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Librarp of the Musenm
OF
COMPARATIVE ZOÒLOGY,
AT HARVARD COLLEGE, CAMBRIDGE, MASS.
Founded bp pribate subscription, in 1861.
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No. 787 7a
Nov.10.1979. UA Moay 8 (851
ANNUARIO
DELLA
SOCIETÀ DEI NATURALISTI
MODENA
ANNO III
MODENA
TIPOGRAFIA E CARTOLERIA DELL’ EREDE SOLIANI
L° Annuario si vende presso Carlo Vincenzi
Tipografo-Librago sotto i Portici del Collegio in
Modena.
Per la Germania, la Francia e Vl Inghilterra,
dirigersi in Torino alla Libreria Loescher,
Via Carlo Alberto N.° 5.
-»
Presidenza della Società
Presidente
Pro. GIOVANNI CANESTRINI
Vicc-Presidente
Pror. LEONARDO SALIMBENI
Segretario
Dorr. PAOLO BONIZZI
V. Segretario-Cassiere
Pror GIOVANNI GENERALI
DESCRIZIONE ‘©
DEI QUARZI DI PORRETTA
PER
LUIGI GAMBARI
DOTTORE IN SCIENZE NATURALI
Non molte località offrono come Porretta in un’area
di pochi kilometri argomenti tanto interessanti alle in-
vestigazioni del naturalista. Quivi sorgenti termali mi-
nerali che esercitano sull'economia vivente le più salubri
influenze. Quivi pure particolari emanazioni gazzose
combustibili di carburi d’ idrogeno, parte dei quali esa-
lano liberamente nell’ atmosfera, parte ancora conve-
nientemente raccolta, viene utilizzata per l’ illuminazione
dei stabilimenti balneari ivi costrutti. Una flora (1)
abbastanza ricca di piante spontanee; utili formazioni
litologiche (2) fra le quali predomina la pietra serena o
macigno compatto ottimo materiale da costruzione :
non pochi minerali sempre relativamente alla limitata
(a) Questa descrizione è desunta da una più estesa memoria letta alla
R. Università di Modena, per esame di libero insegnamento.
(1) Bertoloni ( G. ) Notizie intorno alle piante spontanee dei monti Por-
rettani. Mem. dell’ Accad. delle Scienze deli’ Ist. di Bologna.
(2) Bianconi (G. G.) Escursioni geologiche e minerologiche del terri-
torio Porrettano. Bologna, 1867.
È imminente la pubblicazione di una bellissima carta geologica del Bo-
lognese del Prof. Cav. G. Capellini.
1
CESSI DU
estensione della località, quali ad esempio la steatite le
cui vene assumono talora l’ apparenza di filoni, la cal-
cite e la dolomite spatiche e cristallizzate, calcedonrio,
agate, serpentino, ferro idrossidalo, piriti cristallizzate
i fibrosoradiate, quarzo fibroso, e infine quello con par-
ticolarità tanto svariate che credo meritare un’ esame
speciale, e mi provo quì a darne una descrizione.
Piuttosto che dal numero delle facce cristalline delle
quali il patrimonio della scienza ne conta oltre 140 si-
stemi diversi, (5) i quarzi in esame interessano princi-
palmente, per le varietà dipendenti dalle distorsioni per
gli aggruppamenti svariati, per l abbondanza della va-
rietà aeroidra, pel loro giacimento ecc.
Senza premettere a questa descrizione generalità al-
cuna sul quarzo, avverto sin da principio che le deno-
minazioni addottate sono quelle che sì trovano nella
maggior parte dei trattati di mineralogia ed accettate
generalmente sin da quando le propose 1° Hauy. Le no-
tazioni invece sono quelle del Descloizeaux delle quali
ne dò i principali simboli.
P. facce del romboedro primitivo nel dodecaedro.
e: facce del romboedro inverso nel dodecaedro.
e* facce del prisma.
i' facce plagiedre.
î facce rombifere.
Le forme cristalline dei quarzi di Porretta hanno fin
quì offerto all’ osservazione le seguenti serie di facce
espresse dai loro simboli
(3) Descloizeaux. Memoire sur la cristallisation et la structure interieure
du quartz, Annales de Chimie et Phisique XXLV.
IRINA
Varietà dodecaedra.
Po. e
Quantunque ordinariamente di piccole dimensioni, si
trovano miriadi di cristallini dodecaedri isolati di una
perfezione sorprendente. Alcuni sont limpidissimi (Lizzo),
‘altri nebulati o aventi nell’ interno quasi centro in cui
si originarono i cristalli; un nucleo di materia bruna
carboniosa che si elimina alla fiamma del canello; in
altri ancora, questa materia è disseminata quasi rego-
larmente nella loro massa. I cristalli dedecaedri più vo-
luminosi isolati si trovano a Monte acuto Ragazza ma
raramente limpidi, e il più delle volte con piccoli cri-
stallini geminati. Oltre a questi se ne trovano in ag-
gruppamenti ed in geodiì.
La fig. 1 rappresenta un. dodecaedro alquanto in-
grandito.
Varietà - prismata.
Presilies.
Non meno frequenti nè di maggiori dimensioni de-
gli anzidetti si trovano frammisti particolarmente a
Lizzo dei cristalli esagonododecaedri isolati completi.
La loro perfezione è tanto maggiore quanto più piccolo
è il loro volume. Ancor questi ora sono limpidissimi,
ora nebulati, o colla materia carboniosa che ho detto
precedentemente. Lo sviluppo delle facce del prisma è
vario: se ne trovano alcuni che le hanno appena sensi-
bili, in altri invece prevalgono a quelle deile piramidi.
Nei cristalli prismati di queste località come in quelli
d’ ogni altra, si osserva che tre faccette esterne delle
piramidi hanno uno sviluppo troppo prevalente, fatto
BI, AIR
che conferma l idea teorica ch’ essi risultano dalle
combinazioni di due romboedri, diritto l uno, l’ altro
INVerso.
Si trovano ancora esagono-dodecaedri aggruppati fra
i quali si riscontrano dimensioni notevolmente maggiori
a quelle degli isolati. La fig. 2 da un’ esempio di cri-
stallo prismato isolato assai ingrandito, le cui facce del
prisma dimostrano fa media del vario sviluppo.
Distorsioni.
Molte varietà che dipendono dai fenomeni di di-
storsioni sono abbastanza comuni in molte località. Ma
quelli di Porretta offrono uno speciale interesse riguardo
al loro modo di trovarsi, essendo alcune di queste va-
rietà quasi esclusive, o grandemente prevalenti in strati
o giacimenti particolari, ciò che dimostra che questi
fenomeni dipendono dalle condizioni generali in cui si
formano i cristalli.
(aa Varietà Spalloide.
Quelle varietà nelle quali due facce contigue di una
piramide hanno un’ estensione prevalente e sono alterne
ad altre due similmente sviluppate nell’ altra piramide,
viene splendidamente rappresentata in alcuni quarzi di
Porretta.
E da notarsi che 1 cristalli spalloidi di queste località
sono tanto più limpidi quanto più il carattere delle va-
rietà è manifesto. Le fig. 5 e 4 riproducono le forme
di bellissimi quarzi spalloidi. Il primo è completo, per-
fettissimo, notevolmente simmetrico, compresso limpido,
lungo m. 0. 0210 largo 0. 0120. Non meno bello è
l’altro, ma incon:pleto: avendo esso altra particolarità
sarà esaminato in appresso. Vi sono inoltre moltissimi
RI
altri cristalli spalloidi assai più voluminosi, ma non
belli ed istruttivi quanto i descritti. Vedi fig. 7, 22.
(6) Varietà Cuneiforme.
Carattere di questa varietà è la dominante estensione
di una zona di sei facce contigue, ‘ quattro delle quali
spettanti alle piramidi, due al prisma, essendo oriz-
zontale l'asse di essa zona.
Le fig. 5, 8, 9, 19, danno esempi di questa varietà
ma in nessuna di esse il carattere è generale, essendo
incompleti o esistendo solo parzialmente.
(c) Varietà Compresso.
Questa varietà si collega alla precedente e ne diffe-
risce da ciò che solamente due facce opposte del pri-
sma hanno un maggiore sviluppo in modo da impar-
tire ai cristalli una forma schiacciata, appiattita o come
dicesi i: Sono compressi i cristalli delle fig. 5,
16, 19.2. Le compressioni si riscontrano soventi an-
che nei ge aggruppati come ad esempio quelli della
fig. 20, nella quale si osserva una singolare disposizione
di questi cristalli che stanno come le dita in una mano.
Questo gruppo è parte limpido e parte nebulato; porta
delle tremie, rilievi lanceolari, strie ecc. ed è aeroidro.
(4) Varietà Cuneiforme basoide.
Più frequenti dei cuneiformi propriamente detti, si
trovano a Porretta dei cristalli cuneiformi basoidi, quelli
cioè nei quali hanno prevalente sviluppo due facce pi-
ramidali fra loro opposte e parallele spettanti ad una
medesima zona. Il cristallo della fig. 7 dà uno dei più
MIRA gift
belli esempi di questa varietà: è con:pleto limpido,
porta dei rilievi lanceolari molto pronunciati sulla faccia
basoide P.
(e) Varietà Cuneiforme assimetrico.
La singolare abbondanza in questa località di cristalli
cuneiformi assimetrici non si può ripetere che dalle
condizioni generali nelle quali si sono formati. Amerei
dare una cifra che rappresentasse la proporzione nella
quale stanno questi quarzi in un numero stabilito, ma
questo non può essere che approssimativa e non si può
avere un criterio esatto per motivi facili a indovinarsi:
mi basti il citare che fra cento esemplari di quarzo con
distorsioni, che fanno parte alla ricca collezione che
passo in rivista, se ne trovano 530. Il quarzo della fig. $
riproduce un cristallo di questa varietà: in essa si 0s-
servano molto estese le facce P ei opposte dalla pira-
mide superiore, nella inferiore invece hanno prevalente
sviluppo le contigue P ez, sviluppo tanto pronunciato
da togliere ogni simetria al cristallo, d’ onde il nome.
della varieta. Questo esempiare potrebbe servire di tipo
per tutti i quarzi cuneiformi assimetrici. di Porretta.
Esso è completo limpido, con vacui interni, piccole scre-
polature longitudinali, solcato da strie sulle e?. Un altro
esempio consimile è dato dalla fig. 9 nel quale si os-
serva un piccolo geminato nella piramide cuneiforme:
questo cristallo porta delle tremie interne e superfìi-
ciali, strie, rilievi lanceolari elegantissimi, anelli colorati,
argilla inclusa ecc. ecc. particolarità tutte che non pos-
sono rappresentarsi coi semplici contorni delle figure
che offro. D° altra parte è nota la grande difficoltà di
riprodurre nelle tavole i dettagli dei minerali in ge-
nerale.
(f) Varietà Cuneiforme trasposto.
La fig. 10 presenta un bellissimo esemplare di Por-
retta spettante a questa varietà. E un cristallo completo
che si può considerare come risultante dalla fusione in
un solo individuo di due forme del primo tipo ruotate
per limitata trasposizione con un’ angolo di 60.° Potrei
dare pochi altri esempi di questa varietà, essendo quasi
unico nella collezione che passo in rivista.
Soppressioni di facce.
Accadde talvolta che alcune facce delle piramidi pren-
dono uno sviluppo tanto considerevole da implicare la
soppressione di altre. È chiaro che queste piramidi non
saranno più esagone; e per distinguerle a seconda del
numero delle facce superstiti, accetto ben volontieri le
denominazioni che mi sono proposte di Tetrachisaedre
e Pentachisaedre.
La mancanza di una sola faccia si osserva in parec-
chi cristalli; assai raramente quella di due; ma io credo
potersi riferire ai tetrachisaedri ( pir. a.4 facce) tutti i
cristalli nei quali una faccia è affatto mancante e viene
appena accennata un’ altra, come si osserva soventi.
E Tetrachisaedro il cristallo della fig. 5 reso tale dalla
grande estensione delle facce spalloidi e di quella rela-
tiva di due facce opposte alle medesime, talchè le altre
non hanno potuto svilupparsi. La fig. 11 da I° esempio
di un Pentachisaedro; esso è alquanto voluminoso, piut-
tosto compresso, ha interne screpolature e piani di pseu-
dosfaldatura, strie ed iridescenze, cinque sole facce
nella piramide superiore, nell’ opposta invece ha ten-
denza alla varietà cuneiforme.
ETNIA
Gruppi regolari.
Si trovano a Porretta molte volte dei cristalli aggrup-
pati aventi per le loro facce omologhe una identica
orientazione, talchè trascurando gli angoli rientranti e
le discontinuità prodotte necessariamente dal diverso
numero dei cristalli del gruppo, e considerandoli nel loro
complesso, si ha l’idea di un solo e voluminoso cristallo.
Questo fatto traduce in modo grossolano se vogliamo
ma molto evidente il concetto teorico ammesso sulla co-
stituzione dei cristalli in generale. I singoli cristalli di
questi gruppi, starebbero a rappresentare quei poliedri
primordiali che colla loro unione regolata da norme di-
verse, dipendenti da una legge generale e costante, co-
stituiscono le forme definite offerte dal regno minerale.
Accanto alla fig. 12 che riproduce uno dei gruppi in
discorso, vi è pur quella (15) di un cristallo unico, iso-
lato, distorto. Basta confrontarli per conchiudere che
PP uno e l’ altro sono quasi l istessa cosa. Nel primo, il
solido è formato da tanti elementi che non si uniscono
perfettamente, la defficenza di materiale cristallizzante,
fors’ anche la presenza di sostanze eterogenee, ed influ-
enze tuttora sconosciute, hanno intercettata la continuità
della massa; nel secondo caso invece non avendovi con-
corso queste accidentalità, il cristallo si è formato com-
pletamente. Altri analoghi gruppi si osservano nelle
fig. 15, 20.
Cristalli geminati.
In tutte le varietà offerte dai quarzi di Porretta so-
venti volte si riscontrano dei cristalli geminati. La loro
posizione è varia rispetto ai più voluminosi, ma vi
PE RE
stanno sempre con quel carattere di regolarità che è pro-
prio. delle geminazioni in generale. La fig. 14 mostra
un gruppo geminato ne! quale un voluminoso cristallo è
impiantato normalmente agli altri. — Per altri esempi
vedi fig. 6, 9 ecc.
Cristalli con tendenza alle facce basali.
Le facce che si riferiscono alle basi sono estrema-
mente rare nei quarzi di qualsiasi località, e i pochi
esempi che si conoscono, sono citati nella maggior parte
dei trattati di mineralogia. (1) Se Porretta è mancante
di questa varietà vi si trovano però esemplari nei quali
la tendenza ‘alle basi è ben manifesta.
La fig. 15 rappresenta un voluminoso cristallo incom-
‘ pleto, multiplo, parte limpido e parte nebulato, con pro-
fonde tremie specialmente sulle facce della piramide
inferiore, stratterelli di argilla inclusa, numerose ed in-
terne screpolature, rilievi lanceolari, geminazioni, di-
Stersioni, compressioni, ai quali fatti tutti associa | e-
senziale di una manifesta tendenza alle facce basali :
esse sono rappresentate da piani in corrispondenza loro
ad una sola estremità però del cristallo multiplo: questi
piani sono formati dagli apici di tante piramidi di mi-
nutissimi cristallini, in forma di aguglie le cui basi ed
apici sono tutti disposti parallelamente. Non meno
istruttivo del citato esempio è quello offerto dalla
fig. 16 nella. quale si riscontra analogamente la ten-
denza. alle facce basali; quest’ esemplare è un fram-
mento di cristallo voluminoso che porta nell’ interno
dei vacui aeroidri.
SANI (3 ere
Varietà Plagiedra.
Piet
Un solo cristallo fra i moltissimi quarzi di questa
località offre il fatto della plagiedria ed snelle nel modo
non più istruttivo.
La varietà plagiedra è caratterizzata dalla presenza
di faccette obblique sugli angoli di combinazione del
prisma colla piramide che stanno ad indicare | associa-
zione del prisma, stesso colle facce di scalenoedri di
destra o di sinistra a seconda che le faccette in discorso
si trovano in questa o in quella posizione. Siccome i
valori degli angoli delle faccette di plagiedria sono va-
riabilissimi e da una parte finiscono per confondersi colle
facce del prisma, così I esempio che offro nella fig. 19
sarebbe uno di sugli clin termini che danno gli an-
goli più ottusi.
Varietà Rombifer:
Pez ,e? (ir rombif)
La varietà rombifera data dalla presenza di una fac-
cetta romba sugli spigoli di combinazione del prisma
colla piramide ha qualche rappresentante nei quarzi di
Porretta. La fig. 5 e 17 ne danno esempi.
Varietà Pie en tes i
Questa varietà rara anzichenò viene offerta da un solo
e singolare cristallo nella ricchissima collezione che ho
potuto esaminare (fig. 19). La faccia e* si trova nella
zona delle faccie del prisma; essa porta dei rilievi lan-
quis "MM ei
ceolari: inoltre il cristallo è incompleto solcato da pro-
fonde strie distorto ‘cuniforme nella piramide superiore.
Varietà b' P ea, e?
Più raro ancora della varietà precedente è la presenza
della faccia 6' che ho rinvenuta pur essa in solo esem-
plare. Il cristallo della fig. 17 porta questa faccetta ni-
tida ed abbastanza sviluppata sopra due spigoli opposti
della piramide superiore: è singolare d’ altra parte il
cristallo di cui è parola per le curvature simetriche di
quattro facce del prisma, e per esser rombifero.
Facce curve.
Nella descrizione dei cristalli passati fin qui in rivista
ho accennato parecchie volte la presenza di facce curve:
non essendo questo un fatto della minore importanza
se lo è di secondaria, ripeterò che a Porretta si rin-
vengono dei quarzi con facce curve ma che in generale
mancano quegli esempi più manifesti che si osservano
nei quarzi di molti altri giacimenti: pochi fra questi di
Porrelta mostrano le a curve perfettamente liscie e
‘-levigate, il più delle volte sono solcate da strie, e mo-
strano piani di decrescimenti dai quali dipendono. Le
fig. 17 e 19 danno i più belli esempi di queste curva-
ture che abbia osservato fra i quarzi di questa località.
Tremie.
Un fatto frequentissimo generale a riscontrarsi in que-
sti quarzi e direi quasi caratteristico è la presenza di
tremie. Ora incavano una sola faccia oppure due conti-
gue, tre quattro ed anche tutte sei. Le facce del pri-
BARI TC
sma portano pur esse delle tremie, e si può dire tutte
le volte che se ne trovano in quelle delle piramidi ; però
gl’ incavi da esse prodotti sono generalmente assai più
profondi in queste ultime. Spesso le tremie si limitano
ad una semplice incavatura in vicinanza agli angoli. Non
è raro osservarle internamente massime sulle piramidi.
In generale le tremie si trovano nei quarzi che presen-
tano delle impurità e prevalentemente dell’ argilla: fra
questi poi i più voluminosi: le fig. 20, 21 ne danno due
dei moltissimi esempi che potrei citare.
ftilievi lanceolari.
Non scarso numero fra i quarzi in esame ha una par-
ticolarità che ho potuto riscontrare assai raramente in
quelli di altri giacimenti. Sono prominenze più o meno
sensibili che si trovano sulle facce dei cristalli, le quali
partono più spesso dagli angoli, si dirigono verso il centro
della superficie esterna, e finiscono in certe punte a
forma di lancia detti perciò rilievi e lanceolari.
Essi si trovano nei cristalli che portano tremie o ‘che
ne hanno la tendenza. Questo fatto si connette alle
tremie stesse, e si spiega abbastanza bene ammettendo
che gli angoli dei cristalli. essendo centri di attra-
zioni più attivi per la materia che va a costituirli, sot-
tragga delle particelle che sono dirette al centro delle
facce, in casi speciali e per la deficenza di materiale
cristallizzante o per rapida cristallizzazione; in questo
caso bisogna evidentemente ammettere delle condizioni
opportune, quella in special modo che quantunque le
particelle siano sovrapposte alle facce, possano tuttavia
obbedire alle attrazioni menzionate. Fig. 6, 7, 12.
Ue
Cristalli negativi.
Alcuni quarzi della località in esame portano nel loro
interno dei vacui limitati da piani che riproducono la
forma di esagono dodecaedri. Considerando i cristalli ne-
gativi come risultando dall’ unione intima di particelle
poliedriche come dissi in altra occasione, il fatto ora men-
zionato trova la sua spiegazione. } cristalli negativi sa-
rebbero originati da una locale discontinuità di materia
la quale si può ripetere da molte cause: i punti nei
quali la materia è mancante sono limitati dagli ele-
menti poliedrici (facce, angoli ecc.) circostanti, onde la-
sciano un vacuo circoscritto da una forma o stampo, se
mi è permessa l’ espressione, di ciò che ha mancato a
mantenere la continuità fra le particelle interne.
Quarzi con materie incluse.
(a) Cristalli Aeroidri.
Porretta è una località privilegiata del quarzi aeroidri
essendo essi rari in moltissimi giacimenti il più delle
volte affatto mancanti.
La quantità di liquido (1) contenuta nei quarzi in ge-
nerale è estremamente, piccola difficilmente determinabile:
questo liquido è reso manifesto da una bollicina gassoza
il cui diametro può esser quello di un seme di miglio
a quello di un piccolo grano di pisello. Però nella ric-
chissima collezione dalla quale ne traggo la descrizione
presente se ne trova una eccezionale che ne do la figu-
(4) I liquidi e gas che si trovano nelle cavità aeroidre sono carburi
d’ idrogeno studiati principalmente da Brevvster e dal Dana, da essi distinti
coi nomi di Brevvsterina, Criptolina ece.
Vedi, A System of Mineralogy by. I. D. Dana, A. M. — London 1855.
IN
RO ALRSS
ra (22) uno dei più belli se non unico fra i quarzi di
Porretia.
La goccia che contiene stà in corrispondenza della
faccia P più estesa del gruppo; la bolla gassoza che in essa
vi nuota è della grandezza di quella disegnata. Il cri-
stallo è incompleto semilimpido superficialmente nebu-
loso nell’ interno; porte delle tremie dei rilievi lanceolari,
molte e finissime screpolature ed iridescenze interne.
Parecchi altri fra i cristalli descritti sono aeroidri. Il
numero delle goccioline nei quarzi di Porretta varia da
una a cinque. Negli oltre 200 esemplari aeroidri che
ho potuto esaminare, ben inteso tutti della stessa loca-
lità, non mi è stalo possibile stabilire regola alcuna
circa la posizione che le goccioline occupano, ne le va-
rietà cristalline nelle quali entrano. Questa posizione è
varia, trovandosi ora in corrispondenza al centro delle
diverse facce, o verso gli angoli o gli spigoli: di pre-
ferenza però si trovano verso gli angoli, e corrispon-
dono coi vacui delle tremie interne. Con molta proba-
bilità si possono trovare anche al centro dei cristalli
‘quantunque non se ne scorgono, sfuggendo all’ osserva-
zione, sia per lo spessore dei cristalli stessi, come per
l’ alterata limpidita dei quarzi che in molti casì si ve-
rifica.
Un fatto nuovo finora almeno nei quarzi aeroidri di
Porretta, è la presenza di corpuscoli neri probabilmente
carboniosi nuotanti nelle goccioline liquide c che seguono
le bollicine gassoze nei movimenti prodotti da semplici
cambiamenti di posizione di questi cristalli. In tutta la
collezione accennata non ne ho rinvenuti che tre esempi.
(5) Quarzi con minerali inclusi.
Minerali inclusi si trovano raramente in questi quarzi.
La fig. 25, dimostra uno dei pochissimi esempi che
— 5-
potrei dare: è un cristallo incompleto isolato cuneiforme
nebuloso che sulle facce Pe3 più sviluppate della pira-
mide superiore porta dei cristallini nitidissimi di Mesi-
tina alcuni dei quali si scorgono agevolmente anche ad
occhio nudo; alla superficie delle facce accennate si tro-
vano dei piccoli incavi romboedrici dovuti a cristalli
negativi di Mesitina che probabilmente sono stati elimi-
nati da cause esteriori.
\
() Quarzi con argilla inclusa.
Fra le materie estranee che contengono i quarzi di
Porretta |’ argilla è la più frequente ed abbondante a
riscontrarsi. Nei cristalli di preferenza che offrono delle
tremie e dei vacui interni essa vi entra quasi sempre
fedele compagna. La disposizione di quest’ argilla non
è casuale ne indifferente. Essa si trova più spesso si-
tuata parallelamente ai piani delle diverse facce e in
stratterelli più o meno sottili a seconda della grandezza
dei vacui che va a riempire. Come venga introdotta nei
cristalli non è facile a provarlo. In qualche caso si hanno
delle aperture che mettono in comunicazione |’ esterno
coll’ interno e allora si potrebbe pensare che vi sia pe-
netrata dopo che i cristalli furono formati; ma altre
volte queste aperture mancano affatto: l argilla vi sta
rinchiusa nello stesso modo che sostanze estranee di-
verse si trovano nei quarzi di altre località. Per dare
un’ interpretazione a questo fatto parmi potersi ammet-
tere che la materia cristallizzante si trovava mescolata
coll’ argilla nell’ atto della formazione dei cristalli: che
in certi momenti nei quali le forze cristallogeniche agi-
rono in modi particolari trascinavano qualche sostanza
quasi meccanicamente ma sempre in direzioni determi-
nate, e alternandosi questi momenti colla normale for-
mazione dei cristalli si ottengono gli strati di argilla e
SIAE TEA
di quarzo che accadde le mille volte di osservare. Que-
sto punto di vista è in analogia a quanto succede in
molti casi nella formazione artificiale di cristalli di altre
sostanze. Inoltre da questo fatto avressimo una plausi-
bile spiegazione del come si formano i quarzi così detti
in camicia.
Quarzi limpidi, nebulosi, colorati.
La limpidità nei quarzi di Porretta si può dire pre-
dominante: in molti casi è perfetta, in generale più o
meno alterata. I cristalli più limpidi si trovano negli
isolati dodecaedri ed esagono dodecaedri di minime di-
mensioni, e fra gli spalloidi. Al contrario altri cristalli
sì presentano relativamente opachi, di un bianco traente
al lattiginoso, chiamati con vocabolo abbastanza signifi-
cativo, nebulose.
Circa alle colorazioni, se si eccettuano quelli tinti in
violetto sporco, da ossido di manganese, che peraltro
non si trovano nelle maggiori vicinanze di Porretta,
(Pianoro) e pochi esempi di affumicati, finora non se
ne conoscono altre.
Quarzo fibroso.
Accennerò per ultimo che oltre alle varietà esaminate
fin qui vi è pure la fibrosa.
E a Lizzo principalmente che si rinviene quando di
pochi millimetri e quando di parecchi centimetri di
spessore. Molte volte accompagna le varietà dodecaedra
ed esagono dodecaedra che ho detto trovarsi in cristal-
lini minutissimi, dai quali è soventi rivestito.
ils (RR e
Giacimento ed origine.
]] giacimento dei quarzi di Porretta ci offre un vasto
campo di considerazioni; ma per non subordinare af-
fatto lo scopo puramente descrittivo che mi sono pre-
fisso, mi limiterò solamente a ciò che mi è indispensa-
bile di dire per completare la mia descrizione.
La litologia di Porretta si può considerare preva-
lentemente costituita da formazione stratificata di ma-
cigno a banchi ben distinti di limitata potenza, sollevati,
resi verticali ed un tempo, rovesciati quindi nella parte
più elevata. Fra questi strati a distanze più o men grandi
s' interpongono letti di melma argilloso marnosa inclu-
denti senz’ ordine sensibile una grande abbondanza di
cristalli di quarzo.
Nella circostanza che si | praticarono i perforamenti
delle numerose gallerie della ferrovia che traversa quella
località, si riscontrarono parecchi letti argilloso quar-
ziferi e si potè constatarvi la ricchezza loro di questo
minerale.
Alcuni degli strati marnosi portano delle varietà som-
mamente prevalenti e aspetti ben distinti da quelli of-
ferti in altri. Le dimensioni dei cristalli, le forme loro
ed il modo di aggruppamento, le materie incluse e la
disposizione delle medesime, sono altrettanti fatti che
si osservano quasi neltamente distinti, che impartono
un’ aspetto caratteristico ai quarzi appartenenti a letti
diversi, onde sì travede la facilità di dividerli in gruppi
a seconda dei parziali giacimenti dai quali provengono.
Per es. presso Pracchia uno dei tali letti produce quasi
sempre dei cristalli aeroidri. Nel versante N. È. del
monte Granaglione s' incontrano di preferenza quarzi
di notevoli dimensioni in aggruppamenti regolari sva-
riatissimi includenti argilla grigia o-bluastra. A Riola
2
quest’ argilla passa allo stato di ocra gialla nei cristalli
della galleria ove se ne trovano con tremie profon-
dissime.
A Lizzo piccoli ma nitidissimi ed assai regolari cristal-
lini d’abito dodecaedrico sostituiscono i gruppi assai vo-
luminosi ora citati. Varia quivi peraltro la natura del
giacimento connettendosi invece assieme al quarzo fibroso
colle serpentine recenti.
Da questi fatti si comprende facilmente che i diversi
aspetti dei quarzi sono dipendenti da condizioni gene-
rali nelle quali si originarono. L’ acqua che in tanta
copia imbeve le marne argillose, che contengono i cri-
stalli deve aver concorso alla loro produzione. Senza
trascurare quella quantità che deriva per infiltrazione
dall’ alto al basso, la maggior parte di essa però deve
provenire in senso inverso e specialmente da sorgenti
termali, le quali abbenchè in gran parte scomparse at-
tualmente in quella località, hanno lasciati molti testi-
moni della loro azione nel passato.
Da quest aqua in condizioni opportune di pressione,
di temperatura, e presenza di elementi alcalini, si può
ripetere il materiale siliceo indispensabile alla formazio-
ne del quarzo. i
L’acqua stessa una volta infiltrata attraverso ai ban-
chi di macigno, trattenuta in molta parte dalle marne
interstratificate, e quindi per cambiamenti delle primi-
tive condizioni, sarebbe passata in quelle favorevoli per
le quali le particelle disciolte potessero obbedire alle
. mutue attrazioni, e quindi produzione di silicie anidra, e
genesi dei cristalli. — L’ origine del quarzo per via
umida in questo caso è manifesto tanto da non insi-
stervi a provarlo. L’ abbondanza della varietà aeroidra,
e la presenza di materie carboniose, escludono ogni
dubbio in proposito; inoltre, altri fatti conducono alla
medesima con clusione.
La descrizione fatta, è desunta dall’ esame di circa
800 esemplari scelti che si trovano nella bella e ricca
collezione mineralogica della R. Università di Bologna,
tanto saggiamente disposta ed illustrata dal mio chiaris-
simo maestro, prof, cav. Luigi Bombicci: ed a Questi
amo render qui un tributo della più sentita gratitudine,
sia per il prezioso insegnamento di cui le sono debi-
tore, come per la garbatezza di lasciare a disposizione
del mio studio i minerali che furono soggetto di quanto
ho esposto fin qui.
LARVA E PARASSITO
DELLA
TISCHERIA COMPLANELLA Lin.
Osservazioni
del
Prof. CAMILILO RONDATNIEI
(Tav. IV.)
La sola specie che forma nei Microlepidopteri il ge-
nere Fiseheria fondato dallo Zeller, cioè la Tinea
complanella di Linneo, non fu osservata fino ad ora
allo stato di Larva, e fu per caso se io potei in que-
st’ anno scoprirla; dico per caso perchè vivendo essa
fra le epidermidi delle foglie di quercia, produce in
esse delle macchie pallide che hanno le stesse apparenze
di quelle formate da altre larve già conosciute e di
lepidopteri affini, e del piccolo curculionide Orchestes
quercus, e non mi sarei proposto di studiare le larve
produttrici di quelle macchie, se un mio amico non mi
avesse mandate molte foglie di quercus pedunculata in-
vase da bacolini e perciò macchiate, desiderando di co-
noscere la causa di quell’ alterazione.
Collocai le foglie sotto campana senza esaminare le
larve, credendo che appartenessero a specie che furono
gia osservate in tale stato, aspettando che ne sortisse
l insetto completo per dirne qualche cosa di certo
all’ amico, e dopo alcuni giorni vidi che si aggiravano
Li ONT sei
nel recipiente due farfalline che cercavano una sortita,
ma queste erano diverse molto da altre Tineinae che si
conoscono già come minatrici delle foglie di quercia, e
studiata la specie la riconobbi per l Elachista Compla-
nella per cui il Zeller fondò il genere Tischeria (1).
Nei giorni seguenti altre ne sortirono .e cessò la com-
parsa nella fine di luglio, avendo cominciato verso la
metà del mese stesso.
Sapendo essere non osservata questa specie nelle
prime fasi di sua vita, sortite le prime farfalline cercai
di studiarne le larve, ma erano già mutate in pupa,
tranne alcune che erano perite e disseccate prima di
trasformarsi, ed alcune altre sformate da parassiti che
le avevano uccise, e di questi trovai alcune ninfe in vece
della pupa dei lepidoptero.
Per poter conoscere i caratteri delle larve di Tische-
ria ne collocai alcune di quelle morte senza causa ap-
parente, entro un vasetto con acqua, e scorse alcune
ore mi parve avessero acquistate le apparenze presso a
poco delle vive, e ne osservai 1 caratteri compilando la
diagnosi: seguente :
Larva Apoda, seu pedibus indistinctis; foco pedum ad
latera rugulosa, seu tuberculosa — Caput coriaceum,
ferrugineum, segmenta sequentia pallidissime sublutea,
et paulo translucida, ultimis exceptis in unico magno
confusis ferrugineo: segmento primo, seu cephalico, la-
tiore, macula supera -nigricante, subquadrata signato:
sequentibus vitta dorsuali longitudinali, lutescente vel
fusco-lutea; omnibus ad latera pilis aliquibus exiguis
proeditis. V. Tab. IV. Fig. 8.
Intra epidermides parenchimo folioram Quercus Pe-
dunculatae et forte etiam aliarum specierum, vivit.
(1) V. Tab. 1V. Fig. 4,2. 2-12.
O
Contemporaneamente alla sortita delle Tischerie ven-
nero alla luce alcuni individui dei due sessi di un pic-
colo imenottero che vive delle larve del micro-lepidot-
tero, e ne uccide non poche.
Alle prime osservazioni conobbi che il Parassito ap-
partiene alla famiglia delle Calcididae, ed alle stirpe
delle Encyrtinae (2), ma non mi fu permesso di ascri-
verlo ad alcuno dei Generi già istituiti nelle opere an-
che recenti che ho potuto consultare; anzi ho commu-
nicata al Chiar. Haliday la mia opinione sulla novità
dell’ insetto, e sulla necessità di istituire per esso un
genere nuovo, ed ho avuta la soddisfazione di trovarlo
d’ accordo con me, che pel complesso de suoi caratteri
quantunque si avvicini a parecchi dei Generi del suo
gruppo, non può essere incluso in alcuno, e che un
nuovo genere debba essere istituito per esso.
Questo genere lo chiamo Fineophaga e lo distin-
guo dagli affini pei caratteri seguenti:
Antennae septem articulatae, seu scapo et articulis sex
flagelli instructis in utroque sexu: primo articulo flagelli
brevi, caeteris in foemina sub-ovatis, in mare oblongio-
ribus, quorum tribus, in hoc sexu, filamento longo fim-
briato praeditis.
Alae superae extensae, vena costali exilissima, appen-
dicula apicali obliquae in dilatatione terminante: et alia
venula spuria prope marginem posteriorem, longitudi-
naliter decurrente ulira medium praeditae.
Abdomen apice subacuminato et sursum paulo incur-
vatum, basi angustatum.
Pedes simplices, tibiis intermediis mm tarsis
omnibus quinque articulatis.
Species typica generis vocanda erit. Tischeriae et sic
distinguenda.
(2) V. Annuario dei Naturalisti - Modena 1867.
pae, PSR
Hineophaga Tischeriae (5).
Nigra, nitida, glabra. Maris et Feminae antennae ni-
grae, articalo primo flagelli sat breviore sequentibus;
maris articulis secundo tertio et quarto appendice longa
praeditis filiformi, breviter fimbriata, articuli secundi
longiore, quarti minore.
Abdomen maris ad barim in medio paulo albidi trans-
lucidum — Alae limpidissimae, nudae.
Pedes femoribus late nigris: tibiis cum coxis anterio-
ribus totis albis, posticis apice nigricante: tarsis omni-
bus albis apice fusco.
Kjus larva in Tischeriae (Elachista) Complanella lar-
vis vivit.
(5) Vide Tab. IV. Fig. 5 ad 7.
DIPTERA ALIQUA
IN AMERICA MERIDIONALI LECTA
A
Prof. P. Strobel
annis 1866-67
DISTINCTA ET ANNOTATA, NOVIS ALIQUIBUS DESCRIPTIS
A
Prof. CAMILILO RONDANI
Fam. SYRPHIDAE Leach.
Gen. Velueella Geofr.
1. Sp. Obesa Fabr. Wdm. Macq. Rndn. - Rio Janeiro.
Gen. Rristalomya Rndn (1).
Eristalis p. Alior.
2. Sp. Angustata Rndn. (2) - Rio Janeiro.
Gen. Syreplaas Fabr.
5. Sp. Duplicatus Wdm. Macq. Rndn (5). - San Carlos
( prov. Mendoza. )
4. Sp. Tridentatus Mihi m. - Patagonia.
Antennac, facies, et pars anterior frontis lutescentes:
vertex et Occiput nigricantia.
(i) Prodrom. 1857 - Parma.
(2) Dipt. Brasiliana 1848 - Studii Entomologici. Torino.
(5) Dipt. Am. Aequat. 1850 - Nuovi annali delle Se. Nat. Bologna.
PESO, ARSSI
Oculi vix in puncto anteriori subcontigui.
Thorax niger pallide pilosus; humeris et fascia tran-
sversa pleurarum pallidis,
Scutellum nigrum pallide pilosum, linea marginali lu-
tescente. — Halteres pallide lutei.
Abdominis segmenta duo basalia superne, nigra late-
ribus anguste luteo tinctis; tertio et quarto nigris, ma-
cula ad unumquodque latus, elongata, et vittis tribus
intermediis lineiformibus, postice convergentibus: quinto
lutei et nigricantis vario.
Pedes fulvescentes; posticorum femora basi fusca, et
anulo sub-apicali nigricante, tibiis propriis prope basim
nigre-anulatis; metatarso fere toto nigro, et articulis api-
calibus tarsorum fuscis.
Alae sublimpidae, vitta costali fusca: vena quarta
longitudinali extrinsecus paulo sursum incurvata.
Fam. MUSCIDAE Latr.
Gen. Epa!ipus Andn (Dipt. Bras.). (Stirps 7achi-
ninae).
Char. Gen. praecipui. |
Antennae articulo secundo plus vel minus breviore
tertio sed non brevissimo; aristae articuli duo Dasales
longiusculi — Palpi subnulli.
Oculi nudi — Proboscis non producta ultra episto-
mium, istud magis vel minus porrectum.
Abdominis segmenta superne etiam in disco setosa.
Von 1-2)
5. Sp. ftostratus mihi m. - Prov. Mendoza (Porte-
zuelo de Bonilla (4)).
Totus niger etiam in squamis calyptrorum, exceptis
tantum facie et fronte albidi sericei nitentibus, et ge-
nis paulo rufis.
(4) Pron. Boniglia.
RO)
Antennarum articulus tertius sat latus, sub-rotundatus,
parum iongior praecedente.
Aristae articali duo primi longitudine subaequales.
Epistomium sat porrectum, subrostriforme: genae setis
sparsis munitae: peristomio setis longis et validiusculis
marginato.
Alae dilute fuscescentes, costa ad basim saturatiore.
Angulus venae longitudinalis quartae non appendiculatus.
Gen. Sarcophaga Mgn (Stirps Dexinae).
6. Sp. Chrysella Desv: f. - Bahia ( Brasiliae).
Adde brevi diagnosi [esv:
Pleurae fiavo-maculatae - Abdominis latera paulo fla-
vescentia - Setulae sat exiguae ad latera faciei - Abdo-
minis segmentum secundum ut primum setis dorsuali-
bus dentini
7. Sp. Oralis mihi f. - Bahia (Brasiliae).
Similis praecedenti cujus characteres fere omnes prae-
‘ bet, sed distinceta genis prope os macula rufa distincta
signatis.
8. Sp. Nurus Rndn (5) m. - Haemorrhoidalis Mgn
( non Fall) - Buenos Aires.
Sp. in tota Europa vivens: forte translata in America
mercibus ova vel larvas vel pupas ejusdem continentibus.
Gen. Semomyfa Rndn Bertol: J. (6) (Stirps. Mu-
scinae) - Calliphora-Lucilia ete. Desv. Macq.
9. Sp. Fulvipes Macq: - Buenos Aires, Mendoza (Cruz
de Calia), (*) Entre-Rios (Concordia).
10. Sp. Rubrifrons Macq. - Buenos Aires.
Gen. Miusea Lin.
It. Sp. Domestica Lin cum varietatibus Aurifacies,
(3) Atti della Soc. Ital. di Scienze Natur. Milano 1861.
(6) Atti dell’ Accad. delle Scienze di Bologna 1861.
(*) Pronune. Cruss de Cagna.
MI
Campestris etc. Desv. - Vicina Macq. et forte etiam
Consanguinea Rndn - Buenos Aires, Patagonia, et re-
giones interpositac.
In tota Europa vivens ut in fere tota America meri-
dionali, ibi forte translata cum mercibus europeis.
In speciminibus pluribus a Prof. Strobel lectis in
plagis variis americanis, varietates observavi quae jam
notae sunt in exemplaribus europeis, quae tamquam
species distinctae ab aliquo entomologo considerantur.
Scilicet exemplaria observavi fronte albida et. plus
vel minus flavicante - facie nigricante albidi sericea, et
plus vel minus rufesceate - Vitta frontali varie lata,
nunc nigricante, nunc rufescente - Abdomine utriusque
sexus late, anguste, vel angustissime lutescente ad ba-
sim etc.
i
Fam. ANTHOMYDAE Rndn. Prodr. 1856.
Gen. Limmnophora Desv. Rndn (Stirps. Antho-
myinae ).
Ophyra Desy. Macq.
12. Sp. Caerulea Macq. - Buenos Aires.
Generi Zimnophorae, juxta characteres quibus cum
distinxi in parte VI Prodromi, Sp. ista referenda, quam-
vis habitu et colore corporis Op/hiris similis.
Sed coloris et habitus notae, quibus non respondeat
organica structura, specificae tantum considerandae.
Gen. Piyantha Rndn - Homalomyia? Buch.
13. Sp. Fusconotata Miki f. - Mendoza, Sud (Estacada).
Nigricans, antennarum basi rufa — Abdomen basi iute-
scente, postice fusco griseum, maculis subrotundis fu-
scioribus signatum.
Ualyptra albicantia - Pedes testacei, tarsis atris - Alae
limpidae.
sar —
Gen. Chortophila Macq.
14. Sp. Liturata Mihi - Buenos Aires.
Nigricans grisei adspersa - Calyptra albicantia - Hal-
teres lutei - Alae dilute fusco-lutescentes, lituris quatuor
nigris, duabus in venis transversis, una ad apicem venae
longitudinalis secundae in costa, quarta supra apicem
areolarum basalium. Spinula costalis validiuscula et erecta:
vena transversa exterior incurva — Pedes testacei, fe-
moribus anticis et tarsis omnibus nigris.
Gen. Seiomyza Fall - (Stirps Sciémyzinae).
15. Sp. Armillata Mihi - Buenos Aires.
Ferrugineo-fusca - Antennis, apice abdominis, pedibus-
que testaceis; istorum femora antica superne, bla pro-
priae ad apicem, et tarsorum articuli tres apicales nigri-
cantia.
Facies fulva - Frons fusco-rufescens, macula ocellari,
punctisque parvis ad originem setarum nigricantibus.
Halteres lutei - Alae dilute fusco-lutescentes.
Gen. Pterotaenia Mihi - (Stirps Ortalidinae ).
Ortalis Wdm.
Char. Gen.
Frons non distincte producta ultra oculos - Facies sub
perpendicularis - Antennae articulo tertio elongato, apice
extrinsecus acutiusculo: secundo latitudine non distincte
longiore - Arista nuda.
Scutellum quatuor-setosum.
Alarum vena prima integra: secunda distinete producta
ultra transversam anteriorem: quarta et quinta non
neque parum convergentes extrinsecus: transversa ante-
vior magis proxima exteriori quam interiori antica -
Areola basalis postica angulo infero valde elongato.
lio Le
Gen. inter Herinam et Myennem Desv. locandum.
16. Sp. Pt. Fasciata Wdm - Mendoza.
Gen. Strobelfa Mihi - Tephritis Latr. - Tripeta Mgn.
Char. Gen.
Frons valde inclinata - Antennae breves, insertae sub
medium oculorum, articulo ultimo dorso recto et parum
longiore praecedentibus - Arista nuda. Proboscis non bi-
cubitata - Scutellum 4 setosum. Alae spinula costali va-
lidiuscula; venis longitudinalibus secunda et quarta ci-
liatis: ista et quinta rectis, parallelis extrinsecus: tran-
sversae intermediae distantia a basi areolae retro positae,
non dupla distantiae ab apice: areola basalis postica
apice concavo, sed angulo infero non distincte elongato.
V. Fig. 3-4-5.
17. Sp. Baccharidis Mihi - Buenos Aires.
Rufescentis, grisei, et nigricantis variegata, capite, an-
tennis et pedibus luteis.
Frons punctis nigris tredecim maculata, tribus ocella-
ribus, quatuor in margine antico, et sex in lineas duas
laterales dispositis - Setae frontales nigrae, marginalibus
verticis, parvis, pallidis.
Facies ad marginem oris punctis sex nigris, et alio
retro oculos notata.
Thorax ferruginosus, fusci et nigricantis variegatus,
et punctatus; pleuris pallidioribus, fusco-punctatis.
Scutellum fusco-rufescens, punctis quatuor nigris mar-
ginalibus.
Abdomen fascia duplici dorsuali macularum nigrican-
tium. f. terebra brevi depressa, basi rufa, apice nigra -
Pedes femoribus qualuor posterioribus inferne nigro-
bimaculatis.
Alae fuliginosae crebre punctatae, punctis antice parum,
postice magis pallidis: in parte basali punctis latis, con-
fluentibus, pallidioribus, in maculam irregularem con-
junctis.
— 30 —
Larva spec. vivit in interiori caulis herbacei, et ra-
mulorum vegetalis ad Bahiam blancam frequentis, in
Prov. Buenos Aires, et ibi apellati /chò (7) mamuèl,
quae generi Baccharidi spectat.
Ubi larva degit, humor affluit qui extrinsecus conso-
lidatur gradatim, formam spongiolae albac sumens, vo-
luminis circiter seminum ciceri.
Procreationes istae lectae sunt ab indigenis, quibus
utuntur ad detergendos dentes.
18. Sp. St. Rubiginosa Mili - Mendoza.
l'erruginea, capite, antennis, pedibusque luteo-testaceis.
l'rons pallide setosa, puncto ocellari fusco, et punctis
‘quatuor in margine antico nigris - Facies ad marginem
oris punctis sex nigris signata, quorum duobus majori-
bus sub antennis.
Thorax vitta fusca dorsuali; pleurae longitudinaliter
fusci et pallidi fasciatae - Scutellum ferrugineum.
Abdominis segmenta ad basim infuscata: faeminae te-
rebra brevis, depressa, nigricans, lateribus paulo rufe-
scentibus. sati
Alae ferrugineae, lutei crebre et ubique punctatae,
punctis prope basim, in medio, latioribus et pallidiori-
bus, aliquibus in margine posteriori sat parvis, albis.
Gen. 'Feplaritis Latr. (ut limitatum a Schin. et
Rndn).
19. Sp. Viftipes Mihi - Mendoza (Alto del molino).
Nigricans, grisci-pallidi tomentosus et pubescens;
fronte, antennis, pedibus, halteribusque pallide luteis.
Frons pallide setosa, puneto ocellari et occipite nigri-
cantibus - Scutellum late lutescens. Alae fuscae, punctis.
albidis, numerosis, discretis ubique cribratae: spinula
(7) Pron. /ciò. Baccharidi Ulicinae Hook el Arn. maxime affinis. An Sp.
nova? Cesuli.
MI,
costali distincta et erecta, a puncto nigro oriente: Costae
inter spinulam et apicem venae secundae puncta duo,
inter secundam et tertiam puncta tria, gradatim decre-
scentia, albida. |
Maris femora posteriora in parte basali infera, vitta
nigricante signata.
Faemmae pedes toti lutei; terebra parum elongata
nigricans.
Adde tamquam characteres genericos.
Antennae articulo tertio dorso recto, non concavo.
Vena longitudinalis secanda tantum, non etiam quarta,
ciliata: quarta et quinia extrinsecus rectae et sub paral-
lelae: transversa intermedia duplo circiter distans a basi
quam ab apice areolae retro-positae, etc,
20. Sp. T. Daphne Wdm - Mendoza (Alto del molino).
Similis Radiatae Fall. (europeae), et paulo etiam Chi-
lensi Macq. (exoticae). (*)
Gen. BPiophîla Fall. - (Stirps Loncheinae).
21. Sp. Casei Lin. - Buenos Aires.
Sp. in tota Europa vivens, facilius cum cascis vel
salsamentis in America deportata.
Fam. AGROMYZIDAE Rndn.
Gen. Vopromyza l'all. - (Stirps Copromyzinae ).
Borborus Alior.
22. Sp. Alternata Mihi - Buenos Aires.
Proxima sed distineta a Borboro hirtipede Macq.
(*) In genere hoc species duae includendae a Clar Macquartio Nomine
specifico unico nuncupatae Stellata. Prima in parte tertia volum. 2.' Dipt.
Exotic., secunda in quarto supplemento: sed vocabulum hoc jam adbibitum
erat a Petro Rossio pro specie congenere europca, inde pro una et altera
exolicarum mutandi;m. et cas voco.
Veph. Siderata mihi quae descripta in vol. 2.° Dipt. Exot. et Teph. Ra-
diosa mihi quac in supplemento quarto.
— 52 —
Niger, antennarum basi rufescente, pedibus luteo
anulatis - Alis fuscis, nigro et albo vittatis et punctatis.
Halteres nigricantes - Pedes praesertim postici hirti.
Femora anulo luteo in medicetate apicali: tibiae anu-
lis duobus, uno apicali, et uno non ionge a basi, cum
geniculis lutescentibus.
Alae ad apicem venae primae, in costa, puncto albo:
ad apicem venae secundae macula fusca; vena tertia
longitudinali a transversa intermedia ad apicem, alterna-
tim nigro et albo vittata:
Vena quarta ad apicem fusco-marginala ut transversa
exterior: quinta maculis fuscis duabus, a spatiis albican-
tibus sejunctis: traneversa exterior paulo remota a mar-
gine postico non eodem subcontigua; vena quinta mar-
gini posteriori non producta.
Gen. Eplhydra Fall. - (Stirps Ephydrinae).
25. Sp. Ciligena Mihi - Buenos Aires.
Habitu et colore similis Eph. Coarctatae Fall. (euro-
peae) sed notis diversis sat distineta, ut in diagnosi.
Frons nigricans - Facies lutei nitens, breviter pilosula,
et setulosa, setulis aliquibus majoribus prope oculos ct
ad peristomium - Buccula non manifesta.
Abdomen nitens - Halteres lutei - Pedes basi tarso-,
rum minus obscura, sed non lutea.
Alae dilutissime fuscescentes; vena prima costalem
attingente contra non ante transversam anteriorem, et
‘apici punceto, seu macula parva fusco-nigricante notata.
Fam. ASILIDAE Leach.
Gen. Erasipogem Fabr. - (Stirps Dasipogoninae).
24. Sp. Anulitarsis Mihi - Santa-Fé et Cordova (8).
Testaceus. Antennae fulvae, apice nigricante; articulis
(8) A Rio Cuarto ad Rosarium: pron. Rossario.
BI: 4) (O
duobus primis subaequalibus, secundo seta infera lon-
giuscula nigra, tertio setulis parvis aliquibus in dorso
praeditis - Setae duae nigrae ocellares.
Facies et frons pallide luteac, pilis et mistace sub
albidis, barba alba - Thoracis dorsum griseum, nigri-
cante-trifasciatum, pleuris in medio nigricantibus, pectore
et coxis nigro-maculatis - Scutellum in medio nigricans.
Metathorax macula lata nigra signatum - Halteres fulvi.
Abdominis maculae fuscae laterales et dorsuales, el
segmenta prima et ultima ad basim fusca: primo ad
latera setis tribus validiusculis nigris et aliquibus luteis
inferis munito.
Pedes fulvi, unco apicali tibiarum anticarom, spinis
sparsis, tibiarum posticarum apice, articulis duobus ul-
timis tarsorum omnium, et apicibus articuloraum prae-
cedentium nigris.
Alae vix dilutissime lutescentes, vena prima lutea.
Gen. Proctacanthus Macq. - (Stirps Asilina).
25. Sp. Rubriventris Macq. - Mendoza (Molino de
Palmira ).
Fam. BOMBYLIDAE Leach.
Gen. Hiyemonenra Wdm - (Stirps Falleniinae ).
26. Sp. Lurida Mibi - Mendoza (San Carlos).
Nigricans, grisei, albidi, et nigri hirta.
Antennae articulo primo nigro, duobus ultimis rufis:
pritito et secundo nigro-setosis, ultimo arista apieili ni-
gra. Oculi fusco-hirti - Pleurae ut venter albo pilosae,
et abdomen fasciculis lateratibus, pilis albissimis con-
textis - Halteres lutei - Pedes lùride latei, albo pilosi,
Vibiis posticis et tarsis omnibus paulo fuscioribus.
Tibiarum posticarum latus internum breviter, et cre-
bre fusco ciliatum. I
Ea
Alae sublimpidae, costa tantum, seu venis costae et
basis crassioribus et fuscis; septem extrinsecus parallelis,
sejunctim margini productis. V. Icon. 10.
27. Sp. Strobelii Mihi f. - Santa-Fé et Cordova (9).
Griseo-cana - Antennae totae fulvae, albo pilosae.
Arista articulata, articulis distinguendis. duobus ad
basim minoribus, sequente longo, et alio gracili brevi
apicali.
Frons et facies albidae, ista albo-pilosa, vertice fusco,
ocellis nigris, elevatis - Fronte antice nuda, puncto parve
nigro.
Thorax dorso griseo piloso, pleuris, seutello, et basi
abdominis albo pilosis - Scutellum, et protuberantiae
posteriores thoracis paulo rufescentia;- Halteres albidi.
Abdominis dorsum cinerascens, margine postico seg-
mentorum infuscato, et vittis, seu lineolis brevibus im-
pressis nigris, quarum quatuor distincetiores in segmen-
tis tertio, quarto et quinto; duabus posterioribns, istis
a lateribus magis remotis: segmentum ultimum in tere-
bram elongatum.
Pedes testacei, femorum et tibiarum apice,, praesertim
in posterioribus nigricante: tarsi postici toti, et articuli
apicales anteriorum nigri.
Alae sublimpidae, basi et costa anguste fuscis.
Venae longitudinales septem extrinsecus parallelae, et
omnes sejunctim marginem attingentes. V. Icon. 11.
Gen. Hiyperalonia Rndn (10) - (Stirps Bombylinae).
Exoprosopa p. Macq.
28. Sp. Erythrocephala Fabr. Wdm Macq. Rndn,
V. Icon. 6. - Patagonia.
(9) A Rio Cuarto ad Rosarium.
(10) Diptera Exot. ( archivio per la Zoologia ete. Modena 1365 ).
a; 1 [rl
Gen. Bxoprosopa Macq.
29. Sp. Sancti Pauli Macq. V. Icon. 7 - Buenos
Aires (Bahia blanca).
Gen. Biulio Latr.
50. Sp. Marginalis Mihi - Buenos Aires ( Bahia blanca).
Niger (subdenudatus) - Antennis artieulo primo rufo,
nigro-setuloso - Proboscis modice elongata.
Facies et pars anterior frontis fusco-rufescentes, luteo-
tomentosae, selulis parvis, paucis, sparsis - Frons superne
et retro nigricans, occipite albo tomentoso, el pubescente.
Thoracis pili laterales pallidissime lutescentes, setulis
nigris permixti - Scutellum rufescens extrinsecus - Pleu-
rae fusco-griseae, pallide pilosae.
Halteres capitulo albo, stipite nigricante.
Abdominis dorsum pallide pubescens (pubescentia fere
tota deest), lateribus albidi et nigri pilosis, ventre pi-
lis albidis, segmenta ultima rufescente-limbata.
Pedes picei, tomento sericeo albido adspersi, nigro
spinulosi, tarsis nigris.
Alae costa nigricante, latius ad basim, retro dilutis-
sime fuscae, venis transversis intermedis limbo fusciore.
(Nota) Antennaram et alaruin notis proximus Mulio
videtur Exoprosopae, sed distinguendus longitudine pro-
boscidis. V. observat. in diagnosi Sp. sequentis et Icon. 8.
54. Sp. M. Lateralis Mibi - Mendoza (San Carlos).
Antennae piceae, articulo secundo fusciore: duobus
primis brevibus sub-aequalibus, tertio longo sub-ensiformi,
stilo brevi apicali - Proboscis modice elongata.
Facies et pars anterior frontis fulvescentes, albo pu-
berulae: frons superne et retro fuscior, nigro-setulosa;
occipite nigricante, albo-pubescente.
Thorax nigricans, pleuris griseis albo-pilosis, ut margo.
la
anterior, et latera thoracis - Scutellum rufum - Halteres
capitulo albo, stipite lutescente.
Alae limpidae, costa anguste, et basi lutescentibus;
venis rufis, costali nigra.
Abdomen fulvum ad latera et in ventre, basi et fascia
lata dorsuali, irregulari, nigricante, dorso niveo-pube-
scente, lateribus ad basim albo-pilosis.
Pedes fulvi, setulis sparsis et apice tarsorum nigris.
(Nota) Antennas comparando istius et speciei prae-
cedentis carum distinetio generica facile adoptanda, sed
aliis Mulionibus studendo, in quibus articuli antennales
varie elongati, tamquam congeneres melius consideran-
dae. V. Icon. 9.
Gen. Anthrax Fabr. |
52. Sp. Barbiventris Mihi - Mendoza ( Portezuelo de
Bonilla).
Nigra. Facies et frons nigro-pilosa - Thoracis latera
et pleurae, pilis albis et nigris permixtis villosa.
Scutellum piceo-nigricans, lateribus albo-pilosis.
Abdomen lateribus albo-barbatis, fasciculis pilorum
nigrorum in segmentis ultimis, apice et ventre nigro-
pilosis - Halteres nigricantes.
Pedes partim argentei tomentosi.
Alae limpidae, costa anguste fusca, ad basim nigricante.
Fam. TABANIDAE Leach.
Gen. Agelanius Rndn (11) V. Icon. 12.
Tabanus alior.
Oculi hirti - Antennae articulo tertio basi parum
lato etc.
53. Sp. A. Albipalpis Mihi f. - Santa-Fé et Cordova.
(if) bipt. Exot. 4365.
nin (1) Acton
Antennae articulis duobus primis et basi tertii rufis,
isto apice nigro - Palpi albidi, brevissime nigro pilo-
suli.
Facies et frons in parte anteriori pube nivea tectae,
et albo-pilosae, vix pilis aliquibus intermixtis nigrican-
tibus.
Gallus frontalis latus, subrotundatus, lucidas, piceus:
Frons postice grisea, puncto ocellari fusco.
Thorax nigricans, pallide et fusco-pilosus, macula tes-
tacea ante radicem alarum, in pleuris extensa.
Halteres lutei, capituli puncto fusco.
Abdomen fuscum, fasciis longitudinalibus fuscioribus,
quarum duae intermediae magis distinetae: segmentis
intermediis, margini postico et ad latera, paulo lutescen-
tibus.
Pedes, coxis, basi femorum, et tarsis late nigricanti-
bus; tibiarum apice fusco, alibi luteo-testacei.
Alae sub-limpidae, venis tamen paulo fusco limbatis,
et vitta fusco-lutescente sub apicem secundae longitudi-
nalis: vena quarta ad originem angulata, angulo appen-
diculato.
54. Sp. A. Duplovittatus Mihi - Buenos Aires ( Bahia
blanca).
f. Antennae rufae, articulis minutis apicalibus nigris.
Palpi pallide lutei - Frons rufo-testacea albo-pubescens,
callo nullo, antice ut facies albicans, pilis et barba al-
bis - Scutellum. rufescens.
Thorax dorso cinerascente, vittis latiusculis sex fuscis;
pleuris albido-cinereis.
Abdomen griseum, fascia dorsuali duplici fusca.
Halteres pallidissime lutescentes, capitulo albo.
Pedes pallide testacei, tarsis obscuris.
Alae sublimpidae, costa anguste lutescente, vitta sub-
costali fusco-lutea: vena longitudinali quarta ad basim
ARA
nunc appendiculata, nunc appendicula nulla, etiam in
eodem individuo.
553. Sp. A. Interpositus Mihi - Mendoza (Cruz de
cana) (12).
f. Nigricans; antennae atrae, articulo primo rufo.
Facies et pars anterior frontis albidae, albo-pilosae,
Istius pars posterior sub-rubescens, albidi adspersa, et
‘breviter nigro-pilosula; occipite griseo, albidi tomentoso
et_piloso: Callus frontalis lucidus, latus, transversus,
piceo-subrufus.
Thoracis dorsum grisei vittatum, pilis lateralibus al-
bidis et nigricantibus, macula testacea ante radicem
alarum, in pleuris albo-pilosis extensa.
Halteres capitulo nigricante, stipite pallido.
Abdominis segmenta, linea albicante postice marginata
etiam in ventre.
Pedes testacei, ima basi femorum, tarsis anticis totis,
posterioribus partim, et tibiarum anticarum apice nigri-
cantibus.
Alae sublimpidae, venis obscuris, vitta costali fusco-
lutea; vena quarta basi non appendiculata.
56. Sp. A. Acupunctatus Mibi - Patagonia.
Grisescens. Antennae articulis duobus primis et basi
tertii rufis, alibi nigrae - Frons apici ut facies albida,
albo-pilosa: barba alba - Callus frontalis latus piceus;
frons postice subrubescens albo-tomentosa, occipite albo-
piloso.
Palpi albicantes, brevissime nigro-pilosuli.
Thoracis dorsum lineis tribus pallidis, pleuris einera-
scentibus; macula rufescente lata ante radicem alarum -
Halteres capitulo fusco-nigricante, stipite pallidiore.
(12) Pron. Cruss de Cagna. x
IAA) TENTA
Abdomen, vitta lata, fusca, subrubiginosa, dorsuali;
segmentis postice paulo lutei limbatis, praesertim poste-
rioribus: omnibus punctulatis, punctis impressis distin-
ctissimis, in lineas dispositis; lineis aliquibus transversis
ad basim segmentorum, aliis obliquis lateralibus.
Pedes testacei, tarsis anticis et tibiis propriis apici
nigris, tarsis posterioribus nigricantibus, basi excepta.
Alae sublimpidae, costa anguste et dilute lutescente,
venis transversis vix dilutissime fusco limbatis; quarta
longitudinali basi angulata, angulo appendiculato.
Gen. Bichelacera Macq.
57. Sp. D. Nubipennis Mihi - Mendoza (Rio Piceuta ).
Nigra, flavo-pilosa - Antennae ut palpi atrae.
Facies albicans, in medio albo-pilosa, ad latera pilis
pallide-luteis: barba flavo-fulvescens - Oculi hirti.
Frons nigricans, brevissime nigro-pilosa, vitta inter-
media atra, glabra, punctulata, postice attenuata - Occi-
pite grisei-tomentoso, limbo supero fulvo-pilosulo.
Thorax, praesertim ad latera cum pleuris fulvopilosus.
Abdominis segmenta duo basalia superne, et serie
macularum dorsuali in segmentis sequentibus flavo-fulvi
pubescentibus.
Pedes nigri, tibiarum medietate basali flavo fulva.
Halteres nigricantes - Caliptra infuscata.
Alae ad costam flavo-lutescentes, in medio nube fusca
variae, alibi dilutissime fuscae, vel griseae.
Fam. BIBIONIDAE WIK.
Gen. Bibie Fabr.
58. Sp. Subaequalis Mihi f. - Buenos Aires.
Similis aliis Bibionibus americanis, sed ab omnibus
distinetus uno vel alio characterum sequentium.
Niger, thorace ferrugineo, femoribus fere totis rufis,
alis infumatis.
2 i
Thorax supra, cum collare ferrugineus, pleuris tantum
maculatis, maculis irregularibus, fuscis - Scutello nigro,
lateribus ad basim rufis, et metatorace nigro - Halteres
nigricantes.
Abdomen nigrum, nigro-pilosum - Alae ad costam
obscuriores, macula nigricante.
Pedes nigri, femoribus omnibus rufis, apice anguste
nigro; coxis anticis rufo-maculatis, tibiis posticis piceis;
unco apicali tibiarum anticarum ferrugineo-piceo.
Gen. EBiloplius Mgn.
39. Sp. D. Similis Mihi - Buenos Aires.
Aliis Dilophis americanis similis, sed ab illis, vel istis
distinguendus.
Capite toto atro nitido - Thorace toto cum collare,
scutello, pleuris, pectore et metathorace rufo, rici
tantum spinularum in collare nigris.
Abdomine atro, nigro-pilosulo - Halteribus nigris.
Alis nigricantibus, venis pluribus dilutius marginatis,
costa fusciore, vitta nigra.
Coxis anticis totis, intermediis partim rufis: femori-
bus anticis fere totis, intermediis anguste ad basim in-
terius rufis: pedibus posticis totis nigris ut tibiae et
tarsi anteriorum.
LA FARFALLA CORPUSCOLOSA
DEL
BACO DA SETA
Studi ed Osservazioni
di
LEONARDO SALIMBENI
Na maggio del 1862 il prof. Gaetano Cantoni pro-
poneva negli Annali d’ Agricoltura un suo piano per
ottenere semente sana di bachi da seta, facendo una
scelta accurata di quelle uova che sono deposte da far-
falle esenti da corpuscoli. — Il metodo del Cantoni non
diversifica sostanzialmente da quello proposto più re-
centemente dal Pasteur dietro diligenti studj da lui
compiuti per incarico avutone dal Ministero d° Agricol-
tura, Commercio e Lavori pubblici di Francia.
Soltanto dopo le osservazioni del chimico francese,
che tutti i dotti conoscono’ quale valentissimo micro-
‘grafo, si è levato un gran rumore sui pregi straordi-
nari di questo processo dal quale molti si ripromettono
la pronta rigenerazione delle molte razze indigene del
baco da seta.
Nelle gravi angustie in cui versa tuttora questa im-
portante e lucrosa industria noi procuriamo di afferrare
d
Agg gonne
col massimo trasporto quei mezzi che cì vengono a
quando a quando decantati, e senza lasciarci mai fuor-
viare da allucinazioni cui troppo facilmente gli scien-
ziati vanno soggetti, il più delle volte per amore di si-
stema, ci affidiamo talora alle poche tavole di salute:
non disperando di trovare quella che valga a salvarci
dal naufragio.
Sono note le esperienze e le osservazioni della Com-
missione nominata dal Comizio Agrario di Modena, che
sì riassumono nella determinazione del carattere pre-
dominante della presente infezione dei bachi, quello
della presenza dei corpuscoli o psorospermi che d’ordi-
nario si rinvengono nella crisalide più copiosi che nella
larva e nella farfalla anche in quantità maggiore che
nella crisalide. — Gli studj della Commissione però eb-
bero specialmente per oggetto lo stato delle larve. —
Ravvicinando a questi studj le induzioni dei più celebri
micrografi Lebert, Frey, Osimo, Cornalia, Ciccone,
Maestri, Quatrefages, Balbiani e Pasteur, ovvia ne con-
segue la necessità di cercare o la semente sana e priva
di corpuscoli, o i riproduttori che ne rimasero incolumi,
o l una e l'altra cosa ad un tempo.
Nell’ intento di mettere a prova il metodo adottato
dal Cantoni e dal Pasteur per la scelta e il confezio-
namento del seme, intrapresi sul finire del giugno scorso
una serie di osservazioni sulle farfalle di alcune partite
indigene eccezionali, che avevano dato un prodotto sod-
disfacente, e sono arrivato ad alcune conclusioni che
mi parvero di qualche valore dal lato scientifico e dal
lato pratico e credetti per ciò FORNELIENE di redigerne
una compendiosa relazione.
Premetterò che delle farfalle io gettava le più imper-
fette, le macchiate, le adipose e quelle che non presen-
tavano un certo vigore. Le coppie di farfalle prescelte
erano tenute in disparte e disposte separatamente le
La
une dalle altre. L’ accoppiamento veniva protratto per
I’ intervallo di sette ad otto ore, indi, staccate le fem-
mine, si deponevano una dopo ’ altra in altrettante
cellette di carta numerizzate e foggiate a guisa delle
curvine Delprino. —- Quivi ogni farfalla deponeva le
proprie uova, dopo di che veniva sottoposta all’ osser-
vazione microscopica.
lo non conosceva quale fosse il procedimento seguito
dal Pasteur e mancandomi precise norme se dovessi
fare una sola osservazione, schiacciando ciascuna far-
falla e allungando una piccola goccia dell’ umore di essa
con acqua distillata, oppure se le osservazioni dovessero
partitamente eseguirsi sui diversi tessuti dell’ insetto,
mi attenni al secondo metodo.
Presi nota della apparenza esterna delle farfalle ed
esaminai successivamente col microscopio (1) il sangue del
vaso dorsale, le orine, le squame addominali, le squame
del corsaletto, le antenne, le zampe, le ali, le uova in-
feconde che non erano state deposte dalla farfalla, il
contenuto della vescichetta copulatrice e il tessuto giallo
epidermico.
Il
L’essermi accinto a queste pazienti indagini mi diede
occasione di rilevare i seguenti fatti:
I corpuscoli si trovano il più delle volte localizzati
nel sangue del vaso dorsale e se non vi ha organo del-
l’animale che ne sia interamente privo, pure quel li-
quido nutritizio ne è senza alcun dubbio le sede prin-
cipale fra le parti interne.
(1) Nachet. Ordinariamente impiego l’ oculare N. 2 e l’ obbiettivo N. 4.
sei Se
Anche il liquido giallo-rossiccio dei vasi renali e le
orine contenenti quel denso sedimento, che somiglia a
finissima polvere di mattoni stemprata nell’ acqua, pre-
senta, in corrispondenza dello stato corpuscoloso del
sangue, fra le opache e fittissime granulazioni di cui è
composto una determinata quantità di corpuscoli che,
per la loro speciale trasparenza e per la luce che riflet-
tono, si distaccano nettamente dalle oscure tinte della
ambiente materia granulare.
Il contenuto della vescichetta copulatrice non è sem-
pre in relazione alle indicazioni fornite dall’ esame del
sangue e delle orine. Però anche in questo umore ge-
latinoso nuotano i corpuscoli frammisti ai filamenti sper-
matici.
Nel corso di queste osservazioni mi si affacciò alla
mente il dubbio che i psorospermi potessero invadere
anche le parti esterne delle farfalle, come le antenne, le
tre paia di zampe toraciche, le squame aghiformi del
corsaletto, le squame addominali e finalmente le ali;
intrapresi perciò un’ altra serie di ricerche le quali mi
condussero all’ accertamento di un fenomeno della mas-
sima importanza. I
Di tutte le parti esterne superiormente enumerate
trovai che le ali sono quelle che ci somministrano le
indicazioni più sicure sull’ infezione corpuscolosa e in
armonia con quelle tratte dall’ esame del sangue.
Ma v' ha di più. — In tutto il corpo della farfalla
non vi ha alcun punto che presenti una quantità così
grande di psorospermi; pertanto come nelle parti in-
terne pare che il sangue del vaso dorsale sia la precipua
sede di questi organismi microscopici, così fra le parti
esterne soggiornano di preferenza nelle ali, anzi la loro
proporzione in queste ultime è di gran lunga maggiore
che nel sangue. — Dalle mie note infatti risulta che la
dove il sangue offriva rari, o pochi, o discreti corpuscoli
Mr
le ali ne offrivano molti, o anche una immensa quan-
tità: e si osservi bene che questo fenomeno si è veri-
ficato sempre.
Ne sorgeva spontaneamente il quesito, quale fra le
parti dell’ ala ne fosse impregnata e mi applicai tosto a
risolverlo. — Nè questo studio mi presentò tali difficoltà
che non potessi facilmente superare.
Nelle squame che formano il pulviscolo delle ali, i
corpuscoli erano molto rari o non se ne incontravano
menomamente. Îl loro centro di elezione era dunque la
membrana dell’ ala.
Ma per mettersi in condizione di osservare chiara-
mente i corpuscoli, non basta sottoporre al microscopio
la membrana denudata dalle squame che la ricoprono e
che sono inserite sulle due pagine della membrana, ma
bisogna inoltre comprimere e schiacciare la membrana
stessa sulla lastrina di vetro, bagnandola prima con qual-
che goccia d’acqua distillata. — In tal caso 1 corpuscoli,
resi liberi, diventano talmente chiari e palesi che non
rimane dubbio e nel campo dello strumento si possono
fare i più opportuni confronti.
Se coll’ operazione meccanica del raschiamento delle
squame i corpuscoli non vengono asportati, evidente-
mente giacciono o nel tessuto della membrana o nello
spazio compreso fra le due lamine della membrana
stessa che abbraccia le nervature.
lo inclinerei a credere che i corpuscoli trovansi prin-
cipalmente fra le due lamine e sono sospesi in quel li-
quido che si raccoglie fra le medesime lamine fino a
renderle varicose. Tuttavia, osservata la membrana per
semplice trasparenza e senza comprimerla, ho veduto
anche nel tessuto di essa molti gruppi di corpuscoli rac-
colti come in speciali areole intorno ai tubi squamiferi,
sebbene si debba arguire che sono aderenti alla super-
ficie interna anzichè all’ esterna di ciascuna pagina.
ngn
Il.
Per completare questa esposizione mi rimane a dire
qualche parola di ciò che potei scoprire nelle uova non
deposte dalle farfalle. — Aperto l’ addome nè sceglieva
dieci o dodici, dando la preferenza a quelle che tro-
vavansi nell’ ovidotto e in mancanza di queste alle al-
tre o delle trombe o degli otto tubi ovarici. — Lava-
tele accuratamente ne schiacciava due o tre sulla la-
strina di vetro e, rimosso il guscio, allungava una goccia
del liquido ottenuto con tre o quattro goccie di acqua
distillata.
Per bene osservare lo stato più o meno corpuscoloso
dell’ uovo si deve por mente alla densità diversa delle
materie in esso contenute. La goccia di liquido, prepa-
rata come ho detto, può dividersi in tre strati abba-
stanza distinti coll’ avvicinare il microscopio all’ oggetto
a minimi gradi d’ avanzamento.
Nel primo strato superiore si presentano delle parti-
celle di materia grassa o bollicine giallastre e meno
dense che galleggiano alla superficie della goccia liquida.
Nel secondo strato, che è quello di mezzo, appari-
scono le finissime gr paia della. sostanza xibellita!
Nel terzo strato inferiore del liquido più chiaro e
trasparente si vedono i noti corpuscoli i quali, per es-
sere più densi di tutte le altre granulazioni rimangono
al fondo della goccia 0 a pochissima distanza dal fondo. —
Anzi può dirsi che in questo ultimo strato non si sco-
pre altra materia all’ infuori dei noti corpuseoli.
Noto questo fatto, che nelle mie osservazioni si è ri-
petuto e verificato costantemente, a conferma dell’ opi-
nione del Cornalia e in opposizione a quella dell’Osimo,
LA Sa
che scrisse: « essere i corpuscoli più leggieri dell’acqua
» @ di quasi tutti gli elementi onde il baco risulta. » (2)
Riassumendo i risultati delle mumerose osservazioni
fatte su questo punto sempre allo scopo di confrontarle
alle conclusioni precedenti, ho dovuto convincermi che
in generale il contenuto delle uova infeconde della far-
falla ci dà una quantità di corpuscoli. proporzionata-
mente minore di quella degli altri liquidi e tessuti del-
l’animale. — Dico ‘in generale per denotare il maggior
numero dei casi, perchè mi è occorso talvolta di osser-
vare il fenomeno opposto, quello cioè di trovare nelle
uova infeconde di alcune farfalle una proporzione di
corpuscoli assai più grande di quella rinvenuta nel
sangue.
Sia detto da ultimo per incidente che nelle mie 0s-
servazioni non omisi di investigare se vi fosse qualche
traccia di divisione trasversale o longitudinale dei cor-
puscoli, ma non potei verificare nè il fatto della ripro-
duzione scissipara-trasversale secondo una sezione per-
pendicolare all’ asse maggiore osservato da Lebert, da
Frey e da Pasteur, nè quello della divisione nel senso
di questo asse longitudinale descritto dal Béchamp.
I frequenti ammassi di corpuscoli assai più piccoli ed
indistinti che comunemente si vedono fra i corpuscoli
liberi e completamente sviluppati, mi farebbero propen-
dere a ritenere che i corpuscoli si riproducano a forma
germipara analogamente alle gregarine e ai psorospermi
in generale, cioè nel seno di vescicheite o cisti gene-
ratrici. (9)
(2) Atti della Società Italiana di Scienze Naturali. T. II., p. 258.
(5) Ciò sarebbe conforme alle induzioni ed osservazioni del Vlacovich e
del Balbiani. — Atti dell’ Istituto Veneto. T. XI., pag. 1209 e segg. — Jour-
nal de l° Anatomie et de la Physiologie de M. Charles Robin. T. IV., p. 329.
esige
siyhe
A quali conseguenze conduce la discussione dei feno-
meni precedentemente descritti? La pratica coltivazione
dei bachi da seta può trarne qualche utile insegna-
mento? Vediamolo.
Le osservazioni precedenti ci dimostrano anzitutto
che generalmente nel sangue dell'insetto risiede il prin-
cipio venefico che spandesi più o meno rapidamente in
tutto il corpo dell’ animale. — Quindi la relazione co-
stante fra le indicazioni tratte dalle orine e dal sangue,
perchè i corpuscoli sono trasportati anche in seno alle
altre secrezioni dei vasi renali.
Il fenomeno più notevole che merita particolarmente
di essere studiato e che può essere di qualche aiuto
nella investigazione del modo con cui la malattia si pro -
duce nel baco sano, e si diffonde in tutte le parti del
suo organismo, consiste nella grande quantità di corpu-
scoli che trovansi agglomerati nella membrana delle ali.
Per formarci un concetto adeguato dell’ importanza
di questa osservazione, ricorderemo alcune delle meta-
morfosi cui da luogo la trasformazione della crisalide in
farfalla. |
Insieme alle cellule nucleate' che danno origine alla
membrana e ne ingrossano le pagine si osservano nella
crisalide quelle granulazioni che vanno a formare i nuovi
tronchi tracheali delle ali. — Da principio queste gra-
nulazioni nuotano nel liquido che bagna tutti i visceri,
liquido nel quale, secondo il Cornalia, ogni parte si
forma, nel mentre esso ritrae i suoi elementi dalla fu-
sione del tessuto cellulare. (4) — În seguito l'elemento
(4) Cornalia. Monografia del bombice del Gelso, p. 178 e 255.
spirale concorre alla formazione del tessuto della mem-
brana; anzi pare dimostrato che le trachee si spogliano
anche in questa ultima metamorfosi della loro mem-
brana interna, non altrimenti di quello che avviene
nelle mute della larva, e che quelle che non riuscirono
a penetrare nel corpo dell’ inseito perfetto scorrono fra
le membrane della crisalide.
Non sembra dunque improbabile che nella evolu-
zione degli elementi della larva per la formazione della
farfalla avvenga un agglomeramento o condensamento
dei corpuscoli sul tessuto delle spire tracheali, ovvero
che nell’ ultimo stadio della fase della larva 1 corpu-
scoli stessi siansi-propagati più rapidamente nelle trachee.
Non sarebbe in tal caso questo un indizio che l’aria
infetta delle bigattiere di bachi corpuscolosi è il veicolo
principale del germe sottilissimo della infezione? Non
verrebbe allora chiarito il fatto della comunicazione del
morbo ai bachi sani allevati nello stesso ambiente in
vicinanza di una partita infetta?
Veniamo ora partitamente a considerare quali conse-
guenze possono a rigor di logica ricavarsi dai risultati
ottenuti nella osservazione delle uova non deposte dalle
farfalle.
Abbiamo veduto che il grado d’ infezione di queste
uova è in generale minore di quello che presenta il
sangue o che si riscontra nelle ali, ma noi sappiamo
che per menomo che sia il principio che dà origine
alla epizoozia regnante nci bachi essa procede sempre
con crescente violenza dall’ uovo alla larva e da questa
alla crisalide e alla farfalla.
Se adunque fosse provato che una farfalla corpusco-
losa può generare uova meno corpuscolose di essa od
anche prive affatto di corpuscoli, ne deriverebbe che l’os-
servazione della farfalla non basta ma che l’indagine deve
estendersi anche alle sementi o uova deposte dalla
medesima.
mea agi e
In questo anno spero potrò completare gli studj di
cui si tratta coll’ osservazione delle uova e delle larve
provenienti dalle farfalle corpuscolose che ho esaminato
nel giugno 1867: ma intanto fa d’ uopo che noi diamo
tutto il peso al riflesso precedente che può ritenersi
formi una seria obbiezione al metodo propugnato dal
Pasteur, quando sia preso nei termini precisi posti dal
diedesimib eminente osservatore.
Il fatto ‘enunciato, che fu osservato anche da altri
bacologi (5), rimane ancora circondato da qualche in-
certezza, perchè fu gia notato da noi che in alcuni casi
si è avverato il fenomeno inverso, quello cioè di rinve-
nirsi nelle uova non deposte ed infeconde della far-
falla un sensibile peggioramento dallo stato della mede-
sima, un grado maggiore d’ infezione contraddistinto
dalla maggiore quantità di corpuscoli. Possiamo peraltro
fondatamente stabilire che non esiste una relazione co-
stante fra lo stato corpuscoloso degli elementi ‘embrio-
nali dell’ uovo e quello della farfalia.
Ma quì amiamo chiarire un punto che potrebbe ri-
cevere una interpretazione inesatta dal contesto delle
parole di cui abbiamo fatto uso per esporre il nostro
modo di vedere del fenomeno che ci si presenta nello
studio al microscopio delle uova infeconde.
La fecondazione infatti può introdurre nel contenuto
dell’ uovo delle modificazioni favorevoli, nè fu ancora
dimostrata 1° influenza dello elemento maschile, general
mente più sano e vigoroso, sulla formazione dell’ em-
brione della larva. — Secondo il Balbiani le cellule
della sostanza vitellina, contenenti 1 psorospermi, sono
il veicolo di questi nella cavità intestinale: ma i psoro-
spermi vi si trovano anche prima della fecondazione, ed
(5) ZL arrive trés-frequemment que de papillons corpusculeux fournissent
des oeufs qui ne le sont pas. Pasteur. Rapport à Son Exe. M. Le Ministre de
Il Agriculture, du Commerce et des Travaux Publics. 25 Julliet 1867, p. 5.
mat ES
è perciò verosimile che I elemento maschile non vi in-
troduca nuovi germi parassitici. Anche le deduzioni del
Grimelli, verrebbero in appoggio di questa opinione, ri-
scontrando una minore infezione nei farfallini che nelle
farfalle femmine.
Giova nondimeno ripetere che sebbene dalle espe-
rienze istituite si rilevi che Y attuale malattia è eredi-
taria insieme e contagiosa, si possono però incontrare,
anche fra le partite più infette, dei bachi rimasti inco-
lumi o almeno attaccati leggermente.
È qui mi sia permesso ricordare che fino dal 1861 in
una relazione che presentai al Comizio agrario di Mo-
dena io avvertiva nella malattia un certo andamento
più o meno rapido a seconda della originaria costitu-
zione e sanità della razza e con ciò stabiliva il carat-
tere ereditario della infezione.
Allora io scriveva: « La semente sana che schiudesi
» regolarmente e procede con sviluppo normale, durante
» un periodo più o meno lungo della vita slk larva,
s arriva ad un certo stadio in cui subisce prontamente
» gli effetti del morbo; essendo fale epoca più o meno
» remota dal giorno della nascita a norma dello stato
» costitutivo delle larve e della loro originaria salu-
» brità e vigoria. — Per tal modo ora tu vedi | agri-
» coltore esposto alla perdita dell’ intero prodotto fino
» dalle prime ore in cui i bacherozzoli uscirono alla
» luce, ed ora lo vedi frustrato amaramente nelle sue
» speranze solo al momento desiderato di cogliere il
» frutto delle sue fatiche e delle spese sostenute. »
Questo fatto prova, a mio credere, |’ esistenza degli
gii,
ignoti germi, o per meglio dire, germi tuttora inesplo-
rati della infezione, la quale rimane latente per un pe-
riodo indeterminato, ma dipendente in generale dallo
stato delle razze e dalle circostanze accidentali dell’alle-
vamento. — Il Pasteur, nel rapporto citato (6), rico-
nosce la Zenta incubazione del male e ne trae argomento
in favore del suo metodo di confezione del seme e
spera che con questo mezzo si escluderà il germe della
malattia. i
Dunque la esclusione delle uova deposte da farfalle
corpuscolose conduce, secondo lui, a togliere il germe
latente del male il quale, se non è riposto nella infe-
zione stessa parassitica, ne va sempre accompagnato e
diffuso con questo mezzo, almeno nella grande genera-
lità dei casi.
Per quanto sia intima e stretta la relazione fra il
predetto germe latente e 1 noti corpuscoli caratteristici,
non si è riscontrato finora il punto di partenza, la vera
causa generatrice di tale infezione.
Nè vale a darci qualche spiegazione l’esperienza fatta
dal Vlacovich e ripetuta dal Pasteur, della produzione
artificiale della malattia. Ammettiamo come dimostrato
che la somministrazione di foglia infetta di corpu-
scoli (7) ai bachi sani produce senza fallo la malattia
corpuscolosa; per noi è questo un fatto della più alta
portata, ma non ci dimostra che la comparsa del cor-
puscoli sia la causa e non |’ effetto del male. — È in-
fatti chiaro che il germe della malattia, diverso dai cor-
(6) Un ver ne peut pas présenter de corpuscules et èlre néanmoins assez
envahi par le germe du mal pour que la chrysalide et le papillon auxquels
il donnera naissance soient remplis de ce produit anormal que l’ on appelle
les corpuscules des vers à soie - loc. cit. p. 4.
(7) Per rendere corpuscolose le foglie si bagnano con acqua nella quale
si è schiacciato tutto il corpo o solamente un frammento d’ una larva, 0
d’ una crisalide o d’ una farfalla che siano corpuscolose. Pasteur, Mem. cit.
p. 12. Vlacovich. Att dell’ Istituto Veneto. T. XI, p. 4251.
59 de
puscoli in discorso, può essersi introdotto con essi, ov-
vero che i bachi sani che ne rimasero infetti, contene-
vano già nel loro sangue il germe latente; che il loro
organismo infermo non potè eliminare i corpuscoli
estranei e da ciò la conseguente facile propagazione di
essi nel sangue, nel tubo digerente, ecc.
Per queste ragioni è opportuna la distinzione di tre
categorie di bachi. Quelli perfettamente sani, quelli che
essendo già attaccati dal male non offrono corpuscoli in
qualsiasi parte del loro corpo, quelli in fine che ci offrono
i noti corpuscoli, qualunque sia la causa prima del male.
Per noi lo stato corpuscoloso dell’ insetto svela il
grado più elevato dell’ infezione e quando persista per
l’ incuria degli allevatori, che aspettano che la provvi-
denza li voglia liberare da questo flagello come da quello
prodotto dall’ oidio nelle uve, senza darsi alcun pensiero
di scongiurare colla solerte loro intelligenza gli agenti
perturbatori dell’ ordine delle leggi naturali, produce
da ultimo la degenerazione e anche la estinzione della
razza. — Questi agenti sono il più delle volte parassiti
vegetali o animali che trovano nelle circostanze anor-
mali, nelle vicende meteorologiche, nell’ indebolimento e
deperimento delle specie, derivanti altresì dalla poca avve-
dutezza e dall’ ignoranza degli agricoltori, le condizioni
più acconcie al loro sviluppo e alla loro disseminazione.
Vorremmo che.si studiasse quella serie continua di
rapporti che collegano e rendono fra loro solidarie tutte
le specie del mondo organico, che si estendessero quelle
importanti osservazioni di cui il Darwin ci diede ri-
marchevoli esempi nella sua celebre opera sulla origine
delle specie. (8)
(8) Carlo Darwin. — Su! origine delle specie per elezione naturale, ov-
vero Conservazione delle razze perfezionate nella lotta per | esistenza.
Traduzione di G. Canestrini e L. Salimbeni, Modena, Zanichelli e Soci. 1864.
— p. 49 e segg.
Lei
VI.
Agli allevatori spetta il dovere di seguire costante-
mente le norme che la scienza ci va dettando e che fra
non molto finiranno, lo speriamo, per vincere gli osta-
coli che si incontrano, specialmente nella pratica.
Occupiamoci sopratutto della ricerca delle sementi sane
e prive di corpuscoli, indigene od esotiche e applichia-
mo un rigoroso metodo di elezione nella preparazione
domestica delle sementi migliori ( grainage domestique
dei francesi ).
Questo metodo rigoroso di scelta o cerna potrebbe, a
senso di alcuni, aver luogo nelle partite anche le più
ammorbate. (9) — Non mi fermerò quì a dire quanto
(9) Il mio amico e collega prof. Grimelli in un suo lavoro intitolato:
« Conclusioni bacologiche modenesi » inserito nel T. VIMI.® degli Atti della
R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, sostiene che si è riscon-
trato nella malattia dei bachi un periodo crescente dalla prima alla quarta
generazione e un altro periodo decrescente della quarta alla settima.
Ho già dichiarato in una mia lettera al Grimelli ( stampata nel Panaro,
Gazzetta di Modena, N.° 214 del 1867 ) in qual conto debba tenersi questa
opinione che non fu, che io mi sappia, mai convalidata dagli allevamenti “spe-
rimentali, come potei anche accertare da recenti notizie pervenutemi sui
raccolti serici di Lombardia degli anni scorsi.
Ma non posso esimermi dal toccare di volo al concetto che informa un
pregevole articolo che intorno alle Conclusioni bucologiche del Grimelli ver-
gava il dotto nostro concittadino dott. Geminiano Luppi e che si legge nella
Revue universelle de Scricullure di Lione ( Nov. 1867, p. 166 ).
La malattia, egli dice, non sarebbe scomparsa se noi non fossimo andati
in cerca di sementi esotiche? Non sarebbe siato più saggio consiglio procu-
rarsene delle ammalate che avessero soggiaciuto per tre generazioni di se-
guito agli attacchi e alle fasi dell’ epidemia? — Pare ai nostri contradditori
che il rinnovamento del seme, per quanto indispensabile dal punto di vista
economico, sia affatto impotente a sradicare la malattia; pure vediamo nel-
la prima delle conclusioni Grimelliane consigliato di attenerci alseme giap-
ponese di immediata derivazione da quei luoghi.
Noi potremmo convenire col Luppi se si fosse attuato fino dall’origine del-
I’ infezione quel metodo di confezionamento del seme che oggi viene tentato
Li le
sarebbe improvvido e disastroso questo sistema; l’espe-
rienza che ne abbiamo fatta in Italia, esperienza che ci
costò enormemente, lo ha condannato. (10)
Cerchiamo dapprima le sementi nei paesi che sono
tuttora immuni dalla malattia e non tralasciamo di ro-
vistare tutti gli angoli d° Europa per scoprire le partite
meno colpite. Ma anche le sementi sane contrarranno
prontamente ! infezione, quindi la necessità di fare
ogni sforzo per la loro preservazione. Di quì la oppor-
tunità di ricorrere al metodo Pasteur per la scelta delle
uova deposte da farfalle prive di corpuscoli, e al me-
todo Vittadini e Cornalia per la scelta delle uova non
corpuscolose.
‘ Questa maniera di apprestare le sementi potrà man-
tenere sane le sementi esoliche importate e potrà forse
somministrarci ancora delle buone sementi indigene da
sostituirsi a quelle che hanno degenerato.
pare con qualche successo; se fino dal primo apparire del male si fossero
possedute le cognizioni che presentemente si hanno (che sono il frutto della
esperienza ) sulla natura e suli’ andamento della malattia e la scelta fosse
caduta sulle farfalle e sulle sementi rimaste esenti in quei primi anni. —
Allora potevamo forse fare a meno delle sementi esotiche.
Ma questi metodi, e neppure i più ovvii ed elementari della pratica, non
furono attuati quando si era in tempo di farlo.
« J° éerivais réecemment a M. Dumas, dice il Pasteur (Mem. cit. p. 5)
« que depuis vingt années que sévit la maladie et que l’on propose toutes
« sortes de moyens de reconnaitre qu’ une graine est saine ou malade, 02
« n’ a peut-étre pas jete un kilogramme de graine à la riviere. Ou donne
« la mauvaise graine ou on la vend è chers deniers et Y immoralité de ce
« commerce est telle que plus une graine est suspecte, plus est élevé, en
« general, son prix de vente. »
Così si fece anche in Italia da dieci anni e nè seguì il continuo peggio-
ramento delle sementi indigene. —— Non sarebbe dunque un consiglio serio
e neppure marque au coin d’° une prévoyance que l on ne saurait assez
appreécier, come dice il nostro amico Luppi, (loc. cit. p. 169) quello di sce-
gliere la semente di bachi ammalati, anzi dei più ammalati, come sarebbe
consentaneo all’ opinione del Grimelli, nell’ ipotesi del periodo di un settennio
nelle fasi della malattia. i
(10) Avvertenze, pratiche sull’ allevamento dei bachi da seta. Annuario
della Società dei Naturalisti. Anno I. Modena, Vincenzi. 1866- p. 25.
_ e
Le farfalle destinate al grainage saranno isolate luna
dall’ altra col mezzo delle curvine, indi sottoposte al-
l’ osservazione microscopica dopo la deposizione delle
uova.
Basterà osservare la membrana delle ali denudata
dalle squame per decidere quale sia la semente che
debba conservarsi come derivante da farfalle non cor-
puscolose ; non occorrerà dunque che una sola osserva-
zione per ogni farfalla. — Si compiranno poi le osser-
vazioni, sottoponendo al microscopio le sementi conser-
vate. — Due osservazioni per ogni curvina saranno
sufficienti, impiegando quattro o cinque uova per cia-
scuna.
Ma per rendere veramente proficui gli allevamenti
sperimentali, sarebbe a desiderarsi che il Ministero di
Agricoltura e Commercio istituisse premi da conferirsi
a quegli agricoltori che sapranno realizzare i migliori
prodotti di bozzoli sia per la quantità corrispondente
ad ogni oncia di seme, sia per la loro qualità e peso. —
Questi premi potrebbero anche destinarsi in parte alla
fabbricazione delle sementi, erogandone una metà ai pos-
sessori delle sementi approvate da apposite commissioni
di sorveglianza, o dai delegati dei comizi agricoli più
vicini e non assegnando loro l’altra metà se non quando
sia provato che il prodotto di quella semente fu supe-
riore alla media, come fu saggiamente proposto dalla
Commissione francese di sericoltura.
SUI COEFFICIENTI OZONOMETRICI
DELL’ UMIDITÀ E DELLA TEMPERATURA
Nota
DEL PROF. D. RAGONA
DIRETTORE DEL R. OSSERVATORIO DI MODENA
—===>———
Aics in questo R. Osservatorio sottoporre ad
attenta disamina le proprietà dell’ ozono atmosferico, ho
immaginato vari processi sperimentali che andrò succes-
sivamente mettendo in pratica, e ho cominciato dal ri-
cercare le relazioni esistenti tra il gradò ozonometrico
e gli aumenti o decrementi della umidità e della tem-
peratura. Per procedere convenientemente in tali studi,
mi era indispensabile collocare le note cartine nello
stesso luogo in cui trovansi gli apparecchi meteorologici,
accanto al termometro esterno, allo psicrometro etc.,
dentro la finestra meteorologica esposta a Nord. Era
poi condizione precipua delle mie sperienze, quella di
possedere un mezzo tanto semplice e pronto quanto si-
curo ed esatto per determinare i medì valori diurni dei
vari elementi meteorologici. A ciò si prestano egregia-
mente le tre osservazioni fondamentali di questo R. Os-
servatorio “a 4* sera, mezzanotte ed 8% mattina. Final-
mente mi era altresì indispensabile, possedere una scala
cromatica, destinata a rappresentare con la maggiore
esattezza i vari gradi di colorazione che assumono le
cartine nelle circostanze speciali delle mie sperienze.
L
OA I OS
In una lettera al Ch.° Padre Secchi (1) ho parlato della
scala ozonometrica, che un’ insigne artista pose a mia
disposizione. Qui aggiungerò che questa scala, che nac-
que originariamente in 10 parti, fu poi ridotta a 20 di-
visioni, ‘completando la serie delle colorazioni, per gra-
ibn) vicinissime e successive.
Le cartine restano esposte per la durata di 24 ore, e
si cambiano a mezzodì. Le circostanze meteorologiche
appartenenti a una data esposizione sono quelle del
giorno astronomico che finisce nell’ istante in cui si
toglie la carta. Queste osservazioni ebbero principio al
1.° dello scorso febbrajo. I medì mensili dei gradi ozo-
nometrici osservati nell’ anno meteorologico 1866-67
sono contenuti nel seguente specchietto, al quale ho
aggiunto la durata delle notti e dei giorni.
Medî Durata Durata
ozonometrici | del giorno | della notte
fé“ zx è; oeyà RR
h
Mesi
Dicembre 1866 Mia 8.8 15.2
Gennajo 1867 Spa 9.4 14.9
Febbrajo » d.5 10.4 15.6
Marzo » ni708 14.8 12.2
Aprile » 5.2 135.4 10.6
Maggio » 5.9 14.8 9.2
Giugno » 7.7 AB 8.5
Luglio » 5.6 45.2 8.8
Agosto » 7.9 14.0 10.0
Settembre.» 7.3 12.5 11.5
Ottobre» 8.7 441.0 13.0
Novembre » 6.8 9.5 14.5
(1) Bull. Met. del Collegio Romano 1867.
MEET VE
Questi medî mensili sembrano a prima prima vista
procedere irregolarmente e senza alcun’ ordine. Però
considerandoli più da vicino, e mettendo in calcolo i
cambiamenti contemporanei dell’ umidità e della tem-
peratura, cessa l’ irregolarità del loro andamento, e viene
a desumersi la legge generale a cui essi obbediscono.
Per giungere a tale scopo, riferisco le osservazioni ori-
ginali eseguite nel periodo da febbrajo a novembre 1867
ordinandole giusta il grado crescente dell’ ozono atmo.
sferico.
i Ozono Temp. Umid.
1 1 ke I60
8 4 6.7 ble)
2 2 4.5 65
414 2 8.9 32
14 2 6.7 74
29 2 9.1 66
25 2 9.6 65
6) hi 4.0 77
15 4 7.5 81
19 4 9.6 79
26 h 9.0 76
4 h) 3.5 85
21 6) 9.6 70
2 5 7.6 70
10 6 7.8 81
17 6 8.2 90
18 6 9.5 87
7 7 6.7 D6
9 7 7.5 79
15 7 D.d 72
20 7 8.1 - 85
25 3 6.9 84
6 9 3.8 88
27 9 7.8 78
b) 40 1.8 9
12 10. 5.6 9
16 10 8.1 87
28 10 | 3.0 81
Ozono
O 00 00 00 00 i vt E NO NO DI DI NO NO DO O
Temp.
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OLIO UO JIJSAILIUUTOUSIVSV>RO LU LI
Umid.
— Mo
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S :
0 |164| 22 8 1]22.2| 46
O |43.2| 50 || 10 41|228| 57
2|16.0|29| 4| 2|45.9| 61]
2|416.5| 56 6 2494] 55
5 |160.5| 49 9 225.0] 44
| 3 14,2 | 50| 5| 3|47.2) 49
5 |14.7| 58 Ti 5 |21.0| 47
5 |20.2| 359 || 41 5 | 2214 | 55
5 |14.2| 58 | 14 5|22.7| 47
5 | 16.7] 55 || 24 5 |141| 40
5 |46.9| DI | 25 5 |16.0| 47
4 | 8.4| 62 21 4 |20.7| 47
4 |453.8| 52 | 50 4 {24.6 | 56
4 |45.5| 57 2 5 |13.9| 55
4 {19.6 | 48 | 12 SO ZA 2
5 | 8.4] 63 | 15 5 |21.4| 45
5 |10.5.| 65 || 19 5 |20.0 | 47
5 |17.6| 52 | 20 5 |19.3.| 52
5 |19.5| 52 | 54 5 | 25.2) 60
5 [165] 54 46 618.5 | 55
6 | 15.7 | 64 | 25 6 | 12.8 | DI
647.0] 75 | 48 7|20.2| 53
8 (13.7) 54 | 26 TA E
8 |45.8| 44 | 29 7|24.0 | 64
DAD ZA 8 | 18.8 | 56
9 i 75 1 | 9 io 69
9 | 40.4] 84 | 28 | 40 [12.5] 66
9 |18.0| 67 5 | 412 |14.7| 64
10 | 15.5 | 751 45 | 42 21.14] 68
47 |417.5|) 79 || 27 | 15 (19.4| 67 ||
22 | 20 |1614| 75
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RAISI AIITIA IAS
da
i da
caInPLICDEe NN itoco-rspa Sutil
Si
Umid.
ia gold
Su questi elementi si è formata una serie di equazioni
- normali, ciascuna risultante dal medio di cinque o sei
giorni consecutivi. Ecco le equazioni normali da feb-
brajo a novembre 1867.
Febbrajo Luglio
Ozono Temp. Umid. Ozono Temp. Umid.
4.67 = x 6.78 + y 67.5 20 = x 26.78 + y 59.6
3.60 7.9% 75.6 2.8 25.56 4A .6
5.50 7.70 80.2 4.0 25.86 56.4
7.20 6.86 75.2} 48 25.28 48.4
9.67 5.02 86.5 7.6 23.64 57.8
| 14.5 22.58 62,8
Marzo Agosto
Doni 472 + 06.60 24275604 2
3.0 12.54 69.8 5.6 25.10 512
7.6 11.58 77.0 5.0 25.70 bI.4
9.8 4.78 87.6 7.8 235.58 65.2
40.6 8.64 87.8 11.0 22.65 65.6
12.67 945 835.85 è 16.17 21.15 78.0
Aprile Settembre
14 = x 15.68 + y 97.2 Dl 25.28 + y 558
3.0 46.00 52.0 4.2 25 42 55.6
3.8 14.84 54.0 6.0 17.04 61.6
5.0 414.56 DS2 7.8 21.98 65 0
7h 14.78 61.8 45.2 18.50 75.8
10.8 15.16 75.4
Maggio Ottobre
4.6 = 20.26 + y 48.0 S4 = x 10.2 + y 60.8
3.0 19.42 47.6 5.2 41.6 Th.h
4.2 18.98 55.0 7.6 43.02 81.2
5.2 20 88 54.4 8.6 12.46 75.0
7.0 13.66 55.6 18.8 15.02 844
12.67 OD 67.67 è 16.8 13.2 86.8
Giugno Novembre
9.060 = x 25.58 + y 50.6 22 —=x 6.02 + y 65.2
4.6 25.44 50.8 3.0 234 68.0
6.6 22.76 62.8 4.2 3.80 75.0
7.0 22.60 59.75 12 8.56 90.0
8.8 20.14 67.6 10.0 9.80 88.6
15.8 20.32 70.0. è 14.0 8.78 78.4
i (4 —
Da questi valori risultano le seguenti equazioni, nelle
quali 7° denota la temperatura centigrada, e U-l° umi-
dità in centesimi di saturazione.
Febbrajo 4867 Ozono — — A41.45641 7 + 0.20024
Marzo P) — 0.35209 + 0.14155
Aprile » — 0.55332 + 0.24281
Maggio ”» — 0.79441 + 0.53655
Giugno » — 0.62120 + 0.55618
Luglio » — 0.54029 + 0.26961
Agosto » — 0.49754 + 0.55052
Settembre » — 0.47821 + 0.28491
Ottobre ”» — 0.66307 + 0.22654
Novembre » + 1.49220 — 0.01252
Queste equazioni riproducono con molta esattezza 1
medì mensili ozonometrici, sostituendo in esse per cia-
scun mese i valori corrispondenti di 7° e 4. Si ottiene
difatti :
Ozono
Mesi T U
Calcol. | Osserv.
Febbrajo 1867 6.32 714 5.6 | 5.5
Marzo È) 8.55 71. 8.0 7.8
Aprile » 15.44 50.4 5.9 5.2
Maggio » 419.24 54.7 5.9 5.9
Giugno ”» 22.05 59.8 7.6 1.7
Luglio » 24.52 54.5 5.6 5.6
Agosto 9» 23.37 | 59.9 7.9 7.9
Settembre» 21.45 65.2 7.8 7.5
Ottobre > | 12,58 76.6 9.0 8.7
Novembre» 6.52 T19) 6.7 6.8
Esaminando i coefficienti sopra esposti, si vede che
essi da febbraio ad ottobre sono di segno negativo per
la temperatura, e di segno positivo per la umidità.
Dunque in tutto questo periodo l ozono ha diminuito
col crescere della temperatura, e aumentato col crescere
IT
della umidità. È evidente che dopo un lungo periodo di
osservazioni, si potranno in questo modo determinare
esattamente i valori numerici dei coefficienti, e così si
giungerà a conoscere con qual legge cresce o diminuisce
lazione della temperatura e della umidità sull’ ozono
atmosferico.
Il mese di novembre è il primo in cui cambia la
legge dei segni. Vi è dunque un limite in cui la dimi-
nuzione della temperatura o | aumento della umidità
cessano di far crescere i segni dell’ ozono atmosferico.
Dippiù non è improbabile che così la direzione come
la forza del vento, e anche la quantità della pioggia in-
fluiscano sul grado ozonometrico osservato. Or siccome
in natura 1 fatti negativi hanno la stessa importanza
dei positivi, conviene innanzi tutto ricercare in che le
circostanze meteorologiche di novembre 1867 diversifi-
cano da quelle predominanti nei mesi anteriori dell’anno
medesimo da febbrajo ad ottobre. Nel quadro seguente
ho riunito alcuni elementi, che possono apprestare qual-
che luce su questa disamina,
Mesi Pioggia Temperat. VE Vento
4867-Norm. |1867- Norm. di ERA]
nto
dae |
mm. | cent. kilom.
| Febbrajo 1867 — 444 | + 5.1 80.45 SO
Marzo » + 17.0 + 0.8 10.80 SO
Aprile » — 55.8 + 2.2 141.66 SO
Maggio ”» — 40.0 + 1.4 9.82 SO
Giugno » + 66.8 — 0.8 9.55 SO
Luglio ”» — 55.5 — 0.5 9.49 E
Agosto >» + 61.4 — 0. 3.61 E
Seltembre » 4- 61.9 + 14.9 8.48 NE
Ottobre » + 24.6 — 2.5 3.92 NE
Novembre » — 44.7 — 0.8 6.90
| =_=
(0)
perte
RIESCO
Da questo quadro detegesi, che il mese di novembre
ebbe una pioggia minore della normale, ma anche an-
tecedentemente vi furono altri mesi nelle stesse condi-
zioni, e due (febbrajo e maggio ) di quasi ugual quan-
tità, e uno (aprile ) anche di maggior quantità. Si noti
però che il mese di novembre scarso di pioggia, suc-
cesse a tre mesi consecutivi in cui la pioggia fu costan-
temente maggiore della normale. La temperatura media
di novembre fu alquanto inferiore alla normale, ma lo
stesso ancora ebbe luogo in altri mesi del 1867.
Le sole circostanze in cui decisamente e senza alcun,
dubbio, il mese di novembre 1867 diversificò meteorolo-
gicamente dagli altri mesi superiormente calendati, sono
le due seguenti: 1. la forza del vento fu in novembre
molto più piccola che in tutto il resto dell’ anno. 2. Il
mese di novembre fu il primo, relativamente ai mesi
contenuti nell’ antecedente specchietto, in cui la tempe-
ratura cadde sotto lo zero. In febbraio giammai la tem-
peratura minima fu inferiore allo zero, mentre in no-
vembre ciò accadde per otto giorni di seguito, e oltre
a ciò anche la temperatura notata nelle ore di osserva-
zione più volte fu negativa. Diffatti mentre in febbrajo
mancò totalmente non dico la neve ma anche la brina,
in novembre al contrario non di rado le tegole della
città si trovarono sul far del giorno ricoperte di brina,
e il giorno 22 si rovesciò per più di un’ ora la neve.
Questi dati possono somministrare qualche luce sulle
condizioni meteorologiche che permutano il segno dei
coefficienti ozonometrici, e guidare la nostra attenzione
su quei punti più degni di attenzione in questo impor-
tante argomento. Evidentemente le osservazioni del cor-
rente inverno 1867-68 potranno riuscire di molta utilità
in questo genere di ricerche, che regolarmente e siste-
maticamente proseguonsi in questo Reale Osservatorio
Astronomico.
INTORNO
A UNA VARIETÀ DI CALCOLI ORINARI
‘della specie bovina
NOTA
DEL PROF. GIOVANNI GENERALI
Gr animali domestici vanno soggetti, qual più qual
meno, alle affezioni calcolose, e se ne avrebbe, io stimo,
un assai maggior numero di quello che realmente si
riscontri, se molte di simili morbosità non passassero
inosservate durante la vita.
La specie bovina non raramente viene attaccata dalle
affezioni calcolose, specialmente dell’ apparato urinario.
Per quanta cura siasi data dai patologi onde ricono-
scere per qual modo, per quali condizioni, e per quali
processi avvengano negli organi vari questi depositi cal-
colosi, non lo si è ancora ben saputo per tutti i casi
egualmente determinare.
Certo è che in ordine all’ elemento prossimo di loro
formazione sono a distinguersi due casi, e cioè di cal-
coli che hanno e di calcoli che non hanno per nucleo
un corpo estraneo.
Nel primo caso la formazione dei calcoli è un fatto,
se non in tutto, almeno in massima parte fisico, e la
spiegazione del loro formarsi non è difficile.
Ma nel secondo caso il processo di loro formazione
UR)
è assal più complicato potendosi attenere, come spesso
si attiene, ad elementi di causalità assai remoti, ed estra-
nei affatto allo stato degli organi nei quali avviene il
deposito calcoloso.
Allorchè un calcolo si forma e non ha per nucleo un
corpo, estraneo qualunque, a conoscere il processo di sua
evoluzione è d’ uopo considerare | elemento etiologico
che diremo prossimo, e l'element to etiologico che di-
remo remoto.
L’ elemento prossimo della formazione di un calcolo
(e qui parlo degli urinari) si può riferire alla qualità
dell’ urina segregata, e degli umori di secrezione coi
quali I’ urina trovasi a contatto, od al soffermarsi troppo
lungamente |’ urina stessa negli organi di deposito.
Così avviene che i calcoli si formino o dall’ essere
esuberanti relativamente od assolutamente nell’ urina
alcuni princip) insolubili o pesanti.
Così può accadere che altri calcoli si formino per
troppo prolungato ristagno dell’ urina nella vescica, pro-
ducendosi o iniziandosi in questo serbatoio la scompo-
sizione urinaria.
Così infine può succedere che il muco dell apparato
urinario e più specialmente il vescicale determini nel-
l’ urina mutamenti chimici tali per cui alcune sostanze
ch’ erano sciolte nel liquido urinoso, passino a combi-
nazioni insolubili, precipitino e diano origine a calcoli.
Ma comunque sia l’ elemento prossimo della forma-
zione del calcolo, il più delle volte avviene che l' ele-
mento prossimo stesso quando consista nella qualità
dell’ urina segregata, s’ attenga ad un elemento di cau-
salità più remoto che può essere la qualità dell’ alimen-
tazione o della bevanda, o il modo di eseguirsi dei pro-
cessi organici nutritivi.
E qui ognuno comprende che se non è tante volte
difficile riconoscere |’ elemento causale remoto attinen-
PL (pe
tesi alle qualità dell’ alimento o della bevanda, è assai
difficile, nè sempre possibile stabilire le condizioni del_
secondo, o solo è da supporlo quando sia fatta e pro-
vata l’ esclusione del primo.
Premesse queste considerazioni generali vengo ora a
parlare del propostomi argomento.
Fu dal Veterinario Comunale di Campogalliano, signor
Corradini, che ricevetti questa piuttosto rara varietà di
calcoli orinari.
Il bue che li fornì, apparteneva alla razza nostrana,
aveva l’ età di circa 6 anni.
Non si è potuto ‘avere notizia alcuna intorno ai pre-
cedenti giacchè il proprietario presso il quale 1’ animale
si trovava, n’ era divenuto possessore da poco più d’una
settimana.
Una sera, dopo | ordinario lavoro d’ aratura, l' ani-
male venne preso da dolori acutissimi, che da principio
non avevano sede ben circoscritta, ma che indi a poco
fissaronsi alla regione della vescica orinaria.
Ad onta dei premiti e degli sforzi continui |’ animale
non emmetteva pur una ‘goccia d’ urina.
L'esplorazione della vescica diè a conoscerne lo stra-
ordinario distendimento e la ripienezza; distendimento
che crebbe in poco tempo così a dismisura da minac-
ciare lo scoppio del serbatoio orinario.
La diagnosi pel veterinario non fu dubbia. Ma per
quante esplorazioni diligentemente praticasse non gli
venne fatto di riconoscere la presenza dei calcoli nei
punti esplorati dell’ uretra.
L’ animale venne abbattuto nel macello comunale di
Campogalliano, ed il Veterinario prementovato vi riscon-
trò quanto segue:
La vescica enormemente distesa e piena d’ urina, era
infiammata al fondo, dove si trovarono in buon numero ,
i calcoli che ora descriverò. Nell’uretra membranosa era
Lime
impegnato e come incuneato il più voluminoso fra i
calcoli, sicchè ne chiudeva perfettamente il lume. I pol-
moni dell’ animale presentavano miriadi di piccoli tu-
bercoli duri e resistenti. Del resto, tutto era nello stato
fisiologico.
Il numero dei calcoli raccolti fu di 247; però molti
dei più piccoli, andarono dispersi nel levarli dalla vescica.
La loro figura è perfettamente rotonda ed hanno un
volume che varia tra un piccolo grano di sabbia e un
grano di senape bianca. Uno solo, ed è il calcolo che tro-
vavasi impegnato nell’ uretra, ha la grossezza di una
piccola fava, è di forma irregolare, somigliante a un
dente molare umano senza radici.
Il peso totale dei calcoli, escluso il più grosso, è di
1 grammo e 21 centigr. Il grosso pesa gr. 0, 74.
Sono formati da una serie di strati concentrici e la-
mellari, non difficilmente separabili 1’ uno dall’ altro. Non
hanno nucleo, come risultò da minute indagini fatte
coll’ aiuto laconi del microscopio.
L'aspetto loro è brillantissimo, ed 1 piccoli calcoli
paiono pallini da caccia inverniciati d’oro. — Si direb-
bero calcoli dorati.
Il Prof. Maissen da me pregato di fare l’ analisi chi-
mica dei calcoli, ottenne per risultato ch’ essi erano com-
posti di carbonato di calce, e di una sostanza organica
che possiede gran parte dei caratteri della Cistina.
I caratteri, e Il’ aspetto dei calcoli ora descritti s’ ac-
cordano pienamente coi caratteri e coll’ aspetto di quei
calcoli che il Taylor denominò perlati, che il Dott. Bird
disse perle urinarie, e che forse con più esattezza si
potrebbero dire calcoli dorati vescicali del bue.
E una varietà di calcoli piuttosto rara, tutta propria
della specie bovina, e della quale la descrizione più
esatta venne data dal suddetto Taylor nel 1849. Esso
pure ne trovò un buon numero (150) nella vescica del
Sa
bue; il più grosso pesava 7 grani (gr. 0.55). Erano
privi di nucleo, formati a strati concentrici sottilissimi.
La loro composizione risultò di carbonato di calce e
materia organica.
Nel Recueil de Medicine Vétérinaire (1861, pag. 215)
è pur fatta menzione di simili calcoli, che il Caussè de-
nomina dorati o grigiastri. Esso dice che il loro centro
è formato da un punto nero o grigiastro, di natura san-
guigna o mucosa. Il Caussè ne trovò 250 nella vescica
di un bue, ed avevano per nucleo una cinquantina di
piccoli peli del colore stesso del mantello dell’ animale.
La loro composizione chimica risultò di carbonato di
calce p. 81, carbonato di magnesia p. 12, fosfato di
calce p. 5, muco e perdita p. 2, sopra parti 100. E inu-
tile, o per lo meno sarebbe sterile fatica, il ricercare
per quali cagioni e processi tali calcoli si producessero,
attesa la mancanza di notizie così in ordine al regime
dietetico, come in ordine allo stato degli organi ed alla
qualità delle urine dell’ animale che n° era affetto. Sola-
mente noterò che le affezioni calcolose urinarie frequenti
assai nelle montagne della nostra provincia, piuttosto
rare in alcune regioni del piano modenese, assunsero da
qualche anno anche qui maggiore frequenza, come me
ne fece testimonianza il Veterinario che mi fornì i cal-
coli ora descritti.
DELL’ANESTESIA LOCALE
APPLICATA CON FELICE ESITO
IN UN GASO DI ZOPPICATURA DI UN CAVALLO
PRODOTTA DA REUMATISMHO
NOVA
DEL PROF. ANTONIO GHISELLI
>. TTYT_y_TrTYT-_
Ni la metà del p. p. novembre fui invitato dal
Sig. Alessandro Bonaccini di questa città a visitare nella
prossima villa di S. Ambrogio sul Panaro una bellissima
cavalla da tiro di mezzo sangue inglese, zoppa da ben
sette mesi della gamba sinistra anteriore, senzachè le
cure praticate in questo lungo periodo di tempo da ve-
, terinari della nostra città e della vicina Bologna, aves-
sero recato alcun vantaggio, comunque fossero di va-
ria e talor opposta natura, secondo il diagnostico che 1
diversi curanti ebbero a fare sull’ indole e sulla sede
della malattia.
La prima cura difatti fu diretta sulla spalla, essendosi
giudicato di una meccanica distrazione dei muscoli di
questa regione, e conseguentemente si adoperarono da
prima i bagni astringenti e ripercussivi, indi si ricorse
all’ applicazione di un vescicante ma con poco o nessun
frutto. La durata di questa prima cura fu di quindici
giorni, circa. Sopravvenne un secondo veterinario, che
camel
non trovò alcuna lesione imputabile alla spalla e stabili
la sede della malattia nel piede cui giudicò come una
specie di spostamento prodotto dalla deviazione della
linea normale di gravitazione della gamba sul piede
stesso, o, come direbbero i francesi, da viziato appiombo,
in conseguenza di errata ferratura. Varie furono le forme
che si diedero e al ferro e al piede, seguendo, giova
pur dirlo, più che le regole dell’ arte, quelle di una
pratica insipiente, e allorchè dopo lunghe e reiterate
prove, si era fatta sempre maggiore la zoppicatura, si
applicarono vescicanti e caustici sulla corona del piede
e sul pastorale. Questa cura affatto empirica irrazionale
non ebbe altro vanto che quello di prolungarsi per
quasi quattro mesi, ed altro risultato che di lasciare
maggiormente zoppa la cavalla. Fu allora che il proprie-
tario risolvette di sentire il parere di un esperto zooja-
tro bolognese: prima però di esporre quale si fosse il
costui pensamento in proposito, non posso passare sotto
silenzio un fatto, che reputo se non nuovo, per lo meno
assai raro nella storia veterinaria, voglio dire un con-
sulto magnetico che il proprietario medesimo ebbe in
Bologna colla sonnambola Anna D° Amico sulla diagnosi
e prognosi della zoppicatura in discorso. Non è da me-
ravigliarsi se il Bonaccini, questo giovine signore nè
superstizioso, nè mancante delle cognizioni necessarie e
convenevoli, si ridusse al meschino passo d’ interrogare
la felsinea sibilla, stancato com’ era dalle inutili anzi
dannose cure dell’ arte ippiatrica. L° oracolo parlò; le
sue parole furono scritte sul papiro, ed io le riproduco
fedelmente. = La vostra cavalla è zoppa nella spalla
sinistra: nessuno la guarirà: sarete costretto a venderla
per vil moneta. = Come vedete il responso è chiaro,
nè ha doppio significato come l’ ibis redibis non morieris
del prisco oracolo. Ma se il Bonaccini ne fu momenta-
neamente scoraggiato, cedette nondimeno al suo buon
Ò
e
senso, e ricorse di nuovo alla scienza e all’ arte salutare.
Lo zoojatro bolognese riprovò le medicazioni al piede,
e confermato il giudizio del primo curante di una mor-
bosa lesione alla spalla, che qualificò per una miotite
cronica, prescrisse l’ uso dei rubefacienti e vescicanti da
applicarsi e riapplicarsi sulla località inferma interpola-
tamente fino ad aver raggiunta la guarigione. Questa
nuova medicazione fu regolata ed eseguita da un pseudo-
veterinario e maniscalco di questa nostra città con ri-
sultati però così sfavorevoli, che si dovè desistere dal-
l’opera intrapresa, essendochè la cavalla non poteva più
movere la gamba.
Giunte le cose a questo punto piacque al sig. Bonac-
cini di ricordarsi di me o ad altri di suggerirgli il mio
nome, e venni chiamato. I fenomeni morbosi ch’ ebbi
a riscontrare nella mia prima visita erano più propri del-
l’ artificiale alterazione prodotta dalla prolungata azione
dei topici irritanti, che della essenziale affezion patolo-
gica, dalla quale procedeva fin da principio la zoppica-
tura: ond’ è che i sintomi propri della vera malattia re-
stavano come oscurati dagli epifenomeni suscitati dalla im-
propria medicatura. Questo solo potei stabilire che dal
piede all’ antibraccio inclusivamente non esisteva alcuna
lesione, e rivolsi per conseguenza le mie cure ad elimi-
nare dalla regione della spalla le complicazioni morbose,
che la precedente ultima medicazione vi aveva fatto na-
scere. Per dodici giorni si applicarono sulla località in-
ferma cataplasmi ammollitivi preparati colla farina di
lino, e se ne ottenne la perfetta guarigione delia pelle,
che per le irritazioni patite era tutta rugosa e qua e
la screpolata, ed il ristabilimento della normale tempe-
ratura della parte: persisteva nondimeno il dolore, e i
movimenti dei due raggi superiori omero e scapola si
facevano con visibile stento, e con leggera rotazione in
fuori del braccio sulla spalla. Mediante una esplorazione
DEB POI
accurata si faceva manifesta una straordinaria tensione
e come una specie di contrazione tonica dei muscoli,
che rivestono la faccia esterna della scapola, segnata-
mente dell’antispinoso e del retrospinoso e degli abdut-
tori lungo e corto del braccio. Probabilmente a stabi-
tire questa morbosa tensione avevano contribuito le pro-
lungate irritazioni prodotte dalla medicazione epispastica,
ma non si può escludere che questo stato non ricono-
scesse la sua primitiva origine da un’ affezione di na-
tura reumatica, anzi da un vero reumatismo. Pensai da
prima di combattere questa miopatia colla cura idrote-
rapica, che applicai difatti per alquanti giorni con assai
leggero e troppo fugace miglioramento. Eravamo alla
metà di dicembre allorchè si affacciò alla mia mente
I idea di rimovere la tensione muscolare colle sostanze
narcotiche e stupefacienti. Se trovo un rimedio, dissi
fra me stesso, che sia capace d’ indurre nei muscoli uno
stato opposto a quello che vi osservo, cioè il, rilassa-
mento, o le condizioni del movimento si miglioreranno
e, forse anche torneranno normali, o sarò guidato da
questo esperimento a meglio stabilire la vera natura
del male. Degli anestitici applicati localmente aveva letto
qualche. cosa sui trattati di materia medica e terapeutica
umana e specialmente nel trattato di simile materia del
Trousseau, ma non era a mia cognizione che alcun ten-
tativo di questo genere fosse stato fatto dall’ arte vete-
rinaria. Fra le diverse sostanze medicamentose capaci
di produrre l’ anestesia locale prescelsi pel primo espe-
rimento il cloroformio. Bagnai con 120 grammi di que-
sto farmaco e colla maggiore possibile celerità, tutta la
regione della spalla, cui tosto ricopersi con larga benda
di tela e con pannolano. Sorse immediatamente un vi-
vissimo dolore manifestato da insoliti e disordinati mo-
vimenti e da una specie di frenesia a cui s° abbandonò
l’animale, che scalpitava, impennavasi e faceva sforzi
LO | Apre
per mordere e lacerare I’ apparecchio; ma questa viva
concitazione, questa smania furiosa durò poco tempo,
un quarto d’ ora circa, e la calma si ristabili di grado
in grado pienamente. Visitando nel successivo giorno la
parte vidi che il cloroformio aveva operato sulla pelle
alla maniera dei vescicanti, producendo il sollevamento
dell’ epidermide ed una viva trasudazione, la qual cosa
mi fece in sul momento dubitare, che in luogo di un
miglioramento non si fosse provocato invece un maggior
male. Ma quale non fu la mia sorpresa, allorchè, ecci-
tando la cavalla a muoversi nella stessa sua posta a
destra e a sinistra, la vidi eseguire questi vari movi-
menti con una giustezza ed armonia tanto più ammira-
bili, quantochè non aveva mai potuto fino al giorno
precedente compire cosiffatti movimenti, senza dar segno
della più penosa claudicazione; e non ho poi termini
che valgano ad esprimere questa mia sorpresa e quella
di tutti gli astanti, allorquando condotta fuori della scu-
deria, fu vista camminare con passo e trotto così spedito
ed eguale, che si sarebbe detto non essere mai stata
zoppa! E per vero gli effetti di questa prima clorofor-
mizzazione sarebbero stati prodigiosi, se fossero anche
stati permanenti, il che non avvenne. Non già che la
zoppicatura si fosse di nuovo manifestata in tutta la
sua primiera intensità, la qual cosa avrebbe forse fatto
disperare anche di questa medicazione; solamente ebbero
a notarsi verso il terzo giorno da quello della intrapresa
cura anestetica, i primi sintomi di una rinascente ten-
sione muscolare, e meno liberi i movimenti della spalla.
Sebbene gli effetti anestitici del cloroformio si fossero
manifestati nel modo più luminoso, indipendentemente
dall’ azione irritante esercitata sulla pelle, nondimeno
sarebbe stato oltremmodo imprudente il riapplicare di
nuovo questa sostanza su di una parte già offesa, e per
le precorse medicature già predisposta facilmente alla
PORTI E
infiammazione. Era quindi necessario trovare un succe-
daneo dal cloroformio o a dir meglio un rimedio di
egual potenza anestitica, ma privo di azione irritativa
e questo rimedio trovai additato dal Trousseau laddove,
parlando della medicazione anestetica locale, cita le espe-
rienze dell’ Aran e conchiude che il migliore degli ane-
stetici per la cura esterna si è l’ etere cloridrico clorato.
Adoperai da prima questo rimedio allungato in acqua
alcoolizzata e poscia unito a grasso in forma di pomata
e furono così compiti e durevoli 1 suoi benefici effetti,
che non saprei come abbastanza commendare così pre-
zioso medicamento per | anestesia locale. Sei o sette
giorni bastarono a dissipare del tutto quella così ribelle
tensione muscolare, e la quantità di questo farmaco
epicraticamente consumata in questo lasso di tempo nelle
varie forme di bagno e di pomata fu di 140 grammi,
circa. Guidato poi da ragioni economiche e più a sug-
gello della cura e stabilità della guarigione, che allo
scopo di cambiare medicazione, applicai finalmente per
due o tre giorni un bagno alla spalla preparato con 50
grammi di cianuro di potassio in un litro di acqua di-
stillata. Così nel breve volgere di 15 giorni mi fu dato
di guarire colla medicazione anestetica locale un’ invete-
rata zoppicatura, intorno alla quale invano l’ arte si era
affaticata con altri mezzi, e di vedere disperso e sbu-
giardato il sinistro vaticinio di malaccorta Cassandra;
perlocchè fino dal 50 dicembre p. p. la cavalla potè
riprendere |’ usato servizio, che ha fino al presente con-
tinuato e tuttavia continua, senz’ aver più sofferto, nep-
pure per un istante, della superata claudicazione.
Nell’ accingermi a scrivere per la nostra Società la
storia di questo caso, mi sono dato cura d’ indagare se
per avventura altri zoojatri, prima di me, avessero usato,
ed in quali circostanze, dell’ anestesia locale; sul quale
proposito il mio amico e collega nostro, Prof. Gio. Ge-
RI ZANNI Lene
nerali, mi ha suggerito di consultare, offerendomelo esso
stesso, il nuovo trattato di materia medica e terapeutica
veterinaria del Tabourin, attuale professore alla scuola
imperiale veterinaria di Lione. Nel quale trattato, ricco
di erudizione e veramente superiore ad ogni elogio, ho
bensì trovato una diffusa e ben elaborata descrizione
dell’ anestesia generale applicata agli animali domestici,
ma perciò che riguarda l’ anestesia locale e propriamente
l’ utilità pratica di questa medicazione, non vi trovo
accennato alcun fatto, anzi | opinione dell’ Autore è
chiaramente espressa in questi termini: « L’ emploi des
anesthèsique locaux, trèsrare du reste ches les animaux,
n’ offre rien de particulier. » (N. T. de matière mèdi-
cale Vetèrinaires par M. F. Tabourin. Tome premier.
Paris. 1865.) Il perchè sarei indotto a credere che spe-
rimenti di tal sorta non si fossero fatti prima d’ora,
lieto perciò di poter additare ai cultori dell’ arte zooja-
trica un metodo curativo destinato probabilmente ad
una maggiore e più estesa applicazione. Spetterà al sa-
vio discernimento del pratico il riconoscere in quali
condizioni morbose, in quali circostanze ed in qual pe-
riodo della malattia, potrà riuscire opportuna e proficua
l’ applicazione di cosiffatta medicatura.
METODO METEOROLOGICO
PER PRECONOSCERE E PREDIRE
LE ME TEORE ACQUEE
del
PROF. GEMINIANO GRIMELLIO
Nar instituire apposite osservazioni meteorologiche
mediche, cioè attinenti alla Scienza e all’ Arte Salutare,
cui incominciai ad intendere fin da quando ebbi affi-
dato l’ insegnamento patologico, presso questa Regia
Università modenese, mi è stato di tal guisa dato di
ravvisare, e raggiungere, un Metodo Meteorologico fon-
dato sù combinate cospiranti indicazioni termometriche,
igrometriche, barometriche, per preconoscere e predire
le Meteore Acquee d’ ogni forma, quali pioggia, neve,
tempesta o grandine.
Così è che mentre si preparano e stanno, dirò pen-
denti, e sono per cadere dall’ atmosfera, le accennate
meteore, avviene di riscontrare le indicazioni meteoro-
logiche, termometriche, igrometriche, barometriche ,
come tendente ognuna a procedere, e volgere in sua
maniera, verso la rispettiva media annua, sul luogo
d’ osservazione. Egli è invero attorno siffatta complessa
media annua che sì aggirano i procedimenti meteorolo-
gici in discorso, con vicende cospiranti, più o meno
simultaneamente, a rendere preconoscibili e predicibili
le meteore acquee d’ ogni guisa.
Tali procedimenti, comunque vogliansi riguardare in
al) —
rapporto al dinamismo termico, ossia alla teoria dina-
mica del calore, fatto è che offrone le indicazioni ter-
mometriche, igrometriche, barometriche, in loro comune
tendenza verso la media rispettiva, quali riscontri e
contrassegni costanti delle meteore acquee. Riscontrasi
per tal guisa che le accennate indicazioni meteorologiche,
ove soprastanti alla media loro propria, ed ove tendano
a volgere e volgano effettivamente verso la media stessa,
con abbassamento comune, ne suole conseguire o piog-
gia, o neve, o grandine. Che se consimili indicazioni
sottostanno per avventura a ciascuna loro media, e
volgano, pur ciascuna, verso la media rispettiva, con
elevamento comune, ne consegue anche a tal modo il
procedimento meteorico acqueo sia pluviale, sia nevoso,
sia grandinato. .
Ove poi occorra che le stesse indicazioni meteorolo-
giche offrano contingenze le più vaghe, così che mentre
luna, quale la termometrica, sta elevandosi, e al tempo
stesso altra, come la igrometrica, sta abbassandosi, altresì
con le più vaghe vicende barometriche, si ravvisa pure
in simili casi che, dietro il combinarsi di tali indica-
zioni, verso la loro media rispettiva, ne consegue di
leggieri la meteora acquea, sia di pioggia, sia di neve,
sia di grandine. Maniere di vicende per le quali avviene
che, fra le maggiori oscillazioni termometriche, quanto
più si verificano » procedimenti medj, igrometrici e
barometrici, tanto più si hanno di tal guisa i contras-
segni precursori della meteora acquea in qualsiasi forma.
E come nelle varie stagioni la temperatura trovasi ora
al di sopra, ora al disotto della media annua, così av-
viene che, nel primo caso quale d’ estate, precede,
accompagn®, consegue un certo tal quale fresco alla
pioggia, e nel secondo caso, quale d’ inverno, precede,
accompagna, consegue invece un certo tal quale rattem-
pramento di freddo, quasi tepore, al prodursi e cadere
della neve.
fg ES
Le prefate indicazioni poi termometriche, igrometri-
che, barometriche, quanto più produconsi simultanee,
nella giornata, tanto più si offrono come riscontri certi
e contrassegni costanti delle meteore acquee. È qualora
occorrano successivamente da un giorno all’ altro, con
vicende altresì vaghe, irregolari, anomale, contradditorie,
ne resta incerta e indeterminata ogni precognizione e
predizione meteorologica di qualsiasi forma. A pari
guisa, ove una sola delle predette indicazioni, sia la
termometrica, sia la igrometrica, sia la barometrica,
volga alla media sua propria, senza concorso fino anco
in contradditorio delle altre, resta il tutto incerto e
indeterminato, in via di precognizione e predizione
meteorologica, anzi colle più facili illusioni e delusioni
comunissime.
Epperò conchiudesi che all’ oggetto di preconoscere
e predire le meteore acquee in discorso, è necessario
attenersi alle combinate indicazioni termometriche, igro-
metriche, barometriche, tendenti e procedenti, più o
meno simultaneamente, verso le rispettive loro medie
annue, abbassandosi od alzandosi categoricamente, e
col dichiarato metodo. Laonde siffatto Metodo Meteoro-
logico consiste nell’ osservare diligentemente le indica-
zioni termometriche, igrometriche, barometriche, e nel
verificarne il loro procedimento verso la media annua,
per così preconoscere e predire la meteora acquea di
qualsiasi forma o pluviale, o nevosa, o grandinata. È
le osservazioni comparative, instituite in ordine a que-
sta stessa materia nei diversi climi, e nelle varie sta-
gioni, addimostreranno poi fino a quale estremo di
precisione fisica e matematica, sia perfettibile |’ ora
accennato Metodo di osservazione, precognizione, pre-
dizione meteorologica pratica.
GRIMELLI
CENNI
SU ALCUNI FOSSILI CRISTALLIZZATI
e
SU LA LOCALITÀ LORO, OVE SI RINVENGONO NEL MODENESE
per il
DOTT. FRANCESCO COPPI
— o
Poi alla base nord-est di un colle detto i Caprili,
il quale fa in oggi parte alle terre del Comune di Ma-
ranello nella sezione di Torre della Maina, una piccola
Ertezza, che, per quanto io conosco, credo non essere
fino ad ora stata osservata od almeno rammentata da
alcun Geologo o Naturalista che sia; poichè nè meno
I’ illustre prof. Doderlein, il quale tanto investigò e
studiò queste terre del Modenese, per costruire la sua
ottima Carta Geognostica, ne fa pur cenno. Sembran-
domi intanto che una tale Ertezza, per le particolarità
che offre, non meritasse di essere del tutto dimenticata,
ma anzi.studiata fui indotto a scrivere alcuni cenni in
quel modo, che meglio potrò giudicandomi poco atto
alla trattazione di siffatta materia.
La piccola Ertezza o Erta Ripa o Scoglio, come
denominare si voglia poco importa, giacente nella ora
indicata localita del colle i Caprili, costituisce un breve
tratto della sponda sinistra di un Rio il quale si ap-
pella Rio Bagalo, o dai villici del luogo Rio Beghel,
denominazione forse derivata dal grande limo molle o
pastoso, di cui sempre o quasi sempre è fornito il suo
Sgr
letto e specialmente poi nella località della quale ora
è discorso; e può essere cagione di ciò la natura delle
roccie che formano il letto del Rio istesso e che sono
per lo più marne argillose, che presentando incavi più
o meno ragguardevoli trattengono facilmente le acque.
Tale Ertezza consta di sabbie per lo più calcaree, poi-
chè danno luogo ad una grande effervescenza se si ce-
mentano con l’ acido nitrico od altro acido qualunque
con poche ed esilissime laminette di mica argentea; e
colorate disugualmente in giallo o giallo -rossastro, da
qualche sostanza metallica, che probabilmente sarà un
ossido di ferro. Sabbie che stimo identiche o almeno
contemporanee delle sabbie gialle plioceniche, che il già
citato Chiarissimo Prof. Doderlein dice coronare le col-
line del Modenese e del Reggiano e che soprastanno
immediatamente alle marne furchine plioceniche con-
chiglifere. La stratificazione delle sabbie che costitui-
scono | Ertezza in discorso è male definita, il che può
facilmente eziandio dipendere dalla ristrettezza del luogo
in cui si osservano: tuttavia in alcuni interrotti tratti
si fa più appariscente e si mostra in estratti inclinati
verso Nord-Est, cioè nello stesso senso, nel quale si
presenta quel versante settentrionale del già più volte
accennato colle i Caprili. Quei strati, che meglio appa-
riscono hanno uno spessore di pochi decimetri ed hanno
una consistenza maggiore dell’ intiero deposito, per una
sofferta cementazione calcarea la quale in alcuni punti
si offre cristallina, con cristalli, più spesso, di piccolis-
sime dimensioni. Alla loro consistenza è dovuta la fa-
cile loro manifestazione, perchè ponno più resistere
agli agenti atmosferici, ed agli altri agenti esteriori e
così formano risalti nell’ Ertezza medesima. In riguardo
pei alla cementazione e cristallizzazione della roccia, io
sono del parere essere sì l’ una che l’ altra dovuta ad
una semplice azione chimica, derivata da infiltrazione
MRI) Go
di acqua minerale, e non gia ad azione metamorfica
del calore, poichè quella localita non dà indizio dell’esi-
stenza di un tale agente; inoltre la disposizione degli
strati, 1 quali benchè oggi leggermente inclinati, pure
nella loro origine doveano essere orizzontali o quasi
orizzontali essendo deposito sedimentario; onde in tale
senso non credo possa manifestarsi gli effetti del calo-
rico; di più posso aggiungere che talora si osservono
prolungamenti, quasi direi stalattitici che protendono
alquanto nei strati sottostanti incoerenti. Se adunque
debbo escludere 1’ effetto del calorico, dovrò di neces-
sità ammettere la prima delle cause indicate, I’ azione
chimica.
Da quello che ho ora esposto emerge di dovere am-
mettere l’ esistenza di una sorgente di acqua minerale
nella località in quistione. A provare questo mi sia solo
concesso di fare una supposizione, che si potrà dire es-
sere del tutto gratuita, ma per altro non la credo im-
possibile ma sibbene molto probabile, per non dirla
quasi certa; ed ecco quale è la supposizione che io
faccio: che esistesse un tempo su quella falda setten-
trionale del colle i Caprili una lussureggiante vegeta-
zione. Ciò posto credo opportuno di passare all’ esame
orittognostico il colle stesso, per servirmi di questo a
provare in seguito quale andamento dovesse di neces-
sità avere la sorgente minerale. Le roccie adunque che
compongono il colle. sono per la maggior parte marne
argillose conchigliacee, le quali formano tutta la falda
meridionale dalla base del colle fino alla sommità, e la
falda di levante e ponente pure dalla base quasi fino
verso l’ apice, ma in questo rimangono sempre più basse
a misura che si procede dal mezzogiorno verso la falda
settentrionale, nella quale falda si trova da prima il
suolo o terreno coltivabile, e verso la base della stessa
falda dopo il suolo comparisce la sabbia calcarea che
i
forma Il’ Ertezza. Da quanto ho io adesso esposto si po-
trebbe dedurre essere il colle isolato, ma questo non è
realmente; poichè dalla parte meridionale si continua
con gli altri colli che vanno poi a fondersi con la prima
catena delle montagne; e se io dissi essere quel fianco
composto di marna argillosa, lo dedussi dall’ osservare
essere pure tali le altre due parti o fianchi attigui, i
quali mostrano porzioni denudate e trasformate in bu-
roni o scogli come si suole appellare, composti di pura
marna argillosa. È sono questi scogli che sempre molto
utili tornano al naturalista, perchè gli offrono veri ta-
gli della corteccia terrestre, ne’ quali bene appariscono
le disposizioni degli strati od anche dei terreni in ge-
nere; e perchè ivi si rinvengono più che in ogni altra
località gli avanzi fossili ed in modo principale quelli
dei molluschi nell’ intiera catena delle nostre colline
subapenniniche, e perchè ivi si possono eziandio trovare
nella posizione in cui giacevano al punto del loro sot-
terramento all’ epoca della formazione del deposito, dalla
quale posizione emergono altri più giusti criterii sia
relativi al deposito stesso che ai fossili che racchiude.
Ma ciò basti; altrimenti anderei troppo a lungo se vo-
lessi tutte enumerare le utilita che apportano sifatti
scogli o burroni al Naturalista indagatore degli avveni-
menti terrestri, mentre arrecano danni più o meno rag-
guardevoli ai possessori dei terreni; e mostrerei con
ciò di avere dimenticato l’ oggetto principale di questi
miei cenni. Quindi è che adesso di nuovo mi riduco
coll’ osservare come l’ acqua meteorica caduta nella falda
settentrionale del colle i Caprili, supposta già questa
ricoperta di buona vegetazione, avrà essa (vegetazione)
necessariamente lasciati nel suolo molti detriti, i quali
con la loro decomposizione avranno dato luogo ad uno
sviluppo abbastantemente considerevole sì nel suolo che
nell’ atmosfera circostante di acido carbonico, si sarà
Lea
facilmente appropriata un tale acido, essendo essa allora
del tutto o quasi affatto priva di ogni altro principio mi-
nerale; usando io una tale espressione non già jin istretto
senso, perchè allora I’ acqua istessa pure si compone di
due principii minerali, idrogeno ed ossigeno, ma sib-
bene intendo con ciò di indicarla priva di quei prin-
cipii eterogenei, per così esprimermi, alla propria intima
composizione, che sono poi quelli i quali le fanno con-
ferire l epiteto minerale quando ne possiede. L° acqua
appropriatosi così l’ acido carbonico, che avrà incontrato
prima nell’ atmosfera circostante a quel luogo, indi nel
suolo di questo istesso; continuando ad obbedire alle
forze della gravità avrà teso a portarsi nelle parti più
basse. È qui torna opportuna l’ osservazione, già più
sopra indicata, dell’ andamento inclinato verso il nord
che hanno le marne argillose costituenti il colle, le quali
marne essendo prevalenti in argilla sono poco penetra-
bili dall’ acqua; onde questa più facilmente che attra-
versarle, per tendere al centro di ogni gravità, sarà tra-
scorsa alla superficie delle medesime offrendogli un piano
inclinato verso il nord; per indi portarsi ad infiltrare il
deposito sabbionoso, che è per natura più permeabile
e che trovasi nella più volte indicata falda settentrionale
del colle in prossimità della base. Quale ulteriore anda-
mento abbia l acqua seguito? Credo impossibile stabi-
lirlo, avendolo indicato fino la ove | acqua ritorna in
possesso dei segreti della natura. Intanto l acqua per-
correndo un tale viaggio, incominciando dalla sua ori-
gine nella sommità del colle, fra roccie che contengono
principii calcarei, li avrà con facilità sciolti, essendo
essa acqua in parte mineralizzata dall’ acido carbonico,
e soggetta ad atrito contro le roccie dovendo infiltrarsi
nei piccoli meati che le roccie stesse le potevano pre-
sentare per la propria loro natura, ed in quelli che
I acqua medesima poi si poteva formare con la soluzione
na INSGRTI e
delle minime particelle calcaree; la infiltrazione del li-
quido sarà stata dovuta alla gravità del liquido, e da
ciò alla pressione maggiore che avranno sofferto le mo-
lecole liquide trovantesi alla parte inferiore del colle,
di quella che soffrivano le altre successivamente supe-
riori. Trovandosi così a livelli differenti in vasi comu-
nicanti, doveano tendere le molecole acquee a disporsi
alla orizzontalità ed uguaglianza di livello; e quindi le
più alte molecole acquee doveano premere le altre suc-
cessivamente sottostanti per discendere. Da ciò ne segue
il continuato movimento delle molecole acquee diretto
dall’ alto al basso; movimento il quale avrà durato fino
a tanto che sarà caduta acqua meteorica in quella lo-
calità, la quale per altro essendo molto ristretta, non
sarà al ‘certo, stata continuamente soggetta a pioggie o
ad altre cadute di acque meteoriche; onde di necessità
ne viene che il movimento nelle roccie non potè essere
continuato ma anzi intermitente, secondo cioé la caduta
o no delle acque meteoriche. Non essendo pertanto la
sorgente minerale continuata, si può, credo, da ciò ra-
gionevolmente dedurre, che i primi corsi di acqua acì-
dificata, dall’ acido carbonico, non avranno fatto altro
che formare piccoli vuoti nella roccia sabbionosa, là ove
la natura stessa della roccia presentava i principii atti
ad essere sciolti in condizioni più favorevoli; ed i suc-
cessivi corsi di acqua avranno formato altri vacui in
altri punti della roccia, per poi precipitare la sostanza
minerale in quei piccoli spazietti formati dalle prime
acque, che queste avranno lasciati vuoti, continuando il
loro decorso verso le parti basse e non essendo per
allora più rinforzate nella loro origine. La sostanza mi-
nerale precipitata in alcuni punti non avrà servito ad
altro che come cemento della roccia, mentre in altri
punti, e posso supporre in quelli ove erano vacui più
grandi e liberi da ogni altro principio, la sostanza mi-
da RO
nerale si sarà deposta allo stato cristallino. Ed ecco
adunque quale sarebbe stato il modo di cristallizzazione
di quei strati dell’ Ertezza; modo del tutto meccanico
e chimico e non già metamorfico per azione del calore.
Per altro può anche darsi che non fossero le prime mo-
lecole acquee dei corsi successivi che dessero luogo alla
cristallizzazione, come or ora ho supposto, ma sibbene
fossero le ultime molecole acquee dei primi corsi, le
quali trovandosi sature della sostanza minerale ed es-
sendo gradatamente in esse diminuita la pressione, per-
chè non erano seguite da altre molecole acquee come
lo erano le prime che formarono a loro i vacui, le quali
perciò non potevano dare luogo allo sviluppo dello gas
acido carbonico che manteneva sciolta la sostanza mi-
nerale, perchè soggette sempre alla pressione, mentre
per le ultime di esse molecole poteva sibbene cagionarsi
lo svolgimento del gas ed indi la precipitazione cristallina
del principio minerale. Siccome questa seconda maniera
dà meglio spiegazione dei fenomeni, così la giudico assai
più probabile della prima. Continuando in tal modo il
processo delle cose, pel corso di tempo indeterminabile
si saranno originati quei strati cementati o cristallini,
che fino da principio ho indicato farsi appariscenti nel-
I’ Ertezza, de’ quali benchè si può accertare avere pic-
cole dia in ispessore giacchè ci si presentano in
testata, non si può egualmente giudicare delle estensioni
loro in lunghezza e larghezza che sono nascoste dalle
roccie soprastanti.
Mentre io venivo scrivendo le ora esposte cose, mi
sorse alla memoria, che alcuno avrebbe potuto - obbiet-
tarmi che quel terreno sabbionoso erasi depositato prima
della formazione della collina e non potersi quindi ay-
verare l’ andamento che io supposi nell’ acqua minerale.
Ma se è vero, come è, che il deposito sabbionoso sia
anteriore alla formazione del colle od in generale di
SR
quella catena a cui esso colle appartiene, poichè la non
orizzontalità degli strati lo manifesta, da ciò non credo
però potersi negare l’ andamento supposto nell’ acqua
minerale, perchè la giudico di origine posteriore assai
alla formazione del deposito sabbionoso e del colle istesso,
e quindi anche la cementazione o cristallizzazione del
deposito essere accaduta dopo assai alla sua formazione.
Ed a questo riguardo mi sembra alquanto troppo avan-
zato 1l giudizio che emette l On. Sig. Montagna al
fl. 155 del suo lavoro intitolato generazione della terra,
là ove dopo di avere parlato delle verità e fatti risguar-
danti le sorgenti termali dice: « Se | arenaria si vedrà
a succo calcareo, si giudicherà che soluzioni di carbo-
nato di calce accompagnavano la formazione del depo-
sito. » lo non dissi essere falso un tale giadizio che
non è, ma troppo avanzato, poichè se si interpretasse
alla lettera, come forse io feci, si dovrebbe ammettere
la contemporaneità del cemento alla formazione del de-
posito, dalla sola osservazione del fatto di trovare una
roccia cementata. Non voglio negare la possibilità del
fatto, che sarebbe un errore; ma solo io sono del pa-
rere che più spesso si debba ammettere I origine del-
l’acqua minerale o cementante posteriore alla formazione
del deposito cementato e molto più quando questo sia
di origine acquea; e quando non si venisse ad amettere
in quella qualsiasi localita del deposito l’° azione dei
sollevamenti e dei abbassamenti; giacchè trattandosi di
depositi sedimentarii fino che questi saranno coperti
dalle acque, l’ azione del cemento potrà poco manife-
starsi se non trattasi per caso speciale di cementazione
idraulica, che può accadere ogni qualvolta un’ acqua
contiene chimicamente sciolto il carbonato calcare e
meccanicamente sospese materie argillose. Per ripren-
dere il filo di questi miei cenni e tralasciare di pro-
nunciare alcun giudizio sui lavori altrui, che non sa-
6
Deli 17, MACOS
rebbe altro che un male mio ardire, debbo fare osser-
vare il fatto di avere l acqua minerale percorso strati
intermedii principalmente del deposito, di quello che
averlo abbracciato tutto, come mi sembrerebbe essere
dovuto accadere, ammettendo | origine della sorgente
minerale posteriore già alla formazione dell’ intiero de-
posito. Questo fatto però può darsi essere avvenuto per
accidentalità inerenti a quei strati, vuoi per la disposi-
zione delle particelle minerali che li compongono, vuoi
anche perchè potevano essere di natura diversa da quella
degli altri strati, e reputo anzi questa una delle cause
principali che indussero una tale modalità di struttura
o di consistenza nei strati della roccia; poichè quantun-
que alla semplice osservazione fatta ad occhio nudo non
sembrino essi strati diversi dagli aitri, pure munendosi
l'occhio di una lente si vede in quelli e specialmente
nelle parti più cementate una grande quantità di piccole
conche di molluschi framiste a framenti più o meno
grandi appartenenti ad altre conche di maggiori dimen-
sioni. Non una parola più aggiungo alla descrizione
della localita e della supposta sorgente minerale per
venire ora a trattare dei fossili che V Ertezza rinserra.
Gli avanzi organici che una siffatta £rtezza racchiude.
appartengono tutti a molluschi marini, per quello che
fino ad ora io conosco, e principalmente deli’ ordine dei
conchiferi, tra i quali posso annoverare i seguenti ge-
neri: Venus, che è il più abbondante, Citherea, Lucina,
Tellina, Cardium raramente; e per ora non mi fu dato
di ritrovare che un unico individuo appartenente ai Ga-
steropodi, il quale mi sembra spettare al genere Rostel-
laria e forse anche alla specie molto comune in quasi
tutti 1 depositi terziarii cioè la R. Pespelicani, questo
non posso asserire che in modo assai dubbio. Non sono
i gusci o testi dei poco anzi indicati molluschi che
una tale località ci conserva ma i soli loro modelli in-
DL
terni o nuclei, e quello che più interessa è il diverso
loro modo di conservazione; poichè ve ne ha di quelli
che sono formati di calcare o calcite pura e cristallizzata,
altri constano di calcite in parte cristallizzata ed, in
parte di sabbia, altri di sola sabbia allo stato. coerente
ed altri ancora di sabbia incoerente. E quindi passo a
parlare di ciascuno di questi modi in particolare.
Incominciando dal primo degli accennati modi di con-
servazione dei modelli interi, da quello cioè che. ci offre
i modelli di puro carbonato calcare o calcite. cristalliz-
zata osservo che quando si ha |’ intiera forma del mo-
dello non si può conoscere sotto quale figura cristallina
si presenta il carbonato calcare; ma quando si ha una
forma del modello più o meno incompleta, la calcite. si
offre più generalmente cristallizzata. nel tipo schalenoe-
drico dell’ On. Prof. Bombicci o metastatico di Haiy;
e quello che è più notevole si è che si vedono talora .
addossati alle faccie dei cristalli tante laminette trian-
golari sempre disposti in ragione decrescente, le quali
credo indicare la maniera di formazione dei. cristalli
istessi, onde potrebbero anche servire alla determina-
zione delle leggi cristallografiche. Ho detto che la calcite
è pura, ma questo non è per tutti i casi, che anzi più
spesso si trova compenetrata da sostanza minerale, che
sarà al certo quella. medesima che già indicai. colorire
la roccia intiera, cioè un ossido di ferro, il quale. non
toglie alla cristallizzazione la sua trasparenza, ma solo
le partecipa in alcuni casi un colore più o meno gial-
lastro; e che in alcuni modelli forma talvolta una lieve
crosta alla loro superficie esterna, che nasconde in. tale
modo ia struttura cristallina che pure ha il modello
istesso nel suo interno; crosta che forse va aumentando
col stare il modello esposto agli agenti atmosferici nella
roccia e può anche darsi che siano questi che gliela
producono. Ciò che si deve eziandio notare in questi
Lee
modelli cristallizzati si è che la maggior parte sulla loro
superficie offrono dei rialzi ad angoli vivi, i quali si
diriggono o per linea retta o per linea curva in tutti
1 sensi ed anche incrocicchiandosi fra loro. Rialzi che
altro non indicano che quando Ja conca fu penetrata
dalla sostanza mineralizzatrice era già spezzata in varii
framenti, i quali però conservavano tuttavia 1 loro mu-
tui rapporti, da lasciare ancora suscitare |’ interna forma
della conchiglia. Ed 1 rialzi si sono formati per protra-
zione della sostanza minerale nelle crepature o fessure
che lasciava l'uno frammento con l’altro attiguo; crepa-
ture le quali più spesso presentarono la loro massima
apertura nella faccia interna della conchiglia, come facil-
mente si può rilevare datla forma prismatica triangolare
dei rialzi istessi essendo una delle faccie del prisma
triangolare poggiata od imedesimata con il modello;
non è però questa la sola forma che hanno 1 rialzi giac-
chè sono molte ed indescrivibili. Altre volte invece di
rialzi si hanno porzioni incavate nella superficie del mo-
dello istesso, le quali dimostrano che alcuni dei fra-
menti si erano più internati. degli altri nel cavo della
‘conchiglia. Il fatto troppo certo di trovarsi le conche
in frammenti e nel tempo stesso non disordinati, mi sem-
bra chiaramente provare, che la sorgente minerale, la
quale diè il cemento e la cristallizzazione alla roccia e
quindi anche ai modelli di conchiglie, che essa roccia
racchiude, ebbe una origine posteriore alla formazione
di quel deposito. Le crepature delle conchiglie che pure
sì osservano nei modelli perfettamente cristallizzati, bi-
sognerà ammettere che non apparissero alla defi
esterna della conchiglia o fossero talmente a contatto
da non permettere alla sabbia del deposito di insinuarsi
con l’ acqua minerale nel loro cavo interno; qualora non
si ammettesse essere accaduta prima la cementazione
della roccia esterna, nel quale caso mi sembrarebbe
ol pi i see
molto difficoltato anche | ingresso dell’ acqua minerale.
I modelli che si presentano più completamente cristal-
lizzati appartengono più spesso ad individui di piccole
dimensioni sia che fossero tali per specie e perchè gio-
vani di età. La via di formazione di questi modelli com-
pletamente cristallizzati, giudico potersi spiegare nello
stesso modo che io supposi la cristallizzazione della roc-
cia, sostituendo ai vacui presupposti nella roccia istessa
i vacui o le camere delle conchiglie. Qui però sembra
impossibile la conservazione della conchiglia, che pure
bisogna ammettere per avere la forma del suo spazio 0
camera interna e come il modello lo dimostra, essendo
essa conchiglia costituita di puro carbonato calcare con
poca sostanza organica, la quale anche nel caso in qui-
stione era forse quasi del tutto svanita; ma a questo
riguardo posso osservare che quando I’ acqua minerale
giungeva ad occupare lo spazio della conchiglia per ivi
cristallizzare poteva essere satura al suo massimo grado
per non essere più capace di sciogliere altro carbonato
calcare; possibilità che io giudico potersi dedurre dal
grado di perfezione dei cristalli e dalle dimensioni loro
che ci presentano i modelli. Hl fatto, poi già menzio-
nato, di avere più spesso i soli modelli di piccole di-
mensioni cristallizzati, mi sembra venire in aiuto di tale
supposto, perchè il. precipitato cristallino, quasi in un
atomo, avrà costituito | intiero modello, essendo anche
più perduratura la conchiglia di individui giovani, come
abbondante in sostanza organica. Non avendo però io
escluso il caso di darsi modelli delle più grandi dimen-
sioni che quel deposito ci offre, e giacchè io stesso ne
conservo alcuni nel piccolo Lio di mia famiglia,
si saranno formati nello stesso modo adesso ni
ma quello che noto in questi di rimarchevole, nel loro
interno presentano come dei frammezzi ossia delle in-
terruzioni di cristallizzazione, le quali se non erro giu-
— 0% =
dico esse venire a comprovare che la sorgente minerale
era interrotta e non continuata. Poc’ anzi ho dimostrato
la necessità di dovere ammettere la conchiglia all’ epoca
in cui si formò il nucleo, appunto per avere questo, ed
il fatto abbastanza chiaro lo prova, pure vengo in adesso
a fare osservare che la conchiglia non più esiste nel
deposito ad eccezione di alcuni casi in cui si hanno
pochi frammenti, i quali sono egualmente ridotti alla
struttura cristallina. Nulla più aggiungo rispetto a que-
sto primo modo per venire a trattare del secondo su-
periormente indicato.
Impertanto il secondo indicato modo di conservazione
è quello di avere il nucleo composto non più di sola
pura calcite, ma a questa è unita della sabbia della
stessa natura di quella della roccia; e cosa degna di os-
servazione è di essere la stessa sabbia ora libera od in-
coerente ed ora cementata. Se è libera o poco coerente
quando il modello si leva dal proprio deposito si spo-
glia di essa sabbia e rimane più o meno incompleto
secondo il posto che ella occupa in confronto della parte
cementata e cristallizzata. E vero che il volere tentare
la spiegazione di tutti i fatti ed avvenimenti che acca-
dono od ‘accaduti sono nella natura, e specialmente nei
suoi segreti come sono i fatti di cui io tratto, è cosa
troppo azzardosa, e spesso non espone ‘che a idee false ‘e
assai dubbie; tuttavia non tralascio di esprimere le mie
idee relative a questo modo di formazione di modelli,
come per gli altri che verrò in seguito ‘esponendo. Ed
ecco quali sono intanto quelle relative al modo ora in
quistione. Trovandosi la conchiglia in posto con le sue
valve ‘perfettamente chiuse e con lo spazio interno vuoto
essendo anche le valve in frammenti, come ‘può rile-
varsi dai ‘rialzi o porzioni alquanto depresse ‘nelle parti
cristallizzate del nucleo istesso, abbia potuto ‘penetrarsi
da prima ed assai lentamente la sola acqua ‘mineraliz-
PAIR, LOI
zatrice ed incominciare entro la conchiglia stessa il pro*
prio lavoro di cristallizzazione. Giacchè giungendo l acqua
lentamente nel cavo delle conche, che essendo prima
vuoto, avrà ivi di necessità sofferto meno pressione e
quindi non più potere racchiudere in se l° eccesso di
acido carbonico, il quale costituiva il bicarbonato calcare
solubile nell’ acqua, dal quale svolgimento di acido car-
bonico ne deriva la conversione del bicarbonato in car-
bonato calcare che è insolubile nell’ acqua e che perciò
questo dovette precipitare allo stato cristallino. Siccome
poi in questi modelli si osservano generalmente cristalli
di piccole e piccolissime dimensioni così, reputo di po-
terne dedurre, per la stessa ragione, benché in caso
inverso, poco sopra accennata, che |’ acqua minerale
dovea essere scarsa. Ora a completare la spiegazione del
modo di generazione di tali nuclei, mi valgo dello svi-
luppo del gas acido carbonico, che avrebbe avuto luogo,
nell’ ora supposto modo di comportarsi l’ acqua mine-
ralizzate e del liberarsi di questa di tutta o quasi
tutta la parte minerale, che ha depositato allo stato
cristallino, per aremettere così la formazione di una
nuova acqua aciduieta nell’ interno della conca istessa,
la quale poi avrebbe intaccato e cominciato a sciogliere
quella parte del guscio non ancora occupata dalla cri-
stallizzazione, da formarne così aperture e da permet-
tere alla roccia sabbionosa di insinuarsi in quel rima-
nente cavo. Frattanto così procedendo le cose la nuova
acqua si sarà mineralizzata a saturazione da dare ce-
mento alle prime sabbie che si addentrarono nel cavo.
E quando la nuova acqua mineralizzatrice formatasi
nell’ interno della conchiglia non sarà stata a sufficienza
per logorare l’ intiera conca nell’ atto della formazione
del nucleo, e cementare tutta la sabbia che potè in essa
insinuarsi, è gioco forza ammettere dovere essere una
porzione di questa sabbia rimasta incoerente. Nel quale
Beat (tica
caso si può vedere il modello completo o quasi com-
pleto solo quando si osservi nell'atto che esso si estrae
dal deposito, perchè la sabbia incoerente non può a
lungo conservare la forma che ha assunta nella conchi-
glia. Però alcune volte accadde, anche quando si faccia
I’ osservazione nel luogo del deposito, di estrarre mo-
delli del tutto incompleti, composti di alcune parti cri-
stallizzate. Può questo spiegarsi, a mio giudizio, col-
IP ammettere la formazione della nuova acqua acidulata
talmente celere ed abbondante, da potere logorare tutta
quella parte della conchiglia libera da precedente cri-
stallizzazione, prima che potesse internarvisi la sabbia
ed assumerne Ja forma, offrendogli essa acqua il cemento.
Altrimenti può essere eziandio ciò avvenuto perchè la
sabbia esterna attorniante la conchiglia era di già stata
cementata dall’ acqua della sorgente minerale primaria
e non poteva così obbedire alla forza di gravità che
avrebbe obbligata a discendere nel cavo quando si
fosse trovata allo stato incoerente, come dovette essere
per il caso in appresso accennato; e così opporsi anche
alla forza meccanica di trasporto dell’ acqua infiltrante.
Allorachè poi avvenga di osservare modelli incompleti
in parte cristallini ed in parte di sabbia cementata; ciò
posso supporre essere stato per una azione intermedia
alle due precedenti; cioè, l acqua di sorgente primaria
avrà incominciata la sua cristallizzazione, quindi la nuova
acqua acidulata che si sarà formata in tale processo,
“avra esercitata lentamente la sua azione nella conchiglia
e formare così delle fessure in quelle parti che per altri
agenti o per la posizione stessa della conchiglia erano
più deboli; per tali fessure entrata la sabbia 1’ avrà ce-
mentata, non essendo sufficiente ad empiere |’ intero
cavo prima che per la continuata azione distruttiva della
conchiglia, venisse questa consumata. Così il modello
sarà rimasto incompleto libero e talora anche con ec-
A Ge
cesso di sabbia cementata, dall’ acqua che ne portò |’ in-
tiera distruzione delle conche, sotto forme svariate ed
indescrivibili,
Un altro modo sotto il quale ci si presentano gli stessi
avanzi organici e nel medesimo deposito è quello di
modelli interni di pura sabbia incoerente senza menoma
traccia di cristallizzazione e senza anche potere osser-
vare il guscio del quale ne rappresenta la forma interna.
Cosa che credo non potersi altrimenti spiegare se non
se ammettendo che non vi sia giunta | acqua minera-
lizzatrice, o che questa vi sia pervenuta quando la conca
era già riempiuta di sabbia, la quale benchè incoerente
pure ci offre un principio di adesione maggiore, di
quello che ha la roccia istesea attorniante. È questo
forse per essere stata compressa nel cavo della conchi-
glia quando essa venne interrata, priva già dell’ ani-
male e che quindi le sue valve non erano tenute stret-
tamente aderenti, con forza 1° una all’ altra, e rimanendo
alquanto aperte la sabbia ne avrà invaso ogni vuoto,
ed in seguito sarà stata compressa per il proprio peso
a cagione de’ nuovi strati che si depositarono successi-
vamente su quello che racchiuse la conchiglia istessa.
Per renderci ragione del come trovasi il solo nucleo,
dovrassi di necessità supporre, che dopo che si fu for-
mato sarà stato invaso da acqua acidulata la quale avrà
sciolta la conchiglia, o perchè anche fu essa trasportata
dall’ azione meccanica dell’ acqua, essendo in essa sva-
nita la sostanza organica ed indi ridotta allo stato pol-
verulento, qualunque sia stata |’ azione che fece svanire
la sostanza organica.
Un quarto e per ora ultimo modo di nuclei o mo-
delli, che venne dato di osservare nello stesso deposito
sabbionoso è quello di muclei pietrosi non offrenti
in parte alcuna traccie di cristallizzazione, e che in-
vece si trovano tuttora attorniati dalle conche; cosa
gpl
che mai o quasi mai si presenta in tutti gli altri modi
superiormente indicati; conche poi che si riducono in
polvere quando siano appena tocche e levate dal posto
loro, e più ancora scompariscono se si espongono i nu-
clei agli agenti atmosferici.
Fino ad ora ho ‘parlato dei nuclei considerati in se
e non ho fatto cenno del modo loro di ritrovarsi nella
roccia per costituire quello che puossi denominare de-
posito di fossili, e nel quale adesso mi fermerò con po-
che parole. I nuclei o modelli perfettamente cristallizzati
si trovano più specialmente dispersi od ammucchiati,
non mai in grande quantità nella parte sud dell’ Ertezza
in quei strati che fanno più mostra di se nella mede-
sima Ertezza. Non è però che i detti nuclei cristallizzati
si trovino solamente in questi strati; giacchè quantun-
que più raramente, furono anche trovati solitari al di-
sopra e più al disotto degli indicati strati, nella roccia
incoerente, ma sempre però nel lato meridionale della
Ertezza. Gli altri modelli cristallizzati in parte, ed in
parte di sabbia cementata si trovano frammisti ai cristal-
lizzati nei strati resistenti. Quelli poi di sabbia incoerente
si rivengono in modo speciale al disotto delle tante volte
accennati strati resistenti, sempre solitari e sono anche
‘alquanto rari; rarità forse anche proveniente dal non
‘poterhi ‘osservare che quando si scavi la roccia in luogo
‘e ‘con certa cura perchè facilmente si confondono con
la roccia istessa. Da ultimo i nuclei realmente petrefatti
sì trovano confusamente mescolati in uno strato resi-
stente che apparisce verso il lato nord dell’ Ertezza strato
resistente per cementazione della roccia che non è mai
in alcun punto cristallino, come ciò talvolta si osserva
negli altri strati resistenti situati verso il lato meridio-
nale, ove si rinvengono eziandio i nuclei cristallizzati.
Tutto questo che ho fino adesso riferito circa i fossili
verte su modelli interni di molluschi bivalvi, perchè
op 1] O VARESE
sono i soli si può dire che si trovino in tale deposito.
Tuttavia ho eziandio riscontrato, come in altro incontro
indicai, un univalve, il quale perciò merita speciale men-
zione. Questo univalve mi sembra con molta probabilità
appartenere al genere Rostfellaria e con molta dubbiezza
alla specie comune dei depositi terziarii pliocenici, R. Pe-
spelicani; e questa dissi con molta dubbiezza perchè non
se ne vede che una minima parte, essendo la restante
chiusa in una porzione di roccia indurita, e nella quale
si trovano pure altri tre nuclei di bivalvi, che offrono
disposizioni diverse ed intrecciate, onde difficilmente si
potrebbe levare la Rosfellaria senza portare il dissesto
e rottura negli altri tre nuclei e così togliere il bello
che l’ insieme presenta. La porzione della ftostellaria
posta in tal modo, che si può osservare è la sua parte
superiore conica che è in parte cristallizzata, la vera
estremità, la quale per altro mancando di una piccola
porzione dell’ apice ci fa vedere che la sfaldatura o
clivaggio della massa cristallina, non potendo usare
con proprietà del termine cristallo, perchè non ci pre-
senta vera forma geometrica come si dovrebbe inten-
dere coll’ uso di un cotal termine, si mostra in dire-
zione parallela all’ andamento della spira istessa. La
porzione intermedia non ci offre la struttura cristallina
perchè è involta da una crosta calcareo-sabbionosa in-
durita la quale ci da ancora grossolanamente la forma
della conchiglia e ci lascia ben vedere le prominenze
che attorniano | angolo superiore della spira.
La rarità e quasi totale mancanza di conchiglie uni-
valvi in questo deposito, può essere dovuta alle circo-
stanze speciali che erano inerenti a quella porzione di
fondo o spiaggia di mare da non potere alimentare cd
almeno permettere il soggiorno e la vita dei detti mol-
luschi univalvi in esso luogo. Ma si può ‘eziandio attri-
buire a cause posteriori alla formazione del deposito
— 100 —
istesso, unite alle condizioni individuali che presenta la
conchiglia univalve; e queste sono di avere essa sempre
la bocca aperta quando sia stata abbandonata dall’ ani-
male, e da ciò 1° altra conseguenza naturale di essere
facilmente riempiuta dalla sabbia o limo, che fosse, fino
quando il deposito era in via di formazione. Così l° in-
tiero cavo della conchiglia e specialmente poi dove
presenta le sue più ampie dimensioni occupato dal limo,
avrà impedito all’ acqua mineralizzatrice d’ internarsi e
compiere la sua cristalizzazione, come potè fare nelle
conchiglie bivalvi e segnatamente in quelle che diconsi
chiuse, e queste sono quando il margine dell’ una conca
si adatta perfettamente su tutti i punti del margine
dell’ altra conca, come appunto ce ne offrono bei esem-
pii i generi Venus e Zucina; e le Veneri sono quelle
che ci hanno trasmesso i più bei nuclei cristallizzati.
La chiusura delle conchiglie bivalvi non si deve però
intendere che fosse tale da impedire | ingresso nell’ in-
terno suo vuoto all’ acqua minerale; mentre nell’ uni-
valve ho supposto non potersi internare | acqua perchè
il suo vuoto era prima occupato dal limo. L’infiltrazione
dell’ acqua minerale nelle prime poteva essere anche
per la via delle fessure che si trovavano fra i vari
frammenti in cui la conchiglia bivalve era certamente
ridotta, come in antecedenza ho fatto rilevare; mentre
la rottura nelle conchiglie univalvi è più difficile perchè
hanno più spesso dimensioni minori delle bivalvi, perchè
di pareti più grosse, e perchè essendo il loro cavo
riempito dal limo, quantunque non potesse essere in
esso compresso a motivo della continuità della parete
della conchiglia, ponno offrire una resistenza maggiore
alle pressioni alle quali possono andare soggette in se-
guito. Fra tanto mentre io voglio dimostrare la facile
scomparsa delle conchiglie univalvi dal deposito, adduco
ragioni e fatti comprovanti l opposto; ma questo feci
— 101 —
per dimostrare le difficoltà che l acqua minerale dovea
avere per internarsi nei loro cavi e cristallizzarl:; e mi
serviranno anche a provare il mio asserto quando ag-
giunga ad essi alcune osservazioni come ora farò. | fatti
esposti sono al certo verità incontrastabili per quei ter-
reni che hanno la proprietà di trasmetterci la vera
conchiglia, come sono la maggior parte delle marne
subapennine conchiglifere terziarie e non gia pei terreni
che ci lasciano il modello della conchiglia come ci pre-
senta il piccolo deposito che è in quistione. Quantunque
eziandio questo deposito si può supporre abbia avuto
ne' suoi primi tempi una siffatta proprietà di conservare
le conchiglie; e l' abbia in seguito perduta dopo l’ av-
venuta sorgente dell’ acqua minerale, la quale da prin-
cipio soltanto acidificata avrà intaccato e sciolto le con-
chiglie; ed anche meccanicamente asportate le particelle
calcaree. E con ciò credo comprovato il mio asserto.
Però rimane una cosa ad essere più dichiarata, ed è
che avendo presupposto la conchiglia riempita di limo,
dovrebbe questo lasciarci il modello anche dopo che la
conchiglia scomparve, ma essendo della stessa natura
della roccia, può facil cosa scomparire alla osservazione
non attenta, ed inoltre questo anche più facilmente
quando ne sia susseguita la cementazione della roccia
e del modello insieme.
Da tutte le premesse cose ne traggo alcune conse-
guenze, che se non m’ inganno credo giustamente po-
tersi dedurre, e così volgo.verso il termine di questi
miei cenni.
La prima intanto delle conseguenze che traggo è:
che il cemento di una roccia non è indizio almeno
sempre dell’ antichità di essa roccia cementata in con-
fronto di altra anche della stessa natura non cementata.
Il.* Che la cristallizzazione di una roccia non deve
sempre giudicarsi effetto di metamerfismo prodotto
— 102 —
dal calore; ma anche effetto chimico di un’ acqua mi-
nerale.
IIT.® Che sebbene per via ordinaria si reputino i
modelli o nuclei dei molluschi cd altri animali più an-
tichi, che la vera conchiglia conservata fossile; onde
taluno anche da 11 nome di fossili ai primi, e di subfossili
alle seconde; tuttavia si può dare casi. come un esempio
ce lo offre quello del quale ho fino ad ora tenuto in
discorso, di avere modelli o fossili come si dice più
recenti delle conchiglie fossili o subfossili. È questo
sarebbe stato per la località in discorso, anche senza il
supporre come feci la sorgente minerale di un’ epoca
posteriore alla formazione del deposito; poichè io stesso,
fino da principio di questi cenni, credei di potere rife-
rire tale deposito al primo che apparisce dei terreni
terziarii ammessi dal prof. Doderlein nella nostra Pro-
vincia; e quindi dopo esso vengono tutti gli estesi de-
positi delle marne conchiglifere, che sono quelle che ci
danno tutti o quasi tutti i subfossili dei terreni terziarii.
Adunque la sola posizione di quel deposito sabbionoso
ci indica una età più recente delle marne sottostanti ed
intanto ci dà esempii di fossili più cue di subfossili,
stando al vero significato di tali parole per alcuni adot-
tato, che sarebbero appartenuti agli ultimi periodi del-
l'epoca terziaria, e forse anche ai primi tempi della
susseguente epoca la quaternaria, qualora io errassi
nell’ assegnare tale deposito contemporaneo alle sabbie
gialle terziarie, che sarebbero le ultime in via di for-
mazione, perchè sono le prime ad apparire procedendo
dall’ esterno e andando. verso l° interno nelle osserva-
zioni geognostiche, quando non vi siano stati dissesti
posteriori mei depositi che possono avere sovvertito
‘ ordine delle formazioni.
Queste sono le conseguenze che a mio parere sem-
brano discendere legittimamente dalle premesse osser-
— 105 —
vazioni; e quantunque dedotte da un luogo ristretto ed
anzi ristrettissimo; pure non è improbabile che ciò
possa avvenire e sia anche avvenuto. poste le identiche
o quasi identiche condizioni, su più ampia scala come
suolsi dire e come veggo spesso supporre anche un illu-
stre ed odierno benemerito della scienza il sig. Lyell.
Così pongo termine a questi miei cenni col pregare
la Società dei Naturalisti a volerli pubblicare nell’ An-
nuario, per rendere noti i fatti che quella località ci
presenta, i quali mi sembrano di qualche interesse; e
nor per merito del lavoro, che è meschina cosa ren-
dendomi io stesso giusto giudice, non curando l’ afori-
rismo legale: nemo est judex in causa propria. Onde
poi se vi avrà qualcuno dotato di più ingegno e più
edotto indagatore degli avvenimenti terrestri, che si
degneraà di passare a lettura questo lavoro potrà dare
migliori spiegazioni dei fatti stessi e dedurre poi anche
più giuste ed opportune conseguenze di quello che io
feci.
INTORNO
MT LABROIDI DEL MEDITERRANEO
STUDI
del
PROF. GIOVANNI CANESTREINI
Anto avuto recentemente degli studi generali assai
diligenti intorno ai Labroidi, pubblicati da Kner, Bleeker
e Ginther. Ma lo studio delle specie ciano di
questa famiglia è tutt'altro che completo. È perciò che
reputo non senza interesse le osservazioni che seguono,
risguardanti parecchie specie nostrane, raccolte in parte
da me, in parte ricevute dalla Sardegna dal prof. Meloni-
Baille e da Venezia dal dott. Ninni, in parte avute in
comunicazione dal civico Museo di Milano per la cortesia
del prof. Cornalia e del dott. Bellotti.
Per confrontare direttamente tra loro le dimensioni
delle varie parti del corpo, mi giovo degli indici. Éd
intendo per indice la dimensione di una parte del corpo
relativamente alla lunghezza totale del pesce, supposta
questa uguale a 100.
— 105 —
I. Labrus turdus BI. Schn.
Tav. VI, Fig. 1.
II muso è mediocremente allungato e piuttosto acuto;
il profilo ascende in linea retta dal muso sino al primo
raggio dorsale. L° indice dello spazio interorbitale è
minore di 4,5. L’ altezza del corpo è pressochè uguale
alla lunghezza laterale del capo. Alla base degli ultimi
tre raggi dorsali esiste una macchia allungata nera;
dall’ occhio alla base della codale scorre una fascia
argentea più o meno distinta ed anteriormente o su
tutto il suo corso orlata di nero. La linea laterale è
formata di tubi semplici e ben distinti; sopra ciascun
occhio notasi una serie di porî ben marcati.
Formula de’ miei esemplari.
18-19
D. 11:12? À. 9. NE Sq. I. I 45- 43, Vert. 38.
Formula secondo Ginther.
D. 17-19 A.
Tati? sa Sq. I. 1. 45, Vert. 20]21.
Formula generale.
De
mon) Menti Sq. 1. 1. 45-48, Vert. 58-41.
Le misure prese sopra tre individui mi diedero i
seguenti indici.
Indice dell’ altezza . . . . . . 25,0-25,9.
» della lunghezza del capo . 25,5-26,5.
> dello spazio preorbitale . . 7,2- 7,8.
”» » interorbitale . 4,0- 4,2.
bo) dell'orbita sonia 5,7- 7,0.
In alcuni esemplari freschi che il prof. Meloni-Baille
7
i
mi mandò da Cagliari, il colore generale del corpo è
un verde che tira. al giallognolo sugli opercoli. La sud-
detta fascia argentea longitudinale è ora più ed ora
meno distinta. Talvolta si osserva qualche macchia ar-
gentea sotto alla fascia predetta. Le pinne sono verdi
giallastre col margine ranciato. o sono interamente ran-
ciate; le pettorali hanno sempre quest’ ultimo colore.
La macchia alla base degli ultimi tre raggi dorsali non
manca in nessuno dei miei esemplari. Potei esaminare
individui della Sardegna, di Venezia e dell’ isola di Le-
sina; il più grande tra i medesimi misura in lunghezza
528 millimetri.
L’ osso faringeo inferiore rassomiglia a quello del
Labrus festivus. Ciascuno delle due corna è all’ apice
troncato obliquamente, in guisa che la faccia di tron-
catura guarda in basso; mancano le alette. Î denîi sono
collocati sopra una superficie pressochè triangolare; la
base di questo triangolo, ossia il lato posteriore, che è
assai più lungo degli altri e leggermente concavo, porta
nel mezzo due denti ottusi più grossi degli altri. Sr
i quali se ne vede uno alquanto più piccolo.
Iovio, De romanis piscibus cap. XX, Turdus. Sunt et
Turdi subviridi colore et frequentibus guttis. ut in
volucribus videmus, variegati atque insignes.
Rondelet, De piscibus lib. VI. L'autore ha un intero
capitolo, che porta il titolo: De Turdoruin generi-
bus. E difficile lo stabilire le sinonimie colle figure
e descrizioni inesatte dateci dal Rondelet. Forse il
primo ed il terzo genere si riferiscono al Labrus
turdus. Bonaparte e Giinther credono |’ Exocoetus
del Rondelet, figurato e descritto nel lib. VI,
cap. XV, riferibile a questa specie; ma mi sembra
più probabile che sia il Labrus festivus, stante la
piccola altezza del corpo.
Aldrovandi, De piscib. lib. I, cap. 1U, De Turdo.
-—- 107 —
Linneo, Systema nat. Labrus num. 32.
Artedi, Genera pag. 54; Synonim. pag. 57.
Bonnaterre, Eneyclop. method. pag. 402; Tabl. ency-
clop. 114, Labrus turdus. L. pinna caudali rotun-
data; dorsali ramentacea; corpore oblongo, subvi-
ridi, maculato. L’ autore descrive le tre varietà di
questa specie, osservate dal Brunnich, tra cui la
seconda forse corrisponde al nostro Labrus festivus.
Lacepède, Hist. nat. des poiss. VI, 152, L. psittacus,
L. turdus. i
Risso, Hist. nat. III, 505, L. turdus. L. corpore viride-
scente maculato: linea longitudinali rubro-argentea;
piuna dorsali radiis ultimis imo basi nigris. É cosa
dubbia, se il L. saxatilis dello stesso autore sì rife-
risca alla medesima specie. poichè la diagnosi e la
descrizione sono assai vaghe. Ecco la diagnosi che
ci fornisce il Risso: L. corpore virescente fusco;
fascia laterali caerulea: abdomine argentato. La
susseguente descrizione non parla che del colore.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 62, L. turdus. Il L. viridis
dei medesimi autori, descritto nel tomo XIII, pag. 75
e figurato nella tavola 570, secondo Ginther è
probabilmente sinonimo del L. turdus.
Nordmann, Faune pontique 449, L. turdus.
Bonaparte, Catalogo metodico pag. 82. sp. 751.L. turdus.
Egli cita come sinonimi il L. luscus? L. Val. ed il
L. ossifagus? Riss.
Nardo, Prospetti sistematici pag. 89. L’ autore cita nel
Prodromus Adriaticae Ichthyologiae pag. 15 un L.
viridis (Verdachio, Donzella verde), forse sinonimo
del L. turdus.
Kessler, Ausziige pag. 89. L’ autore crede il L. turdus
assai raro nel Mar nero.
Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Genova 264.
Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 71.
— 108 —
Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico spec. 238.
Nome volgare a Trieste: Liba.
II. Labrus festivus Risso.
Tav. VI, Fig. 2.
Il muso è piuttosto allungato ed acuta; il profilo ascende
in linea quasi retta sino al primo raggio dorsale. L’ al-
tezza del corpo è minore della lunghezza laterale del capo.
Gli ultimi raggi dorsali portano alla base una macchia
nera; la faccia superiore del capo ed il preorbitale
sono adorni di fascie longitudinali nere; tra l occhio
e la base della codale scorre una fascia longitudinale
argentea più o meno distinta, che talora manca affatto;
sotto a questa fascia esistono delle macchie argentee
disposte in serie longitudinali. La linea laterale è for-
mata di tubi semplici e ben distinti; sopra ciascun
occhio vedesi una serie di tri ben marcati.
18-19
aa, Sul 464)
12-15) E u
Le. misure prese sopra quattro esemplari, tra cui 2
del golfo di Venezia, 1 della Sardegna ed 1 dell’ isola
di Lesina, mi condussero ai seguenti indici.
Indice dell’ altezza del corpo . 19,2-22,4.
» della lunghezza del capo. 26,0-27,3.
» dello spazio preorbitale . 7,9-10,6.
” ”» interorbitale. . 3,9- 4,5.
ni 'ideltotibità tico il 650.
Un esemplare fresco avuto da Cagliari dal prof. G.
Meloni-Baille offre i seguenti colori. Il dorso è bruno
con macchie nere sparse quà e là irregolarmente. La
suddetta fascia argentea e le fascie nere del capo' sono
distintissime. Le guancie sono argentee; la gola è di
— 109 —
questo medesimo colore generale, ma percorsa da tratti
ranciati. L’iride è rossa di fuoco. Il labbro inferiore
porta sulla faccia inferiore due macchie laterali ed
in mezzo una linea longitudinale nera. La metà in-
feriore del tronco è irregolarmente macchiata di tratti
argentei e bruni. La porzione spinosa della dorsale
è bruna, macchiata di punti più oscuri; la porzione
molle della medesima, la codale e I° anale sono ran-
ciate ed ornate di macchie brune disposte in serie;
le pettorali e le ventrali sono puramente ranciate.
L’ osso faringeo inferiore corrisponde esattamente a
quello del Labrus turdus.
Alberto Perugia, nel catalogo dei pesci dell’ Adriatico
pubblicato a Trieste li 12 marzo 1866, addusse una
nuova specie di Labrus, denominata Z. nardii. L’ autore
ne da la seguente diagnosi: « Longitudo capitis fere
equalis altitudini, quae est paullo minor quartae partis
longitudinis totius. Diametrus oculi Li ut longitudo ca-
pitis et situs paululun: ad extremitatem ejusdem. Color
generalis ruberater, et reflexis viridibus, maculae cae-
ruleae, alvus argentea cum maculis citreis, omnes pin-
nae, praeter ventrales quae sunt nonnihil flavae, sub-
nigrae et albis maculis. D. 1a, À. î 6.15, P 12, Vi > ”
lo ebbi un esemplare del Labrus nardii dalla Dal-
mazia; esso era stato confrontato dal Trois cogli esem-
plari del Perugia e trovato a questi identico. Questo
esemplare concorda essenzialmente col Labrus festivus
e perciò credo la nuova specie del Perugia sinonima
di questo. Il suddetto Labrus della Dalmazia ha una
lunghezza totale di 255 millimetri, porta sul dorso 18
spine e 13 raggi molli, nell’ anale 5 spine ed 11 raggi
molli, ed offre 1 seguenti indici.
— 110 —
Indice dell’ altezza del corpo. . 22,5.
» . della lunghezza del capo. 26,2.
» dello spazio preorbitale . 9,0.
» ”» interorbitale. 4,5.
» del diametro dell’ orbita. 5,1.
Il dott. Nardo ha descritto nel suo Prodromus Adr.
Ichthyol. pag. 21, num. 96, un Zabrus pincus, cui as-
segna i seguenti caratteri: « Lab. pedalis et ultra,
flavo hacer maculis pustulosis undique sparsus.
D. do, A. 15° P. 15, V. 6, C. 15. Arupeni frequens, an
Psoro antiquorum referendus. » Il numero dei raggi
dorsali molli di 51 deve essere un errore di stampa
invece di 15; ciò ammesso, credo di non errare, se
riferisco il L. pincus del Nardo al L. festivus Risso.
Rondelet, De piscib. lib. VI, cap. VI, pag. 177. Bona-
parte riferisce il settimo genere al Labrus festivus;
forse vi si riferisce anche l° Exocoetus del lib. VI,
cap. XV.
Aldrovandi, De piscib. lib. 1, cap. III.
Willughby, Hist. pisc. 525, Turdus oblongus fuscus,
_ maculosus.
Risso, Hist. nat. IlÎ, 504, Labrus festivus ( L. paré, sera).
L. corpore obscuro, virescente azureo guttato; linea
longitudinali argentea; abdomine aureo rufo argen-
teoque variegato.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 71.
Bonaparte, Tala sio pag. 82, spec. 732. L' au-
tore cita come sinonimi il L. zione Raf. Cocco,
il L. zittus? Raf. ed il L. ballan Risso.
Nardo, Prodromus Adr. Ichthyol. pag. 21, UL. pincus;
Prospetti sistematici pag. 89, L. festivus.
Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Eerora,
pag. 264.
Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 72. Ecco come ll’ au-
SUR
tore descrive il colore: Reddish-olive on the back;
the scales becoming gradually silvery towards the
belly; an indistinct silvery band along the side of
the body; praeorbital with irregular brown bands;
the lower half on the side of the head reticulated
with orange-yeliow. The soft parts of the vertical
fins with pearl-coloured ocelli edged with violet.
Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20,
sp. 259, L. festivus; spec. 243, L. nardii.
II. Llabrus merula L.
Ved. fig. Cuvier, Regn. anim. Ill. pl. 86, fig. 1.
Il muso è piuttosto allungato e mediocremente acuto;
il profilo ascende in linea quasi retta sino al primo
raggio dorsale. IL diametro dell’ orbita sta circa A 172
volte nello spazio preorbitale. L° indice dello spazio in-
terorbitale è maggiore di 4, 5. L° altezza del corpo è
pressochè uguale alla lunghezza laterale del capo. La
linea laterale è formata di tubi semplici, più distinti
sulla coda che nella parte anteriore del tronco. Sopra
ciascun occhio vedesi una serie distinta di pori. Il corpo
è bruno od olivastro con qualche macchia bruna.
D. SI A. pig Sg: LL 45-46, Vert. 38.
Un esemplare della lunghezza totale di 334 mill., che
ebbi occasione di esaminare a Venezia, era di colore
uniformemente bruno volgente all’ azzurro, avea le pet-
torali gialle oscure e l anale orlata di celeste. Dall’ esame
di questo esemplare e di un altro più piccolo, lungo
151 mill., fui condotto ai seguenti indici.
Indice dell’ altezza del corpo . . 24,5-27,2.
» della lunghezza del capo . 24,2-25,1.
.» dello spazio preorbitale.. . 7,9- 8,9.
” » interorbitale. . 4,9- 5,6.
a dell'orbita io e 6
— 112 —
Iovio, De rom. piscibus, cap. XX, Merula.
Rondelet, De piscibus lib. VI, cap. V, pag. 172, De Me-
rula. Merula piscis est marinus, ex saxatilium ge-
nere, tincae fluviatili similis corporis habitu, colore
ex indico nigrescente, maris color magis ad viola-
ceum accedit: foemina ex vario nigrescit.
Aldrovandi, De piscib. lib. I, cap. VI, pag. 32, fig.
pag. 35, De Merula.
Willughby, Hist. pisc. pag. 520, Turdus niger.
Linneo, Sist. nat. Pisces thoracici, Labrus num. 40.
Artedî, Synonim. Labrus num. 7.
Bonnaterre, Encyclop. method. pag. 251, Labrus me-
rula; Tabl. encyclop. pag. 109, pl. 52, fig. 201.
Labrus pinna dorsali ramentacea; corpore toto cae-
ruleo-nigricante.
Lacepède, Hist. nat. VI, pag. 146 e 224, L. merula.
L'autore assegna a questa specie sole 10 spine e
15 raggi articolati nella pinna dorsale.
Risso, Hist. nat. Ill, 306, L. corpore supra ferrugineo;
latere linea logciidiai caerulea; aa argenteo
azureo punctato.
Cuv. et Val., Hist. nat. XII, 80 e 89, Li merula, L.
- limbatus.
Bonaparte, Catalogo metodico pag. 82, spec. 735. L° au-
tore adduce come specie sinonime le seguenti: L.
livens Brunn., i. lividus? Val., L. psittacus Riss.
Hist. nat., L. limbatus? Val.
Nardo, Prodromus Adr. Ichthyol. pag. 15; Prospetti
sistematici pag. 83, L. merula (Tenca de mar).
Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Genova, Ar-
chivio per la zoologia I, 264.
Ginther, Gat. of Acantb. Fish. IV, 72. Uniform brown
(in spirits), or greenish-olive with some obscure
blackish blotches.
Graells, Manual practico de piscicultura, pag. 115, L.
merula (Mero); L. limbatus (Griva).
— 115 —
Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20, spec.
241 (Liba).
IV Labrus mixtus L.
Ved. fig. Yarrell, Brit. Fish. 3.° ediz. I, pag. 491 e 495. - Cuv. Val.,
Hist. nat. pl. 369.
Ii muso è allungato e piuttosto acuto; il profilo ascende
in linea quasi retta sino all’ occipite e quindi con leg-
gera curva sino al primo raggio dorsale. Il diametro
del orbita sta circa due volte nello spazio preorbitale;
l altezza del corpo è minore della lunghezza laterale
del capo. Il colore varia; la codale, l anale e talora
anche le altre pinne sono orlate di azzurro; le prime
spine dorsali portano una fascia o macchia bruna o
profondamente azzurra.
ia
11-14 TT du
L'esame di due esemplari mi condusse ai seguenti
indici.
5g: 1.1. 46-55, Vert. 59.
Indice dell’ altezza . . . RT
» della lunghezza del no 2 027/5-29.0.
» dello spazio preorbitale . . 12,2-12,5.
”» ”» interorbitale . di, 1- 5,4.
» dell'orbita . . . : 3.3- 6 DI
Il colore dei maschi di spal suole diierisso da
quello delle femine. I primi portano delle striscie az-
zurre sul capo o sul tronco, oppure una fascia longitu-
dinale nera, talvolta sono di colore quasi uniforme; le
seconde vanno munite di una sino a tre macchie nere
nella metà posteriore del dorso. Si possono distinguere
come fece Gunther, quattro varietà di maschi e due di
femine, che tra loro differiscono pel colore del corpo e
delle pinne.
SE
Le corna dell’ osso faringeo inferiore finiscono all’ apice
con faccia ellittica e sono prive di alette. La faccia in-
feriore del corpo di quest’ osso è convessa, tuttavia l’apice
di questa convessità non raggiunge interamente la base
orizzontale, su cui | osso fosse collocato. La faccia poste-
riore è concava. I denti mediani posteriori sono mag-
giori degli altri e rotondati. i
Il-dott. Nardo ha espresso già nel 1827 ii sospetto,
che il Labrus carneus sia specificamente identico al L.
trimaculatus. Nel Prodromus Adriaticae fchthyologiae
pag. 15 e pag. 20, sp. 95, dove trattasi del L. carneus,
leggiamo quanto segue: « An species unica cum Lab.
trimaculato, Risso pag. 219, et Lab. trimaculato, Bon-
nat. pag. 98, num. 44. »
Bonnaterre, Tabl. encyel. pag. 115, pl. 98, fig. 401,
Labrus trimaculatus (La Triple-Tache). È. pinna”
caudali subrotunda; rostro cblongo; fasciis tribus
latis in dorso. L. c. pag. 112, L. bimaculatus, L.
“pinna dorsali ramentacea; macula fusca in latere
medio et ad caudam. Queste due specie sono due
varietà della femina; il L. ossifagus ne è probabil-
mente il maschio. Ved. loco citato pag. 112, dove
troviamo la seguente diagnosi: L. ossifagus, labiis
plicatis, pinna dorsali radiis 50. — Encyclop. me-
thod. pag. 220 e 281.
Lacepède, Hist. nat. VI, pag. 145, L. trimaculatus (fem.),
L. mixtus (mas.), pag. 154, L. variegatus (mas.);
pag. 155, L. coquus (mas.); pag. 151, L. ossiphagus.
Risso, Hist. nat. Ill, 299-508, Labrus pavo, corpore vi-
ridi aureo, caeruleo aurantio variegato; pinna dor-
sali lutea; caeruleo maculata; L. ossiphagus, cor-
pore supra fuliginoso, pinnis viridibus, ad apicem
caeruleis; L. quadrimaculatus, corpore rubro carneo,
maculis quatuor dorsalibus ornato; L. mixtus, cor-
pore flavo caeruleoque variegato; dentibus anterio-
ribus majoribus.
— 115 —
Cuv. et Val., Hist. nat. XHI, pag. 45 e 58, pl. 369, L.
mixtus, L. trimaculatus.
Yarrell, Brit. Fish. I, 491, L. mixtus mas.; pag. 495,
LL. mixtus foemina.
Hamilton, Brit. Fish. sp. 85, L. mixtus (Cook, or Blue-
striped Wrasse); sp. 84, L. trimaculatus ( Three-
spotted, or Red Wrasse ).
Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 82, spec. 729 e 750,
E. mixtus, L. carneus.
Nardo, Prodr. Adr. Ichthyol. pag. 15 e 20; Prospetti,
sistem. pag. 39.
Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Genova, Ar-
chivio Ì, 264.
Giinther, Cat. of Acantàh. Fish. IV, 74.
Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 19, spec.
256 e 257 (Nome volgare a Trieste: Liba ).
V. Labrus lineolatus Cuv. Val.
Il muso è grosso ed ottuso; it profilo è convesso tra
l apice del muso e l occipite, da questo discende rapi-
damente al primo raggio dorsale. L° altezza del corpo
è pressochè uguale alla lunghezza laterale del capo.
Alla base degli ultimi raggi dorsali esiste una macchia
nera allungata. Sotto alla linea laterale scorrono 9 a
10 striscie brune longitudinali, sopra un fondo bianco.
od argentato, specialmente nella regione pettorale. La
linea laterale è formata di piccoli tubi poco distinti;
sono appena RT î Re sopra gli occhi.
D. i NT Sql lz43:
L esemplare del Mediterraneo da me esaminato ap-
partiene al civico Museo di Milano; esso ha subito lun-
gamente | azione dell’ alcool ed è di un colore bruno
— 116 —
rossastro uniforme, solo alquanto più oscuro sul dorso
e più chiaro sul ventre.
La lunghezza totale è di... mill. 154.
L'altezza del corpo di... . . » 492.
La lunghezza laterale del capo di CT IDOPAZCL (I
Vi riscontrai i seguenti indici.
Indice dell’ altezza del corpo . . . . 27,2.
» della lunghezza del capo . . . 26,6.
» dello spazio preorbitale. . . . 8,7.
» ”» interorbitale . . . 5,3.
»\LUdell''orbita;. 0. 6,7.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 90, Labrus lineola-
tus. Secondo questi autori la testa è più corta della
massima altezza del corpo; si vedono striscie brune
longitudinali in numero di 9 a 10 sotto alla linea
laterale; lo spazio che corre tra queste linee è reso
chiaro da macchie biancastre od argentate, più
brillanti nella regione pettorale che altrove; il nu-
mero dei raggi è il seguente:
Ia
11-12 9
Bonaparte, Catalogo metodico pag. 82, spec. 756. L’au-
tore riferisce questa specie al Labrus tessellatus
del Risso. i
Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 69. E fatta semplice
menzione nella nota.
VI. Crenilabrus pavo Cuv. Val.
Ved. fig. Cuv. et Val., Hist. nat. pl. 372.
LI
Il muso è mediocremente lungo; il profilo ascende
in linea retta sino all’ occipite e di là con leggera curva
sino al primo raggio dorsale. Il diametro dell’ orbita
stu due e più volte nello spazio preorbitale; lo spazio
— 117 —
interorbitale è contenuto più di due volte nel preorbi-
tale. Il suborbitale porta 4-5 serie di squame. "Il pre-
opercolo è liscio od indistintamente crennto. Generalmente
osservansi sul tronco due macchie brune, l una sopra
la base delle pettorali, l altra alla base della codale.
IL UT A. dm Sq. l. I. 54-53, Vert. 53
Le misure prese sopra due esemplari mi condussero
ai seguenti indici.
Indice dell'altezza 0/0. 0.00 26,6-27,0.
» della langhezza del capo . 26,6-27,0.
‘». dello spazio préorbitale . . 12,5-153,5.
” ” interorbitale . —5,5- ò, ò.
dell'orbita: oi SEE OOo
lo ebbi dal conte Ninni tre esemplari freschi di que-
sta specie, pescati a Venezia. In due si notano chiara-
mente le suddette due macchie, nel terzo manca | an-
teriore. Nell’ esemplare maggiore vedonsi sul tronco so-
pra un fondo verde giallastro tre larghe fascie longitu-
dinali brune, miste a macchie rosse; la prima fascia
scorre lungo la carena del dorso, la seconda tra l° an-
golo superiore della fessura branchiale ed il margine
superiore della radice della coda, la terza tra la base
della pettorale e la macchia codale. Lo spazio preorbi-
tale è bruno in tutti e tre gli esemplari; sul capo os-
servansi macchie e lineette purpuree. Le pinne sono
variamente colorate; la porzione molle della dorsale e
dell’ anale è gialla alla base, rossa all’ apice, ornata di
macchie rotonde celesti; le pettorali sono gialle.
Le corna dell’ osso faringeo inferiore non sono cilin-
driche e non finiscono con una faccia ellittica, come
nelle specie di La}rus sopra descritte; ma sono lateral.
mente compresse e finiscono in due lamine sottili poste
obliquamente, guardanti in basso ed avanti. Il corpo di
— 118 —
quest’ osso è posteriormente convesso e porta alla faccia
superiore dei denti globosi, tra cui 1 mediani della fila
posteriore sono maggiori degli altri. Lo stelo nell’ esem-
plare da me esaminato porta un’ unica fila di denti
piccoli ed ottusi.
In uno scheletro da me esaminato trovai, in confor- |
mità coll’ osservazione del Giinther, 35 vertebre, tra
cui 18 codali.
Tra gli altri esemplari potei studiarne uno prove-
niente dall’ isola di Lesina e comunicatomi dal civico
Museo di Milano; esso concorda perfettamente cogli
altri miei esemplari di questa specie.
Rondelet, De piscib. lib. VI, cap. YI, pag. 175. Secundi
generis turdorum is recte censebitur, qui a nobis
distinctionis gratia pavo nuncupatur.... Colore ex
viridi caeruleo, vel indico, colorem colli pavonis
referente in pinnis omnibus, et in cauda. — Forse
si riferisce a questa stessa specie il primo genere
di tordi dell’ autore.
Aldrovandi, De piscib. lib. I, cap. HI, pag. 28-30, De
Pavone Salviani.... Jure supracitatis locis a DD. Am-
brosio, atque Isidoro, Pavi avis colorem aemulari,
colluamque et dorsum vario colore pictum habere
dicitur. |
Bonnaterre, Encyclop. method. HI, 285, Le Paon; Tabl.
encyclop. 111, Le Lapin, Le Paon. L. lapina, pin-
nis pectoralibus flavis, ventralibus caeruleis, reliquis
violaceis, maculis caeruleis.... L. pavo, viridi, caeru-
leo, sanguineo canoque varius; pinna caudali in- -
tegra.
Lacepède, Hist. nat. VI, 145, L. pavo. Quinze rayons
aiguillonés et dix-sept rayons articulés à la dorsale;
le corps et la queue d’ un verd melé de jaune, et
persemé, ainsi que les opercules et la nageoire cau-
dale, de taches rouges et de taches bleues; une
— 119 —
grande tache brune auprès de chaque pectorale, et.
une tache presque semblable de chaque coòté de la
queue. E evidente che Vl autore parla del Crenila-
brus pavo; solo non si comprende come egli ad-
duca 17 raggi molli nella dorsale.
Risso, Hist. III, 515, Crenilabrus lapina, corpore vire-
scente, rubro guttato; pinnis pectoralibus flavis,
ventralibus caeruleis, reliquis violaceis, rubro ma-
culatis; Cr. Geoffroi (1. c. pag. 514), corpore fusco,
aurato argenteoque variegato; lateribus basique cau-
dae nigro maculatis.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 149, pl. 372, Cr. pavo.
Bonaparte, Catalogo metodico pag. 83, spec. 742. L° au-
tore cita, tra gli altri, i seguenti sinonimi: Labrus
pavo Brann. nec L., L. polichrous Pall., L. tancoi-
des Lacep., Cr. lapina Nordm. il Bonaparte poi ri-
ferisce il Cr. Geoffroi Risso al Cr. Roissali Riss.,
ma credo con torto.
Nardo, Prodr. Adr. Ichthyol. pag. 15, Labrus pavo
(Sperga? Tenca de mar? Cragnisso? Donzella? Lepa
Arupeni ); Sinonimia moderna delle specie registrate
nell’ opera dell’ ab. Stefano Chiereghini, pag. 123-
124, Labrus foetidus Chier. et L. verdutius Chier.
( Volg. Pesce spuzza); Prosp. sist. 83.
Kessler, Auszàge pag. 90, Cr. lapina.
Kner, Zur Charakteristik und Systematik der Labroi-
den, Sitz. der k. Akad. der Wiss. in Wien, XL.
Band, Seite 46, Taf. I, Fig. 1.
Canestrini, Catalogo dei pesci del golfo di Genova,
pag. 264.
Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 78.
Graells, Manual pratico, pag. 4115 (Budior, Pinto,
Merlon).
Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20,
spec. 245.
— 120 —
VI. Crenilabrus mediterraneus L. BI. Schn.
Tav. VI, Fig. 3.
II muso è corto, ottuso e convesso. Il diametro del-
l orbita sta un po più di una volta nello spazio pre-
orbitale. Lo spazio interorbitale è contenuto circa 1 1}2
volte nello spazio preorbitale, e 4-3 volte nella lunghezza
laterale del capo. Alla base di ciascuna pinna pettorale
osservasi una macchia profondamente nera, ed un’ altra
tale esiste generalmente alla base: della codale sopra la
linea laterale.
dr de’ miei esemplari.
De A 1, Sq. IL. 52.34, Vert. 50.
9
F rn secondo Giinther.
16-18 a i
; Jd.L . 13717.
D - SUA: CITI = , Sq.1. I. 54, Vert. 15]
Formula generale.
15-18
pei Sq. 1. 1. 32-34, Vert. 530.
L’ esame di quattro individui mi condusse ai seguenti
indici.
Indice dell’ altezza del corpo . . 25,3-28,0.
» della lunghezza del capo. . 24,5-26,1.
» dello spazio preorbitale . . . 9,1-11,1.
” DO) dell’ orbita . . 6,9- 6,8.
In esemplari freschi il colore generale è rosso, talvolta
azzurognolo. Si notano le suddette due macchie nere.
Il tronco porta generalmente delle fascie trasversali nere
che si estendono, più o meno distintamente, anche sulle
pinne verticali; queste fascie sono ben marcate sul dorso,
meno sul ventre, e sono assai sfumate lungo la metà
del tronco. Talora esse mancano e vedonsi invece sul
— 121 —
tronco alcune fascie ranciate. Alla base della codale os-
servasi in esemplari giovani una stretta fascia nera che
gira attorno alla radice della coda. L’ ano ha un cer-
chio azzurro. La dorsale e l'anale sono rosse o giallastre,
orlate di azzurro, con macchie nere e rosse. La parte
superiore del capo, la superiore-anteriore del dorso, la
gola, il petto ed il ventre sono percorsi da linee azzurre.
Nell’ osso faringeo inferiore le corna finiscono con
due distinte alette; il margine posteriore del corpo
di quest’ osso è leggermente convesso, la sua faccia in-
feriore è convessa.
Ho avuto occasione di esaminare un esemplare del
Crenilabrus pittima Raf. Bp., proveniente da Nizza e
favoritomi in comunicazione dal civico Museo di Milano.
Mi potei persuadere che questa specie non differisce
essenzialmente dal Cr. mediterraneus.
Bonaterre, Tabl. encycl. 151, Perca mediterranea. Non
ostante il nome che porta questa specie, Vl autore
le assegna per patria 1’ America, errore che fu poi
corretto dal Lacepède. Encyclop. method. pag. 586.
Lacepède, Hist. nat. VII, 148, Lutjanus mediterraneus,
L. brunnichii?, L. massiliensis, L. bidens. Nella
diagnosi di quest’ ultimo leggesi (1 c. pag. 151 ):
« Neuf rayons aiguillonnés et seize rayons articules
a la nageoire du dos. » Essendo la nostra formula
Lo:13, scorgesi tanta differenza che si è indotti
a supporre, essere avvenuto un errore tipografico.
Risso, Hist. nat. III, 518, Cr. mediterraneus, Cr. brun-
nichii, Cr. nigrescens, Cr. boryanus.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 185, 186, 189, Cr. brun-
nichii, mediterraneus et boryanus.
Bonaparte, Catalogo metodico p. 83, spec. 740, 741, 745.
Nardo, Prodromus Adriat. Ichthyol. pag. 15, Lutianus
bidens ( Donzela, Smergo, Gardelin, Pesce Cava-
a)
ò
— 122 —
lier ); Prospetti sistematici pag. 89, Cr. mediter-
raneus, Cr. boryanus.
Canestrini, Catalogo, Archivio I, 264.
Ginther, Cat. of Acant.hÌ. Fisch. IV, 79.
Graells, Manual pratico, pag. 115 ( Canari ).
Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20,
spec. 246, 251.
VU. Crenilabrus melanocercus Risso.
Il muso è corto ed alquanto acuto; il profilo ascende
in linea retta 0 con dolce curva sino alla prima spina
dorsale. Il diametro dell’ orbita è all’ incirca uquale
alla lunghezza dello spazio preorbitale; lo spazio in-
terorbitale sta 4-4 172 volte nella lunghezza laterale
del capo. Il pesce è di colore castagno, più oscuro sul
dorso, più chiaro sul ventre. Sotto l’ occhio scorre una
striscia curva azzurra; la codale è gialla alla base ed
al margine posteriore, e tinta profondamente in nero
nel mezzo. Le pettorali portano talora una macchia
nera sut loro raggi.
Formula degli a da me esaminati.
D. = A,
Y- =
Formula del Cr. melanocercus secondo Gunther.
A
6-7
Formula del Cr. caeruleus calli Gunther,
16 5)
DEA
7 8
Formula generale.
16-17 GU
D. ° =——=@®©@" S © l. I. 54-55.
gran) sg i
— 125 —
I due esemplari che potei esaminare appartengono al
civico Museo di Milano, e provengono l uno da Nizza,
altro dall’ isola di Lesina. Vi riscontrai i seguenti
indici.
Indice dell’ altezza del corpo
» della lunghezza del capo
» dello spazio preorbitale . 5,8- 7,8.
» dell’ orbita si 0:819/, Di
Il Crenilabrus caeruleus isso, a mio avviso, non è
che una varietà del Cr. melanocercus. Il minore dei due
esemplari sopra menzionati, quantunque pel complesso
dei suoi caratteri sia un Cr. melanocercus, s' accosta in
qualche rapporto al Ur. caeruleus. Se esaminiamo le
diagnosi date da Ginther di queste due specie, ci con-
vinceremo facilmente della verità del mio asserto. Gun-
25,8-26,3.
29,0-25,6.
ther dice quanto segue.
Crenilabrus melanocercus.
107, 6)
D. n? A. n
The height of the body
is one fourth of the total
length.
Brownish ; a curved blu-
ish streak from the eye to
beneath the lower jaw.
Caudal fin dark-coloured
towards the hind margin,
with some blackish spots.
Pectoral pale, with a
black spot on the extre-
mity of the upper rays.
Crenilabrus caeruleus.
4 KR 3
e ie
7 8
The height of the body
is two-sevenths of the to-
tal length.
Brownish, with an indi-
stinet streak below the eye.
Caudal fin yellow at the
base, and black on the po-
sterior extremity, which
has a yellow edge.
Pectoral without spot at
its extremity.
In queste due specie dunque troviamo una piccolis-
— 124 —
sima differenza nel numero dei raggi delle pinne dor-
sale ed anale, e nell’ altezza del corpo. Quanto al nu-
mero dei raggi, siffatte oscillazioni sono frequenti tra i
Labroidi entro una medesima specie; notisi poi che i
nostri due esemplari offrono solo 16 spine dorsali, quan-
tunque nel maggiore di essi sia ancora distinguibile la
macchia nera sulle pettorali. E inoltre insignificante la
differenza nella relativa altezza del corpo. Quanto al co-
| lore, abbiamo in ambo le specie tre caratteri costanti,
cioe la fascia nera della codale, la striscia oscura sotto
all’ occhio ed il colore generale bruno del corpo; un
carattere variabile costituisce la macchia nera delle pet-
torali. Fatti analoghi sono comunissimi nei Labroidi
entro una unica specie.
Risso, Hist. nat. HH, 516, Cr. melanocercus, corpore rube-
scente, brunneo violaceo, caeruleoque variegato,
maxillis inaequalibus, cauda nigra; Cr. caeruleus,
corpore toto caeruleo, abdomine rufo, maxillis aequa-
libus.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 215.
Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 84, spec. 754 e 755.
Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, pag. 80, num. 4 e
num. 5.
Graells, Manual pratico, pag. 115 ( Lambrega ).
IX. Crenilabrus roissali Risso.
Tav. VII, Fig. 2.
Il muso è corto e piuttosto ottuso; il diametro del-
l orbita sta un po’ più di 1 volta nello spazio preor-
bitale. Il profilo ascende in linea retta fino all’occiptte.
Lo squarcio della bocca è appena obliquo. Fra il mar-
gine anteriore dell’ orbita ed il labbro superiore scorre
una larga fascia bruna; una seconda fascia dello stesso
colore, ma più stretta della precedente, scorre lungo il
— 125 —
margine inferiore dell’ orbita, da cui si stacca ante-
riormenle per andare in basso ed avanti. La pinna
dorsale porta delle macchie brune.
14-15 DIDO RIDI Ò
Le misure prese sopra due individui mi conducono
ai seguenti indici.
Indice dell’ altezza del corpo . . 29,6-50,9.
» della lunghezza del capo. . 25,8-26,1.
» dello spazio preorbitale . . 9,1- 9,5.
Ji idellionbita tti ono: ua 69-69:
Il colore di questa specie varia assai. Talvolta la
pinna dorsale porta due macchie brune, altre volte ne
porta cinque; la base della codale è ora ornata ed ora
sfornita di una macchietta bruna; V anale è pure 0
provvista o sfornita di due macchie oscure.
Parecchi esemplari freschi avuti da Cagliari dal prof.
Meloni-Baille offrono i seguenti colori. Il tronco è verde
oscuro con tratti bruni, verso il ventre il colore passa
all’ argenteo. La dorsale è verde con linee rosse di mi-
nio. La porzione molle della medesima porta due mac-
chie nere, l’ una anteriore più grande, tra il primo e
terzo raggio; l’ altra posteriore più piccola, tra il sesto
ed ottavo raggio. Alcuni degli esemplari hanno tre
macchie sulla porzione spinosa della dorsale. Alla base
della codale, immediatamente sotto alla linea laterale,
scorgesi una macchia bruna. La codale e |’ anale sono
verdi, macchiate di minio, quest’ ultima con margine
nero e talvolta con due macchie brune. Le ventrali
sono rosee, le pettorali verdi giallastre. Le labbra sono
ranciate.
Bonnaterre, Tabl. encyclop. pag. 118, Labrus gulttatus.
Lacepède, Hist. nat. VI, 248, L. guttatus.
Risso, Hist. nat. HI, 517, 523-525, Crenilabrus tigrinus,
corpore fulvo virescente, nigro guttato, testa lineis
— 126 —
duabus elevatis transversis cincta; Cr. roissali, cor-
pore caeruleo, luteo, argenteoque variegato; maculis
duabus nigris, fulvo cinctis, in pinna dorsali; Cr.
varius, corpore purpureo viridi, caeruleo nigroque
variegato; Cr. quinquemaculatus, corpore viridi ar-
genteo, squamis fuscis, caeruleis, reticulatis, pinna
dorsali quinquemaculata.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 205, 220, 5253, Cr. rois-
sali, Cr. capistratus.
Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 84, spec. 752, 755.
Kessler, Auszuge pag. 96, Cr. aeruginosus. L’ autore
cita come sinonimi il Labrus aeruginosus Pallas, il
L. frenatus Pall. ed il L. capistratus Pall.
Nardo, Prospetti sistematici, pag. 89.
Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 82.
Canestrini, Catalogo, Archivio I, pag. 264.
Perugia, Catalogo dei pesci dell’Adr., pag. 20, spec. 249,
250 (Nome volgare a Trieste: Liba ).
X. Crenilabrus griseus LIL
Ved. fig. Nordmann, Fn. pont. pl. 18, fig. 2.
Il muso è piuttosto lungo ed acuto; il diametro del-
l orbita sta meno che 1 1)2 volte nello spazio preor-
bitale. IL profilo del capo ascende in linea retta fino
all’ occipite. Il capo porta supertormente una gran-
dissima quantità di pori. Sulle prime spine dorsali
esiste una macchia nera; un’ altra tale notasi general
mente alla base della codale sul margine inferiore della
radice della coda, talvolta se ne nota una terza sul
margine superiore della radice medesima.
i ela elio
9-10 9-10
Le misure prese sopra tre individui mi condussero ai
seguenti indici.
Sq. 1132-55, Vert. SI
— 127 —
Indice dell’ altezza del corpo. . 24,6-26,5.
» della lunghezza del capo. 25,7-26,4.
» dello spazio preorbitale . 9,1-10,0.
”» ”» interorbitale. 5,6- 6,8.
delli orbita agi e 0 Ze
Negli esemplari freschi che il conte A. P. Ninni mi
mandò da Venezia, osservai che il colore generale del
corpo varia; talvolta il dorso è bruno ed il ventre ar-
genteo; altre volte il dorso ed il ventre sono di un
rossastro scuro; vidi inoltre degli individui di un verde
intenso. Sul capo notansi, sotto all’ occhio, delle linee
ondeggianti azzurre ; lo spazio preorbitale è bruno. La
dorsale e l anale sono talora orlate di verde, hanno
verso la base dei tratti obliqui ranciati e verso | apice
delle macchie celesti chiare. Le ventrali sono rossastre
alla base e verdi od azzurre o bianche verso l'apice.
Le pettorali sono leggermente ranciate alla base, nel
resto incolore, solo negli esemplari verdi di un verde
sudicio. La papilla genitale è azzurra ed ingrandita nel-
l’ epoca della frega.
Potei esaminare un esemplare del Crenilabrus masse
Risso, proveniente dal Mediterraneo ed avuto in comu-
nicazione dal civico Museo di Milano. Esso ha perduto
i suoi colori per l’ azione dell’ aleool e non. differisce
specificamente dal Cr. griseus.
Note anatomiche. Contansi 541 vertebre, con 12 paja
di coste. Le emapofisi della 14. vertebra e delle suc-
cessive sono riunite.insieme e dirette verticalmente in
basso; quelle delle vertebre che precedono la 14.° sono
dirette od obliquamente in basso e fuori, od orizzontal-
mente in fuori; esse non si riuniscono però mai. Il
corpo dell’ osso faringeo inferiore è pressochè di forma
triangolare; la sua faccia inferiore è convessa, per cui
quest’ osso, se venga posto sopra una base aio
tocca questa base non solo col margine inferiore di
— 123 —
ciascun’ aletta e coll’ estremità anteriore dello stelo, ma
anche coll’ apice della predetta convessità. Le alette sono
ben sviluppate ed hanno il margine esterno-posteriore
alquanto incavato nel mezzo. —- I lobi olfattorii sono
poco sviluppati e posti interamente sulla parte anteriore
della faccia inferiore degli emisferi. Questi rappresentano
un unico corpo colla faccia superiore quasi ellittica, poco
distintamente diviso in due metà laterali; la linea che
indica questa divisione è più marcata anteriormente che
posteriormente. I due lobi ottici sono grandi, ben sepa-
rati l uno dall’altro; ciascuno supera in volume i due
emisferi riuniti insieme. Il cervelletto, visto per disopra,
presenta una faccia circolare. I lobi inferiori (hypoaria
Owen) sono ben distinti e nettamente separati |’ uno
dall’ altro; la loro forma è allungata. L’ ipofisi, vista
per disotto, presenta una forma triangolare ed ha nel
mezzo un leggerissimo solco longitudinale. Lo « haema-
tosac » Ow. è trasversalmente allungato e diviso in
due porzioni laterali mediante un solco intermedio. Non
vidi il conario che credo perciò mancante.
Lacepède, Hist. nat. VI, 146, Labrus cinereus (Le Labre
| cendré).
Risso, Hist. nat. III, 526, Crenilabrus masse, corpore
obscuro, luteo viridique aureo; pinna caudali basi
inferiore macula caerulea, nigro cincta; Gr. Cottae
(I. c. pag. 315), corpore argentato, fusco punctato,
maxilla inferiore paulo longiore; Cr. cornubicus
(I. c. 525), corpore macula prope caudam magna,
pinnaque dorsali radiis primis nigris. Il Cr. cornu-
bicus del Risso è diverso dalla specie di ugual
nome illustrata da Yarrell tom. I, pag. 504.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 202, 204.
Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 84, spec. 750, 751.
Nardo, Prospetti sistematici, pag. 89.
Kessler, Auszùge pag. 92, Cr. fuscus. L'autore cita
— 129 —
come sinonimi il Labrus fuscus Pall., il Cr. staitii
Nordm. ed il Cr. pusillus Nordm.
Giinther, Cat. of Acanth. Fish. 1V, 85, Cr. griseus.
Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adr. pag. 20, spec.
254, 255.
XI. Crenilabrus ocellatus Forsk.
Tav. VII, Fig. 1.
Il muso è corto ed ottuso ; il profilo del capo ascende
in linea curva fino all’ occhio, poi in linea retta. fino
all’ occipite. Il diametro dell’ orbita sta circa 1 172
volte nello spazio preorbitale. Lo squarcio della bocca
è alquanto obliquo. L’ opercolo porta una macchia vio-
lacea oscura, orlata di rosso oppure di rosso e di az-
zurro chiaro; alla base della codale osservasi frequen-
temente una macchietta nera.
ii i Papi
9-11 9-11 O
Le misure prese sopra tre esemplari mi condussero
ai seguenti indici.
Indico dell’ altezza del corpo. . 24,7-51,9.
» della lunghezza del capo. 26,1-26,7.
» dello spazio preorbitale . 7,9- 8,6.
2aiidell'iorbita; i.) (0! 7 .4,,5;9-)0,9.
Risso descrive il Crenilabrus olivaceus, cui assegna
questi caratteri: G. corpore ovato, viridi olivaceo, abdo-
mine albo; operculis apice caeruleis; macula caudali ni-
gra. Questi e gli altri caratteri indicati dall’ autore nella
descrizione della specie sono sì poco importanti che non
autorizzano a risguardare come buona la specie G. oli-
vaceus.
Risso fa inoltre menzione del Crenilabrus littoralis,
di cui dà questa diagnosi: « C. corpore elongato, vire-
scente argentato ; operculis caeruleo notatis; cauda nigro
— 150 —
maculata. » Tale specie differirebbe dal C. ocellatus per
le fascie longitudinali argentee che spiccano sopra un
fondo verde; per sei striscie azzurre di cui vanno or-
nate la gola e le estremità opercolari; per una grande
macchia alla base della coda; per dimensioni più pic-
cole e pel numero dei raggi che è il seguente: D. Di
5) : È : i È
À. 10: Come si vede, il numero dei raggi e la macchia
codale non costituiscono caratteri differenziali; le altre
proprietà si riferiscono quasi esclusivamente al colore,
per cui Ginther, con ragione, sospetta che il C. litto-.
ralis sia sinonimo del C. ocellatus.
Tra 1 caratteri attribuiti da Gunther al C. ocellatus
troviamo anche il seguente: « Cheek with three series
of scales. » Ciò è inesatto, poichè talvolta osservai quat-
tro serie di squame sulle guancie.
Potei esaminare un esemplare di questa specie prove-
niente da Nizza ed appartenente al civico Museo di Mi-
lano. Esso offre tutti i caratteri del Cr. ocellatus, solo
è alquanto più allungato degli altri miei esemplari; ad
esso è dovuta la notevole oscillazione dell’ indice dell’ al-
tezza del corpo.
Lacepède, Hist. nat. VII, 144, 145, Lutjanus ocellatus,
L. olivaceus; VI, 155, Labrus reticulatus.
Risso, Hist. nat. II[, 521, Cr. olivaceus, Ur. ocellatus,
Cr. littoralis.
Nordmann, Fn. pontique 458, 459, pl. 17, fig. 1° e
2.8; pl. 18, fig. 5° e 4.8, Cr. ocellatus, Labrus per-
spicillatus, L. argenteostriatus.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 1953.
Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 84, spec. 746, 747,
748. L’ autore cita, tra gli altri, i seguenti sinonimi
del Cr. ocellatus: Labrus venosus Gm. Riss., L.
mandarella Raf., Cr. morelli Nordm.
— 151 —
Kessler, Auszuge pag. 95.
Nardo, Prospetti sistem. pag. 89.
Giinther, Catal. of Acanth. Fish. IV, 85.
Perugia, Catal. dei pesci dell’Adr. pag. 20, spec. 247, 252.
XII Crenilabrus rostratus. BI.
Ved. fig. Cuv. Val., Hist. nat. pl. 376.
Il muso è allungato ed acuto, in quisa che il diame-
tro dell’ orbita è contenuto 1 1}2 - 2 volte nello spazio
preorbitale. Il profilo del capo è alquanto concavo, lo
squarcio della bocca molto obliquo. La lunghezza late-
rale del capo è notevolmente maggiore della altezza del .
corpo. La dorsale porta anteriormente quasi sempre
una macchia bruna.
e via
Dall’ esame di tre individui risultano i seguenti indici.
Indice dell’ altezza del corpo. . 22,7-25,0.
» della lunghezza del capo. 30,4-30,7.
» dello spazio preorbitale . 11,7-15,0.
2ipadell'orbitat. lips si 044-045:
In questa specie notansi alcuni indici ben diversi da
quelli delle altre specie congeneri, come si può rilevare
dall’ annessa tabella.
Tudtice Indice Indice |Indice del| Num.®
della dello diametro | degli
SPECIE dell’altezza se i ; È NE
del corpo lunghezza | spazio del esempl.
del capo |preorbitale| 1° orbita [esamin.
Grenilabrus pavo 26,6-27,0 | 26.6-27,0 | 12,5-13,5 | 5.0-5,4 2
» mediterraneus | 25,3-23,0 | 24,3-26,1 9A-14.Î 6.5-6,8 h
» melanocercus | 23,8-26,5 | 22,0-25,6 | 5,8- 7,8 | 6,8-7,5 2
» Roissali 29,6-30,9 | 23,8-26.1 | 9.1- 9,5 | 6.9-6.9 2
» griseus 24,6-26,5 | 25,7-26,4 | 9,1-10,0 | 6.9-7,4 6)
» ocellatus 24,7-51,9 | 26,1-26.7 | 7,9- 8.6 | 5,5-6,9 3
» rostralus 29,7-25,0 | 30.4-50,7 | 11,7-15,0 | 6,7-7.5 3
DINNIUINCA 24,0-24,8 | 25,9-25.5 | 8.2- 9.0 | 6,8-7,0 2
— 152 —
In alcuni esemplari provenienti da Venezia osservai
i seguenti colori. Si ponno distinguere due varietà di
Subietto, l'una di colore verde, l’altra di colore grigio
o bruno sul dorso ed argenteo sul ventre. Nella prima
osservansi dei tratti dorati sul tronco; il capo porta
quasi sempre sulle guancie numerosi punti rossi; rare
volte notasi una fascia bruna che dalla mascella supe-
riore attraverso all’ occhio scorra fino dietro le pettorali;
la dorsale e l’anale sono verdi macchiate di rosso, la
prima con una macchia profondamente azzurra sui tre
raggi anteriori; la codale e le ventrali sono verdi gial-
lognole, le pettorali rossastre. Nella seconda varietà esiste
ana Di retta longitudinale più o meno distinta tra
la mascella superiore attraverso all’ occhio fino dietro
lano; punti e macchie di rosso più o meno chiaro ed
in numero maggiore o minore ornano le guancie, gli
opercoli ed il ventre; sulle prime spine dorsali esiste
una macchia bruna ; numerose macchiette rosse disposte
in 2-5 file longitudinali osservansi sul rimanente della
i e sull’ anale; le ventrali e le pettorali sono ros-
sastre; la codale è macchiata di rosso; l’ano è azzurro.
Contansi, in un esemplare da me esaminato, 32 ver-
tebre; nella 15. e successive le emapofisi sono riunite
insieme e dirette verticalmente in basso; nelle vertebre
che precedono la 15.° I’ emapofisi di un lato non si riu-
nisce con quella dell’ altro lato. La prima vertebra è
priva di coste, la seconda ne porta due piccole, le suc-
cessive portano coste bene sviluppate fino alla 15.* ver-
tebra esclusivamente, per cui contansi in complesso 13
paja di coste. Il tubo digerente forma un’ unica piega
nella metà posteriore della sua lunghezza; tra l’ intestino
tenue e crasso notasi una distinta valvola circolare. Il
fegato, abbastanza voluminoso, è posto in massima parte
al lato sinistro del pesce.
L’osso faringeo inferiore ha le corna lunghe e termi-
— 155 —
nate da alette ben sviluppate, per cui se sia posto sopra
una base orizzontale, esso tocca questa solamente colla
estremità anteriore dello stelo e col margine inferiore
di ciascun’ aletta.
Artedi, Synonim. piscium, spec. 9, Labrus sursum re-
flexo, cauda in extremo circulari.
Lacepède, Hist. nat. VII, 211, Lutjanus rostratus (Le
Lutjan groin).
Risso, Hist. nat. III, 351 e seg. Coricus virescens, cor-
pore viridi, luteoque variegato, capite lineis viola-
ceis transversis ornato; Cor. lamarckii, corpore gri-
seo obscuro, aureo argenteoque variegato, lineis
guttisque rubris notato ; Cor. rubescens, dorso fusco
rubro, fascia longitudinali roseo argentea, cauda
basi nigro maculata.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 256, pl. 576, Coricus
rostratus; Cuvier, Regn. anim. Ill. pl. 88.
Bonaparte, Fn. Ital.; Catalogo metodico pag. 86. L’ au-
tore cita come sinonimo il Labrus verdolinus Raf.
ed il Symphodus fulvescens Raf.
Nordmann, Fn. pontique, 465, pl. 20.
Kessler, Auszùge pag. 99.
Nardo, Sinonimia moderna, pag. 126, Labrus lutiolus
Chiereghini, L. donzella Chieregh.; Prospetti siste-
matici pag. 84.
Canestrini, Catalogo, Archivio I, 264.
Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 86.
Perugia, Catal. dei pesci dell’ Adriatico, pag. 20, spec.
257 (Nome volg. Liba).
XIIL Crenilabrus tinca Brunn.
Tav. VII, fig. 3.
Il muso è mediocremente lungo ed ottuso, di poco più
lungo del diametro dell’ orbita. Il profilo è leggermente
— 154 —
concavo sopra È’ occhio. La lunghezza laterale del capo
e l altezza del corpo sono pressochè uguali. Una larga
fascia bruna, interrotta dall’ occhio, scorre dall’ apice
del muso sino alla parte superiore della base della co-
dale; sotto e sopra questa fascia notansi due altre bian-
che argentee. Alla base della codale, sopra la linea la-
terale, vedesi una piccola macchia nera; l ano è nero.
La pinna dorsale non porta anteriormente alcuna mac-
chia bruna.
D 14- Barto, pod > S
10-11
I miei due esemplari, nnt dall’ isola di Lesi-
na, offrono queste dimensioni.
Lunghezza totale. . . . mill. 72,5-75,0.
Altezza del corpo. . . . » 18,0.
Lunghezza laterale del capo » 18,5-19,0.
Nei medesimi riscontra i seguenti indici.
Indice dell’ altezza del corpo. . 24,0-24,8.
» della lunghezza del capo. 25,3-25,5.
» dello spazio preorbitale . 8,2- 9,0.
”» ” interorbitale 5,3- 5,5.
>. (dell’'orbita! 0 apra 6 8147.01
Quantunque i miei due esemplari abbiano lungamente
subita l azione dell’ alcool, pure i colori indicati nella
diagnosi sono ancora bene conservati; in un esem-
plare vedonsi inoltre, sotto alla fascia argentea longitu-
dinale inferiore, delle striscie rossastre collocate in serie
longitudinali.
Risso, Hist. nat. III, 315, Cr. tinca, corpore rubescente,
dorso nebuloso, lateribus radiis obscuris caeruleisque
ornatis. 1 colori di questa specie sono poco ben
descritti.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 199.
. Yarrell, Brit. Fish. 3.2 ediz. I, 498. L’ autore cita i
seguenti sinonimi: Cr. melops C. V., Labrus me-
Sq. I I. 55-55.
-- 155 —
lops L., Cr. norvegicus C. V., Cr. pennanti C. V.,
Cr. donovani G. V., Cr. tinca Risso ecc. | nostri
esemplari differiscono da quelli illustrati da Yarrell
st pel colore, quanto per la relativa lunghezza
del capo.
Bonaparte, Catalogo metodico pag. 84, spec. 749.
Giinther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 86.
Graells, Manual pratico, pag. 115 (Zorzal, Serrano,
Vello).
Perugia, Catalogo pag. 20, spec. 248.
XIV. Ctenolabrus iris C. V.
Ved. fig. Bonaparte, Fn. Ital. — Cuv. et Val., Hist. nat. pl. 374.
bi
Il muso è allungato ed acuto. L° anale porta 10 raggi
molli. Gli opercoli sono percorsi da una fascia oscura
che si dilequa dietro la spalla. Il colore generale del
corpo è un rosso scarlatto o carnicino. Una macchia
nera rotonda trovasi sui raggi medii della pinna dor-
sale; una seconda notasi sulla porzione posteriore dei
raggi medi della codale.
16 6)
A Sa 1.57:
ETA
lo posseggo un esemplare alquanto più allungato di
quelli descritti dal Bonaparte e dal Gunther; esso oftre
1 seguenti indici.
Indice dell’ altezza del corpo... . 17,9.
» della lunghezza del capo . . . 25,5.
» dello spazio preorbitale. . . . 7,0.
EL) 9 interorbitale . . . 4,d.
2» Vdellorbita\a,.0u: - SIA Z,
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 256, pl. 374.
Bonaparte, Fn. Ital. « Non lo abbiamo udito distinguere
— 1356 —
con apposito nome volgare da verun pescatore; ed
in Roma passa insiem con altri della famiglia sotto
quello di Pappagalletto ». Catalogo metod. pag. 85,
spec. 770.
Gunther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 90.
7
xv. Acantholabrus palloni Risso.
Ved. fig. Cuv. et Val., Hist. nat. XII, pl. 375.
Il corpo è compresso ed allungato. Le pinne verticali
vanno munite di squame; le squame del tronco sono
piuttosto grandi, pentagone, e finiscono posteriormente
in una punta. La radice della coda porta al suo mar-
gine superiore una macchia nera.
10° A. — _ , Sq. 1 1. 42-45, Vert. 36.
Dall esame di due esemplari risultano i seguenti
indici.
Indice dell’ altezza . . . . . 17,9-19,8.
» della lunghezza del capo. 23,6-25,0.
» dello spazio preorbitale . 7,0- 7,6.
”» ”» interorbitale. 3,2- 6,6.
»0 dell'orbita. Nei 66-06)
Il colore del pesce fresco è un roseo pallido con mac-
chie dorate, disposte in serie longitudinali su tutto il
tronco. La gola ed il ventre sono bianchi. La dorsale,
secondo Risso, è di un verde giallastro con tratti oscu-
ri; lanale è bianca, le ventrali sono rosee, le petto-
rali giallognole.
Non credo opportuno il tener distinto |’ Acantholabrus
couchii dall’ Ac. palloni, poichè le differenze sono mi-
nime, come si vede dalle due diagnosi del Gunther, qui
sotto riportate l’una accanto all’ altra.
— 157 —
Ac. palloni.
D. Li KO:
The height of the body
is less than one-fourth of
the total length.
A black spot on the back
of the tail, at the base of
the caudal fin; another on
Ac. couchii.
p. 2! il DU A L,
The e of i. body
is less than one-fourth of
the total length.
A black spot on the back
of the tail, at the base of
the caudal fin. .
the last dorsal spines (so-.
metimes absent).
Come si vede, non hannovi che leggere differenze nel
numero dei raggi dorsali ed anali, tali, quali sono fre-
quenti entro una stessa specie nei Labroidi. Se le pre-
dette differenze fossero sufficienti per tenere separate
due specie, io sarei costretto ad elevare al rango di
nuova specie un esemplare avuto da Venezia, il quale
porta sole 19 spine nella dorsale; ne posseggo inoltre
uno fornito di 10 raggi molli nella stessa pinna.
Risso, Hist. nat. III, 329; Crenilabrus exoletus, corpore
rosaceo, pinna ani spinis quinque, maxilla superiore
dentibus majoribus. i
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 243, pl. 375, kon
tholabrus palloni; |. c. pag. 248, di cadi
Yarrell, Brit. Fish. I, pag. 514, Ac. Cochi, (The scale-
rayed Wrasse).
Hamilton, Brit. Fish. spec. 90.
Bonaparte, Catalogo metodico, pag. 85, spec. 762 e 764.
Nardo, Sinonimia moderna, pag. 123, Labrus nellus
Chiereghini; Prospetti sistematici, pag. 85.
Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 91-92.
Perugia, Catalogo dei pesci dell’ Adr. pag. 20, spec. 256.
— 158 —
XVI. Iulis mediterranea Risso.
Ved. fig. Bonaparte, Fn. Ital. — Yarrell, Brit. Fish. I. 521.
Il capo è interamente nudo; la linea laterale non è
interrotta ; le squame sono piccole; il corpo è compresso
ed allungato. Contansi 75-80 squame nella linea late-
rale, 12 raggi divisi nella dorsale ed altrettanti nel-
l anale. L altezza del corpo sta circa 5 volte, la lun-
ghezza laterale del capo 4-5 volte nella lunghezza totale
del pesce. La punta dell’ opercolo porta una macchia
celeste oscura.
: Da A. È Sq. 1. 1. 75-80.
lo comprendo in questa diagnosi anche la lulis giof-
fredi Risso Bp., poichè non sono finora riescito a tro-
vare delle notevoli differenze tra questa specie e la lu-
lis mediterranea o vulgaris. Esaminando alcuni esemplari
avuti da Venezia, fui spesso imbarazzato nel determi-
nare la specie, ed osservai tra 1 medesimi una serie
non interrotta tra i tipici della I. gioffredi e quelli della
I. vulgaris. L’ anello di congiunzione mi viene fornito
da un esemplare che è privo della fascia ranciata den-
tellata, privo inoltre della macchia nera dietro 1’ inser-
zione della pettorale e che tuttavia porta una macchia
nera sui primi raggi dorsali.
Sottopongo questa questione all’ esame degli ittiologi;
frattanto addurrò le seguenti mie riflessioni.
Bonaparte dà queste diagnosi. /ulîs vulgaris, supra
atro-caeruleus, lateribus argenteis sub fascia plus minus
aurantiaca infra supraque dentata, macula magna elon-
gata utrinque atra: radio secundo pinnae dorsalis cae-
teris valde longiori. — Iulis gioffredi, supra ruber vel
atro-caeruleus, lateribus abrupte argenteis sub linea reeta
— 159 —
semiaurata : macula nigricante ad angulum praeoperculi :
radiis pinnae dorsalis omnibus subaequalibus. Se si fa
astrazione dai caratteri offerti dal colore, la differenza
sta nel secondo raggio dorsale, che è allungato nella
prima, non allungato nella seconda specie. Ma tale ca-
rattere è fallace, poichè in esemplari, ch'io ebbi da Ve-
nezia per la gentilezza del dott. Ninni, talvolta sono
allungati il 2.° e 3.° raggio dorsale, talvolta il 2.° sola-
mente, e talvolta nessuno, quantunque non manchino
tutti gli altri caratteri attribuiti alla lulis vulgaris.
Nella descrizione il Bonaparte cerca di meglio carat-
terizzare la Iulis gioffredi, e dice: « Non però il colore
rosso della schiena lo distingue abbastanza dall’ antece-
dente Iulis vulgaris, ma sibbene la forma più terete
del corpo, e la dorsale più umile, e più eguale in tutta
la sua lunghezza; attesochè in questa specie anco più
che in quella variano infinitamente le tinte del dorso,
che in alcuni è rosso perfin di corallo, in altri è di
paonazzo quasi nero. » Si comprende facilmente che i
caratteri: corpo più terete e dorsale più umile, sono
troppo vaghi, perchè possano servire come caratteri spe-
cifici; si aggiunga poi che in giovani esemplari non si
osservano siffatte differenze.
I caratteri differenziali addotti da Cuvier e Valencien-
nes sono assai poco precisi. Questi autori dicono: « La
girelle Giofredi parait avoir le corps un peu plus ar-
rondi, la dorsale plus basse; ses premiers rayons épi-
neux ne depassent pas les suivants; ils sont aussi plus
i
| 49 (408
Anche Gunther cerca di tener separata la Zulîs giof-
fredi dalla I. vulgaris ed adduce questi caratteri diffe-
renziali: Julis vulgaris: « The height of the body is
one-fifth of the total length, the length of the head
nearly one-fourth. Anterior dorsal spines somewhat ele-
roides. Le nombres sont les mèémes: D
— 140 —
vated. A posterior canine tooth etc. » Julis gioffredi.
« The height of the body is one-fifth or a little less
than one-fifth of the total, the length of the head rather
more than one-fourth. Anterior dorsal spines not ele-
vated etc. » Mentre l'altezza del corpo non costituisce
una differenza, sembra dalle diagnosi citate, che questa
sia offerta dalla lunghezza laterale del capo. Ma io devo
muovere dubbio contro la validità di questo carattere.
Esaminai cinque esemplari tipici della Zulis vulgaris e
trovai che la lunghezza laterale del capo (non compreso
il lembo membranoso dell’ opercolo ) stà alla lunghezza
totale del pesce come 1 a 4,4-4,7; in quattro esemplari
tipici della Julis gioffredi riscontrai la proporzione di
1 a 4,5-4,6. lo non trovo perciò nemmeno nella lun-
ghezza del capo buoni caratteri differenziali. L’ aggiunta
tabella reca alcuni particolari in appoggio della mia as-
serzione.
Iulis vulgaris Iulis gioffredi
I Lunghezza totale| Lunghezza laterale ||Lunghezza totale | Lunghezza laterale
del pesce del capo ! del pesce del capo
186,0 41,0 107,0 22,0
195,0 42,0 I paia | pala
L’ esame di tre esemplari mi condusse ai seguenti
indici.
indice dell’ altezza del corpo . 18,5-20,5.
» della lunghezza del capo. 21,1-22,1.
» dello spazio preorbitale ., 7,1- 7,6.
”» ’» interorbitale. 4,5- 4,7.
» dell’orbita . . . . . 5,5- 4,6.
— 141 —
Rondelet, De piscibus lib. VI, cap. VII, pag. 180, De
lulide (con figura).
Aldrovandi, De piscib. lib. I, cap. VII, pag. 37, con
figura alla pag. 39.
Linneo, Sist. nat. 476, Labrus julis.
Artedì, Synonim. pisc. pag. 80.
Bonnaterre, Tabl. encyclop. pag. 108, pl. 52, fig. 199;
Encycl. meth. pag. 185.
Lacepède, Hist. nat. VI, 224, Labrus julis.
Naccari, Ittiologia Adriatica, pag. 337 (Volg. Donzella).
L’ autore distingue le varietà: Donzella de baro,
Donzella fasciata, Donzella verde, Donzella puntata.
Risso, Hist. nat. III, 509-311, Iulis mediterranea, dorso
viridi, caerulescente , lateribus vitta longitudinali
aurantia utrinque dentata; lulis gioffredi, dorso
ruberrimo, lateribus linea longitudinali recta, aurata;
lulis speciosa, dorso rubro fusco, lateribus fasciis
| transversalis luteis.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, pag. 561, 3571 e 575; pl.
584 e 585.
Yarrell, Brit. Fish. I, 521, lulis mediterranea (The
rainbow wrasse).
Hamilton, Brit. Fish. spec. 953.
Ma Fn. Ital. con figure; Catalogo metodico,
pas.
Nardo, n Ichthyol. Ade pag. 15; Sinonimia mo-
derna, pag. 115 e 125; Prospetti sistematici, pagi-
ne 84 e 89.
Gemmellaro, Ittiologia del golfo di Catania, Atti del-
lAccad. Gioenia, tom. XIX, ser. II, pag. 144.
Canestrini, Catalogo, Archivio I, 264.
Giinther, Cat. of Acantb. fish. IV, 195-197, Coris julis,
C. gioffredi.
Perugia, Catalogo pag. 20, spec. 258, 259 e 260 (Nome
volg. Girella).
— 142 —
XVII. Hulis turcica Risso,
Ved. fig. Cuvier, Regn. anim. Ill. Poiss. pl. 87. fig. 4. = Cuv. Val.,
Hist. nat. pl. 586.
Il capo è nudo ; la linea laterale non è interrotta;
le squame sono grandi; il corpo è compresso ed allun-,
gato. Contansi tutt al più 50 squame nella linea late-
rale, 15 raggi divisi nella dorsale ed 11 nell’ anale.
I lobi caudali sono prolungati. Le pettorali portano una
macchia nera verso l apice ed un’ altra più piccola
alla base. Il tronco ch’ è verdastro o rossastro, porta
dietro alla pettorale una fascia trasversale obliqua ce-
leste, orlata di rosso e più o meno distinta. La dorsale
porta nel mezzo una fascia longitudinale bruna; una
simile scorre lungo la base dell’ anale. IT capo è varia-
mente percorso da linee celesti.
\
8
bee 9
5 A. i ?_ Sq. 28-50, Vert. 25.
L’ esame di un esemplare mi condusse al SEGUeso
indici.
Indice dell’ altezza del corpo. . 21,0.
» della lunghezza del capo. 20,6.
» dello spazio preorbitale . 7,4.
E) 29 interorbitale. 4, Db.
» dell'orbita . . . lb,
Risso, Hist. nat. IHÉ, 512, Lulis birth pera laete vi-
ridi aurato; quae fascia ct rubra, margi-
nata pictis.
Cuvier, Regn. anim. Il. Poiss. pl. 87, lulis pavo.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIII, 377 e 422, I. pavo, 1.
Blochii.
Bonaparte, Cat. met. pag. 86, spec. 777, Chlorichthys
pavo. .
Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 179, lulis pavo.
— 145 —
XVII. Xyrichthys novacula Cuv.
Ved. fig. Cuvier, Regn. anim. Il. Poiss. pl. 89, fig. 5. — (Cuv. Val.,
Hist. nat. pl. 591.
Le prime due spine sono flessibili; notansi alcune
poche squame rudimentali sotto all’ orbita. Le ventrali
sono appuntate e si estendono fino all’ ano. Il pesce è
roseo con striscia verticale azzurra su ciascuna squama;
il capo porta numerose linee verticali celesti. L’ anale
è ornata di linee oblique, la codale di linee verticali
ondulate. Il ventre porta una macchia argentea.
9
11-12)
L’ esame di un esemplare mi condusse ai seguenti
indici.
Indice dell’ altezza del corpo . . 27,8.
» della lunghezza del capo . 20,4.
» dello spazio preorbitale . . 12,6.
”» » interorbitale . 5,6.
dell'orbita (li 4.
Bonaparte cita nel suo Catalogo metodico tra i sino-
nimi dello Xyrichthys novacula, la Novacula coryphaena
del Risso (Hist. nat. III, 554). Bonaparte non sarebbe
caduto in quest’ errore, se avesse letto attentamente i
caratteri attribuiti dal Risso alla sua Nov. coryphaena;
la sola formula dei raggi delle pinne (D. 38, A. 25)
avrebbe dovuto bastare a farlo cambiare d’ avviso.
Plinio, Hist. nat. lib. XXXII, cap. II, Novacula.
Rondelet, De pisc. lib. V, cap. XVII, pag. 146, De No-
vacula pisce.
Aldrovandi, De pisc. lib. Il, cap. XXVII, pag. 205, De
pectine Romanorum.
Artedi, Synonim. pisc. pag. 28.
A. d; Sq. 1 1 26-27, Vert. 23.
— 144 —
Bonnaterre, Tabl. encyclop. pag. 59, pl. 33, fig. 127,
Coryphaena novacula; Encycl. method. 327.
Lacepède Hist. nat. V, 262.
Cuvier, Regn. anim. Lu. Poiss. pl. 89.
Cuv. et Val., Hist. nat. XIV, 37, pl. 591, Xyrichthys
cultratus.
Bonaparte, Cat. met. pag. 86, spec. 779, X. novacula.
Nardo, Prospetti sistematici, pag. 89.
Ginther, Cat. of Acanth. Fish. IV, 169, Novacula
cultrata.
Gemmellaro , Ittiologia del golfo di Catania, Atti del-
I’ Acc. Gioenia, ser. II, tom. XIX, pag. 146 ( Sici-
liano, Pettini).
Canestrini, Catalogo, Archivio I, 264.
Perugia, Catalogo, pag. 20, spec. 261.
SOPRA ALCUNI CRANE ANTICHI
SCOPERTI NEL TRENTINO ENEL VENETO
PER
iriovanni Canestrini
H. avuto recentemente dal civico Museo di Rovereto
per mezzo de’ miei egregi amici F. Menestrina, farma-
cista, e F. Zeni, distinto naturalista, tre crani scoperti
in una tomba presso Rovereto; un altro mi fu gentil-
mente comunicato dal cav. Ed. De Betta, proveniente
da uno scavo fatto nei dintorni di Verona.
Mi sembra che questi crani siano di qualche interesse
pegli antropologi e perciò ho creduto opportuno di illu-
strarli e descriverli.
I. Crani di Rovereto
Ved. Tav. V.
Intorno alla loro scoperta il sig. F. Zeni mi comunica
quanto segue: « Il 15 marzo 1864, nella campagna del
sig. Filippo Jacob, detta ai Sabbioni alti, situata fuori
della citta di Rovereto, oltre il pubblico passeggio a
settentrione, smovendo la terra, i lavoratori s° imbatte-
rono in alcune tombe, le quali, progredendo nello scavo,
ascesero a 10-12. Andato sul luogo, vidi, che erano
9
— 146 —
formate per la maggior parte di semplici pietre, mes-
sevi senza cemento ed ineguali, altre constavano di te-
gulae (ossia embrici ), mattoni a risalto. La terra vi era
penetrata tanto da colmare ogni vacuo ed ogni foro.
Desse davano l’ idea d’ un sepolcreto di persone certa-
mente non agiate, e, nè le pietre, nè i mattoni porta-
vano lettere od ornati. Vi rinvénni monete da 23 anni
av. Cr. fino a 595 anni dopo Cr., una rozza fibula,
delle bullette di bronzo, dei pendenti di vetro azzurro
legati in bronzo, un frantume di pettine di osso di
cervo, una perla forata in smalto giallognolo, una daga
lunga 44 centim. e larga 4 1]2 centim., una fusaiuola
cotta al sole, ed un’ altra cotta al forno e fatta al torno.
Uno dei cranj lo trovai in tomba a pietre unite senza
cemento, gli altri due in tombe ad embrici » (1).
Il prof. P. Strobel, trattando di queste stesse tombe,
aggiunge che tra le due fusaiuole saddette I° una è di
pasta simile a quella delle stoviglie dell’ epoca prero-
mana del ferro; | altra di argilla ben cotta, come la
pasta delle figuline romane (2).
Le notizie precedenti possono indurci a riferire i
crani roveretani all’ epoca romana; resta ora a vedersi
se debbano essere considerati come romani o meno.
Questi crani appartengono l’ uno ad un maschio adulto
di circa 55 anni, l altro ad una femina adulta di circa
50 anni, ed il terzo ad un individuo giovane di circa
10 anni. Tale diversità nel sesso e nell’ età è per noi di
molto interesse, imperocchè ci permette di stabilire le
differenze sessuali e di età, cui andava soggetto il cra-
nio del popolo antico di cui si tratta.
(1) F. Zeni, Manoscritto. _
(2) P. Strobel, L’ Adige, anno II, numeri 519, 520.
» — 147 —
a. Cranio maschile
Dapprima ci occuperemo del cranio maschile adulto,
perchè in esso, più che negli altri, dobbiamo aspettarci
di rinvenire i caratteri distintivi della nazione di cui
faceva parte. Esso è completo, se si faccia astrazione da
alcuni denti che sono mancanti sì nella mascella supe-
riore che nell’ inferiore, e dalle ossa nasali, alle quali
manca la parte apicale. Ciò che colpisce | occhio a tutta
prima, guardando il cranio di faccia, si è il forte svi-
luppo delle arcate sopraciliari, per cui la radice del
naso apparisce profondamente impressa sotto al frontale.
Le orbite s’ accostano assai alla forma quadrangolare,
ed è notevole la grande differenza che esiste tra il dia-
metro, che dalla metà del margine superiore dell’ orbita
va alla metà del margine inferiore della medesima, e che
chiameremo diametro verticale ( = 530,5 ), ed il diame-
tro orizzontale ossia esterno-interno (= 42,2). La fronte
è stretta, ma alta ed elegantemente inarcata con curva
regolare. Nella mascella inferiore, l’ apofisi mentoniera
è mediocremente sviluppata; la linea obliqua esterna e
la miloidea sono robuste, per cui doveano essere forti
i muscoli che vi si inserivano, ed è profonda la doccia
del lembo anteriore racchiusa dalle predette linee. Ro-
busta è inoltre l’ apofisi coronoide e mediocremente
sviluppata 1’ apofisi genia. Dell’ età avanzata dell’ indi-
viduo, a cui accennano tutti gli altri caratteri, ci è te-
stimonio anche il grande angolo della mascella. La fossa
canina è larga e piuttosto profonda. La faccia deve dirsi
corta, ma tale cortezza devesi unicamente alla breve
distanza che corre tra la radice dei nasali e la spina
nasale, mentre la linea che congiunge questa spina col-
l'apice del mento è di lunghezza mediocre. Manca la
sutura frontale e le gobbe frontali sono quasi intera-
— 148 —
mente dileguate, per cui la glabella rappresenta uno
spazio distintamente triangolare colla base in alto ed
il vertice in basso.
Guardando il cranio di profilo, due sono le cose che
risaltano e che meritano di essere menzionate, cioè la
dolicocefalia della forma e la notevole sporgenza dello
occipite. La, sutura coronale è in parte scomparsa nella
sua porzione laterale ed inferiore. Le apofisi mastoidee
sono mediocremente voluminose ed assai rugose; se il
cranio, privo della sua mascella inferiore, sia posto so-
pra un piano orizzontale, le dette apofisi non raggiun-
gono il piano citato. La fossa temporale è profonda, e
la grande ala della sfenoide, che prende parte alla for-
mazione della medesima, è ricca di scabrosità.
Se si guarda il cranio dal di dietro, si osserva, che
la porzione posteriore della sutura sagittale va scompa-
rendo, mentre incomincia a dileguarsi anche la sutura
lambdoidea verso il punto più elevato del suo corso.
La protuberanza occipitale è leggermente sviluppata, è
invece di notevole robustezza la cresta occipitale esterna.
Se guardiamo il cranio dal disotto, vediamo il foro
occipitale in posizione normale, con un diametro antero-
posteriore di mill. 36 172 ed un diametro trasversale di
mill. 54 12. Se congiungiamo con una linea retta gli
apici delle apofisi mastoidee, questa passa innanzi al
centro del grande foro occipitale e lascia dietro di se
una notevole porzione dei condili occipitali.
La vista del cranio dal disopra nulla offre che meriti
di essere notato; solo osserveremo che le gobbe parie-
tali compariscono poco marcate.
Se la circonferenza orizzontale del cranio viene tagliata
da due linee che sì elevino perpendicolarmente dai meati
uditivi, si troverà divisa in due parti disuguali, tra cui
l’ anteriore è mollo minore della posteriore, misurando
quella millimetri 245, questa mill. 273.
— 149 —
Le misure prese sopra questo cranio mi condussero
al seguenti risultati.
Lunghezza del cranio, dalla sutura nasale
“all OCcIpite ssi ot. Rina 1847,
Larghezza del cranio tra le o: parietali » 151.
”» ”» figura È centri delle
squame temporali. . . . . » 152.
Diametro bilaterale ( maggior diamo
trasversale)... .. .0. E TI)
Altezza del cranio, dal margine anteriore
del grande n occipitale al vertice » 148.
Circonferenza orizzontale... . » BIS.
Distanza in linea retta tra i punti i
della sutura sagittale. . /. . .. » 121.
Distanza in linea retta tra il margine an-
ter. del grande foro pi e la
sutura nasale. i... AD 10
Distanza in linea retta tra il lneiine po-
steriore del grande foro occipitale
e la punta anteriore della sutura sa-
gittale . ELIO RENE ” 150.
Lunghezza dell’ arco tra un foro eo
el'altro peli vertice 0000. iVioni »l 343:
Lunghezza dell’ arco frontale . . . . » 127.
Larghezza del frontale tra i punti estremi
della coronale . . . . » 114.
Larghezza del frontale tra le lince semi-
circolari, sopra le orbite . . . ” 95.
Larghezza della faccia tra le arcate Liga
matiche .-. . . ata? 151.
Lunghezza della faccia tra La Sutra na-
sale e la. punta del mento. . . . » 108.
Diametro verticale dell’ orbita . . . . » 30,5.
”» orizzontale ” BOSIO si 209,
Indice della larghezza, ossia diametro bila-
— 150 —
terale, supposto uguale a 100 il dia-
metro antero- e Re inzio ie
Indice dell'altezza . . . IVA SE) SAP7:
La delicatezza del cranio non permette di misurare
la capacità coi metodi ordinariamente usati. Se però
cerchiamo di determinarla col metodo proposto dal Broca,
riceviamo un valore approssimativo che la Tappriescnta,
di 1655 centim. cubici.
b. Cranio feminile
Il cranio feminile di Rovereto differisce in parecchi
rapporti dal precedente. Se lo si osserva di faccia, si
vede, che le arcate sopraciliari sono solo leggermente
indica per cui la sutura nasale risulta più accostata
che nel maschio alla generale superficie della faccia. Le
orbite s° avvicinano alla forma circolare, essendo il dia-
metro verticale uguale a mill. 33,5, ed a mill. 37,5
il diametro orizzontale. La fronte è relativamente al-
quanto più stretta fra le linee semicircolari. Nella ma-
scella inferiore, l’ apofisi mentoniera è ben sviluppata,
ma le linee obbliqua esterna e miloidea sono debo-
lissime. E inoltre leggermente sviluppata l’ apofisi ge-
nia, e la fossa canina è assai poco profonda. La faccia
è mediocremente lunga; manca ogni traccia di sutura
frontale; le gobbe frontali sono distinte.
La vista del cranio di profilo ci dinota, come nel
precedente, la distinta dolicocefalia e la notevole spor-
genza dell’ occipite. La sutura coronale è chiara in ogni
sua parte, le apofisi mastoidee sono piuttosto deboli,
fossa temporale è profonda con molte scabrosità della .
sua parte interna.
Nè la sutura sagittale, nè la lambdoidea tendono a
dileguarsi; la protuberanza occipitale è leggerissima, ed
appena accennata è la cresta occipitale esterna.
»
— 151 —
Il grande foro occipitale è spinto molto in avanti, in
guisa che, se riuniamo insieme con una retta gli apici
delle apofisi mastoidee, questa retta passa pel centro del
predetto foro, e lascia quasi interamente innanzi a se i
condili occipitali.
Guardando il cranio dal disopra, notasi una leggera as-
simmetria, essendo la gobba parietale destra alquanto sti-
rata in avanti, in confronto della gobba parietale sinistra.
Le misure prese sopra questo cranio condussero ai
seguenti risultati.
Junghezza"del'erapio tt. mill. 472;
Larghezza del cranio tra le gobbe parietali » 126.
”» ,» » trai centri delle squa-
Mete porali!ti 819. CISITeRO 10090
Diametro bilaterale (maggior diametro
trasversale)... . Rio 3.
Altezza del cranio, nel senso ii Wielcher! LUI,
Circonferenza o LS ORERO, RAR 405
Distanza in linea retta tra i punti estremi
della sutura 'sagittale. 0 0.0.0. 00» 105.
Distanza in linea retta tra il margine an-
ter. del grande foro i) e la
sutura TE PIA ARRALI, II RRGEGR AA DAR, 93.
Distanza in linea retta tra il ILICE po-
ster. del grande foro occipitale e la
punta anter. della sutura sagittale . » 155.
Lunghezza dell’ arco tra un foro uditivo
ciltaltro? pellivertice SR 2901
Lunghezza dell’ arco frontale . . . . » 122.
Larghezza del frontale tra i punti estremi
della coronale . . . . CLERO Lidi:
Larghezza del frontale tra le lie semI-
circolari, sopra le orbite . . . » 87.
Larghezza della faccia tra le arcate Lio
Magiehe) Sir RO e id, 121.
— 152 —
Lunghezza della faccia... . . . . mill. 115.
Diametro verticale dell’ orbita . . . . » 533,5.
» orizzontale EL Vi IVO 22, 97,5.
Indice della larghezza. . . /.... » 77,5.
» dell'altezza. . . ”» 72,6.
Se anche di questo cranio si calcola la capacità col
metodo di Broca, si giunge al valore approssimativo di
1241 centim. cubici.
c. Cranio infantile
Le dimensioni che offre questo cranio, poco possono
interessarci, in questo studio antropologico, avendo il
medesimo tutti 1 caratteri giovanili, i quali in gran
parte cancellano i distintivi delle razze e delle naziona-
lità. Faremo perciò notare solamente le seguenti tre
dimensioni.
Lunghezza del cranio . . . . . . . mill. 164.
Larghezza del cranio tra le gobbe parietali » 151,5.
Altezza del cranio, nel senso di Welcker » 129.
Faremo osservare ancora, che manca ogni traccia di
sutura frontale, quantunque si tratti di individuo assai
. giovane; che il cranio offre una notevole assimmetria, es-
sendo la gobba parietale sinistra portata notevolmente
in avanti, in confronto della gobba parietale destra;
che in fine vi esistono tre ossa wormiane distintamente
sviluppate, il primo nel mezzo circa della porzione si-
nistra della sutura coronale, il secondo sulla sutura lam- ©
bdoidea, al lato sinistro, a due centimetri circa di di-
stanza dall’ angolo superiore dell’ occipitale, ed il terzo
sulla stessa sutura, al lato destro del cranio, e ad un
centimetro circa di distanza dall’ angolo predetto del-
l’ occipitale.
f
— 1535 —
Ora che conosciamo i caratteri di questi crani, po-
tremo fare qualche confronto di questi con altri già
conosciuti e descritti.
Innanzi tutto vogliamo confrontare il cranio maschile
di Rovereto con quello di San Polo, da me illustrato
e descritto nell’ Annuario della Società dei Naturalisti
di Modena, anno ll.° tav. 1.*, pag. 1. Tale confronto è
consigliato dalla uguale o quasi uguale antichità di que-
sti due crani. Il seguente specchietto servirà all’ uopo.
Notisi che gli indici sono i valori delle dimensioni, sup-
posta uguale a 100 la lunghezza del cranio.
| Cranio {Cranio masch. {
i di S. Polo | di Rovereto
/Dimens 1. Dimens. Lal
i assolute ul RR] micio:
Lunehezzaddeliicranio >. i... ll ld 106 100 $ 181 | 100 |
Diametro bitemporale . . . . ....% 157 69,8Î 451 72,5 |
» verticale . . c - | 145 72,9) 448 81.7 |
Larghezza del frontale tra i punti. più di- ] i
- stanti della sutura coronale . . . .% 12% 65.21 144 62.9 |
Lunghezza dell’ arco frontale . . . .| 129 65,8f 127 70,9 |
» » » tra un foro uditivo Ì i j
e l’altro pel vertice . . . ..|. 349 | 4178 515 | 17532)
Distanza in linea retta tra la radice dei | È |
nasali ed il centro della coronale . . i 115 58,0] 410 60,7 |
Distanza in linea retta tra i punti estre- - È i
mi della sutura sagittale . . . IONDLIO7: 64,7% 121 66.8 |
Distanza in linea retta tra il margine an- ; |
teriore del grande foro ‘occipitale e | j
fa sutura nasale . . . .j 103 52,51 104 37,4 |
Distanza in linea retta tra il margine po- i
steriore del grande foro occipitale e | I
la punta anteriore della sut. sagittale | 155,5 | 79,5 156 86.1 |
Larghezza della faccia tra le arcate zigo-
mMaviehe gt. De ed | 67,8 151 72,91
Da questo UA devesi inferirè quanto segue.
1. Il cranio roveretano è, assolutamente, assai più
corto del reggiano.
2. L'indice del diametro bitemporale in quello è no-
tevolmente maggiore che in questo.
5. Il cranio roveretano è eminentemente alto, para-
gonato col reggiano.
4. La fronte in quello si eleva a maggiore altezza
che in questo.
— 154 —
5. L'indice della larghezza della faccia, nel cranio
roveretano, è considerevolmente maggiore che nel cranio
reggiano.
Ho potuto confrontare il cranio di Rovereto con uno
tra quelli scavati nella piazza reale di Modena nell’ au-
tunno 1865 e riferibili al 4.° o 5.° secolo della nostra
éra. La seguente tabella porta alcune misure pei con-
fronti opportuni.
Cranio Cranio
rover. masch.j modenese
Dimens. .__| Dimens. ;
assolute |Indic assolute I Indico
Lunghezza ide] fera DONARE 181 100 185 | 100
Diametro bitemporale . ./.0/./.... 154 72.5 135 72.6
Alza caleino Poi dele Seo 448 84.7 158 784
Larghezza della fronte tra le linee semi- È :
CILCOAFIA NO e MEA ARi eroe 95 54,3 95 50,8
Queste misure c’ insegnano, che il cranio roveretano
s° accosta al modenese antico per la sua lunghezza asso-
luta, pel suo indice cefalico e per la larghezza assoluta
e relativa della fronte; ma sì allontana dal medesimo
per la sua grande altezza verticale. Potei inoltre rile-
vare dal confronto dei due cranit, che il primo è più
largo tra le arcate zigomatiche ed ha una fronte assai
più elevata del secondo.
Ora possiamo domandarci, se il cranio roveretano
possa dirsi romano. i)a notizie gentilmente fornitemi
dal distinto nostro antropologo G. Nicolucci, e da quanto
espose il dott. Antonio Garbiglietti nel Giornale della
R. Accademia di Medicina di Torino numeri 15, 14 e
15 del 1866, rilevo, tra altri, i seguenti caratteri del
cranio romano.
Î. Brevità relativa del diametro verticale. Questo dia-
metro, secondo Nicolucci, non supera quasi mai i 140
millimetri.
II. Indice cefalico che oscilla fra 75 e 78 (secondo
Nicolucci ).
— 159 —
II. Distanza tra i due zigomi oscillante fra i 118 e
120 millimetri (secondo Nicolucci).
IV. Ragguardevole depressione della sommità del cra-
nio ( Garbiglietti ).
Ora il cranio maschile roveretano offre un diametro
verticale assai elevato, cioè di mill. 148, ed inoltre la
larghezza della faccia, essendo di mill. 151, supera di
molto quella dei crani romani. Le osservazioni sopra
esposte c’ insegnano, credo, chiaramente, che i crani di
Rovereto sono diversi da quello di S. Polo, da quello
della piazza reale di Modena ed infine dai crani romani.
In seguito a questi' risultati negativi, cercai di scio-
gliere la questione confrontando i crani antichi di Ro-
vereto con moderni della stessa località. Î signori Me-
nestrina e Zeni me ne procurarono tre di questi ultimi,
due di bambini ed uno di femina adulta. Quest’ ultimo
concorda benissimo col femminile antico, come rilevasi
dall’ annessa tabella.
Cranio | Cranio |
ant.fem.frec.fem.
di Rovereto
Lunghezza del cranio . . SR A OZ 172 174
Larghezza » » tra le gobbe varietali UR 126 126
» » » tra i centri delle squame temporali "131 451
Maggior diametro trasversale... . . 0... 3 155 155
ATTEZZIMO CICERO NN O AE ORO OLO 125 124
Circonferenza orizzontale . . - E 492 4992
Distanza in linea retta tra i punti estremi della sutura
sagittale . . ; 105 99
Distanza in linea retta tra” i margine anteriore del
grande foro occipitale e la sutura nasale... . . 95 9
Distanza in linea retta tra il margine posteriore del
grande foro occipitale e la punta anteriore della
sutura sagittale . . . : SU Ina ; 159 157
Lunghezza dell’ arco frontale. . . 5 122 127
Larghezza della fronte tra le linee semicircolari sopra
LeFORDITE RANE AREA 37 91
Larghezza della faccia tra ‘le arcate zigomatiche CNRS 121 121
Maggior diametro verticale dell’ orbita” AO I STIRO 99,ò 611
» » orizzontale » DR TIFOSO <57,5 38
Rate Cali Ara eZzZA o eee oo 771,5 78,7
» dell’ altezza . 72,6 70,7
Capacità craniana approssimativamente, ‘centim. ‘cubici . È 424 1259
— 156 —
Vediamo ora il risultato che si presentò in seguito
all’ esame di crani maschili del Trentino, tra cui ne
misurai uno di Trento, due di Vervò nella Valle di Non
e tre di S. Romedio della stessa valle. La seguente ta-
bella offre il risultato de’ miei confronti. Nella prima
rubrica trovansi le misure del cranio antico maschile
di Rovereto, nella seconda i limiti di oscillazione osser-
vati nei predetti crani; la terza offre la media risultante
dalle sei osservazioni.
= | Crani trentini
Ss £ moderni maschili
SS Bal SI: ;
E Ei Oscillazioni Medie
Lunghezza del cranio. . . Pon] ENI 168-178 173
Larghezza tra le gobbe D RRIelani LI RELARE - | 131 127-159 134
» tra i centri delle SAURO temporali . 1 132 122-140 132
Diametro bilaterale . . . gno onto] Ao 152-151 142
INITEZza NA elFcra nio OR IS 150-154 151
Circonferenza orizzontale . . . . | 518 915-529 | 518
Distanza in linea retta tra i PUDA estremi della )
sutura sagittale . . . . | 121 108-114 141
Distanza in linea retta tra il margine ant. del
grande foro occipitale e la sutura nasale. . { 104 92-101 96
Distanza in linea retta tra il margine post. del
grande foro occipitale e la punta ant. della
SUTURA RO NS IU 145-148 146
Lunghezza dell’ arco frontale . . . . | 127 150-157 154
Larghezza della fronte tra le linee semicircolari . | 99 95-105 97
» » faccia tra le arcate zigomatiche . | 151 120-157 | 451
Indice della larghezza. +... 75.1 78- 89 82
» dellialtezza LO e AR 81,7 72- 80 75
Ù
Da questa tabella si vede, che il cranio maschile an-
tico di Rovereto concorda in molti rapporti coi crani
trentini recenti. Solo due differenze risultano chiara-
mente dai numeri citati, e sono le seguenti:
1. Il cranio roveretano antico offre un indice cefalico
minore dei crani trentini recenti; esso è più allungato
e più stretto di questi.
2. Il medesimo ha un’altezza che supera la media
osservata nei crani trentini recenti, quantunque tra que-
— 157 —
sti sianvi delle forme che s’ accostano assai a quella
che presenta il primo.
Non ostante queste differenze, dopo qualche esitazione,
credo di dover riferire anche il maschio antico di Ro-
vereto al tipo indigeno trentino; specialmente fui in-
dotto a tale conclusione dal vedere che anche attual-
mente vi esistono dei crani di elevata altezza, come
p. e. la offre uno di Vervò, il. quale essendo lungo soli
mill. 168, è alto mill. 154.
Concludo perciò colle seguenti asserzioni che credo
ben fondate negli studi che precedono:
1. Ì cranj antichi roveretani vanno riferiti agli anti-
chi abitatori del Trentino, dai quali discesero gli abi-
tanti odierni.
2. Gli abitatori del Trentino durante l° epoca a cui
risalgono le tombe scoperte a Rovereto, erano dolico-
cefali. o
5. A contatto con altri popoli, e specialmente coi Ro-
mani e Veneti di cranio piuttosto corto e basso, in se-
guito all’ incrociamento con questi, il cranio trentino si
fece più corto e più basso, ed assunse que’ caratteri
che offre oggidi, i quali lo collocano nella serie dei po-
poli brachicefali.
4. Tuttavia osservasi anche a’ nostri giorni qualche
tipo che concorda quasi perfettamente coi crani antichi
di Rovereto, ed è probabile, come lo fa supporre il
caso da me osservato, che il tipo antico siasi mantenuto
più puro nelle regioni settentrionali e montuose del
Trentino, anzichè nella parte meridionale.
5. Il cranio feminile sembra aver subito delle modi-
ficazioni leggerissime.
— 158 —
II. Cranio di Verona
Ved. Tav. V. bis.
Questo cranio è stato trovato nell’ escavo della Fossa
maestra presso Verona alla profondità di metri 5 1]2
sotto il piano della Valle in uno strato di terriccio nero.
Non posseggo più dettagliate notizie intorno alla giaci-
tura di questo avanzo umano.
L’ egregio mio amico cav. Edoardo De Betta volle
comunicarmelo per oggetto di studio ed io sono lieto
di poterlo illustrare, giacchè i caratteri che presenta lo
rendono interessante pegli antropologi.
{l cranio antico veronese appartiene ad una donna
di circa 54 anni e si fa notare per i seguerti tre ca-
ratteri. i
1. La fronte è estremamente stretta, in guisa che la
sua larghezza sopra le orbite tra le linee semicircolari
non misura che mill. 85.
2. ll cranio è anteriormente assai stretto, ed apparisce
perciò molto largo nella sua porzione posteriore. Mentre
la distanza tra i punti estremi della coronale non misura
che 115 mill., il diametro che congiunge i due punti
omologhi tra loro più discosti dei parietali conta 159
millim.
5. Manca completamente la sutura sagittale, e la su-
tura coronale comincia a dileguarsi nelle sue porzioni
laterali inferiori.
Aggiungerò ancora, che il cranio è alquanto assim-
metrico, essendo il parietale sinistro più convesso del
destro, quest’ ultimo come stiracchiato in avanti.
Ho creduto opportuno di confrontare il cranio antico
di Verona con un recente della stessa località, favori-
— 159 —
tomi, anche questo, dallo stesso De Betta. La tabella
annessa ne contiene i risultati.
Si noti però, che sul primo non potei prendere tutte
quelle misure che avrei desiderato, non essendo com-
pleto. Mancano infatti la mascella inferiore, |’ osso tem-
porale destro, la mascella superiore, porzioni delle due
orbite ed una parte dei nasali. Se ciò non ostante si
trova misurata la distanza tra le arcate zigomatiche,
questa dimensione è calcolata coll’ aiuto della metà si-
nistra del cranio.
i Cranio I Cranio
i antico Jrecente
nia del cranio 180,6 183,9
Larghezza ira le gobbe parietal 156 145
Diametro: bilaterale . ; 159 44
Allezza del cranio i 497 130
Circonicrenza orizzontale . ò . | DI4 327
Distanza in linea retta tra il margine ant. del ‘ grande
foro occipitale e la sutura nasale ; 98 98
Distanza in linea retta tra il margine post. del grande
foro occipitale ed il centro della sutura coronale. 139 146
Lunghezza dell’ arco frontale. 152 122
Larghezza della fronte tra le linee semicircolari 85 96,5
» della faccia tra le arcate zigomatiche 128 128
Maggior diametro verticale dell’ orbita . di 06
» » orizzontale » » RA 99 39
Indicegdelle@blaneheZza e e 76,9 784
DACIA TEZZE e 70,3 70,8
Se si riflette che tra i due crani misurati È antico è
di femina vecchia, ed il recente di maschio trentenne,
SÌ comprenderà cli leggieri, come le piccole differenze
che si sono manilestile. possano essere trascurate. A
mio parere, l antico cranio veronese appartiene a quello
stesso tipo che dimora attualmente a Verona. In questo
Weisbach e Nicolucci trovarono un indice cefalico di
82. Da questa media non si scosta molto l° indice cefa-
lico da me notato nel cranio veronese recente, e se al-
quanto se ne allontana |’ antico, devesi riflettere che si
tratta di un individuo feminile antico che per -soprap-
— 160 —
più è affetto di precoce ossificazione di alcune sue
suture.
Un solo carattere non può essere trascurato, quello
che si riferisce alla strettezza della fronte. Ma esso non
può essere, da solo, ritenuto carattere di stirpe, sibbene
ed unicamente carattere individuale. É poi sommamente
probabile, che la strettezza della fronte e la differenza
nella larghezza tra la porzione anteriore e la posteriore
del cranio, dipendano dalla sinostosi della sutura sa-
gittale.
FORMICIDAE NOVAE AMERICANAR
COLLECTAE
A PROF. P. DE STROBEL
DESCRIPTAE
A DOTT. GUSTAVO MAYR
SEZ TT—__
f. Camponotus PUNCTULATUS N. Sp.
Operaria: Long. 4-7:4 mm. Rufa abdomine nigro,
aut rufa capite (mandibulis antennisque exceptis) et
abdomine nigris, aut nigra mandibulis, antennis pedibus-
que rufis; lhaud copioso pilosa, sparsissime et subtilis-
sime pubescens; caput, thorax et petioli squama ut in
Camp. sylvatico Oi.; mandibulae sexdentatae, nitidae,
sublaeves (subtilissime coriaceae) punctis dispersis, ca-
put et thorax densissime et subtiliter reticulato-punctata
et subopaca, genae Iinsuper punctis dispersis minutis et
occiput postice punctis lineolatis; clypeus acute carina-
tus antice vix productus margine antico recto; abdomen
nitidum densissime et subtiliter transversim rastratum;
tibiae absque pilis abstantibus.
Femina: Long. 11 mm. Rufa, capite postice opaco
nigro, antice obscure castaneo-fusco, mandibulis castaneis,
antennis laete castaneis, thorace supra subnitido casta-
neo, abdomine nitido nigro; sparse pilosa, sparsissime
et subtiliter pubescens; caput ut in Operaria; clypei
margo anticus in medio paulo emarginatus; thorax su-
10
— 162 —
pra subtiliter coriaceo-rugulosus, lateraliter partim ru-
gulosus, partim dense punctulatus; petioli squama tra-
pezoideo-obovata; abdomen subtilissime transversim strio-
lato-coriaceum et insuper punctulis dispersis; tibiae absque
pilis abstantibus,
Lecrus in provinciis: Cordova (Rio Cuarto), San
Luis, Mendoza (Mendoza et San Carlos) et Buenos Ai-
res ( Bahia blanca et Carmen de los Patagones); men-
sibus aestivis, Decembre usque ad Lars, annis 1865
ad 1867. — Srr.
2. CAMPONOTUS BONARIENSIS N. Sp.
Operaria: Long. 6:6-9 mm. Rufo-testacea, nitida, co-
xis femoribusque pallidioribus, abdomine nigro-fusco,
segmentis 2 anticis plus minusve testaceis, scapis, tibiis
et metatarsis saepe fuscis; sparsissime pilosa et pube-
scens; mandibulae 5-6 dentatae, subtilissime rugulosae
(dentibus laevibus) et punctis dispersis; caput Operariae
majoris cum mandibulis subtriangulare, thorace latius,
Operariae minoris vero marginibus lateralibus subparal-
lelis, subtiliter coriaceum, clypeo et genis dispersissime
rude punctatis, fronte punctis nonnullis subtilibus; cly-
peus carinatus et antice haud aut parum productus,
margine antico in medio recto; scapus capitis marginem
posticum superans; thorax subtilissime coriaceo-rugulo-
sus et petioli squama ut in Camp. sylvatico Ol.; abdo-
men subtilissime transversim rugulosum; tibiae absque
pilis abstantibus.
Camponoti sylvatici OI. varietate clara simillima differt
clypeo anlice parum producto, pilositate abstante . spar-
sissima et brevi (capite et abdomine ante apicem et
infra copiosius pilosis) et sculptura subtiliori.
Caprus in locis urbi Buenos Atres propinquis; anno
1866. — Sra.
— 163 —
BRACHYMYRMEX nov. gen.
Operaria: Mandibulae haud latae, ad apicem modice
dilatatae, margine masticatorio quadridentato. Clypeus
cuculliformis mandibulas partim obtegens, non carinatus,
transversim fortiter, longitrorsum modice fornicatus, an-
gulo postico rotundato inter antennarum articulationes
vix intersertus. Fossa clypealis et fossa antennalis conjun-
ctae. Laminae frontales breves. Antennae 9 articulatae&;
scapus longus; funiculus articulis secundo ad penultimum
funiculi apicem versus sensim majoribus, articulo apicali
maximo, incrassato et fusiformi, Area frontalis distincte
impressa. Sulcus frontalis tenuis. Ocelli minutissimi.
Oculi mediocres, parum convexi, paulo ante capitis late-
rum medietatem. Caput postice late emarginatum. Tho-
rax crassiusculus, inermis, supra absque strictura, lon-
gitrorsum subrectus, antice et postice rotundato-declivis,
mesonotum lalius quam longius. Petiolus uniarticulatus
supra cum squama inermi rotundata, antrorsum decli-
nata. Abdomen, a supra visum, segmentis quinque, ano
apicali. Pedes postici calcaribus rectis, simplicibus et
haud longis.
Mas: Mandibulae breves, sublineares, apice subacuto,
a elypeo obtectae, absque margine masticatorio. Clypeus
et area frontalis ut in Operaria. Laminae frontales bre-
ves. Antennae 10 articulutae; scapus longus, tenuis;
funiculus scapo paulo crassior, articulis secundo ad pen-
ultimam subaequalibus, cylindricis, articulo basali lon-
giore, crassiore et subclavato, articulo apicali longissimo
articulis 2 penultimis ad unum paulo longiore. Ocelli
magni, distantes. Oculi magni. Caput in thoracis parte
inferiori insertus et inde thorax antice gibbosus. Thorax
inermis supra deplanalus; pronotum brevissimum; me-
sonotum antice transversim gibbosum; metanotum con-
— 164 —
vexum, declive. Petiolus uniarticulatus supra cum squama
minuta transversa, antrorsum inclinata. Alae antlicae
cum cellula cubitali una, discoidali nulla.
5. BrAcHymyRMEX PATAGONICUS N. Sp.
Operaria: Long. 1:35 mm. Fusca, nitida, clypeo ma-
gis castaneo, mandibulis, antennis pedibusque plus mi-
nusve testaceis; sparsissime abstante pilosa, haud copiose
adpresse pubescens; subtilissime coriaceo-rugulosa capite
subtilissime punctulato, clypeo laevissimo.
| Mas: Long. 12 mm. Fuscus, nitidus, mandibulis, an-
tennis, thorace pedibusque rufo-testaceis; absque pilis
abstantibus; sublaevis; alae subhyalinae costis testaceis.
Invenrus nidus hujus speciei ad ripam fluminis Rio
Negro prope Patagones, provinciae Buenos Aires; mense
Februario anni 1867. — Srr.
4, HyPocLineA HUMILIS N. sp.
Operaria: Long. 2:6 mm. Sordide ferruginea, micans,
mandibularum parte apicali flavescenti, abdomine nigro-
fusco, tarsis et nonnunquam tibiis testaceis; microsco-
pice adpresse pubescens, absque pilis abstantibus; sub-
tilissime coriaceo-rugulosa, mandibulis nitidis sublaevi-
gatis punctis nonnullis; ciypeus margine antico late
haud profunde emarginatus; thorax inter mesonotum
et metanotum paulo at distincte constrictus, pronoto
fornicato, mesonoto longitrorsum recto, transversim con-
vexo, metanoto inermi longitrorsum fornicato pronoto
paulo altiori; petioli squama compressa rotundata.
Ad subgenus Iridomyrmex pertinens.
Leera in locis urbem Buenos Aires ambientibus;
anno 1866. — Sra.
— 165 —
DORYMYRMEX Mayr.
Operaria: Mandibvlae triangulares margine externo
longe curvato, margine masticatorio dentato antice dente
magno. Palpi maxillares sexarticulati, articulis primo et
secundo brevissimis, articulo tertio longissimo, curvato,
apicem versus incrassato. Palpi labiales quatuorarticulati.
Clypeus triangularis angulo postico rotundato paulo inter
antennarum articulationes intersertus, haud carinatus.
Fossa clypealis transit in fossam antennalem. Laminae
frontales breves, lineares, parallelae, postice paulo diver-
gentes. Antennae 12 articulatae ad clypei marginem in-
sertae; scapus longus tenuis; funiculus filiformis articu-
lis a basi ad funiculi apicem sensim breviores, articulo
basali longissimo et penultimo brevissimo. Area frontalis
subtrigona. Oculi ovati in capitis parte superiori sub-
aeque distantes a capitis marginibus antico et positivo.
Ocelli distincti. Capilis margo posticus haud forte ar-
cuatim excavatus, margines laterales parum curvati. Ca-
pitis pars inferior circulo pilorum longorum barbata.
Thorax inter mesonotum et metanotum constrictus, me-
tanoto fornicato supra aut dente aut conulo obtuso.
Petiolus uniarticulatus aut cum nodo aut squama. Abdo-
men, a supra visum, segmentis quatuor, ano infero.
Pedes graciles, calcaribus posticis pectinatis longis.
5. DoRYMYRMEX PLANIDENS N. sp.
Operaria: Long. 6-64 mm. Ochracea, nitidissima;
palpi copiose, mandibulae et clypeus sparse pilis longis
abstantibus, thorax sparse, metanotum copiosius pilis
erectis brevibus, abdomen sparse pilis brevibus abstan-
tibus, pedes sparse pilis paulo longioribus modice abstan-
tibus et e punctulis nigris orientibus; mandibulae lae-
— 166 —
vigatae disperse punctatae; palpi maxillaris articulus
quintus ante articuli quarti apicem insertus; caput, pro-
notum, petiolus, abdomen et pedes laevissima, mesono-
tum et metanotum coriaceo-rugulosa; mesonotum elon-
gatum; metanotum fortiter elevatum et fornicatum, su-
pra dente compresso erecto; petiolus supra cum nodo
rotundato, compresso.
Caprus in provinciis San Luis et Mendoza; mensibus
aestivis, annis 1865 et 1866. — Srr, |
6. DorywyRmEx TENER N. Sp.
Operaria: Long. 5:8-4 mm. Rufa, micans, mandibulis,
antennis pedibusque fuscis, abdomine nigro; modice at
subtiliter adpresse pubescens, fere absque pilositate ab-
stanti; corpus totum subtilissime et dense coriaceo-pun-
ctulatum, mandibulis striatis; palpi maxillaris articulus
quintus ad articuli quarti apicem inserlus; melanotum
subconicum, haud altum, supra conulo minutissimo obtuso,
parte basali retro ascendenti, transversim convexa, parte
declivi paulo deplanata et descendenti; petiolus supra
cum squama ovata infra crassiuscula, supra attenuata.
Inventus frequens ad radices arborum, in aditu mon-
tium Andium, inter Mendoza et Santa ftosa de los An-
des sito, et ab Uspallata (pron. Uspagliata) nuncupato;
mense Januario, anni 1866; altitudine circiter 5000 m.
— STR.
7. Lasipus STROBELI N. sp.
Mas: Long. corp. 16 mm. long. alae ant. 17 mm.
Testaceo-rufus, vertice, mesonoto partim, scutello et
petioli disco, nonnunquam etiam pronoto partim et me-
tanoto plus minusve infuscatis aut nigricantibus, oculis
nigris; copiose flavo-sericeo-adpresse pubescens, caput
-— 167 —
supra, thorax et petiolus infra, abdominis pars postica
et coxae dense, thoracis et abdominis dorsa disperse
abstante pilosa; caput parvum; mandibulae ad basim
subrectae, ante apicem curvatae; laminae frontales bre-
vissimae; scapus brevis ocellum lateralem haud attingens,
funiculus long. 48 mm.; sulcus frontalis ad ocellum
anticum extensus; ocelli in linea curvata siti, laterales
in verticis parte altissima; thorax antice supra capitem
productus; scutelli discus fere in eodem planitie disci
mesonoto; metanoti pars basalis in medio brevissima,
lineola brevi indistincta longitudinali, pars declivis sub-
verticalis, plana, marginibus lateralibus rotundatis; pe-
tiolus abdomine paulo angustior, brevior quam latior,
disco convexo, infra tuberculo instructus, marginibus
lateralibus parallelis, angulis anticis fortiter rotundatis,
posticis rotundato-rectangularibus; abdomen inter seg-
menta, praecipue supra, paulo constrictum; alae anticae
costis rufo-testaceis, ramo cubitali externo (costa trans-
verso-cubitali prima) inter cellulas 2 cubitales sigmoi-
deo, costae transversae parte interiore (transverso-cubi-
tali secunda) recta, costae cubitalis ramo interno mox
in medio conjuncto costae recurrenti et deinde incras-
sato, cellula radiali postice acuminata; pedes breves
absque pilis abstantibus.
Haec species pertinet ad Westwoodi (Monograph of
the Hymenopterous Group Dorylidae) sectionem secun-
dam petioli lateribus parallelis haud elevatis atque ad
divisionem petiolo breviore quam latiore et pedibus bre-
vissimis.
Caprus frequens, in aedibus, nocturno tempore, lu-
mine attractus, advolans, in provincits San Luis, Men-
doza ( San Carlos) et Buenos Aires (Bahia blanca);
mensibus aestivis, Decembre usque ad Februarium, an-
nis 1865 ad 1867. — Sra.
— 168 —
8. LaBmus suLcatus n. sp.
Mas: Long. corp. 7:5 mm., long. alae ant. 7 mm.
Testaceo-rufus, occipite oculisque nigricantibus; dense
flavido-pubescens pilis plerumque adpressis, ad scapum
et abdomen postice atque ad pedes abstantibus; mandibu-
lae curvatae; scapus ocellum lateralem attingens; laminae
frontales fortiter elevatae, parallelae, sulcum frontalem
profundum includentes, ante ocellun: anticum extrorsum
directae; ocelli in linea curvata siti; thorax altior quam
latior, antice modice supra caput productus, postice trun-
catus; petiolus supra convexus, quadratus, abdomine
vix angustiore, angulis anticis rotundatis, posticis re-
ctangularibus paulo acuminatis; abdomen conico-cylindri-
cum; pedes breves; alae costis festaceis, costae cubitalis
ramo externo. cellulas cubitales separanti, sigmoideo,
ramo interno pone inserlionem costae recurrentis in
cellulae cubitalis 2. medium vix incrassato.
Lecrus in locis urbi Buenos Aires propinquis; anno
1866. — Srr.
9. Eciron NITENS N. sp.
Operaria: Long. 2:8-6:5 mm. Rufa, nitida, mandi-
bulis genisque antice obscure castaneis; mandibulae for-
titer striatae, margine masticatorio subdentato; caput
subquadratum, supra nitidissimum, laevigatum, punctu-
lis dispersis piligeris, pilis minutissimis adpressis, absque
pilis abstantibus; laminae frontales absque dente recur-
vato; scapus disperse punctatus; funiculi articulus ba-
salis secundo brevior, articulus secundus tertio vix lon-
gior; vertex inermis postice fortiter arcuatim excavatus;
oculi nulli; pronotum et mesonotum haud pilosa, nitida,
disperse punctulata; thoracis latera et metanotum inerme
— 169 —
opaca et densissime punctata, partim coriacea; petiolus
subliliter coriaceo-rugulosus et disperse punctatus, supra
pilis abstantibus nonnullis, segmento antico rotundato-
cuboideo, infra dente acuto, segmento postico rotundato-
subcuboideo. antico latiori, antice paulo angustiori quam
postice et paulo breviore quam latiore, infra antice tu-
berculo antrorsum directo; abdomen laeve, nitidum,
modice pilosum; pedes graciles, haud dense pilosi, un-
guiculis simplicibus.
iv. coeco Ltr. (vastatori Sm. ) simillima differt ungui-
culis simplicibus et capite atque thorace vix abstante
pilosis, a ceteris speciebus distincta est oculis carentibus,
metanoto inermi, tibiis haud compressis et unguiculis
simplicibus.
Inventus nidus hujus speciei prope urbem Buenos
Aîres; anno 1866. — Srr.
POGONOMYRMEX nov. gen.
Operaria: Mandibulae triangulares margine masticato-
rio dentato. Palpi maxillares quatuor, labiales tri-articulati
(Pog. coarctatus ). Clypeus planus inter antennarum ar-
ticulationes intersertus. Laminae frontales breves. Anten-
nae 12 articulatae funiculo vix clavato, articulis funiculi
secundo ad penultimum longitudine subaequalibus. Area
irontalis profunde impressa angulo postico obtuso. Ocelli
nulli. Caput infra semicircuio pilorum longorum. Thorax
brevis, non constrictus, supra longitrorsum plus minusve
convexus, suturis indistinetissimis, metanoto Dispinoso
aut bidentato. Petiolus biarticulatus, segmento primo
antice pedunculo fortiter compresso, postice supra nodo
elevato antice perpendiculariter ascendenti, retro descen-
denti, segmento secundo subgloboso aut subcampanulato,
infra onco aut tumore transverso. Tibiarum calcaria sim-
plicia aut breviter pectinata.
— 170
‘° Femina: Mandibulae triangulares margine masticato-
rio dentato. Clypeus, laminae frontales, antennae et area
frontalis'ut in Operaria. Caput infra semicirculo pilorum
longorum. Thorax brevis metanoto declivi. Petiolus ut
in Operaria, nodo postico infra tumore transverso. Alae
breves, alae anticae cellulis cubitalibus duabus (?), cel-
lula discoidali, cellula radiali completo clausa.
Mas: Mandibulae triangulares margine masticatorio
dentato. Clypeus haud longus, parum convexus, postice ‘
non intersertus inter antennarum articulationes et mar-
gine postico rotundato. Laminae frontales breves, pa-
rallelae. Antennae filiformes 15 articulatae; scapus haud
longus, oculos superans, capitis marginem posticum vero
non attingens; funiculus articulo basali brevissimo, se-
cundo longissimo, sequentibus ad funiculi apicem sensim
paulo brevioribus, apicali longiore. Mesonotum absque
lineis convergentibus. Metanotum obliquum, modice
convexum. Petioli segmentum anticum postice nodi-
forme, segmentum posticum subcampanulatum. Calcaria
postica simplicia.
Ad hoc genus pertinent Myrmica Gayi Spin., Myrmica
barbata Smith, Atta crudelis Smith, sequentes species
novae, et verisimiliter Formica badia Ltr.
10. PoconomYRMEX COARCTATUS n. sp.
Operaria: Long. 7:5-11 mm. Ferruginea, mandibulis,
funiculis abdomineque nigricantibus; copiose (capite pa-
rum) haud longe pilosa; mandibulae haud dense stria-
tae; clypeus et area frontalis longitudinaliter rugosa;
caput nitidum dispersissime punctatum et insuper sub-
tilissime et valde superficialiter longitrorsum rugulosum,
aut (ad Operariam majorem) plus minusve laevigatum
fronte antice et saepe in medio, vertice nonnunquam
in medio, genis et capitis lateribus subtilissime et dense
— 171 —
longitudinaliter striolatis; oculi ante capitis laterum me-
dietatem; thorax rude striatus, pronotum antice et me-
tanolum transversim, pronotum postice et mesonotum
longitudinaliter striata, metanotum spinulis duabus ere-
ctis, divergentibus, parum distantibus; petiolus rugulosus;
shot laeve.
Caprus in provinciis Santa Fe (Rosario), Cordova
(Rio Cuarto) et Buenos Aires ( Bahia blanca); mensi-
‘bus aestivis a Decembre ad Februarium; annis. 1865
ad 1867. — Srr.
11. Poconomwrrmex RAsTRATUS n. sp.
Operaria: Long. 6-7:2 mm. Ignea aut ferruginea, se-
rieco-micans, mandibulis, antennis, pronoti parte antica
collariformi pedibusque nigricantibus; breviter niveo-
pilosa; mandibulae striatae; caput supra longitudinaliter
striatum, inter strias subtiliter coriaceo-rugulosum, infra
laeve et nitidum; oculi paulo ante capitis laterum me-
dietatem; pronotum postice et mesonotum longitudina-
liter rugoso-striata, pronoti pars aatica collariforme sub-
tiliter coriaceo-rugulosa, metanotum transversim striatum
spinis duabus oblique sursum et retro ascendentibus cet
divergentibus; petioli nodi transversim striato-rugosi;
abdomen segmento primo antico et in medio densissime
et subtilissime longitudinaliter striato (rastrato), postice
saepe striolis extrorsum curvalis, ad marginem posticum
et segmentis alteris plus minusve subtiliter et PUBRTE,
cialiter coriaceo-rugulosum.
Inventus humi, in planitie vasta Pampa de Canota
dicta et in montibus prope Mendoza posita; mense Ja-
nuario anni 1866. — Srr.
— 172 —
12. PoGoNOMYRMEX CARBONARIUS N. Sp.
Operoria: Long. 6:5 mm. P. rastrato simillima dif-
fert colore nigro, tarsis (metatarsis exceptis) et plus
minusve ano fulvis, atque metanoto dentibus 2 trigonis
instructo.
Frequens formicetum hujus speciei in planitie vasta,
Gran Pampa del Sur appellata; operaria lecta inter ri-
vulum subterraneum Agua caliente et torrentem Rio
del Diamante nominatum; mense Februario 1866. — STR.
\
15. PHEIDOLE ABERRANS N. Sp.
Miles: Long. 45 mm. Flavescens, aut rufo-testaceus,
aut plus minusve castaneus, nitidus, mandibulis et saepe
partim capite ferrugineis; corpus totum longe et copiose
pallide pilosum; mandibulae laevigatae, disperse puncta-
tae, ad basim striatae, margine masticatorio nigro; caput
thorace et abdomine latius, elongato-quadrangulare inter
laminas frontales depressum, margine postico arcuatim
excavato; clypeus in medio transversim concavus et
sublaevigatus, lateraliter striatus et transversim convexus;
laminae frontales dilatatae, longae, oculos superantes,
fortiter divergentes et scapos tote ocultantes; scapus
brevis lamina frontali paulo brevior; funiculus brevis;
area frontalis indistincta; sulcus frontalis tenuis; frons
et verticis pars anterior subtiliter et longitudinaliter ru-
guloso-striatae, striis postice versus capitis angulos po-
sticos flexis, vertex postice carina transversa distinctis-
sime arcuata, angulos capitis posticos conjungenti, pone
hane transversim et arcuatim carinato-striatus; genae
longitudinaliter striatae; oculi minuti; pronotum et me-
sonotum ad unum fortiter elevata, utrimque supra. tu-
berculo crasso rotundato, inter tubercula rugoso-partim
— 175 —
arcuatim transverse striato-rugosa; scutellum distinetum,
laevigatum, transverso-toriforme; sutura scutello-metano-
talis profunde impressa; metanotum spinulis duabus
ereclis, paulo extra curvalis, parte basali subtiliter co-
riacea, parte declivi sublaevigata, lateribus infra striatis;
petioli rugulosi modus anticus transversus margine su-
periore parum aut vix arcuatim emarginato, nodo po-
stico transverso supra lateraliter rotundato; abdomen
laeve.
Operaria: Long. ?:3-2:7. mm. Rufa, nitida, abdomine
nonnunquam nigricante; corpus totum longe et copiose
pallide pilosum; mandibulae laevigatae punctis nonnullis,
ad basim striatae; caput, thorace latius, disco laevigato
punctis nonnullis dispersis, ad latera longitudinaliter ru-
gulosum et postice rugulis nonnullis transversis; cly-
peus longitrorsum striatus, in medio sublaevis; laminae
frontales haud lorgae, longitudinaliter striatae, antice mo-
dice dilatatae; genae striatae; pronotum antice subtiliter
rugulosum, postice transversim arcuato-carinato striatum;
mesonotum disco subcirculariter carinato-striato; scutel-
lum rugulosum distinctissimum, triangulare et elevatum;
sutura scutello-metanotalis profunda; metanotum subti-
liter reticulato-punctulatum spinulis 2 erectis, paulo di-
vergentibus; petioli nodi subtiliter et superficialiter
reticulato-punctati ( coriaceo-rugulosi ), nodi antici margo
superior rotundatus, nodus posticus Ref ne o abdo-
men laeve.
Inventun formicetum hujus speciei in locis urbi Buenos
Atres propinquis; anno 1866. — Sr.
— 174 —
14. PuemoLE coRDICEPS n, Sp.
Miles: Long. 45-48 mm. Testaceo-flavus, nitidus,
mandibulis rufis, abdomire fusco; longe pilosus; caput
cordiforme; mandibulae laevigatae punctis dispersis, ad
basim striatae; clypeus in medio laevis, lateraliter stria-
tus, margine antico in medio distincte emarginato; frons,
genae et capitis latera longitudinaliter rugosa, vertex
laevigatus punctis dispersis piligeris; area frontalis ad
foramen occipitale extensa; pronotum postice elevatum
utrimque tuberculatum, inter tubercula laevigatum; me-
sonotum laeve, postice ante suturam meso-metanotalem
profundam toro transverso elevato; metanotum spinulis
2 brevibus erectis, partibus basali et declivi transversim
striatis; petioli sublaevis nodus anticus postico vix altior,
margine superiore rotundato, nodus posticus transversus
utrimque rotundatus; abdomen laeve; pedes pilis longis
abstantibus.
Operaria: Long. 5 mm. Flava, nitida, abdomine fu-
scescente; longe et copiose pilosa; mandibulae laevigatae
punctulis dispersis; clypeus margine antico in medio
emarginato; caput laevis genis striatis et fronte antice
Inter laminas frontales et aream frontalem rugulis non-
nullis longitudinalibus; pronotam antice rugulis nonnullis
transversis, postice laeve; mesonotum laevigatum, in
medio carina transversa utrimque subdentiformi; sutura
meso-metanotalis impressa; metanotum spinulis 2 brevi-
bus erectis, parte basali reticulatim punctulata et rugu-
lis nonnullis transversis, parte declivi transversim striata;
petioli nodus anticus nodo postico paulo altior margine
superiore rotundato, nodus posticus transversus, utrim-
que rotundatus; abdomen laeve; pedes pilis longis ab-
stantibus.
Haec species simillima est P. laevigatae Mayr, et Miles
— 175 —
P. cordicipitis diflert corpore majori, pilositate copio-
siore et multo longiore, toro mesonoti fortiter promi-
nente, metanoto transversim striato et spinulis metanoti
verticalibus nec non brevioribus. Ceterae species Ame-
ricae meridionalis differunt a P. cordicipite in hoc modo:
P. cephalica Smith capite maximo quadrato et petioli
nodo secundo lateraliter conulis instructo, P. opaca Mayr,
diversa Smith, fimbriata Roger, chilensis Mayr et cu-
baensis Mayr vertice haud laevi; P. flavens Roger sulco
frontali nullo, P. praeusta Roger et fimbriata Roger
capite elongato quadrangulari lateribus parallelis, petioli
segmento secundo lateraliter angulato.
Invenrus nidus hujus speciei prope urbem Buenos
Aîres; anno 1866. — Srx.
13. SoLENOPSIS PARVA N. Sp.
Operaria: Long. 1:6 mm. Flava, nitida, capite postice
et abdominis fascia elute paulo fuscescentibus; sparsis-
sime abstante pilosa, tibiis pilis brevibus subadpressis;
caput laeve; mandibulae laevigatae et dispersissime pun-
ctatae, dentibus distinctis quatuor fuscis; clypeus bicari-
natus et bidentatus; thorax inter mesonotum et meta-
notum constrictus; petiolus nodo antico postico altiore,
nodo postico rotundato, a latere viso angulato.
Lecra prope urbem Mendoza; mensibus aestivis, a
Decembre 1865 ad Martium 1866. — Sra.
16. CRYPTOCERUS QUADRATUS N. Sp.
Operaria: Long. 5-8 mm. Niger, micans, capite antice
paulo rubescenti, antennis pedibusque rufo-testaceis,
abdominis segmento primo maculis quatuor minutis fla-
vis (2 anticus et 2 posticis); apsque pilis abstantibus,
sed pilis minutis albicantibus e punctis orientibus obtecta,
— 176 —
abdomine subnudo; caput quadrangulare, rude puncta-
tum, pronoto aequilatum, paulo longius quam latuis,
antice concavum utrimque marginibus acutis crenulatis,
angulis anticis rotundatis, posticis rectis, marginibus la-
teralibus parallelis; fossa antennalis profunda, brevis, ad
oculi marginem inferiorem extensa; laminae frontales
indistinctissimae; oculi pone capitis laterum medietatem,
sed a capitis angulis posticis magis solito remoti; vertex
carinula transversa; thorax punctis ocellaribus dense
obtectus, antice latuis quam postice; pronotum retro
ascendens utrimque dente minuto: mesonolum supra et
metanoti pars basalis ad unum transversim paulo convexa,
longitrorsum recta, horizontalia; sutura meso-metanotalis
tenuis; mesonotum utrimque tuberculo subtriangulari
obtuso; metanotum utrimque dente brevi obtuso crasso,
parte basali transversa, postice inter dentes leviter et
late emarginata, parte declivi perpendiculari et laevigata;
petioli nodi utrimque dente acuto recurvo, nodus po-
sticus antico latior; abdomen elongatum densissime
punctulatum, antice emarginatum angulis anticis non
laminatis.
Caprus in pastibus latifundii (estancia ) Salvador dicti,
prope urbem San Luis; mense Decembre 1865. — Srr.
Vindobone, mense Aprile 1868.
ENUMERATIO
FORMICIDARUNM, quas P. STROBEL
in ARGENTINIA MERIDIONALI COLLEGIT,
a G. MAYR pISTINCTARUM
INDICATIONE ADJECTA EARUM HABITATIONUM
Camponotus sonariensis Mayr, n. sp. — Prope Buenos Aires.
mus Rog. — In provinciis: Cordova (Rio Cuarfo), San Luis
et Mendoza (San Carlos) — mensibus aestivis, Decembre
usque ad Martium.
puncTuLATUS Mayr, n. sp. — In provinciis: Cordova (Rio Cuario),
San Luis, Mendoza (Mendoza et San Carlos) et Buenos
Aires (Bahia blanca ac Patagones) — mensibus aestivis
a Decembre ad Martium.
Brachymyrmex praraconicus Mayr, n. sp. — Midus; in
provincia Buenos Aires (atagones) — mense Februario.
Prenolepis ruva Mayr — Operaria et mass prope Buenos
Aires.
Hiypoclinea rsumus Mayr, n. sp. = Prope Buenos Aires.
Dorymyrmex rnivescens Fab. — Femina et mas; in pro-
vincia Buenos Aires ( Patagones) et prope Mendoza — men-
sibus aestivis, Decembre usque ad Martium.
PLANIDENS Mayr, n. sp. — In provinciis San Luis et Mendoza —
mensibus aestivîs.
TENER Mayr, n. sp. — In provincia Mendoza ( Uspallata) — mense
Januario.
Ectatomma quapripens Fab. — In provincia San Luis ( Sal-
vador ) — mense Decembre.
T.abidus Srroseli Mayr, n. sp. — In provinciis San Luis, Men-
doza (.San Carlos) et Buenos Aires (Bahia blanca) — men-
sibus aestivis a Decembre ad Februarium. -
suLcaTus Mayr, n. sp. — Prope Buenos Aires.
1Î
— 178 —
Eciton nrens Mayr, n. sp. — Formicetums prope Buenos Aires.
Atta Luni Guér. — Niduss in provincia Buenos Aires (in urbe
Buenos Aires et prope eam; Bahia blanca, Patagones) —
mensibus aestivis.
sexpENS L. — prope Santa Fe.
stRIata Rog. — In provinciis Santa Fé (Rosario), Cordova ( Zio
Cuarto), Mendoza (Estacada, San Carlos) et Buenos Aires
( Bahia blanca, Patagones) — mensibus aestivîs.
Pogonomyrmex carsonarius Mayr, n. sp. — Formicetum;
in provincia Mendoza (Gran Pampa del Sur) — mense Fe-
bruario.
coarcratus Mayr, n. sp. — In provinciis Santa Fé (Rosario),
Cordova (Rio Cuarto) et Buenos Aires (Bahia blanca) —
mensibus aestivis, Decembre usque ad Februarium.
RASTRATUS Mayr, n. sp. — in provincia Mendoza ( Zampa de Ca-
nota) — mense Januario.
Pheidole aserrans Mayr, n. sp. — Niduss prope Buenos Aires.
corpiceps Mayr, n. sp. — Formicetumys prope Buenos Aires.
Solenopsis cemnara Fab. — Niduss in provinciis Cordova
( Rio Cuarto), San Luis, Mendoza ( Estacada, Manantial del
Atuel) et Buenos Aires ( prope urbem Buenos Aires,
Bahia blanca, Patagones) — mensibus aestivis.
PARVA Mayr, n. sp. — Prope Mendoza -— mensibus aestivis.
Cryptocerus quapratus Mayr, n. sp. — In provincia San
Luis (Salvador) — mense Decembre.
Parme, mense Majo 1868.
SULLA GENERAZIONE
DEL
PHOLCUS PHALANGOIDES WALCK.
NOLA
DEL DOTTOR PAOLO BONIZZI
( Letta nella seduta del 9 marzo 1868)
O_o TTT
Ana frequente è questa specie di aracnide nelle no-
stre case, sulla quale ho potuto fare le seguenti osser-
vazioni.
Nel giugno dello scorso anno presi una femmina e
la collocai entro un vaso di vetro abbastanza ampio; il
ragno fabbricò subito la sua ragnatela nella parte su-
periore del vaso, e il giorno dopo mi accorsi che aveva
deposto le ova. Le ova di questa specie sono di un
color bianco sporco che si direbbe volgente ad una
sorta di rossiccio, hanno un diametro di quasi 1 mm.,
il loro numero supera il 20, non sono chiuse entro un
involucro proprio come nelle Licose, nelle Tarantole ed
in altri ragni, ma sibbene aderenti le une alle altre
essendo la loro superficie esterna alquanto attaccaticcia,
e formano nel loro insieme un ammasso quasi sferico
od ovoidale. La femmina ha l abitudine di tenere le
ova sospese agli uncinetti delle mandibole e non le
abbandona mai anche minacciata dal pericolo della vita.
Ho provato più volte a togliere le ova a femmine
— 180 —
di questa specie, ma oltre la più accanita resistenza
che queste fanno, si lasciano piultosto uccidere che ab-
bandonarle. Volli poi osservare ciò che sarebbe avve-
nuto delle ova allorchè Y animale dovesse cibarsi; e
introdotta quindi una mosca nel vaso, vidi che lasciò
le ova le quali rimasero sospese ad un» filo proprio,
attaccato agli altri della ragnatela, osservazione poi che
ho fatto anche in animali liberi. Notai oltre che il
secondo e terzo pajo di zampe sono adoperate dall’ ani-
male per assicurarsi la preda e per tenerla in direzione
opportuna all’ atto che ne succhia l’ umore, mentre il
quarto pajo serve per avvolgerla rapidamente nel filo,
che va svolgendo dalla filiera, onde renderla incapace
di qualunque movimento. Verso la fine del tempo vo-
luto alla incubazione delle ova ebbi a notare che il
ragno col secondo e terzo pajo di zampe faceva ruotare
la massa delle ova intorno al filo di sospensione, ed a
ciascun ovo pareva che cercasse di rompergli |’ involu-
cro o guscio, afferrandoli ognuno a sua volta colle man-
dibole e poscia ritirandole rapidamente, ond’ io credetti
che questi movimenti fossero dovuti a sollecitare il
prossimo schiudimento delle ova medesime. Infatti la
mattina del giorno susseguente a questa mia osserva-
zione ne erano sbucciati i piccoli, i quali stavano tutti
aderenti alla superficie della massa delle ova, e dopo
alcune ore li trovai sparpagliati quà e la per la ragna-
tela, mentre gli involucri delle ova erano caduti in fondo
al vaso. La madre stava loro vicino al disotto dello
spazio da essi occupato; il che ho potuto verificar sem-
pre anche negli individui liberi.
Introdussi in seguito nel vaso alcune mosche,
tosto la madre imprigionatene parecchie nel consueto
modo, le apprestò in cibo ai suoi piccoli, i più robusti
dei que corsero a vene gli insetti così bene a loro
preparati.
— 181 —
Il tempo che durò | incubazione di queste ova fu di
giorni 19. In altra mia osservazione notai soltanto 17
giorni.
Non è meno curioso |’ accoppiamento che si osserva in
questa specie in cui il maschio è assai più piccolo della
femmina. GCollocai pertanto nel vaso in cui teneva l' in-
dividuo femmina un maschio; i due animali stettero
qualche tempo immobili, poscia il maschio si avvicinò
alla femmina con assai precauzione.
E noto che gli aracnidi sono di natura assai crudeli;
non risparmiano neppure la propria specie, e spesso
neanche il diverso sesso. Le femmine molte volte sono
più robuste del maschio e lo uccidono quando non sia
molto lesto ad accoppiarsi con esse.
Nelle osservazioni che io feci sulla specie in discorso,
il maschio stette assai lungo tempo irrequieto prima di
congiungersi alla femmina e notai ancora che di quando
in quando mandava forti tremiti. L’ accoppiamento che
ebbe luogo durò quasi un’ora e mezzo, e durante que-
sto tempo gli animali sì mostrarono insensibili alle scosse
che io dava al vaso passeggiando con esso per la stanza,
mentre fuori di questa circostanza le scosse del vaso
erano avvertite dagli animali, dando luogo a quel loro
movimento rotatorio. Finito l’ accoppiamento il maschio
si allontanò rapidamente dalla femmina e si collocò il
più lontano possibile da essa cioè, in fondo al vaso.
ALCUNE OSSERVAZIONI
INTORNO
ALLA STORIA NATURALE DELLE ARGILLB SCAGLIOSE
Lettera di Emilio Stòhr
AL PROF. G. CANESTRINI
Cio inaspettate m’ hanno allontanato per
qualche tempo dal Modenese e non potei quindi finire
i miei studî sulle argille scagliose, 1 cui risultati inten-
deva di presentare a codesta Società di Naturalisti
Tuttavia credo che non saranno senza interesse alcune
osservazioni, tanto più che anche nel giornale di mine-
ralogia del Leonhard e Geinitz, 1867 pag. 829, inserii
alcune brevi notizie su questo argomento.
Le argille scagliose furono esattamente descritte da
parecchi geologi e specialmente dal Bianconi, per cui
posso supporle già conosciute. Solo questo debbo osser-
vare, che esse constano di due sorta di prodotti, cioè
di una pasta argillosa di colore diverso, che diede al-
I’ intera formazione il nome di argille scagliose; e di
una quantità di frammenti di roccie le più svariate,
come albarese, calcare a fucoidi, marne compatte, maci-
gno, molasse, misti con aragonite, spato calcare, barite,
marcellina (pezzi calcarei coperti di ossido di manga-
nese ), cristalli di selenite, pietre geometriche, legni si-
— 185 —
lificati, petroselce ecc.; e talora anche con pezzi di solfo,
piriti, rame nativo ecc.
In certi casi le vere argille scagliose sono quasi pure e
contengono appena dei frammenti litici. In allora le acque,
solcandole, hanno dato origine a creste e coni i più
strani, e le località offerenti queste argille dei colori
più vivi, ( grigio, rosso, verde, nero } e prive di ogni
vegetazione, hanno assunto un aspetto sterile ed in
pari tempo fantastico. Ma in altri casi i frammenti
litici sono così numerosi, che la formazione sembra
composta unicamente dei medesimi, per cui un’ in-
tera località dell’ estensione di parecchie miglia appa-
risce un vasto ammasso di frantumi. Le argille scagliose
di questa forma non differiscono punto dai prodotti
di eruzione delle salse attuali (p. e. di quella tanto
conosciuta di Sassuolo ), giacchè hanno con quelle co-
muni i frammenti litici; fatto che rende impossibile
il decidere se tali prodotti debbansi riferire alle ar-
gille scagliose o se abbiansi a risguardare come prodotti
di eruzione delle salse.
Seguendo l’ esempio di Pareto, soglionsi generalmente
risguardare le argille scagliose come contemporanee del
caleare a fuccidi, o per meglio dire, come formatesi
dalla decomposizione di esso, come dimostrò il Santa-
gata; si collocano quindi nell’ eocene superiore, rite-
nendo per altro, che in tempi posteriori sieno state va-
riamente metamorfosate, specialmente per l’ azione di
sorgenti termali a modo dei geiser. Le roccie sovra-
stanti alle medesime non sono mai più antiche delle
mioceniche, e recentemente il Bianconi nel suo esatto
lavoro « escursioni nel territorio porettano » ha fatto
vedere, che il supposto macigno eocenico che in qualche
località ne forma il tetto, in realtà non è che un pro-
dotto miocenico. Al profilo di Monte Cavallo da esso re-
cato alla pag. 41, io ne potrei aggiungere un altro di
— 184 —
una localita a ponente di Pavullo, dove presso il tor-
rente Cogorno, a breve distanza da Miceno, si eleva dalle.
argille scagliose il monte a cono Rochetta. Questo cono
acuto si alza rapidamente di circa 60 metri sul fondo
della valle, ed ha una forma di pane di zucchero, che
lo farebbe credere da lontano composto di una roccia
serpentinosa. În realtà però esso consta di strati fortemente
innalzati, inclinati verso occidente, di macigno-molasse
dell’ epoca miocenica. Questo profilo è tanto più inte-
‘ressante, giacchè il vero agente sollevatore non si scorge
in posto che dopo diligente ricerca ad oriente del cono
citato nel letto del fiume, manifestandosi per una roccia
serpentinosa coperta da argille scagliose.
Le roccie costituenti il tetto delle argille scagliose
appartengono generalmente all’ epoca miocenica; ma
talvolta esse mancano e vi sono sovrapposti pro-
dotti pliocenici e più recenti. Nella memoria citata, il
Bianconi crede le argille scagliose contemporanee del-,
l’albarese e del calcare a fucoidi, e le riferisce all’oriz-
zonte geologico dell’ epoca eocenica. Quest’ opinione è
certamente inesatta, giacchè le argille scagliose, quantun-
que ordinariamente sovrapposte a roccie eoceniche e
sottoposte alle mioceniche, pure in certi casi hanno per
letto le roccie mioceniche. Ciò, per esempio, osservasi a
Monte Gibio, località geologicamente interessante per
molti rapporti. Nel 1862 il prof. Doderlein descrisse a
Siena, al congresso degli scienziati italiani, una di quelle
località, posta sul versante meridionale di Monte Gibio,
in cui due strati di argille scagliose alternano con roccie
mioceniche; è questa in pari tempo la località, in cui
Doderlein raccolse molti fossili miocenici. Ritorno ora
al profilo citato, completandolo. Nella parte superiore
della valle del Rio delle Bagole (Rio Videse ) si riscon-
trano non solo 2, ma 4 strati di argille scagliose, inserti
tra gli strati miocenici. La vetta più meridionale di
— 185 —
Monte Gibio è Monte Biancone; al mezzodì di questo,
separate per mezzo della valle citata, trovansi le erti
pareti calcaree, costituite da banchi di corallo, di Monte
Pernice, che si estendono fino a Monte Baranzone Uno
spostamento locale ha reso gli strati di Monte Biancone
inclinati verso oriente, mentre quelli di Monte Baranzone
si abbassano verso mezzogiorno. Le pareti calcaree di
Monte Baranzone appartengono al medio miocene e sono
caratterizzate dalla Lucina apenninica Dod. (pomum?) e
da diversi coralli ( Delbocyathus, Ceratostrochus, Tro-
chocyathus etc.). Il versante meridionale di Monte Bian-
cone appartiene al miocene superiore, e fra questi due
monti giacciono in fondo della valle le argille scagliose,
sia che realmente trovinsi poste tra quei due prodotti
miocenici; sia, ciò che è pure possibile, che le argille
scagliose più profonde affioriscano nello scavo della valle.
Se esaminiamo più da vicino il versante meridionale di
Monte Biancone, si offre la seguente stratificazione. In
cima trovasi superiormente un conglomerato di ciottoli
lentiformi o pisiformi, che per l’ azione dell’ aria si
scompone in una ghiaia che copre i campi. Al disotto
con inclinazione di 30° verso levante esiste una molasse
giallastra portante concrezioni e striscie di sabbia, sotto
cui segue uno strato di argille scagliose della potenza
di soli pochi metri; al disotto ancora vedonsi potenti
banchi di molasse e più in basso un nuovo strato di
argille scagliose. Sotto al medesimo fino nel fondo della
valle seguono argille grigie-azzurognole sabbionose, in
cui si scoprono numerosi fossili miocenici; ma due
volte esse sono interrotte da potenti strati di argille
scagliose, alternanti colle medesime.
Posso citare altri casi, in cui le argille scagliose hanno
per letto formazioni mioceriche; e mi limito a citare i
seguenti dei dintorni di Monte Gibio. Al sud-ovest di
Monte Gibio, dove il Rio delle Bagole sbocca nella Valle
— 186 —
Urbana, riscontrasi il seguente profilo. Il rivo 5° è sca-
vato il suo letto nella molasse offiolitica miocenica, i cui
strati sono inclinati verso mezzodì. Alla riva occiden-
tale del torrente trovansi in alto, sovrapposte alla mo-
lasse, con stratificazione discordante, le argille scagliose;
tra queste e quella giace un conglomerato a grossi ele-
menti della potenza di circa tre quarti di metro e leg-
germente inclinato verso settentrione. Risulta da queste
osservazioni, che, nel caso citato, le argille scagliose si
depositarono sopra gli strati di molasse dopo il rialza-
mento di questi. In questo luogo, come nel primo citato,
le argille scagliose constano principalmente dei frammenti
litici succitati; nella località invece che in appresso stu-
dieremo predomina la pasta argillosa.
Ad oriente di Montegibio, presso il torrente Sevretta,
al disotto di Caseletta osservansi in posto nel fondo del
torrente della molasse e della marna; tra questo torrente
ed un torrentello tributario di esso, osservasi una cre-
‘sta acuta composta inferiormente di argille sabbionose
mioceniche, coperte da argille ‘scagliose. Seguendo il
torrente in basso, a breve distanza, compariscono le
marne turchine plioceniche, cosicchè quì le argille sca-
gliose si trovano sul confine tra formazioni mioceniche
e plioceniche.
L’ interposizione delle argille scagliose tra formazioni
mioceniche è fuori di dubbio dopo le precedenti osser-
vazioni. Si offre quindi il seguente dilemma: 0 le ar-
gille scagliose non sono tutte di uguale età e non ap-
partengono tutte al tempo eocenico; oppure esse giun-
sero per dislocazione, posteriore alla loro deposizione,
tra le roccie più recenti dove talora attualmente si os-
servano. Doderlein è di quest’ ultimo parere e risguarda
tutte le argille scagliose, che secondo lui non si trovano
nella loro supposta primitiva posizione, come prodotti di
salse oggi estinte, la cui attività un giorno sarebbe stata
— 187 —
straordinariamente estesa ed intensa. Per certe località
ciò sembra ammissibile; ma V estenderlo ad altre con-
durrebbe ad ammettere per quei tempi un’ azione così
ingente, quale non sembra probabile. Ma anche ammessa
tale opinione, le argille seagliose non potrebbero in alcun
modo essere considerate come un orizzonte geognostico,
imperocchè, se anche tutte le argille scagliose fossero deri-
vate dai calcari a fucoidi eocenici successivamente meta-
morfosati ed interposti fra strati più recenti; tuttavia
quelle non potrebbero essere riferite all’ epoca eocenica,
giacchè non si tratta di semplice dislocamento di questi
strati, ma di prodotti affatto nuovi, per la cui forma-
zione le roccie più antiche non fornirono che il mate-
riale, condizioni analoghe a quelle che si verificano
nella formazione di quasi tutte le arenarie. E inoltre
assai probabile, che non tutto il materiale, con cui si
formarono le argille scagliose, derivi dal calcare a fu-
coidi eocenico, quantunque ciò si possa ammettere per
la maggior parte dei casi; pare che anche roccie più
recenti vi abbiano contribuito. Dalla qual cosa sembra
doversi inferire, che il nome di argille scagliose non sia
che una denominazione petrografica, e che quindi in av-
venire si debbano distinguere argille scagliose eoceniche,
mioceniche e forse anche più recenti, distinzione che dovrà
farsi anche colorando le carte geologiche. Finchè però
ciò possa farsi con esattezza, sembra opportuno servirsi
per tutte le argille scagliose di un colore particolare, il
quale però non esprimerebbe nè la contemporaneità
delle medesime, nè un orizzonte geognostico.
Quali possono essere state le cause della formazione
delle argille scagliose? Se si osserva una carta geolo-
gica degli Appennini, risulta, che i diversi serpentini (tra
cui comprendo tutte le roccie della stessa famiglia) sono
circondati costantemente da argille scagliose, tra le
quali si sono sollevati, per cui si presenta l’ idea, che
— 188 —
le argille scagliose stiano in stretti rapporti coi serpen-
tini, (1) rapporti di cui fecero cenno tutti i geologi che
se ne occuparono. Che le argille scagliose in certi casi
offrano l’ aspetto di ammassi di frantumi, fu già detto
precedentemente; vorrei inoltre credere, che traggano
origine dal sollevamento dei serpentini. Questi hanno
contorti gli strati sollevati, li hanno portati seco in alto,
depositati in forma di frane e metamorfosati. Così si po-
trebbe spiegare la presenza di Inoceramus ed Ammoniti,
i cui avanzi furono osservati, un’ unica volta, da Mor-
tillet nelle argille scagliose. La vera pasta argillosa si
presenterebbe come il prodotto dello sfregamento avve-
nuto per l’ innalzamento dei serpentini; e siccome que-
sto era un processo idroplutonico, risulterebbe come un
deposito nell’ acqua. Che poi pello sfregamento possano
formarsi tali prodotti, ce lo dimostra chiaramente la
miniera di Monte Catini, dove tra il serpentino ed il
gabbro rosso. si scorge indubitatamente un prodotto di
sfregamento, ( Losima ) che in piccoli pezzi non è in
modo alcuno discernibile dalle argille scagliose. — Quanto
ai serpentini dell’ Appennino è noto già da lungo tempo,
che appartengono a periodi diversi ed emersero in tempi
diversi. Savi e Meneghini hanno ammesso per la Toscana
almeno due periodi di eruzione, di cui } uno cadrebbe
nel tempo eocenico, |’ altro nel miocenico, a cui devesi
aggiungerne probabilmente un terzo riferibile alla fine
dell’ epoca miocenica. Se le argille scagliose altro non
sono che ammassi di frantumi ed i prodotti di sfrega-
mento generati dai serpentini, è naturale, che essendo
di età diversa i serpentini, anche le argille scagliose
debbano essersi formate in tempi diversi. Una gran
parte dei serpentini dell’ Appennino settentrionale non
è certamente più antica dei serpentini della così detta
(1) Bianconi, catalogo rag. delle collezioni geogn. dell’Apennino Bolognese.
agg
seconda eruzione della Toscana, quindi riferibile all’ epoca
miocenica, come lo accertano le molte roccie mioceniche
sollevate dai serpentini stessi; alcuni di questi però
potrebbero essere più recenti. I prodotti della eruzione
delle salse in tal caso sarebbero le argille scagliose col-
locate più profondamente ed appartenenti ad epoche
anteriori, venute alla superficie, che furono dislocate per
la seconda volta in seguito all’ eruzione delle salse.
Ulteriori osservazioni ci diranno, se le idee sopra
esposte si appongano al vero; per l’ interesse geologico
che hanno le argille scagliose, credetti opportuno di
enunciarle fin d’° ora per promuovere nuove ricerche.
Firenze, li 6 giugno 1868.
NUOVI ARACNIDI ITALIANI
per
GIOVANI GALTISTRIIMI
TE =-
Bysdera Ninnii nov. sp.
Il cefalotorace è ovale, il capo mediocremente con-
vesso. Le mandibole sono deboli, nel maschio più ro-
buste che nella femina, sulla faccia anteriore fornite di
scarsi peli, col margine interno rivestito di peli lunghi
e fini. Lo sterno porta dei peli fini e corti. L’ addome
è cilindrico, profondamente separato dal cefalotorace,
portante all’ apice le filiere molto allungate. Le zampe
portano peli corti e scarsi, 1 soli tarsi ne vanno più
ricchi, Il colore dell’ animale è il seguente. Il cefaloto-
race e le mandibole sono di un bruno giallastro, con
numerosissimi pori visibili colla lente, i soli uncini
delle mandibole suno rossi. Gli occhi hanno colore bian-
castro e sono circondati di nero alla base. Lo sterno è
giallo sudicio, orlato di rosso. L’ addome è uniforme-
mente grigio. Le zampe sono di un bel giallo chiaro,
con colorazione rossa presso le articolazioni e coll’ e-
strema punta nera. — ll cafalotorace è nel maschio re-
lativamente più lungo che nella femina. Questo ragno
fu osservato nel Trentino, nel Veneto e nel Modenese.
Il maschio adulto misura in lunghezza, non comprese
le mandibole e filiere, mill. 8, la femina mill. 8 172.
— 191 —
Dimensioni.
Lunghezza del cefalotorace nella fem. mill. 3,0.
”» di una zampa del 1° pajo . » 8,0.
59 29 DÒ 22 . 29 6,7.
’» del cefalotorace nel maschio » 9,6.
» di una zampa del 1° pajo . » 10,5.
>” 29 90 29 ° 99 10,0.
Bysdera grisea nov. sp.
Gli occhi intermedii anteriori sono tra loro meno di-
scosti di quanto importa il diametro di uno di essi.
La femina ha il cefalotorace e le mandibole di colore
rosso giallastro, il primo orlato di nero; le sue zampe
sono gialle sudicie colle articolazioni tinte in rosso, lo
sterno è giallo contornato di bruno, gli occhi sono
bianchi verdastri. Il maschio ha il cefalotorace verda-
stro orlato da sottile linea nera, talora mancante, con
breve rima mediana; le sue mandibole sono verda-
stre, volgenti al rosso verso l’ apice; le zampe ed i
palpi sono di colore verde giallastro, con tinta rossa
presso le articolazioni, questi ultimi coll’ apice rosso
chiaro; lo sterno è giallastro, fornito di peli bruni,
più fitu alla periferia. L’ addome è grigio biancastro
in ambo i sessi, coperto di numerosissimi peli bruni.
I femori del 1° pajo di zampe portano alla faccia in-
terna verso l’ articolazione superiore 4-5 setole nere
aggruppate insieme in piccolo spazio ; quelli del 2°
pajo ne portano 4 disposte in serie longitudinale ;
quelli del 5° pajo ne portano 2 file, di cui ciascuna
comprende 5-5 setole; quelli del 4° pajo pure due file,
tra cui la posteriore si estende lungo tutto il femore e
conta 5-6 setole, mentre |’ anteriore raggiunge solo la
— 192 —
metà della lunghezza del femore e si compone di 4 se-
tole. Nelle zampe del 5° e 4° pajo anche la tibia ed il
metatarso vanno muniti di numerose setole disposte in
file longitudinali. Il maschio è lungo mill. 6, la femina
mill. 7. — Vive nel Trentino e nell’ Emilia.
Blicaria aurata nov. sp.
Il cefalotorace è lungo quanto la tibia e patella del
4° pajo di arti riunite insieme. Gli occhi sono neri e
disposti in due file tra loro quasi parallele; gli inter-
medii anteriori sono più grandi e più sporgenti dei la-
terali anteriori. Il cefalotorace è ovale, rossastro, fitta-
mente coperto di pelo dorato, con un leggero solco sul
confine tra il capo ed il torace, e con una macchia
triangolare bruna nel mezzo; manca la rima mediana.
Le mandibole, le mascelle e lo sterno, sono gialli ros-
sastri. L’ addome è ellittico, nero, con lucentezza verde,
e con una bella fascia bianca trasversale nel mezzo della
sua lunghezza. Il ventre è nero; le filiere sono bianche.
Le anche ed i trocanteri sono gialli, i femori bruni, le
altre parti delle zampe gialle, solo nelle 4 zampe po-
steriori con sfumatura bruna. — Vive nel Modenese.
La femina, su cui è compilata la descrizione, ha una
lunghezza totale di mill. 5, tra cui mill. 1,4 costitui-
scono la lunghezza del cefalotorace.
Rficaria exilis nov. sp.
Tutto l’animale è assai sottile ed allungato. Gli occhi
della fila anteriore sono tutti di eguale grandezza. Il
cefalotorace è lungo quanto la patella e tibia insieme
del 4° pajo di zampe ed è di colore uniformemente nero.
Manca la rima mediana. Le mandibole sono superior-
mente nere, all’ apice ed inferiormente giallastre ; le ma-
si
scelle ed il labbro inferiore sono neri alla base e gialla-
stri verso l'apice. Lo sterno è più lungo che largo, roton-
dato anteriormente, appuntato all’apice posteriore, nero
e rivestito di scarsi peli. L’ addome è nero con bellis-
sima lucentezza metallica rossa, specialmente alla faccia
inferiore, e porta due paja di fascie bianche trasversali
oblique, il primo pajo trovasi alla base, il secondo nella
metà della lunghezza, dove osservasi una leggera im-
pressione trasversale dell’ addome. Le citate fascie non
raggiungono la linea mediana dell’ addome e quindi
ciascuna di ogni lato resta staccata dall’omologa del lato
opposto. Le zampe del 1° pajo sono nere dalla radice
sino presso all’ apice del Lelnore, le altre parti sono
bianche; le anche del 2°, 5° e 4° pajo sono bianche
con anello nero presso l'apice; il trocantere ed il femore
del 2° e 5° pajo sono neri, il resto è bianco; nel 4°
pajo il trocantere e la parte inferiore del femore sono
neri, la parte superiore di questo, la patella e tibia
sono bianche con screziatura nera, il metatarso è nero,
il tarso bianco. 1 primi due anelli dei palpi, nella fe-
mina, sono neri, gli altri bianchi. — Lunghezza totale
mill. 4, lunghezza del cefalotorace mill. 1, 4. E affine
alla M. myrmecoides Ohlert. — Vive nel Modenese.
Blelanophora Hochî nov. sp.
La mandibola ed i palpi sono uniformemente gialli e
rivestiti di numerosi peli corti. Il cefalotorace è di un
giallo oscuro lurido, coll’ orlo nero, con un V nero nel
mezzo e con striscie oscure, poco distinte, che dal mar-
gine corrono verso il centro. L’ addome è nero, ricca-
mente peloso, con una corena di peli diretti in avanti
al margine anteriore. Lo stesso porta quattro punti in-
fossati, due anteriori, e due posteriori, questi alquanto
più discosti tra loro che quelli. Lo sterno, il labbro in-
12
— 194 —
feriore e le mascelle sono di un giallo sudicio, il primo
orlato di nero, le ultime colla punta nera. Le piastre
polmonali sono gialle chiare. Le zampe sono unifor-
memente gialle alla base ed all’ apice, gialle miste ad
un verde oscuro nel mezzo; il tarso e metatarso vol-
gono talora al rosso. Gli occhi sono chiari verdastri,
ad eccezione degli intermedii anteriori che sono bruni.
— Lunghezza totale circa mill. 5. — Vive nell’ Emilia.
Dimensioni di una femina adulta.
Lunghezza totale... /. .. 0. . mill. 4,4.
” dell'addome; (Lil i lele 2,5.
Larghezza massima dell’ addome. . . » 1,3.
Lunghezza di una zampa del 1° pajo » 5,5.
99 23 4° be) 99 6,0.
Rielanophora gracilis nov. sp.
Il cefalotorace è più lungo che la patella e tibia in-
sieme del 4° pajo di zampe ed è colorato uniforme-
mente in nero; è molto stretto anteriormente e tagliato
in linea retta al suo margine posteriore. L’ addome è
allungato, quasi ugualmente largo in tutta la sua lun-
ghezza, di color nero uniforme, rivestito di numerosi
peli corti e fini, con una corona di peli più lunghi alla
base. Lo sterno è ovale, posteriormente appuntato, bruno
verdastro, lucente, con scarsi peli finissimi. Le zampe
ed i palpi sono riccamente pelosi. Le anche ed i tro-
canteri sono di colore verde oscuro con sfumature
brune; i femori, le patelle e le tibie bruni verdastri,
il femore del primo pajo con macchia trasparente alla
base della faccia interna; i metatarsi e tarsi sono di
colore verdastro o rossastro assai chiaro. Lunghezza
— 195 —
della femina mill. 5; lunghezza del maschio adulto
mill. 2 1j2. Questo piccolo ragno vive nel Modenese.
Lunghezza delle zampe del maschio adulto.
ds pajogiio tie it timillt43:0.
DM A LEI DINO
DM E i IR
4° 29 a ° ° ° 29 9,1.
Clubiona pulchella nov. sp.
Il cefalotorace è lungo quanto la patella e tibia in-
sieme del 4° pajo di zampe. Gli occhi intermedii anteriori
sono più discosti tra loro che dai laterali anteriori. Le
tibie del 3° pajo di zampe portano inferiormente 2 se-
tole. Le mandibole s’ abbassano verticalmente. Le zampe
più lunghe sono quelle del 4° pajo, cui fanno seguito
quelle del 2° pajo, le più corte sono quelle del 3° pajo.
Le mandibole sono rosse brune, scarsamente rivestite
di peli; gli occhi sono circondati alla base di nero, ed
hanno un colore giallo chiaro, ad eccezione dei mediani
anteriori che sono oscuri. Il cefalotorace è giallo rossa-
stro chiaro, con rima mediana breve, e stretto orlo nero.
L’ addome è di un rosso oscuro, fittamente picchiettato
di piccole macchie bianche rotonde. Alla base del me-
desimo nasce nel mezzo una figura longitudinale, che
si estende fino dietro alla metà della di lui lunghezza,
diminuendo continuamente in larghezza, cosicchè fini-
sce in punta. Questa figura è orlata di bianco lungo il
suo corso, e dietro la punta seguono quattro accenti
circonflessi ( X ) bianchi. Il ventre è bianco, lo sterno
è uniformemente giallastro. Le zampe sono di color
giallo chiaro uniforme. — Vive nel Trentino.
— 196 —
Dimensioni di un maschio adulto.
Lunghezza totale. . . . . . . . mill 10,2.
” del cefalotorace . . . . » 4,0.
Massima larghezza dell’ addome . . » 3,0.
Lunghezza di una zampa del 1° pajo » 9,0.
29 9) 4° 29 99 10,8.
Armatura delle zampe.
Pajo 1° e 2°. Femore: sopra 1,1,1; davanti 1. Tibia:
sotto 2,2.
Pajo 3° e 4°. Femore: sopra 1,1,1; davanti 1; di
dietro i. Patella: di dietro 1. Tibia: davanti 1,1; di
dietro 1,1; di sotto 1,1.
Enyo italica nov. sp.
Mùschio. Il cefalotorace è lungo quanto l° addome,
anteriormente ristretto, posteriormente largo e rotondato.
Gli occhi della prima fila sono disposti in linea retta, i
due laterali della stessa fila sono disposti obliquamente,
colla divergenza in dietro. I due occhi laterali della serie
posteriore sono assai ravvicinati ai laterali della fila
anteriore. ll cefalotorace è giallo rossastro colla rima
mediana ben distinta ed è munito di alcune striscie
che dalla rima mediana vanno verso la periferia, e di
due linee curve a modo di x innanzi alla rima. Gli
occhi anteriori mediani sono neri; gli altri bianchi.
L’addome è nero sul dorso, grigio ai lati e sul ventre.
Lo sterno è bianco giallastro, con orlo rossastro. I fe-
mori sono gialli rossastri, le altre parti delle zampe
sono di colore giallo biancastro. 1 palpi sono colorati
come i femori. Le filiere sono bianche, circondate di
— 197 —
nero, con una macchia bianca rotonda superiormente
verso il dorso.
La femina è alquanto più grande del maschio, il
suo addome è più lungo del cefalotorace. Nelle quattro
zampe anteriori 1 femori sono bruni rossastri, nelle
quattro posteriori gialli sudici. I palpi sono alla base
bruni rossastri, come i femori anteriori.
Questa specie differisce dall’ Enyo graeca principal-
mente per la disposizione degli occhi; dall’ È. germanica
pel colorito e per la statura. — Vive nel Veneto e nel
Modenese.
Dimensioni di una femina.
Lunghezza dell'addome . . . . mill. 2,3.
” del cefalotorace . . . . » 1,5.
”» di una zampa del 1° pajo » 53,3.
” ” 9% 3 ” 4,0.
>” 99 3° 99 29 9,6.
29 29 4° 293 29 5,9.
Il maschio raggiunge una lunghezza totale di 5 mill.;
la femina di mill. 3,9.
Formicina mutinensis nov. gen. et sp.
Caratteri del genere Formicina Canestr.
Affine al genere Pachygnatha Sund. Le mandibole
però non divergono fra loro ad angolo quasi retto, ma
appena si scostano l’una dall’ altra verso l'apice. Inoltre
I addome si unisce al cefalotorace mediante un lungo
stelo nodoso, che ricorda le formiche, e non è depresso,
ma globoso. Quanto ad altri caratteri, osservasi, che
gli occhi mediani sono collocati sopra una comune ele-
vazione; che tra essi i posteriori sono più discosti dai
— 198 —
laterali posteriori che tra loro; che gli occhi me-
diani anteriori sono talmente avvicinati l'uno all’altro,
che quasi si toccano; che inoltre i laterali si toccano a
vicenda. Il cefalotorace è assai allungato e stretto; tra
le zampe quelle del 1° pajo sono le più lunghe, cui
fanno seguito, decrescendo, quelle del 2°, 4° e 3° pajo.
Caratteri della specie Formicina mutinensis Canestr.
Il cefalotorace e le mandibole sono uniformemente colo-
rati di rosso oscuro; i palpi sono rossastri, cogli ultimi due
articoli volgenti al bruno. Lo sterno è bruno con stretto
orlo nero. L’ addome ha superiormente un fondo giallo
verdastro, su cui vedesi una linea mediana longitudinale
bruna, intersecata da lineette brune, le quali anterior-
mente presso il cefalotorace danno origine ad una mac-
chia in forma di punta di freccia. Ai lati della linea
longitudinale esistono delle macchie brune rotonde, ed
all’esterno di queste delle macchie bianche argentee in
due file parallele, 4 in ciascuna fila, tra cui una mag-
giore delle altre sopra I° ano. I lati dell’ addome ed il
ventre sono bruni verdastri, colle parti genitali ros-
seggianti. Le zampe sono uniformemente gialle, i soli
femori portano alla base una macchia nera. — Vive
nel Modenese.
Dimensioni di una femina.
Lunghezza totale . . . . . . . mill. 3,8.
” dell’ addome. . . ...° » 1,9
» di una zampa del 1° pajo » 6,5.
be) 99 DO 99 29 3,0.
29 b) di 99 99 d,Ò.
33 22 4° 99 29 4,9 è
— 199 —
HFormicina pallida nov. sp.
Il cefalotorace, le mandibole e lo sterno sono di un
rosso uniforme chiaro; i palpi sono rossi giallastri.
L’ addome è più corto che nella specie precedente,
quasi perfettamente sferico; superiormente di colore
bianco giallastro, con una linea bruna longitudinale nel
mezzo assai sbiadita, tagliata da lineette trasversali, tra
cui la prima è la più distinta e per essere curva dà
origine ad una macchia della forma di punta di freccia.
Nella metà posteriore dell’ addome esistono 4 macchie
nere, poste in quadrato, ed 8 macchie argentee in 2
file. 1 lati dell'addome sono giallastri, attraversati da
una striscia oscura che in ciascun lato parte dalla mac-
chia bruna posteriore e scorrendo obliquamente in
avanti ed in basso va a confondersi col bruno dei
ventre. Il ventre è bruno verdastro con una serie di
macchiette chiare in ciascun lato. Le zampe sono uni-
formente gialle chiare, solo i femori dell’ ultimo pajo
( e talora anche quelli del 5°) portano alla base poste-
riormente una macchietta bruna. — Vive nel Modenese.
Dimensioni di una femina.
Pupghezza totale ini at. de. mill 3,8:
B,, dell’ addome. . . . . 79 de
” di una zampa del 1° pajo » 7,0.
29 99 De 29 99 6,0.
79 39 30 39 29 9,7.
” ”» 4°» 2ENOI0:
— 200 —
Linyphia rubecula nov. sp.
Tutto il corpo è di un bel color rosso, alquanto
tirante al giallo, che si fa più chiaro o perfino bianca-
stro nell’ alcool. Gli occhi spiccano sopra base nera e
sono di un giallo verdastro ad eccezione dei mediani
anteriori che sono neri. Le parti genitali sono colorate
in nero. L’ addome, le zampe ed i palpi sono rivestiti
di peli fini e fitti; 1 palpi sono tinti in nero all’ apice;
le zampe sono di colore giallo rossastro uniforme. |
maschi sono di poco più piccoli delle femine. — Lun-
ghezza totale circa 2 mill. -- Vive nel Veneto. e nel
Modenese.
Epeira ornata nov. sp.
Gli occhi intermedii anteriori sono più piccoli e tra
loro più discosti degli intermedii posteriori. Gli occhi
laterali sono posti l’ uno dietro all’altro, non si toccano
a vicenda, e sono di uguale grandezza. Il cefalotorace
è bruno; nel mezzo esiste un triangolo giallo rossastro,
colla base anteriore ed il vertice posteriore; entro que-
sto triangolo vedonsi anteriormente dei punti neri. Le
mandibole sono brune rossastre, cogli uncini più chiari.
Le mascelle ed il labbro inferiore sono verdi giallastri
uniformi. Lo sterno è del colore delle mandibole. L’ ad-
dome porta due tubercoli bassi ed ottusi, ed è bianco
giallastro, munito superiormente di una fascia longitu-
dinale uniforme nerissima, che nasce alla base, si estende
allargandosi sulla faccia anteriore dei tubercoli e conti-
nua poi, gradatamente restringendosi , sino all’ ano.
Questa fascia porta dietro i tubercoli, ai lati, dei pro-
cessi, tra cui i primi e più lunghi sono diretti obliqua-
ina in avanti, gli altri orizzontalmente in fuori.
— 201 —
Ciascuno dei lati dell’ addome porta una fascia nera
crenata al margine superiore. ll ventre è giallastro con
fascia oscura nel mezzo. Le anche sono gialle, i femori
sono gialli alla base, neri superiormente; le altre parti
degli arti sono nere e portano anelli gialli. I palpi
sono gialli, macchiati di nero; il digitale è giallo, solo
alla faccia anteriore-interna è bruno, e porta una breve
striscia trasversale alla base. — Vive nel Modenese.
Dimensioni del maschio adulto.
Lunghezza totale . . . .. . . mill. 5,0.
” dell’ addome. . . . . ” dI.
Massima larghezza dell’ addome . . » 5,0.
Lunghezza di una zampa del 1° pajo » 8,0.
99 29 9° 29 23 6,5.
EL) 29 5% 2) 29 42.
” DÌ 4° 3 TINTI
Epeira biocellata nov. sp.
La specie cui più si accosta è la E. sollers Walk.
Il cefalotorace è di un giallo rossastro assai chiaro, con
una breve striscia longitudinale rossastra nel mezzo.
Gli occhi sono posti in quadrato, i laterali si toccano
tra loro e sono sulla stessa linea dei mediani posteriori.
Questi sono più grandi dei mediani anteriori e gialli
alla periferia e neri nel mezzo, mentre i mediani ante-
riori sono interamente bruni. I palpi sono gialli rossa-
stri. Le mascelle, il labbro inferiore e lo sterno hanno
color biancastro. L’ addome è giallo sudicio, anterior-
mente orlato di bruno, con due macchie profondamente
nere nel mezzo, poste l’ una accanto all’ altra. Verso
I’ apice dell’ addome vedonsi due linee brune, poco
distinte, convergenti, che presso l’ ano quasi si toccano.
— 202 —
Il ventre è uniformemente bianco giallastro. 1 femori
delle zampe sono bianchi, le parti rimanenti gialle su-
dicie, con anelli rossigni distinti. Le zampe portano
peli rigidi, i quali sono neri alla base e bianchi verso
l'apice. — Lunghezza totale del maschio adulto mill. 52.
— Vive nel Modenese.
Scytodes unicolor nov. sp.
Il cefalotorace è quasi circolare, depresso, di colore
bianco giallastro uniforme, rivestito di peli neri scarsi
e lunghi. Gli occhi sono circondati alla base di nero
ed offrono un colore biancastro. Le mandibole si ab-
bassano obliquamente, sono del colore del cefalotorace,
solo al margine esterno finamente orlate di rosso, e
munite di uncini rossi. Le mascelle, il labbro inferiore
e lo sterno sono bianchi. Il labbro inferiore è corto,
quasi triangolare, col vertice ottuso. L’addome è allun-
gato, cilindrico, di un colore grigio oscuro. Le zampe
ed i palpi sono di colore giallo verdastro senza traccie
di anelli. Lunghezza totale della femina mill. 5. — Vive
nella Toscana.
Drassus laticeps nov. sp.
Il cefalotorace è breve e largo; la sua lunghezza è uguale
a quella della patella e tibia insieme del 4° pajo di zampe.
La rima mediana è breve; innanzi ad essa esiste una leg-
gera impressione. Gli occhi della fila anteriore sono collocati
sopra una linea curvata in basso; i mediani sono molto
maggiori ed assai più sporgenti dei laterali. Anche la fila
degli occhi posteriori è curvata in basso; tra questi i me-
diani distano più tra loro che dai laterali; la distanza tra 1
mediani posteriori è maggiore che quella tra i mediani
anteriori. Il cefalotorace e le mandibole sono di colore
AI Jen)
bruno rossastro uniforme; gli occhi sono bianchi gial-
lastri, ad eccezione dei mediani anteriori che sono bruni.
Lo sterno è rettilineo anteriormente, appuntato poste-
riormente, raggiunge la maggior larghezza nel mezzo
ed è colorato di rosso giallastro oscuro. L’ addome è
ovale, superiormente ed ai lati bruno verdastro, con
due fascie gialle poco distinte nella faccia superiore, le
quali dalla base si estendono in addietro fino circa alla
metà della lunghezza; negli esemplari immersi nell’ alcool
vedonsi dietro questa fascia alcune lineette gialle for-
manti degli accenti circonflessi poco marcati. Il ventre
è bianco giallastro, colle parti genitali rosseggianti. Le
zampe sono gialle coi metatarsi e tarsi rossastri. Lun-
ghezza totale di un esemplare feminile mill. 6, lun-
ghezza del cefalotorace mill. 2 172. — Vive nel Modenese.
Pyrophorus venetiarumn nov. sp.
Le mandibole sono larghe, superiormente piane, in-
ternamente munite di robusti dentelli, colorate di nero.
L’ uncino è lungo, munito al margine interno di un
dente lungo ed acuto a breve distanza dalla base, e di
due piccolissimi rialzi a guisa di asprezze innanzi al
dente predetto. L’ uncino è nero alla base, rossigno
verso l’apice. Il capo è superiormente piano e di colore
nero, posteriormente incavato, per cui gli occhi laterali
posteriori stanno sopra due eminenze ottuse. Il capo
risulta diviso dal torace per mezzo di due solchi late-
rali, semicircolari, colla concavità rivolta in avanti, che
non raggiungono la linea mediana. Il torace è rosso
giallastro orlato di nero. L’ addome è inferiormente e
lateralmente di un nero intenso; alla faccia superiore
nella metà anteriore del colore del torace, nella poste-
riore nero. Nella metà anteriore si notano in ciascun
lato due figure nere, che sporgono entro il campo rosso
— 204 —
giallastro ; l anteriore di esse è breve, di forma triango-
lare e dista molto da quella del lato opposto; la pos-
teriore è lineare, scorre obliquamente in avanti e rag-
giunge quasi l’ omologa dell’ altro lato. Il colore generale
delle zampe è giallo; quelle del 1° pajo hanno il femore
ed il metatarso nero, quelle del 2° pajo portano sulla
faccia interna una striscia nera e sulla faccia inferiore
del trocantere un punto nero; quelle del 5° pajo hanno
l'anca ed il trocantere sul lato esterno macchiato in
nero; quelle del 4° pajo hanno l’ anca ed il trocantere
alla faccia esterna percorsi da linea nera, il femore bruno
verso l’ apice, la patella e tibia esternamente percorsi
da linea nera, ed il metatarso nero. — Lunghezza del-
l’animale, non comprese le mandibole, mill. 5, 2. Lun-
ghezza dell'addome mill. 5. Lunghezza delle mandibole
senza l’ uncino mill. 2.
Vive nel Veneto, dove fu raccolto dal dott. A. De
Ninni.
Amaurebius 12 - maculatus nov. sp.
Il cefalotorace è lungo quanto la patella e tibia in-
sieme dei primo pajo di zampe. La rima mediana è
breve e profonda; da essa partono dei solchi profondi
che scorrono verso la periferia. Gli occhi anteriori sono
disposti sopra una linea retta; i mediani distano tra
loro un po’ meno che dai laterali. La fila posteriore
degli occhi è incurvata, essendo i laterali collocati più
in basso dei mediani; questi distano ugualmente. tra
loro e dai laterali. L’ addome è ovale, anteriormente
rotondato, posteriormente finito in punta. Il cefalotorace
è bruno rossastro, le mandibole sono più chiare e lu-
centi; lo sterno è ora del colore del cefalotorace, ora
nero. L’ addome è nero e porta 12 macchie gialle al-
lungate, poste obbliquamente a paja, 6 in ciascun lato;
— 203 —
esse decrescono gradatamente dall’ avanti all’ indietro;
inoltre il 2° pajo di esse dista assai più dal 1° pajo,
che le altre paja tra loro. Le zampe sono gialle con
anelli neri; di questi se ne vede uno nella metà supe-
riore del femore, uno sulla patella, un altro presso
Ly apice della tibia, un altro presso | apice del meta-
tarso; la punta del tarso è nera.
Dimensioni di un maschio adulto.
Lunghezza totale... . . . . mill. 6,0.
”» del cefalotorace . . . TONI)
Larghezza maggiore dell’ addome . » 2,1.
Lunghezza delle zampe del 1° pajo » 7,0.
29 29 90 2) 29 6,0.
29 29 SO 29 22 do:
be) 29 49 29 99 6,1.
Questa specie non è rara nel Modenese sotto alle
pietre.
Philodromus Generaliî nov. sp.
Il cefalotorace è più largo che lungo coi margini
laterali semicircolari. La porzione corrispondente al
torace è bruna con margine giallastro, quella corri-
spondente al capo è grigia. Tra gli occhi mediani po-
steriori scorrono due linee nere, parallele, e dietro
ciascuno di essi osservasi un’ altra lineetta più breve
delle citate, ma con queste parallela. Le mandibole
sono bianche. L’ addome è pentagono, bruno rossastro,
portante numerose macchiette gialle. Queste si accumu-
lano al margine anteriore per formare due macchie
maggiori, e nella metà posteriore dell’ addome per for-
mare in ciascun lato una estesa macchia irregolare. Sul
— 206 —
ventre, due linee trasversali nere segnano il limite
delle piastre polmonali; il ventre è nel mezzo grigio
oscuro ed ai lati bianco, e porta quattro serie di punti
neri. Le zampe sono gialle, e non portano anelli; invece
osservansi su ciascuna 3 striscie nere, che prendono
origine sul femore e si estendono senza interruzione
sino all’ apice del tarso; lo stesso colore offrono i palpi.
Le tibie del 1° pajo di zampe portano anteriormente e
posteriormente 2 setole, ed un uguale numero se ne
osserva sulla faccia inferiore.
Le specie che più si accostano alla presente sono il
Ph. margaritatus Clerck, ed il Ph. cinereus Westring.
Dimensioni di una femina.
Lunghezza totale . . . . . . . mill. 5,5.
9 dell’ addome. . . . . DO
”» di una zampa del 1° pajo » 5,1.
3? 29 da 29 29 9,0.
” ” 4°» ” 4,9. i
Un unico esemplare di questa specie fu raccolto nel
Modenese dal prof. Giovanni Generali.
—e ener
LIBRI
ricevuti in cambio od in dono dalla Società
VIERTELJAHRSSCHRIFT der Naturf. Gesellschaft in Zurich, redigirt von
Dott. R. Wolf, 1856 fino 1866.
RENDICONTO delle sessioni dell’ Accademia delle scienze dell’ Istituto di
Bologna, anno accad. 1867-63.
VERHANDLUNGEN des naturhistorisch-medicinischen Vereins zu Heidel-
berg, Band HI, e B. IV, 1-4.
RENDICONTI del r. Istituto lombardo di scienze e lettere, ser. II, vol.
I, 1-9.
VASCO Cav. AMEDEO, Retour au grainage domestique pour le choix des
cocons sur la bruyère, 1867. — Osservazioni sulla scomparsa della
membrana nell’ uovo del baco da seta. — Sperimenti con alleva-
menti precoci di seme serico.
BERICHTE IX-XII, der Oberhessischen Gesellschaft fur Natur-und Heil-
kunde, 1862-1367.
VERHANDLUNGEN und Mittheilungen des dice bue Chen Vereins fur
Naturwissenschaften, Jahrg. XVI e XVII.
JAHRBUCHER des Nassauischen Vereins fiur Naturkunde, 19 e 20 Heft.
BERICHT XIX, des Naturhistorischen Vereins in Augsburg, 1867.
FANTONI GABRIELE, Nuovo diurno italiano, Venezia 1867.
ANNUAL REPORT of the board of regents of the Smithsonian Institu-
tion, 1866.
STROBEL Prof. PELL. Oggetti dell’ età della pietra levigata rinvenuti
nella provincia di San Luis, 1867. — Solidungulo biungulato,
1865. — Paraderos preistorici.
RAGONA Prof. D. Osservazioni su la evaporazione. — Riassunto delle
osservazioni meteorologiche eseguite nel r. osservatorio di Modena
nell’ anno 1866.
COMMENTARIO della fauna, flora e gea del Veneto e del Trentino, 4-4.
JAHRBUCH der k. k. geologischen Reichsanstalt in Wien, 1867, XVII,
num. 1-4.
ATTI del r. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, 1867-68, disp. 1-7.
ATTI della Società Italiana di scienze naturali, vol. IX, 1-3.
Errata=Corrige
Pag. 157. Ommettere le ultime 2 linee.
« 184. Riga 19, Riferisce all’ — considera come un
INDICE DELLE MATERIE
PER NOME D'AUTORE
BONIZZI P. Sulla generazione del Pholcus DIEM
Walck . È
CANEST'RINI G. Intorno ai Labroidi aci Medusa aneo
» » Sopra alcuni Crani antichi scoperti nel
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Prezzo dell’ Annuario Lire Sei.
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