. Celoria, Socio corrispondente 
dell’Accademia). — Pubblicazioni N. XLIII. Nuova determinazione della 
latitudine del R. Osserv. Astronomico di Brera. 

— Città di Milano. Bollettino statistico mensile: An. XXII, 1906, Novembre- 
Dicembre e Supplemento; An. XXIII, 1907, Gennaio-Novembre. 

— Raccolta Vinciana. Fasc. 1-2. 

* — Società Italiana di scienze naturali e Museo Civico di storia naturale. 
Atti, vol. XLV, fasc. 3° e 4°; XLVI, 1° e 2°. 4 

* Modena. R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti. Memorie, Serie III, 
Vol. VI. 


Monaco, Institut Océanographique. Bulletin, 1906, N. 87; 1907, N. 88-108. 

* Moncalieri. Osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto. Bollettino Meteo- 
rologico e Geodinamico 1907, Gennaio-Settembre. — Riassunto delle 
Osservazioni Meteorologiche fatte al Grand Hòtel du Mont Cervin du- 
rante 1 mesi di Luglio-Settembre 1900. 

* Montevideo. Reprblica Oriental del Uruguay. Annuario estadistico. Aîios 
1904-1906. T. I, 1907; 4°. 

* — Museo Nacional. Anales, T. HI, Entrega 1, 2. 


* Montpellier. Académie des sciences et des lettres. Section des sciences, 
Sér. 2°, T. III, N. 5-7; Section des lettres, Sér. 2°, T. III, N. 3. 


Mont Rosa. Laboratoire scientifique international. Travaux des Années 
1904-1907, TT. II. Turin, 1907; 8° (Dono del Socio residente A. Mosso). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXV 


*# Moscou. Société Impér. des Naturalistes. Bulletin, An. 1905, N. 1-3; 1906, 
1, 2, 4. — Nouveaux Mémoires, T. XVII, livrs. 1. 


* Miinchen, K. Bayer. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-physikalische 
Klasse. Abhandlungen. Bd. XXIIl, 2 Abth. XXIV, 1. — Sitzungsbe- 
richte, 1906, Heft 3; 1907, 1, 2. — Philosoph.-philologische Klasse 
Abhandlungen, Bd. XXIV, 2. — Historische klasse. Abhandlungen 
Bd. XXIV, 2. — Sitzungsberichte, 1905, Heft 3; 1907, 1-2. Wilhelm, 
v. Christ, Geda&chtnisrede von 0. Crusius. 

— K. Sternwarte. Neue Annalen. Suppl. I. 

# — Ornithologische Gesellschaft in Bayern. Verhandlungen, Bd. VI, 1905. 


* Nancy. Académie de Stanislas. Mémoires, 1905-1906, 6° Sér., T. III 


* Nantes. Société des sciences naturelles de l’Ouest de la France. Bulletin, 


2° Sér., T.« VI (1906), N. 1-4. 


# Napoli. Società Reale. Annuario, 1907. — Accademia delle scienze fisiche 
e matematiche. Rendiconto, Ser. 3*, vol. XII (1906); fasc. 9-12; XIII (1907), 
fasc. 1-7. — Accademia di Archeologia, lettere e belle arti. Atti, vol. 
XXIV, 1906. Rendiconto, N. S., An. XIX (1905), Aprile-Dicembre; XX 
(1906); XXI (1907). 

*# — Accademia Pontaniana. Atti, vol. XXXVI. 

* — R. Istituto d’Incoraggiamento. Atti, Ser. 6°, 1906. — Il R. Istituto d’Im- 
coraggiamento di Napoli, MDCCCVI-MCMVI. Ricerche storiche di Oreste 
Mastrojanni pubblicate per deliberazione del R. Istituto in occasione del 
primo centenario. Napoli, L. Pierro, 1907; 1 vol. in 4° gr. 

— Società di Naturalisti in Napoli nel XXV anniversario della sua fonda- 
zione, MDCCCLXXXI-MCMVI. Bollettino, Ser. I, vol. XX (1906). 

— R. Osservatorio di Capodimonte. Osservazioni meteoriche fatte nell’anno 
1906. — Riassunto delle osservazioni meteorologiche fatte negli anni 
1905, 1906. — Determinazioni assolute della inclinazione magnetica 
eseguite negli anni 1901-1906. — Variazioni della determinazione ma- 
gnetica negli anni 1903 e 1904. — Sull’altezza delle polveri vesuviane 
cadute in Napoli dopo le eruzioni del 22 ottobre 1822 e dell’8 aprile 1906. 
— Osservazioni astronomiche, magnetiche e meteorologiche eseguite nei 
giorni 28-31 agosto e 1° settembre 1905 in occasione dell’eclisse solare 
del 30 agosto. 


* Napoli. Zoologische Station. Mittheilungen, XVIII Bd., 1-3 Hett. 


* Neuchîtel. Société Neuchateloise des sciences naturelles. Bulletin, T. XXXII, 
An. 1903-1904. 


* New York. American Mathematical Society. Bulletin, vol. XII, N.4-10; XIV, 
1-3. — Transactions, vol. VIII, N. 1-4. -— Annual Register, January 1907. 

* — New York Public Library Astor, Lenox and Tilden Fondations. Bul- 
letin, 1907, N. 1-12. 

Niirnberg. Naturhistorische Gesellschaft; XVI. Bd.; Jahresbericht fir 1905. 


Oberlin (Ohio). Wilson Ornithological Club. The Wilson Bulletin, N. 57-60. 


XXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Ottawa. Geological Survey of Canada. Report on the Chibougamau mi- 
ning Region ete., N. 923. — Preliminary Report on the Rossland, B. C., 
mining Distriet, N. 939. — Summary Report... for the Calendar Year 
1906, N. 959. — Province of Nova Scotia [Carte], 793-796, 836-841, 878. 

* — Royal Society of Canada. Proceedings and Transaetions, 2° Ser., vol. 
XII, Meeting of May, 1906; 8°. 


* Padova. R. Accad. di scienze, lettere ed arti. Atti e Memorie, 1905-1906. 
N. S., vol. XXII; 8°. 

* — Accademia scientifica veneto-trentina-istriana. Atti. N. S., An. II, 
fase. 1-2; IV, 1-2. 

* Palermo. R. Accademia di scienze, lettere e belle arti. Bullettino, 
anni 1903-1906. 

* — (Circolo Matematico. Annuario 1907. — Estratti dei verbali delle adu- 
nanze e Bollettino delle pubblicazioni ricevute. Vol. II, 1907, N. 3-4. 
— Rendiconti, T. XXII, fasc. 3; XXIII, 1-3; XXIV, 1-3. 

— Collegio degli Ingegneri ed Architetti. Atti, 1906, Luglio-Dicembre. 


Paris. Ministère de l’Instruction Publique. IMmventaire Sommaire des Archives 
Départementales, antérieures è 1790: Aisne, Archives civiles, Série E, 
Supplément, T. V. — A/ier, Série E, Supplément, T. I (Arrondissement. 
de Moulins). — Calvados, Archives civiles, Sér. E, T. I; Sér. C, T. 1V; 
Archives ecclésiastiques, Sér. H, T. I; Sér. H Suppl., T. IL — Cantal, 
Archives civiles, Sér. C (Intendance de Clermont, Election d’Aurillac); 
Sér. D (Instruction Publique). — Charente-Inférieure, Sér. B. — Corse, 
Sér. C, Fonds du Civile Governatore, T. I. — Doubs, Archives eccle- 
siastiques, Sér. G., T. II. — Eure-et- Loire, Cartulaire de Saint-Jean en 
Vallée de Chartres. — MHautes-Alpes, Archives Communales; Archives 
de Guillestre. — Hérault, Archives civiles, Ser. C, T. IV, Part. I, 
Inventaire de F. Resseguier. — sère. Ville de Grenoble, 3° partie. 
Sér. DD, EE et FF. — Nord, Archives civiles, Sér. B. Chambre des 
Comptes de Lille, art. 653 à 1560, T. I (2° partie). — Puy-de-Dome, 
Archives civiles, Ser. C, T. IV. — Pyrénées-Orientales, Archives ecelé- 
siastiques, Sér. G. — Rhéne, Sér. E suppl., Archives anciennes des Com- 
munes, T. II. — Vosges, Archives ecelésiastiques, Sér. G, T. III 

— Catalogue des Thèses et Écrits académiques, 22° fasc. Année scolaire 
1905-1906. — Annales du Musée Guimet. Bibliothèque d’Études; T. XII, 
XXII, XXIII. Paris, 1906; 8°. — Revue de l’histoire des religions, 
PIU, 2-3; LIV; 1-3. 

* — Ministère des Travaux Publies. Annales des Mines, 10° Série. **T. V, 
(1904) 4 livr.; ** VII (1905) 4 livr.; T. X, (1906) 8-12; XI (1907) 1-6; 
XII (1907) 7-8. 

** — Bureau des Longitudes. Annuaire pour l’an 1907; 8°. 

* — École Polytechnique. 11° sér., XI Cahier (1906). i 

* — Institut de France. Annuaire pour 1904-1907. — Mémoires de l'Aca- 
démie des Sciences, T. XLVIII, XLIX, 2° sér. — Académie des In- 
scriptions et Belles-Lettres: Mémoires, T. XXXVII, 2*M° partie. — 
Notices et Extraits des Manuscrits de la Bibliothèque Nationale et 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXVII 


autres Bibliothèques, T. XXXVIII, 2°®° partie. — Corpus Inscriptionum 
Semiticarum. Pars 2*, Inscriptiones Aramaicas continens, T. I Tàbulae, 
fasc. 3 (tab. XLV-CVI). T. II, fasc. 1. — Académie des Sciences Morales 
et Politiques. Collection des ordonnances des Rois de France, Cata- 
logue des Actes de Frangois I°", T. VIII 

* Paris. Muséum d’histoire naturelle. Bulletin, Ann. 1906, N. 5-7; 1907, 1-5. 
— Nouvelles Archives, 4° sér., T. VIII, fasc. 4; IX, 1. 

* — Société de Géographie. La Géographie, Bulletin, T. XIII (1906), N. 6; 
XIV (1906), 1-6; XV (1907), 1-6. 

* — Société Géologique de France. Bulletin, 4° Sér., T. IV, N. 7; V (1905), 
6-7 VI (1906), 1-7. 

* — Société Mathématique de France. Bulletin, T. XXXIV, fase. 4; 
XXXV, 14. 

* — Société Nationale des Antiquaires de France. Mettensia, V. Mémoires 
et Documents, fasc. suppl., fasc. 1°. — Bulletin, 4° trimestre 1906 
1°-2° trimestre 1907. — Mémoires, 1906, 7° sér., T. VI. 

* — Société Philomatique. Bulletin, 9° Série, T. VII, N. 5-6; IX, 1-5. 

* — Société de Speléologie. Spelunca. Bulletin & Mémoires, T. VII, N. 47:49. 

* — Société Zoologique de France. Ann. 1905, T. XVIII; 8°. 

* Pavia. Società Pavese di Storia patria. Bollettino, An. VI (1906), fasc. 4; 
VII (1907), 1-3. 

* Perugia. R. Deputazione di Storia patria per l'Umbria. Bollettino, An. XII, 
fase. 3; An. XIII, 1. 

*— R. Università degli Studi. Annali della Facoltà di (Giurisprudenza, 
Ser. III, (1906), vol. IV, fasc. 3-4. 

* Philadelphia. Academy of Natural Sciences. Proceedings, 1906, vol. LVIII, 
part 1-3; LIX, 1. 

* — American Philosophical Society. Proceedings, vol. XLV, N. 182-184. — 
Transactions, vol. XXI, part 3. — The Record of the Celebration of the two 
Hundredth Anniversary of the birth of Benjamin Franklin, vol. in 8°. 

Pietermaritzburg (Natal). Surveyor-General’s Department. Third and final 
Report of the Geological Survey of Natal and Zululand. London 1907; 4°. 

* Pisa. R. Università. Annuario per l’anno accademico 1906-1907; 8°. 

— Società Toscana di scienze naturali. Processi verbali, vol. XVI N. 2-5 (1907). 

— Università toscane. Annali. T. XXVII. Pisa 1907, 1 vol. in 4°. 

* Portici. Regia Scuola Superiore di Agricoltura in Portici nel passato e 
nel presente, 1872-1906, 1 vol. in fol. — Annali, serie II, vol. V-VI. — 
Contribuzione alla conoscenza degli insetti dannosi all’olivo e di quelli 
che con esso hanno rapporti. Portici, 1907; 8°. 

* Porto. Academia Polytechnica. Annaes scientificos, vol. II, N. 1.3. 

Potsdam. K. Preussisches Geodatisches Institut. Veròffentlichung. N. F., 
N. 30-33. i 

* Prag. K. Bò6hmische Gesellschaft der Wissenschaften. Jahresberichte fiir 
das Jahr 1906. — Sitzungsberichte. Mathematisch-Naturwissenschaftliche 

> Classe, 1906. 


XXXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Prag. K. K. Sternwarte. Magnetische und Meteorologische Beobachtungen im 
Jahre 1906. 67 Jahrgang. — Astronomische Beobachtungen 1900-1904. 


* Praze. Cèské Akademie Cisare Frantiska Josefa pro vedi, slovenost a umeni. 
Almanah Roénik XVI, XVII. = Archiv pro lexikografii a dialektologii 
Cislo 4, 6, cast. 1, 2. — Bibliografie Ccské Historie. Dil treti Svazck 2, 3. 
— Bibliotéka klassikù reckych a rimskych Cislo 11, 12, 183. — Histo- 
ricky Archiv, Cislo 25-29. — Bulletin international. Classe des sciences 
mathématiques, naturelles et de la médecine, 1X° An. (1904) 1I; X° An. 
(1905) I, II; XI° An. (1906). — Rozpravy, Trida I Cislo 34, 35, 36; 
Trida II Roéni XIV (1905), XV (1906) XVI; — Trida III, Cislo 21, 22. 
— Sbirka pramenîiv ku poznini litérarniho zivota v teckich, na Mo- 
rave a v slezsku. Skupina II, Cislo 5, 6, 8. — Véstnik, Roenik XIV 
(1905), XV (1906). Filosofick:i bibliotheka. Rada II Cislo 1. O Pomeru 
predlohy hartmanova Gregoria k starofrancouzskym legendim o sv 
réhoti. Napsal Dr. M. Ktepinskf. — Rukovét Palaezoologie napsal Dr. Ph. 
Poéta 1 Cast (Invertebrata), 2 Cast (Vertebrata). — Dejiny remesel a 
obchodu cechach v XIV a v XV stoleti sepsal Z. Winter. — Dodatek 
ke spisu “ Sek ve vede a v zakonodarstvi , napsal Dr. A. Paulicek. — 
Chemie fysikalna napsal Dr. A. Reychler z franciny prelozil E. Vo- 
tocek. — Elektrochemie sepsali D. J. Baborovsky a Dr. Fr. Plzak. — 
Katalog ceskych fossilniich obratloveu (Fossilia vertebrata Bohemiae), 
sestavil Dr. Fr. Bayer. — Nastuzeni a choroby z nastuzeni napsal. 
Dr. K. Chodounsky. 


Pretoria. Transvaal. Meteorological Department. Annual Reports for the 
Year ended 30th June 1906. 


Pusa. Memoirs of the Department of Agriculture in India. Agricultural 
Research Institute, Botanical ser. vol. I, N. 5-6; vol. I, part 2*; II, 1,2. 
Chemical ser. vol. I, N. 2-5. — Entomological ser. vol. I, N. 2-5. — 
First Report on the Funt experiment at Pusa. Bulletin, 4; 1906. 


* Reims. Académie Nationale. Travaux, 116?" vol. (1903-1904); et 117?m® 
(1904-1905). 


* Rennes. Société scientifigue et Médicale de l’Ouest. Bulletin, 1. XV 
(1906), N. 1-3. 


* Riga. Naturforscher-Verein, Korrespondenzblatt, IL, 1906, L, 1907. — 
Statut des Naturforscher-Vereins zu Riga. 


Rio de Janeiro. Biblioteca Nacional. Annaes, 1905, vol. XXVII. — Cata- 
logo da Collecgio Salvador de Mendohca. — Relatorio que ao Sr. Dr. 
J. J. Seabra, Ministro da Justiga e Negocios Interiores e apresentou 
o Director Dr. M. C. Peregrino da Silva, 1906; 8°. — Doeumentos re- 
lativos a Mem de Si Governador Geral do Brasil. — Representagào do 
Brasil na Exposigao Universal da compra da Luisiana. E. U. A., Relatorio 
apresentado ao Ministro da Industria, Viagào et Obras publicas, ecc. 


Rio de Janeiro. Observatorio. Annuario para o anno de 1907. — Boletim 
mensal 1906. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIX 


* Rochester N. Y. Rochester Academy of Science. Proceedings, vol. III 3; 
IV, pp. 203-214. 


* Roma. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. (Direzione generale 
della Statistica). Statistica delle cause di morte nell’anno 1904-1905. 
— Statistica delle forze motrici impiegate al 1° gennaio 1904 nell’A- 
gricoltura e nelle industrie del Regno con notizie sulle forze motrici 
impiegate in alcuni Stati esteri, 1906; 8°. — Statistica giudiziaria pe- 
nale per l’anno 1903. — Annali, Ser. IV, N. 109: Atti della Commis- 
sione per la statistica giudiziaria e notarile. Sez° del Marzo 1906. 
Notizie sulle condizioni dell’insegnamento industriale e commerciale in 


Italia e in alcuni Stati esteri. Annuario del 1907; 8°. — Annuario sta- * 


tistico italiano 1905-1908, fasc. 1°. Appendice al Movimento della Po- 
polazione secondo gli Atti dello Stato civile nell’anno 1906; Confronti 
internazionali circa la nuzialità, natalità e mortalità, 8°. 

— Ministero delle Finanze. (Direzione generale delle Gabelle). Statistica 
del commercio speciale di importazione e di esportazione del 1906; 
novembre-dicembre; 1907, gennaio-settembre. — Bollettino di Legisla- 
zione e Statistica doganale e commerciale, an. XXIII, 1906, ottobre-di- 
cembre; an. XXIII, 1907, gennaio-ottobre. — Movimento della Naviga- 
zione del Regno d’Italia nell’anno 1905. — Movimento commerciale 
del Regno d’Italia nell’anno 1905; vol. 1I; 4°. — Relazione sull’Ammi- 
nistrazione delle Gabelle per l'esercizio 1905-1906; 4°. — Tabella indi- 
cante i valori delle merci nell’anno 1905 per le statistiche commerciali. 


** — Ministero dell'Interno. Calendario generale del Regno d’Italia pel 
1907, An. XLV; 8°. 
** — Ministero della Pubblica Istruzione. Ruoli di Anzianità al 16 dicem- 


bre 1906, Roma, 1907; 8°. — Annuario 1907; 8°. 

* — Biblioteca del Senato del Regno. Bollettino delle pubblicazioni di re- 
cente acquisto. Anno 1906, N. 5, 6: 1907, 1-4. 

* — Istituto di Diritto Romano. Bullettino, A. XVIII, fasc. 3-4. 

* — Pontificia Accademia Romana dei Nuovi Lincei. Memorie, vol. XXIV. 
— Atti, Anno LIX, Sez. II-VII; 21 gennaio - 17 giugno 1906; An. LX, 
Sez. I; 16 dicembre 1906; Sez. II-VII; 20 gennaio - 17 giugno 1907. 

** — Raccolta Ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. 

— Reale Accademia dei Lincei. Annuario 1907. Atti della Classe di scienze 
fisiche, matematiche e naturali, Memorie, serie V, vol. VI, fasc. 9-12. Ren- 
diconti 1° e 2° semestre 1907. — Classe di scienze morali, storiche e 
filologiche. Notizie degli scavi di antichità, vol. III, fasc. 7-12 e Indice, 
vol. IV, fasc. 1-6. — Rendiconti 1907 — Rendiconto dell’adunanza solenne 
del 2 giugno 1907. 

* — R. Comitato Geologico d’Italia. Bollettino, 1906, N. 3,4; 1907, 1,2. 

— Catalogo della Biblioteca dell'Ufficio Geologico. 

* — R. Osservatorio Astronomico del Collegio Romano. Memorie, ser. 3°, 
vol. IV, parte II ed ultima; 4°. 

— R. Ufficio centrale di Meteorologia e di Geodinamica. Annali, vol. XXIII, 
p. 1 (1901). 1906; 4°. 


XL PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Roma. Società degli Agricoltori italiani. Bollettino quindicinale. An. XH 
(1907), N. 1-24. 

— Società Areonautica italiana. An. IV, N. 1-12 (1907); 4°. i 

" — Società Italiana delle Scienze (detta dei XL); Ser. III, T. XIV; 4°. 

Rovereto. I. R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati. Atti, 
Ser. IN, vol. XII, fasc. 3-4 (1906); XIII, fasc. 1-2 (1907); 8°. 


+ Saint-Louis Mo. Academy of Science. Transactions, vol. XV, N. 6; XVI, 1-7. 
— Missouri Botanical Garden. Seventeenth Annual Report, 1906; 8°. 


* St-Pétershourg. Académie Imp. des sciences. Bulletin, V® Sér., T. XXII- . 
XXIV (1905-1906), Classe Physico-Mathématique. VI° Sér., (1907), N. 1-18. 
— Comptes rendus des séances de la Commission sismique permanente. 
T...IL, in 2, 

* — Comité Géologique. Bulletins, vol. XXIII (1904), 7-10. — Mémoires, 
1905, livrs. 3, 19, 20. 

— Observatoire Physique Central Nicolas. Annales, 1904, parte I-II. — 
Mission scientifique pour la mesure d’un are de méridien au Spitzberg: 
5 Mémoires de la Mission Russe. 

* — Société physico-chimique russe. Journal. T. XXXVIII, 9; XXXIX, 1-9. 

— Observatoire Magnétique et Météorologique Constantin. Étude de l’atmo- 
,Sphère. Fase. 2; 4°. 


* 


* 


San Francisco. University of California. University Chronicle and Official 
Record, 1906, vol. VIII, N.3. — American Archaeology and Ethnology, 
vol. IV, N. 1-2. — Bulletin of the Department Geology, vol. IV, 
N. 14, 15, 17. — Physiology, vol. III, N. 7. — Zoology, vol. III, N. 2-4. 
— College of Agriculture. Agricultural Experiment Station. Bulletin, 
NI ATI. 


Sassari. R. Università. Studi sassaresi, Anno IV, sez. II, suppl. 6-7, fase. 2°, 
V, Sez. II, Suppl. 1-3. 

Siena. R. Accademia dei Fisiocritici. Atti, Serie IV, vol. XVIII, N. 6-10; 
XIX, 1-6. 

— R. Università degli Studi. Annuario accademico 1906-1907; 8°. 


Stockholm. Académie R° Suédoise des sciences. Arkiv for: Matematik, 
Astronomi och Fysik. Bd. III, 2-4. — Kemi, mineralogi och geologi. 
Bd. II, 2-6. — Botanik, Bd. VI. 3-4. — Zoologi. Bd. IIl, 3-4. - Ac- 
cessions Katalog, 20, 1905. — Arsbok (Annuairej, Ar 1906, 1907. — 
Handlingar, Bd. XLI, N. 4, 6-7; XLII, 1-9. — Meddelanden fràn K. 
Vetenskapsakad Nobelinstitut, Bd. I, N. 6-7. — Gosar (A.), Le dé- 
veloppement des conventions de la Haye du 29 Juillet 1899. Confé- 
rence faite à l'Institut Nobel è Kristiania le 18 Juillet 1906. — Les 
Prix Nobel en 1904, 1905. 

* — Institut Central de Metéorologie. Observations météorologigues sué- 

doises, vol. XLVIII (2° sér., vol. XXXIV), 1906; 4°. 


Stonyhurst. College Observatory. Results of Meteorological & Magnetical 
Observations 1906 of the Director Rev. W. Sidgreaves. 
} 


* 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLI 


* Stuttgart. Verein fiir vaterlindische Naturkunde in Wiirtemberg. Jahres- 
hefte, 63 Janrgang und 2 Beilage. 


* Svizzera. Société Helvétique des Sciences naturelles. 87" Session. Win- 
therthur du 30 juillet au 2 aoùt 1904; 88"® Session. Lucerne du 11 au 
13 septembre 1905; 89%© Session. St.-Gall du 30 juillet au 1°" aoùt 1906. 
— Verhandlungen. 89 Jahres-Versammlung vom 29 juli bis 1 august 1906 
in St-Gallen. — Nouveaux Mémoires, vol. XL. — Das Schweizersbild, 
eine Niederlassung aus palaeolithischer und neolithischer Zeit. Zweite, 
verbesserte und vermeherte Auflage (Nouveaux Mémoires, vol. XXXV). 

— Geologische Kommission der Schweiz. Naturforschende (Gesellschaft. 
Beitrige zur geologischen Karte der Schweiz XXVI, XXIX livrs. Geo- 
technische ser., Liefg. IV. — 1. Geologische Karte der Simplongruppe 
mit 1 geolog. Kartenskizze dazu: St.-Gotthard-Montblane und 2 Pro- 
filtafeln. — 1. Geologische Karte der Gebirge zwischen Lauterbrun- 
nenthal, Kanderthal u. Thunersee mit 1 Profiltafel — 1. Geologische 
Karte der Gebirge am Walensee. 


# Thonon. Académie Chablaisienne. Mémoires et Documents, T. XIX. 


* Toky0. Imperial University. Journal of the College of Science, vol. XXI, 
art. 2-7, 9-11; XXU, XXXIII, 1. 

— Earthquake Investigation Committee in Foreign Languages, Publications, 
N. 22 B. Art. 1-4 (1906); 23, 24 (1907). — Bulletin, vol. I, N. 1-4. 

* — K. Japanische Universitàt, Medicinische Facultit, Mitteilungen, Bd. 
Mile. 


Topeka. Kansas Academy of science. Transactions, vol. XX, part 2°. 
— University Geological Survey of Kansas. Vol. VIII, Special Report on 
Lead and Zinc. 1904; 1 vol. in-8°. 


* Torino. R. Accademia di Agricoltura. Annali, Vol. XLIX, 1906. 

* — R. Accademia di Medicina. Giornale, An. LXIX (1906), N. 11-12; 
(1907), 1-8. 

* — R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Pro- 
vincie e la Lombardia. Miscellanea di storia italiana, 3* ser. T. XII. 
Le Campagne di guerra in Piemonte (1703-1708) e l'assedio di Torino 
(1706). — Studi, Documenti, Illustrazioni, vol. I e VIII. Torino, 1907; 
8°. — Biblioteca di Storia italiana recente (1800-1850), vol. I. Torino, 
1907. Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia, com- 
pilata da A. Manno. Vol. 8°, 1907. 

— R. Università. Annuario, An. 1906-1907; 8°. 

— Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università. Bollet- 
tino. Vol, XXI, 1906; 8°. 

* — Istituto di Scienze Giuridico-Politiche della R. Università. AseLLo (L.), 
Sulla restrizione della facoltà di rogito dei notai al mandamento della 
sede notarile. Torino, 1907; 8°. — Avanzini (M.), I minori corsi d’acqua 
del diritto civile italiano. Brescia, 1907; 8°. — Brusa (C. F.), Le ecce- 
zioni personali sospensive nei giudizi cambiari. Milano, 1907; 8°. — 
Caccrami (V.), Del suftragio politico femminile. Vercelli, 1907; 8°. — 


a 


XLII 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Garrone (G.), Le così dette servitù irregolari nel diritto romano e nel 
diritto moderno. Torino, 1907; 8". — Marcoxcisi (F.), La genesi storica 
del diritto di associazione e del diritto di sciopero. Torino, 1907; 8°. 
— Maxera (P.), “ Quae temporalia ad agendum perpetua ad exci- 
piendum ,. Alba, 1906; 8°. — Moxcixi (G.), La prescrizione immemo- 
rabile nel diritto piemontese. Torino, 1906; 8°. — Orrerti (A.), L'azione 
popolare comunale. Bra, 1906; 8°. — Quagtia (S. M.). Il mandato in 


diritto romano. Torino. 1907; 8°. — Ricca Barseris (M.), L’impossibi- 
lità della prestazione. Milano, 1907; 8°. — Rora (R.), Il delitto poli- 
tico nell’età antica. Torino, 1907; 8°. — Sacerpore (R.), I rapporti 


patrimoniali fra i coniugi nel diritto piemontese. Torino, 1907; 8°. — 
Sarrarti (M.), Rivista della giurisprudenza commerciale straniera. In- 
ghilterra, 1905-1906. Milano, 1906; 8°. — Ip., Sulla utilità dello studio 
del diritto privato inglese in Italia. Milano, 1907; 8°. 


* Torino. Società degli Ingegneri e degli Architetti. Atti, An. 1906, fase. 10. 
* — Società Meteorologica italiana. Bollettino mensuale. Ser. II, vol. XXIII, 


N. 1-3 (1903). — Bollettino bimensnale. Serie ITI, vol. XXV, N. 3,4, 11-12, 
XXVI, 1-7. 


— Consiglio Provinciale. Atti, Anno 1906. Ciriè, 1907, 1 vol. in-8°. 


war 


Municipio. Annuario 1905-1906. — Atti del Municipio, Annata 1906; 
2 vol. in-4°. — Bollettino statistico, 1906, settembre-dicembre, N. 9-13; 
1907, gennaio-agosto, N. 1-8. — Relazione sulle condizioni igienico- 
sanitarie del Comune (Biennio 1904-1905). 


* — Club Alpino italiano. Rivista mensile, 1906, vol. XXV, N. 12; 1907, 


Sd 


XXVI, 1-11. — Bollettino pel 1906, vol. XXXVIII, N. 71. 
‘assa di risparmio. Resoconto dell’anno 1906 approvato dal Consiglio 
d’Amministrazione in seduta 20 aprile 1907. 


* Toronto. University of Toronto. Studies of history and economies. 1907. — 


Review of historical publications relating to Canada. Index, vol. I-X; 
XI, Publications of the Year 1906. 


* Toulouse. Université. Ann. scolaire 1904-1905; 1905-1906. — Rapport annual 


du Conseil de l’Université et Comptes rendus des Travaux des Facultés 
et de l'’Observatoire. Rapports sur les Concours. 1 vol. in-8°. — Bulletin, 
fasc. 18-19. — Annales du Midi. Revue de la France Méridionale, 
XVIH® An., N. 71; XIXe, N. 72-74. — Annales de la Faculté des sciences, 
2° Sér., T. VIII, Année 1906, fasc. 2-4; T. IX, 1907, 1. — Revue des 
Pyrénées, 2° trimestre 1905. — Bibliothèque méridionale, 17° sér., T. XI, 
2a 5ér,.T. XI. 


* Trieste. Società di Minerva. Archeografo Triestino. Raccolta di memorie, 


notizie e documenti per servire alla storia della regione Giulia, vol. III, 
serie 3°, fasc. 2. 


Upsal. Observat. Météorologique de l’Université. Bulletin, vol. XXXVIII, 1906. 


* Upsalae. R. Societas scientiarum Upsaliensis. Nova Acta, ser. IV, 


vol. I, fase. 2. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLIII 


* Uppsala. Kgl. Universitàts-Bibliothek. Katalog der Incunabeln von Dr. I. 
Colligir, II; Uppsala-Leipzig, 1907; 8°. — Linnéportratt. Vid Uppsala 
Universitels minnesfest pà tvîhundraîrsdagen af Carl von Linnès. 
Stockholm, 1907; 4°. — Bref och Skrifvelser af och till Carl von Linnès. 
Drel I. Stockholm, 1907; 8°. 


* Urbana (IlIn.). Illinois State Laboratory of natural history. Bulletin, 
vol. VII, art. 6-9. 


Valle di Pompei. Il Rosario e la Nuova Pompei. An. XXIII, quad. X-XII; 
XXIV, 1-10. — Calendario del Santuario, 1907. — Valle di Pompei, 
Periodico semestrale, An. XVII, 1, 2 (1907). 


# Venezia. Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Atti, Serie 8°, 
T. IX, disp. 1-10. — Memorie, vol. XXVII, N. 7.8. 


* Verona. Accademia d’Agricoltura, scienze, lettere, arti e commercio. Atti 


e Memorie, serie 4*, vol. VI, fasc. unico; vol. VI, fase. 2. — Osserva- 
zioni meteoriche dell’anno 1904-1905; 8°. 
* — Madonna Verona. An. 1°, fase. 1-3 (1907). 


* Vicenza. Accademia Olimpica. Atti (1905-1906), vol. XXXV. 


* Washington. Carnegie Institution. Publications Nos.; 9 (vol. IV), 32-34, 86, 
p. II, 44, 48, 50, 52, 53, 54, 56, 57, 58, 60, 61, 65, 69, 70, 76. — Research in 
China 1903-1904. Geographical and Geological Maps, Bailey Willis. Text 
in-8°; Atl. in fol. mas. 

— Carnegie Foundation for the advancement of Teaching. First Annual 
Report of the President and Treasurer 1906. — Bulletin, N. 1. 

* — Carnegie Institution. Year Book, N. 5 (1906); 1 vol. in-8°. 


* — Smithsonian Institution. Smithsonian Miscellaneous Collections, vo- 
lume XLVIII (N. 1656); Part of vol. XLIX (N 1652) Hodgkins Found. 
— Annual Report of the Board of Regents of the Smiths. Instit. for 
the Year ending June 30, 1905. 

* — Smithsonian Institution. Bureau of American Ethnology: Bulletin, 30, 32. 

* 


— Smithsonian Institution. United States National Museum: Proceedings, 
vol. XXX-XXXI. — Bulletin, N. 56, part I (Families Didelphiidae to 
Muridae). — Report of the U. S. National Museum... Year ending June 
30, 1905; June 30, 1906. — Contribution from the U.S. National Her- 
barium, vol. X, part 3-4. — Bulletin, N. 39, part P, Q. 


* Washington. Department of Commerce and Labor. Bureau of Standards : 
Bulletin, vol. III, N. 1-4. 

— Department of Interior. Coast and Geodetie Survey. Report of the Su- 
perintendent of the Coast and Geodetie Survey showing the progress 
of the work from July 1, 1905, to June 30, 1906. 

— Department of the Interior, United States Geological Survey. Geologic 
Atlas of the United States, fol. N. 156-140; 5 fasc. in f°. 

* — United States Naval Observatory. Synopsis of the Report of the Su- 

perintendent for the fiscal year ending June 30, 1906. — Publications, 
2nd ser., vol. IV. 


XLIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Washington. Library Congress. Report of the Librarian Congress and 
Report of the Superintendent of the Library Building and Grounds for 
the Fiscal year ending June 30, 1906; 1 vol. in-8°. 

Wien. (Esterreichische Kommission fiir die Internationale Erdmessung. Die 
Astronomisch geodatischen Arbeiten des K. u. K. Militàrgeographischen 
Institutes, Bd. XXI (1906); 4°. — Astronomische Arbeiten, Bd. XIV, 
Pendelbeobachtungen. — Protokoll iiber die am 29 dezember 1905 
abgehaltene Sitzung. 

* — K. K. Geologische Reichsanstalt. Verhandlungen, 1906, N. 11-18; 
1907, N. 1-10. — Jahrbuch, 1906, Bd. LVI, Heft. 3 u. 4; Bd. LVII, Heft 1-3. 
— Abhandlungen, Bd. XVIII, Heft 2; Bd. XX, Heft 2. 

— K. u. K. Militàrgeographisches Institut. Die Ergebnisse der Triangu- 
lierungen, Bd. IV, 1906; 8°. 

* — K. K. Zoologisch-botanische Gesellschaft. Jahrgang, 1906, Bd. LVI. 

* Wiirzburg. Physikalisch-medicinische Gesellschaft. Sitzungsberichte, 1906, 
N. 1-7; 1907, 1-2. — Verhandlungen. N. F., Bd. XXXIX, 1.2. 

* Zagreb. Societas scientiaram naturalium Croatica Glasnik, Godina X, 
Broj 1-6; XVI(, 2; XVII, 1-2; XIX. 

* — Archeoloskoga odjela narodnoga muzeja. Vjesnik krvatskoga Archeo- 
loskoga drustva. Nove Serije, Sveska IX, 1906-1907; 4°. 

— Kr. Hrvatsko-Slavonsko-Dalmatinskoga Zemaljskoga Arkiva. Vjesnik, 
Godina IX, Sveska 1-4 (1907); 8°. 

* — Jugoslavenska Akademija znanosti i umjetnosti: Codex diplomaticus 
regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae. Vol. IV. — Ljetopis za godinu 
1906. — Rad. Knjiga 166. — Razredi historiko-filologicki i filosoficko- 
juridicki, 66, 67. — Rjecnik hrvatskoga ili srpskoga jezika, Svezak 26. 
Lubovida-Marili. — Zbornik za narodni Zivot i obitaje juZnih Slavena 
Kniga XI, Svezka 2; XII, 1. 

# Zirich. Naturforschende Gesellschaft. Vierteljahrsschrift, Jahrgang LI, 
(1906), 2-4 Heft; LII (1907), 1-2 Heft. 


PERIODICI 1907. 


* Acta mathematica. Zeitschrift herausg. von G. Mittag- Leffler. Stockholm; 4°. 
** Amnalen der Physik und Chemie. Leipzig; 8°. 

** Annales de Chimie et de Physique. Paris; 8°. 

* Amnals and Magazine of Natural History. London; 8°. 

** Annals of Mathematics. Charlottesville; 4°. 

** Antologia (Nuova). Rivista di scienze, lettere ed arti. Roma; 8°. 

** Archiv fur Entwickelungsmechanik der Organismen. Leipzig; 8°. 

** Archives des Sciences physiques et naturelles, etc. Genève; 8°. 

** Archives italiennes de Biologie... sous la direction de A. Mosso. Turin; 8°. 
** Archivio per le Scienze mediche. Torino; 8°. 

** Archivio storico italiano. Firenze; 8°. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA X 


* Archivio storico lombardo. Milano; 8°. 
* Archivio storico per la Sicilia orientale. Catania, 1904; 8°. 


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Archivio storico sardo. Edito dalla Società storica sarda. Cagliari; 8°. 

Ateneo veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Venezia; 8°. 

Athenaeum (The). Journal of English and Foreign Literature, Science, 
the Fine Arts, Music and the Drama. London; 4°. 

Beiblitter zu den Annalen der Physik und Chemie. Leipzig; 8°. 

Beitriige zur chemischen Physiologie und Pathologie. Braunschweig; 8°. 

Berliner philologische Wochenschrift; 8°. 

Bibliographie der deutschen Zeitschriften-Litteratur, mit Einschluss von 
Sammelwerken und Zeitungsbeilagen; 4°. 


* Bibliotheca Philologica Classica. Lipsiae; 8°. 


Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Bollettino delle pubblicazioni 
italiane ricevute per diritto di stampa. Firenze; 8°. 

Bibliotheca mathematica. Zeitschrift fiir Geschichte der Mathematik 
herausg. von G. Erxestròx. Stockholm; 8°. 

Bibliothèque de l’École des Chartes; Revue d’érudition consacrée spé- 
cialement è l’étude du moyen àge, ete. Paris; 8°. 

Bibliothèque universelle et Revue suisse. Lausanne; 8°. 

Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Istruzione Pubblica. Roma; 8°. 

Bullettino (Nuovo) di Archeologia cristiana. Roma; 8°. 


# Bullettino di Archeologia e Storia dalmata. Spalato; 8°. 
“ Bulletins de la Société anatomique de Paris, ete. Paris; 8°. 


Centralblatt fir Mineralogie, Geologie und Paleontologie in Verbindung 
mit dem neuen Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Paleontologie. 
Stuttgart; 8°. 

Cimento (Il nuovo). Pisa; 8°. 

Comptes-rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des sciences. 
Paris; 4°. 

Cosmos di Guido Cora. 

Elettricista (L’). Rivista mensile di elettrotecnica. Roma; 4°. 

Epnuepìg dpyxaroXoyikN. Ev A@Nvarc. 4°. 

Eranos. — Acta philologica Suecana. 

Eauphorion, Zeitschrift fiir Literaturgeschichte heurasg. von August Sauer. 


* Fortschritte der Physik. Braunschweig; 8. 


Gazzetta chimica italiana. Roma; 8°. 

Gazzetta Ufficiale del Regno. Roma; 4°. 

Gegenbaurs Morphologisches Jahrbuch. Leipzig: 8°. 

Giornale del Genio civile. Roma; 8°. 

Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini. 
Milano; 8°. 

Giornale storico e letterario della Liguria diretto da Achille Neri e da 
Ubaldo Mazzini. An. V, 1904; VI, 1905. Spezia; 8°. 

Giornale storico della Letteratura italiana. Torino; 8°. 

Guida commerciale ed amministrativa di Torino. 8°. 

Heidelberger Jahrbiicher (Neue). Heidelberg; 8°. 

Historische Zeitschrift. Miinchen; 8°. 


XLVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


* Jahrbuch iber die Fortschritte der Mathematik. 1901, Berlin; 8°. 
** Jahrbuch (Neues), fiir Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, etc. 
1906, Stuttgart; 8°. 
Jahresberichte der Geschichtswissenschaft im Auftrage der historischen 
(resellschaft zu Berlin herausgegeben von E. Berner. Berlin; 8°. 
* Journal (The American) of Science. Edit. Edward S. Dana. New-Haven; 8°. 
** Journal Asiatique, ou Recueil de Mémoires, d’Extraits et de Notices 
relatifs à l’histoire, è la philosophie, aux langues et è la littérature 
des peuples orientaux. Paris; 8°. 
Journal de Conchyliologie, comprenant l’étude des mollusques vivants. 
et fossiles. Paris; 8°. 
Journal de Mathématiques pures et appliquées. Paris; 4°. 
** Journal des Savants. 1906, Paris; 8°. 
** Journal fiir die reine u. angewandte Mathematik. Berlin; 4°. 
* Journal of Physical Chemistry. Ithaca; 8°. 
** Minerva. Jahrbuch d. gelehrten Welt. Jahrg. 1907-1908; Strassburg,1907; 16°. 
** Modern language notes. Baltimore. 
* Monatshefte fiir Mathematik und Physik. Wien; 8°. 
** Moyen Age (Le). Bulletin mensuel d’histoire et de philol. Paris; 8°. 
** Nature, a weekly illustrated Journal of Science. London; 8°. 
* Nieuw Archieff yoor Wirskunde. Uitgegeven doorh el Wiskundig Genoot- 
schap te Amsterdam; 8°. 
** Palaeontographica. Beitrige zur Naturgeschichte der Vorzeit. 
** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographisch. Anstalt. 
— Erginzung. 
Physical Review (The); a journal of experimental and theoretical physic. 
Published for Cornell University Ithaca. New-York; 8°. 
Portugalia. Materiaes para o etudo de povo portuguez. 
Prace matematyezno fizyezne. Warzawa, 1905; 8°. 
* Psychologische Studien herausg. von W. Wundt. Neue Folge der Phi- 
losophischen Studien. Leipzig; 8°. 
* Quarterly Journal of pure and applied Mathematics. London; 8°. 
** Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia. 8°. 
Revista de Mathematica per G. Pravo. 
** Revue archéologique. Paris; 8°, 
** Revue de la Renaissance. 1906. Paris; 8°. 
* Revue de l’Université de Bruxelles. 8°. 
*#* Revue des Deux Mondes. Paris; 8°. 
Revue du Mois. Paris; 8°. 
** Revue générale des sciences pures et appliquées. Paris; 8°. 
** Revue numismatique. Paris; 8°. 
** Revue politique et littéraire, revue bleue. Paris; 4°. 
** Revue scientifique. Paris; 4°, 
* Revue semestrielle des publications mathématiques. Amsterdam; 8°. 
* Rivista di Artiglieria e Genio. Roma; 8°. 
** Rivista di Filologia e d’Istruzione classica. Torino; 8°. 
** Rivista d'Italia. Roma; 8°. 


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PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLVII 


*#* Rivista filosofica in continuazione della /osofia delle Scuole italiane e 

della, Rivista italiana di Filosofia, Pavia; 8°. 
Rivista di Scienze, organo internazionale di Sintesi scientifica. Bologna; 8°. 

* Rivista internaz. di scienze sociali e discipline ausiliarie. Roma; 8°. 

# Rivista italiana di Sociologia. Roma; 8°. 

* Rivista storica benedettina. Roma; 8°. 

* Rivista storica italiana. Torino; 8°. 

Rosario (11) e la Nuova Pompei. Valle di Pompei; 8°. 

** Science, New-York; 8°. 

* Science Abstracts. Physics and Electrical Engineering. London; 8°. 

#* Séances et travaux de l’Académie des sciences morales et politiques. 
Paris; 8°. 

# Sperimentale (Lo). Archivio di Biologia, organo dell’Accademia medico- 
fisica fiorentina. Firenze: 8°. 

** Stampa (La). Gazzetta Piemontese. Torino; f°. 

** Studi medioevali diretti da F. Novari e R. Renier. Torino; 8°. 

* Tridentum. Rivista mensile di studi scientifici. Trento; 8°. 

* Wiskundige Opgaven met de Oplossingen, door de leden van het Wiskundig 
Genootschap. Amsterdam; 8°. 

* Zeitschrift fir matematischen und naturwissenschaft]. Unterricht, herausg. 
v. J. C. Horrmann.Leipzig; 8°. 

** Zeitschrift fir physikalische Chemie. Leipzig; 8°. 


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XLIX 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA 


NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; 
quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. 


Dal 16 Giugno al 17 Novembre 1907. 


Allievo (T.). Il laboratorio di tecnologia tessile del R. Istituto Tecnico 
€“ G. Sommeiller , in Torino. Torino, 1908; 8° (dall’A.). 

Bassani (I.) e Galdieri (A.). Sui vetri forati di Ottajano nella eruzione 
vesuviana dell’aprile 1906. Napoli, 1907; 8° (dal prof. Bassani, Socio 
corrispondente dell’Accademia). 

Borredon (G.). Realtà dell'Essere. L’Essere è il non Essere - Tempo e Spazio. 
1907; 8° (dall’A.). 

Cabreira (A.). Demonstragao Mathematica do Seguro Portugal Previdente. 
Lisboa, 1907; 8°. 

— Sobre o calculo das reservas mathematicas. Lisboa, 1907 x 8°. 

— Sur les corps polygonaux. Coimbre, 1907; 8° (dall’A.). 

Cantor (M). Vorlesungen iber Geschichte der Mathematik. 4 Bd. 3° Liefo. 
Leipzig, 1907; 1 vol. 8° (dall'A. Socio corrispondente dell’ Accademia). 

Coblentz (W. W.). Infra-red emission spectrum of burning carbon disulphide. 
Lancaster and New York, 1907; 8°. 

— Radiation from selectively reflecting bodies. Lancaster and New York, 
1907; 8°. 

— Radiometric investigations of infra-red absorption and reflection spectra. 
Washington, 1907; 8°. 

— A vacuum radiomicrometer. Washington, 1907; 8°. 

— Selektive Reflektion und Molekulargewicht von Mineralien. Leipzig, 
1907; 8°. 

— Kristallwasser und Konstitutionswasser. Leipzig, 1907; 8°. 

— Bericht ilber den Zusammenhang zwischen chemischer Konstitution und 
ultra-roten Absorptionsspektren. Leipzig, 1907; 8°. 

— Uber selektive Reflexion und anomale Dispersion. Gottingen, 1907; 4° 
(dall’A.). 

Eclipse total de Sol del 30 agosto de 1905. Observaciones hechas in Carrién 
de los Condes (Palencia) por la Seccion Astronomica del Observatorio 
de Cartuja (Granada). Granada, 1905; 1 vol. in 8° (dono della Direzione 
dell’Osservatorio). 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. g* 


L PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Favaro (A.). Per la edizione nazionale delle opere di Galileo Galilei sotto 
gli auspicî di S. M. il Re d’Italia. Trent'anni di studi (Galileiani. 
Firenze, 1907; 8° (dall’A.). 

Galileo (G.). Le Opere. Edizione Nazionale sotto gli auspicì di S. M. il Re 
d'Italia. Vol. III, p. 2° e vol. XIX. Firenze, 1907; 2 vol. in 8° (dono 
del Ministero dell'Istruzione Pubblica). 

Gotschlich (B.). Biografia del Dr. Rodulfo Armando Philippi (1808-1904). 
Santiago (Chilì), 1904; 1 vol. in 8° (dall’A.). 

Grandeau (L.). L'Agriculture et les Institutions agricoles du monde au com- 
mencement du XX° siècle. Paris, 1906; vol. 2-4 in 8°. 

Grocco (G. A.) La dinamica degli aerostati dirigibili. Ricerche teoriche e 
sperimentali. Roma, 1907 ; 4° (dall’A.). 

Hoegh (K. v.). Uber Materie, Masse, Trigheit, Gravitation und iber die 
Mòéglichkeit einer mechanischen Erkliàrung der Naturvorginge. Leipzig, 
1907; 8° (dall’A.). 

Lombardi (L.). Lezioni di elettrotecnica. Napoli, 1907; 9 vol. in 8° (dall’A.). 

Memoria que dirige al Congreso Nacional de los Estados Unidos de Vene- 
zuela el Ministro de Guerra y Marina en 1907. Tomo II. Caracas, 
1 vol. in 4° (dono del Governo). 

Natur und Staat, Beitrige zur naturwissenschaftlichen Gesellschaftslehre. 
Fine Sammlung von Preisschriften. Herausgegeben von Prof. Dr. H. E. 
Ziegler in Verbindung mit Prof. Dr. Conrad und Prof. Dr. Haeckel. 
IX Teil. Jena, 1907; 1 vol. in 8° (dal prof. Haeckel, Socio straniero 
dell’Accademia, e collaboratori). 

Oddone (E.). Measurements of the electric potential during the total Solar 
eclipse of August 30, 1905, at Tripoli, Barbary. Baltimore, 1906; 8°. 

— La quinta conferenza internazionale d’aerostazione scientifica a Milano. 
Roma, 1906; 4°. 

— Gli andamenti delle radiazioni termica ed attinica del sole, durante 
l’eclisse del sole del 30 agosto 1905 a Tripoli di Barberia. Catania, 
1907; 8° (dall A.). 

— Sur quelques constantes sismiques déduites du Lrombloniagi de terre 
du 4 avril 1904. Paris, 1907; 4° (Id.). 

— Quelques constantes sismiques trouvées par les macrosismes, Strassburg, 
1907; 8° (Id.). 

Pizzetti (P.).. VI, 1, 3. Hòhere Geodàsie. Leipzig; 1 fasc. in 8° (dall'A. Socio 
corrispondente dell’ Accademia). 

Pochmann (E.). Ueber zwei nene und zwar dynamicale, durch innere actuelle 
Energie wirkende Figenschaften der atmosphàrischen Luft und deren 
Bedeutung fir Wirmemechanik, wie fiir die Energetik und damit fiir 
die gesammte Naturwissenschaft. Linz a. d. Donau, 1896; 8°. 

— “ Wiarme ist nicht Kalte und Kaiilte ist nicht Wirme , ete. Linz, 1890; 8°. 

— Simmtliche Bacterien der modern Bacterienwissenschaft sind keine 
Bacterien ete. Linz a. d. Donau, 1896; 8° (dall’A. per il premio Bressa). 

Righi (A). Sulla deviazione dei ioni generanti le scintille dovuta ad un 
campo elettrico trasversale. Bologna, 1907; 4° (dall’A. Socio corrispon- 
dente dell’ Accademia). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LI 


Romiti (Discorso pronunciato per l'apertura della 21% Riunione della So- 
cietà Anatomica). Wiirburg; Jena, 1907; 8° (dall’A.). 

** Rutherford (E.). Radio-Activity.Second edition. Cambridge, 1905,1 vol.; 8°. 

Schaefer (Th. W.). The Contamination of the Air of our Cities with Sul- 
phur Dioxid the cause of respiratory Disease. Boston, 1907; 8° (dall A.). 

Schiaparelli (G.). Come si possa giustificare l’uso della media aritmetica 
nel calcolo dei risultati d'osservazione. Milano, 1907; 8° (dall'A. Socio 
dell’Accademia). 

See (J. J.. On the temperature, secular cooling and contraction of the 
Earth, and the theory of Earthquakes held by the ancients. Phila- 
delphia, 1907; 8° (dall’A.). 

** Seitz (A.). Les Macrolépidoptères du Globe. 5 9 livrs. Il vol. Fauna Exo- 
tica, 1, 2 liv. i 

Silvestri (F.). Contribuzione alla conoscenza degli insetti dannosi all’olivo 
e di quelli che con esso hanno rapporto. La tignola dell’olivo. Portici, 
1907; 8° (dall’A.). 

Torrese (R.). Nuovi rimedi organici ed inorganici di nome convenzionale. 
Torino-Genova, 1907; 1 vol. 8° (Id.). 

True (Fr. W.). Remarks on the type of the fossil Cetacean Agorophius 
Pygmeus (Miiller). City of Washington. 1907; 4° (Id.). 

Vivante (C.). Trattato di diritto commerciale. Vol. I. I Commercianti. Mi- 
lano, Vallardi; 8° (Id.). 


Dal 21 Giugno al 24 Novembre 1907. 


Arnò (C.). Riccardo Sineo e la proclamazione di Roma Capitale d’Italia. 
Tortona, 1907; 8° (dall’A.). 

— Di una interpolazione certa nella C. 4 de periculo et commodo rei ven- 
ditae (Cod. 4, 48). Montpellier, 1907; 8° (Id.). 

Boselli (P.). Sul disegno di legge: Sistemazione degli Uffici finanziari, della 
Scuola di guerra, dell’Officina Carte-Valori e della Biblioteca Nazionale 
Universitaria in Torino, e approvazione di una convenzione con quel 
Comune per la sistemazione predetta. Roma, 1907; 4°. 

— Per l’inaugurazione della bandiera sociale (Società “ Dante Alighieri ,). 
Discorso 21 aprile 1907. Casalmonferrato, 1907; 8° (dall’A. Vice-Presi- 
dente dell’ Accademia). 

Buonamici (F.). Burgundio Pisano. Pisa, 1907; 8° (dall’A. Socio corrispon- 
dente dell’ Accademia). 

Cocchia (J.). Saggi filologici: Vol. IV, Uno storico ed un poeta nell’età di 
Augusto. Napoli, 1907; 1 vol. in 8°. 

— L'’Ideale artistico, religioso e politico di Giosuè Carducci. — Conferenza 
tenuta in Napoli il 3 marzo 1907 per invito della Lega democratica. 
Napoli, 1907; 8° (dall'A.). 

Couturat (L.). Per la lingua internazionale. Coulomniers, 1906; 8° (dall’A.). 


LII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Fontana (L.). Bibliografia degli Statuti dei Comuni dell’Italia superiore. 
Torino, 1907; 3 vol. in 8° (dono dell'Ing. Vincenzo Fontana, figlio dell’A.). 

Fusani (L.). Gian Francesco Galeani Napione di Cocconato-Passerano. Vita 
e Opere. Torino, 1907; 8° (dall’'Autrice). 

Garibaldi (G.). Memorie. Edizione diplomatica dall’autografo definitivo a 
cura di Ernesto Nathan. Torino, 1907; 8° (dono del sig. E. Nathan). 

** (rarollo (G.). Dizionario biografico universale. Milano, 1907; 2 vol. in 8°. 

Graf (A.). Per la nostra coltura, Un discorso e tre saggi. Milano, 1907; 8° 
(dall’A. Socio residente dell’ Accademia). 4 

** Litta: Famiglie celebri italiane: Seconda serie, fase. XXVI, XXVII e 
XXVIII, in fol°. 

** Muratori (L. A.). Rerum italicarum Scriptores, fascicoli 45, 49 e 51. 

— Archivio Muratoriano. Studi e ricerche in servizio della nova edizione 
dei Rerum italicarum Scriptores, N. 3 e 4. Città di Castello. 

Nallino (C. A.). Di alcune epigrafi sepolcrali arabe trovate nell'Italia meri- 
dionale. Palermo, 1906; 8° (dal?’A.). 

* Parma: R. Biblioteca Palatina. Atlanti e Carte nautiche dal secolo x1v 
al xvi conservati nella Biblioteca dell'Archivio di Parma. Note di Mario 
Longhera. Parma, 1907. 

— Esposizione di cartografia parmigiana e piacentina nel salone della Pa- 
latina. Catalogo compilato dal Prof. Dott. Umberto Benazi. Parma, 1907. 

— Inventario dei manoscritti geografici della R. Biblioteca Palatina. di 
Parma. Parma, 1907. 

Pennisi-Mauro (A.). L'Universale. Organo filosofico della dimostrazione del- 
l’Ente principio creativo ed ordinativo del mondo, ecc. Catania, 15 ot- 
tobre 1907, An. X, fasc. 2°. 

Rosi (M.). Il risorgimento italiano e l’azione d’un patriota cospiratore sol- 
dato. Roma-Torino, 1906; 1 vol. in 8° (dall'A. per concorrere al premio 
Gautieri per la Storia). 

Savio (F.). Il terzo centenario del Cardinale Cesare Baronio. Roma, 1907; 8° 
(dall'A. Socio dell’ Accademia). 

— I Monasteri antichi del Piemonte. Il Monastero di S. Giusto di Susa. 
Roma, 1907 (Id.). 

Sforza (G.). Contributo alla vita di Giovanni Fantoni (Labindo). Genova, 
1907; 8° (dall'A. Socio dell’Accademia). 

Strazzalla (V.). I Persiani di Eschilo e il Nomo di Timoteo volgarizzati in 
prosa. Messina, 1904; 8°. 

— Sul mito di Perseo nelle più antiche relazioni tra la Grecia e l'Oriente 
classico. Messina, 1906; 8° (dall'A. per il premio Gautieri per la Storia). 

Tavani (F.). On a certain aspect of reality as intelligible. London, 1906; 8° 
(dall’A.). 

** Thieme ‘(H.). Guide bibliographique de la littérature frangaise de 1800 à 
1906. Paris, 1907; 1 vol. in 8° gr. 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LIII 


Dal 17 Novembre al 1° Dicembre 190". 


Allgemeine Deutsche Biographie. BA. LII, Liefg. 4, 5, LIII, 1-5. 

Cesnola (A. P. Di). A first study of natural selection in “ Helix arbustorum , 
(Helicogena). 1907; 8° (dall’A.). 

toppelsroeder (F.). Neue Capillar- und Capillaranalytische Untersuchungen 
mitgeteilt der Naturforschenden Gesellschaft zu Basel. Basel, 1907; 
1 vol. in 8° (dall’A.). 

&uareschi (I.). Notizie storiche su Felice Fontana. Torino, 1907; 4°. 

— Notizie storiche su Ch. Gerhardt ed A. Kekulé. Torino, 1907; 4° (dall'A. 
Socio residente dell’Accademia). 

Helmert (F. R.). Bestimmung der Hoòhenlage der Insel Wangeroog durch 
trigonometrische Messungen im Jahre 1888. Berlin, 1907; 8° (dal A. 
Socio straniero dell’Accademia). 

Largaiolli (V.). Le Diatomee del Trentino. Padova, 1907; 8°. 

— Idracae del Trentino. 1907;.8° (dall’A.). 

#* Reiehenbach (L.) et (H. G.) fils: Icones florae germanicae et helveticae 
simul terrarum adjacentium ergo mediae Europae. Opus..... conditum, 
nunc continuatum D'e G. Beck de Mannagetta. T. XIX, Decas II, 8, 13, 
14, 15, 16, XXIV, 12, 18, 14. Lipsiae et Gerae; 4°. 

Riecò (A.). Periodi di riposo dell'Etna. Catania, 1907; 8°. 

— Attività dello Stromboli. Catania, 1907; 8°. 

— Sui metodi di costruzione in Calabria. Nota preliminare. Modena, 1907; 8°. 

— Anomalie della gravità e del magnetismo terrestre in Calabria e Sicilia. 
Roma, 1907; 4° (dall’A.). 

— e Cavasino (A.). Osservazioni meteorologiche del 1906 fatte nel R. Os- 
servatorio di Catania, 1907 (dal Prof. Riccò). 


Dal 24 Novembre all’8 Dicembre 1907. 


Arnò (C.). Di una interpolazione certa nella C. 4 de Periculo et Commodo 
rei venditae (Cod. 4, 48). Montpellier, 1907; 8° (dallA.). 

Atti del Congresso internazionale di Scienze Storiche (Roma. 1-9 aprile 1903). 
Roma, 1904-907; 12 vol. in 8° (dal Socio Boselli, Vice-Presidente dell’ Ac- 
cademia). 

D’Ovidio (F.). Nuovi studi danteschi: Ugolino, Pier della Vigna, i Simo- 
niaci e discussioni varie. Milano, 1907; 1 vol. in 8° (dall’A.). 

Lameire (I). Les occupations militaires de l’île Minorque pendant les 
guerres de l’ancien droit. Paris, 1908; 1 vol. in 8° (dall’A.). 

Mostra di topografia romana ordinata in occasione del Congresso storico 
inaugurato in Roma il 2 aprile del 1903. Roma, 1903; 8°. 

Pernier (L.). Lavori eseguiti dalla Missione Archeologica italiana in Creta 
dal 2 aprile al 12 settembre 1906. Relazione. Roma, "1907 (Dono del 
Presidente della Scuola italiana di Archeologia, Prof. E. De Ruggiero). 

Sforza (G.). Labinto. Discorso. Firenze, 1907; 8° (dall’A. Socio residente 
dell’Accademia). 

Stampini (E.). Dieci lettere di Giovanni Labus a Costanzo Gazzera. Brescia, 
1907; 8° (dall’A. Socio residente dell’Accademia). 


LIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Dal 1° al 15 Dicembre 1907 


** Barrande (J.). Système Silurien du centre de la Bohème: 1°° Partie: 
Recherches Paléontologiques, continuation éditée par le Musée Bohème. 
vol. IV. Gastéropodes par le Doct. J. Perner. Redigé en frangais par 
A. S. Oudin. Praga, 1907; 1 vol. in 4°. ti 

De Toni (G. B.). Sylloge Algarum omnium hucusque cognitarum. Vol. V. 
Myxophyceae curante Doct. Achille Forti (Dono del Prof. De Toni). 

Gordan (C.). Groupes abéliens généraux contenus dans les groupes linéaires 
à moins de sept variables. Paris. 1907; 4°. 

— Réduction d'un réseau de formes quadratiques ou bilinéaires: Première 
partie: Réseaux de formes quadratiques; Deuxième partie: Réseaux 
de formes linéaires. Paris, 1907; 2 fasc. in 4°. 

Surasin (E.) e Tommasina (T.). Sur le dédoublement de la courbe de dés- 
activation de la radioactivité induite. Genève. 1907; 8°. 

— — Sur quelques modifications qui produisent le dédoublement de la 
courbe de désactivation de la radioactivité induite. Paris, 1907; 4°. 

— — De l’effet des écrans en toile métallique sur le rayonnement secon- 
‘daire de radioactivité induite. Paris, 1907 (dagli A). 

Tommasina (T.). Quelques observations è propos de la Note de M. H. Pellat 
sur la constitution de l’atome. Paris, 1907; 4° (dall'A.). 

Venturi (A.). Terza campagna gravimetrica in Sicilia nel 1905. Roma, 
1907; 8° (dall’A.). 


Dall’8 al 22 Dicembre 1907. 


Brini (G.). Di Oreste Regnoli e del Momento odierno del diritto civile. 
Bologna, 1898; 8° (Dono dell'On. Avv. Loero). 

Coda (C.). Pensieri e riflessioni. Edizione 3* aumentata. Torino, 1907; 8° 
(dall A.). 

De Gregorio (G.). Studi glottologici italiani. Torino, E. Loescher, 1899-1907; 
4 vol. in 8° (dall’A.). 

** Justiniani Augusti. Digestorum seu pandectarum codex Florentinus 
olim Pisanus phototypice expressus. Vol. Il, fase. VI. Romae, 1907; fol. 

** Muratori (L. A.). Rerum italicaram scriptores. Fase. 52 (Fase. 1 del 
T. VII, p. 1*). Città di Castello, 1907; 4°. - 

Ottolenghi (G.). Il rapporto di neutralità. Torino, 1907; 8° (dall’A). 

Pelizzone (E.). Memorie storiche su Rosingo e la sua Parrocchia. Gabiano; 
1907; 8° (dall’A.). 

Petrone (I.). Il diritto nel sistema della filosofia dello spirito. I. Posizione 
dell’assunto. Napoli, 1906; 8° (dall’A.). 

Regnoli (0.). Scritti editi ed inediti di Diritto civile raccolti e pubblicati 
per cura dell'Avv. Attilio Loero. Bologna, 1900; 8° (Dono dell'On. Avo. 
Loero). 

Stampini (E.). La metrica di Orazio comparata con la greca e illustrata 
su liriche scelte del poeta, con una appendice di carmi di Catullo stu- 
diati nei loro diversi metri. Torino, 1908; 8° (dall'A.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LV 


Dal 15 al 29 Dicembre 190". 


Edridge-Green (F. W.). Colour systeme (Ophthalmological Society. Trans- 
action, vol. XXVI) (dall’A.). 

Guareschi (I.). Storia della Chimica. VI. Sui colori degli antichi. Parte 2°, 
dal secolo XV al secolo XIX. Il © Plichto , di Giovanventura Rossetti 
(1540). Torino, 1907; 4° (dall’A. Socio residente dell’ Accademia). 

Guidi (C.). Lezioni sulla scienza delle costruzioni date nel R. Politecnico 
di Torino. Parte III. Elementi delle costruzioni. Statica delle costru- 
zioni civili. 3* ediz., Torino, 1907; 1 vol. in 8° (dall'A. Socio residente , 
dell’ Accademia). 

#* Reichenbach (L.) et Reichenbach (H. C.). Icones florae Germanicae et 
Helveticae simul terrarum adjacentium ergo Mediae Europae. T. XIX, 
2 Decas 17. Hieracium J]I. Lipsiae et Gerac. 4°. 


Dal 22 Dicembre 1907 al 5 Gennaio 1908. 


Arnò (C.). La prima parola di resistenza all'Austria pronunziata in Pie- 
monte nel 1846 con la Società per l'esportazione dei vini indigeni. 
Roma, 1907; 8° (dall’A.). 

** Litta. Famiglie celebri italiane (Seconda Serie). Fasc. XXIX. Caracciolo 
di Napoli. 

Sarfatti (M.). Del contratto d'abbonamento alle cassette di sicurezza nelle 
banche. Contributo alla teorica del compromesso. Torino, 1908; 8°. 
Toesca di Castellazzo (C.). La così detta avulsione dei capitali dal giro 
degli affari commerciali e l'imposta della ricchezza mobile. Torino, 

1907; (8°. 

— L’ammortizzazione del prezzo dell'avviamento di un'azienda e l’imposta 

di ricchezza mobile. Torino, 1907; 8°. 


Dal 29 Dicembre 1907 al 12 Gennaio 1908. 


#* Bosscha (J.). La correspondance de A. Volta et M. van Marum. Leyde, 
1905; 1 vol. 8°. 

#* Cambridge (The) Modern history. Cambridge, at the University Press, 
1907. Vol. IV, VII-X; 8 vol. 8°. 

Mattirolo (0.). Francesco Ferrero. Commemorazione. Roma, 1907; 8°. 

— Seconda contribuzione allo studio della Flora ipogea del Portogallo. 
Coimbra, 1907; 8° (dall’A., Socio dell’Accademia). 

** Seitz (A.). Les Macrolépidoptères du Globe. Fauna palaeartica. 10-12 
livrs. Stuttgart; 4°. 


Dal 5 al 19 Gennaio 1908. 


Bargagli (P.). L'Accademia dei Georgofili nei suoi più antichi ordinamenti. 
Firenze, 1907; 8° (dall’A.). . 


LVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Boiardo (M. M.). Orlando innamorato. Riscontrato sul Codice Trivulziano 
e su le prime stampe da Francesco Foffano. Bologna, 1906-1907; 
3 vol. 8° (dal sig. Fr. Foffano per il concorso al premio Gautieri per 
la letteratura, 1905-1907). ; 

Russo (A.). In memoria del cav. Marcellino Pizzarelli. Parole. Catania, 
1907; 8° (Qall'A.). 


Dal 12 al 26 Gennaio 1908. 


Cabanyes (J.). Poliseccién grafica del fingulo. Madrid, 1908; 8° (dall'A). 

Cantor (M.). Vorlesungen iber Geschichte der Mathematik. IV. Bd. 4. Liefo. 
Leipzig, 1907; 1 vol. 8° (dall’A.., Socio corrispondente dell’ Accad.). 

Ciscato (G.) e Antoniazzi (A.). Differenza di longitudine fra Padova (0s- 
servatorio) e Roma (Monte Mario) determinata nell’agosto 1906. Ve- 
nezia, 1907; 4° (dal Direttore del R. Osservatorio di Padova, prof. Lo- 
renzoni, Socio dell’ Accademia). 

Goebel (K.). Einleitung in die experimentelle Moth der Pflanzen. 
Leipzig und Berlin, 1908; 1 vol. 8° (dall’A., Socio corrispondente del- 
l'Accademia). 

Guerrini (G.). Sulla funzione dei muscoli degenerati. Comunicazione I a VII. 
Firenze, 1905-1907; 7 fasc. 8°. ; 

— Sul comportamento dei granuli della cellula epatica intorno alla sede 
di una ferita. Firenze, 1907; 8°. 

— Di una proprietà meccanica del muscolo che si può chiamare potenza, 
Firenze, 1906; 8°. 

— Delle minute RE di struttura di alcuni organi cli corso della 
fatica (fegato, rene, ipofisi, capsule surrenali). Firenze, 1907, 8° 
(dall’A.). 

Mattirolo (0.). Carlo Allioni. Cenno biografico, con ritratto (dall’A., Socio 
dell’ Accademia). 

Somigliana (C.). Sulla preparazione matematica degli allievi ingegneri. 
Torino, 1907; 8°. 

— Sulla teoria Maxwelliana delle azioni a distanza, Roma, 1907; 8° (dall’A., 
Socio dell’ Accademia). 


Dal 19 Gennaio al 2 Febbraio 1908. 


Codex iuris pontificii seu canonici. Taurini, ex typ. G. Derossi, - 1888-1907, 
ED svol; 9% 
Colomiatti (Mons. E.). Codex iuris Pontifici seu canonici. Taurini, ex typ. 
G. Derossi, 1888-1907; 10 vol. 8°. 
**Muratori (L. A.). Rerum italicarum Scriptores. Fasc. 58 (fasc. 1° del 
T. III, p. 2*); 54 (fasc. 4°, T. XXIII, p: 3°). Città di Castello, 1907). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LVII 


Dal 26 Gennaio al 9 Febbraio 1908. 


Agassiz (A). An Adress at the opening of the Geological Section of the 
Harvard University Museum. June 12, 1902. Cambridge U. S. A. 1902 
(dal Museum Comparative of Zoology at Harvard College). 

James (W.). Louis Agassiz: Words spoken ... at the reception of the Ame- 
rican Society of Naturalists by the President and Fellows of Harvard 
College at Cambridge. On December 30, 1896. Cambridge U. S. A. 1907 
(dal Museum Comparative of Zoology at Harvard College). 

Leyst (E.). Luftelectrische Zerstreuung und Radioactivitàt in der Hohle 
Bin-Basch-Choba in der Krim. Moscou, 1906; 8°. 

— Ueber Schitzung der Bewéòlkungsgrade. Moscou, 1906; 8°. 

— Ueber das Erdbeben von San-Francisco nach den Aufzeichungen der 
Seismographe Moskau. Moskau, 1906; 8°. 

— Héòfe um Sonne und Mond in Russland. Moskau, 1906: 8° (dall’A.). 

Schacberle (J. M.). The effective surface temperature of the sun and the 
absolute temperature of space. 

— The probable origin and physical Structure of our Sideral and solar 
systems (Reprinted from Science N. S. vol. 26) (dall'A.). 


Dal 2 al 16 Febbraio 1908. 


Lajolo (G.). Simboli ed enigmi danteschi. Esposizione ragionata delle alle- 
gorie più notevoli e controverse della Divina Commedia. Torino-Roma, 
1906; 1 vol. in 8° (dall’A. per il premio Gautieri per la Letteratura). 

Raymond (G. L.). The psychology of inspiration. New York and London, 
1908; 1 vol. in 8°. 

— Dante and other Poems. Washington; 1 vol. in 16° (dall’A.). 


Dal 9 al 23 Febbraio 1908. 


#* Seitz (A.). Les Macrolépidoptères du Globe. I vol. Fauna palaeartica, 
fasc. 13 e 14. 

Edridge-Green (F. W.). Observations on hue perception (Ophthalmological 
Society's Transaction, vol. XXVII). 

— Observations with Lord Rayleigh’s coulour-mixing apparatus (Idem) 
(dall’A.). 


Dal 16 Febbraio al 1° Marzo 1908. 


Foffano (F.). Un secentista plagiario dell’Aretino. S. a.; 4°. 

— La rotta di Roncisvalle nella letteratura romanzesca italiana del cinque- 
cento. Bologna, 1887; 8°. 

— Studi sui poemi romanzeschi italiani. I. Il © Morgante , di Luigi Pulci. 
Torino, 1891; 8°. 

— Un letterato italiano del secolo XVI (Rinaldo Corso). Bologna, 1892; 8° 


. 
LVII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


— Gaspare Gozzi, poeta drammatico. Genova, 1893; 8°. 

— Studi sui poemi romanzeschi italiani. I. L’ “ Amadigi di Gaula , di 
Bernardo Tasso. Torino, 1905; 8°. 

— Il “ Floridante, di Bernardo Tasso. Milano, 1895; 8°. 

— Comunicazioni ed appunti. Ancora del “ Floridante , di Bernardo Tasso. 
Torino; 8°. ; 

— Ricerche letterarie. Livorno, 1897; 1 vol. 8°. 

— Un capitolo inedito d’uno studente pavese del cinquecento. Bergamo, 
1897; 4°. 

— Postille inedite di G, Baretti al “ Bacco in Toscana, del Redi. Torino, 
1899; 8°. 

— Due documenti goldoniani. Venezia, 1899; 8°, 

— Giuseppe Parini. Conferenza letta agli alunni del R. Liceo di Pavia il 
23 marzo 1899. Torino, 1899; 8°. 

— La popolarità dell’Orlando Furioso. Lettera al Dott. Giuseppe Pitré. 
Palermo, 1899; 8°. 

— L'estetica della prosa volgare nel cinquecento. Pavia, 1900; 8°. 

— Per una edizione dell’Orlando innamorato. Firenze, 1904; 4°. 

— I precursori del Bojardo. Roma, 1905; 8°. 

— Due preziosi cimeli in biblioteche milanesi, Milano. 1907; 8°. 

— Prose filologiche: La questione della lingua con introduzione e com- 
menti. Firenze, 1908 (dall’A. per il premio Gautieri per la letteratura). 

Manfredi (E.). Rime scelte con alcune sue prose e con prefazione e note 
del Dott. Francesco Foffano. Reggio Emilia, 1888; 8° (dono del Prof. 
Dott. F. Foffano per il premio Gautieri per la letteratura). 

#* Muratori (L. A.) Rerum italicarum Seriptores. T. IX, part. V, fasc. 2° 
ed ultimo. T. XXVII, part. I, fase. unico. Città di Castello, 1907; 4°. 

Porena (F.). L’Antropogeografia nelle origini e ne’ suoi progressi. Roma. 
1908; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’Accademia). 

Quarta (0.). Discorso pronunziato presso la Corte di Cassazione di Roma 
nell'assemblea generale del 8 gennaio 1908. Roma, 1908; 8° (dall’A.). 

** Schrader (0.) Reallexicon der indogermanischen Alterhunskunde. 
Grundzigge einer Kultur und Vélkergeschichte Alteuropas. Strassburg, 
1901; 1 vol. 8°. 


Dal 23 Febbraio all’8 Marzo 1908. 


Colomba (L.). Escursione ai giacimenti di Brosso e Traversella (14-15 set- 
tembre 1907). Roma, 1907; 8°. 

— Osservazioni mineralogiche sui giacimenti auriferi di Brusson (Valle di 
Aosta). Torino, 1907; 8°. 

— Apofillite di Traversella. Roma, 1907; 8° (dall’A.). 

Oddone (E.). Déchainement des tremblements de terre à l’arrivée des ondes 
sismiques dues à un premier macrosisme lointain. Modena, 1908; 8° 
(dall'A). 

* Taramelli (1°.). A proposito di una nuova ipotesi sulla struttura dell’Ap- 


pennino. Milano, 1908; 8° (dall’A.). 
x 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LIX 


Dal 1° al 15 Marzo 1908. 


Carnevali (T.). Il Comune. Nuovi studi. Torino, 1908; 8° (dall’A.). 

Maes (C.). Sul Concorso al premio Reale per l’Archeologia all'Accademia 
dei RR. Lincei, 1903-1908. Ricorso a S. M. il Re. Roma, 1908 (/d.). 
Mosso (A.). Le armi più antiche di rame e di bronzo. Roma, 1908; 8° 

(dall'A. Socio residente). i 


Dall’8 al 22 Marzo 1908. 


Atti del VI Congresso internazionale di Chimica applicata. Roma, 26 aprile- 
3 maggio 1906. Roma, 1907, 7 vol. 8° gr. (Dono della Presidenza del 
Congresso). 

Gautier (R.). Resumé météorologique de l’année 1906 pour Genève et le 
Grand Saint-Bernard. Genève, 1907; 8° (dall’A.). 

Gautier (R.) et Dnaime (H.). Observations météorologiques faites aux for- 
tifications de Saint-Maurice pendant l’année 1906. Resumé, Genève, 
1907; 8° (dagli AA.) 

Reichenbach. Icones Florae Germanicae et Helveticae simul terrarum 
adjacentium ergo mediae Europae. T. XIX, 2 Decas 18. 


Dal 15 al 29 Marzo 1908. 


Bonelli (G.). Le imposte indirette di Roma antica. Roma, 1900; 4°. 

— A proposito dei beni di Beatrice Della Scala nella Calciana. Milano, 
1903; 8°. 

— Una “barbarie, più immaginaria che reale. Milano, 1906; 8°. 

— La Santa Casa di Loreto ad Alessandria e a Vigevano. Alessandria, 
1907.;..8°. 

— Un archivio privato del cinquecento, le Carte Stella. Milano, 1908: 8° 
(dall’A.). 

** Litta. Famiglie celebri italiane. 2* ser. Fase. XXX; Caracciolo di Napoli 
- Foscarini di Venezia. 

Serocca (A.). Studi sul Monti e sul Manzoni. Napoli. 1905; 8° (dall'A. per 
il premio Gautieri per la Letteratura). 


Dal 22 Marzo al 5 Aprile 1908. 


Allievo (T.). Le fibre tessili di applicazione industriale. Torino, 1908, in-4° 
(dall’A.). 

Bender (0.). Ueber Berechnung von Anfangstemperaturen. Wiesbaden. 

Haeckel (E.). Wanderbilder. Nach eigenen Aquarellen und Oelgemiilden. 
I u. II ser. Die Naturwunder der Tropenwelt Ceylon und Insulinde. 

— La lotta per l’evoluzione. Prima traduzione italiana autorizzata dall'Au- 
tore, di Mario Domenichini. Torino, 1908; 8°. 


LX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Masciari-Genoese (F.). Come si sono formate le montagne? Roma, 1908; 8° 
(dall'A. per il premio di scienze fisiche Vallauri). 

Somigliana (C.). Sui potenziali ritardati. Palermo, 1908; 8° (dall'A. Socio 
residente). 

Taramelli (T.). Notizie circa il pozzo artesiano di Bagnocavallo. Perugia, 
1907; 8°. 

— Della utilizzazione dei laghi e dei piani 1d0ast di alta montagna per 
sopperire alle magre dei nostri fiumi. Roma, 1907; 8°. 

— Benedetto Costa. Roma, 1907; 8° (dall'A. Socio corrispondente). 


Dal 29 Marzo al 12 Aprile 1908. 


Bouchet (Ch.-A.). Les Archives de la ville d’Evian en Chablais. Inventaire 
des archives antérieures à l'année 1790. Evian-les-Bains; 8° (dall’A.). 

Baccelli (V.). Un viaggio a Rio Grande del Sud. Milano; 4° (Id.). 

Einaudi (L.). La finanza sabauda all’aprirsi del secolo XVII e durante la 
guerra di successione spagnuola. Torino, 1908; 4°. 

— Studi di economia e finanza. Torino-Roma, 1907; 8°. 

— Le entrate pubbliche dello Stato sabaudo nei bilanci e nei conti dei 
tesorieri durante la guerra di successione spagnuola. Torino, 1907; 4° (Zd.) 

**Muratori (L. A.). Rerum italicarum scriptores, fasc. 57 (fase. 1 del T. XV, 
p. IMI). 

Prato (G.). Rassegne statistiche ed economiche. Torino, 1908; 8°, 

— Il costo della guerra di successione spagnuola e le spese pubbliche in 
Piemonte dal 1700 al 1713. Torino, 1907; 8°. 

— Censimenti e popolazione in Piemonte nei secoli XVI, XVII e XVII. 
Roma, 1906; 8° (dall’A.). 

Ruffini (Fr.). Le spese di culto delle opere pie. Torino, 1908; 8° (dall’A., 
Socio residente). 


Dal 5 al 26 Aprile 1908. 


Boòhm (J. G). Die Kunst-Ubren auf der k. k. Sternwarte zu Prag. Auf 
offentliche Kosten herausgegeben von Prof. Dr. L. Weinek. Prag, 
1908; 4° (dono del Prof. L. Weinek Direttore dell’Osservatorio). 

Cantor (M.). V Mpnzenseo îiber Geschichte der Mathematik. 4 Bd., 5 Liefg. 
Leipzig, 1908; 8° (dall’A. Socio corrispondente). 

Coblentz (W. W.). “n Emissionsspektren. Leipzig; 4°. 

— Instruments and methods used in radiometry. Washington, 1908; 8° 
(dall’A.). 

Haton de la Goupillière. Axes principaux du temps de parcours. Paris, 
1907; 4° (Id. i 

** Reichenbach (L.) et (H. G.) fils. Icones florae germanicae et helveticae 
simul terrarum adjacentium ergo mediae Furopae. Opus..... conditum, 
mune continuatum D' G. Beck de Mannagetta. T. XXIV, 15. Lipsiae 
et Gerae; 4°, 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXI 


See (T. J. J.. The new theory of Earthquakes and Mountain formation, as 
illustrated by processes now at work in the Depths of the Sea. Phi- 
ladelphia, 1907; 8° (dall’A.). 

** Seitz (A.). Les Macrolépidoptères du Globe. Il vol. Fauna. Americana, 
3,54 livrs.; 4°. s 

Tommasina (T.). Sur l’action exclusive des forces Maxwell-Bartoli dans la 
gravitation universelle. Genève, 1908; 8° (dall’A.). 


Dal 12 Aprile al 3 Maggio 1908. 


** Cambridge (The) Modern history: plamed by Lord Acton. Vol. V. The 
age of Louis XIV. 

Manno (A.). Ermanno Ferrero. Commemorato. Torino, 1908; 8°. 

— Leone Fontana. Ricordi. Torino, 1908; 8° (dall’A. Socio residente). 

** Muratori (1.. A.). Rerum italicarum scriptores. Fasc. 58, fasc. 2° del 
MO XXI] pel. 

Verga (E.). L'Archivio della Fabbrica del Duomo di Milano. Riordinato e 
descritto... Milano, 1908; 1 vol. 4°. 


Dal 26 Aprile al 10 Maggio 1908. 


Clerici (E.). Resoconto del XXVI Congresso geologico italiano tenuto in 
Torino nel settembre 1907. Roma, 1907; 8° (dono del prof. F. Sacco). 

De Toni (G. B.). Illustrazione del secondo volume dell’erbario di Ulisse 
Aldrovandi. Venezia, 1908; 1 vol. 8° (dall’A.). 

Morselli (A.). Primo elenco degli scritti del Prof. Enrico Morselli. Milano, 
1907; 8°. 

Paoli (G. C.). Idea dell'Universo ovvero interpretazione della natura e sue 
conseguenze teoriche e pratiche. Palermo, 1907-1908, 1 vol. 8° (dall’A.). 

Rapport sur les travaux du Bureau central de l’Association Géodésique in- 
ternationale en 1907 et programme des travaux pour l’exercice de 1908 
(dal Socio straniero Helmert). 

Sacco (F.). I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. 
Considerazioni generali. Indice generale dell’opera. Torino, 1904; 4°. 

— Le pieghe degli gneiss tormaliniferi della Bassa Val di Susa. Milano, 
1907; 8°. 

— Le facies faunistiche del miocene inferiore. Perugia, 1907; 8°. 

— Gli Abruzzi. Schema geologico. Roma, 1907; 8°. 

— Sur l’àge du gneiss du Massif de l’Argentera. Paris, 1907; 8°. 

— Geologia applicata della Città di Torino. Perugia, 1907; 8°. 

— La funzione pratica della geologia. Roma, 1907; 8°. 

— Rapporti fra Geologia ed Astronomia. Considerazioni. Torino; 8°. 

— Le fratture e le rughe della Luna. Torino, 1907; 8°. 

— Essai schématique du Sélénologie. Turin, 1907; 8°. 

— 1° Congresso della Società itàliana per il progresso della scienza. Torino, 
1907; 8°. 

— Giuseppe Lanino. Roma, 1907; 8°. 

— Martino Baretti. Roma, 1907; 8°. 

— Cenni biografici su Carlo Mayer-Eymar. Roma, 1908; 8° (dall’A.). 


LXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA 


Dal 10 al 24 Maggio 1908. 


Ascien (P.). Meteorologia e perturbazioni sismiche. Venezia, 1908 ; 16° (dal? A.). 

Greco (M.). Determinazione sperimentale diretta del coefficiente di Poisson 
in una pietra tufacea della Sicilia. Palermo, 1908; 8° (J4.). 

Oddone (F.). Intorno al problema della rigidità della Terra. Catania, 1908; 
4° (Id.). 

Weber (S. E.). Mutation in Mosquitoes. Discussion and communications. 
Lancaster Pa., 1907; 8°. 

— Polygenesis in the Eggs of the Culicidae. Lancaster Pa., 1906; 8° (74.). 


Dal 17 al 31 Maggio 1908. 


Dalla Vedova (G.). Sull’oggetto degli uffici della Sezione VI dell’Associa- 
zione italiana per il progresso delle scienze. Roma, 1908; 8° (dall’A. 
Socio corrispondente). 

D’ Ercole (P.). Il filosofo Pietro Ceretti (Dal fasc. N. 3 dell’anno Il del 
“ Caenobium ,) (dall’A.). 

Litta. Famiglie celebri italiane. 2* serie, fase. XXXI: D'Aquino di Capua. 

** Pagliaini (Attilio). Indice per Materie del Catalogo generale della 
Libreria italiana dall'anno 1847 a tutto il 1899. Puntata I e II. 4°, 


Dal 24 Maggio al 14 Giugno 1908. 


Borredon (G.). La falsità del sistema di Newton e la scoperta del vero 
sistema del mondo. Napoli, 1906; 8°. 

— Realtà dell'essere. 1907; 8° (dall’A.). 

Fehr (H.). Le 4° Congrès internat. des Mathématiciens. Rome, 1908; 8° (Zd.). 

Helmert (F. R.) — Trigonometrische Hòhenmessung und Refraktionskoef- 
fizienten in der Nîihe des Meeresspiegels, Berlin, 1908; 8° (dall A. Socio 
straniero). 

Mattirolo (0.). Proposte intese a promuovere la coltivazione dei tartufi in 
Italia. Torino, 1908; 8°. 

— L’Orto sperimentale della R. Accademia di Agricoltura di Torino nel- 
l’anno 1907. Lavori e Bilanci. Torino, 1908; 8° (dall’A.). 

Poincaré (H.). Une lettre an Journal “ Le Temps , sur le 4° Congrès in- 
ternational des Mathématiciens (dal Circolo Matematico di Palermo). 

** Reichenbach (L.) et (H. G.) fils. Icones florae germanicae et helveticae 
simul terrarum adjacentium ergo mediae Europae. Opus... conditum, 
nunc continuatum D'° G. Beck de Mannagetta. T. XIX, Decas II, 19. 
Lipsiae et Gerae; 4°. 

Schaeberle ‘(J. M.). The earth as a heat-radialing planet. Science, N. S., 
vol. XXVII, N. 688. ; 

— The infallibility of Newton's law of radiation at Known temperatures. 
Sciences, N. S., vol. XXVII, N. 698 (dall’A.). 

Sergi (G.). Europa. L'origine dei popoli europei e loro relazioni coi popoli 
d'Africa, d'Asia e d'Oceania. Torino, 1908; 8° (74.). 


PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXIII 


Ugueto (L.). Determinaciones de posicion del Cometa Daniell en el Obser- 
vatorio Cajigal (Caracas) (dono del Minitesrio de Instrucion Publica del 
Estados Unidos de Venezuela). 

Verbeek (R. D. M.). Rapport sur les molusques. Reconnaissances géologiques 
dans la partie orientale de l’Archipel des Indes Orientales Néerlan- 
daises (Édit. Frangaise du Jaarboek van het Mijnwezen in Nederlandsch 
Oost-Indié, T. XXXVII, 1908, partie scientifiques), 1 vol. 8° et Atl. f° 
(dal Governo Neerlandese). 


Dal 31 Maggio al 21 Giugno 1908. 


** Litta. Famiglie celebri italiane (sez. seconda). Provana, per cura del 
barone A. Manno e di E. Provana dei conti di Collegno. l'av. I-IV, 
fasc. XXXII, f°. 

Lizier (A.). Le Scuole di Novara ed il Liceo-Convitto. Monografia storica. 
Novara, 1908, 1 vol. 4° (dono della Direzione del Convitto). 

Luzio (A.). Nuovi documenti sul processo Confalonieri. Roma-Milano, 1908, 
‘1 vol. 8° (dall'A. Socio corrispondente). 

Muratori (L. A.). Rerum Italicarum scriptores. Fasc. 59, T. XVI, p. I, 
fasc. unico. Città di Castello, 1908; 4°. 

Vidari (G.). Carlo Cantoni. Discorso commemorativo letto nell'Università 
di Pavia il 21 marzo 1908. Pavia, 8° (dall’A.). 


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CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 17 Novembre 1907. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: NaccarIi, Spezia, Sere, PEANO, 
JADANZA, GuaRESCHI, GuipI, FiLeTI, PARONA, GRASSI, SOMIGLIANA, 
Fusari e CameRANO Segretario. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

Il Presidente comunica: 

1° i ringraziamenti di S. M. il Re e di S. A. R. il Duca 
di Genova per l’omaggio del volume testè pubblicato delle Me- 
morie accademiche; 

2° il ringraziamento dell'Avv. E. BARRAJA per la parte 
presa dall'Accademia alle onoranze di Gian Francesco RE; 

3° la morte del Socio corrispondente Carlo KLEIN avvenuta 
il 24 giugno 1907 e delle condoglianze inviate dalla Presidenza. 

Il Presidente riferisce intorno al voto dell'Istituto di Scienze 
di Bologna perchè venga conferito il premio Nobel al Senatore 
Stanislao CanxIzzARO per la Chimica. La Classe unanime si as- 
socia al voto dell’Accademia di Bologna. 

Il Presidente presenta le pubblicazioni seguenti mandate 
in dono: 

dal Socio Mosso il vol. II del Laboratoîre scientifique inter- 
national du Mont Rosa; 

dal Socio non residente G. ScHraPARELLI il suo lavoro, inti- 
tolato: Come si possa giustificare l’uso della media aritmetica nel 
calcolo dei risultati di osservazione; 

dal Socio corrispondente Prof. Moritz CanTOoR il 3° fascicolo 
del vol. IV delle: Vorlesungen tiber Geschichte der Mathematik; 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 4 


LO 


dal Socio corrispondente Prof. Paolo Pizzetti: Hohere 
(reodiisie; 

dal Socio corrispondente Prof. Bassani: Sui vetri forati 
di Ottajano nella eruzione Vesuviana dell'aprile 1906 scritto in 
collaborazione del Dott. A. GALDIERI; 

dal Socio corrispondente €. JorpAN tre note: 1) Groupes 
abéliens généraux contenus dans les groupes lintaires à moins de 
sept variables; 2-3) Reduction d'un réseau de formes quadratiques 
ou bilintaires, 1° et 2°" partie; 

dal Socio GuarEscHI le sue Notizie storiche su Felice Fon- 
tana e Notizie storiche su Ch. Gerhardt e A. Kekulè. 

Il Signor Luigi SAUDINO invia nuovi documenti intorno alla 
sua nuova pila elettrica costante ed economica. La Classe deli- 
bera che essi vengano consegnati alla Commissione già prece- 
dentemente neminata per esaminare il lavoro del SAaupINo. 

Vengono presentate per l'inserzione negli Atti le note seguenti: 

1° N. JADANZA e V. Bacci: Un livello che dà sicuramente 
la visuale orizzontale; 
2° 0. Burari-Forti: Funzioni vettoriali, dal Socio PraNO. 

Il Socio PARONA presenta per l'inserzione nei volumi delle 
Memorie accademiche il lavoro del Prof. Sacco, intitolato: Ll 
gruppo del Gran Sasso d'Italia; il Presidente delega i Soci PA- 
RONA e SPEZIA per riferire intorno ad esso. 

Il Socio Parona, a nome del Socio MartIROLO, presenta 
pure per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche il 
lavoro del Dott. Efisio FONTANA, intitolato: Ricerche intorno ad 
alcune specie del genere Elaphomyces Nees; il Presidente delega 
i Soci MarTIROLo e PARONA per riferire intorno ad esso. 

Il Socio GuARESCHI presenta per l'inserzione nei volumi delle 
Memorie accademiche il suo lavoro, intitolato: Nuove notizie sto- 
riche sulla vita e sulle opere di Macedonio Melloni. La Classe con 
votazione segreta unanime delibera la stampa di questo lavoro 
nei volumi delle Memorie.. 


N. JADANZA E V. BAGGI — UN LIVELLO, ECC. 3 


LETTURE 


Un livello che dà sicuramente la visuale orizzontale. 


Nota di N. JADANZA e V. BAGGI. 


Un livello a cannocchiale allora può dirsi perfetto quando 
può dare una visuale orizzontale (nei limiti tracciati dalla 
bontà del cannocchiale che si adopera e dalla sensibilità della 
livella) senza dar luogo ad altri errori, per l'eliminazione dei 
quali conviene in molti casi ricorrere a metodi speciali di os- 
servazione. 

Tre soli livelli si accostano a questo ideale e sono il livello 
a compensazione del BrerrnauPT, il livello a cannocchiale mobile 
e livella con doppia graduazione, ed il livello a due cannocchiali 
di Brirto Limpo. 

Di cotesti tre livelli il primo richiede una costruzione accu- 
ratissima e non sì è mai sicuri del parallelismo tra l’asse di 
sospensione e l’asse proprio della livella; il secondo richiede il 
parallelismo perfetto tra i due assi della livella, ciò che finora 
difficilmente si ottiene anche dai più abili costruttori; il terzo, 
quando si voglia costruirlo per livellazione di precisione, ri- 
chiede cannocchiali di maggior potenza e quindi riesce troppo 
pesante. 

A tutti gli inconvenienti ora detti si rimedia adoperando 
il livello che proponiamo noi, che non è altro se non il livello 
a cannocchiale mobile e livella fissa al cannocchiale (livello di 
CHezy) avente sovrapposta al cannocchiale un’altra livella mo- 
bile della stessa sensibilità di quella fissa. Esso è rappresentato 
dalla figura (1); la livella superiore però deve essere costruita 
in modo che, quando il cannocchiale fa una rotazione di due 
angoli retti intorno al suo asse meccanico, essa possa rimanere 
nella sua posizione primitiva, così come lo mostra la fig. (2). 


4 N. JADANZA E YV. BAGGI 


Chiameremo prima posizione quella della fig. (1), seconda 
posizione quella della fig. (2). 

Supposto corretto lo strumento (ed ora vedremo come ciò 
si ottenga) e messo in stazione in un punto 4, si diriga il can- 
nocchiale alla stadia che si trova in un punto qualunque 5; si 
faccia su di essa una lettura /, quando la bolla della livella 


| IT 


inferiore è centrata (posizione 1): indi fatto rotare il cannoc- 
chiale di due angoli retti intorno al proprio asse di figura (po- 
sizione 2*) si faccia una seconda lettura 7 sulla stadia, dopo 


aver centrato la bolla della livella mobile mediante la vite di 


l, s5 lo 


elevazione #: la lettura /2 = g° Sarà la lettura corrispon- 


dente alla visuale orizzontale. 


UN LIVELLO CHE DÀ SICURAMENTE LA VISUALE ORIZZONTALE D 


Correzione dell Istrumento. 


Essendo fornito di vite di elevazione, sarà sufficiente ren- 
dere verticale l’asse dell’istrumento soltanto approssimativa- 
mente. Ciò si ottiene mediante una qualunque delle due livelle 


Fig. 2. 


dirigendola prima in direzione di una delle viti del basamento 
e centrando la bolla con questa vite, quindi girando l’alidada 
di 2 angoli retti e centrando la bolla della stessa livella per 
mezzo della vite di elevazione. Mettendo in ultimo la livella 
in direzione della retta che unisce le altre due viti del basa- 
mento si centrerà di nuovo la bolla con movimento simultaneo 
ed inverso di queste due viti. 


6 N. JADANZA E V. BAGGI 


Correzione della livella inferiore L,. 


La bolla deve rimanere centrata prima e dopo la inversione 
del cannocchiale sulle forchette che lo sostengono. 

Posta la livella Z, in una direzione qualunque si centri la 
bolla mediante la vite di elevazione £, quindi si inverta il can- 
nocchiale in modo che il perno che prima era a destra dell’os- 
servatore vada a sinistra e viceversa, e lo spostamento della 
bolla si corregga metà colla vite di elevazione e metà colla 
vite propria della livella. Tale operazione si ripeta fino a che 
la bolla rimanga centrata prima e dopo la inversione del can- 
nocchiale. 

È bene cu/lare la livella per assicurarsi che il suo asse non 
sia sghembo coll’asse di rotazione del cannocchiale. Se nel cul- 
lare la livella la bolla si sposta dal centro la si riporterà me- 
diante le viti laterali di essa, attenendosi alla nota regola: Se 
spostando la livella verso l'osservatore, la bolla va verso la 
destra di esso, l'estremità destra della livella dovrà essere al- 
lontanata dall’osservatore; se la bolla va verso la sinistra, sarà 
l'estremità di sinistra che dovrà essere allontanata dall’ osser- 
vatore. 


Correzione della livella superiore L,. 


La bolla deve rimanere centrata prima e dopo la inversione 
della livella sul cannocchiale. 

Disposto il cannocchiale nella posizione 2* e sovrapposta 
la livella Ls al cannocchiale, si centri la bolla mediante la vite 
di elevazione, quindi si inverta la livella Zs in modo che il 
braccio di destra vada a sinistra e viceversa; lo spostamento 
della bolla se c'è si corregga metà colla vite di elevazione e 
metà colla vite propria della livella. Tale operazione si ripeta 
fino a che la bolla rimanga centrata prima e dopo la inversione 
della livella. Si culli la livella per assicurarsi che il suo asse 
non sia sghembo coll’asse di rotazione del cannocchiale. Se la 
bolla della livella si sposta mentre si culla, la si riporterà in 
centro mediante le viti laterali di essa nel modo seguente: 

Se spostando la livella verso l’osservatore la bolla va verso 


UN LIVELLO CHE DÀ SICURAMENTE LA VISUALE ORIZZONTALE 7 


la destra di esso, l'estremità destra della livella dovrà essere 
avvicinata all’osservatore; se la bolla va verso la sinistra, sarà 
l'estremo di sinistra che deve essere avvicinato all’osservatore. 


Discussione. 


Supporremo, per maggiore generalità, il cannocchiale co- 
nico (fig. 3) ABA'B' poggiante su due cuscinetti formati a \V 
di ampiezza = 2A}; la retta che unisce i vertici di questi \V 
sia la HH. Questa retta è quella che rimane orizzontale 
quando invertendo il cannocchiale la bolla della livella L, è 
sempre centrata. 


Fig. 3. 


La livella superiore Ls abbia le sue braccia formate anch'esse 
a V di ampiezza = 2); la retta che unisce i vertici di tali \V 
sia DD'. È noto che tale retta è orizzontale se la bolla della 
livella Ls rimane centrata prima e dopo l’inversione di essa. 

Indicando con 2v l'ampiezza del cono del cannocchiale, con 
w, l'angolo che la generatrice A A' fa colla retta HH, con w, 
l'angolo che la generatrice BB' fa colla retta DD', con », ed rs 
i raggi dei due perni AB, A'B' e con d la distanza CC' si avrà 


CD= i. gii È 
sen a i sen di L 
Chia"... 0 CHeEi i 
sen À, sen À, 
AE | Ty — Ma bene: ga 
ieu=  : telut+tu)=_- a eleva. 
5 d ’ 8 ( iù 1) d.senM ” 8 ( Er 2) d.sen i 


8 N. JADANZA E V. BAGGI 


Supposto l’asse ottico coincidente con l’asse di figura CC 
ed il piano AB più vicino all’obbiettivo, su di una stadia si- 
tuata verticalmente ad una distanza /) si farà una lettura l,, 
quando la livella L, è centrata, data da 


(1) M]=a+D.tg(u--w,) 
essendo a la lettura che si farebbe coll’asse orizzontale CC. 
La lettura 7 che si farà quando la bolla della livella L, 
è centrata è data da 
(2) I=a—-D.tg(u+4wy). 
Dalle (1) e (2) si deduce 
=" =a+iltg@u+uw)— tg (+ wy)] 
I, —l=Dl[tg(u+w)+tg(u+ wo] 


e quindi 
: ; FI senà, — senàa 
(3) Mi LE ri (l; 2) sen), + send, 
i __ht+t% L—bsenh—senà 
(4) = gar \, + senà; 


le quali darebbero la lettura vera a e la differenza dei raggi 
dei perni in funzione delle letture fatte sulla stadia e di quan- 
tità note nel caso più generale. 

Nella pratica il costruttore può sempre fare A) =, = e 
quindi le (3) e (4) diventano 


(5) ty —ita=? ann : È. sen ) 
(6) = nia 


La (6) dice che la semisomma delle due letture ò indipen- 
dente dalla grandezza dei perni e quindi l'errore dovuto alla 
disuguaglianza dei perni è eliminato. 


UN LIVELLO CHE DÀ SICURAMENTE LA VISUALE ORIZZONTALE 9 


È eliminato anche l'errore dovuto alla non coincidenza del- 
l’asse ottico coll’asse di figura, se prima di fare la lettura /, si 
fa rotare il cannocchiale di due retti intorno al proprio asse di 
figura. 

La differenza tra i raggi dei perni si può trovare pratica- 
mente senza conoscere il valore angolare di una parte della 
graduazione della livella nel modo seguente: 

Quando la bolla della livella L, è centrata si faccia una 
lettura sul tamburo della vite di elevazione £ (supposto che 
vi sia); tale lettura sia e; si faccia su di esso una nuova let- 
tura e, quando è centrata la bolla della livella Ls, la differenza 
e, — e, rappresenterà l'angolo 2u + w, + ws; lo stesso angolo 
sarà rappresentato dallo spostamento m, avvenuto nella bolla 
della livella L, ed anche dallo spostamento ms avvenuto nella 
bolla della livella Ls quando si ritorna a centrare la livella L,; 
sì avrà dunque 


\ eo — e = 204 w, + wy 
(7) mi = ZU + w, + wg 
| my =2u + wi + wo 


e queste possono servire per la ricerca del valore angolare di 
una parte del tamburo della vite di elevazione e di quella di 
una parte della graduazione di una delle due livelle L, ed Ly 
quando è noto il valore angolare di una qualunque di esse. 

Le formole precedenti si semplificano se il cannocchiale 
poggia su cuscinetti circolari e se la livella superiore Ls, ha 
anch'essa le braccia terminate ad arco di cerchio; in questo 
caso sarà wW,=w,=0) e quindi 


Ct, — e, 24 


mo = 2 
La formola (5) diventa 


aaa 
(9) Li La pl 9 


10 N. JADANZA E V. BAGGI 


Nel caso di \)} = \p= 45° sarà 
dil—-ls'4/î 
(10) 17 Case e V2 


Nel caso di M = 90° e A»3=45° si avrà 
d lo. 
(11) ra mtra=p(l — la) (721) 


e la correzione da fare alla semisomma delle due letture 2, ed /» 
per avere a è 


ho. (B—272) 


ovvero 


(12) 0,086 (2, — La). 


Conviene osservare che il livello da noi proposto differisce 
da quelli apparentemente analoghi costruiti dall’Hildebrand, dal 
Salmoiraghi e da altri costruttori pel fatto che esso, a diffe- 
renza degli altri, permette di valersi della livella mobile Ly 
quando il cannocchiale trovasi nella posizione 2?. 

Quando lo strumento è corretto, la certezza di ottenere la 
lettura a corrispondente ad una visuale orizzontale mediante la 
media delle due letture /, e 7, non è menomata da alcun dubbio 
di cause d’errore accidentali come si verifica per i livelli di 
precisione fin qui adottati. 

Infatti nei livelli del tipo Chezy (è il livello della fig. (1) 
quando si supponga soppressa la livella mobile Ls) dopo che 
si è corretta la livella LZ, nel modo detto precedentemente, 
oltre che non è possibile verificare direttamente se i collari del 
cannocchiale hanno lo stesso diametro (nei limiti ben inteso 
della sensibilità della livella), non è neppure possibile eliminare 
strumentalmente l'errore dovuto alla non coincidenza dell’asse 
ottico coll’asse meccanico del cannocchiale perchè portando il 
cannocchiale nella posizione 2* la livella ZL, non presenta più 
all’osservatore la sua faccia graduata, e la lettura fatta sulla 
stadia in questa posizione del cannocchiale è per conseguenza 
incerta. 


UN LIVELLO CHE DÀ SICURAMENTE LA VISUALE ORIZZONTALE ll 


Il livello a cannocchiale mobile e livella mobile tipo Bar- 
thelemy, che si adopera anche in Italia per le livellazioni di 
precisione, è certamente uno dei migliori tipi di livelli fin qui 
adoperati ed è preferibile al precedente: esso equivale a quello 
da noi descritto nella ipotesi che manchi la livella L,. 

Con tale livello dopo aver corretto la livella Ls si ottiene 
la lettura @ dalla media /, e 7, di due letture fatte sulla stadia 
prima e dopo la rotazione del cannocchiale intorno al proprio 
asse meccanico; però questo tipo di livello non permette di eli- 
minare strumentalmente l'errore dovuto alla disuguaglianza dei 
diametri dei collari. 

Volendo adoperare il livello da noi descritto senza correg- 
gere preventivamente lo strumento, il che può riuscire conve- 
niente allorchè si debbono battere pochi punti, si procederà con 
il metodo della media delle quattro letture; cioè si faranno sulla 
stadia due letture /, l", colla bolla della livella L;, centrata 
(prima e dopo l’inversione del cannocchiale sulle forcelle d’ap- 
poggio) colla sola vite di elevazione. Poscia si girerà di 180° il 
cannocchiale intorno al proprio asse meccanico, e si faranno 
sulla stadia due letture /, 7" colla bolla della livella Ls cen- 
trata unicamente colla vite di elevazione prima e dopo l’inver- 
sione della livella L, sui collari d'appoggio; sarà evidentemente 


1 1) Ù 
a=zM4t la tb +03). 


Prima di leggere sulla stadia bisogna essere sicuri che la 
bolla della livella che si osserva sia centrata ed in riposo. 


Applicazione. 


Il Gabinetto di Geodesia della R. Università di Torino pos- 
siede un livello di precisione della Casa Hidedrand (successore 
Lingke). La livella superiore però serviva soltanto per la ricerca 
della disuguaglianza dei perni del cannocchiale. Abbiamo fatto 
allungare le braccia della livella, ed ora è quello rappresentato 
dalle figure (1) e (2). 

In questo livello il cannocchiale poggia su cuscinetti fog- 


12 N. JADANZA E V. BAGGI — UN LIVELLO ECC. 


giati ad arco, mentre la livella poggia con piedi a V la cui 
apertura è un angolo retto. 
In questo caso la visuale corretta è data da 


a=UEk 10,086, — ka) 


e quindi se si ha 2,,.=%,, l’istrumento è esente dall’errore della 
diseguaglianza dei perni. 

In questo livello il perno più vicino all’oculare è più grande 
di quello che sta verso l'obbiettivo, e ciò è stato constatato 
mediante la livella superiore, determinando con essa la dise- 
guaglianza dei perni. 

La correzione da fare alla media delle due letture 2, 4 
non raggiunge il mezzo millimetro alla distanza di 100 metri. 

Le forcelle mediante le quali la livella appoggia sul can- 
nocchiale e quelle che servono di sostegno al cannocchiale con- 
viene che sieno tutte foggiate a V coll’apertura di un angolo 
retto; ciò è utile non solo per rendere nulla la correzione da 
fare alla media delle due letture, ma anche per rendere nulli 
od almeno minimi gli spostamenti dell’asse meccanico del can- 
nocchiale (quando questo ruota intorno ad esso) causati: 1° dal 
non essere i collari perfettamente circolari, pur essendo uguali; 
2° dal non essere perfettamente simmetrici rispetto ad un piano 
che passi pel loro centro, allorchè sono eguali fra loro, ma non 
circolari (*). 


(*) Cfr. V. Bacei, Sulla forma più conveniente da dare ai sostegni del 
cannocchiale nei teodoliti e nei livelli (Atti della R. Accademia delle Scienze 
di Torino, 1897). 


C. BURALI-FORTI — FUNZIONI VETTORIALI 13 


Funzioni vettoriali. 


Nota di C. BURALI-FORTI in Torino. 


In due note precedenti ho ottenuto le importanti funzioni 
fisiche rotazione e divergenza, mediante le omografie vettoriali (*). 
Esse si possono ottenere anche indipendentemente dalle omo- 
grafie vettoriali (utilissime anche in Geometria, ma poco note) 
mediante due funzioni D, e K, che corrispondono esattamente 
alle omografie, “ derivata del vettore vw rispetto al punto P del 
quale w è funzione , “ coniugata (nel senso del K di HamrLroN) 
della precedente omografia ,. L'importante significato fisico delle 
funzioni D, K risulta evidente dalle (3) di questa nota; per le 
applicazioni il lettore può esaminare le due note sopra citate. 

Mi valgo sistematicamente delle notazioni stabilite col 
Prof. R. MarcoLonco nelle note I, II, III: Per l’unificazione delle 
notazioni vettoriali, pubblicate nel Tomo XXIV dei Rendiconti del 
Circolo matematico di Palermo. 


1. Funzioni D e K. — Se « è un vettore funzione del punto 
P, variabile in un dato campo, con Du, Kw, indichiamo due 
funzioni che applicate ad un vettore x qualunque, funzione di ?, 
producono i vettori D, a, K, individuati dalle condizioni se- 
guenti : 


(1) (Did) X@a = Xx grade xa) 
(2) (K,9) Xy= (Day) X a 


(*) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. Sopra alcune ope- 
razioni protettive applicabili nella Meccanica. Sulle omografie vettoriali (Vo- 


lume XLII, 1906-907). 


14 C. BURALI-FORTI 


valevoli qualunque sia il vettore costante (cioè indipendente 
da P) a, e qualunque sia il vettore y funzione di P. 


E necessario dimostrare che le condizioni (1), (2) definiscono 
univocamente le funzioni D, K. 


Essendo 0 un punto fisso, è, j, / vettori fissi unitari formanti un si- 
stema ortogonale destrogiro, e 


P=0+zxri+uyjt+k, u—=ai + bj+ ek, 
sì ponga, indipendentemente da a e da y, 
., du : 
Dug(0XKd) +. +... = (x grad a) eri 1 
o du). 
Kux=(xX i) grada+...+...=(0X35 i+... t..., 


ove i terzi membri si ottengono daì secondi ricordando che 


può 
grad m= Sgt i n i+ 
Ciò posto si ha: 
(Du®)Xa=(x X grad a) (iX@a)+...=xXgrad (Xi) laXKé+... 
=%x X grad(uX a), 
rada 
(Kuwa)XKy= (x X RAI Xy)t.. maiala XD: 


Dunque le funzioni D, K esistono. Sono uniche perchè dalle (1), (2) si ha 
(Dux — D'u%x) e Cif (Kux — K'ux)Xy=0 
qualunque siano @ ed y, cioè D'u= Du, K'u= Kw. 
Esaminiamo ora le principali proprietà delle funzioni D, K 


che sono conseguenze dirette delle condizioni (1), (2). Supposto 
che e, v sieno vettori e m numero reale, fanzioni di P, si ha: 


(3) DudP=du, (Ku) XdP=xX du 


(4) Daze =0 e K,&é=0, per x qualunque, solo quando w = cost. 


FUNZIONI VETTORIALI 15 


\ Du + Y) = Dax + Day, DL (ma) = mDn x 
(5) Ku (ve “n y) a Ky 9% ch KuY ’ Ka (mac) =mK,% 
| cioè D e K sono funzioni lineari. 


(6) Data = Da 9 -_ Dyx , K, +yWO = Ku -. Ko% 


- | Dane =mDua& + (x X grad m) w 
i | K,nu® = mKy% + (x >E u) grad mr 


(8) grad (vw X v)=K,v+K,u 


| Duro =uND,0 — v\Du® 


0) | Kt = Kn, (0/0) — Ky(UA 2) 


Le (3) danno il carattere fisico delle funzioni D, K. La prima 
dice che applicando D, ad uno spostamento qualsiasi dP di P 
sì ottiene lo spostamento corrispondente dw di w. La seconda 
esprime che la proiezione (composta, lavoro) di K,, su dP eguaglia 
la proiezione di x su du. — La funzione D, può chiamarsi “ de- 
rivata di w rispetto a P_, ; la K, è coniugata di D, come esprime 
la (2) con lo scambio dei vettori x, y. — Se nella (2) si pone x 
al posto di y, risulta che Da — Kn è normale a x [Cfr. (12); 
in particolare la seconda delle (3) dice che K,dP — du è nor- 
male a dP. 


Dimostriamo ora le formule precedenti. 


Dim. (3). (DwdP)Xa=dPX grad (uX a)=d(uXa)=(du)Xa 
(Kaa) X dP=(DudP)Xa=xX du. 


Dim. (4). — Risulta dalle (i) e (2) ricordando che grad m=0 per qua- 
lunque posizione di P, solo quando m = cost. 


Dim. (5). (Dux + Day) Xa=(x2+y)X grad(uX a) = 
=}Du(®+y){Xe 


e analogamente per ma e per K. 


Dim. (6). (Dut+to x) Xa=%x X gradlut+vXa= 
=XXgraluXa+axX gradvXa=(Dua)Xa-+(Dvx)X a, 


16 C. BURALI-FORTI wr. 
e analogamente per K. 
Dim. (7). (Dnux)Xa=xX}mgrad(uXa)+(uX a)gradmi= 
=m(Dued)Xat (x gradmuXa, 
(Km) sé y= (Dm) Xa=m(Du Y) Xar+ (Y xd grad m)u si Xc= 
=m(Kuae)Xy-+ (e X u)grad m X y. 


Dim. (8). grad (wu X v) X daP=d(uXv=uXdv+vX du= 
ì = (Ku v) bc dP+ (Kw) X dP, 


che dimostra la (8) purehè P possa spostarsi almeno in due direzioni distinte. 
Dim. (9). — Se «a è vettore costante si ha 


Durax=—-a/Dux, Kunaxc = Ku(A /\ x) 
come dimostrano le seguenti eguaglianze: 
(Dura x)Xb=xX grad (uAaXb)=xXgrad(uXa/Ab)=a/bXDux= 
tt /\ Dux X db, 
(Ku\ax) Xy= (Duray)Xa=— a /(DuyXax=(Duy)XaAa= 
=}Kw (a Ax){iXu. 


Ciò posto, le seguenti eguaglianze dimostrano le (9): 


(Durve)Xa= x X grad (vu Xv A a) == ey Kai (@ A a) + x X Kv\au= 
=v/\a1XDuxrx+uXDvax=—-v/\(Dux)Xa-uXa/Dva= 
=(unDva-®/Dux)Xa, 
(Ku\v®) X dP=xXd(u/\v=xXu/\dv-xaXw/du= 
=(x \uXdvT—(r/\v)Xdu=(Kvx /\u—- Kua /A%)X dP. 


La prima delle (9) si può anche dimostrare, osservando che 
Du\vdP=d(u/\v)=udvT—-vAdu=u/(DvdP)—®%/(DudP) 

e che essendo dP arbitrario si può sempre porre dAP= T« con T infinite- 

simo. Questa dim. rende anche la prima delle (9) indipendente dalla (8), 

della quale ci siamo valsi nella prima dimostrazione. — Si osservi però 

che se P varia in una superficie, allora non si può porre dP=tdX altro 


che per @ parallelo al piano tangente in P, e quindi la dim. ora consi- 
derata cade in difetto. 


Se nel sistema di riferimento 0, è, J, & si ha 


P=0+xi+yitbek, u=ad + b9 + ck, 


3} i 


FUNZIONI VETTORIALI 17 


allora si è già trovato che 


Du = X AI + XA + XI = 


= (x X grad a)é 4+- (ae X grad 5)j + (x X grad c) È, 
(10) 
Ko = (x X è) grada + (y X j) grad 6 4- (y XK) grade= 


XI et 


Le precedenti formule (1)-(9), che noi abbiamo dimostrate 
indipendentemente da qualsiasi sistema di riferimento, si dimo- 
strano anche valendosi delle (10) e in modo assai semplice. 

Le (10) permettono di dimostrare ancora la proprietà se- 
guente: 


(11) D,ae=K, qualunque sia x, solo quando v è il gradiente 
di un numero ui dic P 


Dalle (10) risulta che Du= Kw solo quando 


che, per essere u = at + dj + ck danno 


dd _ de GELO da da __ db 
de dy’ dx aedz. bw Wi di 


le quali esprimono esistere un numero m tale che 


cioè tale che 


dm i i dm ha 
‘ui SRI ira nl = -le= grad m . 


Non sappiamo dalle (1) e (2) dedurre direttamente, senza l’aiuto delle 
(10), la proprietà (11), la quale deve ridurre la condizione Du= Kw a 
questa, “ae X dP è un differenziale esatto. , 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. d 5 
a 
®. 


n è 


18 C. BURALI-FORTI 
2. ROTAZIONE E DIVERGENZA. — Se %w è vettore funzione | 


di P, rotw, “ rotazione di w , e div “ divergenza di w ,, | 
sono, rispettivamente, il vettore e il numero, individuati dalle - 
condizioni seguenti 


(12) (rot Ax = D.x — Kxx 

(13) i (divu)a=D,a —rot(u/a) 

verificate qualunque siano il vettore x funzione di P e il vet- 
tore « costante. 


Il vettore rot % e il numero div % sono univocamente de- 
terminati dalle condizioni (12), (13). 


Dalle (10) si ha: 


: i, fr Su) i gi 
Due — Ka =) (A XÎ}7 (CX ix Lon - = 
P. du a sabbia de | ) 
(è AS AE + TRE Pt... JA, 
e quindi posto 
du sl i 


rovu=t/\ | a nò gs TEA 


la (12) è verificata. Esiste dunque almeno un vettore rot &; esso è unico 
perchè dalla (12) si ha, qualunque sia x, (rotu — rot w) Ax = 
Tenendo conto dell'espressione ora trovata di rot si ha 


(3 


Du — rot(w A @)=) (a X 6) 0% — i A Na)t+.. e 


c. Ri 
ria. MCH +e rta, 


e quindi posto 


div = IA 
dx dy de 


la (18) è verificata. Il numero div w è univocamente determinato, perchè 
la (13) dà, qualunque sia il vettore @ costante, (div  — div'w)a=0. 


Se rispetto al sistema O, é,., X di riferimento si ha 
P=0+4xi yi + ek, u=ai + bj + clk, 


_ 


® 


AT 


FUNZIONI VETTORIALI 19 


allora 


rotu=i AS SEITE kW 


= ee a) {dt + (erad5) Ad + (grad cf) AK = 


Mida ob n fda de) i db __da\7, 
=} so) Fis o Bi LI 


(14) 
divu=é X È du Lg RE PEX GE — 
= (grad È Xi È (grad 5) XJ + (grad c) X &k= 
= 
4 n gut a 


I primi membri sono già stati ottenuti; gli altri si ottengono facilmente 
dalla nota espressione di gradiente mediante il sistema di riferimento. 


Per le funzioni rot, div, valgono le formule seguenti nelle 
quali w, v sono vettori e m è numero reale, funzioni di P. 


(15) rot(w+@)= 
(16) \ rot(mu)=mrotw + (grad m) \w 
0) div (mu)= m div wu + (grad m) Xu 


rotu+rot®v, div(u-+v)=divu-- div è 


| rot(uAv=Dnv—(divu)v—}D,u — (div w)u| 
ù do div(u/®)=%v X rotu — X rotv 


(18) rota =0 in tutto il campo di variazione di P, solamente 
quando e è il gradiente di un numero. 


(19) div =0 in tutto il campo di variazione di P, solamente 
quando w è la rotazione di un vettore. 


Dimostriamo le formule (15)-(19). 
Dim. (15). — Risultano subito dalle (12), (13), (6); ad es. 


rot(u-+ v) Ar=DutvX — Ku+va = Dux — KuX + Dvx — Kva = 
= (rotu+ rot v) \ C. 


Dim. (16). (rot mu) Ax =Dmux — Kmuxax = m(Dux — Ku) + 
+ (e X grad mu_— (e Xu)grad m=wm(rot w) A 2 + grad m /\ u) \ x, 


e analogamente per div (m@) . % 


20 C. BURALI-FORTI , i 
Dim. (17). — Dalle (14) si ha 
t( )= A dU , mi, .= 
rot(w / v 6 A unÈ DIE ZA \ uT-- .+...# 
4 | dv I i 
— [exeo (tz) (uXi) “pesati. A 
de de) Ì \ 
= Du — (div w) © fa 
div (u NSA Xi tu NIE xt + = 
a PE \d2 a RE 


=Sox(i A Se uX((AWlb.t.= 


= X rotut_—wX rot ®. 


Ecco un'altra dim. di quest’ultima formula, indipendente dal sistema 
di riferimento : 


} div(eAv){a=Du\ra—rot}(u/\v/\@4{= Dura —rot}(uXa)v— 
—(vXa)u =u/\Dra-v/\Dua—(uX a)rotv— gradluXa)\v+ 
+(vXa)rotu-+ grad (Xa)\u=unDva-vA\Dua—(uXa)rotv+ 
+.(w X @) rotu — (Kxa)/\v + (Kva) Au=&//(Dva — Kva) — 
—vA(Dua—Kua)+(vXa)rotut—(uXa)rtw=u/}(rot /\a{—- 
—vA}roto Aa{+wXartu—(uXa)rtw=... 


Non sappiamo fare cosa analoga per la prima delle (17). 
Dim. (18). — Risulta dalle (11) ‘e (12). 


Dim. (19). — Affinchè esistano i numeri m, n, p, funzioni di P e tali che 
_dp da "4a dm dp pa dn dm 
dy de de de dr dy 


è necessario e sufficiente, per l'ultima delle (14), che sia divuw =0; dunque 
solo in questo caso u= rot (mi + nj + pR). 


È ben nota la formula 
(20) du=j (rotw) A dP4 grad osar(dP X du) 
che trasforma lo spostamento dà, in una rotazione e in una 
traslazione. Un'altra espressione notevole di dw si ottiene po- 


nerido ‘hella (12) 4P al posto di «. 


(21) du = (rot wu) A dP + KydP 


AT. 


FUNZIONI VETTORIALI 21 


nella quale la rotazione è doppia della precedente e la trasla- 
zione si ottiene mediante la funzione K. 


Si può sempre determinare un numero m e un vettore ®, 
funzioni di P, in modo che 


(22) w=grad m + rotv (Teorema di CLEBSCH). 


Valgano le notazioni delle (14). Si può determinare il numero 24, in 
modo che 


div (aî) = div grad my 
cioè in modo che [per le (14)] 


da d°my dm | d°ma 


dar da dy° dat 


Il vettore «è — grad m, ha dunque la divergenza nulla, cioè, (19), è 
la rotazione di un vettore v;, vale a dire ‘ 


ai = grad my + rot v, . 

Ripetendo per dj, c& e sommando, per le (15) si ha la (22). 

3. Funzioni D', K'. — La prima delle (17) suggerisce di 
considerare la funzione D' tale che qualunque sia il vettore “a 
funzione di P, si abbia 
(23) Due =Dy% — (div u) x, 

e allora la prima delle (17) assume la forma 
rot (/\v)=D'uv— Daw 
che ha analogia con la (8) che esprime grad (w X ®) mediante 


la funzione K. 
Per analogia con la (23) si può porre 


(24) K'u3e=K,% — (div u)a, té 


(No) 


2 C. BURALI-FORTI 

e allora rot w vien anche definito da (cfr. la 12) 
(rotu) Ax = D'ux — K'u® 

e div x da 


(div u) e=DLX— Da Xx la K'u% 


qualunque sia il vettore x funzione di P [Cfr. con la (13)]. 
Le formole (2), (5), (6) sussistono ancora cambiando D e K 
in D' e K. Le altre subiscono modificazioni. 
Rispetto al sistema di riferimento si ha 


D'ue=(2 Ad) A grada +... +... =(2ASE)A 4 ET 
K'ue=(0A0 A +... +...= (0 A grada) AE+...+.. 
come facilmente risulta dall’identità 

n bAc)\a+(CAaAb+(aAb)A\c=0 


ponendo al posto dei vettori a, 0, c, le terne di vettori grad a, 
x, è; se, x, i, e le analoghe per .j e 7. Quindi le funzioni D', 
K' risultano anche come elemento combinatorio nei doppi pro- 
dotti vettoriali delle componenti di ew e du. 


. 4. PRODOTTI DELLE FUNZIONI GRAD, ROT, DIV, E LE FUNZIONI 
A, A'. — Dalle (14) si ha facilmente 


2 2 
\ div grad m = pa 15 do m che d°mn 
(25) i 
/ grad div w — rot rotu= a u 4È Ca du 
\ dr? dp? da È 


Segue che l'operatore simbolico 
dò? d? DE 
(26) da? na dè da d23? 


dipendente dalle coordinate di P, è rappresentato e, anzi, definito 
in modo autonomo, dalla funzione div grad o grad div - rot rot, 


FUNZIONI VETTORIALI 23 


secondochè si intende applicato ad un numero o ad un vettore. 
Ordinariamente il simbolo (26) viene indicato con la notazione 
4». riserbando A per indicare la funzione mod grad. Ora, non 
avendo quest'ultima bisogno di simbolo speciale perchè nel cal- 
colo vettoriale non si presenta mod grad, ma semplicemente 
grad, nol porremo 


A =div grad 


_ 


(27) 


n 


= grad div — rot rot 


e risulta che: A è funzione da applicarsi ad un numero e che 
produce un numero; A' è funzione da applicarsi ad un vettore 
e che produce un vettore. Segue che A e A' ammettono le po- 
tenze di qualsiasi ordine, e AA‘, A'A non hanno significato. 

Per esprimere brevemente le proprietà dei prodotti delle 
funzioni grad, rot, div, A, A' scriveremo semplicemente g, 7, d, 
al posto di grad, rot, div. 

I prodotti gg, gr, rd, dd sono privi di significato. Dalle (18) 
e (19) si ha subito 


(28) rg=0 da 0 
e per le (27) 
(29) di Aide 


Dei prodotti di tre delle funzioni g, r, 4, alcuni sono privi 
di significato. Per gli altri si ha dalle (28) (29) 


‘30 \ drg=rrg= rgd = gdr = drr = 0 
(30) | gdg=g94, dgd=dA', rrr= — rA'. 

Da queste formule si ricavano i prodotti di quattro o più 
funzioni, prese con ripetizione, tra le funzioni g, r, d. In tali 
formule è però utile la proprietà commutativa del prodotto di A 0 
A' per una delle funzioni 9, r, d, come è espresso dalle formule : 


1 IEP Ad 38 
Po A'r=#h 


che risultano immediatamente dalle precedenti. 


| 
24 C. BURALI-FORTI — FUNZIONI VETTORIALI i È. A 


Per i quadrati di A e A' si ha 


AA = dA'g=dg4A 
AA'=gAd — rAr = gdA' — rrA'!. 
Di qui, come dalle (27) e (31), risulta la necessità di indi- 
care con due simboli diversi, A e A’, il simbolo (26) delle 


coordinate cartesiane, secondo si applica a numero o a vettore, 
in luogo dell’ordinario segno tachigrafico 4». 


Torino, Ottobre 1907. 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 24 Novembre 1907. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA, 


Sono presenti i Soci: BoseLLi, Vice-Presidente, Manno, Di- 
rettore della Classe, Brusa, ALLIEvo, ReENIER, Pizzi, RufrINI, 
SraMPINI, D’ErcoLe, Bronpi, Scorza e De Sanctis, Segretario. 

Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente, 9 giu- 
gno 1907. 

Il Presidente ricorda la morte del socio nazionale non resi- 
dente Conte Costantino Niera, accennando brevemente alle sue 
molte benemerenze. Legge i telegrammi di condoglianza invia 
in quella occasione dall'Accademia alla famiglia e il telegramma 
diretto al Sindaco di Rapallo, che rappresentò l’ Accademia stessa 
ai funerali. Dà poi comunicazione di una lettera dell'On. PincHia 
che accompagna una Circolare contenente l'invito a partecipare 
alla sottoscrizione per un ricordo marmoreo all’illustre estinto. 

Si annuncia il dono fatto dal R. Gabinetto Numismatico 
di Brera in Milano di due esemplari di una medaglia comme- 
morativa della unità italiana con capitale Roma. 

Sono presentati dal Presidente i seguenti libri inviati in 
omaggio all’Accademia: 

1° Giovanni Srorza, Contributo alla vita di Giovanni Fan- 


toni (Labindo), Genova, tip. della (Gioventù, 1907. 


26 


Ela 


2° Fedele Savio, Il terzo centenario del Cardinale Cesare” 
Baronio (estratto dalla “ Civiltà Cattolica ,). Roma, 1907. 

8° Fedele Savio, 1 monasteri antichi del Piemonte. — Il 
monastero di S. Giusto in Susa (estratto dalla “ Rivista Storica 
Benedettina ,), Roma, 1907. 

4° Francesco Buonamici, Burgundio Pisano, Pisa, Van- 
nucchi, 1907. | 

5° Francesco D' Ovipro, Nuovi Studii Danteschi. Ugo- 
lino, Pier Della Vagna, i Simoniaci e discussioni varie, Milano, 
Hoepli, 1907. 

Il Socio BoseLLi, Vice-Presidente, presenta la intera rac- 

colta dei dodici volumi degli Atti del Congresso Internazionale 
di Scienze Storiche di Roma rilevandone l’importanza con le 


seguenti parole: 


Presento la collezione completa dei dodici volumi degli Atti 
del Congresso Internazionale di Scienze Storiche di Roma. E per 
circostanze facilmente spiegabili e scusabili, li presento con 
qualche ritardo: giacchè l’ultimo volume edito comparve alla 
luce nell'aprile u. s. 

> Questa importante collezione attesta, anzitutto, la serietà e 
la grande operosità del Congresso. 

. I Congressisti, con l'aggiunta de' Delegati, sommarono alla 
cospicua cifra di circa tre mila. 

Gli Stati rappresentati al Congresso furono 37, e i Delegati 
furono circa 500, cifra che ritengo non essere stata mai rag- 
giunta in nessun altro Congresso. 

Del resto, il Volume I riesce una cronaca fedele e partico- 
lareggiata del Congresso, e ciascuno può attingervi i dati e le 
notizie che desidera. 

Merito insigne del Congresso è di avere chiuso, com'è noto, 
il proprio bilancio con lire 3221,10 di avanzo netto. Questa 
somma fu versata alla f. Accademia de’ Lincei, e, arricchita 
degl'interessi annui e del provento della vendita de’ volumi degli 


i 
4 


Atti, costituirà il fondo per un premio internazionale per gli studi 
storici. 

Rammento altresì che nella seduta inaugurale del Congresso 
in Campidoglio, il dì 2 aprile 1903, il nostro collega Manno, a 
nome della nostra R. Deputazione di Storia Patria, presentò con 
elette parole alle LL. MM. il Re e la Regina una riproduzione 
in pergamena della Protocarta Comitale Sabauda, nella quale ap- 
pare per la prima volta chiaramente il titolo di Conte attribuito 
a Umberto Biancamano (2 aprile 1003), 41%antenato del nostro 


Sovrano, proprio esattamente 900 anni prima. 
Il volume I degli Atti ricorda quella solenne cerimonia. 


Riferire separatamente dell'importanza di ciascuno de’ dodici 
volumi richiederebbe soverchio tempo. Mi limito a dire che l’edi- 
zione fu diligentemente curata, e che ogni volume reca notevole 


contributo alla speciale scienza storica cui è dedicato. 


Fra i più meritevoli di attenzione da parte degli studiosi 
annovererò il vol. IX (Storia del diritto), che è stato da tutti 
altamente lodato, e che ha lasciato tracce durature delle elevate 
discussioni e comunicazioni che ebbero luogo nel seno della sez. V 
del Congresso, nella quale ebbi qualche parte io stesso quale 
Delegato di questa Accademia delle Scienze, e nella quale eb- 
bero parte essenziale, come direttori ed organizzatori scientifici, 
l’on. Senatore Prof. Virrorio ScraLosa e il nostro chiarissimo 
collega Prof. Francesco RUFFINI. 

Largo e nuovo contributo alla scienza recano pure, in special 
modo, i volumi V (Archeologia), il vol. III (Storia medievale e 
moderna e Scienze Storiche ausiliari) e il vol. II, che raccoglie 
gli atti de’ tre gruppi della sez. I (Storia antica e filologia clas- 
sica), nella quale ebbe notevole parte altro nostro vato col- 
lega il Prof. Errore StAMPINI; e così tutti gli altri, cioè, il 
I (parte generale), il IV (Storia delle letterature), il VI (Numis- 
matica), il VII (Storia dell’arte), l' VIII (Storia dell’arte musi- 
cale e drammatica), il X (Storia della geografia-geografia storica), 


28 

l'XI (Storia della filosofia, Storia delle religioni) e il XII (Storia 
delle Scienze fisiche, matematiche, naturali e mediche). A questo 
volume diedero notabile contributo chiarissimi colleghi ed altri 
esimii scienziati. ; 

Ma se ciascun volume ha pregi e caratteristiche particolari, 
il valore della collezione risulta dal suo insieme, dall'essere, cioè, 
la collezione, nel suo complesso, un importante quadro e docu- 
mento sincrono delle scienze storiche in Italia e ne’ principali 
Stati del mondo al pringipio dell’anno 1903. 

La collezione, co’ pregi ed anche co’ difetti inerenti a sif- 
fatto genere di pubblicazioni, è stata universalmente lodata dalla 
stampa italiana, europea ed americana, e , resterà monumento 
onorevole per l’Italia e per la nostra cultura. 

E pertanto, nel farne la presentazione alla Accademia delle 
Scienze, mando un cordiale plauso al venerando e illustre 
Prof. PasquaLe Vicari, del quale l’Italia riverente ha solen- 
nizzato giorni sono l’80° genetliaco, a Pasquale Villari, che fu 
il degno Presidente del Congresso e che ha pure presieduto con 
intelletto d'amore alla pubblicazione degli Atti. E ricordo in pari 
tempo, con onore, il Comm. Giacomo GorrINI, che, quale Segre- 
tario generale, fu del Villari l’operoso e intelligente cooperatore, 
tanto per il Congresso, quanto per la pubblicazione degli Atti. 


Il Vice-Presidente BoseLLi offre pure il volume di MALLA- 
pRA A. e RANIERI G. E., La Sacra di S. Michele, Torino, Streglio, 
1907, pronunciando a proposito di esso un breve discorso che è 
pure inserito negli Atti (1). 

Il Socio SrAmpinI fa omaggio della sua pubblicazione: Dieci 
lettere di (riovanni Labus a Costanzo Gazzera (estratto dalla 
«“ Illustrazione Bresciana ,), Brescia, Fratelli Geroldi, 1907. Pre- 
senta inoltre due pubblicazioni del Prof. Enrico (0oconta del- 
l’Università di Napoli, cioè il IV volume dei suoi Saggi Filo- 


(1) Comparirà in uno dei prossimi fascicoli. 


20 


logici (Napoli, Pierro, 1907) ed una Conferenza dal titolo: L’ideal: 
artistico, religioso e politico di Giosuè Carducci (Napoli, Pierro. 
1907). Il Socio Srampimi si ferma. specialmente sulle sette mo- 
nografie contenute nel volume dei Saggi Filologici, già pubbli- 
cate a parte via via dal 1892 al 1902, mettendone in rilievo 
la notevole importanza. 
Per la inserzione negli Affi vengono presentate le seguenti 

note : 

1° Dal Socio ReNIER: Enrico SICARDI, Per un’ abrasione 
del Vat. Lat. 3195 e per la giusta collocazione di due sonetti del 
Petrarca ; 

2° Dal Socio De Saxcris: Carlo FraTI, Aneddoti da codici 
Torinesi e Marciani. 


eo 


di 


30 ENRICO SICARDI 


LETTURE 


Per un’'abrasione del Vat. Lat. 3195 
e per la giusta collocazione di due sonetti del Petrarca. 


Nota di ENRICO SICARDI. 


Rispetto alla speciosa collocazione che i sonetti Aspro core 
e Signor mio caro tengono nel Cod. Vat. Lat. 3195, l'archetipo 
del canzoniere petrarchesco, una nuova ed acuta congettura è 
stata messa fuori da uno specialista autorevole, così che non 
possiamo sottrarci al desiderio di prenderla subito in esame. 
Alludo alla breve nota del prof. G. A. Cesareo, Per la giusta 
collocazione di due sonetti di F. Petrarca, testè comparsa nella 
Miscellanea per il giubileo di un illustre Maestro, di cui mi onoro 
assai di essere stato anch'io umile discepolo (1). 

Le osservazioni e i rilievi a cui ha dato luogo il posto te- 
nuto da que’ due sonetti nella raccolta definitiva de’ ferum Vul- 
garium Fragmenta ne’ riguardi della sua particolare divisione 
testè tornata in onore, son noti da un pezzo agli studiosi del 
nostro poeta. Infatti, contro codesta divisione in due parti distinte, 
di cui la prima si chiude col son. Arbor victoriosa e la seconda 
s'apre con la canz. /” vo pensando, divisione che il ritrovamento 
del Codice originale, con le sue parecchie carte bianche inter- 
medie fra que’ due componimenti, ha riconsacrato agli occhi de’ 
critici come voluta espressamente dal Petrarca, que’ due sonetti, 
che, come sì sa, tengon dietro appunto alla canz. /" vo pen- 
sando, contrastano in modo irrimediabile. Così che già fin dal 1898 
il Cesareo medesimo, in un suo bel volume di ricerche petrar- 
chesche, si domandava “ come mai posson trovarsi, dopo la can- 
zone introduttiva alla seconda parte, que’ due sonetti Aspro core 

(1) Miscellanea di Archeologia, di Storia e di Filologia dedicata al Pro- 


fessore A. Salinas nel XL anniversario del suo insegnamento. Palermo, 1907, 
nagine 340-342. 
pas 


PER UN'ABRASIONE DEL VAT. LAT. 3195, ECC. 31 


e Signor mio caro, i soli in tutta la raccolta, i quali contrastino 
‘con quello studio d’una certa unità quasi di poema, determinata 
particolarmente ne’ prologhi e negli epiloghi, che si riscontra 
per tutto il volume. Sarà stato un capriccio? un errore di tra- 
serizione? una convenienza materiale che a noi riesce troppo 
oscura e lontana? Io — confessa — non ne so nulla (1) ,. “ Di 
fatti — ora aggiunge e riassume — mentre la seconda parte 
contiene rime tutte di religione e di morte, que’ due sonetti sol- 
tanto sprigionan faville di desiderio e d’amore terreno come 
tutti componimenti della prima parte alla quale si vorrebbero 
ricongiunti e ricollegati (2) ,. E già, in forza di queste stesse 
osservazioni, il Cochin mostrò anch'egli d’essersi persuaso che 
“ il faut bien admettre que le classement du recueil n'est pas 
sans quelques anomalies (3) ,: anomalie contro le quali cozzò, 
pure invano, la dottrina e l’acume di A. Mussafia (4), l'illustre 
romanista che non è possibile ricordare senza rimpianto. 

Tornato dunque ora daccapo sul curioso problema, il-Ce- 
sareo da certe peculiarità esterne dell’Archetipo stesso s'è in- 
dotto a sospettare che a quella stonatura, frutto per certo d’una 
svista materiale del menante, il Petrarca medesimo abbia pensato 
a rimediare — si vedrà ora come — così che “ se la sua con- - 
gettura paresse plausibile, un inconveniente non piccolo nell’or- 
dinamento delle Poesie volgari ne verrebbe sanato, e 1 due sea 
tornando nella prima parte, occuperebbero il luogo che loro 
spetta con l'altre rime dell'errore e della passione mondana, 
mentre la parte seconda apparirebbe composta tutta di rime ispi- 
rate a pensieri d'espiazione e di morte. E la trasposizione sa- 
rebbe stata accennata dallo stesso poeta ,. 

La cosa è tale dunque, che merita bene il nostro più at- 
tento esame. E poichè si tratta di poche parole, riporteremo tale 


(1) Su le “ Poesie volgari , del Petrarca. Nuove ricerche, Rocca S. Ca- 
sciano, 1898, p. 127 e seg. Grip 

(2) 2. c., p. 341. : 

(3) La Chronologie du “ Canzoniere , de Pétrurque. Paris, 1898, p. 122. 

(4) Dei Codici Vaticani Latini 3195 e 3196 delle * Rime , del Petrarca, 
Wien, 1899, nel capitolo I primi componimenti della seconda-parte (estr. dai 
Denkschriften d. K. Akademie d. Wissensch. — Philosoph-Histor. Classe. Band 
XLVI). Si vedano anche le giuste osservazioni del Moschetti in Rass, did. 
d. lett. it., 1899, p. 131 e del Melodia, Giorn. dantesco, 1900, p. 370. 


? 


32 ENRICO SICARDI 


to 


e quale la precisa argomentazione del valente professore del- 
l’Università di Palermo. “ Fra le poesie del Petrarca riprodotte 
diplomaticamente di sul Vat. 3195 a cura del Modigliani — 
osserva — alcune sono segnate sul margine da una crocetta, 
con la quale, a mio giudizio, il poeta, rivedendo l’opera sua, 
intendeva ammonire se stesso che aveva da recar qualche emenda, 
sia nella lezione, sia nella collocazione ,. 

Or per l'appunto i sonetti Aspro core e Signor mio caro 
(n. 265 e n. 266 della raccolta) son preceduti da una crocetta, 


anzi il secondo da due, l’una nell'interno della imiziale, l’altra ‘ 


sul margine. In vece, dopo il son. Arbor victoriosa onde si chiude 
la prima parte, è un accidente ch'io riferirò con le parole me- 
desime dell'editore: “ Circa due centimetri sotto questo verso è 
una larga rasura di parole, ora non più leggibili, scritte su due 
righe. La prima riga sembra comprendesse due o tre parole e 
incominciasse con un 4; la seconda è un po’ più lunga, principia 
con un S e termina con un o o con un r°0. 

Ebbene: io sospetto forte che le parole scritte su le due 
righe fossero il cominciamento de’ due sonetti; così: 

Aspro core 

Signor mio caro 

Ognun vede come i dati corrispondano esattamente. La 
prima riga contiene due parole e comincia con A; la seconda 
e um po’ più lunga, principia con S e finisce con ro. E la traspo- 
sizione di que’ due sonetti non potrebb’ essere più acconcia e, 
sto per dire, più necessaria , —. 

È evidente, continua il Cesareo, che nessun altri che il poeta 
poteva indicare quella modificazione da introdurre nell'opera sua. 

E qui s'apre la serie de’ miei dubbiì. E comincio dalle eroci. 

Di croci nel Codice ce n'è molte; dappertutto. Talora se me 
trova una sola accanto al v. 1° del componimento cui è stata 
apposta, talora son due, di cui la seconda, certo perchè più dif- 
ficilmente potesse sfuggire allo sguardo di chi riprendesse quel 
manoscritto fra mani, dentro la lettera iniziale del verso 
stesso (1). Così non solo, per non allontanarci appunto dal caso 


(1) Le ha elencate e distinte con la consueta diligenza il Vattasso, 
nella sua dotta introduzione a L'Originale del * Canzoniere , ili F. P. Cod. 
Vat. bat. 3195 riprodotto in fototipia a cura della Biblioteca Vaticana. Mi- 
lano, Hoepli, 1906, p. XI, n* 38. 


i 


PER UN'ABRASIONE DEL VAT: LAT. 3195, Ecc. 33 


nostro, ce n'è accanto ad Aspro core e Signor mio caro, ma allo 
stesso modo, e perfettamente identiche, se ne trovano ancora, 
o ne furono già apposte, accanto alle poesie immediatamente 
seguenti, così: 


| Aspro core 


| | la 2? entro l'iniziale Signor mio caro 
{+ | la 2? entro l'iniziale Oimè il bel viso 
+ | abrase Che debb' io far? 

| abrasa Rotta è l'alta 

| abrasa in parte Amor se vuo’ 


L’'ardente nodo 
La vita fugge 


+ 


<< abrasa in parte Che fai? che pensi? 
| abrasa in parte Datemi pace 
{| | abrase in parte Occhi miei 
| entro l'iniziale Poichè la vista 
| entro l’iniziale S' Amor novo 
| entro l'iniziale Ne l’età sua 
fe) Se lamentar 
<< abrasa in parte Mai non fui. 


A questi seguono poi nove componimenti non contraddistinti 
in nessun modo, e poi altri segnati con la solita crocetta, e così 
alternativamente, sino in fondo alla silloge. Delle altre che spes- 
seggiano del pari nella prima parte del volume, non occorre che 
io parli. Ora, risalga o no al Petrarca la paternità di queste croci, 
che il Modigliani (1) e il Vattasso (2), non so bene se a ragione 
o a torto, son concordi nell'attribuire ad una terza mano seriore, 
che conclusione se ne può trarre? Che, seppure son sue, e se, in 
mancanza di meglio, ci può esser consentito di aggrapparci al- 
l'ipotesi che il poeta le apponesse a’ componimenti di cui voleva 
ricordarsi per tornarci su (e in questo caso bisognerebbe am- 
mettere che essi fossero speciosamente disposti in serie alternan- 
tisi con altre serie di rime a suo giudizio del tutto perfette — 


(1) I “ Canzoniere , di F. P. riprodotto letteralmente dal Cod. Vat. Lat. 
3195. Roma, 1905, p. XVIII. 
(2). Op. c.,..l.. c. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 6 


34 ENRICO SICARDI 


è 
e mal si capirebbe poi come quel distintivo avesse a mancare 


in que’ sonetti che portan tracce di numerose correzioni (1) —) 
come possiamo ritenere ch’e’ si servisse di quel segno medesimo 
per indicare cosa del tutto diversa, per richiamarci ad una traspo- 
sizione che poteva essere fatta e specificata in cento modi diversi 
e semplicissimi? Non sarebbe stato assai più ovvio, per un 
esempio, (e non dico se più chiaro!) indicare il nuovo ordine da 
seguire per mezzo di lettere, come vediamo che messer Fran- 
cesco fece su i fogli degli abbozzi (2), o meglio per mezzo di 
numeri, come usò appunto in questo stesso suo manoscritto per 
gli ultimi trentuno componimenti? (3). Ma poi, osservo, seguendo 


(1) Si vedano per esempio i n.' 125, 142, 158, 165, 183, 196, 197, 198, 
201, 207, 211, 213, 215, ecc. della riproduzione del Modigliani. 

(2) Si vedano gli Abbozzi vaticani, Cod. Vat. Lat. 3196, ce. 1" e 3", dove 
accanto a’ sonn. A/mo sol (seconda redazione), I° vidi in terra, e Non fur 
mai stanno le lettere Y, a e d, a indicare trasposizioni che poi furono ese- 
guite di fatto nel Codice definitivo. Come è noto, il Codice in parola è 
stato riprodotto due volte in eliotipia: nell'Archivio Paleografico italiano 
del Monaci (1890) e dalla Biblioteca Vaticana, Il ms. Vat. Lat. 3196 
autografo di F. P. Roma, 1895. 

(3) Si veda Modigliani, Op. cît., n° 336 e seg. — Segni speciali ben 
distinti, quando non ricorrevano a dirittura all'abrasione, apponevano in 
questo caso, per solito ne’ margini, i copisti o gli autori stessi, facendo 
seguire immediatamente a’ segni l'esplicita dichiarazione del loro signifi- 
cato. Così, per non uscire dal campo in cui ci aggiriamo, fece il Collazio- 
natore Casanatense (cod. Casan. 924) che a c. 36", nel margine esterno, 
accanto alla sestina Chi è fermato. annotò: Questa canzon vuol andare 
innanzi a ql soneto che comeza /o son si stancho, il quale è in la faza dinanzi 
segna di questo segno 0) »- È nella “ faza dinanzi ,, cioè al recto della 
medesima carta, sull’O dell’/o iniziale del son. è ripetuto il segno (y) . Ancora: 
Sul 1° verso del son. Dicesette anni, e. 49", sono tre croci piccole e ben fatte 
in rosso, e poi nel verso della medesima carta, nel margine esterno, accanto 
al son. Quelle pietose rime, è annotato: * Questo soneto vole andare innazi 
a gllo che comeza Dicesette anni & el quale e i la faza dinanzi segnado di 
questo segno XK ,. E immediatamente dopo, nel solito margine, accanto 
alla Ballata Donna mi vene: “ Questa ballata no e in lo originale che messer 
Franc. Petrarcha & i luogo di qsta uole esser una che coméeza Or redî 
amor che giovenetta La quale e a carte 91 segnada di questo segno 9 ai 
E a c. 91”, accanto alla O iniziale della Ballata su detta è ripetuto il segno 
già indicato. Così anche nel famoso Cod. Laur. XLI, 17 delle Rime, quello 
stesso che il Cesareo, Su le “ Poesie volgari, cit. App. II, vorrebbe copia 
del Codice mandato dal poeta a Pandolfo Malatesta, se non quello stesso, 


PER UN'ABRASIONE DEL VAT. LAT. 3195, ECC. 35 


nel Codice (vedi caso!), e giusto dopo il son. Arbor wvietoriosa, pa- 
recchi fogli bianchi, non aveva il poeta tutto l’agio di traseriver 
lì per intero que’ due sonetti, lì, al posto dove andavano collo- 
cati, abradendoli da quel foglio dove costituivano una stonatura 
e doveva ripugnargli tanto che stessero (1)? 

Aggiungo ancora che, una volta trascritti nel Codice que’ 
due capoversi dalla stessa mano del Petrarca, che aveva vergato 
(si badi) tutta quella carta e molte altre precedenti — non c'era 
dunque pericolo di confonderla con quella d’un intruso guasta- 
mestieri qualsiasi — non so immaginare che qualcuno di coloro 
presso i quali rimasero come un deposito sacro i suoi manoscritti, 
sarebbe stato oso di perpetrarvi, non si saprebbe poi se per ca- 
priccio o per giuoco o per quale altro strano schiribizzo, una be- 
stiale raschiatura di parole, che anche un idiota avrebbe capito che 
avevan una speciale ragion d'essere, annullando così per sempre 
una preziosa avvertenza di cui bisognava fare il maggior conto 
per la giusta disposizione ordinativa voluta dal poeta nell’opera 
sua. Ma invece noi sappiamo che il Liber fragmentorum, per una 
nostra rara ventura, è passato per una ininterrotta serie di mani 
riguardose e intelligenti che ne hanno rispettato, e, direi quasi, 
venerato, persino le macchie, gli sgorbi, le prove di penna ecc., 
conservando sino a noi quel cimelio nella sua preziosa e genuina 
integrità (2). Chi dunque avrebbe potuto pensare alla immagi- 
nata profanazione? E come mai, poi, se que’ due capoversi fos- 


accanto alla Canzone alla Vergine, trascritta lì prima di parecchie altre 
poesie (e questa sola particolarità m’indurrebbe, da sola, a negare che si 
tratti della copia in discorso: ma ad ogni modo il Codice fu esemplato 
vivente il Petrarca), si trovano le parole in fine libri ponatur, parole che 
se risalgono, come è da credere, al poeta, ci mostrano quanto chiaramente 
egli usasse indicare le trasposizioni che intendeva introdurre nell’ordine 
delle sue poesie, e, in ogni modo, di quali espedienti semplici e perspicui 
si soleva allora comunemente fare uso in quello o in simili casi. 

(1) E di sonetti interamente abrasi nel nostro Originale ce n'è parecchi. 
Li indico, al solito, secondo il numero d’ordine che hanno nella riproduzione 
del Modigliani. Sono i n.i 121, 194, 246, 327. 

(2) Non tengo conto de’ ripassamenti o semplici ritocchi di penna, 
là dove l'inchiostro cominciava a sbiadire o a serostarsi, e che sono dovuti 
ad un qualche tardo ed amoroso possessore: forse il Bembo, forse Fulvio 
Orsini, i quali del resto meno di qualsiasi altri avrebbero potuto pensare 
ad alterare menomamente cosa alcuna che fosse nel Codice. *» 


36 ENRICO SICARDI 


sero stati trascritti al posto indicato, sia nelle varie copie che 
di quell’Originale furono fatte, dalla morte del Petrarca, se non 
prima, sino alla stampa Padovana del 1472, e in quest’ultima, 
esemplata certamente su quel Codice, come del resto nelle molte 
altre edizioni seguenti, non si sarebbe tenuto mai alcun conto 
dell’avvertimento segnato di pugno del Petrarca? Come mai si 
sarebbe lasciato sempre ineseguito il nuovo ordinamento così 
espressamente voluto? E sarebbe possibile che in nessuno delle 
parecchie centinaia di manoscritti rimastici del Canzoniere, esso 
non fosse stato mai tradotto in effetto, o che almeno non ce ne. 
fosse rimasta, o per un verso o per un altro, una qualche traccia ? 

Per me non è dubbio che, se quelle parole di cui ora è ri- 
masto sul foglio appena qualche debole segno furono rase senza 
pietà, codesto ci prova che esse apparvero ad un esperto ‘pos- 
sessore del Codice una evidente contaminazione dovuta ‘ad una 
mano sacrilega, che voleva apporre alla così detta prima parte 
del Canzoniere uno di que’ soliti explicit che si trovano quasi in 
tutti i Codici delle Rime: un explicit non diverso, in sostanza, 
da quello che un altro pover' uomo appose lì stesso più tardi, 
e che vi si legge ancora; solo che non più nel medesimo posto 
preciso del primo, sia perchè rimasto scabro per l’abrasione, sia 
per bisogno d’un maggior spazio, ma nel verso della carta me- 
desima (1); un explicit codesto, che, come tutti gli altri alimen- 
tati da una mera e medesima illusione e diffusisi rapidamente 
per contagio, tradisce in fondo una non molto intima conoscenza 
del contenuto dell’opera del Petrarca. E giudichi qui stesso il 
lettore se non siano ben giustificate le mie parole. 

Infatti, nello sforzo stesso di toglier di mezzo la curiosa 
incongruenza da lui rilevata per primo, al valente petrarcologo 


(1) Si legge appena, e suona così: Francisci petrarce expliciùt 
soneta de Vita..... am... et deo gratias. | Un bel morir'tuta la 
vita honora. Con l’aiuto della fotografia il Vattasso, L’'Originale di F. P. 
cit. p. XI e n.* 5, malgrado la macchia lasciata da un reagente al posto de’ 
puntini, l’ha completata così: “ Fr. p. expl. soneta de vita Laure sue 
amen ecc. , Codesta postilla fu scritta nel nostro Codice almeno prima 
(quanto ?) del 1463, giacchè il Cod. Reginense 1110, che fu scritto in quel- 
l'anno, a e. 1075, innanzi alla canz. I’ vo pensando ha queste parole: Que 
sequuntur post mortem domine Laure scripta sunt (infatti !) Ita enim proprio 
codice ioffigi Francisci annotatim est; et carte ‘quatuor pretermisse vacue. 


PER UN'ABRASIONE DEL VAT. LAT. 3195, Ecc. 37 


siciliano è sfuggita un'osservazione che in questa faccenda ci si 
mostra d'una importanza decisiva. Questa: che se il Petrarca 
avesse voluto la trasposizione in discorso, in forza di que’ me- 
desimi criteri estetici ordinativi attribuiti dalla critica al poeta, 
questi, non già dopo il son. Arbor victoriosa, ma prima di esso 
avrebbe dovuto trascrivere i due capoversi Aspro core e. Signor 
mio caro; lì, giusto lì, preciso. Non è Arbor wietoriosa il s0- 
netto di chiusura della prima parte di “ quella specie di 
poema dell'anima , che è il Canzoniere, come la canzone Ver- 
gine bella la chiusa meditata della parte seconda di esso? 
Come mai il fatto sta diversamente? E come mai l'intelletto così 
esercitato ed acuto del critico ed amico nostro non ha veduto 
da sè l’obiezione, che non poteva sfuggire a chiunque avesse 
ripreso in esame la questione? Or se questa obiezione sussiste, 
continuerà a sussistere del pari l’inesplicabile incongruenza da lui 
così ben rilevata, e pur sempre vani ci appariranno tutti i ten- 
tativi a cui s'è ricorso finora per sbarazzarcene. Anzi, si può 
esser certi, che essa avrà sempre consistenza saldissima agli 
occhi de’ critici, finchè non si saranno ben persuasi che il sonetto 
Arbor victoriosa non chiude nulla; che la canz. /° vo pensando 
non inizia nulla; che ogni divisione del Canzoniere in due parti 
è del tutto arbitraria; e che le ragioni su cui essi si sono fon- 
dati finora per volerlo diviso a quel modo sono prettamente 
illusorie, anzi in piena contraddizione con la espressa volontà 
del poeta stesso. 

Le tre parvenze di cui l’illusione predetta si è alimentata 
finora sono: a) i fogli bianchi che stanno nel Codice dopo la 
e. 49 r.; b) l’interpretazione estrantenzionale data dal Mestica, 
e generalmente accettata, alla canz. /’ vo pensando; e, più di 
tutto, c) l'iniziale mediocremente rabescata di questa stessa 
notissima canzone. Ma ormai che lo studio reiterato e quanto 
altro mai minuto di tutti i caratteri paleografici del Codice, e 
tutto il resto che, per vie diverse, si è potuto accertare intorno 
ad esso, ci ha consentito di ficcar bene a dentro lo sguardo sul 
modo preciso come si andò preparando man mano il “ libro in 
ordine , delle rime petrarchesche, su l’uso cui doveva prestarsi 
ece., ecc., insomma su tutto ciò che lo concerne, a ciascuno di 
que’ due accidenti esterni (verremo appresso all'argomento in- 
terno) possiamo dare finalmente la portata e quindi: la valuta- 


38 ENRICO SICARDI 


zione sua vera. Su questo argomento riassumo qui, in parte, ciò 
che ho detto altrove (1). 

Nel 1369, decisosi il Petrarca a raccogliere in una silloge 
completa e definitiva (o almeno!), e per suo uso, le “ rime 
sparse ,, le riprese ancora una volta fra mani dal cassetto dove 
stavano trascritte nella loro ulteriore forma, e già divise, per 
una ragione di comodo che vedremo appresso, in due gruppi di 
fogli 0 quaderni staccati, per passarle tutte in esame, allo scopo 
di introdurvi tutte quelle correzioni che stimasse opportune, 
come ancora per inserirvi altri nuovi componimenti messi prov- 
visoriamente da parte. Chi conosce la sua disperante inconten- 
tabilità, immagina bene che codesta revisione non sarebbe stata 
mai, in modo certo, un affar breve. Mentre un discreto numero 
di poesie non gli parevano più suscettibili di nuove, profonde 
modificazioni, lo stesso, ahimè, non poteva dirsi di tant’altre su 
cui era quindi necessario soffermarsi più o meno a lungo, senza 
parlare poi di quelle, fra le più antiche, che aveva in animo di 
trascegliere ed aggiungere. D'altra parte occorreva non indu- 
giarsi più oltre a dar principio alla copia desiderata, per ra- 
gioni ovvie a immaginare, fra cui non ultima il timore della 
prossima fine, che il poeta ebbe sempre presente, in ispecie 
dacchè ebbe compito il paventato sessantatreesimo anno (2). 
Gli si presentò allora del tutto ovvia l’idea di rivedere e cor- 
reggere le Rime alternando la revisione fra la prima e la se- 
conda parte in cui la raccolta era materialmente divisa (ma già 
lavorare saltuariamente su’ Fragmenta era stata sempre, oltre che 
un'abitudine, quasi una necessità dato il carattere frammentario 
dell’opera): avrebbe avuto così più tempo di scegliere e correg- 
gere i componimenti non definitivamente assoluti, per inserire 
i quali (a fine di evitare lo sconcio di doverli porre fra quelli 
in morte di Laura se costei vi compariva bella e vivente) era 
sempre ricorso all’espediente, del tutto ovvio, d’interpolare 
sempre nuovi fogli o quaderni nel corpo della copia provviso- 


(1) Nel Giorn. stor. d. Lett. ital., v. L, p. 14. 

(2) Si veda Senil. VIII, 1 e 8, e anche I, 5 a cui se ne potrebbero aggiun- 
gere parecchie altre. Ma già il medesimo si ricava dalla lettura de’ più 
antichi componimenti del Canzoniere, ove non di rado, fra le rime d'amore, 
s'affaccia pure il pensiero della morte prossima. 


PER UN'ABRASIONE DEL VAT. LAT, 3195, ECC. 39 


riamente ultima (1). Levata quindi la mano da un certo numero 
di componimenti tanto del primo che del secondo gruppo, egli 
li consegnò al copista perchè cominciasse il lavoro richiesto, 
che fu in conseguenza intrapreso di fatto con la trascrizione 
simultanea del son. Voi ch' ascoltate e con la canz. I’ vo pen- 
sando. Avvenne così che il copista medesimo, dopo aver messo 
insieme e rigato i due primi quaderni pergameni ben distinti, 
per amor del mestiere, seppure quel contrassegno mnemonico 
non era già, chissà, forse in germe nel suo antigrafo, o seppure 
non cedette anche lui alla solita illusione prodotta dalle carte 
bianche interpolate nell’antigrafo stesso, dopo avere rabescato 
con grandi fregi la V iniziale del 1 sonetto, passò a disegnare 
e ad ornare, però assai meno vistosamente, l'iniziale di /” vo 
pensando. Quel contrassegno mnemonico, ho detto. S’intende infatti, 
che anch’egli, dovendo poi riprendere spesso fra mani alterna- 
tivamente que’ quaderni, gli sarebbe stato più facile distinguere 
a colpo d'occhio le due parti di seguito alle quali avrebbe do- 
vuto aggiungere via via gli altri componimenti, quando il poeta 
ne avesse levato finalmente le mani. Di equivoci, infatti, si ca- 
pisce bene che ne potevan nascere. Ad un certo punto della copia, 
quale che ne fosse la cagione, probabilmente il licenziamento 
del non diligentissimo amanuense, l’autore stesso si sostituì a 
costui. E quando fu quasi in fine al suo lavoro, prevedendo bene 
che facilmente avrebbe potuto esumare ancora dalle sue infinite 
schedette (plurimae ... xenio exsesae) ancora qualche altro com- 
ponimento in vita; mentre i quattro ultimi sonetti che gli rima- 
nevano ancora da copiare non avrebbero occupato che il recto 


(1) Codesto ci prova per indiretto lo spazio bianco lasciato parimente 
nel ben noto Chigiano L. V. 176 e nel Laurenziano XLI, 17, che si possono. 
ritenere entrambi anteriori di parecchio al Vat. 3195. Nel Chie. a e. 71° 
finisce la, diciamo, prima parte del Canzoniere, col son. (si badi) Passa la 
nave mia, che non si può dire per certo un sonetto di chiusa. La parte 
seritta del foglio occupa sole tredici righe; il resto è bianco; e in bianco 
è il suo verso. Poi, nel recto della carta seguente, c. 72, segue 2’ vo pen- 
sando. Nel Laur. sono in bianco, nel verso della ce. 48 le ultime sette righe: 
al recto della carta 49 segue la canz. I” vo pensando. È chiaro però in ogni 
modo che quello spazio non può avere altra origine che quella da me 
indicata, per quanto potesse essere scambiato assai facilmente sin d'allora, 
ma sempre a torto, per un'illusione dell'occhio, con un segno di divisione 
in parti. x 


40 ENRICO SICARDI 


di una carta sola, al solito, aggiunse a’ quaderni precedenti del 
“ libro ,, interamente vergati, un duernione, che, a buon conto, 
gli lasciava disponibili non meno di sette pagine in bianco, dove 
avrebbero potuto trovar posto poco meno di quattrocento versi (1). 
Stando così le cose, mi par che se ne debba concludere, per ne- 
cessità, che nè codeste carte bianche che stanno di mezzo al 
(‘odice, nè l’iniziale grande di /' ro pensando possono realmente 
dare alcun fondamento alla divisione del Canzoniere che è da 
poco tornata in onore. 

E veniamo al contenuto stesso della su detta canzone. 

Lo ripeto. Secondo me il Mestica, forviato da quelle stesse 
parvenze esterne di divisione, che, dietro a lui, hanno ingan- 
nato tanti altri, s'indusse di leggieri a scoprire in quella poesia 
un riposto scopo intenzionale, e quindi un ufficio, che non vedo 
come possa rispondere a verità. 0 io non riesco a intenderne 
il significato, o chi voglia esaminarla senza preconcetti di nes- 
suna specie deve convenire con me che, per quelle stesse stes- 
sissime ragioni per cui non si vorrebbero i sonn. Aspro core e 
Signor mio caro al posto in cui stanno, non si dovrebbe volere 
la canzone su detta al posto in cui si trova. In essa anzi, in 
forza di quello stesso carattere quasi tragico che v’assume la 
lotta tra la carne e lo spirito (della quale il Mestica fu trasci- 
nato a non rilevare che un lato solo, quello che meglio poteva 
puntellare le sue idee preconcette), più espliciti, più fieri e signi- 
ficativi che altrove vi si fanno sentire gli accenti della non si- 
mulata passione per cui, contro ogni suo sforzo, il poeta è pur 
sempre legato alla terra: oh, certo, mille volte più fieri ed 
espliciti che non riecheggino in que’ due sonetti! Infatti, o io 
non mi rendo conto delle sue parole, o è qui stesso che egli dice 
che “ la sua ragione è sviata dietro a’ sensi , e che “ il mal 
costume oltre [= oltre i limiti del giusto] la spinge ,; che 
Laura “ nacque sol per farlo morire [= dannare], e che “ e' 
si sente perire senza alcun dubbio ,; è qui ch'e’ dice che “ non 


(1) Allo stesso espediente, sebbene in forma in parte diversa, ricorse 
il Petrarca per inserire nuovi componimenti in fondo alla raccolta, ma 
prima della Canzone alla Vergine, già trascritta. È noto infatti che egli 
aggiunse un altro foglio innanzi a' quattro ultimi, formando così in fine al 
manoscritto un quaderno di seî fogli. 


aa) 


PER UN'ABRASIONE DEL VAT. LAT. 3195, ECC. 41 


l’assolve |= gli lascia requie] un pensier per usanza in lui sì 
forte, ch'a patteggiar n’ardisce con la Morte ,; e che “ il lume 
de’ begli occhi..... lo strugge soavemente al suo caldo sereno e 
lo ritiene con un freno contro cui non gli vale nullo ingegno o 
forza ,; e, finalmente, suonan così, tali e quali, gli ultimi versi 
con cui sì chiude l’angoscioso soliloquio: 


Canzon, qui sono, ed ò ’1 cor via più freddo, 
della paura, che gelata neve, 
sentendomi perir senz’ aleun dubbio; 
chè, pur deliberando, ò volto al subbio 
gran parte omai de la mia tela breve: 
nè mai peso fu greve 
quanto quel ch’ i° sostenga in tale stato; 
chè, co la Morte a lato, 
cerco del viver mio novo consiglio; 


et veggio ’1 meglio, et al peggior m'appiglio! 


Se questi sono i sentimenti che sommuovono tuttavia l’a- 
nima del Petrarca, a che parlare di “ conversione morale , e 
richiamarsi agli orrori della peste del ’48, l’orribile flagello che, 
secondo il Mestica, avrebbe determinato nel suo spirito un radicale 
mutamento? (1) a che parlare d'una nuova e diversa situazione 
psicologica per cui quel canto avrebbe bene il diritto di aprire 


(1) Si veda il Mestica ne’ Cenni premessi alla sua edizione critica 
delle Rime, Firenze, Barbèra, 1896, p. VII, e si confronti il giudizio del 
benemerito letterato marchigiano con ciò che scrive, p. es. il Gaspary, 
Storia d. Lett. it., I, p. 403, che osserva giustamente, sia pure con qualche 
esagerazione subiettiva rispetto al valore estetico della canzone di cui par- 


liamo; “... di'tutte le poesie del Canzoniere — così il compianto pro- 
fessore di Breslavia — mi sembra la più bella quella in cui questa flut- 


tuazione dell'anima combattuta ha trovato la più compiuta 
espressione, la canz. I” vo pensando ,. Del resto è evidente che, dato il 
posto che la canzone in parola occupa nelle Rime, essa è cronologicamente 
spostata, giacchè fu per certo composta quando nell'anima del poeta non 
s'era affacciato ancora il timore crescente che Laura potesse morire per 
contagio, cioè prima ch’egli avesse composto un buon numero di sonetti 
che stanno innanzi ad Arbor victoriosa. Siechè avrebbe in fondo ragione 
l’Appel, Die Berliner Hanaschriften der Rime Petrarca’ s, Berlin, 1886, 
p. 61, che, pur fondandosi su ragioni d'altra natura, la giudicò di parecchi 


anni anteriore al 1348. : 


a 


42 ENRICO SICARDI 


solennemente la serie delle rime di religione e di morte? Ma 
no, ripeto. /' vo pensando non inizia nessun nuovo prospetto 
nelle Rime, per la ragione molto evidente e altrettanto semplice, 
che vi risuona dentro pur sempre, verso per verso, quel solito 
e medesimo contrasto tra Cielo e Terra, tra Amore e Dio, fra 
le tentazioni larvate del senso e la viva aspirazione alla più 
alta spiritualità cristiana che fu ed è, a dir vero, la nota fon- 
damentale di tutta l’opera del nostro poeta, in ispecie innanzi alla 
morte di Laura; quel medesimo contrasto per cui il nostro “ ho- 
muncio , ora viene spinto ad esaltare e rivestire di parvenze 
quasi mistiche il suo amore, ora a detestarlo e a maledirlo 
come una colpa ribrezzosa, e a chiederne perdono al suo Creatore. 
Così può accadere, per un esempio, che al son. Benedetto sia ’! 
giorno, segua, subito dopo, il grido desolato e sublime al Padre del 
Ciel, col quale, nell’anniversario stesso del suo innamoramento, 
il figliuolo della pia Eletta implora dall’Altissimo che gli voglia 
far scordare per sempre quella povera Laura che, così malaticcia 
ed infelice, non si sa poi come riuscisse a dargli tanta guerra. 
Di guisa che, ripeto e concludo, quelle medesime ragioni di coe- 
renza logica ed estetica che avrebbero dovuto persuadere il Pe- 
trarca a trasferire dalla seconda alla prima parte del suo poema. 
psicologico Aspro core e Signor mio caro, avrebbero dovuto 
indurlo del pari (ma anzi!) a relegare in una con essi, innanzi 
alla pretesa chiusa Arbor victoriosa, triumphale, la canz. I° vo 
pensando, che abbiamo visto, pur di scorcio, così fremente di 
mal domi ardori terrestri. Eppure di essa, a proposito della 
nostra questione, nessuno ha parlato (e confesso di meravigliar- 
mene) e certo sempre per quella specie d’incantesimo che ha 
esercitato, anche un po’ per contagio, e pur su gl’ingegni più 
sodi e penetrativi, quella tale iniziale bellamente cincischiata 
di cui s'è detto tanto qui innanzi. E ne tace cogli altri anche 
il Cesareo, che, fra la / e la v di quel 1° verso avrebbe potuto 
rilevare una piccola rasura con cui lì stesso fu certo cancellata 
una croce..... E vero per altro che due altre rasure del genere 
stanno accanto a’ due Che iniziali de’ due versi sottostanti, così 
che non si capisce che cosa mai se ne sarebbe potuto dedurre. 

Da tutto ciò, o m'inganno, o mi pare che non si cavi altra 
conclusione che questa: che quanti hanno voluto vedere nel Can- 
zoniere una divisione in pari che servisse a rispecchiare este- 


en 


PER UN'ABRASIONE DEL VAT. LAT. 2195, ECC. 43 


riormente qualcosa come l’esecuzione meditata di un disegno 
estetico prestabilito, si sono ingannati d’assai. L’opera del Pe- 
trarca è, per questo lato, più schietta e spontanea di quello che 
in generale non si supponga. Certo avrebbe dovuto avere in ogni 
caso, per necessità, un preludio e de’ sonetti introduttivi; ma 
neppure questi sì può giurare che siano stati composti da lui 
di proposito, per quest’ufficio. Fra i mille e mille scritti per 


Laura, mettiamo dal ‘27 al ’38 (1), non aveva che da frugare 
per sceglier fra essi i n." II-V — quattro soli in tutto! — 


perchè gli avessero a servire per quella specie di preambolo. 

Composta poi, assai più tardi, la Canzone alla Vergine, nulla 
gli dovette parere più acconcio che di chiudere con essa la rac- 
colta, per quanto è vero che v'implora dalla Madre di Dio perdono 
della colpa di avere amato una miserella creatura mortale, e la 
grazia..... di poterla raggiungere in Cielo: conclusione che, dato 
il suo crescente fervore religioso, non potevamo non aspettarci. 

In quanto al resto, salvo a scegliere fra’ tanti componi- 
menti già composti solo i migliori e ad aggrupparli insieme 
quando fossero stati ispirati da una stessa circostanza partico- 
lare, egli non si curò che il suo Canzoniere avesse altro ordine 
nè altra unità che non gli derivasse sia dalle speciali e determinate 
condizioni di fatto e d'ambiente dentro cui s'era ingenerata e 
continuava a svolgersi la sua produzione poetica, sia dalla na- 
tura particolarissima del soggetto che la sentiva e la elaborava. 
Vi si trova perciò quell’ unità interiore genuina ed intrinseca 
di cui è appunto una riprova la sua stessa varietà e disparità 
con gli alti e bassi della passione; la sola di cui essa fosse 


(1) Scelgo il ’33 come termine «ad quem, perchè di quell’anno o circa 
sono i più antichi componimenti del Canzoniere. Ma nessuno potrebhe cre- 
dere ragionevolmente, seppure non ci assicurasse del contrario il Petrarca 
stesso (Fam. X, 3; Senil. XV, 1), che egli non cominciasse subito, sin dal 27, 
a comporre de’ versi d'amore per Laura. Per questo lato anzi noi possiamo 
ritenere che le poesie raccolte poi nel Canzoniere non ci rappresentino che 
uno sparutissimo numero di poesie superstiti, di fronte a le tantissime altre 
che egli ne escluse e dannò al fuoco. Infatti non ci dànno una media su- 
periore a 12 componimenti l’anno, compresi naturalmente quanti ne tras- 
corsero dalla morte dell’amata. E questo ci rende ben ragione del titolo 
— un titolo per modo di dire! — da lui dato alla raccolta, cioè di Liber 
fragmentorum o di Rerum Vulgarium Fragmenta, che torna lo stesso. 


44 ENRICO SICARDI 


suscettibile e che qualsiasi criterio ordinativo avrebbe pur sempre 
sciupato in modo miserando. In forza di ciò, il Petrarca ha ba- 
dato bene solo a non confondere insieme le rime in cui Laura 
compariva come vivente con quelle in cui si parla di lei come 
di persona morta. Ne consegue che, se una divisione si può pen- 
sare mai d’introdurre ne’ Fragmenta, l’unica che potrebbe avere 
in sè stessa un qualche fondamento logico, e non già, com'è stato 
finora, una pura accidentalità esteriore, sarebbe quella intro- 
dottavi ab antico da’ nostri buoni vecchi (Aldina, 1514 (1)) e 
che è poi durata in seggio sino alla comparsa dell’edizione del 
Mestica (Barberiana, 1896), il quale la scomunicò solennemente 
come una “ invenzione se non una profanazione de’ posteri (2): 
cioè a dire quella di /ime in vita e di Rime in morte di madonna 
Laura. Una mera divisione di comodo, per quanto poco o punto 
rispondente al vero, giacchè, com'è noto, il Canzoniere, non con- 
tiene solo, come que’ due sottotitoli potrebbero far supporre, rime 
scritte per Laura: una divisione che ha già apportato alla rac- 
colta un nuovo e grosso guaio, giacchè doveva fatalmente par- 
torire una parte terza di Sonetti e canzoni sopra varì argomenti 
di cuì alcuni editori hanno anche fatto una parte quarta, che 
hanno relegato dopo i Yrionfi (3)! Ma ad ogni modo, se l’opera 
petrarchesca è idealmente divisa in due parti dal fatto esteriore 
della morte di Laura, è anche vero che il Petrarca stesso, fra 
l'una e l’altra di quelle, non interpose nessun explicit nè altra 
indicazione o sottotitolo, nè era sua intenzione che vi dovesse 
rimanere alcuno spazio bianco a indicare una divisione purchessia: 
cose tutte che gli editori presenti e passati si son dati la pena 
d’introdurvi, usando di una libertà che nessuno ha loro concesso. 
E la ragione per cui messer Francesco si guardò bene dal far 


(1) La divisione era già negli antichi manoscritti, p. es. nel Riccar- 
diano 1124 del sec. XV, dov'è indicata soltanto dall’iniziale in oro e a colori. 

(2) Cenni cit., p. vi. 

(3) Cito per tutte la nota edizione stereotipa del Barbèra, tante volte 
riprodotta per il molto pregevole commento del Leopardi, edizione che ha 
partorito quella non meno nota del Sonzogno, con le note del Camerini, 
Milano, 1862, esemplata su quella. Ma l’idea prima dello scempiato smem- 
bramento risale al Vellutello, che nella sua edizione del Canzoniere, 
Il Petrarcha, ecc., Giolito, 1545, formò di que’ Sonetti e Canzoni non amo- 
rosì una parte terza premessa a' Trionfî. 


vere 


PER UN'ABRASIONE DEL VAT. LAT. 3195, Ecc. > ND 


nulla di tutto ciò, mi par chiara. Anche quella distinzione n 
vita e in morte era a dirittura in contrasto col concetto che egli 
doveva avere ragionevolmente de’ Fragmenta rispetto al loro 
contenuto preso nel suo insieme. Giacchè e’ doveva considerare 
quella sua raccolta di poesie trascelte, e sotto un certo aspetto 
assai giustamente, come una specie di diario, e sia pure non 
senza lacune intermedie, delle voci più vibranti e secrete del- 
l’anima sua, non escluse perciò, oltre la maggiore ispirata dal- 
l’amore, quelle altre che erano e sono un’eco calda e simpatica 
de’ suoi affetti familiari, sociali e civili. E perchè poi, in fine, 
a distinguere nel Codice definitivo, dove sono tutte così nitida- 
mente trascritte, le rime in vita dalle altre, seppure ciò poteva 
mai servirgli a qualche cosa (ma a che cosa?), doveva parergli 
più che sufficiente, da solo, quell’Oimè così significativo del 
son. Oimè il bel viso, con quella sua semplicissima quanto nitida 
iniziale in azzurro, che spicca ancora così bene nel largo e can- 
dido margine interno della pergamena. 


46 CARLO FRATI 


Aneddoti da Codici Torinesi e Marciani. 


Nota di CARLO FRATI 


Soumario. — I. La Grammatica Greca di Giovanni Sagomala o Zygo- 
mala e Giovanni Foresto da Brescia (1540). — II. Lettera di Paolo 
Loredano (1591). — III. Codici Torinesi delle Donne Famose del Boc- 
caccio. — IV. V. Monti, J. Morelli e il Dittamondo. 


In un’accolta di carte di Jacopo Morelli, quasi tutte autografe, 
altrettanto disordinata quanto interessante, e precisamente nel 
vol. I del n° 17 del cosiddetto “ Archivio Morelliano ,, trovasi 
un inserto, su cui è scritto di mano dell’infaticabile bibliotecario : 
Professori a Venezia. Il titolo dice abbastanza il tema di questi 
appunti del Morelli, il quale, come tant’altri, che poi non con- 
dusse a termine, divisava probabilmente un lavoro sui Professori, 
ossia letterati d’altre città o nazionalità, che insegnarono a 
Venezia o furono in rapporto co’ Veneziani. 

Tra altro, trovansi in codesto inserto due copie estratte da 
codici torinesi, che attirarono la mia attenzione, perchè vi rav- 
visai subito la mano del Vernazza, attestata, del resto, espres- 
samente anche da un foglietto volante ivi aggiunto. 

Il foglietto reca, pur di mano del Vernazza: Due lettere del 
secolo XVI, una latina, una italiana, conservate nella Biblioteca 
imperiale in Torino, copiate dall'auntografo per servizio del signor 
cavaliere abate Jacopo Morelli, per mano di (Giuseppe Vernazza 
di Freney. — I codici della Biblioteca, allora Imperiale ed ora 
Nazionale di Torino, da cui furon tratti codesti aneddoti, sono 
due, come due sono le lettere da essi ricavate: ed entrambi 
appartenenti al fondo greco, sebbene, delle due lettere una sia 
in latino, e l’altra in italiano. ® 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 47 


Il primo è il cod. greco CCCXXI (secondo la numerazione 
Pasiniana), già segnato C. II. 24, poi C. IV. 19, e finalmente 
B. IV. 40, cartaceo, sec. XVI, di ff. 138 (1). Il codice conteneva 
un “Compendio di grammatica greca , di Giovanni Sagomala 
(così era detto nel ms. torinese) di Nauplia, tradotto in latino 
da Giovanni Foresto, di Brescia, e da quest’ultimo inviato al 
patrizio veneto Federico Badoer, figlio di Alvise, con epistola 
latina, datata “ Ex gymnasio nostro, calendis martiis.M.D.XXXX.,. 
In questa epistola il Foresto (come scrive il Pasini) “ Badoarium 
mirifice commendat, & maximopere hortatur, ut opusculum eden- 
dum curet, maximae utilitati graecae linguae studiosis futu- 
rum , (2). Molto probabilmente però l’operetta grammaticale 
non fu mai pubblicata, chè non si trova registrata nella ricca 
Bibliographie hellénigue del Legrand; e fu questa la ragione per 
cui, con meraviglia del Pasini, il Fabricio, “ qui Grammaticos 
Graecos diligentissime recensuit ,, non fece menzione di questa 
operetta. Ma se il Fabricio non fece menzione dell’opera, ricorda 
però più volte l’autore, che deve identificarsi con Giovanni 
Zygomala, di Nauplia, gran retore della Chiesa di Costanti- 
nopoli, ricordato più volte nella Turcograecia di Martino Crusio (3). 
e, di sul Crusio, dal Fabricio (4) e dal Legrand (5). L’identità 
dei due nomi fu acutamente e giustamente scorta dal Morelli (6); 
mentre l’Harles, che pur riparò all’omissione del Fabricio, regi- 
strando la grammatica del Sagomala nelle sue aggiunte alla 


(1) Pasini J., Codices mss. Bibliothecae R. Taurinensis Athenaei. Taurini, 
1749, tom. I, pp. 402-3. 

(2) Pasini, o. c., tom. I, p. 403, vol. 1. 

(3) Turcograeciae libri octo a Martino Crusio, in Academia Tybingensi 
Graeco et Latino Professore, utraque lingua edita. Basileae, (1584), in fol., 
pp. 92, 241, 243, 245, 256, 257, 259, ecc. 

(4) Fasricri, Bibl. Graeca... Editio nova, cur. Gorrr. Carisr. HarLEs. 
Hamburgi, 1802 sg., tom. VIII, pp. 93, 95; tom. XI, pag. 724. 

(5) Legranp E., Bibliographie hellénique ou Description raisonnée des ou- 
vrages publiés en grec par des Grees aur XV° et XVI° siècles. Paris, 1885. 
tom. I, pp. 253, 254, 256, 257; tom. Il, pp. 145, 210, 423. 

(6) Veggasi l'appunto autografo A Morelli, riferito più oltre (p. 54). 


f 


& 


48 CARLO FRATI 


Bibliotheca qgraeca (1), sembra non essersene avveduto, poichè re- 
gistra la grammatica del Sagomala sotto questo nome, senza. 
identificarlo con Giovanni Zygomala, menzionato più volte dal 
Fabricio, e nell’Indice della BG. pone il Sagomala della gram- 
matica sotto questo nome, e lo Zygomala sotto “ Joannes ,. La 
perfetta equivalenza delle due forme è poi confermata dall'opera 
del Crusio sopra ricordata, dove (2) è pubblicato un Epigramma 
dello Zygomala al Consiglio dei Dieci, in cui fa istanza che gli 
venga confermato il titolo spettantegli di “ esarcoretore , e dove 
egli è appunto detto ’Iwavvov toù Yayoua\&. Tale epigramma, 
secondo il Crusio, fu scritto prima del 1540 “ quo (anno) Turcis 
patria Joannis Zygomalae, Nauplia, tradita est a Venetis ,: e 
ciò conviene assai bene coll’operetta contenuta nel codice to- 
rinese e colla lettera dedicatoria del Foresto, che è appunto 
delle calen ‘di marzo 1540. 

Di Giovanni Foresto, o Foresti, non fanno menzione 
nè Ottavio Rossi (3), nè Leonardo Cozzando (4), nè A. M. Qui- 
rini (5). Solo Vincenzo Peroni (6) scrive di lui: “ Foresti 
Giovanni, gentiluomo, giureconsulto collegiato, versatissimo nel- 
l’erudizione e nelle belle lettere. Morì in Venezia l’anno 1595. 
Epistola. Sta colle Epistole di Gio. Planerio, a cui è diretta , (7). 

Ora il Vernazza, premesso un indice latino del contenuto 
del codice, pressochè identico a quello che si legge nel Catalogo 


(1) Fasricn, Bibl. Graeca, ed. cit., tom. XI, p. 655. 

(2) Crusit M., Turcograecia, p. 259. 

(3) Rossi 0., Elogi historici di Bresciani illustri. Teatro. Brescia, Bart. 
Fontana, 1620, 1 vol. 

(4) Cozzanpo L., Libraria Bresciana, I e II Parte. Brescia, 1694, 1 vol. 
in 8°. — Ip., Vago e curioso Ristretto, profano e sagro, dell’historia Bresciana. 
Brescia, 1694, 1 vol. in 8°. 

(5) Quirini A. M., Specimen variae Literaturae ete. Brixiae, 1739, 1 vol. 
in 2 parti. 

(6) Peroni V., Biblioteca Bresciana: op. postuma. Brescia, N. Bettoni. 
s. a. (1816), vol. II, p. 68. — Anche il ms. dell’opera del Peroni, che si 
conserva nella Queriniana di Brescia, non dice più dello stampato, come 
mi comunica cortesemente il Direttore di quella Biblioteca, Prof. Filippo 
Garbelli, il quale mi avverte inoltre che “ dall’ispezione dei nostri Cata- 
loghi mss. e stampati niente risulta del Foresti ,. 

(7) Pranern J., Varia opuscula i. e. Epistolae Morales, ete. Venetiis, 
ap. Fr. Zilettum, 1584, in 8°. 


Vv 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 49 


del Pasini (1), trascrisse di sua mano per intero, ed inviò al 
Morelli, l’epistola del Foresto, che qui pubblichiamo, e che ab- 
biamo ragione di credere tuttora inedita e sconosciuta. Quanto 
al codice Torinese, da cui essa fu ricavata, rimase purtroppo 
assai malconcio dall’ incendio del 1904 (2): ed anche perciò 
l'autografo vernazziano è ora singolarmente prezioso. 


Dall’imperial codice manoscritto, in carta, C. IV. 19 (anti- 
camente C. II. 24. Catal. Tom. I, pag. 402). 

Compendium grammaticae graecae sic collectum per Joannem 
Sagomalam Naupliensem. In quo haec continentur : 

De octo partibus orationis brevis eraminatio per interrogatio- 
nem et responsionem. 

Declinationes nominum, in quibus quot genera, quot termina- 
tiones habeat, et quomodo unaquaeque declinatio genitiuum, et reli- 
quos casus faciat, clarissime tractatum est. 

Declinationes uerborum, in quibus tres temporum cognationes 
cuiuscumque coniugationis praemittuntur. 

Collectio uerborum synonymorum cum eorum constructione per 
omnes regulas, et cum flexione suorum temporum. 

Addita sunt etiam haec: 

Sententiae diuersorum poetarum qui graece Movootiyor appel- 
lantur. 

Nonnulla electa epigrammata. 

Quaedam divinae Demosthenis sententiae ex eius orationibus 
excerptae. 

Quae omnia in latinum sermonem per Joannem Forestum 
Bririanum translata sunt. 


Joannes Forestus nobilissimo ex ordine patricio inueni Fed e- 
rico Badoario magnifici Aloisii filio s. p. d. 

Alexander ille Macedo, qui uniuersum terrarum orbem imperio suo 
virtute bellica subegit, interrogatus, ubi thesauros haberet, amicos sibi 


(1) Pasini, o. c., tom. I, pp. 402-3. 

(2) Scrive il De Saneris nel suo Inventario dei Codd. greci superstiti 
della Biblioteca Torinese: * Attaccato ai margini dal fuoco, che ha aspor- 
tato parte del testo verso i margini laterali, verso il superiore, e talora 
verso l’inferiore. Il rimasto è leggibile ,. Cfr. Creorra C., De Saneris G., 
Frati C., Inventario dei Codd. superstiti greci e latini antichi d. Bibl. Na- 
zionale di Torino. Torino, 1904, p. ta) n° 169. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII sh 


d 
A 


50 CARLO FRATI 


fidelissimos ostendit. Quo faceto, Federice mi obseruande, non minus 
omni argento, omni auro, et gemmis pretiosissimis charos habendos esse 
amicos comprobauit. Quam tanti regis sententiam tu mihi, quoties opera 
et patrocinio tuo opus fuit, werissimam esse ostendisti. Nihil enim 
unquam intactum reliquisti quo mihi maxime prodesses, quo honori 
meo fidelissime consuleres, quo denique decus et praesidinum meum te 
ipsum mihi omnibus in rebus offerres. Qua tua thesauri mei charitate 
quid melius, quid gratius, quid denique mihi optatius posset euenire? 
Nulla est argenti, uel auri tanta uis, nulla est tanta uel tanti precii 
gemmarum copia, cui tua in me maxima uel beneuolentia, uel charitas 
iure optimo non praeferenda uideatur. Ne igitur tanti tui in me amoris 
oblitus, quod nefas esset maximum, uideri unquam possim, qua obser- 
vantia miles strenuus ducem clarissimum, qua fide cliens optimus pa- 
tronum maximum, qua beneuolentia seruus fidelissimus dominum ele- 
mentissimum et de se optime meritum observare et colere iure humano 
et diuino tenetur, eadem ego te observantia, fide, beneuolentia, et cha- 
ritate mihi observandum semper duxi. Tu enim humanitate singulari, 
nobilitate summa, et uirtute praestanti ornatus, omni honore, omni 
laude et gloria, uno omnium qui te norunt consensu, dignissimus ha- 
bendus es. Natura enim ipsa dotibus suis pulcherrimis te ornatum uoluit 
esse. Fortuna uero in conferendis in te larga manu beneficiis naturae 
non cessit, uerum certamine quodam altera alteram bene de te merendo 
superare studuit. Tu uwero ipse tibi animi ornamenta studio tanto com- 
parasti, ut mihi iure optimo laetandum sit quod te literis et optimis 
moribus instituendum ab ineunte aetate susceperim, qui cum omni mo- 
destia et moribus optimis praeditus in utraque lingua tantum profeceris, 
ut Federici Badoarii nomen apud clarissimos quosque uiros in dies 
magis elucescat, tantum te mihi moderatori tuo re ipsa dewinetum fa- 
teris, ut Alexandro Magno hac in re nihil cedas qui et ipse Aristoteli 
praeceptori magis quam patri Philippo se astrictum et obnoxium asse- 
rebat, quod ab hoc solum communem omnibus mortalibus wiuendi uim 
et regnum a praeceptore uero honeste uiuendi rationem et optime re- 
gnandi modum accepisset, quo praestantius in terris nihil potest esse. 
Tu igitur animo gratissimo iuuenis muneribus plurimis et maximis me 
ipsum afficere nunquam destitisti, et sic animi tui uere generosi can- 
dorem mihi continue perspectum in dies magis in me prae te fers. 
Quamobrem et ego ne ingrati animi widear, a quo semper maxime 
abhorrui, qua uia paria paribus referrem, saepe et multum mecum ipse 
cogitavi. Sed cum nulla ratione id assequi ualeam te ipsum qui quoties- 
cumque munus aliquod praeclarum tibi ab amicis affertur, eo me dignum 
statim iudicas, et hilari fronte impertis, hac in re imitari uolui. Nam, 
cum mihi hoc tempore un» Joanne Sagomala, viro in 


A 


È 


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ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI al 


 utraque lingua doctissimo, munus grammaticae graecae compendium 
dono datum fuerit, eodem ego te statim dignissimum esse censui, quod 
ut fructuosum et adolescentibus utilissimum mihi uisum est, sic tu luce 
dignissimum arbitraberis et in gratia adolescentium qui graecae linguae 
cupidissimi sunt, et in ea facultate brevissimo temporis spacio et pro- 
ficere et excellere exoptant, imprimendum curabis et demum patrocinio 
tuo non indignum existimabis. Quod sì a te factum fuerit, non minus 
tibi debebunt Graecarum litterarum cultores, quam Aloisio patri tuo 
viro magnificentissimo et de Republica Veneta optime merito se deuinetos 
esse ciues uniuersi et patricii Veneti ubique locorum praedicare non 
desinunt. Cuius tanti viri eloquentia cum sapientia coniuncta egre- 
giaeque domi et foris virtutes celebrabuntur illae quidem non solum 
latinis sed pene omnium gentium literis et linguis. neque ulla unquam 
aetas de eximiis suis laudibus conticescet qui uti paucis ante diebus ad 
illustrissimum imperatorem Carolum legationis munere felicissime funcetus 
est, sie hoc tempore ad Turcam ex communi senatus Veneti sententia 
delectus optimis auspiciis orator accessit et longe melioribus pacis exo- 
ratur in patriam rediturus, maiorem omni trophaeo et triumpho laudem 
et gloriam relaturus est. Quod si nobis contigerit, quibus laudibus 
Aloisiam Badoarium patrem magnificentissimum efferemus? quibus 
studiis prosequemur? qua beneuolentia et obseruantia compleetemur? 
parietes ipsi huius nobilissimae ciuitatis medius fidius iam illi gratias 
agere et habere gestiunt. Cumque nikil sit opere uel manu factum quod 
aliquando non conficiat et consumat vetustas, tanti viri laus et gloria 
in dies magis efflorescet. Nam quicquid manu, quicquid lingua, quicquid 
animo admirabile est, id omne in huius tanti senatoris laudem et glo- 
riam perducitur. i 
Tu igitur, Federice, optima patris clarissimi vestigia, virtutes 
egregias et merita in bonos viros sectatus de studiosis adolescentibus 
bene mereri studebis, hoc graecae linguae compendium hilari fronte 
suscipies, atque ut in hominum lucem prodeat, imprimendi curam adhi- 
bebis maximam. Vale omnium bonorum decus eximium, et praesidium 
patriae certissimum. Ex gymnasio nostro calendis martiis M.D. XXXX. 


In calce alla copia il Morelli annotò: 


“ Il Foresto (vedi se Bresciano) è messo nei Professori di Lettere 
in Venezia dal Toscanella nel Dizion., p. 190, t. Vedi qui ,. 


[9] 


CARLO FRATI 


(ada è 


Il 


L’altro codice torinese, di cui si valse il Vernazza, è il 
gr. CCCXXXI (numerazione Pasiniana), già segnato C. II. 34, 
poi C. IV. 6, e ultimamente C. V. 6, anch'esso cart., del sec. XVI, 
di ff. 207; che conteneva varie opere di Michele Psello, 
con in fine due sermoni di Niceforo Blemmida. In questo 
ms. trovavasi pure, non menzionata dal Pasini (1), una lettera 
di Paolo Loredano scritta “ Di villa li 28 ott. 1591, a 
persona non conosciuta: lettera che il Vernazza trascrisse dal- 
l’autografo, e che ci è stata per tal modo fortunatamente con- 
servata, mentre il cod., di cui faceva parte, andò, come sembra, 
totalmente distrutto (2). 

Ecco il testo della lettera, preceduto dall'indicazione del 
ms. e da un’avvertenza del Vernazza : 

Dall’imperial codice manoscritto, in carta, C. IV. 6 (antica- 
mente C. II. 34. Catal. Tom. I, pag. 412). 

Manca il foglio nel qual dovea essere l'indirizzo della lettera. 
Perciò non si sa a chi fosse scritta. Dai titoli nondimeno si conosce 
ch'era scritta a persona ecclesiastica. 


Illmo et R.mo S. mio Coll.mo, 


Ella sapia che in questo tempo ho hauuto grandissimo martello 
della persona sua, et se ella è sta’ priuo del nutrimento, ella sapia che 
ne darò tanto che la sarà ogni hora più consolata. Et li do breuemente 
conto de un ordine che ho tenuto in molte questioni da me in questo 
tempo compite. Prima, se de l’anima si può auer scientia; seconda, 
sotto qual scientia auuta che si babbia ella ha da cascar; terza, e supo- 
niamo la natural, in qual luoco e tra tante parti ella sia per cascare; 
e tratando Ar.° de l’anima communissima, è da ueder se anco de l’anime 
celesti ne raggiona; ma perchè dir anime celesti suppone il ciel ani- 
mato, ho giudicato prima saper, essendo tre sorte de anime, di qual di 
esse egli sia animato; et che’l sia animato, bisogna che con qualche 
mezo lo habbiamo trouato; imperò primo è ueder con che mezo hab- 


(1) Pasini, o. c., tom. I, pp. 412-15. 
(2) Il cod. non è infatti registrato dal De Saneris, Inventario ecc., 
neppure tra i Mss. frammentarî. © 


Tia 


(a) 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI DS 


| biamo che’l cielo sia animato et de qual anima animato, et questa è la 


o 


‘quarta questione; segue la quinta, se de l’anima celeste parla Ar.° in 
questi libri de l’anima. Sesta, qual sia il suggetto. Settima, come s’in- 
tende li accidenti portar molta utilità alla cognition della sustantia; 
ottaua, se l’anima ha propria operatione; nona, la differentia del definir 
del dialetico et del philosopho natural; et ho spiegato tutto il primo 
libro con altre questioncele nate dalle parole de’ testi. Passato al se- 
condo, fatte gran considerationi su tutti lì primi texti, quel atto primo 
e secondo ho dechiarito, su la definition de l’anima ho sudato, non 
tramettendo considerationcella; et perchè Aris.° dà tre specie de anime, 
quatro gradi de uita, cinque facultà, tutto ho resoluto, e se le facultà 
sono dalla essentia de l’anima differenti et d’onde sia nasuta la diffe- 
rentia de queste tre anime, et presa la prima che è la uegetatiua, ho 
discorso intorno alle sue tre principal potentie, che è la nutritiua, 
augmentatiua, e generatiua. Tutte queste con bellissime dubitationi e 
secure et reali resolutioni ho considerate et esaminate. Et uoleuo intrar 
ne’ sensi hauendo in altro tempo espedito quello che apparteneua al 
intelletto. Ma sentoui, ill mo s.r mio, chiamarmi con tanto zelo “ mio 
figliolo ,, da l’altro canto non resoluto uenirò et sarò un de questi 
giorni con essa lei et da mio figliolo la saprà il quando che mi man- 
derà la gondola. Vorrei ben che la terra pensase a’ fatti suoi, e lassar 
uiuer me nella mia quiete, che non impazo alcuno, nè tenir conto di 
sì pocco hometo, come son io, e li giuro per Dio che per V. S.ria ill.ma 
io ripatrio; e potena rompersi la testa li miei, che almeno io finiua in 
tutta questa uernata questa commentatione qui in uilla, la qual finirò 
a Uenetia. Graccerano poi se non mi uederano così spesso alle piaze; 
io, mons. ill.mo, son nato libero et uoglio wiuer libero, però uirtuosa- 
mente ; et se questi conoscessero che cosa è uita uirtuosa et che cosa 
è wiuer in essa, sl rosirebbero, più delle loro uanità, che io non con- 
solato nella mia retiratezza. Raccomandatimi al mio S.r Gioanni et a 
tutti li amici della narationi (sic), quali tutti ho per fratelli, difendino da 
morsi rabbiosi l’inocentia ch’ altri non offende. Io sarò dunque presto 
con essa lei, et tratanto ui bascio le mani. Di willa, li 28 ott. 1591. 


Di .V. S. Ill.ma et R.ma 
S.or obligatissimo 
PoLo LoREDANO. 


In calce all’apografo Vernazziano il Morelli annotò: “ Di 
Polo Loredano, vedi libri stampati. — Dialogo in lode dei Gobbi 
ms. mio. Opuscoli vari. 4°, dove è fatto Lettore pub° ,. — Ma 
ne’ Cataloghi della Marciana, così degli stampati, come dei Mss., 
nulla ora si trova di ciò che qui il Morelli accenna. 


54 CARLO FRATI 


Agli apografi Vernazziani non trovasi unita la lettera, colla 
quale l’erudito piemontese dovette trasmetterli al Morelli; nè 
tale accompagnatoria fa ora parte delle altre lettere del: Ver- 
nazza che si trovano nel Carteggio Morelliano. Sembra però che 
la comunicazione dei due documenti fosse fatta nel 1813, poichè 
in una lettera del Vernazza al Morelli dell’8 agosto di quell’anno, 
trovasi scritto sulla sopracoperta di mano del Morelli: “ Gram- 
matica Sagomala Zygomala. — Lettera Foresto Badoaro. — 
Accad. Ven. — Polo Loredan ,, che sono appunto oggetti o 
soggetti della comunicazione fatta al Morelli dal Vernazza. 

Nè furono questi i soli rapporti che intercessero fra il Ver- 
nazza e il dotto Bibliotecario di S. Marco. Le non poche lettere 
di lui che si conservano nella Marciana, e le responsive del 
Morelli, che si conserveranno indubbiamente presso la R. Acca- 
demia delle Scienze di Torino, stanno ad attestare la continuità 
ininterrotta, sebbene non troppo frequente, delle loro relazioni 
letterarie fra il 1789 e il 1814: ma queste potranno essere 
oggetto di altra comunicazione sui Corrispondenti Piemontesi di 
Jacopo Morelli. 


II. 


Anche in altra parte de’ manoscritti Morelliani troviamo 
notizie e transunti da codici Torinesi, ora divenuti preziosi; ed 
anche in questo caso, sebbene indirettamente, le notizie proven- 
gono dal Vernazza. 

Tra i codici italiani della Nazionale di Torino, che anda- 
rono distrutti nell'incendio (1), e dei quali è fatta menzione 
nel Catalogo di Bernardino Peyron (2), ve n'erano due con- 
tenenti il volgarizzamento delle Donne famose del Boccaccio, 
dovuto a maestro Donato da Casentino: l’uno, segnato ultima- 


(1) Cfr. Renrer R. nella recensione del Catalogo del Peyron, inserita 
nel Giorn. stor. d. Lett. it., vol. XLIV (1904), pp. 407-19, dove si avverte 
che “ dei 976 codici ch’esso descrive [il Catalogo Pevrox] buona parte più 
non esiste, o esiste in pessimo stato. I mss. italiani e romanzi, per la loro 
ubicazione, furono i più disgraziati ,. 

(2) Perron B., Codices italici manu exrarati, qui in Bibliotheca Tanri- 
nensis Athenaei ante d. XXVI Jan. M. CM. IV. asservabantur. Taurini, 1904, 
pp. 32-83 e 195-96 (n° XCVI e CCXCII). 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI DO 


mente N. VI. 17, e anticamente I. IV. 44 (n° CXXI del Pasini), 
membranaceo, del sec. XV, di ff. 198, in 4° p., aveva iniziali 
dorate, principiava (f. 1) col Dialogo di Giannozzo Manetti, 
consolatorio della morte del figliuolo, e recava l’opera del Boc- 
caccio a ff. 73-194; — l’altro, segnato ultimamente N. III. 9, 
e anticamente K. IV. 26 (n° LIII del Pasini), era pure mem- 
branaceo e del sec. XV, contava ff. 90 in fol., di cui solo 86 
numerati, e non conteneva che l’opera del Boccaccio. 

Ora di entrambi codesti codici boccacceschi di Torino tro- 
viamo l'indicazione e qualche estratto nel volume n° 29 del- 
l'“ Archivio Morelliano ,. Dopo altre notizie bibliografiche 
concernenti il Boccaccio, vi si legge a fol. 29 (con sèguito a 
fol. 53): 


“ Codice ms. di Torino, registrato nel Catalogo, t. II, p. 446, più 
diffusamente descritto dal Vernazza all’ab. Schioppalalba (che è segnato 
I, IV, 44), ha: 

“ Delle Donne famose, alla illustre reina Johanna di Puglia inco- 
mincia il Libro felicemente. Opera di Giovanni Boccaccio Fiorentino 
traducto in volgare per maestro Donato di Casentino. Com.: Eva. 
Dovendo io scrivere per che virtù siano cognosciute le famose donne, 
non parrà cosa indegna di pigliare il cominciamento da quella che fu 
madre di tutti gli uomini, Eva etc. L’ultimo capitolo è il CIV, Séguita 
pure della medesima [segue a f. 53] reina Giovanna. L'autore che scrisse 
di queste famose donne non arrivò al fine di questa reina famosissima 
e gloriosa per lo tempo passato, et benchè egli prometta in questo libro 
scrivere le historie di quelle, nondimeno alcuna volta, o che egli fosse 
tratto da piacere di dare parole, o che egli si muova per cupidità di 
dire cose oneste, la qual cosa più mi piace, lascia quelle cose che si 
potevano dire di quelle, et tocca solamente le sue lode ,. Finisce: “ Poi 
fu sepellita con reale onore d’ultima sepoltura, et fece manifesto che la 
vita umana è una frivola |cosa], e che gl’è vero quel decto del poeta 
che noi doviamo aspectare l’ultimo dì a lodare aleuno uomo et che 
niuno sì dee chiamare beato inanzi che muoia et che sia sepellito ,. 
Segue: 

“ Epistola del magn.o Sig. Astore de’ Manfredi mandata a 
una splendida donna da lui sommamente amata delle prigioni fiorentine. 
f. Brancha (sic) (1) a sua instantia. “ Gentilissima et valorosa donna... ,. 
Finisce: “ Ex tenebris publicorum carcerum Florentinorum ,. 


(1) Perrow B. (p. 196) ha: “ S. Brancha ,. Dovrà forse leggersi: “ Sf[er] 
Brancha? , 


56 CARLO FRATI 


“ Altro codice di Torino, segnato K. IV. 26, registrato nel Cata: j 
logo a pag. 418, ragguagliato dal Vernazza allo Schioppalalba, ha it 
volgarizzamento suddetto con la giunta della Regina Giovanna; e nel 
fine sì legge: Finito libro de famose donne compilado per misser Zuane 
Bocacio ad petizion della famosissima raina Zuana de Puglia, poi fo 
stralatado in idioma volgar per maistro Donato da Casentino al 
magnifico marchese Nicolo da Este, principo e signor de Feraria ,. È 
termina coll’indieazione di un codice Marciano; “ Delle Donne illustri, 
Volg. Ms. S. M.° ,: cioè il cod. Marc. It., Z. LXVIII. 


IX 


Altrove il Morelli registra pure il codice Torinese (1) 
del Dittamondo di Fazio degli Uberti, col commento di Gu- 
glielmo Capello, che, sebbene non distrutto, fu pure assai 
malconcio dall'incendio. Si legge infatti in “ Arch. Morell. ,,, 
Meszo; f. 219: 

“Uberti Fazio, Dittamondo, ed altro. 

“ Codice ms. nella Bibl. deli’ Università di Torino, in fine 
ha: Transcriptus anno Christi MCOCCCXXXVII et absolutus die 
Mercurii V Juni, quem glosavit doctus vir et egregius magister 
Guglielmus Capellus in Regia Estensi Ferrariae. Vedi AnpRES, 


Cartas, T. V, p. 65. — Indice dei Mss. a stampa non dice 
niente (2). — E riferito così da MALACARNE negli Ozdî letterari, 


Torino, 1787, T. 2, p. 222 ,. E rispetto al commento del codice 
Torinese avverte più oltre, nello stesso volume (“ Arch. Mor. ,, 
n° 20, f. 238), il Morelli: “ Le Chiose del Codice Torinese, sono 
le stesse che quelle del Codice Veneto ,; e rimanda ad una 
lettera di Vincenzo Monti, a lui diretta, del 28 febbraio 1815. 

Infatti, non solo nella corrispondenza letteraria del Morelli, 
ma anche in un altro fascio delle sue carte, che ora compongono 
il n° 19 dell’ “ Archivio Morelliano ,, si trovano sei lettere del 
Monti al Morelli, e la minuta di due risposte del Morelli al 


(1) È il cod. della Biblioteca Nazionale di Torino già segnato N. I. 5, 
di cui può vedersi la descrizione in B. Peyron, o. c., pp. 7-9. Intorno a 
questo ms. veggasi anche ciò che scriveva il Borghesi al Perticari in una 
lettera del 5 aprile 1818 pubblicata dal PeLarz, 0. c., pp. 331-382. 

(2) Cioè il Catalogo del Pasini, che non lo registra, perchè pervenuto 
alla Biblioteca dopo la stampa del Catalogo stesso. 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 57 


Monti, che concernono appunto il Dittamondo ed il commento 
del Capello, contenuti ne’ codici Torinese e Veneto (Farsetti, 
poi Marciano): e ciò in servizio della nuova edizione di quel 
poema che il genero del Monti, Giulio Perticari, si proponeva 
di pubblicare, dedicandola al marchese Giacomo Trivulzio. Cre- 
diamo quasi interamente inedita tale corrispondenza, e perciò 
utile pubblicarla, tanto più che essa viene opportunamente ad 
aggiugnersi alle altre lettere del Monti al Perticari su codesta 
progettata edizione del Littamondo, che già furono pubblicate 
nella nota raccolta di Lettere Montiane, edita dal Bertoldi e 
dal Mazzatinti (1); e sopra tutto alla copiosa corrispondenza 
Monti, Trivulzio, Borghesi, Morelli, Costa, : Roverella, ecc., 
messa in luce dal prof. Mario Pelaez in appendice alla sua in- 
teressante memoria sugli studi del Perticari intorno al Ditta- 
mondo (2). 

Ecco la lettera colla quale il Monti faceva presente al Mo- 
relli il desiderio proprio e del genero : 


"o 


Preclarissimo Sig. Cavaliere, 
Milano, 23 XN.bre 1814. 

Il Conte Giulio Perticari di Pesaro, coltissimo giovine (del quale, s’ei 
non fosse mio genero, metterei qui molte lodi), sopra un antieo e bel 
codice del Dittamondo di Fazio si è dato di tutta forza a illustrarlo e 
sanarlo dalle orribili piaghe che gli hanno fatto le stampe.. Voler dire 
a Voi il molto utile che dalla illustrazione di questo primo poema di- 
dascalico dell’Italia può tornarne alla nostra Letteratura sarebbe vera 
e presuntuosa pazzìa. Ma non sarà vano il farvi sicuro che il Chiosa- 
tore condurrà a buon porto la sua fatica, e dileguerà tutte le tenebre, 
solo che Voi gli siate cortese del favore, ch'io in suo nome per questa 
lettera vi domando: e qual sia vel dica egli stesso col seguente para- 
grafo dell’ultima che mi scrive: i 

“ Dalla Biblioteca Farsetti comprendo come le note poste ai due 


(1) Lettere ined. e sparse di V. Moxti, racc., ord. ed illustr. da A. Ber- 
toLpi e G.:Mazzarinti. Torino, 1896, vol. Il, pp. 132, 137,158, 140, 143, 
150, 152, 156, 170. — A pp. 143 e 150 di questa edizione si legge “ No- 
velli, in luogo di “ Morelli ,. 

(2) PeLarz M., Notizia degli studi di Giulio Perticari sul * Dittamondo,, 
in Atti d. R. Accad. Lucchese di sc., lett. ed arti, vol. XXIX (Lucca, 1898), 
pp. 273-360. 


(0.0) 


D CARLO FRATI 


“ codici Estense (1) e Veneto (2) son piene di belle notizie, specialmente 
“ intorno ad alcuni fatti, de’ quali in veruno storico non è rimasa 
“ memoria. Parmi adunque necessario il veder queste note, o per seguirle, 
“ se diranno cose che altronde non sì saprebbero, o per confutarle, se 
“andranno lungi dal vero. Il non vederle renderebbe l’opera difettosa ; 
“ nè l'editore fuggir potrebbe il rimprovero di negligente, o d’ avaro. 
“ Quindi ho fermato di fare a qualunque spesa copiar quelle Chiose o 
“ sul Codice di S. Marco, o su quello di Modena. Non so dove tornerà 
“ meglio e per la onestà del prezzo, e per la esperienza del copiatore. 
“ Il nostro Antaldi mi dice aver trovato nel dottissimo sig. Abate Mo- 
“ relli molto desiderio di questa edizione, e ne’ suoi Copisti molta ca- 
“ pacità. So che quell’ottimo Letterato è vostro Collega nell’Istituto. 
“In voi dunque ripongo il pensiero ece. ,. 

E qui il Perticari mi commette la cura di procacciargli la copia 
di quelle Chiose, e di udire da Voi, egregio Collega, la spesa che im- 
porteranno. Indi soggiugne: 

“ Nella descrizione che il sullodato sig. Ab. Morelli ha fatto di 
“ quelle Annotazioni leggo che il Commentatore (creduto essere un Fer- 
“ rarese) non chiosa per nulla le oscurissime cose che risguardano gli 
“ antichi novellatori d'Inghilterra e di Francia: de’ quali è grande pe- 
“ nuria per tutto, e qui assoluta mancanza. Non ho potuto nè manco 
“ vedere la Tavola Rotonda di Lancillotto, nè alcun altro che tocchi 
“ queste anticaglie cavalleresche. Onde se voi non me ne soccorrete, il 
“ Chiosatore di Pesaro rimarrà in secco del pari che il Ferrarese, il 
“quale nel codice di S. Marco si confessa ignorante di queste istorie 
“ francesi, e d'aver visti pochi libri di quella gente ,. 

Intorno a questi secondi aiuti ch’egli dimanda io nol posso sovve- 
nire che della Tavola Rotonda: ma non saprei a che altre fonti con- 
durlo, perchè la mia erudizione rispetto a quei tempi e costumi si estende 
poco. Voi che siete vero mar di dottrina e più d’ogni altro potete 
metter mio genero sulla via di trovar la luce ch’ei cerca, Voi degnatevi 
indicarne le opere che a quell’effetto più sono da consultarsi. E se fra 
la tanta suppellettile dell’immenso vostro sapere n’avete alcuna di scarto 
sul Dittamondo, prendete consiglio dalla vostra singolar cortesìa, e fa- 
tene dono; chè il dono non sarà taciuto. 


(1) Il cod. Estense VIII. G. 15 (= ital. 483), del sec. xv ex., con com- 
mento del Capello, e con figure illustrative nei margini. A questo cod. ac- 
cenna anche il Monti in una sua lettera al Perticari (Milano, 11 luglio 1815). 
Ufr. Lettere ined. e sparse, ecc., ed. BerroLpi e MazzatintI, Il, p. 150, rife- 
rita più oltre (V. pag. 27). 

(2) Il cod. già Farsetti, poi Marciano: efr. più innanzi pag. 60, nota 4. 


® y 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 59 


Io vi porgo queste preghiere non tanto in nome del Perticari e 
mio proprio, quanto dell’inclito Cavaliere, a cui l’opera verrà intitolata, 
dico l’onorando Sig. Marchese Giacomo Trivulzio, del quale a questi 
tempi nessuno è più benemerito delle buone lettere. Sono co’ sentimenti 
della più grande stima ed affetto 


Vostro dev.mo ser. ed Amico 
V. MonTI. 
(Seque di inano del Brocchi): 


Il mio dotto ed illustre amico Sig. Monti mi obbliga di aggiun- 
gere anch'io alcune righe raccomandandole l’affare sopra esposto, il che 
credo del tutto superfluo conoscendo per esperienza quanta sia la gen- 
tilezza del Sig. Cav. Morelli, e sapendo quanto Ella apprezzi il bravo 
Monti. 

Io ho abbandonata l’idea di pubblicare Zosimo di Panopoli essendo 
troppo confuso il codice di cotesta Biblioteca (1). Mi vien detto che Vl Im- 
peratore d’Austria richiegga al Re di Francia gli oggetti di belle arti, 
ed i manoscritti tolti dagli Stati che il primo ora possede. Se la resti- 
tuzione sì avvera, tornerà alla biblioteca il bel codice de’ Chimici (2). 
Ho l’onore di essere con tutta stima 

suo dev. obbl. Servitore 
BroccHI. 


K nel giorno stesso (23 dicembre) il Monti scriveva al Per- 
ticari: “ Ho già commesso con lettera ferventissima, in nome 
pure dello stesso Trivulzio, all’ab. Morelli la copia delle chiose 
che tu desideri, ed ho per fermo che in breve ne sarai in pos- 
sesso. Spero insieme di acquistarti qui in Milano la Tavola 
Rotonda, di cui so in certe mani un esemplare a cui ho teso le 
reti. Quanto agli altri libri da consultarsi, ho pregato il Morelli 
a somministrarne tutti quei lumi che potrà l'immensa sua eru- 
dizione, aggiugnendo che se egli stesso ti farà dono di qualche 
particolare notizia che cresca luce al tuo bel lavoro, il suo dono 
non sarà taciuto. Mi fo sicuro d’una pronta risposta alle mie 
domande, e tu subito la saprai , (3). 


(1) È probabilmente lo stesso cod. indicato nella nota seg., e che con- 
tiene appunto scritti di Zosimo Panopolita. 

(2) Il cod. Gr. CCXCIX, Chemicorum Graecorum collectio, membr., del 
sec. xI. Cfr. Zanetti, I, 140. 

(3) Mownti V., Lett., ed. cit., II, 138. 


d 


60 CARLO FRATI 


La risposta del Morelli non giunse con quella prontezza, 


che avrebbe desiderata la premura impaziente del Monti; il 


quale il 4 gennaio 1815 riscriveva al Perticari: “ Il Morelli non 
mi ha per anche data risposta, e ciò forse (siccome pensa anche 
il Trivulzio) vuol dire ch'egli tarda il rispondere perchè si oc- 
cupa delle mie dimande. Nulladimeno lo stesso Trivulzio gli 
aggiugne colle lettere di quest'oggi le sue premure , (1). Ma 
il ritardo fu lieve, e il 4 gennaio 1815 (2) il Morelli rispon- 
deva colla lunga lettera, che fu già pubblicata dal Pelaez (3), 
ma che ci sembra non superfluo riprodurre qui, per alcune dif- 
ferenze di forma che si riscontrano tra la minuta esistente 
nell’ “ Archivio Morelliano ,, e l'originale di cui si valse il Pe- 
laez, e per alcuni schiarimenti che le carte del bibliotecario 
Veneziano ci pongono in grado di soggiugnervi. 


Al Cav. Monti, 
4 feb.° (cor». Gennaio) 1815 
a Milano. ? 

Benchè io sia occupatissimo ed anche incomodato dalla malvagità 
della stagione, pure non voglio differire a rispondere alla vostra lettera, 
la quale mi' fu gratissima specialmente perchè mi assicura della conti- 
nuazione della vostra bontà di animo verso di me. 

Oltre a quello che ho già scritto intorno al codice del Dittamondo 
provenuto dal Farsetti a questa Imp. Biblioteca (4), ora potrei dire che 
un altro codice, splendido, con figure, contenente anche Chiose inedite, 
trovasi nella Bibl. Reale di Torino, non registrato nell’ Indice a stampa 
di que’ Codici, ma riferito e allegato con laude dal Malacarne negli 
Ozii letterari, Torino, 1787, T. II, p. 222, alla fine di cui si legge: 


(1) Montir V., Lett., ed. cit., II, 140. 

(2) La minuta autografa del Morelli reca veramente 4 Feb. 1815; 
ma lo scambio del mese è reso evidente, non solo dalla data esatta 
“4 Gennaro 1815 , che si ha nell’originale edito dal PeLarz, ma anche 
dal fatto che il Monti scrive al Perticari di aver ricevuto “ poco fa , la 
risposta del Morelli il 7 genn. 1815 (cfr. Monni, Lett., ed. cit., II, 143). 
Anche in altra minuta di lettera del Morelli al Monti prima era scritto 
8 Genn.® 1815, poi fu corretto 8 Febb.° 1815. 

(3) Pecaez, art. cit., pp. 333-36. 

(4) Cfr. [MoreLL1 J.], Biblioteca ms. di T. G. Farsetti. Ven. 1780, vol. II, 
pp. 163-177 (n° CCVI) — Il cod. è ora segn. Mare. It., IX, 40. — Alla Mar- 
ciana pervenne anche un secondo cod. Farsetti (n° CCVII) del Dittamondo 
(ms., in fol., sec. xv), ma senza commento. È ora segn. Mare. It., IX, 41. 

ì 


‘ 


* 


SS TETTE =. Si 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 61 


Transcriptus anno Christi MCCCCXXXVII. et absolutus die Mercuri. 
V. Junij, quem glosavit doctus vir et egregius magister Guglielmus 
Capellus in Regia Estensi Ferrariae. | In margine della minuta: Di 
questo Cappello, ch'è forse lo stesso autore delle Chiose nel Cod. di 
S. Marco (1), devo aver registrata qualche notizia che ora non ho tempo 
di cercare (2)]. Ciò conferma anche l’Andres nelle Lettere Spagnuole a 
suo fratello, stampate in Madrid nel 1793, t.V, p. 65. Due codici Am- 
brosiani di Milano mi esaltava con una lettera nell’aprile 1812, come 
trovati da sè preziosissimi, il Valeriani (3), uno de’ due eroi che vole- 


(1) Nel Catalogo della Biblioteca ms. Farsetti (II, p. 176) il Morelli 
aveva espresso, sebbene dubitativamente, altra opinione: cioè che le Chiose 
del Dittamondo potessero attribuirsi a Pier Andrea de’ Bassi, ferra- 
rese, spositore della Teseide del Boccaccio. 

(2) Più tardi (1816) il Morelli aggiunse in calce alla sua minuta la 
notizia riguardante il Capello, che, nel momento di scrivere al Monti, non 
gli era sovvenuta: “* Guillelmus Capellus scripsit Benvenuti de Imola 
Comment. in Valerium Maxim. in cod. 380 S. Marci. Vedi se nel Dittamondo 
se ne è giovato ,. — Infatti, in fine del cod. Marce. Lat., Z. 380 (cfr. Za- 
vertI, Il, 155, e VarentinELLI, VI, 29-30), contenente il Commentarium in 

"alerium Maximum di Benvenuto da Imola (mbr., in fol. p., a 2 col.), 
si legge: “ Explicit expositio super Valerinum Maximum per Magistrum 
Benuegniutum de Imola (col. 2) eximium historiographum; quam 
scripsi ego Guillelmus Cappellus de Aulecta per me finita die 
Sabati XVIIJ° decembris 1406 ,. — In altro foglio autografo del Morelli 
trovasi questo appunto sul Capello: “ Di Guglielmo Capello, Rosmisi, 
di Guarino, II, 152, e Memoria mia di Callistrato [cioè: MoreLLI, Osserva- 
zioni filologiche sopra le descrizioni di Statue, dettate da Callistrato in Me- 
morie d. I. R. Istituto Lombardo-Veneto. Milano, 1821, tom. II (1814-15), 
p. 333], dove di Plinio emendato da Guarino; Decemsru, Politia Litteraria ; 
Guarini, Epistolae mss. et Carmina; BapristAE GUARINI, Carmina e ms. 
inedito ,. 

(3) Sono î due codd. Ambrosiani D. 80 sup. e E. 141 sup., entrambi 
del sec. xv. Il secondo di questi codici reca infine la data: 9 dic. 1467. — 
Ecco la lettera di Lodovico Valeriani al Morelli (Carteggio in “ Arch. 
Mor. ,, n° 119 

Pregiatissimo Sig. Cav., 
Milano, 29 aprile 1812. 

La nostra impresa ha incontrato tutto il favore dell Accademia delta 
Crusca, e si eseguirà in Firenze. Presto le invierò il Manifesto. 

Ho trovato nell’Ambrosiana due preziosissimi codici del Dittamondo e 
due della Teseide. Sto già rettificando la lezione di queste due opere. 

Debbo pregarla intanto con tutto il calore a volersi degnare di farmi 
collazionare il Pataffio di Ser Brunetto. Nel primo Tomo della Biblioteca 
Farsettiana, al n° LXXVIII, esso è notato colle Annotazioni del Salvini. 
la 


62 CARLO FRATI 


vano far tante maraviglie nei testi di lingua. Le Biblioteche Fiorentine 
Laurenziana, Riccardiana, Magliabechiana ed altre, sono ricche di codici 
del Dittamondo, e massimamente quanto al testo, che non vi sarà alte- 
rato e guasto da dialetti forastieri, vogliono essere diligentemente col- 
lazionati. Lascio altri Codici noti, che potrebbero giovare all’ edizione 
forse più di quel che si possa presumere. Di uno che sta nella Bibl. Regia 
di Parigi ha data notizia Ginguené nel tomo sesto delle Notices et extraits 
des Mss. de la Bibl. R., ma non ne mostrò bene il pregio. 

Quanto al Codice Veneziano, lasciando di ripetere quel che già ho 
seritto nella Bibl. ms. Farsetti, mi riduco a dire che le Chiose sono 
molte, e non poche alquanto lunghe; ma ve n’è però buon numero di 
triviali ed affatto inutili, le quali non vi sarebbe pregio dell’opera se 
si trascrivessero. Il Sig. Antaldi, da me riverito, rimase abbastanza sod- 
disfatto del Copista, unico che io ho, ed è insieme uno de’ due distri- 
butori di libri, obbligato ad altre incombenze, il quale gli traserisse 
pochi componimenti, e se li fece rivedere da lui, sopra originali quasi 
tutti, o stampati, o recentemente scritti. Ora si tratta d’opera grande, 
scritta nel margine con abbreviature, in carattere minuto del sec. XV, 
a lui poco famigliare. Gli feci vedere ed esaminare il Codice, ed egli 
si prende l'impegno di copiare le note tutte, escluse quelle che sono da 
riente, per il prezzo di lire italiane 120, compresa la carta; e finirebbe 
il lavoro dentro il termine di sette mesi circa (1), quando però nuove 


Se potessero aversi anche le Annotazioni, sarebbe bene. La prego ancora 
di ordinarmi la copia del codice notato n° LXXIX, che ha per titolo: Detti 
di Secondo, filosofo Ateniese, raccolti per Brunetto Latini. Quest'opera 
inedita sarà preziosa per la nostra Collezione. In quanto alla spesa, che 
possa occorrere, le sarà fornita dal Sig. Adolfo Cesare, al quale ne scrivo, 
ad ogni suo cenno. Siccome le opere di Ser Brunetto formeranno il secondo 
volume della nostra Collezione, così bramerei di averle il più presto pos- 
sibile. Prego la sua bontà a indicarmi entro qual tempo potrò averle. 

Se nel farmi apprestar queste copie potesse inviarmi ancora l’Intro- 
duzione alle Virtù da Lei corretto, mi sarebbe carissimo. Ho l’onore intanto 
di rassegnarle la mia distintissima stima. 

Aft.mo ed Obblig.mo Serv.re vero 
A Lopovico VALERIANI. 

(1) Il nome del copista ci è rivelato da una ricevuta, che pure con- 

servasi fra le carte del Morelli (© Arch. Morell. ,, n° 19): 
Primo Ottobre 1815, Venezia. 

Per la Copia delle Glosse al Dittamondo di Fazio degli Uberti, fatta 
per conto del Sig. Cav. Monti, ho ricevuto io sottoseritto dal Sig. Ab. Mo- 
relli, R.° Consigliere e Bibliotecario, Lire Ottanta Bata; dico 

» 


Io Luvisi (IAA. cpl] 


-_ 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 63 


operazioni che hanno da farsi non venissero sollecitamente comandate; 
nel qual caso egli, ed io, e il mio Vicebibl. D. P[ietro] B[ettìo] non 
saressimo -nel caso di avanzare la copia e l’opportuna revisione di essa, 
che da me si vorrebbe compiere in qualche maniera. Se si credesse a 
proposito copiare le Chiose di un Libro, si manderebbero quelle, e così 
successivamente. Una buona edizione del Dittamondo, degnissima di es- 
sere riprodotta bene, è desideratissima; sicchè porge all’editore bel campo 
di farsi onore eseguendola felicemente. 

Per illustrare il poema quanto alle cose favolose e romanzesche vi 
sarebbe un diluvio di libri da studiare. Basta leggere Apostolo Zeno 
sulla Bibl. del Fontanini, T. I, p. 191, e la Biblioteca Italiana di Milano, 
T. II, p. 359, e la Storia della Poesia del Crescimbeni e del Quadrio, 
per ispaventarsi; e chi poi volesse ora trovare que’ libri tradotti in ita- 
liano, o pur anche francesi, avrebbe molto che fare per essere state 
consumate coll’uso le vecchie stampe, e per non esserne di sì fatte opere 
state fatte di nuove. Altri libri per cercare quei Romanzi non mancano; 
e per ora posso suggerire li seguenti che servono a conoscerli: De 
VUsage Percel (1) (1734), Millot (1774), Curne S. Palaye (1781), Bar- 
bazan (1779, 1808), Sismondi (1813, I, capo VII), Acad. Iscriz. Table, 
p. 136, Manzi sul Barberino 390, oltre Plinio, Pomponio Mela, ece. 
La mitologia del Dittamondo è facile che sia quella del Boccaccio nelle 
Gen. degli Dei, o quella di Albrico anteriore a lui. La Geografia è 
quella specialmente di Solino, cui servono a schiarimento opere varie 
geografiche de’ bassi tempi venute in luce posteriormente. 

Io vi scrivo alquanto in fretta, e secondo che le cose mi vengono 
alla mente, ma scusatemi per le continuate e necessarie occupazioni, 
che non mi lasciano quiete, e mi rendono più vecchio di quello, che 
gli anni vorrebbero. Salutatemi con ogni sentimento di stimaril vostro 
Sig. Genero, e tenetemi pure quale con pienezza d’estimazione e d’at- 
fetto mi dichiaro. “ita 

(Poscritto). Date li miei saluti al Sig. Brocchi, e fategli sapére che 
quanto alli Codici, io so bene quello che è stato, e quello che è, ma 
non so poi niente quello che sarà. 


Il Monti, coll’affettuosa sollecitudine per gli studi del genero 
che dimostra in questa occasione, si affrettò a trasmettere tal 
quale la risposta del Morelli al Perticari (7 gennaio 1815): 
“ Mîo caro figlio ed amico, Eccoti la risposta del Morelli, giun- 
tami poco fa. Gli replico che la dimanda del suo copista parmi 


(1) Cioè: De l’Usage des Romans avec une Bibl. de Fonono par Gorpon 
pe PerceL, Tom. 2, Amst. 1734. 


64 CARLO FRATI 


discreta, ma non il tempo ch’ei vorrebbe pigliarsi per copiare 
le chiose che si desiderano. Quindi gli propongo di limi sì. 
puramente alle più singolari, il che sarà risparmio ad un tempo 
di fatica e di prezzo , (1). Ma tutto ciò egli non potè scrivere 
al Morelli che parecchi giorni più tardi, perchè incomodato da’ 
suoi malanni nella rigida stagione invernale. Riscriveva dunque 
al Bibliotecario di S. Marco il 26 gennaio : 


Prestantissimo e Carissimo Collega ed Amico, 


Milano, 26 Gen. 1815. 


Afflitto da molti giorni nella salute per aver poco curato il rigore 
della stagione e scioccamente dimenticato che il bell’Aprile della mia vita 
è passato da molto tempo, e son già presso al Decembre, non ho po- 
tuto, com’io voleva, replicar subito alla vostra carissima e cortesissima. 
Il fo oggi, libero alquanto da’ miei malanni, e innanzi a tutto vi rendo 
grazie delle notizie che mi porgete intorno ai codici del Dittamondo. 
Quanto agli Ambrosiani, il Marchese Trivulzio nulla ha trovato che 
possa soccorrere al lavoro del Perticari. Quanto al Torinese, il detto 
Signore ha già scritto; e in breve si saprà che possa aiutarci. Intanto 
rimane fermo il divisamento di far copiare le glosse del Veneziano: e 
nulla si vuole scemare della mercede che dal vostro amanuense viene 
dimandata. La sola cosa che al Perticari non potrà piacere sarà la lun- 
ghezza del tempo, che il Copiatore si piglia per questo effetto. Tutto 
adunque bene considerato, a me pare (e pare anche al Trivulzio) che ad 
affrettare questa faccenda metta meglio il limitarsi per ora unicamente 
ai passi più tenebrosi e difficili del poema. E ne darò un esempio ac- 
ciocchè vî sia più chiaro il mio pensamento, e abbiate ad un tempo la 
prova se il ‘glossatore colga nel segno. 

Fazio al p.° lib., cap. 1, ha questi versi in bocca di Roma, al poeta, 
Bu di Cesare: 


A Nè la gran pioggia al Rubicone il tenne, 
Nè il mio dolor, nè l'oscuro sembiante, 
Nè i suoi veder pensar tra VEffe e V Enne. 


Il primo e il secondo sono perspicui; ma il terzo, alla maniera di pa- 
recchi altri, di Dante, a cui Fazio si piace di far la scimmia, è pieno 
di tenebre..Il senso però non altro può essere che l’incertezza in cui i 
soldati di Cesare si trovavano tra il Fas e il Nefas di quell’ impresa, 


(1) Cfr. 22) Lett., ed. cit., II, 143. 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 65 


tra l Ingiustizia e la Giustizia di muover le armi contro la patria. La 
lezione della stampa porta tra Esse e VEnne. E allora si dee spiegare 
tra il Sì e il No, il che torna lo stesso che tra il Fas e il Nefas. Se 
il Glossatore del Codice Veneto non si perde nel buio di questo passo, 
e vi trova la luce, io auguro bene delle sue interpretazioni, e stimo 
che sia prezzo dell’opera il farne l'acquisto. S'ei salta il fosso, come 
suol dirsi, temo che se ne debba cavar poco frutto. 

Un altro passo ne darà meglio a conoscere la bravura: ed è questo, 
Lian: 


Solo per un cagnuol, che è una beffe, 

Si mosse querra e sdegno che ancor dura. 
Se ’l sai, nol so, dico dal P all’ Effe, 

Tra quai di Falterona un serpe corre, 

Che par che il corpo di ciascuna acceffe. 


G. Villani, L. 6, c. 2, mette in chiaro i primi tre versi raccontando 
l'origine della Guerra che i Pisani mossero ai Fiorentini (7 P. all’Effe) 
a cagione di un cagnoletto. Con questa chiave alla mano si disserra il 
senso di quel serpe che corre da Falterona tra l’Effe e il P. e che altro 
non è che l'Arno, che serpeggiando acceffa il corpo, cioè passa per mezzo 
a Firenze ed a Pisa. Anche in questo logogrifo si può veder manifesto 
l’acume dell’Espositore, e prender norma di ciò che fra le sue dichia- 
razioni meritar può la pena di esser copiato. Ma io non m’avveggo di 
portar frasche alla selva, e prestar occhi al custode della giovenca. 
Mille volte meglio di me voi sapete vedere ciò che sia da gittarsi e da 
ritenersi. Abbandono dunque alla somma vostra perspicacia tutto l’affare, 
e null’altro vi raccomando che l’abbreviamento del tempo, parendomi 
che, ristretta questa fatica dello trascrivere unicamente alle cose più 
oscure, non debba protrarsi molto alla lunga. Rispetto al prezzo vi ripeto 
che quanto mi direte, tanto vi manderò; nè altrimenti si dee procedere 
nel pagamento d’un premio che dipende tutto dall’onesto vostro giudizio. 
Curate la preziosa vostra salute ed amate l’amantissimo 


Vostro Ser. ed Amico 
V. MONTI. 


Rispose l' 8 febbraio il Morelli : 


Amico e Collega Stimatissimo, 
Venezia, 8 Feb. 1815. 


Ottimo partito mi sembra quello che si è pre i far copiare al- 
cune Chiose del Codice Veneziano, per formare idea della loro qualità, 
e specialmente delle due terzine indicatemi. Nella c ‘tina qui compie- 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. a 8 


66 CARLO FRATI 


gata (1) ho fatto dunque trascrivere dal disegnato copista ciò che il 
chiosatore vi dice, ordinando ad esso copista che seriva quel che vede, 
e non cambii nè parole, nè ortografia, e faccia come la copia di un 
ritratto: altrimenti, per ignoranza, avrebbe fatto grande guasto. Vedrete 
che sul primo passo nulla si dice con fondamento, che giovi all’ intel- 


(1) Anche della “ cartina , trovasi, unita alla risposta del Morelli, la 
minuta, tutta autografa di lui: 


“ Dittamondo ms. f.° 
Canto II, Capo 1: 


“ Nè la gran pioggia a Rubicon il tenne 
Nè’l mio dolore nè l’oscuro sembiante 
Nè suoi pensier veder tra l’esse e l’enne. 


Quel dì che Cesar arivò a rubicon partito da ravena era piovesto et cre- 
sciute le aque et lì li apparve roma in forma di dona, la qual lo confortò 
non dovesse passare li termini de la sua provincia se l’era citadin Romano 
et era grande ultra la forma humana. Rubichon ha nome oge pisatello et i 
picoli fiumi (sic) tra cesena e rimino. Questo fu termine tra Galia cisalpina 
et Italia. poi questo termine si mutò però che senogalia fu cità da gali 
fundata. et cossì ampliòno i soi termini. e i romani in pregio di Italia si 
tenevano a bargi confini (séc), come che.non volesseno cossì fata gente per 
uieini che sempre fu lor nemica ,. 
Canto II, Capo 27: 


“ Ben vuo’ che pogni a quel ch'or dico cura 
Che sol per un cagnol ch'è una bestia 
Si mosse sdegno e guerra ch’ancor dura. 
Se’l sai nol so: dico tra’l p e l’effe 
\ Trai quai di Fulterona un serpe corre 
Che par ch'in corpo di ciascun acieffe. 
“ Essendo in Roma a la coronacion di questo Federico I° Imperatore de 
molte ambasarie, tra l’altre quelle de’ fiorentini e quelle de’ pisani, avene 
che un cardinale romano convitò l’ambasciatori di fiorentini a mangiare. 
uno degli ambasiatori videli un cagnoleto spagnolo e dimandollo in dono 
al cardinale, il quale li concesse volentieri et che mandasse per esso. un 
altro dì lo cardinale diè mangiare agli ambasiatori pisani et simelmente 
uno di quelli, veduto lo cagnolo, lo dimandò. lo cardinale non se ricordando 
l'avesse promesso già, disse : volentieri, mandariti per esso. lo firentino mandò 
primo et hebelo. lo pisano ciò sapiendo se ne turbò et da inde alcuni dì 
li pisani andando a corte si scontròno co’ fiorentini, e ultragioli di parole 
e poi de fatti facendo di pugni i firentini con altri amici. poi apreso l’an- 
dono a trovare elfifero vendeta de l’otfesa. li pisani serisono a pisa, agra- 
vando lo fatto; per la qual cosa i pisani aristarono la roba de’ fiorentini. 
onde poi apposti sì cominciò la guerra tra loro aspra e lunga ,. 


} 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 67 


 ligenza; e che sul secondo il chiosatore copiò da Giovanni Villani, anche 
quanto ad alcune parole e frasi’ che sono le medesime di ambedue gli 
scrittori. Ad ogni modo non vi sarebbe mai pregio dell’opera nel far 
copiare le chiose tutte; e ciò vorrebbe essere riservato soltanto a quelle 
che risguardano luoghi oscuri, facendosene prima un esame e indican- 
doli precisamente. 

Voi bramereste che la copia non si portasse tanto in lungo quanto 
vi ho accennato, ed io invece devo dirvi ingenuamente che temo dovreb- 
besi ella prolungare. Quel copista, che è il solo da potere essere [ado- 
perato] in somiglianti lavori, ed ancora senza netta la fiducia di sua 
buona riuscita, fra pochi giorni ha da cominciare un travaglio che sarà 
non poco molesto anche a me. Si tratta di sciegliere fra dieci mille 
volumi incirca una parte di essi consistente in quattro mille ad uso 
della Biblioteca; e altresì di trasportarvi Medaglie, Monete, Stampe, 
Anticaglie ed altro; e ciò per legato di un Gentiluomo Molino, recen- 
temente morto (1). Potete immaginarvi quanta occupazione porta seco 
questo affare, nel sciegliere, esaminare, riscontrare, concertare, ecc.; talchè 
tratto tratto sarà anche necessario di tenere chiusa la Bibl. La Provi- 
denza mi assista. Io sono bene disposto a fare per Voi quanto posso, 
ma le faccende s’aumentano, ed anche l’ Istituto, benchè in Venezia 
non faccia comparsa, non lascia però di sempre più rendermi spossato. 
Venga presto almeno la buona stagione a liberarmi dalli crudeli inco- 
modi dell’inverno. Conservate salute perfetta a Voi, e la vostra cara 
grazia a me. Addio. 


Anche questa seconda risposta del Morelli fu inviata, insieme 
alla “ cartina , inclusavi, al Perticari dal Monti, che così seri- 
vevagli il 28 febbraio 1816: “ Scriverò domani al Morelli con- 
formemente al tuo suggerimento, che ottimo mi riesce, e lo 
spronerò a mandarmi di mano in mano che si trascriveranno 
le glosse del codice veneto. Per avere un saggio del loro valore 
lo aveva già eccitato il Morelli a significarmi quelle del pas- 
saggio del Rubicone, e dell’origine della guerra tra Pisani e 
Fiorentini, due luoghi del Dittamondo, a mio giudizio, difficilis- 


(1) Si riferisce qui il Morelli al lascito di Girolamo Ascanio Molin, 
il quale con suo testamento 24 febbraio 1813 fece dono della sua cospicua 
libreria alla città di Venezia, con obbligo di deposito presso la Biblioteca 
di S. Marco. Per tal modo la Marciana si arricchì di circa 4000 volumi di 
rare e pregiate edizioni; il Museo Archeologico, di antiehità preziose; l'Ac- 
cademia di Belle Arti, di disegni e dipinti; ed il Liceo pubblico, di un 
Gabinetto di storia naturale. 


68 CARLO FRATI 


simi e da te felicissimamente interpretati. Dalla risposta che 
ti accludo vedrai che quel glossatore ha saltato il fosso, il che 
torna a tua lode, ma porge ad un tempo poca speranza che 
quelle chiose debbano portarti gran luce fra le tenebre di quel 
poema. Alla lettera del Morelli unisco una cartolina che il Bi- 
bliotecario dell’Ambrosiana ha mandata al nostro Trivulzio 
intorno ai due codici Milanesi. Molto aiuto io spero dal Tori- 
nese, le cui chiose son le medesime che quelle del Veneto, ma 
la correzione del testo assai più castigata. Noi ne avremo tutte 
le varianti, e dipenderà dall’acume del tuo criterio l’adottare 
quelle che ti parranno migliori , (1). Ma invece di attendere 
il giorno seguente, il Monti riscrisse al Morelli lo stesso 28 feb- 
braio, così : 


Amico e Collega Stim.°, 
| Milano, 28 Feb.® 1815. 

Ben veggo che prima del termine da voi chiesto egli è difficile il 
poter avere le chiose del Dittumondo. Nulladimeno sembrami esservi 
una via di mezzo, ed è questa. Se per trascrivere tutta la chiosa vuolsi 
il tempo di sei mesi, di viva necessità ne consegue che tre mesi debbano 
essere assai per averne la metà. Dovendo adunque tutta l'illustrazione 
col testo dividersi in due volumi, pigliatevi di grazia il pensiero che 
dentro tre mesi io possa avere le chiose del primo. E se la preghiera non 
è soverchiamente importuna, fate che di mano in mano che il Copista le 
verrà trascrivendo, io le abbia in tante rimesse, quanti sono ì libri del 
poema. Questo sarebbe il desiderio del Perticari, ed il mio. Se questo 
divisamento* otterrà la vostra approvazione, io mi rendo certo di vederne 
anche l’effetto. Non parlo della gratitudine che il Perticari ed io ve ne 
avremo, ed anche il Trivulzio. Solo vi dico che sarà somma, e palese. 

Degnatevi di rispondere se acconsentite, e state sano: chè la vostra 
salute è preziosa a tutti gli amici dell’ Italiana Letteratura. 


Il vostro Aff.mo A.° e Collega 
V. MostI. 


P. S. Le Chiose del Codice Torinese sono le stesse che quelle del 
Veneto. 


Di qui, innanzi il Morelli non serbò più minuta delle  ri- 
sposte sue; sicchè dobbiamo accontentarci di far seguire in 


LI 
fi 


(1) Cfr. Monni, Lett., ed. cit., II, 143-44. 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 69 


ordine cronologico le altre tre lettere del Monti che ancora ci 
restano nel Carteggio Morelliano. 

Il primo invio delle Chiose non dovette farsi molto atten- 
dere, chè una «lettera del Monti, senza data, ma certamente 
scritta dopo l’ultima surriferita (28 febbr.) e prima del 15 giugno, 
annunzia al Morelli ricevimento, delle Chiose al primo libro del 
Dittamondo : 


Stimatissimo Amico e Collega, 


Ricevo le note del Codice Veneto al primo libro del Dittamondo, 
e ve ne ringrazio, pregandovi di proseguirmele. 

AI Sig. Fortunato Stella ho fatto il pagamento delle Lire dieci 
Italiane da darsi, secondo il vostro senno, al Copista; e questa via di 
rimborsarvi terrò pure per l'avvenire, se sarà di vostro piacere. 

Curate la preziosa vostra salute ed amate 

Il Vostro Amico e Collega 
V. MontI. 


Altri invii dovettero via via succedersi, come rileviamo da 
un’altra lettera del Monti al Morelli del 15 giugno: 


Amico Pregiatissimo, 
Caraverio in Brianza, 15 Giugno 1815. 

Scrivo allo Stella, che faccia prontamente venire alle vostre mani 
un altro a conto di cinquanta lire italiane. Il rimanente della somma 
convenuta sarà pagato alla fine del lavoro, di cui sono impaziente. In- 
tanto della parte che me n’avete mandato abbiatevi i miei ringraziamenti, 
e scusi il ritardo di questa lettera l’aver io tardi ricevuto nella solitu- 
dine di questi monti il piego da voi speditomi. 

Curate la vostra salute, ed amate 

Il Vostro Ser.° ed Amico 
V. MoxtI. 


Il Monti poteva così, poco appresso, compiacersi col genero 
di aver già ricevuto il più delle tanto sospirate Chiose; e gli 
scriveva, di ritorno a Milano, V'11 luglio: “ Il più delle note 
venete al Dittamondo è già venuto. Il manoscritto mandatomi 
dal Morelli ingombra finora 94 pagine, e giugne fino al cap. XIV 
del terzo canto. Lettere di Torino mi danno speranza d’aver 
presto in mia mano l’effetto delle promesse fattemi da quello 
avv. Costa da tanto tempo. Mi sono di più procacciato l'elenco 


70 CARLO FRATI 


di tutti i vocaboli del Dittamondo citati dalla Crusca. Ciò pure 

servirà a qualche cosa. Nel passare ch'io poi farò da Modena, 

mi tratterrò colà qualche giorno espressamente pevyriscontrare 

il codice estense, onde recarti tutto il tesoro che si può racco- 

gliere per la maggior possibile illustrazione del tuo lavoro , (1). 
Verso la fine del luglio l'invio delle Chiose era terminato, 

ed il Monti ne ringraziava il Morelli con questa lettera, che è 

l’ultima di quelle conservate nel Carteggio Morelliano: 


Pregiatissimo Amico e Collega, 
Milano, 26 Lug. 1815. 

Ricevo il compimento delle Note, che il vostro senno ha prescelte 
da cotesto Codice del Dittamondo, e ve ne rendo grazie quante mai so. 
A maggior compenso della fatica sostenuta dal Copiatore farò passare 
dal Sig. Stella nelle; vostre mani altre Lire 20 Ital. Se parravvi che 
queste sian poche, starò alla discreta vostra insinuazione. 

Mi sperava di trovar fra queste Note qualche schiarimento a quel 
passo del 2° Libro, Cap.° 2°, ove, dopo l’aver detto, che Esse, il Pe, 
il Qu e Erre D'oro scolpite dentro al campo rosso fu insegna celebre 
di Roma (ed è manifesto essere queste sigle il Senatus Populusque 
Romanus, segnate sugli stendardi di quei Potenti) Fazio soggiugne, che 
quelle lettere intendere si ponno, per la preghiera di Cristo sulla Croce, 


Allorchè disse ne’ pensier più tristi, 
O Cristo salvator di tutto il mondo 
Salva Populum Tuum Quem Redemisti. 
E in altro ancor l’intendo ch’io nascondo. 


Ben si vede che in quest’ ultimo verso il poeta chiude un senso artifi- 
ciosamente celato. Del certo un interprete non è tenuto a indovinare 
le cose che il poeta vuole nascoste. Nulladimeno una ragione di quel 
silenzio vi debb’essere, e parmi che il trovarla tornerebbe a molto onore 
del Commentatore. Ora il Perticari mi scrive d’averne rinvenuta la spie- 
gazione nel frammento di Benvenuto, pubblicato dal Muratori (2) nella 


(1) "Cfr. Monti, Lett., ed. cit., II, 150. 

(2) A questo punto della lettera del Monti il Morelli annotò di propria 
mano: * Canto XVI. Paradiso. Muratori (Antiquit. Ital., III, 1288) ha: Ni- 
colaus ... exponebat istas litteras: Senatus Populus Que Romanus sic: Sozzo 
Popolo Conchato Romano. Ms. S. Marco, Cl. XII, Cod. VI: idest Socio (per 
Sozzo) Popolo Concacato Romano. ll Cod. è del sec. xrv. — Codice mio [cioè 
il Mare. Lat., XIII,120, cart. in fol.], sec. xv, ha: exponebat istas litteras sic: 
S.P.Q.R.dicens Socio Popolo Quoncato Romano: Quoncato sarà per Concacato ,. 


è. nh 


ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 71 


i Raccolta degli Scrittori delle cose italiche (1); ed è questa. Fazio fu 


e 


coetaneo di Cola da Rienzo, che secondo la Cronica del Fortifiocca 
era l’unico che sapea lejere li pitaffi. Ora di costui Benvenuto narra 
che sendo Vir magnae mentis et prudentiae saepe arguens populum ro- 
manum de vilitate et furore intollerabili corum, exponebat istas litteras 
S. P. Q. R. sic: Sozzo PoroLo Quoncacato Romano. A me pare che il 
mistero sia svelato, e che il Fazio abbia voluto tacerlo per non unirsi 
egli pure ai vituperatori di quel popolo. Cionnostante io stimo bene di 
sottoporre al vostro acuto intendimento questa dichiarazione per due 
ragioni: 1° per udire se l’approvate; 2° per pregarvi di riscontrare con 
più diligenza il Codice veneto, onde vedere se il suo Scoliaste ha vera- 
mente saltato il fosso del tutto (2). 

La perdita di Mons. Marini è grande del certo per l’ Italiana Let- 
teratura, ma grazie al Cielo voi siete vivo e sano; e per onor nostro 
giova sperare che il sarete ancor lungamente; e per voi tutti gridano: 
Tardus in caelum redeas. Amatemi, e custodite la a vostra salute. 


Il Vostro Aff.mo A.co 
V. MontI. 


È 


% 
P.S. Lo Stella è a Varese. Tosto che egli ritorni darò l’ordine di 
cui sopra etc. 


La risposta del Morelli a questa lettera del Monti (Ve- 


nezia, 5 agosto 1815) trovasi pubblicata nella ricordata Memoria 
del Pelaez (3). 


(1) Com'è noto, non è già nei Rerum Italicar. Scriptores, come qui 
scrive per svista il Monti, ma nelle Antiquitates ital. m. ae. che il MuratoRI 
pubblicò (tom. I, col. 1027-1298) excerpta dal Commento Dantesco di Ben- 
venuto, di sul cod. Estense. 

(2) Annotò di propria mano il Morelli: * Codice Dittamondo, S. Marco, 
a quel passo ha: 

Senatus Populus Que Romanus 
Salva Populum Quem tu Redemisti. 


“ Togliendo le prime lettere di queste dictioni venne a rilevare Se- 
natus , &c. 
E in altro ancor lo intendo ch'io nascondo 


“ Vol dir che queste quattro lettere medesime può significare S Succi 
(per Sozzi) P. Porci Q. Questi R. Itomani; ma perchè era iniuriosa parola 
la tacque ,. È 

(3) Peraez M., in Atti d. R. Accad. Lucchese, vol. XXIX (1898), pp. 337-388. 


72 CARLO FRATI — ANEDDOTI DA CODICI TORINESI E MARCIANI 


Mons. Gaetano Marini era mancato il 17 maggio 1815; il. 
Morelli gli sopravvisse solo di quattro anni (m. 5 maggio 1819). 
L'augurio affettuoso del Monti non ebbe guindi tutto l’effetto, 
che i numerosi estimatori ed ammiratori del venerando biblio- 
tecario veneziano avrebbero cordialmente desiderato per l’onore 
degli studì italiani. Così questi due sommi eruditi, che, nati 
entrambi pochi anni avanti la morte di Apostolo Zeno e di 
Lodovico Antonio Muratori (1750). sembrarono quasi ereditare 
lo spirito e l’intelletto di quei due insigni maestri, della cui 
nobile tradizione furono certo i più degni ed illustri continua: 
tori, e che tennero, (in campi diversi, ma reciprocamente inte- 
grantisi) alto il nome della dottrina e della erudizione italiana 
sino agli albòri del secolo XIX, mancarono a breve distanza di 
tempo, siccome erano stati uniti in vita da una costante, cor- 
diale amicizia. 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 1° Dicembre 1907. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: SAaLvapori, Mosso, SPEZIA, SEGRE, 
Prano, JADANZA, GuAREScHI, Guini, PARONA, MaTTIROLO, MORERA, 
Grassi, SomieLIANA, FusARI e CameRrANO Segretario. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

Il Socio NaccarI scusa l'assenza. 

Il Presidente, a nome del Socio straniero F. R. HELMERT, fa 
omaggio alla Classe del lavoro: Bestimmung der Héhenlage der 
Insel Wangeroog durch trigonometrische Messungen im Jahre 1888. 

Il Socio MatTIROLO presenta il volume del Prof. G. B. De-Toni 
che è il quinto della Sy/loge Algarum, repertorio della massima 
importanza per la scienza algologica di cui l'Autore ha arric- 
chita la Biblioteca accademica. 

Vengono presentate per l’ inserzione negli Atti le note 
seguenti: 

1° Prof. Giovanni BoccarpI: Ascensioni rette di alcune 
stelle fondamentali del catalogo di Newcomb, dal Socio JADANZA 

2° Prof. Francesco Grupice: Una dimostrazione d’'insepa- 
rabilità per radicali delle 27 rette di superficie cubiche, dal Socio 
PrANO. 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 9 


74 


Il Socio Parona, anche a nome del Socio Spezia, legge la 
relazione sul lavoro del Prof. F. Sacco, intitolato: IZ Gruppo 
del Gran Sasso d’Italia. Studio geologico. La relazione conchiude 
favorevolmente per la stampa del lavoro ed è approvata all’una- 
nimità. La Classe con ‘votazione segreta accoglie il lavoro del 
Prof. F. Sacco per la stampa nei volumi delle Memorie acca- 
demiche. 

Il Socio MatTIROLo, a nome anche del Socio PARONA, legge 
la relazione intorno al lavoro della Dott? Efisia FonTANA, inti- 
tolato: Ricerche intorno ad alcune specie del genere Elephomyces, 
Nees (E. Variegatus, E. Granulatus e affini). La relazione con- 
chiude favorevolmente per la stampa del lavoro ed è approvata 
all'unanimità. La Classe con votazione segreta accoglie il lavoro 
della Dott® Fontana per la stampa nei volumi delle Memorie 
accademiche. 

Il Socio Secre presenta per l'inserzione nelle Memorie il 
lavoro del Dott. PeRAZZO, intitolato: Sopra alcune varietà di rette 
ed in particolare sui rari tipi di complessi cubici. Il Presidente 
incarica i Soci SomiGLIANA e SEGRE per riferire intorno ad esso. 

La Classe stabilisce di porre in votazione, per la prossima 
seduta, la elezione del Direttore di Classe per compiuto ses- 
sennio del Socio Conte Tommaso Sarvapori in detta carica. 


G. BOCCARDI — ASCENZIONI RETTE DI ALCUNE STELLE, ECC. 75 


== 


LETTURE 


Ascensioni rette di alcune stelle fondamentali 


del Catalogo di Newcomb 


riosservate in Torino da G. BOCCARDI 


I. Nel volume dell’Annuario astronomico di Torino pel 1906 
ho accennato al lavoro di riosservazione di stelle da me intrapreso 
in luglio 1904, spiegando il metodo che ho adottato per la de- 
terminazione delle costanti istrumentali relative ai passaggi pel 
meridiano. Qui ricorderò che l’istrumento adoperato è il vecchio 
circolo meridiano di Reichenbach, ridotto oggi a servire come 
semplice istrumento dei passaggi; di guisa che, per ora, la rios- 
servazione ebbe per oggetto le sole ascensioni rette, riser- 
bandomi di riosservare le declinazioni quando l'Osservatorio di 
Torino possederà un istrumento da ciò. 

Ricorderò pure che fra le costanti istrumentali, la sola in- 
clinazione dell'asse orizzontale venne da me determinata me- 
diante mezzi fisici, cioè con frequenti letture della livella, e che 
le altre: azimut, collimazione, correzione dell'orologio, e anche 
l'andamento di questo durante la serata o corso di osservazioni, 
furono determinate mediante il metodo dei minimi quadrati, ogni 
stella fondamentale fornendomi una equazione di condizione. 
Evitai di osservare Je stelle di grandezza superiore alla 4°, e 
per quanto fu possibile mi restrinsi ad osservare stelle dalla 4,0 


76 G. BOCCARDI 


alla 5%,5, scendendo rare volte al disotto di questa grandezza. 
Procurai di osservare in ogni corso almeno una polare e v’inclusi 
quasi sempre una zenitale e qualche volta due. Le costanti fu- 
rono mantenute piccole per quanto fu possibile, per modo che 
l’azimut, per cui si ebbero le maggiori variazioni, fu mediante 
la mira mantenuto entro + 15, salvo i casi in cui non fu pos- 
sibile distinguere la mira. Dal quadro delle posizioni stellari dato 
in fine della presente Nota si scorgerà che io mi tenni lontano 
dal caso poco favorevole per la determinazione delle costanti, 
cioè di declinazioni ristrette entro 3° o 4°. Del resto io spero 
poter spiegare in una più ampia Memoria i particolari del mio 
metodo di osservazione, nonchè le attenzioni minuziose da me 
avute nell’osservare e nel ridurre. Il gran numero di fondamen- 
tali osservate in ogni sera (fino a 21), l’avervi incluso una po- 
lare ed una zenitale, l'avere mantenuti piccoli i valori delle 
costanti e finalmente la piccolezza dei residui Aacosò delle equa- 
zioni di condizione (1), la media dei quali è di cirea + 05,029, 
cioè eguale all’errore ammissibile sopra una buona osservazione, 
tutto questo potrà garantire la precisione dei risultati del pre- 
sente lavoro. 

Per ragioni che si possono vedere facilmente e che spiegherò 
(come ho detto) in altra Memoria, io volli spostare il meno pos- 
sibile il cannocchiale e m’imposi la legge di non osservare a 
distanza zenitale maggiore di 62°, giungendo a questa solo in 
un caso. Il crescere che fa l'errore di osservazione sensibilmente 
con cosò e anche secondo una certa funzione della distanza ze- 
nitale, attenua di molto (a mio credere) i vantaggi della deter- 
minazione delle costanti istrumentali mediante stelle di è molto 
diversa; perchè nella espressione di queste, ch'è in forma di 
frazione, non bisogna avere riguardo soltanto al denominatore, 
ma anche alla incertezza maggiore o minore del numeratore. 

Del rimanente, dati i motivi pei quali ho ritenuto necessario 
di spostare il meno possibile il cannocchiale nel corso di ogni 
serata di osservazione, e quindi data la necessità di non pren- 
dere stelle con è molto diversa, l essenziale è trovare un si- 
stema di valori per le costanti, il quale metta d’aceordo nel 


(1) Dopo la sostituzione dei valori delle costanti. 


ASCENSIONI RETTE DI ALCUNE STELLE FONDAMENTALI, ECC. 77 


miglior modo le a osservate delle fondamentali con le loro a cal- 
colate. Con ciò non si vuol dire che i valori dell’azimut e della 
collimazione determinati in questo modo risultino identici a 
quelli che si otterrebbero con mezzi puramente fisici o con stelle 
di è tutte diverse fra loro, ma è certo altresì: 1° che date le 
condizioni del nostro circolo meridiano, non si può parlare pro- 
priamente di costanti per ridurre le osservazioni di stelle di 
qualsiasi declinazione; 2° che sia necessario il tormentare il 
meno possibile l’istrumento. In queste condizioni strumentali 
sarebbe piuttosto illusorio il voler determinare le costanti con 
lo spostare frequentemente l’istrumento, e l’accordo fra le a 08- 
servate (e ridotte mediante quel sistema di costanti) e le a cal- 
colate sarebbe certamente minore. 

A quel modo dunque che, ridotti a piccolissimi valori l’azimut 
e la collimazione e restringendosi ad osservare fondamentali in 
una ristrettissima zona (1), si potrebbe addirittura ridurre ad 
una sola le costanti, cioè alla correzione dell'orologio (2), appli- 
candola a tutti i passaggi delle altre stelle, non fondamentali, 
di cui si volesse formare un catalogo, allo stesso modo si può, 
restringendosi in una zona di 10° o 15° di qua e di là dall’equa- 
tore, determinare i valori di certi parametri, i quali mettono 
d'accordo le a osservate con le calcolate, parametri che saranno 
valevoli anche per altre stelle di cui si volesse formare un ca- 
talogo. 

Ma io non ho fatto proprio così, avendo osservata sempre 
una (e talvolta due polari) e quasi sempre una zenitale (e spesso 
due). Per le altre fondamentali mi sono invece ristretto ad una 
zona come sopra. 

Nè è da temere che col mio metodo gli errori di osserva- 
zioni delle fondamentali entrino a falsare i valori dei parametri 
così ottenuti. Infatti, spesso mi è accaduto di ripetere più volte 
per lo stesso corso o serata di osservazioni la determinazione 
delle costanti; per esempio: una prima volta servendomi di tutte 
le fondamentali osservate e formando altrettante equazioni di 


(1) E quindi di grandezze molto diverse fra loro, donde il funesto in- 
flusso della differente equazione di splendore. 
(2) Modificata per l'andamento di esso. 


78 G. BOCCARDI 


condizione; una seconda volta, escludendone alcune, sia perchè 
osservate in condizioni un po’ diverse di cielo o d’illuminazione, 
sia perchè i residui della prima determinazione per quelle stelle 
erano rilevanti. Ebbene, con questa seconda, ed anche con qualche 
altra successiva determinazione, se i valori dei singoli parametri 
variavano sensibilmente, il risultato del loro insieme, cioè la 
somma delle correzioni da fare ai passaggi osservati, era di 
poco differente nei diversi casi. Ne segue che le altre stelle, 
per esempio quelle di Albany, ridotte con diversi sistemi di co- 
stanti, davano a apparenti molto vicine nei varî casi, cioè dif- 
ferenti appena per 08,01 o al più 05,02. Io domando se deter- 
minando le costanti con stelle di è molto diverse fra loro si 
potrebbero garantire quantità così piccole in modo che variando 
le fondamentali osservate si ottenessero sempre risultati identici 
pei valori delle costanti. 

Questo fatto dell'accordo completo delle costanti per le fon- 
damentali e per le stelline (nel mio metodo) fa vedere che gli 
errori accidentali sulle osservazioni delle fondamentali, di cui 
tanto si temerebbe teoricamente per la determinazione delle 
costanti, perchè in condizioni poco favorevoli, sono invece con- 
nessi con quelli esistenti sulle osservazioni delle stelline, e che 
quindi fu prudente consiglio il mio, di determinare parametri 
per la riduzione delle stelline, mediante osservazioni di fonda- 
mentali di è non molto diversa. 


II. Le costanti determinate coi minimi quadrati mi servirono 
per ridurre i passaggi delle stelle non fondamentali da me osser- 
vate, cioè alcune scelte dal Catalogo di Albany dell’ Astronomische 
Gesellschaft. 

Le a del Catalogo di Newcomb furono ricondotte prima 
all’equinozio medio del principio dell’anno, mediante i dati del 
detto Catalogo e poi alla posizione apparente per la data rispet- 
tiva, mediante le costanti adottate nella Conferenza di Parigi 
nel 1896. Si tenne conto dei moti proprî indicati da Newcomb. 
Queste riduzioni furono calcolate per le stelle non contenute nelle 
Effemeridi: Connaiîssance des temps, Nautical Almanac e American 
Ephemeris. Per le altre, le posizioni apparenti furono prese da 
dette Effemeridi. 

Se queste a apparenti fossero esenti da errore, i residui 


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ASCENSIONI RETTE DI ALCUNE STELLE FONDAMENTALI, ECC. 79 


delle equazioni di condizione rappresenterebbero soltanto l’effetto 
degli errori di osservazione, che si traducono anche nella incer- 
tezza residuale su i valori delle costanti. Ma come non apparisce 
una causa per cui quegli errori di osservazioni debbano essere 
sempre nello stesso senso, così debbono ritenersi come acciden- 
tali, ed è questo appunto che mi autorizzò ad adoperare il me- 
todo dei minimi quadrati per la determinazione delle costanti 
strumentali. Stando così le cose, per ogni stella osservata più 
volte i segni ed i valori assoluti dei residui non dovrebbero pre- 
sentare nulla di sistematico. Se invece anche le posizioni di 
Newcomb hanno un piecolo errore, dovrebbe notarsi un sistema 
nei residui. Ora, per molte delle fondamentali da me osservate 
si notò una quasi costanza nel segno e nel valore assoluto del 
residuo nelle diverse date di osservazione. Come d’altra parte 
io ho osservato molte fondamentali in ogni sera, è da ritenere 
che i valori delle costanti determinati coll’insieme ‘delle osser- 
vazioni sieno già molto vicini al vero, per la perequazione che 
si avvera nel metodo adottato, e che, ad ogni modo, dall’insieme 
dei residui relativi ad ogni stella si può con molto fondamento 
di verità dedurre l’errore delle a di Newcomb ricondotte all’e- 
poca delle mie osservazioni. S'intende per quelle fondamentali 
per cui le differenze fra le mie o, dedotte dall'insieme dei re- 
sidui, e quelle di Newcomb sono sensibili, avuto anche riguardo 
al numero delle mie osservazioni. Ciò non mi ha impedito di 
dare nel quadro finale le a per tutte le stelle da me osservate 
molte volte, lasciando agli astronomi il decidere, in base alla dif- 
ferenza: Boccardi—Newcomb, se la posizione data da Newcomb 
sia da correggere o no. 

A me sta a cuore il dare i risultati delle mie osservazioni. 
Del resto, la parte principale del mio lavoro è quella che con- 
cerne le stelle di Albany. Qui do soltanto come un primo risul- 
tato le differenze fra le mie a e quelle di Newcomb. 

Per citare qualche esempio analogo, il mio lavoro sarebbe 
qualche cosa di simile a quello di riduzioni delle lastre foto- 
grafiche del cielo quando si adoperano molte stelle de repère; 
oppure alla determinazione degli errori dei luoghi normali, quando 
si è giunti ad elementi assolutamente corretti di un’orbita. 


III. Questo però suppone che per ogni stella le osservazioni 


80 G. BOCCARDI 


sieno state in gran numero. Ora, nel mio lavoro io ebbi principal- 
mente in mira di estendere la lista delle fondamentali, scegliendo 
alcune stelle del Catalogo di Albany e riosservandole molte volte; 
ma in alcune ore di ascensione retta non furono più di 8 o 9 le 
osservazioni per le singole stelle, quindi per alcune delle fon- 
damentali di Newcomb il numero delle mie osservazioni non fu 
tale che io potessi credermi autorizzato a dedurne correzione 
alcuna alle a date dal detto astronomo. Ne segue che nella lista 
di fondamentali, che riporto in ultimo, io do solo quelle per cui 
ebbi un numero sufficiente di osservazioni. In verità, anzichè 
attenermi al numero di queste io posi mente ai loro pesi. Questi 
furono da me dati in base all'accordo maggiore o minore fra i 
passaggi ai singoli fili e la loro media. Ogni stella (specialmente 
se fondamentale) fu osservata quasi sempre a tutti i 9 fili del 
reticolo. Ecco ora i criteri coi quali ho dato i pesi: 


Differenza media | 


dei fili osservati dalla loro media | Hero 
da 05,00 a 05,05 escluso 4 
#1 096000. 408i n'è 3 

ri Lie Ja 3 gi 2 
>0,13 1 


Quando mancavano 2 fili su i 9 ho diminuito di una unità 
il peso. Quando la stella venne osservata a meno di 5 fili ho 
dato sempre peso 1 alla sua osservazione. Per le circumpolari 
e per le zenitali ho adottato dei limiti più grandi. 

Non sarà forse inutile l’osservare che il peso 1 non venne 
dato quasi mai, e che il peso 3 fu dato molto spesso, tanto per 
le osservazioni di stelline quanto per quelle delle fondamentali. 
Per queste ultime poi i pesi furono quasi sempre 3 0 4. 

Questi pesi, come sembra evidente, e risulta altresì dai miei 
fogli di osservazione, sono strettamente connessi con lo stato 
del cielo; onde può dirsi che i pesi 4, 3, 2, 1 corrispondano 
rispettivamente alle indicazioni: osservazione ottima, duona, me- 
diocre, cattiva. Nel quadro che do in ultimo ho indicato col sim- 


ASCENZIONI RETTE DI ALCUNE STELLE FONDAMENTALI, ECC. 81 


bolo Zp la somma dei pesi per tutte le osservazioni di ciascuna 
stella. L’avere io tenuto conto dei pesi nel formare le medie 
sembrerà forse a taluno una fatica inutile. Io però ho pensato 
che dal momento che è invalso l’uso (e con ragione) di indicare 
la qualità delle osservazioni, un astronomo coscienzioso non può 
trascurarla nel calcolare i risultati definitivi. Nel quadro ora 
detto ho riferito soltanto le stelle per cui Zp>30; in altri ter- 
mini, ho ritenuto su per giù le stelle di cui ho fatto almeno 
10 buone osservazioni. Ma si vede in quel quadro che la media 
dei pesi è per una stella presso a poco 80. 


IV. Il lasso di tempo abbracciato dalle osservazioni per ogni 
stella fu ordinariamente di 15 o 16 mesi (1). Solo per le stelle 
da 20" a 23° 1/,, avendole io osservate in tre anni successivi, il 
periodo delle osservazioni è di 28 mesi tutt'al più. Questa cir- 
costanza del breve tempo in cui furono eseguite le osservazioni 
per ogni stella mi sembra non trascurabile, per molte ragioni 
che ognuno può vedere da sè. lo non potrei pretendere che una 
posizione di una fondamentale poggiata sopra osservazioni di un 
solo astronomo sia da preferirsi ad una posizione poggiata sopra 
un numero eguale di osservazioni eseguite da diversi astronomi, 
perchè nel primo caso è da temere qualche errore sistematico, 
mentre nel secondo si può sperare sopra un certo compenso fra 
gli errori sistematici dei diversi astronomi. Ma se nel primo 
caso le osservazioni furono eseguite in breve tempo, mentre le 
altre abbracciano molti e molti anni, io vedrei di non poco ri- 
dotta la superiorità della posizione dell’altro caso. Ad ogni modo, 
l'omogeneità anzi l’identità dello strumento, dell’osservatore, del 
metodo di osservazione e di riduzione, nonchè la costanza della 
equazione personale in breve tempo, produce una maggiore com- 
pattezza nell’insieme delle posizioni anche per le diverse stelle. 
Le posizioni di un catalogo eseguito in queste condizioni potranno 
sì avere una differenza dalle vere posizioni, ma questa differenza 
si ha diritto di ritenerla quasi costante; mentre i cataloghi pog- 
giati su osservazioni di due o più astronomi avranno sempre 
una mancanza di omogeneità. 


(1) La serie completa delle mie osservazioni (dopo alcuni giorni di ad- 
destramento) va dal 2 luglio 1904 al 29 novembre 1906. 


82 G. BOCCARDI 


A questo proposito sarà bene far notare che le mie osser- 
vazioni in ogni serata abbracciarono molte ore, fino a 6 o 7 
qualche volta. Questo era necessario per realizzare il programma 
di osservare molte volte ogni stella e in un breve lasso di 
tempo. In verità è da ritenere che in sì lunghe serate o corsi 
di osservazione le condizioni atmosferiche e quelle fisiologiche 
dell'osservatore abbiano variato un poco; ma grazie alla inco- 
gnita y da me introdotta nella determinazione delle costanti, 
cioè l'andamento dell'orologio (deducendolo dalle stesse osserva- 
zioni), su quella incognita, la quale per ogni stella ha per fat- 
tore il tempo trascorso dalla osservazione della prima fonda- 
mentale della serata all’istante in cui passa la stella considerata, 
su quella incognita, dico, vanno a rigettarsi tutte le variazioni 
funzioni del tempo, cioè quelle dovute alle condizioni atmosfe- 
riche e fisiologiche e quelle relative all’azimut ed alla collima- 
zione. Infatti le mie fondamentali (salvo la polare e la zenitale) 
sono contenute in una zona non larga, e quindi i coefficienti di 
azimut e di collimazione per le diverse stelle sono vicini fra 
loro, e per le variazioni differenziali di dette costanti, si possono 
addirittura ritenere eguali. 

Ora, sì per la natura del sistema di perequazione, col quale 
io fo concorrere tutte le stelle osservate in 4, 5, 6 ore alla 
determinazione delle costanti, e sì per avere io protratte le mie 
osservazioni per due anni e mezzo circa, senza interruzione sen- 
sibile, ne segue che le mie a costituiscono a così dire un sistema 
compatto ed omogeneo, il che non avrebbe luogo se avessi 0s- 
servato anche molte altre stelle ma in 2 o 3 ore tutt'al più, 
interrottamente in molti anni. Gli astronomi mi comprenderanno, 
meglio che io non sappia spiegarmi. 

Un altro vantaggio del mio modo di osservare è che mi 
sono ristretto ad una grandezza e mezzo, per mettermi al sicuro 
contro notevoli differenze nell’apprezzamento del passaggio, cioè 
contro la equazione di splendore. Ma di questa e di molte altre 
ricerche da me fatte mi occuperò in altra Memoria. È inutile 
il dire che il rugginoso circolo meridiano del nostro Osserva- 
torio non ha il così detto micrometro impersonale. 


V. Quanto poi alla precisione delle mie osservazioni, potrà 
aversene una idea dai saggi che riferisco dopo questa introdu- 


ASCENSIONI RETTE DI ALCUNE STELLE FONDAMENTALI, ECC. 83 


zione, i quali non sono poi dalle stelle osservate meglio di tutte 
le altre. 

Data la differente precisione delle a delle diverse stelle da 
me riferite nel quadro, è chiaro che i millesimi di 15 si potrebbero 
sopprimere per le a aventi una somma di pesi minore di 40 0 50; 
ma ho voluto conservare quella 3% decimale sia per l’uniformità, 
sia perchè la si è conservata in altri cataloghi di ben minore 
precisione. 

Riguardo al sistema su cui sono poggiate le a da me date 
nel quadro, esso non è proprio quello di Newcomb, ma è questo 
sistema corretto; cioè la posizione dell’equinozio è quella. di 
Newcomb, ma le a delle stelle sono affinate e perfezionate, in 
modo da far sparire le sensibili divergenze o contraddizioni che 
il metodo dei minimi quadrati ha messi in luce sulle @ di 
Newcomb. La sorgente principale delle imperfezioni ora dette 
mi sembra si debba ricercare anzitutto nei moti proprì, perchè 
le a di Newcomb al 1875,0 sono certamente di grande preci- 
sione, non inferiore a quella del catalogo fondamentale di Auwers. 
Però quelle posizioni sono poggiate sopra osservazioni, in gene- 
rale, molto lontane dal 1900, e i moti proprî dati da Newcomb 
sono in molti casi difettosi. Ne segue che le a di Newcomb 
pel 1900,0 e più pel 1905,0, epoca cui corrispondono le a del 
mio quadro, hanno precisione sensibilmente minore delle @ 
al 1875,0. 

In quest'ordine d’idee dirò di un tentativo da me fatto per 
avere pei moti proprì dei valori, che forse si avvicinano alla 
verità più di quelli dati da Newcomb. Partendo dal principio 
che le a di Newcomb al 1875,0 sono d’indiscutibile precisione, 
sì da potersi ritenere in esse, per zone vicine all’equatore e ge- 
neralmente parlando, garantito quasi sempre il centesimo di 
secondo in tempo, e d’altra parte potendo io pure fare asse- 
gnamento sull’alta precisione delle mie a, le quali poggiano su 
di un sistema molto vicino a quello di Newcomb, ho stimato 
che, ridotte al 1905,0 le a di Newcomb con la sola precessione 
e variazione secolare, ecc., senza i moti proprì, e paragonatele 
con le mie anche al 1905,0, la differenza: Boccardi-Newcomb 
divisa per l’intervallo di tempo potesse darmi un buon valore 
del moto proprio. Poichè nelle a di Newcomb al 1875,0 si è 
tenuto conto del moto proprio e invece nel ridurre le mie' os- 


84 G. BOCCARDI 


servazioni al 1905,0 non ebbi riguardo ad esso, l'intervallo di 
tempo ora detto è per ciascuna stella la differenza fra l’epoca 
media di tutte le osservazioni da me fattene ed il 1875,0. I 
moti proprî dati nel quadro sono appunto ottenuti con questo 
procedimento. È però evidente che la 4* decimale è data solo 
per uniformità con altri cataloghi. 

S'intende che l’epoca media delle osservazioni di ogni stella 
venne da me calcolata con aver riguardo ai pesi delle singole 
osservazioni. Noterò pure che, percorrendo i saggi di osserva- 
zioni, dal semplice andamento delle a osservate in anni diversi, 
e ridotte all’istesso equinozio medio senza tener conto del moto 
proprio, questo viene in luce dalle sole mie osservazioni allorchè 
esso è di qualche entità. Così, per esempio, nelle osservazioni 
di 40y Capricorni, 3495 B. A. C., vPiscium, 13 Ceti. 


VI. Nel quadro dato in ultimo, che riassume i risultati delle 
mie osservazioni, la 12 e la 2% colonna contengono il nome e lo 
splendore delle stelle, com’è dato da Newcomb. La 3* dà le de- 
clinazioni approssimate al decimo di minuto primo, avuto riguardo 
anche al moto proprio quando occorreva. La 4° dà le ascensioni 
rette da me adottate in base alla discussione delle mie osserva- 
zioni. La 5% e la 6° dànno rispettivamente la precessione annua 
e la variazione di questa, in unità della 4% decimale di 18, per 
- 1 anno. Ho adottato questo metodo perchè dà risultati un 
poco più precisi dell’altro, in cui si adopera la variazione seco- 
lare. Questa variazione per + 1 anno venne dedotta dalla diffe- 
renza fra le precessioni annue al 1935,0 e al 1905,0. Sicchè a 
rigore quella variazione corrisponde al 1920,0; ma, salvo per 
le stelle circumpolari, si può con i miei dati della precessione 
trasportare le a del mio breve Catalogo ad un equinozio medio 
lontano di 60 e più anni, senza errare di 08,01. 

Il moto proprio dato nella 7? colonna è quello che venne 
da me calcolato come ho detto al N. V. Vengono in seguito: 
l'epoca media delle mie osservazioni relative ad ogni stella, la 
somma dei pesi di tutte le osservazioni per ogni stella, e da ul- 
timo le differenze fra le mie ascensioni rette e quelle di Newcomb 
e di Auwers per le medesime stelle. 


rr ____— _mm_m_m_mrror e '/'——" /——h———————41———_—_—T_T’rrrrrrrr"cr_’_—_etd( 5 


I. 


ASCENSIONI RETTE DI ALCUNE STELLE ‘FONDAMENTALI, ECC. 85 


Nota. — Mi è grato il dichiarare che il Dott. V. Fontana 
applicò a tutte le a apparenti delle fondamentali da me osser- 
vate la correzione necessaria per ricondurle agli equinozi medì 
del 1904,0, 1905,0 e 1906,0, e di questo aiuto io gli sono rico- 
noscente. Devo anche al Dott. F. Chionio la determinazione 
delle costanti in poche serate o corsi di osservazione. Tutto il 
rimanente, a cominciare dalle osservazioni e rilievi del crono- 
grafo fino alle medie fatte 4 volte, è opera mia. 


86 " G. BOCCARDI 


SAGGI DELLE, 


Nota. — Le a sono all’equinozio medio del 19: 0, o del 1905,0 SPPUTE del 1906,0 
il secondo numero è il giorno del mese. I piccoli numeri scritti dopo la cifra de 


Equinozio medio del 1904,0 


15 Vulpeculae 3 Aquarii 40Y Capricorni | 3495 B.A. 0. | 3495 B. A. 0. y Piscium 
1905 19%37"| 1904 20%42" | 1904 21%34»| Pass infer. (contin.). | 1904 23°12 
s s s 1904 22%15%| 1905 22%15" : 
6-28 8,84. | 7- 2 40,33. | 7- 5 40,432 s s 3 
q-1 8,84% 5 40,412 8 46,443 | 7- 3 46,92. |{10- 7 46,78 ù D oo 
2 8,803 8 40,313 16 46,453 4 46,83: 10 46,703 8- 8 I1/4I 
4 8,873 16 40,403 | 8- 8 46,43» 5 46,853 12 46,82 5 a 
g-10 8,82, | 8- 8 40,43: | 9-15 46,443 6 46,89. 22 46,72 12 11,34 
16 8,84, | 9- 4 40,392 20 46,38: 8° 46,86, 23 46,843 9-11 na bo 
22 8,91, II 40,372 27 46,414 9 46,992 27 46,792 15 11,36% 
27 8,853 I5 40,39 |1I1- 3 46,44 16 46,71, 28 46,843 20 11,490 
30 8,85: 18 40,413 5 46,41; 20 46,833 31 46,82 27 1139 
1o- 7 8,82; 20 40,443 24 46,423 | 8-8 46,86, |11- 8 46,773 | 10- 9 11/42 
12 “e. 22 40,403 26 46,44; 9 40,87: 9 dot, creek, 
22 8,75, 27 40,443 12 46,874 IO 46,753 da 
23 886; 10- 9 40,40; rig 9-15 46,85: 12 46,82, = 1 a 
27 8,90, |II1- 3 40,393 | 6-28 46,393 20 46,862 | 1906 26 1138 
28 8,83 5 40,40, | 7- 1 46,443 27 47,003 12- 9 11,39 
31 8,86, II 40,455 2 46,43; |10- 9 46,83: | 9-21 46,47; 13 1140 
11-8 8,84. | 1905 4 46,433 |I1I- 3 46,91 22 46,58, # n 
9 881, 7 46,422 5 46,883 27 46,79% 16 1141 
Io 8,81, | 6-28 40,40, 9 46,453 26 46,722 28 46,76, 17 a K 
12 889: | 7- 1 40,38, | g-10 46,46: |12-11 46,690 |11-8 46672 | 18 1r36 
1906 2 40,39 14 46,352 13 46,723 10 46,92; 20 11,39 
4 40,38; 16 46,40; I4 46,721 12 46,7% 23 11,434 
n- 6 8,81, 7 40,382 22 46,503 16 46,743 25 46,683 1139 
14 8,873 9 40,38, 27 46,422 I7 46,713 26 46,713 A 
16 8,86, | 9-10 40,31, |10-23 46,462 18 46,76» 28 46,383 
18 8,86; I4 40,41 27 46,43: | 1905 29 46,70; 


21 8,833 22 40,403 28 46,43; 
27 8,89 27 40,393 31 46,46; | 6-28 40,73 
9-22 8,86, |10-12 40,42, |1I- 8 46,40, | 7-1 46,773 


23 8,73: 23 40,293 9 46,39: 2 46,781 
27 8,873 27 40,343 IO 46,39% 4 46,74 
28 8,89; 28 40,3% 12 46,442 7 46,762 
I11-8 8,73: 31 40,36: | 1906 9 46,772 
Il 8,89, z1-B 40,40, QuIO 46,783 
12 8,89; 9 40,39; | 9-21 46,353 I4 46,752 
IO 40,43, | 11-28 46,49; 16 46,793 
12 40,46, 22 46,893 
27 46,81, 
1906 30 46,00 

7-14 40,273 

16 40,373 

18 40,353 

21 40,343 

27 40,443 

9-27 40,423 

28 40,353 

II- 8 40,39 

IO 40,353 

II 40,49% 


12 40,37 


|» ASCENSIONI RETTE DI ALCUNE STELLE FONDAMENTALI, ECC. 87 
SERVAZIONI 


gni data, il primo numero indica il mese col suo numero d’ordine nell’anno 
simi di 1°, in basso, rappresentano i pesi delle singole osservazioni. 


1905,0 1906,0 
3 Ceti 20 lieti 6 Sextantis ò Sextantis gI u Leonis 47 È Herculis 
4 0°30"| 1904 0848"| 1904 9%46”"| 1904 10.24") 1904 1132" | 1906 16045 
8 8 s Ss s s 
9 18,39. | 8-9 6,08; [12-13 26,83: |11-29 39,26, |12-13 5,093 | 3-27 45,4% 
2 18,39% 12 6,032 19 26,84, |I2-13 39,252 I9 5,98; 31 45,48; 
I 18,39. | 9- 2 6,032 22 26,823 IQ 39,243 22 5,08, | 4- 2 45,473 
5 18,33: II 6,02 23 26,874 22 39,29 23 5,995 7 45,523 
18,39» I5 6,092 | 1905 1905 1905 57 2 45,45 
7 18,372 16 6,11 3 45,463 
9 18,322 27 6,03. | 1- 8 26,87 | 1- 2 39,22. | 1-2 5,103 13 45,413 
I 18,331 |11-26 6,023 26 26,853 8 39,273 85,043 25 45,552 
7 18,48, 30 6,04 | 2- 6 26,813 II 39,21 II 5,09: | 6- 3 45,359” 
18,383 [12-11 6,0% 9 26,84, 12 39,154 I2l 5,0% 4 45,473 
3 18,3% 17 6,14% 10 26,83: 26 39,293 26 5,02; 6 45,424 
5 zo 6,06, 12 26,873 | 2- 6 39,193 | 2-6 5,10, I7 45,524 
23 6,003 14 26,813 8 39,24% 85,08, 23 45,473 
t 18,39: | 1905 16 26,893 IO 39,243 IO ‘5,13 25 45,45% 
2 18,373 26 26,89, 12 39,204 12 5,20; 26 45,45% 
3 18,35: | I-1 6,08; 28 26,85; I4 39,24 I4 5,123 28 45,39 
4 18,372 2 6,05, | 3-5 26,84% 16 39,234 I6 5,06, | 7- 6 45,4% 
5 18,42 3 6,07. 7 26,80: 26 39,23: | 3-5 5,104 8 45,424 
8 18,38; 4 6,104 8 26,833 28 39,20% SIR IA) 13 45,483 
9 18,434 8 6,07; IO 26,81, 37 5 39,193 8 5,043 I4 45,553 
o 18,38; 9 6,043 13 26,85, 7] 39,224 I7 5,0% I6 45,45% 
T 18,40, 10 6,04 I7 26,88, 8 39,233 26 5,063 18 45,42 
2 18,413 II 6,08, 25 26,90; IO 39,20: 30 5,09; 21 45,43 
7 18,41, I2 6,09; 26 26,853 13 39,29 | 4-1 5,14 27 45,464 
18,42, 13 6,06, 29 26,85, I7 39,223 12. 5,14 
6 9- 4 6,093 30 26,84 18 39,32 I7 5,1% 
10-27 6,1% 31 26,843 25 39,22 22 5,1% 
2 18,363 |12-26 6,07; | 4- 3 26,933 26 39,214 23 5,043 
7 18,39: | 1906 7 26,87, 30 39,264 26 5,16, 
9 18,403 8 26,84, 31 39,26: | 5- 7 5,04: 
o 18,38: | 1-2 6,00; I2 27,013 | 4- I 39,213 18 5,10, 
5 18,39 7 6,08; I7 26,86, 3 39,203 20 5,07% 
18,36, 9 6,08, 22 26,91 7 39,243 20 ISSIT 
18,374 I4 6,0% 23 26,80, 22 39,17% 
11-25 6,113 |II-10 26,852 23 39,314 
26 6,013 24 39,264 
26 39,174 


5_ 7 39254 


* 


Lone] 


o 0 co ai Vw 


Nome della Stella 


4165 B. A. C.. 
13 Ceti 

147 B Piscium . 
zo Ceti . 
83 t Piscium . 


89 / Piscium . 
98 u Piscium . 
106 v Piscium . 
111 £ Piscium 
78 v Ceti 


96 x Ceti 

1o Tauri. 

38.v Tauri . 
1235 B. A. C.. 

48, v Eridani 


57 M» Eridani 
22 0 Orionis 
158 H' Cephei . 
66 Orionis . 
18. Monocerotis 


17 8 Cancri 
' 4ò Hydrae 
) 18. w Hydrae . 
i © 22 8 Hydrae 
.| 29 v Ursae majoris. 


6 Sextantis ee 
3495 B. A. C. pass.® sup.° 

29 è Sextantis 3 

58 d Leonis 

74 ® Leonis 


gI v Leonis 
60 0 Virginis . 
82 m Virginis, 
92 Virginis . 
93 T Virginis . 
94 Virginis . 


G. BOCCARDI 


Grandezza 


1905,0 


Declinazione 
approssimata 


Ascensione 
retta 


hmes 
O.I4.24,IT 
0.30.21,44 ) 
0.43-23,9 0» 
0.48. 9,131 
I. 6.25,523 


1.12.53,837 
1.25.12,375 
1.36:29;165 
1.48.38,156 
2.30-53:204 


3-14-22,00 
3:32. 1,44 
3-58. 6,000 
4 6.3247 
4 31.34,29 


4.40:45,1001 
5-31 27,99 
5-59-57,14I 
6.42:54,43 


8.11.21,856 
8.32.37,68 
9. 0.58,352 
9. 925,36 
9-44.14,504 


9.46.26,8 
10.15.56,19 
10.24.39,235 
10.55-39,208 
IX.II1.49,930 


11.32. 5,995 
12.12.48,4II 
12.36.37,488 
12.51.37,400 
13.56.48,628 
14. 1.15,840 


ASCENSIONI RETTE DI ALCUNE STELLE FONDAMENTALI, ECC. 


89 


Precessione 
annua 


Variazione 


[E ie) 


+H+H+H++ +1111 


a 
- 
s 
- 


per + 1 anno 


Moto proprio 


—0,0854 
+0,0261 
--0,0496 

0,0003 
+0,0051 


_—_09,0047 
+-0,0193 
—0,002I 
-+0,0005 


—0,0013 


—+0,0177 
—0,0153 
+.0,0004 
-+0,0130 
—0,0002 


+0,0010 
--0,0006 
-+0,0163 
— 0,0017 
—0,0020 


—0,003I 
_0,0047 
— 0,0016 
+-0,0085 
—0,0376 


--0,0015 
—0,0895 
_—-09,0034 
—0,0007 
— 0,0070 


-0,0004 
—0,0018 
— 0,0622 
_—_9,0034 
-|0,0001I 


—0,0008 


Epoca media 


Z pesi 


i della R. Accademia — Vol. XLIII. 


Boccardi-Newcomb 


m 


—_0,33 


+0,038 
+0,024 
— 0,014 


| 
©) 
o) 
wo 
do 


— 0,042 
— 0,017 
—0,0I19 
— 0,032 
10,035 


— 0,012 
— 0,003 
— 0,015 
+0,02 

-+0,009 


—_0,003 
+0,020 
+0,11 

— 0,009 
-+0,006 


+0,013 
-+0,004 
— 0,012 
— 0,012 
-+0,022 


+0,012 
+0,073 
— 0,012 
+o,010 
-+0,006 


+0,012 
—0,0I5 
-+0,035 
— 0,014 
— 0,028 
+0,008 


Boccardi-Auwers 


nm 


G. BOCCARDI 
(Continuaz.) 1905,0 

Nome della Stella Grandezza Declinazione Ascension 

approssimata retta 

; o, bh mes 

25 p Bootis. 3,7 +30.47,3 14.27.44,1 
109 Virginis . VI t 2.17,6 14.41.26,71 

19 è Librae 4,9 — 8. 8,5 14.55-53,074 

3 Serpentis 5,4 t 5-17,5 15.10.27,9î 
32 u Serpentis 3,6 — 8.84 15.44-39,66 
50 0 Serpentis 4,8 + 1.15,1 16.17.15,5é 
10 À Ophiuchi. 3,8 t 2.115 16.26. 7,26 

47 k Herculis . 5,5 +.H2w7 16.45-:42, 
58 € Herculis . 3,9 +31. 4,0 16.56.39,36 
49 0 Ophiuchi. 44 “+ Bega 17.21. 48,0; ° 

62 Y Ophiuchi 3,8 + 2.44,6 IJ43- 0 
67 Ophiuchi 4,0 + 2.56,1I 17.55-53,2 
58 n Serpentis 34 — 2.55,4 18.16.23,6 
6 H Scuti . 4,3 — 4.510 18.42. 7,9 

63 9 Serpentis 4,3 +t 4. 4,8 18.51.20, 
21 Aquilae . 5,2 + 2. 7,9 19. 8.55,2 
55 n Aquilae . (var.) + 10.45;7 19.47.38,0 
60 B Aquilae . 3,9 + 6.10,I 19.50.38,8 
15 Vulpeculae 4,8 +27.29,4 19.57.11,3 

63 t Aquilae . 5,6 + (7.06 19.59-29,938] 

69 Aquilae . 5,2 — 3.12,I 20.24.41,1 
ì 34Aquari. 4,6 — 525,6 20.422.435 
8 a Equulei 4,È t 4-553 2I.II. 4,5) 
22 B Aquarii 3,3 — 8.594 21.26.33,5 

23 E Aquarii 4,8 — 8.16,8 21.32.41, 

40 Y Capricorni . 3,8 —17. 5,5 21.34.49; 

16 Pegasi 5,1 +25.28,7 21.48.44, 
31 0 Aquarii i 4,1 — 2.36,8 21.58.24,0 

3495 B. A. C. pass. inf 5,6 +84.44,1 22.15.56, 

62 n Aquarii i 4, — 0.36,4 22.30.28, 
73 } Aquarii 3,9 — 8. 5,1 22.47.35 
76 è Aquarii . 3,5 —16.19,9 22.49.36,5 
4 8 Piscium . 4,6 + 3.18,5 22.59. 2,5 

6 Y Piscium . 3,8 + 2.45,8 23.12.14, 

8 x Piscium . 5,0 + 0.44,I 23.22. SÌ 

1 72 Pegasi ; 5,2 +-30.48,1 23.29.14,î 
\ Piscium . 4,6 1.15,4 23.37.11 


ASCENSIONI RETTE DI ALCUNE STELLE FONDAMENTALI, ECC. 


Nu Precessione 
E 

(ov) annua 

Ò 


3,1033 
| 3,0778 


Variazione 
per +1 anno 


Moto proprio 


-+0,0023 


+0,0006 
+0,0001 
+0,0028 
+0,0051 
0,0000 


+.0,0009 
+0,0001 
-+0,0036 
-+0,0015 
+0,0071 


+0,0126 
—0,000I 
— 0,0006 
— 0,0867 
+0,0049 


— 0,0002 
— 0,0032 
-0,0002 
-+0,0508 
-0,0056 
+0,0033 
— 0,0092 


Boccardi-N ewcomb 


+ 0,012 
—9,0li 


— 0,008 
— 0,019 
—_ 0,053 
+0,16 

— 0,025 


— 0,012 
--0,004 
—0,018 
+0,021 
+0,002 
— 0,006 
— 0,006 


Boccardi-Auwers 


92 F. GIUDICE 


Una dimostrazione d’inseparabilità 
per radicali delle 27 rette di superficie cubica €). 
Nota del Prof. FRANCESCO GIUDICE. 


È 


Consideriamo l'equazione generale del 5° grado 
x° + ax + be? + ce +d=0 


ed indichiamo con s, la somma delle potenze m"° delle sue radici. 
Dalla trasformatrice 


yet) +(2-S)+v(e-3) 


venga essa trasformata nella 


y° + py° + gg +ry +s=0 


dove p, 9g, v, s sono forme quaternarie dei gradi 2, 3, 4, 5 nelle 
variabili \, u, v, w. Se le rette della superficie cubica q = 0 
sì potessero separare per mezzo dell’aggiunta di convenienti 
radicali al campo ordinario di razionalità, siccome una di tali 
rette incontrerebbe in quattro punti la superficie quartica 


sì potrebbe ottenere che la trasformata fosse 


2 
P+pe+Ey+s=0 
e questa è soddisfatta se 


y=a+d, ab=—t, a+b=—s, 


(*) Per indicazioni: V. p. es., Encyklopidie, I; Leipzig, B. G. Teubner, 
1898-1904; pag. 340, in nota 1183, e pag. 515, 519, 551. 


UNA DIMOSTRAZIONE D’INSEPARABILITÀ, ECC. 93 


cosicchè, se quelle rette si potessero separare col mezzo indicato, 
allora l’equazione generale del 5° grado sarebbe risolubile per 
radicali, perchè dopo l’accennata separazione non occorrerebbe 
che la risoluzione d’un’equazione del 4° grado. 

Il metodo seguito può suggerire facili dimostrazioni di pro- 
posizioni analoghe a quella presa ora in considerazione. 


Genova, Novembre 1907. 


uk ì 


94 


Relazione sullo Studio geologico del Prof. F. Sacco, col titolo: 
Il Gruppo del Gran Sasso d'Italia, presentato per la pub- 


blicazione nei volumi delle Memorie. 


L'elevato gruppo montuoso, studiato dal prof. SAcco, è uno 
dei più interessanti fra quelli, che costituiscono l'Appennino 
Centrale, per i caratteri geografici e per la sua costituzione 
geologica, in dipendenza della varietà di terreni, spesso fossili- 
feri, e della tectonica, non di rado complessa per contorsioni e 
fratture. 

Premessi pochi cenni generali e la bibliografia geo-paleonto- 
logica della regione, lA. passa alla descrizione dei terreni, dai 
più antichi ai più giovani, indicando, per ciascun orizzonte geo- 
logico, i caratteri orografici, litologici ed economici, nonchè 
quelli paleontologici e stratigrafici. 

L’Infralias (che più propriamente, per i suoi caratteri in 
questo caso, si direbbe etico), di poco spessore e povero di 
fossili, porge poco campo ad osservazioni. Il Lias invece è più 
largamente descritto, anche per la ricchezza in fossili, già in 
gran parte conosciuti per opera del CANAVARI. 

Più interessante ed esteso è il capitolo che tratta del 
Cretaceo, rappresentato da una serie molto potente, con fisionomia 
litologica e paleontologica assai diversa da luogo a luogo; 
calcarea o dolomitica, senza fossili o coi caratteri di un vero 
-calcare di scogliera assai fossilifero. Riguardo alla cronologia 
ed alla paleontologia, è da notare il fatto, che DA. crede di 
poter comprendere nel Cretaceo una estesa formazione ad el- 
lipsactinie, caratterizzata da una fauna abbastanza ricca, a cri- 
noidi, corallari e molluschi, che presenta stretta affinità, per 
non dire identità, con quella del Giura superiore e più precisa- 
mente colla fauna a facies titoniana di Stramberg e di Sicilia. 


95 


Noi ritehiamo invece, che questi calcari a facies titoniana di- 
mostrino la presenza del Giura fra la serie liasica e quella 
indubbiamente cretacea. 

Pure assai esteso è il capitolo relativo all’ Eocene, al quale 
l'A. attribuisce una serie straordinariamente estesa e potente, 
molto variabile di aspetto e di caratteri paleontologici nei varîì 
orizzonti e nelle diverse regioni. I fossili vi abbondano quasi 
dovunque, ed è notevole come nella parte inferiore, commisti 
con fossili di tipo eocenico, compaiano spesso resti, più o meno 
incompleti, di chamacee e rudiste cretacee, indicandoci un esteso 
fenomeno di rimaneggiamento, verificatosi al principio del pe- 
riodo eocenico. Anche in questo capitolo si nota un contrasto 
fra il riferimento cronologico ed i dati paleontologici, nel senso 
che lA. attribuisce all’Eocene estese formazioni calcaree e mar- 
nose, le quali, per i fossili inclusivi, sarebbero piuttosto da ri- 
ferire al Miocene, come altri infatti ritiene. Del resto è anche 
questa una questione aperta, alla quale l’A., pur seguendo un 
criterio geologico personale, porta, colle sue ricerche di fossili, 
un importante contributo coll’intento di avvicinarsi alla so- 
luzione. 

Nel capitolo relativo al Miopliocene, l'A. esamina i terreni 
del Miocene recente, estesissimi e potenti nella parte settentrio- 
nale ed orientale del gruppo montuoso, ma quasi senza fossili. 
Interessanti sono, oltre quelle delle solite lenti di gesso, le indi- 
cazioni di banchi o lenti estesissime di conglomerati fortemente 
cementati, spesso sollevati alla verticale, che attestano l’attività 
delle fluitazioni torrenziali, nelle regioni litoranee del Gran Sasso, 
verso la fine del periodo miocenico. 

Pochi cenni sono dati del Miocene propriamente detto, che 
appare per poco all’estremità orientale della carta geologica. 
Invece è assai esteso il capitolo, che riguarda i terreni quater- 
narî, specialmente del Plistocene, che VA. distingue in diluviali 
e glaciali. I primi sono molto estesi, colla solita facies conglo- 
meratica, passante però spesso a forme travertinoidi, ed in ge- 
nerale si appoggiano su depositi marnoso-argillosi, i quali 
accennano ad una fase lacustre svoltasi in molte ed estese zone 
sul principio dell’éra quaternaria. Quanto ai depositi glaciali, 
riesce interessante il loro sviluppo, notevole in parecchi punti 
della regione elevata del Gran Sasso, ed il trovarsi alcuni di 


96 


essi molto in basso sul versante settentrionale, è prova che 
quivi i ghiacciai sono discesi sotto i 1000 m. Fra questi depo- 
siti di origine glaciale, l’A. nota la frequenza, caratteristica per 
l'Appennino, di quelli a carattere misto, di morena e di frana. 

L’A. poco si estende riguardo all’Olocene, che comprende i 
depositi essenzialmente alluvionali o di falda della seconda metà 
del Quaternario; tuttavia si intrattiene a proposito dei fenomeni 
carsici, assai frequenti in queste regioni, e nelle masse calcari 
. del Mesozoico e dell’Eocene e nei conglomerati quaternari, dilu- 
viali e glaciali. 

La Memoria in esame può dirsi la descrizione ragionata della 
carta geologica, alla scala di 1:100.000, della regione del Gran 
Sasso, che l’A. ha rilevato e che pure presenta per la pubbli- 
cazione. Per verità l’una e l’altra avrebbero potuto avere un 
opportuno complemento in qualche sezione geologica ed in qualche 
profilo o paesaggio geologico, che esprimessero anche grafica- 
mente i concetti dell’A. sulla tectonica della regione, e che met- 
tessero in luce i più caratteristici rapporti tra la struttura 
geologica ed il modellamento oro-idrografico. Tuttavia la carta 
geologica e la descrizione relativa, nonchè le determinazioni 
paleontologiche, per le quali l'A. si valse anche del concorso di 
qualche collega, segnano un progresso nello studio e nella cono- 
scenza geologica di questo importante nodo di montagne, spe- 
cialmente per ciò che riguarda i terreni terziarì. e quaternarî. 

Noi quindi proponiamo l’accettazione della Memoria per la 
stampa nei volumi accademici. 


G. SPEZIA. 


C. F. PARONA, relatore. 


Ù uc diari rit 


Relazione intorno alla Memoria presentata dalla Dott* Efisia 
Fontana, intitolata: Ricerche intorno ad alcune specie del 
genere Elaphomyces Neé&(K. variegatus, E. granulatus e affini). 


Il lavoro presentato dalla Dottoressa ErrsiA FonTANA per 
la inserzione nei volumi delle Memorie accademiche, dal titolo: 
Ricerche intorno ad alcune specie del Genere Elaphomyces Nees 
(E. variegatus — E. granulatus e affini), si occupa dello studio 
di alcune Tuberacee, fra le più comuni e le più difficili ad essere 
scientificamente sistemate. 

Disponendo l'A. di grande quantità di materiali, provenienti 
da località differenti, riuniti dal sottoscritto relatore, in un pe- 
riodo di oltre un ventennio di ricerche, ha potuto meglio di 
qualsiasi altro studioso finora, riuscire a risultati i quali valgono 
a definire le molte controversie che duravano nella scienza in- 
torno al valore sistematico delle specie che formano l’importante 
tribù degli Elafomiceti dei gruppi variegatus e granulatus. 

Gli studi fatti dall'A. sopra i corpi fruttiferi di questi funghi 
portarono a conclusioni di non dubbio interesse, che qui rias- 
sumeremo brevemente : 

1° La massima importanza, per la sistemazione defferoppi 
ricordati, spetta ai caratteri del peridi0; mentre la gleba presenta, 
per le notevoli variazioni a cui va soggetta, durante lo sviluppo, 
caratteri poco costanti. 

2° Scarso valore si deve concedere ai caratteri peridiali 
relativi al colore, alla consistenza del corpo fruttifero; mentre 
costanti si dimostrano quelli che hanno riguardo alla struttura 
sottile, alla conformazione degli strati peridiali interni ed Hi; 
considerati, sia dal punto di vista delle loro funzioni, sia da 
quella delle loro relazioni anatomiche. 

3° Di notevole interesse sistematico risultarongi inoltre 
la forma dei rilievi peridiali, lo spessore del peridio, la presenza 
delle venature e delle reticolature. Lo 

4° La gleba ha caratteri di poca costanza, variando assai 
quelli che si possono desumere dal colore, dall’abbondanza o 
non del capillizio, dei sepimenti, ecc. 


98 


5° Le dimensioni delle spore, i caratteri del loro perinio, 
risultarono pure notazioni di qualche valore. 

Dall’esame comparativo di tutti questi caratteri e della loro 
subordinazione in ordine di importanza, l'A. assurge ad una clas- 
sificazione delle forme studiate, “ quale possiamo riassumere 
nello schema seguente : 


Elaphomyces aculeatus, Vitt. 


| [9 
V. citrinus, Vitt. E. mutabilis, Vitt. 
| 
E. papillatus, Vitt. 
| 


| | 
E. asperulus, Vitt. E. granulatus, Vitt. 
| 
| 


| | | 
E. reticulatus, Vitt. E. decipiens, Vitt. E. variegatus, Vitt. E. Hirtus, Tul. 


Una esatta revisione delle questioni che riguardano l’intri- 
cata sinonimia, rischiara molti dubbi e spiega i molti errori, 
che gli A., i quali si occuparono troppo superficialmente di questo 
argomento, a partire dall'anno 1831, epoca della comparsa della 
celebre Monografia di CARLO VITTADINI, avevano purtroppo in- 
trodotto nella scienza. 

Lo studio della Signorina Fontana ha importanza speciale, 
per ciò che ha riguardo a tipi vegetali interessanti anche dal lato 
della pratica della silvicoltura, vivendo essi in relazioni simbio- 
tiche colle radici di molte delle specie arboree dei nostri boschi. 

Due tavole ben condotte illustrano abbondantemente i par- 
ticolari studiati con esattezza e con un senso severo di critica. 

Il lavoro a cui attese con amore la Signorina Fontana è 
stato eseguito con molta diligenza, ed i risultati (che uno di 
noi ha potuto seguire e controllare) sono tali da potersi rite- 
nere definitivamente acquistati alla scienza. 

è pa ragioni noi crediamo di poter assolvere il com- 
pito che ci avete affidato, dichiarando il lavoro della signorina 
Fontana meritevole di essere accolto per la pubblicazione nei 
volumi delle Memorie accademiche. 


C. F. PARONA. 
Oreste MartIROLO, relatore. 


ui 
BEPPO LEVI — SAGGIO PER UNA TEORIA ARITMETICA, ECC. 99 


Saggio per tna teoria aritmetica 
delle forme Wiche iernarta0): 


Nota 2° di BEPPO LEVI, a Cagliari. 


è 
I sistemi finiti di soluzioni razionali, 
razionalmente indipendenti. 


Riferiti i punti di una cubica piana a coefficienti razionali 
ad un parametro ellittico, per modo che la somma dei valori del 
parametro in tre punti allineati sia nulla, a meno di periodi, si è 
già osservato nella Nota I (n. 11) che da un punto assegnato A 
si deduce razionalmente soltanto un numero finito di punti della 
cubica, sempre e solo quando il parametro ellittico del punto A 
è una parte aliquota d’un periodo. 

Nella presente Nota vogliamo studiare un poco le condi- 
zioni in cui un tal punto può essere razionale e le configura- 
zioni di punti razionali razionalmente dedotti da esso, sopra la 
cubica. 

Incominceremo con alcune considerazioni generali sopra 
queste configurazioni. Nei n! 1-4 l'ipotesi che i punti in que- 
stione siano razionali passerà spesso in seconda linea. Sarà es- 
senziale che si tratta di sistemi finiti di punti razionalmente 
dedotti da uno solo (conveniente) di essi. 


1. — Se è finito il numero dei punti della cubica razio- 
nalmente dedotti da un suo punto A, sarà in particolare finito 
il numero dei punti dedotti da A con sole successive operazioni 
di tangenziali. Ma è facile vedere che la proposizione si inverte. 

Una successione di tangenziali sopra la cubica può aver ter- 
mine per due fatti: o perchè un ultimo punto ottenuto sia un 


(*) Questa Nota fu presentata e approvata nell’adunanza 13 maggio 1906. 


» hi 
100 BEPPO LEVI 
flesso, o perchè tale ultimo punto abbia per tangenziale uno dei 
punti ottenuti precedentemente. 

Se a è la coordinata ellittica del punto A, quella del suo 
tangenziale sarà — 2a; la successione dei tangenziali ottenuti a 
partire da A avrà dunque termine sempre e solo quando esiste 
un numero u tale che, w essendo gin conveniente periodo del 
parametro ellittico ed £, £' due suoi periodi primitivi indi- 
pendenti, 


(1) (— 2) a= (mod. 9,9), 
dA a 
ovvero esistono due numeri u, v (u=v)(*) tali che 
(2) (2)! a=(— 2) a (mod. 2, 2); 
e la successione terminerà nel primo caso con un flesso, nel se- 
condo col ritrovarsi il punto di parametro (— 2) a (già incon- 


trato precedentemente) come tangenziale del punto (— 2)! a. 
Nell’uno e nell’altro caso esiste un periodo w' tale che 


(1) (-9ea=" ovvero (2) (- 9 a=(- 2a 


on papa w' 
n @)a=Tgeanzioag: 


Si osservi che si può sempre supporre w' non divisibile per 
2 (mod. ®, 2'), altrimenti la successione di tangenziali avente 
per origine A si sarebbe arrestata prima di giungere al punto 
di parametro (— 2)f a. 

Le (1’), (2") dimostrano la proposizione annunciata che, se 
la successione dei tangenziali derivanti da A è finita, a è parte 
aliquota del periodo, ma ci permettono ancora alcune osserva- 
zioni notevoli. 

Si ha 


21 (-9=(-2.((- 244 
—(-2).3.[(- 2) +(- 29814 ....] 


(*) Anzi u=v +2 come tosto sì vedrà. 


€ 
TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 101 


e si noti che, poichè nell'ipotesi delle formole (2), (2'),... sì sup- 
pone che il punto di coordinata ellittica (— 2)'a sia il tangen- 
ziale del punto (— 2) a, diverso da questo, non potrà a sua 
volta questo esser tangenziale del primo e sarà quindi u—v22: 
ne segue che l’ultimo fattore di (— 2)“*! — (— 2)” non è mai 1, 
nè è multiplo di 2, perchè tutti i suoi termini sono pari tranne 
l’ultimo che è 1; e quindi la successione dei tangenziali avente A 
per origine terminerà con un flesso sempre e solo quando il deno- 
minatore del parametro ellittico di A (per ipotesi parte aliquota di 
un periodo), all'infuori di un fattore 3 non possiede che fattori 2. 
Se invece tali altri fattori esistono, la successione di tangenziali ha 
termine perchè alcuni (gli ultimi) di essi si incatenano in poligono 
chiuso; i vertici di questo poligono abbracciano tutti î punti consi- 
derati (incluso A) ovvero no, secondochè v= 0 ovvero v > 0, cioè 
secondochè il detto denominatore non contiene ovvero contiene il 
fattor 2; e nella seconda ipotesi il numero dei punti che non sono 
vertici del poligono è precisamente uguale al numero di questi fattori 2. 

A maggiormente chiarire queste osservazioni è utile notare 
ancora che, quando la coordinata ellittica di un punto A è una 
parte aliquota d’un periodo, si può sempre supporre che il denomi- 
natore possegga il fattor 3; infatti i parametri ellittici di tutti i 
punti della cubica possono sempre alterarsi tutti per una stessa 
costante additiva: volendo conservata la condizione che sia nulla, 
a meno di periodi, la somma dei valori del parametro in punti 
allineati, tal costante dovrà essere una terza parte d’un periodo, 
del resto qualunque. L’aggiunzione d’una tal costante porterà 
nel denominatore il fattor 3, qualora non esistesse. Questa ipo- 
tesi sarà mantenuta nel seguito per evitare la ripetizione della 
stessa configurazione, sotto denominatori diversi. 


A . wW 
2. — Indicheremo dunque in generale con a =; la coor- 


dinata del punto A. La proposizione or ora enunciata circa la 
forma della successione dei tangenziali a seconda che # è potenza 
di 2 o non, ci conduce a distinguere le configurazioni di punti 
razionali d’una cubica, razionalmente dedotti da un punto A, in 
due tipi principali: 

Configurazioni arborescenti corrispondenti a t potenza di 2. 
Porremo t= 2*; il nome adottato sarà più completamente giu- 
stificato fra poco. 


$ 


* Lei 


102 BEPPO LEVI 


Configurazioni poligonali corrispondenti a t non potenza di 2. 
Distingueremo in configurazioni poligonali semplicî. o miste a 
seconda che # possiede oppur no fattori di 2. 

Si presentano*qui opportune alcune altre considerazioni ge- 
nerali. 


8. — Configurazioni arborescenti. — È noto che sopra ogni 
cubica, se CBA sono punti tangenziali ciascuno del successivo, 
e se B, è un altro punto avente per tangenziale C, la retta AB, 
taglia ulteriormente la cubica in un punto A; avente pure per tan- 
genziale B (*). La proposizione risulta ancora vera se, C essendo 
un flesso, si fa coincidere B, con C. 

Supposto allora t= 2°, si chiamino A, A4;; 4g; ..., Ayi 
punti ottenuti con successive costruzioni di tangenziali, a par- 
tire da A; A, sarà flesso. La proposizione ricordata mostra che 
la retta A,-, A, taglia la cubica in un punto A',_, avente per 
tangenziale A,_,. A sua volta A,_; A',_» taglierà la cubica in 
A',-3 avente per tangenziale A,_s e così via. Se i punti A, 
A;, ...; 4, sono razionali, tali saranno pure A',_3, A”,_g;.4> 
onde risulta intanto che ogni punto della catena A, Ai, ... A, 
tolto il primo e l'ultimo, è tangenziale di un secondo punto razio- 
nale. Si giustifica così il nome adottato per la configurazione. 

La proposizione sopra ricordata è un caso particolare di 
quest'altra: che se tre punti sono allineati, anche i loro tan- 
genziali sono allineati. Si supponga che uno dei tre punti sia 
un flesso: si avrà che i tangenziali di due punti allineati con 
un flesso sono ancora allineati con questo; cosicchè le congiun- 
genti di A, con A, A;, ...., A,-s taglieranno la cubica in punti 
A', A',; ..., 4’, (quest’ultimo è il punto A',-s precedente- 
mente trovato) anch'essi razionali ed aventi ciascuno per tan- 
genziale il successivo. La catena A’, 4‘, .-- 4',-3} 4y-1,°4, ha 
comportamento affatto analogo a quello della catena A, A, ..., 
A, ed ogni suo punto diverso da A' sarà quindi tangenziale, 
oltrechè di quelli ora trovati, di un altro punto razionale. Ma 


(*) La proposizione risulta immediatamente dalla rappresentazione per 


coordinate ellittiche. Se a, — 2a, 4a, — 2a---; sono le coordinate ellit- 


tiche di A, B, C, B,, la coordinata di A;y sarà a + » 


n rn 


TEORIA ARITMETICA DELLE PORME CUBICHE TERNARIE 108 


con tutta generalità si può affermare che ciascun punto razionale 
della configurazione il quale sia tangenziale di altri punti razio- 
nali e non sta il flesso À,, è precisamente tangenziale di 2 di questi 
punti e ad esso vengono a far capo due diversi rami della confi- 
qurazione, fra loro completamente identici per quanto riguarda. le 
relazioni di allineamento e di tangenzialità dei loro punti. Per 


mostrarlo basta osservare che i due punti di coordinate ellittiche 


kw kw w z mi i. Lelio 
SRG o: + di (p < 4, & dispari), i quali hanno lo stesso p -* 


kw ì È 
3 esistono o non esistono con- 
3.24-P, 
temporaneamente (per una conveniente determinazione del se- 
gno -+-) nella configurazione considerata. Infatti si ha 


tangenziale (i punto (— 1)° 


wW wW w 
36 = 3.271 3. gp=1) 


si supponga quindi che si agania, esser punto razionale della 


cubica il punto KX di coordinata e siano A; e A;+1 i punti 


3, va 


della successione A, A;, ..., A, di coordinate (— 1)? Da: 


(— 1) 5 x (e essendo uno conveniente dei numeri 0,1). Sia 


H il 3° punto di intersezione della cubica con la retta KA;, 


la sua coordinata ellittica sarà — cor — (1) Suini Se quindi 
K' è il 3° punto d’intersezione della cubica colla HA;1, la sua 
coordinata ellittica sarà Ri 60) stat | uan (1) RI) 
af) gu|= — RES Lfoeayre e K' sarà punto razionale. 

4. — Config I poligonali. — Se la coordinata ellittica 


del punto A è 2A primo con 2), le coordinate ellittiche dei 
punti ottenuti di A con successive determinazioni di tangen- 
ziali sono della forma di dove % è primo con 3t; tali punti 
sono vertici di un poligono di tangenziali che avrà p vertici, 
se p è il primo numero [divisore di (34) (*)] tale che 


(*) Dove @ denota, secondo l’uso, la funzione d’Eulero. 


Ma 
104 BEPPO LEVI 


(— 2)) = 1 (mod. 37). Insieme con questi punti si potranno pre- 
sentare altri punti razionali, razionalmente dedotti da essi, ri- 
correndo, oltre che alla determinazione di tangenziali, a quella 
di terze intersezioni della cubica con rette congiungenti due suoi 
punti razionali già noti. Fra questi punti potrà esistere un flesso 
così per # = 5, 7, 11,...(*)], ovvero potrà non esistere (così per 
t=3,9,...); potranno inoltre esistere punti vertici di altri po- 
ligoni di tangenziali; se la coordinata ellittica di un tale ver- 
mu 
3t 
di allineamento e numero dei vertici, se » è primo con t; in 
caso contrario avrà minor numero di vertici. Avviene il primo 
caso per #= 11; il secondo per t= 15. 

Se poi la coordinata ellittica del punto A è della forma 


tice è il nuovo poligono sarà analogo al primo per relazioni 


ai (t' primo con 2), soltanto dopo aver determinato, a par- 


tire da A, v tangenziali successivi sì giungerà ad un punto A,, 
w 
38? 
Col punto A, si presenterà tutta una configurazione del tipo 
poligonale identica a quella che si otterrebbe nell'ipotesi che 


di coordinata (— 1)" vertice di un poligono di tangenziali. 


= fosse la coordinata ellittica del punto A. Questa configura- 


zione poligonale semplice può chiamarsi wucleo della configura- 
zione poligonale mista che si sta considerando. 

Riguardo alle configurazioni poligonali miste possono farsi 
considerazioni analoghe a quelle fatte per le configurazioni ar- 
borescenti. Si osservi anzitutto che, fissato un p arbitrario < v, 
esiste sempre un A > p e un (sempre, ben inteso, numeri 
interi) tali che 34 +-1=(— 2) (*#). Il punto di coordinata 


ellittica (— 1)\-e SRI 


379? sì ottiene allora con successive co- 


struzioni di tangenziali dal punto A di coordinata Del 


Mii 
SB 


(*) Senza preoccuparci per ora della possibilità di queste configura- 
zioni, in quanto esse siano costituite di punti razionali. — Di ciò ci occa- 
peremo in una prossima nota. 

(**) Si ricordi infatti che, pel teorema di Fermat, esiste un intero / 
tale che (— 2) = 1 (mod. #); basterà prendere per ) un multiplo conve- 
niente di /. 


& 
TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 105 


pari con successive costruzioni di tangenziali si ottiene da A 
> dai Lib 
il punto (— 1) nt 


Ciò posto, si supponga che appartenga alla considerata 


configurazione di punti razionali il punto di coordinata 3g 


apparterrà pure alla configurazione il punto di coordinata 


kw fe [® E — kw — R5). d- 
gar 1 ( 1) sa IA un 528 rl 


il quale si ottiene con due successive determinazioni di terze 
intersezioni della cubica con una retta congiungente due suoi 


unti razionali, cioè i punti ia rima, e il punto 
p p 3.20re P P 


3. mis lr 


ottenuto e (— 1)'-* Li fe 


Questa constatazione, analoga a quella con cui finisce il n. 3, 
ci permette di giungere, per le configurazioni poligonali miste, a 
conclusioni analoghe a quelle che, per le arborescenti, hanno 
fatto oggetto di detto n°. 


Si supponga anzitutto che il punto — ma sla tangenziale 
d’un altro punto della configurazione e non appartenga al nucleo 


(cosicchè sarà & = tn k,v—-1>u>0,#' dispari) e si assuma 
p="1; il punto zi I — (— Dei avrà lo stesso tangenziale 


3 del punto 3 Sia 
se un punto che logi successione di tangenziali preceda (immedia- 
tamente o non) un vertice del nucleo (e non appartenga al nucleo), 
è tangenziale d’un altro punto della configurazione, alla configu- 
razione appartiene un altro punto razionale che ha lo stesso tan- 


genziale. Si faccia inoltre, più generalmente, p<v—1 e si 


(e non apparterrà al nucleo) cosicchè, 


supponga sempre che il punto (— 1)? ; non appartenga 


CW 
3.221 
al nucleo (vale a dire che u < v — n si otterrà che, pel fatto 


che il pento (— 1) ? sia appartiene ad una successione di tan- 


genziali della configurazione, non appartenenti al nucleo, a questo 
punto vengono precisamente a far capo due rami arborescenti simili 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. LI 


106 BEPPO LEVI 


fra loro. Cosicchè, se un vertice del nucleo è estremo d’una suce- 
cessione di tangenziali, contenente più di un punto che lo pre- 
ceda, esiste tutto un sistema di punti razionali di configurazione 
analoga ad una arborescente (e precisamente a quella che cor- 


DS 


risponde al parametro ellittico iniziale è il pa- 


w w 
3.21 5° 3.2 
rametro iniziale della configurazione studiata) che conducono 
ad esso con successive determinazioni di tangenziali. Di più un 
analogo sistema di punti razionali (di identica configurazione) esi- 
sterà in corrispondenza ad ogni altro punto del nucleo che si deduca 
razionalmente da esso. Ciò consegue ancora immediatamente dalla 
formola trovata STI TARA per i punti che appartengono col 


punto (— 1-45 a 7 (il quale appartiene al nucleo e deriva per 


7 | sstà k 
una successione di tangenziali dal punto pa) allo stesso po- 


ligono del nucleo, ove si lasci prendere a p valori > v— wu: ma 
risulterà anche più facilmente per tutti i vertici del nucleo dalla 


osservazione seguente. Sia la coordinata ellittica di 


Pie 
n ni 
un punto non appartenente al nucleo (sia quindi u1<v— 1); si 


chiami 4 il punto di coordinata (— 1)! 52 


terrà al nucleo ed è il primo punto del nucleo che derivi per 


il quale appar- 


3, ge se 7: Sia A; un altro 
punto del nucleo che si deduca razionalmente da A e che po- 
trebbe coincidere con A, e A, un punto che appartiene al nucleo 
in quanto appartiene alla AA; (eventualmente, in quanto è tan- 
genziale di A). A partire da A. si percorra il poligono. del nucleo 
cui A; appartiene in senso inverso alla generazione (passando 
cioè da ciascun vertice a quello di cui esso è tangenziale) fino 
al vertice che rispetto ad A;, in tale ordine, ha lo stesso numero 
d'ordine che il punto di parametro sa rispetto ad A. La 
congiungente il punto ottenuto col detto punto di parametro 


kw TGA x : : 
FEST] taglierà la cubica in un punto razionale, non appar- 


costruzioni di tangenziali dal punto 


tenente al nucleo (perchè vi appartiene il primo e non vi ap- 
partiene quest’ultimo punto); ed applicando replicatamente il 
fatto che i tangenziali di tre punti allineati sono allineati, si 


asi 
ar. 
(Potrebbe eventualmente A, esser flesso: il poligono di tangen- 
ziali da percorrersi si ridurrebbe ad A; medesimo). 

Si ottiene in particolare che, se il nucleo contiene un flesso, 
questo è estremo di un ramo appartenente alla configurazione iden- 


tico alla configurazione arborescente corrispondente al parametro 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 107 
mostra che una successione di tangenziali identica a quella che 
conduce ad A, conduce dal punto trovato a A,. 


Pale, PREDA: (00) 
ellittico iniziale so 


5. — Si chiami generalmente di nuovo n parametro el- 


littico del punto iniziale della 10r00 NIRO dC t>4 la 
configurazione contiene almeno 4 punti distinti, tangenziali 


ciascuno del precedente. Siano A(3). Ai (- I), Ag (FE): 


Az (- a So). Assoggettando al più la cubica ad una trasformazione 


di coordinate a coefficienti razionali (questi punti essendo ra- 
zionali), si può supporre che essi siano i tre punti fondamentali 
e il punto unità del triangolo di riferimento. E precisamente, 
essendo x y2 le coordinate omogenee, sia 


A=(100) A,=(001) A4,=(010) A4;=(111). 

L'equazione della cubica diverrà 
(1) y° (e - 2) — ye[ax — (a4 bd) e] — bee? =0, 
ovvero, in coordinate non omogenee (ponendo 2—= 1), 

(1) y (e-1)—yr[axr — (a+ d)) — be=0. 

I coefficienti «4 e d saranno da scegliersi arbitrariamente 
razionali, e sempre si avrà una cubica razionale in cui i punti 
AA,AsgA; sono ciascuno tangenziale del precedente: ma ad essi 
non corrisponderanno in generale i parametri ellittici indicati. 


Perchè ciò sia occorre che, proseguendo (ove occorra) nella co- 
struzione di tangenziali successivi, a partire da essi, si giunga, 


108 BEPPO LEVI 


dopo un numero di operazioni determinato in funzione di #, al- 
l’arresto o*per incontro di un flesso o perchè si ripassi per un 
punto precedente [ed il valore di # determina pure quale dei 
due casì si verifichi e nel secondo qual sia il punto per cui sì 
ripassa (n. 1)]; esprimendo questi fatti analiticamente sì ottiene 
così fra a e è una equazione determinata per ogni valore di #. 
Il problema nostro si riconduce così a sapere quando tale equa- 
zione ammetta soluzioni razionali, e quali esse siano. Noi pas- 
seremo ad esaminarlo pei primi valori di #. 

Per quanto seguirà è utile intanto osservare che coi punti 
AA,A3A4;3 si presenteranno sempre altri due punti razionali, nelle 
intersezioni della cubica colle rette AA, e 4,43. Hanno per 
coordinate: quello sulla AA4y 


(2) y=ar Me 
quello sulla A, 43 
(3) a=y==_3®. 


Sistemi finiti di punti razionali a configurazione 
arborescente. 


6. t=2°=1. - Il punto À di coordinata ellittica 7 è 


un flesso: da esso non si deduce razionalmente alcun altro punto 
della cubica. 

Esistono cubiche che hanno un solo punto razionale, necessa- 
riamente flesso. La più semplice è la cubica 2x3 + y8 = 52% col 
flesso razionale « = — y, = 0; essa è il primo elemento di 
una serie infinita di cubiche della forma x3 + y° = «23 che for- 
nisce un teorema del P. Pepin (*). 

Chiameremo configurazione A (0) quella qui ottenuta, costi- 
tuita da un flesso razionale d'una cubica, non tangenziale di altri 
punti razionali. 


LI 


(*) Perin. Sur la décomposition d'un nombre entier en une somme de deux 
cubes rationnels. Journal de Liouville, 1870. 


den 


I TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 109 


Ti t=2. - Il punto A di coordinata ellittica n ha per 


» 
ù 


tangenziale il flesso 3: è questo l’unico punto dedotto razio- 


nalmente da A. 

Esistono cubiche che hanno due soli punti razionali, un punto 
A e il suo tangenziale, flesso. Tale è la cubica 22x +4 229? — 
— 8x3 =0 (u intero) col punto razionale «=y=0 e il suo 
tangenziale «x =2=0 (tangente di flesso e = 0). Se infatti si 
risolve l'equazione rispetto a 2 si ha: 


_ My + Vuty' + 322 


2 
2x 


Il radicando (uy)t + 2(2x)* non può esser quadrato per nessun 
valore intero di x,y per cui 2 ==0 (*). 

Chiameremo a (1) la configurazione di punti razionali ora 
descritta. 


8. t=4. - Dal punto A di coordinata ellittica ù si 


. . a . COAT. w 
deducono razionalmente i tangenziali successivi. A, (— nl 


Ag (5 flesso) e il punto A' (— 35 sulla retta AA, il cui 
tangenziale è ancora A, (cfr. n. 3). 

Esistono cubiche con 4 e 4 soli punti razionali formanti la 
configurazione ora descritta; tal configurazione si chiamerà A (2). 

Che esistano cubiche a coefficienti razionali su cui 4 punti 
razionali abbiano la distribuzione nominata, è evidente, ove si 
osservi che l’assegnare i punti AA; colla condizione che cia- 
scuno abbia come tangenziale il punto successivo e l’ultimo sia 
flesso, assegnando pure, volendo, la tangente in questo, equivale 
ad imporre alla cubica 7 sole condizioni. La razionalità di A' 
è conseguenza di quella dei punti assegnati. 

Ma esistono cubiche che non posseggono altri punti razionali 
che i 4 nominati, come mostra l’esempio 


2 — 2a —y)2+ ee yy) =0. 


(*) Eurero. El. d’algèbre. Vol. 2, Chap. 13. — Lecenpre. Th. d. nombres. 
IV Partie, $ 1, p. 343. 


110 BEPPO LEVI 


Per questa cubica i punti indicati sopra con A A'A;, A; sono 
rispettivamente i punti (110) (1-10) (001) (010); e su 
di essa non esistono altri punti razionali; si risolva infatti 
l'equazione rispetto a 2; si ottiene 


ce_-SPt+tVy_a 
= . 


B's 


Ora è noto (*) che non esistono interi che rendano y4 — x4 
quadrato esatto, altro che quelli per cui *=0 ovvero # = +y 
(cui corrispondono i punti A A' A, 4, sopra indicati). 


9. t=8. - Dal punto A di coordinata ellittica » si de- 


ducono razionalmente i tangenziali successivi A, (È Hol As|g n), 


As i si flesso ) ed i punti A' (57) sulla retta AA, A"' (— sr) 


24 
A ; r (5Ww i rr 11w 
sulla retta AA,, A', | o) sulla retta AyAg, A"(— E 


AA'. A'e A" hanno per tangenziale A',, e questo ha per tangen- 
ziale As; A" ha per tangenziale A,. Ciascuno dei punti A', A", 
A"' è quindi origine d’una poligonale di tangenziali simile a quella 
che incomincia in A e tutte terminano al medesimo flesso As 
(cirim. 3); 

Esistono cubiche a coefficienti razionali su cui una tal confi- 
gurazione è costituita da punti razionali. 

Invero è condizione necessaria e sufficiente pel presentarsi 
di tal configurazione che in una cubica (1) (n. 5) il punto 
Az = (1,1,1) sia un flesso (cfr. ni 1, 3). Ora esprimendo che 
(1, 1,1) soddisfa all’equazione dell’hessiano di (1) si ha l'equazione 


Dr) sulla retta 


b(b-+a?—3a+2)=0. 


Dovendosi escludere la soluzione 4 — 0 cui corrisponde la 
cubica degenere y (e — 2)(y — ax) = 0, si ottiene 


(4) b=—-{a—-1)(a— 2) (a == 1,2), 


(*) LeGenpre. Th. des nombres. — Encyklopàdie d. math. W. IC1. 
Bd 1, - p. 578. 


| TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 111 


i condizione che si soddisfa evidentemente in numeri razionali, 
assumendo arbitrariamente (razionale) la a. 
Chiameremo (3) la configurazione di punti razionali ora 
analizzata. 


10. t= 16. - Se ad un punto della cubica appartiene 
w 


il parametro jr: 


1 tangenziali successivi dedotti da esso hanno 
w w w w 
pro gi 
un flesso. Dimostreremo che una tal successione di punti sulla 
cubica razionale non può essere razionale. Attenendoci stretta- 
mente alla rappresentazione adottata nel n. 5, l'ipotesi presente 
equivarrebbe a questa che il tangenziale del punto A; sia un 
flesso. Ma se la successione nominata di tangenziali, potesse 
essere costituita di punti razionali, mediante una trasformazione 
di coordinate a coefficienti razionali si potrebbe portare i punti 
(100) (001) (010) (111) rispettivamente nei punti di coor- 


dinate ellittiche —2, 3, —&. 3; 
flesso. L'equazione della cubica assumerebbe allora la forma (1) 
colla condizione (4) (n. 9) e, conservando pei punti nominati le 
notazioni dei n' 5, 9, l'ipotesi presente equivarrebbe a supporre 
che il primo di essi, A, sia tangenziale di un punto razionale P. 

Dalle considerazioni generali del n. 3 risulta che A e A; 
sono allora tangenziali rispettivamente di altri punti razionali P° 
e A" allineati col punto P. Si osservi che per lo stesso punto A" 
passerà pure la congiungente gli altri due punti di contatto 
della cubica colle tangenti da A (diversi dai punti Pe P' e non 
necessariamente razionali); questa retta insieme colla PA” co- 
stituisce quindi una conica degenere appartenente al fascio di 
coniche avente per punti base i punti di contatto delle tangenti 
alla cubica da A. E se, come qui si vorrebbe supporre, Pe P' 
sono razionali, una e quindi entrambe le rette di cui si compone 
questa conica debbono essere razionali. Così, affinchè esista la 
configurazione di punti razionali che qui si suppone, è necessario: 
1° che nel nominato fascio la conica (degenere) passante per A” 
(e che lo avrà come punto doppio) si componga di due rette ra- 
zionali; 2° che una di queste due rette tagli ulteriormente la 
cubica in due punti razionali. 


per parametri rispettivi — e quest’ ultimo è 


l’ultimo dei quali è un 


112 BEPPO LEVI 


Al nominato fascio di coniche appartiene la conica polare 
del punto A4=(100) rispetto alla cubica (1); cioè [a causa 
della (4)] la i 


(5) y—y[2ar+ (a —4a-42)2]+(a—-1)(a—2) 22=0 


ed appartiene pure la conica che si ottiene sottraendo da (1) 
la (5) moltiplicata per x, e sopprimendo quindi il fattor y che 
viene a comparire nel 1° membro della differenza; cioè la 


(6) ya ax =0. 


Per ottenere le coordinate del punto A" basta ricordare le 
coordinate di A’, già ottenute al n. 5, che, tenendo conto della 
condizione (4), divengono [1, 1, — (a — 2)], e tener presente l’al- 
lineamento dei punti A A’, A; la retta che li contiene ha per 
equazione y-+ (a —2)az=0. Tenendo sempre presente la (4) 
si trova come terza sua intersezione colla cubica (dopo A, A',) 
il punto A" =(1, —a(a — 2), a). L'equazione della conica del 
fascio (5) (6) passante A” risulta allora 


y° — 2axy 4-2(a—1)y—a?(a—2)x°-+(a—-1)(a—2)a2=0 


ossia 


umore Va=datlo=1 —Va—-1)2]=0. 


Le due rette che la compongono saranno razionali quando sia 
razionale Va — 1. Per la nostra cubica sarà dunque 


a-1l=e? a=c2 +1 b=—e (2-1) 
e le due rette nominate diverranno 
(7) y-(0+1)(1t0)x+(+0)2=0. 
Ammettendo che c possa essere positivo o negativo si potrà 


sopprimere il doppio segno in questa equazione, e dall’equazione 
risultante considerar rappresentata una qualunque delle due 


| TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 113 


rette: noi fisseremo di scegliere il segno inferiore. Le interse- 
zioni della retta (7) colla cubica, fuori di A" saranno allora 
determinate dall’equazione 


(C+ 1) 2 + (ec* + 1)(c-1)ex2z + el(ec—-1)ae8=0 


e saran punti razionali se sarà quadrato il discriminante di 
questa: 


A=(®+1)(-1)((®+1)(—1)—4]= 
= (2 + 1)(c —1)(c — cè — 3Be-1). 


Si ponga e=î , d ed e primi fra loro, e > 0; dovrà risultare 
quadrato esatto il prodotto 


(4°? + e2) (dA — e) (43 — d?e — Ide — &) = 
= (d° + e)(A — )(A+e)(d° — 2de — e). 


Ora, si vede tosto che, dovendo essere primi fra loro d ed e, 
saranno pur tali a due a due i quattro fattori di questo pro- 
dotto, oppure avranno il comune divisore 2. Nella prima ipo- 
tesi debbono essere essi stessi, individualmente quadrati; nella 
seconda ipotesi, d ed e dovranno essere dispari e quindi 
d? |< et = d? — ee — 2de="2 (mod. 4), cosicchè saranno qua- 

. +e d'—e —2de 
drati Le 3 : 
timo pari. 

Nella prima ipotesi dovrebbe essere quadrato di — et = 
= (d° + e2) (A+ e) (A — e); ora è noto che non esistono numeri 
interi di cui la differenza delle quarte potenze sia un quadrato 
(la soluzione e = 0 essendo già esclusa per ipotesi); tale ipotesi 
è dunque assurda. 

Nella seconda ipotesi, indicando con è? / m numeri interi, 
dovrà essere 


(8) dte=2i dT_-e=20? dt — 2deT—-e —=2m?; 


d? — e?: i primi due dispari, l’ ul- 


i, I, m saranno primi fra loro a due a due e con dede. L’ul- 
tima equazione può scriversi: 


24? — (d-+ e = 24? — 4it=2m? 


onde 
d? — mè == DA. 


114 BEPPO LEVI 


d—-m e d-|--m debbono quindi esser pari, e 2 sarà il loro 
m.c.d.,: per soddisfare a questa equazione dovrà dunque porsi 
(ammettendo per m valori negativi) 

d_-m=2a4 di m= 164 i = 208 


a, B primi fra loro; a = 1(mod. 2) 
onde 


d=a' +8! = d+e=2=8028? e=8a?p? — a — 884 
d—e= 2a! | 1684 — 8a2p? 


Per la seconda delle equazioni (8) dovrà quindi porsi 
(9) a! + 8! — 4a2B° =? 
da cui, successivamente 


48? (28° — a) = 2 — a 
l, a primi fra loro, t=a=1 (mod. 2) 
tl—-a?=2p?qg l+a?=2r?2s B=pr 28° —a?—= gs 
P, 9,7, s primi fra loro a due a due, con / e con a 
(10) a? = r2s — p°q = 2p°r® — qs 
ql(s—p°)=r° (2p°— 3). 

q ed r? son primi fra loro e così pure, per esser primi fra loro 
p eds, s—p? e 2p° — s; quest'uguaglianza potrà dunque solo 
soddisfarsi per 

qeQp—-8, ràr=s— p° 
da cui 

s=r + p q=p°— r? 
e, per la (10), 

a? = ri | 2p?r? — pi. 


Ora, se p è dispari, il secondo membro di questa equazione è 
= —10 2 (mod. 4) secondochè r è pari o dispari; non potrà 
dunque mai rappresentare un quadrato. Si supponga dunque 
p=="2t; l'equazione diviene 


a? = pr + 842,2 — 1644 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 115 


da cui successivamente, ammettendo per a, x, 0 valori negativi, 
e ricordando che a, » e p sono primi fra loro a due a due, e 
quindi son pure tali a, r, t e r è dispari, 


a? — rt—= 8 (e? — 282) 
a—,°= ny at, =4pîo t=mp r°—20°= xo 
tt, X, p, 0 primi fra loro a due a due; x, o dispari 
r2= 2p°0 — my = 2n°p? | xo 
2p° (€ — n)=x(c+ n). 


Dovendo x essere dispari, sarà pari 0 + m? e quindi anche 
o—n?; allora il primo membro possiede il fattor 4 e per 4 
deve esser divisibile 0 + m?, onde o — n? non è divisibile per 4. 
Segue 

4ipo= 0-4 n? y=0— n? 

o—=4p? — n? x= 2p? — n? 


72 = ni — 4m2p? + 8pt 


equazione della medesima forma della (9), ove f tiene il posto 
di p e @ di n. Dalle posizioni: 


== fi p= 20 = 2np 
si rileva ora che 
IB(2P|> TPT- 


Se dunque la (9) potesse essere soddisfatta per un certo valore 
di 8, sarebbe pure per un altro minore in valore assoluto (*), e 
così dovrebbe esser soddisfatta per valori assoluti di f$ interi, 
indefinitamente decrescenti; assurdo. 

Ne segue l’impossibilità annunciata al principio del numero. 


11. — Riassumendo: le sole configurazioni arborescenti di 
punti razionali, razionalmente deducibili tutti da uno di essi, che 


(*) Si noti d’altronde che È, p, f possono sempre supporsi essi mede- 
simi positivi. 


116 BEPPO LEVI 


possono esistere sopra una cubica [a coefficienti razionali (*)] sono 
quelle che corrispondono ai valori di t (n. 2): 


A. d Vier4, 


Esse contengono rispettivamente: per v=0, 1 punto; per v=1, 
2 punti; per v=2, 4 punti; per v=3, 8 punti. 


12. — Ma una configurazione arborescente potrebbe pos- 
sedere punti razionali per così dire accidentali, oltre quelli enu- 
merati nella descrizione generale del n. 3 e in quelle particolari 
dei ni 6-9, in quanto potrebbe uno dei punti razionali già incon- 
trati essere tangenziale di altri punti razionali oltre quelli già 
riconosciuti in detti numeri. Se tal fatto si verifica per un punto 
di una successione di tangenziali (che non potrà essere l'origine 
della catena), tutti i punti della successione, tolta sempre l'origine, 
sono essi stessi tangenziali di quattro differenti punti razionali 
(uno dei quali, in particolare, coincidente col punto medesimo, 
quando questo è il flesso). 

Dal n. 3 risultava infatti già che ogni punto della succes- 
sione, esclusa l’origine, è tangenziale di due punti razionali: 
se allora esso è tangenziale di un terzo punto razionale, anche 
il quarto punto di contatto delle tangenti da esso alla cubica 
sarà razionale. Si supponga inoltre che un punto Ag (v>u>1) 
di una delle successioni di tangenziali descritte al n. 3, sia tan- 
genziale, oltrechè dei punti razionali Aw-1, Af_:, ancora dei 
punti B._1, B'u:; per una proposizione già ricordata al n. 3, 
ciascuna delle congiungenti A,-; coi punti A#_;, Be-1, B'u-1 
taglia ulteriormente la cubica in un punto razionale, diverso 
da A, ed avente lo stesso tangenziale 4,1 di A,. Se h<v, 
per modo che A, non sia flesso, i tre punti così ottenuti sono 
distinti fra loro e dai punti da cui furono dedotti. Così ogni 
punto seguente 4, nella successione è tangenziale di 4 punti 
razionali. Si supponga poi che A.- sia a sua volta tangenziale 
di un punto razionale A,-s (cioè che u > 1); ciascuna delle 


(*) Si noti che tosto che il numero dei punti della configurazione è 
> 4, la cubica ne è completamente determinata e la razionalità dei suoi 
coefficienti è conseguenza della razionalità dei punti medesimi. 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 117 


rette Aus Afî_,, Au_o Bur, Av-2 B'u-1 taglia ulteriormente 
la cubica in un punto razionale avente per tangenziale Aw-1, 
cosicchè ogni punto della successione di tangenziali che pre- 
ceda A,, senza essere il primo punto, è ancora tangenziale di 
4 punti razionali. 

Si tenga ancora presente la costituzione generale delle con- 
figurazioni arborescenti, per cui in esse esistono precisamente 
v successioni di tangenziali facenti capo a v origini diverse, ma 
confluenti gradualmente fino a concorrere nell'unico flesso A,; 
la proposizione ora dimostrata, applicata discendendo lungo una 
catena di tangenziali fino ad A,, e risalendo da esso lungo tutte 
le catene, ci permette d’affermare che tutti è punti di una stessa 
configurazione arborescente, tolte le v origini, sono o non sono 
insieme tangenziali di quattro differenti punti razionali. Ma si 
noti che la stessa proprietà non può più competere ai nuovi punti 
razionali che per tal modo s'incontrano sulla cubica. 

Si ricordi infatti che se per un punto d’una cubica reale 
passano quattro tangenti reali alla cubica, la cubica si compone 
di 2 rami, il punto considerato appartiene al ramo dispari (il 
ramo pari non potendo contenere tangenziali di punti reali) e 
due dei punti di contatto delle tangenti da esso appartengono 
al ramo pari. Questi non sono tangenziali di punti reali e quindi, 
a fortiori, non di punti razionali. Se in particolare il punto con- 
siderato è un flesso, uno solo dei punti di cui esso è tangen- 
ziale può, a sua volta, esser tangenziale d’un punto razionale. 


13. — Una configurazione arborescente non può evidente- 
mente presentare punti razionali accidentali che quando essa 
appartenga ai tipi a(1,2,3). È chiaro inoltre da quanto pre- 
cede che ogni cubica in cui questa particolarità si presenti ha 
birapporto razionale e rientra quindi nello studio contenuto nei 
ni 15 e seg. della Nota I. Possiamo allora scrivere l'equazione 
della cubica nella forma [(2) della Nota I, n. 16]: 


(11) az? + ay (y — kx)(y— ka) =0: 


la cubica possiede i punti razionali (0 0 1) flesso, (100), (1%, 0) 
(1, #30) di cui esso è tangenziale. 


118 BEPPO LEVI 


Si ponga a, — a, = ky = — ke= 1: l'equazione |(18), n. 17, 
Nota I] a cui si riconduce la risoluzione in numeri interi della 
(11) diviene allora 

o=+ (0-8) 


e, come già fu ricordato più volte, questa equazione non am- 
mette soluzioni che per 0—0 o E—-0 0 8 +&; riesaminando 


le notazioni del citato n. 17, nota I, si vede che a tali solu- 


zioni corrispondono i punti razionali già enumerati. Segue che 
esistono cubiche, per es. la 


x? +yly—-2)(y+2)=0 


che posseggono un flesso razionale, tangenziale di 4 punti razio- 
nali e non posseggono altri punti razionali. 


14. — Si chiede però se nella cubica (11) uno dei punti 
di contatto delle tangenti dal flesso possa essere tangenziale di 
un punto razionale, per una conveniente scelta dei coefficienti. 
Già nel n. 12 si è mostrato che esiste al più un tal punto, e 
si può fissare (previo, occorrendo, un cambiamento di coordi- 
nate) ch’esso sia il punto (100). I punti di contatto delle tan- 
genti da questo punto alla cubica (11) sono determinati dalle 
soluzioni comuni alle due equazioni 


axz? — d9Y [(XK, + X2) y — 2kxkoa] =0 


Y° era kykoae® . 
Occorre adunque che il prodotto k,ks sia un quadrato e sia 
quindi quadrato il birapporto k=# della cubica (*#). Quando a 
2 


questa condizione si sia soddisfatto, fissato arbitrariamente un 
valore intero alla x, la 2% equazione determina, a meno del 
segno, un valore intero di y; e se quindi si fissa arbitrariamente 
un valore intero di e, la 1% equazione permette di determinare 


(*) Come caso particolare in una cubica armonica se un flesso razionale 
è tangenziale di 4 punti razionali, ciascuno di questi non può, a sua volta, 
essere tangenziale di punti razionali. 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 119 


di conseguenza a, e «> per modo che il sistema ammetta la so- 
luzione razionale (intera) costituita da quei valori di x, y, 2. 
Ne segue (tenendo sempre presente il n. 12) l’esistenza di cu- 
biche razionali su cui una configurazione del tipo A (2) si trova 
accresciuta per l'aggiunta di 4 punti razionali aventi per tangen- 
ziali, due il punto A, e due il punto A, (del n. 8). 


15. — Punti razionali accidentali possono pure presentarsi 
con una configurazione A (3). 
Si consideri infatti la cubica 


(12) y(e—e)—y[|ax®--(at—4a+2)x2]+(a—1)(a—2)xe2=0, 


forma generale a cui, secondo il n. 9, si può ridurre ciascuna 
cubica che possegga la configurazione a(3) di punti razionali. 
I punti di contatto delle tangenti da A,=(010) alla cubica 
sono i punti (001), (a —2, a —2, — 1) ed altri due le cui 
coordinate x e = sono date dalla equazione 


atx? +-a (a? — 6a +4) x2 +4(a—1)2°=0; 
il discriminante di questa può scriversi 
a? [(a? — 6a 4- 6)? — 4(a — 1)?]. 


. mm . . . . . . 
Si ponga a = pi (m, n interi, primi fra loro); questo discri- 


minante sarà un quadrato quando sia quadrato (m? — 6mn + 
+ 61°)? — 4n° (m — n)?: chiamando «? tal quadrato e ponendo 
m-—n= p si dovrà allora avere 


(pî° — 4pn+4n?)? —u? + 4p?n?. 
Si soddisfa a questa equazione ponendo 
pî — ipn +4 n? — a? + B? pn = aB u—= 0? — B? 
da cui, ammettendo per a e 8 valori interi, positivi o negativi, 


p_n=a+B (p+n=a°+8°-+ 6a8= (a+ 39) — 8R°, 
(a+ 399° = (+)? + 882. 


120 BEPPO LEVI — TEORIA ARITMETICA, ECC. 


Per soddisfare a questa equazione si deve porre 


a + 38 — N +4- 24? pt+n=X — 242 BM 
da cui 
p_n=a+B=X + 20? — 2Au 
onde 
p=X((—u n=uA— 20) m=p+na=NX— 2h. 


Basterà dunque assumere nella cubica (12) 


RE int 
u(A — 2u) 
dove \ e n sono interi quali siansi, perchè essa venga a possedere 
una configurazione A (3) tale che è punti A,, Ag, Az, A siano 
tangenziali, oltrechè dei punti imposti dalla configurazione, ciascuno 
di altri 2 punti razionali. Si otterrà così un sistema totale di 
16 punti razionali. 
Viene con ciò totalmente esaurita la ricerca e la classificazione 
delle configurazioni finite arborescenti di punti razionali sopra le 
cubiche a coefficienti razionali. 


In una prossima Nota III tratterò dei sistemi finiti di punti 
che dipendono da configurazioni poligonali e dal simultaneo pre- 
sentarsi su una cubica di varie configurazioni di punti razionali. 


Dal punto di vista puramente aritmetico rileverò la dimo- 
strazione, contenuta in questa Nota (n. 10), della non risolubi- 
lità in numeri interi, con y==0, dell'equazione 


ai — dey? - 8yt De 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza dell’8 Dicembre 1907. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: Manno, Direttore della Classe, CARLE, 
Brusa, ALLievo, CarutTIi, RenIER, Pizzi, CHIRONI, RUFFINI, 
STAMPINI, Scorza e Dr Sanctis, Segretario. 

Scusa la sua assenza il Socio D’ErcoLe. 

Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, 
24 novembre 1907. 

Su proposta del Presidente si conviene d’invitare il Vice- 
Presidente BoseLLi a tenere la commemorazione del compianto 
Socio nazionale non residente Conte Costantino NiGRA. 

Sono presentati dal Presidente i seguenti scritti pervenuti 
in omaggio all'Accademia: 

1° Srorza, Labindo. Discorso letto nel teatro di Fivizzano 
la sera del 29 settembre 1907 (estratto dalla Rassegna Nazionale). 

2° Lavori eseguiti dalla Missione Archeologica italiana in 
Creta dal 2 aprile al 12 settembre 1906. Relazione del Dott. Luigi 
Pernier al Prof. Ettore De Rueerero (estratto dai Rendiconti 
dei Lincei, Classe di Scienze morali, vol. XVI). 

Il Socio De Saneris prendendo la parola a proposito di 
questa Relazione mette in rilievo la severità di metodo con cui 
furono eseguite le indagini che ne formano il tema e l’impor- 
tanza dei loro risultati. 

Il Socio Camtroni presenta con parole di vivo encomio il 


saggio del Prof. Igino PeTRONE, intitolato: Il diritto nel sistema 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 12 


122 

della filosofia dello spirito (Napoli, 1906). Offrendo poi gli Scritti 
editi ed inediti di diritto civile del Prof. Oreste ReGNnoLI (Bologna, 
Zanichelli, 1900), raccolti e pubblicati per cura dell’On. Avv. At- 
tilio Loero e il discorso del Prof. Giuseppe Brini, intitolato: Di 
Oreste Regnoli e del momento odierno del diritto civile (Bologna, 
Tip. Monti, 1898), rievoca la grande figura del Regnoli e si trat- 
tiene sull'importanza dell’opera A Loero con le parole che sono 
registrate negli Atti. Presenta inoltre facendone l'elogio il libro 
del Prof. Avv. Giuseppe OrroLENGHI, intitolato: IZ rapporto di 
neutralità (Torino, Unione tipografico-editrice, 1903). 

Il Socio STAMPINI fa omaggio all'Accademia del primo esem- 
plare pervenutogli del suo libro: La metrica di Orazio comparata 
con la greca e illustrata su liriche scelte del poeta, con un appen- 
dice di carmi di Catullo studiati nei loro diversi metri (Torino, 
Loescher, 1908). 

Per l’inserzione negli Atti vengono presentati: 

1° dal Socio ALLiEvo un suo saggio dal titolo: In cerca 
della scienza ; 

2° dal Socio CHironiI una nota del Prof. Alessandro LatTES, 
intitolata: L’interinazione degli editti. Studio di storia del diritto 
pubblico piemontese; 

3° dal Socio Srorza una sua nota su Alessandro Manzoni 
ed una baruffa tra l Annotatore piemontese ed i Romantici lombardi ; 


4° dal Socio De Sanctis uno studio del Dott. Umberto 


Maco su La regina Antiochide di Cappadocia e la cronaca regia 
degli Ariaratidi. 

Il Socio De Sanoris presenta la riproduzione fototipica di 
due facciate dell’Evangeliario designato con la lettera #, che sarà 
quanto prima pubblicato a cura della nostra Accademia. Questo 
importantissimo codice, di cui l'Accademia deliberò la riprodu- 
zione integrale, dopo aver provveduto alla pubblicazione foto- 
tipica del famoso Messale RosELLI, era rimasto assai danneggiato 
dall'acqua e dal fuoco nell'incendio della Biblioteca Nazionale 
Universitaria di Torino, ma fu poi restaurato egregiamente dal 


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123 


MarRÈ ed è stato ora per intero fotografato, sicchè, presumi- 
bilmente, entro il primo semestre 1908, la Commissione incari- 
cata dall'Accademia potrà darne alla luce la riproduzione, che 
sarà senza dubbio bene accetta, sia agli studiosi di paleografia, 
sia a tutti coloro che si occupano di studi sul testo delle anti- 
chissime versioni del Nuovo Testamento. 

Il Socio ReENIER rileva a Questo proposito come sulla ini- 
ziativa presa dall'Accademia di’ far riprodurre antichi testi a 
penna di Torino e delle altre Biblioteche piemontesi siano com- 
parse recentemente nei giornali notizie non esatte; rileva in 
particolare come siasi diffuso il dubbio se quella deliberazione 
abbia mai avuto attuazione pratica, mentre della pratica attua- 
zione fa testimonianza il volume dedicato al Messale Rosetti. 
Accenna all’opportunità di iniziare quanto prima, non appena 
sarà pubblicato il codice &, la riproduzione del Codice Teodo- 
siano d'Ivrea, conforme a ciò che fu proposto già altre volte 
all'Accademia. 

Il Socio SrAmPINI notando che recentemente si è messa in 
dubbio anche la pratica attuazione per parte della Biblioteca 
Nazionale Universitaria di Torino della proposta che fu fatta 
dopo l’incendio della Biblioteca, d’iniziarvi una raccolta di tutte 
le riproduzioni fototipiche di codici che esistano, osserva che 
tale raccolta, nonostante la relativa scarsezza di mezzi dispo- 
nibili, sì è iniziata, e comprende un gran numero delle più im- 
portanti di tali riproduzioni che siano state pubblicate sino ad 
ora. E rileva che a Torino, l'Accademia con le sue pubblicazioni 
di Codici, e la Biblioteca Nazionale Universitaria con gli acquisti 
di riproduzioni fototipiche hanno gareggiato nel fare quanto era 
in loro per rimediare ai danni cagionati dall’ incendio del 
25-26 gennaio 1904. 


124 GIANPIETRO CHIRONI 


LETTURE 


La formazione del Codice civile italiano 
e i lavori di Oreste ResvoLI. 


Nota di G. P. CHIRONI. 


Or che la pietosa e grata opera di un congiunto, cultore 
saggio pur esso degli studî giuridici, s'è accinta a raccogliere 
e consegnare agli antichi estimatori ed alla storia del diritto i 
molti e sparsi documenti della insigne attività di Oreste Regnoli: 
nell'ora presente, che i rivolgimenti onde il paese vien scosso 
e turbato, mostrano incominciato un periodo nuovo dell’azione 
eccitata nelle coscienze dalle idee onde già scaturì il rinnova- 
mento politico nostro, è utile e opportuno ricordare in che 
modo queste grandi idee di libertà si componessero nel pensiero 
di un uomo che religiosamente le instaurò, le insegnò, e per molta 
parte concorse a formarle in legge. Specialmente opportuno. 
Perchè nella mente di quanti studiosi, di quanti agitatori prepa- 
rarono, iniziarono e fortunatamente compirono il riscatto della 
patria, bandire la riscossa significava aspirazione e rivendicazione 
di un diritto, esprimeva la coscienza sociale formatasi nella co- 
scienza personale giunta al maggiore sviluppo dell’idealità, e 
riassumente in sè la visione netta della generalizzazione, della 
universalità dei rapporti: visione che attinge la forma più ele- 
vata nel diritto della nazionalità, escito dal concetto della per- 
sonalità, diritto individuale. Onde avvenne che per tale formazione 
e contenuto della coscienza, la idea della libertà intesa qual fon- 
damento di ogni ordine e motore di ogni progresso, ebbe in se 
stessa la propria misura imposta e determinata da questo in- 
contro e penetrazione reciproca dell'individuo e della società : 
misura che è il fenomeno giuridico, il diritto : e mai come in 
tempi che di poco precedettero e seguirono il risorgimento della 
patria, fu norma di condotta più rigida, e preoccupazione co- 
stante al legislatore nell’opera sua. 


LA FORMAZIONE DEL CODICE CIVILE ITALIANO, ECC. 125 


E s'intende che non altrimenti dovesse accadere. La co- 
scienza che s'era nell'evoluzione sua elevata all’universale, non 
poteva considerare e meno poi dar posto a rapporti, od utilità 
che con questa visione della generalità entrassero in conflitto: 
la coscienza che nella piena normalità sua si esprimeva con 
magnifico vigore nella lotta fierissima per la collettività uscen- 
done incoronata di vittoria, non poteva senza oscurarsi accogliere 
nella purezza del pensiero intendimenti che contrastassero con 
l'armonia e l'equilibrio voluto tra l'elemento individuale ed il 
sociale, prementisi e compenetrantisi in ogni maniera di relazioni. 
Pressione ch'è antitesi, compenetrazione ch'è la uguaglianza in 
cui il conflitto si risolve, derivandone ad ognuno dei due fattori 
la giusta interezza del proprio essere. Ma nei rivolgimenti che 
agitano la società attuale, e in particolar modo il paese nostro, 
questa normalità di coscienza s'è indebolita, quella nettezza di 
visione s'è offuscata: e della libertà, del diritto in ognuno di 
svolgere la propria attitudine a fin di conseguire un migliore 
stato di benessere, s'è inteso la sola parte, il solo fattore indi- 
viduale. Certo, è questa una crisi significante lo stato di acutezza 
dell’antitesi segnalata, e che pur essendo lunga e travagliata, si 
risolverà: certo, ad accrescerne la intensità nuovi elementi con- 
feriscono, varî di qualità e di entità secondo il variar continuo 
degli atteggiamenti sociali; e non v'è estraneo il modo stesso 
di formarsi delle maggioranze nei governi parlamentari, che 
spesse volte oscura il concetto limpido dei diritti e degli obblighi 
ch’escono dalla collettività: ma i nuovi perturbamenti finiranno 
ancor essi nella compenetrazione, nell’equilibrio rispettivo dei due 
fattori, l’individuale ed il sociale, ch'è per natura sua il pre- 
valente. 

Come i tempi, pur fortunosi, ma raggianti pei civili entu- 
siasmi che ad anime elette ed alle spregiate plebi consigliarono 
la virtù del sacrifizio; come i tempi in cui visse ed operò Oreste 
Regnoli paiono altri da quelli in cui il procacciamento bramoso 
dell'utilità dei singoli, del benessere materiale immediato degli 
individui, s'afferma e s'impone, così da diventare ragion di lotta, 
e si consolida in apparente socialità nei “ sinducati/,: tempi 
che sono i nostri. Nè con questo si vuol dire che gli urti, le 
lotte determinate da interessi in conflitto siano fatto nuovo, 
quando invece è antico da quanto la società stessa: si vuol dire 


126 GIANPIETRO CHIRONI 


soltanto, che rade volte si manifestò con tanta violenza, e con 
così crudo dispregio della socialità vera, rappresentata nell’im- 
pero della legge. 

Altri tempi quelli che viddero la generazione di pensatori 
e di eroi, combattenti per la libertà e pel diritto, proclamare 
per bocca di Oreste Regnoli “ l’Italia risorta sarà per la giu- 
stizia ,; e ben degno era egli di pronunziare così nobile e su- 
periore norma di condotta, egli che il culto di ogni libertà unì 
devotamente al culto del diritto di cui fu maestro degnissimo. 
E come la proclamò, la osservò poi nei molti ufficî che la Ro- 
magna e la patria italiana gli commisero: deputato di Orvieto 
alla Costituente. romana, ministro di grazia e giustizia nel 
governo romagnolo che procurò l’ annessione, inviato al parla- 
mento italiano dalla sua Romagna per molte legislature, maestro 
insigne di ragion privata nella scuola e nel foro, mai mancò di 
fede al principio di grande idealità e moralità civile ch’ egli 
avea formulato, e che sintetizzava l’opera rinnovatrice dello 
spirito italiano. 

Ai rapporti fra lo Stato e la Chiesa dette Oreste Regnoli 
non piccola parte dei suoi studi e del suo lavoro parlamen- 
tare. Cosa ne pensasse avea già nettamente detto in occasion 
della riforma del matrimonio fatta dalla nuova legge civile : 
più tardi, scrivendo dell’autorità spirituale del pontefice, di- 
chiarava che unica soluzione razionale e degna della civiltà e 
dell’Italia era “ l'applicazione dei semplici ed eterni principî 
della libertà politica e religiosa; libertà nella giustizia ,. E 
ancor al presente, nella discussione viva che si fa intorno a 
questi rapporti, e degenerante talvolta in comizî che mal si dicono 
di popolo, fino ad intendere il giusto diritto dello Stato come 
poter di abolire e bandir dalle coscienze ogni purezza di senti- 
mento religioso, non sì dovrebbe mai nè perdere nè oscurare la 
visione della grande idea di libertà nel cui nome il nuovo Stato 
italiano venne composto. Libertà sì, senza licenza nessuna che 
contradica all’autorità del potere civile, ma anche libertà senza 
oppressione: licenza e oppressione son vizî che negano con la 
libertà il diritto, e la giustizia sua natural misura. 

Ma più che alle questioni di diritto pubblico, volse egli la 
mente a quelle di diritto privato, e nello studio che ne fece, e 
nel discuterne gli ordinamenti onde poi si compose il nuovo 


LA FORMAZIONE DEL CODICE CIVILE ITALIANO, ECC. 127 


codice civile, fu l’opera sua commendevolissima. Già come mi- 
nistro avea dato alla Romagna i provvedimenti che ponevan 
fine ad una legislazione mal conveniente a tempi civili, e tolto 
i privilegi di famiglia e l'ampio poter di testare ch’erano offesa 
alle ragioni della personalità; come deputato, seguendo i criterî 
che avea esposto in una scrittura intorno la formazione di un 
nuovo codice italiano, fortemente contribuì a che nell'Università 
bolognese non più il codice francese, come avveniva per decreto 
dittatoriale, ma il codice civile albertino venisse insegnato. 

E di questo codice, pure pei tempi sapientemente condotto, 
scrisse con la profondità e lucidità consuete quante fossero le 
manchevolezze, e avvertì il a | bisogno ch’era all'Italia un 
codice che alle condizioni nuoveMegli spiriti, ed alle contin- 
genze economiche mutate rispondesse in maniera più conve- 
niente. E con antiveggenza di scienziato e di uomo di governo, 
segnalò i concetti formatori di un miglior ordinamento della pro- 
prietà e dei diritti reali: in special modo del diritto ipotecario a 
tutela del giusto interesse del pubblico, e perchè il credito ne 
avesse quel maggiore sviluppo che meglio favorisse le industrie 
ed i commerci. Con egual criterio, e preoccupato sempre della 
necessità assoluta per il legislatore che voglia far opera saggia 
e durevole, di comporre la utilità dell’individuo col vantaggio 
della comunità, additò i gravi difetti della legge nella parte dei 
contratti relativi al lavoro; e quasi presentisse le nuove idee 
di legislazione sociale, fermò molti dei concetti che determi- 
narono poi la condizione giuridica riconosciuta ai lavoratori: 
idee di giustizia che pure riprese nelle proposte sue intorno a 
taluni istituti di diritto famigliare. 

Che veramente fu la parte di studio in cui l’acuto e sereno 
spirito scientifico del giurista s'incontrò e si fuse mirabilmente 
con le doti nobilissime dell’uomo : onde rimarranno documenti di 
profonda e saggia ricerca, e di affetto umano, le pagine scritte da 
Oreste Regnoli sulla condizione giuridica dei figli»naturali, sul 
governo della famiglia e sul dovere che alla società incombe 
di protezione e difesa all’infanzia moralmente pure do- 
vere che dai legislatori, e in particolar modo dal nostro, vuol 
provvedimenti bastevoli, per cui apparisca, come veramente è, 
e dovrebbe essere, che a questa prole disgraziata la società è 
famiglia. Ch’è il nobile intento di quelle ottime leggi formate 


128 GIANPIETRO CHIRONI 


ora negli Stati americani e nell'Ungheria a difesa della povera 
infanzia, che nell’abbandono dei genitori è tristamente votata al 
vizio, educata al delitto. 

Ma in special modo nello studio dedicato ad una questione 
delicatissima, che tocca il fondamento della famiglia e dà ma- 
teria fra i giuristi e gli uomini politici a disputa grave, irre- 
ducibile, le nobili qualità di Oreste Regnoli rifulgono. Perchè a 
lui che dell'istituto del matrimonio civile fu sostenitore validis- 
simo, parve non potersi compiere la riforma senza tenere per 
giusto il divorzio qual causa di scioglimento del vincolo: e, con 
tutta la riverenza ch'è dovuta all’illustre uomo, da questa opinione 
sì può e si deve dissentire : la forma del matrimonio non è tal 
fattore da produrre consegu@nze che ne sconvolgano la intima 
essenza. E pure, quanta onestà scientifica, quanto rispetto vero 
alla libertà degli individui, e al diritto scaturente dalla socialità, 
sì avvertono nella dottrina pensata dal Regnoli! Quanta diffe- 
renza dalle declamazioni molte che or si fanno e condotte sul- 
l’affetto qual ragion d'essere del consorzio coniugale, per inferirne 
che quand’ esso manchi finisce ogni ragion buona, civile, di 
mantenere un vincolo ch'è peso agli obbligati, e grave spinta 
per essi al crimine! Quanta diversità dalle relazioni che si leg- 
gono intorno a progetti di legge di cui s'occupa il Parlamento 
di un paese a noi prossimo di razza e per educazione e co- 
stumi, dove ogni nuova facilitazione all'istituto del divorzio è 
giustificata con la idea del matrimonio-consenso! (1). 

Non è per verità possibile una concezione dove il piccolo 
individualismo, l’egoistico e brutto sentimento della racchiusa 
e gretta utilità personale trionfino con più ostentata sicurezza. 
Nei paesi dove il divorzio è istituto da lungo tempo pene- 
trato nella legge e nelle convinzioni etiche del popolo, è 
tenuto non per diritto che derivi dalla essenza stessa del matri- 
monio, ma come un male ch’è pur necessario a fin d’evitare 


(1) V. Relazione della Commissione sulla proposta del deputato MartIN 
(rel. Viucerte) favorevole al divorzio per mutuo consenso (“ Journ. off. ,, 
doc. part., 1907, ann. n° 749): petizione Magnaup per la concessione del 
divorzio a domanda di uno solo dei coniugi (‘ Rev. de dr. civ. ,, 1907, 
p. 434); proposta di legge del dep. ViLLerte (* Journ. off. ,, 1907, doc. 
part., ann. n° 770), in egual senso, con l'aggiunta della determinazione dei 
motivi. 


LA FORMAZIONE DEL CODICE CIVILE ITALIANO, ECC, 129 


altro male maggiore; onde la conseguenza, che, non solo non è 
favorito col rendere più facile l’ottenerlo a chi voglia ed anche 
a chi non voglia, come avvien col tenerlo per avvenuto di diritto 
dopo un certo tempo di separazione durata: ma o non lo si estende, 
o si cerca di ristringerne i casi in cui è lecito di farne domanda. 
Così vien giudicato il divorzio in rispetto alla collettività, all’'e- 
lemento sociale nella composizione del diritto, parendo pericoloso 
alla famiglia ed al pubblico interesse il mantenere come ancor 
vivente un consorzio già finito in riguardo al suo special fine : 
si può, è vero, ben discutere la dottrina, e mostrare che appunto 
per quest’elemento la consistenza del vincolo vuol maggiore e più 
efficace difesa: ma certo la diversità segnalata fra l’un modo 
e l’altro di giustificare l’istituto è profonda, e separa chi vuole 
libertà con licenza da chi la vuole con la giustizia e per la 
giustizia. Nè paia qui fuor di luogo, e meno conveniente a questa 
comunicazione ch'è omaggio reso allo scienziato ed al cittadino 
onorando, se brevemente s’insiste nel dire che appunto l’azione 
esercitata dal diritto della società nell'ordinamento famigliare 
è l'argomento più grave onde gli Stati che hanno per legge il 
divorzio, eccezion fatta per la Francia (1), son mossi a non 
estenderlo nè a facilitarlo, e quelli che ancor non l’hanno dovreb- 
bero tenersi paghi a meglio regolare la formazione e l’esistenza 
del vincolo matrimoniale. Già la nuova ondata che in favor del 
divorzio percosse in Francia la famiglia, mosse dai romantici 
che nulla vedevano oltre la ragion dell'individuo, e della pas- 
sione proclamavano l'assoluta superiorità sul dovere: e “ la ca- 
tena coniugale , fu ai letterati argomento inesauribile e prezioso 
di romanzi, di drammi, di polemiche. E così con la dichiarazione 
di guerra allo stato di “ asservimento coniugale , s'arrivò alla 
legge dell’84: e mai, mai si pensò alla condizione dei figli, alla 
prole disgraziatissima che nella nuova famiglia dei genitori ri- 
maneva essa sola senza famiglia, senza affetti. E pure, era così 
necessario, e così facile pensare che quell’elemento sociale male 
invocato a favor del divorzio, si manifesta invece con luminosa 
virtù nei rapporti della filiazione: e se conforta il veder come 
la nuova letteratura drammatica francese consideri ora questo 
grave lato, e veramente e altamente umano della questione, e 


(1) V. la n. precedente. 


130 GIAMPIETRO CHIRONI — LA FORMAZIONE, ECC. 


se ne preoccupi così da determinare nel pubblico un sentimento 
di salutare reazione, è pur confortevole sperare che alle nazioni 
dove l'istituto non è ancor legge, giovi il riflettere meglio su di 
una riforma gravissima: che dove non è sorretta da saldezza di 
convinzioni morali, è alla società danno irreparabile. 

Ma Oreste Regnoli pur acconsentendo al divorzio limitato 
a casi la cui gravità fosse determinata dalla legge, asseriva tutto 
alla ragion giuridica questo convincimento suo; pensava che al 
consorzio coniugale il voto di natura dà la perpetuità, e lo con- 
stituisce in duraturo per sempre: e così la morale: onde per- 
fetta e santa e appieno civile egli estimava l'unione non sciolta 
che dalla morte (1). Verità grandi queste, e più notevoli quando 
dette da chi sinceramente teneva il divorzio per necessità giu- 
ridica: verità esprimenti in modo incisivo la essenza del matri- 
monio, cheil diritto non può alterare o contrastare senza venir 
meno al proprio significato, alla propria funzione: concetti che 
mostrano tutta l'onestà dell’espediente pensato per coordinare 
con prudenza la ragion collettiva ed il privato interesse. 

Non altro occorre a illustrare la figura e onorare la me- 
moria di Oreste Regnoli maestro insigne di diritto e di liberi 
sensi alla gioventù italiana, nell’occorrenza che la parte or pub- 
blicata dei suoi studi è offerta all'Accademia delle Scienze da 
chi con affettuosa cura pensò a comporla in volume. E suggelli 
questo ricordo il voto che la preziosa raccolta sia in breve ter- 
mine compiuta, e rimanga monumento perenne all’uomo dottis- 
simo, che ricco di ogni privata e pubblica virtù ben potè dire: 
“ bugiardo il patriottismo non fondato sulla più schietta e pura 
“ moralità ,. 


(1) V. il discorso commemorativo di G. Brini: Di Oreste Regnoli. Bo- 
logna 1898, pag. 30 e 31. 


GIUSEPPE ALLIEVO — IN CERCA DELLA SCIENZA 131 


In cerca della scienza. 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO 


L 
La scienza dov’è ? 


La scienza dov'è? Verso la metà del secolo scorso il mondo 
dell'umano sapere soggiacque ad un radicale ‘rivolgimento, che 
andò propagandosi con rapidità meravigliosa. Il concetto della 
scienza fu sostanzialmente mutato da quello di prima, e conforme 
a quel concetto essa venne integralmente rifatta nella sua ori- 
gine, nel suo oggetto, ne’ suoi limiti, nel suo processo, nel suo 
organismo. Da prima la metafisica regnava sovrana nel dominio 
del sapere filosofico, avendo per oggetto delle sue indagini l’Es- 
sere assoluto realmente sussistente in sè, autore e reggitore 
dell'universo, e le sostanze finite nelle loro attinenze coll’Essere 
assoluto. Alla metafisica faceva corona la filosofia della natura 
e la filosofia dell'umanità, e di questa faceva parte principalis- 
sima la psicologia, la quale muovendo dal concetto, che l’anima 
umana è sostanza individua fornita di una personalità sua propria, 
studia primamente mediante l’esperienza interiore i fenomeni 
psichici e le potenze, in cui essa si manifesta, poi si eleva me- 
diante il ragionamento, a contemplare gli attributi costitutivi 
della sua intima natura, mai non perdendo di vista le attinenze, 
che la collegano col suo corporeo organismo. Dalla psicologia 
si diramano la filosofia morale e la logica: quella si attiene 
alla natura morale dell'anima umana, e riposa sulla libertà del 
volere in ordine alla legge etica, questa riguarda la natura in- 
telligente dell'anima stessa nel suo processo alla verità e si 
fonda sul pronunciato che l’umana conoscenza origina da due 
fonti supreme, l’esperienza sensibile, che apprende l'’esteriorità 
di un essere, ossia le sue manifestazioni, i suoi fenomeni, le sue 


132 GIUSEPPE ALLIEVO 


continue modificazioni, e la ragione speculativa, che scruta l’inte- 
riorità delle sostanze, ossia i costitutivi essenziali della sua natura. 

Contro questo edifizio filosofico, intorno a cui lavorarono po- 
tenti pensatori, da Platone ed Aristotele sino a Gioberti e Ro- 
smini, insorsero i novatori a demolirlo sin dalle fondamenta. 
Nous avons changé tout cela. Non più metafisica, non più psico- 
logia filosofica. La personalita dell'io umano e la libertà del 
volere sono un'illusione. I sensi sono l’unica fonte dell'umano sa- 
pere: la ragione speculativa, che scruta la sostanzialità degli esseri, 
non ha valore scientifico. La scienza si muove dentro la cerchia 
esclusiva dei fenomeni sensibili, mutabili. relativi, che hanno la 
loro causa in sè, e non in esseri sostanzialmente distinti. Tutto 
ciò, che trascende la sfera dei sensi, o il dominio della natura, o 
l’apprensiva dell’intelligenza, vale a dire il soprasensibile, il sopran- 
naturale, il sovrintelligibile, va rigettato siccome antiscientifico. 

Tali sono i supremi pronunciati posti a fondamento della 
scienza nuova, appellata positivismo, poichè i fatti, che sono 
l’unico ed esclusivo oggetto delle sue indagini, hanno un carat- 
tere positivo. Sin dal suo primo apparire essa fu accolta con 
vive simpatie e fu poi levata a cielo come se fosse il verbo del- 
l'umanità. Quando la scienza ha parlato, ogni discussione è finita, 
perchè la sua parola è la verità; e chi pensasse in contrario, 
è vittima di illusioni metafisiche o di pregiudizi scolastici. È 
certamente ammirevole l'intenso e fervido lavorìo di poderosi 
ingegni, che tentarono di aprire nuovi orizzonti alla mente umana 
e si adoprarono ad illustrare le pagine della scienza con pen- 
sieri originali, con ingegnose ipotesi, con ampie e nuove inda- 
gini sperimentali. 

Pur tuttavia in nome di quella libertà, a cui ha diritto ogni 
studioso ricercatore del vero, io dimando : Dov'è la scienza ? 
La verità ricercata dov'è? Ogni nuova dottrina non ha ragione 
di essere se non a condizione, che dimostri insussistente la sua 
opposta, che la precede. Ora il positivismo ha esso sottoposto 
alla critica le dottrine metafisiche, prima di respingerle ? (1). 


(1) Il Comte giudicò della metafisica muovendo dal criterio preconcetto 
del suo positivismo, epperò la sua non è una critica oggettiva e sussistente. 
Lo Spencer, ignaro affatto della storia della filosofia, non se ne diede 
pensiero. 


IN CERCA DELLA SCIENZA 133 


Contro di esse ha dogmaticamente asserito senza discussione di 
sorta, che l’esperienza è la madre unica e suprema della scienza, 
che ogni conoscenza origina dai sensi, che il sapere scientifico 
si arresta ai soli fenomeni; che l'al di là dell'esperienza, dei 
sensi, dei fatti, quali sarebbero le nature specifiche degli esseri, 
la sostanzialità delle cose, lo spirito e la materia, le cagioni effi- 
cienti e finali, tutto questo va relegato fuori dell’àmbito della 
scienza, che la ragione speculativa è una facoltà chimerica ed 
illusoria. Questi canoni fondamentali il positivismo oppose a quelli 
della metafisica, ma non furono una sua scoperta, sono vecchi 
da secoli, ed esso non fa che ripeterli senza dimostrarli nè punto, 
nè poco: siamo ancora all’empirismo di Francesco Bacone, al 
sensismo di Giovanni Locke, allo scetticismo di David Hume, 
all’agnosticismo della Scuola scozzese, per ristringerci alla storia 
della filosofia moderna. 

Muovendo da questi cànoni il positivismo ha ricostrutto in 
forma vasta e nuova l’edifizio dell'umano sapere, allargando le 
sue indagini a tutto il mondo dei fenomeni e ricercandone le 
leggi. Ma qui appunto io ripeto la mia dimanda: La scienza 
dov'è? Nessuno vorrà mettere in forse, che scienza non si dà 
se non a condizione, che i suoi molteplici e diversi elementi 
concordino fra di loro per guisa da comporre un solo tutto or- 
ganico ed omogeneo in ogni suo punto. Poichè la verità è con- 
corde con sè stessa, e dove regna contraddizione e dissidio, là 
non vi può essere verità. Ciò posto, il positivismo è desso con- 
corde ed armonico ne’ suoi pronunciati sostanziali ? 

Volgiamo il pensiero ai due corifei del positivismo contem- 
poraneo, Augusto Comte in Francia, Herbert Spencer in Inghil- 
terra, raffrontiamo i loro pronunciati, e sin dalle prime essi ci 
appariscono divisi da uno stridente antagonismo. Il Comte pub- 
blicava tra il 1830 ed il 1842 i cinque ampii volumi del suo 
Corso di filosofia positiva. Alcuni anni dopo lo Spencer faceva di 
pubblica ragione i suoi primi lavori filosofici; ma la loro com- 
parsa suscitò forti dissensioni e vive polemiche fra i seguaci 
delle nuove dottrine, tantochè si pose in discussione a quale di 
essi convenisse l'appellativo di positivista. Fu allora che lo 
Spencer, tenero oltremodo dell’originalità del suo pensiero, egli, 
che rigettava poi come una illusione la personalità propria dell’io 
individuale, altamente dichiarava che non era positivista nel 


134 GIUSEPPE ALLIEVO 


senso, in cui prendevasi allora siffatto vocabolo, ma che dissen- 
tiva dal Comte in tutti i punti del suo proprio sistema, conve- 
niva con lui soltanto in quei punti, che non erano suoi origi- 
nali, ma che aveva attinto dalle dottrine precedenti. Ecco dunque 
i due antesignani del positivismo contemporaneo mostrarsi in 
perfetto antagonismo fra di loro. Ma giova discendere ai par- 
ticolari. 

Se havvi un punto, che sommamente importi al progressivo 
sviluppo di ogni scienza, quello è certamente che riguarda il 
processo metodico, che essa deve seguire nello studio del proprio 
oggetto. Quando si tiene il retto cammino, tosto o tardi sì rag- 
giunge la meta, mentre se la via è sbagliata, ogni tentativo è 
disperato. Ora su questo capitalissimo punto i nostri due filo- 
sofi si trovano in perfetto dissidio. Augusto Comte rigetta la 
sentenza di coloro, i quali ripongono il metodo psicologico nel- 
l'osservazione interiore, ossia nella coscienza, che l'io ha di sè 
stesso, e nella riflessione sui proprii atti. Ecco le sue parole: 
“ In questi ultimi tempi si è immaginato di distinguere con una 
singolarissima sottigliezza due guise di osservazione egualmente 
importanti, esteriore l'una, l’altra interiore unicamente rivolta 
allo studio dei fenomeni intellettuali. Questa pretesa contempla- 
zione diretta dello spirito umano mediante se stesso è una pura 
illusione. E necessità invincibile, che lo spirito umano possa 
direttamente osservare tutti i fenomeni, tranne i suoi proprii. 
Infatti da chi sarebbe fatta l'osservazione ?... L'individuo pen- 
sante non potrebbe dividersi in due, di cui l'uno ragionasse, 
l’altro osservasse a ragionare. L'organo osservato e l'organo 
osservatore essendo in questo caso identici, come mai potrebbe 
aver luogo l'osservazione ? Questo preteso metodo psicologico è 
dunque radicalmente nullo nel suo principio. Ora consideriamo 
a quali procedimenti profondamente contraddittorî esso imme- 
diatamente conduce , (1). Lo Spencer è di avviso diametral- 
mente opposto : egli ritiene impossibile la costruzione della psi- 
cologia senza l'osservazione psicologica propriamente detta, la 
coscienza interna. Tra il sì ed il no non si dà mezzo. Quale dei 
due dice il vero su questo importantissimo punto ? 


(1) Principii di filosofia positiva, Parigi, 1868, pag. 120 e seg. 


* “AI 


IN CERCA DELLA SCIENZA 135 


Passiamo ad un altro punto non meno capitale. È comune pro- 
nunciato dei positivisti, che la psicologia ha per oggetto i fe- 
nomeni interni, e non va più in là a contemplare la sostanza a 
cui appartengono: e questi fenomeni interni vengono comune- 
mente distribuiti in due classi, cioè in fenomeni psichici pro- 
priamente detti, ed in fisiologici, secondochè si riferiscono alla 
vita mentale, od alla vita animale. Ciò posto, sorge la dimanda : 
Tra queste due specie di fenomeni interni vi corre egli una 
semplice differenza di grado, di forma, oppure un divario di 
essenza, di natura? Anche qui il sì ed il no tenzonano fra di 
loro nel campo del positivismo. Il Comte, chiamando a rassegna 
i fatti umani, ammette sei ordini di fenomeni essenzialmente 
distinti ed irreducibili, i quali non si svolgono gli uni dagli 
altri, ma si succedono soltanto esteriormente, e sopra di essi 
fonda la sua classificazione delle scienze. Anche lo Stuart-Mill, 
riducendo il principio di causalità ad una successione di feno- 
meni meramente esteriori è logicamente condotto a rigettare ogni 
interiore connessione evolutiva tra i fenomeni. Fer lo contrario 
lo Spencer, ardito sostenitore dell’evoluzionismo, ammette tra i 
fenomeni psichici ed i fisiologici un semplice divario di forma 
o di grado, e non una differenza di natura o di essenza. Tutti 
sono convertibili fra di loro, perchè sono fondati sull’unità di 
composizione. Dalle più umili funzioni dell'organismo fisiologico 
sino al più sublime pensiero della mente tutti i fenomeni interni 
hanno una comune ed identica natura, perchè sono tutti una 
progressiva e moltiforme manifestazione della vita. Anche qui 
il dissidio tra i due capiscuola del positivismo non potrebb'es- 
sere più profondo e stridente. La scienza psicologica è lacerata 
nel suo seno da una intrinseca contraddizione. Qui io non di- 
scuto, ma espongo; non giudico, ma narro, e dimando ancora: 
La scienza dov'è ? 

La scienza tiene un determinato processe metodico nello studio 
dei fatti, che sono il suo proprio: ed. esclusivo oggetto, e mira 
ad uno scopo supremo, come a risultato finale delle sue inda- 
gini. Qual’è questo scopo ? Sentiamo come rispondono alla di- 
manda .i nostri due illustri positivisti. Augusto Comte, pur 
mentre si propone per iscopo di coordinare in un sistema unico 
tutto l'immenso insieme delle conoscenze acquistate, relativa- 
mente ai differenti ordini di fenomeni. naturali ricisamente di- 


136 GIUSEPPE ALLIEVO 


chiara di non avere punto in animo di procedere allo studio 
generale di questi fenomeni riguardandoli tutti come effetti di- 
versi di un principio unico, come soggetti ad una sola e mede- 
sima legge. Egli mostrasi personalmeate convinto, che ogni ten- 
tativo di spiegare l'universalità dei fenomeni mediante una legge 
unica, anche fatto dalle più competenti intelligenze, riesce a 
vuoto. Secondo lui, basta l’unità di metodo, e non è punto ne- 
cessaria l’unità di dottrina, la quale presenti tutti i fenomeni 
naturali siccome in fondo identici, salva la varietà delle circo- 
stanze (1). Il positivista inglese la pensa tutt’all’opposto. Egli 
assegna alla scienza siccome suo còmpito finale la ricerca e la 
scoperta di una legge unica ed assolutamente suprema, la quale 
spieghi essa sola tutta l’infinita moltiplicità dei fenomeni e nella 
quale vadano a risolversi tutte le altre leggi sempre più gene- 
rali. Dato un primo gruppo di fenomeni, la mente fa astrazione 
dalle note proprie e distintive di ciascuno, e raccoglie il loro 
elemento comune sotto una legge generale: date più leggi spe- 
ciali, astrae dagli elementi concreti di ciascuna e si solleva a ciò, 
che è comune a tutte, cioè ad una legge più generale; da più 
leggi generali riguardate in ciò, che presentano di omogeneo e 
di uniforme, s'innalza ad un’altra più generale ie così va ripe- 
tendo il lavoro dell’astrarre e del generalizzare finchè sia per- 
venuta ad un concetto il più astratto ed il più generale, spoglio 
di ogni concretezza ed assolutamente indeterminato, che è l’in- 
conoscibile assoluto. Chi dei due è nel vero? Affermeremo noi 
col Comte, che il pensiero umano deve rinunciare al sublime 
intento di ricercare un principio unico e supremo, il quale spieghi 
tutto l’essere e tutto il sapere, oppure seguiremo lo Spencer, il 
quale ripone questo principio supremo nella più trascendentale 
astrattezza possibile, identica coll’inconoscibile assoluto? Non è 
qui luogo di discutere la questione; a me basta aver messo in 
chiaro, che anche su questo punto il positivismo, quale è pro- 
fessato dai suoi più illustri rappresentanti, non mostra omoge- 
neità di dottrina. 

Quest'ultimo punto, che abbiamo toccato, strettamente si €ol- 
lega con quello che riguarda la classificazione delle scienze. 


(1) Opera citata, pagg. 139-142. 


IN CERCA DELLA SCIENZA 197 


Augusto Comte fonda la sistematica coordinazione dello scibile 
sulla decrescente generalità ed astrattezza degli oggetti, intorno 
a cui esso si travaglia, ossia sulla indipendenza della scienza 
superiore dalla inferiore e sulla dipendenza logica di questa da 
quella. Egli riduce tutte quante le scienze a queste sei: mate- 
matiche, astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia. La legge 
della decrescente generalità ed astrattezza degli oggetti cono- 
scibili riéhiede che le più semplici siano poste alla base, la più 
complicata alla cima del sistema enciclopedico. Quindi il primo 
posto va occupato dalle matematiche, perchè sono talmente 
astratte, che per essere apprese e coltivate non abbisognano 
delle nozioni di verun’altra scienza. Il secondo posto va asse- 
gnato all'astronomia, perchè meno semplice delle matematiche 
per una parte, e per l’altra meno complicata delle susseguenti. 
Per consimile ragione il terzo posto va occupato dalla fisica, 
dalla chimica il quarto, il quinto dalla biologia, il sesto ed ul- 
timo dalla sociologia. Lo Spencer ha dettato una classificazione 
delle scienze, esposta nel suo volume, che porta appunto questo 
titolo, ma egli non ammette sei scienze fondamentali, collegate 
fra di loro da un vincolo di figliazione, bensì tre categorie di 
scienze, cioè le astratte, quali sono la matematica e la logica: 
le astratte concrete, cioè la meccanica, la fisica, la chimica, ecc. : 
le concrete, come la geologia, la biologia, la psicologia, ecc.; e 
non hanno fra di loro nessun ordine di figliazione. Quell’opuscolo 
dello Spencer contiene un lungo capitolo, in cui egli non solo 
rigetta come insussistente la classificazione delle scienze pro- 
posta dal Comte, ma chiamando a rassegna le proposizioni fon- 
damentali comprese nella dottrina del filosofo francese, sì mostra 
ricisamente contrario alle medesime; e pur mentre confessa che 
conviene con lui su alcuni punti di poca importanza, si affretta 
a soggiungere: “ Che importa l'andare d’accordo sui punti se- 
condariî allorchè si è discordi sui principî fondamentali? , (1). 

A compiere il nostro breve parallelo occorre toccare un ul- 
timo punto non poco notevole, che riguarda il discorde pensare 
dei nostri due filosofi intorno il concetto religioso. Secondo il 
Comte, l’oggetto della religione, il Grand’Essere supremo non 


(1) Opuscolo citato, pag. 125. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLUI. 13 


Ps 


138 GIUSEPPE ALLIEVO 


è Dio, ma l’Umanità. Il carattere essenziale della religione è 
l’antropolatria : essa è l’uomo che adora se stesso. Anch'essa, la 
nuova religione positiva ha il suo culto, quindi le sue preghiere, 
i suoi sacramenti, la sua triade, le sue feste, i suoi sacerdoti, 
il suo sommo Pontefice. Il culto religioso va riposto nell'amore 
dell’umanità, ossia nell’onoranza riconoscente dei benefattori tra- 
passati e nella beneficenza verso i contemporanei. Mentre il 
pensatore francese fa l’uomo Dio a se stesso e ripone la reli- 
giosità nell’antropolatria, il positivista inglese rigetta l’antropo- 
morfismo, in cui l’uomo si foggia Dio a sua immagine e somi- 
glianza, lo ripudia siccome l'elemento fattore e superstizioso, 
che giace in fondo a tutte le religioni particolari, la radice ed 
il germe del feticismo, del politeismo, di tutte le credenze con- 
trarie al giusto concetto religioso. Il Dio dello Spencer è asso- 
lutamente innominabile, impensabile, inconoscibile. Esso non ha 
nè pensiero, nè conoscenza, nè attività volontaria, nè bontà mo- 
rale, nè coscienza di sè, nè vita. Ogni parola umana a lui ri- 
volta sarebbe una parola irriverente, che turberebbe l’eterno 
silenzio della sua solitudine infinita. Se osiamo pronunciare, che 
egli è il Principio, di cui l'universo è una manifestazione, guar- 
diamoci bene dal ricercare il senso di queste parole. La pura, 
la vera religione non ha credenze, non preghiere, non riti, non 
timori, nè speranze. Il suo tempio è il vuoto, il suo Dio è 
l’Ignoto. Qual profondo dissidio tra i due pensatori in un punto 
capitalissimo, che riguarda la più sublime manifestazione della 
vita umana, qual'è la religiosità ! 

Qui viene a proposito di notare, che questa teoria della ne- 
scienza assoluta intorno a Dio ed alla vita futura ha logica- 
mente condotto alcuni positivisti, specialmente inglesi, ad un 
risultato pratico, che con recente vocabolo venne appellato se- 
colarismo. È questo una tendenza o disposizione di spirito, che 
circoscrive nei limiti della vita presente tutto quanto l’oggetto, 
il compito, lo scopo dell’esistenza umana. “ Gli Inglesi (scrive a 
questo riguardo Ernesto Naville) con quel senso pratico che li 
caratterizza, hanno svolto le conseguenze del positivismo per la 
condotta della vita. Dacchè non ci è dato di sapere alcunchè 
intorno a quanto può esistere al di sopra ed al di là del mondo 
della nostra esperienza, dacchè ogni ricerca a questo riguardo 
fallisce all'intento, un uomo di senno si ristringe a regolare la 


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- IN CERCA DELLA SCIENZA 139 


sua condotta in vista della vita presente e delle condizioni di 
esistenza del secolo, dove si trova collocato , (1). 

E. Caro pubblicava nella eve des deux mondes di Parigi, 
anno 1886, un articolo intitolato: “ Comment les dogmes finissent 
et comme ils renaissent ,, nel quale avverte che il secolarista 
non ha che un dogma solo, quello della vita presente, della 
vita nel secolo e dei doveri, che essa richiede pel nostro mi- 
glioramento. # È, posso dire, l’agnosticismo pratico convertito 
in massime di condotta e medesimamente in una sorta di reli- 
gione ,. Egli cita alcuni dei principî, sù cui si fonda la British 
seculier Union. 1. La vita presente essendo la sola, di cui ab- 
biamo una conoscenza certa, esige la nostra costante attenzione ; 
2. Il tener dietro alla nostra felicità personale, come alla feli- 
cità generale in questo mondo, rappresenta il più alto grado di 
saggezza e del supremo dovere; 3. Il solo mezzo di raggiun- 
gere quest'oggetto è lo sforzo umano fondato sulla scienza e 
sull’esperienza. 

Giacchè mi si presenta qui l'occasione, farò una breve osser- 
vazione intorno l’umanismo in generale. Esso si fonda sopra un 
doppio errore, cioè sopra un falso concetto dell’uomo, e sopra 
un falso concetto della ragione e della conoscenza umana. 

Secondo l’umanista, l’uomo è tutto e non può ammettere al di 
sopra di sè un altro essere, che gli sovrasti. È chiaro che egli 
non può parlare dell'umanità in astratto, la quale naturalmente 
non esiste in natura, bensì de’ singoli individui umani, che vi- 
vono in realtà. Ora l’uomo vivente è una persona, che ha delle 
aspirazioni incessanti ad una vita futura oltremondana, ha il 
sentimento dell'immenso e dell'infinito, di cui non è che pic- 
ciolissima parte, ha una coscienza religiosa, che gli rivela un 
essere infinitamente a lui superiore, autore e reggitore dell’uni- 
verso. Ora queste aspirazioni, questo sentimento, questa coscienza 
religiosa, che fanno parte essenziale della natura umana, e che 
si mostrano sempre e da per tutto, l’umanista le rigetta, e sì 
forma dell’uomo un concetto mutilato e tutto suo proprio, che 
non è il vero. 

L’umanista afferma ancora che non solo nessun essere vi è 


(1) Le filosofie negative, pagg. 78, 79. 


140 GIUSEPPE ALLIEVO 7 


al di sopra dell’uomo, ma altresì che la ragione umana deve 
rigettare quanto sovrasta alla sua apprensiva, e ciò solo acco- 
gliere per vero che è sgombro di ogni oscurità. Anche questo 
concetto intorno la ragione e la conoscenza umana poggia sul 
falso. L'universo conoscibile non è nè tutto luce limpida e pura, nè 
tutto tenebra fitta e buia, ma un chiaroscuro. Non vi è dogma 
anche di quelli, che appartengono alla religione rivelata, che 
non abbia il suo lato intelligibile, non vi ha teorema anche di- 
mostrato, che non abbia il suo punto oscuro, che suscita il 
dubbio ; quindi la frase ‘di Dante : 


“ Sorge appié del vero il dubbio ,. 


Io ho esordito con questa dimanda : La scienza dov'è? Ho 
messo a raffronto fra di loro i pronunciati dei due più illustri 
rappresentanti del positivismo intorno i punti fondamentali della 
scienza, ed essi si mostrarono fra di loro in perfetto antago- 
nismo. La risposta viene da sè : il positivismo non è la scienza, 
perchè questa è verità, e la verità non può contraddire a sè 
stessa. Ciò non vuol dire, che nei lavori dei filosofi positivisti 
non vi si trovino belle e splendide verità, concetti nuovi ed 
originali, di cui la scienza può far tesoro, ma il vero vi è fram- 
misto coll’erroneo, il certo coll’incerto, col probabile, coll’ipo- 
tetico, ed è còmpito della critica il sincerare gli uni dagli altri 
elementi. Il positivismo è un sistema, e sotto questo riguardo 
va messo alla pari con tutti gli altri sistemi: tutti hanno al- 
cunchè di soggettivo, di parziale, di esclusivo, perchè sono il 
portato di ingegni individuali, non della ragione universale del- 
l'umanità : accanto a verità dimostrate e luminose contengono 
asserzioni gratuite, ipotesi insussistenti. Si ha una grande, una 
immensa fede nella potenza della ragione: da lei si attende la 
creazione della scienza, ed ess@ si propone i grandi problemi 
dell'essere e del sapere, e lavora intorno il loro scioglimento, 
creando sistemi sopra sistemi. Ma che? Viene la critica e li 
rovescia l’un sull'altro, cercando la verità a briciole in mezzo 
alle loro ruine, tantochè la scienza ricercata ci ricorda l’araba 
fenice, “ che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa ,. 
Certo è cosa, che sommamente sconforta il vedere il campo 
dello scibile umano scompigliato dalla lotta di tante contrarie 


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IN CERCA DELLA SCIENZA 141 


dottrine, il vedere il profondo, eterno dissidio fra i lavoratori 
del pensiero intorno i problemi più capitali della vita profes- 
sare le opinioni più discrepanti circa il medesimo punto. Ma non 
ci cada mai dalla mente, che la scienza, come la verità, vive e 
si muove entro una sfera serena, superiore alla lotta ed alle con- 
traddizioni de’ sistemi e dei pensamenti esclusivi, e ci conforti 
il ricordare che, se le discussioni della ragione disuniscono i 
nostri intelletti, possiamo, anzi dobbiamo serbarci uniti di cuore 
nell'amore comune della verità e nel rispetto vicendevole delle 
persone. ° 


II 


Il culto della scienza ed il giovane pensatore. 


Nel cielo della scienza non si nasce, ma occorre conquistarlo 
colla virtù del pensare speculativo, che dall’umile sfera natu- 
rale del pensare comune si solleva alla ricerca delle ragioni 
recondite delle cose. Il trapasso dal pensare comune al pensare 
speculativo ci porta sulla soglia della scienza, e qui tosto ci si 
presenta un problema di capitale importanza, che va discusso e 
risolto anzi ogni altro, siccome quello, da cui pendono le sorti 
ed il felice culto della medesima. Il pensiero umano non esor- 
disce dalla speculazione, ma dalla intuizione naturale, epperò la 
scienza non ispunta dal nulla quasi per incanto, ma è preceduta 
dal sapere comune e da esso inizia il suo esplicamento. La ve- 
rità non è privilegio di pochi pensatori, bensà è luce che illu- 
mina tutto il mondo dell’umanità. 

Ciò posto, sorge la domanda: In che dimora il vincolo di 
continuità, che allaccia il pensare comune col pensare specula- 
tivo? Qual è il giusto rapporto di coerenza logica tra il sapere 
ordinario e la scienza? Ecco il primo e fondamentale problema, 
che si presenta spontaneo, imperioso, indeclinabile; da esso oc- 
corre pigliare le mosse per segnare alla scienza il suo giusto 
indirizzo, per determinare il suo contenuto ed il suo organismo, 
per posare sopra un saldo pronunciato l’alzata dell’edificio spe- 
culativo. Io non veggo che alcun pensatore non che discutere 
questo problema, ne abbia tampoco avuto qualche sentore. Tutti 
hanno cercato e proposto, ciascuno a modo suo, un primo prin- 


142 GIUSEPPE ALLIEVO 


cipio, ponendolo siccome fondamento di tutto l’essere e di tutto 
il sapere; ma non ci hanno saputo dare che pronunciati esclu- 
sivi, parziali, tal fiata arbitrari, in aperto conflitto gli uni cogli 
altri, perchè si sono di botto lanciati nel cielo immenso della 
speculazione senza aver preso le mosse dal fondamento, che 
natura pone. 

Vittorio Cousin fu, ch’io mi sappia, il solo, che abbia mostrato 
di avere una vaga e confusa intuizione del problema, ma non 
ebbe coscienza del suo alto significato. Tenendo per fermo che 
la filosofia deve esordire dal fatto fondamentale della coscienza, 
e che la riflessione psicologica, alla quale spetta lo studio scien- 
tifico di questo fatto, suppone anteriore a sè la conoscenza na- 
turale del medesimo, fu logicamente condotto a distinguere nella 
vita intellettuale dell’îo umano due successivi periodi, che sono 
lo sviluppo spontaneo e lo sviluppo riflesso, l'uno che precede 
ed è l’opera della natura, l’altro, che sussegue ed ha i suoi 
gradi ed i suoi progressi (1). Egli divisa i caratteri, che diffe- 
renziano la conoscenza primitiva, la quale è spontanea, posi- 
tiva, indistinta, oscura, dalla conoscenza sviluppata, che è ri- 
flessa, negativa, distinta e chiara. Ma distinguere non basta; 
occorre altresì -segnare il punto di contatto tra i due termini, 
chiarire il vincolo di continuità tra il pensare comune e lo spe- 
culativo, determinare il rapporto di coerenza logica tra il sapere 
ordinario e la scienza, e questo, che è appunto il problema fon- 
damentale, sfuggì alla mente dell'autore. Egli non ha avvertito, 
che anche il pensare comune ammette un certo qual grado di 
riflessione, e che perciò si dà un sapere riflesso, che non è 
ancora filosofico. Quindi erroneamente asserisce, che “ altro è 
il punto di mossa, ed altro il fondamento della filosofia , (2), 
riponendo quello nella riflessione, questo nel fatto primitivo della 
coscienza, mentre avrebbe dovuto stabilir bene il punto di con- 
tatto tra questi due termini. 

Cartesio aveva riposto il primo principio filosofico nell’affer- 
mazione che l'io fa della propria esistenza mediante il pen- 


(1) Premiers essais de philosophie. Paris, 1862, pag. 305. — Histoire 
générale de la philosophie. Paris, 1864, pagg. 6, 7. 
(2) Premiers essais de philosophie. Paris, 1862, pagg. 305-307. 


nil nt E ii ADR AE 


IN CERCA DELLA SCIENZA 143 


siero; ma fu grande errore il suo, riducendo tutto l’essere 
dell'io ad un soggetto meramente pensante. Per lo contrario 
saggiamente avvisò il Cousin scrivendo che “la conoscenza na- 
turale ha per proprio di essere complessa; perchè non vuolsi 
credere che le facoltà nostre si svolgano isolate e successiva- 
mente: la natura le mette in moto tutte insieme, lo spirito, il 
cuore, i sensi, l’immaginazione, l’attenzione, la volontà, la me- 
moria, ecc. , (1). 

La storia della filosofia moderna segnala i nomi di due pen- 
satori, celebrati siccome grandi riformatori della scienza specu- 
lativa, Renato Cartesio ed Emanuele Kant; ma essa ci apprende 
ad un tempo che la loro riforma non regge alla critica, perchè 
posa sopra un fondamento insussistente. Cartesio, cercando una 
verità prima, che resista incrollabile ad ogni assalto del dubbio, 
ed in sè racchiuda tutte le altre, s'immaginò di averla trovata 
nel suo Cogito, ergo sum. Cogito; ma che cosa io penso? Erro- 
neamente egli suppose, che possa darsi in realtà un pensiero 
puro senza oggetto e senza contenuto. Dunque sono! ma che 
cosa sono ? Forsechè tutto il mio essere si assomma in un sog- 
getto meramente pensante, o non anche sensitivo e volente ? 
Kant pose per primo problema: Che cosa posso io sapere? Ma 
perchè non dimandar anzitutto che cosa so già di fatto? Amendue 
posano per primo principio il nulla, perchè un pensiero puro 
senza oggetto è un mero nulla, come è un nulla una mera po- 
tenza di sapere, che non sa niente. < 

Ora io immagino un giovane studioso, serio, riflessivo, conscio 
del suo ingegno, fermo nel proposito di consacrare al culto del 
sapere tutta la potenza del suo pensiero. Pigliando le mosse 
dalla sfera del senso comune, dove la natura ci ha tutti origi- 
nariamente collocati, egli sta per elevarsi verso le regioni della 
scienza e vede affacciarglisi l'eterno problema dell'essere o non 
essere, dell'essere fenomenico, che continuamente muta e passa, 
e dell’essere sostanziale, che permane nella sua essenza e sta, 
dell’ essere incorporeo, intelligente, libero di sè, e dell’essere in 
conscio di sè, implicato nei vincoli della cieca materia, legato 
al tempo ed allo spazio. Di fronte a questo problema il nostro 


f 


(1) Histoire générale de la philosophie. Paris, 1864, pagg. 7. 8. 


144 GIUSEPPE ALLIEVO 


giovane esamina se medesimo, sa che tutto il suo essere risiede 
in una facoltà intelligente, che pensa e conosce la realtà, in 
una potenza affettiva, che sente la vita, in una attività libera, 
che opera volendo, e chiede a se medesimo : Dell’immensa realtà 
che cosa posso io conoscere con verità ? Quanta e quale feli- 
cità posso io attingere dal senso della vita ? Fin dove si stende 
il mio operare in ossequio al dovere? Alla scienza egli diman- 
dava la risposta a questi tre capitali problemi, ma non ignora 
che anteriormente alla scienza, la quale è privilegio di “pochi, 
esiste la sapienza universale del genere umano, che appartiene 
a tutti, quale si rivela nella coscienza naturale di ciascun indi- 
viduo e nelle credenze morali e religiose di tutte le genti. 
Ora questa comune sapienza afferma l’esistenza di un Essere 
assoluto, principio intelligente e termine finale di quanto sus- 
siste; il mondo dello spirito ed il mondo della materia essen- 
zialmente distinti e composti ad armonia ; la santità del dovere 
imposto dalla legge morale e la libertà del volere; la felicità, 
termine obbiettivo e finale della nostra sensitiva natura ; l’esi- 
stenza di una vita oltremondana, in cui va a risolversi la lotta 
della vita presente tra la verità e l'errore, tra l’onesto ed il 
turpe, tra la voluttà ed il dolore: infine la personalità finita 
dell'essere umano, che si regge sulla personalità infinita del- 
l'essere divino, e su cui posa tutta la dignità della vita. Da 
queste solenni affermazioni, che illuminano della loro luce i pro- 
posti problemi e ne additano lo scioglimento, il giovane fa passo 
nel campo della scienza, e consultando la storia del pensiero 
filosofico chiama a critica rassegna le speculazioni dei pensa- 
tori, che serutarono que’ problemi e ne proposero la soluzione. 
Qui la sua mente rimane turbata, confusa, attonita davanti ad 
una folla di dottrine tanto contrarie ed opposte, di sistemi tanto 
disparati, di teorie tanto incerte, insussistenti e chimeriche. 
Della realtà universale che cosa posso io sapere? Nulla, gli 
risponde lo scettico, proprio un bel nulla. Tutto, contrappone 
l’idealista trascendentale; tu puoi saper tutto ; il tuo pensiero si 
‘stende quanto l'essere universo; niente esiste che non sia pen- 
sato, e ciò solo esiste, che è conosciuto. Il mondo corporeo, sot- 
tentra il materialista, esso solo è conoscibile e sussistente ; lo 
spirito divino, le sostanze spirituali ed immateriali sono chimere 
dell’immaginazione. No, ribatte lo spiritualista psicologo; l’anima, 


dei 


IN CERCA DELLA SCIENZA 145 


che informa il mio corporeo organismo, è una realtà sostanziale, 
vivente, conscia di ciò che è, di ciò che fa, di ciò che può e 
debb’essere. Così non è, ripiglia il psicologista sperimentale ; 
della psiche umana conosciamo soltanto i fenomeni, che cadono 
sotto i sensi e sono sperimentabili per mezzo di macchine e di 
acconci strumenti: ciò, che voi chiamate vita intima dell’anima, 
inaccessibile al dominio de’ nostri laboratorî, è una vana astru- 
seria. No, no, insorgono qui i cultori degli studi spiritici: i feno- 
meni dello spiritismo, che vi stanno davanti incontrastabili, in- 
distruttibili, danno una smentita alla vostra teoria de’ fenomeni 
psichici, ai pronunciati della vostra psicologia esclusivamente 
sperimentale. Così il nostro giovane se ne sta perplesso e con- 
fuso in mezzo al contrasto di tante contrarie dottrine intorno 
al valore ed alla virtù dell'umano conoscere. 

Io sento la vita, la voglio prospera e beata; quale e quanta 
felicità (egli dimanda passando al secondo problema) è riser- 
vata alla mia esistenza? La felicità è una ingannevole men- 
zogna, risponde il pessimista ; il dolore, e dopo il dolore il nulla, 
ecco tutta la vita umana: il tempo colla sua forza irresistibile, 
inesorabile, tutto distrugge, si porta via le nostre illusioni, le 
nostre speranze, ed accumula ruine sopra ruine dentro di noi e 
fuori di noi. No, afferma il filosofo spiritualista, la vita non è 
tutta quanta infelice, come non è tutta lieta e felice, ma un 
intreccio di piaceri e dolori, che si alternano inseparabili: il 
problema della felicità va a metter capo nella vita oltremon- 
dana. Qui sottentra lo stoico, il quale pigliando posto tra i due 
contraddittori, sentenzia: vuoi tu essere veramente saggio e 
beato ? Schianta dalla tua anima perfin la radice del sentimento, 
dell’affetto: sii inaccessibile al piacere, al dolore, ad ogni pas- 
sione, che ti possa commuovere : la vita non debb’essere sen- 
tita, ma governata dalla fredda e pura ragione. 

Che cosa debbo io operare per rispondere alla dignità della 
persona umana ? Quali sono i limiti, che la legge morale segna 
alla mia libera volontà siccome termini del giusto e dell’onesto, 
al di là dei quali la moralità scompare? Anche questo terzo 
problema fu risolto in sensi diversi ed opposti. Insegna la filo- 
sofia tradizionale, che il dovere ripugna*agli esseri corporei 
dominati dalle cieche ed ineluttabili forze della materia, bensì 
compete soltanto agli esseri personali, che hanno coscienza del 


146 GIUSEPPE ALLIEVO 


loro #0 sostanziale ed il libero dominio del proprio operare. Il 
dovere non istà senza il libero volere, e la libertà del soggetto 
operante genera in lui la responsabilità morale, il merito ed il 
demerito. Il positivista contrappone una dottrina diametralmente 
opposta. La libertà del volere non esiste; l'io personale è una 
illusione. L'uomo non è una persona fornita di una individualità 
sostanziale sua propria, che abbia sentimenti, desideri, pensieri 
veramente suoi: le azioni, che in me si compiono, non sono nè 
mie, nè di nessuno : tutta la vita psichica non è la manifesta- 
zione di un'attività libera e conscia di sè, bensì un perpetuo 
flusso e riflusso di fenomeni, che non appartengono a nessuno. 
Così se l'io non esiste, riesce vano il dimandare, che cosa io 
debbo operare ; se la libertà del volere è un'illusione, non vi è 
più ragione di operare in un modo anzichè in un altro; checchè 
si faccia, tutto è buono ad un modo, perchè tutto è necessario, 
o a dir meglio, non vi è più nè onesto, nè disonesto, ogni mora- 
lità è scomparsa. 

Or che farà il nostro giovane, il quale ha interrogati i pen- 
satori di tutti i tempi e di tutti i luoghi intorno ai grandi pro- 
blemi del sapere, del vivere e dell’operare e sì trova di fronte 
ad innumerevoli sistemi, che sono in urto fra di loro e si di- 
struggono l’un l’altro? Non crederà più a nulla e si abbando- 
nerà allo scetticismo ? No, certo: egli possiede ancora quella 
vigoria d’ingegno, che è propria dell’età giovanile, e non può 
avere già perduta Ja speranza di conquistare la verità sospirata. 
Pur troppo, un vecchio pensatore, che ha consumato tutta la 
vita nello scrutare i grandi problemi della scienza e che col- 
l’anima inaridita dal lungo e freddo speculare scorge che le 
verità conquistate rispondono rare e scarse alle incessanti fatiche 
del suo pensiero, ben può abbandonarsi a certo quale sconforto 
vedendo il profondo dissidio di tanti intelletti intorno i più gravi 
punti della scienza, e quel non so che di oseuro, di misterioso, 
di imperscrutabile, che giace in fondo ad ogni questione. Ma in 
ogni caso il serio pensatore, in mezzo al variare delle dottrine 
contrarie ed opposte, possiede in sè un principio saldo ed in- 
crollabile, che lo agguerrisce contro lo scetticismo, ed è il con- 
cetto ed il sentimento della personalità umana, per cui l’uomo 
eccelle per dignità di natura su tutto l’universo corporeo, dove 
non esistono persone, ma cose. Il soggetto umano non è un puro 


IN CERCA DELLA SCIENZA 147 


pensante e niente più, ma accanto al pensatore della scienza 
esiste in lui la persona individua, che vive la vita ordinaria 
della famiglia e della società, che sente il fremito della pas- 
sione e lotta per il trionfo del dovere, che aspira ad un ideale 
infinito e lo persegue esercitando la sua attività nel campo im- 
mensurabile della vita operativa. Ora la scienza non può, non 
deve mettere in antagonismo fra di loro il pensatore e la per- 
sona vivente: deve non distruggere, ma rispettare le fonda- 
menta naturali, su cui posa la vita della persona umana. La 
vera scienza nobilita, eleva, sublima l’uomo sino al suo ideale 
infinito; quella, che lo degrada e lo abbassa sino al fango della 
materia, non è verità, ma menzogna. 

Io sono persona umana: ecco il massimo pronunciato della 
sapienza universale; che è ad un tempo la prima parola della 
scienza. L'affermazione del nostro essere personale mediante la 
coscienza è il supremo fatto psicologico, che avvolge nell’unità 
sua tutti gli altri; la verità prima, salda, inconcussa, superiore 
ad ogni dubbio, nella quale convengono l’universale degli uomini 
ed il ceto dei pensatori, poichè la coscienza personale ci accom- 
pagna in tutto il corso ordinario della nostra vita comune, egual- 
mente che in tutti i lavori mentali della più elevata e trascen- 
dente speculazione. i 

Il pronunciato ora formolato segna il punto di contatto ed il 
vincolo di continuità tra il pensare comune ed il pensare spe- 
culativo, tra il sapere ordinario ed il sapere scientifico. Il nostro 
giovane pensatore, pigliando le mosse dal concetto della persona 
umana, che è mente informante un organismo corporeo, e svi- 
scerandone il contenuto mediante la riflessione speculativa, ne 
trae a filo di logica un compiuto sistema di antropologia (1) e 
di psicologia, il quale è un commento continuo e razionale di 
quel concetto. A mano a mano che lo va progressivamente 
esplicando, egli può alla luce del medesimo giudicare della ve- 
rità o della falsità dei tanti e diversi «sistemi, che incontra per 
via, sincerando quelli, che riconoscono la personalità dell'umano 
soggetto, dagli altri che o la esaltano oltre misura sino a con- 


(1) Su questo concetto io ho abbozzato un sistema di scienza antropo- 
logica nella mia opera pubblicata a Torino nel 1891 col titolo Studi antro- 
pologici, l’uomo ed il cosmo. 


148 GIUSEPPE ALLIEVO 


fonderla coll’essere divino, come l’idealismo assoluto ed il pan- 
teismo, o la abbassano sino a confonderla colla natura fisica 
come il materialismo, o disconoscono l’unità integrale del suo 
essere, come il positivismo fenomenico. Il principio, di cui fac- 
ciamo parola, non esaurisce la fecondità sua nel campo della 
scienza antropologica e psicologica, ma informa altresì della sua 
virtù tutte le discipline particolari, che hanno per oggetto il 
mondo sociale ed illumina della sua luce anche quelle altre, che 
hanno per còmpito loro proprio lo studio della natura fisica, 
poichè la scienza tutta quanta, come l’arte, come tutto il mondo 
civile e sociale è una manifestazione delle due facoltà proprie 
della persona umana, l'intelligenza conoscitiva e l’attività vo- 
lontaria. 

Il Cousin, come ho notato testè, censurò il Cogito di Cartesio, 
che scinde il pensiero da tutte le altre attività, che costituiscono 
la vita del soggetto conoscente, come se esso pensiero potesse 
svolgersi e compiere il suo processo da sè solo, disgiuntamente 
dalle altre potenze. Da siffatta censura non può menomamente 
scolparsi la formola cartesiana, ma essa non tocca in verun 
modo la dottrina che ripone il supremo principio della scienza 
nella persona, la quale affermando se medesima pone se stessa 
come un soggetto, che non solo pensa, ma sente, vuole, opera, 
e nell'unità dell'io armonizza le forme molteplici della sua 
vita (1). | 

La storia narra di un giovane studioso della Germania, che 
visse nel secolo XVI, e compiuto il corso de’ suoi studi venne 
proclamato dottore e maestro in filosofia e teologia, Giovanni 
Faust. La fantasia popolare avvolse la sua esistenza storica in 
avventurose e strane leggende, e l'immaginazione del poeta ri- 
trasse in forma drammatica la sua vita rappresentandolo sic- 
come il genio umano, che combatte la lotta tra la scienza e lo 
scetticismo, tra il bene ed il male, tra la felicità ed il nulla. 
Egli ama d’immenso amore la scienza, perchè in essa vagheggia 


(1) Già nella Prolusione letta all'Università di Torino il 4 dicembre 1873 
io proponevo la definizione L'uomo è persona organata siccome il principio 
supremo informatore della nuova antropologia, ed in esso principio io rav- 
visava lo spirito fecondatore di tutte le scienze egualmente che l'anima di 
tutto il mondo sociale. 


Pa 


IN CERCA DELLA SCIENZA 149 


l'ideale della felicità. Passa i suoi anni giovanili in un solitario 
ed affumicato gabinetto di fisica, dove in mezzo alle storte ed 
ai lambicchi studia e sperimenta la natura, ed a strapparle i 
suoi secreti ricorre ai poteri occulti della magia, dello spiri- 
tismo, dell’alchimia, della chimica trascendentale. Egli volle 
tutto conoscere, scrutò tutti i problemi, tentò di penetrare tutti 
gli arcani della natura; ma dopo di avere meditato su tutto, 
dopo di avere esplorato tutto quanto la natura presenta alla 
nostra osservazione, egli intravede che al di là di tutto il mondo 
conoscibile della natura e dell'umanità evvi ancora alcunchè di 
ignoto, che sfugge alle sue indagini, evvi il vuoto infinito, 
l'abisso immensurabile, lo spazio interminato e buio, dove il 
nostro pensiero non discerne più nulla, dove la natura non trova 
più luogo per le sue creazioni. Alla vista dell'ignoto impene- 
trabile e tenebroso egli si sente oppresso dal dubbio, ed un 
profondo disgusto invade la sua anima inaridita. “ Ohimè (egli 
esclama), io ho oramai studiato filosofia, giurisprudenza, medi- 
cina, e, lasso, anche la grama teologia! e d’ogni cosa sono 
andato al fondo con cocente fatica. Ed ecco, povero pazzo! ch'io 
ne so quanto dianzi. Mi chiamano maestro, mi chiamano anche 
dottore, e già da dieci anni io meno di su e di giù e per lungo 
e per traverso, i miei scolari pel naso; e veggo manifesto che 
non sapremo mai nulla. Ahi, io ne avrò rapidamente consumato 
il cuore! Per verità, io passo di dottrina tutti quanti i ciancia- 
tori, dottori, maestri, scrivani e preti, ma io sono tormentato 
da dubbi e da scrupoli: nè l'inferno, nè il diavolo mi dà paura. 
Ma, e ogni gioia sì è pure partita da me: non più io presumo 
di conoscere alcuna cosa di vero: non più presumo d’insegnare 
alcuna cosa, che mai valga a ravviare e condurre gli uomini al 
bene. Oltre di che, io non ho nè poderi, nè oro, nè onori, nè 
dignità nel mondo. Un cane non potrebbe lungamente durare 
simil vita. E però io mi sono gettato nella magia per tentare 
se mai gli spiriti volessero di lor bocca rivelarmi alcuni segreti, 
tal ch'io cessassi una volta quest’'angoscia d’insegnare quello 
che io non so; conoscessi pur una volta ciò, che più intima- 
mente feconda o tiene insieme questo universo, le operose sue 
forze, e le sementi di tutte le cose, e non facessi più un ver- 
gognoso mercato di parole ,. 

Così il povero Faust, scoraggiato, deluso, vorrebbe piombare 


150 GIUSEPPE ALLIEVO — IN CERCA DELLA SCIENZA 


nell’eterno oblio e nel riposo del nulla, troncando anzi tempo 
la sua esistenza (1). Però un subitaneo risveglio del suo giovanile 
sentimento religioso gli fa cadere di mano il nappo letale già 
preparato. Ma quel momento di lucido intervallo passò come 
lampo. La lotta, che in lui si dibatte tra il suo spirito, che vor- 
rebbe sfondare il mistero dell'universo, e la natura, che ostina- 
tamente gli rifiuta i suoi segreti, tra la sua anima sitibonda di 
felicità ed il profondo disgusto della vita, che lo opprime; lo 
porta al disperato partito di vendere la sua anima allo spirito 
infernale a patto che lo aiuti a rompere i cancelli, che lo ten- 
gono schiavo della natura e dell'umanità, che gli riveli tutti i 
segreti dell’universo, che immerga la sua anima nelle fervide 
correnti della felicità e dell'amore, che lo renda onnipotente su 
tutte le forze della natura. Il patto infernale è conchiuso e sug- 
gellato collo stesso suo sangue. 

Qui mi arresto, non essendovi cagione di seguire il povero 
Faust nella corsa vertiginosa col suo compagno infernale attra- 
verso gli spazi immaginari. Ma non debbo tacere, che anche 
lasciando da banda la parte leggendaria, che avvolge la sua vita, 
e la parte fantastica, che costituisce la concezione poetica del 
dramma, un concetto altamente filosofico sta nascosto in tutta 
questa splendida creazione drammatica e leggendaria, ed è che 
anche la scienza ha i suoi recessi misteriosi ed imperserutabili, 
i quali si rivelano soltanto ad una intelligenza sovrumana; che 
siccome vi ha un al di là della vita, ed un al di là della natura, 
così vi ha un al di là della scienza, l'ignoto; e che l’esistenza 
dell’ignoto non va rigettata, per quantunque non si riesca a 
comprenderlo. Chi seriamente attende alle indagini della scienza, 
non può non riconoscere che certa qual’ombra di mistero si 
stende su tutta l’immensità delle cose: ma se l’universale de’ 
pensatori ammette alcunchè di ignoto, non tutti concordano nel 
determinarlo. 


(1) Io so di un illustre filosofo positivista italiano, che moriva escla- 
mando: Sia maledetta la scienza! 


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ALESSANDRO LATTES — L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 151 


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L’interinazione degli editti. 
Studio di storia del diritto pubblico piemontese. 


Nota del Prof. ALESSANDRO LATTES 


$ 1. — Pochi ammaestramenti storici possono riuscire più 
efficaci di quelli che dimostrano come la forza delle cose s’im- 
ponga all’azione volontaria anche dispotica degli uomini e pre- 
valga a questa nel risultato finale, quantunque in modo lento 
ed in ciascun caso singolare insufficiente. Le monarchie assolute 
ce ne offrono un bell'esempio, quando di fronte al succedersi 
dei principi più fieri difensori d’un arbitrio infrenato ed infre- 
nabile, insieme colle resistenze individuali di qualche suddito 
che più fortemente rifiuta d’obbedire ad una volontà che non 
conosce limiti, vediamo sorgere dei freni giuridici e morali col- 
lettivi, i quali s'impongono a tutti ed a cui i principi stessi non 
sanno o non possono sempre sottrarsi: così sì vien provando 
una volta di più che la libertà si consegue più efficacemente 
col libero volere, anche quando le leggi non siano ottime. Fra 
questi freni merita di esser considerata per la sua importanza 
l’interinazione dei decreti sovrani, di cui troviamo quasi l’unico 
esempio in Italia nella monarchia sabaudo-piemontese e di cui 
possiamo seguire lo svolgimento successivo in molti documenti 
editi ed inediti. 

$ 2. — L'istituto dell’interinazione consiste in ciò che ogni 
provvedimento legislativo del principe deve venir presentato a 
qualche collegio supremo dello stato per essere esaminato ed 
approvato e non ha senza tale formalità piena forza obbliga- 
toria: il collegio ha facoltà di esporre le sue osservazioni al 
principe e sospende intanto l’interinazione. 

Varie etimologie furono proposte per la parola, l’una strana 
secondo le leggi della filologia da iferum, perchè il sovrano, 


15% ALESSANDRO LATTES 


quando incontra difficoltà e resistenze, ripete ‘ordine ed il ma- 
gistrato rinnova l’esame del provvedimento — l’altra meno 
strana da interim, non accettabile, perchè. l'interinazione non è 
la sospensione dell’atto, ma il complemento di esso che fa ces- 
sare lo stato provvisorio (2) — l’ultima certa ed inattacca- 
bile, dalla voce francese antica enterin, figlia del latino integer 
e sorella dell'italiano intero (3), per cui entériner significa com- 
pletare e perfezionare, powr ainsi dire rendre entier l'atto a cui 
si riferisce, ed il Boutillier nel suo Somme rural (sec. XIV) 
potè dare il nome di restitution enterine alla restituzione in 
intiero. 

$ 3. — Nella monarchia sabaudo-piemontese si parla ge- 
neralmente dell’interinazione come facoltà spettante ai senati 
ed alle camere dei conti: questi furono veramente i collegi che 
l’esercitarono più a lungo e pei quali si ebbero speciali decreti, 
ma anche altre magistrature vi furono talora chiamate e l’ori- 
gine e le prime tracce di tal facoltà risalgono a tempi nei quali 
i senati non ancora esistevano e la camera non aveva auto- 
rità sufficiente. Non si può attribuire all’interinazione il posto 
conveniente nella storia del diritto pubblico senza esaminare 
brevemente a chi apparteneva il potere legislativo e come ve- 
niva esercitato. 

Nel nostro principato, come negli altri d’Italia, la potestà 
di dare ordinamenti obbligatori per tutti i sudditi fu sempre 
riservata al sovrano, conte, duca o re, sia in via di fatto, perchè 
egli era investito del potere supremo ed aveva la forza per 
farsi obbedire, sia in via di diritto, poichè sino dal sec. XIV 
gli imperatori, fonte prima d’ogni podestà, concessero ai principi 


(1) DrowisortI, Storia della magistratura piemontese, 1, 148. 

(2) Sora, Commentaria ad univérsa Sabaudiae ducum decreta, De interi- 
natione, gl. 1, p. 621. — V.in Larousse, Grand dictionnaire universe, VII, 633 
s.v. entérinement, un’altra strana spiegazione data da un grammatico fran- 
cese, nelle annotazioni al VauceLas, Remarques sur la langue frang., che 
farebbe derivare entériner dalla concessione provvisoria che Carlo V accordò 
ai protestanti nel 1548 per l'esercizio della loro religione, finchè un con- 
cilio od una dieta avesse ottenuta la pace religiosa tra gli avversari. / 

(3) Menacio ricordato ap. Larousse, l. cit. — Ragurav e De LauriÈRE, 
Gloss. du droit francois, s. v. entériner. — Goperror, Diet. de l’anc. langue 
frang., s. v. enterin e suoi derivati. — KoertING, Lateinisch-romanisches Wir- 
terbuch?, n. 5060. 


i de.l si dire) 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 153 


di Savoia almeno parzialmente la facoltà di dare leggi negli 
stessi diplomi, con cui conferirono loro la dignità ed ufficio di 
vicari imperiali (1). Non esisteva quindi all’inizio nessuna distin- 
zione di tali ordinamenti in varie specie, fossero essi generali 
per tutto lo stato e per tutti i sudditi, o per una parte di quello 
o per una classe di questi, o particolarmente stabiliti a bene- 
ficio di alcuna persona determinata. Nel sec. XIV si chiamarono 
ordinamenta, ordonnances, statuti e conservarono quest’ultimo 
nome sino ad Emanuele Filiberto (2); più tardi per influenza 
romana e francese si usò più volentieri il nome di editti e let- 
tere patenti, per la forma in cui si rivolgevano a tutti coloro 
che le presenti vedranno o ai nostri fedeli e leali magistrati e 
perchè si trasmettevano, almeno in Francia, aperte a chi doveva 
farle eseguire (3). Nel sec. XVII si mantenne il nome di editti 
pei provvedimenti generali, si dissero costituzioni quelli che ri- 
guardavano una materia determinata in ogni sua parte, lettere 
patenti i provvedimenti personali o particolari, decreti o viglietti 
gli ordini di minor importanza (4). La voce rescritto è piuttosto 
di origine dottrinale, tratta dalle fonti romane si diffuse per 
opera dei giureconsulti e passò dalle sentenze giudiziarie alle 
RR. Costituzioni (5). 

$ 4. — Nella formazione di quegli atti legislativi anche i 
principi di Savoia usarono sempre ricorrere al consiglio di co- 
loro che vivevano attorno ad essi. Furono dapprincipio i baroni 


(1) Diploma di concessione del vicariato imperiale per Amed. VI (1365): 
“ Mandata, statuta et precepta, ne excessus seu delicta in antea perpe- 
trentur, statuere et facere ,, e diploma corrispondente per Lodov. di Savoia 
(1412): “ Decreta, statuta et provisiones in predictis omnibus faciendi de 
novo, corrigendi, tollendi iam facta semel et pluries ,. — GurcHenon, Hist. 
de la maison de Savoie, IV, 131, 208. Cfr. Herneccius, Responsa iuris super 
feudis Langharum, quaest. IV. 

(2) Cfr. i documenti pubblicati dal Nani ne’ suoi lavori Stat. di Amed. VI, 
I primi statuti sopra la camera dei conti; cfr. gli Statuta generalia Sabaudiae 
reformationis, titolo ufficiale della riforma di Amedeo VIII, e i titoli delle 
edizioni posteriori degli statuti ducali ap. Manno e Prowmrs, Bibliogr. storica 


della Monarchia di S., I, 199 e segg. 


. | 


(3) Cfr. Esmern, Cours élément. d’hist. du dr. frang., 488. 

(4) V. passim nelle note raccolte del BoreLLi e del Dusorn, p. es. le 
costituzioni di Vittorio Amedeo I e di Maria Giovanna Battista. 

(5) RR. CC., 1729, 1. 2. tit. 3, c.1,$8. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. È 14 


154 ALESSANDRO LATTES 


e grandi vassalli riuniti per dovere feudale alla loro presenza, 
che conferivano solennità agli atti cui astiffovano e ne promet- 
tevano l'obbedienza (1); furono poi i nobili e gli ecclesiastici che 
sì trovavano per caso in ciascun momento alla corte del prin- 
cipe nel luogo di sua residenza o momentanea dimora, per cui 
molti ordini si chiudono colla formula per dominum N. comitem 
relatione dominorum N. N. (2); fu più tardi il consiglio regolar- 
mente costituito che seguiva il principe col titolo di consilium 
nobiscum residens, finchè dopo Emanuele Filiberto assunse qua- 
lità e nome di consiglio di stato (3). Tutti questi consiglieri pote- 
vano aver molta efficacia sull’animo del principe per autorità 
personale durante la preparazione dei provvedimenti legislativi, 
ma non avevano alcun diritto d’intervenire, dopochè quelli fos- 
sero stati emanati ed imposti ai sudditi. 

Usarono pure le assemblee degli stati, generali o regio- 
nali, presentar domande e proposte di riforme da tradurre in 
legge per le varie parti della amministrazione dello stato, nel 
momento in cui deliberavano d’accordare i sussidi chiesti pei 
bisogni della corona, parlando tanto più forte quanto più era 
pesante il sussidio e più frequente la richiesta (4). Ma delle loro 
suppliche in forma di memoriale alcuni capitoli sì concedevano, 
altri sì negavano liberamente dal principe, e tale proposta non 
aveva quindi un'azione diretta e certa sopra di lui: un solo 
esempio mi è noto, del ducato d'Aosta nel 1551, in cui i comuni 
recisamente e ripetutamente rifiutarono di decidere intorno al 
sussidio, finchè non ottennero quanto domandavano per la revi- 
sione delle consuetudini (5). 


(1) Cfr. CarurTI, Regesta comitum Sabaudiae, passim. 

(2) Statuti di Edoardo (1325) ap. Nanr, Stat. dî Am. VI, 48. — Mon. hist. 
patr. Legg. municip. 1, Statuta Taurini, nei documenti pubblicati ad illu- 
strazione degli statuti, dove in quelli del sec. XIV si legge quasi sempre 
la formula indicata, mentre in quelli del sec. XV s'incontra sempre l'altra 
per dominum praesentibus dominis N. N. 

(3) Stat. di Aimone (1329) e di Am. VI (1855) ap. Nanr, l. cit. — Stat. 
di Am. VI (1351) e di Bona di Borbone (1389), ap. NanI / primi stat., ‘cit. 
pp. 41, 48, 53. — PevereLLi, 1! Consiglio di Stato fino ad Eman. Filib. 

(4) ScLopis, Consideraz. storiche intorno alle antiche ‘assemblee rappre- 
sentative, nei Mon. hist. patr. Comitiorum II, Append., p. 87 e segg. 

(5) Borrati, Congregaz. dei tre stati della valle d'Aosta, I, 300, 303. 


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I INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 155 


$ 5. — Alquanto diversa fu o potè essere secondo gli sta- 
tuti di Amedeo VIII l’opera del cancelliere di Savoia e del pre- 
sidente del consiglio residente a Chambéry. Al primo era affi- 
data in modo esclusivo la custodia dei sigilli del principe, 
sigilla nostra, da apporsi in tutti gli atti, lettere, sentenze, serit- 
ture que procedent a nobis et dicta curia nostra, cioè dal consiglio 
residente col principe e con lui moventesi da una residenza al- 
l'altra: al secondo spettava la custodia dei sigilli del consiglio 
di Chambéry per tutti gli atti emanati da quest'altra curia 
nostra. Entrambi dovevano esaminare tali atti e, con una for- 
mula che si ripete quasi identica, sigillare que sigillari debebunt 
et videbit sigillanda, que autem videbit rescribenda, rescribi faciat 
in formam debitam et que arbitrabitur canzelanda, canzelet et an- 
nullet (1). 

L’aggiunta dei sigilli dello stato, vari di numero e di forma 
secondo i tempi e la specie degli atti (2), era necessaria per pro- 
vare l'autenticità e la validità di essi (3); non potrebbe essere 
espressa più chiaramente la facoltà di esaminare ogni provvedi- 
mento, di sospendere l’apposizione dei sigilli e fare osservazioni al 
principe, di modificare gli atti stessi secondo la propria coscienza 
e senza limiti, facoltà che contiene veramente una delegazione 
parziale del potere legislativo a quei grandi ufficiali, grandi 
nella piccola corte. Non sappiamo se la cura dei sigilli e un 
tale potere discrezionale rappresentino una novità introdotta 
da Amedeo VIII od appartenessero già ad essi anche nel se- 
colo XIV, poichè la serie quasi completa dei cancellieri comincia 
nel 1323, pur avendosene notizia almeno dal 1189 (4), e le prime 
tracce del consiglio residente a Chambéry risalgono ai conti 
Edoardo ed Aimone, intorno al 1329 (5); probabilmente quella 
funzione, sorta per via di consuetudine, fu accettata dal duca 
nei suoi statuti, perchè già saldamente fondata nella tradi- 


(1) Statuti di Amedeo VIII, 1. III, c. 4, 34. 

(2) Crsrario e Promis, Sigilli dei principi di Savoia, pp. 6,19 e segg. 

(3) Cfr. Frisca, Die Verantwortlichkeit der Monarchen und hòchsten Ma- 
gistrate, pp. 18, 14. ” 

(4) Garri, Cariche del Piemonte, I, 2. Cfr. Mon. hist. patr. Chart. I, 
n. 624: Mauritii cancellarii nostri , (del conte Mommiaso I). — Cfr. Crsrarro, 
Origine e progressi delle istituz., parte Il, dA ii cronologico 101. 

(5) Stat. di Edoardo e d’Aimone citt. 


156 ALESSANDRO LATTES \ 


zione forse per imitazione d’esempi francesi (v. $ 14), forse senza 
vederne la grande importanza, poichè nessun cancelliere o pre- 
sidente ne aveva ancora abusato o s'era opposto ai voleri del 
principe. i 

Non si ricorda alcun esempio di resistenza ostinata di al- 
cuno di quei magistrati, che sia stata vinta solo dall’espresso 
e rinnovato comando del sovrano: probabilmente quella fun- 
zione fu sempre esercitata per mezzo di osservazioni ante- 
riori alla formazione definitiva degli editti. A conferma di ciò 
può esser ricordato un parere compilato dal senato di Savoia 
nel 1561 per incarico di Emanuele Filiberto intorno alle attri- 
buzioni del gran cancelliere, redatto probabilmente da Luigi 
Milliet che fu poi chiamato all’alto ufficio sotto il principato 
successivo (1), nel quale si legge che per l’importanza dell’opera 
del cancelliere il senato raccomanda al principe di consultarlo 
prima per assicurarsene il consenso posteriore, al cancelliere 
stesso di presentare tutte le sue obbiezioni durante la discus- 
sione dei provvedimenti proposti. Manifestamente la facoltà di 
modificare e cancellare parte di questi viene sempre riconosciuta 
in astratto, quantunque nel memoriale non se ne faccia espli- 
cita menzione tra le funzioni di quel magistrato, ma in pratica 
l’opera sua è consultiva e precedente alla formazione completa 
delle leggi. La formula surriferita venne trascritta senza muta- 
menti nelle RR. CC. del 1723: nelle successive del ‘29 e del ‘70 
si parla solo di sigillare gli atti, quando il cancelliere giudica 
che debbano venir sigillati, ma si omette la facoltà di cancel- 
lazione (Lib. II, tit. II, c. I). 

$ 6. — Il fondamento dell’interinazione si trova precisa- 
mente in alcuni editti per la tutela dei beni demaniali che incon- 
triamo nello stesso sec. XV (2). Nel 1433 fu proibito di eseguire 
qualsiasi lettera che arrecasse diminuzione del patrimonio del 
principe, se non fosse stata veduta e diligentemente verificata 
dalla camera dei conti e l'attestazione di tale verifica non fosse 
stata scritta sul documento medesimo. Il noto statuto del 1445, 
che sancì solennemente l’inalienabilità dei beni demaniali lasciati 
sino allora in balia del principe, si chiude col divieto al can- 


(1) Burnier, Hist. du sr de Savoie, I, 395. 
(2) Dusorn, Raccolta delle leggi, XXIV, 26, 1, 5, 201, 6, 10, 13, 14. 
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L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 157 


celliere d’apporre i sigilli, ai maestri dei conti di far ragione. 
a qualunque concessione od alienazione fatta dal principe e dai 
suoi successori. Nel 1449 si ordina alla camera di respingere 
ogni alienazione di tali beni, donec super eis expressum habue- 
ritis mandatum a nobis. Nello statuto di Jolanda del 1475, ove 
sì riconferma solennemente quello del 1445, si dichiara ch’esso 
venne comunicato al consiglio del principe e questo dopo uditane 
pubblica lettura ne promise solenne osservanza. La reggente 
Bianca di Monferrato ritorna nel 1490 alla formula antica ed 
interdice ai presidenti e maestri dei conti d’ammettere qualsiasi 
alienazione e d’interinare qualsiasi lettera del principe che venga 
a scemarne il patrimonio. Infine Filiberto nel 1497, rinnovando 
le consuete proibizioni, impone agli uditori della camera uno 
speciale giuramento ed anche qui il consiglio residente col 
principe e la camera, dopo aver veduto e lette siffatte lettere, 
sì dichiarano pronti all'osservanza di esse, parati obedire ut 
tenemur. 

$ 7. — Questi statuti ci offrono nell’editto 1490 il primo 
esempio a me noto della voce interinazione nei documenti pie- 
montesi. Secondo un giureconsulto del sec. XVI, Amedeo da 
Ponte (1), essa si legge anche in un decreto più antico del 1484, 
relativo alla stessa materia, ma nel testo pubblicatone dal Du- 
boin (2) la parola non s'incontra e forse quegli confuse il nome 
col fatto già ripetuto di frequente a’ suoi tempi. D'altra parte 
quello statuto del 1484 ha anche una forma speciale, che si 
trova spesso negli ordinamenti dei principi sabaudi; poichè il 
duca Carlo I, invece di proibire le alienazioni dei beni demaniali, 
promette che non ne compierà mai, con un vero contratto che 
egli conferma mediante una stipulazione solenne obbligando tutti 
i suoi beni, e la promessa è ricevuta dal segretario ducale a 
nome di tutti gli interessati assenti e futuri e dei successori 
del principe. L’interinatio gratiarum, di cui si fa menzione in 
un decreto poco posteriore (1493) della duchessa d'Orléans, si- 
gnora d'Asti (3), è affatto diversa dall’interinazione degli editti, 
come si dirà più innanzi (Cfr. $ 8). a 


(1) Ax. A Ponte, Qui feudum dare possunt, n. 91. 

(2) Dusorn, XXIV, 8. -— BoreLLi, Editti antichi e nuovi, 273. 

(3) Statuta civitatis Ast., p. 97 (ed. 1534). i 
11 


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158 ALESSANDRO LATTES 


Gli statuti citati presentano inoltre tutti gli elementi che 
costituiscono più tardi la facoltà d’interinazione. La camera dei 
conti ha l'autorità, anzi il dovere, rafforzato con uno speciale 
sacramento, di verificare gli atti del principe e respingerli, se 
contraddicono all’inalienabilità dei beni demaniali: il duca può 
assolverla dall’osservanza di tale precetto con suoi ordini spe- 
ciali: gli statuti si comunicano anche al consiglio del principe 
e si leggono in pubblico, perchè i membri di esso ne abbiano 
notizia ed i provvedimenti vengano promulgati e pubblicati: il 
collegio si dichiara pronto ad osservarli e farli osservare. Cer- 
tamente dalla lettura e visione dei provvedimenti sovrani derivò 
la consuetudine d’esaminarli, di presentare qualche obbiezione, 
di resistere quando apparissero contrari agli interessi del prin- 
cipe e dello stato; questo confermano le parole stesse delle 
formule d’accettazione, che si ripetono uguali anche in atti poste- 
riori (1), e qualche fatto che prova come i magistrati non fos- 
sero sempre disposti alla cieca obbedienza. Un decreto del 1509, 
respinto la prima volta dal consiglio residente in Chambéry, fu 
ripresentato due mesi dopo quando esso era riunito 2udicialiter 
in udienza solenne, ed il consiglio ne promise l’osservanza, w# 
tenemur, soltanto attentis signatis multiplicatis mandatis per do- 
minum ducem etiam per suas missivas nobis factis, dopo ripetuti 
messaggi verbali e scritti (2). E quando lo stesso duca Carlo III 
volle dar in feudo al gran mastro della sua casa la contea di 
Pont de Vaux, non potè aver ragione del rifiuto opposto dagli 
uditori dei conti all’ interinazione e si valse d'un espediente 
estremo (caso unico nella storia sabaudo-piemontese), privarli 
d'ogni ufficio e stato e far gridare i loro nomi per le contrade 
della città, con grande onor loro presso gli abitanti (3). 

Da questi fatti e da quelle parole apparisce manifesto a 
parer mio che i principi considerarono necessaria la dichiara- 
zione d’obbedienza ed il riconoscimento dei loro statuti, non 
procedevano all’applicazione di essi per autorità propria, ma 
ordinavano al collegio d'apporre la formula e d’obbligarvisi. 
L'effetto era il medesimo, ma diversa la forma, e vari elementi 


(1) Dusorn, XVIII, 116, 120, 123 (in nota), (an. 1544, ’45, 48). 
(2). Inmby, XXV; 15. ’ 
(3) Crerario, Origine e progressi delle Istituz. della Mon. di Savoia, 144. 


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L’INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 159 


concorsero a spingere i duchi verso siffatto modo d’agire, la 
reminiscenza degli antichi conseils de’ baroni da cui derivano 
direttamente quei consigli, il bisogno di vincere le resistenze 
dei sudditi, tanto più quanto più fossero collocati in alto presso 
il sovrano, il timore che i sudditi stessi vedessero di malo occhio 
decreti non approvati dalle persone più prossime al principe e 
che queste male ne curassero l'esecuzione, se non ne avessero 
promessa l’osservanza (1). 

L'istituto dell’interinazione ci si presenta dunque piena- 
mente applicato alla fine del sec. XV e nei primi anni del succes- 
sivo, ed il Pertile afferma a torto (2) ch’esso fu introdotto du- 
rante la prima occupazione francese. Esso potè costituirsi in 
quel tempo sopra una base solida, perchè i collegi, a cui ne 
venne affidata la cura, divennero allora consapevoli della loro 
importanza e ben ordinati, appunto per gli statuti di Amedeo VIII 
e pei decreti che attribuirono alla camera le funzioni di vigile 
custode del pubblico demanio. 

$ 8. — Gli statuti suaccennati si riferiscono a due specie 
di provvedimenti, gli ordini generali che si comunicano ai due 
collegi e le disposizioni particolari intorno ai beni demaniali 
che devono esser verificate dalla camera dei conti. E per queste 
ultime giova ricordare come si abbia il consueto circolo vizioso 
di rinnovati divieti e di deroghe ai medesimi, come siano altret- 
tanto frequenti i severi comandi di non tener conto di qualsiasi 
lettera o statuto che contenga alienazione di quei beni, sebbene 
concessi per importunità di supplicanti (3), quanto gli ordini 
precisi di osservare ed eseguire le disposizioni a beneficio d’al- 
cuna persona in rimunerazione dei servigi prestati, nonostante 
ogni decreto o statuto contrario ed ogni clausola d’invalidazione 
preventiva che in questo fosse inserita. 

Un altro decreto del duca Carlo III (1513) riguarda una 
terza specie di atti e concessioni personali. I delinquenti, che 
ottengono grazie e indulti dal principe, devono presentarle entro 
un mese al consiglio di Chambéry, costituirsi prigionieri per 


(1) Cfr. Bopin ap. LemAIRE, Les lois fondament. de la Monarchie frane., 119. 

(2) PertiLe, Sf. del diritto italiano *, II, 194. 

(3) V. qualche esempio di questa espressione: ad importunas nonnullorum 
instantias, e d’altre simili ap. Dusorn, XXIV, 8,21, 26, VIII, 271 (an. 1484, 
1564, 1578, 1623). 


160 ALESSANDRO LATTES db 


attenderne le decisioni e dar la prova della verità dei fatti al- 
legati: il consiglio, quando avrà riconosciuto che tali lettere 
non sono surrettizie nè ottenute con occultamento della verità, 
udito il procuratore fiscale e la parte lesa, procederà all’interina- 
zione di quelle e ne ordinerà l’esecuzione (1). Il principe, depo- 
sitario supremo della podestà giudiziaria, può intervenire nel- 
l'esercizio di questa, anche dopochè l'autorità, a cui egli la delegò, 
ha compiuto l’opera sua, liberando i condannati dalla pena; ma 
poichè egli può venir indotto a concedere tale beneficio perso- 
nale o con false informazioni (surrezione) o col nascondergli 
parte della verità (orrezione), il supremo consiglio è chiamato 
ad investigare intorno a questi punti, e l’interinazione delle let- 
tere di grazia dimostra che furono riconosciute inoppugnabili, 
che la buona fede del principe non fu sorpresa in alcun modo 
e che il delinquente non è indegno della concessione largitagli. 
Questa specie d’interinazione non esce dai confini del potere 
giudiziario ed il consiglio interviene per assicurare la retta ap- 
plicazione del diritto di grazia, non contro la volontà del prin- 
cipe, ma contro i sotterfugi di coloro che vorrebbero trarlo in 
errore; tuttavia può ammettersi che la libertà d’esaminare questa 
categoria di provvedimenti ducali e d’applicarli solo quando sono 
fondati sulla verità e sul diritto, abbia esercitato qualche in- 
fluenza indiretta anche su altre specie di quelli, p. es., sull’in- 
vestigazione intorno agli statuti generali, i quali pur emanavano 
dallo stesso sovrano, avevano la stessa natura, si presentavano 
allo stesso collegio per venir applicati. 

$ 9. — Dopochè Emanuele Filiberto ebbe riordinati i ma- 
gistrati supremi dello stato sostituendo in modo definitivo i due 
senati di Savoia e di Piemonte ai consigli di Chambéry e cismon- 
tano ed istituendo le due camere dei conti con giurisdizione esclu- 
siva di grado pari a quella dei senati (2), si promulgarono da 
lui e dal suo successore alcuni decreti molto importanti nella 
nostra materia, in cui sono chiaramente accettati e riconosciuti 
tutti gli elementi che formano il vero carattere dell’interina- 
zione (3). 


(1) BoreLLi, 168, 170 (1518, conferm. 1632). 

(2) RicortI, St. della monarchia piemont., Il, 144. — BoreLti, 456. 

(3) Editti 1560, 16 ottobre, BoreLLi, 456. — 1564, 7 giugno, Dusorx, 
XXIV, 21. — 1571, 31 ottobre, Dusorn, VIII, 253. — 1577, 5 ottobre, Boren, 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 161 


a) I provvedimenti del principe si presentano al collegio 
che deve esaminarli, quando sono già compiuti, muniti del si- 
gillo ed usciti dalla cancelleria; 

5) il collegio deve ricercare se l’atto è viziato per orre- 
zione, surrezione od incivilité, cioè se è non conforme a verità 
o contrario al diritto, o se non sembra ragionevole di passare 
all’interinazione ; 

c) il collegio ha il diritto di comunicare le sue osserva- 
zioni al principe, sospendendo l’interinazione, e di modificare 
l’atto, se lo crede necessario; 

d) le voci interinazione ed approvazione sono in tutto 
equivalenti, la formalità è necessaria perchè l’atto abbia valore 
e possa esser eseguito e deve compiersi entro un termine fissato 
sotto pena di nullità; 

e) l’atto interinato e reso completo viene trascritto nei 
registri speciali tenuti presso il collegio, affinchè se ne conservi 
memoria e si possa ricorrervi in caso di bisogno; 

f) il senato esercita quest’ufficio per gli editti e decreti 
perpetui, le lettere di nobiltà, le grazie d’ordine giudiziario, 
tutti gli atti relativi a materie comprese nella sua giurisdizione: 
alla camera dei conti spettano invece le immunità ed esenzioni, 
le concessioni d’uffici e pensioni, le infeudazioni ed alienazioni, 
le donazioni e remissioni di pene, tutti gli atti che si riferiscono 
al patrimonio del principe ed al pubblico erario. 

$ 10. — Notizie assai minute intorno al modo in cui ve- 
ramente si compieva l’interinazione dai magistrati che vi erano 
chiamati, si ritraggono dai documenti, cioè specialmente dalle 
formule apposte in fine degli editti che narrano in particolare 
per ciascuno la storia della sua approvazione. 

Gli atti si presentavano in originale, colle firme del prin- 
cipe, del cancelliere, dei segretari e muniti del sigillo dello 
stato. Fu già accennato alla separazione delle attribuzioni fra 
i senati e le camere; la competenza territoriale era determi- 
nata dal luogo in cui l’atto doveva esser eseguito, e gli editti 


458. — 1578, 1 maggio, Dusorn, XXIV, 26. — 1579, 6 dicembre, JoLLy, Compi- 
lation des anciens édits, 58, per la Camera di Savoia. — 1583, 15 novembre, 
BoreLtI, 427. — 1584, 8 settembre, Duporn, XX, 27. — 1598, 20 giugno, Dusors, 
III, 327. 


162 ALESSANDRO LATTES î 


generali dovevano esser interinati sia in Savoia che in Piemonte. 
Talvolta i più importanti in materia patrimoniale e finanziaria 
si presentavano ad entrambi i collegi, senza regola di prece- 
denza, con piena libertà per ognuno di modificarli o di sospen- 
dere, qualunque fosse stata la deliberazione dell'altro. 

Le grazie pei colpevoli di qualche reato dovevano essere 
esaminate dal senato a classi riunite, secondo una regola intro- 
dotta nel sec. XVII e mantenuta nelle RR. Costituzioni (1). Nel 
periodo più recente i collegi chiamati all’interinazione ebbero 
diritto a riscuotere alcune regalie per gli atti e concessioni re- 
lative a persone particolari (2). 

La trasmissione degli atti si faceva dal magistrato fiscale 
esistente presso il collegio, con nome d’avvocato fiscale o gene- 
rale pel senato, di procuratore patrimoniale o patrimoniale sem- 
plicemente per la camera o con altri nomi secondo i tempi; 
rescritti e lettere particolari si presentavano umilmente dai sup- 
plicanti i quali richiedevano l’interinazione per poterne godere il 
beneficio. Il magistrato fiscale deve sempre dare il suo parere 
intorno al provvedimento, ma il collegio non è obbligato a se- 
guirlo e si ha qualche raro esempio d’interinazione accordata 
contro l’opinione di quello (3). 

Mentre qualche editto prefigge un termine entro il quale 
la formalità doveva essere compiuta sotto pena di nullità (tre 
mesi nel 1578), si accenna talvolta alla subannalità, cioè alla 
decorrenza di un anno compiuto senza interinazione, cosicchè 
(conforme al diritto romano imperiale) (4) sarebbe perduto il 
diritto di impetrarla, se non si fosse concessa la restituzione in 
intiero contro quel difetto, permettendo ciononostante la pre- 
sentazione dell’atto (5). 


(1) Costituz. del 1632, art. 3; BoreLLI, 156. — RR. CC., 1723 e 1729, 
1. MggIU,.c. 10, 

(2) Dusorn, IV passim, nelle diverse tariffe per gli uffici del senato e 
della camera dei conti. 

(3) Cfr. p. es. Dusorn, VIII, 455 (an. 1594) e Registro delle interinaz. 
della camera al 7 novembre 1580. 

(4) Cod. Just. I, 23, 2. — Corpus Jur. Canon. Decretal., I, 3, 23. 

(5) Es. Dusorn, XVIII, 51 not. (1660). — JoLLy, 669, 682 (1674). — Rr- 
corti, op. cit., VI, 245. Anche nell’interinaz. del 1580, citata nella nota 
precedente, il procuratore fiscale diede parere contrario perchè era pas- 
sato l’anno. 


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L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 163 


Quando il collegio non credeva opportuno d’interinare su- 
bito, mandava le sue rimostranze, o rappresentanze, come si 
dissero piuttosto in Piemonte, per lo più in iscritto. Nessuna 
formula imperativa trattenne mai il senato o la camera dal 
presentare le loro osservazioni, nè la clausola in cui il principe 
decreta di certa scienza e, piena possanza, nè l’espressione della 
precisa volontà che l’atto venga interinato senza opposizione, 
od il precetto che l’editto si consideri come prima, seconda, 
terza e perentoria giussione da non rinnovarsi in alcun modo, 
nè la dichiarazione di derogare ad ogni editto precedente, od 
il proscioglimento dei consiglieri da qualsiasi giuramento che 
avessero prestato d’opporsi a provvedimenti illegali o nocivi. 
Tutti questi espedienti si trovano adoperati qualche volta dai 
principi di Savoia e gli editti offrono tuttavia esempi della re- 
sistenza dei collegi o di modificazioni introdotte da essi (1). 

Se il principe non vuol far ragione alle rappresentanze dei 
magistrati, rinnova l’ordine d’interinare ed il suo comando as- 
sume il nome di giussione; talvolta discute e contrappone alle 
obbiezioni altri argomenti, tal’altra dichiara d’aver gradite le 
osservazioni, conoscere le difficoltà e domandare ugualmente 
l’interinazione, e talora afferma soltanto che tale è la sua volontà 
pel bene dello stato. 

I collegi cedono in qualche caso al primo comando, più 
spesso resistono, ripetono le rappresentanze finchè l’ordine viene 
rinnovato, o vengono ad accordi col signore: talvolta esegui- 
scono l’interinazione con correzioni che vanno dai semplici 
schiarimenti interpretativi a modificazioni assai importanti. Per 
esempio nel 1603 la camera dei conti aggiunse che in ogni 
alienazione di beni demaniali si considerasse sempre apposta e 
sottointesa la riserva del diritto di ricupero selon la commune 
observance e nel 1680 insistè perchè se ne facesse menzione espli- 


cita nei bandi di vendita (2); nel 1650 e 1665, mentre il principe 


voleva conservare agli appaltatori della zecca l’ampia esenzione 
da ogni specie d’imposte di cui godevano, la camera stessa la 
ridusse entro limiti precisi e non esagerati (3). 

(1) Es. Dusorn, II, 873, 381, 389, 396, 405, 414 (an. 1652, ’72, ’82, ’93, 
1701, ’15). 

(2) Crsrario, op. cit., 284. — Duo, XXIV, 63. 

(3) Dusoin, XVIII, 49, 52. 


164 ALESSANDRO LATTES ò 


V'ha chi afferma che l’interinazione non potesse più rifiu- 
tarsi dopo tre giussioni, ed Emanuele Filiberto minacciò lo 
sdegno del principe al senato che resistesse alla terza, e Vittorio 
Amedeo I dichiarò ai delegati del senato di Savoia che voleva esser 
obbedito dopo uno o due avvisi (1): ma d'altra parte si hanno 
esempi d’intimazioni rinnovate fino a sei volte (2), ed anche quando 
si aggiungeva la clausola precisa, che il primo comando, conte- 
nuto nell’editto unico, fosse considerato come prima, seconda, 
terza e perentoria giussione, questa formula rimase spesso inef- 
ficace e probabilmente non era che un’imitazione tralaticia di 
quella che sì usava contro i contumaci in giudizio, invece di 
rinnovare veramente la citazione per tre volte (3). 

Raramente usarono i duchi modi troppo imperiosi: per 
esempio, Emanuele Filiberto ai maestri de’ conti restii ad interi- 
nare certe lettere patenti (1575), colle quali cedeva alla marchesa 
d'Urfé la contea di Rivoli ed il marchesato di Baugé in cambio 
della contea di Tenda col valico alpino importantissimo, rispose 
ch'egli sapeva benissimo quello che faceva, voleva esser obbe- 
dito da tutti i suoi sudditi ed avrebbe saputo costringervi chi 
avesse osato resistergli. Così Carlo Emanuele I nel 1610 mi- 
nacciò ai consiglieri della camera la sua disgrazia in generale 
e la privazione degli uffici in particolare, perchè rifiutavano di 
interinare l’infeudazione del feudo di Verzuolo (4). I duchi di Sa- 
voia non si recarono mai personalmente alle udienze del senato 
o della camera per comandare l’interinazione e vincere le re- 
sistenze indomabili, in una forma uguale a quella che in Francia 
fu detta lit de coli ogni affermazione contraria sembra ine- 
satta, poichè tale comparsa solenne alle adunanze, una sol volta 
sotto Emanuele Filiberto, due sotto Carlo Emanuele I, fu fatta 


(1) BurnIER, op. cit., I, 271, II, 9. — Cfr. PertILE, op. cit.?, II, 195. — Bris- 
saun, Cours d’hist. générale du dr. frane., 1, 373 not. 

(2) Gacci, Cariche del Piem., I, 290, 299, 732. — Rrcorti, op. cit., VI, 245. 
— Cisrarto, Specchio cronologico (op. cit., II), 321, 331 (an. 1612, '39, '52, °77, 
1722). — Registro delle interinaz. della camera, an. 1603, 1660 passim. 

(3) Beramann HoLLwee, Der ròmische Civilprozess, II, 775. — PERTILE, 
op. cit.?, VI, parte II, 36. 

(4) Crsrarro, Origine delle istituzioni (I), 144; Specchio (II), 300. — Ri- 
corti, op. cit., II, 426, non ne parla. 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 165 


soltanto per rendere al collegio onore e reverenza, non per im- 
porre l’esecuzione della volontà sovrana (1). 

La formula dell’interinazione contiene la dichiarazione che 
presentato l’atto, udito il parere del magistrato fiscale a cui fu 
comunicato come doveva, il collegio dopo averlo maturamente 
esaminato (talvolta avendolo trovato ragionevole) lo ha interi- 
nato, ammesso ed approvato (o deliberò d’int. amm. app.), come 
per le presenti lettere testimoniali interina, ammette ed approva, 
secondo sua forma, mente e tenore, ordina che venga pubbli- 
cato nei modi legali ed osservato da tutti, che sia trascritto 
nei registri del collegio per avervi ricorso in caso di bisogno. 
Spesso fu aggiunta la clausola salva la ragione d’ogni terzo, mas- 
sime ne’ provvedimenti particolari a beneficio di privati (2). Fu 
affermato che, quando i collegi dovevano interinare in seguito a 
giussioni, omettevano la parola speciale ed ogni altra equiva- 
lente, e prescrivevano soltanto l’osservanza e la registrazione del- 
l’atto (3): il senato veramente deliberò nel 1588 di mantenere 
simile differenza tra i due casi (4), ma nel fatto essa non fu con- 
servata e se in alcune interinazioni s'incontra la formula più 
concisa, in molte si usa la consueta, facendo però menzione 
della giussione e dichiarando di obbedire alla volontà espressa 
dal principe per tutelare la dignità del collegio (5). 

Il senato e la camera di Savoia preferiscono quasi sempre 
una formula più semplice, lecta, pubblicata et registrata e più tardi 
lu, vu et enregistré in calce dell’editto, indicandosi così la let- 
tura, registrazione e pubblicazione senz’accennare all’approva- 
zione del provvedimento stesso (6). £ 


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(1) Cisrario, Specchio (II), 287. — BurnIER, op. cit., I, 324, 450, 382. 

(2) Es. Bore, 1093. — Sora, Comment. ad universa ducum Sabaudiae 
decreta, 681. — JoLLy, 604 (an. 1582, 1624, 1634). 

(3) Rezasco, Dizion. del ling. ital. storico, s. v. interinare. 

(4) Sora, op. cit., De interin., gl. 2, p. 624. 

(5) P. es. in una lunga scrittura del 1756 sulla bannalità dei molini di 
Torino (Dusorn, XXIV, 1481 e segg.), si citano moltissimi editti, indi- 
cando precisamente per ognuno se fu interinato senza opposizione o sopra 
giussione. 

(6) BarLy, Recueil des édits et reglemens de Savoie e JoLLy, op. cit., passim. 
— BurniER, op. cit., I, 278. — Cfr. Fagro, Codex Fabrianus, I. XII, 13: * Se- 
renissimi principis nostri litteras adprobare et, ut pragmatici loquuntur, 
verificare (non interinare) Senatus noster (cioè quello di Savoia) debet ,. 


166 ALESSANDRO LATTES è 


$ 11. I registri in cui si trascrissero gli atti interinati 
dal senato e dalla camera di Piemonte si conservano nell’ar- 
chivio di stato in Torino (sez. III camerale). La serie non è 
completa e molti se ne perdettero per cause diverse, special- 
mente pel saccheggio del 1798, cosicchè della camera ne manca 
circa un centinaio (1). Questi registri cominciano pel senato dal 
1578 (interinaz. 10 gennaio di un atto 8 novembre 1572), per 
la camera dal 1568 (7 gennaio), ma in un altro volume fra 
parecchie interinazioni staccate della camera ve n’ha una del gen- 
naio 1564 (2). L'obbligo preciso di tener propri registri non fu 
imposto al Senato se non coll’editto 1583, alla camera invece 
negli statuti di Bona di Borbone (1389) confermati in un de- 
creto del 1522 (3); giova credere perciò che il numero dei re- 
gistri antichi eventualmente perduti sia assai limitato, poichè 
anche nelle raccolte degli editti sabaudi compilati sotto Maria 
Giovanna Battista le prime interinazioni citate sono del 1560 
e 1566 (4). 

Quei volumi non comprendono solo gli editti ducali interi- 
nati, ma tutti i privilegi e provvedimenti che i collegi erano 
chiamati ad esaminare ed approvare, gli atti direttamente ema- 
nati da essi (p. es. ordini della camera intorno al corso delle 
monete), gli atti privati pei quali è richiesta l’interinazione 
senza intervento dell’ autorità sovrana (nomina di tutori, di 
sindaci pei comuni, ecc.). Restano esclusi soltanto gli atti che 
appartengono strettamente alla giurisdizione contenziosa del ma- 
gistrato, rescritti! di grazia e giustizia, sentenze, ecc. Una 
differenza notevole Wi forma tra i registri del senato e della 
camera: nei primi»il segretario trascrive successivamente gli 
atti, colla domanda d’interinazione e la deliberazione nella for- 
mula suaccennata senz’alcuna firma originale; i secondi sono 
invece composti di fogli legati insieme, ciascuno dei quali con- 
tiene una deliberazione od arresto della camera coll’ atto com- 
pendiosamente riassunto e le sottoscrizioni originali de’ consi- 


(1) Brancui, Le carte degli archivi piemontesi, 47. 

(2) Cfr. DronisortI, op. cit., I, 153. 

(3) Nani, I primi statuti sopra la camera dei conti, 50, art. 13. — Bo- 
rELLI, 450, art. 10, 16. 

(4) Barry, pp. 42, 48. — JoLuy, p. 44. 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 167 


glieri, cosicchè ad intervalli s'incontrano pure in ciascun volume 
i fogli bianchi che corrispondono a quelli scritti. Del parere 
del magistrato fiscale è fatta, come fu detto, menzione nella 
formula e solo nei più recenti registri del senato (sec. XVIII) 
si trascrive distintamente l’ordine di rinvio dal senato al fiscale 
ed il voto di lui. 

$ 12. — Il periodo, nel quale l’interinazione ebbe il mas- 
simo svolgimento, la più larga ed efficace applicazione, fu la 
seconda metà del sec. XVI ed il XVII, cioè dalla rinnovazione 
dei senati e delle camere dei conti per opera di Emanuele Fi- 
liberto, fino alle RR. Costituzioni, che introdussero nello spirito 
dell'istituto mutamenti radicali. Man mano che la monarchia tende 
a divenire assoluta, il potere d'opposizione cresce negli indi- 
vidui e nei corpi collegiali e molte cause certamente vi coopera- 
rono. Ogni azione genera reazione e il fiero carattere dei nobili 
piemontesi era specialmente adatto alla resistenza: gli stretti 
vincoli sorti e mantenuti per ragioni storiche fra casa Savoia e 
le famiglie nobili, che le stavano a lato e che più anticamente 
erano pari ad essa, aiutarono il formarsi d’una tradizione, che 
apparve inattaccabile, quando il principe avrebbe avuto l’auto- 
rità di combatterla (1); anche se i consiglieri dovevano cedere 
alle giussioni ripetute, nessuno può negare la forza morale delle 
rimostranze, poichè i principi erano pur consapevoli del fiero 
colpo che il poter loro riceveva ad ogni atto di sovranità ri- 
volto contro i collegi supremi, tanto più grave quanto maggiore 
fosse l’importanza del provvedimento e più ragionevole il ri- 
fiuto. Furono precisamente i due principi, sotto i quali la ten- 
denza all’assolutismo si manifesta più spiccata per le qualità 
del loro carattere, che riconobbero l’esistenza del freno imposto 
al voler loro dalla formalità dell’interinazione, ed esso spiega 
appunto durante l'età loro la massima efficacia. 

Un fatto assai singolare e per me inesplicabile si è che i 
diplomatici veneziani, tanto acuti osservatori, facciano menzione 


” 
L 


(1) SersseL, La grant monarchie de France, parte I, ec. X. © Et veritable- 
ment cesty frein et retenail (della giustizia considerata come uno dei freni 
del potere assoluto, esercitata dai parlamenti sia per la verità, obreption 
et subreption, sia per la legalità, civilité et incivilité) a été si longuement 
entretenu qu’a peine se pourrait plus rompre, encore qu’il se puisse plier ,. 


168 ALESSANDRO LATTES } 


soltanto della funzione giudiziaria pel senato e dell’interinazione 
in materia finanziaria per la camera non prima della seconda 
metà del sec. XVII (1), e non si siano accorti di tale azione fre- 
natrice dei senati, ma li abbiano sempre considerati servi devoti 
del principe, che può metterli e levarli a suo piacere e se ne 
vale come pretesto di non poter fare le cose che non vuole. Era 
forse questa l'opinione prevalente fra i sudditi? forse p. es. le 
resistenze e giussioni restavano ignote alla parte più numerosa 
ma più bassa della popolazione, e la notizia non ne uscì fuori 
della cerchia dei dignitari di corte e dei nobili, finchè la curio- 
sità dei posteri non li spinse tra la polvere dei registri e dei 
documenti negli archivi ? 

L'interinazione costituisce un vero esercizio del potere le- 
gislativo da parte del senato e della camera? Chi voglia con- 
siderare il senso letterale di quell’espressione, sulle traccie del- 
l'art. 3 del nostro Statuto, risponderà negativamente, poichè le 
rimostranze non avevano alcuna sanzione e l’autorità assoluta 
del sovrano vinceva alla fine ogni resistenza: così rispondevano 
in fatto gli scrittori monarchisti, ed altri meno assolutisti pensa- 
vano che quei collegi agissero soltanto per delegazione e man- 
dato del principe (2). Ma nella pratica chi ben consideri il nome, 
la formola, il modo, non può negare che la distanza fu sempre 
minima: interinare significa approvare e completare l’atto a cui 
si applica — il collegio ne fa dichiarazione esplicita colle pa- 
role interina, ammette ed approva e la camera dei conti, quando 
sospende, dichiara senz’ altro di depellire il richiedente dal- 
l’interinazione — i duchi giudicarono sempre l’interinazione 
indispensabile, se non dal punto giuridico, almeno per l’effi- 
cacia morale, e per ottenerla esposero i motivi dei loro prov- 
vedimenti, accolsero le modificazioni, permisero la discussione, 
nonostante le formule più imperative. Una sol volta, per quanto 
mi è noto, fu ordinata l'esecuzione dell’editto anche se le pre- 


(1) Relaz. degli ambasciat. veneti, ser. II, t. V. Relaz. Barbaro, 1581, p. 76; 
relaz. Contarini, 1601, pp. 273 e 291. — Relaz. dello Stato di Savoia (edit. Ci- 
brario) relaz. Bellegno, 1670, p. 66. 

(2) Cfr. p. es. Grozio e Puffendorf, ap. VerRrI, De ortu et progressu iuris 
Mediolanensis, c. 3, S 26. — Treumann, Die Monarchomachen, in JeLLINEK- 
Meyer, Staats- und volkerrechtliche Abhandlungen, vol. |. 


L’INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 169 


senti non siano presentate al senato e da questo interinate (1), 
ma l’urgenza del tempo dà ragione di questa eccezione, poichè 
quelle patenti davano all’auditore militare di guerra piena auto- 
rità nelle cause militari in tempo di guerra, dichiarandone ese- 
cutorie le sentenze, anche le capitali, senza bisogno della con- 
sueta autorizzazione del senato. In tutti gli altri casi non si può 
negare l’importanza del fatto che il principe non ordina da sè 
solo la pubblicazione degli editti e la loro osservanza, ma rico- 
nosce necessario ch’essa venga eseguita e curata dai collegi 
supremi, almeno con una parvenza di consenso. Sia pure che la 
volontà del principe debba prevalere, abbiamo un freno che a- 
gisce sempre, anche se non perfettissimo, un ingranaggio della 
macchina dello stato che non si può spostare con alcuna leva 
e far girare a vuoto. 

Sarebbe facile presentare qui una lunga lista di resistenze 
e di registrazioni comandate, aggiungendo alle notizie già pub- 
blicate nelle opere del Burnier e del Dionisotti (2) le altre molte 
che si possono raccogliere dai volumi della collezione Duboin e 
dai registri manoscritti. La semplice enumerazione avrebbe tut- 
tavia un’utilità assai dubbia, specialmente per la storia del di- 
ritto: la ricerca dei motivi che trassero i collegi a rifiutare 
l’interinazione, sarebbe efficace ed istruttiva, ma nei registri si 
hanno soltanto le prove delle giussioni caso per caso e man- 
cano nella maggiore parte le lettere mandate al principe colle 
rimostranze e le repliche di questo, le quali saranno disperse 
in molte classi e filze di documenti. Qui basterà dunque notare 
che il senato e la camera mediante l’uso conveniente della fa- 
coltà d’interinazione, ora provvidero a tutelare il decoro e l’onore 
dello stato, p. es. contro l’infeudazione di terre datesi ai principi 
sabaudi col patto di restar sempre soggette immediatamente ad 
essi, ora curarono la saldezza dell’erario, p. es. contro la co- 
niazione di monete scadenti, certe esenzioni eccessive d’imposte, 
la moltiplicazione degli uffici, ora assicurarono l’inviolabilità del 
demanio, p. es. contro le alienazioni di terre che formavano il 
patrimonio antico della corona, e non dimenticarono mai le poco 
liete condizioni economiche delle popolazioni. 


(1) Dugorx, II, 887, an. 1616. 
(2) Burnier, op. cit., I, 272 e passim. — DronisorTI, op. cit., I, 152 e segg. 


Atti della R. AMecademia — Vol. XLIII. 15 


170 ALESSANDRO LATTES e 


$ 13. — Noi possiamo affermare che non v'è alcun altro 
esempio importante dell’ interinazione nella storia del diritto 
italiano, oltre questo che ci offre la monarchia sabaudo-piemon- 
tese, poichè nè il Pertile nè il Rezasco (1) ne citano aleun altro 
nonostante le loro estese e minute ricerche, salva una breve e 
limitata applicazione nel ducato di Milano. Era bensì prescritta 
la registrazione dei decreti relativi al demanio in Sicilia e nella 
camera apostolica; nel regno di Sicilia si diè pur licenza ai ma- 
gistrati, cui era commessa la custodia di quello, di consultare 
col re intorno ai provvedimenti che giudicassero pregiudizievoli 
e sospenderne intanto l'esecuzione, ma non si va mai oltre una 
materiale annotazione od un ufficio consultivo (2). 

Il senato di Milano ebbe veramente da Luigi XII re di 
Francia facoltà d’interinare tanto gli editti generali quanto le 
grazie e privilegi particolari, ma se la conservò per questa se- 
conda categoria di atti sino alla sua abolizione, la perdette assai 
presto per la prima. Il re promulgò poco dopo la conquista del 
ducato l’editto 11 novembre 1499, che per alcuni storici è la 
prima legge costitutiva, per altri più giustamente la prima legge 
organica del senato stesso, colla quale furono riordinati i con- 
sigli ducali preesistenti e fusi in un solo, che ebbe definitiva- 
mente il nome di senato, usato sin allora soltanto in modo incerto 
e sporadico (3). A tal collegio fu attribuita sia la facoltà di con- 
cedere esso medesimo ogni dispensa dall’osservanza di statuti e 
decreti in materia di giustizia, sia quella di verificare le lettere 
regie di donazioni, remissioni, privilegi, grazie et edictorum tam 
justiciam quam policiam concernentium, colla sanzione di nullità 
ed inefficacia per le lettere non presentate al senato o non in- 
terinate da esso (4). Questa è veramente facoltà corrispondente a 
quella del senato nella nostra monarchia, e nella formula finale 
di alcuni editti si conserva la prova di tale interinazione, mentre 
in altri è detto che furono promulgati dal re ad relationem se- 


(1) PermiLE, op. cit.*, II, par. 2, 193, not. 41 e segg.; 209, not. 60, 61. 

(2) PertiLe, idid., not. 60, 61. 

(3) Der Giupice, / consigli ducali e il Senato di Milano (Rendie. Istit. 
Lombardo, 1898, 317 e segg., 384 e segg.) contro Crespi, Del Senato di Mi- 
lano, 38. 

(4) V.iltesto dell’editto, p. es. ap. PéLissiEr, Documents pour l’hist. de 
la domination frane. dans le Milanais, p. 17. 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI | 171 


natus e quindi in pieno accordo con esso, di altri ancora si nota 
soltanto che vennero pubblicati dal banditore regio nei luoghi 
e modi consueti (1). 

Le attribuzioni del senato furono diminuite d’assai nell’e- 
ditto 11 marzo 1522, con cui Francesco Sforza, rientràto in 
Milano dopo la sconfitta dei Francesi, diè nuovo assetto a quel 
magistrato: il Verri vi accenna inesattamente e non senza errori 
nella data, considerandolo come fondamento del diritto d’interina- 
zione e tacendo del precedente (2). In questo nuovo ordine la prima 
parte dell’articolo succitato passò quasi inalterata, la seconda 
parla della conferma ed approvazione entro l’anno delle lettere 
ducali, portanti doni, remissioni, favori e privilegi, editti e grazie, 
senza far più menzione degli editti generali. Nella stessa forma 
ristretta la facoltà d’interinazione è mantenuta nei provvedimenti 
successivi, quali sono l’editto 1527 del Connestabile di Borbone, 
le costituzioni di Carlo V del 1541, l’editto imperiale di Worms del 
1545, e non altrimenti essa venne esercitata dal senato nei secoli 
successivi sino alla sua abolizione sotto Giuseppe II (1786) (3). È 
sempre mantenuto il periodo annuale di decadenza delle concessioni 
non interinate: si riconosce talora la facoltà d’esaminare, modifi- 
care o respingere le lettere, prout e re principis aut publica esse 
cognoverint, e sì permette di presentare osservazioni e rimostranze, 
sospendendo l’interinazione sino alla seconda giussione (1616), 
ma non si accenna mai agli editti generali. Inoltre nelle poche 


interinazioni che esaminai si ha una formula particolare in cui 


la promulgazione apparisce compiuta dal principe dopo l’appro- 
vazione del senato; il principe stesso con sua personale dichia- 
razione dà notizia della deliberazione di questo, dopo udito il 
magistrato fiscale, e comanda a tutti d’osservare e far ossér- 
vare il provvedimento interinato. Nella monarchia sabaudo-pie- 


(1) FormentINI, Il ducato di Milano, p. 247, 257, 696, doc. n. 45, 47, 45, 


an. 1516, '31. — Frisi, Mem. stor. di Monza, II, 239, an. 1581. — Manca invece 
ogni formula d’interinaz. nei docum. editi ap. PeLISSIER, 0p. cit. 
(2) Verri, loc. cit. — FoRMENTINI, Op. cit. 


(3) Lanpr, Senatus Mediolanensis, pp. 155, 157. — Constitutiones dominii 
Mediolanensis,l. I rubr. De Senatoribus, $$ Habeatque cognoscet etiam, Cum autem 
criminales (ultimo periodo); 1. IV rubr. De iure et privil. fisci, $ Literae do- 
norum. — Ordines Senatus Mediolani (ediz. 1743), pp. 26, 28. — Collectanea 


decisionum Senatus ad constitutiones, passim. — Cfr. Crespi, op. cit., 91, 109, 
119, 130 e per l’aboliz. Verri, Storia di Milano, cap. 23. 


172 ; ALESSANDRO LATTES 


montese si ha qualche raro esempio d'una formula analoga fino 
ai primi decenni del sec. XVII (1), ma nella massima parte dei 
casi prevale l’altra, in cui il magistrato supremo interina e pro- 
mulga direttamente. 

Gli storici parlano della fiera dignità del senato milanese 
e della valida resistenza opposta alcuna volta alle pretese del 
governatore straniero, specialmente in materia giudiziaria ci- 
vile (2), e possiamo credere alle loro parole, quantunque non ci- 
tino alcun caso particolare, ma altre volte il senato fu invece 
forzato alla cieca obbedienza, non solo verso il sovrano, ma anche 
verso il suo rappresentante in Milano (8), ed ogni entusiasmo 
ci sembra sprecato di fronte agli esempi piemontesi, sia per la 
rigidità dei nostri magistrati, sia per la brevissima durata della 
facoltà d’interinazione a Milano, almeno nella parte più impor- 
tante di legislazione generale, dove essa sarebbe stata più efficace. 

$ 14. — Vi ha invece nella storia del diritto francese un 
altro esempio molto più importante e completo e tale anzi, che 
per la grande rassomiglianza tra gli istituti e per la vicinanza 
dei due stati si può anche dubitare se i principi sabaudi non 
abbiano imitato il modello che era loro offerto dalla monarchia, 
con cui ebbero sempre così strette relazioni. 

Anche in Francia tra le attribuzioni del gran cancelliere 
vi era l'apposizione dei sigilli dello stato, colla facoltà d’ esa- 
minare se gli atti presentati non fossero contrari agli interessi 
del principe od alle leggi, e col diritto di rifiutare la sigilla- 
zione, si elle n'est de justice et de raison. Se ne fa menzione 
precisa nel giuramento di quell’ufficiale (1514), il quale perciò 
vien chiamato controllore e correttore di tutti i negozi di 
Francia, e già una celebre ordinanza del 1302, più volte con- 
fermata nello stesso secolo, preseriveva a tutti i pubblici im- 
piegati d’astenersi dall’eseguire i comandi regi, quando avessero 
giusto e legittimo motivo per farlo conforme al giuramento da 
essi prestato (4). 


(1) Dusorn, XVIII, 34, an. 1570. — Bore, 463, an. 1578. — JoLur, 683, 
an. 1674. 

(2) FormenTINI, op. cit., 114, 124. — Crespi, op. cit., pp. 39, 87. 

(3) Ordines citt., pp. 111, 198. 

(4) Esmern, Cours élém. d’hist. du dr. fr. 442, 525. — BrissauD, Cours 
génér. d’hist. du dr. fr. 830. — VioLuer, Hist. des institut. polit. et administr. 


co 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 173 


Anche in Francia la presentazione delle regie ordinanze ai 
parlamenti e la lettura solenne, cominciata nella prima metà 
del sec. XIV affinchè i provvedimenti fossero eseguiti, se ne 
conservasse memoria e si notificassero ai giudici inferiori, ec- 
citò quelle assemblee ad esporre osservazioni che si dissero 
remontrances, sospendendo la registrazione fino alla risposta del 
principe: il primo esempio notevole di resistenza risale almeno 
al 1392. I mezzi di cui si valsero i re per imporre la regi- 
strazione furono la rinnovazione espressa del comando e nei 
casi più gravi il lit de justice, di cui sì hanno esempi fino dai 
primi anni del sec. XV, cioè l’intervento in forma solenne alle 
sedute del parlamento, colle regali insegne e coi dignitari di 
corte, sopra un sedile a forma di letto o divano sotto un bal- 
dacchino ; il re veniva in tal modo a ritogliere colla sua pre- 
senza ogni autorità al collegio supremo, a cui egli l'aveva de- 
legata, e la riconcentrava nuovamente in sè per poter ordinare 
come voleva, ed i membri di quello divenivano semplicemente 
suoi consiglieri, come erano stati un tempo (1). 

Anche in Francia in fine la camera dei conti era chiamata 
a registrare le lettere di nobilitazione, gli atti relativi al de- 
manio ed alle cariche pubbliche; però essa non fece mai uso, 
a quanto apparisce, del suo diritto di rimostranza (2). 

Di fronte a questi punti di rassomiglianza tra la registra- 
zione in Francia e l’interinazione in Piemonte, stanno parecchie 
differenze essenziali. 

I Francesi distinguono chiaramente l’entérinement dall'enre- 
gistremeni ed usano la prima voce per i provvedimenti partico- 
lari di grazia e giustizia, che si esaminano dai giudici presidiali 
ed ordinari a cui spetta sentenziare sopra di quelli, e per i man- 
dati di pagamento che devono esser controllati dai tesorieri, 
la seconda voce per le ordinanze regie che vengono sottoposte al 
parlamento di Parigi ed ai parlamenti minori, ciascuno nella sua 


de la France, II, 133. — Hirrer, La doctrine de l'absolutisme, 145. — FriscH, 
Die Verantwortlichkeit, cit., 41, 42. 

(1) Esmers, 521 e segg., 527. — Brissaup, 774, 794, 881 e sege. — VioLier, 
II, 196, III, 333. — Grasson, Hist. du dr. frang., VI, 275, 277: Le roi grand 
justicier in Nouv. Revue histor. du dr. frang. et étranger, 1902, 723. — 
BurxIER, 0p. cit., I, 324. 

(2) Esmein, 522. — Brissaup, 957. — VioLter, II, 167, 231. 


174 ALESSANDRO LATTES 


cireoserizione (1). Invece in Piemonte si parla d'interinazione — 
per tutti. e la registrazione è una formalità accessoria, perchè 
si conservi memoria e prova dell'atto. A questa differenza di 
nome corrisponde un divario di fatto, poichè i collegi piemontesi 
vogliono veramente approvare e completare il provvedimento 
del sovrano e mettono in evidenza il carattere complementare 
dell’opera loro nella formula di cui fanno uso, i parlamenti fran- 
cesi attestano soltanto d’aver udito la lettura e registrato, ed il 
pensiero di un loro diritto d’ esaminare ed approvare gli atti 
ebbe poca radice sia nella mente dei monarchi, sia in quella dei | 
membri di essi e dei giureconsulti. Alcuni negarono ogni diritto ; 
al parlamento contro il re ed ammisero le rimostranze come 
semplici osservazioni modestamente fatte, conforme al dovere 
dei pubblici ufficiali di ogni grado di consigliare il principe pel 
bene dello stato; altri consideravano la verifica delle ordinanze 
come requisito necessario per la validità di esse, fondandosi | 
sopra ragioni storiche, sull'origine di quelle assemblee derivanti 
in parte dalle corti regie e dalle corti dei pari, senza ammettere. 
una vera divisione del potere legislativo: ben pochi, specialmente 
prima del sec. XVIII, attribuirono alle facoltà d’interinazione, 
registrazione e promulgazione il valore di leggi fondamentali 
della monarchia, a cui il re avrebbe dovuto sottomettersi, che 
avrebbero dovuto esser fissate in modo assoluto ed inoppu- 
gnabile, cosicchè i soli Stati generali avessero potestà di mo- 
dificarle (2). 

In secondo luogo i parlamenti francesi, e specialmente 
quello di Parigi, esercitarono sempre il poter loro con mire po- 
litiche, coll’intento di elevare l'autorità propria sopra e contro | 
quella del re. più teneri assai di essa che del pubblico inte- 
resse, eccedettero talora nella resistenza in questioni di poco. 


(1) Brissaup, 952, 1421. — Viorcer, III, 428. 

(2) Hrrier, op. cit., 113, 138 e segg. — Lemarre, Les lois fondament. de la 
Monarchie frane., 85, 86, 159, 166, 279 e segg., 311. Cfr. p. es. Pasquier, Les 
recherches de la France, 1. II, c. 4(p. 83): “ Grande chose véritablement est 
et digne de la Majesté d’un Prince, que nos Rois auxquels Dieu a donné 
la puissance absolue, aient d’ancienne institution voulu réduire leurs volontés 
sous la civilité de la loi ,. — Grasson, Le roi grand justicier, cit. 715, 716; 
Le Parlement de Paris, |, 484; Parlement, nella Grande Eneyclopédie, XXV, 
p. 1121 e segg. 


iii 1° alati Agra lisi 


nea 


fe" 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 175 


conto e provocarono colle violente agitazioni le notissime per- 
turbazioni nello stato. I corpi sabaudi intesero sempre all’uti- 
lità della corona e del paese, resistettero soltanto a provvedi- 
menti veramente nocivi, procurarono di scemarne i danni colle 
modificazioni introdotte, quando le giussioni li costringevano ad 
interinare. Tale diversità è prodotta dalle vicende storiche e 
probabilmente dal carattere speciale dei due popoli, e per essa 
fu certamente eccitata nell'animo degli stessi principi di Savoia 
la persuasione costante, per quanto inconscia, che le opposizioni 
dei collegi erano sempre giuste e fondate, così da formare non 
lieve freno al loro arbitrio: la qualità dei mezzi usati per far 
prevalere la volontà sovrana n'è a parer mio la miglior prova. 
I re francesi agirono spesso con molta energia contro i 
loro parlamenti, sia con espedienti personali che potrebbero 
dirsi esecutivi, sia con altri che sarebbero piuttosto legislativi. 
Frequenti lits de iustice, trasferimento dell'assemblea da una 
città all'altra per gastigo, esilii ed imprigionamento dei membri 
sarebbero i primi: i secondi comprendono le ordinanze limita- 
tive della facoltà d’enregistrement. Fu prescritto di registrare 
subito dopo le prime rimostranze, se non avessero effetto (1566, 
ord. di Moulins), fu fissato un termine per la registrazione, dopo 
il quale gli atti si avevano per registrati e pubblicati senz'altro 
(1641, 1667), fu negato ogni diritto di modificare il provvedi- 
mento e quello di sospendere la registrazione, permettendo le 
rimostranze soltanto dopo di essa per una sol volta (1673). 
Anche quando il duca d'Orléans, per ricompensare il parlamento 
della reggenza confermatagli contro il testamento di Luigi XIV, 
gli restituì il potere antico, di cui era stato privato coll’ultimo 
editto citato, poco dopo egli fece nuovamente un passo indietro 
coll’accordare un brevissimo termine di otto giorni, trascorsi 
i quali si avevano per registrati gli atti nonostante qualunque 
opposizione (1). 
. Nella monarchia sabaudo-piemontese manca ogni esempio 
di violenza, salvo quello di Carlo III (v. $ 7), nè i duchi usa- 


(1) Esmern, 526. — GLasson, Le roi, ecc., 727; Le Parlement, ecc., I. 434, 
II, 15; Précis d’hist. du droit frane., 319. — Hrrier, op. cit., 147, 148. — 
Framuermont, Remontrances du Parl. de Paris au XVIII siècle, Introd. p. I-VI. 
XXXI, nella Collection dei documents inédits sur l’hist. de France. 


176 ALESSANDRO LATTES 


rono mai il mezzo estremo di destituire senatori e consiglieri, 
quantunque dipendessero dal loro beneplacito, essendo da loro 
nominati: anche Vittorio Amedeo II, il quale disciolse il senato 
e mandò a confine i membri pertinacemente insistenti nell’in- 
terpretare un editto in modo da lui giudicato illegale e nocivo (1), 
non ricorse mai a simile espediente pei rifiuti d’interinazione. 
Gli editti ducali non vennero mai a limitare tale facoltà del 
senato o della camera, primachè le RR. CC. togliessero gran 
parte dell'importanza che essa ebbe nei secoli precedenti, e le 
rinnovate giussioni miravano soltanto ad ottenere quell’appro- 
vazione dei magistrati supremi che si reputò sempre indispen- 
sabile. Che se per la Francia il Glasson considera la soppressione 
del diritto di rimostranza necessaria ed inevitabile per quell’u- 
nificazione legislativa, a cui si rivolgevano gli ardenti voti di 
tutti i sudditi (2), e se pure anche in Piemonte l’opera unificatrice 
di Vittorio Amedeo produsse una grave restrizione di quel di- 
ritto, il modo elevato in cui senato e camera dei conti ne fecero 
sempre uso provano che essi non sarebbero stati d’ostacolo alla 
grande impresa. 

Da questo confronto si può concludere che 1’ istituto non 
fu introdotto in Savoia per imitazione diretta di Francia, sia 
per le rilevanti differenze, sia perchè al tempo in cui se ne in- 
contrano colà le prime traccie, esso era già ben progredito in 
Francia ed i principi imitatori avrebbero certamente provveduto 
con norme precise ad impedire alcuni abusi già riconosciuti oltre le 
Alpi. Appare piuttosto probabile che per gli stessi bisogni si siano 
adoperati mezzi simili, che i collegi supremi abbiano acquistato 
un'autorità uguale per consuetudine, senza escludere che durante 
la vita dell'istituto e nella evoluzione di esso gli esempi fran- 
cesì abbiano avuto qualche influenza sui nostri. 

$ 15. — Giova ora esaminare l'istituto dell’interinazione 
sotto l’aspetto dottrinale e considerare la teoria che si formò in- 
torno ad esso fra 1 giureconsulti piemontesi alla fine del sec. XVI 
e nel successivo. Il punto di vista è duplice, non solo giuridico, 
ma anche politico, perchè si collega alla massima controversia 
sull’autorità del principe e sui limiti di questa. 


(1) Caruati, Storia di Vitt. Amedeo II*, 470. — BurniER, op. cit., II, 203. 
(2) Grasson, Le parlement, cit., II, 225. — Hrmer, op. cit., 144. 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 177 


Siamo appunto nel periodo, in cui si compie tanto in Francia 
quanto in Italia, la trasformazione delle signorie temperate, ori- 
ginate dallo sminuzzamento feudale e comunale, nelle assolute 
e la disparizione dei freni e delle garanzie derivanti dallo stesso 
sminuzzamento, che rallentarono quel moto progressivo. Il mu- 
tamento avvenne anche nello stato piemontese, in cui prevale- 
vano le forme feudali tra i monti dove si formò e prese vigore, 
al di là delle Alpi e nel ducato d'Aosta, — le comunali al di 
qua nelle regioni che vennero a poco a poco aggregandovisi, man 
mano che quello stato, compresso e schiacciato contro le Alpi 
per condizioni geografiche e vicende storiche, dovette provve- 
dere a trasferirsi in Italia per conservare la propria esistenza: 
la fusione delle une colle altre produsse il principato assoluto 
per opera delle grandi menti d’ Emanuele Filiberto e di suo 
figlio. Senza rifare intorno ad un argomento speciale tutta la 
storia delle teorie politiche, giova ricordare che la lotta dei 
parlamenti francesi contro il potere regio per i diritti di véri- 
fication e d'enregistrement fu uno dei fenomeni di quella evo- 
luzione e fu sempre giudicata per tale da tutti gli scrittori 
politici (1). 

Di questi manca però ogni esempio in Piemonte, la cui 
condizione intellettuale era in quei secoli assai depressa (2), e se 
il massimo dei pensatori e scrittori di cose politiche nel sec. XVI 
nacque e fu educato nella nostra regione, non può esser conside- 
rato piemontese nel periodo migliore e più fruttifero della sua 
vita. Fra il Ferrari, che vorrebbe fare di Giovanni Botero l’an- 
tesignano dell’italianità di casa Savoia, ed il Gioda che lo reputa 
affatto estraneo al movimento che trasse questa a partecipare 
alla vita italiana (3), la seconda opinione è più conforme alla 
verità storica, poichè non solo il Botero rimase oltre trent'anni 
assente dalla sua patria senz’alcuna relazione coi suoi principi; 
ma nelle opere maggiori non si cura del Piemonte e dei duchi, 
non ne fa mai parola, ritraendo ogni esempio dall'antichità e 
dagli altri stati d’Italia, anche nella materia militare di cui 


(1) Lemarre, op. cit., 79, 80, 144, 148. 

(2) Ferrari, Corso sugli scrittori politici italiani, 364. “ Era lo Stato il 
meno letterario, il meno incivilito, forse il meno italiano ,. 

(3) FerrARI, ibid., 364 e segg. firio alla p. 382. — Gropa, La vita e le 
opere di G. Botero, I, 124 e seg. 


178 ALESSANDRO LATTES 


pure conti e duchi sabaudi fecero lo studio principale. Solo 
dopo che fu chiamato a Torino nel 1599 a sopraintendere al- 
l'educazione dei figli di Carlo Emanuele I ed acquistò con lui 
grandissima dimestichezza, il Botero riconobbe l’importanza 
della casa di Savoia, previde qual parte essa voleva rappre- 
sentare, potè convincersi che in quei principi e nei loro stati 
erano veramente molte delle qualità lodate e pregiate nella 
sua Ragione di Stato: solo negli ultimi anni della sua vita egli 
pensò a scrivere la minutissima 'elatione del Piemonte e della 
contea di Nizza e una buona storia biografica dei principi di 
Savoia (1). 

Alle relazioni fra il sovrano ed i suoi consiglieri il Botero 
dedica del resto poche parole anche nella Ragion di Stato, dove 
accenna alla necessità che quegli si mostri indipendente dal 
consiglio e dall'opera di chicchessia, non comunichi con alcuno 
quello che appartiene veramente alla sua grandezza ed alla sua 
maestà, come l'autorità di far leggi e privilegi, il far grazia 
della vita, dell'onore, dei beni a chi ne sia stato legalmente 
privato. Queste parole possono farci supporre che lo scrittore 
fosse contrario alla concessione di qualsiasi facoltà analoga a 
quella d’interinazione (2). 

Nulla troviamo intorno a tale argomento nella famosa rela- 
zione di Nicolò Balbo ad Emanuele Filiberto sulle condizioni 
economiche e sui bisogni amministrativi de’ suoi stati (3), ben 
poco in quella dei fratelli Ozasco sull’ordinamento del consiglio 
di stato (4), dove si nota che la legge divina e l’umana vogliono 
che il principe deliberi col consiglio dei maturi, dotti ed esperti 
uomini e questi debbono stimolarlo a far leggi giuste, sante ed 
immutabili, e si propone che il Consiglio abbia autorità di ordinare 
cose contrarie alla legge comune o concessioni in danno di terzi 
solo in presenza del principe, e non lo possa quando egli non in- 
terviene alle sedute. Anche in un’altra scrittura di natura poli- 
tica, l’accennata relazione del senato di Savoia sugli uffici del gran 


(1) Giona, op. cit., I, 124 e segg., 135 e segg., 265; II, 603, 611, 698 
e segg. 

(2) Borero, Ragion di Stato, Lib. II, $ Capi di prudenza. 

(3) RicortI, 0p. cit., I, 291 e segg. 

(4) Duson, III, 222, 224, 225 (in nota). 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 179 


cancelliere (1), si dichiara soltanto che le leggi devono esser sot- 
toposte all'esame dei consiglieri e senatori prima di esser pre- 
sentate all’interinazione per evitare che debbano revocarsi come 
dannose poco dopo promulgate, il che sarebbe indegno dell'onore 
del sovrano. Infine può certamente affermarsi che le lotte dei 
supremi collegi coi duchi di Savoia per l’interinazione degli editti 
non furono mai considerate un atto politico, non uscirono mai 
dai confini del diritto pubblico, sia per la forma delle rimostranze 
che pel contenuto : senatori e consiglieri dei conti non si cura- 
rono mai di altro che del pubblico bene, del mantenimento delle 
promesse del principe, dei vantaggi per l’erario e pei sudditi ; 
i duchi, pur esponendo la loro volontà e dichiarando tal è la 
nostra mente, non miravano, a quanto apparisce, oltre il mo- 
mento attuale, oltre l'esecuzione e l'obbedienza dell’editto par- 
ticolare. 

$ 16. — Discorrono invece largamente sui poteri del prin- 
cipe e sull’autorità dei magistrati i giureconsulti piemontesi, e 
ne discorrono nelle opere giuridiche, da figli, quali sono, dei 
grandi maestri del diritto romano, con argomenti fondati sempre 
sui testi del Corpus juris (2). Il più sicuro appoggio era offerto dai 
titoli XIV, XIX, XXI del primo libro del Codice giustinianeo: 
se vale da una parte la notissima quicquid principi placuit legis 
habet vigorem e vale per qualsiasi atto del principe, che ha ugual 
forza obbligatoria in qualunque forma, si richiede però l’appro- 
vazione dei membri del consiglio e del senato prima della pro- 
mulgazione, si dichiara sempre sottointesa la condizione assoluta 
si preces veritate nitantur, coll’obbligo pei giudici di verificarne 
l'adempimento, si sancisce la nullità d’ogni provvedimento con- 
trario al diritto od all’utilità pubblica (3). 


(1) BurxnIER, op. cit., I, 395. 

(2) Da Nevizzano Grov., Consilia, 36, 99. — Narra M. Ant., Consilia, 
I, 179, II, 340, 402, III, 507, 636. — Ozasco pr CacHerano Ottaviano, Consilia, 
26, 31, 42, 68: Decisiones Senatus, n. 38, 90, 102, 139. — A Varce Rolando, 
Consilia, I, p. 26, II, 250, III, 49, 75, 273, IV, 340. — Craverta, Consilia, 
592, 999: Tractatus de antiquitatibus temporum, p. 1, c. 2 vers. Non omitto. 
— Tuesauro, Novae decisiones, 91. — A Poxre Amedeo, Quaestt. laudi- 
miales, 4, IV: Qui feudum dare possunt, n. 47, 57. — Fasro Antonio, Codex 
Fabrianus, I, tit. XI, XII. — As EccLesra, Observ. forenses sacri Senatus, 176. 

(3) Cod. Just., I, XIV, 8; XIX, 3, 7; XXIL 2,3, 4,5, 6. 


180 ALESSANDRO LATTES 


I giureconsulti piemontesi si studiarono sempre, come tutti 
gli altri, d’introdurre qualche freno all’arbitrio del sovrano, che 
non potevano in alcun modo escludere o negare. Due sono i 
poteri del principe, l’ordinario per provvedere alle leggi, sup- 
plire ai difetti di esse, procurarne l'applicazione secundum o 
praeter legem, con facoltà di modificarne gli effetti anche a be- 
neficio di qualche persona senza offendere gravemente i terzi, 
secondo il precetto romano alterum non laedere — l’assoluto pro- 
sciolto da ogni vincolo col quale il principe può agire a sua vo- 
glia anche contra legem (1). Questa lex evidentemente comprende 
tanto l’eterna legge comune, la romana, quanto la speciale ema- 
nata dal principe per i bisogni de’ suoi sudditi, che dee valere 
anche per lui finchè egli stesso non la abroga o modifica. Però 
l’opera sua deve esser conforme a quella lex, alla ratio natu- 
ralis, alla giustizia: egli deve sempre voler cose buone e rette 
e si presume sempre che le voglia, nec principem voluisse cre- 
dendum est quod iuste velle non potuit (2): in caso contrario egli 
deve esprimere chiaramente la sua volontà e dimostrarsi ben 
conscio dell’atto compiuto. 

Talvolta la sua sete innata di giustizia viene traviata da 
forze estranee ed i fatti, secondo i quali delibererà, gli sono 
presentati sotto una luce falsa od insufficiente, coll’esporgli cose 
non vere (obreptio) o tacergli parte di ciò che avrebbe dovuto 
sapere (subreptiîo) per comandare secondo giustizia. Le gravi oc- 
cupazioni pubbliche gli tolgono il tempo d’esaminare accurata- 
mente ogni supplica e perciò egli delega ai magistrati l'autorità 
di riconoscere se i fatti narrati sono conformi a verità: essi 
operano quindi per mandato espresso o tacito del principe, per 
potere da lui ricevuto, ed egli stesso apparisce autore della de- 
liberazione, poichè fa da sè chi per alium facit (3). La distinzione 
tra obreptio e subreptio apparisce introdotta dai giureconsulti me- 
dievali ed estranea alla lingua latina classica e al diritto romano, 


(1) MoLinaevs (Dumoutin), Comment. Cod. Just., ad Cod. 1,19, 7:* Quod 
princeps ex certa scientia est supra ius et contra et extra ius, sunt deliria 
in adulationem tyrannorum confecta ,. 

(2) Fasro, op. cit., I, XI, 1. 

(3) Cfr. Burner, op. cit., I, 353, sull'importanza di questo principio nel 
pensiero politico di Emanuele Filiberto. 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 181 


in cui le due voci si usano promiscuamente e la seconda pre- 
vale nelle fonti giuridiche (1). 

I principi avviati sulla strada dell’assolutismo andarono a 
gara nell’accumulare le clausole imperative ed un nuovo campo 
si aperse all’acuto ingegno dei giureconsulti. Era impossibile 
negare che tali clausole esprimessero la volontà più assoluta, 
che fosse quasi un sacrilegio disputare o dubitare che potesse 
mai un inferiore revocare clausole esplicitamente apposte da un 
superiore: come contestare che la clausola motu proprio togliesse 
ogni vizio d’orrezione o surrezione, rendendo inutile l'esame 
delle preces, se il principe operava da sè senza alcuna supplica? 
che la clausola ex certa scientia comprendesse l'affermazione di 
aver diligentemente esaminato prima di decretare? o che l’espres- 
sione non obstantibus legibus, stututis, constitutionibus derogasse a 
qualunque atto sovrano precedente, come il principe può sempre 
fare? o che infine la clausola più ampia de plenitudine potestatis 
avesse la massima estensione e fosse inoppugnabile ed irresisti- 
bile pel carattere assoluto della sovranità, almeno quando fosse 
usata da un signore che non ha superiori nè giudici d’appello 
sopra di lui? (2) Eppure i giuristi seppero introdurre qualche li- 
mitazione. Ogni clausola vale a distruggere un ostacolo solo e sol- 
tanto l’unione di esse rappresenta la podestà superiore ad ogni 
resistenza : esse vengono spesso aggiunte dai notai ad arbitrio 
senza interrogare il principe e non esprimono allora veramente 
il pensiero di lui: la cognizione di causa è sempre necessaria 
per accertare la verità dei fatti e la certa scientia del sovrano 
deve apparire non soltanto dall’uso della parola ma da tutto il 
contenuto del rescritto e dal modo con cui vi sono esposte le 
condizioni del fatto: se la concessione è viziata d’orrezione o 
surrezione, anche la clausola ottenuta a conferma di essa è af- 
fetta dallo stesso vizio; il pieno potere vale soltanto nelle ma- 


(1) ForcetuLINI, Lerice. totius latinitatis. — Heumann, Handlexie. zu den 
Quellen des rim. Rechts. 

(2) Cfr. Narra, Consilia, dove si ripete parecchie volte (p. es. cons. 179) 
e sì critica l’affermazione di Barpo (Consilia, I, 267): “ Omnes domini Lom- 
bardiae de consuetudine usuali et quasi de quadam theorica et practica 
ponunt verba de plenitudine potestatis et sunt;in quasi possessione verbì 
et facti; puto, salva substantia veritatis credendum sit eorum sermoni quia 
non est verisimile quod falsa voce uterentur ,. 


182 ALESSANDRO LATTES 


terie di diritto, che si devono presumer conosciute dal principe, 
non per quelle di fatto, dn iis quae in facto consistunt, che si pos- 
sono presumere a lui ignote. Infine è questione gravîssima se 
debba in ogni comando ritenersi sottintesa la clausola salvo iure 
tertiî (1), quale ne sia l'estensione rispetto a privilegi già concessi 
ad altri dal principe o dai suoi predecessori, come debba questi 
esprimere la sua precisa volontà di trascurare i diritti acquisiti 
e come debba esserne consapevole per poterli offendere con 
piena conoscenza di causa. 

Quando poi il principe rinnova i suoi comandi, se ne ac- 
cresce teoricamente l’effetto, poiche la geminatio d'ogni atto 
dimostra la volontà decisa e la deliberazione matura, pratica- 
mente si trasforma il magistrato in semplice esecutore senza 
diritto d'esaminare e di discutere (2). Anche qui soccorre il diritto 
romano con una costituzione che vidi citata solo da Baldo (8), 
dove sì ordina ai magistrati d’eseguire le iussiones imperiali 
senza indugio, sospendendone l'esecuzione se siano reputate 
lesive pel fisco, informandone subito l’imperatore ed atten- 
dendo la secunda iussio a cui devono obbedire senza opposizione 
(nov. 134, c. 6). 

17. — Tutte queste osservazioni sì leggono nei consigli 
di giureconsulti e nelle annotazioni alle decisioni del senato di 
Piemonte nella seconda metà delsec. XVI e si fondano sui commen- 
tari dei dottori più antichi, specialmente postglossatori, intorno 
ai testi romani sopraccitati ed a pochi passi delle Decretali (4). 
Ma poichè quegli scritti si riferiscono sempre all'applicazione dei 
rescritti e privilegi particolari che si presentavano in giudizio e 
si esaminavano dai collegi per l'autorità giudiziaria di cui erano 
investiti, le affermazioni sono più o meno precise secondo la 
special controversia a cui si riferiscono, e l'estensione data alla 
potestà del principe ed alle clausole inserite nei rescritti varia 
secondo l'interesse della parte per la quale viene scritto il parere. 

(1) Cfr. in particolare Faro, De erroribus pragmaticorum, decad. XXV, 
error. 1, 2,8. V. pure il decr. ducale milanese del 1423 in Antiqua senz 
Mediol. decreta, p. 258. 

(2) V. lo speciale trattato De verbis geminatis di Anronro Corsero, Si- 
ciliano professore a Padova neijTract. illustr. iurisconsultorum, XVIII, 266. 


(3) Bano, Comment. ad Cod., I, 19, 3. 
(4) Decretal. Sext., 1. V, tit. ult. 72; 1. INI, tit. IV, 23. — Clement. III, 3. 4. 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDIITTI 183 


Il primo che trasse da queste fonti una teoria generale sulla fa- 
coltà d’interinazione spettante ai senati ed alla camera dei conti 
nella monarchia di Savoia, considerandola in relazione alle leggi 
ed alle ordinanze dei principi, fu Antonio Sola (fine del sec. XVI) 
nei suoi commentari.ai decreti ducali (1): la teoria è tanto com- 
piuta, che i posteriori scrittori non seppero aggiungervi nulla 
di essenziale, e merita di'esser esposta, perchè singolarmente 
onorevole pel giureconsulto che la elaborò a freno dell'autorità 
del principe, già avanzato sulla via che mena all’assolutismo. 

Interinatio est approbatio eius quod princeps disposuit in vim 
legis aut gratiae, ecco la definizione che determina chiaramente 
la portata dell’interinazione, comprendente una vera approva- 
zione dell'atto, e distingue le ordinanze generali dalle particolari 
concessioni graziose: texfus aureus in questa materia è la costi- 
tuzione Humanum (Cod. I, 14, 8) in cui Teodosio e Valentiniano 
prescrissero che le leggi fossero esaminate dal loro consiglio ed 
accolte con parere favorevole prima di essere promulgate. L’in- 
terinazione dev'esser sempre laudabilis e ratione congrua; quan- 
tunque si reputi assurdo che un collegio possa riprovare o cor- 
reggere gli atti del principe, esso ha piena facoltà di esaminare 
i provvedimenti prima d’approvarli e di fare delle rimostranze 
sospendendo l’interinazione finchè giunga la risposta: esso deve 
pure salvaguardare i diritti dei terzi, quando l’atto stesso non 
dia prova che il principe li conosce o vuole scientemente offen- 
derli, e tale ius terttà comprende con un’interpretazione molto 
larga anche gli interessi del demanio e dell’utilità pubblica, 
poichè dalla violazione di questi derivano le offese alle ragioni 
dei terzi. Le clausole aggiunte hanno grande efficacia, salve le 
limitazioni sopraccennate; tanto per esse quanto per le ripetute 
giussioni il senato diviene un esecutore materiale degli ordini : 
il Sola raccomanda in tal caso ad entrambe le parti di consi- 
derare le cose con calma e maturità, al principe di non turbarsi 
per la resistenza, poichè egli può essere stato mal consigliato, 
al collegio di tollerare con reverenza che egli perseveri nel suo 
pensiero pei mali consigli ricevuti. Assai notevole la conclusione 


(1) Comment. ad universa Sabaudiae decreta, De interinat., gl. I e Il; 
prooem. gl. II, n. 27, 43; tit. De indulgentiis, n. 12; tit. Decr. abusus, gl. I, 
n. 8 (p. 621 e segg. 6, ‘7, 277, 280, 282, 492). 


184 ALESSANDRO LATTES 


ultima a cui si spinge l’autore, sulle tracce d’un altro giurecon- 
sulto piemontese, Rolando della Valle (1), che se i magistrati giu- 
dichino veramente non poter eseguire il provvedimento, avranno 
contro ogni più assoluto comando l’estremo rimedio della rinuncia 
all’ufficio, per non partecipare alla responsabilità da cui la più 
cieca obbedienza non potrebbe liberarli. La giurisprudenza po- 
steriore giunse fino ad ammettere che gli atti interinati per 
giussione legassero i sudditi solo durante la vita del principe 
che li promulgò e non avessero più alcun vigore dopo la sua 
morte, essendo cessato ogni dovere di sudditanza verso di lui: 
il principio fu accettato dallo stesso duca Vittorio Amedeo I 
nel 1635 (2). 

$ 18. — Sotto il principato di Vittorio Amedeo II l’interi- 
nazione perdette gran parte della sua importanza, perchè egli 
si affermava sovrano assoluto per diritto proprio e per ragione 
di principato (escluso pure ogni titolo d’eredità) (3) e non volle 
tollerare al suo fianco un collegio che esercitasse veramente una 
parte del potere legislativo ed avesse autorità di compiere verso 
di lui un atto di coazione, non solo sostanziale ma neppur for- 
male. Sino dai primi anni del suo regno si presentarono due 
occasioni di gravissimi conflitti colla camera dei conti di Torino 
per le alienazioni di terre avite e demaniali (contea del Gene- 
vese e baronia del Faucigny) a supplire alle gravi spese del 
matrimonio progettato del duca coll’infanta di Portogallo (1680), 
col senato di Savoia per l'introduzione dell’insinuazione di tutti 
gli atti pubblici e privati (1698-1701) (4). Nel primo caso le rimo- 
stranze della camera e le repliche del duca si riferiscono so- 
prattutto ai pericoli dell’alienazione illegale ed ai suoi vantaggi, 
nel secondo invece il duca ed il gran cancelliere, il marchese 
di Bellegarde, parlano specialmente del potere sovrano, dello 
assoluto arbitrio del principe, il quale non comunica a ministri 
e consiglieri parte alcuna dell’ autorità sua, anche quando ne 
richiede il parere. Già apparisce qui una differenza notevole 


(1) Sora, #bid., p. 624, giudica il Della Valle inter consulentes modernos 
veridicus ac causidicis non mediocriter utilis. 

(2) Duso1n, XX, 1250 not. — DionIsortI, 0p. cit., I, 150. 

(3) Isp., III, 1008, riferito anche ap. ScLopis, Antica legislaz. Piemont., 79. 

(4) Ism., XXIV, 61 e segg. — Burwier, I, 277; II, 119. 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 185 


rispetto ai tempi in cui si parlava solo dell'utilità pubblica o 
dei gravi motivi che traevano il sovrano ad insistere pel pub- 
blico bene. Inoltre Vittorio Amedeo cominciò a trasmettere 
senz'altro gli editti al senato ed alla camera coll’ ordine di re- 
gistrarli, riservate le interinazioni ai privilegi personali, alle 
esenzioni ed immunità; se ne hanno esempi nei registri della 
camera sino dal 1701 (per l’editto 14 gennaio) e da quel tempo 
s’introduce la distinzione usata in Francia tra enregistrement ed 
entérinement senza una regola precisa, cosicchè troviamo usata 
l'una o l’altra forma ad arbitrio del principe, sia per gli editti 
generali che pei provvedimenti particolari, e nei registri si av- 
vicendano le interinazioni colle osservatorie, dichiarazioni di regi- 
strazione compiuta e precetto d’osservare l’atto registrato. Degli 
editti più importanti emanati da Vittorio Amedeo nel riordina- 
mento finanziario della monarchia (1717-1720), sulle imposte dei 
tabacchi e della carta bollata, sulle aziende, sulla riunione dei 
beni demaniali, sulle poste, sull’università fu ordinata la regi- 
strazione per escludere ogni rimostranza. 

$ 19. — La regia volontà venne poi a manifestarsi in modo 
pieno nelle Costituzioni e le norme sull’interinazione subirono 
parecchi mutamenti rilevanti durante la elaborazione di esse. 
Non è facile però ricavare la storia esatta dei lavori prepara- 
torì dalle molte carte che sì conservano nell'archivio di stato 
in ventitre mazzi per le due compilazioni del 1723 e 1729, ed 
ordinare cronologicamente tutti i pareri, osservazioni e contros- 
servazioni che si raccolsero, poichè nelle singole scritture manca 
talora la data e il nome dell’autore. 

I compilatori dei primi progetti per le RR. CC. si limita- 
rono a distribuire i capitoli degli editti anteriori letteralmente 
trascritti per ordine di data in parecchi titoli, aggiungendo in fine 
d'ogni titolo una dichiarazione, autentica, per fissare le corre- 
zioni introdottevi (1). Il capo dell’editto 1583 sull’interinazione del 
senato venne omesso in alcuni progetti (mazzo 11, 13), mante- 
nuto in altri (m. 20): taluno voleva esplicitamente notare che 
il senato non avrebbe avuto autorità d’interinare gli editti, se 
non quando il re la concedesse espressamente (m. 14, 16, 18), 
altrî propose dichiarare soltanto che il senato dovesse sospen- 


(1) DronisorTI, op. cît., I, 219, 220. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 16 


186 ALESSANDRO LATTES 


dere l'esecuzione dei rescritti sospetti di orrezione o surrezione 
e ne riferisse immediatamente al guardasigilli e al re (m. 12). 

Più tardi per suggerimento del segretario di stato per la 
guerra Platzaert (m. 20) si sostituì a questo metodo confuso un 
ordinamento sistematico, in cui si diede a tutti i capitoli, an- 
tichi o nuovi, il carattere di norme nuove, conservata solo pei 
primi una traccia dell'origine nell’indicazione marginale del 
sovrano che li aveva promulgati. Anche allora voleva taluno 
mantenere l’interinazione per ogni atto del principe, compresi 
gli editti generali e perpetui, colla clausola che senza quella 
non avrebbero avuto effetto (m. 19), altri voleva invece ripetere 
che il senato non doveva interinare senza un regio comando di 
volta in volta: ad un certo momento (m. 19, 21) apparisce 
l'annotazione marginale che l'argomento restava in sospeso, 
perchè il re aveva mutato avviso e provvederebbe da sè. La 
materia si presentava dubbia solo pel senato; per la camera 
fu riconosciuta in tuttii progetti dell'una e dell’altra forma la 
funzione dell’interinazione per gli atti relativi al patrimonio del 
principe, alla costituzione di uffici e pensioni, alle concessioni 
di nobiltà e privilegio, e si ripete sempre una formula quasi 
uguale a quella dell’editto 7 gennaio 1720 (1), in cui fu dato alla 
camera il nuovo assetto allo scopo di renderla più pronta ai 
voleri del re in occasione della riunione dei beni demaniali 
alienati. 

Nessuna teoria politica si espone nelle varie scritture, salvo 
il concetto fondamentale che il potere del re è illimitato, e si 
riguardano soltanto le condizioni presenti di tempo e di luogo. 
I consultori (2) sono concordi nell’ammettere l’interinazione pei 
rescritti di grazia, privilegi e concessioni, ma la respingono per 
gli editti in modo assoluto: nessun magistrato può esser chia- 
mato a limitare l’autorità regia colla sua approvazione, nè co- 
nosce i motivi delle leggi nè può domandarli al principe. La 
fermezza di queste non deriva da una conferma estrinseca, ma 


(1) Dusorn, II, 604. 

(2) Cfr. i pareri del conte Mellarède (maz. 6, fasc. VII, n.3; m. 8, f.V, 
p. 85: m. 8, f. VIII, p. 297), dell'avv. Leggio (m. 6, f. VII, n. 5), del presi- 
dente Zoppi (m. 8, f. V, p. 83 e f. IX, p. 807), del presidente Riccardi (m. 8, 
f. XIV) ed una lunga scrittura senza firma (m. 22, f. VII). 


Zaia 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 187 


dalla loro bontà, ed esse si presumono sempre giuste e dirette 
al pubblico bene, ma l'esame ne appartiene al gran cancelliere 
prima d’apporre i sigilli ed il presidente Zoppi lo chiama il 
proprio consultore del re. L’interinazione non fu mai richiesta 
come requisito essenziale di validità degli editti sovrani nè dal 
diritto comune (const. Humanum, v. $ 17) nè dall’editto 1583, 
inteso nel suo vero significato, e si reputava necessaria soltanto 
per l’uso introdotto dai duchi di ordinarne l’aggiunta in ciascun 
caso; v'ha chi ricorda pel senato (m. 22) la nov. 152 sulla 
nullità dei rescritti non presentati, al prefetto del pretorio e 
sulla facoltà di far rimostranze per gli atti che fossero ad de- 
trimentum publicum. Si ricorda pure l’esempio dei parlamenti di 
Francia, i quali secondo i Piemontesi non tentarono mai di 
attribuire alla registrazione simile forza per la validità delle 
ordinanze e videro poi limitato questo loro ufficio da Luigi XII 
e dal XIV. Al re dunque appartiene ordinare a suo arbitrio la 
interinazione o la registrazione, nè si richiede una dichiarazione 
espressa di tale facoltà nelle costituzioni: per determinare di 
volta in volta quale formalità sia comandata dal principe, basta 
la formula di cancelleria aggiunta in fine dell’atto con cui egli 
prescrive l’una o l’altra; l’editto 1583 resta abrogato per la 
norma generale inserita nelle RR. CC. intorno agli editti non 
trascritti o non compresi nelle medesime. 

Fu fatta questione per. gli editti passati, poichè special- 
mente contro il famoso editto 7 gennaio 1720 sulla riunione dei 
beni alienati alla Corona, gli avvocati dei nobili tanto danneg- 
‘ giati e stremati da esso opponevano la nullità, per esser stato 
soltanto registrato e non interinato. Chi considerava la facoltà 
d’interinazione fondata sul diritto comune e sulla consuetudine, 
credeva necessaria una solenne dichiarazione sanatoria per to- 
gliere ogni vizio dei provvedimenti anteriori; altri la giudicava 
invece pericolosa, perchè avrebbe dato nuove armi alle resi- 
stenze degli avvocati e del senato ed all'opinione favorevole 
alla nullità di quell’editto e d’ogni altro non interinato, con 
grave pregiudizio delle utili riforme introdotte negli ultimi anni. 
Nessun dubbio invece quanto alla camera dei conti, Ja quale per 
mezzo dell’interinazione aveva potuto impedire la dilapidazione 
del patrimonio, riprendere quanto era stato alienato senza urgente 
bisogno o senza utilità dello stato, ed avrebbe rassicurato i 


188 ALESSANDRO LATTES 


compratori futuri contro ogni molestia ed ogni rivendicazione, 
se fosse sorta nuovamente in avvenire la necessità di alienare 
altri beni demaniali. i 

Mi sia lecito aggiungere che non trovai nei mazzi da me 
esaminati il passo riferito dallo Sclopis (1) e che a parer mio l’o- 
pinione attribuitavi al presidente Zoppi non è esatta, poichè egli 
non mi appare energico difensore dell’interinazione in ogni sua 
forma, accetta solo la camerale ed ammette pel senato soltanto 
quella delle grazie, senza parlare dell’editto 1583 e considerando 
gli editti generali come emanati dal moto proprio e dalla certa 
scienza del principe (2). 

Dalle annotazioni e postille sul pensiero del re (m. 6, 8 
num. 5, 21, num. 4, 23) si rileva che egli voleva mantenere la 
distinzione tra interinare e registrare da lui introdotta a difesa 
della sua sovranità nel campo legislativo, accettava la registra- 
zione di tutti gli atti per conservarne memoria, l’interinazione 
solo pei rescritti in cui può introdursi inganno o frode, e per 
gli atti relativi al demanio ed alle concessioni d’ogni specie, in 
cui si richiede la rigorosa osservanza delle leggi sull’inaliena- 
bilità. E veramente egli avrebbe desiderato il silenzio completo, 
silenzio sul passato per togliere ogni arma di contestazione, 
silenzio sul futuro per mantenere il pieno arbitrio del principe 
nella scelta tra le due formalità, per poter fissare di volta in 
volta i limiti dell'intervento del senato o della camera, essendo 
sufficiente l'abrogazione generale di ogni editto o consuetudine 
ad escludere qualsiasi pretesa dei collegi supremi per l’avve- 
nire. Può esser qui riferita una breve nota che porta l’intesta- 
zione: “ Risoluzione di proprio pugno di S. M. ,, altrettanto 
chiara e concisa quanto deficiente sotto l'aspetto ‘grammaticale 
ed ortografico (m. 8, fasc. 5, fog. 96): 

“ Ill più aciertato è di preciendere (probabilmente prescin- 
dere, lasciar da parte) e toliere non sollo ledito di Carllo Ema- 
nuelle ma anche quello di Emanuelle Filiberto come pure tuti 
quelli che potrebero parlare delle interinationi mentre che li editi 
che fanno forza di lege auendo prouisto contro le alienationi 


(1) ScLopis, Consideraz. stor., cit. Mon. hist. patr. Comitiorum, II, 164, 
165. Cfr. pure DionisorTI, 0p. cit., I, 159. 
(2) Cfr. il suo parere citato (m. 8, f. V, p. 83). 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 189 


dell demanio le allienationi che sarebero contrarie alle lege 
restavano nulle e perciò inutilli e quanto alla lapidatione (cioè 
dilapidazione) de fruti che un prencipe trascurato o inganato 
potrebe fare ui sono tuti li oficii che anno ill uisa (cioè diritto 
di mettere il visto) che li pono impedire. Regollare le secretarie 
per ciò che si debi metere la clausula dell interinatione o regi- 
stratione (in fine dell'atto) come pure lobligo a magistrati di 
rapresentare ,. 

$ 20. — Quale fu il risultato di così lunga e varia disa- 
mina, prova manifesta dell'importanza riconosciuta nell’esercizio 
di tale facoltà da parte del senato, fosse pure per semplice con- 
suetudine ? 

Nelle RR. CC. del 1723 (1. II, tit. IMI, c. 1) manca ogni ac- 
cenno agli editti ed ogni regola generale: si fa menzione di due 
specie di atti, i rescritti, le concessioni e grazie, per le quali 
il senato ha obbligo di sospendere l’interinazione e riferire al 
gran cancelliere, quando abbia sospetti di surrezione o d'’orre- 
zione — le lettere di cancelleria relative a persone e cose com- 
prese nella giurisdizione del senato, per le quali esso può fare 
le rappresentazioni necessarie pel servizio nostro prima d’inte- 
rinare o registrare, attendendo le deliberazioni del principe. Si 
ammette però una sola rappresentanza, con facoltà di replicare 
solo quando si trattasse di materie giurisdizionali che riguar- 
dano i diritti della corona e che stavano tanto profondamente 
a cuore a Vittorio Amedeo. 

Nelle RR. CC. del 1729 (1. II, tit. II, c. 1) la formula si 
presenta alquanto più larga. Gli editti, rescritti e patenti, sia 
di grazia che di giustizia, per materie appartenenti alla giuri- 
sdizione del senato saranno interinati o registrati secondochè 
sarà ordinato: quando siano sospetti di orrezione o surrezione 0 
contengano cosa contraria al nostro servizio o al pubblico bene 
o pregiudiziale al terzo, il senato dovrà soprassedere e fare al 
re le rappresentazioni opportune. Giova ritenere che fossero 
sempre esclusi gli editti generali che avevano carattere di de- 
creti perpetui, poichè sarebbe stato troppo contrario alla ferma 
volontà del re l’ammetterli: si conferma in via indiretta il di- 
ritto regio di scegliere liberamente fra l’interinazione e la regi- 
strazione, ed in relazione a questo fu preseritto che il guarda- 
sigilli richiederà al principe qual sia la sua volontà per ciascun 


190 ALESSANDRO LATTES 


atto prima d'apporre i sigilli (1. II, tit. II, c. 1): coll’accennare 
ai diritti dei terzi si risolve una questione assai discussa (cfr. 
$ 17) e si riconosce lodevole la via seguita dal senato pel 
rispetto dovuto a quelli, anche senza espressa riserva del re- 
scritto: intine il silenzio intorno al numero delle rimostranze va 
inteso nel senso più ristretto che una sola ne fosse permessa, 
specialmente per esser omai avvenuto l’accordo (1727) tra il re 
ed il papa nelle materie giurisdizionali, cosicchè la rigidezza di 
Vittorio Amedeo II si era attenuata. 

Alla camera dei conti si diede autorità d’interinare editti 
ed ordini in materia economica o relativi alle cose del demanio, 
lettere e concessioni in qualsiasi modo attinenti alle finanze, e 
si riconosce espressamente la facoltà di esaminare e giudicare 
della sussistenza e validità loro. Del diritto di rimostranza, con- 
servato nell’editto 1720 almeno per chiedere l’interpretazione 
autentica degli editti, non si fa più menzione (1). Il re volle 
pur sempre conservare il suo libero arbitrio nella scelta, poichè 
nel 1732, quando la camera presentò alcune osservazioni in- 
torno ad un editto trasmesso con precetto di registrazione e 
fece notare che secondo le RR. CC. avrebbe dovuto essere in- 
terinato, le fu risposto che le ragioni addotte non bastavano a 
persuadere il sovrano e che è sempre in nostra facoltà far interi- 
nare o puramente registrare questa sorta di editti (2). Tale editto 
si riferiva alla creazione di 264 piazze nuove di speziale nelle 
varie città e borghi del Piemonte. 

Fu pure aggiunto nelle RR. CC. che tutte le provvisioni 
relative all’ amministrazione della giustizia od aventi forza di 
legge in materia giuridica ed economica dovessero essere spe- 
dite per lettere patenti e non per semplice biglietto o decreto, 
cosicchè non fossero mai sottratte alla registrazione od a qualche 
esame del senato o della camera — uno di quei freni minori 
che i principi assoluti impongono a sè ed ai loro ministri, frutto 
di singolare illusione, poichè la stessa autorità che li introduce 
può gettarli da banda, eppure non sempre privi d’alcuna effi- 
cacia temporanea, e prova manifesta nel nostro caso che l’in- 


(1) RRi(G0401723; II, t. IV,.c. 1; 1729,1. VI, t. 1, e MPGaiedilio 
1720, v. Dusorn, III, 606. 
(2) Dusorn, X, 132 e 134. 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 191 


tervento della magistratura suprema si reputava giovevole al 
pubblico bene (1). Fu infine prescritto che gli editti spediti dalla 
cancelleria dovessero, per cura del generale delle finanze, venir 
trasmessi all'avvocato generale od al procurator generale, perchè 
ne curassero terinazione o registrazione, il primo innanzi al 
senato per ghid&ffari giuridici e politici, il secondo innanzi alla 
camera per gli affari economici e camerali (2). 

Dopo la promulgazione delle RR. CC. si nota una differenza 
rilevante tra i registri d’interinazione del senato e della ca- 
mera. Per questa si continuano a trascrivere i regi editti colla 
formula d’interinazione o di registrazione secondo il volere del 
re, insieme coi provvedimenti personali, pel senato non vi si 
trascrivono più gli editti generali, ma soltanto gli altri atti che 
il collegio era chiamato ad interinare per autorità propria (bandi 
campestri di comuni e di feudatari, nomine d’ufficiali, immu- 
nità d’imposte per chi aveva dodici figli, ecc.). Anche nei re- 
gistri delle patenti presentate al senato si copiano gli editti 
senza indicare l’interinazione o la registrazione, e l'attestazione 
d'aver compiuta l’una e l’altra formalità si unisce all’atto ori- 
ginale in un foglietto sciolto e si conserva con esso. 

$ 21.—La teoria che il Richeri nuovamente espose intorno 
all’interinazione durante il regno di Vittorio Amedeo II, più 
brevemente nel Codex, più diffusamente nell’ Universa jurispru- 
dentia (3), non è diversa da quella dei giureconsulti precedenti e 
s'appoggia egualmente sui testi romani e sulle decisioni del 
senato. L’autorità del principe è limitata solo dalla giustizia e 
dalla pubblica utilità a cui deve esser conforme e si presume 
sempre che sia: i rescritti devono corrispondere alla verità ed 
esser esenti da vizi ed il principe può commetterne l'esame ai 
magistrati prima dell'esecuzione: essi saranno interpretati in 
guisa da non offendere le norme generali di diritto, il bene dello 
stato e i diritti altrui, eccettochè il principe manifesti una vo- 


APRRNCO,; 1729411, & Ilse. 33:9°193 17280081 IST, è 289; 
1770, id. $ 10. 

(2) RR. 00., 1729, 1) II, t. X, c. 2; $2;-17200454, t- XVII, 8.2; 1770, 
LIL. XVH; 82: 

(3) Ric®eri, Coder rerum in Senatu Pedemont. iudicatarum, |, 1 defin. 2 
3, 12, 15, 17, 18. — Universa civilis et criminalis jurispr., lib. I, $ 50 e segg. 
$ 146 e segg. 


192 ALESSANDRO LATTES 


lontà precisa anche a danno di questi, come può per giusta causa: 
ma le sole clausole aggiuntive non bastano a far prova di tale 
intenzione. L’interinazione non appartiene all'essenza della legge, 
la forza di questa dipendendo solo dalla volontà del principe; 
solo le ordinanze relative al patrimonio furono dichiarate inef- 
ficaci senza l'approvazione della camera, a cui d sottoposte 
per esplicito precetto delle RR. CO. 

$ 22. — Omai può ben dirsi svanita l'importanza del nostro 
istituto per la legislazione generale della monarchia, quantunque 
la tradizione storica abbia avuto tanto vigore da conservare la 
parola e la formula sino alla promulgazione dello Statuto (1). 
Carlo Emanuele III introdusse la prudente consuetudine di chiamar 
seco a consiglio insieme col gran cancelliere anche i presidenti 
dei due senati e della camera, prima di promulgare i suoi editti, 
per togliere ogni occasione di resistenza all’interinazione (2). 
Non trovò quindi, p. es., alcun ostacolo presso quei collegi la 
registrazione del grosso appannaggio concesso al suo secondoge- 
nito, duca del Chiablese, nonostante la grave opposizione fatta 
alla proposta di esso (3). 

Nessuna novità fu introdotta in questa parte delle RR. CC. 
nella riforma del 1770, salva la facoltà al guardasigilli di deci- 
dere da sè nei casi ordinari, se le provvisioni dovessero esser 
interinate o registrate, ricorrendosi al principe solo quando sor- 
gesse alcun dubbio e difficoltà coi collegi chiamati ad aggiungere 
quella formalità complementare (4). 

Dopo la restaurazione, richiamate in vigore le RR. CC., la 
camera ed il senato continuarono ad esercitare la loro funzione 
nello stesso modo e le teorie esposte nelle loro decisioni non sono 
diverse dalle suindicate (5). Dalla raccolta stampata dei regi 


(1) Cfr. GuarrerIo, Gli ultimi rivolgimenti italiani, I, par. I, 510, e 
lettera di Neri Corsini sulle trattative segrete del congresso di Lubiana, 
ivi I, Doc. 373, 374. 

(2) Borron pe CasreLLAamontE, Piémont, $ 1, in MerLIN, Répert. universel 
de jurisprud., ediz. IV e V. — CarumTI, St. del regno di Carlo Emanuele 11I, 
T, 163. 

(3) Dusorn, XXIV, 737, e cfr. CaruttI, op. cît., II, 183. 

(4) ,RR..CG. 1770, 1.,II, t. IIJ.c.1,,8 5. et.IlLo. 1, $.10. 

(5) ScLopis, St. della legislaz. ital., III, 202. Cfr. p. es. Dusorn, Collez. delle 
decis. dei supremi magistr., IX, 361, 399 (an. 1833, 1779). 


/ 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 193 


editti si rileva che alcuni vennero solo registrati, altri interi- 
nati e si annota sempre la data in cui la formalità fu compiuta, 
ma non si può determinare se il principe seguisse alcuna regola 
nell’ordinare l’una o l’altra: non è però esatto che l’interinazione 
si usasse in tutti i provvedimenti che riguardavano direttamente 
od in via prin@ipale la generalità dei cittadini (1). Probabilmente 
il senato fece ogni sforzo per mantener viva la memoria del- 
l'antica autorità anche nel modo in cui esercitava nel fatto lo 
scarso residuo tuttora posseduto. Nel congresso di Lubiana (1821) 
fu proposto di concedere il diritto di rimostranza anche nel regno 
di Napoli, e fu risposto che si poteva conservarlo in Piemonte, 
dove si manteneva per antica tradizione e non aveva mai pro- 
dotto cattivi effetti, ma sarebbe stato pericoloso dopo gli ultimi 
avvenimenti ammetterlo nel Napoletano, dove avrebbe dato ori- 
gine ad un focolare permanente di ribellione (2). 

Sotto Carlo Felice la camera ebbe occasione ancora una 
volta di resistere all’interinazione d’un editto per l’appannaggio 
d'una principessa e non cedette se non dopo ripetute giussioni 
colla menzione dell’ordine preciso del re (3). 

Durante la preparazione del codice Albertino risorsero le 
discussioni, quantunque in forma molto mite, dopo un secolo di 
moderato uso di tale facoltà (4). I membri ‘della commissione di 
legislazione mantennero al principe la scelta fra la registrazione 
per conservare memoria dei suoi atti e l’interinazione, quando 
volesse obbligare il magistrato ad un più minuto esame, ammi- 
sero il diritto di rappresentanza, per dare ai sudditi la certezza 
che il principe ha la coscienza dell'importanza di quanto ordina 
e la piena fermezza del volere. Essi considerano l’interinazione 
come un principio d'esecuzione, non come facoltà spettante al- 
l'essenza della legge, poichè il sovrano trasmette i suoi editti 
al magistrato dopo averli pienamente formati, anche quando giu- 
dica opportuno di farli interinare. Non è a dimenticare che le 


(1) Viena ed ALursertI, Dizion. di dir. amministrat., s. v. interinazione. 

(2) GuarrerIo, op. cit., I, Doc. 374, 375. Lett. citata del Corsini al con- 
siglier Frullani. — Cfr. pure BurnIER, 0p. cit., I, 273. 

(3) GuarterIo, 0p. cit., I, par. I, p. 511 e DroxnIsoTtI, op. cit., I, 161. 

(4) Motivi dei codici per gli st. sardi, 5, 20. — Pinetti, Notizie intorno ai 
lavori della commissione di legislaz., negli stessi Motivi in appendice al vo- 
lume II, p. XIX. 


194 ALESSANDRO LATTES 


resistenze dei senati di Torino e di Genova furono provocate 
non soltanto dalla difesa del loro diritto d’interinare e far rap- 
presentanze, ma anche dal rammarico, perchè la parte principale 
nella formazione dei nuovi codici era stata affidata ad una com- 
missione speciale, anzichè a loro medesimi, e dal pericolo di per- 
dere quel sommo privilegio riconosciuto dalle co, che le 
decisioni delle corti supreme fossero obbligatorie per tutti e costi- 
tuissero una vera fonte di diritto dopo le costituzioni e gli sta- 
tuti prima del diritto comune (1). 

La formula accolta nel codice Albertino (art. 7) non è es- 
senzialmente diversa da quella delle RR. CC.: l’ultima legge 
assoggettata all’interinazione fu quella del 17 febbraio 1848 per 
ammettere i Valdesi al pieno godimento dei diritti civili. Appena 
il potere legislativo cessa d’appartenere esclusivamente al prin- 
cipe e la divisione dei poteri diviene regola fondamentale della 
monarchia nuova, la facoltà d’esaminare le leggi non conviene 
più ai supremi magistrati d’ordine esecutivo e giudiziario : lo 
Statuto e il codice civile sanciscono i requisiti essenziali per la 
validità e per l'applicazione delle leggi, queste alla lor volta li 
determinano pei provvedimenti regolamentari emanati dalle auto- 
rità centrali e locali. I corpi collegiali dello stato non interven- 
gono se non come consultivi prima della formazione completa 
delle leggi, come giudicanti dopo l’attuazione. L’arbitrio del 
principe non ha più bisogno di freni, perchè non esiste più: per 
gli arbitri degli altri i freni sono scritti e preordinati ..... la 
natura umana si esplica nei suoi effetti, al presente come nei 
tempi passati. 

$ 23. — A completare questo studio rimane soltanto. da 
ricordare che nella monarchia sabaudo-piemontese altri collegi 
ebbero in tempi diversi una facoltà analoga d’interinazione e di 
rappresentanza, in limiti assai ristretti di luogo e d’attribuzioni, 
spesso per un periodo assai breve. 

Tali furono il consiglio dell'ordine dei SS. Maurizio e Laz- 
zaro (2), il magistrato straordinario (3), il magistrato dell’abbon- 


(1) ScLopis, St. della legislaz. negli Stati del re di Sardegna dal 1814 al 
1847, pp. 56 e 93, dove pubblica le Observations sur le conseil d'état, attri- 
buite al conte Barso (p. 47 not.). 

(2) BoreLLi, 250 (an. 1649). — Raccolta dei regi editti, II, 19 (an. 1814). 

(3) BoreLLi, 481, 508. — Dursoin, X, 758 (an. 1623, ’24, ’27). 


L'INTERINAZIONE DEGLI EDITTI 195 


danza (1), il consiglio ordinato dal principe sugli occorrenti di 
guerra (2), il consiglio supremo dell’ammiragliato (3). 

Tali furono altresì il consiglio ordinario della reggente 
Maria Cristina durante l'assedio di Torino, perchè rappresen- 
tava il senato, i gruppi minori costituiti entro il senato di Pie- 
monte per le*singole regioni annesse, cioè il presidente e giudici 
delle ultime appellazioni pel contado d'Asti e marchesato di Ceva, 
pel marchesato del Monferrato e per quello di Saluzzo, i senati 
di Nizza e di Genova (4). 

Nel ducato d’Aosta afferma senz'altro quel diligente storico 
delle istituzioni locali che fu il De Tillier, che i decreti relativi a 
tale parte dello stato erano prosciolti da ogni interinazione (5); 
alcuni editti dispongono in questo senso, ma non è certo nè evi- 
dente se essi si riferiscano a tutte le norme in generale, o sol- 
tanto alla materia speciale di cui trattano (l’inappellabilità di 
certe cause) (6). Nel 1629 gli Stati del ducato domandarono al 
duca che ordinasse alla camera dei conti d’interinare un editto 
relativo alla competenza del conseil des commis per ragione di 
valore (7); nuovi esempi troviamo alla fine del secolo XVII (8), 
poichè fu ordinato alla camera di Torino d’interinare l’ editto 
sull’insinuazione, quantunque redatto in lingua francese, nono- 
stante qualsiasi editto od uso contrario, e si ricorda almeno una 
patente di cui il duca non potè ottener l’interinazione senza la 
giussione solenne. 


(1) Dusorn, XI, 314, 321, 336 (an. 1592, ’93, '96). 

(2) Dusorn, XXI, 35, 747, 751 (an. 1649, '50, ’51). 

(3) Raccolta dei regi editti, 1837, 1840. 

(4) BoreLri, 485, 1170. — Durorn, II, 629, III, 837, VIII, 70, 71, 83, 85. 
— DioxisortI, op. cit., I, 161, pel Senato di Genova. 

(5) De TruLier, Historique de la Vallée d' Aoste ?, 324. 

(6) Dusorn, III, 1308.. 

(7) BoLLati, Congregaz. citt., II, 790, 799. 

(8) Dusorx, III, 1322, XXV, 186 (an. 1689, ’97). 


196 GIOVANNI SFORZA 


Alessandro Manzoni 
e una baruffa tra L'Annotatore Piemontese 


ed i Romantici lombardi. 


Nota del socio GIOVANNI SFORZA 


Della lingua d’Italia — la lingua, ben inteso, de’ pedanti e | 
de’ morti — fin dal 1829 s’era fatto campione e custode don Mi- 
chele Ponza; e per dieci anni nel suo Annotatore Piemontese, 
giornale che pubblicava a Torino, scrivendolo in grandissima 
parte da sè (1), menò giù la frusta, a diritto e a rovescio, senza 
misericordia. 

Il Ponza, asciutto, sottile, nero di carnagione, tutto anima 
e nervi, pronto ad accendersi, a schizzar faville, ad arrotar la 
lingua, era uno di quegli uomini che, visti una volta, non si 
scordano più; soprattutto per i suoi occhietti, neri e vivacissimi, 
un de’ quali guardava a levante, l’altro a tramontana; e per il 
lungo naso, pieno zeppo di tabacco; e gli abiti, trasandati, lerci, 
bisunti (2). Le sue bestie nere erano gli errori di lingua e i 


(1) Venne per la prima volta alla luce nel 1829, ed era intitolato : L’An- 
notatore degli errori di lingua ; prese a pubblicarsi, prima a Torino co’ torchi 
della Stamperia Reale, poi a Susa nella tipografia di Girolamo Gatti. A inco- 
minciare dal 1832 si chiamò L’Annotatore Piemontese, ossia Giornale della 
Lingua e Letteratura Italiana, per MicneLe Ponza sacerdote; rimase in vita 
fino a tutto il 1839, e fu stampato successivamente co’ tipi Cassone, Mar- 
zorati e Vercellotti, co'torchi del Fodratti, e dalla Stamperia Reale, a To- 
rino sempre. 

(2) Era nato a Cavour. Visse dal settembre del 1772 al 18 novembre 
del 1846, e fu maestro di grammatica italiana e latina, prefetto e visitatore 
delle Scuole di Torino. Cfr. Cisrario L., Necrologia di don Michele Ponza, 
nel Museo scientifico, letterario ed artistico, di Torino, ann. VII [1846], n. 47, 
p. 380. — Bersezio V., Visioni del passato, in La Vita Italiana, anno I, 
n. 1-2, pp. 42-44. 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, ECC. 197 


Romantici. Per errori di lingua, già si capisce, intendeva tutte 
le voci, le frasi, le parole che non avessero l’esempio d’un classico. 
In quanto al romanticismo (1) si doleva e accorava che “ uomini 
« dotti, poeti nati, pensatori robusti , avessero “ spontaneamente 
“ eletto di tentare il peggiore cammino ,; se ne doleva e acco- 
rava per la paura che “ le lettere italiane , finissero col restare 
“oppresse ed annientate , dalle “ pericolosissime innovazioni ,; 
ed esclamava con accento disperato: “ Quanta vergogna è ri- 
“ servata ai tempi nostri. È la grande sventura! , 

La Gazzetta di Milano chiamò l’ Annotatore “ VAttila della 
“ letteratura ,; e il Ponza fu pronto a rispondere: “ è l’Attila 
“ ingentilito, perchè vuol portar battaglia e sterminio sugli 
“ errori, ma non ammazzare nessuno ,; parole che rispecchiano 
l’indole bizzarra di quel paladino del classicismo, che con pie- 
nissima buona fede e indomito ardore stava imperterrito sulla 
breccia, temperando a quando a quando gli acri umori, i facili 
sdegni, le sùbite sfuriate con qualche scatto di cuore. 

Quando nel ‘34 uscì fuori a Milano il Marco Visconti di 
Tommaso Grossi, aspettato con desiderio vivo e impaziente, 
Achille Mauri, che fu de’ primi a parlarne, ebbe a scrivere : 
“ Quanto alla lingua ci possono essere dei dispareri: ma tutti 
gli spassionati concederanno ch’essa v'è sempre ricca, tersa e 
schietta. Tutti sanno che all’apparire dei Promessi Sposi molti 
si scandalizzarono in vedere che il Manzoni vi avesse intro- 
dotti tanti modi della lingua parlata, e gridarono agli idio- 
tismi, ai lombardismi. Se non che i più avvisati, datasi cura 
di esaminar la cosa un po’ pel sottile, non furon poco sorpresi 


“ 
“ 


“ 


(1) La definizione del Classicismo e del Romanticismo data dall’ Anno- 
tatore è la più amena del mondo. “ Io reputo classico , (scrive) “ tutto ciò 
“ che in sè non ammette confusione di genere. Il giardino italiano è clas- 
“ sico, e l'inglese è romantico; la pianta ed il fabbricato di Torino è clas- 
“ sico, quello di Milano romantico ; l’abito nero, con pantaloni bianchi, è 
“ romantico, l’abito tutto nero, con calzoni corti, è classico; la musica di 
‘ Cimarosa è classica, quella di Rossini romantica; le commedie di Des- 
€ touches, di Regnard e di Goldoni sono classiche, quelle di Kotzebue e 
“ di altri scrittori nordofili, gallofili, stranofili sono romantiche; le tragedie 
€ d’Alfieri sono classiche, quelle del Manzoni romantiche. Dunque, dove è 
“ ordine, armonia, regolarità è classicismo ; dove mancano queste condizioni 
“è romanticismo ,. 


bd 


198 GIOVANNI SFORZA 


“ di trovar tutti que’ modi, tutti quegli idiotismi e lombardismi 
“ registrati nel Dizionario, o usati da scrittori toscani e da quelli 
di cui si tiene l'autorità più sicura. Quindi lo scandalo e le 
grida cessarono, e tranne alcuni pochi propugnatori della lingua 
antica e illustre, tutti fecero lieta accoglienza a quei modi, 
che, rimessi, a così dire, in circolazione, veggonsi oggidì sparsi 
per le opere di tutti gli scrittori d’Italia. Vorrei sperare che 
lo stesso, a un bel circa, debba accadere di molti fra quei 
modi che trovansi usati dal Grossi , (1). Faceva i conti senza 
l'abate Ponza, che nel suo Amnotatore (2) prese “ a cardassare 
“ ben bene la lana , al Marco Visconti, “ per la parte dello stile 
“ e della lingua ,, protestando a muso duro: “ Dove va in mezzo 
“ l'onore delle comuni lettere, dee tacere ogni rispetto privato ,. 
Tirò giù “ un elenco delle maniere , adoperate nel romanzo, 
che gli parvero peccare “di grammatica e di purezza ,; e 
lo fece con tale bile, da passare addirittura ogni segno. Se ne 
accorse lui stesso, e nel posare la penna gli scappò detto : 
“ Vedo che ho preso caldo; quasi quasi divento Attila, che 
corre spaventoso sul cavallo infernale. Grossi mì perdoni; ma 
se ha carità della sua patria, si metta una mano alla co- 
‘ scienza e mi condanni; sappia che io sono uno de’ suoi più 
grandi ammiratori ,. Fortuna che era uno de’ suoi “ ammira- 
tori, e de “ più grandi , per giunta; altrimenti, Dio ce ne 
scampi, chi sa mai che cosa diavolo avrebbe detto e fatto! 

Quell’elenco di maniere peccatrici è un utile studio, e me- 
rita di essere disumato. Eccolo qui: 


“ 


“ 


Pag. 18. “ C’eran testimonj che per una buccia di fico giurerebbero 
ogni falsità, 47 quale sono tutti Ghibellini scorticati ,. 1 quale zoppica 
di gramatica: è maniera lombarda, usata sempre dal volgo: perchè 


(1) L’Indicatore, ossia raccolta periodica di scelti articoli, così tradotti, 
come originali, intorno alle letterature italiana e straniera, alla storia, alle 
scienze fisiche ed economiche, ecc.; serie IV, tomo I, fasc. 2-3, febbraio e 
marzo 1835, pp. 307-308. 

(2) L’Annotatore, vol. I, fasc. 4, aprile 1835, pp. 225-229, per bocca 
d’uno de' suci collaboratori, che si nasconde sotto le iniziali G. P., aveva 
già discorso del Marco Visconti, togliendone occasione dalla ristampa che 
subito ne fece a Torino Carlo Schiepatti. È un giudizio severo, ma non manca 
di osservazioni assennate. 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, Ecc. 199 


porla in un libro ? Allora si santificheranno tutti gli spropositi gra- 
maticali dei dialetti. 

Pag. 19. “ Il nostro Avvocato mise fuori anche lui i suoi testimonj s. 
E più abbasso: “ Allora tutto parea definito n'è vero? è quale se 
c'era la descrizione è tanto chiara ,. Questo è quale è fratello del su- 
periore: anche lui non può correre. 

Pag. 21. “ Il messo che era di dalla con lui ha detto di sì ,. I di- 
zionarj, per quei che non sono lombardi, non spiegheranno mai più che 
voglia dire questo esser di balla, e non s'è mai usato, e non si userà 
mai per esser inteso, esser d’accordo: è lombardismo. 

Pag. 23, “ Non si potrebbe cercare un campione anche noi? , Pag. 31. 
“ Fa di bisogno ? che è sempre stato eretico ,. Il primo zoppica di gra- 
matica; il secondo è un lombardismo imperdonabile, ed una specie d’e- 
selamazione, che in italiano e col senso delle parole che seguono var- 
rebbe sì certamente, non è a dubitarne, e simili, o qualche maniera più 
elegante, che si poteva trovare in tutti i buoni scrittori. 

Pag. 32. Parla dello stesso briccone e continua: “ E sotto vi era 
un cartello con su, dicono, il suo nome, cognome e tutto: e noi, man- 
darcelo qui a noi questa cara gioja ,. Veramente bisognerebbe gridare 
un po’ con queste maniere, che proprio tendono a far barbara la lingua. 

Pag. 45. “ Per lo che, cheton chetone, mogi mogi, come cani scot- 
tati, con la coda fra le gambe, l’un di qua, l’altro di là, per la china, 
per l’erta, se la fumaron via, e in poco tempo fu tutta solitudine e si- 
lenzio ,. Vedete un bel brano di prosa veramente pittoresca; se non fosse 
guasta da due lombardismi; ma passi ancora sui cani scottati, sebbene 
vi sarebbe a dire se vadano via cheton chetone o guajendo; ma perchè 
quel se la fumaron nia? avesse detto sfumarono! E poi è il modo più 
spiccio, più proprio per dir che una moltitudine si scioglie ? La lingua 
che ha descritte tante storie e tante rivoluzioni manca del modo di 
esprimere questo fatto? Converrà egli ricorrere ad una frase lombarda ? 
Ma vedo che il fumo invece d’andar via, mi va alla testa: tiriamo in- 
nanzi. 

Pag. 51. Dice che Bice somigliava alla madre. “ La stessa grazia 
ne’ lineamenti, sua l’aria del viso, suo il muover degli occhi, tutto suo ,. 
Quel suo per di lei va bene in Meneghino, ma non in italiano. 

Pag. 63. “ E un segnale d’onore accordato solamente a chi, ecc. ,. 
Accordare per concedere non è proprio. 

Pag. 82. “ Sentire la messa , è modo di dialetto : la messa si ode, 
si ascolta, alla messa si assiste. 

Pag. 87. “ Stava aspettando il fine di quella scenata ,. Parola non 
registrata nè nei dizionarj italiani, nè dal Cherubini; però usata da al- 
cuni guatteri milanesi: non si poteva dire commedia, scena? Abbisogna 
la nostra lingua di queste novità ? 


200 GIOVANNI SFORZA 


Pag. 88. Si parla di uno che beve. “ Un altro colpetto non farà 
male ,. E più abbasso: “ Sorseggiando con divozione ,,, Quel colpetto, 
per un nuovo assaggio dato alla bottiglia, è maniera lombarda: il sor- 
seggiare non è italiano, ma sorsare. 

Pag. 96..“ Colpì lo scudo nel bel mezzo e glielo fracassò di pianta ,. 

Pag. 145. “ Iscrivendo a Marco dovette pur venire a dichiarargli 
perchè e per come ,. Pag. 158 e 154. “Il domani, ecc. fu destinato 
dal Conte alla caccia del faleo, e Bice era già inteso che non vi doveva 
mancare ,. Tutti modi sgraziati: intendere per accordare è lombardo, 
e poi non è bene svolto il periodo. 

Pag. 157. “Io non temo, perchè cosa ho da temere ,. Perchè, in- 
vece di per qual cosa, è modo lombardo. 

Pag. 188. “ Aspetterò dimani di ragione qualch’uno ci capiterà ,. 
E più abbasso: “ Figurati woé che spavento ,. Di ragione vale giusta- 
mente e non s’accorda con questo modo: de rason è un intercalare mi- 
lanese. 

Pag. 194. “ La padrona pareva, ecc. tanto era data giù, e diventata 
brutta da non parer più quella ,. Dar giù vale per venire al basso, ma 
non per dimagrare: anche quella manca di qualche cosa, forse, un 
di prima : concedo che la fattora che parla se la intenderà massime a 
Limonta; ma non a Torino, a Firenze, non a Napoli: i comici italiani, 
senza imbrattare la lingua, fecero parlare massaje e gente del volgo e 
con uno stile popolare che è una gioja. 

Pag. 195. “ Guardate un po’ che impostore. Scapò su Lauretta. È 
proprio stato lui a rifiutarla ,. Scapò su per interruppe, per disse im- 
provvisamente, non corre: almeno vi andava scapò su a dire: però che 
eleganza ! 

Pag. 120. “ Basta s’egli verrà Dio con bene, se no non ti dico 
altro ,. Non dico altro anch'io: so che a Milano si dice den con ben. 

Pag. 120. Parla di un uomo che s’arrampica fra un bosco. “Quando 
frastagliato dal verde delle frondi, di mezzo alle quali s’intravedeva ,. 
Intravedere non è parola italiana. 

Pag. 138. Un predicatore grida a un mascalzone, questi gli dà un 
tempione e risponde: “ Ed io in nome di questa autorità che qui ti 
comando di lasciarmi andare innanzi ,. Lombardismo sgraziato. 

Pag. 252. “ Marco mi fa troppo più onore che non meriti ,. È più 
abbasso: “ Ed anche Ermelinda, vedete anche lei, vi do parola che ha 
da levarne le mani al cielo ,. Anche questi modi non corrono. 


Qui fece punto, ma con la promessa, non mantenuta, di 
notare gli errori anche degli altri volumi. E concludeva: “ Si 
“ vede che il Grossi si è proprio studiato, non già di scegliere 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, Ecc. 201 


“i bei modi italiani, ma i modi lombardi o milanesi, che po- 
“ tranno gustar coloro che bevono nell’Olona, ma non tutti quegli 
“ Italiani che, bamboleggiando o trescando col volgo, parlano, è 
vero, il dialetto della loro contrada, ma quando scrivono, quando 
“ esprimono sentimenti concordi alla dignità dell'animo, quando 
intendono ricreare i loro fratelli, dalla valle d’Usseglio fino 
“ all'ultimo sasso di Lilibeo, parlano una sola lingua, il solo pa- 
“ trimonio comune che ne sia restato. E sarà opera di buon Ita- 
“ liano l’insozzare anche questo? So che Grossi e prima di lui 
“ Manzoni, e tutti i loro seguaci, rispondono che questa è na- 
“tura, è far parlare gli uomini secondo la loro indole ed edu- 
“ cazione: deliri! Allora si serive addirittura in dialetto, allora 
“ si rinuncia all’onore di appartenere all'intera letteratura ita- 
“ liana, allora si nasce e si muore sullo stesso trivio; ma quando 
“ si ha ingegno da porsi nella sacra famiglia degli scrittori ita- 
“ liani, è un reato contra la patria comune di macchiarli colla 
barbarie dei dialetti, è un corrompere la gioventù, che crede 
“e giura sull’autorità di alcuni nomi, insomma è vituperare 
crudelmente la patria , (1). 

Questi colpi, scagliati con tanta fierezza, misero a rumore 
Milano; tanto più che il Ponza aveva tirato in ballo anche il 
Manzoni e fatto un mazzo di lui, del Grossi e di “ tutti i loro 
“ seguaci ,, venendo, per conseguenza, a ferire l’intero drap- 
pello de’ romantici lombardi; i quali si sentirono venire “ un 
brivido per l’ossa , a vedersi far “ l’uomo addosso , a quel 
modo e “senza un riguardo al mondo ,, col battesimo, per 
giunta, di “ barbari ,, di “ corruttori ,, di “ disamorati della 
patria ,. Un di loro scese in campo a difesa della causa comune, 
e rimbeccò il Ponza, dicendogli, tra l'altre cose: “ Il tempo di 
“ ingojar altri colle parole è passato : e per quanto alcuni fac- 
“ ciano per rimandarlo a scuola da prete Pero, che insegnava 
“a dimenticare, questo secolo, benedetto, per non dir altro, si 
“ arroga il diritto di ragionare, di pensare, di sentenziar di sua 
“ testa, anche in cose di troppo più rilievo, che non siano la 
“ grammatica e gli idiotismi. Ben o male che ciò sia, noi pure 
abbiamo contratto l'abitudine di riflettere prima di credere, 


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(1) Annotatore Piemontese, vol. 2°, fasc. 2°, agosto 1835, pp. 75-80. 
Atti della BR. Accademia — Vol. XLIII. 17 


202 GIOVANNI SFORZA 


“e distinguer l’accusa dalla condanna. Avversi però anche alle 
“ apoteosi, per quanto amici del Grossi, del Manzoni e di pa- 
recchi de’ loro seguaci, confessiamo, senza aspettar la fune, 
che possono aver le loro mende di lingua e di stile: non ve 
li do per angeli. Ben di questo v’assicuro, che, esaminati gli 
errori apposti al Grossi dall’anonimo (1), neppur uno trovai 
che mancasse di ottime ragioni od esempi. I lombardismi son 
pretti fiorentini: le sgrammaticature stanno nei classici più 
reputati; quel ch'egli, con una franchezza, che rinego il mondo 
se si può dar la maggiore, asserisce che non s’usa, che non 
‘sì trova, che non fu mai scritto, s'usa sì, lo troviamo spesso, 
fu scritto da’ migliori: e son per noi affatto le armi ch'egli 
stesso trasceglie, grammatiche, dizionari, que’ comici italiani, 
il cui stile popolare è (come dic’egli e come non direbbero 
‘ essi) una gioja. Signori no, non dovete star a detta nostra; 
ma chiederci le prove. E appunto per questo avevamo noi 
cominciato questa cicalata: ma la fortuna delle buone lettere 
volle che si inducesse un campione di ben altra valentia a 
buttar giù la buffa, ed assumer una lite, che alla prima può 
sembrare speciale, ma, ben vede, riguarda un punto generale: 
lite ove chi vince acquista onore e gloria, e chi perde, dottrina 
e sapere. Ad un libro dunque, che non può star molto ad 
uscire, lasciamo l'impresa di difender il Grossi , (2). 

Il “campione di ben altra valentìa , era Alessandro Man- 
zoni, il difensore degli oltraggiati romantici Cesare Cantù ; il 
quale (3), ventisette anni dopo, così rievocava que’ tempi, quelle 


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(1) Il Ponza stampò le sue Osservazioni filologiche su È Marco Visconti, di 
Tommaso Grossi senza il proprio nome, che non metteva mai ai suoi arti- 
coli, eccetto qualche raro caso, e anche allora si limitava a scriverci sotto: 
Del Compil., cioè del Compilatore. Del resto, il suo nome figurava nel fron- 
tespizio del giornale, quasi tutto farina del suo sacco. 

(2) Cantù C., Degli idiotismi, cicalata, nell’Indicatore, serie TV, tomo IV, 
fasc. 9-10, ottobre e novembre 1835, pp. 138-188. 

(3) Anche nel Ricoglitore italiano e straniero, anno II, parte II, fasc. del 
novembre 1835, pp. 686-718, il Cantù andava allora propugnando le dot 
trine manzoniane sulla lingua. Ne spigolerò qualche brano. “ Converrebbe 
“ toccar uno de’ difetti più capitali de’ nostri dizionari. Voglio dirvi bravo 
‘“ se colla scorta di quelli voi riuscite a sapere se la tale o tal altra voce 
“ sia aneora viva. E la ragione è che gli accademici , [della Crusca] “ e i 
“loro seguaci non hanno voluto riconoscer l’autorità prima e somma ed 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, ECC. 203 


lotte, quelle memorie: “ Il Manzoni dapprima opinava che in 
“ fondo a tutti i dialetti esista una ricchezza comune, che pub 
“adoperarsi per le scritture; e lo provava dal riscontrare quante 
“ dizioni del milanese si trovino o vive sulle bocche dei toscani, 
“o scritte nei loro libri antichi. Dappoi modificò capitalmente 
«“ quell’opinione, riducendola più pratica, col sostenere che bi- 
“ sogna interamente riportarsi al Fiorentino: cioè non obbligarsi 
“a studiar tutti i dialetti per riconoscere quel che abbiamo di 
“ comune, ma impossessarsi d'uno solo, e a quello pienamente 
“e confidentemente attenersi. Son le due maniere che impron- 
“ tarono le due lezioni de’ Promessi Sposi 3. E qui, toccato del 
Ponza, che “ non cessava di buttarci in faccia di lombardeg- 
giare ,, e che “ appuntò una serie di modi e parole ne’ nostti 


“ unica legittima in fatto di lingue, l’uso. Che importa a me se Dante, se 
“ Boccaccio, se Sacchetti usano una parola? Se oggi non si dice più là dove 
“ si parla bene, a Firenze, essa non è della lingua. Si tralasci dunque dal 
“ dizionario, direi io; altri diranno: si noti col marchio di V. A. , [p. 705). , 
“ E in Italia ancora si è sentito il bisogno d’una lingua comune ... e quindi 
“ trovata la necessità di pigliare a tipo uno di questi dialetti e procurare negli 
“ scritti di tenersi a quello e farlo comune. Questo dialetto conveniva esser 
“quello più colto, più adoperato fin orà dagli scrittori, e più intatto dalla 
“ mistura barbarica. Poteva egli cader dubbio se questo fosse il toscano? 
“ Giriamo quel beato paese, e sulla bocca del volgo è tra le imprecazioni 
“ del facchino e nella querimonia del paltoniero, sentiamo i modi più èffi- 
“ caci, i più gentili, quelli che cinque secoli fa dalle bocche dei loro paesani 
“ trasportarono nello scritto Dante, Boccaccio, Sacchetti, Villani. Ma perchè 
“il nostro non voleasi culto cieco, ma ragionato rispetto, abbiamo veduto 
che in quel dialetto, come in qualunque altro, va maniere troppo esclu- 
sivamente proprie, ve n’ha di triviali, di fantastiche ; le quali certo hon 
poteano essere intese, o intese al modo stesso fuor del recinto di quel 
paese: sarebbe stato affettazione l’usarle, sarebbe stato precisamente un 
“ far contro precisamente a quello che ci eravamo proposto d'ottenere, cioè 
“ d'essere intesi da un capo all’altro dell’Italia, d'essere intesi dal popolo 
“ — capite? non dai letterati, che intendono tutto; ma intesi dal popolo, 
“ l'elemento più importante della società ed il più trasenrato , (pp. 710-711). 
Fin dall'agosto aveva scritto nello stesso giornale: © A nessuno è caduto 
“ mai in mente che tutta la lingua di un popolo trovisi nei libri, e che 
‘“ quindi dai soli libri, anzi dai soli libri dei classiei; abbiano da attingersi 
“le voci da registrare nel dizionario ..... Penso che il dizionario italiano 
“ sia opera da doversi fare nuova di pianta e con tutt'altre norme; è norme 
“ tali che portano la necessità di non poterlo fare altrove che a Firenze , 
[p. 242). 


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204 GIOVANNI SFORZA 


scritti ,, prosegue: “ Io ebbi a durar poca fatica per rinfrancar. 
“con esempii classici quei modi tutti, ed allargando il campo ne 
feci un lavoretto, che uscì col titolo: Sugli idiotismi, cicalata.. 
Prima di stamparlo il portai al Grossi, che ne lodò il concetto, 
mi indicò avrebbe potuto accrescer a mille doppi quella litania 
di testi, ma che volea mostrarlo al Manzoni. L'idea garbò a 
questo. Ma come ad uomo alla cui intelligenza non vi son 
problemi piccoli, da un pezzo egli lavora ad un’opera sulla 
lingua : vi cambiò forma venti volte; se ne pentì, l’abban- 
donò, la riprese, l’ampliò. Era allora un momento, che natogli 
sotto la penna il problema dell’origine del linguaggio, prese 
ad esaminare e discutere le varie opinioni; parendo lungo per 
una parentesi, lo ridusse in una nota; poi quest’essa crebbe 
in un trattato (1), sicchè bisognava rimetter a lontano termine 
una soluzione, che pur lo sollecitavamo di dare. Or qui gli parve 
un bel destro di premettere e soggiungere poche linee a quel 
lavoruccio, e così gettar fuori le idee capitali, e abbandonarle 
alla discussione; press'a poco come fece più tardi in occasione 
del Prontuario del Carena (2). Non ti rimando il tuo lavoro (mi 
scriveva il Grossi) perchè Alessandro l’ha per le mani. Vuol 
mettervi un po’ di testa e un po' di coda, e così, senza pretensione, 
dic'egli, pubblicherà le sue idee sulla lingua e n'avrà fatto una 
specie di bluette, con aria leggera, ma serrando gli avversari fra 
l’uscio e il muro, e tagliando la testa al toro. Chi avrebbe mai 
detto al povero abate Ponza che sarebbe andato alla posterità ! 
Ma era lungi dal becco l’erba. Il lavoro crebbe di nuovo nelle 
‘ mani del Manzoni: riflettendo ad un'idea annettè l’altra; mentre 
io e Grossi non avremmo che difeso le produzioni nostre contro 
i pedanti, egli difendea la ragione umana contro il sofisma : 
poco dopo, insistendo noi perchè ei desse alfine questa coda e 
“ questo capo, rispose che della sua teoria era così intimamente 


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(1) Fu pubblicato da R. BowncHi a pp. 52-93 del tomo V. delle. Opere 
inedite 0 rare, col titolo: Esame della dottrina del Locke e del Condillac sul- 
l’origine del linguaggio. i 

(2) Cfr. Sulla lingua italiana, lettera al sig. cavaliere consigliere Giacinto 
Carena, inembro dell’ Accademia delle Scienze di Torino, corrispondente del- 
l’Accademia della Crusca, ecc.; in Opere varie di ALessanpro Manzoni. Edi- 
zione riveduta dall’autore, Milano, dalla tipografia di Giuseppe Redaelli, 1845, 
pp. 585-608. 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, ECC. 205 


“ convinto, che sentiva il dovere di esporla al pubblico. Ram- 
«“ mentatogli questo dovere dopo altri mesi, disse non v'avea 
“ prefisso tempo. Alcuni anni dopo mi restituì il fascicoletto 
«“ del Ponza che v'avea dato occasione, e l’opera s’aspetta tut- 
“t’ora , (1). 

Il manoscritto, che il Grossi presentò al Manzoni, conte- 
neva tutta quanta la Cicalata, o soltanto la “ filatessa , degli 
idiotismi lombardi e degli esempi classici a difesa delle parole 
e delle frasi adoperate dal Grossi e scomunicate dal Ponza ? 
Ritengo che si trattasse addirittura della “ filatessa , soltanto; 
la quale delle 56 pagine della Cicalata ne abbraccia la bellezza 
di 32 e ne forma la parte veramente sostanziale. È vero però 
che le Osservazioni del Ponza comparvero il 1° d'agosto e che 
la Cicalata, sebbene si pubblicasse al principio di decembre, porta 
scritto in fine: “ Di Brianza, 27 agosto 1835 ,. Ma bisogna 
però considerare che le altre 24 pagine della Cicalata conten- 
gono la testa e la coda della “ filatessa ,; quella testa e 
quella coda che il Grossi si riprometteva e si lusingava uscis- 
sero dalla penna del Manzoni, e che il Cantù finì con lo 
scriver lui. 

Nella Cicalata ci son due brani che fanno a’ pugni tra loro 
con una contradizione così aperta, che il secondo non solo 
distrugge di sana pianta quello che afferma il primo, ma viene 
a far dire al Manzoni l'opposto di quello che pensava e che 
propugnava con tanto convincimento e con tanto calore. Il 
primo de’ due brani è questo : “ Or volendo noi ridurre anche la 
“ nostra , (parla della lingua italiana) “ all’indispensabile unità, 
“a qual fra i vari dialetti d’Italia daremo la preferenza? S'io 
“ pongo la quistione in questi termini, alcuno nicchierà, perchè 
“vi saranno di mezzo pregiudizi radicati. Ma facciamo un caso 
“ che dobbiate nominar in iscrittura pulita un ferro d’alcun me- 
« stiere; lo nominerete col vocabolo che gli dà l’artigiano mi- 
“ lanese, o il genovese? Credo di no; ma cercherete come lo 
“ chiamano i fiorentini, ovvero come stia nel dizionario, che è 
« poi tutt'uno. Se voleste che i nostri figliuoli imparassero a 


(1) Canrù C., Tommaso Grossi, Torino, dall'Unione tipografico-editrice, 
1862, pp. 37-40. Cfr. Italiani illustri ritratti da Cesare Canrù [3* edizione], 
BIT: 15316. 


206 GIOVANNI SFORZA 


“ parlar corretto, da che paese chiamereste l’aja o il precet- 
“ tore? Se bramaste acquistare nel parlar bene, in che paese 
“ andreste se non in Toscana? E come vi parrebbe profittarne! 
“nè già sui libri, cosa che potete aver dappertutto, ma dalla 
“ voce viva, anzi men da quella dei colti signori, che dalla plebe. 
“ La conseguenza? Non se ne esce ,. E poi, scordatosi di quanto 
ha seritto, salta fuori a dire, che “ il glorioso intento di Man- 
“ zoni, di Grossi e de’ seguaci loro , è quello di 4 dissotterrare 
“la lingua sepolta in iscritture non più lette, e di cercare in 
“ ciascun dialetto quel che v'ha di comune a tutta Italia, di 
“ conformar la lingua seritta con la viva e parlata, per piacere 
con essa e farsi intendere al maggior numero; e così con libri 
letti da tutti, nel mentre si diffondono piacevoli ed utili ve- 
rità, diffondere anche un tesoro di parlare mal conosciuto e 
‘ venirsi vieppiù accostando all’ambita unità d’idioma , (1). 

Il Manzoni, nel 1835, era proprio sempre incaponito nel 
credere che la lingua bisognasse disseppellirla 4 in iseritture 
“non più lette ,, e che per formar questa lingua conveniva 
“ cercare in ciascun dialetto quel che v’ha di comune a tutta 
“ Italia , ? Il Cantù, come s’è visto, lo afferma; e torna ad affer- 
marlo anche in modo più reciso nella dissertazione che intitolò: 
Manzoni e la lingua (2), letta da lui all'Istituto Lombardo nel- 
l'aprile del ‘75. Stando a quest’ultimo seritto, la testa e la coda, 
che asserisce promessa e di fatto incominciata e poi non finita, 
fu occasione al Manzoni, che da più tempo meditava sulla 
lingua, di pigliarne a trattare di proposito. In una parola, è 
dalla Cicalata del Cantù che ha l'ispirazione e l'origine il 
trattato del Manzoni sulla lingua italiana. Questo è quello che 
dice, sebbene un tantino velatamente, il Cantù stesso nella dis- 
sertazione, “ Manzoni , (così scrive) “ erasi assunto di farvi una 
“ prefazione e una conclusione, ma, come soleva, il tema gli 
“ crebbe in mano, e tessendo e scomponendo quella tela, si sa 


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(1) Cantù C., Degli idiotismi, cicalata, pp. 140-141 e 182. 

(2) Cantù C., Manzoni e la lingua, memoria ; in Reale Istituto Lombardo 
di scienze e lettere. Rendiconti, serie II, vol. VIII, pp. 299-316, 339, 351. — 
Negli esemplari tirati a parte modificò il titolo così: Manzoni e la lingua 
milanese, memoria di Cesare Cantù, accademico della Crusca, letta nelle adu- 
nanze del 15 e 29 aprile 1875 del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, 
Milano, tip. Bernardoni, 1875; in-8° di pp. 24. 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, ECC. 207 


“come mai non riempisse l’ordito. Nè allora aveva ancora ele- 
vata la vista a quell’unità, di cui sempre fu innamorato ; non 
“ piegata del tutto la fronte a quell’autorità, che credette ne- 
“ cessaria in tutto, necessaria qui per arrivare all’intima comu- 
nanza della parola: a una lingua unica, convenuta, diffusa, 
“ adoperata generalmente e in tutti i casi da tutti gli Italiani; 
“ insomma a dir tutti in una maniera quel che «diciamo ciascuno 
“ in maniera diversa. Ma già vedeva come non bisognasse ricor- 
“ rere a stromenti artifiziali, i classici, i trecentisti, le gram- 
“ matiche, il vocabolario, bensì ad un canone naturale; onde a 
“ Ranieri Sbragia scriveva : /Z vocabolo lingua quando significa 
“ un complesso di segni verbali è una metafora presa da quell’istru- 
“ mento che il Creatore ha messo in bocca agli uomini, e non nel loro 
calamaio , (2). 

Il Cantù torna a raccontare questo episodio anche nelle Re- 
miniscenze (2); e in una nota poi soggiunge: “ Giulia, sua madre, 
“ scriveva l’11 ottobre 1835: Alessandro e Grossi fanno i loro 
“«“ più cordiali saluti; ma, a proposito di loro, ti dico in confidenza 
“ e solo fra noi, perchè i lavori dei letterati non si devono pale- 
“ sare che con la stampa, che essi lavorano indefessamente senza 
“ riposo tutto il giorno ad un lavoro pressante, che non può esser 
“ così breve. Essi contano finirlo a Gessate (3), che Dio voglia. 
« Ma poi Manzoni scriveva: Nel lavorare mi vien fatto contro quel 
“ che dice il proverbio, di un mottolino una trave. Dico mi vien 
“ fatto, perchè, vedendo che la cosa, col crescer di mole richiedeva 
“ anche più unità di composizione, abbiam deliberato che la farei 
“0 solo , (4). 

Il biglietto di donna Giulia è diretto alla cognata Anto- 
nietta Curioni, moglie di Giulio Beccaria, suo fratello; l’altro è 
il frammento d’una lettera a Gaetano Cioni dell’8 febbraio 1836. 
AI Cioni però Alessandro aveva scritto il 25 ottobre dell’anno 
prima: “ Dell’ Assedio di Firenze del Grossi e de’ miei Untori le 


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(1) È il brano d’una lettera seritta il 12 ottobre 1853 e per conseguenza 
non ha niente che vedere con le opinioni manzoniane d’allora sulla lingua : le 
quali, del resto, erano identiche a quelle del 1853, come provo più avanti. 

(2) Lo racconta però con particolarità affatto diverse. Io, com'è natu- 
rale, mi attengo a quello che scrisse e stampò nel 1862, vivente il Manzoni. 

(3) Nella villa di Giulio Beccaria. 

(4) Cantù C., Alessandro Manzoni, reminiscenze ; I, 240. 


208 GIOVANNI SFORZA 


“son tutte favole. Ben vi dirò in confidenza ..... che si sta 
“appunto lavorando insieme noi due a una bubbola da finirsi 
“e da darsi fuora presto ..... Sarà un libretto o un mezzo libro 
“ che tratterà di lingua ,. Non era dunque il capo e la coda della 
Cicalata: era l’opera sulla lingua nel suo primo embrione (1). Che 
poi il Manzoni nel ’35 non avesse “ ancora elevata la vista a 
“ quell’unità, di cui sempre fu innamorato; non piegata del tutto 
“la fronte a quell’autorità che credette necessaria in tutto, ne- 
“ cessaria qui per arrivare all’intima comunanza della parola ; 
“a una lingua unica, convenuta, diffusa, adoperata generalmente 
“.e in tutti i casi da. tutti gli Italiani ,, come asserisce il Cantù, 
non ha fondamento nel vero. Tutti i manoscritti lasciati dal Man- 
zoni intorno alla questione della lingua provano invece che fin 
dal ‘27 la sua fede nel Fiorentino era divenuta incrollabile, e 
già nelle acque dell'Arno incominciava a risciacquare il Ro- 
manzo (2). E che la luce di questa fede balenasse anche prima 
alla sua mente, ne fa testimonianza la madre. Il 3 marzo del 
24 donna Giulia scrive al Fauriel: “ Mio figlio ..... ha tut- 
“ tavia sempre in capo il Mercato Vecchio ..... fra tanto egli 
“ ci strazia gli orecchi con tutti i suoi toscanismi ,. Gli torna 
scrivere poco dopo: “ Voi parlerete ad Alessandro del Mer- 
cato Vecchio; è là per lui tutta la Toscana! , 

Della “ testa , e della “ coda, della Cicalata, che il Cantù 
afferma incominciate e poi rimaste in tronco, non ce n'è traccia 
nelle carte manzoniane. Può darsi benissimo che abbia distrutto 


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(1) Il Tommaseo scriveva da Parigi il 24 maggio 1836 al Cantù: * Mi 
‘ dispiace vivamente che il Manzoni voglia foggiare a confutazione il suo 
libro. E confutazione dell’Annotatore Piemontese! Ma se il lavoro in questa 
“nuova forma è già innanzi, non lo stornate: pur che finisca. Che  s’egli 
“ ascolterà tutti quanti i consigliatori, non lo finirà mai di certo. Fate ch’ei 
“non butti via nulla di quel ch’ha scritto già, e stampi presto ,. Il Tom- 
maseo non fa che rispondere al Cantù, per conseguenza ripete quello che 
il Cantù gli aveva scritto intorno al Manzoni e al suo lavoro, e vi fa 
degli apprezzamenti propri. Questo brano non fu riprodotto da E. Versa 
nel suo libro: I primo esilio di Nicolò Tommaseo, 1834-1839, lettere di lui a 
Cesare Cantù, edite e illustrate, Milano, Cogliati, 1904; ma lo stampò il Cantù 
stesso, col resto della lettera, nelle Reminiscenze: II, 69. 

(2) Cfr. Srorza G., La risciacquatura in Arno dei “ Promessi Sposi ,; 
in Scritti postumi di Atvessanpro Manzoxi, Milano, Rechiedei, 1900; I, 
111-180. 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TKA L'ANNOTATORE, Ecc. 209 


ogni cosa (1); può anche darsi che non ne abbia scritto neppure 
una riga, e che tutto questo gran poema della “ testa , e della 
“coda ,, in fin de’ conti si riduca a uno scatto di stizza nel 
sentirsi così malmenato dal Ponza, a un desiderio di far cosa 
grata al Grossi, a una promessa sfuggitagli di bocca lì per lì 
e poi non potuta o non voluta mantenere. Del resto, non so ca- 
pire come il Cantù si sia tanto fermato sulla Cicalata e sulla 
“testa , e la “ coda, che avrebbe dovuto farci il Manzoni; il 
Cantù che lo giudica “ più grande pensatore che grande artista ,; 
e non sa darsi pace che negli ultimi anni gli amici “ lo ingol- 
“ fassero a biascicar dispute di lingua ,; e sente venirsi i brividi 
nel vederlo “ impacciato nella minuzia di.cercar col fuscellino 
“le parole sulle labbra, come il Cesari le razzolava negli scrit- 
“ tori , (2); il Cantù che scrive a Gino Capponi (3): “ Come vi 
“ son parsi i cambiamenti fatti da Manzoni agli Inni? E giacchè 
.“ ritoccava la Morale Cattolica, non potea rifarne la lingua, con 
“ maggiore utilità de’ Promessi Sposi? , Questa lettera è del 
21 maggio ‘55; l’anno in cui restò finalmente compita l'edizione 
delle Opere varie, incominciata fin dal ‘45 e “riveduta dall’au- 
tore ,; edizione che usciva fuori a fascicoli, gli ultimi de’ quali 


(1) Che il Manzoni abbruciasse delle carte riguardanti i suoi studi sulla 
lingua, lo afferma Srerano Stampa [Alessandro Manzoni, la sua famiglia, i 
suoi amici, appunti e memorie; I, 88]. Ecco quello che scrive: “ Il Manzoni 
“ aveva cominciato un lavoro sulla lingua in un senso diverso da quello 
“ che poi adottò e che non ha più variato. E ne aveva anche scritto molto, 
“quando accorgendosi dopo nuovi studi e nuove meditazioni di esser nel 
“ falso, bruciò inesorabilmente tutto il suo lavoro fino all'ultima pagina. 
“ Tutto ciò me lo disse lui stesso. E lo riprese poi daccapo nel senso in 
“ cui ne parlava con tanto interesse dal 1837 a quando morì ,. Il lavoro 
a cui accenna lo Stampa è quello che fece in compagnia del Grossi; del 
quale infatti non si trova nessunissima traccia tra le carte del Manzoni. 
Lo dovevano fare insieme e lo incominciarono a fare insieme; ma, “ col 
“ crescer della mole ,, vedendo poi (come il Manzoni stesso serisse al Cioni) 
“ che richiedeva anche più unità di composizione ,, deliberarono di comune 
accordo che lo farebbe il Manzoni solo; e il Manzoni si affrettò a bruciare 
tutto quello che avevano scritto, e ricominciò da capo il lavoro. Che si 
accorgesse “ di esser nel falso , e mutasse allora opinione, è fuori del vero; 
e nell’affermarlo, lo Stampa s’inganna; cosa, del resto, che gli accade più 
d’una volta in quel suo infelicissimo libro. 

(2) Cantù C., Alessandro Manzoni, reminiscenze; I, 39 e 258. 

(3) Capponi G., Lettere; II, 144. 


210 GIOVANNI SFORZA 


contenevano appunto le Osservazioni sulla Morale Cattolica, gl’ Inmi 
sacri e il Cinque Maggio. 

Il Manzoni non risciacquò in Arno le poesie, e non poteva 
nè doveva farlo, perchè la poesia, che ha ragione e criteri di- 
versi dalla prosa, ha anche un linguaggio a sè e per sè, che ne 
differisce sostanzialmente ; linguaggio composto di vocaboli ac- 
cozzati insieme a bello studio, per esprimere le cose comuni con 
termini che non sono punto comuni; linguaggio, che quando non 
ha, nè trova questi termini insoliti, sforza la lingua a furia di 
ripieghi, di giri, di rigiri a dire indirettamente quello che diret- 
tamente non potrebbe nè saprebbe esprimere che eol suo termine 
vero e col suo nome comune. Di più: (l'osservazione è del Man- 
zoni) “ la poesia vuole esprimere anche dell’idee che l’uso comune 
“ non ha bisogno d’esprimere; e che non meritano meno per 
“ questo d'essere espresse, quando uno l’abbia trovate ..... E 
“ questo non lo fa o lo fa ben di rado, e ancor più di rado feli- 
“ cemente, con l’inventar vocaboli novi, come fanno, e devono 
“ fare, i trovatori di verità scientifiche; ma con accozzi inusitati 
“ di vocaboli usitati; appunto perchè il proprio dell’arte sua è, 
“ non tanto d’insegnar cose nove, quanto di rivelare aspetti novi 
“ di cose note; e il mezzo più naturale a ciò è di mettere in 
“ relazioni nove i vocaboli significanti cose note , (1). Il lin- 
guaggio poi che l’Italia adopera nella poesia è di una tale va- 
rietà e ricchezza, e riesce a dar rilievo, colorito, espressione, 
sfumatura al pensiero in modo così efficace e potente e con tanta 
finezza d’arte, che ha il vanto meritato e incontrastato d’essere 
il più poetico delle lingue moderne. Il Manzoni, sia con gl'/nmi, 
sia con l’ode: Soffermàti, sia col Cinque Maggio e le tragedie, non 
intese di dare una forma nuova alla poesia, ma soltanto un ge- 
nere nuovo di poesia; ed è riuscito nuovo per la delicatezza e 
la profondità dell’affetto; per la sublimità, la forza e l’origina- 
lità del pensiero (2). “ Osò alzare un canto nuovo ,, nota Cesare 


(1) Manzoni A., Del Romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti 
di storia e d’invenzione ; in Opere varie, p. 503. 

(2) Il Manzoni è originale nelle stesse sue poesie giovanili, da lui poi 
rifiutate, ma per ragioni nelle quali l’arte non ha punto che fare nè che 
vedere. Negli sciolti in morte dell’Imbonati e nel poemetto Urania le ri- 
membranze de’ classici latini abbondano; “ ma son più le parole che ten- 
“ dono al latinismo, che non le frasi con originalità trasportate dal gusto 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, Ecc. 211 


Guasti, “ un canto nuovo, quale dopo gli orrori della Rivoluzione 
“ francese, le guerre napoleoniche, i disinganni del ‘13 e gl’in- 
“ ganni del '15, era desiderato dalle giovani generazioni del se- 
“ colo XIX, o sia che alle antiche credenze domandassero pace, 
“o sia che nella fede in Dio sentissero avvalorata la speranza 
delle cose umane, prima delle quali è la Patria; un canto nuovo, 
pel quale, se la modestia gli avesse lasciato pensare a tanto, 
avrebbe Alessandro Manzoni prescelto di prendere il cappello 
“ poetico sul fonte del suo battesimo , (1). Fu nella prosa, uni- 
camente nella prosa, che portò la rivoluzione; una doppia rivolu- 
zione, che abbraccia a un tempo la lingua e lo stile, 

Lo stile, che è “ la maniera di mettere insieme i materiali 
“ d'una lingua , (2), il Manzoni già se l'era formato quando prese 
a scrivere i Promessi Sposi (3); e nel correggerli si occupò di 
dare ad essi una forma perfettamente fiorentina; non altro. Nel 
risciacquare in Arno le Osservazioni sulla Morale Cattolica (giacchè, 
per quanto il Cantù non se ne sia accorto, e lo neghi, ce le tuffò 
e rituffb per bene) dette qualche ritocco anche allo stile (4). Di 


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“ antico al moderno, e da un'idea materiale o semplice ad una spirituale 
“e profonda ,. L'osservazione è del Tommaseo, che soggiunge: °Il Man- 
zoni era ancora sulla via vecchia: sebbene già mostrasse anche in quelle 
‘ imitazioni uno spirito d’originalità, che indarno cercheresti in certe 
* poesie del Parini e del Monti ,. Cfr. Tommaseo N., Delle poesie giovenili 
d Alessandro Manzoni e quindi del suo modo d’imitare gli antichi; in Opere 
di A. M. milanese, con aggiunte e osservazioni critiche. Prima edizione com- 
pleta, Firenze, presso i fratelli Batelli, 1829, III, 68. 

(1) Guasri C., Opere; III, 412. 

(2) Manzoni A., Epistolario ; Vl, 232. 

(3) Il D’Ovipro [Le correzioni ai * Promessi Sposi , e la questione della 
lingua. Terza edizione interamente rifusa, Napoli, Morano, 1898, p. 33] osserva: 
“ Fin da che lo compose , [il Romanzo] * la prima volta gli brillava già 
“ limpido nella mente l'ideale dello stile .. 

(4) L’A. dette quest'opera alle stampe nel 1819, col titolo : Sulla | Morale 
Cattolica | osservazioni | dì Aressanpro Manzoni | Parte prima. | — | Unum 
gestit interdum ne ignorata damnetur. | Tertull. Apo?., Cap. I. | Milano, | 
Dalla Stamperia di Antonio Lamperti | Porta Vercellina, Nirone S. Francesco 
N. 2797. | 1819.; in-8°. Senza il suo consenso fu ristampata a Torino nel 1824, 
a Roma nel 1826, a Firenze, co’ torchi de’ Batellî, nel 1829, a pp. 145-374 
del tomo III della “ prima edizione completa , delle Opere del Manzoni, 
con una “ nota , di Niccolò Tommaseo. La successiva ristampa uscì fuori a 
Pavia dalla tipografia Bizzoni nel 1830. L'editore dichiara nell’avvertenza 
che “ questa nuova edizione , (la quale, per verità, non è la *quarta,, 


“ 


212 GIOVANNI SFORZA 


questi ritocchi il Cantù se ne accorse, ma non ne fu contento. 
“Le ristampò con molte e non tutte felici variazioni di stile ,, 
scrive dell'edizione riveduta; e di quella del ‘19, l’edizione prin- 
cipe: “ Tu senti l’uomo avvezzo a muover le idee per proprio 


come afferma, ma la quinta) “ si deve alle cure di uno zelante. Prelato, il 


“ quale considerando la benefica influenza che una più estesa diffusione di 
“ un libro sì utile può esercitare sul trionfo delle auguste verità morali e 
“ religiose, ottenne dall’amicizia dell'autore il consenso a che venisse ripro- 
“ dotta ,. Lo “ zelante Prelato , era monsig. Luigi Tosi, il quale affidò l’in- 
carico di curare quella ristampa all’ab. Giovanni Finazzi di Bergamo, allora 
maestro di belle lettere e di eloquenza sacra nel Seminario di Pavia. Non 
ebbero, invece, il consenso del Manzoni le posteriori edizioni fatte a Milano 
nel ’30, a Torino nel ’32, a Firenze, a Montepulciano, a Prato e a Milano 
nel ’34, a Sanminiato, a Imola e a Napoli nel ’35, a Parma nel ’36, a Napoli 
nel ’38, a Torino nel ’39 e a Prato nel ’41. Col suo consenso fu tradotta in 
francese dall’ab. De la Couture, e stampata a Parigi nel 85, “ chez Gaume 
freres ,. La © seconda , sua edizione è quella che si legge a pp. 609-813 
delle Opere varie e restò ultimata nel 1855: nel qual anno ne fece anche 
un'edizione a parte in-16°, che porta scritto nel frontispizio: “ T'erza edi- 
zione dell’autore, riveduta e corretta .. 

Al Rosmini scriveva il Manzoni fin dal 12 gennaio del ’51: “ Avendo 
“ dovuto metter mano alla correzione della Morale Cattolica, ho dovuto av- 
“ vedermi subito, che la correzione non poteva essere semplicemente tipo- 
“ grafica; ed eccomi ingolfato in un continuo e minuto lavoro ,. Gli tornò 
a scrivere il 18 febbraio del ’54: ° Sono a un di presso ai due terzi della 
“ dispensa, che uscirà probabilmente nella quaresima, e che sarà a un di 
“ presso 1 due terzi del libro. Quell’aggiunta sulla dottrina luterana e cal- 
“ viniana della giustificazione per la sola fede, e la quale mi pareva costì , 
{a Lesa] “ non dover richiedere che un cenno e poche nude citazioni, mi 
“ s'è allungata terribilmente, non tanto per quello che m'è riuscito di scri- 
“ vere, quanto per quello che ho dovuto leggere, cioè mi s'è allungata in 
“ quanto al tempo da spenderci, molto più che in quanto alla sua esten- 
“ sione ..... Ho dovuto fare una gran conoscenza principalmente con Cal- 
“ vino, il quale m’è parso bensì quel sofista, ma non quel sofista così sot- 
“ tile che si dice comunemente. I suoi errori, almeno quelli che ho dovuto 
esaminare più di proposito, non mi paiono distanti dall’assurdo mani- 
“ festo, che per l’intermezzo di leggieri equivoci e cavillazioni ,. Lesse in- 
fatti quasi tutte le opere di Calvino, e confidava al suo intimo amico don 
Paolo Pecchio, curato di Brusuglio, il quale me l’ha poi raccontato, che il 
tedio di quella pesante lettura era però addolcito dalla bontà del latino 
con cui sono scritte. A] Rosmini riscriveva il 14 d'aprile: ° Ricevo in questo 
“ momento dal torchio il fascicolo ..... L'aggiunte di qualche estensione 
sono alle pagine 646-53, 681-688, 719-20 ,. Nel successivo fascicolo, col 
quale il lavoro ebbe il suo termine, vi aggiunse di nuovo un’ “ appendice al 


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ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, Ecc. 213 


“ conto, ma foggiarle alla carlona, come era la moda , (1). Non 
tutti però la pensano come lui, Quell’ingegno colto e gentile 
di Luigi Venturi dice che nell’edizione riveduta “ ha inteso di 
“ accostarsi ai più schietti modi della lingua parlata ,; ma sog- 
giunge: “ e se non sempre è riuscito così felicemente come nella 
« ristampa del suo Romanzo, vuolsi forse trovare alcuna cagione 
“ nella natura di ciò che forma il soggetto di queste due prose, 
“ così diverse tra loro per intendimento e maniera di tratta- 
“ zione , (2). Il Venturi ha intraveduta la verità; non l’ha colta 
però nella sua pienezza, come ha fatto G. I. Ascoli, che scrive: 
“ Tra l'intonazione della Morale Cattolica e l'intonazione gene- 
“ rale d'altre prose d'Alessandro Manzoni, c'è molto semplice- 
mente la differenza che passa tra il linguaggio ch'egli mette 
“in bocca a Federigo Borromeo e quello ch'egli fa parlare a 
“don Abbondio e Perpetua. Il linguaggio e lo stile del Cardi- 
nale è più solenne, più severo, più letterario di quello degli - 
altri personaggi dei Promessi Sposi, perchè era naturale che 
“ fosse così; e il linguaggio e lo stile della Morale Cattolica, 
confrontato con quello d’altre prose del medesimo autore, ha 
un'andatura più compassata, più raccolta, men biricchina, men 
toscana, meno disforme da quello che si potrebbe dire il tipo 
“ letterario dell'Europa addottrinata e pensante, per questa pri- 
“ missima ragione, che il Manzoni qui parla solennemente, di- 
nanzi all'Europa, da campione palese della fede e della gente 
sua , (3). Ha scritto come ha scritto, non perchè non gli sia 


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“ capitolo terzo , [pp. 771-813], in cui tratta Del sistema che fonda la mo- 
rale sull’utilità; mirabile scritto, che fu ristampato il medesimo anno nella 
Poliantea Cattolica, di Milano, anno 1IV, pp. 104-165. 

Tra le carte del Manzoni c'è una copia a pulito, tutta di sua mano, 
di quella da lui chiamata Parte prima, e che poi rimase l’unica che appro- 
vasse. Invece del passo di Tertulliano: * Unum gestit interdum ne ignorata 
“ damnetur ,, ha il seguente, che poi cancellò: “ Je n’ai pas plus d’envie 
“ de lui déplaire, que lui de nous nuire. J..I. Rousseau, Préf. de la lettre 
“ & M» d’Alembert ,. 

(1) Cantù C., Alessandro Manzoni, Reminiscenze; I, 88-89 e 232. 

(2) Manzoni A., Osservazioni sulla Morale Cattolica, dichiarate e illu- 
strate da Lurcr Venturi, Firenze, Felice Paggi, libraio-editore (Tipografia 
Moder], 1877; in-16*, di pp. vin-248. 

(3) Ascori G. I., Brano d’una lettera inedita concernente la doppia que- 
stione della lingua e dello stile; nella Perseveranza, anno XXI, n. 7355, del 


214 GIOVANNI SF )RZA 


riuscito di far meglio, ma perchè voleva sceriver così. E non 
poteva far che così, anche perchè “ se nei Promessi Sposi la qua- 
“ lità del genere letterario, a cui il romanzo appartiene, dà luogo 
“a molto maggiore varietà e ricchezza di vocaboli e di frasi o 
“ modi di dire; nella Morale Cattolica la difficoltà del soggetto 
“ richiede che i vocaboli e le frasi segnino efficacemente e spic- 
“ catamente ogni piega, per sottile che sia, del pensiero d’una 
“ mente acuta e arguta , (1). L'osservazione è del Bonghi; il 
quale poi giudicava non meno giovevole lo studiare le correzioni 
di lingua fatte dal Manzoni alla Morale Cattolica, di quello che 
le correzioni fatte ai Promessi Sposi. 

Questo studio, che anch’io mi auguro si faccia, chiarirà se 
il tentativo d’accostarsi ai più schietti modi della lingua par- 
lata è in realtà riuscito “ non sempre così felicemente ,, come 
crede il Venturi; proverà anche quanto siano lontani dal vero 
quelli che si sognano che il Manzoni, con lo scegliere per unica 
lingua d’Italia la lingua di Firenze, intendesse che si abbia a 
scrivere in maniche di camicia. Quando la natura del soggetto 
lo vuole, si hanno da usare le voci, le frasi, i modi che suonano 
in bocca al popolino ; come, quando la natura del soggetto lo 
vuole, si deve adoperare la lingua che parla la gente colta a 
Firenze. In questo avvicendarsi di scelte consiste l’arte dello 
scrivere. L'ha mostrato alla stregua de’ fatti, 1’ ha insegnato con 
l'esempio, anzi con più generi d’esempi, il Manzoni; grande pen- 
satore e al tempo stesso grande artista. 

E il Manzoni neppur s'è sognato, come gli fa dire chi non 
l’intende, di non dar quartiere agli scrittori e volere che siano 
tutti banditi (2). In quanto alla lingua non riconosce altra au- 


12 aprile 1880. — Di questo brano il D’'Ovrpro ha formato la terza appen- 
dice al suo libro: La lingua dei “ Promessi Sposi , nella prima e nella se- 
conda edizione. 

(1) Manzoni A.; Opere inedite 0 rare; III, 239. 

(2) Il Manzoni, messa che ebbe alle stampe, nel marzo del 1868, la sua 
relazione: Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, per testimonianza 
del Broglio, si trovò addirittura “in nna fase effervescente ,: e “ contro 
un’antica abitudine ,, prese a leggere e leggeva “ volentieri ; quello che 
in Italia si andava pubblicando sulla sua proposta. Un’accusa soprattutto 
lo colpì: cioè che negasse agli scrittori “ ogni parte, ogni utile azione; nelle 
lingue ,; accusa senza fondamento al mondo, giacchè “ una simile strava- 


ALESSANDRO MANZONI E UNA BARUFFA TRA L'ANNOTATORE, Ecc. 215 


torità che quella dell’Uso, perchè l'Uso soltanto, e non altro che 
l'Uso, non già il capriccio degli scrittori, fa e disfà le lingue e 
n'è il padrone e il regolatore. In quanto agli scrittori distingue 
quelli che sanno tenere in mano la penna, da quelli che non ce 
la sanno tenere; e dà anche un'occhiata un po’ maliziosetta al 
loro calamaio, per sincerarsi se adoperano l'inchiostro con cui 
si parla ai morti, o quello con cui si manifesta il proprio pen- 
siero ai vivi. 


ganza , non gli “ era mai passata per la mente ,. Si accinse a ribatterla 
con lo scritto: Della,parte che possa competere agli scrittori nelle lingue, che 
disgraziatamente non condusse a fine e che fu da me pubblicato a pp. 371-382 
del V volume delle sue Opere inedite 0 rare. 


*-_—__——— Tr reeee-enf _- -- - — 


216 UMBERTO MAGO 


La regina Antiochide di ( ‘appadocia 
e la cronaca regia degli Ariaratidi. 


Nota del Dott. UMBERTO MAGO 


AI frammento 19 del libro XXXI della Biblioteca di Dio- 
doro si legge un riassunto della storia della casa reale di Cappa- 
docia, che potrebbe chiamarsi compendio della cronaca di quella 
dinastia. Fino ai tempi di Seleuco I, re di Siria, offre non lievi 
difficoltà dal lato della credibilità storica; noi però ne esamine- 
remo soltanto la parte che si riferisce ad Ariarate V Filopatore 
(n. 7-8). 

Vi si narra che Ariarate, IV secondo le nostre liste, sposò 
Antiochide, figlia di Antioco III di Siria, mavoùprov udMota. 
Si raccontava, dice la cronaca, che costei, essendo sterile, avesse 
supposto ad insaputa del marito due figli, Ariarate ed Oroferne, 
ma poi, cessata dopo qualche tempo la sterilità, avesse avuto 
due figlie ed un figlio, Mitridate (1); allora la regina avrebbe 
rivelato tutto al marito, il quale si sarebbe indotto a mandare 
Ariarate a Roma ed Oroferne in Tonia, affinchè non potessero 
disputare il trono al figlio legittimo. Mitridate poi, fatto adulto, 


(1) Droporo, XXXI, 19, 7. Ad un tratto il discorso, cominciando dalle 
parole Taùtnv dé un yivouévwv ktÀ., passa all’accusativo coll’infinito, ciò 
che fa supporre che qui in origine, probabilissimamente già in Diodoro, 
sì trovasse un gaoi od altro verbo di analogo significato. Si noti che poco 
dopo, a proposito del nome di Ariarate assunto da Mitridate, si trova un 
paci. Forse nell’estratto che possediamo il paci è stato spostato e nell’ori- 
ginale era riferito a tutto il racconto della supposizione dei due figli di 
Ariarate IV, oppure se ne trovava un altro in principio del racconto stesso. 
Si confrontino in questo frammento altre espressioni dello stesso genere: 
p. es. Aérovor adtoùs kt). Un altro punto dove certo è da Fozio omesso 
il paci o altro verbo di senso analogo, è al n. 3 del frammento di cui ci 
occupiamo: èv kai TTepoarg kT\. 


LA REGINA ANTIOCHIDE DI CAPPADOCIA, ECC. 217 


fu chiamato Ariarate, venne educato alla greca e si mostrò 
adorno d’ogni virtù; il padre, che lo amava teneramente, volle 
perfino spogliarsi del regno per cederglielo, ma il giovine ricusò 
d’accettare tal dono mentre vivevano i genitori. Morto Aria- 
rate (IV), Mitridate col nome di Ariarate (V) salì al trono, e si 
mostrò nella sua condotta d’indole preclara. S'occupò con amore 
anche di filosofia, e d'allora la Cappadocia fu aperta ai dotti 
greci, mentre prima era quasi sconosciuta. Questo re rinnovò 
pure l’amicizia e l'alleanza coi Romani. 

Fin qui la cronaca. Ora ciò che colpisce immediatamente 
il lettore è la supposizione dei due primi figli; si comprende, 
dato l'assoluto bisogno di provvedere alla successione, che si 
supponga un erede, ma si riman perplessi quando si pensi che 
un secondo figlio sarebbe stato supposto, vivente il primo e 
quindi senza necessità per detto scopo, tanto più che i sovrani 
di Cappadocia erano in età da far presumere che potessero 
avere altra prole, come di fatto ne ebbero pochi anni dopo (1). 
Nato poi quello che, secondo la cronaca, sarebbe stato l’unico 
rampollo legittimo, non gli fu imposto il nome di Ariarate, come 
a tutti i principi ereditari, ma quello di Mitridate. 

Certo è che i due primi figli furono allontanati da corte: 
uno, Ariarate, fu mandato a Roma sotto il pretesto di compiere 
la propria educazione, ma realmente per dare al Senato una 
prova indiscutibile di fedeltà in momenti in cui i Romani dif- 
fidavano di tutte le potenze orientali; l’altro, Oroferne, nella 
Tonia, dove, lasciati i patriarcali costumi della sua nazione, si 


(1) Che Ariarate, primogenito di Ariarate IV, vivesse ancora quando, 
secondo la cronaca, fu supposto Oroferne, risulta dal fatto che nel 172 a. C. 
egli fu mandato dal padre a Roma per completarvi la sua educazione e vi 
fu accolto dal Senato come prole legittima del re di Cappadocia (Livio, XLII, 
19, 3). Il giovane principe, come par risultare dal racconto liviano, non do- 
veva avere molto di più di 16 o 18 anni; sarebbe quindi nato verso il 194 
od il 192; nel 195-3 Ariarate IV aveva sposato Antiochide. Mitridate nacque 
senza dubbio prima del 172, altrimenti nel 163, in cui salì al trono, non 
avrebbe avuto al più che 10 anni, contando gli estremi, ciò che ripugna 
alla verità dei fatti, perchè Ariarate V, quando assunse il potere, era già 
maggiorenne. Secondo la cronaca, Mitridate era il terzo dei figli legittimi, 
avendo avanti a sè due sorelle; quindi Oroferne, nato prima di queste 
ultime, era di qualche anno almeno maggiore di Mitridate, epperciò nacque 
parecchi anni prima del 172. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 18 


218 UMBERTO MAGO 


diede a quella vita lussuosa e lussuriosa comune nel gran mondo 
ellenistico (1). Il solo Mitridate sembra sia rimasto in Cappa- 
docia od almeno, se se n’assentò per attendere agli studi, vi 
fece ritorno ben presto. 

Ariarate IV nulla sapeva, secondo la cronaca, della sup- 
posizione dei due primi figli, e soltanto quando nacque Mitridate 
fu avvertito della cosa: quindi, se la moglie non gli avesse sve- 
lato la verità, il re a sua insaputa avrebbe introdotto nella sua 
famiglia l’un dopo l’altro due rampolli supposti. Tutto ciò pare 
straordinario: ad ogni modo la colpa figura tutta della regina. 

Dalle notizie della cronaca, in parte rettificate in uno od 
in altro modo secondo i critici, è derivata la tendenza a cre- 
dere che Antiochide abbia dominato l’animo del marito ed abbia 
favorito in ogni modo Mitridate, fino a procurargli la succes- 
sione al trono. Ora, esaminando i motivi fondamentali della for- 
mazione del racconto che c’ interessa, mi pare che vi siano 
argomenti in contrario a questa tradizione. 

Se osserviamo la responsabilità del re e della regina nella 
assunzione di Mitridate a principe ereditario, vediamo che il 
sovrano nella versione regia nulla sa, fino alla nascita dell’ul- 
timo figlio, della supposizione dei due primi e li alleva come 
suoi, anzi deve considerare Ariarate come legittimo successore, 
dato lo strettissimo diritto di primogenitura vigente alla corte 
di Cappadocia e confermato da tutta la cronaca. Questa igno- 
ranza del re notiamo che poteva benissimo servire a scusarlo 
alla meglio, se in seguito avesse cessato di considerare suo erede 
Ariarate e in seconda linea Oroferne, a cui dopo la morte del 
primogenito di diritto, secondo le consuetudini cappadoci, sa- 
rebbe toccato il diadema. 

Con questa versione dei fatti Ariarate IV, stato sorpreso 
nella sua colossale buona fede, doveva necessariamente, appena 
avvertito, disdirsi riguardo ai diritti già accordati ai primi due 
figli. Quindi la colpa, od almeno la causa di questo mutamento 
di decisione del re, sarebbe della regina, sulla quale la cronaca 
tende evidentemente a rovesciare tutta la responsabilità a pro- 
posito di queste questioni di successione. Riconosciuta la legit- 
timità del solo Mitridate, dice il nostro racconto, il padre prese 


(1) Porisio, XXXII, 11. 


LA REGINA ANTIOCHIDE DI CAPPADOCIA, ECC. 219 


ad amarlo teneramente ed il figlio lo ricambiava di pari affetto. 
Quanto ad Antiochide sappiamo, all'infuori delle notizie più 0 
meno sospette della cronaca, ch’essa negli ultimi anni della sua 
vita si ritirò alla corte d’Antiochia, dove poi, nell’ autunno 
164 a. C. al più presto e non più tardi della fine del 163, fu 
uccisa da Lisia, tutore d’Antioco V (1). 

Questo fatto dimostra che alla corte di Mazaca all'ultimo 
essa non doveva godere di molte simpatie; l’essere mavodprog 
uGMiota, se pure non fu esagerata ad arte la sua tendenza al- 
l’intrigo, parrebbe che accreditasse le dicerie sulla supposizione 
dei due primi figli. Ora sembra naturale che se veramente An- 
tiochide avesse lottato per far riconoscere principe ereditario 
Mitridate e vi fosse riuscita sul debole consorte malgrado un 
partito avverso a corte, non solo sarebbe stata da una susse- 
guente vittoria di quest’ultima fazione costretta a ritirarsi lei, 
ma anche i suoi piani sarebbero stati combattuti; inoltre colla 
sconfitta della madre anche il figlio preferito, che agli intrighi di 
lei doveva il suo grado, avrebbe dovuto ritirarsi davanti ai due 
fratelli maggiori. E qui occorre aggiungere che riguardo alla 
genuinità di questi ultimi, non tutti in Cappadocia e fuori ere- 
devano a versioni del genere della nostra cronaca, chè nel 
paese si manifestò più tardi un partito in favore di Oroferne e 
gli stranieri, p. es. Polibio, credevano e chiamavano Oroferne 
Gderl@pos di Ariarate V; questa era pure l'opinione accettata dai 
Romani (2). i 

Da tutto ciò pare che Ariarate IV mai abbia sconfessato 
pubblicamente Oroferne. Lo strano sarebbe che, quando appunto 
pareva trionfassero i pretesi suoi disegni e Mitridate sembrava 
ed era ormai di fatto considerato erede del trono, Antiochide 
sì fosse ritirata alla corte d’Antiochia, dove poco di poi fu 
uccisa; sappiamo per giunta che dal governo di Cappadocia non 
si richiesero neppure le sue ossa, le quali solo più tardi ven- 
nero riscattate da Ariarate V, divenuto re. 

Considerando tutti questi elementi, mi pare che le cose 
siano andate in modo molto diverso da quello che pretende la 
cronaca ed è ammesso, almeno in parte, da alcuni critici mo- 


(1) PoLisro, XXXI, 7. 
(2) Droporo, XXXI, 32 (derivato da Polibio); Grusrino, XXXV, 1. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLII. 18* 


220 UMBERTO MAGO 


derni. E come si sia formata questa versione dei fatti si può 
forse senza troppa difficoltà spiegare. Ariarate avrebbe per mo- 
tivi a noi insindacabili scelto per suo successore il terzo figlio, 
Mitridate, legittimo al par degli altri due; vi si opponeva però 
una gravissima difficoltà: il diritto di primogenitura, rigidis- 
simo in Cappadocia. Eppure questo diritto occorreva assoluta- 
mente procurarselo in ogni modo. Poco dopo la morte di Aria- 
rate IV e la successione di Mitridate, Oroferne, poichè il fratello 
maggiore molto probabilmente era già morto, non facendosene 
più cenno nei testi che trattano della guerra civile in Cappa- 
docia, Oroterne adunque, riputato generalmente fratello legittimo 
di Ariarate V, reclamò il diadema in virtù delle consuetudini 
nazionali. Contro di lui e del suo diritto indiscutibile si appun- 
tavano gli sforzi di Ariarate V e del suo partito che non trovarono 
nulla di meglio che dichiararlo spurio e, siccome ammettere 
la genuinità del primogenito e poi la supposizione di Oroferne, 
vivente ancora il primo fratello, non;pareva verisimile, pensa- 
rono per manco male di farli spurii tutti e due. Quanto alle 
sorelle nulla importava, anzi era meglio ritenerle legittime, po- 
tendo essere utili alla politica di Ariarate V. Così si venivano 
ad assicurare i diritti di quest’ultimo ed a mettere al coperto 
il procedere di suo padre. % 

Non mi pare necessario per correggere la cronaca ammet- 
tere, come inclinerebbe a creder possibile il Niese (1), che Aria- 
rate seniore ed Oroferne fossero figli di Ariarate IV e di una 
concubina, anzi ciò mi sembrerebbe inverisimile, perchè in questo 
caso essi non avrebbero potuto elevar pretese contro Mitridate 
e non avrebbero costretto il racconto ch’esaminiamo ad una 
tradizione così strana, come quella da esso riferita, sulla loro 
origine; anche in Cappadocia, come ci fa capire esplicitamente 
la cronaca, i figli illegittimi non avevano diritto alla successione 
(Drop., 1. c., 4). Ma per Ariarate V il male era che molti non 
credevano alla supposizione di Oroferne; questo era il punto 
debole nei suoi diritti al trono, eppure doveva in ogni modo 
sconfiggere su questo campo il fratello: era questione di vita 
o di morte. 


(1) Nrrse, Geschichte der griechischen und malkedonischen Staaten,! III, 
p. 248, n. 3. 


LA REGINA ANTIOCHIDE DI CAPPADOCIA, ECC. 221 


Ariarate poi, trovandosi dal lato delle consuetudini nazio- 
nali sur un terreno molto sdrucciolevole, mentre da una parte 
cercava di sostenere alla meno peggio la sua primogenitura, 
tentava dall'altra d’appoggiarsi ad un diverso ordine di diritti, 
cioè all’espressa volontà del padre. Questi, secondo la cronaca, 
amava straordinariamente il figlio Mitridate e già gli aveva 
voluto cedere, lui vivente, tutta l’autorità: ò pèv ratmp éziota- 
cda TA ding apyfis NrywviZero TO madi, è dé dduvatov 
édeikvu deéezagda: aùTòv mapà fovéwy tI ZwvTwy Tv TOIAUTNV 
xapita. Probabilissimamente Mitridate era già stato associato al 
trono; era questo il mezzo più praticato per far passare la suc- 
cessione fuori della linea consuetudinaria. Circa l'associazione 
nella dinastia cappadoce c’era già un precedente: Ariaramne 
Umdpyxwyv piiétexvos diagepovtwe, dice il nostro racconto, aveva 
ciò fatto verso il figlio, Ariarate III. Ma ora, stando al passo 
citato, non si trattava più di associazione, ma di completa abdi- 
cazione da parte di Ariarate IV (tfis 6Ang dpyîig ézioraooar), 
dal che naturalmente derivava che « fortiori volesse lasciar alla 
sua morte il trono al preferito. Specialmente con questo fatto la 
cronaca insiste sullo straordinario amore del re pel figlio Mitri- 
date, che teneramente lo riamava. Ed anche Ariarate V nei fatti 
per parte sua vi insistette sempre, onorando con venerazione 
tutta speciale la memoria del padre e chiamandosi Eùoegng 
Puortatwp, appellativi che hanno pure qualche valore per la 
nostra indagine, quando si pensi che nel secondo secolo a. C. 
i cognomi reali diventano spesso vere armi o mezzi per affer- 
mare diritti discussi. Oroferne per contro prese invece l’appel- 
lativo di Nim@opos, allusivo probabilmente alla cacciata del 
fratello dal regno (1). Questa della volontà paterna era la parte 
sicura, se non legale in via assoluta, dei diritti di Ariarate V 
e su di essa egli potè insistere con maggior fortuna. Il fatto 
dei solenni funerali ad Antiochide non può provare nulla di deci- 
sivo: senz'altri gravi motivi, potevano bastare le convenienze 
che s' imponevano al giovane principe appena salito al trono, 
già da altri disputatogli. 

Questi sono, a parer mio, i motivi principali che ispirarono 


(1) Heap, Historia numorum, Oxford, 1887, pag. 632. — Dioporo, 
XXI, 019; 421: 


222 UMBERTO MAGO 


la formazione di quella parte della cronaca che c’interessa, il 


cui racconto ha evidentemente carattere tendenzioso. Ecco ora. 


come ricostrurrei i fatti in quella che a me sembra la loro ve- 
rità storica. 

Ariarate IV avrebbe avuto da Antiochide tre figli: Ariarate, 
principe ereditario secondo il diritto cappadoce, Oroferne e Mi- 
tridate oltre a due figlie. Il re avrebbe per ragioni ignote cal- 
pestato i diritti dei primi due per lasciar suo erede l’ultimo, 
nato non lontano dal 182 a. C. Adulto Mitridate, s’accentuarono, 
se pur non si formarono soltanto allora, i propositi del re e per 
natural conseguenza l'opposizione di chi era di parer contrario. 
S'era appunto ai tempi della decadenza d’Antioco IV, il potente 
fratello d’Antiochide, che avrebbe potuto sostenere efficacemente 
la sorella. La regina non era forse punto soddisfatta che si 
violassero i diritti dei due primi figli, od almeno di Oroferne, 
che certo sopravviveva, ma col decadere dell’ Epifane perdette 
anch'essa gran parte della sua forza e Mitridate, tutto dedito 
ai Romani, riuscì a trionfare, fors’anche coll’aiuto dell’influenza 
della grande repubblica (1): fu associato al trono e prese veri- 
similmente in quest’ occasione il nome dinastico di Ariarate. 
Antiochide, che condivideva forse le idee del fratello sulla po- 
litica riguardo ai Romani, fu costretta dalla fazione favorevole 
a Mitridate ed a lei avversa a lasciare la reggia ed a ritirarsi 
ad Antiochia. Sarebbe quindi da vedersi in tutto ciò anche uno 
scacco della politica antiromana adottata dall’ Epifane. 

Se la ricostruzione degli avvenimenti è vera, i colpevoli in 
questo intrigo sarebbero Ariarate IV, che per parte sua violò 
le consuetudini del paese, ed Ariarate V che usurpò il diadema 
a danno del fratello. Antiochide, malvista all'ultimo e combat- 
tuta, diventò la vittima: il suo carattere intrigante ed irrequieto, 
di cui forse a bella posta furono caricate le tinte, potè contri- 
buire alla formazion della leggenda. E probabilmente al suo 
carattere dovette la morte per opera di Lisia, tentando di prender 
il potere a nome del nipote Antioco Eupatore. 

In conclusione non Ariarate IV sarebbe colla sua buona 


(1) Che Mitridate godesse le simpatie dei Romani ce lo provano le 
referenze che ne davano gli ambasciatori della Repubblica al Senato (cfr. Po- 
LiBIO, XXXI, 3). 


| TA 


LA REGINA ANTIOCHIDE DI CAPPADOCIA, ECC. 223 


fede meravigliosa stato raggirato dalla moglie astuta ed intri- 
gante, ma Antiochide e la sua fama sarebbero state sacrificate 
dagl’ intrighi del marito e dell'ultimo figlio, incoraggiati forse 
tacitamente dai Romani (1). Purgare dunque d'ogni colpa Aria- 
rate IV nella violazione dei diritti di Oroferne, proclamare e 
spiegare come incontestabili i diritti di Mitridate al trono, ba- 
sandoli sulla primogenitura, perchè l’unico figlio legittimo, e 
sulla dichiarata volontà paterna, erano gli scopi che si prefig- 
geva l’autore della cronaca nella parte che c’interessa; il quale 
sempre allo stesso fine mirava a gettar su Antiochide la colpa 
della supposizione dei due figli maggiori, insciente il marito, e 
quindi indirettamente quella delle mutate disposizioni del re 
circa la successione ed in certo modo anche la responsabilità 
delle conseguenti guerre civili in Cappadocia. 

Abbiam veduto come possa essersi formata questa versione 
degli avvenimenti. Ora chi probabilmente ha pubblicato questa 
versione e quando? Cominciamo dal quando. È noto che, appena 
Ariarate V fu salito al trono, Oroferne protestò in forza delle 
consuetudini cappadoci che davano a lui la preferenza. Qualche 
anno dopo egli trovò un protettore in Demetrio Sotere, re di 
Siria, che lo pose sul trono di Cappadocia colle armi, a patto 
però che pagasse una grossa somma. Ariarate V fu costretto a 
fuggire ed a richiamarsi a Roma, la quale divise il regno in 
due parti, una ad Oroferne e l’altra ad Ariarate. 

Quest'ultimo, sfuggito a due attentati di emissari del rivale 
a Corcira ed a Corinto, arrivò a Pergamo ed Attalo II lo in- 
sediò nella sua porzione di regno. Qualche tempo dopo Oroferne, 
resosi odioso per le sue esazioni, perdette la popolarità, fu cac- 
ciato dal fratello dalla sua parte di dominio e dovette rifugiarsi 


(1) Che i Romani in seguito abbiano decretato la divisione della Cap- 
padocia fra Ariarate V ed Oroferne non infirma per nulla questa supposi- 
zione: negl’intrighi per escludere Oroferne dal diadema i Romani agirono 
naturalmente dietro le quinte od incoraggiarono con tacita o segreta ap- 
provazione: era loro interesse avere sul trono di Cappadocia un principe 
loro devoto. Più tardi, modificatesi le condizioni della politica romana in 
Oriente, i Romani, come ben nota il Niesr, o. e., III, p. 251, credevano loro 
utile indebolire la monarchia degli Ariarati e, potremmo aggiungere, senza 
provocare troppo gravemente Demetrio Sotere. 


224 UMBERTO MAGO 


in Siria, dove poco di poi gli venne meno anche il favore di 
Demetrio, e morì oscuramente (1). 

Il compendio della cronaca in Diodoro termina coll’assun- 
zione di Mitridate al trono e colle lodi di questo principe. Non 
si può affermare assolutamente che il documento nella sua esten- 
sione originaria si fermasse lÎì, perchè ci troviamo davanti ad 
un estratto dalla Biblioteca Diodorea, che trascriveva già forse 
più o meno compendiando; tuttavia, dato il carattere evidente- 
mente tendenzioso della narrazione che c’interessa, e dato anche 
che poco dopo la morte di Ariarate V termina l’antica dinastia 
di Cappadocia, pare che veramente questa cronaca si fermasse 
al regno di quest’ultimo, narrandone al più le prime vicende. 
Inclinerei dunque a credere che sia stata composta fra l’allon- 
tanamento di Antiochide dalla corte di Mazaca o più verisimil- 
mente ancora fra l’assunzione al trono di Ariarate V e la 
morte di Oroferne od almeno la sua caduta; e ciò perchè in 
sostanza vi si volevan combattere appunto le pretese di Oro- 
ferne (2). 

Sappiamo che Mitridate era stato allevato alla greca, s'era 
occupato di filosofia ed aveva anzi accolto nella sua capitale dei 
dotti greci (3). Pare probabilissimo che qualcuno di questi letterati 
abbia avuto più o meno esplicitamente l’ incarico dal sovrano 
di pubblicare la versione ufficiale dei diritti di Ariarate V al 
trono e ciò coll’intento di diffonderla anche fuori di Cappadocia 
contro i partigiani di Oroferne all’estero. 

Il resto della cronaca doveva servire di naturale introdu- 
zione a narrare ciò che volevasi dal re, e per essa l’autore si 
valse di materiali più o meno infidi fornitigli dalla corte, ma- 
teriali ch’egli accettò senz'altro, trattandosi di far cosa grata 
al sovrano che l’ospitava. Con ciò s’accorda l’idealizzazione 


(1) Per queste vicende cfr. Niese, o. c., III, pp. 250-252 ed i testi ivi 
citati. 

(2) A questo intervallo di tempo accennerebbero dunque le parole 
(Droporo, l. c., 8) Ttòv uéxpi Todde TAG Kammadoriag Bacmevodvitwyv, se 
esse, come parrebbe, derivano dalla cronaca regia che servì di fonte indi- 
retta, come vedremo, a Diodoro. 

(3) Droporo, XXXI, 19, 7-8. — Diogene Laerzio, IV, 65. — Cfr. Nresa, 
o. c., III, p. 249, n. 4. 


LA REGINA ANTIOCHIDE DI CAPPADOCIA, ECC. 225 


della storia della dinastia, dove, degno di nota, è più volte messo 
in rilievo l’amore paterno e figliale nella casa degli Ariaratidi, 
cosa che forse serviva in certo modo a preparare il lettore al 
procedere di Ariarate IV verso Mitridate. Naturalmente, date 
le consuetudini rigidissime in proposito, vi era sempre affer- 
mato il diritto di primogenitura, ma per Ariarate V si cercò di 
girar la difficoltà nel modo già noto ed a pensarci bene non 
c'era altra via. 

Colla nostra ipotesi si accordano pure le lodi alla virtù, alla . 
coltura ed all’amor del sapere del re, che aperse ai dotti greci 
la Cappadocia, prima quasi sconosciuta: lode forse questa esage- 
rata, perchè già prima, specie per mezzo delle principesse sire 
entrate nella casa di Cappadocia, la civiltà ellenistica era al- 
meno in qualche parte penetrata in quel paese e già qualche 
città era ordinata alla greca (1). Qui pare evidente si cerchi, 
elogiando con maggiore o minore disinteresse e veracità i pregi 
del re, di conciliargli le simpatie del mondo greco e per riflesso 
di tutto il mondo civile. Cose tutte che si spiegano nell’opera di 
un letterato di corte, che in servigio del sovrano che l’ospitava 
tentò di sostenere quella che per parecchi anni fu la preoccu- 
pazione costante di Ariarate V: combattere i diritti di Oroferne. 

Diodoro però è verisimile che non abbia usato direttamente 
questa cronaca. Abbiamo osservato che si doveva trovare, ove 
si narra della supposizione dei due primi figli di Ariarate IV, 
un gaci od altro verbo di significato analogo, verbo che fu tra- 
lasciato da chi fece l’estratto che c’è pervenuto. Gli storici regi 
dovevano invece affermare in modo risoluto il fatto. Il paci dif- 
ficilmente può essere attribuito a Diodoro, che si limita in ge- 
nerale a trascrivere le sue fonti e non ha grandi velleità critiche, 
e tanto meno a Fozio. È molto verisimile quindi che questo 
verbo si trovasse già nello scrittore a cui attingeva Diodoro, 
scrittore che direttamente od indirettamente conosceva la cro- 
naca regia. Questo autore o qualcuno dei suoi predecessori, che 
sì valse immediatamente di quell’opera, o perchè a lui stesso 


‘pareva strano il racconto o perchè esso ripugnava a quanto 


generalmente dagli storici si credeva sulla genuinità di Oroferne, 


” 


€ 


(1) Cfr. Nrese, o. c., p. 249, n. 6. 


« 


DO 


26 UMBERTO MAGO —‘DAUREGINA ANTIOCHIDE, ECC. 


volle, riportando questi fatti, attenuare la sua responsabilità 
trincerandosi dietro quel paci. Chi fosse questo scrittore non 
si può con sicurezza dire. La sua circospezione soltanto ci prova 
che non solo ai tempi di Ariarate, ma anche poi, non si dava 
molto credito alla versione divulgata dalla corte di Mazaca. 

In conclusione noi nella cronaca regia troviamo un libro di 
propaganda che Ariarate V, educato alla greca, ha lanciato per 
impressionare in suo favore l'opinione pubblica del mondo elle- 
nistico, libro contenente gravi falsità e che ottenne dai contem- 
poranei e dai posteri la fiducia che sì meritava. 


TTT TR anbe__________ 


pers, 


Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. 


N. TY. Acabsmyr 
OF DClENOES 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 15 Dicembre 1907. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D’OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: NaccarI, Spezia, Sere, PeANO, JA- 
DANZA, Foà, GuarescHI, Guipr, FiLeti, Parona, MarTTIROLO, 
MorERA, Grassi, SomieLiaNa, FusaRI e CameRrANO Segretario. 

Si legge e si approva l'atto verbale dell'adunanza prece- 
dente. 

Il Socio GuarEscHI presenta in omaggio all'Accademia un 
suo lavoro: Swi colori degli antichi, Parte II; in esso è fatta 
una nuova edizione del Pliehto di G. V. Rossetti, pubblicato 
nel 1540, su una bellissima copia esistente nella Biblioteca 
Comunale di Ferrara, opera ora estremamente rara e di note- 
vole interesse storico. L'ultima edizione del Plichto è in fran- 
cese del 1716. 

Il Socio Guipi fa omaggio della Parte III della 3? edizione 
delle sue Lezioni sulla scienza delle costruzioni. 

Vengono presentati per l'inserzione negli Att i lavori se- 
guenti: 

1° G. VrraLi: Sui gruppi di punti e sulle funzioni di va- 
riabili reali, dal Socio D’'OvIDIO; 
2° Dott. P. VoGLINo: De Milian sdami fungis novis pedemon- 
tanis, dal Socio MarTIROLO. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 19 


228 


Il Socio Seere, anche a nome del Socio SoMIGLIANA, legge 
la relazione intorno alla Memoria del Dott. Umberto Perazzo, 
intitolata: Sopra alcune varietà di rette ed in particolare su vari 
tipi di complessi cubici. La relazione, che conchiude favorevol- 
mente per la stampa, è approvata all'unanimità. La Classe, con 
votazione segreta, approva la stampa del lavoro del Dott. Pe- 
razzo nei volumi delle Memorie accademiche? 

Il Socio Naccari presenta per l’inserzione nelle Memorie il 
lavoro del Dott. B. BoppAERT, intitolato: Misure magnetiche nei 
dintorni di Torino. Memoria II. 

Il Presidente delega i Soci NAccarI e JADANZA per esami- 
nare la Memoria del Dott. B. BoppaeRT e riferirne alla Classe. 

Raccoltasi poscia la Classe in seduta privata procede alla 
elezione del Direttore della Classe. 

Riesce eletto il Socio Prof. Andrea Naccari, salvo l’appro- 
vazione Sovrana. 


Priarribrrrlncrisiil 43 


G. VITALI — SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI, ECC. 229 


LETTURE 


Sui gruppi di punti e sulle funzioni di variabili reali. 


“Nota di G. VITALI, a Genova. 


Nella presente memoria io do (Cap. I) un teorema sui 
gruppi di punti che può essere usato con molto vantaggio nel- 
l’analisi delle funzioni. Per mettere in evidenza questa sua 
importanza io lo farò appunto seguire da alcune applicazioni 
(Cap. II). 

Per farsi un’idea sommaria del contenuto del presente la- 
voro basterà leggere le introduzioni ai due capitoli che lo costi- 
tuiscono. 


CapIToLO I. 


Chiamo corpo di un gruppo X di segmenti di una retta r 
il gruppo di punti che appartengono (magari come estremi) a 
qualche segmento di Z. 

Il corpo di un gruppo > di segmenti di una retta r è cer- 
tamente misurabile, ed invero i punti di r che non sono interni 
ad alcun segmento di 2 formano un gruppo chiuso e quindi 
certamente misurabile. 

Indichiamo con 0 un segmento piccolo a piacere e con Xg 
il gruppo di segmenti di X che sono minori di 0. Il corpo di Xg 
varierà in generale col variare di o. I punti comuni ai corpi di 
tutti i Z5 formano un gruppo G che chiameremo il nucleo di X. 

Risulta subito che il nucleo di un gruppo di segmenti è 
sempre misurabile. 

Io voglio dimostrare che: se X è un gruppo di segmenti il 
cui nucleo abbia una misura finita m,, esiste un gruppo finito 
o numerabile di segmenti di X a due a due distinti, le cui lun- 
ghezze hanno una somma non minore di m,. 

de 
n 


230 G.. VITALI 


Questo teorema ha il suo analogo negli spazi a due o più 
dimensioni. Nel piano, p. es., si potrebbe sostituire la conside- 
razione dei segmenti con quella dei quadrati aventi i lati pa- 
ralleli agli assi coordinati. 


$ 1. — È necessario premettere il seguente teorema. 

Se 2 è un gruppo di segmenti il cui corpo abbia una mi- 
sura u finita e se € è un numero maggiore di zero, esiste un 
numero finito di segmenti di X a due a due distinti le cui lun- 


ghezze hanno una somma maggiore di ec 


Cominciamo col fissare una successione 
Cio ife pi, Aa: ia 


di numeri tutti maggiori di zero e tali che 


(0 0) 
= 
En “i 
el 


Sia /, il limite superiore delle lunghezze dei segmenti di X. 
Esiste in Z un segmento s,j di lunghezza maggiore di /,-€,. 
Indichiamo con X; i segmenti di X che hanno dei punti in co- 
mune con s;. I punti del corpo di X, che non appartengono ad 
sì formano un gruppo G, la cui misura non supera 27. Sia 4, 
il limite superiore delle lunghezze dei segmenti di X-X,. Esiste 
in X-X, un segmento ss, necessariamente del tutto distinto da 
81, di lunghezza maggiore di 7-e,. Indichiamo con X, i segmenti 
di 2-Z, che hanno dei punti in comune con ss. I punti del corpo 
di >, che non appartengono ad s, formano un gruppo Gs la cui 
misura non supera 2/7. Sia /3 il limite superiore delle lunghezze 
dei segmenti di X-X,-X,, ecc., ecc. 

Manifestamente la somma delle lunghezze dei segmenti 


E 


DI 


Sy Sb 10 


non.supera u e quindi certamente 


SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI DI VARIABILI REALI 231 


e poichè la .serie 


converge, converge anche la serie 
do 
) Ln 
n=" 


limilg=08 


n = vm 


e quindi 


Ciò prova che 


ed invero se esistesse un segmento di X non appartenente ad 
alcun X,,, ogni 2,, sarebbe almeno uguale alla lunghezza di questo 
segmento e perciò non potrebbe essere 


lim i ="0 


n= 


_ Allora il corpo del gruppo È risulta costituito dal corpo 
del gruppo X% dei segmenti 


Indicando con m la misura di G e con po la misura del 
corpo di Lo, è: 


u<m + bo 
Ma 
a 
m<2) hh, 
n=" 
e 


232 1 G. VITALI 


dunque 
u<3 Li 
nel 
Inoltre è 
00 
i! 
Mo > LACES , 
n= 
e quindi 
0 0 
u> Zita 
n=l n=l1 
Dunque 
n 
Mo 23 


Indichiamo ora con un \, la lunghezza del segmento s,. È 


00 

E 1EN0DE 
DES Da 3 
n= 


Ma noi possiamo trovare un numero intero N per cui 


Dim 


Per tale N 


I segmenti 


sono dunque a due a due distinti ed hanno la somma delle loro 


lunghezze maggiore di 3 — e. Il teorema è dunque dimostrato. 


$ 2.— La proposizione del $ precedente ha la sua analoga 
negli spazi a più dimensioni. Nel piano, p. es., si può enun- 
ciare così : i 


SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI DI VARIABILI REALI 233 


Se > è un gruppo di quadrati il cui corpo abbia una misura 
finita ue se € è un numero maggiore di zero, esiste un numero 
finito di quadrati di Za due a due distinti le cui aree hanno una 


somma maggiore dig —€. 


L'espressione SE: diventa dunque È — e quando si passa 
Fis 


9 
Ji k È P 5 u ‘ 
LA piano, nello spazio ordinario diventerebbe 57 — € 2 in gene- 
rale, nello spazio ad » dimensioni, diventerebbe € 


La dimostrazione della proposizione in uno spazio qualunque 
è del tutto analoga a quella data per la retta. 


$ 3. — Ora passiamo a dimostrare il teorema enunciato 
nella introduzione. 

Esiste manifestamente un sottogruppo 2, di X che ha lo 
stesso nucleo di X e il cui corpo ha misura w; finita. 

Sia: 


una serie convergente di termini tutti maggiori di zero. 
Noi possiamo pel teorema del $ precedente trovare un nu- 
mero finito di segmenti di XZ, a due a due distinti 


S1, S9 LO Ri RICA SNI (1) 
tali che la somma 0; delle loro lunghezze sia maggiore di 
ni (ST , 


Mi 
3 


e quindi di 


Consideriamo il gruppo X, dei segmenti di Z, che non hanno 
punti comuni coi segmenti (1). 
Se ms è la misura del nucleo di Z, è certamente 


mMmo>M—-0; . 


234 G. VITALI 
In x, possiamo trovare un numero finito di segmenti a due 
a due distinti 
8x1: Sngo: | -- Sn (2) 
tali che la somma 0, delle loro lunghezze sia "A di 


my deg 
ron La 


I segmenti 


SI S9, " SARE O SN? Syp+1? SN;+21 ai gio. OL RE SN, 


sono a due a due distinti. 

Consideriamo il gruppo 2; dei segmenti di Z, che non hanno 
punti comuni coi segmenti (2). Se m3 è la mistira del nucleo di 
2., è certamente 


Mya 7 My — 097 Mi — 0, — 09. 


In 33} possiamo trovare un numero finito di segmenti a due 
a due distinti 


Sg,,j9 stica. Sg 


SN;*iI ’ 
tali che la somma 0; delle loro lunghezze sia maggiore di 


Mg 


n sui. 
e così via di seguito. 
I segmenti 
ST, Sa, - Sg Cl So Ra 
. . . . 
sono a due a due distinti. 
La serie 
d0 
0° 
Gai 


(LI 


è certamente convergente, poichè la sua somma non supera p; . 


e 


SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI DI VARIABILI REALI 235 


E dunque convergente la serie 


(e) , 
mn 
| 3 dci €) ’ 
n=l1l 


ed infine Mare convergente la serie 
, 
ge xi 
DI My + 
ras 
: II 
Dunque 
limm,= 0. 
u=090 
Ma 
n—_l 
tan 
Mn MM, — x 0, 
pi 
e, al limite, ‘ 
(©) 
di 
02 ic died 0; ’ 
i=l 
ossia 
D 
ASS 
O; Mj 


Si vede così che la somma delle lunghezze dei segmenti (a) 
non è minore della misura del nucleo di X ed il teorema è di- 
mostrato. 

È evidente che la stessa dimostrazione vale per il teorema 
analogo negli spazi a due e più dimensioni. 


$ 4. — Dai risultati precedenti si traggono delle conse- 
guenze interessanti dal punto di vista dell'analisi dei gruppi di 
punti. 

Sia 4 un gruppo di gruppi misurabili di punti e G il gruppo 
dei punti che appartengono a qualche gruppo di A. 

Se A è numerabile o finito, G è misurabile, e se la misura 
di G è maggiore di zero, esiste un gruppo di A che ha misura 
maggiore di zero. Se A ha potenza maggiore del numerabile, 


236 G. VITALI 


può darsi che G non sia misurabile e, dato che G sia misura- 
bile ed abbia misura maggiore di zero, può darsi che tutti i 
gruppi di A siano di misura nulla. 

Sia ora un gruppo misurabile di punti di misura u mag- 
giore di zero e Z un gruppo di segmenti tale che ogni punto 
di T appartenga a qualche segmento di X. b 

Se X è numerabile o finito esiste certamente in X un seg- 
mento ché contiene un sottogruppo di T di misura maggiore di 
zero. 

Che cosa accadrà se ha potenza maggiore del numera- 
bile? Benchè quanto ho premesso faccia sospettare che possa 
darsi che nessun segmento di X contenga un sottogruppo di l di 
misura maggiore di zero, io posso, in virtù dei precedenti teo- 
remi, dimostrare che ciò non capita mai e che anzi esiste sempre 
un gruppo numerabile di segmenti di X che ricoprono un sot- 
togruppo di f di misura y. 

Indichiamo con X, il gruppo di tutti i segmenti, i cui estremi 
appartengono ad un medesimo segmento di Z. 

Il nucleo e il corpo di 2, coincidono col corpo KX di £. 
T è un sottogruppo di K. 

Noi possiamo trovare un'infinità numerabile di segmenti 
di 2, a due a due distinti 


Sii i (1) 


tali che la somma o delle loro lunghezze non sia minore della 
misura w di K (nucleo di X,). Ma o non può superare la misura 
del corpo di x, dunque co=w. Dunque i punti di X che non 
appartengono a qualche segmento (1) formano un gruppo di mi- 
sura nulla e perciò anche i punti di che non appartengono a 
qualche segmento (1) formano un gruppo di misura nulla. 
Indichiamo con S, un segmento di X che contenga s,, con 
Ss un segmento di % che contenga s;, ecc., ecc. I segmenti 


v v 
CRCR 


appartengono tutti a X e ricoprono un sottogruppo di [ di mi- 
sura p. ciudad. 


SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI DI VARIABILI REALI 237 


CapItoLO II. 


Nella mia nota “Sulle funzioni integrali ,, pubblicata nel 
1905 dall'Accademia reale delle Scienze di Torino io ho dato 
la condizione necessaria e sufficiente perchè una funzione di una 
variabile reale sia un integrale. I metodi di dimostrazione da me 
usati in quella nota non si possono estendere ai casi di due o 
più variabili. 

In questo capitolo io modifico quei metodi in modo da ren- 
derli applicabili anche a questi casi. Mi riescono utili a tal fine 
i risultati del capitolo precedente. 

Perchè si intenda facilmente in che senso si debba esten- 
dere il risultato della mia nota citata alle funzioni di più va- 
riabili, indicherò tale estensione per le funzioni di due variabili 
nell’ultimo $ di questo capitolo. 

Rimando alla introduzione della mia nota citata per le no- 
zioni di funzione integrale e di funzione assolutamente continua 
ad una variabile. 


$ 1. — Nel $ 4 della mia nota citata ho dimostrato che: 


I punti in cui un numero derivato di una funzione con- 
tinua è finito formano un gruppo misurabile. 


Io conservo intatta quella dimostrazione e passo a dimo- 
strare che: 


I punti in cui un numero derivato di una funzione con- 
tinua e a variazione limitata non è finito formano un gruppo di 
misura nulla. 


Sia F(x) una funzione a variazione limitata in un inter- 
vallo (a, 5) e P il valore della variazione totale di (x) nel 
tratto (a, bd). 

Sia inoltre A(x) un numero derivato di F(x) e ula misura 
del gruppo l in cui A(x) è infinito, Supponiamo che sia u> 0. 

Se X è il gruppo dei segmenti (a, 8) in cui 


|F(B)— F(o)| _ 2P 
VOI Rene TpA e. 


298 G. VITALI 


T è un sottogruppo del nucleo di X e quindi esiste un gruppo o 
numerabile di segmenti di Z a due a due distinti le cui lun- 
ghezze hanno una somma non minore di u. Fra i segmenti di Xo 
ve ne sarà un numero finito le cui lunghezze hanno una somma 
maggiore di 7 


Siano dessi 


(0;, 8.) (== 2, «Rie. n). 
Sarà 
| F'(Bd) — i 
paesini 
Bi — di Uu 
ossia 
2P 


F(B)— F(0) > ka 


e sommando 


| > 2Pu 
DFF) ef 
ossia 
00 
Do F(B.)— F(a)|> P 
il 
ciò non può essere, e quindi è u= 0. edita. 


$ 2. Ora andiamo a dimostrare che: 


Un numero derivato di una funzione a variazione limitata 
è sommabile e che se la funzione è assolutamente continua l’ inte- 
grale indefinito del numero derivato coincide colla funzione all’in- 


fuori di una costante addittiva. 


Sia F(x) una funzione a variazione limitata e P il valore 
della sua variazione totale nel tratto (a, bd). 

Sia inoltre A(x) un numero derivato di F(@): 

Indichiamo con % un numero maggiore di zero e con n un 
numero intero qualunque. 

I punti in cui 


nh < N(e) < (n + 1)h 


formano un gruppo G, misurabile. 


SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI DI VARIABILI REALI 239 


Ordiniamo i gruppi che hanno misura maggiore di zero in 
una successione : 


SAAS sc A0008. A (1) 


e indichiamo con 


u, Ma, SPat area Mi, 


le rispettive misure. 

Poichè la successione (1) è qualunque, noi potremo affer- 
mare che A (x) è sommabile dimostrando che, per ogni intero 
positivo N, si ha 


PAL 


Sia e un numero maggiore di zero e minore di ciascuno 
dei numeri 


<P+h(0—a). 


Mi, Ma, rta i TE My. 
Sia inoltre 


e si ponga 


Noi ‘possiamo trovare un gruppo finito X, di segmenti par- 
ziali di (26) a due a due distinti che racchiudono un sottogruppo 
di G,, di misura maggiore di u, — n, le cui lunghezze abbiano 
una somma minore di y,. 

I punti di G,, esterni ad ogni segmento di Z, formano un 
gruppo di misura maggiore di us —n, e quindi noi possiamo 
trovare un gruppo finito X, di segmenti parziali di (a, 2) a due 
a due distinti e del tutto esterni ai segmenti di X, che racchiu- 
dano un sottogruppo di G,, di misura maggiore di u,— 2n e le 
cui lunghezze abbiano una somma minore di u,— n. 

I punti di G,, esterni ad ogni segmento di X, e di X, for- 
mano un gruppo di misura maggiore di ug — 2n, e quindi noi 


240 G. VITALI 


possiamo trovare un gruppo finito Z, di segmenti parziali di 
(2,5) a due a due distinti e del tutto esterni a segmenti di X, 
e di X, che racchiudano un sottogruppo di G,, di misura mag- 
giore di u, —3n, e le cui lunghezze abbiano una somma minore 
di ug — 2n, ecc., ecc. 

Indico con X; il gruppo dei segmenti parziali di (a,d) che 
cadono dentro completamente a qualche segmento di X, e tali 
che, essendo a e B gli estremi di uno qualunque di essi, si abbia: 


| SATO —nh|<h. 
La misura del nucleo di X', è certamente maggiore di 
u; — in e minore di u, — (è — 1) n. Noi possiamo quindi trovare 
un gruppo numerabile 2", di segmenti di Z', a due a due di- 
stinti tali che la somma delle loro lunghezze sia maggiore di 
u; — în e minore di up, — (i— 1)n. 
Indico con 


(3; 685) (41720 \,), (B;>) (2). 


un numero finito di segmenti di X", le cui lunghezze abbiano 
una somma s, compresa fra u, — nepy—(i—-1)n. 


I segmenti 
(o; N, je ),) 
sono a due a due distinti. 
19) 
i - Ù pe =nihk+- 07h, 
= 0g 
dove 
lid da 
quindi 
di ( i 
Di) F (B;) — F(4,;) | = Ni h Si + 0; h s; , 
j=1) 
dove 


[logi 


SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI DI VARIABILI REALI 241 


e infine 


N 


SY Ir r@)}=1Yunti Von 


s=l1 


Ma è chiaro che 


N 
0; s; = b—-a, 
n= 
e che 
V N N 
aL | 
do ms— ni Pi| < ) Ni} 
ii ul aa 
ossia 
Aa N 
Ò y | 
mis * ni pui < 2, 
i=l 1=l| | 
dunque 


N 


N di 
(0) » pa | F(8)— F(a;)| = Y ni ui + dAL+ 0% (6— a) 


s=1 


dove 
|b|<1 e else 


Il valore assoluto del 1° membro della (a) non supera P, 
inoltre 4 — e, ed e può essere scelto piccolo a piacere, dunque 


Î N 
hY ni ue <P h(b6 — a). 


a=l 


Dunque A (x) è sommabile. 

Supponiamo ora che / (x) sia assolutamente continua. Fis- 
sato un 0 > 0 piccolo a piacere si può trovare un numero y tale 
. che il modulo dell’incremento di / (x) in ogni gruppo di segmenti 
di ampiezza minore di u di intervalli parziali (a, 6) distinti sia 
minore di 0. 


242 G. VITALI 
Possiamo inoltre scegliere N così grande che 
Pe 
0a -Yn< kh. 
i=l 


I punti di (a, 5) che non sono interni a qualche segmento 
(2) formano un numero finito di segmenti distinti 


(o., B)» fe... q) 
e sarà 
F(8,)— F(a,) | <0. 
Ora i 


0 FB) F@) | n | F(8)— (0) | =FB-Fla), 


dunque per la (a) 


N 


| F(6) F(a)—h yo ui; 


= 


<o+eh+h0—= a). 


Ora scegliendo %» abbastanza piccolo ed N abbastanza 
grande si può fare in modo che 


| 


N 
h nu — [At de. — 06 


e che sia pure 
h(e+b—-a)<0. 
Allora risulta 


"b 
FO-F@-| A (n) de| < 36, 
e poichè 0 è piccolo a piacere 


[A (@)de= F(0)- F(0). 


SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI DI VARIABILI REALI 248 
Analogamente, se 


gx GI 
si troverebbe 


[A@Q@=r@-F). 


È dunque dimostrata anche la seconda parte del nostro 
teorema. 


$ 3. — Sia f(x) una funzione ad integrale nullo (*) e sup- 
poniamo che i punti in cui f(x) #0 formino un gruppo di mi- 
sura maggiore di zero. Allora certamente i punti cui f(x) > 0 
formano un gruppo di misura maggiore di zero, e posso trovare un 
numero % > o per cui il gruppo G dei punti in cui f(2)>o abbia 
una misura u maggiore di zero. 

Fissato un numero 0 >o e minore di /.m, esiste un numero 
u>o tale che per ogni gruppo l di punti di misura minore 
di u sia 


[-f(@) de <0. 


Ora racchiudiamo G in un gruppo numerabile X di segmenti 
a due a due distinti, le cui lunghezze abbiano una somma mi- 
nore di m + u. I punti, di questi segmenti che non apparten- 
gono a G formano un gruppo G, di misura minore .di pu, 
e quindi 


| fa)iri<. 
by Gi | 
Inoltre è 


| | f.(a) de > inh 
G 


e perciò 


| f(a) der >anh — 0. 
dG+G, 


(*) V. la mia nota»“ Sulle funzioni ad. integrale nullo ,. R. del Circolo 
Mat. di Palermo, 1905, t. XX. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. è 20 


244 G. VITALI 


9 G f(x) de 


è l'incremento di 


| f (€) da 
esteso al gruppo X di segmenti e quindi 


fi;o# (A) de=0, 


ossia 
Ò Sinn == 
ed 


mh < 0. 


Ciò è contro l'ipotesi e quindi si deve concludere che i punti 
in cui f(x) #70 formano un gruppo di misura nullo. 
Dunque : 


x 


Una funzione ad integrale nullo è nulla dappertutto fuori 
che in un gruppo di punti di misura nulla. 


$ 4. — Dal teorema precedente consegue che : 


Due funzioni aventi lo stesso integrale non possono differire 
che in gruppo di punti di misura nulla. 

Due numeri derivati della medesima funzione assolutamente 
continua non possono differire che in un gruppo di punti di mi- 
sura nulla. 

Una funzione sommabile non può differire da un numero 
derivato del suo integrale che in un gruppo di punti di misura nulla. 


$ 5. — Come ho accennato, i risultati precedenti si possono 
estendere alle funzioni a due o più variabili senza mutarne la 
dimostrazione. Perchè ben si intenda in che senso va fatta questa 
estensione, io mi fermerò, come ho promesso, a dare qualche 
indicazione nel caso delle due variabili. 


SUI GRUPPI DI PUNTI E SULLE FUNZIONI DI VARIABILI REALI 245 


In un piano coordinato (4, y) chiamo rettangolo coordinato 
un rettangolo i cui lati sono paralleli agli assi coordinati. Il 
vertice di un rettangolo coordinato che ha coordinate minori 
lo chiamo vertice minore, quello che ha coordinate maggiori lo 
chiamo vertice maggiore. 

I vertici maggiore e minore di un rettangolo coordinato li 
chiamo vertici principali, gli altri due vertici secondari. 

Chiamo estensione di un gruppo di rettangoli la somma delle 
aree dei singoli rettangoli e dico che ho un gruppo di rettan- 
goli distinti quando due qualunque dei rettangoli del gruppo non 
hanno punti interni comuni. 

Sia (x,y) una funzione finita delle variabili reali x, y nel 
rettangolo coordinato £ che ha il vertice minore nell’origine e 
il maggiore nel punto (a, 8). 

Chiamo incremento di F(x,y) in un rettangolo coordinato p in- 
terno ad È la somma dei valori di F(xy) nei vertici principali 
di p diminuita della somma dei valori di (xy) nei vertici se- 
condari di p. 

Chiamo poi incremento di F(x,y) in un gruppo di rettangoli 
coordinati distinti contenuti in R la somma, se è determinata e 
finita, degli incrementi di F(x, y) nei singoli rettangoli del gruppo. 

Se per ogni numero 0 > o esiste un numero u> o tale che 
sia minore’ di o il modulo dell'incremento di (xy) in ogni 
gruppo di estensione minore di u di rettangoli coordinati distinti, 
si dirà che F(x,y) è assolutamente continua. 

Diremo che una funzione F(x,y) è in È una funzione in- 
tegrale se e soltanto se esiste in È una funzione finita e som- 
mabile superficialmente f(xy), tale che 


F (xy) + F(00) — F(x, 0) — F(0, y) = Î{f(ay)dp 
P(2.y) 


dove p(xy) indica il rettangolo coordinato che ha il vertice mi- 
nore nell'origine e l'opposto nel punto P di coordinate x,y, e 
ciò comunque sia scelto Pin È. 

Dico che una funzione (xy) è a variazione limitata quando, 
in qualunque modo si divida £ in un numero finito di rettan- 
goli coordinati, la somma dei moduli degli incrementi di F(xy) 
in tali rettangoli rimane minore di un numero fisso. 


246 PIETRO VOGLINO 


Chiamo rapporto incrementale di (xy) in un rettangolo 
coordinato il rapporto dell'incremento di (xy) in quel rettan- 
golo all’area del rettangolo. 

Chiamo numeri derivati destri (sinistri) di (x,y in un 
punto P i limiti di indeterminazione del rapporto ‘incrementale 
di F(xy) in un quadrato coordinato che ha il vertice minore 
(maggiore) in P, col tendere a zero del lato di questo quadrato. 

Con questi elementi, l’estensione delle proposizioni prece- 
denti, e relativa dimostrazione, alle funzioni di due variabili è 
immediata. 


De quibusdam fungis novis pedemontanis. 


Nota del Dott. PIETRO VOGLINO 


Novas species descripturus quibus hoc anno studui, descri- 
ptionem fungorum quos annis 1905, 1906, collegi, itero, cum iu 
his novas invenerim notas. 


* Sphaerella Cydoniae (*) VoeLino. — Maculis exa- 
ridis, 2-5 mm. latis, subrotundis, epiphyllis, rarissime hypo- 
phyllis; peritheciis nigris (6-8-10), sparsis vel gregariis, immersis, 
inde epidermidem perforantibus, prominulis, sphaeroideis, plus 
vel minus conoideo-attenuatis, ostiolo lato hyantibus, 100-120 u 
latis; ascis oblongo- vel ovoideo-clavatis, brevissime pedicellatis, 
medio irregulariter incrassatis, 60-70 © 12-14; ascosporis ovoideo- 
ellipsoideis vel fusoideis, leniter incurvatis, rar. ad sepimentum 
leniter constrictis, loculis subaequalibus, chlorino-hyalinis, 20-22, 
rar. 20-26 © 5-7, rar. 8, 4 -guttulatis. 

HaB., in foliis siccis Cydoniae (Chiomonte, Susa, Ciriè); Italiae 
borealis (aprile 1905, marzo 1907); Proxima Sph. Bellonae Sace., 
Sph. Pyri Au., Sph. sentinae et Sph. rodophilae Pass. 


(*) De speciebus quae asterisco signatae sunt vide. “ Annali R. Acca- 
demia di Agricoltura ,, vol. ‘XDVII, XLVII e XLIX. 


DE QUIBUSDAM FUNGIS NOVIS PEDEMONTANIS 247 


* Phylosticta domestica Vocr. emend., Phyllosticta 
Pruni-domesticae Vogl. — Maculis epiphyllis, griseis, arescendo 
albicantibus, paulum bullatis, late castaneo-marginatis, orbicu- 
latis, 0,5-2-2,5 mm. diam., confluentibus, demum in centro cor- 
rosis, in pagina inferiore castaneis; picnidiis epiphyllis, nigris, 
sparsis, minutis, 100-110 u latis, ovato-prominulis, pertusis; sporu- 
lis cilindricis, rectis, utrinque rotundatis, hyalinis, 2-3,5-4 < 1-1,5. 

Has., in foliis Pruni domesticae (Castellamonte, Torino, 
Ivrea, ottobre 1905-1907); Ital. bor.; Affinis Ph. prunicolae (Opis.) 
Sacc., Ph. pyricolae Sacc., Ph. destruenti Desm., Ph. cerasicolae 
Speg. et Ph. Mahalebi Thiim., sed distincta. 


* Phylosticta montana Vos. emend. Phyllosticta 
Ribis-rubri Vogl. — Maculis rotundis, len. inflatis, dimidiam 
partem foliorum, seu irregularibus, magna in parte foliorum 
lobos occupantibus, semper castaneis; picnidiis minutis, promi- 
nulis, epiphyllis, nigris; sporulis ellipsoideis vel lenticularibus, 
hyalinis; 4-7 rar. 943. 

Hag., in foliis vivis Ribis rubri (Tornetti, Viù, Usseglio, 
m. 900-1400, settembre 1905-1907); Ital. bor.; Ph. Grossulariae 
Sacc. et Ph. canescente Ell. et Sv. distinceta. 


| PhyUosticta Balsaminae Vogr. — Maculis epiphy]lis, 
exaridis, ochraceo-ferrugineis, orbicularibus, usque ad 8 mm. 
latis, in foliis paullulum bullatis; picnidiis epipbyllis, sparsis, 
lenticulari-globosis, atris, submembranaceis, prominulis, ostiolo 
distineto perforatis, 90-100-120 pu latis; sporulis cylindraceis, 
utrinque obtusis, rectis, hyalinis, 7 < 2,5. 
Hag., in foliis Balsaminae hortensis quae maxime Scspre 760 
in hortis (Valsalice, Torino, Istituto Salesiano, ottobre 1907). 
Legit Doct. ToneLLi fungorum studiosus. Affinis matrice et 
magnitudine sporarum Phomae duplicis Sacc., sed bene di- 
stincta. 


* Cicinnobolus Artemisiae Vor. — Pienidiis sphae- 
‘ roideis (80-90 u diam.), rarissime oblongis vel piriformibus, 
membranaceis, ostiolatis, setis erectis, fuliginosis, in parte supe- 
riore, circum ostiolum, praeditis; sporulis ellipsoideis vel amigda- 
liformibus, hyalinis, 4-6 © 2-2,5, med. 5 © 2,2-5 rar. 3. 


248 PIETRO VOGLINO 


HaB., parasitice in micelio Oidit erysiphoidis ad folia Arte- 
misiae (Madonna del Pilone, Torino, Moncalieri, ottobre 1905, 
1907); Ital. bor.; Distineto C. Plantaginis, C. Humuli, C. Ta- 
raxaci. 


Phyllosticta Begoniae P. Brunaud (Voer. emendata). 
— Maculis rotundatis vel ellipticis, saepe confluentibus, sinuosis, 
maiusculis, initio dilute olivaceis, centro pallescentibus, dein 
fulvo-fuligineis, arescentibus et facile dilabentibus; picnidiis sparsis, 
minutissimis, punctiformibus, epiphyllis, 150-180 pu latis, nigris; 
picnidiosporis ovoideis, hyalinis, 5 < 2, 503. 

HaB., in foliis vivis Begoniae Credneri et Metallicae, quae 
maxime vexantur in Gallia et Italia. 


Pyrenochaeta Centaureae Voci. — Amphigena, sed 
plerumque hypophylla; maculis indeterminatis, latiusculis, gri- 
seis vel cinereo-fuscescentibus; picnidiis numerosis, plerumque 
superficialibus inter pilos folii seu innato-erumpentibus, globoso- 
conicis, piriformibus, umbrinis, coriaceo-carbonaceis, ad verticem 
attenuatum seu circa ostiolum latiusculum, setis rigidis, septatis, 
plus minus copiosis, fuligineo-atris, usque ad 140 u Iongis, 4 u 
latis, hirtis, 70-100 u latis; basidiis cylindraceis, sporam aequan- 
tibus; sporulis ovoideis vel ellipsoideis, utrinque rotundatis, hya- 
linis, 4-50 2,5. 

Ha8., in foliis vivis Centaureae candidissimae, quae nigrescunt 
et flaccidae fiunt, in hortis (Colonia Agricola Artigianelli di Ri- 
voli, Valsalice, Torino, settembre-ottobre 1907); Ital. bor.; 
Omnium maxime distincta. 


Ascochyta hortorum (Speg.) Smith, VoeL. emendav. = 
Phyllosticta hortorum Speg. — Maculis circularibus, ellipticis, 
olivaceis, atro-marginatis, seu fuliginosis, quasi nigro margine 
praeditis, 2-4-6-8 mm. latis, deinde in zonas fuliginosas;. el- 
lipticas, sinuoso margine, confluentibus, 3 cm. longis, 1-2-3 cm. 
latis vel amplius; folia pluribus hiatibus apparet; quandoque 


lacertis dilabentibus se ostendit; super fructus, maculis cireula- 


ribus, cancricis, fuliginosis, latis; picnidiis 100-150 pu latis, 
brunneo-olivaceis, ostiolo lato, immersis quandoque, praecipue 
in fructibus, prominulis; .sporulis oblongo-ellipsoideis, diu con- 


DE QUIBUSDAM FUNGIS NOVIS PEDEMONTANIS 249 


tinuis, 6-8-12 3-4, dein 1 -septatis, ad septum leniter con- 
strictis, 10-12 usque ad 16 u longis, 4-5 w latis, plurime 
10-12 0 4-5. ll 

Ha8., in foliis, caulibus et fruetibus Solani Melongenae, valde 
noxia, in Italia, Gallia et America bor. Ad hanc speciem per- 
tinent Phoma Solani Halsted, Ascochyta Lycopersici Brun. (sec. 
Passerini A. socia), A. solanicola Vud., A. Atropae Bres., A. Alke- 
kengi Mass. (sec. Ferraris A. pedemontana), A. physalicola Qud. 
et fors. A, pinzolensis Bub. et Kab. 

* Septoria Opuntiae Vocr. emend. Septoria fici-indicae 
Vogl. — Pienidiis minutis, punctiformibus, nigris, 100-140 u 
latis, semimmersis, sparsis vel gregariis, in macula orbicu- 
lari, grisea, demum exarida insidentibus; sporulis cilindricis, 
curvulis, utrinque rotundatis; continuis, guttulatis, hyalinis, 
24-28 4 3-4. 

HaB., in cladodiis Opuntiae fici-indicae, in hortis (Torino, 
Moncalieri, luglio 1905-1907); Ital. bor. 


Septoria Aderhold VogL. — Amphigena, maculis inde- 
terminatis, cinereo-fuscis; picnidiis immersis, rar. vix prominulis, 
subglobosis, 90-120-130 u latis, fuliginosis; sporulis cylindricis 
vel bacillari-fusoideis, utrinque obtusiusculis, attenuato rotun- 
datis, continuis, inde obsolete 3 -septatis, hyalinis, rectis vel 
minime curvulis, 22-30 è 2. 

HaB., in foliis vivis Centaureae candidissimae, in hortis (Co- 
lonia Agricola Artigianelli di Rivoli, Valsalice, Torino, ot- 
tobre 1907); Ital. bor.; Valde distineta, socia Pyrenochaetae Cen- 
taureae. Prof. Rud. AperHoLp, clarissimo micologo, acerbissime 
adepti, dicata. 


Septoria Limmanthemi Vor. — Maculis distinctis, 
plerumque numerosis, epiphyllis, totam folii substantiam  pe- 
netrantibus, inde amphigenis, circularibus, rar. confluentibus 
et tune ellipsoideis, sinuosis, umbrinis, vulgo flavo-virente 
marginatis, 2-3-4 usque ad 7 u latis; picnidiis semper epi- 
phyllis, erumpentibus, minutis, 120-140 u latis, lenticularibus, 
nigris; sporulis fusoideo vel clavato-oblongis, acutis, rectis 
vel lenissime curvulis, obsolete 4-6 septatis, hyalinis, 36-38-48 © 


1,5-2,5: 


‘ 
[| 


250 I PIETRO VOGLINO 


Har., in foliis vivis Lymnanthemi nymphoidis in lacu (Candia, 
Viverone, settembre 1907); Ital. bor.; Affinis Septoriae Menyanthis 
Desm., sed colore, forma macularum et forma, magnitudine spo- 
rarum, distincta. 


Séptoria foetida Voor. — Maculis circularibus, primo 
epiphyllis, dein' amphigenis, 2-4 mm. latis, confldentibus, magnam 
partem folii occupaàntibus, ochraceis, vel albidis, exaridis; picni- 
diis punctiformibus, epiphyllis, prominentibus, singulo picnidio 
in sinigulis maculis; sporulis oblonigo-clavalatis, obtusis, indi- 
stincté 3-septatis, hyalinis, 75-90 3-4. i 

Hap., in foliis Daturae Métel., quae maxime vexantur, in 
horto (Istituto Salesiano, Valsalice, Torino, ottobre 1907); Ital. 
bor.; Legit Doct. ToneLti; Septorice Lycopersici et S. Daturaé 
distineta magnitudine et forma sporarum. 


Septoria longispora Voc. — Maculis exaridis inde- 
terminatis, irregularibus, saepe confluentibus, castaneis; picni- 
diis epiphyllis, mîinutis; innato-prominulis, olivaceo-fuscis, sphae- 
roideis, 100-130-150 p latis; sporulis cylindricis, subfiexuosis, 
utrinque rotundatis, hyalinis, distinete 5-9 septatis, 70-80-120 p 
longis, 3 @ latis. 

HaB., in foliis PWlogis Drummondii, quae maxime vexantur 
(Torino, Lucento, novembre 1907). Magnitudine sporarum Septo- 
riae Phlogis Sace. et Speg. et S. divaricatae Ell. et Ev. bene 
distineta. 


Colletotrichum ampelinum Cav. f. ramicola Voet. 
— Maculis oblongis, griseis; acervulis latis, setulis rigidis, rectis, 
1 -septatis, fuligineo-olivaceis, basi inerassatis, pallentibus; 
conidiophoris cylindraceis, 1707; conidiis oblongo-fusoideis, 
17-20-22 è 4-5. 

Hag., in ramis Vitis, leg. Doct. A. ToxeLLI. (Istituto Sale- 
siano Valsalice, Torino); Ital. bor. 


* Ramularia Lonicerae Vor. — Maculis castaneis, 
rotundis vel irregularibus, 2-3-6 mm. et usque latis, coespitulis 
gregariis, hypophyllis, candidis; conidiophoris fasciculatis, sim: 
plicibus, continuis, hyalinis, ad apicem parce denticulatis, 50-90 p 


POZZI. EE _——————r—_——— 


DE QUIBUSDAM FUNGIS NOVIS PEDEMONTANIS 251 


longis, 3-3,5 M latis; conidiis cylindraceis, hyalinis, basi apicu- 
latis, ad apicem rotundatis, continuis, rar. 1-septatis, breve 
catenulatis, 24-28 è 4. 

Har., in foliis Lonicerae, ad muros (Rivalta, Rivoli, To- 
rino, novembre 1904-1907); Ital. bor.; Valde distineta &. Sem- 
bucinae Sace. 


* Ramularia Paeoniae Voer. — Maculis supra fuli- 
gineis, subtus brunneo-griseis, pruinosis, irregularibus, 4-6-8 mm. 
latis; conidiophoris hypophyllis, erectis, fasciculatis, subsimpli- 
cibus, continuîs, hyalinis, multo denticulatis, 40 pu longis, 4 u 
latis; conidiis cylindraceis, hyalinis, continuis vel 1-septatis, 
plerumque basi apiculatis, catenulatis, 12-14 rar. 16 u longis, 
3-4 p latis. 

Hag., in foliis Pueoniae peregrinae, in hortis (St.-Pierre, 
Aosta, Ala di Stura, settembre 1905-1907); Ital. bor.; Socia cum 
Cronartio flaccido. 


* Graphium (Leucographium) Geranii Vor. — 
Maculis fulvis, fuligineis, rotundis seu ellipticis, 1-4-5 mm. latis, 
etiam confluentibus; conidiophoris hypophyllis, dilute fuligineis, 
filiformibus, septatis, 5-6 u crassis, in stipite firmo sursum le- 
niter attenuato, solitario, 250-350 u longo, coalitis; conidiis 
cylindricis vel ovoideo-oblongis, hyalinis, e denticulis divergen- 
tibus oriundis, 16-24 © 5-7. 

HaB., in foliis vivis Geranii mollis (Moncalieri, Santena, 
Troffarello, settembre 1905-1907); Ital. bor.; Proximum Graphwo 
gracili Peck (Am. bor.). 


Relazione intorno alla Memoria del Dott. Umberto PeRrAZZO, 
intitolata: Sopra alcune varietà di rette ed in particolare su 


vari tipi di complessi cubici. 


Nello spazio a cinque dimensioni stanno parecchie sorta di 
varietà definibili come luoghi delle rette, o piani, o spazi ordi- 
nari che sono incidenti a dati spazi (ad 1, 2, 3 dimensioni). 
Il Dott. PerAZZo ne aveva fatto uno studio sistematico in un 
precedente lavoro, pubblicato fra le nostre Memorie. Ora egli 
applica quei risultati, in qualche punto ulteriormente approfon- 
diti, alla ordinaria geometria delle rette. Egli sega cioè parecchie 
fra le più notevoli di quelle varietà con una Vj di S,, che ri- 
guarda come imagine dell'ordinario spazio rigato. Così ottiene 
molte interessanti proprietà di una lunga serie di rigate, con- 
gruenze e complessi di rette, che ancora non erano stati studiati. 
Citiamo in particolare i numerosi complessi di 3° grado, che qui 
s'incontrano per la prima volta, con varie eleganti generazioni. 

Questa Memoria sarà certo utilissima ai cultori della geo- 
metria projettiva della retta, per le nuove particolari varietà di 
cui la arricchisce. Perciò noi proponiamo all'Accademia di acco- 
glierla nei suoi volumi. 


C. SOMIGLIANA. 
C. Sere, Relatore. 


L’Accademico Segretario 
LorENZo CAMERANO. 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 22 Dicembre 1907. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: MAanwo, Direttore della Classe, CARUTTI, 
Rexrer, Pizzi, Caironi, Rurrini, StAMPINI, D’ErcoLe, BRONDI, 
Srorza e De Sancris Segretario. Il Socio Brusa scusa la sua 
assenza. 

Si approva l'atto verbale dell'adunanza precedente, 7 di- 
cembre 1907. 

Il Presidente comunica che l'On. BoseLLi ha assentito a 
tenere la Commemorazione del defunto Socio Conte Costantino 
Niera. Il Socio SrampiNI rileva la opportunità di commemorare 
solennemente anche il Socio Graziadio Isaia AscoLi. Il Presi- 
dente invita i Colleghi a designare in una prossima adunanza 
la persona a cui affidare tale Commemorazione. 

Si dà poi comunicazione della lettera inviata dalla Segre- 
teria alla Direzione del Giornale d'Italia intorno alle riprodu- 
zioni fototipiche di Codici curate dall'Accademia, inserita nel 
N. 348 (13 dicembre 1907) di detto Giornale. 

Il Socio ReNIER presenta il Vol. IV degli Studi glottologici 
italiani diretti da Giacomo De GreeoRrro (Torino, Loescher, 1907). 


254 
Il Socio Caironi offre con parole di elogio: 

1° Marro SarrattI, Del contratto d’abbuonamento alle cas- 
sette di sicurezza nelle Banche (Torino, Bocca, 1907); 

2° CarLo Torsca DI CAsTELLAZZO. Le ammortizzazioni del 
prezzo di avviamento di un'azienda (Torino, Unione tipografica- 
editrice, 1906); 

3° Ip., La così detta avulsione dei capitali dal giro degli 
affari e l’imposta di ricchezza mobile (Torino, Unione tipografica- 
editrice, 1907). 

Il Socio CHIRONI presenta poi per gli Atti una nota del- 
l’Avv. Carlo Torsca pr CastELLAZZO, intitolata: Le antiche enfi- 
teusi e il diritto di prelazione attraverso alle leggi della domina- 
zione francese e della restaurazione e per il diritto attuale. 

Il Socio Manno presenta per le Memorie una dissertazione 
dell'Avv. Giuseppe FornaArI, intitolata: I diritto pubblico negli 
Statuti del Duca Amedeo VIII di Savoia. Il Presidente delega 
a riferirne in una prossima adunanza i Soci Manno e RUFFINI. 

Il Socio Pizzi presenta pure per le Memorie il Prameya- 
ratnakoca di Candraprabha per la prima volta edito dal Dott. Luigi 
SuALI, libero docente di Sanscrito nell’ Università di Bologna. 
Il Presidente delega a riferirne i Soci Rossi, Pizzi e D’ErcotLe. 


CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO — LE ANTICHE ENFITEUCI, ECC. 255 


LETTURE. 


Le antiche enfiteusi e il diritto di prelazione: attraverso 
alle leggi della dominazione francese e della restau- 
razione e per il diritto attuale. 


Studio storico-giuridico 
dell'Avv. CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO. 


SOMMARTO. 


I. — Posizione del tema. — Le antiche enfiteusi ed il diritto di prelazione 
di fronte alle leggi della dominazione francese ed alle leggi della re- 
staurazione. — Importanza dello studio in merito all'accertamento della 
loro conservata od esclusa efficacia. 

II. — @ L’enfiteusi dal diritto romano alla rivoluzione francese, attraverso 
al diritto feudale. — Le leggi rivoluzionarie francesi abolitive dei di- 
ritti feudali. — La legge 18-29 dicembre 1790 e l’enfiteusi. — Leggi 
successive. — Effetti della legislazione rivoluzionaria francese rispetto 
all’enfiteusi. — Sua conservazione, diritto di riscatto e limitazione a 
99 anni. — Art. 530 del Codice Napoleonico. — Codici successivi, spe- 
cialmente degli Stati italiani, che accolsero l’enfiteusi e codici che la 
esclusero. 

b) Il Codice Civile Albertino ed esclusione e divieto per esso del- 
l’enfiteusi. — Mantenimento delle enfiteusi precedentemente stipulate 
per Ja R. Patente 6 Dicembre 1837. — Legge 13 Luglio .1857 per lo 
svincolo delle enfiteusi. 

c) Incertezze dei compilatori del Codice vigente, in merito all’ac- 
coglimento dell’enfiteusi. — Sua definitiva codificazione. — Applica- 
zioni legislative successive. 

III. — Il diritto di prelazione nel giure romano. L. 3, C. de jure emphyt. 
IV, 66. — Prelazione convenzionale o legale. — Conservazione di un 
tale diritto, attraverso al diritto intermedio, alle leggi francesi e ai 
codici della restaurazione. — Silenzio del codice vigente sul diritto di 
prelazione. 

a) Se il diritto di prelazione perduri, col vigente diritto, per le 
antiche enfiteusi, non ostante il diritto di affrancamento. — Distinzione 
ifra prelazione convenzionale e legale. Dottrina e giurisprudenza rela- 


DO 
A 
p 

ZI 


CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


tive alla conservazione della prelazione convenzionale. — Prelazione e 
affrancamento. — Loro essenziali differenze e reciproca indipendenza. 
— Art. 29 e 30 delle disposizioni transitorie del Codice Civile. — 
Conservata efficacia per esse del diritto di prelazione. — Decadenza o 
risoluzione ipso iure del diritto enfiteutico nel caso di alienazione irre- 
quisito domino. — Condizione risolutiva espressa. — Suoi effetti. — Ver- 
bale N° 65 della Commissione di coordinamento. — Validità del patto 
di prelazione per il diritto attuale. 

b) Prelazione Zegale per le enfiteusi costituite secondo le passate 
leggi. — Negata sua validità, per il diritto attuale, dalla prevalente 
dottrina e giurisprudenza. — Confutazione. — Condicio juris. 

IV. — Diritto alla devoluzione del fondo per i casi contemplati dall'Art. 1565 
del Cod. Civ. —- Come possa essere operativa ipso iure rispetto alle 
antiche enfiteusi. 


I. — Già qualche volta la patria giurisprudenza (1) sì è 
dovuta occupare dell'istituto dell’ enfiteusi, al fine di vedere se 
conservino o meno giuridica efficacia, agli effetti del diritto 
attuale, le antiche enfiteusi costituite, per il Paese nostro, an- 


(1) Cassazione di Roma, 1° dicembre 1886, Legge, 1887, 1, 544; Cassa- 
zione di Torino, 18 settembre 1906, Foro Ital., 1907, 1, 361. 

Da queste sentenze fu deciso, che le leggi francesi del periodo rivolu- 
zionario (e specialmente la legge 18-29 dicembre 1790), come poi il Codice 
napoleonico, non intesero di abolire le enfiteusi anteriormente costituite e 
di assolutamente vietarle per l’avvenire, ma solo di attribuire la libera 
facoltà del riscatto all’enfiteuta, per quelle stipulate a perpetuità. 

Ove si rifletta alla larga applicazione avuta dalle leggi francesi in 
Italia, ed essenzialmente dal Codice napoleonico (applicato il 20 marzo 1804 
in Piemonte, il 23 settembre 1805 in Liguria, esteso col decreto 80 marzo 
1806 a tutti i paesi formanti il Regno d’Italia, il 1° maggio 1808 in Toscana, 
e il 1° gennaio 1809 negli Stati napoletani), ed all’opinione, a lungo dibattuta, 
che esse abbiano effettivamente proscritto e vietato l’enfiteusi, si comprende 
come il tema che qui, per il primo, ci proponiamo di brevemente indagare 
rispetto al diritto nostro — e, cioè, la persistenza dell’antica enfiteusi ita- 
liana, anche in confronto delle leggi francesi applicate in Italia — possa 
ancor suscitare pratico interesse, come lo dimostrano le succitate sentenze. 

Sullo stato del diritto in Italia, nel periodo antecedente alla rivoluzione 
francese ed all’attuazione del Codice napoleonico, ch'era sostanzialmente il 
diritto romano, modificato da infiltrazioni feudali, statutarie e canoniche 
(ad es., per le enfiteusi ecclesiastiche), e per alcuni Stati (es., Piemonte, Mo- 
dena), già disposto in più o meno complete codificazioni (costituzioni), veg- 
gasi: Granzana, Racc. dei lavori preparat. del'Codice civ. ital., Torino, 1887, 
IV, n. 3 e seg.; Sarviori, Manuale di storia del dir. ital., IV ediz., 1903, 
n. 88 e seg.; e specialmente Srmoncerri, L’Enfiteusi, Milano, 1888, 1° parte, 


RE E 


LE ANTICHE ENFIIEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 2517 


teriormente al periodo rivoluzionario francese, secondo i prin- 
cipî di diritto allora vigenti, e venute poi a contatto colle 
leggi della dominazione napoleonica, e colle successive leggi 
della restaurazione. 

Anche un assai recente giudicato della Corte di Cassazione 
di Torino (1) ha studiato e deciso con acuta indagine e seria 
dottrina un tale problema, che già un tempo affaticò in special 
modo — come or si vedrà — le menti dei trattatisti francesi 
(in merito alle enfiteusi colà costituite, ed alle leggi francesi 
or nominate), e l’ha risolto nel senso (per cui è contrasto) di 
ancor riconoscere legale efficacia ad un’enfiteusi costituita in 


p. 1 e seg. — Per le enfiteusi ecclesiastiche, che ebbero assai larga appli- 
cazione in Italia, nel diritto intermedio, v. Perna, L’Enfiteusi nel diritto 
antico e moderno, Napoli, 1892, p. 83 e seg. 

(1) Vedilo citato nella nota precedente. Per l’importanza della que- 
stione ivi trattata, giova riferire parte della motivazione: £..... secondo 
“ le leggi romane, Cod. de jure emphyt., tit. LXVI, leg. 3, che costituivano 
“ il diritto comune in Liguria, allorchè fu stipulato il contratto (di enfiteusi) 
“12 novembre 1794, il diritto che si concedeva all’utilista di alienare era 
“ sottoposto ad alcune restrizioni: quella anzitutto di denunciare al proprie- 
tario l'alienazione, onde permettergli di esercitare il diritto di prelazione 
che le costituzioni imperiali gli attribuivano sul compratore: ma se il 
“ concedente non avesse fatto uso di codesta facoltà, l'alienazione era pie- 
namente valida ed efficace, purchè dall’enfiteuta si pagasse una somma 
di denaro, detta /audemio, in ricognizione della proprietà del concedente. 
Questi rientrava nel suo pieno diritto ogni qualvolta l’enfiteuta non adem- 
pisse alle proprie obbligazioni. Uno dei patti pertanto più in uso nelle 
antiche enfiteusi era quello per cui, in caso di vendita del fondo enfiteu- 
tico, il direttario avesse diritto d'essere preferito ad ognì altro e quindi 
dovesse venir preavvisato per l'esercizio di tale diritto di prelazione, avendo 
in ogni caso diritto ad un cinquantesimo del prezzo. Nel medioevo l’en- 
fiteusi cambiò carattere, come la proprietà, sotto 1’ influenza delle idee 
feudali: il contratto enfiteutico era informato ad un sistema feudale, 
poichè, ragguagliando l’istituzione dell’enfiteusi con quella dei feudi, che 
fu la base del diritto pubblico medioevale, non è a stupirsi che fra l’una 
e l’altra esistesse una singolare analogia. E poichè il carattere ordinario 
della locazione enfiteutica consisteva nella perpetuità dei rapporti con- 
trattuali, era logico che la rivoluzione francese colle sue leggi abolitive 
dei contratti e dei patti di natura feudale vi comprendesse anche l’enfi- 
teusi perpetua. Basta quindi rammentare come in Francia la legge 18-29 
dicembre 1790 e le successive del 17 aprile 1791 e 17 luglio 1798 estese 
alla Liguria per decreto del 1805, mantenessero espressamente l’enfiteusi, 


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A 


ra 


258 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


Liguria, mentre perdurava l'applicazione del diritto romano.co- 
mune, e mantenuta poi col sopraggiungere .dell’applicazione ;ivi 
avvenuta (col decreto di annessione 4 ottobre 1805) delle leggi 
francesi, e in seguito, restituito il Regno Sardo, colla promulga- 
zione del Codice;civile albertino, posto in vigore il 1°,gennaio 1838. 

E il problema fu indagato e deciso da un tale giudicato non 
solo dal punto di vista storico ed in merito alla generale appli- 
cazione dell'istituto dell'enfiteusi, ma in relazione pure al valore 
ed effetto giuridico del particolar diritto di prelazione, di regola 
inerente (per la forza del diritto 0 perla virtù del contrattv) — 


“ limitandone la durata a 99 anni e rendendola riscattabile. Ma in quelle 
“ leggi non è parola del patto di prelazione, che per sè stesso nulla conte- 
nendo di contrario a quei principî che reclamavano l'abolizione del feu- 
dalismo, doveva mantenersi integro come pel passato; l'abolizione di detta 
clausola avrebbe suonato offesa alla libertà delle convenzioni, in quanto 
non contraddicono all'ordine ed all’interesse pubblico. Che se l’interesse 
generale richiedeva che le terre venissero prosciolte dal.vincolo di perpe- 
tuità \per facilitarne il commercio, per abolire la manomorta,e per rialzare 
il credito fondiario, col mantenimento del diritto di prelazione si veniva 
“ a conseguire ilo stesso ed identico scopo a cui quelle leggi miravano col 
concedere l’affrancazione, e cioè lo svincolo e la libera commerciabilità dei 
fondi. Alle leggi della Rivoluziorie sopravvenuto il Codice napoleonico, no- 
nostante il suo silenzio a proposito del contratto enfiteutico, avendo dichia- 
rato soltanto riscattabili tutte le rendite fondiarie perpetue (art. 580), si 
dibattè in dottrina e giurisprudenza la questione, se nel silenzio del Codice 
in Francia la stipulazione dell’enfiteusi fosse vietata: prevalse l'opinione che 
le sole enfiteusi perpetue fossero state espressamente abolite: per contro le tem- 
poranee fossero rimaste sempre in osservanza e vigore, giusta il.portato 
‘ della precitata legge del 1790, mai stata abrogata, che limitava ad anni 99 
la durata del contratto enfiteutico. In tal senso si è manifestata una- 
nime la giurisprudenza francese, e la dottrina rappresentata dai suoi 
migliori autori come il Mertin, il Duranton, il TropLona, il Marcapé, e 
molti altri, ad eccezione del solo DrmoLomse che sostenne l'opinione con- 
“ traria. Non è dunque giuridieamente possibile dedurre l'abolizione del 
“ diritto di prelazione dell’enfiteusi del Codice napoleonico... ,. 

In rispondenza a questi concetti ed alla dimostrata valida persistenza 
delle enfiteusi precostituite, anche sotto il Codice albertino (come ancor 
vedremo), e per.il Codice attuale, la Cassazione di Torino ha con questa, sen- 
tenza deciso, esser efficace anche oggi il patto di prelazione a: favore del diret- 
tario stipulato in antico contratto d’enfiteusi, costituito secondo il diritto romano 
comune, mel caso di vendita del fondo enfiteutico, e quello di decadenza. 0.riso- 
‘luzione 1eso JURE dell’enfiteusi, per la vendita irrequisito domino, ed, esulare 
conseguentemente la proponibilità di una successiva domanda di affrancazione. 


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TRE 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 259 


nelle antiche enfiteusi — al contratto principale, ed esplican- 
tesi nel caso di alienazione del jus emphyteuticum (1). 

La questione è di vero interesse storico e pratico, special-. 
mente in relazione alle leggi francesi, per l’estesa applicazione 
da esse avuta in Italia (e del resto in quasi tutta Europa) al- 
l'epoca della grande conquista Napoleonica, e, di conseguenza, 
per l’effetto che le stesse avrebbero potuto produrre — se ef- 
fettivamente abolitive e' proibitive, come si è sostenuto, dell’isti- 
tuto qui considerato — sulle enfiteusi precostituite e stipulate 
durante un tale regime legislativo, e regolate ancor oggi dalle 
disposizioni legislative sotto le quali furono costituite, in virtù 
dell'art. 29 delle disposizioni transitorie per l'attuazione del 
Codice civile vigente; ed anche perchè, attraverso a quest’e- 
voluzione storica, ben si possono comprendere le incertezze e 
vicissitudini incorse da questo istituto, durante i lavori prepa- 
ratorì del Codice attuale, prima di essere accolto come precetto 
della legge nostra positiva (2). 

Per l’importanza del tema così circoscritto e non ancora 
indagato di proposito — per quanto ci consta — dalla dottrina 
italiana, sembraci operis pretium di trattarne brevemente, stu- 


(1) Vedi la nota precedente. 

(2) Art. 1556-1567 Codice civile. Cfr. pei lavori preparatori del Codice 
attuale, i citati volumi della Raccolta di S. Gianzana, Torino, 1887. Di qui 
sì ricava che nella Relazione ministeriale del Pisunelli al progetto del Codice 
civile (vol. 1°, n. 178) e in quella senatoria (id., n. 258) l’enfiteusi fu esclusa : 
solo in seguito, nella discussione alla Camera dei deputati (9-22 febbraio 
1865) fu sostenuta la convenienza di comprendervi un tale istituto (oppor- 
tunamente disciplinandolo e rinnovandolo) dall’on. Panattont (vol. II, p. 69), 
on. Cocco (id., p. 71), dallo stesso Pisawetti (id., p. 127: entro certi limiti) 
e sopratutto dagli on. Crisri (id., p. 164) e Mancini (îd., p. 174). Nominata 
poi il 6 aprile 1865 la Commissione generale legislativa di coordinamento, dai 
cui lavori uscì poi completo il Codice civile attuale, essa tosto convenne 
nell’idea di accogliervi l'istituto dell’enfiteusi (vol. III, p. 336 e seg.); il 
progetto delle disposizioni relative fu compilato da apposita Sotto-commis- 
sione, e, discusso e modificato dalla Commissione generale, formò poi il con- 
‘tenuto degli articoli del Codice civile dal 1556 al 1567 (titolo VII del libro III 
del Codice civile), che appunto all'enfiteusi si riferiscono (vol. III, pag. 458 
e 463). Cfr. in proposito SimoncettI, 0p. cit., p. 10 e seg. — Detti lavori pre- 
paratorî, per quanto hanno tratto all’enfiteusi, sono pure ora riportati dal 
De Pirro nella nuova 2* recente edizione della sua pregevole monografia 
* Della Enfiteusi ,, Milano 1907, p. 490 e seg. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 21 


260 CARLO TOESCA DI -CASTELLAZZO 


diando appunto l’enfiteusi italiana in confronto e contrasto colle 
leggi francesi summentovate, come pur con talune leggi della 
restaurazione (ed essenzialmente col Codice albertino, che fu forse 
il solo ad effettivamente escludere e interdire l’enfiteusi, mentre 
altri Codici della restaurazione, come quello del Regno delle Due 
Sicilie e i Codici parmense ed estense, espressamente la riatti- 
varono e regolareno con particolari precetti), ed in riferimento 
eziandio al diritto (legale o convenzionale) di prelazione, che al- 
l’enfiteusi si annoda, nei limiti in cui dovette per lo passato e 
può ancora attualmente ritrovare applicazione, in contrasto 
coll’opposto odierno diritto di affrancazione. 

E ben merita di essere anche oggi studiato l'istituto della 
enfiteusi, che, dopo tanti dubbi sulla convenienza o meno del 
suo mantenimento nel diritto nostro, è stato riaccolto (oppor- 
tunamente rinnovato e rimodernato) nel Codice civile vigente, 
ed ora, assai più recentemente (e come vera istituzione politico- 
sociale), in nuove leggi speciali a favore di alcune provincie 
italiane (1), e che, sfrondato di ogni elemento feudale, può an- 
cora tornare di vera utilità alla classe agricola e ad un pro- 
ticuo regolamento della proprietà fondiaria. 


II. — a) Riguardo al periodo legislativo della Rivolu- 
zione francese e poi al Codice napoleonico, è erronea l’opinione 


(1) Queste leggi speciali, in cui pur si dettano norme riflettenti l’isti- 
tuto dell’enfiteusi, sono: la legge 2 luglio 1896, n. 268, che dispone circa la 
censuazione dei beni già ecclesiastici in Sicilia; la legge 2 agosto 1897, 
n. 882, portante provvedimenti per la Sardegna, e il relativo regolamento 
29 maggio 1896, n. 386; la legge 31 marzo 1904, n. 140, che emana prov- 
vedimenti a favore della Basilicata, e il relativo regolamento 26 marzo 1905, 
n. 178; quella infine 15 luglio 1906, n. 383, concernente provvedimenti per 
le Provincie meridionali, per la Sicilia e per la Sardegna. Vedine i lavori 
preparatorì e i precetti positivi, in rapporto alla enfiteusi, in De Pirro, 
op. cit., p. 466 e seg.: dagli stessi risulta non solo mantenuto e largamente 
applicato l’istituto dell’enfiteusi, secondo le normali disposizioni del Codice 
civile, ma talora pur stabilito, ope legis, l’obbligo dell’interpello e del con- 
senso del concedente prima. di alienare il jus emphyteuticum, e il divieto 
temporaneo di farlo, salvo in determinate circostanze (art. 4, legge 1896, 
art. 6, cap. 2, l. 1897; art. 26, cap. 2, 1. 1904; art. 38, lett. a, 1. 1906): ciò 
significa, come l’antica prelazione /egale, un’attuale limitazione dei diritti del- 
l’enfiteuta, che invece non si trova nel Codice civile nostro (art. 1562 Cod. civ.). 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 261 


di coloro, fra cui non mancano valorosi nostri cultori della 
storia del diritto (1), che — come si è or ora accennato — 
ritengono sia stata abolita e vietata da siffatte leggi l’en/ifeusi, 
quale istituzione feudale; quest’errore sì può agevolmente di- 
mostrare con un sommario esame di dette leggi. 

Vero è, che un tale istituto, dalle forme precipuamente 
realistiche (jus in re aliena) di rapporto e vincolo essenzialmente 
fondiario, assunte presso il diritto romano giustinianeo, dopochè 
piacque all'imperatore Zenone di determinarne (però con defini- 
zione incerta e — per così dire — negativa) la figura giuridica (2), 
venne nel Medio Evo ad accostarsi e talvolta a confondersi con 
altri istituti di prevalente colore feudale, quali l’hospilitas, la pre- 
caria, il livello, il censo, il fitto perpetuo, l’albergamento, e persino 
collo stesso feudo — accomunando in tal caso i vincoli perso- 
nali e signorili con quelli reali e fondiarii — : così da far dire a 
Molineo che “ verdum emphyteusis est aequivocum , e suscitare il 
noto broccardo “ de feudo ad emphyteusim valet argumentum (3) ,; 


(1) Così il SaLvioLi nel suo. mentovato Manuate-di storia del diritto 
italiano (4* ed., n. 286), testualmente dice che “in Francia l’istitùto delle 
enfiteusi fu dalle leggi rivoluzionarie e poi dal Codice napoleonico abolito, 
come istituzione feudale, viziata da concetti fidecommissari, dannosa alla 
coltura..... ,. Cfr. SimoncELLI, 0p. cit., p. 2 e seg. 

(2) L. 1, C. De jure emphyt., IV, 66: Jus emphyteuticarium neque con- 
duetionis neque alienationis esse titulis adjicendum, sed hoc jus tertium sit 
constitutum ab utriusque memoratorum contractuum societate seu similitu- 
dine separatum..... ,. Cfr. Vuy, De nat. et origin. juris emphyt. Roman., 1838: 
Scamipr, Hand. des gegenw. gelt. gem. deutsch. biirg. Rechts, 1848, II, 1 e seg.; 
Wixpscnen, Lehrb. des Pandeckt., 8* ed., $ 219 e seg., e aut. cit.; Girarp, 
Manuel de droit romain, 3° ed., p. 383 e seg.; FrangoIs, De l’emphytéose, 
Paris, 1883, p. 23 e seg.; De Pirro, op. cit., n. 1; Ferrini, Man. delle Pan- 
dette, 2* ed., n. 390. 

(3) Cfr. Durour, De l’emphytéose, Paris, 1893; FrangoIS, 0p. cit., p. 242 
e seg.; VioLLer, Histoire du droit francais, 3° ed., n. 660 e seg., e bibliogr. 
cit.; SimonceLti, op. cit., parte II* (Le costruzioni giuridiche dell’enfiteusi e le 
moderne leggi d’affrancamento) estr. da Arch. giurid., XL, fasc. 5 e 6, XLI, 
fase. 1 e 2; PertILE, Storia del diritto priv. it., IV,:298 e seg.; SaLvioLi, 
op. cit., n. 282 e seg. 

Mentre pei Romani l’enfiteusi era semplicemente un jus in re aliena, 
come s'è visto, nel diritto medioevale si esplicò il dualismo del dominio 
fra concedente ed enfiteuta, e la sua divisione in dominium directum e 
utile: fa questo un trovato dei glossatori, che passò poi nella comune dot- 


2602 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


vero è quindi che non troppo favorevolmente dovette un tale 
istituto (così frammisto a rapporti di carattere feudale) pre- 
sentarsi agli occhi dei legislatori della Rivoluzione, avidi di di- 
struzione e d’innovazione: — però ci avverte in proposito il 
FrANgOIS, che (1) “ quelque impatiente et intraitable que fùt 
“ la passion populaire, les grandes assemblées de la Révolution 
“ n’obéirent point aux emportements irréfléchis qui voulaient 
“ faire table rase de toutes les institutions de l’ancien droit : 
‘ parmi elles il s°en rencontrait qui, de leur nature propre, 
comme l’emphytéose, étaient exemptes de féodalité: celles-là de- 
vaient étre nécessairement maintenues et seulement corrigées 
dans celles de leurs dispositions qui auraient pu, de près ou 
de loin, éveiller quelque souvenir de l’ancienne hiérarchie 
seigneuriale. 

“ Telle fut l’oeuvre de la /égislation intermédiaire ,. 

E quest'opera che fu perciò non già d’abolizione, ma di 
sola limitazione e regolamentazione, appare evidente dal con- 
testo delle leggi in proposito emanate. 

Così è che quella stessa Assemblea Nazionale Costituente che 
emanò i suoi celebri decreti in data 4, 6, 7, 8 e 11 agosto 1789, 
nei quali è solennemente proclamato che : (art. 1°) “ L'Assemblée 
“ nationale détruiît entièrement le régime féodal et décrète que, dans 
les droits et devoirs tant féodaux que censuels, ceux qui tien- 
nent à la main morte réelle où personnelle et è la servitude 
personnelle, et ceux qui les représentent, sont abolis sans in- 
demnité et tous les autres déclarés rachetables... , spiegava in 
seguito meglio il suo concetto (con riferimento pure all’enfiteusi) 
col decreto 15-28 marzo 1790, in cui mentre è detto che (Tit. 1, 
art. 1): “ Toutes distinetions honorifiques, supériorité et puissance 
“ résultant du régime féodal sont adolies... , si aggiunge che (Ti- 
tolo III, art. 1): “ Seront simplement rachetables et continue- 
“ ront d’étre payés jusquY'au rachat effectué, tous les droits et 


n 


trina (SimonceLni, loc. cit.).. Oggi si disputa sul punto di escogitare un’idonea 
concezione giuridica dell’enfiteusi per il vigente diritto, e la ricerca è dif- 
ficile per la incertezza che presiedette alla giuridica ricostituzione e riaf- 
fermazione d’un tale rapporto nella legge nostra (Cfr. SimonceLtI, op. cit., 
parte I°, p. 30 e seg.; e De Prrro, op. cit. n. 1 e 2). 

(1) Op. cit., pag. 292. 


ta. cn 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 263 


“ 


devoirs féodaux ou censuels utiles, qui sont le prix et la condition 
d'une concession primitive de fonds. (Art. 2°) Et sont présumées 
tels, sauve la preuve contraire, toutes les redevances seigneu- 
riales annuelles en argent, grain, volailles, cire, denrées ou 
fruits de la terre, servis sous la dénomination de cens, cen- 
sives, rentes féodales, seigneuriales et emphytéotiques... qui ne 
se payent et ne sont dues que par le propriétaire ou posses- 
seur d'un fonds, tant qu'il est propriétaire ou possesseur d’un 
“ fonds et è raison de la durée de sa possession ,. 
Questi principî furono solennemente confermati dalla legge 
18-29 dicembre 1790 della stessa Assemblea Costituente — 
legge essenziale per l’enfiteusi — la quale, confermando e re- 
golando il diritto di riscatto o affrancamento di tutte le rendite 
fondiarie, non solo non venne a sopprimere, ma a regolare e di- 
sciplinare l’istituto dell’enfiteusi, limitandone per l’avvenire la 
durata a 99 anni. 
Art. 1. “ Toutes les rentes foncières perpétuelles, soit en 
‘ nature, soit en argent... seront rachetables... Il est défendu de- 
“ plus à l’avenir de eréer aucune redevance foncière non rem- 
“ boursable, sans préjudice des baux à rentes ou emphytéoses, et 
“ non perpétuels, qui seront exécutés par toute leur durée et pourront 
étre faits à l’avenir pour quatre-vingt-dis-neuf ans et au-dessus...,. 
Emanarono ancora successivamente — prima della codifi- 
cazione napoleonica — altre leggi che pur esplicitamente rico- 
nobbero i contratti enfiteutici : e così la legge 27 aprile 1791 
(art. 2) e la legge 16 ottobre 1791 (art. 1): — senonchè, es- 
sendo parso che tutte queste disposizioni non servissero ancora 
a distruggere dalle radici il sistema feudale, l'Assemblea Legi- 
slativa (succeduta alla Costituente) deliberò di abolire, come fece 
con suo decreto 25 agosto 1792, tutte indistintamente le ren- 
dite, qualunque ne fosse il nome, “ à moins qu’ils ne soient 
“ Justifiés avoir pour cause une concession primitive de fonds, 
“ laquelle cause ne pourra étre établie qu’autant qu'elle se trou- 
“ vera clairement énoncée dans l’acte primordial d’inféodation, 
“ d’accensement ou de bail è cens, qui devra étre rapporté ,. 
Restava così invertita la presunzione di non feudalità delle ren- 
dite, stabilita dal mentovato articolo II (tit. III) del decreto 15-28 
marzo 1790: ma rimase così meglio assodato che feudale e si- 
gnorile non era da ritenersi quella rendita, che rappresentava il 


264 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


corrispettivo della concessione del godimento d’un fondo, nel che 
sta appunto l’essenza dell’enfiteusi vera e propria. Tant'è che 
la successiva legge 17 luglio 1793 (Convenzione Nazionale), nel 
ribadire ancora una volta la soppressione delle rendite signorili 
e dei diritti feudali, eccettuava, all'art. 2°, le “ prestations pu- 
rement foncières et non féodales ,. A completare la nuova siste- 
mazione di siffatti rapporti vennero ancora le leggi 9 messidoro, 
anno III, e 11 Brumaio, anno VII, che, disciplinando il diritto 
ipotecario, lo regolarono anche in rapporto all’ enfiteusi. 

Da tutte queste disposizioni emanate in tale periodo inter- 
medio tra il precedente diritto comune e feudale e la successiva 
codificazione napoleonica, le quali abbiamo creduto operis pretium 
riportar qui con una qualche larghezza, non appare quindi per 
nulla abolito e prescritto l'istituto dell’enfiteusi, ma invece sol- 
tanto decretate : 

1° L'abolizione dei diritti, contratti e vincoli feudali e 
signorili propriamente detti; 

2° La riscattabilità delle enfiteusi perpetue e la loro proi- 
bizione per l’avvenire ; 

3° La conservazione e giuridica efficacia delle enfiteusi 
temporanee e la potestà di costituirne delle nuove, Lu una du- 
rata non superiore ai novantanove anni. 

E neppur la suddetta proibizione (specialmente per la 
legge 18-29 dicembre 1790) di statuire nuove enfiteusi perpetue 
o superiori ai 99 anni, significa, per quelle stipulate in spreto 
alla legge, la loro necessaria proscrizione e nullità : — la dottrina 
rigetta infatti questa nullità, avvertendoci che, ove ci si riporti 
agli insegnamenti di quei tempi, “ le sentiment le plus général 
“ est d'interpréter la loi du 1790 en ce sens, qu'il ne saurait 
“ plus y avoir d’emphytéose perpétuelle sans faculté de rachat , (1). 


(1) Frangors, op. cit., p. 299. — Un tale concetto è chiaramente e corret- 
tamente espresso dalla già mentovata sentenza 1° dicembre 1886 della Su- 
prema Corte di Roma, la quale dice: ©“ E nemmeno sussiste la violazione 
di tutte le altre disposizioni di legge, poichè, volendo anche seguire i prin- 
cipì stabiliti dalla giurisprudenza francese interpretativa della legge 29 di- 
cembre 1790 e del Codice napoleonico, troviamo che il divieto dell’enfiteusi 
per una durata maggiore di 99 anni, sancito in detta legge, non portava 
la nullità del contratto stipulato a perpetuità: che, ferma stando l’efficacia 
del patto, l’unico effetto di tale proibizione consisteva nella facoltà dell’en- 


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LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 265 


E la stessa Suprema Cassazione francese ha espressamente 
deciso, in una assai nota sentenza in data 15 dicembre 1824 (1), 
che “ la stipulation d’une rente perpétuelle ou redevance dans 
“ un bail emphytéotique postérieur à la loi de 18-29 décembre 1790 
“ n’entraîne pas la nullité du bail. Seulement la rente ou re- 
“ devance stipulée est rachetable, nonobstant la stipulation de 
“«“ perpétuité , (2). Dunque — ripetesi — non abolizione e nullità, 
ma diritto di riscatto o affrancamento [con efficace innovazione 
al diritto precedente, di sapore feudale, che respingeva i patti 
d'affrancamento, contrari alla perpetuità di siffatti rapporti (3)] 
delle enfiteusi perpetue costituite anteriormente ed anche po- 
steriormente alle or viste leggi, e giuridica efficacia di quelle 
limitate ad anni novantanove. 

Ciò insegnando la storia del diritto, mal si riesce a com- 
prendere per qual motivo, all'atto della codificazione napoleo- 
nica e nei suoì lavori preparatorî, si fosse ritenuto da taluno 
dei Commissari come senz’altro abolita detta enfiteusi dalla pre- 
cedente legislazione, e come quindi non fosse più il caso di 
occuparsene nella nuova codificazione: eppur ciò risulterebbe 
dalle parole di TREILHARD nell’Exrposé des motifs del titolo “ De 
la distinction des biens ,, dalla dichiarazione di TRoncHET, 
pronunziata nella discussione avanti il Consiglio di Stato, che 
“ maintenant l’emphytéose n'aurait plus d’objet et qu'il était donc 
inutile de s'en occuper , e specialmente dalle parole del Por- 
TALIS, nel discorso preliminare sul progetto del Codice civile, 
colle quali egli lamenta l'avvenuta proscrizione e abolizione 
dell’enfiteusi, per opera delle leggi della rivoluzione (4). 


“ 


fiteuta di riscattare a suo beneplacito la rendita da esso dovuta: e che non 
sono diverse Je conseguenze della proibizione contenuta nell’art. 530 del 
Codice napoleonico, il quale autorizzando il riscatto di ogni rendita costi- 
tuita in perpetuo, non pronunzia altra nullità che quella delle stipulazioni 
contrarie al diritto di riscatto concesso al debitore della rendita ,. Cfr. Sr- 
MONCELLI, 0p. e 1% parte cit., p. 3 e seg. 

(1) Rec. génér. des lois et des arréts, XXV, 1, 290. 

(2) Cfr. TropLona, De l'échange et du louage, Bruxelles, 1841, n. 50. 

(3) Cfr. SarvioLi, 0p. cit., n. 286. 

(4) Locri, Législat. civ. comm. et criminelle, Bruxelles, 1836, 1, p.181 e seg. 
Ecco le testuali parole del Portalis: © ..... Nous avons pensé qu’on avait 
“ été trop loin quand, sous prétexte d’effacer jusqu'aux moindres traces de 


266 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


L'opinione o quanto meno le dubbiezze dei compilatori del’ 
Codice napoleonico, riguardo all'istituto dell’enfiteusi, fecero sì 
che di essa non siasi fatta in detto codice speciale menzione, 
e solo siasi, all'art. 530 (1), genericamente stabilita la redimi- 
bilità delle rendite perpetue. — Ma la dottrina e la giurispru- 
denza che vennero in seguito ad illustrare ed interpretare questo 


pur insigne monumento di sapienza legislativa, preferibilmente 


ritennero che il silenzio sull’enfiteusi e sui suoi precetti non 
dovesse senz'altro significare la sua abolizione e proscrizione. 
Si avvisò in merito dai principali commentatori del Codice 
napoleonico — meno alcuni pochi {2), tra cui va specialmente 
annoverato il DemoLomBE (3) il quale, esaminata a lungo la 
questione, conclude col dire che gli autori che sostengono la 
persistenza dell’istituto dell’enfiteusi, la creano essi stessi nel 
diritto nuovo — che la ricordata legge 18-29 dicembre 1790 
dell'Assemblea Costituente che regolava appunto l’enfiteusi, non 
era mai stata abrogata; che non esisteva nel Codice napoleonico 
alcuna espressa disposizione la quale vietasse il contratto en- 
fiteutico (nei limiti determinati dalla predetta legge), ed anzi, 
conformemente ai concetti da quest'ultima instaurati, si aveva 
precisamente l’art. 530 citato, che si limitava a rendere riscat- 
tabili tutte le rendite fondiarie perpetue; che il contenuto ma- 
teriale e giuridico degli articoli 543-544 del Codice napoleonico 
insieme coordinati, come pure di altri disposti di legge (4), 


“ féodalité, on avait proscrit Ze bail emphytéotique et le bail à rente foncière, 
“ qui n’ont jamais été un contrat féodal, qui encourageaient les grands 
“ propriétaires è vendre les fonds qu’ils ne pouvaient cultiver avec soin, et 
“ qui donnaient è des cultivateurs laborieux, dont les bras faisaient toute 
“ la richesse, le moyen facile de devenir propriétaires... ,. — Vedi un felice 
riassunto dei motivi inducenti a ritenere l’abolizione dell’ enfiteusi, per ta- 
luni compilatori del Codice napoleonico, in SimonceELLI, op. e Zoe. cit. 

(1) Art. 530 Cod. nap.: ° Toute rente établie à perpétuité pour le prix 
de la vente d’un immeuble, cu comme condition de la cession è titre 
onéreux ou gratuit d'un fonds immobilier, est essentiellement rachetadle ,. 
Cfr. su tale articolo Baupry-LAcantINERIE e Wan, Trat. di diritto civile 
(traduz. italiana), Dei beni, n. 146. 

(2) Grenier, Privil. et hypot., n. 143; FoeLix ET HenrION, Des ventes 
foncières, p. 28; Ropnère er Pont, Du contr. du mariage, I, 338; Pont, Priv. 
et hypot., I, n. 388; Varerte, Privil. et hypot., n. 128. 

(3) Cours de Code civil, V, 487 e seg. 

(4) Cfr. FraNgOIS, op. cit., p. 312 e seg. 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 267 


non era d’ostacolo, anzi permetteva e favoriva la presenza di 
un tale istituto, svestito d'ogni residuo feudale, nell’ordina- 
mento giuridico francese. Si concluse perciò da essi col rico- 
noscere efficacia ai contratti enfiteutici fatti anteriormente e 
durante il periodo legislativo suddetto, come pure dopo appli- 
cato il Codice napoleonico, salvo a stabilirne la limitazione nel 
tempo e concederne l'affrancamento o riscatto ove fossero per- 
petui o quanto meno eccedessero i 99 anni. 

Basterà ricordare quanto testualmente dice il ProuDpHON (1), 
il quale, espressamente riconoscendo l'applicabilità della legge 
18-29 dicembre 1790, non affatto revocata dal Codice napoleo- 
nico, osserva “ que cette loi n’ayant fait qu@assigner un terme 
“ è l'emphytéose sans en changèr autrement le caractère, c'est 
“ toujours d’après les principes de l’ancien droit qu'on doit en 
“ déterminer la nature sous tous les rapports autreque celui de 
“ sa durée et des consequences inhérentes à cette abréviation ,. 
Ed ugualmente opinano (salvo talune differenze di vedute sul 
punto della precisa concezione giuridica della mantenuta enfi- 
teusi (2), TouLLiER (8), DuranTON (4), TropLone (5), MaR- 
capé (6), PePin LE HaLLeur (7) ed altri autori citati nella 
completa monografia del Frangors (8), che segue ed illustra 
l'opinione predominante, e riporta pure la copiosa giurispru- 
denza in proposito ed alcune leggi successive, che confer- 
mano la permanenza dell’istituto dell’enfiteusi nel diritto fran- 
cese (9). 


(1) Traité du domaine de propriété, Bruxelles, 1842, n. 709. 

(2) FrangoIS, 0p. cit., p. 329 e seg. 

(3) Le droit civil francais, Bruxelles, 1837, II, 101. 

(4) Cours de droit civil, Bruxelles, 1841, II, n. $91. 

(5) De l’échange et du louage, Bruxelles, 1841, n. 50; e Comment. des 
privilèges et hypothèques, Bruxelles, 1848, n. 406. 

(6) Explication du code Napoléon, 6* ed., II, n. 358 e seg. 

(7) Histoire de l’emphytéose, Paris, 1848, p. 340. 

(8) Op. cit., p. 326, nota 5. Cfr. pure MerLin, Questions de droit; v. Em- 
phytéose, $ 5, n. 2; DarLoz, Répert., v. Louage emphuyt., I, n. 3. 

(9) Francors, op. cit., pag. 326, nota 6. Già il Maxcisi (discorso cit., in 
Raccolta di lav. preparat., cit., II, pag. 174) aveva brillantemente esposto 
alla Camera dei deputati — discutendosi il progetto del Codice civile ita- 
liano — lo stato del diritto e della dottrina e giurisprudenza francese, nel 
senso da noi riportato. 


268 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


Così l’enfiteusi, nel suo essenziale fondamento realistico e 
fondiario, non fu sradicata dalla bufera delle leggi rivoluzio- 
narie francesi e dalla successiva codificazione, che neppur potè 
perciò abolire i contratti enfiteutici costituiti nei paesi nei quali 
(come per la massima parte d’Italia) essa venne a trovar applica- 
zione: anzi la maggior parte delle legislazioni straniere succes- 
sive, e quelle stesse che essenzialmente si basano sul Codice napo- 
leonico, ne riconobbero l’esistenza e la utilità, ed espfessamente 
ne codificarono gli essenziali precetti per evitare i dissidi e le 
incertezze del diritto francese, come le leggi 10 e 25 dicembre 
1824 per il Belgio, la legge 24 dicembre 1824 e il Codice ci- 
vile del 1838 (art. 767 a 783) per l'Olanda; e per l’Italia, i 
i Codici parmense, andato in vigore il 1° luglio 1820 (art. 415- 
427), ed estense, pubblicato il 15 ottobre 1851 (art. 1625-1637), 
ed il Codice per il Regno delle Due Sicilie posto in vigore il 
15 settembre 1819 (art. 1678-1703). Anche il Codice civile 
austriaco del 1° giugno 1811, che, colla restaurazione, venne 
in applicazione in Italia, accoglieva e regolava l'istituto del- 
l'enfiteusi (art. 1122-1150). 

Intorno a questa particolar codificazione favorevole all’en- 
fiteusi, ed anzi al diritto Zegale di prelazione in caso d’aliena- 
zione (di cui ancor diremo), non è il caso di spendere qui pa- 
rola: eran chiari i precetti legislativi che regolavano un tale 
istituto (1). 


(1) Basterà riportare gli esaurienti cenni riassuntivi che ne dà il Ca- 
rarra nella sua Enfiteusi (dal Digesto italiano, V° Enfiteusi), al n. 6: “ Dopo 
“i fortunosi eventi del 1814 e 1815, i vari Stati italiani, eccetto il Ducato 
“ di Lucca, o richiamarono in vigore i loro antichi ordinamenti 0 compi- 
larono nuovi Codici. Di questi il solo Codice albertino non contemplò 
“ l'enfiteusi: gli altri tutti dettarono per tale contratto delle regole inspi- 
“ rate parte dall'antico diritto, parte dai nuovi principî. La enfiteusi poteva 
“ essere perpetua o temporanea: il canone era dovuto non quale corrispet- 
tivo del godimento del fondo, ma in ricognizione del dominio diretto, ed 
“ il solo codice estense stabiliva il diritto di affrancazione in favore dello 
enfiteuta. L'obbligo di chiedere il consenso del domino nelle alienazioni e 
il diritto di prelazione furono dappertutto conservati, meno che nel Codice 
“ austriaco vigente nel Regno Lombardo-Veneto: le leggi civili pel Regno 
delle Due Sicilie vi aggiunsero il diritto di prelazione in favore dell’enfi- 
teuta, nel caso che il domino volesse alienare il diretto dominio. Il lau- 
“ demio, dove era dovuto per legge, dove era rimesso all’arbitrio dei con- 


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LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 269 


6) Diversamente avvenne invece per il Regno Sardo, ove, 
colle leggi della restaurazione, sopraggiunse il Codice civile al- 
bertino, andato in vigore il 1° gennaio 1838, che fu ancor più 
severo per l’enfiteusi, che non le leggi rivoluzionarie francesi 
ed il Codice napoleonico, e merita perciò un cenno speciale. 

Contrariamente a quanto sostiene una certa dottrina e giu- 
risprudenza (1), la quale ritiene solo essersi fuciuto dell’enfiteusi 
nel Codice albertino, senza però abolirla (come si è visto ap- 
punto accadere per il Codice napoleonico), la stessa fu effetti- 
vamente proscritta ed esclusa per detta legge e vietata per 
l'avvenire: si mantenne però efficacia alle enfiteusi precedente- 


“ traenti, i quali però non potevano pattuirlo in una somma maggiore della 
“* quinquagesima parte. Erano cause di devoluzione, il mancato pagamento 
“ del canone per tre anni, l'alienazione irrequisito domino, il deterioramento 
“ del fondo enfiteutico, l’inadempienza dell'obbligo di stipulare l’atto reco- 
“ gnitorio nei casi indicati dalla legge. Verificatasi la devoluzione, l’enfi- 
* teuta aveva diritto ad essere compensato delle migliorie esistenti ,. Con- 
fronta pure, in generale, e per quanto ha specialmente tratto alle leggi 
civili napoletane, PerNa, op. cit., passim e pag. 81 e seg. 

(1) Dice infatti il SaLviori (op. cit., n. 286): “ Dopo il 1815 fu ovunque 
“ ristabilita l’enfiteusi romana : soltanto nel Piemonte si permisero sì le loca- 
“ zioni centenarie, ma si tacque sull’enfiteusi ,. Ugualmente il Cararra (loc. cit. 
in nota preced.) solo parla di silenzio sull'enfiteusi nel Codice albertino; mentre 
correttamente di esclusione parlano in modo espresso il De Pirro (0p. cit., n. 2) 
e il Simovcetni (loc. cit.). Il FrANgOIS, nella sua pur elaborata disamina storico- 
legislativa sull'istituto dell’enfiteusi, presso i vari diritti, ritiene per errore 
l’enfiteusi come espressamente compresa e regolata nel Codice albertino 
(op. cit., p. 326). In quanto alla giurisprudenza, mentre una sentenza della 
Corte di Cassazione di Torino. 10 febbraio 1897 (Giurispr. Torin., 1897, 321), 
espressamente dice che dal Codice albertino furono abolite e vietate per 
l'avvenire le enfiteusi, la mentovata, recente sentenza della stessa Corte, in 
data 13 settembre 1906, solo accenna al silenzio di quel Codice sull’enfi- 
teusi, ed esclude il divieto: “© Nè le cose cambiarono aspetto 0 subirono radi- 
“ cali innovazioni sotto l'impero del Codice albertino, successivamente inter- 
“ venuto e che ebbe vigore in Liguria dal 1° gennaio 1838, e delle sue 
“ disposizioni transitorie contenute nelle RR. Patenti 6 dicembre 1837, e 
neppure coll’attuazione della legge 13 luglio 1857, approvata dal Parla- 
“ mento Subalpino negli Stati Sardi. Vero, anche il Codice albertino non 
si dimostrò favorevole a tale istituto : al pari del Codice francese restò 
“ muto al riguardo, accordando soltanto la facoltà del riscatto delle enfi- 
teusi perpetue, siccome infette di feudalismo (art. 1943, 1944, 1947): per 
altro con nessuna delle sue disposizioni le vietò per l’arvenire..... ,. 


270 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


mente costituite, salvo il diritto al riscatto; ciò in corretta ap- 
plicazione dei principî della irretroattività della legge, secon- 
dochè appare dall’art. 16 della Regia Patente 6 dicembre 1837 
e dalla successiva legge 13 luglio 1857, n. 2307. 

Per le incertezze or mentovate, è opportune riportare i 
più rilevanti testi di legge in proposito. 

L’art. 16 della Regia Patente 6 dicembre 1837 dice te- 
stualmente: “ Le rendite fondiarie sì in denaro che în der te, 
“ costituite prima della osservanza del Codice a titolo dilnfi. 
‘ teusi, albergamento od altra concessione di immobili o di beni 
‘ considerati a guisa di immobili, sono regolati dalle leggi an- 
teriori. Nondimeno se la rendita è costituita @ perpetuità, sarà 
soggetta al riscatto, in conformità del disposto degli art. 1943 
“e 1944 del Codice civile ,. 

E il Codice civile albertino andato in vigore appunto il 
1° gennaio 1838, ed a cui si collega e si coordina la ora men- 
tovata R. Patente, così sì esprime: Art. 1941. “ La concessione 
“ d’immobili, di cui nell'articolo precedente (per la costituzione di 
rendita fondiaria) trasferisce nel concessionario il pieno dominio, 
nonostante qualsivoglia clausola contraria ed anche quella 
della riserva del dominio che vi fosse apposta, le quali si 
“avranno per non scritte. — Se la concessione è fatta a titolo 
“ oneroso, sotto qualsivoglia denominazione, come di enfiteusi, 
albergamento od altra simile, la medesima sarà soggetta alle 
regole stabilite pel contratto di rendita: se è fatta a titolo gra- 
“ tuito, essa è soggetta alle regole stabilite per le donazioni ,. — 
Art. 1493. “ La rendita costituita a termini dei due articoli pre- 
“ cedenti (l'art. 1942 si riferiva alla rendita semplice o censo) è 
“ essenzialmente redimibile a volontà del debitore, nonostante 
“ qualunque patto contrario. Può tuttavia stipularsi che il ri- 
scatto non avrà ad eseguirsi durante la vita del concedente, 
ovvero prima di un certo termine ,. — Art. 1944. “ Il riscatto 
della rendita semplice si opererà mediante il rimborso del 
capitale in denaro pagato per lo stabilimento «lella medesima, 
e quello della rendita fondiaria col pagamento di un capitale 
in denaro corrispondente all’annua rendita od al valore della 
medesima, se in derrate, prendendo per base il prezzo medio 
di queste durante gli ultimi 10 anni; salvo però che fosse 
stato fissato nell'atto un capitale inferiore: in questo caso il 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 271 


debitore sarà liberato dall’annua rendita col pagamento del ca- 
pitale fissato ,. — Art. 1947. “ Nei casi accennati nei due ar- 
ticoli precedenti (inadempienza agli obblighi stabiliti) come in 
qualunque altro di contravvenzione ai patti del contratto, il 
creditore non potrà che costringere il debitore al riscatto della 
rendita, senza aver mai diritto di rivendicare l’immobile ceduto, 
nonostante qualunque patto o riserva che sarà come non av- 


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“venuta ,. 

| l'art. 1 della legge 13 luglio 1857 per lo svincolo 
della enfiteusi (1) disponeva precisamente che “ ...nelle conces- 
“ sioni perpetue di beni immobili e di beni considerati a guisa 
“ di immobili, fatte prima dell’osservanza del Codice civile, a ti- 
tolo di enfiteusi, subenfiteusi, albergamento, livello e qualsi- 
voglia altro consimile titolo, e sotto qualsivoglia denomina- 
zione, è fatta facoltà all’utilista, e in difetto al direttario, di 
svincolare il fondo e di consolidare l'utile col diretto dominio 
nei modi e colle norme e condizioni infra stabilite ,; e al- 
l’art. 18 disponeva poi che “ non si potrà derogare per con- 
“ venzione delle parti al disposto degli art. 1, 8,9 della legge 
“ stessa ,. 

Le norme di legge ora riportate dimostrano ad evidenza 
quanto si è prima detto, e cioè che, mentre per le leggi del 
Regno Sardo si manteneva efficacia alle enfiteusi anteriori al 
Codice albertino, salvo il diritto al riscatto, se perpetue (2), si 
proibiva invece la costituzione di nuove enfiteusi, sia per l’as- 
soluto divieto della rivendicazione o devoluzione dell'immobile 


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(1) Per quanto rifletteva le enfiteusi, livelli, censi, ecc.... costituiti, non 
con i privati, ma con corpi morali, si ebbe più tardi la legge 24 gennaio 1864, 
n. 1636, ove (art. 1) pur si permette ai concessionari l'affrancamento delle 
enfiteusi e concessioni perpetue, regolandone il modo: però, contrariamente 
all’art. 18 della citata legge del 1857, è ivi (art. 19) permessa la deroga, 
per convenzione delle parti, al disposto della legge per ciò che riguarda 
la materia e il modo d’affrancamento, le persone che possono chiederlo e la 
misura di esso. — Devesi ancor qui far menzione della legge 10 agosto 1862 
sulla censuazione dei beni ecclesiastici in Sicilia (a cui succedette poi, dopo 
l'attuazione del vigente Codice civile e in epoca assai recente, quella già 
mentovata del 2 luglio 1896 con intento consimile), ‘e su di essa, Corro, 
Storia dell’enfiteusi dei beni ecclesiastici in Sicilia, Palermo 1871; e Perna, 
op. cit., p. 450. 

(2) Regia Patente 1837 e Legge 13 luglio 1857 citate. 


272 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


concesso a favore del concedente, in caso d’inadempimento 
degli obblighi pattuiti da parte del concessionario (art. 1947 
Cod. albert.), sia per l'immediata traslazione del pieno dominio 
(come per il caso di vendita 0 di donazione) nel concessionario: 
elementi tutti in antitesi col concetto di enfiteusi: la stessa era 
così ridotta ad una semplice rendita fondiaria. 

Però, ripetesi, il divieto di costituire per l'avvenire enfi- 
teusi vere e proprie (da distinguersi dalle locazioni. centenarie, 
invece ammesse) (1) pel Codice civile Sardo, non es aula 
perdurante validità di quelle anteriormente stabilite, le quali 
conservarono vigor giuridico, salvo il diritto al riscatto spet- 
tante all’enfiteuta. 

c) Si comprende dal sin qui detto, come fra opposti pareri 
e gravi incertezze siansi trovati appunto i compilatori del Co- 
dice civile attuale, al fine di vedere se dovevasi o meno am- 
mettere e disciplinare l’enfiteusi nella nuova codificazione: 
perchè da una parte i sovra mentovati Codici dei vari Stati 
italiani della restaurazione l’avevano accolta e disciplinata con 
evidente favore, dall’altra il Codice civile albertino, su cui pre- 
valentemente si plasmò la successiva codificazione, la proscrisse 
e vietò. Giustamente però prevalse, com’è noto, l'opinione af- 
fermativa, suggerita, oltrechè dal ricordato esempio delle leggi 
degli altri principali Stati italiani, sopratutto dal pensiero del 
grande numero di questi contratti che nelle varie parti d’Italia, 
e in epoca più o meno antica, si erano andati costituendo e 
conservavano applicazione ed efficacia. E questi contratti enfi- 
teutici si affacciarono così, con perdurante efficacia, alla nuova 
codificazione civile italiana; anzi seguitarono pure a valere per 
essi i precetti delle leggi, sotto le quali furono costituiti, per 
virtù del già menzionato art. 29 delle disposizioni transitorie, 
il quale testualmente dice che: “le rendite, le prestazioni e 


(1) Art. 1720 Cod. albertino: “ Sono eccettuate dal disposto dell’arti- 
“ colo precedente le locazioni dei terreni gerbidi ed affatto incolti, che si 
“ faranno col patto di dissodarli e di ridurli a coltura: queste locazioni 
“ possono farsi per un tempo maggiore di trent'anni, ma che non potrà 
“ eccedere gli anni cento ,. Disposizione questa, che assai avvicina, anche 
nello scopo, una siffatta locazione all’enfiteusi vera e propria (temporanea); 
però sta sempre l’intrinseca legale differenza tra i due giuridici rapporti : 
essenzialmente personale o d’obbligazione l’uno, reale l’altro. 


LE ANTICHE ENFIVEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 273 


“ tutti gli oneri gravanti beni immobili a titolo di enfiteusi, sub- 
“ enfiteusi, censo, albergamento od altro simile, costituite sotto 
“ le leggi anteriori, sono regolate dalle leggi medesime ,. 

Così pure, essendosi mantenuto l’istituto dell’enfiteusi, do- 
vettero validamente conservarsi quei diritti e patti ad esso 
connessi e propri della sua matura, in quanto non erano in 
contrasto colle nuove norme dettate per un tale giuridico rap- 
porto. 

Essenziale fra questi diritti connessi all'istituto dell’enfi- 
teusi è il diritto di prelazione, di cui è contestata la giuridica 
ammessibilità ed esperibilità nel diritto attuale, quantunque co- 
stituito già nelle originarie stipulazioni delle antiche enfiteusi 0 
precettivamente stabilito dalle passate leggi. Noi riteniamo che un 
tale diritto possa invece ancor oggi durare in rapporto all’en- 
fiteusi e con giuridico effetto: e poichè si tratta di un tema, 
che, sebbene già a lungo discusso, in dottrina e giurisprudenza, 
è ancora grandemente controverso, crediamo di dover pure 
esporre su di esso brevemente la nostra opinione. 


INIL — Appena occorre ricordare che il diritto di prela- 
zione significa, in rapporto all’enfiteusi, il potere giuridico spet- 
tante al concedente o domino diretto (secondo la teorica del 
dominio diviso) di esser preferito ad ogni altro, a parità di 
prezzo, nel caso di alienazione del fondo e del diritto enfiteu- 
tico da parte dell’utilista. 

Le prime applicazioni di un tale diritto si ritrovano chia- 
ramente designate già nel giure romano (giustinianeo) e spe- 
cialmente nella costituzione 5 del Codice (de jure emphyteutico, 
IV, 66), che giova, sul punto, riferire: “ Cum dubitabatur utrum 
“ emphyteuta debeat, cum domini voluntate, suas meliorationes 
alienare, vel jus emphyteuticum in alium transferre, an eius 
expectare consensum? Sancimus, siquidem emphyteuticum instru- 
mentum super hoc aliquas pactiones habeat, cas observari. — Sin 
autem nullo modo huiusmodi pactio interposita sit, vel forte 
“ instrumertum emphyteuseos perditum est, minime licere em- 
“ phyteutae sine consensu domini meliorationes suas aliis ven- 
‘ dere, vel jus emphyteuticum in alium transferre. Sed ne, hac 
occasione accepta, domini minime concedant emphyteutas 
“sua accipere pretia meliorationum quae invenerunt, et eos 


“ 


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DI 


» 


274 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


“ deludant, et ex hoc commodum emphyteutae depereat, dispo- 
“ nimus attestationem domino transmitti et praedicere quantum 
“ pretium ab alio accipi potest. Et si quidem dominus hoc dare 
‘ maluerit, et tantam praestare quantitatem quantam ‘ipse revera 
“ emphyteuta ab alio accipere potest, ipsum dominum haec com- 
“ parare ,: 

Si ricava da questo testo come duplice aspetto e forma già 
potesse assumere pel giure romano (come poi in seguito) questo 
diritto di prelazione: convenzionale o legale. Il che ‘è quanto 
dire che, o nel contratto d’enfiteusi si pattuivano speciali ac- 
cordi riflettenti l’interpello e la preferenza spettante al dominus, 
nel caso di alienazione del jus emphyteuticum (come delle melio- 
rationes del fondo) e allora valevano i patti, o nulla invece 
espressamente si prestabiliva, e allora egualmente, ope legis, 
doveva effettuarsi questo interpello al domino diretto e la contem- 
poranea notificazione delle condizioni alle quali l’enfiteuta inten- 
deva di effettuare la vendita, e sorgeva il diritto di preferenza 
a favore del domino a parità di condizioni, da esercitarsi entro 
due mesi, scorsi i quali, l’enfiteuta poteva liberamente alienare, 
coll’obbligo però di pagare al proprietario la quinquagesima (detta 
poi laudemio), cioè il 2°, del valore dell’enfiteusi (1). 

Ancor si deve aggiungere, che già per il diritto romano, 
nel caso di alienazione irrequisito domino ed in spreto al diritto 
di prelazione (come nel caso pure di mancato pagamento per un 
triennio dell’annuo canone e di conseguente devoluzione al do- 
minus del fondo enfiteutico) (2) la caducità dell’enfiteuta dal 
suo diritto operava ipso jure, e gli effetti datavano fin dal mo- 
mento in cui erasene verificata la causa (3), senza distinguere 
tra prelazione convenzionale o legale: ciò è pacifico in dottrina 
e varrà per le ulteriori nostre considerazioni (4). 


(1) Cfr. Lronnarp, Inst. des ròm. Rechts, Leipzig 1894, pag. 294 e seg.; 
Baron, Pandekt, 313; WixpscH®eIp, op. cit., $ 220; SimonceLLI, 0p. e parte 2° 
cit., n. 4; FERRINI, 0p. e loc. cit. 

(2) L. 2, $1 C. de jure emphyt., IV, 66. 

(3) Arg. L. 2 e 3 C. de jure emphyt., IV, 66. 

(4) FERRINI, op. e loc. cit.; Seari, Dell'azione di caducità promossa contro 
l’enfiteuta, negli Studi giurid. pel XXXV anno d’insegn. di F. SerarIni, Fi- 
renze 1892, p. 305 e seg. Vedi pure Cassaz. Roma, 1 dicembre 1886 (mo- 
tivaz.), in Legge, 1887, 1, 544. 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 275 


Questi i precetti del giure romano sul diritto convenzio- 
nale o legale di prelazione (1), che si mantenne coll’enfiteusi 
stessa, anche nel diritto intermedio, in tale duplice sua forma 
d’estrinsecazione, come pur vi si mantenne l’obbligo, di pagare 
la quinquagesima 0 /audemio, nel caso di alienazione del fondo 
enfiteutico da parte dell’enfiteuta (2). 

Nè tale diritto di prelazione fu abolito e vietato (come 
neppure lo fu l’enfiteusi), secondochè giustamente riconobbe e 
dottamente spiegò la mentovata sentenza 13 settembre 1906 
della Cassazione di Torino (3), dalle leggi rivoluzionarie fran- 


(1) Altri casi di prelazione (convenzionale) aveva il diritto romano, 
specialmente nel contratto di vendita, allorchè il venditore si riservava il 
diritto di preferenza, nel caso di rivendita della cosa venduta da parte del 
compratore: si aveva così il pactum protimiseos, pure di origine greca, come 
l'enfiteusi (cfr. WixpscHuetp, op. cit., II, $ 388, nota 13; Girarp, Manuel cit., 
p. 714 nota 3). Patti affini erano il pactum de retrovendendo e retroemendo 
(patto di riscatto: art. 1515 e seg. Cod. civ.), il pactum de addictione in 
diem. ; 

(2) Cfr. PertILE, Storia del diritto italiano cit., pag. 299 e seg.; e Sr- 
MONCELLI, 0p. e parte 2* cit., n. 14, il quale testualmente dice: © Rimasero 
“ immutate (nel Medio Evo), nella sostanza, la quinquagesima e la prela- 
zione a favore del dominus, e la nuova concessione a favore dell’enfiteuta, 
* e si dissero, per influenza del feudo, laudemio, retratto e investitura ,. L’ob- 
bligo del /audemio andò poi scomparendo nel diritto moderno, salvo speciali 
pattuizioni in proposito (V. Cod. del regno delle Due Sicilie), e non se ne fa 
menzione nel Codice nostro civile. Vedi SaLvroLi, op. e loc. cit. 

(3) Vedine la motivazione riportata alla nota 1, pag. 256. 

Per il diritto francese la conservazione della prelazione risulta in modo 
evidente dalla stessa giurisprudenza dell’epoca. È tipica in proposito una 
sentenza della Corte di Cassazione francese (causa Patocki-Schneider), in data 
8 febbraio 1814 (Recueil génér. des lois et des arréts, XIV, anno 1814, 1? p., 
p. 249) in cui è espressamente riconosciuto un tale diritto — senza distin- 
guere tra prelazione convenzionale o legale — che si dichiara derivante 
appunto dal giure romano, conservato pel diritto comune, francese e ger- 
manico, perchè “ essentiellement propre à l’emphytéose ,. © Attendu... que l’acte 
“ du 3 avril 1715, constitutif de l'emphytéose du moulin Bienvold, ne pré- 
“ sente aucune expression qui décèle concession féodale... Que la défense è 
* Schneider de vendre sans l’agrément de l’'évéque (diritto di prelazione) ainsi 
“ que le droit de celui-ci de recevoir des laudémes en cas de vente ou de re- 
“ tirer l’héritage sont des droits ordinaires appartenant aux bailleurs à titre 
“ emphytéotique: qu'ils ne peuvent faire dégénérer l’emphytéose en. inféo- 
“ dation ou accensement, lorsque le bailleur n'a stipulé ni devoirs ni ré- 
* serves appartenant uniquement à la féodalité, et. que ainsi la Cour de 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 22 


276 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


nostra — dai divieti del Codice albertino (solo però se preco- 
stituito, in un coll’enfiteusi); mentre riguardo agli altri princi- 
pali Stati italiani e alle leggi che vi ebbero vigore dopo la 
restaurazione, un tale diritto di preferenza, senza la necessità 
di alcun patto speciale — e così sotto forma legale — venne 
esplicitamente riconosciuto, in un coll’enfiteusi, come si è visto : 
— così per il Codice del regno delle Due Sicilie del 1819 agli 
art. 1691, 1692, 1693, 1694 (1), per il Codice estense all'art. 1631, 
e per il Codice parmense, agli art. 417 e 418. 

Si giunse così al Codice attuale, rispetto al quale ferve la 
disputa se il diritto di prelazione a favore del direttario, non 
contemplato nel detto Codice, sia o meno stato conservato e 
sia o meno ancor oggi esperibile — essenzialmente rispetto 
alle antiche enfiteusi per cui valeva un tale diritto — sopra- 
tutto di fronte al diritto di affrancamento o riscatto oggi sempre 
spettante all’enfiteuta, per espresso disposto del Codice stesso 
(art. 1564 Cod. civ.). 

a) In merito a siffatta questione, pel diritto vigente, è 
sorta una distinzione, sopratutto per opera della giurisprudenza 
nostra, fra il caso di prelazione /egale e quello di prelazione 
convenzionale (di cui si è già detto) — in riguardo alle antiche 
enfiteusi, — e mentre si è sostenuto ed appare oggi opinione 
prevalente, che la prima non sia più in vigore pel diritto attuale, 


i 
cesì e dal diritto napoleonico, come neppure — per l’Italia 


“ Colmar n’a-t-elle pas jugé que ces stipulations fussent féodales ou mélées 
‘ de féodalité... ,. Ed altri giudicati riporta ancora il Frangors (0p. cit., pa- 
gina 295, nota 1) nello stesso senso. | 

(1) Il Codice per il regno delle Due Sicilie espressamente comminava 
la nullità delle alienazioni fatte del jus emphyteuticum, in spreto al diritto 
di prelazione spettante al concedente: art. 1692 “ sarà nulla qualunque | 
“ vendita, e si darà luogo alla devoluzione, se il diretto padrone non sarà 
“ giuridicamente interpellato a prestare il consenso ,. Gli altri codici della 
restaurazione taciono: è però evidente, che in tale caso doveva per ogni 
legge avverarsi, meglio che la nullità (se pur con pari effetto), la risolu- | 
zione ipso jure del contratto enfiteutico. 

Egualmente opina il De Pirro (op. cit., p. 473), per i casiì, di cui nelle 
recenti già mentovate leggi del 1896, 1897, 1904 e 1906, riflettenti l’enfi- 
teusi, per i quali la legge esplicitamente stabilisce il divieto di alienare il 
fondo enfiteutico senza il consenso del concedente (V. specialmente l’art. 4 
della legge del 1896). 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 277 


I 


anche rispetto alle enfiteusi costituite sotto le leggi che l’am- 
mettevano, ed anzi la richiedevano sotto pena di nullità (com’era 
per il Codice del regno delle Due Sicilie) — affermandosi, colla 
Cassazione di Roma (1), che “ di diritto quesito non è a par- 
“ larsi in materia di prelazione /egale..... essa è una mera spe- 
“ ranza, una semplice facoltà, epperciò soggetta ad essere mo- 
“ dificata ed anche distrutta dalla legge ,, — si è ritenuto e si 
sostiene invece, però non senza contrasto, la persistente efficacia 
della prelazione convenzionale pattuita in antiche enfiteusi. 

Riservandoci di provare tra breve l’erroneità della prima 
tesi, dichiariamo subito di aderire alla seconda, che si riferisce 
alla prelazione convenzionale. 

Per essa si sostiene che, sempre quando siasi stipulato, in 
un'enfiteusi costituita in antichi contratti, il patto di prelazione 
a favore del direttario a parità di prezzo, e il conseguente ob- 
bligo dell’interpello di questi da parte dell’enfiteuta, prima di 
addivenire alla alienazione del fondo enfiteutico, sotto pena di 
decadenza ipso jure (che opera quale condizione risolutiva espressa, 
come or vedremo) del diritto di enfiteusi, si intende questa 
decadenza o risoluzione avverata di pien diritto, all'atto della 
vendita effettuata senza previo interpello, e non è più possi- 
bile l'esperimento successivo di qualsiasi diritto e domanda di 
affrancamento, tanto da parte dell’utilista venditore che del 
terzo acquisitore del fondo enfiteutico. La prelazione vince, cioè, 
l'affrancamento. La qui esposta tesi annovera in suo suffragio, 
come contro di sè, una già copiosa dottrina e numerosi responsi 
della giurisprudenza (2). 


(1) Sentenza 10 maggio 1882, Legge, 1882, II, 327. Cfr. citata sentenza 
13 settembre 1906 della Cassazione di ‘Torino. 

(2) Vedi, per la dottrina favorevole: De Pirro, op. cit., n. 35 e seg., 
testo e nota 12 e 13; Cararra, op. cit., n. 32 e seg.; Ricci, Corso di diritto 
civile, 2" ediz., VIII, $ 20 bis; Gassa, Teoria della retroatt. delle leggi (To- 
rino 1897). III, p. 183 e seg., e Nota in Giurisprudenza ital., 1879, I, 240; 
Scormi, Artic. in Monit. dei Tribun., 1873, 401; Ferrucci, Nota in Foro 
italiano, 1881, I, 994; Baratta, Artie. in Movim. giurid., 1898, 121; CrasugRI, 
Artic. in Riv. Univ., 1894, IV, 77; e, per la dottrina contraria: Doria, Nota in 
Foro napol., 1897, I, 67; A. Bussorini, Nota in Foro it. 1880, I, 235; Max- 
puca, Il nuovo diritto enf. e gli istituti del riscatto, della devoluz. e della 
prelazione, in Arch. giurid., 1891, 309 e seg.; Pegna, op. cit., n. 369 e seg.; 


278 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


Le obbiezioni che si fanno alla persistenza del diritto di 
prelazione, convenzionalmente stabilito in antiche enfiteusi, mon 
sono a parer nostro fondate. 

Si insiste nel dire da chi è contrario alla tesì qui propu- 
gnata, che le disposizioni transitorie per l’attuazione del Codice 
civile, pubblicate il 30 novembre 1865, che alla enfiteusi si rife- 
riscono (art. 29 e 30), poste in correlazione col Codice stesso 
(art. 1564), contrastano e resistono alla possibilità di serbar 


vita al diritto di prelazione, inquantochè coll’esercizio di questo 


si verrebbe ad ostacolare l’esercizio del diritto di affrancamento 
o riscatto, sancito in modo indefettibile da questi disposti di 
legge. Ma ciò non è. 

Già si è visto che l’art. 29 delle dette disposizioni transi- 
torie suona letteralmente così: “ le rendite, le prestazioni, e 
“ tutti gli oneri gravanti beni immobili, a titolo di enfiteusi, sub- 
“ enfiteusi, censo, albergamento od altro simile, costituite sotto 
“ le leggi anteriori, sono regolate dalle medesime:,. — Per il suc- 
cessivo art. 30: “ È fatta facoltà agli enfifeuti o debitori di 
“ rendite costituite sotto le leggi anteriori di redimere il fondo o 
“ di riscattare la rendita, giusta le norme rispettivamente costi- 
“ tuite dagli art. 1564 e 1784, nonostante qualunque patto in con- 


e, incidentalmente, Maroni, Nota in Foro it., 1897, T, 171, nota f. I sud- 
detti autori preferibilmente considerano alla stessa stregua sia con favore 
sia con disfavore, tanto la prelazione convenzionale, quanto la prelazione 
legale. 

Vedi, per la giurisprudenza favorevole (essenzialmente in rapporto 
alla prelazione convenzionale) : Cassazione di Torino, 15 settembre 1879, 
Foro it., 1880, I, 235; Cassaz. Roma, 15 maggio 1882, Legge, 1882, II, 327 
(sentenza già menzionata, ove si distingue la prelazione /egale dalla con- 
venzionale); Cassaz. Roma, 15 gennaio 1889, Foro it., 1889, I, 381; Cassa- 
zione Firenze, 29 dicembre 1890, Legge, 1891, I, 547; Cassaz. Torino, 18 set- 
tembre 1906 cit.; e, inoltre, le sentenze della Cassaz. di Torino, 17 luglio 1894, 
19 agosto 1896, 30 marzo 1897, Giurispr. tor., 1894, 553; 1896, 620; 1897, 
624, le quali, sebbene trattino piuttosto di casi di devoluzione ipso jure (per le 
cause di cui all’artic. 1565 Cod. civ.), offrono soluzione appropriata anche per il 
caso di prelazione convenzionale. Vedi, per la giurisprudenza contraria: App. 


hi 


Roma, 30 dicembre 1879, Noro it.,1880, I, 172; id., 1 dicembre 1886, Legge, 1887, 


I, 544; Cassaz. Torino, 9 agosto 1899, Giurispr. torin., 1899, 247; Appello 
Macerata, 14 febbraio 1905, Foro it., 1905, I, 644: — e notisi che l’or fatta 


elencazione è solamente esemplificativa, nè può pretendere di esser com- ‘ 


pleta, per il grande numero di decisioni in proposito. 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 279 


“ trario, e salve le originarie convenzioni di affrancamento o ri- 
“ scatto più favorevoli agli enfiteuti o debitori ,. E l'art. 1564, ivi. 
richiamato (che si riferisce all’enfiteusi), espressamente dice che : 
“ l’enfiteuta può sempre redimere il fondo enfiteutico mediante il 
“ pagamento di un capitale in denaro corrispondente all’annuo 
“ canone sulla base dell’interesse legale, od al valore dello stesso 
“ canone se è in derrate, sulla base del prezzo medio di queste, 
“ negli ultimi dieci anni ,. 

Risulta indubbiamente dalla prima di queste norme di 
legge (art. 29 dispos. trans.) che fu per essa mantenuta forza 
ai precetti delle leggi anteriori, colle quali furono regolate le 
antiche enfiteusi (e quindi, inclusivamente, ai patti stipulati, 
come quello di prelazione, in conformità di tali leggi): ciò, più 
che altro, come semplice ripetizione e conferma, in termini 
espressi, del generale principio dell’ irretroattività delle nuove 
leggi, già sancito dall’art. 2 delle disposizioni preliminari del 
Codice civile (1); — quale sola eccezione a questo principio 
ed all'applicazione delle precedenti leggi, fu data facoltà agli 
enfiteuti — col seguente art. 30 delle stesse disposizioni tran- 
sitorie — di redimere o affrancare il fondo, giusta le norme 
dell'art. 1564 Cod. civ., nonostante qualunque patto in contrario. 
Ciò secondo i principî banditi, come si è visto, dal diritto rivo- 
luzionario francese, al fine di distruggere i vincoli perpetui e 
feudali. 

Si tratta però indubbiamente, riguardo a questo secondo 
precetto di legge, di una disposizione eccezionale, contraria al 
principio della drretroattività della legge, e che non è lecito esten- 
dere oltre è casi e tempi in essa espressi, nè ai rapporti ad essa 
estranei, mai non essendo, di regola, la legge retroattiva (2). 

Ciò detto, si deve senz'altro aggiungere che il diritto di 
prelazione è figura giuridica ed attributo del contratto d'enfi- 
teusi che non ha a vedere col diritto di riscatto o affran- 
camento. L'uno e l’altro si manifestano in casi diversi e per 
opera di persone diverse: il secondo è esercitato dall’enfiteuta 
contro il concedente ed ha per effetto di riunire nelle mani del- 


(1) Cfr. pure la ]. 7, C. de leg. et const., I, 14. 
(2) Cfr. artic. 4 disposiz. prelim., Cod. civ.; e F. S. Brancni, Corso di 
Cod. civ. ital. — Principii gener. delle leggi, Torino 1888, p. 988-995. 


280 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


l’enfiteuta il pieno dominio : il primo si esercita dal direttario 
per riprendere, a parità di condizioni, in confronto di un terzo, 
il fondo enfiteutico che l’enfiteuta vuole alienare. Di conseguenza 
l'enfiteuta è libero sempre, ove lo voglia, come correttamente si 
espresse la più volte ricordata sentenza 13 settembre 1906 
della Cassazione di Torino, “ di redimere il fondo proscioglien- 
“dolo da ogni vincolo enfiteutico e diventando così assoluto 
“ proprietario, come è libero di disporne, cedendo ad altri i 
“ propri diritti; ma ove ha stipulato il patto di prelazione, in 

“ pari condizioni, deve preferire il direttario e pressa per 
“ l'esercizio del diritto di prelazione ,. 

È perciò evidente come questi due diritti affatto non siano 
tra loro incompatibili, ed anzi, considerati dal punto di vista 
dello stesso enfiteuta, si esplichino in seguito a due processi 
od atti volitivi diversi (l’uno di acquistare la “ plena pro-. 
prietas , del fondo, l’altro di disfarsi di ogni diritto): 
non è perciò possibile dire — come si suole dagli avversari 
dell’esposta tesi — che l’un diritto (e la relativa pattuizione 
di preferenza) sia direttamente ed anche solo indirettamente di 
ostacolo e contrario all’altro. 

L'uno è invece dall’altro indipendente : e mentre la prela- 
zione pattuita in un’enfiteusi antica è permessa dal mentovato 
art. 29, il riscatto è concesso dall’art. 50; così le due disposi- 
zioni si possono armonicamente interpretare, senza estendere 
la sfera d’applicazione della seconda, che è norma eccezionale, 
a casi ed a rapporti, ai quali non si può riferire. 

Per sostenere che il diritto convenzionale di prelazione più 
o meno direttamente contraria ed ostacola il diritto di riscatto, 
si dice che ove si voglia ritenere (come noi crediamo), nel caso 
di alienazione fatta irrequisito domino e senza l'osservanza del 
patto di prelazione, la decadenza o risoluzione ipso iure dell’en- 
fiteusi, e perciò la perdita della qualità di enfiteuta o della 
conseguente possibilità di riscattare, risulterebbe evidente il pre- 
giudizio arrecato dal patto e diritto di prelazione alla facoltà 
del riscatto. Ma questo ragionamento, come è ordinariamente 
condotto, non regge. 

Vero è che nel caso di prelazione convenzionale, espressa- 
mente pattuita, ci troviamo di fronte ad un pactum adiectum al 
contratto originario di enfiteusi, che, come i consimili pacta pro- 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 281 


timiseos (1), de retrovendendo o di riscatto (2), e de addictione 
in diem (3) per la compra-vendita, si innesta al rapporto con- 
trattuale principale ed assume di regola la figura di un’espressa 
condizione risolutiva del contratto principale, sempre quando non 
se ne osservi e rispetti il disposto (4). A questa interpreta- 
zione induce la natura stessa e il normale, esteriore modo 


(1) L. 75 D. de contr. emt., 18, I; L. 21$4e 5 D. de act. emti et 
vend., 19, I 

(2) L. 12 D. de O. V. A., 19,5; L. 2 C. de pact. inter emt. et vend., 4, 54. 

(3) L. 1 e seg. D. de in diem addict., 18, 2. 

(4) La condizione, voluta dalle parti [o — come vedremo — stabilita 
dalla legge (condicio juris) nel caso di prelazione legale], e atta a risolvere 
il rapporto enfiteutico, si è così propriamente la violazione del jus prae- 
lationis, espressamente pattuito: e questa condizione risolutiva espressa deve 
qui operare, come ogni altra consimile condizione apposta ad un contratto. 

Devesi qui notare che per l’enfiteusi, e in rapporto alla sua estinzione, 
per colpa dell’enfiteuta, ora si parla (specialmente in dottrina e in giu- 
risprudenza) di decadenza o caducità del jus emphyteuticum, ora di devolu- 
zione, ora di risoluzione (cfr. De Pirro, op. cit., p. 482): termini tutti che pos- 
sono avere la loro ragion d’essere, per la specialità del giuridico negozio; 
inquantochè la decadenza del diritto enfiteutico, che significa perdita e pri- 
vazione del diritto stesso e del suo esercizio (ctr. sulla figura giuridica della 
decadenza, in generale, Mopica, Tearia della decadenza nel dir. civ. ital., Torino, 
1906, passim e pag. 59 e seg.; e CaironI e Aspetto, Tratt. di dir. civ. it., p. 690 
e seg.) si verifica appunto a carico dell’enfiteuta, per l'impossibilità in cui 
questi si pone di potere ancor fruire ed esercitare il diritto enfiteutico, e 
la devoluzione denota il ritorno del fondo enfiteutico al concedente; ma l’ef- 
fetto giuridico essenziale che si produce in ogni caso, per violazione degli 
obblighi di enfiteuta, è la risoluzione del contratto d’enfiteusi, in virtù della 
condizione risolutiva espressa (facti 0 juris), apposta al negozio e che può 
verificarsi: quella ch'è risoluzione del negozio d’enfiteusi, in rapporto al 
negozio obbiettivo, produce poi decadenza de’ diritti enfiteutici, in riguardo 
all'enfiteuta, e devoluzione del fondo in rapporto ed a favore del concedente. 
Se la legge positiva usa quest’ultimo termine per determinare più special- 
mente il caso di ritorno del pieno dominio del concedente, ob camones non 
solutos 0 per deterioramento o non miglioramento del fondo (art. 1565 Cod. 
civ.), ciò non vuol dire che in tal caso pur non abbiasi una condizione ri- 
solutiva dell'enfiteusi, e che ugualmente non si verifichi la risoluzione del 
contratto. Tant'è che noi applicheremo, per il caso di devoluzione vera e 
propria (secondo l’art. 1565 predetto) gli stessi principî, che per il caso di 

.Jus praelationis: perchè in ambo i casi si ha decadenza, risoluzione e dero- 
luzione ad un tempo, a seconda del diverso punto di vista scelto per l’e- 
same del rapporto. La realità dell’enfiteusi poi non esclude che la stessa 


284° CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


d’ésplicazione di questo pactum adieetum, come anche riconosce 
la prevalente giurisprudenza (1). Vero è di conseguenza che 
la e. risolutiva espressa opera ipso iure, senza bisogno di costi- 
tuzione in mora nè d'intimazione giudiziale (2); e, a tenor di 
legge, verificandosi, retroagisce e “ rimette le cose nello stato 
in cui erano come se l'obbligazione non avesse mai avuto 
luogo , (art. 1158 cap., e 1170 Cod. civ.). Di guisa che, nel 
caso di enfiteusi, questa condizione risolutiva espressa riporta ne- 
cessariamente le parti al giorno in cui fu il contratto d’enfi- 
teusi stipulato, nel senso di considerar questo come se non fosse 
mai esistito. Vero è infine che così, sciogliendosi ipso jure il con- 


sorga e si estingua colle norme del contratto, tra cui quella della condi. 
zione risolutiva tacita 0 espressa. 

A vero dire però una più semplificata terminologia si potrebbe forse 
usare, per evitare le confusioni e incertezze, in cui troppo sovente cade la 
patria giurisprudenza, nel determinare i vari giuridici rapporti sgorganti 
dall'istituto dell’enfiteusi. 

(1) Cfr. da ultimo App. Palermo, 9 novembre 1906, Cire. giurid. 1906, 
351, e la citata sentenza della Cassaz. di Torino 13 settembre 1906, ove la 
condizione risolutiva espressa e quella tacita sono correttamente distinte. 

Per il De Pirro (op. cit., n. 35 e seg.), in appoggio a teoriche del di- 
ritto comune (CorrapINI, Tract. de jure praelat., quaestio V, n. I) non è la 
condizione risolutiva espressa del rapporto enfiteutico originario, che di regola 
qui si avvera, per l'alienazione irregquisito domino (mentre invece lo riconosce 
nel caso di devoluzione: op. cit., n. 60), ma è lo stesso dominio utile ceduto 
che passa ipso facto e per tale causa nel direttario, invece che nel terzo, 
avverandosi così la confusione (cfr. analogicamente art. 664 Cod. civ.), nel 
primo, dei due dominî e la conseguente cessazione del rapporto enfiteutico : 
— ma questa tesi — se pur produttiva in fatto delle stesse conseguenze — 
giuridicamente non ci persuade, e perchè non conforme alle fonti romane 
(che volevano effettivamente la decadenza o risoluzione dell'enfiteusi origi- 
naria; “ jure emphyteutico... cadat ,: cost. 3 cit. in fine), e perchè non tale 
da spiegare in modo convincente, sotto l'aspetto legale, questa diretta sostitu- 
zione giuridica e di fatto del direttario al terzo acquirente nel dominio utile. 

(2) Art. 1123 Cod. civ.; cfr. Cassaz. Torino, 27 novembre 1878, Giuri- 
sprudenza torin., 1876, 316; id., 22 aprile 1885, Giurispr. tor., 1885, 480; 
id., 1 giugno 1886, Giurispr. torin., 1886, 549; Cassazione Napoli, 4 di- 
cembre 1893, Legge, 1894, I, 627; Cassaz. Firenze, 22 maggio 1899, Foro 
it., Rep. 1899, V. Obblig.., n. 421-45; Cassazione Firenze, 14 maggio 1900, 
ibid., 1900, V. Obblig., n. 55,: Cassaz. Palermo, 22 maggio 1900, Foro d., 
Rep. 1900, V. Obblig., n. 58; e inoltre Laurent, Princip. de droit civil, vo- 
lume XVII, $ 113 e seg. 


LE ANTICHE ENFITÉUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, Ecc. 283 


tratto enfiteutico, cessa l’enfiteuta di aver tal veste e figura 
giuridica quando appunto cede, in spreto ai patti (errequisito 
domino), il suo jus emphyteuticum, e come l'alienazione resta 
perciò nulla, così pure non può più lo stesso chiedere l’affranco 
o riscatto, di fronte al direttario che ha recuperato, ipso jure, 
il pieno dominio (come se non ne fosse mai stato privo), perchè 
enfiteuta più non è: e neppure lo può il nuovo acquisitore, 
utendo juribus del precedente enfiteuta, perchè questo non po- 
teva trasmettergli un diritto che più non aveva (1). 

Ma se così l'affrancamento resta impedito, ciò non avviene 
già per la presenza e per causa del patto e diritto di prela- 
zione, perchè — già lo si è detto — l'affrancamento poteva 
sempre esercitarsi dall’enfiteuta, senza impedimento alcuno, ove 
lo si fosse preferito alla alienazione del fondo enfiteutico (ed anzi 
potevasi in tale guisa rendere inutile la stessa pattuita prela- 
zione): — se ora più non lo si può dallo stesso esercitare, si 
è perchè cadde nel nulla l’enfiteusi e si è perduta la qualità di 
enfiteuta. E la si è perduta per violazione di obblighi contrat- 
tualmente assunti, che, com’eran rappresentati dal patto di pre- 
lazione, così potevano pur esserlo da altri patti, ma non indu- 
cono certo a raffigurare questo patto (come sarebbe pure di 
ogni altro) quale causa efficiente della risoluzione del contratto 
di enfiteusi: perchè — ripetesi — la stessa si produce non in 
conseguenza del patto, ma della sua violazione, che toccava uni- 
camente all’enfiteuta di non commettere. È quindi in esso, esclu- 
sivamente in esso e nel suo agire, da ricercarsi la causa e l’ori- 
gine del perduto diritto di affrancamento. 

Questi perentori motivi — a cui altri ancor ne aggiunge 
la dottrina favorevole (2) — bastano per accertare la conser- 
_—_—_—_—1t__.cu' eta e? 

(1) Cfr. la perspicua motivazione della sentenza della Cassazione di 
Palermo, 9 marzo 1878, annotata dal Gassa in Giurisprudenza italiana, 1878, 
I, I, 240. 

(2) La tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza per cui, anche trat- 
tandosi di antiche enfiteusi, l'alienazione del fondo libera l’enfiteuta da ogni 
obbligo (ed essenzialmente dalla prestazione del canone) verso il direttario, 
quantunque avvenuta irrequisito domino (cfr. da ultimo Cassaz. Torino, 
30 dicembre 1905, Giurispr. torin., 1906, p. 263, e specialmente l’elevato 
dibattito fra Gassa, Nota in Foro it., 1887, 807 e 1888, 343, e Semeraro, 
id. in Foro it., 1887, 819 e 1888, 381), è, secondo il nostro concetto sulia 


pid 


281 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


vata efficacia del patto e conseguente diritto di prelazione, ed 
escludono, in caso di sua violazione, ogni possibilità di riscatto 
da parte dell’enfiteuta originario e successivo, che in diritto tali 
più non sono. 

Si tratta, per le antiche enfiteusi, di un vero diritto que- 
sito, sgorgante dal pactum adiectum al negozio fondamentale, 
permesso dall’antiea come dalla legge attuale (art. 29 disp. 
trans. cit.) e non ostacolato da nessun disposto di legge (1). 

Unicamente aggiungesi ancora, a pieno conforto della tesi 
qui dimostrata, il testuale riferimento del verbale N. 65 (seduta 
30 settembre 1865) della Commissione di coordinamento, che, come 
già si è detto, introdusse nel nostro Codice civile e nelle dispo- 
sizioni transitorie le norme riguardanti le enfiteusi (2): “ L’au- 
tore della proposta (Mancini) dichiara di non insistere sul- 
“ l'abolizione dei laudemi stipulati prima dell’osservanza del 
“ Codice. Appresso si discute se si abbiano da conservare i di- 
“ ritti di devoluzione o di preferenza convenuti a vantaggio del 
“ concedente, sotto l’impero delle leggi anteriori. Un commissario 
(Bonacor) propone di conservarli e perciò non se ne parlerebbe 
“ nella legge transitoria, bastando il dire che i contratti di en- 
“ fiteusi stipulati prima del Codice sono regolati dalle leggi ante- 
“ riori: queste leggi riconoscevano appunto tali diritti. 

“ La ragione poi di conservarli : 2 rispetto ai patti e ai di- 
“«“ ritti acquisiti: la facilitazione che si dà indirettamente al 
“ riscatto delle enfiteusi antiche, rispettando quei diritti. Ben 
“si osserva da taluno (Mancini), contro questa ragione, che, 
“ stando alla legge economica, ogni prelazione è diminuzione di 
“ concorrenza. La commissione però, alla maggioranza di sette 
“ voti contro due, delibera che quei diritti di devoluzione o di 
preferenza siano conservati, epperò non se ne farà parola nella 
legge transitoria ,. 


condizione risolutiva espressa, facilmente spiegabile nel senso, che non è 
certo più tenuto l’enfiteuta verso il direttario per gli obblighi derivanti 
dall’enfiteusi, dopo di avere perduto il jus emphyteuticum e la qualità di 
enfiteuta all'atto stesso dell’alienazione fatta irrequisito domino. Da quel 
momento però spettano al direttario tutti i proventi del fondo enfiteutico. 
(1) V. art. 30 disp. transit., e art. 1564 Cod. civ. 
(2) V. la citata Raccolta del Granzana, III p. 583 e seg. 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 285 


Niun dubbio quindi che quell’autorevole Commissione, in- 
vestita di poteri legislativi (1), abbia voluto conservare in 
pieno vigore il patto di preluzione stipulato nelle antiche enfi- 
teusi: il che prova ancora una volta che esso non poteva osta- 
colare l'affrancamento introdotto coll’art. 30 delle disposizioni 
transitorie. . 

Niun dubbio ancora che la stessa Commissione abbia rite- 
nuto che per abolire il patto di prelazione occorreva un espresso 
precetto di legge, tantochè per la sua conservazione bastava non 
farne parola nella legge transitoria. L’interpretazione è su questo 
punto autentica, tronca di per sè la possibilità di ogni discus- 
sione e coincide perfettamente coll’opinione in proposito accolta 
dalla menzionata dottrina, che noi approviamo e seguiamo. 

Anzi crediamo di aggiungere, in appoggio ai menzionati 
concetti, che non solo per le antiche enfiteusi, ma anche per 
quelle che fossero in oggi costituite, secondo le norme della 
legge civile, potrebbe essere il jus praelationis liberamente ed 
espressamente pattuito a favore del concedente, colle conseguenze 
di risoluzione ipso jure nel caso di sua inosservanza da parte 
dell’enfiteuta. 

Se — come già s'è visto — le recenti leggi sull’enfiteusi 
del 1896, 1897, 1904 e 1906 obbligano l’enfiteuta ad ottenere 
il consenso del concedente in caso di alienazione del fondo enfi- 
teutico (pur temporaneamente vietata) (2), a più forte ragione, 
per virtù del contratto, tale diritto di prestare il consenso ed 
anche quello di preferenza si può manifestare a favore del con- 
cedente. 

b) Non riteniamo invece di poter approvare la forse pre- 
valente giurisprudenza (3), quand’essa sostiene ed afferma non 


(1) Bruer, Istituz. di diritto civile, p. 20 e seg. 

(2) V. De Pirro, op. cit., p. 468 e 473. 

(3) Così: Cassaz. Napoli, 10 giugno 1893, Foro it., 1895, I, 1276: Cas- 
sazione Palermo, 8 febbraio 1896, Foro it., 1896, I, 416; Cassaz. Napoli, 
14 maggio 1897, Foro it., 1897, 913; App. Palermo, 27 giugno 1902, Foro 
ital., Repert. 1902, v. Enfiteusi, n. 71-72; cfr. pure Cassazione Roma, 
17 maggio 1882 già cit.; contra, nel senso da noi propugnato, Cassaz. To- 
rino, 9 marzo 1878, Giurispr. ital., 1878, I, I, 248; Cassaz. Napoli, 12 di- 
cembre 1887, Foro it., 1888, 1è472; Cassaz. Firenze, 29 dicembre 1890, 
Legge, 1891, I, 547; Csscasg@iipoli, 27 ottobre 1893, Zoro it., 1904, I, 94. 


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286 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


conservar più legale efficacia, per la legge attuale, il diritto di 
prelazione, stabilito non già con uno speciale patto, ma dalle 
stesse passate leggi (prelazione legale) a favore del direttario, 
nel caso di alienazione del: jus emphyteuticum. Una tal legale 
prelazione infatti già attribuiva al concedente il diritto romano 

- come s'è visto —, il diritto intermedio, e poi, per l’Italia, i 
(‘odici del regno delle Due Sicilie, parmense ed estense, del- 
l'epoca della restaurazione. 

Ora il dire, come qui si fa, che — rispetto alle enfiteusi 
costituite sotto leggi, che precettivamente stabilivano il jus prae- 
lationis —- non ci si trova di fronte ad un diritto quesito, ma 
ad una semplice spes juris, non più ammessa dalla legge attuale, 
è asserire cosa non vera, perchè invece le mentovate disposi- 
zioni transitorie e specialmente l'art. 29, hanno espressamente 
stabilito, come s'è visto, che le enfiteusi costituite sotto le leggi 
anteriori sono regolate dalle leggi medesime. Quindi la prelazione 
legale ancor può, anzi deve, per tale disposto di legge, sussi- 
stere: e la stessa Commissione legislativa di coordinamento ha 
ritenuto, come or s'è visto, di mantenere i diritti di devoluzione 
o di preferenza, senza distinguere se la loro origine fosse con- 
trattuale 0 legale. 

Che poi neppur la prelazione legale non si opponga al 
diritto di affrancamento e riscatto, è intuitivo, perchè la stessa 
opera e si attua come quella convenzionale, che all’affrancamento 
affatto non contrasta : lo stesso deve quindi dirsi per la prela- 
zione legale. 

Se non sì è nella specie di fronte ad una condizione riso- 
lutiva espressamente pattuita, sì è però di fronte -— a parer no- 
stro — ad una condicio juris, e cioè ad uno di quegli elementi 
e di quelle circostanze che la legge stessa nei vari casì espres- 
samente stabilisce e determina, così per la vita ed efficacia 
(c. sospensiva) come per l'estinzione o risoluzione (c. risolutiva) 
d'un determinato negozio o rapporto giuridico (1). Tale era, 
per le or mentovate leggi, la vendita del fondo enfiteutico irre- 
quisito domino e la conseguente violazione del jus praelationis; 


(1) V. su queste condiciones juris, A. ScraLoJAa, Contributo alla teoria 
generale del negozio giurid., in Studi di dir.@privato, Roma, 1906, p. 3 e seg. 
e bibliogr. cit. i 


} 
» 
n 


LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, ECC. 287 


che, verificandosi, portava pso jure alla risoluzione dello stesso 
‘rapporto enfiteutico originario. 

E poichè le condiciones juris, secondo l’attuale dottrina (1), 
sebbene distinte dalle condizioni vere e proprie, ne seguono per 
regola le morme e la regolamentazione giuridica, e possono essere, 
come quelle, così sospensive come risolutive di un determinato 
rapporto giuridico, e parimenti operano, salvo eccezioni, ipso 
jure, come ogni condizione vera ed espressa, così ancor qui la 
condicio juris, apposta dalla legge al contratto di enfiteusi, sotto 
forma risolutiva, per il caso di violazione del jus praelationis, 
deve operare ipso jure [con retroazione al giorno in cui fu con- 
tratta l’enfitensi (2) |, nell'atto in cui si effettua la vendita del 
fondo enfiteutico irrequisito domino: e allora più non si può, nè 
dall’enfiteuta nè dal terzo cessionario del fondo enfiteutico, ri- 
chiedere, @d alienazione compiuta, l'affrancamento o riscatto del 
fondo stesso (che supporrebbe ancora in vita l’enfiteusi), perchè il 
contratto stesso d’enfiteusi è già definitivamente caduto nel nulla. 


IV. — Brevissime parole, ancora, sul diritto alla devoluzione 
del fondo enfiteutico, spettante al direttario, posto anche questo 
in confronto e contrasto col diritto d’affrancamento o riscatto 
che spetta all'utilista. 

Sebbene la giurisprudenza talora confonda questo diritto 
alla devoluzione colla risoluzione del negozio enfiteutico. per il 
caso or visto di alienazione del fondo enfiteutico irrequisito do- 
mino, e in spreto al diritto di prelazione [senza vero torto, 
come s'è visto (3)], esso invece più propriamente si attua, se- 
condo l’attuale legge civile, come diritto attribuito al concedente, 
quando per parte dell’enfiteuta si viene meno agli obblighi deri- 
vanti dalla natura stessa del rapporto. enfiteutico, ed essenzial- 
mente all'obbligo di pagare l’annuo canone, come pure a quello 
di non deteriorare il fondo, anzi di migliorarlo (art. 1565 Cod. 
civ.), e significa e porta con sè il potere spettante al concedente 
di vedere risolto anche qui, per tali cause, il contratto enfiteu- 
tico e di riunire in sè il pieno dominio. 


(1) Cfr. ‘A. Scrarosa, Monogr. cit.; e art. 1157. e seg. Cod. civ. 


(2) Arg. art. 1170 Cod. civ. 
(3) V. la nota 4* a pi 281 cfr. pure Perna, op. cit., n. 377. 


‘ 
» 


288 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO 


Ora, mentre, secondo il diritto attuale (1), la devoluzione 
del fondo enfiteutico non si verifica ipso jure, in conseguenza 
delle ineffettuate obbligazioni, — inquantochè, anche dopo che 
essa fu giudizialmente chiesta dal direttario, può esser vinta da 
una successiva domanda d’affrancamento da parte dell’ utilista 
— per il passato diritto, e così specialmente per il diritto ro- 
mano (2), essa operava ipso jure, ed in ogni caso solevasi in tal 
senso e con tale immediato effetto frequentemente pattuirla nelle 
passate enfiteusi (8). 

Di qui è venuta la questione se tale forma di esplicazione 
del diritto di devoluzione, che necessariamente porta con sè 
l'impossibilità di un successivo esercizio del diritto di affranca- 
mento da parte dell’enfiteuta (che tale più non sarebbe), possa 
ancor oggi serbar efficacia, o se invece sempre sia in facoltà 
di quest’ ultimo, anche per le antiche enfiteusi in siffatti ter- 
mini stipulate, 11 richiedere, fino a sentenza definitiva passata 
in giudicato, di poter redimere il fondo enfiteutico. 

La dottrina e la giurisprudenza sono prevalenti in quest'ul- 
timo senso (4), che noi contrastiamo, intendendo doversi ap- 
plicare pur qui i concetti già esposti per il yus praelationis. 


(1) Art. 1565 Cod. civ. cit. — Cfr. De Pirro, op. cît., n. 36 e 60. 

(2) “ Suo jure... cadat , Costitut. 2, in fine, de jure emphyt. cit. 

(3) È da notarsi però che per taluni paesi (es. Francia), durante il 
diritto intermedio, la deroluzione ipso jure per inadempimento degli ob- 
blighi enfiteutici (come anche la risoluzione ipso jure del rapporto enfiteu- 
tico, per violazione del jus praelationis), venne ad essere meno rigidamente 
applicata, che non nel diritto romano (cfr. Laurent, Princip. cit., VIII, 
n. 396). Essa, se anche espressamente stipulata, fu ritenuta soltanto com- 
minatoria, e non senz'altro operativa ipso jure. Si tratta però di limitate 
eccezioni al diritto romano, che non ebbero esteso campo di applicazione 
e non influirono efficacemente sui principî riflettenti la risoluzione e devo- 
Iuzione ipso jure, esposti nel testo. 

(4) V. per la dottrina, De Pirro, op. cit., n. 60 e seg., e aut. cit.; Ma- 
rovi, Nota in Foro it., 1897, 170; e (contra, nel senso qui propugnato) GasBa, 
Nota in Foro it., 1881, 559. V. per la giurisprudenza App. Milano, 2 di- 
cembre 1896, Foro it., 1897, I, 170; Cassaz. Torino, 21 novembre 1897, 
Giurispr. tor., 1510; Cassaz. Torino, 1902, Giurispr. tor., 1902, 1081; Ap- 
pello Casale, 29 dicembre 1904, Giurispr. tor., 1905, 409; contra, Cassa- 
zione Torino, 17 luglio 1894, Giurispr. tor. 1894, 553; id., 19 agosto 1896, 
Giurispr. tor., 1896, 620; id., 10 marzo 1897, Giurispr. tor., 1897, 624. Cfr. 
pure la copiosa giurisprudenza raccolta da De Pirro, op. cit., p. 118, in nota. 


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LE ANTICHE ENFITEUSI E IL DIRITTO DI PRELAZIONE, Ecc. 289 


Basti ricordare ancor qui, per l’ultima volta, le disposi- 
zioni transitorie, ed essenzialmente l’art. 29, in cui è detto che 
la legge anteriore, sotto il cui impero fu costituita l’enfiteusi (e 
i patti relativi), è la sola applicabile. 

Vero è che il diritto attuale, assai favorevole all’affranca- 
mento dei fondi enfiteutici, ha modificato e mitigato il prece- 
dente diritto di devoluzione ipso jure, che operava perciò quale 
condizione risolutiva espressa, facendo allo stesso assumere piut- 
tosto la forma d’una condizione risolutiva tacita, che non si 
attua ipso jure, e quindi non solo abbisogna della giudiziale sua 
dichiarazione per mezzo di sentenza, ma può pur essere nei suoi 
effetti procrastinata, stabilendo, di conseguenza, che l’affranca- 
mento possa richiedersi ed effettuarsi anche dopo instata dal 
concedente la devoluzione (arg. art. 1565): ma ciò ha stabilito 
in via semplicemente dispositiva, ove sia muta la volontà delle 
parti al riguardo, e senza dare ad un tale disposto carattere 
precettivo o imperativo (1): tantochè il diritto civile nostro non 
ha richiamato l’art. 1565 (ma solo il 1564), nè nelle disposizioni 
transitorie (art. 30), nè all’art. 1557, pel quale si lascia alle 
parti di regolare convenzionalmente il rapporto enfiteutico, salva 
l’obbligatoria osservanza di alcuni disposti di legge, tra i quali 
non sono appunto comprese le disposizioni di cui all’art. 1565. 

Di conseguenza anche oggi le stesse parti possono, a parer 
nostro, convenzionalmente pattuire la devoluzione ipso jure —: e 
tanto più lo potevano precedentemente, sia in virtù delle leggi 
anteriormente in vigore ed ancor oggi applicabili, sia in con- 
seguenza di pattuizioni espressumente stipulate. Ma verificandosi 
questa condizione risolutiva espressa |sia juris, sia vera e propria 
o convenzionale (2)], la stessa deve come tale operare e ripor- 
tarsi al punto iniziale della costituita enfiteusi, ritenendola come 
non mai effettuata — secondochè già s'è visto per la prela- 
zione —; ed è impossibile in tale caso ammettere una domanda 
d'affrancamento o riscatto, dopochè si sono verificate inadem- 
pienze tali da indurre ipso jure la devoluzione, anche se non si 


(1) Cfr. De Pirro, op. e /oc. cit. Sul diritto imperativo (cogens) e disposi- 
tivo (2wingendes und nachgiebiges Recht), v. in generale Winpscarip, Pandekt. 
cit., I, $ 30. 

(2) Cfr. De Prrro, op. cit., n. 60. 


290 CARLO TOESCA DI CASTELLAZZO — LE ANTICHE ENFITEUSI, ECC. 


è ancor fatto luogo alla domanda giudiziale. in proposito. La 
stessa sentenza del magistrato, .ove sia sollecitata, non fa in 
tal caso (com'è del resto sua natura) che dichiarare la devolu- 
zione ipso jure verificatasi anteriormente (1); e così ogni istanza 
di riscatto avvenuta dopo la causa determinatrice della devolu- 
zione, e quindi dopo la devoluzione stessa, è inefficace, (anche 
se prima della dichiarazione giudiziale di quest'ultima), perchè 
fatta da chi non rivestiva più figura e qualità di enfiteuta. 


(1) Che la sentenza sia essenzialmente dichiarativa del diritto che le 
preesiste, insegna la prevalente dottrina: cfr. Fappa, Nota in Foro ital., 
1898, I, 1282 e seg.; Carovenpa, L’az. nel sistema del diritto, in Saggi di 
dir. proces. civile, Bologna 1903, p. 97, nota 75; Drama, La giurisdiz. wolon- 
taria, Città di Castello, 1904, p. 66 e seg. Cfr. pure, in. generale, Rocco, 
La sentenza civile, Torino 1906, passim e p. 132 e seg. 


L’ Accademico Segretario 
GAETANO DE SANCTIS. 


Torino — Vincenzo Bona, ‘l'ipografo nat LL. MM. e RR. Principi. 


> 


9F SCiENOLIS 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 29 Dicembre 1907. 


PRESIEDE IL SOCIO PROFESSOR GIORGIO SPEZIA 
SOCIO ANZIANO 


Sono presenti i Soci: JApANzA, Foà, GuaAREScHI, GuIpI, 
FiLeti, PARONA, MaTTIROLO, MorERA e CAMERANO Segretario. 

Scusano la loro assenza il Presidente Senatore ENRICO 
D’Ovipio e i Soci NaccaRI e SEGRE. 

Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente. 

Il Socio MartIRoLo fa omaggio alla Classe delle seguenti 
sue pubblicazioni: 1° Francesco Ferrero, Commemorazione; 2° Se- 
conda contribuzione allo studio della flora ipogea del Portogallo. 

Vengono presentati per l’inserzione negli Atti i lavori 
seguenti : | 

1° Dal Presidente a nome dei Soci Seere e BIANCHI: 
Sulla deformazione delle superficie flessibili ed inestendibili del 
Dott. EucenIo ELIA LEVI; 

Dott. G. Ponzio, Azione dei sali di diazonio sul fenildinitro- 
metano, dal Socio FILETI. 

Il Socio JADANZA, a nome anche del Socio NaccarI, legge 
la relazione sul lavoro del Dott. BoppaERT, intitolato: Misure 
magnetiche dei dintorni di Torino. La relazione favorevole è ap- 
provata all'unanimità e la Memoria con votazione segreta viene 
dalla Classe approvata per la stampa nei volumi delle Memorie 
accademiche. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 23 


292 EUGENIO ELIA LEVI 


LETTURE 


Sulla deformazione delle superficie flessibili 


ed ‘inestendibili. 


Nota del Dott. EUGENIO ELIA LEVI, a Pisa. 


1. — Due superficie S' ed S' diconsi isometriche quando i 
loro punti si possono porre in corrispondenza biunivoca per modo 
che i loro elementi lineari risultino eguali: diconsi applicabili 
l’una sull’altra quando, immaginate le superficie come veli per- 
fettamente flessibili ed inestendibili, si può flettere senza rottura 
nè duplicatura l’una di esse per modo che si distenda sul- 
l’altra (!). Due superficie applicabili sono isometriche; ma affinchè 
si possa asserire che due date superficie S' ed S" isometriche 
sono applicabili, occorre mostrare che si può trovare una suc- 
cessione continua di superficie isometriche le quali possano 
considerarsi come gli stati intermedi della superficie 8, che, 
deformandosi e flettendosi, dalla sua forma primitiva viene a 
distendersi sulla superficie S". Io mi propongo di studiare 
quando due superficie isometriche sono applicabili; e dimo- 
strerò che: 

Due superficie isometriche a curvatura nulla 0 negativa sono 
sempre applicabili luna sull'altra; mentre di due superficie isome- 
triche a curvatura positiva si può sempre distendere una superficie 
sull'altra oppure sulla simmetrica di questa; e la corrispondenza 


() Questa distinzione fu introdotta dal Voss nei suoi lavori, e più re- 
centemente riprodotta nell’art. Abbildung und Abwickelung 2weier  Flichen 
auf einander dell’ “ Encyclopidie der Mathematischen Wissenschaften ,, 
Bd. III, D. 6, a., n. 2, pag. 362-363. 


SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE 293 


di simmetria fra due superficie @ curvatura positiva non è mai 
un’applicabilità (1). 

Trascurerò d'ora in poi il caso delle superficie a curvatura 
nulla che è di immediata evidenza. — Pel caso delle superficie 
a curvatura positiva mi limiterò al caso analitico ; mentre trat- 
terò il caso più generale per le superficie a curvatura negativa. 
Mi piace però osservare che per i noti teoremi sul carattere 
analitico delle soluzioni delle equazioni di tipo ellittico di 
secondo ordine, l'ipotesi che la superficie a curvatura positiva 
sia analitica equivale solo al supporre che i coefficienti £ (uv), 
F(uv), G (uv) dell'elemento lineare siano funzioni analitiche di 
una coppia conveniente di variabili « e v: poichè, ammesso ciò, 
ed ammesso che le coordinate x, y, 2 del punto della superficie, 
abbiano, considerate come funzioni di «, v, le derivate dei primi 
tre ordini finite e continue, segue di necessità che la superficie 
è analitica (?). 

Noterò ancora che le considerazioni che seguono valgono 
non solo se la superficie è immersa nello spazio euclideo; ma 
anche se sì immagina la superficie immersa in uno spazio a 
curvatura costante {,: basterà in tutto quanto segue sostituire 
alla curvatura assoluta X della superficie la curvatura relativa 


k=K— K,. 


Ciò risulta evidente quando si osservi che mediante questa 
sostituzione si passa dalle equazioni di Gauss e di Codazzi 
relative ad una superficie immersa in uno spazio euclideo alle 
analoghe relative ad una superficie immersa in uno spazio di 
di curvatura £, (*): e che d’altra parte il nostro problema equi- 
vale a studiare quando avviene che i sistemi di funzioni D, D', D', 
coefficienti della seconda forma fondamentale, che soddisfano alle 
equazioni di Gauss e di Codazzi, formano un insieme continuo. 


(!) Tale questione mi fu proposta dal Chiar.®° Prof. BrancHI; di ciò e 
degli utili consigli che mi diede mi sia concesso di ringraziarlo vivamente. 

(*) Cfr. Berxsren S., Sur la nature analytique des solutions des Equations 
aux dérivées partielles du second ordre. “* Math. Ann. , Bd. 59, 1904, pag. 20-83. 
Vedi anche dello stesso A.: Sur la déformation des surfaces. “ Math. Ann. , 
Bd. 60, pag. 137 (1905). 

(*) Cfr. Brancai, Lezioni, vol. I, $ 213, pag. 492, formula (VII*) ed (VIII). 


294 EUGENIO ELIA LEVI 


Le superficie a curvatura positiva (!). 


2. — Per trattare il problema nel caso delle superficie a 
curvatura positiva penseremo le superficie di dato elemento 
lineare individuate coll’assegnare la forma di una loro curva 
prefissata, ad es.: della v = 0. Riassumerò brevemente i risultati 
noti relativi al problema di determinare una superficie con as- 
segnata deformata di una curva, cercando di porre in rilievo le 
osservazioni che più ci interessano, rimandando per il resto alla 
trattazione del problema che si trova nelle Lezioni del Bianchi (?). 
Seguo completamente le notazioni del Bianchi. 

Si supponga la superficie riferita ad un sistema ortogonale 
(«, v) e che il parametro « misuri l’arco sulla linea v= 0 di cui 
vogliamo assegnare la deformata. Chiamerò l questa linea v= 0: 
e supporrò per fissare le idee che la sua curvatura geodetica p, 
SIAT, 

La deformata C della curva T sia assegnata ad esempio 
mediante le sue equazioni intrinseche 


(1) pera) = W2)h 


saranno f(«) e @ («) funzioni analitiche regolari in un certo 
campo della variabile «. Indichiamo come al solito con a, B, Y; 
z,n,Z; X, 4, v i coseni di direzione della tangente, della nor- 
male e della binormale di C. Indichi 0 l'angolo di cui deve 
rotare nel verso positivo la normale alla superficie per portarsi 
sulla normale alla curva: dovrà essere 


I 
(2) Ren ar nt 


e questa equazione, per l’ipotesi fatta che p,< 0, ci dà due valori 


supplementari di 0, l'uno compreso fra 0 e i l’altro compreso fra 


(4) Per quanto nel presente numero e nel successivo si abbia in vista 
le superficie a curvatura positiva, tuttavia la maggior parte dei ragiona- 
menti, ed in ispecie quelli del n. 2, valgono pure per le superficie a cur- 
vatura negativa. 

(*) Brancni, Lezioni, vol. I, $ 111-112, pag. 244-249. 


SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE 295 


TT 
2 
ottenere la superficie basterà integrare l’equazione 


e tt. Si fissi per o una di queste due soluzioni di (2): per 


(3) Assèò=(1—- Ad) K, 


prendendo per dè successivamente le coordinate x (uv), y (2), 
2 (vv) incognite -della superficie; colla condizione che per v = 0 
soddisfino rispettivamente alle uguaglianze 


2 —_ 
(4) x (ue) = 2 (0), 9, =% 5 = p°  — _YG(Esenc+Xcoso), 
2 paso 
sera (E sen 6+-A cos 0) |, 


e alle analoghe per y e per e. 

Giova notare che basterà ottenere integrando (3) una sola 
delle tre funzioni incognite , y, =; le altre si avranno poi per 
quadrature. 

(Questa osservazione ci permette di affefTmare col Bianchi 


che fin quando è © dr è sempre possibile risolvere una delle 


equazioni (3) coi dati iniziali (4): anzi si può senz'altro affer- 
mare di più che, se le funzioni analitiche f («), @ («) variano, 
rimanendo però inferiori ad un numero finito M e tali che il 
loro raggio di convergenza non scenda mai al disotto di un 
certo numero r, e che la funzione o soluzione di (2) differisca 


T . DA . . 
sempre da 3 di più di un certo numero e, le superficie S, che 


si ottengono nel modo detto sopra corrispondentemente alle 
varie determinazioni di f («) e @(«), esistono tutte in un certo 
campo comune di valori per «x e v. Ed al variare continuo di 
f («) e © («), purchè si scelga con continuità la determinazione 
di 0 (u), varieranno anche con continuità le superficie S_ che si 
ottengono. 

Noteremo infine che per quanto precede la superficie cor- 
rispondente ad una determinazione di 0 è unica: e che la deter- 
minazione precedente dà effettivamente una superficie che soddisfa 
alle condizioni del problema. 


3. — Premesso ciò, incominciamo coll’osservare che se una 
superficie è a curvatura positiva non si potrà mai passare con 


296 EUGENIO ELIA LEVI 


continuità da una superficie in cui ad un determinato punto 0 


di F corrisponda un valore di o compreso fra 0 e 3 ad una per 
T 
54 
Ed invero se tale passaggio fosse possibile esisterebbe una de- 
formata S della superficie, tale che per essa il valore corrispon- 


cui al punto medesimo corrisponda un valore di o fra e n. 


dente di o in OèT: allora la curva C che su S' rappresenta 


avrebbe in O il piano osculatore tangente alla superficie: il che 
è impossibile se la superficie è a curvatura positiva. 

Dunque intanto possiamo affermare che le superficie a cur- 
vatura positiva di dato elemento lineare si dividono in due 
classi tali che da una superficie di una classe non si può pas- 
sare con continuità alle superficie dell'altra: e sappiamo che per 
riconoscere se una superficie appartiene all'una od all’altra classe 
basta vedere se, preso un punto O su T, il corrispondente va- 
TT 
DI 
criterio a due superficie simmetriche rispetto a un punto dello 
spazio: se osserviamo che, assumendo come positivi su curve 
simmetriche versi corrispondentisi, le direzioni positive delle 
normali alle superficie in due punti simmetrici sono concordanti, 
mentre le direzioni positive delle normali principali di due curve 
simmetriche sono opposte; concludiamo che di due superficie 
simmetriche l’una appartiene all’una classe e l’altra all’altra (1). 

Cosiechè, per dimostrare il nostro asserto occorre solo mo- 
strare che si può passare con continuità da una ad un'altra 
qualunque superficie ‘della medesima classe. Ora ciò risulta 
dalle osservazioni fatte in fine al n. precedente: poichè, siano 
S ed S' due superficie date, C e C' le curve deformate di l su 


lore di 0 è compreso fra 0 e — o fra = e t. A pplichiamo questo 


(!) Che del resto due superficie simmetriche a curvatura positiva non 
siano applicabili risulta anche dalle considerazioni seguenti. Presa una su- 
perficie a curvatura positiva, dicasi faccia positiva della superficie quella 
‘ rivolta verso i centri di curvatura; in altri termini dicasi positiva la faccia 
concava della superficie. Si potrà allora definire il giro positivo sulla su- 
perficie. Ora è ben chiaro che deformando con continuità la superficie, il 
giro positivo rimane sempre positivo, mentre si scambia col negativo per 
una simmetria. Onde l’asserita impossibilità di applicare una superficie 
sulla simmetrica. 


SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE 297 
S e S', 0 (u), 0‘ (u) i valori di 0 relativi a C e C' e si supponga 
uo <00 < i MZ °< 09% sÉ Noi potremo evidentemente 


costruire una successione di curve analitiche C;, riferite fra di loro 


per uguaglianza di archi che permetta di passare con continuità 
da C a C' per modo che il valore p, della prima curvatura in 
un punto qualunque di C, sia sempre compreso fra i valori 
p e p' della prima curvatura nei punti corrispondenti di C e C°. 
Per tali curve si avrà che l'angolo 0, (il quale è definito da (2)) 


soddisfa esso pure alla limitazione 0 < 0, < 00 Ai e quindi 


le superficie S,, isometriche con S' ed S', su cui C; è la defor- 
mata di, esistono tutte in un certo campo di valori per « e v, 
e dànno una successione di superficie che ci permettono di pas- 
sare con continuità da S ad S°. 


Le superficie a curvatura negativa. 


4. — Nel caso delle superficie a curvatura negativa val- 
gono i ragionamenti fatti sopra circa alla determinazione della 
superficie con assegnata deformata di una curva ('!): ma non è 
più legittima la distinzione in due classi delle superficie deformate 
di una data; poichè è bensì vero che il metodo precedente non 
ci permette più di determinare la superficie quando in qualche 


. . TT sf 
punto di C sia 0 = FALC cioè la curva assegnata debba essere 


tangente ad una asintotica della superficie), ma non possiamo 
più assicurare che tale superficie non esista. 

Riprenderemo perciò la questione dal principio, fondandoci 
ora sulla determinazione della superficie mediante due sue asin- 
totiche, quale è stata trattata dal Bianchi in una nota portante 
lo stesso titolo della presente mia, e pubblicata negli Atti. di 
questa Accademia (?). Otterremo così anche il vantaggio di libe- 


(!) Tenendo conto dei risultati della mia Nota Sul problema di Cauchy 
per le equazioni a caratteristiche reali e distinte (Rendiconti della R. Acca- 
demia dei Lincei, 2 marzo 1908), questa determinazione è in questo caso 
indipendente dall’ipotesi dell’analiticità. 

(*) Cfr. Brancar, Sulla deformazione delle superficie flessibili ed inesten- 
dibili. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1904-1905, vol. XL. 


298 EUGENIO ELIA LEVI 


rarci dell'ipotesi della natura analitica della superficie che ab- 
biamo dovuto fare fin qui. 

Dato l’elemento lineare di una superficie a curvatura ne- 
gativa 


(5) ds? = E du? +- 2F dudv+ Gdr, 


diconsi asintotiche virtuali dell'elemento lineare quei sistemi di 
linee (a 8) che per una conveniente tra le superficie isometriche 
di elemento lineare (5) sono linee asintotiche. Dato un sistema 
di asintotiche virtuali (a 8) la superficie che le ammette quali 
asintotiche effettive è determinata a meno di movimenti e di 
simmetrie, poichè se 1’ elemento lineare (5) riferito vie (a B) 
prende la forma 


(6) ds = E, da + 2F, da dg + G d®?, 


la seconda forma fondamentale della superficie è data da 
(7) + Lina da d8, 


dove p è determinato dalla 

1 
8 K=:—&ù, 
(8) PE 


Fissato un punto 0 e le due asintotiche a e B uscenti da 
esso, per riconoscere se due superficie che ammettano il doppio 
sistema di caratteristiche (a 8) sono uguali o simmetriche, basta 
vedere se nelle due superficie la linea a (oppure la linea 8) ha 
la stessa torsione oppure torsione opposta: in altri termini, se 
procedendo lungo la linea a (o lungo la linea 8) si veggono i 
piani tangenti alle due superficie rotare nello stesso verso oppure 
in verso opposto (!). Il teorema di Enneper ci assicura che il 
criterio è indipendente dal considerare le due linee a oppure le 
due linee f. 

Se le linee (a 8) sono asintotiche virtuali per l'elemento 


(‘) In questa seconda forma il criterio vale anche quando l’asintotica 
a (o 8) è una geodetica di (5), e quindi è una retta. 


SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE 299 


lineare (5), le u, v, considerate come funzioni di a e f, soddi- 
sfano alle equazioni (di Darbour) 


e di diese Il) [i du (FSE? mali E 
n = | du d1;/3a de 1 |2 do (16 dori DEAN 


du dv 22) dv dv 
+3 n 
9) d? (11)du d 1 d log p 12) u dv | du dv 
ud 9119) Dei Due È Chao © 1} 
dadB — Dia E du = JOIN Ata ie 
lo 


da 
ò EPSO 
+| dv (120]da dB" 


Ed inversamente, se si ha una coppia di funzioni indipen- 
denti u(aB), v(0 8), soluzioni di (9), il doppio sistema di linee 
(a 8) è per l'elemento lineare (5) un sistema di asintotiche 
virtuali. 

Come ha osservato il prof. Bianchi, al sistema (9) si può 
applicare il metodo delle successive approssimazioni del Picard. 
Precisando: si supponga che quando « e v variano in un certo 
campo A, ad es., quando |u|< a, |v{< a le funzioni £, F, G 
e le loro derivate dei primi quattro ordini rimangono continue 
e inferiori in valore assoluto ad M: e sia M, il massimo valore 
dei secondi membri di (9) quando (vv) è in A e i, si da D 
restano in valore assoluto inferiori a d. Si prendano due curve 
F el, arbitrarie, ma non tangenti, uscenti dal punto u= v = 0 
come curve a=0 e 8B— 0): e per fissare le idee, misurino @ e 8 
gli archi di e ' a partire da u=v=0): siano esse 


(10) ; (M u(a,0)=f(0) v(a,0)=®(a) 
0 (r) =u(0,8)=fi(8) v(0,8)=®1(8) 

E si supponga che le derivate prime di f (a), (a), fi (8), 
®, (8) esistano e siano inferiori a 5 in valore assoluto finchè 
la|<g, |Bl<g. A 

Se si indica con p il minore dei numeri g, vr: ; E , il metodo 
delle approssimazioni successive ci permette di affermare che 
esiste una coppia di funzioni «(a 8), (a 8) le quali nel campo 
definito da |a|< p, |B|< p danno punti (wv) appartenenti a 4, 


300 EUGENIO ELIA LEVI 


ammettono derivate prime finite e continue ed inferiori in mo- 
dulo a è, ammettono le due derivate miste anche esse continue 
ed inferiori in valore assoluto a M,, soddisfano a (9) ed hanno 
i valori iniziali (10). 

Ed il metodo delle approssimazioni successive ci permette (1) 
inoltre di affermare che la soluzione (08), v(aB) trovata è 
la sola soluzione di (9) la quale soddisfaccia alle condizioni ini- 
ziali (10). Infine si osservi che se 0 è l’angolo delle curve le 
F, nel punto a=B=0 si avrà 


e quindi in un campo conveniente le due funzioni «v sono ef- 
fettivamente indipendenti e ci determinano un doppio sistema 
di asintotiche cui appartengono le curve iniziali [ e T,: e che 
questo sistema è unico. Possiamo dunque dire: assegnate due 
curve arbitrarie a tangenti distinte, esiste sempre ed è deter- 
minata a meno di un movimento o di una simmetria una su- 
perficie deformata della data che ammette quelle curve come 
asintotiche (?): ed anzi si ha di più che la superficie è deter- 
minata a meno di un movimento se si assegna in un punto 
arbitrario di una di queste asintotiche il segno della torsione. 


5. — La proposizione precedente ci suggerisce immediata- 
mente la via che seguiremo nel dimostrare il nostro teorema: 
prese due superficie isometriche S ed ,S' si considerino le coppie 
di asintotiche T e f,, M e FM, di S ed S' uscenti da due punti 
corrispondenti e si determini una successione di coppie di curve 
Fe, non mai tangenti e tali che permettano di passare con 
continuità dalla coppia f, f, alla coppia l', M,: la successione 
delle superficie S corrispondenti permetterà di passare con con- 
tinuità da S ad S' oppure alla sua simmetrica. 


(') Seguendo un ragionamento analogo a quello con cui si dimostra 
l'unicità delle soluzioni delle equazioni a derivate ordinarie. Cfr. Goursar, 
Cours d’ Analyse, vol. II, pag. 372. 

(?) Questa osservazione ci permette di enunciare i teoremi 8) C) della 
nota del Bianchi togliendo l’ipotesi di essere nel caso analitico. 


T* — 9 


SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE 301 


Però l’ultima parte del ragionamento del n. precedente ci 
d (uv) | 
d (aB) 
campo di variabilità per «, v o per a, 8; perchè le conclusioni che 


vogliamo trarre siano legittime occorre dimostrare che esiste 
un campo in cui tutte le S' esistono: occorre cioè trovare un 


d (uv) __ —S sl 
ò (08) 
Supponiamo perciò che le funzioni f (a), ® (a), fi (8), ®1 (8) 


abbiano derivate seconde finite e che il numero 5 definito al 
n. 4 sia anche maggiore di tutte queste derivate. In questa ipo- 
tesi ricordando che già si suppose che le derivate quarte di 
E, F, G esistano e siano minori di .V, esisteranno pure nel campo 
Ja|< p, |B|< p tutte le derivate seconde di w, v, e saranno 
inferiori ad un numero N dipendente solo da d e da M. 
Quindi si potrà ancora trovare un numero N, dipendente 
do da 5 ì da M e maggiore numericamente delle funzioni 
DOG a mae x i); quindi se supponiamo ( - i 
du \ d (08) |? d (aB)}” :\d(aB)! 
isen 8|=> u, fissato un numero arbitrario € < u, potremo trovare 
un numero pi < p tanto piccolo che per |a|< pi, |B|< pi l’o- 


ò (uv) 


dice soltanto che è diverso da zero in un conveniente 


campo nelle variabili vv, in cui certamente sia sempre 


a.= =o| 


scillazione di d (08) la quale è <2N,p;, sia minore di u — e, 
e quindi tale che in tutto questo campo risulti ECGE in 


valore assoluto. p, dipende solo da e, u, d, M. 

Si noti infine che il campo |a|< pi, |B|<Pp, ha per im- 
magine in (xv) un campo X variabile a seconda delle curve 
iniziali (10), ma contenente sempre nell’interno il campo in cui 


' € » " = 
Mei lol< = poichè si ha 


[del =|d : per da| 
du |9R d (0) ia | ESITI 
Ò (aB) 


Rimane quindi totalmente eliminata l’obbiezione posta in- 
nanzi più sopra; basterà supporre che la successione delle curve 
E; , sia tale che l'angolo acuto che esse fanno non scenda mai 
al disotto del minore degli angoli di T, T, e di, , perchè si 
abbia una effettiva successione di superi che permettano di 
passare con continuità da S ad S' od alla sua simmetrica. 


302 EUGENIO ELIA LEVI — SULLA DEFORMAZIONE, ECC. 


E possiamo dire di più che noi passeremo da ,S proprio 
alla superficie S° se T e ' hanno torsione di ugual segno, alla 
sua simmetrica nel caso opposto. Ma la denominazione delle 
curve I e l', è affatto arbitraria, e le due curve [" e 1, hanno 
torsioni uguali ed opposte; quindi noi potremo sempre chiamare 
F' la curva che ha su S' torsione dello stesso segno di T; ed 
allora il procedimento precedente ci permette di distendere S 
proprio sulla superficie S'. 

Si può notare che, mentre quando ci si contenti di defor- 
mare S in S' o nella simmetrica di S' si può ottenere lo scopo 
mantenendo rigida prima una asintotica e poi l’altra, ciò non 
si può fare sempre nel caso in cui si voglia applicare proprio 
S sus, 


6. — Darò qui un esempio molto semplice di deformazione 
di una superficie a curvatura negativa nella simmetrica. Si im- 
magini una superficie pseudosferica S' che in un punto A abbia 
come asintotiche due rette fra loro ortogonali. 

Una tale superficie è congrua colla superficie simmetrica 
rispetto al piano tangente in A: essa si porta sulla simmetrica 
facendola rotare di un angolo retto attorno alla normale comune 
‘in A: però la corrispondenza tra i punti di S' e della superficie 
simmetrica che è determinata da questa congruenza non è la 
medesima corrispondenza che quella determinata dalla simme- 
tria. Ma una semplicissima modificazione del procedimento pre- 
cedente ci permette di generare una successione di deformate 
che porti la superficie S sulla simmetrica realizzando la corri- 
spondenza fra punti data dalla simmetria. Basterà considerare 
invero la successione di superficie che si ottengono da S facendo 
prima rotare S nello spazio attorno alla normale in 4 di un 
angolo a e poi facendo strisciare su sè stessa la superficie così 
ottenuta di un angolo — a attorno al punto A. È chiaro che 


la superficie che si ottiene per tal modo ponendo a = è pre- 


cisamente una superficie identica colla superficie simmetrica. 


G. PONZIO — AZIONE DEI SALI DI DIAZONIO, ECC. 303. 


—___—_——_4 — — -—_ -— — —_rr—— 


Azione dei sali di diazonio sul fenildinitrometano. 


Nota del Dott. G. PONZIO. 


Da parecchio tempo ho ripreso lo studio dei cosiddetti dini- 
troidrocarburi primari R.CHN:0, e specialmente di quelli solidi 
che ho ottenuto due anni fa (1) dalle aldossime aromatiche 
mediante il tetrossido di azoto. Riferisco ora su un composto 
giallo C,3HxoN40, che risulta per azione dell’acetato di fenildia- 
zonio sul sale potassico del fenildinitrometano e su due suoi 
isomeri di struttura, uno bianco e l’altro rosso, nei quali può 
facilmente trasformarsi. 

Il composto C,3HoN40, giallo, dato il suo modo di forma- 
zione ed il suo comportamento verso l'alcool, dev'essere consi- 
derato come il sale di fenildiazonio del fenildinitrometano: per 
esso sono possibili le tre formole di struttura seguenti: 


ONO; i ON20 

C;H;£ DE 
NO:-N==N;CoHst pala 0—NO=N=NCH; 

NO, 


CsH;.C:NO.0 — N= N.GHs 


che derivano dalle corrispondenti formole del sale potassico 


ONO GNE-0 
LA | NOx, | 
655: A: p 35 

NOK C,H,.—NOK 

NO, 
I 
C;H,.C:N0.0K 


(1) Gazz. Chim. 36, II, 287 e 588 (1906). 


304 G. PONZIO 


la prima delle quali fu da me dedotta dal comportamento chi- 
mico dei sali dei dinitroidrocarburi primari; la seconda è stata 
recentemente proposta da Hantzsch (1), ma è priva finora di 
dimostrazione sperimentale; la terza è analoga a quella gene- 
ralmente adottata pel sale potassico del fenilmononitrometano 


H 
| 
CsHg.C:N0.0K 


ma è esclusa da detto chimico pel sale giallo del fenildinitro- 

metano ed attribuita invece al leucosale. 
: Al composto C;3HyoN40; bianco si possono assegnare le due 

formole di struttura 

7Z0N0; 


CgHs.CO.N sii N.CeHs CsHs.C4 Mai N.C;H, 


| | 

J 

NO, NO " 0 
La prima, che è quella di una benzoilfenilnitronitrosoidra- 

zina, spiega bene il modo di comportarsi della sostanza verso 

l’acqua la quale, a freddo, sostituisce il gruppo NO; con un 

atomo di idrogeno dando luogo alla formazione di benzoilfenil- 

nitrosoidrazina 


C;H,.CO.N — N.C;H; C;H;.CO.NH.N.C;H; 
| — | 


| 
NO, NO NO 


che a sua volta, per azione dell’acqua a caldo, si trasforma in 
benzoilfenilidrazina, con sostituzione di un atomo di idrogeno al 
gruppo NO 


CH;.CO.NH.N.C;H; tg C;Hs.CO.NH.NH.C;H, 
I 
NO 
Adottando invece la seconda formola di struttura si do- 


vrebbe ammettere che la formazione della benzoilfenilnitroso- 


(1) Berichte 40, 1553 (1907). 


AZIONE DEI SALI DI DIAZONIO SUL FENILDINITROMETANO 305 


idrazina fosse preceduta da quella di un composto ossidrilico in- 
stabile: x 


cn, CONO > Has dà Da) 
NMESNOH, CROPON —'NIGUETE 
NO NO 
— C;H,.CO.NH.N.C;H, 


| 
NO 
Nessuna delle tre formole del sale di fenildiazonio del fe- 
nildinitrometano, poc'anzi prese in considerazione, permette di 
spiegare facilmente la sua isomerizzazione in benzoilfenilnitro- 
nitrosoidrazina. Ammettendo invece per detto sale la struttura: 


NO; 
C;H5.C-0.N = N.C;H; 
\No 
la trasposizione molecolare che esso può subire: 
Vis 
UH S0IN N GHgo. —> C5H5.CO.N — N.C;Hs 
NO NO, NO 


presenterebbe qualche analogia colla trasformazione testè os- 
servata da Dimroth e Hartmann (1) di un azocomposto in un 
idrazone e che consiste nel passaggio di un radicale acido dal 
carbonio alifatico all’azoto: 


C;H,.C0 api 
ERP CNN CH Pifinpa vo. 2 NINICH, 
AO, din PARTA O! Mio COCH, 


Ciò condurrebbe ad ammettere pel sale potassico del fenil- 
dimtrometano la formela di costituzione : 


DD. 
CsHs.C—0K 
NO 


(1) Berichte 40, 4460 (1907). 


306 G. PONZIO 


finora non proposta da alcuno e che mi riservo di discutere in 
un’altra Nota sulla base di esperienze che ho in corso. 

Il composto CigHoN40, rosso è un vero azoderivato, cioè 
il fenilazo-fenildinitrometano : 


(N03) 


;Hz.0 
SH NN=N.G;H;, 


Ammettendo pel fenildinitrometano due forme 
7N0; 


SA o ghe gii CNH 


la prima labile, e finora non isolata, e la seconda stabile (che 
è quella ordinaria, fusibile a 79°), si potrebbe attribuire al sale 
di fenildiazonio la formola di struttura 


NN0.0-N=N.CGH; 


e spiegare la sua trasformazione spontanea in fenilazo-fenildi- 
nitrometano come un passaggio alla forma stabile: 


PALE N08)» 


C;Hg.C 
*NN0.0—-N=N.C;H; \N=N.CH; 


AGO 
Ad ogni modo quest’ultimo è il primo composto finora co- 
nosciuto che contenga nella sua molecola i gruppi — NO, ed 


— N=NAr legati ad un medesimo atomo di carbonio, perchè, 


> noto. i-cosiddetti azonitroidrocarburi R.0CHÉ di 
GOMmezerno 0, 1 GOSI etti azonitroldrocarbUuri 7 XN — dg 1 


V. Meyer e di altri (1) furono recentemente riconosciuti da Bam- 


0 
berger (2) come idrazoni di nitroaldeidi ROC _ gli 


Mi sono già assicurato, che composti analoghi a quelli che 
ora descriverò si possono ottenere dagli altri dinitroidrocarburi 
primari ed anche con sali di altri diazoni; ma su questo argo- 
mento tornerò in una prossima Nota. 


(1) Berichte 8, 751 (1875), ecc. 
(2) Berichte 27, 155 (1894); 31, 2626 (1898); 33, 2043 (1900); 34, 2001, 
2017 (1901). 


AZIONE DEI SALI DI DIAZONIO SUL FENILDINITROMETANO 307 


Sale di fenildiazonio del fenildinitrometano. 
CsH;.C(N30,) (N3C;Hg). 


Questo composto si ottiene, con un rendimento teorico, fa- 
cendo gocciolare in una soluzione di acetato di fenildiazonio, 
mantenuta sempre a 0° mediante aggiunta di pezzetti di ghiaccio, 
la quantità equimolecolare di sale potassico del fenildinitrome- 
tano in soluzione acquosa al 2 °/, agitando continuamente (1). 
Ogni goccia che cade produce un intorbidamento seguito tosto 
dalla separazione di una sostanza solida cristallina, di colore 
giallo oro, la quale raccolta e lavata con acqua si secca sen- 
z’altro nel vuoto. 


Gr. 0,2294 di sostanza fornirono gr. 0,4564 di anidride car- 
bonica e gr. 0,0775 di acqua. 

Gr. 0,1580 di sostanza fornirono cc. 27,5 di azoto (H, = 
738,60 t= 18°), ossia gr. 0,031089. 


(1) Il sale potassico del fenildinitrometano si può ottenere rapida- 
mente trattando la benzaldossima (di fresco preparata e distillata nel 
vuoto) sciolta in etere anidro, con due molecole di tetrossido di azoto, 
nelle condizioni indicate in un mio precedente lavoro (loc. cit.); lavando 
la soluzione eterea con poca acqua ed aggiungendo quindi potassa alcoo- 
lica fino a reazione alcalina. Il sale greggio così ottenuto contiene un po’ 
di benzoato potassico, la maggior parte del quale si può eliminare me- 
diante successiva cristallizzazione dall'acqua; per avere però il sale potas- 
sico del fenildinitrometano perfettamente puro conviene ancora scioglierlo 
in acqua, acidificare la soluzione, ben raffreddata, con acido solforico di- 
luito, sciogliere in alcool il fenildinitrometano solido separatosi ed aggiun- 
gere soluzione alcoolica di idrato potassico fino a reazione leggermente 
alcalina. Così operando il sale si separa in larghe lamine rosse, le quali, 
dopo breve tempo, anche in presenza delle acque madri, si trasformano 
in prismi gialli; il cambiamento di colore è analogo a quello che avevo 
già osservato pel sale di potassio dell’anisildimtitrometano. Rendimento 70 °/,. 

In quanto alla soluzione di acetato di fenildiazonio, questa si può pre- 
parare nel modo noto sciogliendo l’anilina'in acido cloridrico diluito, dia- 
zotando con nitrito sodico, ed aggiungèndo poi acetato sodico; nel mio 
caso però si ottengono migliori risultati preparando prima a parte il clo- 
ruro di fenildiazonio solido, secondo il metodo di Hantzsch e Jochem 
(Berichte 34, 3838 (1901)) (cloridrato di anilina, acido acetico glaciale e 
nitrito di isoamile), sciogliendolo in acqua ben fredda e trattandolo quindi 
colla quantità calcolata di acetato sodico cristallizzato. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 24 


308 G. PONZIO 


Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per C,3HioN,0, 
I TI 
Carbonio 54.47 _ 54.54 
Idrogeno 3.75 —_ 3.49 
Azoto _ 19.60 19.58 


Come risulta dalle analisi, il sale di fenildiazonio del fenil- 
dinitrometano C;Hs.C (N30,) (NsC6H;) così preparato è perfetta- 
mente puro. Riscaldato lentamente si fonde verso 70° per de- 
comporsi verso 85° con sviluppo gassoso. 

È molto solubile a freddo nell’etere, nel benzolo, nel clo- 
roformio, nel solfuro di carbonio e nell’acetone; poco nell’alcool 
e pochissimo negli eteri di petrolio. È insolubile nell’acqua, ri- 
scaldato con questa si fonde svolgendo vapori nitrosi e trasfor- 
mandosi in una massa bruna dalla quale si può ricavare sol- 
tanto acido benzoico. Si scioglie nell’acido solforico concentrato 
con una magnifica colorazione azzurra intensa, che persiste per 
qualche ora e scompare per aggiunta di acqua. 

Non lo si può conservare inalterato più di 24 ore; trascorso 
questo tempo, comincia a cambiar di colore per diventare in 
ultimo intensamente rosso. Il fenomeno è dovuto alla sua isomeriz- 


ANO): 
zazione in fenilazo-fenildinitrometano Ito Quai CB, 


composto che si forma anche sciogliendolo in alcool, in etere 
od in acetone; per contro, sciolto in benzelo, in cloroformio 0 
in solfuro di carbonio si trasforma in benzoilfenilnitronitroso- 
idrazina C;H;.CO.N (NO;).N (NO).CsHs. 

Reagisce a caldo coll’alcool etilico dando luogo alla for- 
mazione di fenildinitrometano, di azoto, di acetaldeide e di ben- 
zolo (1). Però prima ancora che l’azione dell’aleool si manifesti 
nel senso ora indicato una parte del sale di fenildiazonio del 
fenildinitrometano si trasforma nell’isomero azocomposto, il quale, 
essendo poco solubile, si separa testo allo stato solido. L'ope- 
razione si fa im un apparecchio a ricadere previamente riem- 
pito di anidride carbonica e con un dispositivo atto a racco- 


(1) La stessa reazione ha pure luogo a freddo, ma molto lentamente. 


dana 


= 


AZIONE DEI SALI DI DIAZONIO SUL FENILDINITROMETANO 309° 


gliere i gas che si sviluppano nella reazione. Riscaldando len- 
tamente a bagno maria ha luogo una viva ‘effervescenza dovuta 
allo sviluppo di azoto (il quale fu riconosciuto all’analisi) e di 
acetaldeide. Cessata la reazione, si separa il fenilazo-feni]dini- 
trometano, si elimina il solvente (1), ed il residuo pastoso bruno 
si assoggetta alla distillazione del vapore, il quale trasporta 
assieme a fenildinitrometano, anche un po’ di benzoato di etile (2). 
Per isolare questi due composti si neutralizza il distillato con 
idrato potassico diluitissimo e si estrae con etere. Eliminando 
il solvente (dopo disseccamento su solfato sodico anidro) si ot- 
tiene un liquido di odore gradevole bollente verso 210°, il quale 
tratto con potassa alcoolica fornisce benzoato di potassio. 

Gr. 0,2376 di sostanza fornirono gr. 0,1232 di solfato po- 
tassico. 

Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per C;H;.COOK +- 1/3 Hs0 
Potassio 23.38 25.07 


La soluzione acquosa giallognola si acidifica con acido sol- 
forico diluito e si estrae con etere: questo asporta il fenildini- 
trometano che, ottenuto dopo eliminazione del solvente e cri- 
stallizzato dagli eteri di petrolio, si presenta in aghi bianchi 
fusibili a 79°. 

Per l’analisi fu trasformato in sale potassico. 

Gr. 0,1741 di sostanza fornirono gr. 0,0689 di solfato po- 
tassico. 

Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per C:H;KN;0, 
=.._P— iP _n 
Potassio . 17.13 17.72 


(1) Non mi sono occupato di ricercare il benzolo nel distillato; per 
farlo avrei dovuto impiegare grandi quantità di sostanza, il chè non ri- 
tenni conveniente. 

(2) La formazione del benzoato di etile è dovuta alla eterificazione di 
acido benzoico; che risulta probabilmente dalla parziale decomposizione del 
fenildinitrometano, il quale infatti si ritrova soltanto in piccola quantità. 


310 G. PONZIO 


Benzoilfenilnitronitrosoidrazina. 
C;H;.CO.N — N.C;H; 
| | 
NO, NO 


Si forma per trasposizione molecolare del sale di fenil- 
diazonio del fenildinitrometano sciolto a freddo in benzolo, clo- 
roformio ‘o solfuro di carbonio. Si prepara nel miglior modo 
operando con benzolo perfettamente anidro (1), raccogliendo le 
laminette bianche splendenti che, dopo qualche minuto, comin- 
ciano a separarsi dalla soluzione del sale raffreddata in ghiaccio, 
lavandole con etere e seccandole rapidamente nel vuoto. Rendi-, 
mento 60 0/0. 

I. Gr. 0,2167 di sostanza fornirono gr. 0,4309 di anidride 
carbonica e gr. 0,0760 di acqua. 
II. Gr. 0,1574 di sostanza fornirono cc. 26,1 di azoto 
(Ho = 738,69 t= 11°), ossia gr. 0,0380382. 
Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per Ci3HjpN,0, 
TT —— _—r e n 
I II 
Carbonio 54.23 — 54.54 
Idrogeno 3.89 =, 3.49 
Azoto 19.30 19.58 7 


La benzoilfenilnitronitrosoidrazina C3Hz.C0.N(N0).N(NO).C;Hs 
così ottenuta è, come risulta dall’analisi, perfettamente pura. 
Si fonde con decomposizione a 127°, ed è quasi insolubile a 
freddo nel benzolo, nell’etere, nel solfuro di carbonio e negli 
eteri di petrolio; molto solubile invece nell’alcool e nell’acetone 
e discretamente nel cloroformio. 

Con acido solforico concentrato, in presenza di fenolo, dà 
una colorazione verde smeraldo. 

Non la si può conservare inalterata che per breve tempo, 
dopo di che comincia ad ingiallire sviluppando vapori nitrosi; 


(1) Se il benzolo è umido, si svolgono vapori nitrosi e il rendimento 
è minore. 


AZIONE DEI SALI DI DIAZONIO SUI FENILDINITROMETANO 314 


la decomposizione è ancora più rapida in presenza di benzolo 
e sopratutto di cloroformio. 

Specialmente interessante è il suo modo di comportarsi 
verso l’acqua, la quale, « freddo, sostituisce il gruppo NO, con 
un atomo di idrogeno dando luogo alla formazione di benzoil- 
fenilnitrosoidrazina e di acido nitrico (1). 


C;H;.CO.N -— N.C;H; +H30=C;H;.CO.NH.N.C;Hy + HNO; 
| | 


Mpa 
NO, NO NO 


Trattando infatti la benzoilfenilnitronitrosoidrazina con 
acqua fredda, la soluzione quasi immediatamente si intorbida, e 
mentre si forma acido nitrico (la cui presenza si può riscontrare 
poi nelle acque madri) si separano dopo breve tempo laminette 
bianche, fusibili, con decomposizione, a 110° ed identiche colla 
benzoilfenilnitrosoidrazina C;H;.C0.NH.N(N0).C;H; già descritta 
da Voswinkel (2). 

I. Gr. 0,1974 di sostanza fornirono gr. 0,4670 di ani- 
dride carbonica e gr. 0,0882 di acqua. 
II. Gr. 0,1035 di sostanza fornirono ce. 16 di azoto 
(Ho == 725,i t= 11°) ossia gi 0,011400; 
Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per C,3HyjN30s 
I II 
Carbonio 64.52 —_ 64.73 
Idrogeno 4.95 — 4.56 
Azoto n 17.62 17.42 


E solubile a freddo in alcool, benzolo, etere, cloroformio; 
insolubile nell'acqua e negli eteri di petrolio. 


(1) Questo comportamento presenta una certa analogia con quello della 
dinitrosodibenzilidrazina, la quale, per azione dei solventi, o per semplice 
riscaldamento a 30°-40°, si trasforma in nitrosobenzalbenzilidrazone (Curtius 
e Quedenfelt, Journ. f. Prakt. Chem. 58, 379 (1898) e Curtius, 14. 62, 94 (1900). 

RSA == N.CH3.CoH; CsHz.CHs.N.N:CH.CjHy 
cd; I 
NO NO NO 


(2) Berichte 34, 2352 (1901) e 35, 1943 (1902). 


312 G. PONZIO 


Il sale C;H;.CO.NNa.N(NO).C;Hz che essa può formare 
si ottiene anche, naturalmente, trattando con idrato sodico la 
benzoilfenilnitronitrosoidrazina. 

Sulle proprietà della benzoilfenilnitrosoidrazina posso an- 
cora aggiungere che per azione dell’acqua bollente si trasforma, 
con sviluppo di vapori nitrosi, in benzoilfenilidrazina simmetrica 
C;Hs.CO.NH.NH.C;H;. Questa si separa, per raffreddamento, 
dalla soluzione acquosa e ricristallizzata dall’alcool si presenta 
in prismi bianchi fusibili a 168°, identici con quelli ottenuti da 
E. Fischer (1) per azione del cloruro di benzoile sulla fenili- 
drazina. 

I. Gr. 0,1932 di sostanza fornirono gr. 0,5208 di ani- 
dride carbonica e gr. 0,1027 di acqua. ; 
II. Gr. 0,1306 di sostanza fornirono cc. 15 di azoto 
(H, = 738,20 t= 13°), ossia gr. 0,017206. 
Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per C,3H,gN30 
—_—Ta5bsxszxgkktÈ Èkk; \-_ -»PVvV>:- 79293 î rT6ar—rFP-. 
I II 
Carbonio Tacall — 713.58 
Idrogeno 5.90 — 5.66 
Azoto - IRSLT 13.20 


La stessa benzoilfenilidrazina si ottiene pure, naturalmente, 
scaldando con acqua la benzoilfenilnitronitrosoidrazina, con pas- 
saggio pel nitrosoderivato. 

La trasformazione della benzoilfenilnitrosoidrazina in ben- 
zoilfenilidrazina 


C;H,.CO.NH.N.C;H, —> C;H;.CO.NH.NHG;H; 
| 
NO 


non era stata osservata da Voswinkel (loc. cit.); essendo essa 
di grande importanza per il mio lavoro, perchè analoga alla 
trasformazione, sopra accennata, della benzoilfenilnitronitroso- 
idrazina in benzoilfenilnitrosoidrazina (con sostituzione di un 
atomo di idrogeno ad un gruppo NO nel primo caso, ed a un 


(1) Annalen 190, 125 (1878). 


AZIONE DEI SALI DI DIAZONIO SUL FENILDINITROMETANO 313 


gruppo NO, nel secondo), ho creduto opportuno di prepare nuo- 
vamente la benzoilfenilnitrosoidrazina. col metodo indicato da 
detto chimico, cioè facendo agire nitrito potassico ed acido clo- 
ridrico sulla benzoilfenilidrazina sospesa in alcool. Come si po- 
teva prevedere, anche il composto ottenuto in questo modo si 
trasforma per azione dell’acqua bollente in benzoilfenilidrazina, 
sviluppando vapori nitrosi, precisamente come la benzoilfenil- 
nitrosoidrazina che risulta per azione dell’acqua fredda sulla 
benzoilfenilnitronitrosoidrazina. 


Fenilazo-fenildinitrometano. 


(N03) 


CHs Cr NEGA, 


Si forma lasciando a sè per 8-10 giorni il sale di fenildia- 
zonio del fenildinitrometano, ovvero sciogliendolo a freddo in alcool, 
in etere od in acetone. Per ottenerlo nel miglior modo conviene 
sciogliere il sale in etere umido: la soluzione gialla assume 
quasi subito un colore rosso e dopo qualche minuto comincia 
la separazione di aghi rossi, i quali raccolti e lavati bene con 
alcool, si cristallizzano dal cloroformio. Rendimento 95 °/,. 

La trasformazione del sale di diazonio nell’azocomposto è 
favorita dalla presenza dell’acqua; infatti con etere anidro (di- 
stillato sul sodio) il rendimento è minore (1). 
/(N03)a 
\N = NC;H, 
rificato si presenta in lunghi aghi rossi appiattiti, fusibili, con 
decomposizione, a temperature comprese frà 138° e 147° a se- 
conda del modo di riscaldamento. 

I. Gr. 0,2567 di sostanza fornirono gr. 0,5120 di ani- 
dride carbonica e gr. 0,0864 di acqua. 

II. Gr. 0,1163 di sostanza fornirono cc. 20,5 di azoto 
(H, = 733,62 t= 18°), ossia gr. 0,023301. 


Il fenilazo-fenildinitrometano C;Hz.C così pu- 


DI 


(1) Il fenilazo-fenildinitrometano si può ottenere perfino dalla soluzione 
benzolica del sale di diazonio del fenildinitrometano agitandola con acqua, 
mentre, come ho già detto, con benzolo anidro si ottiene la benzoilfenilni- 
tronitrosoidrazina. 

È 


314 G. PONZIO — AZIONE DEI SALI DI DIAZONIO, ECC. 


lioè su cento parti: 


trovato calcolato per CisHyoN,Ox 
I II 
Carbonio 54.38 — 54.54 
Idrogeno 3.74 “n 3.49 
Azoto — 19.70 19.58 


È insolubile nell'acqua, poco solubile a caldo e pochissimo 
a freddo nell’alcool; discretamente solubile a caldo e poco a 
freddo nel cloroformio, nel benzolo e nell’acido acetico glaciale; 
poco solubile sia a freddo che a caldo nell’etere, nel solfuro di 
carbonio e negli eteri di petrolio; solubile anche a freddo nel- 
l’acetone. 

A differenza dei suoi due isomeri, il fenilazo-fenildinitrome- 
tano è stabile; tuttavia per una prolungata ebollizione coll’acido 
cloridrico si altera lentamente sviluppando vapori nitrosi e re- 
sinificandosi in parte: fra i prodotti di decomposizione si ri- 
scontra acido benzoico. 

Torino, Istituto Chimico della R. Università. 
Dicembre 1907. 


Relazione intorno alla Memoria del Dott. D. BopDAERT, intito- 
lata: Misure magnetiche nei dintorni di Torino. Memoria II. 


Questa 22 Memoria Sulle misure magnetiche nei dintorni di 
Torino non è che il complemento della prima già approvata per 
l'inserzione nei volumi accademici. 

In questa è data la componente orizzontale nelle diverse 
stazioni in cui sono state fatte osservazioni magnetiche. 

I sottoscritti propongono l’accoglimento della Memoria nei 
volumi della nostra Accademia. 

Torino, 29 dicembre 1907. 

N. JADANZA 
A. NACCARI. 


> L’Accademico Segretario 
£» LoreENZO CAMERANO. 


Dit 


315 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 5 Gennaio 1908. 


PRESIEDE IL SOCIO BARONE ANTONIO MANNO 
DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Soci: Rossi, Cante, Brusa, ALLiEvo, Ca- 
RrUTTI, ReNIER, Pizzi, RurFINI, STAMPINI, D’ERcoLE, SFORZA © 
De SanorIS Segretario. 

Il Senatore D’'Ovipro Presidente dell’Accademia giustifica 
la sua assenza. 

Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente, 29 di- 
cembre 1907. 

Il Presidente, ricordando il desiderio espresso nella prece- 
dente seduta che venisse commemorato nella nostra Accademia 
il defunto Socio Graziapio Isara Ascoli, invita il Socio STAM- 
PINI a tenere la Commemorazione. Il Socio STAMPINI accetta. 

Per la inserzione negli Atti il Socio Rossi presenta una 
sua nota intitolata: Del Copto come base degli studi egittologici. 
Sua coltura in Europa e specialmente in Italia; e il Socio 
De Sanctis un suo saggio su L’Attide di Androzione e un pa- 


af 


piro di Oxyrhynchos. Pi 
Mi ci 
2. to) { 


316 FRANCESCO ROSSI 


LETTURE 


Del copto come base degli studi egittologici. 
Sui coltura in Europa e specialmente in Italia. 


Nota del Socio FRANCESCO ROSSI. 


L'antica lingua dei Faraoni parlata per più migliaia d'anni 
nella Valle del Nilo, è rappresentata nei documenti pervenuti 
sino a noi, da quattro distinte scritture, la geroglifica, cioè, la 
Jeratica, la demotica e la copta. 

La più antica di tutte è la scrittura geroglifica, o come 
suona il suo nome, sacra scolpita, ed i suoi segni essendo presso 
che tutti un'imitazione di oggetti reali, dal modo che sono essi 
rappresentati nella scrittura, si dividono in geroglifici puri, pro- 
filari e lineari. Diconsi puri quei geroglifici che riproducono 
non solo la linea esterna del contorno e dell'ombra, ma anche 
i tratti interni dell’ oggetto; e di questi geroglifici usati spe- 
cialmente a decorazione dei monumenti sia pubblici sia privati 
ci offrono modelli bellissimi i templi, gli obelischi e le scene 
dipinte delle tombe. Talvolta ‘ancora incidevano nel legno il 
solo contorno, e poscia con pietruzze, o smalti a colori diversi 
secondo la natura dell'oggetto, che dovevano rappresentare, ne 
indicavano i tratti interni in modo da formare veri mosaici, 
come sì può vedere in un frammento di cassa funeraria del 
Museo egizio di Torino. 

Diconsi invece profilari quei geroglifici, che riproducono solo 
il contorno dell’oggetto senza alcuna specificazione nell’interno, 
e questo è riempito tutto del colore adoperato per l’intiera iscri- 
zione. Esempi di questo genere di geroglifici abbiamo in quasi 
tutte le iscrizioni che adornano*i basso-rilievi, le statue, i vasi 
funerari e simili. 

Ma sentirono ben presto gli egiziani la difficoltà di ser- 
virsi per l’uso ordinario della vita di un sistema grafico così 


bi: 


f 


DEL COPTO COME BASE DEGLI STUDI EGITTOLOGICI 517 


complicato, e dovettero perciò cercare di rendere l’uso della 
scrittura più facile col ridurre al minor numero di tratti possi- 
bili i segni geroglifici, conservando ad ogni oggetto quel carat- 
tere speciale che lo fa tosto distinguere da ogni altro, e così 
ebbero origine i geroglifici lineari, che sono una pura sempli- 
ficazione ed abbreviazione dei profilari. 

Dalla scrittura geroglifica lineare, fu poi facile il passaggio 
alla scrittura jeratica, che è un'abbreviazione, o per meglio dire, 
una semplice contrazione della geroglifica lineare, introdotta spe- 
cialmente per l’uso dei papiri. Il papiro, come è noto, era la 
carta degli antichi egiziani, che ne formavano estesissimi fogli, 
su cui, come sui libri, i sacerdoti registravano i grandi avveni- 
menti e le geste dei loro re, e sono questi rotoli di papiro, 
pervenuti sino a noi, che ci fanno conoscere tutta la letteratura 
dell’antico Egitto. Infatti dalle lettere famigliari al poema noi 
troviamo in essi tutti i vari generi. di componimento in uso 
presso quell’antica nazione. Ma sopratutto numerosi sono î pa- 
piri così detti funerari, che si ponevano nei sarcofagi od in 
mezzo alle fasciature delle mummie, od a lato di esse in rotoli 
dentro cassette fatte ad immagine di Osiride, contenenti ora 
in carattere jeratico, ora in geroglifico le preghiere e le invo- 
cazioni che il defunto rivolgeva agli Dei, perchè lo proteggessero 
nei pericoli e contro i nemici nella lotta, che aveva a sostenere 
nel suo viaggio nel mondo sotterraneo. 

Lo studio di questi testi ha poi dimostrato, che la scrittura 
jeratica e la geroglifica rappresentavano una sola e stessa lingua, 
la lingua dei sacerdoti, la lingua cioè sacra e letteraria dell’an- 
tico Egitto. Ed il papiro risse, così chiamato dal nome del 
possessore, contenente in carattere jeratico gli ammaestramenti 
dello scriba Ptah-hotep, che visse alla corte di Assa, re della 
quinta dinastia, tremila anni circa avanti Cristo, ci attesta come 
la scrittura jeratica fosse già in uso presso gli Egiziani fin da 
quella remotissima epoca. 

Di gran lunga meno antica invece è la scrittura demotica, 
o popolare. adoperata da principio quasi esclusivamente per gli 
atti della vita privata, poichè i documenti più antichi che sino 
ad oggi si conoscono, dettati in questa scrittura, sono atti di 
quitanza su papiro, che si conservano nel Museo egizio di To- 
rino del tempo dei Psammetici, principi della XXVI°® dinastia, 


318 FRANCESCO ROSSI 


che cominciarono a regnare in Egitto verso la fine del settimo 
secolo avanti Cristo. 

Un attento esame di questi documenti ha dimostrato, come 
la scrittura demotica siasi formata per abbreviazione e sempli- 
ficazione della jeratica allo stesso modo, che questa si formò 
dalla geroglifica ; epperò noi non dovremo vedere altro nei 
segni demotici che ‘una abbreviazione e semplificazione dei ge- 
roglifici. 

Ma mentre la scrittura geroglifica colla jeratica ci rappre- 
senta la lingua nobile o sacra dell’ antico Egitto, la demotica 
ci da invece la lingua volgare, la lingua parlata dal popolo. 

E questa distinzione delle due lingue è chiaramente indi- 
cata nella celebre tavola di Rosetta, che diede il più grande im- 
pulso al deciframento dei geroglifici. 

Contiene questa tavola, in una triplice iscrizione, geroglifica, 
demotica e greca, un decreto dei sacerdoti tutti dell'Egitto riu- 
nitisi a Memfi, in onore di Ptolomeo Epifane; i quali, per meglio 
perpetuare la memoria dei benefizi ricevuti dal re, stabilirono, 
che il decreto venisse inciso, dice il testo, in pietra nelle tre 
scritture in uso a quei tempi, geroglifica o sacra, demotica o del 
popolo, e greca. Questa scrittura demotica continuò ad essere 
adoperata in Egitto sino al terzo secolo dell’era cristiana, 
quando con l’introduzione del Cristianesimo in quella contrada, 
i seguaci della nuova religione, per ispogliarsi di tutto ciò che 
poteva loro ricordare l'antico culto, sostituirono all'alfabeto de- 
motico quello dei padri greci, che erano venuti a predicare loro 
il Vangelo, ritenendo solo dell’antica loro scrittura alcuni segni 
per esprimere quelle articolazioni speciali al popolo egiziano 
che mancavano nell’alfabeto greco, e l'alfabeto greco così mo- 
dificato fu chiamato copto, e copta la lingua dalle lettere di questo 
alfabeto rappresentata. 

Il copto quindi ci rappresenta la lingua parlata dal popolo 
in Egitto nel periodo cristiano, e sta all’antica lingua egizia 
come la lingua volgare o del popolo sta alla lingua scientifica 
o dei libri. 

Gli studi del Decacy, dell’Akerblad e dell’Joung sulla iscri- 
zione demotica della tavola di Rosetta vennero a confermare 
vieppiù l’opinione già emessa dal Salmatius, che la lingua copta 
fosse la rappresentante moderna dell’antica lingua dei Faraoni, 


DEL COPTO COME BASE DEGLI STUDI EGITTOLOGICI 319 


e dovesse quindi contenere in sè non solo le radici, ma anche 
le forme grammaticali di quell’antico idioma. Epperò lo Cham- 
pollion, a cui era serbata la gloria di sciogliere vittoriosamente 
l'enigma della sfinge egiziana, si preparò alla soluzione del- 
l’arduo problema, che fu la meta costante di tutta la sua vita, 
con un profondo studio della lingua copta, dettando con quella 
lucidità, che è propria degli scritti del grande francese, una 
grammatica ed un dizionario copto, che, sebbene scritti solo per 
uso proprio, non rifiutava di comunicare a quanti gliene face- 
vano richiesta. Imperocchè egli non fece mai mistero dei risultati 
delle sue ricerche, ed il frutto delle sue veglie partecipava volon- 
teroso a quelli che vedesse con amore coltivare i suoi stessi studi. 

Come lo Champollion, così anche i nostri due illustri egit- 
tologi Ippolito Rosellini di Pisa e Francesco Salvolini di Faenza 
posero il copto a base delle loro ricerche. 

Il Rosellini, che fu l’amico e compagno diletto dello Cham- 
pollion nella spedizione scientifica in Egitto, compitasi sotto gli 
auspicî dei due Governi di Francia e di Toscana, compose una 
grammatica copta sulle traccie di quella del suo illustre collega, 
e fu il primo a diffondere presso di noi dall'Ateneo pisano, ove 
era professore di lingue orientali, le dottrine del grande Fran- 
cese, esposte con tanta lucidità di idee nello splendido lavoro 
da lui pubblicato sotto il modesto titolo di Précis du système hié- 
roglyphique des anciens Egyptiens, ove ha dimostrato come egli 
avesse vittoriosamente risolto il grande problema del decifra- 
mento dei geroglifici. 

Del Salvolini, troppo ingiustamente oggi da noi obbliato, 
permettetemi che vi ricordi brevemente la non lunga, ma ope- 
rosa vita. Mostrò quest’eletto ingegno fin da giovinetto un grande 
amore per gli studi classici, ed all’età di 15 anni componeva 
già nella sua Faenza, in occasione che una sua sorella vestiva 
l'abito monacale, un poemetto in lingua latina che gli procacciò 
le lodi dei dotti. Recatosi poscia a Bologna per consacrarsi allo 
studio delle lingue orientali, insegnate in quell’illustre Università 
dal celebre cardinale Mezzofanti, ebbe conoscenza della grande 
scoperta dello.Champollion, e. ben tosto vide nell’archeologia 
egiziana un vasto campo. alla sua ambizione ed alla sua attitu- 
dine per lo studio delle lingue. A tal fine attese con instancabile 
zelo per due anni consecutivi allo studio del copto, che sapeva 


320 FRANCESCO ROSSI 


indispensabile per la conoscenza della lingua dei geroglifici, non 
tralasciando nel medesimo tempo di tenersi informato degli 
scritti, che andavansi pubblicando sulla lingua e scrittura del- 
l'antico Egitto. 

Con tal corredo di cognizioni si risolse quindi di recarsi a 
Parigi per approfittare dei consigli e delle lezioni dello Cham- 
pollion. Ma prima volle passare a Pisa, ove trovò il Rosellini, 
che attendeva alla pubblicazione della sua grande opera / mo- 
numenti dell'Egitto e della Nubia, i cui materiali aveva raccolto 
insieme con lo Champollion in 15 mesi di incessanti e faticose 
ricerche nel suolo egiziano. Questi accolse benignamente il gio- 
vane Faentino, e conosciuto il suo desiderio, lo animò vieppiù 
a metterlo in atto, dandogli lettere di raccomandazione pel 
grande scienziato francese, col quale era legato, come dicemmo, 
dalla più tenera ed affettuosa amicizia. Con tali lettere, giunto 
a Parigi, il Salvolini fu ricevuto dallo Champollion colla massima 
benevolenza, ed egli seppe così ben cattivarsi il suo affetto, che, 
predigendolo tra i suoi discepoli, lo iniziò non solo nei più minuti 
segreti della sua scoperta, ma gli comunicava ancora i fogli che 
andava man mano scrivendo della sua grammatica geroglifica. 
E quasi egli fosse presago della sua prossima fine, si affrettò 
a porre a parte di tutte le sue osservazioni e di tutte le sne sco- 
perte il giovane italiano, per assicurare alla novella scienza da 
lui creata, un operoso e zelante seguace, che dopo la sua morte 
la proteggesse e la estendesse. 

E da tanto era appunto il nostro Salvolini. Infatti dopo la 
morte dello Champollion, vedendo, che il miglior modo di con- 
vertire gli increduli o gli avversari del sistema geroglifico del 
suo maestro, era di esporre e discutere in modo solido e coscien- 
zioso le varie parti, si fece a pubblicare le sue lettere all'abate 
Gazzera, ove trattando della notazione delle date sui monumenti 
dell’antico Egitto secondo l'iscrizione di Rosetta, ci diede le 
modificazioni, le correzioni e le prove, che gli erano state co- 
municate dalla bocca del maestro o da lui stesso scoperte; ed 
intanto lavorava indefessamente alla sua grande opera: L'analisi 
grammaticale ragionata dei differenti testi antichi egizii, dî cui 
pubblicava, coll’appoggio del Governo sardo, la' prima parte, ove 
diede, colla sua spiegazione dell’iscrizione geroglifica di Rosetta, 
la prima filologica interpretazione di un testo egiziano. 


VV. or 


DEL COPTO COME BASE DEGLI STUDI EGITTOLOGICI 321 


Ma la sua delicata costituzione non potè reggere ai con- 
tinui e prolungati studi, e nel febbraio del 1838 soccombeva 
alla fatale malattia che da qualche tempo lo travagliava, non 
compiuto ancora il sesto lustro di sua vita. 

La predilezione addimostrata dallo Champollion pel nostro 
giovane Faentino, e più ancora l’avere egli aspirato, sebbene 
vanamente, alla cattedra” da quello lasciata vacante, gli suscita- 
rono in Francia non pochi nemici, che gli mossero aspra guerra, 
e dopo la sua morte tacciandolo di plagiario, il sig. Dujardin 
giunse persino ad accusare il Salvolini di avere non solo trafu- 
gato al suo maestro delle carte, ma d'avere citato ancora erro- 
neamente alcuni passi della grammatica dello Champollion, per 
poterlì poscia correggere, e dare queste correzioni come sue 
proprie scoperte. 

Queste così gravi accuse trovarono dolorosamente eco in 
Italia e nocquero grandemente alla fama del povero Salvolini, 
facendo, che si opponessero perchè fosse continuata la pubbli- 
cazione de’ suoi dotti studi quegli illustri personaggi che prima 
l'avevano protetto. Epperò a togliere dall’ingiusto oblio il suo 
nome io voglio ricordare le parole, che all’annunzio della sua 
morte scriveva l'illustre Direttore del Museo di. Leida dottor 
Leemans : 

“ Non sarà necessario, scriveva questo valente egittologo, 
* dire quanto la filologia abbia perduto per la morte d’un uomo, 
“ che giovane ancora, aveva già reso così grandi servigi a questa 
“ scienza, e sul quale poteva fondare le più grandi speranze 
“ per il perfezionamento di uno studio, che sgraziatamente per- 
“ dette parecchi de’ suoi più validi sostegmi nel principio della 
“ sua esistenza. Coloro che hanno fatto uno studio particolare 
« dell'antica lingua dei Faraoni, sapranno apprezzare quanto 
abbia operato il Salvolimi per facilitarne la conoscenza, ed i felici 
risultati ottenuti, e che possonsi. ancora ottenere dalle sue 
pubblicazioni e dalle sue scoperte, non fanno che aumentare 
“in noi il rammarico di non esserci più dato di approfittare 
“ de’ suoi lumi e dei frutti del suo zelo e della sua perseve- 
“ ranza ,. 

A difenderlo poi dall'accusa di plagiario e a dimostrare 
Pamimo nobile e delicato del nostro giovane connazionale pia- 
eemi ricordare l’aneddoto narrato dallo stesso dottor Leemans. 


® 


322 FRANCESCO ROSSI 


Venuto nel 1834 il Salvolini a Leida per istudiare i monumenti 
egizi di quel celebre Museo, fu ospitato in casa de’ suoi geni- 
tori, i quali nei due mesi che vi dimorò lo tennero come uno 
della famiglia. E fu allora che il Salvolini “ mi comunicava a 
voce (egli scrive) citando a memoria ogni giorno una parte della 
grammatica egizia, che io andava scrivendo, perchè servisse di 
base a’ miei studi, finchè non avessi l’opera stessa dello Cham- 
pollion. Io avevo messo in testa a questi miei sunti il nome di 
Salvolini come quello dell'autore, e solo dopo la sua partenza 
da Leida io m’accorsi che egli aveva, cancellato il suo nome e 
sostituito quello dello Champollion. Jo {prosegue il Leemans) ho 
conservato questo foglio, che considero come un documento 
prezioso di buona fede, e come l’atto migliore a confermare il 
buon nome di un amico verso il quale ho tante obbligazioni ,. 

Ma tornando al nostro tema, noi abbiamo ancora a notare 
nel linguaggio volgare parlato dal popolo egiziano due distinti 
periodi, il primo che corre dal regno dei Psammetici sino al 
terzo secolo dell’era cristiana, rappresentato dalla scrittura de- 
motica, ed il secondo, che comincia coll’introduzione della reli- 
gione cristiana in Egitto, e va sino al decimo settimo secolo 
della nostra era, rappresentato dalla scrittura copta. 

Donde poi sia venuto questo nome di Copto, dato alla lingua 
parlata dal popolo egiziano dopo l’introduzione del Cristianesimo 
in quella contrada, sono corse quattro distinte opinioni, che mi 
farò ad esporre brevemente per ordine di tempo. 

La prima e più antica si fonda sopra una tradizione araba 
secondo la quale un re, dell'Egitto, per nome Mîsr, morendo 
lasciò il regno diviso, fra i suoi quattro figli, Achmour, Atrib, 
Scha è Kibt. Questi, convenuti a Memfi presso le piramidi, di 
comune accordo stabilirono di riconoscere re di tutto l'Egitto 
quello tra essi, che in singolare tenzone rimanesse vincitore. 
La lotta cominciò tra Ackhmour ed Atrib; Achmour vincitore da 
prima fu vinto da Scha, il quale alla sua volta fu vinto da 
Kibt, il più giovane dei quattro figli di Mîsr, che perciò venne 
proclamato re ed entrò trionfante in Memfi. Ed è dal nome di 
questo re, che gli scrittori arabi fanno derivare il vocabolo Copto. 

Secondo altri verrebbe questa parola da una mutilazione 
del nome Jacobit, con cui furono chiamati gli avversari del con- 
cilio Calcedonico, in opposizione agli ortodossi Melchiti; ed in- 


DEI, COPTO COME BASE DEGLI STUDI EGITTOLOGICI 323 


vero sotto il regno di Eraclio i cristiani lacobiti dell'Egitto 
erano generalmente designati col semplice nome di Copti. 

Una terza opinione sostenuta specialmente da Wilkins e da 
Pocoke, due illustri orientalisti inglesi, fa derivare questo nome 
da un’antica città dell'Egitto, che fin dai remoti tempi fu un 
emporio di 1° ordine. Imperocchè le merci che venivano dal- 
l'India, sbarcate al porto di Berenice e di Leukos, erano per 
mezzo di cammelli portate a questa città, e di qui, al tempo 
dei Faraoni, sparse nelle principali città del regno, ed in tempi 
meno remoti, portate int Alessandria, e quindi in Europa. Il 
nome di questa città era Aabt- o Kab.ta, come si legge in una 
stela di Hamamat, appartenente alla XX? dinastia, rappresen- 
tante il Dio Osiride colla leggenda: Asar-ned-Kab-ta, ossia Osi- 
ride Signore di Kab-ta. 

Oggi infine è opinione comune essere questo nome derivato 
dall'arabo ba è Kbt copto, che nonè è ‘altro che una corruzione 
del vocabolo greco arruntog, spogliato cioè del dittongo ini- 
ziale an e della desinenza 0g, usato a designare la terra di 
Kemi, vocabolo, che secondo il Brugsch sarebbe derivato dal 


gruppo geroglifico du si, Î j ha.ka.ptah significante 
nell'antica lingua egiziana: Casa del culto di Ptah, nome dato dagli 


antichi egiziani al famoso tempio innalzato in Memfi al Dio 


Ptah, da Mene il fondatore delle grandi dinastie faraoniche. 
Ma qualunque sia l'origine che si voglia dare a questa pa- 
rola, noi troviamo questa lingua, chiamata nelle scritture copte 
acmemname cioè lingua dell'Egitto, come pemmaHme erano 
chiamati i suoi abitanti, comparire storicamente solo verso la 
metà del terzo secolo della nostra era nelle lettere ai vescovi 
S. Atanasio e S. Teodoro, scritte dal padre dell’ascetismo e mo- 
nachismo egizio S. Antonio, il quale, come sappiamo, non parlò 
altra lingua che la copta, la quale, divenutà a’ suoi tempi la lingua 
dominante del paese, rimase tale sino all'invasione araba. Ma 
venuto l'Egitto in potere dei seguaci di Maometto, dovettero i 
suoi abitanti adattarsi ad apprendere la lingua dei nuovi conqui- 
statori, ed a misura che questa «progrediva, cadeva sempre più 
in disuso il copto. Tuttavia mentre nell’inferiore Egitto la lingua 
copta era costretta a rifugiarsi nei monasteri, ove il leggere e 
copiare scritti copti si faceva per la regola del chiostro, nel 
superiore Egitto, meno soggetto all’influsso arabo, si continuò 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 25 


324 FRANCESCO ROSSI 


ancora per lungo tempo a parlare la lingua nazionale, poichè 
l'arabo Makrizi, nella sua storia dell’Egitto scrive, che nel de- 
cimo quinto secolo le donne ed i fanciulli del superiore Egitto 
non parlavano altro che il copto. 

Ma verso il decimo settimo secolo non solo era scomparsa 
affatto dalla vita del popolo la lingua copta, ma per la bar- 
barie sempre più estendentesi in quella infelice contrada, gli stessi 
sacerdoti copti non erano più capaci di leggere e comprendere 
i libri sacri dettati nella loro lingua senza l’aiuto delle tradu- 
zioni arabe scritte sui margini dei loro libri. 

Mentre così miseramente si spegneva in quella terra ogni 


traccia dell'antica lingua, in Europa l’illustre Peiresc cercava. 


di rivolgere l’attenzione dei dotti su questa lingua, che gli pa- 
reva non avere alcuna analogia cogli idiomi conosciuti, ed era 
stata per sì lungo tempo parlata sulle sponde del Nilo da una 
nazione cristiana. A tal fine'raccolto con grandi spese il maggior 


numero possibile di manoscrithi copti, li pose nelle mani di uno 


dei più dotti uomini de’ suoi ‘tempi, il Salmasius, il quale senza 
altra guida ed aiuto che il suo instancabile zelo, riuscì a pene- 
trare lo spirito di questa lingua, facendosi per mezzo di essa a 
spiegare parecchi antichi vocaboli egizi, tolti dagli autori greci 
e latini. Quasi nel medesimo tempo il padre Atanasio Kirker, 
al quale veniva affidata la pubblicazione del lexicon arabo-copto 
accompagnato da una grammatica che Pietro Della Valle aveva 
portato nel 1626 dal suo viaggio in Oriente, pubblicava a Roma, 
coll’aiuto dei manoscritti della biblioteca vaticana, il suo Pro- 
dromus Egyptiacus, che contiene parecchie dissertazioni preli- 
minari con un saggio di grammatica copta. E qualche anno 
dopo pubblicava la Lingua Agyptiaca restituta, contenente le 
grammatiche con un vocabolario copto-arabo insieme alla loro 
versione latina; opera, che contribuì più d'ogni altra a promuo- 
vere lo studio della lingua copta, procacciando all’autore colla 
lode la riconoscenza dei dotti. i 

Due altri illustri raccoglitori di codici copti degni di ricor- 
danza, furono l'inglese Huntington ed il tedesco Petreus. Il primo, 
durante il suo soggiorno in Sîffia ed in Egitto raccolse con grande 
zelo manoscritti orientali, e più specialmente copti, ma la morte: 
lo colse prima che avesse potuto usufruire del suo ricco tesoro, 
che passò tutto intero nella biblioteca Bodlejana di Oxford. 


x 


t DEI, COPTO COME BASE DEGLI STUDI EGITTOLOGICI 325 


Petreus, che si era distinto in Alemagna per la sua appli- 
cazione al copto, fece pure una lunga dimora in Egitto, ove 
acquistò pareechi manoscritti copti, e più altri ne copiò. Ritor- 
nato poscia in Europa, non potendo, per mancanza di mezzi, 
pubblicare tutti questi manoscritti, si ristrinse alla stampa 
del primo salmo con una versione araba ed un’altra latina, che 
uscì alla luce nel 1665 col titolo: Psalterium Davidis in lingua 
coptica seu agyptiaca una cum versione arabica nunc primum in 
latinum versum, et in lucem editum a Theodoro Petreus, Lugduni 
Batavorum, sumptibus auctoris. 'Tradusse pure in latino su testo 
copto l’Epistola di S. Paolo agli Efesî, che si conserva con gli 
altri manoscritti del Petreus nella biblioteca di Berlino. 

Ma incerti e lenti furono in questo primo periodo i passi 
nella coltura della lingua copta: la massima parte dei suoi testi 
giaceva manoscritta nelle biblioteche, e non ancora era stata 
notata la coesistenza dei suoi vari dialetti, cosicchè lo stu- 
dioso non aveva altra guida che il lessico pubblicato dal padre 
Kirker. 

Colla speranza di dare un più vivo impulso a questi studi, 
il Sommo Pontefice Clemente XI mandava nell’anno 1715 il ma- 
ronita Giuseppe Simone Assemani a far ricerche nei vari mo- 
nasteri dell'Egitto, di nuovi manoscritti copti. Ma il più bene- 
merito di questi studi è stato il Cardinale Borgia, il quale, come 
Segretario prima, poi Prefetto della Congregazione De Propa- 
ganda Fide, servendosi dell'autorità che gli procacciava il suo 
eminente grado, fece per mezzo dei missionari raccogliere un 
numero stragrande di manoscritti copti, che si affrettava di co- 
municare ai dotti italiani e stranieri che volessero consacrarsi 
allo studio di questa lingua. Intanto coll’opera del padre Georgi 
che nel suo alfabeto Tibetano aveva dato prova di una grande 
conoscenza della lingua copta, faceva stampare un antico fram- 
mento copto del suo gabinetto, contenente una parte degli atti 
di S. Coluto, ed affidava allo svedese Zoega, ma di antica fa- 
miglia veneta (1), tenuto in grande fama per la sua vasta erudi- 
zione e per i suoi scritti sulle antichità egizie, l’incarico di com- 
porre il catalogo ragionato dei manoscritti copti del suo gabinetto. 


(1) Vedi E. Teza, Zoega-Zuecca. Bozze di stampa. Padova, 1908, Tip. 
dei Fratelli Gallina. 


326 FRANCESCO RUSSI 


Ma questa preziosa opera, che era già compita alla morte del 
Cardinale, per una lite insorta fra i suoi eredi e la Congrega- 
zione De Propaganda Fide, non potè essere pubblicata che 
dopo la morte dell’autore, ed apparve solo nel 1810 col titolo : 
Catalogus codicum copticorum manuscriptorum qui in Museo Bor- 
giano Velitris adservantur. 

In tal modo lo studio della lingua copta si diffondeva per 

tutta l'Europa, e dalla Germania, dall'Inghilterra e dalla Francia 
sorsero uomini dottissimi a promuoverne sempre più la  col- 
tura, pubblicando ora traduzioni o commenti di codici copti, 
ora grammatiche e lessici, fra i quali merita particolare men- 
zione quello di Lacroze, stampato nel 1775 con le correzioni di 
Scholtz e le aggiunte di Woide. E fra le grammatiche fu molto 
apprezzata ai suoi tempi quella di Raffaele Tuki, vescovo di 
Arsinoe. Questo dotto prelato, di nascita copto, chiamato ad 
insegnare la lingua patria nel collegio Urbano De Propaganda 
Fide, vi pubblicava le opere liturgiche della sua Nazione in 
copto ed in arabo. Per cura poi di quell’illustre collegio romano 
veniva pubblicata la grammatica del Tuki, che apparve in Roma 
nel 1778 col titolo di Rudimenta linguae coptae, che sebbene sia 
lavoro povero di critica e di metodo, non cessa però di essere 
anche ai nostri giorni di grande aiuto agli studiosi per ‘i nume- 
rosissimi testi tebani e memfitici, che si trovano citati. 
_ Un altro lavoro di quei tempi che merita pure di essere 
ricordato è il glossarium dell’Iablonski. Quest'opera pubblicatasi 
a Leida nel 1804, dopo la morte dell'autore, con note di Gu- 
glielmo Tewater, professore di teologia in quella Università, si 
compone di una serie di opuscoli, in cui il dotto orientalista 
polacco prende ad esaminare e spiegare per mezzo del copto 
tutte quelle parole egizie, che trovansi sparse negli autori'greci 
e latini e nel testo ebfatico della Bibbia, da lui raccolte e di- 
sposte per ordine alfabetico. Ed in Francia il sig. Quatremère, 
il celebrato autore delle Recherches sur la langue et la littera- 
ture de l'Egypte, componeva pure un dizionario copto, che seb- 
bene rimasto sinora ‘manoscritto è tuttavia molto comesciuto ed 
apprezzato dai dotti francesi. ‘%. 

Nè in Italia mancarono in quel periodo i cultori di questa 
lingua e noi possiamo con orgoglio citare i nomi del padre Gio- 
vanni Luigi Mingarelli e dell’abate Valperga di Caluso. Il Min- 


€ 
Ù DEL COPTO COME BASE DEGLI STUDI EGITTOLOGICI 327 


garelli, datosi in età avanzata allo studio del copto, pubblicava 
in Bologna nel 1785 parecchi frammenti copti della biblioteca 
Naniana di Venezia, accompagnati da una traduzione latina e da 
erudite note; ma fu rapito dalla morte mentre stava preparando 
la pubblicazione degli altri codici di quella pregiata collezione. 

L'abate Valperga di Caluso, il precettore e l’amico del 
grande tragico italiano Vittorio Alfieri, fu professore di lingue 
orientali nella nostra Università, e fra i numerosi suoi scritti 
lasciò pure un prezioso compendio di grammatica copta, che fu 
stampato a Parma nel 1783 col modesto titolo di Rudimentum lit- 
teraturae copticae Didymi Taurinensis. E fra i cultori della lingua 
copta di quel secolo possiamo pure iscrivere il nome di Ignazio 
Derossi, che stampava a Roma nel 1808 un’opera utilissima per 
lo studio di questa lingua col titolo Etymologiae aegyptiacae, in 
cui prese a notare con molta profondità di dottrina le parole 
che i copti tolsero dalle altre lingue, dimostrando una grande 
conoscenza della lingua ebraica nel paragone che egli fa delle 
radici copte colle semitiche, sebbene poi nelle deduzioni, che 
ne vuol trarre per l'affinità di questa lingua coi dialetti semitici, 
non sia sempre nel vero. 

E questi nostri gloriosi avi posero coi loro scritti i germi 
che diedero negli ultimi tempi non pochi frutti. Poichè, oltre i 
nostri illustri egittologi Ippolito Rosellini e Francesco Salvolini 
già menzionati, coltivarono con onore gli studi del copto (Giu- 
seppe Bardelli, già allievo del Rosellini, e professore di lingua 
sanscrita e copta nell’Ateneo di Pisa; il padre Barnabita Luigi 
Ungarelli, il dotto interprete degli obelischi di Roma; il suo 
compagno di sodalizio, il padre Vercellone da Biella, ed il ca 
nonico Fabiani. i 

Ma il più illustre rappresentante degli studi copti in Italia 
del secolo XIX è l’abate Amedeo Peyron. Questi, che fu il di- 
seepolo prediletto del Caluso, cominciò la sua carriera scientifica 
con una pubblicazione di un lavoro critico sopra un manoscritto 
greco della nostra biblioteca nazionale, contenente frammenti di 
Empedocle e di Parmenide, pubblicazione che egli, per tentare 
il giudizio dei dotti, senza parlarne con alcuno faceva stampare 
in Germania, perchè il suo lavoro uscisse non preceduto da av- 
viso o raccomandazione. Ciò non pertanto questa sua monografia 
fu altamente apprezzata dai dotti, e specialmente dall’illustre 


328 FRANCESCO ROSSI 


ellenista Boissonade, che gli mandò per mezzo del celebre Cuvier, 
venuto a Torino in qualità di commissario delle Università di 
Francia, le sue congratulazioni. A questa tennero dietro pa- 
recchie altre dotte pubblicazioni, di cui mi restringerò a citare 
quelle che hanno maggiore attinenza coi nostri studi; epperò 
ricorderò innanzi tutto le splendide illustrazioni, che egli diede, 
dei papiri greco-egizi e della stela bilingue che si conservano 
nel Museo egizio. 

E mentre il Tattam pubblicava in Oxford il suo lodato di: 
zionario copto, il nostro Peyron faceva quasi contemporanea- 
mente stampare a Torino il suo lexicon, composto con metodo 
etimologico, disposto cioè per ordine di radici, senza tener quasi 
conto delle vocali, ed a questo fece succedere qualche anno dopo 
la grammatica copta, che forma col lessico i due più compiuti 
lavori che fossero sino allora usciti sulla lingua copta (1). 

Questo prezioso lessico del Peyron venne ancora negli ul- 
timi anni arricchito di nuove preziose aggiunte, pubblicate nel 
giornale di egittologia la Zeitschrift fiir aegyptische Sprache da 
due lodati cultori dell’egittologia, l’inglese Goodwin e l’egiziano 
Kabis. Quelle del primo furono pubblicate negli anni 1870-71, 
in una serie di articoli in detto giornale col titolo: Spigolature 
nella lessicografia copta, e quelle del secondo, cioè del Kabis, 
che fu già alunno nel collegio Urbano di Roma, videro la 
luce negli anni 1874 e 1876 col titolo: Auctarium lerici coptici 
Amedei Peyron. 

Intanto un nuovo risveglio ebbero nei giorni nostri questi 
studi per la scoperta in Egitto di una grande quantità di mano- 
scritti copti, che si vanno pubblicando sotto la direzione del 
professore Maspero, il quale alla morte di Mariette-Bey, il glorioso 
scopritore del celebre Serapeum, che arricchì di preziosi monu- 
menti la collezione egiziana del Louvre, fu nominato direttore 
del grande Museo di Boulaq, e continua con sì prosperi risultati 
gli scavi in quella monumentale contrada, incominciati dal suo 
predecessore. 


(1) Sulle sue traccie pubblicai nel 1877 la Grammatica copto-geroglifica 
con un’appendice dei principali segni sillabici e del loro significato, illu- 
strata da esempi; e nel 1901 la Grammatica egizia nelle tre scritture gero- 
glifica, demotica e copta. Ma per non trovarsi in tutta Italia una tipografia 
munita dei tipi demotici fu quest'ultima pubblicata solo autograficamente. 


DEL COPTO COME BASE DEGLI STUDI EGITTOLOGICI 329 


Sorse quindi fra i cultori della lingua copta una nobile gara 
di pubblicare tutti i testi che stanno ancora nascosti nelle varie 
biblioteche e collezioni egiziane. Così mentre in Russia il dot- 
tore Oscar-von-Lemm, già moto per parecchi lavori egittologici, 
iniziava la pubblicazione dei testi copti della Bibbia, che si 
conservano nell’imperiale Museo di Pietroburgo, il sig. Revillout 
pubblicava in Francia pareechi manoscritti copti non solo del 
Louvre, ma ancora di altri Musei d'Europa e del Cairo. Egli 
aperse inoltre le colonne del suo giornale la Revue gyptolo= 
gique agli seritti del povero vescovo copto Monsignor Bsiai che 
dopo un esilio di parecchi anni a Roma, ritornato in Egitto, 
alla sua terra natia, venne dopo pochì mesi rapito da repentina 
e misteriosa morte ai diletti suoi studi sulla lingua copta. 

Fra le ultime pubblicazioni copte della Germania devo ri- 
cordare quella del codice copto del nostro Museo, scritto su per- 
gamena con copertura in legno, contenente la Sapienza di Sirak 
e quella di Salomone, che l’illustre coptologo De la Garde fece 
sopra una copia avuta dall’ abate Amedeo Peyron. Inoltre il 
già citato giornale, la Zeitschrift fiir aegyptische Sprache, diretto, 
dopo la morte del Lepsius, dal suo discepolo il prof. Stern, pub- 
blica continuamente nelle sue colonne studi e testi copti di 
questo suo muovo e valente Direttore. 

Nè l'Italia sta indietro alle altre Nazioni nel pubblicare i 
testi copti delle sue collezioni. Infatti a Roma abbiamo Ignazio 
Guidi, professore di Siriaco in quell’Ateneo, che, oltre a suoi 
studi speciali, pubblica pure di tratto in tratto negli Atti del- 
l'Accademia dei Lincei testi copti della celebre biblioteca vati- 
cana. Questa intanto affidò la pubblicazione di tutti i testi 
copti biblici della sua giustamente rinomata collezione al Cardi- 
nale padre Ciasca, distinto coptologo, il quale diede alla luce il 
primo volume dei frammenti copto-saidici con 17 grandi tavole 
in fotolitografia, che riproducono in modo veramente splendido 
le migliori pagine di quei testi. 

Un'altra pubblicazione non meno meritevole di lode è quella 
intrapresa da Enrico Hyvernat, che fu già professore di assi- 
riologia e di egittologia al seminario romano, col titolo; Gli 
Atti dei martiri dell'Egitto, tratti dai manoseritti copti della bi- 
blioteca vaticana e del Museo Borgia. 

Così pure la nostra Accademia delle Scienze pubblicava 


330 FRANCESCO ROSSI — DEL COPTO COME BASE, ECC. 


nelle sue Memorie (anni 1883-1892) i papiri copti della celebre 
collezione Drovetti, che si conservano nel Museo egizio di To- 
rino, di modo che essi sono stati raccolti in due grandi volumi 
di 400 pagine ciascuno, con parecchie tavole litografiche. 

Ed a questa collezione appartiene pure il papiro copto da 
me trovato nel 1891 in un vecchio armadio del magazzino del 
Museo, ove giaceva obliato, sin da quando fu portato dall'Egitto, in 
fondo di una rozza cassetta di legno, sepolto sotto un grande 
numero di frammenti e frastagli di cuoio di antiche legature 
copte. E questo papiro ridotto, dall'azione del tempo, e più an- 
cora dal tarlo, in deplorevole stato, io pubblicai nel 1893 nelle 
Memorie della Reale Accademia dei Lincei col titolo: Un nuovo 
codice copto del Museo. egizio di Torino, contenente la Vita di 
S. Epifanio vescovo di Costanza in Cipro, ed i martiri di Pan- 
taleone, di Nicomedia, che iniziato alla fede di Cristo dal vecchio 
sacerdote Sant'Ermolao abbandona la medicina, che per volere 
del padre studiava sotto la disciplina di Eufrosino, rinomato 
medico di quei tempi, e professando apertamente la religione 
cristiana sostiene coraggiosamente il martirio sotto l’imperatore 
Massiminiano. Seguono quindi collegati tra loro i martìri di Ascla, 
di Apollonio e di Filemone, i quali tutti per la fede di Cristo 
incontrarono la morte sotto Ariano, governatore della Tebaide. 
Ariano stesso poi dopo aver perseguitato i cristiani, colpito dai 
prodigi operati dal martire Filemone, si converte al cristiane- 
simo, e per esso sostiene il martirio sotto l’imperatore Diocle- 
ziano. Il codice termina col martirio di un guerriero, appartenente 
alla Legione decima (se non è errato il titolo di decimano datogli 
dallo scriba copto), chiamato Dios, il quale sfidando l'ira del- 
l’imperatore Massimino muore fra i tormenti campione di Cristo. 

Ed infine la nostra Accademia delle Scienze, colla pubbli- 
cazione che ha fatto nelle sue Memorie, dei manoscritti copti 
donati dall'abate Amedeo Peyron alla biblioteca nazionale, ha 
conservato alla scienza i testi di questi preziosi manoscritti, che 
andarono totalmente distrutti nel grave incendio della nostra 
biblioteca; fra i quali è di particolare interesse il testo riguar- 
dante un trattato gnostico in dialetto copto-tebano, sulle parti- 
colari virtù che hanno da Dio gli spiriti celesti. 


7 GAETANO DE SANCTIS. — L’ATTIDE DI ANDROZIONE, ECC. 331 


L’Attide di Androzione e un papiro di Oxyrhynchos. 


Nota di GAETANO DE SANCTIS 


Un papiro scoperto in Egitto il 13 gennaio 1906 e pub- 
blicato non ha guari da B. Grenfell e A. Hunt nel quinto volume 
degli Oxyrhynchus Papyri (London 1908) col n. 842, contiene 
varie pagine di un’opera storica del sec. IV av. Cr., che trat- 
tano largamente intorno alle vicende degli anni 396 e 395 nella 
penisola ellenica e nell'Asia Minore. La scoperta è importan- 
tissima e per le notizie in parte fin qui «ignote che il papiro 
contiene sulla: storia di quegli anni, e tra le quali vanno sopra 
ogni cosa segnalate le informazioni concise, ma lucide, che dà 
sull'ordinamento che aveva allora la lega beotica, e per i nuovi 
elementi che fornisce a chi studia il formarsi della tradizione 
su quella età a noi pervenuta per mezzo degli scrittori più 
recenti, come Nepote, Diodoro, Plutarco e (Giustino. Ma per 
giudicare appieno del valore delle notizie contenute nel papiro 
e soprattutto per trarne interamente le conseguenze che possono 
ricavarsene intorno al costituirsi della tradizione, occorrerebbe 
determinarne l’autore o almeno dell’autore stabilire con pre- 
cisione l’età, la patria, la tendenza. 

Su questo problema si sono già sperimentati non solo i 
benemeriti editori del papiro, ma anche gli eruditi a cui essi 
hanno fatto copia del testo prima che fosse reso di pubblica 
ragione, in particolare E. Meyer, U. di Wilamowitz-Méllendorff 
e il compianto Fed. Blass: dei quali i due primi, seguìti dagli 
editori, attribuiscono il papiro a Teopompo, l’ultimo, seguìto da 
J. B. Bury e da E. M. Walker, a Cratippo. Era infatti naturale, 
direi anzi inevitabile, che si pensasse ad attribuire un’opera 
storica in cui si trattava largamente ‘dei primi anni del see. IV 


932 GAETANO! DE SANCTIS è p° 


ad uno dei continuatori di Tucidide; e Tucidide, Le, quanto noi 
sappiamo, oltrechè da Senofonte, fu continuato soltanto da Teo- 
pompo e da Cratippo. di 

Eppure l'attribuzione a Teopompo è da respingere per ra- 
gioni così ovvie e manifeste che non sarebbe forse neppure il 
caso di enunciarle ov’essa non venisse patrocinata da eruditi 
del valore e dall’autorità del Meyer e del Wilamowitz. Del resto 
gli editori non hanno mancato essi stessi di mettere onesta- 
mente in luce le difficoltà cui andava incontro l'ipotesi da Joro 
accolta. Innanzi tutto l’opera storica di cui discorriamo tratta 
delle relazioni tra Focesi, Locresi e Beoti in modo tale da di- 
mostrarsi scritta non solo anteriormente alla battaglia di Che- 
ronea, ma anche, se non ai primordì (357), almeno al termine 
della guerra sacra (346). Inoltre l’autore non usa affatto le Elle- 
niche di Senofonte che, secondo ogni probabilità, vennero alla luce 
varì anni prima della metà ‘del sec. IV; anzi non ne tien conto 
neppure dove, se le avesse conosciute, sarebbe stato più naturale 
che vi avesse ricorso, nella storia delle campagne d’'Agesilao in 
Asia, di cui Senofonte*discorre come testimone oculare; e ciò seb- 
bene appaia chiaramente che il nostro storico non mancava d’ae- 
curatezza e assai più di Senofonte cercava informazioni su tutti 
senza distinzione gli avvenimenti che si riferivano al periodo 
da lui trattato. Ora Teopompo, secondo la testimonianza del 
patriarca Fozio, che risale probabilmente in ultima analisi alle 
xiakai émiotoNai dello storico e che, trovandosi d'accordo con 
quel che sappiamo di più sicuro intorno a lui, è stata fim qui 
generalmente accolta dagli eruditi, era in età di quarantacinque 
anni quando per volontà di Alessandro Magno tornò nella sua 
sua patria Chio ond’era esule (333). Dev essere nato quindi 
nel 378 o al più presto intorno al 380. Perciò, secondo ogni pro- 
babilità, quando fu seritta la storia di cui ci occupiamo Teo- 
pompo non era che un giovane venticinquenne o trentenne. Ora 
le sue Elleniche in dodici libri giungevano fino alla battaglia 
di Cnido (394). I fatti pertanto del 396 e del 395 non potevano 
esservi riferiti che im uno degli ultimi libri, e probabilmente 
nell’undecimo. Egli avrebbe dunque compiuta la maggior parte 
dell’opera sua tra i venti e i trent'anni. 

Nessuno vorrà dire che ciò sia molto verisimile. Ma v’ha 
di più. Con grande abbondanza di particolari è riportata nel 


‘@ 7 : b 
of ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRBYNCHOS 333 


papiro la notizia che un tal Demeneto al Pireo mise in mare 
per conto suo eme con cui salpò per raggiungere (onone. 
Or questo fatto, di mediocrissima importanza per chi non nar- 
rava la storia da un punto di vista strettamente ateniese, è dif- 
ficile che potesse esser riferito con tal larghezza da uno che non 
ne fosse stato testimone oculare. Quindi nel 396 lo storico non 
solo già viveva, e in Atene, ma era in grado di rimanere im- 
pressionato dei fatti che si svolgevano sotto i suoi occhi. È però 
non può in aleun modo trattarsi di Teopompo. Certamente v'è 
un modo di sfaggire a questa conclusione. Teopompo, può dirsi, 
attinse la notizia ad una fonte scritta. Ma non è verisimile che 
l'autore del papiro, il quale non aveva neppure dinanzi a sè 
le Elleniche di Senofonte, o le trascurava, disponesse pel periodo 
da lui trattato d'una letteratura a cui poter attingere simili par- 
ticolari, e se ne desse cura; e anche ammesso ciò, se si capisce 
benissimo come uno serittore che s'era trovato in Atene nel 396 
alla partenza di quella trireme ed aveva visto e condiviso il 
terrore o l'entusiasmo con cui l’ardimento di Demeneto era stato 
accolto tra i suoi concittadini, ne facesse menzione nella sua 
storia di quei tempi; assai meno si capisce che d’un fatto di 
sì poca conseguenza si occupasse tanti anni dopo uno storico 
di Chio. 

Ad ogni modo meniamo per buone tutte queste inverisimi- 
glianze. Un punto assai degno di considerazione è che Diodoro 
risente senza alcun dubbio la efficacia del nostro storico, ma 
non l'usa direttamente. Ciò si vede prima di tutto a proposito 
della ribellione di Rodi agli Spartani. Questa accadde, stando a 
Diodoro, quando non si voglia forzarne il testo, prima che V'ar- 
mata di Conone si accrescesse del contingente fenicio condottogli 
dal re di Sidone (XIV, 79, 7); stando al papiro, dopo che Conone 
ebbe ricevuto questo rinforzo. La versione del papiro è certo 
preferibile; ma è degno di nota come la fonte di Diodoro, at- 
tingendo al nostro autore particolari che non trovava in Seno- 
fonte, ne abbia alterato il racconto. E questa alterazione ha un 
motivo evidente: esagerare il merito di Conone e dei Ciprioti 
che erano con lui, attribuendo ad essi un successo felice che 
si doveva agli aiuti barbarici. Non meno notevole è la concordia 
tra Diodoro (XIV, 80) e il papiro rispetto alla vittoria di Age- 
silao presso il fiume Pattolo, che Senofonte narra in modo affatto 


334 GAETANO DE SANCTIS Fo) È 


diverso. Eppure anche qui è facile vedere che Diodoro non 
segue direttamente il nostro autore. Non parlo dei seimila ne- 
mici uccisi in luogo dei seicento menzionati nel papiro, che son 
dovuti certo a svista d’amanuensi o ad errore di lettura dello 
storico d'Agirio; ma nel racconto pur più conciso di Diodoro 
non manca la menzione del peana al cui canto i Greci si scaglia- 
rono contro i barbari: particolare che nel papiro non è e che 
Diodoro deve certo alla sua fonte diretta. Un ulteriore raffronto 
sarebbe istruttivo, ma non è necessario al tema di cui mi occupo. 
Mi basti assodare che il racconto di Diodoro dipende, ma non 
direttamente, da quello che è dato nel papiro. Che Diodoro abbia 
proceduto lui stesso ad una contaminazione di fonti è escluso 
dal metodo usato generalmente da questo miserrimo tra gli sto- 
rici antichi. E noto che in generale egli non ci ha dato che 
serie d’estratti presi da singoli storici. Nel caso nostro poi la 
cosa è evidente anche per questo: delle due alterazioni che 
abbiamo segnalato alla narrazione fornita dal papiro, luna è 
dovuta alla stessa tendenza favorevole ai Greci e in particolare 
agli Ateniesi, di cui Eforo, una delle principali fonti di Diodoro 
per la storia greca, dà saggio ad ogni tratto; l’altra è dovuta 
alla stessa ricerca d’abbellimenti retorici a cui anche altrove 
sacrifica la verità storica, e talora in modo al tutto analogo, lo 
stesso Eforo. E inoltre con l’uso d’ Eforo si spiega anche il 
disordine della cronologia di Diodoro, di cui sarebbe assai più 
difficile render ragione se egli avesse usato direttamente un 
annalista (v. Walker presso gli editori a p. 137). Che qui nel 
XIV libro di Diodoro Eforo sia la fonte principalissima e pro- 
babilmente unica per la storia greca, è stato asserito, e con 
ottime ragioni, da parecchi critici. A noi basti ricordare il con- 
tatto verbale tra Diodoro XIV, 13 e 98, 2 e i fr. 127 e 134 
d'Eforo e la menzione di Cuma (XIV, 79, 3), la città nativa 
d'Eforo, che questo storico soleva ricordare sovente, a proposito 
ed a sproposito, nel racconto della spedizione stessa d’A gesilao, 
in un luogo in cui Senofonte non ne faceva alcun cenno. Quindi 
Eforo avrebbe usato nella sua storia, e trascrivendole in qualche 
punto alla lettera, le Elleniche di Teopompo. Ora ciò non è 
molto verisimile, tanto più in quanto Eforo non pare fosse più 
giovane di Teopompo; e pare che morisse assai prima di lui. 
Teopompo infatti sopravvisse, e forse non di poco, alla morte 


“ipo -L’ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 395 


di Alessandro (323). Eforo sopravvisse di poco alla partenza di 
Alessandro per l’Asia (334), come fa credere tra altro l’esser 
rimasta bruscamente interrotta in mezzo ai fatti del regno di 
Filippo la sua storia, a cui il figlio Demofilo dovette aggiungere 
il racconto della guerra sacra. Inoltre è bene ricordare che la 
storia d’Eforo è stata usata da Aristotele non solo nella mo\teia 
A@nvaiwv, ma secondo ogni probabilità anche nella Politica, di 
parecchio anteriore; ed è pur bene ricordare che una buona 
parte dell’opera sua deve averla Eforo composta durante gli 
anni che precedettero alla battaglia di Cheronea. La lode ai Beoti 
pel loro primato militare, che Diodoro (XI, 82, 3) traserive con 
incredibile leggerezza da Eforo, quando la potenza militare dei 
Beoti, anzi di tutti i Greci, più non esisteva, fu scritta ante- 
riormente al 338, cioè prima che la battaglia di Cheronea di- 
mostrasse la superiorità dell’Ares macedone. 

Queste difficoltà cronologiche son gravi, ma ve ne hanno altre 
a mio vedere assai più gravi, sebbene non, come queste, riducibili 
in cifre. Di Teopompo possediamo parecchi frammenti, e si ha il 
giudizio datone da un altro storico che aveva letto, e accurata- 
mente, le sue opere, Dionisio di Alicarnasso (ad Cn. Pomp., 6). 
Ora Dionisio ci dice che Teopompo era acuto e severo giudice delle 
azioni umane e dei loro motivi riposti, terribile nel riprendere le 
colpe degli uomini e dei popoli, alto e magnifico nella lingua e ar- 
monioso nel periodare (xaBapà Te yàp N XMéz1g kai Kkoivî Kkaù Cagng 
Ùyn)n Te kai ueradotpetmmg kai TÒ Toumikòv éxouda Tori, cUfKkeluévn 
TE Katà T)V uéonv dpuoviav, Ndéwg kai uarakwòsg péovoa). Di tali 
qualità non mancano esempi, tutt'altro che dispregevoli, nei 
frammenti. Si confronti, per non citarne che un paio, il giudizio 
sulla corte di Filippo figlio d’Aminta conservatoci in Polibio 
(VIII, 9) e quello su Ermia, che s'è rinvenuto, purtroppo in con- 
dizioni assai frammentarie, nel commentario di Didimo a Demo- 
stene (col. 4, 68 segg.). Teopompo insomma si rivela e dai giu- 
dizîì degli antichi e dai frammenti coloritore efficace e scrittore 
d’esuberante facondia, maestro in tutti gli artifizì retorici in 
uso nella scuola isocratea, amico dei periodi ben torniti, come 
storico psicologo predecessore di Tacito, per quanto di Tacito 
avesse l’austerità del giudizio, ma non la mirabile concisione 
della frase, proclive ad usare ed abusare delle ampie concioni 
che gli davano occasione di sfoggiare la sua eloquenza e di esporre 


a 


336 GAETANO DE SANCTIS & { 


i suoi giudizî morali sugli uomini e gli stati. Certo i suoi ar- 
tifizî retorici potevano parer povera cosa al gusto raffinato 0, 
se vuolsi, pervertito di qualche scrittore dell’età ellenistica, come 
Duride di Samo (Phot., B:52., cod. 176, p. 121); ma convien ri- 
flettere che Duride avrebbe trovato probabilmente manchevole 
per rispetto alla Ndovi év TO ppdoar Isocrate stesso non meno 
de’ suoi scolari Eforo e Teopompo. Certo è pure che nei fram- 
menti di Teopompo si trova qualche tratto più disadorno e 
meno armonioso; ma bisogna tener presente prima di tutto 
che talvolta i frammenti possono assai aver perduto della loro 
forma genuina in una trascrizione poco coscienziosa; poi che, 
se quello era il carattere generale delle opere di Teopompo, 
poteva darsi che trattandosi, come è talora pur dovere di uno 
storico, di cose di poco conto, vi lasciasse correre qua e là pe- 
riodi meno accurati ed eleganti. E ad ogni modo qualche fram- 
mento meno eloquente di Teopompo è di carattere narrativo e 
non si riferisce nè ai giudizî dello storico nè a demegorie poste 
in bocca a’ suoi personaggi. Un Teopompo il quale avesse rias- 
sunto così i discorsi fatti all'assemblea ateniese: Guve\nAuotog 
dé TOÙ mANBOoug &viotàÈlEvo1 TÙV “AQnvaiwyv of Te mepì OpaguBovrov 
xaì Aîoiuov kai “Avutov édidaokov aùtodg OTI uérav aipobytai 
xivduvov ei un THQv mOMIv dtod cover Tg aitiag, avrebbe avuto 
bisogno, dal punto di vista isocrateo, di vigorosissimo sprone, 
non certo di freno. 

In sostanza in reciso contrasto col carattere retorico che 
non solo Dionisio, ma anche Plutarco (reip. ger. praec., 6), 
ascrive alla storia di Teopompo è la forma e la sostanza del 
nostro papiro. La narrazione vi procede concisa e disadorna: 
nessun artifizio di stile, nessuna declamazione di moralista, nes- 
suna amara invettiva, l’analisi psicologica contenuta in limiti 
molto modesti. Lo scrittore è uomo sereno e pratico, che bada 
a dir le cose con precisione e chiarezza e che può avere le sue 
tendenze politiche, ma non ha neppur l'ombra di ma9og, onde 
con perfetta indifferenza riferisce che i demagoghi ateniesi de- 
sideravano la guerra per arricchirsi a spese dello stato e che 
una sollevazione democratica rovesciò non senza spargimento di 
sangue il governo oligarchico di Redi d'accordo con Conone, che 
pure da quel governo era stato ricevuto nell’isola. Di quelle 
concioni che tanto amava Teopompo non v'è traccia: una sola 


f 


ha L'ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 337 


ve n’ è, di più che tacitiana brevità (col. 11, 22-23): iwuey, 
ù dvdpec, ton, moNîtar ÈTì ToÙg TUpPAvvovg, THV Taxiomnv: e si che 
occasioni per introdurre demegorie in quegli anni pieni d’avve- 
nimenti non mancavano; nè v’è traccia, per quanto lo scrittore 
sembri più un moderato che un democratico, di avversione alla 
democrazia. E in conclusione, se si trattasse di Teopompo nel 
nostro papiro, avremmo un Teopompo del tutto disforme da quello 
di cui ci parlano gli antichi e che suscitava, secondo il diverso 
punto di vista da cui ne giudicavano, la loro ammirazione o il 
loro biasimo. Converrebbe ammettere che Teopompo avesse 
scritto le sue Elleniche giovanissimo, prima d'aver risentito l’ef- 
ficacia dell’ insegnamento d’Isocrate, prima d'aver acquistato 
l'esuberanza cui accenna il noto aneddoto e prima d'esser di- 
venuto l'amaro censore ch’egli fu delle debolezze e dei vizì 
umani. Ma questa ipotesi va incontro a difficolta gravissime. 
Come Teopompo già da giovane fosse maestro nell'arte retorica 
dimostra la sua vittoria nell’agone proposto circa il 350 da Ar- 
temisia di Caria per un eneomio funebre in onore del suo de- 
funto consorte Maussollo. Inoltre l'esuberanza rimproverata a 
Teopompo è naturale che nelle opere giovanili si manifestasse 
meglio che nelle opere dell'età matura: tanto più che gli an- 
tichi non fanno distinzione per questo rispetto tra le Elleniche 
e le Filippiche, mentre Dionisio, che dà di Teopompo un giudizio 
diffuso e ben meditato, non poteva mancare di mettere in rilievo, 
se v'era realmente, una differenza così profonda. Infine la effi- 
cacia dell'indirizzo isocrateo nelle Elleniche è il presupposto di 
di quell'aneddoto secondo cui Isocrate per l’appunto avrebbe 
indotto Teopompo a continuare Tucidide. E vi ha di più. Che 
retorico fosse realmente il carattere delle Elleniche è dimostrato 
dalla più importante testimonianza antica su di esse: la quale 
è sì esplicita che basterebbe da sola ad abbattere la ipotesi 
del Wilamowitz e del Meyer. È nel famoso passo di Porfirio 
sui plagi degli serittori greci presso Euseb., praep. ev., X, 3, 
p. 465; e converrà riportarla per intero: karw, gnoiv è Nika- 
TÉpag, toîg ‘EXnvixoîg EvturXavwYV @ùTOD TE Kai TOÙ Zevogwvtog, 
mo\à toÙù Z=evo@@vtog aùtòv ueratiBéevta Kareidngpa, kai TÒ dervòv 
OTI érrì TÒ Xeîpov, TÀ foùv mepì Tg DapvaRtZov mpòg ’Aynoi\aov 
guvodou di’ “AmoMogpevoug toù KuZiknvoò kai Tg dugoîv mpòg 
d\\MXoug évomovdoug d'aNézere dc év Ti) TETEPTH Zevoguv dvérpawe 


1% 


338 GAETAXO DE SANCTIS va 


TAVU YApiévTwg Kai TIpertovTtws dGuqpoîv ei Tv Évderdmtnv TOY 
‘EMInvixòv ueradeig ò Oedtoumog apro Te kai dkivnta meroinke 
kai arpaxta' \6you yàp diva kai dia Tv K\otmyv ÉéZepyragiav èu- 
BaMNerv Kai Emdeikvuodai otoudaZÒy Bpadùs kai uéiiwy kai dva- 
Ba\\ouévw éoikòg paiverar Kai TÒ EUuyuxov kai Evepyròv TÒ =evo- 
muyvtog diagAeipwv. Dunque vi era nelle Elleniche di Teopompo 
largo uso di Senofonte, una retorica che moveva a nausea chi 
avesse formato il gusto sulla grazia senofontea e, inseriti nel- 
l’azione, lunghi discorsi che la rallentavano stancando il lettore. 
Più chiaramente di così Porfirio non poteva esprimersi, e l’ac- 
cenno ai luoghi precisi dei due scrittori esclude che possa 
trattarsi di fantastiche accuse di plagio. Ora di tutte le ca- 
ratteristiche indicate da Porfirio niuna si riscontra nel papiro; 
è proprio il caso di dire, con venia del lettore, che vi “ bril- 
lano per la loro assenza ,; e se anche la lacuna che ha por- 
tato via nel papiro la narrazione di quel colloquio ci toglie 
la prova matematica, la prova indiziale che il nostro papiro 
non spetti a Teopompo deve considerarsi come pienamente 
raggiunta. 

In conclusione contro l'ipotesi che lo storico del nostro papiro 
sia Teopompo v'è un cumulo di difficoltà, tra cui non sono le 
maggiori le pur gravissime difficoltà d’ordine cronologico. Ed 
una ipotesi che, senza aver fondamento vero di fatto, presenta 
simili inverisimiglianze, va senz'altro abbandonata. Dissi senza 
vero fondamento di fatto, perchè gli argomenti di fatto con cui 
sì è cercato di convalidarla, prescindendo da quelli già accen- 
nati e che son piuttosto istanze in contrario, son di sì poco 
conto che meriterebbero appena una menzione. Essi si riducono 
a due, che un grammatico ricorda aver Teopompo usato xa@dpai 
in senso di éXgeîv (fr. 327), uso che ricorre pure nel nostro pa- 
piro (col. 18, 39), e poi che Teopompo usava la forma Kapraoeîg 
per denotare gli abitanti di Carpaso in Cipro, forma di cui ri- 
corre nel nostro papiro il singolare Kapmaoeig; ma questa ul- 
tima coincidenza ha assai poco valore, perchè il nostro papiro 
parla d’un cittadino di Carpaso, non dei Carpasî, e Teopompo, 
nel frammento, dei Carpasì e non d’un cittadino di Carpaso; e 
la prima ne ha anche meno, perchè xa@dpar in quel senso non 
è frequente, ma, come si vede in qualsiasi lessico, non è tanto 
raro da permettere alcuna conclusione. 


L’ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 339 


Poco meno improbabile peraltro è l'attribuzione del papiro a 
Cratippo proposta dal Blass. Su Cratippo e l’opera sua abbiamo 
soltanto quattro testimonianze antiche, di cui nessuna anteriore 
a Dionisio d’Alicarnasso. Ne taceva, a quel che pare, Polibio 
nella sua famosa rassegna degli storici che lo precedettero, e 
lo trascuravano gli scoliasti e i lessicografi, che pur ricorrevano 
ad Eforo, a Teopompo, ad Anassimene, a Timeo, agli attido- 
grafi. Lo storico cui appartiene il papiro ebbe nella nostra 
tradizione una grandissima efficacia, e può dirsi persino che 
nei suoi elementi essenziali la tradizione a noi pervenuta 
sugli anni 396 e 395 risalga per metà a Senofonte, per 
metà a lui. Ora è possibile che uno storico così trascurato 
come Cratippo abbia avuto una tal parte nel formarsi della 
tradizione ? 

Vi ha di più. Delle quattro menzioni di Cratippo due fanno 
sospettare che egli non sia affatto, come lo dice Dionisio di 
Alicarnasso (De Thue., 16), contemporaneo di Tucidide e nep- 
pure di poco posteriore. Dice Marcellino nella vita di Tuci- 
dide (33) di dover respingere l’opinione di Zopiro che Tucidide 
morisse in Tracia, per quanto Cratippo ritenga che egli è nel 
vero. Or così non poteva esprimersi un contemporaneo sopra un 
fatto che al suo tempo era certo notorio. Anche meno poi po- 
teva un contemporaneo narrare che Tucidide nel libro ottavo 
aveva omesso le demegorie avvedutosi che turbavano l’ordine 
del racconto e riuscivano tediose al lettore, e che poi non aveva 
più dato termine alla sua storia distoltone dalla ineguaglianza 
che era risultata da questo suo tardo ravvedimento (Dionys. l. c.). 
Questa è critica erudita alessandrina che sa di muffa e d’olio 
di lampada, non giudizio d'uno scrittore del principio del IV sec. 
Quindi è assai verisimile, conforme ad una ipotesi accolta dal 
Susemihl (Geschichte der alerandrinischen Litteratur, I, p. 646), 
che Cratippo fosse uno storico dell’età ellenistica, il quale, mentre 
cresceva l’interesse per Tucidide e non parevano soddisfacenti 
le continuazioni che ne avevano dato Senofonte e Teopompo, 
si sarebbe accinto a una nuova continuazione più delle altre 
adatta ad appagare la sete d’erudizione dell’età sua. Del resto 
anche nell’attribuire la mutilazione delle Erme ai Corinzî, Cratippo 
(Vitae X orat., p. 834 d. Cfr. Phot. s. v. ‘Epuogoridar), sembra 
fondarsi non sull’opinione dei contemporanei (non ve n’è cenno 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 26 


ld 
340 GAETANO DE SANCTIS I 


in Tucidide nè negli oratori attici), ma sull’induzione di qualche 
erudito posteriore. Ora la stessa cosa essendo detta da Cratippo 
e da Filocoro (fr. 110), e Cratippo avendone fatto cenno soltanto 
di passaggio in qualche digressione (perchè la sua narrazione 
storica continuata non poteva cominciare che col 411), è assai 
difficile che Cratippo fosse la fonte di Filocoro e molto più ve- 
risimile che Filocoro fosse la fonte di Cratippo. Tutto conside- 
rato, par dunque verisimile che Cratippo non sia contemporaneo 
ai fatti che narra; per quanto si capisca come l’aver egli conti- 
nuato Tucidide possa aver fatto pensare a qualche lettore disat- 
tento che fosse contemporaneo o poco posteriore al grande sto- 
rico. E ad ogni modo anche le difficoltà contro l’attribuzione 
del nostro papiro a Cratippo son tali che siffatta ipotesi va. 
ritenuta molto improbabile. 

Ma abbiamo noi la scelta soltanto tra Teopompo e Cratippo ? 
In realtà a Teopompo ed a Cratippo si è pensato perchè soli 
continuatori di Tucidide oltre Senofonte. Escluso l’uno e l’altro, 
resta a cercar l’autore fuori della cerchia ristretta dei conti- 
nuatori di Tucidide. E non solo nulla vieta di uscire dalle stret- 
toie di questa cerchia, ma abbiamo anzi argomento per ritenere 
che il nostro papiro non è un frammento d’una continuazione 
di Tucidide. Vedansi le frasi che vi sono usate per indicare la 
transizione da un anno ad un altro. Purtroppo, per lo stato 
frammentario del testo, tale transizione non vi è notata che una 
volta sola, e anche questa sola volta in modo assai lacunoso : 
tà ujèv oùv ddpétata TÒèv | |circa 20 lettere mep]i toÙTO Ovp- 
Bavtwyv | [oùtwg èrévero: dmò dE ToÙ]dbe tOÙ [B]épovg Ti pèv | 
[lacuna] étog drdoov èverotiker | [lacuna] apog tàg tTpIMperg ata. |. 
Così leggono e suppliscono gli editori. Ma i supplementi sono 
ben lontani dall’esser soddisfacenti. Nella prima parte, dove si 
accenna al termine di un anno, è da supporre che l’anno stesso 
dovesse essere designato in qualche modo nella lacuna, p. e. con 
la formola év t® èrì ..... éter; se pure il punto denotante la 
incertezza di lettura del secondo o di toùto non permette di 
congetturare [Èv t® éte]r toùtw: di che bisognerebbe giudicare 
riscontrando il papiro. Ciò del resto poco monta. Ma non molto 
soddisfa quell’àmò dè ToÙdE TOÒ Bépoug, dove è da leggere qual- 
cosa come émiyirvouévou o pecoùvtog dè tToÙ Bépoug. La persona 
o la cosa per cui entrava l’ottavo anno è in lacuna; ma quel- 


L'ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 341 


l’anno (convengo in ciò appieno eon gli editori) (1) non può 
essere computato che dall’arcontato di Euclide (403/2). Di ciò 
. sarà opportuno ripetere brevemente la dimostrazione. Il capo 
d'anno cade dopo che Farace cessò d'essere navarco (col. 1, 32), 
o forse, per parlare con più precisione, dopo che Farace cessò 
di comandare l’armata lacedemonia nelle acque di Caria, ma 
prima che Conone s'impadronisse di Rodi (col. 3,23 segg.). Ora 
non può esservi dubbio che le operazioni combinate di Dercil- 
lida e Farace in Caria spettino al 397, e al principio del 396 
l'assedio di Conone in Cauno per opera dello stesso Farace 
(Diod. XIV, 79). D'altra parte il navarco spartano che assunse 
: il potere poco prima che Conone occupasse Rodi (col. 3, 21) è 
certamente il predecessore di quel navarco che prese il comando 
nella state del 395 (secondo il papiro col. 15, 33, Chiricrate). 
Ne segue che il principio dell’anno ottavo cade nel corso del 396, 
ma dopo il termine dell'inverno e il riaprirsi della navigazione, 
quindi nel principio della state o alla metà di essa. Il nuovo 
anno è pertanto l'ottavo per la città di Atene e dopo il ter- 
mine dell’anarchia (404/3). Leggeremo perciò: tî) pèv [moMer puetà 
tiv dvapyiav] éTog drdoov éverotike: |év © Doppiwyv mpiev, è dè... | 
apos, etc. Non par che possa leggersi (ed' è caratteristico) ti 
uèv TtOv ’A@nvaiwv 0 Ti uèv ’A@nvaiwyv mtélel per deficienza di 
spazio; nè per mantenere questo supplemento gioverebbe il tra- 
sportare uetà Tù)v Gvapyxiav dopo éverotiker,, sia perchè non vi 
sarebbe più spazio pel nome dell'arconte, che, dato il computo 
uetà t)v dvapyiav, sembra indispensabile, sia perchè la frase 
diverrebbe alquanto zoppicante, sia perchè le parole t&èv ’A@n- 
vaiwyv mole sarebbero da sole troppo scarse a riempire la lacuna. 
Non credo del resto che i supplementi qui proposti abbiano bi- 
sogno dal punto di vista formale di una speciale giustificazione. 
Se però questa fa duopo, basti rimandare, p. es., a Polibio (1,6, 1): 
éTOg uèv oUv éveloTi]KeL uerà Tijv év Aifròg motauoîg vavpuayioy 
evveaxiudekcatov, tpò dè Tg év Aeuktpoig udyng ékkadékatov, év 
d Aakedaruovior pèv KTÀ. ì 

Ma, anche prescindendo dalla scelta precisa dei supplementi, 
questa maniera di computo non è da supporsi nelle Elleniche di 


(1) Convengo pure con essi, e per le medesime ragioni da essi addotte, 
nel ritenere che il brano A del papiro vada posto innanzi ai brani B e D. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 26% 


342 GAETANO DE SANCTIS 


Teopompo. Che se Teopompo, come Tucidide, che egli conti- 
nuava, dava agli anni un numero ordinale, non poteva comin- 
ciare un nuovo computo se non dopo il termine del 27° ed ultimo 
anno della guerra peloponnesiaca, in modo che il 396/5 per lui 
sarebbe stato l’anno nono e non l'ottavo. Il computo del papiro 
può solo giustificarsi partendo da un punto di vista stretta- 
mente ateniese. Ma la restaurazione democratica in Atene non 
poteva esser mai l’era d’uno storico nè Ateniese nè propenso 
alla democrazia, e che non s’occupava specialmente d’Atene, 
come Teopompo, tanto più che narrando dopo la guerra del Pe- 
loponneso solo i fatti compresi tra la distruzione e la ricostru- 
zione delle lunghe mura d’Atene, egli avrebbe scelto un’era 
tanto inopportuna al suo proposito, quanto disdicevole alla eco- 
nomia della sua narrazione, invece di partire, come era natu- 
rale, dalla distruzione appunto di quelle mura. Ciò appare di 
piena evidenza, quando pure per la incertezza dei singoli sup- 
plementi non vogliasi insistere sul fatto che solo un Ateniese 
poteva intendere senz'altro per mois ed dpywv la città di Atene 
e il suo arconte eponimo. 

Così il nostro storico non pare fosse continuatore di Tucidide. 
Ma prima di procedere oltre nella ricerca è bene di fissarne 
alcune caratteristiche. È chiaro: 1° che si tratta d’uno storico 
contemporaneo o almeno vicinissimo di tempo ai fatti narrati; 
2° che questo storico ha avuto una efficacia innegabile sulla 
nostra tradizione; 3° che va ricercato tra gli storici a noi ben 
noti, perchè è impossibile che non siamo informati d'uno storico 
greco del IV secolo che si leggeva ancora in un cantone remoto 
dell’ Egitto intorno al 200 dopo Cr. Questi ultimi due punti ci 
dànno affidamento di poter risolvere il problema; altrimenti do- 
vremmo rinunciarvi, non essendovi dubbio che nella prima metà 
del sec. IV, anche prima della pubblicazione delle Elleniche di 
Senofonte, s'era formata una copiosa letteratura storica di se- 
condaria importanza a noi ignota o appena nota (v. E. Meyer, 
(Geschichte des Altertums, II, p. 278). 

Siffatte caratteristiche (se prescindiamo dagli attidografi) 
non sì applicano, oltre a Teopompo, che ad Eforo e ad Anassi- 
mene, Eppure d’Eforo, come già hanno riconosciuto gli editori, 
non può trattarsi. Prima di tutto Eforo era un retore, per quanto 
la sua retorica fosse meno lussureggiante di quella di Teopompo; 


»] 


L'ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 343 


poi non disponeva come il nostro storico i fatti annalisticamente, 
ma katà elòn; poi il suo racconto ci è per questo periodo rap- 
presentato da Diodoro, di cui abbiamo veduto le caratteristiche 
divergenze col papiro; poi Eforo avversava Sparta e il nostro 
autore non l’avversa; infine Eforo seriveva non solo di storia 
della penisola ellenica o dell'Asia Minore, ma di storia generale; 
qui di storia generale non v'è alcuna traccia; nè v° è traccia 
delle sue triviali considerazioni etico-politiche, frequenti fino al 
tedio. E si potrebbe continuare ; ma è da presumere che nes- 
suno attribuisca il nostro papiro ad Eforo. E se poi taluno, pur 
dopo aver confrontato la trattazione toto coelo diversa delle 
cause della guerra del Peloponneso in Eforo e della guerra co- 
rinzia nel nostro storico, vorrà identificarli, non ci sarà argo- 
mento che valga a persuaderlo, ma resterà senza dubbio solo. 
Contro Anassimene di Lampsaco poi val l'argomento che, giun- 
gendo in dodici libri dalla teogonia alla battaglia di Mantinea (362) 
e occupandosi in essi non solo della storia di tutti i Greci, ma 
anche di quella dei barbari, non poteva certo trattare dei fatti 
anche minori del 396 e 395 con l'ampiezza con cui ne discorre 
il nostro papiro. Che del resto per la retorica e le concioni, 
sebbene appartenente ad altra scuola, Anassimene non fosse da 
meno d'Eforo e di Teopompo, è provato a sufficenza da vari 
frammenti conservati nel citato commentario di Didimo e, 
quando non bastasse, dalla orazione pseudodemostenica contro 
la lettera di Filippo, che probabilmente è una concione estratta 
dalle Filippiche di quello storico. 

Dunque il nostro papiro non sembra appartenere nè a Teo- 
pompo nè a Cratippo nè ad Eforo nè ad Anassimene; e se è ben 
naturale del resto che tra questi (i maggiori scrittori che si occu- 
passero dei primi anni del sec. IV) si sia cercato lo storico cui attri- 
buirlo, non doveva essere difficile avvedersi che non era questa 
la via migliore per condurre a termine la ricerca. Infatti l’autore 
d'uno scritto asciutto, disadorno, prosaico, senza retorica, senza 
mtàdog nè palese nè sapientemente contenuto, senza larghezza 
di considerazioni morali e psicologiche, non pare che debba 
cercarsi tra gli autori di quelli ch'erano o che si riputavano i 
maggiori capilavori della storiografia greca. Non era un libro 
il nostro che fosse scritto con grandi pretese d’artista e di 
scienziato, per quanto sorprenda appunto gradevolmente il let- 


344 GAETANO DE SANCTIS 


tore moderno per la sua mancanza di pretese e di retorica. Era 
solo una modesta e sobria raccolta di notizie fatta da un uomo 
pratico ed intelligente, non da un retore nè da un pensatore. 
Nè v'è contraddizione in ciò con quel che abbiamo stabilito 
sopra, che il libro ebbe grande efficacia sulla tradizione e fu 
largamente diffuso, perchè anche nell’antichità non le sole grandi 
opere d’arte ebbero efficacia e diffusione. 

E vi era appunto una categoria di scrittori, le cui opere, 
per quanto uniformi e tediose alla lettura, erano consultate 
dagli antichi come miniere di notizie fededegne, scrittori che 
debbono pur essersi occupati, e largamente, del periodo di cui 
discorriamo, gli Attidografi. E come, esclusi i quattro maggiori 
storici di cui si è discorso, tra gli scrittori che ebbero notorietà 
e che influirono sulla tradizione par che solo qualche attido- 
grafo possa essersi occupato con tale larghezza degli anni 396 e 
395 av. Cr., è probabile che tra essi vada cercato il nostro autore. 
A questa conclusione del resto si sarebbe potuto fors’anche giun- 
gere direttamente, senza procedere per via d’esclusione. Infatti, 
se è vero quel che abbiamo congetturato sulla indicazione del 
nuovo anno 396/5, a nessuno meglio che ad un attidografo si 
attaglia non solo la frase, su cui potrebbe rimaner qualche dub- 
biezza, ma la scelta dell’era, che non aveva importanza se non 
per Atene, e quella dell’anno, che sembra fosse precisamente 
l’anno attico. Così, per valermi d'una analogia moderna, nel 
Corpus Inscriptionum Atticarum (0, come deve dirsi ora, nelle 
Inscriptiones Atticae) gli editori hanno separato giustamente le 
Inscriptiones Euclidis anno antiquiores dalle altre, mentre nella 
Sylloge del Dittenberger, il cui argomento è panellenico, si se- 
parano invece le iscrizioni anteriori e posteriori alla guerra del 
Peloponneso. Nulla ha poi di singolare che in un’Attide, oltre 
il nome dell’arconte, si indicasse di quanto l’anno di cui esso 
era eponimo fosse posteriore a un avvenimento notevole di storia 
ateniese, come nella mo\iteia aristotelica uno dei punti di par- 
tenza dei computi cronologici è l’arcontato di Solone. Sappiamo 
del resto che talvolta nell’Attide il nome dell’arconte era. pre- 
messo in nominativo al racconto dei fatti compiuti in un dato 
anno. E questa doveva certo essere la regola quando di quei 
fatti si dava un cenno di poche righe e in modo che il libro so- 
migliasse più ad un indice che ad una narrazione storica (come 


L'ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 345 


doveva essere in generale per i tempi anteriori a quelli in cui 
era vissuto l’attidografo). Ma le cose dovevano essere diverse 
quando il nome dell’arconte veniva menzionato quasi di pas- 
saggio in mezzo ad un’ampia e continuata esposizione di fatti: 
al modo stesso che non tutta la storia di Livio aveva la forma 
asciutta che assume alcune volte pei primi anni della repubblica, 
ad es. per gli anni 500 e 499: consules Servius Sulpicius, Manius 
Tullius; mihit dignum memoria actum. T. Aebutius deinde et 
C. Vetusius. his consulibus Fidenae obsessue, Crustumeria capta, 
Praeneste ab Latinis ad Romanos descivit (II 19). 

Ma non basta. Si confronti il papiro con le Elleniche di 
Senofonte. Si vedrà che nel papiro è assai meglio lumeggiato 
tutto ciò che ha relazione con Atene. Nessuno fuorchè un Ate- 
niese poteva dare importanza all'episodio di Demeneto e della 
sua nave e coglierne occasione per delineare la posizione dei 
maggiori uomini politici di Atene di fronte alla guerra che si 
andava preparando; e in un Ateniese si spiega il profondo in- 
teresse con cui son narrati i precedenti di quella battaglia di 
Cnido che segnò il termine della egemonia marittima spartana 
e permise agli Ateniesi di ricostruire le loro lunghe mura. A 
ciò non si opponga che lo serittore si occupa con larghezza di 
cose non strettamente pertinenti alla storia ateniese, come le 
imprese di Agesilao in Asia, la uccisione di Tissaferne per 
opera di Titrauste e di Arieo (1) e la costituzione della lega 


(1) È opportuno qui notare che la venuta di Arieo nell'Asia Minore 
ha dato occasione a narrare d'una seconda ribellione di Arieo al re nel- 
l'inverno 395/4 (Juprica, Aleinasiatische Studien, pag. 71, n. 2; 72, n. 1. 
Meyxr, Geschichte des Altertums, V, 212). Il fondamento di questa opi- 
nione è che Spitridate e i Paflagoni, dopo aver defezionato dal re ad Age- 
silao, disgustatisi coi Lacedemoni per la loro prepotenza, &Wyovto ambvrec 
eic Edpderg mpòs ‘Apiaîov motevcavteg éTI kai 6 Apiaîog AmOGTÀg Baoéwc 
èmoréungev aùtò (Xenoph., 7eZ., IV, 1, 27, cfr. Plut., Agesil., 11, 4). Ma c'è 
appena bisogno di dire che d’una ribellione di Sardi, il propugnacolo della 
potenza persiana nell'Asia Minore, in questi anni non vi ha la più piccola 
traccia. E d'altra parte se Arieo s'era davvero ribellato al re, doveva essersi 
alleato con Agesilao e quindi doveva essere poco disposto ad accogliere 
chi defezionava da lui. È chiaro che Spitridate, desiderando di tornare in 
pace col re dopo esserglisi ribellato, cered di ottenere il suo intento per 
mezzo di Arieo, che, al pari di lui ribelle ad Artaserse, aveva poi saputo 
tornargli in grazia: questo e non altro dice, chi ben lo intenda, il passo 
di Senofonte. 


346 GAETANO DE SANCTIS 


beotica. Per citare qualche analogia, l’attidografo Androzione si 
ocenpava degli Sparti e della fondazione di Tebe (fr. 28-30), delle 
leggende tebane (fr. 31), della milizia scelta arcadica degli Epa- 
riti (fr. 54), della battaglia di Neone (fr. 23), delle imprese di 
Onimarco (fr. 24); e le numerose citazioni di lui presso Stefano 
Bizantino mostrano quanto frequentemente avesse occasione di 
accennare a luoghi fuori dell’Attica; tantochè tra i suoi fram- 
menti quelli che si riferiscono a cose propriamente attiche sono 
in minoranza. A giudicare pertanto da ciò che ne rimane, l’at- 
tidografo Androzione nei libri successivi al III, nei quali con- 
duceva il raccorito dall’arcontato d’Euclide sino ad un punto non 
ben determinabile del regno di Filippo, doveva narrare, pur 
facendo centro in Atene, le vicende della Grecia in generale; 
nè, come abbiamo veduto, vi mancava anche ricordo di imprese 
militari in cui gli Ateniesi non avevano avuto parte alcuna. È 
del resto era naturale e necessario che storie ateniesi scritte nel 
sec. IV. facessero alla storia generale della Grecia tanto posto 
quanto ne fa p. es. alla storia generale d’Italia Niccolò Ma- 
chiavelli nelle Istorie Fiorentine: nè si saprebbe proprio in qual 
modo Androzione avrebbe potuto dilungarsi per parecchi libri 
intorno ad un periodo di un mezzo secolo, in un’ opera in cui 
non erano nè concioni nè frasi retoriche, se così non faceva; 
perchè rivolgimenti costituzionali in quegli anni ad Atene non 
accaddero, e le riforme d’ordine interno, p. es. la istituzione delle 
simmorie, non erano tali da fornirgli materia sì copiosa. 
Contro l’attribuzione del papiro ad un attidografo potrebbe 
osservarsi che un Ateniese difficilmente si sarebbe mostrato 
così favorevole a Sparta. In effetto questa difficoltà non sussiste 
punto. Lo storico avrebbe preferito certo che Atene, contentan- 
dosi della pace e della tranquillità interna restaurata nel 403, 
non avesse mosso guerra ai Lacedemoni intesi allora alla lotta 
nazionale contro il barbaro. In ciò consiste tutto il suo laco- 
nismo: ed è un laconismo che può perdonarglisi facilmente, 
quando si pensi che un altro Ateniese, Senofonte, non solo si 
espresse nella sua storia in modo, per la egemonia spartana, assai 
più favorevole, ma anche per essa combattè contro le milizie 
della sua patria ‘alla battaglia di Coronea. Pongasi mente del 
resto che il nostro attidografo scriveva probabilmente quando 
Podio contro Sparta era un sentimento antiquato, dopo che il 


L’ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 347 


timore della egemonia tebana aveva indotto ad allearsi gli an- 
tichi avversari, e i sentimenti nuovi erano stati consacrati nei 
campi di Mantinea, dove, combattendo per le due antiche rivali 
ora alleate, era morto il figlio del ribelle Senofonte, Grillo. Per 
giudicare del resto della tendenza del nostro scrittore con- 
viene tenere presenti varie circostanze. Ad esempio caratteri- 
stico è che egli nega vi fossero in Tebe degli àtmtikiZovteg, 0s- 
servando che l'interesse di partito, non la simpatia per gli 
Ateniesi mosse Ismenia a romperla con Sparta iniziando la 
guerra corinzia. Ed è pur caratteristico, e par dovuto al senti- 
mento nazionale, quel che l’autore dice sull’oro persiano speso 
a piene mani in Grecia per instigare gli Elleni a insorgere 
contro Sparta mentre essa metteva a pericolo la potenza per- 
siana nell'Asia Minore: non fu secondo lui l’oro straniero, ma 
gl’interessi personali o di partito che indussero i demagoghi di 
Tebe, d’Atene, d’Argo e di Corinto a preparare la riscossa 
contro Sparta. Ma d’altra parte anche alle gesta dell’eroe ate- 
miese della guerra corinzia, Conone, è dato nel racconto un 
rilievo che non hanno in alcun modo presso l’altro storico ate- 
niese, Senofonte; e l’opera di lui nel preparare la vittoria e nel 
domare con coraggio, fermezza e sagacia la sommossa dell’ar- 
mata, che parve per un momento mettere ogni cosa in pericolo, è 
posta in una luce quale forse Conone stesso poteva appena desi- 
derarne una migliore, talchè la sua figura si disegna netta e lumi- 
nosa accanto a quella del re Agesilao, che invece predomina 
oscurandone ogni altra nelle Elleniche di Senofonte. E non parmi 
strano che l’autore ateniese possa rimpiangere la pace inglo- 
riosa sotto l'egemonia spartana, che includeva la permanente 
rinuncia ad ogni ambizione d’impero. Già non era egli il solo 
a vedere nel dominio marittimo la fonte d'ogni male; come lui 
la pensavano anche altri grandissimi ateniesi, Platone p. es. e, 
almeno fino ad un certo segno, Isocrate. E del resto non era 
poi molto singolare che si pensasse a questo modo quando la 
così detta guerra sociale ebbe spezzato anche la seconda lega 
marittima e indotto molti Ateniesi a desiderare di vivere tran- 
quilli senza più sogni di egemonia, cercando piuttosto di far 
rifiorire con una politica di pace e di raccoglimento la prospe- 
rità economica dello Stato. In sostanza il nostro scrittore non 
è colpevole nè d'un soverchio filolaconismo nè d’una troppo 


348 GAETANO DE SANCTIS 


calda amicizia per Tebe, sebbene delle cose tebane tratti assai 
meno sprezzantemente del suo conterraneo Senofonte; e per 
quanto egli non inelini certo verso demagoghi come il tebano 
Ismenia o l’ateniese Cefalo, mostra d’apprezzare equamente i 
migliori tra i democratici ateniesi, come Trasibulo (di Stiria) 
e Conone; e quando Conone protegge e provoca in Rodi l’insur- 
rezione sanguinosa del demo eontro l’oligarchia dei Diagorei, 
non ha per lui una parola di biasimo. È insomma lo storico 
del papiro quel che noi diremmo un moderato; ed è inoltre un 
uomo pratico, uso a scrutare le ragioni d'interesse che a lui 
paiono determinar le azioni degli uomini e ad occuparsi con 
certa larghezza di questioni finanziarie, come a proposito del 
modo tenuto dai Persiani nel dare i sussidi per le guerre. 

Gli attidografi più noti tra i più antichi (chè solo dei più an- ‘ 
tichi e più noti può trattarsi nel nostro papiro) non sono che 
due, Clidemo e Androzione. Vasta abbastanza poteva esser l’opera 
d’ambedue perchè vi avesse luogo una trattazione ampia dei 
fatti del 396 e del 395. Clidemo nel terzo libro discorreva di 
Clistene; e se anche non è dimostrato che la sua Attide si pro- 
lungasse almeno per altri nove libri (perchè nella citazione del 
duodecimo presso Esichio s. v. Araueuvovia @péoaro il dodici è 
forse da correggere in due), nulla però si oppone a supporre 
che ne abbracciasse non pochi altri. Certo è che egli trattava 
della spedizione ateniese in Sicilia, e certo è pure che seriveva 
dopo la istituzione delle simmorie, dunque dopo il 378, per 
quanto non molto dopo, se è chiamato il più antico degli atti- 
dografi. Androzione poi, entrato nella vita politica circa il 887 
e morto dopo il 344, serisse almeno otto libri (anche per lui la 
citazione del libro duodecimo in Harpocr. s. v. ’Augitolig è so- 
spetta), di cui cinque dedicati alla storia ateniese posteriore 
al 405. Della sua Attide il quarto e il quinto libro compren- 
dono, stando alle citazioni, all'incirca quaranta anni. Molto oltre 
il 360/59 nel quinto libro non poteva giungersi, se nel sesto si 
narravano vicende del 354 (fr. 23) e nel settimo del 350/49 (nel 
fr. presso Didimo, col. 14, 35 segg.). Nè poi è difficile che la 
condanna di Cefisodoto del 360/59, attribuita al quinto libro 
da una citazione (Harpocr. s. v. Kng@ioédoros), spetti in realtà 
al sesto (basterebbe correggere E in F), perchè sarebbe strano 
che nel quarto libro si andasse solo dal 403 al 397/6 e nel 


L’ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 349 


quinto dal 397/6 al 360. Che nel quinto si trattasse di cose 
del 397/6 si desume dalla menzione che vien fatta della amba- 
sceria cui partecipò Agnia, arrestata dagli Spartani (fr. 17): 
ambasceria la cui data, prima incerta, è ora assicurata dal 
nostro papiro (col. 1, 530 segg.); può peraltro sospettarsi che su 
Agnia si tornasse in quel libro per via di digressione, se pur 
non v'è errore di cifra nella citazione, parendo strano che di 
Sì pochi anni, e anni di pace, si narrassero le vicende nel 
libro quarto. Ad ogni modo sia che nei libri quarto e quinto sì 
trattasse degli anni di cui nelle Elleniche Senofonte discorre dal 
terzo al settimo, sia che, come è più probabile, vi fosse com- 
presa qualche decina d’anni meno, la narrazione poteva proce- 
dervi benissimo ampia all'incirca come nelle Elleniche; perchè 
i libri delle Elleniche sono d’assai piccola mole, e vi hanno 
p. es. libri di Polibio che sono superiori per lunghezza a due 
o anche a tre di essi presi insieme, a tacere dello spazio che 
si guadagnava quando, anche narrando le maggiori vicende con 
pari ampiezza, si omettevano particolari dilettevoli a leggersi, 
ma senza reale importanza, come quelli che Senofonte dà su 
Spitridate e sul colloquio tra Agesilao e Farnabazo, o anche 
interessanti più che altro la storia speciale di Sparta, come la 
congiura di Cinadone. 

Dei due attidografi, se non possiamo escludere che sia Cli- 
demo l’autore della nostra storia, è certo più verisimile che sia 
Androzione. Clidemo sembra aver badato molto più d’Androzione 
a miti ed a prodigi, e la sua Attide, di cui non si hanno che 
sedici frammenti, sembra essere stata oscurata da quella d’An- 
drozione, di cui se ne hanno oltre sessanta; e inoltre, mentre 
per grandissima parte i frammenti di Clidemo si riferiscono a 
cose mitiche e nessuno alla storia del IV secolo, buona parte 
di quelli d’Androzione si riferiscono a cose storiche e in parti- 
colare alla storia appunto di questo secolo. Androzione era 
inoltre un uomo politico pratico di cose finanziarie, e delle sue 
cognizioni in tal materia s'era valso anche nell’Attide, come si 
rileva dai frammenti, cercando di formarsi un'idea adeguata della 
Cervdydera soloniana. Figlio di Androne, che era stato dei quattro- 
cento e poi aveva accusato Antifonte (Harpocr. s. v. *“Avdpwv. 
Vitae X orat. p. 833 f), dobbiamo ritenere che Androzione fosse 
avverso tanto agli oligarchici quanto alla sfrenata demagogia 


350 GAETANO DE SANCTIS 


d'un Cefalo; sembra invece che andasse d'accordo specialmente 
col moderato Aristofonte d’Azenia, il quale, appunto per la sua 
politica opportunistica e conciliatrice, era avversato dagli estremi 
d'ogni fazione, da Eubulo ad esempio non meno che dai radi- 
cali Egesandro ed Iperide (Beloch, Att. Politik. p. 167). 

Fu d’accordo, a quel che pare, Androzione con Aristofonte 
anche nella temeraria politica antipersiana che questo dema- 
gogo patrocinò (v. specialmente Demosth. c. T'imocr. 11 seg.), e 
dello stesso sentimento nazionalista che risplende nel papiro 
diede prova anche più tardi, se è vero che ebbe parte nella 
magnanima quanto impolitica risposta che Atene diede nel 344/3 
ad Artaserse III eipnvevoerv mpòg “Aptazépinv éov un éri tàg 
‘ENinvidag in morerg (Didym., col. 8, 12 segg.). Entrato, come s'è 
detto, nella vita politica intorno al 387 (Demosth. c. Androt. 66)” 
e figlio d'uno dei quattrocento, non è dubbio che nel 396 era in 
grado d’interessarsi di quel che avveniva nella sua patria. Nel 
346, in età di circa settant'anni, prendeva ancor parte alla vita 
politica ateniese, come mostra il decreto da lui proposto in 
onore dei figli del re bosporano Leucone (Dittenberger, Sy- 
loge, I, 129). Del 344/3 si occupava nella sua Attide, riportan- 
dovi, a quel che pare, il testo d’un decreto proposto in quell’anno 
da lui stesso (Didym., col. 8, 14 seg.). Stando poi a Plutarco 
(de exil., 14) scrisse la sua Attide in esilio a Megara, dunque dopo 
quell’anno. Questa notizia non è in contraddizione con la data 
presumibile del nostro papiro, il quale per la lingua, che s’ac- 
costa in qualche parte alla xown, non può essere molto anteriore 
alla metà del secolo, e per la piena indipendenza da Senofonte 
non può esserle di molto posteriore. Ma può del resto dubitarsi 
con qualche fondamento della sua attendibilità, perchè par sin- 
golare che s’infierisse ad Atene contro un uomo politico di se- 
cond'ordine come Androzione, precisamente quando la vecchiaia 
lo rendeva meno pericoloso a’ suoi avversari. È peraltro ad ogni 
modo verisimile che Androzione scrivesse in età abbastanza 
avanzata sia perchè nei libri VI e VII dell’ Attide si occupava 
dell'ultimo decennio della prima metà del sec. IV, sia perchè 
solo la vittoria del partito d’Eubulo, contrario a quello d’Ari- © 
stofonte, e poi il trionfo del suo avversario personale Demostene 
dovettero indurlo a dedicare alle lettere l’operosità che fino 
allora aveva speso nella vita politica. Non deve peraltro il fram- 


(DId 


L'’ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 351 


mento citato più sopra indurci a credere che tutta l’Attide fosse 
scritta dopo il 344/3: è presumibile che fosse in parte pubbli- 
cata, o almeno composta, già prima. 

Non va taciuta una difficoltà a prima vista gravissima 
contro l'attribuzione del nostro papiro ad Androzione. Un fram- 
mento del settimo libro della sua Attide, riportato letteralmente 
da Didimo nel commentario a Demostene recentemente scoperto, 
suona così (col. 14, 37 segg.): Wpicavto dè kai A@nv[aîo |: mpòg 
Merapéas tùv ’Oproida dià T[oî]v Aeoîv (èmtpéyavtag aùtoîg épi- 
caga) 6mwg BouNorvto * cuvexwpnoav yàp oi Merapeîg dpiotàc 
revéodai TÒv iepopdvinv Aaxpar(e)idnv kai Ttòv dardobyov “lepo- 
xAeidnv. kai ug oùtor Wpioav, Èvéuervav. kai Tàg èoyatiàg 6001 
moav mpòg TI ’Opyodi Kkagiépwoav diauavtevoduevo[1] kai àve- 
\6vtog TOÒ Beoi Nov kai duervov eîvor un épraZouévore* kai 
OTmAAIg Wwp[i] on kuxiwir MAivarg Drxoxpdtoue eitovTog. 

Questo stile o per meglio dire questa assenza di stile non 
ha riscontro nel nostro papiro. A tacere degli iati, più nume- 
rosi assai in queste righe che nel papiro, la sintassi, guardando 
il brano isolatamente. è così primitiva da stupire in un disce- 
polo di Isocrate, quale era pur Androzione, per quanto nel 
suo libro non facesse soverchiamente professione di retorica. 
Che se egli avesse davvero scritto a quel modo la sua At- 
tide, allora certo Demostene avrebbe mentito oltre l’uso degli 
oratori ateniesi quando di lui diceva agli eliasti (c. Androt. 4): 
EOTIV ràp w dvdpeg “A@nvaîo1 Texvitng ToÙ NMéyev kai mavta TÒv 
Biov éoyxbiakev ToUTWw, 0 quando lo chiamava (66) Nérev dervog. ‘ 
È facile vedere che qui è conservato, s'intende senza la fe- 
delta diplomatica che noi vorremmo e che era ignota agli an- 
tichi. l’usuale formulario e lo stile di cancelleria di qualche 
documento concernente la vertenza, forse d’uno yn@ioua pro- 
posto dallo stesso Androzione, in cui dobbiamo supporre rette 
da un éreòdn le frasi che qui appaiono collegate mediante il kai. 

A questo proposito va notato che la congettura di B. Keil 
(a p. 56 della edizione teubneriana) per spiegare come secondo 
Filocoro i Megaresi avrebbero ceduto alle armi ateniesi, secondo 
Androzione si sarebbero piegati dia toîv Beoîv, è inaccettabile 
affatto. Non si tratta della versione ateniese e megarese d’uno 
stesso fatto, l'una rappresentata da Filocoro, l’altra da Andro- 
zione che ne scrisse quand'era esule a Megara ; ne c’è vera 


352 GAETANO DE SANCTIS 


contraddizione, tanto più che Filocoro trascrive, e quasi lette- 
ralmente, Androzione. Ma Androzione che della cosa doveva, 
com'è naturale, parlare assai più diffusamente, al racconto della 
spedizione militare soggiungeva il riassunto e l’analisi di qualche 
documento concernente la fine della vertenza, p. e. dell'accordo 
definitivo tra Ateniesi e Megaresi in cui, eseguita la termina- 
zione e piantati i cippi terminali della òprds, s'impegmavano a 
rispettarla; e si capisce che in un documento simile l'accordo 
doveva apparire non concluso per forza, ma ourywpnodvtwy 
tòv Merapéwv dià toîv deoîv (1). 

Quanto allo stile del nostro papiro, esso è certo tale che ad 
un greco imbevuto di pregiudizi retorici come Dionisio di Ali- 
carnasso doveva apparire monotono e stucchevole, quale egli 
definisce in genere lo stile delle Attidi (Antig. Rom., I, 8: po- 
voerdeîs. Tàp éxeîvai TE Kai TaXxù mpooiotduevaI TOÎS GKOUOUOIV); 
a noi se non può piacere la mancanza di colorito, non dispiace 
certamente la lucida scorrevolezza. E se Androzione n'è real- 
mente l’autore, non vorremmo certo rimproverare Plutarco (De 
exil., 14) per averlo enumerato tra gli scrittori che ebbero a 
collaboratrici le muse; giudizio peraltro che certo non varrebbe 
pel frammento presso Didimo. 

Non è del resto singolare che l’opera di Androzione potesse 
avere sulla tradizione tanta efficacia quanta ne ha avuta lo sto- 
rico del nostro papiro; sarebbe anzi singolare il contrario. Una 
storia attica, concisa o diffusa che fosse, scritta da un uomo che 
per quasi mezzo secolo aveva partecipato alla vita politica in 
Atene e che degli avvenimenti narrati da Senofonte era stato 
testimone oculare, non poteva mancare d'esser letta ed usata 
dai contemporanei e dai posteri, tanto più se era leggibile. E 
che di fatto e contemporanei e posteri profittassero dell’opera 
d'Androzione sapevamo già dall’’A@nvaiwy moritefa di Aristotele, 
dove Androzione è talora trascritto alla lettera, e dalla vita di 
Solone in Plutarco, che ad Androzione deve probabilmente in 


(1) Sulla terminazione della òpyds e le questioni che vi si collegano 
v. DirreNBERGER , SyUoge, 1°, 789. SrarHnELIN, Beitrige zur alten Geschichte, V 
(1905), p. 64 segg.;145 segg. Son dispiacente di non aver potuto consultare 
il saggio del Foucart sul papiro di Didimo venuto recentemente alla luce 
nei Mém. de l’Acad. des Inscriptions, XXVIII, p. 1°. 


oe 


L'ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS 353 


buona parte le strette attinenze verbali con la mo)iteia, da Plu- 
tarco direttamente non usata. A tal proposito sarà bene ricor- 
dare che oltre i punti di contatto tra Aristotele ed Androzione 
generalmente noti, uno ve n'ha su cui già ebbi inutilmente a 
richiamare l’attenzione nella Riv. di filol., XX (1891-2), p. 162 (1). 
Si sa che Aristotele, diversamente da Senofonte, distingue due 
decarchie che tennero successivamente il potere in Atene dopo 
destituiti i trenta. Anche Androzione (fr. 10 = Harpocr. s. v. 
deka kai dexadodxog) parlava di due decarchie: mepì tòv uerà 
TÙùY KatdAiuoiv TW Tpidkovta ’ABnvnor yeiporovnAévtwy avdpòy 
déka kai tòv éEfig (scil. déka) eipnkev ’Avdpotiwv év tf) tpitg. Pro- 
babilmente se E. Meyer avesse tenuto presente non l’interpre- 
tazione comune di questo frammento, ma il senso che indub- 
biamente esso ha, avrebbe trattato in modo diverso del valore 
delle notizie fornite sulle due decarchie da Aristotele ((reschichte 
des Altertums, V, 40). Che Eforo quando non poteva più di- 
sporre di Tucidide consultasse Androzione accanto A Senofonte, 
anzi a preferenza di Senofonte, avremmo potuto ritenere a priori 
data la tendenza della storia d'Eforo così diversa da quella delle 
Elleniche senofontee; e la cronologia non s'oppone a questa 
ipotesi, perchè Eforo era probabilmente di parecchio più giovane 
dell’attidografo. E a testimomanza dell’ uso d’ Androzione in 
Eforo può citarsi il fr. 133 M di questo scrittore, dove è detto 
che nella battaglia presso Corinto del 394 secondo i due storici 
éviknoav Toùg AA@nvaioug oi Aakedaudvior TPHdpa, mentre, come 
sì sa, nelle Elleniche di Senofonte la rotta degli Ateniesi è in 
parte scusata, in parte attenuata. 

La scarsezza dei frammenti non permette tra il papiro ed 
Androzione un raffronto che possa dirsi esauriente ; e tuttavia 
attinenze non mancano. Così, prima della scoperta del papiro 
l'arresto e la uccisione di Agnia e degli altri andati con lui 
ambasciatori da Atene al re di Persia eran noti soltanto da un 


(1) Di questo saggio, il primo che io abbia dato alle stampe, va retti- 
ficato secondo ciò che è esposto nella presente nota quel che è detto oc- 
casionalmente intorno ad Androzione; mentre son lieto di constatare che 
i concetti da me propugnati intorno al valore storico della ’A@nvaiwyv mo- 
Meia aristotelica, appena essa fu pubblicata dal Kenyon, sono nella loro 
sostanza quelli appunto oggi accolti generalmente dai critici. 


354 GAETANO DE SANCTIS 


frammento di Androzione e da uno di Filocoro (Harpocr. s. v. 
‘Arvias): e pure il fatto è d’importanza secondaria, tanto che 
se non può escludersi, è però incerto che fosse menzionato da 
altri storici di quel periodo. Filocoro poi tiene probabilmente la 
notizia appunto da Androzione, ch'egli copiava senza serupolo a 
man salva, come dimostra p. e. il confronto tra i già citati 
frammenti dell'uno e dell'altro sulla fepà òprag. Meno notevole 
è l’altra citazione di Androzione presso Pausania (VI, 7, 6), 
dove era ricordato come Conone stava con la sua armata a 
(auno e come riuscì a far insorgere i Rodii contro Sparta. Ora 
il papiro si trattiene sul soggiorno di Conone in Cauno, e non 
è dubbio che faceva cenno della insurrezione di Rodi. Ma di ciò, 
sebbene taccia Senofonte, poteva, anzi doveva parlare chiunque 
si fosse occupato coscienziosamente di quel periodo. Avrebbe 
maggiore importanza il sapere se nel papiro aveva riscontro 
quel che Androzione narrava secondo Pausania a proposito 
della secessione di Rodi da Sparta, la cattura e l'uccisione di 
Dorieo per opera degli Spartani; ma purtroppo la grande la- 
cuna che segue alla colonna 3? ci vieta di saperlo. Certo non 
è difficile che vi fosse menzionato, tanto più che vi son ricor- 
dati più oltre i suoi amici politici in Rodi, i Diagorei. 

E però molto interessante il ricercare le attinenze tra il 
papiro e i cenni sulla guerra corinzia che dà il periegeta Pau- 
sania (III, 9), il quale ha gli attidografi alla mano e cita, per 
un fatto appunto di quella guerra, Androzione. Queste attinenze, 
già rilevate dagli editori, e che hanno tanto maggior valore in 
quanto Pausania non cita mai le storie di Eforo nè di Cratippo nè 
«di Anassimene, e Teopompo cita una sola volta a proposito della 
guerra sacra (III, 10, 3), son superiori a quelle che legano col 
nostro papiro qualsiasi altro racconto della guerra corinzia. 
Jonforme al papiro e contro Senofonte, gli Ateniesi Cefalo ed 
Epicrate accettano presso Pausania l’oro persiano : così pure 
tra i capi del partito antispartano in Beozia, accanto ad An- 
droclide e ad Ismenia, Pausania e il papiro (col. 12, 34) men- 
zionano non Galassidoro ricordato da Senofonte (II, 5, 1), ma 
un personaggio il cui nome è dato con lieve varietà di lezione, 
Antiteo od Anfitemide. Così pure in un punto gravissimo in 
cui il papiro si discosta da Senofonte, ed è probabilmente nel 
vero, nel ritenere cioè che la scintilla della guerra corinzia sia 


L'ATTIDE DI ANDROZIONE E UN PAPIRO DI OXYRHYNCHOS SB 


partita dalla Locride Esperia e non dalla Opunzia, Pausania 
conviene col papiro; e infine anche rispetto alla battaglia del 
Pattolo vinta da Agesilao, Pausania, per quanto ne discorra 
concisamente, s’accosta più al papiro che a Senofonte. Non 
mancano peraltro alcuni dissensi tra Pausania e il nostro autore, 
sebbene non sì gravi talora come sembra agli editori. Ad 
esempio Pausania narra, conforme a Senofonte, come Timocrate 
fu inviato con denaro persiano in Europa da Titrauste dopo la 
morte di Tissaferne (395); ma il papiro non -assevera punto il 
contrario, come ritengono il (Grenfell e il Hunt. Vi si dice, 
parlando di fatti del 396, che Epicrate e Cefalo agivano contro 
Sparta, perchè da molto tempo, prima assai di ricevere i sus- 
sidi persiani, erano, per ragioni d’interesse, nemici dei Lacede- 
moni. Ma ciò non vuol dir punto che allora fossero inviati 
questi sussidì; lo storico ne parla evidentemente per via di di- 
gressione, senza averne fatto prima alcun cenno ; e nulla vieta 
di credere che ne parlasse di nuovo, e questa volta secondo 
l'ordine dei fatti, dopo la venuta di Titrauste nell’ Asia Mi- 
nore (1). E così pure non v'è contraddizione in ciò che riguarda 
l’effetto dei sussidi persiani. Pausania mostra chiaro di ritenere 
che si dovette a quei sussidi se Agesilao fu costretto ad ab- 
bandonare l'impresa d'Asia; nè ciò nega il nostro storico, il 
quale solo vuol rilevare che, non per essere stati comperati dai 
Persiani, ma per ragioni personali o di partito lavoravano 
contro Sparta quelli stessi che accettarono i sussidi del Re. Più 
gravi son due altre divergenze. È Lacedemoni, lieti dei prosperi 
successi d’Agesilao su Tissaferne, ancora nel corso della state 
del 395 seccndo Senofonte gli concessero piena autorità sull’ar- 
mata e facoltà di nominare quel navarco che egli volesse (III, 
4, 27). Nel papiro invece si narra come nel corso di quella 
estate al navarco Pollide succedette il navarco Chiricrate (co- 
lonna 15, 33, efr. 21, 26). Forse la contraddizione anche qui è 


(1) Neppure mi sembra che risolva la questione la frase del papiro 
(2, 32): oi uèv ov Èv Taîc méXEoI TAîc mpoerpnuevais morù uaMiov f) did Dap- 
vdBaZov Kai Tò yxpuoiov Èmnpuévor uoeîv foav ToÙg Aakedaruoviove. Timo- 
crate fu inviato da Titrauste d'accordo con Farnabazo, e naturalmente il 
nome ben noto di Farnabazo e la notizia dei preparativi da lui fatti per 
la guerra marittima poteva. avere grande efficacia sull’animo dei Greci. 


356 GAETANO DE SANCTIS — L'ATTIDE DI ANDROZIONE, ECC. 


più apparente che reale, e non è troppo difficile conciliare le due 
testimonianze; ma di ciò altrove. Certo è ad ogni modo che 
qui Pausania si attiene a Senofonte, come pure a Senofonte si 
attiene ascrivendo ai Locresi incitati dal partito avverso a 
Sparta in Tebe la prima violazione della pace nella Grecia cen- 
trale, mentre il papiro sembra aseriverla ai Focesi. Vero disac- 
cordo in fondo non c'è, perchè anche il papiro riferisce che la 
contesa cominciò Tt@òv Aokpùòv davoapragdviwy dave’ by dtéfarov 
tpoRétwv. Ma è chiaro da questi due casi che Pausania o la 
sua fonte (la cosa vuol lasciarsi incerta, non essendo il. caso 
di toccar qui la vessata questione della originalità di Pausania) 
pose a base del suo racconto quello del nostro papiro, correg- 
gendolo o alterandolo qua e là con le sue reminiscenze seno- 
fontee; e ne guadagna in probabilità l’ipotesi che il papiro 
stesso spetti ad Androzione, da Pausania, come dicemmo, citato 
a proposito delle vicende del 396. 

Nel presentare questa ipotesi io esprimo l’augurio che 
nuove scoperte mettano in luce, se non l’opera intera d' An- 
drozione, che sarebbe speranza troppo audace, altri e maggiori 
frammenti, sicchè egli non resti defraudato della gloria che a 
giusto titolo sembra spettargli fra i posteri. 


L’Accademico Segretario 
«GarraNo DE SANCTIS. 


Torino — VINCENZO BONA, Tipografo delle LL. MM. e dei RR. Principi. 


i‘ AI tt KS BP SE erre ee o_o —P——m 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 12 Gennaio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: SaLvapori, Mosso, SPEZIA, SEGRE, 
JADANZA, GuARESCHI, FrLeti, PARONA, MATTIROLO, SOMIGLIANA, 


+ FusARI e CAMERANO Segretario. 


Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

I Soci NaccarI e Guipr scusano la loro assenza. 

Il Socio SomwreLiANA presenta in dono i due suoi lavori se- 
guenti: Sulla preparazione matematica degli Allievi ingegneri; 


Sulla teoria Marwelliana delle azioni a distanza. 


Vengono presentate per l'inserzione negli Atti le note 
seguenti : 
1° Dott. Ernesto LAURA, Sulla integrazione di un sistema 
di quattro equazioni differenziali lineari a determinante gobbo per 
mezzo di due equazioni di Riccati, dal Socio MoRERA; 
2° Dott.i G. Ponzio ed E. VALENTE, Sulla benzilfenilidra- 


zina simmetrica, dal Socio FILETI. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 27 


358 ERNESTO LAURA — SULLA INTEGRAZIONE, ECC. 


LETTURE 


Sulla integrazione di un sistema di quattro equazioni dif- 
ferenziali lineari a determinante gobbo per mezzo di 
due equazioni di Liccati. 


Nota II del Dr. ERNESTO LAURA. 


IV 


Nel N. 3 della Nota I (*) è stato integrato il sistema dif- 
ferenziale (II) per mezzo di due equazioni di Riccati (**) gio- 
vandoci della proprietà: che per una stessa sostituzione lineare 
operata simultaneamente sulle variabili Z, n. Z, esso riducesi ad 
un sistema di forma simile. 

Insisterò maggiormente sopra questo concetto eseguendo 
direttamente sul sistema (II) una sostituzione lineare a coefficienti 
costanti dapprima, e funzioni arbitrarie di? di poi, in vista di 
ricercare le maggiori riduzioni comportate nell’integrazione del 
sistema (II), quando di questo sieno conosciute delle soluzioni 
particolari. 


(#) Cfr. questi Atti, vol. XLII. Adunanza del 16 giugno 1907. 
(*#*) Deve essere qui notata una inesattezza incorsa nella suddetta nota. 
A pag. 21, riga 6 dal basso, in luogo di 
— (a%,7 4 BX,f 4 YX37) 


deve essere posto 


ami Bai = , 
(Fia pat tappa TTI xy). 


Conseguentemente l’integrazione del sistema (IV) dipende da quella del- 
l’unica equazione di Riccati 


do Y n mia 
di = 0 ee B)o + 50°. 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 359. 


Si considerino le trasformazioni di variabili, inverse l'una 
dell’altra, e a coefficienti costanti: 


È; —_ h, +-k,ta 


ht % 
h,k4-hms 
38 , Sd 
( ) ni ha + ma 
gi — Mitra 
17 ht, 
[ARTE a, + dpi, 
x 03 +-E 
39 pi Ut ELI 
| Ns + M 
ee A tool, 
\ 3 a +7 


tra le a;, 02, az e le X;, Rg, #3, intercedono le relazioni: 


Ad, = hi hi = 0 
(40) do =— hs his = 03 
\ ag = — hg hg =— 09. 


Dopo qualche riduzione si trova che trasformato del sistema (II) 
nelle variabili 3, Z2, Na è: 


Di a— ba Ù — 2aag + d bazaz — 2 
dî, __ 3 caz Guk (44 a + a, + 2 LL “op E 


dt 0303 — dy dg43 — Oy 


sl aa? — ba;0g + ca; at a (Fa — na) (E 4) 


A3043 — di Co —- Na 


d a— ba CA? — 2aa, + ba, + ba,az — 2c0,ja 
pu a ton a e e In 


V) di sai Ao 03 e Qi Ad30%3 ‘E di 
Je ad — ba; + ca? Ro B (na — Za) (N E2) 


d30; — 0 E — Lo 
da _a—- baz +03) |, — 2aa + ba; + dazag — 2ea,jag 
circo ead He earn RE 
dt d903 — dj d303 — dj 


4 aa? — baco + ca,” + Y (Za — E) (Z2— na) 


A30; — di m_ È 


360 ERNESTO LAURA 


Le a,; 03, 4, sieno invece funzioni del tempo — allora, in- 
dicate le derivate rispetto a # nell'ipotesi delle a costanti 


LÀ 


con: — avremo: 


dig 9 d'E SE di lr dia da DRS 2 daz 


ba — ina da, dt 5a "ae SR 


ossia, a calcoli fatti tenendo conto delle (39) e delle (40), 


dî, __ dî da, dr Lod 
E + 1 st) 


— Ey(E, — 00) i 


In: d' gl da 
i == ui *- pri a |M ag) Fi + (0 — QgNp) ‘E a 


my i 
di 


— No(Na — 09) 


yla 


dig Bei 4 Za da; 
URTI ©) a, — 430, @— do) pr (a, — 03Z9) 


da; 
— Ty (CZ, 02) di . 


Determiniamo le 0, a, a; per modo che il sistema (VI) 
assuma la forma (III), allora le a,, 03, 03 dovranno soddisfare 
ad un sistema differenziale che si ottiene eguagliando a zero i 
coefficienti di Z, &, e il termine noto nel 2° membro della 12 
delle (VI), oppure i coefficienti di nì, ns ed il termine noto nel 
2° membro della 2. Se le equazioni così ottenute si risolvono 


da, da, da 3 È s è a A 
) = ® si ottiene il sistema differenziale se- 


rispetto alle 


di ap di 
guente: 
da, 
vr ba, — aus — C040g 
da 
(VII) ma = C(05 — 0903) 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 361 


Le 4, che compaiono nelle (38), dovrebbero invece soddis- 
‘fare al sistema: 


E Pr = bh, 4 ahz + chyhs 


(VII) die — da 


a + bhs +4 chi 
ba de ac(li seal) 


come facilmente si ricava, usando delle formole (40). 
E facile il verificare, come è prevedibile « priori, che si 
soddisfa al sistema (VIII) con il porre 


h, = A+ =B+ hg = € 
avendo le lettere A, B, C il significato stesso che esse. hanno 
nel N. III della Nota 1?. 


Il sistema (IV) assume allora la forma: 


di _ gle 


> Za 

due io gi (ir) otto), 
din RA 

di _, (Elo) 
disc ou . 


Si ricava in altre parole lo stesso risultato del N. III. Pos- 
siamo poi osservare che i sistemi (VII) ed (VIII) sono i sistemi 
di Lie relativi ai gruppi semplicemente transitivi e reciproci: 


sg ded, di ia df 


da, da ” 1 da, da, ? 
df df 
— 0,05 ja at (ar 905) far = 


D) 
Lt ha dr +hog 


h hg sui ih e — (A — hah 


df 
3) da, 


362 ERNESTO LAURA 


i quali gruppi poi sono rispettivamente il 1° e 2° gruppo para- 
metro del gruppo le cui equazioni in termini finiti sono le (39). 

Usando dei metodi prima spiegati non è allora difficile ri- 
durre l'integrazione sia del sistema (VII), che quella del 
sistema (VIII) alla integrazione di un’unica equazione di Riccati, 
e ciò senza quadrature. 

Consideriamo ancora il sistema (VI) e determiniamo le 
0; 02, € per modo che il sistema (VI) venga a coincidere con 
il sistema (II), ciò equivarrà a ricercare le trasformazioni (38) 
a coefficienti variabili che trasformano in sè il sistema (Il). 

Nel 2° membro della 1 equazione del sistema (VI) egua- 
gliano il coefficiente di # a c, quello di £, a è, ed il termine 
noto, escluso il termine: 

a (E sE ta) 

day 
dt 


», 


ad a risolvendo le equazioni che così si ottengono nelle 


- ; da otteniamo il sistema: 

dai 

“x = a(0; — 05) + 2ba, — ca; (03 — 09) 
STY Za: 
(IX) — =a + baz + c(a, + 0$ — 0903) 


da; 
di =— 0 + baz + i 03 Dè 0303 — 01) i 


Questo sistema, quando a, db, c sieno considerati come para- 
metri, è un sistema di Lie collegato con il gruppo intransitivo : 


ò ò 
Xf= (as 0) £ + XY 
) ) d 
Xof = + 20; SI +ay 31 + aL 
i 2 3 
n) D) 
Xsf = — 0,(03—09) A TO de 000) = ni (di+0405—0) 30 
I 2 i 


il quale si mostra facilmente essere simile al gruppo delle ro- 
tazioni dello spazio ordinario attorno di un punto. Esso ammette 
perciò un unico invariante, che sarà ovviamente un integrale 


| 
| 
| 
i 
} 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 363 


del sistema (IX). Questo integrale si può determinare o come 
integrale comune alle equazioni alle derivate parziali 


xf=Xf=X:f=0 


oppure, il che poi è lo stesso, osservando che dal sistema dif- 
ferenziale (IX) identicamente si ricava: 


(C+ a3)da,+-(a303-—a; —2a,)da3+(a903—20a,— a)daz==0. 


Il trinomio differenziale del 1° membro ammette il fattore 
integrante : 
1 
(0-4 a 


e quindi l’invariante cercato sarà: 


404 (0°— 03) __ 7 
(41) rr! 


essendo 4% una costante arbitraria. 
Riducendo il sistema (IX) usando di questo integrale cono- 
sciuto ci riduciamo al sistema: 


day s e E 9 
\ me) 7 a-|-ba3|-caò — casas + ON [M(a3+ az)? — (a, — ag)?] 
(X) . 
((404 I DI e q 
| = =—-a+ba;—ca;-|-casag — +” [h(09+ 03)? — (0°— 03)? |. 
L'integrazione di questo sistema si riconduce a quella di 
un'unica equazione di Riccati. Il metodo che si può seguire è 
il solito. Si considerino i due gruppi: 


ESRLETTE 


da da, 


vf= Pc; A dr 


dato ° 9% 
1) I , ]Ì 
= 4 [30 + 20034 aî— # (03 + 03)? ] Da sE 


1 e = 9 df 
i @ è 489° — Si 
I i |Baj — 2903 — a$ + A(0, | 0g3)?] da, * 


364 ERNESTO LAURA 
resp 3 IRAP O 

| xf=-3 -< 

E df df 


Essi sono simili ed egualmente composti; eguagliamo le 
funzioni stazionarie rispettive, otterremo le ricercate formole di 
trasformazione — procedendo in questo modo si hanno le for- 
mole seguenti: 


a,—a3— Vh(a,-+a,) 
2 p 


le 


te ABS 


sa e 
a 
e 


(43) 


Il sistema (X) si riduce poscia, introducendo le nuove va- 
rianti Z, n, alla forma voluta: 
\ n —a+bE + c&2 
(XI) 
(5 de FAT MT 


Si ha perciò il risultato: Tutte le trasformazioni a coeffi- 
cienti variabili del tipo: 


(44) 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 365 


che mutano in sè il sistema (II), si ottengono ponendo nelle (44) 
in luogo di a,, 0,03 una qualunque soluzione del sistema (IX). 
L'integrazione di questo sistema equivale a quella di un'unica equa- 
zione di Riccati. 

Del sistema (IX) sia conosciuta una soluzione — il proce- 
dimento prima indicato fornirà due soluzioni dell’equazione: 


di a+ bt+er?. 


Con una ulteriore quadratura otterremo dunque l'integrale 
generale sia del sistema (XI) che del sistema (IX). Si noti su- 
bito la differenza che vi ha tra i sistemi (VII) (od VIII) ed il 
sistema (IX); l'integrazione di entrambi questi sistemi equivale 
a quella di un’ unica equazione di Riccati — la conoscenza di 
una soluzione del sistema (VIII) è sufficiente per scrivere senza 
quadrature ulteriori il suo integrale generale, mentrechè cono- 
scendo del sistema (IX) una soluzione occorrerà un’ulteriore 
quadratura per formare il suo integrale generale. 

La ragione di un simile fatto consiste sostanzialmente in 
in ciò: il gruppo con cui è collegato il sistema (VII) è un gruppo 
semplicemente transitivo, il gruppo con cui è collegato il si- 
stema (IX) non è invece tale. 

Del sistema (II) sieno conosciute due soluzioni 


l 1 LI 
ED n db 


2 2 "2 
ED n a 


Determiniamo le @,,0,, 03 in modo da soddisfare alle 
equazione: 


zo) — Gta 
è — peo 
(45) aj + agn;!!! 
E pren RE) 
0» + ni 
2) cy + cst;l!! 
z0) — = 


366 ERNESTO LAURA 


il che è possibile quando si abbia: 


DE (i Byez ol 1); z(1) 
EP =en! ni) == zi” 0) == E 


z(2 (2 2) C) Cime (2 
Ellen — nif=z?o ze 


Dico allora che le @;, 03, ag soddisfano al sistema (IX). In- 
fatti le z}, nl", 2", soddisfacendo al sistema (II), le #3, n, z® 
soddisferanno al sistema (VI), e poichè esse soddisfano pure al 
sistema (II), questi due sistemi coincideranno, e quindi le a,, 43,05 
verificano le (IX). 

Consegue dal procedimento prima seguito per l’ integra- 
zione del sistema (IX), che in questo caso vengono ad essere 
conosciute due soluzioni dell'equazione di Riccati: 


dt < 
0 Siae 
(UL 


Ossia si ha il risultato: se del sistema (11) sono conosciute 
due soluzioni, con operazioni algebriche si possono ottenere due 
soluzioni dell'equazione di Riccati: 


dT 


e et 


e quindi con una quadratura si può scrivere il suo integrale ge- 
nerale, ossia la trasformazione di variabili (36) che conduce dal 
sistema (II) al sistema (III). 

Le a,, 0,, 03 ricavate dalle (45), in funzione delle due serie 
di variabili 8, n, 1; z n}, Z®, sostituite nella (41) dànno 
luogo poi all'unico invariante posseduto dal gruppo (19) quando 
quest’ultimo sia esteso a coppie di variabili. 


\/A ' 


Possiamo procedere parallelamente a quanto è stato fatto 
nel N. precedente assoggettando il sistema (II) al gruppo di 
trasformazioni reciproco del gruppo (38). 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 367 


Consideriamo perciò le trasformazioni di variabili, inverse 
l'una dell’altra: 


hi(F— Za) t+na-% 


{ m= Tmo(fo — 2) +-Ea(m— 2) 
| 17. hf W)+m—-% 


Mt hang(E — Ca) + Ea (me — 2a) 
sud hs(E° — Zak no — 2 


| go: hino(Eo — 22) + Folmo — 2a) 
si - 


(£6) 


| z, — cami(E 2) + Em Z1) 
Ì ax(E,—Z) + n TZ 


47 --- MEZ) + E(m 2) 
da A o(E,—Z) + mi 


o agni(E1—Z,) + E(n—Z) 
i as(E,-Z) + nz 


o Tra le @,, 0g, 03, #1, #9, #3 intercedono le relazioni: 


| / __ lh_h3 


| SAC ia) 

| ho 

MAS) va = ia 
ol = (R1+ 1) (h, — h3) 
| AT o RZ) 
| _—. __ (0 — 09) 
\ Di a ad) 

(49) n ache 

| yi Dglo. (a, + 1) (0, — 09) 
\ era (aa + 1) (ax — 03) 


Eseguiamo sopra il sistema (Il) questa trasformazione di 
variabili, ponendoci dapprima nell'ipotesi che i parametri a, } 
che in essa entrano sieno costanti. 

Una simile trasformazione (uso i simboli del N° III della 
Nota I°) lascia inalterata la trasformazione infinitesima: 


NXf + uX5f + vXsf 


368 ERNESTO LAURA 


e muta la trasformazione infinitesima del gruppo reciproco 


VIS + DS + Def 


in altra del gruppo stesso. 

Posto mente all'osservazione posta al principio del N° III 
della Nota I° potremo dedurre: la trasformazione di variabili (46), 
a parametri costanti, riduce il sistema differenziale (II) ad un 
sistema differenziale di forma simile. 

A calcoli fatti il sistema (II) assume invero la forma se- 
guente: 


i L2295 + be, al c& <| da — dg H (E — Na) (Ea Za) 


aj — 09) (A, — 03) ; T_ 
À no =_ 3 n da) o_o) 
(XII) ua a + bna + cnì — ia Hy i porch) 
da ia i en (0 Fil .0) (Z3— Ea) (Zane) 
è Ta Nea) ai 


in cui si è posto 
(50) H;= (a; + 1)a + a,;(0, + 1)B — apr. 


Le a; sieno invece funzioni del tempo, e si indichino come 
al solito le derivate rispetto a 4 nell'ipotesi delle a costanti 


di 
ONk= af aVvcemok 
G di’ avre 


diva 110 da, do dar è 


di 00 si do tai i ar 


Operando allora la trasformazione (46) in questa nuova ipo- 
tesi, avremo: 


È een 
We DI q4 di da, a, — Co) kn — 4 î 


Introducendo le variabili s, ne, Z2 a mezzo delle (46), ed 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 369 


eliminando le è a mezzo delle (49), otteniamo, dopo qualche 
riduzione, come trasformato del sistema (II) il sistema seguente: 


D_ Co — 03 da, (Enno) (E. —%a) 
coi Li oa + BASS Tan 

dn, __ giò d3—@ da, (n.2) (m—-%2) 
#15) — "Sfiora tt T H)® de 
dL, — da daz , Za— Z0) (G; 

| Feet ei : +H;) Orbe Na) 


dove per le /H; bisogna porre le espressioni date dalle (50). 
Le a,, 0%, 03 soddisfino al sistema differenziale 


(XIV) SL H=0 
ossia poniamo nelle (46) in luogo delle a; tre soluzioni distinte 


dell'equazione di Riccati 


= Rot (-a-Bt+t oa; 


(51) 
il sistema trasformato (XIII) assumerà la forma: 


Ce a+ bE, + ct 


(XV) sl a+ bons -| eni 


da a+ by + e 


ossia le &,, ns, Zs soddisfano ad una stessa equazione di Riccati: 


dt 


di 9 1 bt 


il che costituisce un risultato già ottenuto per altra via. 
Nel sistema (XIV) si introducono le variabili X legate alle a 


370 ERNESTO LAURA 


dalle formole (48), (49) — dopo facili calcoli si perviene al si- 
stema seguente: 


fold, a (h, — ha) — hs) 


di hg — ho 
(XVD di — g lm —h) 
dh = (h3 sa h,) (A. — ha) 

\ di h,— hy 


Il metodo esposto ai N' III e IV, e quello qui dato per 
l'integrazione del sistema (II), in sostanza coincidono, benchè le 
due equazioni di Riccati (51) e (IV) sieno diverse. Entrambi” 
questi metodi infatti riducono l’integrazione del sistema (II) alla 
integrazione separata dei due sistemi differenziali: 


(lg n 9 OSSIA 
zi a + dE 4 c&? ga = "tali 
dn _ 9 dn M_d)M_8) 
a 3 dai rd all er 
da _ |a dl c_ An 
gi dt 04 cl a =) Tae 


Consideriamo ancora il sistema differenziale (XIII) e deter- 
miniamo le a;, 09, 03 per modo che questo sistema coincida con 
il sistema (II); ciò equivarrà a determinare tutte le trasforma- 
zioni (47) che mutano in sè il sistema (II). Dovremo porre 
perciò: 


VITAITT sana 09) [a La H)=a 


ag — O (Fr se n R 


(a, _ A) (0a e” 03) 


0; — dg 4 sogna Hs)=y 


(as da) (a — 0) 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 371 


e quindi le a,, a, 03 soddisfano al sistema differenziale: 


(aj —az) (a, —) 
Ag da 


—=—-@0+{(—@a— f)a, — Bai + a 


(XVII) < Ca — = —-a + (Y —a — LE — Bai + B nadia) 


| Lc PA a+(1— a — B)az — Bag +y (o 0) (an— do) 


dt do — 0 
? ; ’ 
Operiamo sopra questo sistema la trasformazione 


9 | E” pida(d, — 3) + a (0 — 03) 6 ; 
(52) Bus pi(a, — 43) +0 — a; Sh. 


le p1, Po, ?3 indicando tre soluzioni distinte dell’ equazione di 
Riccati 
sa Fa + —f)o —+0?. 
Tenendo presenti le formole prima stabilite, il sistema (XVII) 
assume la forma: 


dBi __ 2 
di gle ar A pes 


ossia le 8,, 8», 83 soddisfano alla stessa equazione di Riccati — 
si conclude: l'integrazione del sistema (XVII) dipende da quella 
di una unica equazione di Riccati. Il metodo qui seguìto non lascia 
scorgere come si dovrebbe procedere per l'integrazione del si- 
stema (XVII) quando di quest’ultimo fosse conosciuta una so- 
luzione. 

Il sistema (XVII) è un sistema di Lie collegato con il gruppo 


Xf=(1+ a f) E + 1 +0) TL +); 
(53) è Yf=(0+ aî) £- 06) i 


Di ò d 
di = da SE dr da i + (03.-+-f3) SL 


372 ERNESTO .LAURA 


nel quale si è posto: 


f,= (a, — ag) (a — ao) 


Ag — da 
o (cia — 04) (ca — Ga) 
È O, — dg 


h= (0: — 01) (03 — 09) 
Pb Cod 


il quale non è transitivo dacchè il determinante delle È è 


nullo — questo gruppo è inoltre simile al gruppo delle rota- 
zioni dello spazio ordinario attorno ad un punto. Si potrebbe 
quindi, per ridurre l’integrazione del sistema (XVII) a quella di 
una equazione di Riccati, procedere con metodo analogo a quello 
dato nel N° precedente per il sistema (IX). Si incontra però 
maggior difficoltà per la ricerca dell’invariante del gruppo (52), 
o, il che è lo stesso, dell’integrale nelle sole a,, &2, 03 del si- 
stema (XVII), e quindi procederemo per altra via. 

Il sistema (XVII) coincide con il sistema (II) qualora in 
questo ultimo si ponga: 


ossia se introduciamo a mezzo delle (34) le analoghe delle quan- 
tità p,, che adesso indicheremo con p'x, 


Pas + pas — ila, — ipo __ _Putpas tipa tips 
2 "te 2 


| i(P'ia — p'13) = ip's4 = iP'1s 


D'ut past ip'3, ate ip 12 — iene Put Pa — ipa ip'i3 
2 2 
da cui 
PN 
D'oa3=0 
1 = go 
Posa =P34 
1 o 
Pia P 12. 


DI 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 373 
Se dunque determiniamo le tre quantità 
Peres ABU, fe. SA 
PEPi1 QPa TZ P 12 


per modo che 


\ 2a=p— i(g9--r) 
2B=p+ilg4+?) 
v=p t+il@=r) 


se usiamo delle formole (24), (26), il sistema differenziale (XVTI) 
si ridurrà al sistema lineare 


Mii fp 
dt 

dj dd E 

periti RAC LL; 

d 


& 
—, Ta — qu 


ar, 


Sono integrali di questo sistema 
2° +-y° + 2? wu? = cost 
y—-2= cost. 


Il sistema (XVIII) può ridursi mediante una opportuna scelta 
di variabili ad un sistema lineare con tre variabili a determi- 


nante gobbo. Si ponga perciò: 
ar+u=% y+2e=—-n ax—-u=L; 


il sistema (XVII) assumerà la forma: 
dE 
i (r— gn 4-22 


(XIX) Au r_ge—-(r+9% 


al 
a Mt dI PE 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 28 


“ 


974 ERNESTO LAURA 


è 


Questo sistema usando poi delle formole del Darboux si 
riduce all'integrazione dell'equazione di Riccati 
we da —prileto | odg: 
= — e DI 9 ir 9 0° 
ossia introducendo le a, f, Y: 
d DI 
F=—0+Mm_-e—B)o— po 
cioè all’equazione (51). Da quanto precede discende poi: se del 
sistema (XVII) è conosciuta una soluzione, con sole operazioni al- 
gebriche si possono ottenere due soluzioni particolari dell’ equa- 
zione (51); e con una quadratura l'integrale generale sia dell’equa- 
zione (51) stessa che del sistema (XVII). ; 
L'integrale generale del sistema (XVII) si ottiene risolvendo 
le (52) rispetto alle a,, 03, az quando per le p; si pongano tre 
soluzioni particolari dell'equazione di Riccati (51), e inoltre si 
ponga 
fp, ded 
‘— C+6G 


dove il 2° membro è l’integrale generale dell'equazione (51) e 
le C; sono costanti arbitrarie. 


Del sistema differenziale (II) sieno conosciute due soluzioni 
distinte : 


= De Da 
20, n.0, z,®. 
Determiniamo le a;, 0, az in modo da soddisfare alle equa- 
zioni: 
am, (£0)—z,()) + En —Z,0) 
a(£0)—Z,(0) + nl —z,(1) 
2) agmi(E,! — 7,01) + Em — 71) 
a(E 0 —-ZM0) + nz 


ogm ("(E (I) —Z,0) + En) —z0!) 
afE IZ) Pn 020 


2,0 22 


z0= 


Allora con metodo analogo a quello usato al N° precedente 
si dimostrerà che le a,, 09, a; che così si ricavano soddisfano 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 375 


al sistema (XVII), e quindi: se del sistema differenziale (I1) sono 
conosciute due soluzioni distinte, si potranno con sole operazioni 
algebriche ottenere due soluzioni dell'equazione di Riccati (51). Oc- 
correrà in questa ipotesi quindi una ulteriore quadratura, per 
avere l’integrale generale di questa stessa equazione. 


N 


i 


Nei N. precedenti l'integrazione del sistema (II) è ricon- 
dotta a quella delle due equazioni di Riccati (Vedi N° III): 


\ TT aq | br + ot? 
Di) 


| d -a48-14+(a-Bo+ to? 


\ C=atbr4 or? 
(55) | 
| d=-at(-a—B+no— po 


Introduciamo per le a, è, ... le espressioni in funzione dei 
coefficienti p,, del sistema (I) date dalle (34) ; le equazioni (54), (55) 
diverranno rispettivamente: 


\ di Sita pat pa) +i(pyu—P;s)t n T 


do © — Pa3 — (Psx — Par) A 
fer Pa3 n Di dllacina 


)o si DPR o? 
dt ast —(p +». Hip +» 9) o —(p EP Aa Pag + D 9) 
\ e 14 =» 84 Î +i(pu—p13)t+ Di » Pz Pi T? 


57) - 
do __—putpatiputpa) |; pi Misroe pi 
sc PuatTp e P13) +i(pse.— p19)0 +: Dis t-Pas e +P13) 02. 


Le due equazioni (56) vengono a coincidere qualora sia: 


pPao==<Psa ==iPsa 0. 


o è 


376 ERNESTO LAURA 


Il sistema (I) si riduce in questo caso ad altro simile con 
tre variabili, e all’equazione: 


u= cost. 


Le due equazioni (57) coincidono qualora: 


Pa3= 0 
Pr4 = Ps34 
Pia = P13 


Il sistema (I) si può ridurre (cfr. il $ III, pag. 16) ancora in 
questo caso ad altro di forma simile e con tre variabili mediante 


È SAI 5 5 - e 
una trasformazione nelle sole variabili dipendenti e all’equazione: 


y—-a= cost. 


La discussione generale dei casi in cui l'integrazione del 
sistema (I) dipende da quella di una sola equazione di Riccati, 
non è fatta in questa nota. Questa ricerca può essere eseguita 
studiando le relazioni che devono intercedere tra le @, d, c e 
le a, 8, y affinchè i due sistemi : 


Ed 5 de aa (E— n) Ea 
a = d+ dE+ 08 ) di ===M(0 =" 
die DI dn Luiglin—-9M_-9 
Fraiomide iI Oni; i? 
CIARA 2 SEI C_-5A—-n) 
vid eli a 


sieno equivalenti, ossia si possa passare dall'uno all’altro me- 
diante una trasformazione sopra le sole variabili dipendenti. 

Passeremo infine a considerare le riduzioni comportate nella 
integrazione del sistema (I), quando di esso sieno conosciute 
delle soluzioni particolari. 


A) — Se del sistema (I) è conosciuta una soluzione particolare, 
la completa integrazione di questo sistema è ricondotta a quella di 
una delle quattro equazioni di Riccati (56), (57). 


Infatti in questo caso è pure conosciuta una soluzione del 


: 
| 


Ù 


Free “E ——- gp 


SULLA INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA, ECC. 377 


sistema (II); se quindi usiamo, ad esempio, del metodo dato al 
$ III, Nota 1?, e se poniamo di sapere integrare l'equazione: 


Ca +b +e 


conosceremo la trasformazione (36), e quindi verremo a trovare 
tre soluzioni del sistema (III), ossia tre soluzioni del sistema (IV) 
(Vedi osservazioni al piede della prima pagina di questa Nota 2?). 
Otterremo dunque tre soluzioni distinte di una stessa equazione 
di Riccati e quindi potremo scrivere senza quadrature il suo in- 
tegrale generale, come pure quello del sistema (III). 

Le equazioni : 


/ z pra Lolo,— 0) + {= 0) 
Sari \ IC -)+ ie 


} e Mea )+ 4-0) 
D° ) RT mata; 
r — NO(G— C+ {0 — 0) 
2 


NC — Ca) t Ci — Cs 


nelle quali ZL, M, N sono funzioni note del tempo; e Ci, Ca, 3 
delle costanti arbitrarie rappresentano l'integrale generale del 
sistema (III). Riponendo allora nelle (36) le &s, ns, Z, con le fun- 
zioni del tempo date dalle (58), otterremo l’integrale generale 
del sistema (Il). 

Del sistema (1) e quindi anche del sistema (II) sieno cono- 
sciute due soluzioni distinte. Il teorema dato al N. IV, pag. 9, 
permette allora con una quadratura di scrivere l’integrale ge- 
nerale dell'equazione di Riccati: 


Ca + br + cet? 


e quindi di formare la trasformazione (36) che conduce dal si- 
stema (II) al sistema (III). Di quest’ultimo sarà conosciuta una 
soluzione e quindi senza quadrature se ne potrà formare l’inte- 
grale generale. 

Si otterrà perciò anche l’ integrale generale (procedendo 
come dianzi) del sistema (II), e quindi anche quello del si- 
stema (II). Si ha dunque: 


@ 


378. @. PONZIO ED E. VALENTE - SULLA BENZILFENILIDRAZINA, ECC. 


B) — Se del sistema (I) sono conosciute due soluzioni distinte, 
sì potrà formare il suo integrale generale mediante una sola qua- 
dratura. 

A risultato analogo conduce l'applicazione del teorema dato 
alla fine del $ IV. 

I risultati ora ottenuti e controsegnati con A) e B) furono 
ottenuti per altra via dal sig. Eiesland (Cfr. Memoria citata, 
“ Am. Journal of Math. ,, vol. XXXVIII, N° 1, pag. 27). Questo 
Autore riduce il sistema (I), quando ne sia conosciuta una so- 
luzione ad altro di forma simile a tre variabili mediante una 
trasformazione ortogonale a coefficienti variabili. La riduzione 
dell’integrazione del sistema (1) a quella di due equazioni di Ric- 
cati riesce fatta perciò per via indiretta. 

Il metodo dato da quest’Autore ha però il grande vantaggio 
di essere applicabile ad un sistema di forma simile al (1) con 
un numero qualunque di variabili. Nella citata Memoria egli ot- 
tiene per tal modo un risultato, notevole per la sua generalità, 
e che comprende come casi particolari i teoremi A) e B). 


Sulla benzilfenilidrazina simmetrica. 


Nota di G. PONZIO ed E. VALENTE. 


La benzilfenilidrazina simmetrica C;Hs.CHs.NH.NH.C;H; 
(B-benzilfenilidrazina) è stata descritta come una sostanza solida, 
fusibile a 155°, da Schlomann (1), il quale ritenne di averla 
ottenuta scaldando in tubo chiuso a 160°, per 24 ore, fenilidra- 
zina (1 molecola) con cloruro di benzile (2 molecole), distillando 
nel vuoto il prodotto della reazione (previo trattamento con 
acqua ed estrazione con etere), raccogliendo la porzione bollente 
a 230°-260° e cristallizzandola dall'alcool. D'altra parte, secondo 
Minunni (2), scaldando a 115°-120° il cloruro di benzile (1 mo- 


(1) Berichte 26, 1020 (1893). 
(2) Gazz. Chim. 22, II, 219 (1892). 


a 


PN T_T .T-——_—_——_ F——— ve —Wy " 


SULLA BENZILFENILIDRAZINA SIMMETRICA 379 


lecola) con fenilidrazina (2 molecole) si forma la benzilfenilidra- 
C;Hs.CHy 
zina asimmetrica (a-benzilfenilidrazina) SN.NB. 
CH; 
Rifacendo le esperienze di Schlòmann (loc. cit.), ed ope- 
rando nelle condizioni da lui indicate, noi non abbiamo potuto 
ottenere nessun prodotto bollente a 230°-260°, e questo risul- 
tato negativo, assieme al fatto che detto chimico non dà nes- 
suna prova che il suo composto sia realmente la $-benzilfenil]- 
idrazina (1), ci ha indotti a studiare nuovamente la reazione 
che avviene fra il cloruro di benzile e la fenilidrazina, per ve- 
dere se, come succede in altri casi analoghi, non si formasse 
una miscela delle due idrazine bisostituite a e f. 
Facendo però agire assieme detti composti in soluzione 
alcoolica abbiamo ottenuto benzilfenilidrazina asimmetrica 


CHs.CHsL 
_N.NH3 e benzilidenbenzilfenilidrazone (benzilfenilidra- 
CH; 


GH:.0Hx d 


CH; 

In seguito, basandoci sui lavori di E. Fischer e Knoeve- 
nagel (2), i quali da bromuro di allile e fenilidrazina avevano 
preparato, con buon rendimento, l’ allilfenilidrazina simmetrica 
C,H;.NH.NH.C;H;, abbiamo creduto di poter arrivare alla ben- 
zilfenilidrazina simmetrica in modo analogo, cioè facendo agire 
il bromuro di benzile sulla fenilidrazina, ma l’esperienza ci ha 
dimostrato che operando in soluzione eterea a freddo, si forma 
bromuro di fenildibenzilazonio C;H;(C;H;.CHs),NBr.NH,; e benzi- 
CsHs.CHs 


zone della benzaldeide) = CHHy 


| ON.N —= CH.C;H,. 
CsHs 
Con una via alquanto più lunga abbiamo finalmente rag- 
‘ giunto il nostro scopo. Basandoci sul fatto osservato da Mi- 
chaelis ed Hermens (8), secondo i quali il fenilortopiperazone 


lidenbenzilfenilidrazone 


(1) Sehlimann dice soltanto che il composto da lui ottenuto, come altre 
basi secondarie, non dà alcun precipitato coll’acido metafosforico. 

(2) Annalen 239, 204 (1887). 

(3) Berichte 25, 2751 (1892) e 26, 676 (1893). 


T 
sd 


hé 


380 G. PONZIO ED E. VALENTE 


CH, — CO — N.GjH; ’ 
| | è facilmente scisso dall’acido cloridrico in 
CH, — CO — NH 
fenilidrazina ed in acido succinico, abbiamo pensato che il de- 
CH, — CO — N.C;Hs 
rivato benzilico | | potesse allo stesso 
H, — CO — N.CH..C;Hs 
modo fornire la R-benzilfenilidrazina. L'esperienza ci ha dimo- 
strato che ciò realmente avviene e così siamo riusciti a pre- 
parare la benzilfenilidrazina simmetrica C;H;.CHs.NH.NH.C;Hg, 
la quale, precisamente come la maggior parte delle altre B-idra- 
zine, è un liquido di proprietà ben diverse da quelle del com- 
posto descritto da Schlòmann (loc. cit.) ed è inoltre pochissimo 
stabile, ossidandosi, anche all’aria, colla massima facilità, in 
benzilazofenile C5H;.CH,.N = N.CgH;. 


x 


Azione del cloruro di benzile sulla fenilidrazina. — 2 mole- 
cole di fenilidrazina sciolte in 5 volumi di alcool assoluto ed 
1 molecola di cloruro di benzile si scaldano per tre ore a rica- 
dere a bagno maria, per il che si osserva separazione di clori- 
drato di fenilidrazina. Il prodotto della reazione si versa in acqua 
bollente addizionata di acido acetico e di acetato sodico, sì estrae 
con etere l’olio separatosi, si secca la soluzione eterea su solfato 
sodico anidro e si tratta con acido cloridrico concentrato. Si ottiene 

CsHg.CHo 

in tal modo cloridrato di a-benzilfenilidrazina )N.NH,.HC1 i 
CoHs 

il quale eristallizza dall'acqua in prismi bianchi, fusibili a 170°. 

Gr. 0,6741 di sostanza richiesero cc. 28,7 di idrato so- 


I 1 


dico Da corrispondenti a gr. 0,104755 di acido cloridrico. 


Cioè su cento parti: 
trovato calcolato per C,:H,,N3.HC1 
Acido cloridrico 15,54 15,56 


Da esso, mediante trattamento con alcali, si isola l’a-bex- 
C;H;:CHs i 
cilfenilidrazina SN.NH, la quale, assoggettata alla di- 
(Gib ; 

stillazione nel vuoto, bolle tutta al disotto di 212° (Hj= 102%), 


Ed 
ptt “Cala «Pip PT, 


Voaitribcò sin ——_ °-° sxw.o_,<c<-wec<c<r<c<È«oe®..-®''">v _©S’rPr’ — —** — e (‘’@——MKMVTTT’@PÈ&V——_———@——’—@@—6@—_’’r—P_©r——m6@ 


SULLA BENZILFENILIDRAZINA SIMMETRICA 381 


e per la maggior parte alla temperatura costante di 207°-208° (1). 
Non sitha traccia di sostanza bollente a 230°-260°, quindi resta 
escluso che nelle condizioni descritte si formi il composto di 
Schl6mann (loc. cit.) (2). 

Nella soluzione eterea, dopo il trattamento con acido clo- 
ridrico, rimane disciolta una sostanza neutra, la quale, previa 
eliminazione del solvente e successive cristallizzazioni dall’alcool, 
si presenta in aghi bianchi fusibili a 111°. 

I. Gr. 0,1932 di sostanza fornirono gr. 0,5930 di anidride 
carbonica e gr. 0,1151 di acqua. 

II. Gr. 0,1488 di sostanza fornirono ce. 12,25 di azoto 
(Ho = 736,51 t= 11°), ossia: gr. (0,014217. 


Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per CaxHygNa 
ere e E__ce — * 
I de: 
Carbonio 83,70 — 83,91 
Idrogeno 6,62 — 6,29 
Azoto — 9,55 9,79 


I risultati dell’analis® e tutte le proprietà del composto di- 
mostrano che esso è il benzilidenbenzilfenilidrazone (benzilfenil- 
CoPf.CH, 
idrazone della benzaldeide) a SN.N — CH.C;H;, identico 

Di 

con quello che abbiamo pure preparato, secondo le indicazioni 
di Philips (3) facendo reagire la benzaldeide coll’ a-benzilfenil- 
idrazina. La sua formazione è dovuta alla proprietà, già osser- 
vata da Oefner (4), dell’a-benzilfenilidrazina di decomporsi spon- 


taneamente nel senso indicato dalla reazione 


CHy.CH,, C;H;.CHs 
)N.NH,= )N.N=CH.C;H:+G;HsNH.NH3+H, 
CsH; CsHs 


(1) Una determinazione di azoto fatta nel prodotto così ottenuto (tro- 
vato N= 13.07, calcolato per Ci3HyN, N= 14,14%) dimostra che la base 
non distilla inalterata, cosa già riconosciuta da Minunni (loc. cit.). 

(2) Il Dott. Ciusa, della R. Università di Bologna, ei comunica di aver 
anch'egli tentato di preparare la benzilfenilidrazina simmetrica col metodo 
di Schl5mann, arrivando agli stessi nostri risultati negativi. 

(3) Annalen 252, 289 (1889). 

(4) Monatshefte 25, 599 (1904). 


382 G. PONZIO ED E. VALENTE 


Per analogia coi risultati ottenuti da Paal e Bawedid” (1), 
i quali credettero di aver riscontrato fra i prodotti dèll’azione 


della fenilidrazina sul cloruro di o-nitrobenzile, oltre alla o-ni- 
(NO3)C:H,.CHo 
trobenzilfenilidrazina N.NH,, anche la bis-o-ni- 


QbEL | 


(N0,)C;H,.CHs, 


trobenzilfenilidrazina N.NH.CH,.C;H(N0), ab- 


C5Hy” 

biamo dapprima creduto che il nostro composto, fusibile a 111°, 
CsHsCHy 

fosse la bis-benzilfenilidrazina © SN.NH.CHy.(Hs, la quale 
Ce b9) 


contiene due atomi di idrogeno in più del benzilidenbenzilfenil- 
idrazone e richiede C—= 83,33, H= 6,94, N=9,72%. I numeri 
trovati e l’esperienza di confronto sopra riferita ci tolsero però 
ogni dubbio e ci indussero a studiare nuovamente l’azione 
del cloruro di o-nitrobenzile sulla fenilidrazina. In tal modo 
abbiamo potuto dimostrare che la cosiddetta bis-o-nitrobenzil- 
fenilidrazina di Paal e Bowedig altro non è che l’o-nitroben- 
ziliden-o-nitrobenzilfenilidrazone (0-nitrobenzilfenilidrazone della 
(NO,)C;H,.CHy 
o-nitrobenzaldeide) SN.N=CH.C;H(N0;) cioè con- 
CH; 
tiene due atomi di idrogeno in meno (2). 

Ripetendo infatti le esperienze di detti chimici, cioè riscal- 
dando a ricadere per tre ore 1 molecola di fenilidrazina con 
due molecole di cloruro di o-nitrobenzile, versando il prodotto 
della reazione in acqua bollente contenente disciolti acetato sodico 
ed acido acetico, estraendo con etere e trattando con acido clori- 
drico, abbiamo anche noi riscontrato nella soluzione eterea un 


(1) Berichte 25, 2896 (1892). 

(2) Ciò concorda anche colle analisi a Paal e Bowedig (loc. cit.), i quali 
hanno trovato C = 63,87, H = 4,57, N= 15,03, mentre pei due composti si 
calcola rispettivamente 


CoHygN,O; CaoHieN,O4 
Carbonio 63,49 63,82 
Idrogeno 4,76 4,25 
Azoto 14,82 14,89 
ia 
hs 


SULLA BENZILFENILIDRAZINA SIMMETRICA 383 


composto neutro, il quale cristallizza dall'alcool in aghi rossi 
fusibili a 128°. Però l’identico composto l'abbiamo pure ottenuto 
mescolando soluzioni alcooliche di quantità equimolecolari di 
o-nitrobenzaldeide e di o-nitrobenzilfenilidrazina : l’o-nitrobenzil- 
fenilidrazone della o-nitrobenzaldeide si forma immediatamente 
a freddo e ricristallizzato dall'alcool si presenta in aghi rossi 
fusibili a 128°, difficilmente solubili in alcool, in etere ed in acido 
acetico, solubili nell’acetato di etile e nel benzolo, ed in tutte 
le loro proprietà identici colla creduta bis-o-nitrobenzilfenil- 
idrazina di Paal e Bowedig. 


Azione del bromuro di benzile sulla fenilidrazina. — Aggiun- 
gendo una molecola di bromuro di benzile a due molecole di 
fenilidrazina sciolte nel doppio volume di etere anidro e man- 
tenendo la miscela alla temperatura ordinaria, comincia a sepa- 
rarsi, già dopo breve tempo, un ammasso di cristalli di bromi- 
drato di fenilidrazina. Separando quest’ultimo, trascorse 24 ore, 
e distillando l’etere filtrato si ottiene un residuo pastoso, dal 
quale, per trattamento con benzolo a freddo, si separa una so- 
stanza insolubile, che cristallizza dall’alcool in splendidi prismi 
bianchi fusibili a 143°. 

I. Gr. 0,2338 di sost. fornirono cc. 16 di azoto (Hj= 741,07 
t= 13°), ossia gr. 0,018492. 

II. Gr. 0,5806 di sostanza fornirono gr. 0,2946 di bro- 
muro di argento. 


Cioè su cento parti : 


trovato calcolato per CxHayNsBr 
pr e rar a 


I II 
Azoto 7,90 _ 7,98 
Bromo — 21,50 21,68 


Questo composto, insolubile nell’etere e nel benzolo, poco 
solubile a caldo e pochissimo a freddo nell’alcool, è anche po- 
chissimo solubile nell'acqua e non si altera a contatto degli 
idrati alcalini, e non è altro che bromuro di fenildibenzilazonio 
(bromuro di dibenzilfenilidrazinio) (;H;(C;H;.CHs),NBr.NH;, finora 
non conosciuto. La sua formazione è dovuta ad una reazione che 
avviene fra il bromuro di benzile e l’a-benzilfenilidrazina, rea- 


: e 


I84 G. PONZIO ED E. VALENTE 


zione che è analoga a quella che ha luogo p. es. fra il bromuro 


di etile e l’etilfenilidrazina in assenza di solvente ‘e*che dà . 


origine, secondo E. Fischer (1), al bromuro di fenildietilazonio 
(bromuro di dietilfenilidrazinio) C;H;(C.H;),NBr.NHs. Vuol dire 
adunque che in soluzione eterea la fenilidrazina e il bromuro 
di benzile reagiscono fra di loro solo parzialmente nel senso 
previsto, cioè con formazione di a-benzilfenilidrazina e di bromi- 
drato di fenilidrazina: eliminando però il solvente, il bromuro 
di benzile rimasto inalterato e l’a-benzilfenilidrazina formatosi 
reagiscono poi l’uno coll’altra con formazione di bromuro di 
fenildibenzilazonio : 


C5Hs.CHa_ Hr Al 
C;H;.CH,Br + N.NH,= a 
CH, (CH;-CHx),” SB 


Sciolto nel benzolo rimane un altro composto, il quale, 
isolato per svaporamento del solvente e cristallizzato dall’alcool 
si presenta in aghi bianchi fusibili a 111° e si riconosce per 

CHs. Ha 
bencilidenbenzilfenilidrazone N.N=CH.CgHgs cheat 
CH 
forma in modo analogo al caso precedentemente studiato. 


Idrolisi del benzilfenilpiperazone. — Il Ponzitiehipe sa 


CHs.C0. A CiH; 
l'abbiamo preparato, secondo le indicazioni 
0H,.00.N.cH;C,H; 
di Michaelis ed Hermens (2), facendo agire alcoolato sodico e 
CHs.CO.N.C;H; 


cloruro di benzile sul fenilpiperazone | | che ave- 
CH,.CO.NH 


vamo a sua volta ottenuto dal cloruro di succinile (3) e cloridrato 
di fenilidrazina in soluzione benzolica. Riscaldato con acido clori- 
drico al 20 °/, subisce rapidamente l’idrolisi trasformandosi in 


(1) Annalen 190, 107 (1878). 

(2) Berichte 25, 2747 (1892) e 26, 674 (1893). 

(3) Alle attuali conoscenze sul cloruro di succinile è da aggiungersi 
che esso distilla a 106° a 30 mm. di pressione. 


dl SULLA BENZILFENILIDRAZINA SIMMETRICA 385 


acido suini ed in benzilfenilidrazina simmetrica, la quale 
| si separa per raffreddamento allo stato di cloridrato. 

Il cloridrato della benzilfenilidrazina simmetrica C3H;.CHg. 
NH.NH.C;Hs.HC1 sì presenta in laminette bianche fusibili a 
193°-95° ed è poco solubile nell’acqua calda; insolubile nel- 
l’etere (1). 

I. Gr. 0,1625 di sostanza richiesero ce. 6,87 di idrato 


sodico To: corrispondenti a gr. 0,025075 di acido cloridrico. 


II. Gr. 0,3398 di sostanza fornirono ce. 35,5 di azoto 
(Ho = 733,92 t=13°), ossia gr. 0,040719. 


Cioè su cento parti : 


trovato calcolato per C;3HyNs3HC1 
Z| Oo x>K,o<S- Cr 
I II 
Acido cloridrico 15,43 — 15,56 
Azoto — 11,98 11,94 


Trattato con soluzione di acetato sodico fornisce la denzi!- 
fenilidrazina simmetrica (B-benzilfenilidrazina) C;H;.CHs.NH.NH. 
CH; la quale è un olio incoloro più leggiero dell’acqua, che 
all'aria si ossida colla massima rapidità trasformandosi in ben- 
zilazofenile C3H;.CHs.N = N.C;H;. Quest'ultimo composto ha per 
nol un interesse speciale, dovendone confrontare le proprietà 


(1) Nella memoria di Michaelis ed Hermens (loc. cit.), pubblicata nel 1893, 
si trovano alcune comunicazioni preliminari sul cloridrato di benzilfenil- 
idrazina simmetrica, comunicazioni date con riserva, ma che non furono 
mai confermate e che secondo le nostre esperienze risultano erronee. Detti 
chimici accennano di aver ottenuto per azione dell’acido cloridrico concen- 

CH3.C00C3Hs 

trato sull’etere benzilfenilidrazinsuccinico | un 
CHs.C0.N.CH,C;H;.NHGH; 
ridrato fusibile a 167°-170° che ritennero per quello della 8-benzilfenilidra- 
zina. Decomponendolo con alcali, estraendo la base con etere e trattando 
la soluzione eterea con ossido giallo di mercurio ottennero un olio rossastro, 
dal quale poco a poco si separò una sostanza bianca fusibile a 200°-201°; 
mediante distillazione col vapore separarono l’olio che ritennero benzilazo- 
fenile, mentre considerarono la sostanza solida come un isomero (?) del pre- 
cedente. È curioso poi notare che nel Beilstein (IV, pag. 1385) si trova 
descritto, evidentemente per una svista, come benzilazofenile (benzolazofe- 
nilmetano) il composto bianco fusibile a 200°-201°, 


clo- 


386 G. PONZIO ED E. VALENTE - SULLA BENZILFENILIDRAZINA, E 


con quelle di un prodotto che abbiamo ottenuto per altra via: ci 
proponiamo perciò di prepararlo, più comodamente, sia per idrolisi 
CsHg.C0 COC;Hxz 
SN 


G:H;.CHy& NG;Hi 
applicando la reazione scoperta da Baeyer (1) ed estesa poi da 
Mills (2), da Bamberger (3) e da Auwers e Robhrig (4) a molti 
amidoderivati, mediante la quale si possono ottenere facilmente 
gli azocorpi: 


della dibenzoilbenzilfenilidrazina , sia 


C;Hs.NO + H,N.R= GH;.N= N.R +4 H30 


L’Accademico Segretario 
LorENZO CAMERANO. 


Trattando il nitrosobenzol con benzilamina C;Hs.CHs.NHy 
si dovrebbe appunto ottenere il benzilazofenile : È 
C;H;.NO + H,N.CH,.CGHg= CH;.N= N.CH,.C;Hs + H30 | 
ma su questo argomento riferiremo in una prossima Nota. | 
Torino, Istituto Chimico della R. Università. 
Gennaio 1908. 
(1) Berichte 7, 1638 (1874). 

(2) Journ. Chem. Soc. 67, 928 (1895). 
(3) Berichte 29, 102 (1896). : 
(4) Berichte 30, 989 (1897). 


me: 


DIR CEE 9 PP TT 


— — /AVII I, IT 


387 


% i 
kr CLASSE 
©“ DI 
SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 19 Gennaio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: BoseLLi, Vice-Presidente dell’Acca- 
demia, Rossi, ALLievo, CARUTTI, CHIRONI, RUFFINI, STAMPINI, 
D’ErcoLe, BronpI, Srorza e De Sanctis, Segretario. 

Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente, 5 gen- 
naio 1908. 

Il Vice-presidente On. BoseLLi offre a nome della R. Depu- 
tazione di Storia patria l’ottavo volume della Bibliografia sto- 
rica degli Stati della monarchia di Savoia, compilata da Antonio 
Manvwo, rilevandone la grande importanza. 

Il Socio RurrINI presenta l’opera di Mons. Emanuele CoLo- 
MiaTTI, Codex iuris pontificii seu canonici (Taurini 1888-1907), e 
ne illustra il contenuto ed il valore con parole che sono regi- 
strate negli Atti. 

Il Socio Rossr presenta per l'inserzione negli Atti una sua 
nota intitolata: Delle dottrine religiose dell’antico Egitto. 


La Classe quindi si raccoglie in seduta privata e procede 
alla nomina della Commissione: giudicatrice del premio Gautieri 
per la letteratura (triennio 1905-1907), nella quale riescono 
eletti i Soci ReNIER, GRrAF e Srorza; e a far parte della Giunta 
per la biblioteca accademica conferma per un nuovo triennio il 


Socio Manno, giusta l’art. 32 dello Statuto accademico. 
LERISHA (0: T90A0E 


388 FRANCESCO ROSSI — DELLE DOTTRINE RELIGIOSE, ECC. 


n = = == —— —_——@mu 


LETTURE ” 


Delle dottrine religiose dell’antico Egitto. 
Nota del Socio FRANCESCO ROSSI. 


L’egittologia, questa novella disciplina creata dal genio dello 
Champollion, raggiunse ben presto per opera dei numerosi suoi 
cultori un onorevole posto infra le altre scienze sorelle. 

Ma a difendere le dottrine del grande Maestro dagli at- 
tacchi de’ suoi avversari, rivolsero in sul principio i discepoli 
le ricerche nel campo puramente filologico, lasciando ai suc- 
cessori le investigazioni nel campo filosofico-religioso, e col ri- 
comporre, come fecero, la. lingua, che è indispensabile all’intel- 
ligenza dei miti in essa espressi, prepararono ai filosofi un ampio 
materiale per le loro ricerche. 

La religione egiziana, che eccitava così vivamente l’attiva 
curiosità dello Champollion, è ancora poco nota in quanto a’ suoi 
principii, e la teoria già da lui segnalata della triade sotto i tre 
aspetti di padre, di madre e di figlio; tutta l'evoluzione divina, 
la credenza in un Dio unico, e le attribuzioni dei quattro ele- 
menti riferentisi a tipi che li concretano, ma di una maniera 
piuttosto derivata, che primitiva, tutti questi punti sparsi di una 
religione già fatta, mostrano, come bene ha osservato il sig. Le- 
FEBEUR nel suo studio sopra alcuni capitoli del Libro dei morti, 
il punto a cui essa tende, piuttosto che il concetto fondamen- 
tale da cui questa deriva. 

L’epopea religiosa dell’antico Egitto è fondata sopra una 
specie di lotta divina, in cui Horo, la Luce, trionfa di Set, le te- 
nebre, l’uccisore di Osiride, e questa guerra dei due fratelli rivali, 
collegata dai sacerdoti egiziani alla storia generale e locale del 
loro paese, traspare ad ogni tratto in tutti i loro testi sacri, 
ed è confermata pure dai racconti degli autori greci, in gran 
parte iniziati a questi misteri. L’antichità greca offre quindi un 
ricco tesoro a queste ricerche, aumentato oggi ancora dai tanti 


[4 


dr" 


DELLE DOTTRINE RELIGIOSE DELL'ANTICO EGITTO 389 


Bminiti religiosi riprodotti nelle splendide pubblicazioni dello 
Champollion, del Rosellini, del Lepsius, e di altri esimii egit- 
tologi, contenenti gli inni e le composizioni sacre dell’antico 
Egitto, e principalmente i testi relativi al mito d’Horo e le scene 
delle tombe reali e sopratutto il Libro dei morti. 

La tradizione egiziana, confermata dal rinomato papiro je- 
ratico cronologico, o canone regio, che si conserva nel Museo 
egizio di Torino, ci dice che prima dei re mortali regnarono in 
Egitto per una serie sterminata di anni gli Dei, divisi, come 
ci narra Erodoto, in tre ordini tra loro genealogicamente con- 
nessi. 

Gli Dei del primo ordine erano otto, ed i loro nomi si tro- 
vano ancora nei monumenti, aventi ciascuno uno special culto 
nei diversi nomi, in cui era fin dai più remoti tempi diviso 
l'Egitto. Così Ammone che i Greci paragonarono col loro Giove, 
era adorato principalmente in Tebe, ove gli fu inalzato il famoso 
tempio. Ptah invece, l’“Hparotog dei Greci ed il Vulcano dei La- 
tini, aveva principal culto in Memfi, l’antica rivale di Tebe, ed 
il suo tempio godeva per tutto l'Egitto di non minore rinomanza 
che quello di Ammone in Tebe, ed era oggetto della stessa ve- 
nerazione. 

Ammone, il Dio nascosto, secondo il significato del suo 
nome, è quella forza occulta, che trae le cose alla luce; Ptah 


è l'organizzatore del mondo, il Dio che compie, secondo l’espres- 


sione del filosofo neo-platonico d'Alessandria, Giamblico, tutte le 
cose con arte e verità. 

Gli Dei del secondo ordine, discendenti immediatamente dal 
primo, per via di figliazione, componevano l’anello intermedio che 
legava l’elemento cosmogonico, formato dal primo ordine, col- 
l'elemento psicologico o terrestre, costituito dal terzo. Gli Dei di 
questo secondo ordine erano dodici, e tutti figli di più antiche 
divinità cosmiche, e specialmente di Ra il più giovane di esse, 
ma tutti di antica origine, e molto diffusamente adorati. Il ca- 
rattere quindi di quest'ordine è esistenza derivativa, secondaria 
ed al tempo stesso istrumentale, analoga ad un 'di presso a 


quella dei cabiri. L'idea di divinità è in quest'ordine considere- 


volmente mescolata colla credenza di potere di natura, ed ha 

una materiale tendenza, da cui risulta essere quest'ordine non 

puramente cosmogonico come il primo, ed anche non completa- 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 29 


390 FRANCESCO ROSSI 


mente terrestre e psicologico come il terzo. A capo del terzo 
ordine troviamo Osiride, che la tradizione fa figlio di Seb, il 
Cronos dei Greci, uno dei figli di Ra, e termina con Horo, il 
vincitore di Tifone, il dio del male. Ed anche nel sovra citato 
papiro cronologico o Canone regio, Horo è dato come l’ultimo 
dei Re divini, ed il suo nome è,in questo papiro, separato da 
quello di Mene, il primo dei re mortali, soltanto per alcune poche 
linee jeratiche, che contenevano la serie cogli anni di regno 
degli Hor-Sesu 0 sequaci di Horo, il Dio nazionale per eccel- 
lenza, ed il pastore speciale del popolo egiziano, e furono questi 
Hor-Sesu, che costituirono il governo teocratico, il quale prece- 
dette il regno di Mene. 

Ma al disopra di tutti questi Dei, dei quali la fervida im- 
maginazione del popolo egiziano aveva popolato il suo cielo, 
stava per l’iniziato al santuario un Dio unico, increato, invisi- 
bile e nascosto negli abissi inaccessibili della sua essenza, di 
cui Ra, il Dio della Luce, il Sole, era la prima e più splendida 
manifestazione. 

Infatti in un papiro del nostro Museo, pubblicato negli 
“ Atti della R. Accademia delle Scienze ,, 1879, rappresentante 
in una graziosa scena il Dio Ra, che percorre nella sua barca 
la volta celeste, uscendo dalla regione delle tenebre, raffigurate 
in sette donne colorate in nero e senza testa, portanti sul collo 
un lungo serpente, e chiamate le reggenti o regine dell'Occidente, 
nell’iscrizione geroglifica, che accompagna la scena, fa è chia- 
mato Dio unico che fu nel principio, ogni Dio fu dopo di lui. In 
queste figure di donne colorate in nero, l’autore volle simboleg- 
giare le tenebre, che precedettero la luce, ed alludere al tempo 
indefinito, senza misura, che ha preceduto la formazione del 
mondo, od in altre parole, il caos, ossia la notte primordiale e 
senza limite, che troviamo in quasi tutte le cosmogonie; con- 
cetto, che si trova pure espresso nel capitolo XVII del Libro 
dei morti, il grande repertorio delle dottrine religiose di quel 
popolo. Questo capitolo, che espone nel suo principio la cosmo- 
gonia secondo i sacerdoti egiziani, comincia colle seguenti parole: 
Io sono Atum, allorchè era solo nel Nun. Atum è il sole notturno, 


o meglio la forma oscura, che prende Ra, il sole luminoso, 


l’unico esistente nel Nun, l’abisso celeste, ossia l'elemento acqueo, 
l'oceano primordiale, che contiene nel suo seno i germi di tutte 


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DELLE DOTTRINE RELIGIOSE DELL'ANTICO EGITTO 391 


le cose. Quindi prosegue: /o sono Ra, col suo diadema, allorchè 
ha cominciato la sovramità che ha fatto; e spiega quest’ ultima 
frase dicendo: È Ra, allorchè cominciò ad apparire nel regno 
che ha fatto, quando non esisteva ancora il firmamento. — 

Da Atum sorge quindi Ra, il quale divide i quattro elementi, 
che prima esistevano nel Nur, come forze disordinate e confuse, 
e col separare il cielo dalla terra, produce la luce, che dà la 
vita a tutti gli esseri. Il che concorda pure col bell’inno al sole, 
ove il Dio è invocato con queste parole: Tu, Signore del cielo, 
Signore della terra, hai fatto le stelle, che sono mel cielo, gli uo- 
mini, che sono sulla terru; Dio unico esistente da principio, hai 
fatto le terre, hai creato le intelligenze, hai fatto il Nun, hai 
creato il Nilo, hai fatto le acque, e fai vivere tutto ciò che è in 
esse. Egli è adunque il Dio, ghe mantiene e conserva la vita ed 
il mondo, il Dio attivo, operante e combattente. Per questo Ra 
è il padre, il tipo ed il modello dei re dell’Egitto, che tengono 
da lui il loro potere, e regnano su questo come Ra sul mondo. 
Di qui ne viene che tutti i Faraoni prendono il titolo di figlio 
del Sole, titolo che precede nei cartelli reali il nome di famiglia. 

Un episodio del suo regno, degno di essere qui menzionato, 
è quello della distruzione degli uomini per opera degli Dei, con- 
servatoci in una iscrizione mitologica della grande tomba di 
Seti I a Tebe. In una piccola camera oscura e bassa, che tro- 
vasi quasi in fondo della magnifica tomba di questo re, è rap- 
presentata in un grande basso-rilievo una vacca colorata in 
rosso, avente sotto il ventre il Dio Su, l'Atlante egizio, con otto 
altre divinità personificate da stelle. Lo Champollion che ripro- 
dusse ne’ suoi monumenti dell'Egitto questo basso rilievo, omise 
la grande iscrizione geroglifica che l’accompagna, ed è quella 
appunto che contiene la narrazione di questo grande episodio 
del regno di Ra. Non ostante le molte lacune, prodotte dal 
tempo e più ancora dalla mano degli uomini, che interrompono 
in parecchi luoghi la narrazione, si ricava come Ra, il quale da 
una lunga serie d’anni regnava sugli uomini e sugli Dei, nei 
suoi vecchi giorni offeso dall’audacia degli uomini che congiu- 
rarono contro di lui, raduna il Consiglio degli Dei, rivolgendosi 
al suo padre Nun con queste parole: “ Tu, l'anziano degli Dei, 
“ da cui io sono nato, e voi Dei antichi, ecco gli uomini che 
“ sono nati da me, pronunziano parole ingiuriose contro di me; 


fi 


392 FRANCESCO ROSSI 


“ ditemi ciò che volete fare a questo proposito; io ho aspettato, 
“e non ho voluto punirli prima d’aver inteso il vostro giudizio ,. 
Allora Nur, il più anziano degli Dei, prende la parola, e testi- 
moniata. a Ra la sua profonda venerazione, a nome di tutti pro- 
pone all’oltraggiato Monarca la distruzione degli uomini che 
congiurarono contro di lui, e ne viene dato l’incarico alla Dea 
Sekhet, la Dea che, nei monumenti colossali del nostro Museo, è 
rappresentata con testa di leone, sormontata dal disco solare, 
e chiamata la guardiana dei templi, la punitrice degli empi, la 
distruggitrice dei nemici di Ra. 

La Dea impiega parecchie notti in questa opera di distruzione, 
colla quale riempie del sangue degli uomini tutto il paese sino 
ad Eracleopoli, e riceve per la sua obbedienza gli encomii da Ra. 

Dopo questa strage degli uomini, lo sdegno di Ra viene 
pienamente placato per una grande offerta, preparata dai mes- 
saggieri del Dio, consistente in una quantità straordinaria di 
frutti raccolti in tutto l'Egitto, e mescolati col sangue degli 
uomini, di cui riempiono settemila vasi. Questa offerta colma di 
gioia il cuore del divino monarca, che nella sua contentezza 
giura di non più distruggere gli uomini. 

Da questo punto il testo dell'iscrizione si fa sempre più 
difficile ed oscuro per le numerose lacune, che interrompono la 
narrazione. Pare tuttavia, che dopo qualche tempo la terra siasi 
di nuovo popolata d’uomini, i quali si fanno una seconda volta 
a congiurare contro di lui. Poichè il testo parla ancora di un 
combattimento, in cui questi nemici di Ra vengono pienamente 
dispersi. Ma legato dal giuramento fatto, non potendo più di- 
struggerli, e stanco della loro compagnia, si fa trasportare in 
cielo da Nun, ed affida il governo della terra al Dio Seb ed 
alla Dea Nut, dal cui connubio nacque Osiride, il primo Dio del 
terzo ordine. Osiride infatti è ad ogni tratto chiamato nelle 
stele funerarie il figlio maggiore di Seb, quegli che siede sul trono 
di Seb, l'erede di Seb; ed il suo culto, sebbene il meno antico, 
fu il più diffuso di tutti, poichè a differenza delle altre divinità, 
che erano ordinariamente particolari a tale o tal altro nomo, 
Osiride, Dio del mondo delle anime, regnava per tutto l'Egitto, 
di modo che ciascuna delle 42 capitali di provincia aveva un 
tempio consacrato a questo Dio. 

Osiride, narra la tradizione, è l’essere infinitamente buono, 


[d 


DELLE DOTTRINE RELIGIOSE DELL'ANTICO EGITTO 393 


che dopo aver regnato lunghi anni, nella valle del Nilo, ed in- 
segnato a’ suoi abitatori costumi e leggi, colmo di benedizioni fu 
ucciso dal malvagio Tifone, che con l’aiuto de’ suoi 72 compagni, 
fattone a pezzi il corpo, li disperse per tutto il suolo d'Egitto, 
o secondo il racconto dei Greci, rinchiuso il cadavere in una 
cassa di mummia, lo gettò nel Nilo. Iside, che gli era sorella 
e sposa, avutane la novella nella città di (opto, prese tosto le 
gramaglie, e corse, piangendo, la contrada in cerca del corpo del- 
l'amato consorte. Lo trovò finalmente a Biblo, sul lido fenicio, 
spinto ivi a terra dalle onde, dove, a proteggerlo della verde 
sua ombra, era sorto improvvisamente un gran tamarisco, l’al- 
bero sacro ad Osiride. Di qui essa lo portò in Egitto, e diedegli 
‘in Abido splendida sepoltura. In questo frattempo crebbe il loro 
figlio Horo, che risoluto di vendicare il padre suo, combattè du- 
rante un lungo numero di giorni Tifone ed i suoi compagni, nè 
cessò dalla lotta finchè non li ebbe cacciati da tutto l'Egitto, 
vendicando così la morte del padre. Ma questi non era morto; 
egli era solamente disceso nel mondo inferiore, ove fondava il 
regno delle anime, e riviveva intanto nel suo figlio Horo come 
giovane principe dei viventi in una nuova vita e rinnovata 
signoria. 

Ora questo mito, che in linguaggio simbolico ci conduce 
alla dottrina della credenza egiziana sull’immortalità dell'anima, 
ha la sua radice appunto nella natura di quella contrada. Infatti 
la valle del Nilo, formata dai versanti delle due catene di mon- 
tagne, la libica che la chiude ad occidente e la protegge dalle 
sabbie e dagli uragani del gran deserto di Sahara, e l’arabica, 
che si estende all’oriente sino al Mar Rosso e termina coll’istmo 
di Suez, sarebbe rimasta un’ arida petraia se il Nilo, che la per- 
corre in tutta la sua lunghezza, nelle sue annuali e regolari in- 
nondazioni, col depositare un limo grasso e leggiero, non l'avesse 
resa atta alla produzione, convertendola in una delle più fertili 
regioni del mondo. Il Nilo adunque, che inaffia il terreno dis- 
seccato dal sole e lo concima e ne rende possibile la vegetazione, 
e con ciò la vita nella contrada, e che con la regolare innon- 
dazione e col decrescimento stabilisce la norma alle divisioni 
dell'anno e quindi tutta l’attività e tutto quanto lo sviluppo so- 
ciale ed intellettuale de’ suoi abitatori, non era altro pei religiosi 
egiziani, che un’ emanazione di Osiride; anzi lo stesso Dio Osi- 


9 


394 FRANCESCO ROSSI 


ride sotto forma corporea. Così nel bell’inno al Nilo, questo è 
invocato dal poeta egiziano con tali parole: “ Omaggio a te, 
“ che ti sei manifestato su questa terra, e vieni in pace a far 
“ vivere l'Egitto, irrigatore delle campagne create da Ra; tu 
“ abbeveri la terra, e scendi amico dei pani e delle produ- 
“zioni ,. Quando poi gli infocati venti del deserto libico ardono 
le campagne, e la corrente del Nilo decresce, allora Osiride 
è ucciso da Tifone e dai suoi 72 compagni, che ne fanno a pezzi 
il corpo e li disperdono per tutto l'Egitto. Desolata lo cerca 
Iside, la madre terra, sospirando indarno gli abbracciamenti del- 
l’adorato consorte; ora signoreggia il paventato Tifone, il Dio 
della Siccità e della Sventura, con i suoi compagni, ed il paese 
piange la morte di Osiride. Ma quando dopo i 72 giorni del-, 
l’infocato calore, ed alla metà di giugno, il letto del fiume si 
riempie di nuove acque, ed il Nilo, al tempo del solstizio d’estate, 
esce fuori delle sue sponde e ne allaga tutta la valle, allora è 
Osiride di nuovo svegliato; il giovane Horo, cioè la nuova be- 
nedizione dell’anno, ha vinto il Dio dell’arsura e della sterilità. 

Così la morte di Osiride ed il suo ritorno a vita non sono 
altro che l’annuale spegnersi e risvegliarsi a vita della forza 
della natura; la sua morte non è che apparente; esso continua 
a vivere e nel suo figlio Horo e nel mondo inferiore. Anche la 
‘ morte dell’uomo è nella dottrina egiziana assimilata al depe- 
rimento della forza creatrice della natura, che sfugge alla morte 
per rinascere alla vita; l’uomo, cioè, non muore di una morte 
eterna, ma la sua anima divisa dal corpo continua a vivere 
come la sonnecchiante forza della natura, e come questa di nuovo 
si sveglia, e la morta terra si riempie di nuova freschezza di 
vita, così anche un giorno l’anima del trapassato si ricongiun- 
gerà col suo corpo ad un nuovo corso di vita. 

Osiride aveva inoltre ancora un culto molto diffuso sotto 
la forma vivente del bue Apis. Il bue era in tutto l’ Egitto 
l’animale tenuto in maggior conto, poichè era sotto queste 
spoglie che Osiride, l’essere sommamente buono, scendeva tal- 
volta in mezzo agli uomini, esponendosi ai dolori della vita ter- 
restre. La sua madre era tenuta vergine anche dopo il parto, 
perchè Apis non era concepito nel seno di sua madre per con- 
tatto del maschio, ma da Ptah, la sapienza divina personi- 
ficata, che sotto forma di un fuoco celeste, 0, come dice Ero- 


DELLE DOTTRINE RELIGIOSE DELL'ANTICO EGITTO 395 


doto, di un raggio di cielo, fecondava la vacca, che doveva 
dargli la vita. Apis era quindi un’ incarnazione di Osiride per 
virtù di Ptah, e, come insegnavano i sacerdoti, secondo la testi- 
monianza di Plutarco, Osiride ed Apis si fondevano in una sola 
e stessa divinità, e dovevasi considerare Apis come un’ imma- 
gine perfetta dell'anima di Osiride. Egli aveva quindi un san- 
tuario nel tempio di Ptah a Memfi, e quando veniva a morire, 
era la sua morte pianta per settanta giorni; si imbalsamava il 
suo corpo, e lo si seppelliva con la più grande pompa nei sot- 
terranei del tempio, designato dai greci col nome di Serapeum 
o tempio di Serapide. Compiute le cerimonie funebri, i sacerdoti 
uscivano in cerca di un novello Apis. Se trovavano in qualche 
mandra un torello generato da una vacca, che non avesse ancor 
partorito, e munito di certi segni sacri, che dovevano essere in 
numero di 28, si congratulavano per tanta fortuna col proprie- 
tario della mandra, e conducevano il novello Apis nei dintorni 
di Nilopoli, in una prateria, ove dimorava quaranta giorni. Quindi 
lo si trasportava a Memfi sopra una barca ornata di un naos 
dorato, e si celebrava in tutto l'Egitto la sua riapparizione per 
sette giorni continui con processioni, sacrifizi ed altri segni di 
gioia, perchè la ricomparsa di Apis era riguardata come una 
prova vivente della protezione divina. 

Strettamente congiunto col mito di Osiride è quello di Horo. 
La morte di Osiride e la vendetta che ne prende il figlio Horo 
ne forma il principale argomento. Tifone insieme co’ suoi com- 
pagni avendo preso con inganno ‘Osiride, e fattone a pezzi il 
corpo, li disperse per tutto l’Egitto. Il figlio non doveva lasciare 
impunito tanto delitto: epperò accompagnato dalla madre Iside, 
e guidato dal Dio Yhoth, dichiara la guerra a Tifone, che in 
questo mito si nasconde sotto le forme di un ippopotamo; ma 
dopo lunga lotta viene preso, ed è incatenato da Horo. Ottenuta 
questa vittoria, Iside consiglia il figlio di fare a pezzi il suo 
nemico, come questi aveva fatto del padre suo, e di offrirne le 
varie membra agli Dei, che la Dea gli addita; così Horo, uc- 
ciso Tifone, e fattone a pezzi il corpo, è dichiarato giusto. 

In questa leggenda Tifone non è più semplicemente il Dio 
del male, l'avversario personale di Osiride, ma è un sovrano, 
che occupa con i suoi compagni la più grande parte dell'Egitto 
da Edfou sino all’oriente del delta. Hor-euti regna in Nubia, 


396 FRANCESCO ROSSI 


dove è come relegato; ma nell’anno 363 del suo regno, il suo 
figlio Hor-hut raccoglie un esercito. ed accompagnato dal padre 
suo, il quale lo segue durante tutta la spedizione, e lo appoggia 
co’ suoi consigli, scende in Egitto, e cacciato Tifone si fa signore 
di tutto il paese. 

Come il mito di Osiride ha il suo fondamento nella natura 
del suolo egiziano, così questo dio Horo dovette probabilmente 
avere a radice un fatto storico. Infatti Set, il nome egiziano 
di Tifone, è nella storia egiziana rappresentato come il Dio dei 
nemici, e specialmente dei popoli di razza semitica, che conqui- 
starono una volta la contrada, e la misero sovente in pericolo; 
ed è secondo lo storico egiziano Manetone, il re, che nella di- 
nastia degli Dei precedette immediatamente Horo. Questa tra- 
dizione perciò dimostrerebbe che la successione di Horo dovette 
aver avuto luogo per diritto di conquista, e che questi avve- 
nimenti avrebbero di poco preceduto i tempi storici. 

Questi due miti formano per così dire il perno, intorno a 
cui si svolgono le dottrine religiose contenute nel Libro dei morti. 

Tale libro, il cui più compiuto esemplare è posseduto dal 
Museo di Torino, fu dallo Champollion intitolato itwale fune- 
rario, a ciò forse indotto dalle scene che l’accompagnano, ri- 
guardanti le ceremonie in onore dei defunti, e della trasmigra- 
zione delle anime. Ma un esame più profondo di questo testo 
persuase il Dr. Lepsius, che ne fece la pubblicazione nel 1842, 
a chiamarlo Libro dei morti, poichè, come osservò quest’esimio 
egittologo, esso non contiene’ alcuna istruzione pel culto dei 
morti, nessun inno o preghiera che venisse pronunziata dai sa- 
cerdoti nell’interramento del defunto, ma è il defunto stesso, 
che parla e narra le cose che vede ed ode, le preghiere e le 
invocazioni che egli stesso rivolge ai diversi Dei presso ai 
quali egli giunge; in una parola riguarda lui solo, e le sue av- 
venture nel lungo errare dopo la morte terrestre. 

I primi quindici capitoli di questo grande repertorio delle 
dottrine religiose dell’antico Egitto sono i soli, che compongono 
un tutto ben ordinato e connesso, e si può dire, che essi rap- 
presentano lo schema o meglio l’essenza dell’intiera opera, di 
cui i rimanenti capitoli formatisi a diverse epoche e provenienti 
anche da diverse fonti, non sono che un’ amplificazione di par- 
ticolari atti ed avvenimenti dell’anima. 


DELLE DOTTRINE RELIGIOSE DELL'ANTICO EGITTO 397 


Questi primi capitoli portano il titolo 


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ha-m-ro.umu per m hru, 


principio dei capitoli della manifestazione alla luce; letteralmente, 
principio dei capitoli dell’uscire al giorno. La scena, che illustra 
questa parte dell’opera, rappresenta la solenne processione fu- 
nebre, dietro la quale appare il defunto adorante il Dio Sole. Il 
primo capitolo contiene le invocazioni al Signore dell’ Averno, 
Osiride; nel nono questi schiude al defunto, come a suo figlio, 
le vie del cielo e della terra, e nei seguenti l’Osiriano (giacchè 
il defunto è qui assimilato ad Osiride e ne porta anche il nome) 
è giustificato ed introdotto nel regno della luce, che è la meta di 
tutto il pellegrinaggio infernale. Da questo momento la carriera 
del defunto è assimilata del tutto a quella del sole; egli esce dal 
mondo sotterraneo ogni mattina col sole per riposarsi con esso 
alla sera nel Xer-neter (il mondo sotterraneo), e come l’anima ce- 
leste ossia fu, veniva ogni sera a coricarsi nel corpo terrestre 
ossia in Osiride (il sole del mondo sotterraneo), così l’anima del 
defunto elevandosi al cielo col sole, lo lasciava ogni sera, e si 
ricongiungeva col suo corpo nel sepolero. 

Il cielo era quindi considerato come il soggiorno delle anime, 
mentre la terra era la dimora dei corpi. E questa separazione 
dell'anima e del corpo è meglio ancora indicata nelle stele fu- 
nerarie, ove s'incontrano frequentemente le espressioni: la sua 
anima è nel cielo, il suo corpo è nella terra, o quest'altra: possa 
egli entrare ed uscire dal Xer-neter, l’anima nel cielo, il corpo nel 
tuau od emisfero inferiore. 

Egli esce, dice il testo, il giorno come Horo, e ricomincia la 
vita dopo morte ogni giorno. Nel capitolo XV, chiede di essere 
adorato al mattino, di coricarsi alla sera; che la sua anima esca 
con Ra verso il cielo. Altrove si legge: io mi corico la notte, i0 
chiudo gli occhi la notte, io sono sotterrato durante il tempo della 
notte in questo canale del bacino di Maa. 

E questo concetto, che della vita oltremondana si forma- 
vano gli Egiziani, è più chiaramente ancora indicato nel Shat 
en Sinsin, o libro della respirazione, ove è detto: tu ti svegli ogni 


998 FRANCESCO ROSSI 


giorno; tu vedi i raggi del sole; Ammone viene a te coi soffi della vita 
e ti fa respirare nel tuo sarcofago; tu esci verso il cielo ogni giorno. 

Ora per questo il defunto doveva riprendere tutti i suoi 
organi ed essere ristabilito, come era sulla terra; laonde è detto 
al capitolo 164 del Libro dei morti: che il corpo non si corrompa, 
ma divenga vigoroso nel Xer-neter, che le sue carni e le sue ossa 
siano preservate dai vermi, e siano sane come quelle di chi non è 
morto; che cioè la sua testa, le sue braccia, i suoi occhi, le sue 
orecchie, la sua bocca, la sua loquela e la sua forza gli siano 
rese; in una parola che risusciti pienamente nel Xer-neter. 

Di qui si spiega la cura immensa che ponevano gli Egiziani 
alla conservazione del loro corpo, ed ogni loro membro era posto 
sotto la protezione di qualche Dio, acciocchè non sia guasto, dice 
il libro, ed offeso il suo corpo eternamente. Ma perchè il defunto 
potesse ottenere questa protezione e conseguire la risurrezione 
nel Xer-neter, era necessario, che la sua anima fosse dichiarata 
pura nel giudizio, che si compiva nella sala della doppia giu- 
stizia. Questo giudizio, che è anche rappresentato figurativa- 
mente, forma l’argomento del capitolo 125° del suddetto libro, 
ed è uno dei più ripetuti sui papiri funerari. Esso porta il ti- 
tolo: Capitolo dell'entrata nella sala della doppia giustizia : l'in- 
dividuo si separa dai peccati che ha fatto per vedere il volto degli 
Dei. La scena che lo accompagna, rappresenta un’ampia sala, 
poggiante da ciascun lato sopra colonne di ordine egizio, i cui 
capitelli imitano il bottone del fiore di loto. A sinistra vi è 
Osiride, fasciato in forma di mummia, e seduto sopra un ricco 
trono, posto entro un tempietto, che tiene nelle mani lo scettro 
a uncino e lo staffile come simbolo della sua dignità sovrana; 
e nella sala fanno corona a Osiride 42 Dei, segnalati per le 
loro teste simboliche, muniti tutti della penna di struzzo, indizio 
del loro grado di giudici, ed innanzi a questi sta una piccola 
figura inginocchiata, rappresentante il defunto colle mani solle- 
vate in atto di adorazione. 

Di contro ad Osiride e sull’entrata della sala è rappresen- 
tato di nuovo il defunto in piedi, con una mano levata innanzi 
agli occhi e l’altra piegata al petto; su lui è scritta in quattro 
brevi linee verticali l’invocazione, che egli fa ad Osiride così 
concepita: “ Omaggio a te, che risiedi nell’Amenti, Unnefer, 
“ Signore di Abido, concedi che io attraversi il cammino delle 


DELLE DOTTRINE RELIGIOSE DELL'ANTICO EGITTO 399 


“ tenebre, e mi unisca co’ tuoi servi, che abitano nel cielo in- 
“ feriore; che io entri ed esca dalla contrada di Ro-sta (una 
“ denominazione del mondo inferiore), e dalla sala della doppia 
“ giustizia, possa io raggiungere l’abitazione del cielo inferiore ,. 

Qui lo riceve primieramente la Dea della giustizia, chia- 
mata Ma, segnalata dalla penna di struzzo, e porta il titolo di 
regina dell’'Amenti, e concede, dice l'iscrizione che l’accompagna, 
che il nome di lui (cioè del defunto) sia nella sua casa, e che 
esso si congiunga colla sua fonte (principio) in eterno. Comune- 
mente è questa Dea rappresentata due volte, volendo forse con 
questa ripetizione esprimere l’idea di giustizia rimuneratrice e 
giustizia punitrice, poichè anche la sala è chiamata della doppia 
giustizia. Nel mezzo della scena è innalzata una bilancia, sulla 
quale siede un cinocefalo, simbolo dell'equilibrio, l’animale sacro 
a Thoth. In uno dei piattelli della bilancia vi è un vaso in 
forma di cuore, e presso di questo, come sorvegliando l’opera- 
zione, è rappresentato di nuovo il defunto. A fargli contrap- 
peso, nell’altro piattello vi è l’immagine della Dea Ma. 

Il Dio a testa di sciacallo, Anubis, il protettore dei morti, 
porta la mano alla corda di questo secondo piattello; Horo, il 
Dio a testa di sparviero, tiene la mano al regolatore per di- 
chiarare se vi è equilibrio nella bilancia, e Thoth,il Dio a testa 
di ibis, il giustificatore di Osiride e di Horo e di tutti i de- 
funti riconosciuti giusti, scrive sulla tavolozza dello scriba, che 
tiene in mano, il risultato della bilancia. La leggenda che sta 
sopra questo Dio dice: Parole di Thoth, Signore di Xumnnu 
(Ermopolis): Signore delle divine parole, Dio grande, residente in 
Heser, che il suo cuore (cioè del defunto) sia rimesso al suo posto; 
che è quanto dire l’annunzio della sua risurrezione; poichè cre- 
devasi, che il cuore conservasse il principio della vita, e nel- 
l’imbalsamazione veniva questo trattato a parte, e posto in un 
vaso speciale sotto la protezione del genio funerario Tuamutef. 
Il defunto perciò risuscitava, quando gli si restituiva il cuore. 
Innanzi al Naos d’Osiride ed al disopra di una tavola piena di 
offerte stanno i quattro genii funerari, i figli e compagni di 
Osiride, i quali hanno principal cura della mummia. Infine dietro 
a questi e sopra un piedestallo in forma di propileo havvi una 
belva mostruosa a testa di ippopotamo e ventre di lupa, colla 
bocca spalancata, che ricorda il cane cerbero dei Greci, ed è 


400 FRANCESCO ROSSI 


chiamata nella leggenda che l’accompagna; la distruttrice dei 
nemici, la divoratrice, signora dell’Amenti, nella regione dell’ Amenti. 

Veniva quindi la confessione negativa, che il defunto faceva 
volgendosi a’ suoi giudici con queste parole: “ Omaggio a voi, 
“ Signori della doppia giustizia. Omaggio a te, Dio grande, Si- 
gnore della giustizia. Io sono venuto a te, mio signore, io mi 
avvicino per vedere le tue grazie. Io conosco il tuo nome, io 
conosco il nome de’ tuoi 42 Dei, che sono con te nella sala 
della doppia giustizia, viventi per sorvegliare i peccatori, per 
nutrirsi del loro sangue, il giorno del rendimento delle opere 
innanzi ad Unnefer (ossia Osiride) giustificato ,. Quindi pro- 
seguiva: do non ho commesso peccati verso gli uomini, io non ho 


oppresso i deboli, io non ho proferto menzogne nel luogo della giu- 


stizia, io non ho fatto atti abbominevoli agli Dei. E così di se- 
guito viene enumerando le varie azioni cattive che non ha com- 
messo, le quali tutte si possono facilmente riassumere nei se- 
guenti peccati capitali, che sono: la tirannia, la menzogna, il 
sacrilegio, la durezza di cuore, l'omicidio, l’adulterio, il furto, e 
termina la sua confessione negativa col dire: 20 sono quattro 
volte puro, la mia purità è la purità della grande Fenice, che è 
in Suten-XNenen. Nulla di abbominevole è in me in questa terra 
della doppia giustizia. Sì, tu mi salvi dalla loro mano. 

Ma per essere ammessi fra gli eletti, non bastava essersi 
astenuto dal male, era necessario avere operato anche il bene; 
epperò alla confessione negativa teneva dietro una confessione 
positiva, in cui il defunto enumerava le opere buone, che aveva 
compite sulla terra. “ Io diedi (dice egli) da mangiare @ chi 
“ aveva fame, da bere a chi aveva sete, vestimenta ai nudi, al- 
loggio a chi era senza asilo, accolsi nella mia barca quelli, 
che a me si accostavano, pregando, per passare il fiume, io 
portai offerte agli Dei e doni ai trapassati ,. Ottiene per ciò 
di non essere condannato innanzi al Signore delle anime, perchè 
pura è la sua bocca, bianche sono le sue mani. Vieni, gli si dice, 
vieni a gioire del suo volto (cioè d’Osiride), perchè tu hai ascol- 
tato la sua parola, e fu trovata pia la tua anima sulla terra. 

Tuttavia, prima d'essere accolta fra gli eletti del cielo, l’a- 
nima del defunto doveva subire ancora la purificazione del fuoco 
per liberarsi da ogni più piccola macchia od impurità, che potesse 
aver contratto nella sua dimora sulla terra. E questa purificazione 


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“« 


DELLE DOTTRINE RELIGIOSE DELL'ANTICO EGITTO 401 


col fuoco forma l'argomento del capitolo 126, che segue imme- 
diatamente quello del giudizio nella sala della doppia giustizia. 

In testa di questo capitolo, che lo Champollion designò col 
nome di purgatorio egizio, sta una vignetta rappresentante un 
bacino di fuoco, ai cui quattro angoli siede un cinocefalo, che 
il defunto invoca con queste parole: “ Ob! voi, che vivete della 
“ verità, vi nutrite della verità, esenti da frode, detestanti il 
“ male, scancellate in me ogni sozzura, togliete da me ogni ini- 
“ quità, non rimanga più in. me alcuna macchia, fate che io 
“ entri in fo-sta, che io traversi i piloni misteriosi dell’Amenti ,. 
Ed i cinocefali gli rispondono : “ entra ed esci da Ro-sta, tra- 
“ versa, cammina innanzi; noi annulliamo i tuoi falli, noi di- 
“ struggiamo le sozzure, di cui ti sei macchiato sulla terra; 
“ noi cancelliamo tutte le impurità, che tu possa aver conser- 
“ vato; entra in £o-sta, passa per i piloni misteriosi dell’ A- 
“ menti, esci ed entra a tuo piacimento con gli altri mani, e 
“ sii invocato ogni giorno in mezzo dell’orizzonte ,. 

Egli è quindi accolto nel coro degli Dei; non è più soggetto 
alla morte, diventa egli stesso un Dio, e riceve, come gli Dei, 
omaggio dai viventi, pani, bevande, cibi sull’altare di Ra, latte, 
grano ed orzo nelle campagne di Aarou, l’Elisio egiziano. 

Il suo arrivo in questa beata contrada è anche rappresen- 
tato figurativamente al capitolo 110 di questo Libro dei morti. 
È questa un’ampia valle, bagnata da un immenso fiume, che tutta 
la percorre, e non offre alcun pericolo a traversarlo, perchè seb- 
bene sterminata sia la sua larghezza, ed imm'ensurabile la sua 
lunghezza, non vi ha alcun pesce, non v'è alcun rettile in esso. 

In questa amena valle entra il defunto, accompagnato dal 
Dio Thoth, che tiene nelle mani il papiro della giustificazione, 
e, fatto omaggio al ciclo degli Dei grandi, sale nella barca che lo 
deve menare al luogo di dimora assegnatogli. Qui lo si vede colti- 
vare il suo campo, arare, seminare e mietere: le sue biade sono 
alte sette cubiti, e tre le spighe, e della ricca messe raccolta fa 
offerte al Dio Hapi, il Nilo celeste, che ha dato fertilità ai campi. 

Di qui si vede la stretta analogia, che questa campagna 
di Aa-rou ha coi campi elisi dei Greci, che essi pure ci rappre- 
sentano bagnati ed atfatto circondati dall'Oceano, ove le anime 
santificate continuavano, secondo le loro inclinazioni, la vita ter- 
restre, libera però d'ogni male terreno; e si differenzia tuttavia 


402 FRANCESCO ROSSI 


dall’Elisio greco in ciò, che l’eletto nella dottrina egiziana» non 
rimaneva rinserrato nella regione infernale, ma ne usciva & 
piacimento, e poteva fare tutte le trasformazioni, che voleva, 
ritornare fra i mortali, o, come dice il testo, marciare sulla 
terra come vivente, essere nel luogo dei viventi di cui poteva pren- 
dere tutte le forme. Nel sovracitato libro della respirazione si 
legge : un Dio è la tua anima nel cielo, che prende tutte le tra- 
sformazioni che desidera. 

Ma se nella sala del giudizio il cuore del defunto si fosse 
trovato leggiero nella bilancia della doppia giustizia, e l’anima 
macchiata di colpa e perciò indegna di partecipare alla gioia 
eterna dell’Elisio, veniva cacciata dalla presenza de’ suoi giudici, 


e condannata a migrare per le diverse esistenze della terra, sino 
CA 


a ritornare nel corpo d’uomo. 

Una ripetuta morte era così per lungo tempo il suo re- 
taggio, finchè questa, come anima umana, fosse stata trovata 
giusta innanzi al Tribunale di Osiride. La migrazione dell'anima 
era quindi una espiazione ed una purificazione, perchè essa aveva 
peccato e si era macchiata. 

Ma oltre le anime, che nella sala della doppia giustizia, 
perchè macchiate da colpe e peccati, non erano state trovate 
degne della Società degli Dei, e perciò a fine di purificarsi ave- 
vano a ricominciare la loro migrazione nelle diverse esistenze 
terrene, sembra la dottrina sacerdotale degli Egiziani distin- 
guere ancora un’altra classe d’anime, la cui natura, essendo 
del tutto inclinata al male, erano divenute incorreggibili e 
condannate quindi alla doppia morte, poichè non solamente. il 
loro corpo, ma anche la loro anima era incorsa nella morte 
eterna. Questi sono chiamati nelle loro sacre scritture i dop- 
piamente morti, cioè gli atei, gli empi, i compagni di Set, i di. 
spregiatori degli Dei, i dannati. i 

Come le anime trovate pure e pie nella sala della doppia 
giustizia, non ricominciavano la migrazione, perchè non ave- 
vano più bisogno di purificarsi, così le anime di questi ultimi 
erano condannate alla doppia morte, perchè non erano più ca- 
paci di purificazione; incorrevano perciò nell’eterna morte del 
corpo e dell’anima, e divenivano il nutrimento dei malvagi de- 
moni del mondo inferiore. 

A conferma di questa dottrina si possono citare parecchi 


a gT° ——— 


DELLE DOTTRINE RELIGIOSE DELL'ANTICO EGITTO 403 


luoghi del Libro dei morti, in cui si allude a questi demoni, 
che avevano potere sulle anime dei trapassati, e potevano tor- 
mentarle ed anche ucciderle. Così al capitolo XVII, il defunto 
rivolge al Signore dell’Averno, la seguente preghiera: “ Oh! 
“ Signore della grande dimora, Re Supremo degli Dei, salva 
“ l’Osiride da quel demone che ha la faccia di Tesem (il nome 
“ di cane), le sovracciglia d’uomo, che si nutre dei perversi ,, 
e più sotto: “ Salva l’Osiride da questo demone che rapisce le 
“ anime, che divora i cuori, che si nutre dei cadaveri ,. 

Egualmente dicesi di un altro demone: un fuoco è la sua 
anima per consumare i corpi dei doppiamente morti. In un altro 
luogo rivolge il defunto le parole a tre altri genii funerari: 
“ Oh! demoni, che vivete della doppia morte, non cada io sotto 
“ di voi, non entri uno dei vostri spiriti nelle mie membra ,. 

Nel capitolo sovracitato il defunto dice ancora: “ Salva 
l’Osiride da questi guardiani, a cui il Signore degli Spiriti 
“ ha affidato la sorveglianza de’ suoi nemici, che ha abbando- 
“ nati per essere immolati. Alla loro guardia nessuno può sot- 
trarsi. Fa che io non cada sotto le loro spade: che io non 
metta il piede sul loro palco insanguinato, che io non segga 
nelle loro prigioni, che io non cada sotto la loro mannaia, che 
io non sia preso nelle loro reti, che non mi venga fatto nulla 
di ciò, che detestano gli Dei, perchè io sono un principe nella 
grande sala , (nella sala cioè della doppia giustizia). 

Onde si vede, che la speculazione contemplativa sacerdo- 
tale non si limitava alla doppia morte, all’annientamento totale 
dell'anima per una sola volta, ma andava ancor oltre, e faceva 
soffrire a questi condannati, innanzi alla loro totale distruzione, 
ricercati tormenti e martirii. 

Come i beati nelle 75 regioni del cielo, in altrettante belle 
trasformazioni godono ogni immaginabile gioia, così i dannati 
nelle 75 regioni del tenebroso inferno, ove le anime atee (dice 
il testo) ron fissano mai il Dio Sole, quando fa splendere i raggi 
del suo disco, sono assoggettati ai più tormentosi martirii; qui 
bolliti in incandescenti caldaie sono fra i più orribili tormenti 
della sete gettati in fredda acqua, ma appena cercano di bere, si 
cangia questa subito in fuoco fiammeggiante; il cibo che essi 
vogliono prendere, scompare come ombra; sono inoltre legati 
a pali da rossi demoni, e tagliati a pezzi da spade; coi piedi 


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404 FRANCESCO RUFFINI 


attaccati in alto è strappato loro il cuore dal corpo; tormenti 
che ben ricordano quelli descritti nell’ Inferno dal grande Ali- 
ghieri. 

Possiamo quindi conchiudere dalla breve analisi che ab- 
biamo fatto di questo Libro dei morti, essere credenza degli 
Egiziani che il defunto in virtù di certe cerimonie e di certi 
atti da lui fatti o compiuti in suo favore, e giustificato nella 
sala della doppia giustizia, risuscitava, ‘riprendeva i suoi or- 
gani, e divenuto immortale, godeva le beatitudini del mondo 
superiore, e ritornava a piacimento fra i viventi con facoltà 
di prendere tutte le forme desiderabili. Si professava, in una pa- 
rola, la dottrina dell'immortalità dell'anima, e la credenza di 
un premio per i buoni, e di un castigo per i cattivi in un altro 
mondo, o, per dirlo con linguaggio egiziano, in una eterna vita 
dei giusti, ed in una doppia morte dei malvagi. 


Cenno illustrativo sull'opera di Mons. E. CoLomiattI, Codex iuris 
pontificiù seu canonici (Taurini, G. Derossi, Tom. I-HI, 
1888-1906). 


Nota del Socio FRANCESCO RUFFINI. 


L’opera, che il Prof. Emanuele Colomiatti offre per mezzo 
mio all'Accademia, compendia il frutto di ben vent'anni oramai 
di indefesso, accurato e pazientissimo lavoro. 

Il valore di essa può essere considerato sotto un duplice 
aspetto; e cioè sotto l'aspetto della sua opportunità attuale, e 
quindi prevalentemente pratico; e poi sotto l’aspetto del suo 
carattere storico, e quindi essenzialmente scientifico. 

Al primo riguardo bisogna che si ricordi, come il Ponte- 
fice Pio X abbia appunto, con uno dei primi atti del suo ponti- 
ficato e cioè con il Motu-proprio: De Ecclesiae legibus in unum 
redigendis, del 19 marzo 1904, dato inizio a una grande impresa 
di codificazione dell’universo diritto ecclesiastico, a preparare la 
quale fu nominata una numerosa Commissione. 


seine 


CENNO ILLUSTRATIVO SULL'OPERA DI MONSIGN. E. COLOMIATTI 405 


Che il compito da questa assuntosi sia veramente tale da 
far tremar le vene ed i polsi a qualunque più erudito e più 
coraggioso canonista, e che esso, di conseguenza, abbia lasciato 
alquanto scettici sul suo finale risultato parecchi dei cultori di 
questa scienza, ognuno comprende di leggeri quando rifletta, che 
data dal 1317 l’ultima opera di codificazione del proprio diritto 
che la Chiesa cattolica conosca. Da allora in poi nulla più si 
ebbe di somigliante, non già perchè il bisogno di una compila- 
zione riassuntiva dell'immenso materiale legislativo disperso non 
siasi fatto sentire sempre, e a volte addirittura in modo quasi 
incalzante. Basterà ricordare quel tentativo di una nuova codi- 
ficazione del diritto canonico, che si ebbe al chiudersi del Con- 
cilio di Trento sullo scorcio del secolo decimosesto, e che per 
complesse ed in parte ancora misteriose ragioni compiutamente 
fallì. E si potrà ricordare ancora, come tra le più urgenti in- 
stanze, che il Corpo vescovile cattolico presentò agli ordinatori 
del Concilio Vaticano, fosse precisamente quella che il Concilio 
stesso desse opera ad una codificazione del diritto ecclesiastico, 
tanto più desiderabile in quel punto, in quanto di gran lunga 
era venuto accrescendosi il materiale legislativo nei tre altri 
secoli decorsi dopo il Concilio di Trento. Ma anche questa volta 
la improvvisa sospensione del Concilio avvenuta, come è assai 
noto, il 20 ottobre 1870, tolse che il desiderio fosse soddisfatto. 
Ora è appunto nell’intento di agevolare l’invocata codificazione, 
che dalla chiusura del Concilio Vaticano in poi molti canonisti 
cattolici si sono dati attorno a compilare schemi e progetti di 
essa. Fra questi il più imponente, senza possibilità di contesta- 
zione, è quello, intorno a cui si travaglia dal 1888 in poi il Co- 
lomiatti, senza che però egli sia giunto ancora al termine del 
suo grande tentativo. 

Nè faccia meraviglia questo irrompere dell'iniziativa pri- 
vata in una intrapresa di carattere così essenzialmente pubblico, 
anzi addirittura sovrano, qual'è quella di codificare il diritto. 
Tutti i grandi diritti storici, a cominciare dallo stesso Diritto 
romano per finire col Diritto inglese, hanno conosciuto queste 
opere preparatorie dei privati nel campo della codificazione ; 
opere, a cui sovente è stato poi assegnato o in modo esplicito 
dall'Autorità pubblica, che le faceva proprie e le sanciva, o in 
modo implicito per opera della medesima, che se ne valeva 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 30 


406 FRANCESCO RUFFINI 


nella pratica, un carattere stabile ed ufficiale. Per non uscire 
dal campo della Chiesa cattolica, è troppo noto che Ja prima 
compilazione sistematica del diritto ecclesiastico fu quella in- 
trapresa sul cader del secolo V dal monaco Dionigi, collezione 
che pontefici ed imperatori accolsero di poi ed elevarono a dignità 
di vero Codice. È noto del pari l’importanza decisiva che su- 
bito ottenne in tutta la Cristianità e conservò nei secoli quel- 
l'opera, di iniziativa tutt’affatto privata, che è il celeberrimo 
Decreto di Graziano. È noto infine, come dall'opera ancor sempre 
di un privato, da una delle cosiddette Compilationes antiquae, e 
cioè dalla collezione di decretali, che Bernardo di Pavia pubbli- 
cava nel 1191, derivi quella quintuplice ripartizione in libri, 
che le grandi Raccolte posteriori delle decretali dei pontefici 
Gregorio IX, Bonifacio VIII, Clemente V accolsero, e che è ri- 
masta poi definitiva e decisiva nei libri e nelle scuole ortodosse 
della Chiesa cattolica fino ai giorni nostri. Naturale quindi che 
in un corpo così strettamente fedele alle sue tradizioni; come 
è quello della Chiesa cattolica, la memoria di quegli illustri 
precedenti abbia invogliato parecchi ecclesiastici a ritentare 
l'esperimento. E non sarebbe neppure da meravigliare, che di 
qualcuno di questi lavori preparatorî di carattere privato 
avesse poi a rimanere decisiva l'impronta nella futura codifi- 
cazione, dato sempre che questa abbia davvero a riuscire a buon 
termine. 

A questa gara nel compilare progetti e disegni del futuro 
nuovo corpo del diritto ecclesiastico hanno preso parte essen- 
zialmente Giuristi francesi e Giuristi italiani. La scienza tedesca, 
anche la più ortodossa, si è tenuta alquanto in disparte, poco 
persuasa dell’opportunità dell'impresa, e non immune del resto, 
neppure in questo campo, dalla scarsa propensione, così carat- 
teristica dei Tedeschi, ai grandi lavori di codificazione. Tant'è 
vero, che per mutare di ambienti e di compiti, non si possono 
però svestire mai a pieno i caratteri fondamentali della propria 


razza e gli abiti mentali del proprio paese! E di ciò hanno data 


pure una convincentissima prova gli stessi Canonisti francesi e 
i Canonisti italiani, dei quali abbiamo detto, per il modo assai 
diverso, con cui essi si sono accinti all'opera comune. I Fran- 
cesi, invero, non hanno saputo staccare l'occhio dal loro famoso 
Codice Napoleonico, e si sono pertanto studiati di darci un Co- 


i CENNO ILLUSTRATIVO SULL'OPERA DI MONSIGN. E. COLOMIATTI 407 
dice ecclesiastico fatto ad immagine e somiglianza di quello : 
testo di loro esclusiva fattura e distribuito in brevi articoli 
uguali, ordine logico e sistematico e non cronologico nella di- 
stribuzione della materia, nessuna traccia poi di preoccupazione 
scientifica o di elaborazione del materiale legislativo, in forma 
così apodittica e secca messo insieme. Gli Italiani invece, me- 
mori certo di un savio ammonimento che era già nella petizione 
dei Vescovi napoletani al Concilio Vaticano, e cioè che non 
sarebbe convenuto alla Chiesa di seguire l'esempio dei codici 
civili attuali, e di adottarne lo sminuzzamento dei precetti le- 
gislativi in brevi articoli, si attennero per contro più fedelmente 
nelle loro compilazioni alle tradizioni secolari della Chiesa. E 
quindi ci diedero un testo non di loro fattura, ma dedotto inte- 

| gralmente dalle leggi già ora imperanti nel seno stesso della 

| Chiesa, riproducendole nella loro integrità letterale non solo, 
| ma anche, occorrendo, nella loro maestosa ampiezza. Ed inoltre, 
| pur avendo distribuito secondo grandi linee sistematiche la 
materia, rispettarono però, finchè fu possibile, la successione 

cronologica dei vari disposti legislativi. Infine corredarono i 

loro progetti, quali in misura maggiore e quali in minore, di 
tutto un apparato ora di testi paralleli, ora addirittura di com- 

| menti. 

E questo è vero, massimamente per il lavoro del nostro 

Colomiatti. Il sistema da lui seguito è il seguente: il codice è 

diviso in due grandi parti. La prima comprende il Jus pri- 

marium seu fundamentale, e contiene tutti i canoni relativi al 

Sommo Pontefice, fondamento di ogni diritto, e la seconda com- 

prende il cosiddetto Jus secundarium seu derivatum, e cioè tutti 

gli altri canoni, i quali ricevono forza dall’antorità del Sommo 

Pontefice. 

La materia è distribuita in titoli, sezioni, capitoli, distin- 
zioni e in canoni, la cui numerazione è continua per tutta l’o- 
pera. Per ciascun canone vengono riprodotti, senza nessun cam- 
biamento, i termini stessi delle costituzioni pontificie e dei 
decreti dei concilii, in cui l'argomento sia stato definito nel 
modo più esplicito e più perspicuo. In nota peraltro vengono 
riprodotti gli altri eventuali canoni consonanti con quelli del 
testo, dato sempre che ce ne siano. E vengono del pari ripro- 
dotti quegli altri canoni ancora, che sono stati da quelli ac- 


” 


408 FRANCESCO RUFFINI 


colti nel testo, abrogati in tutto o in parte, e gli errori, che 
dai vari canoni furono condannati. Se i canoni compresi nelle 
note fanno parte di già del Corpus juris canonici, vale a dire 
furono accolti nel Decreto di Graziano o nelle Decretali, il Co- 
lomiatti si accontenta semplicemente di citarli, secondo il metodo 
consueto, essendo assai facile ricorrere direttamente al testo; 
in caso inverso egli li riproduce per intiero, indicando la loro 
data e le prime parole del documento da cui egli li ha tratti. 

L'opera, ognun lo vede, assume così un carattere spiccata- 
mente, anzi assolutamente impersonale. È la Chiesa medesima 
«quella che parla nel libro del Colomiatti. Ora è senza dubbio a 
rimpiangersi, nell'interesse della Chiesa stessa, che, dato questo 
peculiarissimo carattere dell'opera del Colomiatti, egli non sia _ 
stato compreso in quella Commissione a cui furono commessi i 
lavori preparatorî del futuro codice, mentre pure vi furono 
inclusi due dei più noti compilatori di progetti, e cioè il rofnano 
Pezzani ed il francese Pillet. Ed è a rimpiangersi, perchè so- 
lamente per la via tracciata dal Colomiatti e non certo per 
quella, così vivacemente propugnata appunto da Monsignor 
Pillet, la Chiesa potrebbe — almeno secondo il nostro modo 
di vedere — far cosa iveramente conforme alla sua secolare tra- 
dizione e non inferiore alla sua dignità. Ed è anche a rimpian- 
gersi per un altro verso, e cioè in quanto quei principî di supre- 
mazia e di antagonismo di fronte allo Stato, che la Chiesa non 
potrà non riaffermare in tutto o in parte nel futuro codice; cer- 
tamente susciterebbero assai minor scalpore, quando la loro 
formulazione rimanesse quella che fu oramai consacrata nei se- 
coli, e non fosse già quella più cruda e molto più gravida di 
intenzioni, che vi potrebbero dare nel loro stile moderno i com- 
pilatori del codice. 

Checchè per altro si possa pensare di tutto ciò, non è per 
altro chi possa negare che da cotesto metodo così impersonale 
del Colomiatti provenga all’opera sua un carattere scientifico, 
che l'altre non hanno affatto o non, almeno, in uguale misura. 
E non senza fondamento l’autore stesso lo segnalò nella prefa- 
zione al primo volume, ove scrive che con il sussidio della sua 
compilazione: “ cuilibet grave non erit historiam brevi contexere 
cuiuslibet pracepti, quemadmodum quisquis commode habet sub 
oculis completam materiam idest eruditionem casus ,. E proprio 


CENNO ILLUSTRATIVO SULL'OPERA DI MONSIGN. E. COLOMIATTI 409 


vero. La storia dogmatica di ogni singolo precetto risulta per 
tal modo tracciata nelle sue linee essenziali e viene, diremo 
così, narrata dai documenti per la bocca della Chiesa medesima. 

Si può quindi essere stati e rimanere profondamente incre- 
duli della riuscita finale della codificazione ora intrapresa in 
via ufficiale; ma non si potrà non riconoscere che l’opera del 
Colomiatti ha una sua ragione di essere indipendente da quella. 
. Essa sarà in ogni tempo di sussidio prezioso agli studiosi; se 
non proprio, come il Colomiatti spera, in tanta misura da ren- 
‘dere per essi superfluo il ricorso ad altre fonti, che non siano 
il Corpus iuris canonici, certo però in maniera da sopperire va- 
lidamente al difetto di esse per chi non ne possa disporre, e 
il ricorso ad esse e il loro uso per chi pure le abbia sotto 
mano. 

Per una duplice ragione pertanto — io stimo — l’Acca- 
demia nostra può prendere in particolare considerazione la pon- 
derosa opera, offertale dal Colomiatti; e cioè, così per il suo 
strettissimo collegamento con uno dei più singolari eventi legi- 
slativi, che, qualunque ne possa essere poi la sorte, il tempo 
nostro avrà visto, come ancora per essere essa uno di quegli 
esempi di dedizione di un’intiera esistenza.a un compito arduo, 
ingrato, ed irto di fatiche e di sacrificì, de’ quali, è giusto ri- 
conoscerlo, è particolarmente tenace e gloriosa la tradizione 
negli appartenenti allo stato ecclesiastico. E perciò l'Accademia 
può ben far suo il voto, con cui il conoscitore e il critico più 
profondo che la storia della codificazione del diritto ecclesia- 
stico abbia avuto, il Laemmer, credette di chiudere il suo esame. 
dell’opera del Colomiatti, alla quale oppose bensì obbiezioni 
metodologiche ma riconobbe, tra l’altro, il merito di un decisivo 
miglioramento progressivo di volume in volume, dicendo: “ Ich... 
kann nur wiinschen, dass es Colomiatti gelingen méòge, seinen 
monumentalen Codex allmilich zum Abschluss zu bringen ,. 


(Sulla storia della codificazione si vegga l’accuratissimo 
libro del Laremmer, Zur Codification des Canonischen Rechts, 
Freiburg im Breisgau, 1899. Sul carattere e sul valore del ten- 
tativo ora in corso di preparazione, il recentissimo e magistrale 
articolo del FriepBERG, Ein newes Gesetabuch fiir die katholische 
Kirche, in “# Deutsche Zeitschrift fiir Kirchenrecht ,, XVIII, 
1908, pp. 1-74. Cfr. inoltre: RurrinIi, La codificazione del diritto 


410 FRANCESCO RUFFINI — CENNO ILLUSTRATIVO, ECC. 


ecclesiastico, negli “ Studi offerti al Prof. Scialoja », Prato, 1904; 
e, polemizzando contro questo lavoro, e cioè in senso, ottimi- 
stico: Rossi, La codificazione del diritto canonico, nel “ Conten- 
zioso ecclesiastico ,, Genova, 1906). 


L’Accademico Segretario 
Gaetano DE SANCTIS. 


% 


| ———  ’—’—-__— 


x 


PREMII DI FONDAZIONE GAUTIERI 


——_—+-g—T_ _ 


se 


L'Accademia Reale delle Scienze conferirà nel 1908 un 
premio di fondazione Gautieri all'opera di Letteratura, Storia 
letteraria, Critica letteraria, che sarà giudicata migliore fra quelle 
pubblicate negli anni 1905-1907. Il premio sarà di L. 2500, e sarà 
assegnato ad autore italiano (esclusi i membri nazionali residenti 
e non residenti dell’Accademia) e per opere scritte in italiano. 

Gli autori, che desiderano richiamare sulle loro pubblica- 
zioni l’attenzione dell’Accademia, possono inviarle a questa. Essa 
però non farà restituzione delle opere ricevute. 


A N I  D’' NM“ ELL; 7: 


Torino Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e dei RR. Principi. 


hietadazzo: packet i ariani 


CLASSE. 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 26 Gennaio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: SALVADORI, SPEZIA, PEANO, JADANZA, 
GuarescHI, Gui, FiLeti, PARONA, MarTIROLO, MoRrERA, GRASSI, 
SomieLIaNA, FusaRI e CAMERANO Segretario. 

I Soci Naccari e SEGRE scusano la loro assenza. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

Il Presidente comunica che il sig. Luigi SAuDINO ha inviato 
nuovi documenti intorno alla sua pila elettrica costante ed eco- 
nomica, e che essi verranno trasmessi al commissari nominati 
dalla Classe all'esame di essa, i Soci NAccARI e Grassi. 

Il Presidente presenta l’opera del Prof. Carlo GoEBEL, Socio 
corrispondente dell’Accademia: Einleitung in die experimentelle 
Morphologie der Pflanzen, che l'Autore manda in omaggio. 

Comunica inoltre l’annunzio del IV Congresso internazionale 
dei matematici che si terrà in Roma dal 6 all’11 aprile 1908. 

Vengono presentate per l'inserzione negli Atti i lavori 

| seguenti: 
1° Prof. Beppo Levi, Saggio per una teoria aritmetica delle 
forme cubiche ternarie, Nota III, dal Socio SEGRE; 
2° Dott. Eugenio Elia Levi, Sul problema di Fourier, dal 


Socio nazionale non residente Luigi BrancHI. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 31 


412 


Il Presidente, a nome del Socio Naccari, presenta le Osser- 
vazioni meteorologiche fatte nell’anno 1907 all’ Osservatdio della 
R. Università, calcolate dai Dotti V. FontANA e F. CHionIO. 

Il Socio PARONA presenta per l'inserzione nei volumi delle 
Memorie accademiche il suo lavoro intitolato: Sopra alcune Ru- 
diste del Cretaceo superiore del Cansiglio nelle Prealpi venete. La 
Classe con votazione segreta approva l'inserzione di detto lavoro 
nei volumi delle Memorie. 


IAA 


BEPPO LEVI — TEORIA ARITMETICA, ECC. 413 


LETTURE 


Saggio per una teoria aritmetica 
delle forme cubiche ternarie. 


Nota 3* di BEPPO LEVI, a Cagliari. 


Nella Nota II abbiamo determinato tutte le configurazioni 
arborescenti costituite da un numero finito di punti razionali 
d’una cubica a coefficienti razionali (per le def., v. Nota II, n. 2). 
Passeremo ora a studiare le configurazioni poligonali. 


Sistemi finiti di punti razionali 
a configurazione poligonale semplice. 


Le configurazioni poligonali semplici (Nota II, n. 2) sono 
caratterizzate dal fatto che, se w è un conveniente periodo del 
parametro ellittico corrispondente al punto corrente della cubica, 
un vertice A della configurazione ha coordinata ellittica della 


w < . . ° - e» . 
forma a dove ? è dispari. Diamo a # i primi valori: 


1. t=3. - Dal punto A(3) si deducono razionalmente è 

due tangenziali successivi A, a Da), LE (ai il tangenziale di Ag 
9 9 È 

è A: sulla cubica non esiste alcun altro punto razionalmente di- 

pendente da questi. 

Cubiche su cui si ha una tal configurazione di punti razio- 
nali esistono certamente, perchè l’imporre che il triangolo A A; A4y 
sia un triangolo dato (che si dovrà scegliere a vertici razionali) 
equivale ad imporre alla cubica 6 sole condizioni. Possiamo 
aggiungere che esistono cubiche su cui non stanno altri punti 
razionali che i tre vertici di un tal triangolo; per ottenerne 
una basta considerare la cubica x +y*° + 25=0 che, pel 
teorema di Fermat, non ha altri punti razionali che i tre flessi 


414 BEPPO LEVI 


(1,—1,9), (0,1,—1), (1,0,—1) e trasformarla mediante una tras- 

formazione quadratica a coeff. razionali, avente per punti fonda- 

mentali le ulteriori intersezioni di essa cubica con una conica 

che la tocchi in uno di questi flessi e passi per un secondo (1). 
Chiameremo 8(3) la configurazione descritta. 


2. t= 5. - Dal punto A (15) st deducono successivamente 
: ST 2Ww 4w fe 1,80) 3 : 
i tre tangenziali A,(— De) Ao (7) Ag cf” GI tangenziale di 
quest’ultimo è di nuovo A. Se tal quadrangolo di tangenziali è 
costituito di punti razionali, la cubica possiede un quinto punto 


razionale, flesso, nel punto A, (- 2) d'incontro delle diagonali AA», 


AA. 

Si ottiene una cubica a coefficienti razionali possedente una 
tal configurazione di punti razionali esprimendo che nella cubica(1) 
della Nota II, n. 5 i punti (2) e (3) coincidono. Si ottiene la 
condizione 

a=M0 

Osservando che le cubiche che posseggono quattro punti ra- 
zionali tangenziali successivi ciascuno del precedente possono 
sempre ridursi alla forma (1) della Nota II, n. 5 con una trasfor- 
mazione proiettiva a coefficienti razionali, si vede che, a meno 
di una tale trasformazione, le cubiche su cui si presenta la nostra 
configurazione sono quelle del fascio 


(1) y(y—a)(e—-2)4bxe(y—2)=0 (6 razionale). 


Che fra queste ne esistano di quelle aventi altri punti razio- 
nali (non razionalmente dedotti dai precedenti) è evidente. Per 
quali valori di è tali altri punti razionali non si presentino reste- 
rebbe a studiarsi. 

La configurazione qui considerata si chiamerà 8(5). 


3. t= 7. - Dal punto A E 


ci 4 (20) (10) so(- 30) dn) (0) 


(!) Si avrà come trasformata una cubica a coeff. razionali, con tre soli 
punti razionali, corrispondenti ai tre flessi nominati, e non allineati (perchè 
questi non appartengono a una conica della rete omaloidica della trasfor- 
mazione), costituenti quindi un triangolo di tangenziali. 


si deducono i tangenziali suc- 


+ 


A TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 415 


agenziale di A; è A. Se sulla cubica esiste un tale esagono di 
tangenziali razionali, sarà ancora punto razionale di essa il punto 
, Pp 2 


As(3) flesso, in cui concorrono le diagonali AA3, A,A,, AsA;. 
Nella cubica (1) della Nota II, n. 5, i punti A, A4;,... sono 
i primi vertici di un esagono quale quello qui considerato se il 
terzo punto d’incontro della cubica colla retta A A, è il punto A,, 
tangenziale di A; (*). 
Si trova la condizione (?) 


la quale si soddisfa razionalmente scegliendo a razionale arbi- 
trario. Le cubiche a coefficienti razionali su cui esiste la con- 
figurazione di punti razionali considerata sono quindi proiettiva- 
mente riduttibili alle cubiche del sistema 


(2) P@—a—yr(an— +01 Di) 


a 


Chiameremo $(7) questa configurazione: i vertici d’ordine 
pari e quelli d'ordine dispari dell’esagono sono allineati. 


4. + ='900=*Daj ei A(57) si deducono quali tangen- 


ziali successivi i punti A(—È Da), A(57- SF) As(— Se), A.(- n) 


A; (- Da), As(i), A; (37) a DE). Il tangenziale di Az è A: 


si ottiene così un enneagono di tangenziali e nessun altro punto 
della cubica si deduce razionalmente da questi. Essi si ordinano 
a3a 3 in? rette 

AA3A5 AAzA; AAA 

AA34g AjAyAg A;A;Ax 

AzA3Ax As434g Az4543 


le quali passano a 3 a 3 per ciascun punto della configurazione. 
(!) Perchè il parametro ellittico a di A sarà » se deve soddisfare 


alla condizione 
at 4a-- 16a=w. 


(*) Sarà utile tener presenti le coordinate di quella terza intersezione, 
già ottenute al n. 5 della Nota II. 


416 BEPPO LEVI 


Esistono cubiche a coefficienti razionali sulle quali si trova | 
una tal configurazione di punti razionali. Per dimostrarlo stabi- 
liremo dapprima che è possibile una tal configurazione intera- 
mente costituita di punti razionali: si può intanto suppor scelto 
il sistema delle coordinate in modo che 


A=(001). Asg=(010) MA,=(100) As=(001), 


A causa degli allineamenti 44347, As A,A7 dovrà allora 
essere 
Ax=(110), 
ed a causa degli allineamenti AA34;, AA,A4; sì potrà porre 


A = (0 (04 8), Ae = (1 0) d). . 


Esprimendo allora che sì verificano gli allineamenti 4344, 
AzAzAg sì ottiene 


As = (B1, od — (a-— B)Y, Bò) 


ed esprimendo quindi che le rette 434;, AyA4z, As 47 passano 
per uno stesso punto A; si ottiene la condizione 


(ERBE 10 deg) 


B agi 1 d+ è È) 


ove si dovranno scegliere per y e è interi arbitrari, risultandone 
determinati di conseguenza a e f. 

Josì determinato l’enneagono AA; ....4g, si vede agevolmente 
che esiste una ed una sola cubica per cui esso è poligono di tan- 
genziali. Si consideri infatti il fascio di cubiche definite dagli 
8 punti base A4;...4;; ad esso appartiene la cubica costituita 
dalle tre rette 4A4,4;, As3A4A4;, A;Az3A4g, e poichè questa ha 
punto doppio in A, tutte le cubiche del fascio hanno in A, la 
stessa tangente. Ma al fascio appartiene pure la terna di rette 
Ag43, AAy4g, AxA547; la tangente fissa è dunque 4,43. Si 
consideri in particolare la cubica del fascio passante per Ag: 
si avrà che la cubica circoscritta all’enneagono AA... Az ha in Ag 
la tangente 443. Per simmetria si conclude immediatamente 
che in generale la tangente ad essa nel punto A; è la A4;A4;41 
(in Ag è la Ag4A), cosicchè l’enneagono AA... Ag vi è poligono 
di tangenziali; e la cubica è evidentemente a coeff. razionali. 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 417 


La sua equazione dipenderà ancora da un parametro razionale 


p= DI Riferita al sistema di coordinate sopra descritte sarà: 


(3) (p—2)(0? —p+1)aye —y) — p°(p—1)a?2 
— p(pî — 4p° |-3p — 1)xye — p(p° — p+ 1)y?2 
+ p*(p — 1)x2® — p°(p — 1)yz?=0. 

Chiameremo 8(9) la configurazione di punti razionali ora 
descritta. Se, almeno per convenienti valori di p, possa la cu- 
bica (3) contenere altri punti razionali, naturalmente non razio- 
nalmente deducibili da AA,....Ag, è questione che resterebbe 
ancora a discutersi. 


5. #=11.- Pert#=11 non ci è riuscito di assodare la 
esistenza o la non esistenza di una corrispondente configurazione 
di punti razionali sopra una cubica a coeff. razionali. Cionon- 
dimeno il problema relativo subisce una riduzione che pare 
interessante per se stessa. 


Dal punto A( na) si deducono razionalmente, per costruzione di 
tangenziali successivi, i punti A(— 3) Ag (3h As(— So): 
91 (57 l: il tangenziale di quest'ultimo punto è di nuovo A. La 


retta AA, taglia poi ulteriormente la cubica nel punto A, | — 33). 


da cui, per costruzioni successive di tangenziali, si deducono i 


punti A" nie ), A; | de), As (5 33 Ì, As(— e)? il tangen- 


ziale di Da ‘ultimo è di nuovo Ay'. Le rette A;A;' concorrono in 
un 11-mo punto razionale della cubica, Ask ail flesso. Si esau- 


riscono così i punti razionalmente dedotti da A. La configurazione 
si compone di due pentagoni di tangenziali, i cui vertici sono a 
coppie allineati col flesso Ap. Reciprocamente se sopra una cubica 
un punto A, di coordinata ellittica a, è vertice di un pentagono 
di tangenziali, deve esistere un periodo w tale che (—-2))a=a—w 


onde car Si otterrà dunque una cubica sulla quale il punto 


A=(100) è origine di una configurazione quale quella qui con- 
siderata, imponendo che nella cubica (1) del n. 5 della Nota II 


(4) y(e — 2) — ye[ax — (a+5d)2] — bea? = 0 


i 
> 


418 BEPPO LEVI # 


la tangente nel punto 43=(111) incontri ulteriormente la cubica i 
in un punto 4, la cui tangente passi per A. Il pentagono di 
tangenziali avente A per origine avrà per vertici A,4,=(001), i 
As=(010), 43, 44, e sarà interamente costituito di punti razio- 
nali, e la cubica medesima avrà coeff. razionali (1) tosto che A, 
è razionale. 

Orbene dimostreremo la proposizione seguente: Nella rete 
di cubiche (4) quelle per cui il punto A=(100) è vertice di un 
pentagono di tangenziali, costituiscono un sistema o! ellittico in 
corrispondenza birazionale a coefficienti razionali coi punti della 
cubica del tipo (1) n. 2 în cui b=—1. Tal cubica è precisamente 
il luogo dei punti A, per le varie cubiche del sistema. 

Si esprimerà infatti che la tangente nel tangenziale di A3- 
passa per A, dicendo che passano per uno stesso punto (4,) la 
cubica (4), la sua tangente in 4; | 


(5) (1-ax+by+(a—b5—-1)a=0 
e la conica polare di A rispetto ad essa 
(6) y? — Qaxy + (a + db) ya — be? =0. 


Eliminando a e è fra le tre equazioni si ha che il luogo 
del punto comune alle tre curve è dato da 


| e—-% y— 2 t__2 
yrle—2) | 2ely—2z) y@e—-2|=0 
veda) 

ossia 
| Y 2 | 
| 
yy—e)le —2)| x qua 


dx -2 x-&® Y 


Non tenendo conto dei fattori lineari, cui corrispondereb- 
bero cubiche (4) degeneri si ottiene così come luogo del punto A, 
la cubica 


(7) ya — ya — a? + ye? = 0 


| 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 419 


he si riconosce identica alla (1) del n. 2 ove si ponga è =—1 
e si scambino x e 2. Questa cubica passa pei punti (001), (100), 
(010), (111), (011) che vi costituiscono la configurazione 8 (5), ma 
se il punto A, è uno di questi, la cubica (4) si spezza. Per sa- 


| pere se esistano cubiche a coefficienti razionali su cui la confi- 


gurazione relativa a t= 11 sia costituita di punti razionali occor- 


| rerà quindi decidere se, oltre questi punti, la cubica (7) possegga 


altri punti razionali. 


Configurazioni poligonali miste. 


6. — Abbiamo chiamato configurazioni poligonali miste 
(Nota II, n. 2) quelle che corrispondono a valori di # prodotti 
di un numero dispari per una potenza di 2. Dalle conclusioni 
della detta Nota si può già dedurre che su una cubica a coeffi- 
cienti razionali non potranno esistere configurazioni poligonali 
miste di punti razionali corrispondenti a.valori di # in cui il 
fattore 2 abbia esponente >3. Invero si è osservato (Nota II, 
n. 4) che, se il nucleo della configurazione contiene un flesso, 
questo è estremo di un ramo appartenente alla configurazione 


ci A a w 
arborescente corrispondente al parametro ellittico iniziale ont 


se t=2".t" et' dispari. Confrontando colle conclusioni del n. 11 
della stessa Nota risulta allora che se la configurazione poligo- 


. . . . AE CO wW 
nale semplice corrispondente al parametro ellittico iniziale 37 


contiene un flesso non può essere v>3. Ma immediatamente 
si vede pure che l’ipotesi dell’esistenza del flesso è superflua: 
invero si è già notato nella Nota 1° che, se una cubica a coef- 
ficienti razionali contiene un punto razionale, esiste una sua 
trasformata razionale sulla quale a quel punto corrisponde un 
flesso (razionale): e se quel primo punto apparteneva al nucleo 
di una configurazione poligonale mista, questo flesso apparterrà 
anch'esso al nucleo di una configurazione poligonale mista corri- 
spondente a un divisore # in cui il fattore 2 ha lo stesso esponente. 

Occorre però riesaminare caso per casò le configurazioni che 
per questa semplice osservazione risultano ammissibili. Vedremo 
che non tutte esistono realmente: posto in generale t—=.2’.# 
(t' dispari), vedremo anzi che il vr massimo di v per cui 


4 


420 BEPPO LEVI 


esistono le corrispondenti configurazioni di punti razionali de- 
cresce in modo suggestivo col crescere di #'.: è» 4 


Configurazioni corrispondenti a v=1 — 7. t =3, t=6- 


Dal punto A'( i si deduce il tangenziale A(—3): vertice del 


triangolo di tangenziali di una configurazione 8(3). Ciascuno degli 
altri due vertici è tangenziale d’un altro punto razionale: è punti 


DOW 
A(i) AG) 
Per riconoscere la possibilità d’una tal configurazione di 


punti razionali sopra una cubica a coefficienti razionali, si osservi 
che se ai punti A'AA4,A, si attribuiscono rispettivamente le 
coordinate (100), (001), (010), (111) l'equazione della cubica, 
prende la forma (1) del n. 5 della Nota II ((4) del n. 5 di questa), 
e si avrà la configurazione voluta imponendo che la tangente 
in 4,=(111) passi per A=(001). Rifacendoci ai calcoli del n. 5 
sì vede che l'equazione di detta tangente è (5), onde deve essere 


a—=b.=- bP=%W 


L'equazione della cubica prende la forma 


(8) y(e — 2) — yal(60-4 1)a — (204 1)a) — de22? = 0. 


8. t=5,.t=10. - Dal, punto A(-% st deduce il tan- 


30 


se) , vertice di un quadrangolo di tangenziali, quale 
quello della configurazione 8(5). La configurazione possiede inoltre 
un flesso come 8(5), e questo e i rimanenti tre vertici del quadran- 
golo sono tangenziali ciascuno di un altro punto razionalmente 
dedotto da A' (cfr. Nota II, n. 4) e se in una cubica del fascio (1) 
(n. 2) esiste un punto razionale che abbia per tangenziale uno 
qualsiasi dei punti A4,43434;, esisterà tutta la configurazione 
qui considerata, di punti razionali. 

Esistono cubiche;a coefficienti razionali per cui questo fatto 
sì verifica: per mostrarlo basterà riconoscere che in una cubica (1) 
il flesso A,=(110) può essere tangenziale di un punto razio- 
nale. La conica polare 3 A; rispetto ad (1) è 


genziale AL _ 


(+e Bye +)=0. 


e 


È 


È E MES 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 421 


La retta y+x —2=0 èla polare armonica del flesso Ay: 
le sue intersezioni colla cubica sono determinate dall’equazione: 


ba?(y+ a) +y°(y—-a)=0, 
e sì potrà sempre disporre di 5, mantenendolo razionale, in modo che 
una soluzione 7a di questa equazione sia razionale: basterà sce- 
gliere arbitrariamente un a razionale e porre 
L= ta 
a°a+1) 
L'equazione della cubica diviene 


O s9-dE-I+ ed =0. 


9. t=7,t=14- Del punto A'(-5) è tangenziale il punto 


A lui s) origine di una configurazione 8(7) (n. 3); oltre i punti 
di questa configurazione saranno razionalmente dedotti da esso 
altri 6 punti aventi per tangenziali rispettivamente gli altri 6 punti 
di questa; e se una cubica razionale possiede una configurazione 
del n. 3 di punti razionali un punto della quale sia tangenziale 
di un punto razionale, possiederà, di punti razionali, tutta la 
la configurazione di cui è questione. Ma dimostreremo che mon 
può esistere una tal configurazione di punti razionali sopra una 
cubica a coefficienti razionali. 

Riprendiamo perciò l'equazione (2) del n. 3 cui si riducono 
tutte le cubiche corrispondenti a t multiplo di 7 
(2) y(e—e)—yr (ax —_ Se a 2) E “ 12=0 (a razion.). 

i fi : 

Il flesso 4; ha per coordinate dtt la sua polare armo- 

nica rispetto alla cubica è 


ale — y))_ — (a— eda 


e le intersezioni di questa colla cubica , definite dall’equazione 


(10) ar) — a(2a — 1)x22 d- ala i 14 (a— 1):3=0. 


v 


€ 


422 BEPPO LEVI 


Si consideri questa come una equazione in a; se potesse 


42 
fosse razionale, dovrebbero esistere valori razionali (interi) per 
x e 2 per cui le radici di questa equazione siano razionali; sia 
cioè quadrato il suo discriminante 


esistere una cubica a coefficienti razionali in cui un punto A(3) 


22[(0° + re 4 22)? — Bee]. 


Occorre perciò che sia quadrato il secondo fattore e perciò 
che, p e q essendo numeri interi convenienti, possa porsi 


ax*° + xe + 22° = pp? + 2g? 
È q 


Segue 


)(p— 29). 


(a —2)? = p? 


Si osservi che x e 2 possono supporsi primi fra loro; do- 
vranno allora esserlo pure p e 9g, e quindi p—g ep-—29: questi 
due numeri dovranno quindi separatamente esser quadrati. 
Poniamo 


ipoq = lp 29 = Mondo — mali 
Sarà 
p="2m%=>- n° game 
(x + 2)? = pe H- pq + 29° = 8mt — 11m?n? + 4nt 
ossia, ponendo x« + 2 = #, 


m?(8m? — 117?) =(t — 2n°) (6 +- 2n?). 
È 


Per discutere in ‘modo sistematico questa equazione, osser- 
viamo anzitutto che i due fattori del 1° membro debbono essere 
primi fra loro, in particolare di parità diversa; t ed » non pos- 
sono avere fattori comuni diversi dal 2 e quindi lo stesso avviene 
pei due fattori del 2° membro ; inoltre non può essere # divi- 
sibile per 4 ed » pari, altrimenti sarebbe pari anche wm: quindi 
dei binomi # — 2n? e #-+ 2%? uno non possiederà mai il fattor 2 

SR 
©, 


TTATT AI 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 423 


‘con esponente >2: valendosi dell’arbitrarietà del segno di # si 
può sempre supporre che tale sia il primo binomio: Si chiami 
allora a il massimo divisore dispari comune a m e # — 2n? e 
si facciano le. posizioni seguenti : 

Se m è dispari 


m= ay 8m° — 1ln° = Bd t_-2n—=a?2B8 t+2n° = vò. 
s 
Se m è divisibile per 2 ma non per 4 


m=2or 8m?—11n?= Bd (—2n°—=0?8 t|2n2=rd. 


Se m è multiplo di 4 (eventualmente anche d’una maggior 
potenza di 2) 


m=4ax 8m? — 1ln° =fd t—-2n°=40?°B t4+2n°=4r?d 


(per giustificare quest’ultima posizione si osservi che se m=4ay, 
(£— 2n?) (t+ 2n?) è divisibile per 16; allora non potrebbe » 
essere intero se uno dei fattori non fosse divisibile per 4, l’altro 
essendo quindi divisibile per una maggior potenza di 2). 

Si osservi che dei due numeri ‘ e 8 uno sarà sempre dispari 
(Y nel 1° e nel 2° caso, 8 nel 3°); inoltre si avrà 


(11) (a, 7)(")= (a, è) = (1, 8)=1. 


Si indichi ancora con e il numero 0 nel 1° caso, il numero 1 
nel 2° e nel 3°, e con N un numero uguale ad » nel 1° e nel 
3° caso, uguale a 27» nel 2°. Le posizioni fatte dànno allora le 
equazioni 

11N? — 246+3a?2y? — Bò, Pg 22€ (12d — a?B) 
onde pi 
44 N° = 24+50?2y? — 46d = 11.2°°y?8— 11.2?fa?2p 
da cui 


d(1112 + 220-©98) = a?(2°+9? + 11). 


(4) Con (a, y) rappresentando il m. e. d. di a e Y. 


424 BEPPO LEVI 
A causa delle (11) questa uguaglianza può solo verificarsi se | 
(1) d— 226+5y2? + 118 a = 11y? + 22-96 
oppure ì 
(11) 76 = 22645? 4 11° 7o®— 11y?+ 2°-25R 
(essendo 7 il determinante dei coefficienti dei fattori binomi). 
Tratteremo dapprima l’ipotesi (I). — Dalle equazioni (I) sì 
ricava 
o_26R = 08-1lr?,  2%726= 7 + 1loî, 
onde, sostituendo nella precedente espressione di 4N°, 
(12) 240-9N2 = 7144 22021? — a4=128*—(111?— 02). 
Si ponga ancora, per semplicità, 2?!-9N=r; Fequazione (12) 
potrà scriversi 
(r — 81°) (r + 81°) = (191? — a?) (a? — 3r?), 
r e Y non possono aver comuni che fattori 2 al più; perciò e 
per le (11) i binomi del 1° membro fra loro e parimenti quelli 


del 2° membro fra loro hanno comuni al più fattori 2. Si può 
quindi porre 


r — Sy? = 2A r + 8Y? = 2"up 
191° — af — 22M a? — By? = 2E+"-Zyp 
), u, v, p numeri dispari, fra loro primi a due a due. 
Si ricava 
161% ="22\w"-+ 27+"-zvp = 2lup — 2E1v 
Ibn? — où. 3Au + 2É1N=2,19vp. 
La seconda i della 1% linea può scriversi 


M2%u + 2Ev) = p(2"u — 2E+M-2y) ; 


In questa i binomi dei due membri debbono contenere il fat- 
tore 2 collo stesso esponente: sia 20 questo fattore; dovrà essere 


20) — 2"lu — 2E+M-2y, 20p = 2%u + 2Ey, 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 425 


e quindi, sostituendo nella precedente espressione di 160°, 


wu 


90+g? = 27+M, 8u? + 16, 28+Vpv + 22E+M-Z, 19v2., 


Secondochè Z+n è pari o dispari si ponga 


1 ; l 
(+) * A ada 
ds le, A val, 04+-4=0' 


ovvero 


1 1 
(4041) i Min 
DE i” v 


u=w, =v', 0+5=0. 


Si indichino inoltre con p e 1 il quoziente e il resto della 
divisione di 0" per 2 (t=0 o 1) e si ponga 2Pa=a. L'ultima 
equazione diviene 


2'a'2 — 3u'2 + 161 + 19v°2. 
Considerata come equazione in u' ha per discriminante 


3 2a + 7v2; 


ora si ha H)=(70= — 1: quindi, qualunque sia il valore 


di 1 (0 o 1) non esistono valori interi di a’ e v' per cui esso sia 
quadrato esatto. La condizione (1) non può dunque essere sod- 
disfatta. 

Resta ad esaminarsi il sistema (II): da esso si ricava 


99-28 = 7a? 113 2° = 4 1lo? 
mo) 240-N* = | 2221? — 7a*= (1? 4- 11a?)? —128a* 
ossia, ponendo di nuovo 2°1-9N = r, 

12804 = (1? + 11a? — r) (r*-+ 11a? + 7). 


I trinomi del 2° membro non possono avere fattori dispari 
comuni; inoltre, per ipotesi, a è dispari: dovrà quindi aversi 
bi 
a: 
+ lo —r=+2%nt x + 1a p=+27-ky! 


t, X dispari, primi fra loro; 0<xk<7. 


(‘) Ove le parentesi rappresentano simboli di Legendre, 


426 BEPPO LEVI 


Allora 


< 


Y? + 110° = + (2%-1n4 4 96-ky4), è 


da cui risulta che deve scegliersi il segno superiore (+) perchè 
il primo membro è essenzialmente positivo; e, sostituendo ad a 
il suo valore in t e y 


ra = Int — maya + 26%, 


Occorre qui distinguere due casì: 1° x dispari; moltiplicando 
8 p 
ambi i membri per 2*+! l’equazione diviene 


gup? — (2°%n2 —] 11 4 7x4; 


. 
2° x pari; moltiplicando ambi i membri per 28-* l’equa- 
zione diviene 


DEE = Tnt (2° n)? 


In entrambe le equazioni il primo membro è un quadrato 
ed esse rientrano quindi nella forma generale (!) 


Tei— n° — (252? — 1182)? 


dove Z e Z sono dispari, &, n e Z primi fra loro a 2 a 2, x dispari 
e <7. Ora quest’equazione può scriversi 


784 = (n — 222 + 1122) (n 42%? — 1122). 


I due trinomi del secondo membro sono primi fra loro (non 
potendo nemmeno avere il fattor. 2 perchè il 1° membro è evi- 
dentemente dispari); uno di essi deve avere il fattor 7 e si può 
sempre supporre sia il primo, con una conveniente scelta del 
segno di n. Si soddisferà quindi l’equazione ponendo 


; ogre=( 0119 
nou — 222 + 118 —+704 n4 22— 1e = kb 


o, t dispari, primi fra loro. 


(4) E, n, Z, x, essendo ora nuove indeterminate, indipendentemente dal 
significato precedente. 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 427 
Segue 


2(2%72 — 112) = +(14— 709), 
onde 
guri? — (14 + 220% — 70%). 


Si ricordi che x è dispari e quindi x ---1 è pari: l’equa- 
zione ottenuta rientra allora nel tipo (12) o nel tipo (13) secon- 
dochè si sceglie il segno inferiore o il superiore. Ora si è già 
mostrato che le equazioni della forma (12) non ammettono solu- 
zioni. Nel caso che si riproducesse la forma (13) si osservi che 
nella nuova equazione a è sostituito da 0 e che si ha a = Ztg; 
è quindi |o|<]|a| a meno che |Z|=|t|=1. In questa ipotesi 
l'equazione diviene 


QK+1 — 1 + 2202? — 704 


e risolvendo questa equazione si vede che o non può essere 
intero se non è x—= 3 e la soluzione intera è allora |o|=1. 
ui sie 

Così l’ammettere che l'equazione (13) abbia soluzioni in 
valore assoluto #=1 ha per conseguenza che essa ha pure altre 
soluzioni, ancora =- 1 in valore assoluto ed in cui |a| ha valore 
minore. Questa diminuzione non potendo protrarsi indefinita- 
mente, deve concludersi che tali soluzioni di modulo ==1 non 
possono esistere. Adunque l'equazione (13) non ammette solu- 
zioni {in cui le incognite siano == 0) che per 


Iaia = 8=]91= 24; @=0 


foj=t, «e=legptz #0. = 


Allora a=0 0 a=1 e la cubica (2) degenera. 

Le soluzioni di (13) in cui qualche incognita (la quale non 
può essere che a) è nulla sfuggono alla precedente analisi, a 
causa delle considerazioni relative allo spezzamento in fattori. 
In tale ipotesi m=a8=0, x—e=mn=0, #=2, onde, per 
la (10), a=1; la cubica (2) degenera ancora. 

Risulta così provata l'impossibilità enunciata al principio 
del n. 10. — Riassumendo quindi, esistono, sopra cubdiche a coeffi- 
cienti razionali, configurazioni poligonali miste di punti razionali 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 32 


428 BEPPO LEVI 


per v= 1 (in cui quindi ogni punto del nucleo è tangenziale di 
un punto razionale che al nucleo non appartiene) per i valori 
3 e 5 di t'; ma una tal configurazione non esiste più per t' = 7. 
È molto probabile che nemmeno essa esista per valori di # >7. 
Senza trattenerci per ora ad assodare questo fatto, ci volgiamo 
a considerare i casi in cui v=2: evidentemente la nostra atten- 
zione dovrà solo portarsi sopra le ipotesi #' — 3, t =5, perchè 
ogniqualvolta con un valore di # non è compatibile un valore 
di v, non sono compatibili « fortiori i valori maggiori. 
Configurazioni per cui v=2—11.-t' =3,t=12- Dal punto 
A"(35) sî deduce il tangenziale A(- dl origine d'una confi- 
gurazione analoga a quella del n.7. Applicando un’osservazione, 
generale (Nota II, n. 4) si ha che, se A_è razionale, A' sarà pure 


I e che del parî i 


punti A', e A', sonotangenziali ciascuno di due punti razionali. Si 
hanno così 12 punti che costituiscono l’'intiera configurazione. La 
configurazione descritta — di punti razionali — esiste. Basterà 
mostrare che nella cubica (8) del n. 7 il punto A'=(100) può, 
per una scelta conveniente di 5, essere tangenziale di due punti 
razionali A", B: se ciò avviene, nel fascio di coniche aventi 
per punti base i punti di contatto delle tangenti da A’, una 
conica degenere si comporrà di due rette razionali (una delle 
quali è AB): sarà precisamente la conica che ha per punto 
doppio A43=(111). 
Il detto fascio di coniche è determinato dalle 


y° — y[2(0-- 1)a — (264 1)e]—be =0 
ya — (b4-1)a? =0. 


tangenziale di un altro punto razionale B ( 


La conica del fascio passante per (111) è 


(i+ fit 
(1 —|1+1)y+yr4fa-2]=0 


e le due rette di cui essa si compone saranno razionali se tale 


è fa+4. 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 429 


Poniamo 


sarà 
1 
di 


e, attribuendo a c segno conveniente, una qualunque delle due 
rette della detta conica sarà rappresentata da 


(C+ 1)y—ce—e=0. 
Si può quindi supporre sia questa la retta A4"£: essa dovrà 


quindi tagliare la cubica, o, più semplicemente, le coniche del 
fascio, in punti razionali. Tali intersezioni sono date dall’equazione 


y[(e+ Dyer] a=0 


il cui discriminante è 


e(1+ & ) 


CT 


Le due radici saranno dunque razionali se è quadrato esatto 


4 5) 
14 dtt 


dei 


Fissato arbitrariamente un numero razionale », basterà 
quindi assumere : 


sl — ea o a Li 
e quindi 
b > 1 [Cha 2 1) 
e-1 8(° +1) 


perchè la cubica (8) possegga la configurazione di punti razio- 
nali di cui qui è questione. 


12. t=5, t# =20. - Dal punto B( n) si deduce il tan- 
\ 


genziale A' (— IR da cui deriva razionalmente una configura- 


se 
30 


430 BEPPO LEVI 


zione quale quella descritta nel n. 8. AUla configurazione dei punti 
294 è 
60) 
allineato con B e con Az, ed avente pure per tangenziale A'. 

Ma non esistono cubiche a coefficienti razionali su cui un 


razionalmente dedotti da B appartiene pure il punto B' (- 


punto Bia possa essere razionale. Se invero esistesse una tal 
cubica, essa dovrebbe potersi rappresentare coll’equazione (9), 
con una conveniente scelta di a razionale. Si ponga = sj (peg 


interi, primi fra loro) e si osservi che chiedere che A' sia tan- 
genziale dei punti razionali B e B', equivale a chiedere che.il 
punto Ay'=(p, q, p+-9) che ha per tangenziale il flesso A, (n.8), 
sia a sua volta tangenziale di due punti razionali B, e By, i 
quali saranno allineati con A,. 


L'equazione (9) si scrive 
ERO a € dar) ne P+pa+pad dPp-9) 
y iL TT p+9 | ky @ 9) Pp+ 9) (ref P49* 2| 


* e; & Toni 


La conica polare di 4,’ rapporto ad essa è 


5 too 0) P_LPIPLTA (__ P+p°a-pa°-9 p_9 
J Ti r|? p ed p pFaq ° z| 
o (p_-9) = op — pa + pa + 9) 
ni Pp+ 9) ES P(p+9) nr 


—yPa=0. 
Le due curve sono segate dalla retta 
x—-y= Mb 


fuori di A, rispettivamente nelle coppie di punti definite dalle 
equazioni: 


de Sleep dia 


n q) 
pa Rio iaia "> ci 
(+9 (p—-9? [È —pîa +10 + di p'+p'a—pa°—g9È asi 
Ria “iL OR CARI O 1A n COR = MT ce SRO «+ O e Pi 
y pî Tee DÈ ‘A d P+9 5 


Sfiga ata atri) Fp—_ 9 ta 
pr [aa P(p+9) H+ a 9; 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 431 
e tali coppie di punti coincideranno se 


Pptau—9—-9) _ dt an — (+e +29 —9at+t9Xn—9) _ 
(p+9°(p — 9° (p- p'a-PP+Pp+M)n-(p+pa-PX-PP-9) 
pai ug(p — 9) Ù 
u'p°(p+9) — Up — d41+ pà + d#)+ va(p-9) 


La prima di queste equazioni è identicamente soddisfatta (!) : 


resta così un'equazione la quale, dopo soppressione della solu- 


zione n= 


p—_9Q 
P+9 


P(p4+ Qu — 2p° Pu 4 (p — 9)=0. 


Affinchè B, e B'’, siano razionali occorre anzitutto che la 
corrispondente radice di questa equazione sia razionale, e perciò 
dovrà esser quadrato il suo discriminante 


NI PPT + PE 


Si può supporre p e q positivi: infatti questo discriminante 


, che corrisponde alla retta A, 4',, diviene 


non muta se si cambiano di segno p e g, onde p può sempre 


assumersi positivo; se poi g fosse negativo e precisamente 


‘q=— 9g, il discriminante medesimo diverrebbe 


pa 3(— g'? + pa + p9) 


ove peg' sarebbero positivi, e quest'espressione non differisce 
dalla precedente che per la sostituzione di g' e p risp. a peg. 
peq dovendo esser primi fra loro, dovranno esser quadrati i 
singoli fattori, onde potrà porsi 


(14). st4-r?2s82 — rt = 1? 


r, s,t interi primi fra loro a due a due. 


(') Si può verificarlo per via analitica, ma può pure prevedersi con una 
semplice osservazione geometrica: la retta polare di A, rispetto alla conica 
polare di A’, coincide colla polare ‘armonica di A; (flesso) rispetto alla 
cubica. Ne segue che ogni retta cr —y = uz passante per A, sega la conica 
e la cubica in due coppie di punti rispetto a cui A, ha lo stesso coniu- 
gato armonico, ossia, poichè A, è punto all’o (2=0), lo stesso punto medio. 
È ciò che è espresso dall’eguaglianza identica rilevata nel testo. 


432 BEPPO LEVI 


L'equazione (14) può scriversi 
ri(s* —r?)=t# —st=(t—-s°)(t+4 82). 


Si osservi che s non può essere pari: infatti se s fosse pari, 
il 1° membro della (14) sarebbe = — 1 (mod. 4) e quindi non 
quadrato, a meno che r = 0, nel qual caso la cubica degenera 
in una terna di rette; dovrà quindi esser pari 7? o (s$* — r?) e 
quindi saranno pari £ — s® e #-+- s?. Potrà porsi 
i-—st=2a? t+ st = 28?d 
r= 20 s—r2= vd se r pari 
r= 08 sr? 41d s 7 dispari 


a, 8, y, ò primi fra loro a due a due, @ dispari. 
Nell'ipotesi di » pari si ha quindi 


st — B2°d — af = 1d + 4a?8? 
onde 
(15) 3 — da?) = y(0 + 00). 


Nell'ipotesi di dispari invece 


3" — 8 — att ande 
82(0 — a?) = y(4d + a?). 


Ma, ponendo 4d = d', 4r=v', quest’'equazione prende la 
forma B?(d' — 4a?) = y'(d' | a?) identica alla (15): possiamo 
quindi limitarci a trattare quella prima equazione, purchè non 
si escluda che Y e ò possano avere un fattor 4 comune. 

ò ed a essendo primi fra loro, è — 4a? e è + a? non pos- 
sono avere altri fattori comuni che eventualmente un fattore 5. 
Se tal fattore non esiste, la (15) può solo soddisfarsi con 


dò—-4o?=Y d+a? = R? 
dò =? — a? Tei bo, 
Allora 
st = pi — 2a? 1 bat. 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 433 


” 


Se quel fattor 5 esistesse sarebbe invece d — 4a? = 5y, 
d-|-a?=58? e si giungerebbe all’equazione s° =a4—2a?8? + 584 
che differisce dalla precedente solo per lo scambio di a e B. Con- 
sideriamo dunque solo la prima equazione: essa può scriversi 


s? = (8? — a?)? + 4as; 
da cui segue che 8? — a? e a? debbono avere le forme 
B°—\a8—= Mm? — n? 0a? = mn. 


Perchè siano primi fra loro a e 8, debbono esser tali m ed n: 
deve dunque essere 
em ab 
g=14 +120? — d*. 


Si ottiene così una nuova equazione della stessa forma 
della (14), dove o ha preso il posto di r. Ora dalle relazioni 


r=abelio., a =B08; a? = mn n= 02? 
segue 
[o] <]r] 
potendo valere il segno = solo se 


inpe=me=1° =T onde 0=p? —1=0?(1—0?). 


Questa uguaglianza può solo verificarsi per 


|o|=1, a2=1, s°=4 


ovvero per 


La seconda ipotesi fu già esclusa, essendosi escluso che r=0; 
nella 1 ipotesi, per conciliare l'eguaglianza trovata s*° = 4 col 
fatto che l’s della nostra questione deve essere dispari, deve 
ammettersi che l’equazione (15) non sia l’equazione vera del 
nostro problema, ma l’equazione modificata, come si disse, nel- 


434 BEPPO LEVI — TEORIA ARITMETICA, ECC. 


l’ipotesi di r dispari; allora |s|=|r|==1 e la cubica si spezza 
ancora in una coppia di rette. 
Deve dunque essere 


L'A 7. 
% 


Dall’ipotesi che l'equazione (14) ammetta una soluzione intera 
in cui |r|>1 segue dunque che essa deve averne un’altra per 
cui |r| è minore, ma sempre >1; r dovendo essere intero, ne 
seguirebbe un assurdo decremento illimitato del valor assoluto 
ch’essa può assumere. 


13. — Il solo valore di #'(<7) che sia compatibile con v=2, 
è dunque # —=3. Resterebbe a ricercarsi se tal valore di #' sia 
ancora compatibile con v= 3: questa ricerca presenta notevoli 
difficoltà aritmetiche e noi l’abbandoniamo per ora: riservo ad 
una Nota IV alcune altre considerazioni, di diversa indole sopra 
le configurazioni finite di punti razionali. 

Come già nella Nota IT, rilevo, chiudendo, fra i risultati 
aritmetici delle precedenti discussioni, la dimostrazione della 
non risolubilità in numeri interi delle equazioni : 


(12) 7x4 4- 22a?y? — yi = 2? 
(13) 044 220?y? — 7yt= 22 (per |]y|#0,1) 
[e, per combinazione di queste, dell'equazione 

gt —11e%y-|-25-*y—=2e? (per |e|, |y|3-0,:1)] 


(14 ai +a?y? — yi = 2? (per |y|==0, 1). 
i) Y : 


 _—_——_—ew.—r’’  Y—-—oo»»»y+-«e o ‘«—=©°‘O0‘' *te]!e\  __rpprpriAIoRiscWdtdeIrc 


EUGENIO ELIA LEVI — SUL PROBLEMA DI FOURIER 435 


Sul problema di Fourier. 
Nota del Dottor EUGENIO ELIA LEVI. 


1. — Dato un corpo ed in esso la distribuzione delle sor- 


. genti di calore, il problema più generale della teoria del calore 


(problema di Fourier) consiste nel determinare la distribuzione 
delle temperature nei punti del corpo, quando si conosca la 
distribuzione iniziale delle temperature nei punti del corpo e la 
distribuzione delle temperature per i successivi valori del tempo 
nei punti dello spazio ambiente. Analiticamente, se supponiamo 
che il corpo sia omogeneo e che la conducibilità interna sia 
costante, il problema, quando si scelgano convenientemente le 
unità di misura, si traduce nel modo seguente: se il corpo è 
ad » dimensioni ('), si consideri lo spazio in cui le variabili 
coordinate sono le variabili x,%s..., dello spazio in cui è im- 
merso il corpo e la variabile y che rappresenta il tempo, ed 
in esso il cilindro a generatrici parallele all'asse delle y, il quale 
ha per base il campo che sull’iperpiano y=0 rappresenta il 
corpo considerato; si deve trovare una soluzione dell'equazione 


de = d°2 
(1) As2z — aa fees ay) (Are — Di Se) 
che sulla base del cilindro assuma i valori assegnati 


(2) 2a. Cn0) — filLyta bal 


e sulla superficie laterale soddisfi alla condizione 
(3) È sug p(T19 eng): 


(!) Sarà n=8 se si considera un corpo qualunque dello spazio ordi- 
nario. Ben sovente però le condizioni di simmetria ed altre analoghe per- 
mettono di supporre 1=1 od »n=2. Perciò ho lasciato nell’enunciato la 
massima generalità al numero n. 


436 EUGENIO ELIA LEVI 


In quest’ultima’ condizione la derivata rapporto ad n rap- 
presenta la derivata rapporto alla normale al cilindro: il punto 
X,%9..., rappresenta un punto della superficie del corpo (poichè 
la condizione è da soddisfarsi sui punti della superficie laterale 
del cilindro); ed infine la x è una funzione assegnata, sempre fi- 
nita e continua, che può dipendere dalle x e dalla y. Nel problema 
fisico @(x,%3...2,7) è uguale a xe;(x,x3...7,9) dove 2, rappre- 
senta la temperatura dello spazio ambiente ('). Supporremo 
che f(x1%2...x,y) ammetta derivate prime finite (2); fi(21...2, 
e @(x;%3...x,Y) siano finite e continue: e se si vuole che anche 
al tempo iniziale non vi siano singolarità per i valori delle 
derivate di 2 al contorno del corpo, le supporremo tali che per 
questi punti le (2) e (3) diano determinazioni concordi. 

Il precedente problema è già stato studiato da molti autori: 
i quali hanno sempre seguito il metodo indicato dal Poincaré 
nel caso particolare del raffreddamento di un corpo (8): ricor- 
derò i lavori del Le Roy (4), dello Stekloff, (9) e la notevole 
memoria dello Zaremba (5): più recentemente il Lauricella (7) 


(4) Cfr. ad es. Rremann-Weser, Die Partiellen Differentialgleichungen der 
Mathematischen Physik. 2 Bd., $ 83 e 34, 

(*) Od anche soltanto soddisfaccia all'ipotesi che esistano due numeri 
positivi e non nulli / ed a tali che, presi due punti (229 ... 727) ed (x1'x...0/2Y), 
sia sempre 


f(x1%2 ... enY) — f(ayxs... e nY) 
pe : 


<il 


dove 


p=l(e-aP+.. Hen=2a+ yy. 


(*) H. Porncaré, Sur les équations de la Physique mathématique, “ Rendi- 
conti del Circolo Matematico di Palermo ,, tomo VIII, 1894. Vedi anche 
la Théorie analytique de la chaleur. 

(*) Le Roy, Sur integration des équations de la chaleur, “ Annales de 
l’École Normale supérieure , (1898-99). 

(5) SregLorr, Mémoire sur les fonctions harmoniques de M. Poincaré, 
“ Annales de la Faculté de Sciences de Toulouse ,, 1900. 

(6) Zarema, Solution générale du problème de Fourier, “ Bulletin de l’Aca- 
démie de Cracovie ,, 1904. Vedi anche varie altre memorie del medesimo 
autore negli “ Annales de l’École Normale Sup. ,, 1899, e nel “ Journal 
de Mathématiques ,, 1900, ecc. 

(*) LauriceLLA, Applicazioni della teoria di Fredholm al problema del raf- 
freddamento dei corpi, È Annali di Matematica ,, tomo XIV, serie 33, 1907. 


SUL PROBLEMA DI FOURIER 437 


ha semplificato le teorie svolte da questi autori introducendo 
anche qui i metodi delle equazioni integrali di Fredholm. 
Io seguirò in questa nota i metodi che esposi già in una 
| ricerca. analoga per l’equazione (1): ed in particolare per lo 
studio del problema della distribuzione delle temperature, quando 
i valori di esse siano noti in tutti i punti del corpo nell’istante 
iniziale e siano pure noti nei punti del contorno per i valori 
successivi del tempo (!). Spero che tale studio non parrà inutile: 
poichè mi sembra che il metodo qui tenuto porti ad una tratta- 
zione del problema assai più semplice di quella nota, in quanto 
| non si richiede affatto la ricerca delle soluzioni eccezionali di 
| una conveniente equazione, e si richiede che al contorno siano 
| soddisfatte assai minori condizioni di quelle imposte fin qui. 
Inoltre il metodo serve a risolvere il problema analitico più 
generale, — privo, a dir vero, di qualunque semplice significato 
| fisico — che si ottiene quando si richiegga che la condizione (3) 
| sia soddisfatta non già sulla superficie laterale di un cilindro 
o generatrici parallele all'asse delle y, ma nei punti di una 
ipersuperficie affatto generale che ammetta iperpiano tangente 
mobile con continuità e mai parallelo ad un piano caratteristico. 
e curvature finite (cfr. più oltre n. 2). 
Posso dire che gli studi che svolgo in questa Nota stanno 
a quelli contenuti nella mia memoria citata nella medesima 
relazione in cui stanno la teoria del doppio strato ed il pro- 
blema di Dirichlet rispetto alla teoria dello strato semplice ed 
al problema derivato di Dirichlet e alle sue generalizzazioni. Nei 
ni 2 e 3 richiamerò i risultati di (A); nei ni 4-6 dimostrerò il 
teorema di esistenza. 
Il problema qui trattato ammette al più una soluzione. Si 
ottiene questo risultato con metodi classici nel caso che la super- 


(4) E. E. Levi, Sull’equazione del calore, * Annali di Matematica ,, 
tomo XIV, serie 3*: un largo sunto di questa memoria fu pubblicato nei 
“ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei , dell'ottobre scorso collo stesso 
titolo. Citerò questa memoria colla lettera (A) e ad essa mi riferirò conti- 
nuamente. Questa nota era già redatta quando il sig. Holmgren ha annun- 
ciato di avere una soluzione dello stesso problema pel caso di una sola varia- 

ra rn” <a 0 TA i l 
bile nella nota: Sur l’équation de l’Equation )a mi pubblicata nei “Comptes 


Rendus, nel dicembre scorso. 


438 EUGENIO ELIA LEVI 


ficie laterale sia cilindrica e che la sia positiva (!). Tuttavia 
anche nel caso generale il teorema di unicità è vero; nel caso 
in cui la x sia negativa e la superficie sia cilindrica esso fu 
già dimostrato mediante gli sviluppi in serie di funzioni ecce- 
zionali (2). Jo ne darò in 8 al lavoro una dimostrazione per- 
fettamente generale (n. 7 

Ridurrò il paci cl studio di un’ equazione integrale 
di Fredholm che, come le analoghe di (A), ha molte analogie 
con le particolari equazioni studiate dal Volterra. Ciò fa sì che 
non mi occorrerà mai di supporre nota la teoria del fredholm 
per la dimostrazione di esistenza: invece la supporrò nota per 
dimostrare il teorema di unicità. 


2. — Tratterò il caso di n= 2: nessuna difficoltà porte- 
rebbe il caso di un maggior numero di dimensioni, tolta qualche 
complicazione nelle notazioni. E sarebbe anche più semplice 
. trattare il caso di n = 1: non scelsi questo caso appunto per 
evitare quelle particolari condizioni che lo semplificano. 

Il campo che considereremo sarà limitato da un’area (base) 
posta sul piano y=0 che chiameremo %: e da una superficie 
laterale che chiameremo s: s potrà essere una superficie cilin- 
drica, o più in generale una superficie regolare che ammette 
piano tangente e curvature finite: per essa sì supporrà di più 
che il piano tangente formi sempre un angolo finito =0>0 coi 
piani caratteristici (?). 

Indicheremo con s(y') la parte di s che si trova al disotto 
del piano y=y', con e(y') la curva sezione di s col piano y=y", 
con S(y') lo spazio racchiuso da s, dal piano y= 0 e dal piano 
y=y'. Sarà quindi c(0) il contorno di % (4). Preso un punto M 
di s, con 7 indicheremo, come dicemmo, la direzione della nor- 
male alla curva c passante per il punto M volta verso l’interno 


(1) Cfr. Riemann-WegER, Die Partiellen Differentialgleichungen, BA. 2, $ 34. 

(*) Cfr. Zaremsa, loc. cit., cap. IX, $ 28, pag. 141-142. 

(*) Se la superficie s è cilindrica, quest’ultima condizione è soddisfatta, 
poichè il piano tangente è sempre ortogonale ai piani caratteristici. La 
prima si riduce a chiedere che il contorno e di X abbia tangente e curva- 
tura finita. i 

(‘) Se la superficie è cilindrica, tutte le curve c(y) sono uguali alla 
curva c(0) contorno di %. 


SUL PROBLEMA DI FOURIER 439 


di S, con v la normale ad s nel punto M medesimo, volta pure 
verso l'interno di S: in altri termini sarà » la proiezione di v sul 
piano caratteristico per M (1). 

Indicheremo con wy un sistema di coordinate curvilinee, 
formato colle linee y= cost e le loro traiettorie ortogonali (?), 
che valga a determinare i punti di s. 

Infine se M= (,23y), M'=(',2'3y) sono due punti dello 
spazio, p sarà la loro distanza, r la distanza delle loro proie- 
zioni sopra un qualunque piano caratteristico. Se M od M' sono 
su s, diremo #, '; v, v' le direzioni n,v ad essi relative. 

Dalle ipotesi fatte su s segue che, se M ed M' sono su s: 

1° (3) In virtù del fatto che s ha curvature finite è possi- 
bile trovare un numero N tale che, detto (vv') l’angolo delle 
due normali in M ed M', si abbia 


__— ’—’@1—— Tr _——= 


(1) [VW] < Np e quindi anche |nn'| < Np. 


Inoltre se N è sufficientemente grande sarà ancora, indi- 


cando con lov] l’angolo della congiungente MM' 
(2) bdai to (0v)| < Np. 


2° (4) se N è sufficientemente grande e se (n), (7a) sono 
gli angoli delle direzioni n ed »' colla congiungente le proje- 
zioni di M ed M' su un medesimo piano caratteristico, saranno 
soddisfatte le condizioni: 


F ly—y] 
|cos(rn) n)| < IS, rt ian 
(3) AP) 
ò UETYEI: 
| cos(» en)| K da (Jem udine o DR 
(!) Se la superficie s è cilindrica, # e v coincidono. — Per queste ipo- 


tesi circa la superficie s cfr. (A) n. 26. 

(*) Cfr. (A) n0)27. 

(3) Cfr. (A) n. 26. 

(‘) Se la superficie s è cilindrica, le (3) si semplificano, in quanto si 
può sopprimere l’ultimo termine e porre sen®=1. 


440 EUGENIO ELIA LEVI 


ei ZN. 
Basta infatti osservare che |cos(rn)| = io da Loose] 
| COS\VA 


ZrN 


indi calcolare cos(rv) dal triedro che ha per spigoli p, v,v me_ 
diante la formula 


COS (-V) =C0S (pv) cos(r p) + sen(pv) sen(rp) cos p 


dove p indica l’ angolo diedro il cui spigolo è in p: per 
essere |cosp|<1, |cos (0) | <Np [formula (2)], (costr) = 
Ch 2 onde la 


]sen(#9) | lil segue allora [cos(rv)| E Nr at, 


prima delle (3). Ed in modo analogo si ha la seconda (1). 


8. — Poniamo 


r? 
' — ir r* 
(1) | hag (1102Y; x1'22"Y i e Ay_—y) Y 5) 


= — x)? + (ce — %2)?; MS y). 


Ci occorre ricordare alcuni teoremi dimostrati in (A) re- 
lativi a questa funzione ed ai suoi integrali. Questa funzione 
è regolare in ogni punto del semispazio in cui y < y', si an- 
nulla per y=y', tranne nel punto (129) = (x1'13'y’) dove 
è singolare. Se si fissano i valori di (x12y) [o di (wx1'x2'y)] e 
si fa allontanare all’ infinito il punto (x,'x2"y') [ec (c1009)]) la 
funzione hag(11%2Y; £1'x3'y) tende a zero di ordine maggiore 


di una qualunque potenza di 5: — E indicando la distanza di 
(x1'x2'y') [o di (x1x2y)] da un punto arbitrario; ad es. dall’origine. 

Se con Z(y') si indica un qualungue campo posto tutto al 
disotto del piano y= y' il quale non si estenda all’infinito nel 
senso delle y negative — resti ad es.: nel semispazio delle y 
positive — la funzione %xg è integrabile assolutamente in X(y') 
tosto che si abbia 


RO 4A+baT—28>0; 


(1) Cfr. (A) n. 28. 


TA 


SUI. PROBLEMA DI FOURIER 441 


se si pone 4 + a — 2B=òd,e con n si indica il massimo valore 
di y—y in X(y'), sarà 


| 


(1) J I, Ù PRIZE 19/4") | dexdx9dy < L'ugn * 


L. indicando una costante finita dipendente solo da a e B(!). 

Indichi s una superficie quale quella studiata nel n. prece- 
dente; ed «y le coordinate curvilinee sulla superficie medesima 
sopra descritte: sia Edu? + Gdy? l'elemento lineare di s riferito 
ad « e y. Sia (c173y)=(vy) un punto variabile in s(y'). L’inte- 
grale 


È JJumteatesesy ; 2x0yY') w (uy)VE dudy 


dove w(vy) rappresenta una funzione finita e continua del punto 
di s(y'), è una funzione finita e continua di (x'xs3'y') in tutto lo 
spazio tosto che 


a+1>0 3+aT—-28>0; 


e se si pone 3+ a — 2B=ò e si fa l'ipotesi che su s(y') sia 
sempre y—y<n e |y(uy)|< Y si avrà 


ml 


(3) Jho Ihag(2103y; 11034’) y(uy) | VE dudy < YLagn 


Lag indicando una quantità dipendente da 0 e f soltanto. Se 
poi w(vy) soddisfa alla condizione 


Iylug)|< Yilyu—(y— mp 
sarà 


I uv: xx E Sr d 
(4) ff. teslerayi 21'0:/Y) vu) | VEdudy <Y 14, ag? 


LS), indicando una costante dipendente da a e B soltanto — e 
dalla superficie s, ma non dalla funzione y — e F essendo la 
nota funzione Euleriana (?). Si noti che, indicando con de il dif- 
ferenziale dell'arco della curva c(y) negli integrali delle for- 


(4) (A) n. 22 specialmente formula (12). 
(*) Cfr. (A) n. 27, formule (16) e (16)#. 


442 EUGENIO ELIA LEVI 


mule (2) (3) e (4) al posto di VE dudy sì può scrivere de dy. 
Così faremo ordinariamente in seguito. 

Infine si indichi come prima con » la direzione positiva 
della normale alla c(y) in (x1037); e con (xl"z®y%) = (vu) in- 
dichiamo un punto fisso di s e con (1) l'angolo della » colla 
congiungente la projezione (x123) di (x,y) colla projezione (xx!) 
di (xy) volta verso quest’ultima. L’integrale 


6) fl, fate: 2014) con) ly) dedy 
ha ancora senso, poichè per le (4) del n. 3 si ha 
(6) |Rio(cxvay ee y) cos(1n) | S“ ao n laslwx 0g; aa) + 


1 
a MINE] hox(V10%Y ; alay); 


e quindi basta applicare la proposizione sopra ricordata relativa 
all’integrale (3). 

Quando in (5) al posto di (x!!!) si ponga un punto ar- 
bitrario (x1'x3'y') dello spazio, si otterrà ancora un valore per 
l'integrale (5), poichè l’integrando è sempre finito: onde risulta 
che la funzione rappresentata da (5) esiste ed è finita in tutto 
lo spazio. Però è da notarsi che essa non è continua in tutto lo 
spazio, ma ha una discontinuità sulla superficie s: ivi essa sod- 
disfa alla relazione 
(7) lim | Ylenia any cos(rn) y (un)dedy = 


(21224) =(21 MD r9 0) y 0) +0. 


= F4ry(u! 0) + If Mix o(w10oy; ay) cos(r! n) y(vy) dedy. 


(4) 

Nella formula precedente valgono insieme i segni superiori 

o gli inferiori: ed ho indicato con lim il limite 
(ay'asy)=(210 2300 y 0) +0 

preso nell’ipotesi che il punto (x,'x2y') tenda al punto (ax) 

restando dalla parte di s da cui è rivolta la direzione positiva 

della normale, con lim il limite preso nell'ipotesi 


(x1'%9y)}=(710z20y 0) 0 
contraria ('). 
(4) (A) n. 28, formula (19). Si noti che in confronto di quella formula 
si ha qui un cambiamento di segno proveniente dal fatto che si è inver- 
tita la direzione positiva di r.ed 70. 


SUL PROBLEMA DI FOURIER 443 


4. — Richiamate tali proposizioni, osserviamo anzitutto che 
il problema si può semplificare supponendo che le funzioni 
f(%,624), f(x») che compaiono nelle (1) e (2) del n. 1 siano 
entrambe nulle. Invero nella citata memoria (!) ho dimostrato, 
e del resto facilmente si deduce dai primi risultati enunciati al 
«n. 3, che la funzione 


) Le x 
2 = [lt Pia drsdy 


soddisfa alla (1) del n. 1 in tutto il campo S tosto che f(x12y) 
soddisfaccia le condizioni rammentate al n. 1, onde se 2 è la fun- 
‘zione cercata, la funzione Z=2 — 2; soddisferà alla AyZ — “i "0 
| di essa, come di 2, sì conosceranno i valori su %,i valori di 


Z È $ a 4 
È —xZ su s: onde la ricerca di 2 si riduce a quella di una fun- 


zione Z che soddisfa a condizioni al contorno simili a quelle 
cui soddisfa 2 ed all’equazione 


dr 
A,t — sa 0. 
Onde intanto risulta che si può supporre nella (1) del n. 1 f=0. 
Similmente se (xs) è una funzione finita e continua in 
tutto il piano, la funzione 25(x,'x9'y') definita da 


1 00 (12) A . 
2o(1,'29/yY) = Mr ei tra (2,22) ho1(11090; #1'29'Y) dx dx, 


appresenta una soluzione dell'equazione precedente che sul 
iano y = 0 si riduce a (xs) ed è regolare in tutto il semi- 
pazio delle y positive: onde basterà supporre che W(x1%3) si 
riduca su % a fi(x1%s) per trarre, in modo analogo a quanto si 
fece sopra, la conclusione che si può supporre nella (2) del n. 1 
(2172) =0 (2). 

Ci limiteremo quindi alla ricerca di una funzione soluzione 
n S dell'equazione 


(!) (A) n. 22 e ss.; e n. 30. 
(3) Cfr. (A) n. 30. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 39 


444 EUGENIO ELIA LEVI 


nulla su %, la quale soddisfa su s alla condizione 
(1) È x(uy)e(uy) = ®(uy) ; 


x(uy), 9(uy) essendo funzioni finite e continue del punto (uy) di s ('). 
Procureremo di porre la funzione cercata nella forma 


r 1 
I stat) [fto rai 21/2/) v(uy)dody, 


dove si pone (139) = (vy) e y(uy) è una funzione finita e con- 
tinua del punto di s, da determinarsi convenientemente. 

La funzione (III) è soluzione di (I) in tutti i punti dello 
spazio i quali non appartengono ad s: poichè è ben noto, e si 
verifica del resto assai facilmente, che quando i due punti (x%2%) 
(x','»y') sono distinti la funzione #o1(1%3Y; 11739’) soddisfa 
rispetto alle variabili (0',2°2y') all’equazione (1). D'altra parte 
per i teoremi enunciati nel n. 3 essa rappresenta una funzione 
finita e continua in tutto lo spazio: e poichè per y'=0 il campo 
s(y') si riduce a zero, essa si annulla in tutti i punti interni di £ (?). 
Non rimane quindi che da esprimere che essa soddisfa su s alla 
equazione (II): mostreremo ora che partendo dai risultati del n. 3 
si può determinare yw(vy) per modo che questa condizione risulti 
soddisfatta. 


5. — Indichiamo perciò, come prima, con (xx: /")=(v%”) un 
punto di s, con »® la direzione n relativa ad esso: calcoliamo 
la derivata della funzione (III) rapporto alla direzione x” nel 
punto (x,’x3'y'), e facciamo poi tendere (x;‘20'y") a (ary). 
La direzione n° è parallela al piano y= 0; in altri termini y 
è indipendente dalla variabile corrente lungo n°: avremo quindi 


Ò VIRTETZIONI 1 3 ARI OO vr 
dn hor(0102Y; 01% Y) = 9 hx9(1109Y; X1X9Y ) DTT 


soli 1 MITA Wet 
— n t19 (2102Y; © xy Y) cos (rn ) 


(') Se le f,(x1%2), P(712y) davano determinazioni concordi per i punti del 
contorno c(0) di X, ancora si avranno determinazioni concordi dopo le nostre 
trasformazioni del problema: sarà cioè g(u, 0) = 0. 

(3) Se 9(u0)= 0 si vedrà che y(u0)= 0 e resterà allora provato che la 
funzione (III) ha le derivate prime regolari anche nell’interno dei punti di e. 
Cfr. (A) n. 80: ed anche n. 28; formula (20). 


Si 


SUL PROBLEMA DI FOURIER 445 


come direzione DO, di r PARI REI POE quella volta verso la pro- 


(1) dat) — = 2a JI ; hig(1102Y; 11 02"Y )y (uy)cos(rn) dedy. 
E potremo ancora scrivere 


de(2,3/Y) 1 Key, 
(2) Limo av J, fl, an as(enrasi 1,29 y')cos(rn)y(uy) dedy + 
1 1 ; PS de da. 
Fa J, f, ne: h9(102Y; 1129'Y)[ cos (rn%)—cos(ra) |y (uy) dedy. 


Facciamo ora tendere (x,'x3"y") a (x1’2%y”); avremo dalla (7) 
del n. 3, se si suppone y(vy) finita e continua: 


lim se Janna (orta 2 /2317/)c0s( i) (up) Aedy 


(21 20'y)=(27 (66) Lal!) Y MD) 


=Fy(uy) + ite 1. f. Rie hyo(0108Y; 20 2 y)cos(ra) y(uy) dedy 


dove vale il segno 4 o — a seconda che (x;'r3'y') è interno 
ad S oppure è esterno. 
z(2,%3/Y) 


FTT ae quando il 


punto (x,’x2/y') tende al punto (02), basta trovare il valore 
limite del secondo integrale che compare in (1). Ma questo inte- 
grale è continuo in tutto lo spazio. 

Per mostrarlo comincierò col far vedere che detto integrale 
ha senso quando il punto (x,'x."y') è precisamente un punto 
(cx) = (vu) della superficie s: e rappresenta una funzione 
‘continua del punto della superficie. Mostrerò poi che quando 
(,'r3'y') tende ad (r°"/%) restando sempre sulla n° l’integrale 
tende uniformemente al valore che esso prende nel punto (x{Pr®y®): 
‘onde l’enunciata continuità. 

Si noti perciò che le direzioni r, »'!, n giaciono tutte in un 
piano parallelo ai piani caratteristici: onde segue 


Per trovare quindi il valore limite di È 


y ra i | rali init fl = nnt!) 
(3) cos(rr)—cos(rn)|=2}s 9 Renga Lee #5} 


446 EUGENIO ELIA LEVI 


Onde dalle (1) del n. 2 segue 
(4) | cos( (n) — cos (iu n)|Z 2Np", 


p'’ essendo la distanza di (x173y) da (xPx9y"). 
Se quindi il punto (x;' xs’ y') cade precisamente nel punto 
(1210 291 0) di s osservando che pl! < 7! +|y! — y| si avrà 


Pos 
(5) I bso(wsrayi #0 y) )cos(rVx!) — costrUn) 


< 2N(hoo(0109Y; VV y") 4 Aa (0100Y; PP Py). 


E quindi intanto per i risultati del n. 3 esisterà l'integrale 


‘ » 


(6) ff tinte: 22) Jeos(r00)— costrOnPy(uy)dudy 
JJ 8(Y® 


e rappresenterà una funzione continua del punto di s. Ed anzi, 
se assumiamo come campo di integrazione, invece di s(y), una 
parte di esso, compresa tra due piani caratteristici distanti di una 
certa quantità piccola a piacere n, l'integrale medesimo sarà, 
per la (3) del n. 3 e per la disuguaglianza (5), infinitesimo di or- 
1 

dine uguale a quello di n?. 

Se invece il punto non appartiene alla superficie s, ma è 
un punto (23%, y°) della x condotta pel punto (x(x!y)), dalla (4) 


si avrà 


(7) cos(rnl1))— cos(r) <on! eV <a 
p p sen(p9x0) = sen(pîx0) 


Ora noi possiamo dividere il campo s(y") in due parti; 
l’una 0(y') tutta interna ad una striscia compresa fra due piani 
caratteristici di altezza arbitrariamente piccola n ed in cui si 


abbia sen(p'‘’n) = sen + o el parte residua s(y0)— o(y). In- 


DI 9’ 
vero basta osservare che per quanto si è detto al n. 2 nei punti 
di s(y°) interni alla sfera di raggio 37 ki 27 e di centro il punto(a{x!y!) 


LA E > 
si ha |pUn®]>|p,v® — v0n0|> © — Np"> pu 


SUL PROBLEMA DI FOURIER 447 


Si spezzi allora l’integrale da studiarsi nelle due parti re- 
lative a 0(y) ed a s(y") — 0(y"). Quanto alla prima si deduce 
da (7) ricordando che p=r + Ea — y| e richiamando la (3) 
del n. 3: 


| Sfogo fasi 1/23") {c0s(rn%)—costrn)] 4 (ny) de dy |< 
(8) 
pù) send O Jlaoy te (riayi n 12 Y)HA (110240224) p(uy)ldudyS 
2N ANIA 
SY e) . (Lao +Lun3)mt 


sen 9 


onde diverrà infinitesima con n. Quanto alla parte residua, os- 
serviamo che per essa l’integrando è sempre finito e continuo, 
quindi è ben evidente che, preso un numero e piccolo a piacere, 
si potrà, una volta fissato n, fissare un numero è tanto pic- 
colo che per V(c' — 10)? + (e — 1)?<èd si abbia, qualunque 
sia il punto (x{'x5y%) di s, 


Lu ’ 4 ( Si N E. 
| Ji pae )-0(y® prolrx2ay; 0 29 Y!) [ cos(ra!)—cos(rn)]y(uy)dedy 
a 


(1) DI yl® n 113) pi va £ 
TIRA ago raltzati £ x9)Y!") [cos(y 0!) — cos(r%m)]y (uy)dedy È €. 


Se ricordiamo ora che, come già si è osservato sopra, l’in- 
tegrale (6) esteso al campo 0(y) soddisfa ad una limitazione 
analoga alla (8), segue che 


lim Hi f, hi9(01034; 223 Y)[cos(rn ‘n 0) — costr n)|y(uy) dedy = 
sizio/J 59°) 


IIRPRZE CIONI sy!) [cos(rn0) — cos(rdn)] y (uy) de dy, 


e che la convergenza è uniforme. Onde la continuità del secondo 
integrale di (1). 


448 EUGENIO ELIA LEVI 


E pertanto di qui e da (2) potremo conchiudere che, se sì 
suppone w(uy) finita e continua, 


1 


lim Ur 


(2yay')}=(2102,0y0)+0 


(IV) 


nr 


Al 1 inci 
ey) pe | (og Vns(ermoyieita: Y)cos(rn!)y(u4) dedy. 


6. — Dalla (IV) e dalla (1) del n. 5 segue che, affinchè la 
funzione (III) soddisfaccia alla (II), occorre e basta che y(uy) 
sia una funzione finita e continua la quale soddisfaccia all’equa- 
zione Integrale: 


| ee) fond 
Vl flo Pantera ala! 4) cos (rn) — 
— Zu(uy)hox (210945 UM yy (4) dedy = (ul! YI"). 


L'equazione (V) è un’equazione integrale del tipo di Fred- 
holm: e, se si può risolvere, ci darà una funzione, la quale, 
sostituita in (III), se finita e continua, risolve il problema. Baste- 
rebbe quindi dimostrare che la (V) non ha nullo il determinante. 
E ciò non sarebbe difficile, ove si volesse ammettere che per 
nostro problema sia già dimostrato il teorema di unicità, ricorrendo 
a considerazioni analoghe a quelle ordinariamente usate per. 


dimostrare la risolubilità del problema di Dirichlet: ma siccome | 


per noi il teorema di unicità non è noto che in casi particolari, 
noi non terremo tale via; e dimostreremo direttamente, come 
già feci in (A) (') per una analoga equazione, che in base alle 
formule (3) e (4) del n. 3 la serie di Neumann (e di Volterra) 
che dà la soluzione di questa equazione, converge. 

Invero si osservi che la serie di Neumann risolvente la (V) 
è data da 


(1) yy) = (9) + (4) + Pu) +4... + paluy) 
dove 


Pelia i LE 
pe ff relay atta) cos (rn) — 


— 2x(w 4 ro (L10241 ey) ]p;_s(y) dedy. 


(4) N. 30. 


"a SAC ; 
Î Î sn Pao(e100Y101 294 )cos(ra'’)p(uy)de dy= 
Js(y0 È ì 


SUL PROBLEMA DI FOURIER 449 


Ora si osservi che, se |x(y)| <K, posto (2+ oe per 


la (6) del n. 3 si ha: 


(1) 


-_ N 
| Rro(#100y; CY") cos (100) 2x0) Rox (21094; Prey!) IS, 


N \ 
<_ hog(2172Y; cl'aVy) + Choi(016%4; at'apy). 


sen® 
Onde se si suppone 
Iplu)i<®, 
in virtù delle (3) e (4) del n. 3 si avrà 
Porta) < [To Le + OLu | yî 


3 
Las + CLor | {ar oro L8-+ CIA | E), 


(E 
1a" ( 
104 omo) 


Losi < | 


sen® 


|(uy)] < gr [pavo Las + CLo: paro 


LR + cLW | n_l " (3) sp 


il 
Lo9+CLoi | siù r + 
2 


put <a 


sen® 


E quindi rammentando che 


retata) glia TESI 


n={L| zo 140; 


e chiamato ®, il massimo dei numeri ®, -® (L,, + CLa) L, 
8m î VH 


450 EUGENIO ELIA LEVI 


o (Lso + CLoi) V Yo; si avrà che la (1) converge come una serie 


esponenziale e che precisamente è 
(2) 00 |y(uy)} <2®, e! 


Onde, poichè la y(vy) data da (1) è finita e continua, il 
teorema di esistenza è pienamente dimostrato (!). 

Abbiamo contemporaneamente mostrato che l’equazione (V) 
ha sempre il determinante == 0, e che quindi l'equazione omogenea 
corrispondente a (V) non ha mai altra soluzione che lo zero. 


7. — Per dimostrare il teorema di unicità della soluzione 
incominciamo col dimostrare il teorema in un caso particolare. 
Col solito metodo delle integrazioni per parti si ottiene. per 
una qualunque funzione 2 soddisfacente a (I) e nulla su £, come 
è ben noto, la formola seguente : 


RR ATE 


(1) 
-| fi a "VE E dudy + 3 f Y. DE 2cos(Vy) CIC [fetta 


Tua; 24 


dove p(y') è l’area del piano y=y' interna ad S(y') [possiamo anche 


dire l’area piana racchiusa dalla curva c(y'),| cos(Vy) indica il 
coseno dell’angolo della direzione positiva della v con quella 
__ (da \® | (de? | 
della y, ed infine A,°z = (3) + [as . Nel caso che la s sia 
cilindrica a generatrici parallele all'asse delle y scomparirà il 


terzo integrale della formula precedente, poichè cos(V7) 2} 


(!) Si noti che se era g(u0)==0 sarà evidentemente da (1) e (2), y(u0)=0, 
poichè in questa ipotesi nella limitazione (2) della y(vy) col tendere di y 
a zero si può prendere ® e quindi ®, piccolo a piacere. La funzione (III) 
sarà quindi allora regolare ‘anche nei punti del. contorno di %. Cfr. n. 4 
e specialmente la nota a piè di pag. 12. 


e 


—— 


i, 
dì, 


| 


SUL PROBLEMA DI FOURIER 451 
Si supponga ora, se possibile, che la funzione 2 soddisfaccia 
su s ad una relazione del tipo della (II), ma omogenea: 


de Ae 
(2) 4 dh =— K(uy)2 i; 


dove la funzione k(vy) sia tale che 


(3) VEk(uy) — 5 cos(vy) > = xi(uy)>O. 

Sarà evidentemente sempre possibile, qualunque sia la su- 
perficie s, trovare delle funzioni finite e continue k(uy) che sod- 
disfacciano a (3); ad es.: se la superficie s è cilindrica a ge- 
neratrici parallele all'asse delle y avendosi cos(Vy) = 0 basterà 
prendere x(uy)>0. La (1) dà allora 


(4) 0=— / Ji I) st 14421 desdy A [lst (Me drdy 3] là n der dera. 


Ora gli integrali del secondo membro della (4) sono tutti 
essenzialmente positivi, nulli solo se la 2 è identicamente nulla: 


quindi l’unica funzione = la quale si annulli su # e soddisfaccia 


alla (2), dove si suppone che per k(vy) valga la diseguaglianza (3), 
sarà lo zero. In altri termini risulta di qui che Za soluzione del 
problema propostoci è unica quando la funzione x(uy) che com- 
pare in (II) soddisfa alla (3). 

Ritorniamo al caso che k(w7) sia qualunque. Se esistessero 
due funzioni che soddisfacessero alle (I) e (II), esisterebbe una 
funzione 2 che soddisfa alla (I), si annulla su #, e su s è tale che 


dz ta 
do k(uy)a =0. 


Ed ove una tale funzione = potesse porsi sotto la forma (III) 
la funzione y(uy) corrispondente dovrebbe soddisfare all’equa- 
zione integrale omogenea corrispondente a (V); ma per l’os- 
servazione finale del numero precedente, una tale funzione deve 
essere identicamente nulla, e tale deve quindi essere anche la 
2(x,1:y). Onde il teorema di unicità riuscirà dimostrato tosto 


452 EUGENIO ELIA LEVI 


che si possa provare che ogni soluzione dell'equazione (1), nulla 
su #, si può porre sotto la forma (III). i 

Ora ciò risulta immediatamente: basta osservare che presa 
una qualunque tale funzione 2, se si considera una funzione x'(uy) | 
soddisfacente a (3) e si pone 


da , i ppt , \ 
de (ue = 91), 


per il teorema di unicità dato sopra, la funzione 2(vy) sarà pre- 
cisamente data dalla (III) dove la y(uy) è determinata dalla 
equazione 


1 
(4) + 4T If. (yy) 
— 2" (4) Lor (xvi eV) ] y(uy) dedy = D'(uy0). 


vr rr 


[Re 1900100Y/5 TE" Meos(r(in0) —_ 


x 


Onde riesce così provato pienamente anche il teorema di uni- 
cità relativo al nostro problema. 


8. — Avvicinando i risultati di questo lavoro con quelli 
ottenuti nella mia memoria citata se ne possono dare molte 
semplici generalizzazioni. Così noi potremmo supporre che la su- 
perticie s consti di diverse parti s, ss ...8, e che su alcune di 
queste $;,, $;, ... Si, siano assegnati i valori della fùnzione 2, sulle 
altre s;, $;; « Si,_, Siano assegnate delle relazioni tra i valori 


di 2 ed i valori di 5° del tipo della (Il). 


Questo problema corrisponderebbe, quando le s; ed sj sono 
cilindriche ed a generatrici parallele all'asse delle y, all'ipotesi | 
che il corpo fosse limitato da vari contorni, e su alcuni di essi 
fossero assegnati i valori delle temperature, e per gli altri invece 
fossero assegnati i valori delle temperature dello spazio ambiente 
e le condizioni di irraggiamento e conducibilità del contorno 
del corpo. 

In tal caso basterebbe porre la funzione = sotto la forma 


e(c,'x3 y)= LI pa ALT XX2Y; X1 "va 'y') COS (n) w; (e) de;dy + li 
pr cs Il, sly shox (2109y; 21° x2'Y)y; (4) de; dy|, 


pt 


SUL PROBLEMA DI FOURIER 453 


dove (w;y), (4;y) indicano dei sistemi di variabili coordinate sulla 
superficie s,, s;, de;, de; gli elementi di arco delle intersezioni 
delle s;, s; coi piani caratteristici: e nei vari integrali devesi 
intendere (2127) = (v;y) 0 (21229) = (0;y); e dove le funzioni 
w:(u:4), W;(u;y) sono funzioni finite e continue da determinarsi 
convenientemente. 

Le condizioni imposte alla 2 al contorno sono sufficienti 
per determinare le funzioni w;, y; in modo unico mediante equa- 
zioni integrali perfettamente simili all’equazione (V): noteremo 
solo che perciò occorrerà che non mai una superficie s, venga 
infinitamente prossima ad una s;. 

Ulteriori generalizzazioni si potrebbero dare al caso in cui 
il corpo constasse di pezzi ciascuno per sè omogeneò, ma di 
conducibilità differente da pezzo a pezzo: ma tali generalizza- 
zioni non presentano nuove difficoltà e noi ne taceremo. 


L’Accademico Segretario 
LorENZO CAMERANO. 


—————__o—©—tt——>—©—r_— 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 2 Febbraio 1908. 


Ù 
PRESIDENZA DEL PROF. COMM. ARTURO GRAF 
SOCIO ANZIANO 


Sono presenti i Soci: Renier, Pizzi, CAruTTI, RUFFINI, 
D’ErcoLe, Bronpi, Scorza e De SaAnctIS, Segretario. 

Scusano l’assenza il Socio D’Ovipro, Presidente dell’Acca- 
demia, e i Soci CARLE, BrusA, CHIRONI € STAMPINI. 

Si approva l’atto verbale dell’adunanza precedente, 19 gen- 
naio 1908. 

Il Presidente comunica una lettera del Socio Manno, che 
ringrazia per la rielezione a membro della Giunta accademica 
per la biblioteca. 

Il Socio Srorza presenta per l’inserzione negli Atti una nota 
del Dr. Giovanni CaARrBoNnELLI, intitolata: I “ Brachalis her- 
niarum ,, nell'alto medio evo. 

Il Socio Pizzi comunica che il Dr. Luigi SuALI ritira la sua 
memoria sul Prameyaratnakoca di Candraprabha, presentata nella 
seduta del 22 dicembre 1907. 


ATTTT—_TLTT- 


GIOVANNI CARBONELLI — IL « BRACHALIS HERNIARUM », Ecc. 455 


LETTURE 


——_—_—_—_—__ 


Il “ Brachalis herniarum , nell'alto medio evo. 


Nota del Dott. GIOVANNI CARBONELLI. 


Nell'anno 1899, quando si fecero abbattere le vecchie case 
allo scopo di isolare la torre campanaria della Cattedrale di 
Torino, scavando quel tratto di terreno che va dalla torre alla 
antica cinta delle mura romane al nord della città, due impor- 
tanti scoperte si rivelarono agli archeologi ed agli amatori di 
patrie memorie. 

Il piccone escavatore scoprì gli avanzi delle mura di una 
delle antichissime basiliche che occupavano quella zona di suolo, 
e nel terreno poco distante i ruderi del teatro, col quale l’occu- 
pazione romana aveva abbellita l’Augusta Taurinorum. 

Il taglio della trincea sotto le antiche chiese colpì una 
grande quantità di antiche tombe, irregolarmente disposte a 
piani, quasi come per mostrare la stratificazione delle genti 
che per lungo svolgersi di secoli si susseguirono nella vita della 
antica città. 

Partendo dal suolo romano accanto alle mura perimetrali 
del.teatro, forse già rovinate dall’incendio e fuori uso, per la 
incipiente decadenza dell'Impero, si trova il primo strato di 
tombe pagane. Numerose e povere, spoglie di suppellettile fu- 
neraria, sono costrutte con grossi embrici della solita forma, 
posati sopra un pavimento di cotto, inclinati e poggiati uno 
contro l’altro, collo spigolo scalpellato per dare un po’ di sta- 
bilità alla costruzione; ricoprono il cadavere alla foggia di tenda 
militare. Alzandosi man mano gli strati di tombe, si arriva allo 
strato superiore sotto al suolo attuale profondo circa. un metro, 


456 GIOVANNI CARBONELLI 


nel quale sono tutte tombe cristiane povere ed anepigrafi, nella 
costruzione delle quali è largamente usato il materiale romano. 

Una sola di grandi dimensioni, attirò specialmente l’atten- 
zione; costruita con grandi lastroni di pietra, provenienti dal 
teatro, era divisa in due grandi scomparti da un setto in pietra. 
In uno eranvi molte ossa disordinate ; nell'altro si rinvennero 
due scheletri di cattiva conservazione, colle ossa ordinate. Vicino 
alla testa di uno dei cadaveri si trovò un rozzo incensiere 0 
brucia profumi in terra cotta greggia col coperchio traforato 
da piccoli fori simmetrici, contenente resti di carbone (V. Fig. 1), 
frammisti a larghi lembi di stoffa in lana color marrone scuro, 
rozzamente intessuta (V. Fig. 2), alcune grosse fibbie, delle quali 
due di bronzo e le altre di ferro, molto danneggiate dall’os- 
sido (V. Fig. 3, 4, 5, 6); a metà distanza fra il cranio ed i piedi 
dello scheletro, sulle ossa polverizzate del bacino, un grosso 
frammento di ferro, che a tutta prima fu giudicato un manico 
da pentola frammentario (V. Fig. 7) (1). 

Niun dato epigrafico di qualsivoglia maniera vicino o lon- 
tano dalla tomba fu trovato ; non restano perciò se non i mezzi 
induttivi per poter anche approssimativamente stabilire l'età 
della tomba. 

Tre chiese, rispettivamente intitolate a S. Salvatore, Santa 
Maria e S. Giovanni Battista, esistevano già nel V secolo, sullo 
spazio occupato attualmente dalla Cattedrale, dal Campanile e 
dalle case demolite nel ‘99. Il vescovo Landolfo verso il 1030 
provvide alla ricostruzione di una di queste, perchè rovinata 
dalle scorrerie dei saraceni, e fu probabilmente il S. Giovanni, 
press’'a poco sull’area della attuale (2). 

Stando a questi fatti, la chiesa più al nord indicata dai 
frammenti di muro di indubbia destinazione ritrovati e dalle 
numerose tombe, sarebbe una di quelle che già nel 1000 erano 
rovinate e fuori di uso pel culto; e giudicando dallo strato di 
terreno di circa un metro di spessore depositato sul grande 


(1) Attualmente si conservano tutti questi pezzi nella raccolta del 
R. Ufficio dei monumenti e scavi di Torino. 

(2) Ferpinanpo Ronporino, Il Duomo di Torino illustrato, Torino, Roux 
e Frassati, 1898. 


IL « BRACHALIS HERNIARUM » NELL'ALTO MEDIO EVO 457 


sarcofago, si può arguire che da molti anni si fosse cessato di 
usare il suolo della chiesa ed il chiostro adiacente come cimitero, 
arretrando così l'epoca della costruzione del grande sarcofago. 

Di modo che si può «senza tema di errare, assegnare la 
costruzione della tomba fra un minimo ed un massimo che 
vanno dal V al X secolo. L'esame della suppellettile conferma 
la supposizione: P. Orsi, nella relazione sugli scavi di una ca- 
tacomba cristiana del VI secolo, rinvenuta a Molinella di Au- 
gusta, porta la figura di un coperchio d’incensiere simile a 
quello rinvenuto a Torino (1); la forma delle fibbie ricorda in 
tutto quelle trovate nella necropoli barbarica di Testona, con- 
servate nel Museo di Torino (2), risalenti come età al più tardi 
al VII od VIII secolo; la suppellettile stessa attesta la conser- 
vazione di una usanza relativamente ancora recente quale era 
quella di deporre oggetti nelle tombe, il che viene a confer- 
mare la prova che si era ancora nell’alto medio-evo, quando il 
grosso lastrone di pietra ricoperse i due ignoti personaggi nel 
loro eterno sonno. 

Ad arte ho voluto diffondermi, per quel tanto che era ne- 
cessario, a stabilire entro limiti certi l’età della tomba ed in 
conseguenza della sua suppellettile, per potermi soffermare 
sopra un oggetto di ferro, del quale a tutta prima fu miscono- 
sciuto l’uso, interpretando fosse un volgare manico di pentola, 
mentre in verità la situazione stessa sul cadavere, nella quale 
fu trovato, doveva far sorgere subito forti dubbi. 

Adagiato sulle ossa del bacino, ridotte in polvere, si trovò 
un pezzo di ferro, formato da una verga del diametro di un 
centimetro, abbracciante come un’ansa la metà destra del ba- 
cino; l'estremo anteriore è piegato a ginocchio ad angolo retto 
‘e porta una piastra piatta col contorno a forma di cuore; po- 
steriormente finisce in una piccola superficie pianeggiante molto 
corrosa, la quale doveva essere un gancio o qualcosa di simile 
(V. Fig. 7). 


(1) P. Orsi, Notizie scavi, anno 1902, pag. 431. 

(2) Craupro ed Enoarpo CaLanpra, Di una necropoli barbarica scoperta 
a Testona, © Atti della Società di Arch. e Belle Arti per la provincia di 
Torino ,, vol. IV, pag. 17 e seg. Torino, 1882-85. 


458 GIOVANNI CARBONELLI 


Le sue misure sono : 


Sviluppo totale del perimetro . . . cm. 51,5 
Lunghezza. dell'apertura .. . .. . . (n.024 
Diametro massimo della piastra . . 8 
Diametro traverso all'altezza del collo , 6 
Pesa... itato veni 6A 


La curva non è geometrica ad arco di cerchio, è piuttosto 
un frammento di un elissoide irregolare, evidentemente model- 
lata sulla curva esterna del fianco destro di colui al quale l’og- 
getto era destinato per l’uso. 

La piastra si adatta perfettamente alla insenatura ingui- 
nale la sua rientranza all’interno per la piegatura del collo al 
quale è inserita, la rende adatta ad esercitare una pressione 
costante, lasciando libero il movimento della articolazione del 
femore nella deambulazione. 

Dalla posizione occupata sullo scheletro, dalla forma tutta 
speciale, dal suo stato di conservazione stesso, non si può far 
a meno che riscontrare in questo strumento il Ligamentum her- 
niale di Ezio ed il Brachalis del medio-evo. 

Il meccanesimo atto a contenere l’intestino prolassato era 
conosciuto dagli Antichi; ne parla Ippocrate e specialmente 
C. Celso, il quale descrive un apparecchio formato da una palla 
di tela ravvoltolata e fissata a striscia di tela da applicarsi 
strettamente sulla rottura (1). 

Celso dà la preferenza in ogni caso all'intervento chirur- 
gico nella cura dell’ernia, come più sicuro nel suo risultato 
ultimo, limitando il bendaggio nella protesi dell’ ernia nei 
bambini. 

Ezio pel primo parla di bendaggi permanenti (perpetuis 
legamentis utatur), il che fa giustamente pensare a bendaggi 
costrutti con materiale solido perfettamente modellato sulla 
persona (commodis), atti ad essere continuamente portati; e 


(1) C. Cersi, De re medica, Venetiis, Scotum, 1566. Vedi cap. XX e XXIV 
del libro VII. Sul significato della parola Ramex, ctr. PaoLo FEcineta 
(Basilea, 1538), p. 198, cap. 66; cfr. anche Hreisrer, Istituzioni chisusgihe, 
trad. ital. (Venezia, 1782), T. II, pag. 60, cap. 116 in nota. 


IL « BRACHALIS HERNIARUM » NELL'ALTO MEDIO EVO 459 


quantunque non nomini la materia impiegata nel costrurli, è 
logico dedurre non fossero nè di tela nè di cuoio, volendo col 
qualificativo “ perpetui , riferirsi all'impiego del metallo nella 
loro fabbricazione. 

Per completare la cura dell’ernia col bendaggio, prescrive 
di applicare prima sulla pelle del paziente un empiastro com- 
posto con Sarco-colla, Gomma, Glutine bovino e di pesci, Carne 
di lumaca, Cinnabaro dei fabbri, oltre alla Mirra, Turi, Opopo- 
nace, Resina di pino, Bitume, ecc., in modo che faccia corpo col 
bendaggio stesso avvoltolato in tela, lana 0 pelle di agnello (1). 

Avicenna ripete su per giù le parole «di Ezio, seguendo le 
norme date da questi e sviluppandole nella parte chirurgica ; 
insiste che nel bendaggio la piastra sia piana, dicendola, così 
fatta, più utile (2). Al quale proposito scrive un avvertimento 
ai malati, di rifuggire dalle cure praticate dagli empirici e di 
rivolgersi sempre ad abili chirurghi, per la cura di questa in- 
fermità. Queste parole provano come in quei tempi i malati 
ricorressero per soccorso ad una malattia tenuta come vergo- 
gnosa piuttosto ai praticoni che non ai medici; e siccome la 
scuola si tramandava favorevole alla operazione, ciò spiega il 
perchè i chirurghi poco si occupassero di descrivere le forme 
dei bendaggi, interessandosi molto più allo studio chirurgico 
dei pochi malati che loro capitavano che non ai bendaggi degli 
empirici. 

Difatto quando la barbarie dell’alto medio-evo sta per ces- 
sare, ed i primi albori del rinascimento dovuto allo studio dei 
classici sono per spuntare; negli scrittori di questo tempo, an- 
cora preoccupati dalle consuetudini e dall’empirismo, si incon- 
trano descrizioni di bendaggi. La preoccupazione di mostrarsi 
eruditi li fa cadere in oscurità e li rende astrusi, o li porta a 
rinnegare il loro presente copiando i classici. 

Così accade a Lanfranco da Milano, il quale, volendo rifug- 
gire dal descrivere il “ braghiere , degli empirici, e mostrarsi 


(1) Arm, Medici, ete. Lugduni Beringorum, 1549; Tetrab. IV, Sermo 
secundus, colonna 151 e 152. 

(2) Avicenna, Libri in re Medica omnes, Venetiis, Valgrisi, 1564. — 
Fen. 2, trac. 1, cap. 6 e seg. fino all'11. Vol. 1°, pag. 949 e seg., come pure 
in Fen. 3, lib. 1°, Doctrina, 1, pag. 158. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 34 


460 GIOVANNI CARBONELLI 


nello stesso tempo erudito, associa a questo la placca mobile 
di Celso, ma fatta di ferro (1). Pietro de Largelata più schivo 
ancora ritorna indietro addirittura a Celso, facendo costrurre il 
cinto di panno triplicato “ cum scuto parvo ,, aborrendo da ogni 
aluto solido, ripudiando gli ammaestramenti di Ezio (2). 

Non è il caso di ricorrere a citazioni posteriori, le quali, 
oltre a non portare contributi maggiori, sono troppo lontane 
dall’epoca della tomba che rivelò questo cimelio fin ora unico 
in Italia (3). 

Ho voluto dare la formola dell’ “ Unguentum Presbiteri ,. 
consigliato da Ezio, perchè si trova nel suo uso la causa effi- 
ciente della conservazione quasi perfetta nella sua parte ante- 
riore nel cinto descritto, sul quale sono ancora molto evidenti 
le traccie della tela che lo avvolgeva. Non è questo argomento 
degli ultimi ad avvalorare la mia affermazione. Per la stessa ra- 
gione si conservarono le fibbie appartenenti alle cinghie del cinto. 

I lembi di stoffa trovati nella tomba nulla possono dire 
sulla qualità del personaggio: è una stoffa povera e grossolana, 
se si paragona alle ricche stoffe che si tessevano nei secoli po- 
steriori; potrebbe essere stata distinta per quei tempi e per le 
costumanze d'allora, se si conoscessero con tutta esattezza. 

Il primo a scrivere un lavoro completo sugli apparecchi 
profilattici nella cura dell’ernia, fu il Deneffe (4) di Gand. Nella 
sua dotta memoria riporta la figura di tre cinti erniari, due 
unilaterali destri ed uno bilaterale, avuta dal D.r Lambros di 


(1) Lanrranco, Chirurgia, Lyon, De la Fontaine, 1490, cap. VII, 2* Dot- 
trina, 3° trattato, “ ... et sur la platine (de fer) tu mectras le brayer auquel 
“on puisse attacher une corroye, etc. ,. 


A questo proposito erra il Boursier nel volere l’uso del ferro nel cinto 


come introdotto pelgprimo da Avicenna; questo autore non parla mai di 
ferro, l’uso di questo metallo era molto più antico. Vedi Anpré Boursirr, 
art. Hernie, in Diet. Dechambre, ser. 4%, vol. 13, pag. 729. 

(2) Cyrurgia magistri Perri pe LarceLATA, Venetiis, Scotus, 1497, lib. V, 
Trac. XVII, fol. 112 è, 1% colonna. 

(3) Cfr. HristeR, già citato, e JonannIs ScuLLeTI, Armamentarium, Amste- 
lodami, 1741. 

(4) V. DenEFFE, Les Bandages herniaires à l’époque Mérovingienne, Anvers, 
Caals, 1900. Rimando a questo A. per la citazione del lavoro di Lion et 
JuLes RaArnaL frères, Le bandage herniaire autrefois-aujourd’hui. Paris, 1899. 


4 


IL « BRACHALIS HERNIARUM » NELL'ALTO MEDIO EVO 461 


Atene, e su questi non nasconde i suoi dubbi. In compenso, e 
ciò è molto più interessante, offre la riproduzione fotografica 
di tre cinti in ferro, due destri, uno sinistro, trovati ad Euville 
(Meuse), a Marche-le-Pot e a Devise (Somme). Questi tre fu- 
rono conservati; altri tre trovati a Noyon e a Fluy andarono 
distrutti. 

Le ricerche fatte dal Deneffe in Germania, Inghilterra, Da- 
nimarca ed Italia, furono negative, inquantochè in nessuno dei 
musei di queste nazioni si conserva alcun apparecchio di questo 
genere e di questa antichità; dimodochè, essendo stati trovati 
tutti meno uno (Euville) nell'estremo nord della Francia, e tutti 
in necropoli franche dal V al VI secolo, conclude essere da con- 
siderarsi, fimo a prova contraria, come limitato ai Franchi l’uso 
di bendaggi erniari costrutti in ferro. 

Ciò potrebbe essere vero, inquantochè anche i Franchi ca- 
larono, come tanti altri popoli, in Italia, e l'epoca della loro 
dimora nei nostri paesi non sarebbe in disaccordo nè colla età 
assegnata dal Deneffe ai cinti da lui descritti, nè colla età che 
sì può ragionevolmente assegnare alla tomba di Torino; può 
far nascere qualche dubbio il modo di fabbricazione dell’appa- 
recchio, che restando identico nel principio fondamentale, varia 
nella conformazione. Infatti i tre cinti del Deneffe sono for- 
mati da una lamina di ferro, variante di spessore e di altezza, 
che è appiattita col martello nella sua estremità anteriore in 
modo da formare una placca, la quale si continua perciò colla 
superficie esterna ed interna di tutta la lamina, ed il suo dia- 
metro massimo viene ad essere orizzontale anzichè verticale. 

Questa disposizione del metallo doveva nella pratica, perchè 
raggiungesse lo scopo a cui era destinato il cinto, essere cor- 
retta dalla forma del cuscinetto di rivestimento, dovendo per 
necessità essere molto sporgente per comprimere la piega del- 
l’inguine. 

Ciò non si osserva nel cinto da me descritto, inquantochè 
può dividersi in due parti distinte fra di loro quantunque con- 
tinue : il cingolo dell’anca, formato da una verga di ferro a 
sezione circolare, la quale nella sua estremità anteriore si piega 
a ginocchio per inserirsi sul margine esterno della placca; questa 
foggiata col suo massimo diametro verticalmente, in modo da 


462 GIOVANNI CARBONELLI 


sopportare un cuscinetto pianeggiante molto più efficace nella 
compressione sul canale inguinale. 

Da ciò risulta che non esistesse una sola scuola di fabbri- 
cazione situata nel nord della Francia come suppone il Deneffe, 
ma un’altra se ne trovasse in altri paesi. Non si può in modo. 
alcuno dire con sicurezza se la tomba di Torino sia stata co- 
strutta per un Franco o per un indigeno, nè se costui sia stato 
uomo d’arme o di toga, non avendosi dati sufficienti neanche 
per stabilirne con sicurezza il sesso; tuttavia ciò che è certo 
si è che la tomba rivela una forma finora unica di cinto er- 
niario, il quale ricorda bensì i suoi congeneri francesi, ma nella 
sua forma dimostra un'arte più progredita e scientificamente 
più razionale, escludendo la sua importazione dal nord della 
Francia. 

Oltre a ciò d’un tratto si estendono i confini entro i quali 
erano fin’ora stati trovati simili apparecchi, dagli estremi con- 
fini della Francia si viene alla sponda del Po, dimostrando an- 
cora una volta, se ve ne fosse bisogno, la grande analogia della 
civiltà borgognona e piemontese, non ancora ai nostri giorni 
spenta. 

Si può essere grati ad ogni modo al caso che volle con- 
servato il prezioso cimelio; o sia dovuto alla superstizione dei 
famigliari di non aver voluto svestire e lavare il cadavere per 
un pudore postumo di celare agli astanti la malattia vergo- 
gnosa avuta in vita dal defunto; oppure sia dovuto ad una 
frettolosa inumazione del cadavere, in quei tempi di sommosse, 
guerre ed invasioni. Un documento sulla civiltà oscura e mal 
conosciuta dell’alto medioevo, che rivela il modo ed il mezzo 
di curare una malattia tanto diffusa, è sempre il ben venuto e 
merita tutta la considerazione che gli è dovuta. 

È lecito pertanto concludere come il ferro, metallo d’ogni 
altro più adatto per Ja sua proprietà di poter essere model- 
lato a freddo, veniva usualmente impiegato negli apparecchi 
per la protesi dell’ernia in tempi molto remoti. 

Il cinto rinvenuto non può essere confuso con altri appa- 
recchi, per la sua forma caratteristica; come pure non può es- 
sere un frammento di altro oggetto, avendo i suoi estremi ter- 
minali ben definiti nella loro forma. 

Le due qualità di fibbie in bronzo e ferro possono confer- 


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GARBONELLI G. ll ‘‘ Brachalis herniarum,,,. 


Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino - Vol. XLIII. 


A. — Estremo inferiore del cuscinetto. 
B. — Resti del gancio che teneva la cinghia. 


II, « BRACHALIS HERNIARUM » NELL'ALTO MEDIO EVO 463 


are l’esistenza di cinghie annesse al cinto, specialmente per 
queste ultime, lasciando a quelle di bronzo la loro funzione per 
i indumenti. 

L'età della tomba non può essere messa in dubbio, avendo 
argamente computati i limiti di tempo nell’assegnargliene una; 
dal che ne emerge la importanza grandissima per la storia della 
Chirurgia. 

La conclusione ultima non può essere che di meraviglia 
i nel riscontrare in esso tanta precisione e competenza tecnica, 
nel modo razionale col quale fu costrutto; se le sue proporzioni 
| possono parere esagerate, ciò non deve stupire, considerando il 
tempo in cui fu eseguito e l’uso al quale era destinate. 


L’Accademico Segretario 
GareTANO De SancTIS. 


b Torino — Vixcznzo Bona, Tipografo di S. M. e dei RR. Principi. 


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N. Y. AcanDemy 
OF SCIENDEE 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 9 Febbraio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: SALvapOoRI, NACCARI, SPEZIA, SEGRE, 
Foà, GuarescHI, FiLeri, PARONA, MoRERA, GRASSI, SOMIGLIANA, 
e Camerano Segretario. — Scusano la loro assenza i Soci Fu- 

sARI, Guipi, MaTTIROLO, PEANO, JADANZA. 


Si legge e si approva l'atto verbale della seduta prece- 
. dente. 
| Vengono presentate per gli Atti le note seguenti: 


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1° Prof. A. Cesaris-DeMmEL: L'origine endogena del grasso 
dimostrata sul cuore isolato di mammifero, dal Socio Foà; 


2° Dotti G. Ponzio e G. CHARRIER: Derivati alogenici dei 
dinitroidrocarburi primarî, dal Socio FILETI; 


3° Dotti L. Borri e M. Ponzo: Sui rapporti tra movimenti 
oculari e scomparsa e movimenti delle immagini consecutive. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 35 


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466 A. CESARIS-DEMEL 


LETTURE 


L'origine endogena del grasso 
dimostrata sul cuore isolato di mammifero. 


Nota preventiva del Prof. A. CESARIS-DEMEL. 


Come è noto, la presenza di grasso che si può riscontrare 
in svariate condizioni patologiche in elementi cellulari che nor- 
malmente non ne contengono o non ne producono, fu interpre- 
tata dai patologi come una produzione in sito del grasso stesso, 
per un disturbo del ricambio, che fu ritenuto un vero e proprio 
fenomeno degenerativo. E noto però altresì, che specialmente i 
chimici biologi si opposero subito a questa interpretazione che 
faceva derivare il grasso direttamente dalle proteine cellulari, 
tantochè con analisi qualitative, quantitative e talora compa- 
rative, tra le sostanze adipose trovate negli organi ritenuti de- 
generati in grasso, dimostrarono, o credettero di dimostrare che 
nella massima parte dei casi il grasso era pervenuto agli ele- 
menti cellulari dall'esterno, aveva quindi una origine esogena 
e non endogena come si credeva, e si trattava dunque di un’in- 
filtrazione piuttosto che di una degenerazione. Ora per quanto 
anche a questa ipotesi si siano fatte sperimentalmente valide 
opposizioni, il problema è ancora molto lontano dalla sua solu- 
zione, e noi possiamo facilmente convincercene prendendo a 
mano qualcuna delle più recenti monografie dell’argomento o 
qualcuno dei più recenti trattati che ampiamente lo riassumono. 
Parmi dunque interessante rendere note alcune mie recenti os- 
servazioni, istituite con un metodo non ancora adoperato per 
queste ricerche e che parmi portino un notevole contributo alla 
dimostrazione della diretta provenienza del grasso, per un vero 
e proprio processo degenerativo, dall’albumina cellulare. 


L'ORIGINE ENDOGENA DEL GRASSO DIMOSTRATA SUL CUORE, Ecc. 467 


È ormai conoscenza acquisita che alcuni tessuti, alcuni or- 
gani staccati dall’animale al quale appartengono, possono per 
un tempo vario vivere e mantenersi funzionanti. Possono vivere, 
e ne abbiamo numerose prove nelle osservazioni fatte sopra la 
sopravvivenza di tessuti vari staccati da animali di specie di- 
versa ed adoperati poi, sia sperimentalmente, sia terapeutica- 
mente, per innesti in animali omologhi od eterologhi: possono 
funzionare, e sopra tutti gli altri, l'apparato muscolare ce ne 
offre luminosissimi esempi. Infatti dalle antiche esperienze fatte 
sulle contrazioni dei gastrocnemi di rana, staccati dall’animale, 
al passaggio della corrente elettrica, alle esperienze più recenti 
fatte dai fisiologi sulla musculatura liscia e striata e sul cuore 
degli animali eterodermi, siamo arrivati alle moderne esperienze, 
rese possibili dopochè da Newel Martin e Langendorff ce ne 
fu indicato il tecnicismo sperimentale, sul cuore isolato di mam- 
mifero. Perchè però i tessuti a sè possano vivere, occorre si 
trovino in opportune condizioni di ambiente; perchè possano fun- 
zionare, occorre siano anche convenientemente nutriti. Si com- 
prende quindi come solo con difficoltà si sia raggiunto questo 
duplice scopo e come, anche nelle condizioni più fortunate, il 
persistere della funzione in un organo così complesso ed a fun- 
zionalità così elevata come il cuore di un mammifero, non possa 
mai oltrepassare il limite di qualche ora. Ad ogni modo 1 fisio- 
logi sul cuore isolato e pulsante nell’apparecchio, vedono un 
organo veramente vivo e funzionante, nè si peritano poi di esten- 
dere le conclusioni tratte dalle loro osservazioni, all’interpreta- 
zione di fatti che si svolgono nel cuore quando questo appar- 
tenga ancora all'organismo. Così ad esempio le ricerche intese 
a determinare l’azione della caffeina, della teobromina, del- 
l'alcool, ecc. sono fatte per comprendere più intimamente il 
modo di azione di queste sostanze sul cuore dell'animale vivo, 
e l’artificio sperimentale è inteso unicamente ad eliminare le 
cause di errore che dall'organismo spesso possono intervenire a 
scemare la nettezza dell'esperimento. Ammesso questo, come 
possiamo immaginare noi una perfetta funzionalità, senza una 
corrispondente integrità degli elementi cellulari cui questa fun- 
zione è legata? E come possiamo immaginare che si possa questa 
funzione alterare senza una corrispondente alterazione degli ele- 
menti cellulari cui la funzione stessa è legata? Sono troppo 


468 A. CESARIS-DEMEL 


universalmente noti gli esempi che l’istologia patologica ci offre, 
di alterazioni morfologiche strutturali nelle cellule degli organi 
funzionalmente alterati, perchè noi dobbiamo ulteriormente insi- 
stere su questo concetto. 

Ecco dunque un nuovo campo di ricerche che i fisiologi 
hanno aperto all’istopatologo. Ecco degli elementi staccati dal- 
l'organismo, che vivono, che funzionano, che si devono necessa- 
riamente alterare, sia per la morte alla quale vanno incontro, 
sia per l’azione tossica di sostanze varie che sì possono far per- 
venire e circolare nel cuore insieme al liquido nutrizio che lo 
mantiene in vita. Noi dobbiamo studiarli coi metodi che l’isto- 
chimica ci offre, raccogliendoli in momenti vari, sia di perfetta 
funzionalità, sia di funzionalità più o meno alterata, per ricer- 
care se esista un parallelismo tra le alterazioni funzionali che 
i moderni metodi grafici ci permettono di fissare, e la loro 
struttura; in altre parole, se alle alterazioni funzionali corrispon- 
dano veri e propri stati degenerativi dimostrabili istologi- 
camente, sia negli elementi parenchimatosi, sia nell’apparato 
nervoso che ne regola la nutrizione e l’attività (1). 

Il problema è certo vasto e di difficile soluzione, ma non 
cessa però per questo di essere meno interessante, e quello che 
si fa oggi sul cuore si potrà forse fare presto anche per altri 
organi ed altri tessuti. 


Le mie prime esperienze furono rivolte a ricercare se nel 
cuore isolato di mammifero si potesse ottenere sperimentalmente 
una degenerazione grassa, con gli stessi veleni steatogeni che 
la producono nei tessuti dell’animale vivente. Mi parve utile 
cominciare da questa, come quella che è più facilmente dimo- 
strabile nei tessuti, sia a fresco, sia nei preparati fissati, coi 
metodi istochimici ben noti, e come quella che si può specifi- 
camente produrre con ben determinate sostanze. Una volta tro- 


(1) È noto come oggigiorno tra i fisiologi prevalga il concetto che la 
contrattilità cardiaca sia legata alla sostanza muscolare e non dipenda dai 
nervi. Col metodo di ricerca ch'io ho istituito, si potrà forse, dall'esame 
comparativo caso per caso, delle alterazioni istologiche eventualmente repe- 
ribili nella sostanza muscolare o nel suo apparato nervoso, portare un utile 
contributo a risolvere la controversa questione. 


L'ORIGINE ENDOGENA DEL GRASSO DIMOSTRATA SUL CUORE, Ecc. 469 


vata questa degenerazione, il campo sarebbe stato aperto alla 
valutazione di altre (torbida, glicogenica, ecc.), che si istituiscono 
tanto frequentemente in svariate condizioni patologiche. Il co- 
minciare con queste esperienze, mi pareva anche interessante 
per abbordare direttamente la controversa quistione dell'origine 
endogena od esogena del grasso nelle cellule, alla quale ho in 
addietro rapidamente accennato. Noi infatti qui abbiamo dei 
cuori isolati di mammifero, nutriti da un liquido assolutamente 
privo di sostanze grasse e circolante in un sistema parte me- 
tallico, parte di vetro, parte di gomma, dal quale non può cer- 
tamente assumerne, per apportarne al cuore ed infiltrarne gli 
elementi cellulari. Se alla fine dell’esperienza il cuore ci dimo- 
strerà un maggior contenuto adiposo noi dovremo ragionevol- 
mente concludere per la sua indubbia origine endogena. Per fare 
funzionare un cuore isolato io mi sono valso del metodo di 
Langerdoff, con l'apparecchio opportunamente modificato da 
Aducco (e quale fu adoperato dai molteplici allievi suoi, Panella, 
Camis, Brandini, in alcune interessanti ricerche), che volle corte- 
semente sorvegliare la costruzione del modello da me adoperato. 
Come liquido nutrizio io mi sono valso di quello di Ringer Locke, 
al quale aggiungevo il 10 per mille di sangue defibrinato. 

Mi attenni costantemente a questa proporzione inferiore a 
quella del 20-30 per mille consigliata da Brandini e Panella 
come la migliore, perchè salassando i conigli prima dell’estra- 
zione del cuore, difficilmente potevo ottenere una quantità di 
sangue superiore ai 30 cc., che aggiunti ai tre litri di liquido 
necessari all'esperienza, riducevano la proporzione della miscela 
al 10 °/. Appena estratto il cuore, lo immergevo nel liquido 
nutrizio a 37°-38° e lo montavo all’apparecchio seguendo il ben 
noto e solito procedimento. Facevo poi circolare per 2-3 minuti 
il liquido nutrizio puro, fino a che il cuore per la regolarità 
del ritmo dimostrasse di non risentire più del trauma patito, 
poi vi immettevo la soluzione della sostanza tossica nel liquido 
nutrizio, che avevo precedentemente preparata. 

Quali veleni steatogeni ho adoperato l’arsenico, la fluorizina 
ed una molto attiva tossina difterica cortesemente favoritami 
dal Prof. Belfanti dell’Istituto Sieroterapico Milanese. Con le 
stesse sostanze tossiche avvelenavo contemporaneamente altri 
animali, dai quali raccoglievo e fissavo il cuore per potere poi 


470 A. CESARIS DEMEL 


istituire un confronto tra le eventuali alterazioni che i tossici 
iniettati avrebbero prodotte nel cuore di questi animali avve- 
lenati e quelle sperimentalmente ottenute nel cuore isolato. 

Per ognuno dei tre tossici, io ripetei parecchie esperienze 
variando la dose del tossico e la durata dell’esperimento. Feci 
anche talora circolare il puro liquido nutrizio raccogliendo i 
cuori 0 ancora regolarmente o irregolarmente pulsanti o asso- 
lutamente immobili. Raccolsi poi ancora e fissai parecchi cuori 
di conigli assolutamente normali per procurarmi una conoscenza 
precisa e personale sulla eventuale o possibile presenza di qualche 
traccia di grasso anche in queste condizioni. Come liquidi fis- 
sativi, adoperai costantemente quello di Altmann e quello di 
Miiller, e talora anche quelli di Flemming e di Hermann. Diedi 
la preferenza a quello di Altmann per il suo forte contenuto di 
acido osmico e per l'opportunità che mi oftriva di colorare anche 
le caratteristiche granulazioni del protoplasma e più precisa- 
mente per istituire delle ricerche sulla più o meno diretta de- 
rivazione del grasso stesso dai granuli fuesinofili: il liquido di 
Miller mi dava una buona fissazione e mi permetteva una suc- 
cessiva ricerca del grasso, quando avessi successivamente adope- 
rato il fissativo osmico di Marchi. 

Anche in queste mie prime esperienze registrai accurata- 
mente i movimenti del cuore e ne conservai le grafiche e così 
di ogni caso raccolto io posseggo la indicazione precisa, nella 
grafica, dello stato funzionale del cuore nel momento in cui 
l’esperienza fu interrotta. Ma sulle modificazioni funzionali sotto 
l’azione delle sostanze tossiche da me usate e sul rapporto che 
legano queste alle alterazioni istologiche trovate caso per caso 
mi riservo di concludere quando il numero delle mie esperienze 
sarà maggiore, parendomi che solo così se ne potranno dedurre 
dei resultati attendibili. Dirò invece come io, a somiglianza dei 
precedenti osservatori, abbia anche osservato, che tra i cuori 
estratti nelle stesse condizioni da animali apparentemente nor- 
mali, si hanno delle grandi variazioni di resistenza e di com- 
portamento, variazioni individuali la cui causa ci sfugge, ma 
che indubbiamente esiste e della quale dobbiamo sempre tener 
conto per non cadere in grossolani errori di interpretazione. 

Accade infatti spesso che il cuore appena montato mostri 
il V. S. immobile, paralitico, mentre permangono validamente 


L'ORIGINE ENDOGENA DEL GRASSO DIMOSTRATA SUL CUORE, ECC. 471 


contrattili il V. D. e le orecchiette. Per vedere se si trattasse di 
una semplice inibizione nervosa o non piuttosto di un disturbo 
circolatorio (da trombi o da emboli nelle arterie del cuore) ho 
aggiunto al liquido nutrizio una tenuissima sospensione di 
carmino. Ho visto così che quando il cuore funziona in tutte le 
sue parti, a poco a poco sì viene gradatamente colorando in un 
bel color roseo diffuso, poi rosso, mentre alle zone paralitiche 
corrisponde sempre un’ area assolutamente incolora, segno evi- 
dente che il circolo non vi si compie e il carmino non vi si 
può depositare. È utile il ricordare come il carmino non modi- 
fichi sensibilmente la durata e l’esito dell'esperienza, e nei vasi 
e nei capillari del cuore, che all'esame istologico si presentano 
finamente iniettati di minuti granuli di carmino, evidentemente 
la circolazione artificiale, e quindi la nutrizione del cuore, è an- 
cora possibile. 


Non potendo nè volendo ora riferire sopra ogni mia singola 
esperienza, dirò come nei cuori da me studiati, che si contras- 
sero nell’apparecchio per un tempo vario da mezz'ora a quattro 
ore e mezzo, nutriti dal Ringer Locke e sangue, addizionato da 
uno qualunque dei tossici steatogeni da me ricordati, costante- 
mente potei dimostrare la comparsa di grasso nelle fibro-cellule 
muscolari, nelle quali, a condizioni assolutamente normali, come 
è noto, e come ho potuto personalmente convincermi, solo ec- 
cezionalmente in qualche elemento isolato è reperibile qualche 
gocciolina di grasso. Questo grasso vi compare dapprima a goc- 
cioline minute e rare in pochi elementi, poi rapidamente le 
goccioline si fanno numerosissime diffusamente e omogeneamente 
disseminate in tutti gli elementi, per fondersi anche, in periodi 
più avanzati, in goccioline sempre più grosse. Si ha, in altre pa- 
role, un’alterazione assolutamente simile a quella che vediamo 
istituirsi nel cuore dell'animale sotto l’azione degli stessi tossici 
iniettati in circolo, dove le goccioline adipose che vi compaiono 
presentano lo stesso aspetto, assumendo gli stessi rapporti e la 
stessa disposizione di quelle sopra ricordate. Di questa somi- 
glianza ne ebbi una prova costante dai cuori degli animali di 
controllo da me intossicati. Ecco dunque che noi abbiamo l’e- 
sempio di una degenerazione che colpisce un tessuto staccato 
dall'organismo e funzionante, prodotta dalle stesse cause e svol- 


472 A. CESARIS-DEMEL 


tasi con lo stesso meccanismo e inducente allo stesso reperto 
di quella svoltasi nell’animale. 

A questa identità si accompagna contemporaneamente un 
analogo comportamento del protoplasma, del nucleo, assoluta- 
mente identici nei due casi (sui quali non voglio ora scendere 
in minuta descrizione di dettaglio), come le ottime fissazioni con 
il liquido di Altmann, di Flemming, di Hermann permettono di 
dimostrare. 

Il massimo potere steatogeno e per la rapidità e per l’in- 
tensità del fenomeno ottenuto, in rapporto alla piccolissima quan- 
tità di tossina adoperata, fu quello dato dalla tossina difterica, 
in ordine decrescente dall’arsenico e dalla fluorizina. 

Un’ obbiezione che facilmente può essere sollevata e che io 
stesso mi formulai fu questa: che l'aumento di grasso in questi 
cuori non fosse in rapporto ad un fenomeno vitale, ma ad un 
fenomeno di disfacimento post-mortale simile a quello che fu 
veduto avvenire nei tessuti morti da Virchow, Lindemann, 
Hauser, Kotsowsky e Wentscher. 

Questa obbiezione cade da sè quando noi vediamo che il 
grasso sì produce e compare negli elementi muscolari di cuori 
ancora validi e pulsanti, in un momento nel. quale la grafica ci 
parla per una vera vitalità dell’organo. 

Come ho detto, io ho raccolti per lo studio anche dei cuori 
per i quali passava il solo liquido nutrizio. Ora anche in questi 
e specialmente quando non aggiungevo il sangue defibrinato e 
l’esperienza era durata a lungo, frequentemente ho ritrovata una 
certa quantità di grasso negli elementi cellulari, a gocciole mi- 
nutissime e diffuse, sicchè ne conclusi che anche in questi casi 
sì istituisce nel muscolo cardiaco una vera e propria degenera- 
zione grassa. Da chè questa dipende? Verosimilmente da una 
insufficiente nutrizione, perchè il liquido nutrizio, per quanto sa- 
pientemente combinato, non può certamente surrogare nella per- 
fetta nutrizione del cuore il plasma sanguigno. Anche questa 
degenerazione grassa, la quale non raggiunge mai per intensità 
quella precedentemente descritta e derivante dall'azione specifica 
dei veleni steatogeni, è dunque indubbiamente di origine endo- 
gena. Se la constatazione della prima è di grande valore per il 
patologo, parmi che la constatazione di questa ultima lo debba 
essere per il fisiologo, il quale dunque, messo sull’avviso della 


L'ORIGINE ENDOGENA DEL GRASSO DIMOSTRATA SUL CUORE, ECC. 473 


possibilità della sua comparsa, dovrà ad un certo tempo del- 
l’esperienza (forse il comportamento della grafica potrà indicarlo) 
non più ritenere d’avere innanzi a sè un cuore normale, ma piut- 
tosto un cuore grasso, e dovrà così, ad es. quando confronta il 
comportamento di un cuore reso grasso nell’animale per veleni 
precedentemente iniettati, con quello di un cuore normale stac- 
cato (1), pensare che anche il secondo si va riducendo nel corso 
della esperienza alle condizioni del primo. Il fisiologo ancora potrà 
col sussidio dell'esame istologico ricercare quale sia la compo- 
sizione del liquido nutrizio che possa essere più a lungo adope- 
rata e tollerata per ogni singola specie di animali senza che nel 
cuore di questi si istituiscano delle alterazioni degenerative tanto 
gravi da modificarne l’attività funzionale. 

La degenerazione grassa da me descritta e quale si può 
vedere chiaramente nelle sezioni dei pezzi fissati in Altmann 
(senza aggiunta di sostanze coloranti) e nelle sezioni dei pezzi 
fissati in Miller e passati per 10 giorni in liquido di Marchi 
di frequente rinnovato, si può distintamente riconoscere anche 
a fresco adoperando il Sudan HI, con la tecnica che si adopera 
nei metodi di colorazione a fresco del sangue. Relativamente poi 
al rapporto che le goccioline di grasso neoformate nei cuori da 
me studiati hanno coi granuli fucsinofili o bioblasti di Altmann 
io non posso formulare che una semplice ipotesi. 

Il metodo di colorazione, per quanto diligentemente ese- 
guito, non riesce mai a darci un reperto eguale per tutti i campi 
di osservazione dello stesso preparato; basta anche una lieve 
diversità nello spessore della sezione o nella durata della deco- 
lorazione per darci delle immagini sensibilmente diverse. Con 
tutto questo nelle fibre alterate che presentino ben distinte ed 
individualizzate le granulazioni fucsinofile, queste si presentano 
frequentemente ingrossate o uniformemente rosse o con un or- 
letto più intensamente colorato. Un rapporto ben netto tra queste 
deformità granulari e le prime minutissime goccioline di grasso 
che compaiono nel protoplasma non è discernibile. Anche qui 
pare che il grasso si origini in gran parte nella porzione inter- 


(1) Scarripi. Meccanismo di azione del Cesio sul cuore normale ed in de- 
generazione grassa, È Arch. di farm. sperim. ,, vol. VI, fase. XII, 1907. 


474 A. CESARIS-DEMHIL — L’ORIGNE AENDOGENA DEL GRASSO, ECÙ. 


granulare del protoplasma, come del resto io stesso ho veduto 
avvenire del grasso che compare rapidamente negli epiteli re- 
nali resi ischemici dall’istituirsi di un infarto (1). 

Riassumendo, allo stato attuale delle mie esperienze, la- 
sciando per ora insoluti molti punti del problema che ho impreso 
a studiare, parmi di poter concludere che: 

Le stesse cause che determinano nel cuore degli animali a 
sangue caldo la comparsa di una degenerazione grassa più o meno 
diffusa od intensa (insufficienza di nutrizione, veleni steatogeni), 
la determinano anche nel cuore isolato, artificialmente nutrito ed 
avvelenato, e nei due casi la forma, il volume, la disposizione, è 
rapporti delle goccioline adipose, risultano all'esame istologico (e 
sarà interessante farne l’esame comparativo anche per via chi- 
mica) identiche. 

La comparsa e l'aumento talora considerevole di grasso nel 
cuore, nelle condizioni sovra ricordate, parla per la natura vera- 
mente degenerativa del processo, dimostrando così la produzione 
endogena del grasso dalle albumine cellulari. 

La comparsa di una degenerazione grassa sperimentale nei 
cuori isolati di mammifero e nutriti semplicemente col liquido di 
Ringer Locke, fino ad ora insospettata ed in rapporto verosimil- 
mente ad un semplice difetto di nutrizione, deve essere sempre te- 
nuta presente nella valutazione delle grafiche che in queste prove si 
raccolgono, perchè non sia interpretato come una semplice altera- 
zione di stimolo, ciò che riconosce a sostegno una profonda altera- 
zione degenerativa quale è la comparsa di grasso nell'elemento cui 
la funzione è legata. 


Istituto di Anatomia patologica della R, Università di Pisa. 


(1) A. Cesaris-DemeL, Della rapida comparsa del grasso negli infarti 
renali ecc., * Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXX, 1895. 


ET 


ra —mm——————— e tt 


G. PONZIO E G. CHARRIER — DERIVATI ALOGENICI, ECC. 475 


Derivati alogenici dei dinitroidrocarburi primari. 


Nota di G. PONZIO e G. CHARRIER. 


Mentre pel fenilmononitrometano si conoscono due forme 


Dil 
CsHg.CH,NO, PI CsHg.CX 
‘NOOH 


la prima stabile, liquida, di un vero nitrocomposto; la seconda 
labile, solida, di acido nitronico, e capace di formare diretta- 
mente leucosali, come p. es.: 


H 
CH. CC 
‘NOOK 


. 
È) 


del fenildinitrometano C;H;.CHN:0, (che uno di noi ha pre- 
parato per la prima volta dall’ isonitrosometilbenzilchetone 
CH3.C0.C(NOH).C;H;, e successivamente, in modo molto più 
conveniente, dalla benzaldossima C;H;.CH:NOH per azione del 
tetrossido di azoto in soluzione eterea (1)) non si conosce che 
una sola forma, stabile, solida, fusibile a 79°. 

Ammettendo con Hantzsch (2) che il leucosale (instabile) 
del fenildinitrometano abbia la formola 


ngi Na 
\NOOK 
cioè derivi dalla forma nitronica 


| 4 N00, 
Pz. 0 
\NOOH 


(1) Gazz. Chim. 31, II, 133 (1901); 36, II, 287 e 588 (1906). 
(2) Berichte 40, 1533 (1907). 


476 G. PONZIO E G. CHARRIER 


finora non isolata del dinitroidrocarburo (corrispondente alla 
forma labile del mononitroidrocarburo), bisogna evidentemente 
attribuire al sale stabile, giallo, del fenildinitrometano un’altra 
costituzione. 

Ora, secondo Bamberger (1), trattando con acido cloridrico 
il sale potassico del fenilmononitrometano, la forma labile del 
mononitroidrocarburo, che in tal modo vien messa in libertà, si 
trasforma in parte in acido benzidrossamico, subendo una tras- 
posizione: molecolare 


H 
0: Hp. dg + Hg: CX 
\NOOH “NOH 


Si potrebbe per conseguenza ammettere che, mettendo in 
libertà dal suo sale potassico il fenildinitrometano, si formasse 
dapprima la forma labile 


ma che questa tosto subisse una analoga isomerizzazione secondo 
uno dei due sensi seguenti 


NO, ONO, 
19)» gino BECTERRORI I: TE 1@ 
S N 
. . SNOOH NOH 
A NO; 
20) | ©C3Hz.04 sigali ro, Hc0m 
ÈNOOH \NO 


Si arriverebbe così, pel sale giallo*di potassio, alle due for- 
mole di struttura 


JONO, /N0, 
C;Hx.0 C;H,.C-0K 
\NOK \.NO 


La prima di queste fu proposta da uno di noi (2) già da 


(1) Berichte 35, 45 (1903). 
(2) Gazz. Chim. 32,1I,461(1902); 33, I, 412 (1903); 36, II, 287 e 588 (1906). 


rasata. 


O:N-0 
PE 
O | 


DERIVATI ALOGENICI DEI DINITROIDROCARBURI PRIMARI 477 
parecchi anni e spiega bene talune proprietà del sale; essa però, 
come quella recentemente suggerita da Hantzsch (loc. cit.) 

DR ì 
CsHs.C = NOK 
contenendo il gruppo NOK non si accorda colle proprietà dei 
derivati alogenici che si ottengono dal sale stesso per azione 
degli alogeni in soluzione alcalina e che deseriviamo nella pre- 
sente Nota. 

Infatti, come fu dimostrato da uno di noi (1), da Piloty e 
| Steinbock (2) e da Forster (3), trattando con cloro le soluzioni 
alcaline dei composti contenenti l’aggruppamento >C:NOH non 
si forma l’ipoclorito >C:NOCI, bensì un cloronitrosocomposto 


VAL 
>C , poco stabile, di colore azzurro allo stato liquido, e 


di “Gi 
capace di reagire col nitrato di argento. Per contro, il fenil- 
clorodinitrometano C;H;.CCIN,0, è stabile, incoloro, e non rea- 
| gisce nè col nitrito, nè col benzoato di argento; escludendo 
A0 
quindi per esso le formole col gruppo Zi rimangono a di- 


U 


ì 
scutersi le seguenti 


t 


/N03 ZN0, 
CoHg.C_NO, CeH;.C_0C] 


NOI NNO 


la prima delle quali però non ci sembra ammessibile, non per- 
mettendo di spiegare come, per azione della potassa alcoolica, 
dal fenilclorodinitrometano si ottenga, oltre al sale potassico del 
dinitroidrocarburo, anche benzoato, nitrato e nitrito potassico. 

La seconda si accorda meglio con tale fatto ed inoltre con- 


(1) Gazz. Chim. 36, II, 98 (1906). 
(2) Berichte 35, 3099 (1902). 
(3) Journ. Chem. Soc. 75, 1141 (1899). 


478 G. PONZIO E G. CHARRIER 


duce ad ammettere pel sale potassico giallo del fenildinitrometano 
la struttura 

ZN0; 

\NO 


e pel sale giallo di fenildiazonio (il quale risulta dal sale po- 
tassico per azione dell’acetato di fenildiazonio) la costituzione 


/N0; 
C;Hs5!C--0.N = N.CgH; 
NNO 


colla quale la isomerizzazione di esso in benzoilfenilnitronitroso- 
idrazina (recentemente studiata da uno di noi (1)) 


/N0, 
CHO ON = N.CoH; = C;H,.CO.N-—N.C;Hy 
\NO I 
NO, NO 


sarebbe in certo qual modo analoga alla trasformazione, osser- 
vata da Dimroth e Hartmann (2), di un azocomposto in un idrazone 
e che consiste nel passaggio di un radicale acido dal carbonio 
alifatico all’azoto: 


C;H;.CO\ CHz.C0 
GH..COCNE=N He i, => 20 = NIN. Gg 
CH;.C07 CsH,.CO | 
CO.CHy 
Fenilelorodinitrometano C;H;.CCINs0,. — Si separa imme- 


diatamente aggiungendo una soluzione diluita di fenildinitrome- 
tanpotassio C4H;.CKN:0, ad una soluzione alcalina di cloro, raf- 
freddata a 0°. Estratto con etere e seccato nel vuoto, costituisce 
un olio incoloro, di odore gradevole, più denso dell’acqua, stabile. 


(1) Gazz. Chim. 38, I (1908). 
(2) Berichte 40, 4460 (1907). 


DERIVATI ALOGENICI DEI DINITROIDROCARBURI PRIMARI . 479 


I. Gr. 0,1556 di sostanza fornirono cc. 17,5 di azoto 
(Ho= 737,87 t= 15°), ossia gr. 0,9020230. 
II. Gr. 0,3009 di sostanza fornirono gr. 0,2023 di cloruro 
di argento (1). 
Cioè in cento parti: 


trovato calcolato per C3HyCIN30, 
rr TP rc 
| II 
Azoto 13,06 _ 12,93 
Cloro -- 16,62 16,69 


Riscaldato con acqua svolge vapori nitrosi e si trasforma 
in acido benzoico; riscaldato con potassa alcoolica ridà nuova- 
mente il sale potassico del fenildinitrometano C€;H;.CKN;0,, il 
quale si separa, col raffreddamento, in lamipette rosse, che rac- 
colte diventano rapidamente gialle. 


Gr. 0,1980 di sostanza fornirono gr. 0,0789 di solfato potassico. 
Cioè su cento parti: 


trovato cale. per C7H;KN30, 
— — > rr - 
Potassio 17,89 17,02 


In questa reazione però si forma (oltre a cloruro potassico) 
anche benzoato potassico (che rimane disciolto nell’alcool) e ni- 
trato e nitrito potassico i quali restano indisciolti e si possono 
riconoscere qualitativamente colle note reazioni. 


Fenilbromodinitrometano C;H;.CBrNs0,. — È un olio legger- 
mente giallognolo, di odore gradevole, più denso dell’acqua, e 
si ottiene in modo analogo al precedente, con una soluzione al- 
calina di bromo. 


(1) La determinazione dell’alogeno in questo e negli altri derivati alo- 
genici più avanti descritti, non si potè fare col metodo alla calce, poichè 
in tali condizioni la decomposizione della sostanza ha luogo violentemente. 
Si ebbero invece buoni risultati scaldndo con precauzione la sostanza con 
idrato potassico in polvere entro un crogiolo di porcellana, con che tutto 
l’alogeno si stacca sotto forma di sale potassico che si dosa poi nel modo 
solito. 


480 G. PONZIO E G. CHARRIER 


I. Gr. 0,1484 di sostanza fornirono cc. 14 di azoto 
(Ho= 737,82 t= 15°), ossia ‘gr. 0,0176184. 
JI. Gr. 0,1749 di sostanza fornirono gr. 0,1272 di bromuro 
di argento. 
Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per C-H;BrN30, 
nn sr ro. o_ »» _mzm 
] II 
Azoto 10,90 — 10,72 
Bromo — 30,95 30,65 


Sale di fenilidrazina del fenildinitrometano CyHs.CHN30,. 
H,N.NHC;H;. — Si separa in laminette gialle, fusibili a 87°, 
mescolando le soluzioni acquose di quantità equimolecolari di 
fenildinitrometanpotassio e di cloridrato di fenilidrazina. 


Gr. 0,1029 di sostanza fornirono cc. 17,5 di azoto (Ho=737,87 
t= 15°), ossia gr. 0,020230. 
Cioè in cento parti: 


trovato calcolato per Ci3HyN,0,; 
Azoto 19,66 19,31 


E discretamente solubile a caldo e poco a freddo nell’alcool; 
poco solubile nell’etere e nell'acqua. 


Anisilelorodinitrometano CH,0.CH,.CCIN,0,. — Si forma 
aggiungendo ad una soluzione alcalina di cloro una soluzione 
acquosa del sale potassico dell’anisildinitrometano CH30.C;H,. 
CKN,0,. È unolio quasi incoloro, di odore gradevole, più denso 
dell’acqua e stabile. 

I. Gr. 0,1375 di sostanza fornirono ce. 13,6 di azoto 
(Ho = 743,20 t= 15°), ossia gr. 0,015662. 
II. Gr. 0,1682 di sostanza fornirono gr. 0,0970 di cloruro 
di argento. 
Cioè su cento parti: 


trovato , calcolato per CyHC1IN30y 
I II 
Azoto 11,40 — DSS 
Cloro — 140 14,40 


erro él 


DERIVATI ALOGENICI DEI DINITROIDROCARBURI PRIMARI 481 


Riscaldato con acqua svolge vapori nitrosìi e si trasforma 
in acido anisico; riscaldato con potassa alcoolica ridà, parzial- 
mente, il sale potassico dell’anisildinitrometano CK30.C;H,.CKN0, 
il quale si separa in lamine rosse che diventano poi lentamente 
gialle. 


Gr. 0,2366 di sostanza fornirono gr. 0,0817 di solfato po- 
tassico. 
Cioè in cento parti: 


trovato calcolato per CgH3KN30; 
Potassio 15,50 15,60 


Anisilbromodinitrometano CH30.C;H,.CBrN0,. — Si separa 
solido, operando come nel caso precedente, ma si fonde a tem- 
peratura di poco superiore a 0°. 


I. Gr. 0,1561 di sostanza fornirono cc. 13 di azoto 
(Ho = 734,48 t= 14°), ossia gr. 0,015010. 
II. Gr. 0,3527 di sostanza fornirono gr. 0,2073 di bro- 
muro d’argento. 
Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per CyH,BrN0; 
 _—r — ---_ PP 
I II 
Azoto 9,67. — 9,62 
Bromo — 27,08 27,48 


Sale di fenilidrazina dell’ anisildinitrometano CHy0.C;H,. 
CHN:0,.HsN.NHC;H;. — Si ottiene direttamente in laminette 
gialle fusibili a 79°, da anisildinitrometanpotassio CH30.C;H,. 
CKN,0, e cloridrato di fenilidrazina in soluzione acquosa. 

Gr. 0,1456 di sostanza fornirono cc. 22,8 di azoto (H, = 725,12 
t= 14°), ossia gr. 0,025678. 

Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per C,jHygN0; 
= ra” agg _rtrz__/—°_ i] — 
Azoto 17.63 17,50 


È molto solubile a caldo e poco a freddo nell’alcool; poco 
solubile nell’etere e nell'acqua. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 36 


492 G. PONZIO E G. CHARRIER — DERIVATI ALOGENICI, ECC. 


Piperonilelorodinitrometano CHs0y:C;Hz.CCIN,0,.— Si separa 
immediatamente allo stato solido aggiungendo una soluzione 
acquosa del sale potassico del piperonildinitrometano CH,0,:C;Hy. 
CKN0,; ad una soluzione alcalina di cloro raffreddata in ghiaccio. 

Cristallizza dall’alcool o dagli eteri di petrolio, in larghe 
lamine, leggermente giallognole, fusibili a 55° e decomponibili, 
con sviluppo gassoso, a temperatura superiore ai 100°, 

Gr. 0,1895 di sostanza fornirono ce. 18 di azoto (Hj= 728,00 
t= 15°), ossia gr. 0,020300. 

Cioè su cento parti: 


trovato cale. per C4H;CIN,O 
se Se — —— _‘—. 
Azoto 10,71 10,74 


È solubile a freddo nell’etere, nel benzolo e nel cloroformio; 
molto a caldo e poco a freddo nell’alcool e negli eteri di petrolio. 


Piperonilbromodinitrometano CHs0g.C;H,.CBrN,0,. — Si pre- 
para, in modo analogo al precedente, con una soluzione alcalina 
di bromo, con che si separa subito allo stato solido. Cristallizza 
dagli eteri di petrolio in larghe lamine leggermente giallognole, 
fusibili a 81°. 

Gr. 0,2328 di sostanza fornirono ce. 19 di azoto (Hj= 723,90 
t = 18°), ossia gr. 0,021045. 

%ioè in cento parti: 


trovato cale. per C4H;BrN30 
— P _ —_T tt —_—_ 
Azoto 9,04 98 


È molto solubile a caldo e poco a freddo nell’alcool; poco 
a caldo e pochissimo a freddo negli eteri di petrolio; solubile 
anche a freddo nell’etere, nel benzolo e nel cloroformio. 


Torino — Istituto Chimico della R. Università. Febbraio 1908. 


LUIGI BOTTI E MARIO PONZO — SUI RAPPORTI, ECC. 483 


Sui rapporti tra movimenti oculari 


e scomparsa e movimenti delle immagini consecutive. 


Nota dei dottori LUIGI BOTTI e MARIO PONZO. 


Molti di coloro che si occuparono scientificamente delle im- 
magini consecutive parlano nei loro lavori del suaccennato pro- 
blema. Noi siamo ritornati sull'argomento con alcune osserva- 
zioni ed esperienze che ci sembrano portare qualche nuovo 
contributo alla spiegazione di questi interessanti fenomeni. Fra 
i molti autori (1) citiamo i seguenti, che più ci riguardano. 

Wundt, che riassume brevemente la questione nel suo trat- 
tato, dice: “ Auch die Bewegungen des Auges lassen sehr leicht 
“ die Nachbilder verschwinden, was wohl zumeist von der durch 
“ den Wechsel der Eindriicke eintretenden Stérung der Aufmerk- 
“ samkeit, vielleicht aber auch zum Theil von einer directen 
“ physiologischen Wirkung der Augenbewegungen herriihrt , (2). 

Fick e Giirber (3), considerando l'immagine consecutiva 
come un fenomeno di stanchezza, vollero spiegare l’apparente 
contraddizione esistente tra il fatto del rapido stancarsi del- 
l'occhio quando si fissi un oggetto luminoso, ed il fatto che 
non si hanno notevoli disturbi nella visione dopo la lunga espo- 
sizione della retina alla luce diffusa del giorno. Essi fecero 
varie esperienze sulle immagini consecutive, dalle quali dedus- 
sero che i movimenti oculari, l’accomodamento e il batter delle 
ciglia ne provocano la scomparsa, e attribuiscono questo fatto 
alla reintegrazione delle parti della retina affaticate; reintegra- 


(1) Cfr. HeLmnoLtz, Handbuch der Optik; Ausert, Phys. der Netzhaut; i 
lavori di PrareAvU, ecc. 

(2) Grunaziige der physiologischen Psychologie, 5 Aufl., Bd. 2, p. 194, 1902. 

(3) Ueber Erholung der Netzhaut, “ Archiv fiir Ophthalmologie ,, Bd. 36, 
Abt. 2, p. 245, 1890. 


484 LUIGI BOTTI E MARIO PONZO 


zione dovuta alla accelerata e facilitata circolazione sanguigna 
e linfatica nella retina per i movimenti oculari. Essi videro però 
che ciò si verifica più facilmente nelle immagini consecutive 
negative che in quelle positive. 

Anche Fechner aveva già accennato prima di loro alla 
scomparsa delle immagini consecutive per le modificate condi- 
zioni fisiologiche della retina in seguito ai movimenti oculari. 
Egli dice: “ Jede Bewegung des Auges oder der Augenlieder 
“ disponirt das Nachbild zum Verschwinden; ja selbst eine 
“ Bewegung des iilbrigen Kérpers, ilberhaupt also alles, wie es 
“ scheint, was die Gleichf6rmigkeit des Gef:ss- und Nerven-Fin- 
“ flusses auf das Auge stòrt , (1). i 

Hering invece considera le immagini consecutive non come 
fenomeni di stanchezza ma di reintegrazione (Erholung) della 
retina. Egli ripetè le esperienze di Fick e Giirber, e ne fece 
altre nuove ed ingegnose, confutando punto per punto gli argo- 
menti di Fick e Giirber, e dimostrando insussistente che le 
immagini consecutive subiscano influenza alcuna per i movi- 
menti fatti dall'occhio. Egli poi dice: “ Die Ansicht, dass Nach- 
“ bilder durch Augenbewegungen zum Verschwinden gebracht 
“ werden kéònnen, ist offenbar dadurch entstanden, dass bei 
“ Blickbewegungen mit offenen Augen und in einem allerlei 
Unterscheidbaren erfiillten Gesichtsfelde ein zuvor erzeugtes 
“ Nachbild immer nur dann gesehen wird, wenn der Blick eben 
still hélt, und dass es dabei jedesmal von neuem zu entstehen 
scheint. Dies wirde freilich nicht firr, sondern nur gegen 
E. Fick's Hypothese angefihrt werden kònnen. Denn dass das 
“ Nachbild nach einer Augenbewegung wieder gesehen wird, 
“ beweist, dass die sogen. Ermiidungserscheinungen durch die 
Bewegung nicht beseitigt werden kònnen , (2). 

Egli descrive in seguito come nel comune uso dell’occhio 
ad ogni mutamento dello sguardo preceda un cambiamento di 
luogo dell’attenzione; dimodochè l’immagine consecutiva non può 
vedersi che quando il luogo ove è fissata l’attenzione coincide 
col luogo ove l’immagine è localizzata; durante il rapido mo- 


“ 


(04 


“K 


“K 


(1) Ueber die subjectiven Complementarfarben, * Poggendorff's Annalen 
der Physik und Chemie ,, Bd. 44, p. 525, 1838. 

(2) Ueber Ermiidung und Erholung des Sehorgans, © Archiv fir Ophthal- 
mologie ,, Bd. 37, Abt. 8, p. 20, 1891. 


SUI RAPPORTI TRA MOVIMENTI OCULARI, ECC. 485 


vimento, non coincidendo quei due luoghi, l’immagine non è 
visibile. 

A proposito dei cambiamenti di grandezza dell'immagine 
consecutiva, Hering osservò che, se dopo aver fissato su un 
punto di una superficie omogenea e piana l’immagine consecu- 
tiva, avvicinava questa superficie al viso, l’immagine consecu- 
tiva appariva più piccola; se la si allontanava, più grande. 
Eguale effetto otteneva nell’avvicinare ed allontanare il viso 
dalla superficie. L’accomodamento non ha, secondo lui, nessun 
effetto sull’indebolirsi e sullo scomparire dell'immagine conse- 
cutiva. Solo nei forti accomodamenti per la vicinanza egli nota, 
in certe condizioni, una diminuzione di chiarore nel campo vi- 
sivo per il restringimento pupillare. 

Exner (1) combatte egli pure l’ipotesi di Fick e Giirber e 
dice che la scomparsa delle immagini consecutive è solo un caso 
particolare della regola generale che tutti i fenomeni soggettivi 
visivi scompaiono durante i movimenti oculari. Così per i fasci 
di polarizzazione di Haidinger, la figura della fovea, la circola- 
zione retinica, la macchia di Maxwell, l’anello di Lòwe, in certi 
casi anche per la figura dei vasi retinici di Purkinje, fenomeni 
che non hanno nulla a che fare colla stanchezza della retina. 
Aggiunge ancora che l’immagine consecutiva non scompare quando 
si fanno dei. movimenti oculari con gli occhi chiusi, perchè in 
questo modo si eliminano i disturbi provenienti da impressioni 
esterne. 

Wirth in un suo lavoro (2) osserva che la percezione di 
una immagine consecutiva, come quella di qualsiasi oggetto 
esterno, non consiste nella sola presenza di differenze di sen- 
sazione, ma nella appercezione di queste differenze. Le imma- 
gini consecutive si comportano come gli oggetti esterni, in 
quanto subiscono una localizzazione nelle tre dimensioni dello 
spazio. 

Sulle condizioni della percezione di queste immagini, Wirth 
riferisce una serie di osservazioni che qui sotto riassumiamo. 


(1) Das Verschwinden der Nachbilder bei Augenbewegungen, * Zeitschr. 
fiir Psych. u. Phys., ece. ,, Bd. I, p. 47, 1890. 

(2) Der Fechner-Helmholt=" sche Sata iiber negative Nachbilder und seine 
Analogien, £ Wandt's Philosophische Studien ,, Bd. 16, p. 487 e segg., 1900. 


486 LUIGI BOTTI E MARIO PONZO 


(Già nell'occhio in riposo le condizioni, perchè queste immagini 
siano percepite, sono più sfavorevoli che per gli oggetti esterni, 
per il fatto che le parti periferiche di esse non si posson por- 
tare nel centro del campo visivo, col quale coincidono le con- 
dizioni più favorevoli di appercezione. Ed aggiunge che chi non 
conosce questo fatto, per portarne meglio i contorni nel centro 
visivo, ne provoca lo sfuggire dal punto in cui è diretta la ap- 
percezione. Dopo un movimento oculare, le condizioni per la 
percezione dell’immagine consecutiva, secondo Wirth, si rendon 
più complicate; poichè, per quanto non manchino qui nel campo 
visivo, le differenze di sensazione, l’appercezione è diretta su di 
un punto falso. 

Dopo il movimento, l’immagine consecutiva non si trova 
più là, dove si troverebbe se fosse un oggetto reale; e quando 
la si ritrova, si ha la coscienza di non averla supposta momen- 
taneamente nel luogo, nella forma e nella qualità in cui essa 
realmente si trova. Possono aversi poi nella immagine conse- 
cutiva, oltre che cambiamenti di luogo, anche cambiamenti di 
grandezza apparente, quando la si proietta su superfici diver- 
samente lontane; il che fa sì che al primo momento essa non 
sia appercepita. Così, allorchè si proietta l’immagine ad una 
distanza maggiore, il soggetto s’aspetta che l’immagine conse- 
cutiva, pensata oggettivamente legata alla superficie di proie- 
zione, appaia sotto un angolo visivo molto più piccolo, mentre 
in realtà all’angolo visivo rimasto costante, durante questo al- 
lontanamento, corrisponde perfino un ingrandimento dell’imma- 
gine. La diversità di luogo e di grandezza fa sì che la si perda 
per un certo tempo; e solo colla appercezione dei suoi nuovi 
contorni la si ritrova. Le difficoltà di ritrovarla, dopo un ra- 
pido movimento, crescono ancora nella vista binoculare, poichè 
nel cambiare superficie di proiezione di frequente succede che 
i contorni delle due singole immagini consecutive non cadano 
nel nuovo piano di proiezione sugli stessi punti oggettivi; ne 
segue, in un grande spostamento, la impossibilità di avere una 
sola e chiara immagine. Durante il movimento stesso, sempre 
secondo Wirth, le condizioni per l’appercezione dell'immagine 
consecutiva sono al massimo sfavorevoli, perchè, durante l’im- 
pulso al movimento, la capacità appercettiva (Leistungsfàhigkeit 
der Apperception) è limitata, essendo unicamente diretta alla 


. 


n 


= _ ———— ——6— e e 9 o” 7] i E tEgpyv_v-E 


SUI RAPPORTI TRA MOVIMENTI OCULARI, ECC. 487 


meta del movimento stesso, che deve riuscire nel centro del 
campo visivo. Ma le immagini consecutive non possono essere 
scopo appercepito di un movimento senza che nel tempo stesso 
vengano tolte dal campo dell’appercezione momentanea. 


Da quanto abbiamo riferito risulta che mentre Fechner e 
poi Fick e Giirber ritengono che i movimenti favoriscano la 
scomparsa delle immagini consecutive, mutando le condizioni 
fisiologiche della retina, Exner, Hering e poi Wirth li consi- 
derano solo come causa disturbante la loro percezione. Wundt 
sembra dare ancora qualche peso all'ipotesi di Fick e Giirber. 

La questione dibattuta da tali autori ci indusse a ripetere 
alcune delle esperienze di Hering, per poterci fare un concetto 
esatto della medesima. Ora ci accadde, appunto durante tali 
ricerche, di osservare il seguente fatto: Ci trovavamo in una 
camera oscura, ove localizzavamo dinanzi a noi l’immagine con- 
secutiva di una fiamma a gaz Auer, fissata per 30 secondi ca. 
con un occhio solo. Osservammo allora che mentre la si loca- 
lizzava nel buio davanti a noi tenendo lo sguardo fisso, essa 
non rimaneva ferma ma si spostava compiendo lente escur- 
sioni in un medesimo piano perpendicolare alla linea visiva. 
Queste escursioni si effettuavano in varie direzioni, ma a pre- 
ferenza verso il basso, ed erano talora più, talora meno ampie. 
Esse si compivano lentamente, e malgrado che l’osservatore si 
sforzasse di trattenere l’immagine in un punto fisso, le escur- 
sioni di questa si compivano egualmente. Durante questi spo- 
stamenti la immagine si manteneva costantemente visibile; però, 
giunta ad un dato punto della sua escursione, essa ad un tratto 
scompariva; e dopo un tempo breve tornava a mostrarsi in un 
punto davanti a noi. 

Oltre a questi spostamenti che sì verificavano in un mede- 
simo piano davanti all’osservatore, si notò che a volte la me- 
desima immagine consecutiva veniva spontaneamente avvicinan- 
dosi da un piano lontano verso un piano più vicino. Nel compiersi 
di tale spostamento l’immagine si avvicinava attraverso lo spazio 
vuoto ed oscuro assumendo l’aspetto di una fiamma isolata e 
librata nell’aria. Essa coll’accostarsi all’osservatore andava man 
mano rimpicciolendosi, pure serbandosi costantemente visibile. 
Avvicinatasi sino ad un certo punto, accadeva o che momenta- 


488 LUIGI BOTTI E MARIO PONZO 


neamente scomparisse per riapparire ingrandita e lontana; op- 
pure che s'indugiasse in un piano vicino, compiendovi alternative 
piccole oscillazioni di avvicinamento e di allontanamento, o mo- 
vimenti di lateralità. 

Interessati da tali spostamenti di lateralità e di avvicina- 
mento spontanei delle immagini consecutive, fummo spinti a 
fare alcune esperienze che potessero condurci ad una spiegazione 
di tali fenomeni. In tutte le esperienze da noi fatte e riferite 
in questo lavoro, noi studiammo il comportarsi dell’immagine 
consecutiva in tutto il periodo sia positivo che negativo della 
sua durata. 

Fu nostro primo intendimento di separare, nello studio di 
questi fenomeni, le due specie di spostamenti osservati. Noi ot- 
tenemmo di potere escludere quasi completamente gli sposta- 
menti di lateralità dell’immagine, nel modo seguente: ci valemmo 
di un tubo di carta bianca della lunghezza di circa 30 cm. e del 
diametro di 10 mm., aperto ad una estremità e terminante dal- 
l’altra in una cassetta oscura. L’osservatore che trovandosi in 
una camera illuminata applicava l’occhio all’estremità libera del 
tubo, ne poteva seguire coll’occhio un buon tratto, mentre non 
né vedeva il fondo perchè completamente oscuro. 

Se ora, dopo aver fissato una sorgente luminosa attraverso 
un altro tubo di eguali dimensioni del precedente, si cercava di lo- 
calizzare l’immagine consecutiva così ottenuta entro il primo tubo, 
la si osservava a volte nel fondo oscuro, donde talora si avan- 
zava per entro il tubo avvicinandosi all'occhio dell'osservatore 
e man mano rimpicciolendo. Dopo di che scompariva e tornava 
a mostrarsi lontana e più grande; il che era possibile, dato il 
fondo oscuro, che permetteva l’accomodarsi dell'occhio a grande 
distanza. Rimanendo il tubo abbastanza illuminato nel suo interno, 
l'osservatore poteva seguire l’immagine nel suo spostarsi lungo 
l’asse del medesimo; ed essendo lo sguardo costretto a seguire 
costantemente la direzione di quest’asse, non si osservavano più 
i movimenti di lateralità dell’immagine. 

Per meglio osservare i cambiamenti di grandezza dell’ im- 
magine, facemmo ancora le seguenti esperienze : 

Dopo aver guardato con un occhio, tenendo l’altro chiuso, 
una sorgente fortemente luminosa (fiamma gaz Auer), attraverso 
un'apertura circolare del diametro di 15 mm., praticata in un 


SUI RAPPORTI TRA MOVIMENTI OCULARI, ECC. 499 


cartoncino, di modo che dinanzi all'occhio sì presentava solo 
un disco luminoso, proiettammo l’immagine consecutiva su di 
un punto fisso di una parete bianca, alla quale ci andavamo 
lentamente avvicinando, mantenendo costante il punto di fissa- 
zione. Si osservò in tali prove che, coll’avvicinarsi dell’osser- 
vatore al punto di fissazione, l’immagine, restando sempre visi- 
bile, andava sempre più rimpicciolendosi, sino ad assumere pro- 
porzioni minime quando l'osservatore era vicino alla parete. 
Nell’allontanarsi dell’osservatore dalla parete, si osservava il 
fenomeno contrario (1). 

L’osservatore, dopo aver ottenuta, nelle medesime condi- 
zioni, la stessa immagine consecutiva, la localizzava su di una 
parete a lui molto vicina; indi, dirigendo ad un tratto lo sguardo 
verso una parete più lontana, ritrovava su questa l’immagine 
consecutiva molto più grande di quella che aveva veduta sulla 
prima. Durante questi spostamenti rapidi del punto di fissazione 
da vicino a lontano, l’immagine si perdeva, e veniva ritrovata 
solo dopo un certo tempo. Facendo invece stare fermo il sog- 
getto, e invitandolo a fissare con un occhio costantemente una 
croce nera disegnata sopra uno schermo bianco, e poi allonta- 
nando da lui lentamente lo schermo, egli poteva ininterrot- 
tamente seguire l’ingrandirsi dell'immagine consecutiva sullo 
schermo che si allontanava (2). 

Ritornando ora all’altra specie di movimenti, cioè a quelli 
di lateralità, che sono i più frequenti e i più facilmente osser- 
vabili, riferiamo qui brevemente i risultati di alcune altre nostre 
esperienze : 


(1) V. anche Herixc, Op. cit., p. 21. 

(2) Un fatto analogo si può osservare facilmente nel guardare il sole. 
Nel guardarlo un giorno poco prima del tramonto, osservammo il prodursi 
di parecchie immagini consecutive d’esso, le quali erano variamente distri- 
buite nel campo visivo, e, localizzate sul cielo, apparivano su un piano più 
vicino che non fosse quello in cui si vedeva il sole. Le stesse immagini 
localizzate su oggetti vicini, apparivano più piccole che non quando sì 
proiettavano su oggetti lontani o sul cielo. Il fatto della pluralità di tali 
immagini consecutive contemporaneamente presenti, si spiega facilmente, 
dati i movimenti involontarii che i nostri occhi avevano fatti mentre si guar- 
dava nella direzione del sole, e data l'intensità della sorgente luminosa ca- 
pace di impressionare rapidamente e fortemente varii punti della retina 
durante gli spostamenti dell'occhio. 


490 LUIGI BOTTI E MARIO PONZO 


Dopo aver ottenuta l’immagine consecutiva di una fiamma 
a gaz Auer con un occhio solo, la si localizzava su una parete, 
mantenendo chiuso l’altro occhio. Il soggetto era invitato a fare 
movimenti volontari coll’occhio, percorrendo collo sguardo la 
parete in varie direzioni. Gli stessi movimenti vennero compiuti 
prima lentamente, e poi rapidamente, fermando ogni volta l'occhio 
nei punti estremi del movimento. I soggetti concordemente no- 
tarono quanto segue: 4) durante i movimenti rapidi essi perde- 
vano momentaneamente di vista l’immagine consecutiva, e la 
ritrovavano soltanto dopo il movimento; 5) durante i movimenti 
lenti essi potevano seguire l’immagine durante tutto il suo spo- 
stamento. 

L'osservatore fissava con un occhio solo un punto oscuro 
situato 15 mm. a sinistra di un foro del diametro di 15 mm. 
praticato in un cartoncino. Attraverso il foro era visibile una 
fiamma a gaz Auer. Per tal modo si otteneva una immagine 
della fiamma in un punto della retina a sinistra della fovea. 
In tali condizioni, proiettando poi con lo stesso occhio l’imma- 
gine consecutiva in una camera buia, sì osservava come quella 
manifestasse continuamente la tendenza a spostarsi verso destra, 
malgrado gli sforzi che l’osservatore faceva per tenerla fissa 
dinanzi a sè. In tali condizioni si osservò pure come facilmente 
la si perdesse di vista, e come, non appena ritrovata, ricomin- 
ciasse da capo la sua fuga. 

Alcune esperienze abbiamo pure fatto sull'immagine conse- 
cutiva ottenuta coi due occhi. Osservammo così che l’immagine 
subiva spostamenti di lateralità e di avvicinamento con relativo 
impicciolimento, sia passivi che dipendenti da movimenti espres- 
samente fatti. Tali spostamenti dell'immagine erano maggiori 
quando si era fissata la fiamma con la vista indiretta. Durante 
i movimenti rapidi di accomodamento e lateralità l’immagine 
era perduta di vista. 


Dalle nostre esperienze appare ancora più chiaramente 
come l'ipotesi di Fick e Giirber non sia ammissibile, e come 
Hering e Wirth abbiano veramente ragione. 

Noi osservammo il comportarsi delle immagini consecutive 
specialmente durante il movimento stesso (movimenti volontari 
e passivi lenti): e giungemmo alle stesse conclusioni di Hering. 


SUI RAPPORTI TRA MOVIMENTI OCULARI, ECC. 491 


Difatti durante i movimenti volontari lenti dell'occhio noi po- 
tevamo seguire lo spostarsi simultaneo dell'immagine sulla pa- 
rete, su cui la localizzavamo. Nei movimenti spontanei, nei 
casi in cui l’occhio non aveva alcun reale punto di fissazione, 
come nella camera scura, il soggetto poteva seguire lo spostarsi 
dell'immagine in un medesimo piano. Solo dopo un ampio spo- 
stamento si perdeva momentaneamente di vista l’immagine per 
un tempo breve, riportandosi spontaneamente l'occhio con un 
movimento rapido nella posizione di prima. L'immagine veniva 
allora nuovamente localizzata in un punto corrispondente alla 
nuova direzione dello sguardo. 

Una osservazione ugualmente continua dell'immagine con- 
secutiva noi potemmo fare durante il lento avvicinarsi spontaneo 
di essa al soggetto. È questo un fenomeno assai interessante 
anche dal punto di vista degli apprezzamenti di distanza nella 
vista monoculare e che non crediamo sia stato da altri osser- 
vato e descritto. 

È evidente che, se l’ipotesi di Fick e Griirber fosse vera, 
dovrebbero osservarsi, anche durante i movimenti lenti del- 
l’occhio, dei disturbi nella visione dell'immagine consecutiva posi- 
tiva e negativa, il che non avviene. 

Exner nel riferire che durante i movimenti ad occhio chiuso 
l’immagine consecutiva non scompare, non specifica le condizioni 
sotto le quali furono fatte queste esperienze. Noi le abbiamo 
ripetute ed abbiamo potuto constatare che anche in questi casi 
la scomparsa dell'immagine consecutiva dipende dal modo in 
cui questi movimenti vengono eseguiti. Difatti l’immagine non 
scompariva, quando il movimento oculare era lento, ma scom- 
pariva invece, quando esso era rapido. 

Noi pure tendiamo ad attribuire la massima importanza, 
nei disturbi che si notano nella visione dell’immagine consecutiva 
in dipendenza ai movimenti rapidi dell'occhio aperto o chiuso, 
piuttosto ai processi di appercezione. Difatti durante un movi- 
mento rapido dell'occhio è molto difficile l’appercezione sia di un 
oggetto esterno che di una immagine consecutiva. Tale disturbo 
non si ha più durante i movimenti lenti sia passivi che attivi 
dell'occhio, in cui si può accompagnare l’immagine in tutto il 
suo decorso. | 

Ma non sempre, come vuole Wirth, i nostri processi ap- 


499 LUIGI BOTTI E MARIO PONZO 


percettivi precedono il movimento stesso; essi possono anche 
seguirlo. Così l’oechio, dopo essersi spostato di un certo tratto 
dalla sua posizione durante i movimenti passivi, ritorna con 
un movimento a scatto in quella posizione, mentre i processi 
appercettivi rimangono certamente ancora, per un dato tempo, 
legati alla posizione in cui l’immagine fu vista prima di quel 
movimento. Ugualmente può dirsi nel caso dell’avvicinamento 
spontaneo dell'immagine, seguito dalla momentanea scomparsa 
di questa e dal ritrovarla in un punto più lontano. Anche in 
questo caso i nostri processi appercettivi sono ancora per un 
certo tempo legati ad un punto più vicino, mentre già l'occhio 
sì è accomodato ad un punto più lontano. 

Naturalmente sulla durata della scomparsa della immagine 
consecutiva ha influenza l’intensità del processo retinico stesso; 
poichè vediamo farsi più lunghi questi tempi di latenza negli 
ultimi periodi dell'immagine. Quand’esso invece è molto intenso, 
anche facendo un rapido movimento coll’occhio (aperto o chiuso), 
subito la si ritrova, e si ha quasi l'impressione di non averla 
perduta di vista. Certo il processo retinico, se intenso, richiama 
a sè più facilmente e più prontamente i nostri processi apper- 
cettivi, che non quando è debole. Quando si escludono i movi- 
menti oculari di lateralità, localizzando l’immagine consecutiva 
su di un punto luminoso fermo, che si fissa con un occhio in 
una cassetta oscura, si osserva come anche qui negli ultimi 
periodi soltanto si abbiano dei tempi di latenza della immagine, 
che forse dipendono dalle oscillazioni dell’attenzione quando il 
processo retinico stesso va avvicinandosi ai limiti minimi della 
percezione visiva (1). 

Sull’importanza dei processi appercettivi in questi fenomeni, 
riferiamo ancora un'esperienza che ci fu comunicata dal Prof. 
Kiesow. 

Fissando coi due occhi attraverso due prismi una fiamma 
a gaz Auer in modo da vederla sdoppiata, noi otteniamo la 
formazione di due immagini consecutive distinte, che proiettate su 
una parete ci appaiono nei primi momenti, quando ancora sono 


(1) Interessante è, a questo proposito, quanto dice Hering sulle cause 
che possono produrre, indipendentemente dal movimento, dei disturbi nella 
percezione dell'immagine consecutiva. (Beitrag eur Lehre vom Simultan- 
kontrast, “ Zeitschr. f. Psych. u. Phys. ecc., ,, Bd. 1, p. 21 e segg.). 


SUI RAPPORTI TRA MOVIMENTI OCULARI, ECC. 493 


molto forti, contemporaneamente e press’a poco della stessa in- 
tensità. Ma quando esse incominciano a indebolirsi, si osserva 
il fenomeno dell’alternativo e irregolare preponderare di una 
di esse, mentre l’altra va diminuendo di intensità fino a scom- 
parire, per farsi poi di nuovo prevalente. Si ha tra le due im- 

magini, sia positive che negative, una specie di lotta, che ri- 
corda il fenomeno della lotta dei campi visivi, La appercezione, 
secondo noi, in questo caso sì volge or lall’ una or all'altra im- 
magine, e quella che non cade sotto la nostra appercezione, tende 
a scomparire. Anche qui certamente i processi appercettivi ten- 
dono a coincidere colla direzione della linea visiva. 


Abbiamo dunque visto finora come l'ipotesi di Fick e Giirber 
non possa reggere, ed abbiamo veduto quale importanza debbasi 
attribuire alla direzione dei processi appercettivi nel fatto della 
scomparsa dell'immagine. 

Rimane ora a indagare perchè si verifichino dei movimenti 
passivi o spontanei dell'immagine consecutiva. E, dicendo mo- 
vimenti passivi dell'immagine, intendiamo dire movimenti pas- 
sivi dell'occhio, giacchè, come si sa, le escursioni di quella non 
sono che un mezzo di controllo dei movimenti di questo. 

Noi crediamo che il fatto di tali movimenti passivi, sia di 
lateralità che di avvicinamento, dell'immagine consecutiva, ab- 
biano alcunchè di analogo con quelli che si osservano nella fis- 
sazione, con un occhio solo, di un punto luminoso isolato in un 
ambiente completamente oscuro (1). Però, in questo caso, i mo- 
vimenti che si osservano nel punto sono assai più ridotti di 
quelli che si osservano nell'immagine consecutiva, a motivo della 
reale esistenza di un punto d’appoggio per la fissazione. Tali mo- 
vimenti del punto luminoso fissato si osservano allorchè l’occhio 
è già alquanto stanco, e sono piuttosto movimenti circolari, lenti, 
irregolari. Anche i movimenti di avvicinamento, in questo caso, 
sono molto più limitati. Per tale analogia noi riteniamo che queste 
nostre osservazioni sui movimenti spontanei delle immagini con- 
secutive vengano in appoggio di Hoppe (2), il quale attribuisce 


(1) V. W. NaceLr, Handbuch d. Physiol. d. Menschen, Bd. 3, 2. Hiilfte, 
p. 374. 1905. 
(2) Hoppe, Die Scheinbewegungen, 1879. 


494 LUIGI BOTTI E MARIO PUNZO 


le cosiddette sensazioni autocinetiche visive a movimenti invo- 
lontari dell'occhio. 

Naturalmente nell'osservare un'immagine consecutiva di una 
fiamma in una camera oscura, mancando un punto reale di fis- 
sazione, e l'occhio venendo abbandonato a sè stesso, sì rendono 
molto più facili tali movimenti passivi. 

Ora tra le cause che si debbono riconoscere a tali movi- 
menti passivi dell'immagine consecutiva, ci sembra si debbano 
considerare come più importanti le seguenti : 

Nell'oggettivare l’immagine consecutiva, si dimentica facil- 
mente che l’immagine consecutiva non è un oggetto del mondo 
esterno; e si cerca spesso di portare istintivamente nel centro 
visivo le parti che di essa più ci sfuggono, e ciò allo scopo di 
afferrarne meglio i particolari. Si comprende quindi uno sposta- 
mento della immagine simultaneo al movimento dell’occhio. Ma 
quando lo sguardo ha raggiunto un certo grado di deviazione, 
l'occhio automaticamente ritorna con movimento a scatto nella 
posizione di prima per esso più comoda. Più evidente ancora 
vedemmo questo fattore dello spostamento passivo dell'immagine 
nella esperienza, in cui veniva eccitata una parte della retina 
fuori della fovea; nel qual caso si osservavano aumentati questi 
spostamenti. 

Un'altra di tali cause noi vediamo pure nella facilità che ha 
l'occhio a muoversi in certe direzioni. Così, ad esempio, essendo 
più facili i movimenti dell’occhio in basso che non in alto, si hanno 
preferibilmente degli spostamenti dell'immagine consecutiva verso 
il basso. Questa nostra ipotesi della direzione preferita del mo- 
vimento oculare trova un appoggio anche in una osservazione 
di Hering (1). Egli notò che, facendo prima convergere le linee 
visive simmetricamente o verso sinistra e poi abbandonando gli 
occhi a sè stessi, essi scorrevano involontariamente in modo lento 
fino a un certo punto verso destra, come si poteva vedere dal 
regolare spostarsi della immagine consecutiva. Quel movimento 
spontaneo succedeva in lui esclusivamente in tale direzione; 
ed Hering ne ritiene causa probabile la posizione in cui egli 
tiene il capo nel leggere e nello scrivere, e dal conseguente uso 
asimmetrico dell’apparato motore. 


Mep. p. 21 
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SUI RAPPORTI TRA MOVIMENTI OCULARI, ECC. 495 


Finalmente colle variazioni di tonicità del muscolo ciliare 
e dei muscoli che entrano in funzione nei movimenti di conver- 
genza e divergenza, noi crediamo di poter spiegare l'avvicinarsi 
spontaneo dell’immagine e le sue oscillazioni in diversi piani. 


Riassumendo : 

Noi non crediamo che i movimenti oculari abbiano alcuna 
azione sulla scomparsa del processo retinico, a cui è legata l’im- 
magine consecutiva, sia positiva che negativa. 1 movimenti ra- 
pidi ne impediscono solo la percezione; ed i movimenti lenti 
(attivi e passivi) non ne disturbano la percezione e non ne mo- 
dificano affatto la intensità e la chiarezza. 

A loro volta i movimenti passivi dell’immagine consecutiva 
riconoscono, secondo noi, come cause l’involontario cercare del- 
l'osservatore di portarne i contorni nel centro visivo; la facilità 
con cui l'occhio si sposta in certe direzioni; le variazioni di to- 
nicità dei muscoli dell’occhio. 


Al Prof. Kiesow esprimiamo qui i nostri ringraziamenti 
per i suoi consigli e per l'interesse con cui seguì le nostre 
esperienze. 


R. Istituto di Psicologia sperimentale ed applicata (Fondazione 
E. E. Pellegrini), diretto dal Prof. F. Kiesow, in Torino. 


L’Accademico Segretario 
LoRENZO CAMERANO. 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 16 Febbraio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Manno, Direttore della Classe, CARLE, 
ALLievo, Pizzi, CHironi, RurriNnI, StAMPINI, D’ERcoLE, SFORZA 
e De SanoTIs Segretario. — Scusano l'assenza i Soci Brusa e 
BRONDI. 


Si approva l'atto verbale dell'adunanza precedente, 2 feb- 
braio 1908. 


Il Presidente comunica una circolare della Reale Società 
Romana di Storia patria in cui, rilevandosi come sovente am- 
ministrazioni governative provinciali e comunali abbiano cam- 
biato antichi nomi di strade o paesi in nome moderni, si accenna 
all'iniziativa presa dalla Società stessa per provocare dal Go- 
verno provvedimenti legislativi che disciplinino la delicata ma- 
teria e si chiede all'Accademia che avvalori con la sua adesione 
tale iniziativa. La Classe con voto unanime esprime la sua ade- 
sione a questo divisamento della Società Romana di Storia 
patria. 

Il Socio CaIRONI offre in dono il Discorso del Senatore 
O. Quarta per l'inaugurazione dell’anno giuridico alla Corte di 
Cassazione di Roma il 5 gennaio 1908 (Roma, 1908) e rileva la 
sapienza giuridica che lo informa. 

Il Socio StAMPINI presenta per gli Atti una nota del Dr. Ce- 
sare TravaGLio: La scrittura latina volgare nei papiri dei primi 
cinque secoli dopo Cristo. Questa nota è destinata a riassumere 
e sostituire la Memoria del Dr. Cesare TrAvAGLIO sullo stesso 
argomento che fu presentata nell'adunanza del 9 dicembre 1906. 

Il Socio De SanorIs presenta pure per gli Atti le Ricerche 
sui Tolemei Enpatore e Neo Filopatore di Luigi PARETI. 

Per le Memorie il Socio D’ErcoLe, d'accordo col Socio AL- 
LIEVo, presenta una dissertazione del Dr. Pietro EusEBIETTI in- 
titolata: Elementi di fasiopsicologia. Il Presidente delega i Soci 
ArLievo e D'ErcoLe a riferirne in una prossima adunanza. 


! 


& 
LUIGI PARETI — RICERCHE SUI TOLEMEI, ECC. 497 


LETTURE 


Ricerche sui Tolemei Eupatore e Neo Filopatore. 


Nota di LUIGI PARETI. 


Le notizie che le nostre fonti ci dànno sui Tolemei Eupa- 
tore e Neo Filopatore, costituiscono uno dei più dibattuti e com- 
plicati problemi della storia dei Lagidi. Non sarà cosa inutile 
riesaminare la questione, prima di dichiararla irresolubile, come 
sembra voglia fare una critica un po’ troppo scettica. 

Pausania (1) dice ottavo dei Tolemei Filometore Sotere II. 
Strabone (2) ed Ateneo (3) dicono settimo Evergete II, che in- 
vece secondo Sparziano (4) ed Eusebio (5) sarebbe stato l’ottavo. 
Altre testimonianze ci sono fornite da epigrafi e papiri (6) 
sempre più numerosi, che ci dànno notizia di nuovi Tolemei, il 
cui nome non ricorre negli scrittori classici : Eupatore e Neo 
Filopatore. Tali nomi sono variamente collocati, in relazione con 
quelli degli altri Lagidi: per la loro posizione rimando alla ap- 

dw9..l 

(2) XVII, 795: TTtoXeuaîog jàp è Adyou diedézato AXéEavòdpov, èkeîvov dé [6] 
®iaderpoc, TtodTov dé 6 Edepyétng, cio? dè Dimotdtwp dè Tg AraBoxAeiac, ed é 
’Emmpavne, ci0° è Dirountwp, maîc mapà matpòc dei diadexbuevoc, TOÙTOV 
d' aderlpòg diedézato 6 deuTepoc Eùeprétnc, dv kai Duokwva mpocafopevovor 
ToùTov d' 6 AdAovpoc ètikAindeic TTroXeuaîoc, todTOv d' d AÙANTHG è ka0° Nuac, 
Bomep fiv tig KAeomktpac matmp. 

(3) IV, 1845; V, 252e (da Posiponio, v. F. H. G., III, p. 254); XII, 5494 
(da Posipoxio, Vi PI HG TIT, pi 255). 

5: CARACALLA, 6. 

) I, p. 262, Scuoene: dice che Trifena fu figlia di Tolemeo VIII. 

x Cito un esempio fra tanti: Grenrett, I, 27 (==An Alerandrian erotie 
fragment, ete., Oxford, 1896): RaomMevbvtwyv KXeomdTpag kai Raowéwc TTTOÀe- 
luaiov dev VOTE owTnpwv éTovg n' [= 109 a. C.], èp' fepéwc toò 
6vtog év "AreZavdpeiar AXezavdpou | kai Bemv owTNPwyv Kai Bemv ddelpwv kai 
Bey edEpretwyv kai dev puiamatépwyv kai Bey èmpavòyv kai Beod eÙmTATOPOC 
kai Aeoò quountopog | xai Aeod quiotaTtopoc véou kai Beod edepyétov Kai Bey 
PuiounTipwv cwTHpwy, iepoumwiov “Iordoc ueydAne unTpòs Bey, dPXopopov 
Bepevixng | EUEpretidoc, kavnpopouv ‘Apoivong Duadéripou, iepeiag..., etc. 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 37 


498 LUIGI PARETI 


pendice, nella quale ho creduto utile di enumerare i vari docu- 
menti, di cui ho potuto aver conoscenza (1). 

Un primo punto da fissare è che col nome di Eupatore viene 
indicata una persona sola. Ognuna delle fonti non lo nomina 
che una volta, in nessuna tal nome ricorre in due .luoghi di- 
stinti. Poichè è assai improbabile che ciò dipenda da pura com- 
binazione, paiono da scartare le teorie che presuppongono la 
dualità di Eupatore (2), dualità cui sì potrà ricorrere solo quando 
non si riesca altrimenti a spiegare in modo plausibile le fonti. 
Ma se Eupatore è una persona sola, perchè viene posto ora 
prima, ora dopo di Filometore? Quale collocazione è la vera? 
Dapprima alcuni storici credettero che Eupatore si dovesse 
identificare con Filometore (3), o con Evergete (4); ma queste 
spiegazioni, destituite di ogni verisimiglianza, e che si pos-, 
sono combattere con numerose e forti obbiezioni, sono ormai del 
tutto antiquate e dimenticate, cosicchè possono citarsi soltanto 
più come curiosità storiche. — Altri credettero che la vera col- 
locazione di Eupatore fosse prima di Filometore. Si potrebbe 
adunque trattare di un fratello maggiore di Filometore, che 
l'avrebbe preceduto per breve tempo sul trono, e questa tesi 
appunto sostennero il Lepsius (5), il Franz (6), l’Huberts (7), il 
Gutschmid (8), il Grenfell (9), il Mahaffy (10). Ma si possono fare 
delle valide obbiezioni, di cui le principali sono: che un'iscrizione 
di Cipro (11) dice senz'altro Eupatore figlio di Filometore, e che 


(1) Cfr. le precedenti liste date dallo Srrack, “ Ath. Mitt. ,,, XX (1895), 
p. 343 sgg., e dal Laqueur, Quaestiones epigraphicae et papyrologicae selectae, 
Argentorati, 1904, passim. 

(2) Cfr. ad es.: Mazarry, The empire of the Ptolemies, London, 1895, 
p. 329 n. 2; Srrack, “ Ath. Mitt. ,, XX (1895), p. 221. 

(3) Lerronne, Rec. des Inscript., I (1842), p. 865 sgg. 

(4) Boecxa, Erklùr. einer Aegypt. Urk., 1821, p. 11. 

(5) “ Rev. Archéol. ,, I (1844); “ Abh. Berl. Ak.,, 1852, p. 465 sgg.; 
Briefe aus Aegypten, etc., Berlin, 1852, pag. 95. 410. 

(6) C. I. Gr., INI, p. 285. 

(7) Observationes chronologicae inPtolemaeorum historiam, Lugd. Batav., 1857. 

(8) Im: Smarpe, Gesch. Aegyptens, I, p. 242 n. 1. 255 n. 1. 

(9) I, p. 58. 

(10) Op. cit., p. 328 sgg. 374 n. 

(11) Le Bas, III, 2809= Srrack, Die Dynastie der Ptolemier, Berlin 1897, 
Appendice: Sammlung griech. Ptolem.-Inschriften, n. 101 = DirrensERGRR, 
O. G. I.,n. 125. 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 409 


Giuseppe Flavio (1) dice che Epifane morendo lasciò soltanto 
due figli: Filometore ed Evergete. Inoltre sarebbe inesplicabile 
l'errore di moltissimi papiri, di cui pure alcuni risalgono fino al 
150 a. C., quando pongono Eupatore dopo di Filometore, e non 
si intenderebbe perchè il suo nome compaia nei documenti solo 
col 150. E si può anche notare che le fonti classiche, che pure 
ci dànno notizie minute sulla minorità di Filometore, ignorano 
l’esistenza di un regno intermedio tra quello di Epifane ed il 
suo. Meno improbabile sarebbe un’altra teoria del Franz che vede 
in Kupatore uno zio di Filometore, un cadetto di Epifane. Ma 
se il fatto di uno zio che frapponga il suo regno tra quelli del 
fratello e del nipote può trovare delle analogie (2), e se con 
tale ipotesi si evita il contrasto con Giuseppe Flavio, restano 
tutte le altre obbiezioni fatte alla teoria precedente, e non poche 
ancora che si possono assai facilmente trovare. 

Un’ altra ipotesi fu sostenuta dallo Champollion (3), ed ac- 
colta dal Saint-Martin (4), dal Letronne (5), dal Boeckh (6), dal 
Cless (7), dal Brunet de Presle (8), dal Revillout (9), dal Wad- 
dington, dal Dittenberger (10), dal Bouché-Leclereq (11). Essi 
considerarono Eupatore figlio di Filometore, e lo identificarono 
con quel figlio di quest’ ultimo che, secondo Giustino (12), sa- 
rebbe sopravvissuto al padre, ma per breve tempo, perchè ucciso 
dallo zio Evergete. Ma in tal caso si intenderebbe difficilmente 
come tale nome ricorresse negli atti ufficiali del regno di Ever- 
gete, e si dovrebbero ritenere errati tutti quei documenti che pon- 
gono Eupatore prima di Filometore: eppure sì tratta di fonti 


(1) Ant. Iud., XII, 4, 11 (235). 

(2) Cfr.: Antigono Dosone, Attalo II, Evergete II (v. oltre). 

(8) Eclairciss. hist. sur le contrat de Ptolémaîs, p. XXV; Notice de deux 
papyrus Egypt., 1823, p. 10; “ Journal Asiat. ,, III, p. 43. 

(4) “ Journal des Sav. ,; 1822, p. 559. 

(5) Recherch. pour servir à l’hist. de l’Egypte, 1823, p. 124. 

(6) C. L Gr., (1825), 2618. 

(7) Art. “ Ptolemaeus , in R.-Enc. del PauLy, tomo VI, 1852, p. 178-238. 

(8) Papyrus grecs du Musée du Louvre, in “ Notices et extraits des 
Mss. ,, XVII, II 1865, p. 153. 

(9) Association de Ptolémée Epiphane, ete.,in * Revue égypt. ,, III, 1883, p. 6. 

(10) O. G. I., I, 125-127. 

(11) H. des Lagides, II, 53. 56 sgg. 

(12) XXXVIII, 8, 3 sgg., cfr. Orosro, V, 10, 7. 


500 LUIGI PARETI 


contemporanee (1). Inoltre se si accetta (e nulla ci autorizza a 
non accettarla) (2) la notizia fornitaci da un papiro demotico (3), 
secondo cui Eupatore nel 153/2 sarebbe già stato associato dal 
padre, e se d'altra parte, come vedremo, Eupatore fu associato 
in età abbastanza matura, ne viene che si devono considerare 
del 135/4, e non del 146/5, due documenti assai importanti, il 
che presenta, come vedremo, qualche difficoltà, e che si dovreb- 
bero ritenere in errore Giustino e Giuseppe Flavio, quando dicon 
fanciullo (puer) il presunto Eupatore, che invece doveva aver 
circa venticinque anni (4). 

Il Grenfell (5) propose un’ altra spiegazione: egli crede che 
Eupatore, figlio di Filometore, sia stato associato nel 158/2, e 
sia premorto al padre. Se si ammettesse questa teoria, che a 


me pare indubitatamente la migliore, si riuscirebbe a spiegare, . 


come vedremo appresso, ed i casi in cui Eupatore viene nomi- 
nato prima di Filometore, e quelli in cui viene nominato dopo: 
infatti un associato che sia salito al trono dopo dell’associante, 
e ne sia disceso prima, può secondo criteri cronologici ugual- 
mente legittimi, esser collocato nelle liste così prima, come 
dopo dell’associante. Ed una buona analogia si ha per il primo- 
genito di Antioco III il grande, che associato dal padre e pre- 
mortogli, viene, dopo la propria morte, collocato nelle liste anche 
prima del padre (6). A_ tale teoria il Grenfell stesso, che la pro- 


(1) La spiegazione del Bouc®é-LecLeRrce, op. cit., II, 63 n. 1, che si tratti 
di un artifizio di Evergete per nascondere le traccie del suo assassinio, par 
improbabile, dato che tale artifizio sarebbe stato nullo per quelli appunto 
per cui sarebbe stato fatto; ossia pei contemporanei. Ma inoltre, anche 
senza considerare che il carattere : di Evergete non pare il più favorevole 
per tali scrupoli (cfr. l'assassinio di Menfite), sta il fatto che la posizione : 
Eupatore, Filometore, ricorre già tra il 150 ed il 145, ossia prima della 
morte di Filometore. Quanto alla spiegazione del Laqueur, per non smi- 
nuzzare il ragionamento rimando a quanto ne dirò oltre. 

(2) Infatti già nei documenti del 150 Eupatore viene detto dio. 

(3) V. oltre. 

(4) Su questo ed altri argomenti ‘contro la teoria del LaQueur, vedi 
più innanzi. 

(5) Tebtunis papyri, 1, 1902, p. 554. 

(6) Iscriz. sacerdotale di Seleucia, in 0. L Gr., 4458 = DirrenB., 0. G. 1., 
245. Su questo figlio di Antioco III, vedi “ Zeitschr. fiir Assyriol. ,, VII, (1893), 
p. 108-113; Gurscamin, Geschichte Irans, 33 n.3; WiLcken in Real-Enec., di 


PFA ia ti 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 501 


ose, credette si opponesse Giustino. Egli essendo convinto che 
upatore premorisse al padre, dichiarò errato il racconto di 
Giustino, che fa invece morire un figlio di Filometore dopo di 
lui (1). Ma vediamo se esista realmente un disaccordo tra la 
ipotesi del Grenfell ed il racconto di Giustino. A questo punto, 
prima di procedere, dobbiamo tentare la questione della iden- 
tità di Neo Filopatore: ed anche qui esamineremo le varie 
teorie proposte dagli storici moderni. 
Una prima ipotesi è sostenuta da chi identifica Eupatore 
con Neo Filopatore (2). Ma bisognerebbe considerare errati i 
documenti, che nominano entrambi in luoghi distinti, come per- 
sone diverse. E vero che i sostenitori di tale teoria credono 
che siano esistiti due Tolemei col nome di Eupatore, e solo col 
secondo tra essi lo identificano; ma a parte l’improbabilità della 
distinzione di due Eupatori, e la difficoltà per ammettere che 
il primo fosse figlio di Epifane, bisognerebbe tuttavia ritenere 
come errati i documenti che pongono Eupatore e Neo Filopatore 
entrambi dopo di Filometore (3) come due persone distinte (4). 
Un altro gruppo di ipotesi tendono a considerare Neo Fi- 
lopatore come figlio di Evergete. Prima di discutere le singole 
identificazioni coi singoli figli veri o supposti di Evergete, si 
può in linea generale obbiettare che riesce assai difficile inten- 
dere, come mai solo le iscrizioni geroglifiche di tre templi, se pure 
esistono (5), ci diano Neo Filopatore dopo di Evergete, mentre 
tale collocazione sarebbe stata la regolare, viventi e morti en- 


Paurr-Wissowa, vol. I, col. 2470; Kern, Die Inschriften von Magnesia am 
Maeander, Berlin, 1900, n. 61; Bevan, The House of Seleucus, 1902, II, p. 17; 
Nrese, Gesch. d. Griech. und Maked. Staat., II, 679 n.3. 777; Boucné-LecLERce, 
op. cit., I, 284. 382. 396, II, 63. 

(1) Veramente non solo Giustino, ma anche Gruseppe FLavio, 0. Apion., 
II, 51, ed Orosto, loc. cit., ostacolerebbero. Cfr.: Bouc®t-LecLerce, op. cit., 
II, 63 n.; LaQuEUR, op. cit., pp. 46-47. Giuseppe Flavio ci dice che Evergete, 
morto Filometore, voleva cacciarne i figli: ora poichè Cleopatra Thea non 
era in Egitto, si può spiegare il plurale solo ammettendo l’esistenza di un 
altro figlio oltre Cleopatra III. 

(2) Manarry, op. cit., p. 329 n. 2. 374. 

(3) Vedi l’appendice, n' 21-28 (forse anche i n' 11-20, vedi in seg.). 

(4) Sarebbe anche di difficile spiegazione il n. 100 dell’appendice. 

(5) Vedi oltre i dubbi sull'esistenza di tali documenti. 


502 LUIGI PARETI 


trambi (1), ove questo associato fosse premorto al padre; e 
l’unica legittima ove gli fosse sopravvissuto. Anche i motivi per 
cui si ricorre per Neo Filopatore all’identificazione con un figlio 
di Evergete, non sono molto validi. Giacchè in primo luogo si 
ritenne, erroneamente, secondo il mio modo di vedere, che es- 
sendo Eupatore figlio di Filometore, non potesse anche esserlo 
Neo Filopatore. L'altro motivo è connesso con questo: poichè, se 
si ammette che Filometore abbia associato un solo figlio nel- 
l’anno 153/2, l'iscrizione del Fayùm e la moneta di Pafo che 
parlano del 36° anno di regno di un associato e del 1° di un 
altro, non si possono riferire al 36° anno di Filometore (146/5), 
ma di Evergete (135/4), e quindi si viene a porre l’associazione 
di Neo Filopatore in tale anno. — Un altro motivo, ma indi- 
pendente dai precedenti, anzi in contrasto col secondo, è che 
una moneta di Pafo (2). porta scritto sul retro, oltre a MTO-4 
AEMAIOY BAZIAEQX ch'è nel éontorno, a sinistra di un'aquila 


LN e a destra TTA. Evidentemente tale moneta spetta al cin- 
* * 


A 

quantesimo anno di Evergete (121/20), e inoltre la lettera A a 
sinistra dell'aquila pare indichi il primo anno di regno di un 
suo associato. Ma se anche non si condividono i dubbi del Bouché- 
Leclercq (3) che tale moneta non accenni realmente a due as- 
sociati, nulla prova che il figlio di Evergete cui si alluderebbe, 
si debba identificare con Neo Filopatore (4). 

Premesse queste obbiezioni di indole generale, se esaminiamo 
le singole identificazioni di Neo Filopatore coi figli di Evergete, 
vediamo che ognuna di esse va incontro anche ad altre diffi- 
coltà. Lo Strack (5) propose l’identificazione con Menfite, e tale 

(1) Anche qui il Laqueur spiega colla sua teoria del posto d'onore, 
contro la quale vedi oltre. 

(2) Riprodotta dallo Stuart PooLe, Catalogue of greek Coins, ete., The 
Ptolemies Kings of Egypt, London, 1883, Tav. XXI, 4. p. LXXHI, 96. Vedi 
anche Srrack, op. cit., p. 47. 78; Niese, op. cit., III, 266 n. 4; LaQueuf, | 
op. cit., p. 48. 

(STOP. I presto 

(4) Si può benissimo trattare di qualche altro figlio di Evergete II e 
Cleopatra III, forse anche di qualche figlio illegittimo, e non è escluso 
Filometore Sotere stesso. Vedi Bovc®é-LecLerce, op. cit., II, 81. 82. Cfr. 
Paste 9t i], 

(NO p:'cit., pi179 mM 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 503 


ipotesi fu recentemente accolta e sviluppata dal Bouché-Le- 
clercq (1). Ma se si crede che Menfite sia stato realmente asso- 
ciato (2), oltre al fatto che le nostre fonti non ci dicon mai 
ch'egli abbia regnato, assai male si comprenderebbe come Ever- 
gete associasse giovanissimo, ed a detrimento degli altri figli, 
quello appunto natogli da Cleopatra II, che egli aveva ripudiata 
e colla quale stava per venire a guerra aperta. Parrebbe ben 
più probabile attribuire un simile progetto a Cleopatra II, piut- 
tosto che ad Evergete (3). Se poi col Bouché-Leclereq si crede 
che l'associazione non sia avvenuta, ma che si tratti solo di nna 
deificazione postuma, posteriore alla rappacificazione con Cleo- 
patra II, di una negazione ufficiale del misfatto commesso, si 
cade nella improbabilità, perchè si intende difficilmente come 
si deificasse un bambino che non aveva regnato, e perchè non 
pare che il violento ed autoritario Evergete potesse essere pro- 
penso a simili ritrattazioni ufficiali. — Anche lidentificazione di 
Neo Filopatore con un supposto secondo figlio di Cleopatra II 
e di Evergete, che fu sostenuta dal Revillout, dallo Stuart Poole, 
dall’Head, e dallo Strack (4), pare improbabile. Si può opporre 
infatti che nessuna fonte conosce un fratello di Menfite, e che 
anzi contro la sua esistenza si oppone il fatto che la convivenza 
di Cleopatra II con Evergete durò breve tempo, se, come pare, 
già nel 143 egli l'aveva ripudiata per sposare Cleopatra III (5). 
Inoltre, se si crede ch'egli sia stato realmente associato, si può 
porre questo fatto nel 135/4, e allora sussistono le obbiezioni 
fatte alla identificazione con Menfite; oppure si può porlo nel 
121/0, ma in tal caso non si tiene conto di una serie di docu- 
menti in cui, come mi sembra, veniva già notato Neo Filopa- 
tore fino dal 128 (6), e inoltre non si spiegano quei documenti 


(1) Op. cit.. II, p. 82 n. 1. 

(2) Si verrebbe a collocare tale associazione nel 133/4. Resterebbe impre- 
giudicato il quesito dell’altra associazione del 121/0, poichè Menfite fu uc- 
ciso nel 130. 

(3) Vedi l'assassinio di Menfite da parte di Evergete nel 180. Cfr. Re- 
virLour, MManges sur la métrologie, l’écon. polit. et Vhistoire de Vane. Egypte, 
Paris, 1895, p. 292 sgg., e Boucné-LecLerco, op. cit., Il, 71 n. 2, che non 
obbietta nulla. 

(4) Op. cit., p. 178 sgg. 

(5) Vedi Bouc®é-LecLerco, op. cit., II, 64. 81; SrRACK, op. cit., 198, 20- 

(6) Vedi appendice n' 11-20. 


504 LUIGI PARETI 


che parlano del 36° e del 1° anno di due associati. — E così pure 
non mi pare accettabile l’identificazione di Neo Filopatore con 
un presunto primo figlio di Cleopatra III ed Evergete, che viene 
esposta e nello stesso tempo combattuta dal Bouché-Leclercq (1). 
Qui infatti il silenzio delle fonti ha una riprova nella diffi- 
coltà di trovar posto per la sua nascita, se Sotere II era già 
nato, come pare, nel 142. 

Un’ altra spiegazione del problema concernente Neo Filo- 
patore trovò per suoi sostenitori il Lepsius, il Franz, l’Huberts, 
il Grenfell, il Mahaffy, i quali lo identificarono con quel figlio 
di Filometore, che secondo le fonti classiche sarebbe stato uc- 
ciso da Evergete. Questa teoria che dai suoi sostenitori fu, se 
non erro, non bene collegata col problema di Eupatore, mi pare 
la migliore. Già vedemmo come il figlio di Filometore ucciso 
da Evergete non possa essere Eupatore, come quest’ultimo sia 
premorto al padre, e non possa identificarsi con Neo Filopatore; 
pare adunque che la spiegazione più semplice e probabile sia 
questa: Eupatore e Neo Filopatore furono entrambi figli di Fi- 
lometore, il primo, associato dal padre gli premorì, il secondo, 
associato dopo la morte del primo, sopravvisse a Filometore, e 
fu tolto di mezzo dallo zio Evergete. In tal modo non vi è 
nessun contrasto tra la teoria del Grenfell, che abbiamo accolta, 
e le notizie forniteci dai classici, specialmente da Giustino. Ve- 
diamo ora se la nostra ipotesi possa trovare delle conferme, e 
come riesca a conciliarsi con le notizie forniteci dalle varie 
fonti. 

Un papiro demotico di. Gebelén, letto dal Griffith (2) ci 
informa che Kupatore era associato al padre nel 29° anno di 
quest'ultimo (153/2 a. C.); un altro papiro demotico del 4 Tybi 
dell’anno 31° (fine gennaio 150) (3) pone Eupatore prima di Filo- 
metore. Pare adunque probabile che Eupatore regnasse dal 153/2 
almeno, fino forse al termine del 151, o ai primi giorni del 150: 
se agli ultimi di gennaio egli veniva già collocato prima del 
padre, ciò non significa altro se non ch'egli era già morto. In 


(1),Op: cit.yIl, tp! 321. 

(2) Vedi: GrenreLL, Tebt. Pap., I, p. 554; Niese, III, 206; LaQueur, 
op. cit., p. 46; Bouc®é-LecLerco, op. cit., IV, 321, che pare siasi dimenti- 
cato del passo del Grenfell. 

(3) Vedi appendice, n. 30-31. 


RICERCHE SUL TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 505 


questo spazio di circa due anni cade, secondo noi, il papiro greco 
Amberst II 45 (1), la cui dedica è diretta a Filometore e ad 
Eupatore, viventi entrambi. Per questo motivo il Grenfell, che 
lo pubblicò, lo ritenne degli anni 150-145, ma se è vero quanto 
abbiam detto innanzi non par dubbio che vada riferito agli anni 
155/2-151,0. Che Eupatore non fosse ancora re, non pare si 
possa dedurre dal documento : egli ha già ricevuto il suo nome 
ufficiale (2); il papiro non lo dice esplicitamente re, ma non 
dice tale neppure il padre. Così pure non pare si possa dedurre 
dal papiro che Eupatore non fosse ancora deificato, poichè, anche 
a parte il fatto che con ogni probabilità l'assunzione al trono 
e la deificazione dovevano essere contemporanee, sì deve notare’ 
che il nostro papiro è monco in fine delle linee, e che appunto 
la linea in questione finisce così : TTto)e....... e la successiva in- 
comincia con Eùnat[o|]pog. Il Grenfell supplì: TTroAe[paiov dè] 
|Eùmatopog, ete.; ma se si osserva che tanto la linea prece- 
dente, quanto la seguente, sembra presentino una lacuna di undici 
lettere, non pare improbabile che anche nella linea di cui si 
tratta la lacuna sia di tale lunghezza, per cui si potrebbe leg- 
‘gere: ITroXe[uaiov dè 0eod] | Eùmatopos, ete. Oltre questo papiro 
cadono, secondo la nostra ipotesi, tra gli anni 153/2-151/0 anche 
tre iscrizioni di Cipro (3). 

Quale fu probabilmente il motivo occasionale dell’associa- 
zione di Eupatore? Circa quei tempi i desideri di Evergete, di 
Demetrio I e dei Romani erano rivolti a Cipro. Un tentativo di 
Demetrio per impadronirsene col tradimento (4) era fallito, ed 
i Romani nel 154/3 avevano tentato invano di porvi colla forza 
Evergete (5). La data ci è fornita dal sincronismo dell’arrivo 
di Evergete a Roma e della partenza del console Opimio contro 
gli Ossibi (6). La guerra non potè essere lunga, dià TÒ uéredog 
mis otpatiàg di Filometore (7): non si erra probabilmente po- 


(1) Vedi appendice, n. 1. 

(2) Vedi Boucné-LecLerco, op. cit., II, 75. 80. 

(3) 1* Le Bas, III, 2309= StRack, n. 101 = DirTENB., 0. G. L., 125; 2*C. L Gr., 
2618 = Stracx, n. 102 = Drrress., 0. G. IL, 126; 3* Dirren8.; 0. G. I, 127. 

(4) Porro, XXXIII, 3-4. 

(5) Porigro, XXXIII, 5. 

(6) Drop., XXXI, 83; Porrsio, XL, 12. Cfr. Bovcni-LecLerce, Il, 42. 

(7). Dron., XXXI, 33. 


506 LUIGI PARETI 


nendola nel 154/153. Ora poichè troviamo Eupatore associato 
nel 153/2, e tre iscrizioni secondo me degli anni 153/2-151/0 
lo ricordano in Cipro come vivente e come re, pare evidente 
che la sua associazione sia collegata coi fatti di tale isola (1). 
Filometore, associando il figlio che allora poteva avere circa 
17 o 18 anni (2), ed inviandolo, come pare probabile, a Cipro, 
veniva ad un tempo e ad assicurargli l'eventuale successione, 
che sarebbe probabilmente stata contrastata da Evergete, ove 
gli fosse sopravvissuto , ed a porre al governo della minacciata 
Cipro una persona fedele: il che si imponeva dopo ch’era stato 
tentato dallo stesso governatore dell’isola, di consegnarla per 
tradimento a Demetrio I (3). 

Dalla morte di Eupatore a quella di Filometore, pare evi- 
dente che nei documenti, specialmente nelle liste di culto, che 
più che ai viventi si indirizzavano ai morti, Eupatore che finchè 
era vissuto era stato posto dopo del padre, dovesse invece venire 
enumerato prima di lui: il suo regno era compiuto e passato, 
quello del padre ancora vivente durava. Questa collocazione che 
pare logica si trova applicata nelle fonti appunto tra il 150 e 
il 145, che nominano sempre Eupatore prima del padre (4). 
L’analogia col caso già citato del primogenito di Antioco III è 
perfetta : anch'egli finchè visse fu nominato dopo del padre, ma 
quando gli fu premorto, lo sì potè notare prima di lui (5). Di 


(1) Il Bovc®é-LecLeRcQ invece, che pone l’associazione di Eupatore nel 150, 
la collega colla posteriore guerra contro Demetrio I. 

(2) Filometore quando sposò la sorella Cleopatra II (172 c.) poteva avere 
14 o 15 anni: vedi StRACcK, op. cit., p. 31 sg.; Nrese, III, 168 n. 3. 169 n. 4; 
Boucne-LecLerco, II, 5 sgg., IV, 319. Perchè Filometore associasse um figlio 
nel 155/2, sì può ammettere o che gli sia nato circa il 170, quando egli 
stesso poteva avere a un dipresso 17 anni, o anche che lo associasse in 
età un poco inferiore ai 18 anni. L'una e l’altra spiegazione sono possibili: 
mi sembra che tutto lasci supporre che Eupatore fosse già in età tale da 
poter partecipare in modo attivo al regno. 

(3) Nulla prova che Eupatore fosse eletto specificamente re di Cipro: 
egli dovette essere dal padre associato al trono di Egitto. 

(4) Vedi appendice n' 29-38. 

(5) Vedi: O. Kern, op. cit., p. 61 = Drrrens., 0. G. I, n. 2883, e le iscri- 
zioni cuneiformi enumerate dal WiLcken in Real-Enc. di Paury-Wissowa, I, 
2470, e dal DrrrenB., 0. G. I., al n. 252. L'iscrizione dopo morte è in C. I. Gr., 
4458 = Dirrens., 0. G. IL, 245. Vedi oltre. 


IT, RP Pr 


rn 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 507 


tale analogia non si vale, anzi si pone da un punto di vista 
affatto diverso il Laqueur (1) per spiegare la collocazione di 
Eupatore prima di Filometore nei documenti degli anni 150-145. 
Ritenendo egli, probabilmente a torto, siccome tenteremo fra 
breve di dimostrare, che Eupatore sia sopravvissuto al padre, 
afferma: “ ea praescriptorum lex vel norma observata est ex 
“ qua rex primarius in fine nominatur, collega paenultimo loco , 
e nella nota 12: “ Quod nisi ita se haberet iam Ptolemaeo IV 
“ regnante Di\ouNtopeg ante Eùmdtopa nominati essent ,. Ma il 
Laqueur dimentica che il papiro greco Ambherst Il 45 sopra 
ricordato, ci dà appunto quest’ultima posizione, viventi padre 
e figlio. Inoltre, e lo vedremo tosto, è difficile ammettere col 
Laqueur che il figlio associato da Filometore nel 153/2 sia lo 
stesso che fu ucciso da Evergete, onde cadrebbe uno dei suoi 
presupposti, che cioè Eupatore sia sopravvissuto al padre. Ma 
anche per altra via mi pare improbabile la teoria del Laqueur, 
che assume troppo l'aspetto di postulato. Il culto dei re, special- 
mente ad Alessandria dove fu più regolare, fu sopratutto rivolto 
ai defunti, ch’erano disposti cronologicamente ; i re ancora vi- 
venti venivano enumerati nella lista per onorarli certamente: 
ma l’ultimo posto era loro assegnato non perchè fosse consi- 
derato come il posto d’onore, ma perchè era quello che loro 
spettava virtualmente, secondo l’ordine cronologico che infor- 
mava le liste (2). Che non si riguardasse come posto d'onore 
l’ultimo, lasciano supporre quelle liste in cui il nome del regnante 
non ricorre in fine, ma solo nella datazione e nella dedica (3); 
quelle che lo collocano in primo luogo, capovolgendo l’ordine 
dagli antenati (4); quelle che lo pongono in capo della enumera- 
zione discendente, pur ripetendolo spesso anche in fine, onde 
il primo pare il posto d'onore, il secondo il cronologico (5); 
quelle infine che lo dànno subito dopo il nome del fondatore 


(1) Op. cit., p. 48. I 

(2) Cfr. anche i documenti che non danno l'appellativo divino ai vi- 
venti, pur ricordandosi di darlo agli estinti. Vedi Bovcné-LecLerce, op. cit., 
III, 36; StRACcK, op. cit., n. 53. 63, e specialmente 72. 

(3) Cfr. ad es. LaQueur, op. cit., p. 40 n. 2. 44 n. 1. 

(4) Vedi qualche caso in Bovcsé-Lecrerco, INI, 35 n. 1. 

(5) Bovcné-LecLerco, III, p. 59 sgg. 


508 LUIGI PARETI 


della dinastia (1). Anche per questo motivo adunque mi pare 
improbabile che nei documenti degli anni tra il 150 e il 145 
si ponesse Filometore per ultimo, solo per dargli il posto d'onore. 
Inoltre non mi sembra che tale sistema trovi delle analogie in 
documenti riguardanti i Tolemei in genere. Se, come vedemmo, 
base delle liste di culto era la successione cronologica, ne viene 
ch'esse dovevano presentare analogia con le dediche e le data- 
zioni in cui si seguiva lo stesso criterio. Ed infatti noi troviamo 
che i documenti, riguardanti gli altri Tolemei, che ci ricordano 
accanto ai genitori regnanti i loro figli o non ancora o già 
associati, pongono naturalmente questi dopo di quelli (2). Lo 
stesso riscontriamo nei documenti spettanti proprio a Filometore, 
che menzionano con lui i suoi figli (3), nelle monete che pon- 


(1) BoucÒ®é- Leccerco, II, 60. 62. 

(2) StRACK, op. cit., ni 57, 58, 59, 60, 70. Boucné-LecLERce, op. cit., I, 
L'ezon. sl. 

(3) Sarà bene enumerare i documenti che ci menzionano accanto ai 
Filometori i loro figli. Ad un solo figlio accennano : 1° Un'iscrizione di Tera : 
Strrack, n. 60 = Dirtens., 0. G. /., 110; 2° Una base di statua di Hesseh: 
Srrack, n. 82a = Dirrens., 0. G. IL, 121. A più figli accennano: 3° Un'ara 
di Tera: StRACcK, n. 91= Drrrens., 0. G. L., 112; 4° Una base di Cizio: STRACK, 
n. 97 = Drrrens., 0. G. I., 113; 5° Un'iscrizione del tempio di Kom Ombos: 
SrrAck, 88 = Drrrens., 0. G. I., 114; 6° Un'iscrizione di Methona: StRACK, 
92 = Drrrens., 0. G. IL, 115; 7° Una base di Kuklia in Cipro: SrracK, 98; 
8° Forse un papiro torinese: Brunet DE PrESsLE, op. cit., 30, 32 (dell’anno 165 
probabilmente); 9° Una base di Kuklia in Cipro: Srrack, 96; 10° Un papiro 
greco : © Bull. de la Soc. Arch. d’Alexand. ,, 8 (1905), p. 120. La datazione 
di tali documenti è difficile: i primi due che parlano di un solo figlio posson 
essere i più antichi, sebbene possano anche benissimo riferirsi agli anni 
150-146, quando di maschi non v'era che Neo Filopatore non ancora asso- 
ciato. Quanto agli altri si può credere che spettino tanto ad epoca ante- 
riore al 153. come l'ottavo che è databile, quanto al periodo tra il 150 ed 
il 146, come l’epigrafe: Dirrens., 0. G. L., 111, su cui ci fermeremo tosto. 
L'opinione più probabile è che alcuni siano dell’un periodo, e gli altri del- 
l’altro. Le uniche limitazioni eronologiche che mi paiono possibili sono : 
di escludere i primi anni di regno di Filometore, anteriori al matrimonio, 
e alcuni dei seguenti, in cui non poteva ancor esservi pluralità di figli: 
all’incirca adunque dal 181/0 fino al 165 al più; escludere gli anni in cui 
tu associato Eupatore (153/2-151/0), e quello in cui Neo Filopatore (146/5), 
perchè si fa cenno ai figli senza i titoli di re e di dio, e senza inomi uffîi- 
ciali. Ma anche così restano due lassi di tempo abbastanza lunghi: dal 165 
al il'53metdal 50 al 146. 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 509 


gono gli anni di regno dei suoi associati dopo dei suoi, e per 
citarlo ancor una volta nel papiro Amherst II 45, in cui, vi- 
venti entrambi, EFupatore vien nominato per secondo. 

Negli anni tra il 150 e il 146 Filometore regnò da solo, 
forse anche perchè Neo Filopatore doveva essere ancor troppo 
giovane, per poterlo associare efficacemente. Con ciò bene si 
accorda l’iscrizione di una stela ora al Louvre (1), incisa in vita 
di Filometore, la quale pone Eupatore prima del padre, ossia 
è posteriore alla sua morte, ma nella dedica dice: Baoneî 
TlroXeuaiwr kaì Baoniconi KXeoratpar Ti AdEA@P| fi Be]oîg Dioun- 
TOpo[1|] kai toîg tovTWwY TÉKvOIS kaù “Auuwvi, etc. Poichè Eupatore 
era morto, e Cleopatra Thea andò sposa nel 150 ad Alessandro 
Bala, il plurale tékvoic pare comprovare che oltre alla restante 
Cleopatra II, v'era almeno un altro figlio, e pare evidente si 
tratti appunto di Neo Filopatore. Il fatto poi che tali figli non 
ricevono nè il nome ufficiale, nè l'attributo regio o divino pare 
sì accordi con quanto tentiamo di provare, ossia che vi fu un 
tempo in cui Eupatore era già morto, mentre Neo Filopatore 
non era ancora associato. Se poi colleghiamo questo con quanto 
ci dice ad esempio Giustino, sul tiglio di Filometore, che cioè 
era puer quando fu ucciso da Evergete, possiamo credere proba- 
bile l'ipotesi già espressa, che uno dei motivi della tardata 
associazione dovette essere la tenera età di Neo Filopatore (2). 

Per la cronologia dell’associazione di Neo Filopatore sono di 
importanza capitale due documenti. Di essi il primo, ch'è una 
iscrizione greca del Fayùm ora al Louvre (3), è così conce- 
pito: Eipjyni tékvov | toMà xaîpe | Ò teperéxwv uere|\eucetaI TOÙg 
érmrer|yapavtég cor || Ètoug Ag' TÒ Kaì a'L | eig Beoùg érmreip xn' 
(= 22 agosto). L’ altro documento è una moneta di Pafo in 
Cipro (4), la quale nel retro oltre alla dicitura IITOAEMAIOY 
BAZIAEQX porta scritto alla sinistra di un'aquila LAE ed alla 


(1) Vedi appendice, n. 29. 

(2) Si veda forse anche il significato della parola Aunnu, che si trova 
nei documenti geroglifici in corrispondenza del véog dei documenti greci. 

(3) “ Rev. Archéol. ,, XVII (1901), p. 308: “ Archiv  fiir Papyrusforsch. ,, 
III, p. 128; Bovcné-LecLeRce, op. cit., IV, 321. 

(4) Pubblicata per la prima volta dal Rercnarpr in “ Numismatie Chro- 
nicle ,, N. S., IV, 189; e ripubbl. dallo Stuart Poote, op: cit., tav. XXXII, 9. 
pag. LXVII, 87. Cfr. StRrACK, op. cit., p. 37; Bouc®é-Lecrerce, op. cit., Il, 53 n. 


510 LUIGI PARETI 


destra KAI. Pare evidente che i due documenti ci diano entrambi 
TTA 
una datazione diarchica (1); e che non si debbano staccare l’uno 
dall’altro (2). Molto si discusse se la moneta di Pafo dovesse 
attribuirsi al 36° anno di Filometore (146/5) o di Evergete (135/4); 
ma da quanto siam venuti esponendo non par dubbio che si 
debba intendere del 36° anno di Filometore e che si tratti ap- 
punto dell’associazione di Neo Filopatore, che come siam venuti 
per altra via a dimostrare cade appunto in quel torno d’anni (3). 
Lo Strack suppose che motivo occasionale dell’associazione da 
parte di Filometore di un figlio nel 146/5 (si può credere che 
sia avvenuta dopo l’agosto 146, se nell'agosto del 145 tale figlio 
era ancora nel suo primo anno di regno) sia stato il fatto che 
egli, movendo contro di Alessandro Bala, voleva lasciare un reg- 
gente in Alessandria, al quale nel tempo stesso potesse in tal 
modo assicurare l'eventuale successione. Sostituendo natural- 
mente all’Eupatore dello Strack, Neo Filopatore, pare probabile 
che il motivo dell’associazione sia stato appunto questo; inoltre 
si può credere che allora soltanto l'età di Neo Filopatore per- 
mettesse un’ associazione di fatto col padre (4). E così pure 


(1) I dubbi espressi dal Boucni-LecLerce, op. cit., II, 81 n. 1, sul signifi- 
cato di A nella moneta di Pafo, che di per sè non paiono sicuri, vengono 
resi improbabili dall'iscrizione del Fayùm. 

(2) Come fa ad es. il Bouc®é LecLerce, op. cit., 1V, p. 321, che rife- 
risce l'iscrizione al 36° anno di Filometore, e invece II, p. 58, la moneta 
al 36° anno di Evergete. (Anche lo Svorowos, p. 249 n., pone la moneta 
nel 135/4). 

(3) Gia lo Sruart Poote, op. cit., p. LXVII, e lo StRACcK, op. cit., loc. cit., 
posero nel 146/5 la moneta di Pafo; ma credettero trattarsi del primo anno 
di Eupatore, mentre pare sia il primo di Neo Filopatore. La spiegazione 
proposta dal Bovcns-LecLERce, op. cit., IV, p. 821, che si tratti del 36° anno 
di Filometore già morto e del primo di Evergete pare artificiosa, ed è basata 
su presupposti indimostrati : che Filometore fosse già morto il 22 agosto 145; 
che Filometore non abbia associato nessun figlio circa il 146/5, giacchè 
egli pone l’associazione di Eupatore nel 150 (v. s.) ed identifica Neo Filo- 
patore con Menfite (v. s.); che infine Evergete computasse il 146/5 come 
il suo primo anno di regno, mentre tutto lascia supporre, ch'egli partendo 
dal 170, lo computasse come il suo 25°. 

(4) Una riprova che tanto Eupatore quanto Neo Filopatore morirono 
giovani sta nel fatto che tutte le nostre fonti li nominano sempre al sin- 
golare, ossia che non furono ammogliati. Non è necessario ricorrere col 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 511 


specialmente dopo la pubblicazione dell'iscrizione del Fayùm, 
appare molto probabile l'opinione dello Strack, che tale figlio 
associato (Neo Filopatore secondo noi) sia stato re dell'Egitto, 
e non della sola Cipro, come non basta a dimostrare la moneta 
di Pafo. Anzi, non è neppure dimostrato che Neo Filopatore 
sia stato allora a Cipro: Giustino (I. c.) lascia supporre ch'egli 
fosse ad Alessandria, il che d'altronde pare evidente, se si ac- 
cetta il motivo che accogliemmo per la sua associazione. 
Concludendo: pare che nulla si opponga a credere che Neo 
Filopatore sia stato associato nell’anno 146/5, e sia precisa- 
mente il figlio di Filometore che secondo Giustino fu poco dopo 
ucciso dallo zio Evergete (1). Ciò spiega come il suo nome non 
compaia nei documenti per parecchi anni dopo la sua morte: 
egli doveva esser stato divinizzato regolarmente all’epoca della 
sua associazione, onde il suo nome avrebbe dovuto essere regi- 
strato nelle liste di culto; ma con ogni probabilità Evergete 
si sarà opposto a che il nome del nipote, da lui assassinato, 
fosse notato nei documenti, e non poco avrà contribuito il timore 
di notarlo da parte degli scribi. Ciò non toglie che nel partito 
contrario ad Evergete, che in un certo periodo venne a trovare 
un capo nella stessa Cleopatra II, madre dell’ucciso, dovesse 
esservi una tendenza, e nei desideri, e nei fatti, a conferire alla 
sventurata vittima l'onore che le spettava, forse anche collo 


Boucg#é-LecLerco, III, 42 ad imitazioni dalle liste dei Seleucidi per spiegare 
come Eupatore e Neo Filopatore compaiano al singolare in mezzo alle liste 
di coppie regie; giacchè nulla prova che tali liste avessero come base il 
culto di tali coppie. Par probabile che esse seguissero i dati di fatto; a 
partire da Alessandro, venendo ad Fupatore, a Neo Filopatore, a Filo- 
metore, ad Evergete, ecc., si vede che le liste erano indirizzate alle coppie 
quando realmente e legalmente esistevano, ed ai singoli quando si trattava 
di un celibe, o di chi veniva, come Filometore ed Evergete in molti 
documenti, considerato come tale, essendo disciolta per varî motivi la 
sua coppia. 

(1) Il Drrrensercer ha attribuito a Neo Filopatore una base di statua 
di Salamina in Cipro: 0. G. /., 143 = SrRAcK, op. cit., n. 161; ed una di 
Delo: 0. G. I., 144= Srrack, op. cit., n. 144. Imnanzi tutto è dubbio se si 
debban riferire ad una stessa persona; inoltre, poichè la seconda, che ci 
fornisce maggiori notizie, è per un figlio di Evergete, si potrà benissimo 
trattare, come vuole il Drrrens., di quello stesso che secondo la moneta di 
Pafo sarebbe stato associato nel 121/0, ma dopo quanto dicemmo, non 
si può vedervi un’allusione a Neo Filopatore. 


? Vila 


512 LUIGI PARETI 


scopo di dimostrare l'illegittimità del regno di Evergete. Un 
ultimo resto di tale lotta si può forse rinvenire in parecchi 
documenti degli anni 128-120 (1), che sembra presentino una la- 
cuna tra i nomi di Eupatore e di Evergete, la quale pare corri- 
spondere al nome di Neo Filopatore, ed è forse dovuta ad abrasione. 
Il nome di Neo Filopatore ci appare per la prima volta nel 119/8 (2) 
e, se pure si tratta di un cambiamento nella politica di Hver- 
gete (3), si può credere ch’esso sia dovuto alla rappacificazione 
ufficiale avvenuta non molto prima tra Evergete e la sorella 
Jleopatra Il : Evergete non si sarà forse più opposto ai desideri 
di lei e di quanti volevano si ricordasse lo sventurato Neo Filo- 
patore, trattandosi di una accondiscendenza che mentre non 
gli costava nulla, poteva avere per lui delle conseguenze buone. 
Si può anche credere che vi sia una qualche connessione col 
raddolcimento che si nota nell’aspro e violento carattere di Ever- 
gete nei suoi ultimi anni {4). 

Dopo quanto ho detto, e riferendomi ad esso, mi sarà forse 
più agevole esporre brevemente i principali motivi per cui re- 
spingo la spiegazione data dal Laqueur del nostro stesso pro- 
blema : poichè sarà bene fare tale discussione in questo punto, 
prima di proseguire ad esaminare come si concili la nostra ipotesi 
coi documenti posteriori all'anno 145. Il Laqueur (5) crede che 
EKupatore sia stato associato da Filometore al trono di Egitto 
nel 153/2, e che poi, tolto per alcuni anni dal regno, sia stato 
mandato verso il 146/5 in Cipro. Ma se si crede che vi siano 
state due elezioni, l’una nel 153/2 e l’altra nel 146/5, si tratte- 
rebbe di uno strano gioco di associazioni, e non sì intenderebbe 
come si sminuzzassero i computi cronologici, se si fosse tenuto 
conto e nel primo e nel secondo caso degli anni di regno del- 
l’associato : anche più improbabile poi sarebbe che si fossero 
computati solo per la 2° associazione. Se si crede poi che siavi 


(1) Vedi appendice, n! 11-20. 

(2) Vedi appendice, n. 21. 

(8) Si osservi che finora non si hanno, se pure non mi sono sfuggiti, 
documenti ufficiali del regno di Evergete, in cui ricorra il nome di Neo 
Filopatore, vedi appendice, n' 21-22. 

(4) Vedi ad es. i documenti raccolti dal Bovcai-LecLERce, op. cit., TI, 
pi 83:i 0 

(5) Op. cit., p. 47 sg 


D5* 


»da 


—._———— —_r—=-- — es (0 e’, i © ee e Te e->° n n OA)eoeteoeePezeG:,:,) 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 513 


stata una sola associazione nel 153/2, si va incontro a gravi 
obbiezioni, poichè in tal caso oltre al dover trasportare al 135/4 
l'iscrizione del Fayùm e la moneta del Pafo, il che renderebbe 
anche più complicato il problema, si dovrebbe ammettere, con- 
trariamente a quanto abbiamo sopra tentato di dimostrare, che 
Neo Filopatore sia stato figlio di Evergete. Il Laqueur inoltre 
collega la prima associazione cogli avvenimenti dell’ Egitto, e 
la riassociazione del 146/5 cogli avvenimenti di Cipro, mentre 
vedemmo che pare più probabile proprio l'opposto; ossia che 
l'associazione del 153/2 vada collegata coi fatti di Cipro (1), e 
l’altra del 146/5 con quelli di tutto il regno d’Egitto. Egli poi si 
pone in contrasto con Giustino e con Giuseppe Flavio, che pur 
vuole spiegare, poichè essi dicono fanciullo il figlio di Filometore 
ucciso da Evergete, mentre pare che nel 146/5 Eupatore avrebbe 
avuto 25 anni all'incirca. Anche grave è il fatto che si trascura 
il papiro Ambherst Il 45, e si considera a torto come prima 
collocazione quella: Bupatore-Filometore, ricorrendo per spiegarla 
alla teoria poco sicura del posto d'onore; ma se anche si ammet- 
tesse contrariamente al Laqueur che viventi entrambi si sia 
usata prima la serie Filometore-Eupatore, poi quella Eupatore- 
Filometore, verremmo a trovare un cambiamento inesplicabile 
di collocazione. Per ultimo pare difficile da spiegarsi coll’ipotesi 
del Laqueur, la presenza del nome di Eupatore negli atti uffi- 
ciali, durante il regno di Evergete. 

Chiusa questa parentesi, continuiamo il nostro esame della 
varia collocazione del nome di Eupatore nei documenti poste- 
riori alla morte del padre. Durante la parte del regno di Evergete 
posteriore alla morte di Filometore i criteri per la collocazione 
nelle liste dei nomi di Eupatore e di Neo Filopatore potevano 
essere due: se si partiva dalla data di assunzione al trono si 
aveva: Filometore, Eupatore, Neo Filopatore, ed infine l’ancor 
vivente Evergete (2); se invece si partiva dalla data di morte 


(1) Si aggiunga a quanto si disse sopra, che nulla prova che Filometore 
nel 152 si allontanasse personalmente dall’ Egitto, per muover contro De- 
metrio, anche se si volesse collegare l’associazione di Fupatore con tale 
guerra; vedi sopra, e Boucné-LecLERrco, op. cit., II, 47. 

(2) Veramente partendo per Evergete dal 170, se si fosse tenuto conto 
solo dell'entrata in carica si sarebbe avuto: Filometore, Evergete, Eupa- 
tore, Neo Filopatore; ma è evidente, che dato il carattere delle liste di 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 38 


La 
È 


Caps 


514 LUIGI PARETI 


si aveva: Eupatore, Filometore, Neo Filopatore, Evergete. L'una 
e l’altra disposizione era legittima; la prima poi aveva il pregio 
che partendo dalla data di assunzione pareva più adatta essendo 
ancor viva una delle persone da collocare (1); ma sì differenziava 
dalle liste di culto che, essendo soprattutto liste di morti, dove- 
vano preferire il criterio della data di morte. Questo pregio 
e non il primo aveva l’altra posizione, il cui uso poteva anche 
essere favorito dal fatto ch’ era simile a quella del periodo 
precedente, onde facilmente gli scribi l'avrebbero riprodotta. 
Quanto abbiamo detto spiega come nei primi tempi almeno l’uso 
delle due formole si bilanciasse. In seguito pare che la prima 
sia divenuta prevalente, per motivi non facili ad esser colti (2); 
ma sembra certo che l’ altra, benchè meno frequentemente, 
fosse usata anche in seguito. Mentre al primo sistema spettano 
quasi tutti i documenti tra il 145 ed il 116 (3), al secondo 
spettano finora due papiri demotici del 141/0 (4), uno greco 
del 140/39 (5), forse un altro del 138/7 (6), un'iscrizione di 
File (7), un papiro demotico del 131 (8), ed uno greco del 123 (9). 
Il Laqueur crede di poter dimostrare che durante il regno di 
Evergete fu in uso solamente il primo sistema. A tal uopo egli, 
esaminando ad uno ad uno i casi dell’altro sistema, li esclude 


culto, e per perspicuità cronologica, Evergete avrebbe avuto l’ultimo posto, 
come nel caso degli altri re viventi. A questa stessa collocazione sì veniva 
partendo per Evergete dal 145. 

(1) Vedi la nota precedente. 

(2) Se è lecito procedere tant’oltre colle ipotesi, si può credere che 
Evergete volesse reagire contro i metodi usati dal fratello, e preferisse 
una collocazione in cui il nome di Eupatore prima di Filometore potesse 
contribuire a far dimenticare il sopraffatto Neo Filopatore. Certo molto 
doveva dipendere dall’arbitrio di Evergete. Quel che è assai importante è 
l'analogia di tutto ciò col caso del figlio di Antioco III, il quale nei docu- 
menti posteriori anche alla morte del padre viene enumerato tanto dopo di 
lui, v. DirrenB., 0. G. I., 246, quanto prima di lui: €. I. Gr., 4458 = DirtENB., 
O. G. I., 245 (v. ind.) 

(3) Vedi appendice, nì 11-22. 

(4) Vedi appendice, n' 40-41. 

(5) Ibid., n. 42. 

(6) Ibid., n. 43. 

(#)MUbids n.99: 

(8) Ibid., n; 44. 

(9) Ibid., n. 45. 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 515 


per vari motivi. Sarà bene riesaminare la questione. Egli crede 
in primo luogo che i quattro casi dal 145 al 137 siano dovuti 
solamente all’ errore degli scribi che copiarono la lista usata 
prima della morte di Filometore; ma se regge quanto dicemmo, 
che cioè entrambi i metodi essendo legittimi potevano venir 
adottati indifferentemente, non vi è bisogno di ricorrere al solito 
argomento delle fonti errate, tanto più che riuscirebbe assai 
difficile spiegare un tale errore in un documento della cancel- 
leria regia, quale il papiro greco di Tebtunis I6 (1). Il caso 
del 131 è esaminato a lungo dal Laqueur, il quale conclude che è 
senza analogie, che sta da sè, poichè trovandosi in esso la formola 
lepòs mWXog “Iordos uerdàng untpòg Bewòv fa capo a Cleopatra II, 
ed al breve regno ch'ella ebbe appunto intorno a quegli anni 
in Alessandria in opposizione al fratello Evergete. Quindi il 
Laqueur notando che tale formola ricorre nuovamente dopo la 
morte di Evergete, e che nell’uno e nell’altro caso si ha la 
collocazione: Eupatore, Filometore, crede che il mutamento del 131 
si debba appunto a Cleopatra II. Ma innanzi tutto è dubbio se 
la formola citata alluda a Cleopatra Il o a Cleopatra HI (2); 
e così pure se il mancare esempi di tale formola dal 130 
al 116 debba o no considerarsi come cosa puramente accidentale. 
Inoltre, in un documento risalente a Cleopatra II, più che novità 
rispetto ad Eupatore, che non aveva nulla a vedere con una op- 
posizione ad Evergete, ce ne aspetteremmo rispetto a Neo Filo- 
patore, che invece nel papiro in questione non viene nominato. 
Ed è degno di nota il fatto che un papiro demotico del 130 (3), 
ci da la suddetta formola, ma non, a quanto pare, la colloca- 
zione: Eupatore, Filometore; e che un papiro greco del 123 (4) 
or ora pubblicato dal Kenyon, dà la collocazione Eupatore, Filo- 
metore, ma non tale formola. La recente pubblicazione di questo 
ultimo documento pare dimostri che è arbitrario separare l’uno 
dall’altro i casi che si hanno della collocazione: Eupatore, Filo- 


(1) Ibid., n. 42; vedi: Boucné-LecLerce, op. cit., II, 42 n: 3. 

(2) Per Cleopatra II stanno il Wiramowrrz, “ Nachricht. d. Gott. Geselisch.,, 
1894, p. 28 n. 1; il Laqueur, op. cit., p. 51 sgg.; il Bovc®é-LecLERce, op. cit., 
III, 53 n. 2 sgg., IV, 322-3. Per Cleopatra II il Wrregen, “ Arch, f. Pap. ,. IV, 
1907, p. 264; il Gerzarp, “ Arch. fiir Religionw. ,, VII, 1904, p. 520 sgg. 

(3) SrreceLBERG, “ Z. Aeg. Spr. ,, 1899, p. 38. 

(4) Vedi appendice, n. 45. 


516 LUIGI PARETI 


metore tra il 145 ed il 116: si tratta secondo me di un unico 
indirizzo legittimo, e che poteva essere ancora favorito da pregi 
intrinseci e contingenze esterne. E si può credere con proba- 
bilità che i papiri che saranno pubblicati in futuro ci forni- 
ranno altri documenti di questa stessa serie, come ci hanno 
ora dato quello del 123. Se così è, viene anche a cadere l’unico 
motivo forte (1) per collocare l’iscrizione di File tra gli anni 
143-139, a preferenza della cronologia assegnatale anterior- 
mente (2) tra il 127 ed il 117; onde possiamo ritenere che i 
documenti degli anni 137-116 con la posizione: Eupatore, Filo- 
metore, siano già in numero di tre. 

Dopo la morte di Evergete (3), se si partiva dalla data di 
assunzione, si venivano ad avere le seguenti posizioni : a) Filo- 
metore, Evergete, Eupatore, Neo Filopatore, se si poneva il prin- 
cipio del regno di Evergete nel 170 ; 8) Filometore, Eupatore, 
Neo Filopatore, Evergete, se tale principio si fissava al 145. 
Si può intendere facilmente come il primo caso tendesse a tras- 
formarsi nel secondo, perchè quest’ultimo era conforme al metodo 
predominante tra il 145 ed il 116, e perchè si doveva tendere, 
pur conservando in linea generale il principio della data del- 
l'assunzione, a dare nel tempo stesso l’immagine della reale 
successione dei regni. Se poi si poneva come base della colloca- 
zione la data di morte, si aveva: Eupatore, Filometore, Neo 
Filopatore, Evergete. I due metodi erano legittimi entrambi, 
e così si spiega come nei documenti posteriori al 116 compaiano 
entrambi; d’altra parte la seconda collocazione era evidente- 
mente più adatta per le liste di culto, che essendo dirette ai 
morti trovavano ottimo criterio cronologico appunto nella data 
di morte, e ciò spiega come la più gran parte dei documenti 
finora pubblicati ci presentino appunto questa collocazione, che 
si può anche credere fosse la ufficiale (4). Ma non mancano i 


(1) Addotto dal Laqueur, op. cit., p. 386. 37; seguìto dal DirrENBERGER, 
0. G. I., II, p: 9405, 

(2) Lerronne, ‘ Notices et extraits, ete. ,, XVIII, II, p. 168; Wircken, 
“ Hermes ,, 1887, p. 15 sgg.; Dirrens., 0. G. I, ai n' 137-39. 

(3) Per la data precisa della morte di Evergete vedi le opinioni discor- 
danti del Bovcné-LecLerce, op. cit., II, 85; IV, 324, e del RerrzensTEIN, 
“ Nachricht. d. Gitt. Ges. der Wiss. ,, 1904, p. 324. 

(4) Vedi appendice, ni 46-99. 


A VT aaa I NN kN pRzooy o i!) oO Asa i U@Re3ee3eeR3ee e 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEU FILOPATORE 517 


documenti in cui ricorra la collocazione opposta: cinque papiri 


. demotici di Strasburgo (1) e forse anche un sesto (2), degli anni 


tra il 112/11 e l'88/87, ed un papiro greco del 106/5 (3). Ed 
è forse pericoloso il voler togliere di mezzo questi documenti 
considerandoli o errati, o copiati da liste anteriori al 116: questa 
ultima spiegazione cui si deve ricorrere secondo il Laqueur, 
benchè non si debba escludere, non è necessaria, ove si creda 
che anche tale posizione era legittima (4). 

Restano da spiegare alcuni casi di varia collocazione dei 
nostri due Tolemei. Un papiro demotico berlinese dell’anno 89 (5) 
pone Eupatore seguìto da Neo Filopatore prima di Filometore: 
sì può spiegare il caso, o ammettendo che lo seriba li ponesse 
l'uno accanto all’altro sapendoli fratelli, ed associati entrambi 


(1) Ibid., ni 23-27. 

(2) Ibid., n. 28. 

(3) Ibid., n. 10. 

(4) Il Lagueur anche qui esamina in disparte i papiri di Strasburgo e 
li pone fuor di questione pel fatto che provengono tutti dalla stessa località; 
ma non è chiaro come basti questo fatto per spiegar la presenza in tutti 
essi, e pur si tratta di un lasso di circa 25 anni, di una collocazione che 
sarebbe errata. Quanto al papiro del 106/5 egli lo considera copiato da 
un documento anteriore al 116, ma se pur si riconosce la possibilità di 
questo fatto, non mi pare che le prove che ne adduce il Laqueur siano di 
carattere assoluto. È vero infatti che vi è omesso Neo Filopatore come prima 
del 118, ma questo stesso avviene in un papiro demotico del 107/6 (vedi ap- + 
pendice, n. 46) ed in uno greco del 114/10 (vedi appendice n. 53). È vero che — 
sono omessi i Filometori Soteri, mentre si trovano nelle liste a partire dal 116; 
ma si tratta dei regnanti, che come vedemmo, e come ammette il Laqueur 
stesso (cfr. p. 40), possono esser nominati solo nella dedica e non nella lista : 
si vedano i casi analoghi di due papiri demotici di Strasburgo, uno del 95/4 
(vedi appendice, n. 26) ed uno dell’88/7 (ibid., n. 27). Che poi vi si trovi 
l'ordine: Filometore, Eupatore come prima del 116, vedemmo come fosse 
legittimo anche dopo di tale anno, e come altri cinque documenti degli 
anni 112/11-88/7 diano questo stesso ordine. Quanto ‘al plurale: @ewvy 
Edepretùv, esso ricorre in tutti i documenti enumerati in app. dal n. 83 
al 93, posteriori al 116. Per ultimo non prova nulla il fatto che manchi 
la formola iepoò mwiov “Iordoc uerding untpòc Bemv come prima del 116/15, 
poichè innanzi tutto non è sicuro che tale »«formola non fosse usata anche 
prima del 116/15, e poi il Laquevur stesso ammette che non si trova più 
dopo del 107/6, ed il nostro papiro appunto è posteriore a tale epoca (106/5). 

(5) Vedi però i dubbi del Laevevr, p. 49 sulla lettura fattane dal Lepsius. 
Vedi anche oltre. 


® 


y- 


LA 


pr. 


x 


518 LUIGI PARETI 


da Filometore, senza accorgersi che tale collocazione era giusta 
soltanto per il primo ; o anche pensando che si tratti di azione 
analogica esercitata da quei documenti, che anche dopo del 116 
ponevano, se non ufficialmente, almeno tradizionalmente dopo 
di Filometore l’uno accanto all’altro i nomi di Eupatore e Neo 
Filopatore, su quegli altri che invece ponevano Eupatore 
prima del padre (1). — Due papiri demotici pongono EKupatore 
prima degli Epifani (2), ma in primo luogo è noto come siano 
irregolari le collocazioni nelle liste di culto di Tolemaide (3) 
secondo cui essi sono datati, in secondo luogo si può credere 
che il ripetersi nella lista dei Tolemei dei nomi di Evergete I 
e II, di Filopatore I e II, di Filometore I e II, abbia potuto 
attrarre Eupatore, per errore, nel gruppo formato da quelli che 
per primi ebbero tali nomi. —Il Lepsius(4) dice che in due templi 
di Tebe ed in uno di Ombos ricorre il nome di Neo Filopatore 
dopo quello di Evergete. La cosa non sarebbe inesplicabile: si 
potrebbe pensare ad un errore dello scriba, indotto per ana- 
logia dalla posizione reciproca di Evergete I e Filometore I; e 
anche col supporre che partendo dalla data di assunzione si fosse 
posto naturalmente, morti entrambi, prima Evergete, perchè sa- 
lito al trono nel 170, e poi Neo Filopatore perchè nel 146/5. Ma 
ho dei forti dubbi sulla reale esistenza delle liste con tale col- 
locazione. Il Lepsius rimanda alla Tav. V, unita al suo studio, 
in cui riproduce le varie liste, ma in nessuna tra esse, se pur 


è non si tratta di insufficienza mia, ravvisai Evergete prima di 


Neo Filopatore, e neppure ne trovai esempio nella grande pub- 
blicazione dei Denkmdler (5). 

(1) Tale spiegazione fu già addotta, sebbene sotto forma alquanto di- 
versa, dallo Srrack, op. cit., 177 n. 2. Il LaQueuR, p. 49 respinge la spiega- 
zione dello Strack perchè crede improbabile che i documenti del 119-116 
influissero su quelli dell’89: e spiega il fatto come un errore. Errore v'è 
certamente, ma mi pare che la causa di esso proposta dallo Srrack regga, 
e perchè non è dimostrato che non potesse influire su di un documento 
dell’89 uno del 119-116, e meglio perchè non è dimostrato che la colloca- 
zione: Filometore, Fupatore, non si trovi anche dopo del 116. 

(2) Vedi appendice, ni 101-102. 

(5) Vedi Lepsrus, op. cit.; StRrAcK, p. 180 n. 2; BoucHné-LecLeRrce, op. cit., 
Med 2. 58 n, 

(4) Op. cit., p. 468. 

(5) Denkmiler aus Aegypten und Aethiopien, (1849 sgg.), vol. IX: Denk- 


miiler der Ptolemiier und rim. Kaiser. — Si cfr. quanto scrisse lo stesso 


——————————————————————————_È@ 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 519 


è 


Dall'esame dei documenti; mi pare si possa concludere, che 
la ipotesi che presento, come probabile soluzione dei problemi 
relativi ad Eupatore ed a Neo Filopatore concili e spieghi tutte 
le notizie che ci pervennero su di essi. E se torniamo al punto 
donde abbiam preso le mosse vediamo : che non erravano Stra- 
bone ed Ateneo, quando consideravano Evergete II come settimo 
dei Tolemei, poichè tra Tolemeo Filometore sesto e lui non aveva 
regnato nessuno, ove si ponga regolarmente al 170 l’inizio del 
suo regno ; che invece Sparziano ed Eusebio dicendo ottavo dei 
Lagidi Evergete, dovevano computare tra Filometore sesto ed 
Evergete ottavo, appunto Neo Filopatore come settimo; che 
infine Pausania dicendo ottavo Filometore Sotere II, non com- 
putava Neo Filopatore, il quale non regnò mai da solo. 

Se poi, per chiudere il mio lavoro mi presento la domanda, 
quale notazione numerica dobbiamo far corrispondere ai Tolemei 
che studiammo, mi pare che la soluzione migliore sia di dare 
l'appellativo di sesto a Filometore, e di settimo ad Evergete, 
senza introdurre nella lista dei Tolemei, nè Eupatore, nè Neo 
Filopatore, i quali, come vedemmo, non ebbero un regno da sè (1). 


= 


Lepsrus, Briefe aus Aegypt., p. 410: Neo Filopatore... 
glyphischen Inschriften in der Reihe der iibrigen Ptolemier an seinem 
Platze zwischen Philometor und den Euergeten besonders genannt... Unter 
vierzehn hieroglyphischen Ptolemiierlisten welche wenigstens bis zu den 


vier andern Listen, in denen sein Name erscheinen konnte, wird er îibe 
gangen.... , 

(1) Im questo mi accordo colla vecchia enumerazione, e col nuovo indi- 
rizzo segnato dal Nixse, op. cit., III, p. 266 n. 4 e dal Boucné-LecLERca, op. cit., 
V, 324. 


R 


wird in den hiero-\ 


f 


Li 


LI 


i 


zweiten Euergeten herabgehen, fiihren sieben den Philopator II auf; in, 


520) LUIGI PARETE 
APPENDICE 
x END C 


Posizioni varie dei nomi di Fupatore e di Neo Filopatore nei documenti. 


d 


I Categoria. 
I Serie: FiLomerore, EupatrorE. 


1. (Prima del 145) P. G. (1): Amherst Pap., II, 45 (2). 


II Serie: EpirANI, FrLomerore, EupatoRE, EvERGETI. 


2 142/I P. D. Berl. 3113: N. Chrest., 65, 79= SprecELB., p. 11 (4). 
3'‘139/8 P. G. GrenreLt, II, 15 (5). 

4 137/6 P. D. Berl. 3098: SpreeeLe., p. 11. 

5. 134/3 P. D. Berl. 3080: N. Chrest., 157 = Spreeet., p. 13. 

6 128/7 P.:G: B:1G. U.993.(6): 

7. 126/5 P. G: Stud. a. Pal., ete., IV, p. 53 (7). 

Sa 120/19 |P. Did Cresta 18: 

9 [145-116] P.G. GrenreLL, I, 24 (8), in lacuna; Evergete al singolare. 
10 106/5 P. G. LerMANS, N (9). 

III Serie: EprranI, FiLoMETORE, EUPATORE, ........... , EveraETI (10). 


3011 128/7  P.D. Leyd.: “Rev.,, I, 180 (11). 
12 127/6 P. D. Louvre 2420: Chrest., 358 (12). 


‘ (1) P. G.= papiro greco, P. D. = papiro demotico, Iscr. Ger. = iscri- 
poro geroglifica. 
82) Editi da GrenreLr e Hunr, IT, 1901. A: 


% ® (3) RevruLour, Nouvelle Chrestomathie démotique, Paris, 1878. 

(4) SpieceLsere, Demotische Papyrus aus den Kéònigl. Mus. zu Berlin, 
Lipsia e Berlino, 1902. 

(5) New classical fragments, ete., (= Greek Papyri, II), Oxford, 1897. 

(6) Aegyptische Urkunden aus den Kgl. Mus. zu Berlin: Griechische Ur- 
kunden..., vol. I, II, III e parte del IV, Berlino 1892-1907. 

(7) Studien zur Paltiographie und Papyr.. I-VI, (WesseLy). 

(8) An Alerandrian erotic fragment, ete., Oxford, 1896. 

(9) Lermans, Papyri graeci mus. antiquarii publici, ete., Lugd. Batav., 1843. 
In questo documento manca Neo Filopatore. Non si tratta probabilmente 
che di omissione dello scriba, come nei n' 46 e 53. 

(10) Vedi Srrack, “ Ath. Mitt. ,. XX, p. 344. Pare dubbia però l’esistenza 
di questa lacuna nei nn. 15, 16, 21. 

(11) © Revue égyptologique ,, Paris, 1880 sgg. 

(12) ReviLLour, Chrestomathie démotique, Paris, 1880 = Études égypto- 
logiques, 13-16 livrais. 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 521 
bad 


P. D. Torin. 174.23 N. Chrest., 103. 
2 P. D. Berl. 3099: WO4rest., 312 = SpIgGELB., p. 12. 
P. D. Louvre: Chrest., 303. 


17 [128-120] P. D. Vienna 26: N. Chrest., 89. 


18 127/6 
14 
125/4 
15 | 
16 125/4 
18 : 
19 ) 


2 P. D. Louvre 2410, 2418: Chrest., 85. 


20 119/18. P. D' Berl, 3102: N. Chrest., 148 = SeieeetB., p. 14. 


IV Serie: EprranI, FiLomerore, Euparore, NEO FILOPATORE, 


214 


2) 


119/18 


EveRGETI. 


2 P. D. Berl. 3101 A, B.: N. Chrest., 59 = SPIEGELB., p. 13. 


V Serie: EriranI, FiLometorE, EuratorE, NEO FILOPATORE, 


23 112/11 


24 107/6 
25 100/99 
26. 95/94 
27. 88/87 


EvERGETI. 


P. D. Strasb. 7: SeiecELB., p. 2 
P. D. Strasbh. 6: SprecELB., p. 25 
P. D. Strasb. 43: SrirGELE., p. 2 
P. D. Strasb. 44: SPIEGRLB., p. 30. 
P. D. Strash. 8: SpieerLB., p. 32. 


(1). 


da 


I 


VI Serie: EprranI, EupatoRE, Neo FiLopratoRE, EVERGETI. 


28. 105/4 


P. D. Strash. 9: SpirGELB., p. 22 (2). 


II Categoria. 


I Serie: EpiranI, EuratoRE, FILOMETORE. 


29 (150-146) Stela d'origine incerta, ora al Louvre: StRrAOK, n. 95 (3) 


30 


31 1 150 


= DIrtENB., 0. G. I., 111 (4). 
2 P. D. Berl. 3097, 3070: SpreceLB., tav. 15-16 e pag. 9. 


32 150-146  P. Bilingue 218 Bibl. nat.: Chrest., 62. 


33 146 


P. D. Berl. 3119: SpirceLB., p. 10. 


(1) SpreceLsere, Die demotische Papyrus der Strassburg. Bibl., Strass- 


burg, 1902. 


(2) Filometore, come osserva a ragione il LaQuEUR, op. cit., p. 34, non 
vi è nominato per pura omissione dello scriba. 

(3) SrracKk, Die Dynastie der Ptolemier, Berlin, 1897: Appendice: Samm- 
lung griechischer Ptolemiter-Inschriften. 

(4) DrrrenpercER, Ortentis graeci Inscriptiones selectae, 1, Il, Leipzig, 


1903-1905. 


li 


522 LUIGI PARETI. 


34 150-146 P.G. GRENFELL, I, 12. 

35 149/8 P. G. GRENFELL, I, p.24 (pubblicato in parte). 

36 146/5 P. D. 'lorin.: PerRon, in “ Mem. Acc. Scienze di Torino ,, 
5; 


io. 150. 
37 Iscr. Ger. di File: Lepsius (1), Tav. V, n. 3 = Denkm., 
IX, 39. b (2). 
38 Iscr. Ger. di File: Lepsius, Tav. V, n. 4=Denkm., 39 a. 


Il Serie: EpiranI, EupatoRrE, FiLomeroRE, EvERGETI. 


39 (145-116) Iscr. di File: Smack, n. 103 = C. I. Gr., 4896=-D1rTENB., 
0: G. L.,A349. 

5 Pai 2 P. D. Berl. 3090-3091: N. Chrest., 32 = SPIEGELB., p. 12. 

42 140/39 P.G. Tebtunis pap., I, 6 (3) (Filometori al plurale). 


43. 1538/7 P. G. Amherst Pap., II, 44 (in lacuna). 


44 131 P. D. Louvre (?): “ Rev. Egypt. ,, I, 91. 

45 125 P. G.: Greek Pap., IMI, p. 7, n. 879 (4). 

46 107/6 P. D. Berl. 3104: N. Chrest., 21 = SPIeGELB., p. 16 (5). 

47 Iscr. ger. di File: Lepsius, Tav. V, n. 5—=Denkm., IX, 36. 

48 e 49 2 Iscr. ger. di Dakkeh: Lepsius., Tav. V, n. 6 = Denkm., 
II 98 os 

50 Iscr. ger. di Karnak: Lepsrus, Tav. V, n. 7. 

51 Iser. ger. di Karnak: Lepsrus, Tav. V, n. 8 = Denkm., 
IX, 36 e. 

52 Iser. ger. di Karnak: Lepsrus, Tav. V, n. 9 = Denkm., 


IX, 36 d. 


III Serie: EprranIi, Euparore, FiLomerore, EvERGETE. 


59 114/83 P. G. Casati = Parig. 5: BrunET DE PRESLE, p. 130 (6). 


(1) Lepsius, “ Abh. Berl. Ak. ,, 1852. 

(2) Vedi indietro. 

(3) The Tebtunis Papiri, GrenreLL, Hunr, SmyLy, I, 1902; GRENFELL, 
Huxr, Goopsreen, II, 1907. Per il plurale vedi la spiegazione che ne dà il 
BovcÒi-LecLeRco, op. cit., III, 53 n. 1, contrariamente al GrenreLL ed al 
Lagueur che lo considerano errato. 

(4) Kewnvowx, Greek Papyri in the British Museum, 1, 1893; IT, 1898; IIT, 1907. 

(5) Vedi indietro. Lo Spiegelberg lo data al 103 a. C. 

(6) Bruner pe Presce, Papyrus grees du Musée du Louvre, in £ Notices 
et extraits des mss, ,, XVIII, II, 1865. Per questo papiro vedi indietro. 


RICERCHE SUI TOLEMEI EUPATORE E NEO FILOPATORE 523 


IV Serie: Epirani, Euparore, Firomeroze, Neo FiLoparoRE, EvERGETE. 


54 115 apr. Stela di Assuan IV: SrRrack, n. 140 —DirteNB., 0. G. L, 
168. II, p. 545 — Wircken, “ Archiv. f. Pap. ,, II, 
pp. 325-834 (1). 

55 115 sett. Stela di Assuan II: ibid. 

56 115 sett. Stela di Assuan III: ibid. 


57 115/14 P.G. GrENFELL,I, 25. 

58 115/14  P.G. Strasb. 59: Laqueur, o. c., p. 34. 

59 115/14  P.G. Strasb. 62: LaQurur, o. c., p. 33. 

60 114/13 P. G. GRENFELL, II, 20. 4 
61 114/18  P.G. Strasb. 56: LaqueuR, o. c., p. 33. nd 
62 113 P. G.: Greek Pap. (Kexvon), III, p. 8, n. 880. 

63 113 P. G.: Greek Pap. (Kenyos), III, p. 10, n. 1204. 
64 113 Pio Be 994. 

65 113/12 . P.G. Rrrxacg, L.9(2). 


66 112 Iscr. bilingue, ora al Cairo: StRAcK, “Arch. f. Papyr. ,, 
II, 551 n. 33 = DITTENB., 0. G. I., 739. 


67 112/11 PG. Strash. 57: LaQueur, o. c., p. 38. 

68 111 P. G. REINACH, I, 10. 

69 110 P. G. ReInAcH, I. 14. , 

70 110/9 P.G. GrenveLL; I. 27. 

71 110/9 PeGuaabi Gioti; 995, 

12 109 P. G. ReinacH, I. 15. 

73 109 P. G. RermaCcgH, I. 16. 

74 108 P. G.: Greek Pap. (Kenvovx), II, p. 12, n. 881. 

75 108 P. D. RernacH-SpiecELB., I, n. 4. 

76 108 P. G. ReINACH, I. 20. 

77 107/6 Ei ai., 9960.(3). 

78 105 P. G. ReINACH, I, 23. 

79 105 P. G. ReINACH, I, 24. 

80 Iser. ger.'di Ombos: LePsrus, 0. ci Tav. V, n. 15° 
Denkm., 49. a (4). 

81 Iscr. ger. di Ombos: Lepsius, 0. e., Tav. V, n. 16 (5). 

82 Iser. ger. di Ombos: Lepsrus, o. c., Tav. V, n. 17. 


(1) Im questo documento i Filometori sono al plurale: vedine la spiega- 

zione del Laqueur, op. cit., p. 39. 

(2) Rermaca, SpreceLBere, De Ricci, Papyrus grecs et démotiques, I, 1905. 

(3) Vi è detto: ... kai Beod eùnATOpOG, Kal Beod puountopog véou, kai 
Beoù edeprétov.... Evidentemente lo scriba omise Filometore per il fatto 
che cominciando entrambi con quo- passò senza avvedersene dal 1° al 2°, 
cosicchè pose accanto al nome di Filometore l'appellativo di neo. Vedi 
anche LaQueur, op. cit., p. 32. 

(4) Manca Filometore. 

(5) Lacuna fino a Neo Filopatore, leggibile in parte. 


524 LUIGI PARETI — RICERCHE SUI TOLEMEI, ECC. 


V Serie: EpiranI, EupatoRE, FirLometoRE, NEO FILOPATORE, 
EvERGETI. 


83 114/13  P. D. Berl. 3103: N. Chrest., 121 — SPIeGELB., p. 15 (1). 
84 DIRI ), 
2 : Chrest., 401. 
85 112/11 | D. Gizé: Chrest., 401 
86 110 P. D. Rernacg, I. 1. 
87 104/383?  P. D. Berl. 3105: N. Chrest., 20 = SPIEGELB., p. 15. 
88 104/3 P. D. Berl. (?): N. Chrest., 20. V. Laqueuk, 0..c., p. 88. 
89 I 
$ Lao 2 P. D. Louvre 24862, b: Chrest.; 110. 
91° 99/8 P. D. Berl. 3106: SpreceLB., p. 16. 


92 89 P. D. Torin.: “Abh. Berl. Ak. ,, 1852, p. 462 (Filometori 
al plurale). 

93 Iscr. ger. di Karnak: LePs1vus, o. c., Tav. V, n. 10 (2). 

94 Iscr. ger. di Karnak: LrePsrvs, o. c., Tav. V, n. 11 (3). 

95 Iscr. ger. di Karnak: Leps1us, o. c., Tav. V, n. 12 (4). 

96 Iscr. ger. di Karnak: LePsI1us, 0.c., Tav.V,n.18=Denkm. 37a. 

97 Iscr. ger. di Ombos: Lepsrus, o. c., Tav. V, n. 14 (5). 


VI Serie: EpiranI, EupatoRE, FiLowerorE, Neo FILOPATORE, 
EvercETE, DEA FILOMETORE. 


98 109/8 P. D. Vatie. è “Rev.,, III, 25=SPIEGELB.,.“Rec.,; 
99 109/8 P. D. New-York 375 | XXV, p. 18 (6). 
VII Serie: EupatorE, Neo FiLopaTORE, FILOMETORE...... 
100 89 P. D. Berl. (16 secondo la numerazione del Lepsius): 
LePsIvus, o. c., p. 468. 493, Tav. X, 32. 
VIII Serie: EupATORE, EPIFANI ....... 
101 150 gsenn. P. D. Berl.: SpreceLB., Tav. 15-16 e pag. 9. 
102 146 P. D. Berl.: SpiecELB., Tav. 17-18 e pag. 10. 


(1) Il Lepsius, “ Abh. Berl. Ak. ,, 1852, pp. 468 e 493 vi aveva letto 
Neo Filopatore prima di Filometore come in questa appendice, n. 100. Ne 
dubitò lo SrRacK; op. cit., p. 117 ed i suoi dubbi furono confermati dalla rie- 
dizione dello SpreceLsere. Vedi LaqueuRr, op. cit., p. 49. 

(2) Neo Filopatore si può leggere, benchè il passo sia lacunoso. 

(3) Il nome di Neo Filopatore è leggibile, quello di Evergete è in lacuna. 

(4) Lacuna fino ad Eupatore. 

(5) Lacuna fino ad Fupatore. 

(6) “ Recueil des travaux relatifs è la philologie et à l’archéol. égypt. 
et assyr.,, XXV, 1903. 


CESARE TRAVAGLIO — LA SCRITTURA LATINA VOLGARE, ECC. 525 


La scrittura latina volyare 
nei papiri dei primi cinque secoli dopo Cristo. 


Nota del Dr. CESARE TRAVAGLIO. 


Pochi sono i monumenti dell’antica scrittura latina che il 
tempo ci ha conservati quali documenti irrefragabili delle ten- 
denze grafologiche dei primi secoli dell'Era volgare. Documenti 
però importantissimi sotto ogni riguardo ne sono senza dubbio 
i papiri, dacchè in essi più che non incisa sul bronzo si rivela 
evidente la tradizione del linguaggio d’un popolo. E così è dei 
papiri latini. La lenta e pur continua opera di distruzione, che 
il corso di tante età così tra loro diverse ha compiuto sui di- 
versi capolavori dell’arte antica, segnò parimenti il suo fatale 
passaggio sulle opere della letteratura; tuttavia non potè del 
tutto sopprimere questi antichi monumenti grafici, i quali anzi, 
rivelandosi al mondo in un tempo di così affannosa ricerca com'è 
il nostro, sono venuti ad assumere un'importanza forse più unica 
che rara nell’ambito della letteratura antica. 

È noto che la coltura dei primi tempi dell’Evo volgare ebbe 
a svolgersi in un’orbita essenzialmente, profondamente romana, 
sia per lo spirito della legislazione come per le imprese contem- 
poranee; ed è pur noto del pari che una tale coltura fu im- 
portata nelle provincie dell'Impero nel momento fortunato in 
cui, in seguito alla conquista immediata, si affermava il predo- 
minio romano. Laonde i provinciali dell'Impero, che di tale 
importazione ed influenza da parte di Roma ebbero a subire una 
parte ben più notevole che non i loro stessi dominatori, dovet- 
tero pure seguitarne man mano lo sviluppo che compievasi nei 
loro paesi. Perciò — a poco a poco — mercè la politica pro- 
digiosa dei loro governanti, attesero a modificare l’antico indi- 
rizzo del pensiero indigeno, attratti sempre più in quello accen- 
tratore dei Romani. Ma d’altra parte (è ovvio il pensarlo) coloro 
che lasciavano il paese ov’eran nati, per servire nell’esercito 


e» 


v 


n20 CESARE TRAVAGLIO 
ed avviarsi nelle lontane provincie per una dimora alquanto pro- 
lungata, non potevano evidentemente nel nuovo paese conservare 
a lungo le tendenze e le attività della madre patria, trovando 
un complesso di dati e di fatti in opposizione alle abitudini pre- 
cedenti. Ond'è che se nei costumi e nei rapporti sociali il legio- 
nario romano, pur conservando il suo carattere, non poteva 
dimostrarsi troppo restio alle consuetudini della provincia in 
cui dimorava, coll’andar del tempo il suo stesso linguaggio 
doveva risentire delle mutate condizioni di vita. Di qui tutti 
quei cambiamenti della lmgua parlata che sarebbero passati a 
noi inosservati e si sarebbero perduti affatto se solamente fossero 
stati affidati alla tradizione orale, ma che son rimasti invece 
documento di gran valore per l'evoluzione fonetica della lingua 
latina nelle provincie, essendosi conservati in modo da riprodurre 
intatto e sicuro il pensiero fuggente che li aveva manifestati. 
Tale è appunto l’importanza che hanno oggidì per noi i papiri 
— purtroppo frammentari — che portano le traccie dell’antica 
scrittura latina (1). 

Scarso invero è il loro numero, e questo ancora deve ridursi 
di non poche unità, qualora si vogliano adoperare i papiri per 
lo studio limitato della lingua latina tal quale era parlata nelle 
provincie, siccome è l'argomento del quale c’intratteniamo. Oc- 
corre infatti a tal uopo prescindere da quei documenti che per 
la natura degli scritti che contengono possono aver subìto, 
anche indirettamente, l'influenza della scuola contemporanea, come 
sarebbero, a mo’ d'esempio, i papiri letterari propriamente detti, 
che riportano brani d’autori accuratamente trascritti o citazioni 
giuridiche fedelmente riprodotte. Ma solo fondandosi su documenti 
la cui indole sia schiettamente volgare, senza influsso dottri- 
nario di sorta, tornerà possibile la presente ricerca, la quale 
tende sostanzialmente ad assodare quale fosse l’impronta carat- 
teristica della scrittura e per conseguenza della pronunzia di 
alcuni elementi costitutivi della latinità volgare. 

E — anzitutto — ci sia lecito di riportare qui in seguito 
per ordine cronologico la serie dei papiri latini che fanno al 
caso nostro. 


(1) Riservo ad un altro mio lavoro, di prossima pubblicazione, la trat- 
tazione completa dell’argomento. 


——- E; —- ——————rrrTrrr—tTÉ_@_mÒv———11————1zxp»’’ 


N° 


N° 


N° 


N° 


N° 


N° 


LA SCRITTURA LATINA VOLGARE NEI PAPIRI, ECC. 527 


1. — Frammento d’una lettera famigliare di un legionario romano, 
degli anni 17-14 av. Cr. — v. CarLo WesseLy, Sehrifttafeln zur 
dlteren lateinischen Paliiographie, tav. 1, n. 1. 


2. — Frammento contenente due lettere famigliari di un legionario 
romano in Egitto. Dai caratteri di alcune voci greche ivi ripor- 
tate si ritiene che sia stato scritto al tempo -d’Augusto. — 
v. In., Schrifttafeln, ete., tav. 1, n. 2. 


3. — Frammento di una lista di soldati romani residenti in Egitto, 
dell’anno 1 p. Cr. — v. B. GrexreLr & J. Hunt, The Oxyrhynchus 
Papyri, vol. IV, n. 787. 


4. — Tre frammenti concernenti l’amministrazione militare in Egitto 
degli anni 98-99 p. Cr. — v. J. Nicore & Ca. MoreL, Archives 
militaires du premier siècle. Genes, 1900, vol. I 


5. — Frammento di una lunga lista di soldati romani appartenenti alla 
legione II Cirenaica e XXII. Anno 108 p. Cr. — €. WesseLy, 
Schrifttafeln, ete., n. 8. 


6. — Frammento contenente un elenco di soldati e di tribuni mi- 
litari. Anno 140 p. Cr. — v. Aegyptische Urkunden der Kén. 
Museen zu Berlin, vol. II, n. 7428. 


-1 


— Scarso frammento in cui è contenuta una lista di legionari. 
Anno 143 p. Cr. — v. C. Wesseny, Schrifttafeln, ete., n. 9. 


8. — Frammento di una leva militare, scritto in due colonne, in 
caratteri nitidi. Anno 156 p. Cr. — v. T. Mommsen, Ephem. 
Epigr., vol. VII, pag. 457; C. WesseLy, Schrifttafeln, ete., n. 6; 
Aegypt. Urk. Kn. Museen, vol. II, n. 696. 


9. — Frammento di un atto notarile in cui è ricordata la compera € 
di uno schiavo in Siria, nell’anno 166 p. Cr. — v. 0. WesseLy, 
Schrifttafeln, ete., n. 7. 


10. — Frammento di una lettera famigliare scritta nell’anno 167 
p. Cr. — v. GrenreLL & Hunn, Greek Papyri, ser. II. Oxford, 
1897, n° 108; C. Wesseny, Schrifttafeln, ete., n. 10. 

11. — Frammento di un elenco di legionari seritto in tre colonne, 
dell’anno 180 ‘p. Cr. — v. Bern. GrenreLL, Fayum towns and 
their papyri, 1900. 

12. — Frammento di una lettera indirizzata da un soldato romano ad 
un tribuno militare, probabilmente del Sec. II p. Or. — v. GRENFELL 
& Hunt, The Oxyrhynchus Papyri, vol. I, n.32; Tamassia e SETTI, 
(* Atti R. Istit. Veneto ,, 1900, pag. 64); C. WesseLy, Schrift- 
tafeln, etc., n. 50. 


528 


N° 


N° 
N° 


N° 


N° 
N° 
N° 


N° 


N° 


N° 


N° 


N° 


13. 


14. 


19. 


20. 


21. 


22. 


24. 


25. 


26 


CESARE TRAVAGLIO 


— Frammento contenente una serie di operazioni concernenti 
probabilmente la contabilità militare del Sec. II p. Or. — Vedi 
C. WesseLy, Schrifttafeln, ete., n. 14. 


— Frammento di una lista di persone (schiavi?) probabilmente 
del Sec. II p. Cr. — v. GrenreLL, Huowr & GoonsereD, Tebtunis 
Papyri, 1907, n. 687. 


. — Frammento di un contratto tra Sesto Fusco ed un tal Pseu- 


kebkis, dell’anno 20/21 p. Cr. — v. In., op. cit., n. 586. 


. — Frammento di una lista di pagamento del Sec. II-III p. Cr. — 


V. Ip., Op. Git., 1. WSbs 


. — Frammento contenente un elenco di soldati romani e bar- 


bari, composto nell’anno 205 p. Cr. — v. GrenreLL & Hunt, 
op. eit., vol. IV, n. 785. 


. — Frammento di una lettera famigliare scritta nell’anno 243 


p. Cr. — v.J. NicoLe (“ Revue de Philologie ,, 1896, vol. 20). 


— Frammento d’indole incerta, del principio del Sec. III p. Cr. 
— v. GrenreLL & Hunt, op. cit., vol. I, n. 30. 


— Frammento contenente vocaboli sreci e latini, dell’anno 247 
p. Cr. — v. I., op. cit., vol. IV, n. 720. 


— Frammento di una ricevuta dell’anno 293 p. Cr. — Vedi 
GrenreLL & Hunt, Greek Papyri, Ser. II, n. 110; C. WrsseLy, 
Schrifttafeln, ete., n. 12. 

— Frammento di una stipulazione (?) tracciata in greco ed in 
latino al principio del Sec. III p. Cr. — v. C. Wessenv, Schrift 
tafeln, etc., n. 23. 


. — Frammento scritto in greco ed in latino contenente una sti- 


pulazione dell’anno 321-322 p. Cr. — v. H. BressLau, “Archiv 
fiir Papyrusforschung und verwandte Gebiete ,, vol. III (1905), 
fasc. 3. 


— Scarso frammento in cui si legge solo la data dell’anno 396 
p. Cr. — v. C. WesseLy, Schrifttafeln, etc., n. 19. 


— Frammento di una lettera famigliare scritta da un legionario, 


probabilmente nell’anno 362 p. Cr. — v. H. BressLav (“Archiv 
firm Papyrusforschung, etc. ,, vol. III, 1904, fase. 2). 
e N° 27. — Due scarsi frammenti contenenti il saldo di una 


ricevuta dell'anno 398 p. Cr. — v. 0. WesseLy, .Schrifttafeln, etc., 
nead7ee n. 18. 


# 
ta 


LA SCRITPURA LATINA VOLGARE NEI PAPIRI, ECC. 529 


N° 28. — Frammento di una favola di Babrio trascritta da un ama- 
nuense poco esperto della lingua latina; contiene però spropositi 
interessanti per la fonologia nel See. IV (prob.) p. Cr. — Vedi 
GrenreLL, The Amherst Papyri, vol. II, n. 26. 


N° 29 — Scarso frammento di una lettera latina scritta probabilmente nel 
Sec. IV p. Cr. — GrenreLL, Hunt & GoopspeED, op. cit., n. 688. 


N° 50. — Frammento di un glossario greco-latino ad uso dei viaggia- 
tori, composto probabilmente nel Sec. IV p. Cr. — v. J. Bruner 
pe Preste, Notices et Extraits des MSS. de la Bibliothèque impé- 
riale de Paris, vol. XVIII, n. 165 ; In., In., recensiti da Pa. HaasE; 
Fr. BvurecHeLER (“ Jahrbiicher fiir Philologie, 111(1875), p. 309); 
Loewe-Giorz, Corpus Glossariorum Latinorum, v. II, pag. 563; 
O. WesseLy, Schrifttafeln, ete., n. 20. 


N° 31. — Frammento di un glossario greco-latino seritto con caratteri 
greci probabilmente nel Sec. IV p. Cr. — v. J. Kenvon, Greek 
Papyri, n. 481. 


N° 52. — Frammento di un glossario greco-latino composto assai ve- 
rosimilmente nel Sec. V p. Cr. — v. TH. Bernp (“Rheinisches 
Musenm,, vol. V (1837), pag. 301); C. WesseLy, Sehrifttafeln, etc., 
num. 44. 

«Ta 


Trentadue frammenti, di cui la maggior parte è logora e 
guasta, ecco l’unico retaggio sinora a noi pervenuto del latino 
volgare parlato nelle provincie, specialmente in Egitto: patri- 
monio scientifico senza dubbio scarsissimo. quasi insufficiente 
qualora si pensi a quel periodo così segnalato della coltura 
antica in cui i Romani si erano accorti di una doppia via che 
loro si affacciava, o di calcare le orme antiche o di procedere 
risolutamente nel cammino del rinnovamento. Era allora il tempo 
in cui i Romani nell’ambito della stessa loro lingua parlata ave- 
vano già sentito il bisogno di seguitare o l’una o l’altra delle 
due vie, cosicchè, rendendosi seguaci o dell’una o dell’altra, affi- 
davano inconsapevolmente il loro modo diverso di pensare e di 
scrivere alla scrittura giornaliera, a seconda dell’uso o del gusto 
di ciascuno. 

Il che facilmente noi siamo indotti a ritenere pel fatto che 
in documenti di natura tutt'altro che dotta o letteraria. in 
documenti di scrittura comune, quotidiana, si hanno ad osser- 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 39 


530 > CESARE TRAVAGLIO 


vare forme affatto speciali: indizi questi irrefragabili della doppia 
tendenza che allora agitava le menti. 

Convien dunque porgere, almeno nei tratti più evidenti, un 
quadro sufficientemente completo di tali texunpia, considerandoli 
però a seconda dei principî diacritici oggidi adottati dagli stu- 
diosi di filologia latina. 


Elementi grafici dell'alfabeto. — '’'ra le varie particolarità che 
vi si possono agevolmente considerare, notiamo che la lettera Y, 
straniera all'alfabeto latino, è conservata assai spesso nelle voci 
trascritte dal greco: così nel sec. I p. Cr.: ryorsco = n° 2: nel 
sec. II: cvrr= n° 5; pIonYsIvs = n° 7; HERMACISAPYNI == n° 8; 
pIonYsI = n° 14; HvyLEos = n° 16. — La si riscontra pure nel 
sec. III in: PHRYGIA = n° 19; nè difettano della stessa i papiri 
del sec. IV, come, p. es.: DyscoLi == n° 24; EYyTYCHIANI = n° 26. 
Un tale uso che si tramanda ancora nel sec. V in abbondanti 
esempi, che qui appena mette conto di accennare, è notevole 
in special modo per-la pronunzia della Y greca nel latino pro- 
vinciale dei primi secoli dopo Cristo. 

Quanto poi alla lettera Z, straniera come la precedente alla 
lingua latina, possiamo arguire che della medesima si servis- 
sero continuamente i provinciali romani nella trascrizione dei 
nomi greci che la contenevano, nè mai avessero pensato di 
sostituirla con un segno grafico diverso da quello che la tra- 
dizione costantemente ci ha tramandato. Vero è che nessuna 
traccia purtroppo della Z a noi è sinora pervenuta dai papiri 
del sec. I; però nel sec. II abbiamo a menzionare: zENoN = n° 5. 
— Mancano altri esempi nelle età successive; tuttavia è più che 
ovvio il supporre che — nei primi cinque secoli almeno — la 
pronunzia della lettera Z fosse tale nella provincia romana d'E- 
gitto, da non poter essere scambiata facilmente nella scrittura 
con un altro suono dell'alfabeto latino, siccome si volle preten- 
dere da alcuni grammatici, troppo ligi alla tradizione arcaica 
(cfr. Velio Longo, Gramm. Lat., ed. Kei, VII, 21). 


Anche i papiri ci confermano pure indirettamente la scarsa . 
diffusione che ebbero nelle provincie dell’ Impero quei nuovi 
caratteri alfabetici che la fantasia di un imperatore gramma- 
tico, Ti. Claudio, aveva escogitato. Mancano affatto esempi del 


LA SCRITTURA LATINA VOLGARE NEI PAPIRI, ECC. 531 


segno 9 per indicare con una sola lettera la Y dei Greci; altret- 
tanto possiam dire riguardo alla espressione grafica t signifi- 
cante un suono intermedio tra la I e la U. Nè tampoco ci fu 
dato di rintracciare nei nostri documenti un vestigio del terzo 
segno 4 usato ad indicare la pronunzia della V consonante. 

Notevole è poi il fatto che nei nostri papiri, specialmente in 
quelli dei primi due secoli, trovasi indifferentemente usata la 
scrittura della I sia normale (I) che allungata (]) ad indicare 
tanto la vocale pura e semplice quanto la I in funzione di con- 
sonante. Convien dunque ritenere che l’uno e l’altro segno gra- 
fico servissero allora al medesimo scopo. 

Solo nei papiri letterari si riscontrano esempi degli espedienti 
cui si ricorreva ai tempi d'Augusto per esprimere la funzione 
consonantica distintamente da quella vocalica, raddoppiandone 
cioè la scrizione. 


{ 
Ma di ciò — ripeto — difettano i nostri documenti volgari. 


Quanto all'uso degli apici ben poco possiamo affermare; ci. 


pare abbastanza probabile l'opinione che tali segni grafici fos- 
sero adoperati piuttosto dai dotti che non dal popolo minuto, 
il quale, sebbene fosse notevolmente partecipe della coltura co- 
mune, tuttavia, come sempre, non badava troppo a che le modi- 
ficazioni della lingua scritta e parlata, volute dai grammatici e 
dai retori, venissero sempre rispettate. Di ciò invero può sug- 
gerir conferma il fatto che nei nostri documenti non si riscontra 
traccia veruna di apici. Del resto è noto che nei sec. III, IV 
e V l’uso di siffatte note scrittorie venne man mano scompa- 
rendo: solo qualche vestigio isolato si può osservare ancora in 
qualche tarda iscrizione. 


È noto del pari che gli antichi per significare la vocale 1 lunga 
(in prosodia) scrivevano per lo più un apice sopra la medesima, 
nei primi tempi dell'Impero: però in età più remote facevano 
uso del nesso er. Nel rifiorire dell’arcaismo, ai tempi d'Augusto, 
ne troviamo ancora esempi, in special modo nelle iscrizioni uf- 
ficiali, tanto da giustificare l’asserto di un grammatico del 
sec. IV, Mario Vittorino, secondo il quale una tale usanza sarebbe 


durata assai lungamente (v. Gramm. Lat., ed. Ke, VI, 8, 14). 


€ 


É 


532 CESARE TRAVAGLIO 


A confermare siffatta opinione stanno notevoli tracce di tale 
grafia che si riscontrano precisamente in un papiro dell’età 
augustea, in una voce ripetuta per ben quattro volte: con- 
pverei = n° 1. — Ora, una simile rappresentazione grafica 
della 1 lunga ci fa arguire ad evidenza una pronunzia della 
medesima non del tutto conforme a quella della 1 comune o 
breve; il papiro che la contiene è poi tale per sua natura che 
torna impossibile il ravvisare in esso l’influenza di alcuna scuola 
speciale. Nei secoli successivi, mancano del tutto esempi di tale 
arcalsmo. 


Nulla possiam dire dell’uso del sicilico, del quale non si ha 
traccia alcuna nei nostri documenti, come pure in essi mancano 
esempi di quelle notazioni tachigrafiche tanto in uso nei primi 
secoli dell'Era volgare: vi si leggono solamente la solite abbre- 
viature dei nomi proprii e quelle delle date come, p. e., K ov- 
vero xAL= kalendas, di ben scarsa importanza. 


Vocalismo. — Se è vero che nelle lingue nostre l’anima — per 
così dire — di una parola sta tutta nella espressione fonetica 
delle sue vocali, altrettanto vero è per la lingua latina qualora 
noi prendiamo ad esaminarne i vocaboli che i provinciali romani 
hanno tracciato all'improvviso, senza studio o preconcetto di 
sorta, niente ad altro badando che a significare tosto sul papiro 
quello che loro si presentava spontaneo alle labbra. È questo 
senza dubbio un campo nuovo che si schiude alla indagine dello 
studioso, al quale da una parola frettolosamente tracciata, forse 
erroneamente scritta, si apre una fonte nuova di osservazione. 
È lo spirito — diciamo noi — di tutta una parte del mondo 
romano che si rivela sotto una nuova luce in uno dei suoi 
tanti e svariati aspetti. Un tale compito, per lo meno siffatta- 
mente inteso, è assai difficile ad essere degnamente assolto ; 
nè tutto il buon volere di chi scrive e la sua minuta indagine 
possono essere per ora sufficienti a sciogliere la quistione da 
questo lato. Tuttavia, lungi dal voler chiarire senz'altro non 
pochi punti oscuri della comfplicata trama del linguaggio par- 
lato dai nostri antichi, lungi dall’aver siffatta pretesa allo stato 
presente dell’indagine scientifica, ho creduto di non durar fa- 
tica vana nell’investigare i pochi avanzi di una coltura tanto 


LA SCRITTURA LATINA VOLGARE NEI PAPIRI, ECC. 533 


gloriosa e feconda, considerandola anche dal lato puramente 
fonetico-grammaticale. 


Veniam dunque a considerare una copiosa serie di vocaboli, 
i quali nell'intimo loro vocalismo ci presentano notevoli diver- 
genze da quella scrittura e pronunzia, che la tradizione e l’uso 
di tanti secoli ci hanno tramandato. 

Nella latinità provinciale è assai raro lo scambio della vo- 
cale e col dittongo AF: per l’età di Augusto ne mancano del 
tutto esempi nei papiri volgari, mentre invece non difettano in 
quelli di contenuto letterario. Solamente sullo scorcio del sec. III 
una tale confusione fonetica si accentua notevolmente, come 
ad es.: DATE FIDEI = n° 21, fino a diventare pressochè generale 
nelle età successive. Così si hanno vBE (uvae) = n° 30; LEBA 
(laeva) = n° 16. Le quali voci servono ad indicarci ad evidenza 
quale fosse la pronunzia del dittongo AE nei primi secoli del- 
l'Era volgare, mentre nei documenti del sec. IV appare addi- 
rittura identica a quella della semplice vocale E, nelle seguenti 
voci: SPAEARVM (sperum) = n° 28; sERENAE (serene) = ibid. 

Un indizio notevole di arcaismo si riscontra ai tempi di 
Adriano nelle voci TRADEDISSE = n° 9; VENDEDI = ibid. Riguardo 
però allo scambio tra la 1 e la r ante vocalem rammentiamo che 
(almeno nei papiri) non è rimasta traccia alcuna da confermare 
quella tale pronunzia rusticana che fu adottata da non pochi 
oratori romani del sec. IV, che profferivano doleum, paleum, 
atteum, ecc., secondo la testimonianza del grammatico Carisio 
(Gramm. Lat. ed. Kerr, I, 71). 


Arcaismo pure evidente è l’uso della vocale v in luogo della 1, 
di cui ci resta un solo esempio nella grafia vBsE per épse = 
n° 12, del sec. IT; mentre nelle iscrizioni contemporanee si leg- 
gono voci simili in quantità notevolissima. Nella trascrizione di 
nomi greci non meno notevoli per la pronunzia della v dopo 
Adriano sono le scrizioni seguenti: AFGvPTI = n° 8, due volte; 
DIONVSIVS = n° 11, due volte. | 

Contrariamente mancano indizi dello scambio tra la 1 e la v 
nei papiri dei primi tre secoli; solamente nel IV possiam ram- 
mentare: MIACI (uvaxiv) = n° 31; TIRA (0upa) = ibid.; importan- 
tissimi indizi che attestano quale fosse la pronunzia contempo- 
ranea della v greca presso i Romani d'Egitto. 


554 CESARE TRAVAGLIO 


Nè meno importante ci pare la sostituzione della vocale o 
alla v nei seguenti vocaboli del sec. IV; cIRcoMmItTI = n° 28; 
ocvLos = n° 30; mANOS == ibid.; coLompv = ibid., dei quali il 
primo è indizio vero e proprio di arcaismo (?). 


A noi non è pervenuta (nei papiri almeno) alcuna traccia 
della grafia AI per il dittongo AE, che pur si trova comunissima 
nelle iscrizioni arcaicizzanti del I sec.; nè della sostituzione del 
dittongo AE ad av; tuttavia è pur sempre degna di nota per 
la pronunzia contemporanea la voce copam (caudam) = n° 28 
del sec. IV, in cui già si osserva la contrazione del dittongo Av 
in o, contrazione rustica e volgare al dire dei grammatici di 
quel tempo. 

Ma fra tutte la più importante al caso nostro è senza dubbio 
la scrizione seipes = n° 11, che si riscontra in sulla fine del 
sec. II, arcaismo notevole per il nesso EI, di cui in seguito tro- 
veremo tracce nella flessione nominale latina. 


Ricordiamo ancora — benchè sia di scarsa importanza — la 
scrittura ADDATIOVR (addatur) = n° 28, che si trova in un fram- 
mento molto sgrammaticato del sec. IV. È 

Mancano a noi purtroppo tracce di una grafia assai curiosa, 
cioè della tripla geminazione della vocale 1 in alcuni verbi com- 
posti, come p. es., conuicir, la quale dev'essere relegata piut- 
tosto alla fantasia pura e semplice di alcuni grammatici, come 
Velio Longo (Gramm. Lat., ed. KeiL, VII, 54). 


Consonantismo. — Sin dal tempo di Adriano noì troviamo 
copiosi esempi della sostituzione della labiale B alla v, come 
pi'es., BALINI <h5% SADBASIRMRMIDATI. Î 

Una confusione pressochè completa dei due elementi fonetici 
si riscontra poi nel sec. IV: vi leggiamo infatti BvLPEOVLA = 
n° 28; BINEARIS = ibid.; BINV (vinum) = n° 30; LEBA; YVBE; CI- 
BITAS; BENTRE; LABA; BILLOSA (villosa) = ibid. 


(1) Scrizioni queste importantissime perchè confermano quanto già 
avevano congetturato il Bramsaca (Die Neugestaltung der lateinischen Ortho- 
graphie, Lipsia, 1868, pag. 238) e lo Scaucnarpr (Der Vokalismus des Vul- 
girlateins, 1°, 68 e segg.) 


e 


2 


LA SCRITTURA LATINA VOLGARE NEI PAPIRI, ECC. © 535 


Nè la sostituzione contraria, cioè della labiale 8 alla v, manca 
nei papiri del sec. V, come p. es.: PROBERBIVM = n° 32; anzi 
diviene addirittura frequente nelle scritture latine volgari sino 
al sec. X dell'Era nostra. 


Com'è noto — lo spirito aspro dei vocaboli greci si soleva 
da tempo immemorabile indicare in latino per mezzo della let- 
tera H. Un tale uso, costante nell'antichità, è pure confermato 
dai nostri documenti; abbiamo infatti nel sec. II le trascrizioni 
seguenti: HERACLIANO = n° 7; HERCVLANI == n° 8; HERACLAMMON 
= ibid.; HERMACISAPYNI = ibid. ; HERMOFILVS = n° 11; HoRvs 
= ibid.; ayLeos = n° 16; HeRMAIScvs =n° 11. Mancano esempi 
per l'età successive. Dalle quali voci è lecito arguire che nel 
sec. II lo spirito aspro dei Greci doveva essere fortemente indi- 
cato nella pronunzia dei provinciali d'Egitto, se la sua rappre- 
sentazione grafica ricorre così ben detinita in documenti che per 
la loro natura sono più che alieni dalle distinzioni grammaticali 
contemporanee. 


Qualora poi ci facciamo a considerare la geminazione delle 
consonanti nasali nelle parole latine d’origine greca, ben poco 
servono i nostri papiri ad illuminarci in proposito. Leggiamo 
solamente, nel sec. II, le voci: AMmMoNnIvs = n° 6; AMMONIVS == 
n° 8; commonvm = ibid.; Ammonivs = n° 14, che offrono alla 
presente indagine un valore molto scarso. Mancano poi del tutto 
esempi analoghi nell'età successive. 


Quanto alla trascrizione di alcuni nessi sillabici derivati dal 
greco, nulla di notevole appare nei nostri documenti: vi si trova 
tra l’altro la scrizione opxARIM = n° 30, del IV secolo, unico e 
singolare esempio donde non è lecito argomentare alcunchè di 
probabile, nonostante che nelle iscrizioni contemporanee non 
manchino esempi di vocaboli in cui il lapidicida latino abbia 
riprodotto la yw greca col nesso Px anzichè col solito Ps. 


Degna invece di particolare menzione è la grafia opraLMos = 
n° 30, che per noi è indizio tutt'altro che trascurabile dell’af- 
fievolita pronunzia latino-ellenica dell’aspirata greca @ innanzi 
a consonante durante il sec. IV. — Notiamo però che riguardo 


536 CESARE TRAVAGLIO 


alla trascrizione della @ non mancano esempi in cui è resa col 
suono della labiodentale spirante r sin dal sec. Il p. Cr., come 
HERMOFILVS; NEFEROS = n° 11. — Un siffatto modo di trascrizione 
dovette andare tutt’altro che in disuso nell'età successive, se, 
p. es., ne troviamo copiose traccie durante il sec. IV nelle 
voci: ADELFOS; CEFALEN; SIFRIN; TEOFANEM; FILIPPI; ? ARAFICEN 
(prob. ’Apafixnv) = n° 30, che ci mostrano ad evidenza come in 
quel tempo il nesso grafico pi fosse assai frequentemente sosti- 
tuito dalla semplice lettera f anche in nomi d'origine greca. 

Notiamo ancora che nel sec. V si osserva uno scambio fre- 
quentissimo tra il nesso PT e quello BT, come in SVPERSCRIBTIONES, 
conscRIBTA, etc. Il che del resto non deve far meraviglia qua- 
lora si pensi al faticoso periodo di transizione che allora ap- 
punto la scrittura e la pronunzia latina veniva percorrendo prima 
di costituirsi in una forma nuova e ben delineata. 


Venendo ora a considerare le consonanti dentali, di buonora 
gia troviamo scambiate tra loro le lettere n e Tr per l’omo- 
fonia della stessa pronunzia; così nel sec. II leggiamo: ED EY- 
TICHEN = n° /9;:\al' contrario !fset ==tn°' 10 ;(Vatti male Sin812 
QvIiTovIT = ibid.; cui si aggiunge nel sec. IV: rrIGITIS = n° 28. 


K cosa notoria che per la trascrizione della © greca i Latini 
usavano il segno TH, per esprimere, evidentemente, una pro- 
nunzia diversa da quella della semplice lettera rt. E ciò è tanto 
vero che un legionario romano al tempo d'Augusto scrivendo 
alla sua famiglia sentiva la necessità di scrivere tH anzichè 7: 
antHo... = n° 2. È evidente dunque che nell’età augustea la @ 
dei greci veniva fortemente aspirata dai legionari romani. Anche 
nei secoli posteriori una tale aspirazione dovette senza dubbio 
conservarsi, se chiaramente troviamo THEBAIDIS, THVBVRsI=n°8; 


THEONEM = n° 12; THEMES (due volte) = n° 17; tHRAcES= n° 26; 
PANTHERA = n° 32. 


Avremmo desiderato che nella dibattuta quistione cronologica 
concernente l’ intacco della vocale 1 preceduta da una dentale 
(iotacismus) i papiri volgari avessero portato nuova luce; ma pur- 
troppo finora nulla ci è rivelato. 


LA SCRITTURA LATINA VOLGARE NEI PAPIRI, ECC. 537 


Non mancano invece esempi — sebbene in scarso numero a 
noi siano pervenuti — i quali attestano la forte esplosione della x 
nella pronunzia dei provinciali romani; così possiamo ricordare 
sexs = n° 13; ? EXSIGNIFER... = n° 6, dei quali l’ultimo mi pare 
assai dubbio (Ex sIGNIFERIS?). — Del resto nessuna meraviglia 
di tale scrittura qualora si pensi che una pronunzia così arcai- 
cizzante si riscontra in documenti contemporanei a Frontone. 


l 
È 
| 
i Nè io sarei alieno dal ritenere la voce EvrIcEN = n° 8 come 
| esempio della grafia arcaicizzante dello stesso periodo, anzichè 
crederla una scrittura errata, in cui si osservi puramente e sem- 
plicemente l’omissione dell’aspirata H. Vero è — e conviene 
notarlo — che non mancano esempi nella medesima epoca e loca- 
lità del nostro documento, nei quali il segno dell’aspirazione sia 
l-) 
«mantenuto, come nelle voci seguenti: evrycHEN = n° 9; ANTIO- 
cHus = ibid.; EvrycHEN.= ibid.; cHARES= n° 11; EPONVCHOS = 
| n° 11; cui possiamo aggiungere nel sec. III: AntIocHvs = n° 19; 
| BARICHIVS= ibid; PuLcHERI= n° 21; e nel sec. IV: EYvTYCHIANI 
: ag 
= n° 26. 


Notevole è il doppione grafico cAIvs e GArvs nel medesimo 
documento n° 10, per la pronunzia del famoso prenome romano. 


come ognuno vede, lo scarso materiale che si può raccogliere 
dai papiri di natura prettamente volgare, sinora rinvenuti, riguardo 
la scrittura e la pronunzia del latino provinciale contemporaneo, 
considerato nella sua parte essenzialmente ortoepica. Facciamoci 
ora a considerarne il divario, pur lievemente delineato il più 
delle volte, dalla lingua ufficiosa, in quanto la svariatezza delle 
sue tinte ce lo rivela nel suo processo lento ma costante attra- 
verso la speciale flessione dei sostantivi. In essi notevoli tracce 
di arcaismo potremo assai facilmente rinvenire, tracce di pecu- 
liare importanza, perchè non sono già le vestigia dubbie od iso- 
late di una grafia a bella posta incerta ed oscillante, ma sono 
anzi i documenti che meglio ne attestano l'evoluzione storica 
nelle sue forme volgari. 


i 

| 

i . . . s . . . 

| Le voci che siamo venuti finora menzionando costituiscono, 
o 


i 
È 
Flessione nominale. — Circa la flessione dei nomi greci da 
parte dei legionari romani in Egitto ben poco noi abbiamo ad 


538 CESARE TRAVAGLIO 


osservare; in generale prevale l’uso della flessione latina, seb- 
bene non manchino esempi di declinazione alla greca. Ne dànno 
infatti testimonianza tutt'altro che dubbia i seguenti nomi propri 
in cui l'elemento latinizzato prevale sulla forma prettamente 
grecizzante; nel sec. Il: pronvsivs = n° 11; AMMonIVs = ibid.; 
POSIDONIVS = ibid.; HELIVS = ibid. ; Horvs = ibid.; ARGOTIVS 
= ibid.; ALEXANDRVS (sic) = n° 11. Quanto alla flessione nomi- 
nale del III sec. sono a noi pervenuti: AnTIOcHvs = n° 18; 
BARICHIVS ; ZEBIDIVS; PSENOSIRIVS = n° 17; PHILIPPVS = n° 18. 
Ma nello stesso frammento n° 11 —— testè citato — non mancano, 
in casi alquanto diversi, esempi di una flessione nominale alla 
greca, Come NEFEROS; EROS; APOLLOS, CC. 


Mentre che nelle iscrizioni latine del sec. Il sono assai abbon- 
danti i vocaboli appartenenti alla cosiddetta III declin., che al 
caso nominativo sing. escono in es anzichè in 1s (forma reg.), 
nei papiri contemporanei tali voci sono in difetto; anzi, si può 
dire che manchino del tutto, se si eccettui l’espressione TALES 
omo == n° 11, di assai scarso valore. 


Maggiormente degna di nota per attestare la sopravvivenza 
degli arcaismi nelle provincie dell'Impero è la grafia seguente, 
che per ben sei volte si riscontra ripetuta in un papiro del 
sec. I: conpvetri (per conducti) = n° 7. Altri esempi però difet- 
tano in proposito riguardo ai secoli successivi. Laonde, sulla sola 
e semplice scorta dei documenti di natura irrefragabile che 
attualmente possediamo, ci è lecito ritenere solamente che 
tracce di antichità remota si hanno ancora e assai notevoli in 
tempi in cui tanto la lingua quanto l’arte si erano avviate ormai 
in Roma per una nuova via, lasciando dietro a sè, quale unico 
retaggio di pochi, l’arcaismo dell’età anteriori. Nella voce or ora 
riportata, non ci consta affatto che ci troviamo di fronte ad un 
lapsus calami puro e semplice, in quanto che l’essere tale voce 
ripetuta per ben sei volte di seguito può offrirci un'arra tut- 
t'altro che improbabile. 

A conferma del nostro assunto noi avremmo desiderato che, 
riguardo alla flessione nominale dei sostantivi appartenenti alla 
II declin., per il caso nominativo plurale non ci fossero mancati 
esempi speciali; senonchè nei papiri di natura volgare che pren- 


LA SCRITTURA LATINA VOLGARE NEI PAPIRI, ECC. 539 


demmo a fondamento della nostra ricerca, non ci fu dato pur- 
troppo di scoprirne alcuna traccia, sebbene se ne trovino copio- 
sissimi esemplari nelle iscrizioni «eontemporanee. 


Un punto notevolissimo che da secoli è controverso nella 
ormai famosa quistione dell’analogia e dell'anomalia della scerit- 
tura latina e che in tempi recentissimi ha sollevato una non 
men famosa discussione tra i cultori della classica filologia, sì 
è quello che consiste nella desinenza speciale al genitivo sing. 
dei sostantivi propri in -rvs appartenenti alla Il declinazione, 
come ad es.: GAIVS, POMPEIVS, ecc. — È un fatto che le ricerche 
condotte al riguardo dagli eruditi, fondate in special modo sulle 
testimonianze dei grammatici latini dei primi secoli, non sono 
approdate a risultati definitivi, come del resto da quanto ci è 
stato tramandato dalle iscrizioni contemporanee non si può de- 
durre alcuna illazione appieno soddisfacente. E purtroppo, con- 
viene ora aggiungere, in tale quistione neppure i papiri pos- 
sono attualmente darci l’ultima parola. — Invero solamente 
nei papiri volgari del tempo d’Adriano ricorre la scrittura della 
I geminata; così in rAnu = n° 5. Si noti però che nel medesimo 
frammento di papiro ricorre ben tre volte il genitivo uscente 
nella sola e semplice 1, come in CERELI, ANTONI, ACVLI. Potremmo 
perciò essere indotti a ritenere che, ai tempi di Frontone, pre- 
valesse la forma anomala presso i provinciali romani? Non pare: 
la scarsità dei nostri documenti è tale da non autorizzarci 
affatto ad illazioni così recise: tutt'al più c'induce a credere 
che la controversia sta ancora sub ivdice. Nè diversamente ci 
è dato d’argomentare riguardo all’età successive: dacchè un 
indizio tutt'altro che sufficiente ci è porto dalla sola voce 1m- 
PERI = n° 18, appartenente al sec. III. Speriamo che una messe 
copiosa di documenti abbia a venire alla luce quanto prima, sì 
da lasciarci l’ultima parola in proposito. 


Circa poi la flessione latinizzata dei nomi propri greci, per 
il caso genitivo sing., sì ricorda la voce seguente tolta da un 
papiro del sec. II: rieBAIDIS = n° 8; la quale, unica allo stato 
presente delle nostre ricerche, non può esser a noi indizio baste- 
vole di una probabile deduzione. Per il caso accusativo singo- 
lare nel medesimo sec. II abbiamo riscontrato un solo doppione: 


540 CESARE TRAVAGLIO 


) 


due volte ABBAN allato ad ABBAM = n° 8; tre volte EvrICHEN 
= n° 9; ed EvTICEN = ibid. 


Quanto alla flessione nominale latina ben poco ci è dato di 
osservare: restano pel caso dativo plur. la grafia antiquata di 
AVXILIEIS = n° 19 e la forma spepvs = n° 28: nè mai negli 
scarsi frammenti finora rinvenuti abbiam potuto trovare tracce 
della terminazione arcaica -vBvs usata in cambio della desinenza 
-1Bvs al dativo plurale. 


Senza dubbio notevole per la finale in 1 dell’ablativo sing. 
degli aggettivi a due terminazioni è la voce omni = n° 3, in 
quanto ci dimostra la somma accuratezza d’espressione che si 
praticava sì nello scrivere come nel parlare da parte dei legio- 
nari stanziati nelle provincie. Il che pure è a mio avviso con- 
fermato dall’altra voce non meno notevole mAIroRE = n° 8, del 
sec. II, riguardo al medesimo caso degli aggettivi di grado com- 
parativo, la cui uscita — come ognun vede — era in -e anzichè 
in -i, come talora si riscontra erroneamente nelle iscrizioni. 


Un esempio elegante di arcaismo, al tempo di Tiberio, ci è 
dato dall’agg. superlativo oprvmvs = n° 1; ma — notiamo — 
non occorre farvi sù troppa fidanza, essendo l’unico del genere 
a noi sinora pervenuto. Di più rammentiamo che al tempo dello 
stesso Augusto, non mancano nei nostri papiri esempi della 
scrittura opposta, come vaLpIssIiMe = n° 2; nel sec. II: mAxIMUS 
= n° 5, n° 6, n° 11; e nel sec. III: noBILISssiMmorvm = n° 21. 
Sgraziatamente la penuria dei nostri esemplari non ci consente 
d’indugiarci di più sopra tali forme, indici, come ognun sa, im- 
portantissimi per la disamina della scrittura latina. 


Quanto agli aggettivi numerali nulla di notevole ci è rimasto, 
come appare evidentemente dalle voci: vno = n° 13; TRIBVS 
= ibid.; Qvarvori=="vibid.; sexsi=ibid;;- sEPrEM = n°/9i00r0 
= n° 13; VIGINTI ET QVINQvE = ibid.; DUCENTIS = n° 8; DVCOEN- 
ToRvM = ibid. — Così pure per il sec. II: pecem = n°.21; 
CENTVM ET VIGINTI = ibid.; NVM HS OCTOGENTVM VIGINTI = Ibid. ; 
e per il sec. IV: pvocene (duodenae?) = n° 24 e QvATERNAS = 
n° 25. 


LA SCRITTURA LATINA VOLGARE NEI PAPIRI, ECC. 541 


Riguardo alla flessione pronominale ben poco ci è dato di 
affermare sulla semplice testimonianza dei nostri documenti : 
infatti appena degne di essere menzionate ci paiono le seguenti 
voci del pronome relativo: ovor, $vir e del pronome dimostra- 
tivo: ris = n° 4. Quest'ultimo invero assume notevole impor- 
tanza in quanto che trovandosi in un documento dell’età di 
Traiano viene a smentire l'opinione sostenuta già dal Brambach, 
il quale, fondandosi sulle sole iscrizioni, riteneva che la forma 
EIS fosse scomparsa dall’uso comune sin dal principio dell’ età 
augustea (1). 

Quanto ai rimanenti pronomi dimostrativi, un solo esempio 


ci resta nel vocabolo Ipsismer |1IPsIs] = n° 26, di assai scarso 
valore. 
Flessione verbale. — Un materiale altrettanto scarso di do- 


cumenti si trova pure nelle nostre fonti riguardo alla flessione 
verbale; il che è tanto più deplorevole in quanto non ci è dato 
di rinvenire alcuna traccia fededegna degli arcaismi che pure 
dovevano essere molto in fiore nei primi tempi dell’ Impero. 
Così per l’età augustea non è possibile sinora incontrare termi- 
nazioni arcaiche di verbi uscenti, alla 3° pers. plur. dell’indic. 
pres., in -onr anzichè in -vnr. Il che potrebbe evidentemente 
dimostrare che presso i provinciali, specialmente d’ Egitto, fin 
dai primi tempi dell'occupazione romana doveva esser scom- 
parso ogni vestigio di siffatto arcaismo. Altrimenti — ed è ben 
lecito il supporlo — accanto a tante altre forme di voci arcaiche 
ed arcaicizzanti, un resto di tale scrittura ne sarebbe per lo 
meno in qualche parte sopravanzato. Tant'è che abbiamo a 
ricordare : FASTIDIVNT = n° 4; ..... GIivnt = n° 4; del tempo di 
Traiano. — Scarse sono pure le contrazioni dei verbi, come in 
COMPLESSE = n° 17; DoRMISSET = n° 26; meno rare sono invece 
le forme speciali dei perfetti con raddoppiamento con vocale 
caratteristica arcaicizzante, come, p. es., in VENDEDI = n° 9; 
TRADEDISSE = ibid., che del resto sono comunissime nelle iscri- 
zioni contemporanee. 

Da ultimo, tanto per completare questi brevi cenni sulla fles- 


(1) V. Brampaca (Die Neugestaltung der laitenischen Orthographie, Lipsia, 
1868, pag. 140). 


542 CESARE TRAVAGLIO 


sione verbale che si riscontra nei nostri papiri volgari, non 
sarà del tutto inutile riferire ancora alcune voci notevoli per la 
loro forma piuttosto unica Pe rara: VOLVTOR == n° 1 ;. HIBER- 
NATVRi== n°.9,..ecc, 


Composizione. — Sinora noi siamo venuti esaminando le varie 
grafie dei vocaboli latini, per poter argomentare se coloro che 
le avevano usate, obbedendo ad un impulso istintivo, spontaneo 
del linguaggio parlato, potessero darci indizio sufficiente riguardo 
alla forma di scrittura che prevaleva al tempo loro. Abbiamo 
visto che i papiri da noi esaminati additano, almeno nel loro 
complesso, una prevalenza manifesta della tendenza arcaiciz- 
zante presso i provinciali romani, tendenza che perdura ancora 
a lungo mentre nella metropoli da tempo è già venuta decli- 
nando. Ora, una nuova conferma a questa nostra affermazione 
ci è data dalla composizione dei vocaboli quale si riscontra nei 
nostri frammenti papiracei. 

E noto a tutti che nelle voci composte l'assimilazione conso- 
nantica è indizio presso gli scrittori latini di una tendenza pro- 
nunciata verso l'anomalia: laddove la dissimilazione è caratte- 
ristica notevolissima del fenomeno contrario. Pertanto facciamoci 
ad esaminare partitamente i singoli casi in cui ci è dato di 
riscontrare o l'una o l’altra forma linguistica. E senz'altro in- 
cominciamo dalle parole composte con 


preposizione AB: Degna di particolare menzione è la scrittura 
AB. STE (abs-te) = n° 1; mancano però altri esempi di 
composti analoghi. 


preposizione 0B: Dai tempi di Adriano in poi nessun esempio; 
solo nel secolo III si osservano: oBsERVANDIS = n° 18; 
OBSERVATIS = ibid., in cui — come ognun vede — è con- 
servata la grafia degli anomalisti. — Un caso di dissi- 
milazione si nota però nel sec. V: oBREPERE = n° 33; 
ma non ha importanza alcuna. 


preposizione SVB: Si può menzionare svspicor = n° 3, dei tempi 
d'Augusto; mancano altri esempi insino al sec. III in cui 


LA SCRITTURA LATINA VOLGAKE NEI PAPIRI, ECC. 543 


sì ricordano: svecessio = n° 18; svPPLENDIS = ibid., e 
nel sec. IV: sveGERERE = n° 22; SsvoGESTIONE = n° 24 ; 
SVCCENSVS = n° 28; prg = n° 30, i quali del 
resto ben poca luce ci possono fornire. 


preposizione AD: Abbiamo parecchi esempi di assimilazione : 
al tempo di Traiano : AccEPIT = n° 3; quindi AcceEPIT = 
n° 9; Accesser = n° 10; Accepisse = n° 12. Mancano 
esempi nei papiri dei secc. III e IV; nel sec. V si ricorda 
solamente ALLEGATIONIS = n° 30. — Mancano invece del 
tutto nei nostri papiri volgari, esempi di dissimilazione 
nei primi quattro secoli; solamente nel quinto si notano : 
ADFERATVR = n° 30; ADLEGANDI = ibid.; ADLEGANDI = ibid. 
— Degna tuttavia di particolare menzione è la scrittura 
AT-TE (ad te) = n° 1; segno evidentissimo della forza di 
assimilazione che aveva il volgo provinciale anche ai tempi 
d'Augusto, così propizi all’analogia ! 


preposizione CVM: Mancano affatto esempi di composti, se pur 
si vuole eccettuare la forma regolare coEGERvVNT = n° 31 
del sec. V, comune del resto ai seguaci delle due ten- 
denze così confuse in quel tempo. 


preposizione /N: Elegante esempio di dissimilazione si riscontra 
nella voce frammentaria ...ENLA... = n° 13, pel sec. II; 
INPLE... = n° 23, nella prima metà del sec. IV; cui pos- 
siamo aggiungere la sgrammaticatura IMFRASCRIPTIS = 
n° 25. — Nel sec. V ci è dato solamente di menzionare 
INLVSTRIS = n° 30. 


preposizione PER: Mancano esempi sì dell’una come dell’altra 
scrittura. 


preposizione EX: Un solo esempio in EFFVGISSE = n° 3, poco 
notevole del resto. 


preposizione TRANS: La scrittura comune vi si riscontra con- 
servata pienamente senza alterazioni notevoli: così ad 
es.: TRANSLATVS (bis) = n° 10; TRANSFLVMINIANvs = n° 11; 
TRADO = n° 4; TRADVNTVR = ibid.; TRADEDISSE = n° 9. 


prefisso DIS: Mancano del tutto esempi sì dell'una come del- 
l'altra tendenza. 


544 CESARE TRAVAGLIO — LA SCRITTURA LATINA VOLGARE, ECC. 


prefisso RE: Nel sec. I mancano siffatti composti e così pure 
nei sec. II e III ; nel sec. IV: RESPICERE = n° 23, di nes- 
suna importanza. g 


E questo è tutto il materiale finora a noi pervenuto circa le 
tendenze grafiche che si osservano nella scrittura latina vol- 
gare, tratto dai frammenti di papiro dei primi cinque secoli 
dopo Cristo. $ 


L’Accademico Segretario 
GAETANO DE SANCTIS. 


Torino — Vincenzo Bona, l'ipografo delle LL. MM. e RI. Principi, 


Mg 


rr o_ eep-rr L-_.L.__'r,’ * 


IM To PAGATI 191 


OE SCIENOES 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E' NATURALI 


Adunanza del 23 Febbraio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. (* 


Sono. presenti i Soci: NAccarI, SPEZIA, SEGRE, Peano, JA- 
DANZA, Foà, GuarescHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MaTTIROLO, 
MoreERA, Grassi, SomieLiAaNnA, FusARI e CAMERANO, Segretario. 


Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 
Il Presidente comunica il R. decreto del 23 gennaio u. s. 
col quale fu approvata l'elezione del Socio NAccarI a Direttore 
della Classe. i 
Il Socio SPEZIA presenta in omaggio tre note del Dr. dor 
LOMBA di argomento mineralogico. 
Vengono presentate per gli Atti le note seguenti: 
1° Dott. Galeazzo Piccinini: /Idrolisi di nitrili ossi-idropi- 
ridinici, Nota 2%, dal Socio GUARESCHI; 
2° Luigi Saupino: Nuova pila elettrica costante ed econo- 
mica. La Classe in seguito a relazione favorevole dei commis- 
sari all'uopo nominati, Soci NaccarI e Grassi, approva la stampa 
del lavoro del sig. L. SAUDINO; 
3° Il Quagga del Museo Zoologico di Torino, del Socio 
CAMERANO. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 40 


tm» 
dd 
a 


do ® 


546 


Raccoltasi la Classe in seduta privata, procede alla no- 
mina della Commissione per il conferimento del premio Vallauri 
per le scienze fisiche (quadriennio 1907-1910). Riescono eletti i 
Soci NAccARI, SPEZIA, CAMERANO, GRASSI e SOMIGLIANA. 

Il Socio GUARESCHI propone che l'Accademia si faccia ini- 
ziatrice per la nomina di un Comitato internazionale per le 
onoranze da tributarsi ad Amedeo Avogadro nel 1911. 

La Classe invita la Commissione precedentemente nominata 


a volersi riunire per le opportune proposte. 


GALEAZZO PICCININI — IDROLISI DI NITRILl OSSI-IDROPIRIDINICI 547 


LETTURE 


——— & 


Idrolisi di nitrili ossi-idropiridinici. 
Nota Il del Dr. GALEAZZO PICCININI. 


In una nota precedente (1) sull’idrolisi dei nitrili ossi-idropi- 
ridinici (n-metilciantrimetilpirideone I e ciantrimetilpirideone Il) 
ho dimostrato che l’acido cloridrico concentrato (d = 1,19) a 
temperature superiori ai 130° idrata facilmente e in modo com- 
pleto questi composti 


C.CH, 0.CH, % 
/ N PS 
HG cen HG 0.0N 
CH. | CH, | 
Sd co È; co 
CHy X\/ CcHy ee 
NCH, NH 
I JI é 


e trasforma gli acidi ossi-idropiridin-carbonici, prima generati, 
nelle due corrispondenti ossi-idropiridine. Operando in tal modo 
non potei isolare questi acidi. Inoltre l’acido cloridrico non 
attacca questi nitrili che pochissimo a 120°-125°; a 10° li 
lascia del tutto inalterati. In nessun caso, anche usando acido 
più diluito, sì possono separare i prodotti intermedi dell’ idra- 
tazione, cioè le amidi. 
L'uso dell'acido cloridrico poi è poco comodo per la neces- 
sità di dover effettuare le reazioni in tubi chiusi; con ciò viene 
a mancare ogni criterio per giudicare in quale momento si 
debba interrompere la reazione per avere una idratazione solo f 
parziale. È 
D'altra parte, pensando che nella condensazione dell'eterfii 
cianacetico con le aldeidi, chetoni, eteri chetonici, ecc. in pre- 
senza di ammoniaca o delle amine, si ha un mezzo così facile, 
rapido per ottenere, spesso con ottimo rendimento, nitrili di 


(1) “ Atti R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XLII. a 


548 GALEAZZO PICCININI 


acidi piridinici e idropiridinici, salta subito agli occhi, quale im- 
portanza abbia in questi casi uno studio sistematico degli agenti 
idrolizzanti, per trovare un metodo generale, pratico e acconcio 
a produrre la graduale idrolisi del —CN e condurre in modo 
facile e piano alle amidi e agli acidi. 

Le nozioni ancora molto incomplete degli acidi ossigenati 
della serie di- e tetra-idropiridinica e lo scopo di dare alle mie 
ricerche un carattere più generale mi hanno indotto a studiare 
l’idrolisi di quattro serie di nitrili (tutti riferibili ai composti 
idropiridinici) e cioè alle serie rappresentate dalle formule I, 
II, HI e IV 


R.C.R : C.k 
tas Pole 
CN.HC CH.CN CN.HC C.ON 
» | | | 
OC CO OC CO 
Se I 
NH NH . 
II IV 


I composti III furono scelti anche per studiare quale ufficio 
ed importanza abbia il —CN in questi corpi in relazione alla 
facilità, colla quale in soluzione neutra liberano sotto forma di 
idrocarburo l’alchile a peso molecolare più elevato R', trasfor- 
mandosi nei composti di tipo IV. 

Fra i vari idrolizzatori del —CN, ho scelto l’acido solforico 
concentrato al 95-96 °/, per varie ragioni. 

. La potassa alcoolica, in genere, non dà buoni rendimenti, 
spesso non attacca i nitrili terziari difficili ad idratarsi ; inoltre 
essa non poteva servire nel caso delle diczan-di0ssi-dialchil-idro- 
piridine III, perchè apre il nucleo colla massima facilità. 

Lo stesso si dica dell’acido solforico al 60 °/ che all’ebol- 
lizione dà gli acidi B-dialchilglutarici con i nitrili III e gli acidi 
alchilcianvinilacetici con i nitrili IV. 

Il metodo di Radziszewski (1), come ha dimostrato il Dei- 
rt (2), non è generale; alcuni nitrili si comportano in modo 


«molto diverso, a seconda della loro costituzione. 
figo 


i B. 18, pag. 355. 
Dà. (2) J. prak. Ch. 52, pag. 481. 


IDROLISI DI NITRILI OSSI-IDROPIRIDINICI 549 


Il metodo di Bouweault (1) è ora più generalmente adope- 
rato, come quello che permette anche di separare i prodotti in- 
termedi dell’idratazione, le amidi. 

Fu messo in pratica per qualche nitrile della serie piridi- 
mica con buon risultato da Errera (2) e da Moir (3), i quali non 
tennero molto conto delle due condizioni essenziali per l’ idra- 
tazione e cioè la temperatura e il tempo; manca del tutto uno 
studio sistematico accurato dell’azione di H3S0, cone. sulle varie 
serie di nitrili piridinici. 

Adoprando l’acido solforico al 95-96 %o, anzichè al 90 °/, 
come consiglia Bouveault, si ha il vantaggio di sciogliere meglio 
le sostanze, di produrre una reazione più veloce senza pericolo 
che si formino dei solfoacidi. 

Esso agisce ugualmente bene idrolizzando i composti rife- 
ribili alle quattro serie suaccennate, senonchè l’idrolisi, che av- 
viene già a 100°, e a temperature superiori è troppo profonda 
per i nitrili di tipo III e IV, ha luogo molto più lentamente a 
tale temperatura per i nitrili I e II; questi s'idratano facilmente 
a 150°-160° e in modo molto rapido. 

Anzichè usare per 1 p. di nitrile 15-20 p. di acido solfo- 
rico, come adoprava Bouveault, val meglio sciogliere il nitrile È. 
in 2 p. di acido; la reazione ha luogo benissimo anche in queste 
condizioni e si evita un fastidioso eccesso di acido. 

Comunque sia, l’idratazione di questi nitrili non è com- 
pleta (4); il —CN, come avviene anche per la maggior parte dei 
nitrili della serie aromatica, è trasformato in —CONH; con ren- 
dimento quasi teorico pure nel caso dei di-nitrili III; per avere 
gli acidi conviene ricorrere o all’azione dell'acido nitroso sulle 
amidi o idratare queste con acidi più diluiti. 

Questo fatto può essere vantaggiosamente utilizzato per 
separare le amidi ed ecco come io ho proceduto per quanto 
concerne l’idrolisi del ciantrimetilpirideone e del suo n-metilde- Î 
rivato, studio che forma l’argomento di questa nota. 


(1) Bull. 9, pag. 368 (1893). 

(2) B. 31, pag. 1941. — Gazz. 31, I, pag. 170 e 176. Sn 

(3) J. Ch. Soc. 81, pag. 100 (1902). “I 

(4) Tuttavia l’acido n-metil-a'a'Y-trimetil-acheto-idropiridinBcarbonico si, 
ha anche con piccolo rendimento (10°) durante l’idrolisi del n-metilci 
trimetilpirideone. 


550 GALEAZZO PICCININI 


Si sciolgono (1) gr. 10 di sostanza in 10 cm? circa di acido 
solforico concentrato al 95 °, si scalda la soluzione a bagno 
d'olio, o anche a fuoco diretto, sino a 150°-160° e vi si man- 
tiene per 10 minuti circa. La massa vischiosa, un po’ fluore- 
scente, che si ha per raffreddamento, si diluisce con 5-6 volumi di 
acqua; si raffredda (2), si neutralizza il liquido acido con barite 
o con latte denso di carbonato di bario. Si filtra a caldo e si 
evapora il filtrato a piccolo volume a b. m. 

Per raffreddamento delle soluzioni acquose cristallizzano le 
amidi, già abbastanza pure. Il rendimento in amide è del 90-95 °/y 
del teorico. 

In un giorno si possono preparare con questo metodo no- 
tevoli quantità delle amidi suddette. 

Gli acidi a'-a'Y-trimetil-a-ossi-idropiridinBcarbonico (V) e 
n-metil-a'a'-trimetil-acheto-idropiridin-B-carbonico VI furono pre- 
parati facendo agire sulle amidi, sciolte in 10 p. di acido sol- 
forico al 95 °, una soluzione concentrata di nitrito di sodio 
(1:83) in quantità esattamente calcolata e scaldando a 50°-60°, 
oppure anche a 80°-90° per brevissimo tempo. 


C.CH; C.CHa 
Può ; CO.0H Ho C.CO.0H 
CH; CH, 
5: C CO BOT, 
CHsf NZ GERSI. \é 
N.H N.CHx 
V VI 


In questa nota descriverò queste amidi e questi acidi non 
ancora noti e che sì possono preparare con metodo così semplice; 
l'acido rappresentato dalla formula VI è il 3° acido della serie 
tetraidropiridica (3) sinora noto; il suo omologo inferiore l’ot- 


(1) I due nitrili si sciolgono nell’acido solforico con forte sviluppo di 
calore, ma senza idratarsi; perchè le soluzioni solforiche lasciano riprecipi- 
tare il nitrile inalterato per diluizione con molta acqua. 

(2) Nell’idrolisi dell’a-metil-ciantrimetilpirideone si separa così l'acido 
cristallino; altra porzione si può avere estraendo con etere il liquido sol- 
“forico diluito. 

(3) Al composto spetta la formula chetonica, per il modo di forma- 
zione, per le relazioni che ha con l’omologo acido n-metil-a'a'dimetil-a cheto- 
idlopiridinY-carbonico, per il quale dimostrai la funzione secondaria dell’a- 
«zòto mediante il comportamento alla fusione con potassa caustica (“ Atti 
. R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XLII). 


È 


p> 


VO, PET || Tn _  r_—__——_—m 


AR 


IDROLISI DI NITRILI OSSI-IPROPIRIDINICI 551 


tenni noll'ossidalion$ «dell’ n-metilciantrimetilpirideone con per- 
manganato di potassio. Degna di nota, per i due acidi suddetti, 
è la mobilità del carbossile, che viene staccato già per ebolli- 
zione con acidi diluiti, o per evaporazione delle soluzioni alca- 
line a b. m. i 

Dalle amidi suaccennate con ipobromito di potassio ho ot- 
tenuto le aminoossiidropiridine, composti che per il loro com- 
portamento molto interessante saranno studiati ulteriormente. 
In altro lavoro riferirò varie esperienze, che ho in corso, sul 
meccanismo dell’azione dell'acido solforico concentrato sui mtrili, 
dacchè non mi risulta che questo sia stato ancora ben messo 
in chiaro. 


Amide dell’acido 
n-metil-a'a'[trimetil-acheto-idropiridinB-carbonico 


Si ha con rendimento del 90 °/, del teorico dal n-metil- 
ciantrimetilpirideone. 

È in cristalli incolori, brillanti a rosetta se si hanno dal- 
l’aleool assoluto, o in grossi prismi monoclini dall'acqua. 

Fonde a 195°-196° (1). È anidra. 


(1) Quando è mescolata con un po’ di nitrile fonde a 185°-186° e allora 
è così difficile separarla, che anche dopo varie cristallizzazioni dall’alcool 
assoluto, mantiene inalterato il punto di fusione; così impura, l’amide è 
molto più solubile in acqua e in alcool: tanto che dapprima credetti si 
trattasse di un isomero; forse in condizioni analoghe era quella sostanza 
fondente a 129°131° che Pollak considerò, senza ulteriore prova, come l’iso- 
mero (imidoidrato) dell’amide dell’ acido nicotinico (M. 16, pag. 61). Un 
campione di amide, che avevo ottenuto scaldando la soluzione solforica del 
nitrile a 100° per circa un’ora, dopo quattro cristallizzazioni dall’ alcool 
assoluto aveva ancora il punto di fusione 185°-186°. All’analisi mi diede: 

C°% 61,70 
H, 7,93 
N, 14,69 e 14,72. 

Soltanto dopo varie estrazioni con etere, ottenni un prodotto insolubile 
in etere, che ricristallizzato fondeva a 194°-195° e che conteneva 14,3 9a 
di N ed era amide pura; mentre dagli estratti eterei per cristallizzazione 
dall'acqua, ebbi una piccola porzione di nitrile col suo punto di fusione 143°5. 
Da queste considerazioni risulta la necessità di effettuare l’idrolisi a 150°-160°; 
perchè in tali condizioni tutto il nitrile resta trasformato. 


Dos GALEAZZO PICCININI ai 


Fi 
All’analisi diede: ud 
I. Gr. 0,1236 = cm$ 15,4 di N a 17° e 748mm. 
II. Gr. 0,1449= gr. 0,1085 di H,0 e gr. 0,3265 di CO.. 


trovato calcolato per CsHysNs03 


—__k ————rr _-rc«c \eme=-=@@®R"*Fe=s 


0% 61.45 61.22 
saga 831 8.16 
N. 14.17 14.28 


Solubile molto in acqua e in alcool assoluto bollenti; solu- 
bilissima in alcool metilico e cloroformio, poco o niente in etere, 
benzene, acetone. 

La soluzione acquosa ha reazione neutra; l’amide mostra 
tuttavia una certa funzione basica sia nella facilità con cui si 
scioglie negli acidi concentrati e diluiti, sia perchè in soluzione 
cloridrica precipita con alcuni reattivi degli alcaloidi (acido fosfo- 
molibdico, picrico, ioduro di potassio iodurato). 

Col reattivo Nessler dà un abbondante precipitato bianco, 
distinguendosi in ciò dal nitrile, da cui deriva, il quale collo 
stesso reattivo dà un precipitato colorato intensamente in giallo. 

Non si colora che pochissimo col cloruro ferrico; non dà 
sali con le soluzioni saline dei metalli pesanti. 

Quello che più interessa è il fatto che questa amide mostra 
una grandissima resistenza all’azione degli alcali caustici; il 
gruppo —CONH,; svolge ammoniaca solo per ebollizione con po- 
tassa ‘caustica ‘al 50 °/; (1). 

L’idratazione del —CONH, a COOH si ha molto facilmente 
per ebollizione con gli acidi minerali (H,S0, al 20 e al 45 9%; 
HCI al 25 °/); senonchè in queste condizioni l'acido piridinico 
si scompone facilmente in CO, e n-metil y-a'a'-trimetil-a cheto- 
idropiridina. 

L'acido solforico al 95-96 %, a 100° è senza azione sul- 
l'’amide; anche dopo riscaldamento di varie ore con forte eccesso 
di acido si riottiene la sostanza inalterata; indirettamente ciò ri- 
sulta anche dal metodo di preparazione dell’amide. 

Non sono riuscito a separare il nitrosoderivato di questa 
amide, che deve essere molto instabile. 


(1) Moir ha fatto una osservazione analoga, per quanto riflette la sta- 
bilità verso gli alcali, rispetto all’amide dell’acido lutidin-a-ossi-B carbonico 
(Cfr. J. Ch. Soc. 81, pag. 100). 


e 


tento — 


4‘ 


, 


tl SI DI NITRILI OSSI-IDROPIRIDINICI 553 


%- 
pa 
Acido 
n-metil-a'a'r-trimetil- acheto-idropiridinp-carbonico 
CroHisNOs. 


Oltre che coi metodi descritti ottenni quest’ acido anche scal- 
dando l’n-metilciantrimetilpirideone con acido cloridrico (A —1,19) 
in tubi chiusi a 120°-125° per qualche ora. Seguendo questo 
metodo riesce un po’ più lunga la separazione; a questo scopo 
si diluisce la soluzione cloridrica con 3-4 vol. di acqua e si lascia 
riposare. Precipita così l'acido mescolato a gran parte del nitrile, 
rimasto inalterato; si separa la parte insolubile e, sospesa in 
acqua, si neutralizza con carbonato di sodio, si filtra per sepa- 
rare il nitrile indisciolto, e il liquido filtrato, concentrato nel 
vuoto, si precipita con acido solforico diluito. L'acido ricristal-. 
lizzato dall'acqua bollente presenta tutti gli stessi caratteri di 
quello avuto con gli altri metodi. Rendimento scarso. 

D'altra parte ho provato anche a idratare l’amide con 
l’acido solforico al 45 e al 20°, usando un apparecchio che 
mi permetteva di osservare, se nella reazione si svolge anidride 
carbonica e di dosarla: per 1 gr. di amide usavo cm? 5 di acido 
solforico al 45 °/,; scaldando, già prima che si sia raggiunta la 
temperatura d’ebollizione, il liquido fa effervescenza; se si con- 
tinua il riscaldamento per circa 1 ora, la decomposizione secondo 
l'equazione: 


CioHisNO; _ CO, -- CyH,sN0 


raggiunge quasi il 70 °/,. Diluendo il liquido, cristallizza l’acido 
piridinico (25 °/ del teorico); neutralizzando il liquido e dibat- 
tendo con etere si estrae la trimetil-nmetil-acheto-idropiridina 
CsH;5N0, che fu caratterizzata mediante il cloroplatinato e 
picrato. 

Dal liquido reso neutro ed evaporato a secco, mediante ri- 
petute estrazioni con etere ebbi ancora una piccola porzione di 
amide indecomposta. Questo dimostra chiaramente che l'acido 
si scompone in gran parte per la temperatura piuttosto elevata, 
quando ancora l’idratazione non è totale. 


554 GALEAZZO PICCININI d 


Risultato ancora peggiore ottenni llendò 1 gr. di amide 
con 10 em? di acido solforico al 2! ; operando così il rendi- 
mento in acido è più scarso, perchè -l’amide anche dopo ebolli- 
zione di 1 ora rimane inalterata per circa il 60%, e per la 
reazione, del resto, valgono le osservazioni fatte con l’acido 
al 45 9/o. 

Il miglior mezzo per prepararlo è questo: alla soluzione ben 
fredda dell’amide (1 p.) in 6-8 p. di acido solforico concentrato 
si aggiunge a poco a poco la quantità esattamente calcolata di 
soluzione, ben fredda, di nitrito di sodio (1:3); si scalda poi 
a 50°-60° per circa mezz'ora; infine si spinge il riscaldamento 
sino a 80°-90°. Raffreddando e diluendo la soluzione con 5-6 vol. 
di acqua si precipita la maggior parte dell’acido, che si purifica 
ricristallizzandolo dall'acqua bollente. Altra porzione si può 
avere estraendo il liquido acido con etere. Rendimento 50 °/ 
del teorico. 

È cristallizzato in prismi striati incolori, bellissimi. 

È anidro. Scaldato a 100° non si scompone e non si colora; 
scaldato rapidamente, può anche sublimare. 

Fonde con schiumeggiamento a 125°-126°, se il riscalda- 
mento è piuttosto rapido; altrimenti già a 118°-120° svolge CO, 
e dà la ossidropiridina CsHis5N0. 

All’analisi diede: 

E. :Gr,:0,108.,=iem” 6,8. di Na 189,51 (0,1729068 

II. Gr. 0,1373 = gr. 0,3062 di CO, e gr. 0,944 di H,0; 

III Gr, 0,1197 = gr. 0,2671 di CO, e gr. 0,083: dio: 


trovato calcolato per CioHisN0O3 
I II III 
Ol — 60.81 60.85 60.91 
Ha —- 7.64 (CURO 7.62 
N, (+42 _- — [dbl 


Solubile in alcool, poco in etere, etere di petrolio, benzene. 
È monobasico ai vari indicatori. Forma sali solubilissimi 
in acqua; per averli cristallizzati occorre evaporarne le soluzioni 
nel vuoto. I sali alcalini in soluzione, specialmente in presenza 
di un po’ di alcali libero, si scompongono per lunga evaporazione 


ee 


Ma; DI NITRILI OSSI-IDROPIRIDINICI 555 


a b. m. bollente in carbonato e nella n-metil-a'a'v-trimetil-a-cheto- 
idropiridina. Questa so fi doti mediante il punto di 
ebollizione (260°) e il punto di fusione. del cloroplatinato (205°) 
e del picrato (126°). 

I sali alcalini sono anche facilmente solubili in alcool e 
hanno reazione neutra. 


Sale di bario (C.oHi4N0O;)Ba. — Si ha neutralizzando la so- 
luzione dell’acido purissimo con acqua di barite ben pura, eva- 
porando a secco sul vuoto; lavando il sale con etere e lasciando 
indi seccare all'aria. Scaldato a 100° non si scompone. Solubile 
abbastanza in alcool a 95 o. 

All’analisi gr. 0,3452 di sale asciutto a 100° diedero 


gr. 0,1512 di BaSO,. 


trovato calcolato & 
Ba 9/o 25.76 25.89 


Amide dell’acido 
o'a'r-trimetil-a-o0ssi-a0'B'-idro-piridin-Bcarbonico 


Si ha dal ciantrimetilpirideone con rendimento del 95 °/ 
del teorico. 

È in cristalli prismatici incolori, o solo leggermente colo- 
rati in giallognolo, grossi 4-5 mm. se sono ottenuti dall’acqua, 
fondenti a 199°-200° (corr.). 

Il punto di fusione così vicino a quello del ciantrimetilpi- 
rideone (195°), fa dubitare che durante l’idrolisi si abbia anche 
una isomerizzazione, probabilmente passaggio dalla forma che- 
tonica a forma ossidrilica del gruppo in a. 

Si distingue dal ciantrimetilpirideone per la maggiore solu- 
bilità in acqua e perchè col reattivo di Nessler dà precipitato 
bianco, mentre il ciantrimetilpirideone dà collo stesso reattivo 
precipitato colorato intensamente in giallo. 

Solubile bene in alcool assoluto, in eloroformio, alcool me- 
tilico, acetone; poco solubile in etere e benzene. 


ì 
556 GALEAZZO PICCININI cd 


È anidra. All’analisi ha dato: 


Gr. 0,1038 = em? 14,3 di N.a'22° e 740"m; 
Gr. 0/1570/ien 0,1058 H,0 e gr. 0,3404 C0g. 


trovato calcolato per CgHy,Ns03 
“iii Aa _— _ Tr 
C9/o 59.13 59.54 
H, 7.48 7.69 
Nia 15.26 15.58 


. 

In soluzione acquosa ha reazione neutra; si scioglie facil- 
mente negli acidi concentrati: la soluzione acquosa acida per 
HCl precipita col reattivo fosfomolibdico, fosfotungstico, con 
acido picrico; con ioduro di potassio iodurato dà dopo qualche 
minuto dei bellissimi cristalli brillanti di color rosso bruno. 

È attaccata piuttosto difficilmente dagli alcali; meglio tut- 
tavia del composto n-metilico. 

Con acido nitroso dà facilmente l'acido corrispondente. 

Non ha potere riduttore. 


Acido 
o'-a'r-trimetil-aossi-idropiridin-Bcarbonico C,H,gN0,. 


Si ha sciogliendo l’amide suaccennata in 10 p. di acido 
solforico al 95 °/ raffreddando e versandovi a poco a poco la 
quantità teorica di nitrito di sodio in soluzione concentrata (1:3) 
e ben raffreddata; indi scaldando a 50°-60° per circa 15-20 mi- 
nuti; in fine si può scaldare qualche minuto a 80°-90°, 

Il liquido solforico diluito con 5-6 volumi di acqua si lascia 
a se 2-3 giorni; l’acido precipita allora ben cristallizzato. Altra 
porzione se ne ottiene estraendo il liquido acido con etere. Il 
rendimento è di circa 50 °/, del teorico. 

Senza separare l’amide dalla soluzione solforica si può idro- 
lizzare il ciantrimetilpirideone con 2 p. di acido solforico a 
150°-160°, alla soluzione aggiungere ancora 8 p. di acido solfo- 
rico al 95 °, e indi la soluzione di nitrito di sodio (quantità 
calcolata) colle avvertenze surricordate. 

Ricristallizzato dall’acqua bollente, è in prismi incolori bril- 
lanti molto sottili e lunghi: solubili bene in alcool concentrato, 
cloroformio, poco in benzene. 


' 


x 


Ni 
le DI NITRILI OSSI-IDROPIRIDINICI 557 


Fonde a 1169-117° (corr.) schiumeggiando e seomponendosi 
in CO, e a'a'-trimetil-a-0ssì- idropiridina. 

È anidro. All’analisi diede: ‘U. 

I. Gr. 0,1376=cm° 9,2 di N a 15° .6.74202: 

II. Gr. 0,1068= gr. 0,2312 CO, e gr. 0,0696 H.0; 

III. Gr. 0,148 richiedono per la neutralizzazione em8 8 


N 
Na0HT- 
trovato calcolato per CgHigNO; 
C 9/o 59.03 59.01 
H » 1.24 7.40. 
N x 1.19 70% 
Na0H , 21.62 21.85 


È dunque anch’esso monobasico. 

In soluzione acquosa non precipita colle soluzioni saline; la 
soluzione del suo sale sodico pure non precipita nè con nitrato 
d’argento, nè acetato di Pb, nè con sali di rame, ecc. Non si 
colora con cloruro ferrico. 

I sali alcalini e il sale di bario sono estremamente solubili 
in acqua e anche molto solubili in alcool; per averli occorre 
evaporare nel vuoto le loro soluzioni acquose sino a secchezza, 
lavare con etere, oppure sciogliere in alcool e precipitare i sali 
con etere. 


Sale di sodio C3H,3N0O3Na + 2H,0. — Si ha in bel cristalli 
incolori evaporando la sua soluzione acquosa sino quasi a secco 
nel vuoto, riprendendo con poco alcool ed etere, e asciugando 
all'aria il sale raccolto. 


I. Gr. 0,7094 di sale secco all’aria perdettero a 100° 
gr. 0,1069 H,0; 

II. Gr. 0,305 di sale secco all’aria diedero gr. 0,922 di 
Na,S0,. 


trovato calcolato per CsHjagNOzNa + 2H30 
Hs0 % 15.06 14.93 
Na 9.77 9.56 
x 


558 LUIGI SAUDINO d 


Sale di bario (C$H,g3N03)sBa +3H30.— Si prepara come il 
sale di sodio; è in polvere cristallina bianchissima; è molto so- 
lubile, oltre che in acqua, anchesin alcool a 95 °/o e in acetone. 
All’analisi il sale I Ja diede: 

I. Gr. 1,1952 persero a 100° gr. 0,116 di H,0. 

II. Gr. 0,310 di sale diedero gr. 0,1294 di BaS0O,. 


trovato cale. per (C3HjgN03),Ba +3H30 
TE. CRONO 9.72 
Bara 24.51 24.68 


Laboratorio di Chimica Farmaceutica e Tossicologica 
della R. Università di Torino. 


Nuova pila elettrica costante ed economica. 


Nota di LUIGI SAUDINO. 


Malgrado il gran numero di pile fin qui inventate, siamo 
ancora a questo punto, che, occorrendo di avere una corrente 
costante con servizio prolungato, non abbiamo nulla di meglio 
della pila del genere Daniell, più o meno modificata, il di cui 
depolarizzante, come è ben noto, è il solfato di rame. 

Larga prova di questo si è il fatto che tutti i telegrafi e 
gli apparati di segnalazione a distanza del mondo intero, sono 
ancora azionati da questo genere di elemento o dalle sue mo- 
dificazioni (Callaud, Meidinger, Kelvin, ecc.). 

Su qualche linea telegrafica, specialmente in quelle desti- 
nate alle ferrovie con poco lavoro di trasmissione, si tenta di 
usare la pila del genere così detto Leclanché, ma, come è ben 
noto, questo elemento non reggerebbe ad un lavoro prolungato. 

In alcuni grandi centri si è tentato di sostituire gli accu- 
mulatori alle pile, ma questi tentativi non avrebbero altrimenti 
ragione di farsi, se le pile usate avessero una tensione più alta, 
vicina alla teorica, vale a dire quella ottenuta calcolando le 
calorie libere svolgentisi per le reazioni chimiche nell’interno 
dell'elemento e che secondo i classici lavori di Favre, Reynier, 
Raoult, Tommasi, ecc., nel sistema Daniell sarebbero 50,5; ora 


ferma è fg 


% 


NUOVA ELETTRICA COSTANTE ED ECONOMICA 559 


il volt corrispondendo a calorie 46,3, la tensione normale o teo- 
rica dovrebbe essere di volt 1,09. 

Sono poi abbastanza noti gli inconvenienti degli accumu- 
latori, ed è facile comprendere come non potranno mai venire 
adoperati se non nei grandi centri, richiedendo essi per la loro 
manipolazione operai, macchine e cure le non possono aversi 
in ogni luogo. 


Sul nuovo dispositivo (Brev. federale n° 17050). — Chiunque 
abbia maneggiato la pila a solfato di rame, dovette osservare 
come il basso rendimento che essa dà in lavoro, sia dovuto alla 
diffusione del solfato di rame, che, malgrado i tanti ripieghi fin 
qui escogitati, non si è mai potuto impedire di arrivare allo 
zinco, sul quale esso si decompone nei proprì componenti, di 
cui l’acido solforico si unisce allo zinco, formando solfato di 
zinco che si scioglie a misura che si forma, ed in rame metal- 
lico più o meno ossidato, che aderisce sull’elettrodo negativo, 
formando un deposito bruno rossastro, che si comporta in parte 
come un polo positivo chiudente un circuito di piccole correnti 
parassitarie a danno della corrente principale, la cui tensione 
viene così ridotta. 

In dipendenza di questo fatto abbiamo: 

1° perdita di solfato di rame; 

2° perdita continua anche di zinco, senza che la pila pro- 
duca lavoro esterno di sorta ed abbassamento della tensione, 
come fu detto. 

Il problema del perfezionamento di questa pila, riducendosi 
adunque ad impedire la diffusione del sale depolarizzante, da 
circa vent’ anni io avevo fatto prove a questo scopo, sempre 
con esito non soddisfacente, quando nel 1898 avendo interposto 
fra i due elettrodi di un elemento Daniell una parete formata 
con perossido di piombo, ottenni non solo un abbassamento della 
resistenza interna, ma quel che più importa, potei impedire l’ar- 
rivo della soluzione rameica sullo zinco, in un modo quasi as- 
soluto per diversi mesi e mantenere così la tensione normale 
dell'elemento a volt 1,09 circa. 

Di questi miei risultati avendo riferito all’Ill. Sig. Preece, 
Direttore dei telegrafi inglesi, autorità universalmente conosciuta 
in questa materia, con sua lettera in data 27 gennaio 1899, 


ff. 


” 


560 LUIGI SAUDINO ò 


egli mi faceva osservare che da oltre 25 anni i Sigg. Siemens 
e Halske di Berlino avevano tentato questa via, ma senza ri- 
sultati soddisfacenti. 

Ora io ci tengo assai a dichiarare che non ebbi mai con- 
tezza dei tentativi fatti dai due celebri elettricisti tedeschi in 
questo senso ; l’unico, lavoro di questo genere che mi fu noto, 
perchè descritto in ‘quasi tutti i trattati sulle pile, fu quello di 
Varley, che consisteva nel separare i due liquidi della pila con 
una parete di ossido di zinco, provvedimento affatto effimero, 
poichè questa sostanza, in presenza dell’acido solforico libero 
della pila, scompare formando del solfato di zinco, che a sua 
volta si scioglie nel liquido che lo contiene. 

Il dispositivo da me creato, in conseguenza delle mie espe- 
rienze, è cosa semplicissima. Esso si compone di due vasi po- 
rosi cilindrici (che possono avere anche altra forma) di diametri 
diversi, in modo che messi uno nell’altro, rimanga fra di essi 
uno spazio anulare od intercapedine, dello spessore di circa 
dieci millimetri, che viene riempito con una pasta fatta col detto 
perossido di piombo. 

Questi due vasi devono però subire una precedente opera- 
zione allo scopo d’impedire la loro frattura, essendo di pareti 
assai sottili. 

Questo dispositivo che viene poi introdotto in uno dei soliti 
vasi esterni di vetro, può comportare lo zinco tanto nel suo 
interno, come all’esterno, secondo i casi. 

Il suo valore venale si aggira intorno ad una lira, per un 
modello di cent. 15 d'altezza e 9 di diametro. 


Esperienze. — Le esperienze compiute su elementi montati 
col mio dispositivo con soluzione di SO*Cu, quasi satura e SO4Zn, 
a metà saturazione, quest’ultima come eccitante dello zinco, con 
modelli di 15 cent. d'altezza circa, furono le seguenti: 

a) Presso la Direzione Federale dei telegrafi a Berna, 
dal sig. Direttore tecnico, Ingegnere Luigi Vanoni. 

b) A Zurigo presso il Politecnico, dal prof. di fisica In- 
gegnere Pernet. 

c) A Ginevra, presso l'Ufficio centrale dei Telegrafi, dal 
sig. Luigi Curtet. 

d) Pure a Ginevra, dal sig. Rilliet, professore di fisica 
all’Università. 


oo 


NUOVA PILA ELETTRICA COSTANTE ED ECONOMICA 561 


e) A Parigi, presso il Ministero delle Poste e Telegrafi, 
dal sig. Ingegnere Bellugu, capo del Servizio elettrico. 

f) A Bellinzona, presso la Scuola di Commercio, dal sig. 
prof. Giorgio Bertolani, docente di fisica. 


Risultati. — Di quanto risultò dalle menzionate esperienze 
una parte è comprovata da documenti di cui ho dato comuni- 
cazione. La morte improvvisa del prof. Pernet del Politecnico di 
Zurigo, mi ha privato del migliore degli attestati, poichè colà 
solo le prove si erano fatte con un modello definitivo e pratico. 

Dai diversi esperimentatori, la tensione del mio elemento 
fu trovata fra volt: 1,05 e volt: 1,10. 

La resistenza interna variante da un modello all’altro diede 
ohm: .1;31a)5. 

Notevole è l’attestato del prof. Rilliet di Ginevra, con cui 
dichiara: che il mio elemento chiuso sopra una resistenza di 
13 ohm circa, durante il lavoro continuo di circa mille ore, non 
ha variato la sua tensione più di !/1o0 di volt. 

Credo pur degna di nota la dichiarazione del sig. prof. Ber- 
tolani, affermante che durante l’esperienza di 20 giorni nessuna 
traccia di sale rameico arrivò sullo zinco. 


Vantaggi pratici. — Attualmente un’ amministrazione tele- 
grafica, per esempio, che abbisogni di una tensione di 80 volt, 
deve servirsi di una batteria di 100 elementi, essendo la ten- 
sione delle pile attualmente in uso di circa volt: 0,80: coll’ele- 
mento da me modificato, basterebbero 73 unità; in questo caso 
si risparmierebbero adunque 27 elementi: a voler esser molto 
prudenti, si può ammettere che si risparmierebbero almeno il 
25 %o degli elementi. 

In causa della diffusione del sale rameico, le pile attuali 
sprecano circa l’ 80 ® dei materiali in esse usati (è questa 
un’ affermazione gratuita, ma che afferma un fatto riconosciuto 
dai pratici ed è di facile controllo). 

Ora, col mio sistema essendo impedita la diffusione rameica, 
causa unica di questo spreco, si può ritenere che, se un elemento 
comune consuma, fra sale e zinco, per circa 80 cent. all'anno, 
col mio dispositivo si avrebbe un risparmio di almeno lire 0,50 
per elemento. 

Torino, 31 gennaio 1908. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 41 


562 LORENZO CAMERANO 


Il Quagga del Museo Zoologico di Torino. 
Nota del Socio LORENZO CAMERANO. 


Il Quagga è una specie di Zebra estinta da oramai lungo 
tempo. Secondo le ricerche fatte dal viaggiatore Bryden (Kloof 
an Karoo, 1889) gli ultimi individui sono stati uccisi nel 1858 
a Tygerberg nel distretto di Aberdeen (provincia della regione 
centrale della Colonia del Capo). 

L'ultimo esemplare vivente fu una femmina che il Giardino 
zoologico di Londra ebbe nel 1851 e che morì nel 1872 (1). 

E. L. Trouessart nella sua nota recente: Le Couagga e le 
Zèbre de Burchell de la collection du Muséum (2), parlando del- 
l'esemplare posseduto dal Museo di Parigi, dice: “ Les autres 
musées qui en possèdent des dépouilles sont ceux d'Edimbourg, 
de Tring, de Bale, de Berne, de Francfort, de Mainz, de Berlin 
et de Vienne. Le Musée de Capétown lui-méme ne possède qu'un 
Jeune poulain, datant d’une époque indéterminée, mais anté- 
rieure à 1862. Ces onze peaux bourrées et quelques crànes sont 
tout ce qui reste de cette intéressante espèce ,. 

Ai musei sopra menzionati è d’uopo aggiungere il Museo 
zoologico di Torino, il quale possiede una femmina e il rela- 
tivo cranio. Questo esemplare venne acquistato nel 1827 dal 
sig. S. Leadbeater (3), allora ben noto negoziante inglese di og- 
getti di storia naturale. 


(1) © Proc. Zool. Soc. ,, Londra, 1901, I, pag. 165. 

(2) “ Bull. Muséum d’hist. nat. ,, 1906, 7, p. 449. 

(3) Nel recente lavoro di R. BowpLer Snare, “ The History of the Col- 
lections contained in the Natural History Departments of the British Museum, 
1906, pag. 411, si legge intorno al Leadbeater quanto segue: “ The Lead- 
beaters, father and son, were for many years the leading natural history 
agents in London, and had a shop in Brewer-Street, Golden Square, which 
at my early days I used to visit in search of African birds. The father, 
after whom Cacatua leadbeateri was named by Vigors, was a scientific man, 
and wrote several papers on ornithology. — After the death of the father 
and son the business was continued for a short time by a nephew ,. 


da ra. 


IL QUAGGA DEL MUSEO ZOOLOGICO DI TORINO 563 


I quagga dei musei sopra indicati vennero studiati da varî 
autori dal punto di vista dei loro caratteri specifici ed è fra 
gli altri principalmente da ricordarsi il lavoro di R. I. Pocock: 
The Races of Cape Colony Quaggas (1). — Questo Autore consi- 
dera le forme seguenti di quagga: 


Equus quagga Gmelin. Sub. sp. tipica. 


: » > » » Danielli Pocok. 
È x A sa (in Lorenzi Lyddi 
vasi a n» Greyi Lydd. 


Il Trouessart nel lavoro sopracitato riferisce l'esemplare del 
Museo di Parigi alla sotto specie Greyi Lydd. 

Dopo il lavoro del Trouessart il Pocock pubblicò una nota 
relativa all’esemplare di quagga del Museo di Parigi, in cui 
discute le conclusioni del Trouessart e in parte le modifica (2). 

In “ The Bulletin du Museum d’histoire naturelle ,, pp. 449- 
452 (1906), dice il Pocock: “ Dr. Trouessart has given an ac- 
count, illustrated by two admirable photogravures, of a quagga 
and a Burchell’s Zebra preserved in the Paris Museum. The 
quagga especially proves to be a specimen of considerable sys- 
tematic importance....... In a paper on the Cape Colony 
quaggas (3) with which Dr. Trouessart does not appear to be 
acquainted, I pointed out that two forms named respectively 
by Mr. Lydekker E. quagga Greyi and E. q. Lorenzi resemble 
each other and differ from E. q. quagga and E. q. Damielli in 
having the stripes brown and the interspaces creamy yellow; 
and, further, that they may be distinguished from each other 
by certain characters, of which the width of the stripes on the 
neck is one. In Lorenzi the neck-stripes are exceedingly wide, 
the interspaces forming distinct but very narrow pale lines, 
whereas in Greyi the interspaces are relatively broad and the 
stripes correspondingly narrow ,. 

“ So far as the width of the neck-stripes is concerned the 


(1) © Ann. and Magaz. Nat. Hist. , 7 ser., vol. 14, p. 318 e seg. (1904). 
(2) R. I. Pocock, Notes on the Quagga and Burchell’s Zebra in the Paris 

Museum, © Ann. and Mag. Nat. Hist. ,, 7 ser., vol. XIX, 1907, pag. 516. 
(3) Op. cit. 


ta. d 
PA 


» 


564 LORENZO CAMERANO 


Paris specimen is more like the type of Lorenzi than is any 
other recorded specimen. But the stripes are even wider and 
the intervening areas narrower than in the Vienna example. In 
the latter, as in the Paris example, the pale intervening areas 
are distinct upon the withers; but behind the withers in the 
Paris example they die out, the flanks being only indistinctly 
striped and the hind-quaters practically unstriped. In Lorenzi, 
on the other hand, the intervening spaces persist in such a 
manner as to leave no doubt that both in pattern and posterior 
extension the stripes were, to all intents and purposes, like 
those of typical Burchell’s zebra (E. quagga Burchelli), the so 
called “ saddle , (“ selle, of Trouessart), characteristic of that 
animal and the more northern forms related to it, being quite 
evident. Herein lies the chief difference between the Paris and 
Vienna specimens. Tho the type of Greyi, on the contrary, the 
Paris specimens shows a close resemblance in the obliteration 
of the stripes on the body and hind-quarters ,. 

Il Pocock conchiude: “ the chief interest of Dr. Troues- 
sart’s paper upon the Paris specimen lies in the fact that it 
has proved the former existence of a quagga intermediate in 
coloration between two specimens that have been made the 
types of distinct subspecies, namely Greyi and Lorenzi ,. 

L'esemplare di quagga del Museo zoologico di Torino è 
molto simile a quello del Museo di Parigi descritto e figurato 
dal Trouessart e in egual modo si differenzia dall’E. q. Greyi 
e dall’ E. q. Lorenzi (1). 

Anche all’esemplare del Museo di Torino si può applicare 
l’espressione usata dal Trouessart per quello del Museo di Pa- 
rigi: “ ce Couagga a l’apparence d'un Cheval alezan, rayé de 
blanc, et non d'un Cheval blanc rayé de noir, comme les autres 
Zèbres ,. Ù 

La forma di Quagga del Museo di Parigi è così rappre- 
sentata, per quanto se ne sa ora, da due esemplari, la qual cosa 
accresce il valore sistematico della forma stessa. » 

Io non entrerò qui nella controversa questione del valore 


(1) Confr. figure dell’Eg. Greyi. “ Proc. Zool. Soc. ,, Londra 1901, I, 
pag. 166, fig. 47. — “ Proc. Zool. Soc. ,, Londra 1904, I, pag. 480, fig. 86 
e figura dell’Eq. Lorenzi “ Proc. Zool. Soc. , Londra 1902 ,I, pag. 33, fig. 7. 


tf 


CAMERANO Il Quagga del Museo zool, di Torino Atti della R. Accad. delle Scienze 
Gi Sozino Voi. XLIII 


Prati pe Off. Fototecnica Ing.G.Molfese - Torino 
I 


IL QUAGGA DEL MUSEO ZOOLOGICO DI TORINO 565 


sistematico da assegnarsi alle varie forme di Quagga, se esse 
siano, vale a dire, da considerarsi come specie, o come sotto- 
specie. Credo tuttavia utile designare la forma di Quagga del 
Museo di Parigi e del Museo di Torino con un nome che, per 
ora provvisoriamente, potrà essere di sottospecie. Io propongo di 
chiamare questa forma col nome di E. q. sub. spec. Trouessarti. 

I caratteri delle tre sottospecie di Quagga, E. q. Lorenzi 
Lydd., E. q. Greyi Lydd., E. q. Trovessarti Camer. si possono 
riassumere nel modo seguente: 


A — Le striscie scure e chiare oltrepassano notevol- 
mente il garrese sul dorso e sui fianchi e presentano ben visi- 
bile la “ sella ,. 

Le striscie scure del collo sono relativamente grandi e le 
striscie chiare intercalate sono relativamente strette. 
E. q. sub. sp. Lorenzi Lydd. 

B — Le striscie scure e chiare arrivano solo al garrese, 
o l’oltrepassano di poco, senza presentare in ogni caso traccia 
di “ sella ,. 

a) Le striscie scure del collo sono relativamente assai 
grandi e le striscie chiare intercalate sono relativamente molto 
strette. E. q. sub. spec. Trouessarti Camer. 

b) Le strisce scure del collo sono relativamente strette 
e le strisce chiare intercalate sono relativamente larghe. 

E. q. sub. spec. Greyi Lydd. 


Nella tavola unita a questa nota è riprodotta la fotografia 
dell'esemplare di Quagga del Museo di Torino visto dai due lati. 

Una piccola figura del cranio di questo esemplare venne 
da me pubblicata nel lavoro intitolato: Materiali per lo studio 
delle zebre (1). 


(1) “ Atti R. Ace. Scienze di Torino ,, XXXVII, 1902. 


bay 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 1° Marzo 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: 
della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: 
Naccari, Direttore della Classe, CAMERANO, SEGRE, JADANZA, 
GuarescHIi, PARONA, MaTTIROLO, MorERA, FUSARI; 
della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
BoseLLI, Vice-presidente dell’Accademia, Manno, Direttore della 
Classe, Pizzi, SrAMPINI, BronpI, Scorza e De SanctISs, Segretario. 

Scusano l’assenza i Soci ALLievo, Foà, CARUTTI, RUFFINI, 
SomieLIANA e D’ErcoLe. 

Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente a Classi 
Unite, 16 giugno 1907. 

Il Presidente dà la parola al Socio MorERA, il quale legge 
la commemorazione del compianto Socio nazionale non resi- 
dente Francesco Sracci. 

Invitato dal Presidente, il Socio NAccari legge la relazione 
della 2? Giunta per il XV premio Bressa (quadriennio 1903-1906). 
La Giunta propone senza alcuna distinzione di merito Guglielmo 
Roux pei suoi lavori sulla biomeccanica, Ernesto RuTHERFORD 
pei suoi lavori sulla radioattività. 

Il Presidente dichiara aperta la discussione, ma nessuno 
domandando la parola, si deciderà senz'altro nella prossima adu- 
nanza dell’8 marzo. 


567 


Il Socio De Sanctis, a nome del Socio CrporLa assente, 
legge la relazione della Commissione per il premio Gautieri per 
la storia (triennio 1904-1906). 

La Commissione propone che il premio venga conferito al 
prof. Adolfo VentuRI per la sua Storia dell’arte italiana. Nes- 
suno dei Soci prendendo la parola per fare osservazioni in pro- 
posito, anche per il premio Gautieri si procederà senz'altro alla 
votazione nella prossima seduta. 

Il Presidente dà poi la parola al Socio SrampinI, relatore 
della Commissione pel premio Vallauri di letteratura latina 
(quadriennio 1903-1906), il quale riferisce in latino sui risultati 
dei lavori della Commissione. 

La Commissione propone che il premio, venga diviso tra 
i professori Paolo Monceaux per l’opera Histoire littéraire de 
l Afrique chrétienne e Martino ScHANZ per l’opera Geschichte der 
ròmischen Litteratur. 

Nessuno dei Soci facendo osservazioni o proposte, il Pre- 
sidente dichiara definitivamente chiuso il campo delle proposte 
pel premio Vallauri e avverte che si voterà intorno al suo con- 
ferimento nell'adunanza dell’8 marzo. La commemorazione del 
Socio Sracci e le relazioni delle tre Commissioni sono inserite 
negli Atti. 

Il Presidente presenta quindi lo scritto offerto in omaggio 
all'Accademia dal Socio senatore Mosso su Le armi più antiche 
di rame e di bronzo (estr. dalle “ Memorie della R. Accad. dei 
Lincei ,, ser. V, vol. XII, Roma 1908). 


Il _RAARnAuiniILI 


568 GIACINTO MORERA 


LETTURE 


FRANCESCO SIACCI 


Commemorazione 
letta alla R. Accademia delle Scienze di Torino nella seduta del 1° Marzo 1908 
dal Socio Prof. GIACINTO MORERA 


Nacque Francesco Sraccr in Roma il 20 aprile 1839 da 
un antico soldato del primo Napoleone, Matteo Siacci nativo 
della Corsica, e da Beatrice Badaloni anconitana. In età giova- 
nissima perduto il padre, restò affidato’ alle sole cure della 
madre, donna di tempra virile, che nell’educazione del figlio 
seppe vincere gli ostacoli frapposti dall’avversa fortuna. 

Portato da naturale inclinazione allo studio delle matema- 
tiche, si iscrisse il Siacci all'Ateneo Romano, ove ben presto 
emerse per le sue singolari attitudini: il primo lavoro da lui 
dato alle stampe appartiene al periodo de’ suoi studi universitari. 
Il principe Baldassarre Boncompagni, il ben noto patrizio ro- 
mano, appassionato e dotto cultore delle matematiche, che ap- 
prezzava i giovani, fu il protettore di Francesco Siacci (*). 

Nel 1860 conseguì il Siacci alla Sapienza la laurea ad 
honorem nelle matematiche, distinzione a quei tempi molto am- 
bita, ma difficilmente e raramente conferita. 

Gli avvenimenti politici di quei tempi eccitavano grande- 
mente gli animi, e sovratutto infiammavano la gioventù studiosa; 
sicchè la Sapienza era diventata il focolare delle manifestazioni 
patriottiche. 

I più animosi fra i giovani che apertamente anelavano al- 
l'unione di Roma colla risorgente Italia venivano perseguitati 
dalla polizia pontificia; e i meno prudenti fra essi furono esi- 


(*) RarrarLe De Cesare, Roma e lo Stato del Papa, vol. I, pag. 97. 


FRANCESCO SIACCI — COMMEMORAZIONE 569 


liati; mentre non pochi altri preferirono lasciare spontaneamente 
Roma e riparare in Piemonte o nelle provincie annesse. Di 
questi ultimi fu Francesco Siacci (*); il quale nel 1861 emigrò 
a Torino e prese servizio nell’esercito italiano; ove, a cagione 
de’ suoi studi, fu nominato sottotenente d’artiglieria ed ammesso 
alla Scuola d'artiglieria e genio. 

Nel 1866 prese parte alla guerra contro l’Austria, e come 
tenente dei pontieri, vi fece prova di eccellenti qualità militari. 

Ma ancor prima che la campagna fosse terminata egli ve- 
niva chiamato a Torino ad insegnare la balistica alla Scuola di 
applicazione d’artiglieria e genio, colla qualifica di professore 
aggiunto. Egli fu poi, nel 1872, nominato professore titolare di 
balistica, ed in tale insegnamento continuò nella scuola stessa 
fino all’epoca del suo ritiro dal servizio militare attivo, avve- 
nuto nel 1892, dopo avervi raggiunto il grado di tenente co- 
lonnello. 

Nell'anno accademico 1871-72 la nostra Università lo chiamò 
a sè affidandogli l’incarieo di insegnare la meccamica celeste. Nel 
1875 il titolo dell’insegnamento impartito dal Siacei all’ Uni- 
versità fu mutato in quello di meccanica superiore, ed egli ebbe 
il grado di professore straordinario; nel 1879 poi fu nominato 
professore ordinario. 

Resasi vacante nel 1891 la cattedra di meccanica razionale, 
al Siacci fu dato pure l’incarico di tale insegnamento. Con- 
tinuò il Siacci ad insegnare nel nostro Ateneo fino all'anno 1893, 
nel quale fu trasferito a Napoli e nominato in quell’Università 
professore ordinario di meccanica razionale e incaricato di mec- 
canica superiore; uffici che egli conservò fino alla di lui morte 
avvenuta in Napoli il 81 maggio 1907. 

Fu il Siacci insegnante valente ed efficace, sia per limpi- 
dezza di pensiero e solidità di dottrina, sia per precisione, chia- 
rezza e sobria eleganza nella esposizione. Le sue lezioni erano 
seguite con intensa attenzione e vivo interesse dai suoi allievi, 
tanto all’Università quanto alla Scuola d’artiglieria e genio. 

Tali pregi si rivelano pure nelle numerose pubblicazioni 
del Siacci, nelle quali mai fa difetto originalità di pensiero e 
accuratezza di forma. 


(*) Ibidem, vol. II, p. 20 e 27. 


570 GIACINTO MORERA 


Uno degli argomenti prediletti dal Siacci, che formò og- 
getto frequente delle sue lezioni di meccanica superiore e di 
non poche reputate pubblicazioni, è la teoria delle cosiddette 
equazioni canoniche della dinamica; teoria fondata da W. R. Ha- 
milton e grandemente perfezionata da C. G. Jacobi. 

Jacobi nelle sue celebri “ Vorlesungen iiber Dynamik ,, nel 
1866 pubblicate da A. Clebsch, aveva messo in luce il vantaggio 
che si può trarre in molte questioni di alta dinamica dall’im- 
piego sistematico del metodo di Hamilton da lui stesso comple- 
tato; ma al tempo in cui Siacci iniziò il proprio insegnamento 
universitario le lezioni di Jacobi, da poco tempo apparse, erano 
da noi scarsamente conosciute e solo pochi eletti matematici si 
rendevano ragione della grande importanza che quel metodo 
stava per assumere fiella dinamica e segnatamente nella mec- 
canica celeste. 

Jacobi aveva riconosciuto l’importanza, sia per la dinamica, 
sia per l’analisi pura, della teoria delle equazioni differenziali 
Hamiltoniane in unione a quella delle equazioni a derivate par- 
ziali del primo ordine. Egli aveva compiute intorno a questi 
argomenti molteplici ed estese ricerche, i risultati delle quali 
in parte non furono pubblicati da Jacobi, ma resi di pubblica 
ragione dal Clebsch dopo la morte dell'autore; è quindi ragio- 
nevole pensare che il profondo analista considerasse i risultati 
da lui conseguiti come non ancora perfetti e si ripromettesse 
di completarli. 

Era riserbato al sommo geometra norvegio Sophus Lie di 
dare a quelle dottrine il loro definitivo assetto mercè la scoperta 
delle trasformazioni di contatto, le quali tanto intimamente col- 
legano le equazioni differenziali Hamiltoniane e le equazioni a 
derivate parziali del primo ordine. 

Fra i lavori dati alle stampe dal Siacci in quest’ ordine 
di ricerche egli attribuiva speciale importanza alla memoria: 
Teorema fondamentale nella teoria delle equazioni canoniche del 
moto, pubblicata nel 1882 fra le memorie dei Lincei, Il teorema 
in parola, sebbene di aspetto dissimile, nella sostanza è equi- 
valente a quel teorema fondamentale della teoria delle trasfor- 
mazioni di contatto, il quale tutte le somministra sotto forma 
finita. 

Tale teorema, è ben vero, fu dato da S. Lie molto prima 


FRANCESCO SIACCI — COMMEMORAZIONE 571 


ed in modo perfetto (1873-1874): ma ciò non toglie a Siacci il 
merito di averlo ritrovato per proprio conto e di averne rico- 
nosciuta l’importanza nella teoria delle equazioni Hamiltoniane. 
Le memorabili scoperte di S. Lie si diffusero lentamente fra i 
matematici a cagione non soltanto dei metodi impiegati da quel- 
l’eminente geometra, ma altresì della forma poco attraente con 
cui sono redatti i lavori di lui. 

Le scoperte di Lie si divulgarono soltanto dopo la pubblica- 
zione della “ Theorie der Transformationsgruppen » fatta colla 
valida collaborazione di F. Engel, e in seguito agli insegnamenti 
dal Lie stesso dati all’Università di Lipsia; ma anche oggidì 
l'opera del profondo matematico norvegio non è forse comple- 
tamente conosciuta e utilizzata. 

Anche gli altri lavori di meccanica del Siacci, che non 
riguardano le equazioni canoniche del moto, sono ricchi di pregi: 
fra questi mi piace di qui ricordare soltanto i seguenti. 

Le due memorie “ Sulla rotazione dei corpi ,, inserite fra 
quelle della Società Italiana delle Scienze, nelle quali sono con- 
tenuti risultati di cui Hermite diede notizia all'Accademia delle 
Scienze di Parigi in una di quelle sue ben note comunicazioni 
“Sur quelques applications des fonctions elliptiques , (*). 

La memoria “ Le quaterne statiche nei sistemi di forma inva- 
riabile ,, pure inserita fra le memorie della Società dei XL, ove 
sono stabilite delle eleganti proprietà geometriche dei quattro 
assi attorno ai quali girando un corpo rigido sollecitato da forze 
vettorialmente invariabili ed avente un punto fisso, può passare 
da una qualunque posizione ad una di equilibrio. 

La nota “ Il pendolo di Leone Foucault e la resistenza del- 
l’aria ,, lavoro pregevole per elegante semplicità, che procurò 
all'autore in seno alla nostra Accademia un’aspra polemica col 
conte di Saint-Robert. 

Le due note intitolate: “ Del moto per una linea piana , e 
“Del moto per una linea gobba ,, nelle quali viene risoluta colla 
massima generalità la questione di determinare le forze atte a 
far percorrere ad un dato punto una data traiettoria, 

La memoria: “ L’iperboloide centrale nella rotazione dei 
corpi ,, nella quale l’autore diede una nuova generazione cine- 


(*) C. R., T. 85, p. 1188 (an. 1877). 


5% GIACINTO MORERA 


matica del moto spontaneo di rotazione di un corpo rigido, 
avente un punto fisso; il quale risultato fu generalizzato dal 
Gebbia con un suo elegante teorema, che somministra come casi 
particolari quelli di Poinsot e Siacci. — Altri interessanti e 
più generali modi di generare questo moto furono in seguito 
indicati dallo stesso Siacci nella nota “ Sulla rotazione di un corpo 
attorno ad un punto ,. 

Assunto dal Siacci l’insegnamento della meccanica razio- 
nale, egli molto curò l'esposizione dei principî su cui questa 
scienza riposa. — Di ciò fanno fede le lezioni da lui pubblicate 
a Torino e a Napoli, le due note “ Sulla composizione delle forze 
e sui suoi postulati ,, e infine quelle “ Sul principio dei lavori 
virtuali ,. A proposito del principio dei lavori virtuali Siacci 
fece ritorno alle antiche dimostrazioni di Lagrange, opportuna- 
mente da lui modificate, a ciò indotto dal desiderio di dedurre 
il principio da postulati fisici di immediata intuizione e sommi- 
nistrarne una dimostrazione più semplice di quella attualmente 
in uso. Per quanto tali dimostrazioni possano sembrare conve- 
nienti per un insegnamento elementare della statica, non cessano 
di essere imperfette e insufficienti per uno studio approfondito 
della meccanica, giacchè, non foss’altro, esse non mettono in 
luce la vera essenza del principio dei lavori virtuali, che è di 
costituire in ultima analisi un processo algebrico di eliminazione 
delle reazioni vincolari, incapaci di lavoro negli spostamenti 
compatibili del mobile. 

Nelle applicazioni della meccanica alla scienza degli arti- 
glieri, e cioè nella balistica, Siacci fu sommo maestro. 

Il Trattato di balistica del Siacci, nella sua forma defini- 
tiva (1888), è, a giudizio dei competenti, opera veramente ma- 
gistrale, molto pregiata in Italia e fuori. Questo trattato ebbe 
l'onore di una traduzione francese per opera dell'Ing. Laurent. 
Ma il lavoro principale del Siacci, quello che più contribuì a 
renderlo noto agli artiglieri di tutti i paesi, è il metodo da lui 
ideato fin dal 1880, e successivamente perfezionato, per risolvere 
i problemi del tiro mediante una tavola balistica. Questo metodo, 
che fu universalmente adottato, così viene giudicato nel recente 
“ Traité de balistique extérieure par le Commandant P. Char- 
bonnier , (Paris, 1904): “On peut dire que cette manière d’en- 
“ visager d'ensemble le problème balistique, jointe à la solution 


FRANCESCO SIACCI — COMMEMORAZIONE 575 


“ approchée qui a pu ètrè donnée dans certains cas spéciaux, 

“ constitue un des pr ogrès des: lus considérables qui aient été 
“ faits en balistique extérieure. Le meérite doit, pour la plus 
“ grande partie, en étre reporté au colonel Siacei , (#). 

Quale sia l’importanza dei contributi apportati da Francesco 
Siacci al progresso della balistica risulta dai moderni trattati su 
questa materia e specialmente da quello or ora ricordato del 
comandante Charbonnier, non che dalla recentissima opera dello 
stesso autore intitolata: Balistique extérieure rationnelle, problème 
balistique principal (Paris, 1907). 

Ma anche fuori del campo della meccanica la mente acuta 
e operosa del Siacci ha saputo cogliere allori. Nel campo delle 
matematiche pure ricordo i bei teoremi da lui trovati sui deter- 
minanti; nel campo delle applicate la memoria “ Sulla costitu- 
zione atmosferica quale risulta dalle osservazioni aereostatiche di 
James Glaisher e sopra una nuova formula barometrica ,, ove in 
base alle osservazioni è stabilita un’equazione differenziale fra 
la temperatura e l'altezza ed una finita fra la pressione e la 
tensione del vapore, equazioni che conducono Siacci alla sua 
formula barometrica per la misura delle altezze. 

L'insigne opera scientifica di F. Siacci procurò a lui meri- 
tati onori. Fin dal 1876 venne eletto socio residente della nostra 
Accademia; fu socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, 
uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Socio della 
R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli e 
dell’Accademia Pontaniana; corrispondente del R. Istituto lom- 
bardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze di 
Bologna. 

I suoi concittadini lo elessero deputato al Parlamento per 
le legislature XVI (1886) e XVII (1890); nel 1892 fu elevato 
alla dignità senatoriale. 

Collocato nella riserva d’artiglieria col grado di tenente 
colonnello nel 1892, vi fu in seguito nominato colonnello, e poi, 
poche settimane prima della sua morte, maggior generale. 

Nella nostra Università, dopo il di lui trasferimento a Na- 


(*) Per ulteriori dettagli vedi la Commemorazione di Francesco Siacci, 
D 
pubblicata dal Maggiore d’Artiglieria Gruciano Ricci nella * Rivista d’ar- 
tiglieria e genio ,, vol. II (1907 
D te] n? 


re GIACINTO MORERA 


poli. ebbe il titolo di professore onorario; nell'Università di Na- 
poli negli ultimi tempi ebbe aiggarica di Preside di quella 
Facoltà matematica. 

Colpito da malattia di cuore, sebbene sofferente, continuò 
il Siacci ad attendere ai propri doveri di pubblico insegnante 
fino a poche settimane avanti la di lui morte, avvenuta in 
Napoli per paralisi cardiaca il 31 maggio dello scorso anno. 

Negli ultimi momenti della sua vita volle riesaminare il 
volume delle proprie lezioni di meccanica razionale, ma le forze 
non glielo consentirono e pochi istanti dopo era spento! 

Francesco Siacci percorse a Torino la maggior parte della 
sua luminosa carriera scientifica; ai. lavori della nostra Acca- 
demia egli partecipò largamente e degnamente per quasi un 
ventennio. 

Qui, ove molti lo ebbero a collega, altri a maestro, e tutti 
ad amico, rimarrà vivo il desiderio e il rimpianto di lui. 


ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI 


DI 


FRANCESCO SIACCI 


Giornale Arcadico. 


Intorno a tre problemi proposti nella Raccolta “ Nouvelles Annales de mathé- 
matiques ,. Roma, 1859. 
Intorno ad una linea di quart'ordine. Roma, 1861. 


Annali di Matematica pura ed applicata. 


Sulla somma delle potenze intere dei numeri naturali. Roma, 1861. 

Sull’uso dei determinanti per rappresentare la somma delle potenze intere dei 
numeri naturali. Roma, 1865. 

Degli invarianti e covarianti delle forme binarie ed in particolare di quelle di 
3° e 4° grado. Roma, 1865. 

Intorno ad alcune trasformazioni di determinanti. Milano, 1574. 


Giornale di Matematiche. 


Intorno ad una serie e ad una funzione dei coefficienti binomiali. Napoli, 1873. 
Questioni. Napoli, 1872 e 1873. 


n 


FRA co Mali — COMMEMORAZIONE 575 


Bullettino di Bibliografia e Storia delle Scienze matematiche e fisiche. 


Sul teorema del Conte di Fagnano.M , 1870. 
Sopra una memoria di Gilbert. Roma, 1878. 


Ù 
Comptes Rendus de l’Académie des Sciences de Paris. 


Sur un théorème de Mécanique céleste. Paris, 1873. 

Sur le problème des trois corps. Paris, 1874. 

Un théorème de Dynamique. Paris, 1879. 

Sur un théorème de Mécanique. Paris, 1896. 

Sur un problème de D'Alembert. (Due Note). Paris, 1901. 


Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. 


Intorno ad alcune trasformazioni delle equazioni differenziali del problema dei 
tre corpi. Torino, 1871. 

Intorno ad una trasformazione simultanea di due forme quadratiche ed alla 
conica rispetto a cui due coniche date sono polari reciproche. Torino, 1872. 

Teorema sui determinanti ed alcune sue applicazioni. Torino, 1872. 

Il Pendolo di Leone Foucault e la resistenza dell’aria. Torino, 1878. 


Il Pendolo di Leone Foucault. Poche parole di risposta al Conte di S.' Robert. 
Torino, 1878. 


Relazione intorno ad una memoria del Sig. E. Jung intitolata “ Nouveau calcul 
des mouvements elliptiques ,. Torino, 1879. 

Del moto per una linea piana. Torino, 1879. 

Del moto per una linea gobba. Torino, 1879. 

Intorno ad una legge di reciprocità dinamica. Torino, 1880. 

Un teorema di Meccanica analitica. Torino, 1880. 

Gli assi statici di un sistema di forma invariabile. Torino, 1882. 

Alcuni teoremi sulla resistenza incontrata da una superficie in moto dentro un 
fluido. Torino, 1884. 

Sulla rotazione di un corpo intorno ad un punto. Torino, 1886. 

Alessandro Dorna. Commemorazione. Torino, 1886. 

Sulla compensazione delle poligonali nei rilievi topografici. Torino, 1888. 

Enrico Narducci. Breve commemorazione. ‘l'orino, 1892. 


Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino. 


Un nuovo metoda per determinare la resistenza dell’aria sui proietti (Due Me- 
morie). Torino, 1877-1878. 

Giovanni Cavalli. Commemorazione. Torino, 1885. 

— Angelo Genocchi. Commemorazione. Torino, 1889. 


Atti della R. Accademia dei Lincei. 


Intorno alle forme quadratiche. Roma, 1872. 
Sopra una proposizione di Jacobi. Roma, 1880. 
Teorema fondamentale nella teoria dell'equazioni canoniche del moto. Roma, 1882. 


576 GIACINTO MORERA 


Sugli angoli di massima gittata. Roma, 18 

Il Conte Paolo di S* Robert. Commemora: one. Roma, 1889. 

Sulle forze atte a produrre eguali spostamenti. (Due Note). Roma, 1889. 
Sulle tensioni nei sistemi elastici articolati. (Due Note). Roma, 1893 e 1894. 
Sulla stabilità dell'equilibrio e sopra una proposizione di Lagrange. Roma, 1896. 


Memorie della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL). 


Della rotazione dei corpi liberi. (Due Memorie). Napoli, 1877. 
Le quaterne statiche nei sistemi di forma invariabile. Napoli, 1882. 


Rendiconti della R. Accademia delle Scienze di Napoli. 


Sulla resistenza dell’aria al moto dei proietti. Napoli, 1896. 

Carlo Weierstrass. Breve Commemorazione. Napoli, 1897. 

Francesco Brioschi. Breve Commemorazione. Napoli, 1897. 

Sulla composizione delle forze e sui suoi postulati. (Tre Note). Napoli, 1899. 

Sulla integrazione di una equazione differenziale e sull’equazione di Riccati. 
Napoli, 1901. 

Sul principio dei lavori virtuali. (Due Note). Napoli, 1905). 


Atti della R. Accademia delle Scienze di Napoli. 


Sulla funzione caratteristica del inoto di rotazione di un corpo non sollecitato 
da forze. Napoli, 1893. . 

Sulla costituzione atmosferica quale risulta dalle osservazioni aereostatiche di 
Glaisher e sopra una nuova formola barometrica. Napoli, 1897. 


Atti del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli. 


Sopra una nuova formola barometrica per la misura delle altezze. Napoli, 1896 


In memoriam Dominici Chelini Collectanea Mathematica. 


L’iperboloide centrale nella rotazione dei corpi. Milano, 1881. 


Rivista Militare Italiana. 


Della resistenza dell’aria sopra i proietti oblunghi e della loro trajettoria. 
Firenze, 1868. 

La Clessidra elettrica del Sig. Capitano P. Leboulengé. Firenze, 1869. 

Delle esperienze eseguite a Meta nel 1856-57 sulla resistenza dell’aria contro 
i proietti sferici. Firenze, 1870. 


Giornale d’Artiglieria. 


Della resistenza dell’aria sui proietti oblunghi e della loro trajettoria (2* edi- 
zione). Torino, 1868. 

Regole pratiche per determinare alcune circostanze del tiro. Torino, 1872. 

Tavole generali pel tiro ficcante del cannone da c. 16 G È, compilate secondo 
il sistema prussiano. Torino, 1873. 


FRANCESCO SIACCI — COMMEMORAZIONE 577 


Giornale d’Artiglieria e Genio. 


Dei principî del tiro. Roma, 1874. 

Sul calcolo delle tavole di tiro. Parte I. Roma, 1875. 
# ” Parte II. Roma, 1875. 
a î Parte III. Roma, 1879. 

Le tavole del tiro indiretto del cannone da c. 16 G R e dell’obice da c. 22 BR 
precedute da una istruzione sul loro impiego e da una relazione delle 
sperienze. Roma, 1876. 

Rendiconto delle sperienze pel tiro di lancio dei cannoni da c. 16 GR, 12 BR e 
12 G R. Roma, 1877. 

Rendiconto delle sperienze pel tiro indiretto dei cannoni da c. 12 BR e 12G R. 
Roma, 1877. 


Rivista d’Artiglieria e Genio. 


Balistica e Pratica. Nuovo metodo per risolvere i problemi del tiro. Roma, 1880 (*). 

Addizione al nuovo metodo per risolvere i problemi del tiro. Roma, 1881. 

Perfezionamenti vari al nuovo metodo per risolvere i problemi del tiro. Roma, 1885. 

Balistica elementare. Roma, 1882. 

Alcune proposte sul puntamento e le correzioni del tiro. Roma, 1880. 

Sulle tavole di tiro delle batterie da costa. (Due Note). Roma, 1884 e 1885 

Sulla costruzione delle tavole del tiro arcato. Roma, 1885. 

Sul tiro indiretto. Roma, 1886. 

Sugli assi delle rose di tiro. Roma, 1883. 

Nota sugli assi delle rose di tiro. Roma, 1884. 

Ancora sugli assi delle rose di tiro. Roma, 1884. 

Una comunicazione del Gen. Mayevski sugli assi delle rose di tiro. Roma, 1884. 

Sulla resistenza dell’aria e sulle recenti esperienze olandesi. Roma, 1884. 

Intorno ad alcune pubblicazioni di balistica. (Due Note). Roma, 1884 e 1885. 

Teoremi sulla resistenza obliqua. Roma, 1884. 

Una protesta del Prof. Bashforth “ Sic vos non vobis ,. Roma, 1885. 

Il potenziale della resistenza. Roma, 1887. 

Spazio battuto ed errore battuto. Roma, 1888. 

Sugli angoli di massima gittata ed altre quistioni. Roma, 1887. 

Sugli angoli di massima gittata e sul tiro curvo. Roma, 1889. 

Sulla soluzione rigorosa del problema balistico. Roma, 1889. 

Sulla resistenza dell’aria. Risposta al Capitano Zaboudski. Roma, 1890. 

Sull’angolo di rilevamento e sulla sua misura. Roma, 1892. * 

Sopra un contributo alla soluzione razionale del problema balistico. Appunti. © 
(Due Note). Roma, 1896 e 1897. 

Sulla resistenza dell’aria al moto dei proietti. (Tre Note). Roma, 1896. 

Nuova Tavola Balistica Generale. Roma, 1896. 


(*) Questa memoria fu tradotta nei principali periodici scientifico-militari 
d'Europa e d'America, ed il nuovo Metodo è stato universalmente adottato. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 42 


578. GIACINTO MORERA — FRANCESCO SIACCI - COMMEMORAZIONE 


Nuova Tavola della funzione B. Roma, 1897. 

I Parametri complementari nella Balistica Razionale. (Due Note). Roma, 1898. 

Sulla velocità minima. Roma, 1901. 

La velocità minima ed alcuni articoli del Sig. Colonn. N. Zaboudski. Roma, 1901. 

Alcune nuove forme di resistenza che riducono il problema balistico alle qua- 
drature. © Paullo majora canamus ,. Roma, 1901. 


Revue d’Artillerie. 


Des principes du tir. Paris, 1874. 

Expériences de balistique exéeutées en Hollande. 'Traduit et résumé par le 
Capitaine Chapel. Paris, 1884. 

Sur les axes de groupement. Paris, 1884. 

Un procédé d’intégration des formules balistiques. Paris, 1886. 


Pubblicazioni a parte. 


Corso di Balistica teorico-pratica. Torino, 1870-1885. Tre volumi con atlante. 

Balistica. 2* edizione. Torino, 1888. 

Balistique extérieure. Avec notes de M. Laurent, Ingénieur, et de M. Chapel, 
Chef d’escadron d’artillerie. Paris, 1891. 

Tiro di Guerra (assedio e campagna). Torino, 1879. 

Il volume VII delle Istruzioni pratiche d'artiglieria. Nozioni generali sul tiro 
dell'artiglieria da campagna e d’assedio. Roma, 1882. 

Compendio di balistica pratica. Torino, 1893. 

Lezioni di Meccanica Razionale. Torino, 1891. (Lit.). 

Napoli, 1901-1902. (Lit.). 


n n » 


579 


Relazione sul XV Premio Bressa. 


CHIARISSIMI COLLEGHI, 


La prima Giunta, ch’ebbe dall'Accademia l’incarico di esa- 
minare le opere presentate al concorso del XV premio Bressa 
aperto agli scienziati di tutte le nazioni, lesse la sua relazione 
nella seduta del 9 giugno 1907 tenuta dall'Accademia a classi 
unite. 

Da quella relazione risulta che gli autori delle opere, che 
la Giunta stessa ritenne degni di essere presi in considerazione 
per il premio, sono i seguenti : 


GUGLIELMO COBLENTZ, 
Francesco DoFLEIN, 
GueLIiELMO Roux, 
Ernesto RUTHERFORD, 
GiroLAMo VITELLI. 


Nessun altro nome essendo stato proposto nella seduta an- 
zidetta, si dichiarò chiuso il concorso. 

La seconda Giunta prese in esame le opere degli autori 
ora nominati. Essa mi ha incaricato di esporre all'Accademia 
i suoi giudizi e le sue proposte. 


1. — L'opera presentata a questo concorso dal Coblentz 
consiste in un ampio studio delle radiazioni ultrarosse com- 
piuto nell'Istituto Carnegie di Washington. 

Il Coblentz si propose di esaminare quali relazioni possano 
esistere tra la costituzione dei corpi e la loro attitudine ad as- 
sorbire le radiazioni ultrarosse, ad emetterle e a rifletterle. Un 
tale studio esigeva metodi di osservazione delicatissimi e do- 


Noi 


SE, 


580 


veva venir esteso ad un gran numero di sostanze per trarne 
conclusioni sicure. 

L’opera si compone di quattro memorie. 

La prima tratta degli spettri d’assorbimento, vale a dire 
esamina in qual grado le singole radiazioni spettanti alla parte 
oscura e meno rifrangibile dello spettro, vengono trattenute da 
uno strato delle varie sostanze posto sul cammino di esse. 

Per lo studio spettroscopico dei corpi composti lo spettro 
d’assorbimento è particolarmente opportuno in quanto che la 
sostanza assorbente vien mantenuta alla temperatura ordinaria 
e non viene quindi alterata o dissociata, come può avvenire 
quando la si riscalda fortemente per averne lo spettro d'e- 
missione. 

Come strumento misuratore dell’ intensità delle radiazioni 
il Coblentz, come già il Nichols, si servì d'un radiometro op- 
portunamente modificato. Il prisma era di salgemma e in una 
vaschetta di salgemma ponevasi la sostanza da studiarsi quando 
era liquida. La sorgente delle radiazioni era una lampada 
Nernst. 

L’autore spinse l'esame dello spettro molto al di là dei li- 
miti ch'erano stati prima raggiunti in simili studi. 

Il tracciare per ogni sostanza la curva che dà l’intensità 
delle radiazioni ultrarosse corrispondente alle singole lunghezze 
d'onda era opera lunga e difficile. 

Le sostanze sottoposte ad esame furono 130. Fra queste 
erano degli isomeri, i cui spettri mostrarono differenze tali da 
confermare l’asserzione del Julius, che lo spettro dipende dalla 
struttura della molecola anzichè soltanto dalla natura degli 
atomi. 

Quanto alla questione se il crescere del peso molecolare 
in una data serie di composti sia accompagnato dallo sposta- 
mento progressivo in un dato senso della banda di massimo 
assorbimento, l’esperienze furono favorevoli a tale asserzione 
per gli xileni e per certi gas e contrarie negli altri casi. 

Il riscaldamento del corpo assorbente per una ventina di 
gradi non portò mutamento notevole nello spettro, salvo nel 
caso del timo] allo stato solido. Quando ad un atomo di idro- 
geno si sostituiscono in un composto certi gruppi di atomi, 
come, ad esempio, NH, e CH;, appaiono nello spettro delle 


bande d’assorbimento caratteristiche di quei gruppi; ma non 
si possono ancora trarre dai fatti osservati delle conclusioni si- 
cure intorno all'influenza dei singoli componenti sulle vibrazioni 
della molecola. i 

La seconda memoria tratta degli spettri ultrarossi di emis- 
sione nel caso di un arco voltaico con elettrodi metallici o con 
carboni impregnati di cloruri di metalli alcalini e nel caso di 
tubi contenenti gas e vapori rarefatti. 

La parte dello spettro, che fu esaminata, corrisponde a 
lunghezze d'onda maggiori di due millesimi di millimetro. 

Con l'arco voltaico lo spettro fu sempre continuo. Con i 
tubi s'ebbe per tre gas una forte linea di emissione corrispon- 
dente ad una lunghezza d'onda eguale a 4,75 millesimi di mil- 
limetro. 

La terza memoria tratta ancora di spettri di trasmissione 
e riguarda i minerali che contengono ossigeno e idrogeno. 
L'autore si propose di confrontare particolarmente gli spettri 
dei cristalli, che hanno acqua di cristallizzazione, con quelli di 
cristalli, che hanno acqua di costituzione. Furono studiati circa 
cento corpi. 

Nei minerali con acqua di cristallizzazione era ‘da preve- 
dersi che comparissero le striscie d’assorbimento dell’acqua so- 
vrapposte ad un altro spettro. Così infatti avvenne, nalgo 

qualche eccezione di poca importanza. sì; 

I minerali contenenti acqua di costituzione non mostràrono 
le linee dell’acqua, salvo uno solo. I minerali, che contengono 
degli ossidrili, hanno una banda comune e due ne hanno i sol- 
fati. I silicati non hanno bande caratteristiche comuni. LAV 

L'ultima memoria contiene gli studi fatti sul potere riflet- 
tente d’un certo numero di sostanze rispetto ai raggi ultrarossi. 
È noto che le singole sostanze riflettono in grado diverso tali 
radiazioni. Con più riflessioni sopra superficie d'una medesima 
sostanza si può ridurre quasi monocromatiche le radiazioni. A 
seconda delle sostanze il fascio così modificato ha diversa ri- 
frangibilità. 

Furono studiate così più di 40 sostanze. 

Le esperienze mostrarono ch'esiste una relazione fra la Pa " 
flessione e l'assorbimento. Altro risultato notevole è che la re- 
gione della riflessione elettiva comincia per onde più lunghe di 


582 


sette millesimi di millimetro. Fu pure studiato il potere riflet- 
tente di parecchi metalli e di alcune soluzioni. 

In generale tutto il lavoro è molto pregevole per l’accu- 
ratezza, per la sua ampiezza e per l’importanza dei risultati. 

« 
st 

2. — L'opera Brachyura del D.r FrRANcESco DoFLEIN è uno 
studio sopra i crostacei raccolti nel viaggio fatto nel 1898 per 
esplorare il fondo del mare da naturalisti tedeschi. 

L’opera è divisa in tre parti. La prima è un contributo 
importante alla conoscenza dei crostacei sia pel numero dei 
nuovi generi e delle nuove specie che vi sono descritte, sia per 
lo studio critico dei generi e delle specie già conosciuti. 

La seconda parte ha speciale interesse per le notizie, 
che vi si trovano, intorno alla vita dei crostacei che abitano 
grandi profondità. Molto notevole è in particolare lo studio del- 
l'apparato visivo. 

«Nella terza parte l’autore esamina la distribuzione geogra- 
fica dei Brachyuri sia orizzontalmente, sia rispetto alle varie 
profondità e giunge a conclusioni notevoli e nuove. L’ opera 
è accompagnata da stupende tavole, che saranno di grande 
utilità a chi voglia occuparsi di tali studi. 


» e 
3. — Il libro presentato dal Prof. GueLIELMo Roux e in- 
titolato : 
aVortrige und Aufscitze iiber Entwickelungsmechanik der Or- 
ganismen. 


. Esso riassume gli studi dell'autore e de’ suoi discepoli sullo 
sviluppo degli organismi. 
+» “Le indagini, che tennero dietro alla grande opera del 
Darwin, mostrarono che il principio della scelta naturale serve 
bensì a spiegare la sopravvivenza del più adatto nella concor- 
renza vitale, ma non vale a spiegare il fenomeno intimo delle 
variazioni. 

Nel 1881 Guglielmo Roux pubblicò la sua teoria dell’ au- 
eterminazione, con che si ammette che l’organismo abbia in 
per gran parte le ragioni della propria struttura. Entrano a 
parte di questa teoria i principî della lotta delle molecole 
nelle cellule, della lotta delle cellule fra loro e della lotta dei 
tessuti e degli organi. 


‘ . 


583 


Un altro principio di grande importanza venne introdotto 
nella scienza dal Roux, ed è l’azione morfogena ossia quella 
degli eccitamenti funzionali. Secondo il Roux si può dire che 
l'organismo si crea con le proprie forze. Per mezzo della lotta 
delle sostanze chimiche e delle cellule esso produce il differen- 
ziamento delle sue cellule e delle sue funzioni elementari, per 
opera dell’azione trofica degli eccitamenti funzionali determina 
la struttura de’ suoi tessuti, la forma e la costituzione dei 
propri organi e la loro disposizione. 

Il Roux ammise pure ehe all’aufoformazione si aggiunga 
un’autoregolarizzazione permanente dell'organismo. 

La scelta organica del Roux vale a spiegare molti fatti 
che la scelta naturale del Darwin non ispiegava. L'uno di 
questi principî teorici va a compimento dell’ altro. La scelta 
organica ci dà la differenziazione delle cellule, degli organi e 
delle funzioni, ma senza tener conto degl'interessi generali. 
l'organismo : la scelta naturale sopprime le differenziazioni e le 
disposizioni organiche nocive e protegge quelle che sono utili 
all'individuo: essa non lascia persistere che gli esseri, la cui 
costituzione fisico-chimica elementare è tale che gli eccitamenti 
funzionali, determinando la differenziazione degli elementi isto- 
logici, la struttura degli organi e la loro disposizione; eondu- 
cono alla costituzione d’un vivente compatibile con le condizioni 
della sua esistenza. 

La lotta delle parti dell'organismo, l’azione morfogena del 
l’eccitamento funzionale, l’autodifferenziamento delle funzioni e 


quello degli organi nella loro struttura e nella loro forma sono . 


i nuovi fattori dell’evoluzione degli organismi, la cui conoscenza. 
è dovuta per gran parte a Guglielmo Roux. Egli può dirsi crea- 
tore d'un nuovo ramo delle scienze biologiche che fu chiamato 
biomeccanica. 


4. — Ernesto Rutherford, ora professore di fisica a Man- 
chester, fu allievo di Giuseppe Giovanni Thomson nell’ Univer- 
sità di Cambridge. Già in quel laboratorio egli aveva fat 
parecchi studi sperimentali sui fenomeni di ionizzazione e 


é 


=“ 


radioattività. Nelle radiazioni dell'uranio aveva distinte due® 


specie, che egli chiamò a e 8, separandole per mezzo della 
loro diversa attitudine ad attraversare foglie sottilissime d’al- 


“ 


E 


584 


luminio. Più tardi furono scoperti dal Villard i raggi y ancora 
più penetranti. 

Nominato professore di fisica nell'Università di Montreal 
al Canadà, si diede con ardore a proseguire quelle ricerche. 
Esaminò in particolare le proprietà del torio e dimostrò che 
dai composti di questo metallo svolgesi continuamente qualche 
cosa, cui diede il nome di emanazione. Questa ha le proprietà 
di un gas radioattivo, passa attraverso le sostanze porose, vien 
trascinata dalle correnti d’aria e si condensa a bassissima tem- 
peratura. Il Rutherford notò che essa rende radioattivi i corpi, 
su cui si depone, il che era stato osservato poco prima dai 
coniugi Curie per il radio. 

Continuando le sue indagini il Rutherford pose in chiaro 
che il torio dà origine continuamente a minime quantità di una 
sostanza diversa da esso, che egli chiamò torio X. Questa può 
essere separata dal torio e va secondo una certa legge trasfor- 
mandosi nell’emanazione. Allora per la prima volta s’ebbe il 
concetto che certi corpi possano lentamente trasformarsi, dando 
origine a sostanze dotate d’altre proprietà chimiche e che il 
fenomeno della radioattività accompagni tali mutamenti. 

Secondo questo concetto un corpo è radioattivo perchè al- 
cuni dei suoi atomi subiscono un'alterazione perdendo alcuna 
delle loro parti costituenti e in tali cangiamenti si producono 
delle minime quantità di una nuova sostanza, che può a sua 
volta trasformarsi dando segni di radioattività in una nuova 
sostanza e così via. 

Questa teoria enunciata dal Rutherford insieme col Soddy, 
parve dapprima molto ardita, ma il Rutherford la sostenne con 
sempre nuove esperienze e riuscì a renderla generalmente 
accetta. 

Nel 1903 il Rutherford dimostrò che i raggi a emessi dal 
radio sono costituiti da corpuscoli elettrizzati positivamente. 
Nell'anno stesso esaminò se il calore prodotto dal radio dipen- 

24 desse dall’emanazione e dimostrò che in fatto questa dà origine 
“a gran parte del calore emesso dal radio. Ciò è d’accordo con 
l'opinione che l’emissione di calore sia accompagnata nel radio 
dall’ espulsione di raggi a e vada di pari passo con questa. A com- 

imento di questa ricerca il Rutheford esaminò l’effetto termico 

i raggi Y emessi dal radio, le proprietà dei raggi a e f e il 


sn wo 


To 6 _ — "— — ——- 
. 


585 


ritardo che avviene nelle particelle dei raggi a quando attra- 
versano la materia. 

Nell'ultimo quadriennio il Rutherford, oltre a molti studi 
sperimentali pubblicò due opere importanti. L’una è intitolata 
“ Radioactivity ,: ebbe due edizioni in un anno e fu tradotta 
in tedesco. 

Essa espone tutte le cognizioni raccolte sinora intorno ai 
fatti della radioattività ed è l’opera più ricca e più autorevole 
su questo argomento, che sia stata pubblicata. 

L’altra opera intitolata “ Radioactive Transformations , 
contiene una serie di lezioni fatte col proposito di spiegati e 
difendere la teoria sopra accennata. s 

Si può asserire che se gli studi sulle radioattività fecero | 


così rapidi progressi, per buona parte il merito va attribuito n 


questo indefesso e ingegnoso sperimentatore. & 

5. — Fra le opere accolte dalla prima Giunta per il con- 
corso vi è infine la pubblicazione dei papiri greco-egizi iniziata 
sotto gli auspici della R. Accademia dei Lincei. Di quest'opera 
venne alla luce un volume in due fascicoli (Firenze, 1905-1906), 
contenente documenti pubblici e privati dell'età romana e bi- 
zantina, editi dal Prof. Girolamo Vitelli. Il Prof. Vitelli, che si 
recò anche in Egitto per farvi ricerca ed acquisto. di papiri, 
dedicò a questa pubblicazione assidue cure, superando gravi 
difficoltà di lettura e d’interpretazione. Il volume, che è arric- 
chito di numerosi facsimili e di copiosi e diligentissimi indici, 
contiene ben 105 papiri greci, dei quali molti assai importanti 
per lo studio del diritto ellenistico-romano. Vi sono tra essi do- 
cumenti svariatissimi: contratti d’affitto, schede di censimento, 
ricevute di tasse, atti concernenti divisioni di proprietà, loca- 
zione d’opere, prestiti in danaro, ecc. Tutti questi documenti 
sono pubblicati con un commentario sobrio e dotto, che ne esa- 
mina dal punto di vista filologico le principali difficoltà, agevo- 
lando così la via ai giuristi che vorranno farli oggetto di studio. 
È questa insomma una pubblicazione di gran pregio e degna 
d'essere incoraggiata, ed è da augurarsi che, procedendo feli- 
cemente, essa contribuisca a ridare ai filologi italiani quel posto 
eminente, che nella prima metà del secolo XIX essi avevano 
fra gli studiosi dei papiri greci dell'Egitto. 


en # 


A. 
0 


L 


586 


Dopo aver discusso il merito assoluto e relativo delle varie 
opere, la Giunta unanime riconobbe che esse, benchè tutte molto 
pregevoli, potevano venir divise in due gruppi. 

Stanno nel puiigo gruppo i libri e le memorie di 


G. Roux, sulla Biomeccanica, 
e di 
E. RurHERFORD, sulla Radioattività. 


All’altro gruppo, che, a parer della Giunta, comprende 
opere, il cui merito è certamente grande, ma un po’ minore, 
spettano i lavori del CoBLenTz, del DorLeIn e del VireLLi. 

Le opere del Roux e del Rutherford sono ambedue eminenti 


e riguardano argomenti affatto diversi. Non potendo confron- 


tarle l'una con l’altra, la Giunta Vi presenta i nomi dei due 
autori in ordine alfabetico, senza distinzione di merito, affinchè 
scegliate fra i due scienziati quello che stimate più degno. 


Il Segretario della Giunta 
A. NACCARI. 


Relazione della Commissione dei Premii Gautieri 
(Anni 1904-1906). 


EGRrEGI COLLEGHI, 


La storia dell’arte in sè e nelle sue molteplici e intime 
relazioni colla storia religiosa, letteraria, politica della Nazione, 
è al giorni nostri coltivata da una plejade di lavoratori, i quali 
studiano i monumenti, ne indagano ad una ad una le parti, 
ricercano assiduamente i documenti che li riguardano. Tentano 
così di ricostituire idealmente lo svolgimento del sentimento 
artistico, attraverso ai secoli, e la sua efficacia nella società. 

Adolfo Venturi, col periodico l'Arte, e colla collezione, pur 
troppo ora interrotta, intitolata Le Gallerie Nazionali, promosse 
ile speciali monografie e raccolse intorno a sè non pochi gio- 


587 


vani volonterosi, che seguono le vie del Maestro. Egli si ac- 
cinse a raccogliere i risultati delle ricerche analitiche, proprie 
ed altrui, in un’opera di gran lena, che intitolò Storia dell’ Arte 
Italiana, e della quale sono usciti finora cinque grossi volumi, 
che conducono la narrazione fino al cadere del sec. XIV. I primi 
due volumi escono, per la data di loro pubblicazione, dal pe- 
riodo di tempo cui si riferisce il premio che la nostra Acca- 
demia deve ora concedere. Solo in quanto costituiscono col 
seguito del lavoro un tutto unico essi possono èssere presi da 
noi in considerazione. Il 1° volume uscì nel 1901 ed espone la 
nostra storia artistica dal periodo delle Catacombe fino a quello 
di Giustiniano. Molto pensiero c'è in questa parte dell’opera, ma 
rispetto ai particolari nessuno potrebbe affermare ch’essa sia 
esente da sviste o da omissioni rilevanti. Nel II volume del 1902 
che va dall'età barbarica alla romanica il Venturi dimostra di 
essersi famigliarizzato vieppiù alla difficile arte di una esposi- 
zione larga e comprensiva. La cognizione dei monumenti si fa 
più sicura e più vasta. Un nuovo miglioramento segna il II 
volume, stampato nel 1904, che è dedicato all'arte romanica. 
In esso assistiamo all'origine della nuova arte scultoria e al 
rinnovarsi dell’architettura nell'Italia settentrionale, nella media, 
nella meridionale, nella Sicilia. Vediamo l’arte romanica che, 
penetrando nell’Italia centrale, ottiene un rapido sviluppo nella 
Toscana, di qui giunge fino nella Sardegna per mezzo di Pisa; 
l’arte medesima vigoreggia splendidamente in Roma, dove sì 
associa a quella degli antichi marmorari locali. Un nuovo indi- 
rizzo ci viene poi trasmesso dalla Francia, per mezzo dell’Ordine 
Cistercense, ed esso si manifesta, nei suoi inizi, a Fossanova. 
Così è aperta la via allo stile gotico. 

A questo punto il Venturi si vide crescere fra mano il ma- 
teriale di studio, e abbandonando le linee ristrette fra le quali 
si era fin qui rinchiuso, allarga la sua tela e dà alla medesima 
una espansione corrispondente alla vastità del soggetto che gli 
presenta il Trecento. 

Nel 1906 uscì il IV volume, appunto dedicato a narrare le 
vicissitudini della scultura del Trecento e a sviscerarne le ori- 
gini. Qui ci compariscono dinanzi personaggi famosi, ai quali 
il Venturi dedicò cure amorose. Nicola d’Apulia e Giovanni Pi- 
san suo figlio creano in Pisa una scuola; Arnolfo di Cambio 


L) 
È 


088 


ha Firenze per centro principale della sua attività, la quale si 
distende fino a Roma. La scultura senese del Trecento divulga 
l’arte Pisana, ed ha per suo principale rappresentante Tino di 
Camaino. 

Alla scuola pisana si collegano le sculture che adornano 
quel mirabile capolavoro, che è il duomo di Orvieto. E l’arte 
Pisana continua di più in più a diffondersi, si distende per tutta 
la Toscana, s4noltra nel Veneto e nella Lombardia. Il pisano 
Giovanni Balducci eseguì a Milano l'arca di S. Pietro Mar- 
tire, meravigliosa per la finitezza del lavoro, come per la venustà 
e la varietà delle figure. La scuola di Balduccio fece sentire la 
sua azione a Genova, a Pavia, a Bergamo, a Brescia, a Ve- 
rona: così l’arte signorile ed idealistica dei Pisani conquistò 
buona parte dell’Italia superiore, combattendo contro le tradi- 
zioni locali, le quali tuttavia diedero ancora bellissime opere, 
specialmente a Padova eda Verona. Da Venezia ricevette Bo- 
logna insegnamenti, che alla sua arte impressero decise note 
caratteristiche. Intanto a Firenze cominciava a fiorire l’arte di 
Andrea Orcagna, che fu ad un tempo musicista, scultore, ar- 
chitetto, e che in tal modo personificò in sè stesso l’unità delle 
arti. 

Il Venturi non trascurò le arti minori e sulla fine del vo- 
lume parla quindi, con sufficiente larghezza, della scultura e 
dell’intaglio in legno, della lavorazione del ferro battuto, e con 
amore speciale discorre dell’oreficeria, sopratutto dell’oreficeria 
fiorentina. 

Non sappiamo se esca dal periodo cui si riferisce l’attuale 
premio Gautieri il vol. V, perchè esternamente porta bensì la data 
del 1906, ma internamente ha quella del 1907. Esso s'intitola 
“ La pittura del Trecento e le sue origini , e tratta, con novità 
di risultati, della scuola romana di Pietro Cavallini; illustra l’arte 
di Cimabue e di Giotto, e dimostra come la scuola fiorentina per 
mezzo di questi due grandi suoi figli si affermasse non solo in 
patria, ma in Assisi, in Padova, in Napoli, diffondendo do- 
vunque la sua azione, e ritemprando a nuovi ideali e a nuovi 
metodi tecnici le varie regioni della Penisola. La pittura educò 
a Siena un’altra scuola, che fiorì in Duccio di Buoninsegna 
e nei suoi discepoli, e che, uscendo pur essa dalle mura della 
città nativa, emulò dovunque la scuola fiorentina, la quale eBbe, 


589 


mezzo secolo dopo di Giotto, un altro rinnovatore, nella per- 
sona di Andrea Orcagna. Attorno alle scuole toscane, altre 
scuole fioriscono, specialmente a Verona ed a Modena. 

Il IV ed il V volume, che per l'argomento trattato sono 
fra loro indissolubilmente collegati, ci fanno vedere come l’arte 
occidentale, se talvolta, abbagliata dalle forme e dai colori di 
Oriente, si sentì disposta all’imitazione, seppe finalmente svin- 
colarsi dalle influenze altrui: essa per tal moda‘ riusàì a crearsi 
una propria fisonomia; diede alle figure bizantine un’energia 
sconosciuta in Oriente, infuse movimento nelle sue produzioni, 
diede loro l’espressione di un sentimento cristianamente forte e 
delicato. Così fu creata l’arte nuova, che signoreggia la ma- 
teria, che fa sviluppare l’unità del pensiero nella moltiplicità 
delle figure, e riesce ad armonizzare l’elevatezza del pensiero 
colla morbidezza della forma. 

Le arti minori, come la miniatura, il ricamo, lo smalto, la 
coloritura dei vetri, seguirono la via delle arti maggiori. 

Noi non affermiamo che l’opera del Venturi sia senza di- 
fetti. I primi volumi potrebbero essere con vantaggio ritoccati 
qui e colà. Alcuna volta avviene che le descrizioni dei monu- 
menti sembrino fermarsi alla esterna apparenza, senza penetrare 
sempre l’intima indole della tecnica personale di ogni singolo 
artista. Diciamo tuttavia che il Venturi conosce ampiamente 
il nostro materiale artistico, sia quello che resta fra noi, sia 
quello che gli eventi hanno trasportato in tante regioni di Eu- 
ropa. Via via di volume in volume la Storia del Venturi at- 
testa un progresso, sì nella larghissima cognizione dei fatti 
come nel loro esame, nella disposizione della materia, nella va- 
lentia spiegata coordinando le cause agli effetti, nella chiarezza 
del dire. 

Per tutti questi motivi pare ai sottoscritti che l’opera del 
Venturi sia di tal valore da potersi accordare alla medesima 
senza esitazione il premio Gautieri per la storia. E questo nostro 
parere resterebbe immutato anche se si volesse escludere dalla 
considerazione nostra il V volume dell’opera. 


A, Manno, 
G. DE SANCTIS, 
CU. CIPOLLA, relatore. 


De Vallauriano praemio adiudicando 
litteris latinis in quadriennium 1903-1906 proposito 
(Kal. Mart. An. MCMVILI). | 


Mandatum nobis est, collegae clarissimi, ut vobis denun- - 
tiaremus cui potissimum litterarum latinarum studioso praemium 
testamento Thomae Vallauri institutum tribuendum esse iudica- 
remus. Ut igitur magnum id atque ardunm munus expleamus, ob 
eamque causam vobis declaremus quid de doctis hominibus sen- 
tiamus, qui sua de latinis litteris scripta superiore quadriennio 
in vulgus proposuerint, eos primum scriptores nominabimus qui, 
libris suis ad Academiam nostram missis, se ad Vallaurianum 
praemium contendere aperte professi sunt. Duo enim opera acce- 
pimus, quorum unum, a Paulo Monceaux compositum, inscribitur 
Histoire littéraire de l’ Afrique Chrétienne depuis les origines jusqu'à 
l’invasion arabe et tribus voluminibus continetur; alterius vero, 
a Martino Schanz confecti et in quinque volumina digesti, in- 
scriptio est Geschichte der ròmischen Litteratur bis zum Gesetage- 
bungswerk des Kaisers Justinian. 

Sed primum omnium animadvertendum est tria Pauli Mon- 
ceaux volumina in frontibus annum exhibere 1905, quasi eo anno 
simul aut parvo interiecto intervallo foras data sint. Cum vero 
primum et secundum volumen contulissemus cum illis quae, annis 
edita 1901 et 1902, legimus in bibliotheca publica Regiae Uni- 
versitatis, patuit nobis secundum volumen, anno 1902 in fronte 
signatum, nulla re plane differre ab eo in quo annus adscriptus 
sit 1905; primum autem, quod est de Tertulliano, hoc tantum 
ab exemplari nobis misso discrepare vidimus, quod praefationem 
proferat kalendis octobr. anni 1901 conscriptam. Quo consilio 
id factum sit, investigare nostrum non est. At vero tertium vo- 


591 


lumen anno 1905 vulgatum est, idque non solum exquisitam 
quandam reconditamque scriptoris Francogalli doctrinam prodit, 
sed et uberrima materia et gravitate rerum, quas subtili investi- 
gatione conquisitas lucido ordine exposuit, dignissimum est, 
quod cum optimis libris conferatur, meritisque omnino respondet 
priorum voluminum, quibus boni aestimatores non mediocrem 
laudem impertierant. Neque est silentio praetereundum Paulum 
Monceaux eodem temporis spatio in inscriptionibus Africae primi 
aevi christiani colligendis illustrandisque multam operam con- 
sumpsisse. Testis est eius commentatio Enquéte sur l’épigraphie 
chrétienne d’ Afrique, cuius tres partes editae sunt in Revue ar- 
chéologique (ann. 1903-1906), quarta autem superiore anno in 
commentarios Academiae des Inscriptions et  Belles-Lettres re- 
cepta est. 

Quae si vera sunt, ut nobis persuasissimum est, tamen ea 
non ita dicta esse volumus, quasi minori laude Martinus Schanz 
ornandus esse nobis videatur. Non omnia quidem volumina magni 
illius operis, quo Schanz eximiam Guillelmi Teuffel famam obscu- 
ravit, superiore quadriennio primum in publicum prolata sunt; 
anno certe 1904 ea pars edita est, qua 469 paginis historiam 
latinarum litterarum quarti saeculi christiani singillatim ac di- 
stincete est persecutus; ad annum autem 1905 referendum est 
volumen, secundis curis recognitum, quo latinarum litterarum 
historiam ab anno p. Chr. n. 117 usque ad 324 diligentissime 
explicavit. Addite volumen, mense decembri anni 1906 emissum, 
quod etiamsi eam partem complectitur historiae litterarum quae 
ab originibus usque ad annum circiter 88 a. Chr. n. pertinet 
quamque professor Germanus iam semel iterumque typis exscri- 
bendam curaverat, at tantopere tamen immutatum atque auctum 
esse liquet, ut novus plane liber esse videatur, et is quidem 
magna doctrina, magna rerum copia, acerrimo iudicio distinctus. 
His igitur voluminibus Martinus Schanz famam sibi ante partam 
mirum in modum amplificavit. Quapropter nos in ea sumus sen- 
tentia, ut putemus doctissimum virum praeclare de latinis litteris 
meritum esse. Hoc enim opus semper magna cum utilitate ante 
oculos habebunt qui in litteras latinas incumbunt, nec solum 
qui se ad profanorum scriptorum studium contulerunt, verum 
etiam qui christianos illos Latinitatis scriptores legere et cogno- 
scere malunt, quorum quidem studio cum universam litterarum 


592 


latinarum doctrinam, tum fere romanae humanitatis disciplinam 
nostris temporibus magnopere explanatam provectamque esse 
constat. 

Itaque, Pauli Monceaux et Martini Schanz operibus diligenter 
examinatis, reliquum erat ut alios libros, qui quidem superiore 
quadriennio typis vulgati essent, consideraremus, si quem forte 
digniorem inveniremus qui praemio decoraretur. Quo in genere 
illud nobis pro certo affirmare licet, nos nullum librum neque 
in Italia neque in exterarum gentium regionibus animadver- 
tisse, qui omni ex parte cum iis operibus conferri posset quae 
nuper laudavimus. Equidem multum tribuimus operi a Friderico 
Marx in duo volumina distributo, cuius inscriptio est C. Lucilii 
carminum reliquiae, latino sermone satis emendate scripto: sed 
hoc, quantum iudicamus, ab ea absolutione perfectioneque aliquan- _, 
tulum distat, ad quam, ut nostra fert opinio, proxime accedunt 
Monceaux et Schanz: in Marxiano enim opere sunt quaestiones 
quae ad exitum nondum adductae sint; sunt quae speciosiora 
sint quam veriora; ut non dicamus scriptorem in re versatum 
esse angustioribus finibus circumscripta, quam quos Paulus Mon- 
ceaux tertiae operis sui parti constituisset. Omnium quoque 
laudem undique collegit Hermannus Peter doctissimo illo opere 
in duas partes diviso, quod inscribitur Historicorum romanorum 
reliquiae; sed prior nimio spatio a nostris temporibus distat, 
utpote quae anno 1870 typis mandata sit; altera autem steri- 
litate rei, ut ipsius scriptoris verbis utamur, non ea est quam 
aliis doctorum libris anteferre audeamus. 

Fuerunt etiam nobis in manibus libri quos composuerunt 
Franciscus Skutsch, cuius est Gallus und Vergil. Aus  Vergils 
Friihzeit. Zweiter Teil; Carolus Lécrivain, cuius operi index est 
Etudes sur l’histoire Auguste; I. Vessereau, qui librum scripsit 
de CI. Rutilio Namatiano; A. Cartault, qui anno 1906 magnum vo- 
lumen emisit A propos du Corpus Tibullianum; Georgius Lafaye, 
a quo Ovidii Metamorphoses illustratae sunt ea commentatione 
quam inscripsit Les Métamorphoses d'Ovide et leurs modèles grecs ; 
alia denique opera, quae memorare longum est. Italos non no- 
minamus. Multi quidem sunt apud nos qui ingenio, doctrina, 
scriptis, patriae sint ornamento; sunt qui haec studia ita colant, 
ut cum eruditissimo quoque exterarum gentium certent — nos 
enim nostra non spernimus —; sed tamen dolendum est nullum 


593 


opus hisce annis in Italia scriptum editumque exstare, cui in hoc 
litterarum latinarum certamine priores partes concedere possimus. 

Sed ut ad scripta redeamus, de quibus modo mentionem 
fecimus, ea profecto non comparanda sunt cum Paulo Monceaux 
et Martino Schanz. Cum vero, ut sententiam nostram apertis- 
sime expromamus, neminem inveniamus, quem toto praemio 
dignum non dubitanter iudicemus, cumque Monceaux et Schanz 
multis rebus, etsi diversam viam ingressi sint, parem laudem con- 
secutos esse persuasum habeamus, nobis, si non verba ac litteras, 
at certe sententiam testamenti doctissimi huius Academiae so- 
dalis sequi videmur, si Paulo Monceaux et Martino Schanz ita 
praemium adiudicandum esse censemus, ut iis aequabiliter di- 
spertiatur. Equidem speramus fore ut, post hoc quadriennium, 
. quod a kalendis ianuariis superioris anni initium sumpsit, intra 
annos 1911-1914 tale quoddam opus exsistat, ad litteras latinas 
pertinens, cui ab illis, penes quos huius certaminis arbitrium sit 
futurum, palma totumque praemium sine ulla dubitatione de- 
feratur. 


Scripsit et de praemio ad Sodales Academiae rettulit HecToR 
STAMPINI. 
Subscripserunt : 


HenrIcus D’OviDpIo 
Praeses Academiae. 


IJosepHus CARLE 

Domrnicus CARUTTI DI CANTOGNO 

Careranus De Sanctis a commentariis Sodalium 
HecroR STAMPINI 

Sodales ordinurii Taurinenses. 


Gli Accademici Segretari 
LoRrENZO CAMERANO. 
Gaetano DE SANCTIS. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 43 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 1° Marzo 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D’'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: BoseLLi, Vice-Presidente dell’Acca- 
demia, Manno, Direttore della Classe, Pizzi, STAMPINI, BRONDI, 
Srorza e De Sancris Segretario. — Scusano l'assenza i Soci 
ALuievo, CarutTI, Rurrini e D’ErcoLe. 

Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente, 16 feb- 
braio 1908. 

Il Presidente presenta lo scritto del Socio corrispondente 
prof. Filippo PoRENA, L'antropogeografia nelle sue origini e nei 
suoi progressi (estr. dal “ Bollettino della Società Geografica 
italiana ,, fasc. II, Roma, 1908), offerto in omaggio dall’Autore. 

Il Socio SramPINI presenta per l'inserzione negli Atti una 
nota del prof. Oreste NazarI su L'iscrizione della colonna traiana 
ed una del prof. Clemente MERLO intitolata: Forficula auricu- 
laria e bricciche romanze. 

Il Socio Srorza offre pure per gli Atti un suo saggio sopra 


Il falso sultano Jachia. 


ORESTE NAZARI — L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 595 


—_—_—_ = = i e _ = = 


LETTURE 


L’ Iscrizione della Colonna Traiana. 
Nota del Prof. ORESTE NAZARI. 


Veramente questo studio dovrebbe piuttosto intitolarsi le pe- 
ripezie di un monte, che si credette esistito fino a questi 
ultimi tempi, fu negato dal Boni il quale gli sostituisce il vicino 
Quirinale, fu idealmente ricostituito dal Comparetti con marmi 
fatti venire dall’ Egitto dalla Libia e da altri lontani e. vicini 
paesi, divenne per opera del Ramorino una montagna di capo- 
lavori artistici, fu inalzato dal Sogliano scaricando immondizie 
e detriti portati poi via da Traiano, e finalmente fu ridotto ad 
un bastione dal Mau. 

La formula magica, operatrice di tanti incantesimi, è nelle 
due ultime finee della iscrizione murata sulla base sostenente 
la colonna Traiana. 

L'iscrizione dice: 

SENATVS. POPVLVSQVE. ROMANVS 

IMP. CAESARI. DIVI. NERVAE. F. NERVAE 

TRAIANO. AVG. GERM. DACICO. PONTIF 

MAXIMO. TRIB. POT. XVII. IMP. VI. COS. VI. PP 

AD. DECLARANDVM. QVANTAE. ALTITVDINIS 

MONS. ET. LOCVS. TANtis operIBVS. SIT. EGESTVS 


Secondo l’interpretazione tradizionale la colonna starebbe 
ad indicare da quale altezza fu da Traiano spianato uno sprone 
del colle Quirinale a fine di ottenere spazio sufficiente per tutte 
le opere del novo Foro. 


* 
*_* 


Se non che, esaminatone il sottosuolo, “ constatai (scrive il 
Boni in Nuova Antologia, 1 nov. 1906, p. 26 dell’Estratto) che... 
la sostruzione in pietrisco della colonna scende entro terra di 


596 ORESTE NAZARI 


riporto mista a frammenti di lucerne fittili e di vasi aretini 
della tarda repubblica e dell’ incipiente impero. Un metro e 
mezzo circa sotto il piano del cortile rinvenni una strada sel- 
ciata a poligoni, marginata da avanzi di caseggiato a lorica 
testacea del sec. I..... Sotto la strada, a m. 3,15 di profondità e 
su pavimenta di tufo e terreni più arcaici, una cloaca, d’ opus 
incertum, scendente da un caseggiato demolito ,. Inoltre (p. 19) 
“a dodici metri dal piedestallo della colonna, in direzione del 
Quirinale le sostruzioni della biblioteca, di calcestruzzo a paliz- 
zata verticale, penetrano in terreni di età repubblicana conte- 
nenti vasellame etrusco-campano. E, alla distanza di novanta 
metri, in direzione del Campidoglio, lo stereobate del monu- 
mento di Bibulo, oltre un terrapieno alto m. 3,60, raggiunge 
una strada antica scendente al piano del vicus sotto la platea 
del Forum Ulpium ,. Infine esistono (p. 19) “in tutta la lar- 
ghezza della valle finora esaminata gli avanzi di più antichi 
edifizi e stratificazioni ,. Da ciò si trae la conclusione che in 
tutta l’area del Foro Ulpio non esisteva nè un monte nè una 
parte di monte e che perciò l’iscrizione si deve intepdere diver- 
samente, e il Boni (p. 23) traduce le ultime due linee: “ per 
mostrare di quanto venisse sopraelevato, con sì grandi opere, 
il monte e il piano ,, dando ad egerere il significato di ‘innal- 
zare’ per analogia di altri verbi composti colla preposizione e, 
quali emergo educo egigno emoveo enascor eveho e consimili, e 
trovando, se non intenzionale, spontanea ed efficace l’antitesi 
delex di declarare ed egerere. Per lui dunque il vertice della 
colonna traiana, al quale si accede per una lunga scala interna 
scavata nei massi della colonna stessa, sarebbe una vedetta 
fatta per offrire all’ammirazione dei visitatori il panorama delle 
superbe costruzioni traianee. 


Sg: 
Anche il Comparetti (in Acc. d. Lincei, Rendic. XV, 1906, 
p. 575 segg.) non crede all’esistenza d'un monte e ciò desume 
dalle stesse parole dell’iscrizione, giacchè il senato romano, se 
in quel luogo fosse veramente stato asportato un monte, per 
ricordare ai posteri il fatto, avrebbe dovuto scrivere ad memo- 
randum, non essendo necessario di dichiarare ai contemporanei 


Ve E TC COL e 7° 


dRdfEepro——— 


L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 597 


ciò che ognuno sapeva, e d'altra parte se il senato nell’ iscri- 
zione avesse voluto alludere ai lavori di sterro e di spiana- 
mento, avrebbe dovuto dire solo aequatus o meglio in planitiem 
redactus. Egli inoltre trova non solo ozioso ma anche senza senso 
quell’et locus aggiunto a mons, se l'iscrizione si dovesse inter- 
pretare nel modo tradizionale. Infine il mons egestus accenna 
evidentemente a marmi estratti ed asportati ed è espressione 
corrispondente a quella, che poco prima aveva usato Plinio il 
vecchio (XXXVI. 1) disapprovando il sempre crescente lusso di 
marmi (montes caedimus trahimusque). 

Laonde pel Comparetti le parole ad declarandum ecc., sa- 
rebbero state dettate dall'architetto del Foro, Apollodoro di 
Damasco, per dare la misura della massa di marmi di varie 
specie estratti dalle cave di Egitto di Numidia di Frigia di 
Luni ecc., e esportati a Roma per servire alla costruzione del 
marmoreo Foro. Tutti quei marmi idealmente ammonticchiati 
blocco su blocco (mons dell’iscriz.) in un gran cubo avrebbero 
misurato quanto l’altezza della colonna traiana moltiplicata per 
una base quadrata avente per lato l’altezza della colonna stessa, 
giacchè l’et locus dell'iscrizione ha una ragione matematica, tra- 
ducendo xwpiov dei matematici greci, significante l’area di una 
figura piana. Perciò, essendo 38 metri quell’altezza, nella costru- 
zione di tutti gli edifici del Foro furono impiegati 54.872 metri 
cubici di marmi. Tuttavia, non essendo di dominio popolare il 
valore del gergo matematico adoperato da Apollodoro, l’idea che 
un monte fosse stato asportato e spianato si fece presto strada 
nelle generazioni seguenti a quella che fu testimone della costru- 
zione del Foro e, secondo il Comparetti, Cassio Dione la rac- 
colse circa un secolo dopo l’inizio di quei lavori. 


* 
*_* 

Nè fa meraviglia se da Cassio Dione a noi nessuno più, ec- 
cettuato il Comparetti, capì le parole di colore oscuro dell’ i- 
scrizione, giacchè, nota il Sogliano (in Atti d. Accad. di Napoli, 
XXVI, 1907, p. 11 dell Estratto), “ la nostra iscrizione, intesa 
nel modo come il Comparetti vuole, diventa un indovinello vero 
e proprio; e ciò lo stesso autore non si dissimula, quando parla 
di minor chiarezza dell'iscrizione e del facile frainten- 


598 ORESTE NAZARI 


derla, di tenore che si presta veramente ad essere 
frainteso e di matematici che avrebbero inteso trattarsi 
di una misura cubica. In secondo luogo il Comp. so- 
stituisce all'idea concreta del mons et locus un’idea del tutto 
astratta, qual'è quella del suo monte ideale di marmi, che egli 
stesso dice della più varia provenienza, di Egitto, di Numidia, 
di Frigia, ecc. Ora chi non sa quanto poco conforme allo spi- 
rito latino fosse l’astrazione? ,. Secondo il Sogliano, la parola 
opus opera si riferisce certamente alle costruzioni traianee, le 
quali erano fatte di marmo e di tufo e di lava e di mattoni, 
ma non di solo marmo. Il fulero poi di tutta l’argomentazione 
del Comp. sta nel locus, che tradurrebbe il ywpiov dei mate- 
matici greci: ora yxwpiov significa bensì l’area di una figura 
piana, ma non necessariamente quadrata, nè è possibile al 
nesso mons et locus attribuire il significato matematico, che vuole 
il Comp. E contrasta col rigore scientifico, che il Comp. trova 
nella supposta formola di Apollodoro, la parola mons, nel signi- 
ficato altezza, unita colla parola altitudinis dell'iscrizione stessa. 
Infine montem egerere non equivale al pliniano montes caedere et 
trahere, ma solo ‘cacciar via, asportare il cumulo”. 
Infine il Sogliano si fece fare dal cav. Salv. Cozzi, ingegnere 
degli scavi di Pompei, il calcolo più largo della quantità di 
marmo che sarebbe potuto essere adoperato nella costruzione 
del Foro e tale quantità di marmi greggi calcolata nella misura 
più ampia e con percentuali di sfrido portate oltre il verisimile 
ammonterebbe ad un totale di metri cubi 25.938,57, cioè a meno 
della metà dei 54.872 m. cubici calcolati sul cubo dell’altezza 
della colonna traiana (1). 

Confutata così l’interpretazione del Comp., il Sogliano ne 
mette innanzi una sua, con cui si propone di conciliare dall'una 
parte le testimonianze dell’ iscrizione e di Dione, dall’altra le 
denegazioni dei geologi circa l’esistenza dell’ intermonte e i 
risultati degli scavi fatti dal Boni. 

Perciò egli si rifà ad un uso, ch’ei dice applicato nell’anti- 
chità su vasta scala, e cita fra i molti esempi offerti da Pompei 


(1) A cifra press’a poco uguale, cioè a me. 26.600 giunge il Mau nel 
calcolo da lui fatto, indipendentemente dal Cozzi, della quantità di marmi 
adoperati nella costruzione del Foro. 


gr. ee: ge e rr 


— rr—_— 


e” 


L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 599 


quello d’una piazzetta sita nel cuore della città nell’angolo 
nord-est dell’isola III della regione III, la quale piazzetta è oc- 
cupata per l'estensione di m. 27,70 per m. 16,30 da un cumulo 
di terra antica, di sotto al quale sporgono le soglie e i ruderi 
di case demolite. L'altezza massima attuale del cumulo è di 
m. 1,70, ma si può calcolare che quella originaria del cumulo 
lasciato colà dagli antichi ascendesse a due buoni metri. 

Quanto a Roma ricorda il monte Testaccio presso gli scali 
del Tevere, probabilmente sorto sui ruderi di antichi magazzini 
distrutti, e opina che, distrutto per cause a noi ignote il vicus 
che si stendeva appiè dei quattro colli (Capitolino ad ovest, 
Quirinale a nord, Esquilino ad est e Palatino a sud) e molto 
prestandosi il luogo, perchè in basso, quell'area cominciò, in 
tempo che non possiamo determinare, forse negli ultimi tempi 
della repubblica, a servire di luogo di scarico, sinchè il cumulo 
raggiunse l’altezza di 38 metri (quella della colonna) e Traiano 
risanò quel luogo, sostituendo all'alto cumulo (mons) formato 
dagli scarichi, il suo Foro marmoreo di straordinaria magni- 
ficenza. 

sx 

A risanare la fama dei Romani dalla taccia di sporcizia, 
per aver accumulato in un quartiere del cuore stesso dell’Urbe 
presso il sacro Campidoglio un monte di detriti, provvide il 
Ramorino, il quale in un articolo pubblicato il 7 nov. ‘07 nella 
“ Nazione , interpretò le controverse parole ad declarandum ece., 
“ per far vedere che alta montagna (di marmo) e che alto spazio 
sl dovette cavar fuori per sì grandi opere ,. Non avendo potuto 
leggere lo scritto del Ramorino sulla “ Nazione ,, ma avendone 
solo letto un cenno sulla Rassegna “ Classici e Neolatini ,, pregai 
il dotto professore di Firenze di spiegarmi il suo pensiero, locchè 
egli fece gentilmente con una lettera che dice: 

“Quando il Boni dimostrò che un monte alto come la co- 
lonna Traiana là sul luogo dove essa sorse non poteva esserci 
in nessun modo, e che perciò il quantae altitudinis mons et locus 
tantis operibus sit egestus doveva interpretarsi ben diversamente 
dal modo tradizionale, io considerai che una colonna eretta per 
ordine del Senato nella piccola piazzetta tra le due Biblioteche, 


600 ORESTE NAZARI 


e istoriata nello splendido modo che tutti sanno per una linea 
spirale di così largo sviluppo, doveva essere essenzialmente una 
colonna onoraria per celebrare la gloria di Traiano e ricordare 
al posteri le gesta della guerra Dacica. Quest’idea di istoriare 
gesta guerriere su una colonna, quindi non orizzontalmente ma 
verticalmente, era una vera novità artistica. Per l’esecuzione 
di questo originalissimo disegno si dovettero lavorare dei blocchi 
enormi di marmo, all’esterno colle figurazioni relative alla guerra, 
all'interno colla preparazione dei gradini da formare poi una 
scala interna di accesso all’alto della colonna. Tali blocchi si 
dovevano sovrapporre senza cemento in modo che perfettamente 
combaciassero, come venne fatto. E ancor oggi si ammira questa 
meravigliosa sovrapposizione e quasi ammucchiamento di sassi 
a eterno onore di Traiano e a sfida dei secoli. Ancora io riflet- 
tevo che mentre Traiano stesso aveva costruito il suo gran- 
dioso Foro colle Biblioteche, colla Basilica, coi grandi porticati, 
questa colonna era stata posta là in mezzo non da lui ma dal 
Senato e certo per onorare lui, non per altra ragione. E non 
era mica il caso di fargli onore perchè aveva costruito il foro, 
chè ciò si vedeva senza bisogno di richiamarvi su l’attenzione 
dei cittadini, ma sì erano da onorare le gesta daciche, titolo di 
gloria ben maggiore che l’abbellimento della città. Tutte queste 
considerazioni mi fecero pensare che l’iscrizione non dovesse 
riferirsi ad altro che alla colonna stessa. E così fui condotto a 
pensare che ad declarandum ecc., dovesse significare “ per far 
vedere che alto mucchio (di blocchi marmorei) e spazio per sì 
grandi figurazioni (la linea spirale istoriata) si sia dovuto tirar 
su,. Un po’ strana può parere questa espressione, ma non ha 
nulla che ripugni alla latinità e non si spieghi benissimo al 
principio del 2. sec. dell’éra volgare, La frase montem egerere 
‘tirar su un mucchio’ poteva anche essere interpretata in 
un altro modo, cioè ‘scavar un monte’, e questo bastò perchè 
in seguito, oscuratasi la giusta interpretazione, si immaginò 
quello che Dione Cassio attesta già nella 1. metà del 3. secolo. 
Ancora si noti che l’espressione locus tantis operibus doveva 
essere considerata come apposizione di mons, il mucchio di 
blocchi essendo per appunto lo spazio voluto per le figurazioni 
daciche. L’et non sarebbe necessario: ad declarandum q. altit. 
mons, locus tant. oper., sit egestus. Può forse esser indizio di ciò 


L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 601 


il fatto che nell’iscrizione della colonna l’et tra mons e locus 
occupa spazio tanto ristretto, forse aggiunto dopo ? Nè affermo 
nè nego. 

€ So bene che questa interpretazione a molti non è piaciuta; 
so che i migliori (Sogliano, Mau, Leo, Pistelli) ritengono che 
l’interpretazione tradizionale sia sempre da difendersi; il mons 
scavato non si intenderebbe esistesse nel luogo stesso della co- 
lonna, ciò non si può dir più, ma alquanto più a sud dove si 
eresse poi la Basilica in parte e il porticato del Foro. Ma a me 
rimane sempre un grave dubbio; forsechè per indicare che lì 
s'è scavato un monte si erige una colonna istoriata dei fatti 
dacici? Come si proporziona qui il mezzo al fine? Ed essendo 
la colonna alta cento piedi romani per l'appunto, com'è da cre- 
dere che proprio di cento piedi di altezza fosse il terreno sca- 
vato nello spazio del foro? E se alto si dice il mons, come può 
venir detto alto anche il locus tantis operibus, lo spazio degli 
edifici traianei? Tutto ciò è talmente strano che la bizzarria 
della interpretazione da me proposta può parere la più ragio- 
nevole delle idee. Comunque io riconosco che è cosa controversa 
e non intendo neanche ora aver dato altro che un piccolo con- 
tributo allo studio della quistione ,. 


Al Ramorino a proposito di egerere si può far notare quanto 
il Mau osserva al Boni. “ Il significato d’una parola così comune 
come egerere, scrive il Mau (Mitteilungen K. D. Archaeologischen 
Instituts, XXII, 1907, p. 187 sgg.), si può desumere solo dall’uso, 
non dall’analogia, come vorrebbe il Boni. Ammesso pure, egli 
continua, che egerere abbia il significato voluto dal Boni, quantae 
altitudinis appartiene aggettivamente a mons nè è prossima de- 
terminazione del verbo, inoltre locus non può valere ‘pianura’, 
infine, fatta astrazione della stranezza dell'espressione che gli 
edifici inalzati formano come un alto monte, il Zocus rimane 
una aggiunta senza senso ,. 

Il Mau, come già notammo, concorda col Sogliano nel tro- 
vare esagerato circa del doppio il computo, fatto dal Comparetti, 
del volume dei metri cubi di marmo impiegati nella costruzione 


602 ORESTE NAZARI 


del Foro, dato che la colonna colla sua altezza volesse rappre- 
sentare lo spigolo d’un ipotetico cubo. 

Pel Mau, le parole locus tantis operibus sono strettamente 
congiunte e significano ‘lo spazio per così grandi edifici”. 
Questo, secondo lui, deve essere il punto fondamentale per l’in- 
telligenza di tutta l'iscrizione: il monte è portato via e (con ciò) 
fu fatto lo spazio per così grandi edifici. La costruzione 
grammaticale (son parole del Mau) è certo non total- 
mente semplice e corretta, giacchè non possiamo 
agevolmente risolvere la proposizione con due sog- 
getti in due proposizioni con un soggetto ciascuna: 
quantae altitudinis mons sit egestus è esatta, ma non già 
quantae altitudinis locus tantis operibus sit egestus, ma tuttavia 
il congiuntivo in locus st egestus è solo legittimato 
perchè appartiene alla domanda indiretta comin- 
ciante con quantae altitudinis. Sarebbe invece corretto 
ad declarandum quantae altitudinis mons sit egestus et locum tantis 
operibus egestum esse, però egerere, usato propriamente 
con mons, sarebbe improprio con locus, perchè il monte 
è rimosso e il luogo è procurato colla rimozione, 
laonde per essere totalmente esatti dovremmo ri- 
solvere et locum tantis operibus egerendo factum esse. 

Si potrebbe anche formulare la cosa un po’ diversamente: il 
doppio soggetto mons e locus tantis operibus sono tutt'uno, onde 
rettamente s’accompagna il verbo sit egestus al singolare, il 
monte era lo spazio destinato agli edifici o almeno una parte 
di esso, il quantae altitudinis si riferisce propriamente a mons 
e il locus tantis operibus si connette con mons come apposi- 
zione (1), onde si deve tradurre “ quale alto monte — località 
destinata agli edifici — fu rimosso ,. Or non si può negare, 
confessa il Mau, che l’espressione, intesa nell’uno o 
nell'altro modo, è parecchio strana. E invero la stra- 
nezza consiste nell’esagerata brevità, in un non 
bell’accozzamento di quanto avrebbe dovuto essere 
detto alquanto più estesamente. Perchè non si è 
detto semplicemente e chiaramente: quantae altitudinis 
mons sit egestus, ut locus fieret tantis operibus ? Semplice- 


(1) In questo caso che sta a fare l’et dell'iscrizione? obbiettiamo al Mau. 


E SOI E 


CV I 0 n n 


L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA * 603 


mente per mancanza di spazio, io penso (!!). Il Senato, 
quando decise d’innalzare la colonna, difficilmente aveva fissato 
il testo dell’iscrizione, 0, ciò che a noi basta, assai verisimil- 
mente non lo fece, e l’architetto apprestò sulla base una tavola, 
dove c'era spazio per sole sei linee. Una richiedeva il SP Q R, 
tre i titoli dell’imperatore, e così restavano due linee, nelle 
quali non trovò posto una più larga e chiara espressione, laonde 
si ebbe questa forma alquanto mal riuscita, e come la colloca- 
zione delle lettere così anche la dicitura è quanto mai compatta. 

Cercando dove poteva essere questo — qual si fosse — 
monte, il Mau trova che fuor dalle mura Serviane, cioè a nord 
d'una linea dall’altezza di via Marforio fino alla salita del Grillo, 
esso è inammissibile ed escluso anche dagli scavi. A sud di 
questa linea troviamo i Fori di Cesare e di Augusto, luogo in 
piano già molto prima di Traiano. Pel monte dell'iscrizione non 
rimane dunque altro posto che la stretta striscia di suolo fra 
la segnata linea delle mura Serviane e quei due più antichi Fori, 
perciò segnando quella linea il fronte delle mura, il mons sa- 
rebbe formato dalla terra addossata dietro ad esse per formare 
l’agger. Questo fu il monte rimosso da Traiano per costruire la 
parte meridionale del suo Foro. 

Certamente questo terrapieno non poteva essere alto quanto 
la colonna, ma neppure un monte naturale di tanta altezza 
poteva esserci in quella località. 

La colonna misura 38 m. dai gradini in basso al sommo 
dell’abaco e ciò sul suolo del tempo traianeo, anche un po’ più 
sul suolo originario, laddove il tratto di mura conservato presso 
la stazione ferroviaria misura solo 10 m. di altezza. Sarebbe 
dunque un’iperbole se l’iscrizione dicesse che il monte, cioè 
l’agger, era alto quanto la colonna. L'altezza della colonna dal 
piede del plinto al sommo dell’abaco s’avvicina tanto ai 100 piedi 
romani (m. 29,723 Piranesi, 29,91 Aurés) che si deve ritenere 
che questa altezza fosse voluta, e naturalmente essa fu scelta 
come misura tonda e non come precisa indicazione dell’altezza 
del mons. Or potrebbe la differenza tra 100 piedi e l'altezza del 
monte essere rappresentata dalla base (nun Konnte ja freilich die 
Differenz 2wischen 100 Fuss und der Hohe des Berges durch die 
Basis dargestellt sein); pare che questa nè per sè nè coi gradini, 
che una volta portavano a essa, indicasse una misura tonda 


604 ORESTE NAZARI 


in piedi romani, giacchè secondo il Piranesi, essa senza i gra- 
dini è alta m. 5,273 = piedi romani 17,8 e coi gradini è alta 
m. 6,949 = piedi rom. 23,5. Certamente questo è possibile. Ma 
potrebbe pure essere possibile che la colonna di 100 piedi in- 
dicasse un'altezza appositamente arrotondata e perciò 
molto esagerata. Si potrebbe difatti addurre in appoggio 
che il pensiero di designare l'altezza del monte con una colonna 
non si ebbe forse prima della rimozione del monte, ma più 
tardi (il Boni dimostrò che per la colonna fu tagliata la platea 
del Foro), e perciò quando la colonna fu inalzata l'altezza del 
monte difficilmente era conosciuta con precisione. E se noi 
d’altra parte ammettiamo che in fatto l'antica fortificazione e 
il monte da lei sorto erano assai alti, forse la spiegazione che 
ne risulta non è da respingere incondizionatamente, se anche io 
volentieri riconosco, ch’essa non è senza riserva. 

Ma si può anche tentare un’altra spiegazione. Il Bunsen 
congetturò —- nè io potrei respingere questa congettura così 
del tutto, come ora generalmente si fa — che l'altezza del monte 
fosse designata non dall’altezza della colonna, ma dalla base. 
Certamente il monumento è la colonna, non la base, ma si può 
credere che la colonna indica bensì l'altezza del monte, ma non 
colla propria altezza, ma colla sua collocazione, in quanto sta 
sull’antico livello, così alto, come anche le colonne del Foro 
— alcune almeno di esse — sarebbero dovute stare, se non si 
fosse fatta la rimozione. 

Si potrebbe opporre che l’altezza del monte rimosso risulta 
così piuttosto piccola, mentre pel quartae altitudinis dell’iscri- 
zione noi propenderemmo a pensarla realmente più grande. A 
questa difficoltà non possiamo sfuggire in nessun modo; l’iscri- 
zione attesta un monte; un alto monte qui non fu mai nè V’i- 
serizione lo dice, e perciò dovette essere più basso. E infine la 
base si eleva sui suoi nove gradini col plinto della colonna 
quasi 8 m. sul suolo del tempo traianeo, certo almeno 8 m. sul 
suolo del tempo anteriore, perciò press’a poco fino alle finestre 
d'un secondo piano di una casa moderna di giusta altezza. Noi 
siamo invero totalmente autorizzati, sotto questo punto di vista, 
a computare il plinto colla base, alla quale esso a colpo d'occhio 
decisamente appartiene. La cornice della base non forma il suo 
fimimento superiore, ma segue ancora una gola (L'ebergangsglied), 


L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 605 


colle cui superfici laterali sol poco sporgenti il plinto finisce 
non ad angolo retto ma con una curva. Le facce della gola 
sono ornate con ghirlande, sul cui punto di attacco, agli angoli, 
sta un'aquila che forma l'angolo del plinto: gola e plinto con 
questa ornamentazione sono indissolubilmente uniti, formando 
un insieme, donde si stacca nettamente il toro. Ne risulta a 
dir vero la conseguenza che il plinto dev'essere computato colla 
colonna per dare i cento piedi della colonna, colla base per 
indicare l'altezza del colle. 

Che si celebrasse la rimozione d'un colle sia pur conside- 
revole e discretamente esteso, mediante una colonna e un’iscri- 
zione, 0 piuttosto che si utilizzasse l'erezione di una colonna 
onoraria per l’imperatore a fine di celebrare questo fatto, può 
sembrare a noi strano, ma non oserei dire impossibile. Questo, 
come qualche altro caso, ci sarebbe più comprensibile se ci fosse 
nota la sua preistoria. Se anche il monte era più alto, era tut- 
tavia un singolare pensiero quello di celebrare nell’iserizione in 
prima linea la sua rimozione anzichè i grandiosi edifici, e de- 
vono a ciò aver condotto circostanze forse speciali a noi ignote. 


La 

Delle riferite interpretazioni nessuna, a parer nostro, si 
regge. Per tacere di quella del Comparetti, già esaurientemente 
confutata dai calcoli recati dal Sogliano, vediamo il tallone di 
Achille delle altre. 

Quella del Boni incontra due difficoltà, l’una lessicale, ar- 
chitettonica l’altra. Egerere in latino vuol dire e disse sempre 
e solo ‘ portar via’ e non mai‘ elevare’. Anche l’egestis 
molibus citato dal Boni non si può tradurre, com’egli fece, 
‘sollevando grandi massi terrestri’, giacchè il testo 
(Plinio, Hist. Nat., II, 82) parlando dei terremoti dice: varie igitur 
quatitur (terra), et inira eduntur opera, alibi prostratis moenibus, 
alibi hiatu profundo haustis, alibi egestis molibus, alibi emissis 
amnibus, ecc., dove l’egestis molibus vale ‘ trasportando massi”, 
facendoli o rotolare o franare. Il prof. Adolfo Cinquini per ap- 
poggiare l’interpretazione del Boni mi citò il Pliniano (Hist. 
Nat., XXXVI, 24) corrivatio aquarum egereretur in vertice ma- 
chinis, dove a prima giunta pare bensì che si voglia dire. che 


606 ORESTE NAZARI 


un’accolta d’acqua è levata in alto con pompe, ma, esaminato 
bene il testo, si scorge subito che si tratta di asportare con 
pompe messe in alto dell’acqua impaludata, giacchè lo scopo 
dell’imperatore Claudio, cui accenna Plinio, non era di sollevare 
l’acqua del Fùcino, ma di portarla via per prosciugare il lago. 
Dice infatti il testo: eiusdem Claudii inter marxime memoranda . 
duxerim, quamvis destitutum successoris odio, montem perfossum 
ad lacum Fucinum emittendum, inenarrabili profecto impendio, et 
operarum multitudine per tot annos; cum aut corrivatio aquarum, 
qua terrenus mons erat, egereretur in vertice machinis, aut silex 
caederetur : omniaque intus in tenebris fierent, quae neque concipi 
animo, nisi ab ts qui videre, neque humano sermone enarrari 
possunt. 

Ma dato pure e non concesso, che l’egerere dell'iscrizione 
valga ‘elevare’, la sommità della colonna non sarebbe potuta 
servire da vedetta, perchè da essa nulla si sarebbe potuto ve- 
dere se non il tetto della vicina Basilica, essendo la visuale 
intercettata da esso senza poter giungere al Foro e alle superbe 
costruzioni che lo circondavano. Si noti che la colonna traiana 
era incassata in un cortiletto dietro il Foro propriamente detto 
fra le Biblioteche e la Basilica Ulpia, la quale per la sua mole 
doveva essere l’edificio maggiore di tutto il Foro, più alto del 
portico e della exedrae. Ora ci dice Ammiano Marcellino (XVI, 10) 
che l’imperatore Costanzo, quando visitò per la prima volta 
Roma, ammirò via via tutti i monumenti dell’ Urbe, credendo 
via via di nulla poter vedere di più eccelso, ma che quando, 
dopo il Pantheon ed altre costruzioni, giunse al Foro Traiano 
rimase attonito davanti a quella sfilata di giganteschi edifici. 
Intra septem montium culmina, egli dice, per adclivitates plani- 
tiemque posita urbis membra conlustrans et suburbana, quidquid 
viderat primum, id eminere inter alia cuncta sperabat: Iovis Tarpei 
delubra, quantum terrenis divina praecellunt: lavacra in modum 
provinciarum extructa: amphitheatri molem solidatam lapidis T'ibur- 
tini compage, ad cuius summitatem aegre visio humana conscendit : 
Pantheon velut regionem teretem speciosa celsitudine fornicatam : 
elatosque vertices scansili suggestu consulum et priorum principum 
imitamenta portantes, et Urbis templum forumque Pacis et Pompei 
theatrum et Odeum et Stadium aliaque inter haec decora urbis 
aeternae. Verum cum ad Traiani forum venisset, singularem sub 


e e O 


L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 607 


omni caelo structuram, ut opinamur, etiam numinum adsensione 
mirabilem, haerebat adtonitus per giganteos contextus circumferens 
mentem nec relatu effabiles nec rursus mortalibus adpetendos. È 
perciò evidente che tra questi giganteschi edifici del Foro 
Traiano il più gigantesco per ragioni di proporzioni dovesse 
essere la Basilica Ulpia, che aveva la base più ampia in lun- 
ghezza e larghezza; essa doveva dunque essere più alta del 
Pantheon, e, elevandosi il Pantheon ben 43 metri sul suolo, si 
comprende come chi fosse stato sulla colonna traiana alta m. 38 
e posta dietro alla Basilica, ne avrebbe potuto a pena vedere 
la cupola da una sola parte senza potere spaziare coll’occhio 
sul Foro e sui circostanti edifici. 


* 
* * 


Il Sogliano a sostegno della sua interpretazione invoca tra 
i molti esempi offerti da Pompei quello di una piazza, su cui 
trovasi un mucchio di detriti alto m. 1,70, di sotto al quale 
sporgono le soglie e i ruderi di case demolite (io direi crollate), e 
da ciò inferisce che nell’antichità ci fosse l’uso di adibire a luogo 
di pubblico scaricatoio le aree libere nell'interno dell’abitato. 

Questa volta il dotto Pompeianista-è venuto meno a se 
stesso, giacchè l'esempio di Pompei è quello che meno si può 
invocare, date le condizioni edilizie degli ultimi anni di questa 
città. Difatti quando il 24 agosto del 79 d. Cr. la città fu se- 
polta sotto cinque metri di cenere sabbia e lapilli eruttati dal 
Vesuvio, essa era appena finita di ricostruire (se d’una città ciò 
si può dire) dopo il crollo causato dal terremoto del 5 febbraio 
del 63 d. Cr. (sedici anni innanzi!), per il quale, dice Tacito 
(Ann. XV, 22), celebre Campaniae oppidum Pompei magna ex 
parte proruit. Comprendiamo la rapida ricostruzione di S. Fran- 
cisco oggidì, ma allora, che non c'era nè telegrafo per chiamare 
operai nè piroscafi e ferrovie per trasportarli, Pompei dovette es- 
sere ricostrutta abbastanza lentamente dopo il terremoto, sicchè 
è naturale che nell’interno della città nel 79 rimanessero an- 
cora alcuni mucchi di detriti della diruta città, i quali a poco 
a poco sarebbero stati asportati. 

Per quel che riguarda Roma, anzitutto è inammissibile che 
i Romani tollerassero nel cuore della città un pubblico scari- 


e 


608 ORESTE NAZARI 


catoio; ma c'è di più, ciò era impossibile per ragioni finanziarie 
e private e pubbliche. Gli scavi han dimostrato che nell’area 
del Foro Traiano preesistevano edifici, i quali, secondo il Sogliano, 
sarebbero stati distrutti o da incendi o da terremoti o da altra 
causa a noi ignota, lasciando l’area per lo scaricatoio. Ma crol- 
lati tali edifici, gli obbiettiamo, i loro proprietari o gli eredi 
di questi rimanevano pur sempre i padroni delle aree, le quali 
nel centro di Roma dovevano avere un valore grandissimo: or 
è egli ammissibile che essi rinunciassero al loro diritto abban- 
donando le aree stesse, o che il governo di Roma le riscat- 
tasse per far il comodo di chi avesse da scaricare detriti? Le 
espropriazioni si fanno perragioni di pubblica utilità, vuoi d’igiene 
o vuoi di estetica o vuoi di viabilità, e chi ha detriti o immondizie 
da scaricare se ne liberi come può. Potè bensì il monte Testaccio 
sorgere sui ruderi di antichi magazzini distrutti, ma fuori di 
Roma, sul Tevere, e quei magazzini dovettero essere stati pub- 
blici e resi inservibili o per crollante vetustà o perchè il com- 
mercio aveva preso altro recapito, ma ciò non potè accadere 
nella valle tra il Campidoglio e il Quirinale. 


ea 

Anche l’interpretazione del Ramorino pecca per il significato 
attribuito, sull'esempio del Boni, ad egerere, e pecca ancora contro 
l'estetica, pure volendo fare della colonna il monte dell’estetica. 
Per il R. in fondo in fondo l’iscrizione direbbe che il Senato 
innalzò la colonna per dimostrare quanto spazio ci voleva per 
illustrare le gesta daciche di Traiano; ma nessun Baedeker 
illustrò mai un quadro dicendo p. es.: questo quadro fu dipinto 
per dimostrare quanto alta cornice e ampia tela ci volle per 
rappresentare in tutti i suoi aspetti, puta caso, una battaglia. 


** 


Pel Mau il Senato romano scrisse il suo latinuccio dell’iscri- 
zione in costruzione grammaticale certo non totalmente 
semplice e corretta (testuale!), mentre avrebbe dovuto scri- 
vere ad declarandum quantae altitudinis mons sit egestus et locum 
tantis operibus egerendo factum esse. Ben è vero che il Senato 
ha un’attenuante : l'architetto Apollodoro apprestò per l'iscrizione 


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L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 609 


una tavola marmorea troppo stretta, sufficiente appena per sei 
linee, la stamperia del Senato non possedeva caratteri più pic- 
coli, e il Senato fece del suo meglio col pigiare quante più 
lettere potè nell’ultima linea e coll’usare la massima brevità 
anche a danno della chiarezza e dell’esattezza. 

Per rendermi conto del grado d’imputabilità del Senato 
volli esaminare attentamente sul posto la faccenda e trovai che 
l'iscrizione è in basso, che le dimensioni delle lettere di essa 
sono grandissime tanto che riducendole un pochino si potreb- 
bero leggere comodissimamente facendo posto ad un paio di 
linee ancora, che è rilevante l’intervallo fra linea e linea e più 
ancora lo spazio marmoreo sopra la prima linea e ancor più 
sotto l’ultima, e infine che l’ultima linea è in lettere di formato 
minore delle sovrastanti. L'insieme grafico dell'iscrizione ap- 
parisce poi studiato in tutti i particolari: la prima linea ha 
24 lettere, la seconda 27 (però con quattro I, che sono esili 
naturalmente), la terza 26, la quarta 29 (però con sette I), la 
quinta 31 e la sesta in carattere un po’ più piccolo 35, cosicchè 
a colpo d'occhio la scritta apparisce chiara e bella, essendo le 
lettere gradatamente tanto più spazieggiate quanto più sono 
in alto e distanti dall’occhio, e essendo le lettere dell’ultima 
linea di formato un po’ più piccolo perchè più vicine all'occhio 
del lettore. 

Quanto all’altezza del monte, cioè del tratto di muro col- 
l’agger addossatovi, il Mau ne dà tre misure: 1° la base è uguale 
alla differenza tra i cento piedi della colonna e l’altezza del 
monte, calcolo facilmente eseguibile da chiunque, come si vede; 
2° forse, quando la colonna fu innalzata, l'altezza del monte 
non era più conosciuta con precisione, e perciò la misura della 
colonna rappresenterebbe un'altezza approssimativa ar- 
rotondata e perciò molto esagerata (come possa essere 
approssimativa e insieme molto esagerata non riu- 
sciamo a comprendere, come non riusciamo a comprendere che 
l'architetto del Foro ignorasse a lavoro compiuto l'altezza del- 
l’agger asportato, quasi non avesse dovuto fare il conto preven- 
tivo e poi consuntivo delle spese di tutti i lavori, compresa la 
rimozione dell’agger); 3* l'altezza del monte può essere rappre- 
sentata dalla base, che, essendo piccola, ha bisogno dell’aggiunta 
del plinto per non fare sfigurare tanto Traiano d’avere portato 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. dl 


610 ORESTE NAZARI 


via un mucchio di terra sì basso. Così la colonna non rappre- 
senta, per chi è addentro alle segrete cose, l'altezza del monte, 
ma significa che il monte era alto fin sotto ad essa. In tal modo 
il Senato romano o a bella posta o senza volerlo trasse in inganno 
i posteri non solo quanto all'altezza del monte ma anche quanto 
alla sua ampiezza, giacchè d’un basso e stretto e corto bastione 
con quell’apposizione di locus tantis operibus a mons (mentre solo 
una breve striscia dell’area del Foro sarebbe stata occupata 
dall’agger) creò la leggenda d’un alto monte a larga base. Ben 
è vero ch'è strana un’apposizione preceduta dall’et, tanto più 
che (come pretende il Mau) lo spazio per le lettere non sovrab- 
bondava, ond’esse furon pigiate l’una contro l’altra; ma abbiamo 
visto che il Senato non sapeva bene il latino e perciò anche 
questa è possibile! i 
fa 

La nova interpretazione, che tentiamo, dovrà, acciò sia 
attendibile, non contraddire a due attestazioni: l’una il noto 
luogo di Cassio Dione, il quale accenna alla colonna Traiana 
e al contenuto della sua iscrizione, l’altra i dati di fatto offertici 
dagli scavi eseguiti sul posto dal benemerito architetto Gia- 
como Boni. 

Noi non possiamo credere col Comparetti che Cassio Dione, 
solo perchè scriveva un secolo dopo l’erezione della colonna, 
non ne avesse bene intesa l'iscrizione o che al tempo di Dione 
già si fosse perduta la memoria di quello ch'era stato il luogo 
dove sorgeva il Foro Traiano, giacchè Dione nell’anno 186 si 
recò a Roma dove divenne anche senatore e potè essere infor- 
mato dai figli di quelli i quali furono testimoni dei lavori del 
Foro, e quando più tardi in Campania attese alla composizione 
delle sue Storie potè facilmente attingere informazioni su un 
fatto, ch'era relativamente recente. 

Occorre pertanto interpretare la notizia dataci da Dione 
rettamente e perciò nel modo più ovvio. 

Dione scrive di Traiano (68, 16): kaì éotnoev év tf Gropa 
Kai kiova uériotov, dua uèv éq TamHv Éautd, Gua dé Èég Ermiderzmv 
TOÙ Katà TAV dropàv Eprou' Tavtòg TP TOÙÒ Xwpiov ékeivou dpervod 
Ovtog KaTÉéoKkawe TOododTov Boov è xiwyv àvioyer, kai Tv Gropàv 
ék TtoUTov Tediviv xateogevace. E il Comparetti traduce: “ ed 


L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 611 


innalzò nel Foro una grandissima colonna, sì perchè gli servisse 
di sepolcro, come anche per dar saggio del lavoro pel Foro; im- 
perocchè, essendo tutto quel luogo montuoso, lo abbattè di tanto 
di quanto la colonna si solleva, e così costrusse in piano il Foro ,. 
Il Sogliano invece traduce katéogaye con ‘scavò’. In verità 
‘abbattò’ è troppo generico e perciò poco esatto, ‘scavò’ 
non risponde al testo, poichè kataokdmtw vale bensì originaria 
mente ‘scavare sotto’, col quale significato etimologico è 
ancor usato, p. e., da Teofrasto in Hist. P1., 4, 13, 6, però è più 
frequentemente usato nel significato di ‘demolire’: kataokd- 
mtev tONiv ‘demolire una città’ troviamo in Euripide Tr. 1263, 
— teiynyn ‘demolire mura’ in Tucidide, 4, 109 e in Iso- 
crate, 308, d, — oîkiav eis édapog ‘demolire una casa fino 
alle fondamenta’ in Plutarco Pobl., 10, ecc.; ecc.; laonde, 
lasciando per ora impregiudicata la questione dell’interpretazione 
dell'iscrizione traianea, credo si debba tradurre le parole di 
Dione: “ e innalzò nel Foro anche una colonna grandissima, sia 
per propria sepoltura, che per dimostrazione del lavoro fatto 
pel Foro; giacchè, essendo montuoso tutto quel luogo, demolì 
da tanta altezza a quanta la colonna si eleva e con ciò spianò 
il Foro ,. 

D'altra parte gli scavi del Boni non solo hanno trovato 
in tutta la larghezza della valle finora esaminata gli avanzi 
di più antichi edifizi o stratificazioni ,, ma anche che l’area del 
Foro prima non era piana, giacchè “ alla distanza di novanta 
metri dalla colonna, in direzione del Campidoglio, lo stereobate 
del monumento di Bibulo, oltre un terrapieno alto m. 3,60, rag- 
giunge una strada antica scendente al piano del vicus sotto la 
platea del Forum Ulpium ,, e il Boni rinvenne “ a un metro 
e mezzo circa sotto al piano del cortile (tra le due Biblioteche 
e la Basilica) una strada selciata a poligoni, marginata da avanzi 
di caseggiato a Zorica testacea del sec. I ,, la quale “ strada o 
clivus è a moderata pendenza (del 3,7 per cento) ,. Del resto, 
basta girare un po’ Roma per trovare dislivelli continui, sicchè 
sulla base di quanto gli scavi attestano ed attesta la natura 
del suolo di Roma anche odierna, possiamo inferire indubbia- 
mente che l’area, che fu poi del Foro Traiano, doveva prima 
essere ondulata con varia pendenza, onde ben si comprendono le 
parole di Dione: mavtòs toù ywpiov òpervod dvtog. 


“ 


612 ORESTE NAZARI 


Quant’era dunque l'altezza del dislivello del luogo nel punto 
più elevato? Una siffatta domanda ce la moviamo noi, dimen- 
ticando che quel quartiere nel centro di Roma era abitatissimo ; 
ma chi dettò l'iscrizione della colonna e aveva avuto sott'occhio 
quel luogo fitto di alti edifizi, pensò non solo al lavoro di sgom- 
bero di un po’ di terra ma anche e più a quello di demolizione 
rimozione e spianamento, laonde, ciò tenuto presente, dal 
xatéokaye TOCodTOov doov ò Kkiwv dvioyer ‘ demolì quant'è 
alta la colonna” risulta chiaro che l'altezza dell’elevazione 
del suolo con quella degli edifizi (che Traiano katéokaye) doveva 
nel punto più alto raggiungere il livello della sommità della 
colonna. Le parole di Dione katéokaye... kai tiv dropàv mediviv 
Kateokevace traducono e spiegano assai bene l’egerere dell’iscri- 
zione, il qual verbo include la rimozione del materiale demolito 
e la colmatura fatta con esso nei punti più bassi dell’area a 
fine di spianarla. La rimozione riguarda il mons, la colmatura 
il locus, sicchè in mons et locus dobbiamo vedere un costrutto 
xa 6iov kai xatà uépog, in quanto il mons è bensì la parte più 
rilevante dell’opera di sventramento del vicus compiuta da Tra- 
iano, ma è solo una parte, la quale è compresa nel locus, che 
si estende a tutto il vicus demolito dal Cesare Romano. 

Se gli scavi fatti hanno da una parte dimostrato che un 
vero mons non esisteva nell’area del Foro Traiano, hanno da 
l’altra pure dimostrato che il luogo era accidentato con varie 
e moderate pendenze, il che costituiva appunto la natura colli- 
nosa del terreno. Siccome poi la colonna si eleva insieme colla 
base ben 38 m., era necessario che altissimi fossero gli edifici 
per toccare colla loro sommità quella della colonna. Nè ciò ci 
deve far meraviglia, poichè Vitruvio (II, 8) ci dice: in ea mate- 
state urbis et civium infinita frequentia innumerabiles habitationes 
opus est explicare. Ergo cum recipere non posset area plana tantam 
multitudinem ad habitandum in urbe, ad aurilium altitudinis aedi- 
ficiorum res ipsa coegit devenire. E per la scarsità e il caro prezzo 
delle aree fabbricabili in Roma si giunse ad edificare a tanta 
altezza che le case spesso rovinavano e gli incendi riuscivano 
tanto più disastrosi quanto più esse erano alte. ‘Erteme\m@n pèv 
oùv, dice a questo proposito Strabone, V, 1, 7, ò ZeRaotòg Kaîoap 
TÙV TOI0UTWY ÉiatTwuUdTWwV Tfg moNewg, Tpòg uèv TÀg Èumpnoerg 
CUvTAZAg OTPATIWTIKÒv ÈK TW dmereuBepiwTÒòv TÒ Bondffoov, mpòg 


PI 


na e 


L'ISCRIZIONE DELLA COLONNA TRAIANA 613 


dÈE TÙC CUUTTWOEIG TA Uyn TÙV Kaivòv ocikodounudtwv KadeXwwy, 
kai xw\uoac èzaiperv moddv ÉRdONNikovta TÒ mpòg TAîg ddoîg TAG 
dnuogiarg (‘ Pertanto Cesare Augusto si preoccupò di tali sinistri 
della città organizzando contro gli incendi un corpo di libertini 
che corresse in aiuto, e contro i crolli togliendo il permesso di 
edificare alti i novi edifizi e impedendo di elevare oltre 70 piedi 
(= m. 20,71) gli edifizi sulle pubbliche vie ’). Rimasero dunque 
ancora in Roma dei vecchi edifizi in confronto dei quali erano 
bassi i nuovi di m, 20,71 (ciò dice il tà Uyn xageXwv), e poichè 
Traiano nel costruire il suo Foro scelse certo un quartiere vecchio 
e da risanare e non uno adorno di monumenti e di belle costru- 
zioni, è da credere che egli compì un’opera, noi diremmo oggidì, 
di sventramento (egerere) d’un vicus a viuzze strette e slivellate 
e fiancheggiate da catapecchie e vecchie case ammonticchiate e 
lanciate a grande altezza (cfr. Vitruvio). 

Quest'opera estetica e igienica doveva pure essere attri- 
buita ad onore a Traiano ; e poichè le nove costruzioni del Foro 
tutti le possono vedere ergersi gigantesche al cielo basterà 
accennarle nell’iscrizione con tantis operibus; le imprese daciche 
del capitano sono già rappresentate stupendamente sulla colonna 
nè hanno bisogno di illustrazione scritta; quella che più non 
si vede ed è una benemerenza civile non inferiore alle guer- 
resche ed artistiche, è lo sventramento del vecchio quartiere, 
che deve essere ricordato ai posteri nella iscrizione. 

La quale non dice ad memorandum ecc. ma ad declarandum, 
perchè coll’altezza della colonna non si vuole ricordare ma 
dimostrare, dandone la misura, l’ingente opera di risa- 
namento compiuta col demolire e spianare il vicus. 

Nè si opponga che la colonna non può indicare una misura, 
avendone essa una sua propria solenne tonda di 100 piedi, poichè 
nulla toglie che la colonna, pur essendo di 100 piedi, possa colla 
sua sommità segnare il culmine più alto del quartiere sventrato, 
costruendole sotto, come nel caso nostro, una base di tal altezza 
che con quella della colonna raggiunga la voluta misura. 

Concludendo, le due ultime linee dell’iscrizione della colonna 
Traiana vogliono significare che questa fu innalzata per indicare 
a quanta altezza si spingevano gli edifici ch’erano sul monte 
e sull'area demolita per far posto a sì grandiose costruzioni, 
quali furono quelle del Foro Traiano. 


614 CLEMENTE MERLO 


Forficula auricularia e bricciche romanze 


Nota di CLEMENTE MERLO. 


È. 


Nel nome scientifico è la storia dei nomi volgari del piccolo 
insetto. Due ne sono le fonti, anzi una sola: la coda che ricorda 
una piccola pinza di squisita fattura, e una superstizione che 
ne germoglia. Crede il popolo che la forfecchia prediliga i meandri 
dell'orecchio umano e con la piccola acuta pinza pizzichi, tagli, 
faccia ira d’Iddio dell’organo delicatissimo. 

Con un nome che variamente traduce la ingiusta, quanto 
radicata e diffusa (1), leggenda, la chiamano gli abitatori della 
Francia pressochè intera, di qualche vallata delle Alpi lombarde, 
della Rumenia. Povera, innocua bestiola! cui s'addirebbe un nome 
che suonasse ‘la timida’ come a quella che vive tranquilla nel 
ricettacolo dei frutti, specie dei fichi, nell'interno dei fiori, sotto 
la corteccia degli alberi morti, o vicini a morire, e scoperto che 
sia il suo rifugio, si fa più addentro, più sotto, con febbrile at- 
tività, come impazzita. Nella nostra penisola è per lo più ‘la 
forbicina’, ‘la forbicetta’ e non è senza importanza il veder 
come si intreccino i due filoni che fan capo a forfex e all’ipo- 
tetico *forbex (2). Ma non mancan pur leggiadre creazioni, per 
lo più scherzose: ‘taglia, o forbice’, ‘ piazica, o forbice’, e l’am- 
mola-fuorfece, arrota-forbede “ arrotino , del mezzogiorno. 


(1) Si vedano il ted. Okrwurm, l’ingl. earwig, ecc. in Rolland “ Faune 
pop.., III, 303. i 

(2) Forma nata da dissimilazione, secondo il Salvioni (v. £ Note lomb.- 
sicule , 83, n. 4). 


FORFICULA AURICULARIA E BRICCICHE ROMANZE 615 


dv 
A l’insetto dalla coda biforcuta a guisa di forbice, 
forca, tenaglia: 


1 ‘bruco forcuto’: sard. campid. cugurra furcarada 
(v. cugurra bruco e furcarau forcuto). 


2 ‘apri coda’: sard. logod. isperracòa (v. isperrare fen- 
dere, aprire e cfr. gli it. batticoda, squassacoa, ecc.). 


3 


a) ‘coda forcuta” : m. prov. co-besso, marsigl. coue- 
besso Ss. f. (v. bes besso double, fourchu); valles. kavoua dècha (1). 


b) SA : Orne cu fourché Roll. 


4 ‘coda forbice’ : sard. gall. codifélvicia Spano V. 
It.-S., p. 199 (2) (v. archibanco, gallipavo, ece.: M. Luùbke II, 
$ 554) (3). 


5 
a) forbice, forbici: 
basso engadin. fors *forbs Pallioppi. 
lucch. forbicia Nieri; parmg., bologn., ferr. forbsa, 
Travo (piac.) forb$sa r. pr.; «== sicil. forficia Traina. 
nap. fuòrfece s. f. sg. Puoti (4) ; calabr. fuòrfice s. f. sg. 
Accatt. (5); —— Bosa (sard.) fo/fighes Rolla. 


(1) Devo questa e le altre voci della Svizzera francese alla molta bontà 
e cortesia del Tappolet, uno degli egregi collaboratori del “ Glossaire des 
patois de la Suisse romande ,,. 

(2) Vi sta scritto codifolvicia, ma è da emendare certo in codiféblvicia 
(v. la parte sarda-italiana e Guarn. in A. G. XIV, 161). x 

(3) A Manoppello (abruzz.) 'rrétafròffece ‘ dietro + forbice ’ è lo scorpione; 
dove è da notare l’avverbio, fatto femminile (?), che precede il nome 
(v. abruzz. a’ rréte cule “ a ritroso ,). 

(4) Forma di numero plurale passata al singolare, secondo mostra l’uò 
che parla di -i (cfr. il bar. fuerdewe; Nitti, p. 10). 

(5) L’uò parla di -i, 1'-e di -e. Al plurale suona fuorfici, ed è di genere 
maschile. 


616 CLEMENTE MERLO 


Sannio forfeca s. f. Nitt. (ma fuòrfece ‘ forbici ’) (1). 


PIAAAIAZA 
SIDAANADA 


piac. sizdra caesoria For. 


b) un diminutivo di forbice: 


a: metaur. forbiecchia *forbicula Conti; mem it. 
lett. forfécchia forficula D’Ovidio in A. Gl. XIII, 380 (2). 


‘forbicetta’ (3): trent. forbeseta Ricci; teram. furbecétte 
Savini; Lugano furbiseta r. pr., com. forbesèta, Brianza forbesttta, 
mil. foresètta Cherubini (v. fores Salv. o. c.), paves. forbeseta, 
forbseta, ferrar. forbsette s. pl. Ferraro, imol. furbseta, faent. 
furbsetta; == galles. furfidiéta -itta (v. tiéta *titta), piran. 
furfidéta, pol., vall., siss. forfiéta, dign. fas. furfezita Ive “ Lad. 
ven. , 137, trevig. forfeseta Zoppelli, padov. forfeseta Patr., ven. 
forféta (v. forfe forbice; Ascoli in A. Gl. XIII, 281); — Bosa 
(sard.) folfighitta -itta Rolla. 


x rovign. furfizitula *-ittula Ive Ll c. 


‘ forbicina ’: it. lett. fordicina, Bironico (lugan.) fur- 
bisin s. pl., alto milan. forbesina, bresc. forbizina Melch., mantov. 
forbsina, parmig. forbsén'na, moden. furbséna, mirandl. furbsinna; 
«<= berg., bresc. forvesina Tirab., Gagl. 


‘ forbicella’: imol. furbsèla Matt.; == nap. furfe- 
cella Andr. 


aa: Sen., pist. forbicicchia *-icicula Pianig., Nieri; 
zz lecces. furfecicchia Mor. in A. Gl. IV, 140, sicil. furficiechia 
Tr.; — venez. forfesigola. 


azz: Volterr. forbiciskia *-iscula? r. pr. 


m: genov. teswiétta (v. teswie forbici); spagn. tije- 
reta (v. tijera forbice) (4). 


(1) V. più sotto forficula e forbicula. A Maglie férfica, forfaca è 
una specie di scorpione innocuo; Panareo com. 

(2) V. qui sopra férfeca. 

(3) Qui compaiono assieme i suff. -itta ed -ètta, la distinzione non 
essendo sempre possibile. 

(4) Anche lo sp. tijera dev'essere un *tesoria (tosoria rifatto su 
cesoria; v. Parodi in A. Gl. XVI, 149). 


FORFICULA AURICULARIA E BRICCICHE ROMANZE 617 
6 


a) forca: 


m. prov. fourco,fourcha Mistr., Honn., guase. Rourco, ecc. 


b) un diminutivo di forca: 


‘forchetta’: Rivera, Taverne, Agno, ecc. (Lugano) 
furkéta r. pr.; Thònes, Annecy (sav.) forchtd (v. beltà ‘be- 
lette’, ecc.); valdost. fortsetta s. f. Cerlogne (1); Neuchatel 
froutchèt, Berne foértchat s. f£., Vaud fòrtsèta; Messin fourchette s. f. 


x: Bosco Marengo (aless.) furticula *-kitula? r. pr. 
x: sard. logod. forchiddadule, -&dile Sp. (2): 
furcula: friul. forcule s. f. Salv. N. P. 

x: Frugarolo (aless.) fureéta *-c(ù)litta r. pr. 
2a : Casal Cermelli (aless.) furcéla *-c(ù)lèélla r. pr. 


a: piem. fu(r)celina *-c(ù)lèllina e furéultina 
*-c(u)lùlina Gavuzzi (3). 


‘ forchelletta’: valdost. fortseletta s. f. Cerlogne (4). 
SIA : Vaud. fortsdola s. f. *-i6la (5). 


7 la piccola tanaglia : 


it. lett. tanagliuzza (6). 


8 la pizzicatora : 


piem. pesigira (v. pesié ‘ pizzicare '). 


(1) £ Dictionnaire du patois Valdòtain, Aoste 1907. 

(2) Strano il suffisso; anche il Guarnerio mi serive di non conoscerne 
altro esempio. 

(3) Movendo da furcula, anche codeste voci piemontesi della cui schiet- 
tezza dubitò il Toppino in A. G1. XVI, 338, rientreran nella norma; cfr. paves. 
barégla Salv. in Rivista di Filologia, XXXV, p. 84. 


(4) Il monferr. purslette pare un *furslette * forcellette (v. furslihe ‘* for- 


celline’ forchette) con immissione di ‘porco’: le forbicine son grasse lucenti. 


(5) Deve essere voce di Thièle o vicinanze; v. a Th. felyagla filidla, ecc. 


in Odin “ Phonol. ,, p. 50. 


(all 
(6) Nel Foresti, e in qualche altro vocabolarista dialettale. Un trama- È . 


gliuzze (?) in Ungarelli. 


h 


n 


è. 


f 


618 CLEMENTE MERLO 
9 l’insetto che danneggia gli erbaggi, è frutti: 
a) ‘taglia cipolle’ : m. prov. taio-cebo Mistr. II, 945. 


| b) ‘taglia pere’ : m. prov. taio-pero, ling. talho- 
peros, ecc. M. II, 946. 


‘ guasta pere’ : m. prov. curo-pero M. (1). 


c) ‘taglia-piede’: Bocche del Rod. coupo-pè Roll. (2). 


‘ fora-piede’ : m. prov. trauco-pèd Mistr. II, 1030, 
Tarn traouco-pè Roll. (v. traucd, ecc. “ traverser, percer ,) (3). 


10 voci scherzevoli: 
a) ‘taglia, o forbice” : 
triest. taia-forfe (v. forfe forbice); Teora (Sannio) 
taglia fruòrfece Nitt. (4); nap. tagliafòrfece, taglia fuorfece; molfett. 
tagghiafuerce Scardigno (5), bar. taggia fuégréeue r. pr. (6). 


b) ‘ pizzica, 0 forbice’ : tarant. pizzica fuerfici De Vine. 


c) ==: Frascati mazzatendla r. pr.; Castelmadama 
(Roma) mazzatenaja Norreri (7). 


(1) Il verbo curd ‘curare’ può avere senso cattivo negli odierni dialetti 
provenzali: v. cura de nis “ détruire des nids,, cura lis uei “ pocher les 
yeux ,, Zou diable te lou cure! “ la peste te crève!,; M. I, 691. 

(2) V. St. Romanzi IV, p. 157. 

(3) Che la forbicina tagli le cipolle, che recida al piede le tenere pian- 
tine degli orti, come il grillotalpa (v. St. Rom. IV, p. 149), è una calunnia 
bell'e buona; più che altro, danneggia i fichi di cui è ghiotta. È strano 
anzi che una “ bestiola dei fichi ,, un “ guasta fichi ,, o qualcosa di simile, 
non s'abbia in nessuna parte. 

(4) All. ad ammola fuòrfici “ arrotino ,. 

(5) All. ad emmula fuerce “ arrotino ,. 

(6) Di fueréeue che non è forcipe ma forma metatetica, v. Salv. l. c., 
n. 3. 

(7) A Castelmadama feraje son le forbici, e così a Subiaco (tenale Lindsstr. 
in St. Rom. V, 296); non so se a Frascati. Io intendo ‘dagli, o forbice”; ma 
potremmo anche avere un ‘dagli, taglia (o attanaglia)’; come un ‘dagli, 
picchia’ pare l’it. mazzapiechio (0 è mazza + picchio?) e ‘dagli, frusta’ il 
mazzafrustu “ correggiato , di Castelmadama (v. per altro fusta e maz- 
zafusta “ correggiato , ad Agnone). . 


È 
FORFICULA AURICULARIA E BRICCICHE ROMANZE 619 
d) l’arrotino: sor. arrgta forbete r. pr. 

: nap. ammola fuorfece D’Ambra, Puoti. 
e) mozza cime: spagn. cortapicos (v. cortapiés, corta- 


plumas, ecc. e pico “ parte saliente, sobresaliente en la super=. 
ficie de algunas cosas , Acad.). 


f) ‘taglia code’ : genov. taggiacòe Casaccia. 


g) fendi casse : sard. sassar. jpurracazi (v. jparrà 
spaccare (1) e casi ‘casse ’). 


h) : Maglie (lecc.) pizzica madonne Panareo com. 
i) : Guernesey (norm.) pinche-tchu (v. pinches 
‘ pinze’) Métiv.; Vogesi pince-cul Roll. 
B l’insetto che insidia l'orecchio dell’uomo: 
1 ‘la bestia delle orecchie’ : Valtourn. (Aosta) dà dbekie 
di buinò (v. butio orecchio; Zauner “ Korpert. ,, p. 78). 
pre : valles. lè bèdietè di jdou- 
rèélyè s. pl. 
2 ‘un derivato di orecchia ’ : 
a) auricularia: 
m. prov. aurihiero, delf. aurlhèiro, ling. aurelhèiro 
Mistr. I, 181 (2); Valtourn. (Aosta) oelée s. f. (3), fr. oreillère s. f. 
(s. XVI oreilliere Du Pinet) D. Gén., Guernesey (norm.) orillère Mét. 
i ; =, 
b) : Poschiavo, Bormio ureldna (-ana) Salv. 
e Posch.,,,$ 129, 
i 
: ( 
i (1) Il verbo manca allo Spano, ma non al sassarese, secondo m’avverte f 4 
cortesemente il Guarnerio. da 
| (2) Ling. aourelièro in Rolland. L È 
(3) Voce affatto normale (v. seese cerésea, pa? paréntes, ece.; soleld È 
*soliclata, ecc.); tanto più notevole in quanto che oriîcla è una delle Sd 


È basi latine che mancano al valdostano (v. qui sopra). 


620 CLEMENTE MERLO 


Cc). «wesemi. Loire oreillarde s. £. (germ.-ard: M. Liibke 
II, $ 519). 
d) ==: valles. oureilyin s. m. (-one dimin.?). 


e) a: rum. urechélnita (urechérnita) s. f. Pusc. 
Hi Meg p. 171, 


3 penetra orecchie: Ban de la Roche (Lor.) mouss-èrraie 
Oberlin (cfr. a. fr. mucier ecc., loren. meusser, musser, ecc. “ se 
cacher, se fourrer dedans, entrer ,; God. V, 439); Belmont (,) 
miis-arai (1). 


4 attanaglia orecchie: Gatin. pince-oreille R. phil. frane. 
pr. X; Cote d'Or pince-airoille Roll.; Genève pincé-orelié. 


5 buca orecchie: fr. perce-oreille s. m. D. Gén., saint. 
p'ree-oreille Jon.; Vaud pèg-orolhe, perc'orollie s. f. e m., Berne 
pouàch èerè y s. m., Neuchatel pdche eurecuille s. m., Genève pérf 
-orelye s. m., valles. perche orélé s. È. 

: Vienne, Deux Sèvres creuge-oreille, 
cruge-oreille Lalanne (v. cruger “ creuser, faire des crus, des 
trous en terre , Beauch.-Fill., 77) (2). 


6 scava orecchie: mesolcin. 3kawrézà Salv. “ Posch. ; 
$ 129. 


7 rovina orecchie: prov. cura aurelha Honn., prov. curo 
auriho s. m., ling., delf. curo-aurelho s. m. M. (8). 


C voci oscure : 


1 guasc. cagno-berbero s. f. M. 


La prima parte è ‘cagna’ e vedine St. Rom. IV, p. 157, 
n. 2; e la seconda? 


(1) Vo debitore dell’etimo e delle voci di Belmont alla benevolenza 
dello Horning. Anche a Belmont il verbo ha la sorda: mist; la sonora di 
mus-arai non è chiara. 

(2) Devo la notizia alla cortesia squisita del Thomas. Il quale m ‘avverte 


‘3 che il gruge-or. del Rolland è un errore di stampa. 


(3) V. qui sopra p. 7, n. 1. 


saint nn A tn 


OTO 0 O 


re 2 


FORFICULA AURICULARIA E BRICCICHE ROMANZE — 621 


2 Rouchi michoréle Hécart, Fiandra michorelle Ver- 
messe (1). 


3 svizz. franc. arithala, aréthala (v. St. Rom. IV, p. 165, 
e Schuchardt in Z. Gròb’'s XXXI, p. 30). 


4 valles. téroula s. f., ederoulò. 


5 valles. bregantala s. È. 


Pare un derivato in -èlla di dregandi (Vionnaz bregada), 
“tourmenter, maltraiter , e sarebbe “la tormentatrice ,. 


6 valles. sorda s. f. 


Avrei voluto leggervi “ la bestiola che assorda ,, ma un 
*sorda “ assordare , di cui la nostra voce potrebb’essere il de- 
verbale, il Tappolet non sa che viva in nessun punto della Sviz- 
zera francese. 


7 arum. gudàzufoarticà Pusc. Et. W., p. 171. 


8 mgl. Zegavitsà Pusc. l. c. 


(1) L’ill. prof. Thomas non crede vi si debba leggere il michier © ri- 
durre in briciole ,, di cui un esempio incerto è in Godefroy ma che vive in 
parecchi dialetti moderni a lato di minchier, michier. L’ Hécart annota : 
€ peut-ètre aurait-il fallu dire niche-oreille, parce qu'on prétend que cet in- 
secte se niche dans l’oreille , (?) e il Vermesse: ° qqfois michorelle, cet 
insecte se nichant dans l’oreille ,. 


(©r) 
DO 
DO 


CLEMENTE MERLO 


II. 


BRICCICHE ROMANZE 


a. it. adonare. 


Fu ricondotto recentemente dal Tobler, in Sitz.'s Ber. dell’Ac- 
cademia di Berlino, vl. XXXIX, p. 747, a un lat. *#addominare: 
il quale non poteva dare alla nostra lingua che *addonndre (si 
confrontino addare e donna). La base è ad-donare e la voce 
un francesismo, o un provenzalismo, come mostra il -d- invece 
di -dd-. Esiti foneticamente normali ci offrono i dialetti del 
mezzogiorno: abruzz. addundrse, agnon. addunedie, napol. addo- 
narese, calabr. se addunare, sicil. addunarisi, i quali tutti dicono 
“ avvedersi, accorgersi, addarsi ,. 


lat. axio. 


Axio -onis Plin. nat. 10, 68 “ otus bubone minor est;,..... 
quidam latine axionem (actionem codd.) vocant , — 29, 117 
“ felle recentis axionis (asionis Barb.), noctuarum id est 
genus ,. Così in Thes. linguae lat. II, p. 1635. 

Che i Latini dicessero axio, e non actio e nemmeno asio, 
provano il sor. dse e il nap. ascio (1), nomi dello Strix otus; 
v. sor. dude bùxeu (2), ruse *rùsseu, di contro a pezze ‘pezzo’, 
puzze ‘ pozzo’, kate ‘ cacio’, uace ‘ bacio ° ; nap. avuscio, abbascio 
ad *bassju Parodi in A. G1. XIII, 299, di contro a piezzo, puzzo, 
caso, vaso (3). 

Nell’it. letterario, e toscano in genere, da *faxiòlu ci aspet= 
teremmo asciolo, invece che assiolo; e un fiorent. usciolo Scops 
Giu non manca difatti al Giglioli “ Avif. ital. ,, p. 228. 


(1) Anche, e più spesso, ascetiello (-1tè1lu). 

(2) Manca al lessico del Kérting, ma è dell’abruzz., nap., calabrese. 

(3) Anche nell’asu del sublac. taldsu (St. Rom. V, p. 296) sarà da leg- 
gere il lat. axio; ma il fal- che sarà mai? 


rag e e 


ET e 


FORFICULA AURICULARIA E BRICCICHE ROMANZE 623 


Per la via di *asutu, potrebbe rivenir qui anche il calabr. 
Sutu (v. avuzu, abbasu), ma il suffisso non è chiaro; noto, per 
quel che può valere, che nel napoletano, allato ad ascso, ascetiello, 
sode ascio cornuto. 


vegl. caklo. 


Voglio essere generoso e additare io stesso al Bartoli una 
delle “ concordanze fra l’Italia e la penisola sorella , ch’ei va 
cercando con tanto amore: a Veglia caklo “ fignolo , Dalm. II, 176, 
e negli Abruzzi cèeule, a Sora céktere, a Subiaco cékuji s. pl. 
“ foruncolo, fignolo , (1). Moviam da ceculu, come mostra la 
tonica (v. vegl. cant cèntum, abr. cènde, sor. éénte, Subiaco 
centu): ceculu si sarà detto primamente quella specie di fignolo 
che vien sull'occhio e fa quasi ciechi. 

Il friulano ha wvarbditt “ figstolo ,. L'idea è la stessa, ma la 


base è mutata: non più caecus ma orbus (friul. udrd). Quanto 


al suffisso, si veda Salvioni in A. GI. XVI, p. 226 (2). 


bar. ghizze, ecc.; valtourn. kròblo, ecc. gheppio. 


Come l’ital. ghéppio un *aegy'pius (gr. aîrumég M. Libke 
1,31, così il bar. ghieze del Giglioli “ Avif. , 260 eil sic. i224 
*jizzu del Traina (3) ci continuano bellamente il lat. aegy ptius 
{gr. airimmnog: l’# della voce barese è metafonetico. Nè pur 
manca, tra i nomi del gheppio, un esito, prezioso davvero, del 
lat. aegy'ptiàcus, il molfett. i2zeche che ho dal Vocabolario 
della Scardigno. 

A Valtournanche il gheppio è “ il vaglio ,.: kroblo. Par di 
vederlo, librato nello spazio, gli occhi fissi sulla preda, agitar 


(1) A Velletri, in forma doppiamente diminutiva, cdekolino; e così a Cori: 
dekoino, v. St. Rom. V, p. 69. Il Crocioni qui, e altrove (° DI. di Arcevia ,, 
p. 77), accomuna gli esiti di *cèculu con quelli dell’ipotetico *ciculu 
(march. cigolo, sor. diktere “ lardello ,, ecc.). 

(2) Il Salvioni, ibid., vede in varbitt “* un *warditt in cui si è immesso 
uarb orbo , e la stessa vicenda nel vic. orbigolo. Ma l’acuta dichiarazione 
forse più non occorre, ora che Veglia e l’Italia centrale ci dànno ceculu. 

(3) È dato come voce di. Modica; v. Schneegans $ 15, 3. 


624 CLEMENTE MERLO 


con moto alterno, rapidissimo, le forti penne. La bella creazione 
ritorna altrove: il Giglioli o. c., pp. 259-260 ricorda un piem. 
crivéla (a Novi e a Tortona chérvéla) e un sicil. crivéeddu ‘ crivello ?. 


it. innanzi. 


Non sto a ricordare i molti e diversi tentativi fatti fin qui 
per ispiegare l’-î e lo 2 della voce italiana. Certo cotesto -î deve 
essere antico, se intacca l’a tonico nè più nè meno che l’-1 di 
latino classico: a Teramo, per esempio, ‘ para innanzi’, il grem- 
biule, suona parninze come pinne ‘ panni ’ (1). Il fr. puis fu ricon- 
dotto dal Mohl in “Introd. à la Chron. du L. v.,, p.9,a pòsteis 
*postiis e par l’etimo migliore (v. anche D. Gén. II, 1834): 
l’it. innanzi, 10 mi chiedo, non può essere da *in-anteis 
*antiis? (2). 


® 
sor. jUere s. m. pennecchio. 


È una cosa sola con l’aret. 2égol0, lucch. Zégoro che il Sal- 
vioni, in A. Gl. XVI, 451, mandò con ligula; 1’ 7 è metafonetico 
e v'è la solita aferesi di 2 creduto l’articolo. La voce è assai 
diffusa nell’Italia centrale e mi spiace di non essermene accorto 
prima, chè nel mio saggiuolo sui continuatori di ille poteva 
figurar degnamente: Castelfrentano (abr.) lévule “ piccola quan- 
tità di lino non filato e attortigliato a spira ,, Pesco Costanzo 
lihuore “ spago ,, Tocco, Castiglione Casauria /èeîe “ pennec- 
chio , (3), Subiaco jiuju e w/uju “ stoppa , (4). Il -L-* ci appare 
ancor qui intatto, rotacizzato, jotizzato, secondo i luoghi, con- 
forme a quanto fu detto: con Castigl. Casauria (v. chèvze ‘ cavoli ’) 
va dunque anche Tocco, di dove mi mancavano esempi. L’j- e 


(1) [A Castro de’ Volsci annénze, secondo mi scrive il Prof. Vignoli]. 

(2) In Z. Gròb.'s XXXI, 103 ponevo un àntii da ante(h)ic. 

(3) Dal Finamore (Voc. 205); il quale avverte che le forme Zeolo, Zeulo; 
levole, legolo son frequenti negli ant. protocolli notarili dell'Abruzzo. 

(4) Pur nel faent. 2égul, ligul “* pennecchio , Morri. Strano il Xo- del 
corivolo “ pennecchio , ch'è in “ Racc. di voci romane e marchiane , p. 57; 
anche a Velletri Xor)vola “ stoppa ,, a Batico Koliere “ canapa , (Crocioni 
in SV, dp. 170). 


FORFICULA AURICULARIA E BRICCICHE ROMANZE 625 


l'y- dell'esito sublacense son prostetici, o per meglio dirè epen- 
tetici; v. Lindsstr. in St. Rom. V, 259. 

Per quel ch'è della origine prima della voce, io non vorrei 
leggervi addirittura il lat. ligula che dice “ cucchiajo ,, e va 
con lingo, o pur “linguetta ,, e par dovuto a confusione con 
lingula, ma un *ligulu che stia a lîgo come, p. es., cingulum 
a cingo: è la piccola quantità di lino o canapa che si attor- 
ciglia a spira, che si mette, cioè si gira, attorno alla rocca; 
è lo spago, ecc., ecc. 


it. mer. langélla mezzina. 


“Langella=*lagella(da lagen'la lagenula dim. dilagena), 
come lampazzo lapathium, mengràneja = emicrania, ecc. ecc.,. 

Così il Flechia in “ Nn. llcec. napolet. da gentilizì italici ,, 
p. 37; e gli tennero dietro il D’Ovidio in A. Gl. IV, 156, lo 
Seerbo in “ DI. cal. , 99, il De Bartholomeis in A. Gl. XV, 346. 
Ma è etimologia che urta contro gravi difficoltà di natura fo- 
netica. Anzitutto, il n che è di tutti gli esiti, senza eccezione: 
sor. rengélla, abruzz. langèlle (1), agnon. langella, camp. run- 
gielle s. m., nap. langella, calabr. lancedda Scerbo, lancella Ac- 
cattatis. S'ha a ritener l’epentesi già latina volgare? E allora, 
come si spiegheranno la voce sorana, la abruzzese, la napole- 
tana, ecc., ecc.? A Sora spongia, plangere, tingere, un- 
gere, mungere suonano spona, kiane, teie, (pan)one, mone: 
negli Abruzzi spogne, pragne, tégne, vogne, mbgne; a Napoli spogna, 
chiagnere, tegnere, ognere, ecc. Dato un *langella, qui non si 
poteva aver che *Zariélla 0, col L- dissimilato, *ra7glla. 

La base da postulare è, secondo me, il lancella che ri- 
corre nel Codex Cavensis (2); un derivato in -èlla di quel 
lanx che tra i Latini disse “ piatto, bacino, vaso da cibi largo 
e cavo , e nel composto bilanx si continua fra tutti i Romanzi. 
La sorda che segua a n s’attenua, da Roma in giù, in un suono 
che non è più la sorda e non è nemmeno la sonora e che, or 
con la sorda, or con la sonora, vien reso nella scrittura (3). 


(1) In documenti di Atessa del 1676 © tre /angelle ,; Fin. 
(2) “ Una lancella di mele’ Anno 1052. 
(3) L’Accattatis lo serive €: v. canciellu, ecc. 
Atti della. R. Accademia — Vol. XLIII. e 45 


626 CLEMENTE MERLO — FORFICULA AURICULARIA, ECC. 


Invece di /angella, a Castiglione Casauria abbiam langiote, 
con altro suffisso (v. velangidle piccola bilancia); ad Ari, con 
aferesi del L-, ’ngidle *angiole. 


lat. mormyr. 


E un’altra voce da aggiungere al lessico latino romanzo. 
Al mormyr s. f. “ sorta di pesce screziato , di Ovidio “ Ha- 
lieut. , 110 e Plinio “ H. nat. , XXXII, 54, o per dir meglio a 
un normalissimo *mormira (v. gr. u6puupoc), rivengono così 
il livorn. mérmora come il genov. murmua, Pagellus mormyrus 
degli ittiologi; v., per quest’ultimo, Parodi in A. Gl. XVI, 
$$ ‘32, 159. 

Il nap. marmoro si risente di ‘marmo’: è un bel pesce 
grigio-argenteo lucente, striato di bruno. 


vegl. vet s. m. 

È nel manoscritto del Cubich che si conserva alla Ambro- 
siana: “la biada el vét , (v. Bartoli “ Dalmatisch , II, cll. 136 
e 234). 

Il Bartoli (I, cl. 243) così ne scrive: “ vet aus kr.-slow. oves 
(Hafer.): -t werschrieben? ,. Ma non v'è proprio bisogno, mi 
sembra, di incomodar lo slavo e, men che mai, di dubitare del 
povero Cubich. Vet va col rum. vipt s. m. che ha lo stesso si- 
gnificato “ Nahrung, Getreide (Pusc. “ Etym. W., 1905); è 
l’esito normale del lat. victus (cfr. frete ‘ fritte’ frittole; Dalm. 
$ 299, 2), è un nuovo anello tra veglioto e rumeno e, quel ch'è 
più, un nuovo e bell'esempio di quell’esito veglioto di lat. 
-ct- che il Bartoli, come ho notato altrove (Riv. di Filologia 
XXXV, 478), ha trascurato del tutto. 


GIOVANNI SFORZA — IL FALSO SULTANO JACHIA 627 


Il falso sultano Jachia. 


Nota del Socio GIOVANNI SFORZA. 


Il sig.” di Lansac, vecchio gentiluomo francese, nel settembre 
del 1615 diceva in Parigi al conte Carlo Moretta, ambasciatore 
del Duca Carlo Emanuele I di Savoia presso la Corte di Francia, 
che “ ne pouvant trouver nul vray repos qu’en l’excergant en 
“ des choses tres autes et glorieuses ,, aveva finalmente, “ avec 
“ un grandissime contentement ,, rinvenuto il mezzo di rendere 
“ quelque bon service , a quel Principe; del quale si professava 
“ tres affectioné et zelant serviteur ,, per averlo conosciuto nel 
suo ultimo viaggio nella Spagna; aggiungendo, che se questo 
“ bon service , fosse per incontrare il gradimento del Duca, 
sarebbe morto “ le plus heureux homme du monde ,. Si trat- 
tava di metterlo in relazione col Sultano Jachia; un misterioso 
personaggio, che asseriva esser figlio di Maometto II, e avergli 
il fratello Ahmed usurpato il trono, che intendeva rivendicare, 
con l’aiuto soprattutto della popolazione cristiana della Turchia, 
essendosi anch'egli convertito al cristianesimo. Il sig.” di Lansac 
per ben due volte fece abboccare l'ambasciatore col preten- 
dente. “ La presence et sa taille est bonne , (scriveva il Mo- 
retta a Carlo Emanuele); “il parle italien; monstre d’avoir 
“ du courage et de la resolution telle que l’occasion et le service 
“ requierent; il parle de V. A. avec un tresgrand respect et 
“ loue grandement voz vertus et vostre courage, et dist que 
“ apres Dieu toute son esperance est en V. A.; la quelle saura 
tresbien iuger la vraie essence de cest affaire; et moy ne 
manquerai de prier instantment Dieu tout puissant de assister 
par sa grace un si haut dessein a sa gloire et a l’accroisse- 
ment de vostre estat et de vostre nom ,. Finiva con dirgli 
che il sig." di Lansac gli avrebbe spedito “ le capitaine Jean 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 45* 


“ 


“ 


(13 


628 GIOVANNI SFORZA 


“ Vayvoda, albanois (1), avec les memoires et discours sur le 
“ suiet de ce prince ,. 

In un dispaccio successivo il Moretta continuava a riferire 
al proprio Duca: “ Quel Sultano questa mattina ha mandato 
“a chiamarmi, et essendo stato da lui, m'ha rimesso il qui 
“ congiunto piego per V. A. con la lettera ch'egli stesso le 
“ scrive et le memorie particolari che le manda, sigillata ogni 
“ cosa in mia presenza col suo sigillo in caratteri turcheschi. 
‘ M’ha detto che un fiorentino, chiamato Nicolò Miniati, che sta 
“col Duca di Mantova, l’ha pregato che passi a Fiorenza, 
“ perchè quel Duca lo farà andare in Spagna, ma ch'egli non 
“ vuol havere a far con li Spagnuoli a modo alcuno. Et che 
“ Mons.” Nuncio, havendo aviso che ’1 capitan Giovanni Vaivoda 
“era di partenza per la volta di Fiorenza per questo negotio, 
“l’ha fatto pregar di passare a Mantova et a non toccare 
“ dello Stato di V. A. M’ha fatto poi grandissima instanza della 
“ pronta risposta , (2). 

Delle “ memorie particolari , non resta traccia nel R. Ar- 
chivio di Stato di Torino ; vi è bensì la lettera, e qui la trascrivo : 


Ser.®° mio Sig."° 

Doppo l’arrivo mio in Italia ho sempre havuto particulare desiderio 
di fare reverenza a V. A. Ser.®* et come a Principe generoso farle noto 
di presenza la qualità mia, narrandole le giuste pretensioni ch'io tengo 
nell’ Imperio Turchesco, accompagnate da tutte quelle facilitationi che 
può somministrare negl’animi de’ Popoli una naturale et legittima suc- 
cessione di sangue. Ma questo mio desiderio non ha insino ad hora 
conseguito effetto, parte per esser io stato astretto di complire a delle 
negotiationi cominciate avanti venissi in Italia con altri Potentati, et 
parte per diversi affari di guerra, ch’hanno ritenuta V. A. occupatissima; 
et al presente, porgendosi commodità ad una parte et all’altra di potere 
negotiare, non ho volsuto ritardare più di sodisfare all’animo et debito 
mio, et con l'occasione del passaggio ch’ho fatto per Francia m'è stata 
dal sig."° de Lanssac (quale professa antica servitù con la sua Ser.m® 
Casa) offerta introdutione d’abboccarmi con l’Ambasciatore di V. A., et 
come a suo Ministro ho fatto, in persona sua, reverenza a V. A. confi- 


(1) Era stato lungamente in Torino al servizio di Carlo Emanuele, che 
nel 1608 gli affidò una missione in Oriente. 

(2) R. Archivio di Stato in Torino. Lettere di Ministri. Francia. Dispacci 
del Moretta al Duca Carlo Emanuele I dell'8 e 9 settembre 1615. 


EOS 


IL FALSO SULTANO JACHIA 629 


dandole alcuni miei negotij di nuovo accordati da me in Levante acciò 
gliene possa dare conto, sicome fo al presente io medesimo, inviandole 
congiunta a questa lettera una scrittura dalla quale potrà comprendere 
compendiosamente il presente stato de’ miei affari et la pronta dispo- 
sitione ch'io tenga. Et per maggiore chiarezza di V. A. et per mia par- 
ticulare sodisfatione sarà l’apportatore della presente il sig." Capitano 
Giovanni Renesi Vaivoda, mio gentil’homo et fedelissimo servitore, al 
quale si compiacerà V. A. dare intera credenza sopra tutto quello ch’egli 
le esporrà in mio nome, oltre a quello che per se stesso le narrerà in 
qualsivoglia particulare de’ miei negotij; et haverò per approvatissimo 
tutto il negotiato che da detto sig."* Capitano si potesse concludere 
con V. A. et egli a bocca le paleserà pienamente molte cose, alla fedele 
relatione del quale mi rimetto. Nè essendo questa per altro, facendo 
humile reverenza a V. A. le bacio con tutto l’animo le mani. 


Da Parigi, alli 8 di septembre 1615. 


di vostra altessa serenissima 
afezionatissimo servitore 


Sultan JAcHIA gran principe Ottomano (1). 


Il Moretta, che l’aveva inviata al Duca con tutta prestezza, 
per mezzo del Bergera, corriere di gabinetto, del quale aspet- 
tava “ con molto desiderio , il ritorno, con “ que’ recapiti si 
“ sarà risoluta l'A. S. voler mandare per quest’effetto ,; non 
vedendolo venire, scriveva di bel nuovo a Carlo Emanuele: 
“ Monsieur de Lansac atend en grande devotion la response 
“de V. A. pour le fait du Seig." Sultan, le quel hier me fist 
“ voir des lettres du Duc de Mantoue, par les quelles il lui faict 
“ beaucoup d’offres, et a comande à son Agent icci de lui faire 
“ bailler mille pistoles de l’argent de la pension que le Roy 
“ lui donne. Il ne veult rien prendre iusques à tant que V. A. 
“ lui donne quelque resolution, et alla verite il è une tresgrande 
“ affection et asseurance a V. A. , (2). 

Carlo Emanuele, gran conoscitore d’uomini, fiutò in lui un 
avventuriero e non volle averci rapporti. 


(1) Soltanto la sottoscrizione è di mano di Jachia; nome arabo, che 
significa Giovanni, come ebbe a dirmi il dotto collega prof. Italo Pizzi. 
(2) Dispaccio del 23 settembre 1615. 


(DD 


630 GIOVANNI SFORZA 


“® 

Intorno a questo misterioso personaggio, Ranuccio Galluzzi 
tra gli storici italiani quello che dà maggiori notizie. “ Nasceva 
Jachia , (son sue parole) “ da Mehemet Gran Signore dei Turchi 
e dalla Sultana Elparè, la quale, nata in Cipro della casa 
Paleologo, e di schiava divenuta Sultana, avea dato alla luce 
questo figlio, che però era secondogenito. Lo stile inveterato 
di quella Corte, in cui ogni Sultano al suo avvenimento al 
trono facea scannare o acciecare i fratelli, avea risvegliato 
‘ l’ingegnosa pietà della madre, per sottrarlo alla morte. Essa, 
maomettana per necessità e cristiana per inclinazione, avea 
fatto educare e istruire questo figlio cristianamente, e sparsa 
la voce della di lui morte, lo aveva occultato alla notizia e 
alla vista di tutta la Corte. Di ciò erano consapevoli alcuni 
ministri di alto rango e i monaci greci che lo avevano in 
‘ custodia. Questa pietà divenne poi funesta alla madre allorchè 
Mehemet avendo ucciso con le sue proprie mani il primogenito 
‘ Mustafà, si apriva per Jachia il diritto e la strada alla suc- 
cessione del trono; ma ciò non potea conseguirsi senza una 
sollevazione, e il prepararla esponea la madre e il figlio a 
troppe vicende. Il terzogenito Achmet salì tranquillamente 
sul trono, e di Jachia non restò altro che il timore e l’in- 
certezza della sua esistenza. La Sultana stimolò i suoi confi- 
denti a tentare gli effetti di una congiura, ma fu l’istesso che 
esporli alla morte, e dovè essa fuggirsi da Costantinopoli per 
nascondersi nei monasteri di Grecia; Jachia fu in necessità 
di andare sconosciuto e ramingo di provincia in provincia per 
implorare la sussistenza e per occultarsi alla persecuzione di 
Achmet. Scorse lungo tempo per la Polonia e per l’ Ungheria, 
finchè giunto alla Corte di Ridolfo II giustificò la sua nascita 
e chiese dei soccorsi, per far valere i suoi diritti contro il 
fratello. L'Imperatore avea già fatto tregua col Turco, e le 
discordie che vegliavano tra esso e l'Arciduca Mattias lo 
impedivano d’impegnarsi in una nuova guerra. Queste circo- 
stanze, siccome gli tolsero i mezzi per potere operare dalla 
parte di terra, così lo fecero risolvere di voltarsi dalla parte 
di mare, e incoraggire con la sua presenza i ribelli di Sorìa; 


IL FALSO SULTANO JACHIA 631 


“ gli erano note le corrispondenze che quelli avevano tenute 
“con Ferdinando , [I Granduca di Toscana]; “ sapeva le im- 
“ prese eseguite contro i Turchi con tanta gloria, ed era certo 
“ della sicurezza e riputazione dei legni toscani nel Mediter- 
“raneo. La morte di quel Granduca , |avvenuta il 7 di febbraio 
del 1609] “ interruppe per qualche tempo il suo pensiero di por- 
“ tarsi in Toscana; ma assicurato che il successore , [Cosimo II ] 
“ continuava nelle medesime inclinazioni del padre, giunse a 
“ Firenze sotto nome ed equipaggio del Palti, uno dei Principi 
“ dell'Ungheria. Essendo la Corte assente dalla capitale, l'Au- 
“ ditor Cavallo, che lo accolse a nome della medesima, avendolo 
“ interrogato a forma di processo, lo impegnò, con sì strana 
“ accoglienza, a retrocedere verso Ancona; ma i buoni uffici 
“ di Cosimo II, esercitati da più obbligante ministro, lo fecero 
“ scordare dell’oltraggio e ritornare a Firenze, Credè il Granduca 
“ che questo Principe non dovesse abbandonarsi totalmente alle 
“ sue sventure e che meritasse assistenza, e perciò, avendo do- 
“ mandato d’imbarcarsi sui galeoni toscani per passare in Asia, 
« gli promesse tutta l'assistenza e il soccorso della sua marina. 
“ Potè il Sultano abboccarsi con l'ambasciatore del Sofy, il quale 
“anco dal Granduca fu prevenuto di questo successo. Prima 
“ però d’impegnarsi a qualche intrapresa, volle Cosimo certifi- 
“ carsi della nascita e dei diritti d’Jachia, e spedì a tal effetto 
“un sacerdote greco in Morea, affinchè ritrovata la madre e 
“le altre persone indicate dal Sultano medesimo, verificasse 
“la serie delle di lui disavventure. Riescì al greco in gran 
« parte di riscontrare la verità, e il Granduca sempre più si 
“ animò a favorire la causa di questo Sultano. Imbarcato per- 
“ tanto sui galeoni toscani e munito di danari e di equipaggio, 
“ gli fu dal Granduca destinato un gentiluomo, che, consapevole 
“ delle sue vicende, lo dirigesse con il consiglio e lo presen- 
“ tasse in suo nome all’emir Faccardino in Sorìa e al Sofy di 
* Persia, qualora si determinasse a passare in quella provincia. 
“ Giunto alle coste d’Asia e sparsasi fra quei turchi la fama 
“del di lui arrivo, molti dei principali fra essi si portarono 
“ sui galeoni per onorarlo e presentarli dei donativi. Ma tro- 
“ vando gli affari della Sorìa in poca vantaggiosa situazione, 
“ per essere sconfitti i ribelli e le forze dell’Emir non esser 
“ tali da poter far fronte a quelle del Turco, e conoscendo che 


» 


32 GIOVANNI SFORZA 


per passare in Persia era forza l’arrischiare la propria vita 
in mezzo a nazioni feroci e di dubbia fede, si determinò di 
ritornare a Livorno e passare in Persia per terra, traversando 
la Polonia e gli Stati della Moscovia. Non pareva a Cosimo II 
della sua dignità che il Sultano non avesse potuto fare con 
questo mezzo qualche progresso, e perciò rivolse altrove le 
sue vedute. Gli abitatori del Braccio di Maina, popoli guer- 
rieri e avvezzi all'indipendenza, vivendo in continuo contrasto 
contro i Turchi, che gli insidiavano la libertà, aveano più 
volte implorato da Ferdinando dei soccorsi da sostenersi e 
un capo col quale potessero essi e gli altri cristiani della 
Morea danneggiare i Turchi, loro nemici: lusingavano la vanità 
del Granduca col rammentarli un apparente diritto su quella 
provincia, per avere nei secoli antecedenti una branca medicea 
signoreggiato Corinto ed Atene. L’inclinazione di questi popoli 


‘a sollevarsi e l'ardente loro desiderio di agire contro il Turco 


fecero credere a Cosimo II, che il Sultano, portandosi fra loro 
con un valido soccorso di forze, avrebbe potuto facilmente 
fortificarsi e stabilirsi in quella provincia, in guisa tale da 
resistere alle forze di Achmet e contrastarli l'impero. Spedì 
pertanto a Braccio di Maina un suo gentiluomo, per indurre 
quei popoli a ricevere Jachia per loro condottiero e signore. 
Fu tosto acclamato con allegrezza straordinaria e gli fu portato 
l’atto di sommissione, sottoscritto dai principali della nazione. 
Il portarsi al Braccio di Maina senza un grande apparato di 
forze era totalmente inutile, e il solo Granduca non poteva 
somministrare tutte quelle che erano perciò necessarie. Ebbe 
ricorso al Pontefice, il quale promesse di concorrere a pro- 
porzione con gli altri Principi; Jachia credè di stimolargli 
con la sua presenza, e partitosi di Toscana si portò in Francia 
presso il Duca di Nivers e lo accese di gran desiderio di pro- 
seguire l’impresa; ma e Nivers e il Granduca non erano a 
ciò sufficienti, e il Sultano, perdendosi inutilmente in vani 


desiderii, passò finalmente a vivere e guerreggiare fra i Co- . 


sacchi, senza poter mai più effettuare le sue speranze, nè 
ricever soccorso dai Principi dell’ Europa , (1). 


(1) Garruzzi R., Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della 


Casa Medici, In Firenze MDCCLXXXI. Nella stamperia di Ranieri Del-Vivo, 
tom. III, pp. 200-202. 


RT Sag EE) e 


gr 


prete: 


IL FALSO SULTANO JACHIA 633 


Che Maometto III uccidesse “ con le sue proprie mani il 
“ suo primogenito Mustafà ,, come vuole il Galluzzi, è falso del 
tutto. Maometto III, salito sul trono il 16 gennaio del 1595 e 
morto il 22 decembre del 1603, ebbe per successore Ahmed I, che 
era il suo primogenito. Mancato, alla sua volta, ai vivi Ahmed il 
22 novembre del 1617, ereditò la corona imperiale appunto il fra- 
tello secondogenito Mustafà; che però la perdette il 26 gennaio 
del 1618, e il trono fu occupato dal nepote Osman II, figlio di 
Ahmed. Anche nel resto del racconto gli errori sono infiniti. Un 
contemporaneo dell’avventuriero Jachia, Alessandro Lamberti, 
ambasciatore a Firenze della Repubblica di Lucca, il 29 agosto 
del 1609, scriveva agli Anziani: “ Io non ho voluto mai refe- 
“ rire alle Eccellenze Vostre che il turco sopraseritto sia fra- 
“ tello del Gran Signore, come qua si diceva, perchè per varie 
“ ragioni è stato sempre difficile persuaderlo a me ,. Raccoglie 
però le voci che allora correvano : “ che questi ,, cioè, “ essendo 
“ terzo genito del Gran Turco, morto ultimamente, fu dalla 
“ madre sua, donna molto astuta et sagace, scampato dalla 
“ crudeltà barbara del secondo suo fratello; il quale, doppo la 
morte del padre, col tòr la vita e l’imperio al primogenito, 
cui legittimamente si apparteneva, machinava la morte an- 
“ cora a questo, che si fuggì in cristianità, et dal Granduca 
“ Ferdinando fu ricevuto et intertenuto assai secretamente per 
“ molto tempo et con grand’onore in questa fortezza vecchia. 
“ Dicono condursi adesso in questa armata per farlo capo dei 
“ Turchi, che in grandissimo numero sollevatisi contro 1’ Impe- 
“ratore loro in molte parti del suo imperio, si crede che col 
“ valore et autorità di questo personaggio si deva augumentare 
“i progressi di tanta ribellione ,. 

Jachia da Firenze si recò a Livorno; e “ andò con lui 
“ monsieur de Beauregard, generale de’ galeoni, et il signor 
“ Guidubaldo Brancadoro da Fermo, dichiarato generale di 
“ questa armata in terra; tutti per imbarcarsi et incaminarsi 
“ quanto prima alla destinata impresa ,. Di lì a poco peraltro 
sì condusse a Roma, come si rileva da un altro dispaccio 
del Lamberti alla Signoria di Lucca, scritto il 2 di settembre. 
“ Tornò da Roma il personaggio turco , (son sue parole) “ et 
“con esso il signor Brancadoro ; et già alla sfilata arrivano 
“ soldati dalla Marca et di Romagna, incaminandosi alla volta 


» 


» 


634 GIOVANNI SFORZA 


“ di Pisa ,. Il 19 serive di nuovo: “ La speditione dell’armata 
credo che si affretti, vedendo che qua si usa diligenza con 
questi soldati, sparsi per Fiorenza, acciocchè marcino alla 
“ volta di Livorno. Si sono fabbricate qua 500 casacche alla 
“ turchesca, per fare lo sbarco sotto quest’abito, più occulto e 
“ più sicuro, et per servirsene di strattagemma in questa at- 
tione ,. Il 26 annunzia: “ Finalmente questo turco, con tutti 
i capitani e altre genti di S. A. si partirono di qua, per an- 
darsi ad imbarcare a Livorno, di dove intendo che partiranno 
i galeoni per tutto lunedì prossimo ,. 

Frattanto capitano a Firenze due pretesi pascià, i quali 
affermavano aver dovuto, “ per salvar la vita ,, andar per 
“lungo tempo , pellegrinando “ incogniti in varie parti del 
“ mondo ,. Dovette esser quella una venuta fatta ad arte, giacchè 
per opera loro, come asserisce il Lamberti, “ venne tolto ogni 
“ dubbio che potesse aversi nella persona , di Jachia “ et ve- 
“ rificatolo veramente fratello del Gran Signore , (1). In un 
dispaccio del Lamberti stesso del 22 maggio 1610 si legge: 
“ L'armata di que’ galeoni che l’anno passato uscì fuori col 
“ preteso fratello del Gran Signore et con preparationi et spe- 
ranze di gran successo nelle parti di Levante, senza haver 
però fatto fin ad hora cose considerabili, è stata revocata da 
S. A. et, come s'intende, sarà a Livorno in breve ,. De’ ga- 
leoni parecchi si perdettero, “ onde, com'è ordinario de’ suc- 
“ cessi infelici ,, nacque altercazione tra’ ministri del Granduca, 
ognuno accusando il compagno d’haver persuasa questa im- 
“ presa, e scusandone sè stesso ,. Fu posto in chiaro, concluse 
l'ambasciatore, che “ quel fratello del Turco riesce debolissimo 
“ istrumento et di fede non sincera , (2). 


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L’8 giugno del 1629 Jachia è a Pustkow nella Galizia, e 
ad istanza del Wallenstein, Duca di Friedland, fa un discorso 


(1) R. Archivio di Stato in Lucca. Ambascerie. Dispacci Lamberti alla 
Signoria Lucchese del 29 agosto, 2, 19 e 26 settembre, 3 e 17 ottobre 
1609. 

(2) Dispacci del Lamberti alla Signoria di Lucca, del 22 maggio e 
14 agosto 1610. 


IL FALSO SULTANO JACHIA N -1695 


“ sopra l'impresa contro i Turchi ,, svelando i suoi intendi- 
menti, i suoi propositi, il suo piano (1). Mette conto trascriverlo, 
non essendo mai stato dato alle stampe. 


Il mover guerra al Turco in Ungheria, nel solito tempo della state, 
harà molte et grandissime difficoltà. Perchè l’essercito imperiale vorrà 
attaccare Strigonio e Buda et l’altre piazze d'Ungheria, o vero si vorrà 
spingere inanzi verso Belgrado, lasciando indietro le piazze, oppure farà 
l’uno et l’altro nell’istesso tempo, bloccando le piazze et passando inanzi 
col grosso dell’essercito. 

Attaccando le piazze solamente, si consumerà il tempo et la sol- 
datesca, perchè i Turchi vagliono assai nella difesa, et di più potranno 
venire al soccorso con forze così numerose, et particolarmente di ca- 
valleria, che impediranno i viveri, e faranno grandissimi danni all’es- 
sercito christiano, di maniera, o che non s’ occuperanno le piazze, o 
almeno per farlo ci vorrà longhissimo tempo. 

Lasciando le piazze indietro, et incaminandosi inanzi, per dare una 
battaglia, ne seguirà un altro impedimento, che subito che i Turchi eono- 
sceranno il disegno, fortificheranno i passi, cioè Demircarpi et Smenderovo, 
l’uno et l’altro passo molto stretto, perchè il Demircarpi, che è di là da 
Belgrado, et in lingua turchesca è chiamato Porta di ferro, è posto sopra 
il Danubio, et dell’una et dell’altra parte sono asprissime montagne. Et 
Smenderovo è anch'esso un luogo molto stretto sopra il Danubio, nel 
quale sono quivi molti porochi, cioè scogli, che impediscono il passo 
delle barche, di maniera che bisogna condurle per terra a forza di 


‘ buffali per lo spatio di dui tiri d’arco. Talchè quando l’essercito impe- 


riale scacciasse il nemico fin a Belgrado, non potrebbe poi passare i 
detti luoghi, mentre fossero fortificati, come senza dubbio seguirebbe. 

Volendo poi fare l’uno et l’altro nell’istesso tempo, cioè bloccar le 
piazze et spingersi inanzi nel paese col grosso dell’essercito, per dar 
battaglia, dubito che dividendosi le forze christiane, non saranno ba- 
stanti a resistere alla potenza del Turco, et quando anco i Christiani 
dessero una rotta o due al Turco prima d’arrivare a Demircarpi e 
Smenderovo, non potrebbono poi penetrare quei passi, i quali indubita- 
tamente sarebbeno fortificati, et se pure li succedesse il passare, trove- 
rebbeno di nuovo un numeroso essercito turchesco, perchè oltre alli 
84 mila Timarrioti d'Europa, che mai non si spergono (già che morendo in 


(1) È intitolato: Discorso del Serenissimo Sultano Jachia ottomanno 
sopra l’impresa contro i Turchi fatto a Pustkow agli 8 di giugno 1629 ad 
instanza del Duca di Friedland. Se ne trova una copia nel R. Archivio di 
Stato in Lucca tra le scritture dell’Offizio delle Differenze dell'anno 1634. 


636 GIOVANNI SFORZA 


battaglia i primi padroni, subbito succedeno nel Timarro i loro servidori, 
o altre persone) verrebbe d’ Asia numero grandissimo di cavalli et de 
fanti. Onde l’essercito imperiale, che nelle battaglie et ne’ patimenti 
s’anderebbe pur sempre diminuendo, senza potere sperare, se non con 
gran fatica, nuovi soccorsi, non potrebbe finalmente resistere al gran nu- 
mero de’ Turchi, alli quali non dà fastidio il perdere cento et dugento 
mila persone, che sempre hanno il modo d’haverne delle nuove: oltre 
che mentre l’ essercito Christiano si trovasse nel cuore dell’ Imperio 
Turchesco, potrebbeno facilmente essergli impediti i viveri dalla nu- 
merosa cavalleria nemica, che scorrerebbe per ogni parte; nè potrei io 
soccorrer con gli miei soldati, perchè dovendo mettergli insieme de’ chri- 
stiani, che sono sparsi per l’ Albania, Grecia, Servia, Bulgaria, Tracia, 
Macedonia, Thessalia et Bosnia, et dovendo distribuirli le arme, non 
potrei farlo, mentre l’essercito Turchesco fosse in campagna. 

Ma volendo noi cominciare la guerra nell’autunno, possiamo sperare 
felicissimi progressi, con gran facilità. Perchè nel giorno di S. Demetrio, 
che viene alli 26 d’ottobre, è costume inviolabile de’ Turchi il ritirarsi 
a’ quartieri, nè ritornano in campagna prima che per S. Giorgio, che è 
nel fine d’aprile. Io adunque, sul fine d’ottobre, vorrei havere le armi 
pronte sopra vascelli, in alcuni luoghi determinati (che si diranno in 
voce), et di quivi distribuirle a’ già detti christiani, cioè a quelli del 
piano, più che a quelli delle montagne, che già tutti hanno con me 
intelligenza, et mi aspettano con desiderio. Con questi occuperò subito 
alcuni passi delle montagne, con impedire che i Turchi, li quali sono 
da una parte, non possino unirsi con quelli che sono dall’altra, et im- 
padronendomi delle città che si trovano fino a Andrinopoli, che sono 
tutte aperte, potrò tagliare a pezzi i Turchi che vi habitano, perchè 
solamente nelle città si trovano la metà Turchi et la metà Christiani, 
et havendo tempo sette mesi, senza temere che l’essercito nemico mi 
s’opponga, potrò fortificare le città prese, et in particolare i due passi 
detti di sopra, cioè Demircarpi e Smenderovo, et in quel mentre esser- 
citarei i miei soldati nel maneggiare il moschetto, et farei ancora gran 
quantità di cavalleria, non mi mancando il modo di trovare bonissimi 
cavalli ne’ luoghi stessi dove darò le armi alli soldati. Et forse mi po- 
trebbe anco riuscire qualche impresa contra l’istessa città di Constan- 
tinopoli. Ma quando questo non potesse succedere inanzi a S. Giorgio, 
saremo all’hora securi che le forze Turchesche in Europa ci potranno 
fare pochissimo danno, perché nell’inverno saranno quasi tutte estirpate. 
Ma verrà di Asia un grosso essercito, con il quale bisognerà combattere 
nelle campagne di Andrinopoli, et io potrò probabilmente sperare la 
vittoria, perchè i miei soldati non cederanno forse al numero, et supe- 
reranno certamente nel valore. Oltre che, potrebbe all’hora unirsi meco 


IL FALSO SULTANO JACHIA 637 


l’essercito Cesareo, il quale per il luogo, che dirò in voce, potrebbe 
passare senza impedimento alcuno, havendogli io di già aperte le porte, 
et facendolo sempre marciare per paese amico con ogni abondanza de 
viveri, et senza che vedesse mai il nemico, finché non fosse congionto 
col mio essercito. All’hora tutte le fortezze d'Ungheria si renderebbono 
per necessità, essendogli mancato ogni soccorso. 

Per fare quanto ho detto di sopra mi sono necessarie l’infrascricte 
provisioni : 

Sessanta mila moschetti, con tutti i loro fornimenti. 

Vinti mila para di pistole. 

Dieci mila corazze. 

Vinti cannoni da batteria, con tutti i fornimenti, che non 
manchi altro che cavalli per tirarle. 

Bombardieri per li detti cannoni. 

Munitione di polvere et altro, per una sola volta. 

Vascelli per portare le dette armi, che dovranno essere almeno 
quaranta, che, non potendo haversi altrimenti, si troveranno a nolo per 
cinquecento scudi il mese per vascello. Et che questi vascelli siano 
pagati per li primi quattro mesi, che poi gli manterrò da me stesso per 
li bisogni della guerra. 

Quattro o cinque mila soldati, per mettere sopra i detti va- 
scelli: et se è possibile, che siano Crovati, o Bohemi, acciò possino 
parlare con li miei soldati. 

Viveri per l’armata per tre mesi, et che ogni soldato habbia 
la sua sella et briglia, che io li provederò di cavalli. 

Et tutte queste cose bisogna che si trovino dove io dirò nel fine 
del mese d'ottobre. 


Non ebbe aiuto che di parole, e seguitò a tirare innanzi 
la sua vita raminga ; alternativa continua di speranze, inganni 
e disinganni. 


* 
** 


Morto Carlo Emanuele I il 26 luglio del 1630, di lì a poco 
Jachia va a Torino, e gli riesce di entrare nelle grazie di Vit- 
torio Amedeo I. Mette sù corte e piglia al proprio servizio 
come consigliere intimo Gaspare Scioppio, il celebre gramma- 
tico (1); scelta infelice, giacchè vanitosissimo, violento di carat- 


(1) Il suo vero cognome è Schopp. Nacque a Neumarck nel Palatinato 
il 27 maggio del 1570. In premio di aver abiurato il protestantismo e d’es- 
sersi fatto cattolico, papa Clemente VIII gli dette le insegne di cavaliere 
di S. Pietro e lo fece conte di Chiaravalle. Morì a Padova il 19 novembre 
del 1645. 


638 GIOVANNI SFORZA 


tere, pronto di lingua, sempre in guerra con tutti, lo Scioppio a 
ogni cosa era buono, fuor che a fare il diplomatico. Son del 
1° novembre del 1632 le lettere patenti, con le quali Jachia, da 
Torino, lo accredita suo ambasciatore presso le Corti d’ Europa. 
“ Eum quippe , (scrive) “ad diversos christianitatis principes et 
“ respublicas legamus, ut auxilia iam olim Nobis promissa con- 
“ ficiat; quibus adiuti paternum atque avitum orientis imperium, 
“unde propter Christi nomen et catholicae atque ortodoxae 
“ fidei professionem exules atque extorres sumus, tandem ali- 
“ quando recuperemus et mahometanam impietatem ex omni 
“ Europa profligatam penitus porro excindamus ,. S'intitola : 
“ Dei gratia Sultanus Jachia, augustissimi et invictissimi Sul- 
“ tanis Mahometis tertii, Constantinopolitani imperatoris, natu 
“ maximus, et legitimus orientalis imperii heres ,. 

Lo Scioppio, recatosi a Genova, presentò questo curioso 
memoriale alla Repubblica, in nome del pretendente : 


La riuscibilità et facilità dell'impresa del Ser.®° Sultano Jachia 
contro li Turchi consiste in tre cose: 

I. Nella persona del Sultano, la quale è di maggior impor- 
tanza che un miglion di soldatesca; 1° per la ragion di sangue, essendo 
egli primogenito di Mahometto III imperatore; 2° per la pratica gran- 
dissima di tutti i paesi Turcheschi et di passi stretti, che vi sono; 

° per la pratica delle cose di guerra, sendo stato in Fiandra alla scuola 
de’ Principi d'Orange et havendo per molti anni felicemente combattuto 
con Turchi per mare et terra; 4° per la notitia di quatordeci lingue, 
sì che può trattare con varii popoli et tenerli uniti, benchè per altro 
tra di loro siano poco amici, come li Greci et Bulgari, Serviani et Al- 
banesi; 5° per l’adherenza et seguito de’ suoi popoli, de’ quali 150 mila 
l'hanno accettato et giurato per Imperatore et loro Padrone naturale 
l’anno 1617 agli 16 d’agosto, et nell’Imperio Turchesco vi sono 13 mi- 
glioni et 22 mila di fuochi de’ Christiani, li quali hora sono tributarii et 
inimici del gran Signore, ma al Sultano saranno amici et lo stanno 
aspettando, come li hebrei il Messia; 6° per l’amicitia molto stretta 
de’ Moscoviti et Cosacchi, che sono del rito Grego, et per questo l’Im- 
peratore de’ Moscoviti l’anno 1625 fece fratellanza seco, et mandò mo- 
nitione et denari alli Cosaechi, essortandogli a servire fedelmente al 
Sultano, come suo caro fratello, il quale con un esercito di 90 mila com- 
battenti .assaltò Trebisonda et la prese per forza, la saccheggiò et 
bruciò, sì come anco Cherasonda, Caffa et Sinope, et ruppe l’armata 


IL FALSO SULTANO JACHIA 639 


Turchesca, et guadagnò trecento pezzi d'artiglieria; 7° per li oracoli 
favorevoli al Sultano, quale fu quello d’un spagnuolo santo, stato in- 
. eluso per 45 anni nell’heremo di Camaldoli, che per revelatione seppe 
la venuta del Sultano, et pregò il suo Abate che lo facesse venir da 
sè, et lo riverì et quasi l’adorò come gran campione della Christianità, 
eletto da Dio per far grandissimo servitio a $.'* Chiesa, et li diede 
mille benedittioni. Tal oracolo è ancora quella profetia, che va at- 
torno in Turchia, che dice così: 

“ Il nostro Imperadore verrà da un regno infedele doppo longa 
peregrinatione in habito vile, mentre che regnerà un Principe non di 
perfetta età, et questo nostro Imperadore pelegrino, col pomo rosso nella 
mano, comincierà a perseguitar et destrugger la legge di Mahumad; et 
seguiterà li Turchi fino a quel luogo, dove hanno havuto principio d’in- 
grandirsi, et pianterà vigne, et fabricherà palatii et giardini ,. 

Un altro oracolo è quello che la primavera passata, per ordine 
della Beatissima Vergine Maria, fu dato a questo Gran Turco, che non 
havrebbe pace dalla Madonna, se prima non cedeva l’Imperio a chi di 
ragione toccava; il qual oracolo causò grandissimo spavento tra i Turchi, 
sì come un Craus riferì a Vienna, et lo confermò in Genova un Padre 
della Mercede, venuto da Constantinopoli. 

II. Nel tempo dell'impresa, che sarà l'autunno, quando il Turco 
non si può servire delle forze sue, cioè di quelli 84 mila Timarristi o 
Comendatori, i quali sono obligati a servirlo in guerra a spesa loro, 
chi con due, chi con tre o quattro cavalli, perchè al fine d’ottobre so- 
gliono andare ad invernare nelli loro Timarri o Comende, et stanno 
sparsi qua et là in luoghi aperti, sì che dagli popoli del Sultano po- 
tranno esser colti all’improviso et tagliati a pezzi; et le medesime co- 
mende saranno date a’ Christiani per servir al Sultano in guerra a 
spesa loro. 

III. Nel luogo che piglierà il Sultano per farvi la prima piazza 
 d’arme, donde in un medesimo tempo potrà repartir le armi et moni- 
tioni a’ suoi popoli di Macedonia, Morea, Epiro, Albania, Bosnia, Servia, 
Bulgaria et Thracia, potendo ancora con la presa di detto luogo affamar 
la città di Constantinopoli; all'assedio della quale anderanno subito gli 
Cosacchi, che sono tanto vicini, che in tre giorni ponno andarvi. Et 
questa piazza, ben fortificata alla moderna, sarà data in pegno a quelli 
che aiuteranno il Sultano, et sarà guardata dalla lor soldatesca, finchè 
‘siano messi loro in possesso di quelli regni o stati che dal Sultano sa- 
ranno lor promessi. 

Le utilità che la città di Genova potrà ricevere in publico et privato 
concorrendo all’aiuto del Sultano : 

I. La Republica potrà far acquisto di Caffa, di Scio o del 


640 GIOVANNI SFORZA 


regno d'Albania, o del Ducato di S. Saba, detto Herzegovina, dove sono 
bonissimi porti et gran comodità di fabricar molte navi et galee. 

II. La Repubblica sarà sempre spalleggiata dalla potenza del 
Sultano, la quale sarà molto più grande, che di tutti i suoi maggiori 
di Casa Ottomanna, poichè si potrà servire et fidare de’ suoi popoli 
Christiani, et dell’aiuto de’ Moscoviti et Cosacchi, li quali furono sempre 
nemici di Casa Ottomanna. 

III Gli particolari potranno acquistar grandissime entrate con 
titolo di Duca, Principe, o Marchese. 

IV. Tutto il traffico di Levante tornerà a Genova, sendo che 
il Sultano porta particolare affettione a questa Republica (1). 


Il Senato di Genova fece allo Scioppio accoglienza oltre 
ogni dire cortese; ma per quanto egli assicurasse che il Sul- 
tano, suo signore, aveva trattato dell'impresa coi Duchi di Sa- 
voia (2) e di Baviera e col Tilly “ di gloriosa memoria ,, non che 
con altri Principi, e che da tutti era stata lodata “ et stimata 


(1) È tratto dal R. Archivio di Stato in Lucca, Offizio sopra le Diffe- 
renze, scritture dell’anno 1634. 
(2) Sta lì a farne fede questa sua lettera patente: 
“ Victorius Amedeus, Dei gratia, Dux Sabaudiae, Chablasii, Aostae, 
“ Genebensium et Montisferrati, Princeps Pedemontium, Marchio Salu- 
“ tiaram, Comes Genebae, Romuntis, Nicae, Astae, ac Thendae, Baro de 
“ Vaus et Fauciniae, Dominus Vercellarum, nec non Marchionatus Cevae, 
Uneliae et Macri, Marchio Italiae, Sacri Romani Imperii Princeps et Vi- 
carius perpetuus, Cypriorum Rex, etc. Omnibus, qui hoc nostrum diploma 
legerint, notum facimus, quod Serenissimus Princeps Sultanus Jachias co- 
gitationes suas de modis profligandae Mahometanae impietatis et recupe- 
randi Orientalis imperii, haereditario iure, ut satis constat, ei debiti, no- 
biscum comunicavit; quas sicut aliis Principibus magnopere probatas esse 
comperimus, similiter Nos non possumus quin plurimum commendemus 
secundum eis exitum nobis omnibus apprecantes. Et quoniam idem Sul- 
tanus consilium cepit illustris Gasparis Scioppii Comitis a Clara Valle alio- 
rumque spectatae fidei, pietatis ac prudentiae virorum ad diversos Chri- 
“ stianitatis Principes ac Respublicas ablegandi, ut ab iis armorum, alia- 
rumque rerum tantae expeditioni necessarium apparatum sibi conficiat : 
Nos consilium hoc in primis ad rem conducibile arbitrati, classi eius 
nostrae Nicae portum, tum etiam haud poenitendam pecuniae vim ad 
parandum instrumentum nauticum ei de nostro promisimus. Quod nostrum 
exemplum si alii Principes atque etiam privati homines opibus affluentes 
imitentur, et quantum quisque poterit auxilii. ad certam diem representent, 
optimam spem merito concepimus futurum, ut cum Deus cuius gloria et 
salus tot regnorun, ac nationum agitur expeditionem tam sanctam et 


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IL FALSO SULTANO JACHIA 641 


£ riuscibile , e che tutti gli avevano promesso “ grandi aiuti ,, 
non si piegò a dargli un soldo; tutto si ridusse a parole di 
eccitamento e di plauso (1). Ne seguì l'esempio la Repubblica 


“ gloriosam secundet, tum omnes qui in eius adiuvandae partem venerint, 
“ occasionem omnibus votis aptandam obtigisse sibi gaudeant opes suas 
“cum centupli lucro occupandi. Hac de re eidem Scioppio mentem ac vo- 
“ luntatem nostram coram distinetius explicavimus: Quem quoniam fides, 
€ doctrina ac prudentia eius omnibus Christianis Regibus ac Principibus 
“ satis commendant, pluribus verbis commendare supervacuum arbitramur. 
© Fidei causa nomen nostrum subscripsimus ac signavimus. Taurini, prid. 
“ kal. novembris anni MDCXXXIII. 


“ VICT. AMEDEUS, (L. S.) 


“V. A. PiscinaE, € CARRON ,. 


(1) Ecco il testo della lettera patente della Signoria di Genova : 

“ Nos Gubernatores et Procuratores Reipublicae Genuensis. Cum 
illustris vir Gaspar Scioppius, Clarae Vallis comes, suo praesentis sum- 
morumque Principum expresso literis testimonio fidem nobis fecerit, Serenis- 
simum Sultanum Jachiam, Othomanici sanguinis Principem, non tam iuris 
sui vindicandi desiderio impulsum, quam orthodoxae fidei propagandae 
pio stymulo concitatum ad delendam impiam Turcarum tirannidem iustum 
bellum meditari, ac propterea Christianorum Principum auxilia contra 
comunem hostem implorare: Cumque idem firmis validisque rationibus 
probaverit eiusmodi‘inceptum longe minores multorum opinione difficul- 
tates habiturum; Nos tam piam generosi Principis mentem, quam ma- 
ximis possumus laudum praeconiis commendantes, divinamque deprecantes 
clementiam, ut quemadmodum spiritus adeo religiosos Othomanicis pec- 
catoribus infundere dignata est, ita etiam universi Christi orbis tanto- 
pere optabilibus votis velit annuere; dolemus vehementer, gravissimis tot 
annorum bellicis impensis praeclaram nobis, maiorumque nostrorum in- 
stitutis consonam eripi occasionem in tantae gloriae societatem eo, quo 
vellemus virium robore concurrendi, sicut incensae voluntatis promptitu- 
dine concurrimus nunquam permissuri, ut officium nostrum, quantum in 
nobis erit, quispiam desideret. Quem quidem ardorem quamquam eidem 
illustri Comiti ita coram expressimus, ut cognoverit Rempublicam nostram 
nulli Principum concedere, qui talis. victoriae eventum Catholicae fidei 
propagationem ardentius concupiscat, his tamen etiam literis exprimendam 
censuimus futurum sperantes, ut caeteri Principes ipsum Comitem be- 
nigne excipiant, et quo plus opibus possent, eo vehementius ad tam 
“ gloriosum Deoque acceptum conatum, pro iuribus iuvandum animos in- 
“ tendant. 

© In quorum fidem praesentes nostras, sigillo munitas, et per secretarium 
* nostrum subscriptas, fieri mandavimus. 

“ Data Genuae in Palatio nostro Ducali, die xii ianuarii 1634. 


(L. S.) “Jo. Antonius SamBuceTUS secr. ,. 


642 GIOVANNI SFORZA 


di Lucca (1); e nel preparargli la risposta, tirò le cose talmente 
per le lunghe, che lo Scioppio, perduta la pazienza, “ ignaro de’ 
“ modi che si tratta co’ principi e le repubbliche ,, partì all’im- 


(1) La patente rilasciata dalla Repubblica di Lucca è del seguente 
tenore : 
“ Antiani et Ì 
“ Vexillifer Justitiae | 
“ Altae fundamenta virtutis, quae in Tartarei abyssi centrum iactata 
“ librato pondere in extremae lapsum perfidiae conspirant, extructum habent 
Gloriae aedificium, quod sua mole ad Coelum aspirat, e vestigio in 
spheram elatum aeternitatis. Grande itaque negocium augusta concipiens 
mente Serenissimus Sultanus Jachias Othomanus Princeps, dum Orientem 
iam occidentem prospicit, vastam materiem aggerat auspicandi. Causam nam 
agit Omnipotentis qui non tam acie Angelorum, quam nutu formidandum 
imperia hostesque prosternit; nihil non tentandum ipso duce et auspice 
qui facile decrevit, ut extirpata peste Christiano ex orbe, regnata diu, 
barbarum actritum orbis a maligniori qua per tot saecula occupatur peste, 
si certo semel, modo loculente purget. Locum in Catholicae fidei propa- 
gatione sortiri, de Christo benemereri, professoribus digna haec, satis per 
se vehementer animos excitantia; tam religiosum, tam praeclarum opus 
aggressuro Principi adhaerere, suppetias ferre, omnium est; ac sane illustris 
Gasparis Scioppii comitis a Clara Valle ab intimis consiliis praefati Prin- 
cipis facundissimum, quod numquam obsolescet eloquium, efficaciores 
nostris pectoribus ingereret stimulos, sì non res ipsa ardentissimos inii- 
ceret; praeter quam quod acerrime se obiectat ad extrinseca propensae 
voluntatis officia, superiorum calamitatum, transacta, nec non postuma 
conditio, quae incessantem Reipublicae sumptum destinavit, et agendis 
quotidie rebus determinat; cui vel iniungitur iampridem assumpta repa- 
randae, ac propugnandae urbis occasio, quae adhuc necessitas impulsu 
coalescit; unde acerbissime sustinemus nequaquam Nobis, licet nemini 
cessuris, permitti ut ullo, ad praesens, opum aut virium concursu, quod 
enixe contendimus meritum, in tantae expeditionis apparatu nanciscamur; 
unicum id superest, ut amplissimis laudibus, haud alio, quam immorta- 
litatis caractere exprimendis, inclyti huius Principis probatos sensus, me 
morandos actus, exemplumque singulare perpetuo celebremus; Divinam 
exorantes Maiestatem ut quemadmodum universae omnium salutis vin- 
dicem se primo unus idemque mortalis constituit, sanctissima vota se- 
cundet; faxitque ut generosus hic eius miles per infligendas plagas ad plagas 
accedat inaccessas, et impium thronum, quo pie tendit, securus triumphator 
ascendat, ut insigni suimet ipsius ob Christi nomen gloriosus vietor prae- 
sentium meritorum diademate coronatus legitime regnet. 
“Ad quorum publicam fidem, hasce, Divi Martini signo munitas et 
primi ex nostris cancellariis manu firmatas, per quam studiose decre- 
vimus. Data die 8 februarii 1634 ,. 


Reipublicae Lucensis 


IL FALSO SULTANO JACHIA 643 


provviso per Firenze, senza pigliare commiato e sputando fuoco 
e faville (1). Di là menava vanto che Ferdinando II de’ Medici 
mostravasi “ prontissimo di concorrere all'impresa colla valuta 
di “# 500.000 scudi , ; la qual cosa era affatto contraria al vero, 
come lo stesso Granduca ebbe a dichiarare all’ambasciatore 
lucchese Cesare Burlamacchi. Infatti, dopo avergli detto “ che 
“lo Scioppio era un gran litterato, ma del trattare dello stile 
“ delle Corti ne sapeva ben poco ,; soggiunse “ che a lui ha- 
“ veva raccontato tutta la storia sacra, et sull'esempio di quello 
“ che Dio operava in que’ tempi voleva reggere questa impresa; 
“e che i pochi dovessero vincere i molti, che per sua opinione 
“ saria un tentare la Provvidenza divina, la quale ordina tutte 
“le cose con i suoi mezzi proporzionati; che questo era stato 
“ più capriccio dello Scioppio, tirato da una sua frenesia, che 
“ dello stesso Sultano; il quale Sultano era stato amico grande 
“ di casa sua, per esservi stato altre volte, e che l’haveva ri- 
“ visto in Norimbergo et che tra poco l’aspettava in Fiorenza, 
“ et che conoscendolo havrei conosciuto havere trattamenti da 
« principe et in conseguenza nato principe ,. 

Lo Scioppio andò a Parma, per ottenere l’aiuto e il favore 
del Duca Odoardo Farnese; ma, nel partire, dichiarò che “ se non 
“ li riesce questo negotio, vuole ridursi in Germania a scrivere» 
“e finire i suoi lavori ,. In quanto a’ negoziati fatti alla Corte 
de’ Medici, il Burlamacchi riteneva che lo Scioppio, in fondo, 
fosse “ restato convinto delle ragioni dimostrategli dal Gran- 
“ duca ,; essere “ una impresa riconosciuta per impossibile a riu- 
“ scirne l’essecutione ,. 

E questa l’ultima traccia che si abbia in Italia del preteso 
Sultano Jachia, i cui negoziati e tentativi valeva, sembrami, la 
pena di raccontare un po’ pel minuto; chè egli fu bensì il più 
astuto e il più ambizioso, ma non fu nè il primo nè l’ultimo 
avventuriero che sulla fine del XVI e durante il XVII secolo 
esercitasse fruttuosamente in Europa la professione di sedicente 
personaggio turco, di schiatta più o meno illustre, che, passato 
al cristianesimo, si offriva all'impresa di ricacciare gli Ottomani 


(1) Boxer S., Sopra una missione di Gaspare Scioppio a Lucca come am- 
basciatore del Sultano Jachia, memoria; mel Giornale storico degli Archivi 
Toscani; vol. IV, pp. 211-237. 


044 GIOVANNI SFORZA — IL FALSO SULTANO JACHIA 


in Asia. L'Europa intera viveva sotto il terrore della potenza 
ottomana, allora al culmine della sua gloria militare. Si crede 
facilmente ciò che si spera; e questo spiega come gli avventu- 
rieri sul tipo di Jachia trovassero alle Corti cristiane così fa- 
cile ascolto. Tanto più che costoro, alle volte, finivano forse 
col credere quasi alla commedia che recitavano e col pigliar 
sul serio la loro parte. Gli scritti del “ Sultano , Jachia ne 
dànno qualche volta l’impressione. Solo gli ambasciatori veneti, 
che, come sempre, vedevano giusto, mettevano in guardia il loro 
Governo contro gli avventurieri, per i quali l’atteggiarsi a esuli 
dalla Turchia e a perseguitati dal Gran Signore rappresentava 
allora un mestiere o una speculazione. Alcuni greci, — così 
l'ambasciatore veneto Pietro Contarini — vivevano “ solo di 
“ simile traffico, col passarsene a Napoli, a Firenze, in Spagna - 
“ed a Roma ,. Proponevano “ acquisti grandissimi e facilis- 
“simi; e per meglio colorire le loro invenzioni, le accompa- 
“ gnavano con iscritture sigillate e sottoscritte da molti degli 
“ stessi greci ed albanesi, che dicono esser capi principali di 
“ quelle provincie, nelle quali promettono di sollevare tutti i 
“ popoli all’apparire di qual si voglia armata cristiana, quando 
“siano loro condotte le armi, col rappresentare la debolezza. 
*“ de’ Turchi, il modo facile di fare grandi acquisti, la qualità 
“dei porti e la quantità delle fortezze, con altri partico- 
MAT 


(1) Relazione di Savoia di Pierro ContARINI, ambasciatore a Carlo Ema- 
nuele I dall'anno 1606 al 1608; in Relazioni degli Stati Europei, lette al 
Senato dagli ambasciatori veneziani nel secolo XVII, serie III, vol. I, p. 100. 


L’Accademico Segretario 
Garrano DE Sanctis. 


—AAUNNNNN 


Torino — Vixcenzo Boxa, Tipografo delle LL. MM. e RK. Principi. 


CLASSI UNITE 


Adunanza dell’8 Marzo 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: 


della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: 
:Naccari, Direttore della Classe, Spezia, CAMERANO, SEGRE, 
JADANZA, Foà, GuarescHI, Gurpi, FiLeti, PARONA, MATTIROLO 


, 


MoreRrA, Grassi, SomieLIANA e FuSsARI. 


della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
BoseLLi, Vice-Presidente dell’Accademia, Manxno, Direttore della 
Classe, CarLE, CaRUTTI, RENIER, Pizzi, CHIRONI, STAMPINI, SFORZA 
e De SanctIS, Segretario. — Scusano l’assenza i Soci residenti 
Rossi, ALLiEvo, Rurrini, D’ErcoLe e BronpiI e il Socio nazionale 
non residente KERBAKER. 

Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente a Classi 
unite, 1° marzo 1908. 

Il Presidente dà la parola al Socio GvARESCHI, il quale legge 
la commemorazione del Socio straniero Marcellino BeRTHELOT. 
Questa Commemorazione sarà inserita nelle Memorie accade- 
miche. 

Si procede quindi alla votazione per il conferimento dei 
premîì Bressa, Gautieri e Vallauri. 

Il premio Bressa di L. 9600 destinato all'opera od alla sco- 


perta scientifica più importante del quadriennio 1903-1906 è 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 46 


4: 


A 


i. 


646 
assegnato al professore Ernesto RurHERrFrorD dell’Università di 
Manchester per i suoi lavori sulla radioattività. 

Il premio Gautieri di L. 2500 per l'opera migliore di storia 
politica o civile in senso lato, pubblicata in Italia nel triennio 
1904-1906, è conferito al prof. Adolfo VentuURI per la sua 
Storia dell’arte italiana. 

Il premio Vallauri di L. 30.000 destinato alla migliore opera 
critica sulla letteratura latina pubblicata nel quadriennio 1903-906 
viene diviso in parti uguali tra Paolo MonceAUX professore nel 
“ Collège de France ,, per la sua /Histoîre littéraire de l’ Afrique 
chrétienne e Martino ScHanz, professore nell'Università di Wirz- 


burg, per la sua Geschichte der ròmischen Litteratur. 


Si addiviene poscia, in conformità dell’art. 1° del Regola- 
mento interno per il conferimento del premio Bressa, alla no- 
mina della 1 Giunta per l'assegnazione del XVI premio pel 
quadriennio 1905-1908, al quale sono ammessi solo scienziati 
ed inventori italiani, e riescono eletti i Soci NACCARI, CAMERANO, 
GuarescHI e Morera della Classe di scienze fisiche, matema- 
tiche e naturali; Renier, De SAnoTIS, Catroni e RurrinI della 


Classe di scienze morali, storiche e filologiche. 


Gli Accademici Segretari 
LorENZO CAMERANO. 
GAETANO DE SANCTIS. 


CoA 647 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza dell’8 Marzo 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: NaccaRrI, Direttore della Classe, SPEZIA, È 


SEGRE, JADANZA, Foà, GuarEscHI, GuIpi, FiLeti, PARONA, MAT-. a” ; 


. 
si 


TIROLO, MorERA, GRASSI, SOMIGLIANA, FusARI e CAMERANO See. o, - Si 
gretario. i LA 
Si legge e si approva il verbale dell'adunanza sanzio E 
Vengono presentati per l’inserzione negli Atti i lavori se- "4È 
guenti: 
1° Dott. ZAnortI Branco, I concetti moderni sulla figura 
matematica della Terra. Appunti per la storia della Geodesia, 
Nota settima, dal Socio JADANZA; 
2° Prof. Beppo Levi, Saggio per una teoria aritmetica delle 
forme cubiche ternarie, Nota IV, dal Socio SEGRE. 


SL SSL 


648 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


LETTURE 


1 concetti moderni sulla figura matematica della Terra. 


Appunti per la storia della Geodesia. 


Nota Settima. 


La variazione della latitudine coll’altezza 
e la Figur der Erde di E. Bruns 


+ dell'Ing. OTTAVIO ZANOTTI BIANCO. 


I: 
[4 


n In tutti i procedimenti adottati per la determinazione degli 
elementi dell’ellissoide terrestre, ai quali abbiamo accennato 
. nelle note precedenti, ed in quello di Pratt, che esporremo, se 
sarà concesso di proseguire questi studi, s'introducono essen- 
uo almente lunghezze di archi e latitudini. Sì gli uni che le 
altre vengono considerati come appartenenti ad una medesima 
—. ellisse meridiana, che colla sua rivoluzione attorno al suo asse 
minore genera l’ellissoide, e da essi vengono dedotti col metodo 
dei minimi quadrati i semi assi di quella ellisse. Gli elementi 
che servono a quei computi, lunghezze ed angoli non sono mi- 
surati lungo quella ellisse, su quella ellissoide, ma sulla super- 
ficie fisica terrestre. Da questa devono venir ridotti a quella, 
alla quale nel computo degli elementi vengono ascritti. Ma per 
effettuare tale riduzione bisognerebbe conoscere la superficie, 
che invece è quella che si tratta di determinare: in questa con- 
dizione di cose, quella riduzione si fa per approssimazione: vale 
a dire alla detta superficie se ne sostituisce un’altra, che si ha 
fondata ragione di credere possa allo scopo voluto sostituirla. 
Incominciamo dal vedere come ciò avvenga per le latitudini. 
La latitudine geografica od astronomica è l'angolo che la 
verticale del luogo forma col piano dell'equatore. Ora la verti- 
cale in un dato luogo, ed in un dato istante, è rappresentata 
fisicamente, da un breve tratto del filo a piombo, perfettamente 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 649 


fermo, o dalla direzione di un grave cadente nel vuoto perfetto 
e per tempo brevissimo: oppure, come negli strumenti d’astro- 
nomia e geodesia, è indirettamente fornita dal livello a bolla 
d’aria o dagli orizzonti artificiali, che ci esibiscono la superficie 
di un liquido stagnante, alla quale la verticale è normale. 
Dicemmo in un dato istante, poichè è noto che la verticale varia 
continuamente, sebbene di quantità minime, e su ciò ritorneremo 
a suo tempo. 
Ammettendo che la figura matematica della Terra possa 
essere quella ellissoide della quale si cercano i semi assi, e se 
il punto del quale si determina coll’osservazione la latitudi 
fosse situato su quella ellissoide, in un dato istante la vertica 
del luogo coinciderebbe colla normale ad essa superficie. 
poichè il luogo d'osservazione sta sulla superficie fisica terrestr 
e non su quella ellissoide che si cerca, e che si sostituisce al 
geoide, è doveroso il chiedere se la verticale del luogo coincida di 
colla normale all’ellissoide condotta per esso punto. 0, il che 
torna lo stesso, chiederci se la superficie delle acque stagnanti 
nel luogo d'osservazione ed in quel momento sia parallela a 
l’ellissoide supposta rappresentare la figura matematica dell 


terra, ossia coincidente col geoide, o superficie di livello dell d 


gravità teorica assunta come livello del mare? Giova dichiarare 
che ciò non è. “ 


In quanto segue supporremo che sui punti della massa ter- 
restre non agiscano che due forze, le attrazioni mutue delle sue 
particelle e la forza centrifuga proveniente dal moto di rotazione 
della Terra attorno al proprio asse. Ipotesi lontana dalla realtà, 
ma legittimata, con grandissima approssimazione, dalla picco- 
lezza delle forze trascurate in confronto di quelle menzionate (*). 

Siano x,y, le coordinate ortogonali di un punto del globo 
terrestre (atmosfera compresa) di massa eguale all’unità, riferite 
a tre assi ortogonali passanti per il centro di gravità della massa 
terrestre e sia 7? = x? + y? + 2°, la distanza di esso punto da 
detto centro, ed w la velocità angolare della Terra. Dicendo V 


(*) A questo riguardo vedasi la nostra nota intitolata Per la storia della 
teoria delle superficie geoidiche, “ Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino ,, 
vol. XXXI, 1896. 


gino 


Ii 


650 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


il potenziale dell’attrazione su quel punto e W quello totale 
dell'attrazione e della forza centrifuga sarà: 


r=V+o +9); 


W è il potenziale della gravità teorica, poichè nella sua espres- 
sione non figurano che le due forze menzionate; ma coll’avver- 
tenza sopra posta, si può asserire che con grandissima appros- 
simazione esso coincide con quello della gravità fisica o reale 
che dovrebbe tener conto di tutte le forze, che si possono sup- 
porre attive: W è quindi detto generalmente il potenziale della 
gravità senza alcun qualificativo. L'equazione W= Costante, de- 
tefmina una data superficie di livello. 
‘Le principali proprietà della funzione W sono le seguenti: 
W e le sue derivate prime do, AI ve per ogni punto 
della massa rotante (atmosfera compresa) sono finite, univoche, 
continue. 
« Le derivate seconde di W soddisfano all’ equazione, a deri- 


pre parziali di Laplace-Poisson 


a da d? Ha er VA 
minlisy 


aw= 0" +55 


dark + 2w° 
dove % è la densità nel punto della massa terrestre che si con- 
sidera, e la costante di Gauss è = 1. 

Le tre derivate prime di W dànno le componenti della gra- 
vità 9, parallele ai tre assi 


3 y Ade 3 
In generale la derivata Fio presa nella direzione dg, ci 


dà la componente della gravità secondo quella direzione. 
In ogni punto di una superficie di livello, la normale ad 
essa dà la direzione della gravità la cui grandezza è data da 


vr 


ge se ove dn è l'elemento della normale diretta all’in- 
fuori. 

Le superficie W= Cost sono continue, libere da cuspidi e 
spigoli. 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 651 


Fra le superficie di livello della gravità a noi occorre es- 
senzialmente considerare quelle accessibili alla osservazione, e 
che chiameremo vicine alla Terra. Per queste si hanno le pro- 
prietà seguenti. Esse abbracciano completamente la Terra nella 
vicinanza della superficie fisica: la loro forma è quella di una 
superficie sferica alquanto deformata a mezzo di flessioni con- 
tinue; esse sono quindi superficie di natura sferica, chiuse e 
semplicemente connesse: le superficie di potenziale, decrescente 
sì racchiudono l’una l’altra come gusci: la distanza di due di 
esse infinitamente vicine, misurata lungo la normale, non è co- 
stante, ma, camminando sopra una di esse, varia in ragione in- 
versa della gravità, come risulta dall'espressione g = — di, 
e pertanto, dW= — gdn. 

Questo prodotto gdr è quindi costante per le due medesime 
superficie di livello, fra loro infinitamente vicine. In generale le 
superficie di livello non sono parallele, poichè in generale y non 

è costante sovr’esso una superficie di livello. 
i Due superficie di livello non si tagliano nè si toccano. 

Immaginando tutte le superficie ottenute col far variare di 
quantità infinitesime la costante dell'equazione W= Cost, esse 
ci faranno conoscere la grandezza e la direzione della gravità 
in ogni punto dello spazio circostante immediatamente alla Terra. 
La direzione della gravità varia in modo continuo da un punto 
all’altro di detto spazio. 

Non ci occupiamo per ora delle superficie di livello correnti 
nell'interno della massa terrestre. 

Una curva che tagli normalmente tutte le superficie del 
sistema di superficie di livello ottenuto come si disse poc'anzi, 
dà colle sue tangenti in ogni punto la direzione della gravità 
e vien detta linea di forza. Al sistema di superficie di livello 
della gravità vicine alla Terra corrisponde un sistema di linee 
di forza che sono le traiettorie ortogonali di esso: queste sono 
le linee, di debolissima curvatura, descritte dai gravi, abban- 
donati a sè, partenti dal riposo e cadenti nel vuoto. Le ver- 
ticali sono le tangenti a queste curve, le quali convergono tutte 
verso il centro della Terra, volgendo la loro concavità verso i 
poli: ai poli ed all'equatore i gravi cadenti nel vuoto, partendo 
dal riposo, descrivono rette. 


652 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


W è funzione di x, y, 2, cioè W= f(x, y, 2). Le equazioni 
differenziali delle linee di forza sono: 


de __ dy — da 
ea 
dx dY E) 


» 


Se il sistema delle superficie di livello è dato sotto la forma 
F(x, y, 2,c) = 0, ossia se l'equazione che lo rappresenta non è 
risolta rispetto alla costante c, si ha da eliminare, prima del- 
l'integrazione, c dalle equazioni: 


dei hp edo 14, 
ne ni © © 4 
dx dy de 


Helmert a p. 5 del volume I della Hòhere Geoddsie, de- 
scrive, è la parola, molto evidentemente, la conseguenza del 
fatto dell'essere le linee di forza della gravità, curve. 

“ Se si tien dietro alla direzione del filo a piombo di un 
punto, percorrendolo, si vedrà che non appena si abbandona quel 
punto, essa cessa di essere la direzione del filo a piombo. Che 
anzi la direzione del filo a piombo varia da luogo a luogo, ed 
un punto mobile che segua la direzione del filo a piombo cor- 
rispondente a ciascuna delle sue successive posizioni descrive 
una linea debolmente curva: la linea verticale (linea di forza). 
Quindi in ogni punto la direzione del filo a piombo è la tan- 
gente alla linea verticale ,. 


DE 


Le linee di forza o verticali, essendo curve, ossia le super- 
ficie di livello non essendo parallele, la latitudine varia coll’al- 
tezza sul livello del mare. Vediamo l’istoria dei procedimenti 
adottati per tener conto di tale variazione, ossia per ridurre al 
livello del mare, una latitudine osservata in un dato punto della 
superficie fisica terrestre. 

Sembra che Gauss sia stato il primo ad insegnare, nel 1853, 
in qual modo la curvatura delle verticali si faccia risentire nella 
variazione della latitudine coll’altezza. Ciò risulta dal brano se- 
guente che traduciamo da uno scritto di Baeyer, intitolato Ueder 


o er CI VC rr —_—__—__— a ra A — 
and RE e 2 ——_—r 1 em m0w0wuew”@@6 nn _ __———_——TYY_mTmTTÒ6—m—Tr——— ee MA EogRARARlSPMMPMSMf“sS ©*!._’_«rL([ 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 653 


den Einfluss localer Lothablenkungen auf das Nivellement, * Astro- 
nomische Nachrichten ,, N° 1993, vol. 84. 

“ La prima classe (di deviazioni) consiste nell’accrescimento 
della latitudine, col crescere dell’altezza, sul mare, cagionato 
dall'aumento della forza centrifuga e dalla diminuzione della 
gravità (*). Questa deviazione nell’ emisfero ‘settentrionale è 
sempre nordica. Designamola con e; allora dalla nostra parte 
dell'equatore e è sempre positivo. Gauss in una lettera a me 
diretta il 22 giugno 1853 (vedi: Protokolle der Verhandl. der 
perm. Commission der europ. Gradmes, 1869, in Firenze) ha dato 
la seguente espressione per la latitudine ad un'altezza H: 


o + 1070” # sen29 


dove © è la latitudine alla superficie del mare ed « il raggio 
equatoriale. Si ha quindi: 


o H 
ees21070”' — sen?g. 


Gauss prosegue quindi: “ Io debbo però dichiararle apertamente 
che io riguardo tutta la ricerca unicamente come una curiosità 
teorica che perde ogni importanza pratica. Essa ne avrebbe sol- 
tanto una, quando sulla superficie liscia terrestre si elevasse una 
sottile colonna Aa, sulla cui cima 4, non meno che al suo piede A, 
si potesse determinare la latitudine. Nella realtà, quando « 
sta sopra un monte elevato, non sì può innanzi tutto giungere 
al punto A, ma quando ciò fosse possibile e si potesse deter- 
minare esattamente la differenza di direzione delle verticali, 
non si avrebbe pur tuttavia alcun diritto di considerare la for- 
mola precedente, come rappresentante questa differenza, giacchè 
l'attrazione della materia del globo terrestre sovrastante al li- 
vello di A, produrrebbe nei risultati finali per la gravità in A 
ed a dei divarii molto maggiori e per nulla assoggettabili al 
calcolo. Sopra questo argomento in generale io mi sono già così 
pronunziato nel mio scritto del 1828 sulla differenza di latitu-. 


(*) Traducemmo alla lettera Schwerkraft (gravità), ma dovrebbe leggersi 
attrazione. 


654 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


dine fra Gottingen ed Altona, p. 73, che oggi io non so intorno 
a ciò dire altro di meglio.» 

“ Oggidì si è bensì tentato di determinare il volume dei monti 
approssimativamente a mezzo di livellazioni secondo strati oriz- 
zontali; soltanto l’ipotesi sulla densità dei varii strati è ancora 
soggetta a molte obbiezioni, così che oggi ancora l'opinione del 
nostro grande geometra non si può recisamente contraddire. 
Tuttavia qui noi manterremo il valore di e come deviazione a 
grandi altezze, per quelli che volessero servirsene ,. 

Il prof. Pietro Pizzetti nel suo articolo Hokere Geodésie nel 
volume VII dell’ “ Enciclopedia delle Scienze Matematiche , edita 
a Lipsia da Teubner (1907), dice che Gauss calcolò quella cor- 
rezione della latitudine partendo dal teorema di Clairaut: 


\ 


g= gus 1 È cos29); 


ma non dà al riguardo indicazioni bibliografiche oltre quelle 
già qui riferite: per contro il prof. Haupt afferma che Gauss 
non ha dato dimostrazione della sua formola, come pare risulti 
anche dal brano di lettera pubblicato da Baeyer e che riferimmo 
più avanti. Lo scritto di Haupt ha per titolo: Ueder die Ablenkung 
des Lothes in der Hòhe und den dadurch herbeigefihrten Fehler 
geometrischer Nivellements, “ Astron. Nach.,, 1874, vol. 84, p. 50. 
Questa memoria è registrata nella Bibliographie géodésique do- 
vuta a Boersch, ma manca nella Bibliography of Geodesy com- 
pilata dall’americano Gore: opera quest'ultima utilissima, ma 
sfortunatamente incompleta e molto scorretta. A questo propo- 
sito ci si consenta una digressione, che speriamo non sarà inutile, 
in queste modestissime contribuzioni alla storia dell’alta geodesia. 


PIE 


La storia anche recentissima della geodesia europea sembra 
assai poco nota in America, ove d’altronde i geodeti del Coast 
Survey stanno compiendo lavori di grande portata ed utilità. A 
prova del nostro asserto vogliamo addurre il seguente brano 
scritto dal dr. Forest Ray Moulton, professore assistente d’astro- 
nomia all’Università di Chicago: “ Lo sferoide che meglio sod- 
disfa le varie osservazioni ha, secondo Harkness, uno schiac- 


& 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 655 
A 


ciamento di 1/300. Nel 1866 il colite Clarke dell’ English 
Ordnance Survey trovò uno schiacciamento di 1/295. Questo è 
il valore generalmente adottato, benchè egli nel 1878 abbia tro- 
vato 1/293,5 ed Harkness 1/300 nel 1891,. E così ignorati 
l’ellissoide di Bessel, quello di Clarke nella Geodesy (1880), i 
lavori di Listing e di Helmert, i cui nomi non compaiono nep- 
pure: Introduction to Astronomy, New York 1906, p. 124, la cui 
prefazione porta la data 24 marzo 1906. Per contro dobbiamo 
dire che lo schiacciamento di 1/300 calcolato da Harkness, e 
«menzionato dal prof. Moulton, è passato quasi completamente 
ignorato in Europa, ed i libri di geodesia europei non ne parlano 
affatto. Ma è d’uopo altresì aggiungere che di esso si tace in quel 
magnifico libro che è la Spherical Astronomy dell'americano 
Newcomb, uno dei veri e grandi maestri delle discipline astro- 
nomiche (New York, 1906). Il prof. Pizzetti nel suo citato arti- 
colo menziona il lavoro di Harkness, del quale però tace nel suo 
Trattato di Geodesia. 

Soffermiamoci un momentino sul laboriosissimo calcolo di 
Harkness, sì per la detta ragione come per essere esso contenuto 
in una pubblicazione che non si trova che presso i grandi osser- 
vatorii astronomici, ed è quella edita a cura dell’Osservatorio di 
Washington. 

Questo lavoro ha per titolo The sdar. parallax and its related 
constants including the figure and density of the Earth (“Washington 
Observations for 1885,, Appendice III); ad esso va unita una 
copiosa bibliografia di scritti consultati dall'autore. 

Lo scopo dell'opera di Harkness è espresso come segue in 
una recensione di essa firmata O. C. (Callandreau?) nel “ Bulletin 
Astronomique ,, tomo VIII, 1891, p. 536: “ Jusqu’ici on a déter- 
miné la parallaxe solaire, comme si elle était une constante 
indépendante, et l’on a obtenu une série de valeurs discordantes 
toutes plus ou moins affectées par des causes constantes et dont 
aucune ne s'impose. Mais la parallaxe solaire n’est pas une con- 
stante indépendante, au contraire elle est liée à la parallaxe de 
la lune, aux constantes de précession et nutation è l’inégalité 
parallactique de la lune....... il faudrait donc la déterminer si- 
multanément avec toutes ces quantités, par la méthode des 
moindres carrés, qui paraît susceptible plus que toute autre 
d’éliminer les erreurs constantes. Tel est l’objet de M. Harkness 


e" 


656 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


dans son important mémoire. Un premier travail d’ensemble 
montre qu'il est nécessaire de faire figurer dans les équations 
de condition, outre les dix quantités d’abord envisagées (le 
parallassi medie del sole e della luna, il rapporto della massa 
terrestre a quella del sole, la velocità della luna, l'equazione 
della luce, le costanti dell’aberrazione, della precessione, della 
nutazione, le due ineguaglianze del moto lunare), l’aplatissement; 
de la Terre et la masse de la Lune déduite des marées ,. 

Gli elementi dello sferoide di Harkness sono i seguenti 
(p. 133 e seg.): 


ao 71970 256 db — 6,0060020 
al: 3007205 }+ 2,9644. 


Lunghezza del quadrante terrestre = 10,001816 + 125,1 m. 


e (a-i—p? dl 
Eccentricità — pr 0,006651018. 


Se @ e w sono rispettivamente la latitudine geografica e la 
geocentrica, si ha: 


p—y = 688”,2242sen2p — 1”,1482 sen4@ +- 0",0026sen69. 


Lunghezza del pendolo che batte i secondi di tempo medio 
0,990910 + 0,005290 sen?g. 


Accelerazione della gravità in un minuto secondo di tempo medio 


= 9,779886 +- 0,052210 sen?g; 


questi due ultimi dati si riferiscono al livello del mare. 

Circa lo schiacciamento, nella sovracitata recensione del 
Bulletin si legge quanto segue: “ Quant è la constante de l’a- 
platissement les expériences du pendule et la théorie de la pré- 
cession et de la nutation donnent une valeur peu différente de 
1/300; le résultat déduit des perturbations lunaires est incertain 
entre d’assez larges limites, et les arcs géodésiques donnent 


II . , 
308.5 Il est certain que l’erreur probable de la constante de 
l’aplatissement serait beaucoup diminuée en la faisant dépendre 
uniquement des deux premières théories. Aujourd'hui de nou- 


velles déterminations de la gravité dans le voisinage de l’équa- 


Lo 
I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 657 


teur et des poles sont parmi les désiderata pour perfectionner 
notre connaissance de la figure de la Terre. Des expériences 
dans les latitudes moyennes ne seraient d'aucune utilité dans 
ce but. Dans la pensée de l’auteur les arcs géodésiques, tout 
au moins ceux qu’on possède, ne peuvent pas conduire è une 
bonne valeur de l’aplatissement; il serait désirable qu'un arc de 
méridien fàt mesuré aux États-Unis ayant son centre vers le 
35° de latitude. Avec nos ressources présentes, le mieux est de 
déterminer la valeur de l’aplatissement avec le pendule, au 
moyen de la précession et de la nutation, ainsi que des pertur- 
bations de la Lune. Malheureusement, ajoute M. Harkness, en 
donnant è sa pensée une géneralité qui préterait è des cri- 
tiques, aucune valeur de l’aplatissement ne peut étre déduite 
soit des expériences du pendule, soit de la théorie de la pré- 
cession et de la nutation sans faire quelque hypothèse sur la 
constitution intérieure de la Terre. Malgré les difficultés qui se 
présentent, eu égard à la rigidité de la Terre sous l'action des 
forces qui engendrent la précession, la nutation et les marées, 
l’idée d'une couche relativement mince, reposant en équilibre 
hydrostatique sur un substratum plus dense, est confirmée par 
assez de faits pour devenir très plausible. Si on l’adopte, cela 
sous-entend nécessairement l’emploi de la méthode de conden- 
sation pour la réduction des déterminations pendulaires; mais 
il n’est pas certain que le résultat numérique d'Helmert dépende 
essentiellement de cette meéthode, parce que Unferdinger est 
arrivé à peu près au méme résultat au moyen d'une méthode 
totalement différente ,. 

Il risultato numerico cui nel brano soprascritto si allude 
è evidentemente quello contenuto nel volume secondo del grande 
trattato di geodesia dell’insigne geodeta tedesco. 

Il lavoro di Unferdinger pure menzionato dallo scrittore 
del Bulletin consta di due parti pubblicate negli “ Atti dell’Ac- 
cademia delle Scienze di Vienna , (XLIX, 1864). Le due parti 
hanno rispettivamente per titolo: Ausstellung einer neuen Pen- 
delformel und Darlegung einer Methode aus der Linge des Se- 
cunden-Pendels in verschiedenen Breiten die Fliehkraft und die 
Form und Gréisse der Erde zu bestimmen; — Vergleichung der 
Pendelformel mit den Beobachtungen. Questi due articoli furono 
riprodotti nell’“ Archivio di Grunert ,, XLIX, 1869. Bruns ne ha 


3 
658 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


fatto una recensione nel vol. I, 1868 del JaAkrbuch iiber die Fort. 
der Mathe. Sopra questo studio di Unferdinger, l’autorevolissimo 
Siegmund Giinther così si esprime: “ Alla categoria di quei la- 
vori, che sembrano pretendere troppo dall’istrumento d’altronde 
potentissimo dell’analisi, si può ascrivere quello di Unferdinger, 
il quale per mezzo del metodo dei minimi quadrati vuol rin- 
tracciare anche quelle anomalie della gravità pendolare, intorno 
alle quali, per quanto è generalmente fattibile, si può solo acqui- 
stare qualche chiara nozione a mezzo di un'indagine diretta 
istituita a quello scopo , (Handbuch des Geophysik, vol. I, 1897, 
p. 213). Certo è che il metodo della condensazione, immaginato 
da Helmert, così geniale, elegante, efficace, non deve parago- 
narsi con un’ applicazione, non a proposito, del metodo dei mi- 
nimi quadrati. 

A pagg. 211-12 della Geodesy di Gore, Londra, 1891, leggesi 
quanto segue, che vien dopo lo schiacciamento e la lunghezza 
del quadrante terrestri calcolati da Harkness: 

“ Mentre scriviamo vi è ogni ragione di credere che “ lo 
sferoide di Harkness ,, qui per la prima volta menzionato per 
le stampe, soppianterà ben tosto tutti gli altri. Il professore 
Harkness, United States Navy, ha ricalcolato tutte le costanti 
solari, formando le sue equazioni colla condizione che i risultati 
finali s'accordassero fra loro. Una delle costanti era lo schiaccia- 
mento terrestre, e nell’ottenerlo egli s’adoperò in guisa da far 
pesare col dovuto peso i migliori dati delle operazioni geodetiche, 
il pendolo, la precessione degli equinozii e l’azione delle maree. 
Lo schiacciamento ottenuto può accordarsi con tutti questi feno- 
meni osservati col minimo d'inconseguenze. È fonte di viva gioia 
e di orgoglio patriottico che l’ultima pagina di questo schizzo 
‘storico possa rendere tale omaggio ad un matematico ame- 
ricano ,. 

Sfortunatamente l'avvenire non confermò la profezia, nè 
realizzò le speranze di Gore, e da quanto precede risulta che 
in Europa, come in America dal grande Newcomb, lo sferoide 
di Harkness è ora messo affatto da parte. Nè forse ebbero 
miglior fortuna le altre costanti da lui calcolate, con un’ap- 
plicazione forse troppo larga del metodo dei minimi quadrati. 


stat ia 


ic 


È 


I CONCETTI MODERNI SULLA BIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 659 


IV. 


Helmert, a pag. 100 del volume II della Hohere Geodiisie 
avverte che Haupt basandosi sulla teoria del potenziale ha dato 
una formola giusta per la variazione della latitudîne coll’altezza, 
benchè si sia servito di un’espressione scorretta del potenziale 
dell’attrazione dell’ellissoide terrestre data da Hansen. 

L'espressione alla quale Helmert allude, data da Haupt 
nella memoria sopra citata, è la seguente : 


M , MEZ Mi co 3 
V= F(1-20)p+Gro. a o. lari. 
x s 9 ts a—-b 
nella quale M è la massa terrestre, r'°=x"?+y® +e? a= >> 


lo schiacciamento « e d essendo i semiassi dell’ ellissoide ter- 
restre. Questa espressione fu data da Hansen a pag. 8 del suo 
lavoro intitolato: Theorie der Pendelbewegung mit Riicksicht auf 
die Gestalt und Beweyung der Erde, * Neue Schr. della Società 
di Scienze Naturali di Danzica ,, vol. V, 1856; lavoro premiato 
da quella Società: vedi anche “ Annalen , di Poggendorf, vol. 92. 

Quella formola, come Helmert osserva, non è corretta; la si 
corregge facilmente. 

Supponendo eguale all’unità la costante di Gauss il poten- 
ziale di un ellissoide omogeneo di semiassi a e 5 sopra un punto 
esterno di coordinate polari r' e @' è 


2 1 a'e 


Po IM + 1 ae 


Td RA 1,280 #4 


PA nai 0 9) E 9 2-5? < 
[HeLmerTr, Hohere Geodiisie, IL, p. 125, form.(8)|: a= a aa. 


Trascurando i termini in e' si ha: 


1 ale 


M a 
vV=% ol + o 73 (1 85009") tt ; 


_ 
- 


ma sen?pg'=-,;, quindi 


Lei 
1 


_M \ 1ae SUE 32) de M | »: & , da 
rt t 10 n3(! nia in I o i 


? 


Î 1--3sen®9')-| ac (105sen'p'—90sen?9'+9)+-... 


P) 


660 OTTAVIO ZAN@TTI BIANCO 
ASD 


e trascurando i termini in a: 


MAN Mac. DATA M 1 Ma 3 Ma? 
= sil, + 19% 1-3} += Te da 55 22,0+ ‘4 


che è l’espressione corretta (*). 

Dopo aver accennato alla formola di Gauss ed allo scritto 
di Haupt, ed alla Figur der Erde di Enrico Bruns, nella quale 
è pure dedotta la correzione di Gauss, Helmert scrive: “ Per 
contro altri hanno ripetutamente dato inesattamente l’espres- 


sione del quoziente differenziale a cagione di errori incorsì 


dB 
dh ’ 
nel tener conto dell’attrazione della Terra, (Hokere Geodtisie, II, 
pag. 100). Io ignoro a quali autori Helmert voglia alludere: 
forse al prof. Wittstein, giacchè Haupt nel sopra menzionato 
suo lavoro, scusandosi di svolgere un argomento già trattato, 
dopo l'osservazione relativa a Gauss e poc'anzi riferita scrive: 
“ poichè il sig. prof. Wittstein nei numeri 1768 e 1939 delle 
Astronomische Nachrichten ottiene un altro risultato finale mag- 
4 2A: 1 
giore di circa gn 

Gli scritti di Teodoro Wittstein su questo argomento sono 
i due seguenti : 

Ueber die Ablenkung der  Lothlinie in grossen. Hohen 
(ACCN. 5; 18097 vol. 74 Rendina oe 
Ueber die Schlussfehler grosser Nivellements (“ A. N.,, 

137943 N0/0=04 Da LOS4E 

Quest'ultima memoria manca nella bibliografia geodetica 
americana. 

Ed ora veniamo alle varie soluzioni date al problema della 
variazione della latitudine coll’altezza posteriori a quelle fin qui 


(*) Sul potenziale di un elissoide sopra un punto esterno, vedasi per gli 
scopi della teoria della figura della terra: CLarke, On the potential of an 
ellipsoid at an erternal point, * Philosophical Magazine ,, 1877; Geodesy 
(1880), p. 71. Senza dubbio la menzionata espressione data da Hansen ed 
usata da Haupt, per il potenziale di un ellissoide, sopra un punto esterno, 
è sfuggita a Clarke, poichè altrimenti avrebbe menzionato la svista sfug- 
gita al primo ed al secondo, ma avvertita, per il primo, da Helmert. La 
espressione trovata da Clarke, coincide con quella data nel testo, quando 
si trascurino i termini in e’ ed in a°. — Tisseranp, Traité de Mécanique 
Céleste, vol. II, p. 68. 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 661 


accennate. La prima che ci si presenta è quella di Enrico Bruns 
da lui svolta nella sua classica memoria, già parecchie volte men- 
zionata ed intitolata Die Figur der Erde, Berlino, 1878, nelle 
pubblicazioni dell’Istituto Geodetico prussiano. Si è con profonda 
meraviglia che di questo capitale lavoro non si vede cenno 
alcuno nella Geodesy di Clarke (1880), nè nella Geodesy di Gore 
(1891): i citati libri di Forest Ray Moulton e di Simone Newcomb 
nei capitoli dedicati alla geodesia neppure ne parlano, e se non 
erro essa è passata sotto silenzio anche nei Fondamenti di Geo- 
desia del compianto prof. Enrico Pucci, mentre è citata nel 
trattato di Geodesia del prof. Pietro Pizzetti: e se non mi è 
sfuggita, non è nominata nella quinta edizione (Stuttgart, 1907) 
del volume terzo dell’Handbuch der Vermessungskunde di Jordan. 
Non conosco alcun trattato di geodesia in lingua francese che 
tratti dell’opera di Enrico Bruns: Tisserand, nel volume secondo 
della sua Mécanique Céleste, la cita fra le opere da consultarsi. 

Facciamoci ad esporre succintamente il contenuto di questa 
importantissima contribuzione alla teoria della figura della Terra. 

L'introduzione della memoria ci palesa le intenzioni e lo 
scopo dell’autore. 

“ Le ricerche istituite fino ad oggi intorno alla figura mate- 
matica della Terra, ove non siano d’indole prettamente geome- 
trica, sono fondate sui risultati delle misure dei gradi e su quelli 
delle determinazioni pendolari. A tale scopo si pose a punto 
di partenza l'ipotesi: 1° che la superficie degli oceani deve 
essere riguardata come parte di un’unica superficie analitica 
chiusa, soggetta ad una legge semplice di formazione; 2° che 
le normali a questa superficie coincidono colla direzione della 
gravità in tutti i punti che nelle misure si prendono in con- 
siderazione. In generale si scelse per questa superficie, la quale 
allora venne designata come la figura matematica della Terra, 
da determinarsi, un ellissoide di rotazione ; giova tuttavia Vav- 
vertire che la scelta di un’altra superficie di una legge di forma- 
zione sufficientemente semplice, cambia solamente i processi di 
calcolo ma non i concetti fondamentali veri di tutto il metodo. 
In conseguenza di ciò, il problema della geodesia scientifica si 
riduce alla questione di determinare i valori numerici delle 
costanti o parametri che compaiono nell'equazione di quella 
superficie in guisa che le misure esistenti siano completamente, 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 47 


662 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


o quando ne esista un numero superfluo, per quanto è possi- 
bile, da vicino, soddisfatte. Il risultato ottenuto partendo da 
questo concetto fondamentale, manipolando il materiale d’osser- 
vazione esistente, è noto e si può enunciare come segue: 1° l’ellis- 
soide di rotazione è una prima prossima approssimazione, per 
la massima parte degli scopi; 2° i contrasti fra l’ipotesi e la 
misura, benchè recisamente deboli, sono in molti casi di un tale 
importo, da non poter venire attribuiti agli errori di osserva- 
zione : vale a dire gli errori dell'ipotesi sono misurabili. 

«“ Quest'ultimo risultato era prevedibile molto prima che 
Walbeck nella sua nota dissertazione (*) facesse il primo tenta- 
tivo di determinare la figura della Terra, utilizzando regolar- 
mente tutte le misure di grado esistenti al suo tempo ed utiliz- 
zabili. Che la superficie dell'oceano e la sua ideale prosecuzione 
sotto i continenti non potesse a tutto rigore appartenere ad 
una superficie di una semplice legge di formazione, seguiva con 
grande probabilità dalla costituzione irregolare della parte della 
crosta terrestre a noi accessibile, e che le così dette deviazioni 
del filo a piombo, causate da quelle irregolarità, in alcuni casì 
siano con sicurezza misurabili, emergeva dalla riuscita del tenta- 
tivo, di utilizzare appunto quelle deviazioni del filo a piombo, 
per la determinazione della densità media della Terra. Che anzi 
in base a tutte le constatazioni ulteriori si può estendere quella 
proposizione ed asserire che tutte le deviazioni del filo a piombo 
dimostrabili, devono ognor più costituire la regola, anzi che l’ecce- 
zione, quanto più esatte divengono le nostre osservazioni. 

“ Ora nella determinazione della forma della Terra, non si 
è punto tratto profitto da quelle deviazioni del filo a piombo, ma 
le si sono trattate semplicemente come errori accidentali, e si 
stette in ciò contenti a constatare la loro piccolezza in un colla 
loro esistenza. In ciò il geodeta si trovò all’incirca nella posi- 
zione medesima dell’astronomo che deve discutere osservazioni 
odierne di pianeti in base alla teoria delle perturbazioni del 
tempo prima di Laplace. Le soluzioni date fin qui al problema 
della geodesia sono quindi in tanto incomplete in quanto esse 
non esauriscono il materiale di osservazione esistente, ma si 


(*) Vedi su questa dissertazione la nota sesta dei presenti studii, “ Atti 
di questa Accademia ,, vol. XLII, 1906. 


n 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 663 


accollano le contradizioni fra l'ipotesi e l’esperienza. Ci si può 
ora chiedere se questa deficienza sia accidentale o necessaria. 
Essa manifestamente sarebbe puramente accidentale, quando 
nella risoluzione del problema si potesse far a meno di tutte 
le ipotesi anche da giustificarsi a posterzori, necessaria per contro 
non appena i dati empirici siano di per sè insufficienti, senza 
il completamento di ipotesi, a rendere possibile la soluzione. 
La discussione di questa questione forma l’argomento della pre- 
sente dissertazione e conduce al seguente risultato. Finora nelle 
misure de’ gradi presentemente compiute i dati empirici sono 
realmente insufficienti per determinare la figura della Terra, 
sia nel suo complesso, che nelle sue singole parti, senza il sus- 
sidio di una ipotesi. Per contro la misura europea dei gradi 
dispone di tutti i mezzi sussidiarii che sono teoricamente indi- 
spensabili per determinare, nel campo sul quale essa si estende, 
la figura della Terra indipendentemente da tutte le premesse 
ipotetiche sulla legge di formazione di questa superficie. Questi 
mezzi sussidiarii consistono nelle seguenti classi di misure : 

1° determinazione astronomica delle posizioni (latitudine, 
longitudine, azimut); 

2° triangolazioni (angoli orizzontali, basi); 

3° livellazioni trigonometriche (misure di distanze zenitali); 

4° livellazione geometrica ; 

5° determinazione dell’intensità della gravità. 

“ Queste classi di dati sono, per la risoluzione del problema 
senza ricorrere ad ipotesi, sufficienti, ma anche necessarii, vale 
a. dire, non appena dai dati numerici sì sopprime una di queste 
classi, si è costretti, per riempire il vuoto che rimane, ad aver 
ricorso ad ipotesi sulla legge di formazione della superficie che 
sì cerca, giacchè presentemente non si possono misurare con 
successo altri dati, che possono comunque venir sostituiti ,. 

Come poi il compito così proposto sia stato tradotto in atto, 
ce lo dice brevemente Bruns medesimo, in un resoconto del 
suo lavoro da lui pubblicato nel volume decimo del Jalrbuch 
liber die Fortschritte der Mathematik, Berlin, Reimer, 1880 (*), 


(*) Vedasi pure una recensione firmata E. L. nel Bulletin des Sciences 
Mathématiques et Astronomiques, deuxième série, tome II, 1878, Paris, 
Gauthier-Villars. 


CA 


bre 


FILI 


664 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


pag. 765. A questo resoconto sommario verremo, nell’esporlo, 
aggiungendo le principali formole e proposizioni, cercando di 
dare al cortese lettore, che volle benevolmente seguirci in 
queste modestissime contribuzioni all’istoria della geodesia, una 
adeguata idea del lavoro di Bruns. 

Egli comincia coll’esporre i principii della teoria del poten- 
ziale, riassunti anche al principio della presente nota, e formola 
la definizione già data della figura matematica della Terra, che 
cioè essa è quella, fra le superficie di livello della funzione delle 
forze W, alla quale appartiene la superficie libera del mare. 
Il $ 1 considera quindi una serie di cause, l’effetto delle quali 
è che la superficie del mare non può a tutto rigore essere una 
superficie di livello, e formula quindi il problema della geodesia 
scientifica così: determinare non una particolare superficie di 
livello o geoide, ma tutte, ossia, il che è lo stesso, trovare quella 
funzione delle forze stesse. Queste circostanze sono le maree, le 
correnti marine, l’azione statica e dinamica dell’atmosfera. A 
conclusione di questa sua trattazione Bruns scrive quanto segue, 
che costituisce il concetto che informa tutte le moderne opera- 
zioni geodetiche. 

Il livello del mare normale e medio sono così definiti : 

“ S'immagini l’acqua del mare in riposo relativo rispetto 
al corpo solido terrestre e la pressione atmosferica sulla super- 
ficie del mare (espressa in misura ‘assoluta} costante, allora la 
superficie libera dell’acqua apparterrebbe ad una superficie di 
livello che noi designeremo come è! livello normale del mare. 
Il vento, il tempo (meteorologico) e le maree ora fanno sì che 
l'effettiva superficie fisica del mare sia diversa da quella nor- 
male. Per gli scopi geodetici si fa astrazione da queste oscilla- 
zioni lente o rapide, sostituendo al livello effettivo del mare 
uno medio. In un dato luogo ed all’epoca # sia % la distanza 
fra il pelo liquido effettivo e quello normale; allora i valori di 

LIRE 


PR ibi 


forniscono la posizione del livello medio nell’intervallo di tempo 
t, —t,, e si può domandare se questi valori medii di %, per 
intervalli di tempo abbastanza lunghi riescano tenui così da 
poter venir trascurati per gli scopi geodetici ,. 


—_ Va 


— n 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 665 


“ Le precedenti considerazioni basteranno a provare, che 
nel divario fra il livello medio e quello normale del mare si 
ha a che fare con grandezze che possono senza più divenire 
notevoli; ed i fatti emersi nella livellazione di collegamento 
del Mediterraneo coi mari del Nord ed il Baltico ed i punti 
del mare Baltico (*) fra loro, non contengono certo alcun argo- 
mento contro le precedenti considerazioni. Ma quand’anche quelle 
differenze, nell'odierna precisione delle operazioni geodetiche 
dovessero essere praticamente trascurabili, esse non lo sono 
tuttavia quando si tratta di dare una precisa definizione della 
figura matematica della Terra ,. Ciò fissato, Bruns nel $ 2 passa 
a studiare le proprietà generali del geoide o meglio delle super- 
ficie di livello e segnatamente le discontinuità che la curvatura 
di queste superficie e delle corrispondenti linee di forza pos- 
siede, là dove la densità della massa varia bruscamente. In 
questo svolgimento Bruns si vale di un teorema della teoria 
del potenziale da lui dato in una sua dissertazione intitolata: 
De proprietate quadam functionis potentialis, Berolini 1871, e poi 
dimostrato in un suo lavoro successivo Ueder einen Sata aus 
der Potentialtheorie (“ Journal firr die reine und angewandte 
Mathematik ,, vol. 81, 1876, pag. 349). Bruns osserva che questo 
suo teorema ed alcuni altri sono generalizzazioni di alcuni teo- 
remi dimostrati da Stahl in un lavoro inserito nel vol. 79 del 
medesimo giornale, pag. 265, ed intitolato: Zur Theorie der 
Potentialfliichen, unter besonderer Riicksicht auf Kéòrper welche 
von Fliichen der 2weiten Ordnung begrenet sind. 

I due teoremi dimostrati da Bruns e dei quali egli si valse 
nella sua Figur der Erde sono i seguenti : 

“ Quando la funzione V delle coordinate rettangolari x, y, 2 
di un punto e le sue derivate prime sono, entro ad un determi- 
nato spazio 7, univoche, finite e continue e soddisfanno all’equa- 
zione A?2V = sa pa + cal , V è regolare nello spazio 7, 

“ Sia F una superficie analitica nei dintorni di uno dei 
suoi punti P, libera da singolarità, ed inoltre siano #, @ e w tre 
funzioni delle coordinate x, y, 2, regolari nei dintorni di P, allora 


(*) Vedi Le livellazioni di precisione ed il livello del mare di Ortavio 
Zanotti Branco, Torino 1892. 


666 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


esiste sempre una funzione V che, nei dintorni di P è regolare 
e soddisfa alle seguenti condizioni: 1° A?V=—-4nk; 2° i va- 
lori che prendono V e la sua derivata presa nella direzione 
della normale ad F in un punto @ di /, sono uguali ai valori 
di pe w nel punto 4. 

“ Dai risultati qui dedotti si ricavano senza alcuna diffi- 
coltà i teoremi sulla proseguibilità analitica delle funzioni poten- 
ziali di superficie caricate di massa, 0 di spazii pieni di massa 
che sono stati utilizzati da me e da Stahl per effettuare in alcuni 
dei casi accessibili di questo genere la riduzione da potenziali 
di volume a potenziali di superficie ,. 

Bruns termina il suo lavoro del “ Journal , datato Dorpat, 
im November 1875, con un brano nel quale sono esposti molti 
dei risultati da lui poi più largamente svolti nel $ 2 della Figur 
der Erde. Riportiamo qui in parte quella chiusa del lavoro, 
perchè giustifica l'applicazione dei teoremi sovrascritti alla Terra, 
e stabilisce in ordine cronologico l’introduzione di quelle idee 
cardinali nella geodesia teoretica. 

“ Per applicare i teoremi trovati alla figura matematica della 
Terra, si deve anzitutto osservare che essi valgono ancora quando 
Ve V'(*) non si debbano più riguardare propriamente come 


(#) Le funzioni V e V' sono definite nelle linee seguenti, sostanzial- 
mente riprodotte a p. 8 della Figur der Erde. È S'immagini la Terra com- 
posta di parti 7, 7°, 7”..... così che il contorno o delimitazione degli spazii 
T,T',T" consti di pezzi regolari di superficie analitiche, e che la densità 
entro le singole parti sia espressa da funzioni regolari %, X', #°..... Allora le 
superficie di livello del potenziale corrispondente a questo corpo sono su- 
perficie continuamente connesse, la cui normale cambia del pari continua» 
mente la sua direzione. Fanno eccezione soltanto i luoghi nei quali le deri- 
vate prime secondo x,y, svaniscono. La porzione di una superficie di livello 
entro uno degli spazii 7, 7, T"..... appartiene ad una sola e medesima su- 
perficie analitica ed, in generale, è regolare; per contro le porzioni che 
giacciono nei diversi spazii 7, 7, T”..... appartengono, in generale, a diverse 
superficie analitiche. Se quindi anche, a cagione della continuità delle deri- 
vate prime, la posizione del piano tangente ad una superficie di livello 
varia in modo continuo, ciò nullameno la curvatura di essa subirà un salto 
nel trapasso da 7 alla parte vicina 7". Sia ora F un pezzo della superficie 
di separazione delle due parti fra loro confinanti 7 e 7”, e sia P un punto 
di F, e si supponga che %, #' ed Y siano regolari nei dintorni di P, allora 
anche le funzioni potenziali V e V' appartenenti a 7 e 7" saranno rego- 
lari nei dintorni di P, non altrimenti che le superficie analitiche definite 


SE 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 667 


funzioni potenziali di un determinato corpo, ma designino in 
modo generale funzioni le quali oltre alle date condizioni di 
limite e di continuità soddisfino ad una equazione differenziale 
della forma A?V=- — 4nk. Si può quindi applicare direttamente 
quei teoremi alla funzione delle forze della Terra, le cui deri- 
vate parziali in ogni punto dànno le componenti della gravità. 
Poichè questa funzione delle forze W (*), come è noto, si com- 


pone del potenziale del globo terrestre e del termine 3 w? k° 


proveniente dalla forza centrifuga, ove w è la velocità di rota- 
zione ed R la distanza del punto che si considera dall’asse di 
rotazione. Si ha così: A?V = 4n% + 2w?, ove %& è la densità del 
globo terrestre nel punto che si considera. Inoltre si può, senza 
inconvenienti, supporre che il globo terrestre consti di parti 
T,T',T".... la cui delimitazione e densità corrispondono alle 
condizioni sovraposte. Ora, poichè il termine 2w? esula dalle 
differenze ko, —k'o, così nelle formole precedenti si può senz'altro 
scrivere W invece di V, col che si ottengono le variazioni brusche 
delle quantità w, », y relative alla superficie di livello della 
funzione W, in quei luoghi del globo terrestre, nei quali queste 
superficie di livello penetrano da uno strato di data densità in 
un altro di densità diversa , (**). 


dalle equazioni V = cost, V' = cost, delle quali superficie si compone la 
superficie di livello che passa per P, solo però finchè le prime derivate del 
potenziale in P non svaniscono. Designamo con N ed N' queste due super- 
ficie, delle quali dobbiamo ora determinare la curvatura in P. La funzione 
VV =U svanisce assieme alle sue derivate prime sulla superficie 7, 
inoltre N ed N' si toccano lungo la loro comune intersezione C con PF". 

(*) Questo simbolo W è rimasto nella scienza ed Helmert se ne valse 
egli pure a rappresentare la funzione delle forze corrispondenti alla gravità 
teorica, cioè quella che si ottiene escludendo qualsiasi forza, ad eccezione 
dell'attrazione della massa e della forza centrifuga proveniente dalla rota- 
zione diurna. 

(**) S'immagini per P la sezione normale di N e sia yw il suo azimut; 
p il suo raggio di curvatura in P, p, e p> i raggi principali di curvatura, 
di N in Psi ponga m= + 7 n= » . Nella Figur der Erde si pone 


1 1 sca gi ve ; , “a TL 

dm = A - rat ma il risultato è identico nei due casì, in grazia di ana- 
I 2 

loghe modificazioni; W, e w, gli azimut delle sezioni normali principali, 


3 T 
iure =ta 


668 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Nella Memoria del “ Journal , (XI, 1875) sono quindi espressi 
‘ molti dei risultati dati poi nella Figur der Erde, e noi ci var- 
remo di.questa, al fine di esporre l’ultimo pensiero dell’autore 
al riguardo, dopo averne stabilito l’epoca di prima esposizione. 

Siano m, n, p, w; ', a, p', y' le quantità definite in nota, 
riferentisi rispettivamente alle superficie N ed N', così Ko; Pi; Pa; 
wi, w? e ko, Pi", pa, wi, ws le densità ed i raggi di curvatura 
principali; 9 la gravità in P, è l'angolo fra le due normali ad Y 
ed N od N'. Con queste notazioni Bruns dimostra le relazioni 
seguenti: 


9 (1 Lia 3 = 4n(ko — #0') sen?ò cos?y 


/ 


(E). ) g(m—-m)=2n(k — ko) senò 
4 g(n — n')= — 4r(ko — ko')sen?d Was 
Wia(cot2y, — cot2y,') = — 2r(k — ko') senò. 


In queste formole i simboli W hanno il seguente significato. 
Si prende il punto P come origine di un sistema di assi orto- 
gonali e W sviluppato secondo potenze di , y, 2, nella forma 


sO 1 SARE ; 
WWE Wie Ways Su 110 Wo + Ws329) + 
erica + Wasye +-Wisaz +... 


W., è il valore che prende la funzione W in P, e si ha 


AO CUA Pe dW \ des dw 5 
Wasser È Ma si Ap lo Von bi 
__|d®W de W e o 
W,= ea i Was ui dt pe ua | d2? n ; 
(PW 1èW | | dt 
Se le = 
riesi drdy È sea dade 10° Was dyde l 


il simbolo () significando che quelle derivate sono prese per 
l'origine delle coordinate. Se si sceglie per asse delle 2 la dire- 
zione della gravità in P, ossia la normale alla superficie di 
livello che passa per P, W; rappresenterà il valore della gra- 
vità, che per la crosta terrestre è sempre positiva, e si ha 


i ra Lea Lin 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 669 


W,= W.,=0, per essere il piano delle x y tangente in P alla 
superficie di livello, lungo la quale è W=W,. 

Dopo le formole (E) il nostro autore svolge il ragionamento 
seguente : 

“ [n conseguenza delle presupposizioni fatte sulla densità 
k, k'... (di essere, cioè, o costanti o funzioni regolari del luogo), la 
funzione delle forze entro ai singoli spazii 7 e 7".... è regolare (*). 
Inoltre, poichè 9g per i punti della crosta terrestre non svanisce 
mai, con le superficie N, N'.... in quanto esse rispettivamente 
giacciono entro gli spazii 7, 7".... sono del pari regolari e libere 
da singolarità. Poichè finalmente le funzioni analitiche in ui SA 
le quali esprimono matematicamente la legge della funzione delle 
forze, sono fra loro diverse, così anche, in generale, le singole su- 
perficie N, N'.... sono fra loro diverse. Da ciò derivano per il 
geoide le seguenti proprietà: La legge di formazione del geoide 
o più generalmente di tutte le superficie di livello nel loro 
andamento attraverso alle varie parti della crosta terrestre, 
non è rappresentabile a mezzo di un'unica espressione analitica, 
chè anzi il geoide si compone di porzioni regolari di superficie 
analitiche fra loro diverse, così che nei singoli strati di massa 
segue differenti leggi di formazione. Queste porzioni regolari 
di superficie, sono così l’una all'altra riunite nei luoghi di tra- 
passo, che mai non si riscontrano spigoli o cuspidi, ma così che 
la curvatura delle sezioni normali, la curvatura media e la mi- 
sura della curvatura, non che gli azimut delle linee di curva- 
tura subiscono variazioni brusche, il cui ammontare è dato a 
mezzo delle formole (E). 

“ Della grandezza di queste discontinuità si può avere una 
idea approssimata nel modo seguente. Sia ro il raggio di una 
sfera omogenea di massa e volumi eguali a quello della Terra. 


(*) Nella Figur der Erde, Bruns definisce come segue una funzione re- 
golare: “ Una funzione si chiama regolare nei dintorni della posizione 
(01 Yo; 2a), quando essa può essere sviluppata in una serie procedente se- 
condo potenze positive intiere di x — xo, y — Yo» # — 2 e convergente entro 
un determinato campo. Una superficie si dice quindi regolare quando nei 
dintorni di (x), 20) essa è data a mezzo di un'equazione regolare 


F(x,y,2)=F'(x0:Y0,%0) 


ed in (xo Yo) non possiede alcuna singolarità. 


A 


= 


670 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


La sua densità KX sarà allora eguale alla densità media della 
Terra (K = 5,55). Sia 9, la gravità (più esattamente l'attrazione) 
alla superficie di una tal sfera, è 


M 4 
Yo ro =_= 3 mo, 
ro € Yo diversificano dalle quantità analoghe che valgono effettiva- 
mente per un punto della superficie della Terra di una gran- 
dezza dell’ordine dello schiacciamento. 


Si ha quindi : 


1 lo — ko 
Atto ( —_ -—\= 3-0" sen?dcos?y . hi 


p K 
(F) < rom m')= 3 koh SONA 
\ 0 Sag D K x . g 

sò = ko — ko' Jo roWa 

rila— = 8 PE sen 1 Va, 


La considerazione della prima formola basta al nostro scopo. 
Il fattore sen?ò cos?y può prendere tutti i valori fra 0 ed 1, 
Yo:9 è sempre molto da vicino = 1 e l’altro fattore restante 
9 leg ki 
K 
roccia solida circa il valore 1,5. Ora se il geoide, per rispetto 
alla curvatura diversificasse ovunque solo di poco da un ellis- 


ha, a parte il segno, nel trapasso dall’aria in una 


. . . . . Y fr 
soide o da una simile superficie, allora la frazione Fa dovrebbe 


sempre essere molto da vicino = 1: ma la prima equazione 
c'insegna che questa frazione può tanto comportare più di una 
unità, quanto divenire notevolmente minore di uno. Inoltre, 
poichè entro le singole porzioni di superficie, delle quali si com- 
pone il geoide, la curvatura è continua, così anche le regioni 
entro alle quali quella frazione si allontana notevolmente da 
uno, non sono limitate a piccole parti, e da ciò si può dedurre 
il teorema, che più tardi per altra via confermeremo, che è 
impossibile il rappresentare approssimativamente il geoide a 
mezzo di una sola superficie analitica, avente una legge di forma- 
zione abbastanza semplice, senza commettere errori notevoli e 
quindi non ammissibili. Così gli sviluppi in serie, ad esempio 
secondo funzioni trigonometriche o sferiche, ecc., colle quali si 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 671 


può a piacimento esprimere analiticamente relazioni di grandezze 
date anche solo graficamente, applicati al caso precedente, con- 
vergono troppo lentamente per essere praticamente applicabili ,. 

A questo riguardo vedasi Helmert, II, pag. 44. 

Helmert, nel volume secondo della sua classica opera, pag. 38, 
ha pure dato le formole (E) servendosi del simbolo A per indi- 
care la differenza delle quantità omonime (*), e poi scrive, p. 39: 
“ È merito di Enrico Bruns l'aver richiamato l’attenzione sulla 
discontinuità della curvatura. E nelle sue dissertazioni già citate 
ha svolto le formole da noi date e particolarmente nella Higur 
der Erde la (4) ,. 

(La (4) di Helmert è il massimo valore che può assumere il 
primo membro della prima delle (F), cioè +- - 3 fio, nel caso 
particolare considerato). 

“ L'andamento dello sviluppo è però essenzialmente un altro. 
Segnatamente innanzi tutto basandosi sui criterii di Dirichlet 
per V (Vorlesungen iiber die im umgekerten Verhiltniss des Qua- 
drats der Entfernungen werkenden Kriifte, Leipzig, Teubner, 1876, 
pag. 29) si dimostra che in uno spazio nel quale 0 (il nostro %) è 
regolare, cioè si può, entro limiti finiti di convergenza, sviluppare 
secondo potenze delle coordinate ortogonali, anche W è regolare. 
Quando noi, $ 17, pag. 24, trovammo che in un tale spazio W 
e tutte le sue derivate di ordine superiore assegnabile sono 
finite e continue, non abbiamo dato ancora quanto basta per 
la dimostrazione dell’esistenza di una serie infinita di potenze 
con un campo finito di convergenza, ma abbiamo fornito quanto 


è sufficiente per la ricerca della curvatura, per la quale è ri 


chiesto solamente uno sviluppo finito di Taylor ,. 

In una prossima nota seguiteremo l’esame della celeberrima 
Memoria di Bruns, indugiandoci particolarmente sulla variazione 
della latitudine coll’altezza. 


(*) Colla notazione di Helmert le formule di Bruns sono riportate 
dal prof. Pietro Pizzetti (pur troppo con qualche errore di scrittura) a 
pp. 134-135 delle sue Lezioni sulla Teoria Meccanica della Figura dei Pianeti 
(litografate, Pisa, 1901-1902). Non conosco libro a stampa nè francese, nè 
inglese, nè italiano ove queste formole di Bruns siano dimostrate o trascritte. 


da 


cp 


© 


" 


672 . BEPPO LEVI 
-| 


Saggio per una teoria aritmetica 
delle forme cubiche ternarie. 


Nota 4* di BEPPO LEVI, a Cagliari. 


Segue: Configurazioni poligonali miste 
di punti razionali. 


1. — Nella Nota (!) precedente abbiamo studiato quelle 
configurazioni poligonali che posseggono i punti razionali stretta- 
ente richiesti dal corrispondente valore del divisore t. Ogni 
È punto di una configurazione poligonale semplice, che non sia 
| flesso, è tangenziale di uno e di un sol punto della configura- 
© zione; ogni punto di una configurazione poligonale mista che 
non sia flesso nè origine di un ramo arborescente è tangenziale 
di ‘due e, in generale, di due soli punti razionali della cubica, 
anch'essi appartenenti alla configurazione. Ma, come già si è 
visto nei n! 12 e sg. della Nota II (?) per le configurazioni arbo- 
rescenti, può una configurazione poligonale mista possedere altri 
punti razionali accidentali, in quanto qualcuno dei punti essen- 
ziali della configurazione sia tangenziale di quattro punti razio- 
Ù noli anzichè di due. Applicando due osservazioni fatte al citato 
‘n. 12 della Nota II si può tosto affermare che se tal fatto av- 
viene per uno dei punti essenziali della configurazione, dovrà pure 
verificarsi per tutti gli altri che non siano l'eventuale flesso e le 
origini dei rami arborescenti; ed il flesso inoltre sarà tangenziale 
di 3 punti razionali; ma ciascuno dei punti razionali accidentali 
aggiunti per tal modo alla configurazione non sarà mai a sua volta 
tangenziale d'altri punti razionali, in quanto questi punti razio- 
nali apparterranno tutti al ramo pari della cubica. 


: () Questi “ Atti ,, questo vol., pag. 413. 
(?) Questi “ Atti ,, questo vol., pag. 99. 


ed 


PLS? 


PR TIT RI 


Rd 


fi. 
TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 673 


Le sole configurazioni poligonali semplici che nella Nota 
precedente si sono riconosciute poter essere nuclei di configura- 
zioni poligonali miste sono il triangolo e il quadrangolo di tan- 
genziali (!); a queste sole deve quindi rivolgersi la nostra atten- 
zione. 


2. — Nella cubica (8) (n. 7) della Nota precedente 
ye 2) — yal(b + 1)a — (20 + 1)a] — dea? = 0, 


i punti di contatto diversi da (100), (11 1) delle tangenti uscenti 
dal punto (001) sono determinati dalle equazioni 


y— yz + 2b22= 0 
pi 
(20 + 1)y — 262° 


Saranno quindi razionali, tosto che sia quadrato esatto il 
discriminante 1 — 8% della prima equazione. Ciò equivale a dife 
che 5 deve essere della forma 


1 D) 
(1) b=-S(1_#) 


ai 


dove t è un numero razionale qualunque. £sistono dunque cubighe 
a coefficienti razionali le quali posseggono un sistema finito di punti 
razionali costituito da un triangolo di tangenziali 8(3), ogni ee 


LI 


del quale è inoltre tangenziale di altri 3 punti razionali. 


8. — Ma nessuno di questi nuovi punti razionali può 
essere tangenziale di altri punti razionali. Infatti nel n. 11 del 
Nota precedente si è trovato che condizione perchè ciò avvenga 
è che esista un numero razionale e tale che 


pe 


Wwe 


1 


Deve d’altronde verificarsi la (1) del n. prec.: si ponga allora 
v e } 
(u, e, d, e numeri interi; vw e v primi fra loro; d ed e parimenti) 


(4) Si confronti l'osservazione congetturale al n. 10 della Nota prece- 
dente, per cui sarebbero precisamente questi i soli nuclei possibili di con- 
figurazioni poligonali miste. 


674 BEPPO LEVI 


dovrà essere 


Al a — e? 
onde 
d?(0° — u?) = e?(90? — u?). 


I binomi 0° — w?, 90? — u? non possono aver fattori comuni 
che non siano fattori di 8; e se tali fattori hanno, v e v sono 
dispari, e quindi i due binomi hanno precisamente il fattor co- 
mune 8; questa uguaglianza può dunque solo soddisfarsi ponendo 


8id? = 90° — u?, 8'e =? — u? (=0%01) 
8'(d? — e?) = 802. 
Per i=0 si ricava dalla 1° equazione che d ed v debbono 


essere multipli di 3, perchè 3 non è somma di due quadrati; 
| e ponendo u= 3r, d= 8f si ricava 


Di (2) e Ren ei 


ù ci 
i . Per i=1 l’ultima equazione diviene 


Dr, 


v= 3 — 
e sottraendo da questa la penultima si ottiene 


ut =d? — 9e?. 
“Si ha così anche allora un sistema identico al sistema (2). 
$ Dalla 1° equazione di questo sistema si ricava che v non può 
essere divisibile per 3, perchè se fosse, dovrebbe r esser primo 
con 3, e poichè 3 non è somma di due quadrati non potrebbe es- 
sere 0 = f2 + r?. Sono allora a due a due primi fra loro tanto 
e,ve3r come f, v ed r e per soddisfare alle (2) deve porsi 


Vv — fi = 2Ea?R?2 ® - fi —_ DE2d? 
v_-e= 25.90? v+ e = 2E82d? 


dove si ammette che f ed e abbiano segno conveniente, 4+ o —; 
e dove £ ha uno dei valori 0,1 e afBYò sono numeri interi a 2 
a 2 primi fra loro, dispari se &£=0. 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 675 
Segue 
20 = 2E(0?8? + 128%) = 25(9021° + ped) 
“onde 
a°(8" — 919) = d®(8" — 1°), B(a® — 0°) = 1°(9a® — 8°). 


Dei 4 numeri aByYò al più uno è pari: almeno una delle 
coppie a, è e 8, Y sarà quindi costituita di numeri dispari; siano 
tali B e Yr; 8* — 9r? e B®—? saranno allora divisibili per 8 e 
la prima delle ultime equazioni trovate dà 


8a = gp? — r? 8d? — p? — 9? 
onde 
9a? = B?° + d?. 


Siccome 8 e è non possono essere entrambi divisibili per 3, 
questa equazione è impossibile. La presenza di punti razionali 
accidentali è impossibile in una configurazione come quella del n. 11 
della Nota precedente. 


4. — Parimenti non possono i punti di una configurazione 8(5) 
essere tangenziali ciascuno di altri tre punti razionali. Invero, 
dalle osservazioni del n. 1 e dal n. 8 della Nota precedente ri- 
sulta che occorrerebbe perciò che fossero razionali le tre radici 
dell'equazione 


bay +2) +-y(y — 2) =0. 


Già nella Nota prec. si è osservato che sarà razionale una 


radice (e precisamente sarà la radice S a 2) quando 
a Led) 
pp +9) * 


Le due altre radici saranno allora date dall’equazione 
P(P + 9)y° — (p° — Pay — Ap- Pe =0 
il cui discriminante è 


(p° — 9°) (p? + 4pg — 9); 


676 BEPPO LEVI 


pegq si suppongono numeri interi primi fra loro: i due fattori 
sono allora primi fra loro oppure hanno a comune il fattor 4; 
in ogni caso il prodotto non potrà essere quadrato esatto se 
non è quadrato ciascuno di essi. Affinchè p? — 9g? sia quadrato 
deve essere 


p_q= 2%? p+q= 2îs° 
(£ = 0 vosll:Ss. primi Ira. lorgk 


Allora 


= 2E(r2? + s9) 2q=2E(s8° — r?) 4pq="2?&(st — r4) 
DA pg | 78 e 


Dovrebbe dunque esser quadrato esatto il trinomio st+r?s? —r* 
e che ciò non possa ottenersi fu già dimostrato nel n. 12 della 
Nota precedente. 


Ancora alcune considerazioni generali 
sulle configurazioni finite. 


5. — Trattando fin qui delle configurazioni finite di punti 
razionali d'una cubica a coefficienti razionali, si è fatto corri- 
spondere a ciascun valore del divisore # una configurazione che 
(a meno dell’eventualità di punti razionali che abbiam detti ac- 
cidentali, che è stata analizzata nei ni 12-15 della Nota 2 e nei 
numeri precedenti della presente) si può dire la configurazione 
minima corrispondente a quel divisore. Essa comprende i punti 


. . . . . . wW 
che derivano razionalmente dal punto di coordinata ellittica iv 


dove w è un conveniente periodo, e cioè tutti i punti di coor- 


dinata ellittica a 
) 


(p=1, mod. 3) (!). Altri punti razionali appar- 


tenenti a configurazioni finite corrispondenti allo stesso valore 
di t potrebbero bit: solo in quanto la loro coordinata 


ellittica fosse della forma 4, e (A = —-1.0 = 0, mod. 3) ovvero della 


(4) Cfr. Nota I, n° 10. 


i @ 
TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 677 


i w' È : di 
forma 5, dove w' è un nuovo periodo del parametro ellittico 


relativo alla cubica, avente a w rapporto complesso (!). 

Il secondo caso si riconduce immediatamente al primo: in- 
vero si è già osservato altre volte che, non potendo punti del 
ramo pari (ove esso esista) della cubica esser tangenziali di 
punti razionali, tutti i punti di una configurazione finita di 
punti razionali, fatta al più eccezione per le origini di rami 
arborescenti, debbono appartenere al ramo dispari; ma le coor- 
dinate ellittiche dei punti di tal ramo hanno tutte fra loro rap- 


A . < w n 
porto reale; se quindi non è reale WD) dovrà esserlo certamente, 
. . , . 2w' 3tw" 
per un conveniente valore del periodo w', il rapporto SIR. 


e t dovrà essere pari; cosicchè w' potrà differire da un numero 


della forma gw (?) solo per un numero della forma dt w'.. Se 


2 
allora g = 1 (mod. 3) non si avrà che il caso dei punti razionali 
or ora chiamati accidentali; se invece q=-—1 o =0 (mod. 3), il 


LEE ; E 
punto 4, si riattacca ugualmente come punto razionale accidentale 
TÀ 


\ . "e d!..s 
ad un'altra configurazione per cui il rapporto analogo a; è ra- 


zionale (intero = —1 o =0, mod. 3); qualche maggior preci- 
sione a questa osservazione risulterà dal seguito. 


6. — Se sopra una cubica a coefficienti razionali sono ra- 


zionali i punti di coordinate ellittiche e 1° 


TEATRO AITI A RE 


(4) Il rapporto, ove non sia complesso, potrà sempre supporsi intero, perchè 
m Mm. anse \ ° e 
se fosse w = — W (2 irreduttibile | esisterebbe un periodo w* tale che 
n \ 


w=nw*, w =mw* ed esisterebbero sulla cubica punti razionali di coordi- 
* w* 
nate ellittiche i "ur! è facile vedere che in tale ipotesi esistono due nu- 
meri interi A e u tali che \a+- pm = +1 (mod. 3t) e A\+-u=1 (mod. 8). Allora 
+w* (= (Am + um)w* 
pei 3t 
nalmente dedotto dai precedenti, e al periodo w dianzi considerato potrà 


la cubica possiede il punto razionale , mod. u) razio- 


sostituirsi il periodo + w*, il punto - deducendosi a sua volta razional- 


dt 


(*) Ove 4 può supporsi intero : cfr. (!). 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 48 


mente da 


678 BEPPO LEVI 


hu 
dt 
ove 4 è un intero qualunque, perchè sempre si potranno trovare 


due interi \ e u tali che \---ug=% e X+-u=1 (mod. 3) (1). 


(mod. 3) saranno razionali tutti i punti di coordinata ellittica 


. z . . w . 
In particolare saranno razionali i tre flessi — gol. Si as- 


w 

I 
soggetti allora la cubica ad una trasformazione birazionale qua- 
dratica (a coefficienti razionali) avente per punti base gli ulte- 
riori tre punti d’intersezione della cubica con una conica che la 


. . w . x 
tocchi nel punto w e passi pel punto — gi SÌ otterrà una 


nuova cubica a coefficienti razionali, sulla quale, al punto razio- 


- i SA hw ; S : 
nale di coordinata ellittica cora corrisponderà un. punto . razio- 


; ; SI hw w (3h +1)w 

nale di edine MECCA e na 
coordinata ellittica RT o) 

di punti razionali supposto nella cubica primitiva corrisponde 


così nella trasformata un sistema. di punti razionali, tutti razio- 


. AI sistema finito 


nalmente dedotti da uno di essi (di coordinata ‘; ed ilsistema 


w 
d% 
nuovo sarà poligonale semplice se tali erano i sistemi conside- 
rati nella cubica primitiva (o se si riducevano a. flessi isolati), 
poligonale misto se questi erano invece arborescenti o poligonali 
misti; ed in quest’ultimo caso i rami arborescenti del nuovo 
sistema saranno completamente analoghi a quelli dei sistemi 
primitivi, per numero di vertici e per forma della diramazione 
(cosicchè ciascun vertice di essi che non sia un’origine sarà 
tangenziale di 2 o di 4 punti razionali secondochè così avviene 
pei sistemi primitivi). 


7. — Reciprocamente, se sopra una cubica a coefficienti 
razionali esisterà un sistema finito di punti razionali, corrispon- 
dente a un divisore # multiplo di 8 — cosicchè, posto t = 8#', 
la coordinata ellittica di un punto del sistema da cui gli altri 


wW bo” 
7 — basterà assog- 


si deducano razionalmente si potrà scrivere 9; 


(') Basterà prendere A=4, u=0 se X=1 (mod. 3), se X\=%—g, p=1, 
se A=gq (mod. 3), \=%— 29, u=2 se 4+g=—1 (mod. 8). Il potersi 
soddisfare a queste congruenze è condizione necessaria e sufficiente perchè 


hw wW qw 
SÌ 


il punto 34 derivi razionalmente dai punti cvLINErTO (cfr. Nota I, n. 10). 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 679 


gettare tal cubica ad una trasformazione birazionale quadratica 
a coefficienti razionali avente per punti base le ulteriori inter- 
sezioni di essa con una conica tritangente alla cubica nel 


w . 
punto };; per ottenere una nuova cubica sulla quale a questo 
punto corrisponde un flesso razionale e sulla quale sono razionali 
un MEER ì dz: 7 hw i, i Ha 
tutti i punti di coordinata ellittica gg” Ove h è un intero qualsiasi. 


E se nella cubica primitiva il sistema finito considerato verrà 
ad accrescersi per punti razionali accidentali, lo stesso avverrà 
pel sistema corrispondente nella cubica trasformata, e ogni punto 
di questo che non sia origine di un ramo arborescente o flesso 
sarà tangenziale di 4 punti razionali: i flessi, naturalmente, sa- 
ranno tangenziali di 3 soli punti razionali distinti da essi. 


8. — Le conclusioni dei ni 6 e 7 permettono ora di dare 
la massima precisione alle osservazioni finali del n. 5; se sopra 


. mè . « è» . . w 
una cubica a coefficienti razionali, insieme col punto razionale 2 


r 
w É , , : 
3 ovew'=qw + — w" (w' periodo a 


34 2 


rapporto complesso con w, t pari, g= — 1 0 0 mod. 3) saranno 


è pur razionale il punto 


razionali tutti i punti della cubica di coordinata ellittica Le, 


È L y SO) 2qw 
razionalmente dedotti dai punti a Ha 
quindi tutti quelli che non sono origini di rami arborescenti, 
saranno tangenziali di soli punti razionali (4 pei punti generici, 


3 pei flessi). 


e uno di essi, e 


9. — Lo studio delle configurazioni finite di punti razionali 
corrispondenti allo stesso valore di t che possono simultanea- 
mente presentarsi sopra una cubica è così ricondotto completa- 
mente allo studio delle configurazioni finite razionalmente dedotte 
da un unico punto (pel valore 3t del divisore del periodo). Si 
ottiene così: 

Per t= 1: la cubica può avere i 3 flessi reali, razionali; 
secondo le considerazioni dei ni 6 e 7 la configurazione corri- 
sponde a quella 8(3) del triangolo di tangenziali (Nota 3?, n. 1). 

Per t= 2: può una cubica avere i 3 flessi reali, razionali, 
ciascuno tangenziale di un punto razionale (estremo cioè di una 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 48* 


680 BEPPO LEVI 


configurazione 2(1)); la nuova configurazione è la trasformata 
secondo i ni 6, 7 della configurazione della Nota 3?, n. 7. 

Possono pure i tre flessi essere tangenziale ciascuno di 
3 punti razionali, tal configurazione corrispondendo a quella 
del n. 2, mediante la trasformazione dei n! 6, 7. 


Per t= 4: può una cubica avere i tre flessi reali, razionali 
ed estremi di tre configurazioni A(2); tal configurazione essendo 
la trasformata secondo i n' 6, 7 di quella del n. 11 della Nota 38. 
Ma, a causa del n. 3, questi tre rami arborescenti non possono 
più accrescersi coll’aggiunta di punti razionali accidentali. 


Per t= 8: l’analisi precedente non ci autorizza a conclu- 
dere intorno all'esistenza o meno di tre configurazioni 9(3) di 
punti razionali (cfr. Nota 32, n. 13). 


Per t= 3: trasformando secondo i ni 6 e 7 la configura- 
zione 8(9) di cui si è riconosciuta l’esistenza al n. 4 della Nota 8, si 
ottiene una configurazione di punti razionali costituita da due trian- 


goli di tangenziali (configurazioni 8(3)) li cui vertici hanno rispet- 


\ 


; : i Le w 210 4w w 2w 4w 
tivamente le coordinate ellittiche 9 * 0 9.090 aid) 


e dai tre flessi reali della cubica. Ogni congiungente un vertice 
dell’un triangolo con un vertice dell’altro taglia ulteriormente 
la cubica in un flesso. 


10. — Non s'è parlato in tutto quanto precede dell’even- 
tuale coesistenza sopra una stessa cubica di due sistemi finiti 
corrispondenti a valori diversi del divisore #: è appena da ac- 
cennare come questa omissione sia giustificata: Si supponga che 
sopra una cubica esistano due tali sistemi, e sia til m.c.d. dei 
detti valori di t, r ed s rispettivamente i due fattori non comuni, 
cosicchè le due configurazioni derivino rispettivamente dai punti 


. . . . wW . R . 
di coordinate ellittiche ser 353) SÌ può supporre distesa sulla 
() 2200) 

cubica la coordinata ellittica in modo che w e w' non siano 
tripli di periodi. Ripetendo un'osservazione del n. 5 segue allora 


tosto che w' differisce da un periodo della forma qw (9g intero (!) 


(') g può evidentemente supporsi intero, mediante una scelta conve- 
niente del denominatore 3t;s. 


i 


TEORIA ARITMETICA DELLE FORME CUBICHE TERNARIE 681 


avente comune con 3fs al più il fattore 2) per un numero della 


Itosw” 


forma (dove w'' indica un periodo — e #,s dovrebbe al- 


lora essere pari). In ogni caso alla seconda configurazione appar- 


terrà il punto — SA e quindi alla cubica apparterrà ogni 
i «sar As—2ugr 
punto di coordinata ellittica Lit ro " con X+p=1 (mod. 3). 


r ed s dovendo essere primi fra loro si può sempre supporre che 
s non sia pari; e se sì ammette di attribuire ad r, s un segno, 
si può ancora supporre 9g = 1 (mod. 3). Si può allora sempre sce- 
gliere \ e u in modo che As — ugr= + 1, col segno superiore, 
coll’ inferiore o con entrambi a seconda del resto di » — s 
rispetto al 3. Precisamente: sulla cubica sono allora razio- 
nali entrambi i punti na se rs (mod. 3), il punto A se 


wW 
BLA s 


r=s=1 (mod. 3), il punto ser=s=_—1 (mod. 3). Da 


+ +. +W E i ; ° ° + 
questi punti ,_, deriva una configurazione finita di cui le due 
0 D 


supposte sono parti; e nel primo caso si ha precisamente una 
delle configurazioni ricercate nei ni 6-9, nel secondo una delle 
configurazioni studiate nelle Note precedenti. 


11. — Richiamando ora la definizione del rango di una 
cubica data nella Nota 1%, n° 14 si ha: una cubica con un solo 
punto (flesso) razionale (Nota 2°, n. 6) ha rango 0; in ogni altro 
caso l’esistenza di una configurazione finita sopra una cubica im- 
pone una sola unità al rango della cubica, se la configurazione 
non possiede punti accidentali, impone due unità in quest’ultimo 
caso. La cubica ha, in quest’ultimo caso, birapporto razionale ; 
cosicchè si può ancora affermare che ogni cubica a birapporto 
irrazionale di rango >1, ed ogni cubica a birapporto razionale 
di rango >2 posseggono sempre infiniti punti razionali. 


L’Accademico Segretario 
LoRrENZO CAMERANO. 


682 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 15 Marzo 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D’OVIDIO 
PRESIDENTE DELL ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Manno, Direttore della Classe, CARLE, 
ALLIEVO, STAMPINI, Scorza e De Sanctis Segretario. — Scusa la 
sua assenza il Socio D’ERrcoLe. 

Viene approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente 
1° marzo 1908. 

Il Presidente comunica i telegrammi e le lettere di ringra- 
ziamento pervenutegli dai Professori RurHERFORD, VENTURI, 
MonceauUx e ScHanz per i premi Bressa, Gautieri e Vallauri ad 
essi conferiti. 


L’Accademico Segretario 
GAETANO DE SANCTIS. 


I E 


683 


CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 22 Marzo 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: NaccarI, Direttore della Classe, SAL- 
VADORI, SPEZIA, SeGrE, JADANZA, Foà, GuarEscHI, FILETI, 
Parona, MarTIROLO, MoRERA, GRASSI, SOMIGLIANA e CAMERANO 
Segretario. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

Il Presidente comunica le lettere di ringraziamento dei 
signori RurHERFoRD, VENTURI, MoncEAUX e ScHANZ per i premii 


 Bressa, Gautieri e Vallauri ad essi conferiti. 


Il Presidente comunica anche l’invito a prendere parte alle 


| onoranze che si tributeranno alla memoria del Generale Giovanni 


CAvALLI in occasione del centenario della sua nascita, fatte da 
apposito Comitato. — La Classe aderisce alle onoranze e in 
quanto alla forma delle onoranze stesse delega il Presidente del- 
l'Accademia a trattare col Presidente del Comitato. 

Presenta quindi i seguenti lavori pervenuti in omaggio alla 
Classe: dal Socio corrispondente prof. TARAMELLI tre opuscoli: 
1° Benedetto Corti; 2° Della utilizzazione dei laghi e dei piani 
lacustri di alta montagna per sopperire alle magre dei nostri fiumi; 
3° Notizie circa il pozzo artesiano di Bagnacavallo; dall’Ing. Tullio 


684 


ALLievo la pubblicazione intitolata: Le fibre tessili di applica- 
zione industriale. 

Il Socio SomieLiaNnA fa omaggio alla Classe del suo lavoro: 
Sui potenziali ritardati. 

Il Socio JADANZA presenta per l’ inserzione negli Atti una 
sua nota intitolata: I cannocchiale di Galilei adoperato come 


microscopio. 


Raccoltasi quindi la Classe in seduta privata procede alla 
elezione di un Socio delegato della Classe presso il Consiglio di 
Amministrazione dell’Accademia. Riesce eletto il Socio JADANZA. 


NICODEMO JADANZA — IL CANNOCCHIALE DI GALILEI, ECC. 685 


LETTURE 


Il Cannocchiale di Galilei adoperato come microscopio. 
Nota del Socio NICODEMO JADANZA. 


Se s’'immagina un mediocre cannocchiale di Galilei, per 
esempio uno dei due che compongono un comune binocolo da 
teatro, lo si può trasformare in modo da servire non solo a guar- 
dare diritti gli oggetti lontani, ma anche a guardare ingranditi 
oggetti piccoli che si trovassero a mediocre distanza dall’osser- 
vatore (a leggere il giornale, o a leggere scale divise a cui non 
convenga accostarsi). 

Per far ciò è sufficiente allungare il tubo oculare al di là 
di quanto conviene per la visione di oggetti distanti, in modo 
che la distanza tra la lente obbiettiva e la lente oculare diver- 
gente diventi sempre più grande. 

A rendere evidente quanto ora abbiamo detto valgono le 
tre figure qui annesse. 


Fig. 1. 


La fig. 1° rappresenta il cannocchiale di Galilei formato 
dalle due lenti M (obbiettivo), N (oculare divergente). F,*m rap- 
presenta la immagine di un oggetto all'infinito dato dalla lente M. 


686 NICODEMO JADANZA 


Costruendo la retta d'incidenza corrispondente alla retta di 
emergenza mn parallela all’asse, si otterrà nel punto in cui 
tale retta d'incidenza pq incontra l’asse del sistema il primo 
fuoco di esso. Il punto q d’intersezione delle due rette mn e pg 
determina il primo piano principale 9E e quindi il primo punto 
principale £ del sistema composto delle due lenti M ed N. Tale 
sistema è, come vedesi, divergente. 

La posizione del primo fuoco / mostra che un tale sistema 
non può servire da microscopio semplice. 


M 


a La 


M 


Fig. 2. 


La fig. 2* ottenuta dalla prima allontanando la lente di- 
vergente N dalla M in modo che il primo fuoco Y3 della lente N 
si trovi alla destra del secondo fuoco F,* della lente M mostra 
che questo nuovo sistema in cui la distanza A delle due lenti 
è minore della distanza @, della lente M è un teleobbiettivo. Co- 
struendo il primo fuoco del sistema composto, esso si trova 
in F davanti al sistema e davanti al suo primo punto princi- 
pale E. Esso è convergente e può servire come microscopio sem- 
plice ponendo un oggetto minuto alla destra del fuoco Y. Tale 
microscopio servirà ad ingrandire un oggetto che trovasi ad una 
certa distanza dall’osservatore. 

Siccome la distanza focale FE del teleobbiettivo è sempre 
maggiore della distanza focale E,F,* = ®, della lente obbiet- 
tiva M, così l'ingrandimento sarà sempre minore dell’ingrandi- 
mento che si otterrebbe adoperando come microscopio semplice 
la lente M. 


IL CANNOCCHIALE DI GALILEI ADOPERATO COME MICROSCOPIO 687 


Ma se come nella fig. 3* si allontana ancora la lente N 

dall’obbiettivo M in modo che si abbia A>q,, il nuovo sistema 

. delle due lenti avrà la distanza focale g<;; il suo primo fuoco 

_ ed il suo primo punto principale saranno sempre fuori del si- 
— stema da parte dell’obbiettivo, però più vicini ad esso. 


Fig. 3. 


In questo caso, il sistema composto delle lenti M ed N 

| servirà ancora come microscopio semplice che avrà un ingran- 

dimento maggiore di quello del caso precedente. L'oggetto dovrà 
trovarsi a destra di F. 

Così è giustificato quanto abbiamo detto fin da principio, 
cioè che allungando il tubo oculare di un binocolo si può ado- 
perarlo come microscopio semplice a distanza. 

Se, come è generalmente nei binocoli da teatro, i due can- 

 nocchiali sono rigidamente connessi tra loro, per molti individui 
succederà di vedere due immagini. Converrà perciò che i due 
cannocchiali possano avvicinarsi tra loro onde evitare tale in- 
conveniente. 

Un cannocchiale di Galilei che non abbia il tubo oculare 
scorrevole in più del consueto può anche diventare microscopio 


688° NICODEMO JADANZA — IL CANNOCCHIALE DI GALILEI, ECC. 


ponendo innanzi all’obbiettivo una semplice lente convergente 
di distanza focale adattata all’ingrandimento che si desidera. La 
ragione di questo sta in ciò che tale lente aggiunta insieme 
all’obbiettivo del cannocchiale costituisce un sistema composto 
di distanza focale minore di quella dell’obbiettivo semplice, sicchè 
il secondo fuoco del sistema dei due obbiettivi si avvicina alla 
lente M e quindi si ottiene l'allontanamento del primo fuoco 
dell’oculare divergente. 


Fig. 4. 


Ciò si vede nella fig. 4* nella quale le due lenti M ed N 
coi loro rispettivi fuochi Y,, Y*, F»*, Fs costituiscono un can- 
nocchiale di Galilei. 

Ponendo una lente convergente P davanti all’obbiettivo M, 
e costruendo il secondo fuoco del sistema composto (P, M), esso 
fuoco F* si trova, alla sinistra di N e quindi siamo ridotti al 
caso della fig. 32. 

Ognuno può assicurarsi di quanto diciamo mettendo un oc- 
chiale da presbite davanti agli obbiettivi di un binocolo comune. 


Torino, marzo 1908. 


L’Accademico Segretario 
LoRENZO CAMERANO. 


"Ara 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 29 Marzo 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Manvwo, Direttore della Classe, Rossi, 
CarLE, Brusa, ALLievo, CARUTTI, Pizzi, CHIRONI, StamPINI, D'ER- 
coLe, Bronpi. Srorza e De Sanctis, Segretario. 


Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, 
15 marzo 1908. 

Il Presidente comunica l’invito a prendere parte al Con- 
gresso internazionale per le scienze storiche che si terrà in 
Berlino nell’agosto 1908. Se nessuno dei Soci nazionali residenti 
o non residenti, potrà recarvisi, l'Accademia sì farà rappresen- 
tare da qualche suo Socio straniero o corrispondente. 

Si comunica pure la lettera di ringraziamento inviata dal 
Prof. Martino ScHanz della Università di Wirzburg pel premio 
Vallauri conferitogli. 

Il Socio Crironi presenta con parole di vivo elogio il vo- 
lume del Socio Rurrini, Le spese di culto delle Opere pie (Torino, 
Bocca, 1908), offerto in omaggio dall’Autore, e ne rileva la 
somma importanza. 


690 


Il Socio D’ErcoLe, anche a nome del Socio ALLIEvo, legge 
la relazione sulla memoria del Dott. Pietro EusEBIETTI, Elementi 
di fasiopsicologia. La Classe, approvata con votazione palese la 
relazione, che sarà inserita negli Atti, prende cognizione della 
Memoria e ne delibera con votazione segreta l’inserzione nelle 
Memorie accademiche. 

Per ultimo il Socio Brusa prende la parola per fare la se- 
guente comunicazione: 


. Il ricorso Nasi ieri discusso dinanzi alle Sezioni unite civili 
della Suprema Corte Romana, adite in base alla legge 31 marzo 
1877 detta dei conflitti di attribuzione, regolatrice delle compe- 
tenze fra giurisdizioni ordinarie e speciali, rende opportuno di 
chiarire i termini veri delle più importanti questioni cui il ri- 
corso ha dato motivo. 

Le stesse Sezioni unite civili avevano già dovuto dichiarare 
con sentenza 6 febbraio 1907, che il Senato costituito in Alta 
Corte di giustizia, pur essendo una giurisdizione speciale, non 
possa tuttavia ritenersi soggetto alla censura della Corte dei 
conflitti, atteso il carattere costituzionale sovrano del potere 
ch’esso esercita qui come giudice. Limitata, però, a dire soltanto 
se la Corte d’assise avesse a ragione respinto l'eccezione d’in- 
competenza dell’autorità giudiziaria a conoscere dei reati impu- 
tati al Nasi, reati che il Pubblico Ministero reputava ministe- 
riali e di competenza senatoria anzichè ordinaria, quella sentenza 
non potette pregiudicare l’attuale ricorso: ancorchè diretto alla 
stessa Corte dei conflitti, esso impugna la sentenza non più 
della giurisdizione ordinaria della Corte di assise, sibbene, e per 
eccesso di potere, nientemeno che quella dell’Alta Corte di 
giustizia. 

Ciò posto, la questione che prima si presenta in appoggio 
del ricorso Nasi, porta a chiedere se basti l’indole giurisdizionale 
del potere attribuito dallo Statuto all’Alta Corte senatoria, per 
farlo rientrare nell'ordinamento generale giudiziario, sia pure, 
com’esso è, comprensivo delle giurisdizioni speciali. 

Lo Statuto, pur facendo emanare, secondo la formula tra- 
dizionale, la giustizia dal Re, tutta quanta la giustizia senza 
distinzione di materia e di giudice, e pur prescrivendo che essa 


691 


sia amministrata in suo nome dai giudici ch'egli istituisce, e 
richiedendo inoltre la forma di legge per derogare all’organiz- 
zazione giudiziaria, come non dispone poi che i giudici dell'Alta 
Corte, benchè senatori e perciò nominati dal Re, siano istituiti 
dal Re stesso, e lo sono quindi direttamente invece dalla legge 
fondamentale del Regno, così neppure può dirsi che i giudici 
senatori faccian parte dell'ordine generale giudiziario, determi- 
nato e regolato dalle proprie leggi speciali. Ad essi pertanto 
non sono applicabili le norme comuni per la correzione delle 
sentenze delle altre giurisdizioni ordinarie o speciali, e speciali 
amministrative o anche militari. 

Più grave è l’altra questione: se, cioè, sia possibile sotto- 
porre al sindacato di un’ autorità giudiziaria, per quanto elevata 
com'è la Corte dei conflitti, la giurisdizione speciale statutaria 
creata per giudicare i ministri del Re accusati dalla Camera 
dei deputati per reati da loro commessi nell'esercizio del potere 
esecutivo. Per correggere le sentenze proferite in questi casi, 
può esistere una superiore giurisdizione? Non certo quella affi- 
data dalla legge a giudici istituiti e nominati dal Re, perchè il 
Re, capo irresponsabile del potere esecutivo, verrebbe a servirsi 
dei proprì giudici per giudicare delle cause penali dei proprì 
ministri responsabili — la cui responsabilità appunto copre la 
Corona — accusati dalla Camera elettiva e, al tempo stesso, me- 
nomerebbe così, anzi annullerebbe la prerogativa sovrana della 
Camera stessa. Quale altra potestà potrebbe dunque invocarsi? 
Il Re non ha giurisdizione; gli basta il diritto di grazia che gli 
proviene direttamente dalla Corona, e neppure ha in proprio 
quello di abolire l’azione penale con decreto di amnistia, perchè 
tale diritto gli è conferito dalla legge per delegazione. D'altro 
canto, il potere legislativo invaderebbe la funzione giudiziaria, 
se si arrogasse potestà giurisdizionale, sia pure per emendare 
illegalità incorse dal potere sovrano dell'Alta Corte senatoria 
di giustizia. Basta che le Camere legislative posseggano quella 
di giudicare dei titoli di nomina dei proprî membri, senza che 
vi s'aggiunga l’altra di sindacar le sentenze della Corte sena- 
toria, e, potrebbe dirsi, pur quella di censurare anche le accuse 
mosse contro i ministri responsabili traducendoli innanzi alla 
Corte stessa. 

Come nessuna possibilità esiste di annientare le accuse contro 


692 


i ministri responsabili, così nemmeno ha da ammettersi quella 
di annientare le sentenze pronunziate dal Senato giudice dei 
ministri stessi. Tutte le autorità supreme, tutti i poteri costi- 
tuzionali possono con i loro atti, con le loro deliberazioni, ca- 
dere in errori, anche manifesti e gravi, che solo la pubblica 
coscienza può riprovare, perchè nulla vi ha nel mondo che 
sfugga alla legge di relazione, ch'è legge e limite nel tempo e 
nello spazio. Resta sempre salvo il potere legislativo di far ciò 
che è della propria missione di provvedere, cioè, nella misura del 
possibile, a ordinare le funzioni pubbliche in modo da prevenire 
il ripetersi degli errori in avvenire. 


Relazione sulla Memoria del dott. P. EuseBIETTI sugli Elementi 
di Fasiopsicologia, presentata dai prof." ALLievo e D’Er- 
coLe nell’ adunanza del 16 febbraio 1908 alla Classe di 
Scienze morali, storiche e filologiche. 


I sottoscritti si pregiano di presentare alla Classe i predetti 
Elementi di Fasiopsicologia del Dottore in Filosofia Pietro EKu- 
SEBIETTI, ed esprimono il desiderio che essi vengano inseriti 
nelle Memorie dell’Accademia. 

L'EuseBIETTI è uno studente, che si è laureato nel passato 
ottobre con una Dissertazione consistente appunto in questi 
Elementi. Benchè ancor giovane, ha cominciato a dare saggio di 
notevole intelligenza e laboriosità già nel 1905 con un lavoro 
(di 47 pagine) sulla Coscienza di Giacomo Leopardi, lavoro, nel 
quale ei mostra buon gusto letterario ed estetico ed acume cri- 
tico nella comprensione e giudicazione della coscienza del Leo- 
pardi sì come poeta che come filosofo. 

Quanto all'elemento filosofico, che è il principale e diretto 
de’ suoi studii, l’EuseBIeTTI ne dette un ulteriore e miglior saggio 
in due altri lavoretti pubblicati nello scorso anno, l’uno col ti- 
tolo di Elementi di Didattica organica de’ mezzi didattici sensibili, 
l’altro con quello di Sviluppo storico della parola: elementi di filo- 
sofia del linguaggio. Questi due lavoretti, specialmente l’ultimo 
de’ due (che tratta dello sviluppo fonico e grafico, non che di 
quello funzionale, sintattico e semasiologico della parola), si muo- 
vono nella concezione ed elaborazione preparatoria di quella 
materia, che costituisce poi l’argomento del lavoro che i sotto- 
scritti presentano alla Classe. 


in ______ ceca i 


693 


Per incompiuti che possano essere questi due lavoretti, 
sopra tutto avuto riguardo ai titoli un po’ troppo ampii e troppo 
dottrinali per essi, la qual cosa può dirsi in parte anche di quello 
che si presenta all'Accademia, è però indubitato che in quelli 
ed in questo il giovine autore mostra la serietà de’ suoi studi, 
da una parte, cercando e pensando da più anni intorno alla ma- 
teria del linguaggio, dall'altra, sforzandosi di trattarla scienti- 
ficamente e sistematicamente. 

Venendo ora agli Elementi di Fasiopsicologia, la mira spe- 
ciale e diretta dell'autore è quella di studiare i fatti del lin- 
guaggio dal punto di vista psicologico propriamente detto, ossia 
di studiarli come prodotti psichici; il quale studio è da lui con- 
siderato come differente da quello che ne han fatto i glottologi. 
Questi, secondo lui, pur giovando allo studio psicologico, consi- 
derarono però il fenomeno del linguaggio in modo “ quasi del 
tutto indipendente dalla psiche umana , attribuendogli, a dir 
così, come una obbiettiva esistenza nelle stesse individualità 
subbiettive parlanti. 

Secondo l’autore le ricerche intorno al linguaggio furono 
più fruttuose, quando i ricercatori, “ abbandonando il concetto 
dell’esistenza obbiettiva delle lingue, le considerarono come un 
prodotto dell’umana psiche, e le studiarono quindi da un punto 
di vista psicologico ,. 

Per ciocchè concerne lo speciale punto di vista dell'autore 
in proposito, egli pensa che “ il linguaggio è una funzione es- 
senziale dello spirito ,, e, come tale, non è altro che “ un sistema 
di fenomeni prodotti da impulsi centrali e psichici ,. E ne de- 
duce come conseguenza che, se il linguaggio è un prodotto dello 
spirito, gli vanno “ applicati gli stessi principii che si applicano 
ai fenomeni dello spirito in genere ,. 

Questo è il punto di vista e la norma, secondo cui egli 
studia e determina i fatti e le leggi negli Elementi di Fasiopsi- 
cologia che si presentano all'Accademia. 

La materia di questi è considerata e svolta in tre capitoli, 
che trattano della Corrente psicofasica in genere, della Corrente 
fasica e della Corrente psichica. Quest'ultima, che sarebbe stato 
meglio di considerar come prima, è per l’autore la più impor- 


tante, siccome quella che determina la corrente del linguaggio, 


o corrente psicofasica. 


694 


Quanto alla denominazione della più importante corrente, 
di quella che ha appellata psichica in genere, gli va attribuita 
la lode, che egli ha creduto, e non a torto, di dare un più giusto 
nome a quella che il James, uno degl’importanti psicologi con- 
temporanei, chiama corrente del pensiere, per la ragione che essa 
è “ costituita di elementi della coscienza, che pur essendo co- 
scienti, non sono però tutti riducibili a fenomeni teoretici o 
pensieri ,. 

I sottoscritti non possono entrare certamente nella esposi- 
zione e particolareggiata giudicazione del lavoro, tanto più che, 
ad onta delle proporzioni piuttosto ristrette del medesimo, è pur 
considerata e trattata una quantità non piccola di materia e di 
problemi a questa relativi, specialmente per le due più impor- 
tanti correnti, la fasica e la psichica. Nella corrente fasica, per 
esempio, egli tratta di specifiche correnti, in cui essa, secondo 
i varii elementi che la costituiscono, si distingue, come le cor- 
renti fonetica, grafica, cinetica, endocinetica. Fra queste e dopo 
di queste parla di quella che egli appella corrente eido-fasica, 
che è “ costituita da elementi ideo-motori , e probabilmente (è 
sua supposizione) da fantasmi verbali, i quali essi stessi “ sieno 
immagini sintetiche , comprendenti alla lor volta come elementi 
costitutivi le immagini delle diverse correnti predette, e secondo 
la prevalenza di queste nella coscienza. Questo punto della cor- 
rente eido-fasica è uno de’ più notevoli e più interessanti da 
lui trattati e descritti. 

Nel trattare della corrente fasica agita e a modo suo ri- 
solve alcune quistioni psicologiche importanti, per esempio, quella 
“se i fantasmi uditivi esistono sempre nella nostra coscienza 
o vi si presentano soltanto quando vogliamo parlare ,. Ne con- 
sidera ed agita un’altra, quella dell’esistenza o non esistenza 
di un indeterminato psichico, che egli pensa e designa come 
“un polviscolo o nebbia psichica ,, che poi si distingue e de- 
termina, eccetera. 

I sottoscritti non potrebbero estendersi a mostrare se i suoi 
pensieri, e soluzioni di quistioni in proposito, sieno sempre ed in 
tutto veri. Ma essi vedono e rilevano in tali concezioni la mente 
pensante e speculante dell’autore. 

Per non andar per le lunghe, i due relatori sottoscritti no- 
tano ancora brevemente, che anche la materia trattata ed esposta 


iii 


695 


nell'ultimo capitolo della corrente psichica, è degna di attenzione. 
A questa corrente egli attribuisce tre funzioni. La prima è per 
l’autore una funzione psicologica costituente, “ nel senso che pro- 
duce, se non i materiali, almeno un gran numero di forme della 
‘vita interna ,. La seconda è ‘una funzione psicologica obbiettivante 
(della parola), in quanto “ è appunto per mezzo della parola che 
la vita interiore del singolo individuo (la quale altrimenti sa- 
rebbe impenetrabile) diventa obbiettiva, esteriore ,. Questa se- 
conda funzione piglia poi varie forme, per esempio, essa è si 
gnificante, se il contenuto psichico è obbiettivo ovvero logico 
ed intenzionale; è esprimente se il contenuto è uno stato della 
psiche stessa non ancora obbiettivato in uno stato psicologico. 
La terza è la funzione riproducente, se imita e riproduce sia un 
obbietto de’ sensi esterni, che un obbietto della fantasia. Fatta 
e determinata la predetta distinzione della funzione di significa 
zione, di espressione e di riproduzione del linguaggio, entra nelle 
particolarità della cosa, nelle quali particolarità son presi in 
considerazione, dal punto di vista del linguaggio, le più alte 
funzioni psicologiche come quelle di idea o concetto, giudizio e 
sillogismo. 

Non potrebbero i sottoscritti esser sempre ed in tutto di 
accordo nelle cose da lui pensate ed esposte, anzi potrebbero 
far delle osservazioni sopra non poche di esse ed additarvi delle 
lacune e delle affermazioni non sostenibili. Ma, ciò non ostante, 
essi non possono non lodare e pregiare la serietà, laboriosità e 
diligenza dell'autore nella concezione ed effettuazione del lavoro, 
e rilevare, per giunta, che egli nel corso di questo non solo 
mostra buona attitudine agli studi filosofici, specialmente psico- 
logici, ma che sovente ha anche vedute proprie da lui sostenute 
d'incontro a quelle di altri pensatori. 

Per le esposte considerazioni e ragioni i sottoscritti pro- 
pongono ai rispettabili colleghi della Classe che il lavoro esa- 
minato sia ammesso alla lettura. 


GrusePPE ALLIEVO. 
PasquaLe D’ErcoLE, relatore. 


L’Accademico Segretario 
Gaetano DE SANCTIS. 


Terino — Vixcenzo Bova, l'ipografo delle LL. MM. e RI. Principi. 


4 


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CLASSE i 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 5 Aprile 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANDREA NACCARI 


DIRETTORE DELLA CLASSE 


Sono presenti i Socii: SPEZIA, JADANZA, GUARESCHI; GUIDI, 
FrLeri, Parona, MarTIROLO e CameRANO Segretario. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

Il Socio SALvapoRI scusa la sua assenza. 

Il Presidente comunica l’avviso di concorso al premio di 
fondazione Arrigo-Forti pubblicato dal R. Istituto Veneto di 
scienze, lettere ed arti. 

Il Presidente presenta le opere seguenti pervenute in 
‘omaggio all'Accademia: dal Socio straniero E. HAEcKEL, 1° La 
lotta per l'evoluzione, 1% traduzione italiana; 2° Wanderbilder ; 
«dal Socio corrispondente Maurizio Cantor, Vorlesungen der 
Geschichte der Mathematik, 5° fasc. del 4° vol. 

Il Segretario presenta per l'inserzione negli Att? la nota 
del Socio corrispondente Paolo Pizzetti, intitolata: Sulla dimo- 
strazione di un teorema fondamentale nel calcolo delle probabilità. 

Ing. 0. ZanortI Branco, / concetti moderni sulla figura ma- 
tematica della Terra. Appunti per la storia della geodesia, Nota 8, 
«dal Socio JADANZA. 

Azione chimica del clorato potassico sulla pirite e sull’hauerite, 
del Socio SPEZIA. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 49 


698 PAOLO PIZZETTI 


LETTURE 


Sulla dimostrazione di un teorema fondamentale 


nel calcolo delle probabilità. 


Nota del Socio corrispondente PAOLO PIZZETTI. 


Il teorema di Gracomo BernovLLI intorno alla probabilità 
del risultato limite di un numero infinitamente grande di prove 
ripetute è generalmente dimostrato nei Trattati in un modo che 
non può considerarsi come abbastanza rigoroso. In questa Nota, 
senza scostarmi dai principi informativi delle consuete dimo- 
strazioni, ne modifico alquanto il procedimento analitico in guisa 
da renderlo libero da qualsiasi obbiezione. 


1. — Supponiamo che abbiano luogo s prove indipendenti, 
in ciascuna delle quali un avvenimento A abbia la probabilità 
costante p di presentarsi. Si chiami v il numero di volte che 
l'avvenimento si presenterà nelle s prove, e sia TT la probabilità 
che la differenza 


pes È 


sia, in valore assoluto, minore di una quantità positiva e; il teo- 
rema di Bernoulli può enunciarsi dicendo che: preso e piccolo a 
piacere, si può dare ad s un valore così grande che si abbia 
1—-IT<n, dove n è una quantità positiva piccola a piacere. 

Ovvero che: la probabilità che il rapporto v:s differisca da p 
di una quantità piccola a piacere, si approssima indefinitamente 
alla certezza col crescere infinito del numero delle prove. 


ld 
SULLA DIMOSTRAZIONE DI UN TEOREMA FONDAMENTALE, ECC. 699 


2. — Posto 
q=l_—-»p, Be=1_—-a, 


la probabilità che, in s prove, l'avvenimento A si presenti un 
numero di volte v = a, è 


s! 08 
agri PI: 


Questa probabilità è massima per 


a= ps + w 
(1) |w|<1. 
B=qgs— uu. 
La probabilità che il numero v sia compreso fra a—/ ed a +/ 
è quindi 
r=l 
(2) T=YP. 
dove 


A-raB—- 
“dd aa 0; at 


Sostituendo pei fattoriali l’espressione di Stirling 


n.,n 


ni = n'é V2rn et 


dove 
1 
(3) 0<F(n)< 12m 
B+w 
s 


. . . e A-W . 
e ponendo in luogo di p e q le espressioni gol che si 


deducono dalle (1), potremo scrivere 


(2) pi-%4.B.C.D. y a 
dove à 
=\ GA Tae do 
pe feefo. cor 


D= eRs-Re-r)-FiB+r), 


700 PAOLO PIZZETTI 


Osserviamo poi che per |2 <1 si ha 


i 
logi +) <1- 
ed anche 
(4) loglta=+e—T+E 
dove 
|a} 
IEl<5a-i) 
Avremo quindi : 
Piobesi ente 
MOSS |] pl 
e poichè 
[el=% a+ B=s, AI. (<= 
Ag Te 3 
(5) [log A|< CRANE 


Abbiamo poi, in forza della (4): 


logB=(a— 7) log(1 t 22 =r_-w—- eli + E 
dove 

ini = CAR 
(a-»)})a—r—[r—-w]{ B(a—2)(a-27—1) ‘ 


\E< 3 


D'altra parte 


(ew)? a: sr | __| =20wr4+ aw? + #3 | 
Xa-r) = 2a 2a(a— 7) ile 
ut atte i re 18 j 
2a(a—2) a—l | 2a(a—2) 
quindi 
(6) logB=r — WAS 
dove 
| | (7 DE DE he he il 
(6) SOS B(a—?7)(a—27—1) + 2a(a—1) ua pi SA 
6° 


MR i 
“6° (== 20250) PAR 


cave 


. 
SULLA DIMOSTRAZIONE DI UN TEOREMA FONDAMENTALE, ECC. 701 


Similmente 
(7) lg0=-—r+wu—-4 +6, 
dove | 
7 5 (2+1)? 1+1 
(7) leel< @=p@e=2zizn) tar 


E finalmente per la (3): 
1 1 
(8) ip 


Avremo dunque, sommando le (5), (6), (7), (8): 


rs "el î 
dove 
|\El<p 
essendo con p indicata la somma dei secondi membri delle (5), 


(6'), (7°), (8), ossia 


pot fa :3) Lt Lap 


all 


Î na 
5% DAL 1 Me ito 
“al (1+ o) iste 


B 


dea af 
Boo B 


1 1 1 
it 12(a=2) + 12(68—2)! 


La (9) può scriversi: 


Ne) nica 408 
= | RT) e 4 


Posto 
(11) e=r|/3 CE IV Sab” Ae = “I 


la formola (2) dà pertanto: 


702 PAOLO PIZZETTI 


Ricordando che | E|<p e che p è indipendente dall’indice r 
e quindi dal valore di x, avremo allora: 


(12) Be-P<T<Sé 


ove con S è indicata la somma 


Abbiamo poi, essendo la funzione e7?° decrescente al cre- 
scere di |x| 


Y 
“E: î DS Ù 2.Ax 
o< “9% e Ax — | e Calir e 
Vi ded TO Va 
0 
e quindi 
s, DARI A A 
S— — Cada | Si IR 
Va Jo Va 


Questa formola dimostra innanzi tutto che la S sì mantiene 
finita finchè si conserva tale la Ax. 
Di più, com'è facile verificare colla integrazione per parti : 


Sa Si 
0<1—- — e“ da< << ; 
Va 0 


Da questa e dalla (13) 


/ Fini 
|1 == Ke IS Lig 


D'altra parte dalla (12) si deduce che la differenza 
(14) S-M 
è minore, in valore assoluto, di (ef — e-P)S, poichè entrambi i 


due termini della differenza (14) sono compresi fra SeP e SeP. 
Quindi finalmente 


1-T=n 


dove 


(15) In 


"ie i 


| 
<BR Il uh cà ra) 


SULLA DIMOSTRAZIONE DI UN TEOREMA FONDAMENTALE, ECC. 703 


8. — Il simbolo TT esprime la probabilità che sia soddisfatta 
la doppia disuguaglianza 
a—<v<a +1, 
ovvero 


od anche che sia 
(16) _ p<e, 


3 . INAIL M7 w--! 
dove e è la maggiore delle due quantità È — I, | ue 
s | | 8 
Facciamo ora crescere s all’infinito e facciamo, corrispon- 
: È È è ol È 
dentemente, variare in guisa che i rapporti —, Ss tendano a 
E s 

: : : L : 3 : 

zero e in pari tempo il rapporto 7= assuma valori arbitraria- 
Ss * 


mente grandi. 
Ciò può ottenersi ponendo 


diean0 pi L= dr , 


dove « e bd sono quantità finite positive, © e ) sono numeri po- 
sitivi tali che 


Crescendo » indefinitamente si avrà : 


l 
Vs 


; 3 
lim È <A “ira 5 == nia 


Me 


Ammettiamo che nè l’una nè l’altra delle p e g sia infini- 
tamente piccola, in guisa che i rapporti a :s e B:s siano finiti; 
si avrà allora anche 


3 3 
lim -= lim L- = lim Lo =. di == 0 
a B a B 


lim e ="lim na SIOE) 
a VB 

col crescere infinito di s. Allora, col dare valori sufficientemente 

grandi ad », si potranno rendere piccole a piacere tanto la quan- 

tità p definita dalla (10), quanto la e che figura nella (16), quanto 


la |/_*_, e si renderà grande a piacere la quantità indicata 


704 PAOLO PIZZETTI — SULLA DIMOSTRAZIONE, ECC. 


con vY, la quale è dell’ordine di grandezza di l:Vs. Saranno così 
resi arbitrariamente piccoli i tre termini nel 2° membro della (15) 
e quello della (16); sicchè le differenze 


1--I, t- 


potranno entrambe rendersi piccole a piacere col crescere inde- 
finito del numero delle prove. 
Il teorema di Bernoulli è così dimostrato. 


Vota. — Nelle applicazioni del calcolo delle probabilità è 
comune l’uso delle tavole numeriche della funzione O(Y) per la 
valutazione approssimata della probabilità TT che, in un numero 
grande s di prove, l'avvenimento si presenti un numero di volte 
compreso fra ps —/ e ps + !. Si sostituisce, per questo, alla 
espressione esatta della TT la approssimata: 


dove 


Non è difficile dimostrare, sviluppando l’espressione di P, 
data dalla formola (2’), che l’errore che si commette in questo 
modo è, prossimamente, espresso da 


20 il 1 
E=- (e) (Ft 7) 
Per a = BR, in particolare, si ha: 
70 oi 
dada 45 (1) 


Così p. es. se s=5000, p=qg = È , l'errore dato dalla (17) 


sarebbe circa 
1 1 
200007 OM). 


Per Y==3 si ha O(Y)=1— 0,000023, sicchè l’errore ora 
menzionato è superiore alla differenza 1 — TT che interessa va- 
lutare. 

Se dunque il numero s non è effettivamente molto grande, 
l’uso della (17) per valutare delle probabilità molto prossime 
all’unità, dà risultati illusorti. 


OTTAVIO ZANOTTI BIANCO — 1 CONCETTI MODERNI, ECC. 705 


1 concetti moderni sulla figura matematica della Terra. 


Appunti per la storia della (Geodesia. 


Nota Ottava. 


La variazione della latitudine coll’altezza 
e la Figur der Erde di E. Bruns 


dell'Ing. OTTAVIO ZANOTTI BIANCO. 


p 


- 
Dopo aver studiato le superficie di livello, Bruns nella 
Figur der Erde s'accinge a studiare le traiettorie ortogonali 
di esse, ossia le linee di forza o verticali, che abbiamo definite 
nella nota settima. 

In questo svolgimento giovandosi di pochi teoremi sulla 
geometria delle curve storte e dei risultati ottenuti circa le 
superficie di livello, e prendendo come prima gli assi delle y 
nel piano tangente nell'origine alla superficie di livello, e quello 
positivo delle 2 nella direzione della gravità 9 in essa, Bruns 
dimostra le formole seguenti : 


dg dg _ 
3% —_ 3 = — 4m(k, — ko )senò cosò 
dg 109 Lig doo dg dad a : 1608? 
e n, RO 
cosp cosp SES . (senpg  seng\)_ 
i R er RE = _dn(k—ko )senò COSÒ; A Sen) =0. 


Nelle quali ds ed R sono rispettivamente l’elemento di arco 
della linea di forza passante per il punto P della superficie di 
livello ed in esso (e dx, dy, de le proiezioni di esso sui tre assi) 
ed R il raggio di curvatura di essa linea: g è l’azimut del 
raggio di curvatura, od, il che torna lo stesso, del piano del 


706 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


cerchio di curvatura, o piano osculatore. Queste quantità rela- 
tive alla linea di forza, in quanto essa appartiene allo spazio 7", 
sono designate, non altrimenti che nella nota settima, dalle 
stesse lettere affette da un indice. Bruns interpreta come segue 
le equazioni (G): 

“ Se un osservatore si muove con velocità uniforme lungo 
una linea di forza, le due ultime equazioni dimostrano che il 
suo zenit descrive in cielo una curva continua ; ma la direzione 
e la velocità di questo movimento dello zenit variano brusca- 
mente, non appena nel passaggio del limite di due strati di 
massa contigui la densità varia bruscamente, eccetto che nel 


. . . T ad 
caso particolare in cu è =0 ovvero = |. Le tre prime equa- 


zioni mostrano che nelle medesime presupposizioni, la gravità 
varia bensì in modo continuo, ma la velocità di questa variazione 


diviene, nei luoghi indicati, discontinua, tranne quando ò=> ni 


Intorno a questa trattazione di Bruns, HELMERT (Theorien 
der..., II, pag. 47) così scrive: 

“ Le linee di forza o verticali, in causa della variazione 
continua della direzione del filo a piombo sono incurvate in 
modo continuo, vedi $ 12, pag. 14; tuttavia la loro curvatura 
è, come si osservò, discontinua, e così che non soltanto la gran- 
dezza del raggio di curvatura ma anche la posizione del piano 
osculatore, può mutare di grandezze finite, quando il punto P 
si sposti lungo la linea verticale di tratti infinitamente piccoli 
(Vedasi al riguardo Bruns, Figur der Erde, pagg. 12, 13 e 20) ,. 
Questa è la chiusa del $ 26 del cap. I, che ha per argomento: 
Gravità e verticali nell'attraversare una superficie di discontinuità 
della densità; in esso è pur data la terza delle formole (G), che 
dà la variazione della velocità dg:ds (invece di s, Helmert ha %) 
nello spostarsi di un punto lungo la verticale. Di questa for- 
mola Helmert fa un'applicazione a calcolare come varii la gravità 
nell'interno della Terra; su di essa dovremo trattenerci alquanto 
e vi ritorneremo fra breve: ora terminiamo la rassegna del 
contenuto del $ 2 della Figur der Erde. Ivi è analizzato l’anda- 
mento della curvatura della superficie di livello e gioverà ripro- 
durre qui quel brano quasi per intero. 

“ Le superficie di livello della crosta terrestre sono gene- 
ralmente convesse verso il fuori, cioè p, pi, Pg sono positivi. 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 707 


Valori negativi di p sopra un geoide, avrebbero questa conse- 
guenza: in una tal regione, quello fra due punti che è più a nord 
o più ad occidente dell’altro, avrebbe la minore latitudine setten- 
trionale, o la minor longitudine occidentale. L'esperienza fino 
ad oggi acquisita dimostra che è estremamente improbabile che 
sopra un geoide si presentino estese regioni con curvatura nega- 
tiva, poichè allora accadrebbe ad esempio che la differenza fra 
l'ampiezza geodetica e quella astronomica di un arco, cioè la 
differenza fra le deviazioni delle verticali negli estremi dell’arco 
sarebbe maggiore di tutta l’ampiezza geodetica. Per un arco 
della lunghezza di un miglio geografico presupporrebbe una diffe- 
renza delle deviazioni della verticale di più di 4’, cioè devia- 
zioni della verticale di più di 2’. Per contro il presentarsi di 
curvature negative, si può, preventivamente almeno, riguardare 
come possibile, e nelle superficie di livello dell'interno in chiazze 
ristrettissime della Terra, tali concavità esistono sicuramente. 

“ Poichè la gravità in generale non raggiunge il suo mas- 
simo alla superficie della Terra, ma ad una certa profondità (*), 
così fino a questa profondità W,; è positivo ,. Bruns aveva tro- 
vato le relazioni: 


n A@OOo rr o _ 5 _SIeued ue r_r_e a 


e — Pr ya 


| 2gm= — Wi, Wa, e A°W=—4nk+2w2 (**). 
Da queste si ha: 
J 
| 2gm = — Wi, — Way = Was, — G2W=Wi3 + 4nk — Qu, 
Ora si ha: 
4 E 39v 
go TroK, donde 4n= Kr 


quindi sostituendo : 


"o if DE "gw? \ î ic X 
(E) ru=3 Wa + (3 x ) (Bruxs, p. 14, form. (G)), 


*) Fra breve ritorneremo sovra questa proposizione per tesserne l’istoria. 
**) Bruns adotta il segno AW invece del A?W per designare l’espres- 


A è: W ?W W' , ) sc 
sione Ta” POR: at di 5-; in Italia, dopo Betti, il simbolo AW è ge- 


dy? de 
: wW\? Me dg 7 
i neralmente usato per rappresentare l’espressione (37) SR (E) + (— 4 


i 


708 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


finchè W,,>0 anche m>0, ramlo PIgato = e quindi delle due 


2 
3 «ie . TW 
grandezze p; e ps certamente una è pieni La frazione —— es- 


Io 
sendo assai prossimamente eguale al rapporto della forza cen- 


trifuga alla gravità sotto 1’ equatore, Ù dini una frazione 


molto piccola e notevolmente minore di tranne quando il 


a si i 
punto considerato si trova nell’aria. Alla fn W,3 è assai 


n. quindi la frazione ‘ 
Ty . 199” 


Una convessità del geoide verso l’interno, cioè il caso di m<0, 
n>(0, è quindi estremamente improbabile, e quando una curva- 
tura principale è negativa, l’altra curvatura principale in com- 
penso sarà tanto più forte positivamente. Inversamente se m< 0, 
W;3 è sicuramente negativa, escludendo ancora il caso di un & 
molto piccolo. Siccome 


da vicino in media = - O quasi — 1 


na d3 97 5) dW, __ dg° “dg 
Wss det da T ded 


l'equazione (H) si potrà scrivere: 


la quale c'insegna che, almeno in teoria, la curvatura media 
di una superficie di livello si può subito calcolare non appena 
si conosca, oltre ’, la gravità e la sua variazione coll’altezza. 
L'ultima formola di Bruns è data anche dal Prof. Pizzetti nelle 
sue Lezioni già rammentate. 

In sul finire del $ 2 Bruns sì richiama alla prima delle sue 
formole (E) (le (E) della Nota Settima), od anche le (F) della 
nota stessa, cioè: 

To (7 -- 5) = fa a 9 sen?d cos'y, 
e scrive: 

“ Essa c’insegna che nel passaggio da un mezzo ad uno 
di esso meno denso la curvatura di ogni sezione normale di 
una superficie di livello, diminuisce bruscamente (in senso alge- 
brico). Da ciò e dalla continuità di questa curvatura nell’interno 
di ogni singolo strato di massa, se ne può fin d'ora dedurre 


o 


Po 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 709 


che un geoide nel suo estendersi attraverso alla crosta terrestre, 
nei luoghi di densità maggiore o minore, in confronto dell’ellis- 
 soide terrestre possiede, in generale, delle ondulazioni verso 
l'interno o verso l'esterno; però rimandiamo ai capitoli seguenti 
la rigorosa dimostrazione di questa proprietà del geoide ,. 


II. 


Veniamo ora all'applicazione fatta da Helmert della terza 
delle (G), cioè: 


mera do — 1 — _4m(ko—ko')cos®ò (Hohere Geod., II, p.49). 


Egli vuol trovare come varii la gravità nell'interno della 
Terra, percorrendo una verticale; a tal fine nell'ultima formola 
pone al luogo di 4r il valore che si ricava dal valore dell’ at- 
trazione nelle vicinanze della superficie fisica della Terra sferica, 


di raggio R, g= <a KR (la costante di Gauss essendo = 1), 


cioè 4mt = 39: KR. Rappresentiamo, secondo Helmert, con dh 
g __ dg dg' 
A dh 
Ako= ko — ko, supponendo ky >o, sarà: 


: d x 
l'elemento di verticale, e poniamo 4 -, e così 


dg 4 - BA I 


Po 2) ‘0s%de 
(a) dh pp pr POSTS 
e coi simboli di Helmert;: 
dg __ 83840, 9-9 
dh " Om R ge 


Procedendo dalla superficie verso l'alto, e chiamando Mla 
massa terrestre ed H l’altezza del punto che sj considera, si ha, 
con un’approssimazione ampiamerite sufficiente, all'altezza H: 

See 7 
IT RF+FHP 


Se ora designamo col simbolo (), la quantità presa verso 
l'alto a partire dalla superficie della terra e con (); quella rife- 
rentesi all’interno della Terra, avremo : 

i dg _'( dg È 2g 
(6) al VII i 7 300 


710 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Ora nel passaggio dall’aria ad una roccia orizzontale d=0, 
cosò= 1, e poichè AX, è assai prossimamente, in tale condizione, 
eguale alla densità della roccia %,, così addizionando membro a 
membro la (a) e la (5) avremo: 


: e! dol ST) 
di E )= R (2 KI 
707.7, MICA 
Osservando che 4 o ) è in questo caso 
0 | 
EP (aL) | dg \ 
SIA | hli dh i 


; ò . = 1 
“ Ma siccome #; in generale si può porre eguale ad > K, 


così questa formola prova che la variazione della velocità di g 
sotto alla superficie fisica della Terra, è soltanto circa la quarta 
parte del suo ammontare sopra quella superficie. In ogni caso 
però sotto la superficie fisica terrestre si verifica, fino ad una 
certa profondità, un aumento di g , (Vedi al riguardo cap. 6, $ 13). 

Più sopra vedemmo che anche Bruns accenna a questo 
aumento di g fino ad una data profondità. Vediamo l’istoria di 
questo fatto, come avverte HeLmeRt, spesso trascurato (Hohere 
Geodiisie, II, pag. 493). Ivi si legge il passo seguente : 

“ Ep. Scumipr, nel vol. I della sua opera (Geografia mate- 
matica e fisica, pag. 360, investiga il comportarsi della gravità 
nell'interno vicino alla superficie e trova parimenti un aumento, 
della cui esistenza non sempre si è tenuto conto ,. 

Fermiamoci un momento sopra questo fatto dell'aumento 
della gravità fino ad una certa profondità; intorno ad esso cre- 
diamo che il solo libro italiano, che ne tratti matematicamente, 
sia quello dell'autore di queste pagine: /{ Problema Meccanico 
della Figura della Terra, vol. dI, parte prima: qui ne tesseremo 
l’istoria. 

Nel 1775 il sig. De DoLomevu, pubblicò nel Journal de Phy- 
sique, 6, VII, 1775, un lavoro intitolato : Expériences sur la 
pesanteur des corps à différentes ditances du centre de la Terre, 
faites aux mines de Montrelay en Bretagne. Nel fascicolo seguente 
il sig. G. L. LE Sace pubblicava una nota intitolata: Expé- 
riences et vues sur l’intensité de la pesanteur dans l’intérieur de 
la Terre. 


tere A 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 71] 


Le esperienze di Dolomieu consistono in pesate grossolane 
alla bocca ed al fondo di pozzi di miniera : i loro risultati sono 
contradittorî, e nello scritto vi sono anche errori di teoria, e poco 
o nulla ha perduto il prof. Poynting nel non averlo letto (The 
Mean Density of the Earth, London, Griffin, 1894, pag. XIX). 

Il Le Sace, autore della seconda delle Memorie sopra citate, 
è l'inventore della spiegazione della gravità, a mezzo di cor- 
puscoli ultramondani, che ancora oggidi è la meno fantasiosa 
di quante ne furono proposte. Egli ne diede una prima esposi- 
zione nel suo Essai de Chimie Mécanique, premiato a Rouen e 
nel Mercure di maggio 1756. 

La citata Memoria di Le Sage è registrata nella bibliografia 
americana, e segnata coll’asterisco, il quale significa che essa 
non è stata vista dall'autore. Io pure l’ho inutilmente cercata 
nel volume citato. È curioso che la grande bibliografia scien- 
tifica della Società Reale di Londra non menzioni alcuno degli 
scritti di questo Le Sage, e neppure Wolf ne fa cenno nella sua 
bibliografia del pendolo, nè Boersch nella sua: quella nota è 
però registrata da Houzeau e Lancaster nel volume secondo 
della loro Bibliographie Astronomique (colonna 1164). 

Nel 1826 DroBIscH mostrò per il primo come dalla numera- 
zione delle oscillazioni di un pendolo alla superfice ed in un punto 
interno della crosta terrestre si potesse dedurre la densità media 
della Terra: De vera lunae Figura observationibus determinanda 
cet. annexa Appendice de interiori Terrae natura, Lipsia, 1826. 
Questa Memoria manca in varie bibliografie di questo argomento. 
Nello stesso anno, ed indipendentemente, G. Biddel Airy ebbe 
l’idea di determinare la densità media della Terra a mezzo di 
osservazioni del pendolo alla bocca ed al fondo di un profondo 
pozzo di miniera. Rimandiamo per questo metodo al volume se- 
condo della parte prima, pag. 145 e seguenti, del nostro lavoro 
intitolato il Problema Meccanico della Figura della Terra. Dopo 
le esperienze di Airy, Drobisch scrisse su di esse due altre nnte: 
Ueber die in den Minen von Dolcoath in Cornwall neuerlich an- 
gestellten Pendel Beobachtungen, nei Poggendorf Anpalen, vol. X, 
1827, pagg. 444-456 — Ausfiirlicher Bericht iiber mehrere in den 
Jahren 1825 und 1826 in den Minen von Dolcoath zur Bestim- 
mung der Mittleren Dichtigkeit der Erde angestellte Pendel-Ver- 
suche, nei Poggendorf Annalen, vol. XIV, 1828, pagg. 409-426. 


712 OLTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Le Memorie di Drobisch e le esperienze di Airy si fondano 
sulla proposizione che la gravità va crescendo nella crosta ter- 
restre fino ad una certa profondità, oltrepassata la quale, essa 
riprende la nota legge di diminuzione; di poi tutte le opere che 
trattano della determinazione della densità media della Terra, 
esponendo il metodo di Airy, dimostrano quella proposizione. 

Intorno ad essa, al luogo sopra citato, Schmidt svolse una 
ricerca teorica più minuta. 

In questi studi avemmo già occasione di occuparci della 
menzionata opera di Schmidt, il cui primo volume è datato 
Gottingen, 1829. Chiamando T la gravità nel punto della crosta 
terrestre che si considera, G la gravità alla superficie, \ il rap- 
porto della profondità al semidiametro terrestre, £, la densità 
superficiale della crosta terrestre, e trascurando i termini che 
sono proporzionali alla forza centrifuga ed allo schiacciamento, 
Schmidt trova 


[= G(1+ 2A) — 4nk,aX; 
a essendo il semiasse maggiore dell’ellissoide superficiale: egli 


suppone poi una legge della densità tale che sia XK = #,.1,815, 
quindi : 


M=G(1 +20 cos = At + ME 05) = TO 
=@ (iii); 


ben inteso fino a che X, cioè il rapporto della profondità del 
punto considerato sotto la superficie terrestre, sia dell'ordine 
della forza centrifuga, poichè su tale condizione è basata la 
trattazione di Schmidt. 

Sembra però che quella cognizione dell'aumento della gra- 
vità fino ad una certa profondità nella crosta terrestre, non 
fosse molto divulgata, poichè nel 1842 Saigey scriveva quanto 
segue (*): 

“ Dans "tous les ouvrages élémentaires de physique, on dit, 
“ et cette assertion est répétée par les professeurs en général, 


(*) Petite Physique du globe, 1842, vol. II, p. 185. 


- 
. 
E 


1 CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 713 


“ que la pesanteur va diminuant dans l’intérieur du globe, comme 
“ la distance au centre. Cela résulterait de ce que les couches 
“ extérieures au point que l’on considère, ne produisant plus 
“ sur ce point que des attractions qui s’entre-détruisent, on 
# doit seulement tenir compte des couches situées au-dessous 
“du méme point, lesquelles agissent comme si toute leur masse 
‘“ était condensée au centre de la terre. 
“ Ces deux propositions sont vraies, que les couches exté- 
“ rieures soient sphériques ou elliptiques, homogènes ou hétéro- 
“ gènes, si l’on fait abstraction de l’aplatissement des couches 
“ intérieures. Mais la conclusion qu'on en tire, savoir, que la 
“ pesanteur diminuerait comme la distance au centre, ne serait 
“ juste que dans le cas de l’homogéneité de la terre. 
“ Si la terre est formée de couches hétérogènes croissant 
“en densité de la surface au centre, la pesanteur diminuera 
“ dans un moindre rapport que la distance au point central ,. 
Saigey osserva poi che se la densità media è maggiore di 
una volta e mezza la densità alla superficie, come accade per 
. la terra, la gravità andrà aumentando fino ad una certa pro- 
. fondità, per diminuire in seguito fino al centro, ove essa è sempre 
nulla. Egli calcola quindi il quadro seguente, dal quale appare 
manifesta la verità della proposizione enunciata. 
al 


ff.aatT7jT! ">> 


Distanza dal centro Attrazione 
Il 1,0000 
0,9 1,0368 
| 0,84 1,0430 
0,8 1,0403 
0,7 1,0095 
i 0,6 0,9433 
0,5 0,8442 
) 0,4 0,6519 
0,3 0,5605 
0,2 0,3861 
| 0,1 0,1962 
i 0 0,0000 
î “ Ainsi (scrive Saigey, dopo il quadro) en prenant pour 


_“ unité la force d’attraction è la surface, cette force augmente 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 50 


> E 


714 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


“ de 43 millièmes, à une distance du centre égale aux 84 cen- 
“ tiemes du rayon. De cette valeur maximum elle décroit en- 
“ suite jusqu'au centre, en repassant par la méme valeur qu'à 
“la surface un peu au delà des 7 dixièmes du rayon ,. 
Helmert al luogo sopra citato trova che il massimo della 
gravità avviene ad una distanza dal centro eguale ad 82 cen- 
tesimi del raggio: risultato questo concordante intieramente 
con quello di Saigey, che Helmert non aveva certo presente, 
giacchè non lo cita. Helmert assume per legge della densità 


a \ ; a \ 
fc: p.| fi ra 1,04(4) + 0,275 (4) 
nella quale p ed a, p, ed @, sono rispettivamente la densità e 
la distanza dal centro nel punto della crosta terrestre che si 
considera, la densità al centro ed il raggio superficiale : anche 
Helmert trascura la forza centrifuga e lo schiacciamento, vale 
a dire suppone la Terra sferica e ferma. 

TisseranD, a pag. 244 del volume II della sua Mécanique 
Céleste tratta di questo argomento ed intitola il paragrafo Théo- 
rème de Saigey: egli adotta per legge delle densità quella di 
Roche, cioè 


p= pol1 —A;a?), con po = 10,10; Ah, = 0,764, 


che dà per densità alla superficie p, = 2,38, alquanto inferiore 
a quella di 2,5, generalmente adottata : e trova che il massimo 
della gravità avviene ad una profondità vicina al settimo del 
raggio, cioè ad una distanza dal centro di circa 0,86, cifra che. 
concorda con quelle di Helmert e Saigey. La gravità a quel 
punto è secondo Saigey 1,043 di quella alla superficie, secondo 
Helmert e Tisserand 1,05, numeri tutti, date le diverse leggi 
della densità, quasi coincidenti. 

Saigey poi calcolò la legge di variazione della gravità colla 
profondità, che detta questa % è 


9= 90 + 0,52773 a 9o 
indi scrive : 


“ Par exemple, si la pesanteur à la surface est de 9,81 
“ et la profondeur de 372 mètres (comme aux mines de Dolcoath, 


so © . © Ma o on 


I CONCETTI MUDERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 715 


“ lieu des observations de MM. Airy et Whewell citées au cha- 
“ pitre 98) — in realtà 96 —la variation de la pesanteur sera 
“ de 0,0003. Quant au pendule à secondes qui fait 86400 oscil- 


“ lations par jour è la surface, il en ferait 1 et o de plus à cette 


« profondeur de 372 mètres. On voit par là combien est erronée 
“ l’observation de ces deux savants anglais ,. Saigey che scri- 
veva nel 1842 doveva ciò affermare: nè le esperienze che Airy 
istitu. nel 1854 (vedasi al riguardo la nostra opera citata) con- 
dussero neppure ad un risultato attendibile, fornendo per la 
densità media terrestre il numero 6,809, di troppo superiore 
a quello di 5,6 che oggidì si deve ritenere come il meno inesatto. 

Le esperienze più recenti di Sterneck hanno confermato 
l'aumento della gravità, voluto dalla teoria, senza condurre a 
valori della densità media più attendibili di quelli di Airy. 

Saigey termina il capitolo nel quale tratta della gravità 
nella crosta terrestre considerando uno spessore piccolissimo (di 
100 metri) e insegna a tener conto delle disuguaglianze della 
superficie terrestre, esponendo in breve i concetti che informano 
il computo della diminuzione della gravità colla profondità. 


III. 


Schmidt adottò per le densità una legge che dà per la 
densità media XK, %, essendo quella superficiale, l’espressione 


K=-k;j 4814, 
e cioè fatto %, = 2,50 
K = 4,595 


cioè notevolmente inferiore al valore oggidì più attendibile. 
S. GiinrHER, a pag. 357 del suo Handbuch der Mathematischen 
Geographie, Stuttgart, 1890, aveva già ciò avvertito. Egli cita 
Helmert, ma non menziona Saigey. 

A p. 387 del volume, prima della sua geografia, Schmidt 
adotta per la densità superficiale terrestre il numero 2,642, il 
quale fornisce per la densità media, colla legge di Schmidt stesso, 
il valore 4,793. Schmidt scrive erroneamente 4,785: ad ogni 
modo sempre di molto inferiore al valore più attendibile 5,6. 


716 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


Ivi Giinther, dopo aver riferito il risultato di Helmert, 
scrive quanto segue: “ Di questo teorema WeEIrRRAUCH (Ueder 
die Zunahme der Schwere beim Eindringen in das Erdinnere, 
“ Repert. der Experimentalphysik ,, 1886, pag. 396) ha dato 
una dimostrazione estremamente semplice, nella quale non è 
lasciata da banda la possibilità che la variazione della densità 
entro la massa terrestre, non debba essere ovunque e sempre 
continua ,. Senza presupporre altro che i primi principî del- 
l’analisi superiore, l’autore giunge ad un risultato comprendente 
la proposizione di Helmert: egli dice cioè : “ Se entro una sfera 
costituita da gusci omogenei concentrîci, da una distanza dal 
centro (a + da) si passa alla distanza @ la gravità cresce o 
scema (9Y,= Ya + da) secondo che la densità dello strato attra- 
versato è maggiore o minore di due terzi della densità media. 
della sfera 


fuglS5i (8 


alla quale si giunge. Weihrauch trova che a seconda della legge 
che si adotta per la variazione della densità, la gravità nel- 
l’interno della Terra, al massimo prende un valore che è 1,055 
quello alla superficie — all'incirca il numero di Helmert — 
ovvero 1,038 ,. Quest'ultimo numero, quando colla solita appros- 
simazione ci si fermi alla seconda cifra dopo la virgola, coincide 
con quello trovato fin dal 1842 da Saigey, come appare dal 
quadro numerico sovra riferito. 

A pag. 188 del volume primo del suo Handbduch der Geo- 
physik, Stuttgart, 1897, Giinther menziona ancora i risultati di 
Helmert e Weihrauch. 

È curioso che Giinther attribuisca con tanta enfasi il teorema. 
sopra ricordato e la sua dimostrazione elementare a Weihrauch, 
mentre questa si trova in molti seritti anteriori a quello di 
Weihrauch, e l’enunciato si deduce immediatamente dalla se- 
guente equazione che in quella si ottiene 


di 2h Sh d 2h PONG 
gori prot 1-7) 


(*) Nel libro di Giinther la formola è scritta al rovescio dell’enunciato 
a parole, che è giusto. 


CI I TO, O JN N N” ‘""—_—"—rT_- — 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 717 


ove g, e 9g sono la gravità alla superficie e alla profondità 4, 
È essendo il raggio della sfera di densità A, mentre ò è quella 
dello strato di profondità 4%; dalla quale si ha subito, trascu- 


rando nello sviluppo le potenze di LI superiori alla prima, 


Siete) 


3 


dalla quale risulta che 9 =g9; quando d=-+ A, 4>gY, quando 
—_ e == ; 3 2 
ek. <gA=- ka 9<9, quando d=k,, >rb=7he 


Il nostro trattato sulla Figura della Terra al luogo citato 
notifica le fonti su questa trattazione. 


IV. 


Roche (*) ha trovato la formola seguente per 9, quando si 
prenda per unità il raggio terrestre, e ad una distanza a dal 
centro 


2 
g=1,92g91a (1 ca 25 a) 


di 


(*) Questo valoroso matematico, che ha lavori importantissimi sulla 
figura e costituzione della Terra, è sfortunato; tutte le bibliografie su quelle 
questioni sono intorno ai suoi lavori inesatte od incomplete: nell'elenco dei 
suoi scritti che segue, cercherò di essere il meno inesatto ed incompleto che 
sia possibile, limitandomi al soggetto che ci occupa. 

Mémoire sur la loi de densité à l’intérieur de la Terre, “© Académie des 
Sciences de Montpellier ,, 1848, citata da Tisseranp, Mécanique Céleste, II, 
p. 237. Assai probabilmente questa citazione di Tisserand è inesatta, e si 
tratta invece dello seritto di Roche, il cui titolo segue immediatamente 
quello. Noi abbiamo infatti inutilmente cercato al luogo indicato da Tis- 
serand il lavoro di Roche dal titolo scritto da Tisserand stesso. Le Memorie 
di Montpellier s’iniziano nel 1847 ed il volume primo, che porta la data 
1847-50, contiene un solo lavoro di Roche, intitolato: Mémoire sur la figure 
d'une masse fluide soumise à l’attraction d'un point éloigné; la prima parte 
del quale è nella parte del volume relativa all'anno 1849, p. 243, e la se- 


718 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


L'Annuaire du Bureau des Longitudes (1908) che adotta 
questa formola, dopo di essa, stampa quanto segue: 
“ D’après cette formule on voit que la pesanteur augmente 


x LD ® 7 x . 1 . 
jusqu'è une profondeur égale è environ + du rayon (il valore 


di Helmert circa). A cette distance, 9 surpasse 9, de sE en- 


: n 7 L 5 Il 
viron. A une profondeur égale è environ + du rayon on trouve 


sensiblement g= g9;. La pesanteur diminue ensuite jusqu'au centre 
où elle est nulle ,. 
Ora veniamo a dare, secondo Helmert, la dimostrazione 


conda in quella per l’anno 1850. I lavori di Roche su questo ‘argomento 
sono stati ben considerati da ResaL nelle due edizioni della sua Mécanique 
Celeste. 

Sur la loi de la densité à Vintérieur de la Terre, “ L’Institut ,, XVI, 
1848, 185 (Bibliographie Astronomique di Houzeau et Lancaster, lI, 615). 

Recherches sur la figure de la Terre, * Comptes-Rendus ,, Paris, XXVII, 
1848, 443 (Bibliography of Geodesy di Gore). 

Sur la figure de la Terre, È Mém. Académ. , (sic), 1848 (Bibliographie 
Géodésique de Boersch). 

Mémoire sur la variation de la pesanteur au-dessous de la surface de la 
Terre, “ Mémoires de 1’ Académie de Montpellier ,, II, 1854, 251 (Gore, 
Houzeau et Lancaster). 

Note sur la loi de la densité à l’intérieur de la Terre, “ Comptes-Rendus ,, 
Paris, XXXIX, 1854, 1215. 17 (Gore, Boersch, Houzeau et Calandreau). Wotr, 
nella sua Bibliographie du Pendule (“ Collection de Mémoires relatifs è la Phy- 
sique ,, tome IV, Paris, Gauthier-Villars, 1889, p. B 142) riferisce al vo- 
lume XXXIX, 1854, p. 1215, una nota intitolata Note sur la variation de la 
pesanteur à l’intérieur de la Terre ed aggiunge “ Mém. de l’Académie de 
Montpellier ,, 3, 1855, p. 107 — Discussion des expériences de M. Airy; e 
non registra alcun altro lavoro di Roche intorno alla Terra. Ma in quel 
titolo dell'ultimo lavoro si sono forse scambiate le parole densité e pesanteur, 
giacchè in quel volume, 3, 1855, p. 107, si ha il lavoro colla parola densite. 
Houzeau e Lancaster hanno per errore di stampa 1857, invece di 1855. 

Sur l’aplatissement terrestre et la distribution de la matière à l’intérieur 
du globe, “ Comptes-Rendus de l’Association Frangaise pour l’'avancement 
des Sciences ,, 1879, 187-90. 

Sur l’état intérieur du globe, “ Compt.-Rend ,, Paris, XCIII, 1881, 364, 65 
— “ Mémoires de Montpellier ,, 1880, 221-264 (Gore). — Di quest’ultima 
memoria non mi riuscì di trovare cenno nè nel © Bulletin Astronomique ,, 
nè nel “ Jahrbuch iiber die Fortschritte der Mathematik ,: questo non re- 
gistra nè anche la penultima. 


ur we —  —_—r—__—_ _0—— ———’_ o oo 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 719 


della sua legge di variazione della gravità nell'interno della 
Terra (HeLmERT, Theorieen, Il, pag. 492). 

L’attrazione di un guscio sferico infinitamente sottile di 
raggio « e di densità © sopra un punto esterno che disti di a' dal 
centro della sfera è dato dall’espressione 

si a?Oda. 

(Qui si suppone = 1 la costante dell’attrazione che in Hel- 
mert è —%?). Pertanto l’attrazione di una sfera di raggio a’ 
composta di strati, sopra un punto della sua superficie sarà 


bi 
— | a?Oda. 
a* Jo 


Il trascurare lo schiacciamento, trae di conseguenza il non 
tener contro della forza centrifuga; poichè inoltre l'attrazione 
di gusci sferici sopra punti interni dello spazio vuoto che rac- 
chiudono è nulla, così la precedente espressione corrisponde 
anche all’attrazione o gravità per un punto nell’interno di una 
sfera stratificata di raggio 40, e distante dal centro di a'=0. 

Chiamiamo ora ©, la densità al centro ed adottiamo per 
le densità la legge già riferita 


o=0.}1—1,04(4)+0,275(4){ 


allora si avrà sopprimendo l’apice ad «: 


Ig (I (e) 08 
(1) Gai — 4n0.a Ì 3 5) do i do 
a == 0 
La variazione con a di questa espressione è data da Pu il 


cui valore negativo si deduce dalla (1), ed è: 


_ go ii Sepa li (4)- ME (4) 
(2) da Se er 3 n, 5 \ao 7 \a}k 


Come si vede, per a =, esso è positivo, cioè, partendo 
dalla superficie ed andando verso l'interno la gravità cresce dap- 


720 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


prima. La (2) si annulla per a=0,82@, cioè, come già sap- 
piamo : l'aumento perdura fino ad una profondità di 0,18 del 
raggio terrestre, ove essa raggiunge il massimo (eguale a 1,05 90), 
ed a partire dalla quale diminuisce continuamente fino al centro. 

Alla superficie il valore del coefficiente differenziale di- 


; 0,579 
viene. — ——° 
a 


- esattamente eguale a quello che si ottiene dalla 
formola (c) della presente nota, ove si faccia 4, = 0; = 2,66 e 
quindi K = 2,36. Helmert poi avverte: “ Come si vede facil- 
mente, in realtà il coefficiente differenziale ha alla superficie va- 
lori molto diversi, dipendentemente dalla costituzione locale, dalla 
densità delle masse nei dintorni del luogo che si considera ,. 
Helmert passa quindi a trattare il problema della deter- 
minazione della densità media terrestre colla combinazione di 
osservazioni della gravità sulla superficie della Terra e sotto 
di essa. Teoricamente questa è la trattazione più completa del 
problema posto da Drotisch ed Airy, che io conosca. 
In alcuni libri di geografia fisica vien data come legge della 
densità di Helmert la formola 
(AG Re TT. 
©=11,6}1—1,12 (4) 40,96 (4) 
risultante dall’impiego di dati astronomici, ove alla superficie 
la densità sia 2,8, e quella media 5,6: ma prendendo alla su- 
perficie la densità eguale a 2,6 e quella media eguale a 5,6, 
Helmert trova 


= dI —(4)+ 0,23 (4). 


A pag. 487 del volume II della sua grande opera Helmert 
dà però come risultato finale, Endresultat, la legge da noi sovra 
riferita, e cioè 


0= 113 fe IRA (-1)+0,275 (4)1 


ed ottenendo per densità superficiale 2,66 e per schiacciamento 
1/298, valore quest’ultimo ben concordante con quello che egli 
ottenne dai dati astronomici, di 1:297,8 + 2,2, e con quelli 
ottenuti coi procedimenti geodetici e pendolari, quali appaiono 
nelle prime pagine della nota quinta di questa serie di studi. 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 721 


Mv: 


Ritorniamo ora alla Figur der Erde di Enrico Bruns, della 
quale siamo giunti al paragrafo 3, il contenuto del quale è da 
Bruns stesso così riassunto, nella già citata recensione del proprio 
scritto da lui stesso compilata. Il $ 8 ha per titolo Die Lothstò- 
rungen (letteralmente le perturbazioni della verticale). 

“Il $ 8 fornisce l’espressione approssimata (U) per la fun- 
zione delle forze, che nelle ricerche di questa natura viene accon- 
ciamente adoperata, al fine di giungere ad una precisa definizione 
delle perturbazioni della verticale ,. Questa definizione è data 
come segue al principiar del paragrafo : 

“ Le deviazioni di un geoide da un ellissoide si rivelano 
immediatamente manifestamente nelle differenze fra le coordi- 
nate astronomiche e le geodetiche, e fra le lunghezze del pen- 
dolo osservate e calcolate. Si raccolgono assieme tutti questi 
fenomeni sotto la designazione comune di “ perturbazioni della 
verticale , (LotAhstorungen) ,. 

Questa designazione ampia e generica non è stata conser- 
vata, o per meglio dire non è entrata nella geodesia; ma le 
due classi di fenomeni che essa comprende ebbero ciascuna una 
denominazione speciale. Giova soffermarci alquanto su queste 
definizioni per considerarle sia storicamente che teoricamente. 
(16 faremo, man mano che se ne presenterà l'occasione, nello 
studio della classica memoria di Bruns. 

In quanto diremo supporremo quanto segue: le forze che 
determinano il geoide, e cioè l'attrazione della massa terrestre 
e la forza centrifuga sono costanti ed invariabili nel tempo: ossia 
il geoide non subisce col tempo variazioni di sorta. Come è noto, 
questa è una supposizione assolutamente contraria al vero, ed 
a tutto rigore il geoide muta sua forma da istante a istante: 
ma ciò in proporzioni così ridotte, che, per una prima e non 
certo grossolana approssimazione, quelle deformazioni si possono 
trascurare e studiare separatamente (*). In questa supposizione 


(*) Rimandiamo il lettore desideroso di più ampie informazioni storiche 
su questo argomento ai seguenti scritti: Zanotti Branco OTTAVIO, Per la 
storia della teoria delle superficie geoidiche, “ Atti dell'Accademia delle Scienze 


722 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


la direzione della gravità teorica o normale al geoide si può 
supporre coincidente con quella della gravità fisica o reale (che è 
variabile col tempo) e fissa ed immutabile nel tempo; nel nostro 
discorso quindi, ove non si avverta il contrario, per verticale 
intenderemo la normale al geoide o ad un geoide, ove non si 
parli di una speciale superficie di livello 0 geordica. 

Avvertiamo ancora che le perturbazioni della verticale o del 
filo a piombo, definite più sopra con Bruns, non sono temporali, 
ma geometriche: e per di più convenzionali. 

L’espressione perturbazione della verticale implica di neces- 
sità il concetto di un termine di paragone, vale a ‘dire di una 
verticale normale rispetto alla quale la verticale determinata, 
fornita dall’osservazione, vien riconosciuta perturbata. Qual è 
la direzione normale della verticale ? Quale è per ogni luogo 
il valore normale della gravità rispetto al quale si possono 
constatare delle perturbazioni o, come oggidì si dice, delle ano- 
malie ? Come è facile il comprendere quella direzione normale, 
quella retta di riferimento venne sempre stabilita, consciamente 
o non, implicitamente od esplicitamente, in base ai concetti domi- 
nanti sulla figura della Terra. Finchè essa fu riguardata come 
sferica, non fu questione mai di perturbazioni statiche della 
verticale, la quale segnata geometricamente dal raggio della 
sfera in ogni punto e fisicamente dai gravi cadenti, passava per 


il punto 
Al qual si traggon d’ogni parte i pesi. 
Dante, Inferno, XXXIV, 110-11. 


Galileo intuì la deviazione dei gravi cadenti, prodotta dal 
moto di rotazione della Terra, cioè una perturbazione dinamica 
della verticale, perturbazione riferita naturalmente al raggio 
della Terra: sferica passante per il luogo d’osservazione, come 
direzione normale. 


di Torino ,, vol. XXXI, 1896 — Le livellazioni di precisione, Torino, 1892, 
nel periodico “ L’Ingegneria Civile ,, vol. XVIII — La variazione delle la- 
titudini, “ Cosmos di Guido Cora ,, serie II, yol. XI, fascicoli VIII e IX, To- 
rino, 1892-93; e “ Rivista di Topografia e Catasto ,, 13896; riprodotto nel 
libro Istorie di Mondi, Torino, Bocca, 1903, ove si trovano numerose indi- 
cazioni bibliografiche — Deviazioni della verticale in Italia, * Annuario Me- 
teorologico Italiano ,, anno V, 1890, Torino, Loescher, 1890. 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 723 


Dopo i lavori di Newton e Clairaut, la figura matematica 
della Terra, cioè la superficie libera del mare in riposo, venne 
considerata come quella di un'ellissoide di rivoluzione schiac- 
ciata ai poli. La presenza del rilievo della crosta terrestre, la 
costituzione di essa in quanto era nota suggerirono il concetto, 
che ove si riscontravano ondulazioni, cavità, rialzi, la verticale 
fisica segnata dal filo a piombo non poteva coincidere colla 
normale all’ellissoide che si assumeva quale rappresentante della 
figura della Terra. E poichè questo scostamento delle due dire- 
zioni veniva attribuito unicamente alle attrazioni variamente 
operanti dei rilievi della crosta terrestre circostanti al luogo 
d'osservazione, così a quello scostamento s’impose in sul bel 
principio il nome di attrazione locale, che conservò poi a lungo: 
ma che oggi è applicato con maggior proprietà a talune spe- 
ciali perturbazioni della gravità. In quell’opinione si calcolava 
l'attrazione locale prodotta da un monte col seguente concetto. 
Si supponeva che la direzione della verticale fornita dall’osser- 
vazione (determinazione di latitudine o longitudine) non coin- 
cidesse a cagione dell’attrazione del monte colla normale all’el- 
lissoide, e poi con misure e con supposizioni sulla densità del 
monte, si computava l’azione che esso doveva esercitare sul filo 
a piombo situato in una determinata posizione rispetto al monte, 
e la cui direzione era quella determinata astronomicamente, e 
cioè la verticale effettiva, fisica di esso punto. Si poteva quindi, 
a mezzo di quel computo, giungere a conoscere la direzione 
della normale all’ellissoide (verticale geodetica), ossia a cono- 
scere quale sarebbe stata — caeteris paribus — la direzione 
del filo a piombo se il monte non fosse esistito. 

Bouguer fu il primo ad istituire indagini sulle perturba- 
zioni della verticale, nel senso pur ora dichiarato di attrazione 
locale; esse sono riferite nella sezione settima della sua opera, 
della quale già ci occupammo nella Nota Seconda di questi studi. 
Questa sezione ha per titolo Détails des Expériences ou Obser- 
vations sur la gravitation, avec des remarques sur les causes de 
la Figure de la Terre. A questo riguardo così scrive ToDHUNTER 
(History, I, pag. 248). 

“ Nelle pagine 364... 394 abbiamo un resoconto delle osser- 
vazioni istituite da Bouguer e La Condamine al fine di deter- 
minare l’attrazione del Monte Chimborazo. Risultò prodursi una 


7124 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


deviazione di 7,5 nella posizione del filo a piombo; ma ciò 
era molto meno di quanto ci sì doveva aspettare. La montagna 
quindi deve contenere grandi cavità o comporsi di materia di 
densità relativamente piccola. Dal resoconto tuttavia appare che 
le osservazioni non erano adeguate a ricercare la soluzione del 
problema, e Bouguer neppure non pare affidarvisi di soverchio ,. 

A pag. 244, Todhunter ha a questo riguardo le linee se- 
guenti: “ La trigonometria sferica fu ora impiegata, a quanto 
pare per la prima volta, nei calcoli geodetici; Bouguer si attri- 
buisce questo miglioramento , : e cita gli scritti di Bouguer ove 
ciò è dichiarato. 

“ A Bouguer si deve anche l’idea d’istituire osservazioni 
al fine di determinare l’attrazione del Monte Chimborazo. La Con- 
damine contribuì con un valido suggerimento alla operazione 
pratica ,. Supplément au Journal Historique du voyage à l'équa- 
teur et au livre de la mesure des trois premiers degrés du Méridien, 
servant de réponse aux objections de M. R. “ Seconde Partie ,, 
Paris, 1754, pagg. 222, xxvui, oltre il Titolo, 1’ Avvertimento, 
l’Approvazione, e due pagine di errata a precedenti scritti di 
La Condamine. 

Il sig. Bigourdan nel suo lavoro citato già in principio 
della Nota Seconda analizza pure quel Supplément, ma non ha 
cenno della contribuzione di La Condamine alle ricerche sulla 
attrazione del Chimborazo, menzionata da Todhunter. 

Circa i lavori di Bouguer sull’attrazione il sig. Bigourdan, 
scrive quanto riporteremo più avanti; prima ne occorre fare 
una breve avvertenza. 

Sur Diverses Mesures d’ares de Méridien faites dans la pre- 
mière moitié du XVIII siècle. Tale è il titolo del lavoro del 
signor Bigourdan, che è contenuto nei volumi XVII, XIX e XX 
del Bulletin Astronomique. A pag. 38 del volume XX (1903) si 
legge quanto segue : 

“ Voici maintenant le jugement de Delambre sur le travail 
“ scientifique et sur la querelle qui en fut la suite: on verra 
“ que sa sympathie le porte vers La Condamine, ainsi qu'il est 
“ arrivé plus tard è M. Todhunter , (History, I, pag. 243). 

Questo giudizio di Delambre — analisi critica, come la 
chiama Bigourdan — è ricavato da un’opera inedita di Delambre 
medesimo intitolata Grandeur et Figure de la Terre, a comporre 


CA 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 725 


la quale Delambre si valse di documenti oggi dispersi (Bulletin 
Astronomique, vol. XVII, 1901, pag. 320). 


Ed ora ecco l'apprezzamento di Delambre sui lavori di 


Bouguer intorno all’attrazione delle montagne (Bulletin Astrono- 
mique, XX, 1903, pag. 75 e seguenti). 


®» 


® 


x 


“ La vue des montagnes du Pérou fit naitre l’idée que leur 
attraction ne devait pas étre insensible à de petites distances. 
Bouguer estime que le Chimborazo a plus de 20.000.000.000 de 
toises cubiques; cette solidité n'est que la 7.400.000.000%= partie 
du globe, et l’effet de l’attraction serait encore absolument 
insensible, si l'on n’'avait égard qu’aux seules quantités de 
matières. Mais comme on peut se placer è 1700” ou 1800” du 
centre de gravité de la montagne, c’est-à-dire à 1900 fois 
moins de distance que du centre de la Terre, cette proximité 
peut augmenter l’effet environ 3.600.000 fois, en sorte qu'il 
ne soit plus que 2000 fois moindre que celui qui peut étre 
produit par la gravitation. Or la montagne agissant comme 1 
et la Terre comme 2000, la direction de la pesanteur doit étre 
sensiblement détournée vers la montagne; cet écart de la 
verticale sera de 1'43". 

“ Après avoir examiné différents moyens plus ou moins pro- 
pres è constater cet effet, il en revient au plus simple de tous, 
celui de se placer successivement au nord et au sud de la 
montagne, et à observer dans les deux stations les distances 
des mémes étoiles au zénith. Si l’on n’observait qu’@une seule 
étoile à chaque station, il faudrait connaître avec la dernière 
exactitude l’instrument dont on se servirait; il est un moyen 
plus avantageux, c'est de prendre la hauteur méridienne d’un 
nombre égal d'étoiles vers le nord et vers le sud. Pourvu 
que l’état de l’instrument ne change pas entre les observations, 
il importe peu qu'il change d'un jour à l’autre: si l’instru- 
ment fait paraître plus grande la hauteur des étoiles qui sont 
d’un còté du zénith, il produira l’effet contraire pour les étoiles 
qui seront de l’autre còté ; le changement dans l’instrument 
n’influera que sur la somme des hauteurs ou de leurs com- 
pléments ; l’attraction, au contraire, qui ne changera rien dans 
la somme, altérera seulement les différences ; il sera toujours 
facile de déméler ces deux différentes causes, sans qu'il soit 


“ jamais possible d’attribuer à l’une ce qui appartient è l’autre; 


726 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO 


“K 


il n'y aura simplement qu'à examiner si les différences des 


‘ hauteurs méridiennes prises vers le nord ou vers le sud sont 


‘ les mémes dans les deux stations, ou si elles sont sujettes 


à une seconde différence. Il faut seulement remarquer que, 
les hauteurs étant augmentées d'un còté et diminuées de l’autre, 


“ c'est la moitié de cette seconde différence qui marque l’effet 


_ 
SS 


» 


‘ physique de l’attraction. Il démontre ensuite que les forces 


relatives sont en chaque endroit comme le produit de la 
quantité dont cet endroit est plus au nord ou au sud que le 
centre, par le cube de la distance de l’autre station à ce méme 
centre : c'est donc selon le rapport de ces deux produits qu'il 


‘ faut partager l’effet de l’attraction, lorsqu'il est doublé. Si les 


deux stations étaient toutes deux au nord ou toutes deux au 


‘ sud, et que l’attraction ne fut pas insensible dans la plus 


éloignée, alors, au lieu de la quantité absolue, on aura seule- 


‘ ment la quantité dont elle est plus grande dans un endroit 


que dans l’autre. 

“ On suppose dans tout ceci que les montagnes sont solides 
et n'ont aucune cavité: or il n’en est pas ainsi; la plupart 
de ces montagnes sont vulcaniques; on peut se tromper sur 
la masse qu'on leur suppose; ainsi, quand l’observation ne 


‘ manifesterait aucune attraction sensible, il n'en faudrait rien 


conclure, sinon que sans doute la montagne est creuse. Si, 
au contraire, l’attraction se manifeste une fois, quand elle 
serait plus faible que l’attraction calculée, cette attraction 
sera démontrée; seulement on pourrait ignorer la véritable 
valeur. Tout considéré et convenablement réduit, il trouve 
pour l’excès moyen 1’19 du còté du nord, 1’ 34" du còté 
du sud. 

“ La différence est 15’, et l’effet de l’attraction est 7,5, 
quantité que par d’autres considérations, il porte è 8" en 


l’augmentant de - : 


“Il faut avouer, dit-il, que cet effet est bien different de celui 
auquel nous pouvions nous attendre. Mais nous scavons si peu quelle 
est la densité de la Terre; et d’un autre còté celle des montagnes 
peut étre sì differente de celle que nous leur attribuons, qu'il n'y 
a pas lieu de s’étonner de rien... Chimboraco peut contenir quel- 
ques concavités, mais cependant on ne peut supposer qu'il soît creux 


I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 727 


«comme Cotopari.... C'est beaucoup peu de supposer son volume 
« diminué de moitié par les concavités qu'elle peut avoir, et il s'en- 
“ suivra, que, malgré ses banes de rochers vifs, elle sera encore six 
“ou sept fois moins compacte que notre globe. Après tout, il n'Y 
“a rien en cela qui y répugne. 

“ Il se livre ensuite à des réflexions générales sur la figure 
“ de la Terre et les termine par ces lignes: 

«“ Si elle (La Terre) avoit été originairement un assemblage 
“« confus de matières entassées les unes sur les autres, et de matières 
aussi denses que solides, nous ne connaissons aucune cause seconde 
qui eît été capable, nous ne disons pas simplement de mettre la 
« distribution nécessaire entre les différentes densités, mais d’abattre 
“ les angles de ce tas informe et de donner au sphéroide la figure 
“ précise et réqulière que nous savons qu'il a ,. 

Più avanti Delambre scrive (Bulletin Astronomique, XX, 
1903, pag. 287): 

“ Ici se borneront nos critiques. Nous applaudirons très 
“ sincorement aux recherches de Bouguer sur l’attraction des 
“ montagnes, sans étre bien sfrs des résultats obtenus avec un 
“ instrument très médiocre ,. 

Noi pure limiteremo qui le nostre notizie su Bouguer; la 
storia delle sue dispute con La Condamine è fatta, al pari di 
quella della misura dell’arco del Perù, e non intendiamo indu- 
giarvici ulteriormente ; essendo esse estranee allo scopo che ci 
proponemmo. 


728 GIORGIO SPEZIA 


Azione chimica 
del clorato potassico sulla pirite e sull'hauerite. 


Nota del Socio GIORGIO SPEZIA. 


In un'esperienza di minerogenesi, da eseguirsi per via umida 
ed a temperatura ordinaria, mi bisognava avere, senza far uso 
di un reagente acido, la lenta formazione di acido solforico, la 
quale potesse paragonarsi alla reazione che in tempo assai più 
lungo avviene in natura per l'ossidazione della pirite. 

Perciò cercando un energico ossidante che, senza avere 
proprietà acida, agisse sulla pirite per via umida ed a tem- 
peratura ordinaria, mi venne in mente che forse potesse servire 
il clorato potassico ; tanto più che le esperienze di Rivot, Beu- 
dant e Daguin (1) dimostrarono come facilmente si ossidino 
i solfuri metallici posti in soluzioni di idrati alcalini, nelle quali 
si faccia reagire il cloro. Quindi feci delle ricerche bibliografiche 
sia nel campo chimico che in quello mineralogico, per avere 
maggiori notizie sul modo di comportarsi della pirite col elorato 
potassico; ma nulla trovai a proposito. 

La pirite fu da parecchi sperimentatori cimentata con vari 
reagenti per scopi diversi. Per es.: Becke (2) nel suo interes- 
sante studio sulle figure di corrosione della pirite, adoperò l’acido 
nitrico, l’acqua regia, e gli idrati di sodio e potassio in solu- 
zioni concentrate e a caldo; Doelter (3) nelle sue ricerche sul 
diverso modo di comportarsi fra la pirite e la marcassite adoperò 
la soluzione di solfuro sodico; Lemberg (4) trattò la pirite con 
soluzioni alcaline di bromo e con soluzioni di solfato d’argento ; 


(1) “ Annales des mines ,, 5* serie, vol. IV, pag. 246. 

(2) “ Tschermak's min. pet. Mitt. ,, N.F., vol. VIII, pag. 239. 
(3) ‘£ Neues Jahr. f. Min. u. Geol. ,, 1894, II vol., pag. 273. 
(4) 


4) £ Zeitschrift der deut. geol. Gesellschaft ,, vol. 46, pag. 7. 


TI 


AZIONE CHIMICA DEL CLORATO POTASSICO SULLA PIRITE, ECc. 729 


Brown (1) adoperò le soluzioni di solfato di rame ad alta tem- 
peratura ed in tubi chiusi; e Ozegow (2) studiò l’azione del- 
l'acqua ossigenata sulla pirite e trovò che essa è totalmente 
ossidata dando luogo a solfato ferrico e acido solforico libero. 
L'uso dell’acqua ossigenata sarebbe certamente il miglior rea- 
gente, perchè rappresenterebbe meglio l’ossidazione naturale 
della pirite; ma l'impiego di essa non mi parve conveniente in 
quelle esperienze, nelle quali si adoperano minerali ridotti in 
polvere; perchè questi pel loro stato polverulento potrebbero 
esercitare un’azione decomponente sull'acqua ossigenata facen- 
dole perdere l'ossigeno prima che questo abbia tempo di agire. 
Forse si potrebbe evitare tale difetto facendo le esperienze in 
resistenti recipienti con chiusura ermetica. 

Ad ogni modo, considerando che la bibliografia da me con- 
sultata non mi diede a conoscere alcun studio riflettente la 
reazione fra il clorato potassico e la pirite, credetti opportuno 
d'intraprendere alcune esperienze in proposito, i cui risultati 
se non presenteranno novità, serviranno a confermare quelli 
che altri avesse ottenuti e che sarebbero sfuggiti alle mie ricerche 
bibliografiche. 

Sebbene lo scopo principale delle mie indagini fosse di stu- 
diare la reazione per via umida a temperatura ordinaria fra 
il clorato potassico e la pirite, tuttavia estesi le ricerche, pre- 
mettendo anche alcuni saggi di reazione per via secca; inoltre 
ho creduto utile di confrontare gli effetti delle due specie di 
reazione con quelli che si ottengono facendo reagire il clorato 
potassico sia col solfo sia colla stibina; ed aggiunsi poi le rea- 
zioni che si hanno con altri bisolfuri, come la marcassite e 
l'hauerite. 

Nelle esperienze per via secca ho preparato due miscele 
di polvere finissima di pirite e di clorato potassico: una in 
proporzione per ossidare un atomo di solfo della pirite e. l’altra 
per ossidarne i due atomi. 

In entrambi i casi avvicinando un fuscello di legno incan- 
descente avveniva un'esplosione identica a quella che si ottiene 
colla polvere pirica, e lo stesso effetto esplosivo si aveva toc- 


(1) © Groth's Zeit. f. Krystallographie ,, vol. 26, pag. 528. 
(2) © Neues Jahrbuch f. Min. u. Geol. ,, 1905, pag. 11. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 51 


730 GIORGIO SPEZIA 


cando la miscela con un bastoncino di vetro umettato di acido 
solforico concentrato. 

Invece le miscele di solfo e quelle di stibina nelle volute 
proporzioni col clorato potassico danno, sia coll’accensione di- 
retta che coll’acido solforico, una rapidissima combustione, la 
quale se si volesse anche chiamare esplosione, sarebbe sempre 
meno istantanea di quella della miscela di pirite. 

La miscela di pirite e clorato potassico detona pure come le 
altre sia per percussione sia per sfregamento inun mortaio d’agata. 

Noto poi che da altre esperienze eseguite per via secca 
colle miscele di ciorato potassico e pirite, risulta come non sia 
necessario, per la reazione esplosiva, che i detti composti chi- 
mici siano fra loro in proporzione fissa. L'esplosione avviene 
sempre, sia con l'accensione diretta sia coll’acido solforico, qua- 
lunque sieno le proporzioni della miscela, purchè esse sieno fra 
i limiti richiesti per l'ossidazione di un atomo o dei due atomi 
di solfo della pirite. Se invece la quantità di clorato potassico 
è inferiore a quella richiesta per l'ossidazione di un atomo o 
superiore a quella necessaria per l'ossidazione dei due atomi di 
solfo, avviene soltanto una combustione che si propaga più o 
meno lentamente nella massa della miscela. 

In complesso il comportamento per via secca della miscela 
fatta colla pirite è analogo a quello delle miscele fatte col solfo 
e colla stibina, ma con reazione più istantanea. 

Assai differente invece è il comportamento per via umida. 

Ponendo una miscela piritosa, sia con proprietà esplosiva, 
sia con eccedenza di clorato potassico, in un tubo da saggio 
con un poco d’acqua e riscaldando gradatamente in modo da 
osservare con un termometro posto nel tubo l'aumento della 
temperatura, si vede che a 75° comincia una reazione vivissima 
la quale, togliendo il tubo dalla sorgente calorifica, continua 
da sè con innalzamento di temperatura sino all’ebullizione del 
liquido; e poco tempo dopo che si è iniziata la viva reazione, 
il vapore acqueo, che si svolge, possiede un odore che ricorda 
il cloro. 

Il liquido diventa man mano giallognolo e si forma anche 
un deposito giallastro, poi la viva reazione cessa. 

Filtrato il liquido, che ha forte reazione acida, e trattato 
con cloruro di bario, si ha un grande precipitato di solfato di bario. 


AZIONE CHIMICA DEL CLORATO POTASSICO SULLA PIRITE, ECC. 731 


L’interpretare quale reazione chimica avvenga è difficile, 
perchè essa deve essere molto complicata. La più facile spiega- 
zione sarebbe di attribuire la presenza dell’acido solforico indi- 
cata dal solfato di bario, per la maggior parte al solfato fer- 
roso o ferrico ed il resto ad acido solforico libero. Ma l’odore 
di cloro complica la questione e bisogna supporre che alla tem- 
peratura della viva reazione, l'acido solforico libero man mano 
che si forma o reagisca su parte del clorato potassico non an- 
cora decomposto producendo forse del biossido di cloro, ovvero 
reagisca sul cloruro potassico che deve formarsi per la decom- 
posizione del clorato. Ad ogni modo cedo volentieri la risolu- 
zione del problema ai chimici. 

Ma se tale è la reazione che avviene a caldo per via umida 
fra il clorato potassico e la pirite, ben diversamente si com- 
portano il solfo e la stibina; le relative miscele di questi col 
clorato potassico non diedero segno alcuno della reazione viva 
data dalla pirite, anche se riscaldate alla temperatura di 100°, 
e soltanto dopo essere state mantenute a tale temperatura per 
alquanto tempo, il loro liquido filtrato presentava un leggeris- 
simo intorbidamento col cloruro di bario. 

La viva reazione prodottasi a caldo fra la pirite ed il clorato 
potassico mi lasciò sperare che questo reagente potesse avere 
qualche azione anche a bassa temperatura sostituendo il tempo 
al calore, e ne feci quindi le relative esperienze, tanto più che 
il risultato di esse costituiva lo scopo principale delle mie 
indagini. 

Una prima esperienza fu di lasciare la miscela piritosa con 
acqua in un tubo d’assaggio per 24 ore alla temperatura del- 
l’ambiente e trovai che il liquido assumeva lentamente prima 
una tinta verdognola e poi passava al giallognolo, e, trascorso 
il tempo suddetto, filtrato il liquido questo forniva un intenso 
precipitato col cloruro di bario. 

In seguito ho ripetuto l’esperienza per stabilire quantita- 
tivamente l’effetto ottenuto. 

Ad una miscela di 2 grammi di clorato potassico e gr. 2,036 
di pirite aggiunsi 30 grammi di acqua, e la lasciai per 21 ore 
alla temperatura da 15 a 16°, avendo l’avvertenza di scuotere 
qualche volta il recipiente per rimescolare la sostanza. 

Dopo tale tempo filtrai il liquido e cercai la quantità di 


732 GIORGIO SPEZIA 


solfo e di ferro ; trovai gr. 0,075 di solfo e 0,082 di ferro, ossia 
in complesso nel liquido vi erano gr. 0,157 di sostanza tolta 
alla pirite. Il liquido aveva forte reazione acida, perciò si può 
supporre che in esso vi fosse acido solforico libero e solfato 
di ferro sia di protossido e forse più di sesquiossido, pel colore 
giallognolo che aveva il liquido. In questa reazione per via 
umida a bassa temperatura non sentii alcun odore di cloro come 
in quella eseguita a caldo. 

Io non feci ora speciali ricerche in proposito per studiare 
quantitativamente i vari prodotti della reazione e mi limitai 
di potere stabilire, essendo tale lo scopo delle mie indagini, 
che anche alla temperatura da 15 a 16° e per via umida il 
clorato potassico agisce sulla pirite. 

Analoghe esperienze alla stessa temperatura ed in egual 
tempo ho eseguito con miscele di solfo e di stibina col clorato 
potassico; e nel liquido il cloruro di bario dava un intorbida- 
mento più leggero che nella loro reazione a caldo. 

Ritenendo poi interessante qualche confronto con altri bisol- 
furi, scelsi la marcassite, che stabilisce il dimorfismo del bisolfuro 
di ferro, e l’hauerite, che può ritenersi isomorfa colla pirite, se 
non si considera il carattere della sfaldatura; e scelsi il bisol- 
furo di manganese in mancanza di un bisolfuro o di nichelio 
o di cobalto, i quali non furono sino ad ora trovati in natura, 
e che per il paragone sarebbero stati meglio adatti per l’ana- 
logia chimica che i detti metalli, molto più che il manganese, 
presentano col ferro. 

La marcassite col clorato potassico si comporta, sia per 
via secca che per via umida, come la pirite, coll’unica differenza 
che per via umida la miscela, fatta con eguali proporzioni usate 
nell’esperienza colla pirite, dà luogo alla viva reazione alla tem- 
peratura di 70° invece di 75°. | 

Riguardo all’hauerite feci qualche saggio adoperando al- 
cuni cristalli di Raddusa dei quali potevo disporre. E ho trovato 
che l’hauerite col clorato potassico nella miscela a secco si com- 
porta come la pirite, anzi l'esplosione pare più violenta; ma per 
via umida presenta il fatto curioso che nella miscela anche riscal- 
data a 100° non avviene alcuna viva reazione, ossia 1’ hauerite 
si comporta come il solfo e la stibina. 

Sulla pirite ho fatto anche un piccolo saggio per conoscere 


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Seli nia cm 4 de 


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AZIONE CHIMICA DEL CLORATO POTASSICO SULLA PIRITE, ECC. 733 


le figure di corrosione prodotte dall'azione del clorato potassico. 
Ho mantenuto per alcune ore alla temperatura di 90°, in una 
soluzione concentrata di clorato potassico, un cubo di pirite, 
e trovai che per corrosione sulle facce erano comparsi assai 
visibili al microscopio dei pentagonododecaedri colla consueta 
orientazione corrispondente a quella del cubo. Ma non feci altre 
prove ritenendo che non si troverebbe nulla da aggiungere 
agli interessanti risultati ottenuti dal F. Becke nelle sue nu- 
merose ricerche sulle figure di corrosione della pirite. 

Riassumendo, i risultati delle esperienze sovraesposte danno 
luogo ad alcune considerazioni. 

Le differenze di comportamento fra le miscele di clorato 
potassico e pirite da quelle fatte col solfo lasciano ammettere 
che il solfo combinato nella pirite abbia proprietà ditferenti da 
quelle che ha il solfo elementare. E credo che facendo uno 
studio chimico più esteso sopra i vari stadi di reazione per 
via umida fra il clorato potassico e la pirite si potrebbe forse 
avere maggior luce sulla costituzione della pirite e stabilire 
almeno quale sarebbe la più razionale fra le varie formole di 
costituzione suggerite per la pirite da Brown, Weinschenk, 
Locska e Groth. 

Un'altra considerazione pure di ordine chimico sarebbe che 
la velocità di reazione nella pirite prodotta dal clorato potassico 
per via umida ed alla temperatura di 75°, non sarebbe dovuta 
soltanto all’essere la pirite un bisolfuro, perchè l’hauerite, che 
è isomorfa, pure posta in eguali circostanze non dà segno di 
reazione. Importante poi è il fatto che l’hauerite sebbene sia 
assai più resistente della pirite all’azione per via umida del 
clorato potassico, tuttavia essa perde solfo per riscaldamento 
a temperatura molto minore della pirite ed è anche, come è noto, 
molto più decomponibile della pirite per azione dell'acido clo- 
ridrico. 

A riguardo dell’azione del calore per cui i bisolfuri pirite 
ed hauerite perdono parte del loro solfo, io, non avendo trovato 
dati relativi alla temperatura alla quale, fuori del contatto del- 
l’aria, comincia da essi a sublimare il solfo, ne feci un'esperienza. 

I due minerali ridotti in polvere furono posti in due tubetti 
di vetro, i quali io collocai nello stesso ambiente di riscalda- 
mento, di cui un termometro segnava l'aumento di temperatura. 


734 GIORGIO SPEZIA — AZIONE CHIMICA DEL CLORATO, ECC. 


Nel tubo dell’hauerite compariva già alla temperatura di 170° 
un tenue sublimato di solfo; invece nel tubo della pirite si 
formò una leggerissima velatura di sublimato soltanto quando 
la temperatura ascese a 350° e fu mantenuta a tale grado per 
15 minuti. A quest’ultimo grado di temperatura nel tubo del- 
l’hauerite si era sublimato molto solfo e la polvere aveva per- 
duto il suo caratteristico colore rosso mattone, assumendo il 
colore verde, il quale è proprio del monosolfuro di manganese. 
Per l’hauerite ho ripetuto l’esperienza con un piccolo ottaedro 
di color bruno e di 4 millimetri di lato ; esso fu pure trasfor- 
mato in monosolfuro, mutandosi il colore all’esterno da bruno 
in verde, e, rotto il cristallo, il colore verde di tutto l'interno 
dimostrò la completa trasformazione. 

Dall’esperienza risulta quindi che l’hauerite non soltanto 
perde solfo a temperatura molto minore della pirite, ma che 
essa da bisolfuro si riduce a monosolfuro per la semplice azione 
del calore; mentre la pirite, come è noto dalle esperienze di 
Rammelsberg, per detta causa si trasforma soltanto in un com- 
posto corrispondente alla pirrotina, e per mutare la pirite in 
monosolfuro bisogna riscaldarla in una corrente d’idrogeno. 

Io spero che le poche esperienze indicate in questo scritto 
potranno suggerire a chi possiede molti cristalli di hauerite di 
meglio studiare il differente comportamento chimico dei due 
bisolfuri isomorfi pirite ed hauerite, e la sua relazione colle 
individuali proprietà chimiche del ferro e del manganese nelle 
loro combinazioni col solfo. 


L’Accademico Segretario 
LoRENZO CAMERANO. 


755 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 12 Aprile 1908. 


PRESIDENZA DEL PROF. FRANCESCO ROSSI 


SOCIO ANZIANO 


Sono presenti i Soci: Grar, Brusa, ReNIER, CHIRONI, RuF- 
FINI, STAMPINI, BRONDI, Srorza e De SancrIS, Segretario. — È giu- 
stificata l'assenza del Presidente D’Ovipio, del Vice-Presidente 
BoseLLIi e del Socio Manwo, Direttore della Classe. 

Viene approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, 
29 marzo 1908. 

Il Socio RurrINI presenta le seguenti opere offerte in omaggio 
all'Accademia dal Prof. Luigi ErvAaupI e dal Dr. Giuseppe PraTO: 

ErnaupI, Studi di economia e finanza, Roma-Torino, 1907; 
Le entrate pubbliche dello Stato sabaudo nei bilanci e nei conti dei 
tesorieri durante la guerra di successione spagnuola, Torino, 1908; 
La finanza sabauda all’ aprirsi del secolo XVIII e durante la 
guerra di successione spagnuola, Torino, 1908: 

Prato, Censimento e popolazione in Piemonte nei sec, XVI, 
XVII, XVIII, Roma, 1906; Rassegne statistiche ed economiche, 
Torino, 1908; Il costo della guerra di successione spagnuola e le 
spese pubbliche in Piemonte dal 1700 al 1713, Torino, 1907. 

Il Socio RurrInI rileva come questi scritti, in cui una pro- 
fonda conoscenza delle discipline economiche è unita al maggior 
rigore del metodo storico, costituiscono un contributo impor- 


736 


tantissimo alla storia della finanza piemontese. Egli si esprime 


nei termini seguenti: 


I lavori del Prof. Luigi Einaudi e del Dr. Giuseppe Prato, 
che per gradito incarico ricevutone dagli egregi Autori io ho 
l’onore di offrire alla Accademia, lavori varii assai di contenuto, 
di indole e di mole, testimoniano però tutti del più felice con- 
nubio, in chi li scrisse, di attitudini per solito le più dispa- 
rate; e sono da una parte la conoscenza, anzi la padronanza 
piena di tutte le discipline economico-sociali e in particolare 
la più consumata perizia dei fenomeni e dei sistemi finanziarii, 
e da un’altra parte il profondo senso storico e l'attitudine spic- 
catissima alle indagini documentarie e, infine, il rispetto più 
scrupoloso dei metodi della storiografia moderna. 

E un bellissimo e proprio confortevole esempio danno i 
principali di questi lavori di una collaborazione intesa nel modo 
più ragionevole e più fruttuoso e insieme più simpatico; e cioè 
di una collaborazione, la quale, nulla togliendo all'opera dei pregi 
della iniziativa e dell’impronta e della responsabilità indivi- 
duale, le conferisce però il vantaggio rilevantissimo degli sforzi 
bene coordinati ad un intento comune, difficilmente raggiungi- 
bile con le fatiche di una persona sola. 

Cotesti lavori, che dissi principali, e che certo sono i più 
meritevoli di riguardo da parte della Accademia, toccano alla 
storia finanziaria del Piemonte. 

Felicissimo e veramente illuminato pensiero, di cui la re- 
gione nostra non gli potrà mai essere abbastanza grata, fu 
quello di Luigi Luzzati, che, quale Ministro del Tesoro, pro- 
mosse con il R. Decreto 10 ottobre 1904 la pubblicazione dei 
Documenti finanziari degli Stati della Monarchia piemontese, stan- 
ziando per essa un cospicuo fondo. Poichè, pur prescindendo dai 
dati di un pregio inestimabile che la raccolta da lui iniziata 
fornirà, quando sarà compiuta, alla scienza finanziaria insieme 
e alla storia del Piemonte, alla sua iniziativa dobbiamo di già 
non solamente il ponderoso e poderosissimo volume dell’Einaudi 
su La Finanza sabauda all’ aprirsi del secolo XVIII e durante 
la guerra di successione spagnuola, ma ancora, per filiazione sia 
pure solo indiretta e mediata, anche i due altri bei volumi, 
l'uno dell’Einaudi su Le entrate pubbliche dello Stato sabaudo nei 


E TAN 


} 


Le 


757 


bilanci e nei conti dei tesorieri durante la guerra di successione 
spagnuola, e l’altro del Prato su / costo della guerra di succes- 
sione spagnuola e le spese pubbliche in Piemonte dal 1700 al 1713. 
Di fatti, compito precipuo prefisso alla raccolta, ordinata con 
quel R. Decreto, era quello di mettere in luce i bilanci, gli 
spogli ed i conti dello Stato sabaudo e di illustrarli con lo 
studio degli ordinamenti amministrativi, economici e finanziarii 
del tempo, a cominciare dall'anno 1717; e cioè dall'anno che 
furono pubblicati i celebri regolamenti per il governo economico 
delle aziende della monarchia, i quali segnarono sui sistemi 
finanziari antecedenti un progresso così notevole che può dirsi 
sia stato anche decisivo e quasi definitivo, tanto che a quegli 
ordinamenti si riattaccano direttamente i documenti contabili 
dell’Italia unita. 

Se non che, come ognuno intende, la vera portata delle 
novità del 1717 non si sarebbe potuta con esattezza misurare 
se non dopo segnato, sia pure solo sommariamente, il punto 
di partenza: cioè, se non dopo chiarito in genere l’imperfettis- 
simo stato della pubblica contabilità nel periodo ‘anteriore a 
tale anno, risalendo almeno fino ai primi di quel secolo. Il qual 
termine di indagine, diremo così retrospettiva, si palesava op- 
portuno e sufficiente e quasi ovvio massimamente perciò, che 
cadendo in esso e la guerra di Successione spagnuola e la fa- 
mosa battaglia di Torino e quell’altro complesso di avvenimenti 
gravissimi per lo Stato sabaudo, che a quei due grandi fatti 
ed episodî si ricollegano, esso ci fa vedere l’estremo sforzo, a 
cui il sistema finanziario antico sia stato sottoposto, e mette a 
nudo quelle manchevolezze sue, a riparare le quali intesero ap- 
punto le riforme più sopra dette. 

A che per altro cotesto compito accessorio o meglio pre- 
paratotio, degnissimo tuttavia già di per se stesso di studio 
profondo ed accurato, non avesse forzatamente a rinserrarsi nei 
confini troppo angusti di una introduzione e magari di un vo- 
lume introduttivo, intervennero provvidi gli eventi e più prov- 
vida ancora di essi una offerta della &. Deputazione sovra gli 
studi di storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, la 
quale, intesa a celebrare con una pubblicazione monumentale il 
bicentenario della liberazione di Torino, ricorrente appunto in 
quel torno di tempo, chiamava a pubblicare i documenti e ad 


738 


illustrare gli avvenimenti finanziari ed economici di quel periodo 
fortunoso e glorioso gli stessi due studiosi, a cui era già stata 
commessa l’altra maggiore incombenza, traente la sua origine 
dal R. Decreto del 1904. 

È così che ebbero vita i due volumi relativi al periodo 
della guerra di Successione spagnuola, di cui s'è fatto cenno 
più sopra. Volumi fra di loro coordinati e concatenati secondo 
un piano veramente savio di lavoro. All’Einaudi il trattato 
delle entrate; al Prato quello delle spese durante il medesimo 
periodo storico. Al primo cioè il compito di trattare “ della con- 
tabilità pubblica al principio del settecento, presentando, elabo- 
rati, 1 documenti, dai quali si vede quante fossero le maniere 
con cui lo Stato si procacciasse le necessarie entrate; al secondo, 
invece, di studiare le funzioni dello Stato, illustrando i bilanci 
ed i conti che annotarono le spese corrispondenti a quelle fun- 
zioni e facendo il calcolo del costo di quella guerra, che fu lo 
scopo principale a cui intese allora con tutte le sue forze lo 
Stato sabaudo ,. Abbiamo così un immagine compiuta, nei suoi 
due aspetti essenziali, opposti cioè e correlativi, “ dei mezzi 
molteplici e dei geniali espedienti imposti dalla necessità di 
provvedere a bisogni eccedenti di troppo la potenzialità con- 
tributiva del paese ,, e, insieme, “ del modo come il denaro 
laboriosamente procurato si convertì in efficace strumento di 
preservazione e di difesa, alimentando, tra quello sfacelo dell’in- 
vasione, le funzioni più vitali dello Stato, e concorrendo poi alla 
vigorosa ripresa delle pubbliche attività, rinfrancate dai successi 
militari, indi estese con subitanea, alacre virtù espansiva, al- 
l'incorporazione ed allo sfruttamento delle nuove conquiste ,. 
‘ompito, come ognun vede, davvero ponderoso per entrambi 
gli autori; non fosse per altro che per la lunga e vigile 
pazienza, con cui essi dovettero elaborare centinaia di migliaia 
di dati primi, onde compilare le loro tabelle, e istituire calcoli 
per tradurre quei dati, espressi in svariati sistemi di moneta, 
di pesi e di misure in dati espressi .in lire piemontesi; ogni cifra 
delle tavole costrutte in sè compendiando lunghi raggruppa- 
menti ed addizioni di partite, per lo più minime, spigolate at- 
traverso ai fogli di diecine di voluminosi conti, cosicchè le clas- 
sificazioni proposte rappresentano più migliaia di dati primi. 
Più malagevole forse ancora l’ufficio toccato qui al Prato ; poichè 


eten 


il A 


—pP_ ve 9° 


E E 


759 


“ mentre i documenti finanziarii relativi alle entrate conservano, 
anche là dove appaiono più inorganici e confusi, una certa uni- 
formità contabile che rende suscettibile di qualche esattezza le 
classificazioni che se ne ricavano, gli elenchi delle spese rap- 
presentano, per l’assenza d'ogni criterio sistematico in chi ebbe 
a compilarli, un tale caos di elementi eterogenei, non altrimenti 
raggruppati che dall’enumerazione cronologica, nè sempre chia- 
riti dalla precisa indicazione dell'oggetto a cui si riferiscono le 
singole partite, da creare ad ogni passo enormi perplessità e 
spesso ostacoli insormontabili a chi tenti ridurli in regolari ca- 
tegorie ,. 

Ma se ciò ch'è vero in ogni epoca lo è più che mai tra 
quel prevalere di guerre condotte con i sussidi pecuniarii degli 
Stati coalizzati e col braccio di truppe in parte mercenarie, vale 
a dire che il danaro è il nerbo della guerra; noi possiamo dire 
di avere alfine innanzi agli occhi la trama fondamentale, e cioè 
la trama finanziaria di quella impresa, di così vitale e decisiva 
conseguenza per i futuri destini della casa di Savoia e dello 
Stato piemontese, della quale fin qui non si erano potuti scor- 
gere se non i lati più appariscenti, e cioè i violenti contorni 
delle fazioni belliche e i fitti rabeschi delle mene diplomatiche 
e gli scorci impressionanti degli eroici episodî leggendarii. Ma 
quanto andrebbe errato chi si avvisasse di ritenere che inse- 
gnamenti di carattere tecnico abbiano potuto soltanto scaturire 
da tale indagine più penetrante, e che nessuna freschezza di 
impressioni immediate ed umane non avvivi l’aridezza delle 
cifre; dato pure che queste non abbiano di già per ogni spirito 
riflessivo e moderno una loro propria voce, allettatrice e sua- 
ditrice profonda! Mille ragioni ha per contro l’Einaudi di av- 
vertire, nel chiudere il suo lavoro, che il valore del quadro non 
è tutto negli ammaestramenti contabili, ma è anche in moltis- 
sima parte nei suoi ammaestramenti storici. “ Lo studioso della 
storia finanziaria (trascrivo le sue stesse bellissime parole), pre- 
sentando e riassumendo i freddi documenti contabili di quel pe- 
riodo meraviglioso, sente che quelle cifre allineate hanno un’a- 
nima : l'anima di nn popolo forte e laborioso che tutti i mezzi 
finanziarii, militari e politici seppe adoperare, in una unità ma- 
gnifica di intenti e di opere, alla conservazione del bene supremo 
dell'indipendenza della patria avita ,. E in perfetta armonia con 


740 


lui il Prato, la cui esposizione ha, per la stessa indole della ma- 
teria, anche un'impronta meno rigidamente tecnica e un’abbon- 
danza anche più riereatrice di aneddoti inaspettati e sommamente 
istruttivi, potè condensare il segreto della riscossa piemontese 
fra quei supremi frangenti in questo profondo principio: “ Un 
paese povero può, agli scopi speciali di una guerra; rivelarsi 
più ricco di un suo rivale dotato di larga opulenza, quando la 
disparità dei mezzi sia compensata da un’inversa differenza nello 
spirito collettivo di sacrificio ; ove, in altre parole, sia più grande 
la somma di privazioni individuali che i cittadini del primo 
sono disposti ad affrontare pur di vincere a qualunque costo ,. 

Non è pertanto solo per avvicinare il sacrificio eroico di Pietro 
Micca a quello dei notturni bombardatori di Port Arthur che i 
solennizzatori del bicentenario piemontese avrebbero potuto ricor- 
rere, come certo le mille volte fecero, agli epici fatti svolgentisi 
frattanto in quell’Estremo Oriente, ma ancora per spiegare una 
non meno calzante concordanza fra le ragioni ultime del successo. 
E ben a proposito il Prato ricorda appunto qui lo smacco proprio 
mortificante subìto dai feticisti del materialismo storico, vati- 
cinanti la sicura sconfitta del Giappone semplicemente in base 
alla sua pochezza economica. Giustamente, del pari, egli rileva 
che non solo virtù di principi, di condottieri e di consiglieri ge- 
nerò la vittoria piemontese, ma al successo dell’azione indivi- 
duale si aggiunse la vittoria dell’azione collettiva. E anch'egli 
ben dice da ultimo: “ Di qui il fascino ritemprante e gagliardo 
che si sprigiona dall’apparente aridità di queste cifre contabili, 
lo studio delle quali, superato il primo istintivo senso di sgo- 
mento, si avviva e si popola di figure operanti, di tipici fatti, 
di episodî eloquenti e gentili; e la cui conclusione potremmo 
riassumere nelle sobrie parole dello storico subalpino : Io riven- 
dico per noi la gloria dei nostri principi, perchè se essi furon 
principi valorosi, noi fummo soldati non meno valorosissimi; se 
essi prudenti uomini di Stato, noi prudentissimi e facilissimi 
sudditi; se essi principi amorevoli e moderati, noi amorevolis- 
simi, moderatissimi ; essi parchi, noi parchi; essi in tutto uo- 
mini più virtuosi che famosi, e noi il medesimo, men conosciuti 
che buoni ,. 

Una preparazione così coscienziosa, così giudiziosa e così 
esauriente non poteva non far nascere la più larga e lusinghiera 


atti 


ue e  —_ © © 


741 


aspettativa per l’opera maggiore. Ora non esitiamo un momento 
‘a dire che questa aspettativa è stata non solo soddisfatta ma 
quasi superata dal volume davvero superbo, con cui l’Einaudi la 
ha testè iniziata. 

Ecco il modo con cui essa opera è stata impostata. Con- 
sterà di due serie. La prima detta Illustrazioni storiche e docu- 
menti, conterrà le introduzioni dettate dai due compilatori a 
spiegare gli istituti finanziari e contabili e le condizioni econo- 
miche del secolo XVIII negli Stati della Monarchia sabauda e 
insieme il testo delle leggi, dei decreti, delle relazioni e dei 
verbali, tuttora inediti, che si ravviseranno più importanti per 
la storia e per la scienza. La seconda serie, intitolata Bilanci 
e Spogli, conterrà le scritture contabili in che si esprimevano or- 
dinatamente e lucidamente i fatti finanziarii compinti dalle mol- 
teplici aziende dello Stato sabaudo. 

Il volume dell’Einaudi apre la prima serie. 

In che rapporto esso stia con l’altro lavoro anteriore dello 
stesso autore è chiarito da questo, che nel primo di essi egli 
dovette supporre noti gli ordinamenti tributari o finanziari esi- 
stenti nel primo settecento, perchè troppo lungo discorso, e per 
quel luogo non adatto e forse non consentito, sarebbesi dovuto 
fare se si fosse esposto, insieme con quello della pubblica con- 
tabilità, anche un trattato della finanza sabauda contemporanea 
ed una storia degli avvenimenti più cospicui d’indole economica 
di quell’ epoca. Ora in questo secondo lavoro appunto quella 
lacuna, 0, meglio, quella presupposizione è colmata e soddisfatta. 
Poichè il volume, di cui stiamo ora occupandoci, contiene di 
fatti un quadro completo, mirabilmente completo, della finanza 
sabauda all’aprirsi del secolo XVIII, e cioè del periodo prerifor- 
mistico. E riguarda così la finanza di pace come quella di guerra. 

Quale copia di notizie e quale messe di insegnamenti si 
possono raccogliere da questo libro! Esse sono così ricche che 
è forza rinunciare, non dico a compendiare il contenuto di esso, 
ma semplicemente ad accennarvi. E quante celebrate novità 
modernissime contabili, tributarie o finanziarie non si riscontrano 
or divinate, or precorse e ora perfino superate da quei seriissimi 
ordinamenti del nostro vecchio Piemonte! E quante strambe e 
pur quasi proverbiali credenze ed asserzioni sulle condizioni 
reali di quell’antico regime sono irremissibilmente sfatate ! 


742 


L'opera dell’Einaudi è certo la più significativa di quante 
hanno arricchita la nostra letteratura di storia regionale piemon- 
tese in questi ultimi anni. Essa merita davvero di prendere 
onorevole posto fra quelle che hanno segnato in passato le 
pietre migliari del suo confortante progresso. È forse essa — 
senza chiassi di pretenziose dichiarazioni auto-esaltatrici — 
segna anzi l’inizio di un decisivo rivolgimento nello sviluppo di 
quella storia, e cioè l’inizio della storia delle grandi masse umane, 
e della stessa fondamentale struttura di quella nostra podero- 
sissima compagine sociale piemontese, che “ divenne lo Stato 
più vigoroso e compatto che esistesse in Italia e potè essere 
strumento fortissimo di lotta nelle mani degli apostoli e degli 
statisti che fecero l’unità nazionale ,. 


Raccoltasi poscia la Classe in seduta privata procedette alla 
elezione di Soci nazionali non residenti e di Soci stranieri. Riu- 
scirono eletti, salvo l'approvazione sovrana, a Soci nazionali 
non residenti i signori: 

Prof. Ignazio Guipi della R. Università di Roma; 

Prof. Felice Tocco dell'Istituto di Studi superiori in Firenze; 

Prof. Luigi Pieorini della R. Università di Roma. 


A Soci stranieri i signori: 
Prof. Wendelin FoerstERr dell’Università di Bonn; 
Monsignor Luigi DucHEsne, Direttore della Scuola francese 
a Roma, membro dell'Istituto di Francia; 


Prof. Raimondo SaLkiLLes dell’Università di Parigi 

Prof. Giorgio JeLLINEK dell’Università di Heidelberg. 
L’Accademico Segretario 
Gaetano DE SANCTIS. 


udiuazgCo è 


LI 


CLASSE , 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 26 Aprile 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: NaccaRrI, Direttore della Classe, SAL- 
vapori, Mosso, SPezIA, SEGRE, JADANZA, GuAREScHI, GuIDI, PA- 
RoNnA, MartIROLO, MorERA e CameRANO Segretario. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

Il Presidente partecipa la morte del Socio corrispondente 
Prof. Cristiano Adolfo MayER, avvenuta l°11 aprile corrente in 
Leipzig. La Classe delibera di inviare condoglianze alla famiglia. 

Il Presidente comunica che lo studente Herbert Lothar 
KastnER di Vienna inviò in esame all'Accademia tre soluzioni 
della “ trisezione dell'angolo ,, già state respinte dall'Accademia 
di Budapest e di Vienna. La Classe delibera di respingere il 
manoscritto, essendo dimostrata l'insolubilità del problema. 

Presenta poi in omaggio alla Classe le opere seguenti che 
il Prof. Federico SAcco manda a nome della Commissione del 


servizio geologico del Portogallo: 1° Le Néogène continental dans 


la basse vallte du Tage (Rive droite) 1"° partie: Paléontologie, par 
Frédéric Roman et M. FLicHE; 2° partie : Stratigraphie, par An- 
tonio Torres; 2° Essai sur la tectonique de la chaîne de l’ Arra- 
bida, par Paul CHorraT. 


744 


Il Socio PARONA presenta in omaggio alla Classe quindici 
lavori di argomento geologico del Prof. Federico Sacco. 

Il Socio MaTrTIROLO presenta in omaggio, a nome dell’autore 
Prof. St. B. De Toxi, il lavoro intitolato: Illustrazione del se- 
condo volume dell’erbario di Ulisse Aldrovandi. 

Il Presidente presenta per l’inserzione negli Atti la nota 
del Dr. Gustavo SANNIA, intitolata: Sul teorema di Moutard e la 
sua interpretazione geometrica per le congruenze W. 

Il Socio Mosso presenta per l'inserzione nei volumi delle 
Memorie accademiche un suo lavoro intitolato: Una tomba preisto- 
rica a S. Angelo di Muxaro, nella provincia di Girgenti. La Classe 
con votazione segreta ne approva la stampa nei volumi delle 
Memorie. 

Il Socio SEGRE presenta per l'inserzione nelle Memorie ac- 
cademiche il lavoro del Dr. Giovanni Zeno GIAMBELLI, intitolato : 
Risoluzione del problema generale numerativo per gli spazi pluri- 
secanti di una curva algebrica. Il Presidente delega i Soci SEGRE 
e MorERA ad esaminare detta Memoria. 


tia Ea ro 


GUSTAVO SANNIA — SUL TEOREMA DI MOUTARD, ECC. 745 


LETTURE 


Sul teorema di Moutard 
e la sua interpretazione geometrica per le congruenze W. 


Nota di GUSTAVO SANNIA a Torino. 


1. — È noto che la ricerca delle deformazioni infinitesime 
di una superficie S si può ridurre alla ricerca delle soluzioni 
di una equazione lineare alle derivate parziali del secondo or- 
dine con due variabili (1), chiamata dal prof. Bianchi equazione 
caratteristica (*). 

Assumendo su S a linee coordinate v, v le asintotiche o un 
doppio sistema isotermo-coniugato (secondo che S ha la curva- 
tura totale negativa o positiva), l'equazione caratteristica si 
può ridurre alle forme normali 


de | dv 


du 

Dall’ interpretazione geometrica di un noto teorema di 
Moutard, relativo alle equazioni di questa forma, Guichard de- 
dusse nel modo più rapido ed elegante le proprietà fondamen- 
tali delle congruenze rettilinee W (?). 

Scopo di questa nota è di mostrare che il teorema di 
Moutard vale, non solo per le equazioni normali (1), ma anche 
per l'equazione caratteristica generale (4). 


(') Wernearten, “ Giornale di Crelle ,, t. 100. 

(*) Brancni, Lezioni di Geometria Differenziale, 2* ed., vol. Il, p. 5. 

(*) ‘ Comptes Rendus des séances de l’' Académie ,, t. CX, p. 126; 
Branca, l. c. (*), cap. XVI; Darpoux, Lecons sur la théorie générale des sur- 
faces, vol. IV, $ 888. 

(4) Dell’estensione del teorema di Moutard si è occupato il Burearti 
nella Memoria Sulle equazioni lineari alle derivate parziali del 2° ordine, ecc. 
(© Annali di Matematica ,, 1895). 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 52 


746 GUSTAVO SANNIA 


Ciò mi permetterà di stabilire formole generali per lo studio 
delle congruenze W, e di evitare la separazione dei due casi 
di una superficie di partenza a curvatura negativa o positiva. 

Darò infine un teorema nuovo e notevole sopra una classe 
importante di congruenze W. 


Formole di Lelieuvre generalizzate dal Darboux. 


2. — Il Darboux, nel $ 881 del vol. IV delle sue Legons..., 
generalizza rapidamente le formole di Lelieuvre, che definiscono 
una superficie riferita alle sue asintotiche, estendendole ad una 
superficie riferita ad un qualunque doppio sistema di linee. 
Qui darò una dimostrazione diversa e meno succinta di quelle 
formole, allo scopo di enunciare i risultati sotto una forma più 
precisa, indispensabile per il seguito. 

Sia S una superficie luogo del punto 


x(u,v), y(u, v), 2(u, 0), 
XAYZ i coseni direttivi della normale in (2, y, 2) e 
— Xdrd X = Ddu? + 2D'dudv 4 Dda, 
XL dX? = edu? + 2fdudv 4- gdv? 
la seconda e la terza forma fondamentale. 
Preso per Veg — f? il valor positivo e posto 
= dh 
Ver?! 


(2) A=VIDD"=D"|, pp 


sarà p una quantità positiva e la curvatura totale KX della su- 
perficie sarà 


a) RETE ; 
(3) Ke pi’ 


ove e è il segno di DD"— D'?. 


Le note formole (9°) 


[EEA e 0D dX 
\ du © eg—fî du eq —f°. dv 


Î de _fD'—gD dX | fD'-eD' dX 
de egq—-f* du eg—-f? dv 


(Mesi); vol. I, p. lbs: 


e n n 


SUL TEOREMA DI MOUTARD E LA SUA INTERPRETAZIONE, ECC. 747 


per le (2) e per le identità (°) 


atri dx CPRSGO ea y: òz 00 

R \ Veg— fi du Veg—f? dv der i du 

I dx __hiood® gt _ Fidi 
= f? du Vas rp do dv 


sì possono scrivere 


3 Ea, SA 
He 
= — Bo dr az +5 \dr az 
du di | a DE 
| du du dv dv 
di i pp 
>S- dY az | + |dr dZ 
v > | 
| du du | | do do 
e ponendo 
(4) gr Z/0 =, 
diventano 
n Z n 
de ; D 
\ da Adi | dn dz 
\ du du | dv dv 
(5) 

CZ £ 
de D ei Py 
ni A A |Modi. 

du du | de do 


D'altra parte, dalle formole che esprimono le derivate par- 


ziali seconde dei coseni direttivi X YZ della normale, in fun- 
zione dei coseni stessi e delle loro derivate parziali prime (°), 
si ha che XYZ sono tre soluzioni Meglio 


"I dp _ , 
D du 20 aa +DÈ 


_ [pull p'il2l (22/'] d9 
} =[D"}{ 22 L1 > "sO 

(117 rG12)/ 22 )'] d@ 
Ar nda ER "a 


— (eD"+ gD — 2fD')® 


(9) L. c. (?), vol. I, p. 163. 
NiL,.-c. (£), vole Ip: 152. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 52* 


748 GUSTAVO SANNIA 


questa, per le formole di Codazzi (*), che si possono anche seri- 
vere sotto la forma 


silla pier a(ded dedi 
ei Ct Gn (ni 2A) 


| Daft) 


1) l p\du A do A 
diventa , 
nt otra 
Lao cme poli op) 1 «DEESD_8D i 
dv A du A | du du A do A]dv A 
e, col porre ; 
(7) qUp=8, 


si trasforma in 

D DOD q-[Lg(2 PD. ya 
(8) OF, o 2199 ao io) A O) 
ove per brevità si è introdotto l'operatore differenziale 


DD ADE D'US D'9% 
(7 Ea JE rela dal sit 


Dunque: nelle formole (5) e nelle analoghe in y ® 2, che si 
deducono permutando circolarmente le lettere EnL, le funzioni EnL 
sono tre soluzioni particolari dell'equazione (8). 


3. — Viceversa: Presa ad arbitrio un'equazione della forma 
al- Gees SE 
(1) (1,4 :0)= Me, 


ove a a'a'' sono funzioni qualunque di u,v, ma 
A=V|aa"—a"?|>0, 


(8) L. c. (?), vol. I, p. 154. 


SUL TEOREMA DI MOUTARD E LA SUA INTERPRETAZIONE, ECC. 749 


se se ne conoscono tre soluzioni linearmente indipendenti En, le 
formole 


3 eni n Z | | n Z | 
a' | | a | | 
dae + mr 
Mm i du du | dv di 
dr a'' RL a' ue 
do TOM 7 | de dl 
du du | du de 


e le analoghe in y e 2 dànno xyz con quadrature. La superficie 
luogo del punto 


x(u, 0), y(u, v), 2(v, 0) 


avrà per curvatura totale e media rispettivamente 


Miola) Beer 01, 


ove p=E=n*+ 2? ed e è il segno di aa''— a'?; ed i coefficienti 
della sua seconda forma fondamentale saranno proporzionali 


î) 
ad ada". 


Infatti è facile verificare che le condizioni di integrabilità 
delle (II) sono soddisfatte. 
Essendo, per le (Il), 


sulla superficie risultante saranno £nZ proporzionali ai coseni 


direttivi della normale 


= 7 Z 
TI Y=_t, Z4A= —. 
Yp 


Usando queste formole e le (II), si vede poi facilmente che 


i coefficienti 


È dr dx -_ N de dI MMM è dI 
alp ARS du D=-) È dv Dit do do 


750 GUSTAVO SANNIA 


della seconda forma fondamentale sono proporzionali ad aa'a’” 
col fattore di proporzionalità 


EL Reti 
| DE dn dz dX dY dZ E 
3 »-| du du du = IRA du du du | — oVeg—f i 
AVp A 
dE dn dî dx dY dz 
dv dv dv dv dv dv 


ove 


SSN dA an dX dX ni dX\2 
FPSS : f=>, du do = (5) 
sono i coefficienti della terza forma fondamentale; quindi la. 


curvatura totale sarà (?) : 


Ara È ad SAZRE 
Lr DD'— D* © (ca — ©) 


Infine, essendo 
alessio — .A 


oasi n — 


a a' a LA 


le (II) coincidono con le (5), quindi, pel teorema precedente? 


saranno En tre soluzioni particolari della (8), la quale può 
scriversi 


o(&, €, È )=[po(t, 4, £.}5)- VEN, 
(o) 


dunque, paragonando con la (II), si ha necessariamente 


1 p(d de", fo) Dad 29" 
Mp9) A i 
Osservando infine che (1°) 


2fD'— eD"— gD 


ip eg—f° 


, 


si ha subito per H l’espressione scritta nell’enunciato. 


(Ce ic-.(°), vol. D'p. 154, 
(Goditi: ©), vol. T} pi 154 


n depone a csi = alii Le _——_— ————————————————————————6 —Tr[11Iiriso—' ‘tl 


SUL TEOREMA DI MOUTARD E LA SUA INTERPRETAZIONE, ECC. 751 


4. — Dall’espressione di H segue che: la superficie risul- 
tante sarà ad area minima (H==0) solo quando le soluzioni En2 
della (I) sono tali che anche 


Vo=VEFr+2 


è una soluzione della stessa equazione. 

È bene anche osservare che tutte le superficie risultanti 
da terne di soluzioni di una stessa equazione del tipo (1), o 
anche da equazioni differenti solo pel coefficiente M di 9, avranno 
1 coefficienti delle loro seconde forme fondamentali proporzionali 
(ad a a'a'" e quindi) tra loro; dunque esse risultano riferite tra 
loro in modo che su di esse si corrispondono i sistemi coniugati e 
le asintotiche. 

Per a=a''=0, le (II) si riducono alle formole di Lelieuvre(1*) 
pel caso in cui le «,v sono le asintotiche; per a = a”, a'= 0, 
si riducono alle analoghe pel caso in cui le w,v costituiscono 
un doppio sistema isotermo-coniugato (!). La (I) assume le due 
forme normali (1), rispettivamente. 


Formole per le deformazioni infinitesime. 


5. — La ricerca delle deformazioni infinitesime di una su- 
perficie S equivale alla ricerca delle superficie S, 


cr=%(u,0), y=y(40, 3=2(u,0) 


che corrispondono ad S per ortogonalità di elementi. 
Queste si determinano con quadrature dalle formole 


(DE pdE)o_(p3t_p'î)x 


dx N dv du dv du 
du ° Veg —f? 
4 DX dI O) d 
r , 01 " d® , dP 
da Lola. Dati Sia VA rigidi) Ls 
Ù Ve =f* pp aio» 


('') “ Bulletin des Sciences Mathématiques ,, t. 12, p. 126. 
HW L.o, (*), vol: 1°p. 170. 


752 GUSTAVO SANNIA 
e dalle analoghe in y e #, ove @ è una soluzione qualunque 
dell'equazione caratteristica (6). Ogni soluzione @ dà una super- 
ficie S, e quindi una deformazione infinitesima di S (1°). 

Or le (9) si possono scrivere, per le (2), 


de pp SP e | a 
du TA |X de | TA dd 
| do de | | du du | 
sa IO? AZIO 
dr pD' | | PD aaa 
dA E 80 1 
| do do | | du de l 
e con le sostituzioni (4) e (7), diventano ‘4 
è Hipaki8 o PE | : 0 
dA Ed AE 
| dv de | | u du 
E 0 
de 40: | E d0 | sù Di 
ia an | One, A | SSA 
| do do | I du du | 


con le analoghe in y e 2, ove EnZ sono tre soluzioni partico- 
lari della trasformata della (6) mediante la (7), cioè della (8). 

Possiamo dunque completare il teorema del $ 3 come segue: 
per ogni altra soluzione 8 dell'equazione caratteristica (1), le formole 


& DO. - PPRCZIGIN 
x a a 
pagine (1 (8): 6 LD Mini gb 1 
| dv ‘dv I du du 
* ; vat e 
ag | de TE dè 
S dv dv î du du | 


e le analoghe in y e 2 danno, con quadrature, una superficie S 
corrispondente ad S per ortogonalità di elementi, e quindi una 
deformaztone infinitesima di S. 


(“MiUiSe. (2), vol. II, $$ 224 el220î 


POSTO e __'—___———————__————_—_——_m—6m——__—_—m ’—m—@—————_——_———6@—_—e’@»- 


SUL TEOREMA DI MOUTARD E LA SUA INTERPRETAZIONE, ECC. 753 


I teoremi di Moutard e di Bianchi per la (1). 


6. — Sia E una soluzione particolare della (I), cioè sia 
din 14 tei 
(10) o(1, 1, €; #)= Mr 


Eliminando M tra (1) e (10), si ha 


fosidp®2 pegai0 2 MELI NICE: 
AT Reti | CEN 
Ml | ASTA i LIRLTLd d0 dR| 1 35 |d9 IR 
| du du dv dv | du du | du du 
dò a' da di d @ d a Mt 
+ aa) tin) o, 
du du | do do 
ossia 
BIO db Ml al . 0 R 0 R 
a a a e 
du || 20 dR/— [208 |ta7| 720 ded 
u du v dol | do dv | u du 


detta dunque w una conveniente funzione di «,v, si può porre 


3 De lar | e R 
ch gf Bi TORS 
e 1 
du du | dv do 
Si dj SR MET. 
a 
das rarg) D0, IR | 4 | OSE 
du du dv dv 
ossia ; 
e > è, ale 
| R? du Mi 04 A dv R 
e 3 è I 
\  R? do A du R 46 do Re 
da cui 
LIA 
du RU R°\A du dv 


754 GUSTAVO SANNIA 


Dunque w soddisfa l’equazione 


di (È THA sa) di LI CARCICE ca) 
du | R?\A du A4 do)l dv Divi u A def)’ 


la quale, ponendo 


We ho,, 
si trasforma in 
(1°) (4 ’ Fi ’ "n 81) = Mo, 
ove 
LA di 1 
(11) MU = R@(4-, < è) DE È) bra +) 


La (I*) si può dire la trasformata di Moutard della (1) me- 
diante la soluzione particolare R. 

Dalla (11) risulta che 5 è soluzione particolare della ((I*), 
quindi viceversa: la (1) è la trasformata di Moutard della (1*) 

i i 1 
mediante la soluzione particolare vi 


I due problemi di integrazione delle (1) e (1%) sono equivalenti, 
chè tra le loro soluzioni generali 0 e 0, passano le relazioni 


(A d(R0) _ a de ade 
\ R? Dal i A du R A dv R 
(12) 
VR) (75::7) NN ad 10 a d 0 
pe gg VORO dv R° 


dalle quali, nota 0, si deduce è, con quadrature, e inversamente. 


(1) e (I*) coincidono solo quando anche Tò soluzione della(I). 
71. — Se due equazioni 


(4 E 0)= Mo, ®( 


as 
da [3 
h|® 


ammettono una trasformata comune 


o(4, Si 0)= Mo, 


CA 


E 
Lai 


- 
e : 
SUL TEOREMA DI MOUTARD E LA SUA INTERPRETAZIONE, ECC. 755 
esse ne ammettono una semplice infinità, dipendente da una costante 
arbitraria. 

Questo non è che il teorema che il Prof. Bianchi ha dato 
per le equazioni normali (1), esteso all’equazione caratteristica 
generale. Esso si può dimostrare, mediante le formole precedenti, 
seguendo passo passo la via tenuta dall’illustre Autore (14). 


| Le congruenze W. 


8. — Siano EnZ È quattro soluzioni particolari della (I). 
. Consideriamo la superficie S definita dalle (II) e quella sua par- 

ticolare deformazione infinitesima che corrisponde alla soluzione È 
| ed è definita dalle formole 


Ma | UE k E R 
pa di | deb a] + |GE de 
| dv da du du 
(13) 4 
or mi DEI ;_|rEo N 
APREA 
dv dv | i du du |! 


e dalle analoghe, che dànno le coordinate xy di un punto 


n e "|__| ———_——_ pr 


della superficie S corrispondente ad S per ortogonalità di ele- 
menti. 


I Posto 
1 (14) RE; Mer eni, = BA; 
7 
En, Z saranno, per le (12), tre soluzioni particolari della (I*). 
Î Costruiamo ora, mediante le (6), una superficie S; definita, 
«a meno di una traslazione, dalle formole 
i 
4 SAI bi mo # ! mo Z| 
tea SL: ui e 
a di dm du | Z| dn du | 
d hi du du | do de 
(15) 
dr a ‘| L'E a LI ! 
\ er == rese àn; dZ, + | di DIS 
Wizi Aulo du ln 


e dalle analoghe in y; e 2,. 


gag 
9 


(44) L. c. (*), vol. II, p. .69. 


© 
756 GUSTAVO SANNIA 


Possiamo disporre delle costanti additive în x, Yi 21 în modo 
che S, assuma tale posizione nello spazio, da formare insieme con S 
la superficie focale di una congruenza W. Ciò si otterrà ponendo 


Em 


(16) Zini pari MAT 23 fer We 


è den 


Infatti dalle (15) e (16) risulta 


mo < Dn CESSI mn @ modi 
d(2— | 
e si dm dz | — dn di bis dm dz | — [dm dz 
u du \ du du \ | de dv de dv \ 
; ni imola Lo Z| Li TA 
d(e1— 2) 0) Î 
at ma — ima |(-< dm dz] — dm de | 
| du du du dul, | dv del dv dv \ 
ossia 
igm ad) | dd 
de, 9) | A du A do M A du A do 
Di rd adi r cd a da 
A du A dv 1 - 40000 A dv 
(17) ; 
pied Sn hi osbn a” dmy viola ndme 
RS A du A dv Ni A du A dv 
ta gd ex), 0 CSI 
A du A dv | 1A du A do 


Ora le (12) si possono scrivere 


a 99 a do =(< dR a DI 1 d(RO,) 
TIZIO A de 


A du A do RU" RSS 


(18) | 


a' d0 a' d0 (4 DIR nba I) 8 1 d(R0,) 


A du A do \Adu VAdo — tal 


È x È 1 
ed in queste è lecito scambiare 8 con 6, ed È con Ro quindi 


A du A dv 


a' d0, a do A Perl (£ dR a SR} 2 _w dl 
A du Add 


(19) 


A du A dv 


a' d0, a' do, _— -(< dR a i 8 pda 0 
A du A d0 


SUL TEOREMA DI MOUTARD E LA SUA INTERPRETAZIONE, ECC. 757 


Se si tien presente che le (18) e (19) valgono per le coppie 
di valori 


ze g,nenylez 


di 9 e 0,, si vede subito che le (17) si riducono a 


1 0d(R | | 
| - dia R ir | De RIA 
derma) _ Pe I 
du fia pe) 
VMARKIGO ig 0.cc'107 a doi 
RE esta alga Lia ala ni 
1 d(An) dò n | 
n +: 
Mei 2) k dv on | Ò òv R | 
di Ire deo. | porvonsp dial 
| R dv | . dada 
ossia a 
Mera) dI dle) dI 
ad = , 7 A LE 
)u du N05 dv d? a: 


da cui seguono le (16), prendendo valori convenienti (nulli) per 
le costanti additive. 
Dalle (16) risulta 


He — 2) --nii—y) + —d=0, 
Ea — 2) 4 ny — 4) + Len — 2) =0, 


quindi, se si osserva che ZnZ sono proporzionali ai coseni di- 
rettivi della normale ad S e z,n; Z; a quelli della normale ad S, 
(v. $ 3), si deduce che la retta che unisce i due punti corri- 
spondenti F(x,y,2) ed F;(x,,y1,21) di S ed S; tocca S ed S, 
‘Ped 'F;! 

Dunque S ed S, sono le due falde della superficie focale 
della congruenza generata dai raggi FF. 

Osservando poi che EnZ e E, n; Z, sono due terne di solu- 
zioni delle due equazioni (1) e (I*), che differiscono solo nei coef- 
ficienti M ed M, di 8 e 6,, si deduce ($ 4) che su S ed Si si 
corrispondono i sistemi coniugati e le asintotiche, ossia che la con- 
gruenza così costruita è una congruenza W. 


758 GUSTAVO SANNIA 


9. — Il teorema ora dimostrato non è altro che il teorema 
di Guichard, ma enunciato e dimostrato per l’equazione carat- 
teristica generale, anzichè per le forme normali (1). Quindi da 
esso si deducono tutte le conseguenze che si deducono dal teo- 
rema di Guichard. 

Così, essendo &, n; Z, proporzionali alle componenti ©, y, è dello 
spostamento che riceve (x, y,) in una deformazione infinite- 
sima di S, si deduce che: se si considera una deformazione infi- 
nitesima qualunque di una superficie S, e per ogni punto di S, nel 
piano tangente, si conduce il raggio normale alla direzione dello 
spostamento subìto dal punto, la congruenza così costruita è una 
congruenza W . 

Come Guichard ha dimostrato, con questa costruzione si 
ottengono le più generali congruenze W. 

Inoltre, come l'equazione per le deformazioni infinitesime di S 
è la (1), così quella per le deformazioni infinitesime di S, è la (1°). 

Da ciò segue l'equivalenza dei due problemi della ricerca 
delle deformazioni infinitesime per le due falde di una con- 
gruenza W. 

Osserviamo infine che le curvature di S ed S sono ($ 3) 


K= os >> RR GI 
de; A a. ue (E°+nf +72) DIES 


e però hanno lo stesso segno (quello di aa'' — a'?). 


Una classe notevole di congruenze W. 


10. — Dalle (18) e dalle equivalenti (19), che legano le 
soluzioni della (1) e le soluzioni della trasformata (I*) mediante 
la soluzione £, si possono dedurre alcune relazioni che condu- 
cono a risultati interessanti. 

Ponendo nella prima delle (18) 


9 E, dat eee o Na 


rispettivamente, moltiplicando i risultati per EnZ e poi som- 
mando, si ha 


1(a' dp i (Re a dR\ p di, Led 
(i = (CL _ Da R du uEE i 


43 ; 


SUL TEOREMA DI MOUTARD E LA SUA INTERPRETAZIONE, ECC. 759 


facendo le stesse posizioni nella prima delle (19), moltiplicando 


i risultati per &,, n, Zl e poi sommando si ha 


roi CL SERBE 
(E du A dv A du A dv VE du SH R du SE; 
sommando le due precedenti eguaglianze, risulta 


1 d(p+p:) __P_P1dE] all d(ptp) pP_pdR 
9 Si Segr aa e. nta 
(20) TY = È dv R a] SF du R SEI 


Operando analogamente sulle seconde delle (18) e (19), si ha 


d _.@ [1 d(p+p.) __Pp_Pi rio 1 d(p+p.)__Pp_Pi End 
(21) dv Ven=i È dv R dv A È du ER dul 


La condizione di integrabilità delle {20) e (21) dà facilmente 
la relazione 


a a a, ail PP. feta 
\ 0: Fipto)=2 k (55,45 2)+ 
(22) 


a' "OR a dR\ d sr (7 O a' èR a dR\Òd p_p 
+? 2( 


E A dv/du mR AùÙù Ad, 


E el SIR. 


che lega i coefficienti a a'a'' dell'equazione fondamentale (1), la 
soluzione particolare scelta KR e le curvature delle due falde S ed S3. 


11. — In particolare, si consideri l’equazione 
la. ala MI 
(23) da 6) =D 


Una sua soluzione particolare è £=1 e la corrispondente 
trasformata (I*) coincide con essa. Ad ogni soluzione partico- 
lare 8, le (12) fanno quindi corrispondere un’ altra soluzione 
(coniugata) dell'equazione stessa, definita con quadrature dalle 
formole 


do, a do a' 39 
du © A dv A du 


(24) 


Î do, __a' d0 a" d0 
de <A dv ‘A du 


è 


760 GUSTAVO SANNIA 
Dette EnZ tre soluzioni e &,Z,n, le loro coniugate, la (24) dà 
(1,7, 4: p+p)=0. 


GL A 


Si ha così il seguente risultato analitico: Ad ogni soluzione 
particolare 0 di un'equazione del tipo (23) corrisponde una solu- 
zione coniugata, determinabile con quadrature dalle (24). Se ENZ è 
una terna di soluzioni e E,n,Z, le loro coniugate, sarà 


tappo =E+n+2+8+n +2 
un’altra soluzione (con la sua coniugata t,); altre soluzioni saranno 
n+ C++ n +04, C++ S+EPE+, 
odiarlo 
con le loro coniugate; e così via. 
Ciò vale, per esempio, per le equazioni (normali) 


d?0 d'0 d°0 
ada man 

12. I coseni direttivi delle normali alle due falde S' ed S, 
della superficie focale, in due punti corrispondenti / ed 7, sono 


7 È È 
na A Ye, Z=--, 
Vp Vp Vp 

z 
x=i, n=, z=5, 
Tp, Vp, Vo, 


quindi, detto Y l’angolo dei due piani focali passanti pel raggio FF,, 


si ha 
n 1 LI 
COSY = si AA, = iii sa DD, 
Vpp, 


Per un noto teorema di Ribaucour (!5) che, come hanno di- 


(uao. (*), vol. IS 59! 


l'al 


E, 


SUL TEOREMA DI MOUTARD E LA SUA INTERPRETAZIONE, ECC. 761 © 


mostrato il Bianchi e il Cosserat, caratterizza le congruenze W, 
fra le curvature delle due falde passa la relazione 


KEK,= Tea o. ppi=4d?, 


ove 2d è la distanza dei punti limiti del raggio FF; d’ altra 
parte, detta 2d la distanza FF, dei due fuochi, si ha (18) 
ape nega all 
senYl = d* cd == 
da ciò segue che 
DEE, = Ypp;. cost = 24cost = 2dcoty = Var — de. 


Or vogliamo considerare le congruenze W nelle quali è co- 
stante la differenza dei quadrati delle distanze dei punti limiti e 
dei fuochi. 

Per tali congruenze, essendo Y.zZ, costante, le (20) e (21) 
dànno 


dlogR® dp+ pi) 


d(p tp.) _ a dlogR* 
(25) dr” — (p—P.) du ’ dv vari (p SE Pi) dv ’ 
quindi 
L| 1 sera] d| 1  dlpbtp 
de |p—_Pp: du du |p—Ppi dv 
ossia 
| do dp 
du du 
= 
dp dp, 
dv dv 


Otteniamo così l'interessante risultato: le curvature K e K, 
delle due falde della superficie focale delle congruenze W dianzi 
definite sono funzione l'una dell'altra. 

Pel citato teorema di Ribaucour, possiamo aggiungere che: 
la curvatura di ciascuna falda è una funzione della distanza fra 
i punti limiti. 


(19) L. c. (?), vol. I, p. 307. 


762 GUSTAVO SANNIA — SUL TEOREMA DI MOUTARD, ECC. 


13. — Alla classe di congruenze considerate appartengono 
le congruenze pseudosferiche (d e è costanti). Le due falde della 
superficie focale hanno curvature eguali e sono due superficie 
pseudosferiche di raggio 2d (17). 

Vi appartengono le congruenze W normali (4 = è), ossia 
le congruenze formate dalle normali ad una superficie W: in 
tal caso le due falde della superficie focale sono le due falde 
dell’evoluta della superficie evolvente W. E, come è noto, le cur- 
vature delle due falde dell’evoluta sono funzione l’una dell’altra. 

Citiamo infine le congruenze W costruite dal Darboux (15): 
Se per ogni punto di una superficie di traslazione si conduce è 
raggio intersezione dei due piani osculatori delle curve generatrici 
che vi passano, siî forma una congruenza W. 

Se si assumono come curve generatrici della superficie di trasla- 
zione due curve colle torsioni costanti qualunque, ma di segno op- 
posto, la congruenza W appartiene alla nostra classe. 


(Ie) vo TSO; 
(4) Darsovx; l. c. (5); vol. III, p. 372 ss.; oppure l. c. (È), walMippa62: 


L’Accademico Segretario 
LorENZO CAMERANO. 


763 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 3 Maggio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: BoseLLI, Vice-Presidente, Rossi, BRUSA, 
Renier, Pizzi, Rurrini, D’ErcoLe, BronpI, Srorza e DE SANCTIS 
Segretario. — Scusa l’assenza il Socio Manvwo, Direttore della 
Classe. 

Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente, 
12 aprile 1908. 

La Classe, con voto unanime, esprime le sue vive condo- 
glianze al Socio ALLiEvo pel gravissimo lutto che l’ha colpito. 

Il Presidente presenta i seguenti scritti offerti in omaggio 
dal Socio Manno: Ermanno Ferrero, commemorazione e Leone 
Fontana, ricordi (Torino, 1908, estratti dalla Miscellanea di 
Storia Patria, S. II, T. III. 

Il Socio De Sanctis presenta per le Memorie accademiche 
uno studio del sig. Luigi PARETI, intitolato: Ricerche sulla po- 
tenza marittima degli Spartani. Il Presidente delega i Soci CrPoLLA 
e De SanorIS a riferirne in una prossima adunanza. 


L’Accademico Segretario 
Gaerano DE SANCTIS. 


Torino Vixcenzo Bona, Tipografo di S. M. e dei RR. Principi. 


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CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 10 Maggio 1908. 


PRESIDENZA DEL PROF. SENATORE ANGELO MOSSO 
SOCIO ANZIANO 


Sono presenti i Soci: SEGRE, JADANZA, Foà, GuIpI, FILETI, 
Grassi, FusarI, PARONA. — Scusano l’assenza il Presidente Se- 
natore D’Ovipro, il Socio GuaREScHI ed il Socio Segretario CA- 
MERANO, sostituito da PARONA. 

Il Presidente comunica una lettera-circolare, colla quale il 
Sindaco della Città di Faenza invita il Presidente e tutti i 
membri dell’Accademia a prendere parte alle onoranze ad Evan- 
gelista TorRrIcELLI, in occasione del III centenario della sua na- 
scita e ad assistere, nei giorni 24 e 25 ottobre, alla commemo- 
razione. La Classe delibera di ringraziare il Sindaco di Faenza 
e di avvertirlo che si delegheranno a rappresentare l'Accademia 
quei Soci che, partecipando al Congresso in Firenze per il pro- 
gresso delle scienze, si recheranno nei giorni indicati a Faenza 
per onorare la memoria del grande scienziato. 

Il Socio JADANZA presenta per l'inserzione negli Atti una 
nota dell'Ing. Giulio Sacco, intitolata: Aberrazioni e riflessioni 
nocive prodotte dai filtri di luce negli apparecchi fotografici. Nota 12. 

Il Socio SEGRE presenta pure per l’inserzione negli Att? la 
nota del Dr. Leonida ToneLLI: Sulla rettificazione delle curve. 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 5a 


766 


Il Socio Fusari la nota del Dott. Francesco AGosti, dal ti- 
tolo: Ricerche sulla distribuzione dei nervi nella milza. 

Il Socio Gui il suo: Contributo alla teoria degli archi elastici. 

Il Socio FiLeti la nota dei Dott! G. Ponzio ed R. GroveTTI: 
Sulla preparazione di alcune azine. 

Per l’inserzione nelle Memorie, il Socio JADANZA presenta, 
a nome del Socio Naccari, un lavoro del Prof. G. B. Rizzo. in- 
titolato: Nuovo contributo allo studio della propagazione dei 
movimenti sismici. Il Presidente delega per l’ esame di questa 
Memoria i Soci NACCARI e JADANZA. 

Pure per l’inserzione nelle Memorie, il Socio FusARI pre- 
senta un lavoro del Dott. A. C. Bruni: Intorno ai derivati sche-, 
letrici estracranici del secondo arco branchiale nell'uomo. Il Pre- 
sidente incarica i Soci Fusari e CAMERANO dell’esame di questa 


Memoria. 


GIULIO SACCO — ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 767 


LETTURE 


Aberrazioni e riflessioni nocive 
prodotte dai filtri di luce negli apparecchi fotografici. 


Caso d’un filtro regolare. 
Nota 1°, dell'Ing. GIULIO SACCO. 
(Con una Tavola). 


Nelle sue caratteristiche puramente diottriche ogni filtro di 
luce (*) per camera fotografica è un sistema centrato di mezzi 
rifrangenti isotropi le cui superficie dividenti hanno i raggi 
uguali ad 0, e dalla sua unione coassiale coll’obbiettivo risulta 
un nuovo sistema centrato le cui pupille (*) non coincidono con 
quelle dell’obbiettivo, e il cui carattere è necessariamente dia- 
litico (3). 


(4) In fotografia si dice “ filtro di luce ,, o “ schermo colorato ,, una 
lastra di vetro od una pellicola colorata, od una vaschetta a pareti piane 
di cristallo contenente un liquido colorato, che si applica all’apparecchio 
fotografico per attenuare od assorbire totalmente certe zone dello spettro 
senza sensibile assorbimento delle radiazioni utili. Certi buoni filtri orto- 
cromatici lasciano passare quasi interamente le radiazioni spettrali dal- 
l’estremo rosso sin circa alla riga d, e assorbono quasi per intero il resto 
dello spettro. Così quelli al Filtergelb (Eder's Jahrb. 1907, S. 311). 

(?) In un sistema diottrico munito di diaframma si chiamano pupille 
d’entrata e d’uscita rispettivamente i coniugati del centro del diaframma 
rispetto agli elementi anteriore e posteriore dell’obbiettivo. Nei sistemi 
situati da una sola parte del diaframma una delle pupille è il centro del 
diaframma. Nei sistemi simmetrici le pupille coincidono coi punti nodali. 
Ogni fotografia, eccetto quelle prese con tele-obbiettivi, deve esser guar- 
data da un punto che, in genere, differisce poco dalla pupilla d’uscita. 

(*) Si dice dialitica una combinazione ottica i cui elementi sono sepa- 
rati da intervalli d’aria. Si usa di chiamar saldati i doublets di cui le com 
binazioni anteriore e posteriore constano di vetri saldati; ma in fondo anche 
codesti obbiettivi meritano la qualifica di obbiettivi dialitici. Un vero si- 
stema saldato ha tutti quanti gli elementi saldati insieme. Tale è la lente 
da paesaggio a vetri saldati. 


768 GIULIO SACCO 


È noto che ad un fascio di raggi omocentrico incidente su 
una lastra di vetro piano-parallela corrisponde un fascio emer- 
gente non omocentrico; ciò accade anche per un filtro costituito 
da più mezzi, e introduce nelle pupille del sistema certe aber- 
razioni che in alcuni casi non sono trascurabili rispetto all’orto- 
scopia, sebbene l’aberrazione sferica sull’asse, la coma e l’astigma- 
tismo dovuti al filtro sieno notoriamente trascurabili nei più 
comuni sistemi centrati ad immagine reale (!). 

Il filtro produce inoltre immagini parassite per riflessioni 
fra le sue facce e fra queste e le facce delle lenti obbiettive (?), 
e riflessi di luce diffusa fra le sue facce e la superficie sensibile. 


(4) Non ci occuperemo degli obbiettivi dei microscopi. In essi l'enorme 
apertura del fascio incidente fa sì che basti il sottilissimo vetricino copri- 
oggetto a produrre una spiccata ipercorrezione, alla quale si ripara mediante 
un’armatura a collarino di correzione. 

(®) Se, delle superficie dividenti d'un sistema centrato, v riflettono ener- 
v(v— 1) 
2! 
dine, le cui posizioni sono funzioni delle curvature, distanze e indici di 
rifrazione del sistema. Se n ed »' sono gli indici di rifrazione di due mezzi 
contigui, l'intensità relativa dei raggi riflessi dalla superficie che li separa 

è data per angoli d'incidenza non molto grandi da: 


n—_n' ) 
e 

L’indice di rifrazione d’un vetro d’ottica è quasi sempre compreso fra 
1.5 ed 1.6; quindi, per vetri saldati insieme, la riflessione alla superficie 
di saldatura è minima. Fra vetro ed aria, l'intensità relativa dei raggi ri- 
flessi è all'incirca a] = 0,046; dopo due riflessioni fra vetro e aria 

155+1) 

(come accade nella produzione delle immagini parassite) l'intensità relativa 
della luce parassita che ne nasce è dunque all’incirca: 


gicamente la luce, esse producono immagini parassite di 1° or- 


(EF 


4 
15541 = 0,002. 


Se il vetro è colorato, come accade nei filtri, l'intensità della luce pa- 
rassita, causa l'assorbimento, è ancora minore. Tuttavia la luce parassita 
originata dal filtro non si può dir sempre trascurabile, e di ciò avemmo 
prove sperimentali indubbie mediante la fotografia. Non bisogna poi trascu- 
rare il fatto che, nelle vedute grandangolari, le forti incidenze aumentano 
le perdite di luce utile per riflessione, mentre cresce l’intensità relativa 
dei raggi d'origine catottrica e catadiottrica. 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 769 


Se poi le superficie dividenti del filtro non sono parallele, 
il sistema cessa d'esser centrato, e ciò dà luogo alle aberra- 
zioni caratteristiche della rifrazione attraverso i prismi. 

Nel presente studio indagheremo essenzialmente: : 

Quale influenza sull’ortoscopia abbiano gli spessori e gl’in- 
dici di rifrazione dei mezzi d’un filtro regolare e la posizione 
del filtro rispetto all’obbiettivo, all'oggetto ed all'immagine proiet- 
tata dal sistema, come si formi l’immagine parassita da rifles- 
sione della luce fra la prima e l’ultima superficie dividente del 
filtro, e quale gravità possano assumere i riflessi fra il filtro e 
la superficie sensibile, riservandoci di metter in luce in altra 
nota quali effetti nocivi, geometrici e catadiottrici, produca un 
filtro diedro. 

Supporremo sempre che i mezzi del filtro siano isotropi e 
che le superficie dividenti di esso siano rigorosamente piane. 
Supporremo inoltre che ogni filtro regolare sia disposto colle 
facce normali all’asse ottico. 

Nella fig. 1, 9,5,5,S2..:S4Sk rappresenti la sezione di un 
filtro di %X mezzi con #-+1 superficie dividenti fatta con un piano 
normale a codeste superficie e contenente tutti i punti e rette 
della figura. Siano s1, so, ... sx gli spessori dei mezzi ed #1, #9, ...nx i 
loro indici di rifrazione, che supponiamo compresi fra 7,336 (acqua) 
e 1,55 (crown di media rifrangenza). Nella figura, in cui la luce 
sì suppone propagarsi da sinistra a destra, stabiliamo positivi i 
segmenti misurati da sinistra a destra sulle normali al filtro e 
dal basso in alto sulle rette parallele alle SS, ... Sk419%+. Gli 
angoli misurati a partire dalle normali al filtro saranno perciò 
positivi se misurati in senso opposto a quello delle lancette 
d'orologio. 

Sia UB; un raggio di luce che coll’angolo d’incidenza a col- 
pisca in B, la faccia SS, si rifranga secondo la spezzata 
B,B,...BxBx.E cogli angoli di rifrazione B,, 82, ... Bi, e d’emer- 
genza 8x1. Da Biu, per riflessione, avrà origine il raggio 
spezzato B,.1...Bxx.,, e da By. si rifletterà il raggio spezzato 
Br. ... Bzx+1 a cui seguirà il raggio emergente Bsy.1K, raggio 
parassito di 1° ordine, mentre B,..,E è il raggio emergente utile. 

Tirate per B,, B.., e Ba... le normali alle facce opposte del 
filtro, normali i cui piedi siano N, Ni41 ® Nar, siano C e D 
i punti in cui la B,N; è tagliata dai raggi BF e By con- 


770 GIULIO SACCO 


venientemente prolungati. Ciò posto, si hanno le relazioni se- 
guenti : 


(1) sina = sin, = nssinfs =... = # Sing, = sinf,i 


dalle quali, se X è un indice variabile fra 1 e %, deduciamo: 


(11) eo a 


Y nn? — sinîa 


Detto 8x1 l'angolo sotto cui emerge il raggio By, è poi 
evidentemente : 


(2) Bars = big =" 


Si ha inoltre: 


NBxy1 = sitgBi Ùn satgBs “Re Sig Pasi Z[ontgBi]; 


e per la (1') 
IN, B% ===> uegginà }-. 1 e, 
(3) pre DAL dhe. 
Risulta pure dalla figura e dalla (3): 
p; sina 
(4) Bis1Bar41 = 2N Bri — A [2s ba A 


La posizione di C rispetto a B, è data da: 


B,C=B,N CN. =Ys— N,Bx,;cota; cioè, per la (8) 


6 n 


che per a= 0° e a= 90° assume i valori: 
A 1 pi 

(6) B, 00 Dia" |] 
ta 

(54) BiGi = Ys= BM. 


(!) D’or innanzi lasciamo sottintesi gli indici % e i limiti 4=1e 3=%, 
che sussistono per tutte le sommatorie contenute nelle nostre formole. 


# 
ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 771 


Le posizioni di C rispetto alle sue posizioni-limiti saranno 
dunque: 


(6) ae= Yo ph) 


(7) CC, = CN, = Le s Mg ‘bora 


Van'-sinta | 


Diciamo G, il punto in cui una parallela a CE tirata per 
taglia la faccia S.uSk, Zoe Zi punti d’intersezione delle Ch) Gy 
e CE colla normale abbassata su esse da By, 7 il piede della 
normale abbassata da D sulla B,.;£. La posizione di D rispetto 
a C sarà data da: 


DC Bi.:1B3x41 cotta; 
e per la (4): 


LR 
DO= > 28 TI 
(8) >nI i Vanî—sina | 
E la posizione di D rispetto a 5, risulterà dalle (8) e (5): 
eat DI. Bd a 80080 
(9) B.D=B0-L DC) [s(1- 22) 


Ci interessano ancora le grandezze B,.1Go, GoZo, TC e TD. 
Noi abbiamo: 


B,4,Go = OCtga; 


onde, per la (6): 
00) 1 uo Vl] 


Per trovare G,Z, notiamo che è: 


GoBsr4a = By. Borsa — B,41G0; 


e per le (4) e (10): 
GBai=Y [s(- BETA. PI ina | 


n° — sin°a 


772 GIULIO SACCO 


Ora è: GoZo = GoBx:41sina; quindi: 


pr 2sin?a sin’a 
(11) GL =), s (a ali )l 
Per trovare TC notiamo che è: TC = DCcosa; onde per 


la (8): 
(12) TC= x. [2s et (1). 


Va—sin'a 


Finalmente per ZBx.1= 7°D, distanza fra i raggi utile e 
parassito, abbiamo: 


ZBsryi => BysxBarsa COSO ; 


e per la (4): 
in2 
(13) DO ZE i, s e 


Van — sin?a 


Tutte le grandezze finora considerate, essendo solamente 
funzioni degli indici di rifrazione, degli spessori e dell’angolo 
d'incidenza a, non cambiano se il filtro viene spostato senza 
alterar la direzione della normale alle sue facce. — Applichiamo 
ora le formole trovate ai diversi casi di posizione del filtro. 


a) Filtro fra l’obbiettivo e l’oggetto. 


Il raggio UB, (fig. 1) parta da un punto oggettivo U e l’ob- 
biettivo sia dalla parte della faccia 5,19. Tirata da U la UX 
normale al filtro, la quale tagli in V, V, ed H le rette Bud, 
CoGo e Byx41K, e detto Fil piede della normale abbassata da H 
sul raggio B,,1£, risulta evidentemente: 


(MEZ Bic UV, _ B,C ViV= Co 
UH=B,D FV=T6G FH= TD 


(4) Le (11) e (12), che ci servono nel calcolo della distanza angolare 
fra le immagini utile e parassita, rappresentano generalmente termini piut- 
tosto piccoli rispetto al termine con cui si debbono sommare. Tuttavia ne 
teniamo conto per esser esatti fino allo scrupolo. 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 773 


Fermandoci alla prima relazione: 


(5) Uuv=B0=Y ls(1— =) 


Van? — sinta 


è chiaro che V è l’immagine virtuale che il filtro produce di U 
per quei raggi emananti da U che fanno colla normale al filtro 
l’angolo a. Per le (5), (50) e (54), V col variar di a fra 0° e 90° 
varia fra due posizioni estreme V, e V, definite da UV, = BO 
e UV,=B,N,. Il coniugato di U rispetto al filtro è dunque una 
caustica virtuale di cui l'obbiettivo utilizzerà una piccola por- 
zione. Quest'ultima è limitata da una superficie di rivoluzione 
intorno ad UX, se UX coincide coll’asse ottico dell’obbiettivo ; 
ha invece una forma irregolare, ma simmetrica rispetto al piano 
contenente UX e la pupilla d’entrata, se l’asse ottico dell’ob- 
biettivo non coincide colla UX, ma le è semplicemente com- 
piano (*). 

La zona V,V d’aberrazione sferica sull’asse, quando l’asse 
dell’obbiettivo coincide colla UX, è piccolissima anche nei casì 
più sfavorevoli (?). D'altra parte essa produce una ipercorrezione, 
cioè un’aberrazione opposta all’aberrazione longitudinale di tutti 
gli ordinari obbiettivi, i quali sono notoriamente subcorretti (3). 
Quindi, se senza filtro la messa in foco si dovette fare portando 
la pupilla d'entrata dell’obbiettivo in un punto Q della UX a 
distanza d da U, la messa a foco col filtro è ben fatta se si porta 
la pupilla d’entrata dell’obbiettivo in un punto È della UX il 
quale disti da V, della stessa quantità d. 

Quando l’asse ottico non è in UX, l’aberrazione nei fasci 
obliqui prodotta dal filtro avrà carattere di coma per grandi 
aperture del fascio entrante e d’astigmatismo quando l'apertura 


(') Rammentiamo che l’asse ottico si suppone normale al filtro, perciò 
esso è necessariamente compiano colla retta UX, qualunque sia il punto U 
che si considera nello spazio oggettivo. 

(*) Per fare un caso sfavorevolissimo, supponiamo che si usi un filtro 
a vaschetta pel quale sia sj = s3=5 mm., sg=10mm., nj5=7w#3= 1.54, 
ny= 1.336, il fascio entrante abbia l'enorme apertura 2a° = 22°.40". 

Troveremo: VoV= 0,16 mm. circa. 

(*) M. von Ronr, Theorie und Geschichte des photographischen Objektivs, 
pag. 26 e seg., e diagrammi delle aberrazioni in fine dell’opera (Julius 
Springer, Berlin 1899). 


774 GIULIO SACCG 


del fascio entrante è piccolissima (*), ma anche queste aberra- 
zioni risultano in pratica affatto innocue, e sarebbe facile veri- 
ficarlo con esempi numerici, anche supponendo casi sfavorevo- 
lissimi. 

Le rette VO, VoPo, QI, ed RE siano tracce di piani nor- 
mali ad UX. UO rappresenterà il piano oggettivo di messa in 
foco del sistema filtro 4 obbiettivo, VoPo il piano di messa in 
foco dell’obbiettivo, RL il piano della pupilla d’entrata dell’ob- 


(') Malzata per V, la normale V,Y alla UX, il raggio VE della cau- 
stica, di cui il piano del foglio determina una sezione meridiana, taglia 
sui due assi cartesiani V,X e V,Yisegmenti V4V= — CN, la cui espres- 
sione si ha dalla (7), e V,.W = N,Bx+: la cui espressione è data dalla (3). 
L’inviluppo della sezione meridiana è dunque facilmente tracciabile per 
tangenti, oppure può esser tracciato per punti combinando la 


ae ci Y 


coso SI) sin a 
o eee ==5 Sia 35 == 
| J nie sin?a Il n° — sin'a 


(equazione del raggio VE in funzione dei segmenti che taglia sugli assi) 
colla sua derivata rispetto ad a. A ciascun valore dato ad a corrisponde 
una coppia d’equazioni in x e y che ci fornisce un punto. Un estremo della 
curva inviluppo è evidentemente tangente alla V.X nel punto V, pel 


+1=0 


eter 
quale è: a = — sE , l’altro estremo è tangente alla V, Yin un punto W, 
U 
pi 8 ta BS, 
pel quale è: y = Y . Ciascun punto della curva-inviluppo appar- 


sind In — 1 
tiene ad una distinta circonferenza risultante dalla intersezione di due su- 
perficie di coni retti infinitamente vicine ed aventi i loro vertici sulla UX. 
Per punti oggettivi U situati fuori dell’asse ottico e per piccolissime aper- 
ture del fascio entrante, la pupilla d’entrata dell’obbiettivo intercetta un 
fascetto proveniente da un elemento di caustica che presenta due lineette 
d’astigmatismo. Una di esse, normale al foglio e quindi al fascetto entrante 
nell’obbiettivo, è determinata dall’ intersezione di due porzioni di superficie 
di coni; l’altra lineetta, normale alla prima e giacente in un altro piano, è 
costituita da una brevissima serie di vertici di coni situati sulla normale UX 
abbassata dal punto-oggetto U sul filtro. Le due superficie coniugate del 
piano oggettivo determinate da queste due lineette sono un po’ concave 
verso l'obbiettivo, producono perciò un’aberrazione opposta a quella degli 
obbiettivi ordinari (V.i diagrammi d’astigmatismo in fine dell’op. cit. di 
M. von Rorr). Tutto questo si deduce facilmente dalla figura e dalle for- 
mole che stabilimmo, 

Analoghe aberrazioni si troverebbero per H, che è l’immagine paras- 
sita di U; ma queste non ci interessano. 


f 
ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. } 775 


biettivo. QZ è il piano del punto /, di cui stiamo per vedere 
il significato. 

La pupilla d'entrata dell’obbiettivo sia in £ a distanza d 
dal punto P, in cui l’asse ottico tagli la VP. Siano 0, Ly, Ii 
punti in cui l’asse ottico taglia le rette VO, QI e UB,. Ciò 
posto, invece di dire che la pupilla E d'entrata dell’obbiettivo 
vede il coniugato V di U, possiamo dire che U è veduto da I, 
pupilla d'entrata del sistema filtro + obbiettivo. Ad una pupilla £ 
fissa e ad un punto V affetto da aberrazioni noi sostituiamo 
così un punto U fisso ed una pupilla /, determinata da E/= CB, 
[vedi la (5)] funzione di a, e perciò affetta da un’aberrazione. 
Quest’aberrazione è data da L,Z/= CC, perchè evidentemente I; 
è la posizione-limite di { per a=0. Per la (6) è dunque: 

CÀ cosa na 

Quest'aberrazione pupillare, negativa e crescente in valor 
assoluto con a, dà origine alla distorsione di cui stiamo per 
occuparci. 


La distorsione. — Un segmento variabile O0U del piano og- 
gettivo, misurato a partir dall’asse, è veduto da Z, quando a è 
infinitamente piccolo, mentre per a finito è visto da una pupilla / 
che gli è più vicina di /,. Se tiriamo la retta U/,, appare chiaro 
che col crescer di a cresce la differenza fra l'angolo a= 0IU 
e l'angolo a = OLU sotto cui si dovrebbe vedere qualsiasi 
segmento OU per soddisfare all’ortoscopia. Ora si ha, inten- 
dendo che d sia positivo: 

UO 


ig%= 7 


SAID ppi UO , 
dI" Shi \ s( LOSE a SL 
n Va? — sinîa 


La distorsione ® sarà dunque espressa da: 


(15) pg oment-ueop_ x ù 
tg, mo dA s( ba È cosa -) 
n V n° — sin?a 


funzione positiva e crescente di a per a variabile fra 0° e +90°, 


tga 


776 GIULIO SACCO 


Questa distorsione positiva (!) tende a zero se il rapporto di 4 
allo spessore del filtro tende ad infinito. Per la piccolezza della 
sommatoria rispetto a d la (15) può assumer la forma: 


(15)) o=t1Y |(1_ ese) 


Vat—sina 


Per d = 133.33 mm., e per un filtro a vaschetta in cui sia 
$i =s3=5 Mm., ss =0 mm, % = %3 = 1000 
viamo: 


Per. iu==00 108 200 (25%, 808 40° 50° 
®=0 + 0.81 +3.03 +5.12 +7.71 +14.66 +24.36 p. mille 


Questa distorsione positiva, che nel nostro esempio sorpassa 
già il 5 per mille per un angolo di campo 2a = 50° (2), potrebbe 
nei lavori d'ingrandimento compensare la distorsione negativa che 
gli obbiettivi olosimmetrici ed emisimmetrici producono quando 
il piano oggettivo è molto vicino al loro primo foco (3), ma con 


(4) I fotografi dànno alla distorsione positiva il nome di distorsione 
“ a guancialetto , e chiamano distorsione “ a bariletto , la distorsione negativa. 

(3) Questa spiccata distorsione, che si ha malgrado che i raggi uscenti 
dal filtro siano paralleli ai raggi entranti, dimostra ancora una volta quanto 
è già stato messo in rilievo dal vox Rogrr (Op. cit., pag. 53), e dal CzapskI 
(Grundziige der Theorie der optischen Instrumente, pag. 221), cioè che la 
condizione di Airy o condizione delle tangenti: 


te. ang. d’uscita 
tg. ang. d'entrata 


dove X è una costante, non basta a guarentire l’ortoscopia, ed esige di 
essere accompagnata dalla “ condizione di Bow e Sutton ,, 0 condizione del- 
l’assenza d’aberrazione pupillare. Quest'ultima condizione fu dimenticata da 
alcuni autori, fra cui lo Caworson (Traité de Physique, tomo II, fase. 1. 
Hermann, Paris, 1906). 

(*) Gli obbiettivi olosimmetrici (composti di due elementi identici) ed 
emisimmetrici (composti di due elementi identici fisicamente, ma solo simili 
geometricamente) producono una distorsione che da un maximum positivo 
per punti-oggetti all'oo, decresce fino a zero quando il piano oggettivo si 
avanza dall’infinito sino al primo piano focale dell'elemento anteriore del- 
l'obbiettivo (E. WawnpersLEB, Der Fehler der Verzeichnung bei photographischen 
Objektiven, Eder's Jahrbuch fiir 1907, pag. 145 e seg.). 

Se il piano oggettivo s’avvicina ancor più, la distorsione diventa, per 


À Tr 
ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 777 


altri obbiettivi essa può aggravare la distorsione loro propria e 
perciò produrre un danno sensibile. 


L'immagine parassita da riflessi fra le due facce del filtro. — 


‘ La pupilla d’entrata £ dell’obbiettivo vede oltre il punto V, im- 


magine virtuale di U, anche l’immagine parassita H, la quale 
dista da U di UH= B,D, grandezza che ci è fornita dalla (9). 
L'angolo p sotto cui VH è veduto da £, se vien considerato 
come uguale alla sua tangente, è dato da: 

sFH.: celati. i ZBay 

FE FV+VE TC+VE' 

Ora è: 
VE = d (ra LALA = d —- Ge 
cosa cosa 


Quindi, per le (6), (12) e (13), sarà: 
Ya sin a cos” a 
V n° — sin?a | D 
cosa + 2cos'a 1 l 
d fe « 
Ana n 
funzione il cui valore assoluto prima cresce e poi decresce col 
crescer di a, ed è tanto minore quanto maggiore è d rispetto 
allo spessore del filtro. Ora, affinchè l’occhio collocato nel giusto 
punto prospettico nel guardar la fotografia, cioè situato all’in- 
circa alla distanza della pupilla d’uscita, non possa distinguer 


dall'immagine utile una eventuale immagine parassita, bisogna, 
almeno teoricamente, che l’angolo p sia minore dell’angolo d’acuità 


(16) p= 


normale, cioè di STARE L'esempio che stiamo per dare di- 


mostra che p può sorpassare enormemente codesto limite. Sia 
fi —es—o mMin., sa =I0 Inn, n, =Ng = L.ba, fa 41990, 
d= 133.33 mm. 

Mera 0° 20° 40° 
sarà p= 0 0,056 0,082 


ossia p'= 0°  3°,12" 4°.42’ in gradi e minuti sessagesimali. 


conseguenza, negativa. Questa distorsione è causata dall’aberrazione pupil- 
lare, malgrado che negli obbiettivi simmetrici sia soddisfatta la condizione 
di Airy (per essi è K=1}). 


778 GIULIO SACCO 


Quest'esempio corrisponderebbe ad un ingrandimento in 
scala 3:1 fatto su lastra ortocromatica con un obbiettivo di 
100 mm. di distanza focale e con un filtro a vaschetta. Natu- 
ralmente l’immagine parassita sì imprimerà nell’emulsione solo. 
quando si tratti di un oggetto (ad es., un diapositivo) @ violen- 
tissimi contrasti di chiaroscuro e l’immagine parassita d’un punto 
luminosissimo vada a formarsi su un punto corrispondente ad 
una regione oscura ('). Questo caso è dunque assai raro, ma è 
possibile. 

È evidente che tanto riguardo alle immagini parassite quanto 
iguardo alla distorsione conviene, per attenuare il danno, adoprar 
filtri del minimo spessore possibile. 


b) Filtro fra l’obbiettivo e il piano iconografico. 


Supponiamo ora (fig. 1) che U rappresenti la pupilla d'uscita 
dell’obbiettivo e che RE sia il piano iconografico pel sistema 
filtro + obbiettivo. La pupilla d'uscita di questo sistema sarà il 
punto V, punto affetto da aberrazione, il quale coincide con Vy 
solamente per a = 0. Il raggio VB, proietta in # sul piano 


(!) Ricordando la nota (?), pag. 4, se # è l'intensità relativa a cui per 
assorbimento vien ridotta la luce nel percorrere una delle spezzate BjBx41, 
Bx1 Ber+1, B2x+1B3k+1, il rapporto fra l'intensità del raggio parassito 
n—_- 1 
n+ 1 
dice di rifrazione del primo e ultimo mezzo del filtro (ordinariamente vetro). 
Se poniamo n= 1.53 e #=0.7 circa, codesto rapporto risulta eguale 


4 
B3x+1K e quella del raggio utile Bx+1E è dato da 2( ) , dove x è l’in- 


ad er in cifra tonda. Ora esistono, benchè molto rari, certi negativi o 


diapositivi nei quali il rapporto fra le trasparenze massima e minima va 
molto oltre il 1000. Se di questi si fa un ingrandimento fotografico, può 
accadere che l’immagine parassita della regione più trasparente cada sul- 
l’immagine d’una delle parti più opache dell’oggetto, e in tal caso, per 
un'esposizione un po’ abbondante, si renderà visibile. 

Nella fotografia di paesaggi o interni a grandi contrasti, il rapporto 
fra le luminosità massima e minima può essere enormemente superiore 
a 1000. Se allora si adopra un filtro fra l'obbiettivo e il piano iconografico 
(caso che ora esamineremo), il pericolo di formazione d’una immagine pa- 
rassita è ancor più grave, specialmente se il filtro ha un grande spessore. 


i a i a e cn n a 


us 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. sd (779 


iconografico l’immagine utile d'un punto oggettivo, e l’immagine 
parassita X (!) di codesto punto è projettata sul piano R£ in L 
dal raggio Bs. (in pratica si avrà in L un cerchio di diffu- 
sione, perchè KX non è esattamente in foco). 

Per a=0 V dista da RE dell'intervallo massimo V;£, che 
diremo d (?). 

La distorsione. — Se V non aberrasse dal punto V, l’im- 
magine del punto oggettivo non sarebbe projettata da V in E, 
ma da V, in un punto £&, determinato dalla Vo E, parallela 
alla VE. La distorsione 9 è dunque data da 

FE __ GoBrr 
RE d.tga 


Quindi, per la (10): 


17 tar] 


d LI 


equazione che differisce dalla (15') solo pel segno del 2° membro. 
Qui dunque la distorsione è negativa. Essa tende a zero quando 
il rapporto di d allo spessore del filtro tende ad infinito; onde 
la convenienza d’usar filtri sottili. 


(4) Anche E e K sono rappresentati da caustiche, le quali nel presente 
caso sono reali. Si ha evidentemente KE= HV; IE=UV; IK=" UH; ecc. 
La caustica in E, considerata come immagine di un punto JI nel quale con- 
vergano virtualmente i raggi 0/, UB, ecc., dà luogo ad un'ipercorrezione, 
e le superficie focali d’astigmatismo prodotte dal filtro sono concave verso 
il piano iconografico, giacchè [E = B;C è funzione crescente di a. 

(*) È bene chiarire un punto mal noto ai fotografi. È abbastanza cono- 
sciuta la regola che, se fu interposto il filtro fra l'obbiettivo e la lastra 
sensibile, “ il tiraggio deve essere allungato di circa © dello spessore del 
filtro ,, come risulterebbe dalla (5) per un filtro di un solo mezzo d’indice 
di rifrazione 1.5. Ciò può far credere che cresca la distanza focale, lo che 
produrrebbe un proporzionale aumento nelle dimensioni dell'immagine; ma 
così non è. Il tiraggio aumenta perchè sì spostano di una stessa quantità 
(uguale a BC) sì la pupilla d'uscita che il piano iconografico. Il segmento 
che rappresenta la distanza focale non subisce dunque un allungamento, 
ma solo uno spostamento. 

Anzi, siccome la (17) ci dimostrerà che la distorsione prodotta dal filtro 
è negativa, le dimensioni della immagine risulteranno d’un’inezia minori 
di quelle che darebbe l’obbiettivo senza filtro. 


pr 


780 GIULIO SACCO 


L'immagine parassita da riflessi fra le due facce del filtro. 
— Detti M, ed M i punti d’intersezione delle VE e Vf colla 
normale abbassata su esse da L, l’occhio situato nella pupilla Vo 
vedrà il segmento EL sotto un angolo p che è dato con suffi- 
ciente approssimazione da 
LM pei wi i 


Voli 


È t EM Rip rt Goo 


Per le (11) e (13) sarà dunque: 
pa [è sina costa 
nè — sinîa ae | 
3 cos i ji; 
per > |. Sa ai n° — sin’a 2) 


espressione poco differente dalla (16), colla quale si confonde se 
nella (16) e (18) si trascura il 2° termine del denominatore. 

Dalle (15), (16), (17) e (18) risulta che, per render minimi 
la distorsione e l'angolo fra il fascio utile e il fascio parassito, 
bisogna situare il filtro fra l'obbiettivo e il più lontano dei due 
piani conjugati, cioè fra l'obbiettivo e l’oggetto nella fotografia di 
paesaggi, ritratti, ecc., e fra l'obbiettivo e l’immagine negli ingran- 
dimenti. 


(18) p= 


c) Filtro fra le lenti dell’obbiettivo. 


Questo caso rientra nei due precedenti. Nelle figg. 2 e 2' 
A e P rappresentino schematicamente le combinazioni anteriore 
e posteriore dell’obbiettivo, Y rappresenti il filtro. La combina- 
zione A potrà dare di un punto oggettivo O un'immagine vir- 
tuale O' (fig. 2) situata dalla parte dell'oggetto, od un’imma- 
gine 0" (fig. 2') situata dalla parte del piano iconografico, anche 
essa virtuale e destinata ad esser trasformata in reale dal resto . 
del sistema ottico, od infine un'immagine all’ oo. Nella prima 
ipotesi, considerando come piano oggettivo il piano condotto 
per O' normalmente all’asse e come obbiettivo la sola combina- 
zione P, saremo nel caso di un filtro situato fra l'obbiettivo e 
l'oggetto; la pupilla d’entrata dell’obbiettivo da considerare sarà | 


rassite di 1° ordine a 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 781 


quella di P, e la pupilla d'entrata del sistema filtro + obbiettivo 
sarà quella della coppia filtro--- P. Nella seconda ipotesi, con- 
siderando come piano iconografico il piano condotto per 0” nor- 
malmente all'asse ottico e come obbiettivo la combinazione A, 
saremo nel caso di un filtro fra l'obbiettivo e il piano icono- 
grafico, la pupilla d'uscita dell’ obbiettivo sarà quella di A e 
quella del sistema filtro + obbiettivo sarà quella della coppia 
filtro + A. Nella 3* ipotesi i fasci che entrano ed escono dal 
filtro constano di raggi paralleli, quindi 4 è infinito, onde, per 
le (15), (16), (17) e (18) la distorsione 9 e l’angolo p si ridu- 
cono a zero. 


d) Riflessi fra il filtro, 
l'obbiettivo e la superficie sensibile. 


Se ad un obbiettivo di v lenti immerse nell’aria, il quale pro- 
20(20— 1) 
2! 
giamo un filtro, questo farà salire il numero delle immagini pa- 
Av+1)[20+1)—-1] 
2! 


duce perciò immagini parassite di 1° ordine, aggiun- 


, cioè a 4v +1 di più. 


. Il filtro aggiunge dunque rispettivamente 9, 13, 17 o 21 immagini 


e n E 


- 


parassite agli obbiettivi costituiti da 2, 3, 4 o 5 elementi non 
saldati. Di codeste 4v + 1 immagini aggiunte noi esaminammo 
solo quella prodotta da riflessi fra le due facce del filtro, im- 
magine filtrata tre volte (mentre l’immagine utile è filtrata una 
volta sola), eppure capace di produrre danno. Si capisce che le 
altre 4v immagini possano recar danni gravissimi se non si prov- 
vede ad allontanarle quanto si può dal piano iconografico me- 
diante un conveniente spostamento del filtro. Ora, mentre fra le 
lenti la spostabilità del filtro è nulla, questa è massima se il 
filtro si colloca fra l’obbiettivo e il più lontano dei due piani 
coniugati, cioè fra l’obbiettivo e l’immagine negli ingrandimenti, 
e fra l'obbiettivo e l'oggetto nella fotografia di campagna, nel ri- 
tratto, ecc. 

Nella fotografia di campagna, nel ritratto, ecc. bisogna inoltre 
notare che il filtro fra l'obbiettivo e l’immagine produrrebbe 


riflessi di luce diffusa fra le proprie facce e l’emulsione, tanto più 


«gravi quanto più il filtro si sposta dall’obbiettivo verso l’ emul- 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. D4 


782 GIULIO SACCO — ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 


sione. Dunque, anche riguardo ai riflessi dell’intero sistema, ci 
appaiono come le più probabili le norme trovate esaminando 
la distorsione e i riflessi fra le due facce del filtro, benchè la 
norma veramente decisiva pel collocamento del filtro non si possa 
stabilire se non dopo aver studiato per ciascun tipo d’obbiettivo 
la legge di posizione delle immagini di origine catadiottrica in 
funzione degli indici di rifrazione, dei raggi di curvatura, degli 
spessori, delle distanze fisse e della distanza d variabile. 
Condannabile però a priori è la pratica talora seguìta di 
collocare vicinissimo alla superficie sensibile un filtro d’uguali di- 


mensioni. Infatti la faccia del filtro che guarda l’emulsione ri- 


manda contro la stessa circa ( Lp 1) 44 della copiosa luce 

Ksar 100 
diffusa che le è inviata dall’emulsione, l’altra faccia del filtro 
TE ci\ò = 0,044, dove (tra- 
sparenza) è l'intensità relativa a cui la luce vien ridotta per 
assorbimento nell’attraversare una volta il filtro. Nei buoni filtri 
ortocromatici t è uguale a 0.7 — 0.8 circa per la zona A— E 
dello spettro, zona per cui le lastre pancromatiche migliori 
sono sensibilissime; quindi in totale il filtro respinge verso 
l’emulsione circa il 6 —7°/ della luce rossa — verde che ne 
riceve. Questa grande percentuale ci dispensa da ogni com- 
mento. Nè vale porre il filtro addirittura @ contatto coll’emul- 
sione. Ciò sopprimerebbe solo gli effetti dannosi della luce re- 
spinta dalla faccia di contatto, non già quelli dell’altra faccia, 
e d’altra parte le lastre sensibili del commercio sono molto male 
spianate, onde il preteso contatto non si realizza mai. — Le con- 
siderazioni ora fatte valgono @ fortiorî pei filtri irregolari, e 
perciò l'applicazione del filtro presso l’emulsione non ha di fronte 
ai suoi gravi inconvenienti se non la meschina giustificazione nel 
fatto che un filtro a facce male spianate e non parallele fa sentir 
meno le perturbazioni diottriche in codesta posizione che non in 
altre. Ma se consideriamo che nei filtri di grandi dimensioni esi- 
stono pressochè sempre delle bolle d’aria e altri difetti locali che 
si imprimono crudamente sull’emulsione quando il filtro è vici- 
nissimo ad essa, concluderemo che sotto tutti gli aspetti l’appli- 
care il filtro vicino alla lastra sensibile è il più grave degli 
errori. 


ne rimanda contro l’emulsione | 


3ACCO — Aberrazioni e | 


filtri di luce 


fa: 


p, SACCO — Aberrazioni e riflessioni nocive prodotte dai Atti della R. Accad. delle Scienze 
i filtri di luce negli apparecchi fotografici. di Torino. Vol. XLIII. 


LEONIDA TONELLI — SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 783 


Sulla rettificazione delle curve. 


È Nota del Dott. LEONIDA TONELLI, a Bologna. 


Il prof. Vitali, in una recente nota ('), ha dato una propo- 
sizione relativa ai gruppi di punti e ne ha dedotto una dimo- 
strazione della seguente proposizione: “ un numero derivato di 
una funzione a variazione limitata è sommabile; se la funzione 
è assolutamente continua, l'integrale indefinito del numero de- 
rivato coincide con la funzione all'infuori di una costante addit- 
tiva ,. La stessa dimostrazione del Vitali, portata nel campo 
della rettificazione delle curve, mi ha condotto al seguente ri- 
sultato. Data una curva continua (?) rettificabile 


=, y=v(0), 2=20) (aSt<1), 
si indichi con / la sua lunghezza. Allora l’integrale (3) 


[NFPOFFIVORFIOR d 


esteso al gruppo E dei punti di (a,b) ove le x'(t), y'(t), z'(t) esi- 
stono e sono finite, esiste sempre ed è 


(IIFOEFIWORFIZOR ast 


Se poi le funzioni x(t), y(t); z(t) sono assolutamente continue, l’in- 
tegrale considerato dà la lunghezza della curva, vale a dire è 


[NITOP+IVOFT]OE = 


(4) G. Vrrari, Sui gruppi di punti e sulle funzioni di variabili reali, 
“ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XLIII, anno 1907-908. 

(*) Cioè tale che le x(t), y(t), «(t), siano funzioni continue. 

(*) Integrale nel senso del sig. Lebesgue. 


784 LEONIDA TONELLI 


Come corollario di questa proposizione si ha: 

Se le funzioni x(t), y(t), z(t), hanno ciascuna un numero 
derivato (che può non essere lo stesso per tutte tre) finito (e quindi 
non necessariamente limitato) in tutto (a, b), è 


[NIFOVTIVOFFIZOR a=L 


Questa proposizione contiene come casi particolari le due 
proposizioni analoghe date dal Lebesgue (*), relative una al caso 
in cui esistano e siano finite in tutto (a, 3) le derivate '(t), 
y'(t), 2'(t), e l’altra a quello in cui le x(t), y(9), 2(t), siano a 
numeri derivati limitati. 

Dimostro poi che la condizione dell’assoluta continuità per 
le x(t), y(t), 2(t), già dimostrata sufficiente, è anche necessaria 
affinchè l'integrale considerato sia la lunghezza della curva. Sicchè 
si può concludere che 

Condizione necessaria e sufficiente affinchè sia 


th, 2 OR+iN0R+]"0 d=1 


x 


è che le funzioni x(t), y(t), z(t) siano assolutamente continue. 


1. — Ricordiamo alcune nozioni fondamentali. 
Data una curva continua 


(1) e=o(0), y=y0), 2=20 (a =t<5), 


(dove x(t), y(t), 2(t), sono funzioni continue), si definisce come 
lunghezza ! di essa, nell’ intervallo (a, è), il limite superiore 
delle lunghezze delle poligonali in essa inscritte, vale a dire 
il limite superiore delle somme 


Viet) — ed +yM- 70 + 2, 


DI: 


r=l 


() H. LeBescue, Intégrale, longueur, aire, ©“ Annali di Matematica ,, 1902 
e Lecons sur l’intégration et la recherche des fonctions primitives. Paris, 
Gauthier-Villars, 1904. 


SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 785 


dove n è un numero intero positivo qualunque e 
aziite<ti « to & ben < Dex << ARE 


è una qualsiasi divisione dell'intervallo (a, è) in » parti. 

Si dimostra poi, se / è finito, che preso un numero positivo e 
piccolo a piacere, si può sempre trovare un numero positivo è 
tale che, per qualsiasi divisione dell'intervallo (a,3) in parti 
ciascuna d’ampiezza minore di è, sia 


1-Y Va MANA < 6; 


e, se Z è infinito, che, preso un numero M grande a piacere, si 
può sempre trovare un è tale che, per ogni divisione di (a, 5) 
in parti ciascuna minore di ò, sia 


YVONNE FATA > IM 


Se Z è finito la curva è detta rettificabile; e si dimostra che 
condizibne necessaria e sufficiente perchè la curva (1) sia ret- 
tificabile è che le tre funzioni x(t), y(t), 2(t), siano a_ varia- 
zione limitata (!). 


2. — Una funzione f(x) dicesi assolutamente continua (?) 
in (a, 5) se, preso un numero positivo 0 piccolo a piacere, esiste 
poi sempre un corrispondente numero u, maggiore di zero, tale 
che sia 


|Z};f(B) —f(a)(| < 0, 


dove la sommatoria è estesa ad un qualsiasi gruppo d'’inter- 
valli (a;, B;), due a due distinti, di (a, è) avente una misura 
minore di u. Ricorderemo poi che in questa definizione si può 
sostituire alla differenza f(8.) —f(a;) il suo valore assoluto 
|f(8:) — f(a;)|, ed anche la variazione totale di f() in (a;, B.): 


(') Vedi Jorpan, Cours d’Analyse, t. I, 2* edizione. 
(®) G. Virari, Sulle funzioni integrali, È Atti della R. Accademia delle 
Scienze di Torino ,, vol. XL (1904-905). 


786 LEONIDA TONELLI 


V(8) — Y(a;), indicando con V(x) la variazione totale di f(x) 
in (a, 2). 


3. — Sia, ora, la curva continua rettificabile 
(1) s=20), y=y(), 2=20 (@<t<0). 


Le x(t), y(t), 2(t), sono, per quanto si è ricordato al n. 1, 
funzioni continue a variazione limitata: ciascuna di esse, perciò, 
ammette derivata finita in tutti i punti di (a,d) eccettuati 
quelli di un insieme di misura nulla (*). Possiamo quindi dire 
che in tutti i punti di (a, ), eccettuati quelli di un insieme di 
misura nulla, le derivate «'(t), y'(t), ='(t), esistono insieme e sono 
finite. Indichiamo con £ l’insieme dei punti ove le tre derivate 


dette esistono e sono finite. In £ ha allora valore determinato ‘ 


e finito l’espressione 


Vi”0F+1/0"+}20f. 


Poichè la funzione 


VicOR+ 4 0P+}2"0f 


è, come si sa, misurabile, vediamo se è anche sommabile, vale 
a dire se esiste l’integrale 


[NTOFFWOFFIZOR a 


Sia & un numero maggiore di zero. Per la misurabilità di | 


VicOf+)}yOE+}#0}? il gruppo G, (n=0,1,2,...) dei 
punti di (a, 6) (ossia di E) in cui è 


ah <Vic)P+1yYOP+ 0 <M+1% 


è misurabile. Detta 7, la misura di G,, si consideri la serie 


(ee) 
hEa-m,. 


n=0 


Poichè condizione necessaria e sufficiente affinchè la 
Vice +}v0P+}0t? 


(i) Vedi H. Lesescue, Lecons sur l’intégration, ete., pag. 128. 


SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 787 


sia sommabile è che la serie precedente sia convergente, basterà, 
per dimostrare che la funzione detta è sommabile, far vedere 


N 
che, per ogni intero N, la somma % XY nm, si mantiene inferiore 


n=0 
ad un numero fisso (1). 
Tra le misure m, (n= 0,1,..., N) ve ne possono essere 
delle nulle: siano 


' 
Mn Mm ++ +3 Max, NSA) 


quelle tra esse che sono maggiori di zero. E, evidentemente, 
N' 


N 
(2) Lana LN. 


n=0 i=0 


Preso un numero e maggiore di zero e minore del minore 
. . . , . 
dei numeri #; (£= 0, 1, ..., N), si ponga 


E 


1+ SI (14 d)ni 


Poichè G,, è un gruppo di misura mn, sarà possibile tro- 
vare un gruppo finito ® di segmenti di (a, 6), due a due distinti 
(cioè tali che due qualunque di essi abbiano tutto al più un 
estremo in comune), e racchiudenti un sottogruppo Tn di Gn 
di misura maggiore di mn — n, in modo che sia 


m(XZ0) < Mn (2). 
Allora sarà 


Mn, — N Z Mn) £ Mo) < Mm è 


ed i punti di Y, che non appartengono a Gn, formeranno un in- 
sieme di misura minore di n. Perciò i punti di G», esterni ad 
ogni segmento di %, formeranno un gruppo di misura certa- 


(!) Si ponga mente che la serie 1 n.mn è costituita di termini tutti 


n=0 


maggiori ed uguali a zero. 
(3) Indico con m(Z;) la misura di Zy. 


788 LEONIDA TONELLI 


mente maggiore di mn, — n. Potremo, in conseguenza di ciò, 
trovare un gruppo finito Y, di segmenti di (a, 3), due a due 
distinti, del tutto esterni ai segmenti di Y, e racchiudenti un 
sottogruppo ln, di Gn, di misura maggiore di mn, — 2n, in modo 
che sia 

m(Z) < mm N- 


Sarà allora 


Ma, 2n < M(T n) S m(X) <Mn N; 


ed i punti di Y;, che non appartengono a G,, formeranno un 
insieme di misura minore di n. Ne segue che i punti di G,, 
esterni a XY ed a Y, formeranno un gruppo di misura mag- 
giore di mn — 2. Si potrà quindi trovare un gruppo finito Y 

di segmenti di (a, 6), due a due distinti, del tutto esterni ni 
segmenti di Y, e X,, e racchiudenti un sottogruppo Fn, di Gn, 
di misura maggiore di m,,— 8n, in modo che sia 


Mo) < mn, — 2n. 
Sarà allora 


Mn, — BN < M(Mn) < M(Zo) < ma, — 2N 


ecc. Così proseguendo si vengono a costruire N'+1 gruppi 
x; (i = 0,1, ..., N') ciascuno dei quali è formato con un numero 
finito di segmenti di (a, bd). Li segmenti di tutti i gruppi Y; sono 
poi tutti distinti tra loro, e X; contiene un sottogruppo Mn; di Gu, 
in modo che sia 


(3) Mn, — (14 d)Nn< mf) < MA) < Mm — n 


Si indichi, ora, con Y,' il gruppo dei segmenti di (a, 6) che 
cadono completamente dentro a qualche segmento di Y; e che 
sono tali che, essendo (a, 8) uno qualunque di essi, sia 


(4) tl: _0P+ LO MOET]A AE 


3 2 Pale 


SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 789 


Facciamo vedere che ogni punto dil”,, appartiene al nucleo (*) 
di Y;'. Sia # un punto di Tui poichè Fn, è un sottogruppo di G,,, è 


nh <V|o'O+)y0+}20 < +1)h 


Siccome si può determinare un intervallo (#, tt), compren- 


dente nel suo interno #, e tale che, dall'essere <a <#<B<t, 
seguano le disuguaglianze 


ee I) — y(a) 


B—_a 


x(8) — 2(a) rig 
Sd 0|<, 
8) — e(a) 7 
Ba 0) <<, 


yO|<@, 


dove e, è un numero positivo piccolo a piacere, si può anche de- 


terminare un intervallo (#,, #) tale che dall'essere f,£a<#<B<t, 
segua 


BE ATO ott 


< (n:+ 1A — Vie {+}y0t8+}208 


e quindi 


e n;h n h. 


| V}e:B) — 2(0t + )u(B) — WE }2(8) — 2(0){* 
B_-a 


Perciò, per quanto piccolo sia 0, vi è sempre un intervallo 
minore di 0, tutto contenuto in un intervallo di XY; e compren- 
dente o come punto interno, o come estremo, il punto #, per il 
quale è verificata la (4). #, appartenendo così a tutti i Y';c, 
appartiene al nucleo di Y/. 

Poichè, dunque, T,, appartiene al nucleo di X;", la misura 
di questo nucleo è maggiore od eguale a #w(Fn,) e quindi mag- 
giore di mn;,:— (i + 1)n. D'altra parte tale misura è minore od 
eguale a m(X;') < m(X.) < mn, — in. Possiamo quindi, per la pro- 


(4) Il Vitali definisce come nucleo di un gruppo X di segmenti di una 
retta, il gruppo dei punti comuni a tutti i gruppi Zo formati coi segmenti 
di Z che sono minori di 0, dove 0 è un segmento piccolo a piacere. 


790 LEONIDA TONELLI 


posizione del Vitali sui gruppi di punti ricordata nell’introdu- 
zione ('), trovare un gruppo numerabile XY," di segmenti di Y;/', 
a due a due distinti, tali che la somma delle loro lunghezze sia 
compresa tra mn — (i+ 1)n e mn, — in. Dal gruppo X;" po- 
tremo poi estrarre un numero finito di segmenti 


(Q;;, 87) () = 0, lat DE) \,) (Bi; > d;) 


tali che la somma ss=Y(B;— ay) delle loro lunghezze sia 
j=0 


anch'essa compresa tra mn, — (i+ 1)n e m,,— în. E perchè i 
segmenti di due qualunque Y;, e quindi di due qualunque Y;/, 
sono tra loro distinti, ne viene che tutti i segmenti 


(a), Bi) (j= 01, Zire 


sono due a due distinti. 


Dalla (4) si ha 


Vic) 20) +)y By] (e) = 
= (nh + 0h) (Bj — dig) 


dove è [0;;]| < 1; sommando rispetto all’indice j si ottiene 


VIRA) NHB AU = 


dove è |0;|< 1; e sommando ancora 


(5) YI VIBRAM = 


a=0 5=0 
NI N' 
=; Lnss +. hX 0;S;. 
i=0 i=0 


(1) La proposizione è la seguente: se X è un gruppo di segmenti il cui 
nucleo abbia una misura finita m,, esiste un gruppo finito o numerabile 
di segmenti di 2, a due a due distinti, le cui lunghezze hanno una somma 
non minore di m;. 


LI 


SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 791 


Poichè i segmenti che entrano nelle somme 8; (i==0,1,...N') 


sono, per quanto abbiamo già osservato, due a due distinti, 
N' 
è X ss<b—a, e quindi, a più forte ragione, è 
ar, 
N' 
è 
D Bis; < bT—a. 


i=0 
È poi, per essere mn — (i + 1)n < s; < mn;— in 3 
Ismail <(i+1)n, 


e quindi 
1h 
L [nisi — NM; | <nZ D G+ 1)n; 
i=0 
x N N 
nisi — DL Millin, een + agi 
i=0 i=0 

Ma è 


N' 


n pi + 1)mi; < n(1+3 TA Lit 1)na), 


onde, per la 
€ 


n == CEIGATGIZAL 
1+Z(it-1)ni 
i=0 
i N N’ 
Lns— nm | zUE 
i=0 i=0 


Dalla (5) si ha, perciò, 


N x 
n3 Dy x(B4) (0) (+18) (2)? HH 2(8,)— (05)? = 


N' È de 
=hX nimn, + h0€ + h0(b — a) 
i=0 
con [6] <1, |0|<1. 
E poichè, come già abbiamo osservato, gli intervalli (a;;, 8:;) 


sono tutti distinti, il primo membro della (6) è minore della 
lunghezza 2 della curva (1). Si ha, perciò, 


N' 
hEnm,<L1+h(e+5—- a) 
i=0 


N! 
hE nm, <L1+2h(b—- a), 
i=0 


792 LEONIDA TONELLI 


giacchè, essendo e minore del minore dei numeri #7; ci3 Mag, 3 


è e<b—a. 
Per la (2) è quindi 


N 
hXn.m<l14+2h(b— a). 
i=0 


N 
Dunque tutte le somme Y ».wm, rimangono, per qualsiasi N, 


i= 


minori del numero fisso 7-4 2%(b — a). La funzione 


Vic'Ot+}y0{(+}20? 


è, perciò, sommabile. Dall’essere poi 


[INIFOPH)VORHOE d=lim n É nm, 


h=0) Win=0 
e 
hZn.m,<1+2h(b—a), 
i=0 

risulta 

[VIFORFIVOPF]OR &<1. 

Resta dunque dimostrato che 

l'integrale 


JYIFOFFIVOFFIOR di, 


esteso al gruppo E dei punti di (a, b) ove le x'(t), y'(t), 2'(t), esi- 
stono e sono finite, esiste sempre ed è, in valore, minore od eguale 
alla lunghezza della curva (1). — 


4. — Si introduca, ora, la condizione, per le x(#), y(6), 2(0), 
dell’assoluta continuità. Allora (n. 2), preso un numero 0 mag- 
giore di zero e piccolo a piacere, si potrà trovare un corrispon- 
dente numero u, pure maggiore di zero, tale che si abbia 


DV leB(< Yim@<s ViM@I<$ 


SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 793 
dove le sommatorie sono estese ad un qualsiasi gruppo d’inter- 
valli (a;, 8;), due a due distinti, di (a, 4) avente una misura mi- 
nore di u. Fissato questo u, poichè è Sm=b—a (infatti Èm; è 

i=0 i=0 
la misura del gruppo dei punti di (@,5) ove V}x'()}?+}YME+}2/ (dè 
esiste ed è finito, vale a dire è la misura di £, la quale è uguale 
a b—a), si potrà trovare un numero intero positivo N tale che, 


per ogni N>N, sia 


N 


Gm) È Mn < ai 


n=0 


Sia, poi, (n. 1) è un numero maggiore di zero e tale che, 
per ogni divisione 
a = to <t1 <<... < AT bn 0 


dell'intervallo («, 5) in parti, ciascuna minore di è, sia 


1 VV FHM. 


Per essere 


IN iO) +70) + AG = lim hZ nima, 


si potrà trovare un valore % di % tale che sia 


JNIOEFIZOR+)ORd— TS M< 5 


e, nel contempo, a 
h2(b — a)<0. 


Infine, sia N; un numero intero maggiore di N tale che sia 
i ai - N g 
hEn.m, — hEn.m,< CE 
0 : 0 
Per la coppia A, N, avremo, perciò, 


N x 
(b—-a—Ym. <<, h2(6b—-a)<0, 
n=0 7: 


(9) 


[INTO TIVO ORA — nm, <0. 


794 LEONIDA TONELLI 


Partendo dai valori % e N,, si ripeta il ragionamento fatto 
al numero precedente, con queste sole modificazioni: gli inter- 
valli del gruppo Y;' soddisfino, oltre alle condizioni già poste, 
anche a quella di essere tutti di ampiezza minore del numero ò 
fissato sopra; e l'e, già preso minore del minore dei numeri w n; 
((=0, 1,..., N;'), lo si prenda anche minore di gr Si giungerà 
anche qui alla formola (6). 

Ni »; 


DI V\z(Ba) xa) +}y(B) — (a) +) — 20) = 


_ N 5 BE: 
=hYnimn k h0e + h0(6— a) 
i=0 


con N° <N,, |e|<1, |0]<1; ossia, per la (2), 


(10) Y YI VizB) +0) — He) 


a=09=0 
5 Di Dam, + h0e + h0 (6 — a): 


ed è x 
Bj — ag] <òd. 


I punti di (a, 5) che non sono interni a qualche segmento 
(0;), B;;) formano un numero finito di segmenti distinti. Ove sia 
necessario, si spezzi ciascuno di questi ultimi segmenti in più 
altri, in modo che il gruppo dei punti di (a, è) non interni ai 
segmenti (0;;, 8;;) sia costituito da un numero finito di segmenti, 
ciascuno di ampiezza minore del numero già fissato è. Siano, 
questi segmenti, 
(a,, B,) (e =0; La 


e si consideri la somma 


DV FaB) — a) + 148) — (E +) — 
Come è evidente, è tal somma minore od eguale a 


(11) 2128) — c(0)]+y(8) — y(0) + E 12) — (0). 


SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 795 
È, poi, 


I NM x Ni 
LP. a,)=(h_—a), X_ Lf _,)=(—9 TR; 
r=0 (i iii; i=0 


e poichè (vedi numero precedente) 


Mn — (4 I)n<s<ma— în, 


Ni N Ni Ni' 
Mn — S<(0+ 1), Mmn— Ss<n 2 (i+1)<n(1 +X(i+1)n}), 
i=0 = i= i=0 


e, per la 


€ 
n men > 
1+Z(i+1)w: 
1) 
N Ni a 
mn ES<E< 9; 
dei) i=0 
si ha 
q M' ù 
L(8,-— a)<(_-a-—Xmkt 3 
PZA) i=0 
Ma è 
N N 
Ung = ma, 
i=0 n=0 
e, per la 1° delle (9), 
N/ 
te e 
i=0 2 


onde 
» (B, cala 0,)< pu. 


r=0 


Ne segue, per le (7), che la somma (11) è minore di o, e 
quindi che è 


DVI) — +1) — Ne +2) A= 0 


con o'<o0. Da questa eguaglianza e dalla (10) si ricava 
I Ni i 


DI Di Vie) = Me +. + VV) = (Mt. = 


i=0 j=0 r=0 


_ N —_ °_° = 
=hXnm,+ h(0e4+- 00 — a)) + o’. 
n=0 


796 LEONIDA TONELLI 
Gli intervalli (a;;, 8,;), (@., 8,), costituiscono una divisione di 

(a, bè) in un numero finito d’intervalli, ciascuno di ampiezza mi- 
nore di è. Il primo membro della eguaglianza precedente diffe- 
risce quindi, per le (8), da / per meno di o. E, perciò, 

SA 

|] -hXnm,|<30, 

n=0 

essendo 
h(Ge + 0(6—a)) < Re +5 — a)<h2(0 — a) 

e, per la 2? delle (9), 


h (06€ + 6(0 — a))<0. 


Da questa disuguaglianza e dalla 3* delle (9) si ricava 


| fVIA DET VOPFT Id |<40. 


Poichè 0 è un numero piccolo a piacere, si ha 


i=/VOE+VOF+: 0a 


Resta così dimostrato che 
Se le funzioni x(t), y(t), z(t), sono assolutamente continue, la 
lunghezza della curva (1) è data dall’integrale 


JVIPORTIVOET ORA, 


dove E è l'insieme dei punti di (a, b) nei quali le derivate x'(t), 
y'(t), z'(t), esistono e sono finite. — 


5. — Data la curva continua rettificabile 
(1) s=cl),\y=y0, = (a<t<D), 
supponiamo che le funzioni x(t), y(t), 2(t), ammettano, in ogni 


punto di (a, 5), un numero derivato (non necessariamente lo 
stesso per tutte tre) finito. Poichè le funzioni x(t), y(6), 2(t), per 


SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 797 


quanto si è ricordato al n. 1, sono a variazione limitata, i nu- 
meri derivati detti sono sommabili ed hanno per integrali inde- 
finiti rispettivamente x(t), y(t), 2(t) (*). Dunque x(t), y(t), 2(t) sono 
delle funzioni integrali. Ma condizione necessaria (ed anche suf- 
ficiente) affinchè una funzione sia un integrale è che essa sia 
assolutamente continua (*); perciò le x(t), y(t), 2(t) sono assolu- 
tamente continue. Il risultato del numero precedente ci porta 
dunque a concludere che 
Se una curva continua rettificabile 


esita) =) (a<t<b) 


è tale che le x(t), y(t), z(t), ammettano ciascuna, in tutti î punti 
di (a, b), un numero derivato (che può non essere lo stesso per tutte 
tre) finito, la sua lunghezza è data dall’integrale 


JVIFOR+VOE+TI="OE 4, 


dove E è l'insieme dei punti di (a, b) nei quali le derivate x'(t), 
Y(t), z'(t) esistono e sono finite. — 


6. — Dimostriamo ora che 
Condizione necessaria e sufficiente affinchè la lunghezza 1(t) 
di una curva continua rettificabile 


ce), y=V4(0); = 20) (a=t#<5) 


sia una funzione assolutamente continua è che siano tali le tre fun- 
zioni x(t), y(t), z(t). 
4 

(4) Vedi H. LesescuE, Lecons sur l’intégration, ete., pag. 123 (Paris, 1904). 

(*) Vedi G. Virari, Sulle funzioni integrali, © Atti della R. Accad. delle 
Scienze di Torino ,, vol. XL (1904-905); H. Lesesaue, Lecons sur l’intégration 
(Paris, 1904), pag. 129 nota; In., Sur la recherche des fonctions primitives 
pour l’intégration, © Atti R. Ace. Lincei ,, 1907. 

Atti della BR. Accademia — Vol. XLIII. 55 


798 LEONIDA TONELLI 


Infatti dall'essere 


040) | 

| SNTEZANT NO AMET 
| ult 

Lor per: 2) EEA): 
o AI 


si ricava 


pb | x(t,) Da x(t) | ) 
< VITINIA 


xy) — ya). 
| Ze) DIAZ 
volt) — (6)! 


dove 


e Pa ME 


è una divisione di (a, t) in un numero finito di parti. Passando 
al limite in modo che la massima delle parti (t,,, t,) tenda a 
zero, si ottiene 


V.(t) 
V.() | <IM< VOM +HO +40 
vi) 


dove V,(t), V.(4), V-(6); indicano, rispettivamente, le variazioni 
totali di x(1), y(4), 20), nell'intervallo (a, t); ed anche, se aSa<BS5, 


V,(8) Pap V.(a) Î 
19 EA AAT VATI 


+ 1V:(8) —V(0)ì. 
V.(8) Ta V.(a) / 


a 
(1) La scrittura pica indica che è a< M, b<M, e< M. 
(5) 


SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 799 


Da questa relazione si ottiene poi 


LI V.(B) —V.(0)| i 
(1) X}V.(8)—V.(a) <X}4B:) — Ua.){ < L} Patti —VaAod}+ 
\ TEZVBITVAMTLTB)—V(0)t, 

2} V.(B) —V(a,){ 


dove le sommatorie sono estese ad un qualsiasi gruppo d'’inter- 
valli. distinti di (4,5). 

Supponiamo, ora, che x(t), y(t), 2(t), siano assolutamente con- 
tinue. Prefissato un 0 positivo e piccolo a piacere, potremo tro- 
vare un u tale che siano verificate le tre disuguaglianze 


LZ} VB) V(0)f<0) Li VB) V(a)i<0, LV.) TW(a)j<0, 


per ogni gruppo di intervalli (a;, 8;), due a due distinti, di (4, 4) 
avente una misura minore di u. Per uno qualunque di. tali gruppi 
d’intervalli avremo perciò, per la seconda parte. della (1), 


L}!(8) —((a){<30: 


dunque la /(#) è assolutamente continua. 
Supponiamo,invece, che sia assolutamente continua la /(t). 
Prefissato un 0, si potrà trovare un u tale che sia 


L}/(8) — Ua){<0 


per ogni gruppo di intervalli (a;, 8,), due a due distinti, di (a, 5) 
avente una misura minore di u. Per uno qualunque di tali gruppi 
d'intervglli avremo perciò, per la prima parte di (1), 


ZI V.(8.)V.(a)i<0, X}V,(8)—V,(a)}<0, L}V:(B)— Va) <0: 


dunque le x(t), y(t), #(t), sono assolutamente continue. 
La proposizione è così dimostrata. 


7. — Supponiamo che la lunghezza /(t) della curva con- 
tinua rettificabile 


a=alt), y=y(0), 2=2(0) (a<t<5) 


800. LEONIDA TONELLI — SULLA RETTIFICAZIONE DELLE CURVE 


sia data dall’integrale 


Ji 20 +19 (0 + 320 de 


dove £ è l'insieme dei punti di (a, ?) in cui 2'(t), y'(9), 2’(t), esi- 
stono e sono finite. /(t), essendo una funzione integrale, è (*) as- 
solutamente continua. 

Ne segue, per la proposizione del n. 6, che sono assoluta- 
mente continue anche le funzioni x(t), y(t), 2(#). Dunque affinchè sia 


= [VITO +yY0OF+10fd 


è necessario che le x(t), y(t), z(t), siano assolutamente continue. 
Questo risultato, unito a quello del n. 4, porta alla conclu- 
sione seguente: 
Condizione necessaria e sufficiente affinchè la lunghezza 1(t) 
della curva continua rettificabile 


‘ e=2(0), y=y0), 2=20) (a<4<3) 
sia data da 


= VITOEFIyOFTZOR a, 


dove E è l'insieme dei punti di (a, t) nei quali le derivate x'(t), 
y'(t), z'(t), esistono e sono finite, è che le funzioni x(t), y(t), z(t), 
stano assolutamente continue. — 


(4) Vedi G. ViraLi, loc. cit. e H. LeBESGUE, loc. cit. 


FRANCESCO AGOSTI — RICERCHE SULLA DISTRIBUZIONE, ECC. 801 


Ricerche sulla distribuzione dei nervi nella milza. 
Nota del Dott. FRANCESCO AGOSTI, 


(Con una Tavola). 


Dalla bibliografia, invero non molto numerosa, intorno alla 
distribuzione dei nervi nella milza, appare come non sempre 
gli Autori siano giunti ad identiche conclusioni e che qualche 
dissonanza esista tutt'ora fra di essi. 

Pensando che uno studio sintetico e comparativo non sa- 
rebbe stato del tutto inopportuno, per consiglio del Prof. FusARI, 
ritornai su tale argomento, del quale già mi ero occupato con 
esito positivo alcuni anni or sono, ed il risultato delle mie 
ricerche faccio ora noto per completare o correggere eventual- 
mente le risultanze dei precedenti ricercatori (1). 


Ta 

Tutti gli Autori sono ormai concordi sulla provenienza e 
sul modo di penetrazione dei nervi nella milza. 

Questi provengono, cioè, dal plesso solare, sono specialmente 
costituiti da fibre amieliniche (BrLLrRorH, EBNER) e penetrano 
nell’organo dall’ilo in parte isolatamente, in parte seguendo 
le arterie (FusarI, EBNER, R. MontI, A. Rurrini). Arrivati nel- 
l'interno dell'organo essi vanno dividendosi in fibre di calibro 
minore, che si.,staccano dal tronco principale con legge dico- 
tomica (Fusari, Rerzius, A. RurrINI, Corti), e si allontanano da 
esso quasi sempre formando un angolo retto o per lo meno un 
angolo molto aperto (Fusari, Corti). Nel punto di biforcazione si 


(1) Riguardo alla tecnica i migliori risultati ottenni colla impregna- 
zione eromo-osmio-argentica di Gori, secondo la formola dettata da Ramon 
x Cayar, e colla permanenza dei pezzi nella miscela da 4 a 6 giorni. Le 
ricerche furono fatte, fra i mammiferi, sul cane, sul coniglio, sul gatto, sul 
vitello, sul riccio, sulla cavia; fra gli uccelli, sul pollo. 


‘802 FRANCESCO AGOSTI 


nota un ingrossamento per lo più triangolare (Rurrini, R. MontI); 
altri rigonfiamenti, che R. Monti ha interpretato come “ sem- 
plici grosse varicosità ,, si osservano lungo il decorso delle 
fibre nervose (Fusari, R. Monti, A. Rurrini, Corti), talora a 
distanza, nei punti nodali, nelle curve, talora numerosissimi e 
ravvicinati da dare l'aspetto di “ una coroncina di perle , 
(R. Monti, A. RurrINI). 

Anche le descrizioni dei vari Autori sui plessi perivasali 
si accordano nelle linee generali. 

Essi esistono sempre (Rerzius, Fusari, KòLLIKER, EBNER, 
R. Monti, RurFINI, Corti) ed io posso affermare che, anche 
quando la reazione eromo-argentica è scarsa, essi non mancano 
mai. Il Torpr voleva anzi che i nervi della milza fossero unica- 
mente destinati ad innervare la tonaca muscolare dei vasi. 

Il plesso nervoso perivasale costituisce sui grossi vasi una 
elegante trama fatta da grossi fasci, che decorrono paralleli 
al vaso stesso (R. Monti, A. Rurrini), e che “ definiscono con 
esattezza i limiti dell’arteria , (Fusari), dai quali partono sempre 
fibrille intrecciantisi senza regola fissa a decorso più o meno 
ondulato e disseminate di varicosità (Rurrini, R. Moxntr). Le 
fibrille che terminano poi sulla parete del vaso finiscono o libera- 
mente (come vide Rerzius nel Cane e nel Topo, e Rurrini nel 
Tritone, nella Rana, nel Vespertilio), o con una o due pallottoline 
(Fusari, R. MontI, A. RurrinIi), o con tre pallottoline in modo 
da “ dare l’immagine di un trifoglio , (R. Monti), oppure con 
rigonfiamenti più grossi provvisti di appendici (FusarI, R. MontI, 
A. RUFFINI). 

Anche i vasi minori ed i capillari sono innervati (R. MontI, 
A. Rurrixi); l'intreccio però risulta in genere solo di pochissime 
fibre (A. Rurrini), od anche solo di due fibrille che accom- 
pagnano ai due lati il vasellino, e dànno “ esili rametti più o 
meno trasversali che terminano al solito modo, nella tonaca 
propria del vaso , (R. Monti). 

A proposito del plesso perivasale devo ancora accennare 
a “ due speciali differenziazioni , che il Corti ha osservato nei 
preparati in cui “ l’impregnazione era per così dire al completo ,. 
Egli si esprime così: “ Generalmente i rami trasversi, cioè nor- 
mali alla direzione del vaso, sono scarsi quando le fibre che 
costituiscono il plesso sono molto numerose e di vario calibro, 


tai 


RICERCHE SULLA DISTRIBUZIONE DEI NERVI NELLA MILZA 803 


da alcune di notevole spessore, fino ad altre esilissime, e tutte 
decorrenti con poche tortuosità. Qualche volta però questi rami 
trasversi sono molto più numerosi e si anastomizzano a costi- 
tuire una rete, a maglie poligonali, in cui verosimilmente , do- 
minano le forme ad angoli aperti ed a lati di sviluppo subeguale ; 
allora le fibre costituenti (il plesso, che è meno ricco che. nel 


primo caso, sono.a decorso tortuoso e notevolmente varicoso ,. 


Io non sono riuscito. a mettere in evidenza questo rapporto 
speciale, poichè sempre. ho notato, come gli Autori che mi hanno 
preceduto, un ricco plesso. perivasale, costituito essenzialmente 
da fibre .di calibro maggiore a decorso più o, meno ondulato, 
parallelo a quello del vaso, da cui sì staccano numerosi rami a 
decorso trasversale o. quasi, molto tortuoso, disseminato di vari- 
cosìtà più o meno abbondanti, ed anastomizzantisi fra loro in 
modo da costituire una fitta rete tutto attorno al vaso stesso, 
dalla quale poi partono i filamenti terminali. 

Del resto i risultati delle mie ricerche sui plessi, perivasali 
collimano perfettamente con quelli già descritti dagli altri Autori, 
risultati che non riferisco per non incorrere in inutili ripeti- 
zioni. Noterò solo che il decorso delle fibre nervose è molto più 
ondulato in quelle a calibro minore, che in queste assai più 
numerose sono le varicosità, disseminate sia lungo il decorso, 
sia nei punti di distacco che di incrocio, e che la forma più 
comune di espansione nervosa è quella a pallina. 


‘sul 
I punti, in cui esistono reali controversie nella descrizione 
dei nervi della milza, riguardano essenzialmente : 
1° la maggiore o minore ricchezza dei nervi nella polpa, 
l’anastomosi fra di essi ed il modo particolare di terminazione; 
2° la presenza di vere cellule nervose; 
3° la presenza di plessi e di fibre terminali nei corpuscoli 
di MALPIGHI; 
4° la presenza di fibre nella capsula che avvolge l’organo. 
Io non pretendo di dare in questo mio lavoro la parola 
definitiva, mi limito unicamente a riassumere la questione ed 
a registrare l’esito delle mie ricerche, che in aleuni punti non 
mi pare affatto destituito di interesse. 


804 FRANCESCO AGOSTI 


1. Polpa splenica. — La presenza di fibre nervose nella polpa 
splenica è stata accertata indistintamente da tutti gli Autori. 

Però mentre il RerzIus osserva pochi filamenti senza alcuna 
forma particolare di terminazione, ed un discreto numero di 
fibre nervose furono notate da KoòLLIKER e da EBNER, Fusari 
invece constata “ un fine plesso a filamenti curiosamente intrec- 
ciati , da cui partono esili fibre, che “ dopo un decorso tortuoso 
di lunghezza variabile sembrano terminare liberamente e solo 
in rari casi con un corpuscolo provveduto di fini appendici ,. 
R. Monti ci fornisce, oltre ad una minuta descrizione, la figura 
di un ricco plesso parenchimatoso “ simile ad una larga staccio- 
nata ,, da cui partono le ultime fibrille terminanti appuntite 
od a pallottolina ; e press’ a poco allo stesso risultato giungono 
le ricerche di Rurrini (nel Tritone, nella Cavia, nel Vespertilio) 
e di Corti (nei Pipistrelli). 

Il parenchima della milza dei Mammiferi da me esaminati 
è in genere molto ricco di nervi; nel Gatto, e specialmente nel 
Vitello, ottenni plessi di una ricchezza e finezza tali da rendere 
l'attenta indagine difficile e penosa. Nel Pollo invece la rea- 
zione si localizzò unicamente attorno ai vasi e nei corpuscoli 
di MALPIGHI; però, avendo esaminato soltanto due esemplari, non 
voglio in alcun modo infirmare la descrizione di R. MontI, che 
resta pur sempre la più completa. 

I nervi della polpa splenica provengono in parte diretta- 
mente dall’ilo, in parte dai plessi perivasali e dalle fibre che 
corrono sulle trabecole di sostegno. 

Quando la reazione è buona si distinguono nei grossi tronchi 
le varie fibrille che li costituiscono: esse hanno un decorso quasi 
rettilineo e si vanno man mano staccando per fornire le dirama- 
zioni terminali, le quali talora proseguono il cammino in dolci 
sinuosità, tal’altra cambiano bruscamente direzione abbando- 
nandosi ai giri più bizzarri ed inaspettati. 

Spesso partono dal tronco principale tre o quattro fibrille 
isolate, che poi si avvicinano per proseguire riunite in un fascio 
il cammino; spesso invece si allontanano dal tronco delle fibrille, 
che, tenendo un decorso parallelo a quello del tronco stesso, vi 
ritornano dopo breve tratto per seguitare la direzione primi- 
tiva, per modo che il tronco principale appare in questo caso 
munito di piccoli occhielli, di piccole maglie generalmente ova- 
lari ed a contorni ondulati. 


RICERCHE SULLA DISTRIBUZIONE DEI NERVI NELLA MILZA 805 


Le fibre originate da questi rami maggiori con un angolo 
retto o quasi, si vanno suddividendo per via dicotomica, per- 
corrono il parenchima ghiandolare con un decorso che si fa 
sempre più tortuoso man mano che esse raggiungono un calibro 
minore; e varicosità più o meno abbondanti, più o meno rav- 
vicinate, sono disseminate lungo il cammino, nei punti d’inerocio 
e di divisione. 

Le varicosità ora tagliano proprio in mezzo la via percorsa 
dalla fibra nervosa, ora invece sono addossate alla fibra stessa; 
non hanno forma e dimensioni ben definite ; triangolari general- 
mente nei punti di divisione, sono ovalari lungo il decorso della 
fibra ; talora sono minutissime, esili, ravvicinate, tal’altra volu- 
minose e sproporzionate al calibro della fibra che le sostiene. 

Le fibre nervose che costituiscono il plesso interparenchi- 
matoso si anastomizzano fra loro, e questo si può dimostrare 
con maggiore facilità quando la reazione si è localizzata solo 
in alcuni punti dell'organo ; allora non è raro il caso di vedere 
fibre che mettono in relazione i piccoli plessi isolati della sezione. 
«Fusari non osservò che rare volte queste anastomosi, ma 
le constatarono senza dubbio più tardi R. Monti e A. RurrINI. 

Dai plessi suddescritti e talora anche dai grossi tronchi 
partono gli esili filamenti terminali, di calibro regolare, che 
terminano generalmente con una o più pallottoline. La forma 
più frequente è quella del filuzzo terminale sormontato da una 
varicosità più o meno grossa, però non sono affatto rare le 
forme a grappolo ed a trifoglio descritte da R. MoxI, le forme 
a corpuscolo con un esile filamento notate da Fusari. Alcune 
volte un’esile fibrilla sostiene una grossa varicosità, da cui 
partono ancora due o tre brevi filuzzi muniti di piccoli granuli 
e terminanti come al solito con una pallina (fig. 6). 

Notevole importanza mi pare abbiano le fibre che decorrono 
sulle trabecole connettive, e che gli Autori hanno generalmente 
sino ad ora solo accennate. Esse, nei miei preparati (figg. 3-4), 
sono molto numerose, specie in quegli animali in cui la trama 
di sostegno è ricca di fibre elastiche e di fibre muscolari liscie. 
La disposizione è press’ a poco identica a quella dei vasi: le 
fibre di calibro maggiore hanno un decorso parallelo alla tra- 
becòla, e dànno origine a fibre più o meno trasversali, a zig-zag, 
con varicosità lungo il decorso, nei punti nodali, anastomizzate 


806 FRANCESCO AGOSTI 


fra loro in modo da formare un plesso a maglie irregolari. Le 
ultime fibrille terminano sia nella trabecola stessa colle con- 
suete forme, sia nella polpa splenica. 

Non è raro il caso di vedere anastomosi fra i plessi delle 
varie trabecole ed anastomosi fra essi e la rete perivasale. 

2. Cellule nervose. — Forse l’impregnazione  eromo-osmio- 
argentica non è molto adatta a dimostrare la presenza di cellule 
nervose nella milza. Poichè, se MiiLLER trasse pel primo l’atten- 
zione (1865) su certi rigonfiamenti esistenti lungo il tragitto 
dei. nervi ed aventi il carattere di schiette cellule nervose, l’affer- 
mazione non è più che in parte convalidata dalle ricerche di 
Fusari (1892), che, studiando su milze di ratto e di vitello, non 
ha trovato che “in pochi casi cellule nervose ,. Inoltre è com- 
pleta la concordia degli Autori che contemporaneamente 0. poste- 
riormente si occuparono della questione nell’asserire di; non 
aver trovato cellule ;imervose nella milza (BriLLrorB 1861-62, 
Rerzius 1892, KòLLiKER 1893, EBneR 1899, R. MonTI 1898-99, 
Corti 1903, A. Rurrini 1900-906). 

Io stesso nelle due riprese del mio lavoro non riscontrai 
mai alcuna forma che potesse interpretarsi come una cellula 
gangliare. 

3. Corpuscoli di MALPIGHI. — Già FusaRI aveva notato nervi 
numerosi mei corpuscoli di MarPIGHI, provenienti da quelli della 
polpa e terminanti sulla superfice del vaso capillare sanguigno ; 
però questo fatto non fu confermato che da R. Monri (uccelli) 
e in parte dal Rurrini (cavia). Il KòLLIKFR, l'EBNER, il Corti non 
ammettono alcuna rete endo-corpuscolare. 

Non sempre io ho potuto nei Mammiferi dimostrare “un 
plesso endo-corpuscolare con fibre terminali, però in una nu- 
merosa serie di preparati di milza di Cavia ebbi risultati asso- 
lutamente positivi. 

Questi nervi provengono ora direttamente dalla polpa, ora 
dal plesso che circonda l'arteria propria del corpuscolo, ora dalle 
fibre che corrono lungo le trabecole. Spesso queste fibre assu- 
mono nel corpuscolo una disposizione concentrica; le anastomosi 
non sono rare, ed il modo di terminazione è, come già ha notato 
R. MontI, il consueto. 

Il corpuscolo è sovente circondato da nervi che corrono 
alla sua periferia e l’avvolgono come in un cerchio, dando le 


n 


% 


ì ' 


1 


RICERCHE SULLA DISTRIBUZIONE DEI NERVI NELLA MILZA 807 


fibre che vanno verso l'interno ; talvolta invece le fibre vi pene- 
trano direttamente dalla polpa correndo verso il vaso arterioso 
centrale. Non raro è il caso di vedere staccarsi dal plesso endo- 
corpuscolare alcune fibre che attraversando l’intero corpuscolo 
vanno a finire nella polpa; come non è raro vedere allontanarsi 
da questo plesso una fibra che si risolve dopo breve tratto in 
un gomitolo di fibrille, le quali danno origine alle fibrille termi- 
nali pel corpuscolo stesso. 

Un fatto assai interessante, che a me occorse di osservare 
per la prima volta, è quello illustrato dalla figura 1, in cui è 
evidente lo stretto rapporto esistente fra i plessi di tre cor- 
puscoli malpighiani vicini: il eorpuscolo mediano è legato cioè 
ai due laterali, a destra per mezzo di un ramo anastomotico, 
a sinistra con due esili fibrille terminali. 

4. Capsula fibrosa. — Le fibre nervose nella capsula sono 
state sino ad ora osservate e descritte solo da R.MontI e da Corti. 

Io non posso pronunziarmi in proposito, perchè nei miei prepa- 
rati, a causa del precipitato della reazione, non se ne può studiare 
il decorso : essi però, se non nell’abbondanza descritta dai due 
AA. suddetti, esistono, perchè ho potuto osservare fibre ner- 
vose, che correndo lungo le trabecole di sostegno arrivano alla 
periferia dell'organo, e si nascondono sotto gli abbondanti preci- 
‘pitati, togliendosi così allo sguardo dell’osservatore. 


Conclusione. — Dalle mie ricerche e da quelle degli Autori, 
che in questo studio mi hanno preceduto, mi pare di poter per 
ora stabilire che : 

La milza è un organo abbondantemente provvisto di fibre 
nervose, le quali si distribuiscono ai vasi, alle trabecole di so- 
stegno, al parenchima, ai corpuscoli di MALPIGHI ed alla capsula, 
anastomizzandosi variamente fra loro. 

Queste fibre hanno un decorso ondulato, presentano vari- 
| cosità varie di numero, forma e dimensione, e terminano libera- 
“mente od a pallottolina. 

+ Istituto di Anatomia normale della R. Università di Torino, 
diretto dal Prof. R. Fusari. 


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fg ao 


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L, 


808 FRANCESCO AGOSTI —yRICERCHE SULLA DISTRIBUZIONE, ECC. 


BIBLIOGRAFIA 


1861-62. — BiLLrora, Beitràye eur verg. Anatomie der Milz, “ Zeitschrift 
fiir wiss. Zoologie ,. 

1863. — Scawriecer-SemeL, Untersuchungen iiber den Milz, © Virchow's Arch. 
f. Pathol. Anat. vnd Physiol. ,, XXVII Bd. 

1865. — MiiLLer W., Ueber den feineren Bau der Mile. Leipzig. 

1892. — R. Fusari, Terminazioni nervose nel parenchima della milza, “ Moni- 
tore Zoologico ,, anno III, n. 7-8. 

1892. — Rerzius, Zur Kenntnis der Nerven der Milz und der Niere, “ Biolo- 
gische Untersuchungen ,, Neue Folge, III. Stockolm. 

1893. — KéLLiker, Die Nerven der Milz und der Nieren und Gallencapillaren, 
“ Sitzungsberichten der Wiirzburger Phys. mediz. Gesellschaft ,. 

1898-99. — R. Monti, Su la fina distribuzione e le terminazioni dei nervi nella 
milza degli uccelli, È Bollett. scient. ,, N. 4, anno 1898 e N. 1, 1899. 

1899. — En (v.), Die Mile, KéLLIKER's, “ Handbuch der Gewebelehre des 
Menschen ,, III Bd., Sechste Auflage. Leipzig. 

1900. — A. Rurrini, Distribuzione dei nervi e loro terminazioni nella milza 
di cavia, salamandra, pipistrello, “ Società medico-chirurgica di 
Bologna ,, 19 aprile. 


1903. — A. Corri, La minuta distribuzione dei nervi nella milza dei pipi- 
strelli nostrali, * Monitore Zoologico italiano ,, anno XV, N. 10. 
1906. — A. Rurrini, Contributo alla conoscenza della distribuzione ed espan- 


sione dei nervi nella milza di alcuni vertebrati, © Internationale 
Monatschrift fiir Anat. und Phys. ,, Bd. XXIII. 


SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 


Fig. 1. Pollo. — Plessi nervosi nei corpuscoli di MarpIcHI, con anastomosi. 
— Ob. 5, Oc. 3, KorISTKA. 

Fig. 2. Cavia.— Plesso nervoso e terminazioni nel corpuscolo di MaLpIGzI. 
— Ob. im. 3 mm. Zeiss, Oc. 3. 

Fig. 3. Cavia. — Plesso nervoso su una trabecola. — Ob. 8, Oc. 8, KorIsTKA. 

Fig. 4. Cavia. — Plesso su una trabecola con terminazioni nella polpa. — 
Ob. D Zerss, Oc. 3. 4 

Fig. 5. Riccio. — Terminazioni nella polpa. — Ob. 8, Oc. 3, KoristrA. | 

Fig. 6. Pollo. — Terminazioni nervose nella polpa. Ob. 8, Oc. 3, KorrsrKA 


; 


Officina Fototecnica Ing, G. Molfese - Torino 


ra 


* 


CAMILLO GUIDI — CONTRIBUTO ALLA TEORIA, ECC. 809 


Contributo alla teoria degli archi elastici. 
Nota del Socio CAMILLO GUIDI. 


Nella mia Memoria “ L’arco elastico senza cerniere , (*) in- 
dicai una costruzione grafica generale del poligono delle pres- 
sioni per un arco incastrato comunque caricato, e la dedussi 
dalle tre equazioni di elasticità ricavate col teorema dei lavori 
virtuali, riportando il caso di un arco a parete piena a quello 
di un certo arco reticolare ideale che gli è equivalente per 
quanto riguarda le deformazioni elastiche. 

Colla presente Nota mi propongo di mostrare come si giunga 
in modo semplice alle stesse equazioni ed alle stesse costruzioni 
grafiche seguendo la teoria della ellisse di elasticità. 

Prenderò in esame prima il caso di un arco reticolare trian- 
golare, nel quale si tenga separatamente conto dell’elasticità 
delle singole aste di contorno, trascurando per semplicità, come 
si suol fare, le deformazioni delle aste di parete; tratterò poi 
il caso di un arco reticolare, ovvero di un arco a parete piena, 
divisi in tronchi, di cui le deformazioni elastiche sono regolate 
dalle relative ellissi parziali di elasticità, per mezzo delle quali, 
come è noto, si può anche, se vuolsi, tener conto delle defor- 
mazioni delle aste di parete, o di quelle prodotte dal taglio se 
l'arco è a parete piena. 

Nel primo caso, seguendo il noto metodo dell’ellisse di ela- 
sticità, il peso elastico di ogni asta di contorno è concentrato 
nel nodo che rappresenta il relativo polo, ed ha per espres- 
sione AG= = LITI rappresentando s, E, F, r rispettiva- 
mente la lunghezza dell’asta, il modulo di elasticità normale del 
materiale di cui è formata, l’area della sua sezione trasversale, 
ella distanza che essa ha dal polo. Nel secondo caso il peso 


“ Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, Serie II, 
tn 1902. 


810 CAMILLO GUIDI 


elastico di ciascun tronco è diffuso per tutto il tronco, la risul- 


tante è dive al baricentro elastico del tronco stesso e vale 


Gg=wv= SL 5 se trattasi di un arco reticolare pel quale £, F, 
rappresentino rispettivamente il modulo di elasticità normale, 
l’area della sezione trasversale di ciascun corrente, l’altezza teo- 
rica della sezione, e As sia la lunghezza del tronco considerato; 
} As è f 
vale invece AG=w= o nel caso di un arco a parete piena, 
di cui / rappresenti il momento d’inerzia della sezione trasver- 
sale rispetto all'asse di flessione, e gli altri simboli. abbiano, il 
significato già dichiarato. L’ellisse parziale di elasticità. del.tronco 
; i : . h 
ha per semiasse radiale nel caso di un arco reticolare “or 
nel caso di un arco a. parete piena il raggio stesso d'inerzia 
della sezione trasversale rispetto all'asse di flessione, e per. se- 
miasse longitudinale un segmento dipendente dalla natura del.reti- 


colato nel primo caso, ed avente l’espressione e=lag 10 e 


nel secondo, dove G e x rappresentano rispettivamente il modulo 
di elasticità tangenziale ed il noto coefficiente numerico; dipen- 
dente dalla forma della sezione trasversale, che entra:in consi- 
derazione nelle deformazioni prodotte. dal taglio. Se si traseu-. 
rano tali deformazioni, come quelle delle aste di parete, nei due 


isa 1 
casi sì ha semplicemente. pj= As Vi 


Arco reticolare (pesi elastici concentrati). — Qualunque sia 
la condizione di carico, se per un'asta di lunghezza s (Fig. 1) 
la risultante relativa alla sezione di Ritter occorrente per de- 
terminare lo sforzo in quell’asta produce un momento M intorno 
al suo. polo, per effetto della variazione di lunghezza As di quel- 
l’asta, dovuta alla sua deformazione elastica, la sezione termi- 
nale sinistra dell'arco, supposta liberata dall’incastro, come pure 
qualunque punto con essa invariabilmente connesso, p. es. il ba 
ricentro elastico G di tutto l’arco, subisce una rotazione 
As Ms ì 


cares === LE MV }. % 
Ap n EFr? fui DÌ ù 


CONTRIBUTO ALLA TEORIA DEGLI ARCHI ELASTICI 811 


Lo spostamento che ne deriva del punto G ha per proie- 
zioni sugli assi y ed x’ (y asse verticale baricentrico nel sistema 
dei pesi elastici w, ed 2’ asse baricentrico coniugato. ad y nel 
detto sistema): 

,=Ag.a= Mur 
05, = AD .y = Moy' 


essendo x ed. y' le distanze normali. del polo dell'asta. dagli 
assi y ed e’. 


Ora, se le imposte sono rigide (e vedremo qui appresso 
come si valuta separatamente l’effetto prodotto da cedimenti 
delle imposte) il complesso delle deformazioni di tutte le aste 
dev'essere tale da annullare anche gli spostamenti del punto G 
invariabilmente connesso colla sezione terminale, ed allora, po- 
tendosi sostituire l’ordinata normale y' colla sua proporzionale y 
verticale, si avranno le tre equazioni di elasticità: 


(1) 0—'MMw, 0=YMwr, 0=YMwvy:. 


Queste equazioni permettono di dedurre, nel modo che fu 
spiegato nella citata Memoria, da un poligono. funicolare qua- 
lunque connettente le forze, verticali o parallele all'asse x’, ap- 
plicate all’arco, il poligono delle pressioni, con una costruzione 

rafica che diviene notevolmente spedita. e semplice nel caso di 
| da arco simmetrico e simmetricamente caricato. 
14 

Arco reticolare od a parete piena, diviso in tronchi. — Se 

daros reticolare; oppure a parete piena; viene diviso in tronchi As, 


812 CAMILLO GUIDI 


e prendiamo in esame le deformazioni prodotte dall’elasticità di 
uno di essi, pel quale, come è indicato nella Fig. 2, siano trac- 
ciati gli assi dell’ellisse di elasticità, e sia & la relativa risul- 
tante delle forze esterne, che supporremo sia o possa ritenersi 
la stessa per tutti gli elementi ds costituenti il tronco As, la 
sezione terminale sinistra dell’arco, supposta svincolata dall’im- 
posta, e con essa il baricentro elastico G subiranno, per effetto 
della deformazione suddetta una rotazione Mw, se M è il mo- 
mento di £ rispetto al baricentro del tronco, e w il peso elastico 
di quest’ultimo. Questa rotazione avviene intorno all’antipolo e 
di £ rispetto all’ellisse di elasticità del tronco As; indicandone 


con x, ed y, le distanze normali dagli assi y ed ', gli sposta- 
menti del punto G, causati da tale rotazione, misurati secondo 
l’asse y e secondo l’asse x’ hanno rispettivamente per espres- 
sioni Mwx, ed Mwy/'. 

Dovendo la somma degli spostamenti prodotti dalla elasti- 
cità di tutti i tronchi As riuscire nulla, a causa della rigidità 
delle imposte, e potendosi perciò sostituire all’ordinata y,’ nor- 
male all’asse «' la sua proporzionale verticale y,, si avranno | 
(nell'ipotesi fatta riguardo alle forze £) le tre equazioni di 
elasticità: 

0=YXMw, 0=ZMMvx,, 0=YXMuy, 


CONTRIBUTO ALLA TEORIA DEGLI ARCHI ELASTICI 813 


ovvero, considerando il caso di carichi verticali (considerazioni 
analoghe possono svolgersi pel caso di forze parallele all'asse /, 
V. Memoria citata) ed essendo allora M= Hn (H==spinta oriz- 
zontale, n= distanza verticale del baricentro del tronco dalla È) 
si ha ancora: 


(2) =Zuwn, 0=Ywnx,, 0= Zwony:. 


I prodotti wnx,, wny. rappresentano rispettivamente i mo- 
menti centrifughi del peso elastico diffuso nel tronco As rispetto 
alla È ed all'asse y, rispetto alla & ed all'asse ', valutando 
verticalmente le distanze n ed y, ed orizzontalmente la x,. Chia- 
mando «, y le distanze rispettivamente orizzontale dall'asse y e 
verticale dall'asse x' del baricentro del tronco, ed n, ed n.,, le 
distanze verticali dalla £ degli antipoli degli assi y ed ' rispetto 
all’ellisse del tronco, i momenti centrifughi suddetti possono 
anch’essere espressi da wzn,, wm,, e le equazioni di elasticità 
assumono allora la forma: 


=="; POS wenn, 0 Zon, 


e ponendo n=n'—y, ny=Ny —yy Ne =N'v—-Yr, dove n°, ny, n'y 
sono le distanze verticali fra l’asse x' e la È in corrispondenza 
rispettivamente del baricentro del tronco e dei due antipoli re- 
lativi agli assi y ed x’, si avrà ancora: 


Lun — Luy 


0=%Y 
0=Ywen', — Lwxy, 
ee 


wyn', — MWwyys. 


Ora per il sistema dei pesi elastici w essendo baricentrici 
e coniugati gli assi x’ ed y, si ha Xwy=0, Xwxy,=0 e quindi 
le equazioni di elasticità assumono la forma: 


Oo=Yun' 
(3) O=Ywany 
O0= XLwyn', — Lwyyy. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 56 


814 CAMILLO GUIDI 


Se s'immagina che il peso elastico di ciascun tronco As sia 
diffuso in modo uniforme lungo la projezione di As sulla R, fatta 
in direzione verticale, cioè lungo il segmento della È più mar- 
catamente indicato nella figura, per questo nuovo sistema ela- 
stico non solo l’asse y è ancora evidentemente baricentrico, ma 
lo è anche l’asse x’, come risulta dalla prima delle (3), mentre 
la seconda delle dette equazioni esprime che gli stessi assi sono 
pure coniugati. Gli assi x' ed y sono adunque baricentrici e coniu- 
gati anche rispetto al nuovo sistema elastico. Alla terza equazione, 
se con distanza polare arbitraria /;, si connettono i carichi con 
un poligono funicolare di cui si costruisca l’asse xy' corrispon- 
dente di x,, e s'indicano con nj' le ordinate analoghe alle n', 
e situate sulle stesse verticali, si può sostituire l’altra: 


0= H,XZwyn;', — HXwyys 


che, come è noto, serve a determinare il rapporto di affinità fra 
il poligono di tentativo ed il poligono delle pressioni. 

Dopo quanto è stato osservato la costruzione del poligono 
delle pressioni procede nel modo identico a quello indicato nella 
citata Memoria, e si riassume nelle seguenti operazioni. Appli- 
cati ai baricentri dei singoli tronchi i relativi pesi elastici w, se 
ne trova il baricentro e l’asse 2' coniugato a quello verticale y 
(se la costruzione è simmetrica l’asse x’ diviene l’asse x orizzon- 
tale baricentrico); si costruisce il momento d'inerzia \}\sn=MwYYs: 
di tutto l’arco rispetto all’asse x’ (applicando nel primo poligono 
funicolare di distanza polare M le forze w ai baricentri dei 
tronchi, e nel secondo, di distanza polare Xs, le forze momenti 
statici agli antipoli dell’asse @’ rispetto alle ellissi parziali dei 
tronchi); si traccia con distanza polare arbitraria H, un poligono 
funicolare p, dei carichi, vi si projettano sopra verticalmente i 
baricentri dei tronchi e si suppongono questi nuovi punti affetti 
dagli stessi pesi elastici w; di questo nuovo sistema elastico si 
determina il baricentro e l’asse baricentrico x,' coniugato all’asse 
verticale y; si costruisce da ultimo la sommatoria Mwyny'a=M;}3% 
projettando verticalmente sul poligono p; gli antipoli dell’asse ' 
precedentemente determinati, e facendo agire parallelamente al- 


CONTRIBUTO ALLA TEORIA DEGLI ARCHI ELASTICI 815 


l’asse x," nei punti così ottenuti le forze momenti statici e e 
1 
collegandole con altro poligono di distanza polare \s. Si ha allora 
Hm 
Hi n 


che, come è noto, risolve il problema del tracciamento del po- 
ligono delle pressioni. 
| Nella citata Memoria feci notare (n° 25) che se si trascurasse 
di eseguire gli spostamenti delle linee d'azione delle forze mo- 
menti statici dei pesi elastici w relativi ai tronchi As, le solu- 
zioni coinciderebbero con quelle approssimate che si ottengono 
sostituendo i As ai ds, e trascurando le deformazioni prodotte 
dallo sforzo normale e dal taglio. Ciò risulta chiaramente dalla 
teoria dell’ellisse di elasticità: infatti trascurare le deformazioni 
suddette significa ritenere cimentato ciascun tronco esclusiva- 
mente da un momento flettente, cioè da una coppia od anche 
da una forza infinitamente piccola e lontana, ed allora la rota- 
zione elementare dovuta alla deformazione di un tronco As av- 
viene attorno al baricentro del tronco stesso ed in conseguenza 
le equazioni di elasticità assumono la stessa forma delle (1) 


O0-=YMw, 0=YXMwx, 0=YXMwy 


E e n  —___—_—Pr _ 


e le costruzioni grafiche si svolgono come se si trattasse di 
forze w isolate, applicate ai baricentri dei tronchi. 


Cedimento delle imposte. — Si è detto che l’effetto prodotto 

da tale deformazione può essere valutato separatamente, ed ecco 
in qual modo. Immaginando riportata l'imposta destra alla sua 

| posizione primitiva, lo spostamento relativo delle due imposte 
(il solo che dia luogo a sforzi interni) può essere decomposto in 
una rotazione Ag, (Fig. 3) che supporremo verso sinistra, della 
sezione d'imposta sinistra ed in uno spostamento A4A' del suo 
baricentro A, del quale spostamento indicheremo con n e € le 
 projezioni fatte in direzione normale rispettivamente sulla ver- 
ticale, e su di una parallela all'asse x"; supporremo la prima 
. diretta verso il basso, l’altra verso sinistra. Il baricentro ela- 


| stico G della travatura, supposto invariabilmente connesso colla 
È 


816 CAMILLO GUIDI — CONTRIBUTO ALLA TEORIA, ECC. 


sezione suddetta, subirà, in seguito alla rotazione Ag, una ro- 
tazione eguale e di più uno spostamento le cui proiezioni fatte 
in direzione normale sull’asse y e sull’asse x’ saranno. rispetti- 
vamente z1Ag, ed yy'Ag,, se x, ed yy" rappresentano le di- 


J 


stanze normali del punto A dagli assi y ed x', projezioni dirette 
verso l’alto la prima, verso sinistra la seconda; inoltre il detto 
punto G subirà ancora gli stessi anzidetti spostamenti n e £. La 
reazione dell'imposta sinistra originata da tali cedimenti avrà 
quindi per parametri, secondo la. teoria dell’ellisse di elasticità, 


È. Ao, 
ole==== 3 
idhee Nr Apa 
I, 
(E a e 


nelle quali 6 rappresenta il peso elastico totale dell'arco, J., e J, 
i suoi momenti d’inerzia normali rispetto agli assi y ed «'. 


Difetto di costruzione. — Le stesse espressioni hanno i pa 
rametri della reazione d'imposta. provocata da una sforzatura 
esercitata sulla travatura nel montaggio per ovviare a difetto 
di costruzione. 


Torino, 10 Maggio 1908. 


G. PONZIO ED R. GIOVETTI — SULLA PREPARAZIONE, ECC. 817 


__—_—_ 
[== 


Sulla preparazione di alcune azine. 
Nota dei D" G. PONZIO ed R. GIOVETTI, 


Studiando il comportamento dell’idrazina verso i composti 


contenenti il gruppo )NOH, Rothenburg (1) credette di poter 
concludere che questo è sempre sostituito dal gruppo )N.NH x. 


Le esperienze che formano oggetto di questa Nota dimo- 
strano che l’asserzione di detto chimico non è esatta: in realtà noi 
abbiamo potuto ottenere dall’isonitrosoacetone CHy.CO.CH(NOH) 
l’azina corrispondente 

H3C CH. 
SSN 0 
(NOH)H07 \CH(NOH) 


e da questa, con una reazione molto semplice e di carattere 
generale, le azine di isonitrosochetoni misti CH3.C0.C(NOH).Ar 
e quali non è possibile preparare direttamente. 

Mediante i cloruri di diazonio ArNs;C] si riesce infatti a so- 
stituire in detta azina gli atomi di idrogeno legati al carbonio 
dei gruppi —CH(NOH) con due radicali aromatici: in tal modo 
si ottengono, p. es., l’azina dell’isonitrosofenilacetone 


Aia, N È- & ATA 2C5HsgN301 
(NOH)HC7 N\CHNOH) ———>» 
1: FO __6B 
VE 
C;H;.(NOH)C \C(NOH).C;H; 


e parecchie altre azine della stessa serie, tutte solide, ben cri- 
stallizzate, non trasformabili in pirazoline, ma facilmente invece, 
per azione degli acidi diluiti, nei dichetoni misti CHy.C0.C0.Ar. 


(1) Berichte 26, 2060 (18983). 


818 G. PONZIO ED R. GIOVETTI 


Azina dell’isonitrosoacetone 
HsCL = val 2088 
pe cN-Ns Cc 
(NOH)HC CH(NOH) 


Si forma aggiungendo alla soluzione di due molecole di iso- 
nitrosoacetone CHy.C0.CH(NOH) in idrato sodico al 20 °/, una 
molecola di solfato di idrazina polverizzato. Anche in questo 
caso, come in quelli già studiati da Curtius e Thun (1), sì può 
ammettere che si formi dapprima un’idrazina asimmetrica in- 
stabile 

Hsl. Hs0_ 

VUOS H,N.NH, = C=N— NH, + H,0 


(NOH)HC (NOH)HC7 


due molecole della quale perdono poi immediatamente una mo- 
lecola di idrazina 
H30 H3C0 CH 
— VOSNONo VON-N=C © 4NE, 
NOH)HC (NOH)HC CH(NOH) 
Acidificando con acido cloridrico diluito l’azina si separa in 
laminette bianche e si può cristallizzare dall'alcool o dall'acqua, 
ove è poco solubile a caldo e pochissimo a freddo, mentre è 
quasi insolubile nei comuni solventi organici. 
Si fonde a 221° con decomposizione e si scioglie inalterata 
negli alcali. 
I. Gr. 0,4628 di sostanza fornirono gr. 0,7177 di anidride 
carbonica e gr. 0,2460 di acqua. 
II. Gr. 0,1095 di sostanza fornirono cc. 32,38 di azoto 
(Ho= 727,90 t = 17°), ossia gr. 0,0386037. 
Cioè su cento parti: 
trovato calcolato per CsHyyN40a 


Carbonio 42,29 _ 42,35 
Idrogeno 5,91 - 5,80 
Azoto _ 32,95 32,94 


(1) Journ. f. Prakt. Chem. 44, 161 (1891). 


gr — rn _#@ 


SULLA PREPARAZIONE DI ALCUNE AZINE 819 


Azina dell’isonitrosofenilacetone 
HsC 1 _C0Hs 

20 = NZ N CL 

C;H;.(NOH)C C(NOH).CgHs. 


Trattando con solfato di idrazina la soluzione alcalina del- 
l’isonitrosofenilacetone CHg.C0.C(NOH).C;H; esso non si tras- 
forma che in parte nell’azina corrispondente, la quale però non 
si può isolare, perchè ha press’a poco la stessa solubilità dell’iso- 
nitrosocomposto che rimane inalterato. Questa si forma invece 
facilmente dall’azina dell’isonitrosoacetone addizionandone la so- 
luzione in idrato sodico al 10 °/,. di due molecole di cloruro di 
fenildiazonio (ottenuto diazotando l’anilina nel modo solito). Ha 
luogo un abbondante sviluppo di azoto, cessato il quale si aci- 
difica il liquido rosso bruno con acido acetico diluito, con che 
l’azina dell’isonitrosofenilacetone si separa subito solida. 

Cristallizza dall’aleool, ove è discretamente solubile a caldo 
e poco a freddo, in aghi giallo-rossi, fusibili a 187°-188° con 
decomposizione, ed è quasi insolubile nei comuni solventi organici. 

I. Gr. 0,3639 di sostanza fornirono gr. 0,8915 di ani- 
dride carbonica.e gr. 0,1860 di acqua. 


II. Gr. 0,0910 di sostanza fornirono ce. 14 di azoto 
(Ho = 738,20 t=15°), ossia gr. 0,016011. 


Cioè su cento parti : 


trovato calcolato per C,gHjgN,03 


Carbonio 66,81 — 67,08 
Idrogeno 5,67 cs 5,59 
Azoto — 17,59 17,39 


Riscaldata con acido solforico al 10 °/, si trasforma in solfato 
di idrazina, il quale si separa cristallizzato col raffreddamento, 
e in acetilbenzoile CHz.C0.C0.C;H;, che distilla col vapore e co- 
stituisce un liquido giallo bollente a 222°. 


820 G. PONZIO ED R. GIOVETTI — SULLA PREPARAZIONE, ECC. 
Azina dell’isonitroso-p-tolilacetone 


H30 CH 
Narn Nat | 
CH,.C5H,.(NOH)O7 XC(NOH).C,H,.CHs. 
Si ottiene trattando la soluzione alcalina dell’azina dell’iso- 
nitrosoacetone con cloruro di p-diazotoluolo ed acidificando poi 
il liquido con acido acetico diluito, dopo cessato lo sviluppo di 
azoto. Cristallizza dall’alcool, ove è discretamente solubile a 
caldo e poco a freddo, in laminette gialle, fusibili a 198°-99° 
con decomposizione, ed è quasi insolubile negli ‘altri solventi 
organici. 
Gr. 0,1246 di sostanza fornirono ‘ce. ‘17,4 di “azoto 
(Ho=733,10, t= 16°), ossia gr. 0,019688. 
Cioè su cento parti: 


trovato calcolato per CaHa3N;0 
Azoto 15,80 16,00 


Azina dell’isonitrosoanisilacetone 


H,C CH 
iN na 


CH;0.0H,.(NOH)C7 \CN0H).C;H,.0CH;. 


Si prepara, in modo analogo alle precedenti, dall’azina del- 
l’isonitrosoacetone mediante il cloruro di p-diazoanisol. Cristal- 
lizza dall'alcool, ove è discretamente solubile a caldo e poco a 
freddo, in prismetti gialli fusibili a 193°-94° con decomposizione. 

Gr. 0,1501 di sost. fornirono cc. 19,2 di azoto (Hoy==731,11, 
t = 16°), ossia gr. 0,021167. 
Cioè su cento parti : 
trovato calcolato per CayHaaN0, 
Azoto 14,36 14,65 


È quasi insolubile negli altri comuni solventi organici; di- 
stillata con acido solforico al 10 °, fornisce solfato di idrazina 
e acetil-p-anisoile CH3.C0.C0.C;H,.0CH3z, il quale forma aghi 
gialli fusibili a 44°-45° ed è volatile col vapore. 

Torino, Istituto Chimico della R. Università, aprile 1908. 


L’Accademico Segretario 
LoRrENZO CAMERANO. 


821 


CLASSE 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 17 Maggio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D’'OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: Pizzi, Rurrini, StAMPINI, D’ERCOLE, 
Bronpr e RenIER fungente da Segretario. — Scusano l’assenza 
il Vice-Presidente BoseLLi, il Direttore della Classe MaAnvNO, il 
Segretario De SancTIs e il Socio Brusa. 


Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 
3 maggio 1908. 

Il Presidente legge la lettera con cui il Socio ALLIEVO rin- 
grazia la Classe per la parte da essa presa nel suo acerbo dolore 
di padre. 

A nome del Vice-Presidente BoseLLi è presentato d’ufficio, 
con encomio, l'opuscolo di Alberto BenepuUcE: Della natalità, 
studio di demografia comparata, Rema, Tip. Nazionale, 1908. 

Il Socio D'ErcoLe fa omaggio di un fascicolo recente (Lu- 
gano, 1908) della rivista Coenobium, in cui è inserito un suo 
articolo sul filosofo Pietro Ceretti. 

Per l'inserzione negli Atti il Socio STAMPINI presenta una 
Nota di Oreste Nazari, intitolata: Wmbrica, nuova serie. 


DI 
bo 
DO 


ORESTE NAZARI 


LETTURE 


VMBRICA 


Nuova Serie. 


Nota del Prof. ORESTE NAZARI. 


AVVERTENZA. 


La presente Nuova SerIE fa seguito a due opuscoli dell’A.: 
Vatuva Ferine, Torino, 1900 e Umbrica, ib., 1901. Accennerò per 
sommi capi alle interpretazioni in essi contenute, perchè nella 
versione dei luoghi, qui presi in esame, ad esse mi attengo. 

Traduco vatuva ferine feitu “ lustrationes praefericulo facito ,. 
Il tema vatuo- risponde a *la-tuo- da *lava-tuo- (cfr. lat. latrana 
da lavatrina); l iniziale originario è in umbro normalmente ri- 
flesso da ©, e il suffisso primario -two- è aggiunto alla base ver- 
bale lava- per conguagliamento analogico di forme corrispondenti 
alle latine lavare, lavére. ferine è abl. sing. del tema ferion/ferin-, 
da rad. fer-, indoeur. dher-, da cui con significato affine il 
gr. dugopevg e il suo derivato lat. amphora, nonchè lat. prae- 
fer-i-culu-m ‘vaso sacro’. 

Traduco tuva tefra spantimar prusekatu “ duo frusta ad obla- 
tionem prosecato ,, e tertiama spantim triia tefra prusekatu 
“tertiam ad oblationem tria frusta prosecato ,, e lo spantea 
di II. a. 30 “ oblativa ,. Derivo spanti- da *spud-i-ti-, cioè dalla 
stessa rad. donde gr. otévòdw otovòi e lat. spondeo (per tt, + da -d-t- 
cfr. osco Uittiuf ‘ usio, fructus’, lat. cette, mattus, adgretus). tefro- 
risale a *lem-es-ro- da rad. tem- (cfr. gr. téu-vw téu-evog, lat. 
tem-p-lum). 

Traduco upetu “ obito , nel senso di “ sibi parato ,, e upetuta 
“obeunto ; = “ sibi paranto ,. 

Traduco vepurus felsva di esunesku vepurus felsva... prehubia 
“ sacris cum liquoribus liba ... praebeat , e vepuratu di kapire 


VMBRICA 823 


punes vepuratu “ capide (abl. di mezzo) poscae (genit. partit.) 
infundito ,. Già il von Planta accostò vepurus a liquoribus; quanto 
a felsva, lo connetto con lat. helluo helluari. 

Traduco nurpener “ *nudipendiis , nel significato di “ sole 
contribuzioni in denaro, esclusa ogni altra contribuzione in na- 
tura ,. È bensì vero che lat. nudu-s risale a *nogedo-s, che in 
umbro avrebbe dovuto dare *nobed(0)s, ma per la sincope di è 
nel preumbro si ebbe *nogdos (cfr. umbro ninetu ‘ ninguito ’) e 
poi *nodos (cfr. umbro speture ‘spectori ’), di cui il -d- intervoc. 
passò normalmente in r. -pener = -pendiis con nn da nd usual- 
mente scritto in umbro con », per l'è mancante nell’umbro cfr. 
umbro spina spinia, rudinam rupinie. 

Traduco ruseme “in terra ,, connettendolo con lat. ràs da 
*rous *reus e per la flessione riferendomi a umbro toteme ‘in 
civitate ’. 

Traduco ponne oui furfant di VI. b. 43 e I. b. 1 “ quom oves 
tondent ,, connettendo furfant con lat. forfex, e perciò l'efurfatu 
di VI. b. 17 e VII. a. 38 “ effundito ,, quasi “ extondeto , nel 
senso di ‘togliere (tagliare) via solo il pelo del liquido della 
libazione per gettarlo sul fuoco ’. 


cehefi dia, VI a 20. 


Di cehefi furono tentate parecchie spiegazioni, e la prima 
questione che si presenta è della lettura di questa parola. È 
essa bisillaba con ehe rappresentante è (così come ihi rappre- 
senta 7 in umbro persnihimu ‘ precamino ‘), o è essa trisillaba, 
e in questo caso è l’% per avventura etimologico (da 94, come 
in mehe ‘ mihi’, Vehiies ‘ Veiis’ ecc.) o mero segno di separa- 
zione tra due vocali (come in pihatu ‘ piato’ ecc.)? Di più è 
cehefi connesso etimologicamente con kukehes di Tab. III. 21, 
anch’esso d’ignoto significato? E perchè il ce, k davanti ad e non 
subì in queste parole il solito processo di palatilizzazione? A 
queste domande fu variamente risposto. 

Anzitutto considerando cehe=ce- il Biicheler dapprima con- 
nesse cehefi con lat. candeo ac-cendo facendolo corrispondere a 


824 ORESTE NAZARI 


un ipotetico lat. *censim con f umbro rispondente‘a lat. ns, e il 
v. Planta, Gramm.d.oskisch-umbr. Dialekte, p.368 sg. attribuisce 
la conservazione del c alla vocale nasale e" proveniente da #-s0- 
nante risalendo per cehefi a knd-ti- (cfr. ibidem p. 3815 e 422), 
con che sarebbe risolta anche la questione della rispondenza 
dell'e umbro all’a latino di candeo. 

Se invece cehefi è trisillabo, allora kukehes potrebbe avere 
connessione con esso e la conservazione del ec, k troverebbe la 
sua ragione nella provenienza dell'e, che gli segue, da aî, e se 
l’» è etimologico dovremmo risalire ad una radice Xaigh-, che 
troviamo in gr. ékixov krrxdvw anglosass. higian ‘sforzarsi’ ant. 
ind. cighra- ‘ veloce’, per cui ku-kehes avrebbe press’a poco il 
significato di ‘raggiungerà ’; però in questo caso sarebbe diffi- 
cilissimo spiegare cehefi. Se l’h non è etimologico, il Huschke, 
il Newmann e il Biicheler connettono le due parole con gr. kai 
‘ brucio, accendo ’, provenendo il quale da *xaFiw si aspetterebbe 
in umbro keve- invece di Kehe-, 0, se si ammettesse *kaiv- da 
kavi- qual forma fondamentale (cfr. lat. saevio, umbro sawitu), 
sarebbe difficile da spiegare il dileguo del v (cfr. v. Planta op. cit. 
p. 368 sg.). 

Se gravi sono le difficoltà fonetiche per ritenere legittima 
la derivazione di cehefi sì da rad. kand- che da rad. kav-, non 
meno gravi sono quelle morfologiche. cehefi bisillabo potrebbe 
essere un sostantivo formato col suffisso -ti-, onde cehefi dia var- 
rebbe 4*accensim det in nesso quale venum dare, pessum dare, op- 
pure un supino in -tu, onde varrebbe accensum dare, ma in 
quest’ultimo caso non si spiegherebbe en umbro di fronte ad an 
di lat. candeo, giacchè il supino italico si forma della radice ir 
grado medio. cehefi trisillabo e connesso con gr. xaiw fu pure 
spiegato dal Bronisch come forma del perfetto soggiuntivo-pas- 
sivo umbro con -f- (quale herifi ‘ oportuerit ’, pihafi ‘ piatum sit °) 
e varrebbe ‘accendatur’, ma il v. Planta stesso trova piuttosto 
duro il nesso sintattico, che ne risulterebbe, ea (vasa) sic adhibeto 
ut ignis (opp. ignem) ab igne accendatur det (op. cit. 406). La 
conclusione dei tentativi fatti finora sta purtroppo nelle parole 
del Buck (A Gramm. of Oscan and Umbr., p. 90) “ for cehefi 
‘accensum sit’? ku-kehes, there is no satisfactory etymology 
(connection with Grk. xaiw from *kaF-1w impossible) ,. 

Prima di esporre la nostra interpretazione di cehefi — per 


VMBRICA 825 


ora non ci occuperemo di kukehes (1) — passiamo a vedere le 
due proposte di dia già messe innanzi entrambe dal Biicheler, 
Umbrica p. 52, tra le quali non avremo che da scegliere quella 
che meglio s'attaglia alla nostra di cehefi. 

dia col significato di ‘ incendat’ risale a *daat =*duiat e 
deriva dalla rad. du- ‘bruciare’, che troviamo riflessa nel gr. daiw 
(*baF:w) e nell’ant. ind. du-no-tà ‘brucia’ trans., da-ya-te ‘ brucia ’ 
intr.; col significato di ‘det’ risale a protoitalico *dzat e deriva 
da rad. du- ‘dare’, che troviamo nel lat. duut ‘det’, creduat, 
venum duit. Delle due interpretazioni accediamo. alla prima. 

cehefi, leggasi kéfi, riflette foneticamente e morfologicamente 
a puntino gr. xeî@1 ‘ibi’, monotongatosi il dittongo originario ei 
in umbro e (cfr. umbro prever ‘singulis’ con osco preivatud ‘reo’ 
e lat. privos, umbro etu cetu da *ei-t0d con lat. #0, umbro erer 
‘eius’ con osco eiseis ‘eius’ ecc. ecc.), rispondendo normalmente 
l'’umbro f a gr. 0, indoeur. dh e l’-i finale a gr. 1. Ben è vero 
che l’i finale protoitalico pronunciossi aperto nell’osco e nel- 
l’umbro e che nell’umbro, quando non si dileguò, diventò -e 
come in latino (cfr. umbro ote ote ‘aut’ con osco auti, umbro 
sakre sacre ‘sacre, hostia/ nom. acc. sing. ntr. di tema in -î, ecc.), 
però accanto all’abl. sing. kapire ‘capide’ karne, carne’ curnase 
‘cornice’ ecc. troviamo anche peri persi ‘ pede” scalsi-e ‘in 
patera?’, dove al segnacaso -î del loc. (abl.) sg. dei temi in 
consonante vediamo rispondere in lat. -e, in umbro per lo più -e 
e talvolta anche -i. 

L’avverbio locativo umbro cehefi del resto non è morfologi- 
camente isolato, ma si trova in compagnia con umbro pufe pufe 
osco puf ‘ubi’, umbro ife ife if ‘ibi’ if-ont ‘ibidem’, peligno 
ecuf ‘ hic”, lat. ubi ibi, gr. m601 ‘ubi?’ aùré6@i ciko01 adei KeTRi, 
ant. ind. adhi ‘ su’, uscenti col suffisso formativo indoeuropeo -dhi, 
affine ai suffissi congeneri indoeur. -dhe e gr. -Gev, dei quali 
discorre il Brugmann in Kurze vergl. Gramm. p. 454 sg., $ 580. 


(1) kukehes del resto, sì foneticamente (come 3. pers. fut. di rad, 
indoeur. kaigh, umbro keh, cfr. gr. È-kix-ov ant. ind. cigh-rd-) che pel nesso 
logico si può tradurre ‘conveniet, perveniet’ nell'unico luogo, in cui si 
presenta, Tab. III, 21: inmenek vukumen esunumen etu ap vuku kukehes 
iepi persklumar karitu, che tradotto suona: tum in aedem ad sacrificium 
ito. Ubi (ad) aedem perveniet, ibi ad precationem vocato. 


826 ORESTE NAZARI 


Passando alla parte tematica della parola, vi ravvisiamo il 
tema pronominale indoeur. £o- #i-, che preceduto dalla particella 
dittica e dà il pronome eko- ‘hic’ in osco exo ‘2° ekak ‘hanc ’ 
ekik ‘hoc’ ekas ekask ‘hae’ ekass ‘has’, peligno ecîe ‘hoc’ 
ecuc avv. ‘huc’ ecuf avv. ‘hic’ (cfr. gr. ékeî, ékeîvog),.dal quale 
unito col tema pronominale so- proviene il pron. osco eksi- exo- 
‘hie’ e umbro esso- eso- ‘hic’. Da questo stesso tema #o- pro- 
viene indubbiamente anche l’enclitica osco-umbra -k (cfr. per 
l’umbro esuk esoc issoc accanto a esu eso iso ‘sic, ita’, isek sec 
‘ibi, eo’, inumk inuk enuk inumek inenek accanto a enu erom 
ennom eno enno ‘tum’, itek ‘ita ’) e lat. -ce -c (cfr. lat. hic, 
haec hoc ece. huiusce, ecce ecc.) nonchè il prefisso ce- di osco 
cebnust ‘ venerit’ e lat. ce-do ce-tte). 

In cehefi, rispondente nella forma del tema e del suffisso a 
gr. keî@i e nel suffisso ai citati pufe pufe ife ife if ecuf, noi tro- 
viamo conservata la velare davanti ad e probabilmente perchè 
in altre forme dello stesso tema (non restateci nei pochi docu- 
menti delle iscrizioni umbre) la velare si conservava davanti a 
vocale non palatale, così come abbiamo in umbro il gen. sg. 
Naharcer su Naharcom, il dat. sg. fratreci ‘*fratrico, magistro 
fratrum’ su fratreks nom., fratreca abl. femm., fratrecate loc. sg. 
‘in fratruam magisterio ’, l’abl. plur. todceir su todeor nom. pl. 
masch. o ntr. ecc. e del resto troviamo sopravvivenze del pe- 
riodo anteriore alla palatalizzazione in umbro kebu ‘cibo’ e inoltre 
in Akerunie Acersoniem di oscura origine. 

Dimostrata sotto tutti i punti di veduta la rispondenza di 
cchefi a gr. xeîd1, vediamo ora se nel testo, dove la parola ri- 
corre, essa sì possa logicamente tradurre per di. 

uasor verisco treblanir porsi ocrer pehaner paca ostensendi eo 
iso ostendu pusi pir pureto cehefi dia surur uerisco tesonocir surur 
uerisco uehieir. i 

cioè: 

“ Vasa ad portam Trebulanam, quae montis piandi causa 
ostendentur, ea sic ostendito ut ignem ab igne ibi accendat. 
Item ad portam Tesenacam. Item ad portam Veiam ,. 

Ibi dunque vale ‘ad portam Trebulanam ’, ch'è il punto 
della cerimonia e che deve essere precisato perchè analogamente 
la cerimonia deve ripetersi tal quale altre due volte, alla porta 
Tesenaca e alla Veia. 


re — _— 


i "er e 


VMBRICA 827 


fato fito VI. b. 11. 


Se l’interpetrazione di fato jito è ancora un indovinello e la 
versione ‘factum fitum’ data dal v. Planta e dal Buck nulla 
dice, tuttavia in nessun altro luogo forse delle Tab. Ig. si rasentò 
più da presso la verità senza vederla. Già nel 1851 Aufrecht 
e Kirchhoff, die Umbr. Sprachdenkmiiler II 200, interpetra- 
rono fato con ‘ fatum ’, che il v. Planta, op. cit. I 352, di- 
chiara “ non ben rispondente pel significato , e poi il Biicheler, 
Umbrica 67, con felice divinazione scrisse: “ proventum even- 
tumque prosperum comprehendunt fato fito, faciendi fiendique 
copia, facultas et felicitas. Nam illud a fac ductum pro fahto 
est (cfr. bonum factum pro drag Tixn), hoc autem umbr. fuiest 
latinumque fiet, @îtv fetum significat grammatice, conexa 
actionem passionemque continent incrementi. perne postne TP—COW 
kaù orticow, ut Iani gemina frons, ut Porrimam Romani Post- 
vertamque colunt ipso prolis nomine ,. Nello stesso modo inter- 
petra il Buck, che a pag. 222 della sua Grammar of Oscan and 
Umbrian trattando dell’asyndeton scrive: “ fato fito ‘ successo 
e buona fortuna’ (quasi latino factum fitum, il primo riferendosi 
ad ‘efficienza, prospero compimento ’, il secondo a ‘ciò che av- 
viene, riesce bene, buona fortuna ’) ,. Tralasciando di citare altri 
tentativi d’interpetrazione meno felici, rileviamo solo che se fone- 
ticamente umbro fato- potrebbe rispondere a protoitalico facto-, 
nondimeno in linea di fatto a lat. faeto- corrisponde in umbro 
*feto- da radice fek-, cfr. umbro aanfehtaf ‘infectas’, feta ‘facta ’ 
(vedi Buck op. cit. 168), e d'altra parte nè nella costituzione 
morfologica dei due vocaboli fato fitu, nè nel loro presunto si- 
gnificato troviamo nelle altre lingue indoeuropee alcuna rispon- 
denza, onde sorse la strana versione latina di factwm fitum, con 
cui furono resi. 

Si presenta ovvia invece l’interpetrazione di fato per fata 
(acc. plur. ntr.) (1), la quale non fa una grinza nè dal lato fo- 


(1) È notorio che la desinenza protoitalica - del nom. sing. della 1. declin. 
e del nom. acc. voc. ntr. plur., la quale finì per abbreviarsi in latino, si 
conservò in osco-umbro e si oscurò tanto che in osco riuscì a -U -0 e in 
umbro a -a -u -0. Tralasciamo di recarne esempi, di cui abbiamo dovizia; 


828 ORESTE NAZARI 


netico nè dal morfologico, e di fito per dona; questa invece ha 
bisogno di qualche spiegazione, data la quale, passeremo a di- 
mostrare come non solo la versione fata bona per sè sia accet- 
tabile, ma essa risulti anche dal nesso logico del luogo, dove 
le parole in questione si trovano. 

fito è ace. plur. ntr. di fito-, part. pass. della rad. indoeur. 
bhu- ‘ essere, diventare’ (cfr. ant. ind. bha-td-s ‘ diventato ’) e 
risale a. protoitalico *f#-to- col mutamento di è in 7, normale 
nell’umbro, come si vede da pir ‘ignis’ = gr. mòp, sim ‘suem’ 
= gr. Ù.v, frif da *frag-f ‘frùges’, trefi ‘tribù’, arputrati.‘ ar- 
bitratù’, mani ‘ manù’. 

Quanto al valore di ‘ buono ’ che assegniamo a umbro fito- 
ricordiamo che dalle due radici supplementari es- e bhà- derivano 
aggettivi sostantivi e avverbi, che contengono l’idea di ‘bontà’, 
p. e. da rad. es- deriva gr. èug nus avv. éù eù (1), ant. ind. su 
su-, avest. hu- ant. pers. v- (uv-) med. pers. hu-, gall. irl. su-, cimr. 
hy ‘bene’, ant. ind. sant- ‘ essente, buono” satya-s ‘vero’, e 
da rad. dha- deriva, ant. ind. bha-ti-s (morfologicamente, corri. 
spondente a gr. pÙois), che vale ‘ prosperità, benessere, felicità”. 

E benessere, felicità, buoni destini sul popolo Igu- 
vino invoca dal dio. Fisovio Sancio la preghiera contenuta nella 
Tab. Iguv. VI. b. 9-15, che riferiamo: 

Fisouie Sanzie tiom esa mefa spefa Fisouina ocriper Fisiu 
totaper Jiouina erer nomneper erar nomneperz Fisouie Sandie ditu 
ocre Fisi tote Jowine ocrer Fisie totar Jouinar dupursus peturpursus 
fato fito perne postne sepse sarsite uouse auie esone futu fons pacer 
pase tua ocre Fisi tote Jiowine erer nomne erar nomne Fisouie 
Sansie saluo seritu ocrem Fisi totam Jouinam Fisouie Sansie saluo 
seritu ocrer Fisier totar Jouinar nome nerf arsmo uiro pequo castruo 
frif salua seritu futu fons pacer pase tua ocre. Fisi tote Jiouine 
erer nomne erar nomne Fisouie Sansie tiom esa mefa spefa Fisouina 
ocriper Fisiu totaper Jiouina erer nomneper erar nomneper. Fisouie 
Sansie tiom subocau Fisouie frite tiom subocau. 


e mentre rileviamo che fato fito potrebbe pure essere ace. sing. con atte- 
nuamento e dileguo di -m finale, rimandiamo al seguito della trattazione 
di mettere in evidenza le ragioni per le quali è preferibile il plurale. 


(1) Sulla connessione di gr. eÙ ecc. con ant. ind. su vedi la. postilla. 


etimologica dell’A. in Riv. di Fil. CI. XXXII, 95 sgg. 


-_. r—————m—_m 


VMBRICA 829 


La quale latinamente suona: 

“ Fisovi Sanci, te hoc libo sparso Fisovino pro monte Fisio, 
pro civitate Iguvina, pro eius (montis) nomine, pro eius (civitatis) 
nomine. Fisovi Sanei, dato monti Fisio, civitati Iguvinae, montis 
Fisii civitatis Iguvinae bipedibus quadrupedibus fata bona, ante 
post, separatim *sarcite, voto augurio sacrificio; esto favens pro- 
pitius pace tua monti Fisio, civitati Iguvinae, eius (montis) no- 
mini, eius (civitatis) nomini. Fisovi Sanci, salvum servato montem . 
Fisium, civitatem Iguvinam. Fisovi Sanci, salvum servato montis 
Fisii, civitatis. Iguvinae nomen, principes, ritus, viros, pecua, 
fundos, fruges salvas servato; esto favens propitius pace tua 
monti Fisio, civitati Iguvinae, eius (montis) nomini, eius (civi- 
tatis) nomini. Fisovi Sanci, te hoc libo sparso Fisovino pro monte 
Fisio pro civitate Iguvina, pro eius (montis) nomine, pro eius 
(civitatis) nomine. Fisovi Sanci, te invocavi, Fisovi fiducia te 
INVOcavi ,. 

Il ditu fato fito ‘ dato fata bona” della Tab. Iguv. ci richiama 
infine alla mente il quod bonum felix fortunatumque sit spesso 
ricorrente sulla bocca dei Romani, e l'aggiunta perne postne ‘ante 
post’ riceve la sua illustrazione dalla prece solenne del Carmen 
Seculare Oraziano: 

Vosque veraces cecinisse, Parcae, 
Quod semel dictum est, stabilisque rerum 


Terminus servet, bona iam peractis 
lungite fata. 


dove abbiamo quasi le identiche parole, rispondendo bona fata 
a fato fito, iam peractis a perne ‘ante’ e iungite a ditu postne. 


erus, erus (24 volte passim). 


Il Biicheler definì erus ‘quod dis datur peractis sacris ’ 
(Umbr. in lessico) dandogli come equivalente in latino ‘augmen; 
magmentum”’ (ib. 70) e lo confrontò con lat. erus ‘dominus’, 
eritudo presso Paolo = servitudo, eritio nelle glosse di Placido 
= dominatio, vocaboli, secondo lui, da non disgiungere da umbro 
eretu heritu ptc. ‘ optato, consulto’, sicchè erus perduto l’% ini- 
ziale originario, significherebbe ciò che “ deo homo yapiZetar îepà 
pelwy;, partem deo acceptissimam, si quidem herum herium velle 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 57 


830 ORESTE NAZARI 


cupere accipere significat, lherter placet convenit, meip eretu 
AKOUOTA ,. 

Anzitutto è da notare che non v’è connessione tra lat. erws, 
connesso verisimilmente con avest. anhus ‘ dominus’, e umbro 
heritu ecc. (da rad. her- ‘ velle ’) connesso con lat. horior hortor 
gr. xcipw ant. ind. hdr-ya-mi. Inoltre l'Osthoff in Curt. St. 278 
notò che erus non presenta mai l'aspirazione e per di più la 
sillaba finale non è sincopata, laonde egli vede in erus. un 
acc. sg. ntr. derivante da *erfs=*erfos corrispondente a gr. d\80g 
e ant. ind. radhas; però coll’etimologia Osthoffiana non ci sa- 
premmo render ragione dell'’u di erus, giacchè umbro fratrus 
‘ fratribus ’, citato in confronto, proviene da *fratr-u-bh(0)s e, 
come tutti i dat. abl. pl. dei temi in conson. dell’umbro, trae 
l’u dall’analogia dei temi in « (mentre il lat. e l’osco traggono 
l’-i- dai temi in é; cfr. 1. leg-2-bus con osco leg-i-s ‘legibus’, 
lat. fermin-i-bus con osco teremn-i-ss ‘terminibus’ ecc.). 

Scartate pertanto le proposte etimologie, si pensò a osco 
aisusis ‘ sacrificiis’, marruc. aisos ‘dis opp. sacrifici? ’, marso 
esos ‘ dis’, volsco esaristrom ‘sacrificium’, umbro esono- ‘ divinus, 
sacer’ (Bugge, £hein. Mus. 40, 473 sgg.) e dal Huschke anche 
a ted. Ehre con r da s, chè ted. ehre ant. alt. ted. era risponde 
a got. *uiza (cfr. got. aistan lat. aestimare), e poichè il nesso 
logico non ammette la spiegazione di erus come dat. plur. ‘ dis’ 
il von Planta (op. cit. I 523) trova possibile che sia neutro ace. 
sing. corrispondente a ted. ehre ‘onore’, che pel significato calza, 
e nota opportunamente (ib. 231) che dobbiamo vedere in erus 
un tema neutro in -us- (come ant. ind. tapus-), dove l’% non fu 
sincopato, mentre ò è # di sillabe finali nell’osco-umbro di regola 
sl sincopa. 

Anche il Buck (op. cit. 74 e 304 sg.) ritiene come possibile 
la connessione di erus con osco aisusis, umbro esono- ecc. e lo 
traduce pure con ‘magmentum ’, annotando che la parola dinota 
un'offerta supplementare con cui la cerimonia è terminata. 

Come vediamo dunque l’interpetrazione Biicheleriana mag- 
mentum sì è imposta come l’unica possibile se non certa, qua- 
lunque sia l’etimologia della parola. Ma è poi veramente indi- 
spensabile di vedere in erus un'offerta supplementare agli dei 
per finire un sacrificio? Al Biicheler pare di vederla designata 
chiaramente in Tab. II a 27: katles tuva tefra terti erus pruse- 


Pure: 


ct, A 


VMBRICA 891 


katu, che traduce “ catuli duo tefra, tertium erus prosecato ,, 
dove, egli dice, “ opponitur hostiae partibus duabus, quarum 
nomen combusturam prodit, tertia tanquam praestabilior ,, ma 
nel testo umbro nè si scorge contrapposizione di parti nè pre- 
cellenza di erus sui catulîi duo tefra. 

Tentiamo dunque un’altra interpetrazione e vediamo se fo- 
neticamente e logicamente sia sostenibile. 

Per quel che riguarda l'etimologia di erus, questo vocabolo 
corrisponde foneticamente ad ant. ind. arus ntr. ‘ferita’, ch’ è 
connesso nella radice con ant. ind. «r-mas masch. pl. ‘avanzi, 
ruine’ e ar-ma-ka-s ‘ frammentario ’, e quanto al rapporto sema- 
siologico tra arus e armas confrontisi lat. feriò con gr. géapw 
‘spezzo ’, sicchè ant. ind. rus significò originariamente ‘ rottura, 
spezzamento ’ e il suo riflesso umbro erus significa ‘pezzo, 
avanzo’ latinamente ‘ reliquom’ (cfr. per i vocaboli derivati 
della stessa radice, quali lat. rarus rete, gr. dparòg épfimog ecc. 
e altri delle altre lingue indoeuropee A. Walde, Lat. Etym. 
Wéort. sotto rarus e W. Prellwitz, Etym. Wort. d. Gr. Spr? 
sotto dparòg Epfiuoc). 

A farci ritenere legittima la data etimologia concorrono, 
oltre la fonetica e la semantica, tre altre ragioni, la prima che 
nei 24 luoghi, in cui ricorre la parola erus, è sempre consona 
al nesso logico del testo la traduzione ‘reliquom ’, giacchè 
erus * il restante della vittima o della libazione’ è mentovato 
sempre al termine d'ogni sacrificio e spesso dopochè è già stato 
detto che della vittima si sono offerte agli dei delle parti; la 
seconda che in Tab. V. b. 8-18 sono stabilite da una parte le 
contribuzioni che certe gentes devono dare regolarmente al col- 
legio dei fratelli Atiedii e da l’altra le porzioni delle vittime 
che loro i fratelli Atiedii devono dare nell’occasione del sacri- 
ficio, per la qual cosa il frequente erus ditu ‘reliquom dato e 
simili si riferisce evidentemente alle parti date dai sacerdoti ai 
rappresentanti delle varie genti acciocchè colle genti rappresen- 
tate piglino parte non solo colla presenza ma anche in realtà 
al banchetto divino (“ Clavernii dent oportet fratribus Atiediis 
in singulos annos farris lecti pondo III agri Latii Piquii Martii, 
et cenam hominibus duobus, qui far arcessierint, aut asses VI. Cla- 
verniis dent oportet fratres Atiedil sementivis decuriis pulpa- 
menti suilli in singulos annos partes X, caprini partes V, priores 


832 ORESTE, NAZARI 


sale (conditas), posteriores —, et cenam aut asses. VI. Casilas det 
oportet fratribus Atiediis in singulos annos farris. leeti pondo 
VI agri Casili Piquii Martii, et cenam hominibus duobus, qui far 
arcessierint, aut asses. VI. Casilati dent oportet, fratres Atiedii 
sementivis decuriis pulpamenti suilli in singulos annos partes XV, 
caprini partes, VII semissem, et cenam aut asses, VI. ,.. E il Buck, 
di cui abbiam riferita la versione, annota a pag. 302 che le due 
gentes qui menzionate sono tra le dieci (formanti la decuria) 
noverate in II bh, e che questo passo è indubbiamente solo la 
conclusione di un decreto fissante le contribuzioni e le distribu- 
zioni di carne per tutte dieci, la principale parte del quale era 
su una delle tavole perdute); la terza che erus non è mai. ac- 
compagnato, dal verbo fagiu ‘ facere’ o *purdoviom ‘ porricere”, 
che sono nelle Tab. Iguv. i termini tecnici sacri dell’otferire, del 
sacrificare agli dei, ma dal verbo dare, il quale incontriamo 
avente per complemento di termine uomini e non dei nella men- 
tovata Tab. V. b. 8. 11. 13. 16, nel significato di concedere da 
parte degli dei agli uomini in VI. b, 10 e di consegnare ma- 
terialmente, porgere in Ila 40. 

Sarebbe troppo lungo riferire qui nel testo.e nella versione 
tutti i luoghi dove ricorre la parola erus, solo accenneremo a 
quelli in cui essa non, è seguìta dal verbo dare. 

In Ila 27 si dice: katles tuva tefra terti erus. prusekatu cioè 
“ catuli duo frusta tertium (avv.) reliquom prosecato ,; in Il a 40: 
esuf pusme herter erus kuveitu tertu cioè “ ipse quem oportet re- 
liquom congerito dato ,; in Il a 32: iepru erus mani. kuveitu, cioè 
“ iecurum (?) reliquom manu. congerito: ,, e infine in IV. 14 leg- 
giamo putrespe erus, che il Biicheler e il von Planta, traducono 
“ utriusque gratia ,, mentre il Buck crede omesso dopo. erus il 
solito tertu, nel qual caso tradurremo “ utriusque reliquom dato ,, 
cioè si distribuisca il restante delle due prime mentovate pecore 
sacrificate agli dei, delle quali è detto prima che furono loro 
offerte già varie parti. 


VMBRICA 833 


pelsatu VI b 40, pelsans II a 43, pelsanu II a 6, III 32, 
pelsana VIb 22, pelsana I a 26. 


i Le surriferite forme derivano da una base verbale pelsa-, 
verisimi]lmente proveniente da un part. pass. come lat. pulsus 
per *pultus (accanto a pulsare il lat. arcaico ha ancora pultare) 
lapsus per *laptus, haesum per *haestum ecc. con s per t analo- 
gamente alle radici uscenti in dentale, e le etimologie, che se 
ne possono dare, si riducono a quattro (1). Il Bréal, Les Tadl. 
Eug. 143 si riferì a umbro pelmner lat. pulmentum e tradusse 
pelsatu ecc. con ‘coquito’ ecc., però pelmner sta per *pelpmener 
e pulmentum ha accanto la forma più piena pul/pamentum, voci 
che derivano da protoital. *pelpa lat. pulpa. Il Biicheler, Umbr. 
38, 71, 139, 213 traduce pelsatu ecc. per Bamtétw ‘ sepelito ‘, 
però lat. sè-pel-îre difficilmente vi è connesso (tuttavia Stokes- 
Bezzenberger in ZFick II* 43 congetturano un celt. *pels- ‘ sep- 
pellire '). Il lat. pulsare, dice il v. Planta, ne è lontano pel suo 
significato e del pari con difficoltà si può pensare, dice ancora 
il v. Planta, a umbro *pelo = lat. colo (pelso = 1. *culsus per 
cultus), cfr. v. Planta op. cit. I 498, II 437. Anche il Buck col 
Biicheler e col v. Planta traduce pelsa- con sepelire, dichiarando 
questa la versione più probabile (cfr. Buck op. cit. 191 e 305). 

Delle citate etimologie l’unica che nulla lasci a desiderare dal 
lato fonetico è che umbro pe/sa- risponda a lat. pulsa-re, giacchè 
in osco-umbro el originario sì conserva, mentre in lat. mutasi 
in ol davanti a vocale e in «/ in fin di parola e davanti a con- 
sonante che non sia / (cfr. umbro pelmner ‘ pulmenti” con lat. 
pulmentum, veltu ‘ deligito’ e eh-velklu ‘ sententiam’ con lat. volt 
vult, sumel con lat. simul, osco famel con lat. famul). 


(1) Non si può prendere in considerazione l’etimologia proposta da 
E. W. Fay in Class. Rev. XIII, f. 17, che pels&- significhi ‘ coprire con pelli’ 
(cfr. 1. pellitus). Il Fay ammette in umbro un vocabolo corrispondente a 
lat. pellis con tema uscente in -es- come sinonimo di vellus e tergus e trae 
in confronto il gr. dmerac épuoiterac. Sarebbe però bene strano che si rive- 
stissero di pelli le vittime nell’atto di squartarle 0, comunque, di servirsene 
pel sacrificio! 


894 ORESTE NAZARI 


Quanto al significato, l'umbro pelsa- equivale a lat. pulsare 
‘ picchiare, percuotere’ eufemisticamente usato per ‘ ucci- 
dere’, al qual proposito è da notare che nelle Tab. Iguv., dove 
pure tanto spesso si accenna al sacrificio delle vittime, se questo 
non è non vi sarebbe altro verbo che indichi l'atto dell’uccidere, 
atto significato in latino eufemisticamente con immolare, ‘ cospar- 
gere di mola, o farro macinato con sale, le vittime da uccidere’, 
con mactare, per la cui etimologia vedi A. Walde op. cit., e 
simili. 

Quanto al nesso logico con ciò che è detto nei luoghi, dove 
il vocabolo in questione ricorre, è da rilevare che la versione 
sepelire, se può sembrar legittima in un solo passo, cioè in 
II. a. 43, e tollerabile in altri due, cioè in Ia 26 e II a 6, non 
è ammissibile nè in III. 32 nè in VI. b. 22 e 40. Nei citati luoghi 
o è indifferente, come nei primi tre, tradurre con pulsare=mactare, 
o pel senso non si può ammettere altra versione che questa, 
come nei tre ultimi luoghi citati, i quali devono essere tenuti 
in maggiore considerazione perchè hanno connessione logica di 
senso con quanto precede e segue nelle Tabulae Tguvinae. 

Passiamoli in rassegna. 

La Tab. IL a, la quale dalla linea 15. alla 43. tratta del 
sacrificio d'un cane, termina le prescrizioni relative ad esso colle 
parole: katel asaku pelsans futu, le quali si potrebbero bensì in- 
tendere ‘catulus apud aram sepeliendus (anzichè pulsandus) esto”. 
Però è ovvio pensare che le riferite parole siano un’aggiunta 
finale fatta allo scopo di rimediare ad una omissione dell’inca- 
ricato dell’incisione del testo, giacchè dopo le prescrizioni pre- 
cedenti, per le quali varie parti del cane già sono state arro- 
stite e distribuite, come si potrebbe concludere col seppellimento 
del cane? 

Nella Tab. II. a. 6 troviamo isolate le parole luvie unu erietu 
sakre pelsanu fetu, sicchè mancando relativamente ad esse ogni 
connessione con quanto precede e con quanto segue, riesce in- 
differente tradurre ‘Iovio unum arietem sacrificum sepeliendum 
facito’ oppure ‘ pulsandum facito ”. 

Del pari di tre agnelle da sacrificare a Tefro Tovio non si 
dice altro in Tab. I. a. 26 se non che pelsana fetu ‘ sepeliendas 
facito” oppure ‘ pulsandas facito ’, ed è solo da deplorare, se qui 
pure pelsana vuol dire ‘sepeliendas’, lo spreco che di tanta grazia 


rr o o. r__——_—Tt mmT— rm _@@6 


VMBRICA 835 


di Dio facevano i buoni sacerdoti Iguvini, i quali seppellivano 
avieti agnelli e altre vittime e placavano il loro appetito canino 
con dei quarti, e non tutti, di cane! 

Adagio però nel calunniare di bonomia i sacerdoti Iguvini! 
Essi nella Tab. III. 32, sgg. ci dicono: uvem peraem pelsanu 
feitu ererek tuva tefra spantimar prusekatu erek perume purtuvitu 
strugla aryeitu inumek etrama spanti tuva tefra prusekatu erek 
eregluma puemune puprike purtuvitu erarunt struhglas eskamitu 
aveitu inumek tertiama spanti trita tefra prusekatu ecc. Dove se 
traduciamo uvem... pelsanu feitu con ‘ ovem (masch.— montone?) 
sepeliendum facito’, come mai dopo averlo seppellito {a propo- 
sito del cane il presunto sepeliendum si trovava almeno in fine 
della prescrizione e si sarebbe trattato di far al più rinuncia di 
quel che forse non era mangiabile) se ne potevano ancora toglier 
via tante parti quante sono noverate dopo? Traduciamo: “ ovem 
humi stratum pulsandum facito. Eius duo frusta ad oblationem 
prosecato, tum in fossam porricito, struem addito. Tune alteram 
ad oblationem duo frusta prosecato, tum ad sacrarium Pomono 
Publico porricito, eiusdem struis — addito. Tunc tertiam ad 
oblationem tria frusta prosecato ecc. ,. Dabbenuomini non eravamo 
piuttosto noi a trovare tre fianchi nel loro montone, traducendo 
spantimar..... etrama spanti..... tertiama spanti con ‘ad latus..... 
alterum ad latus..... tertium ad latus ’? (1). Sicchè dunque questo 
luogo è decisivo per farsi ripudiare l’interpetrazione sepelire di 
pelsa- e farci adottare piuttosto l’interpetrazione pulsare=mactare. 

Per la medesima ragione non si può tradurre sepeliendas il 
pelsana di VI. b. 22, nel qual luogo è detto: post werir uchier 
habina trif fetu tefrei ioui ocriper fisiu totaper tiowina serse fetu 
pelsana fetu aruio feitu poni fetu tasis pesnimu prosesetir strusla 
fiela arueitu, che traduciamo “ post portam Veiam agnas tris 
facito Tefro lovio pro monte Fisio, pro civitate Iguvina. Sedens 
facito, pulsandas facito, frumenta facito, posca facito, tacitus 


precator. Prosectis struem, offam addito ,, giacchè se le tre 


(1) In Umbrica, Torino, Tip. Baglione, 1901, tentai di dimostrare tra 
l’altro che umbro spanti- è connesso con gr. otévdw otovòdn e lat. spondeo 
e vale ‘oblatio ’, e tefro- da *fem-es-ro- deriva dalla rad. italo-greco-slava 
tem- ‘tagliare (cfr. gr. Téu-vw téu-evos, lat. tem-p-lu-m ton-d-eo) e vale 


« 


‘frustum’. 


836 ORESTE NAZARI 


agnelle fossero seppellite, come si potrebbe poi aggiungere struem 
et offam ai prosectis? I prosecta qui evidentemente non possono 
essere che delle tre agnelle. 

Infine in VI. b. 40-42 leggiamo: enom pesondro sorsalem 
persome pue persnis fust ife endendu pelsatu enom pesondro sta- 
flare persome pue pesnis fus ife endendu pelsatu enom vaso porse 
pesondrisco habus serse subra spahatu anderuomu sersitu arnipo 
comatir pesnis fust serse pisher comoltu serse comatir persnimu 
purdito fust, cioè “ tum figmentum suillum in fossam ubi precatus 
erit ibi imponito, pulsato. Tum figmentum ovillum in fossam, ubi 
precatus erit, ibi imponito, pulsato. Tum vasa, quae ad figmenta 
habuerit, sedens superiacito. Inter — sedeto, donicum commo- 
litis precatus erit. Sedens quilibet commolito, sedens commolitis 
precator. Porrectum erit ,. Che siano i pesondro non sappiamo; 
è però probabile la spiegazione che leggiamo in Buck, op. cit. 
p. 305, che così si chiamasse un’offerta simbolica, una imagine 
d’animale fatta di farina offerta per l’animale stesso (cfr. Serv. 
ad Aen. 2.116, Festus ed. Thewrewk p. 548). Or questa vittima 
simbolica era pur simbolicamente ammazzata e non già sepolta, 
poichè più sotto si dice che i pesondro devono esser fatti in 
pezzi e su questi pezzi si deve pregare. 


sufafia- II a 22. 41. 


Il Biicheler, che pure nella versione delle Tab. Iguv. trascrive 
in latino sufafia- l’umbro sufafia-, nel commento non solo intra- 
vide il significato di questa parola, ma ne diede la versione, 
sicchè sarebbe il caso di rilevare appena il fatto, se dopo lui 
altri per pretese ragioni fonetiche non ci lasciasse nell’incertezza 
del tradurre la parola in questione. 

Riferiremo per esteso le parole del Biicheler, il quale a 
pag. 132 di Umbrica scrive: “ sufafia constat sud praepositione 
et eo nomine quod notionem serendi ac ligandi habuisse videtur. 
Plautus militis v. 1180 palliolum naucleri describit conexum in 
umero laevo ‘exfafillato bracchio id est exserto, extra amictus vin- 
cula prolato. ita libri Plautini, ita Paulus Festi et Placidus, p.40,21 
Deuerl. qui praeterea glossam hanc exhibet p. 41, 16 exfabilla- 


ti 


VMBRICA 837 


vero exeruero, unde Luxorius AL. 19 p. 70, 3 R. lusit fadulae 
quam mentor erfabillavit altiboans id est quam primus in publicum 
protulit magnus poeta, correxi enim quae in codice leguntur et 
apud Riesium expertia sensus exfafillare illud quod more latino 
in exfabillare deinceps traductum est, ipsi Romani quid signifi- 
caret coeperant oblivisci, itaque in Plauti versu expapillato sub- 
stituebant vocem obscuram permutantes magis aperta, quamvis 
absurda haec esset atque etiam numeris contraria, sic enim 
hiatus carmini infertur alienus a pristina scriptura, si quidem 
cur produci negemus in fafilla ut in fabella pupilla primam nulla 
causa est. sufafia igitur e Plautino verbo efficimus dictas esse 
tamquam subligacula corporis: in visceribus Graeci praecordia 
appellarunt ùnéZwua, ut hominis cervicibus stellaque Orionis 
Latini iugulos iugula iugulas ,. 

Il raffronto del Biicheler tra umbro sufafia ed il lat. arcaico 
exfafillare exfabillare (= exserere), risalendo ad una radice proto- 
italica faf-, non può, secondo il v. Planta, condurci alla radice 
indoeur. bhendh- ‘ legare’ (alto ted. mod. dinden, lat. fend- in 
offendimentum, ecc.) “ perchè da una parte la parola umbra pre- 
senta a in luogo di e oppure o, da l’altra in latino exfabillavero 


presenta è anzichè il normale nd ,, perciò egli propende a deri- 


vare italico faf- da indoeur. dhabh- ‘ adattare’, con cui è con- 
nesso got. ga-daban ga-dofs, lit. dabìnti, ant. sl. doba ecc. 
Fick I4 462); ma egli non tenta di dare un significato alla 
parola umbra, che lascia introdotta nella versione, colla quale 
accompagna il testo (v. Planta, op. cit. 460 sg.). 

Il Buck traduce sufafia- ‘ pars exserta ’, sottolineandola come 
di dubbia interpretazione, e a pag. 210 si limita al raffronto con 
ex-fafillato Plautino e effafillatum ‘exertum’ di Festo ed. Thewrewk, 
dichiarando prudentemente la sua versione solo come probabile. 
Però, ammesso che faf- significhi ‘ legare, adattare’ e corrisponda 
nel significato a serere ‘ intrecciare, legare’, non si può assoluta- 
mente ammettere che una parola risultante dalla composizione 
con sub possa indicare l’azione contraria a quella indicata dalla 
parola semplice, anzichè solo una delimitazione, una varia mo- 
dalità, nel nostro caso, del significato di ‘sero’, quale press’a 
poco intercede tra sub-ligo e lego, sub-jungo e jungo, sub-necto e 
mecto ecc., per citare solo verbi affini nel significato & sero. 

Non rimane dunque che da precisare il significato di sufafia-, 


838 ORESTE NAZARI 


che equivale al latino praecordia e al gr. ùméZwua (il vocabolo 
greco negli elementi costitutivi della parola si accosta meglio 
all’umbro, ino = su[0], ZOua semasiologicamente risponde a fafia-) 
e da vedere se foneticamente l’umbro faf- può ricondursi alla 
rad. indoeur. bdhendh-. 

Non mi dilungherò a dimostrare con esempi, poichè è cosa 
nota, che l’indoeur. dh e dh è riflesso in umbro da f; quanto 
all’a (per an) di faf (per fanf), esso rappresenta 4, cfr. osco 
ancensto ‘non censa, incensa ’, umbro asrata ‘non umecta, sicca’, 
aseceta ‘non secta, insectà ’, «nhostatu ‘ non hastatos ” dove an- 
rappresenta %, mentre in lat. ‘n. da en- sta per #; inoltre in osco 
abbiamo tanginom * sententiam ’, che nella radice risponde a lat. 
tongeo tongitiò, e anafriss ‘ Imbribus? ”, ch'è stato connesso con 
lat. imber da *mbri- (cfr. ant. ind. abhra- ‘ nuvola’, gr. dgpdg) 
e che deriva da wbhri-, in umbro abbiamo spanti-, che nella 
radice risponde, secondo la mia interpretazione a gr. Omévdw 
omovòn e a lat. spondeo e vale oblatio, secondo l’interpetrazione 
del Biicheler a lat. sponda e vale latus, e in osco e in umbro 
troviamo anter corrispondente a lat. inter. L'omissione di n, perchè 
debolmente pronunciato, è in umbro davanti a muta e a spirante 
frequentissima, cfr. umbro ustetu allato a ustentu ‘ostendito ’, iveka 
allato a 2uenga ‘iuvencas’, kupifiatu kumpifiatu e combifiatu ‘ nun- 
tiato’, azeriatu aseriatu imp. e anzeriatu anseriato ‘ observatum’, 
dirsas e dirsans ‘ dent’, sis e sins ‘sint’, Sage e Sansie ‘ Sanci ‘, 
aferum afero ‘ circumferre’ allato a anferener ‘ circumferendi ‘. 

Adunque faf- è, variato solo il grado apofonico, corrispon- 
dente a lat. fend- *' legare’ di offendimentum, offendix e d'un vo- 
cabolo affine nel significato a praecordia, di fendicae -arum ‘ budelli 
d’animali, trippe ‘. 

Il latino exfafillato effafillatum, connesso certamente con 
umbro faf-, come dimostra l’ultimo f è evidentemente di origine 
dialettale e il 6 di exfabdillare è dovuto a latinizzazione di un 
vocabolo importato dalla plebe italica confluente a Roma, così 
come il gr. ézavtieîv fu latinizzato, riducendo a el il nesso -t-, 
in eranclare (in Plauto leggiamo ancora erantlare), il gr. duoprn 
in lat. amurca e con trasformazione fonetica maggiore il gr. BIMXwYv 
‘ puleggio’ in lat. pulegium e pulejum ecc., che anzi l’aborri- 
mento dî f interno nella parola si rileva in tutta la storia della 
latinità, tanto che da lat. forfex si dovette passare a *forbex 


VMBRICA 839 


per avere l'italiano forbice e da lat. Conffuentes abbiamo il nome 
dell’odierna Coblente. 


Traduciamo quindi : 


katles supa hahtu sufafiaf supaf hahtu 
“ catuli suppa capito, praecordia suppa capito , 


struhglas fiklas sufafias kumaltu 
“ struis, offae, praecordiorum (genitivi partitivi) commolito ,. 


puntes terkantur, III. 4-10. 


Il Biicheler, Umbr. 152, crede che “ sine dubio partes fratrum 
ita (cioè puntes) vocantur in quas de more collegium dividitur 
ubi sententia ferenda est aut facienda discessio, atque in ver- 
sibus 9 et 10 puntes pro ipsis fratribus appellatae videntur ,, 
e quanto all’'etimologia inclina “ ut a quinario numero puntes 
dictas credam tamquam rtevt@dag ,. E continua nel dire che 
“ pontifices nomen inde traxisse quod pontem vel pontes facerent 
in aperto est, sed pons utrum latinus ille (ch'è maschile) an 
haec umbrica (ch’è femminile) intelligenda sit non liquet, neque 
umbrici vocabuli originatio eo arguitur esse falsa quod Latini 
pontifices non potuere provenire ex quinque ,. Anche al v. Planta 
(op. cit. I. 342) la spiegazione più verisimile di puntes puntis 
sembra sia tevtodeg mevtdoI e crede questo vocabolo foggiato 
direttamente su *pompe ‘ quinque ’, giacchè con protoital. -nkt- 
in osco abbiamo saahtum ‘ sanctum ’, in umbro salata ‘ sanctam 
da *sankt- e in umbro sihitu ‘ cinctos’ da *kinkto-, per cui do- 
vremmo secondo le leggi fonetiche aspettarci da *ponkti- 0 
*penkti- in umbro un *pohti- o *pehti-. Pure il Buck, op. cit. 92, 
traduce puntes con ‘ cinquine’ basandosi sulla stessa etimologia. 

Molto opportunamente il Biicheler accosta l’umbro ponti- 
colla prima parte del vocabolo latino ponti-fex, vocabolo che i 
Romani derivarono da pontem facere (il qual ufficio nulla ci at- 
testa sia mai stato di competenza dei pontefici) e che poi si 
spiegò da pons o nella sua più antica significazione di ‘via’ 
(onde ponti-fer varrebbe ‘facitor di vie’, cfr. Netusil, Berl. 


840 ORESTE NAZARI 


Phil. Wochenschr.1891, 1867 sg.) o nella significazione di ‘ponte’, 
detto però di sacrifici propiziatorî agli dei fluviali 
per il tragitto (cfr. Keller, Volksetym. 337), spiegazioni 
senza base di attestazioni e per le quali non si spiegherebbe 
come questi facitori di vie e sacerdoti tragittatori potessero 
assurgere a tanta dignità nella religione romana, senza notare 
che con questa etimologia verrebbe meno ogni connessione col 
vocabolo umbro, il quale, secondo ogni verisimiglianza, è identico 
colla prima parte di ponti-fex. 

Il Walde nell’ottimo suo Lat. Etym. Wéort., trattando del- 
l'etimologia di pontifex, si richiama all’umbro ponti-, ch'egli tra- 
duce ‘ piatio, lustratio ’, “ laonde pontifex è ‘ chi fa la lustratio ’. 
Questo ponti- è evidentemente dello stesso tema del quinquare 
‘lustrare’ tramandato da Charisio ed insieme di origine osco- 
umbra, sì che con ciò i pontefici ci si rivelano come un elemento 
sabino dei collegi sacerdotali romani. Connessione col numero 
quinque (: pompe), che Stolz H. G. I 596 accetta per quinquare, 
è foneticamente ammissibile, tuttavia del tutto incerta per il 
significato, giacchè ‘non si può più provare una speciale impor- 
tanza del numero cinque nel rituale ,. Però la significazione 
‘ piatio, lustratio’ non è così evidente, come ‘pare al Walde, 1l 
quale dalle parole della Tab. INI. 4 sgg. huntak vuke prumu pehatu 
inuk uhturu urtes puntes frater ustetuta, che traduce “ cisternam 
aedis primum piato. Tum auctorem ortis *pontibus fratres osten- 
dunto ,, trae l’evidenza che urtes puntes sia Ta concettuale ri- 
petizione di huntak pehatu, mentre anzi la cosa significata da 
ponti- (tre volte ripetuta in poche linee) ha nel testo valore 
maggiore dell'atto di piare cisternam aedis, ch'è una minuscola 
cerimonia. Inoltre è detto, subito sotto, uvem'urtas puntes fratrum 
upetuta, le quali parole non darebbero senso se fossero tradotte 
“ovem ortae lustrationes fratrum optanto ,. Di più, che ci au- 
torizza a credere di origine sabina l'istituzione del pontificato 
romano? basta l’unico argomento di una etimologia congetturale, 
che ci fa comodo? 

Poichè umbro puntes e latino ponti- di pontifex pare siano 
la stessa parola, vediamo quale interpretazione paia corrispon- 
dere al senso voluto da pontes nelle Tab. Ig. e spiegare conve- 
nientemente il vocabolo pontifer. 

Nelle Tabb. VI. a-VI b. 48 (= I. a-I. b. 9) vi sono per la 


de i'd' e dini nn i n siii rr 


SS pe 


VMBRICA 841 


purificazione del sacro monte Fisio le prescrizioni di otto sacri- 
fici consecutivi da fare in diverse località, il primo davanti la 
porta Trebulana, il secondo dietro, il terzo davanti la porta Te- 
senaca, il quarto dietro, il quinto davanti la porta Veia, il sesto 
dietro, il settimo al tempio (?) Iovio, l’ottavo al tempio (?) di 
Coredio, poi si deve fare la purificazione del monte e si conclude 
che se ha avuto luogo qualche omissione la. cerimonia è irrita 
e bisogna ricominciare da capo tornando alla porta Trebulana. 
In VI. b. 48-VII. a. 54 (I b. 10-45) sonvi le prescrizioni per la 
lustratio del popolo, e il flamine dopo aver preso gli auspicì con 
due assistenti procede colle vittime per la via augurale fino al 
suburbio Acedonio, poi si proclama l’espulsione degli stranieri, 
e gli Iguvini. sono ordinati in squadre, quindi il flamine e gli 
assistenti vanno in processione attorno ad essi tre volte colle 
vittime e il fuoco. Al termine di ogni giro si fa una preghiera 
invocante mali sugli stranieri e benedizioni sugli Iguvini. Quindi 
ha luogo un sacrificio a Fontuli, poi un altro a Rubinia; quindi 
un altro sulla Via Sacra. Poscia si dà l’erus (secondo noi “ il 
resto dei sacrifici , da distribuire ai rappresentanti delle gentes 
Iguvine) nel luogo dove furono sacrificati i cinghiali, poi a Ru- 
binia, poi sulla Via Sacra. In seguito tornano a Rubinia e pre- 
gano sulle focacce spezzate, dopo di che tornano nella Via Sacra 
a fare lo stesso, poi si prega Torra Iovia colle stesse parole 
usate al termine di ogni giro e segue il sacrificio delle giovenche 
(Buck, op. cit. 302-308). 

Come si vede, queste solennità hanno il carattere di vere 
processioni con sacrifici e preghiere, quali erano le greche 0ewpiar 
e moprai, e dovevano chiamarsi con. vocabolo italico ponti- 
(umbro puntes nom. pl., latino ponti-, vocabolo conservato solo 
in ponti-fex). 

Il protoital. ponti- ‘ processione’ si connette con gr. réumw 
tout méuwis, di cui finora non s'era potuto trovare riflesso 
sicuro in altre lingue indoeuropee, ed evidentemente risale a 
pomp-ti-, che presenta la vocale radicale in grado. apofonico forte 
(quale troviamo p. e. in mons montis da mon-ti- da rad. men- 
‘elevarsi ’, in fons fontis da rad. dhen ‘fluire, scorrere”, cfr. Walde, 
op. cit. alla voce mons e fons) e il di cui. p interconsonantico 
s'è dileguato come in lanterna da gr. \aummp rifatto su lucerna 
e in tentare da e accanto. a temptare (cfr. Sommer, Lat. Laut- 


842 ORESTE NAZARI 


und Formenl. 266 sg.). Il vocabolo poi si conservò in umbro, 
ma nel latino eziandio per differenziarsi dall’omeotropo pons 
‘ ponte ?, ch'è di diversa etimologia, fu sostituito dal greco pompa 
affine anche nel suono (i Romani certamente non pensavano 
all’affinità etimologica), rimanendo solo in pontifex, il cui valore 
originario era di ‘ordinatore delle solenni processioni ’, le quali 
erano le manifestazioni maggiori del culto. Difatti anche nell’età 
imperiale nelle processioni primo veniva il Pontifex Maximus e 
gli otto Pontifices Maiores, secondi i Pontifices Minores coi tre 
Flamines Maiores e i dodici Minores, terzo il tex sacrificulus colla 
Regina, e poi gli Augures, i Sacerdotes Sibyllini, i VII viri Epu- 
lones, le Vestales colla Vestalis Maxima e così di seguito. 

Tornando alle Tab. Ig., prima di dare tradotto il luogo in 
questione dobbiamo dire poche parole riguardo a terkantur, che 
il Biicheler, il quale traduce ‘ suffragentur’, è incerto se deve 
connettere con gr. déeprouar o con lat. testari, ch'egli deriva da 
*terk-stari come postulo da *pors-sco posco. Però, dice il v. Planta, 
op. cit. I. 897, l’osco tristraamentud ‘testamento’ rende difficile 
la connessione di terkantur con testis e testari. Anche il Buck, 
op. cit. 348, ammette come solo possibile la connessione con 
depkouar e traduce ‘ suffragentur ”. 

Secondo noi e in conformità colla interpetrazione nostra di 
puntes, il vocabolo terkantur si deve tradurre ‘ dedicentur, si inau- 
gurino’, riflettendo esso un protoumbro de-d(i)c-antur congiuntivo 
coniugato sul paradigma della terza coniugazione per analogia 
del semplice dic-ere, da cui deriva. Difatti il t iniziale di terkantur 
rappresenta d, giacchè il paleoumbro, com'è noto, segna con t 
sì la sorda dentale che la sonora dentale muta, la vocale breve 
di -dic- è normalmente sincopata in umbro, e lr sta per r (cui 
nell'umbro si riduce d originariamente intervocalico) come ve- 
diamo in mersuva ‘iusta, solita’ da *medes-wo0- accanto a mers 
‘jus, mos’ da *medos e così in tertu accanto a tertu ‘dato’, in 
armamu accanto a arsmahamo ‘ordinamini’, in fribrisine ‘ternione’ 
accanto a tribrigu ‘ternio” ecc. 


Veniamo ora al testo. Esso dice: 


inuk uhturu urtes puntis frater ustentuta pure fratru mersus fust 
kumnakle inuk uhtur vapere kumnakle sistu sakre uvem uhtur teitu 
puntes terkantur inumek sakre uvem urtas puntes fratrum upetuta. 


VMBRICA +. 843 


che traduciamo : 


“tum auctorem, ortis pompis, fratres ostendunto, quomodo 
fratrum ex moribus erit in conventu. Tum auctor in sella in 
conventu considito. Hostiam, ovem auctor dicito, pompae dedi- 
_centur. Tunc hostiam, ovem ortae pompae fratrum obeunto (=sibi 
paranto) ,, dove vediamo che puntes fratrum vale ‘i fratelli in 
processione ’, giacchè i fratres Atiedii dovevano recarsi a sce- 
gliere le vittime sul posto d'origine, com'è detto in Tab. V a 7-10, 
che abbiamo illustrato in Umbrica p. 8 sg. 


L’Accademico Segretario 
Garrano De SanctIS. 


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Torino - Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e dei RR. Principi. 


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CLASSE 


DI 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 24 Maggio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D’OVIDIO 


PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: NaAccari, Direttore della Classe, SAL- 
VADORI, SPEZIA, SEGRE, PeANO, JADANZA, Foà, GUARESCHI, GUIDI, 
FiLeri, PARONA, MaTtTIROLO, MoRERA, GRASSI, SOMIGLIANA, FUSARI 
e CamerANO Segretario. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 


Il Presidente comunica l’invito pervenuto all’Accademia dal 
Comitato esecutivo per le onoranze che si tributeranno alla 
memoria del generale Giovanni CavaLLi, nella ricorrenza del 
centenario della sua nascita, di assistere alla funzione comme- 
morativa che avrà luogo il 30 maggio corrente nella R. Acca- 
demia militare. A tale funzione egli rappresenterà l'Accademia 
e mette a disposizione dei Soci i biglietti d’invito. 

Il Segretario presenta alla Classe il manoscritto del signor 
F. Tavani intitolato: Intorno all'esistenza di un limite superiore 
di una serie a termini positivi e decrescentiY” (13 sul quale 
l’A. chiede il giudizio dell’Accademia. Il Presidente delega i 
Soci Prano e MorERrA ad esaminare detto lavoro. 

Vengono presentati per l’ inserzione negli Atti i lavori 
seguenti: 

1° Prof. BertInI e F. SeveRrI, Osservazioni sul Restsata 
| per una curva iperspaziale, dal Socio Segre; 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII, 58 


846 


2° Ing. Giulio Sacco, Aberrazioni e riflessioni nocive pro- 
dotte dai filtri di luce negli apparecchi fotografici, Nota 2*: Corso 
d’un filtro diedro costituito da un solo mezzo, dal Socio JADANZA; 

3° Ing. E. GartI, Segmenti corrispondenti ad imagini reali 
in alcuni sistemi diottrici centrati, dal Socio JADANZA; 

4° Dr. G. Piccinini, Su alcune ortoamino- ed ortoossi-cheto- 
idropiridine, Nota 1, dal Socio GUARESCHI; 

5° Dr. Luigi Coenertr pe MartIs, Lombrichi di Costa 
Rica e del Venezuela, dal Socio CAMERANO. 


Il Socio Fusari, a nome anche del Socio CAmERANO, legge 
la relazione intorno alla memoria del Dott. Angelo Cesare BRUNI, 
intitolata: Intorno ai derivati scheletrici estracranici del secondo 
arco branchiale nell'uomo. La relazione favorevole è approvata 
all'unanimità e la Classe con votazione segreta approva la 
stampa del lavoro del Dott. Bruni nei volumi delle Memorie. 


Il Socio NaccaRrI, a nome anche del Socio JADANZA, legge 
la relazione sulla memoria del prof. G. B. Rizzo, intitolata: 
Nuovo contributo allo studio della propagazione dei movimenti 
sismici. La relazione favorevole è approvata all’unanimità e la 
Classe con votazione segreta approva la stampa del lavoro del 
Prof. Rizzo nei volumi delle Memorie. 


Il Socio FoA presenta per l’inserzione nei volumi delle 
Memorie il suo lavoro, intitolato: Sulle alterazioni del fegato di 
origine splenica e sulle alterazioni della milza di origine epatica. 
La Classe con votazione segreta approva l’inserzione del lavoro 
del Socio FoA nei volumi delle Memorie. 


Il Socio JADANZA presenta per la stampa nelle Memorie il 
lavoro del Dr. ArmonertTI, intitolato: Determinazione astronomica 
della latitudine della specola geodetica della R. Università di Torino. 

Il Presidente delega i Soci JADANZA e NaAccaRI ad esami- 
nare il lavoro del Dr. ATMONETTI. 


—_———__—T—————--y#5#=6sccCt(\Mx[L([<xcC€CTCLTLctqm<T+Tk+T+tT—" 


E. BERTINI - F. SEVERI — OSSERVAZIONI SUI. RESTSATZ, ECC. 847 


LETTURE 


Osservazioni sul Restsatz per una curva iperspaziale. 
Estratti di lettere dei Prof. E. BERTINI ed F. SEVERI. 


i 
(Lettera del Prof. E. Bertini al Prof. F. Severi). 


Come Ella sa, Castelnuovo (*) chiama ipersuperficie aggiunta 
ad una curva irriducibile qualunque C di uno spazio $, una 
ipersuperficie che in ogni punto s" di C si comporti come il 
cono che proietta da un S,_3 generico una curva aggiunta alla 
proiezione piana di C: precisamente che per ogni ramo uscente 
da ciascun punto s'”° di C sia obbligata ad avere col ramo tanti 
punti comuni quanti ne ha la curva aggiunta per essere tale 
col ramo corrispondente della curva piana proiezione; e Castel- 
nuovo dimostra il teorema che le ipersuperficie aggiunte di or- 
dine abbastanza elevato segnano sopra € (prescindendo dai 
punti che dipendono dall’ aggiunzione) una serie completa non 
speciale. 

Applichisi questo teorema nel caso che C sia completa in- 
teriezione di r-—1 ipersuperficie di S.:f, = 0, fa = 0, ....f,-1=0 
e sieno È, ipersuperficie aggiunte che segnano sopra C una serie 
completa. È facile allora vedere che le ®,_; aggiunte, se esi- 
stono, segnano pure sopra C una serie completa. Invero sia G 
il gruppo di punti in cui un iperpiano generico #, = 0 sega Cl 
e sia ®, una ipersuperficie aggiunta a C' e passante per G (certo 
esistente se esistono le ®,_;, aggiunte). Questa ®, passa per tutti 
spunti semplici comuni alle fi = 0, fa =0}...3 fr-1=0% to —0 
e però è rappresentabile nella forma (**) 


(1) d,= Afi a Asfs E a Arai + D._1%o; 


(*) Nella Nota: Sui multipli di una serie lineare..., È Rend. del Circolo 
matem. di Palermo ,, VII, 1893. 

(**) Sua Nota: Rappresentazione di una forma qualunque..., © Rend. dei 
Lincei ,, vol. XI, serie 5°, 1902, n. 6. 


848 E. BERTINI — F. SEVERI 


nella quale ®,_j non può essere identicamente nulla, perchè ®, 
non passa per C (mentre possono essere nulle tutte le A, cioè 
quando le ®, per G si spezzino necessariamente in 2, e nelle 
®,_;). La precedente identità mostra che ®,_, è pure superficie 
aggiunta e segna su C la stessa serie che vi segna ®,, escluso 
il gruppo G, serie completa perchè residua di questo gruppo ri- 
spetto ad una serie ammessa completa. 

Potendosi in egual modo passare dalle ®,_, aggiunte alle 
®,_s aggiunte e così via, si conclude che sopra una curva com- 
pleta intersezione di r —1 ipersuperficie, irriducibile e del resto 
qualunque, le ipersuperficie aggiunte di qualsiasi medesimo ordine 
segnano una serie completa (astraendo dai punti che caratte- 
rizzano l’aggiunzione), il che, per quanto so (*), era stato os- 
servato soltanto nel caso che la curva fosse priva di punti 
multipli. 

Ne discende immediatamente il Restsatz nel caso conside- 
rato. Si può anche notare che il teorema del n. 2 della Sua 
Nota “ Sulla deficienza della serie caratteristica di un sistema 
lineare di curve... , (**), è un caso particolare del teorema pre- 
cedente. 

Se una curva © irriducibile e del resto qualunque non è 
completa intersezione di r — 1 ipersuperficie, si può certo far 
passare per essa 7 — 1 ipersuperficie così che la residua 
intersezione 0" sia priva di parti multiple. Basta osservare 
infatti che, presa una prima ipersuperficie passante per €, si 
possono considerare ipersuperficie pure passanti per Cl dello 
stesso ordine (ad es. ‘dell'ordine di C, onde fra esse sono i coni 
che la proiettano dagli S,._3 di S,) che segnino su quella prima 
ipersuperficie una serie lineare di cui un elemento generico non * 
abbia (escluso C, se r= 3) parti fisse e quindi nemmeno, per 
un teorema notissimo (***), parti multiple. Presa per seconda 
ipersuperficie una generica di queste, si potrà analogamente con- 
siderarne una terza che abbia comune colla intersezione della 


(*) Sua Nota: Su alcune questioni di postulazione, “ Rend. del Circolo 
matem. di Palermo ,, XVII, 1903, $ 2. 

(**) “ Rend. dei Lincei ,, vol. XII, serie 5%, 1903. 

(***) Cfr., ad es., il n. 18 del cap. 10° del mio libro: Zrtroduzione alla 
Geometria projettiva degli iperspazii, Pisa, Spoerri, 1907. 


OSSERVAZIONI SUL RESTSATZ PER UNA CURVA IPERSPAZIALE 849 


prima e della seconda (escluso €, se r= 4) una varietà senza 
parti multiple e così di seguito. 

Si può porre la questione: Le ipersuperficie dello stesso 
ordine abbastanza alto passanti per C' e aggiunte a € (nel senso 
già dichiarato) segnano sopra C una serie completa ? Se la ri- 
sposta fosse affermativa (il che non mi è riuscito di vedere), 
con una considerazione analoga a quella fatta dianzi, fondata 
sull'identità (1), si estenderebbe la proprietà a ipersuperficie di 
ordine qualunque passanti per C° ed aggiunte a Ce si avrebbe 
il Restsatz in ogni caso. 

È noto che la risposta è affermativa facendo le ipotesi 
particolari che C' sia pure irriducibile e che tanto C quanto C' 
sieno prive di punti multipli. In questo caso la dimostra- 
zione si può fare nel modo seguente forse più semplice di quello 
noto (*). 

Supposto / opportunamente grande (quanto occorra per le 
considerazioni seguenti) la serie segnata sopra Cl dalle ipersu- 
perficie ®, di ordine / passanti per C' e non per C è una serie 
non speciale, cioè una serie gir, , se si escludono i è punti 
comuni a €, C' e se si indica con Y; la deficienza della serie 
stessa. Per dimostrare appunto che y;= 0, si noti che la dimen- 
sione delle ®, passanti per C+- € è 


@ (+) 1-4 +3 (nm +) (nr —1) 


($ 1, n. 3 della Sua Nota ora citata): cosicchè, indicando con p, 
la dimensione del sistema delle ®, passanti per l' soltanto, 
si ha 


Im—d—p_Y.=P; ii Nu h +(m+m)— 


— 3 (m+m')(Mni-r-1)1, 


(*) Cfr. il $ 2 già citato della Sua Nota dei “* Rend. di Palermo ,, 1903. 
Adotto nella dimostrazione le indicazioni di questa Nota: cioè sono m,m' gli 
ordini, p,p' i generi delle C, C' e sono #4, #9, ..., #r-1 gli ordini delle r—-1 
ipersuperficie passanti per C+ C': onde m+m' = mms... m_.. 


850 E. BERTINI — F. SEVERI 


(3) p= {in "Im —d— PVT È (mH4-m')(Zn-r—-1). 


r 


La dimensione p; si può calcolare anche in quest'altro modo. 
Le ®, passanti per i è punti comuni (sempre per ! abbastanza 
alto) formano un sistema di dimensione 


4) Erra 


e segnano sopra l", prescindendo dai detti è punti, una serie 
completa non speciale (perchè tale è, per il teorema di Castel- 
nuovo ricordato in principio, la serie segnata su C' da tutte 
le ®,), cioè una serie ci De Segue che la dimensione delle ®, 
passanti per C' è anche 


(5) o=(}")-2—w+p. 
Eguagliando i due valori trovati di p, si ha 
7 (+ m) En r—1D=p+p+ndo 2 
la quale, confrontata colla somma delle due relazioni 
2p—2+d=m(Xn—r—1), 2p9'-2+d=m'(Zn—r—-1) 


($ 1, n. 3, b), I. c.), mostra essere yy=0: onde è completa la 
serie segnata su C dalle ®, passanti per 0° quando / è oppor- 
tunamente grande (*). Ed ora si dimostra il teorema per le ®;_,, 


(*) Scambiando C con l' invece della (5) si ha 
(6) (")-2- mt 


come dimensione delle ®; passanti per C. Le dimensioni (2), (3), (4), (6) sono 
manifestamente stabilite senza presupporre la irriducibilità di C' ed inoltre 
sono (3), (6) rispettivamente le dimensioni dei sistemi di ®; passanti per €", C 
e (2) è la dimensione del loro sistema d’intersezione. Dall’osservare che la 


OSSERVAZIONI SUL RESTSATZ PER UNA CURVA IPERSPAZIALE 851 


passanti per 0' e non per €, se esistono, proprio colla conside- 
razione fatta nel caso che C sia completa intersezione. Cioè, 
detto G il gruppo di punti in cui un iperpiano generico x = 0 
sega C+ C' e ®, una ipersuperficie passante per (' e per (G, si 
potrà scrivere la (1): donde ecc. 

Terminerò coll’osservare che la dimostrazione da Lei data 
del teorema del n. 2 della Sua Nota “ Sulla deficienza della 
serie caratteristica... ,, il quale si ottiene qui semplicemente, 
come già dissi, mediante la (1), conduce con lieve modificazione 
alla seguente notevole proposizione: — Se sopra una curva C 
irriducibile qualunque un sistema lineare di ipersuperficie d’or- 
dine 1, ®,, completo rispetto ad un qruppo base, segna una serie 
completa, condizione necessaria e sufficiente perchè il sistema li- 
neare di ipersuperficie d'ordine 1— 1, ®,_,, completo rispetto allo 
stesso gruppo base, segni pure su C una serie completa, è che le ®; 
del sistema completo passanti per C e quelle passanti per il gruppo G 
di punti determinato su © da un iperpiano generico a seghino 


questo iperpiano nel medesimo sistema lineare. — Basta sostituire, 
: 4 : : nessi 
nella sua dimostrazione, Ca D, » (ordine di C) a kw, ( 3 sit: 


ad Paid); e notare che le ®, del sistema completo contenenti € 


segano su a un sistema di dimensione 


(GTI —n+Z— Òd, 


r_1 


indicando con è, la deficienza di questo sistema. Allora come 
condizione necessaria e sufficiente perchè la serie segnata su C 
dalle ®,_, sia completa si trova (invece dalla Sua 0,4 Z, = 2)) 


o+Z=2,|d: 


ma questa, per l’ultima parte del Suo ragionamento, è appunto 


somma delle (3), (6) è eguale a quelle delle (2), (4) allora e allora soltanto 
che sia Yx= 0 si ha che (sempre per / sufficientemente alto), se f1=0, il 
sistema delle ®, passanti per i è punti comuni, cioè di dimensione (4), è il 
sistema congiungente dei due sistemi (3), (6) e viceversa (senza imporre la 
irriducibilità di 0°). 


852 E. BERTINI — F. SEVERI 


condizione necessaria e sufficiente perchè coincidano i due sistemi 
lineari segnati su « dalle ®, per C e dalle ®, per G. 

La condizione è certo soddisfatta se le , per C segnano 
su a un sistema completo, chè allora quello segnato dalle ®, per 
G, dovendo manifestamente comprenderlo, coincide con esso. 


Pisa, 10 maggio 1908. 


II 
(Lettera del Prof. F. Severi al Prof. E. Bertini). 


1. — A complemento di quanto Ella espone nella Sua let- 
tera, osserverò che si può rispondere affermativamente alla 
questione da Lei posta, di sapere cioè se le ipersuperficie d’or- 
dine abbastanza alto aggiunte — nel senso di Castelnuovo. — 
ad una curva € di S,, e passanti per la curva C' ulteriormente 
comune ad »— 1 ipersuperficie condotte genericamente per C, 
seghino sulla 0 medesima una serie lineare completa (fuori delle 
intersezioni fisse). 

A tal uopo dimostrerò questa proposizione più generale: 

Se le ipersuperficie d'ordine assai alto passanti per un dato 
gruppo base A — che può esser formato da punti, curve, super- 
ficie,... con assegnati comportamenti lungo ciascuna di esse — se- 
gnano sopra ©, fuori delle eventuali intersezioni fisse, una serie 
lineare completa, lo stesso accade per le ipersuperficie d'ordine assai 
elevato che passano pel gruppo base A + B, ove B è un altro gruppo 
base arbitrario (*). 

Alla dimostrazione di tale proprietà si adatta benissimo il 
ragionamento che ho altrove esposto per le curve gobbe (**). 

Giova per brevità e chiarezza, d’introdurre in questo caso 
generale, il concetto di molteplicità d’intersezione, in un punto co- 
mune ad una curva C e ad un gruppo base. S'intenderà con ciò 


(*) I due gruppi base A, B potranno ben presentare delle condizioni 
comuni: è appena necessario avvertire che le ipersupérficie per A + B do- 
vranno soddisfare doppiamente ad esse: una volta in quanto passano per 4 
e un’altra volta in quanto passano per 5. 

(#*) Sul teorema di Riemann-Roch e sulle serie continue di curve..., © Atti 
della R. Acc. di Torino ,, t. 40, 1905, n. 3. 


OSSERVAZIONI SUL RESTSATZ PER UNA CURVA IPERSPAZIALE 853 


il numero è delle intersezioni che quel punto assorbe nel numero 
complessivo. delle intersezioni di C con un’ipersuperficie d’or- 
dine / assai alto, passante pel gruppo base. La definizione è 
legittimata da ciò che il numero è non potendo che decrescere 
col crescere di /, per / assai elevato deve restare costante. 

Ciò premesso, s'immagini condotta genericamente pel gruppo 
base B un'ipersuperficie d'ordine elevato 9, ®,, che non con- 
tenga C. Delle intersezioni di ®, con 0, alcune — cioè quelle che 
eventualmente cadano in punti di B — resterebbero fisse al 
variare di ®,, mentre le altre, costituenti un gruppo che indi- 
cherò con M, varierebbero. La genericità di ®, consente per- 
tanto di affermare che il gruppo M è costituito da un certo nu- 
mero e, di punti distinti (semplici) della curva C. 

Quanto ai punti fissi, in ciascuno di essi la ®, avrà con € 
moltiplicità d’intersezione eguale a quella che ivi ha con € il 
gruppo base .. 

Per ipotesi le ipersuperficie Y, d’ordine / assai alto (© #), 
passanti pel gruppo base A, segnano sulla C una serie lineare 
completa g, fuori dei punti fissi, ciascuno dei quali deve con- 
tarsi tante volte quant'è ivi la molteplicità d’intersezione di € 
col gruppo A. La stessa serie yg può anche staccarsi su 0, fuori 
dei punti fissi, dalle ipersuperficie d’ordine / +9 pel gruppo 
base A+ B+ M. I punti fissi, oltre che in M, cadono in quei 
punti di A e di 5 che restano fissi al variare rispettivamente 
di ®, e di Y,: anzi ciascuno di tali punti dovrà contarsi tante 
volte quant'è in esso la molteplicità d’intersezione di Cl col 
gruppo base A + 5 (somma delle molteplicità relative ad A, 5). 
Tutto ciò segue dall’osservare che tra le ipersuperficie d’ordine 
t+q pel gruppo base A+ B + M, ve ne sono di quelle spez- 
zate nella ®, ed in una Y,. 

Elevando, se occorre, il valore del limite 7, si può ottenere 
che gli e, punti del gruppo M impongano condizioni indipendenti 
alle ipersuperficie d'ordine 2 4 q che già passano pel gruppo 
base A+ B; sicchè la serie staccata su C, fuori dei punti fissi, 
da queste ultime ipersuperficie risulterà completa, c. d. d. 


2. Si applichi questa proposizione al caso in cui il gruppo A 
è definito dalla condizione di aggiunzione nei punti multipli di C 
e il gruppo B dal passaggio per la curva 0’, e si scenda poi 


854 E. BERTINI — F. SEVERI 


dall'ordine 4 =t+ g all'ordine % — 1 o colla considerazione da 
Lei esposta quando Cl’ manca o estendendo il ragionamento con 
cui si chiude il n° 3 della mia Nota citata. 

Si perviene allora alla conclusione che se si definiscono come 
aggiunte ad una curva © di S,, le ipersuperficie che passano per 
C' e soddisfano alla condizione di aggiunzione nei punti multipli 
di C, le aggiunte di un ordine dato arbitrario staccano su ©, 
fuori dei punti fissi, una serie lineare completa. 


3. Il risultato sì può estendere alla superficie e poi per 
induzione, senza difficoltà di concetto, alle varietà superiori. Mi 
limito ad esporre rapidamente la cosa per le superficie. 

Sia F una superficie algebrica di S,, dotata di singolarità 
qualunque, e definiamo dapprima come “ ipersuperficie subag- 
giunte , ad quelle che segnano sopra un S,_1 generico, iper- 
superficie aggiunte — nel senso di Castelnuovo — alla curva 
sezione, e che passano inoltre con molteplicità s —1 per ogni 
punto s"° isolato improprio di F (punto non abbassante il genere 
di una sezione curvilinea generica per esso) (*). Complessiva- 
mente, poichè anche il punto variabile sopra una linea multipla 
è un punto multiplo improprio, le condizioni precedenti si po- 
tranno citare come “ condizioni di aggiunzione rispetto a tutti i 
punti multipli impropri di  ,. 

Evidentemente i coni che proiettano da un S,_y le superficie 
subaggiunte alla proiezione di XY da quello S,_, sopra un Sg, 
sono ipersuperficie subaggiunte. 

Fissato un S,_y generico, £, s’indichi con la curva luogo 
dei punti d'appoggio delle corde di £ incontranti Q. Al variare 
di ®, la F descrive un sistema razionale, il quale è contenuto 
totalmente in un sistema lineare. Le ipotesi che questo sistema 
abbia una curva fissa o sia composto colle curve di un fascio 
si escludono facilmente e si conclude pertanto che la l è irre- 
ducibile. Si noti ch’essa avrà un punto s"° in ogni punto s”° im- 
proprio isolato di F e tre punti doppi nei punti d’appoggio dei 
piani trisecanti di / incontranti £ secondo una retta. Indiche- 
remo con G il gruppo di tali punti doppi. 


(*) Le “ aggiunte , si otterrebbero imponendo alle subaggiunte un punto 
base (s — 2)P!° per ogni punto sPlo proprio. 


OSSERVAZIONI SUL RESTSATZ PER UNA CURVA IPERSPAZIALE 855 


Il sistema lineare di tutte le subaggiunte d’un ordine / arbi- 
trario, che passano per [, contiene i coni subaggiunti d’ordine / 
col vertice in £, e quindi segna su f un sistema lineare completo 
(sempre fuori delle linee fisse). 

Ora, per la proposizione del n° 1, le subaggiunte soddisfa- 
centi inoltre alle condizioni di aggiunzione rispetto a F, quando / 
sia grande, segnano su tale curva una serie completa. Da ciò 
segue che è completo il sistema |C| staccato su F dalle sub- 
aggiunte d’ordine assai alto, che passano nel modo debito pei 
punti multipli di T. 

Infatti il sistema completo | D|, che contiene totalmente |C|, 
segna su l la stessa serie (completa) che vi segna |C|, e il 
residuo di rispetto a |D| coincide necessariamente col re- 
siduo di T rispetto a |C|, perchè quest’ ultimo è completo. 
Onde |D| e |C| hanno la stessa dimensione, cioè |C| è com- 
pleto. 

Elevando /, si può esigere che i punti di G presentino con- 
dizioni indipendenti alle subaggiunte d’ordine Z. Allora per una 
cagione analoga a quella ora addotta per provare la comple- 
tezza di |C|, risulta completo il sistema staccato su 7, fuori 
delle linee fisse, dalle subaggiunte d’ordine /. 

Ciò premesso, si ragioni come ai n' 1, 2 riferendosi ad una 
superficie anzichè ad una curva. Si concluderà che le ipersuper- 
ficie d'un ordine dato arbitrario subaggiunte alla superficie F, 
segano ivi, fuori delle linee fisse, un sistema lineare completo. Per 
“ subaggiunte , si debbono qui intendere le ipersuperficie che 
soddisfano non solo alla condizione di aggiunzione rispetto a 
tutti i punti multipli impropri di F, ma anche alla condizione 
di passare per una superficie F' ulteriore intersezione di r — 2 
ipersuperficie condotte genericamente per Y. 


Padova, 12 maggio 1908. 


856 GIULIO SACCO 


Aberrazioni e riflessioni nocive 


prodotte dai filtri di luce negli apparecchi fotografici. 


Caso d’un filtro diedro costituito da un solo mezzo. 


Nota 2° dell’Ing. GIULIO SACCO. 


In una nota recentemente pubblicata esaminammo la distor- 
sione e la luce parassita originate da un filtro di luce fotografico 
costituito da un numero indeterminato di mezzi isotropi ‘a super- 
ficie dividenti piane e rigorosamente parallele, e vedemmo che 
le dette perturbazioni sono intimamente connesse colla posizione 
del filtro. Ci pare utile esaminare ora quali perturbazioni pro- 
duca un filtro costituito da un solo mezzo (di regola il vetro) 
il quale manchi alla condizione del parallelismo perfetto delle 
facce. : 

La fig. 1 rappresenti con EE UU' la sezione, fatta normal- 
mente allo spigolo supposto in alto, d’un filtro di vetro isotropo 
le cui facce siano piane, ma formino fra loro un angolo w<0,01, 
angolo che supponiamo misurato andando. dalla faccia d’en- 
trata £E' alla faccia d’uscita UU' attraverso alla materia del 
filtro. 

Un raggio MA; che colpisca la faccia £E' in un punto A; 
coll’angolo d’incidenza a dà luogo ad un raggio A, M; riflesso 
secondo un angolo a, = —@ e ad un raggio rifratto secondo 
un angolo d, raggio che farà incidenza sulla UU' in A, secondo 
un angolo bs. Da A» partirà un raggio As; per riflessione se- 
condo l’angolo 8, = — ds, raggio che farà incidenza sulla EE” 
in 43 secondo un angolo 5;; da A, emerge inoltre un raggio 
AM; secondo un angolo 4», ecc., ecc. Si ha così una spezzata 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 857 


A;A3A43A;,... che in ciascun vertice ha un raggio incidente, uno 
riflesso e uno rifratto. 


U' 


Se stabiliamo positivi gli angoli misurati in senso contrario 
a quello delle lancette d’orologio, e conveniamo che gli angoli 


858 GIULIO SACCO 


con vertice sulla #£' siano misurati andando dalla normale ad EF" 
verso il raggio di luce e gli angoli con vertice sulla UU siano 
misurati andando dal raggio di luce verso la normale alla UU', 
avremo le seguenti relazioni: 


bb =w; B+b3=w; Bg 4 by =Ww; ecc. 
Cioè: 
b+b=w — b+d,=w — ds di =Ww; ecc. 
Onde: 
bhb=w— b; bg =2w — db; b,=3wW—b; sist» bi, =kw— bd. 
Si ha d'altra parte: 
sina=nsind sinag=#»nsinb, ... sinaga = sino; 
Quindi : 
(1) sina,.1 = sinkwyn? — sin?a — coskwsina. 
Ponendo — a; in luogo di « (*), la (1) diventa: 
(109) sina,;, = sinkw V n? — sin?a, + coskwsina;. 
E sarà: 
(2) sINnax4i = sin Ah41 — 
— (sinkw — sin hw) n? — sina, + (coskw — coskw)sina,. 
(!) D'ora in poi, invece di «, consideriamo 4, per ottener formole in 
cui tutti i simboli angolari abbiano un indice. La (2) assumerà così un ca- 
rattere d’applicabilità generalissimo, e ne potremo dedurre tutte le rela- 
zioni che seguono per indici 4 e % variabili fra zero e un numero intero 
arbitrario (purchè non troppo grande). Il significato di a sarà doppio, cioè 
a, potrà, secondo i casì, indicare l'angolo d'incidenza misurato andando dal 


raggio MA, verso la normale, oppure l'angolo di riflessione misurato andando 
dalla normale verso il raggio riflesso A4M,. 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 859 

Le differenze fra seni e fra angoli che ci interessano sono: 

sina,—sina, e @,— 4;, differenze che debbono esser determi- 
nate con grande esattezza, 


sing, — sind», dj — ds, SInag — sing; e ag — a, per cui hasta 
un’esattezza molto minore, 

sina; — sind, @ — 4, SInNa, — sina;, 47 —4,, per cui basta 
un’approssimazione grossolana, e che si conside- 
rano solo per casi in cui sia w< 0,001. 


Ciò posto, la (2) può assumer la forma: 


2°) sina,.; — Sina,41=(kK—% wyn? sinza;,—0.5(k4°*—4?)w?sina,. 
ha 


Limitandoci ancora a casi in cui sia aj < 55° la (2') si ri- 
1 
duce, con errore minimo, a: 


(2") sinax;1 — sina,,1 = (£ — A)wY n? — sin?a; (1). 
Noi ne vogliamo dedurre l’espressione di a,,, — @,4. Ora, 
per note relazioni trigonometriche, si ha: 
sinak+1 — sInanHi 


es 
(3) 2 sin a (7000 == dx41) tri 1 _ 
08 7 (ar41tan+1) 


sinak+1 — SINAh+1 


1 
= 2c08-+ (ax: — dt) ; 
2 COSAk+1 + COSaR+1 


(4) L'errore relativo che ne risulta è: 


e=0.5(£+A)w_ ti 


Va? — sin?a, 
e l’errore assoluto nel calcolo delle differenze fra angoli sarà: 
e'=0.5(%*° — 4°) w°tga, X R° 


dove R" è il valore del raggio in secondi. 

Ad es., per la differenza 4 — a;, che è quella che ci interessa calcolar 
col massimo rigore, per w= 0,006, massimo valore che constatammo nei 
filtri, e per a,= 35°, limite massimo pratico del mezzo campo d'una veduta 
senza distorsione e con definizione omogenea, troveremmo: 

1.2 
1000 


errori assolutamente trascurabili. Anche per w= 0.01 e a, = 55° gli errori 
sì conservano piccolissimi. 


e= e'=38" circa 


860 GIULIO SACCO 
Ora dx) — 44 è piccolo; quindi la (3) si riduce a: 


sinak 15m sÌInan+1 
a 1— sinîax Saar V1— sin? An41 


(4) Arr — 441 2. 


Il numeratore della (4) si ha dalla (2’). Riguardo al deno- 
minatore, osserviamo che si può scrivere la (1’) come segue, 
trascurando le potenze di w superiori alla prima: 


sina,., = sing, + kw V n? — sin?a,;. 


Quindi la (4) diventa: 


2(k -— RA) w Va n°— si sin? a, 
(4) Gra da i = == =; 
Vi-( (fia a n +4Y 1- (snai —sin?a,) 


che dopo opportuni sviluppi e soppressione degli infinitesimi di 
ordini superiori al primo, prende la forma: 
(— Mw — sine, 


(5) tx — Oh — = 
ni 1 cosa, — 0.5(% + A)wtga, V a° — sina, 


Di qui deduciamo subito: 


È wVa? — sine, 
(5 ) i (7a ini Tao —««iw 
cosa, — 0.5wtga, Y n° — sin°a, 
II reg 2w V n == sin°a, 
cosa, — Wie d, V n° — sin'a4 
6 24 V n° - sin'a, 
(5 ) 77 za dg __ = nr 
cosa, — 2wtga, V n° — sin?a; 
407, n° — - sin? @ 
(5') UA = = 
cosa, — 2wiga, y ge voi 
i. 6w V ni ni — — sin sinta,. 
(5 ) dr 744, =" = == 


cosa, — Iwtga, Va? — sinîa, 


Di queste cinque differenze due sole ci sono essenziali, qa — 4; 
che ci servirà a calcolare la deviazione e la distorsione, e @,— 49 
che ci dà l'angolo fra il fascio uscente utile e il fascio paras- 
sito di 1° ordine. Le differenze az — a,, ag -- 4, € q7— a ser- 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 861 
n 


vono solo a chi voglia dedurre il grado di diedria del filtro 
. dalla loro osservazione con metodi di cui parleremo alla fine di 
questo studio. 

Il valore approssimato dell’angolo fra il raggio utile o il 
primo raggio riflesso A,M;, e i raggi d’origine catadiottrica può 
essere ricavato dalla forma semplificata della (5): 


Va — sin?a, (1) 


(6) Ars — Un4a = appross. (£ — 4h) w n 


dalla quale risultano le uguaglianze approssimate: 


a —a,=3(103 — 41) 
(6°) ( ag—-a,=2(43— a) 


\ ag—@a=@4,—-d=2(0,— a). 
Perciò alla misura strumentale di a,—4, si può sostituire 
quella di @3—a, 0 dei suoi multipli a; — a, ed 4; — a, senza 
che il piccolo errore commesso abbia importanza. 
Sì la (5) che la (6), per valori di 4, piccoli ci dànno per 
dr — 441° 


(60) (a. — dl = (£ — A)nw. 


(!) L'errore relativo e l'errore assoluto che si commettono traseurando 
il 2° termine del denominatore nel 2° membro sono rispettivamente espressi 
con grande approssimazione da: 


tea 3 «ari, 
e=—- 0.5(k+7)w sE u Va? — sina, 
cos 
“ 2 2\,,2 tg a e mule 
e'=—0.5(k— 19)w _—(n°— sina,). 
Ccos'a 


Questi errori nella determinazione dei raggi d’origine catadiottrica non 
hanno mai grande importanza. 

Posto a=1.55 e supposte le condizioni più sfavorevoli: aj= 55° e 
w= 0,01 pel calcolo di a — 4; e di a, — @,, ed w=0,006 pel calcolo di 
a, — a, e di a;—a,, si troverebbero errori relativi non sorpassanti il 6.5 
per mille, e perciò trascurabili in codesti calcoli. 

Pel calcolo della distorsione ci serviremo della formola (5), che è più 
esatta. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 59 


862 GIULIO SACCO 
Sarà quindi: 


(60°) (ara) =nw; (ag:—a o =(11—-a2)o=22w; (a5— do =4RW; 
(ar—a)o = 6nw 


equazioni che valgono per «, compreso fra — 5° e + 5° con 
errore d’estrema piccolezza. 

Detto è l'angolo di deviazione, che conveniamo di misurare 
andando dal raggio uscente A4,M, al raggio entrante MA,, ri- 
sulta dalla figura 1 e dalla (5/): 

Vnî— sin'a; 


(7) data uaa-v=u| —— a 1] 
— sin?a; 


cosa—0.5wtga, Va? 


funzione positiva e crescente di a,, che ci dà, posto n =1.5 
circa: 
Per a, compreso fra — 5° e -+5° 


1 i 
(70) do = (n_1w=W circa, 
che è la minima deviazione; 
Per ia, =#=958 
3 A 
(74) bi = 4% girca. 


Passeremo ora ad esaminare alcuni effetti diottrici e cata- 
diottrici della diedria del filtro. Siccome però l’esaminar tutti 
i casi possibili di posizione del filtro esorbiterebbe dai confini 
d'una breve nota, ci limiteremo al caso comunissimo d’un filtro 
situato fra l'obbiettivo e l’oggetto, che supponiamo piuttosto 
lontano. 

Effetti della deviazione. — Per l’applicazione del filtro l’asse 
ottico si spezza in asse anteriore (dalla parte dell’oggetto) e asse 
posteriore, assi che fanno fra loro l’angolo do. La deviazione è 
subita dai raggi entranti cresce col crescer del valore assoluto 
di a,, e per un angolo di campo 2a,= 70°, è raggiunge, come 


risulta dalla (7,), cirea i -3- dell'angolo w del filtro. Nella fo- 


tografia ordinaria non fotogrammetrica, è non ha importanza 
finchè l'esposizione del negativo si fa dietro un solo filtro. Ma 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 863 


nella fotografia ortocromatica, quando si fa l'esposizione in due 
tempi, dietro due filtri di tinta diversa, di cui il secondo è 
detto filtro “ continuatore ,, il danno può esser grave. Se infatti 
il primo filtro ha un angolo w, e il secondo un angolo ws, le 
due deviazioni diverse che ne conseguono fanno che le due im- 
pressioni successive non coincidano, e, come facilmente si com- 
prende, se gli spigoli dei due filtri si trovarono da due lati 
diametralmente opposti (ad es. uno a destra e l’altro a sinistra 


dell’obbiettivo), le due aberrazioni è, e ds risultano sommate. 


Limitandoci ad un marimum d'angolo di campo 2a, = 70°, ri- 
sulterà, per la (74): 


(8) ò, + ds = appross. 0,75 (W1 + wp). 


1. che rappre- 
4000 piro 
senta l’acuità dell'occhio normale, l’occhio situato alla distanza 
della pupilla d’uscita dalla fotografia scoprirà la mancanza di 
registro delle due impressioni; l’immagine apparirà a contorni 
doppi o confusi. Ad evitar questo danno deve dunque essere: 


Ogniqualvolta dè, + è» superi il valore 


0,75 (Wi | wo) < cioè wi + ws< 0,0003383. 


OL 
4000 * 

Il fotografo, che, acquistando un corredo di filtri, intendesse 
usarli eventualmente in successione per lo stesso negativo, do- 
vrebbe dunque esigere che per ciascuno di essi fosse soddisfatta 
la condizione: 

w < 0,000167, 

ossia, in secondi: 


(9) w' < 3844. 


E, pur allargando la tolleranza, come è ammesso quasi 
sempre in fotografia, è certo imprescindibile che sia : 


(9') w'< 607. 
Un filtro il cui angolo oltrepassi i 60" è decisamente cattivo 


come filtro continuatore. 
La distorsione. — Quando su un filtro a facce piane i raggi 


864 GIULIO SACCO 


cadono da punti lontani, lo spessore del filtro non influisce sulla 
direzione dei raggi uscenti dal filtro; perciò nella fig. 2 noi 
supponiamo che i raggi passino tutti a distanza infinitamente 
piccola dallo spigolo e al disotto di esso, supposto nell’alto 
della figura. 


Siano VE e VU rispettivamente le facce d’entrata e d’u- 
scita, VN, e VN, le loro normali, che fanno fra loro l’angolo 
N,VN,= w. Le rette VA e VP rappresentino rispettivamente 
gli assi anteriore e posteriore, che, per la (7), formano l’an- 
golo (misurato da VP verso VA): 

(10) PVA=(n—-1)w. 
Gli angoli degli assi colle normali siano: 


AVN=n;; PVN=ng (angoli d’incid* ed emerg®* piccoli). 
Un raggio entrante VM formi i seguenti angoli: 


Ang. d’incidenza MVN,= a; 
Ang. d'entrata =MVA= q,. 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 865 


Il corrispondente raggio uscente VM, formi i seguenti angoli: 


Ang. d'emergenza M.VN,= Ag 
Ang. d'uscita MvP=9,. 


Per piccoli n; ed ns vale la (60); quindi è: 
(11) No -N1=2W, 


relazione che è esatta anche quando n, od n sia di +5° circa (1). 
Dalla fig. 2 risulta poi: 


Quid 
(12) 

| Ras — Ma. 
Perciò e per la (11) avremo: 


(13) Ppa—-pr=a0—a—-(Nn-n)=4%—- dan, 


oppure, per le (7) e (7o): 


Ie n 


(13’) Pa — Phr=ò — do, 


grazie alla quale chi esamini un filtro con uno strumento gonio- 
metrico può aver la differenza fra gli angoli d’uscita e d’entrata 
misurando la differenza di due deviazioni. 

La (13), grazie alla (5') assume la forma: 


ps posspe rt 
(13") Po — Pi=W | LE dl ———— — "| 


cosa, — 0.5wtg a, Va? — sin?a, 


(') Ne segue che, sebbene l’angolo fra gli assi anteriore e posteriore 
sia una grandezza ben definita, la direzione d’uno di essi ha un po’ d’ar- 
bitrario. Si potrebbe ad es. considerare per semplicità come asse posteriore 
l’asse ottico dell’obbiettivo, se la faccia d’uscita del filtro è a buon contatto 
coll’orlo del parasole, e in tal caso si avrebbe: na=0 ed n;= — nw. Se, 
invece, il filtro è montato in modo che la faccia normale all’asse dell’ob- 
biettivo sia la faccia d'entrata, si potrebbe considerare come asse anteriore 
la normale alla faccia d’entrata, nel qual caso sarebbe: n,;=0 n= nw. Si 
potrebbe infine prender per asse posteriore od anteriore l’asse dell’obbiet- 
tivo, comunque sia inclinato il filtro entro i limiti ammessi. 


dè 


866 GIULIO SACCO 
Oppure, essendo per le (12) e (11), a=@1-{n; ed ni=n2—nw: 


bian Ai bi n 
®, + n) — 05 wtg(p +n)V x sin'(r+ n) 


(13°) o-o=u| 
cos( 


(150%) Po —P ul Vaî — sin(@, + na — nw) 
2 i ALLEA === 
cos(pitn,—nw)-0.5wto(p+n:—nw)Va?—sin(pi+n—nw) 


Entro i limiti di «, o di ®; che si incontrano nella pratica, 
®s — ®; è funzione positiva e crescente di a, e di @; (1). 

Posto, ad es., n"=1.54, w=0,006 ed n;:=— 0,007, la (13) 
ci darebbe: 


Per = +24 + 25024" 4 450,24" + 550,24! 
(99)! =0 +58” (iero 


dove ©,° è l’angolo ©, espresso in gradi e minuti primi, e (Pg @;)" 
è Ps — @; in primi e secondi. 

Per valori di @,° inferiori a 24' o negativi, (p° — i)" as- 
sume valori inferiori d’una piccola quantità, perchè il 2° termine 
del denominatore della (13') cambia segno. 

Dalla tabella ora data risultano evidenti i danni che in 
tricromia causerebbe una terna di filtri non piano-paralleli. 
Infatti nella sintesi dei tre monocromi non si potrebbero so- 
vrapporre esattamente che i punti sull’asse e nelle vicinanze 
dell'asse; i punti lontani dell’asse sarebbero fuor di registro 
d'un angolo che potrebbe ecceder di molto l’angolo di acuità 


(4) Le (13"), (13"”') e (13), e la (15) che ne consegue, essendo dedotte 
da trasformazioni della (1) nelle quali si trascurarono gli infinitesimi di 
ordine superiore al 1°, sono tanto meno prossime al rigore assoluto quanto 
maggiori sono w e l'angolo d'incidenza o d’entrata. Tuttavia, anche ne] 
peggiore dei casi, cioè, per n=1.54; w=0,01 ed aj = 55° troveremo: 


Con calcolo assolutamente rigoroso: (p.=%@,)'= 26'.18” 


Coll’equazione (13”): (P,— 9)" = 26.30" 
Differenza Fn 4% 
Errore relativo = 7.6 per mille 


errori tanto più trascurabili in quanto essi sono dell'ordine delle aberra- 
zioni di definizione necessariamente prodotte da una lastra di vetro non 
perfettamente pianparallela. 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 86 


normale. Della fortunatissima... e inverosimile coincidenza che 
i tre angoli w fossero uguali e che i tre filtri fossero collo- 
cati collo spigolo nell’identica posizione non è certo il caso di 
tener conto. 


_1 _ anche 
4000 

per a,=55°, risulta dalla (13’) che deve essere: w < 0,000333, 
cioè, in primi e secondi: 


Affinchè 9, — ®, si mantenga inferiore ad - 


(14) tl a i LA 


La distorsione (!) 9 è data dalla nota formola: 


= Pe tg, 
te Pi 


Per esprimere ® in funzione di w, #, ©; ed nj, osserviamo 
che, per una nota relazione trigonometrica, è : 


tgp. — tg9 = tg(9. — P.)(1+4tgpstg 91). 


Siccome la differenza tra gs e ©, è piccola, potremo seri- 
vere, con errore relativo minimo: 


tgp. — tgp1= (9: — P.)(1+tg?9,). 
Quindi: 


(4) La differenza p:— @; fra gli angoli d'uscita e d’entrata in un sistema 
diottrico non basta a dimostrar la distorsione, perchè potrebbe con ciò 
esser soddisfatta la condizione delle tangenti: 


nel qual caso un filtro situato fra l'obbiettivo ed un oggetto Zontano non 
produrrebbe distorsione. Noi dimostrammo infatti in una nota precedente 
che l’effetto distortico prodotto dall’aberrazione della pupilla d’entrata del 
sistema, per un filtro fra l'obbiettivo e l’oggetto, si fa sentire solamente 
quando la distanza 4 fra l'oggetto e codesta pupilla è poco superiore alla 
distanza fra il primo piano focale e la stessa pupilla, mentre è pratica- 
mente nullo per grandi valori di 4. La (15), che stiamo per dedurre, di- 
mostra però chiaramente che nell’applicazione di un filtro diedro la con- 
dizione delle tangenti non è mai soddisfatta. 


fe" GIULIO SACCO 


E, per la (13'): 


; le ia a) 
prat | donc al 
cos(p,tn,)—0.5wtig(9,4+n)Vx- sin'(@,+m) 


funzione che cambia di segno col cambiar di segno dell’angolo 
d'entrata (Un esempio dei valori che può raggiungere è dato 
in una tabelletta in fine della presente nota). 

La distorsione da grave diedria del filtro può comprometter 
l'esattezza dei lavori fotogrammetrici. Una caratteristica della 
distorsione da diedria del filtro è che questa passa da circa zero 
per raggi giacenti in un piano parallelo allo spigolo e pressochè 
normale alle facce ad un massimo per raggi giacenti in un 
piano normale allo spigolo (!). 

L'immagine parassita. — I raggi AjM,, AgM4&g, ecc. (Fig. 1) 
sono raggi parassiti che attraversano l'obbiettivo con un angolo 
d'entrata diverso da quello del raggio utile A$gM,. Però il solo 
raggio A4M, ha un'intensità relativa capace di recar qualche 
danno. L'angolo p compreso fra AyM; e 44M, è dato dalla (5'), 
o più brevemente, dalla sua forma approssimata: 

cos da 


(16) p= 0, —;d,=2W4 


funzione positiva e crescente di a,. Per a, ==0 si ha: 


(160) Po=2nWw=appr. 3w. 


(') Lo scontorcimento delle immagini causato dai filtri diedri produce 
dunque una dissimmetria rispetto ad un asse. Se, ad es., usando un filtro 
diedro applicato in modo che lo spigolo sia verticale, si fotografa una 
croce a quattro braccia uguali di cui una coppia sia verticale e l’altra oriz- 
zontale, le braccia verticali della croce saranno riprodotte con deforma- 
zione assolutamente insignificante e senza allungamenti o accorciamenti, 
mentre l’immagine d'un braccio orizzontale risulterà accorciata, e quella 
dell'altro braccio orizzontale risulterà allungata. Un cerchio presenterà 
l'aspetto d'un eccentrico. Queste deformazioni, estremamente piccole e as- 
solutamente impercettibili nella fotografia artistica, sono però dannose 
nei lavori fotografici di precisione, se l’ angolo del filtro ha certi vistosi 
valori che disgraziatamente si constatano talora nei filtri del commercio. 


ABERKAZIONI E i IFLESSIONI NOCIVE, ECC. 869 


Per n= 1.53 e w=0,001, troviamo, esprimendo p in primi 
e secondi: 


a AI 15° 30° 45° 
Rio TUTO 11.28" 131.097”, 
Per quanto risultò da nostre misure, nei filtri del commercio 
w può raggiungere il valore 0,006, e forse anche valori mag- 
giori. Le conseguenze di cotesta grave deformità sono evidenti 
quando sì pensi che i raggi utile e parassito anche all’uscita 
dall’obbiettivo fanno fra loro l’angolo p dato dalla (16). Le im- 
magini utile e parassita potrebbero, se poco differenti d’inten- 
sità, essere separate dall’occhio situato alla distanza della pu- 


4 È ) i - ; gb 1 

pilla d'uscita ogniqualvolta p superasse l'angolo d’acuità 74000" 
(circa 52); però notiamo che, l’immagine utile essendo chia- 
rissima (bianco puro in un positivo ordinario), l'occhio abba- 


cinato da questa non può separare da essa una immagine paras- 


000 della distanza 
visuale. Notiamo inoltre che il punto oggettivo che produce 
un'immagine parassita ha sempre un tale splendore da pro- 
durre nell'immagine utile un alone da irradiazione laterale del 
bromuro d’argento illuminato. Allentando dunque il rigore delle 
condizioni teoriche, quintuplichiamo la tolleranza, contentandoci 


di imporre che sia: 


sita pochissimo chiara che ne disti di 


E : 
- circa. 
Po- 800 
Ciò posto, e supponendo n= 1.53 e a, = 55°, la (16) darà 
per w la condizione: 


(17) w<0,000283, cioè w'" 60" in cifra tonda. 


Dall'ispezione delle (9), (9°), (14) e (17) concludiamo che: 

L'angolo d'un buon filtro non deve sorpassare un minuto 
primo, e sarebbe bene che non sorpassasse di molto il mezzo mi- 
nuto primo. 

Verifica del pianparallelismo. — Le (9), (14) e (17) presup- 
pongono che l’indice di rifrazione del filtro non differisca molto 


870 GIULIO SACCO 


da 1,53, condizione che è verificata in pratica. La determina- 
zione dell'angolo w basta dunque da sola a far giudicare se un 
filtro a facce piane sia o no diottricamente ineccepibile. 

Ecco ora alcuni metodi semplici di verifica del pianparal- 
lelismo, il primo dei quali è noto e intuitivo : . 

1° Metodo. — Con un calibro Palmer che dia il centesimo di 
millimetro si fa una serie di misure di spessore agli estremi 
di molti diametri del filtro. Per un certo diametro si troverà 
una differenza massima fra gli spessori alle estremità. Se D è 


il diametro del filtro, e o codesta differenza, sarà w= o E 


dovendo in un buon filtro essere w < 0,0003, dovrà essere : 
(18) o. li 00031 


Questo metodo vale solo per filtri in cui sia D>35 mm. 
Tuttavia, grazie alla sua semplicità, dovrebbe sempre esser 
applicato alla prima verifica d’un filtro di qualsiasi diametro. 

2° Metodo. — Questo consiste nell’apprezzare ad occhio 
nudo l’angolo che il raggio d’origine catottrica A,M fa coi 
raggi d'origine catadiottrica 43M}, A;M; e A;M;. L’osservatore 
si colloca alla massima distanza possibile da una sorgente di 
luce poco estesa, e, tenendo verticalmente il filtro accosto al- 
l'occhio, cerca di veder riflessa contro la prima faccia l’immagine 
della sorgente e fa rotare il filtro nel suo piano. Se durante 
questa rotazione si vede sempre riflessa nettamente un’imma- 
gine sola, il filtro può esser considerato praticamente piano- 
parallelo, purchè, ben inteso, l'osservatore sia emmetrope ed 
abbia una buona acuità. 
sei 
4000 
vedrà oscillare da sinistra a destra, e viceversa, dell’immagine 
principale, e intensamente colorata, l’immagine prodotta dal fascio 
dei raggi 43/3. Se l'angolo d’incidenza è molto grande, si ve- 
dono anche le immagini prodotte dai raggi 4;M4; ed A;M. Sic- 
come, per le (6) è a, — a, = 2(aj,— a3), ed a, — a = 3(0, — a), 
il difetto di parallelismo risulta molto visibile. L’osservatore, se 
ha fatto un po’ di pratica su filtri esaminati comparativamente 
con questo metodo e col calibro Palmer, può giudicar discreta- 


Nei filtri in cui w è sensibilmente maggiore di 


mente bene ad occhio che gravità abbia il non-parallelismo ac- 


sì 


Pa 


—_____—_ —___—@m————_ 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 871 


cusato dai fasci AM, 43M;, A5M; ed A,M;. Le diverse imma- 
gini si distinguono per differenze di tinta. 

3° Metodo. — Si esamina il filtro come nel 2° metodo, va- 
lendosi però d’un cannocchiale. Se l'ingrandimento di questo 
è I, gli angoli @3--@, as — 4; @ — ay risultano magnificati 
I volte. Sarà bene montare il filtro a circa 45° coll’asse del can- 
nocchiale. Questa montatura davanti all’obbiettivo non è diffi- 
cile; basta un pezzo di tubo di cartone tagliato a 45° col 
proprio asse. 

4° Metodo. — Si osservi una sorgente di luce piccola e lon- 
tana con un cannocchiale il cui obbiettivo sia stato masche- 
rato col filtro per circa la metà della sua area utile. Si ve- 
dranno così due immagini, di cui una proviene dalla porzione 
di fascio entrante filtrata. L'angolo dei due fasci uscenti dal- 
l'obbiettivo, per la (79), è dato da do =(nx—1)w= appr. 0,53 w. 
Detto / l’ingrandimento del cannocchiale e 1 l’angolo dei due 
fasci uscenti dall’oculare, sarà : 


pda = appr. 0;99/0. 


Siccome in un buon filtro deve essere: w < 0,0003, dovrà 
essere : 
r<0,00016/ 
ossia, in secondi 
ae i. 


È bene che / non sia troppo piccolo, perchè, quando l'im- 
magine non filtrata e l’immagine filtrata sono molto vicine fra 
loro, è difficile giudicare di quanto l’una dista dall’altra, spe- 
cialmente tenendo conto del fatto che in pratica la sorgente 
mirata (becco a gas o simile) non è puntiforme. 

Anche questo metodo esige che l'osservatore abbia acquistato 
un po’ di pratica facendo sui filtri osservazioni comparate col 
metodo ora descritto e con misure mediante il calibro (1). 


(') Nelle nostre aggiunte personali alla versione d’un’opera inglese di 
fotografia (HasLuck, La Fotoyrafia, Unione Tip.-Editr., Torino, 1905, pag. 512) 
suggerimmo diversi metodi identici o poco differenti da quelli ora descritti 
per la verifica del pianparallelismo d’un filtro; ma, per riguardo al pub- 


872 GIULIO SACCO 


Naturalmente, il miglior metodo d’esame d’un filtro con- 
siste nel misurare w e i diversi valori di è e di 43 — a; per 
diversi angoli d’incidenza con un buon goniometro a cannoc- 
chiale. Ciò facemmo nell’aprile del 1908 servendoci d'un gonio- 
metro-spettrometro di Brunner esistente nelle collezioni del- 
l’Istituto di Fisica della R. Università di Torino (1). Ci risultò 
che, su quattro filtri scelti a caso, uno solo aveva un angolo 
che stesse nella tolleranza; per esso era w'= 55". Per un se- 
condo filtro era w'=215”, per un terzo filtro trovammo w' = 4'1/, 
circa, pel quarto w' = 20'1/, circa! (?). 

A chiusa del nostro lavoro presentiamo in tabella il raf- 
fronto fra i risultati di misura e di calcolo riferentisi ad una 
lastrina colorata nel classico giallo di media forza per orto- 
cromatismo. 

Benchè questa appartenesse ad un corredo ottico non foto- 
grafico, volemmo far su essa i più circostanziati calcoli e misure, 
per le seguenti ragioni : 

1° Perchè dal confronto fra i valori calcolati e i valori 
osservati per questa lastra, affetta da un angolo w molto grande, 
si poteva avere una buona riprova materiale dell’esattezza, 
anche in casi sfavorevolissimi, delle formole approssimate che 
abbiamo trovato. 


blico a cui l’opera s’indirizzava, non demo di codesti metodi alcuna giu- 
stificazione matematica. Crediamo che, sulla base di quanto esponemmo nel 
presente studio, il lettore potrà facilmente capire entro quali limiti essi 
sono valevoli e quale approssimazione si può ottener con essi. 

(4) Dobbiamo l’aver potuto far queste misure al benevolo interessa- 
mento del nostro antico e illustre maestro Nicodemo Jadanza, Professore 
di Geodesia nella R. Università di l'orino, ed alla squisita cortesia del 
chiar.®* Prof. Andrea Naccari, Direttore dell'Istituto di Fisica nella stessa 
R. Università, il quale ci mise a disposizione gli strumenti del suo gabi- 
netto. Ad essi, ed ai sig." assistenti dell'Istituto Fisico, Prof. Dott." Adolfo 
Campetti e Mario Nozari, esprimiamo qui i nostri più sentiti ringrazia- 
menti per l’aiuto che vollero concedere alle nostre ricerche. 

Coll’egregio Dott. Prof. M. Nozari facemmo una prima serie di misure 
dei è per diversi valori di g,, e in giorno susseguente rifacemmo le misure 
da soli. Le due serie concordarono a' meno di qualche secondo. 

(*) Questo filtro fu scelto a caso fra quelli che una ditta estera assai 
riputata, ma non specialista in ottica, fornisce per certe sue lastre ad emul- 
sione pancromatica. Noi lo provammo anche facendo qualche fotografia 
d’interno, e ne ottenemmo una visibilissima immagine parassita. 


O e 


mega è di I_ MO pe 


ABERRAZIONI E RIFLESSIONI NOCIVE, ECC. 


873 


2° Perchè la grandezza delle perturbazioni causate da 
lastre aventi un angolo diverso si deduce senza difficoltà da 
quelle che stiamo per presentare, considerando che entro limiti 
assai vasti le perturbazioni causate da filtri sono proporzionali 
al loro angolo w, supposto che tutti i filtri di vetro abbiano in- 
dici di rifrazione poco differenti (circa 1.53). 


Lastrina di vetro giallo, a facce piane, 
del diametro di 35 mm. 


Osservazioni 


wi'=26'.16",1 w':R'=w=0,007641, 


do =13'.54"”  do':R'=do=0,004043 


w' e do furono determinati 
ciascuno con una terna di 
misure, leggendo per cia- 
scuna misura i 4 nonii. 
Ciascun nonio dava i 3" 


Indice di rifrazione dedotto colla (7,):| sessagesimali. 
n= 1.5292 
Angolo | (© — do) CE TA franz 
DEMON, relativa 
d’ Co misurato calcolato | e—m c— m 
: | c | m 
gaia 
+ 55° | 20".14" | 19".42"" | —32" cina Il calcolo dei valori di 93 -- 
|! 100 | fu fatto colla (13”) ribes! 
; ” 2.01| nendo [vedi la nota (') a 
+ 45° | 10".47” | 10".54"” | —13” 100 |  P28- 12] sue fosse Pi=a; 
| cioè ny=0. 
È 1.20 || Le collimazioni si fecero sul- 
- (SZ FAN "I 
+35° | 5°.94 5.30 Li “100 || l’asse dell'immagine della 
| feritoia, i : ea 
saba | 2° 361.233” | —. 3" 1.92 | auanio Gi 
: j 100 | causa la grave diedria e 
| 11.3 fors' anche l’ imperfetta 
— 25° | 2"04”| 2.18” | +14”"| + 106 | Planeità delle facce. 
gzo| ansa) sost | pas] 4 485 
2 100 | 
45°] 936%] 9507 | 4147] 4+-$42 
ni Sal | | 100 
E Fro "0618/15" | Lor! 0.83 
50° | 18.06 fi | 9 7 100 


874 ENRICO GATTI 


L'andamento della distorsione calcolato colla (15), supposto 
Q,=4a; e sulla base dei valori misurati di 93 —@; è il seguente: 


90° 


pi= -+55° das pa 725), _ 950 35°. MnC 


O= +12.6+6.2+3.45+1. ® Liga smi og: Hg 3|p.0/ 


Misurammo anche, per riprova materiale delle (5'), (5') 
e (16), qualche valore di «3 — a, e trovammo pure una buona 
concordanza fra il calcolo e la misura, benchè, come è facile 
comprendere, l’immagine della feritoia risultasse ancor meno ben 
definita che nella misura dei valori di dò — dv. 


Segmenti corrispondenti ad immagini reali 
im alcuni sistemi diottrici centrati. 


Nota dell’Ing. ENRICO GATTI. 
(Con una Tavola). 


1. —. Le lenti P, M, N (Fig. 1) immerse nell'aria e cen- 
trate secondo l’asse AY, abbiano come distanze focali rispettive 
f>0; 91; Ps>0. 

Rappresentino le coppie di punti 


exe. EE}. EE 
FOO Ria 


punto 
fuoco 


principale di esse: sia e,*E,=d; E} E,=4A ed indicato con N* 
il secondo vertice della lente M e con c il segmento E;*N* si 
assuma A — ®, >c e si ritenga essere P la lente che prima è 
incontrata da raggi incidenti. 

Considerato un punto A dell’asse come un punto oggettivo 
e fatto 


rispettivamente ed ordinatamente il primo ed il secondo 


Ae, =D PEb,= Dei 


SEGMENTI CORRISPONDENTI AD IMMAGINI REALI, ECC. 875 


e supposte in A, As, 4g le immagini di A rispettivamente do- 
vute a tutto il sistema, o al solo sistema MN, od alla sola lente N, 
si ponga: 
E'A,=Ggs Ab 4," xo; LsAs = 

Si diranno: punti d’ascissa p, x; D, £3; y, €3; i punti del- 
l’asse che si supporranno essere nelle condizioni ammesse pei 
punti A, 4;; od A, 43; 0d A, 43: punti corrispondenti quelli 
dei quali le immagini reali dovute al sistema PMN ed alla 
lente N, od al sistema MN ed alla lente stessa, oppure al si- 
stema PMN ed al sistema MN riescono coincidenti: segmenti 
corrispondenti dell’asse i segmenti di punti corrispondenti. 

Si vogliono trovare i segmenti corrispondenti dell’asse XY 
tanto per rispetto al sistema PMN ed alla lente N, quanto per 
rispetto al sistema stesso ed al sistema MN. 


2. — Si determinino i punti dell’asse XY del sistema MN, 
isolatamente considerato, i quali dànno immagine di ascissa r3> @s. 
Fra l’ascissa D d’un punto oggettivo dell'asse XY e l’a- 
scissa x, della immagine dovuta al sistema, passa la nota re- 
lazione (1): 1 
__ a A(D4+ 9) + Dpi 
(1) sr (A—®3)(D+ @)+ Do, 


Po 


nella quale si userà il segno + secondochè sarà @; = 0. 
Si indichino rispettivamente con 5) ni il numeratore ed il 
pirtal 


denominatore della (1) quando @; = 0). 


Se QD, > ite 
A 2 
oa A<; 
sarà Mr 0 secondochè per 
A - 
DE 0 A>g 
ed A4<0 se An 
= Ao, L x 
È D3- ata al e: ia SU 
e B=0 secondochè se 
= A; 
DE x" gii Pr + Po — A<0 
essendo B<0 per P+- Po - A=0 


(*) N. Japanza, Teorica dei cannocchiali, ecc. (ed. 1906), pag. 221. 


876 ENRICO GATTI 


Quando sia @, 0 poichè si ammise essere A — p, > e sarà 
pp PA — p2>0 


> = Aq 
A,20 DZ — TERE 
e sarà per 
A —- 92)P 
B.=0 ba 
unit Mai 


Fatto V= BA ie VI=Bi=A 
V=—- Po (D —- Pi) 


V'=— (D+ 91) 

B=>0 ed A%>0 DE; 
sicchè se i sarà B =A ed ‘9 È ®> secondochè 

B<0 (ed A<0 DS=%; 

Bien 4,0 DE""p, 
e se sarà B, = Ai ‘ed 25 = ®, secondochè 

B;<0 ed Aj<0 Z_ gp; 

Indicato con È, il primo Tuoi principale del sistema MN e 
K punto 


con H il punto che nel sistema ha per immagine £,*, per for- 
mule note: 


1° se pj>0 


: (A ®)9® 
(A — @) 
b) E, ili P1+ 9 — ASO 
è ove sia 
DI An 
DI A 
d) Ca ep REA A> Pi 


Po +9  A=0, 


essendo H infinitamente lontano se As, : 


SEGMENTI CORRISPONDENTI AD IMMAGINI REALI, ECC. 


2° Se P,<0 è: 


n] (A — ®)p 
e E-Fz=—T — 
) : P+A—9, 
Agp 
E-H=---*+ 
f) 1 A+ 9, 
avendosi in valore assoluto: 
AT_- 9, A 
9) Ph: Pa — A v QP_—-A 
AT_- A 
h ia Sri 
) A_-9,— Py A_- 9 
)) [_feammapio MS 
+ A—- Pg A+%,; 


Ciò stabilito: 
I. — Sia p;>0 ed: 
A) Pi — P, - A> 0. 


877 


I punti #, H cadranno in tale ordine (a, c, 9) (Fig. 2) a 
destra del segmento f,£; se A< @;: se A=9, (Fig. 3) F cadrà 
a destra di £, ed Ha distanza infinita: se sarà A > @; (Fig. 4) 
di essi punti il primo cadrà a destra di £, e l’altro a sinistra 


di F,. 
Quando : 
a) A< 
per valori di : 
D>0 sarà x, =, secondochè D gp, 
D=0 , x3>@ 


e per valori di D<0 se: 
DSE,F è sat? 


E,F< D << E,H ” Lg , @ 0) 
DLE peo 
D>EKiH° s ‘zi<, 


b) IN = ì 
Si trovano i casi ora esaminati limitati alla condizione 
E, e H= —— 00, 
c) A>%9;. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 


878 ENRICO GATTI 
Per valori positivi di D se: 
D= HE, è a«,=0 
D<HE, , >=@, secondochè D g, 
e se AEM e > Pa. 
Per valori negativi di / se: 
PSE si ‘ha Ser pi 
ie + ta = 
DEE: Ca 0, 
B) P+po - A=0. 


In tale caso (Fig. 5) &£ - F= —0 ed Hsitrova alla si- 
nistra di F,. 
Per valori di 


D= HE, sarà x,30 
e quando sia 
D< HE, si avrà. x, = » secondochè D = ®; 
C) Pr, + — A<0. 


I punti F, H si troveranno in tale ordine (Fig. 6) (0, d, 4) 
a sinistra di F,. 
Pei valori di 


D= FE, è as@&2 
(0 ©) 


HK,<<D<EE ee, —<0 
D = HE, ” Lg = 0 
D<HE, , ,%®; secondochè D=0q,. 


II. — Sia P;<0. 

I punti F, H cadranno in simile ordine (e, f, 2) (Fig. 7) nel 
segmento £,F,. 

Quando si abbia 


T'rr Lr  —— e 


TLT —__— 


Pn 9 


DE 


SEGMENTI CORRISPONDENTI AD IMMAGINI REALI, ECC. 879 


Per valori negativi di /D se 


D<EF si ha Ca > Ps 
D= EF È CE ® 
EF<D<EH È ce < 0 
D=EH 2 to=.0 


D> E,H sarà x, = ®» secondochè = — ®i 


In ciascuno dei casi considerati hanno quindi immagini di 
ascissa positiva xs i punti dell’asse XY del sistema i quali sono 
posti sul segmento HY e sono maggiori di ©, le ascisse delle 
immagini dei punti del segmento FF, eccettuato Y,, stimati 
essendo tali segmenti nel verso XY secondo il quale si intende 
che la luce si propaghi. 


8. — L'’ascissa #3 dell'immagine d’un punto oggettivo di 
ascissa y dell'asse, quando si consideri isolatamente la lente N, è: 


2 SOON. A 

2 sg= 

a Y— Pa 

e la relazione fra le ascisse D, y di due punti corrispondenti 
dell'asse stesso, si otterrà ponendo: 


cioè colla 
(3) Und DEI 


che ne deriva e nella quale si assumerà il segno + secondochè 
sarà @, = 0). 

I punti d’ascissa D corrispondenti a punti d’ascissa y>@s 
avranno immagini d’ascissa x, > ®», e però apparterranno, in 
ogni caso ed ove esistano, al segmento FF stimato nel senso XY 
corrispondendo ai punti /, ed /, d’ascissa D, rispettivamente 
i punti d’ascissa y=0% ed y= £ F3. 

L’ascissa D del punto corrispondente ad N* di ascissa 


y=ih_-e 
” i sia CP | "a 
(5) Da 9, dr ee pi > 0 
è 
» i CP, 


880 ENRICO GATTI 
Venne ammesso essere A — P, > e però quando sia 


Mir AZU 


si dovrà nel valore di D determinato dalla (5) assumere — come 
del resto accade nelle comuni lenti — c<®; e così quel valore 
sarà negativo. 

Indicato con / il punto d’ascissa D determinato tanto 
dalla (5) quanto dalla (6), poichè in valore assoluto è 


(PIC. e (A — ®2)P, 


Parental » Pt A 


tal punto cadrà in ogni caso sul segmento E, contato nel 


senso XY. 
Ne consegue che: 


P1 + Pr - A>Ò 


quando 
po |1AT-9a>0 


ciascun punto di ascissa / situato sul segmento finito /F, troverà 
il suo corrispondente in un punto d’ascissa y del segmento N*7, 
e se 


P11+P - AZO0I 


ciascun punto d’ascissa D del segmento /oo avrà il suo corri- 
spondente in un punto del segmento N*/,* essendochè a D= o 


corrisponde y= A — @,. 


4. -- Prendendo ora a considerare il sistema delle tre 
lenti P, M, N, si osservi che, se si vorranno avere punti di 
ascissa p, i quali abbiano come corrispondenti punti del 
segmento N*F, (Fig. 2, 3, 4,7) o del segmento N*F,* (Fig. 5, 6), 
dovrà l’immagine reale di quei punti, dovuta alla lente P, cadere 
nel segmento ZF o nel segmento /. 

Perciò si dovrà assumere: 


(7) f<a+ lola, se P1 + pa — A>O 


(8) fade — cs se @ + A — 9g >0 
Pa 


SEGMENTI CORRISPONDENTI AD IMMAGINI REALI, ECC. 881 


e ad f si potrà dare qualunque valore purchè finito e positivo 
quando sia 


P1 +P- AT. 


I punti di ascissa D, corrispondenti a punti d’ascissa p, ca- 
dranno sullà parte dell'asse XY lasciata libera fra le lenti P, M 
e condizione necessaria perchè questi ultimi esistano è che sia f<d. 

Detta, in ogni caso, d — D la distanza da e,* della imma- 
gine dovuta alla lente P di un punto di ascissa p dell'asse XY, è: 


d_-D 
(9) ic pf f 
dalla quale 
i qst 
(10) D=d er, 


Ond’è che dovendosi assegnare a p un valore positivo, ove sia 


<0 
f=d sarà D=— co secondochè p& f 
>d 


e se f<d, indicato con p) il punto di ascissa: 


Re 
che ha per immagine per rispetto alla lente P il punto E; si 
avrà: 


0<D<d se P=> Po 


si n» PE=Po 

D<0 9 f ap<"bò 
='b6 4 p=f 

D>d 2 pf. 


Segnato con ./ il punto il quale per rispetto alla lente P 
ha per immagine il punto /, risulta: 


RE Piet d(py4c) 
sr) Seti 


882 i ENRICO GATTI 


nella quale si assumerà il segno + secondochè @; = 0): 


>0 
sarà Je, =% per 
<0 
siignl i APuba f 
(13) f=sa + 0e 


e potrà verificarsi una qualunque delle (13) ancora quando debba 
soddisfarsi l’una o l’altra delle (7-8). 
La differenza fra il denominatore ed il numeratore del rap- 


orto È è — fp,c e però quando sia 
Je, i i) 


Î= d sarà Po > Tei. 


Nei diversi casi che si possono presentare: 


a) Sef=d, quando esistano punti corrispondenti d’ascissa p 
e d’ascissa y, quelli giaceranno a sinistra di fi se 


> TINRIE 
[aa Pi + e 


ed apparterranno al segmento ./f, se 


n qQ4le 
< I 
Sarei ne 


5) Quando sia f<d, se potranno esistere punti corrispon- 
denti di ascissa p e di ascissa D, quelli giaceranno a sinistra del 
punto p,, e i punti d’ascissa p corrispondenti a quelli d’ascissa y 
apparterranno al segmento Jf,. 


5. — Si determini ora la relazione fra le ascisse p ed x, 
eliminando D dalle (1-9) mutando x, in x, ed assumendo il 
segno + secondochè la lente M sarà convergente o divergente. 

I. Si supponga la lente M convergente. 

Ad eliminazione compiuta si ottiene: 


(14) x, = Ap(p—-f) +(@ — A)(p—f)d — (9: — A)pf è 
i (A — pa)p,(p — f) + (p1+ Pa — A)(p—-NA-(P1+- Pa A)pf 2° 


SEGMENTI CORRISPONDENTI AD IMMAGINI REALI, ECC. 883 


Indicando rispettivamente con A», B, il numeratore ed il 
denominatore della relazione (14) con p,, 7; i valori ottenuti 
considerando A, e B, quali equazioni in p, si trova che 


rlla4n$ Ap, + (pi — A)d ’ 
(15) Hein Ao, — (pi, — A)(fF— d) I 

_ _(A_ PP + (9, + po — A)d 
Kh0) Po T g(A—p)-+ 4) (f—d) f. 


Dei punti p, e pa, d’ascissa p omonima, p, è il primo fuoco 
del sistema composto PMN e p, il punto che nel sistema stesso 
ha per immagine £s*. 

Ci C9 ., numeratore 


Si indichino ordinatamente con D, D, 1 denota di pi 
e Pa € si ponga 
Via=D,— Ci e Vìi=D,— Cs. 
Si avrà: 
< (A_- 99) 
030 d È 
e se +, —- A<0 per 
= = j_ (A_9)o, 
Di = 0) = d re PP; 
S>0 e Ds>0 se AS9Qg}z 
9 < _ Ao, 
Cs =0 ds ass 
v se A>@;, per 
Ag 
D,=0 aan 
E poichè: 
= — f(9, + 9: — A) e Va=—f(9.— A) 
"30 cleal ® + po - AZ0 
se sarà p,=f per 
Ci<0 e D,i<0 P+ pe — AS0; 
Ca>0 edi A S ®, 
e se sarà pi=f per 


Co<0.e-Di<0 AsqQ,. 


884 ENKICO GATTI 


Le considerazioni che precedono sul valore di D, e D., e, 
la (14), che può sceriversi sotto la forma: 


, 15 _Ds(p— Pa) 
(eg Wii Dip) ‘3 


mostrano che sarà: 
B,3=0 per valori di P=P. ove sia P1+ 9, —- A=0 
ose @,+p, —- A<0 con f>d— FE; 
essendo B,>0 quando f=d — FE; ; 
e Bs=0 per valori di p£p, quando @, + 9, — 4 <0 
ed f<d— FE;; 
e che pure sarà: 
As$=0 per valori di p=p, se p,|--9 -A>0 e Asp; 
e quando A>@;, se @, + p, — A - 0 con f>d — HE, 
riuscendo 4,>0 per f=d — HKE, 
ed A$=0 per valori di p=pn se è @1 +9, - 430 
con A>@, ed f<d — HE,. 
Ora, fatto V= B.— 4, poichè è 
V=— ®s[p(9+f— d) — f(0, — d)] 


B.>0, 4,>0 V=0 
quando sieno saranno By = A; ed 2, È ®y per 
BIO V=0 


mentre si avrà: 
= pid Bi 
p'@a ge f+®--d>0 
V=( secondochè se 
d — @ 
bara f+®— d<0 


e V<0 quando sia f+p, — d=0. 


le ge — 


SEGMENTI CORRISPONDENTI AD IMMAGINI REALI, ECC. 885 


Si osservi che indicati con p;, p; i punti d’ascisse omonime 
d—® i p,—d 
17 = ——_T = EC e ine 
( ) Pi d—®,—f è Dr f+®,—d f 


hanno tali punti, ordinatamente al caso al quale appartengono, 
per immagine /' per rispetto alla lente P e che: 


Pf >Po e Pi < È 


Si osservi pure che nella relazione 


5 1: Med so D, 
pa i D,C4 
essendo D,C, — CDs <0 
C.Di>0 e .D,Cs>0 Ps >Pa 
se si avrà 
CDs<0 e DiCs<0 Pr < Pa- 


Essendo poi: 


po __ Clo t+(A—-f)(- 0], ps _ Cleo +(A—f)(o, — 0) 


ai TESE CARS) Dy[c®, + d(@, — 0)] 
pi C(A-f) po Cla fi 
Po Did Po Dsd 
bee: Cld — ©, — f) I AO Cd — ®,— f) 
Pf Di(d — ®,) Pf Did —- i) 


nei casi singoli nei quali si abbia ./e,>0 od f<d, poichè sono 
positive le differenze fra il denominatore ed il numeratore di 
ciascuno dei rapporti scritti, quando sieno: 


C.>0 e D;>0 maggiori 
saranno Je, po, Pf di p; 
C.<0 Ce... Di<0 minori 


e quando si abbia 


Ca>0 e D3>0 maggiori 
saranno Je,, po, Pj di pi 
Ca<0 e Dai<0 minori 


886 ENRICO GATTI 


Ne segue che se: 


A) Q+p, - A>0 e A509, 
seno pi>f Pa=f PSR 
e potrà essere f+, — d A) 
f-p,—d=0 con f<d Po>Je1>Pr>Pa>f 
quando sia si ha 
f+,— d<0 Pr>Po>Je,>Pr>Pa>f. 


Pei valori di p compresi fra p, ed f, As e Bs sono negativi 
e comunque sia f+ 9, —-d=0 sarà z;<®s, e quindi il seg- 
mento p.fi non ha corrispondente. 


b) Q+P, — A=0I e A>p,. 
È Pet 
se d= HE, sono f>@d — HE, e pi 
<0 
se d>HEÉ sarà pa = co secondochè f=d — HE; e nel caso 


in cui pa>f risulta pa>p;. 


C) Pi + po —_ A<0 
quando si abbia: 


d< HE, sono f>d — HE,, Pi<f, ah (3 Pr> Pa; 


HE,<d = FE, si hanno f>d — FE, e piSÎ 


<0 
e potrà essere f=d — HE, con pp =— 0. 
2 


Se d>FE; si potrà avere: 


f>da— FE, con pi<0 e sarà 
<0 
Pa = — 0 secondochè f=d — HE,; 
sf 
oppure f=d— FE, con p=— x e pa>f; od anche f<d — FE, 
con pi > Pa > f. 


SEGMENTI CORRISPONDENTI AD IMMAGINI REALI, ECC. 887 


Nei casi ora esaminati (B, €) potrà essere 
f+ go -d30 se f>d— HE, 


e sarà f+p, - d<0 se fzd— HE,. 
Quando sia: 
Po> Jex> p,=f > Pa (8) 
f+o,—-d=0 con d>f si ha 
Pi> Te > f > Pr > Pa: (C) 


Avendosi f+ 9; — d<0 

Pi> Po> TJex> pi =f > Pa (B) 
se f=d-- HE, risulta 

Pi > Po> Jex> f> Ps > Pa (0) 

Pa> pp? Po? Jer> po=f, (B) 
se f<d— HE, e Pr S Pa è 

Pa> Pj> Po> Jer>f>b (0) 
e sef<d— FE, si ha Pi > Pa> Pp> Po> Jer>f (0) 


È agevole ora verificare che in ognuno dei casi (A, B, 0) 
avranno immagini di ascissa x, > 0 i punti d’ascissa p del seg- 
mento p.}, e che sarà x, > ®, per le immagini dei punti del 
segmento p;p, — escluso p; — stimati essendo, tali segmenti, 
nel verso XY. 


II. — La lente M sia divergente. 
Si avrà: 
(19) Fa,i= Ao;(p — f)+(01 + A)(p — f)d — (9, + A)pf 


(A — Pa)P(p — {)+(P1 +4 — r2)(p_-f)d = (@4+A=pf o? 


Indicati con 43’, B,' il numeratore ed il denominatore 
della (18) pei valori ammessi (8) per f 


= a ' 
Ag =0 PERI 

sarà se 
B 20 DE Di' 


TIA Re f 
Ha — (9, + A)(f — d) 


[ie p.(A — Pa) + (9, +A— 9d f 
Pei p, (4 — Pa) — (P+A— 92) (fd) 


€ Da ida dif. 


883 ENRICO GATTI 


Posto Wi Bi dg 
è V'=— po +4 —f)— f(® + d)]. 

Ma per la (8) è necessariamente 

od [WR 

e quindi sarà: 

> i > feti 

Es secondochè p = PR di 

B,'>0 ed A4,'>0 V'=0 
e se si avrà By = Ay' ossia x,=%®, per 

Bg < O ediA<0 p'=0. 


Il punto p;' di ascissa omonima 


pure a REI 


Pi dali 
è quello che ha per immagine F' rispetto alla lente P e nei casi 
nei quali 
Je, Da 0 Je, > Di >pa a Dj! > f 
sia riesce 
fd Po> Jer> pi > Da > PI > fi 


Qui ancora, come nel caso precedente (I), è facile verificare 
che i punti di ascissa p del segmento p, py che ha per estremi 
i punti d’ascisse omonime p,',py' avranno immagini di ascissa x;>0 
e che daranno immagini d’ascissa x,>@; i punti del segmento p/'py 
— escluso p;' — stimati essendo, quei segmenti, nel verso XY. 

Siccome però a valori di p<p;' rispondono valori di 
D<—9; (9) e quindi valori di y>À, così non vi sono segmenti 
corrispondenti al segmento p;'f.. 


6. — I casi compresi nel ($ 5, I, IT) si possono raggruppare 
nel seguente modo. 
I. Si può avere: 
(1') pp +P, —- A=0 ed in ciascun caso f+ o, —d30 
od essere 
(2’) Po +A-9,>0 con Pp+d—-f>0; 


p* egmenti corrispondenti ad immagini reali. Ci d.RAccad.d Scienze diTorino.- VoLAZII 


Pp Po J 


u 
iL 
Pac) 
Moi 
Bi 
LI 


SocAnJtIndustrie Grafiche , Torino 


SEGMENTI CORRISPONDENTI AD IMAGINI REALI, ECC. 889 
a) Quando sia: 
f+o24>0 (1) 0 00 +d—f>0 (29) 
potrà essere f2=d e sarà 
f<d se f(4+@—d=0. 
K così: 
se f=d+ E,I (Fig. 8-9) indicato con v il punto d’ascissa y 
(Fig. 8) corrispondente a quello d’ascissa #,f;*, sì corrisponde- 
i snai Eh 
ranno 1 Seg l Pb N* Fs , 
se d<f<d+E,I od f=d si avranno (Fig. 10) come corri- 
spondenti i segmenti /p, ed N*#,; 


se f<d ai segmenti co po, Jp, (Fig. 11) corrisponderanno i seg- 
menti f,*E,, N*F,. 


3) Se fior d<0 


finchè p, > pai segmenti 0% p;; P;Po; Ip, avranno come corrispon- 
denti rispettivi i segmenti f,*F,; FE; N*F, (Fig. 12). 

Quando sia p, > p, (Fig. 13) avranno corrispondenza i seg- 
menti paP;; PrPos Ip coi segmenti HF,; F,E,; N*Fs. 


II. Può essere: 


P| po - ASO 


e qui ancora si potrà avere f + 9, — d - 

Ai casì nei quali è p, < f rispondono quelli ora esaminati 
al ($ I, a, 5) e però si giungerà alle stesse conclusioni colà tro- 
vate pur di mutare nei segmenti corrispondenti p, in fi ed F3 
in F,*. Quando invece sia p, > p. con pa > f allora (Fig. 14) i 
segmenti % p,; PaP;; PiPo; If, avranno come segmenti corrispon- 
denti rispettivi f,*F; HF,; FE; N*F;*. 


Dall’Istituto Omar — Novara, Marzo 1908. 


390 GALEAZZO PICCININI 


Su alcune ortoamino- ed ortoossi-chetoidropiridine. 


Nota 1* del Dott. GALEAZZO PICCININI. 


Se durante questi ultimi quindici anni le notizie sugli amino- 
composti della serie piridica sono venute via via aumentando 
da un lato per opera del Marckwald (1), che diede un elegante 
metodo di sintesi delle aminopiridine, e di altri autori quali 
H. Meyer (2), Philips (3), Pollak (4), Blumenfeld (5), ecc., che 
sperimentarono con felice esito la reazione di Hofmann sulle 
amidi di acidi piridinici, dall'altro per gli studi di Collie (6) e 
allievi i quali, profittando della facilità di preparazione dei 
nitroderivati delle ossipiridine, ne ottennero per riduzione le 
corrispondenti amine; ben diversamente vanno le cose per quanto 
riflette le serie idropiridiniche. 

In fatto sino ad ora non si conoscono amino-derivati nè delle 
di-idro- nè delle tetraidro-piridine; nella serie piperidinica sono 
note alcune amino-basi preparate da Harries (7). 

D'altra parte le ricerche di Bamberger sulle tetraidronafti- 
lamine e in parte anche quelle di Noyes e Ballard sulla A?-tetrai- 
droanilina, hanno dimostrato che i composti aminici, come quelli 
che posseggono natura chimica così diversa nei corpi aromatici 
o alifatici, sono certamente i più adatti a portar luce sulle pro- 
prietà dei composti aliciclici. 

Allo scopo di portare un piccolo contributo allo studio delle 
tetraidropiridine, mi sono accinto alla preparazione di amino- 


(1) B. 26, pag. 2189 e 27, pag. 1320. 

(2) M. 15, pag. 839. 

(3) B. 27, pag. 839. 

(4) M. 16, pag. 55. 

(5) M. 16, pag. 718. 

(6) J. Ch. Soc., 71, pag. 838 e 73, pag. 229. 

(7) Ann. 294, pag. 852-355 e Ch, C., 1898, Il, pp. 1170. 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE S91 


composti riferibili alla serie tetraidropiridica, limitando per ora 
lo studio a sostanze contenenti in B- un gruppo aminico e in a un 
gruppo, che con la massima probabilità è chetonico; e in par- 
ticolare in questa nota riferisco sulla orto-amino-cheto-a'a'y-tri- 
metil-idropiridina I (che per brevità chiamerò B-aminotrimetilpiperi- 
deone) e sull’orto-amino-cheto-n-metil-a'a'x-trimetil-idropiridina II 
(B-amino-n metil-trimetilpiperideone) : 


C. CH; C. CH; 
L Var E * 
H3C Ci NH; HsC C . NH, 
sa h CO RSA, È co 
e, RA Ag 
i SA dii na 
NH N.CHy 
I Il 


Queste basi le ho ottenute, mediante la reazione di Hofmann, 
dalle amidi degli acidi a'a'y-trimetilacheto-idropiridin -carbonico 
e n-metila'a'r-trimetilacheto-idropiridin-B-carbonico, che furono de- 
scritte in una nota precedente (1) e che si preparano facilmente 
idrolizzando il B-ciantrimetilpiperideone (rispett. il suo n-metilderi- 
vato) con acido solforico concentrato. 

Data la facilità di preparazione dei nitrili 0ssi-piridinici e 
ossi-idropiridinici più svariati, e dell’idrolisi di questi ad amidi 
con acido solforico concentrato, si potranno per questa via otte- 
nere moltissimi aminoderivati delle ossi-idropiridine, che sarebbe 
molto più lungo e difficile avere con altri metodi. 


Le due ortoaminochetoidropiridine suddette sono basi un 
po’ più deboli dell’ammoniaca, non assorbono l’anidride car- 
bonica dell’aria; precipitano l’allumina dai suoi sali. Nei sali 
si comportano da monoacide, come la maggior parte delle amino- 
piridine. 

Sono basi meno energiche delle ac-tetraidronaftilamine e 
dalla A*-tetraidroanilina e anche nel comportamento generale 
si allontanano molto da questi composti aliciclici per avvicinarsi 
in modo sorprendente a corpi alifatici non saturi struttural- 
mente somiglianti. Ciò è dovuto certamente alla presenza di 


(1) Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XLIII. 


892 GALEAZZO PICCININI 


un gruppo (CO), che manca nelle dette basi alicicliche e in 
parte anche al fatto che in questi composti l’amino-gruppo è 
unito ad un atomo di carbonio terziario e leggermente elettro- 
negativo per la vicinanza del carbonile e del doppio legame. 

E nemmeno paragonabili con le mie basi sono le ar-tetrai- 
dronaftilamine, perchè, se in queste l’ NH, è attaccato ad un 
atomo di carbonio terziario, esso si trova però in un nucleo 
non idrogenato ; d’altra parte nella letteratura non ho trovato 
cenno nè della A'-tetraidroanilina nè degli ortoamino-chetoderivati 
dell’idrobenzene i quali ultimi composti certamente dovranno 
avere insieme con l’analogia di costituzione anche una forte 
rassomiglianza di comportamento con le orto-amino-cheto-idropi- 
ridine. Questi composti cercherò di preparare in seguito, perchè 
m’interessano per gli studii che ho in corso sulla mobilità del 
gruppo aminico nei composti ciclici. 

Le peculiari proprietà delle mie basi, e in particolar modo 
la facilità con cui reagiscono con acido nitroso e la mobilità 
che ha in esse il gruppo NH, verso gli agenti idrolizzanti, sono 
dovute certamente alla presenza del gruppo 


R NH; 


| 
QI 
| 
at 
| 

Q 

© 

| 


in un nucleo idrogenato. 

Proprietà del tutto uguali possiedono alcune serie di com- 
posti a catena aperta, contenenti un doppio legame e struttu- 
ralmente analoghi, quali i 8-amino-derivati delle amidi (A), dei 
nitrili (B) o degli eteri (0): 


R—_C= CH—C0.NH, k—-C=CH—CN 
I, i (A) o) (B) 
R—C=CH—-C0,R 
NH, (€) 


cosicchè l’analogia, che fu dimostrata dal Baeyer e dal Bam- 
berger nelle serie idroaromatiche fra i composti ciclici parzial- 
mente idrogenati e gli alifatici non saturi, riceve in questi casì 


pere 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 893 


in modo sicuro e mediante reazioni eleganti una brillante con- 
ferma anche per la serie idropiridinica. 

Mentre le ac-tetraidronaftilamine e la A°tetraidroanilina danno 
con l'acido nitroso dei sali (non molto stabili, come hanno osser- 
vato Noyes e Ballard (1)) paragonabili ai nitriti di aleune amine 
di tipo : 


ti )OH — NH; 


che sono instabili in soluzioni concentrate a temperature poco 
superiori all’ordinaria, più stabili in soluzioni molto diluite (2), 
i miei f-amino composti in soluzione, contenenti anche solo 1 °/y 
di acido solforico e 0.2 — 0.3 °/, di sostanza, si scompongono 
quantitativamente già a freddo in pochi minuti con acido ni- 
troso, dando azoto e 8-ossi-composti corrispondenti. 

Una notevole influenza sul modo di comportarsi dell’amino- 
gruppo verso l’acido nitroso la esercita certamente anche il 
nucleo piridinico per sè, perchè per molte aminopiridine è diffi- 
cile limitare l’azione dell’acido nitroso e preparare i diazocom- 
posti. Tuttavia Marckwald ha stabilito che le a- e Y-aminopiridine 
svolgono azoto e si trasformano in ossipiridine solamente facendo 
agire l’acido nitroso sulla soluzione delle basi in acidi concen- 
tratissimi, mentre in soluzioni diluite non avviene la diazota- 
zione: d’altra parte lo stesso A. osservò che le f-aminopiridine 
si diazotano regolarmente, e il Pollak più tardi ottenne la scom- 
posizione della 8-aminopiridina in 8-ossipiridina solo scaldando 
quella base a 100° con acido nitroso. 

Ora nei miei composti il gruppo aminico, pure essendo situato 
in 8, è instabilissimo in presenza di acido nitroso, come in genere 
è per le amine alifatiche. 


Ma più curiosa e interessante è la mobilità dell’ NH, in 
queste aminochetoidropiridine in presenza di agenti idratanti. 
Mi basti accennare per ora (in seguito darò maggiori par- 
ticolari su questo argomento, che sto studiando) che le due basi 
in soluzione acquosa svolgono ammoniaca già a temperatura 


(1) B. 27, pag. 1449. 
(2) Am. Ch. J., 15, pag. 539. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 61 


994 GALEAZZO PICCININI 


ordinaria, scambiando l’aminogruppo con un ossidrile. E la mede- 
sima trasformazione subiscono i loro cloroplatinati per semplice 
ricristallizzazione dell’acqua bollente leggermente acida per acido 
cloridrico. ; 

Questa reazione, nelle condizioni in cui si effettua, non è 
paragonabile con la trasformazione, osservata da Collie e Lap- 
worth (1), della B-aminodiossi-a-picolina in triossipicolina, tanto 
più che la cosidetta 8-aminodiossia-picolina, anche secondo gli AAÀ., 
funziona in tutto come un acido di-aminico di costituzione : 


HiN-C=CH— C0— CH — C00H 


| | 
CH, NH,. 


Se si pensa poi che il B-aminopseudolutidostirile di Collie e 
Tickle, a quanto asseriscono gli AA., non subisce la trasforma- 
zione che ho accennato per le ortoamino-chetotrimetil-idropiri- 
dine, paragonandone le formule di costituzione : 


C . CH C. CH; 
) N 
HC C.NH; H.C C.NH, 
(ZO CHa to 
CH3.C CO 0 00 
SÈ CHs a 
NH NH 


sì è condotti naturalmente ad ammettere, che il comportamento 
speciale delle due basi, da me preparate, sia dovuto all’essere 
idrogenato il nucleo. 

In condizioni analoghe, invece, i B-aminoderivati delle amidi (A), 
niîtrili (B), eteri (C) (citati a pag. 5) s’idrolizzano, cedono am- 
moniaca, trasformandosi in amidi-, nitrili-, eteri-Rchetonici. 

L'’analogia completa fra le mie basi e questi composti non 
saturi alifatici dimostra che nei composti ciclici idrogenati i sin- 
goli gruppi, che fanno parte del nucleo, conservano una funzio- 
nalità molto simile a quella che avrebbero, se essi fossero con- 
tenuti in composti a catena aperta strutturalmente analoghi. 


i (1) Loco citato. 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 895 


; 


Preparazione 
della o-amino-chetoa'a'y-trimetil-idropiridina. 


Le varie esperienze fatte allo scopo di ottenere questa base, 
usando soluzioni variamente concentrate di ipobromito, mi por- 
tano a concludere che il metodo, che dà maggior rendimento, 
è il seguente: Gr. 21 dell’amide dell’acido Y-a'a'trimetil-a-piperi- 
deonB-carbonico in polvere finissima sono sciolti in circa 200 cm 
di acqua; al liquido si aggiunge a poco a poco la soluzione di 
ipobromito, preparata al momento dell’esperienza sciogliendo 
gr. 18,7 di Br. in 250 cm? di potassa caustica al 10 °/, man- 
tenuta ben fredda. 

L’ipobromito agisce subito e la soluzione si scolora rapida- 
mente con svolgimento di calore: il bromo è tutto assorbito 
in pochi minuti. Prove fatte per separare la bromoamide con 
acido acetico, hanno dato resultato negativo; questa deve essere 
molto solubile nell'acqua; come non interessava a me separare 
questo composto, non me ne sono occupato particolarmente. 

La soluzione, scaldandosi da sè, da incolora diviene a poco 
a poco di un bel color rosso chiaro. Si scalda a b. m. bollente 
per 10-15 minuti oppure !/, d'ora in corrente di vapore. Nel 
distillato, in tal caso, passa una piccola quantità di ammoniaca. 

La soluzione ben raffreddata con acqua e ghiaccio si estrae 
indi dibattendo 12-15 volte con doppio volume di etere. L’etere 
asciugato con solfato di sodio anidro e distillato lascia in com- 
plesso un residuo cristallino che, così greggio, pesa gr. 11-12 
e fonde già verso 126°. 

Per cristallizzazione dai benzene bollente si ha una sostanza 
ben pura e fondente a 130°-131°. Il rendimento è di 9,5 gr. di 
questa base purissima. Nel benzene rimane una sostanza oleosa 
di cui forse avrò occasione di rioccuparmi. 


Ortoamino-cheto-a'a'x-trimetil-idropiridina C3H4Ns0 (B-amino- 
trimetilpiperideone) : 


896 GALEAZZO PICCININI 


È in cristalli prismatici friabili, leggermente fluorescenti 
in azzurro. 
Fonde costantemente a 130°-1831°, se scaldata regolarmente. 
A 100° non subisce alterazione, si mantiene bianchissima 
e non perde di peso. 
All’analisi la sostanza secca a 100° diede : 
I. Gr.0;1228 = cm3. 19:7.:N.af16%e 73/00, 
II. Gr. 0,1247 = gr. 0,2856 CO, e gr. 0,1018. H0, 
di cui 


CY 62.46 
Hg gi 
N US 


per il f-aminotrimetilpiperideone CgH,jNs0 si calcola 


C 0 62.38 
H, 9.09 
N° 51211818 


Molto solubile negli ordinari solventi: può cristallizzare 
bene dall'acqua: si scioglie poco in etere, pochissimo in etere 
di petrolio e nelle soluzioni alcaline concentrate. 

In soluzione acquosa ha forte reazione alcalina: gr. 0,1912 
di base richiesero gr. 0,0401 di HCl per la neutralizzazione 
(indicatore metilarancio). La titolazione deve essere fatta con 
cautela perchè il passaggio al color roseo è un po’ graduale. 


trovato HCl %/o 20.96 


per CgH,jN30 + HCI si richiederebbe HCI °/ 23.6; cosicchè il 
liquido è acido all’indicatore quando solo 88,7 °/, dell’acido clo- 
ridrico calcolato è rimasto combinato con la base. 

Indirettamente con questo metodo si avrà la misura del 
grado di idrolisi dei sali, giacchè le determinazioni di conduci- 
bilità elettrica non mi furono possibili in causa della alterabilità 
della sostanza. 

Non è volatile con vapor d’acqua. 

Si altera facilmente all’aria specialmente sotto l'influenza 
della luce ; in essiccatori di vetro rosso si conserva bene anche 
per dei mesi. 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 897 


In soluzione acquosa precipita l’allumina dai suoi sali; non 
sposta invece la magnesia ; con i sali di nickel dà una colora- 
zione azzurro-verde dovuta forse alla formazione di qualche 
complesso solubile. 

Nelle soluzioni concentrate di cloruro mercurico forma un 
precipitato bianco, che non fu esaminato. Con i sali di rame 
anche diluitissimi dà un’intensa colorazione azzurra, come in 
genere fanno gli amino-acidi della serie grassa. 

Il cloruro ferrico colora in rosso-ranciato, poi in rosso-sangue 
intenso le soluzioni della base ; lasciando a sè 2-3 giorni e aci- 
dulando con acido cloridrico si manifesta una bella colorazione 
azzurra o azzurro-verde, dovuta al B-ossi-composto, che si è for- 
mato in questo tempo. 

Con reattivi ossidanti, quali bicromato e HsS0, concentrati, 
o acido nitrico e solforico, o ferricianuro di potassio non dà 
colorazioni. 

In soluzione di alcali caustici si colora leggermente in roseo. 

Riduce a caldo subito il reattivo di Fehling, a freddo nem- 
meno dopo 2-3 giorni; riduce il nitrato d’argento ammoniacale 
(e anche in soluzione neutra) a freddo un po’ lentamente, rapida- 
mente già a 30°-40°, formando un bello specchio, come le aldeidi ; 
riduce in soluzione cloridrica l’acido cromico, dando un liquido 
colorato in violetto. 

La soluzione cloridrica, preparata di recente, precipita con 
la maggior parte dei reattivi degli alcaloidi; a freddo l’acido 
fosfomolibdico e fosfotungstico sono ridotti subito ; alcaliniz- 
zando con ammoniaca le soluzioni, nelle quali sono precipitati 
i relativi sali, si ha intensa colorazione azzurra. 

La soluzione acquosa con poche goccie di acido cloridrico, 
1-2 goccie di fenolo, poi ipoclorito di calcio dà un intorbida- 
mento e colorazione rossa; alcalinizzando con ammoniaca si 
ottiene una colorazione verde-azzurra non molto intensa. (Rea- 
zione dell’indofenolo). 

Non si colora con ipoclorito di calcio. 


Cloroplatinato (C$H,,N30),. HsPtCl,. — Si precipita la solu- 
zione della base in HC] (quantità corrispondente a 2: mol. per 
1 mol. di base) con eccesso di acido cloroplatinico (sol. al 10 9/y), 
si filtra e si lava varie volte con acqua sul filtro. Il sale deve 


898 GALEAZZO PICCININI 


essere raccolto dopo poco tempo che fu precipitato, altrimenti 
si corre rischio di avere una mescolanza di cloroplatinato della 
base e di ammonio. 

Secco all’aria fonde scomponendosi a 235°. Al microscopio 
sì presenta in prismi irregolari. 

Non può essere cristallizzato senza decomposizione. Il sale 
secco all’aria e a 100° diede all’analisi : 

Gr. 0,3144= gr. 0,0858 di Pt 


trovato calcolato per (CsH,,Ns0)HaPtC]; 
Poor 21.29 DICA 


Se si cristallizza dall'acqua bollente, acidulata con acido 
cloridrico, per raffreddamento si ottiene un sale in bellissimi 
ottaedri, che non fonde più sotto 300° e che l’analisi dimostrò 
essere cloroplatinato di ammonio ; infatti : 

Gr. 0,214 diedero gr. 0,0936 di Pt 


trovato calcolato per (NH,)3PtC}; 
sa “CS —-, rr _—_rt__ue_ 
Pio, TOS 43.92 


Evaporando a secco la soluzione, da cui fu separato il cloro- 
platinato di ammonio, e riprendendo il residuo con alcool asso- 
luto, in questo si scioglie una sostanza fond. a 138°-140° circa, 
che si colora intensamente in azzurro ed altro non è che il 
B-ossicomposto formatosi secondo la equazione : 


(CyH;,N30);HyPtC1; +2H,0 = 2CxH;3N0 + (NH); PtCl; 


Azione dell'acido nitroso sul B-amino-trimetilpiperideone. 


La decomposizione del 8-aminotrimetilpiperideone fu fatta in 
un piccolo apparecchio, pieno di anidride carbonica pura, e di- 
sposto in modo che il gas svolgentesi nella reazione si lavasse 
passando attraverso a una soluzione satura di solfato ferroso e 
ad una alcalina di permanganato potassico prima di raccogliersi 
nell’azotometro, montato come nell'analisi con il metodo Dumas. 

A gr. 0,1542 (1 mol.) di sostanza sciolta in 30 cm di acqua, 
si aggiunsero cm3 5 di H,SO, al 10 °/ circa e indi 5 cm? di 
soluzione di nitrito sodico al 2 °/, (quantità un po’ superiore 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 899 


della teorica). Appena il nitrito viene in contatto delle solu- 
zioni si ha un’effervescenza, come se si aggiungesse un acido 
a un carbonato, e dopo pochi minuti la reazione è terminata, 
come si può dedurre spostando tutto il gaz azoto con una cor- 
rente di anidride carbonica. I risultati ottenuti in due esperienze 
condotte nelle stesse condizioni sono : 
I. Gr. 0,1542 di base diedero em? 21.12 di gas azoto 
puro. a 0% e 760”, « 
II. Gr. 0,1542 di base diedero em? 22.98 di gas azoto 
puro a.0° e 760%, 
: Teoricamente se ne dovevano svolgere cm? 22.45. 
Tuttavia questo metodo non serve bene per la preparazione 
dell’ortoossichetoidropiridina che si genera secondo l'equazione: 


CsHuNs0 + HNOy — CsHigNO; = N, L H,0 


perchè dalle soluzioni acquose acide, neutre o leggermente alca- 
line questo composto non si estrae che difficilmente con etere; 
ed evaporando le soluzioni a b. m. si perde del composto che 
è volatile col vapor d’acqua. 


LI, 


Preparazione 
della o-aminochetoo'e'y-trimetil-n-metilidropiridina. 


Il B-amino-n-metil-trimetilpiperideone è un po’ più difficile a 
prepararsi e ottenersi puro, sia per causa della più facile decom- 
ponibilità sia per la sua gran solubilità nei comuni solventi. 
Ho dovuto far numerose prove, per avere in fine un discreto 
rendimento in prodotto puro. Alcuni AA. come Blumenfeld ed 
altri, consigliano di usare l’ipobromito di potassio in soluzione 
molto diluita, e in presenza di una quantità rilevante di potassa 
caustica; altri, infine, usano proporzioni di bromo molto mag- 
giori di quella che è prescritta secondo il metodo classico di 
Hofmann. Io ho provato a diluire le soluzioni di ipobromito e 
aggiungere un eccesso d’alcali, sia a mettere in reazione una 
quantità di Br. corrispondente a 2 mol. per 1 mol. di amide, 
ma i risultati sono sempre stati peggiori, che col metodo che 
ho seguìto più tardi e cioè il seguente: 


900) GALEAZZO PICCININI 


Gr. 15 di amide dell'acido n-metil-a'a'y-trimetila-piperideon 8- 
carbonico finamente polverizzata sono sospesi in circa 150 em? di 
acqua; a questo liquido si aggiunge in due porzioni una solu- 
zione fresca di ipobromito di potassio, fatta sciogliendo a freddo 
gr. 14 di Br. in 160 cm? di KOH al 10 9/,. L’amide si scioglie 
rapidamente e il liquido dopo pochi minuti è incoloro ; nello 
stesso tempo si ha forte svolgimento di calore: la temperatura 
s' innalzò, in un’esperienza, da + 12° a +4 35°. Si scalda poi 
a b. m. bollente per circa !/,j d'ora oppure 15-20 minuti in cor- 
rente di vapore; in tali condizioni passa nel distillato .ammo- 
niaca in piccole quantità, ma in modo continuo attestando una 
decomposizione, che avviene in seno al liquido, (forse trasfor- 
mazione del 8-amino-n-metiltrimetilpiperideone nel corrispondente 
B-ossicomposto). Anche scaldando per soli 10 minuti in corrente 
di vapore si ha una scomposizione di circa 10 °/, dell’amide pri- 
mitiva. 

Si raffredda con acqua e ghiaccio e si estrae il liquido alca- 
lino con il triplo volume di etere, avendo cura di ripetere 8-10 volte 
le estrazioni, farle nel minor tempo possibile e raccogliere a 
parte i residui che lasciano gli ultimi estratti eterei, perchè 
meno puri. 

L'etere deve essere rapidamente seccato con solfato di sodio 
anidro, non con potassa caustica, perchè questa altera la base, 
l'etere si fa torbido e si colora in roseo. 

Gli estratti eterei distillati a bassa temperatura svolgono 
sempre piccole quantità, percettibili, di ammoniaca ; infine quando 
sono già molto concentrati, lasciano deporre per raffreddamento 
tenue quantità di una sostanza cristallina, che deve essere se- 
parata; questa fonde verso 137°; non ho potuto ancora ben 
caratterizzarla, perchè si forma in piccolissima quantità. 

Si finisce di evaporare l’etere su acido solforico nel vuoto 
in essiccatore, dove sia presente anche qualche pezzetto di po- 
tassa caustica. 

In tal modo da gr. 15 di amide si hanno gr. 10-11 di pro- 
dotto cristallino greggio, da cui per pressione fra carta si estrae 
una porzione oleosa di cui riferirò in altra occasione. 

Il B-amino-trimetil-n metilpiperideone rimane ben cristallino e 
fondente a 55°-56°. Da gr. 10 di prodotto greggio se ne hanno 
così gr. 7-7.5 cioè circa il 50 °/, dell'’amide adoprata. 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED OKTOUSSI-CHETOIDKROPI&IDINE 901 


Sciogliendolo in poco etere ed evaporando, non completa- 
mente, sè acido solforico, sebbene con una certa difficoltà, si 
può averlo in cristalli prismatici incolori, che si lavano rapida- 
mente con poco etere, e sì asciugano sempre in essiccatore ad 
acido solforico. 

In questo modo si perde un po’ di sostanza, ma questa si 
ha abbastanza bella e ben pura; durante i successivi tratta- 
menti i residui eterei si colorano sempre più in giallo e riman- 
gono inquinati di sostanza oleosa. 


Ortoamino-cheto-a'a'trimetil-n-metil-idropiridina (8-amino-n- 
metil-a'a'ytrimetil-a-piperideone) CyH,g5N30: 


C.CH; 


7 
ù H;C C. NH, 
Bal do 
cHy x 
N.CHy 

Questa base è in cristalli prismatici duri, incolori o solo 
leggermente giallognoli, un po’ fluorescenti. Secca nel vuoto 
su H,S0,, fonde costantemente a 60°-61°. 

È anidra. Lasciata lungo tempo in essiccatore su potassa 
caustica si colora prima in giallo, poi in ranciato e si fa molle 
e un po’ pastosa. 

Questo avviene anche in essiccatori di vetro rosso. Si man- 
tiene meglio in essiccatori su acido solforico conc. e nel vuoto. 

All’aria assorbe l’umidità e diviene pastosa; allora comincia 
a svolgere ammoniaca e in breve tempo la base subisce una 
notevole scomposizione. 

Anche distillandola a pressione ordinaria sì scompone, svolge 
grandi quantità di ammoniaca e infine passa fra 257°-260° una 
miscela di basi a forte odore viroso, mentre nel palloncino ri- 
mane un forte residuo carbonoso. 

La base cristallizzata dall’etere e ben secca diede all'analisi : 

I. Gr. 0,111 = cm 10.4 di N a 15° e 732 nm, 
II. Gr. 0,1361 = gr. 0,1157 Hs0 e gr. 0,3215 CO,4 
da cui 
C. lo 64-42 
Hi 9.44 
Ng UAC. 


902 GALEAZZO PICCININI 


La determinazione del peso molecolare col metodo crioscopico 


(solvente benzene) diede : - 
Sostanza ... gr. 0,3446 
Benzene ‘°°... >, 19502 
P.F. solvente : 29,305 
PE‘ soluzione ' | 10.67 
A O Vi 
PIESSrOVALoO == Tian 


per il B-amino-trimetil-n-metil-piperideone CyH,;N30 si calcola: 


Co 64.19 
[i in 9.51 
NES 16.64 


Peso molecolare = 168. 


Solubilissima nei comuni solventi organici, tranne che in 
etere di petrolio; dalle soluzioni benzeniche con etere di pe- 
trolio ‘si ha oleosa oppure solida un po’ pastosa; questa miscela 
di solventi non conviene per la cristallizzazione. 

Si scioglie poco nelle soluzioni alcaline concentrate. 

Non è volatile con vapor d’acqua. 

Reagisce fortemente alcalina al tornasole. Precipita l’idrato 
d'alluminio dai suoi sali; precipita anche con soluzioni concen- 
trate di sali mercurici. 

I. Gr. 0,1018 di base richiesero gr. 0,0176 di HC1 per la 
neutralizzazione 

II. Gr. 0,3207 richiesero gr. 0,0559 di HCI, sempre usando 
il metilarancio. 


trovato HCI °/p 11742 Il 17.42 


mentre per CyH,gN30 + HCI si calcola HC1°/ 21.7; il liquido 
sì mostra acido quando si è aggiunto solo 80,2 °/, circa dell’a- 
cido calcolato. 

È base monoacida; non potei ottenere il cloridrato CyH,gN30 
+ HCI perchè la sostanza si scompone rapidamente in presenza 
dell’acido cloridrico. i 

In soluzione acquosa, o acida (anche per acido tartarico) 
sì scompone abbastanza rapidamente dando ammoniaca e il 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 903 


B-ossi-derivato; la reazione che è molto dimostrativa può di- 
venire anche un metodo di preparazione di questo f-ossi-de- 
rivato. 

Dà le medesime reazioni di riduzione, già accennate a 
pag. 10, per il composto non metilato all’ azoto, con nitrato 
d'argento ammoniacale, con il liquido di Fehling, con l’acido 
iodico (a freddo un po’ lentamente), con gli acidi fosfo-molibdico 
e -tungstico. Lo stesso sia detto, per quanto concerne le reazioni 
con cloruro ferrico, solfato di rame diluitissimo, e la reazione 
dell’indofenolo. 

Anche con l’acido nitroso si comporta analogamente alla 
base non metilata all’azoto: da gr. 0,149 di base in 40 cm? di 
acqua, aggiungendo em? 5 di acido solforico al 10%, e 2 cm? di 
soluzione (al 10 °/) di nitrito sodico ebbi cm? 19.3 di gas azoto 
puro, corretto a 0° e 760%", La quantità teorica era cm? 19.7. 
La reazione dunque avviene, si può dire, quantitativamente, 
anche in liquidi molto diluiti. Questo metodo non è molto con- 
veniente per la preparazione del 8-0ssi-trimetil-n-metilpiperideone 
per le ragioni accennate a pag. 12. 


Cloroplatinato (CoH,;N30)s.HsPtC]l; + Hs0. — È il sale che 
si ha precipitando con cloruro di platino (sol. al 10 °/%) la so- 
luzione lievemente acida della base pura. Si lava varie volte 
con acqua e si asciuga all’aria. Fonde scomponendosi a 196°-197°. 
All’analisi diede : 


I. Gr. 0,1479 diedero cm? 9.2 di N a 13° e 751””. 

II. Gr. 0,2559 persero a 100° gr. 0,0062 e lasciarono 
gr. 0,0645 di Pt. 

II. Gr. 0,249 persero a 100° gr. 0,0053 e lasciarono 
gr. 0,0639 di Pt. 

IV. Gr. 0,2106 diedero gr. 0,235 di AgCl= gr. 0,0582 
di CI. 


trovato 


calcolato per (C,HigN:0)}HaPtCh+H30 
È — 


pe, ° 


H30 9%, 2.42; 2.12 2.35 
Pt‘, ‘25.2; 25.66 95.5 
BE” 27.63 27.88 


904 GALEAZZO PICCININI 


Dalle soluzioni, da cui fu separato il sale, per lunga dimora 
e concentrazione si depositano poco a poco dei bellissimi ottaedri 
di cloroplatinato di ammonio. E lo stesso sale si ottiene se si tenta 
di ricristallizzare il cloroplatinato della base dall'acqua bollente 
acida per HCl. Il cloroplatinato ottenuto per ricristallizzazione 
diede : 
Gr. 0,1336 = gr. 0,0588 di Pt. 


da cui 
Pt) 44.01 


mentre per (NH,),PtCl; si calcola 
Pt.°/,) 43.89 


Nel liquido acido rimane sciolto il B-ossi-trimetil-n-metil- 
piperideone. 


riassumendo risulta che anche nella serie idropiridinica la 
reazione di Hofmann può essere messa in pratica con buon ri- 
sultato per la preparazione degli amino-composti e nei casi da 
me studiati non ebbi a notare che si formassero amino-com- 
posti bromurati nel nucleo. Confrontando questi amino-piperideoni 
con acidi e basi ossidropiridiniche della stessa serie, si vede 
che i gruppi uniti al carbonio terziario in B sono dotati di una 
grande mobilità. 

Infatti in un lavoro precedente (1) ho osservato che nell’acido 


C.CH3 
DS 
HiC  C.CO0H 


e nel suo n-metil-derivato, il carbossile si stacca con grande 
facilità dal nucleo (già ad es.: per semplice evaporazione delle 
soluzioni dei sali alcalini a b. m. bollente), mentre in genere 
gli acidi ossi- e diossi-piridin-B-carbonici si scompongono solo a 
temperature più elevate e in presenza di acidi concentrati. 


(1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XLII. 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 905 


Queste orto-aminochetoidropiridine funzionano in tutto come 
basi non sature a catena aperta e danno anche le reazioni 
degli amino-acidi della serie alifatica, come la riduzione dei 
sali mercurosi, la colorazione con cloruro ferrico e con solfato 
di rame anche diluitissimo. 

D'altra parte si assomigliano anche agli aminofenoli; con 
questi hanno in comune. ad es., la reazione dell’ indofenolo. 

Notevole è infine il forte potere riducente di queste due 
basi, dovuto probabilmente a piccole quantità dei R-ossicomposti 
che si generano nelle condizioni di reazione. 

Degna di nota è la relazione che esiste fra i punti di fu- 
sione delle cheto-idropiridine I e II e delle orto-amino-cheto- 
idropiridine III e IV 


C.CH, C.CH; 
Lei I Ò 
Hd CH HC NH, 
CH, | Î 7. VAR VIBO 
sh co pri co 
CH; CH; EE 
NH p.f. 120°-121° NÉ p.f. 130°-131° 
I 11) 
C.CHy diff. 70°-71° C.CH, diff. 70° 
Z N / 
H.C cu HC CNH, 
CH, | CH. | | 
"e CO 20 co 
CHy /\\ 7 CHys7 N 
N.CHz  p. f. 50° NCH, pf. 60°-61 
II IV 


e cioè: 1° i composti n-metilati all’azoto fondono 70 gradi più 
basso; 2° i composti contenenti l’amido-gruppo in 8- fondono 
10-11 gradi più alto delle corrispondenti cheto-idropiridine. Sarà 
interessante stabilire se questa relazione sussiste anche per altri 
composti analoghi. 


906 GALEAZZO PICCININI 


A proposito delle proprietà di due ortoaminochetoidropiri” 
dine ho accennato che queste basi a temperatura ordinaria in 
presenza di acqua o, meglio ancora, di soluzioni diluite di acido 
cloridrico si trasformano molto facilmente nei corrispondenti 
ortoossicheto-composti. La reazione curiosissima e molto interes- 
sante, che, per la ortoaminocheto-o'a'v-trimetil-idropiridina Dop 
essere rappresentata dall’equazione: 


C.. CH, C.CH; 
AN ASS 
di C. NH NÙ Hsl C.0H osa: 
CH, | + Ha0 = Ha i | 3 
Ne co Ne 0 
CHg XX CHafrta ia 
NH 


mi ha permesso di preparare la orto-ossicheto-trimetil-idropiridina 
e il suo n-metilderivato in modo elegante e molto dimostrativo. 

Questa importante reazione, che ha qualche punto di ana- 
logia con la trasformazione delle nitroaniline o del trinitro- 
amidobenzene in nitrofenoli e in acido picrico, sarà sperimentata 
su altri corpi per stabilire se è generale per le ortoamino- 
chetoidropiridine e se può estendersi a composti analoghi nelle 
serie idrogenate del benzene, perchè date le innumerevoli ap- 
plicazioni degli aminocomposti, è molto importante fissare sin 
dove può arrivare la mobilità dell’amino-gruppo dipendentemente 
dai gruppi presenti nella molecola. 

Pur riservandomi di dare in seguito più ampie notizie, 
credo poter dire già sin d'ora che la trasformazione avvenga 
per un semplice fenomeno d’ idrolisi senza rottura del nucleo. 
Resta a stabilire se la reazione è reversibile, come è facile ipo- 
tetizzare a priori e come farebbero indurre le esperienze di 
Merz sulla preparazione delle amine aromatiche dai fenoli, e, 
nel caso, in quali condizioni, utilizzando la reazione inversa, si 
potranno preparare gli amino- dai corrispondenti ossi-composti. 

Noto di passaggio, che queste ortoossichetoidropiridine da 
me preparate sono i primi composti di-ossigenati della serie 
tetraidropiridinica contenenti il doppie legame in f-Y, e che di 
composti simili, nelle serie di-idropiridinica, è nota solamente la 
trimetilcheto-ossi-di-idropiridina CsH,;NOs, di Conrad e Gast (1) 


(1) (32 pa st 1342: 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 907 


la quale differisce dalla mia ortoossicheto-a'a'r-trimetil-idropiri- 
dina, oltre che per contenere due atomi di idrogeno in meno, 
anche per la diversa disposizione dei gruppi. 

Per la preparazione delle suddette ortoossichetoidropiridine 
si può operare in due modi: 1° La ortoaminochetoidropiridina è 
sciolta in pochissima acqua e la soluzione è lasciata a sè sotto 
una campana in presenza di un becher contenente acido solfo- 
rico titolato; subito principia a svolgersi l’ammoniaca e dopo 
5-4 giorni nel liquido limpido si formano dei bellissimi cristalli 
che aumentano via via. La reazione dapprima piuttosto ve- 
loce, diminuisce di velocità coll’andar del tempo; ma dopo 
20-25 giorni, se la soluzione è molto concentrata, è pratica- 
mente finita. Si raccoglie la sostanza, e si ha già quasi pura, se 
si parte dalla base aminica pura; si può ricristallizzare con le 
avvertenze che saranno accennate caso per caso. a 

2° Si scioglie la base in acido cloridrico 2 volte normale 

in modo che per 1 mol. di base sieno presenti 2 mol. di acido 
e si lascia a sè per circa 4-5 giorni alla temperatura di 25°. 

La ortoossichetoidropiridina cristallizza così benissimo in 
seno al liquido e si può separare per filtrazione. Con i due 
metodi si ottiene un buon rendimento di prodotto. 


Orto-ossi-cheto-a'a'1-trimetilidropiridina (8-ossitrimetil a-pipe- 
rideone) CyH,3N0, 


Si ottiene facilmente coi due metodi descritti con un ren- 
dimento del 90-95 °/ del teorico. Si può avere più rapidamente 
svaporando a b. m. bollente le soluzioni cloridriche della orto- 
amino-chetotrimetil-idropiridina, allora se ne perde una certa 
quantità nell’evaporazione, perchè questa sostanza è volatile con 
vapor d’acqua. | 

Ricristallizzato dall'acqua bollente è in belle fogliette splen- 
denti che fondono costantemente a 143°. E anidro; a 100° non 
sì scompone e non perde di peso. 


908 GALEAZZO PICCININI 


All’analisi la sostanza secca a 100° diede: 


I Gr; ‘0,114 /=0m* 9.2 di Na 19° ot72298 
II. Gr. 0,1996 = gr.0,1515 di H;0 e gr. 0,451 di (CO, 


trovato calcolato per CgHigNO; 
n [" ne tomi—_der 
(o 61.62 61.87 
ii 8.98 8.46 
No 9.09 9.04 


Non è molto solubile in acqua a freddo, molto più a caldo; 
in benzene e alcool è solubilissimo a caldo, in acetone anche a 
freddo. Poco solubile in etere sia a freddo che a caldo. 

La soluzione acquosa ha reazione neutra. 

Non forma sali con gli acidi minerali energici nelle condi- 
zioni ordinarie, e anche dalle soluzioni in acido cloridrico con- 
centrato caldo per raffreddamento si depone inalterato. 

La: soluzione acquosa, satura a freddo, non si colora col 
reattivo di Millon; con soluzione di solfato di rame si colora 
in verde giallo; con acqua di bromo non dà precipitato, ma 
scolora il reattivo; non precipita con acetato di piombo. 

Con cloruro ferrico si colora in bleu intenso, e la colora- 
zione si mantiene anche in presenza di molto acido cloridrico, 
purchè sia diluito; con poco acido cloridrico concentrato passa 
al verde oliva e al giallo; diluendo riappare la colorazione 
azzurra. La reazione è così sensibile, che può essere data anche 
da frazioni di milligrammo della sostanza sciolta in 2-3 em? 
di acqua. 

La sostanza scaldata con potassa caustica concentrata, 
in presenza di cloroformio, dà colorazione ranciata, poi rossa. 

Più interessante è il potere riduttore di questo composto: 
riduce già a freddo il nitrato d’argento: ammoniacale, e a caldo 
rapidamente il reattivo di Fehling; riduce l'acido iodico piut- 
tosto lentamente a freddo, rapidamente invece l’acido fosfomo- 
libdico e fosfotungstico. 

Precipita con alcuni dei più sensibili reattivi degli alca- 
loidi, quali appunto i due acidi predetti. e il ioduro di po- 
tassio ‘iodurato; non dà precipitato con acido cloroplatinico e 
picrico. 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 909 


Ortoossicheto-a'a'x-trimetil-n metil-idropiridina (B-ossi-trimetil- 
nmetilpiperideone) CoH,5N0, 


C.CHz 


CHa ‘| | & 
ve co 
Sato af 
N.CH3 


Si prepara come ho accennato precedentemente dalla orto- 
aminocheto-a'a'r-trimetil-n-metilidropiridina. Il rendimento è buono 
e il prodotto che si ottiene con i due metodi è già quasi puro. 

Anche in presenza di acidi organici non molto forti, quali 
il tartarico, la ortoaminochetotrimetil-n-metilidropiridina subisce 
la stessa idrolisi e trasformazione in ortoossi-derivato. In una 
delle molte prove fatte per purificare la base aminica tentai di 
prepararne il tartrato sciogliendo la base in poca acqua e ag- 
giungendovi una soluzione concentrata di acido tartarico im modo 
che per 1 mol. di base fosse presente 1 mo). di acido. Evapo- 
rando nel vuoto su acido solforico dopo 2 giorni ottenni un sale 
acido, che ricristallizzato varie volte dall'acqua, aveva tutti i 
caratteri del tartrato acido di ammonio ; era anidro non fondeva 
ma si scomponeva a 245°-250° e all'analisi diede: 

Gr. 0;1704 = cm8 12.7 di N a 18° e 734 "" da cui: 
No 8.33 
mentre per il tartrato acido di ammonio si calcola N % 8.98. 

Il liquido da cui fu separato questo sale, neutralizzato 
con carbonato di sodio e dibattuto con etere, cedè a questo 
l’ortoossichetoidropiridina f. a 95°. 

Ricristallizzata dall’alevol molto diluito è in aghetti inco- 
lori bellissimi che fondono a 95° in un liquido incoloro. È 
anidra. 

All’analisi il composto ben secco nel vuoto su acido solfo- 
rico diede: 

I: tGg00;1205 = cm' 8,7 diLNearel5.5 e 74092 
Il. Gr. 0,1298 = gr. 0,303 di CO, e gr. 0,1058 H,0 
da cui: 
Co 63.67 
Pos 9.00 
Ni% 8.23 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 62 


910 : GALEAZZO PICCININI 


La determinazione del peso molecolare col metodo criosco- 
pico (solvente benzene) diede: 


p P G A Peso molecolare 
trovato 
Gr. 0,1393 gr. 20.98 0,665 0°225 147.5 
os 02259 î 1,076 00345 155.2 
» 0,3498 È 1,667 0°505 165.1 
» 0,3989 $ 1,901 0°565 168.2 


mentre per il B-ossi-trimetil-n-metilpiperideone CyH,5N03 si calcola: 


C/o 63.90 
pei 8.87 
Ir, 8.28 


Peso molecolare = 169 


Solubile in alcool assoluto, benzene, acetone, poco solubile 
in etere e meno ancora in acqua. 

La soluzione acquosa ha reazione neutra. 

Si scioglie bene in acqua in presenza di alcali o di acidi 
forti. 

È volatile col vapor d'acqua. 

Con poco cloruro ferrico la soluzione si colora in violaceo, 
con eccesso di reattivo la colorazione passa all’azzurro-bleu in- 
tenso; aggiungendo acido cloridrico concentrato a poco a poco 
si ha una serie di colori cominciando dal verde azzurro, verde 
smeraldo, per arrivare al verde oliva; pochi milligrammi di 
sostanza necessitano una considerevole quantità di HC1 conc. 
perchè si abbia questo passaggio. 

Se si diluisce con circa doppio volume di acqua la solu- 
zione verde oliva, ricompare la colorazione azzurra intensa. È 
una reazione molto bella che si ottiene anche con frazioni di 
milligrammo di sostanza. 

Notevole è il potere riducente di questo B-ossi-composto. 
Riduce a freddo il nitrato d’argento ammoniacale con forma- 
zione di specchio metallico : a caldo il reattivo di Fehling. A 
freddo rapidamente riduce l’acido fosfomolibdico e fosfotung- 
stico : le soluzioni cloridriche del R-ossi-composto con questi 
reattivi danno abbondanti precipitati, alcalinizzando con ammo- 


SU ALCUNE ORTOAMINO- ED ORTOOSSI-CHETOIDROPIRIDINE 911 


niaca si ha subito colorazione bleu intensa nel 1° caso e azzurra 
più chiara nel secondo. 
Riduce a freddo, ma piuttosto lentamente, l’acido iodico. 
Scolora l’acqua di bromo, ma non precipita con questa. 
Non si colora col reattivo Millon per i fenoli, scaldata 
con potassa caustica concentrata e indi aggiungendo cloro- 
formio dà una colorazione ranciata poi rossa, ma piuttosto 
fugace. 


Riassumendo: le due ortoossichetoidropiridine descritte sono 
sostanze a reazione neutra, che, pur rassomigliando per alcune 
reazioni ai fenoli biossidrilici, hanno un comportamento e una 
natura speciale e diversa dagli ordinarii fenoli, come lo di- 
mostra il fatto ch'esse nof danno molte delle reazioni generali 
dei fenoli. 

Paragonandole con le corrispondenti chetoidropiridine (A) 


e (B): 


C- CHa 0. CES 
\ N 
H;C., C.H H,C CH 
CHs. | Î CH | | 
Die CO v CO 
Odg 7 CHs NA 
NH NUHS 
(A) (B) 


riesce evidente quale variazione abbia portato nella natura dei 
composti l’entrata dell’ossidrile in 8. 

Le orto-ossichetoidropiridine sono forti riducenti, mentre le 
chetoidropiridine (A e B) non riducono affatto; le ortoossicheto- 
idropiridine non formano, nelle condizioni ordinarie, sali con 
gli acidi minerali energici, le chetoidropiridine suddette danno 
sali ben definiti; le prime sono volatili con vapor d'acqua, le 
seconde non lo sono affatto, come non lo sono neppure le orto- 
aminochetoidropiridine. Infine le orto-ossichetoidropiridine si co- 
lorano intensamente con cloruro ferrico, mentre le chetoidropi- 
ridine suddette non dànno alcuna colorazione con questo reattivo. 

Aumentando la quantità di ossigeno nella molecola s'’in- 
nalza anche qui, come in genere, il punto di fusione dei composti: 


CsH,gN0 p. È 120°-121° CsH,sN0 p. f. 50° 
C.H,,N0, |, 143° C,H,;N0, 950 


” 


912 GALEAZZO PICCININI — SU ALCUNE ORTOAMI!NO-, ECC. 


Degna di nota è la relazione che esiste fra i punti di fusione 
delle orto-ossichetoidropiridine e della B-cian-chetoidropiridine : 


Cank 0 .CH 
Fa 7 ON H3C Ù OH 
Ha CHx | 
bi: CO ì fi co 
CH, a CHs Pe 
NH NH 
f. a 194°-195° fa 148° 
C.CHz cr 
AT ‘E Eio ZAN ite y 
ton ti He don diff. 48 
CESSI CLS SARAI 
È G 10 DI: (910) 
CHs 4 » CH, NP 4 
NCH, N.CH, 
450 f. a 95° 


cioè: 1° i composti n. metilati all’azoto hanno un punto di fu- 
sione più basso di circa 50°; 2° analogamente i composti $-0s- 
sidrilati hanno un punto di fusione di circa 50° più basso dei 
corrispondenti B-ciancomposti, dai quali per successive trasfor- 
mazioni essi furono ottenuti. Resta a vedere se questa relazione 
è più che casuale. 


Laboratorio di Chimica Farmaceutica e Tossicologica 
della R. Università di Torino. Maggio 1908. 


LUIGI COGNETTI DE MARTIIS — LOMBRICHI DI COSTA RICA, ECC. 913 


Lombrichi di Costa Rica e del Venezuela. 


Nota del Dr. LUIGI COGNETTI DE MARTIIS. 


(Con una Tavola). 


Ho riunito in questa nota i risultati dello studio di due 
collezioni appartenenti al R. Museo Zoologico di Torino. La 
prima proviene da Costa Rica: è dovuta alle diligenti ricerche 
del compianto Prof. P. BroLLey, del Prof. A. Arraro e del 
Prof. I. F. TrisrÀN, benemeriti del detto Museo pei ripetuti doni 
di materiale zoologico costarricense; la seconda, venduta al 
Museo dal sig. Rosenberg di Londra, proviene da Escorial, loca- 
lità del Venezuela a 3000 m. s. m. Entrambe le collezioni sono 
conservate in alcool. 

Le specie di Venezuela appartengono al ricco genere Rhino- 
drilus da me riordinato recentemente in una monografia cui 
toccò l’onore d’essere inserita nelle Memorie di cotesta R. Acca- 
demia delle Scienze (1). Sono in tutto due, ma entrambe nuove; 
una è tipo d’un nuovo genere. Le specie di Costa Rica, più 
numerose, non sono nuove. 


Fam. Megascolecidae. 
Subfam. Megascolecinae. 


Pheretima heterochaeta Michlsn. 
1907. Ph. heteroch., CoeneTTI, in: Atti R. Acc. Sci. Torino, 
vol. 42, pag. 2. 
1907. Ph. heteroch., MrcnaeLsen, in: Fauna Siidwest-Australiens, 
vol. I, pag. 226, ubi syn. 
Loc.: Costa Rica, Santa Maria de Dota (1600 m. s. m.), coll. 
Prof. J. F. Tristàn, I, 1906. 


Questa specie peregrina già altre volte venne raccolta in 
Costa Rica. come ebbi occasione di ricordare nelle mie note sulla 


(1) Gli Oligocheti della regione neotropicale, ser. 2*, tom. 56. 


914 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


drilofauna di quell’interessante regione (2, pag. 2; 8, pag. 2; 
5, pag. 34; 8, pag. 4), e cioè nelle seguenti località: Chemin 
de Carrillo (600-1000 m.); La Palma (1600 m.); Cachì (1000 m.); 
San Josè (1160 m.); Rancho Redondo (2000 m.); Pianure di 
Santa Clara, presso il fiume Reventazòn; Turrùcares ; Tablazo 
(1850 m.); Tejar de Cartago (1400 m.). 


Subfam. Trigastrinae. 


Dichogaster hilaris Cogn. 
1904. D. h., CosnertI, in: Boll. Musei Torino, vol. 19, n. 462, p. 2. 
1907. D. h., CoeneTTI, in: Atti R. Acc. Sci. Torino, vol, 42, p. 7. 


Loe.: Costa Rica, Llano Grande, 2100 m. s. m., coll. Prof. 
A. Alfaro, VIII, 1906. 


Quattro esemplari adulti. 
Di questa specie sono già noti due esemplari, raccolti pure 


in Costa Rica, l'uno a Rancho Redondo (1700 m.), l’altro a 
Tablazo (1850 m.). 


Dichogaster sporadonephra Cogn. 


1905. D.s., CoGNETTI, in: Boll. Musei Torino, vol. 20, n. 495, p. 2. 
1905. D. s., CoexerTI, in: Mem. R. Acc. Sci. Torino, ser. 22, 
vol. 56, p. 43, 


Loc.: Costa Rica, Turrialba, coll. Prof. I. F. Tristàn, IV, 1908. 
Un esemplare adulto. 


Di questa specie erano finora noti soltanto i tipi, prove- 
nienti dal Darien: i caratteri del nuovo esemplare esaminato 
s'accordano assai bene con la mia descrizione (5, p. 43, e tav. 
figg. 20-27). 


Dichogaster sp. 


Quattro esemplari giovani. 


Loc.: Costa Rica, Llano Grande, 2100 m. s. m., coll. Prof. 
A. Alfaro. 


LOMBRICHI DI COSTA RICA E DEL VENEZUELA 915 


Fam. Glossoscolecidae. 
Subfam. Glossoscolecinae. 
Pontoscolex corethrurus (Fr. Miill.). 


1900. P. c., MicHaeLsen, Oligochaeta, in: Das Tierreich, Lief. 10, 
p. 425, ubi syn. 


Alcuni esemplari, in parte adulti. 


Loc.: Costa Rica, Esparta (Pacif.), 50 m. s. m., “ bord d’un 
ruisseau sous les pierres ,, coll. P. BroLLey, II, 1907. 


Rhinodrilus (Rhinodrilus) venezuelanus n. sp. 
Otto esemplari adulti e sette giovani. 
° 


CARATTERI ESTERNI. — L’esemplare adulto più grosso misura 
540 mm. in lunghezza, ed ha uno spessore di 13 mm. davanti 
al clitello e di mm. 10 a metà del corpo; si compone di 212 seg- 
menti. L’esemplare adulto più piccolo è lungo 250 mm., spesso 
7 mm. al clitello, e mm. 5,5 a metà del corpo, e si compone 
di 151 segmenti. Alcuni esemplari sprovvisti di clitello misurano 
oltre 400 mm. in lunghezza, mm. 8-12 in spessore e constano 
di circa 200 segmenti. 

La forma del corpo è in complesso cilindrica, l'estremità 
cefalica conica, la caudale subtronca; dopo il clitello il dia- 
metro appare sensibilmente attenuato, soprattutto quello dorso- 
ventrale. 

Il colore è giallo-bruno, grigio-bruno sul dorso. 

Il prostomio è in quasi tutti gli esemplari protratto, e appare 
come una appendice digitiforme collegata alla parete interna 
dorsale del primo segmento (Tav. fig. 1) (1). Questo è breve, 
rudimentale, al pari del 2°; entrambi sono segnati da due solchi 
longitudinali, superiori alle linee laterali: i solchi nefroboccali 
di Rosa (18, pag. 116). In nessuna parte del corpo i segmenti 
sono ravvicinati. 


(1) Per le figure che illustrano questa specie mi valsi degli esemplari 
di minor mole. 


916 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


Le setole sono ovunque geminate, più le dorsali che le ven- 
trali. I primi tre o quattro segmenti ne sono privi; le dorsali 
compaiono a partire dal 10° segmento. Al 4°, 5° e 6° segmento 
le setole ventrali hanno una curiosa disposizione: sono cioè assai 
prossime al margine posteriore del segmento rispettivo, più le 
inferiori (a) delle superiori (6), e inoltre strettamente geminate. 
Anche ai segmenti 7° e 8° le setole ventrali sono ravvicinate 
al margine posteriore, ma in minor misura: di più rimangono 
allineate con quelle dei segmenti che precedono e che seguono 
le sole setole inferiori (a), trasformate in setole copulatrici; le 
setole superiori (0), pure trasformate in copulatrici, si spostano 
per mettersi in rapporto con le spermateche (v. sotto). Identico 
spostamento si ripete al 9° segmento, ove le setole inferiori (a) 
sono però equidistanti dai due margini (Tav. fig. 2). Dal 10° seg- 
mento in poi, eccezion fatta pel clitello (v. sotto), la disposi- 
zione delle setole si conserva pressochè invariata: aa = 4 ab, 
aa poco <bc; ab < 3 ed: dd poco <!/3 perimetro. 

Le setole normali, sia prima che dopo il clitello, sono legger- 
mente sigmoidi, e mostrano un nodulo più o meno distinto; sul 
tratto distale, che è più dritto e più acuminato del prossimale, 
possiedono un’ornatura fatta di lievi archi allineati in quattro 
serie longitudinali alternate: ogni serie consta di 3-7 archi. 
Misurano poco meno di 1 mm. in lunghezza e circa mm. 0,04 
in spessore (Tav. fig. 3). 

Le setole copulatrici si trovano a sostituire le ventrali dei 
segmenti 7°, 8°, 9°, e dei segmenti clitelliani 19°-24°:; sono dritte, 
o leggermente curve alla base, prive di nodulo, munite sui ?/3 di- 
stali di un’ornatura simile a quella delle setole normali, ma più 
pronunciata, essendo gli archi più sporgenti e più numerosi (50-90) 
pur rimanendo disposti in quattro serie longitudinali alternate; 
l'estremo distale. per un tratto di circa mm. 0,1, è privo di 
ornatura. Tali setole sono lunghe mm. 2,3 a 4,4, spesse alla 
base mm. 0,065, nel tratto ornato mm. 0,04; hanno general- 
mente maggior sviluppo in lunghezza le ventrali esterne (0), 
soprattutto quelle dei segmenti 7°, 8°, 9°. 

Alla regione clitelliana le setole dorsali sono irriconoscibili 
all'esame esterno ; le ventrali sono assai lassamente geminate 
(ab = aa), e ai segmenti 21°-24° le ventrali esterne (2) sono 
inoltre spostate più o meno verso il margine anteriore del 


LOMBRICHI DI COSTA RICA E DEL VENEZUELA 917 


segmento rispettivo (Tav. fig. 4). Qualche setola copulatrice del 
clitello è circondata da una piccola areola ghiandolare. 

Il clitello è a sella, spesso tumido : i suoi margini longitu- 
dinali, mal distinti, non oltrepassano le linee occupate dalle setole 
ventrali esterne; s’estende sui segmenti 16°-25°. Ha tinta gial- 
liccia, e mostra poco distinti i solchi intersegmentali. Vi sì rico- 
noscono assai bene due stretti solchi longitudinali, disposti poco 
esternamente alle setole ventrali esterne (5) sui segmenti 209-229, 
per modo che congiungendosi con i solchi intersegmentali 19/35 
e ?2/,g delimitano un’area ventrale rettangolare, che spicca per 
la tinta bruniccia, al pari del tratto ventrale (52) non ghiandolare 
degli altri segmenti clitelliani. Nell'area ventrale si notano 
alcune lievi e brevi fossette trasverse od oblique, appaiate, pros- 
sime ai margini dei segmenti che la compongono: da quelle 
prossime al margine anteriore sporgono le setole copulatrici (5) 
(Tav. fig. 4). 

Tubercula pubertatis, sotto forma di cordoni ghiandolari lon- 
gitudinali, quali si osservano in parecchi R/inodrilus, non sono 
riconoscibili. 

I pori maschili sono all’intersegmento !*/3,, all'estremo ante- 
riore dei solchi longitudinali sopra ricordati. I pori femminili 
sono invisibili. 

Le aperture delle spermateche, in numero di tre paia, ap- 
paiono come brevi fessure trasverse poste presso al margine 
anteriore dei segmenti 7°, 8°, 9°, lungo due linee più o meno in- 
terne a quelle occupate dai nefridiopori (Tav. fig. 2, r., e fig. 5) (1). 

I nefridiopori sono distintamente visibili al margine ante- 
riore d'ogni segmento, a partire dal 3°, allineati coi fasci dor- 
sali: sono circondati ognuno da un’areola biancastra, onde 
risultano due linee biancastre lungo i fianchi dell’animale (Tav. 
figg. 4 e 5). 


CARATTERI INTERNI. — I dissepimenti, sono tutti più o meno 
sottili, tranne i setti !*/,, a !9/,; che sono un po’ ispessiti; primo 
riconoscibile in tutta la sua estensione è 1’ !!/,3, alquanto imbuti- 


(1) In un esemplare giovane la spermateca sinistra dell'ultimo paio si 
apre al margine posteriore del 9° segmento, alquanto più internamente di 
quelle che la precedono (l'av., fig. 4, r. 9°). Attraverso alle aperture delle 
spermateche sporge tulvolta una setola copulatrice. 


08 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


forme al pari di quelli che seguono fino all’inizio del clitello. 
I dissepimenti 1/0 a 25/4 mostrano alquanto ispessito il mar- 
gine latero-ventrale. 

La parete del corpo appare in qualche esemplare più robusta 
nell'intervallo medio ventrale (4a) che altrove, ricordando quanto 
già ho descritto per altri Khinodrilus (6, pag. 152). 

E presente un robusto ventriglio muscoloso il cui asse lon- 
gitudinale appare alquanto inclinato dal basso in alto, dall’avanti 
all'indietro : è riferibile al 6° segmento (Tav. fig. 6, v.). Seguono al 
ventriglio, dopo breve tratto, tre paia di tasche esofagee (t.",t."".,t."'), 
digitiformi, originate dalla faccia ventrale del tubo digerente, e 
dirette verso il dorso : sono da riferire ai segmenti 7°, 8°, 9°, 
trovandosi l’ultimo paio immediatamente davanti alla parete 
anteriore delle capsule seminali del 10° segmento. L’intestino 
sacculato s’inizia circa al 17° segmento. 

L’ultimo paio di cuori è al 12°. 

I nefridèì del primo paio sono assai sviluppati, e hanno rap- 
porto con la funzione di nutrizione (fagonefridì, CoGnETTI, 4, p.2); 
il tratto distale del loro tubulo è rettilineo e privo di cieco presso 
il poro esterno. Un cieco comincia a farsi manifesto ai nefridî 
del 17° o 18° segmento : esso è rivolto verso la linea mediana 
ventrale del corpo (Tav. fig. 7, ., cn.). A partire dalla regione 
clitelliana i nefridi sono disposti trasversalmente, laddove nei 
segmenti che precedono sono più o meno protesi all'indietro. 

Sistema riproduttore. — Rh. (Rh.) venezuelanus è olandrico 
cleistorchide (1): le capsule seminali, riferibili al 10° e all’ 11°, 
sono espanse e addossate all’esofago che ricingono totalmente, 
senza però saldarsi sul dorso (Tav. fig. 8, c.’, c."). Sotto l’esofago 
le capsule di ciascun paio comunicano fra loro per breve tratto. 
Le capsule dell'11° segmento avvolgono un paio di sacchi seminali 
mediocri, oblunghi, a superficie liscia, che ricevono sperma dalle 
capsule del 10°; un secondo paio di sacchi seminali pende libero 
nel 12° segmento dal setto anteriore (s.', s."). 

I vasi deferenti, originati dal margine posteriore delle capsule 
seminali, raggiungono subito la parete ventrale del corpo, e 
in corrispondenza dei pori maschili appaiono un po’ dilatati 


(1) Vedasi pel significato di questi due termini: MrcnaeLsen 1903 (12, 
pag. 33), e CoenettI (6, pag. 148). 


LOMBRICHI DI COSTA RICA E DEL VENEZUELA 919 


(Tav. fig. 7, “). I fasci di setole ventrali dei segmenti 19°-24° 
sono avvolti ognuno da una massa ghiandolare bianchiccia, simile 
a quelle che si osservano presso le spermateche (v. sotto), e 
trattenuti alle pareti laterali del corpo da muscoli retrattori : 
l'emissione delle setole (copulatrici) di quei fasci dev'essere favo- 
rita dal contrarsi dei muscoli che rafforzano il margine latero- 
ventrale dei sepimenti di quella regione. 

Gli ovarî sono al 13° segmento. 

Le spermateche, in numero di tre paia, sono disposte nei 
segmenti 7°, 8°, 9°; constano di un’ampolla sacciforme, oblunga, 
attenuata per un tratto più o meno lungo nella porzione distale 
cui fa seguito il canale, breve, ma fortemente muscoloso, sicchè 
appare di forma tondeggiante (Tav. fig. 9, r., s.). Sbocca all’esterno 
assieme al canale anche un lungo follicolo setigero (f.), tratte- 
nuto alla parete laterale del corpo da un muscolo retrattore e 
circondato da una massa ghiandolare bianchiccia, subtondeg- 
ziante (1). 

Loe.: Venezuela, Escorial 3000 m. s. m. 

Rh. (Rh.) venezuelanus va annoverato tra le specie di Oligo- 
cheti gigantesche. La specie congenere cui più s’accosta è R%. {(RA.) 
brunneus Mich]sn. 


Andiorrhinus Salvadorii n. gen. n. sp. 


Mi valsi per la descrizione che segue di tre esemplari adulti. 


CARATTERI ESTERNI. — Lunghezza mm. 150 circa; diametro 
4-5 mm.; segmenti 180-190. 

Il colore è cenerognolo-gialliccio, un po’ più scuro sul dorso, 
più chiaro al clitello. 

La forma è cilindrica, l'estremità anteriore è conica, la 
posteriore subtronca. I segmenti preclitelliani sono più allungati 
degli altri, tranne i due primi che sono brevi e rudimentali, 
segnati da due leggeri solchi nefro-boccali. Il prostomio, digiti- 
forme, è alquanto allungato, e sporge dall’apertura boccale. 

Le setole sono ovunque geminate, le dorsali un po’ più delle 
ventrali; le ventrali sono presenti a partire dal 4° segmento, 


(1) Masse ghiandolari simili già trovai in RR. (Thamnodrilus) ophioides 
Cogn.; efr. 6, pag. 218. 


920 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


le dorsali dal 5°. A metà del corpo: aa poco <3 ab; de = 3 ad; 
ab=/, cd; dd = circa !/, perimetro. 

Ai segmenti 7°, 8°, 9°, che s'intercalano alle aperture delle 
spermateche, le setole ventrali sono più o meno spostate lateral- 
mente, le ventrali esterne (2) sono inoltre spostate verso il mar- 
gine anteriore del rispettivo segmento, per modo da avvicinarsi 
alle aperture delle spermateche, allineate con i fasci dorsali. 
A] 10° segmento le setole dorsali sono geminate più stretta- 
mente che ai segmenti contigui. 

Ai segmenti clitelliani la geminazione delle setole ventrali 
è assai poco pronunciata (Tav. fig. 10). 

Al 21° segmento le setole ventrali interne (a) sono fra loro 
assai ravvicinate. 

I fasci ventrali dei segmenti 7°, 8°, 9°, e 17°-23° portano 
setole copulatrici esili, leggermente sigmoidi o un po’ curve presso 
la base, lunghe mm. 1,6 a 2,6, spesse circa mm. 0,03, ornate 
di molti archi allineati in quattro serie longitudinali alterne 
lungo un tratto che si estende per circa 8/1 della lunghezza a 
partire dall’apice. Tale ornatura è affatto simile a quella figu- 
rata da Mromarersen (9, tav. fig. 6) per Andiodrilus Schiitti. Le 
setole copulatrici interne sono generalmente più lunghe delle 
esterne. Le setole normali sono leggermente sigmoidi, munite 
di nodulo distinto ; portano poche incisioni trasverse (1) alla 
curvatura interna del tratto distale, ed hanno (a differenza delle 
setole copulatrici) il tratto prossimale più lungo del distale. 
Alla regione caudale la curvatura del tratto prossimale si fa 
più accentuata (Tav. fig. 11, « e d). 

Il clitello è a sella, esteso sui segmenti 16°-25°, poco tume- 
fatto. I suoi margini ventrali, assai mal definiti, trovansi in cor- 
rispondenza dei fasci ventrali (Tav. fig. 10, cl.); ai segmenti 
1/3 19°-23° s’arrestano esternamente a quei fasci, lungo i tubercula 
pubertatis che hanno appunto tale estensione, e appaiono come 
due strette fascie perlacee, poste lateralmente alle setole ven- 
trali superiori (5), e fiancheggiate esternamente da un leggero 
solco longitudinale che le separa da un cordoncino ghiandolare 
non rilevato, appartenente al clitello. 

Le aperture maschili, puntiformi, sono al 21° segmento, 


(1) Corrispondenti agli archi delle setole copulatrici. 


LOMBRICHI DI COSTA iICA È DEL VENEZUELA 921 


vicinissime fra loro, entro due brevissimi solchi longitudinali, 
disposti a fianco della linea mediana ventrale (Tav. fig. 10). 
| Le aperture femminili sono irriconoscibili all'esame esterno. 
Le aperture delle spermateche, in numero di tre paia, sono 
distribuite agl’'intersegmenti “/7, */g, */g, in direzione dei fasci 
dorsali. In questa medesima direzione sono allineati i nefridiopori, 
posti al margine anteriore di ogni segmento, a partire dal 3°. 


CARATTERI INTERNI. — I dissepimenti sono tutti sottili: primo 
riconoscibile è 1°!!/,3, la cui inserzione alla parete dorsale del 
corpo cade circa a metà del 12° segmento. Esso e alcuni di 
quelli che seguono sono marcatamente imbutiformi. 

Nell'interno del prostomio si contiene un robusto muscolo 
retrattore, inserito all'indietro alla parete dorsale del 5° segmento. 

Il ventriglio muscoloso, riferibile al 6° segmento è, come 
nella specie precedente, inclinato in avanti (Tav. fig. 12, ».); 
seguono ad esso tre paia di tasche esofagee (t.', t.", t.'"') oblunghe, 
attaccate mediante un sottile peduncolo alla parete dorsale del- 
l’esofago. Quelle del primo paio sono a una certa distanza dal 
ventriglio, ma riferibili al 7° segmento, essendo esse intima- 
mente collegate ai tubuli nefridiani (w.) di quel segmento, protesi 
in avanti a raggiungerne il margine anteriore. 

L'ampio intestino medio comincia al 21°. 

L’ultimo paio di cuoriì è al 12° segmento. 

I nefridi mostrano, a partire dal 19°, un cieco presso l’aper- 
tura esterna, diretto ventralmente. 

Sistema riproduttore. — Andiorrhinus Salvadorii è olandrico 
cleistorchide (1). I festes sono al 10° e 11° segmento, rivelati dalle 
masse giallicce e iridescenti dei rispettivi padiglioni cigliati, 
che fanno ernia alla superficie superiore delle capsule seminali. 
Queste sono depresse, ed espanse sul lato esterno in ampi lobi, 
pure depressi, che avvolgono il tubo digerente, ma senza sal- 
darsi sul dorso, laddove le due capsule di ogni segmento sono 
fuse ventralmente. Non posso affermare se vi sia comunicazione 
fra le capsule del 10° e quelle dell’11°. 

I lobi laterali espansi sostituiscono nella funzione i veri 


(1) V. la nota a pag. 6. 


922 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


sacchi seminali, che qui mancano affatto (1). Tali lobi sono da 
riferirsi ai medesimi segmenti occupati dalle capsule relative, 
cioè al 10° e 11°; invero quelli del secondo paio sono avvolti al- 
l’indietro dall’esile dissepimento !!/19, imbutiforme (Tav. fig. 13). 
Dalla faccia inferiore (ventrale) delle capsule si originano i 
quattro vasi deferenti (Tav. fig. 14). 

Le spermateche sono piccole, sacciformi, disposte agli inter- 
segmenti 5/7, "/s, 5/s. Mostrano circa a metà una lieve stroz- 
zatura che distingue una porzione prossimale da una distale 
(Tav. fig. 15, r., s.). Quest'ultima presenta la parete esterna liscia, 
ma la parete interna invaginata in molti punti nello spessore 
dell'organo a formare altrettanti loculi tondeggianti. 

Si ripete qui ciò che MicHaersen (10, pagg. 252, 256) ricordò 
pei suoi Andiodrilus pachoensis e A. bogotaènsis. Accanto alle 
spermateche che sono ripiegate all’indietro, sporgono nella cavità 
del corpo i follicoli delle setole peniali (f.) e le masse ghian- 
dolari che vi si connettono, più numerose in corrispondenza 
delle ventrali esterne (2), ma più grosse in corrispondenza delle 
interne (a). Presso il margine anteriore dei tre segmenti 7°, 8°, 9° 
si scorgono dei robusti muscoli disposti trasversalmente (wm.), i 
quali contraendosi concorrono forse all’emissione delle setole 
copulatrici. 


Il nuovo genere istituito per la specie di Venezuela, è affi- 
nissimo ai due generi Andiodrilus MicHarLsEN 1900 (10, pag. 250, 
e 11, pag. 427) e Rhinodrilus (cfr. CocnettI, 6, pag. 171, ubi liter. 
e pag. 173); ciò ho voluto ricordare nel dargli nome. A__Rhino- 
drilus s'avvicina fra altro anche pel carattere della oloandria, 
ma tutti i Rhinodrilus possiedono sacchi (== vescicole) semi- 
nali è. s. s., appaiati e pendenti nei segmenti 11° e 12° dal setto 
anteriore, e quelli di ciascun paio in un segmento posteriore (2) 
a quello che contiene i testes da cui ricevono sperma. Tali organi 
mancano invece in Andiorrhinus, allo stesso modo che nel genere 
Andiodrilus. Quest'ultimo genere è però proandrico. 


(1) Intendo quali sacchi seminali i. s. s. quelli formati per estrofles- 
sione dei sepimenti. Vedasi anche quanto è detto più innanzi alla fine della 
presente descrizione. 

(2) Generalizzando la definizione si tenga presente che i sacchi semi- 
nali i. s. s. possono trovarsi anche in un segmento anteriore, possono essere 
impari mediani e possono espandersi in più segmenti consecutivi. 


LOMBRICHI DI COSTA RICA E DEL VENEZUELA 023 


I lobi laterali delle capsule seminali che s'incontrano in 
Andiorrhinus e in Andiodrilus, non possono a mio avviso ritenersi 
del tutto omologhi ai sacchi o vescicole seminali dei Rhinodrilus. 
I sacchi seminali, secondo le norme di Vespovsky (15, p. 136), 
di Bepparp (1, pag. 92, di Zit.), di MicnaeLsen (11, pag. 9), 
sono estroflessioni di dissepimenti. Ai sacchi delle capsule, che 
anch'io nella descrizione di un Andiodrilus (2, pag. 8) distinsi col 
nome di vescicole seminali (= sacchi sem.!) seguendo l'esempio 
di MicHaELsEN (10, pag. 250; 11, pag. 427), credo più oppor- 
tuno dare semplicemente la denominazione di lobi delle capsule. 

La loro funzione è simile a quella dei sacchi seminali i. s. s., 
ma non simile è il modo di formazione (1). 

Altro carattere, che prova maggiormente la stretta paren- 
tela di Andiorrhinus con Andiodrilus, risiede nella struttura delle 
spermateche, e ancora nella presenza di setole copulatrici al 
clitello e presso le spermateche. 

Per gli opportuni confronti riferisco qui la diagnosi del 
nuovo genere Andiorrhinus, uniformandomi a quelle dei generi 
affini riferite in “ Das Tierreich , (11). 

“ Lobo cefalico foggiato a proboscide, retrattile. Setole gemi- 
nate; setole copulatrici con archi disposti in 4 serie longitu- 
dinali. Pori maschili nella regione clitelliana ; aperture delle 
spermateche agl’intersegmenti %/,, /s, 5/9. Ventriglio muscoloso, 
robusto, al 6°; tre paia di tasche esofagee, a struttura com- 
plessa, nei segmenti 7°, 8°, 9°. Ultimi cuori al 12°. Due paia 
di testes e padiglioni cigliati al 10° e 11°, inclusi in capsule 
seminali che mandano /obdi laterali rispettivamente nel mede- 
simo segmento in cui sono contenute. Tratto distale dei vasi 
deferenti semplice. Spermateche con loculi alla porzione distale 
“ nello spessore della parete ,. 


“ 


(1) Analoga distinzione occorrerebbe fare per gli stessi organi nel ge- 
nere Pheretima, ripresi recentemente in esame da Up (14 pag. 478 e seg.), 
ma ‘chiamati da questo autore coll’unico nome di © Samensicke ,. Già ne 
feci cenno in altro mio lavoro (5, pag. 31), paragonando l’apparato cen- 
trale maschile di Pheretima biserialis (E. Perr.) a quello dei RWinodrilus 
(Thamnodrilus). 


924 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


Fam. Lumbricidae. 
Halodrilus (Bimastus) parvus (Eisen). 


1900. H. (B.) p., MrcHaeLsen, Oligochaeta, in: Das Tierreich, 
Lief. 10, p. 502, ubi lit. 

1905. H. (B.) p., CoewettI, in: Ann. Mus. Civ. Genova, ser. 3*, 
vol. 2, p. 118. 

Due esemplari adulti, lunghi 21 e 25 mm. 

Il clitello è in entrambi esteso sui segmenti 24°-30°; al 
24° segmento s’arresta alle setole ventrali esterne (b), in seguito 
raggiunge le ventrali interne (a). Veri tubereula pubertatis non 
potei ravvisare all'esame esterno; è noto d’altra parte che in 
questa specie tali organi possono mancare, come ho ricordato 
in un mio lavoro (7, pag. 118). 


Loc.: Costa Rica, Llano Grande, 2100 m. s. m., collez. 
A. Alfaro, VIII, 1906. 


Questa specie venne già raccolta precedentemente in altre 
località della regione neotropicale, e della stessa America centrale. 


OPERE CITATE 


(1) Bepnarp Fr. E., 1895 — A Monograph of the order of Oligochaeta. Cla- 
rendon, Oxford. 

(2) Coewnerri pe Martis L., 1904 — Oligocheti di Costa Rica, in: Boll. Musei 
Zool. e Anat. comp. Torino, vol. 19, n. 462. 

(3) Inp., 1904 — Nuovi Oligocheti di Costa Rica, in: id. vol. 19, n. 478. 

(4) Ip., 1905 — Sui Peptonefridì degli Oligocheti, in: id. vol. 20, n. 512. 

(5) In., 1905 — Gli Oligocheti della Regione Neotropicale, parte I, in: Mem. 
R. Accad. Scienze di Torino, ser. 2°, vol. 56, pag. 1-72. 

(6) Ip., 1906 — Ja., parte II, in: id. id., pag. 147-262. 

(7) Ip., 1906. — Lombrichi liguri del Museo Civico di Genova, in: Annali 
Mus. Civ. Genova, ser. 3*, vol. 2°, pag. 102-127. 

(8) Ip., 1907 — Nuovo contributo alla conoscenza della drilofauna neotropicale, 
in: Atti R. Accad. Scienze Torino, vol. 42. 


PRG Pec ci 
LOONa DE MARTIIS-Lombrighi di CostaRica edel Venezuela. -—AttidRAccad.d.Scienze diTorino.- 02.4 


; SA Fig:£ 


LOMBRICHI DI COSTA RICA E DEL. VENEZUELA 995 


(9) Micnaersen W., 1895 — Zur Kenntnis der Oligochaeten, in: Abhandlungen 
Natwiss. Verein Hamburg, vol. 13. 

(10) In., 1900 — Die Terricolen-Fauna Columbiens, in: Arch. f. Naturg., 
vol. 66, Hft. I, pag. 231-266. 

(11) In., 1900 — Otigochaeta, in: Das Tierreich, Lief. 10. 

(12) In., 1903 — Die geographische Verbreitung der Oligochaeten. Friedlin der 
Berlino. 

(13) Rosa D., 1895 — Contributo allo studio dei Terricoli neotropicatli, in : 
Mem. Accad. Scienze Torino, ser. 2°, vol. 45. 

(14) Upe H., 1905 — Terricole Oligochaeten von den Inseln der Siidsee und 
von verschiedenen andern Gebieten der Erde, in: Z. f. wiss. Zool., 
vol. 83, pag. 405-501. 

(15) Vespovsky Fr., 1884 — System und Morphologie der Oligochaeten, Rivnac, 
Praga. 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Rhinodrilus (Rhinodrilus) venezuelanus n. sp. 


Fig. 1. Estremità cefalica (X 2). 

2. Porzione preclitelliana semischematica onde mostrare i rapporti di 

posizione tra setole, nefridiopori, e aperture delle spermateche. 

3. Setola ventrale, normale, del 6° segmento (X 48). 

4. Regione clitelliana vista ventralmente (X 2). 

s 5. Porzione preclitelliana vista dal lato sinistro (XX 2). 

. Tratto esofageo col ventriglio e le tasche esofagee (X 2). 

. Superficie interna laterale sinistra della parete del corpo al prin- 
cipio del clitello per mostrare lo sviluppo graduale dei ciechi ne- 
fridiali, e l'apertura del vaso deferente all’esterno (X 2). 

s SS. Apparato maschile centrale: sul lato sinistro sono omesse le capsule 

seminali (X 2). 
9. Spermateche del lato sinistro e ghiandole annesse (X 4 !/s). 


% 
1 Sì 


Andiorrhinus Salvadorii n. g. n. sp. 


Fig. 10. Clitello visto ventralmente (X 2). 

s 11. Setole normali tolte a metà del corpo (a), e alla coda (5) (X 48). 

s 12. Tratto esofageo col ventriglio e le tasche esofagee (X 2). 

s 13. Apparato centrale maschile come appare togliendo il tubo dige- 
rente (X 4 e !/,). 

s 14. Id. visto dalla faccia ventrale (X 4 e !/3). 

s 15. Spermateche del lato sinistro e ghiandole annesse (X 4 e 4/9). 


Atti della RR. Accademia — Vol. XLIII. 62 


926 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS — LOMBRICHI DI COSTA RICA, ECC. 


ABBREVIAZIONI I 


c'., c'.== capsule seminali del 1° e del 2° paio. 
c. g.= catena gangliare ventrale. 

cl.= clitello. 

c. n.= cieco nefridiano. 

dsp. = dissepimento. 

f.= follicolo setigero. 

m.= fascio muscolare. 

n.= tubulo nefridiano. 

np. = nefridioporo. 

r.= apertura di spermateca. 

t. S.= spermateca. 

s'., s'.= sacchi seminali del 1° e del 2° paio. 
t..t".,t".= tasche esofagee del 1°, 2° e 3° paio. 
v. = ventriglio. | 

v. d.= vaso deferente. 


dg = poro maschile. 


I numeri corrispondono ai segmenti. 


Relazione sulla Memoria del Dott. Angelo Cesare Bruni, in- 
titolata: Intorno ai derivati scheletrici estracranici del se- 


condo arco branchiale nell'uomo. 


Il Dottore Angelo Cesare Bruni, settore nell'Istituto ana- 
tomico di Torino, espone nella Memoria i risultati delle sue 
diligenti ricerche sulla catena ioidea eseguite sul feto umano, 
sul bambino e sull'uomo adulto. Il lavoro è diviso in sette 
capitoli. Nel primo, che serve da introduzione, l'Autore fa la 
storia dell'argomento e specialmente si diffonde sulle omologie 
trovate o credute di trovare fra i diversi pezzi dell'arco ioideo 
dell'uomo e quello di altri mammiferi e dei vertebrati inferiori; 
nota specialmente la diversa e complicata terminologia proposta 
ed usata da vari osservatori in base alle idee morfologiche 
seguite, osserva che tutto il lavoro di comparazione fatto man- 
cava di solide basi, perchè non si era seguito che molto sal- 
tuariamente lo sviluppo della catena ioidea dell’uomo e dei 
mammiferi, nè ancora appariva certo se alcuni pezzi derivano 
direttamente dalla cartilagine del secondo arco branchiale op- 
pure si sviluppano, secondariamente, dai legamenti della catena. 
Nel secondo capitolo l'A. parla della tecnica usata e del ma- 
teriale suo di osservazione. Egli esaminò 39 catene ioidee di 
feti (dal 3° mese al termine della vita endouterina) e 144 di 
individui giovani (dalla nascita al 28° anno). Le osservazioni 
sono in parte microscopiche, in parte macroscopiche, condotte 
col sussidio dei metodi di dimostrazione dello scheletro attra- 
verso alle parti molli proposti dallo Schultze e dal Lundvall. 
Nel terzo capitolo riferisce sulla maniera di segmentarsi della 
cartilagine del Reichert dal terzo mese della vita fetale alla 
nascita. Egli trovò che al terzo mese ed anche al principio del 
quarto mese la cartilagine può ancora trovarsi continua, ma 
che ordinariamente è già divisa in due segmenti, uno prossimale, 
l’altro distale; aggiunge che in alcuni casi il numero dei seg- 
menti cartilaginei è superiore a due, per divisione secondaria 
dei due segmenti primitivi. La segmentazione si verifica quando 


928 


il secondo arco viscerale trovasi allo stato precartilagineo e allo 
stato cartilagineo. Il quarto capitolo tratta delle modificazioni 
della catena ioidea dalla nascita al terzo anno. Fatto impor- 
tante rilevato in questo periodo è che non si verifica più alcun 
fenomeno di riduzione della cartilagine del Reichert; i segmenti 
che si trovano alla nascita persistono per tutta la vita. Nel 
quinto capitolo si descrive la comparsa dei punti di ossificazione 
dei segmenti cartilaginei, ossificazione che incomincia al 4° anno 
e termina al 16° anno ed anche più in là. L’ossificazione vi è 
studiata minutamente al microscopio, ed in questi studi VA. 
rileva che essa ha luogo con diversi processi; in uno di questi 
il pezzo osseo si sostituisce al pezzo cartilagineo, come la man- 
dibola si sostituisce ad alcune parti della cartilagine del primo 
arco branchiale. Nel sesto capitolo si considera la catena ioidea 
nell'adulto e si riassumono dati statistici sulle varietà presentate 
da tale catena. Nell'ultimo si espongono le considerazioni gene- 
rali e le conclusioni. Fra le conclusioni questa pare importante, 
specialmente dopo tutti gli schemi morfologici messi in campo 
per la catena ioidea, ed è che non si possono stabilire omologie 
di tutti i segmenti della catena ioidea umana con quelli presentati 
dai pesci; il legamento stiloicideo non è omologo del cheratoiale. 

Come si è detto, le ricerche dell’A. vennero condotte con 
grande diligenza, ciò è anche dimostrato dalle belle figure che 
illustrano il lavoro; i risultati sono importanti, sia perchè le 
ricerche furono eseguite in un terreno quasi del tutto inesplo- 
rato, sia perchè vengono a togliere dal campo della scienza una 
quantità di schemi ingombranti ed a sostituire a questi dei 
fatti nettamente stabiliti. 

Per tali considerazioni i sottoscritti propongono che il la- 
voro del Dott. Bruni sia accolto per la stampa fra le Memorie. 


L. CAMERANO, 
Romeo Fusari, relatore. 


929 


Relazione sulla memoria del Prof. G. B. Rizzo intitolata: 
Nuovo contributo allo studio della propagazione dei movi- 


menti sismici. 


Nelle traccie che i terremoti lontani segnano sui sismografi 
si distinguono due serie di tremiti percursori, a cui segue la 
fase principale. Anche in questa si possono distinguere più 
parti. 

Si ammette dai più che i primi e i secondi] tremiti si tra- 
smettano dall’èpicentro ad un punto qualunque della superficie 
terrestre attraversando la massa interna della terra, mentre in- 
vece le ondulazioni della fase principale si propagherebbero 
lungo la superficie terrestre seguendo un arco di cerchio mas- 
simo che passa per l’origine e per il luogo d’osservazione. 

Quest’opinione è fondata su ciò, che le velocità di trasmis- 
sione di quest'ultime ondulazioni misurate sulla superficie ap- 
paiono costanti, mentre invece si credette di poter affermare 
che le velocità dei tremiti precursori, misurate anch’esse sulla 
superficie, crescevano al crescere della distanza. 

Il Rizzo espresse già in altri scritti il parere che non vi 
sia ragione sufficiente per credere che i tremiti precursori sì 
propaghino attraverso la massa del globo anzichè alla superficie. 
Nella memoria che venne affidata al nostro esame, egli si vale 
delle registrazioni relative al terremoto della Calabria del 23 ot- 
tobre 1907, quali gli vennero comunicate da 51 osservatorii per 
discutere e verificare la propria tesi. i 

Anche nella fase principale si possono distinguere tre gruppi. 
Appaiono dapprima delle onde di lungo periodo e di piccola 
ampiezza, poi delle onde molto più ampie a periodo ancora 
lento e seguono in fine delle onde rapide, che per lo più com- 
prendono le oscillazioni di massima ampiezza. Il Rizzo tenne 
conto di questi tre gruppi di oscillazioni, sicchè i tempi, di cui 
egli si valse per il calcolo delle velocità, sono cinque: quelli 
dell'arrivo dei due gruppi precursori e quelli dell’arrivo dei 
tre gruppi della fase principale ora indicati. 


930 


Egli costruì per queste cinque fasi della scossa le così dette 
odografe di Schmidt, cioè le curve che hanno per ascisse le di- 
stanze dall'origine dei vari strumenti registratori e per ordinate 
i tempi impiegati a percorrere quelle distanze. Egli giunge a 
questa conclusione, che tutte quelle varie fasi del moto sismico 
si propaghino con velocità che, contate sulla superficie terrestre, 
variano al variare della distanza con la medesima legge, e che 
non v'è quindi ragione per ammettere che i tremiti precursori 
non si propaghino per la superficie terrestre come le oscillazioni 
della fase principale. 

Come si vede l'argomento trattato dal Rizzo è importante 
ed egli lo discute in questa memoria con molta accuratezza e 
con abbondanza di dati d'osservazione. Noi crediamo che questo 
scritto meriti d'essere letto alla Classe e inserito nei volumi 
accademici. 

N. JADANZA, 
A. NACcARI, relatore. 


L’Accademico Segretario 
LorENZO CAMERANO. 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 31 Maggio 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: Grar, Brusa, ALLIEVO, CHIRONI, Rur- 
FINI, SrAMPINI, D’ErcoLE, SForzAa e ReNIER in funzione di Se- 
gretario. — Scusa l’assenza il Socio BronpI. 

L’atto verbale dell'adunanza antecedente, 17 maggio, è ap- 
provato. 

Per l’ inserzione negli Atti il Socio ALLIEvo presenta una 
propria nota dal titolo: L'indirizzo storico e sociologico della pe- 
dagogia contemporanea. 

Per le Memorie è dal Socio SrAMPINI presentata una mo- 
nografia del prof. Clemente MerLo, Degli esiti di lat. -GN- nei 
dialetti dell’Italia centro-meridionale con un'appendice sul trat- 
tamento degli sdruccioli nel dialetto di Molfetta. Il Presidente 
incarica di riferirne in una prossima adunanza il Socio propo- 
nente SrAmPINI ed il Socio RENIER. 


Raccoltasi poscia la Classe in seduta privata, è proposta 
dalla Presidenza una modificazione nelle norme per l’accetta- 
zione dei lavori di estranei. Sinora, nella Classe di scienze mo- 
rali, si mantenne l’uso che di un medesimo estraneo ogni Socio 
non potesse presentare in un anno accademico se non una nota 


932 
per gli Atti ed una monografia per le Memorie. Si propone che, 
giusta la deliberazione presa molti anni sono dalla Classe di 
scienze fisiche, matematiche e naturali, si possano presentare, 
per ogni estraneo, o un atto ed una memoria, ovvero due atti, 
sempre rimanendo ferma l’inibizione di presentare due memorie. 
La proposta è accolta ad unanimità dalla Classe. 

Si procede all’elezione di Soci corrispondenti. Riescono 


eletti i seguenti: 


nella Sezione di scienze filosofiche: Giuseppe ZuccanTE e 
Roberto ARDIGÒ; 

nella Sezione di scienze storiche: Adolfo VentURI, Ales- 
sandro Luzio, Giovanni MonTICOLO ; 

nella Sezione di archeologia: Paolo Orsi, Giovanni 
PATRONI; 

nella Sezione di geografia ed etnografia: Vittore BELLIO, 
Cosimo BERTACCHI; 

nella sezione di linguistica e filologia orientale: Carlo 
Sanvioni, Fausto Lasinio, Giacomo Ernesto ParoDI, Celestino 
SCHIAPARELLI, Emilio TEZA: 

nella Sezione di filologia, storia letteraria e bibliografia: 
Girolamo VireLLi, Francesco FLAMINI, Egidio GoRRA. 


GIUSEPPE ALLIEVO — L'INDIKIZZO STORICO E SOCIOLOGICO, ECC. 933 


LETTURE 


L'indirizzo storico e sociologico 
della pedagogia contemporanea. 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


In cerca della Pedagogia. 


La scienza dov'è ? Con questa dimanda io esordiva nella 
mia prolusione di Antropologia. La Pedagogia dov'è ? Con que- 
st'altra dimanda io incomincio le mie lezioni pedagogiche, giacchè 
in mezzo all’attuale rimestìo di tutte le scienze filosofiche e so- 
ciali più non ci vien dato di scorgere dove essa veramente abbia 
il suo posto. i 

Una scienza non può affermare la sua esistenza se non a 
condizione che possegga un'orbita sua propria, si proponga pro- 
blemi veramente suoi, miri ad un intendimento affatto speciale, 
pur mentre conserva i suoi punti di contatto colle altre disci- 
pline più o meno contermini. Tale era appunto la condizione 
della pedagogia, primachè il modernismo (mi si permetta qui 
questo vocabolo) fosse penetrato nel campo della scienza. Al- 
lora la pedagogia era veramente pedagogia : lavorava intorno 
a un disegno propriamente suo: i problemi che andava svol- 
gendo, e le indagini intorno a cui si travagliava, riflettevano 
tutti il suo proprio oggetto, cioè l'educazione contemplata nelle 
sue origini, ne’ suoi caratteri, nelle sue leggi, nel suo fine, nelle 
sue parti e specie, fisica e mentale, infantile e giovanile, ma- 
schile e femminile, privata e pubblica, perfezionatrice ed emen- 
datrice. Poi venivano le sue pratiche applicazioni alla didattica 
dell'insegnamento, agli ordinamenti degli istituti scolastici, alle 
istituzioni civili e sociali. Nè la scienza pedagogica rifiutava il 
sussidio e l'intervento delle altre discipline. ma ne faceva tesoro 
per allargare il suo orizzonte,e per rassicurare il risultato delle 
sue indagini. 


0354 GIUSEPPE ALLIEVO 


Ora lo stato delle cose è profondamente mutato. La peda- 
gogia ha perduto il suo carattere distintivo, la sua propria im- 
pronta : si agitano problemi che si appellano pedagogici, ma 
che in realtà non sì sa più a quale scienza appartengano. Quindi 
abbiamo una pedagogia sociale, una pedagogia antropologica e 
psicologica, una pedagogia storica, una pedagogia infantile, val 
quanto dire una pedagogia che non è pedagogia. Quale sia l’ori- 
gine di tanta confusione, di un così deplorabile pervertimento 
scientifico, non è malagevole il rintracciarle. Da qualche tempo 
in qua nella coscienza sociale si è fatto sentire più vivo il bi- 
sogno e l'efficacia dell’opera educativa ; sì è riconosciuto che 
l'educazione è il più potente, il più poderoso strumento di ci- 
viltà e di progresso. Quindi per natural conseguenza la peda- 
gogia si trovò di fronte a nuovi, a gravi, ad ardui, complica- 
tissimi problemi, per risolvere i quali le occorreva attingere 
lume e consiglio da parecchie altre scienze, alcune delle quali 
erano pressochè in sul nascere ed ancora malferme sulla pro- 
pria base. Tutto questo era giusto, conveniente, ragionevole, ma 
nel fatto non si serbò nè modo, nè misure e si trascese agli 
estremi. La pedagogia pur mentre faceva tesoro delle conoscenze 
altrui, doveva mantenere intatta la sua impronta, e non abdi- 
care in faccia a nessun’altra scienza. Così non fu. Le scienze 
sussidiarie usurparono il suo dominio e diventarono padrone del 
campo. Così la pedagogia è scompigliata e la sociologia, la 
storia, la politica, l’evoluzionismo si disputano qua. e là i suoi 
brandelli. Io ripeto la mia dimanda: La pedagogia dov'è ? 

Un'altra ragione, che spiega l’attuale scompiglio della scienza 
pedagogica, può ritrovarsi nelle nuove dottrine antropologiche 
e sociali, che facendole sentire la loro smisurata influenza le 
impressero diversi indirizzi non conciliabili fra di loro e col 
fine supremo dell’arte educativa. Ben si sa, l’uomo e la sua edu- 
cazione son due termini che perfettamente si corrispondono, tan- 
tochè il prospero od infelice successo del magistero educativo 
dipende dal giusto o falso concetto, che si ha dell’uomo edu- 
cando. Ora è cosa notissima, che ai giorni nostri l’uomo fu og- 
getto di ampii e svariatissimi studi, e che si seguirono nuove 
vie, si tentarono nuovi metodi per giungere ad una compiuta 
e chiara comprensione della sua natura. Di qui sorsero molte- 
plici, nuove dottrine antropologiche e sociali in mezzo a cui la 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 935 


pedagogia si trovò implicata a segno da perdere il suo essere 
proprio e smarrirsi nell'orbita delle altre scienze. 

Volgendo uno sguardo allo stato attuale della pedagogia 
contemporanea, ognun vede che essa è percorsa da diverse e 
contrarie correnti, che non le consentono di seguire un proce- 
dimento concorde ed uniforme. Fra i molteplici e svariatissimi 
indirizzi pedagogici di cui facciamo parola, due vanno segnalati, 
che si contrastano il campo, e che comprendono in sè tutti gli 
altri particolari, e sono l'indirizzo positivistico e l'indirizzo spi- 
ritualistico. Entrambi furono presi ad esame il primo nel mio 
opuscolo La nuova scuola pedagogica ed i suoî pronunciati, il 
secondo nell'altro opuscolo /l concetto antropologico, principio in- 
formatore della scienza pedagogica. Ma siccome le dottrine posi- 
tivistiche si svolsero sotto diversissime forme, così fra i mol- 
teplici indirizzi pedagogici, che da esse si informano, prenderò 
qui a particolare disamina lo storico ed il sociologico. 


Indirizzo storico. 


È cosa meritevole di essere avvertita, che oggidì il metodo 
storico ha acquistato un gran predominio nel campo degli studi 
a segno da ridurre tutta una scienza alla storia della medesima. 
Io avviso che questa tendenza così viva e spiccata verso gli studi 
storici sia una delle tante conseguenze, che logicamente flui- 
scono dal positivismo oggidì predominante, siccome quello, che 
rinchiude tutto quanto il sapere nella nuda cerchia dei fatti, e 
ben si sa che anche i fatti umani, anche i mentali, apparten- 
gono alla storia. Secondo questo modo di vedere, anche la 
scienza della pedagogia va a confondersi colla sua storia. 

Ciò posto, l'indirizzo storico pedagogico, come lo indica lo 
stesso vocabolo, proclama che il principio fondamentale della 
pedagogia e la fonte suprema delle conoscenze pedagogiche ri- 
siedono nello studio dei fatti educativi, quali si sono successi- 
vamente svolti nel corso dei secoli presso i diversi popoli. 
Questo studio storico assume poi due forme differenti, secondo 
che ha per oggetto la storia dell'educazione quale fu data di fatto 
sia nel seno delle famiglie, sia negli istituti scolastici educativi, 
oppure la storia della scienza pedagogica quale si svolse nelle 


936 GIUSEPPE ALLIEVO 


dottrine dei pensatori, essendochè altro è l'educazione, ossia l’o- 
pera educativa, altro la scienza dell'educazione, ossia la cono- 
scenza teorica della medesima. Così la storia dell’educazione 
ritrarrà le diverse forme, che essa prese presso i diversi po- 
poli antichi e moderni, è propriamente in gran parte la storia 
della scuola considerata sotto tutte le sue forme, nel suo svi- 
luppo successivo. in tutte le sue gradazioni dall’asilo all’uni- 
versità, in tutto il suo ordinamento interiore riguardante i pro- 
grammi, l'insegnamento, la formazione dei maestri, la disciplina 
e via discorrendo. Invece la storia della pedagogia ci apprende 
non come si educò di fatto nel tal secolo, presso il tal popolo, 
bensì che cosa si è pensato, meditato e scritto intorno l’opera 
educativa : essa è una esposizione ordinata e critica delle mol- 
teplici dottrine e teorie pedagogiche dai tempi più antichi fino 
a noi. 

Esposto così il concetto dell’ indirizzo storico pedagogico, 
necessita esaminare il suo valore scientifico. Nessuno vorrà met- 
tere in forse i vantaggi notevolissimi, che esso arreca al pro- 
gresso della scienza e dell’arte educativa, quando sia tenuto nei 
suoi giusti confini e saggiamente seguito. La storia, a qualunque 
ordine di studi si riferisca, è sempre maestra di verità, quando 
sia giustamente intesa. Ma lo studio storico pedagogico è esso 
fornito di tanto valore intrinseco e di tanta efficacia da essere 
riguardato siccome il principio centrale e la fonte suprema di 
tutta la scienza pedagogica, o non piuttosto abbisogna di uno 
studio superiore che lo preceda, lo illumini, lo sorregga? In 
altri termini, lo studio storico è esso tutta quanta la scienza 
pedagogica ? Ecco la questione. 

Lo studio storico pedagogico si fonda sul fatto educativo. 
Ora un fatto, di qualunque specie esso sia, è sempre di sua na- 
tura cieco, epperò abbisogna di un concetto superiore, di un'idea 
che lo illumini: tanto è che può essere interpretato in differen- 
tissime guise e venire assunto in sostegno di contrarie ed op- 
poste opinioni. Quindi il fatto educativo, sia esso un fenomeno 
scolastico, sia una teoria pedagogica, per se stesso non ci ap- 
prende nessuna verità, non può essere inteso ed apprezzato 
senza essere illuminato da un concetto ideale preesistente nel 
pensiero. Io entro in una scuola: veggo il maestro, che insegna 
una data materia, il discepolo che ascolta, il contegno della 


I LI TETTE 


a) 


L'INDIRIZZU STORICO E SOCIOLUGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 937 


scolaresca, l'ordine, la disciplina, che vi regna. Ma tutto que- 
st'insieme di fatti rimarrebbe per me lettera morta senza signi- 
ficato, se dalla scienza pedagogica non avessi attinto tutte 
quelle notizie teoriche, le quali riguardano | insegnamento del 
maestro, la coltura intellettuale del discepolo, la didattica, la 
disciplina scolastica e via via. Senza tali notizie come potrei 
portare giudizio intorno l'attitudine del maestro, il progresso 
del discepolo, lo svolgimento del programma, la bontà dell’isti- 
tuto scolastico ? Similmente, apro una storia della pedagogia, 
trovo esposta la teoria di questo o quell’altro pedagogista ; ma 
che cosa posso io capirne, se sono affatto digiuno di studi pe- 
dagogici ? Eppure i nostri esagerati seguaci dell’indirizzo sto- 
rico nelle loro recenti pubblicazioni intorno i nuovi riordina- 
menti scolastici vanno ripetendo che fin qui la pedagogia si è 
sciupata in generalità vaghe ed inconcludenti, intorno l’educa- 
zione considerata nel suo concetto formale, nelle sue leggi, nel 
suo fine, nelle sue parti e specie, e che è giunto il tempo di 
abbandonare tutte queste vuote astruserie e ritornare al fatto 
educativo senza più. 

Proseguiamo il nostro esame. Il fatto non solamente è 
cieco di sua natura ed abbisogna di - un'idea, che lo illumini, 
ma è particolare, è contingente e talvolta disforme dall’ordine 
e dalle norme razionali, invece la scienza si compone di pro- 
posizioni, che sono universali, necessarie e sempre vere. Perciò 
lo studio storico per se solo non può essere la scienza pedago- 
gica. Abbiamo superiormente avvertito, che esso abbraccia sia 
la storia dell'educazione quale fu data di fatto o nella famiglia 
o nella scuola, sia la storia dei sistemi e delle dottrine peda- 
gogiche. Ora la storia dell'educazione ci pone sott'occhio il come 
essa fu amministrata presso i popoli antichi e presso i moderni, 
presso i greci e presso i romani, presso le genti del medio evo 
e presso -le nazioni dei tempi nostri. Ma gli è evidente che non 
tutte queste guise di educare possono essere apprezzate ed en- 
comiate, come non tutte vanno biasimate : i fatti non sempre 
sono quali debbono essere, e l'educazione, che è anch’essa un 
fatto, non sempre fu conforme alla natura umana ed alle esi- 
genze della ragione. 

A volerla dunque giudicare occorre un criterio, un tipo, a 
cui raffrontare i diversi fatti educativi. Ora nessuna delle di- 


938 GIUSEPPE ALLIEVO 


verse maniere di educare date dalla storia può essere presa 
come criterio tipico per giudicare della bontà delle altre, non 
la greca, non la romana, non la moderna francese, italiana, in- 
glese, tedesca : tutte le forme educative storiche hanno i loro 
pregi ed i loro difetti. Il simigliante si dica delle dottrine pe- 
dagogiche : la storia ce le schiera lì sott'occhio, ma da per 
tutto ed in ciascuna teoria il vero ed il certo trovasi frammisto 
col falso e coll’incerto. Anche qui ci vuole un criterio per since- 
rare il vero dall’erroneo, criterio, che non risiede in veruna di 
esse, ma trascende la sfera dei fatti pedagogici quali che siano. 

A sostegno dell'indirizzo storico pedagogico altri potrebbe 
accampare questa osservazione. La storia ci schiera sott'occhio 
i fatti educativi nella loro successione e coesistenza attraverso 
i tempi ed i luoghi. Ora se noi li sottoponiamo ad un esame 
critico, ci verrà fatto di riconoscere in essi elementi buoni, co- 
stanti, universali, comuni, frammisti con elementi difettosi, mu- 
tabili, particolari, instabili. Lasciamo da parte questi ultimi, 
atteniamoci ai primi, raccogliamoli insieme in ordine logico e 
per mezzo della generalizzazione eleviamoli alla dignità di prin- 
cipii universali, e noi avremo in essi il sistema della scienza e 
dell'arte educativa. Così l indirizzo storico apparisce il fonda- 
mento e la fonte della pedagogia. 

Questa osservazione, ha molta apparenza di verità, ma non 
regge. Anzi tutto voi mi parlate di generalizzare i fatti edu- 
cativi, ma .,con ciò stesso venite ad ammettere, che lo studio 
storico non è esso solo tutta la scienza e l’arte educativa, ma 
solamente il punto di mossa, e che il punto di arrivo sta nelle 
verità generali. Così con una evidente contraddizione voi uscite 
fuori dal terreno dei fatti dove avevate ristretta tutta la scienza. 
Ancora, io vi dimando: chi vi ha fornito l'ideale, il tipo, il eri- 
terio per sincerare nei fatti educativi il buono dal viziato, il 
costante e l’immutabile, dall’ incostante e dal mutabile, l’uni- 
versale dal particolare ? Nessun fatto potrà presentarvi questo 
ideale. Un sistema educativo, ottimo per un dato secolo e per 
una data nazione, può diventar pessimo mutando tempo e luogo. 
Voi mi parlate di generalizzazione, ma chi vi dà il diritto di 
farla, mentre voi rigettate i principii immutabili, assoluti, uni- 
versali, senza di cui essa torna impossibile ? Eppoi ripugna che 
un fatto assuma il carattere di un principio generale, poichè 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 939 


riguardando esso un dato punto del tempo e dello spazio è es- 
senzialmente particolare; e quantunque si voglia supporre, che 
esso si ripeta in tempi e luoghi innumerevoli, non perciò lo 
possiamo appellare universale essendochè i punti del tempo e 
dello spazio, in cui esso si rinnova, non sono i medesimi, e non 
adeguano tutto il tempo e lo spazio. 

Che se le verità universali e costanti, su cui si fonda la 
scienza pedagogica, non ci possono essere date da nessun fatto 
educativo, donde le attingeremo noi? Ricordiamo che l’educa- 
zione umana sì fonda tutta quanta sulla natura medesima del- 
l’uomo : quindi ne viene che i principii supremi direttivi del- 
l'educazione vanno derivati dal concetto della» natura umana 
considerata in ciò che essa ha di essenziale, di universale, di 
immutabile. Essa ci fornirà l'ideale tipico per giudicare della 
bontà e giustezza di un sistema di educazione a qualunque se- 
colo o nazione si riferisca: un fatto educativo va approvato o 
riprovato secondochè si conforma o no alla natura costitutiva 
dell'umano soggetto. Questo criterio già ci è dato dalla consi- 
derazione medesima della natura umana, mentre i fatti educa- 
tivi non ce lo possono dare in modo fermo e definitivo, perchè 
la loro evoluzione proseguirà sempre anche nei secoli avvenire, 
mentre la storia non registra che i fatti passati. 

I seguaci dell'indirizzo storico esclusivo separano due cose 
che quantunque distinte sono tuttavia intimamente connesse, 
voglio dire il fatto educativo e l’idea dell'educazione. Essi vanno 
sempre ripetendo l’espressione 7! fatto educativo, per significare 
che esso è la quintessenza, il punto centrale di tutta la scienza 
e l’arte educativa, e non avvertono che ogni fatto germina dal- 
l’idea, è l'incarnazione di un concetto, epperò il fatto educativo 
presuppone come sua ragione l’idea dell’educazione. L'educa- 
zione non potrebb’essere un fatto esteriore positivo, se prima 
non fosse un'idea interiore della mente. Ora cerchiamo l’idea 
interiore del fatto educativo, il suo intimo significato, e si tro- 
verà che esso importa un soggetto educando, un soggetto edu- 
catore ed un rapporto tra l'uno e l’altro. L'idea dell’educa- 
zione è tutta lì; studiate questi tre termini prima di discendere 
ai fatti, fatene una vera e soda teoria, ed essa vi spiegherà il 
fatto educativo; senz'essa vi rimarrà assolutamente inesplica- 
bile; voi invece accusate la scienza pedagogica di perdersi dietro 


940 GIUSEPPE ALLIEVO 


a generalità astratte ed inconcludenti. Poniamo ad esempio che 
io non abbia attinto dalla scienza pedagogica la teoria dell’e- 
ducazione intellettuale, che io non abbia da prima meditato 
intorno al modo, con cui debb’essere coltivata l’intelligenza con- 
siderata nelle sue leggi, nel suo processo, nel suo fine, ne’ suoi 
rapporti colle altre potenze, qual giudizio potrò io portare in- 
torno al modo, con cui esse vanno coltivate di fatto nei diversi 
istituti scolastici, od intorno le diverse teorie de’ pedagogisti 
su questo punto ? 

Lo studio storico esagerato ed esclusivo, di cui facciamo 
parola, conduce ad alcune conseguenze, che meritano di essere 
avvertite. Quando si rimane inchiodati al fatto educativo senza 
un ideale superiore che lo illumini, senza un critetio per sin- 
cerarne i pregi ed i difetti, facilmente si incorre in una cieca 
imitazione, la quale ci porta a trasportare di sana pianta in 
modo atfatto meccanico una forma di educazione od un sistema 
scolastico da un popolo ad un altro, da un secolo ad un altro. 
Nulla di più contrario alla scienza ed all’arte educativa. Ogni 
foggia di educazione, ogni ordinamento scolastico è figlio del 
secolo in cui nacque, della nazione, che l’ha prodotto, si inspira 
al suo ambiente, ne ritrae i pregi ed i difetti. Trasportarlo in 
un terreno, che non è il suo, è un violentarne la natura fa- 
cendo opera insana. Dicasi il somigliante di una dottrina pe- 
dagogica registrata nella storia della scienza educativa. Quella 
dottrina sorse dalla mente di un pensatore, che meditò e di- 
scusse i problemi pedagogici in un modo tutto suo personale e 
visse in un mondo domestico, civile, sociale, religioso affatto 
speciale, sentendo o dominando l’ambiente esteriore. Chi si ar- 
gomenta di riprodurre o trasportare quella dottrina, fa opera 
vana eome quella di risuscitare un cadavere : essa ha fatto il 
suo tempo. Occorre però evitare l'estremo opposto. Se è cosa 
riprovevole e dannosa la cieca imitazione, che senza verun cri- 
terio riproduce e trasporta da un secolo all’altro un intiero 
sistema di educazione od una intiera dottrina pedagogica, sa- 
rebbe affatto irragionevole il non tener conto di quanto vi può 
essere di buono e di pregevole nel passato, innestandolo col 
nuovo e col presente. Che anzi il vero progresso in fatto di 
educazione e di ‘scienza pedagogica non si ottiene che a questa 
condizione. Se tutto si distrugge a mano a mano che sì viene 
edifirando, non si verrà mai a capo di nulla. 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 941 


Lo studio storico esclusivo, mancando di un ideale supe- 
riore ai fatti conduce all'immobilità, al meccanismo, alla ripe- 
tizione sterile ed infeconda dei medesimi fatti. Chi si abbandona 
senza modo e senza misura a quest’indirizzo, assiste passiva- 
mente alla continuata successione dei fatti educativi, che la 
storia gli presenta attraverso i tempi ed i luoghi, non li domina, 
non li ricrea, non li feconda coll’attività del suo pensiero, non sa 
dove ed a qual punto finale vadano a terminare. Egli non me- 
dita colla propria testa, ma ripensa ciò che hanno pensato gli 
altri: non aggiunge un sassolino al grande edificio dell’educa- 
zione umana. La storia non si fa; è già fatta; non rimane che 
contemplarla nel suo passato. Certamente se noi la studieremo 
con serietà, con illuminata intelligenza, potremo attingere grandi 
e preziosi ammaestramenti; ma ricordiamo che la sapienza e 
l'opera educativa non si chiude tutta quanta nel passato, ma ‘ 
si estende senza fine nell’avvenire, e che se l'avvenire pedago- 
gico fosse una morta ripetizione del passato e niente più, non 
avrebbe nessuna ragione di essere. 


L'indirizzo sociologico. 


La scienza e l’arte pedagogica sta tutta quanta nella sua 
storia: una teoria speculativa dell'educazione, che trascenda la 
cerchia dei fatti educativi, non ha ragione di esistere. Così sen- 
tenziano i seguaci esclusivi dell'indirizzo storico. La pedagogia 
è scienza essenzialmente ed esclusivamente sociologica; l’educa- 
zione è opera essenzialmente ed esclusivamente sociale: tale è 
il pronunziato dei seguaci esclusivi dell’indirizzo sociologico. 
Nel secol nostro le scienze sociali (1) hanno spiegato un am- 
plissimo sviluppo pari al meraviglioso incremento, che raggiun- 
sero le scienze fisiche e naturali nel secolo decimottavo; quindi 
non è da stupire, se attrassero nella loro orbita anche la pe- 
dagogia falsandone il carattere. Le scienze sociali contemporanee 
rispecchiano idealmente lo stato della società attuale, che va 
sempre più complicando il suo organismo, ampliando la sfera 


(1) Nel mio opuscolo Saggio di una introduzione alle scienze soctali, a 
pag. 24 io ho tentato una classificazione sistematica delle medesime, fon- 
data sul concetto della società umana. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLUI. 64 


+ 


942 GIUSEPPE ALLIEVO 


della sua attività, stringendo più forti i vincoli del civile con- 
sorzio. Quanta disparità tra i tempi medioevali, in cui le genti 
umane vivevano qua e la disperse e pressochè solitarie, e le 
affollate città del mondo moderno, in cui la vita intima e pri- 
vata rimane pressochè assorbita dalla vita pubblica e sociale! 

E noto che nell’antica Grecia l'educazione essendo riguar- 
data come un diritto esclusivo dello Stato, mirava a coltivare 
nel fanciullo il cittadino e non la personalità individua dell’uomo, 
e perciò la pedagogia veniva confusa colla scienza sociale della 
politica. Infatti Platone ed Aristotele esposero le loro dottrine 
pedagogiche l’uno nella sua opera Lo Stato, l’altro nel suo vo- 
lume La Politica. Ma a poco a poco la pedagogia svincolandosi 
dalla politica e dalle altre scienze eterogenee venne sempre più 
affermandosi come scienza distinta e fornita di uno stampo 


tutto suo proprio (1). Ora stiamo ritornando all’antico errore: 


non solo si vuole da alcuni confusa la pedagogia colla politica, 
ma la si pretende una scienza essenzialmente e supremamente 
sociale. Nessuno vorrà mai negare che l’educazione debba avere 
altresì un còmpito sociale, coltivando nel fanciullo non solo la 
sua personalità individuale, ma altresì l’uomo sociale, che vive 
in comunanza di vita co’ proprii simili; ma il ridurla ad un 
compito supremamente sociale è uno snaturare il carattere della 
pedagogia e dell'educazione ad un tempo. 

I promotori dell'indirizzo sociologico, di cui parliamo, esor- 
discono intentando un processo alla pedagogia quale venne fin 
qui professata e la accusano senza più di essere una scienza 
astratta, tradizionale, frammentaria, esclusiva e unilaterale, 
priva di un oggetto suo proprio, che le conferisca un organismo 
suo particolare. Formolati questi capi di accusa, essi ne argui- 
scono la necessità, che essa risorga a nuova vita ponendosi a 
contatto colle scienze sociali per trasformarsi anch'essa in una 


(1) Im tempi a noi più vicini, Gaetano Filangieri ha esposto la sua 
dottrina pedagogica nella Scienza della Legislazione, che è scienza sociale; 
ma egli contempla l’educazione soltanto come pubblica e sociale, diretta 
da leggi civili, lasciando al pedagogista il còmpito di contemplarla nella 
integrità sua, epperò non si potrebbe asserire che ne faccia una ‘scienza 
essenzialmente sociale. 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 943 


scienza sociale, poichè solo a tal condizione può ritrovare l’ob- 
bietto suo proprio, e quindi costrursi un organismo scientifico, 
conquistare un posto tutto suo nel campo dello scibile umano. 
Il suo carattere scientifico debb'essere essenzialmente sociologico. 
Essa debbe avere per argomento perpetuo delle sue -investiga- 
zioni e de’ suoi studi il fatto educativo quale si mostra e si 
svolge attraverso le forme successive, che presenta l'evoluzione 
progressiva della società, soltanto una educazione siffatta può 
preparare gli animi e le menti a ben comprendere e rettamente 
risolvere la questione sociale, che agita la coscienza del mondo 
contemporaneo e salvarci da quel gretto ed esclusivo indivi- 
dualismo, a cui ci ha condotti l'educazione, la quale fa dell’a- 
lunno un uomo indipendente dagli altri suoi simili, sciolto da 
ogni vincolo sociale, mentre l’individuo umano non esiste e non 
vive che nella società e per la società, e fuori di essa si riduce 
ad una mera astrazione. Così ragionano i nostri novatori. o dirò 
meglio rinnovatori dell’antico errore, che spogliava l’educando 
della sua individualità personale per farne un mancipio dello 
Stato o della società, riducendo appunto la pedagogia ad una 
scienza essenzialmente sociale. 

Passando all'esame di quest’indirizzo sociologico, doman- 
diamo anzitutto: sono vere le accuse, sono fondate le censure, 
che i suoi fautori rivolgono alla pedagogia filosofica? Essi la 
accusano di non avere un oggetto reale e concreto, su cui la- 
vori, quale è la società, ma di speculare intorno l’uomo astratto 
ed insussistente, e quindi perdersi in concetti empirici ed astratti, 
che non fanno scienza. Ma qual'è mai la scienza che studii il 
tale o tal altro oggetto individuale realmente esistente qua o 
là, o non piuttosto l'essenza astratta, comune ad una data specie 
di esseri? Il botanico, il zoologo non studiano questo o quel- 
l’altro fiore, questo o quell’altro bruto in particolare, ma i varii 
generi, le varie specie di fiori o di bruti, ossia il fiore ed il 
bruto in astratto. Così la pedagogia non ha per oggetto l’edu- 
cazione di Cajo, di Tizio, di Pietro, ma dell’uomo in astratto. 
I nostri stessi sociologi, quando trattano dell'educazione sociale, 
non intendono certo di parlare di questa o ‘quell’altra. società 
particolare, di quest'altra o di quell’altra famiglia privata, di 
questo o quell'altro Stato determinato, bensì della società, della 
famiglia, dello Stato in astratto. 


944 GIUSEPPE ALLIEVO 


La pedagogia filosofica non forma una unità scientifica tale, 
che le varie sue parti siano insieme congiunte tutte quante da 
un vincolo logico, che le componga in un tutto organico e con- 
corde, ma un centone di frammenti e di pezzi scelti qua e là 
e raccostati meccanicamente insieme senza intime congiunture. 
Ecco una seconda accusa, più insussistente ancora della prima. 
A sventarla basta consultare un trattato più o meno compiuto 
di pedagogia, ad esempio la Pedagogica del RavxnERI, in cui 
tutta quanta la scienza dell'educazione si appunta in un concetto 
unico supremo, da cui si veggono fluire a filo di logica tutte 
quante le sue parti e specie, ciascuna delle quali viene discorsa 
sia in se stessa, sia nelle sue relazioni colle altre. L'ordine lo- 
gico, che governa tutto quanto il trattato, gli imprime quello 
stampo organico, che, è proprio della scienza. 

La pedagogia filosofica è schiava della tradizione, che la 
ridusse ad un impasto di vecckiumi: è la pedagogia del passato, 
priva di ogni soffio di novità e di progresso. Intorno a quest'altra 
grave censura occorre intenderci per bene. Se per tradizione 
s'intende un cieco e smodato amore del passato, che ci inchioda 
ad un tempo che non ha più ragione di esistere, e ci rende 
sdegnosi ed intolleranti di ogni novità e progresso, niente vi 
ha di più riprovevole e di più contrario alla ragione; ma la 
pedagogia filosofica, anzichè rimanere immobile ed attaccata al 
passato fuor di ragione, ha sempre fatto tesoro delle scoperte 
della scienza. Ma la tradizione ben intesa è un filo di continuità 
che rannoda insieme il passato col presente e coll'avvenire, che 
congiunge in un tutto vitale le varie fasi di una istituzione, di 
un'arte, di una scienza, ed è quindi condizione necessaria di 
sviluppo e di progresso, poichè non si progredisce nè rimanendo 
immobilmente attaccati al passato, nè distruggendolo tutto 
quanto per edificare dal nulla sulle sue ruine. Ora la pedagogia 
nostra è certamente tradizionale in questo senso, ma per ciò 
appunto è progressiva. 

Viene l’ultima censura: la pedagogia da noi professata è 
esclusiva, non abbraccia l'educazione in tutto il suo perfetto 
insieme, ma la riguarda sotto un aspetto parziale ed incompiuto. 
Essa trascura affatto il vastissimo argomento dell’educazione 
sociale e si ristringe tutta quanta all’educazione individuale del- 
l’uomo astratto. Anche questa. è un’osservazione gratuita, nè 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 645 


dimostrata, nè dimostrabile. Non vi è trattato scientifico peda- 
gogico, in cui non si discorra dell’educazione propria della fa- 
miglia o società domestica, della privata e della pubblica o 
sociale, dell'educazione morale sociale, ed in generale dell’edu- 
cazione delle classi popolari, dei diversi stati sociali professio- 
nali e via via. Nella sua Pedagogia il RaynERI traccia tutto 
l’amplissimo ambito della scienza educativa, la quale deve stu- 
diare l'educazione sotto il rispetto scientifico, amministrativo, 
legislativo, economico, statistico e storico. 

lo mi sono argomentato di dimostrare l’insussistenza delle 
accuse, di cui fu fatta segno la pedagogia filosofica; ma non mi 
arresto a questo punto, vado più oltre e ritorco le accuse contro 
gli stessi seguaci dell'indirizzo sociologico, che le hanno mosse. 
La pedagogia da loro ideata è primamente astratta anch'essa, 
‘ come ogni scienza in generale. Poichè la società, che le asse- 
gnano ad oggetto, non è una società particolare determinata 
dal tal tempo o dal tal luogo, la società antica, o la medie- 
vale, o la moderna, la società italiana, o la francese, o la te- 
desca, o la inglese, bensì è la società in genere, presa in 
astratto, ossia la essenza specifica della società, gli elementi, 
che la costituiscono, e che si trovano in fondo ad ogni società 
umana. Secondamente la loro pedagogia non è una scienza or- 
ganica, che, componga un tutto unico e concorde nella varietà 
e moltiplicità delle sue parti, bensì un’accozzaglia frammentaria 
di parti eterogenee, meccanicamente sovrapposte le une alle 
altre. Infatti le parti, di cui è formata, sono tratte dall’antro- 
pologia, dalla psicologia, dalla fisiologia, dalla biologia, dalla 
sociologia, dalla storia, ed in mezzo a tutte queste parti appar- 
tenenti a diversissime scienze la pedagogia vi si trova talmente 
rimescolata, che non costituisce un tutto distinto e fornito di 
uno stampo suo caratteristico. Costoro hanno confuso colla pe- 
dagogia altre discipline, che sono meramente sue ausiliarie e 
che quantunque abbiano con essa punti di contatto più o meno 
intimi, rimangono tuttavia essenzialmente distinte. I pedago- 
gisti sociologi rigettano la tradizione siccome contraria alla 
scienza ; ma con ciò mentre pretendono di creare dal nulla la 
nuova pedagogia, le tolgono ogni fondamento e la campano in 
aria, perchè senza il filo tradizionale della continuità, che stringe 
insieme i successivi progressi della scienza nel suo storico svi- 


946 GIUSEPPE ALLIEVO 


luppo, il lavoro del pensiero si sciupa nel nulla, pari alla tela 
di Penelope, sempre ricominciata da capo e non finita mai. 

Viene un ultimo punto assai notevole, che rivela la defi- 
cienza, l’esclusivismo e la profonda lacuna dell'indirizzo socio- 
logico. Esso non vede altra educazione se non quella della so- 
cietà, come se l’educazione tutta propria della individualità 
personale non contasse nulla. Ma allora bisognerebbe bandire 
dal campo pedagogico la coltura del carattere, siccome quello, 
che è essenzialmente individuale, la coltura propria delle suc- 
cessive età dell’alunno, infantile, puerile, giovanile, le quali non 
si riscontrano nella società ; la coltura delle molteplici potenze 
umane, fisica, intellettuale, artistica, morale, perchè queste sono 
proprie dell'individuo, e non della società. La pedagogia filoso- 
fica non può certo essere appuntata di siffatto esclusivismo : 
essa non si restringe all'educazione sociale, od alla individuale, 
ma insieme le comprende come parti indisgiungibili di un mede- 
simo tutto. 

Dacchè sono chiarite insussistenti le accuse fatte alla pe- 
dagogia filosofica, parrebbe che i promotori dell’indirizzo socio- 
logico non avrebbero più ragione di rigettarla per crearne 
un’altra affatto nuova. Ma essi mettono in campo la questione 
sociale e risolutamente sentenziano che a rettamente compren- 
derla e felicemente risolverla non soccorre altra via se non quella 
sola di un'educazione essenzialmente sociale. Vediamo se questa 
loro sentenza regge alla prova. 

Ci torna anzi tutto necessario aver presente al pensiero il 
giusto e comprensivo concetto della questione sociale a fine di 
rilevare se l'educazione dettata dalla pedagogia sociologica valga 
a risolverla (1). Ai tempi nostri la questione sociale assunse 
una forma più complicata e varia che nei secoli passati e. si 
estese a tutte le funzioni della vita pubblica e civile. Essa non 
è più semplicemente politica, qual'era nell'antica Roma, nè sem- 
plicemente economica, come nel feudalismo del medio evo, nè 
democratica, come nella Francia del ‘89; bensì mira al dissol- 
vimento di tutta la vita pubblica e privata mediante il comu- 
nismo dei beni, l'anarchia, l'eguaglianza illimitata, l'adorazione 


(1) Qui mì richiamo a quanto ho pubblieato nel Saggio di una intro- 
duzione alle scienze sociali. 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 947 


di se stesso. Nella questione sociale contemporanea si contiene 
altresì una questione pedagogica scolastica, che dovrebb’essere 
risolta da prima. Un disordine universale agita e sconvolge 
tutto il campo dell’educazione contemporanea : tutti i principii 
pedagogici, tutti i metodi didattici, tutti gli ordinamenti scola- 
stici sono messi in discussione : tutto si muta dall’oggi al di- 
mani, niente permane: non si sa più a quale principio stabile 
e fermo affidare l’opera educativa, a qual fine supremo debba 
essere rivolta. 

I nostri sociologi fondano la loro nuova dottrina pedago- 
gica su questo pronunciato: la società è essa sola una realtà 
vera, operosa, vivente, l'individuo esiste e vive nella società e 
per la società; fuori di essa è una pura astrazione, non ha di- 
ritti da esercitare, doveri da adempiere, non ha un fine suo 
proprio, a cui sia ordinato. Or bene questo pronunciato socio- 
logico, che fra breve esamineremo più di proposito, svolto nelle 
sue conseguenze pedagogiche non solo non risolve la questione 
sociale, ma conduce al dissolvimento della società medesima. 
Infatti l'individuo umano ha diritti, che non gli sono conferiti 
dalla società, ma che possiede per la stessa sua natura perso- 
nale, quali sono il diritto alla verità, alla felicità, alla libertà 
morale; ha doveri verso i suoi simili, ma ne ha altresì verso 
se stesso. La violazione di questi diritti e di questi doveri per 
parte della società offende la dignità della persona umana, co- 
stituisce un attentato della società contro l'individuo, e l’ indi- 
viduo insorge per la sua difesa personale: di qui una delle 
varie forme della questione sociale, la. questione giuridica. Or 
bene l’educazione chiamata a risolvere questa questione sociale 
giuridica deve ammaestrare gli animi e le menti giovanili al 
rispetto di tutti i diritti individuali. Ma è evidente che se l’edu- 
cazione sociologica si facesse ad adempiere questo còmpito ri- 
chiamando la società al rispetto dell’individuo, rinnegherebbe 
il proprio principio, che cioè la società è la realtà vera e viva, 
e che l'individuo per sè è un’astrazione insussistente. Simil- 
mente l’individuo ha diritto di scegliersi quello stato sociale, 
a cui si sente da natura chiamato, di provvedere onestamente 
alla propria sussistenza il meglio che può, di possedere quanto 
ha lecitamente acquistato, di vivere libero cittadino in libero 
Stato, di avere una coscienza morale e religiosa tutta sua propria 


948 GIUSEPPE ALLIEVO 


ed inviolabile. Tutti questi diritti non li deve alla società, ma 
li possiede in virtù della sua individualità personale; se la so- 
cietà li calpesta, egli insorge e li difende. Ecco qui ancora la 
questione sociale sotto tutte le sue forme; giuridica, economica, 
politica, morale e religiosa; ed anche qui l'educazione sociolo- 
gica dovrebbe rinnegare il suo principio fondamentale e rico- 
noscere che l’individuo non vive e non esiste solamente .nella 
società e per la società, ma vive una vita tutta sua propria ed 
incomunicabile. In conclusione senza l’io personale ed individuo 
non si spiega nè la società nè la questione sociale: quella e 
questa hanno origine dall’individuo considerato nella sua natura, 
od offeso nella sua personalità o trascendente i suoi naturali 
confini. Ogni riforma sociale deve prender le mosse dal riformar 
l'individuo, come ogni corruzione sociale esordisce dalla corru- 
zione individuale. 

Se raffrontiamo fra di loro l'individuo umano e la società, 
tosto si scorge che sono così intimamente congiunti che non 
possono essere concepiti, nè esistere l’uno senza l’altra. Infatti 
non ci è dato concepire la società senza gli umani individui, 
che sono i suoi componenti. essendo essa una riunione di per- 
sone individue, che insieme cospirano scientemente e liberamente 
ad un medesimo fine preconcepito. Togliete i singoli indiviani 
e la società scompare. Alla sua volta non si può concepire 
l’uomo individuo senza concepirlo naturalmente socievole, ossia 
essenzialmente fornito della virtù della socialità. Infatti la per- 
sona essendo intelligente e libera aspira ad un ideale infinito, 
e per conseguirlo sentesi portata a stringersi in comunanza di 
vita con altre persone individue. Così la società è una neces- 
saria espansione della persona individua, origina spontanea- 
mente dalla natura umana, e non già da un patto arbitrario 
fatto dagli uomini da prima isolati e dispersi. Così i due con- 
cetti di individuo umano e di società sono correlativi ed inesi- 
stono l’uno nell’altro. 

Che se l'individuo umano in virtù della sua personalità è 
fornito della virtù della socialità, se è il generatore della so- 
cietà, in cui si espande, ne consegue che l'io individuo è esso 
l’uomo vivente e reale, e che la società non si regge se non 
sulla viva personalità degli individui, che la compongono. 
Un'altra conseguenza, la quale conferma la realtà vivente del- 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 949 


l'individuo umano, sta in ciò, che esso crea la società collo 
scopo di raggiungere la massima perfezione possibile di se me- 
desimo. Quindi la società non è fine a se stessa, ma è rivolta 
a fornire ai singoli individui la maggior copia possibile di mezzi 
per conseguire que’ beni supremi, che sono proprii della per- 
sona umana, la verità, la virtù, la felicità. Cosa singolare! 
Questa verità è confermata dal fatto medesimo del socialismo 
contemporaneo, il quale a tutta prima sembrerebbe l’assorbi- 
mento assoluto dell’ individuo umano nel grande organismo 
sociale. Poichè a che mai aspirano i più ardenti tra gli agita- 
tori socialisti? Non certo a sacrificare il loro interesse perso- 
nale al bene comune, bensì al trionfo del proprio io, ossia a 
rendere più prospera e più agiata possibile la loro sussistenza 
individuale. 

La vostra dottrina (ci sì dirà) conduce all’ individualismo 
più esclusivo e dissolvente, essendochè se la realtà viva e con- 
creta appartiene non alla comunanza sociale, ma all’ individuo 
personale, ne consegue che l'io umano non vedrà in tutto l’u- 
niverso altro che se stesso, non mirerà ad altro che a se me- 
desimo, sacrificando l’intiera società al suo sconfinato egoismo. 
Qui ci troviamo di fronte ad uno dei più gravi problemi, che 
le scienze sociali siano chiamate a risolvere. Poichè si tratta 
di segnare il punto preciso in cui terminano i diritti dell’indi- 
viduo e cominciano quelli della società. A dissipare la difficoltà 
proposta necessita por mente al vero e giusto concetto dell’in- 
dividuo umano, e dell’individualismo. L'individuo umano è per- 
sona, ma persona finita. Come persona, possiede diritti assoluti, 
che deve conservare sacri ed inviolabili di fronte alla società 
insieme colla sua esistenza personale. Come persona finita, di- 
pende dalla personalità infinita divina, la quale gli impone do- 
veri da adempiere verso i proprii simili che sono anch'essi 
persone, e condanna l'egoismo siccome contrario alla legge del 
dovere. Convivendo coi proprii simili, egli ha diritto di conser- 
vare il sentimento ed il possesso della sna dignità personale e 
l'indipendenza della sua vita intima; e se 11 dovere della bene- 
volenza e dell'amore sociale gli impone di sacrificare il suo 
utile temporaneo a pro dei suoi fratelli, non può e non deve 
spingere il suo sacrificio sino a rinunciare alla sua dignità per- 
sonale e diventare mancipio della società, strumento dei voleri 


950 GIUSEPPE ALLIEVO 


altrui. Quindi si scorge, che l’individualismo conseguente dalla 
nostra dottrina non è sconfinato, nè egoistico, perchè temperato 
dalla legge divina del dovere, la quale mentre da una parte 
tutela la dignità personale di ciascuno, dall’altra proscrive ogni 
atto, che offenda l'ordine ed il buon essere della convivenza 
sociale. Così la dottrina da noi professata intorno la realtà 
dell’individuo umano riconosce in ciascun uomo due forme di 
vita, l’una propria od interiore, l’altra comune o sociale. 
Queste due guise di vita umana vorrebbe natura che si man- 
tenessero in armonico accordo fra di loro, ma nel fatto non 
sempre avviene così. Sonvi di tali, che hanno dalla natura mede- 
sima sortito un’indole solitaria, la quale li trae a vivere raccolti 
in sè e con sè, appartandosi il più che possono dalla convivenza 
comune. Talvolta questa prevalenza della vita intima sulla vita 
esterna non origina dalla tempra individuale dell'anima, bensì 
è conseguenza di dolorose vicende, di strazianti sciagure, per 
cui il cuore, non trovando più in tutto l’universo oggetto che 
lo conforti, si abbandona ad una illimitata mestizia, come se 
il mondo più non contasse nulla per lui. Quando quest’isola- 
mento dal consorzio umano tocca il suo estremo, allora abbiamo 
la misantropia, forma morbosa dell’anima, che vede in ogni 
creatura umana un nemico, ed all’isolamento dalla società ag- 
giunge il disprezzo e l’odio del proprio simile. Un estremo dia- 
metralmente opposto si manifesta, allorquando la nostra vita 
propria e personale rimane assorbita e confusa colla vita so- 
ciale a segno, che il nostro io non è più lui, che pensa, sente 
e vuole in modo tutto suo proprio, ma diventa un pallido ri- 
verbero della persona altrui, un mancipio del volere sociale. 
Nulla di più ignobile, di più contrario alla dignità personale 
dell’uomo quanto il vivere continuamente distratti in mezzo 
al vortice delle faccende esteriori, senza mai raccogliersi nel- 
l’interiorità dello spirito, interrogare la nostra coscienza, diman- 
darci dove andiamo, che cosa vogliamo, perchè viviamo. Il rac- 
coglimento interiore sta bene, ma non cadiamo in una solitudine 
assoluta, in un misantropico isolamento; come pure giova ri- 
temprare l’anima nelle fervide correnti della vita sociale, non 
però fino a naufragare nel gran mare della società. 
Raffrontando fra di loro la vita propria individuale e la 
vita comune sociale, si rileva che l’ intensità e l'estensione 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DEI.LA PEDAGOGIA, ECC. 951 


stanno fra di loro in ragione inversa, cioè il nostro io perso- 
nale tanto più vive in sè e con sè, quanto meno sì espande 
nella convivenza sociale, e che per contro la sua vita psichica 
perde in intensità quanto guadagna in estensione. Così in quel 
piccolo mondo sociale, che è la famiglia, specchio e suggello di 
tutta la società umana, la nostra vita individuale si svolge in- 
tensa e potente, mentre i nostri vincoli sociali si vanno sempre 
più rallentando passando dalla famiglia al paese natlo, al co- 
mune, alla patria, alla nazione, all’immensa società del genere 
umano dispersa per l'universo. Nella misantropia e nell’egoismo 
assoluto tutti i vincoli sociali sono infranti e l'intensità della 
vita individua è somma; per contro nell’eroismo del sacrificio 
la vita dell'io scompare immolata all’amore dei proprii simili. 

Sorge qui una questione gravissima ed affatto nuova. Noi 
abbiamo proclamato la dignità pressochè infinita, propria della 
persona umana, la quale è fornita di diritti assolutamente in- 
violabili, per cui non può essere sacrificata come mezzo o 
strumento al bene altrui. Come adunque si concilia il sacrificio 
della propria vita colla dignità sacrosanta propria della persona 
umana ? Come si scorge, qui il problema dei rapporti tra l’in- 
dividuo umano e la società assume una forma del tutto origi- 
nale e va a collegarsi col principio della vita futura. Poichè se 
l'io umano scompare:do dalla presente società terrena andasse 
a finire nel nulla, non vi sarebbe ragione per cui egli sacrifi- 
casse al bene altrui non solo il suo interesse materiale, ma la 
stessa sua esistenza, perchè la stessa sua dignità personale ver- 
rebbe meno. Ma se lo spirito umano sopravvive alla tomba, 
allora l’eroico sacrificio della propria vita presente è giustifi- 
cato, perchè è continuata da una seconda vita; allora sì viene 
a comprendere, che l’individuo umano non solo non è una mera 
astrazione di fronte alla società, ma a questa immensamente 
sovrasta, perchè la società terrena sorge quaggiù e tramonta 
quaggiù, mentre lo spirito umano diventa cittadino di un altro 
mondo sociale, di cui la ragione non giungerà a ritrarre la forma 
particolare e l’organamento interiore, ma non perciò ha motivo 
di impugnarne l’esistenza. 

Queste considerazioni intorno il rapporto tra la società e 
l'individuo umano mi parvero necessarie a compiere la critica 
dell’indirizzo sociologico pedagogico. 


952 GIUSEPPE ALLIEVO 


Gli indirizzi della Pedagogia contemporanea 
secondo N. Fornelli. 


Io reputo conveniente chiudere questo mio lavoro chia- 
mando a breve disamina un opuscolo recentissimo dell’ illustre 
pedagogista Nicola Fornelli, che discorse il medesimo argo- 
mento. Egli avverte che la pedagogia contemporanea postasi a 
contatto colle altre scienze assunse indirizzi molteplici e con- 
trarii, i quali accennano ad un suo rinnovamento più o meno 
compiuto, e che perciò occorre allo studioso ricercare le loro 
origini e le loro ragioni per orientarsi nella seelta di essi. Giu- 
stamente avvisa l’autore che la pedagogia dei giorni nostri non 
si troverebbe distratta fra indirizzi svariati e discordi, se si 
fosse mantenuta isolata e scissa dalle altre scienze; ed a com- 
piere il suo concetto parmi necessario far distinzione tra la 
scienza propriamente detta ed i loro sistemi. La scienza per 
se stessa è sempre vera, oggettiva, concorde in tutte le sue 
diramazioni ; i sistemi sono di loro natura soggettivi, e quindi 
possono essere erronei, incerti, discordi fra di loro. Quindi è 
che gli indirizzi della pedagogia saranno veri o sbagliati, sicuri 
o malfermi, concordi o contrarii, secondochè traggono origine 
dalle scienze o dai sistemi. 

Il nostro autore segnala due principali indirizzi pedago- 
gici, che oggidì si contrastano il campo, e che egli appella di 
formazione V uno, di sviluppo l’altro. L'indirizzo di formazione 
fondandosi sulla psicologia studia l'evoluzione naturale della 
mente del fanciullo e conformandosi alla medesima si propone 
di formare l'animo del futuro uomo per un fine morale e so- 
ciale. L'indirizzo di sviluppo esige che l’opera dell’educatore sia 
più cosciente e più compiuta. Questo secondo indirizzo presenta 
due caratteri suoi proprii: la necessità che l’educatore conosca 
il più che sì può ciascun soggetto educando, e quindi, la neces- 
sità che il fanciullo diventi soggetto di osservazione non solo 
interna, ma altresì esterna. Accanto a questi due segnalati in- 
dirizzi si venne manifestando un terzo, che l’autore appella 
indirizzo storico, perchè ha per oggetto suo proprio lo studio 
dei fatti educativi contemplati nella loro successione e coesi- 
stenza storica. Questo terzo indirizzo attinse dal recente evolu- 


L'INDIRIZZO STORICO E SOCIOLOGICO DELLA PEDAGOGIA, ECC. 955 


zionismo biologico il concetto, che le leggi del processo educa- 
tivo vanno desunte dalle leggi dell'evoluzione mentale della 
specie umana, sicchè la mente dell'individuo, nell'assimilarsi 
ogni ordine di cognizioni, percorre i medesimi gradi generali 
di sviluppo, per cui è passata la mente dell'umanità per costi- 
tuirle. Per siffatta ragione l'indirizzo storico potrebbe appellarsi 
altresì sociologico. Qui l’autore a viemeglio chiarire, che ogni 
questione pedagogica in rapporto con l’esistenza e col miglio- 
ramento sociale è sempre una questione storica, prende a dimo- 
strare, che il miglioramento sociale torna impossibile senza la 
educazione. 

A questo proposito l’autore nota il grande divario che in- 
tercede fra l'indirizzo storico ed il senso storico, e pone in chiaro 
quanto il secondo contribuisca a rendere fecondo l'indirizzo so- 
ciologico, e come la maggiore o minor presenza od assenza del 
senso storico informi diversamente i capolavori dei grandi pen- 
satori di ogni epoca, quali ad esempio Platone ed Aristotele 
presso gli antichi, il Leibniz, il Kant ed il Comte fra i mo- 
derni. Sono molto assennate e vere le osservazioni critiche, che 
egli fa intorno Augusto Comte, notando in lui un'assoluta de- 
ficienza di senso storico e chiamandolo un poeta della storia 
dell'umanità, anzichè il creatore della scienza della storia, come 
vorrebbe il Littré. 

In mente dell'autore, oggi più che mai occorre che lo stu- 
dioso di pedagogia sia fornito di questo senso storico, sia perchè 
ogni questione fondamentale di educazione è in necessario rap- 
porto con l’esistenza sociale, epperò la pedagogia è disciplina 
sopratutto di natura sociologica, e sia perchè ogni questione 
di pedagogia sociale ha un fondamento storico. Il nostro autore 
ci consentirà che su questo punto noi dissentiamo da lui : 
giacchè pur riconoscendo i segnalati servizi, che la storia e la 
sociologia prestano alla pedagogia, teniamo per fermo che questa 
ha sua natura tutta speciale, che la differenzia dalla scienza 
storica e dalla scienza sociologica, le quali sono discipline me- 
ramente sussidiarie della pedagogia, come lo è la psicologia. E 
questa l'opinione, che mi sono argomentato di porre in sodo 
nel presente lavoro. 

L'autore chiude il suo studio additando nel concetto so- 
ciologico il punto centrale di tutta l’enciclopedia pedagogica 


954 GIUSEPPE ALLIEVO — L'INDIRIZZO STORICO, ECC. 


contemporanea, nell'interesse ed utilità della vita comune, la 
finalità suprema della scienza e dell’arte pedagogica ed il cri- 
terio per giudicare di quanto si pensa e si opera nel campo 
educativo. 

Noi abbiamo letto con vivo interesse l’importantissimo opu- 
scolo dell’illustre pedagogista di Napoli, come apprezziamo assai 
l’altro suo secondo volume: Questioni pedagogiche e scolastiche ; 
e ci lusinghiamo, che quando egli abbia fermata la sua atten- 
zione sul presente lavoro, forse riconoscerà che ha esteso oltre 
i suoi limiti il còmpito pedagogico del principio sociologico e 
non ha tenuto nel debito conto la coltura della vita intima e 
tutta personale, senza di cui l’educazione esterna sociale perde 
il suo vero carattere e manca di ogni valore. 


L’ Accademico Segretario 
GAETANO DE SANCTIS. 


_ANSIINLNSINNAO_- 


Torino — Vincenzo Bona, Tipografo delle LL. MM. e RK. Principi. 


N Y Acnnsssy 


È î PAIA 


= PUI © 


OF OUlENOs89 


CLASSI UNITE 


Adunanza del 14 Giugno 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: 


della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: 
Naccari, Direttore della Classe, CAMERANO, SEGRE, JADANZA, 
Foà, GuarEscHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MarTIROLO, MoRERA. — 
Scusano l’assenza i Soci SAaLvaporI, SPEZIA e FUSARI; 


della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: 
Carroni, RurrinI, StAMPINI, Scorza e ReNIER che funge da Se- 
gretario. — È scusata l'assenza di BoseLLI, Vice-presidente del- 
l'Accademia, Manvwo, Direttore della Classe, CARUTTI, De SANCTIS 
e D’ERcoLE. 

Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente a Classi 
Unite, 8 marzo 1908. 

Invitato dal Presidente, il Socio Tesoriere espone il rendi- 
conto finanziario dell’anno 1907, sia del fondo accademico, sia 
dei fondi particolari per i premi Vallauri, Bressa, Gautieri, Pol- 
lini. Legge poi il bilancio preventivo per l’anno 1908. L’Acca- 
demia approva tanto il resoconto consuntivo quanto il bilancio 
preventivo. 

._ Ai Soci Cnironi e Foà, recentemente nominati Senatori, il 
Presidente esprime congratulazioni, in nome proprio e dei col- 
leghi. I due nuovi Senatori ringraziano. 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 65 


956 


Il Presidente fa noto quanto sinora ha fatto la Classe di 
scienze fisiche per celebrare solennemente nel 1911 il centenario 
della pubblicazione della classica Memoria di Amedeo Avogadro 
Sulla costituzione molecolare dei gas, che è considerata a giusto 
titolo come il fondamento della chimica moderna. Fu costituito 
un Comitato, che ha già stabilito in linea generale il modo mi- 
gliore per onorare l'illustre scienziato ed accademico. Ora il 
Presidente propone che in quel Comitato sia rappresentata anche 
la Classe di scienze morali e ritiene opportuno che tale rappre- 
sentanza sia tenuta dal Vice-presidente dell’Accademia, dal Di- 
rettore e dal Segretario di quella Classe. — La proposta è 
accolta ad unanimità dai presenti. 

Gli Accademici Segretari 
LoRrENZO CAMERANO. 
GAETANO DE SANOTIS. 


e ee—errt- 


957 


CLASSE 


SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI 


Adunanza del 14 Giugno 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. ENRICO D’OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. 


Sono presenti i Soci: Naccari, Direttore della Classe, SEGRE, 
Prano, JADANZA, Foà, GuarEscHI, Gui, FiLeti, PARONA, MAT- 
tIRoL0, MorERA, Grassi e CAMERANO, Segretario. — Scusano la 
loro assenza i Soci FusARI e SALVADORI. 

Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 

Vengono presentate -dal Presidente in omaggio alla Classe 
le pubblicazioni seguenti: Trigonometrische Hihenmessung und 
Refraktionskoeffizienten in der Nihe des Meerespiegel, del Socio 
straniero F. R. HeLmert; Europa. L'origine dei popoli europei 
e loro relazioni coi popoli d’ Africa, d’ Asia e d’ Oceania. Torino, 
Bocca, 1908, di G. Sere. Il Socio Segretario mette in evidenza 
i pregi dell’opera del Sergi che ha rinnovato i metodi di studi 
craniologici e antropologici e fa risultare l’importanza del la- 
voro del Sergi. 

Il Socio MartIROLo presenta in omaggio le sue due note: 
Proposte intese a promuovere la coltivazione dei tartufi in Italia. 
L’Orto sperimentale della R. Accademia d’ Agricoltura di Torino 
nell’anno 1907. Lavori e Bilanci. 


958 


Vengono presentate per l'inserzione negli Att? le note se- 

guenti : 

1° Ing. M. PawnertI: Sulla deformazione dei solidi elastici 
prismatici prodotta dallo sforzo di taglio, dal Socio Guipi; 

2° Prof. Gino Fano: Sopra alcune varietà algebriche a tre 
dimensioni aventi tutti i generi nulli, dal Socio SEGRE; 

3° Sulla generazione delle superficie che ammettono un doppio 
sistema coniugato di coni circoscritti, del Socio SEGRE; 

4° Dr. Luigi CoLomBa: Note mineralogiche sulla valle del 
Chisone (Cave del Pomaretto), dal Socio PARONA a nome del 
Socio SPEZIA; 

5° Dr. S. SquinaBoL: Riassunto di uno studio geo-fisico 
sulle Isole Tremiti, dal Socio PARONA; 

6° Dr. G. NeGrI: Contributo alla briologia delle Isole Tremiti, 
dal Socio PARONA; 

7° Dott® Efisia Fontana: Sul valore sistematico di alcune 
specie del genere “ Elaphomyces , del gruppo E. anthracinus Vitt., 
dal Socio MATTIROLO ; 

8° G. Srorza: Sopra alcuni punti dell’estensionimetria non 
euclidea, dal Socio D'OviIDIO; 

9° Dott. E. LauRA: Sopra le trasformazioni di contatto che 
vengono trasformate in se stesse dal gruppo delle rotazioni attorno 
ad un punto, dal Socio MoRERA; 

10° Dr. Vittorio BaLBI: Posizioni apparenti di stelle del 
Catalogo di Newcomb per il 1909, dal Socio JADANZA (*); 

11° Dr. A. Camperti: Sulla variazione del grado di disso- 
ciazione di alcuni elettroliti colla temperatura, dal Socio NACCARI; 

12° Nuovi isomeri della conina ed altre idrobasi, del Socio 
GUARESCHI; 

13° Dr. Giovanni IssoeLio: Nuoro isomero della conina dal 


ciantrimetilpiperideone, dal Socio GUARESCHI; 


(*) Compariranno in un prossimo fascicolo. 


959 


14° Dr. L. Coenerti De MartIS: / così detti “ peni ,, dei 
Criodrilini, dal Socio CAMERANO; 

15° Dr. E. ZavartARI: Materiali per lo studio dell'osso 
ioide dei Sauri, dal Socio CAMERANO; 

16° Prof. C. Burari-FortI: I quaternioni di Hamilton e il 
calcolo vettoriale, dal Socio PEANO. 

Il Socio SEGRE, anche a nome del Socio MoreRA, legge la 
relazione intorno alla Memoria del Dr. G. Z. GIAMBELLI, intito- 
lata: Risoluzione del problema generale numerativo per gli spazi 
plurisecanti di una curva algebrica. — La relazione favorevole 
è approvata, così pure, con votazione segreta, la stampa nei 
volumi delle Memorie accademiche. 

Il Socio JADANZA, anche a nome del Socio NAccARI, legge 
la relazione sulla Memoria del Dr. Cesare AtMONETTI, intitolata : 
Determinazione astronomica della latitudine della Specola Geodetica 
della R. Università di Torino. La relazione favorevole è appro- 
vata, e così pure con votazione segreta la stampa del lavoro 
nel volume delle Memorie accademiche. 

Il Socio GurpI presenta per l'inserzione nel volume delle 
Memorie il suo lavoro, intitolato: Risultati sperimentali su cavi 
di acciaio e di canapa. La Classe con votazione segreta unanime 
approva la stampa nei volumi delle Memorie accademiche. 


960 MODESTO PANETTI 


LETTURE 


Sulla deformazione dei solidi elastici prismatici 
prodotta dallo sforzo di taglio. 
Nota del Prof. MODESTO PANETTI. 


Questa breve Nota ha essenzialmente lo scopo di porre in 
evidenza come, fra le deduzioni della teoria matematica dei so- 
lidi elastici prismatici, sì trovi la conferma sicura di quell’in- 
cremento di deformazione del loro asse geometrico inflesso, che 
nei trattati di Ingegneria si considera separatamente come ef- 
fetto dello sforzo di taglio. 

Sono stati elevati dubbi a questo proposito in una Me- 
moria (*), i cui risultati, intesi nel loro vero significato, non 
sono invece altro che una geniale conferma in un caso speciale 
di quanto si fa abitualmente negli studi di applicazione. Valga 
questo fatto a destare un qualche interesse per le modeste con- 
siderazioni che seguono, il cui compito è semplicemente quello 
di precisare il significato meccanico di deduzioni già note. 


* 
* 


Anzitutto bisogna tener presente che il problema del De 
Saint Venant suppone che la superficie laterale del prisma ela- 
stico non sia soggetta ad azioni esterne, e che in esso non si 
sviluppino forze di massa, sicchè la sollecitazione vi è prodotta 
esclusivamente dalle tensioni applicate alla base estrema 5 
libera. 

Le reazioni dei vincoli necessarie a mantenere in equilibrio 
il solido elastico si intendono applicate alla base A, nel cui 
baricentro si colloca l’origine degli assi di riferimento, sce- 


(*) E. Anmansi, Sulla flessione dei cilindri, vol. XXI, dei © Rendiconti 
del Circolo Matematico di Palermo ,, anno, 1906. 


SULLA DEFORMAZIONE DEI SOLIDI ELASTICI PRISMATICI, ECC. 961 


gliendo, per esempio, quello delle «x coincidente coll’asse geo- 
metrico non deformato dal prisma, e fissando il suo senso po- 
sitivo da A verso 5. 

In conclusione il solido del De Saint Venant corrisponde, 
rispetto ai casi studiati nelle applicazioni, alla mensola inca- 
strata in A e caricata soltanto all'estremità B. Quindi lo sforzo 
di taglio vi è per tutta la lunghezza costante. 

Le deformazioni deducibili coll’analisi dipendono dal modo 
di definire il vincolamento degli assi alla base A: e ciò si può 
fare : 

1° Obbligando il piano y2 a rimanere tangente nell’ori- 
gine alla superficie in cui la base A si deforma, e trattenendo 
uno degli assi p. e. y, nella direzione iniziale rispetto al prisma, 
d’ordinario in quella di uno degli assi principali centrali d’i- 
nerzia della sua base (Cfr. le opere del CasrieLIANO e del 
GRASHOF). 

Dette allora uv w le componenti dello spostamento di un 
punto del prisma elastico di coordinate xy, queste condizioni 
di vincolamento diventano : 


(o = (0) = (0) =0 (Fe) =A38)=0 


dy dy | 
(1) 
U Lee — n 
();=0; 


é 2° Vincolando l’asse delle x alla tangente iniziale all’asse 

geometrico, ed il piano 7 y all'elemento piano definito in adia- 

cenza dell'origine da detta tangente e da uno degli assi prin- 

cipali centrali d’inerzia della base (CLEBScH, Love, ecc.). 
Allora 


\ == =0 (2) =(3)=0 
®) x 
(an) =° 


La scelta di una di queste due ipotesi di vincolamento è, 
dal punto di vista matematico, affatto indifferente. Le diverse 
posizioni geometriche che vi corrispondono hanno per conse- 


962 MODESTO PANETTI 


guenza soltanto una differenza nei valori degli spostamenti «, v, , 
che se ne deducono: e questa differenza corrisponde ad una sem- 
plice rotazione rigida del prisma elastico deformato intorno ad 
un asse passante per il baricentro della base A, in cui coincidono 
le origini dei due sistemi di assi di riferimento. 

Questa rotazione, nel caso specialissimo del problema del 
De Saint Venant, è l'incremento di deformazione dell’asse geo- 
metrico che i trattati di ingegneria attribuiscono all’effetto dello 
sforzo di taglio. E ciò fanno giustamente ; in vero se sforzo di 
taglio mancasse, cioè, se sulla base B del prisma fossero ap- 
plicate soltanto tensioni normali (*), le due ipotesi di vincola- 
mento sarebbero perfettamente equivalenti. 

Invece le tensioni tangenziali, propagandosi fino al bari- 
centro della base A, vi provocano uno scorrimento, pel quale 
l’asse geometrico deformato nasce obliquamente al piano tan- 
gente alla base nell'origine. 

Col 1° riferimento tale obliquità si rivela in modo diretto, 
e gli angoli piccolissimi che la misurano (o le loro tangenti) si 
esprimono grazie alle (1) nel modo seguente: 


(3) (ob=(), Ca 


Col 2° riferimento essa non risulta che in modo indiretto, 
e gli scorrimenti sono dati da 


(4) (ay) = (30). (Yo = (gala 


Alle ordinate (v) e (w) della linea elastica, deducibili col 
2° riferimento dalle espressioni generiche di v e w, facendovi 
y=2<=0, si devono dunque aggiungere, per ottenere i valori 
ricavati col 1°, i termini 


Elta)o X(Yzz)o s 


sicchè, nel caso particolare in cui il piano xy sia piano di sim- 
metria del prisma nonchè della ripartizione delle tensioni tan- 


(*) Qui non si tiene conto delle tensioni che producono il momento 
di torsione, poichè non hanno rapporto col presente quesito. 


SULLA DEFORMAZIONE DEI SOLIDI ELASTICI PRISMATICI, ECC. 963 


genziali applicate alla sua base 5, detta £, la risultante di 
esse ed M. la coppia risultante, presa l’origine come centro di 
riduzione, si ha (*) 


2 3 
(5) EJ(=R,(3) e +145 — Rf. 


La y è una funzione che, agli scopi della presente Nota, 
basta determinare nella sua derivata rispetto ad y colla rela- 
zione seguente: 

d dB 1 
(5) ay a +e], 
dove n è il coefficiente di Poisson per solidi isotropi e B è una 
delle funzioni armoniche delle variabili y e 2 alle quali si riduce 
il problema del prisma elastico. Essa è definita dalla condizione 


di annullarsi per y=2=0, e di soddisfare lungo il contorno 
della sezione all’equazione 


(6) 5, 0058 + pe Cna cos + (2 -;- n)y2 senf, 


detto 8 è l'angolo che la normale al contorno diretta verso 
l'esterno fa coll’asse delle y. 


xi 
Dal punto di vista meccanico, interessando determinare le 
deformazioni del prisma elastico rispetto al sistema di assi che 
dà migliore affidamento di rappresentare la parete indeforma- 
bile, alla quale il prisma si suppone rigidamente legato, si deve 
indubbiamente preferire il 1° riferimento che conduce alla for- 
mola (5). 


(*) Cfr. Grasnor, Theorie der Elastizitàt, e CastieLIano, Théorie de l’é- 
quilibre des Systèmes élastiques; salvo che in questi trattati si trova il ter- 
mine (32) in vece ai (32) , che gli è uguale, come risulta dalla (5), in 

dY /o dY /o 
cui per y=2=0 l’ultimo termine si annulla; ma è qui preferibile per de- 
durre con maggiore semplicità le interpretazioni meccaniche che seguono. 


964 MODESTO PANETTI 


Invero, risultando secondo tale riferimento tangente al 
piano y la superficie in cui si deforma la base A del prisma, 
è lecito presumere che, nel caso limite in cui le dimensioni 
trasversali fossero infinitamente piccole, esso condurrebbe alle 
medesime conclusioni a cui si giungerebbe coll’ipotesi della :1s- 
soluta indeformabilità della sezione di incastro. 

Invece col 2° riferimento, supposta la parete di incastro 
solidale al piano y e, si arriverebbe all’assurdo di attribuirle 
l'attitudine a deformarsi in senso opposto alle tensioni normali 
colle quali il prisma agisce su di essa. Così sull’elemento adia- 
cente al baricentro nella direzione + y le tensioni normali ap- 
plicate alla parete di incastro, nell’ ipotesi di carico ammessa, 
sarebbero rivolte verso — x; e l’elemento dovrebbe invece spo- 
starsi verso + x perchè (3° 
I trattati di scienze applicate non fanno uso della for- 


\ MPS IT8O î sipio 
|è positivo se /, è positivo. 


mola (5) tal quale, ma al termine (3) , che si conosce soltanto 
"0 


per alcune figure geometriche molto semplici, sostituiscono una 
delle due grandezze seguenti : 


1° Il valor medio di So per i punti della figura allineati 


sull’asse 2, che si deduce calcolando per mezzo di considerazioni 
puramente meccaniche la risultante delle tensioni tangenziali 
distribuite lungo i vari elementi della sezione, di base 22 e di 
altezza dy. 

Tale valor medio è uguale a 


ra Mo 
1) A+, 


detto Mi, il momento statico rispetto all'asse 2 di una delle 
2 parti in cui la figura è divisa dall’asse stesso, e 22, la cor- 
rispondente larghezza, poichè si è supposto il caso di un solido 
simmetrico rispetto al piano « y. 

2° La quantità 


(8) A+ m4-|(3) dr 


detta Y l’area della sezione del prisma ed Ri il momento sta- 


— ai see 


SULLA DEFORMAZIONE DEI SOLIDI ELASTICI PRISMATICI, ECC. 965 


tico rispetto all'asse = della porzione di sezione situata al di 
sopra della corda di ordinata y e di lunghezza 22. 

A questo 2° valore approssimato conduce il teorema delle 
derivate del lavoro di deformazione, applicato al calcolo della 
curva elastica (CastieLIANO), trascurando la parte di esso cor- 
rispondente alle tensioni tangenziali t,. normali allo sforzo di 
taglio £, che le provoca, e sostituendo alle altre tensioni t,, ri- 
partite lungo ciascuna corda parallela all’asse 2, il loro valore 
medio. 

La (8) è dunque sempre approssimata per difetto, poichè 
entrambe le cause di errore influiscono in questo senso. Non 
occorre provarlo per quanto riguarda la soppressione del ter- 


mine {ti.dF nella espressione del lavoro di deformazione. Per 
l’altro termine 


| ti, dF= Î dy ti, de 


basta osservare che, sostituendovi a t,, il suo valore medio, si 
viene a porre questo in luogo del valore efficace, che è noto- 
riamente maggiore del valor medio. 

Nulla invece si può dire in generale circa il segno dell’er- 
rore commesso ricorrendo alla (7). Vi sono sezioni per le quali 
le tensioni tangenziali parallele allo sforzo di taglio e quindi 
gli scorrimenti relativi, decrescono andando dai lembi verso la 
mediana. Tale è il caso della sezione rettangolare ed allora la (7) 
è approssimata per eccesso. 

Per altre sezioni succede l'opposto. 

Così per una sezione circolare di raggio r, essendo in ge- 
nere per n= !/, 


DOOR 
Vay = 920 a [7(r? i: Y?) Ciel 22], 


sarebbe in corrispondenza del baricentro 


i B 
(Tay)o — 5 3 , 
i Nr 4 a 
al qual valore si sostituisce: col 1° metodo o @p' col 2° me- 


10 R, 


todo > GP entrambi minori del valore esatto. 


966 MODESTO PANETTI 


xi 
Si può dimostrare direttamente che la quantità (7) non è 
altro che la media dei valori assunti da ca nei punti della se- 


zione appartenenti all’asse 2, e anzi più in generale che, presa 
una corda HK parallela a 2, di ordinata y, e lunga 22, si ha 
rispetto ad essa 


t=/dy di 
(9) (E(e) de=2(1-+ n. 
1009: dB ) 
Ricorriamo alla funzione ay, Per mezzo della quale si 
esprime secondo la (5') Dà, e consideriamo l’ (a; dF esteso a 


tutta la porzione di area compresa fra la corda HK ed il con- 
torno c della sezione dalla parte delle y positive. Eseguendo 
una delle solite trasformazioni di un integrale esteso ad un’area 
in un altro eseguito lungo il contorno, si può scrivere colla re- 
gola della integrazione per parti rispetto ad y fra i limiti y; ed y. 


òBan_ IO Sg ANA dB\°  d°B 
ja ar=[de}3, Li =[ux(08, = [la pianta 


L’ultimo termine, essendo B una funzione armonica delle 
variabili y e 2, si può sostituire con quest'altro: 


2 c'' 
+ [[v33 de dy= vi fai 
se c' e c'" sono le due regioni del contorno c, alle quali appar- 
tengono rispettivamente i due punti situati su di una stessa 
parallela all’asse 2. 
Ora lungo la porzione di contorno c limitata dai punti H 
e K si ha 


dz = ds cos$ dy= + dssenB, 


conservando all'angolo 8 il significato che ha nella (6) e inten- 
dendo che il segno + si deve attribuire alla regione e” (e> 0), 
il segno — alla regione e’ (2 <0). 


SULLA DEFORMAZIONE DEI SOLIDI ELASTICI PRISMATICI, ECC. 967 
Si può dunque porre 


furl 37) de="|;: y $ cos ds, 
fue(9 SE dy= [vi Wa Bent ds: 


e per conseguenza 


co) | SE dF + fa (E), a:=|y (22 coat +22 can) da 


Se si ricorre alla condizione al contorno (6) il 2° membro 
diventa 


fo |refon cos + (2 + n)y2 sen p| ds= 


“dai pià Cir) La sli ++ (422) dy = 


tara fa TE cda n A [ngî + (2 — n)ya2®]d2 + 


++], ae dy 


Il 1° ed il 3° termine, seguendo il cammino inverso a quello 
fatto nel precedente ragionamento, si trasformano subito in in- 


tegrali estesi all'area presa in esame al principio; in fatti 


iena )ide =IIlÈ ny +@—m5 |ar 
(_orar= [fear 


Il 2° termine della (11) è uguale a 


3 23 
nyiz+Q_myugz:; 
quindi la (10) si trasforma nella seguente equazione 


(12) [Party [0 de=nt+ 17 +(2+in) fear * 


+4. Ca LED [adr 


968 MODESTO PANETTI 


Ricorriamo ora alla (5') per sostituire nella (12) la w alla B. 
Notando che, in corrispondenza della corda HK, 


1 (Ps s ì 2 » e 53 
if me+C—m]ae=nge+@-m$, 


risulta come i 2 primi termini del 2° membro della (12), messo 
in evidenza y,, e trasportati nel 1° membro, si riuniscano al 


2° termine e lo trasformano in | (3) de. 
HK\ dy ]1 


Così pure, trasportando nel 1° membro 
i nfywar+%s 5° |eaF 


e riunendolo al 1° termine, questo diventa fi dF. 


Sicchè la (12) si può scrivere così: 
7 dy Sell 
(12) (s dF+y.|, i - ) de 29214 n) [var 


Il 1° membro della (12') contiene esplicitamente nel secondo 


. ; dy : ; ; i 3 
suo termine Lita | vr) da di cui cerchiamo l’espressione, Il 


x\ dy 
primo termine poi, separandovi la doppia integrazione e ponen- 
dovi i limiti, si può scrivere così: 


("e ay psi du) de. 


JYA —2\ dy 


La sua derivata rispetto ad y, è dunque fat. de 


Perciò, se deriviamo ambi i membri della (12') rispetto ad y, 
risulta 


mlt), de=21+n) 3 {" pay| de = — 2(14n)yi.22. 


Uta dy 


, 


Alla quale si soddisfa ponendo 


6 ). de =2(14- n) [fe22.y.dy. 


dy 


SULLA DEFORMAZIONE DEI SOLIDI ELASTICI PRISMATICI, ECC. 969 


Questo valore soddisfa pure alle condizioni al limite deduci- 
bili dalla (12'), e conferma identicamente la (9), che si voleva 
dimostrare. 


* 
* * 


Dove si rivela meglio ancora il significato delle deforma- 
zioni supplementari dovute allo sforzo di taglio è nei casì di 
forze applicate anche alla superficie laterale del prisma, dei 
quali le scienze applicate devono correntemente occuparsi. 

Se tali forze sono concentrate in corrispondenza di un certo 
numero di sezioni distribuite a distanze determinate l'una dal- 
l’altra, le deduzioni del problema di De Saint Venant si possono 
ancora applicare a patto di suddividere il prisma in altrettanti 
tronchi quanti sono gli intervalli fra le sezioni suddette. Cia- 
scuno di detti tronchi sarà soggetto a forze applicate esclusi- 
vamente alle sue basi, e, passando dall’uno all’altro per studiarne 
la deformazione, si dovrà porre la condizione di continuità per 
la quale la base estrema di ognuno di essi è saldata alla ini- 
ziale del successivo. 

Non vi può essere allora il minimo dubbio sul fatto che, 
ammesso questo modo di studiare il problema del prisma ela- 
stico inflesso, in corrispondenza delle sezioni S alle quali le forze P 
sono applicate, devono risultare altrettanti punti angolosi nella 
curva elastica. 

L'angolo delle tangenti contigue vi dev'essere uguale alla 
variazione dello scorrimento, che è conseguenza della variazione 
dello sforzo di taglio nel passaggio da un tronco al successivo. 

‘Se per esempio tutte le forze P sono dirette parallelamente 
ad y, sicchè R,=ZP, percorrendo i tronchi nel senso delle x po- 
sitive, si ha in ciascun passaggio attraverso ad una delle se- 
zioni S 


y 


AR,=—P e quindi dry =— ( dc) R 


facendo uso per maggior semplicità della funzione B in vece 
che della yw, secondo quanto fu osservato nella nota a pag. 6. 


970 MODESTO PANETTI 


Onde l'equazione della curva elastica per il tronco che segue 
la sezione S si potrà scrivere così: 


(13) o=vs+(L),e_ "i (ne Da M_se 0a 


indicando con M ed È rispettivamente i valori di M, e di È, in 
corrispondenza della sezione S. 

È notevole la conclusione a cui si giunge ammettendo che 
questo risultato si possa estendere ad una distribuzione con- 
tinua di forze lungo il prisma, come dal punto di vista mate- 
matico è lecito fare riducendo indefinitamente la lunghezza dei 
successivi tronchi, ed aumentandoli di numero. 

Cominciamo dal dedurre dalla (10), per il tronco che segue 
la sezione S, l'inclinazione della curva elastica 


do _ (dv P_( dB) M Bue! 
dx | dx | È 


Te EJ \\dy Jo "Bai no IRE 
Immaginiamola specializzata per la sezione estrema del tronco 
(quella che viene dopo $); poi rendiamone piccolissima la lun- 
ghezza indicandola con Ax, e sostituendo a P il termine pAe, 
se p è l’intensità della forza ripartita. 

Si ha allora, trascurando il termine che contiene Ax a grado 
superiore al 1°, 


A(£)= Tu 2) A 2-4 Re 


Facendo tendere Ax a zero, risulta finalmente 


PSE 


È questa la formola adoperata correntemente nelle appli- 
cazioni, salvo la sostituzione già discussa dei valori approssimati 
- dB 
(7) od (8) al termine (324 
Le ordinate della curva elastica del prisma inflesso risul- 


tano quindi effettivamente come somma di quelle dovute al mo- 


(14) dol La 


Pai 
SULLA DEFORMAZIONE DEI SOLIDI ELASTICI PRISMATICI, ECC. 971 


mento M e di quelle prodotte dallo sforzo di taglio R= [ pdx+- È, 


se { è la lunghezza del prisma, cioè la distanza dall'origine 
degli assi collocata nel baricentro di A della base estrema 5, 
alla quale si suppone applicata la forza Rg. Invero soltanto al- 
l’effetto degli scorrimenti si deve attribuire il 2° termine entro 
la parentesi della formola (14). 

Ma ciò che vi ha di notevole è l’analogia della formola (14) 
con quella dedotta dal prof. Almansi nella Memoria citata, la quale 
conchiude precisamente colla necessità di dare al momento M 
un termine additivo m per il calcolo della esatta deformazione 
dell’asse geometrico. 

Il prof. Almansi si serve con vantaggio per la semplicità 
della sua geniale ricerca di un’altra funzione armonica @ che, 
come è facile verificare, è legata alla B del Clebsch, usata in 
questa Nota, dalla relazione 


. 2 y3 
(15) e=ipaBtartn li #4) 

Allora, nel caso in cui le forze applicate dall’esterno alla 
superficie laterale del prisma, si riducessero ad un carico p di- 
retto nel senso di -{- y, uniformemente ripartito lungo la ge- 
neratrice contenuta nel piano di sollecitazione, che è anche 
piano di simmetria, e distante è dall’asse geometrico, risulterebbe 


m=+ pit nb? — + {y [1+m9 +ne E — $ p|arl. 


Facendone una applicazione alla figura che dà luogo alla più 
semplice legge di distribuzione delle tensioni tangenziali (è quella 
limitata da 2 lati paralleli all’asse y di sollecitazione e da 
2 archi simmetrici di una iperbole che ha y per asse reale) (*) 
essendo per essa @ = b?y, il prof. Almansi trova il 2° termine 
della espressione di m uguale a 


(14 n)6? — 


per piccoli valori di 4. 


l_}e 
Pani 


(*) Cfr. Grasnor, Opera citata, ed ALmansi, Introduzione alla scienza 
delle costruzioni, Clausen, 1901. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 66 


972 MODESTO PANETTI — SULLA DEFORMAZIONE, ECC. 


In questo caso dunque il termine additivo m sarebbe 


—pi(1+m@—3 8(1+3 n)f. 


Ricorrendo invece alla (14) e notando che per il valore 
speciale di g = 6°y si ha 


(| =0+n, 


si vede che risulta per l’appunto la 1 parte del termine addi- 
tivo m. L'altra, assai minore (circa la quarta parte), sarebbe 
dunque la. sola da attribuire in modo diretto all’infuenza del 
carico in quanto è ripartito sulla superficie laterale del prisma. 

Qualunque sia del resto il significato meccanico della lieve 
differenza numerica fra i due procedimenti, resta dimostrato 
quanto si disse in principio, che cioè l’ importante ricerca del 
prof. Almansi è una nuova conferma dei metodi di calcolazione 
seguiti nei trattati delle Scienze applicate, i quali tengono già 
conto correntemente della parte più importante del termine di 
correzione da lui proposto, e lo attribuiscono agli scorrimenti 
che la fibra media subisce per effetto dello sforzo di taglio. 

Ben inteso però, quando nel calcolo di solidi prismatici ad 
incastri perfetti si introduce questo termine, si tiene conto al 
_ tempo stesso della inclinazione colla quale la curva elastica si 
spicca dagli incastri. 

A questa inclinazione si deve anzi l'aumento delle ordinate 
della curva elastica rispetto all'effetto della sola flessione. E 
tale inclinazione va diminuendo coll’allontanarsi dall’estremità 
vincolata, pel fatto che lo sforzo di taglio decresce, e si genera 
quindi uno scorrimento relativo in senso opposto, come risulta 
dal segno del termine additivo della (14). 


beccati i 


GINO FANO — SOPRA ALCUNE VARIETÀ ALGEBRICHE, ECC. 978 


Sopra alcune varietà algebriche a tre dimensioni 


aventi tutti © generi nulli. 


Nota di GINO FANO. 


1. — È noto da tempo (CreBscn) che le curve algebriche 
di genere zero sono tutte razionali (e viceversa). E per una 
superficie algebrica è stato dimostrato dal Sig. CAstELNUOVO (1) 
che condizione necessaria e sufficiente perchè essa sia razionale, 
cioè rappresentabile sul piano, è che siano nulli il suo genere 
numerico (p,) e il bigenere (P;); nel qual caso sono pure nulli, 
in conseguenza, il genere geometrico (p,) e tutti gli altri pluri- 
generi. 

Invece per le varietà algebriche a tre dimensioni l’annul- 
larsi di tutti i generi (analoghi ai precedenti) non è ancora 
condizione sufficiente perchè esse possano rappresentarsi biuni- 
vocamente sullo spazio S3; e scopo di questa breve Nota è ap- 
punto di assodare l’esistenza — che si presenta per la prima 


Mi 


volta nel caso di varietà a tre dimensioni — di tipi birazional- 


mente distinti di varietà aventi tutti i generi nulli. Hanno infatti 
tutti i generi nulli tanto la varietà generale del 4° ordine (V4) 
dello spazio S,, quanto la varietà M} di S; intersezione generale 
di una quadrica e di una varietà cubica di quest’ultimo spazio ; 
poichè sono entrambe varietà regolari (aventi nulle tutte due 
le irregolarità (?)), e su ciascuna di esse il sistema lineare di 
superficie (F° o rispett. F°) segato dalle varietà di un ordine 
qualunque »(-2) ha per sistema i-aggiunto quello segato dalle 


(') Le superficie di genere zero, È Mem. della Soc. It. delle Scienze ,, (3), 
vol. 10 (1896). 

(*) F. Severi, Alcune proprietà fondamentali per la geometria sulle varietà 
algebriche, * Rend. Acc. dei Lincei ,, (5), vol. 16, 2° sem. (1907), p. 837. 


ei 


974 GINO FANO 


varietà di ordine <(n —1), il quale non contiene mai il sistema 
"° del precedente (ma anzi vi è parzialmente contenuto). Con 
tutto ciò queste due varietà (V* di S,, e M3 di $S;), che noi 
supporremo prive di punti doppi, non sì possono rappresentare 
(come faremo vedere) sullo spazio $S3; e di qui risulterà la 
prova di quanto sopra abbiamo affermato. 

Le stesse considerazioni si potrebbero estendere facilmente 
alla varietà di 8° ordine intersezione generale di tre quadriche 
dello spazio Sk, e, probabilmente, alle eventuali varietà analoghe 
di spazi superiori (corrispondenti al tipo generale M#7 di S,,,, 
con curve canoniche di genere p come sezioni). 

Si osservi infine che la varietà M$ di S; della quale ci oc- 
cuperemo, se contenuta in una quadrica non degenere, è imma- 
gine del complesso di rette generale del 3° ordine dello spazio 
ordinario; risulterà perciò anche stabilita l'impossibilità di rap- 
presentare questo complesso sullo spazio $3. 


2. — Si abbia, se possibile, sopra una V* di $, priva di 
punti doppi un sistema omaloidico di superficie (FM). Queste su- 
perficie saranno necessariamente intersezioni complete (/°) di V* 
con altre varietà a tre dimensioni, di un certo ordine # (1). 

Il sistema omaloidico F determinerà una rappresentazione 
di V4 sullo spazio 3, nella quale alle sezioni iperpiane di V* 
corrisponderanno superficie di un sistema lineare 4 (2). A 
ogni curva base C di quest’ultimo sistema corrisponderà gene- 
ralmente sopra V4 una superficie luogo di o! curve y, fonda- 
mentali per il sistema omaloidico  ; e una tal superficie si può 
supporre esistente senza scapito di generalità, perchè, se non 
vi fosse, basterebbe prendere in S3 un sistema omaloidico A che 
sia esso stesso dotato di una co! di curve fondamentali è non 
aventi posizioni particolari rispetto agli elementi basi di X (2), 
e sostituire a T quell'altro sistema omaloidico sopra V* che 
corrisponde a A nella stessa rappresentazione spaziale di V4 
già stabilita. 


(') F. Severi, Una proprietà delle forme algebriche prive di punti multipli, 
“ Rend. Ace. dei Lincei ,, (5), vol. 15, 2° sem. (1906), p. 691. 

() Per es., il sistema delle quadriche aventi a comune una conica e un 
punto fuori di questa conica. 


Na 


SOPRA ALCUNE VARIETÀ ALGEBRICHE, ECC. 975 


Se una è generica è irriducibile e non passa per nessun 
punto base di X, anche la y ad essa omologa sarà irriducibile. 

Possiamo anche supporre che una è generica non abbia 
punti multipli, non si appoggi in più di un punto a nessuna 
curva fondamentale di X, e incontri quelle superficie fondamentali 
e luoghi di linee fondamentali di X, che sono fra loro distinte, 
in punti complessivamente anche tutti distinti. Allora una Y ge- 
nerica non potrà avere punti multipli che nei punti basi isolati 
del sistema omaloidico F (ai quali corrispondono le superficie 
fondamentali di X) ('); ciò non sarebbe necessario per quanto 
segue, ma può servire a render più chiaro il ragionamento. 


8. — Le 008 superficie F* del sistema omaloidico F in- 
contreranno una qualunque delle co! curve fondamentali 1 in 
punti, che saranno tutti punti basi del sistema T medesimo. 
Alcuni di questi punti potranno essere comuni a tutte le curve y, 
e saranno punti basi isolati del sistema T; gli altri, variabili 
da una y all’altra, costituiranno linee basi di quello stesso si- 
stema. E noi possiamo supporre che soltanto fra i primi si tro- 
vino gli eventuali punti multipli delle Y. 

Se uno qualunque di questi punti è XP° per;le superficie 
F* costituenti il sistema T, le V* seganti queste F' (per ef- 
fetto di loro multiplicità o di contatti con V4) avranno ivi con 
ogni ramo lineare di curva tracciato sopra V* e passante per 
questo punto almeno % intersezioni coincidenti, e con ogni ramo 
di ordine u ne avranno almeno uk. Ciò avverrà in particolare 
per ogni ramo di una curva Y; e se per uno di questi rami 
venisse a coincidere col punto considerato un maggior numero 
di intersezioni con tutte (le V”, ossia) le /* del sistema T, 
si potrà dire che queste /‘ hanno un ulteriore punto base, 
di una certa multiplicità, consecutivo al primo sopra quel ramo 
di curva. | 


(') E se nessuna di queste superficie fondamentali contiene parti multiple 
(il che non si può tuttavia escludere @ priori), le Y passeranno per i loro 
punti multipli soltanto con rami lineari. Non possono invece contenere 
parti multiple le curve fondamentali di Z e quindi le superficie luoghi di 
tali curve, perchè se no una superficie generica di Z verrebbe a contenere 
punti multipli variabili fuori degli elementi basi del sistema. 


976 GINO FANO 


Per ogni punto base isolato (k?°) del sistema F si indichi 
con 4 la multiplicità (20) ch’esso ha per una y generica. Di 
più, questa y incontrerà le curve basi del sistema lin un nu- 
mero complessivo è di punti, semplici per essa, e che per la 
F* avranno certe multiplicità %' (saranno cioè punti di linee &'*). 
Dovendo da tali punti (che potranno in parte essere infinita- 
mente vicini tra loro) risultare assorbite tutte le intersezioni 
delle V” seganti le Y°” colle curve y, delle quali indicheremo 
con v l’ordine, si avrà la relazione : 


(1) Zhk+Xk'=v.m 


dove la seconda somma si compone di è termini. 


4. — Faremo vedere ora che, nella relazione precedente, 
le % sono certamente tutte “2, e le X' sono tutte “n; ossia 
che il sistema omaloidico l di superficie F‘", supposto esistente, 
non può avere nè punti di multiplicità > 2n, nè linee di multi- 
plicità > n. 

Infatti la superficie di ordine 4w intersezione generale di V4 
con una varietà V" è di genere (geom° = num®) eguale al nu- 
mero delle Y*"- linearmente indipendenti contenute in V4 (le 
quali sono le sue “ aggiunte ,); onde: 


=("1)-(*7)=4(3)+a@+p=1 


Ora un punto (2n+ 1)?° isolato abbasserebbe il genere nu- 
merico della F° di ki di 1) unità (!); e questo numero, come 


immediatamente si verifica, è eguale al precedente per n= 1, 
ma lo supera per n > 1. Il genere numerico della F* divente- 
rebbe dunque negativo, rendendo così impossibile l’esistenza di 
sistemi omaloidici. 


(1) Infatti questo punto dovrebbe essere (2 — 1)P!° per le FM) ag- 
giunte; e le varietà di ordine n—1 che segnano sopra V* queste aggiunte 
dovrebbero perciò avere ivi con Y* un contatto per il quale si richiedono 


1 "RG: 
appunto (90% condizioni. 


SOPRA ALCUNE VARIETÀ ALGEBRICHE, ECC. 977 


Quanto al caso n=1, è evidente che con sezioni iperpiane 
di V* si potrebbe formare un sistema omaloidico soltanto se V* 
avesse un punto triplo. 

Veniamo alle linee multiple. Una linea base %** del. si- 
stema T, la quale sia di ordine €, conta nell’ intersezione di 
due F*, che è di ordine 4n?, come parte ‘di multiplicità %'2, e 
perciò di ordine &.%'?. Perciò, se una &' fosse > n, l'ordine & 
della relativa linea sarebbe < 4, ossia = 3; non potrebbe dunque 
trattarsi che di una retta, di una conica, oppure di una cubica 
piana o sghemba. 

Questa linea multipla (almeno (n + 1)"") non può essere 
una retta; perchè gli oo? piani di $S, passanti per questa retta 
incontrerebbero ulteriormente V4 secondo cubiche, ognuna delle 
quali nei tre punti che ha a comune con quella retta avrebbe 
già raccolte, complessivamente, almeno 3(n + 1) delle sue in- 
tersezioni colle V" seganti le superficie del sistema F; sicchè 
queste V" dovrebbero contenere per intero tutte quelle cubiche, 
e quindi la V*. 

La linea multipla non può nemmeno essere una conica, 
perchè le quadriche di Sy passanti per questa conica seghereb- 
bero ulteriormente V* secondo sestiche di genere 4 aventi colla 
conica 6 punti a comune; e per queste sestiche varrebbero con- 
siderazioni analoghe alle precedenti. 

La linea multipla non può essere una cubica sghemba, 
perchè le o? quadriche del suo S3 che passano per essa (e che 
non hanno altri punti fissi a comune) incontrerebbero ulterior- 
mente V4, ossia la superficie, certo irriducibile (!), sua sezione 
con quello stesso S}, secondo curve del 5° ordine e genere 2 
aventi colla cubica 8 punti a comune: sicchè le F del si- 
stema [ dovrebbero contenere tutte queste ultime curve, e perciò 
anche la superficie anzidetta, sezione iperpiana di V4. 

Infine la linea multipla non può nemmeno essere una cubica 
piana, perchè una qualsiasi sezione iperpiana 4 passante per 
quella cubica verrebbe incontrata dalle solite Y” secondo curve 
di ordine 4n contenenti la cubica come parte (n 4-1)?" ; e ciò 


(') Una varietà V* con una sezione iperpiana riducibile, e perciò o spez- 
zata in due quadriche, oppure contenente un piano, ha certo qualche punto 
doppio sulla linea intersezione delle due quadriche o rispett. sul piano. 


978 GINO FANO 


è manifestamente impossibile, perchè una tal curva di ordine 4n, 
quando contenesse la cubica contata n volte, dovrebbe avere 
come parte residua la retta di /* situata nel medesimo piano, 
contata pure n volte. 

Tutto queste curve di ordine =3 si sono supposte irriduci- 
bili, perchè se no si sarebbe potuto ragionare analogamente 
sopra una qualunque loro parte. 

Essendo pertanto nella relazione (1) ogni %X<2%x, e ogni 
k <n, sarà pure: 

hk+Xh =v.n<2n.XZh+n.i 
e quindi : 
(2) 22h +4 iv. 


5. — D'altra parte, nella rappresentazione di V4 sullo 
spazio Sz determinata dal sistema omaloidico F, alle sezioni 
iperpiane di V* devono corrispondere in $,; superficie @ rego- 
lari di genere uno; alle co! curve fondamentali y di ordine v 
corrisponderanno i punti di una curva C, che sarà curva base 
v?® per il sistema lineare 004 delle @; ai punti basi isolati del 
sistema omaloidico F, 4?" per le curve y, corrisponderanno in Sy 
superficie fondamentali del sistema |@| passanti per C colla 
multiplicità #; e ad ogni linea base del sistema la quale si 
appoggi alle y in a punti (Za=; cfr. N° 8) — che saranno 
tutti semplici per queste ultime curve — corrisponderà una su- 
perficie luogo di linee fondamentali e avente C come linea a”*, 
Queste due categorie di superficie, le prime contate due volte, 
le seconde semplicemente, devono formare insieme l’unica su- 
perficie aggiunta del sistema lineare |@]| (!); e poichè questa 
superficie complessiva deve avere C come curva multipla di or- 
dine v— 1 (?), così sarà: 

(3) 22h+4- Za =22h +ia=v 1 


(') M. Pannetti, Sopra gli invarianti di una varietà algebrica a tre di- 
mensioni ..., “ Rend. Acc. dei Lincei ,, (5), vol. 15, 1° sem. (1906), p. 620-21). 
Per la proprietà analoga delle superficie cfr.: Enriques, Intorno ai fonda- 
menti della geometria sopra le superficie algebriche, “ Atti della R. Ace. di 
Torino », vol. 37 (1901); n° 21. 

(2) E non maggiore. La multiplicità di C per le 9 sarebbe maggiore 
soltanto quando la curva C fosse eccezionale per le @; il che qui non può 
avvenire, perchè alle superficie p corrispondono le F*, sezioni iperpiane 
di Y*, e alla curva C comune alle @ corrisponde una curva sopra ognuna 
di queste F*, le quali sono notoriamente prive di curve eccezionali. 


SOPRA ALCUNE VARIETÀ ALGEBRICHE, ECC. 979 


Questa relazione sussiste anche se fra i punti basi del nostro 
sistema omaloidico appartenenti a una linea 1 ve ne sono di 
infinitamente vicini. In tal caso alcune fra le superficie fonda- 
mentali o luoghi di linee fondamentali del sistema |@| in Sg 
diventano infinitamente vicine ad altre, oppure a parti di queste 
altre; ma esse entrano egualmente come componenti autonome 
nell'unica superficie aggiunta. 

Essendo la relazione (3) manifestamente incompatibile 
colla (2), sarà assurda l’ipotesi fatta dell’esistenza sopra V4 di 
un sistema omaloidico di superficie; il che appunto si voleva 
dimostrare. 

La relazione 22h} +i=v —1 è, più generalmente, una 
condizione necessaria perchè le curve y di ordine v da noi con- 
siderate possano mutarsi, per trasformazione birazionale, in 
punti semplici di un’altra varietà. E mi riservo di mostrarlo 
in altro lavoro, con un ragionamento più lungo, ma che si ad- 
dentra maggiormente nella questione. Da queste considerazioni 
ulteriori risulterà provato altresì che la V* priva di punti doppi 
e la M3 di S;, della quale passiamo adesso ad occuparci, sono 
birazionalmente distinte anche tra loro. 


6. — La varietà Mî di S;, intersezione generale di una 
quadrica (Q) con una varietà cubica (Vî), contiene anch’ essa 
soltanto superficie (di ordine 6r) sue intersezioni complete con 
varietà di ordine w. 

Cominciamo col dimostrare, mediante un’opportuna enume- 
razione di costanti, che la superficie /°, sezione iperpiana ge- 
nerica della M$ anzidetta e perciò intersezione generale di una 
quadrica e di una VÎ di S,, non contiene altre curve all’infuori 
di quelle di ordine 6r, sue intersezioni complete con varietà V% 
di Sy. 

Si abbia infatti sopra una tale F* una curva irriducibile 

». Possiamo supporre che il sistema lineare |C| individuato 
da questa curva non contenga (parzialmente) il sistema |n| 
delle sezioni iperpiane di /; perchè se no si potrebbe sosti- 
tuire a C7 la curva generica del sistema lineare ottenuto sot- 
traendo da |C| il sistema |n| il maggior numero di volte 
possibile. (E se C} non è intersezione completa, queste operazioni 
condurranno certo a un sistema, o almeno a una curva effet- 


980 GINO FANO 


tiva ultima residua). La dimensione del sistema |C|, che è — p 
(perchè la sua serie caratteristica non è altro che la serie ca- 
nonica delle C, di dimensione p — 1), sarà dunque eguale alla 
dimensione della serie lineare g, che |C| stesso sega sulle se- 
zioni iperpiane nî. Ora questa g, sulle nî è certo non speciale se 
le C5 appartengono allo spazio S, (perchè i suoi gruppi non sta- 
ranno in piani); la sua dimensione sarà allora “n—4, e sarà 
perciò anche pSn—4. Si tratterà dunque di curve 0} di S, di- 
pendenti precisamente da 5n —p+ 1 costanti (1). Che se poi 
le 05 stessero in spazi S; (e vi fossero perciò spazi Sg incon- 
tranti #6 secondo curve riducibili), la 5 dovrebbe certo con- 
tenere o una retta, o una conica, oppure una cubica sghemba (?), . 
tutte linee le quali dipendono pure, in S,, da 5n—-p+1 pa- 
rametri; e allora s'intenderà presa come C} una di queste ul- 
time linee. 

Per una tale 0} di S, il dover star sopra una data qua- 
drica (0;) equivale a 2n —p + 1 condizioni distinte; e sopra 
ogni quadrica se ne trovano perciò 00°” (3). Similmente il dover 
stare sopra una data varietà cubica Vîì equivale per la C} a 
Sn —p +1 condizioni; e sopra una tale varietà ve ne sono 
perciò 00°". E poichè-le quadriche di Sy sono 0014, così fra le 
o° curve C% contenute in una data V} quelle che sono pure 
contenute in una qualsiasi quadrica e perciò anche nella Y in- 
tersezione di quella V; con questa quadrica dipenderanno da 
2n—-(2n--p+1)+14=p+ 13 parametri. D'altra parte una 
F5 generica la quale contenga una tale C} deve contenerne 00” 
(essendo appunto = p, come già si è detto, la dimensione del 
sistema completo |Cl); saranno dunque soltanto 0013 le F* che 


(4) C. Segre, Recherches générales sur les courbes et les surfaces réglées 
algébriques, “ Math. Ann. ,, vol. 30 (1887), p. 207. 

(*) Si può prescindere dal caso che F° contenga delle cubiche piane, 
perchè essa sarebbe allora contenuta in un cono quadrico di $,, e dipen- 
derebbe perciò certo da una costante di meno che non la 7° generale. 

(3) Ciò risulta anche confermato dal fatto che, nella proiezione stereo- 
grafica della quadrica sopra 83, a queste C," devono corrispondere curve Cp" 
di S3 appoggiate in » punti alla conica fondamentale, e si può verificare 
anche direttamente che queste ultime curve dipendono proprio da 3» pa- 
rametri. 


SOPRA ALCUNE VARIETÀ ALGEBRICHE, ECC. 981 


contengono curve così fatte, e una /* generica non potrà perciò 
contenerne, come appunto si voleva dimostrare. 

Consideriamo ora sulla Mî= Q@.Vî generale di S; una su- 
perficie qualunque . La curva sezione iperpiana generica di 
questa superficie, dovendo stare sulla £“ intersezione dello stesso 
iperpiano (.$,) colla M3}, sarà intersezione completa di questa £* 
con una Vi; (o Vi di S;). La superficie ® e le superficie 
F°® = M}.Vi segneranno dunque sopra una /* sezione iper- 
piana generica di M3} curve equivalenti. Riferendoci pertanto a 
un fascio di tali #* nel quale non sia contenuta nessuna su- 
perficie riducibile (fascio certo esistente, perchè se no fra le 005 
sezioni iperpiane della .Mj ve ne dovrebbero essere 0o04 riduci- 
bili), potremo concludere, per un teorema del Sig. Severi (!), 
che la ® è equivalente alle #° anzidette. E poichè infine il 
sistema lineare formato da queste F° sulla M$ è completo (2), 


Tn 


così la ® sarà essa stessa intersezione di M$ con una Vi, c. s. v. d. 


7. — La varietà M3} considerata contiene co! rette (*), e 
da una qualunque di queste (a) essa si proietta in un Sz doppio 
con superficie limite del 6° ordine: infatti gli spazi S3 passanti 
per « incontrano ulteriormente la varietà secondo curve di 5° 
ordine e genere 2, aventi a come trisecante, e alle quali si 
possono condurre per @ sei piani tangenti. 

I singoli piani passanti per @ segano pertanto sopra M} le 
coppie di un’involuzione razionale 4, sulla quale dobbiamo fare 
qualche osservazione. 

Gli spazi Ss tangenti a M3 nei punti di a formano un cono 
cubico u, generato dalla corrispondenza proiettiva tra il fascio 
degli S, tangenti in quei punti alla quadrica Q e il cono qua- 


(') Osservazioni varie di geometria sopra una superficie algebrica e sopra 
una varietà (° Atti Ist. Veneto ,, vol. 65; 1905-06; p. 625); teorema IV. 

(*) Perchè è certamente completo il suo sistema lineare caratteristico. 
Cfr. F. Severi, Su alcune questioni di postulazione, © Rend. di Palermo ,, 
vol. 17 (1903); n° 13. 

(*) Corrispondenti agli co! fasci di rette contenuti nel complesso cubico 
generale, e già considerati da Voss (Ueder Compleren und Congruenzen, 
“ Math. Ann. ,, IX; 1876) e VexeronI (Sopra certe congruenze di rette e sopra 
alcune proprietà dei fasci di un complesso cubico generale, * Rend. Istituto 
Lomb. ,, (2), vol. 31; 1898). 


982 GINO FANO 


drico-inviluppo degli S, tangenti a Vj. Ognuno di quegli $; 
sega M3 (oltre che in a) secondo una C° avente nel suo punto 
di contatto un punto triplo, e che è la curva fondamentale cor- 
rispondente a questo punto di contatto nella /s. Luogo di queste 
co! curve CP è la superficie F!5, intersezione di M3 col cono 
cubico u; e la retta a, essendo tripla per il cono up e per di 
più linea di contatto di esso con M$, sarà quadrupla per /"5. 

Alle co! rette di M$ corrispondono nella Is quartiche ra- 
zionali; perciò alle sezioni iperpiane #* (che incontrano queste 
quartiche in 4 punti) corrisponderanno superficie F?4, segate da 
varietà Vj, aventi a come retta quintupla e la 7!8 suddetta 
come (unica) superficie aggiunta. 

Più generalmente, alle superficie Y° = Mj. V"* corrispon- 
deranno superficie di ordine 24m, segate da varietà V” e aventi « 
come retta (5m)"". Quando però la ° abbia essa stessa a 
come retta &"*, dalla superficie corrispondente si staccherà la 
F!8 contata % volte, e rimarrà soltanto una superficie di or- 
dine 6(4n — 3%) con a come multipla di ordine 5n —4k. E 
pertanto, se % > n, questa nuova superficie sarà di ordine 
6n < 6n, e avrà a come multipla di ordine < w'. 

Sulla Mî? esistono dunque sistemi lineari di superficie °°" 
aventi rette multiple di ordine > n»; ma le involuzioni /, esi- 
stenti sulla varietà permettono sempre di trasformare birazio- 
nalmente ogni sistema così fatto in un altro di ordine inferiore 
e pel quale nessuna retta abbia multiplicità superiore al nuovo 
valore di n. 


8. — L'’impossibilità dell’esistenza sulla M$3 di un sistema 
omaloidico di superficie (F°") si può stabilire colle stesse con- 
siderazioni già svolte ai Ni 2-5 per la V* di S,, fra le quali 
soltanto quelle del N° 4 vanno leggermente modificate. 

Il genere (geom° = num°) della /"°" intersezione generale 
di M$ con una varietà V" è dato dal numero delle FY°"-® Jinear- 
mente indipendenti esistenti sulla M$, e perciò dalla stessa po- 
stulazione di quest’ultima varietà rispetto alle V* Si ha 
quindi (!): 


BA 08) (on) n TAR 


(') F. Severi, Su alcune questioni di postulazione, n° 1. 


SOPRA ALCUNE VARIETÀ ALGEBRICHE, ECC. 983 


+: 08 3 
E anche questo numero (che si riduce a #8 “ea n? 


pone è superiore, per 2 > 1, alla diminuzione Raw] 
2 b P 3 


che sarebbe portata nel genere da un punto (2n + 1)®°; e la 
eguaglia per "n= 1. D'altra parte, se la M3} è priva di punti 
multipli, con sue sezioni iperpiane non si possono certo for- 
mare sistemi omaloidici. 

L'eventuale sistema omaloidico non può dunque avere punti 
basi di multiplicità > 2». 

Dico, similmente, che le eventuali curve multiple di questo 
sistema si possono ritenere tutte di multiplicità “ ». Infatti una 
curva di multiplicità <n dovrebbe essere (cfr. N° 4) di ordine 
certo inferiore a 6, dunque <5; e si può anche supporre 
(efr. N° 7) che non sia una retta. L'ordine dovrebbe dunque 
essere eguale a uno dei numeri 2, 3, 4, 5. 

Non vi può essere una conica (n + 1)P*, perchè gli spazi Sy 
passanti per il suo piano incontrerebbero ulteriormente M$ se- 
condo quartiche aventi colla conica 4 punti a comune, e che 
avrebbero perciò in questi punti colle V" seganti le F° già più 
intersezioni di quanto comportano i loro ordini. 

Se ci fosse una cubica piana (n 4-1)”, si potrebbe appli- 
care questo stesso ragionamento alle altre cubiche segate dagli 
spazi S3 passanti per la prima. 

Supponiamo adesso che vi sia una curva (n + 1)? irridu- 
cibile di ordine 3, 4 o 5 appartenente a uno spazio Sg. Per 
questo S; passa un fascio di S, incontranti M$ secondo super- 
ficie E"; e sopra queste / le F°" devono segare curve appar- 
tenenti al sistema »'° delle sezioni iperpiane. Ora, sopra una 
di queste /“, una curva di ordine <6 e appartenente a Sy ha 
certo per residua rispetto al sistema delle sezioni iperpiane una 
curva unica, isolata (di ordine 3, 2, 1); perciò, rispetto al si- 
stema lineare n° del precedente, la prima contata » volte non 
può avere per residua che la seconda contata pure n volte; e 
nessuna curva del sistema n°° può quindi contenere la prima 
parte contata n + 1 volta. 

Una curva (n 4-1)"* irriducibile appartenente a uno spazio S, 
non potrebbe essere che una quartica razionale normale, op- 
pure una quintica, ellittica o razionale. Per questa curva pas- 


984 GINO FANO — SOPRA ALCUNE VARIETÀ ALGEBRICHE, ECC. 


serebbero in ogni caso, nello stesso spazio S,, delle quadriche 
non contenenti la F* intersezione di M3 collo spazio medesimo; 
e queste quadriche incontrerebbero ulteriormente la Y* suddetta 
secondo curve di ordine 8 o 7 (e di genere rispettivamente 4, 3, 2) 
aventi colla prima curva rispettivamente 10, 10 e 12 punti a 
comune. Queste ultime curve avrebbero pertanto colle V” se- 
ganti le F° un numero di intersezioni superiore al prodotto dei 
loro ordini. 

Infine una curva razionale normale di 5° ordine esistente 
sulla M$ appartiene a 00° quadriche di S;; perciò a un sistema 
lineare 008 di quadriche delle quali nessuna contiene la M$. 
L’intersezione ulteriore della Mî con due di queste quadriche 
è una curva di ordine 19 (e genere 21) avente colla quintica 
17 punti a comune. Le due quadriche si possono però obbli- 
gare a passare ancora, p. es., per una conica della M3 (certo 
esistente) che non incontri affatto la quintica; e l’intersezione 
residua è allora una curva di ordine 17 avente colla quintica 
pure 17 punti a comune. Così si vede che una Vla quale se- 
gasse M$ secondo superficie aventi la quintica come curva 
(n + 1)?® dovrebbe contenere tutte queste ultime curve (di or- 
dine 17), e perciò l’intera MÎ. 

Queste osservazioni permettono di concludere, analoga- 
mente a quanto si è fatto per la V*, che anche sulla M$ non 
esistono sistemi omaloidici di superficie, e che perciò la M$ 
stessa non è rappresentabile sullo spazio 83. 


Torino, maggio 1908. 


C. SEGRE — SULLA GENERAZIONE DELLE SUPERFICIE, Ecc. 985 


ei nm _— i _— 


Sulla generazione delle superficie 
che ammettono un doppio sistema coniugato di coni circoscritti. 


Nota di C. SEGRE. 


1. Le superficie dello spazio ordinario, i cui punti han le 
coordinate omogenee (projettive) rappresentabili parametrica- 
mente così: 


(1) ri=f:() + gi (0) (Ep RC) 


costituiscono una ben nota estensione delle superficie di trasla- 
zione. Una loro proprietà caratteristica è quella di contenere due 
sistemi coniugati (costituiti dalle linee parametriche «= cost., 
v= cost.) tali che le sviluppabili circoscritte alla superficie lungo 
quelle linee sono coni. 

Ciò è stato rilevato, a quanto pare, per la prima volta, da 
K. Pererson (*); e fu poi dimostrato più completamente dal 
sig. DARBOUX (**) sotto la forma duale (cioè: le superficie che 
posseggono un doppio sistema coniugato di linee piane hanno 
le coordinate omogenee dei loro piani tangenti rappresentabili 
colle (1), e viceversa). 

Il sig. Voss (***) aggiunse alcune ulteriori proprietà di 
queste superficie P, com’egli le chiama (****). Noi qui le ritro- 


(*) In una memoria in lingua russa, del 1866-1867 (pubblicata nel 2° vol. 
della Società matematica di Mosca), che fu poi tradotta in francese col ti- 
tolo: Sur les courbes tracées sur les surfaces, negli * Annales de la Faculté 
des sciences de Toulouse , (2) 7, 1905. 

Il Pererson chiama linee coniche di una superficie le linee di contatto 
di questa coi coni circoscritti. Userò anch'io qualche volta, per brevità, 
questa denominazione; adoperando però caratteri corsivi, per evitare ogni 
pericolo di confusione colle coniche ordinarie, cioè curve piane di 2° ordine. 

(**) Lecons sur la théorie générale des surfaces, t. I, 1887, pag. 123-126. 

(***) Zur Theorie der Kriimmung der Flichen. Math. Annalen, t. 39, 1891, 
V. pag. 205-207. 

(****) La denominazione è accolta anche dal sig. MLopziesowski: Ueder 
aufeinander abwickelbare P-Fléichen. Math. Annalen, t. 63, 1907. 


986 C. SEGRE 


veremo, insieme con altre che ci daranno delle semplici costru- 
zioni per le superficie stesse, sia nel caso generale, sia in certi 
casi particolari notevoli (*). 


2. Conviene premettere qualche considerazione su certi in- 
teressanti sistemi 04 di curve nello spazio. 
Prendiamo le equazioni 


(2) oi =f;)+, (i =1,...4) 


in cui le f; (v) indicano (e indicheranno anche in seguito) date 
funzioni, monodrome continue e finite, colle loro prime deri- 
vate, in un dato campo di variabilità per v; colla condizione 
che ad un gruppo di valori dei rapporti delle f;(«) non corri- 
sponda in generale più di un valore di « in quel campo. 

Per un dato gruppo di valori delle 4 quantità X, le (2) 
rappresentano una determinata curva descritta dal punto x al 
variare di v. Mutando poi quei valori ),, questa curva varierà 
in un certo sistema Z di curve, riferite fra loro biunivocamente, 
se chiamiamo omologhi quei punti di esse che corrispondono allo 
stesso valor di u. 

Le tangenti alle curve di X in punti omologhi « concorrono 
tutte in un punto della linea fissa 


(3) "led Pas (1) 


La corrispondenza tra i punti di due curve qualunque di X 
ha carattere geometrico molto elementare. Siano le curve 


ai=fi(u) + a; 
yi= fi (0) + Bi. 
Si ha, per punti omologhi «, y: 
vi -Yy=UTBi 


sicchè le coppie di punti omologhi sono allineate con un punto 
fisso. Le due curve sono su uno stesso cono. Diremo per bre- 
vità che sono prospettive (in senso lato). 


(*) Veggasi pure la costruzione data dal DarBovx (loc. cit., pag. 126) 
delle superficie duali: cioè come inviluppi dei piani radicali di due sfere 
tolte ad arbitrio entro due dati sistemi semplicemente infiniti. 


SULLA GENERAZIONE DELLE SUPERFICIE, ECC. 987 


Viceversa ogni cono che projetta una curva di X ne con- 
tiene infinite. Se la curva data è la (2) e il punto ha le coor- 
dinate p;, quelle infinite curve di X saranno rappresentate da 


fi (U) KA + PPi; 


ove p si faccia variare (*). — 

È facile vedere che il sistema Z è 4, cioè che le 4 quan- 
tità \, rappresentano per esso dei parametri essenziali, se si 
toglie il caso che tutte le linee di % siano rette (**). E noi nel se- 
guito escluderemo appunto questo caso, che non presenta inte- 
resse pel nostro scopo. 


3. Per determinare un sistema X siffatto di curve si pos- 
sono dare ad arbitrio, come appartenenti ad esso, due curve 


(*) Le equazioni 
ci = Piu) + \iy(u), 


ove @;(u) e w(w) sono polinomi di grado », rappresentano un particolare 
sistema X, le cui curve sono algebriche, d'ordine » (in generale), e passan 
tutte per certi x punti corrispondenti a quei valori di « che annullano y(u). 

(**) Possiamo dimostrare ciò, ad esempio, ricorrendo per un istante allo 
spazio a 4 dimensioni, in cui x}, ... xy s'interpretino come coordinate car- 
tesiane non omogenee di punto, e si consideri come projezione di questo 
punto dall'origine 0, sullo spazio ordinario, il punto che ha in questo come 
coordinate projettive omogenee le x;. Allora le (2), al variar delle A, rappre- 
sentano in S, un sistema di curve deducibili da una qualunque di esse col- 
l'applicarle tutte le 00* traslazioni di questo spazio. Esse saranno 00°, se non 
avviene che quella curva ammetta una infinità continua di traslazioni in 
sè, ossia se non è una retta. Ne deriva che anche le curve projezioni di 
quelle c0* sullo S3 saranno 00‘, se non sono rette. Perchè allora ognuna di 
esse è projettata da 0 mediante un cono, che non è un piano, nè un ci- 
lindro; e un tal cono non può contenere un’infinità continua di curve del 
sistema 00* di S,, cioè non può essere una superficie di traslazione. — 

Per determinare quale forma devon avere le funzioni f;(w) perchè tutte 
le linee (2) di X siano rette, cominciamo a osservare che la curva partico- 
lare z;=fi(u) sarà una retta (quella dei due punti a, 8) solo quando sia 
fil)= a:p(u)+ Biy(u). Dopo ciò, una curva qualunque (2) starà nel piano 
dei punti aB A, ed i suoi punti avranno entro quel piano le coordinate : P(v), 
w(«) e 1. Affinchè si riduca ad una retta si dovrà avere fra queste un’equa- 
zione lineare. Risulta così: 


fi(u)= Yip(u) + ei. 
ll sistema Z che in tal modo si ottiene è in fatti una stella di rette. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 67 


988 C. SEGRE 


prospettive: per esempio una linea @; (v), e sul cono che la pro- 
jetta dal punto (p;) un’altra curva arbitraria ®;(«) + y(v) . p;. 
Dopo ciò, ponendo f; = @; : y, le formole (2) rappresenteranno 
un sistema X contenente le due linee date. 

La costruzione geometrica di X si potrà fare così. Siano C 
e D le due curve date prospettive (n. 2) rispetto al punto p. 
Ogni altra curva X di X dovrà essere con C in un certo cono 
(a), e con D in un certo cono (bd). I vertici p a d, dovendo stare 
su tutti i piani delle terne di punti omologhi delle tre curve, 
saranno allineati. Dunque: si prendano ad arbitrio due punti 
a, b allineati con p; e per ogni coppia di punti omologhi ec, d 
di C, D si determini il punto x d’intersezione delle rette a c, 
bd. Il luogo di x sarà una curva del sistema X. E tutte le curve 
di questo si otterranno mutando in tutti i modi possibili la 
coppia di punti a d (*). 

Se due curve di X sono piane, ma in piani diversi, tutte le 
curve di X staranno nei piani di un fascio. Ciò risulta subito 
analiticamente ; od anche dalla precedente costruzione geome- 


(*#) Ne segue facilmente la costruzione di quelle curve di che soddi- 
sfano a certe condizioni: per esempio che passano per due punti dati ad 
arbitrio. Si consideri la curva in cui si segano ulteriormente i coni che da 
questi due punti projettano C, e poi la curva dedotta analogamente da D. 
I punti a, 6 dovranno stare sulle due nuove curve, ed essere allineati con p. 

Si avverta però che la costruzione evidentemente sarà impossibile in 
generale, se le curve di X sono nei piani di un fascio, com'è detto alla 
fine di questo n. 3: in fatti allora i due punti dati dovrebbero stare in un 
piano di quel fascio. 

In generale diciamo m;, n; le coordinate dei due punti dati; e poniamo 
che per essi passi la curva (2) di X. Avremo: 


pmi=filu) +), oni=fi(0) 4%, 
donde: 
pmi — oni = fi(u) — fi(v). 


Se, al variare di « e , il luogo F dei punti fi(u) — fi(v) è una superficie, 
esisterà in generale una linea di 2 passante pei punti dati m, n: giacchè 
quella superficie sarà incontrata dalla retta di questi in qualche punto, le 
cui coordinate ci permetteranno di scrivere l’ultima uguaglianza; e questa 
rende possibili le precedenti per uno stesso sistema di valori delle \;. — 
Invece non esisterà in generale una linea di X passante per m, n, se il 
detto luogo Y si riduce ad una linea: il che accade, come vedremo (n. 9), 
solo quando le curve di X sono piane. 


SULLA GENERAZIONE DELLE SUPERFICIE, ECC. 989 


trica, perchè se C, D sono su due piani distinti, questi risultan 
prospettivi rispetto al centro p, e quindi prospettive (cioè visuali 
di uno stesso piano) risultano le stelle che li projettano rispet- 
tivamente da a, d; ecc. 


4. Se dentro al sistema X si prende una 00! di curve, vale 
a dire se le costanti ), delle (2) si assumono uguali a funzioni 
date g;(v) di un parametro (*), il luogo di quelle curve sarà la 
superficie P del n. 1 


(1) ci=fi (0) + g: (0). 


Otteniamo così un modo molto semplice per generare una 
tal superficie. Basterà nella costruzione di X esposta poc'anzi, 
far prendere co! posizioni alla coppia di punti « è allineati con p. 
Con ciò quei due punti descriveranno due curve A, B di un cono 
col vertice p. E si ha la costruzione seguente: 

Sì fissino su un cono due curve A,B (**), e su un altro cono 
collo stesso vertice due curve C, D. Per ogni coppia di punti omo- 
loghi a, b di A, B, e per ogni coppia di punti omologhi c, d delle 
€, D si prenda il punto x d’intersezione delle rette a e, bd. IL 
luogo di questo punto sarà una superficie P. 

Le linee (di X) descritte da x quando la coppia a, d sta 
fissa, e varia solo la coppia c, d, costituiscono sulla superficie 
il sistema v=cost., cioè uno dei due sistemi coniugati a cui 
si riferisce la proprietà caratteristica del n. 1. Similmente l’altro 
sistema (u = cost.) si costruisce tenendo fissa la coppia c, d. 

Il piano tangente alla superficie P nel punto x, dovendo con- 
tenere le tangenti in x alle linee dei due detti sistemi, risulta 
in generale determinato dal passaggio pel punto d’incontro delle 
tangenti in c, d a C, D, e pel punto comune alle tangenti in a, è 
adi.-43.B.(#*). 


(*) Per queste funzioni si supporranno verificate condizioni analoghe a 
quelle poste per le fi(u) al n. 2. 

(**) Qui e in seguito, parlando di curve di un cono, s'intende sempre di 
escludere le generatrici rettilinee del cono: anzi, si pensa sempre a tratti 
di curva che non siano incontrati in più d’un punto variabile dalle gene- 
ratrici generiche. 

(***) Ciò concorda col fatto che quei due punti hanno risp. per coordi- 
nate fi(u) (cfr. il n. 2) e gi(0). 


990 C. SEGRE 


5. Come si vede, quei due sistemi 00! di curve, che pos- 
siamo chiamare caratteristici per la superficie P, fan parte risp. 
del sistema X di curve 


(4) fi (4) + Ax, 
e di un analogo sistema X, rappresentato da 


Diremo direttrici della superficie (1) le linee di questi due 
sistemi X, X;. E chiameremo associate due particolari direttrici,. 
(4) e (5), quando per esse si ha 


(6) \i,bu=0. (î=1;..:4) 


Rileviamo allora due proprietà di questa corrispondenza: 1° A 
due direttrici (\; = 0;, B;) di 2 sono sempre associate due diret- 
trici di X, tali che il cono su cui stanno queste (n. 2) ed il cono 
di quelle hanno lo stesso vertice (a; — f,;). — 2° La retta che 
unisce i punti v, v di due direttrici associate passa pel punto 
(«, v) della superficie (1). 

Allora si ritrova la costruzione delle superficie P data pre- 
cedentemente. Si prendono in X due curve qualunque C, D, 
in X, le loro associate A, B; ogni retta appoggiata ad A, Cin 
due punti, e la retta che unisce i punti di B, D omologhi a 
questi s'incontreranno in un punto della superficie P. 


6. Dai ni 3 e 4 segue che: siste in generale una super- 
ficie P, la quale passa per cinque linee, di cui tre L, M, N sono 
assegnate ad arbitrio, mentre le altre due C, D (non rette) giac- 
ciono în uno stesso cono, e si appoggiano alle prime tre. Anzi, si 
può imporre alla superficie di avere C e D per linee caratteristiche 
di uno stesso sistema. 

In fatti, dando questo significato alle curve C, D, riesce 
determinato da esse (n. 3) il sistema 04 X, entro cui stanno 
quelle 00! caratteristiche. E appunto per fissare questa co! di 
curve, che genera la superficie P, si prenderanno quelle curve 
di 2 che incontrano L, M, N. 

Facendo coincidere due di queste ultime linee, o tutte tre, 


SULLA GENERAZIONE DELLE SUPERFICIE, ECC. 991 


si ottengono per la superficie P condizioni di contatto od oscu- 
lazione lungo una data linea, quali si presentano nell’ integra- 
zione delle equazioni alle derivate parziali. 


7. Ad una superficie P, rappresentata dalle (1), sono legate 
in generale due superficie P speciali (*), cioè i luoghi dei ver- 
tici dei coni congiungenti a due a due le curve caratteristiche 
di uno stesso sistema. 

Così le due curve della data superficie, corrispondenti a 
valori fissati uv, «,, del 1° parametro, stanno nel cono di 
vertice i 


(7) fi(u) — fi(u,). 


Questo punto, al variar di quelle due curve, cioè di u e ,, ge- 
nera un luogo Y, che sarà in generale una superficie della nostra 


classe P (**). 
Analogamente dalle curve v = cost. nasce l’altro luogo G 


dei punti 
(8) gi (0) gi (01), 


che sarà pure in generale una superficie P. 

Prendendo «, vicinissima ad v si vede che / conterrà la 
curva f; (v) luogo dei vertici dei coni circoscritti alla superficie 
data lungo le linee «. Similmente per G. 


8. Quando una superficie F appartiene al tipo speciale (7) 
od (8) di superficie P, ossia sì può rappresentare così 


(9) y=fi(u)—-fi(0), 


(*) Di esse ha già fatto parola il Voss, loc. cit. 
(**) Citiamo subito un caso in cui Y non è una superficie: quando le fi(v) 
son polinomi di 1° o 2° grado 


fi) = au? + biu + ci. 
Allora le espressioni (7), tolto il divisor comune «u— «y, diventano 
aut u)+ bi; 


sicchè son le coordinate di un punto mobile su una retta. V. una proposi- 
zione generale al n. 9. 


992 C. SEGRE 


avvengono per essa alcuni fatti speciali, che meritano di venir 
rilevati (*). 

I due sistemi di direttrici (4) e (5) vengono a coincidere. Anzi, 
le (6) provano che due direttrici associate son sempre coinci- 
denti. 

Due curve qualunque di X essendo (n. 2) riferite fra loro 
biunivocamente, si capisce senz'altro che cosa intenderemo per 
corde omologhe di quelle curve. Orbene la superficie sarà è 
luogo dei punti d'incontro delle corde omologhe di tutte le 04 curve 
di X. 

Sicchè la generazione del n. 4 per le superficie P, nel caso 
delle F si riduce così : 

Si scelgano ad arbitrio due curve C, D di un cono. Le ge- 
neratrici di questo segnano una corrispondenza fra i punti di 
quelle curve; donde segue una corrispondenza tra le corde di C, D. 
La superficie / è il luogo dei punti d'incontro di tali corde 
omologhe. 

Sulla / il punto (v, v) coincide con (v, «). Le linee carat- 
teristiche formano un solo sistema, tale che per ogni punto di F 
ne passan due (in direzioni coniugate). La linea f; (v) inviluppata 
da questo sistema (**) sarà un’asintotica. 

Due linee caratteristiche qualunque 


fi) fa), 10 f Mie 


sono prospettive (in senso lato) rispetto al punto f; (a) — fi (8), 
che è il loro punto comune. 

Fissata una linea caratteristica C di , il cono che la 
projetta da un suo punto p sega secondo l’altra linea carat- 
teristica passante per p. E variando p su (€, si ottiene così 
tutto il sistema delle caratteristiche. 

In particolare il cono circoscritto ad / lungo una carat- 


(*) Per le superficie di traslazione non vi è il caso analogo: o meglio, 
si ottiene solo il piano all’infinito. 

Invece le particolari superficie P rappresentabili con fi(r)+fi(0) danno, 
nel caso delle superficie di traslazione, le così dette superficie doppie. Ma 
su quelle non credo necessario trattenermi. 

(**) E luogo dei punti d’incontro delle tangenti omologhe alle curve di I: 
cfr naz: 


SULLA GENERAZIONE DELLE SUPERFICIE, ECC. 993 


teristica ha sempre il vertice su questa, cioè nel punto di con- 
tatto coll’asintotica suddetta (*). 


9. Se il luogo F rappresentato dalle (9) si riduce a una 
linea, questa dovrà pur essere incontrata da tutte le corde di 
una qualunque curva di Z. Ne segue subito che questa curva 
sarà piana (**) e che / starà nel suo piano. Quindi /, giacendo 
nei piani di tutte le curve di X, sarà la retta asse di questo 
fascio di piani (cfr. la fine del n. 3). 

Viceversa se le curve di X sono piane, il luogo Y (compo- 
nendosi di punti comuni alle corde di quelle due curve) si ri- 
durrà ad una retta. 

Possiamo facilmente determinare la forma che devono avere 
le funzioni f;(v) perchè si presenti questo caso. Se a;, f; son 
le coordinate (ben fissate) di due punti della retta 7, il punto 
fi (7) dovendo stare su questa (n. 7), si avrà: 


fi (U=a;, .X(u+B;.u(v), 


(*) Come esempio di superficie 7, consideriamo quella che si ottiene 
prendendo per le fi;(u) dei polinomi di 4° grado (il 3° grado darebbe una 
superficie piana; per un grado minore veggasi la 2° nota al n. 7). Divi- 
dendo allora le (9) per u—v, si riconosce che quelle formole rappresentano 
una rigata cubica generale. 

Effettivamente, se s’indica con Y/' una rigata cubica generale, i coni 
circoscritti ad F dai punti della superficie la toccano secondo cubiche 
sghembe (passanti pei due punti uniplanari) costituenti un sistema 00°. Fis- 
sata una di queste cubiche 0, i coni che la projettano dai suoi vari punti 
segano ulteriormente / secondo cubiche di quel sistema: e se ne ottengono 
così c0' formanti un doppio sistema coniugato, che si può riguardare come 
il nostro sistema delle caratteristiche. 

Se F si rappresenta sul piano, sì che le sue sezioni piane corrispondano 
al sistema lineare delle iperboli equilatere passanti per un punto fisso 0, 
le c0* cubiche sghembe suddette hanno per imagini i cerchi passanti per 0; 
il sistema delle caratteristiche corrisponde ad un sistema arbitrario di cerchi 
uguali passanti per 0; l’inviluppo di questi è un cerchio di;centro 0, ima- 
gine di un’asintotica di F. Ecc. 

(**) Perchè una congruenza di rette tale che ogni sua retta abbia tre 
fochi, e quindi infiniti, si compone sempre delle rette di un piano. — Op- 
pure, senza invocare la teoria delle congruenze di rette, si può applicare 
a questo caso un noto ragionamento (del sig. CasreLxuovo), che fa subito 
vedere come le tangenti alla curva di X in due punti qualunque saranno 
sempre in un piano (tangente a un cono di corde di quella curva); onde ecc. 


994 C. SEGRE 
donde integrando: 


(10) fi(u=a;.(M+ 8. y() +e. 


Viceversa, se le f;(v) si possono esprimere in questo modo, 
le a; B; e; essendo costanti, il luogo Y rappresentato dalle (9) 
sarà una retta (*). 


10. Ritornando ora alle superficie P, cioè alle superficie 
con due sistemi coniugati di curve coniche, stabiliamo quali sono 
quelle per cui le curve di uno di quei sistemi, o di entrambi, sono 
in pari tempo curve piane. i 

Se due curve dell’ un sistema sono piane, ma in piani di- 
versi, tutte saranno piane (n. 3), e i loro piani formeranno un 
fascio, il cui asse Y sarà il luogo dei vertici dei coni circoscritti 
alla superficie lungo le linee del 2° sistema (**). Anzi, due qua- 
lunque linee di questo 2° sistema staranno sempre in uno stesso 
cono avente il vertice su F. 

Per generare una superficie P così fatta basterà che nella 
costruzione del n. 4 si assumano per 0, D due curve piane. — 
Per rappresentarla analiticamente colle formole (1), basterà as- 
sumere le f;(u) della forma (10). — 

Se invece vogliamo che entrambi i sistemi coniugati siano 
di linee coniche e piane nello stesso tempo, basterà nella costru- 
zione del n. 4 prendere per A, B, C, D quattro curve piane. 
Allora i piani di quei due sistemi di linee caratteristiche pas- 
seranno risp. per due rette F, G. E in pari tempo, sarà G (o F) 
il luogo dei vertici dei coni circoscritti alla superficie lungo le 
linee del 1° (o risp. 2°) sistema. 

(*) Il lettore vedrà subito perchè ci è bastato scrivere che la linea (3) 
del n. 2, cioè il luogo del punto f;(u), è una retta, per ottenere che si ve- 
rifichino le altre proprietà relative al caso attuale. 

(#*) Si ricordi, a questo proposito, la proposizione nota, e quasi evidente, 
che al sistema delle sezioni di una superficie coi piani passanti per una 
data retta è coniugato il sistema delle curve di contatto della superficie 
coi coni circoscritti dai punti di quella retta (Cfr. Koenias, Sur les propriétés 
infinitésimales de Vespace réglé, Thèse, Paris 1882, pag. 63). 

Viceversa, se su una superficie si hanno due sistemi mutuamente coniu- 
gati, l’uno di linee piane, l’altro di linee coniche, i piani di quelle forme- 
ranno un fascio; perchè ognuno di essi conterrà (delle generatrici e quindi) 
i vertici di tutti i coni circoscritti alla superficie lungo le linee del 2° sistema. 


a” 


SULLA GENERAZIONE DELLE SUPERFICIE, ECC. 995 


Dalle formole (10) ed analoghe per g;(v) si trae che una 
tal superficie, riferita a quelle linee caratteristiche, può rappre- 
sentarsi così: 


(11) x, =a;.9(M+B.v@M+r.9(0)+d;. Y(M)+ e, 


ove le aRrde sono costanti. Risolvendo queste equazioni ri- 
spetto alle 4 funzioni che figurano nei secondi membri (quando 
la risoluzione sia possibile), e poi facendo una conveniente 
trasformazione delle coordinate projettive (vale a dire, pren- 
dendo a 8 y ò come punti fondamentali delle nuove coordinate), 
sì potranno in generale (non sempre) rappresentare le superficie 
particolari di cui ora si tratta, così: 


(12) e, = O (0), co = Oa (0), 3 = 0; (0), 24 = 0 (0), 
od anche, eliminando « e v, colle due equazioni 
(13) n (1, Lo) ini 0) , Z (23; sa) —_ () lisa) 


Viceversa si riconosce subito che un siste.»a di equazioni di 
questi tipi rappresenta in generale una superficie con due si- 
stemi coniugati di curve piane e coniche. 

Rientrano evidentemente in questa categoria tutte le su- 
perficie di rotazione; e così pure la ciclide di Durix, la super- 
ficie romana di STEINER, ecc. (**). 


(*) Si rifletta che, quando non s'impone la condizione dell'omogeneità 
alle equazioni che si danno per le coordinate di punto x, x3 #3 %,, occorrono 
due equazioni per rappresentare una superficie. 

Sostituendo a quelle quattro coordinate di punto le tre non omo- 
genee x y2, si avrà, invece delle due equazioni (13), una sola equazione 
della forma F[x.w{2), y.w(2)]=0. Le linee caratteristiche sono allora nei 
piani 2= cost., e in quelli che passano per l’asse delle 2. 

(**) Per le superficie di rotazione e per la ciclide il doppio sistema ca- 
ratteristico è dato dalle linee di curvatura. — La superficie di SrerneR si 
ottiene prendendo per le fi(u) e g:;(v) dei polinomi di 2° grado in v, v (siechè 
i luoghi Y e G si riducono a rette, per la 2° nota al n. 7). Dalla rappresen- 
tazione della superficie sul piano (uv) si trae che i due sistemi caratteri- 
stici sono i due sistemi di coniche situate nei piani che passano risp.° per 
due spigoli opposti del tetraedro costituito coi 4 piani tangenti lungo co- 
niche alla superficie di Steiner (quei due spigoli son le rette singolari dei 
due punti uniplanari di una retta doppia della superficie). A due a due le 
coniche di uno stesso sistema sono in un cono quadrico avente il vertice 
sull’asse dell’altro. Cfr., ad esempio, le pag. 433-434 della mia Memoria nel 
t. 24 (1884) dei Math. Annalen. 


996 Cc. SEGRE — SULLA GENERAZIONE DELLE SUPERFICIE, ECC. 


11. Una costruzione delle superficie P alquanto diversa da 
quella del n. 4 ci sarà data da una certa specie di trasforma- 
zioni dello spazio. 

Sopra le due curve qualunque 


(14) m=f), y=90 


distendiamo risp. due variabili U, V, uniformi sulle curve stesse 
(per esempio i parametri «, v, o delle funzioni uniformi di essi). 
Poi, consideriamo quella corrispondenza 7 tra punti dello spazio 
(generalizzazione dell’omografia rigata, o biassiale), per la quale 
sono corrispondenti due punti 2, 2' quando la loro retta incontra 
le curve f, 9g (14) in punti , y con tali valori di U, V, che il 
birapporto (x y 2 2') sia uguale a U: V; ossia quando si possa 
porre 

(15) e:=Afi(u 4 ug (0) 

(16) ci =NUfi()+uVg; (0). 


Si osservi che, se nelle (15) si assumono per ) e yu delle 
date funzioni rispettivamente di « e v, il punto #2 al variar di 
questi parametri, descrive una superficie P avente le curve f, 9 
per direttrici associate nel senso del n. 5. E anzi, in questo 
modo si rappresentano tutte queste superficie P. Passando allora 
alle (16) concludiamo subito: 

Se si considera l’insieme di tutte le superficie P_aventi le 
curve fissate f, g per direttrici associate, ogni trasformazione 7' 
basata su queste direttrici muta quell’ insieme in sè stesso. Il 
gruppo di quelle 7 è transitivo: vale a dire due qualunque delle 
dette superficie si corrispondono sempre rispetto ad una 7. Basta 
scegliere convenientemente le Le V. 

Ne deriva la costruzione che volevamo per le superficie P. 
Basterà applicare una trasformazione T ad un piano. In fatti un 
piano si può sempre riguardare come superficie P relativa alle 
direttrici associate f, g: per esempio il piano e,="0 è rappre- 
sentato dalle (15), ove si prenda 


ia 1 VAR 1 
nasci g(0) 


La trasformazione 7 ha l’aspetto analitico, in causa delle 
variabili U, V che occorre distendere sulle curve f, g. Ma si 


LUIGI COLOMBA — NOTE MINERALOGICHE, ECC. 997 


posson definire geometricamente quelle quantità in più modi. 
Per esempio, si fissino due linee ulteriori f1, 91, ed inoltre una 
corrispondenza biunivoca tra f e f;; ed una tra g e g;. Quindi, 
nella costruzione della 7, si assuma sempre il birapporto (x y 2 2’) 
(che prima ponevamo = U: V) uguale al birapporto che due 
piani fissi determinano con quei due punti di f1, 91, che corri- 
spondono ai punti x,y di f, 9. 


Note mineralogiche sulla Valle del Chisone 
(Cave del Pomaretto). 
Osservazioni del Dr. LUIGI COLOMBA 
Libero docente di Mineralogia. 


(Con una Tavola). 


Risalendo la valle del Chisone si osservano, poco a monte 
di Perosa Argentina e lungo il fianco destro della valle, alcune 
piccole cave intermittentemente coltivate in una roccia che è 
comunemente indicata col nome di gneiss del Pomaretto, essendo 
esse nel territorio di questo comune. 

La roccia in cui sono aperte le dette cave appartiene al 
gruppo di quelle che secondo le ricerche di Novarese (1) costi- 
tuiscono il termine inferiore della serie litologica da lui spe- 
cialmente determinata e studiata nella valle della Germagnasca, 
ma che si prolunga anche nella valle principale, gruppo che è 
essenzialmente formato da gneiss minuti e da micaschisti spesso 
molto ricchi in grafite. 

Nei punti in cui si hanno le cave del Pomaretto, la roccia 
presenta una schistosità molto regolare; osservata al micro- 
scopio ha una costituzione oscillante fra quella di un micaschisto 
feldispatico e quella di un gneiss minuto, ed il dubbio che si 
tratti dell'una piuttosto che dell’altra roccia è tanto più legit- 
timo in quanto manca una linea di distinzione ben netta fra 


(1) Appunti geologici sulla valle della Germagnasca, “ Boll. Com. Geol. 
Ital. , (1895), p. 252. 


f 


998 LUIGI COLOMBA 


i due tipi di rocce, trattandosi in ambedue i casi di tipi lito- 
logici che si possono considerare come micaschisti più o meno 
ricchi in feldispato e che formano dei termini di passaggio fra 
i veri gneiss a grana fina ed i veri micaschisti. 

Se però si volesse considerare come carattere distintivo 
quello derivante dal fatto che il feldispato sia più o meno omo- 
geneamente diffuso nella roccia a seconda che questa rappre- 
senti un vero gneiss minuto oppure un micaschisto, la roccia 
del Pomaretto dovrebbe molto più logicamente ascriversi ai 
micaschisti essendo in essa molto scarso il feldispato ed anche 
essendo esso in individui di dimensioni molto piccole ed irrego- 
larmente disseminati nella massa della roccia. 

Inoltre negli gneiss minuti anche la mica si presenta ge- 
neralmente in lamine molto piccole, per modo che la schisto- 
sità della roccia non risulta in generale molto visibile; tale 
fatto invece manca del tutto nella roccia del Pomaretto, la quale 
anzi, come già dissi, presenta una perfetta schistosità dovuta al 
fatto che le lamine di mica hanno grandi dimensioni e sono 
disposte molto regolarmente. 

La mica è costituita quasi esclusivamente da biotite, 0s- 
servandosi solo raramente piccole quantità di muscovite; un 
minerale degno di nota per la sua frequenza e per la sua ab- 
bondanza è la sillimannite, la quale apparisce in lunghi aghi 
incolori disposti in letti che seguono con grande regolarità l’an- 
damento dei piani di schistosità; si osservano pure cristalli mi- 
croscopici di zircone spesso con abito fusiforme e meno frequen- 
temente individui allungati di epidoto. 

La roccia presenta in vari punti una struttura cataclastica 
molto distinta assumendo allora l’aspetto di una breccia schi- 
stosa a cemento siliceo; invero si osserva in tal caso la pre- 
senza di frammenti angolosi di quarzo, ortosio e sillimannite 
disseminati senza ordine in una sostanza bianchiccia senza tracce 
apparenti di differenziazione, ma che però, osservata a nicols 
incrociati, apparisce formata da un intreccio finissimo di gra- 
nuli di quarzo aventi dimensioni molto più microscopiche di 
quelli sparsi nella massa della roccia. 

Questa struttura cataclastica si mostra localizzata in alcune 
zone più o meno grandi disseminate in taluni strati della roccia 
intercalati con altri in cui essa manca affatto, per cui io credo 


NOTE MINERALOGICHE SULLA VALLE DEL CHISONE 999 


che non la si possa attribuire ad una formazione speciale, ma 
bensì che dipenda da cause le quali avrebbero influito local- 
mente sulla struttura preesistente della roccia e specialmente 
da spostamenti, contorsioni, ecc. 

Novarese (1) inclina ad ammettere che gli gneiss minuti 
che si trovano nella parte inferiore della serie litologica nella 
valle della Germagnasca, fossero in origine rocce clastiche e 
precisamente arenarie, le quali, in seguito ad azioni metamor- 
fiche, avrebbero assunto la costituzione litologica e la struttura 
che attualmente posseggono, e fonda questa sua ipotesi sul fatto 
che i detti gneiss minuti e micaschisti passano gradatamente a 
rocce nelle quali la struttura è nettamente clastica, potendosi 
esse riferire a veri conglomerati. 

Anche ammettendo una tale origine per la roccia del Po- 
maretto io non credo che la parziale sua apparenza cataclastica 
possa dipendere dal fatto che in alcuni punti la roccia stessa 
abbia conservato l’antica struttura clastica, poichè in tal caso 
non si potrebbe spiegare come nelle zone a struttura catacla- 
stica si trovino diffusi allo stato di frammento minerali che, 
come la biotite, il quarzo, l’ortosio e la sillimannite, presen- 
tano caratteri identici a quelli che attualmente mostrano nella 
roccia, nella quale evidentemente avrebbero dovuto in parte for- 
marsi ed in parte assumere l’attuale loro modo di presentarsi, 
appunto in seguito ai fenomeni di metamorfismo che avrebbero 
determinata precisamente la scomparsa della iniziale struttura 
clastica della roccia in questione. 

Grandi paraclasi attraversano questi micaschisti con anda- 
mento quasi normale alla direzione della schistosità; le super- 
fici di queste paraclasi e quelle di numerose litoclasi che le 
accompagnano sono generalmente tappezzate da una grande 
quantità di piccoli cristallini di quarzo e di ortosio associati 
ad abbondante clorite e da lamine di calcite; in alcuni punti 
poi, dove le pareti delle litoclasi appariscono meno vicine, si 
osservano alcune druse, nelle quali i predetti minerali, ai quali 
si uniscono pure l’epidoto e l'anfibolo, si presentano con carat- 
teri non privi di interesse mineralogico, onde credo bene di rias- 
sumere i risultati delle osservazioni da me fatte su di essi. 


(1) Loe. cit. 


1000 LUIGI COLOMBA 


Ortosio. — L’ortosio che si osserva nelle litoclasi è sempre 
riferibile all’adularia; considerato dal lato chimico esso presenta 
una grande purezza, come si deduce dai seguenti risultati ana- 
litici da me ottenuti: 


Comp. cent. Rapporti molecolari 
5109 64,75 1,079 6,03 
Al30s 18,61 0,182 1,01 
K,0 16,82 0,179 1 
100,18 


oltre a tracce del tutto indeterminabili di soda. 

Le dimensioni dei cristalli sono generalmente piccole, es- 
sendo quasi eccezionale il caso di cristalli voluminosi; cito però 
a questo proposito un esemplare che porta un cristallo di or- 
tosio allungato parallelamente all’asse 02 e che presenta in 
questa direzione un'altezza di 12 centimetri. A seconda dei punti 
da cui provengono si osserva che i detti cristalli appariscono 
o no ricoperti da patine di clorite: queste però sono sempre 
superficiali. 

In generale essi sono piuttosto poveri di forme; invero ho 
in essi solamente osservato la presenza delle seguenti: 


P(001); M(010); 
T(110); 2(130); 
103); #(101); #(201). 


Il tipo dei cristalli ed anche la relativa frequenza delle 
predette forme varia assai a seconda che si tratti di cristalli 
ricoperti da clorite o non; nei primi invero si nota quasi co- 
stantemente un sensibile allungamento parallelamente all’asse 0%, 
mentre invece i secondi appariscono sempre allungati secondo 
l’asse 02. 

Inoltre, mentre in questi ultimi si hanno pressochè sola- 
mente presenti le 001, 110 e 101, essendo molto raro il caso 
in cui si associ ad esse la 010 e sempre sotto forma di facce 
lineari, invece in quelli ricoperti da clorite sono presenti tutte 
le forme sopra accennate, essendo da considerarsi però come poco 
frequente la 130. 


NOTE MINERALOGICHE SULLA VALLE DEL CHISONE ——1001 


In quanto alle 203, 101 e 201 si nota che in generale non 
sono presenti contemporaneamente per modo che si possono sta- 
bilire i seguenti tipi di combinazione : 


001.010.110 .101 
001.010.110. 203 
001.010.110. 201 


alle quali più o meno raramente si aggiunge la 130. 

I cristalli ricoperti da clorite non si prestano assolutamente 
a determinazioni goniometriche esatte; gli altri presentano 
maggior nitidezza di facce, ma malgrado ciò anche da essi si 
possono ottenere misure puramente approssimative; per il che 
dovetti limitarmi a compiere quelle misure strettamente ne- 
cessarie per determinare i simboli delle forme presenti, ricor- 
rendo in alcuni casi al semplice goniometro di applicazione. 

Interessanti appariscono invece i detti cristalli di ortosio 
se si considerano dal lato delle geminazioni che si osservano 
in essi; infatti ebbi modo di notare alcuni tipi speciali di ge- 
minati che non credo indegni di menzione. 

I cristalli possono essere geminati secondo le leggi di Ba- 
veno e di Manebach; sono molto frequenti i geminati multipli 
ed a questo proposito si osserva che si hanno sensibili diffe- 
renze nel modo di presentarsi di questi gruppi geminati a se- 
conda che si tratti di cristalli coperti da clorite o non. 

Nei cristalli coperti da clorite si osservano raramente gruppi 
bigemini corrispondenti ad una delle suddette leggi, mentre in- 
vece sono estremamente frequenti i gruppi poligeminati ed il 
caso più comune è quello rappresentato dalla figura 1, il quale 
costituisce un tipo già noto e che si può considerare come dipen- 
dente da una doppia geminazione secondo la legge di Baveno, 
essendo il cristallo fondamentale quello a cui appartengono le 
facce indicate con P; ed 3, oppure come derivante da due in- 
dividui (P,;) e (P.») geminati secondo le leggi di Manebach 
ed ai quali sia unito un terzo individuo (P;73) geminato secondo 
Baveno. 

Se si esaminano però attentamente questi gruppi trigemini, 
si nota come nella massima parte dei casi rappresentino solo 
le parti terminali di gruppi molto più complessi e che si pos- 


1002 LUIGI COLOMBA 


sono considerare come costituiti da un numero variabile di in- 
dividui elementari formatisi in fasi successive di deposito e di 
accrescimento e che si presentano geminati gli uni rispetto agli 
altri secondo l’una o l’altra delle due sopracitate leggi di ge- 
minazione. 

La straordinaria quantità di tipi differenti che si osservano 
nei cristalli del Pomaretto esclude assolutamente la possibilità 
di descriverli tutti; mi limiterò quindi alla descrizione di alcuni 
fra i più caratteristici, potendosi da essi ricavare la legge che 
in modo pressochè costante ha regolato le associazioni e gli ac- 
crescimenti degli individui elementari nei gruppi complessi di 
cristalli poligeminati. 

Nelle figure 2°, 3° e 4° sono appunto rappresentati tre di 
questi gruppi poligeminati che constano rispettivamente di cinque, 
sette e nove individui elementari. 

Abbiasi invero un gruppo trigemino come quello rappre- 
sentato nella figura 1° e suppongasi che in esso, in seguito ad 
ulteriori depositi, mentre l’individuo (P3%3) continua a crescere, 
questo accrescimento manchi invece del tutto per quanto si ri- 
ferisce ai due individui (P,x;), e (P,%») e che invece si mani- 
festi una tendenza alla comparsa di due nuovi individui (P;x,) 
e (P;x;) geminati il primo rispetto a (P;x3) secondo la legge di 
Manebach, ed il secondo rispetto allo stesso individuo secondo 
la legge di Baveno. 

Ne risulterà un secondo gruppo trigemino (P3%3), (Pig), 
(P;c;) analogo a quello della figura 1° ma girato rispetto ad 
esso di circa 90° e sovrapposto al primo per modo che si ot- 
terrà un complesso di cinque individui che appunto corrisponderà 
al gruppo pentageminato della figura 22. 

Suppongasi ora che il cristallo (P;x;) continui a crescere 
in modo analogo a quanto avvenne prima per il cristallo (P3%3) 
e che si formino due nuovi individui (P;%), (P;x7) rispettiva- 
mente geminati con (P;x;) rispetto alle leggi di Manebach e 
Baveno; verrà così a formarsi, sovrapposto sul gruppo penta- 
geminato prima visto, un nuovo gruppo trigemino disposto come 
il gruppo iniziale (P,;), (P.x9), (P3%3) e che porterà ad un poli- 
geminato settuplo analogo a quello rappresentato nella fig. 3?. 

Allo stesso modo supponendo un ulteriore accrescimento 
dello stesso tipo rispetto all'individuo (P;x7) del terzo gruppo, 


NOTE MINERALOGICHE SULLA VALLE DEL CHISONE 1003 


si avrà la comparsa di un nuovo gruppo trigemino disposto 
come quello costituito dagli individui (P3%3), (P,24), (P;2;) e che 
porterà ad un gruppo più complesso corrispondente a quello 
nonuplo della figura 4. 

Ne è da affermarsi che a questo punto debba arrestarsi la 
la produzione di nuovi geminati ed invero da quanto potei. os- 
servare non mancano accenni nell’ortosio del Pomaretto a gruppi 
più complessi ancora. 

Questo speciale modo di accrescimento dipenderebbe quindi 
dal fatto che nei cristalli di ortosio in questione abbia tendenza 
speciale a prodursi la legge di Manebach e subordinatamente 
quella di Baveno, per cui quando si forma un cristallo la cui 
comparsa dipenda da questa seconda legge, tende tosto a for- 
marsi un altro individuo geminato rispetto ad esso secondo la 
legge di Manebach e posteriormente un terzo dovuto alla legge 
di Baveno, e così di seguito. 

Oltre a questi geminati così complessi se ne osservano al- 
cuni altri pure degni di nota, ma sui quali non credo necessario 
di insistere trattandosi di casi già noti; il più caratteristico, e 
che specialmente si osserva pei cristalli privi di clorite, è rap- 
presentato da gruppi tetrageminati nei quali i quattro individui 
elementari sono disposti a croce. Questi gruppi, come è noto, 
si possono considerare come risultanti da una doppia gemina- 
zione secondo le leggi di Manebach e di Baveno rispetto a quattro 
individui elementari cresciuti contemporaneamente, e già stata 
figurata da varî autori e fra questi.da Dana (1). 

Nei gruppi poligeminati complessi da me descritti spesso 
i confini dei singoli individui componenti si manifestano sola- 
mente sulle facce che limitano i gruppi stessi mediante suture 
di geminazione; in ogni caso però è sempre possibile constatare 
quando una determinata area appartenga ad una coppia di facce 
complanari M di due individui geminati secondo la legge di 
Manebach, oppure ad una faccia P, per il fatto che mentre queste 
si presentano, come appunto si vede nelle sopra riportate figure, 
striate parallelamente agli spigoli Pz, invece quelle appariscono 
più o meno fortemente punteggiate e scabre. 


(1) System of Mineralogy, 1891, p. 317. 
Atti della R. Accudemia — Vol. XLIII. 68 


1004 LUIGI COLOMBA 


Quarzo. — I cristalli di quarzo che accompagnano l’or- 
tosio nelle litoclasi delle cave del Pomaretto non sono mai molto 
grossi, raggiungendo al massimo un'altezza di 4 o 5 centimetri; 
sebbene essi non siano molto ricchi di forme, tuttavia presen- 
tano una certa importanza non solo per la presenza in essi di 
alcune forme molto rare per il quarzo, ma pur anche per la 
grande frequenza con la quale le dette forme sì manifestano. 

Le forme da me determinate con sicurezza sono le seguenti, 
assumendo l’orientamento di Goldschmidt (1): 


b(211 = 1010); F:(413 = 5270); 
r(100 = 1011); i(1322 = 5053); w, (1 
m(110 = 1012); p(221= 1011); @(881 
u:(210=1123); s(412 =1121); 
x(412= 5161): "(8510 = 5161); y(1025 =4151); 
2:(970=72916): 


3 = 5052); 


33 
13= 7071); 


Inoltre si osservano in prossimità dei vertici dei cristalli 
delle faccettine lineari generalmente molto scabre e che quindi 
non si possono determinare con sicurezza. 

La combinazione che si può considerare come fondamen- 
tale è quella rappresentata dalla figura 5°, e comprende le se- 
guenti forme: 


1010, 5270, 101%, 1011, 1012,, 1121, 1125072000: 


Essa poi si complica in molti casi per la comparsa più o 
meno frequente delle altre forme ed in ciò appunto sta l’impor- 
tanza di questi cristalli, poichè, come si vede, sono appunto le 
forme più rare quelle che sempre sono presenti. 

Per quanto riguarda le 1010, 1011, 1011, 1121, 5161, 
5161, 4151, non credo necessario di arrestarmi su di esse, trat- 
tandosi, nel caso dei cristalli del Pomaretto, di forme che non 
presentano nulla di speciale. 

Mi limiterò quindi a descrivere brevemente le altre forme. 


(1) Index der Krystallformen des Mineralien, 1891, vol. 3°, p. 1. 


NOTE MINERALOGICHE SULLA VALLE DEL CHISONE 1005 


L’emiprisma dodecagono 5270 si presenta in generale sotto 
forma di facce anche dotate di larghezza non trascurabile tal- 
volta, ma che in generale hanno una superficie molto scabra ; 
in alcuni cristalli però ne osservai di quelle abbastanza nitide. 

Nella zona dei romboedri diretti si osserva che la 5053 è 
molto frequente e sempre si presenta sotto forma di faccettine 
lineari in generale però nitide; lo stesso si può dire della 5052 
la quale anzi ha sempre facce di dimensioni maggiori della pre- 
cedente. 

Degno di nota è per questa forma il fatto che sino ad ora 
era soltanto nota nel quarzo la sua inversa 5052, mentre nel 
caso dei cristalli da me esaminati non si può mettere in dubbio 
la presenza della 5052 non solo per il fatto che le facce 
della bipiramide che sono nella sua zona sono quelle più svi- 
luppate, ma anche perchè sulle facce della 5052 manca quel- 
l'aspetto che secondo Des Cloizeaux (1) è caratteristico delle 
forme inverse, cioè mancano le striature parallele agli spigoli 
d'intersezione con la 1010. 

Nella zona dei romboedri inversi è degna di nota la 1012 
in causa della sua costanza; in generale le sue facce sono striate, 
ma talvolta potei ottenere delle buone misure, essendo d’altra 
parte possibile la sua determinazione anche indipendentemente 
dalle misure per il fatto che le sue facce sono nelle due zone 
1011.1010 e 1011 OLI1. 

Nulla d’interessante offre l’altro romboedro 7071 contenuto 
nella stessa zona. 

Meritevoli in modo speciale di essere ricordate sono la 
72916 e la 1123. 

La prima di queste forme è certamente una delle più rare 
che si abbiano nel quarzo, essendo stata fino ad ora solo os- 
servata, per quanto mi consta, da Lincio (2) nel quarzo di Her- 
kimer; nei cristalli del Pomaretto è sempre in facce lineari tal- 
volta nitide e talvolta striate parallelamente alle intersezioni 
con la 1012. 


(1) Manuel de Minéralogie, tomo 1°, p. 12. 


(2) Beitrige zur Krystallographischen Kenntniss des Quarzes, “ Neu 
Jahrb. fiir Miner. ecc. ,, Beil. Bd. XVIII, p. 155. 


1006 LUIGI COLOMBA 


La 1123 è pure sotto forma di faccettine lineari che tal- 
volta presentano una discreta lucentezza, essendo però frequente 
il caso in cui presentano delle striature analoghe a quella della 
forma precedente. 

Nella seguente tabella sono riportate le migliori misure da 
me ottenute: 

Valori teorici 


Valori ottenuti Valori medi (c=1,09997) 

5270 . 1010 16°12'-16°20' 16°16' 16°6' 

5053.1010 25°11' 25011 25017! 
5052.1010 17°27'-17°40' 17°33'30" 17°29' 
1012.1011 19°11'-19°20' 19°15/30" 19022’ 
7071.1010 31°55' 31°55' 31°48' 
TROIS OLI 36025' 36°25' 36915” 
1123. 1011(adiac.) 25030’ 25030" 25041’ 


In quanto alle faccettine che in molti casi smussano i ver- 
tici dei cristalli sembrano doversi riferire alle 1013 ed alle 
1015, quest’ultima forma ammessa fino ad ora solo da Lincio (1), 
pure nei cristalli di Herkimer, ma da lui però considerata come 
incerta. 

Debbo però considerare queste determinazioni come molto 
incerte, poichè ebbi solo modo di osservare alcune misure a 
bagliori. 

Gli angoli da me ottenuti rispettivamente dalle due forme 
con le facce 1011 e 1011 oscillano fra 29° e 30° in un caso e 
fra 36° e 38° nell’altro; ora i valori teorici degli angoli 1013.1011 
e 1015.1011 sono rispettivamente pari a 28°41' ed a 37932’. 


E degno però di nota il fatto che nei cristalli del. Pomaretto, 
oltre alla 1013 sarebbe pure presente la 1013. 


Epidoto. — L’epidoto presenta importanza minima sia 
per il fatto che è sempre poco frequente, sia perchè i suoi cri- 
stalli hanno generalmente dimensioni molto piccole ed una grande 


(1) Loc. cit. 


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«dea, 


Soc.An.it.Indastrie Grafiche -Torino 


Ria 
tt 


É 


MBA L- Note mineralogiche sulla valle del Chisone. Alti dRAccad.d Scienze diTorino-Vi2AZZ 


NOTE MINERALOGICHE SULLE VALLE DEL CHISONE 1007 


povertà di forme; in essi constatai invero solo la presenza delle 
seguenti forme : 


c(001), #(100), r(101), i(102), 0(011). 


Tutte queste forme sono costantemente presenti nei cri- 
stalli i quali sempre sono allungati parallelamente all’asse di sim- 
metria; talvolta osservai pure dei cristalli geminati secondo 100. 

Le facce di questi cristalli sono molto nitide e mi diedero 
risultati molto buoni: 


Valori ottenuti Valori medii Valori teorici (1) 
100 . 001 64°32'-64°38' 64°35' 64°36/50"' 
100.101 51°38/-51°40' 51°39' B1°41' 
001.102 . 84°18' 34913’ 34991’ 
011.011 63°5' 63°5' 6305/30" 
001.011 58029' 58029" - 5802715” 


Stante le piccole quantità di epidoto che potei avere a mia 
disposizione non potei compiere alcun saggio analitico. 


Calcite. — Si presenta frequentemente in cristalli tabu- 
lari associati all’ortosio; meno frequentemente è in cristalli ad 
abito prismatico; in generale i suoi cristalli sono ricoperti da 
clorite per modo che non potei ottenere che misure approssima- 
tive, le quali però mi permisero di constatare la presenza delle 
seguenti forme (orientamento secondo Goldschmidt (2)): 

0(111= 0001); 5(211 = 1010); p(100= 1011); 
t.(1155= 160161); dè.(110= 1012); r.(335= 8081) 
essendo presenti le seguenti combinazioni : 


0001.1010; 
0001.1010 .1011.8081; 
0001.1012 .160161. 


Anfibolo. — Molto raramente si osserva, specialmente 
dove si ha la calcite, la presenza di piccole quantità di anfi- 
bolo, riferibile a sughero di monte. 

Torino, Istituto Mineralogico della R. Università, 
14 Giugno 1908. 


(1) System of Mineralogy, 1872, pag. 516. 
(2) Index der Krystallformen der Mineralien, 1886, p. 371. 


1008 SENOFONTE SQUINABOL 


Riassunto di uno studio geo-fisico sulle isole Tremiti 
del prof. SENOFONTE SQUINA BOL. 


Avendo dovuto recarmi nel 1895 alle Isole Tremiti per un 
sopraluogo geologico affine di ricercare se la stabilità delle rocce 
su cui è fondata la casa penale fosse minacciata da alcune spac- 
cature che si erano formate, ebbi fin d’allora agio di fare alcune 
osservazioni che non coincidevano totalmente con quelle che il 
Tellini aveva pubblicate nella sua memoria uscita cinque anni 
prima (1). 

Vi ritornai in seguito due altre volte nel 1900 e nel 1906 
estendendo lo studio anche alla geofisica delle isole stesse ed 
alla preistoria delle medesime, essendo stato fortunato di tro- 
vare, per il primo, tracce dell’uomo neolitico in detto gruppo 
insulare. 

Sperando di poter pubblicare in seguito, in extenso, i risul- 
tati di tale studio, con carte, tavole di sezioni, fotografie e 
quanto altro occorre per la completa illustrazione, mi permetto 
intanto di comunicare a questa R. Accademia un breve rias- 
sunto delle mie osservazioni. 

La Memoria sarà divisa in diversi capitoli. 

Il 1° abbraccia tutta la parte di geografia fisica. 

In questo 1° cap. si rettificano in primo luogo le superficie 
delle varie isole che sono state misurate con gran cura sopra 
le nuove carte marine del 1899 aggiornate al 17 luglio 1906. 

Le superficie vengono ad essere: 


S. Domino m. q. 1.980.750 invece di m. q. 2.325.500 


Capperara , 448.425 5 o 599.100 
S. Nicola à 441.000 3 9 484.100 
Cretaccio L 37.450 si L 1.000 

Totale m. q. 2.907.625 , n 3.409.700 


(1) TeLuini A., Osservazioni geologiche sulle isole Tremiti e sull’isola di 
Pianosa, “ Boll. R. Com. Geol. ;,, n. 11-12. Roma, 1890. 


to 
RIASSUNTO DI UNO STUDIO GEO-FISICO SULLE ISOLE TREMITI 1009 

Quindi si passa a rassegna la plastica di ciascuna di esse, 
la proporzionalità tra Jo sviluppo costiero e la superficie, la 
forma delle coste, la ipsometria e la batometria. Notevoli sotto 
questo rapporto sono le grandi profondità costiere che si trovano 
principalmente a N. della Capperara, dove il mare si inabissa 
a poca distanza dalle coste e lungo la costa S-0 di S. Nicola. 

Questo fatto messo in rapporto coi fatti geologici, di cui 
più innanzi, autorizza a credere ad uno sprofondamento abba- 
stanza potente lungo due direttrici, una E-0 (Capperara) ed una 
SO-NE (S. Nicola). 

Ricercata quale sarebbe la isobata che collegherebbe tutte 
le isole, ho trovato essere quella di m. 11, la quale stabilirebbe 
anche fra Capperara e S. Nicola un ponte che verrebbe però in 
gran parte sommerso nelle alte maree. 

È fatto poi uno studio se non completo, essendo mancato 
il tempo, certo abbastanza ampio della natura del fondo del 
mare, sia dietro le indicazioni degli studi idrografici della R. Ma- 
rina, sia in seguito a scandagli e ricerche proprie. Così pure 
sulla trasparenza dell’acqua, sulle correnti locali, sulla tempe- 
ratura, sulla salsedine, sulla densità. 

Proseguendo lo studio di geografia fisica si prendono in 
esame e si descrivono i varì fenomeni di erosione marina, fra 
i quali un ponte naturale, un magnifico puffing-hole (pozzo can- 
none) dell’isola S. Domino, le varie grotte di S. Domino e della 
Capperara. Fra tutte queste importante quella del Bue Marino, 
perchè di doppia origine, o meglio fatta in due epoche, primiti- 
vamente da acque d’infiltrazione e poi ingrandita dal mare. 

Infine si prende in esame il fenomeno curioso e nuovo di 
marmitte marine scavate ad altezze superiori a 6-10 metri sul 
livello del mare, durante le tempeste, dalle onde che assumono 
un moto vorticoso per la conformazione della costa, sia nel bat- 
tere sopra le rocce, sia nel ritorno dell’acqua al mare. 

Finalmente un fatto importante viene messo in luce, di do- 
line antiche fattesi tra la fine del nummulitico e la deposizione 
dell’elveziano, riempite dall’elveziano stesso e poi svuotate nuo- 
vamente dall'erosione, in gran parte sventrate ed ora trasfor- 
mate in piccole calette ad imbuto. 

Geologicamente lo studio ha condotto ai seguenti risultati: 

1° Inesistenza del Cretaceo nell'isola di S. Domino, dove , 


1010 SENOFONTE SQUINABOL 


i calcari dolomitici creduti tali dal Tellini sono invece in parte 
calcari ad A/lveolina ellipsoidalis Schwag ed Al». ovulum Stache, 
in parte a coralli eocenici. 

2° Il Cretaceo è ridotto ad una strettissima striscia nel- 
l'isola Capperara, dove sotto al nummulitico affiorano per pochi 
metri dei calcari selciosi a interstrati di selce e suddivisi in 
parallelepipedi, come nei calcari del Quader. Essi sono però Se- 
noniani, com’ è risultato dallo studio delle Radiolarie, in gran 
parte identiche a quelle della scaglia euganea. i 

3° Ampliato quindi il nummulitico nelle isole S. Domino 
e nella Capperara. 

4° Fase di emersione dopo il nummulitico e di corrosione 
potente con fenomeni carsici, attestata da doline riempite, come 
dissi, dall’elveziano e dalla chiara discordanza fra gli strati num- 
mulitici ed elveziani, nonchè dalla mancanza degli orizzonti 
di mezzo. 

5° Elveziano circa come nel Tellini, ma ritrovato qua e 
là in altri punti. L’arenaria elveziana a grana piccola e quasi 
pulverulenta a S. Domino, più sabbiosa al Cretaccio, diventa 
quasi puddinga alla Capperara (lato N-0) e ricca di denti di 
pesci, fra i quali una specie non trovata dal Tellini (1). 

In alcuni punti l’Elveziano è stato posteriormente assai 
frantumato e ricementato in breccia ad elementi grossi, e ciò 
in rapporto a movimenti posteriori, di cui parlerò in seguito. 

6° Tortoniano, rappresentato dalle marne a marcassite. 
Questo separato nella carta geologica dall’elveziano in tutte e 
tre le isole che lo contengono. 

7° Langhiano: ritrovamento del Langhiano con marne 
bianche ad Ostrea langhiana a S. Domino e nel Cretaccio. Quivi 
(Cretaccio) il Langhiano è incuneato nel Tortoniano. 

8° Pliocene inferiore. Come nel Tellini. 

9° Pliocene superiore in discordanza col precedente e rap- 
presentato da una stretta zona ad Ostree e Pecten con inter- 
strati qua e là di salgemma. 


(1) Bassani F., Su alcuni avanzi di pesci nell’arenaria glauconiosa delle 
isole Tremiti, “ Rendic. R. Accad. delle Scienze di Napoli ,, fasc. 5° e 7°. 
Napoli, 1907. 


ta 
RIASSUNTO DI UNO STUDIO GEO-FISICO SULLE ISOLE rreMITI 1011 

10° Quaternario marino rappresentato da un calcare ad 
di foraminifere e in basso con strati a Lithotamni, in alto ros- 
siccio per ossidazione, impoverito di CaC0; per azione delle 
acque meteoriche e più argilloso. Questo a S. Nicola. Al Cre- 
taccio non esiste, invece torna ad esservi alla Capperara. A 
S. Domino il quaternario marino è rappresentato da una pud- 
dinga a Turbo rugosus e ad ostree (contenente inoltre Trunca- 
telle e Planorbis, quindi fatta allo sbocco di qualche corso di 
acqua). 

È a circa 60 m. sul mare quasi nel centro dell’isola e messo 

a nudo da uno scavo, inoltre esiste alla Casa Rossa sopra un 
lembo elveziano, e quivi è sormontato da un calcare ad Helix. 

11° Quaternario terrestre. Rappresentato da calcari ad 
Helix, non quindi di acqua dolce, ma formati semplicemente 
da argille contenenti spoglie di Helicidi e cementate da CaC0,. 
Ascrivo inoltre al quaternario terrestre una grande massa di 
sabbioni che ricopre il Cretaccio e una porzione di S. Domino, 
che sono, a parer mio, dune antiche. 

12° Attuale. Comprendo sotto questo titolo tutto il pro- 
dotto di disfacimento dei terreni sottostanti, a seconda del loro 
affioramento nelle varie parti delle isole. Sulla carta sarà segnato 
solo dove raggiunge una certa potenza, e principalmente ove si 
mescola al detrito roccioso di falda accumulato fra le argille. 
In alcuni punti, come a S. Domino, racchiude resti neolitici 
(cocci ed armi). In altri luoghi passa insensibilmente ad un de- 
posito più antico e fa testimonianza di una erosione molto più 
potente di quella che non si faccia ora. 


Movimenti orogenici. Resta così stabilito : 

1° una fase di emersione dopo il Nummulitico ed un 
hiatus fra questo e l’Elveziano; 

2° l'esame principalmente del Cretaccio ha condotto a 
queste risultanze: a) il Cretaccio principalmente è stato il centro 
di una serie di movimenti orogenici importanti, che hanno con- 
dotto a far scivolare la parte N. sulla parte S. pressochè ora 
divise. Il Nummulitico del centro dell’isola è a contatto col Tor- 
toniano. Inoltre vi è stato un incuneamento del Langhiano nel 
Tortoniano nella parte N. dell’isola. Infine una serie di dislo- 


1012 SENOFONTE SQUINABOL 


cazioni secondarie hanno avuto sede nell'ultima porzione N. del 
Cretaccio e tutto ciò dopo il Quaternario; 

5) a S. Nicola è facile anche ad un osservatore superfi- 
ciale lo stabilire: 1° che fra il Pliocene inferiore ed il superiore 
vi è discordanza, quindi fase di emersione dopo il Pliocene in- 
feriore; 2° che dopo la deposizione del Pliocene sup. e del Qua- 
ternario vi sono state delle fratture con rigetto in tutta l’isola 
e queste sono allineate in un'unica direzione con quelle del 
Cretaccio. 

c) La formazione marina quaternaria indica un solleva- 
mento di non meno di 60 m. dal livello attuale di tutta la massa 
delle isole dal Quaternario a questa parte; d’altra parte certe 
grotte, come quella del Bue marino, che ha avuto origine per 
acque d’infiltrazione e poi fu ingrandita dal mare, indica un 
nuovo abbassamento, come indica pure ciò l’ affioramento a 
mare e a picco di sabbie e argille contenenti resti dell’industria 
umana. 

d) L’appicco sottomarino della Capperara con residui di 
Elveziano, Tortoniano e Quaternario sospesi a diverse altezze 
sta ad indicare una frattura con forte rigetto diretta NE-SO. 
Così pure credo sia dovuto a frattura seguita da sprofondamento 
il Canale interposto fra Cretaccio e Capperara da una parte e 
S. Nicola dall’altra. 

Un’altra linea di sprofondamento dev'essere la spiaggia @ 
picco S-E di S. Nicola, la quale in parte è sprofondata e in 
parte ha semplicemente ceduto, come sotto l’abitato. 

Altra linea di cedimento è la costa N-E di S. Domino, dove 
l’Elveziano è portato a livello del mare. 

e) In conclusione: 

1° Emersione dopo il Nummulitico e regime aereo fino 
all’Elveziano. 

2° Sommersione durante l’Elveziano fino al Pliocene 
inferiore compreso. 

3° Emersione dopo il Pliocene inferiore. 

4° Sommersione che ha durato tutto il Pliocene sup. 
e parte del Quaternario. 

5° Emersione durante l’ultima fase del Quaternario. 

6° Durante quest’ultima fase e probabilmente sul finire, 
grandi movimenti violenti che hanno spezzata la terra, formando 


—-. 


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RIASSUNTO DI UNO STUDIO GEO FISICO SULLE ISOLE TREMITI 1018 


e N. di Capperara; 2° formazione del canale fra Capperara- 
Cretaccio e S. Nicola, ingrandito poi dall’erosione ; 3° cedimento 
nell’isola di S. Nicola dalla parte S-E, anche con rotture, e nel 
tempo stesso rigetti trasversali rispetto alle grandi linee di ce- 
dimento; 4° cedimento che ha aperto il canale fra S. Domino e 
Cretaccio e fra Cretaccio e Capperara. 


Preistoria. — Furono pure da me rinvenute, come già 
dissi, testimonianze dell’uomo preistorico, finora non mai accen- 
nate da alcuno. I cocci trovati a Prato S. Michele (isola S. Do- 
mino) durante uno scasso per impianto di vigneti, sono tutti 
dell’epoca neolitica, ed hanno una fisonomia identica a quelli 
delle stazioni primitive di Molfetta, illustrate da Massimiliano 
Mayer (1). Sono pure neolitiche gran parte delle armi di selce 
trovate in parte nel detto scasso (ascie), in parte a fior di terra 
(Casa Inglesi), frammiste a cocci di epoca greca e romana. 

Anche neolitiche sono altre armi di selce, ma essendo la- 
vorate con scheggiatura non minuta, quale si nota pure in molte 
armi consimili del Gargano, le credo fabbricate dai discendenti 
delle famiglie paleolitiche (2). 


(1) M. Mayrr, Stazioni preistoriche di Molfetta. Bari, 1904. 
(2) S. SquinasoL, Ritrovamenti preistorici alle isole Tremiti, * Boll. di 
Paletnologia ital. ,, anno XXXIII, nn. 1-5. Parma, 1907. 


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4 isole, cioè: 1° abbassamento di oltre 150 m. della parte N-0 


rx 


1014 GIOVANNI NEGRI 


Contributo alla briologia delle Isole Tremiti. 


Nota del Dott. GIOVANNI NEGRI. 


La florula briologica delle Isole Tremiti è ancora assai 
scarsamente nota. Il dott. A. Gurgo nel 1886 ed U. Martelli 
nel 1903 vi raccolsero alcune specie di muschi determinati e 
pubblicati dal Bottini (1); in tutto nove. Ritengo quindi non 
privo d’interesse l’elenco della raccolta fattavi da me, in una 
visita al piccolo arcipelago compiuta nella scorsa primavera 
(5-21 aprile 1907), in quanto esso aumenta notevolmente il nu- 
mero delle specie conosciutevi, e, data la piccola estensione delle 
quattro isolette di cui il gruppo consta, le speciali condizioni 
di ambiente e la stagione particolarmente favorevole della quale 
ho potuto usufruire, mi sembra porga una nozione abbastanza 
esatta della vegetazione briologica locale. Le stesse condizioni 
climatiche favorevoli ad un eccezionale sviluppo dei muschi, re- 
sero impossibile, nelle due settimane della mia permanenza, un’e- 
scursione sino all'isola di Pianosa, la quale non deve del resto, 
per la natura sua, essere molto propizia al briologo: per le altre 
isole invece, ho goduto di ogni agevolezza grazie alla cortese 
ospitalità ed assistenza delle Autorità Governative locali, alle 
quali mi è grato porgere i più sentiti ringraziamenti, estenden- 
doli anche al Direttore del R. Vigneto di Osservazione sig. B. An- 
toci, che ebbe a favorirmi in ogni modo. 


Il gruppo delle Tremiti è stato studiato nelle sue origini 
e nella sua costituzione dal Tellini ed affatto recentemente dallo 
Squinabol (2). A chi si occupa della sua vegetazione, interessa di 


(1) Borrini A., Sulla briologia delle isole italiane (Webbia di U. MartELLI, 
vol. II, p. 400. Firenze, 1907). 

(2) TeLLini A., Osservazioni geologiche sulle isole Tremiti e sull’isola Pia- 
nosa nell’ Adriatico, È Boll. del R. Comit. Geologico ,, a. 1890, n. 11 e 12, 
Roma, 1890. — Quanto alle ricerche dello Squinabol sono in via di pub- 
blicazione: per quanto può interessare il briologo vedansi i cenni che ne 
dà il dott. G. Cecconi, in Contributo alla Fauna delle Isole Tremiti, © Boll. 
dei Musei di Zool. ed Anat. Comp. della R. Univ. di Torino ,, vol. XXIII, 
n. 583, 20, v. 1908. 


lo 
CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1015 


ricordare, fra le conclusioni tratte da tali ricerche, che. cute 
sione definitiva dell’ arcipelago non risale oltre il quaternario. 
Esso è costituito da un'impalcatura cretacea calcareo-dolomitica 
(Mg(C0;)?40.64 E. Mattirolo in Tellini, op. cit.) sulla quale ri- 
posano altri calcari, eocenici, pure magnesiaci (Mg(C03)?23.58 
cfr. id.) più o meno farinosi; inoltre, depositi posteriori di are- 
narie glauconitiche, di finissime arenarie prettamente calcari, 
di marne farinose o sabbiose. Infine una crosta calcare, attri- 
buibile al quaternario e di origine terrestre, di compattezza, 
tenacità e friabilità varie, riveste, con spessore assai variabile, 
le località pianeggianti delle isole. Il Tellini ha dato anche, 
nel lavoro citato, una carta di queste formazioni, che può es- 
sere utilmente consultata. E da essa come da quanto s'è detto 
emerge una seconda conclusione di alto interesse : l’uniformità 
calcare, cioè, del substrato offerto alla vegetazione. 

Le Tremiti sono quattro: S. Domino (K1.? 2.3255; alt. m. 116), 
S. Nicola (K1.? 0,4841; alt. m. 75); Capperara o Caprara (K1.2 0.5991; 
alt. m. 53); e Cretaccio (K1.? 0.037,460; alt. ca. 30 m.). Assai rav- 
vicinate, lasciano pensare facilmente ad un'epoca relativamente 
recente in cui dovevano formare un'isola sola allungata secondo 
l'asse NE-SW ; i canali che le dividono, infatti, presentano 
una massima larghezza di m. 300 (fra S. Nicola e Capperara) 
ed una massima profondità di m. 28 (fra Capperara ed il Cre- 
taccio). L'intero gruppo dista dal continente (Capo Mileto, Gar- 
gano) circa 22 kl. ed il canale che ne lo separa raggiunge m. 87 
di profondità. Quanto alla configurazione delle singole isolette, 
S. Domino presenta una forma irregolarmente romboidale, a coste 
dirupate ed assai frastagliate: consta di un altipiano alto media- 
mente m. 50, estendentesi dal lato che fronteggia le altre isole ed 
elevantesi verso occidente sino a costituire un colle rotondeggiante 
(colle dell’Eremita m. 116) che forma il culmine dell’isola e col 
versante opposto degrada direttamente sino al mare. È coltivata 
a grano e vigneti nella parte pianeggiante e pel resto occupata 
da una estesa Pineta (P. halepensis Mill) alternata da chiazze 
di macchia mediterranea. — S. Nicola è un altipiano roccioso, 
oblungo, ad estremità arrotondate, quasi uniformemente elevato 
ed appena ondulato, precipitante verso il mare con ripidissimi 
pendii: è rivestito da macchia mediterranea molto depressa 
causa la continua ed intensa azione del vento ed è in piccola 


Gc 


1016 GIOVANNI NEGRI 


parte coltivato a grano. Capperara consta di due distinti colli, 
uno settentrionale (M. Grosso) e maggiore, l’altro meridionale, 
minore ed un po’ più basso, collegati da una insellatura alla 
quale corrisponde la così detta Cala dei Turchi, che intacca pro- 
fondamente il contorno ovale allungato dell’isola. La costa pre- 
cipita ripidissima verso l’alto mare ed offre invece un pendio 
quasi uniformemente dolce dalla parte prospicente a S. Nicola: 
il suolo è rivestito da macchia mediterranea in alcuni punti 
assai fitta, ma sempre bassa ed in piccola parte è coltivato a 
grano. Infine il Cretaccio, situato fra le tre isole maggiori, non 
è che uno scoglio quasi del tutto nudo. 

All’esposizione delle mie osservazioni credo opportuno far 
precedere senz'altro l'elenco delle specie raccolte : 


I. — Cleistocarpae. 


1. Phascum cuspidatum, Schreb., 1770 (fr.). 


S. Domino : campi in riposo e luoghi calpesti presso Casa 
Baronessa — S. Nicola: terreno erboso presso il Cimitero. 


2. Ph. piliferum, Schreb., 1770 (fr.). 
S. Domino : terreni incolti presso Casa Baronessa. 
3. Ph. curvicollum, Ehrh., 1791 (fr.). 


S. Domino: campi in riposo e luoghi incolti presso Casa 
Baronessa. 


4. Ph. rectum, With, 1796 (fr.). 
Colla specie precedente e più abbondante. 


II. — $tftegocarpae. 


a) Acrocarpae. 
5. Weisia viridula (L.) Hedw., 1791 (fr.). 


S. Domino, S. Nicola e Capperara sul terreno coperto 
dalla macchia bassa. 


v. amblyodon, Br. Eur., (fr.). 


Colla specie precedente e più abbondante. Indicata da 
Bottini (1. c.) per S. Domino. 


L 
e” 
CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1017 


6. Dicranella varia (Hedw.) Schpr., 1885 (fr.). 


S. Domino: campi in riposo presso Casa Baronessa. Id. sul 
margine orientale del bosco nei luoghi ombrosi riparati. 


v. callistoma (Diks) Schpr. (fr.). 
Colla specie 


7. Ceratodon chloropus, Brid., 1826 (fr.). 
S. Domino: margine sud-orientale del bosco. 


8. Pottia minutula (Schleich), Br. Eur., 1843 (fr.). 


S. Domino: campi in riposo e luoghi calpesti presso 
Casa Baronessa. — S. Nicola: terreni erbosi presso il Ci- 
mitero. 


9. P. intermedia (Turn) Firnr, 1829 (fr.). 
S. Domino: terreno dei campi presso Casa Baronessa. 
10. P. Starkeana (Hedw.), €. Mull., 1849 (fr.). 


S. Domino : terreni dei campi presso Casa Baronessa. 


11. Didymodon luridus, Hornsch, 1826 (ster.). 


S. Domino: sul terriccio lungo la strada dallo sbarco a 
Casa Baronessa. Id. scoscendimenti sabbioso-marnosi sulla 
costa meridionale, suolo nudo. — S. Nicola: suolo calcareo- 
marnoso nudo presso il forte. — Capperara: suolo nudo qua 
e là nelle macchie. — Cretaecio : suolo nudo. Raccolto spo- 
rificato a S. Domino da U. Martelli. 


12. Trichostomum crispulum, Bruch., 1829 (ster.). 
S. Domino: macchia bassa a destra dello sbarco. 
13. Tr. mutabile, Bruch., 1838 (ster.). 


Non ho raccolta quest’ unica fra le specie indicate dal 
Bottini come trovate alle Tremiti dal Gurgo. S. Domino. 


14. Tr. nitidum (Lindb.), Schpr., 1876 (ster.). 
S. Domino: macchia. bassa a destra dello sbarco. 
15. Tr. favovirens, Bruch., 1829 (fr.). 


In tutte le isole, nella macchia, sul suolo, meno frequente 
a S. Domino nel bosco. Indicata da Bottini per S. Domino 
e S. Nicola. 


1018 GIOVANNI NEGRI 


16. Aloina ambigua (Br. Eur.), Limpr., 1890 (fr.). 


S. Domino : sul terriccio lungo la strada dallo sbarco a 
Casa Baronessa; alla Cala degli Inglesi, e sul terreno degli 
scoscendimenti sabbiosi-marnosi della costa meridionale — 
S. Nicola e Capperara su terreni calcareo-marnosi scoperti. 


17. Crossidium squamigerum (Viv.), Iur., 1882 (fr.). 


S. Domino: sul territorio lungo la strada dallo sbarco a 
Casa Baronessa. 


18. Barbula unguiculata (Huds.), Hedw., 1782 (fr.). 


S. Domino: macchia bassa alla Cala degli Inglesi. Id. alla 
sommità del Colle dell’Eremita, radura. — S. Nicola : sul- 
l’altipiano nella macchia bassa. 


19. B. fallax, Hedw., 1782 (fr.). 


S. Domino: margine sud-orientale del bosco; macchia a 
destra dello sbarco ed alla Cala degli Inglesi. 


20. B. revoluta (Schrad.), Brid., 1801 (fr.). 
S. Domino: terreno del bosco presso il faro. 
21. B. convoluta, Hedw., 1787 (fr.). 
S. Domino: radura nel bosco sul versante sinistro del 
Colle dell’Eremita — Capperara: macchia bassa sul M. Grosso. 
— S. Nicola: Id. sull’altipiano. 
22. Tortella squarrosa (Brid.), Limpr., 1890 (ster.).. 


S. Domino: terreno erboso sul margine sud-orientale 
del bosco; alla Cala degli Inglesi ed in una radura presso 
il Faro. 


23. Tortula muralis (L.), Hedw., 1782 (fr.). 
S. Nicola: sulle mura dei cortili interni del forte. 
v. incana, Schwaegr. (fr.). 


S. Domino : sul terriccio lungo la strada dallo sbarco a 
Casa Baronessa. 


v. 0bcordata, Schpr. (fr.). 


S. Nicola: sui massi calcarei al disotto del Castello, ver- 
sante meridionale. 


24. Fissidens bryoides (L.), Hedw., 1782 (fr.). 


S. Domino: margine meridionale ed orientale del bosco 
nel terriccio fresco. 


CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1019 


25. F. taxifolius (L.), Hedw., 1782 (ster.). 


S. Domino : terriccio nudo ed ombreggiato nel bosco 
presso il Faro. 


26. Fumaria mediterranea, Lindb., 1863 (fr.). 


S. Domino: campi in riposo presso Casa Baronessa. Id. alla 
Cala degli Inglesi. Id. alla sommità del Colle dell’Eremita. 
Capperara: campi in riposo. 
27. F. hygrometrica (L.), Sibth., 1894 (fr.). 
In tutte le isole, sul terreno dovunque. 


28. Bryum atropurpureum (haud. Wahl.), Br. Eur. (fr.). 


S. Domino: nei campi in riposo presso la Casa Baro- 
nessa. Id. macchia bassa alla Cala degli Inglesi. Id. som- 
mità del Colle dell’Eremita — Capperara: margine dei col- 
tivati, e macchia bassa — S. Nicola: macchia bassa. Indicato 
da Bottini a S. Domino e S. Nicola. 


v. dolioloides, Solms-Laub (fr.). 
S. Domino: col tipo 
29. Br. murale, Wils., 1879 (fr.). 
S. Domino: margine del bosco presso Casa Baronessa. 
30. Br. capillare (L.), 1771. 
v. meridionale, Schpr., 1856 (fr.). 


Nelle tre isole maggiori sul terreno della macchia. Campi 
in riposo a S. Domino, dove è anche indicata dal Bottini. 


b) Pleurocarpae. 


31. Homalothecium sericeum (L.), Br. Eur. (ster.). 


S. Domino : sulle roccie dolomitiche in un valloncello 
del fianco meridionale dell’ isola — S. Nicola : roccie dolo- 
mitiche all'estremità meridionale presso il Cimitero : anche 
il Bottini l’indica per quest'isola. 

32. Seleropodium illecebrum (Schwaegr), Br. Eur., 1853 
(ster.). 


Indicato da A. Bottini per S. Domino (I. c.). 
v. decipiens, Bottini, 1903 (ster.). 


S. Domino : in un valloncello boscoso e riparato sul fianco 
meridionale dell’isola. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 69 


1020 GIOVANNI NEGRI 


33. Eurhynchium circinatum (Brid.) Br. Eur., 1864 (fr.). 
S. Domino: valloncello sul versante meridionale dell’isola. 
S. Nicola: roccie all'estremità meridionale. Il Bottini Vin- 
dica (sterile) per S. Domino. 
34. Rhynchostegium megapolitanum (Brid.), Br. Eur., 
1852. 
v. meridionale, Schpr. (fr.). 


S. Domino : alla Cala degli Inglesi; sulla vetta del Colle 
dell’Eremita, sul margine della radura e qua e là nelle 
macchie. Capperara: macchie in vetta di M. Grosso. 


35. Rhynchostegiella tenella (Dicks), Limpr., 1887 (fr.). 


S. Domino : sulle roccie qua e là nel bosco — S. Nicola : 
presso il Cimitero. 


Queste specie si associano non solo in dipendenza dei vari 
fattori fisici dell'ambiente, ma anche delle disposizioni che as- 
sume la vegetazione fanerogamica. 

Ora, limitatamente a quanto può interessare la vegeta- 
zione briologica, debbono essere distinti nell’arcipelago cinque 
tipi di associazioni, corrispondenti a stazioni essenzialmente di- 
verse : 


1. Stazione rupestre a vegetazione necessariamente dis- 
continua e non accompagnata da briofite che nelle posizioni più 
fresche e più protette. Notevoli sotto questo rapporto le roccie 
dolomitiche dell’estremo meridionale di S. Nicola (Homatothecium 
sericeum, Eurhynchium circinatum, Ehynchostegiella tenella) e più 
ancora quelle di un piccolo vallone che, dalla sommità di S. Do- 
mino, scende verso la grotta Menichello (oltre le specie citate 
Scleropodium illecebrum v. decipiens, Rhynchostegium megapolitanum 
v. meridionale, Bryum capillare v. meridionale, Trichostomum fla- 
vovirens, es. molto sviluppati). Sugli spuntoni rocciosi e sui massi 
sparsi nel bosco compare costantemente la £/ynchostegiella te- 
nella: sulle pietre protette da cespugli nelle radure, s'incontrano 
frequentemente e più o meno abbondanti e sviluppate tutte le 
specie citate. 


2. Stazione del terreno scoperto a vegetazione pure 
discontinua, ma in differente grado, onde un facies diverso pre- 


CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1021 


sentano: a) Le marne arenose che formano parte del versante 
meridionale di S. Domino, o le marne calcari qua e là scoperte 
in vari punti dell'arcipelago, sulle quali troviamo intimamente 
commiste alla crosta fangosa superficiale e disseccata, Pottia 
minutula, P. Starkeana, Didymodon luridus, Aloina ambigua, Cros- 
sidium squamigerum, Tortula muralis v. incana; 6) 1 terreni 
calpesti, nonchè gli spazi nudi dei campi in riposo, affettanti 
un certo carattere ruderale ed una minore secchezza, sui quali 
si possono raccogliere le varie specie di Phascum, Pottia inter- 
media, Funaria mediterranea, F. hygrometrica, Bryum atropur- 
pureum, Br. murale, Br. capillare v. meridionale. 


5. Stazione dei pascoli e luoghi erbosi sempre assai 
poco estesi ed intercalati a. chiazze nella macchia, della quale 
rappresentano la massima degradazione specialmente nei punti 
esposti al vento. Poverissimi, come si comprende, di muschi, non 
offrono al raccoglitore pressochè altro che Weisia viridula typ. 
Didymodon luridus, Trichostomum flavovirens, assai disseminati. 


4. Stazione della macchia. Presenta, per rapporto alla 
vegetazione briologica due facies: a) Macchia piuttosto elevata 
(Cistus) e densa, propria dei luoghi protetti ed a rivestimento er- 
baceo del terreno discontinuo con pochi muschi (Trichostomum fla- 
vovirens, Bryum capillare v. meridionale) molto rigogliosi nel loro 
sviluppo; 6) Macchia bassa (Rosmarinus, Pistacia, Olea) prostrata 
dai forti e continui venti e con rivestimento erbaceo del suolo 
continuo ed a tipo assai più xerofilo. Qui la vegetazione tanto 
delle fanerogame quanto delle briofite, assume la maggior ric- 
chezza di forme, con predominio di alcune famiglie caratteri- 
stiche: Weisia viridula typ. e var. amblyodon; Didymodon luridus, 
Trichostomum crispulum, nitidum, flavovirens; Barbula unguiculata, 
fallax, revoluta, convoluta; Funaria hygrometrica; Bryum atro- 
purpureum var. dolioloides, Br. capillare v. meridionale. 


5. Stazione del Bosco. Limitata a S. Domino e costituita 
essenzialmente, per quanto riguarda le essenze arboree, del Pinus 
halepensis Mill. Rispettivamente alle briofite, essa presenta tre 
facies distinti: a) Essenza arborea molto fitta, sottobosco nullo 
e mancanza quasi totale anche del rivestimento erbaceo del 


1022 GIOVANNI NEGRI 


terreno: muschi ridotti alla RAynchostegiella tenella già accennata, 
diffusa sulle pietre sporgenti dal suolo ed alla base di qualche 
albero, a piccole colonie sparse di 7richostomum flavovirens, al 
Fissidens taxifolius (una sola località sul terreno nudo del bosco 
presso il faro) e probabilmente al Trichostomum mutabile accen- 
nato dal Bottini, in quanto questo è specie sciafila; 2) Essenza 
arborea più rada, sottobosco più o meno ricco, vegetazione 
briologica molto prospera in taluni punti per la disereta illu- 
minazione associata ad una protezione relativamente notevole 
del suolo contro l’evaporazione: le specie sono meno prospere, 
ma le stesse che nel facies seguente; c) Margini del bosco 
e delle radure con vegetazione erbacea ed arbustacea rigogliosa 
e Weisia viridula v. amblyodon, Dicranella varia typ. e v. cal- 
listoma, Ceratodon chloropus, Trichostomum flavovirens, Barbula 
unguiculata, B. fallax, Tortella squarrosa,’ Fissidens bryoides, 
Bryum atropurpureum v. dolioloides, Br. murale, Bryum capil- 
lare v. meridionale, Rhynchostegium megapolitanum v. meridionale. 
Stazioni caratteristiche di quest’ultimo tipo offrono i margini 
del bosco di S. Domino presso Casa Baronessa, alla vetta del 
Colle dell’Eremita ed alla Cala degli Inglesi. Tutte queste for- 
mazioni briologiche poi sono ben caratteristiche delle zone me- 
diterranee basse ed asciutte e si ripetono, per esempio, nelle più 
aride isole dell'arcipelago Toscano, come si può vedere nel lavoro 
del Béguinot ad esso dedicato (1). 


Volendo ora esaminare un po’ più in dettaglio i fattori d’am- 
biente concorrenti a determinare la vegetazione briologica del- 
l'arcipelago deve anzitutto venir discusso il valore della natura 
esclusivamente calcare del suolo. È conosciuta infatti la sensi- 
bilità di questi minuti vegetali alla presenza dei sali disciolti 
nell'acqua del terreno: ma è pure nota la facilità colla quale i 
muschi costituiscono colonie eterotopiche per riguardo alla na- 
tura del suolo, dato il piccolissimo spazio ed il tenue spessore 
che essi ne accaparrano. D'altra parte pei muschi, come pei 
vegetali superiori, piuttosto che la natura dei sali circolanti nel 
terreno, sembra interessare la concentrazione molecolare dei li- 


(1) Beauimor A., Contribuzione alla briologia dell’Arcipelago Toscano, 
“ Nuovo Giorn. Bot. Ital. ,, N. S., vol. X, nn. 3, 4. Firenze, 1801, passim. 


CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1023 


quidi dai quali il substrato è pervaso (1): testimonio lo scambio 
frequente delle specie più schiettamente alicole fra le varie sta- 
zioni da esse occupate — per citare un esempio notissimo, fra 
le creste dei muri e le carbonaie. — Tralasciando ogni apprezza- 
mento sulle specie idrofile per le quali l’acqua stessa, indipenden- 
‘temente dal substrato d'impianto, può operare un apporto con- 
tinuo di materiale salino, utilizzato in circostanze ed in proporzioni 
che non ci sono ancora ben note, tutto induce a considerare i muschi 
come organismi gelicoli che possono in qualche caso assumere un 
adattamento alicolo anche molto spiccato (2), ma che, per lo più, 
appaiono indifferenti, bastando circostanze strettamente locali, 
magari limitate alla piccola porzione di substrato occupata 
dall’individuo, a favorirne lo sviluppo, neutralizzando in modo 
presso a poco completo l’azione dei sali liberi nelle soluzioni 
circolantivi in una proporzione che sta in rapporto col grado 
di assorbenza di quel dato punto del substrato, e colle oscil- 
lazioni che tale grado può presentare in funzione degli agenti 
climatici. Con ciò non si viene a dire che una particolare re- 
sistenza di fronte al grado di concentrazione molecolare dei liquidi 
circolanti nel substrato, non determini una selezione a favore di 
certe specie vegetali in genere o di muschi in particolare: la 
flora briologica delle Tremiti è spiegabile, nei suoi adattamenti 
edafici, soltanto quando si tenga presente questo principio. In- 
fatti, scorrendo l’elenco sopra riferito, su 35 specie, un buon nu- 
mero appartiene a quelle per le quali gli autori hanno ricono- 
sciuto una tolleranza pel calcare spesso molto pronunciata. Sono : 


(1) Cfr. Gora G., Studii sui rapporti tra la distribuzione delle piante e 
la costituzione fisico-chimica del suolo, © Annali di Botanica ,, vol. II. — 
Neari G., Sulla flora briologica della penisola Sorrentina, © Atti R. Ace. Se. 
di Torino ,, vol. XLI, 1906. 

(2) Adattamento che in qualche caso può essere affatto apparente, 
perchè nella breve ed umida stagione in cui è possibile uno sviluppo ri- 
goglioso di muschi su substrati calcari secchi e scoperti, naturali od arti- 
ficiali, possono entrare in azione disposizioni secondarie, tali da ridurre 
pressochè a nulla l’azione del substrato stesso — dilavamento per le pioggie, 
apporto di pulviscolo organico e sua umificazione, insieme con quella dei 
residui della vegetazione briofitica dell'anno precedente. Del resto si deve 
ritenere che quando, per esempio, un muro rivestito di malta diventa atto 
ad una vegetazione briofitica, l'asportazione di quella parte di calcare, 
che non è stata combinata allo stato di silicato, è presso a che completa. 


1024 GIOVANNI NEGRI 


Phascum curvicollum. Ph. rectum*, Pottia starkeana*, P. inter- 
media, Didymodon luridus, Trichostomum mutabile, Tr. crispulum*, 
Aloina ambigua *, Crossidium squamigerum, Barbula fallax*, 
Tortella squarrosa, Tortula muralis var. incana, Funaria me- 
diterranea, Bryum atropurpureum, Br. murale, Eurynchium cir- 
cinatum, Rhynchostegiella tenella, per non citare che quelle sulle 
quali l'accordo è maggiore. Si osservi però che, se, data l’inter- 
pretazione dell’alicolismo come un fatto di tolleranza, non di 
elezione, non deve recar meraviglia che il più gran numero di 
queste, come già del resto il Béguinot osservava per un fatto 
analogo a proposito dell’isola di Giannutri, s’incontri in molte 
stazioni a suolo non calcare, alcune (contrassegnate con *) non 
sembrano sopportare la calcareità del substrato che in grazia alla 
sua natura argillaceo-marnosa; mercè la quale è reso possibile il 
prosperare alle Tremiti anche ad altre specie marnicole, ma 
poco tolleranti della calce, quali Phascum cuspidatum, Dicranella 
varia, Pottia minutula, Fissidens bryoides è F. taxifolius (que- 
st'ultimo considerato dal Brizi come saprofita, ma raccolto da 
me a S. Domino stesso su terreno prettamente argilloso). E 
parimenti è più facile osservare sopra terreni marnosi-calcari che 
sopra qualsiasi altro substrato calcarifero la presenza di muschi 
prettamente gelicoli in mezzo ad una vegetazione fanerogamica 
alicola, perchè, come ho già accennato, bastando che la su- 
perficie del substrato sia per pochi millimetri decalcificata, il 
terreno può ospitare le anzidette specie gelicole di muschi molto 
prima che qualsiasi altra forma gelicola, il cui sistema assor- 
bente penetri profondamente nel suolo. Per ben comprendere 
questo fatto, è necessario tener presente che la decalcificazione 
dell'argilla deve essere molto avanzata, perchè essa possa 
esplicare il suo potere assorbente (già tutti gli antichi edafisti 
(Contejean, p. es.) erano concordi nel ritenere il 4°/, di cal- 
care nel suolo come limite massimo tollerato dalle specie 
calcifughe); e che bastano quantità minime di un elettrolito 
perchè un corpo colloidale perda tale sua natura. Ma, sempre 
limitatamente ai muschi, la decalcificazione è facilmente pos- 
sibile date le condizioni edafiche delle Tremiti, nelle quali 
l’unica acqua che pervade il suolo è proveniente da precipi- 


(1) Beurnor A.; Br. Are. tose., 1. c., pagg. 6-7. 


CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1025 


tazione atmosferica, cosicchè, parte per dilavamento, parte per 
la accennata azione del materiale argilloso contenuto nel ter- 
reno, vengono a determinarsi aree, che possono essere anche 
molto circoscritte, ma che, non raggiunte da acque di infiltra- 
zione, o di scorrimento che si sieno caricate di sali attraver- 
sando i terreni circonvicini, vengono in un tempo relativamente 
breve a trovarsi nelle condizioni volute per l’attecchimento delle 
specie in questione. Circostanze speciali vengono ad accrescere 
valore a queste condizioni. Delle tre specie più spiccatamente 
gelicole della flora tremitese, il Phascum cuspidatum cioè, 
il Ceratodon chloropus e lo Scleropodium illecebrum, infatti, il 
primo ha la affinità per suoli argillosi caratteristica della maggior 
parte delle specie del genere, e gli altri due crescono in sta- 
zioni assai protette ed ombrose, il secondo specialmente, che è 
noto, nella generalità della sua distribuzione, come specie a facile 
adattamento xerofilo. 

I venti stessi dominanti alle Tremiti, così violenti e fre- 
quenti, attraversando un’ampia distesa di mare possono aspor- 
tare, ma non importare pulviscolo calcare ed è quindi da eselu- 
dersi anche questa via di possibile regressione da un substrato 
superficialmente decalcificato e quindi gelicolo ad uno alicolo (1). 
Invece è al vento che si deve se alle specie più intolleranti del 
calcare manca alle Tremiti il rifugio della stazione arboricola, il 
quale in genere permette l’intrusione di forme spiccatamente 
gelicole nelle florule dei distretti calcari. I tronchi d’albero in- 
fatti si presentano costantemente nudi, fatto del resto osservato 
da tempo per le stazioni scoperte della regione mediterranea ed 
attribuito dal Boulay (2) all’azione eolica, la quale, determinando 
una evaporazione rapidissima dei veli acquei diffusi sulle super- 
ficie compatte di corteccie o di roccie non protette, impedisce 
la formazione di straterelli di %umus permanentemente umido 
e toglie così alle spore che vi pervengono un substrato di svi- 
luppo molto acconcio. Ho ricordato questo fatto, oltrechè a ti- 
tolo di caratteristica circostanza edafica locale, che determina 


(1) Amanx J., Etude sur la flore bryologique du Valais, “ Bull. de la” 
Murithienne ,, fase. XXVII-XXVIII, pag. 107, Sion, 1898-99. 

(2) Bovray N., Etude sur la distribution géographique des Mousses en 
France, Paris, 1877, pag. 34. 


1026 GIOVANNI NEGRI 


da sola l'esclusione di intere famiglie (Ortotricacee, Grimmiacee) 
anche perchè esso mi dà occasione di dire che l’azione dei venti 
impetuosissimi ai quali la vegetazione è esposta, si, manifesta 
al briologo anche con una serie di alterazioni morfologiche nelle 
specie delle quali si occupa, e le più spiccate delle quali sono 
presentate dalla Tortella squarrosa con adattamenti analoghi a 
quelli già citati, a suo proposito, dal Brizi (1). 

La rapidissima evaporazione dell’acqua di precipitazione 
atmosferica è tanto più sensibile alle Tremiti in quanto esse 
non hanno nè sorgenti, nè stillicidi, nè tanto meno ruscelli o 
stagni permanenti. Gli abitanti raccolgono l’acqua piovana ;in 
apposite cisterne, ma spesso, durante i mesi estivi è indispen- 
sabile provvedere l’acqua sul continente. Quanto al clima, man- 
cando osservazioni locali, è necessario limitarsi ad induzioni 
delle quali riferisco qui quanto può interessare la, briogeografia (2). 
Nella regione mediterranea infatti i muschi, ed alle Tremiti in 
particolare, svolgono il loro ciclo vitale quasi esclusivamente 
nel mesi meno caldi e secchi dell'anno — da ottobre ad aprile 
— poi le specie annue scompaiono, le vivaci permangono sol- 
tanto grazie a quelle parti dei loro organi capaci di mantenersi 
sotto terra al riparo della stagione avversa. Ora è noto come 
il littorale Italiano dell'Adriatico si presenti mediamente assai 
più freddo di quello Dalmata, sia per la distribuzione delle aree 
di minima pressione durante il semestre invernale la quale de- 
termina per la costa Dalmata venti caldi ed umidi di S. E. e 
per l’Italiana venti freddi di terra di N. e di N. W.; sia perchè 
la costa Dalmata è protetta mediante la catena delle Alpi Di- 
nariche, dall'invasione del clima invernale, assai freddo nelle re- 
gioni che le stanno a tergo. L’abbassamento della media annuale 
sul nostro littorale è quindi determinato dalla media invernale: 
infatti, mentre pressochè sino alle Tremiti risale l’isoterma di 
luglio 27° che è quella della Sicilia meridionale, per quanto 


(1) Brizi U., Studii sulla flora briologica del Lazio, È Malpighia ,, a. XI, 
pag. 376, Genova, 1897. 

(2) Cfr. Hann J., Handb. d. Klim., BA. III, pagg. 54-60 e 92-94, Stutt- 
gard, 1897. — De Marcm L. in Marinetti G., La Terra, vol. III, L'Italia, 
Clima, pag. 385 e segg. — Fiscner T., La penisola italiana, trad. Torino, 
1902, p. 343. 


CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1027 


riguarda la temperatura invernale, le stesse Tremiti sono situate 
fra l’isoterma 6° e la 7°. Ora la isoterma 7° che discende lungo 
la costa italiana sino alla estremità meridionale delle Puglie, 
s'innalza al N. sino alle isole del Quarnero, poi si riabbassa 
lungo il littorale Dalmata, che segue tuttavia soltanto sino a 
Zara, internandosi, in corrispondenza di questo punto, nella pe- 
nisola Balcanica. Per quanto riguarda il clima invernale quindi, 
Lissa che è l'isola più prossima alle Tremiti della quale si 
posseggano buone osservazioni climatologiche, in quanto sta fra 
l’isoterma 9° e la 10° del gennaio, è molto meno paragonabile 
ad esse di quanto non lo siano le isole del Quarnero, quella di 
Lussino, per esempio, della quale pure sono, per osservazioni 
prolungate, assai note le condizioni di clima. Riporto i dati 
di queste due stazioni: 


Latit. Long. Altit. Ottobre Nov. Die. Genn. Febbr. Marzo 
Lussin Piccolo 44.32 14.28 J4Abgl6:lieprl1x6 8i10 420 4745 9.6 
Lissa 43.5 16.14 24 18.6. 140 -10.7 ,9.8. 99. 1L1 


Abbastanza paragonabili sono del resto anche i risultati 
delle osservazioni quinquennali 1891-1895 fatte nell’Osservatorio 
annesso al R. Istituto Tecnico e Nautico di Bari (1): gli stru- 
menti in esso stanno a m. 28 s. l. m. 


Primavera Estate Autunno Inverno 
Temper. media 13.52 25.03 17.79 8.07 
Media umid. relativa % 66.4 62.3 69.8 73.1 
Pioggie e neve fusa in mm. 127.8 49.1 155.8 590.4 


Nelle singole annate la media della temperatura invernale 
è stata rispettivamente 7.11; 9.49; 7.33; 8.33; 8.14, cifre che 
sì avvicinano sensibilmente all’isoterma di 7° computata sulla 
sola temperatura di gennaio. Per quanto riguarda la precipita- 
zione atmosferica, una cartina pubblicata dal Gherardelli nel- 
l’opera citata del Fischer mostra che sul littorale che fronteggia 
le Tremiti la quantità di acqua di precipitazione atmosferica 
oscilla fra i 650 e gli 800 mm.; quella del littorale Garganico 
pure prospiciente all’arcipelago è alquanto più bassa (fra 600 
a 650 mm.), concordando abbastanza con quella annua di Bari 

(1) Cfr. ©“ Annuario del R. Istit. tecnico e nautico di Bari ,, vol. X-XIV. 
Dati riportati anche da N. Massari, Briologia Pugliese e Sarda, * Nuovo 
Giorn. Bot. ital. ,, N. S., vol. IV, 1897, pagg. 324-325. 


1028 GIOVANNI NEGRI 


che fu, nel periodo accennato, di mm. 590.4; 563 mm. secondo 
il Gherardelli, che, nella carta sopracitata, indica appunto Bari 
e le coste Garganiche colla medesima tinta. Invece sul Quarnero 
la quota della precipitazione atmosferica sale ad 800-1000 mm. 
Ho insistito sopra questi dettagli non perchè io creda che, in 
genere, nell’ambito della regione mediterranea la vegetazione 
briologica possa risentirsi, nel suo complesso, di oscillazioni cli- 
matiche non molto pronunciate e venga a disporsi strettamente 
a seconda della distribuzione delle medie di tali oscillazioni; e 
ciò tanto più in quanto non può essere mai abbastanza affer- 
mata la relatività del valore di una media climatica in fatto 
di distribuzione di vegetali; ma perchè è ancora tanto rudi- 
mentale la conoscenza nostra delle condizioni di ambiente in 
rapporto alle quali la vita di ogni singola specie può essere 
favorita o contrastata in confronto a quella delle specie con- 
correnti, che io ritengo non essere superfluo, in caso di confronti, 
il computo, quanto più esatto è possibile, delle analogie eco- 
logiche. Così, per le nostre isole minori, condizioni analoghe a 
quelle delle Tremiti potrebbero dirsi offerte alla vegetazione 
briologica dell’isola di Giannutri, come le Tremiti situata fra 
il 42° ed il 43° parallelo, e di dimensioni (Km? 2,3151) ed al- 
tezza (85 m.) analoghe. Anche Giannutri ha il suolo di costitu- 
zione calcarea, è rivestita dalla macchia mediterranea depressa 
per azione dei venti, priva di acque sorgive e di scorrimento 
superficiale; ma è soggetta ad una precipitazione atmosferica 
annua oscillante fra 400 e 500 mm. (Gherardelli, l. c.), e, per 
quanto riguarda la temperatura di gennaio, sta fra le isoterme 
del 9° e 10° (Hann, 1. c.), e ciò, a parità di condizioni, è probabile 
abbia contribuito a determinare la ricchezza notevolmente minore 
della sua florula briologica, quale ci appare nello specchio che 
ne ha dato il Béguinot (1): 24 specie in confronto alle 35 delle 
Tremiti. Delle quali 24 specie, sia detto di passaggio, raccolte 
a Giannutri su suolo calcareo, 22 secondo l'Autore furono tro- 
vate su suolo siliceo in altre isole dell’Arcipelago e debbono 
quindi considerarsi come indifferenti alla natura del terreno 
nella regione stessa, anche se da altri autori ed in altri punti 


(1) Béeurnor A., l. cit., pagg. 288-293. 


CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1029 


della regione Mediterranea hanno potuto essere considerate come 
calcicole. 

Partendo da criteri analoghi si spiega la vegetazione brio- 
logica alquanto più ricca dell’isola di Lussino situata nell'Adriatico 
come le Tremiti e soggetta ad un clima invernale molto simile 
per quanto riguarda la temperatura ed un poco più umido, le 
precipitazioni atmosferiche essendovi alquanto superiori. I muschi 
raccolti a Lussino (1) sommano a 51, ma è da tener conto della 
superficie maggiore dell’isola, della sua superiore ricchezza di 
acqua e dell’elevazione raggiunta dal suo punto culminante 
(m. 588). Opinione confermata anche dallo spoglio dell’elenco 
dei muschi di Lussino, che il Tommasini dice di poter ritenere 
quasi completo, e che appare arricchito dalla presenza di specie, 
che nelle condizioni di ambiente prettamente littoraneo delle 
Tremiti e di Giannutri non si potrebbero mantenere: numerosi 
pleurocarpi (14 su 51 = 27.4 °/; a Tremiti invece 14.3 °o) e 
specie delle famiglie delle Mniacee, Ortotricacee e Grimmiacee. 

Ma ritornando alla florula briologica tremitese, dato che 
la disseminazione delle Muscinee è possibile su larghissima scala. 
per le specie sporificanti, in quanto sta in rapporto coll’azione 
del vento, non deve recar meraviglia che, difficilmente nei sin- 
goli distretti minori di cui una regione fitogeografica si com- 
pone, specialmente quando essi sieno di costituzione recente, 
compaiano razze locali, espressione di modificazioni organiche che 
non durano spesso se non in quanto le forme si mantengono 
nelle stazioni che le hanno determinate. Ciò deporrebbe per una 
certa plasticità nei caratteri specifici dei muschi poco spiega- 
bile, dato che i tipi specifici delle Briofite sono fissati da 
tempi molto antichi. Specie neogeniche, nel senso in cui questo 
termine vien proposto dal Briquet (2) per le fanerogame, non 
credo possano nel caso dei muschi venire ammesse; ed è tuttora 
molto impreciso e probabilmente disuguale il valore sistematico 
delle varietà ben definite, ma circoscritte ad una regione a 


(1) Tommasini (pe Muzio), Flora dell'Isola di Lussino, con agg. e corr. 
di C. Marcaeserti, “ Atti del Mus. Civ. di St. nat. di Trieste ,, vol. IX, 
pp. 88-91 (estr.). Trieste, 1895. 

(2).Briquer J., Recherches sur la flore des montagnes de la Corse et ses 
origines (£ Ann. du Cons. du Jard. Bot. de Genève ,, vol. V, p. 82-83, 1901). 


1030 GIOVANNI NEGRI 


caratteri ecologici molto particolari, quali sarebbero, ad esempio, 
per la regione mediterranea, l’Eurhynchium striatum v. meridio- 
nale, il Rhynchostegium megapolitanum v. meridionale, e molte 
altre simili. 

Ora, questa particolare rigidità che i caratteri specifici pre- 
sentano nei muschi in confronto a quanto avviene nelle fanero- 
game, se per una parte va considerata tenendo conto della mag- 
giore facilità colla quale essi trovano, anche su di una estensione 
molto limitata, le condizioni di stazione loro indispensabili, giu- 
stifica d'altronde la maggiore probabilità consentita alle previ- 
sioni che possono farsi sulla flora briologica di una regione di 
cui si conoscano le possibili stazioni vegetali; e, fatta astrazione 
per qualche caso eccezionalissimo di specie disgiunte, quali ne 
sono state anche recentemente osservate nelle piccole isole me- 
diterranee (1), rende naturale che in un piccolo distretto botanico 
quale è quello delle Tremiti, così caratteristico per le sue con- 
dizioni ambientali, si sia operata una vera selezione a favore di 
quelle fra le specie più diffuse nella regione botanica a cui esso 
appartiene, che sono fornite dagli adattamenti del caso. Nei 
muschi delle Tremiti, infatti, noi ci troviamo sempre di fronte 
ad un adattamento xerofito, esplicato secondo l’uno o l’altro 
dei tipi seguenti (2): 

1) Specie efemere svolgenti la loro vita nel periodo più 
umido del semestre invernale. Esse presentano una tessitura 
cellulare molto delicata e dimensioni molto piccole. Ma sono 
protette dalla rapidità colla quale possono compiere il loro ciclo 
vitale, in una stagione in cui l’umidità non fa loro difetto. Sono, 
nella florula Tremitese, le specie dei generi Phascum, Pottia, 
la Dicranella varia ed il Fissidens bryoides. 

2) Specie di maggior durata ed a foglie ancora composte 
di elementi grandi, delicati e poco clorofillosi. Tali foglie tut- 
tavia stanno raccolte su caulicini molto accorciati più 0 meno 


i 


(1) BortIni A., l. cit., pp. 355, 360, 387. 

(2) Il Poppera, Einige Bermerk. 2. geogr. Verbr. der Laubm. im Mittel 
Europa (° Engl. Bot. Jahrb. fiir Syst. Pflanzgesch. und Pflanzengeogr. 4; 
3d. XXXI, pag. 587. Leipzig, 1902), ha proposto una classificazione analoga 
degli adattamenti termofili dei muschi dell’ Europa centrale, della quale 
conservo qui alcuni tratti. 


CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1031 


coperti dal terriccio od almeno appressati al suolo e ripiegate 
a formare una specie di gemma. Specie del genere. Funaria. 

8) Specie costituenti cespuglietti densi, frammisti a ter- 
riccio con foglie ancora composte di elementi piuttosto grandi 
e lassi, ma raccolte specialmente alla sommità dei ramuscoli e 
capaci di torcersi durante la siccità onde ridurre al minimo la 
superficie evaporante. Specie del genere Bryum. 

4) Specie costituenti cespuglietti densi, frammisti a ter- 
riccio con foglie ad elementi ancora larghi, ma che hanno per- 
duto tutta la clorofilla che viene a raccogliersi in un complesso 
di cellule stipate ricoprenti la superficie interna della porzione 
superiore della. nervatura fogliare. Le foglie inoltre possono 
essere terminate da lunghi peli ialini che nel loro complesso pro- 
teggono l’intera colonia dagli effetti di una insolazione eccessiva: 
hanno margini arrotolati ed apice talora ripiegato a cappuccio: 
o stanno raccolte alla sommità dei caulicini o dei ramuli, costi- 
tuendo un complesso gemmiforme. Genere Aloîna e Crossidium. 

5) Specie raccolte in densi cespugli, con foglie più o meno 
stipate, contorte o crispate, con peli terminali, margini arrotolati, 
apice ricurvo a cappuccio, e con tessuto cellulare (nella por- 
zione non aderente al fusticino, decorrente o guainante) composto 
di elementi stretti ed allungati, più o meno riccamente papillosi. 
Generi Weisia, Didymodon, Trichostomum, Tortella, Barbula e 
Tortula. 

6) Specie pleurocarpe con foglie fitte, rigide, di color 
giallo splendente nelle stazioni esposte ad una forte insolazione, 
talora embricate su rami amentiformi o cirrati (Scleropodium il- 
lecebrum, Eurhynchium circinatum), talaltra solcate da profonde 
pieghe (Homalothecium sericeum). I pochi pleurocarpi delle Tre- 
miti rivestono tutti un abito xerofilo. 

Non meno dimostrative del resto sono le esclusioni che si 
riscontrano nella florula briologica in studio, concordemente a 
quanto avviene nelle stazioni mediterranee analoghe. Come ho 
già accennato, sono affatto assenti le Grimmiacee ed Ortotricacee, 
sia perchè l’azione del vento le caccia anche dalle più protette 
fra le stazioni che potrebbero occupare, sia perchè qualcuna delle 
loro specie adattate alle condizioni di maggiore xerofilia, ap- 
partiene alle forme più esclusivamente intolleranti del calcare 
(Racomitrium). Similmente, o perchè perennanti, o perchè sciafile 
ed igrofile, o perchè calcifughe, mancano le Politricacee. 


1032 GIOVANNI NEGRI 


Ho accennato più addietro alla recentissima pubblicazione 
del Cecconi sulla zoogeografia delle Tremiti, lavoro interessante 
anche in quanto alcune delle sue conclusioni generali coin- 
cidono coi risultati dello studio dei muschi. Anche per ri- 
spetto ad essi le Tremiti, per le loro condizioni particolari, 
sono molto povere di specie e la maggior parte di esse sono 
diffuse e comuni a tutta l'Europa Mediterranea. La posizione 
geografica dell'Arcipelago e l'estrema facilità di disseminazione 
dei muschi per via aerea escludono la opportunità di indagini 
quali furono fatte dal Cecconi pazientemente, per ogni specie di 
animali, onde stabilire la possibilità più o meno grande della loro 
diffusione per via terrestre e portare un contributo di documenti 
pro o contro l'ipotesi dell’Adria, ipotesi che non è in nessun 
modo suscettibile di venir discussa in base a documenti briogeo- 
grafici (1). L'unico fatto che può essere affermato, non ostante 
la nostra conoscenza affatto incompleta della flora briologica 
pugliese (2), è la grande analogia di quest'ultima con quella delle 
Tremiti. Delle 34 specie raccolte nell’Arcipelago 9 sole infatti 
non sono state raccolte in Puglia, e fra queste stanno le 4 specie 
del genere Phascum, che è inammissibile non debbano trovarvisi 
almeno in parte quando sieno state praticate ricerche più minute 
ed in stagione più opportuna. Del resto di tutte le specie tre- 
mitesi il solo Ceratodon chloropus può vantare una distribuzione 
sporadica. Unico rappresentante fra noi di una sezione (Chei- 
lutela) che comprende due sole altre specie, antartiche entrambe, 
ed estremamente disgiunte, esso è, allo stato delle nostre attuali 
conoscenze, una forma mediterranea occidentale, dioica, spora- 
dicamente fertile, raccolta in due stazioni atlantiche, una alge- 
rina, parecchie della Provenza; in Italia, sul continente a Ser- 
ravezza (Toscana), M. Argentaro, Roma, Caserta, Otranto e nelle 
isole in Corsica, Sardegna, Capraia, Pianosa, Capri e Tremiti. 
Con Otranto citata e due località Istriane, scoperte da Tom- 
‘masini, abbiamo quindi tre punti disgiunti dell'Adriatico nei 
quali si sono fissate spore di Ceratodon, giuntevi, secondo ogni 


(1) Cecconi G., 1. c., pp. 52, 58 (estr.). 

(2) Borrini A., Note di briologia italiana, IV. Puglie, © Nuovo Giorn. 
Bot. Ital. ,, N. S., I, pp. 255-258, 1894. — Massari M., Contribuzione alla 
briologia pugliese e sarda. I. Puglie, “ Nuovo Giorn. Bot. Ital. ,, N. S., IV, 
pp. 817, 852. 1897. 


CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA DELLE ISOLE TREMITI 1033 


probabilità, per via eolica. Si tratta probabilmente di una forma 
assai antica, mantenutasi in qualche punto di antica emer- 
sione e diffusasi poi anche a terre di più recente emersione, 
quale l’Arcipelago nostro e molte altre stazioni che senza dubbio 
si scopriranno ancora, grazie alla sua adattabilità abbastanza 
facile. Ciò è tanto più probabile in quanto la pianta è stata 
incontrata molte volte fertile non ostante la sua dioicità. 

La facile fertilità è del resto caratteristica dei muschi Tre- 
mitesi, dei quali sporifica 1’ 80 °/,. Il Boulay (1) a questo pro- 
posito ha giudiziosamente osservato che la fertilità relativa 
è un eccellente carattere per giudicare se una specie di musco 
sia nelle sue naturali condizioni di esistenza, tutte le volte che 
si tratta di muschi monoici o sinoici, ma che perde molto del 
suo valore quando lo si voglia applicare alle specie dioiche. 
Le 35 specie della flora briologica Tremitese si ripartiscono in 
16 monoiche e 19 dioiche. Delle prime, 15 sono fertili ed una 
sola sterile, il Fissidens taxifolius, specie igrofila, sciafila, consi- 
derata da alcuni autori come saprofita, da altri come propria dei 
terreni marnosi contenenti un po’ di calcare, ed in ogni caso poco 
adattabile alle condizioni ecologiche delle Tremiti nelle quali non 
l'ho raccolta che in una sola località in pochissimi esemplari. 
Si tratta in ogni modo di forma comunissima, già osservata 
sporificata in Puglia, d'onde possono essere giunte le spore 
che diedero origine ai pochi esemplari raccolti. Anche per le 
specie dioiche sterili, del resto, l’immigrazione attuale è la 
più facilmente ammissibile. Esse sono infatti i Trichostomum 
crispulum, mutabile e nmitidum, la Tortella squarrosa, 1 Homalo- 
thecium sericeum e lo Scleropodium illecebrum. Di questi 1’ Homa- 
lothecium sporifica dovunque colla massima facilità; è stato 
raccolto in tale stato al Gargano; secondo ogni probabilità se 
ne troveranno gli sporogeni anche nelle Tremiti quando si cer- 
chino nell’inverno, stagione di sporificazione delle specie nella 
zona littoranea, tanto più che esso, quantunque si presenti facil- 
mente arboricolo, è affatto indifferente alla natura del substrato. 
A S. Domino e S. Nicola cresce su roccie dolomitiche. Pel Tri- 
chostomum mutabile, forma sciafila e mesofita, già indicata in 
Puglia, quivi pure però sterile, si può ripetere quanto è stato 


(1) Boucay N,, l. cit., p.9. 


1034 GIOVANNI NEGRI — CONTRIBUTO ALLA BRIOLOGIA, ECC. 


detto pel Fissidens taxifolius. Non ho, per parte mia, raccolta 
questa specie, determinata dal Bottini nella collezione fatta dal 
Gurgo. Il Trichostomum crispulum, il Tr. nitidum, la Tortella 
squarrosa e lo Seleropodium illecebrum si trovano poi nelle stesse 
condizioni di specie che, non raccolte sinora sporificate in Puglia, 
dove, ad eccezione della seconda, risultano come comuni, sono 
però largamente diffuse a tutte le regioni mediterranee e vi spo- 
rificano. E non trattandosi di una stazione sui confini di distribu- 
zione delle loro spore, non è il caso di parlare di disgiunzione 
nell’area e di specie conservate allo stato sterile nelle stazioni, 
da un tempo relativamente antico in cui poteva esistere una 
continuità col continente vicino e verificarsi quindi una diffu- 
sione per via terrestre. Indipendentemente dal fatto che ricerche 
più accurate, condotte nell'epoca più propizia della sporificazione, 
che per esempio nel Trichostomum crispulum e nello Seleropodium 
è molto precoce, permetteranno probabilmente di raccogliere le 
piante fertili in Puglia e alle Tremiti stesse. 

In accordo colle considerazioni fatte per le specie sterili, sta 
il significato dell’alta proporzione di specie fertili a testimoniare 
la facilità di una immigrazione attuale e continua. Per quanto 
riguarda i muschi, un tal fatto modifica la previsione di uno 
scadimento progressivo della florula briologica Tremitese, che 
potrebbe avvenire, analogamente a quanto, secondo il Cecconi, 
si osserva relativamente alla fauna, pel ridursi progressivo e 
sensibile della superficie dell'Arcipelago e nel caso nostro anche 
pel sostituirsi delle culture alle associazioni naturali. È da au- 
gurarsi perciò che una stazione così caratteristica venga ancora 
ed in differenti stagioni visitata da briologi, poichè l’elenco 
delle specie raccoltevi, non ostante la minuzia delle ricerche, è 
lungi dal rappresentare nella sua completezza la serie delle 
forme mediterranee universalmente diffuse e ad adattamento 
strettamente xerofilo ed alicolo: solo mediante una indagine 
proseguita per un tempo assai lungo sarà possibile l’accerta- 
mento delle eventuali ed in ogni caso interessanti esclusioni 
fra le entità specifiche, le spore delle quali hanno tutta la pro- 
babilità di raggiungere per via eolica le isole Tremiti. 


Torino. R. Istituto Botanico. Giugno 1908. 


EFISIA FONTANA — SUL VALORE SISTEMATICO, ECC. 1035 


Sul valore sistematico di alcune specie 
del genere Elaphomyces del gruppo dell’E. anthracinus Vitt. 
Nota della Dott® EFISIA FONTANA. 


(Con una tavola). 


Tra le specie di Elafomiceti a peridio esterno di consistenza 
carboniosa e di struttura pseudoparenchimatica descritte dal 
Vittadini, due in special modo, lE. anthracinus (Mon. Tub., 1831) 
e lE. pyriformis (Mon. Lycop., 1842), sono notevoli, non tanto 
per la semplicità della loro struttura, quanto per la concordanza 
dei loro caratteri la quale ingenera facile confusione. 

Allo scopo di chiarire i dubbi e le incertezze che regnano 
a questo riguardo il Ch®° Prof. Mattirolo mi suggerì il presente 
studio, dal quale io tolgo pure l'occasione per accennare all’£. 
septatus, specie molto affine alle precedenti, pochissimo cono- 
sciuta e non più ritrovata dopo Vittadini, che per primo la 
descrisse. 

Prima di procedere all'esame dell’E. anthracinus e dell’E. 
pyriformis sarà utile riassumere quanto è stato fatto finora. 

Vittadini, descrivendo l’E. pyriformis fa notare la sua affi- 
nità coll’anthracinus: “ Cum sequente (E. anthracinus) unice 
“ confondendus, distinguitur statura longe minore, uteri forma, 
“ peridii tenuitate, odore debili et ab illo £. anthracini plane 
“ diverso. Sporidia etiam aliquantulum maiora ,. I Tulasne, nei 
Fungi Hypogaei, 1862, pag. 106-107, Tab. III e XIX, ripetono 
pel pyriformis la diagnosi Vittadiniana con pochissime modifi- 
cazioni e coll’aggiunta delle località francesi; per l' E. anthracinus 
se ne scostano invece in qualche punto come: nella dimensione 
delle spore uguale a quella data per l’anthracinus, nell’odore: 
“ Odor fungi maturi debilis nobis visus est, illi raphani a 
“cl. Vittadini aequiparatur ,, nel micelio; “ sous ce dernier 
“ rapport, il est voisin de l’E. pyriformis, que sa forme parti- 
“ culière, jointe è d’autres caractères, suffiront presque toujours 
à faire reconnaitre ,. 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII, 70 


“ 


1036 EFISIA FONTANA 


Saccardo (1) e Fischer (2) poco aggiunsero alle diagnosi 
degli Autori sopra ricordati; Hesse (Det. Hyp., 1891) non ricorda 
tra gli ipogei della Germania nè il pyriformis, nè l’anthracinus, 
ma descrive invece una nuova specie, lE. plumbeus, che, dalla 
diagnosi e dalle figure, parrebbe presentare molti caratteri di 
affinità colle due specie che sto studiando. 

Risulta dunque: 1° che i caratteri distintivi secondo Vit- 
tadini dovrebbero essere: la forma diversa, la grossézza del 
corpo fruttifero, lo spessore del peridio, il diametro delle spore, 
l'odore; 2° che i Tulasne esclusero una parte di questi caratteri 
come la diversità del diametro delle spore e dell'intensità del- 
l'odore, ecc.; 3° che molta incertezza regna intorno al confine 
di questi caratteri, tanto da rendere dubbio il loro valore nel- 
l'esatta determinazione degli esemplari delle due specie, spe- 
cialmente se raccolti in differente grado di sviluppo. 

Procedendo allo studio delle parti del corpo fruttifero io 
esaminai: 1° la forma; 2° la grossezza; 3° la crosta; 4° il pe- 
ridio, propriamente detto, nei suoi due strati; 5° la gleba e 
6° l’odore. 

Forma. — Secondo Vittadini è nell’anthracinus “ uterus 
“ interdum compressus, submarginatus ac supra profunde exca- 
vatus vel umbilicatus , e nel pyriformis “ uterus superne in 
mucronem plus minusve elavatum productus, formam pyri vel 
lagenae ut plurimum referens ,. Secondo Tulasne nell’anthra- 
cinus “ globosus est et regularis aut frequenter depressus et 
alte in medio, more Leveillei, umbilicatus , nel pyriformis 
in mucronem crassi obtusissimi sortem ut plurimum productus 
quapropter obovatus seu pyriformis ,. 

Su questo carattere, appunto perchè considerato come di 
maggior rilievo dagli Autori, io volli fermare in special modo 
la mia attenzione. 

La grande quantità di esemplari delle varie specie del ge- 
nere Elaphomyces che io potei osservare, esaminando la ricca 


(1) Saccarpo, Syloge fungorum, 1889, vol. VIII, pag. 867. 

(2) Fiscner, Rab. Krypt. FI., pag. 90, 1897, aggiunge: “ Aus Vittadini’s 
und Tulasne’s Beschreibungen geht hervor dass E. pyriformis durch die 
Form des Fruchtkérpers von beiden vorausgehenden Arten (E. anthracinus, 
E. septatus) verschieden ist ,. 


SUL VALORE SISTEMATICO DI ALCUNE SPECIE, ECC. 1037 


collezione Mattirolo, mi induce ad ammettere un fatto estensi- 
bile a tutto il genere: che in tutte le specie si trovano sempre 
frammiste, in numero maggiore o minore, a forme normali 
forme irregolari. 

Nei due Elaphomyces in questione il corpo fruttifero è dif- 
ficilmente di forma regolare, globosa, od ovale; ma nell’anthra- 
cinus sarebbe per lo più depresso ed ombelicato; nel pyriformis 
allungato e mucronato. 

Io ho osservato, e la tavola annessa me ne fa fede, che in 
numerosi esemplari raccolti dal Prof. Mattirolo presso Rodero (1) 
contemporaneamente, in uno stesso luogo, in egual grado di 
sviluppo e che per l’odore ed i caratteri del peridio e della gleba 
dovrebbero classificarsi per E. anthracinus, si notano poche forme 
regolari, altre depresse ed ombelicate, altre in fine piriformi; in 
altri individui raccolti sui monti dell’ Appennino dal Dott. Macchi 
Claudio di Moncalieri, medico a Palazzuolo di Romagna, nelle 
stesse condizioni dei precedenti, ma in uno stadio più avanzato 
di maturazione, e presentanti caratteri quali quelli descritti dal 
Vittadini pel pyriformis, si notano pure, frammiste a poche 
forme regolari, individui depressi ed ombelicati ed individui 
piriformi. 

Lo stesso fatto ho avuto agio di osservare in una colonia 
di una trentina di individui raccolti da me stessa sotto ad una 
quercia presso Giaveno (2); e ciò pure, in grado minore, ho no- 
tato negli autoptici Vittadiniani di anthracinus della collezione 
di Brera e della collezione Mattirolo. 

Ora, sia nell’uno che nell’altro caso, testè ricordati, non si 
poteva parlare di individui appartenenti a specie diverse, fa- 
cendo essi parte di una stessa colonia e presentando gli identici 
caratteri, eccezione fatta della forma. 

È da notare che in queste due specie i cambiamenti di 
forma non implicano modificazioni nella struttura, mentre in 
altri Elafomiceti (cyanosporus, Personti, foetidus) la deformazione 
del corpo fruttifero genera pure una modificazione nella struttura 
peridiale, costituendo in tal caso un importante carattere dia- 
gnostico. 


(1) Provincia di Como (Lombardia). 
(2) Provincia di Torino (Piemonte). 


1038 EFISIA FONTANA 


Si può quindi concludere che il carattere della forma non 
ha, per le specie in questione, valore diagnostico indiscutibile, 
dovendosi le modificazioni che in essa si osservano attribuire 
ad una irregolarità affatto esterna e del resto comune a tutte 
le altre specie del genere. 

Grossezza. — Secondo Vittadini è nell’anthracinus “ nucis 
“ avellanae vel juglandis , e nel pyriformis “ pisi vel nucis 
“ avellanae ,; secondo Tulasne nel primo “ fungus crassitudine 
“ E. maculatum aequat, plerumque nucis juglandis minoris ma- 
“ ignitudine , ‘è nel secondo “ mediocris ,. 

Io ho trovato, sia nell’una che nell’altra forma individui 
molto piccoli, raggiungenti appena la grossezza di un pisello, ‘altri 
maggiori fino ‘a raggiungere la grossezza di una piccola noce. 

Nell’E. pyriformis gli individui che hanno forma molto ir- 
regolare sono in generale assai piccoli e presentano quasi sempre 
un anormale sviluppo del peridio e della gleba. 

Data la grande variabilità che si osserva sempre in tutte 
le specie del genere nella grossezza del corpo fruttifero e la 
poca diversità ammessa, per le due sopra accennate, dagli Autori, 
posso concludere che questo carattere non ideve avere notevole 
valore per la loro sistemazione. 

Crosta. — Secondo Vittadini è nell’anthracinus “ floccoso- 
“ terrosa, crassa, intus venulis reticulatis medio suleatis coloris 
“ fusco-olivacei elegantissime percursa , e nel pyriformis “ tenue- 
“ floccoso-terrosa ,; Tulasne nel primo “ micelio e filis spissis 
“ implicatis fibroso-tomentoso, ricco, semper ‘brunneo obscuro 
“ instructus et in terra parce diffuso , e pel pyriformis ripete 
ciò che scrisse Vittadini. 

Gli esemplari, sia dell’uno che dell'altro, se maturi, sono 
per lo più liberi da crosta, se giovani, presentano una crosta 
poco aderente ‘al peridio, in generale non molto sviluppata for- 
mata da scarsi fili miceliari bruni, frammisti a terriccio e ra- 
dichette. 

Anche riguardo alla crosta si può concludere che non si 
notano tra le due specie differenze sensibili, questo è pure quanto 
accennano i Tulasne, come più sopra ho fatto osservare. 

Peridio. — Il peridio presenta, tanto nell’anthracinus, che 
nel pyriformis, due strati ben distinti, sia per colore, che per 
consistenza e struttura. 


K 


SUL VALORE SISTEMATICO DI ALCUNE SPECIE, ECC. 1039 


L'esterno (corter Vitt.) è pseudoparenchimatico, di consi- 
stenza quasi carbonacea, fragile, di color bruno-nero, dello spes- 
sore medio di !/3 di mm., quasi liscio od appena minutamente 
verrucoso. In sezione presenta le ife raggianti poco visibili per 
la loro colorazione bruna, ma che si possono mettere in evi- 
denza trattandole a lungo con acqua di Javelle. 

Anche gli autori concordano nell'ammettere questo strato 
pressochè uguale nelle due specie (1). 

Lo strato interno (peridium o caro Vitt.) per il suo diverso 
spessore è da Vittadini, Tulasne, ecc., ritenuto ottimo carattere 
diagnostico. 

Vittadini nell’anthracinus “ peridium crassum, subalbidum, 
similare molle humidum, zonula obscuriore circa medio no- 
“ tatum , e nel pyriformis “ tenue, intus similare, molle hu- 
“ midum , Tulasne nel primo “ peridio crasso subalbido , mentre 
pel secondo si riferisce a Vittadini. 

Lo spessore di questo strato, come è noto, e come del 
resto ho avuto già occasione di far osservare per altre specie (2), 
non deve ritenersi come carattere importante nelle diagnosi, 
perchè soggetto a troppe modificazioni, durante lo sviluppo del 
corpo fruttifero. 

Numerose osservazioni fatte su individui delle due specie, 
in egual grado di maturazione, mi hanno permesso di studiare 
accuratamente le modificazioni di struttura e spessore che questo 
strato subisce colla maturazione e di dedurne che, a parità di 
sviluppo, non si riscontra alcuna differenza sostanziale fra la 
sua struttura e la sua dimensione nei due Eluphomyces di cui 
mi occupo. 

A conferma di ciò sta la figura data dai Tulasne, Tav. III, 
Fungi Hypogaei, rappresentante la sezione del peridio dell’E. 
pyriformis con lo strato interno molto sviluppato. Del resto è per- 


“ 


(1) Vittadini nell’anthracinus È cortex durus, crassus, fragilis, nudo oculo 
inspectus levis, vitro autem auctus irregulariter verrucosus , e nel pyri- 
formis “ cortex durus, levis, sub lente hine inde minutissime verrucosus , 
e Tulasne nel primo “ cortex nigro-brunneo, immaculato, sublevi, rigido, 
erustaceo , e nel secondo “ levi, rigido, nigro-brunneo, immaculato ,. 

(2) E. Foxnrana, Ricerche intorno ad alcune specie del genere Elaphomycees 
Nees, $ Memoria della Reale Accademia delle Scienze di Torino ,, 1907-08, 
serie II, tom. LIX. 


1040 EFISIA FONTANA 


fettamente spiegabile l'accordo degli Autori nell’ ammettere 
questo strato sottile; essi, come ho potuto rilevare dagli autoptici, 
ebbero sottomano individui assai maturi in cui lo strato interno 
era molto ridotto. 

Negli esemplari giovani di ambedue le forme lo strato in- 
terno è costituito da un intreccio poco regolare di fasci di ife, 
decorrenti quasi concentrici alla gleba nella parte superiore e 
tendenti a divenire normali alla stessa in basso. Le ife sono 
diafane, sottili, rigonfie, contenenti grassi ed albuminoidi che 
facilmente si mettono in evidenza con Sudan III o iodio. Il suo 
spessore è di mm. 1 !/, a 2, ma appare assai minore negli esem- 
plari secchi, onde conviene inumidirli per averne una misura 
esatta; esso si mantiene pressochè costante o aumenta di poco 
durante la maturazione del corpo fruttifero; raggiunta questa, 
lo strato si riduce a poco a poco in spessore, imbrunisce verso 
la gleba dando origine a quella “ zonula obscurior , notata da 
Vittadini. Se si osserva una sezione fatta in questo punto, si 
nota che l'intreccio dei fasci di ife è quasi disaggregato, mentre 
queste si presentano come nastriformi, vuote, a parete imbru- 
nita e non si colorano più nè con Sudan, nè con iodio. In se- 
guito lo strato interno va sempre più riducendosi in spessore, 
imbrunisce quasi totalmente restando aderente al peridio esterno, 
o se ne stacca avvolgendo la gleba e finisce poi per scompa- 
rire quasi del tutto, mentre i suoi residui s1 mescolano alla 
massa pulverulenta delle spore. In quest’ultimo stadio il peridio 
diventa molto fragile, ad una minima pressione si rompe, 
mentre le spore si frammischiano al terreno circostante. 

Le osservazioni fatte mi portano a concludere che, nè lo 
spessore del peridio, nè la struttura dello stesso, possono avere 
valore come caratteri distintivi fra le due forme di cui sto 
occupandomi. 

Gleba. — I sepimenti ed il capillizio, come ho già accen- 
nato a proposito degli Elaphomyces granulatus e variegatus (1), 
presentano caratteri poco costanti per le profonde modificazioni 
a cui vanno soggetti durante la maturazione e perchè scom- 
paiono del tutto negli individui ipermaturi; importanti invece 
sono i caratteri della forma, struttura e diametro delle spore. 


(1) E. Fonrana, Loc. cit., pag. 106. 


SUL VALORE SISTEMATICO DI ALCUNE SPECIE, ECC. 1041 


Io non ho trovato per le due specie differenze sensibili, 
tanto per il capillizio ed i sepimenti, quanto per le spore. 

La gleba negli individui giovani è cotonosa e grigiastra, 
maturando imbrunisce e si riduce in una massa pulverulenta 
bruno-nera attraversata da scarsi sepimenti ed abbondante ca- 
pillizio; negli esemplari ipermaturi sepimenti e capillizio scom- 
paiono. 

Gli aschi sono incolori sferici con 4 od 8 spore. Le spore 
mature sono bruno-nere, opache, sferiche, a superficie quasi 
liscia, del diametro di 17-21 mm. (1); con acqua di Javelle si 
scioglie lentissimamente la parte più esterna del perinio e si 
mettono in evidenza i minutissimi bastoncini che ne ornano la 
superficie, di modo che questa appare come punteggiata. 

Secondo Vittadini e Tulasne il colore delle spore mature 
è per l’anthracinus bruno-nero e bruno-rossastro nel pyrzformis. 

Io ho osservato che negli individui appena maturi la co- 
lorazione è bruno-nera, negli ipermaturi, in cui la massa delle 
spore resta coinvolta dai residui del peridio e frammista a 
quelli del capillizio e dei sepimenti, diventa bruno-rossastra. 

Concludendo, anche per la gleba non esistono fra le due 
forme predette caratteri differenziali. 

Odore. — Circa l'intensità dell’odore non sono gli autori 
concordi; infatti Vittadini nella Mon. Tub. dice l'odore dell’an- 
thracinus “ debilis ,, più tardi nella Mon. Lycop. dice dello stesso 
“ veluti raphani , e del pyriformis “ subnullus ,; Tulasne del- 
l’anthracinus “ odor fungi maturi debilis nobis visus est ,. 

Negli ipogei in genere, i caratteri riguardanti l'odore pos- 
sono riescire di un certo interesse solo se utilizzati come com- 
plemento ad altri caratteri più salienti, il loro valore esclusivo 
è però sempre molto limitato. 

È noto infatti come negli ipogei l’odore, pur così caratte- 
ristico, sia soggetto a variazioni estesissime col progredire della 


(1) Vittadini nell’anthracinus dice: “ Sporidia rotunda, nitida, mediae 
magnitudinis, e nel pyriformis parlando delle sue affinità coll’anthracinus 
“ sporidia etiam aliquantulum maiora ,. I Tulasne danno invece il diametro 
delle spore uguale per le due specie, cioè: nell’anthracinus * Sporae sphae- 
ricae, maturae nigro-brunneae, opacae, leves, plerumque 0,02 mm. crassae ,; 
nel pyriformis. £ Ses spores ont en diamètre ?/100 mm. cu un peu moins ,. 


1042 EFISIA FONTANA 


maturazione e dell’età del corpo fruttifero. Debole prima, rag- 
giunge la sua massima esplicazione durante la perfetta maturità 
delle spore. 

Per notare le piccole differenze di odore date da Vittadini 
occorrerebbero esemplari freschi, ben maturi; ora gli esemplari 
da me osservati erano per la maggior parte essiccati o conser- 
vati in alcool. 

Negli esemplari da me raccolti e dei quali ho già fatto 
cenno, l’odore prima quasi nullo, divenne più sensibile coll’essie- 
cazione. 

Io ho notato che negli esemplari giovani, tanto di anthra- 
cinus che di pyriformis, l'odore è quasi nullo o molto debole, 
nei maturi si accentua e diventa come dice Vittadini quasi 
“ veluti raphani ,; nei vecchi esemplari, in cui lo strato interno 
è quasi del tutto disaggregato, si frammischia come ad una 
specie di odore di muffa; negli ipermaturi essiccati e ridotti al 
solo strato esterno in parte rotto ed alle spore frammiste a ter- 
riccio scompare quasi del tutto. 

Da quanto ho sopra osservato concludo che non risultano, ‘ 
per individui ugualmente maturi, quelle differenze di odore no- 
tate da Vittadini nelle due specie. 

L'esame fatto e le osservazioni sopra riportate dimostrano 
come non siano sicuri e costanti i caratteri distintivi dati da 
Vittadini e dagli autori per VE. anthracinus e VE. pyriformis; 
venendo adunque a mancare le basi su cui è stata finora fon- 
data la loro sistemazione e non risultando altri caratteri che 
li possano meglio differenziare, io sarei d’avviso di ammettere 
per essi l’esistenza di una sola specie a cui spetta, come deno- 
minazione princeps, quella data prima da Vittadini di E. an- 
thracinus. 

Nell'ambito di tale specie si osservano spesso delle varia- 
zioni che possono venire indicate come formae ed a cui sono 
riferibili quegli individui a corpo bitorzoluto ed allungato a 
forma di pera, che corrispondono all’£. pyriformis Vitt. 


SUL VALORE SISTEMATICO DI ALCUNE SFECIE, ECC. 1043 
La sinonimia e la diagnosi sarebbero le seguenti: 


E. anthracinus = E. anthracinus Vittadini, Mon. Tub. e Mon. 


Lycop., p. p. 
= n x " Tulasne, Fungi Hy- 
pogaer, p. p. 
= n s " auct. plur., p. p. 
= E. pyriformis Vittadini, Mon. Lycop. 
= % A 4 Tulasne, Fungi Hypog. 
ss! " È auct. plur. 


Esemplari studiati. 
E. anthracinus Vitt. 


VirraDINI, ex collect. Vitt. Mattirolo et ex coll. Brera. 

SpegaZzINI, Conegliano, Bosco Giustinian 1878. — “ In terra cal- 
“ careo sabulosa detritis quercinis immixta subsu- 
« perficialis in sylvula comitis Giustiniani prope 
“ Conegliano, vere 1879 FaFIUS; , (in herb. Sacc.). 

O. MartIROLo, Rodero (Como). 

Ménier, Forét du Cellier RR., Loire Inférieure, 1894. 

MartiRoLo, Valle d’Aposa, Bologna. 

E. Fontana, Boschi di S. Luigi presso Giaveno ai piedi di una 
quercia, 3 luglio 1908. 


E. pyriformis Vitt. 

VirrapinI (ex coll. aut. Vitt. Mattirolo). 

HoLLos L., In quercetis Kecskemet 1899, sept. 27 (coll. Matt.). 

O. MartIRoLo, Rodero (Como), ottobre 1900. 

Dott. Maccat CLaupIio, Palazzuolo (Appennino), giugno 1898. 
Raccolti sotto a una quercia vicino ad un ginepro 
nel Campatello Acquadalto (coll. Matt.). 

BresapoLa, Trento, 17 marzo e maggio 1898 in Quercetis 
(coll. Matt.). 

Gora, Castiglione (Ossola), boschi 1903 (coll. Matt.). 

Ip., Val Anzasca (coll. Matt.). 


“ Odor varians secundum aetate, subnullus, veluti raphani. 
“ Fungus magnitùdini pisi vel nucis juglandis minoris. Uterus 


1044 EFISIA FONTANA 


“ rare globosus et regularis, plerumque depressus et umbilicatus, 
vel superne in mucronem plus minusve elevatum productum. 
“ Crusta floccoso-terrosa e micelio brunneo et in terra parce 
«“ diffuso instructa. Cortex durus, fragilis, atro-fuligineus et car- 
“ bonaceus, nunc admodum levis, nunc minutissime verrucosus, 
“ pseudoparenchymaticus, !/, mm. crassus. 
“ Stratum corticis suppositum, in prima aetate 1 !/, ad 

“2 mm. crassum, carnosum, albidum, hyphenchymaticum simi- 
“ lare; in fungo maturo tenue, zonula obscuriore versus glebam 
“ notatum, in exoleto peridium extenuatum una cum massa in- 
“ teriore sporidifera in glebulam fusco rufam contracta a cortice 
“ ex integro separatur. 

“ Dissepimenta parum visibilia. 

“ Capillitium cinereum, in fungo exoleto nullum. 

“ Sporangia sphaerica tetra vel octospora. 

“ Sporidia rotunda, opaca, nigrobrunnea levia 17-21 y. 
crassa. 

« Ludit inter formam sphaericam plus minusve umbelicatam 
et pyriformem, cui referendum est E. pyriformis Vitt. et auct. 
plurimorum ,,. 


(13 


Una specie molto affine a quelle di cui ho trattato è, se- 
condo lo stesso Vittadini, lE. septatus di cui nulla si conosce 
all’infuori della descrizione e della figura, entrambe incomplete, 
che ne dà l’illustre idnologo milanese; gli Autori posteriori che 
se ne sono occupati si riferiscono tutti esclusivamente alla dia- 
gnosi Vittadiniana. 

Esaminando gli autoptici Vittadiniani della collezione di 
Brera e della collezione Mattirolo, ebbi l'avventura di trovare, 
tra i numerosi #. maculatus, 3 esemplari che certamente anda- 
vano separati da quello, sia per la tinta uniforme del peridio, 
sia per la struttura dello stesso, che per la colorazione e la 
struttura delle spore. 

Dall'esame che feci di questi tre esemplari e dal confronto 
colle diagnosi delle altre specie, io posso concludere che essi 
corrispondono per i loro caratteri alla diagnosi data dal Vit- 
tadini per 1. septatus ed alla figura dello stesso che si trova 
nella Mon. Tub., Tab. IV, fig. XIII c. 


SUL VALORE SISTEMATICO DI ALCUNE SPECIE, ECC. 1045 


Il loro corpo fruttifero è arrotondato, non superante la 
grossezza di una nocciuola, o è libero da crosta, o presenta 
qualche residuo di crosta facilmente staccabile, format ter- 
riccio, radichette ed ife miceliari brune, mancanti di quella 
specie di incrostazione giallo-verdiccia caratteristica del micelio 
del maculatus e del Leveillei. 

Il peridio è di color bruno-nero, quasi liscio o minutissi- 
mamente granuloso, con i due strati poco distinti l’uno dall’altro 
tanto per colore, quanto per struttura; dello spessore comples- 
sivo di 1 !/» mm. L'esterno è bruno, pseudoparenchimatico, con 
pseudoparenchima a cellule più grandi di quelle dell’anthracinus, 
maculatus, ecc., lucente al taglio, mai fortemente carbonioso, 
ma tale che si può con non grande difficoltà sezionare. L’interno è 
poco sviluppato, bruno, a struttura pure evidentemente pseu- 
doparenchimatica come nel leucosporus Vitt., poco distinto dallo 
strato esterno. 

I dissepimenti sono abbondati, nascenti come da una lamina 
chiara aderente al peridio, disposti a guisa di setti che attra- 
versano la gleba. 

Il capillizio è quasi nullo. 

Le spore sono pallide fuscescentia, cioè di colore uguale a 
quello che Vittadini dà nella figura sopra ricordata; esse sono 
sferiche, a superficie come papillata, rivestite da una specie di 
crosta ocracea che si stacca facilmente, del diametro di u 28-32. 

Gli aschi sono sferici, incolori, contenenti 8 spore. 

Non deve stupire che tre di questi esemplari si sieno tro- 
vati frammisti agli autoptici Vittadiniani di maculatus perchè lo 
stesso Vittadini notò come le due specie si potessero facilmente 
confondere (1). 

Naturalmente la mancanza assoluta di esemplari autoptici 
non mi permette un’autenticazione inoppugnabile, tuttavia io 
sono convinta dell'identità di questi esemplari col non mai più 
ritrovato E. septatus Vittadini, e nutro speranza che gli idnologi 


(1) È da notare che Vittadini non distinse sempre l’E. maculatus dalle 
altre specie affini; infatti tra gli autoptici di £. anthracinus della colle- 
zione Brera vi è un esemplare di £. maculatus e nell’Erbario Saccardo 
si trova pure un autoptico Vittadiniano classificato come E. anthracinus, 
che è invece un £. maculatus. 


pr. 
1046 EFISIA FONTANA — SUI VALORE SISTEMATICO, ECC. 


possano coll’esame e col confronto di altri esemplari avvalorare 
questi gisultati. 
jspondendo all’appello fatto dal Ch®° Prof. 0. Mattirolo (1) 
mi reputo fortunata di aver ritrovate due delle 14 specie Vit- 
tadiniane di Ipogei, indicate dal Prof. Mattirolo, di cui manca- 
vano gli esemplari autoptici; esse sono: 1’. reticulatus (2) e 
l’E. septatus di cui ho fatto cenno precedentemente. Gli autoptici 
dell’. atropurpureus vennero ritrovati dallo stesso Professore 
a Parigi nel 1907, dimodochè esisterebbero ora gli esemplari 
di tutte le specie del genere Elaphomyces descritte dal Vittadini. 
Prima di terminare queste righe sento il gradito dovere di 
esprimere al Ch®° prof. Mattirolo i sensi della mia più viva 
gratitudine per i consigli ed aiuti di cui mi fu largo e, che mi 
furono di valida guida nel corso di queste ricerche. 


Torino, R. Istituto Botanico, giugno 1908. 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Fig. 1. — Esemplari di E. anthracinus provenienti da Palazzuolo presen. 
tanti i caratteri dell’ E. pyriformis Vitt. — a, b, c, d individui glo- 
bosi ombelicati — e, f individui piriformi. 


» 2. — Esemplari provenienti da Rodero presentanti i caratteri dell'E. 
anthracinus Vitt. a, b individui globosi ombelicati — e individui 
piriformi. 

s 8. — Esemplari provenienti da Giaveno — a, d, e individui globosi 
ombelicati — d, e, f individui piriformi. 


4. — Sezione longitudinale del peridio di E. anthracinus ingr. 40 volte. 
5. — Spore mature di £. anthracinus ingr. 400 volte. 

s 6. — Pezzo di perinio di una spora di £. anthracinus, id. 

7. — Sezione del perinio. 

8. — Spora giovane. 


s 9. — Asco con giovani spore. 

» 10. — Sezione del peridio di E. septatus Vitt., ingr. 50 volte. 
» 11. — Spore mature del medesimo, ingr. 300 volte. 

s 12. — Sezione di spora >d = n 2 

» 18. — Asco con giovani spore È i 7 


(1) O. MarmtiroLo, Gli autoptici di Carlo Vittadini e la loro importanza 
nello studio dell’Idnologia. Estratto dagli “ Atti del Congresso dei Naturalisti 
Italiani ,. Milano, 1906. 

(2) E. Fontana, loc. cit., pag. 97. 


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G. SFORZA — SOPRA ALCUNI PUNTI, | ECC. 1047 


Sopra alcuni punti dell’estensionimetria non euclidea. 


Nota di G. SFORZA. 


Nelle mie recenti “ Ricerche di estensionimetria negli spazi 
metrico-projettivi , (*) mi è sfuggita l’ importante Nota del 
chiar.®° prof. D’Ovidio (Atti della R. Accad. di Torino, 1893) 
“ Su varie questioni di metrica-projettiva ,, nella quale è tracciato 
un interessantissimo quadro storico-critico dei tentativi fatti fino 
a quei giorni per dare un fondamento alla estensionimetria non 
euclidea. La critica dell'A. pone in evidenza che ben quattro 
esimi cultori delle matematiche, e cioè Stahl, Loria, Study, 
Hoppe, hanno attribuito all’ ampiezza dovidiana (**) carattere 
estensionimetrico, il che non è poi compatibile colla mancanza, 
facilmente rilevabile, del carattere distributivo. Nei Cenni-rias- 
suntivi che precedono le mie “ Ficerche ,, volendo porre in chiaro 
la differenza essenziale fra l'ampiezza dovidiana e la mia am- 
piezza estensiva, mossi appunto la stessa critica al prof." Loria 
(non sapevo allora di altri), ma non potei dire, come sono ben 
lieto di poter dire ora, che lo stesso prof. D’Ovidio mi aveva 
di ben 14 anni preceduto, negando esplicitamente (pag. 5-7 della 
predetta Nota) ogni carattere estensionimetrico alla sua ampiezza. 

Lo stesso chiar.»° A. pone poi in evidenza i metodi di 
Story e di Lindemann, consistenti sostanzialmente nel seguire 
l’uso comune, vale a dire nell’ assumere le aree dei parallelo- 
grammi o i volumi dei parallelepipedi infinitesimi nella nota 
forma intrinseca euclidea. Il prof." D’Ovidio osserva che con 
tali dati la determinazione dell’area del triangolo, ad esempio, 


(*#) Memoria in due Note, comunicate il 20 dicembre 1906 e il 5 feb- 
braio 1907 alla R. Acc. di Modena dal Socio prof. Ugo Amaldi. 

(**) Definita nella Memoria del prof. D’Ovipio: Le funzioni metriche fon- 
damentali negli spazi di quante si vogliano dimensioni e di curvatura costante 
(Mem. “ Lincei ,, I3, 1877); e richiamata nella Nota, di cui qui si parla, 
a pag. 6. 


f 


1048 Y G. SFORZA 


a mezzo dei suoi angoli riesce laboriosa, mentre dai padri della 
Geometria non euclidea è stata ottenuta senza integrazione al- 
cuna e rapidamente. Inoltre l’A. è giustamente preoccupato della 
nessuna connessione visibile @ priori fra i concetti metrico-pro- 
jettivi e le formule intrinseche predette, cosicchè queste ultime 
hanno del gratuito nè assicurano @ priori che da esse derivi 
l’area del triangolo proporzionale al suo eccesso. Perciò l'A. si 
accinge dal canto proprio a invertire il procedimento comune- 
mente usato per la determinazione delle aree piane non eu- 
clidee, cercando ingegnosamente di assimilarlo a quello che si 
usa in Geometria euclidea; vale a dire: supposta assodata una 
teoria dell’ equivalenza dei poligoni piani non euclidei, dalla 
quale risulti che l’area di un poligono è proporzionale al suo 
eccesso (e ciò non presenta difficoltà alcuna), calcolare l’area 
del parallelogrammo infinitesimo in funzione dei lati e dell’an- 
golo compreso, oppure in funzione delle coordinate projettive 
dei vertici. A quest’ultimo risultato giunge l'A. dimostrando che 
l'ampiezza (dovidiana) del triangolo infinitesimo formato da tre 
vertici del parallelogramma infinitesimo coincide coll’area di 
questo parallelogramma; e così stabilisce la formula metrico- 
projettiva per l'elemento d’area, utilizzando nel senso desiderato 
dai suoi interpreti, ma in modo ineccepibile, quell’ampiezza che 
egli con mirabile intuito aveva introdotta fin dal 1876. 

Naturalmente non era possibile seguire un tale metodo per 
1 volumi e gli ipervolumi; ma il chiar.®° A., giovandosi dell’a- 
nalogia, intuisce le corrispondenti formule estensionimetriche 
projettive differenziali. 

Dal che risulta che, contrariamente all'opinione da me re- 
plicatamente espressa alle pagine 1 e 6 delle mie “ Ricerche , 
precitate, le formule predette sono state poste in evidenza fin dal 
18953 dal chiar." prof. D' Ovidio. 


Nello spazio ordinario di curvatura costante XK —=0 il 
volume P. del tetraedro normale due volte asintotico, di diedro 
laterale 2 è dato (mie “ Ricerche ,, pag. 43) dall’integrale 


Ls 
2 


(1) P.= 


5 


a log2senade, 
2iK® 


n Aa 


SOPRA ALCUNI PUNTI DELL'ESTENSIONIMETRIA NON EUCLIDEA 1049 


di cui, per 2 reale e compreso fra 0 e mr, si conosce (mie “ Ri- 
cerche ,, pag. 43 in nota) il seguente elegantissimo sviluppo 
in serie 


3 2 
4iK? # 


(2) pra pr 
ri n 


dovuto sostanzialmente a Lobatschewski ed esumato recente- 
mente dal D"' Dannmayer (*). 

Siccome ogni tetraedro è un aggregato di tetraedri nor- 
mali diasintotici (**), i quali, se il tetraedro è reale, nel caso 
iperbolico possono essere presi tutti reali, ma nel caso ellittico 
sono necessariamente tutti immaginari, così importa conoscere 
anche uno sviluppo in serie di P. per valori complessi di 2. Io 
credo che si possa giungere a tale sviluppo nel seguente modo: 

Quando sia #«=x+ îy con x ed y reali, si ponga 


pertnyiza0i: => = anrtr+24, 


per y<0 È È ===, eTziz —_— ely Zia, 
Allora poi si ha in ogni caso 


modif<1, 


(*) Anche la (1), leggermente modificata nella forma, è di Lobatschewski. 
Essa però non trovasi in Lresmann, Nichteuklidische Geometrie (Sammlung 
Schubert, 1905). Io l'ho trovata per mio conto, poi l’ho letta (come ripro- 
duzione dell’opera di Lobatschewski) nella tesi di laurea del sig. Dannmayer 
(da me ampiamente citata e commentata nelle dette Ricerche). 

(**) Non so se anche in questo io sia stato preceduto; so che io ho 
tratta la certezza di ciò da una formula (che leggesi a pag. 42 delle mie 
Ricerche) che ho trovata 5 o 6 anni addietro per via geometrica e che ho 
in dette Ricerche dimostrata analiticamente. Questa stessa formula fu da 
me comunicata anche alla Società dei Naturalisti e Matematici di Modena 
il 12 marzo 1907 colla mia Nota (uscita nel maggio 1907) Sul volume dei 
poliedri nella ipotesi non euclidea, ma senza svilupparne la dimostrazione, 
perchè avevo il solo intento di ovviare ai danni che potevano derivarmi 
dal ritardo che subiva la pubblicazione delle predette mie “ Ricerche ,. 
Difatti queste non furono poi pubblicate che nel Natale 1907; e il ritardo, 
debbo convenirne, mi fu benefico, perchè mi permise di aggiornare mag- 
giormente e di rimaneggiare profondamente il mio lavoro. 


em 


2 


1050 i G. SFORZA 


e perciò vale il noto sviluppo 
on 
(3) log(l—9=— 3, 
1 


ove ragioni di continuità dimostrano che 
a) La parte immaginaria del primo membro deve essere in 


valore assoluto compresa fra 0 e vi (A) 
Ora per ogni 2 si ha 


et? ia e7!3 
senz = — ; 


’ 


onde 


per y=0:2sena = x (1-4), 


per y< 0:2sene=-—(1—d). 


x - 1 . , 
Di qui, operando per > log e determinando coll’osserva- 


zione (a ala loe2senz in modo che sia appunto per 2= 
di 195 PP p 6 


sa 


2i 


se 1 1: 0006 Lim 
log2sen7 =; log 2 X oa los 4a? 


si ottiene per la (3) 


1 T Lo) ;l gginz 
per yobe log 2senz—=— — gini 3: on 
(3‘) 
er cei — — sota 2 (E: RIO e emginz 
per y gg 05 Cp 4 2 9i an " 


(*) Infatti il punto 1—* varia entro il cerchio di raggio 1 e col 
centro 2= 1, onde 
anomalia (1—?)=0+2an, 
T T 
essendo — n <0 < > 


parte immaginaria log(1 — t)= 04 2win. 


ed » intero arbitrario; si ha perciò: 


Ora a valori complessi coniugati di # corrispondono per la (3) valori 
complessi coniugati di log(1—), dunque per la continuità deve essere n=0. 


SOPRA ALCUNI PUNTI DELL’ESTENSIONIMETRIA NON EUCLIDEA 1051 


Queste serie si possono integrare termine a termine lungo 
un cammino compreso entro i rispettivi semipiani. Tale inte- 
grale, riferendosi a una funzione non solo monodroma (entro il 
rispettivo semipiano) ma altresì senza punti critici nello stesso 
semipiano, è monodromo, cioè ha un valore dipendente dai soli 
estremi 2, 2) del cammino d'integrazione, e sarà dato da 


Z0 


1 T 1 
cn log2 senz dae = 7 (80 'aqli (22 — 2)+ 
t4 
n a — e2ins 
La dA err n) sec 
1 
20 
LA log2senzda = — = (0-2) + Li (2-2) 
2i 4 0 4 0 
£ 
1 i e—2inzo — e2ins 
Tddudaa o giovi i 


Ora, poichè da 4 è convergente, gli sviluppi precedenti 
i 
valgono anche al limite per y=0; e perciò si potrà prendere 


PIET 5 (*); così si ottiene infine’ (facendo *‘P.= KP) 


per y20: *P=4(e-3)+4 Di iaia 
(4) - 
per y<0: ‘p=_t(e—-3)— Da ii (o uetia 


(*) La divergenza della serie (3) si ha veramente soltanto per t="1, 
mentre per modt=1 e #—=1 la serie (3) è ancora convergente (Branca, 
Lezioni sulla teoria delle funzioni di variabile complesso, pag. 23). Dunque i 
due sviluppi in serie (3') sono validi anche per y= 0; e così resta provato 
anche a priori che il cammino d’integrazione in uno dei due semipiani può 
contenere dei punti dell’asse reale, eccettuati tutt'al più quelli che cadono 
in multipli di m. 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 71 


1052 G. SFORZA — SOPRA ALCUNI PUNTI, ECC. 


Ponendo 
1 ?. 1 X% (— 1)"— cos? 
(bio) Reale te a ge e 
1 
Di fn sen2n2 
(6) i di 


1 


le serie G. ed H, sono convergenti o divergenti secondochè 2 è 
reale o complessa. Dunque per 2 reale le (4) si possono scrivere 


ere: <P, GB 


(7) 
per yi<0: ‘'P= — HI 


D'altronde, se 2 è reale e compresa fra 0 e m, un cam- 
, ; È s T a 
mino d’integrazione di log 2 sen 2d2 da ga % fatto nel semi- 


piano positivo, è equivalente ad un altro fatto nel semipiano 
negativo, perchè tali due cammini presi insieme non includono 
nessun punto singolare per log 2senz; dunque per 


(8) <= dg 
i due valori (7) di P. debbona coincidere, cioè per 2 reale e so- 
disfacente alla (8) deve aversi identicamente 
(9) G.=0 (3). 
In tal modo le (7) ci danno nell'ipotesi (8) 
“PeR 


che è conforme alla (2); questa poi vale per ragioni di conti- 
nuità anche pei due valori estremi 2: = 0, 2= n. 
Se si pone 


z=2z' + mr 


(*) A pag. 273-274 degli Elementi di calcolo infinitesimale, del compianto 
Cesàro, si trovano dati sufficienti per una facile dimostrazione diretta 
della (9). 


ERNESTO LAURA — SOPRA LE TRASFORMAZIONI, ECC. 1053 
(m intero), si avrà da (4) 


per y20: -P='Put+3(2—3)mr+t m?n?, 
(10) (5) ; î 
per y=0: ‘P.=P-1(2-3)mn—jmî, 


le quali riducono P. ai valori che tale funzione assume nella 
striscia compresa fra le rette a = 0, 2 = n. 

Da esse appare che i valori di P. sull'asse reale e fuori di 
detta striscia sono diversi secondo che si considerano come ap- 
partenenti al semipiano positivo o al negativo, com’era da aspet; 


tarsi. 


Sopra le trasformazioni di contatto 
che vengono trasformate in sè stesse dal gruppo delle rotazioni 
attorno ad un punto. 


Nota del Dr. ERNESTO LAURA. 


La generazione, data dal Poinsot, del moto di un sistema 
rigido girevole attorno ad un punto non sollecitato da forze, 
condusse alla ricerca di coppie di superficie S, 7° di cui la se- 
conda fissa e la prima girevole attorno ad un punto, in modo 
tale, che, col suo rotolamento e strisciamento sopra la super- 
ficie 7, generasse egualmente il suddetto moto. Così il Clebsch (1) 
osservò che il reciproco dell’ellissoide di Poinsot, rispetto ad 
una sfera di centro il punto fisso, striscia su di un punto ossia 
sul polo del piano fisso rispetto alla suddetta sfera (?). Il Siacci 


"4 
(*) Poichè — e'=(m—2')— n, dalle (10) si ottiene *P_x = *Pr—s baie 


Ma quando 0<z <n vale la (2) e perciò si ha allora Pr—" = — Pe’; sicchè 
in tal caso si ha *P_ex.+*Pr=+ a (Cfr. la mia Nota precitata: Sul 


volume, ecc. formule (11)). 

(4) “ Crelle ,, 1860, B. 57, pag. 75. 

(*) Lo stesso risultato è dovuto al Mac Cucragu. Cfr. Routh Advanced 
Rigid Dynamiks. 6% ediz., pag. 98. 


1054 ERNESTO LAURA 


diede pure una generazione di questo moto in “ Collectanea 
Mathematica In memoriam Dominici Chelini ,. Il Gebbia () in- 
fine generalizzando i risultati del Siacci ed applicando la tras- 
formazione per polarità dimostrò: che le quadriche omocicliche 
dell’ellissoide di Poinsot rotolano senza strisciare sopra quadriche 
fisse di rivoluzione, e le quadriche omofocali dell’ellissoide di 
girazione (ellissoide reciproco di quello del Poinsot rispetto ad 
una sfera di centro il punto fisso) strisciano sopra quadriche 
fisse di rivoluzione. 

Il Siacci in una nota posteriore (?) osserva come i precedenti 
risultati provengano dal fatto che le trasformazioni per raggi vet- 
tori, e per reciprocità rispetto ad una sfera godono della proprietà 
che se mediante esse vengono trasformate due superficie S e 7, 
di cui la S girevole attorno ad un punto in modo da essere 
sempre tangente alla 7° fissa, in altre due superficie S', 7"; la S' 
ruota attorno al punto stesso rimanendo ancora a contatto 
della 7". In fine della stessa nota il Siacci pare voglia indicare 
altre trasformazioni che godono di questa proprietà. Soggiunge 
però: “ ma sarebbe difficile stabilire a priori le condizioni ge- 
nerali a cui (le suddette trasformazioni) dovrebbero soddisfare, 
affinchè le nuove superficie riuscissero tangenti in un punto come 
le prime ,. 

Questa difficoltà, a cui allude il Siacci, scompare, o riesce 
di molto diminuita se si osserva che queste trasformazioni, 
quando vogliamo restare nel caso generale di due superficie S, 7° 
arbitrarie, formano quel particolare gruppo di trasformazioni di 
contatto indicato nel titolo del presente lavoro, e che quindi la loro 
ricerca può essere condotta seguendo i classici procedimenti 
di Lie. 

È oggetto della presente nota indicare appunto un metodo 
atto a trovare tutte le suddette trasformazioni. Devesi però os- 
servare che tra le trasformazioni che così si otterranno potranno 
dare effettive nuove generazioni del moto spontaneo di un corpo 
rigido girevole attorno ad un punto, solo quelle per le quali le 


(!) Su due proprietà della rotazione spontanea dei corpi, “ Memorie della 
Classe di Scienze fisiche ,, serie 4*, vol. I, pag. 326. 

(*) Sulla rotazione di un corpo intorno ad un punto, © Atti della R. Acc. 
di Torino ,, vol. XXI. 


SOPRA LE TRASFORMAZIONI DI CONTATTO, ECC. 1055 


superficie S, 7 trasformate dell’ellissoide di Poinsot e del piano 
fisso si toccano senza intersecarsi. 

Noteremo infine che le trasformazioni indicate dal Siacci 
alla fine della sua nota sono particolari per il caso di un ellis- 
soide che rotola sopra di un piano posto alla distanza % dal 
suo centro — esse non sono trasformazioni di contatto e quindi 
non rientrano nel gruppo di quelle di cui ci stiamo occupando. 


I. La caratteristica è indichi le variazioni prodotte da una ro- 
tazione infinitesima, attorno al punto fisso, simultaneamente data 
ai due spazi. Le trasformazioni di contatto che noi ricerchiamo 


soddisfano allora alla condizione: se , y, 2, p, a(in cui p= da, 


da L Ù , Ù , . . Ù , da ' de 
fg IA (in cui si è posto =, =} 
sono due elementi corrispondenti dei due spazi, allora gli elementi 


ect de, y+dy, 2+d2, p+dp, 9+òdg 
e' 4 dao', y'+-dy', 2'+d2', p'+dp', g' + dg' 


sono ancora corrispondenti nella stessa trasformazione. Le tras- 
formazioni di contatto che ricerchiamo sono dunque trasformate 
in sè stesse dal gruppo delle rotazioni attorno di un punto. 

Diremo nel seguito (M) queste trasformazioni : è manifesto 
che le trasformazioni (M) formano un gruppo — e cioè il pro- 
dotto di due trasformazioni (FM) è ancora una trasformazione (f). 

Dalla definizione di queste trasformazioni consegue poi: Il 
sistema delle equazioni generatrici di ogni trasformazione (f) è 
invariante per il gruppo delle rotazioni attorno ad un punto, 
applicato a coppie di elementi corrispondenti. 

Ossia se: 


(1) i (£;-y,2;0,y,3)=0 i = SSA 
sono le equazioni generatrici di una trasformazione (TM), e se X, Y, Z 
sono gli operatori delle trasformazioni infinitesime del gruppo 


delle rotazioni attorno ad un punto, e X°, Y', Z' gli operatori 
stessi in cui le variabili sono accentate, allora le funzioni: 


(X+X)0, (7+Mo, Z+Z)9; 


si annullano assieme alle @;. 


1056 ERNESTO LAURA 


Reciprocamente: se Ze (1) costituiscono un sistema invariante 
per il gruppo delle rotazioni attorno ad un punto — la trasfor- 
mazione di contatto derivata dalle (1) appartiene al gruppo (T). 

La dimostrazione di questo teorema consisterà nel mostrare 


che se: 
(2) Wx (0,192 9, 930,9,2',p,9)=00 b=diBragb —W 


sono le equazioni che bisogna aggiungere alle (1) perchè risol- 
vendo il sistema che così si ottiene rispetto alle x',y,2,p,9 la 
trasformazione che ne risulta sia di contatto, allora le (1) e 
le (2) formano un sistema invariante per il gruppo prolungato 
delle rotazioni attorno ad un punto. 

Considererò separatamente i tre casi possibili: 


h=ld, h=4, =@ 


Indicherò con la caratteristica d l'accrescimento che una 
funzione subisce quando le x,y, 2, x’, y', 2' subiscono accresci- 
menti legati dalle relazioni: 


de =pdx + q dy 
de' = p' da' + q' dy' 
e con la caratteristica è, come precedentemente, una rotazione 
infinitesima di componenti m, x, p simultaneamente data ai due 


spazì (1). 
Facciamo inoltre le posizioni: 


d d 
da” de E RZ 
dele rd 
ig dae d2' er 
1° Caso. 
Sia data una sola equazione generatrice: 
(3) © (€,y,2;x,y;2)=0 


(') Si avrà perciò 
dea = X2— Py, ..., dbg=t(1+9°) — xpa + pp 
de = XX — Py ,..., dg = (14-93) a! xp'a +pp". 


SOPRA LE TRASFORMAZIONI DI CONTATTO, ECC. 1057 
e si abbia: 


(3%) do — k® 


essendo % infinitesimo o nullo (!). 
Per ricavare la trasformazione di contatto che essa genera 


dobbiamo scrivere che 
do 


coincide a meno di un fattore di proporzionalità coll’espressione 
differenziale: 


dz' — p' dx — q dy' — p(da —pdx — qdy). 
Si ottengono per tal modo, indicando ) un fattore di pro- 


porzionalità, le equazioni: 


MO i 


de de 0h 
La dignità, , do _ 
(4) aa i 
D) 
ndo __g Ng = MI: 


Da cui eliminando \, u avremo le equazioni: 


do _ do _ dv _ do 
(5) de dj © dr dy ° 


Da queste e dalla (3) potremo, generalmente parlando, ri- 
cavare le x, y', 2', p',q espresse mediante le x, y, 2, p, g- 
Si ha ora: 7 
ddo = dòdqg. 
E per la (3°) 
ddp = d(k9). 
Ossia i 


d.kp=d [5 do + dy +32, 2 di +57 dyi|. 


(') In realtà, come si osserverà in seguito, si ha 
k=0. 


1058 ERNESTO LAURA 


Sviluppando ed eguagliando nei due membri i coefficienti 
di de... dy', otterremo le equazioni: 


dipl DL ak pi bmp 
(6) 
e E + (pm) LL + mg) È 


e due relazioni analoghe accentando le variabili x,y, p, 9. 
Le (6) dicono che le equazioni (6) e la (3) formano un si- 
stema invariante rispetto al gruppo prolungato delle rotazioni 


attorno ad un punto — la trasformazione di contatto che da 
queste equazioni ricavasi appartiene al gruppo (N). 
2° Caso. 


Sieno date due equazioni generatrici: 


\ Pi(x, Y, 3 n Yi 2') = 0 


(7) 
I Pa(1/'y, 2;00%, ye) 0 
e si abbia: 
(70is) dp, = ki P1 + ko Ps i=1,2 


essendo le %,, infinitesime o nulle. 

Per trovare la trasformazione di contatto che esse gene- 
rano, scriveremo che esistono due fattori di proporzionalità ),, Xs 
tali che la espressione differenziale 


\,d@, | \3d®, 
coincida coll’espressione differenziale : 
de' — p'de' — q'dy' — u(de — pda — qdy). 


Otterremo le equazioni: 


dP ò ò 
), i 1337 dare E Ma 37 Pi Simi Pe dra PL u 
x, dg: 1a dp 
Ù, de i ), da — p' a da } So I up 


, dP d © A, SE dp 
v da Tod 293 — di Pi + 3, = 9: 


SOPRA LE TRASFORMAZIONI DI CONTATTO, ECC. 1059 


Dalle quali: 
ta i MARELLI = Da 


è + > pa + peas — 0) 
(8) 


i al Ma 5 se iù 


Ù a + tt) =0, 


Ed eliminando tra queste le ),, )s otterremo tre equazioni 
dalle quali e dalle (7) generalmente parlando potremo ricavare 
le x’ ...g' in funzione delle x... g. 

Si applichi la caratteristica è ai due membri delle equazioni: 


do, = a de +3 o y+7 da' +5 AL i=1, 9, 


Tenendo presenti le (7°) si avranno le relazioni: 


d i dkii dki d d L 
dip Lg Limp 
#2591/0 
dki dkis cri = 
i re A ii eni PL 


e due relazioni da queste ottenute accentando le variabili. Con- 
seguono allora le relazioni: 


dò Ad, Pa) _ = 9; ee dk, Pa) ate a das ks) ka) | 3 Po 3 A(lso, Pa) d(Pi, k99) oaterginio ie 


dx, y) d(x, y) d(x,y) | de, y | d&,y) $ 
d PE) 
+ (k11 + 420 — PL + 99) cre n) , 


d(p., Pa) Ali, Po) d(P,, ka) d(l3, Ps) d(p,, Ka2) 
ò sia a x) =91} d(x, 2) tr dx, 2) | +9 21 da x) + 1 a) (+ 


ry) UP Pd dP,, Pa) 1__ LP 9d) 
(K11+Eor —PY_-D'X) dei + (mp— p) a “Pup — Dj da, 9) 


Da queste formole e da altre analoghe, da queste ottenute 


1060 ERNESTO LAURA 


accentando le variabili, o cambiando le « nelle y, discende che 


le funzioni: 
d(P,, 9.) __ do, dp do, dos 
d(x,y) dx dy dy dx 


(9) di, 9.) _ dp, do _ AP 499 
dx, x) TC da da de dea 


d(Pi, 90) __ dp: dor d®, d9», & 
’ 


dy,x) = dy dr dr' dy 


si annullano assieme alle (7), ossia le (9) eguagliate a zero e 
le (7) formeranno un sistema invariante — e la trasformazione 
di contatto che da queste equazioni si ricava apparterrà al 
gruppo delle ([). 
3° Caso. 
Sieno date tre equazioni generatrici : 


\ Pi(2, Y, %; ch, Yy', 2) =0 
(10) Poe, y, 2; 2,4, 2)=0 
Ps(£, Y, &; od y', 2) ei, 


costituenti un sistema invariante per il gruppo delle rotazioni, ecc. 
La trasformazione che esse generano è una trasformazione pun- 
tuale; è allora pressocchè ovvio che essa appartiene al gruppo 
delle (FP) (1). 


(4) Per esprimere pure le p'9' in funzione delle x,y, 2,9; devesi ag- 
giungere alle (10) le due equazioni seguenti 
A(Pi, Pa, Pa) 2) d(Pi, Pa, Pa) sor, 
d(x,Y, x') d(e,Y,Y) 
e quindi risolvere il sistema ottenuto rispetto alle x’, y', #7, 9. 
Le (10) e queste ultime costituiscono un sistema invariante per il 
gruppo ecc. 
Si verifica invero facilmente la relazione (ed analoghe): 


è d(,, Po, Pa) = A(ki1rPa, Pz) 4 d(Q,, ko, sa) eL d(Py, Pa, LEZIO) i+ 


d(x,4;x) d(x,y, x) d(x,y, a) d(c,4, 0) 
d(l19, Pa, n d(,,X29, P3) | A(P,, Pa, fg0) 
Ù : UE cy) RR 
A(k,3, Pa, n d(®,, ko3, Pz) d (Pi, Pa, k33) 
rt a d(e,y, 2) SU 
; d : ) 
+ (ku + Foa + ka — Dx — DX — 971) tara Da: DI si Sta x 5A . 


SOPRA LE TRASFORMAZIONI DI CONTATTO, ECC. 1061 


II. Dal N° precedente discende quindi che per la ricerca di 
tutte le trasformazioni (0) occorre conoscere gli invarianti (ed i. 
sistemi invarianti) del gruppo delle rotazioni attorno ad un punto 
applicato alle due terne di variabili. Questi invarianti, come è 
noto sono: 

p=a+y + 2? 
p=a'2+y2 +2? 
o=xr' +yy' + 22°. 


Costituiscono poi un sistema invariante per il gruppo stesso 
le equazioni seguenti (!): 


Le trasformazioni di contatto (F) hanno dunque equazioni 
generatrici del tipo: 


f(p,.p",9)=0 
>=4=4=[|f=i 
e gigi |. Dis Hp 1 


Potremo dunque con sole operazioni algebriche ricavare 
tutte le trasformazioni di contatto (N). 


III. Ricerchiamo dapprima le trasformazioni (N) ad una 
sola equazione generatrice. Questa dovrà essere della forma: 


(11) p (p,p,0)=0 


essendo @ una funzione arbitraria. 


(1) Queste equazioni rientrano in realtà negli invarianti dati. Invero 
dall’identità: 
pp'— = (xy — 2'y° + (ye — ye + (ce — 2a 
discende che è invariante l’equazione: 
(ey — cy + (ve — y'2)° + (ee — af =0. 
E poichè le trasformazioni che consideriamo, a punti reali fanno cor- 
rispondere punti reali, quest’ultima si scinde nel sistema: 


Sa gi sd 
duodgio e 


il quale sarà dunque invariante. 


1062 ERNESTO LAURA 


Nella (11) manchi una delle variabili p,p' 0. La funzione 
generatrice abbia allora dapprima la forma: 


(12) p(p,p)=0. 


Procedendo come solitamente otteniamo che all’equazione (12) 
debbonsi aggiungere le quattro equazioni seguenti: 


o' + pe =y + ge =x+pae=y+9ga=0 


E poichè queste costituiscono relazioni tra le sole a‘, y' ...,9 
e tra le sole «,y,...,g, dedurremo che dalla (12) non deriva al- 
cuna trasformazione di contatto. 

La equazione generatrice abbia invece la forma: 


(13) o=f(p). 
Procedendo come solitamente si hanno le equazioni : 
| e=f(p") 
A = — p2' 
y=_—-q 
(14) i a—-2 sh 4 
abi, dp 
‘Sa Ca 
2 dp 
d 
7 dd y— 2 dI 2 
id df , 
\ z—-2 dp' 2 


Dalla 2% e 38 di queste equazioni si ricava : 


e=— e'(per + gy— 2) 
p=2"(1+p° | 9°). 


La 1? diviene allora: 


— e/(pe+qy—=f[e*1+p° +99); 
ossia posto : 
\ De 


— itote 


SOPRA LE TRASFORMAZIONI DI CONTATTO, ECC. 1063 
si ha pure: 
—Ve1+p+9@)A=f[22(1+p°+@)1 
Risolvendo questa equazione avremo: 
Vi+p+9=9(N) 


nella quale @ è ancora il simbolo di una funzione arbitraria. 
Le (14) divengono allora: 


DOMA pui 17 \ 

5 Vi+p+d@ 90) 

< ui ATI À 

(15) Y opta PA) 
P 1 


rear 


Le due equazioni che completano questa trasformazione sono: 


( us p(0 +19) — V1+p +. 29" 

(16) \ P+\p+V1+p° +9 <9' 

Î pra a +9) VI+p+y9'- 
PP +V1+p°+ 9° <9' 


e si ricavano, come è ben noto, risolvendo un sistema lineare 
di equazioni. 
Le (16) si interpretano agevolmente. Si ha invero: 


Va+y +=) 


ove \ indica la distanza dell'origine dal piano tangente alla su- 
perficie che si vuole trasformare. 

La suddetta trasformazione è dunque il prodotto di una 
trasformazione per polarità rispetto alla sfera 


a +y?22=1 


per una trasformazione per raggi vettori. 


1064 ERNESTO LAURA 


Ponendo 


si ottiene una delle trasformazioni date dal Siacci (1. c.). 
L'equazione generatrice abbia la forma: 


(17) 8=f(p) 
Poichè mutando in essa le x,y,z nelle x‘, y', e° si ottiene 
la (13) — la trasformazione di contatto che da essa si genera 


è la trasformazione inversa delle (15) e quindi sarà il prodotto 
di una trasformazione per raggi vettori per una polarità rispetto 
ad una sfera di centro l’origine. 

Consideriamo infine il caso generale 


i ® (p,p',0)=% 
e suppongasi 
d9 
a. = 0. 


L’equazione generatrice assume allora la forma : 
(18) 8= F(p,p). 


Procedendo come solitamente otterremo le equazioni: 


(19) 


che con la (18) costituiscono un sistema generalmente risolubile 
rispetto alle x,y, 2°, p, 9. 
Le due prime equazioni (19) possono pure porsi sotto la 


forma: 
cdpe _y+9a __dE 
(20) ato — y+ae “a pi 


Da queste due equazioni e dalla (18) si ricaveranno le x, y', 2’ 


SOPRA LE TRASFORMAZIONI DI CONTATTO, ECC. 1065 


in funzione delle x, y, 2, p, q. Questa eliminazione non si può 
eseguire nel caso generale e quindi non si possono scrivere 
sotto forma esplicita queste trasformazioni, è facile però tro- 
vare la particolare forma che loro compete. Basta prendere 
perciò come variabile ausiliaria: 


L=VIFp+@(2%2-2). 


Un semplice calcolo porta allora a stabilire che la forma 
delle trasformazioni richieste è : 


a' = af. (p, \) mE ir fs(p, \) 
(21) y = yfi(0,)) — ISLA, fx(p, A) 
2' = ef(p,) + tereri fs(P, ), 


nelle quali è stato posto, come precedentemente, 


x _Pxr "* (E (rai 
VEetd 
Le funzioni fi; (p, ), fa (0, )) che qui compaiono, non sono 
tra loro indipendenti — devesi imporre a queste funzioni la con- 
dizione che le (21) definiscano una trasformazione di contatto. 
Dovranno perciò le x’, y", 2’, considerate come funzioni di 2, Y, 2, PD, qs 
verificare le equazioni: 


(22) [2,e]=[,y]}=[,y]=0 
nelle quali il simbolo [,] ha il significato solito, cioè si ha, 
ad esempio, 


— de' dal. de da de del è de de 
(22) [2', x = — dr dp dx dp AE dy dq dy dq° 


Sviluppiamo le (22) avremo: 


ini he so 
la. gl= 14+p°+@ F 

nl ll = SIEPI 
(915 1+p'+:9 d 
= y+a9z F 


PA LU 
le, 9] Va i 


1066 ERNESTO LAURA 


nelle quali si è posto: 


ò 4 dfa d s le 
(23) F=f.(A, PI \i_ da) L2/(A, p)(A so pe: 4a SR, ; o (p-735). 


Sicchè le (21) sono le equazioni di una trasformazione di 
contatto qualora le fi; (A, p), 7» (A, p) costituiscano una coppia di 
funzioni soddisfacenti alla equazione alle derivate parziali 


(24) F=0. 


Le equazioni (21) convengono alla più generale trasfor- 
mazione di contatto (N), come discende dal seguito di questo 
lavoro. 

Tra le trasformazioni (M) derivate da una unica funzione 
generatrice, citeremo la trasformazione per superficie parallele. 

Essa ha per equazione generatrice : 


(e_eP+y_yP+-2P=?W? 


e le sue equazioni finite sono: 


deh 
Mi Fac 

e e — _ 

der. 

5) agito, 

è = 3 Ohee====== === 
VISA 

p=p | 

q=g. 


L'applicazione di questa trasformazione ai teoremi di Poinsot 
e di Clebsch dà luogo alle proposizioni: 

Nel moto di un sistema rigido non sollecitato da forze 
esterne, girevole intorno ad un punto: 1° le superficie parallele 
all’ellissoide di inerzia rotolano e strisciano sopra piani perpen- 
dicolari al vettore momento delle quantità di moto, preso ri- 
spetto al punto fisso; 2° le superficie parallele dell’ellissoide di 
girazione strisciano sopra sfere concentriche, i cui centri sono 
i poli di piani paralleli rispetto ad una sfera, che ha per centro 
il punto fisso. 


SOPRA LE TRASFORMAZIONI DI CONTATTO, ECC. 1067 


IV. Le trasformazioni del gruppo (M) a due equazioni ge- 
neratrici si ricavano in modo analogo. Un semplice calcolo porta 
a concludere che non esistono trasformazioni di contatto dotate 
delle sole due equazioni generatrici: 


Dovremo perciò assumere equazioni del tipo: 
\ F,(p, p,9)=tT 


26 
i Î Fs(p, p, 0) E Ya. 


Le funzioni Y} (p, p', 8), F> (p, p, 8) sono indipendenti nelle 
p, p,0 — saranno quindi risolubili rispetto a due di queste va- 
riabili. — Poichè, d’altronde, non sì possono dare a priori equa- 
zioni tra le sole x,y, 2 o tra le sole x‘, y°, #, potremo, senza le- 
dere la generalità, assumere come equazioni generatrici le se- 
guenti : 


| 0=fs9) 
l of). 


Operando come al N° I perveniamo all’equazione: 


(27) 


c++ pe' ai y' + qe' 
x + pe y+ 92 


(28) — 


che con le due equazioni (27) dà un sistema generalmente riso- 
lubile nelle @", y', 2°. 
Dalla (28) facilmente si ricava : 


1 V pp — 8? 
' —g —_ = )\ n 
(09) sa i - (P VI -fiplt@ " Vp—a? 
Nella quale si è posto: 
_ pet+ay—= 
V1+p+@ 
Per le (27) 9 e p' sono funzioni note di p — si ponga: 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 72 


1068 ERNESTO LAURA 


a (29) e le (28) daranno allora : 


| abgrtesta [than ot VIP) pica a w(p) 
di i ty ca V1+p + Vp_ax? 
ROSSONERA SE. | wo] | q y(p) 
ja fp) LI w(p) 1 y(p) 
5 =2| cani Ea |+ Vi Fo 


Le espressioni delle p', g' si ricaveranno poi mediante sole 
operazioni algebriche. 

Le equazioni (30) sono della forma (21); e non è difficile 
verificare che posto: 


fe) x A 40) 
fi(p; = a p sn Vp—x p 


Lise 


Vea 


riesce verificata l'equazione (24). 

Nelle formole (30) sono contenute, oltrecchè le trasforma- 
zioni (F) a due equazioni generatrici, le trasformazioni per raggi 
vettori. 

Basterà porre perciò: 


y (p)= 


Le trasformazioni di contatto (30) si possono costruire geo- 
metricamente. Consideriamo dapprima la trasformazione le cui 
equazioni generatrici sono : 


1. 


(31) 


ho 27 


Con semplici considerazioni di geometria analitica si di- 
mostra che questa trasformazione si costruisce nel seguente 
modo: Sia M un punto della superficie data e MN la normale 
corrispondente. Si conduca il piano polare di M rispetto ad una 
sfera di centro il punto fisso e di raggio A. Sulla retta di in- 


SOPRA LE TRASFORMAZIONI DI CONTATTO, ECC. 1069 


tersezione di questo piano e del piano OMN si prenda il punto M° 
tale che si abbia 


OM'? = f(0M?). 


Sarà M' il punto trasformato. Diremo (a) queste particolari tras- 
formazioni. Nelle trasformazioni (a) è compresa la trasforma- 
zione apsidale ('). Basta porre: 


=s 0, 


Tra le trasformazioni (a) è pure compresa la particolare 
trasformazione per raggi vettori: 


= (pp =1). 


È poi ovvio infine che la più generale trasformazione di 
contatto definita dalle formole (30) è il prodotto di una trasfor- 
mazione (a) per una trasformazione per raggi vettori. 


V. Le trasformazioni di contatto a tre equazioni genera- 
trici sono della forma 


Li 


(32) Choa. = f(p, p', 0), 


z 
dalle quali : 
9 = pf(pp'0) 
p' = pf? (pp'0), 


e quindi le (32) divengono: 
Lt Pe aetati 
(33) LL Lp) 


Sicchè: Za più generale trasformazione di contatto (M), a tre 
equazioni generatrici, è la trasformazione per raggi vettori. 
Le equazioni (33) sono poi ancora del tipo (21). 


(') Mac Cuccagna, Geometrical Propositions applied to the wave theory of 
light, © Tr. of the Royal Irish Academy ,, XVI, 1830, pag. 76. Cfr. pure 
Mawuerm, Sur les surfaces apsidales, © C. R. Ac. de Sciences de Paris ,, 1896, 
pag. 1396-8. 


1070 ERNESTO LAURA — SOPRA LE TRASFORMAZIONI, ECC. 


VI. Riassumendo i risultati di questa nota possiamo con- 
cludere: 
1° Le trasformazioni di contatto (M) trasformate in sè 
stesse dal gruppo delle rotazioni attorno ad un punto sono tutte 
contenute nelle equazioni: 


= fslp, \) 


x' = af.(p, 0 Rs VI Po 


vi=Myfi(9, 1) — fa(p, N) 


i 


1 
es Ml e sd 
2 2fi(p, A) VIARA0E fa(p, N) 


in cui è stato posto: 
pa 1 9QY—® 
ao 


p=@° +y° 1 2° 


e le funzioni fi(A, p), fs(A, p) devono soddisfare all’ unica equa- 
zione alle derivate parziali: 


pA, 9A — E) Lora, p)(1 i pa e rano, 


2° Il gruppo delle trasformazioni di contatto (M) è co- 
stituito dalle trasformazioni per raggi vettori, dalle trasforma- 
zioni per polarità rispetto ad una sfera di raggio qualunque e 
di centro il punto fisso, e dalle trasformazioni di contatto la 
cui sola equazione generatrice è : 


va k yy dk eee He 44° 422, PS) 


nella quale la funzione F contiene esplicitamente sia x2-y?+-2?, 
che 2'2 4 y'> + e'?. 


ADOLFO CAMPETTI — SULLA VARIAZIONE, ECC. 1071 


Sulla variazione del grado di dissociazione 
di alcuni elettroliti colla temperatura. 


Nota di ADOLFO CAMPETTI. 


(Con una Tavola). 


1° Lo studio della variazione della conducibilità molecolare 
od equivalente delle soluzioni elettrolitiche col variare della tem- 
peratura è assai importante per la teoria delle soluzioni stesse, 
poichè permette di determinare (quando sia noto il valore della 
conducibilità equivalente alle varie temperature) il grado di dis- 
sociazione elettrolitica di una stessa soluzione alle temperature 
corrispondenti. 

A questo proposito conviene ricordare anzitutto le numerose 
esperienze di Jones e Douglas (1) che determinarono le condu- 
cibilità molecolari di numerose soluzioni di elettroliti, come HCI, 
HNO;, H.SO,, KOH, Na0H, KCI, ecc., a varie concentrazioni, 
ma nel solo intervallo di temperatura da 0° a 35°. La conclu- 
sione generale che essi traggono dalle loro esperienze è che il 
grado di dissociazione varia poco colla temperatura; per quanto 
i dati numerici riferiti indichino piuttosto che tale variazione è 
in ogni caso assai piccola e talvolta inapprezzabile per le solu- 
zioni più diluite, mentre per le soluzioni di maggior concentra- 
zione si osserva nella maggior parte dei casi una diminuzione 
del grado di dissociazione col crescere della temperatura. 

Anche il Kahlenberg (2) ha determinato le conducibilità equi- 
valenti di un gran numero di soluzioni elettrolitiche, alle sole 
temperature però di 0° e 95°; di guisa che tali esperienze non 
sono sufficienti per determinare le variazioni del grado di dis- 
sociazione in quell’intervallo di temperatura. 

Delle stesse questioni si occuparono pure Smits e Jones (3) 
e più tardi Noyes e Coolidge (4) esaminando la conducibilità del 


(1) Jones e DovaLas, “ American Chem. Journ. ,, 1901. 
(2) Kanrensero, “ Journal of Phys. Chem. ,, 1901. 

(3) Swrrs e Jones, “ Journal of Phys. Chem.,, 1902. 
(4) Noyes e Cover, “ Zeit. Phys. Chem. ,, 1908, 45. 


1072 ADOLFO CAMPETTI 


cloruro di sodio e di potassio a temperature molto elevate in 
apparato chiuso. 

In una nota pubblicata negli “ Atti , di cotesta Accademia 
(Vol. XL, 1905) insieme col Dr. Nozari è stata pure esaminata 
la variazione del grado di dissociazione elettrolitica delle solu- 
zioni di NaCl e KCI col crescere della temperatura nell’inter- 
vallo da 20° a 90°, arrivando a conclusioni analoghe a quelle 
ottenute da Jones e Douglas nell’intervallo da 0° a 35°. — In 
questo lavoro mi propongo di estendere le analoghe ricerche a 
soluzioni di elettroliti con ioni bivalenti, e cioè a soluzioni di 
solfato di zinco, di magnesio e di acido solforico e di confrontare 
i resultati sperimentali con quelli teorici ricavati dalla teoria 
delle soluzioni. 

2° Com'è noto, la difficoltà maggiore in queste ricerche con- 
siste specialmente nell’evitare che le sostanze che (specialmente 
a temperature elevate) possono dalle pareti del recipiente scio- 
gliersi nella soluzione, alterino il valore della conducibilità. A 
questo inconveniente si può in parte ovviare eseguendo le de- 
terminazioni in apparecchio completamente di platino: dico solo 
in parte, perchè non si deve credere che, specialmente a tem- 
perature elevate, si debba escludere ogni azione tra le pareti 
del recipiente, sia pure di platino, e la soluzione; naturalmente 
quest’azione si rende manifesta solo per le soluzioni più diluite; 
ma di questo parleremo poi più diffusamente, discutendo i risul- 
tati di alcune esperienze del Whetham relative alla conduci- 
bilità delle soluzioni estremamente diluite di acido solforico. 

Per evitare poi l’evaporazione della soluzione e al tempo 
stesso il disciogliersi in essa dell’anidride carbonica dell'ambiente 
(non completamente eliminata con altri mezzi) si può ricoprire 
la soluzione con uno strato di paraffina o meglio di olio di va- 
selina purissimo, che sia stato precedentemente e ripetutamente 
lavato con acqua distillata, prima a caldo e poi a freddo. 

In queste condizioni si potevano eseguire esperienze sicure 
con soluzioni sino a 0,001 della normale e in qualche caso sino 
a 0,0005 della normale e sino alla temperatura di 90°, adope- 
rando l'apparecchio che ora brevemente descriverò. 

Ad un disco di ottone che serviva di coperchio ad un ro- 
busto recipiente cilindrico di rame erano fissate inferiormente 
tre grosse colonnette di ottone, della lunghezza di circa 21 cen- 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, ECC. 1073 


timetri, riunite tra loro in basso da un disco di ottone, in guisa 
da costituire un sistema perfettamente rigido. Tra queste co- 
lonne era sostenuta, a circa cinque centimetri dal fondo del re- 
cipiente esterno, e mediante tre robuste viti orizzontali, una 
capsula di platino del diametro di circa 6 centimetri, a fondo 
piano e rinforzata esternamente mediante un robusto cerchio di 
rame saldato a forte. La parete interna della capsula e special- 
mente il suo fondo piano, costituivano uno degli elettrodi del- 
l'apparecchio di misura delle resistenze; l’altro elettrodo era 
costituito da un disco di platino del diametro di circa tre cen- 
timetri, riunito ad un grosso filo pure di platino saldato in un 
tubo di vetro tenuto fisso nello stesso disco di ottone portante 
le colonnette di cui sopra si è detto, mantenuto così in posi- 
zione ben determinata e a distanza invariabile dal fondo della 
capsula. 

Delle variazioni di questa distanza (del resto assai piccole) 
col variare della temperatura, si tenne naturalmente conto nel 
calcolo delle esperienze, facendo uso dei coefficienti di dilata- 
zione dell’ottone, del platino e del vetro; ed analoga correzione 
si fece per le variazioni di area dell’elettrodo superiore di pla- 
tino colla temperatura. 

Prima di ogni esperienza si lavava il recipiente elettroli- 
tico anzitutto con benzina bollente, poi con alcool bollente e 
infine con acqua distillata, a 95°* in questo modo l’aria aderente 
alle pareti (siano o no ricoperte di nero di platino) viene, si 
può dire completamente, scacciata, di guisa che è perfettamente 
evitata la formazione di bolle gassose alla superficie degli elet- 
trodi, allorquando si innalza la temperatura della soluzione. 

Ciò fatto, si versava nella capsula di platino un determinato 
volume di soluzione, che veniva immediatamente ricoperta con 
uno strato di olio di vaselina puro; poi questa parte dell’appa- 
recchio veniva messa a posto nel recipiente esterno di rame, 
contenente tanta acqua distillata (ricoperta pure di vaselina) 
quanta era necessaria perchè la capsula fosse immersa sino a 
circa mezzo centimetro al disotto del suo bordo ; nell’interno del 
recipiente si poneva pure un vasetto con calce sodata e barite 
per assorbire le traccie di anidride carbonica che, provenendo 
dall'esterno, potrebbero altrimenti diffondersi nella soluzione at- 
traverso la vaselina. La temperatura veniva indicata da un ter- 


1074 ADOLFO CAMPETTI 


mometro situato esternamente ed in vicinanza della capsula e 
l'acqua attorniante la capsula era mantenuta in agitazione dal- 
l'esterno. Tutto l'apparecchio ora descritto era poi immerso in 
un grande bagno munito di termometro, agitatore, ecc., del 
quale colle solite disposizioni si poteva elevare la temperatura 
e mantenerla quindi costante con molta precisione. 

Coll’apparato ora descritto si potevano determinare le con- 
ducibilità delle soluzioni dalla decinormale alle più diluite: ma 
per causa della sua piccola capacità di resistenza non era con- 
veniente adoperarlo per quelle più concentrate; per queste ultime 
si usava invece un comune apparecchio del tipo di Arrhenius 
(vale a dire con elettrodi circolari affacciati), poichè per le so- 
luzioni più concentrate l'influenza delle sostanze disciolte dalle 
pareti di vetro è assolutamente trascurabile. 

I due apparecchi venivano tarati, il primo con soluzione 
decinormale, il secondo con soluzione normale di KC1. 

Le soluzioni da esaminare erano preparate con acqua due 
volte distillata, la prima in apparato comune, la seconda in 
apparecchio con tubo di quarzo; le più diluite tra. queste solu- 
zioni erano preparate e conservate in boccie di vetro di Jena, 
munite di tappo smerigliato e rivestite all’interno di un sottile 
strato di paraffina pura, fusa ripetutamente in acqua distillata. 

Dalle resistenze determinate col solito metodo del ponte e 
del telefono si deduceva la conducibilità specifica K e da questa 


ETRIILRA H k - 
la conducibilità equivalente A = vi (essendo n la concentrazione 


in grammi-equivalenti per centimetro cubo) riferita alle solite 
unità (Cm7! Ohm") e detraendo in ogni caso la conducibilità 
dell’acqua, adoperata come solvente, alla stessa temperatura. 


3° Soluzioni di MgSO,. — Il sale adoperato fornito come 
puro da Kahlbaum veniva ulteriormente purificato per cristal- 
lizzazione e con esso si prepararono nove soluzioni dalla trinor- 
male sino alla 0,001 della normale e se ne determinarono le 
conducibilità equivalenti da 10° a 90°. Nella tabella che segue # 
indica la temperatura e c—=1000n la concentrazione in grammi- 
equivalenti per litro: la tavola annessa indica più chiaramente 
dei dati numerici la variazione di conducibilità colla concentra- 
zione e colla temperatura. 


| SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, Ecc. 1075 


TABELLA I. 


Conducibilità equivalenti delle soluzioni di MgSO,. 


! | ! | 
t |e=2,963|c=2|c=1|c=0,5|e=0,1 e=0,05| c=0,01 c=0,005e=0,001 


al ' 
| 


| ! 
10°, 13,29 |17,62/23,78|28,75) 40,98] 46,24 62,65| 69,00| 81,49 
18°| 16,56 |21,60.29,03)35,14) 49,78) 56,58) 76,33 | 84,68 | 100,5 
20° 17,32 22,61 30, 39/36,68| 52,16 59,34 80,08 88,44 | 105,6 
30°] 21,47 |27,6637,20|44,57| 63,51) 72,64 98,15!109,0 |129,5 
40°) 25,65 [32,51 43,87 52,78] 74,77 86,72117,7 (131,0 |150,6 
50°, 30,00 |37,88/50,55 61,08| 86,99100,4 (137,2 |154,0 |182,2 
60°) 33,65 (42,82 56,60/68,46) 98,19 113,6 |155,8 (177,0 |210,0 
70°) 37,42 |47,34 62,05 74,97/107,7 (125,7 (174,4 198,0 |239,0 
800} 40,72 (51,13/66,9780,49115,9 (136,2 (1892 (2172 | — 
90% 43,56 (54,00 72,67/85,44/123,7 (1443 202,9 [236,6 |293,3 
| | ! | 


Dai dati di questa Tabella I si calcolarono i coefficienti 
di temperatura riferiti alla conducibilità equivalente a 18° 
per i varii intervalli di temperatura, servendosi della formula 
pi: hi — Ag 

t. Ag 

i valori corrispondenti all'intervallo tra 10° e 18° risultano quindi 
negativi. Malgrado alcune piccole irregolarità dipendenti da ine- 
vitabili inesattezze nei numeri della Tabella I, si può subito 
osservare che l’influenza della temperatura e della concentra- 
zione sul coefficiente \ è assai piccola, manifestandosi soltanto 
evidente dopo i 50° una diminuzione di \ col crescere della tem- 
peratura per le soluzioni di maggiore concentrazione : dei dati 
di questa tabella avremo poi bisogno per calcolare il grado di 
‘ dissociazione elettrolitica delle soluzioni corrispondenti. 

Dai dati delle Tabelle I e II si possono dedurre i valori 
A_ della conducibilità equivalente linate in due modi distinti. 


e i valori trovati sono raccolti nella Tabella II: 


Poichè a 18° le mobilità degli ioni Mg e SO, sono note con 
sufficiente sicurezza e rappresentate dai numeri 46 e 68 all’in- 
circa, possiamo assumere come valore assai probabile di A, a 
18° la somma 78446 = 114; se d'altra parte, ricorrendo ad 
una costruzione grafica, si rappresentano le concentrazioni sul- 
l’asse delle x e le relative conducibilità equivalenti a 18° sul- 


ADOLFO CAMPETTI 


1076 


_—Tr ————r——r——ro'r_———_—_1y1ryr_  -'__—_—_—————r_—r—r—r.rrc-"r————r——..rr-  ——————————————1@2—1————1@ 


992040 | 6FZ040 | 08Z0°0 |STZ040 
= GSco'0 | 682040 | 2220‘ 
797040 | 8800 |LFE00 | SE80%0 
Feco'o | 09z0°0 |8FE040 | 0700 
Feco'o | 95040 |6FZ040 | TF0°0 
67600 |6FC040 |9FZ00  |F300 
0Fc0‘40 | 0FE000 | 882040 |980°0 
L860‘0— | 8820‘0— | #E30(0— | 663000— 
100°0=? | So00=? | I0°0=? co‘0=? 


TOSSH 22 2uo0rznpos a]]0p v‘nmMIOdwId) ip _vpau quar1//209 


908040 | 008040 |60040 |S0z040 |9zz0%0 06 
FIGO‘O || 806040 | TIZo"40 | TEz040 | SEZ0%0 008 
Feco'o  |8Ico40 | FIZOO | 632040 | &FZ0o°0 o02 
Geco0 | 98040 |9g040 | Feo” | 95300 009 
FEGO‘0 | TE8040 | E870°0 |9630°40 |FST0%0 005 
86040 | Seo | aez040 | 08040 | 0ez0°0 °0F 
088040. |#Ec000 | Secoto |Feco't0 | 2#30°%0 00€ 
G660‘0— | LEZ0'0— | 860/0— 08800 TA o0I 
Kos co=? I=9 =? €966=? O 081 21} 


‘Il VTIISIVY], 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, ECC. 1077 


l’asse delle y e si considera il tratto di curva corrispondente 
alle soluzioni più diluite (0,001 — 0,005 — 0,01 della normale) 
si trova che, se lo riguardiamo come un ramo di parabola tan- 
gente all'asse delle y, il punto di contatto coll’asse stesso, che 
si può costruire graficamente, corrisponde quasi esattamente al- 
l’ordinata 114, che rappresenta la conducibilità equivalente li- 
mite a quella temperatura. Ciò posto, la determinazione delle 
conducibilità limiti per tutte le altre temperature si fece in 
modo perfettamente analogo, vale a dire con una costruzione 
grafica, basandosi sulle conducibilità equivalenti delle soluzioni 
di concentrazione 0,01—0,005 — 0,001 alla temperatura in que- 
stione; si prese intanto nota dei risultati ottenuti in questo 
modo. Ma le stesse conducibilità limiti possono pure ricavarsi 
per altra via. Se si tien conto del fatto, già prima accennato, 
che cioè la concentrazione (come appare dalla Tabella II) ha 
assai piccola influenza sul valore del coefficiente di temperatura, 
si può approssimativamente assumere che i coefficienti di tem- 
peratura di una soluzione di diluizione estrema siano identici a 
quelli della soluzione millinormale; ammessa tale ipotesi, è evi- 
dente come dalla conducibilità equivalente limite a 18° si pos- 
sano dedurre le conducibilità limiti alle altre temperature. 

E poichè i valori ottenuti con questo metodo non differivano 
che del 1 °/, al massimo da quelli ottenuti coll’altro, si presero 
i valori medii come valori assai probabili della conducibilità 
equivalente limite. Tali valori sono riferiti qui sotto: 


Mito III. 


| 
e l10° | 20° | 30° | 400° 


| Rd 


50° | 60° | 70° | 80° | go° | 18° 
| 
Ì 


| VIE FIA TRORE ATTRA 
N, 92,5 1198/147,71755 204,5 (234,0 268,5 (299,0 329,5 | 114,0 
Ì | I | | 


Si potrebbe domandare per quale ragione non si sono ado- 
perate per la determinazione di A, soluzioni ancora più diluite; 
ma le ragioni sono due, l’una di natura, dirò così relativa, l’altra 
assoluta. La prima si riferisce all’alterazione, che, specialmente 
a temperatura un po’ elevata, subisce la soluzione in contatto 
delle pareti del recipiente e degli elettrodi, ancorchè di platino; 


1078 ADOLFO CAMPETTI 


la seconda è legata alla natura della soluzione stessa e precisa- 


mente al fenomeno ben noto dell’idrolisi. Per quanto nel nostro 
caso per soluzioni di moderata diluizione l’idrolisi impegni solo 
una minima parte del sale disciolto e si possa quindi ritenere 
trascurabile, non si può più dire lo stesso per soluzioni di dilui- 
zioni estreme, quando cioè la concentrazione degli ioni del sale 


sia dello stesso ordine di grandezza di quella degli ioni H e OH 
provenienti dalla dissociazione dell’acqua: questa influenza del- 
l’idrolisi deve ancor più prendersi in considerazione per le so- 
luzioni di solfato di zinco che verranno esaminate in appresso. 
Ad ogni modo, allorquando in questi casi si parla di conduci- 
bilità equivalente limite, non si tratta di una conducibilità che 
effettivamente potrebbe possedere una soluzione di diluizione 
estrema (a prescindere dalle impurità dovute alle pareti del 
recipiente, ecc.) ma della conducibilità equivalente che spetterebbe ad 
una tal soluzione, qualora si potesse arrivare sino alle più elevate 
diluizioni senza alterare la costituzione della sostanza disciolta. 


N - È 
x rappresenterà sempre il 


rapporto fra il numero di ioni presenti nella soluzione, e il nu- 
mero di ioni presenti nel caso di completa dissociazione, vale 
a dire il grado di dissociazione della soluzione stessa: nella ta- 
bella seguente sono raccolti i valori dei gradi di dissociazione 
per tutte le soluzioni esaminate da 10° a 90°. 


Ciò non pertanto il rapporto 


TaBELLA IV. i 
Gradi di dissociazione delle soluzioni di MgS0O,. 
| | 


t \c=2,963 ec=2|e=1 e=0,5| e==0,1 \ec0,05 e= 0,01 |\ec=0,005|e= 0,001 


0,144 |0,191/0,257,0,811 0,443 | 0,500 | 0,677 0,746 | 0,881 
18°) 0,145 0,189(0,255/0,316| 0,437 | 0,497 | 0,678| 0,743| 0,884 
20°| 0,145:|0,189/0,255/0,308) 0,437 | 0,498 | 0,671| 0,741| 0,885 
30° 0,145 |0.187(0,252/0,302| 0,430 | 0,492 | 0,665 | 0,738 | 0,877 
40°| 0,146 10,185/0,250/0,301|0,426 | 0,498 | 0,670] 0,746 | 0,886 
50°) 0,147 |0,185)0,247)0,299 0,425 | 0,491| 0,671| 0,758| 0,890 
60° 0,144 [0,183|0,242|0,293 0,420 | 0,486-| 0,666 | 0,757 | 0,897 
70°) 0,139 |0,1760,231/0,279| 0,401 | 0,468 | 0,650 | 0,787] 0,890 
80°) 0,136 |0,171/0,228|0,269| 0,387 | 0,455 | 0;681|.0;724|xe— 
90°, 0,132 |0,164/0,220/0,258] 0,367 | 0,488 | 0,616| 0,718 | 0,890 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, ECC. 1079 


Come già si poteva prevedere dall'andamento delle curve 
che rappresentano la conducibilità equivalente delle soluzioni 
studiate, il grado di dissociazione elettrolitica diminuisce sensi- 
bilmente (specie dopo i 50°) col crescere della temperatura, ad 
eccezione dell'ultima soluzione più diluita, per la quale, a parte 
piccole oscillazioni nei valori riferiti, dovute probabilmente a 
inevitabili errori sperimentali, il grado di dissociazione si man- 
tiene pressochè costante a tutte le temperature. 

Come è noto, per rappresentare il grado di dissociazione in 
funzione delle concentrazioni sono state proposte varie formule, 
delle quali le più adoperate son quelle di OsrwaLp, RuDoLPHI 
o Van'T Horr, e che corrispondono rispettivamente a: 


> ca? Monte Mo at 
e gota K=- fi ino 


a 
essendo X una costante (a temperatura costante) differente na- 
turalmente da una formula all’altra: la prima delle tre si de- 
duce dall’applicazione della legge delle masse alla soluzione 
elettrolitica e come è noto, vale solo per elettroliti deboli; le 
altre due sono da riguardarsi come formule empiriche. Se al 
posto di a e ec poniamo nelle tre formule precedenti i valori 
ricavati dalla Tabella IV, non si ottengono affatto dalla prima 
per KX valori costanti, come era da aspettare: mentre soddisfano 
meglio alla costanza di X la seconda e la terza, quando si 
escludano le soluzioni di piccolissima concentrazione, come ap- 
pare dagli esempi qui riportati: 

=> e=1 e=0,1 e=0,05 e=0,01 ce=0,005 c-0,001 

Kg (Ostwald) =.0,0881 0,0873 0,0339 0,0245 0,0143 0,0107 0,007 

K,s (Rudolphi) = 0,0622 0,0873 0,106 0,110 .0,143 0,153. 0,213 

K,s(Van't Hoff)= 0,163 0,173 0,163 0,155 0,173 0,180 0,226 

Kso(Vant' Hoff)=0,112 0,132 0,117 (0,115 0,125 0,153 0,240 

4° Il fatto che il grado di dissociazione diminùisce col 
crescere della temperatura e l’altro fatto che la diluizione di 
una soluzione di solfato di magnesio è accompagnata da uno 


sviluppo di calore vanno d’accordo colla legge di Van't Hofîf, 
secondo la quale un innalzamento di temperatura sposta l’equi- 


1080 ADOLFO CAMPETTI 


librio in quel senso in cui esso spostamento avviene con assor- 
bimento di calore. Nel nostro caso infatti una diluizione della 
soluzione, cioè un aumento del grado di dissociazione essendo 
accompagnato da sviluppo di calore, un aumento di temperatura 
produrrà il processo inverso, cioè una diminuzione nel grado di 
dissociazione. 

La verifica quantitativa della formula di Van't Hoff 


RI sele 


i a 


che nell'ipotesi di 9 costante nell'intervallo di temperatura 
TT, può scriversi (dopo integrazione) nel nostro caso: 


LI 


5 1=a9 


; AT, — Ty) he \ + (ds 
(1) “an 40 ali 


non può essere fatta che in maniera assai grossolana e ciò per 
varie ragioni. Anzitutto i valori di q sono ricavati dalle espe- 
rienze di Thomsen relative al calore di diluizione del solfato di 
magnesio, le quali (essendo eseguite con scopo differente) non 
hanno quella precisione che si richiederebbe in questo caso e 
si riferiscono alla temperatura di circa 20°; d’altra parte il ca- 
lore q di dissociazione relativo a una grammo-molecola calcolato 
dalla (1) non si può ricavare se non riferendosi a un intervallo 
abbastanza grande di temperatura, poichè altrimenti 0, e 09 
sarebbero tra loro così poco differenti che un piccolo errore nel 
valore di ciascuno porterebbe un errore troppo grande nel va- 
lore di 9g; e in un intervallo assai grande di temperatura, per 
esempio da 20° a 80°, non è lecito ammettere che sia g costante 
ed uguale al valore che avrebbe a 20°; e infine poi la forma 
del secondo membro della (1) suppone applicabile all’elettrolito 
la legge di diluizione di Ostwald, il che non può farsi se non 
per variazioni molto piccole di concentrazione. 

Ad ogni modo veniamo al calcolo relativo. Il Thomsen 
trovò che partendo da una soluzione all’11,67 °, di solfato di 
magnesio (cioè di concentrazione 2,18 in grammi-equivalenti) e 
diluendola sino alla concentrazione 1,096 si svolgono 45 calorie 
per grammo-molecola; e riducendo quest’ultima alla concentra- 
zione 0,551, si svolgono per ogni grammo-molecola di sostanza 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, ECC. 1081 


disciolta 69 piccole calorie: se, facendo uso dei dati della Ta- 
bella IV, si osserva che i gradi di dissociazione delle tre solu- 
zioni sono rispettivamente: 


6 18 &ees:1.096 é' = (60 
doo = 0,181 doo 0,249 Co 0,303 


si trova con semplici proporzioni che il numero di piccole ca- 
lorie svolte per la dissociazione di una grammo-molecola di sol- 
fato di magnesio verrebbe rappresentata da 953, 808, 1280 
rispettivamente, che dànno come media g=1008 piccole calorie ; 
questo, si intende, nell'ipotesi che la dissociazione elettrolitica sia 
l’unico processo con sviluppo di calore che ha luogo durante la 
diluizione. Se d’altra parte calcoliamo il valore di g dalla (1) 
Tra T,= 273 + 20° e T:.= 273 + 90° si trovano per le solu- 
zioni binormale, normale e seminormale rispettivamente i valori 
946, 1010, 1210, che dànno come media 1055, numero assai 
prossimo al valore sperimentale dedotto dai dati del Thomsen. 


5° Un’ ultima questione rimane da esaminare ed è quella 
della divergenza tra i valori del grado di dissociazione ricavati 
dalle misure di conducibilità elettrica e quelli che si potrebbero 
ottenere dalle misure crioscopiche ed ebulliscopiche. Dalle misure 
del Raoult (1), del Kahlenberg (2) e dell’Hausrath (3) relative 
all’abbassamento di temperatura di congelamento per le. solu- 
zioni di solfato di magnesio abbiamo ricavato i dati del seguente 
prospetto, in cui m rappresenta il numero di grammi di sostanza 
per 100 di acqua, c la concentrazione della soluzione in grammi 
equivalenti, t l'abbassamento di temperatura osservato in gradi 
e t, l'abbassamento calcolato della solita formula 


corrispondente all'ipotesi di veruna dissociazione; a sarebbe il 
SI er, i- è i 
grado di dissociazione dato da a = —, 2. 
0 


(1) Raovrr, “ Zeit. Phys. Chem. ,, 1888. 
(2) KamLensere, “ Journal of Phys. Chem. ,, 1901. 
(3) Hausrara, “ Ann. der Physik ,, 1902. 


ADOLFO CAMPETTI 


m | e É to (51 
0,00813 0,00135 0°,002221 | 0°,001250 | 0,775 
0,02867 0,00476 0°9,007382 0°,004412 0,674 
0,1520 0,0252 00,03430 0°,02337 0,469 
0,699 0,116 09,154 0°,1076 0,429 
2,594 0,421 00,469 0°,3899 0,179 
5,994 0,993 19,006 09,922 0,091 
9,768 1,611 10,629 19,502 0,085 


‘ Se confrontiamo i valori di 0 qui calcolati e corrispondenti 
alla temperatura di circa 0° con quelli che si possono dedurre 
per extrapolazione dai dati della Tabella IV pure per la tem- 
peratura di 0°, si osserva subito tra gli uni e gli altri una dif- 
ferenza notevole; ma la divergenza si fa ancora più manifesta 
quando si esaminino le esperienze ebulliscopiche. Se infatti, ri- 
ferendoci anche qui alle esperienze del Kahlenberg gia citate, 
indichiamo con m il numero di grammi di sale aggiunti a 100 
di acqua, con c la concentrazione della soluzione, con © l’innal- 


zamento di temperatura di ebollizione osservato e con ©, l’innal- 


Mm Mm 
zamento calcolato colla formula O, =4#.=5,2.—=—-- 

p M denidia CT 
rispondente al caso di una soluzione di sostanza non dissociata, 
si hanno i seguenti dati: 


COr- 


m e | 0 80 
2,733 0,453 0,097 0,118 
7,286 | 1,201 | 0,281 | 0,818 


vale a dire l'innalzamento osservato risulta minore di quello 
calcolato nell’ipotesi di dissociazione nulla e in conseguenza in 
questo caso il grado di dissociazione resulterebbe negativo. 
Per dare una spiegazione di questo fatto, supporremo, come 
si fa generalmente in questi casi, che il grado di dissociazione 


quale ci vien dato dal rapporto x (Tabella IV) rappresenti ve- 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, ECC. 1083 


ramente la frazione del numero totale di molecole che si scin- 
dono in ioni, ma che le molecole del sale non dissociate elet- 
troliticamente si associno poi tra loro in guisa da formare dei 
gruppi molecolari complessi. Se in tale ipotesi, che non è l’unica 
possibile, ma di tutte la più semplice, indichiamo con s @l fat- 
tore di associazione, una soluzione che conterrebbe (in assenza 
di associazione molecolare e dissociazione elettrolitica) N mole- 
cole semplici e darebbe quindi luogo all’innalzamento 0, di tem- 
peratura di ebollizione, verrà a contenere tra molecole complesse 


ed ioni il numero di 2.Na + Aura e darà quindi luogo ad un 


innalzamento 9 tale che: 


gi ap ea su 
a tate nr 

da cui potremo ricavare 

(2) Meo 1) (3) TS @= 206 


che nel caso di s= 1 si riducono alla solita formula 


6— 6 
SUA 


co=3 


La formula (3) ponendo per a i valori della Tabella IV, 
permette di avere un'idea dei valori del fattore di associa- 
zione s; se per esempio ci riferiamo alle primé esperienze del- 
l’ultima tabella, per cui © = 0,097, 00= 0,118 e per a, tenuto 
conto” della concentrazione e della temperatura, prendiamo il 
valore a = 0,25, si otterrà: 


BRR 160 S (10. EPOEI 
— 0,097 —2.0,25 . 0,118 


— 2,83 


ed un calcolo analogo si potrebbe fare riferendoci alle altre 
esperienze ebullioscopiche e crioscopiche. Non deve far mera- 
viglia che il fattore di associazione abbia valori più elevati alla 
temperatura di ebollizione che alla temperatura di congelamento 
. della soluzione; anzi questo fatto rientra nella regola generale 
secondo la quale, diminuendo col crescere della temperatura le 
associazioni delle molecole del solvente tra di loro, diminuisce 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 73 


1084 ADOLFO CAMPETTI 


pure il potere dissociante .del solvente e quindi si abbassa da 
una parte la dissociazione elettrolitica della soluzione ed au- 
menta il fattore di associazione delle molecole non dissociate. 


6° Soluzioni di solfato di zinco. — Le esperienze per le so- 
luzioni di solfato di zinco furono condotte in modo perfettamente 
analogo a quelle per il solfato di magnesio; nella tabella che 
segue sono date le conducibilità equivalenti tra le temperature 
di 10° e 90° e per le concentrazioni dalla trinormale alla mil- 
linormale. 


TaBeLLa V. 
Conducibilità equivalenti delle soluzioni di Z,S0,. 


(Vedi Tavola annessa). 


È le=2,917\c=d |\e=1|c=0,5| c=0,1 le=0,05| 220,0 |2=0:005|= 0,001 


10°| 12,90 |16,53|21,76/26,10] 37,71| 43,38| 60,43 | 67,24 | 79,05 
18° 15,86 |20,18/26,28/31,56| 45,28) 52,50| 73,00| 81,62 | 98,12 
20°| 16,63 |20,85|27,42/32,98| 47,69) 55,23 76,65 | 85,48 [103,6 
30°) 20,49 |25,7833,41/40,10| 58,15 66,92] 93,92 /106,0 |128,4 
40° 24,48 -130,51/39,5147,16| 68,73| 79,081111,8 [127,1 |154,9 
50°) 28,62 |34,95/45,16/53,76| 78,78) 91,71|130,4 |148,9 |183,8 
60°| 32,30 |39,2250,2059,76| 87,081102,3 [147,4 |168,2 |210,8 
70°| 35,62 |43,03/54,58|64,86| 95,63|111,5 |161,9 |188,5- 1230;4 
80°) 38,11 |46,5058,31|69,02/101,2 |119,8 |172,6 |205,1. (260,1 
90° 40,47 |48,92/60,70|71,64|105,7 |124,7 |184,7 |219,6. |287,6 
| | | 


Dai dati di questa tabella si calcolarono (in modo analogo 
a quello tenuto per le soluzioni di MgS0O;) i coefficienti di tem- 
peratura riferiti alla conducibilità a 18°: e i loro valori sono 
qui sotto raccolti. 

Ragionando sui dati delle Tabelle V e VI come si è fatto 
per le soluzioni di solfato di magnesio, assumendo cioè come 
valore della conducibilità limite a 18° il numero 115, somma 


quin e LA . prc 5A 
delle mobilità 47 e 68 degli ioni Zn e SO,, si possono calcolare 
le conducibilità equivalenti limiti alle altre temperature, e si avrà: 


1085 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, ECC. 


890°0 
9920°0 
620‘0 
FLE0‘0 
EL30‘0 
8920°0 
L30°0 


8F30°0— | Igzo'o— | STz0‘0—]|LIz0(0— | 013040— | 913040 | SIZOO— 


100°0=? 


FEG0‘0 
FFEO‘0 
ge30'0 
822060 
8200 
ESTO‘0 
6720‘0 


c00°0 =? 


8I30‘0 
08z0°0 
FECO°0 
EF30°0 
CFE0°0 
CFEO'0 
620°0 


I0°0=? 


TOSUZ7 ep uorznzos a])9p vinpmiaduaz ip upau quavfao9, 


T610°0 
9030°0 
9120°0 
9760°0 
E860'0 
0E80°0 
630‘0 


co'o=? 


G810‘0 
66710°0 
PIZO‘0 
cITO0 
I830°%0 


ez0°0 


9820°0 


lo=9 


9LT0‘0 
T6I0°0 
8020‘0 
8080°0 
0Tz0‘0 
a41X1) 
CETO‘ 


c0‘0=? 


TA YVTISEV], 


g810°0 
L610°0 
2020°0 
cICO0 
Fac0‘0 
620‘0 
960°0 


86100 |9TZ0°0 °06 
0IZ0‘0  |9Z0'0 008 
8Izo‘0 | 0FZ0'0 o02 
cceo'0 | LFE0°0 009 
63300. | TSZ0°0 00 
EEz0°0 | LFT0°0 007 
I8z040 | EFE00 00€ 
93z0‘0— | 688000— °01 
g=? L6@=? 2 o8I BI 


1086 


ADOLFO CAMPETTI 


TaseLLa VII 


t | 10° 


18° 


| 
20” 


| 


| 
| 


30° | 400 


50° 


60° 


70° 


| 
A. 94,5 115,0/121,2151,2 179 9,8 21: 301,0 335,5 


302 245,0 269,3 


I valori dei gradi di dissociazione elettrolitica delle solu- 
zioni di solfato di zinco esaminate sono raccolti nella tabella 
che segue: 


TapeLLa VIII. 


Grado di dissociazione per le soluzioni di ZnS0,. 


t ; — 29 e=2|\e=1 \e=0,96|c=0,1 ‘ic=0,05\e=0,01|e==0,005\e=0,001 
10°/0,137 0,175 (0,230 (0,276 | 0,399 | 0,459 | 0,639 [0,712 | 0,837 
18°/0,138 0,176 (0,229 (0,275 | 0,394 | 0,457 | 0,635 |.0,710 | 0,853 
20°/0,137 /0,172 [0,226 (0,272 | 0,394 | 0,456 | 0,633 | 0,705. | 0,855 
30°/0,136 [0,171 |0,221 (0,265 | 0,385 | 0,443 | 0,621 | 0,701 | 0,849 
40° 0,136 |0,170 [0,220 |0,262 | 0,382 | 0,440 | 0,622 | 0,707 | 0,861 
50°0,134 |0,164 (0,212 [0,253 | 0,370 | 0,481 | 0,612 | 0,699 | 0,863 
60°/0,132 [0,160 [0,205 (0,244 | 0,356 | 0,418 | 0,602 | 0,687 | 0,860 
70°;0,182 [0,160 10,203 (0,241 | 0,355 | 0,414 | 0,601 | 0,699 | 0,856 
80°/0,126 (0,155 {0,194 (0,229 | 0,536 | 0,398 | 0,574| 0,681 | 0,864 
900,121 0,146 (0,181 |(0;214 | 0,815 | 0,372 | 0,551 {(0,6551| 0857 

| | 


Come appare dai dati riferiti il comportamento delle solu- 
zioni di solfato di zinco è analogo a quello delle soluzioni di 
solfato di magnesio: se si fa eccezione per le soluzioni più di- 
luite, il grado di dissociazione (all'infuori di qualche irregolarità 
dipendente da piccoli errori sperimentali) va diminuendo, spe- 
cialmente dopo i 50°, col crescere della temperatura: questo 
fatto è anche qui in accordo colla regola di Van’t Hoff, perchè 
anche per il solfato di zinco il calore di dissociazione (dedotto 
dal calore di diluizione secondo Thomsen) appare positivo: ma 
una verifica quantitativa della formula (1) non dette risultati 
così concordanti coll’esperienza, come accadeva per il solfato di 
zinco, probabilmente per le ragioni di cui allora si fece parola. 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, Ecc. 1087 


Anche in questo caso la formula di Ostwald non può ser- 
vire a rappresentare il grado dissociazione in funzione della 
concentrazione: meglio soddisfa ai risultati sperimentali la for- 
mula di Rudolphi e meglio ancora quella di Van’'t Hoff, come 
appare dallo specchietto seguente, in cui sono riportati i valori 
della quantità K (che dovrebbe essere costante rispetto alla con- 
centrazione) calcolata per la temperatura di 18°, secondo le tre , 
formole accennate. 


e==2 e=1 e=0,1 c=0,05 e=0,01 ce—-0,005 e-0,001 
K,s (Ostwald) 0,0752 0,0680 0,0256 0,0192 0,0110 0,0087 0,0050 
K,s (Rudolphi) 0,0532 0,0680 0,0811 0,0860 0,110 0,123 0,157 
K,s (Van’'t Hoff) 0,127 0,142 0,129 0,119 0,137 0,146 0,168 


Le esperienze crioscopiche ed ebullioscopiche conducono 
anche per il caso del solfato di zinco a valori del grado di dis- 
sociazione generalmente in disaccordo con quelli dedotti dal 


rapporto Pi Riportiamo qui alcuni dati relativi alle esperienze 


crioscopiche eseguite da Raoult (1. c.), Kahlenberg (l. c.) ed 
Hausrat (1. c.), avendo nella tabella le varie lettere lo stesso 
significato che nella precedente. 


m c to t | a 
=== 
0,00644 | 0,00080 0°,000740 I 0°,001387 | ‘0,874 
0,01746 | 0,00217 0°,002005 | 0°,003500 | 0,745 
0,08333 | 0,0104 | 0°,00957. | 0°,01499 | 0,564 
0,2246 ‘| 0,0278 0°,0258 1. 0°,03701...|. 0,483 
2,063 0,255 09,237 09,285 i 0,203 
5,026 0,623 i 09,577 | 09,625 i 0,083 
16,169 2,00 19,86 | 19,87 i 0,005 

| | 


Il disaccordo è ancora maggiore quando si consideri il ri- 
sultato delle esperienze ebullioscopiche, relativamente alle quali 
riporto solo i seguenti dati (Kahlenberg, 1. c.). 


1088 ADOLFO CAMPETTI 


m c 0 do 


2,886 0,355 | 0,080 0,093 
6,647 0,827 0,169 0,215 
13,389 1,658 | 0,372 0,381 


Anche in questo caso l'innalzamento di temperatura osser- 
vato è minore (come per il solfato di magnesio) di quello cal- 
colato, il che può avvenire, malgrado la dissociazione elettrolitica, 
per causa delle associazioni molecolari delle molecole indisso- 
ciate, non potendosi naturalmente escludere neppure le asso- 
ciazioni tra le molecole della sostanza disciolta o quelle del 
solvente. 

In conclusione, le soluzioni di solfato di zinco si comportano 
in modo perfettamente analogo a quelle di solfato di magnesio. 


7° Soluzioni di acido solforico. — L'acido solforico adope- 
rato era acido puro di Kahlbaum; le soluzioni furono esaminate 
sino alla concentrazione 0,0005 e le conducibilità equivalenti 
sono riportate nella tabella che segue, ove le lettere hanno il 
medesimo significato delle tabelle precedenti. (Vedi Tavola 
annessa). 


TaBeLLA IX. 
Conducibilità equivalenti delle soluzioni di H,S0,. 
(Vedi Tavola annessa). 


t |c=2,917|c=2,018|c=1,008 uu paul e=0,005\c=0,001|c=0,0005 


|- 


10°) 149,2 | 162,8|176,9 |183, #201,6275,8 291,0 | 315,8| 321,4 
18° 167,4 | 182,5|197,7 |204,81227,1307,5 |329,0 | 362,0| 366,5 
20° 172,2 | 187,1|202,2 |210,0/232,0316,3 | 337,8 | 373,2| 377,6 
30°| 193,4 | 210,4|224,9 |233,1255,6/352,3 | 379,2 | 428,2) 432,9 
40° 213,6 | 230,9 | 244,1 |252,31277,1/882,5 | 416,7 | 482,4) 488,9 
50°) 232,5 | 248,8 | 263,2 [268,8 /292.,6/405,9 | 444,0 | 526,7 | 540,7 
60°| 248,6 | 264,5 | 279,6 (283/0|307,0/421,5 | 463,2 | 559,0| 579,9 
70°) 262,8 | 277,5 |293,0 295,73194| — |478,7 | 587,3) 6142 
80°| 274,5 | 290,8 |304,2 |808, ,5 329,0 448,9 481,1 | 595,9| 633,8 


90° 283,7 | 302,4|312,4 |319 ,8/337,7/45 8,7|486,0 | 604,3) 651,5 
| 


1089 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, ECC. 


le "«ee.«eeee rt. ————————__———___—_— 


_1———"r-eE. eee —_—2—_- 


80100 (6660040 |F990040 |£8900°0 |22900‘0 [9220040 |9080040 |ET60040  |29600%0 006 
SITO"0 | FOTO0 |9FL0040 (0FL00"40 |Fzz0040 |8980040 |69800%40 |26600°0 | TOTO‘0 008 
ogTo*o | ozIO‘0  |9F800'0 — — |E8200°0 (080040 (2860040 | TOTO°0 | OTTO‘0 °02 
68100 | 62100 |T2600°0 88800%0 8€800°0 |£0600‘0 [866000 | SOTO"0 | 9TTO‘0 009 
8FI00 | EFIO | 601040 | 00r040 |rooo'o |zz60040 | eoto‘o FITO‘O | 3310°0 009 
GStO0 | TSTO°0 | TIZIO | ITTO0 | ooro‘0 | soroo | zoro | IzI0‘0 | 9z10%0 007 
ISIOO | ESITO | ZeT040 | IzIO0 | soro'o | etto‘ | STIO‘O | 221040 | 6ZI0'0 008 
ESTO'0—) 09I040—] FFIO'O—| 81040) FEIO‘O—| 82I1040—| TLTO‘O0—| SET0'0—| 9E10'0— °QI 
00040 =?| I000=?| So00=? | 1000 =? ro=? co=? 800°1=? | 8I0%=?| LI66=? 9 081 BIZ 


——___—_ _ —_—_ _—————__—r_e-rrrrr_r---Y._ n e rr 


‘’OS"H 29 1uo0rzn7os a7op vingnIad‘wtd) 1P qu912/S209 


‘X VTIUEVI, 


| | 
c| 0,08 | 0,02 | 0,015 0,01 | 0,005 | 0,002 | 0,001 


1090 ADOLFO CAMPETTI 


mentre nello specchietto (pag. 21) sono riferiti i coefficienti di 
temperatura, calcolati col solito modo. 
I valori delle conducibilità equivalenti limiti sono raccolti 
nel seguente prospetto: 
TaBeLLa XI. 
Conducibilità equivalenti limiti delle soluzioni di HyS0,. 


ARI RO ds 'zona] 30° | 0° 


12,0566,5 |613,0 |646,5 |668,0 | 686,0 


50° 60° 70° 80° 90° 


| 
A, [338,5/386,0/397,2 453,5/512,0 


Poichè nel caso di soluzioni di acido solforico non si deve 
tener conto dell’idrolisi, nemmeno alle più piccole concentrazioni, 
sembrerebbe che per la determinazione delle conducibilità limiti 
si potesse ricorrere a soluzioni di diluizione ancora maggiore di 
quelle qui adoperate; tuttavia ci potremo facilmente convincere 
che con ciò si arriverebbe a risultati illusorî, esaminando i ri- 
sultati di alcune esperienze del Whetham (1). 

Il Whetham determinò le conducibilità di soluzioni di acido 
solforico in apparecchio completamente di platino e alla tempe- 
ratura di congelamento delle soluzioni stesse per concentrazioni 
da 0,03 sino a 0,00005 della normale. 

Deducendo poi dalle misure eseguite le conducibilità equi- 
valenti alla temperatura di 0°, egli trovò che si aveva un mas- 
simo di conducibilità equivalente all'incirca per la soluzione a 
0,0005 della normale e per le soluzioni più diluite la conduci- 
bilità equivalente tornava a diminuire. 

Da questo il Whetham concluse che il grado di dissocia- 
zione sia uguale ad uno per la soluzione 0,0005, e in tale ipo- 
tesi calcolò i gradi di dissociazione per tutte le altre soluzioni 
esaminate, trovando così: 


0,0005/0,0002|0,0001| 0,00005 


2 


| 
0,784/0,821/0,851 0,883/0,931 0,974 


0,992 


1000/0884 0,944 | 0,880 


(1) WxerHam, “ Zeit. Phys. Chem. ,, 1900. 


e 


SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE, Ecc. 1091 


Per quanto però non sia da sollevare alcun dubbio sui risul- 
tati numerici delle esperienze, che devono essere state eseguite 
dal Whetham con ogni cura, specialmente nella preparazione di 
soluzioni così diluite, è invece molto discutibile la conclusione 
trattane, che cioè il grado di dissociazione, a partire dalla so- 
luzione a 0,0005 della normale, vada nuovamente diminuendo ; 
nè si comprende come un’ ulteriore aggiunta di solvente a una 
soluzione già così diluita possa spostare l’equilibrio in senso 
opposto alle aggiunte di acqua precedenti. Secondo ogni proba- 
bilità la diminuzione riscontrata di conducibilità equivalente per 
le soluzioni più diluite di H,S0, deve dipendere dal fatto che 
la concentrazione calcolata non è in questi casi la concentra- 
zione effettiva e ciò verisimilmente per una di queste due ra- 
gioni che qui sono semplicemente accennate. Anzitutto non si 
può escludere una, per quanto debole, azione chimica tra l’acido 
solforico disciolto e le pareti del recipiente, per quanto di pla- 
tino, poichè a rigore tra due sostanze diverse in presenza sempre 
si deve considerare si stabilisca uno stato di equilibrio; oltre 
di ciò può aver luogo una specie di assorbimento degli ioni (sia 
pur di una sola specie) dell’elettrolito disciolto per parte delle 
pareti metalliche del recipiente, assorbimento che possiamo rite- 
nere proporzionale alla superficie del metallo stesso e che difatti 
sì manifesta in maniera più facilmente riconoscibile quando il me-, 
tallo sia molto diviso (platino colloidale). La conclusione di tutto 
questo è che il tentativo di determinare direttamente le conduci- 
bilità di soluzioni estremamente diluite anche in recipienti di 
platino può condurre a risultati falsi ed illusorij; per conseguenza 
riterremo come valori delle conducibilità equivalenti limiti alle 
varie temperature quelli dati dalla Tabella XI sopra riferita. 

La determinazione del grado di dissociazione elettrolitica 
delle soluzioni di H,S0, non è un problema completamente de- 
terminato se non per le soluzioni di piccole concentrazioni per 
le quali si possa ritenere la dissociazione aver luogo esclusiva- 
mente o quasi esclusivamente secondo l’equazione 


H,S0, = 2H + S0, 


mentre per le soluzioni di media concentrazione deve prendersi 
in considerazione anche l’altra dissociazione 


1092 ADOLFO CAMPETTI 


come in tutti i casi di acidi polibasici. La determinazione della 
concentrazione degli ioni delle tre specie sarebbe solo possibile 
(almeno a date temperature) confrontando i valori delle condu- 
cibilità coi dati crioscopici od ebullioscopici, qualora si potesse 
a priori escludere, il che non è per niente probabile, che tra le 
molecole indissociate si formino associazioni molecolari. Per con- 


seguenza il rapporto x rappresenterà per le soluzioni più di- 
el 


luite soltanto il grado di dissociazione conforme alla comune 
definizione; tuttavia nella tabella che segue sono dati i valori di 
quel rapporto anche per le soluzioni di maggior concentrazione. 


TageLLa XII, 


Valori del rapporto x, - per le soluzioni di HyS0,. 


t |\c=2,917|e=2,013\c=1,003\c=0,5\e=0,1|c=0,01/e=0,005|c=0,001|c=0,0005 


CO 

0,543,0,605/0,815 | 0,860 | 0,933 | 0,950 
0,531/0,588/0,797 | 0,852 | 0,987 | 0,950 
0,529/0,584/0,796 | 0,851 | 0,939 | 0,951 


10° 0,441 | 0,481 3 
9 
9 
6 |0,514|0,564/0,777 | 0,836 | 0,944 | 0,955 
7 
B 
6 
3 


0 
18°| 0,434 | 0,473|0 
20°) 0,438 | 0,471|0 
30°) 0,427 | 0,464|0, 
‘40° 0,417 | 0,451|0 
50°) 0,410 | 0,439/0 

0 
0 


(0,493/0,541/0,747 | 0,814 | 0,942 | 0,955 
0,471|0,517|0,717 0,784 | 0,930| 0,954 
60° 0,406 | 0,432 ; 0,462/0,501|0,688 | 0,756 | 0,912| 0,946 
70° 0,406 | 0,429 0,457/0,494| — |0,783 | 0,908 | 0,950 
80°) 0,410 | 0,485 |0,455 |0,462/0,493|0,672 | 0,720 | 0,892| 0,949 
90° 0,418 | 0,440 0,456 (0,466/0,4920,669 | 0,709 | 0,881 | 0,950 


Se, almeno per le soluzioni dalle decinormali in poi, consi- 
deriamo che il rapporto ,- rappresenti il grado di dissociazione 
(e) 
elettrolitica, è facile vedere che la regola di Van't Hoff è veri- 
ficata quanto al senso della variazione del grado di dissocia- 
zione col crescere della temperatura; per una verifica della re- 


lazione (1) ci riferiremo ai dati del Petersen (1), secondo il quale 
il calore di dissociazione dell’acido solforico è di 2300 piccole 


(1) Perersen, “ Zeit. Phys. Chem. ,, 1898, 11. 


n 


% 


SULLA VARIAZIONE i DI DISSOCIAZIONE, Ecc.. 1093 


calorie per grammo-molecola. Eseguendo il calcolo per la solu- 
zione decinormale tra 20° e 80° si trova g= 1843 e tra 20° e 
70° q= 2110, mentre per la soluzione centinormale risulta tra 
20° e 80° q= 2820. Si tratta dunque di numeri dello stesso 
ordine di grandezza di quello stabilito dal Petersen; e del resto 
una migliore coincidenza non è lecito sperare per le ragioni 
addotte a proposito della stessa verifica eseguita per il calore 
di dissociazione del solfato di magnesio. 

Sarebbe pur facile riconoscere che delle tre relazioni di 
Ostwald, Rudolphi e Van't Hoff che dovrebbero servire ad espri- 
mere il grado di dissociazione in funzione della concentrazione, 
nessuna è adatta a rappresentare i resultati sperimentali in 
tutto l'intervallo di concentrazione relativo alle soluzioni esa- 
minate: tuttavia tra la concentrazione 0,1 e 0,005 la formula 
di Van't Hoff dà per X valori non troppo differenti, come si 
può rilevare dallo specchietto seguente : 


e==2,013 e=1,003 e=0,5 e=0,1 e=0,01 e=0,005 c=0,001 
K,s(Van'tHoff) 0,876 0,752 0,583 0,346 0,348 0,376 0,454 


Kso(Vant' Hoff) 0,740 0,565 0,530 0,225 0,166 0,145 0,220 


Rimane per ultimo da dire qualche cosa relativamente alle 
esperienze crioscopiche ed ebullioscopiche: ma ci limiteremo alle 
prime, perchè sono quelle per le quali, (dato il valore numerico 
elevato del coefficiente di abbassamento) si sono potute eseguire 
esperienze anche con soluzioni molto diluite. Ci serviremo perciò 
dei dati dell’Hausrath (1. c.) e del Pickering (1): queste ultime 
sì riferiscono alle soluzioni di maggior concentrazione e si tro- 
vano del resto in sufficiente accordo colle poche esperienze di 
verifica che io stesso ho voluto ripetere. Le lettere della tabella 
qui sotto riportata hanno lo stesso significato che nelle analoghe 
tabelle precedenti. 

Se confrontiamo i valori di @ così ricavati e relativi alla 
temperatura di circa 0° con quelli che si possono ottenere dalla 
Tabella XII per extrapolazione alla temperatura di 0° si vede 
che per le soluzioni più diluite essi sono in sufficiente accordo: 


(1) Prcgerine, “ Zeit. Phys. Chem. ,, 1891. 


1094 ADOLFO CAMPETTI — SULLA VARIAZIONE, ECC. 


la divergenza va però crescendo. mano a mano che si procede 
verso le soluzioni di maggiore concentrazione. 


m | e t | to a= 


0,01313 | 0,0027 | 0,007026 | 0,002476 | 0,921 
0,04095 | 0,0084 | 0,02102 | 0,007722 | 0,861 
0,09239 | 0,0188 | 0,04507 | 0,01742 | 0,793 
0,1614 | 0,033 |0,07569 |0,03044 |. 0,743 
0,3633 | 0,074 |0,1582 |0,06851 | 0,651 


0,8256 | 0,168 0,333 0,1557 0,568 
1,622 0,328 0,630 0,306 0,529 
8° Conclusioni. — 1° Nel presente lavoro sono state deter. 


minate le conducibilità, i coefficienti di temperatura e i gradi 
di dissociazione elettrolitica delle soluzioni di ZuS0,, MgS0O,, 
H:S0, della temperatura di 10° sino a 90° e per concentrazioni 
della trinormale sino alla millinormale (esclusi i gradi di disso- 
ciazione per l’ H,SO, in soluzione concentrata). 

2° La variazione del grado di dissociazione colla tempe- 
ratura è, quanto al segno, in accordo colla legge di Van’t Hoff. 

3° Allo scopo di esprimere il grado di dissociazione in 
funzione della concentrazione serve abbastanza bene, in un in- 
tervallo di variazione di concentrazione non troppo grande, la 
formula di Rudolphi e meglio ancora quella di Van't Hoff. 

4° La relazione (1) fondamentale può ritenersi appros- 
simativamente verificata per il solfato di magnesio e l’acido 
solforico. 

5° Nelle soluzioni di MgS0O, e ZnS0, le molecole indis- 
sociate dànno luogo a molecole complesse. 


Torino. Laboratorio di Fisica della R. Università. 
Giugno 1908. 


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ICILIO GUARESCHI — NUOVI ISOMERI DELLA CONINA, Ecc. 1095 


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LR 


é 
=" 


Nuovi isomeri della conina ed altre saro. 


Nota del Socio ICILIO GUARESCHI. 


Esistono molti isomeri della conina naturale o a propi/pipe- 
ridina: 


quali, ad esempio, le isopropilpiperidine, le metiletilpiperidine e 
la trimetilpiperidina simmetrica: 


Pi 
H°C pas 
CH° HC__ CH.CH° 
a 
NH 


Tutte queste basi però contengono i gruppi alchilici attac- 
cati ad atomi di carbonio diversi, nessuna di esse contiene due 
alchili, eguali o diversi, uniti ad un medesimo atomo di carbonio ; 
cioè, nessuna delle piperidine conosciute contiene due gruppi 
alchilici ad un atomo di carbonio, nella forma di: 


1096 ICILIO GUARESCHI 


quale sarebbero ad esempio la metil'8'dimetilpiperidina e la 
Yy metiletilpiperidina: 


CH? C°B5 
s Sn 
3 CH.CH? C 
“a 
dC (CH e H°C CH? 
Gu o {0 
e CH? H*C CH? 
a 4 NOS 
NH NH 


Io già da molti anni, e precisamente nel 1897, insieme al 
prof. Quenda, tentai di ridurre completamente il mio ciantri- 
metilpiperideone: 


mediante il sodio e l’alcool etilico ; allora si ottenne una pic- 
cola quantità di una base liquida, giallognola, a reazione alca- 
lina, e che lasciata a sè diventava rossa e tendeva a resinificarsi; 
faceva fumi coll’acido cloridrico, dava le reazioni generali degli 
alcaloidi, ed aveva un odore speciale, molto analogo all’odore 
della conina naturale. 1 

Questa nuova base doveva essere appunto un isomero della 
conina, e cioè la ya'a' trimetilpiperidina: 


ma non se ne proseguì lo studio. 

Dall’N-metilcianmetilpiperideone si deve ottenere il corri- 
spondente N-metilderivato. Sarà questo un nuovo modo di ot- 
tenere i derivati -NCH3 di queste basi. 


NUOVI ISOMERI DELLA CONINA ED ALTRE IDROBASI 1097 


Un altro isomero della conina cioè trimetilpiperidina con- 
tigua deve ottenersi in modo analogo dal mio composto fusibile 
a 305°-306°: i 


C CH 
Z/N 2 N 
CH?. C ; . CN CH?. HC CHI 
CH8.C. CO ‘ CH. HC CH? 
YI di i Neal 
NH NH 


Già in precedenza, dal medesimo composto fusibile 305°-306° 
per riduzione con polvere di zinco io ho ottenuto la trimetilpi- 
ridina contigua BY (1): 


Riducendo profondamente e completamente l’altro mio com- 
posto, rr metiletilBBdicianaadiossipiridina, o BRmetiletilaadicianglu- 
tarimide (1) ottenuta dal metiletilchetene coll’etere cianacetico, 


e fusibile a 193°: 
CH? C°H° 
ag 


si dovrebbe ottenere un altro isomero della conina cioè una 
Trmetiletilpiperidina : 
CH? C?H5 


(1) “ Atti R. Accad. di Torino ,, 1900, vol. XXXV. 


1098 ICHLIO GUARESCHI 


Questa base avrebbe anche un’altra importanza: in queste 
condizioni della molecola si staccherà facilmente il gruppo C*H5H 
(etano), come accade col composto fusibile 193° da cui deriva ? 

È così strano, e finora inesplicabile, il fatto da me osservato 
già da dieci anni che i composti: 


R.. .R 
ae ì>0 


SPA 
CNHC _CHON 


sviluppano in determinate condizioni i carburi saturi R'H per 
dare i composti non saturi contenenti 


DA 
CNHC _C.CN 
| 


che assume sempre un certo interesse lo studio di composti 
che contengono due gruppi alchilici attaccati ad un medesimo 
atomo di carbonio: 


RR 
ANA 
C 
FAN 


Ma il composto fusibile a 193° in mezzo alcalino sviluppa 
facilmente NH? e lascia forse aprire la catena, per cui il me- 
todo di riduzione deve essere, molto probabilmente, diverso da 
quello col sodio in alcool amilico. 

Resta anche a vedersi come si comporteranno in questo 
senso i composti trimetilenpirrolici da me scoperti e descritti 
nel 1901(1); alla dimetildiciantrimetilendicarbonimide, ad esempio, 
deve corrispondere una dimetiltrimetilenpirrolidina : 


(1) Sintesi di composti piridinici e trimetilenpirrolici, “ Mem. R. Accad. 
delle Scienze di Torino ,, 1901, serie II, vol. L. 


NUOVI ISOMERI DELLA CONINA ED ALTRE IDROBASI 1099 


CH* CH? CH? CH? 
re N 
8; ( 
Da Pr 
Li —T_ CON ve 
> | 
CO. Co H?C CR? 
RS RZ 
NH NH 


Composti questi che potrebbero assumere non lieve impor- 
tanza anche pel fatto che le basi pirrolidiniche sono abbastanza 
diffuse nel regno vegetale (1). 

Come si scorge, è tutta una serie di nuove idrobasi che si 
otterranno per riduzione totale dei numerosi miei composti che 
in questi ultimi anni io ho ottenuto per sintesi, ossia per con- 
densazione delle aldeidi, dei chetoni, degli eteri Bchetonici ecc. 
coll’etere cianacetico. Alcuni dei quali composti debbono ancora 
essere studiati in rapporto anche al potere rotatorio. Il D" Gio- 
vanni Issoglio ha ora studiato, dietro mio invito, la riduzione 
totale del ciantrimetilpiperideone. Si è trovato utile modificare 
alquanto il metodo di riduzione prima da me seguito, sostituendo 
l'alcol amilico all’alcol etilico; metodo già seguito da altri in 
casi analoghi. In questo modo infatti si è ottenuta una quan- 
tità relativamente notevole della nuova base C8H!N, da me 
sovraccennata, cioè un isomero della conina, insieme ad altri 
prodotti, descritti nella Nota seguente che ho l’onore di presen- 
tare all'Accademia. 


Torino, R. Università, maggio 1908. 


(1) Prcrer et Court, Sur quelques nouveaux alcaloides végétaua, in “ Arch. 
des sciences phys. et nat. de Genève ,, 1908, (4), XXV, p. 113. 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 74 


1100 GIOVANNI ISSOGLIO 


Nuovo isomero della conina dal ciantrimetilpiperideone. 


Nota del Dr. GIOVANNI ISSOGLIO. 


Guareschi nel 1893 dimostrò che si potevano ridurre i com- 
posti, che si ottenevano dalla condensazione dell’etere cianacetico 
con i chetoni in presenza di ammoniaca, per trasformarli nelle 
piridine corrispondenti. 

Questa riduzione si faceva colla polvere di zinco a caldo 
in corrente di idrogeno. Così dal Rciana'Ydimetilpiperideone egli 
ottenne la aydimetilpiridina (1). 

Seguendo questo esempio Quenda e Benedicenti dalla ri- 
duzione del Bciantrimetilpiperideone (2) 


C.CHz 


w 
i SAMI 


prepararono tre sostanze diverse: 

1) La trimetildiidrocollidina C8H!*N, base liquida che bolle 
verso 200°; 

2) La avdimetilpiridina C'H®N, bollente a 157°; 

3) Il rmetila' dimetila'B' diidropirideone C8H!3NO fusibile 
a Llbe-htoo 

Analoghe riduzioni si tentarono ancora con buon esito sopra 

derivati simili, ricorderò la trasformazione della BcianyB,0, tri- 
metila ossipiridina nella trimetilpiridina contigua 3-4-5 (3), la ri- 
duzione delle metilfenilcianossipiridine isomere nelle corrispondenti 
metilfenilpiridine (4). Tutte queste riduzioni danno origine a idro- 


(1) I. GuarescuI, Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino, vol. XXVIII, 1893. 
(2) Giorn. R. Ace. Med. di Torino, vol. IV, anno LXI. 

(3) I. Guarescni, R. Ace. delle Scienze di Torino, vol. XXXV (1900). 

(4) G. IssoeLro, Ivi, vol. XL (1905). 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAT: CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1101 


piridine, che contengono ancora dei doppi legami senza avere 
mai la riduzione perfetta del nucleo piridinico nelle corrispon- 
denti piperidine. 

Ora ho studiato, dietro consiglio del prof. Guareschi, la ri- 
duzione completa e totale del ciantrimetilpiperideone adoperando 
come riduttore il sodio e gli alcooli etilico ed amilico, secondo il 
metodo di Ladenburg. 

G. Piccinini (1) ha dimostrato che il gruppo cianico del 
ciantrimetilpiperideone si può saponificare soltanto riscaldando in 
tubi chiusi a 140°-150° con un eccesso di acido cloridrico con- 
centrato; diminuendo la temperatura oppure la concentrazione 
dell’acido l’idrolisi diventa quasi nulla. Operando poi in condi- 
zioni speciali si ottengono gradualmente per idrolizzazione del 
nitrile —CN tutti i prodotti di saponificazione ossia le amidi, gli 
acidi e le ossipiridine, che da quelli derivano per eliminazione 
di anidride carbonica. 

Qualche cosa di analogo accade anche per la riduzione del 
ciantrimetilpiperideone, e si può quasi dire che i dati sperimentali 
sono confrontabili. 

Infatti adoperando nella riduzione alcool etilico e sodio me- 
tallico si ottengono assai piccole quantità di prodotti di ridu- 
zione, mentre sostituendo all’ alcool etilico l’amilico, che pre- 
senta un punto di ebullizione superiore, la riduzione avviene e 
si ottengono dei prodotti, che sono degni di studio, sia per la 
qualità, che per il rendimento della reazione. 

Come nel caso della idrolisi del gruppo cianico si otten- 
gono varii prodotti, così anche nella riduzione da me sperimentata 
accanto al prodotto principale di riduzione sì trovano sostanze 
provenienti o dalla graduale ed incompleta riduzione del pro- 
dotto primitivo, oppure da condensazioni, che hanno luogo in seno 
ai liquidi riducenti. Durante la riduzione si sviluppa una grande 
quantità di gas ammonico come dimostrerò in seguito, il quale 
deriva dalla decomposizione ed idrolizzazione del gruppo —CN. È 
noto che il Ladenburg (2) ed i suoi allievi avevano dimostrato, che 
allorquando il —CN subisce la riduzione in presenza dell’alcool 
e del sodio si trasforma nel gruppo aminico —CH?NH?; anzi 


(1) G. Piccinini, Atti R. Accad. delle Scienze, vol: XLII. 
(2) Ber., 27, pag. 78 e 1463. 


1102 GIOVANNI ISSOGLIO 


questo era un modo elegante per ottenere i derivati aminici. 
Così il Demanioff ha ottenuto in questi ultimi anni dal nitrile 
dell’acido essaidrobenzoico la essaidrobenzilamina : 


CH° 


"AI 
SO CH.LHMbr 
| 
HC . CH 


la quale con acido nitroso è trasformata in alcool essaidroben- 
zilico, che per trasposizione molecolare dà alcool suberilico a ca- 
tena eptagonale. 

Nel caso da me studiato, al contrario, non si ha l’idroge- 
nazione del cianogeno, perchè non ho potuto trovare fra i pro- 
dotti di riduzione una base contenente il gruppo —CH?NH?, ma 
il gruppo cianico o si stacca tale e quale dando cianuro di sodio, 
oppure subisce una vera saponificazione trasformandosi nel 
gruppo carbossilico. Il carbossile in parte rimane alterato e si 
ottiene in piccola quantità acido trimetilpiperidinico ed in mas- 
sima parte poi si elimina in causa della elevata temperatura 
(130°-140°) a cui avviene la riduzione. Questo caso è analogo 
a quello riportato da Besthorn (1), che riducendo l’acido chi- 
nolinico con sodio ed alcool amilico ottenne anche acido nipe- 
cotinico C6H!!NO?. Forse l’idrolizzazione del cianogeno è influen- 
zata dalla contigua presenza dell'ossigeno. Per riduzione anche 
questo atomo di ossigeno si elimina e si ottiene, come pro- 
dotto principale una nuova trimetilpiperidina, isomera della 
coniina: 


Questa base è diversa da tutti gli altri suoi isomeri, 
perchè contiene due metili attaccati al medesimo atomo di car- 
bonio. 

Adoperando come mezzo riducente il sodio e l’alcool ami- 


(1) Ber. deutsch. chem. Gesell., 28, pag. 3153 (1895). 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1103 


lico pare che in relazione colla temperatura elevata abbia luogo 
una condensazione e fra i prodotti di riduzione si ottiene una 
base che deriva dalla condensazione di due molecole di trime- 
tilpiperidina. 

L'azione condensante del sodio metallico sulle piridine e la 
loro trasformazione in dipiridine è cosa nota già da lungo tempo, 
si confrontino le esperienze di Anderson (1), di Wagner e 
Stoehr (2), di Huth (5) e di altri ancora. 

L’eccesso di sodio, che si adopera nella riduzione, agisce in 
questo senso, per cui oltre la base sovrascritta, che bolle a 148° 
alla pressione ordinaria, ve ne ha un’altra oleosa di odore narco- 
tico, che ricorda la nicotina e che bolle a 745" a 266°-267° (corr.). 
Il punto di ebullizione di questa base ci ricorda quello del- 
l’a8dipiperidile di Blau (4) (267°-268°), del dimetildipiperidile 
(299°-300°) di Stoehr e Wagner (5) e quello anche della colli- 
dinpiperidina di Wolffenstein e Kudsen (279°-2829) (6). 

Seguendo le classiche esperienze di Planta e Kekulè (7) e 
di Pictet e Genequand (8) sulla nicotina sono riuscito a provare, 
che l’alcaloide da me preparato è una base bisecondaria, che 


cioè contiene due gruppi imidici NH e che molto probabilmente 


deve avere la seguente formola: 
(CH3)*C5H"N . C5H"(CH3)3N. 


“Non ho potuto dimostrare in quale punto si trovi il lega- 
mento, che tiene uniti i due gruppi piperidinici fra di loro, ma 
. supponendo che si formi nello stesso istante in cui si elimina 
il cianogeno nel ciantrimetilpiperideone questo legame dovrebbe 
essere in 8 e la sostanza studiata dovrebbe essere la essametil- 
BBdipiperidina. 


(1) Ann., 154, p. 274. 

(2) Journ. prakt. Chemie, 48, p. 1. 
(3) Ber., 31, p. 2280. 

(4) Monatsh., 13, p. 383. 

(5) Luogo citato. 

(6) Ber., (1895), 28, p. 2275. 

(7) Ann., t. 87, p.2. 

(8) Ber., 30, p. 2117. 


1104 GIOVANNI ISSOGLIO 


Non ho potuto sinora ottenere dei prodotti, che derivas- 
sero dalla apertura del nucleo piridinico ossia degli aminoacidi 
ad otto atomi di carbonio. Il nucleo piridinico in questi deri- 
vati dell’etere cianacetico è molto stabile e neppure si scinde 
in quei casi in cui la scissione avviene per i derivati piridinici 
di Hantzsch. 


PARTE SPERIMENTALE 


Riduzione del ciuntrimetilpiperideone 
con alcool etilico e sodio. 


Preparai il ciantrimetilpiperideone (0 tetraidro8 ciany metila'di- 
metila piridone) condensando l’acetone saturo di gas ammonico 
secco con l’etere cianacetico (1). Aveva i caratteri di purezza 
richiesti (p. f. 195°). 

In un pallone abbastanza ampio tenuto a b. m. si sciolgono 
5 gr. di sostanza in 150 gr. di alcool assoluto portando l'alcool 
all’ebullizione. Si aggiungono allora a piccole riprese 4-5 gr. di 
sodio metallico, per cui avviene una viva reazione ed il liquido 
si colora in rosso ranciato con fluorescenza verde. Verso il ter- 
mine della reazione si aggiungono altri 50 gr. di alcool asso- 
luto e si termina quando la quantità di sodio adoperata rag- 
giunge 40 gr. e quando si osserva che il sodio in eccesso non 
si scioglie più nell’alcool. Si lascia raffreddare aggiungendo poco 
a poco 150 cm? di acqua distillata. 

Raffreddato bene il liquido si sottopone ad una corrente di 
idrogeno puro (devesi evitare la presenza dell’aria, che imbru- 
nisce ed altera la soluzione) e vi si aggiunge con una chiavetta 
a goccia a goccia una soluzione di acido solforico al 20 °/, sino 
a reazione spiccatamente acida. Notasi sviluppo di acido cia- 
nidrico. Quarido il liquido alcoolico è diventato freddo si depone 
cristallizzato il solfato di sodio, che si separa per filtrazione. 
Il liquido alcoolico filtrato si riduce a piccolo volume in un appa- 


(1) I. GuarescHiI, Sintesi di composti idropiridinici, Atti R. Ace. Scienze 
Torino, vol. XXVIII. 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1105 


recchio a pressione ridotta in corrente di idrogeno. Concentrato 
il liquido a 50 cm? circa, si osserva che la massima parte della 
sostanza primitiva si precipita inalterata (fonde a 194°195°). 
Separata la sostanza dal resto del liquido si estrae questo con 
etere. L'etere porta via dalla soluzione acida un prodotto bianco, 
che fonde così grezzo a 135° (A). 

Si alcalinizza di poi riempiendo però gli apparecchi estrat- 
tori di idrogeno e si estrae nuovamente con etere ; l’etere dis- 
seccato con potassa caustica solida lascia precipitare molta 
sostanza resinosa; si filtra, si distilla l'etere in corrente di idro- 
geno e sì ottiene come residuo, da 0,3 a 0,4 gr. d’una base 
liquida a forte odore narcotico. Rendimento 6 °/o. Ripetendo due 
_ o tre volte questa riduzione, si ottiene sempre questo rendimento. 

Raccolte insieme queste piccole porzioni si ha un liquido 
che bolle al disotto di 200°, più leggero dell’acqua, la cui so- 
luzione acquosa satura scaldata intorbida ; ha reazione alcalina 
spiccata, manda fumi con acido cloridrico. La sua soluzione clo- 
ridrica precipita con quasi tutti i reattivi generali degli alcaloidi. 
Con alcuni dà precipitato amorfo solido (ac. fosfomolibdico, clo- 
roplatinico, tannino) in altri casi il precipitato è oleoso; non 
precipita col cloruro mercurico.. Cogli ipocloriti dà abbondante 
precipitato bianco. 

Non ho potuto ottenere pura questa base, perchè era in 
troppo piccola quantità e perchè si altera facilmente. Molto pro- 
babilmente però questa base è identica alla trimetilpiperidina, 
che ho ottenuto per riduzione del sodio coll’alcool amilico e 
che bolle a 148°: 


trovato Calcolato per C8H!"N 
U: °lo 74.92 719.92 
He, 13.21 13.87 
N» 10.80 11.02 


Cloroplatinato (CSH!"N)?, H?PtC1. — Trattando la soluzione 
cloridrica della base con acido cloroplatinico ottengo un preci- 
pitato in parte polverulento ed in parte oleoso, difficile a pu- 
rificarsi. Lavando questo precipitato con una miscela etereo-al- 
coolica, nella quale è poco solubile, riesco ad ottenere una polvere 
gialla, che fonde al disopra di 200° decomponendosi. 


1106 GIOVANNI ISSUGLIO 


È anidro. Calcinato lascia 28.85 °/, di Pt. — Calcolando il 
Pt per (C8H!"N)?. H?PtC]6 si ha 29.34 °/o. 

Noto che il cloroplatinato purissimo, che si ottiene per ri- 
duzione dall’alcool amilico cristallizza in mamelloncini aranciati, 
che fondono a 215°-216°. 


Picrato. — È l’unico precipitato cristallino che si formi 
dalla base coi reattivi generali degli alcaloidi. È sotto forma 
di aghi gialli poco solubili in acqua a freddo, piuttosto solubili 
a caldo. Non l’ho analizzato. 


Evaporando l’etere di estrazione della soluzione acida (aven- 
dolo prima essiccato con un poco di cloruro di calcio) ottengo, . 
come accennai, una sostanza fusibile grezza a 135° (A). 

Ricristallizzata dall'acqua si ottiene in mamelloncini inco- 
lori, che fondono a 155°. È solubile facilmente nei solventi or- 
ganici, poco solubile in acqua a freddo. Ha carattere neutro. 
Distillata in un tubicino si altera alquanto ed il prodotto di 
sublimazione ha lieve reazione alcalina. 

Gr. 0,1154 di sostanza essiccati a 100° diedero cm? 19.3 
ALEN cal RM dat oa 


N 0% trovato 18,65. 


Probabilmente questo prodotto deriva dal ciantrimetilpipe- 
rideone per eliminazione dell’ossigeno e per completa idrogena- 
zione del nucleo piridinico ; per la Peiantrimetilpiperidina si cal- 
cola. il 18,40,°/, di N. 

Non ho creduto di continuare lo studio di questa sostanza, 
perchè si forma in piccola quantità, e perchè è difficile da 
purificare. 

Avendo osservato, che erano scarsi i prodotti di riduzione 
del ciantrimetilpiperideone adoperando il sodio e l’alcool etilico, 
ho sostituito a quest’alcool, l'alcool amilico ordinario di fermen- 
tazione. 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1107 


Riduzione con alcool amilico e sodio. 


In 750 em? di alcool amilico (1) si sciolgono all’ebullizione 
25 gr. di ciantrimetilpiperideone ed aggiungo a piccole riprese 
il sodio (2-3 gr.). La reazione avviene in principio con vivacità 
ed il liquido si colora in rosso scuro. Il pallone nel quale avviene 
la riduzione è riscaldato in bagno di sabbia. 

Verso la fine della reazione si aggiungono ancora 250 gr. 
di alcool. Impiegati 180 gr. di sodio notasi che nel liquido ap- 
pena giallo il sodio si scioglie difficilmente, allora si tralascia 
il riscaldamento. Durante la reazione si sviluppa molta ammo- 
niaca, che raccolta e dosata costituisce il 30 °, dell’azoto del 
ciantimetilpiperideone. (Nel gas ammoniaco svoltosi non si trova 
traccia di metilamina). 

Raffreddato l’amilato di sodio, si decompone con 1000 em$ 
di acqua. Il liquido si divide in due strati, superiormente vi è 
l'alcool amilico, inferiormente sta la soluzione alcalina di idrato 
sodico, che separata si tiene per ulteriori trattamenti. 

L’alcool amilico, lavato con un pochino di acqua, è sbat- 
tuto ripetutamente con 20 cm? di acido solforico al 10°/,. La 
soluzione acida si sottopone ad una corrente di vapor acqueo 
per togliere ogni traccia di alcool amilico e poi si lava con etere; 
separato l'etere si aggiungono dei pezzettini di potassa caustica 
sino a reazione alcalina marcata. 

Si separa un olio leggero, poco colorato, meno alterabile 
all’aria di quello che si ottiene per riduzione dall’alcool etilico; 
si estrae quest’olio con etere. 

La soluzione eterea essiccata con cannelli di potassa caustica 
è poi distillata sino a piccolo residuo. Il liquido si travasa in 
una capsulina di vetro e si lascia evaporare lentamente in es- 
siccatore a potassa fusa. 

Dopo parecchi giorni non si osserva alcuna cristallizzazione 
del liquido. Allora si sottopone a distillazione. 

Il liquido basico corrisponde al 20-25 °/ del ciantrimetil- 
piperideone adoperato. 


(1) L’alcool amilico adoperato era privo di piridina e bolliva a 130°-131°. 


1108 GIOVANNI ISSOGLIO 


Per la distillazione frazionata il liquido si divide in due 
parti: 

La 1 parte bolle a 148° alla pressione di 760, ed alla 
pressione di 40" passa a 120°; questa base (A) costituisce un 
poco più della metà del liquido alcalino totale, ed è un alca- 
loide volatile liquido mobile incoloro, di odore viroso che ri- 
corda la coniina. 

La 2 parte bolle a 266°-267° (corr.) alla pressione di 745" 
ed a 237° alla pressione di 40”; è un liquido denso sciropposo 
leggermente giallo, che si altera all’aria ed il cui odore narco- 
tico ricorda la nicotina (B). 

Queste due basi si separano prima per distillazione frazio- 
nata, poi per ottenerle allo stato di purezza si fanno cristalliz- 
zare frazionatamente i loro sali doppi. Il cloroplatinato ed il 
cloromercurato della base B sono molto meno solubili di quelli 
della base A. Ricristallizzando questi sali è facile ottenerli allo 
stato puro, ed allora decomponendoli si ottengono allo stato 
di grande purezza le basi corrispondenti. 


ALcaLornpe voLatILE A (P. eb. 148°). — Questa base, come 
ho già accennato è un liquido mobile, incoloro, che all’aria 
ingiallisce leggermente, più leggero dell’acqua. P. sp. a 15° 0,832. 
— È abbastanza solubile in acqua fredda e la sua soluzione 
acquosa satura intorbida per riscaldamento. Basta tenere il 
tubo d’assaggio fra le mani per vedere il liquido limpido di- 
ventare lattiginoso e ritornare poi limpido per raffreddamento. 
In questo comportamento ricorda molto la coniina. 

È solubile in alcool ed in etere. Ha reazione fortemente 
alcalina e manda fumi bianchi coll’acido cloridrico. 

I. Gr. 0,1486 di base diedero a 745,5" ed a 14° cm 14.9 
di N. 

II. Gr. 0,1622 di sost. diedero grammi 0,4482 di CO? e 
gr. 0,1928. di.H?0. 


trovato calcolato per C*H!N 
I II 
C _- 159.90 75.59 
H ca 13720 13.98 


N 11.29 REI 11.02 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1109 


La base che ho ottenuto ha tutti i caratteri e tutte le pro- 
prietà di una trimetilpiperidina e precisamente questa sarebbe 
la a'a'dimetilrmetilpiperidina : 


La soluzione eterea di questa sostanza trattata con una 
soluzione eterea di iodo dà dei cristalli prismatici allungati. 

Le soluzioni acquose di questa base precipitano gli ossi- 
idrati dei metalli pesanti, così con solfato di rame si ottiene un 
precipitato azzurro insolubile in eccesso di reattivo, con cloruro 
ferrico precipitato rosso-mattone, con cloruro di cadmio non pre- 
cipita, col reattivo di Nessler precipita in bianco. 

La trimetilpiperidina (2, 2, 4) forma sali cristallizzati col- 
l’acido cloridrico e coll’acido solforico. Allo stato libero assorbe 
l’anidride carbonica dell’aria. La soluzione acquosa del cloridrato 
precipita coi reattivi generali degli alcaloidi, come segue: 

Coll’acido fosfomolibdico precipitato abbondante giallo, che 
non si riduce tanto facilmente e che per aggiunta di ammoniaca 
non diventa azzurro. 

Coll’acido fosfotunstico precipita in bianco. 

Col tannino fiocchi abbondanti bianchi. 

Col ioduro di potassio iodurato (Bouchardat) precipitato 
bruno, che si raccoglie in fondo al recipiente sotto forma di 
gocciole oleose. 

Col cloruro mercurico non precipita. 

I precipitati solidi esaminati al microscopio non presentano 
alcuna forma cristallina. 


Cloroplatinato (C8H*!"N)?.H®PtC]5. — Si ottiene aggiungendo 
alla soluzione acquosa del cloridrato una soluzione anche molto 
concentrata di acido cloroplatinico. Non si ottiene subito pre- 
cipitato, perchè il cloroplatinato è piuttosto solubile in acqua. 
Però lasciando evaporare lentamente all'aria le sue soluzioni si 
separano a poco a poco dei mamelloncini grossi come chicchi 


1110 GIOVANNI ISSOGLIO 


di frumento, di colore rosso ranciato, che si possono raccogliere, 
lavare con acqua ed essiccare fra carta. È anidro, riscaldato 
a 100°-110° non perde di peso, fonde a 215°-216° decomponen- 
dosi. Triturato è di colore giallo pallido. 

Gr. 0,2622 di cloroplatinato secco a 100°-110° calcinati ]a- 
sciarono gr. 0,0764 di Pt. 


trovato calcolato per (C*H'"N)?.H®PtC15 
Pio 29.14 29.35 
Cloroaurato C8H!N . AuHCl4, — Aggiungendo alla soluzione 


cloridrica della base del cloruro d’oro si deposita allo stato 
polverulento giallo il cloroaurato, che poi cristallizza a poco a 
poco in piccoli prismi anidri, che fondono a 135°. 

Gr. 0,2428 calcinati lasciarono gr. 0,1022 di oro metallico. 


trovato calcolato per C*H!'"N.AuHC]* 
Au %o 42.09 42.22 
Iodometilato della trimetilpiperidina. — Se alla trimetilpi- 


peridina libera si aggiunge un peso doppio di ioduro di metile 
sl osserva a poco a poco, che la miscela si riscalda e si pro- 
duce una viva reazione. Rimane un olio denso, che a poco a 
poco lasciato a sè si trasforma in una massa dura cristallina. 
La stessa sostanza si può ottenere operando così: 

1 parte di trimetilpiperidina distillata di fresco si scioglie 
in 5 volte il suo peso di alcool metilico ed alla soluzione si 
aggiungono 2 p. di ioduro di metile. La miscela si riscalda per 
un'ora in tubo chiuso a 100°. Raccogliendo il prodotto della 
reazione in un cristallizzatore, si ottengono per evaporazione 
dell'alcool metilico dei lunghi aghi giallo rossastri, che si lavano 
con poco etere. 

Questa sostanza molto solubile in acqua ed in alcool eri- 
stallizza da questi solventi per evaporazione in lunghi prismi 
incolori. 

Si può anche purificare sciogliendola in alcool e precipi- 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAT CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1111 


tandola con etere. Allora si ottiene allo stato polverulento eri- 
stallino con colore bianco leggermente tendente all’avana. Ri- 
cristallizzata dall'alcool fonde a 266° decomponendosi. 

Gr. 0,1512 di sostanza diedero secondo il metodo di Piria 
gr. 0,1247 di Agl. 


Iodo °/, trovato 44.57. 


La quantità di iodo trovato corrisponde bene al ioduro di 
trimetilpiperidindimetilammonio, per il quale si calcola: 


Iodo %/ 44.86. 


Adunque il ioduro, che ho analizzato dimostrerebbe che la 
trimetilpiperidina studiata è una base secondaria, perchè ado- 
perando anche un eccesso di ioduro di metile si ottiene sempre 
il seguente composto fusibile a 266°: 


CH . CH? 


Vari 
on CH? 
È: C CH? 
gl 
Ness 
CH 


Ù 
‘ 


J 


ALCALOIDE VOLATILE B. — P. eb.2 66°-267° (corr.) a 745, 
— Questa sostanza ottenni pura per decomposizione del suo sale 
doppio di mercurio. 

Rettificata questa base bolle a 266°-267° (corr.) alla pres- 
sione di 7459 ed a 237° a 40m, 

È quasi incolora, lasciata a sè in essiccatore a potassa fusa 
non cristallizza, neppure cristallizza raffreddandola con ghiaccio. 
Più leggera dell’acqua, ne ho determinato il peso specifico col 
picnometro di Sprengel a 15° = 0,869. Ha odore viroso, sapore 
bruciante, che ricorda la nicotina, è densa ed oleosa. Rende 
azzurra la carta di tornasole, assorbe l'anidride carbonica del- 
l’aria e coll’acido cloridrico dà densi fumi bianchi. 


1112 GIOVANNI ISSOGLIO 


I. Gr. 0,1638 di sostanza diedero a 742%» 7 ed a 15° 
cm3 16.4 di N. 

II. Gr. 0,1332 di sostanza diedero a 734,3 eda 15° 
cm3 13.00 di N. 

III. Gr. 0,1058 di sostanza diedero gr. 0,2936 di CO? e 
gr. 0,1233 di H?0. 

IV. Gr. 0,1346 di sostanza diedero gr. 0,3772 di CO? e 
gr. 0,1492 di H?0. 


trovato 
I II III IV 
Cee — 2a 75.68 76.42 
ia — -- 13.04 13.15 
NO 11.40 11707 - — 


Queste analisi ci dicono che la sostanza studiata ha grande 
analogia per la composizione colla base, che bolle a 148°. Io 
non ho determinato il peso molecolare di questo composto, ma 
però, come ho già riferito più innanzi, sono riuscito a dimo- 
strare che questa sostanza deriva dalla condensazione di due 
molecole di trimetilpiperidina con eliminazione di due atomi 
di idrogeno, e più precisamente che questo alcaloide è una base 
dipiperidinica. 

Per il composto: 


C16H32N2 
si calcola: 
OC. = 76d0 
He 2,00 
N = ATI 


La base è piuttosto solubile in acqua ed in alcool, solubi- 
lissima nell’etere. La sua soluzione eterea trattata con soluzione 
eterea di iodo a differenza della trimetilpiperidina studiata dà 
un precipitato oleoso, che si attacca alle pareti del vaso. 

La soluzione acquosa reagisce come la trimetilpiperidina 
colle soluzioni dei metalli pesanti (CuS04, FeC15). Il suo clori- 
drato, che in soluzione diluita facilmente si dissocia dando un 
liquido opalino, dà coi reattivi generali degli alcaloidi dei pre- 
cipitati, che ricordano quelli già accennati per la trimetilpipe- 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1113 


ridina, che ho descritto, senonchè da questa si distingue, perchè 
precipita col cloruro mercurico. 


Cloroplatinato C*1*H82N?,H?PtC]° + 3H?0. — Trattando una 
soluzione concentrata di cloridrato della base, con una soluzione 
di acido cloroplatinico ottiensi un precipitato giallo cristallino, 
che per ricristallizzazione dell’acqua si deposita in belle lamel- 
line splendenti giallo ranciate, che già a 230° incominciano ad 
imbrunire e fondono a 262° con forte schiuma. 

Questo cloroplatinato differisce per solubilità e forma da 
quello della trimetilpiperidina; da questo poi si distingue, perchè 
cristallizza con tre molecole di acqua di eristallizzazione. 

I. Gr. 0.1774 di sale perdettero a 100°-110° gr. 0,0134 
di H?20. 

II. Gr. 0,1426 di sostanza perdettero gr. 0,0104 di H?0. 


trovato cale. per C'°H*N?. H°PtC16+3H°0 
o. ——e___e—a oO rr P—_——mmk 
I II 
H?0 Sha 7At! (Ba LO 


I. Gr. 0,1322 di sale secco a 100°-110° calcinati lasciarono 
gr. 0,0384 di platino. 

II. Gr. 0,1584 di sale seccato a 100°-110° lasciarono dopo 
calcinazione gr. 0,0462 di Pt. 


trovato cale. per C'°H°?N?, H*PtC]S 
I II 
Pt °/o 29.05 29.23 29.44 
Picrato. — Si prepara dalla soluzione del cloridrato della 


base per aggiunta di una soluzione satura di acido picrico sotto 
forma di aghetti giallo pallidi, che fondono a 230° in un liquido 
bruno. 


Cloroaurato C**H32N?2(HAuC]4)?. — Aggiungendo alla solu- 
zione del cloridrato dell’alcaloide un piccolo eccesso di solu- 
zione di cloruro d’oro si precipita una polvere gialla, che si 
trasforma in belle lamelline per il lungo riposo. 


1114 GIOVANNI ISSOGLIO 


Queste lamelle anidre fondono a 1839-184°. 
Gr. 0,1648 di sale calcinati lasciarono gr. 0,0702 di oro 
metallico. 


trovato cale. per C'°H??N°(HAuC]*)? 


Au % 42.59 4221 


Cloromercurato C'*H82N?,2HC1.HgC]?. — Il sale doppio di 
mercurio, che può servire bene a purificare questa base è piut- 
tosto solubile a caldo in acqua e si deposita a freddo. Si ottiene 
per lento raffreddamento della soluzione in piccoli prismi corti 
incolori brillanti, che a 230° imbruniscono e a 270° fondono 


decomponendosi. — È anidro. 
Gr. 0,3842 di sale doppio diedero gr. 0,1507 di HgS. 
trovato calcolato per C!°H°°N°. 2HCI . HgC1? 
Hg °/o 39.75 33.55 


Le analisi di questo alcaloide liquido, che bolle a 266°-267°, 
e dei suoi sali, dimostrano la grande analogia che esiste fra 
questa base è la trimetilpiperidina. 


Azione del ioduro di metile. — Per stabilire se l’alcaloide 
ottenuto è una base primaria o secondaria ho fatto agire su di 
esso diverse quantità di ioduro di metile per assicurarmi se si 
potessero ottenere diversi iodometilati. 


Monojodometilato. — In un tubo chiuso si mettono a reagire: 


Base p. eb. 266°-267° p. 1 (mol. 1) 
Ioduro di metile s 1 (mol. :2) 


sciolti in 5 p. di alcool metilico e la miscela si riscalda per 
un'ora a b. m., dopo di che si fa evaporare l’alcool metilico; si 
ottiene un olio rosso scuro, che si scioglie in cloroformio. La 
soluzione cloroformica trattata prima con una soluzione al 2 °/ 
di bicarbonato sodico, poi con una diluita di acido tartarico, 
viene lavata con un pochino di acqua, in seguito essiccata. con 
cloruro di calcio. Evaporato il cloroformio si ottiene un olio 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1115 


denso, sciropposo poco colorato, che non sì riesce in nessun modo 
a far cristallizzare. 

Questa sostanza è solubile in acqua, acetone, alcool metilico 
ed etilico, cloroformio; dai solventi organici per aggiunta di 
etere precipita nuovamente l’olio, essendo questo insolubile nel- 
l’etere. 

Per l’analisi fu essiccata a 100°-110° sino a peso costante. 


Gr. 0,1900 di sostanza diedero col metodo di Piria gr. 0,1094 
di Agl. 


Iodo trovato %o 31.12. 


La quantità di iodo trovata corrispondeva bene per un 
monoiodo-derivato, il quale avrebbe avuto la sua origine per 
azione di due molecole di ioduro di metile sopra una molecola 
di dipiperidina : 

/CHz 

CSH!6N.C3H16N + 2CHSJ = HJ + C8H!6N . oo La ari 


Per questo composto si calcola il 31,12 °/, di Todo. 

Questa analisi però non era sufficiente per dimostrare che 
esistevano due gruppi metilici attaccati ad un atomo di azoto, 
perciò ho fatto una determinazione del gruppo metiliminico col 
metodo Herzig-Meyer (1); ho trovato —CH; 6,38 °/%; per il 
composto sovrascritto si calcola 7.35 %o. 

Questi dati analitici pur essendo poco concordanti dànno 
come probabile la costituzione, che ho accennato; del resto ho 
anche analizzato il cloroplatinato, che si ottiene dal clorome- 
tilato corrispondente e questa analisi conferma pienamente la 
composizione del monoiododerivato, da cui deriva. 

Il monoiododerivato non è decomposto dai bicarbonati e dai 
carbonati alcalini. Con ossido di argento umido dà luogo al di- 
metilidrato, il quale in soluzione concentrata reagisce fortemente 
alcalino e presenta odore piperidinico-ammoniacale, dando con 
acido cloridrico fumi bianchi intensi. La soluzione cloridrica 
evaporata lascia una massa incolora sciropposa, che col cloruro 


(1) Monatsh., 15 (1894), p. 613. 
Atti della R. Accademia — Vol. XLIII 75 


1116 GIOVANNI ISSOGLIO 


di platino dà il cloroplatinato in lamelle giallo-pallide fusibili’ 
a 214°. 

Gr. 0,1560 di cloroplatinato essiccati a 100°'e calcinati la- 
sciarono gr. 0,0438 di platino. 


trovato cale. per C'*H*N?(CH?)?C1.HCL.PtC]* 
E Tae "i —_____ 
Po a URRO CIO 28.22 
Diiodotetrametilato. — Si mettono a reagire: 
Base p. eb. 266°-267° .p. 1 (1 mol.) 
Ioduro di metile » 2 (4 mol.) 


sciolti in 5 p. di alcool metilico; avvenuta la reazione in tubo 
chiuso a. 100° per un'ora. circa, si fa evaporare e si ‘ottiene un 
olio solubile in cloroformio. 

Questo stesso composto si può anche ottenere mescolando 
a temperatura ordinaria le due sostanze accennate senza scio- 
glierle in alcool metilico; anche operando così si ottiene un olio 
denso. Finalmente può aversi aggiungendo nuovo ioduro di me- 
tile al monoiodometilato. 

Ad ogni modo per purificarlo si fa subire alla. soluzione 
cloroformica lo stesso trattamento, che fu, descritto per il mo- 
noiodometilato. 

Per evaporazione del cloroformio si ha una sostanza solida, 
che poi viene cristallizzata dall’alcool metilico, da. cui si depo- 
sita sotto forma di lamelle incolore, monocline, splendenti; che 
fondono a 236°-237°. 

Questa sostanza è solubile negli alcooli etilico e metilico, 
nell'acqua, nell’acetone, dal quale si deposita per evaporazione 
sotto forma di polvere bianca, insolubile in, etere. 

L’etere precipita il iododerivato dalle soluzioni acetoniche, 
cloroformiche ed alcooliche sotto forma. di olio, per cui non si 
può ottenere il iododerivato allo stato puro. 

Per analizzarlo si fanno essiccare le lamelline in stufa 
a 100°-110°. 

Gr. (2156 di sostanza diedero col metodo di Piria; gr. 0,1548 
di Agl. 

Todo trovato 9/0 44.67. 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1117 


Per il diiodotetrametilato ottenuto secofido la seguente 
reazione: 4 


OSH?6N.0SH!N + 4CH*J=2HJ + CSH!5N(CHS)2J.C8H!5N(0H9)?J 


si calcola 44.82 °/, di Iodo. 

Per assicurarmi che esistevano in questo composto quattro 
radicali metiliei ho anche determinato il gruppo metiliminico 
col metodo accennato Herzig-Meyer ed ho trovato — CH 9.23 °/y 
invece del 10.63 °/, come si calcola. 

Questa analisi, benchè non coincida col calcolato, dà come 
molto probabile l'introduzione di quattro radicali metilici nella 
molecola della dipiperidina studiata; non avrebbe gran valore, se 
non fosse accompagnata da quella della percentuale nella quan- 
tità di iodo e se non avessi anche analizzato per questa so- 
stanza il cloroplatinato, che si ottiene dal cloruro del metil- 
idrato. 

Trattando il dijodometilato con ossido di argento umido si 
ottiene in soluzione il fetrametilidrato, che è una base energica 
a sapore amaro ed odore ammoniacale-piperidinico spiccato. Il 
cloridrato, che da questo si ottiene per aggiunta di acido clo- 
ridrico diluito, dà col cloruro di platino un cloroplatinato in 
lamine splendenti giallo ranciate, fusibili a 227°-228°, 


Gr. 0,2945 essiccati a 100° lasciarono gr. 0,0808 di platino 


trovato calcolato per C'6H®N?®(CH?)'C1?, PtC1* 
Pi % 27.46 27.07 


Dallo studio di questi iodometilati risulta che la base da 
me studiata è una base bisecondaria, la quale deriva da una con- 
densazione di due molecole di trimetilpiperidina, ossia che essa 
è molto probabilmente la a'a'tetrametilyy dimetil 88 dipiperidina : 


CH. CH? CH . CH 
A rc 
Be? © “cu_-_H0 i %; CH 
CH* | | a 7/53 
ca cn° eo Te 
6 i de e rob: Gi 
em »_j 07 on? 


NH NH 


4 


1118 GIOVANNI ISSOGLIO 


ed il cl el A e dijodotetrametilderivato sarebbero rispet- 
tivamente i seguenti: 


CH. CH CH . CH? 
ve) 
oil cn —— ad ei 
CH° | | | CH° 
N 2 sc | Val 
cv 1/1 ccp odi e 
vd CH? Na 
Sca pi 
J 


CH. CH CH . CH° 
Lx ZAN 
BC; (0 AI 
cH°_ 'onoltta IE CH? 
20 778 BC E 
SEAT RAT 
N< N< 
N CH? i SCE? 
J J 


Dijodotetrametilderivato (p.f. 236°-237°). 


Come ho già accennato mi fu impossibile determinare la 
posizione del legame, che unisce i due gruppi piperidinici, però 
molto probabilmente questo legame si trova-in 8, come è dis- 
posto nella formola della dipiperidina sovrascritta. 


* 
** 


Non ho trascurato il liquido alcalino per idrato sodico, che 
si separa dall'alcool amilico quando si decompone con acqua 
distillata l’amilato sodico. 

Questa soluzione alcalina ho acidulato a poco a poco con 
acido solforico al 20 °/,; per raffreddamento si deposita molto 
sale di Glauber. Separai il liquido dai cristalli ed evaporai a 
b. m. per. scacciare quasi tutta l’acqua. 

Il residuo ha reazione acida ed è costituito da una miscela 
di solfato di sodio con sostanze organiche, che estrassi trattan- 
dolo a b. m. con tre volte il suo peso di alcool a 95°. 


Fi 
NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1119 


Filtrando ho distillato l’alcool sino a piecolo volume ed 


ho lasciato che continuasse ad evaporare in cristallizzatore nel 


} 
| vuoto sopra l’acido solforico. 
A poco a poco si depositano dei cristalli bianchi, che rac- 
colti vengono purificati per cristallizzazione dall'acqua. Sono 
| piccoli prismi raggruppati, brillanti, duri, che fondono a 123° 
| con effervescenza. Riscaldati in un tubetto sublimano in una 
| sostanza bianca, che non deve essere più uguale a quella pri- 
o mitiva, perchè presenta un punto di fusione alquanto diverso e 
poi perchè la sostanza primitiva appena scaldata al punto di 
fusione sviluppa anidride carbonica. 
| Purificata la sostanza, la sottopongo ad essiccazione in stufa 
— Gay-Lussac a 90°-100°. 
Gr. 0,5508 di sostanza essiccati a 90°-100° perdono gr. 0,0285 
di acqua. 


trovato calcolato per C'°H!"NO?+- '/, H?0 


-——__y—tre— casso 0 /\Si@e__ 


H?20 °% 5.17 5.00 


I. Gr. 0,1130 di sostanza secca a 100° diedero a 7380 4 
ed a 23°.5 cm 8.2 di N. 
II. Gr. 0,1104 di sost. essiccata a 100° diedero gr. 0,0943 
di H?0 e gr. 0,2574 di CO?. 
È 


trovato calcolato per C°H'"NO? 
ti II 
C — 63.47 65.10 
H —_ 9.52 9.95 
N 8.293 — 8.40 


Questa sostanza presenta carattere acido spiccato: gr. 0,2874 
di sostanza richiesero cm? 17.10 di NaOH 


trovato calcolato per C°H!"NO? 


—— P ——" 


NaOH 9% 23.06 23.38 


€ “md 


n 


1120 = GIOVANNI ISSOGLIO 


Probabilmente la sostanza studiata è un nuovo acido trime- | 
tilnipecotinico e precisamente l’acido a'a'dimetilymetilnipecotinico : | 


CH . CH? 


LA 
H*C CH.COOH 
CH? 


Dall’ulteriore trattamento dell’alcool amilico, da cui furono | 
estratte le basi che ho descritto, non ho potuto ottenere so- | 
stanze degne di nota. | 

I residui che si possono ricavare sono costituiti da una || 
miscela di alcooli superiori e di eteri dell’acido isovalerico, la | 
quale si ottiene sempre secondo Guerbet (1) quando si fa agire |} 
il sodio metallico sopra l'alcool amilico. Da questa miscela ho | 
separato una sostanza solida in lamelle lucenti, che fondono | 
a 283° in un liquido bruno. Questa sostanza riscaldata cauta- | 
mente in un tubicino d’assaggio sublima in cristalli, bianchi. | 

Avendola ottenuta in piccola quantità non l’ho potuta | 
analizzare. 


Riassumendo osservo, che mentre il ciantrimetilpiperideone 
è difficilmente ridotto dal sodio, quando si trova in soluzione nel- 
l'alcool etilico bollente, questa sostanza invece si riduce bene | 
adoperando come solvente l’alcool amilico all’ebullizione, ed in 
questo caso si ottengono tre sostanze: 

a) la a'a'dimetilrmetilpiperidina p. eb. 148°; 

b) la essametilBBdipiperidina p. eb. 266°-267° (corr.)a 745 
che deriva dalla trimetilpiperidina per azione condensante del 
sodio metallico ; 

c) l'acido trimetilnipecotinico che deriva dalla completa 
idrogenazione del ciantrimetilpiperideone e dalla saponificazione 
del gruppo nitrilico, che ancora permane attaccato al gruppo 
piridinico. 

Riferisco due tabelle, la prima delle quali mette a con- 
fronto le proprietà della nuova trimetilpiperidina studiata cogli || 


(1) C. R., 128 (1899); p. 511 e 1002. 


NUOVO ISOMERO DELLA CONINA DAL CIANTRIMETILPIPERIDEONE 1121 


isomeri che si conoscono; nella seconda tabella la essametildi- 
piperidina suaccennata è paragonata con alcune dipiperidine 


già note: 


TaseLLa N. I. 


TRIMETILPIPERIDINE 2.2.4 | 3.4.6 (1) Sale) 
Mei vio: i. 0,833 a +150| 0,843 a + 4°/0,859 a +19° 
Punto eboll. a 7.60" 148° 146° 166° 
P. f. cloroplatinato .| 215°-216° 242°-244° | 173° 

s » Cloroaurato 1230-124° 106° 118° 
TaBeLLA N. II. 
E Essametildi- | aRdipiperidina | BR dimetil- 
Nido piperidina (3) yrdipiperidina(4) 
Densità 0,869 a +15° — —- 
Punto eboll. . .... 2669-267° 267°-268° 299°-300° 
P. f. cloroplatinato . 262° 2379-238° 2560-2580 
s » Cloromercurato 270° Tr 210°-211° 
Fai A 230° 215° _ 


Torino, R. Università. Istituto Chim., Farm. e Toss. Maggio 1908. 


(1) Diirkopr, B. 27, p. 2718-2718. 
(2) Warraca et GuirserT, Ann. 329, p. 79. 
(3) Brau, Monatsh., 13, p. 333. 
(4) WacneR et StroERR, l. c. 


1122 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


I cosidetti “ peni ,, dei Criodrilini. 


Ricerche anatomo-istologiche e fisiologiche. 
Nota del Dr. LUIGI COGNETTI DE MARTIIS. 


(Con una Tavola). 


La piccola sottofamiglia dei Criodrilini comprende forme 
grandemente affini ai nostri comuni lombrichi (Lumbricidae s. s.), 
distribuite nei tre generi Sparganophilus, Alma, e Criodrilus (1). 

Tutte quelle che compongono il genere Alma — 7 specie —, 
hanno allo stato adulto, o già prima della comparsa del cli- 
tello, i pori maschili posti “ an der Medialseite eines Paares 
“ grosser, flacher, linglicher, nicht einziehbarer Penes, die mit 
“ Geschlechtsborsten besetzt sind und an der Ventralseite des 19., 
“ seltener des 18. Segm. stehen. ,. È di cotesti “ penes , ch'io 
intendo occuparmi nella presente nota, non già di quegli organi, 
distinti con lo stesso nome da HorrmerstER (12 pag. 41), che si 
osservano in vicinanza dei pori sessuali del Criodrilus lacuum 


Hoffm., e più tardi chiamati più correttamente da OrLEY (19) 
“ spermatophorae ,, e da VempovsKy (20 pag. 57) “ Pseudosper- 
matophore ,. 

Peni simili a quelli di Alma si ritrovano però in Oriodrilus, 
e precisamente nel Cr. Alfari Cogn.; ma in questa specie non 
sorreggono i pori maschili, posti invece presso la loro base, 
come ho ricordato nelle mie descrizioni (7 pag. 4; 8 pag. 64), 
nè portano setole copulatrici (2). 


(1) Per maggiori schiarimenti sulla loro posizione sistematica e la loro 
distribuzione geografica rimando alle ottime monografie di Mric®aELsEN 
(16 pag. 463; 17 pag. 125). La proposta messa innanzi da Dusosce (10 pag. cv), 
“ d’isoler en une modeste sous-famille des Alminae , il gen. Alma, non mi 
pare accettabile, vista la grande affinità di questo genere con gli altri due, 
sopratutto con Criodrilus, come ha dimostrato MiczarLsen (15 pag. 11). 

(2) Nelle descrizioni di questa specie al nome peni sostituii quello più 
appropriato di “appendici laterali ,. Pei peni di Alma MrcHaeLseN usò pure 
(14 pag. 9 e 10; 18 pag. 363) le denominazioni “ Geschlechtslappen , e 
“ Copulationslappen ,. 


I COSIDETTI « PENI » DEI CRIODRILINI 1123 


A che servano questi peni nessuno è in grado di spiegare 
completamente. Levinsen (13), che pel primo (1890) li descrisse e 
figurò pel suo Siphonogaster aegyptiacus (= Alma nilotica Grube), 
pose in chiaro in essi la presenza di numerose ghiandole, e sup- 
pose avessero “ l'ufficio di agire come stimoli durante l’accop- 
“ piamento ,, e, con dubbio, “ l’ ufficio di organi respiratori ,, 
avendo appurato in essi la presenza di un fitto intreccio di vasi 
sanguigni (13 pag. 319 e 320, e tav. 7). Più tardi (1891) BepDARD, 
nella descrizione del suo Siphonogaster millsoni (= Alma m.), 
accolse l’idea di Levinsen “ in believing that they are in all 
“ probability penes ,, considerando, in appoggio a questa ipo- 
tesi, la posizione delle appendici e la presenza su di esse di se- 
tole copulatrici (1 pag. 51), ma non ammise per i peni di A. 
millsoni la funzione respiratoria, viste le loro esigue dimen- 
sioni. 

La prima descrizione accurata dell’ intima struttura dei 
“ peni, devesi a MrcHaeLsen (14 pag. 11), che descrisse quelli del 
suo Stphonogaster Stuhlmanni (= Alma St.) (e rilevò fra altro una 
differente struttura alle due faccie) concludendo all'ipotesi d’una 
funzione erettile per cotesti organi, senza rigettare quella di 
Levinsen ch’essi abbiano pure funzione respiratoria, ma facendo 
però osservare che “ zwingt der Reichtum an Blutgefàssen nicht 
“ zu der Annahme, dass diese Funktion wesentlich sei ,. Un'altra 
descrizione, anche più minuziosa, e corredata di figure, riferì 
BeppaRD (2 pag. 265-267) in seguito allo studio di altri esem- 
plari di Alma millsoni (Bedd.); questo autore mise in chiaro che 
i vasi deferenti penetrano nei peni e s'aprono alla loro super- 
ficie. Quanto all’ufficio dei peni egli “ imagine that they must 
“ perform some other funetion in addition to that of serving as 
“ intromittent organs for the sperm; they are so altogether out 
“ of proportion to the fine canal which perforates them; and 
“ besides, there are no correspondingly large organs to receive 
“them during copulation ,. E aggiunse più avanti “...; in St- 
“ phonogaster, however, the structure of the penis, as well as 
“ its large size, is quite in accord with the view that it may 
“ possibly perform the function of a clitellum ,: quest’ultimo 
organo invero non era noto nelle specie di Alma (= Siphonogaster) 
descritte fino allora. Se poi i peni compiano pure una funzione 
respiratoria BeppARD non escluse, tuttavia ammise un rapporto 


1124 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


fra il grande sviluppo in essi di ghiandole unicellulari e l’abbon- 
danza di capillari sanguigni (1). 

Le stesse considerazioni Bepparp riferì ancora nella sua 
grande monografia degli Oligocheti (1895, 3 pag. 139 e 683). Pochi 
anni dopo (1901) questo medesimo autore segnalò pel primo la 
presenza del clitello in una specie (2) del genere Alma (4 pag. 215 
e 217), onde cadde l’ipotesi precedentemente formulata che i 
peni compissero la funzione di quell’organo; avendo inoltre ri- 
conosciuto che nei peni di questa specie v'è pure un ricco in- 
treccio di capillari sanguigni, “ rich tufts of capillaries  pene- 
“ trating within the epidermis ,, ne concluse che “ there is thus 
“ quite a possibility of the organ serving, as was suggested 
“ by Levinsen, a respiratory function ,. Bepparp riconobbe in- 
fine l’importanza dei tronchi sanguigni che penetrano nei peni. 
(pag. 221). 

Pochi nuovi dati aggiunse DuBosca (10 pag. ci-cm) descri- 
vendo la sua Alma Zébanguii: egli avanzò l’ipotesi provvisoria 
che i peni avessero l'ufficio di formare l’involucro di sperma- 
tofori. 


Nel riprendere lo studio dei peni dei Criodrilini mi proposi 
anzitutto di ripassare con attenzione la loro struttura istolo- 
gica (3) valendomi di due specie, Criodrilus Alfari Cogn. e Alma 
Aloysti Sabaudiae Cogn. (4), delle quali il R. Museo Zoologico 
di Torino possiede un certo numero di esemplari tipi ben con- 
servati in alcool. 

Un punto ancora oscuro era quello riguardante il rapporto 
tra i vasi sanguigni che scorrono nei peni, e il sistema circo- 


(1) Infine merita appena di essere ricordata l'ipotesi dubitativa avan- 
zata da Bepparp, che i peni possano essere “ aberrant and probably para- 
“ sitic Annelids ,. 

(2) Cui diede più tardi il nome di Alma budgetti (5 pag. 222). 

(3) La morfologia esterna dei peni delle varie specie è nota, risultando 
essa, oltrechè dalle descrizioni, anche dalle figure che i varî autori ne hanno 
dato, onde non è il caso di parlarne qui nuovamente. 

(4) Di quest’ultima specie ho pubblicato la diagnosi preliminare (9 pag. 1): 
la descrizione, corredata di figure, comparirà nel volume: destinato ad illu- 
strare il materiale raccolto durante la spedizione di S. A. R. Luigi Amedeo 
di Savoia, Duca degli Abruzzi, alla catena del Ruwenzori. 


I COSIDETTI « PENI » DEI CRIODRILINI 1125 


*latorio centrale (vasi longitudinali e seno intestinale): questo 
potei sciogliere con sufficente sicurezza valendomi di varie serie 
di sezioni esaminate al microscopio. 

Quanto poi alla funzione degli organi in questione nulla di 
decisivo mi è dato di stabilire: soltanto posso fare alcune con- 
siderazioni dedotte dall'esame anatomo-istologico. 


Peni di Alma. 


FORMAZIONE DEI PENI. — Un esemplare immaturo (1) di Alma 
Aloysii Sabaudiae Cogn. mi servì assai bene per comprendere 
in qual modo si formino i peni, che, in questa specie, lunga 
circa 10 a 20 centimetri, possono raggiungere, a completo svi- 
luppo, una lunghezza di 4 centimetri, e una larghezza, nel tratto 
distale laminare, di mm. 4,5 (Tav. fig. 1 e 2). 

All’esame di sezioni longitudinali e trasverse riconobbi fa- 
cilmente le regioni destinate a differenziarsi in peni. 

Sono poste a ciascun lato sul segmento 19° e su circa metà 
di ognuno dei contigui 18° e 20°, in direzione dei fasci di se- 
tole ventrali, che al 18° e 19°, e ancora al 17° mancano della 
setola interna (a); sono limitate all’avanti e all’indietro da un 
breve solco itrasverso (Tav. fig. 3, r.p.). In corrispondenza di 
esse l'epidermide (ep.) non mostra ancora alcuna alterazione 
nell'ordinamento delle cellule, apparendo al tutto simile a quella 
delle altre parti del corpo, ma si fa ben manifesto un forte 
accumulo di elementi connettivi, strettamente avvicinati, posto 
fra l'epidermide e lo strato di muscoli circolari che si mischiano 
in parte con esso. 

Tale accumulo appare in qualchéè tratto isolato dallo strato 
epidermico per opera di spazi di natura schizogenica, attraversati 
da esili briglie pluricellulari. Lo spessore dell'accumulo connetti- 
vale è quasi ovunque pari a 3 0 4 volte quello dell'epidermide; in 
corrispondenza degli intersegmenti !8/,3 e !*/s lo supera di poco. 
Il vaso deferente (». 4.) s'addentra su ciascun lato fino alla massa 


(1) Ho adottato la nomenclatura di Dusosce, il quale considera nelle 
Alma gli stadî: immaturus, senza peni; juvenis, con peni incompletamente 
sviluppati ma senza clitello; maturus con clitello (10 pag. civ). 


1126 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


connettivale ove termina in una piccola cavità chiusa, sottostante» 
all’'epidermide, posta in corrispondenza dell’ intersegmento 18/19. 
La piccola cavità è tappezzata per buon tratto da cellule pic- 
cole, basse, con grosso nucleo ovoide, uninucleolato, simili a 
quelle che rivestono il lume del vaso deferente, e in parte dalle 
cellule epidermiche di cui alcune trovansi a sporgere nel lume 
stesso della cavità. : 

Lo strato di muscoli longitudinali della parete del corpo 
non concorre in alcun modo alla formazione dei peni; esso con- 
serva invariato il suo spessore in corrispondenza della regione 
peniale, ove lo percorrono, diretti secondo assi trasversali del 
corpo, dei sottili zaffi di connettivo, nei quali si scavano i vasi 
sanguigni destinati ai peni (v. sotto). 

A mano a mano che i peni si sviluppano lo stroma con- 
nettivo aumenta, mentre buona parte dei suoi elementi si dif- 
ferenzia ben tosto in fibre muscolari, e si delinea in esso un 
ricco intreccio di vasi capillari, proteso fin contro la base del- 
l'epidermide. Nello stroma connettivo i nuclei in cariocinesi 
sono frequenti (Tav. fig. 4). In esso si notano ancora degli spazîì 
schizogeni (Tav. fig. 13) attraversati da briglie pluricellulari per- 
corse da capillari sanguigni. Le cellule che compongono queste 
briglie hanno ancora in gran parte citoplasma omogeneo, fina- 
mente granuloso (Tav. fig. 4), e son disposte coll’asse maggiore 
normale alle faccie dei peni. 

I vasi sanguigni che penetrano nei peni sono in numero 
di tre per ciascuno di questi organi, come potei già riconoscere 
in un esemplare con peni lunghi appena 2 mm. (Tav. fig. 5): 
dei loro rapporti coi tronchi longitudinali del corpo è fatta pa- 
rola più avanti a pag. 13 e seguenti. 

In peni lunghi 2 mm. sono già nettamente delineati, presso 
la base dell'epidermide della faccia interna o ventrale, i folli- 
coli delle setole copulatrici, costituiti ognuno da un ammasso 
tondeggiante di poche cellule oblunghe, relativamente grosse 
(diam. mass. 20-25 u), di forma concavo-convessa, le quali abbrac- 
ciano la cavità follicolare in cui già trovasi un rudimento di setola 
(l’apice) spesso circa 7 u. Il nucleo voluminoso di tali cellule è 
rotondo (diam. 6 u), assai povero in cromatina, e contiene un grosso 
nucleolo (diam. 2-3 u). I follicoli setigeri non comunicano ancora 
coll’esterno, ma in qualche caso l'epidermide appare lievemente 


reo rr—r——— ’r— ————_ n: 55 


I COSIDETTI « PENI » DEI CRIODRILINI 1127 


infossata sopra di essi. Ancora presso la superficie interna dei 


peni si scorgono nello stroma connettivo, disposti lungo l’asse 
longitudinale mediano dei peni, gli abbozzi dei tubuli ghiando- 
lari destinati ad aprirsi anch'essi alla faccia ventrale, e descritti 
e figurati per la prima volta in Alma millsoni Bedd. da BeppaRD 
(2 pag. 266, 267, e Tav. fig. 19 x), che l’interpretò quali ne- 
fridi. Appaiono come accumuli tondeggianti di cellule stipate 
fra loro, disposte radialmente attorno ad una cavità più o meno 
angusta, a parete non cigliata. Il diametro massimo di tali cel- 
lule è di circa 6 u; il loro nucleo è tondeggiante e occupa quasi 
per intero il corpo cellulare addossandosi alla parete opposta 
alla cavità: vi si scorge un piccolo nucleolo (Tav. fig. 6). A tali 
accumuli tondeggianti cavi che rappresentano il fondo cieco 
dei tubuli ghiandolari, si collegano degli ammassi di cellule si- 
mili alle precedenti, i quali si protendono, ondeggiando, in senso 
trasversale verso all’epidermide: essi formeranno i tratti effe- 
renti dei tubuli, o canali collettori fra tubuli vicini. 

In peni lunghi 2 mm. l’epidermide, a parte i lievi infos- 
samenti destinati a comunicare con i follicoli setigeri, non mostra 
differenze apprezzabili sulle due facce dorsale e ventrale: le 
sue cellule alte hanno mole su per giù uguale, nè sono ancora 
differenziate le lunghe ghiandole unicellulari piriformi che s’os- 
servano alle due facce dei peni più avanzati nello sviluppo. 

I vasi deferenti, che lungo la parete del corpo scorrono 
nascosti nei muscoli longitudinali, fondendosi su ciascun lato 
al 13° segmento, si continuano nella massa connettiva dei peni, 
più prossimi alla faccia ventrale che alla dorsale, e all’incirca 
lungo la linea mediana. Nel suo lume sporgono ciglia vibratili. 


STRUTTURA DEI PENI A COMPLETO sviLuPpo. — Porzione ba- 
sale. — Una sezione condotta trasversalmente per la porzione 
basale di un pene di Alma Aloysii Sabaudiae Cogn., quale è ri- 
prodotta nella fig. 6, lascia vedere assai bene i rapporti fra i 
varì strati di tessuti. Lo strato epidermico alla faccia dorsale 
mostra già frequenti le cellule ghiandolari, lungamente clavate, 
che s’affondano col loro corpo in un doppio straterello di fibre 
muscolari, longitudinali e trasverse, posto sotto l'epidermide; e 
spesso lo attraversano, internandosi fra i potenti fascì musco- 


1128 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


lari longitudinali profondi. Questi lasciano agevolmente ricono- 
scere la loro natura istologica, e appaiono tramezzati e avvolti 
da esilissime lamine connettive. La loro origine va. ricerceata.in 
una quasi totale trasformazione dello stroma connettivo, che 
forma il corpo dei peni giovanissimi, in tessuto muscolare. 

La porzione centrale dei peni è, già alla base, occupata da 
una cavità che corrisponde agli spazì schizogeni già evidentissimi 
nello stroma connettivo iniziale (Tav. fig. 5 e 13). Tale cavità 
è percorsa o tramezzata da briglie più o meno tenui, fatte di 
poche fibre assai allungate, e dirette dalla faccia dorsale alla 
ventrale: inoltre si mantengono in essa. cavità i tre tronchi 
sanguigni principali penetrati nel pene. Questi, fin dalla base, in- 
viano dei vasi capillari, che si distribuiscono nelle varie maglie 
connettive, raggiungendo la base dello strato epidermico, e fa- 
cendosi sempre più sottili (Tav. fig. 7). Il lume della cavità non 
mostra un rivestimento peritoneale, poichè nei peni, come già 
BepDpARD (2 pag. 266) potè riconoscere, non v'è prolungamento 
celomico. 

Porzione distale laminare. — Una differenza strutturale delle 
due facce dei peni venne già riconosciuta anzitutto da. MicHAELSEN 
(14 pag. 11), come ho ricordato sopra; Bepparp (2: pag. 265-267), 
ne diede una descrizione più particolareggiata. In base a questa 
ultima, e a quella meno diffusa di DuBosco (10 pag. c1), ag- 
giungo qui alcuni nuovi dati. 

La parte laminare dei peni mostra, a completo enna più 
scarsi gli elementi muscolari che non la. parte sottile, subcilin- 
drica, in cui essa si continua per attaccarsi alla. parete del 
corpo: ciò riconobbi agevolmente in Alma Aloysiù Sabaudiae. 
Persistono però sempre: «) lo straterello doppio subepidermico 
di fibre longitudinali e trasverse (Tav. fig. 7-10, f.le f.t.), 
che agisce verosimilmente come un muscolo pellicciaio ; 5) i fasci 
muscolari longitudinali, a fibre lasse, ridotti però alquanto in 
volume rispetto a quelli della porzione basale dei: peni; c) le 
briglie sottili, qui distintamente muscolari, dirette dall'una’ al- 
l’altra pagina del pene. 

Queste ultime appaiono costituite da uno o pochi elementi 
connettivi, straordinariamente allungati, in ognuno dei quali‘ si 
differenzia una fibra muscolare liscia, nastriforme, pure allunga- 
tissima, tinta in rosa dall’eosina, mentre il citoplasma, finamente 


I COSIDETTI « PENI » DEI CRIODRILINT 1129 


granuloso; in cui s'alloga il nucleo; forma un rivestimento, più 
o meno visibile, attorno alla fibra stessa (Tav. fig. 10 f. d. ».). 
Ufficio di queste fibre dorso-ventrali è verosimilmente quello di 
favorire l'emissione all’esterno dei prodotti secretorî preparati 
dai copiosissimi elementi ghiandolari che stanno in rapporto col- 
l'epidermide della pagina inferiore (Tav. fig. 12). I fascî musco- 
lari longitudinali presiedono alla contrazione, limitata; dei peni. 

A tutto il sistema muscolare s’interpongono numerosi ele- 
menti connettivi di forma sempre allungata, spesso ramificati, 
con citoplasma finamente granuloso, e nucleo con molti minuti 
granuli di cromatina sparsi irregolarmente e disposto in una 
‘dilatazione della. cellula. Questi elementi connettivi formano un 
esilissimo reticolato di sostegno fra il sistema muscolare e gli 
ammassi di cellule ghiandolari: di più servono a dar pas- 
saggio ai vasi capillari, il cui lume è intracellulare (Tav. fig. 11, 
fra: 

Vanno ricordati infine sottili fascî muscolari che si. diri- 
gono dai follicoli delle setole peniali (corrispondenti alle ventose) 
(Tav. fig. 2) alla parete dorsale e ventrale del pene: essi fun- 
gono come muscoli motori delle setole. 

Negli ampî spazîì schizogeni dei peni non mi fu dato di 
scorgere dei linfociti. 

Già alla porzione basale subcilindrica dei peni a completo 
sviluppo si scorgono presso l'epidermide della. faccia. dorsale 
delle grosse cellule ghiandolari, lungamente clavate, che spor- 
gono più o meno nelle, masse muscolari con la. parte. rigonfia, 
mentre la parte sottile s’interpone alle cellule epidermiche di 
rivestimento per sboccare all’esterno (Tav. fig. 6). Tali cellule 
si fanno anche più copiose nella. porzione laminare dei peni, 
ove, sono non di rado riunite in gruppi di 2 o 3, serbando tut- 
tavia ognuna uno;sbocco indipendente alla superficie dell’epi- 
dermide. Se ne può facilmente seguire lo sviluppo nelle sezioni. 
Appaiono dapprima alte come le cellule epidermiche. di rivesti- 
mento (12 u), ma già caratterizzate dalla forma a clava e dal 
citoplasma fittamente spugnoso ed assai colorabile dell’emal- 
lume acido; privo o quasi di granuli; il nucleo, spesso circa 
5 4, si dispone, e si mantiene anche in seguito, nell’estreniità ri- 
gonfia; esso mostra la cromatina accumulata specialmente contro 
la membrana (Tav. fig. 7, c. 9h.). A mano a mano che s'allun- 


1130 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


gano coteste cellule ghiandolari della faccia dorsale mostrano, 
dapprima scarso e poi più copioso, il loro prodotto caratteri- 
stico di escrezione, destinato ad essere emesso: questo è in 
forma di grossi granuli (circa 1u o meno) che l’alcool e il xilolo 
non sciolgono, e l’emallume acido colora intensamente in bleu 
cupo (Tav. fig. 9 e 10, c. 9h.). j 

La quantità maggiore di granuli s’osserva nelle cellule 
completamente sviluppate, alte cioè da 80 a 120 u: e non è 
raro vederne molti allineati lungo la parte sottile diretta alla 
superficie dell’epidermide. 

Straordinariamente più abbondante è nel complesso il si- 
stema ghiandolare che sta in rapporto coll’epidermide della ‘ 
faccia ventrale. Esso è distinto in due tipi diversi per aspetto 
e per origine. Il tipo che prevale, ed è sparso in tutta la re- 
gione ventrale del pene, alla sola porzione dilatata, consta di 
ammassi di cellule lungamente clavate, che raggiungono spesso 
col loro corpo le cavità schizogene dell’organo, o s’internano 
fra i fascì muscolari longitudinali profondi rimanendo compresse 
l’una contro l’altra (Tav. fig. 12). 

Tali accumuli di cellule ghiandolari sono avvolti e tratte- 
nuti da fibre connettive, e irrorati da capillari sanguigni. Le 
cellule che li compongono sono simili per forma alle ghiandole 
unicellulari della faccia dorsale, ma le superano assai in dimen- 
sioni, potendo misurare, a completo sviluppo, fino a circa 250 pu in 
altezza. Inoltre il loro contenuto consta di un citoplasma esat- 
tamente spugnoso, percorso da ampi tubuli intracellulari desti- 
nati a raccogliere e guidar fuori il prodotto di escrezione, ma 
privo di granuli simili a quelli delle ghiandole unicellulari della 
faccia dorsale. (Tav. fig. 11, ec. gh.). Il nucleo, anche qui collo- 
cato nella parte dilatata, prossimale, della cellula, è povero in 
cromatina, addossata alla membrana, e contiene presso il centro 
un grosso granulo pure colorato dall’emallume acido (? nucleolo). 
Il nucleo è trattenuto da fine briglie citoplasmatiche. Anche 
queste cellule serbano ognuna il proprio sbocco indipendente 
all’esterno: i loro accumuli sono molto maggiori in corrispon- 
denza dei follicoli delle setole peniali che altrove (Tav. fig. 12, s). 
Questo tipo di sistema escretore venne già sommariamente de- 
scritto e figurato da BepparD (2 pag. 765, fig. 19 e 22) per la 
sua Alma millsoni. 


I COSIDETTI < PENI » DEI CRIODRILINI 1131 


Il secondo tipo di sistema ghiandolare della faccia ventrale 
dei peni è formato da ghiandole tubulose pluricellulari, disposte 
soltanto lungo la linea mediana della porzione dilatata, fino a 
poca distanza dall’apice. Anche queste descrisse e figurò BeDDARD 
(2 pag. 266, 267; fig. 19, n.) chiamandole “ nephridia ,. Tali 
ghiandole tubolose s’originano nel connettivo primario dei peni 
come cavità chiuse che poi s'anastomizzano fra loro parzial- 
mente, mentre si forma un condotto escretore comune a più 
tubuli, aperto fra le cellule epidermiche alla superficie esterna 
(Tav. fig. 14). I tubuli singoli sono a fondo cieco. Esaminandoli 
in sezione trasversa potei convincermi che il loro lume è inter- 
cellulare anzichè intracellulare com'è ricordato da BeDpDARD 
(2 pag. 266); le cellule limitanti hanno citoplasma finamente 
reticolato, privo di granuli, più denso alla superficie contigua al 
lume, e mancano affatto di ciglia vibratili: il loro nucleo, ton- 
deggiante, è povero di cromatina, e contiene un granulo sub- 
centrale intensamente tinto dall’emallume acido (Tav. fig. 6 e 15). 
Nel lume dei tubuli si scorge spesso accumulato il prodotto di 
secrezione sotto forma di granuli giallicci, non tinti nè dall’e- 
mallume acido nè dall’eosina, insolubili in alcool e in xilolo. 

Là dove i tubuli attraversano lo straterello di fibre musco- 
lari subepidermico (pellicciaio) trovai talora i tubuli stessi in 
parte abbracciati da elementi muscolari (fig. 14, n.) destinati 
verosimilmente a fungere come costrittori. Verso l’interno i 
tubuli si protendono fra i fascî muscolari longitudinali profondi, 
fino a sporgere talora negli ampi spazî schizogeni ove sono 
trattenuti da esili fibre connettive, e rasentati dai vasi capillari 
(Tav. fig. 15, f. c. ca.). Per la struttura e l'assenza di ciglia 
nel lume, coteste ghiandole a tubo si distinguono nettamente 
dai tubuli nefridiani, che d’altronde non penetrano nei peni. 

Il vaso deferente, anche nella parte laminare del pene, 
scorre contiguo alla pagina inferiore: la sua apertura all’esterno 
non è unica, bensì l'epidermide si introflette in più punti per 
far comunicare coll’esterno il lume del vaso stesso (Tav. fig. 16, 
Pd. d). 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 75 


1132 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


Peni di Criodrilus. 


I caratteri istologici qui sopra indicati pei peni completa- 
mente sviluppati di Alma Aloysii. Sabaudiae possono in com- 
plesso riferirsi anche ai peni di Criodrilus Alfari. In questi 
ultimi va però tenuto conto che mancano: a) il canale deferente; 
6) le setole peniali; c) le ghiandole pluricellulari a tubo. Inoltre 
gli elementi ghiandolari piriformi sboccanti sulla pagina ven- 
trale formano degli aggruppamenti meno distinti, e lo stroma 
connettivo profondo è ancora alquanto sviluppato, onde più 
angusti risultano gli spazì schizogeni nell’interno dei peni. 


Apparato circolatorio dei peni. 


(V.la figura nel testo a pag. 16). 


Bepparp soltanto (2 pag. 266) ha precisato il numero dei 
vasi sanguigni principali che penetrano in ogni pene di Alma: 
“one particularly large trunk runs along the whole length; 
besides this there are two smaller longitudinal vessels. All 
these send off branches which ramify in the walls of the 
penis ,. Questo per Alma millsoni, mentre in A. budgetti lo 
stesso BeppARD (4 pag. 221), trovò “ a pair of strong longitu- 
“ dinally running blood-vessels ,. 

In Alma Aloysii Sabaudiae, come ho già detto sopra, si ad- 
dentrano, in ogni pene, appunto tre tronchi sanguigni (Tav. fig. 7). 
Questi hanno tutti parete muscolare costituita di due strati: 
a) profondo, fatto di cellule con fibrille muscolari trasverse 
rispetto all'asse del vaso, e nucleo sporgente nel lume del vaso 
medesimo, avvolto da piccola massa citoplasmatica; 5) perife- 
rico, fatto di fibre muscolari longitudinali. 

I due strati muscolari si conservano nelle principali rami- 
| ficazioni dei tre tronchi; i vasi capillari hanno lume intracel- 
lulare. 

Dei tre tronchi trovai in un esemplare assai più ampio 
quello anteriore, più prossimo alla linea mediana ventrale lon- 
gitudinale del corpo; il secondo tronco mostra calibro minore, 
ma ha parete più spessa, il che va forse ascritto a uno stato 


“ 


an eee Ole 
Ù 


I COSIDETTI « PENI » DEI CRIODRILINI 1183 


di sistole; il terzo tronco, o posteriore, ha lume più angusto e 
parete sottile (Tav. fig. 7). 

I tre tronchi decorrono nei peni frammezzo allo stroma 
connettivo profondo, ove danno luogo alle principali ramifica- 
zioni che s’'internano e si suddividono fra le masse ghiandolari 
e muscolari. 

Abbondanti vasi capillari si trovano fin contro la base delle 
cellule epidermiche. 

Il tronco anteriore, segnato col numero 1 nelle figure 7 e 10, 
si accompagna nel suo decorso col vaso deferente che gli sot- 
tostà intimamente collegato. 

In che rapporto stanno i tre tronchi dei peni di Alma Aloisti 
Sabaudiae con i tronchi longitudinali del corpo ? 

Nel tentare la soluzione di questo quesito fui indotto a 
esaminare il complesso dei vasi sanguigni principali della re- 
gione che segue ai segmenti gonadiali, ove appunto sono posti 
i peni. 

Non è mia intenzione descrivere qui cotesto complesso di 
vasi sanguigni: ciò uscirebbe dai limiti di questa nota. Ricordo 
soltanto i dati che hanno maggior attinenza con la vascolariz- 
zazione dei peni. 

Ai segmenti 13°, 14° e 15° rispettivamente v'è un paio di 
tenui vasi intestino-tegumentali, simili per disposizione a quelli 
descritti e figurati da Bourne (6 pag. 70, 71, e Tav. 8, fig. 4, 
e fig. 7, L T.), con radice intestinale almeno doppia; essi si 
ramificano in ogni direzione nella parete del corpo. Al seg- 
mento 16° i vasi intestino-tegumentali hanno radice doppia, ma 
sono più grossi di quelli dei segmenti anteriori; essi raggiun- 
gono le pareti laterali-inferiori del corpo e si riflettono all’in- 
dietro a formare due importanti tronchi pari parietali. 
Questi hanno parete esile, e sono estesi per i segmenti 17°, 
18°, 19°, 20°, 21°, ove ricevono rispettivamente un paio di vasi 
provenienti dal seno sanguigno intestinale, corrispondenti a 
quelli intestino-tegumentali del 16°, mentre in ciascuno di questi 


. segmenti, compreso il 16°, inviano due rami: uno diretto dor- 


salmente, l’altro ventralmente ad affondarsi e ramificarsi nella 
parete del corpo, e ancora un ramo (o più ?) ai nefridì. Cia- 
scuno dei segmenti 13°-22° e oltre contiene un paio di vasi 
dorso-parietali e ventrali-parietali. V'è pure in ogni segmento 


1134 LUIGI COGNETTI DE MARTIIS 


comunicazione tra il seno sanguigno intestinale e i vasi dorsale 
e ventrale. 

I due tronchi pari parietali nel 21° segmento si ripiegano 
ventralmente scorrendo contro la parete del corpo, fino a fon- 
dersi, nel 22°, sotto la catena gangliare ventrale per formare 
un vaso sottonerveo. 

Nei peni entrano, cominciando dall’avanti: 1° un paio di 
vasi ventrali-parietali originati dal vaso ventrale nel 18° seg- 
mento; 2° un paio di vasi derivati nel 19° dai tronchi paripa- 
rietali; 3° un paio di vasi derivati dai ventro-parietali prove- 
nienti dal vaso ventrale nel 19° segmento. 

Verosimilmente penetrano pure nei peni dei sottili rami 
derivati per suddivisione dei vasi dorso-parietali del 19° (e del 
18° e 20°). 

Quanto alla direzione del corso sanguigno nei tre tronchi 
longitudinali dei peni non posso naturalmente che formulare 
un'ipotesi. 

Il sangue entrerebbe in ogni pene per mezzo dei due vasi 
ventrali-parietali, verrebbe in seguito raccolto attraverso ai ca- 
pillari nel vaso che sbocca nel tronco parietale, e da questo 
condotto nel seno sanguigno intestinale. 

Tale ipotesi s'accorda con la teoria espressa da Bourne 
(6, pag. 77 e 78) pel Megascolex coeruleus Templ., e con quella 
espressa da HarrINeron (11 pag. 155, e fig. 10 Lumbricus a 
pag. 153) per Lumbricus (1) per la circolazione tegumentale. 

Il vaso sottonerveo raccoglierebbe in Alma Aloysit Sabau- 
diae sangue destinato al seno sanguigno intestinale passando 
per i due tronchi pari parietali, nei quali si versa pure sangue 
proveniente dal tegumento dei segmenti 16°-21°. 

La figura alla pagina seguente rappresenta in schema i 
rapporti che i tre tronchi sanguigni peniali hanno col vaso ven- 
trale e coi tronchi pari parietali. 

I peni di Alma Al. Sab. non mostrano dunque nella va- 
scolarizzazione nulla di essenzialmente diverso da ciò che s’os- 
serva nei segmenti viciniori per la parete del corpo. Notisi però 


(1) Noto la contraddizione fra quanto è scritto a pag. 155 del lavoro 
di Harrineron riguardo alla direzione del sangue nei vasi ventro-tegumen- 
tali e le frecce nere segnate accanto a questi nella fig. 2 della Tavola 6. 


I COSIDETTI « PENI » DEI CRIODRILINI 1135 


che mentre i singoli segmenti contengono un paio di vasi ventro- 
tegumentali, i peni ne contengono invece due; ma ciò perchè 
i peni stessi sono modificazioni del tegumento, oltrechè del 
19° segmento, anche di quello di una parte posteriore del 18°, 
e di una parte anteriore del 20°: ora è appunto alla parte an- 
teriore di ogni segmento che giungono alla parete del corpo i 
vasi ventro-tegumentali, cosicchè quelli del 20° mandano un 
prolungamento dentro ai peni. 


Schema dei rapporti circolatorì intestino-tegumentali e ventro-tegumentali 
dei peni e regioni attigue in Alma Aloysii Sabaudiae Cogn. (n=ca- 
tena gangliare ventrale; s= seno intestinale; vv= vaso ventrale; 
v. s.n.= vaso sottonerveo; i numeri corrispondono ai segmenti, le 
frecce indicano la corrente del sangue. E segnato in nero il sistema 
intestino-tegumentale). 


Riguardo alla funzione respiratoria ritengo che i peni non 
abbiano importanza molto maggiore dell'epidermide e sottostante 
connettivo delle altre regioni del corpo; l'assenza dei peni nei 
giovani individui suggerisce a priori questa opinione. 

La funzione peculiare cui sono destinati si connette, credo, 
alla copulazione, e forse, come suggerì DuBosco (10 pag. cr-cm), 
alla formazione dell'involucro degli spermatofori. 


Pel Criodrilus Alfari Cogn. valgano le stesse considerazioni ; 
tuttavia non mi fu possibile precisare in che rapporti siano 
coi tronchi principali del corpo e col seno sanguigno intestinale 
i vasi sanguigni che scorrono nei suoi peni, giacchè cotesti vasi 
sono già suddivisi al loro ingresso nei peni medesimi, ed è 
assai difficile seguirne il decorso coll’esame delle sezioni in serie. 


1196 LUIGI COGNETTI DE MARTIS 


OPERE CITATE 


(1) Bepparp Fr. E., 1891 — On an Earthworm of the Genus Siphonogaster 
from West Africa, in: Proc. Zool. Soc. London 1891, 

(2) In., 1893 — 7wo New Genera and some New Species of Earthworms, in: 
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(3) In., 1895 — A Monograph of the order of Oligochaeta. Clarendon, Oxford. 

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(5) In., 1903 — On a new Genus and two new Species of Earthworms of the 
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(8) In., 1906 — Gli Oligocheti della regione neotropicale, in: Mem. R. Acc. 
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(9) In., 1906 — Un nuovo Oligochete Criodrilino, in: Boll. Mus. Zool. Torino, 
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(12) Horrmeister W., 1845 — Die bis jetzt bekannten Arten aus der Familie 
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(13) Levinsen G. M. R., 1890 — Om to nye Regnormslaegter fra Aegypten, 
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(14) MrcnarLsen W., 1892 — Beschreibung der von Herrn Dr. Fr. Stuhlmann 
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(15) In., 1895 — Zur Kenntnis der Oligochaeten, in: Abhandlgn. Naturwiss. 
Ver. Hamburg, vol. 13. 

(16) In., 1900 — O%gochaeta, in: Das Tierreich, Lief. 10. 

(17) In., 1903 — Die geographische Verbreitung der Oligochaeten. Berlin, 


Friedlinder. 
(18) Ip., 1905 — Die Oligochiten Deutsch-Ostafrikas, in: Z. f. wiss. Zool., 
vol. 82. 


(19) OrLEY L., 1881 — A palaearktikus òrben élò terrikoldk nak revisibja és 
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Budapest. 

(20) Veipovsy Fr., 1884 — System und Morphologie der Oligochaeten. Praga- 
Rivnac. 


L.( ‘ognetti de Martiis dis. 


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1 COSIDETTI « FENI > DEI CRIODRILINI 1137 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Alma Aloysii Sabaudiae Cogn. 


. Tratto anteriore dell'animale, in grandezza naturale, per mostrare 


la grandezza dei peni a completo sviluppo. 


. Pene sinistro, visto dalla sua faccia interna o ventrale (nella figura 


precedente esso è visto dalla faccia esterna o dorsale), la crocetta 
indica la posizione dei pori masch.; X circa 6. 


. Sezione longitudinale della parete del corpo di un giovane esem- 


plare, passante per la regione in cui si svilupperà il pene; X 42. 


. Briglia connettiva profonda di un pene lungo 2 mm.; X.715. 
. Sezione longitudinale della parete del corpo di un giovane esem- 


plare con peni lunghi 2 mm., passante per la base di un pene, 
onde mostrare i due tronchi sanguigni che si insinuano in questo; 


X 881. 


. Sezione dell’abbozzo d’una ghiandola a tubo circondato da tessuto 


connettivo-compatto; X 715. 


. Sezione della base di un pene (sinistro) completamente sviluppato: 


i tronchi sanguigni sono numerati procedendo dall’avanti all’in- 
dietro, la freccia corrispondendo all'asse longitudinale del corpo 
dell'animale; X 38. 


. Sezione del tegumento della pagina dorsale di un pene completa- 


mente sviluppato passante per una ghiandola unicellulare in via 
di formazione; X 715. 


. Id. id. passante per una ghiandola unicellulare più avanzata nello 


sviluppo; X 715. 


. ld. id. passante per una ghiandola unicellulare del tutto svilup- 


pata e funzionante; X 715. 


. Sezione dorso-ventrale dell’interno della porzione laminare di un 


pene, onde mostrare un ammasso delle cellule ghiandolari sboc- 
canti alla pagina ventrale, intercalato a due fascetti muscolari di- 
retti dalla pagina dorsale (in alto) alla ventrale; X 715. 


. Sezione trasversa della porzione laminare di un pene a completo 


sviluppo (sono omesse le ghiandole tubulose della pagina inferiore 
o ventrale): la freccia e i numeri dei vasi sanguigni come in fi- 
gura 7; X 48. 

Sezione trasv. della porzione laminare di un pene lungo 2mm.; X 48. 
Sezione, parallela a quella rappresentata nella fig. 11, passante per 
una ghiandola tubulosa della pagina inferiore di un pene del tutto 
sviluppata; X 480. 

Sezione trasversa di una ghiandola tubulosa; “X 715. 

Sezione longitudinale mediana della pagina inferiore di un pene 
a completo sviluppo per mostrare la serie dei pori maschili (9); X 48. 


Le figure 4, 6, 8, 9, 10 e 15 sono state disegnate coll’obbiettivo Koristka 
!/,; imm. omog. e l’oculare compensatore 4. 


ABBREVIAZIONI. — ca. = capillari sanguigni; c. gh. = cellule ghiandolari; 
cu.= cuticola; ep. = epidermide, rivestita da esilissima cuticola; f.c.=fibre 
connettive; f.d.v.= fibre muscolari dorso-ventrali; f..= fibre muscolari 
longitudinali; f.#. = fibre muscolari trasverse; m.= cellula muscolare; 
m.c.= muscoli circolari; m./.= muscoli longitudinali; ».p.= regione pe- 
niale; s.=orifizio di follicolo setigero; s.i.=solco intersegmentale; v.d.="vaso 
deferente. i 


1138 EDOARDO ZAVATTARI 


Materiali per lo studio dell'osso ioide dei Sauri. 


Nota del Dott. EDOARDO ZAVATTARI. 


(Con una Tavola). 


Nell’eseguire una serie di ricerche sui muscoli ioidei e lin- 
guali dei Sauri, ricerche che verranno quanto prima pubblicate, 
la mia attenzione dovette, come era naturale, essere rivolta in- 
nanzi tutto all’ apparato ioideo, la cui conoscenza, per essere 
l'osso ioide il centro di tale sistema muscolare, che su di esso 
prende la sua base d’inserzione, mi era indispensabile per bene 
interpretare l'esatta posizione ed i reciproci rapporti dei sin- 
goli fasci. 

Essendomi quindi risultato che i dati sull'argomento sono 
oltremodo scarsi, come nota anche GaAuPP (11), colle parole- 
“ Die Literatur iiber das Zungenbein der Saurier ist klein ,, ò 
reputato non essere privo d'interesse il pubblicare le osserva- 
zioni che è potuto raccogliere, figurando il ioide delle specie 
più importanti da me esaminate. 

E ciò mi parve tanto più necessario, .in quanto che i di- 
segni dati da Cope [(5)-(6)],i cui lavori sono i più completi ri- 
spetto al numero delle specie rappresentate, non sono affatto 
esatti; come si può ad esempio verificare, comparando la figura 
da lui data dell’ ioide dell’ Anguis fragilis [(5), P1. IV, fig. 21] 
con quella della stessa specie riportata da WALTER [(21), Taf. I, 
fig. Anguis fragilis], rispondente quest’ ultima al vero; oppure 
quella da me disegnata del Chalcides (Gongylus) ocellatus (Fig. 18) 
con quella corrispondente di Cope [(5), PI. V, fig. 32)], nella quale 
manca il secondo paio delle corna branchiali. Ne risulta quindi 
come conseguenza assai importante, che noi non potremo fare 
alcun affidamento nè delle asserzioni, nè delle figure di Cope, 
qualora vorremo, servendoci di tali dati, procedere ad uno 
studio della morfologia del ioide dei Sauri. 

Le specie da me esaminate sono elencate secondo la clas- 
sificazione adottata da BouLENGER per il Catalogue of the Lizards 
in the British Museum, 1885, e sono le seguenti : 


MATERIALI PER LO STUDIO DELL'OSSO IOIDE DEI SAURI 11359 


Fam. Agamidae, 


Calotes cristatellus Kuhl. 

è Agama stellio Lin. 
Liolepis belli Gray. 
Uromastix achantinurus Bell. 


Fam. Iguanidae. 


Basiliscus americanus Laur. 
Tropidurus torquatus Wied, 
Iguana tubercolata Laur. 
Ctenosaura achantura Shaw. 
Phrynosoma cornutum Harl. 


Fam. Varanidae. 


Varanus griseus Daud. 


Fam. Lacertidae. 


Lacerta ocellata Daud. 
Algiroides fitzingeri Wiegm. 


Fam. Scincidae. 


Trachysaurus rugosus Gray. 
Egernia cunninghamii Gray. 
Macroscincus coctaei D. B. 
Mabuia multifasciata Kuhl. 
Eumeces schneideri Daud. 
" Chalcides ocellatus Forsk. 
Chalcides tridactylus Laur. 


Il sistema ioideo dei Sauri si presenta costituito di una 
porzione centrale: il corpo del ioide [corpus ossis Ayoidei (GAUPP), 
basihkyal (Cope), copula (WaALTER)|, il quale in avanti si continua 
in un prolungamento: il processo entoglosso [ processus entoglossus 
seu lingualis (GAuPP), glossohyal (Cope), entoglosson (WALTER)], e 
che lateralmente è connesso con tre paia di corna: il corno iale 
[cornu hyale (GauPP), hypohyal e ceratohyal (Corr), hyoidbogen 


1140 EDOARDO ZAVATTARI 


(WaLrER)], il primo corno branchiale [cornu branchiale primum 
(GauPP), first ceratobranchial (Core), keratobranchiale (WALTER)], 
ed il secondo corno branchiale [cornu branchiale secundum (GAUPP), 
second ceratobranchial (Cope), keratobranchiale (W ALTER)]. 

La forma di queste diverse parti varia notevolmente nelle 
diverse famiglie e si conserva abbastanza costante in ciascuna 
di esse. In tutte le specie da me esaminate il primo paio di 
corna branchiali è ossificato, ad eccezione della sua porzione più 
estrema la quale è cartilaginea. Questo corno è sempre mobile 
sul corpo; vi è una vera articolazione fra corpo e corno, in- 
fatti quest’ultimo termina normalmente in una specie di testa 
articolare tondeggiante, la quale è contenuta in una corrispon- 
dente escavazione del corpo ioideo. Generalmente non vi è una 
cavità articolare, non vi è una vera capsula, non vi à una 
grande mobilità, ma abbiamo piuttosto una specie di anfiar- 
trosi; in alcune specie tuttavia incontriamo una vera diartrosi. 
Così nel Varanus griseus Daud. se sezioniamo longitudinalmente 
la regione d’incontro del corpo col primo corno branchiale, 
riscontriamo le caratteristiche seguenti: La diafisi si presenta 
ossificata con un canale midollare centrale, e colle estremità 
formate da tessuto spugnoso; al suo estremo anteriore o cen- 
trale è accollata l’epifisi, ben individualizzata e distinta dalla 
diafisi, di forma cuboidale, con la superficie articolare sferoi- 
dale ricoperta di uno strato di cartilagine. Da parte del corpo 
del ioide, il quale è cartilagineo, abbiamo una cavità cotiloidea 
nella quale è contenuta la testa articolare. Fra le due super- 
ficie è compresa una cavità abbastanza ampia, all’ intorno i 
due capi articolari sono riuniti da una capsula fibrosa; risulta 
quindi che in questo caso siamo in presenza di una vera enar- 
trosi, per cui i movimenti del primo corno branchiale sul corpo 
devono essere assai ampi. Il corno iale in alcune specie è mo- 
bile sul corpo, ma in questo caso non si tratta di vera artico- 
lazione, non abbiamo nè superficie, nè cavità articolari, ma sem- 
plicemente una lieve mobilità delle due parti fra di loro. 

Negli Agamidi troviamo due forme assai distinte. In alcuni 
generi, come Calotes (fig. 1), Agama |(fig. 2); vedi anche CALORI (3), 
Tav.I],il corpo si presenta molto ridotto, di forma quasi trian- 
golare, e si continua subito nelle corna che da esso si stac- 
cano; il processo entoglosso è un’ampia base, le corna bran- 


MATERIALI PER LO STUDIO DELL'OSSO IOIDE DEI SAURI 1141 


chiali del secondo paio originano vicinissime l’una all’altra in 
modo da simulare quasi un unico processo; in altri generi, so- 
pratutto nell’Uromastix [(fig. 4); vedi pure Carori (2), tav. II], 
il corpo è allungato in senso trasversale, il processo entoglosso 
si presenta di una larghezza uniforme, le seconde corna bran- 
chiali originano molto distanti, agli estremi del corpo. Fra questi 
due tipi, troviamo il ioide del Liolepis belli Gray (fig. 3) nel 
quale si riscontra una disposizione intermedia, il corpo è ancora 
triangolare, ma le corna branchiali del secondo paio si staccano 
già più indipendentemente l'una dall’altra, senza essere così lon- 
tane come nell’ Uromastir. In tutta questa famiglia il corpo e 
tutte le altre parti del ioide, ad eccezione del primo corno 
branchiale, sono cartilaginee. 

Negli Iguanidi la disposizione è assai differente. Nel Phryno- 
soma [(fig. 9); vedi anche CaLori (4), Tav. II] il ioide presenta 
un corpo tozzo, quadrangolare, con alcuni punti di ossificazione 
nel suo interno; il corno iale, ripiegato su se stesso, contiene 
pure un’asticciuola ossea in quasi tutta la sua lunghezza; le 
prime corna branchiali sono ossificate, piatte, allargate, rugose; 
quelle del secondo paio si staccano dal corpo assai lontane fra 
di loro e sono piuttosto brevi. Nelle altre specie il corpo è 
ancora triangolare, ed assai ridotto, il processo entoglosso è 
lungo ed esile, le corna branchiali del secondo paio originano 
vicinissime fra di loro e sono oltremodo allungate, sopratutto 
nell’Iguana tubercolata (fig. 7), e ciò è in rapporto collo sviluppo 
del bargiglio sottomentoniero proprio a questa specie, nella quale 
le due corna branchiali seconde accollate insieme decorrono dal- 
l’avanti all'indietro del bargiglio lungo il suo margine ante- 
riore libero. Inoltre, in questa stessa specie, tanto il corno iale 
quanto il primo branchiale sono, verso le loro estremità, ripie- 
gati ad angolo, e non diritti come è figurato da Cuvier [(8), 
PI. 245, fig. 4], Cope [(5), PI. IV, fig. 20] ed Horrmanx [(13), 
Taf. LXXII, fig. 6], i quali ultimi riportano la figura di CuviER. 
Nel Basiliscus (fig. 5), nel Tropidurus (fig. 6), e nella Cteno- 
saura (fig. 8), la porzione discendente del corno iale (ceratohyal 
di Cope) si presenta allargata o prolungata internamente in 
una lamella di forma e grandezza varia nelle differenti specie. 
Anche in questa famiglia solo le prime corna branchiali sono 
ossificate, tutte le altre parti sono cartilaginee; però, come ho 


n 
d 


1142 EDOARDO ZAVATTARI 


detto più in alto, nel Phrynosoma vi sono punti ossificati nel 
corpo e nel corno iale. 

Il genere Varanus presenta una disposizione tutt’ affatto 
caratteristica (fig. 10). Il corpo è allungato, lineare, il processo 
entoglosso ‘è notevolmente sviluppato, manca il secondo paio 
delle corna branchiali, il primo corno branchiale è ossificato e 
perfettamente articolato sul corpo. Il corno iale è suddiviso in 
due porzioni distinte e presenta una forma molto curiosa: la 
porzione ascendente (4ypohyal di Cope) è dapprima allargata 
all’esterno, successivamente arcuata e nuovamente allargata, la 
seconda porzione (ceratohyal di Cope) staccata dalla prima, è solo 
contigua al capo libero di quest’ultima mediante un suo estremo 
alquanto allargato, poi essa è ricurva in senso inverso alla 
curva dell’altro tratto, ed infine nella sua porzione terminale si 
fa dapprima laminare e successivamente appuntita. 

Nei generi Lacerta (fig.11) ed Algiroides (fig. 12) troviamo 
una disposizione molto simile a quella che incontreremo nel 
gruppo successivo ; il corpo quivi è ristretto, triangolare, pro- 
lungato quasi insensibilmente nel processo entoglosso che è 
lungo ed assai esile. Le seconde corna branchiali originano al- 
quanto distanti l'una dall'altra, coi loro margini interni e con 
il margine posteriore del corpo ioideo determinano una linea 
curva a concavità posteriore. Le prime corna branchiali sono 
ossificate coll’ estremo libero cartilagineo, articolate sul corpo. 
Il corno iale è pure leggermente mobile sul corpo stesso, esso 
è costituito da un tratto trasversale alquanto ascendente, e suc- 
cessivamente da una porzione discendente unita al primo ad 
angolo acuto, e che all’ esterno si prolunga in una laminetta 
cartilaginea a margine circolare, ed alquanto incisa posterior- 
mente. Tutto il sistema, tranne le prime corna branchiali, è 
cartilagineo, però nel corpo e nel processo entoglosso vi è una 
piccola parte ossificata. 

Nei Scincidi troviamo generalmente una disposizione che 
ricorda la precedente; il corpo è pure di forma triangolare, le 
corna branchiali del secondo paio si staccano dal corpo non 
molto vicine le une alle altre, le prime corna branchiali sono 
ossificate, meno nel tratto terminale, il corno iale è prolungato 
all’esterno in una lamina cartilaginea di forma circolare simile 
a quella che si incontra nei Lacertidi. Anche in queste forme 


6 è. : 
MATERIALI PER LO STUDIO DELL'OSSO IOIDE DEI SAURI 1143 


tutto il sistema ad eccezione delle prime corna branchiali è car- 
tilagineo, però nel Mucroscincus coctaei D. B. è trovato nel 
corpo e nell’asse del processo entoglosso qualche punto ossifi- 
cato. Nell’Ewumeces schneideri Daud, invece il ioide è una forma 
assai differente; il corpo è piuttosto quadrangolare, in parte 
ossificato, il processo entoglosso si stacca dal corpo tutto ad 
un tratto, ed è esile, le corna iali sono pure molto sottili e 
non presentano alcuna espansione lamellare cartilaginea esterna, 
le corna branchiali del primo paio sono ossificate, mobili sul 
corpo, le seconde originano assai lontane le une dalle altre. 

Cope (5) ha istituita una specie di classificazione rispetto 
alla forma del ioide, delle varie famiglie di Sauri, basandosi 
sulla presenza o mancanza di date parti del ioide stesso. Ora 
disgraziatamente molti generi e famiglie da lui esaminati non 
entrano affatto nei gruppi nei quali egli li include. 

Infatti forma una prima divisione costituendo i due gruppi: 


I. ceratohyal present, II. ceratohyal absent, 


prescindendo quindi dal primo gruppo nel quale sono comprese 
la maggior parte delle forme dei Sauri, include nel secondo 
gruppo (cito solamente le forme che ò potuto controllare) 1° Anguis 
fragilis. Ora, come ò già detto precedentemente, basta osservare 
la figura del ioide di tale specie data da WALTER |[(21), Tav. I], 
figura riportata anche da GaupP [(11), p. 1010, fig. 35], per 
facilmente vedere che il ceratoiale è presente ed anche ben 
sviluppato. 
Successivamente forma due altri gruppi: 


A. A second ceratobranchial, 
AA. No second ceratobranchial, 


e nel secondo gruppo pone i Geconidi. Ora non si capisce bene 
se voglia alludere a tutti i Geconidi, ad eccezione di Aristelliger 
incluso nel primo gruppo, oppure solo a certe forme come dice 
più in alto nel testo: “ Ceratobranchials of the second pair are 
“ also wanting in Varanidae, ..... Phyllodactylus, Thecadactylus, 
“and Gecko among Geckonidae ,. FrcaLsi (10) ha descritto e 
figurato nel Platidactilus mauritanieus invece il secondo paio 
di corna branchiali; ora io non so se questo sia un fatto iso- 


1144 EDOARDO ZAVATTARI 


lato, o piuttosto se non si tratti di reperti incompleti per i ge- 
neri riferiti da Cope. 

Più oltre ancora dice: “ Ceratobranchials of the second 
pair are also wanting in Egernia and Gongylus in Scincidae ,; 
basta ora osservare le figure 14 e 18 della tavola da me di- 
segnata, per convincersi appunto del contrario. 

Credo inutile portare altri esempi che dimostrino in quale 
conto si debba tenere una tale classificazione, essendo i dati, 
sui quali essa è fondata, in parte inesatti. 


BIBLIOGRAFIA 


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(2) Carori L., Sullo scheletro dell’Uromartix spinipes M., “ Memorie dell’Ac- 
cademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna ,, T. XII, 1861, 
pag. 159-178, Tav. I-II. 

(8) Lo stesso, SuZlo scheletro dell'Agama aculeata M., “ Idem ,, p. 179-187, 
Tav. I.II. 

(4) Lo stesso, Sullo scheletro del Phrynosoma Harlanii e su quello del Phry- 
nosoma orbicularis, “ Idem ,, p. 189-200, Tav. I-II 

(5) Core E. D., The osteology of Lacertilia, “ Proceedings of the American 
Philosophical Society ,, vol. XXX, p. 185-221, Plat. II-VI. Phila- 
delphia, 1892. 

(6) Lo sresso, The Crocodilians, Lizards and Snakes of North America, 
“ Annual Report of the Smithsonian Institution for the year ending 
June 30. 1898 ,, p. 155-1270, Plat. I-XXXVI. Washington, 1900 
(Le tavole ed il testo sono la ripetizione del precedente lavoro). 

(7) Cuvier G., Legons d’Anatomie comparée recueillies et publiées par M. Du- 
MERIL. Troisi&me édition. Bruxelles, 1836. 

(8) Lo stesso, Recherches sur les Ossements fossiles. Quatrième éd. Paris, 1836. 

(9) Duvernoy S. L., Mémoire sur quelques particularités des organes de la dé- 
glutition de la Classe des Oiseaux et des Reptiles, © Mémoires du 
Musée d’histoire naturelle de Strasbourg ,, vol. IT, p. 24, 5 Tabl., 1835. 

(10) Ficausi F., Osteologia del Platidattilo mauritanico, * Atti della Società 
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(11) Gaupp E., Das Hyobranchialskelet der Wirbeltiere, “ Ergebnisse der 
‘Anatomie und Entwickelungsgeschichte ,, Band XIV, p. 808-1048. 
Wiesbaden, 1904. 

(12) Grorrrovy Sarnr-Hirarre, Observations sur la concordance des parties de 
l’hyoide dans les quatre Classes des Animaua vertébrés accompagnant 
à titre de commentaire le tableau synoptique où cette concordance est 
exprimée figurativement, “ Nouvelles Annales du Museum d'’histoire 
naturelle ,, tom. I, p. 321-356, Tabl. I. Paris, 1832. 


— ELZAVATTARI- Osso ioîde dei J Att dRAccad.dScienze di Torino VoZAZZZ 


E.ZAVATTARI - Osso i 


com. Cali. 


mr rari T 


-- corn, branch.Il 


MATERIALI PER LO STUDIO DELL'OSSO IOIDE DEI SAURI 1145 


(13) Horrmann C. R., Dr. H. G. Bronn's Klassen und Ordnungen des Thier- 
° Reichs, Sechster Band, III Abtheilung. Reptilien. II. Eidechsen und 
Wasserechsen. Leipzig, 1890. 

(14) Karurus E., Beitràge cur Entwickelung der Zunge. I Theil, Amphibien 
und Reptilien, “ Anatomische Hefte ,, Band XVI, Heft III-IV, 
p. 531-760, Taf. XLIV-XLVIII, 1901. 

(15) Leypra Fr., Die in Deutschland lebenden Arten der Saurier. Tiibingen, 1872. 

(16) Losana M., Essai sur l’Os hyoide de quelques Reptiles, “ Memorie della 
R. Accademia delle Scienze di Torino ,, T. XXXVII, p. 1-23, 1834. 

(17) Owen R., On the Anatomy of Vertebrates. Vol. 1. Fishes and Reptiles. 
London, 1866. 

(18) Parker W. K., On the Structure and Development of the Skull of the 
Lacertilia. P. I. On the Skull of the common Lizard (Lacerta agilis, 
L. viridis and Zooteca vivipara), “ Philosophical Transactions ot 
the Royal Society of London ,, vol. 170, p. 595-640, PI. 37-45, 1879. 

(19) Rarare H., Anatomisch-philosophische Untersuchungen iiber den Kiemen- 
apparat und das Zungenbein der Wirbelthiere. Riga, 1832. 

(20) Srannius und SreBoLp, Lelrbuch der vergleichenden Anatomie. Theil II 
Wirbelthiere von H. Stannius, 1846. 

(21) Warrer F., DasVisceralskelett und seine Muskulatur bei den einheimischen 
Amphibien und’ Reptilien, ° Jenaische Zeitschrift fiir Naturwis- 
senschaft ,, Neue Folge, Band 14, p. 1-45, Taf. I-IV. Jena, 1887. 

(23) WrepersHEm R., Grundriss der Vergleichenden Anatomie der Wirbelthiere. 
Jena, 1893. 


SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 


Significato delle lettere : corp., corpo del ioide — proc. entogl., processo 


entoglosso — corn. ial., corno iale — corn. branch. I, primo corno bran- 
chiale — corn. branch. II, secondo corno branchiale. 
Fig. 1. Osso ioide di Calotes cristatellus Kuhl. 
È 2i È Agama stellio Lin. 
stauS x Liolepis belli Gray. 
nisi ‘ Uromastix achantinurus Bell. 
/ 5. È Basiliscus americanus Laur. 
ù 6: à Tropidurus torquatus Wied. 
ni pA di Iquana tubercolata Laur. 
RAR. f Ctenosaura achantura Shaw. 
ti 9. L Phrynosoma cornutum Harl. (molto ingrandito) 
sur dd. K Varanus griseus Daud. 
bi - Lacerta ocellata Daud. 
Raga (1 È Algiroides fitzingeri Wiegm. (molto ingrandito). 
© BE ‘ Trachysaurus rugosus Gray. 
indi 2 > Ò Egernia cunninghamii Gray. 
029 1:) , Macroscincus coctaei D. B. 
VETTA TI 5 Mabuia multifasciata Kuhl. 
IR 1; d bi Eumeces schneideri Daud. f 
aiiia {:: % Chalcides ocellatus Forsk. 
IRA SEI) E Chalcides teydactylus Laur. (molto ingrandito). 


TE dae 


1146 C. BURALI-FORTI 


1 quaternioni di Hamilton e il calcolo vettoriale. 


Nota di C. BURALI-FORTI in Torino. 


Il IV Congresso dei Matematici (Roma 1908) ha stabilito 
di nominare una Commissione internazionale che studi la que- 
stione dell’unificazione delle notazioni vettoriali (#); è dunque di 
importanza almeno attuale lo studio che mi propongo di fare 
in questa nota. 

La maggior parte delle svariate notazioni ora esistenti, ri- 
sentono l'influenza del geniale calcolo dei Quaternioni di HA- 
MILTON; ma siccome esse si presentano sotto aspetti assai di- 
versi, per forma e sostanza, è facile arguire che dei Quaternioni 
devono essere state date interpretazioni assai diverse. E che 
ciò sia avvenuto basta a provarlo questo solo fatto. HAMILTON 
considera gli operatori I, IT! che, come vedremo, sono indispen- 
sabili; nelle trattazioni successive dei seguaci di HamrLtoN gli 
operatori I, I! sono del tutto scomparsi. È proprio in seguito 
alla mancata considerazione degli operatori I, I! che alcuni 
attribuiscono ai Quaternioni proprietà che non hanno: altri ne- 
gano ai Quaternioni delle proprietà che essi hanno effettiva- 
mente: alcuni fabbricano dei pseudo-Quaternioni che con quelli 
di HamiLron hanno a comune soltanto il nome: altri infine, ad 
un certo PRopoTTOo comPLETO (forse il prodotto di due Quater- 
nioni retti?) attribuiscono la potenza di dare tutto il calcolo 
vettoriale, mentre o non è atto a dar nulla, o funziona’: da mo- 
desto operatore tachigrafico per le coordinate cartesiane. 

Dato tale caos d’idee, è importante esaminare accurata- 
mente che cosa siano i Quaternioni di HamiLton, poichè solo 


(#) Il Prof. R. MarcoLonco ed io, in una serie di note Per l'unificazione 
delle notazioni vettoriali, pubblicate nei “ Rendiconti di Palermo , (I, T. XXIII, 
1907; II, III, T. XXIV, 1907; IV, T. XXV, 1908; V, T. XXVI, 1908), abbiamo 
esaminate sotto l’aspetto storico, logico, scientifico e pratico le varie notazioni 
oggi usate; le nostre proposte concrete sono contenute nella IV nota. — 
In questo lavoro mi valgo sistematicamente di tali notazioni. 


22 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1147 


con tale conoscenza sarà possibile proporre, e sostenere, un 
sistema razionale di notazioni. Tale è lo scopo di questa breve 
nota. 

Con la parola vertore intendo indicare, come HamrLtoN 
nel Libro I, un ente dotato di GRANDEZZA, DIREZIONE @ VERSO € 
individuato da tali elementi. Segue, anche secondo HAMILTON, 
che vettore e quaternione retto sono cose ben distinte. 

Visto che il calcolo vettoriale, con le sue operazioni +4 — 
X A è così semplice e intuitivo, me ne servo per ottenere 
(per via diversa da quella tracciata da HamtLroN) i quater- 
nioni (*), salvo a provare che ottengo veramente i quaternioni 
di HamrLToN e non altri enti. 

Infine per eliminare una possibile confusione tra simbolo di 
funzione e valore di una funzione per un dato valore della va- 
riabile, sostituisco alla frase ordinaria simbolo di funzione la 
parola, usata pure da HamrroNn, opeRATORE. Così, ad esempio, 
in y= f(x), f è V’operatore, y è il valore che si ottiene ope- 
rando su x con l’operatore f. — Chiamo campo di applicazione 
di f la classe degli x cui si applica l'operatore f. Col variare 
del campo di f possono variare le proprietà di f; ad es., sen è 
invertibile se il suo campo è da —n/2 a m/2, non è invertibile 
se il suo campo è da — o a + cc (#*). 


1. Definizione di Quaternione. — Diremo che “ a è 
un quaternione , quando: essendo a un operatore per i vettori, 
esiste almeno un numero reale s e un vettore w tali che, co- 
munque si fissi il vettore x normale ad vu, si ha sempre 


(1) ax = ste + uNa (4%). 


(*) Per tale via ho ottenuto, ed esposto in questa nota, la completa 
teoria dei quaternioni. La brevità è tutta dovuta, come il lettore può fa- 
cilmente verificare, all'’avere ammesse note le operazioni vettoriali geome- 
triche ora indicate. 

(**) Per ciò che riguarda i precisi concetti di funzione, e di campo di 
applicazione o di variabilità, cfr. G. Prano, Formulario mathematico, Editio V, 
pp. 73-82. 

(***) Scriviamo ax in luogo di a(x) nella quale le parentesi sono del 
tutto inutili, come nella notazione generica f(x) attuale che da LaGranGE 
Asrt... è data sotto la forma semplice fx. Anche attualmente si scrive, ad es., 
f(x-+y), mentre ammessa la notazione f(x) si dovrebbe scrivere f((2+y)). 


Atti della BR. Accademia — Vol. XLIII. 77 


1148 i C. BURALI-FORTI 


Che la definizione ora data caratterizzî una classe di ope- 
ratori vettoriali, risulta del teorema seguente : 

Se a è un quaternione, allora: esiste un solo numero reale s 
e un solo vettore u tali che per qualsiasi vettore x normale ad 
sussiste la (1). 


Dim. — Dalla def. di quaternione, risulta che dato a esiste almeno 
un numero s e un vettore % soddisfacente alle condizioni indicate e, di 


x 


più, risulta che a è un operatore il cui campo di applicazione è formato 
dai vettori normali ad w. Supponiamo ora che s' e %’ siano elementi ana- 
loghi ad s e w atti a individuare a. 

Qualunque sia il vettore x normale ad w e ad w' si ha 


sc+uAix=sx+%u'/\x, cioè, (S_-s)a=(—-%)/Ax; 


moltiplicando scalarmente (X) o vettorialmente (A) per Xx i due membri 
si ha, osservando che uXa=w Xaxa=(u —-@«Xa=0, 


(s—-s)e®=0, =}(u-u/Ax{Ax=2x}(u— wi); 


esistendo 2 +0 normale ad w e w' risulta 


’ r 


SERA us=%u. 


Segue da questo teorema che s e e della (1) sono delle 
funzioni di a, cioè, dato a, sono univocamente determinati s e %, 
che chiameremo rispettivamente “ scalare di a ,, Sa, e “ vet- 
tore di a ,, Va. In virtù di queste notazioni (di HamiLtoNn) la (1) 
assume la forma assoluta rispetto ad a, 


(2) ax = (Sa)x + (Va) Aa. 


Non sarà inutile dare al teorema precedente anche le forme 
seguenti. — Di un quaternione ne è determinato, e in un sol 
modo, lo scalare e il vettore. — Viceversa: un numero reale e: 
un vettore, comunque dati, sono sempre scalare e vettore di un sol 
quaternione. — Se a, B sono quaternioni, allora : 


a= solamente quando Sa=SB e Va= VB. 


Il quaternione a si dirà nullo (zero, 0) quando, comunque 
sl fissi il vettore x, sempre si ha ax = 0. Segue che: 


a=0, solamente quando Sa=0 e Va= 0. 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1149 


Conviene ripetere esplicitamente che: se a è un quaternione, 
0 è UN OPERATORE VETTORIALE il cui campo di applicazione 
è formato dai vettori normali al Va. 

Se Va=0 allora il campo di applicazione di a è formato 
da tutti i vettori; la (2) dà ar =(Sa)x, qualunque sia x, 
cioè a = Sa. Dunque: un quaternione il cui vettore è nullo, è un 
numero, il suo scalare. 

Chiameremo quaternione retto ogni quaternione il cui sca- 
lare è nullo. Si noti però che: un quaternione retto non 
è un vettore, come risulta subito dalla (1) che per s=0 
dà ax =uAa (*). 

Se a è un quaternione, il “ coniugato di a ,, Ka, è il qua- 
ternione il cui scalare è Sa e il cui vettore è — Va. Si ha 
cioè : : 

S(Ka) = Sa V(Ka)= — Va 


a = Ko solamente quando Va= 0. 
Infine essendo a un quaternione poniamo, con HAMILTON, 


Segue che 
To =-lKa 


Ta=0, solamente quando a = 0. 


È necessario dimostrare che i quaternioni, quali li abbiamo 
ora definiti, sono precisamente i quaternioni di HAMILTON. 

HamrLron individua un quaternione a mediante due vet- 
tori a, b, a==0, come: quell’operatore vettoriale che applicato 
ad un vettore x qualunque, purchè complanare con a e Db, pro- 
‘duce il vettore aa tale che, essendo O un punto qualunque, il trian- 


(*) La notazione m/\& ha valore per x qualunque; non però ax che 
vale solo per x normale ad wu = Va. Segue che da ax =%/x si può 
trarre a=%/, PERÒ con Za condizione di limitare all'operatore u/\ il campo 
di applicazione ai soli vettori normali ad u. Con le notazioni del Formu- 
lario, già citato, il quaternione retto il cui vettore è w viene indicato dalla 
notazione completa 

[e A, voxa(uXa=0)], 


cioè è una funzione della coppia formata dall'operatore %/\ e da un campo 
di applicazione. 


1150 C. BURALI-FORTI 


goto di vertici 0,0 + @, 0 + d è DIRETTAMENTE SIMILE @l trian- 
golo di vertici O, 0 + 2, 0 + ax. Si intende, per la sostanza, 


ma a meno della forma e della notazione (a viene indicato 
con que) ecc.) 

a 

Che i vettori @, ® individuino in tal modo un solo opera- 
tore è chiaro, poichè dato & si può formare un solo triangolo 
direttamente simile a quello formato con @ e ®. Che l’opera- 
tore hamiltoniano individuato da @ e ® sia uno degli enti da 
noi definiti e chiamati quaternioni resterà provato quando avremo 
fatto vedere che esso è il quaternione (def. al principio di questo 
numero) @« tale che 


aXb via a Ala 


pa =" 
a? ’ a? 


Infatti. Osservando che (A A0)/\%x, per x normale al Va 
cioè ad a /\D, è pure normale ad 2, si ha per la (2) 


; 9 9 22 2 
(cx? — (2 AE (5°) pe db esa mode) 


a aa? moda 
e quindi 
i mod(ax) _mod® 
moda moda 
axXb x 
IRA LIA sia cu ORE 
cos(a, cx) = moda. modaa _modd pe = moda .modb 7 SS d), 
moda 


vale a dire, i due triangoli già considerati sono direttamente 
simili. 

Il quaternione a definito mediante a e d deve, applicato 
ad @, produrre O (punto di partenza di Hamrrton); si ha ap- 
punto 

DAN ep (ad) \a__aXb_, | ad aXb POTITO, 


a a 


a 
2. Somma e prodotto di due quaternioni. — 
Siano a, 8 due quaternioni qualunque. 
La “ somma di a con 8 _,, a+ f, è il quaternione y tale, 
che: comunque si fissi il vettore o normale al Va e al VB si ha 
sempre Ya = ax + Ba (Cfr. Formulario, 1. c., p. 186). 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1151 


Il “ prodotto di a per BR ,, Ra (e non af), è il quaternione y 
tale che: comunque si fissi il vettore x normale al Va, essendo 
inoltre ax normale al VB, si ha sempre va = B(1x). 

Per dimostrare che i quaternioni a 4- 8, Ra, sono univoca- 
mente determinati dalle due precedenti definizioni, anzi per pro- 
vare che precisamente si ha 


(3) Sfa 4 B)= Sa + S8, V(a +) = Va+ VR, 
n (  5(0)=SB.Sa— (VB) X (Va) 
( V(Ba)=S8.Va+Sa.VB+(VB)A(Va), 


occorre dimostrare il teorema seguente: 

(5) Se s è un numero reale, u è un vettore, x è vettore non 
nullo normale ad u (cioè XE 0 e u XK a = 0) ed esiste un qua- 
ternione a tale che 


ax =sCK +UNAR, 
allora:rSa=is, Va:= u. 


Dim. (5). — Dall’ipotesi risulta che ax è un vettore determinato; e 
poichè il campo di applicazione di a è formato dai vettori normali al Va, 
deve essere 2 normale al Va, cioè 2 X Va=0. Ora, sottraendo membro 
a membro le due eguaglianze 

ax=sx+u/x,. ax=(Sax+(Va)Ax 
si ottiene 
(S-So)a=(Va— w) Ax; 
moltiplicando scalarmente (X) e vettorialmente (/\) per @ e tenendo conto 
delle ipotesi si ha 
(s-Sa)x?=0, 0=}(Va—-w)Ax{ Agx=(Va—ua? 
che, per essere X*--=0 dànno Sa=s, Va=%w. 

Dim. (3). — Se x è vettore non nullo, normale a Va e VB si ha 

dalla (1), 
axcg+Be=(Sa + SB)ex + (Va+VB)/%2, 
e quindi per la def. di a + f e per il teorema (5) si hanno le formule (83). 

Dim. (4). — Se & è vettore, non nullo, normale a Va e ax è normale 
a VB e osserviamo che, in tali ipotesi, 

} (VB)A(Va){ Ae =(2 X VB)Va 

si ha, 

B(ae)=B}Sa.2+(Va)/\a{= 
=SB.Sa.0+SB.(Va)\2+SB.(V8)Ax+(VB)A}(Va)/\x{= 
=}SR.Sa—(VB)X(Va){e+}SR.Va+Sa. VB4(V8) A(Va){ Aa 


che per la def. di Ba e per il teorema (5) dimostra le formule (4). 


1152 C. BURALI-FORTI 


Dalle (3) e (4) si ricavano facilmente le proprietà fonda- 
mentali della somma e del prodotto. 

La somma è commutativa; a + B=B+ a. 

Il prodotto non è, in generale, commutativo, salvo il caso 
che il vettore di uno, almeno, dei due quaternioni sia nullo, cioè 
uno dei quaternioni sia un numero. 

Se m è numero (m quaternione di vettore nullo) si ha 


ma= am, S(ma)=mSa, V(ma)=mVa). 
Segue che, fatte, come in algebra, le convenzioni 


1 
a—=(— 1)o, a—B=aH4(— B), sj a (per m==0) 
si ha l’ordinario algoritmo algebrico per la somma e il prodotto 
per un numero reale. 
Sussiste la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla 
somma, cioè 


(a+ B)r=ar+ BY, a(B+r)= 08 + ar. 


Il tensore del prodotto è il prodotto dei tensori dei due 
fattori; cioè 


T(8a) = (TB) (Ta) 
Dim. — } T(Ra){"=)S(Ba){"+/V (6) = 


= (Sa). (SA)? + (Sa)?. (VB)? + (SB). (Va? + (Vo)?. (VB)? = 
= (Sa)? (TR + (Va)? (TR)? = (Ta) (TR), 


quando si tenga presente che 
u\vXu=u/\vXv=0, (u X + (Av = uè. 
Il prodotto di due quaternioni è nullo solo quando uno, 
almeno, dei due fattori è nullo ; 
8a = 0, solo quando, a — 0 ovvero B=0. 
Dim. — Ba=0 solo quando T(Ba)=0, cioè TR=0 0 Ta=0, cioè 
B=0 0 a=0. 


I quaternioni fa, a8 hanno egual scalare e quindi Ba — af 
è un quaternione retto. 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1153 
Per il simbolo K si ha 
K(a + 8) = Ka -- KB, K(Ba) = (Ka) (KB) 
o(Ka) = (Ka)a = (Ta)?, 
Porremo, con HamrLron, essendo a un quaternione non nullo 


n a 
“ versore di a ,,=Ua= Ta: 


Ogni versore può ridursi alla forma 
cosgp + isehp 
ove è è un quaternione retto unitario, non un vettore, e quindi 


un quaternione qualunque a è riduttibile alla forma 


a = r(cosp + isenp) 
ove r è il Ta. Ecc. 


3. Somma e prodotto di un numero finito di 
quaternioni. — Se a, 8, f sono quaternioni si ha 


(48) tr=oat(8+v), (18)a=vy(B0) 


come risulta dalle (3) e (4), verificando che i quaternioni dei due 
membri hanno a comune lo scalare e il vettore. 
Si può dunque, come in algebra, porre 


UPPPY=(0+8) +Y, Bo =7(Ba) 


e analogamente per quattro o più vettori. 

La somma risulta commutativa e associativa; il prodotto ri- 
sulta associativo, distributivo rispetto alla somma, ma, in gene- 
rale, non commutativo. 

I simboli S, V, K sono distributivi rispetto alla somma, 
cioè, 

S(a-+B-+m)=Sa+S8+8r, Va+8+n=Va+V8+Vr 
K(a +B4+y)= Ka-- K8+ Ky; 


ma S e V non sono distributivi rispetto al prodotto. Invece 
per T e K si ha 


T(rBa)=Ty.T8.Ta, K(rBa) =Ka.K8.Ky. 


1154 E C. BURALI-FORTI 


Esaminiamo ora un’apparente anomalia degli operatori vet- 
toriali, quaternioni. 

Il quaternione a + 8 è operatore applicabile ai vettori x 
normali al Va + VB; ma si ha 


(a + B)oe = aa + Ba 


solo quando x è normale al Va e al VB; cioè il primo membro 
ha significato per x variabile in un campo molto più vasto del 
campo di variazione che ha nel secondo. In altri termini non 
per tutti i vettori x per i quali ha significato (a+ B)x si può 
stabilire l'eguaglianza precedente. 

Analogamente (Ba) ha significato per infiniti vettori per 
i quali B(0x) è priva di significato. 

Ancora. L’eguaglianza 


(A+ B8+ va =ax 4 Be + ya 


sussiste, in generale, solo per x =0, perchè, affinchè abbia si- 
gnificato il secondo membro deve essere x normale ai tre vet- 
tori Va, VB, Vr, cioè in generale deve essere x=0. Lo stesso 
dicasi per (rBa)a che vale YiB(ax)} solo per x = 0, mentre ha 
significato preciso per ogni vettore x normale al V(yBa). 

Che questi fatti dipendano dalla reale natura degli opera- 
tori vettoriali quaternioni, è evidente; e del resto che tali fatti 
dovevano verificarsi era facile vederlo a priori, tenendo conto 
del campo limitato di applicazione di ogni quaternione. — Le 
apparenti anomalie ora considerate cessano quando si opera sol- 
tanto con quaternioni i cui vettori sono paralleli ad un vettore 
fisso, cioè si opera con gli ordinari numeri complessi di un piano 
normale al vettore fisso. 


4. Potenze. — Se a è un quaternione e » un intero o 
nullo 0 positivo, definiamo, per induzione, come in ‘algebra, o” 
ponendo 

dea deo 'ao” 
e risulta 


na 


o” a — gt 


a causa della proprietà associativa del prodotto. 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1155 


Però (3a)" è, in generale, diverso da $"a", perchè non sus- 
siste la proprietà commutativa. i 

Se a è quaternione non nullo, poniamo a! = “ quel qua- 
ternione B tale che Ba = 1 ,. 

Stando l'ipotesi precedente si ha 


Lit Ka 
(6) Sugo (Toy: 


Dim. — Se fa=1 e ffa=1 allora (B—f')a=0 ed essendo a==0 
deve essere B= R', cioè: se a! esiste è unico. Da (Ka)a=(Ta)? si ricava 
la (6). 


Se i quaternioni a, f non sono nulli si ha 
(Ba)! = a! p_. 


mn yo e 
rà (Bat = FTMBa]t® Topi cr 


Se n è intero relativo 


a” ne (a )" 


ma però (8a) è diverso da a-"87" eccetto che per a=1.0 n=0. 

Si può definire, per m, n interi, a”" come il quaternione B 
tale che pg" = a”. 

Per la classe U di enti, contenente lo zero, sia definita 
l'operazione moltiplicazione, con le due proprietà seguenti: 

a) è commutativa, 
b) da ab=ac e a+0, segue Bb=c. 

In tali ipotesi, se «, 6 sono elementi di U, a == 0, ed esiste 
un elemento x di U tale che ax = 6, allora x è unico e si può 
dire che x si ottiene da d ed @ con l’operazione inversa della 
moltiplicazione, con la divisione. Mancando però una delle con- 
dizioni (a), (06) la divisione non può esser definita. Ciò si veri- 
fica per le formazioni geometriche di Grassmann per le quali 
non è vera (2) e, in generale, neanche (a), e per i quaternioni 
per i quali è vera la (2) ma non la (a) (*). 


(*) Se non è vera la (5) allora — ha infiniti valori, come si verifica 
a 
per le formazioni di GrassmanN; se, invece, (6) è vera ma non è vera (a) 
b 5 . ; | 
allora Ò ha due valori x, y tali che ra=, ay="b, come si verifica per 


i quaternioni. 


1156 L C. BURALI-FORTI 


Essendo, dunque, a, B quaternioni e a #0 si potrà pure, 


con HAWMILTON, 
B Fa. 
= ='ba 
x B 


per avere 
B 


Ri 
a "a 


a=f, ma a 
e quindi è preferibile non far uso della notazione a bastando 


ampiamente la notazione Ba! con significato non dubbio. 


5. Operatori I, I. — Se a è un quaternione retto, por- 
remo con HAMILTON 


(7) Ia =Va (*). 


Se a, f sono quaternioni retti si ha 
Io=I8 solamente quando a = Bf, 
e quindi I è operatore invertibile, cioè essendo w un vettore si 
può porre 


Tu = “ quel quaternione retto il cui vettore è % , 


e le due eguaglianze 


(8) loj=M 0 lr 


esprimono la medesima cosa sotto forma diversa. 

Se a, sono quaternioni retti, w, v sono vettori e m è nu- 
mero reale, a 4-8 e ma sono quaternioni retti come w+® e mu 
sono vettori, e si ha 


I(a-+ 8) =Ia+-I8, Ii(u+@=Iu+ Tv 


I(ma) = mIa, I'(mu) = miu 


cioè I e I! sono operatori (funzioni) lineari. 


(*) I e V sono operatori quaternionali; però I è applicabile soltanto 
al quaternioni retti e V a qualsiasi quaternione. Avendo I e V diverso campo 
di applicabilità sarebbe erroneo dedurre dalla (7) che I= V. 


» 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1157 


Sono specialmente interessanti i teoremi seguenti. 
Qualunque sia il quaternione a si ha identicamente 


(9) a=Sa +I-(Va) (*). 


Dim. — Il quaternione a — Sa è retto e poichè Va è il suo vettore si 
ha dalla (7) 
I(a—Sa)= Va, 
e per le (8) 
a—- Sa=I(Va), a=Sa+I-(Va). 
Se u, v sono vettori 
(10’) (Ie) Mu = —vXu+IFvA%), 
o sotto altra forma 
| Samoa rXu 
(10) 
i | VWile(Ffel=  _wvAw. 
Dim. | Dalle (4) osservando che 


S(Iwe)=S(I0)=0, VI!u=u, VI!tv)=v, 


Se u, v sono vettori, u==0), e sì scrive È al posto di Ba, 


allora si ha 


Fal cvxu _av/\u 
(11) Ie) dI La° I ui 
i Mr — (1-las\1(T-19) — Pd =I | 
Dim. — ie) = n (Ime)T0), 


che per la (10’) dà la (11). 


Notevole è la considerazione dei vettori è, j, & formanti 
un sistema ortogonale-destrogiro, per i quali, valgono le relazioni 


| = k3 = 1 
ÎXk=kXi=iXj=0 
i=jNk j=kAi, k=ij. 


(*) a è la somma del suo scalare, non col suo vettore, ma col quater- 
nione retto il cui vettore è il vettore di a. 


1158 C. BURALI-FORTI 


Da questi vettori si traggono i quaternioni retti unitari, 
formanti pure sistema ortogonale-destrogiro 


i=T%, get, ka, 


per i quali valgono le formule 


e=p=k=_1 

je= — kj=i 

(12) < ki =— ik=9g 

j=_—fi=k 

ijbi=j — ui 
Dim. a=(I-M)(IW) = — Xda +0=é8=— 1, ecc. 
jk=(175)(I'kR) = — 0 +TGAM=TMl=i, ecc. 
ije=i(j)=i=@=-1, eco. 


Fissato il sistema è, j, £, al uaternione a, ualunque, si può 
3 1, , 
dare, e iu un sol modo, la forma 


(13) a=sH+axîH-yj+ ek 
ove 


Sa=s, Va=al+ ylj+4- elk = x6 +4 yg +e 


Combinando la forma (18) con le (12) risulta l’ordinario 
calcolo quaternionale, a base di coordinate, al quale alcuni au- 
tori riducono il calcolo autonomo e geometrico di HAMILTON, ot- 
tenendo uno strumento che ha solo il modesto ufficio di tachi- 
grafo per le coordinate cartesiane. 


6. Confronto dei quaternioni con le omografie 
vettoriali. — Dalla (13) risulta che i quaternioni formano 
un sistema lineare a quATTRO dimensioni; di qui il nome di qua- 
ternione. 

Però, e lo si noti bene, i quaternioni non formano 
un sistema lineare a quattro dimensioni di omografie 
vettoriali; di qui le apparenti anomalie constatate alla fine 
del n° 3. Dai due fatti ora accennati, e dei quali molti non 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1159 


tengono il debito conto, derivano, forse, le notevoli divergenze 
di opinioni rispetto ai quaternioni. Sarà dunque opportuno esa- 
minare i punti sostanziali della questione. 

Le omografie vettoriali, nello spazio, formano un sistema 
lineare a nove dimensioni. Tra le omografie sono da conside- 
rarsi le dilatazioni u, caratterizzate dalla condizione 


de X MYU=UY X UR, 


(valevole qualunque siano i vettori 2, y), che formano pure un 
sistema lineare ma a seì dimensioni {*). 

Qualunque sia l’omografia vettoriale 0, sono determinati, 
e in un sol modo, la dilatazione u e il vettore ew tali che per a 
vettore qualunque, 

ox =UuX + Ax, 
ovvero tali che 
7A 


Le omografie o per le quali la dilatazione u è un nu- 
mero s (#*) 


(14) o=s|+w/ cioò 0ex=sx +x«/Ax 


formano un sistema lineare a quAaTTRO dimensioni. 
Però c=s + «/ non coincide col quaternione 


a=s +Iw 


perchè, mentre il campo di applicazione di o è formato da tutti 
i vettori, quello di a è formato soltanto dai vettori normali ad . 

La differenza tra 0 e a apparisce notevole considerando il 
prodotto delle due omografie 


o=st+uA, o =s' +u' n. 


(*) Data u esistono infinite quadriche tali che, per esse, il piano dia- 
metrale coniugato alla direzione x è normale a ux. Queste quadriche ta- 
gliano tutte il piano all’infinito nel luogo (reale o immaginario) di equa- 
zione X Xua=0. 

| (**) Le quadriche corrispondenti sono sfere. 


è 


1160 «©. BURALI-FORTI 


Si ha, con un calcolo semplice, in virtù della (14), e per & 
vettore qualunque 


o'or=(s's-wu Xu 4s'u+sw' + w' Aut Ax + (wu X 2)u'; 


mentre per i quaternioni 
Ri I. BECMIRT e RR) 
a=s+T7u, o'=s +Iw', 
si ha, come si è già trovato (4), e per x normale al V(a'a), 


(a'a)ae = (ss — u'XKu)xe + (s'u + su' + \u)Na. 


Di più; mentre o'ox = (0'0)x = 0'(0x) per x qualunque, 
(a'a)x = a'(ax) solamente quando i vettori x, a sono normali, 
rispettivamente ai vettori Va, Va'. Altre notevoli differenze ri- 
sultano dalle proprietà generali delle omografie vettoriali; ma 
bastano questi esempi (*). 


7. Osservazioni. — È importante constatare i fatti se- 
guenti. 
a) HamrLron, prima di introdurre gli operatori I, I1, dà 
significato preciso alle notazioni 


(15) eli 


(*) Nella nota III, Per l’unificazione... (1. c.), abbiamo posto, per è qua- 
ternione retto e per w vettore, 


Vi DE u/=Iu 


ammettendo che il campo di applicazione dell’operatore composto wA sia 
formato dai soli vettori normali ad %; poichè è soltanto in tale ipotesi che 
A può funzionare da operatore (a destra) invertibile. Cosa analoga si fa in 
analisi per le funzioni circolari; il simbolo sen è operatore il cui campo 
di applicazione è formato da tutti i numeri reali: ora per considerare la 
funzione inversa arc sen o sen! è necessario ammettere che il campo di 
applicazione di sen sia formato dai numeri da — /2 a q/2. 
Con tali notazioni la (10) diviene 


(WA)(UA)= -vXu+t (VA 


nella quale ©/\ si trova in due posti con campo di applicazione diverso, 
come, in una stessa formula, può avvenire per sen e sen. Ogni ambi- 
guità è tolta dai simboli I, I di Hamrrron. 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1161 


nelle quali «, v sono vettori (non nulli). E precisamente con le 
notazioni (15) indica i quaternioni, per i quali si ha, facendo 
uso delle operazioni vettoriali X, A 


Quai Vr Dig BAM 
(16) 7 OE, sa inrih 
Svu) = —vXu, Vvu=vu. 


Vale a dire le (15) hanno l’identico significato delle nota- 
zioni (Cfr. (10) e (11)) 


(17) all esi 
l'e Al 

6) HamiLron ha trovato necessario introdurre gli opera- 
tori I, I che applicati, rispettivamente, a un quaternione retto 
o a un vettore producono un vettore e un quaternione retto. 

Per quanto ci consta, nessuno dei seguaci di HamrLron ha 

ritenuto necessario introdurre esplicitamente gli operatori I, I. 

c) Negli Elements of Quaternions (ediz. del 1899), il titolo 
della Section 4, T. 1, Libro III, p. 331 è il seguente: On the 
Symbolical Identification of a Right Quaternion with 
its own Index:..... Qui, HAmrLron, visto come le notazioni (15) 
prima introdotte, vengano a coincidere con le notazioni, più com- 
plicate, (16), e fatte analoghe osservazioni per altre formule, 
fa la convenzione di sopprimere i simboli I, I là 
dove devono comparire in virtù del loro preciso si- 
gnificato rispetto a quaternione retto e a vettore 
(symbolical identification). 
In virtù di tale convenzione scrive 


gq=a+a al posto di g=a+Ia, 
cioè, in generale, (p. 335) 


(18) Scalar plus Vector equals Quaternion (*). 
(*) Qui è opportuno far notare che il significato del simbolo, da noi 
usato, Va pare alquanto diverso da quello attribuitogli da Hamrrron. Infatti, 
ad es., a p. 193 si trova g=Sg-} Vg, e qui Vq è quaternione retto e non 
vettore. La denominazione “ vettore di a ,, e l'importante distinzione fatta 
in seguito dall’HamrLron stesso tra quaternione retto e vettore, consiglia di 
dare a Va il preciso significato del quale abbiamo fatto uso sin qui. 


1162 C. BURALI-FORTI 


Esposti i fatti, ci siano permesse alcune deduzioni. 

È possibile ammettere che HamiLron sopprimendo i sim- 
boli I I! abbia voluto identificare logicamente è quater- 
nione retto al suo vettore? Che ciò abbiano inteso di fare i se- 
guaci di HawrrroN, per i quali la (18) vale incondizionatamente, 
è evidente, poichè essi non parlando affatto degli operatori I, IT! 
li hanno ritenuti inutili e non hanno fatto distinzione alcuna tra 
quaternione retto e vettore. 

Ma, le precise definizioni di vettore e di quaternione; le ap- 
plicazioni geometriche dei soli vettori prima, poi dei quater- 
nioni, con caratteri così distinti; il titolo della Section 4; l’uso 
continuo della frase symbolical identification per giustificare la 
soppressione dei simboli I, I7!, ci sembrano bastanti a provare 
che nella mente di HamiLton quaternione retto e vettore 
sono sempre stati enti ben distinti. 

La questione, però, è così importante, perchè si riferisce 
al preciso concetto di quaternione, che crediamo utile esaminare 
i seguenti esempi : 

1° Sia a un quaternione e 9 un vettore. Da formule già 
esposte si ha subito 


(19) o(l'a)=I"}(Sa)x + (Va)naeti—x X Va. 


Questa per x X Va = 0, cioè per x appartenente al campo 
di variabilità dell'operatore vettoriale a dà 


(20) a(1-'90) = I-t(a%) 


perchè il vettore entro } | è appunto il vettore ax che si ot- 
tiene applicando a ad x. Ma, e lo si noti bene, per xXVa=-0, 
alla (19) NON SI PUÒ DARE LA FORMA 


(19) a(I-tx) = I(ax) — x X Va, 


e molto meno la forma (20), perchè la notazione aa è priva di 
significato NON ESSENDO % UNO DEI VETTORI DEL CAMPO DI APPLI- 
CABILITÀ DI Q. 

Ora, in virtù della convenzione (c) al posto di a(I7!x) si 
scrive ax; e quindi per le (19), (20), (19°) è erroneo ritenere, 
in modo assoluto, e per x vettore, regolare la notazione ax, cioè 


ritenerla indipendente dall'operatore I. 


e ME 


I QUATERNIONI DI HAMILTON E IL CALCOLO VETTORIALE 1163 


Dai fatti (a), (5), (ce), dallo spirito dell’opera hamiltoniana, 
e, in gran parte, anche dalla lettera, risulta chiaramente che, 
per Hamruron, la notazione ax ha due distinti significati; e pre- 
cisamente : 
se ax è notazione non abbreviata, allora a deve essere 
vettore normale al vettore di a e vx è un vettore; 
se aa è notazione abbreviata, allora x può essere vettore 


qualunque, ar ha l'esatto significato di a(1-'x) e ax è un: 


quaternione il cui scalare è —x X Va e il cui vettore è 
(Sa)ae +- (Va) A x. 


2° Se A, B, C sono i vertici di un triangolo sferico si- 
tuato in una sfera di centro O, sono determinati i versori a, 8, Y 
tali che 


(21) al(4A—0)=B—0, B(B—0)=C—0, x(C-0)=A4— 0. 


Da queste si trae, ad es., 


Bja(A4 — O} =C— 0, 
ma non 
(Ba)(A— 0) = C—- 0 


perchè A — 0 non è, in generale, normale al vettore di 8a; 
quindi nessuna conclusione si può trarre dalle (21) operando in 
tal modo. 

Se, invece, tenendo conto della (20), diamo alle (21) la 
forma 


(21') al'(A—- 0)=I(B— 0), ecc.... 
si ha subito 


YBal(A--0)=IF'(A-- 0) 
e quindi 


(22) | rBa=1 (#). 


La notazione abbreviata permette di ottenere la (22) anche 
dalle (21); il procedimento è regolare finchè esistendo gli ope- 


(*) Si noti che a tale conclusione si giunge soltanto in virtù del teo- 
rema (5) del n° 2. Nelle (21), a, B,y possono essere omografie vettoriali 
(cfr. n° 6) anche della forma s+ w/\, e si giunge a YBa(A— 0)= A—-- 0, 
ma non però alla (22) perchè il teorema (5) vale soltanto per i quaternioni. 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 78 


1164 Cc. BURALI-FORTI — I QUATERNIONI DI HAMILTON, ECC. 


ratori I, I! ci limitiamo a sopprimerli, ma è erroneo quando 
le funzioni I, I! non sono nemmeno state introdotte, perchè, 
comunque si definiscano i quaternioni (di HAmrLTON, si intende), 
non si potrà mai togliere ad essi i caratteri che hanno, nè at- 
tribuirne loro di quelli che non hanno. 

3° Se a= cos @ + i sen è un versore (i è quaternione 
retto unitario) e «x è un quaternione retto, la notazione, com- 
pleta, 


ava 

indica pure un quaternione retto il cui vettore si ottiene dando 
al vettore Iu la rotazione di 2@ radianti intorno al vettore li. Se 
si pone = I, allora il vettore w rotato di 2@ radianti in- 
torno al vettore è = li è dato, con notazione completa, da 


I}a(I-'2)a!{, ovvero 1}(cosp -+-senpI'é)(IM'u)(cosp— senpI)}: 


ma la notazione abbreviata awo7!, per w vettore, è erronea 
quando non si ammetta almeno l’esistenza dei simboli I, I. 


Come abbiamo notato in principio di questa nota, il disac- 
cordo scientifico rispetto alla natura dei quaternioni non po- 
trebbe esser nè più completo nè più grave. Crediamo che da 
quanto abbiamo esposto si possa ricavare quanto basta per 
ottenere l’accordo scientifico, accordo importantissimo sia per i 
quaternioni, sia per le future notazioni vettoriali. Im ogni di- 
scussione che riguardi direttamente o indirettamente i quater- 
nioni, ci si accerti, prima di tutto, che i quaternioni dei quali 
si parla, sono proprio quelli di HamrLroNn; accertato questo, si 
conservi alla parola vettore il suo significato geometrico di ente 
individuato da grandezza, direzione e verso; ciò fatto, non si 
escludano a priori, anzi si ammettano e si usino le operazioni 
+, —, prodotto per un numero, XK, A per i vettori, operazioni 
semplicissime e puramente geometriche; infine, si introducano 
esplicitamente gli operatori I, I, non solo, ma tali simboli 
mai non si sopprimano, anche a rischio di complicare le formule. 
Dopo ciò, purchè si ragioni e si operi bene, le conclusioni sa- 
ranno, necessariamente, le medesime per tutti e l’accordo scien- 
tifico sarà raggiunto. 


1165 


Relazione sulla Memoria di G. Z. GramseLLI, intitolata: Ri- 
soluzione del problema generale numerativo per gli spazi plu- 
risecanti di una curva algebrica. 


Il problema risolto in questa Memoria è il seguente: tras- 
formare la condizione (nel senso di H. ScHuBERT) che s'impone 


ad uno spazio obbligandolo ad incontrare un dato numero di 


volte una curva assegnata di ordine » e genere p, in una somma 
di condizioni caratteristiche relative a quello spazio. 

Come si vede, è un problema di grande generalità, la cui 
risoluzione ha un'importanza essenziale per le quistioni nume- 
rative riguardanti le curve algebriche degl’iperspazi. Basti dire 
che, grazie ai risultati di questo lavoro, si saprà d’or innanzi 
quanti sono gli spazi che secano dati numeri di volte una o 
più curve assegnate di ordini e generi qualunque; ed ove tali 
spazi siano in numero infinito, quali sono i diversi caratteri 
della varietà da essi costituita. 

Varie ricerche parziali su quest’argomento si eran fatte 
prima, particolarmente dai cultori italiani della Geometria nu- 
merativa. Ma si era ancora ben lontani dalla soluzione generale. 

Analogamente a qualcuno fra i suoi predecessori, il Gram- 
BELLI giunge allo scopo trattando anzitutto il problema per una 
curva razionale, e riducendosi poi a questo caso particolare con 
opportune degenerazioni della curva di genere p. Ma, oltre alle 
differenze intorno al modo con cui questi concetti geometrici si 
esplicano, va rilevata in questa Memoria, come in altre dello 
stesso Autore, la singolare maestria nell’introduzione di conve- 
nienti simbolismi algebrici, coi quali soltanto si riesce a metter 
in formule le relazioni fondamentali che occorrono nella ricerca. 
È certamente a questa singolare abilità algebrica del GramBeLLI 
che si deve il fatto che egli abbia potuto risolvere la questione 
nella sua massima generalità. 

Per il risultato suo, come per il metodo usato, questo la- 
voro merita senza alcun dubbio di esser accolto fra le nostre 
Memorie. 

G. MorRERA, 
C. SEGRE, relatore. 


Relazione intorno alla Memoria del Dott. C. Armonerm, inti- 
tolata: Determinazione astronomica della Latitudine della 
Specola Geodetica della R. Università di Torino. 


Costruita la terrazza sovrastante il Gabinetto di Geodesia 
della R. Università era necessario determinarne la posizione 
astronomica e geodetica. 

La determinazione della posizione astronomica comprende 
in primo luogo la misura della latitudine. Tale incarico fu dato 
al Dott. CesARE ArmonertTI assistente al Gabinetto di Geodesia. 

Lo strumento adoperato fu un alt’azimut del costruttore 
Repsold di Amburgo di proprietà del Gabinetto stesso, ed il 
metodo adoperato fu quello della misura di distanze zenitali me- 
ridiane di stelle. 

La Memoria presentata comprende in una prima parte l’e- 
same dell’istrumento e nell’altra parte la descrizione del metodo 
adoperato ed i risultati delle osservazioni. 

La scrupolosità adoperata dal Dott. Aimonetti nell'esame 
particolareggiato di tutte le parti dell’istrumento e la diligenza 
con cui ha fatto le osservazioni danno affidamento che il va- 
lore ottenuto della latitudine si possa ritenere, per quanto è 
possibile, esatto. 

I sottoscritti quindi propongono che tale lavoro sia accolto 
tra le Memorie della nostra Accademia. 


A. NAGCARI, 
N. JADANZA, relatore. 


L’ Accademico Segretario 
LorENZo CAMERANO. 


1167 


CLASSE 


DI 


SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE 


Adunanza del 21 Giugno 1908. 


PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO 
PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA 


Sono presenti i Soci: ALuevo, Pizzi, Rurrini, BRoNDI e 
Renier Segretario. — È scusata l’assenza dei Soci Camroni, DE 
SANCTIS, STAMPINI e SFORZA. 

Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 
31 maggio 1908. 

Il Presidente comunica: ‘ 

1° gli estratti provenienti dal Ministero dell’ Istruzione 
Pubblica, del R. Decreto 14 maggio 1908, col quale sono ap- 
provate le elezioni di Gurpi, Tocco e Piorini a Soci nazionali 
non residenti e di FoERsTER, SALEILLES, DUCcHESNE, JELLINEK a 
Soci stranieri; 

2° i ringraziamenti per l'elezione a' Soci corrispondenti 
di Zuccante, ArpIGò, VenTURI, Luzio, MontIcoLO, ORsI, BELLIO, 
BertAccHI, SALvionI, LaAsinio, TEZA, VITELLI, SCHIAPARELLI, 
GORRA. 

Partecipa inoltre il Presidente che l'Accademia delle Scienze 
dell'Istituto di Bologna, si è integrata mediante l’istituzione di 
una Classe di scienze morali divisa in due sezioni, di scienze 
storico-filologiche e giuridiche, e che si sta per costituire una 
Società vercellese di storia e di arte, la quale funzionerà appena 
si avranno 40 adesioni. 


1168 


L'Istituzione Morelli in Bergamo annunzia l'invio del ri- 
tratto del fondatore dell'Istituzione stessa, come omaggio al- 
l'Accademia che coi suoi giudizi ha avuto parte nel buon esito 
dei concorsi. 

D’ufficio è presentato il volume di Nuovi documenti sul pro- 
cesso Confalonieri, Roma-Milano, 1908, mandato in dono dal 
nuovo Socio corrispondente Alessandro Luzro. 

L’opera di Dionisio Scano, Storia dell’arte medioevale in Sar- 
degna, sec. XI-XIV, Cagliari, 1908 è presentata dal Socio Rur- 
FINI a nome del Socio CaTRoNI, che si propone di parlarne in 


seguito all'Accademia con la debita lode. Il Socio RurFINI coglie 


l'occasione per esprimere il vivo compiacimento che desta l’os- 
servare il fervore intelligente con cui da qualche tempo si oc- 
cupano di cose sarde, storiche, giuridiche, artistiche, glottolo- 
giche, i giovani insegnanti che per ragioni d'ufficio si trovano 
nell'isola. Questa loro attività illuminata merita encomio ed al- 
l’encomio si associa con parole di sentita deferenza il Socio 
RENIER. 

Per l’inserzione negli Att: il Socio ALLIEVO offre una sua 
nota intitolata L’umanismo, della quale indica sommariamente 
il contenuto. 

A nome del Socio StAMPINI assente, il Socio RENIER legge 
la relazione sulla memoria del prof. Clemente MerLo, Degli esiti 
di lat. -gqn- nei dialetti dell’Italia centro-meridionale con una ap- 
pendice “ Sul trattamento degli sdruccioli nel dialetto di Molfetta ,,. 
Approvata la relazione, la Classe, con votazione segreta una- 
nime delibera la pubblicazione nelle Memorie accademiche della 
dissertazione glottologica del prof. MERLO. 


GIUSEPPE ALLIEVO — L’UMANISMO 1169 


LETTURE 


L’umanismo. 


Nota del Socio GIUSEPPE ALLIEVO. 


“ Scacciare via dal pensiero e dalla vita umana ogni ele- 
mento sovrintelligibile e sovrannaturale, e conseguentemente in 
luogo dell’esistenza oltremondana ed individua degli spiriti umani 
porre siccome unica la vita terrena, che si distrugge negli indi- 
vidui e si perpetua nella specie; sbandire dal dominio della 
scienza siccome irrazionale il concetto di Dio, essere personale, 
legislatore assoluto della natura e dell'umanità, ed in vece sua 
fare l’uomo centro universale del sapere e dell’essere, è questo 
il finale intendimento, questo lo spirito de’ nostri filosofi nova- 
tori, che in ciò ripongono la sola vera riforma del pensiero 
italiano. Nulla al di sopra dell’uomo: tutto in lui 0 al di sotto 
di lui: ecco la formola, con cui può enunciarsi la nuova filosofia, 
di cui discorriamo, e che dallo stesso oggetto potrebbe assu- 
mere il non improprio nome di Umanismo , (1). 

Queste considerazioni io pubblicavo quarant'anni or sono, 
quando l’Idealismo assoluto di Giorgio Hegel volgeva al tra- 
monto, e spuntava sull’orizzonte filosofico il positivismo di Au- 
gusto Comte. Fin d’allora io avvertiva, che il razionalismo assoluto 
e l’empirismo positivistico sono due forme dell’umanismo, essendo 
entrambi concordi nel proclamare il valore illimitato della ra- 
gione umana; giacchè secondo Hegel Dio acquista coscienza di sè 
nell'uomo, ed il Comte svolse dal suo positivismo l’umanismo 
più esaltato. Allora io faceva di pubblica ragione i miei studi 
intorno il sistema hegeliano; ora intraprendo un esame intorno 
l’umanismo preso nella sua forma propria e spiccata, e ne’ suoi 
pronunciati fondamentali. 


(1) L’Hegelianismo, la scienza, la vita, per Gruserre ALLievo, Milano, 1868. 


1170 GIUSEPPE ALLIEVO 


1.— Il concetto dell’uomo. 


La dottrina, di cui discorriamo, posa tutta quanta sul con- 
cetto dell’uomo, oggetto formale del suo studio. L'uomo è esso 
solo tutto quanto l’essere, è il punto centrale dell’universo, è 
il cardine ed il principio motore di tutta la realtà, è la misura 
di tutte le cose: ecco il concetto dell’uomo, su cui posa l’uma- 
nismo, e da questo concetto debbe esordire la nostra critica. 
Prendiamo ad esame questi due pronunciati: 1° Tutto sta al 
di sotto dell’uomo; nulla esiste al di sopra di lui; 2° La cono- 
scenza che abbiamo dell’uomo possiede una certezza e verità 
assoluta e sopra di essa si fonda tutto quanto il vero sapere. 

Sottoponiamo alla critica la prima di queste due proposi- 
zioni. Nessuno vorrà mettere in forse che la dignità dell’uomo 
va misurata dalla sua natura, e che la natura sua propria risiede 
nella personalità. Quindi ne consegue dirittamente che egli so- 
vrasta a tutto il corporeo universo, perchè fra tutti gli esseri 
della natura materiale egli solo è fornito di ragione e di libero 
volere, che sono i due attributi costitutivi della persona. Ma 
possiamo noi del pari asserire, che al di sopra di sè egli non 
debba riconoscere essere di sorta? Certamente l’uomo in grazia 
della sua natura personale è dotato di una potenzialità inde- 
finita. Egli scorre col pensiero l’immensità del tempo e dello 
spazio, risuscita colla memoria i secoli che più non sono, tras- 
forma ed abbellisce coll’arte il mondo circostante, domina le 
cieche forze della natura convertendole in istrumenti di civiltà 
e di agiatezza sociale, trionfa colla libertà del volere, delle pas- 
sioni istintive sino a compiere l’eroismo del sacrificio: ma la sua 
personalità è finita, epperò quando di ascensione in ascensione 
si sarà innalzato sino ai più lontani termini dell’universo egli 
si arresterà davanti all’ Essere personale divino, infinitamente 
superiore a lui; egli potrà rinnegarlo, potrà follemente imma- 
ginarsi di essere lui Dio, ma non potrà usurpare il suo posto, 
rompendo i cancelli della sua natura. In breve, l’uomo è persona, 
epperò sovrasta a tutto l'universo corporeo; ma è persona finita, 
epperò non è il sommo dell’essere, non è la realtà universa. 

Ma che? Se da un lato l’uomo è grande nelle sue trionfali 
ascensioni verso l'infinito, dall’altro lato è pur ben compassio- 


IT e A 


L'UMANISMO 1171 


nevole nelle sue miserie senza numero, ne’ suoi traviamenti, 
nelle sue cadute. I sensi e le passioni, che acciecano l'intelletto, 
i pregiudizi e gli errori, che tiranneggiano la ragione, gli ignobili 
istinti, che trionfano contro la santità del dovere ; gli scorag- 
giamenti ed i disinganni in mezzo alle aspre lotte della vita; 
gli strazii dell'anima, che non crede più a nulla e dispera di 
tutto; il dolore, che tortura la nostra esistenza fino alla morte: 
la felicità e la pace, che sempre si sospirano, e non si raggiun- 
gono mai; e poi il tempo, che tutto distrugge intorno a noi, 
e ci strappa via dal cuore quanto abbiamo di più caro quaggiù: 
ecco l’uomo, che si proclama e si esalta il Re dell’universo. 
“ Qual chimera è dunque l’uomo! Qual novità, qual caso, qual 
soggetto di contraddizione! Giudice di tutte cose, eppure verme 
imbecille della terra ; depositario del vero, eppure ammasso di 
incertezza ; gloria e rifiuto dell’universo; se egli si vanta, io 
lo abbasso ; se egli si abbassa, io lo vanto, e sempre lo contrad- 
dico, finchè comprenda che egli è un mostro incomprensibile , (1). 

Dalle cose discorse apparisce qual giudizio debbasi pronun- 
ciare intorno la proposizione, che l’uomo è il sommo dell’essere, 
al di là del quale non vi è che il nulla. 

Passiamo alla seconda proposizione: la conoscenza, che 
l’uomo ha di se stesso, è la sola vera, la sola certa, ed è il 
fondamento di tutto il sapere. Contro questo pronunciato noi 
opponiamo, che lo studio dell’uomo è avviluppato in tali e tante 
difficoltà, è combattuto da tali e tanto contrarii sistemi, che la 
conoscenza di lui non ha veruna ragione di essere anteposta ad 
ogni altra e riguardata come il cardine della scienza universale. 

Le difficoltà, di cui parliamo, provengono le une dalla estrema 
complicatezza della natura dell’uomo, le altre dalla varietà pres- 
sochè indefinita delle sue manifestazioni, le altre ancora dalla 
essenza costitutiva dell'essere umano. Quanto alla natura del- 
l’uomo, ben a ragione esso venne dai greci appellato un micro- 
cosmo, un piccol mondo, essendochè riepiloga in sè come in 
una sintesi compendiosa quanto vive e si muove nel grande 
universo, e partecipa in certo qual modo di tutte le nature senza 
confondersi con nessuna in particolare, e si stringe in rapporto 
di intelligenza e di libera volontà con tutti gli esseri finiti e 


(1) Bragio Pascar, Pensieri, Parte seconda, art. 4, numero 5. 


1172 “ GIUSEPPE ALLIEVO 


con Dio. Di qui si scorge, quanto ardua. difficoltà si incontri 
nello studio dell'uomo, essendochè ad averne conoscenza per- 
fetta occorrerebbe conoscere in certo qual modo tutto l'universo. 
Dacchè l'essere umano raccoglie nell'unità della sua specifica 
natura tanta varietà di elementi, non è meraviglia se esso si 
manifesta sotto diversissime forme e soggiace a trasmutamenti 
tanto profondi, che quasi quasi siam tratti a dubitare se indi- 
vidui umani disparatissimi per tempra di mente e di corpo 
appartengano alla medesima nostra specie, e se il medesimo 
individuo in mezzo alle metamorfosi singolari delle successive 
età della vita si mantenga sempre identico nella personalità sua. 
Quanta disparità tra il genio, che scopre i secreti della natura, 
e l’imbecille e scemo di mente che appena mostra una languida 
coscienza di se medesimo ; tra l’eroe, che si sacrifica, e l’in- 
dolente, che quasi quasi non sente la vita; tra il neonato ignaro 
di se medesimo e del mondo esteriore, e l’uomo maturo che 
lavora al conseguimento del suo ideale! Non è quindi agevole 
studio il rendere ragione di tante differentissime manifestazioni 
dell'essere umano. Che più? L'essenza medesima, che costituisce 
l'essere umano, vale a dire l'unione vivente di uno spirito e 
di un corpo, rimane e rimarrà pur sempre un impenetrabile 
mistero. “ L'uomo è a se stesso l'oggetto più prodigioso della 
natura, non potendo comprendere ciò, che è il corpo, e ancor 
meno ciò, che è lo spirito, meno poi di qualunque altra cosa, 
come possa un corpo essere unito ad uno spirito ; e tuttavia 
gli è questo il proprio suo essere , (1). 

Tali sono le difficoltà, che intralciano lo studio dell’essere 
umano. Se adunque la natura dell’uomo è talmente complicata 
con quella di tutte le cose, che a volerlo veramente conoscere 
bisognerebbe conoscere l'universo intiero, se le sue manifesta- 
zioni sono tanto opposte fra di loro da sembrare inconciliabili, 
se l’uomo considerato nella sua essenza medesima, ossia in ciò, 
che egli è, rimane un mistero a se stesso, come si potrà soste- 


(1) Bracro Pascar, Pensieri, Parte prima, art. 16. Il Pascal ripete il 
pensiero di S. Agostino, il quale aveva scritto: “ Modus, quo corporibus 
“ adhaerent spiritus et animalia fiunt, et omnino mirus est, nec compre- 
“ hendi ab homine potest; et hoc ipse homo est , (De civitate De). 


L'UMANISMO + 1178 


nere in sul serio, che la conoscenza di lui è la prima di ogni 
altra, la sola vera, certa? 

Lo studio dell'uomo fu tentato, fatto e rifatto dai diversi 
pensatori di ogni secolo e di ogni nazione, e la storia del pen- 
siero registra i risultati delle loro meditazioni. Ma anche qui 
abbiamo una folla di sistemi che si incalzano, si contraddicono, 
si combattono l’un l’altro, e ci troviamo di fronte al problema, 
in quale di tante opposte dottrine si contenga la vera e certa 
conoscenza dell’uomo. Infatti contemplando l’essere umano alcuni 
si arrestarono alla sua parte meramente materiale scambiandola 
per il tutto, altri invece non seppero notare in lui, che lo spirito, 
riguardando il corpo come un fuor d'opera, anzi come qualche 
cosa, che ci disumana: di qui l'origine di due opposti sistemi, 
l'idealismo ed. il materialismo. Altri sostennero, che lo studio del- 
l’uomo deve ristringersi tutto quanto ne’ soli fenomeni, che avven- 
gono in noi, ossia nei fatti, in cui si manifesta la nostra natura, 
senza risalire a quell’z0, a quel soggetto sostanziale, da cui scatu- 
riscono ed a cui appartengono, mentre altri tengono la sentenza 
contraria: di qui due altri opposti sistemi, il positivismo ed il 
trascendentalismo. Fra que’ medesimi pensatori poi, che ridus- 
sero tutta quanta la scienza dell’uomo allo studio esclusivo dei 
fatti, sonvene alcuni, i quali insegnano che nello sviluppo pro- 
gressivo della vita, quale si va effettuando in ciascuno di noi, 
i fenomeni fisiologici e psichici si trasformano gli uni negli altri 
tanto chè l'istinto animale diventa volontà, la sensazione fisica 
sentimento morale, la percezione sensitiva ragione umana. È il 
sistema dell’evoluzionismo. Per ultimo non mancano coloro, i 
quali impauriti in faccia alle misteriose e perpetue contrad- 
dizioni, che avviluppano la vita umana, trascorsero sino a soste- 
nere che la nostra ragione indarno si affatica per giungere ad 
alcunchè di vero e di certo intorno la natura umana, mentre 
altri trascorrono all'estremo opposto: di qui lo scetticismo ed 
il dogmatismo. 


2.— L’uomo creatore di Dio. 


Amedeo Fichte promise un giorno a’ suoi uditori, che nella 
prossima lezione si sarebbe accinto a creare Dio. Il semplice 
e puro buon senso non ci consentirebbe di pigliare questa pro- 


1174 GIUSEPPE ALLIEVO 


posizione in sul serio, quasichè un essere finito, e che non si è 
data l’esistenza da sè, possa dare forma ed esistenza ad un 
Essere infinito, quale è Dio. Ma alcuni filosofi, sebbene rarissimi 
di fronte agli innumerevoli, che la pensano diversamente, si 
reputano indipendenti dal buon senso, o s'immaginano di costrurre 
l'universo colla virtù del proprio pensiero. Dacchè l’uomo è il 
sommo dell’essere, non c'è più posto per Dio nel mondo: giacchè 
tutto ciò, che esiste, soggiace al suo pensiero, anche Dio è una 
fattura della sua mente. L'uomo e Dio non sono due termini 
distinti, due esseri diversi, ma fanno un essere unico: la realtà 
è una sola. 

Qui occorre di fare una gravissima avvertenza. Questa con- 
fusione dell’uomo con Dio debb’essere considerata sotto due ben 
diversi riguardi. L'uomo può innalzarsi al di sopra di sè tant’alto 
da trasumanare, ossia spogliarsi della sua natura ed indiarsi, 
diventando un essere solo con Dio; oppure abbassar Dio tanto 
da soverchiarlo e reputarlo una sua fattura. In entrambi i casi 
abbiamo sempre una realtà unica, con questa diversità però, 
che nel primo caso Dio solo rimane, l’uomo è scomparso, nel 
secondo caso la realtà di Dio è scomparsa, e rimane sola quella 
dell’uomo. Un esempio del primo caso lo abbiamo nel misticismo 
esagerato, in cui l’anima pia di ascensione in ascensione sale 
sino ad inabissarsi nel mare infinito dell'essenza divina, e smarrire 
la coscienza di sè, in quella guisa che un fiume terminato il 
lungo suo corso va a perdersi nell’immenso oceano, confondendo 
le sue acque con quelle del mare. Il secondo caso è propria- 
mente quello dell’umanismo, che spoglia Dio della sua reale 
esistenza, ed è pretto ateismo. 

Questa tendenza di alcuni pensatori a sublimare l’uomo 
al di sopra della sua finita natura sino a confonderlo coll’ In- 
finito si manifestò nella prima metà del secolo scorso segnata- 
mente nella filosofia dominante in Germania. Ogni uomo, secondo 
il Novalis, deve adoprarsi di sollevarsi al di sopra di se medesimo, 
di divenire più che uomo assimilandosi l'universo col proprio 
pensiero. Secondo lui l’uomo è l'arbitro del mondo: l’io umano 
scorre onnipotente ed immutabile sulla mobile scena dell’universo. 

Luigi Feuerbach insegna che il Dio da noi adorato non è 
che lo specchio, in cui si riflette l'essenza umana. Il suo Dio 
è la stessa sua anima in quanto è manifestata, ma ei lo ignora, 


L'UMANISMO 1175 


ed è appunto quest’ignoranza, che costituisce la sua religiosità (1). 
Secondo Hegel, Dio ha la coscienza di sè nell'uomo, perchè il 
pensiero umano giunge a comprendere e spiegare tutto l’uni- 
verso, e diventa consapevole che egli è lo spirito infinito, Dio. 

Ora prendiamo in esame le ragioni principali, che l’ateismo 
umanistico mette in campo contro l’esistenza reale di Dio, con- 
siderato siccome l'essere supremo, reggitore dell’universo. 

La nostra vita psicologica non sempre scorre calma e tran- 
quilla, quale si converrebbe alla nostra natura, fatta per la 
conoscenza del vero e per il possesso della felicità; ma più di 
una volta l’anima nostra trovasi in uno stato di abbattimento, 
di sconforto, di dolore. In tali tristissimi momenti essa cerca 
uno scampo, che la ripari, una forza, che la rialzi, e colla sua 
immaginazione si crea un idolo, e s'inchina ad esso come a suo 
salvatore ed oggetto delle sue speranze. Quest’idolo è il suo 
Dio. Così ragiona l’umanista; ma egli ha dimenticato il con- 
cetto superlativo, che si è formato dell’uomo, e che è il cardine 
del suo umanismo. Poichè se l’uomo è il sommo dell'essere, se 
tutto sta al di sotto di lui, niente vi ha al di sopra di lui, come 
mai può discendere tanto basso da lasciarsi soverchiare da 
una forza a lui superiore, che lo abbatte, lo contrista, lo ad- 
dolora, come fosse l’ultima delle creature? Come spiega un 
decadimento così profondo ? E qui accettiamo il fatto, sebbene 
per lui inesplicabile. Poniamo pure che l’uomo sia caduto in 
fondo allo scoraggiamento ed al dolore. È proprio necessario, 
per rialzarsi dalla sua miseria, che egli si foggi un idolo, ado- 
randolo come un Dio? Non gli basterebbe che ricordasse essere 
lui il re dell'universo, attingendo da questo ricordo la forza 
per sostenere la prova, che lo combatte ? 

Dio, secondo altri umanisti, non è un idolo fittizio foggiato 
dalla nostra immaginazione perchè ci conforti nelle lotte della 
vita, ma è un ideale di quanto vi ha di nobile e di grande, creato 
dalla nostra mente, ma un ideale privo di realtà, non è un 
essere, ma una concezione del pensiero, è il divino (2). Tale è 
la teoria di Ernesto Renan, esposta nella sua opera Studi di 


(1) Essenza del cristianesimo, capo 2°. 
(2) Intorno Il divino nella natura il Rosmini serisse pagine profonda- 
mente meditate; ma non confuse il divino, e tanto meno la natura, con Dio. 


1176 GIUSEPPE ALLIEVO 


storia religiosa. Ricercare e contemplare quanto vi ha di più 
sublime, ossia il divino nella scienza, nell’arte, nella moralità 
della vita, in tutto l’universo, ecco ciò, che forma il pregio e 
la grandezza dell’esistenza. La religione sta appunto nel culto 
del divino, e non nell’adorazione di Dio, come un essere supe- 
riore all'uomo: essa perciò ha un'origine essenzialmente umana, 
come è creazione umana il divino, su cui si fonda. Quindi il 
divino si trova in tutte le più elevate manifestazioni della vita 
umana: vi ha la religione del dovere, della scienza, dell’arte, 
dell’eroismo e del sacrificio. Tutti riconoscono che il divino è 
veramente nobile, grande, sublime, ma si dimanda, qual'è la 
sua origine? Voi avete preso il vocabolo Dio, che è un nome 
sostantivo, e lo avete convertito in un aggettivo, il divino. Ma 
l'aggettivo non si regge da sè, bensì ha il suo fondamento in 
un sostantivo. Se esiste il divino, esiste Dio, come tipo vivente 
di tutte le perfezioni delle creature. Io posso concepire qualche 
cosa ancora più grande e più sublime del divino, ed è l’essere 
esistente, in cui ha la sua sede ogni attributo di sublimità e 
grandezza, e quest’essere non è l’uomo, ma Dio. Nessun altro 
individuo umano può dire: in me abita il divino: tutti gli indi- 
vidui umani singolarmente presi presentano pregi e difetti, e 
l’uomo in genere non esiste, è un’astrazione. Tralascio poi di 
notare l’abuso dei vocaboli, come quando l’autore parla di reli- 
gione senza Dio, di religione della scienza, dell’arte: la scienza 
è scienza, e non religione, l’arte è arte, e non religione. 

Se l’uomo è il sommo dell’essere, anche il Divino è umano, 
è un ideale, che non può trascendere la mente, che lo ha creato, 
l'uomo è lui Dio, la religione non ha un fondamento oggettivo 
nella realtà di Dio, ma è un fenomeno affatto soggettivo, che 
sorge, si svolge e termina nel sentimento della coscienza umana. 
Ma se Dio è una concezione astratta della mente umana, se la 
religione è un fenomeno assolutamente soggettivo, per una. più 
forte ragione la natura va riguardata anch’essa siccome una 
fattura umana, un fenomeno soggettivo, una concezione o rap- 
presentazione mentale. Così Dio e la natura non sussisterebbero 
in sè, ma avrebbero una esistenza meramente fenomenica nel- 
l'uomo, ed il soggettivismo universale sarebbe l’ultima parola 
della scienza. Ora questa dottrina trovasi di fronte ad una ve- 
rità psicologica irrepugnabile, che la smentisce. In fatti la co- 


L'UMANISMO Men? 7 


scienza indubbiamente ci testimonia, che di tutte le modifica- 
zioni interne il nostro io è sempre il soggetto, ma non di tutte 
è la causa efficiente e l'originario principio; che se talvolta è 
attivo e modifica se stesso per virtù sua propria, tal altra è 
passivo e riceve modificazioni, che gli provengono da un prin- 
cipio esteriore da lui distinto. Io concepisco un disegno, formolo 
un proposito, esulto di entusiasmo davanti ad un vagheggiato 
ideale; questi fenomeni sono miei, io ne sono il soggetto e la 
causa ad' un tempo. Veggo un placido tramonto di sole e me 
ne compiaccio, fiuto una rosa e ne provo una gradevole impres- 
sione: queste modificazioni piacevoli avvengono in me, ma non 
le devo a me, bensì ad una causa esteriore da me distinta. 
Insomma tutti i fenomeni interni sono soggettivi rispetto all’io, 
in cui avvengono, ma sono oggettivi rispetto alla causa este- 
riore, da cui possono originare. Questa verità psicologica si 
estende a tutta la nostra vita fenomenica interiore; essa ri- 
guarda non solo i nostri rapporti colla natura, ma altresì i 
nostri rapporti con Dio: come i fenomeni della nostra vita 
psicofisica sarebbero impossibili senza la realtà oggettiva, così 
i fenomeni della nostra vita religiosa sarebbero inesplicabili, se 
tutti fossero meramente soggettivi. 

Un'altra verità psicologica dettata dalla coscienza viene a 
smentire il pronunziato fondamentale dell’umanismo. Raccoglien- 
doci nell’interiorità di noi medesimi, siam fatti consapevoli, che 
i fenomeni, onde s’intesse la vita del nostro io, non solo si spe- 
cificano in soggettivi ed oggettivi rispetto alla causa, da cui 
rampollano, ma si differenziano altresì riguardo alle potenze, 
da cui procedono. Ora secondo questa dottrina, tutto quanto il 
soggetto umano è essenzialmente ed esclusivamente facoltà ra- 
zionale, pensiero puro e niente più: tutto ciò, che non è un 
portato della ragione, od ha natura diversa, va rigettato: il 
sovranaturale ed il sovrintelligibile sono un mito; la credenza 
nella libertà del volere, nella santità del dovere, nella moralità 
della vita, nell'esistenza futura, in un Dio personalmente  infi- 
nito, superiore alla natura ed all'umanità, tutte queste sono 
vane illusioni. Così l’umanismo, che tanto esalta l’uomo fino a 
collocarlo al posto di Dio, finisce col deprimerlo, col mutilarlo 
togliendogli quelle credenze morali e religiose, su cui posano i 
titoli più cospicui della nobiltà ed eccellenza del genere umano, 


1178 GIUSEPPE ALLIEVO 


e suscitando una straziante contraddizione nell'intimo del suo 
essere. L’ateismo è la prima e l’ultima sua parola. 

L'uomo tende a Dio per impeto spontaneo di natura e gra- 
vita verso di lui come corpo verso il suo centro di attrazione. 
Un tal Sintenis racconta di se stesso, che dopo la morte della 
sua compagna erasi ritirato in campagna vivendo in un asso- 
luto isolamento col suo unico figlio di tenerissima età. Imbe- 
vuto delle opinioni di Rousseau e temendo che suo figlio si 
formasse storte idee sulla Divinità, si adoprò in tutte guise 
perchè nessuna nozione religiosa giungesse fino a lui, ed egli 
solo lo veniva ammaestrando. Intanto l’istinto religioso si fa- 
ceva sentire al cuore di lui, che a dieci anni non aveva mai 
sentito pronunciare il nome di Dio. Egli cercava questo Dio 
ignoto, che con tanta cura gli si teneva nascosto, e credette 
di averlo trovato nel sole, la cui presenza anima tutto il mondo, 
offrendogli i suoi omaggi in un remoto angolo del giardino. Il 
padre sorprese il giovane idolatra in un momento, in cui ingi- 
nocchiato, colle mani sollevate verso il cielo, adorava l’astro, 
che spuntava sull’orizzonte. 

L’ateismo umanistico è una deplorabile illusione. L'uomo 
si proclama Dio e non lo è. Egli ha negato Dio per collocarsi 
in luogo di lui e Dio lo ha abbandonato. Egli è solo: cacciato 
Dio dal santuario della coscienza e dal mondo della natura, 
vede tutto l’universo precipitare nel disordine e nell'abisso, fa- 
cendo il vuoto intorno a sè. Per la sua personale natura egli 
aspira al possesso dell'Essere infinito, ma la sua aspirazione si 
risolve in uno sforzo disperato, perchè, come individuo è finito 
in tutte le sue potenze, e nella sua solitudine assoluta più non 
trova fuori di sè chi lo sorregga per l’alta via. Egli inorri- 
disce davanti alla coscienza del proprio stato come davanti al 
nulla. Gian Paolo Richter ritrasse in tutto il suo tetro orrore 
questo tristissimo fenomeno della vita psicologica. 

“ Una sera d'estate io era coricato sulla cima d’un colle: 
mi addormentai e mi sono immaginato che mi svegliavo nel 
cuor della notte in un cimitero. L'orologio suonava le undici 
ore. Tutte le tombe erano semiaperte, e le porte di ferro della 
Chiesa, scosse da una mano invisibile, si aprivano e si chiude- 
vano senza rumore. Io vedeva sulle mura fuggir delle ombre 
non proiettate da verun corpo, altre ombre livide si sollevavano 


L'UMANISMO 1179 


nell'aria; i fanciulli soli riposavano ancora nei loro avelli. Tutta 
la Chiesa tremava, e l’aria era scossa da suoni strazianti, che 
invano cercavano di accordarsi. Io mi sentii spinto dallo stesso 
terrore e cercai un riposo nel tempio. Mi avanzava fra la folla 
delle ombre, che si stringevano intorno l’altare spogliato. Nel- 
l’alto della volta della chiesa eravi il quadrante dell’eternità : 
mon vi si scorgevano nè cifre, nè aghi; ma una mano nera ne 
faceva il giro lentamente, ed i morti si sforzavano di leggervi 
il tempo. Allora discese dall'alto sull'altare una figura raggiante, 
nobile, elevata, che portava l'impronta di un eterno dolore. Al 
vederla i morti gridavano: 0 Cristo, non vi ha egli nessun Dio ? 
Egli rispose: Nessuno! Tutte le ombre presero a tremare con 
violenza, ed il Cristo continuò così: “ Io ho percorsi i mondi, 
mi elevai al di sopra dei soli, e là parve non esservi nessun 
Dio. Discesi sino agli ultimi limiti dell’universo; guardai nel- 
l'abisso, e gridai: Padre, ove sei tu? Ma non intesi che la 
pioggia, che cadeva a goccie a goccie nell’abisso e l’eterna 
tempesta, non governata da nessun ordine, essa sola mi ha 
risposto. Rialzando poi i miei sguardi verso la volta de’ cieli, 
altro non vidi che l’orbita di un occhio, vuoto, nero, senza 
fondo. L’eternità riposava sul caos e lo rodeva, divorando len- 
tamente se stessa: raddoppiate i vostri timori amari e stra- 
zianti, quante grida acute disperdevano le ombre, perchè tutto 
era finito! 

“ Le ombre desolate svanivano verso il vapore biancastro 
condensato dal freddo; la chiesa fu ben tosto deserta; ma tutto 
ad un tratto, orribil spettacolo! i fanciulli morti, che alla loro 
volta si erano svegliati nel cimitero, accorsero e si prostrarono 
davanti la maestosa figura, che era sull’altare, e dissero: Gesù, 
non abbiamo noi nessun padre? Ed egli rispose con un torrente 
di lacrime: voi ed io non abbiamo padre; siamo tutti orfani. 
A tali parole, il tempio ed i fanciulli si inabissarono, e tutto 
l’edificio del mondo crollò davanti a me nella sua immensità ,. 


3. — L’umanismo ed il sopranaturale. 


Nel campo della scienza s'incontrano opinioni, che furono 
discusse, ridiscusse, abbandonate, sicchè non avvi più ragione 
di ritornarci sopra, tranne che fossero concepite sotto un aspetto 

Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 79 


1180 GIUSEPPE ALLIEVO 


affatto nuovo e proposte sotto forma veramente originale. Ma 
che? Si ritorna da capo e sì ripete la sentenza di prima, igno- 
rando o trascurando i tanti lavori, le tante discussioni, i tanti 
studi, che si sono fatti intorno l’argomento e le conclusioni 
pronunciate dalla critica. E così la ragione si trastulla girando 
e rigirando sempre entro il medesimo circolo. Tale è l’opinione, 
che la fede religiosa è in contraddizione colla scienza, che il 
mistero ripugna alla ragione, che il sopranaturale urta contro 
le leggi della natura, epperò la fede religiosa, il sovrintelli- 
gibile, il sovranaturale vanno rigettati in nome della ragione 
e della scienza. I sostenitori di tale dottrina avvisano, che la 
fede religiosa va abbandonata alla gente incolta, la quale vive 
estranea al mondo dei pensatori, ma non avvertono, che di cre- 
denti se ne incontrano chi sa quanti anche fra pensatori po- 
tenti, fra profondi filosofi, fra genii illustri in ogni ordine del- 
l'umano sapere, i quali non rigettarono la fede religiosa siccome 
ripugnante alle loro libere induzioni scientifiche. 

Fra le varie ragioni, che hanno potuto indurre alcuni filo- 
sofi ad avversare la fede religiosa, va certamente annoverata 
anche questa, il falso concetto e la conoscenza confusa che mo- 
strano di averne. Essi non si sono fatta un’idea esatta dei voca- 
boli, che adoperano, e confondano la fede illuminata e ragio- 
nevole colla cieca credulità, il sovrintelligibile ed il mistero 
coll’assurdo. Prima adunque di entrare in argomento occorre 
dichiarare il significato de’ vocaboli relativi, quali sono fede, 
sovranaturale, sovrintelligibile, miracolo, mistero, assurdo. 

Fede è la ragionevole credenza ad un’autorità esteriore, e 
quindi si specifica in umana e divina, secondochè l'autorità è 
quella di un uomo o di Dio, in storica ed in dottrinale, secon- 
dochè ha per oggetto un fatto, od un pronunciato, il quale non 
è nè logicamente, nè sperimentalmente dimostrabile. Soprana- 
turale è ogni fenomeno, ogni avvenimento, ogni fatto, che su- 
pera le forze ordinarie della natura; sovrintelligibile è ogni 
verità, che supera l’apprensiva dell’intelligenza umana. Il mira- 
colo è un fatto sopranaturale, il mistero è una verità sovrin- 
telligibile. Ma si avverta bene: noi non troviamo la causa pro- 
duttiva del miracolo nelle forze della natura, ma come fatto 
esso cade sotto i nostri sensi, quale sarebbe la risurrezione di 
un morto: similmente il mistero è una verità incomprensibile 


_ — - “elle dite sti nnittrntia 


sti deli site. anti na 


L'UMANISMO 1181 


rispetto alla sua intima essenza, ma è comprensibile ed intel 
ligibile riguardo ai termini, di cui è composta. Infine l’assurdo 
è ciò che contraddice alle leggi della natura, come un corpo 
inorganico, che eserciti le funzioni della vita vegetativa, una 
pianta, che mostri sensitività animale e movimento spontaneo; 
oppure alle leggi del pensiero, come un effetto senza causa, un 
circolo senza centro, un triangolo con tre angoli retti. Il sopra- 
naturale ed il sovrintelligibile hanno la loro immediata origine 
in Dio, di guisa che siccome Dio è al di sopra della natura 
fisica e dell’intelligenza umana, perchè la sua potenza è infinita 
e la sua mente è immensa, così chiunque ammetta l’esistenza 
di Dio, è dalla logica forzato ad ammettere il sopranaturale ed 
il sovraintelligibile. Quindi si capisce che l’umanismo, essendo 
un pretto ateismo, nega e l'uno e l’altro; ma fra breve ritorne- 
remo su questo punto. 

Chiarito così il significato dei vocaboli e dissipato ogni 
equivoco, la questione è già in gran parte risolta. Anzi ogni 
cosa, tutto ciò che suona un assurdo, va rigettato dalla ra- 
gione, perchè contenendo una contraddizione, si risolve nel nulla 
ed il nulla è impensabile. Un effetto senza causa non è un ef- 
fetto. Ora entriamo in materia. Ragione e fede sono due ter- 
mini indisgiungibili: la ragione crede a verità prime, che sono 
logicamente e sperimentalmente indimostrabili, ed alla sua volta 
la fede debb’essere ragionevole. La ragione crede alla veracità 


delle sue facoltà conoscitive senza poterlo dimostrare, e crede 


all'esistenza dell’oggetto conoscibile, che le sta davanti, ma non 
lo crea, bensì lo ammette come dato. Qui sorge l'avversario del 
sopranaturale e dice: La nostra intelligenza non può ammet- 
tere come oggetto conoscibile, se non ciò, che è dato dalle sue 
facoltà conoscitive, i sensi e la ragion pura, e che sia assolu- 
tamente da lei comprensibile ed intelligibile; ma il sopranatu- 
rale non è dato dall’intelligenza ed è assolutamente incompren- 
sibile e sovrintelligibile; dunque va rigettato. Esaminiamo questo 
suo ragionamento. } 

Siamo nel campo dell’intendere e del conoscere, epperò sta 
bene che ogni oggetto conoscibile debb'essere presentato da una 
intelligenza, ma quest’intelligenza può essere o la mia propria 
individuale, che percepisce qualche cosa co’ sensi esterni od 
interni e qualche idea colla ragione, oppure un’altra intelligenza 


Yi. pos 


1182 GIUSEPPE ALLIEVO 


esteriore, autorevole, meritevole di fede, la quale può essere o 
umana, o divina. A ragion d’esempio un alunno di scuola ele- 
mentare legge nel suo libro o sente dire dal maestro, che il 
sole sta fermo e la terra gira intorno al sole. Ecco una verità, 
che egli non trae dalla sua intelligenza nè per via dei sensi 
esterni, nè colla pura intuizione; eppure la ammette credendo 
alla parola autorevole del suo maestro, egli crede non già cie- 
camente, ma perchè ha delle ragioni, perchè cioè sa che il suo 
maestro non s’ inganna, nè vuol ingannarlo, possiede cioè dot- 
trina e probità. Per lo stesso motivo l’uomo crede ad una verità 
rivelata dall’intelligenza divina, quando abbia delle ragioni che 
quella verità fu realmente rivelata. 

Veniamo all’altro punto, che cioè 1’ intelligenza non può 
ammettere se non ciò, che chiaramente si comprende, e deve 
rigettare ciò, che è assolutamente incomprensibile. Io ritorno 
all'esempio addotto. L'alunno intende il significato dei vocaboli, 
che entrano nella proposizione, la terra si muove intorno al sole 
che sta immobile, ma non ne capisce il perchè. Lo stesso è a 
dirsi di una verità divinamente rivelata: s'intende il significato 
dei vocaboli, che la esprimono, ma non si comprende l'intimo 
perchè. Il mistero non è tanto chiaro da esser compreso quanto 
e quale è, ma non è nemmeno tanto tenebroso ed oscuro, che 
non lo si apprenda per nessun verso: il nostro intelletto vi ha 
la sua parte. Il pretendere che nulla vi debba essere di ignoto 
per la ragione umana e che abbiasi da rigettare tutto che non 
sia chiaramente compreso, conduce come ad inevitabile conse- 
guenza allo scetticismo universale. Qualche cosa di ignoto s’in- 
contra da per tutto, in fondo ad ogni problema, ad ogni teo- 
rema anche il più solidamente dimostrato. La scienza matema- 
tica, che pure è tanto esatta e certa, ha dei teoremi fondati 
sopra una dimostrazione indiretta, in cui si ammette una verità 
non già perchè se ne comprenda la ragione intrinseca, bensì 
per non cadere negli assurdi, che deriverebbero dalla proposi- 
zione contraria. Non è l'ignoto, che va rigettato, bensì l’as- 
surdo ; l'ignoto sovrasta alla ragione, l’assurdo la uccide. L’ignoto 
è lontano, lontano dalla nostra intelligenza, ma è pur qualche 
cosa, che s'intravede. To mi trovo sopra un porto di mare ; 
spingo lo sguardo sino all'estremo limite dell'orizzonte e veggo 
un punto nero sull’immenso oceano; non so che oggetto sia, 


— ——_ _—_—— ——_—_ ro -__, ———r-_—_mrd eét —Pr_———_o————o"_ cor cr—"——.’ 


L'UMANISMO (È 1183 


ignoro la sua forma, il suo volume, il moto, i suoi caratteri 
debbo forse negare la sua esistenza? La conoscenza esordisce 
da una vaga ed indistinta visione di qualche cosa di ignoto, 
che si presenta al nostro pensiero e che non si sa ancora ben 
dire in che consista, ma pure si crede alla sua esistenza. Quindi 
la credenza precede sempre la conoscenza e ne è il postulato 
necessario (1). Credere non è ancora conoscere, ma ne è una 
premessa indeclinabile. L’ignoto può essere elaborato dalla 
virtù riflessiva del pensiero, trasformarsi in sapere, ed allora 
al credere sottentra il conoscere; ma può anche restare inac- 
cessibile ad ogni lavorìo della riflessione e rimanere veramente 
ignoto ; ed allora la mente rimane in uno stato perpetuo di cre- 
denza. Così lo Spencer crede all’esistenza dell’ Ignoto, siccome 
principio supremo dell'universo, ma lo proclama eternamente 
ed assolutamente inconoscibile. I fenomenisti in generale am- 
mettono il noumeno e credono alla sua esistenza, ma lo di- 
chiarano inconoscibile, professando l’agnosticismo. E qui non 
va dimenticata l’esistenza di un singolarissimo ordine di feno- 
meni, davanti ai quali la ragione rimane muta e si confessa 
impotente a spiegarli, mal sapendo conciliarli colle leggi già 
conosciute della natura umana. Tali sono i fenomeni meravi- 
gliosi e straordinarii dell’ ipnotismo, del sonnambolismo, del 
magnetismo, la sospensione della facoltà motrice, l’insensibilità 
delle parti esterne del corpo, la chiaroveggenza, l’allucinazione, 
la trasmissione del pensiero o penetrazione mentale, la visione 
medica, la telepatia, la previsione ed altrettali. 

Dalle cose discorse discende questa conclusione. La ragione 
in fondo ad ogni problema trova alcunchè di ignoto, sicchè se 
sì arbitrasse di negare tutto ciò, di cui non può dare una chiara 
e soddisfacente spiegazione, sarebbe costretta a negare i fatti 
più comuni ed incontrastabili, rovesciando nel nullismo uni- 
versale. 

Quindi si scorge quanto si allontanino dalla ragione quei 
pensatori, i quali negano le credenze morali e religiose dell’u- 
manità per ciò solo che non giungono a dissipare le oscurità 
e le dubbiezze, in cui giacciono avvolte, riducendole ad altret- 


(1) Anche la vita operativa e sociale posa in parte sulla credenza, in 
parte sulla prudenza riflessiva. 


1184 ? GIUSEPPE ALLIEVO 


tanti miti e concezioni fantastiche. Senza credenza non si vive. 
Non sì ha diritto di distruggere, quando non si ha la forza di 
riedificare. Essi hanno adoperata la critica per distruggere le 
credenze morali e religiose dell'umanità. Ebbene un’altra critica 
sorgerà a distruggere la nuova teoria da loro proclamata. Di 
tal modo dove si andrà a finire ? 


4. — L’umanismo e le apostasie del pensiero. 


La storia del pensiero ha i suoi apostati, come la storia 
dell’ascetismo ha i suoi luciferi. Le apostasie come le conver- 
sioni sono uno di que’ fenomeni della vita psicologica, che per 
la loro gravità ed importanza somma meritano di essere pro- 
fondamente disaminati, sebbene s’incontri difficoltà e fatica a 
rintracciarne le secrete origini, e le ragioni spiegative, che si 
nascondono nei misteri dello spirito umano. 

Io m’immagino un giovane filosofo nel fior dell'età, potente 
pensatore e sincero credente ad un tempo. Egli ha consacrato 
il suo vigoroso ingegno alla scienza speculativa, il suo animo 
al culto del Buono, del Santo, del Divino, e la sua vita men- 
tale si va svolgendo in armonico accordo colla vita morale e 
religiosa. Egli intuisce con occhio sereno e sincero i problemi 
filosofici e ne tenta lo scioglimento con tutto quell’ardore, che 
gli inspira l’amore della verità; ma la sua ragione non s'in- 
noltra solitaria ed assoluta nell’arduo campo delle indagini, 
bensì ha per compagna la fede, essendochè il sovrintelligibile 
ed il soprannaturale non distrugge l’ intelligibile e la natura, 
ma sono due ordini distinti, che hanno i loro punti di contatto, e 
se la dogmatica ha i suoi misteri impenetrabili, che la oscu- 
rano, anche la scienza ha i suoi; se la fede ha il suo mon plus 
ultra, anche la ragione ha i suoi limiti. 

Ma che? Giunge un momento, un fatale, un misterioso 
momento, in cui il pensatore varca i limiti della ragione, vuole 
tutto conoscere, tutto spiegare colla virtù del proprio pensiero, 
rigetta 11 sovrintelligibile ed il soprannaturale, perchè trascen- 
dono l’apprensiva della sua ragione. Da quel momento egli ha 
spezzata l'armonia tra la fede e la scienza, ha sacrificato l’una 
all'altra: il credente è scomparso, rimane il pensatore solitario, 
l'’apostata dei proprii principii. Ma a tale apostasia lo spirito 


L'UMANISMO {& 1185 


non precipita lì per lì in un attimo e quasi per incanto. Da 
prima la. ragione esordisce spargendo il dubbio sulla fede, col 
disconoscere i confini che la circoserivono : a mano a mano che 
va affermando la sua assoluta autonomia nel campo della spe- 
culazione la credenza si illanguidisce, ma non è spenta ancora. 
Al dubbio succede l'esame; la ragione chiama al proprio tribu- 
nale, si fa giudice supremo delle credenze morali e religiose e 
pronuncia una sentenza di condanna contro il sovrintelligibile 
ed il soprannaturale. Così la critica ha disfatto il dogma : la 
ragione ha usurpato tutto il dominio dello spirito : il nostro 
pensatore ha inalberata la bandiera del razionalismo, tenta di 
creare una dottrina nuova ed originale, e se il suo ingegno non 
vale a tanto, si fa discepolo di qualche grande maestro egli, 
che aveva proclamata l’indipendenza assoluta della propria ra- 
gione e rinnegati i proprii principii, sceglie fra gli infiniti 
sistemi, che gli porge sott'occhio la storia della filosofia misere- 
dente, sistemi diversi e contrarii di indole e di tendenze, ma 
concordi nel negare la personalità di Dio e proclamare l’uomo 
la misura dell’universo. 

Qui sorge un momento di esitazione pel nostro filosofo: 
raccolto dentro di sè, egli vede che colla critica aveva distrutti 
i dogmi da lui professati e sulle loro ruine posato il suo si- 
stema, ed ora la storia della filosofia gli apprende che tutti i 
sistemi, anche il suo, cadono l’un dopo l’altro distrutti sotto i 
colpi della critica. In questo solenne momento di esitanza il 
suo spirito sta sospeso tra l’apostasia e la conversione (1), tra 
la persistenza nell’ateismo ed il ritorno alla fede. Egli comincia 
a dubitare dei pronunciati del suo razionalismo, come aveva 
cominciato a dubitare del sovrintelligibile e del soprannaturale. 
Ma che? Piuttosto naufragare nello scetticismo universale, che 
ritornare al sovrintelligibile ; piuttosto l’assurdo, che il sopran- 
naturale; piuttosto il nulla, che un Dio personale; piuttosto la 
disperazione, che le speranze della vita futura (2). 


(1) Questo duplice fenomeno psicologico noi Italiani lo vedemmo avve- 
rato in Ausonio Franchi. Sacerdote di profonda pietà e di fervida fede, si 
fece apostolo del più esaltato razionalismo, poi ridiventò il Cristoforo Bo- 
navino di prima. * 

(2) L’apostasia, di cui discorriamo, può anche trarre la sua origine non 
dalla critica della ragione, ma dai traviamenti del cuore. La mente accie- 


1186 GIUSEPPE ALLIEVO 


L'apostata dei proprii principii, che io ho immaginato e 
deseritto, non è una creazione fittizia della mia mente. La storia 
del pensiero filosofico non pochi ce ne ricorda, e fra questi va 
segnalato un illustre rappresentante della scuola psicologica 
francese iniziata da Vittorio Cousin nella prima metà del se- 
colo scorso, Teodoro Jouffroy. Egli pubblicava uno scritto che 
levò molto rumore, col titolo: Comment les dogmes finissent. 
Quello scritto segnava l'abbandono della sua fede religiosa e 
l'esordio del suo razionalismo ; ma la sua apostasia non fu com- 
piuta a cuor leggiero, come un fenomeno comunissimo ed inav- 
vertito della vita psicologica. Egli stesso ritrasse la lotta fie- 
rissima che agitò il suo spirito, quandò cessò di essere credente 
per diventar filosofo senza fede. Quelle sue pagine postume de- 
stano nel lettore un senso di profonda commozione, ed io qui 
le riproduco siccome una preziosa ed interessante lezione di psi- 
cologia intima. 

“ Nato da pii parenti ed in un paese, dove la fede catto- 
lica era ancor piena di vita nell’aprirsi di questo secolo, io era 
stato per tempo avvezzato a considerar l'avvenire dell’uomo © 
la cura della sua anima come il grande affare della mia vita, 
e tutto il processo della mia educazione aveva contribuito a 
formare in me queste serie disposizioni. Per lungo tempo le 
credenze del Cristianesimo avevano pienamente risposto a tutti 
i bisogni ed a tutte le inquietudini gettate nell'anima in tali 
disposizioni. Alle questioni, che erano per me le sole, che me- 
ritassero di occupar l’uomo, la religione dei padri miei dava 
risposte ed a queste risposte io vi credeva, e mercè queste 
credenze la vita presente mi era chiara, e per là io vedeva 
svolgersi senza nube l'avvenire che deve tenerle dietro. Tran- 
quillo sul cammino che io doveva battere in questo mondo, 
tranquillo sulla meta, dove mi doveva condurre nell’altro mondo 
abbracciando la vita nelle sue due fasi, e la morte che le unisce, 
comprendendo me stesso, conoscendo i disegni di Dio sopra di 
me, ed amandolo per la bontà dei suoi disegni, io era fortu- 


cata dal corrotto costume non vede più nulla nel santuario dello spirito. 
La purezza della fede non si concilia col fango delle pàssioni, e la fede si 
abbandona per non sentire il suo persistente grido di protesta contro l’im- 
moralità della nostra vita. 


L'UMANISMO è 1187 


nato di quella felicità, che dà una fede vivà e certa in una 
dottrina, che risolve tutte le grandi questioni, che possono in- 
teressar l’uomo. 

“ Ma nel tempo, in cui ero nato, era impossibile che questa 
felicità dovesse durare, ed il giorno era venuto, in cui dal seno 
di questo placido edificio della religione, che mi aveva accolto 
nella mia nascita, ed all'ombra del quale era trascorsa la mia 
gioventù, io avevo sentito il vento del dubbio, che da tutte 
parti ne percuoteva le mura e le scuoteva fin dalle fondamenta. 
Messa una volta in forse agli occhi della mia ragione la divi- 
nità del Cristianesimo, essa aveva sentito tremare nelle loro 
fondamenta tutte le sue convinzioni..... Su questo declivio ap- 
punto la mia intelligenza aveva sdrucciolato, ed a poco a poco 
si allontanò dalla fede. Allora io seppi, che nel fondo di me 
medesimo nulla più vi era di quel di prima; che quanto io 
aveva creduto su me stesso, su Dio e sul mio destino in questa 
vita e nell'altra non lo credeva più. Dacchè io rigettavo l’au- 
torità, che me lo aveva fatto credere, io non poteva più am- 
metterlo, io lo rigettavo. Terribile fu questo momento, parvemi 
sentire spegnersi la mia vita primiera, così ridente e piena, 
e dietro di me aprirsene un’altra oscura e deserta, dove d’ora 
in avanti andavo a vivermene solo, solo col mio fatale pensiero, 
che allora mi cacciava in bando, e che io ero tentato di ma- 
ledire. I giorni che tennero dietro a questa scoperta, furono i 
più tristi della mia vita. Dire da quali movimenti essi furono 
agitati, sarebbe certo troppo lungo... ma la mia anima non po- 
teva avvezzarsi ad uno stato sì poco conforme all’umana debo- 
lezza; per mezzo di violenti ritorni essa cercava di riguada- 
gnare le rive perdute. Ma i convincimenti della ragione rove- 
sciati non possono risorgere che per mezzo di essa... Non potendo 
reggere all’incertezza sull’enigma dell'umano destino, non avendo 
più il lume della fede per risolverlo, più non mi restava che il 
lume della ragione per provvedervi. Io risolsi adunque di con- 
sacrare tutto il tempo necessario e la mia vita, se bisognasse, 
a questa ricerca; è per questo cammino che mi trovai condotto 
alla filosofia, la quale mi pareva non essere altro che questa 
stessa ricerca. 

“ La mia intelligenza eccitata da’ suoi bisogni ed aggran- 
dita dagli insegnamenti del Cristianesimo, aveva apprestato alla 


1188 P GIUSEPPE ALLIEVO 


4 
filosofia il grande oggetto, i vasti quadri, la sublime portata 
di una religione ; aveva ragguagliato lo scopo dell'una con quello 
dell'altra, e non aveva scorto tra esse altra differenza che quella 
dei procedimenti e del metodo, la religione immaginando e pre- 
scrivendo, la filosofia trovando e dimostrando. Tali erano state 
le mie speranze, allorchè io entrai nella Scuola Normale, e che 
vi trovò essa mai? Tutta questa lotta, che aveva ridestato 
l'eco addormentata della Facoltà, e che agitava le teste de’ miei 
compagni, aveva per oggetto, per unico oggetto... la questione 
dell'origine delle idee. Questo era il tutto, e nell’impotenza, in 
cui ero allora, di cogliere i secreti rapporti, che legano i pro- 
blemi in apparenza più astratti e più rancidi della filosofia colle 
questioni più vive e più pratiche, ciò era un niente a’ miei 
occhi... Io non poteva riavermi dal mio stordimento, che si oc- 
cupassero dell’origine delle idee con un ardore sì grande, che 
si disse là esserci tutta la filosofia, e che si lasciasse da parte 
l’uomo, Dio, il mondo, ed i rapporti che li uniscono, e l'enigma 
del passato ed i misteri dell'avvenire, e tanti giganteschi pro- 
blemi, su cui non si dissimulava di essere scettici... Tutta la filo- 
sofia era un bugigattolo, dove si mancava d’aria, e dove l’a- 
nima mia di fresco esigliata dal Cristianesimo, soffocava, e 
intanto l'autorità dei maestri ed il fervor dei discepoli mi im- 
poneva, ed io non ardivo mostrare la mia sorpresa ed il mio 
traviamento. 

“ Così trascorsero per me i due primi anni del mio profes- 
sorato, e ponendo mente ai lavori che li riempirono, si crederà 
facilmente che non lasciassero luogo all'esame di quelle gene- 
rali questioni, di cui mi dolsi da prima di non trovare la so- 
luzione nell’insegnamento di Cousin... Io era chiamato alla mia 
volta a professare una scienza, di cui ignoravo perfino l'oggetto... 
Debbo pure aggiungere, per dire il vero, che il differire ad 
un’altra volta tali questioni erami divenuto meno penoso... Tut- 
tavia la preoccupazione non era ancora spenta nel mio cuore : 
essa vi sussisteva tutta quanta, e di quando in quando, allorchè 
avevo alcune ore libere per pensare, la notte ad una finestra, 
il giorno sotto il rezzo delle Tuileries, interni slanci, subita 
tenerezza mi richiamavano alle mie credenze passate e spente, 


L'UMANISMO 1189. 
» 


all’oscurità, al vuoto della mia anima, ed al disegno sempre 
differito di colmarlo , (1). 

Questa sincera confessione di Teodoro Jouffroy ci inspira 
un senso di pietà profonda e di rispetto ad un tempo. Il cre- 
dente ed il pensatore sostennero una lotta mortale, ma la so- 
stennero consciamente, senza infingimento, con serietà, con de- 
coro. È il dramma di un'anima, che sente tutta la sublimità 
della fede abbandonata, tutta la gravità del problema della vita, 
tutta l'impotenza della ragione a risolverlo. È una solenne pro- 
testa contro la leggerezza di quei razionalisti di parata, che 
condannano la fede religiosa senza conoscerla, prostituiscono 
la propria coscienza, rinnegano i loro principii per libertinaggio 
di pensiero, per tornaconto personale, per fare mostra di sè, 
per corteggiare la moda con la così detta libertà della ragione. 


5. — L’umanismo e la vita. 


Ogni dottrina speculativa si attua e si risolve nella vita 
pratica, imprimendole un determinato indirizzo corrispondente 
all’indole de’ suoi principii. Anche l’umanismo, come sistema 
filosofico, produce le sue conseguenze nell'ordine della vita pra- 
tica e morale, e segnatamente nell'arte educativa. Gli è ben 
vero, che alcuni prevedendo quanto siano disastrose tali conse- 
guenze alla moralità del costume, cercano di evitarle avvertendo 
che si tratta di un sistema, il quale riguarda la pura specula- 
zione ed il culto del pensiero, affatto estraneo al vivere ed 
all’operare. Ma l’avvertenza non approda, perchè il soggetto 
umano non può scindersi in due persone separate ed estranee, 
quasichè come pensatore si possa professare una teoria, e come 
individuo vivere in modo affatto contrario ai principii professati. 
L’io umano è un solo in ciascuno di noi: quell'io, che pensa, è 
quel medesimo, che vive ed opera esteriormente. 

Che ne è adunque della moralità della vita secondo i pro- 
nunciati dell’umanismo? Non esiste un dio personale superiore 
all'uomo, reggitore e legislatore dell'universo: non esiste una 


(1) Mutilation d’un éerit de Th. Jouffroy: articolo pubbl. da P. Lerovx, 
nella “ Revue indépendante ,, 1° novembre, 1842. 


1190 i GIUSEPPE ALLIEVO 


vita oltremondana, ragion suprema della vita presente: non 
esiste la libertà del volere: ecco i tre pronunciati fondamen- 
tali, che costituiscono la parte negativa dell’umanismo. Ora 
questi pronunciati distruggono dalle fondamenta tutta quanta 
la moralità della vita. 

Infatti, come vi sono leggi logiche, che dirigono il processo 
del pensiero nella via della verità e del sapere, così esiste una 
legge morale, che governa il libero volere nelle sue ascensioni 
verso il Buono ed il Santo. Ciò posto, la legge morale è fornita 
di due essenziali caratteri: essa è un comando, che preserive 
il dovere ad una libera volontà, ed una norma, che fa radical 
differenza tra l’onesto ed il disonesto, tra il giusto e l’ingiusto. 
Ora, quanto al comando, la legge debb'essere autorevole, ossia 
fornita di forza obbligatoria, come la volontà debb'essere libera, 
ossia arbitra del proprio operare. Ma chi mai può autorevol- 
mente comandare alla mia volontà individuale? Nessun'altra 
volontà umana di nessun mio simile, perchè la mia volontà è 
pari alla sua, come pure non ho autorità di comandare a me 
stesso, perchè avrei ragione di distruggere il mio comando. 
Dunque l’imperativo morale dimora in un essere sovrumano, e 
ad un tempo realmente personale, perchè il soggetto umano 
essendo fornito di una personalità finita, solamente da una per- 
sonalità infinita può ricevere un’autorevole comando. Similmente 
se la volontà non fosse libera ed arbitra degli atti suoi, ma 
determinata ad operare da leggi ineluttabili, come le leggi 
fisiche e fisiologiche, l'atto non sarebbe più suo, nè imputabile 
ad essa, non potrebbe più appellarsi onesto o disonesto, giusto 
od ingiusto, perchè per ineluttabile necessità non potrebb'essere 
altro da quello che è. Ciò posto, è un pronunciato fondamen- 
tale dell’umanismo, che non esiste un essere personale divino 
superiore all'uomo e legislatore di lui, e che la libertà del vo- 
lere è un'illusione; dunque questa dottrina distrugge la legge 
del dovere e con essa la moralità della vita. La legge morale 
derivando la sua. virtù imperativa dall’ordinatore divino, è per 
ciò stesso la norma dichiarativa del giusto e dell’onesto, che 
sì fondano appunto nell'ordine universale delle cose. Ora se 
l’uomo è il sommo dell’essere, e quindi la misura delle cose, il 
giusto e l’onesto non avranno più un fondamento oggettivo 
nella natura intima ed immutabile delle cose, ma diventeranno 


gr ve 


L'UMANISMO 1191 


un'espressione delle opinioni degli uomini, come l'ordine uni- 
versale, su cui essi si fondano, sarà niente più che una conce- 
zione soggettiva della mente umana. 

Queste conseguenze, che logicamente scaturiscono dall’u- 
manismo nelle sue attinenze colla vita morale, rivelano da sè 
quali altre ne derivino rispetto alla vita religiosa, giuridica, 
civile e sociale ed a tutte le manifestazioni della vita opera- 
tiva. Io non le chiamerò qui ad ordinata rassegna; ma piuttosto 
reputo conveniente toccare un punto, che riguarda lo sviluppo 
ed il processo di tutta la vita e fisica e mentale, voglio dire 
l’arte educativa. Il pedagogista dell’umanismo cancellando dalla 
storia con imperdonabile incoscienza venti secoli di civiltà e 
coltura cristiana, bandisce dalla scuola quelle religiose credenze, 
nelle quali furono educati e cresciuti tanti illustri pensatori, 
artisti, poeti, a cui l'umanità deve le più pure ed immortali sue 
glorie. Egli ha compiuta la sua opera di distruzione; ma che 
cosa ha sostituito di serio, di grande, di durevole a quella fede 
divina, che gli animi e gli intelletti giovanili hanno attinto 
dalla famiglia e sorregge le anime semplici colla speranza di 
una seconda vita? Il Comte vi sostituì una ridicola parodia del 
Cristianesimo colle sue preghiere, i suoi sacramenti, la sua 
triade, le sue feste, i suoi sacerdoti, il suo sommo pontefice, 
che poi era lui stesso. Adorare l'umanità, inchinandosi all’idolo 
delle proprie mani, ecco l’educazion religiosa dell’umanismo. 

Intimamente connessa colla religiosa è l'educazione morale. 
Conformare la nostra libera volontà alla legge del dovere, ecco 
la formola espressiva della moralità. Il dovere è della moralità 
l'elemento obbiettivo, perchè viene da un principio superiore 
all'uomo, non potendo questi essere ad un tempo soggetto obbli- 
gato ed obbligante; la volontà liberamente operante ne è l’ele- 
mento soggettivo. Ora l’umanismo rigetta il libero volere e nulla 
ammette di superiore all'uomo; epperò che cosa ne sia dell’edu- 
cazione morale, ognuno lo vede. —- No (dice l’umanista), il dovere 
non ci viene dal cielo, ma ha la sua propria sede dentro di noi. La 
ragione ce lo rivela; la scienza ci apprende l’alta idealità della 
vita: educare val quanto ascendere verso quest’ideale contem- 
plando le immense e sublimi regioni del mondo umano. — La 
descrizione è magnifica, il quadro è seducente, ma la realtà è 
ben altra cosa. Il giovane umanista si dimanda : sono io arbitro 


1192 GIUSEPPE ALLIEVO — L’'UMANISMO 


delle mie sorti, libero dominatore del mio operare? No, come 
Prometeo legato alla rupe, io non posso rompere quella catena 
di forze ineluttabili, che stringe come in un cerchio di ferro 
quanto avviene in me e fuori di me. Io interrogo la mia ragione 
e dimando: Quest’universo, con cui sono intimamente legate le 
sorti della mia esistenza, dond’ebbe origine, da chi e come fu 
ordinato così com’è, a quale scopo finale è rivolto? Tutto questo 
lo ignoro. Come si spiega l’unione personale ed operosa delle 
due discrepanti sostanze, anima e corpo, che mi compongono, e 
quindi la lotta tra le abbiette passioni e le ascensioni dello 
spirito? Non lo so. Se l’uomo aduna in sè quanto vi ha di 
grande e di sublime nell’immensità dell’essere, perchè mai la 
mia vita è deturpata da ignobili colpe, soprafatta dalla tri- 
stezza e dal dolore, pervertita dall’ignoranza e dall’errore? Anche 
questo non mi è dato di saperlo. Se, dato l’ultimo respiro, io 
ricadrò nel nulla, da cui sono uscito, perchè mai affaticarmi 
tanto per raggiungere un ideale di perfezione, che si risolverà 
poi in un’amara delusione? Mistero e contraddizione! Così, rin- 
negato Dio, la libera volontà, la vita futura, l'educazione mo- 
rale dell’umanismo si disperde nel caos. 

Rimane l'educazione intellettuale, e qui mi basti osservare, 
che la libertà assoluta della ragione propugnata dall’umanismo 
non consente che il fanciullo presti fede all’autorità del maestro, 
rendendo così impossibile l'insegnamento. 


1195 


Relazione intorno alla Memoria presentata dal prof. CLEMENTE 
MERLO, intitolata: Degli esità di lat. -qn- nei dialetti del- 
l’Italia Centro-meridionale con un’ Appendice Sul trattamento 
degli sdruccioli nel dialetto di Molfetta. 


Nella Memoria, che noi fummo chiamati ad esaminare, il 
dott. Clemente Merlo, professore nella R. Università di Pisa, 
si propone di dimostrare che gli esiti italiani centro-meridionali 
(abruzzesi, pugliesi, napoletani e calabresi) di latino -gn- sono 
due soli, cioè -jn- e -un-, e che questi non si possono altrimenti 
spiegare che mediante un’antichissima epentesi di è e di v, p. es.: 


\ *aginu *aginu *d(j)eno aino ajno 
agnu 
| *ag'nu *Fivunu *a(v)ono auno auno 


Segue un’Appendice, nella quale il Merlo, dopo aver 
compendiato le condizioni del vocalismo del dialetto di Mol- 
fetta, si ferma a studiarne alcune peculiarità relative alle voci 
sdrucciole. 

Questo nuovo studio del Merlo è condotto con quella severità 
di metodo, con quella ricchezza di materiale, con quel fine senso 
linguistico e con quell’acutezza di osservazioni per cui il giovane 
glottologo s'è conquistato un posto distinto fra i cultori della 
dialettologia italiana; e perciò noi, pur non consentendo in ogni 
sua affermazione e deduzione, proponiamo che sia accolto fra 
le Memorie della nostra Accademia. 


RopoLro RENIER, 


ErroRE STAMPINI, relatore. 


L’Accademico Segretario 
GAETANO DE SANCTIS. 


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"pala. nali Joup no): viait Lasi. i0, ansagoe allena 


Bastroig Fi ino incisstoazo id assuradà fodipri ito 
RIS Rolluo i ant ojnitaib pImOg | itù:a iii A 
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INDICE 
DEL VOLUME XLIII 


ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri 


e corrispondenti al 31 Dicembre 1907 4 a 5 PON 17, NINNI 0 
Pubblicazioni periodiche ricevute dall'Accademia dal 1° Gennaio al 
31 Dicembre 1907 È . , ì , x F ; 274 XY 
ADUNANZE. 
Sunti degli Atti verbali delle Adunanze a Classi Unite Pag. 566 
645, 955. 
Sunti degli Atti verbali della Classe di Scienze fisiche, matema- 
tiche e naturali . 3 e 1, 


73, 227, 291, 357, 411, 465, 545, 647, 683, 697, 748, 765, 845, 957. 
Sunti degli Atti verbali della Classe di Scienze morali, storiche 


e filologiche . s . 26, 
121, 253, 315, 387, 454, 496, 594, 639, 682, 735, 763, 821, 931, 1167. 
ELeziONI. 
Elezione di Soci della Classe di scienze morali, storiche e filo- 
logiche ° 4 ” : è : 7 . 742, 1167 
Elezione di Soci (REA - } ; » 932 


Elezioni a cariche accademiche di Soci di Classe di scienze 
fisiche, matematiche e naturali: 


— del Direttore della Classe. : nol 228 
— di un Socio delegato dalla Classe nei Conkiaiio di PARENTI 
strazione dell’Accademia . 7 , 684 


Elezioni a cariche accademiche di Soci della Lao di scienze 
morali storiche e filologiche: 


— di un membro della Giunta per la biblioteca ; x n 230 
Invrro al Congresso Storico di Berlino . i n 689 
Invito a prendere parte alle onoranze di Friangelili Moericelli s 765 
Invito ad assistere alle onoranze al gen. G. Cavalli . ) , 840 
Isriruzione MoreLLI in Bergamo fa omaggio del ritratto del fonidatofe 

dell'Istituzione . % E 51931 
Mopiricazione alle norme per Mvettazione dei averi di Shiva s 981 
Oxoranze ad Amedeo Avogadro . ? È i È . 546, 956 

V. GuarrscHI (I.). 

— al generale Giovanni Cavalli . è Ù . 3 . 683, 845 

— ad Evangelista Torricelli È È 4 : ‘ : s 765 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 80 


1196 INDICE DEL VOL. XLIII 


Premio Bressa : 
Relazione della Giunta per il conferimento del XV premio 


(quad. 1903-1906). ; ) : : ; s «Pag. :579 
Conferimento del premio à ; : : : , 645 
Nomina della 1* Giunta del XVI premio . ; : ; n 646 

PreMIo GAUTIERI: 
Programma del premio per la letteratura (1905-1907) : n 410 
Nomina della Commissione giudicatrice del premio per la let- 
teratura (triennio 1905-1907) ; : PR295 
Relazione della Commissione per il conferita di premio per 

la storia (triennio 1904-1906) . È i, } , : S "580 

Conferimento del premio : ; . ; : ; : n 646 


Premio VALLAURI : 
Nomina della Commissione per il conferimento del premio per 
le scienze fisiche (quadriennio 1907-1910). è : È n 546 
De Vallauriano praemio adiudicando litteris latinis in qua- 
driennium 1903-1906 proposito (Kal. Mart. An. SEI s 990 


Conferimento del premio ; - : x E n 646 

Agosti (Francesco) — Ricerche sulla distribuzione dei nervi nella 

milza le : È ; ; ; ; ; £ P_ (801 
ArmonertI (Cesare). V. ROVIAM (N.) e Naccari (A.). 
ArLievo (Giuseppe) — La scienza dov'è? . 3 . ” 14 131 
— L'indirizzo storico e sociologico della pedagogia contempo 933 
— L'umanismo . n ; . L : è RI 169 
— Vedi D’Ercoce e) « e PRESE (Gi). 
ArpiGò (Roberto) — Eletto Socio corrispondente sn 932 
— Ringrazia per la sua nomina . 5 . È i sl167 
BerLio (Vittore). — Eletto Socio obmibipontieitei : i 7 sr 982 
—. Ringrazia per la sua nomina . ; / . £ a 1167 
BerraccHI (Cosimo). — Eletto Socio brsitpondaii : : | a 932 
— Ringrazia per la sua nomina. 7 » 1167 
Bertini (Eugenio) e Severi (Francesco) — One fn botta 

per una curva iperspaziale . s 847 
Boccarpi (G.) — Ascensioni rette di alcune stelle forda reni del 

Catalogo di Newcomb riosservate in Torino . L È p otito 
Bopparrt (B.) V. Naccari (A.) e Japanza (N.). 
BoseLLi (Paolo) — Parole pronunziate presentando gli Atti del Con- 

gresso internazionale di scienze storiche. : : n 26 


— Invitato a tenere la commemorazione del Socio conte c. Nicra 121, 253 
BortI (Luigi) e Ponzo (Mario) — Sui rapporti tra movimenti oculari 

e scomparsa e movimenti delle immagini consecutive... n 483 
Bruni (Angelo Cesare) — V. Fusari (R.) e Camerano (L.). 


INDICE DEL VOL. XLII 1197 


Brusa (Emilio) — Sulla RRAGARA A delle sentenze dell’Alta Corte 


di Giustizia . x Pa x . Pag. 690 
Burari-Forti (Cesare) — Funzioni pori pi. 3 L di , CAR 
— I quaternioni di Hamilton e il calcolo vettoriale $ È s 1146 


Camerano (Lorenzo) — Il Quagga del Museo Zoologico di Torino , 562 

— Presenta con parole di elogio l’opera del Prof. G. Sera: Europa. 
L'origine dei popoli europei e le loro relazioni coi popoli d’ Africa, 
d’Asia e Oceania. Torino, Bocca, 1908. . , ; ; » 957 

—  V. Fusari (R.) e Camerano (L.). 

Camperti (Adolfo) — Sulla variazione del grado di dissociazione di 


alcuni elettroliti colla temperatura . A 5 . » 1071 
‘CarsoneLLi (Giovanni) —Il “ Brachalis herniarum , nell’ alto medio evo, 455 
Cesaris-Demer (A.) — L'origine endogena del grasso dimostrata sul 

cuore isolato di mammifero à : ( . ? s 466 


Caarrier (G.) — V. Ponzio G. e CaarrIER (6). 

Craroni (Gianpietro) — Con parole di vivo elogio presenta /7 diritto 
nel sistema della filosofia dello spirito di I. Perrone; gli Scritti 
editi ed inediti di diritto civile di O. ReenoLir pubblicati da 


A. Loero, e Il rapporto di neutralità di G. OrroLENGHI . » 122 
— La formazione del Codice civile italiano e i lavori di Oreste 

ReGNOLI ; n 124 
Ciporca (Carlo), Manno ia e De da Fei — Tela 

zione per il conferimento del premio Gautieri per la storia 

(triennio 1904-1906) . 1 » 586 
Coewnertti pe Marrus (Luigi) — ali li Colli Rica e Na ati Ve- 

nezuela . ; 4 ‘ É È i À : : . n 913 
— I così detti “ peni, dei Criodrilini L 3 ; : 3 997 


Coromsa (Luigi) — Note mineralogiche sulla valle del Chisone (Cave 
del Pomaretto) . È é ) : i s 3 : » 997 
D'’Ercore (Pasquale) — Presenta per le Memorie accademiche un 
lavoro del Dr. Pietro ÉEuseBIETTI, intitolato : Elementi di fasio- 


psicologia . s 496 
— e Arrievo (Giustppe) — Invlasfone: dalla Mi orteia del Dr. Pietro 

EusEBIETTI, Sugli elementi di fasiopsicologia È ‘ 692 
De Sawcris (Gaetano) — Presenta la relazione sui Lavori ssi 

dalla Missione Archeologica italiana in Creta . £ . 121 
— Sue parole sulla riproduzione dei codici antichi della Hililibie car 

Nazionale Universitaria } £ ! » 128 
— L'’Attide di Androzione e un papiro E Oxyehjnéheb è sAri' 7 B84 


— Presenta per le Memorie accademiche uno studio del sig. Luigi 
Pareti, intitolato: Ricerche sulla potenza marittima degli Spar- 
tani ; i E : » 763 


— V. Crrorra (C. ) Miao (A) e De Sacri (G)). 


D’Ovipro (Enrico) — Comunica i ringraziamenti di S. M. il Re e di 
S. A. R. il Duca di Genova per l'omaggio del vol. 57° delle 
Memorie accademiche . ; : . : ; 5 £ è. 1 


Atti della R. Accademia — Vol. XLIII. 80* 


1198 INDICE DEL VOL. XLIII 


D'Ovipro (Enrico) — Comunica i ringraziamenti dell'Avv. E. Barraja 
per la parte presa dall'Accademia alle onoranze a G. F. Re Pag. 1 
— Comunica la morte del Socio corrispondente Carlo Krern . ì 1 
— Riferisce intorno al voto dell'Istituto di scienze di Bologna circa 
il conferimento del premio Nobel al Senatore S. CannIZzzARO , 1 
— Ricorda la morte del Socio nazionale non residente Conte Co- 
stantino Niera . ; po E20 
— Comunica la lettera inviata alla miao del Gioadito d’Italia 
intorno alle riproduzioni fototipiche di Codici . È n 258 


— Comunica una circolare della R. Società Romana di Storia bibbia 
sulla frequenza di cambiamento di antichi nomi di strade, 


paesi, ecc. in nomi moderni 7 . : » 496 
— Comunica il R. Decreto 22 gennaio 1908 al idale 8 è approvata 

la nomina a Direttore di Classe del Socio A. NaAccarI . n 945 
— Comunica l’invito a prendere parte alle onoranze al generale 

G. CavaLLI . ; » 683 


— Comunica l’invito a pr cca pa al tato store P Beitiò » 689 
— Partecipala morte del Socio corrispondente Prof. Cristiano Adolfo 


MayER . : 3 : » 748 
— Comunica che lo TRESEOT H. bundle ne inviò in esame tre 
soluzioni della “ trisezione dell’angolo, . i s 748 


— Propone che nel Comitato per le onoranze ad Amedeo ‘aedadia 
venga rappresentata anche la Classe di scienze morali, storiche 
e filologiche . ; ; s 956 
— Comunica il R. Decreto, 14 maggio 1908, da PRTOO Surtino ap- 
provate le elezioni dei Soci nazionali non residenti e dei Soci 
stranieri È ) i ; , s 1167 
Ducnesne (Mg* Luigi) — ‘Eletto e et î ; 4 : n° 742 
Evsesierti (Pietro) — V. D’Ercore (P.) e ALrrevo (G.). 


Fano (Gino) — Sopra alcune varietà algebriche a tre dimensioni 
aventi tutti i generi nulli . ‘ ‘ ; 3 : » 973 
Framini (Francesco) — Eletto Socio corrispanghiio è ; a 992 
Foà (Pio) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle levi un 
suo lavoro, intitolato: Sulle alterazioni del fegato di origine 
splenica e sulle alterazioni della milza di origine epatica . » 846 
Foerster (Wendelin) — Eletto Socio straniero . 1 n 142 
Fontana (Efisia) — Sul valore sistematico di alcune specie ael genere 


“ Elaphomyces, del gruppo E. anthracinus Vitt. . ; » 1035 
— V. Marmtiroto (0.) e Parona (C. F.). 
Frati (Carlo) — Aneddoti da codici Torinesi e Marciani . - n 46 
Fusari (Romeo) — Presenta per l’inserzione nelle Memorie accade- 
miche un lavoro del Dott. A. C. Bruni, intitolato: Intorno ai 
derivati scheletrici estracranici del secondo arco branchiale del- 
luomo . , 100 
— e Camerano O) —_ no oil Meana del Dr. at 
Cesare Bruni, intitolata: Intorno ai derivati scheletrici estra- 
cranici del secondo arco branchiale nell'uomo . ; ‘ n 927 


INDICE DEL VOL. XLIII 1199 


GarrI (Enrico) — Segmenti So ERG ad immagini reali in alcuni 


sistemi diottrici centrati . . È . Pag. 874 
Gramperti (G. Zeno) — V. Seare (C.) e "Moni (6). 
Gorra (Egidio) — Eletto Socio corrispondente . 3 F 1 » 932 
— Ringrazia per la sua nomina . : L P 3 è A » 1167 
Grupice (Francesco) — Una dimostrazione d’inseparabilità per radi- 

cali delle 27 rette di superficie cubica . ; i é 3 1882 


Guarescni (Icilio) Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie 
accademiche un suo lavoro, intitolato: Nuove motizie storiche 
sulla vita e sulle opere di Macedonio Melloni . : % 2 
— Presentando il suo lavoro, Sui colori degli antichi, Parte II, ac- 
cenna ad una nuova edizione del Plichto di G. V. Rossetti , 227 
— Propone che l'Accademia si faccia iniziatrice di un Comitato 


internazionale per le onoranze ad Amedeo Avoganro  . s 546 
— Leggelacommemorazione del Socio straniero Marcellino BertHELOT 

che sarà inserita nelle Memorie accademiche . î | s 645 
— Nuovi isomeri della conina ed altri idrobasi 7 , È » 1095 
Gurpi (Camillo) — Contributo alla teoria degli archi elastici . » 809 


— Presenta per l'inserzione nel volume delle Memorie un suo la- 
voro, intitolato: Risultati sperimentali sù cavi di acciaio e di 


canapa . . } 2 s 999 
Guipi (Ignazio) — Eletto sul, TA non venda : î n 742 
IssoeLio (Giovanni) — Nuovo isomero della conina del ciantrimetil- 

piperideone . 3 È ; ; i - ; ; È » 1100 
Japanza (Nicodemo) e Bacci (Vittorio) — Un livello che dà sicura- 

mente la visuale orizzontale , 4 3 ° è È 3 
— Il cannocchiale di Galilei adoperato come microscopio , s 685 


— Presenta, a nome del Socio Naccari, per l’inserzione nei volumi 

delle Memorie un lavoro del Prof. G. B. Rizzo, intitolato: Nuovo 

contributo allo studio della propagazione dei movimenti sismici , 766 
— Presenta per la stampa nei volumi delle Memorie un lavoro del 

Dr. Cesare ArmonertI, intitolato: Determinazione astronomica 

della latitudine della Specola Geodetica della R. Università di 

Torino . i , 846 
— e Naccari Ghnditen)ic — icidne silla Mime del Dr. Coda 

ArmonertI, intitolata: Determinazione astronomica della latitu- 

dine della Specola Geodetica della R. Università di Torino » 1166 
— Eletto delegato della Classe al Consiglio Amministrativo dell’Ac- 


cademia - : : ò P 9 P sn 684 
— V. Naccarr (A.) e pala Ni). 
JeLLinex (Giorgio) — Eletto Socio straniero ì 2 7 } » 742 
Lattes (Alessandro) — L’interinazione degli editti. Studio di storia 

del diritto pubblico piemontese . ; s a , > Lo ol 
Lasinio (Fausto) — Eletto Socio corrispondente . ? g 7 - TAGOR 


— Ringrazia per la sua nomina. s Ù 7 ; : L TEU 


1200 INDICE DEL VOL. XLIII 


Laura (Ernesto). — Sulla integrazione di un sistema di quattro equa- 

zioni differenziali lineari a determinante gobbo per mezzo di 

due equazioni di Riccati . : 5 5 . Pag. 358 
— Sopra le trasformazioni di contatto 3 vengono trasformate in 

se stesse dal gruppo delle rotazioni attorno ad un punto » 1053 
Levi (Beppo) — Saggio per una teoria aritmetica delle forme Reni 

ternarie. Nota 23, 3° e d8.., x \ ....99, 413, 672 
Levi (Eugenio Elia) — Sulla deformazione RT po. flessibili 

ed inestendibili . È , ; . È È x . i AZ 
— Sul problema di Fourier 4 : È ; n 485 
Luzro (Alessandro) — Eletto Socio stano a ; ; ne; 982 
— Ringrazia per la sua nomina . È | . SALO 
Mago (Umberto) — La regina Antiochide "Aa Cappadocia e la cronaca 

regia degli Ariaratidi . : 4 » 216 
Manno (Antonio) — Presenta per aan nei pr ur Me- 


morie una dissertazione dell'Avv. Giuseppe FormarI, intitolata: 

Il diritto pubblico negli Statuti del Duca Amedeo VIII di Savoia ,.. 254 
— Eletto a far parte della Giunta per la biblioteca ; ; n 239 
— Ringrazia per tale elezione . : : È : : - «da 1) 
— V. Crpontza (C.), Manwo (A.) e De Sanerts (G.). 
MartIRoLo (Oreste) e Parona (C. F.) — Relazione intorno alla Memoria 

della Dott* Efisia FonrANA, intitolata: Ricerche intorno ad al- 

cune specie del genere Elaphomyces Nees (E. variegatus, E. gra- 

nulatus e affini) . ; : : 7 O : È } 100gT 
— V. Parona (C. F.). 
Mayer (Cristiano Adolfo) — V. D’Ovipro (E.). 


MerLo (Clemente) — Forficula auricularia e bricciche romanze . > 614 
— V. Srampini (E.) e Remier (R.). 
Moncravx (Paolo) — Gli è conferita una metà del premio Vallauri, 646 
— Ringrazia per il conferitogli premio Vallauri. \ . 682, 683 
MonricoLo (Giovanni) — Eletto Socio corrispondente . - t n 932 
— Ringrazia per la sua nomina . È £ 2 i pi 932 
Morera (Giacinto) — Francesco Siacci. Ret A i » 568 
— V. Srere (C.) e Morera (G.). 
Mosso (Angelo) — Presenta per l'inserzione nelle Memorie accade- 
miche un suo lavoro, intitolato: Una tomba preistorica a S. An- 
gelo di Muxaro, nella provincia di Girgenti 1 : n 744 


Naccari (Andrea) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Me- 
morie un lavoro del Dr. D. Bopparrrm, intitolato: Misure ma- 


gnetiche nei dintorni di Torino. Memoria II. : no 228 
— Relazione della Giunta per il conferimento del XV Premio Brocii 

(quadriennio 1903-1906) x È : a 570 
— Eletto Direttore della Classe di scienze o. Noi e 

naturali : a » 228 


—. e Japanza (N.) — Relavigli sian alla Mesicnli dol DE D. pros 
DAERT, intitolata: Misure sagnetiche nei dintorni di Torino. 
Memoria II . È 2 È È } ; } 4 î , 814 


INDICE DEL VOL. XLIII 1201 


Naccari (Andrea) e Japanza (Nicodemo) — Relazione sulla Memoria 

del Prof. G. B. Rizzo, intitolata: Nuovo contributo allo studin 

della propagazione dei movimenti sismici . : : . Pag. 929 
—  V. Japanza (N.) e Naccari (A. 
—  V. Japanza (N.). 
Nazari (Oreste) — L'iscrizione della Colonna Traiana ; ” s 595 
— Vmbrica . i. ; è s 822 
NecrI (Giovanni) — Odtttesduto ala Biviblogia delle Taollé Tremiti , 1014 
Orsi (Paolo) — Eletto Socio corrispondente ; ; ) , , 932 


— Ringrazia per la sua nomina . : ì . s 1167 
Panerti (Modesto) — Sulla deformazione det soin otaetici pini 
prodotta dallo sforzo di taglio . ì s 960 
Pareti (Luigi) — Ricerche sui Tolemei Fiipatore è Neo Filoputerer: 497 
Paropi (Giacomo Ernesto) — Eletto Socio corrispondente . Î s 992 
Parona (Carlo Fabrizio) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle 


Memorie accademiche un lavoro del Prof. F. Sacco, intitolato: 
e Il gruppo del Gran Sasso d'Italia A , 

— A nome del Socio MartIRoLo presenta per l'inserzione nei vo- 
lumi delle Memorie accademiche un lavoro della Dott.* Efisia 
Fontana, intitolato: Ricerche intorno ad alcune specie del genere 
“ Elaphomyces , . L 2 

— e Spezia (Giorgio) — Relbizione sullo Biadie: relation del Prof. 

F. Sacco, col titolo: Il Gruppo del Gran Sasso d’Italia  . » 9 

— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie accademiche 
un suo lavoro, intitolato: Sopra alcune Rudiste del Cretaceo 
superiore del Cansiglio nelle Prealpi venete 4 sn 412 

— Esposizione finanziaria per il passato esercizio 1907 « e piane 
preventivo per l’anno in corso e gestione dei lasciti Bressa, 


, 2 


Gautieri, Vallauri e Pollini , : i : a : sl 955 
—  V. Mammroto (0.) e Parona (0. F.). 
Patroni (Giovanni) — Eletto Socio corrispondente . ? ‘ n 932 
Perazzo (Umberto) — V. Seere (C.) e Somrenrana (C.). 
Piccinini (Galeazzo) — Idrolisi di nitrili ossi-idropiridinici. Nota II , 547 
— Su alcune ortoamine ed ortoossi-chetoidropiridine. Nota 1* . s 890 
Pigorini (Luigi) — Eletto Socio nazionale non residente . ; ars 
Pizzerti (Paolo) — Sulla dimostrazione di un teorema fondamentale 

nel calcolo della probabilità . s , . ° ? n 698 


Pizzi (Italo) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie 
il Prameyaratnakoca di Candraprabha per la prima volta edito 


dal Dott. Luigi SvaLr . " x p ; ‘ î P » 254 
Ponzio (G.) — Azione dei sali di diazonio sul fenildinitrometano , 303 
— e Varvente (E.) — Sulla benzilfenilidrazina simmetrica h »s 278 
— eCmarrier(G.)— Derivati alogenici dei dinitroidrocarburi primarî , 475 
— e Groverri (R.) — Sulla preparazione di alcune azine ì IRR 


Ponzo (Mario) — V. Borti (L.) e Ponzo (M.). 


1202 INDICE DEL VOL. XLIII 


Renier (Rodolfo) — Discorre intorno alla riproduzione dei testi antichi 
deliberata dall'Accademia . i ; ; È . . Pag. 123 

—  V. Srampini (E.) e Renter (R.). 

Rossi (Francesco) — Del Copto come base degli studi egittologici. 


Sua coltura in Europa e specialmente in Italia 4 . » 816 
— Delle dottrine religiose dell’antico Egitto . 7 n 888 
Rurrini (Francesco) — Cenno illustrativo sull'opera di Monbigni 

E. Colomiatti, Codex iuris pontificii seu canonici i ? s 404 
— Eroica finanza sabauda . : » 735 
— Presenta con parole di elogio ‘re dl Dr. Digli "Sia 

Storia dell’arte medioevale in Sardegna, sec. XI-XIV î » 1168 
Rurzerrorp (Ernesto) — Gli è conferito il premio Bressa . : , 646 
— Ringrazia per il conferitogli premio Bressa . È ì . 682, 683 


Sacco (Giulio) — Aberrazioni e riflessioni nocive prodotte dai filtri 
di luce negli apparecchi fotografici. Nota 1*, 2* È 0,804 
Sacco (Federico) — V. Parona (C. F.) e Spezia (G.). 


SarerLes (Raimondo) — Eletto Socio straniero . È î i a 142 
Sarvioni (Carlo) — Eletto Socio corrispondente . c ; i n 982 
— Ringrazia per la sua nomina. x x 5 = 1607 
Sannia (Gustavo) — Sul teorema di Mogli e sla sua interpreta 

zione geometrica per le congruenze W  . 3 È » 745 
Saupino (Luigi) — Invia nuovi documenti intorno alla sua Pila elet- 

trica costante ed economica . P È ; E ” ° 2, 411 
— Nuova pila elettrica costante ed economica . È a 3 n 958 
Scano (Dionisio) — V. Rurrini (F.). 
Scnanz (Martino) — Gli è conferita una metà del premio Vallauri , 646 
— Ringrazia per il conferitogli premio Vallauri . ; . 682, 683 
ScHiapareLLI (Celestino) — Eletto, Socio corrispondente . E >. ‘902 
— Ringrazia per la sua nomina . : } è £ [ ? » 1167 
Seere (Corrado) — Sulla generazione delle superficie che ammettono 

un doppio sistema coniugato di coni circoscritti . ì » 985 


— Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro 

del Dr. Umberto Prrazzo, intitolato: Sopra alcune varietà di 

rette ed in particolare sui vari tipi di complessi cubici . Saar 
— Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro 

del Dr. Gio. Zeno GramseLLI, intitolato: Risoluzione del pro- 

blema generale numerativo per gli spazi pine di una 


curva algebrica . 5 7 n 144 
— e Somiariana (Carlo) — - PIATTA sa alla Mea del 

Dott. Umberto Perazzo, intitolata: Sopra alcune varietà di rette 

ed in particolare su vari tipi di complessi cubici è : n 252 
— e Morsra (Giacinto) — Relazione intorno alla Memoria del 


Dr. Gio. Zeno Gramsetti, intitolata: Risoluzione del problema 
generale numerativo per gli spazi plurisecanti di una curva al- 
gebrica . : ; : . : ‘ , . I s » 1165 


Severi (Francesco) — V. Bertini (E.) e Severi (F.). 


INDICE DEL VOL. XLIII 1203 

Srorza (Giovanni) + Alessandro Manzoni e una baruffa tra L’Anno- 

tatore Piemontese e i Romantici lombardi . ; e . Pag. 196 
— Il falso sultano Jachia . 4 4 A n 627 
Srorza (Giuseppe) — Stig alcuni posti dell'e nimetria non 

euclidea : x : s 1047 
Sicarpi (Enrico) — dr: un ito del Vat. Lat. 3195 e per la 

giusta collocazione di due sonetti del Petrarca ; È Pai.) 
SomieLiana (C.) — V. Secre (C.) e Somiatiana (C.). 
Spezia (Giorgio) — Azione chimica del clorato potassico sulla pirite 

e sull’hauerite . ; > 3 : \ i h i al TO 
— V. Parona (C.F.). 
Squinasor (Senofonte) — Riassunto di uno studio geo-fisico sulle 

Isole Tremiti ; È 3 i » 1008 
Srampini (Ettore) — Presenta con DS di elogia dee patblicasionli 

del Prof. Enrico Coccnia . n URO 
— De Vallauriano praemio ERE Led latino in pene 

nium 1903-1906 proposito (Kal. Mart. An. MCOMVIII) i s 590 


— Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie una mono- 
grafia del Prof. Clemente Merto, intitolata: Degli esiti di lat. 
-gn- nei dialetti dell’Italia centro-meridionale con un’ Appendice 
“ Sul trattamento degli sdruccioli nel dialetto di Molfetta ,, 2901 
— e Renier (Rodolfo) — Relazione intorno alla Memoria del Prof. 
Clemente Merto, intitolata: Degli esiti di lat. -gn- nei dialetti 
dell’Italia centro-meridionale, con un’ Appendice “ Sul trattamento 


degli sdruccioli nel dialetto di Molfetta , . : È : » 1194 
— Incaricato di commemorare il Socio nazionale non residente 

Graziadio Isaia AscoLi : . E P ; s 815 
Teza (Emilio) — Eletto Socio corrispondente x ; ? È a 982 
— Ringrazia per la sua nomina . o . 1 a DIGT 
Tocco (Felice) — Eletto Socio nazionale non restato P ; s 742 
Toesca pi CasreLLazzo (Carlo) — Le antiche enfiteusi e il diritto di 

prelazione attraverso alle leggi della dominazione francese e 

della restaurazione e per il diritto attuale 3 ; s » 255 
ToweLLi (Leonida) — Sulla rettificazione delle curve . : ì PR 


TravagLio (Cesare) — La scrittura latina volgare nei papiri dei primi 
cinque secoli dopo Cristo . 1 È 3 ; E n D20 


Varenti (E.) — V. Ponzio (G.) e Varenti (E). 
Venturi (Adolfo) — Gli è conferito il premio Gautieri per la Storia, 646 


— Ringrazia per il conferitogli premio Gautieri : . . 682, 683 
— Eletto Socio corrispondente . : i ; : ‘ P » 982 
— Ringrazia per la sua nomina. j 3 ; È . ? » 1167 
Virari (G.) — Sui gruppi di punti e sulle funzioni di variabili reali, 229 
Vireti (Girolamo) — Eletto Socio corrispondente . : ” n 932 
— Ringrazia per la sua nomina . 1 x } ; \ è » 1167 


Voctino (Pietro) — De quibusdam fungis novis pedemontanis . » 246 


1204 INDICE DEL VOL. XLIII 


ZanottI Branco (Ottavio) — I concetti moderni sulla figura matematica 
della Terra. Appunti per la storia della Geodesia. Nota 7, 8* 648, 785 
Zavarrari (Edoardo) — Materiali per lo studio dell'osso joide dei 


sauri ; 7 : A 5 x £ . Pag. 1138 
Zuccante (Giuseppe) — Eletto Socio corrispondente . : 1 n 932 
— Ringrazia per la sua nomina . ; 6 ; ; z a rod LOT 


Torino — Vincenzo Bona, l'ipografo di S. M. e Reali Principî 


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ATTI 


DELLA 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 
Di TORINO 


+ DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XLIII. Disp. fl*, 1907-1908. 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio. della R. Accademia delle Scienze 


1908 


RERTRIIIIZIONIEO DINI 


DISTRIBUZIONE DELLE SEDUTE 


DELLA 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 


DI TORINO 
nell’anno 1907-908 


i Classe di Scienze 

fisiche, matematiche 
e naturali 

17 Novembre 

1 Dicembre 

15 » 

29 » 

12 Gennaio 

I 


9 Febbraio 
23 » 

8 Marzo 
22 » 

5 Aprile 


2 » 
10 Maggio 
24 » 


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14 Giugno 


divise per Classi 


Classe di Scienze 
morali, storiche 
e filologiche 


1907 - 24 Novembre 
» - 8 Dicembre 
1908 È 5 Gennaio 
> - 1 » 
- 2 Febbraio 


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21 Giugno 


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ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri 


e corrispondenti al 31 Dicembre 1907 . ì . Pag. 
Pubblicazioni periodiche ricevute dall'Accademia dal 1° Goa halo al È 
31 Dicembre 1907 . . ; 3 i i CRA ; sora | 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 
Sunto dell’Atto Verbale dell'Adunanza del 17 Novembre 1907 Pag. 1 


D'Ovrpro (Enrico) — Annunzia l'avvenuto decesso del Socio corri- 
spondente Carlo Kuern . . N 1 i 
Ip. — Riferisce intorno al voto dell’ lotitea di “Sole di Hologi % 
circa al premio Nobel. ; È È I, 
Saupino (Luigi) — Invia nuovi doti ioni fa sua muova se 
pila elettrica . ) i È ) ; È pg 
Parona (Carlo Fabrizio) — Presenta per l'inserzione nei valo delle 
Memorie accademiche un lavoro del Prof. F. Sacco, intitolato: 
Il Gruppo del Gran Sasso d'Italia . { è ue 2 
Ip. — A nome del Socio MattIRoLo presenta per l'intero nei vo- 


lumi delle Memorie accademiche un lavoro della Dott.* Efisia 
Fontana, intitolato: Ricerche intorno ad alcune specie del genere 
Elaupliomices . ; 2. 
Guarescri (Icilio) Presenta per sie nei so tuiai delle Ho molti 
accademiche un suo lavoro, intitolato: Nuove notizie storiche 


i 

b; 
e 
089) 
Da 
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sulla vita e sulle opere di Macedonio Melloni . 3 È 
Japanza (Nicodenio) e Bacer (Vittorio) — Un livello che dà sicura- 
mente la visuale orizzontale . . « b N n 4 
Burari-Forti (Cesare) — Funzioni vettoriali. i SICH ” 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 24 Novembre 1907 Pag. 


D'Ovipro (Enrico) — Ricorda la morte del Socio nazionale non resi- 
dente Conte Costantino Niera, accennando brevemente alle 
sue molte benemerenze 
Bosetti (Paolo) — Presentando i dodici soa dear Atti del doh 
gresso internazionale di scienze storiche, con brevi parole ne ‘ 


rileva l'importanza . 3 k 
Srampini (Ettore) — Presenta con ua l'a na Dubbione 
del Prof. Enrico Coccnra, fermandosi specialmente sui Saggi 
Filologici . È % 
Srcarpr (Enrico) — SI un AE del Vati. tati ‘3195 e. per Lu 
giusta collocazione di due sonetti del Petrarca } ‘ % 


Frati (Carlo) — Aneddoti da codici Torinesi e Marciani. È 


Tip Vinonozo Bona - fariaa 


ve n N 
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ATTI 


R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE 
ESSI. <TO RENO 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XLIII. Disp. 2°, 1907-1908. 


TORINO 
CARLO CLAUSEN 


Libraio della R, Accademia delle Scienze 


1908 


SOMMARIO 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 1° Dicembre 1907 . Pag. 73 


Boccarpi (G.) — ‘Ascensioni rette di alcune stelle fondamentali del 

Catalogo di Newcomb ì , 75 
Giupice (Francesco) — Una dimostrazione d' Re, per i Ra 

cali delle 27 rette di superficie cubica. 3 92 
Parona (C. F.) — Relazione sullo Studio geologico del Prof. F. ea 

col titolo: Il Gruppo del Gran Sasso d’Italia . ; = 5 94 
MartiroLo (Oreste) — Relazione intorno alla. Memoria presentata 


dalla Dott® Efisia Fontana, intitolata: Ricerche intorno ad al- 
cune specie del genere Elaphomyces Nees (E. variegatus, E. gra- 


nulatus e affini) . : À È Pi 97 
Levi (Beppo) — Saggio per una PRE irta delle omne cubiche 
ternarie ; o È ; i ; 3 } 3 i b 99 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza dell'8 Dicembre 1907 . Pag. 121 
Cumroni (Gianpietro) — La formazione del Codice civile italiano e 


Site n > est z FRE i; 
ù Ri E AE Ls ST I de ire no i! € È 
Van Mg RI I LE LO 0 SEA CA MEET r LI 


ì lavori di Oreste Regnoli } ; i 4 < È s 00124 
Auuievo (Giuseppe) — In cerca della scienza . E 131 
Lattes (Alessandro) — L'interinazione degli editti. Studio di Peer 

del diritto pubblico piemontese z 151 
Srorza (Giovanni) — Alessandro Manzoni e una. > ‘begli da L'Anno- 

tatore Piemontese e i Romantici lombardi j } ALLENA 
Maco (Umberto) — La regina Antiochide di Cappadocia e la cronaca 

regia degli Ariaratidi È 3 3 ; " 5 ; LIVREA 

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Fip. Vincenza Bona - Torina 


AS IAA 


XI. TO REMO 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


Vor. XLIII, Disp. 3°, 1907-1908. 


TORINO 


CARLO CLAUSEN 
Libraio della KR. Accademia delle Scienze 


1908 


SOMMARIO 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. 


Sunto dell’Atto Verbale dell’Adunanza del 15 Dicembre 1907 Pag. 


Virari (G.) — Sui gruppi di punti e sulle funzioni di variabili reali , 
VocLino (Pietro) - De quibusdam fungis novis pedemontanis 4 
Seere (C.) — Relazione intorno alla Memoria del Dott. Umberto Pe- 
razzo, intitolata: Sopra alcune varietà di rette ed în partico- 
lare su vari tipi di complessi cubici . 


Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. 


Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 22 Dicembre 1907 Pag. 


Torsca pi CasreLLazzo (Carlo) — Le antiche enfiteusi e il diritto di 
prelazione attraverso alle leggi della dominazione francese e 
della restaurazione e per il diritto attuale 


”» 


Tip Vincenzo Bona  Terina 


227 


229 
246 


252 


253 


255 


, ACCADEMIA DELLE SCIEN 


SA $>I- TO REDNSO 


visa, 


PUBBLICATI 


DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI 


TORINO R 
CARLO CLAUSEN ui 
Libraio della R. Accademia delle Scienze NE co 


1908 


e) Ai 
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Classi Unite. 
‘Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 14 Giugno 1908. 


Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Nati 
Sunto dell’ Atto Verbale dell'Adunanza del 14 Giugno 1908. 


} Panerti (Modesto) — Sulla deformazione dei solidi elastici prism 
i tici prodotta dallo sforzo di taglio : 
Fano (Gino) — Sopra alcune varietà algebriche a tre dimensio 
aventi tutti i generi nulli . i 
Seare (Corrado) — Sulla generazione delle superficie che ammettono 
: un doppio sistema coniugato di conì circoserittici csVRNuei 
uti + CoLompa (Luigi) — Note mineralogiche sulla Valle del Chisone (C 
I del Pomaretto) (Con una tavola.) 
j SQUINABOL aa — Riassunto di uno studio. geo- fisico sulle i 
Tremiti 7 REST 
Negri (Giovanni) — Goubribato alla briologia delle isole Premi 
FonTANA (Efisia) — Sul valore sistematico di ‘aleune specie del 
nere “ Elaphomycees » del gruppo dell’ “ E. anthracinus , 
Srorza (G.) — Sopra alcuni punti dell’estensionimetria non cuelide 
Laura (Ernesto) — Sopra le trasformazioni di contatto che vengo 
trasformate in sè stesse dal gruppo delle rotazioni attorn 
un punto. 
Camperti (Adolfo) — Sulla vaziamone del grado "di dissociazione 
alcuni elettroliti colla temperatura (Con una tavola) 


Guarescni — Nuovi isomeri della conina ed altre idrobasi 
IssoeLio (Giovanni) — Nuovo isomero della conina dal cari 
piperideone . 


Cocnerti pe MarmISs (Luigi) — î colgo peni i ‘dei Ceiod 
Ricerche anatomo-istologiche e fisiologiche (Con una t 
ZavartarI (Edoardo) — Materiali per lo studio dell'osso ioi 
Sauri (Con una Tavola) 
Burai-Forti (C.) — I quaternioni di Hamilton e il calcolo | ve 


risecanti di una curva algebrica . SEA 
« Japanza (N.) — Relazione sulla Memoria del DE Gessi A ONETTT, 
intitolata: Determinazione astronomica della latitutine 
. Specola geodetica della LR. Università di Toriho!, 


Glasuo di Scienze Morali, Storiche e Filolog 
Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 21 Giugno 1908 


Aruievo (Giuseppe) — L'umanismo, 
i Srampini (Ettore) -— Relazione intorno alla Memoria. presentata. la 
sN Prof. Clemente Merco, intitolata: Deyli esiti di lat. 
% dialetti dell’Italia Centro-meridionale con un’Appendice S 
) tamento degli sdruccioli nel diuletto di Molfetta . 
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2, Fip. Vincenze, Bona for ne 


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